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Full text of "Opere di Galileo Ferraris"

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OPERE 


DI 


GALILEO  FERRARIS 

PUBBLICATE  PER  CURA  DELLA 

ASSOCIAZIONE  ELETTROTECNICA  ITALIANA 

VOL.    IL 
con   32   iticieiioni   e   ^   tavole. 


ULRICO  HOEPLI 

EDITORE-LIBRAIO  DELLA    REAL  CASA 
1903. 


U  volume  I  di  quest'opera  costa  L.  12.  —  Il  volume  III 
è  in  corso  di  stampa. 


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OPERE 


GALILEO  FERRARIS 


OPERE 


DI 


GALILEO  FERRARIS 

PUBBLICATE   PER  CURA   DELLA 

ASSOCIAZIONE  ELETTROTECNICA  ITALIANA 

VOL.  IL 

con   32    ir&cieiioni    e   ^    tavole. 


ULRICO  HOEPLI 


EDITORE-LIBRAIO   DELLA    REAL  CASA 


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PUBLIC  UBRARY 

ACTOR,    LENOX    ANO 
TlL0£e4    FCKkMOATIÒN« 

Il  1003  L 


MiJaQo^  Jipj  Bffiyrdoni  di  C.  Rebeschini  e  C. 


INDICE 


Le  nuove  macchine  di  induzione Pag.       i 

SULUk  ILLUMINAZIONE  ELETTRICA.   ClNQUE  PUBBLICHE  CONFERENZE: 

Conferenza  prima.  Equivalenza  e  conservazione  deirenergia       ,         17 

Conferenza  seconda.  Della  corrente  elettrica ^        33 

Conferenza  terza.  Delle  macchine  d'induzione ,        51 

Conferenza  quarta.  Sull'illuminazione   per   mezzo   dell'arco 

voltaico 71 

Conferenza  quinta.  Nuove   lampade  elettriche.  —  Divisione 

della  luce  elettrica.  —  Conclusioni ,        83 

Sulle  applicazioni  industriali  della  corrente  elettrica  alla 
Mostra    Internazionale   di    Elettricità   tenuta   im    Parigi 

nel  1881 m      J17 

Parte  L    Produzione,  accumulazione  e  distribuzione   dell'e- 
nergia elettrica. 
§  I.*  Bfacchine  magneto-elettriche  e  dinamo* elettriche   .       »       tao 

§  a.*  Accumulatori  dell'energia  elettrica ,       139 

§  3.*  Distribuzione  dell'energia   per  mezzo  di   correnti 

elettriche „       155 

Parte  IL  Applicazioni  dell'energia  elettrica. 

§  i.''  Trasmissione  del  lavoro  meccanico  a  distanza  .    .        .       ^74 

§  a.**  Illuminazione  elettrica .      aoS 

§  3.*  Elettro-metallurgia p       336 

Sui  lavori  della  prima  sessione  della   conferenza  internazio^ 

nale  di  elettricità ,      ajt 

Prima  Commissione.  Determinazione  dell'ohm ,        p      373 

Seconda  Conunissione.  Correnti  elettriche  terrestri,  elettricità 
atmosferica  e  parafulmini.  Collegamento   telegrafico  degli 

osservatori  meteorologici «      éB6 

Terza  Commissione.  Scelta  di   un'unità  di  intensità  di  luce, 

ed  esame  dei  metodi  fotometrici ,      ji^ 

Condttsioni  e  proposte ,      311 

Rel.\ziove  della  giuria  internazionale  per  la  sezione  di  elet* 
tricttà  sul  conferimento  del  premio  speciale  di  lire  quin- 
dicimila stabilito  dal  governo  e  dal  municipio  di  torino .       .      3i7 


^n 


Indice, 


L'elettrotecnica  all'Esposizione  Universale  del  1889  in  Parigi: 

Capo  I.  Le  macchine  dinamoelettriche Pag.  337 

Capo  II.  I  sistemi  di  distribuzione „  364 

Capo  IH.  Applicazioni  speciali .  384 

Sul  congresso  internazionale  di  elettricità  in  Chicago,  1893: 

Capo  I.  Cenno  sui  Congressi  anteriori .  419 

Capo  IL  Congresso  di  Chicago «  427 

Capo  III.  Considerazioni  svolte  nelle  discussioni  e  riflessioni 

intomo  alle  deliberazioni  prese „  437 

Sulla  trasmissione  elettrica  dell'energia.  (Lettura  fatta  alla  R. 

Accademia  dei  Lincei  nella  solenne  adunanza  del  3  giugno  1894.)  „  445 

Necrologia.  Luciano  Gaulard 47 1 


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LE  NUOVE  MACCHINE  DI  INDUZIONE 


(Nota  pubblicata  néìVIngi^Meria  Civili  e  U  Arti  Industriali,  1876. 
Anno  n,  fase.  6.) 


Grazie  alle  recenti  innovazioni,  le  macchine  di  induzione 
magnete-elettriche  e  dinamo-elettriche  sono  uscite  dalla  schiera 
di  quelle  destinate  soltanto  a  ricerche  scientifiche  ed  a  dimo- 
strazioni scolastiche,  ed  hanno  preso  posto  fra  le  macchine  in- 
dustriali. 

Oggetti  di  questa  nota  sono: 

i.°  Dire  del  principio  sul  quale  si  fonda  la  costruzione 
delle  nuove  macchine  quanto  basta  perchè  si  possano  apprezzare, 
senza  esagerarli,  i  pregi  che  le  distinguono  dalie  macchine  an- 
teriori. 

2.*>  Descrivere  fra  i  modelli  più  recenti  delle  macchine 
moderne  quelli  che  sembrano  destinati  ad  un  migliore  avvenire 
nel  campo  industriale. 

I.  Sono  note  le  leggi  di  Lenz  e  di  Neumann,  le  quali  si 
possono  riassumere  così:  se  in  presenza  di  correnti  elettriche 
o  di  calamite  induttrici  si  muove  un  circuito  o  parte  di  circuito 
chiuso,  si  manifestano  in  questo  correnti  indotte  contrarie  a 
quelle  che  dovrebbero  esistervi  acciocché  le  attrazioni  o  le  ri- 
pulsioni mutue  tra  di  esse  e  le  correnti  o  le  calamite  induttrici 
producessero  il  medesimo  movimento.  La  forza  elettro-motrice 
indotta  in  una  parte  qualunque  del  circuito  indotto  è  uguale  al 
lavoro,  riferito  all'unità  di  tempo,  che  su  di  essa  farebbero  le 
attrazioni  delle  correnti  o  delle  calamite  induttrici,  quando  essa 
fosse  percorsa  da  una  corrente  di  intensità  uguale  all'unità.  In 
altri  termini,  detto  V  il  valore  che  avrebbe  dopo  il  tempo  /  il 
potenziale  del  sistema  induttqre  suj  gii;cujtQ ,  indotto,  se  questo 

G.  Ferraris,  Optrr,  Voi.  II.:  '-:  '.'      \.  '.'-        '-     \   :  '\  \'\  1 


Le  nuove  macchine 


fosse  percorso  da  una  corrente  di  intensità  uguale  ad  uno,  la 

forza  elettro-motrice  indotta  nell'istante  medesimo  è  espressa  in 

dV 
unità  assolute  dalla  derivata  -^.  Questa  derivata  si  annulla  e 

dt 

cambia  di  segno  quando  la  funzione  V  passa  per  un  massimo 

o  per  un    minimo;   dunque   la   forza   elettro-motrice  indotta  in 

una  porzione  del  circuito  indotto  cambia  di  segno  ogniqualvolta 

il  potenziale  delle   attrazioni   esercitate  dall'induttore   sopra  di 

essa,  supposta  percorsa  da  una  corrente  di  intensità  uguale  ad 

uno,  è  massimo  o  minimo. 

Sopra  questo  principio  generale  è  fondata  la  costruzione 
di  tutte  le  macchine  di  induzione,  delle  più  antiche  come  delle 
più  recenti.  In  tutte  poi  il  sistema  induttore  è  costituito  da 
calamite  permanenti  o  da  elettro-magneti  attivate  da  correnti 
che  si  producono  nella  macchina  stessa,  ed  il  sistema  indotto 
è  formato  da  una  o  da  più  spirali  con  nucleo  di  ferro  dolce, 
alle  quali  si  imprime  un  moto  di  rotazione.  Se  una  di  tali  spi- 
rali ha  rispetto  alle  linee  dei  poli  della  calamita  induttrice  un 
moto  angolare,  il  potenziale  di  questa  sopra  di  essa  è  massimo 
o  minimo  quando  Tasse  del  nucleo  è  parallelo  alla  linea  dei 
poli;  dunque  la  forza  elettro-motrice  indotta  nella  spirale  cambia 
di  segno  quando  Tasse  di  questo  diventa  parallelo  alla  retta 
dei  poli.  La  posizione  per  cui  si  verifica  questa  condizione  di- 
cesi posizione  assiale.  La  posizione  della  spirale,  per  cui  Tasse 
del  nucleo  è  perpendicolare  alla  linea  dei  poli  dicesi  invece 
equatoriale.  Egli  è  quando  le  spirali  passano  per  la  posizione 
assiale,  che  in  esse  si  inverte  il  segno  della  forza  elettro-motrice 
indotta. 

Ora  v'hanno  due  modi  di  disporre  le  spirali  indotte.  O 
v'ha  una  spirale  sola,  o  se  ve  ne  sono  parecchie,  esse  passano 
tutte  contemporaneamente  per  la  posizione  assiale.  Esse  man- 
dano allora  nel  circuito  esterno  correnti,  le  quali  cambiano  di 
segnò  periodicamente,  ad  ogni  semi  rivoluzione,  e  che,  per 
essere  utilizzate,  richiedono  per  lo  più  di  essere  raccolte  per 
mezzo  di  un  commutatore  destinato  ad  orientarle.  Tale  è  la 
disposizione  delle  macchine  d' induzione  ordinarie,  delle  mac- 
chine di  Pixii,  di  Saxton,  di  Clarke,  di  Siemens,  di  Wilde,  di 
Ladd.  Oppure  v'hanno  spirali  disposte  così,  che  le  spire  passino 
nella  posizione  assiale  Tuna  dopo  Taltra.  Allora  l'inversione  di 
segno  della  forza  elettro-motrice  indotta  avviene  nelle  singole 
spire   successiv^njej^te.^  Tale  ^  è^  la^  disposizione  delle  macchine 


e 


di  induzione. 


più  recenti,  delle  quali  più  specialmente  noi  ci  vogliamo  occu- 
pare. In  queste  macchine  è  possibile  avere  una  corrente  real- 
mente continua  e  costante  in  intensità  ed  in  direzione;  e  per 
questo  motivo  esse  formano  la  soluzione  di  un  problema  im- 
portante nella  scienza  come  nelle  applicazioni.  Chi  pel  primo 
trovò  questa  soluzione  fu  il  dott.  Antonio  Pacinotti,  il  quale  fin 
dal  1860  costrusse  un  apparecchio,  di  cui  le  moderne  macchine 
non  sono  che  modificazioni  di  particolari.  ^ 

La  parte  essenziale  dell'invenzione  del  Pacinotti  sta  in  una 
forma  nuova  di  spirale  indotta,  alla  quale  egli  aveva  dato  il 
nome  molto  proprio  di  elettro-calamita  trasversale,  e  che  si 
denomina  anche  propriamente  spirale  od  elettro* calamita  anulare 
od  armillare.  Essa  ha  infatti  la  forma  di  un  anello:  è  una  elet- 
tro-magnete continua,  senza  fine,  rientrante  in  sé  stessa.  Per 
iarsene  un'idea  basta  supporre  che  una  elettro-magnete  inizial- 
mente diritta  sia  stata  ripiegata  in  cerchio  e  che  sieno  state 
saldate  insieme  le  sue  estremità,  nucleo  con  nucleo,  filo  con 
filo.  Il  nucleo  adunque  è  un  anello  di  ferro  dolce,  e  la  spirale 
di  filo  di  rame  isolato,  che  lo  ricopre,  non  ha  estremità.  Questa 
spirale  però  non  è  d'un  pezzo,  ma  è  fatta  di  tanti  pezzi  o  spi- 
rali elementari,  unite  tra  di  loro  capo  a  capo  coU'intermezzo  di 
un  pezzo  metallico  posto  a  nudo,  contro  cui  possono  appoggiarsi 
opportuni  sfregatoi  uniti  agli  estremi  del  circuito  esterno.  De- 
scriveremo fra  poco  la  disposizione  ingegnosa  data  dal  Gramme 
a  questi  pezzi;  per  ora  ci  basti  sapere  che  col  loro  mezzo  è 
possibile  porre  le  estremità  di  un  circuito  esterno  in  comunica- 
zione con  punti  diversi  della  spirale  continua. 

La  descritta  spirale  anulare  è  posta  fra  i  poli  di  una  ca- 
lamita permanente  o  temporaria  e  può  farsi  ruotare  rapidamente 
sul  suo  asse.  Per  questo  movimento  nelle  spirali  elementari,  di 
cui  essa  si  compone,  le  quali  si  possono  considerare  come  elet- 
tro-calamite dritte  con  nucleo  cilindrico,  si  sviluppano  forze 
elettro-motrici.  L'asse  del  nucleo  di  una  di  esse  è  normale  alla 
retta  dei  poli  dell'induttore  quando  la  spirale  è  affacciata  ad 
uno  di  questi  poli;  è  parallelo  alla  retta  medesima  quando, 
avendo  l' anello  rotato  di  90^  la  spirale  si  trova  equidistante 
dai  poli  induttori.  Nel  primo  caso  la  spirale  è  in  posizione  equa- 
toriale, nel  secondo  essa  è  nella  posizione  assiale.  Dunque  in 
ogni   spirale   elementare   si   ha  una   forza   elettro-motrice   che 


'  Nuovo  Cimenio,  fascicolo  di  giugno  1864. 


Le  nuove  macchine 


cambia  di  segno  ogniqualvolta  la  spirale  attraversa  il  piano 
condotto  per  l'asse  di  rotazione  normalmente  alla  retta  dei  poli. 
In  tutte  le  spirali  elementari,  che  in  un  dato  istante  si  trovano 
da  una  parte  di  questo  piano,  si  ha  una  forza  elettro- motrice 
diretta  in  un  verso;  in  tutte  quelle,  che  nel  medesimo  istante 
sono  dall'altra  parte  del  piano,  si  ha  una  forza  elettro-motrice 
di  segno  contrario:  in  una  metà  della  spirale  anulare  si  ha  una 
forza  elettro-motrice  di  dato  segno,  nell'altra  metà  una  forza 
elettro-motrice  uguale  e  di  segno  contrario.  Le  due  parti  della 
spirale  sono  separate  da  un  piano,  che  noi  diremo  piano  di  in- 
versione. 

Possiamo  renderci  altrimenti  conto  di  questo  fatto.  L'anello 
di  ferro  dolce  formante  il  nucleo  della  spirale,  posto,  come  è, 
fra  i  poli  della  calamita  induttrice,  si  trova  magnetizzato  per 
influenza:  nella  parte  più  vicina  al  polo  nord  di  questa  esso 
presenta  un  polo  sud^  e  presenta  un  polo  nord  nella  parte  af- 
facciata al  polo  sud  dell'  induttore.  Sul  diametro  dell'  anello  pa- 
rallelo alla  retta  dei  poli  dell'induttore  si  hanno  i  poli,  sul  dia- 
metro perpendicolare  si  hanno  i  punti  neutri  ;  l'anello  rappresenta 
adunque  un  sistema  di  due  calamite  ripiegate  a  semicerchio  ed 
unite  coi  poli  omonimi. 

I  poli  ed  i  punti  neutri  non  seguono  l'anello  nella  sua  ro- 
tazione, ma  stanno  fissi  nella  posizione  loro  determinata  dalle 
condizioni  del  sistema  induttore;  quindi  i  fenomeni  che  accom- 
pagnano la  rotazione  della  spirale  anulare  debbono  essere 
quelli,  che  succederebbero  quando  le  spire  girassero  sole,  e  nel 
loro  interno  stessero  immobili  le  due  calamite  semicircolari 
delle  quali  si  è  parlato.  Ora  è  facile  vedere  quello  che  acca- 
drebbe in  questo  caso.  Immaginiamo  a  quest'uopo  tagliato  l'anello 
di  ferro  in  uno  dei  poli,  e  disteso  poi  in  linea  retta.  Così  esso 
si  riduce  ad  un  sistema  di  due  calamite  rettilinee  J/,  M^  unite 
coi  poli  omonimi  5,  H  (fig.  i).  Consideriamone  per  ora  una 
soltanto,  per  esempio,  la  AT,  e  supponiamo  che  una  spirale  X  si 
avvicini  rapidamente  al  polo  A  venendo  dalla  sinistra,  e  che  si 
faccia  avanzare  verso  B.  Come  è  noto,  si  manifesta  in  questa 
spirale  una  forza  elettro-motrice  tendente  a  produrre  una  cor- 
rente contraria  a  quelle,  che,  secondo  la  teoria  di  Ampère,  esi- 
stono nella  calamita  M,  Seguitando  a  muovere  la  spirale  nel 
medesimo  verso,  una  forza  elettro-motrice  del  medesimo  segno 
seguita  a  manifestarsi,  finché  la  spirale  arriva  nella  sezione 
neutra  M  ad    ugi^ilj.  4ist^qz^  .^^Ì»Jpo^l«  Oltrepassando    questa 


di  induzione. 


sezione,  la  forza  elettro-motrice  cambia  di  segno.  Cosi  nella 
intera  corsa  della  spirale  lungo  la  calamita  M  si  debbono  di* 
stinguere  due  periodi:  nella  prima  metà  della  corsa  la  forza 
elettro  motrice  è  tale  da  produrre  una  corrente  inversa  rispetto 
a  quelle  di  Ampère,  nella  seconda  metà  è  tale  da  produrre  una 
corrente  diretta. 

Se  invece  di  camminare  da  sinistra  a  destra,  come  noi 
abbiamo  supposto,  la  spirale  si  movesse  da  destra  a  sinistra, 
entrando  dal  polo  B  per  uscire  dalla  parte  del  polo  A,  la  forza 
elettro-motrice  indotta  sarebbe  in  ogni  posizione  della  spirale 
contraria  a  quella  che  nell'ipotesi  precedente  corrisponde  alla 
medesima  posizione.  Ora,  se  alla  calamita  ABt  unita  la  B  A' 
come  mostra  la  figura,  e  se  la  spirale,  che  è  entrata  dall'estre- 
mità Af  seguita  a  muovei-si  sempre  nel  medesimo  verso,  fino 
in  A\  essa  subisce  lungo  B'  A'  la  stessa  induzione,  che  subi- 
rebbe percorrendo  B  A  Ak  destra  verso  sinistra.  Quindi  la 
forza  elettro-motrice  ha  in  B' M*  il  verso  che  essa  ha  in  MB, 
ed  in  AT  A'  il  verso  che  essa  aveva  in  A  M;  in  una  parola, 
la  forza  elettro-motrice  cambia  due  volte  di  segno,  in  M  ed 
in  Af.  Se  immaginiamo  l'anello  rifatto  e  riposto  a  sito,  noi 
troviamo  i  punti  neutri  M,  Af  in  un  piano  prossimo  a  quello 
condotto  per  Tasse  di  rotazione  perpendicolarmente  alla  retta 
dei  poli  della  calamita  induttrice;  dunque  ritroviamo  quello  che 
abbiamo  visto  già  per  altra  via:  che  in  tutte  le  spire,  le  quali 
in  un  dato  istante  si  trovano  da  una  medesima  banda  di  questo 
piano,  la  forza  elettromotrice  indotta  ha  il  medesimo  segno,  e 
che  in  tutte  le  spire  poste  dall'altra  banda  del  piano  medesimo 
la  forza  elettro-motrice  ha  il  segno  contrario. 

Detta  .S  la  lunghezza  totale  della  spirale  indotta,  ed  5  la 
lunghezza  di  una  parte  di  essa  misurata  in  ogni  istante  a  par- 
tire da  uno  dei  punti  che  in  quell'  istante  si  trovano  nel  piano 
di  inversione,  noi  possiamo  dire,  che  in  ogni  elemento  ds  della 
spirale  agisce  una  forza  elettro-motrice  Fds,  e  che  F  è  una 
funzione   continua   di  s,  che   si   annulla  e  cambia  di  segno  per 

5  =  0  e  per  s  =  — ,  e  che  per  5  =  5  — e  ha  il  valore  che  ha 


2 
per  5  =  T.  La  forza  elettro-motrice  totale 


I 


s 
Fds 


Le  nuove  macchine 


è  adunque  nulla,  e  se  la  spirale  non  è  posta  in  comunicazione 
con  circuiti  esterni,  in  essa  non  si  può  manifestare  una  corrente 
continua. 

In  questo  caso  il  solo  effetto  dell'induzione  è  di  produrre 
nella  spirale  una  distribuzione  dell'elettricità  libera  diversa  da 
quella,  che  corrisponde  allo  stato  di  riposo.  Il  potenziale  P  del- 
l'elettricità  libera,  che  nello  stato  di  riposo  ha  un  valore  co-' 
stante  in  tutti  i  punti  del  conduttore,  diventa  una  funzione  di  s 
legata  alla  F  dalla  relazione  : 

ds       ^• 

Questa  uguaglianza  prova,  che  P  è  massimo  o  minimo  nei 
punti  ove  la  forza  elettro-motrice  F  è  nulla;  ma  /"  è  nulla  e 
cambia  segno  nei  punti  ove  la  spirale  è  tagliata  dal  piano  d'in- 
versione; dunque  il  potenziale  dell'elettricità  libera  prende,  per 
effetto  del  movimento,  valori  diversi  nei  diversi  punti  della  spi- 
rale, è  massimo  in  uno  dei  punti  situati  nel  piano  di  inversione, 
minimo  nell'altro. 

Se  adunque  noi  mettiamo  in  contatto  con  due  punti  della 
spirale  le  estremità  di  un  circuito  esterno,  questo  sarà  percorso 
da  una  corrente,  la  intensità  della  quale  è  proporzionale  alla 
differenza  dei  potenziali  di  quei  due  punti.  Si  avrà  una  intensità 
massima,  se  i  punti  toccati  sono  quelli  situati  nel  piano  di  in- 
versione. 

Così  si  fa  nelle  macchine  ad  armatura  armillare;  le  estre- 
mità del  circuito  esterno  sono  unite  a  due  sfregatoi,  i  quali 
vengono  a  contatto  coi  pezzi  metallici  uniti  ai  capi  delle  spirali 
elementari,  nel  momento  in  cui  queste  attraversano  il  piano  di 
inversione. 

Per  farci  un'  idea  concreta  del  fatto,  possiamo  osservare 
che  le  due  metà  della  spirale  anulare  separate  dal  piano  di  in- 
versione sono  paragonabili  a  due  pile  di  uguali  forze  elettro- 
motrici, fra  loro  congiunte  co'  poli  omonimi.  Nel  circuito  formato 
da  queste  due  pile  non  può  aversi  corrente  continua  finché  esse 
non  si  congiungano  con  circuiti  esterni;  ma  se  ai  due  poli  po- 
sitivi tra  loro  uniti  si  attacca  una  delle  estremità  di  un  con- 
duttore, che  coll'altra  estremità  si  colleghi  coi  due  poli  negativi, 
le  due  pile  riescono  congiunte  in  quantità  e  mandano  nel  cir- 
cuito esterno    una    corrente.  La   resistenza    delle  due  pile  così 


di  induzione. 


accoppiate  è  uguale  alla  metà  di  quella  che  presenterebbe  cia- 
scuna di  esse:  così  la  resistenza  della  spirale  anulare  nelle 
macchine  di  induzione  riesce  uguale  ad  un  quarto  di  quella  del 
filo  con  cui  è  formata. 

Abbiamo  supposto  per  semplicità  che  il  piano  di  passaggio 
coincidesse  col  piano  condotto  per  l' asse  di  rotazione  perpen- 
dicolarmente alla  retta  dei  poli  della  calamita  induttrice.  Ciò 
però  non  è  esatto  per  due  motivi.  In  primo  luogo  il  ferro,  con 
cui  il  nucleo  è  formato,  non  è  mai  assolutamente  privo  di  forza 
coercitiva,  la  quale  fa  sì  che  gli  stati  magnetici  seguano  per  un 
tratto  l'anello  nella  sua  rotazione.  Ne  risulta,  che  la  linea  dei 
poli  dell'anello  fa  un  angolo  colla  linea  dei  poli  della  calamita 
induttrice,  che  i  poli  dell'anello  sono  in  ritardo  rispetto  a^  quelli 
della  calamita  induttrice  e  che  questo  ritardo  cresce  colla  velocità. 

In  secondo  luogo  le  correnti,  che  percorrono  le  due  semi- 
spirali quando  la  macchina  è  in  movimento,  agiscono  sulla  di- 
stribuzione del  magnetismo  nel  nucleo:  se  questo  non  fosse  gik 
altrimenti  magnetizzato,  si  formerebbero  i  poli  nel  piano  di  in- 
versione. Una  tale  distribuzione  di  magnetismo,  sovrapponendosi) 
a  quella  dovuta  alla  influenza  della  calamita  induttrice,  dà  luogo» 
ad  una  magnetizzazione  risultante,  per  cui  i  poli  sono  in  ri- 
tardo rispetto  a  quelli  della  magnete  induttrice.  Il  ritardo  dovuto, 
a  questa  seconda  causa  è  tanto  maggiore  quanto  è  più  intensa* 
la  corrente  indotta;  è  adunque  funzione  non  solo  della  velocità* 
dell'  armilla,  ma  anche  della  resistenza  sua  e  di  quella  del  cir- 
cuito esterno. 

Per  questi  motivi  anche  il  piano  di  inversione  è  in  ritardo 
rispetto  a  quello  che  passa  per  l'asse  di  rotazione  ed  è  per- 
pendicolare  alla  linea  dei  poli  induttori.  E  siccome  per  avere- 
nel  circuito  esterno  la  massima  differenza  dei  valori  del  poten- 
ziale, per  avere  la  massima  intensità  di  corrente  è  necessario- 
disporre  gli  sfregatoi  in  modo  che  essi  comunichino  sempre 
con  quelle  delle  spirali  elementari,  le  quali  stanno  attraversando- 
li piano  di  inversione,  così  anche  gli  sfregatoi  dovranno  essere 
posti  alquanto  in  ritardo  rispetto  al  piano  equatoriale.  11  ritardo 
conveniente  è  in  ogni  caso  determinato  dall'esperienza  :  ma  noi 
sappiamo  che  esso  dipende  dalla  velocità  di  rotazione  dell'anello 
e  dalla  resistenza  del  circuito.  . 

Se,  senza  alterare  le  dimensioni  delle  singole  spire,  si  im- 
magina ridotto  a  zero  il  raggio  di  curvatura  dell'asse  del  nucleo 
anulare,  la  spirale   anulare   riesce   trasformata   in  un  gomitolo. 


8  Le  nuove  macchine 


senza  che  con  ciò  si  cambino  essenzialmente  i  fenomeni  di  in- 
duzione che  vi  si  producono  col  movimento.  Questa  modifica- 
zione fu  immaginata  dallo  stesso  dott.  Pacinotti  *  e  dall'  Hefner 
Alteneck,  dietro  le  idee  del  quale  Siemens  ed  Halske  di  Berlino 
costrussero  macchine  rimarchevoli.  Scopo  di  tale  modificazione 
era  di  aumentare  l'induzione  del  nucleo  sulle  spire  e  di  dimi- 
nuire la  resistenza  di  queste.  Le  esperienze  fatte  finora  non 
sono  ancora  così  numerose  da  bastare  per  decidere  se  la  somma 
de' pregi  di  queste  macchine  superi  quella  degli  inconvenienti. 
Sembra  però  che  queste  esperienze  abbiano  posto  in  chiaro  un 
grave  difetto;  la  spirale  a  gomitolo  abbisognando  di  una  grande 
velocità,  la  macchina  si  scalda  molto  in  un  lavoro  continuato.  È 
questo  il  difetto  più  grave  che  si  rimproverasse  alle  macchine  po- 
derose ad  armatura  cilindrica  del  Siemens,  del  Wilde  e  del  Ladd. 
Quali  pregi  le  macchine  ad  armatura  anulare  abbiano  sopra 
le  macchine  di  induzione  ordinaria  risulta  dalla  descrizione 
sommaria  e  dalla  teoria  che  di  loro  abbiamo  esposto: 

i.°  Mentre  le  macchine  ordinarie  danno  correnti  alternate 
che  si  annullano  e  cambiano  di  segno  ad  ogni  semirivoluzione 
delle  spirali,  e  che  anche  orientate  con  un  commutatore  non 
possono  formare  ^Itro  che  una  corrente  di  intensità  periodica, 
la  quale  ad  ogni  mezzo  giro  delle  spirali  passa  per  un  massimo 
e  si  annulla,  nelle  macchine  moderne  si  ha  una  corrente  diretta 
sempre  nel  medesimo  verso  e  che  può  rendersi  quasi  assoluta- 
mente costante  disponendo  gli  sfregatoi  così  che  essi  comunichino 
contemporaneamente  con  più  d'una  spirale  elementare.  Questa 
differenza  costituisce  il  merito  principale  delle  nuove  macchine; 
nella  scienza  essa  è  la  soluzione  ingegnosa  di  un  problema  nuovo; 
nelle  applicazioni  industriali  essa  è  talora  condizione  essenziale 
di  buon  esercizio,  come  nella  galvanoplastica,  ove  è  indispensabile 
una  perfetta  costanza  della  corrente  ;  sempre  è  condizione  utile 
per  l'economia,  siccome  quella  che  diminuisce  la  perdita  di  energia 
e  lo  sciupio  della  macchina  dovuti  alle  scintille,  che  nelle  ordi- 
narie macchine  si  producono  inevitabilmente  per  la  non  mai 
esattissima  posizione  del  commutatore. 

2.°  Costrutte  col  sistema  delle  macchine  dinamo-elettriche 
di  Siemens,  di  Wheatstone  e  di  Ladd,  ove  alle  calamite  perma- 
nenti sono  sostituite  elettromagneti  attivate  da  correnti  indotte 
nella  macchina  stessa,  le  macchine  ad  armatura  anulare  hanno 


*  Nuovo  Cimettio,  serie  2.",  tomo  XII,  1874,  pag.  1^0. 


di  induzione. 


con  queste  comune  il  merito  di  avere  grande  potenza  con  pic- 
colo volume  e  piccolo  peso,  senza  avere  comune  con  le  altre 
macchine  di  grande  potenza  il  grave  inconveniente  di  scaldarsi 
così  da  non  permettere  senza  precauzioni  incomode,  e  talora 
Impossibili,  un  lavoro  energico  e  continuato. 

2.  Se  la  possibilità  di  ottenere  i  vantaggi  di  cui  abbiamo 
parlato  sta  nella  nuova  forma  della  spirale  indotta,  il  merito 
di  averli  ottenuti  praticamente  spetta  al  Sig.  Gramme,  il  quale 
(forse  ignaro  dei  lavori  anteriori  del  Pacinotti)  seppe  dare  agli 
apparecchi  disposizioni  razionali  ed  ingegnose  cosi,  da  trasfor- 
marli in  perfette  macchine  industriali.  ^  Noi  descriveremo  dap- 
prima l'armatura  anulare  quale  è  costrutta  dal  Gramme;  descri- 
veremo in  seguito  gli  ultimi  modelli  di  macchine  di  induzione 
che  questi  fece  costrurre  per  le  applicazioni  più  importanti. 

La  fig.  2.*  rappresenta  la  spirale  anulare  del  Gramme.  Il 
nucleo,  fatto  con  un  fascio  di  fili  di  ferro,  è  segnato  con  A  e 
le  spirali  elementari  di  filo  di  rame  rivestito  sono  segnate  colla 
lettera  B.  Per  facilitare  l'intelligenza  della  sua  costruzione,  la 
spirale  fu  disegnata  completa  soltanto  in  una  parte;  in  un'altra 
parte  invece  si  sono  supposte  tolte  alcune  spirali,  così  da  la- 
sciare a  nudo  il  nucleo  di  /erro;  in  un'ultima  parte  anche 
questo  si  è  supposto  tagliato.  I  capi  di  due  spirali  successive 
non  sono  congiunti  immediatamente  fra  loro,  ma  sono  attaccati 
ad  una  spranghetta  radiale  di  rame  R,  la  quale,  ripiegandosi  a 
squadra,  passa  nell'interno  dell'anello  e  ne  sporge  dall'altra 
parte.  Le  parti  sporgenti  delle  spranghette,  le  quali  sono  tante 
quante  sono  le  spirali  elementari  componenti  l'anello,  e  sono 
tra  loro  isolate,  stanno  sopra  una  superficie  cilindrica  avente 
per  asse  Tasse  di  rotazione  dell'anello.  Contro  questa  superficie 
cilindrica  si  appoggiano  gli  sfregatoi,  ai  quali  si  uniscono  le 
estremità  del  circuito  esterno. 

Nella  figura  3.*  rappresentante  una  piccola  macchina  di 
Gramme  di  uno  dei  modelli  più  antichi,  si  può  vedere  come 
questi  sfregatoi  sieno  collocati.  SON  è  una  calamita  perma- 
nente induttrice.  Fra  due  ganasce  di  ferro  unite  alle  estremità 
polari  S  ed  N  gira  la  spirale  anulare  AM B M'  sul  cui  albero 


'  La  macchina  magneto-elettrica  del  Gramme  fu  presentata  all'Accademia 
delle  Scienze  di  Parigi  nel  luglio  187 1.  Essa  è  sommariamente  descrìtta  nei 
Comptis  rtndus,  ed  il  sig.  Niaudet-Bréguet  ne  ha  dato  una  descrìzione  partico- 
lareggiata nel  numero  oc' Mont̀s  del  a8  marzo  1879. 


IO  Le  nuove  macchine 


vedasi  una  crosta  cilindrica  disegnata  con  righe  bianche  e  nere: 
queste  righe  rappresentano  le  spranghette  di  rame  R  e  gli  strati 
coibenti  che  le  separano.  Questa  crosta  cilindrica  é  sfregata 
sulle  due  generatrici  poste  nel  piano  di  inversione  M  M  òz.  due 
spazzole  o  fasci  di  fili  di  rame  argentati,  in  figura  posti  verti- 
calmente, i  quali  comunicano  coi  serrafili  a  cui  sono  raccoman- 
date le  estremità  del  conduttore  esterno. 

La  disposizione  della  spirale  armillare  che  abbiamo  descritto 
è  quella  di  tutte  le  macchine  del  Gramme.  Le  differenze  fra 
queste  macchine  stanno  soltanto  nella  natura  e  nella  disposizione 
delle  magneti-induttrici,  le  quali  per  le  piccole  macchine  da 
muoversi  a  mano  sono,  ne'  modelli  più  recenti,  calamite  per- 
manenti a  lamine  sovrapposte  secondo  il  sistema  del  prof.  Jamin, 
e  nelle  grandi  macchine  per  uso  industriale  sono,  come  nelle 
macchine  dinamo-elettriche  del  Siemens,  del  Wheatstone  e  del 
Ladd,  elettro-magneti  attivate  dalla  macchina  stessa. 

Nella  figura  4  è  disegnata  nella  scala  1/5  una  delle  piccole 
macchine  con  calamita  permanente,  che  il  Gramme  costruisce 
per  uso  scolastico  o  per  le  applicazioni  terapeutiche.  Vedesi 
verso  il  basso  una  piccola  spirale  anulare  avente  il  diametro  di 
8  centimetri  circa,  la  quale,  mossa  da  una  manovella  coll'inter- 
mezzo  di  una  ruota  dentata  e  di  un  rocchetto,  gira  con  piccolo 
giuoco  fra  due  ceppi  di  ferro  fìssati  sulla  tavoletta  di  base  della 
macchina.  Questi  ceppi  di  ferro  formano  le  estremità  polari  di 
una  calamita  del  sistema  Jamin,  la  quale  è  fatta  così:  fermata 
con  viti  ad  uno  degli  zoccoli  una  lamina  di  acciaio,  questa  è 
ripiegata  e  fermata  all'altra  estremità  sul  secondo  zoccolo;  nello 
stesso  modo  è  fissata  una  seconda  lamina  di  acciaio  alquanto 
più  lunga,  che  si  adagia  sulla  prima;  sulla  seconda  lamina  è 
collocata  una  terza  e  così  di  seguito.  La  polarità  magnetica  del 
sistema  cresce  fino  ad  un  limite  col  numero  delle  lamine,  e  può 
raggiungere  valori  che  con  calamite  ordinarie  di  peso  molto 
maggiore  non  si  potrebbero  ottenere. 

Nelle  macchine  per  uso  industriale  l'induttore  è  sempre  un 
sistema  di  elettro-magneti.  Queste  sono  sempre  formate  da  un 
sistema  di  elettro-magneti  diritte  con  nucleo  cilindrico  aventi  un 
punto  conseguente  nel  mezzo;  tali  sbarre  cilindriche,  riunite 
alle  estremità  con  piastre  di  ghisa,  costituiscono  una  grande 
calamita  chiusa  con  due  punti  conseguenti,  come  è  il  nucleo 
anulare  della  spirale  indotta.  Furono  però  date  a  queste  sbarre 
disposizioni  diverse,  e  si  variò  il  modo  di  attivarle. 


di  induzione,  ii 


Nelle  prime  macchine  le  sbarre  formanti  il  nucleo  delle 
elettro-magneti  erano  verticali  e  la  corrente  magnetizzante  era 
somministrata  da  una  spirale  indotta  apposita.  Astrazione  fatta 
dalla  forma  della  spirale,  la  disposizione  si  assomigliava  a  quella 
delle  macchine  di  Ladd:  v'erano  due  o  più  spirali  indotte,  una 
(la  minore  se  non  ve  n'erano  che  due)  dava  la  corrente  ma- 
gnetizzante, la  quale  non  usciva  dalla  macchina;  gli  sfregatoi 
corrispondenti  comunicavano  colla  spirale  magnetizzante  delle 
elettro-calamite  induttrici;  l'altra  o  le  altre  davano  la  corrente 
estema. 

Le  prime  macchine  per  la  galvanoplastica,  costrutte  nel 
1872  pei  signori  Christofle  e  Comp.  di  Parigi,  erano  fatte  con 
questo  sistema.  Elsse  avevano  quattro  sbarre  verticali,  fra  le 
quali  rotavano  due  spirali.  Il  corpo  della  macchina  era  di 
bronzo,  il  piede  di  legno. 

Sullo  stesso  modello,  ma  con  intelaiatura  di  ghisa,  il  Gramroe 
costrusse  verso  la  fine  del  1872  ed  al  principio  del  1873  dieci 
altre  macchine  per  la  galvanoplastica,  sei  delle  quali  furono 
vendute  alla  casa  Christofle  e  C.  Una  di  queste  è  rappresentata 
nella  fig.  5.  Quattro  sbarre  di  elettro-magneti  verticali  formano 
il  sistema  induttore.  Esse  sono  fissate  inferiormente  al  basa- 
mento di  ghisa  della  macchina,  e  superiormente  sono  collegate 
da  una  piastra  di  ghisa;  le  spirali,  che  le  ricoprono,  sono  av- 
volte in  modo  tale,  che  nei  punti  di  mezzo  delle  sbarre  si  for- 
mano  punti  conseguenti;  il  tutto  costituisce  cosi  una  grande 
elettro  calamita  chiusa  con  due  punti  conseguenti,  o,  se  vuoisi, 
rappresenta  due  elettro-calamite  a  ferro  di  cavallo  riunite  coi 
poli  omonimi.  Ai  poli  sono  adattate  appendici  di  ferro  foggiate 
ad  arco  circolare,  frammezzo  alle  quali  girano  le  spirali  anulari. 
Queste  sono  due  e  sono  portate  da  un  medesimo  albero,  al 
quale  si  trasmette  il  movimento  d'una  motrice  per  mezzo  d'un 
cingolo.  Ciascuna  spirale  ha  i  suoi  sfregatoi:  quelli  dell'una 
sono  in  comunicazione  con  fasci  di  fili  che  trasmettono  la  cor- 
rente alle  spirali  magnetizzanti  delle  elettro-calamite  induttrici, 
quelli  dell'altra  comunicano  con  serrafili  ai  quali  si  attaccano 
le  estremità  del  circuito  esterno.  Queste  macchine  pesavano 
750  chilogr.  ciascuna;  del  quale  peso  175  chilogr.  erano  dovuti 
al  rame.  Le  loro  dimensioni  erano  m.  1,30  di  altezza  e  m.  0,80 
di  massima  larghezza.  La  loro  corrente  produceva  il  deposito 
di  600  grammi  d'argento  all'ora,  e  richiedeva  per  esser  prodotta 
un  lavoro  motore  di  un  cavallo-vapore. 


12  Le  nuove  macchine 


Le  macchine  che  il  Gramme  costruiva  in  quel  tempo  per  la 
produzione  della  luce  elettrica  avevano  la  medesima  disposizione. 
La  prima  di  esse  alimentava  un  arco  voltaico  di  intensità  lu- 
minosa equivalente  a  900  becchi  Carcel.  Essa  possedeva  tre 
anelli  mobili  e  sei  sbarre  di  elettro-calamite.  Una  delle  spirali 
anulari  attivava  le  elettro-calamite,  le  due  altre  producevano  la 
corrente  che  si  raccoglieva  nel  circuito  esterno.  La  macchina 
pesava  in  tutto  1000  chilogr.,  il  rame  avvolto  sulle  elettro-ma- 
gneti induttrici  250  chilogr.,  quello  delle  tre  spirali  indotte  75 
chilogrammi.  Lo  spazio  occupato  era  di  m.  0,80  di  lato  su  m.  1^5 
di  altezza.  Questa  macchina  ha  servito  per  molto  tempo  per 
esperienze  sulla  torre  di  Westminster  a  Londra  senza  manife- 
stare altro  inconveniente  che  un  leggiero  riscaldamento  e  la 
produzione  di  alcune  scintille  tra  le  lastrine  di  rame  e  le  spaz- 
zole sfreganti. 

È  affatto  simile  alla  descritta  la  macchina  di  Gramme  esi- 
stente nell'anfiteatro  di  fisica  del  R.  Museo  Industriale  italiano 
in  Torino.  Questa  ha,  come  quella  di  Westminster,  sei  sbarre 
verticali  di  elettro-magneti;  ma  ha  due  sole  spirali  anulari  di 
dimensioni  diverse.  La  minore,  che  riceve  l'induzione  da  due 
delle  sei  sbarre,  dà  la  corrente  magnetizzante  per  le  elettro- 
magneti ;  r  altra,  che  ha  una  larghezza  di  fronte  doppia  della 
prima,  riceve  Tinduziòne  delle  altre  quattro  sbarre  e  dà  la  cor- 
rente esterna.  11  peso  della  macchina  è  di  chilogr.  850;  le  di- 
mensioni dello  zoccolo  di  ghisa  sono  0,73  per  0,68,  l'altezza 
della  macchina  è  di  m.  0,96. 

Collo  scopo  di  diminuire  le  dimensioni  e  il  peso  della 
macchina,  il  Gramme  ha  modificato  leggermente  la  disposizione 
che  abbiamo  descritto,  trasformandola  in  quella  disegnata  nella 
fig.  6.  La  macchina  rappresentata  da  questa  figura  ha  ancora 
sei  elettro-magneti  diritte  verticali,  ma  gli  assi  di  queste,  invece 
di  essere  disposti  in  due  piani  paralleli,  come  nelle  macchine 
anteriori,  sono  situati  lungo  gli  spigoli  di  due  prismi  a  base 
triangolare.  V'hanno  ancora  due  anelli  rotanti,  ma  invece  di 
essere  destinati  unicamente  l' uno  a  dar  la  corrente  magnetiz- 
zante, l'altro  a  dare  la  corrente  esterna,  essi  permettono  o  di 
mandare  la  corrente  totale  nelle  spirali  magnetizzanti,  cosicché 
la  corrente  magnetizzante  sìa  la  stessa  corrente  esterna,  nel 
circuito  della  quale  son  poste  le  spirali,  o  di  magnetizzare  le 
elettro-magneti  con  una  sola  spirale  anulare,  riservando  l'altra 
per  dare  la  corrente  esterna,  o  finalmente  di  dare  due  correnti 


di  induzione,  13 


esterne  e  produrre  cosi  due  archi  voltaici  in  circuiti  distinti. 
Questa  modificazione  nella  disposizione  delle  spirali  indotte  ha 
reso  necessaria  una  nuova  disposizione  degli  sfregatoi,  sulla 
quale  ritorneremo.  La  macchina  così  modificata  pesa  700  chilogr.  ; 
la  sua  altezza  è  di  m.0,90;  la  sua  larghezza  di  m.  0,65.  Il  rame 
avvolto  sopra  le  sbarre  dell' elettro-magnete  pesa  180  chilogr., 
quello  formante  le  due  spirali  anulari  pesa  40  chilogr.  Essa 
produce  una  luce  normale  di  500  becchi  Carcel,  la  quale  in 
esperienze  fatte  con  grandi  velocità  s'è  elevata  fino  al  doppio. 
Quando  si  dirige  la  corrente  a  due  regolatori,  ciascuno  di 
questi  dà  150  becchi  Carcel. 

Negli  ultimi  modelli  delle  macchine  Gramme,  costrutti  dopo 
il  1874,  ^^  disposizione  delle  elettromagneti  induttrici  e  de' cir- 
cuiti è  affatto  diversa.  Le  elettromagneti  sono  ancora  ad  asse 
cilìndrico  ed  a  punti  conseguenti,  ma  sono  in  numero  di  due 
soltanto  e  sono  disposte  orizzontalmente.  La  corrente  magne- 
tizzante è  sempre  quella  stessa  che  si  raccoglie  all'esterno  ;  talché 
circuito  estemo,  spirale  indotta  e  spirali  magnetizzanti  formano 
un  circuito  solo. 

Una  macchina  del  nuovo  modello  destinata  alla  galvano- 
plastica è  disegnata  nella  fig.  7.  Due  montanti  di  ghisa  sosten- 
gono tutta  la  macchina,  le  due  sbarre  d'elettro-magnete  son 
situate  colmasse  orizzontale,  Tuna  alla  parte  superiore,  l'altra 
verso  il  basso,  e  tengono  riuniti  i  montanti;  la  spirale  anulare 
unica  è  portata  da  un  albero  d'acciaio  parallelo  alle  sbarre  di 
elettro-magnete  e  posto  nel  loro  piano.  Il  rivestimento  delle 
elettro-magneti  induttrici  è  fatto  con  un  semplice  nastro  di  rame, 
che  colla  sua  larghezza  occupa  tutta  la  lunghezza  di  una  mezza 
sbarra:  non  si  ha  in  sostanza  che  una  spira  per  ogni  elettro- 
magnete semplice.  La  spirale  indotta,  invece  che  di  filo  rotondo 
come  nelle  macchine  anteriori,  è  formata  con  filo  piatto  molto 
grosso,  il  quale  offre  una  rigidità  sufficiente  per  opporsi  agli 
effetti  della  forza  centrifuga.  Questa  macchina  produce,  come 
le  antiche,  il  deposito  di  600  grammi  d' argento  all'  ora,  ma  la 
forza  motrice  necessaria  per  produrre  questo  lavoro  è  di  soli 
50  chilogrammetri  al  minuto  secondo,  e  le  dimensioni  della  mac- 
china sono  ridotte  assai.  Il  peso  totale  dell'apparecchio  è  infatti  di 
soli  chilogr.  177,50;  il  peso  di  rame  avvolto  sulle  elettromagneti 
e  sulle  armature  anulari  è  di  47  chilogr.;  la  massima  larghezza 
è  di  m.  0,55,  l'altezza  di  0,60.  Paragonato  col  modello  del  1872, 
quello  del  1874  ha  adunque  i  vantaggi  di  occupare  uno  spazio 


14  Le  nuove  macchine 


uguale  alla  metà  di  quello  richiesto  dal  primo,  di  non  pesare 
che  i  tre  quarti  di  questo,  di  non  richiedere  per  la  sua  costru- 
zione che  circa  un  quarto  del  peso  di  rame  che  l'altro  ri- 
chiedeva. 

Una  modificazione  analoga  hanno  ricevuta  le  macchine  de- 
stinate alla  illuminazione  elettrica.  Vedesi  dalla  fig,  8,  che  rap- 
presenta una  di  queste  macchine,  come  essa  abbia  una  dispo- 
sizione identica  a  quelle  per  la  galvano-plastica;  un'intelaiatura 
fatta  con  due  montanti  di  ghisa,  due  sbarre  d'elettro-magnete  a 
punti  conseguenti,  ed  una  sola  spirale  anulare  portata  da  un 
asse  parallelo  alle  sbarre  delle  calamite  induttrici.  Le  differenze 
tra  le  due  macchine  sono  sole  due:  i.^^  le  spirali  magnetizzanti 
delle  elettromagneti  induttrici  sono  fatte  con  filo;  2.*»  la  spirale 
indotta  è  munita  di  due  raccoglitori  di  correnti  e  da  due  coppie 
di  sfregatoi.  Questa  disposizione  ha  per  iscopo  principale  di 
sopprimere  le  scintille  e  di  permettere  di  accoppiare  la  macchina 
in  tensione  od  in  quantità.  L'economia  di  spazio  e  di  materia 
che  la  nuova  disposizione  ha  permesso,  è  considerevole;  una 
macchina  della  potenza  normale  di  200  becchi  Carcel  non  pesa 
che  183  chilogr.,  non  contiene  più  di  47  chilogrammi  di  rame, 
e  non  ha  che  o",55  di  lunghezza,  0^,55  di  larghezza  e  o™,6o  di 
altezza.  Questi  numeri  riescono  realmente  sorprendenti  se  si 
pensa  che  una  macchina  Nollet  capace  di  dare  un  arco  voltaico 
dell'  intensità  di  200  becchi  pesa  circa  2000  chilogr.  ed  occupa 
uno  spazio  di  i",7o  in  lunghezza,  di  i",3o  in  larghezza  e  di 
1^,50  in  altezza. 

Fra  le  innovazioni  fatte  dal  Gramme  nella  costruzione  delie 
sue  macchine  dinamo-elettriche,  delle  quali  abbiamo  dato  una 
idea  per  mezzo  delle  figure  6,  7  ed  8,  abbiamo  notato  questa: 
che  la  corrente  destinata  a  magnetizzare  le  elettro-magneti  in- 
duttrici è  data  non  più  da  una  spirale  indotta  apposita,  come 
nelle  macchine  anteriori,  ma  è  "la  stessa  corrente  che  si  vuole 
utilizzare  all'esterno,  la  quale  prima  di  essere  trasmessa  ai 
circuiti  esterni  è  mandata  nelle  spirali  magnetizzanti.  Questa 
disposizione,  per  la  quale  le  nuove  macchine  si  scostano  dal 
tipo  delle  macchine  dinamo-elettriche  di  Ladd,  per  avvicinarsi 
al  tipo  primitivo  delle  macchine  dinamo-elettriche  del  Siemens 
e  del  Wheatstone,  permise  di  ridurre  di  assai  il  peso  di  rame 
necessario  per  la  costruzione  delle  macchine  e  le  dimensioni  di 
queste.  Ma  senza  una  nuova  disposizione  degli  sfregatoi  essa 
avrebbe  portato  seco  in  molti  casi  un  inconveniente  assai  grave. 


di  induzione.  15 


Quando  la  corrente  è  impiegata  a  produrre  azioni  chimiche, 
come  nella  galvanoplastica  e  in  altri  casi,  al  cessare  di  essa  si 
manifesta  nel  circuito  una  corrente  detta  secondaria,  diretta  nel 
vefso  opposto  alla  principale.  Ora  se  del  circuito  in  cui  questa 
si  propaga  fanno  parte  le  spirali  magnetizzanti  delle  elettro- 
magneti induttrici,  questa  corrente  secondaria  produce  nei  nuclei 
di  ferro  una  polarizzazione  magnetica  opposta  a  quella  che  si 
era  formata  durante  il  lavoro  regolare  dell'apparecchio.  Questo 
effetto  secondario  può  ridursi  semplicemente  a  fare  scomparire 
più  prontamente  lo  stato  magnetico  preesistente,  ma  in  taluni 
casi  può  invertire  la  polarità  delle  elettro-calamite.  Se  questo 
fatto  si  avverasse  e  se  poi  la  macchina  si  rimettesse  in  azione, 
la  corrente  che  essa  produrrebbe  sarebbe  inversa  alla  prima: 
se  essa  fosse  destinata  a  produrre  un  deposito  galvanico,  di- 
struggerebbe il  lavoro  fatto  prima  della  interruzione.  Il  signor 
Gramme  ha  evitato  questo  pericolo  con  una  disposizione  sem- 
plice quanto  ingegnosa.  Egli  munì  la  macchina  di  un  interruttore 
automatico,  il  quale  interrompe  il  circuito  appenachè  la  macchina 
si  rallenti  tanto  da  rendere  possibile  l'inversione  della  corrente. 
Questo  interruttore  non  è  altro  che  un  piccolo  pezzo  mobile  a 
contrappeso,  il  quale  riunisce  gli  sfregatoi  a  spazzola  alle  elet- 
tro-magneti ;  finché  la  corrente,  e  con  questa  lo  stato  magnetico 
delle  elettro-magneti  è  abbastanza  intenso,  le  elettro-magneti 
tengono  attratto  il  pezzo  mobile,  ma  non  appena  la  velocità 
della  macchina  diminuisce  e  lo  stato  magnetico  delle  elettro- 
magneti si  affievolisce,  il  contrappeso  fa  oscillare  il  pezzo  mobile, 
ed  in  grazia  di  questo  movimento  la  spazzola  che  gli  è  unita 
si  allontana  dalle  lastrine  di  rame  contro  le  quali  essa  strisciava. 
Cosi  il  circuito  rimane  aperto  e  le  correnti  secondarie  non  si 
possono  produrre.  Quando  dopo  una  fermata  si  vuole  riprendere 
il  lavoro,  non  si  ha  che  da  ristabilire  con  una  piccola  lamina 
metallica  la  comunicazione  tra  la  spirale  indotta  e  le  elettro- 
magneti, cosicché  il  circuito  si  trovi  chiuso;  appena  cominciata, 
la  corrente  riconduce  essa  stessa  la  macchina  alle  condizioni 
normali. 

Dell'importanza  pratica  del  principio,  che  serve  di  base 
alla  costruzione  delle  nuove  macchine,  e  della  bontà  delle  di- 
sposizioni, che,  grazie  alla  abilità  ed  alla  attività  del  Gramme, 
queste  hanno  ricevuto,  è  prova  questo  fatto,  che  colla  comparsa 
delle  macchine  a  spirale  anulare  rinacquero  le  speranze  di  fare 
deir  elettricità   grandi   applicazioni    industriali   e   militari,   ed   i 


i6  Le  nuove  macchine  di  induzione, 

tentativi  di  attuare  questa  speranza,  i  quali,  dopo  l'impresa 
^^ViL  Alliance^  si  erano  ridotti  a  rari  studi  sulF  illuminazione 
elettrica  dei  fari,  ricominciarono  con  una  alacrità  e  con  una 
lena,  che  dianzi  non  avevano  mai  avuto. 


Tavola  IL 


SULLA 

ILLUMINAZIONE   ELETTRICA 


CINQUE   PUBBLICHE   CONFERENZE 

TENUTE 
NEL  R.  MUSEO  INDUSTRIALE  ITALIANO  DI  TORINO 

(Pubblicate  ntW Ingegneria  Civile  e  le  Arti  Industriali,  1879,  Anno  V.) 

CONFERENZA  PRIMA 


26  aprile  1879, 


Equivalenza  e  Conservazione  delle  Energie. 

Invitato  a  tenere  una  serie  di  pubbliche  conferenze  sulle 
applicazioni  industriali  della  Fisica,  io  mi  proposi  questo  pro- 
gramma: Premesse  alcune  nozioni  teoretiche,  e  fatta  una  de- 
scrizione sommaria  degli  apparecchi  adoperati  o  proposti  per 
r illuminazione  elettrica,  indicare  i  risultati  delle  esperienze 
eseguite;  poi  per  mezzo  di  questi,  e  colla  scorjta  dei  principi 
della  scienza,  cercare  di  porre  in  chiaro  lo  stato  presente  di 
questa  applicazione  dell'elettricità,  ed  indagare,  se  possibile, 
quale  sia  il  suo  probabile  avvenire. 

È  necessario  che  io  giustifichi  la  scelta  della  materia,  e  che 
dichiari  subito  quale  metodo  e  quale  ordine  mi  sembri  conve- 
niente adottare  per  svilupparla. 

La  scelta  non  mi  fu  suggerita  dalla  mancanza  di  scritti  o 
di  pubbliche  letture  relative  all'argomento,  e  non  poteva  esserlo: 
quel  che  si  disse  o  si  scrisse  su  ciò  è  tanto,  e  alcuni  di  quelli 
che  dissero  o  scrissero  hanno  nomi  così  autorevoli  e  popolari 
nella  scienza,  che  io  avrei  avuto  motivo  di  temere  che  non  già 
la  speranza  di   vedere   o   sentire    cose  nuove,  ma  solo  una  lu- 

G.  Ferraris,  Opere,  Voi.  IL  a 


i8  Sulla 

singhiera  benevolenza  a  mio  riguardo  avrebbe  potuto  attirare 
in  questa  sala  il  scelto  uditorio  a  cui  ora  volgo  la  parola  pieno 
di  gratitudine. 

Successe  il  contrario:  l'argomento  mi  fu  suggerito  appuiito 
dall'abbondanza  degli  scritti  che  vi  si  riferiscono,  e  che  da 
qualche  tempo  inondano  i  giornali  tecnici,  ed  anche  i  libri. 
Questi  scritti  non  sono  tutti  ripetizioni  delle  medesime  cose; 
molti  di  essi  sono  diretti  a  chiamare  l'attenzione  del  pubblico 
su  altrettanti  apparecchi  diversi,  ciascuno  dei  quali  viene  messo 
innanzi  come  un'ultima,  definitiva,  grande  invenzione,  la  quale 
o  per  r  economia,  o  per  la  comodità  dell'  impianto,  o  per  la 
suddivisibilità  che  permette,  detronizza  e  annulla  tutte  le  pre- 
cedenti. Quest'abbondanza  di  apparecchi  e  di  pubblicazioni  indica 
due  cose:  i.°  Che  si  tratta  di  un  problema  realmente  impor- 
tante; 2.°  Che  vi  ha  confusione,  che  forse  non  sempre  gli  in- 
ventori e  gli  autori  tennero  di  mira  il  vero  nodo  della  questione, 
od  anche  la  meta  da  conseguirsi.  Ora  l'importanza  del  problema 
e  la  confusione  indicata,  e  in  parte  risultante  dalla  molteplicità 
delle  invenzioni  e  degli  scritti,  dovevano  generare  nel  pubblico 
speranze  esagerate  ed  anche  esagerati  timori. 

Parve  quindi  a  me  che  forse  non  sarebbe  stato  inopportuno 
nel  presentarmi  a  quelli  fra  i  miei  concittadini,  che  col  trovarsi 
qui  radunati  dimostrano  di  non  essere  indifferenti  ai  progressi 
delle  scienze  e  delle  loro  applicazioni,  dire  loro:  proviamo  ad 
allontanarci  per  un  momento  dal  frastuono  di  tante  voci  diverse 
e  discordanti,  proviamo  a  portarci  in  una  regione  a  cui  non 
arrivi  il  rumore  della  lotta,  poniamo,  se  ci  è  possibile,  nella 
nostra  mente  la  calma,  la  serenità  dello  studioso  della  scienza, 
riandiamo  i  principi  scientifici  che  servono  di  base  alle  applica- 
zioni, di  cui  ci  occupiamo,  e  corroborata  con  questi  la  mente, 
facciamoci  a  ragionare  su  ciò  che  avremo  visto  o  sentito.  Chissà 
che  così  noi  riesciamo  a  vedere  molto  più  chiaro. 

E  tale  è  lo  scopo  che  io  mi  sono  proposto. 

Il  metodo?  Lo  scopo  stesso  ce  lo  addita.  Il  fatto  di  cui 
siamo  oggi  testimoni  relativi  all'illuminazione  elettrica,  voglio 
dire  la  molteplicità  delle  proposte  e  dei  giudizi,  la  confusione 
delle  lingue,  è  frequente  nella  storia  delle  invenzioni.  E  quasi 
sempre  la  causa  è  una  stessa,  la  preoccupazione  degl'inventori 
pei  particolari  degli  apparecchi,  la  quale,  se  è  eccessiva,  può 
confondere  la  mente  e  creare  illusioni.  I  particolari  di  un'in- 
venzione sono  spesso  ciò  che  la  rendono  pratica,  che  la  costi- 


illuminazione  elettrica,  19 

tuiscono;  ma  qualche  volta  eziandio  fanno  per  l'invenzione  ciò 
•che  fanno  le  ingegnose  disposizioni  di  pargle  per  i  sofismi:  ne 
mascherano  la  insussistenza.  Per  evitare  questo  pericolo  con- 
viene non  discendere  alla  considerazione  dei  particolari  degli 
apparecchi  prima  di  aver  bene  considerato  ciò  che  in  questi  vi 
ha  di  essenziale,  e  non  considerare  gli  apparecchi  prima  di 
aver  ben  inteso,  e  fatti  nostri,  i  principi  teorici  che  ne  formano 
la  base.  Ma  le  questioni  tecniche  sonq  questioni  di  dare  ed 
avere;  meta  suprema  nelle  ricerche  dei  metodi  industriali,  nelle 
applicazioni  della  scienza  alla  tecnologia,  è  riuscire  a  spender 
poco  e  ricavar  molto.  Dunque  le  nozioni  scientifiche,  che  per 
fare  un'applicazione  industriale,  o  per  giudicare  di  essa  importa 
avere  costantemente  presenti,  sono  essenzialmente  quelle  che 
si  riferiscono  ai  rapporti  quantitativi  fra  ciò  che  si  spende,  nella 
produzione  dei  fenomeni,  e  ciò  che  dai  fenomeni  compiuti  si 
ricava.  Ora  la  fisica  odierna  pose  in  evidenza  e  collocò  su  basi 
salde,  sicure,  un  grande  principio,  che  collega  e  riassume  sotto 
<ii  sé  come  altrettanti  corollari  tutte  le  leggi  quantitative,  un 
principio  generalissimo,  di  una  vastità  incalcolabile,  un  principio 
-che  non  solo  abbraccia  la  maggior  parte  dei  fatti  studiati  dalla 
lisica,  ma  che  si  estende  alle  altre  scienze  e  abbraccierà  vero- 
similmente neir  avvenire  tutta  la  scienza  della  natura  e  colle- 
^herà  insieme  i  fatti  in  apparenza  i  più  disparati;  è  questo  il 
principio  a  cui  si  dà  il  nome  di  principio  dell'equivalenza  e  della 
xonservazione  delle  energie  fisiche.  Esso  è  un'estensione  del  teo- 
rema conosciuto  dai  meccanici  col  nome  di  teorema  dei  lavori 
o  delle  forze  vive,  e  fa  nella  fisica  ciò  che  fa  questo  nella  mec- 
canica: permette  di  giudicare  della  possibilità  di  ottenere  con 
<lati  mezzi  determinati  effetti,  di  valutare  di  questi  numerica- 
mente l'entità,  senza  bisogno  di  esaminare  i  mezzi,  i  particolari 
degli  apparecchi;  dico  di  più:  senza  bisogno  di  conoscere  l'in- 
tima natura  degli  agenti  naturali  che  si  mettono  in  giuoco.  Noi 
non  dobbiamo,  né  possiamo  metterci  in  cammino  senza  esserci 
prima  intesi  su  di  esso.  Ecco  adunque  il  mio  piano: 

In  questa  prima  conferenza  io  comincìerò  ad  enunciare,  per 
-quelli  dei  miei  uditori  a  cui  per  avventura  esso  non  fosse  fa- 
migliare, il  principio  dell'equivalenza  delle  energie  fisiche;  poi 
con  poche  parole,  e  nel  modo  il  più  piano  che  mi  sarà  dato 
trovare,  ne  indicherò  1*  applicazione  ai  fenomeni  termici  e  lu- 
minosi che  intervengono  nell'applicazione  scientifica,  di  cui  im- 
prendiamo a  trattare.  * 


1 


20  Sulla 

Guidati  da  queste  nozioni  preliminari  noi  potremo  facil- 
mente intendere  nejle  conferenze  successive  quale  sia  la  costru- 
zione e  l'uso  degli  apparecchi,  coi  quali  si  fa  o  si  propone  di 
fare  la  illuminazione  elettrica.  Ridotti  questi  apparecchi  a  pochi 
tipi,  e  fatta  accuratamente  astrazione  da  quanto  vi  ha  in  essi 
di  accessorio,  diremo  dei  risultati  delle  esperienze  fatte  su  di 
essi,  confronteremo  questi  risultati  colle  conseguenze  dei  nostri 
principi  teorici,  e  vedremo  se  da  questo  esame  si  possa  rica- 
vare un  concetto  chiaro  dello  stato  attuale  dell'applicazione 
scientifica  che  ci  interessa,  ed  anche,  come  dissi,  qualche  indizio 
sul  suo  probabile  avvenire. 

Ubbidienti  a  questo  piano  noi  dobbiamo  per  un  momento 
lasciare  in  disparte  i  fenomeni  speciali,  di  cui  dovremo  parti- 
colarmente trattare,  e  portarci  nel  campo  più  elevato  e  più 
vasto  delle  teorie.  Ma  per  entrare  in  questo  campo  dobbiamo 
passare  per  quello  più  piano,  più  accessibile  della  pura  mecca- 
nica. I  fatti  che  si  studiano  nella  meccanica,  semplici  e  facili  ad 
esaminarsi  direttamente  coi  sensi,  ci  guideranno  più  facilmente 
al  concetto  fondamentale  sul  quale  si  aggira  tutta  la  fisica,  e  su 
cui  ci  appoggeremo   in   tutto   il   nostro   studio:   al  concetto  di 

ENERGIA. 

Un'operazione  meccanica  qualsiasi  ha  per  oggetto  un  cam- 
biamento della  forma  o  della  posizione  di  qualche  corpo  e  si 
riduce  sempre,  se  ben  considerata,  ad  uno  spostamento:  ad  uno 
spostamento  deir  inrtiero  corpo,  o  ad  uno  spostamento  delle 
parti  di  questo.  II  valore  meccanico,  l'entità,  il  costo  dell'opera- 
zione dipende  evidentemente  dalla  grandezza  di  questo  sposta- 
mento, ed  è  a  questo  proporzionale.  Per  esempio:  se  elevare 
un  dato  peso  di  un  metro  costa  uno,  costa  due  l'elevarlo  di 
due  metri;  se  per  fare  che  l'utensile  d'una  pialla  si  avanzi  di 
un  centimetro  bisogna  spendere  uno,  per  fare  che  esso  si  avanzi 
di  due  centimetri  bisogna  spendere  due]  per  far  dare  alla  saetta 
di  un  trapano  due  giri,  bisogna  spendere  il  doppio  di  ciò  che 
è  necessario  per  un  giro  solo;  due  giri  di  una  macina  costano 
il  doppio  di  uno,  ecc. 

Ma  oltre  che  dalla  grandezza  dello  spostamento,  il  valore, 
diciamo  pure,  il  costo  della  trasformazione,  dipende  da  un  altro 
elemento:  dallo  sforzo^  dalla  forza  che  bisogna  esercitare  per 
produrre  il  moto.  Se  al  moto  non  si  opponesse  forza  alcuna, 
esso  non  costerebbe  nulla.  Supponiamo  che  non  esistesse  la 
gravità;  un  piccolo  impulso  comunicherebbe  allora  ad  un  corpo 


illuminazione  elettrica,  21 

qualunque  una  velocità  che  si  manterrebbe  costante,  e  il  corpo 
seguiterebbe  ad  elevarsi  da  sé  stesso  fino  air  infinito,  senza 
costo  di  altra  spesa.  Se  un  corpo  è  collocato  su  di  un  piano 
orizzontale  levigatissimo,  può  essere  spostato  con  poca  fatica; 
se  fosse  possibile  togliere  ciò  che  si  dice  attrito,  quel  corpo 
andrebbe  fino  all'  infinito  senza  costo  di  spesa;  se  le  particelle 
da  staccarsi  del  ferro  che  si  pialla  non  opponessero  all'utensile 
un  ostacolo,  la  piallatura  non  costerebbe  nulla  e  non  potrebbe 
formare  oggetto  di  operazione  meccanica.  Dunque,  ripeto,  il 
valore  d'  un'  operazione  meccanica  dipende  dalla  forza.  Anzi  le 
e  proporzionale:  elevare  ad  una  data  altezza  un  peso  doppio 
costa  il  doppio  ;  e  lo  stesso  dicasi  degli  altri  esempi.  Il  valore 
meccanico  dell'  operazione  è  proporzionale  allo  spazio  ed  allo 
sforzo?  è  adunque  proporzionale  al  loro  prodotto:  il  prodotto 
dei  due  fattori,  spazio  e  forza,  è  la  misura  del  suo  valore: 
questo  prodotto  si  dice  il  lavoro,  e  si  valuta  in  numeri  adot- 
tando per  unità  il  lavoro  che  si  fa  elevando  un  chilogrammo 
all'altezza  di  un  metro.  Tale  unità  si  dice  chilogrammetro. 

Come  il  valore  delle  trasformazioni  che  formano  l'oggetto 
delle  operazioni  meccaniche  si  esprime  in  unità  di  lavoro,  in 
chilogrammetri,  così  è  sempre  un  lavoro,  nel  senso  or  definito, 
ed  esprimibile  in  chilogrammetri,  ciò  che  si  spende  per  tenere 
in  azione  i  meccanismi  che  le  producono;  è  il  peso  di  una  certa 
quantità  d'acqua  che  riempie  la  cassetta  di  una  ruota,  e  che 
discendendo  trascina  seco  la  cassetta  medesima  e  fa  girar  la 
ruota,  dando  così  un  numero  di  chilogrammetri  uguale  al  peso 
moltiplicato  per  l'altezza  della  discesa;  è  un  vapore  od  un  gas 
che  si  dilata  in  un  cilindro,  e  spinge  innanzi  a  sé  uno  stantuffo» 
dando  in  ogni  elemento  di  tempo  un  numero  di  chilogrammetri 
eguale  al  prodotto  della  pressione  per  lo  spazio  percorso;  é  lo 
sforzo  del  braccio  di  un  uomo,  che  spinge  una  manovella,  e 
produce  un  numero  di  chilogrammetri  uguale  all'arco  descritto 
moltiplicato  per  lo  sforzo. 

I  meccanismi  coi  quali  il  moto  della  ruota  idraulica,  dello 
stantuffo,  della  manovella,  é  trasmesso  al  corpo  che  si  solleva, 
al  bulino  della  pialla,  alla  saetta  dal  trapano,  alla  macina,  non 
producono  lavoro,  solo  lo  trasmettono,  solo  cambiano  i  rapporti 
tra  i  due  fattori  sforzo  e  spazio]  il  lavoro  che  si  ottiene  é  una 
parte  di  quello  fatto  dal  peso  discendente,  dal  vapore  espan- 
dentesi  o  dal  muscolo  che  si  contrae.  Il  lavoro  meccanico  non 
è  adunque  gratuito    mai:  non   lo   si   ha  che  alla  condizione  di 


22  Sulla 

avere  un  peso  distante  dal  suolo  e  che  possa  discendere,  od  un 
vapore  o  gas  compresso  che  possa  dilatarsi,  od  un  muscolo  non 
contratto  che  possa  contrarsi,  od  altro  equivalente.  I  fisici  odierni 
dicono:  quel  peso,  quel  vapore,  quel  muscolo,  che  hanno  l'atti- 
tuàine  a  produrre  lavoro,  hanno  una  energia,  E  per  ricordare  che 
il  lavoro  in  essi  è  disponibile  e  non  si  farà  che  quando  le  cir- 
costanze permetteranno  il  movimento,  senza  del  quale  non  v'  è 
lavoro,  dicono  anche:  que' corpi  hanno  una  energia  potenziale. 
Una  massa  pesante,  che  ad  un  momento  voluto  si  possa  far 
discendere,  od  un  gas  tenuto  compresso  sono  un  magazzino  di 
effetti  meccanici  possibili,  sono  un  tesoro  della  ricchezza  di  cui 
vivono  le  industrie,  della  ricchezza  di  energia. 

Fermiamoci  sul  primo  degli  esempi  di  cui  ci  siamo  serviti 
per  dare  la  definizione  di  energia  potenziale:  immaginiamo  come 
poc'anzi  un  peso  sollevato  ad  una  certa  altezza  sul  suolo.  In 
esso  si  ha  una  energia  uguale  al  peso  moltiplicato  per  l'altezza 
della  discesa  possibile.  Togliamogli  il  sostegno;  esso  cade.  Se- 
guiamolo colla  mente  e  vediamolo  nel  momento  che  non  ha 
ancora  toccato,  ma  sta  per  toccare  il  suolo:  in  quel  momento 
il  peso  è  ancora  lo  stesso,  ma  l'altezza  sta  per  diventare  nulla, 
il  prodotto  sta  per  annullarsi,  l'energia  potenziale  è  scomparsa. 
Fu  essa  senza  effetto?  No,  il  corpo  che  è  disceso  non  è  quale 
era  prima  di  cadere:  prima  era  fermo,  immobile,  morto;  ora  è 
in  moto,  ha  una  velocità,  ed  in  grazia  di  questa  è  capace  di 
produrre  effetti  che  da  un  corpo  in  riposo  non  si  possono  avere  : 
può  per  esempio,  battere  un  chiodo,  schiacciare  un  corpo,  fran- 
tumarlo. Dico  di  più,  nulla  si  è  perduto;  e  infatti  se  noi,  invece 
di  lasciar  cadere  liberamente  il  corpo  fino  al  suolo,  ne  guidas- 
simo il  moto  con  una  curva  fìssa,  lungo  cui  esso  potesse  scor- 
rere senza  sentirne  resistenza  d'attrito,  cosa  che  otterremmo 
per  approssimazione,  per  esempio,  legandolo  come  pendolo  ad 
un  filo,  in  modo  che  esso  scendesse  secondo  un  arco,  esso  po- 
trebbe risalire  di  per  se,  ed  arriverebbe  di  nuovo  fino  all'altezza, 
da  cui  esso  è  disceso;  solo  allora  si  fermerebbe.  Il  corpo  adunque, 
anche  disceso,  e  solo  perchè  in  moto,  può  fare  un  lavoro  come 
se  stesse  elevato  ad  una  altezza  sul  suolo:  un  corpo  in  movi- 
mento equivale  pegli  effetti  meccanici,  che  può  produrre,  ad  un 
corpo  che  può  discendere  da  una  data  altezza,  e  solo  perchè  è 
in  moto  rappresenta,  ha  una  energia',  questa  è  energia  visibile, 
in  atto,  e  la  si  dice  energia  attuale  ed  anche  forza  viva.  Pren- 
diamo il  corpo  in  una  posizione  qualunque  durante  il  suo  moto 


illuminazione  elettrica,  23 


di  discesa  o  di  ascesa:  vi  troviamo  in  generale  una  energia 
attuale  ed  un'energia  potenziale:  la  somma  è  la  sua  totale  energia 
meccanica. 

Dall'esempio  del  corpo  scendente  per  effetto  della  gravità, 
possiamo  passare  subito  al  caso  generale  di  un  sistema  qua- 
lunque di  corpi:  in  esso  noi  vediamo  ordinariamente  una  energia 
potenziale  ed  una  energia  attuale:  la  prima  è  un  lavoro  dispo- 
nìbile, l'altra  è  dovuta  ad  un  movimento,  arrestando  il  quale 
con  mezzi  opportuni  noi  possiamo  ricavare  un  lavoro. 

La  somma  delle  due,  l'energia  meccanica  totale,  è  il  lavoro 
meccanico  immagazzinato  nel  sistema,  è  l'attitudine  del  sistema 
a  produrre  effetti  meccanici,  è  il  valore  meccanico  del  sistema 
nel  momento  in  cui  lo  si  considera.  E  quésto  valore  meccanico 
di  un  sistema  di  corpi  si  misura  in  chilogrammetri. 

Se  mi  avete  seguito  fin  qui  e  se  io  sono  riuscito  a  darvi 
la  nozione  di  energia,  posso  enunciarvi  subito  il  grande  prin- 
cìpio della  fìsica  moderna,  al  quale,  come  vi  ho  detto,  noi  do- 
vremo appoggiarci  in  tutte  le  ricerche,  che  formano  l'oggetto 
delle  nostre  conferenze. 

Il  principio  si  può  enunciare  così: 

i.*>  Tutti  gli  agenti  fisici,  il  calore,  la  luce,  gli  stati  elet- 
trici, sono  energie,  le  quali  si  possono  trasformare  le  une  nelle 
altre  in  quantità  equivalenti,  e  tutte  in  quantità  equivalenti  si 
possono  convertire  in  energia  meccanica.  Quindi  tutte  le  tra- 
sformazioni fìsiche  sì  possono  sottoporre  a  valutazioni  numeriche 
come  le  meccaniche,  e  in  tutte  queste  valutazioni  si  può  far 
uso  deUa  medesima  unità  di  misura,  del  chilogrammetro. 

2.^  Nei  fenomeni  naturali  non  v'ha  creazione  né  distru- 
zione di  energia,  ma  solo  una  trasformazione  di  una  specie  di 
energia  in  un'altra;  la  quale  si  fa  in  rapporti  perfettamente  de- 
terminati e  costanti. 

Torniamo,  per  chiarire  la  cosa  con  qualche  esempio,  e  per 
cominciare  da  casi  semplici,  a  considerare  quel  corpo  che  cade, 
ragionando  sul  quale  noi  siamo  pervenuti  al  concetto  di  energia. 
Lasciamolo  cadere  liberamente  finche  batta  sul  fondo  e  stia. 
L'energia  potenziale,  che  in  esso  si  aveva,  è  scomparsa:  la 
gravità  non  può  più  far  lavoro;  l' energia  attuale  è  nulla  di 
nuovo,  come  era  nulla  prima  che  il  corpo  cominciasse  a  cadere; 
l'energia  sensibile,  misurabile  coi  mezzi  della  pura  meccanica, 
non  è  più.  È  essa  perduta?  La  fìsica  ci  dice:  no,  essa  ha  pro- 
dotto un  effetto  :  il  corpo  caduto  si  è  scaldato  e  si  sono  scaldati 


24  Sulla 

gli  ostacoli  che  l'hanno  fermato:  scomparve  l'energia  meccanica, 
ma  nacque  un'altra  energia,  nacque  calore.  In  questo  calore 
svolto  non  abbiamo  soltanto  un  effetto  dell'energia  meccanica 
che  è  scomparsa,  ma  abbiamo  l'energia  stessa,  tutta,  integral- 
mente, identica  a  quel  che  era  prima,  nella  sostanza,  solo  di- 
versa per  le  apparenze  esterne:  la  quantità  dell'energia  termica 
sviluppata  è  proporzionale  al  numero  di  chilogrammetri  consu- 
mati per  isvilupparla,  e  si  può  esprimere  in  chilogrammetri,  col 
medesimo  numero.  L'unità,  della  quale  più  comunemente  noi 
ci  serviamo  per  valutare  le  quantità  di  calore,  non  è  il  chilo- 
grammetro, è  invece  la  caloria^  e,  come  credo  che  tutti  sappiate, 
si  dice  caloria  la  quantità  di  calore  '  necessaria  per  scaldare  un 
chilogrammo  d'acqua  da  zero  gradi  ad  un  grado;  ma  noi  cono- 
sciamo il  rapporto  tra  questa  unità  ed  il  chilogrammetro  e 
possiamo  tradurre  in  numero  di  chilogrammetri  un  dato  numero 
di  calorie  o  viceversa,  colla  semplice  moltiplicazione  o  colla  di- 
visione per  quel  rapporto.  Una  caloria  equivale  a  circa  425  chilo- 
grammetri ;  questo  numero  dicesi  l'equivalente  dinamico  del  calore. 

Il  peso,  che  abbiamo  considerato,  può  discendere  stando 
legato  ad  una  fune  e  far  rotare  una  ruota:  se  la  velocità  di 
questa  è  moderata  da  attriti,  questi  sviluppano  calore,  e  questo 
calore  è  equivalente  al  lavoro  consumato,  all'energia  che  il  corpo 
ha  perduto. 

L'acqua,  che  riempie  le  cassette  di  una  ruota  idraulica  e 
che  discende  con  esse,  fa  lo  stesso  effetto  :  produce  lavori  mec- 
canici, ma  produce  anche  calore. 

Viceversa  il  calore  si  può  trasformare,  sempre  nel  medesimo 
rapporto,  in  energia  meccanica:  un  gas  che  si  espande,  spingendo 
uno  statuffo  e  facendo  un  lavoro,  si  raffredda;  i  getti  d'aria,  che 
escono,  dopo  di  aver  lavorato,  dalle  perforatrici  ad  aria  com- 
pressa, sono  freddissimi  e  producono  attorno  di  sé  una  conden- 
sazione di  vapore  tale  da  assumere  l'apparenza  di  getti  di  fumo; 
nelle  macchine  ad  aria  compressa  si  è  spesso  obbligati  a  tenere 
artificialmente  scaldati  i  bossoli  a  stoppa  per  evitare  la  congela- 
zione delle  materie  lubrificanti;  nelle  macchine  a  vapore  la  quan- 
tità di  calore  che  il  vapore  espanso,  che  esce,  ha  in  sé,  é  minore 
di  quella  che  esso  portava  seco  entrando  nel  cilindro.  Ebbene, 
in  tutti  questi  casi  il  lavoro  o  la  forza  viva  prodotta  sono  l'equi- 
valente dinamico  del  calore  speso. 

In  un'arma  da  fuoco  noi  abbiamo  una  materia  combustibile, 
la  polvere  pirica,  la   quale   arde    e   produce    calore.  Egli  è   in 


illuminazione  elettrica.  25 

grazia  di  questo  calore  che  i  gas  prodotti  dalla  combustione 
hanno  la  pressione  necessaria  per  spingere  innanzi  a  sé  e  lan- 
ciare il  proiettile.  Ciò  facendo  si  raffreddano,  ma  l'equivalente 
del  calore  che  essi  avevano  sta  adesso  nel  proiettile,  il  quale 
ha  una  forza  viva,  un'energia  attuale,  che  prima  non  aveva. 
Supponiamo  che  il  proiettile  colpisca  un  ostacolo:  si  schiaccia 
e  si  ferma.  Dove  andò  dopo  l'urto  la  sua  energia?  Essa  ha  di 
nuovo  assunto  la  forma  di  calore  ;  il  proiettile  e  l'ostacolo  contro 
cui  esso  battè  si  sono  scaldati,  e  nel  calore  prodotto  da  questo 
riscaldamento  noi  ritroviamo  una  parte  di  quello  prodotto  dalla 
combustione  della  polvere:  tutta  quella  parte  che  non  si  trasmise 
all'arma,  ed  attraverso  alle  pareti  di  questa  all'aria  esterna,  che 
non  si  trasmise  in  causa  dell'  attrito  all'  aria  che  il  proiettile 
attraversò,  che  non  concorse  a  produrre  i  moti  vibratori  a  cui 
dobbiamo  la  sensazione  del  rumore. 

Tutto,  nell'esempio  che  citai,  è  l'effetto  del  calore  di  com- 
bustione della  polvere.  E  questo  calore  donde  nasce?  Si  ha 
una  azione  chimica:  gli  atomi  di  carbonio,  di  ossigeno,  di  zolfo 
prendono  nuovi  assetti,  si  spostano  e  si  raggruppano  sotto 
l'azione  di  quelle  attrazioni  mutue,  che  i  chimici  dicono  affinità  : 
se  queste  forze  operano,  i  loro  punti  di  applicazione  si  spostano, 
si  ha  in  ciò  una  somma  di  prodotti  di  forze  per  spazi  percorsi, 
una  somma  di  lavori,  un'energia  potenziale  che  si  consuma:  il 
fenomeno  avviene  fra  masse  minime,  a  minime  distanze,  ma  è 
quello  stesso,  dalla  considerazione  del  quale  noi  abbiamo  preso 
le  mosse,  una  caduta  di  corpi  su  altri  che  li  attraggono. 

Nelle  macchine  a  vapore  avviene  un  fenomeno  somigliante  : 
gli  atomi  del  carbone  che  noi  distendiamo  sulla  graticola,  e 
quelli  dell'ossigeno  dell'aria  che  vi  mandiamo  sopra  son  corpi 
che  si  attirano,  che  gravitano  gli  uni  sugli  altri;  e,  quando  le 
circostanze  lo  permettono,  cadono  gli  uni  sugli  altri.  Dopo  la 
caduta,  l'energia  delle  attrazioni  atomiche  si  trova  trasformata 
in  energia  termica,  in  calore,  precisamente  come  l'energia  rap- 
presentata da  un  grave  che  sta  per  cadere  si  trova  trasformata 
in  calore  dopo  che  quello  ha  urtato  contro  il  terreno  e  vi  rimase 
immobile.  Quel  calore  si  trasmette  in  parte  alla  caldaia  ove  si 
accumula  nel  vapore;  questo  finalmente,  come  dissi  già,  lo  porta 
nel  cilindro  delia  macchina,  ove  in  parte  esso  si  trasforma  di 
nuovo  in  energia  meccanica. 

È  impossibile  essere  venuti  fino  a  questo  punto  e  non  la- 
sciarci trascinare  ancora  per  qualche  passo  da  queste  conside- 


26  Sulla 

razioni.  Il  lavoro  delle  nostre  macchine  a  vapore  è  fatto  dalle 
affinità  chimiche  per  cui  il  carbonio  dei  combustibili  si  unisce 
all'ossigeno  dell'aria.  Ora  questi  corpi  furono  già  altra  volta 
uniti,  e  furono  separati  dalle  foglie  dei  vegetali  sotto  l'azione 
dei  raggi  solari,  per  effetto  del  calore  e  della  luce  solare.  Noi 
sappiamo  che  una  porzione  della  luce  solare  è  assorbita  dalle 
foglie  delle  piante;  essa  scompare  come  energia  attuale,  come 
energia  di  moto,  ma  non  fa  che  trasformarsi,  e  riappare  come 
energia  potenziale:  è  quella  energia  potenziale  che  nel  focolaio 
della  nostra  macchina  a  vapore  ridiventa  calore.  Così  è  una 
parte  del  calore  solare  quello  che  lavora  nelle  nostre  macchine 
a  fuoco. 

E  il  calore  solare  donde  nasce  ?  Qualunque  ipotesi  si  faccia^ 
esso  è  il  prodotto  di  una  energia  potenziale  consumata,  è  l'equi- 
valente del  lavoro  di  forze  attrattive,  è  il  calore  svolto  nell'urto 
di  corpi  che  cadono  gli  uni  sugli  altri.  L'attrazione,  questa 
proprietà  così  diffusa  della  materia,  di  cui  l'attrazione  universale 
è  una  delle  esplicazioni,  è  così  l'origine  di  tutte  le  energie. 

Dopo  questo  sguardo  generale,  il  quale,  se  ci  allontanò  per 
qualche  minuto  dal  nostro  argomento,  non  sarà  forse  inutile 
affatto,  siccome  quello  che  avrà  servito  a  scolpire  meglio  nella 
mente  di  quelli  che  sono  meno  avvezzi  a  queste  cose,  ai  quali 
particolarmente  è  diretta  questa  prima  conferenza,  il  concetto 
fondamentale  di  energia  nella  vasta  estensione  che  esso  ha  og- 
gidì, dobbiamo  discendere  in  campo  meno  esteso  e  considerare 
più  da  vicino  quella  forma  di  energia  della  quale  noi  vogliamo 
studiare  un  modo  di  produzione:  voglio  dire  l'energia  luminosa, 
la  luce. 

Immaginiamo  di  avere  un  corpo,  per  esempio  un  solido,  e 
diamogli  quantità  successive  di  calore,  facciamo  crescere  per 
gradi  la  sua  temperatura.  L'esperienza  la  più  volgare  ci  insegna 
che  di  mano  in  mano  che  la  temperatura  di  quel  corpo  aumenta, 
questo  manda  attorno  a  sé  quantità  via  via  crescenti  di  calore. 
Manda  calore  tutt'  attorno  e  scalda  tutti  i  corpi  più  freddi  che 
trovansi  all' ingiro,  anche  quando  fra  esso  e  questi  non  è  frap- 
posta nessuna  sostanza  conduttrice,  anche  quando  è  tolta  perfino 
l'aria,  quando  c'è  il  vuoto.  Si  dice  che  il  corpo  irradia  calore; 
e  dopo  quello  che  io  dissi  già,  noi  comprendiamo  subito  il  si- 
gnificato di  questa  parola.  Il  corpo  caldo  è  un  corpo  in  moto^ 
è  un  corpo  di  cui  le  minime  particelle  vibrano,  facendo  bensì 
escursioni  minime,  ma  con  velocità  tali  da  poter  rappresentare 


illuminazione  elettrica,  72 


considerevoli  forze  vive.  Trasmettere  calore  adunque  non  si- 
gnifica altro  che  trasmettere  un  moto  vibratorio,  e  l'irradiazione 
non  può  essere  altrimenti  che  una  trasmissione  di  vibrazioni 
analoga  a  quella  per  cui  si  propagano  e  si  sentono  i  suoni. 
L'irradiazione  si  fa  anche  attraverso  il  vuoto,  anche  negli  spazi 
interstellari:  il  calore,  che  ci  viene  dal  sole,  ci  viene  attraverso 
una  distesa  di  cui  calcoliamo  il  valore,  ma  di  cui  non  ci  facciamo 
certo  una  adeguata  idea;  ed  in  tutta  questa  distesa  noi  non 
siamo  autorizzati  ad  ammettere  l'esistenza  di  alcuna  di  quelle 
sostanze  di  cui  noi  studiamo  le  proprietà  direttamente  coi  sensi, 
e  che  pesiamo  sulle  nostre  bilancie.  Bisogna  adunque  ammettere 
fra  il  sole  e  noi,  fra  le  stelle  e  noi,  in  tutto  lo  spazio,  nell'in- 
terno di  tutti  i  corpi,  dappertutto  ove  si  propaga  il  calore  rag- 
giante, una  sostanza  invisibile  atta  a  vibrare  ed  a  trasmettere 
le  vibrazioni.  Noi  ammettiamo  questa  sostanza  e  le  diamo  il 
nome  di  etere.  Come  il  suono  nell'aria,  ma  con  velocità  incom- 
parabilmente più  grande,  il  calore  raggiante  si  propaga  nel- 
r  etere. 

Seguitiamo  a  dar  calore  al  corpo  che  abbiamo  immaginato; 
tutti  sappiamo:  viene  un  momento,  quando  la  sua  temperatura 
è  vicina  a  500°,  nel  quale  comparisce  un  fenomeno  nuovo;  il 
corpo  diventa  visibile  nell'oscurità,  diventa  incandescente,  manda 
luce. 

È  una  luce  rossa  e  cupa  la  prima  che  si  ottiene  per  questa 
via;  ma  se  si  seguita  a  far  aumentare  la  temperatura  del  corpo 
che  la  emette,  essa  diventa  via  via  più  viva  e  dal  rosso  cupo 
passa  ad  un  rosso  più  vivo,  allo  scarlatto;  poi  diventa  aranciata, 
poi  gialla,  poi  bianca,  poi  abbagliante. 

Queste  luci  si  propagano  come  il  calore  raggiante,  e  colla 
medesima  velocità,  si  riflettono  e  si  rifrangono  colle  medesime 
leggi;  nulla  di  più  naturale  che  ammettere  che  esse  siano, 
come  il  calore,  un  moto  vibratorio  trasmesso  dall'etere.  La 
fisica  odierna  non  ha  più  alcun  dubbio  su  ciò,  dacché  partendo 
dalla  ipotesi  che  così  sia,  dalia  cosidetta  ipotesi  delle  ondula- 
zioni, essa  è  riuscita  a  spiegare  numericamente  pressoché  tutti 
i  fenomeni  conosciuti,  ed  a  prevederne  dei  nuovi.  Ma  non  solo 
noi  sappiamo  che  le  luci,  rossa,  aranciata,  bianca,  che  abbiamo 
ottenuto  sono,  come  il  calore,  moti  vibratori,  ma  sappiamo  in 
che  cosa  consistono  le  loro  differenze. 

Io  ho  disposto  qui  un  apparecchio,  col  quale  posso  accu- 
mulare in  una  piccola   massa   di   materia   una  grande    quantità 


28  Sulla 

di  calore  e  con  questo  portare  quella  massa  ad  altississima 
temperatura  e  trasformarla  in  una  viva  sorgente  di  luce.  L'ap- 
parecchio consiste  essenzialmente  in  una  pila  di  50  elementi 
Bunsen  che  io  feci  disporre  in  una  camera  attigua,  ed  in  due 
reofori  che  possono  farsi  terminare  a  due  punte  di  carbone, 
che  attualmente  trovansi  affacciate  ed  a  contatto  Tuna  dell'altra 
dentro  a  questa  lanterna.  Chiudo  il  circuito,  stabilisco  cioè  la 
comunicazione  tra  i  carboni  ed  i  reofori;  si  produce  una  cor- 
rente elettrica  la  quale  attraversa  i  carboni  e  passa  dall'uno 
all'altro  per  mezzo  delle  punte,  che  si  toccano.  Allora  un  con- 
gegno meccanico,  di  cui  parleremo,  le  distacca  e  le  porta  ad 
una  piccola  distanza  l'una  dall'altra.  Si  forma  tra  le  due  un 
ponte,  un  arco  di  materia  in  parte  vaporosa  ed  in  parte  formata 
di  particelle  solide,  detto  1'  arco  voltaico,  pel  quale  la  corrente 
seguita  a  passare.  Per  un  fatto,  su  cui  dovremo  discorrere  a 
lungo  in  un'  altra  seduta,  le  punte  de'  carboni  e  1'  arco  che  le 
unisce  sono  la  sede  di  un  grande  sviluppo  di  calore,  di  buona 
parte  del  calore  prodotto  dall'azione  chimica,  che  avviene  nella 
pila,  e  si  arroventano  mandando  la  viva  luce  che  voi  osservate. 
Non  occupiamoci  per  ora  del  modo  con  cui  si  produce  questa 
luce,  e  consideriamo  quest'arco  voltaico  e  le  punte  di  carbone, 
dalle  quali  esso  ha  origine,  semplicemente  come  un  corpo  molto 
caldo,  portato  al  bianco  abbagliante,  all'ultimo  grado  di  lucen- 
tezza a  cui  praticamente  possa  arrivare  un  corpo  incandescente. 
Prima  di  arrivare  a  questa  viva  incandescenza,  a  cui  corrisponde 
una  luce  sensibilmente  bianca,  noi  sappiamo,  questo  corpo,  se 
gradatamente  scaldato,  avrebbe  mandato  calore  invisibile,  poi 
calore  ed  una  luce  di  colore  rosso-cupo,  poi  una  luce  aranciata, 
poi  gialla,  passando  per  una  serie  continua  di  tinte  intermedie  ; 
or  bene  io  dico:  le  radiazioni  prime  apparse  han  seguitato  a 
prodursi  e  si  fanno  tuttavia,  né  solo  si  fanno,  ma  sono  più  ab- 
bondanti di  quel  che  fossero  prima:  i  successivi  aspetti  del  fe- 
nomeno non  dipendono  dalla  sostituzione  di  nuove  radiazioni 
a  radiazioni  cessate,  sibbene  dalla  sovrapposizione  di  radiazioni 
nuove  alle  preesistenti. 

Io  ricevo  questa  luce  su  di  una  lente,  poi  interpongo  sul 
suo  cammino  una  piastra  opaca  portante  nel  mezzo  una  stretta 
fessura,  la  quale  riduce  ad  un  sottile  nastro  il  fascio  di  luce 
che  vien  fuori  da  questa  lanterna.  Porto  davanti  a  questa  fessura 
una  lente  acromatica  convergente,  e  per  mezzo  di  questa  pro- 
ietto una  immagine  della  fessura  su  di  uno  schermo  bianco.  Ho 


illuminazione  elettrica.  29 

su  questo  schermo  una  sottile  striscia  luminosa,  bianca  o  quasi. 
Su  questa  striscia,  io  dico,  arrivano  tutte  sovrapposte  molte 
radiazioni  diverse;  e  per  riconoscerlo,  mi  basta  frapporre  tra 
la  lente  e  lo  schermo  un  prisma,  attraverso  il  quale  la  luce  sia 
obbligata  a  passare.  Io  ottengo  così  sullo  schermo  non  più  una 
semplice  e  stretta  striscia  luminosa,  ma  tante  striscie  giustap- 
poste, tutte  immagini  della  fessura  collocate  Tuna  accanto  aU 
l'altra  cosi  da  formare  un  lungo  nastro  luminoso.  Questo  nastro 
è  colorato  di  tinte  diverse,  e  dicesi  lo  spettro.  Non  badate  per 
ora  alle  linee  brillanti  che  lo  attraversano,  le  quali  provengono 
dai  corpi  gasosi  incandescenti  nell'arco  voltaico,  e  considerate, 
come  a  noi  basta  per  lo  scopo  che  ci  interessa  in  questo  mo- 
mento, il  fenomeno  solo  nel  suo  complesso:  voi  vedete  che  i 
colorì  passano  gradatamente,  senza  salti,  dal  rosso  cupo  al 
rosso  vivo,  all'aranciato,  al  giallo,  al  verde,  all'azzurro,  al  vio- 
letto. Tutti  questi  colori,  tutte  queste  radiazioni  coesistevano 
nella  radiazione  del  corpo  incandescente.  Ma  ciò  non  è  tutto: 
queste  radiazioni  innumerevoli  non  sono  che  una  parte,  una 
piccola  parte  della  radiazione  totale.  Se  noi  invece  che  in  una 
scuola  ci  trovassimo,  meno  numerosi,  in  un  laboratorio,  e,  fatto 
uno  spettro  di  dimensioni  minori,  e  quindi  più  vivo,  vi  facessimo 
scorrere  su  la  faccia  annerita  di  una  stretta  pila  termo-elettrica, 
e  confrontassimo  le  intensità  della  radiazione  calorifica  corri- 
spondenti alle  diverse  parti  dello  spettro,  troveremmo,  che 
l'effetto  termico  non  è  lo  stesso  in  tutti  i  punti:  minimo,  in- 
sensibile affatto  alla  estremità  violetta,  esso  si  fa  via  via  più 
intenso  andando  verso  la  estremità  rossa,  e,  questo  è  più  no- 
tevole, non  cessa  al  rosso  estremo,  ma  continua  al  di  là  di  esso, 
dove  non  v'ha  più  luce  sensibile;  continua  e  cresce.  Raggiunge 
un  massimo  ad  una  certa  distanza  dalla  estremità  dello  spettro 
visibile,  poi  diminuisce.  Ma  non  scompare  che  ad  una  distanza 
dal  rosso  estremo,  maggiore  della  lunghezza  dello  spettro  lu- 
minoso. 

Vedete  in  questa  figura  (fig.  i)  rappresentata  la  cosa  grafi- 
camente. Su  di  una  retta  D  E  sì  è  portata  la  lunghezza  dello 
spettro;  su  perpendicolari  ad  essa  si  sono  portate  le  intensità 
calorifiche  nelle  varie  parti  di  questo.  Le  estremità  di  queste 
ordinate  furono  congiunte  con  una  curva  AB  CE]  la  parte 
bianca  dell'area  chiusa  da  questa  curva  è  la  radiazione  luminosa; 
la  tratteggiata  è  la  radiazione  oscura.  Come  vedete,  l'intensità 
della  radiazione  luminosa  non  è  che  circa  un  ottavo  di  quella 
dell'oscura. 


30  Sulla 

Come  la  radiazione  non  si  limita  da  una  parte  al  rosso 
cupo,  così  non  si  limita  dall'  altra  all'  estremo  violetto.  Per  un 
tratto  più  lungo  dello  spettro  luminoso  si  troverebbero  da 
questa  parte  radiazioni  invisibili,  inattive  sulla  pila  termo-elet- 
trica, ma  capaci  di  manifestarsi  con  azioni  chimiche;  ricevendo 
lo  spettro  su  di  una  piastra  fotografica,  sì  troverebbe  questo 
prolungato  e  vivamente  disegnato  molto  al  di  là  del  violetto. 


Fig.  I. 


Tutte  queste  radiazioni,  dall'estrema  radiazione  oscura  ultra- 
rossa all'estrema  radiazione  invisibile  ultra-violetta,  differiscono 
le  une  dalle  altre  per  un  solo  elemento,  ed  è  che  esse  corri- 
spondono a  vibrazioni  di  diversa  durata:  le  vibrazioni  oscure 
dell'  estremo  ultra-rosso  sono  quelle  che  si  fanno  in  minor  nu- 
mero nell'unità  di  tempo,  quelle  che  hanno  la  maggiore  durata; 
sono  più  rapide,  hanno  durate  minori  quelle  che  si  hanno  in 
vicinanza  del  rosso;  le  radiazioni  visibili  rosse  son  più  rapide 
ancora,  più  rapide  ancora  sono  le  gialle,  rapidissime  le  violette 
e  finalmente  più  rapide  di  tutte  le  ultra-violette  invisibili.  Queste 
non  sono  congetture,  le  vibrazioni  luminose  furono  contate.  In 
questo  spettro  prolungato  da  una  parte  e  dall'  altra  dai  due 
tratti  invisibili,  le  diverse  radiazioni  non  differiscono  nella  so- 
stanza da  una  serie  di  note  musicali  di  altezza  diversa:  le  ra- 
diazioni oscure  verso  il  rosso  sono  le  note  più  basse,  le  oscure 
ultraviolette  sono  le  più  acute. 

La  luce,  rappresentata  dalla  parte  mediana  dello  spettro,  è 
calore,  calore  che  impressiona  l'occhio,  il  solo  che  faccia  ciò 
non  per  altro  che  per  la  conformazione  dell'occhio. 

Se,  fedeli  alla  odierna  teoria  meccanica,  diciamo  calore 
r  energia  dei  moti  vibratori  producentì  la  radiazione,  dobbiamo 


illuminazione  elettrica.  31 

dire:  tutta  la  radiazione   è   calore,  solamente  è  in  parte  calore 
visibile,  in  parte  calore  invisìbile. 

Quando  un  corpo  va  scaldandosi  gradatamente,  esso  co- 
mincia ad  emettere  calore  oscuro.  Finché  la  temperatura  è  infe- 
riore a  circa  500°  tutta  la  radiazione  che  si  ha  è  una  parte 
della  porzione  tratteggiata  AB  CD  della  figura  ora  disegnata. 
Al  di  là  di  circa  500^  la  radiazione  oscura  continua,  ma  ad  essa 
comincia  a  sovrapporsi  la  luminosa;  poi  questa  si  fa  via  via 
più  intensa,  rappresenta  frazioni  crescenti  della  radiazione  totale, 
finché  raggiunta  T  elevatissima  temperatura  dell'  arco  voltaico, 
essa  sta  alla  totale  radiazione  come  Tarea  in  bianco  D  CE  sta. 
all'area  totale  della  nostra  figura. 

Questa  osservazione  è  per  noi  importantissima  e  ad  arrivare 
ad  essa  mirò  tutto  il  mio  discorso.  Noi  vogliamo  occuparci 
della  illuminazione,  noi  vogliamo  studiare  le  condizioni  econo- 
miche della  produzione  industriale  della  luce;  ebbene  noi  abbiamo 
fatto  già  un  grande  passo  verso  la  nostra  meta.  Infatti  noi 
sappiamo  : 

i.**  Che  ciò  che  noi  dobbiamo  spendere  per  produrre 
luce,  ossia  il  lavoro  meccanico,  od  il  calore  equivalente  ad  esso, 
od  una  quantità  equivalente  ad  altra  energia,  non  si  potrà  tutto 
trasformare  in  luce;  l'energia  spesa  è  proporzionale  alla  intensità 
della  radiazione  complessiva,  e  di  questa  una  minima  parte  è 
effetto  utile,  è  luce. 

2.®  Almeno  fino  ad  un  limite  di  temperatura  molto  ele- 
vato, la  radiazione  luminosa  ottenuta  è  una  frazione  della  ra- 
diazione totale  tanto  più  grande  quanto  più  è  elevata  la  tem- 
peratura del  corpo  radiante.  Quindi  il  coefficiente  di  rendimento 
in  luce,  ossia  il  rapporto  tra  l'energia  luminosa  ottenuta  e 
l'energia  spesa,  è  tanto  maggiore  quanto  più  si  tiene  elevata  la 
temperatura  del  corpo  ìrradiante. 

Ciò  equivale  a  dire  che  l'economia  della  produzione  della 
luce  è  tanto  maggiore  quanto  più  calore  si  concentra  in  piccolo 
spazio,  quanto  meno  grandi  sono  le  superficie  radianti  dei  corpi 
in  cui  il  calore  si  distribuisce.  Scopo  a  cui  dovremo  mirare  per 
ottenere  colla  massima  economia,  colla  minima  spesa,  grandi 
quantità  di  luce  è  di  trovar  modo  di  accumulare  in  un  piccolo 
spazio  una  grande  energia. 

Una  esperienza  confermerà  queste  nostre  conclusioni. 

Noi  abbiamo  in  un  locale  qui  vicino  una  macchina  motrice 
a  gas  di  Otto  e  Langen:  essa  produce  un  po'  meno  di  150  chi- 


32  Sulla 

logrammetri  al  minuto  secondo.  Da  questa  macchina,  questo 
lavoro  è  trasmesso  con  cingoli  e  con  puleggie  all'albero  di  una 
macchina,  che  studieremo  in  un'altra  sera,  ma  che  possiamo 
adoperare  fin  d' ora  :  è  una  macchina  dinamo-elettrica,  atta  a 
trasformare  l'energia  meccanica,  con  cui  la  si  tiene  in  movi- 
mento, in  energia  elettrica:  essa  ci  dà  una  corrente  elettrica, 
la  quale  producendoci  calore,  od  azioni  meccaniche  o  scompo- 
sizioni chimiche,  od  altro,  può  restituirci  una  parte  della  energia 
spesa.  Non  tutta  però,  una  parte  soltanto;  in  primo  luogo,  dei 
150  chilogrammetri  forse  50  si  perdono  per  istrada,  nelle  tra- 
smissioni, ove  per  gli  attriti  si  trasformano  in  calore;  dei  100 
che  rimangono  sull'albero  della  macchina  dinamo-elettrica,  la 
massima  parte  si  trasforma  in  energia  elettrica,  ma  una  porzione 
di  questa  si  trasforma  di  nuovo  in  calore,  e  scalda  tutti  i  fili 
per  cui  passa,  compresi  quelli,  che  vediamo  qui  avvolti  in 
grandi  rocchetti  nella  macchina  stessa;  rimane  perciò  disponibile 
per  produrre  l'effetto  che  noi  vogliamo,  ossia  una  radiazione 
luminosa  di  calore,  soltanto  una  frazione  della  energia  elettrica. 
Noi  impareremo  a  valutare  meglio  questa  frazione  nel  seguito 
delle  nostre  conferenze,  per  ora  ammettiamo  pure  che  tutti  i 
100  chilogrammetri  possano  utilizzarsi  nel  produrre  la  radia- 
zione. Io  dico,  che  questi  100  chilogrammetri  per  minuto  se- 
condo produrranno  una  quantità  di  luce  tanto  maggiore  quanto 
più  piccole  sarà  lo  spazio  in  cui  noi  concentreremo  il  calore  ad 
essi  equivalente.  Voi  vedete  qui  due  spirali  di  platino.  Esse 
sono  fatte  ciascheduna  con  un  metro  di  filo  di  i°*",5  di  diametro. 
Io  le  pongo  entrambe  nel  circuito:  vedete  l'effetto:  diventano 
incandescenti,  mandano  una  luce  rossa.  Vi  prego  di  tenere  im- 
presso nella  vostra  memoria  per  qualche  minuto  l' effetto  di 
illuminazione  che,  prese  insieme,  le  due  spirali  producono. 
Adesso  io  con  un  commutatore  toglierò  una  delle  spirali  dal 
circuito,  e  farò  che  tutta  V  energia,  che  prima  si  distribuiva  fra 
le  due,  si  concentri  su  di  una  sola  ;  se  le  nostre  previsioni  sono 
esatte,  noi  dovremo  vedere  questa  sola  mandare  più  luce  di 
quello  che  facessero  prima  le  due  prese  insieme.  Come  vedete, 
l'esperimento  conferma  in  modo  netto  la  conseguenza  del  nostro 
ragionamento. 

Possiamo  verificare  il  fatto  con  una  prova  anche  più  de- 
cisiva. Io  tolgo  dal  circuito  della  corrente  entrambe  le  spi- 
rali, e  sostituisco  loro  due  punte  di  carbone  affacciate,  come 
quelle  di  fcui  ci  siamo  serviti  poco  fa  per  produrre  lo    spettro. 


illuminazione  elettrica.  33 

Così  io  concentro  in  un  piccolo  spazio,  che  a  voi  di  lontano 
parrà  un  punto  solo,  quella  energia  che  or  ora  era  distribuita 
sulla  spirale  incandescente.  Come  vedete,  noi  otteniamo  così 
una  intensità  luminosa  così  grande  da  non  essere  in  nessun 
modo  paragonabile  con  quella  di  prima. 

Osservate  una  cosa  :  V  energia  qui  accumulata  su  queste 
punte  di  carbone  è  forse  molto  minore  di  100  chilogrammetri 
al  minuto  secondo;  forse  non  è  che  la  metà  od  un  terzo  di 
essa.  Ebbene  100  chilogrammetri  al  minuto  secondo  corrispon- 
dono a  360000   chilogrammetri  all'ora,  ossia   a       - —  calorie 

all'ora,  ossia  a  848  calorie  all'ora.  È  questa  la  quantità  di  calore 
prodotta  da  circa  otto  candele  steariche,  ossia,  ad  un  dipresso 
da  uno  dei  becchi  di  gas  che  illuminano  questa  scuola.  Ora 
vedete  che  la  quantità  di  luce  data  dall'arco  voltaico  è  enorme 
a  fronte  di  quella  somministrata  da  un  becco.  Perchè?  Perchè  nel 
becco  a  gas  il  calore  della  combustione  si  distribuisce  su  di  una 
grande  massa,  su  tutta  la  massa  dei  prodotti  della  combustione. 

Su  queste  considerazioni  dovremo  tornare  e  fermarci  con 
maggiori  particolari  quando  cercheremo  di  indovinare  quale  sia 
l'avvenire  probabile  della  luce  elettrica.  Per  ora  riteniamo  il 
fatto,  e  ricordiamo  che  per  produrre  molta  luce  con  poca  spesa  noi 
dovremo  procurare  di  accumulare  molta  energia  in  piccolo  spazio. 

Nella  seguente  conferenza  vedremo  come  per  mezzo  delle 
-correnti  elettriche  questo  si  possa  effettivamente  ottenere. 


CONFERENZA  SECONDA. 

Dklla  corrente  elettrica. 

Nella  nostra  prima  conferenza  abbiamo  fatto  una  breve  e 
rapidissima  escursione  nel  campo  della  fisica  pura,  onde  richia- 
mare alla  nostra  memoria  alcune  delle  cose  che  la  scienza 
odierna  può  dirci  sull'intima  natura  di  ciò  che  noi  diciamo  luce, 

G.  Freraris,  Optrt,  Voi.  II.  3 


34  Conferenza  seconda, 

e  sulle  condizioni  nelle  quali  questa  si  produce.  Per  noi,  che  ci 
siamo  proposto  di  esaminare  in  questi  nostri  convegni  uno 
de'  modi  di  produzione  della  luce,  quésto  doveva  infatti  essere 
il  primo  oggetto  di  studio. 

La  luce,  vedemmo,  è  calore,  calore  sensibile  all'organo 
della  vista,  solo  perchè  dovuto  a  vibrazioni  di  durata  compresa 
fra  certi  limiti  pei  quali  l'occhio  è. conformato. 

Un  corpo  solido  o  liquido  incandescente  irradia  sempre 
moti  vibratori  diversi,  pei  quali  le  durate  di  vibrazione  hanno 
infiniti  valori  differenti  compresi  fra  il  massimo,  per  cui  sieno 
riconoscibili  effetti  termici,  ed  un  minimo,  dipendente  dalla 
temperatura  del  corpo,  e  tanto  minore  quanto  più  questa  è 
elevata. 

La  radiazione  luminosa  non  si  può  avere  se  non  accom- 
pagnata da  una  radiazione  di  calore  oscuro,  invisibile,  sempre 
e  di  gran  lunga  più  abbondante  di  essa.  La  radiazione  luminosa 
non  è  mai  che  una  frazione,  una  piccola  frazione  della  radiazione 
totale. 

II  valore  di  questa  frazione,  ossia  il  rapporto  della  radia- 
zione  luminosa  alla  radiazione  totale, ^uguale  a  zero  quando  il 
corpo  non  è  sufficientemente  caldo  per  essere  incandescente, 
piccolissimo  quando  il  corpo  comincia  ad  emettere  la  cupa  luce 
rossa  dell'estremo  dello  spettro,  è  più  grande  quando  il  corpo 
manda  luce  di  un  rosso  più  vivo,  più  grande  ancora  quando  la 
sovrapposizione  di  nuove  radiazioni  corrispondenti  a  parti  più 
avanzate  dello  spettro  dà  alla  luce  emessa  una  tinta  aranciata 
o  gialla;  è  massimo  quando  il  corpo  è  al  massimo  di  incande- 
scenza, ossia  quando  essa  è  bianca;  quel  valore,  in  una  parola,. 
cresce  colla  temperatura. 

Ora  ciò  che  costa,  1'  energia  che  si  spende,  è,  a  parità  di 
circostanze,  proporzionale  alla  energia  della  radiazione  ^totale; 
dunque  abbiamo  concluso:  l'economia  della  produzione  cresce, 
a  parità  di  circostanze,  col  crescere  della  temperatura  del  corpo 
da  cui  la  radiazione  è  fatta.  Ma  per  ottenere  un'alta  temperatura 
bisogna,  fra  le  altre  cose,  accumulare  in  piccole  masse,  sopra- 
tutto entro  ristrette  superficie  irradianti,  grandi  quantità  di  ca- 
lore: dunque  è  questa  anche  la  condizione  necessaria  per  una 
economica  produzione  di  luce,  ed  il  nostro  primo  problema  si 
riduce  a  questo: 

Trovar  modo  di  accumulare  grandi  quantità  di  calore  iti 
piccolo  spazio. 


Sulla  illumhtasione  elettrica. 


35 


È  il  problema  generale  della  illuminazione.  Dopo  di  averlo 
enunciato,  io  discendo  al  caso  speciale  della  illuminazione  elet- 
trica, e  mi  propongo  di  mostrare  come  e  in  quali  condizioni 
esso  si  possa  risolvere  coll'impiego  di  una  corrente  elettrica. 

Per  raggiungere  il  mio  scopo  debbo  dedicare  tutta  la  con- 
ferenza di  questa  sera  a  ricordare  alcune  nozioni  fondamentali 
sulle  correnti;  e  neiraccingermi  a  ciò  vi  prego  di  tollerare  che 
io  prenda  le  mosse  da  fatti  del  tutto  elementari  e  che  vi  dia 
alcune  definizioni,  le  quali,  se  sono  note  e  famigliari  a  buona 
parte  di  voi,  io  reputo  tuttavia  necessarie.  È  indispensabile  che 
noi  non  adoperiamo  nemmeno  una  parola,  sul  significato  della 
quale  non  ci  siamo  preventivamente  intesi;  egli  è  solo  a  questa 
condizione  che  noi  ci  faremo  dei  fenomeni,  che  dovremo  stu- 
diare, idee  concrete,  esatte,  numeriche,  ed  è  solo  con  queste 
che  potremo  portar  giudizio  sul  valore  relativo  delle  varie  pro- 
PQSte  e  delle  varie  opinioni, 
e  quindi  renderci  ragione 
dejlo  stato  presente  e  del 
probabile  avvenire  del  pro- 
blema di  cui  ci  vogliamo 
occupare.  Per  mio  conto  mi 
propongo  di  non  abusare 
delle  vostra  pazienza,  e  li- 
miterò questi  richiami  pre- 
liminari al  minimum  che 
mi  parrà  indispensabile. 

In  un  locale  attiguo 
(non  qui,  per  evitare  il  dis- 
turbo dei  vapori  acidi,  che 
altrimenti  mescoleremmo 
con  quest'aria  già  troppo 
scarsa  e  quindi  viziata), 
feci  disporre  una  pila  di  io 
elementi  alla  Bnnseu ,  la 
quale  dovrà  servire  ai  no- 
stri esperimenti.  Sono  io 

apparecchi  come  quello  che  avete  sotto  agli  occhi  (fig.  2)  :  ciascuno 
consiste  in  un  vaso  di  sostanza  non  intaccabile  dagli  acidi,  dentro 
al  quale  sta  concentricamente  un  vaso  poroso.  Nello  spazio  fra 
i  due  recipienti  v'è  acqua  acidulata  con  acido  solforico;  nel 
truogolo  poroso  v'è  acido  nitrico.;  nell'acqua  acidulata  pesca  una 


Fi|:.  a. 


36  Conferenza  seconda. 


lastra  di  zinco  amalgamata  Z;  nell'acido  nitrico  è  immerso  un 
prisma  di  carbone  C,  di  quel  carbone  compatto,  pesante,  condut- 
tore del  calore  e  della  elettricità,  che  incrosta  abitualmente  la 
superficie  interna  delle  storte  del  gas,  ed  al  quale  per  questo 
si  dà  il  nome  di  carbone  di  storta. 

Gli  elementi  così  formati  sono  posti  in  serie;  con  morsetti 
e  con  lastrine  metalliche  lo  zinco  di  ciascun  elemento  è  colle- 
gato col  carbone  dell'elemento  precedente,  ed  il  cacrbone  è  col- 
legato collo  zinco  dell'elemento  successivo.  Il  carbone  dell'ultimo 
elemento  e  lo  zinco  del  primo,  che  rimangono  liberi,  sono  i 
poli  positivo  e  negativo  della  pila.  A  questi  sono  attaccati  due 
fili  metallici:  due  reofori,  l'uno  positivo  e  l'altro  negativo;  e 
questi,  isolati  con  guttaperca,  si  prolungano  fino  a  noi,  così  che 
noi  possiamo  adoperarli  per  mettere  la  pila  in  comunicazione 
con  apparecchi  diversi. 

Quando  poniamo  i  due  reofori  in  comunicazione  tra  di  loro, 
o  direttamente,  o  collegandoli  coll'intermezzo  di  una  serie  qual- 
siasi dì  corpi  conduttori,  noi  diciamo  che  il  circuito  è  chiuso.  11 
circuito  è  formato  dalla  pila  e  dai  conduttori  esterni. 

Chiuso  il  circuito,  questo  diventa  sede  di  fenomeni  diversi 
caratteristici;  per  esprimere  il  fatto  noi  diciamo:  il  circuito  ^ 
percorso  da  una  corrente  elettrica.  Diciamo  anche  che  la  corrente 
va,  nel  conduttore  esterno,  dal  polo  positivo  (carbone)  al  polo 
negativo  (zinco). 

A  noi  non  interessa  ricordare  il  modo  di  interpretare  i  fe- 
nomeni, dal  quale  è  dedotta  la  denominazione  di  corrente;  è 
necessario  invece  che  consideriamo  alcuni  dei  fatti  per  cui  la 
corrente  si  rende  manifesta,  e  che  si  dicono  effetti  di  essa. 

Gli  effetti  della  corrente  ai  quali  ci  importa  accennare  sono: 
i.°  Le  azioni  della  corrente  sulle  calamite. 
2.''  La  produzione  di  calore  nelle  diverse  parti  del  circuito. 
'^S^  La  magnetizzazione  del  ferro. 

La  considerazione  del  primo  ci  aiuterà  a  darci  alcuni  concetti 
fondamentali  e  a  precisare  il  significato  di  alcune  denominazioni, 
colle  quali  soltanto  noi  potremo  porre  nel  nostro  discorso  quel 
rigore,  senza  del  quale  esso  non  ci  guiderebbe  alla  nostra  meta. 

Il  secondo  fatto,  la  produzione  di  calore  nelle  diverse  parti 
del  circuito,  si  collega  intimamente  col  nostro  problema,  ed  è 
per  noi  il  principale.  Egli  è  collo  studio  delle  leggi  che  lo  go- 
vernano che  noi  dovremo  riconoscere  se,  ed  a  quali  condizioni, 
la  corrente  elettrica  possa  servire  a  produrre  la  luce. 


Sulla  illuminazione  elettrica. 


37 


Il  terzo  fatto  poi,  la  magnetizzazione  del  ferro  prodotta 
dalla  corrente,  combinato  con  altri  che  ad  esso  si  collegano  da 
vicino,  è  messo  a  partito  negli  apparecchi  per  mezzo  dei  quali 
si  producono  le  correnti  industrial- 
mente, a  buon  mercato.  Se  noi  abbiamo 
visto  la  corrente  elettrica  uscire  dai 
laboratori  scientifici  e  dagli  uffizi  tele- 
grafici per  entrare  nel  campo  vera- 
mente industriale,  se  si  potè  sul  serio 
pensare  a  fare  della  luce  elettrica  un 
mezzo  di  illuminazione  non  solo  di 
lusso,  ma  pratico,  corrente,  se  a  discor- 


t  if .  3- 


rere  delle  controverse  questioni, 
che  a  questo  si  riferiscono,  noi  ci 
troviamo  qui  radunati,  ciò  noi 
dobbiamo  più  che  ad  ogni  altra 
cosa  alla  invenzione  di   quelle 
macchine.  E  ad  esse  noi  dovremo 
dedicare  tutta  una  delle  nostre 
sedute. 
Nel  ricordarvi  questi  fatti  seguirò  l'ordine  col  quale  li  ho 
nominati.  Comincierò  dunque  a  richiamare  alla  vostra  memoria 
il  fatto,  che  è  certo  noto  a  tutti,  delia  deviazione  dell'ago  ma- 
gnetico prodotta  dalla  vicinanza  di  una  corrente. 

Io  ho  qui  unrago  calamitato,  posto  su  di  una  punta  attorno  alla 
quale  esso  può  ruotare,  tenendosi  in  un  piano  orizzontale  (fig.  3); 


38  Conferenza  seconda. 


immediatamente  al  disopra  di  esso,  parallelamente  ad  esso,  tesi 
un  filo  di  rame  orizzontale  AB,  le  cui  estremità  posso  far  co- 
municare coi  due  reofori  della  pila  di  cui  vi  ho  parlato.  Potrò 
così  sottoporre  l'ago  all'azione  di  una  corrente  rettilinea  ad  esso 
parallela. 

Non  potendo  sperare  che  tutti  voi  poteste  vedere  diretta- 
mente il  filo  e  l'ago,  e  riconoscere  i  suoi  movimenti,  io  disposi 
il  tutto  su  di  una  lente  orizzontale,  attraverso  alla  quale,  e  per 
mezzo  di  uno  specchio  inclinato,  potrò  far  arrivare  in  direzione 
verticale  la  luce  partita  da  una  lanterna  elettrica  L.  Al  disopra 
sta  un  prisma  a  riflessione  totale  P,  che  dirigerà  la  luce  di 
nuovo  orizzontalmente,  e  che  avendo  una  faccia  curva  funzio- 
nerà come  lente,  e  produrrà  sopra  il  muro,  molto  ingrandita, 
l'immagine  dell'ago  e  del  filo  per  cui  si  trasmette  la  corrente. 
Metto  in  azione  la  lampada  elettrica,  e  voi  vedete  disegnarsi 
sulla  parete  la  figura  dell'ago  e  del  filo  che  gli  sta  sopra.  Le 
loro  direzioni  coincidono.  Ma  chiudo  il  circuito?  La  corrente 
passa  nel  filo?  Voi  vedete:  l'ago  N'  S  è  lanciato  fuori  della 
sua  posizione  d' equilibrio,  e  dopo  alcune  oscillazioni  si  ferma 
facendo  un  angolo  colla  corrente  A  B\  Tra  la  corrente  e  ciascun 
polo  della  calamita  si  esercita  una  forza  perpendicolare  al  piano 
determinato  da  quella  e  da  questo.  Queste  forze  tendono  a  por- 
tare il  polo  nord  dell'ago  verso  la  sinistra  della  corrente,  il  polo 
sud  a  destra,  se,  come  è  uso  fra  i  fisici,  noi  personifichiamo  la 
corrente,  immaginando  in  luogo  del  filo  qui  teso  un  osservatore 
nel  quale  la  corrente  entri  pei  piedi  ed  esca  per  la  testa,  e  che 
stia  guardando  l'ago,  o  meglio  il  polo  di  cui  si  tratta. 

Sotto  l'azione  di  queste  forze  l'ago  si  porterebbe  in  direzione 
perpendicolare  alla  primitiva-,  si  porrebbe  in  croce  colla  corrente, 
se  non  seguitassero  ad  agire  su  di  esso  il  magnetismo  terrestre 
e  le  altre  forze  in  causa  delle  quali,  prima  che  la  corrente  pas- 
sasse, e^so  stava  in  equilibrio  stabile  nella  direzione  del  filo. 
Sotto  l'azione  simultanea  delle  forze  dovute  alla  presenza  della 
corrente  e  delle  altre,  esso  si  ferma  in  una  posizione  obliqua: 
in  quella  posizione,  dicono  i  meccanici,  nella  quale  la  somma 
de' momenti  di  tutte  le  forze  è  uguale. a  zero.  L'angolo  dì  de- 
viazione, si  capisce,  è  più  o  meno  grande  a  seconda  della,  gran- 
dezza delle  forze  esercitate  dalla  corrente,  e  varia  nel  senso  in 
cui  variano  queste  forze. 

Immaginate  adesso  che,  .in  luogo  del  filo  con  cui  abbiamo 
sperimentato,  ne  venga  collocato  un  altro,  nella  medesima  pò* 


Sulla  illnntinazìone  elettrica,  39 


sizione;  immaginate  che  questo  filo  sia  anche  esso  percorso  da 
una  corrente  nel  verso  di  quella  che  pas.sava  pel  primo  ;  e  sup- 
{>onete  che  si  sia  riconosciuto  che  questa  seconda  corrente 
imprime  all'ago  la  deviazione  stessa  che  questo  prendeva  sotto 
l'azione  della  prima:  allora  voi  potrete  dire  che  le  due  correnti 
per  le  loro  azioni  a  distanza  Sui  poli  magnetici  si  equivalgono; 
col  linguaggio  della  fìsica  direte:  le  due  correnti  hanno  una 
medesima  intensità.  Prendete  i  due  fili  ove  si  hanno  le  due 
ccH*renti  di  uguali  mtensità,  e  collocateli  l'uno  accanto  dell'altro, 
così  vicini  r  uno  all'  altro,  che  rispetto  ai  poli  dell'  ago  essi  si 
possano  ritenere  come  nella  medesima  posizione,  e  sia  questa 
pK>sizione  comune  quella  che  ciascuno  di  essi  aveva  negli  espe- 
rimenti precedenti;  voi  constaterete  che  l'ago  devierà  più  di 
quello  che  deviasse  prima;  le  forze  esercitate  dalle  due  correnti 
si  sommano  infatti.  Dopo  di  ciò  se  riconoscerete  che  una  cor- 
rente unica  in  un  solo  filo  produce  da  sé  la  deviazione  che  avrete 
visto  essere  prodotta  dalle  due  correnti  uguali  riunite,  voi  di- 
rete: Questa  nuova  corrente  ha  una  ititensità  doppia  di  quella 
delle  correnti  già  sperimentate.  Nello  stesso  modo  si  dice  che 
l'intensità  di  una  corrente  è  tripla,  quadrupla,  ecc.,  di  quella  di 
un'altra,  quando  da  sé  sola  produce  sull'ago  l'effetto  che  si 
avrebbe  adoperando  tre,  quattro,  ecc.,  correnti  uguali  all'altra, 
e  poste  così  vicine  da  poter  essere  considerate  come  coincidenti 
in  una  medesima  posizione.  In  una  parola,  si  prendono  per 
misura  delle  intensità  delle  correnti  le  grandezze  delle,  forze 
che  queste  esercitano  sugli  aghi  magnetici. 

Disponendo,  in  luogo  di  un  semplice  filo  rettilineo,  una 
spirale  che  faccia  intorno  all'ago  un  grande  numero  di  giri,  e 
della  quale  ciascuna  parte  concorra  a  produrre  sull'  ago  una 
deviazione  in  un  medesimo  verso,  sospendendo  l'ago  ad  una 
bava  di  seta,  o,  comunque,  sostenendolo  in  modo  che  esso  giri 
pel  minimo  sforzo,  sottraendo  l'ago  all'azione  di  masse  magne- 
tiche vicine,  così  che  esso  sia  soggetto  unicamente  al  magne- 
tismo terrestre  ed  all'azione  della  corrente,  dando  a  tutte  le 
parti  dell'apparecchio  forme  e  dimensioni  convenienti,  si  Ca- 
pisce come  sia  possibile  fare  delle  intensità  misure  delicate  e 
precise; 

Orbene,  dall'intensità  della  corrente  dipendono  le  grandezze 
di  tutti  gli  effetti  di  questa.  Fra  gli  altri  dipende  dall'  intensità 
della  corrente  la  produzione  di  calore  nelle  varie  parti  del  cir- 
cuito, la  quale  è,  di  tutti   gli   effetti   della   corrente,  quello  che 


40  Conferenza  seconda, 

più  particolarmente  ci  occorre  considerare,  e  del  quale  vi  ho 
detto  di  volervi  parlare. 

Che  in  un  conduttore  percorso  da  una  corrente  si  possa 
sviluppare  calore  voi  avete  visto  già.  Mi  servii  infatti  di  una 
corrente  per  rendere  incandescenti  le  spirali  di  platino  e  le 
punte  di  carbone,  con  cui  cercai  di  verificare  innanzi  a  voi 
sperimentalmente  le  conclusioni  della  nostra  prima  seduta.  In 
modo  meno  brillante,  ma  tuttavia  abbastanza  evidente,  possiamo 
accertarci  del  fatto  un'altra  volta  colla  nostra  pila  di  io  ele- 
menti. Inserisco  infatti  nel  circuito  una  spirale  di  sottile  filo  di 
platino?  Questa  si  arroventa  subitamente. 

Che  poi  lo  sviluppo  di  calore  che  sì  ha  in  questa  spirale, 
al  quale  è  dovuta  T  incandescenza,  dipenda,  in  grandezza,  dalla 
intensità  della  corrente,  si  vede  subito.  Il  circuito  è  disposto  in 
modo  che  di  esso  fa  parte  il  filo  teso  in  vicinanza  dell'ago 
magnetico,  col  quale  abbiamo  sperimentato  poc'anzi;  proietta 
un'  altra  volta  l' immagine  di  quest'  ago.  Questo,  che  quando  il 
circuito  è  rotto,  è  parallelo  al  filo,  devia  quando  la  corrente 
passa  e  rende  incandescente  la  spirale.  Con  questa  deviazione 
esso  ci  dà  un  indizio  sulla  intensità  della  corrente,  dalla  quale 
è  prodotto  lo  sviluppo  di  calore  di  cui  siamo  testimoni.  Noto 
la  deviazione,  e  poi  inserisco  un  lungo  filo  di  ferro  nel  circuito; 
diminuisce  così  la  deviazione  dell'  ago,  e  nel  tempo  stesso  di- 
minuisce l'intensità  della  luce  mandata  dalla  spirale  di   platino. 

Adunque  la  quantità  di  calore  svolta  in  una  determinata 
porzione  del  circuito  varia  col  variare  della  intensità  della  cor- 
rente. Con  quale  legge  ?  Evidentemente  non  è  qui,  in  una  scuola, 
che  noi  potremmo  pensare  a  fare  determinazioni  numeriche  ;  ed 
anche  quando  ci  fosse  possìbile  disporre  apparecchi  di  misura, 
le  cui  indicazioni  fossero  precise,  e  nel  tempo  stesso  visibili  a 
tutti  noi,  le  esperienze  nostre  non  potrebbero  avere  alcuna 
utilità.  Le  più  elementari,  le  più  semplici  leggi  fìsiche  conosciute 
sono  per  lo  più  il  frutto  di  prove  lungamente  continuate,  sono 
il  risultato  del  lavoro  paziente  di  ingegni  eletti,  durato  per  anni 
ed  anni.  E  quella  che  lega  la  quantità  di  calore  prodotta  alla 
intensità  della  corrente,  che  la  produce,  è  una  di  queste;  la 
scienza  ne  è  debitrice  alle  ricerche  di  parecchi  de' suoi  apostoli 
più  chiari  e  più  coscienziosi,  e  sopratutte  a  quelle  del  Joule, 
che  la  enunciò  pel  primo,  e  che  vi  unì  il  suo  nome.  Da  queste 
ricerche  risultò  che  se  l'intensità  della  corrente  diventa  doppia, 
la  quantità  di  calore  svolta  nell'unità  di  tempo  in  una  porzione 


Sulla  illuminazione  elettrica,  41 

data  qualunque  del  circuito  diventa  quadrupla  di  quel  che  era; 
se  l'intensità  della  corrente  prende  un  valore  triplo  del  primitivo, 
la  quantità  del  calore  svolta  diventa  uguale  a  9  volte  ciò  che 
essa  era  da  principio ...  in  una  parola»  la  quantità  di  calore 
svolta  è  proporzionale  al  quadrato  della  intensità.  Per  quelli 
de'  miei  uditori,  ai  quali  posso  parlare  il  linguaggio  dell'algebra, 
posso  enunciare  la  legge  concisamente,  scrìvendo: 

q^ri''  (I) 

ove  ^  è  la  quantità  di  calore,  1  T  intensità  della  corrente,  ed  r 
una  grandezza  che  dipende  dalla  natura  e  dalle  dimensioni  del 
conduttore,  che  è  sede  dello  sviluppo  di  calore. 

Joule  studiò  anche  da  quali  elementi  questa  grandezza  r 
dipendesse,  e  come.  Trovò  che,  perchè  fosse  valida  la  legge 
enunciata  ed  espressa  dalla  formola  (i),  bisognava,  nel  caso  di 
un  conduttore  avente  la  forma  di  un  filo,  porre  r  proporzionale 
alla  lunghezza  /  di  questo,  inversamente  proporzionale  all'area  5 
della  sua  sezione  trasversale,  inversamente  proporzionale  ancora 
ad  un  coefficiente  r,  che  dipende  dalla  sostanza  del  conduttore, 
e  che  i  fisici  conoscono  col  nome  di  coefficiente  di  conduttività, 
A  quelli  a  cui  è  noto  il  linguaggio  conciso  dell'algebra,  la  legge 
riuscirà  più  chiara  se  scritta  così  : 

cs 

ove  k  è  un  coefficiente  di  proporzionalità,  il  valore  del  quale 
dipende  dalle  unità  di  misura,  per  mezzo  delle  quali  r,  /,  e,  s 
sì  vogliono  tradurre  in  numeri. 

Ora,  una  grandezza  —  proporzionale  direttamente  alla  lun- 
ghezza di  un  conduttore,  ed  inversamente  all'area  della  sezione 
trasversale  ed  al  coefficiente  di  conduttività,  è  ciò  che  si  suole 
denominare  resistenza  di  quel  conduttore;  la  grandezza  r,  che 
figura  nella  formola  (1),  è  adunque  la  resistenza  del  conduttore, 
e  la  legge  di  Joule  si  enuncia:  La  quantità  di  calore  che  nasce 
in  un  conduttore  in  ogni  unità  di  tempo  è  direttamente  propor- 
zionale  alla  resistenza  di  questo,  ed  al  quadrato  della  intensità 
della  corrente* 

Come  non  avremmo  potuto  eseguire  misure  per  verificare 
la  proporzionalità   della   quantità  di   calore   svolto   al  quadrato 


42  Conferenza  seconda. 


della  intensità  della  corrente,  così  non  potremmo  tentare  di  ve- 
rifìcare  qui  la  proporzionalità  che  sussiste  tra  quella  quantità  di 
calore  e  la  resistenza.  Possiamo  però  convincerci  facilmente 
che  la  quantità  di  calore  varia  con  /,  con  e,  con  s  nel  senso 
voluto  dalla  legge  di  Joule. 

La  quantità  di  calore  svolto  cresce  con  la  lunghezza  /,  dice 
la  legge,  e  le  è  proporzionale.  Che  così  sia  basta  a  dimostrarcelo 
il  fatto  che  tante  porzioni  uguali  di  un  medesimo  filo  si  scaldano 
ugualmente.  Del  resto  non  occorre  per  questo  alcun  esperimento; 
il  buon  senso  ci  dice  che  in  successive  parti  uguali  di  filo  ne- 
cessariamente debbono  succedere  i  medesimi  fenomeni. 

La  quantità  di  calore  q,  dice  la  legge,  varia  col  variare 
della  sostanza  con  cui  è  fatto  il  conduttore;  cresce  col  dimi- 
nuire  del  coefficiente  di  conduttività,  è  maggiore,  a  parità  di 
altre  circostanze,  pei  corpi  meno  buoni,  che  pei  corpi  più  buoni 
conduttori.  Eccone  una  prova:  la  corrente  della  nostra  pila 
circola,  come  vedete,  in  questi  fili  di  rame,  alcuni  dei  quali  non 
hanno  un  diametro  maggiore  di  due  millimetri  a  tre  millimetri. 
Nessuno  di  questi  fili  si  riscalda  così  da  arroventarsi,  nessuno 
si  scalda  tanto  da  rammollire  l'intonaco  isolante.  Ma  inserisco 
nel  circuito  una  bacchetta  di  carbone?  Ebbene,  benché  questa 
abbia  un  diametro  più  che  doppio  di  quello  dei  fili,  e  quindi 
una  sezione  più  che  quadrupla,  voi  vedete,  si  fa  incandescente. 
Perchè?  Perchè  il  coefficiente  di  conduttività  del  rame  è  forse 
uguale  a  400  volte  quello  di  questo  carbone.  Tolgo  dal  circuito 
la  bacchetta  di  carbone,  e  vi  sostituisco  una  catena,  i  cui  anelli 
sono  alternativamente  di  ferro  e  di  rame.  I  coefficienti  di  con^ 
duttività  di  questi  due  metalli  stanno  fra  loro  prossimamente 
nel  rapporto  di  uno  a  sei\  gli  anelli  di  ferro  si  debbono  adunque 
scaldare  più  di  quelli  di  rame,  e  noi  lo  vediamo:  i  primi  diven- 
tano incandescenti,  mentre  gli  altri  rimangono  oscuri. 

Finalmente  la  legge  di  Joule  dice:  la  quantità  di  calore 
prodotta  cresce  col  diminuire  della  sezione  trasversale  del  con- 
duttore. Io  pongo  nel  circuito  un'  altra  catena,  gli  anelli  della 
quale  sono  tutti  di  un  medesimo  metallo,  di  fèrro;  ma  essi  sono 
alternativamente  fatti  con  un  filo  grosso  e  con  uh  filo  sottile. 
Noi  vediamo  arroventarsi  soltanto  questi  ultimi.  Altra  prova: 
pongo  il  reoforo  positiva  in  comunicazione  con  un  grosso  ci- 
lindro di  carbone,  e  il  reoforo  negativo  in  comunicazione  con 
una  bacchetta  di  carbone  che  tengo  in  mano  con  questo  ma- 
nubrio,, e  che  è  terminata  in  punta  sottile.  Toccando  con  questa 


Sn/ia  illuminazione  eletin'ca.  43 

punta  il  carbone  positivo  chiudo  il  circuito;  la  corrente  passa 
e  riscalda  le  diverse  parti  dei  carboni  diversamente,  a  seconda 
<Jel  loro  diametro;  il  carbone  grosso,  a  cui  viene  il  reoforo  po- 
sitivo, non  si  scalda  sensibilmente;  il  carbone  più  piccolo  che 
io  tengo  in  mano  si  scalda  assai  più,  si  fa  incandescente,  rosso 
oupo;  la  punta  poi,  ove  il  diametro  è  minimo,  si  fa  caldissima 
e  manda  una  viva  luce.  Una  luce  più  brillante  ottengo  quando 
io  distacco  alquanto  i  due  carboni;  ma  questo  è  dovuto  ad  un 
fatto  di  cui  dovremo  discorrere  poi  :  si  fa  un  arca  di  materia 
fluida  in  parte,  ed  in  parte  polverosa,  resistentissima,  ed  è  in 
questa  che  si  sviluppa  il  calore. 

Parlai  di  conduttori  aventi  la  forma  di  fili;  ma  la  legge  si 
estende  anche  ai  conduttori  aventi  un'altra  forma  qualunque. 
Ad  una  porzione  non  filiforme  di  un  circuito  si  può  sempre 
immaginare  sostituito  un  pezzo  di  filo,  tale  che  la  intensità 
della  corrente  rimanga  ancora  la  stessa;  si  dice  allora  che 
questo  filo  ha  una  resistenza  uguale  a  quella  porzione  di  cir- 
cuito; la  legge  di  Joule  dice  che  in  questa  porzione  di  circuito 
si  sviluppa  tanto  calore  quanto  si  svolgerebbe  in  quel  filo. 

La  pila  con  cui  noi  produciamo  questa  corrente,  o  quel- 
l'altro apparecchio  elettro-motore  qualunque  che  noi  potremmo 
adoperare  invece  della  pila,  è  parte  del  circuito,  ed  è,  come 
tutte  le  altre  parti  di  questo,  sede  d'uno  sviluppo  di  calore;  gli 
esperimenti  del  Favre  ci  assicurano  che  questo  si  fa  come  nel 
circuito  esterno,  secondo  la  legge  di  Joule. 

Vera  j)er  tutte  le  parti  del  circuito  esterno,  vera  per  l'in- 
terno dell' elettro-motore,  la  legge  di  Joule  è  adunque  valida 
per  l'intiero  circuito:  la  quantità  totale  di  calore,  che  si  svolge 
nel  circuito  di  una  corrente  è  proporzionale  alla  resistenza 
totale  ed  al  quadrato  dell'intensità.  Scegliendo  convenientemente 
le  unità  di  misura,  possiamo  dire  anche:  la  quantità  di  calóre 
svolta  nell'intiero  circuito  nell'unità  di  tempo  è  uguale  al  prodotto 
della  resistenza  totale  pel  quadrato  della  intensità  della  corrente. 

Io  m'era  imposto  per  questa  sera  il  compito  di  darvi  de^ 
finizioni  e  di  fare  che  noi  ci  intendessimo  su  di  alcuni  concetti 
fondamentali  elementarissimi,  e  ve  l'ho  detto  cominciando.  Per 
fare  ciò  era  necessario  che  io  mi  armassi  di  tutta  la  calma,  di 
tutta  la  fìreddezza  necessaria  per  descrivere  i  fatti  sperimentali 
e  scolpire  nella  vostra  mente,  a  semplici  contorni,  ma  ctiiara- 
mente,  le  leggi  sperimentali  quali  ci  si  presentano,  senza  mistura 
di  alcuna  idea  teorica,  senza  la  complicazione  di  confronti  con 


44  Conferenza  seconda, 

fenomeni  di  altra  natura.  Io  aveva  bisogno  che  la  medesima 
calma  fosse  in  voi,  e  per  non  turbarla,  evitai  fin  qui  ogni  al- 
lusione, non  solo  all'applicazione  pratica  che  ci  siamo  proposto 
di  studiare,  ma  ben  anco  al  grande  principio  sul  quale  ci  siamo 
intesi  nell'altra  nostra  conferenza  e  del  quale  abbiamo  stabilito 
di  fare  la  base  di  tutta  la  nostra  trattazione.  Ma  adesso  che  le 
leggi  sperimentali  ci  sono  note,  e  che  abbiamo  un'idea  dei  fatti 
principali,  che  avvengono  nel  circuito,  io  debbo  ricondurvi 
all'idea  di  energia  ed  al  principio  della  sua  conservazione. 

La  corrente,  ci  disse  l'esperimento,  ci  dà  calore,  ci  dà 
adunque  energia.  Ma  1*  energia  non  si  crea,  solo  si  trasforma  ; 
dunque  dobbiamo  trovare  in  qualche  sito,  in  qualche  parte  del- 
l'apparecchio, un  consumo  di  qualche  energia  equivalente  a 
quella  che  compare  nel  circuito  sotto  forma  di  calore.  Lo  tro- 
viamo nella  pila.  Appena  chiuso  il  circuito,  incomincia  infatti 
nella  pila  una  azione  chimica:  lo  zinco  è  intaccato  dall'acqua 
acidulata  e  si  trasforma  in  solfato  di  zinco;  l'acido  nitrico,  che 
sta  nel  vaso  poroso,  si  scompone  ;  l' ossigeno,  che  nasce  da 
questa  scomposizione,  si  unisce  all'idrogeno  posto  in  libertà 
nella  reazione  tra  lo  zinco  e  l'acido  solforico.  Nell'insieme  dì 
queste  reazioni  si  ha  una  scomparsa  di  energia:  le  reazioni  sì 
fanno  per  effetto  di  quelle  forze  attrattive  che  i  chimici  dicono 
affinità;  i  punti  di  applicazione  di  queste  attrazioni,  sono  gli 
atomi  de' corpi  che  prendono  parte  alla  reazione,  essi  adunque 
si  spostano;  si  ha  nel  fenomeno  un  sistema  di  forze  i  cui  punti 
di  applicazione  si  muovono,  si  ha  una  somma  di  lavori  mecca- 
nici che  si  fanno,  si   ha  una  energia  potenziale  che  scompare. 

Se  noi  facessimo  avvenire  questi  fenomeni  entro  un  reci- 
piente, così  che  non  si  avesse,  come  qui,  una  corrente  in  un  cir- 
cuito esterno,  noi  ritroveremmo  l'energia  scomparsa  delle  affinità 
chimiche  rappresentata  da  una  determinata  quantità  di  calore: 
r  azione  chimica  sarebbe  accompagnata  da  un  determinato  svi- 
luppo di  calore.  Ebbene,  se  la  reazione  avviene  nella  pila,  e  se 
ai  poli  di  questa  sono  attaccate  le  estremità  di  un  circuito 
esterno,  non  si  trova  nei  truogoli  della  pila  tutto  quel  calore 
che  l'azione  chimica  dovrebbe  avere  prodotto:  una  medesima 
quantità  di  zinco,  che  si  consuma,  produce  quantità  di  calore 
diverse  secondochè  il  suo  consumo  ha  per  effetto  la  produzione 
di  una  corrente  elettrica  esterna,  oppure  non  produce  correnti 
fuori  dei  liquidi  in  cui  avviene  la  reazione.  Quando  la  {Mia  è 
unita  ai  capi  del   circuito   esterno,  si  produce  in   essa,  mentre 


Siil/a  illu  mi  nazione  cletirica,  45 


passa  la  corrente,  quella  quantità  di  calore  che  è  voluta  dalla 
legge  di  Joule,  e  questa  quantità  è  sempre  minore  dì  quella  che 
razione  chimica  sarebbe  capace  di  generare.  Ma  il  calore,  che 
non  si  trova  nella  pila,  non  è  perduto  ;  noi  lo  troviamo  nel 
circuito  esterno,  lo  troviamo  tutto,  integralmente;  e  la  sola  dif- 
ferenza tra  il  caso  della  reazione  che  avviene  senza  produzione 
di  corrente  ed  il  caso,  che  si  verifica  colla  pila,  è  questa,  che 
nel  primo  caso  tutto  il  calore  equivalente  al  lavoro  delle  azioni 
chimiche  si  sviluppa  nel  vaso  stesso  nel  quale  avviene  la  rea- 
zione, mentre  nell'altro  caso  questo  calore  si  trova  disseminato 
in  tutto  il  circuito  nel  modo  voluto  dalla  legge  di  Joule,  in 
quantità  proporzionali  alle  resistenze  delle  diverse  parti  di  esso. 
È  questa  una  conseguenza  forzata  del  nostro  principio,  ma  è 
anche  un  fatto  sperimentale;  le  misure  di  Favre  ne  diedero  una 
dimostrazione  completa. 

La  pila  adunque  si  può  paragonare  ad  un  focolaio,  ove  con 
una  azione  chimica  (combustione  per  via  umida)  si  produce  il 
calore;  i  circuiti  sono  condotti  per  mezzo  dei  quali  una  parte 
di  questo  calore  può  essere  portato  a  distanza  e  distribuito  in 
luoghi  diversi  a  seconda  del  bisogno.  Disponendo  le  cose  in 
modo  che  nella  pila  possa  avvenire  una  abbondante  azione 
chimica,  si  può  avere  in  essa  una  produzione  di  grandi  quantità 
di  calore;  disponendo  poi  il  circuito  cosi  che  una  breve  porzione 
di  esso  rappresenti  una  grande  frazione  della  resistenza  totale, 
si  può  accumulare  su  quella  breve  porzione,  e  quindi  in  uno 
spazio  che  può  essere  piccolissimo,  una  notevole  parte  di  quella 
grande  quantità  di  calore.  Se  il  corpo  che  oppone  resistenza  è 
così  disposto  che  la  sua  superficie  non  possa  irradiare  nell'unità 
di  tempo  una  quantità  di  calore  uguale  a  quella  che  nel  tempo 
stesso  vi  si  produce,  se  non  quando  essa  è  portata  ad  altissima 
temperatura,  si  ha  una  abbondante  radiazione  luminosa. 

Noi  abbiamo  così  trovato  nella  corrente  elettrica  quello  che 
cercavamo:  un  mezzo  per  «accumulare  in  piccoli  spazi  grandi 
quantità  di  energia.  Se  teniamo  dietro  ancora  per  un  momento 
all'ordine  di  idee,  in  cui  ci  siamo  portati,  e  se  io  posso  do- 
mandare ai  miei  uditori  ancora  per  qualche  minuto  l'attenzione 
paziente  colla  quale  m'hanno  seguito  fin  qui,  noi  possiamo  fare 
anche  un  passo  di  più,  e  trovare  un  enunciato  preciso  delle 
condizioni  di  economia  della  operazione.  Il  calore  equivalente 
al  lavoro  speso  nell' elettro-motore  (qui  nella  pila,  ma  Io  stesso 
sarebbe  quand'anche  T elettro-motore   fosse   un  altro)  si  distri- 


46  Conferenza  seconda. 


buisce,  abbiam  detto,  su  tutto  il  circuito,  e  nelle  diverse  parti 
di  questo  se  ne  trovano  porzioni  proporzionali  alle  loro  resi- 
stenze;  dunque  noi  possiamo  dire:  la  quantità  di  calore  che  si 
accumula  sulla  porzione  di  circuito,  che  si  vuole  portare  ad  in- 
candescenza onde  irradii  luce,  sta  a  tutto  il  calore  speso  come 
la  resistenza  di  quella  porzione  di  circuito  sta  a  quella  del  cir- 
cuito intiero  :  il  coefficiente  di  rendimento  in  calore^  direbbe  qn 
ingegnere,  è,  uguale  al  rapporto  tra  quella  resistenza  e  questa.  Se 
io  potessi  far  usò  del  linguaggio,  dell'algebra  sarei  molto  più 
chiaro;  direi:  sia  Q  la  quantità  totale  di  calore  che  si  spende, 
e  q  quella  che  si  utilizza,  ossia  quella  che  si  accumula  sul  corpo 
che  deve  dare  la  irradiazione;  sia  poi  1  l'intensità  della  corrente 
e  si  rappresentino  con  r  e  con  R  le  resistenze  della  parte  di 
circuito  ove  si  vuole  accumulare  calore  e  della  parte  rimanente 
noi  abbiamo  per  la  legge  di  Joule: 

0  =  (/?+r)/S  (2) 

e 

q  =  ri^,  (3) 

quindi  il  rendimento  in  calore  è 


Q~  R^r' 


(4) 


Per  avere  poi  un  buon  rendimento  in  luce,  bisogna  che 
una  grande  frazione  di  q  sia  calore  luminoso,  e  a  ciò,  dissi, 
occorre  una  elevata  temperatura.  Precisiamo  la  condizione:  la 
porzione  dr  conduttore,  che  deve  dar  luce,  riceve  in  ogni  unità 
dì  tempo  la  quantità  di  calore  ^,  e  ne  perde  per  la  irradiazione 
una  quantità  che  va  crescendo  mentre  cresce  la  temperatura. 
La  temperatura  diventa  costante  quando  quella  porzione  di  con- 
duttore tanto  emette  quanto  riceve.  Ora  l'irradiazione  è  pro- 
porzionale alla  superficie  irradiante  S  e  a  una  certa  funzione /(/) 
della  temperatura  /.  La  temperatura  adunque  rimane  costante 
quando  si  ha 

q 

Ma/(/)  è  una  funzione  crescente,  dunque  -^  e  /  son  due 

grandezze  che  crescono    insieme.  Si    vede   così  che  da  questa 
equazione   si   ricava   un   valore   di  /  tanto   più   grande  quanto 

q 
maggiore  è  -^ . 


Stf/Ia  illufninasione  elettrica,  47 


Regola:  Per  avere  un  grande  rendimento  in  luce  bisogna 
produrre  una  grande  quantità  di  calore  q  in  una  piccola  su* 
perfìcie  irradiante  S. 

Per  quelli  a  cui  non  è  ignoto  questo  linguaggio  è  bene  che 
io  faccia  ancora  una  osservazione.  Faraday  ha  dimostrato  che 
la  quantità  di  zinco,  che  si  consuma  nella  pila  in  ogni  unità  di 
tempo,  è  proporzionale  all'intensità  della  corrente.  Quindi  Q  è 
proporzionale  ad  /,  e  si  può  scrivere 

Q  =  Ei,  (5) 

e  la  costante  E  dicesi  forza  elettro-motrice  della  pila. 
Portando  nella  (2)  questo  valore  (5),  abbiamo 

l'intensità  è  uguale  alla  forza  elettro^motrice  divisa  per  la  resi- 
stenza totale.  È  questa  la  legge  di  Ohm.  Finalmente  possiamo 
portare  il   valore  (6)  dì  i  nel  valore  (3)  di  q^  e  scrivere 

_      r E}__  E'^ 

^~R+r   R-^r~R~^r'  ^^' 


di  qui 


^  =  9—£^.  (8) 


equazione  che  c'insegna  che,  data  la  quantità  di  calore  q,  che 
si  deve  somministrare  al  corpo  radiante,  si  ha  un  coefficiente 
di  rendimento  tanto  maggiore  quanto  più  si  fanno  grandi  le 
resistenze  e  quanto  minore  si  fa  la  forza  elettro-motrice.  Ed 
ecco  un  altro  teorema  di  immediata  e  pratica  applicazione.  Ve- 
dremo infatti  descrivendo  le  varie  lampade  elettriche,  che  pa- 
recchie di  esse  non  si  possono  attivare  se  q  non  supera  un 
certo  limite,  che,  se  non  si  conosce  bene,  è  almeno  razionale 
ammettere. 

Voi  vedete,  o  signori  :  nella  prima  conferenza,  guidati  dalle 
idee  teoriche  in  apparenza  le  più  lontane  dalle  applicazioni, 
siamo  arrivati,  quasi  senza  accorgerci,  a  definire  con  precisione 
lo  scopo  a  cui  dovevamo  mirare  per  avere  economicamente  la 
luce;  abbiamo  trovato  che  bisognava  cercare  di  accumulare 
molto  calore  in  poco  spazio.  In  questa  seconda  nostra  seduta 
abbiamo  fatto  un  nuovo  passo,  abbiamo  riconosciuto  nella  cor- 


•48  Conferenza  seconda. 

rente  elettrica,  un  mezzo  per  risolvere  il  problema;  abbiamo 
persino  stabilito  quali  sieno  le  condizioni  necessarie  perchè  il 
problema  si  trovi  risolto  con  economia.  Abbiamo  fatto  questo 
nuovo  passo,  anche  qui  senza  accorgercene,  mediante  l'esame 
paziente  d'una  legge  fisica;  or  questa  è  il  frutto  del  lavoro  per- 
severante di  uomini  che  alle  loro  fatiche  non  posero  mai  per 
meta  la  ricerca  di  qualche  cosa  capace  di  applicazioni  pratiche 
immediate,  ma  che  cercarono  il  vero  in  sé  e  per  sé,  quel  vero 
che,  se  non  arricchisce  chi  lo  cerca,  e  anzi  spesso  ne  consuma 
le  sostanze  e  la  salute,  può  fare  col  tempo  la  ricchezza  e  la 
gloria  di  intiere  nazioni.  Quegli  uomini  non  pensarono  alle  ap- 
plicazioni (ed  è  per  quesio  appunto  che  trovarono);  ma  fecero 
per  la  applicazione  la  parte  più  importante:  somministrarono 
le  cose  applicabili.  Le  invenzioni  sono  il  più  delle  volte  dovute 
più  a  chi  non  vi  pensò  mai  che  a  chi  diede  loro  il  proprio 
nome;  e  noi  italiani,  per  esempio,  possiamo  dire  con  orgoglio 
al  più  pratico  dei  popoli,  all'  americano  :  il  telegrafo  che  porta 
il  nome  del  vostro  concittadino  Morse,  non  esisterebbe  ancora 
senza  l'opera  del  nostro  Volta  —  e  l'opera  del  Volta  è  ben  al- 
trimenti grande  della  invenzione  di  un  tasto  e  di  una  macchina 
scrivente.  In  ogni  caso  i  trovati  della  scienza  sono  come  fari, 
tenendo  di  mira  i  quali,  il  tecnico  non  smarrisce  la  strada, 
mentre  travia  assai  spesso  senza  il  loro  aiuto. 

Io  mi  lasciai  trascinare  in  queste  considerazioni  perché  ciò 
che  è  vero  pei  ricercatori  delle  invenzioni,  é  vero  anche  per 
quelli  che,  come  noi  in  queste  conferenze,  si  limitano  al  lavoro 
più  facile  di  portar  giudizio  sui  trovati  altrui.  Inoltre  voi  vedrete 
che  nella  questione  speciale,  di  cui  noi  vogliamo  trattare,  in- 
ventori di  provata  abilità  fallirono  appunto  per  aver  dimenticato 
i  principi  teorici  dai  quali  noi  abbiam  preso  le  mosse. 

Un  terzo  ed  ultimo  effetto  della  corrente,  al  quale,  comin- 
ciando questa  conferenza,  ho  detto  di  dover  accennare,  è  la 
magnetizzazione  del  ferro.  Il  fatto  è  notissimo,  e  poche  parole 
basteranno  per  richiamarlo  alla  vostra  memoria.  Se  si  circonda 
una  massa  di  ferro  dolce,  p.  es.,  una  sbarra  cilindrica,  con  una 
spirale  di  filo  metallico  isolato,  e  se  in  questa  si  fa  passare  una 
corrente  elettrica,  il  ferro  diventa  magnetizzato,  si  trasforma  in 
una  calamita,  la  quale  presenta  il  polo  nord  alla  estremità  verso 
la  sinistra  della  corrente,  ed  il  polo  sud  verso  la  destra:  egli  è 
come  se  le  particelle  del  ferro  fossero  tante  calamite  disposte 
irregolarmente  in  tutte  le  direzioni,  e  si  orientassero  come  tanti 


Sulla  illuminazione  elettrica. 


49 


aghi  magnetici  sotto  l'azione  della  corrente.  —  Questo  vi  dico 
non  per  dare  una  spiegazione*  ma  per  offrirvi  nel  confronto  dei 
due  fatti  una  regola  mnemonica. 

Interrotta  la  corrente,  il  magnetismo  scompare;  più  esatta- 
mente: non  rimane  di  esso  che  una  traccia  detta  magnetismo 
rimanente,  la  quale  è  tanto  meno  sensibile  quanto  più  il  ferro 
è  dolce.  Per  ricordare  questo  fatto,  che  il  nucleo  di  ferro  fun- 
ziona come  una  calamita  soltanto  quando  passa  la  corrente,  si 
dice  l'apparecchio  che  ho  descritto  :  calamita  temporaria,  o  elet- 
tro-magnete. 

Invece  di  una  sbarra  di  ferro  cilindrica  si  può  adoperare 
una  sbarra  piegata  ad  U,  dividere  la  spirale  magnetizzante  in 
due  parti  e  dare  una  di  queste 
all'uno  e  l'altra  all'altro  braccio 
dell' f/;  si  ha  allora  una  elettro- 
magnete a  ferro  di  cavallo.  Po- 
tendosi far  agire  con  entrambi 
i  poli  sopra  una  medesima 
massa  di  ferro,  sopra  una  me- 
desima armatura,  l'elettro-ma- 
gnete  a  ferro  di  cavallo  si  ado- 
pera con  vantaggio  quando  si 
vogliano  produrre  energiche 
attrazioni.  L' intensità  delle 
attrazioni,  che  si  possono  ot- 
tenere colle  calamite  tempo- 
rarie,  è  di  gran  lunga  supe- 
riore a  quelle  che  possono 
offrire  le  più  potenti  calamite 
permanenti  di  acciaio,  e  un 
semplice  esperimento  basterà 
a  provarlo.  Ecco  una  elettro- 
magnete a  ferro  di  cavallo, 
che  io  posso  attivare  colla 
pila  di  dieci  elementi,  che  ci 
ha  servito  in  tutta  questa  lezione  (fìg.  4Ì.  La  sua  armatura  porta 
un  grande  piatto  di  bilancia,  che  io  posso  caricare  di  pesi.  Voi 
vedete:  tutti  i  pesi,  che  abbiamo  qui,  non  bastano  a  distaccare 
Tannatura  dai  poli  del  ferro  di  cavallo  —  e  sono  più  di  150  chi- 
logrammi. Ma  rompo  il  circuito?  L'armatura  subito  si  distacca 
e  cade. 

G.  Ferraris,  Optte,  Voi.  II  4 


f*'?-  4. 


50  Conferenza  seconda. 


Un  peso  così  grande  non  può  essere  sostenuto  se  non 
quando  l'armatura  è  vicinissima  ai  poli.  Ma  togliamo  i  pesi  e 
lasciamo  solo  il  piatto  colle  sue  catene;  voi  vedete:  esso  è  at- 
tratto a  distanza,  si  solleva  da  sé  quando  il  circuito  è  chiuso. 
Rompo  il  circuito?  Il  piatto  ricade.  Chiudo  un'altra  volta,  il 
piatto  è  di  nuovo  sollevato . . .  Ecco  un  nuovo  modo  di  mani- 
festarsi dell' energia  della  corrente;  ecco  un  movimento,  ecco 
un  lavoro  meccanico.  Sapendo  che  la  corrente  è  una  energia, 
noi  eravamo  già  certi  che  in  qualche  modo  questa  avrebbe  po- 
tuto darci  un  lavoro  meccanico  ;  ora  ecco  il  modo.  Io  non  voglio 
allontanarmi  dal  cammino  che  mi  sono  prefisso,  e  non  voglio 
stancare  la  vostra  attenzione  descrivendovi  nei  suoi  particolari 
alcuno  degli  apparecchi,  che  si  possono  immaginare  a  migliaia, 
per  mezzo  dei  quali  si  può  ricavare  in  modo  continuo,  regolare, 
un  lavoro  da  una  corrente.  Dopo  quello  che  io  vi  dissi,  voi 
siete  convinti  della  possibilità  di  (are  tali  apparecchi,  e  ciò  a 
me  basta. 

Una  piccola  macchina  di  questa  natura  è  disposta  qui,  e 
noi  possiamo  vederla  in  moto;  chiudo  il  circuito,  e  tosto  essa 
si  pone  in  movimento.  Nella  energia  meccanica  che  qui  vediamo 
comparire,  noi  dobbiamo  riconoscere  una  porzione  della  energia 
della  corrente,  la  quale  è  distrutta.  Appena  la  macchina  si  pone 
in  motOp  la  intensità  della  corrente  diminuisce,  e  con  questa 
diminuiscono  la  quantità  di  calore  svolta  nel  circuito  e  tutti  gli 
altri  effetti  della  energia  elettrica.  Se  noi  misurassimo,  come 
fece  il  Favre,  la  quantità  di  calore  che  un  gramma  di  zinco 
sciolto  nella  pila  produce  adesso,  lo  troveremmo  inferiore  a 
quello  che  si  avrebbe  quando  questa  macchina  stesse  in  riposo  : 
la  differenza  è  esattamente  equivalente  al  lavoro  con  cui  la 
macchina  è  tenuta  in  moto.  L'esperimento,  nelle  abilissime  mani 
del  Favre,  non  solo  riuscì,  ma  condusse  ad  una  delle  più  no- 
tevoli determinazioni  dell'equivalente  dinamico  del  calore. 

Noi  non  possiamo  fare  misure  di  lavori,  possiamo  però 
constatare  che  la  macchina  non  si  pone  in  moto  senza  far  sce- 
mare la  intensità  della  corrente.  Ci  basta  far  agire  la  corrente 
su  di  un  ago  magnetico  e  constatare  che  la  deviazione  di  questo 
diminuisce  ogni  qual  volta  la  macchina  si  pone  in  moto,  e  cresce 
quando  essa  si  ferma. 

Io  desiderava,  o  signori,  di  condurvi  a  ciò.  Partendo  da 
questa  considerazione  noi  arriveremo  naturalmente,  nella  pros- 
sima conferenza,   a   trovar   modo   di    produrre  la  corrente  per 


Sulla  illuminazione  elettrica,  51 


mezzo  di  un  lavoro  meccanico.  Ora  nella  soluzione  di  questo 
problema,  la  quale  permette  di  sostituire  al  combustibile  zinco, 
che  questa  sera  abbiamo  consumato  nella  pila,  un  combustibile 
ordinario,  da  ardersi  sulla  graticola  di  una  macchina  a  vapore, 
sta  la  scoperta  che  fece  della  illuminazione  elettrica  un  problema 
proponibile  industrialmente.  E  venendo  a  descrivere  le  macchine 
che  servono  a  dò,  noi  potremo  dire  di  avere  incominciata  la 
parte  realmente  pratica  del  nostro  studio. 


CONFERENZA  TERZA, 


10  maggio  /c?7p. 


Delle  MACcmNE  d*  induzione. 

Abbiamo  riconosciuto  nella  corrente  elettrica  un  mezzo  per 
a^ccumulare  entro  piccole  superficie  irradianti  quantità  grandissime 
di  cak>re.  L'elettro*motore  è  paragonabile  ad  un  focolaio,  ove 
noi  possiamo  produrre  quantità  di  calore  quanto  vogliamo;  il 
circuito  fa  come  un  canale,  che  dissemina  e  distribuisce  quel 
calore,  e  ciascuna  parte  del  quale  ne  ritiene  una  porzione  pro- 
porzionale alla  propria  resistenza.  Facendo  che  una  breve  por- 
zione di  circuito  abbia  di  per  sé  sola  una  resistenza  uguale  ad 
una  notevole  frazione  della  resistenza  totale,  noi  accumuliamo 
so  quella  piccola  porzione,  e  quindi  entro  piccole  superficie  ir- 
radianti, una  notevole  parte  del  calore  prodotto  nel  focolaio.  È 
questo,  noi  lo  avevamo  stabilito  già,  il  problema  da  risolvere 
per  trasformare  in  luce  la  più  grande  parte  possibile  della  energia 
che  si  spende;  e  l'impiego  di  una  corrente  elettrica  ne  offre  una 
soluzione  completa. 

Ma  perchè  la  corrente  elettrica  sì  potesse  proporre  indu- 
strialmente come  mezzo  per  produrre  la  luce,  non  bastava  sapere 
come  uria  grande  frazione  del  calore  equivalente  alla  energia 
della  corrente  si  potesse  trasformare  in  calore  visibile,  in  luce; 
bisognava  inoltre  avere  modo  di  produrre  la  energia  elettrica 
con  piccola  spesa.  Bisognava  avere  elettro-motori  più  economici 


52  Conferenza  terza. 


di  quello  che  sia  la  pila,  nella  quale  V  energia  elettrica  è  data 
dal  lavoro  chimico,  che  si  compie  nella  reazione  tra  lo  zinco^ 
l'acido  solforico,  l'acido  nitrico.  Per  produrre  infatti  con  questa 
reazione  una  quantità  di  calore  uguale  a  quella  data  da  un  chi- 
logramma  di  carbon  fossile  (litantrace),  che  costa  quattro  cen- 
tesimi, bisogna  consumare  da  5  a  6  chilogrammi  di  zinco  ed  i 
pesi  equivalenti  di  acido  solforico  e  di  acido  nitrico,  il  che,  col 
mercurio  necessario  per  1*  amalgamazione,  può  costare  da  15  a 
20  lire. 

Questo  secondo  problema  è  oggidì  risolto.  Noi  possiamo^ 
attualmente  produrre  poderose  correnti  elettriche  consumando^ 
e  trasformando  in  energia  elettrica  non  l'energia  troppo  costosa 
delle  affinità  chimiche  tra  lo  zinco  e  gli  acidi,  ma  la  energia 
meccanica,  la  quale  si  può  avere  o  per  mezzo  di  cadute  d'acqua, 
od  almeno  con  macchine  motrici  a  fuoco,  a  vapore,  od  a  gas, 
nelle  quali  non  si  consuma  altro  che  carbone  ordinario  ed  os- 
sigeno atmosferico. 

Gli  apparecchi  di  induzione  hanno  in  questi  ultimi  anni  ri- 
cevuto le  forme,  le  dimensioni,  la  robustezza,  l'architettura  delle 
vere  macchine  industriali,  e  con  queste  poterono  passate  dai 
laboratori  dei  fisici  alle  officine.  È  la  loro  invenzione  che  non 
solo  rese  possibile  ma  impose  la  quistione  tecnica,  per  trattare 
della  quale  noi  siamo  qui  radunati.  Io  debbo  provarmi  a  darvi 
un'idea  del  loro  principio  e  della  loro  costruzione.  Sarà  questa 
il  nostro  compito  per  la  seduta  di  questa  sera. 

Converrà  che  noi  cominciamo  a  ricordare  qualche  fatto 
elementare  e  che  da  questo  saliamo  poi  a  fatti  più  complessi 
e  finalmente  agU  apparecchi.  Prenderemo  le  mosse  dalle  espe- 
rienze che  abbiamo  veduto  verso  il  fine  dell'ultima  conferenza. 

Avevamo  qui  una  elettro-magnete  :  un  nucleo  di  ferro  dolce 
coperto  da  una  spirale  di  filo  metallico  rivestito,  ed  un'arma- 
tura: un  pezzo  di  ferro  dolce  che  poteva  applicarsi  alle  due 
estremità  del  nucleo,  che  nel  nostro  esperimento  erano  vicine 
runa  all'altra,  per  essere  il  nucleo  piegato  a  ferro  di  cavallo. 
Per  la  spirale  fecimo  passare  una  corrente,  ed  osservammo  che 
subito  l'armatura  era  attratta  con  forza  e  poteva  sollevare  pesi 
considerevoli:  il  nucleo  di  ferro  era  diventato  una  calamita  e 
quindi  aveva  attirato  il  ferro  dell'armatura.  Sollevando  T arma- 
tura, che,  cogli  annessi,  aveva  un  peso,  l'elettro-magnete  faceva 
un  lavoro,  la  corrente  faceva  un  lavoro  :  io  vi  feci  notare  che 
mentre  la  corrente  faceva  questo  lavoro,  essa  si  trovava  indebolita. 


Sulla  illtiminazione  elettrica.  53 


Abbiamo  veduto  il  fenomeno  in  modo  assai  chiaro  mettendo 
in  azione  una  piccola  macchina,  ove  la  corrente,  producendo 
regolarmente  molte  volte  di  seguito  ad  intervalli  uguali  di  tempo 
l'attrazione  di  una  armatura,  metteva  in  moto  una  ruota  e  pro- 
duceva  un  lavoro  continuo.  In  questo  apparecchio  le  diminuzioni 
di  intensità,  che  succedevano  ad  ogni  pulsazione  dell'armatura 
mobile,  si  sovrapponevano  e  producevano  una  sensibile  dimi- 
nuzione costante  nella  deviazione  di  un  ago  magnetico  sottoposto 
all'azione  della  corrente.  Notiamo  bene  il  fatto:  si  aveva  tra 
r  armatura  e  l' elettro-magnete  una  attrazione  in  grazia  della 
corrente  circolante  nella  spirale  di  questa;  il  moto  prodotto  da 
questa  attrazione  fece  diminuire  l' intensità  della  corrente  e 
quindi  l'attrazione  stessa;  l'effetto  del  moto  dell'armatura  fu  di 
diminuire  la  propria  causa,  il  che  equivale  a  crearsi  una  resi- 
stenza. 

Se,  fatto  l'esperimento,  avessimo  distaccato  l'armatura,  noi 
avremmo  constatato  il  fenomeno  opposto:  un  aumento  della 
intensità  della  corrente.  Qui  il  movimento  avrebbe  prodotto  un 
aumento  dell'attrazione,  a  dispetto  della  quale  esso  si  fa;  anche 
qui  adunque  l'effetto  del  moto  dell'armatura  sarebbe  stato  di 
creare  a  se  stesso  una  resistenza. 

Ora  un  aumento  od  una  diminuzione  della  intensità  di  una 
corrente,  si  possono  considerare  come  un'aggiunta  od  una  sot- 
trazione di  una  corrente,  come  la  sovrapposizione  alla  corrente 
principale  di  una  corrente  diretta  nel  medesimo  verso  o  di  una 
corrente  contraria.  Dunque  possiamo  enunciare  la  cosa  dicendo: 
il  moto  dell'armatura  ha  in  tutti  casi  per  effetto  di  produrre  una 
corrente  che  si  oppone  ad  esso. 

Ebbene,  o  signori,  l' esperienza  dimostra  che  il  medesimo 
fenomeno  si  verifica  anche  quando  nel  circuito,  di  cui  fa  parte 
la  spirale  magnetizzante  dell' elettro-magnete,  non  v'ha  inizial- 
mente corrente,  con  questa  sola  condizione:  di  sostituire  alla 
armatura  mobile  dì  ferro  dolce  una  calamita,  sia  questa  una 
calamita  permanente  di  acciaio,  od  un  pezzo  di  ferro  tenuto  in 
qualunque  modo  magnetizzato.  Se  le  estremità  polari  di  una 
elettro-magnete,  la  cui  spirale  faccia  parte  di  un  circuito  chiuso, 
vengono  avvicinate  ai  poli  di  una  calamita,  oppure  allontanate 
dai  medesimi,  si  manifesta  nel  circuito  della  spirale  una  corrente, 
la  quale  dura  finché  dura  il  movimento.  Questa  corrente  dicesi 
indotta  \  il  circuito,  in  cui  si  trasmette,  circuito  indotto;  la  ca- 
lamita, che  col  suo   moto    la  produce,  iuduttrice;   il  fenomeno. 


54  Conferenza  terza. 


fenomeno  di  induzione.  La  corrente  indotta  ha  verso  tale  da 
opporsi  al  movimento. 

Così,  mentre  i  poli  della  calamita  induttrice  si  avvicinano, 
la  corrente  indotta  fa  nascere  in  faccia  ad  essi  i  poli  omonimi, 
i  quali  li  respingono;  mentre  invece  i  poli  della  calamita  in- 
duttrice si  allontanano,  la  corrente  indotta  fa  nascere  in  faccia 
ad  essi,  nel  nucleo  della  spirale,  poli  contrari,  che  li  attraggono. 
In  ogni  caso  le  azioni  reciproche  tra  i  poli  della  calamita  e 
quelli  che,  per  effetto  della  corrente  indotta,  si  formano  nel 
nucleo  di  ferro  dolce,  costituiscono  una  resistenza  al  moto. 

Della  numerosa  serie  di  fenomeni  compresi  nella  denomi- 
nazione generica  di  fenomeni  di  induzione,  della  conoscenza 
de' quali  la  fìsica  è  debitrice  al  grande  Faraday,  e  che  oggidì 
costituiscono  da  sé  soli  un  intero  e  vasto  ramo  di  scienza, 
questo  che  io  vi  ho  descritto  è  il  solo  di  cui  noi  avremo  bi- 
sogno per  lo  studio  al  quale  ci  accingiamo,  il  solo  di  cui  ci  sia 
necessario  parlare. 

Ma  appunto  per  questo  dobbiamo  procurare  di  intenderlo 
bene,  di  interpretarlo,  e  di  porlo  sotto  il  suo  aspetto  più  ge- 
nerale e  più  ampio. 

Per  intenderlo  bene,  è  utile  innanzi  tutto  che  lo  vediamo. 
E  a  quest'uopo  io  disposi  l'apparecchio  che  voi  vedete  qui.  La 
sua  parte  essenziale  è  una  bussola  reometri ca  a  riflessione:  un 
ago  magnetico  sospeso  per  una  bava  di  seta  assai  lunga,  tesa 
sull'asse  di  un  tubo  di  vetro,  quindi  mobilissimo,  sta  nel  centro 
di  una  spirale  di  filo  metallico  isolato,  la  quale  si  può  inserire 
mediante  opportuni  morsetti  nel  circuito  della  corrente,  di  cui 
vorremo  riconoscere  l'esistenza  ed  il  verso.  Attualmente  la  linea 
dei  poli  dell'ago  è  parallela  ai  piani  delle  spire;  ma  se  una 
corrente  si  trasmetterà  in  queste,  ciascun  elemento,  ciascuna 
porzioncella  di  ciascuna  di  esse  agirà  sull'  ago,  come  agiva  la 
corrente  rettilinea  sull'ago  vicino  nelle  esperienze  che  ricorderete 
di  aver  visto  nell'ultima  nostra  seduta:  ciascuna  spira  eserciterà 
sui  poli  dell'ago  forze  tendenti  a  far  rotare  l'ago  medesimo  e  a 
portarlo  in  una  direzione  perpendicolare  a  quella  che  esso  ha  in 
questo  momento,  col  polo  nord  a  sinistra  e  col  polo  sud  a  destra 
della  corrente.  Le  azioni  delle  singole  spire  si  sovrapporranno 
così,  ed  una  corrente  anche  debole  potrà  produrre  deviazioni  sen- 
sibili. Egli  è  perciò  che  la  spirale  si  dice  anche  un  moltiplicatore. 

La  sensibilità  dello  strumento  è  inoltre  notevolmente  ac- 
cresciuta in  grazia  della  disposizione  che   fu    adottata  per  ren- 


Sulla  illuminazione  elettrica,  55 


dere  visibili  le  minime  deviazioni  dell'ago.  All'ago  è  solidario 
uno  specchietto,  il  quale  parteciperà  così  a  tutti  i  suoi  movi- 
menti. Sullo  specchietto  io  farò  cadere  un  pennello  di  luce 
uscito  da  una  lanterna  elettrica  attraverso  ad  luia  piccola 
apertura  circolare.  Il  pennello  si  rifletterà,  e  io,  frapponendo  in 
posizione  conveniente,  tra  l'apertura  della  lanterna  e  lo  specchio, 
una  lente  convergente,  potrò  fare  che  i  raggi  riflessi  formino 
sul  muro  una  immagine  dell'apertura.  —  Voi  la  vedete.  Finché 
lo  specchietto  starà  fermo,  quella  immagine  si  manterrà  immo- 
bile, e,  viceversa,  dalla  immobilità  di  essa  voi  potrete  conchiudere 
che  né  lo  specchio  né  l' ago  ad  esso  uniti  si  sono  spostati.  Ma 
supponete  che  l'ago  roti  anche  di  pochissimo,  e  che  con  esso 
roti,  come  necessariamente  farà,  anche  lo  specchio:  l'angolo  di 
i^ncidenza  dei  raggi  luminosi  sullo  specchio  varierà  allora  di 
tanto  di  quanto  lo  specchio  avrà  girato;  l'angolo  di  riflessione 
varierà  d'altrettanto,  il  fascio  di  luce  riflessa  devierà  di  un  an- 
golo doppio  di  quello  per  cui  lo  specchio  avrà  rotato,  e  l' im- 
magine sul  muro  si  sposterà  di  una  quantità,  che  per  la  grande 
distanza  del  muro  dallo  specchio  potrà  essere  notevole.  Il  fascio 
di  hice  riflessa  farà  quel  che  farebbe  un  lungo  indice,  che  ro- 
tasse del  doppio  di  ciò  di  cui  rota  l'ago  della  bussola.  La  gran- 
dezza dello  spostamento  dell'immagine  ci  darà  cosi  in  modo 
visibile  a  tutti  un  indizio  della  grandezza  delle  deviazioni  del- 
l'ago,  e  il  verso  dello  spostamento  ci  dirà  quale  sia  il  verso 
nel  quale  l'ago  ha  deviato.  Se  le  deviazioni  dell'ago  saranno 
prodotte  da  correnti  elèttriche  circolanti  nel  moltiplicatore,  lo 
spostamento  dell'  immagine  ci  indicherà  V  intensità,  e  quel  che 
più  ci  interessa  in  questo  momento,  //  verso  della  corrente. 

Ciò  posto,  io  unisco  i  capi  del  moltiplicatore  con  quelli  di 
una  doppia  spirale  ss',  la  quale  avvolge  un  nucleo  arcuato  di 
ferro  dolce,  formando  una  elettro-magnete  a  ferro  di  cavallo,  e 
in  faccia  alle  estremità  polari  di  questa  metterò  in  moto  una 
calamità  M,  facendola  ora  avvicinare  ed  ora  allontanare  da 
esse  (fig.  5).  Se  è  vero  il  fatto  che  io  ho  enunciato,  noi  dovremo 
vedere  quell'immagine  luminosa  spostarsi  in  un  senso  tutte  le 
volte  che  questa  calamita  si  avvicinerà  alle  estremità  dei  nuclei 
delle  spirali,  spostarsi  nel  senso  opposto  tutte  le  volte  che  la 
calamita  si  allontanerà  dai  nuclei.  L'esperienza  conferma  piena- 
mente la  previsione. 

Se  potessimo  esaminare  in  qual  verso  sieno  qui  avvolte  le 
spire,  e  come  stieno  situati  i  poli  dell'ago,  noi  vedremmo  facil- 


Conferenza  terza. 


mente  che  la  corrente  che  si  ha  nel  distacco,  nell'allontana- 
mento della  calamita  mobile  induttrice,  è  diretta  in  modo  da 
produrre  nei  nuclei  poli  contrari  a  quelli  a  cui  stanno  affacciati, 
quindi  esercitanti  attrazioni  che  si  oppongono  al  movimento; 
vedremmo  invece  che  durante  l'attacco,  ossia  durante  l'avvici- 
namento della  calamita  induttrice,  si 
produce  una  corrente  indotta  di  tale 
verso  da  far  nascere  nei  nuclei  poli 
//^  omonimi  a  quelli  affacciati,  ossia  poli 
che  esercitano  su  di  questi  forze 
ripulsive,  ossia  finalmente,  che  si 
oppongono  al  movimento.  È  la  legge 
che  si  trattava  di  verificare. 

Posso  dimostrare,  se  non  il  ver- 
so, almeno  l'esistenza  delle  correnti 
indotte  che  si  hanno  nelle  spirali  di 
una  elettro-magnete,  quando  in  fac- 
cia a  questa  si  muove  una  calamita, 
anche  a  quelli  che  non  avessero  po- 
tuto vedere  i  moti  dell'immagine. 
L'apparecchio,  che  avete  sotto  agli 
occhi,  è  munito  di  parti  accessorie, 
che  fanno  sì  che  la  corrente  indotta 
nel  distacco  ne  produce  una  di  più 
breve  durata,  ma  per  compenso  ca- 
pace di  superare  grandi  resistenze.  Noi  non  abbiamo  bisogno  di 
descrivere  queste  parti,  perchè  sappiamo  che  apparecchi  mecca- 
nici, di  per  sé,  non  possono  creare  nessuna  energia.  Noi,  dall'e- 
sistenza di  questa  corrente  intensa  e  di  breve  durata,  potremo 
con  certezza,  anche  senza  conoscere  i  particolari  del  congegno, 
conchiudere  V  esistenza  di  una  corrente  indotta  per  mezzo  del 
movimento.  Orbene,  questa  corrente  può  farsi  passare  per  una 
porzione  di  circuito  molto  resistente  e  fatta  di  materia  esplosiva, 
e  lo  scoppio  di  questa  ci  attesterà  in  modo  rumoroso,  ma  al- 
trettanto sicuro,  l'esistenza  della  corrente  indotta.  Inserisco  nel 
circuito  una  spoletta  piena  di  polvere  pirica,  in  seno  alla  quale 
sta  una  miscela  di  solfuri  metallici,  di  clorato  di  potassa  e  di 
grafite.  Attraversata  dalla  corrente,  essa  si  scalda,  e  scoppia, 
quando  si  distacca  violentemente  la  calamita  dai  nuclei  delle  spirali. 
Credo  inutile  fare  esperimenti  per  dimostrare  che  gli  effetti, 
che  si  hanno  dal    moto    di    una  calamita  permanente,  si  hanno 


Sui/lì  illuminazione  elettrica.  57 


pure  dal  moto  di  una  elettro-magnete,  o  dal  moto  di  un  pezzo 
di  ferro  magnetizzato  per  influenza,  o  dal  moto  di  un  pezzo  di 
ferro  calamitata  con  qualunque  altro  artifìcio.  Noi  impareremo 
di  più  se,  invece  di  variare  la  forma  degli  esperimenti,  ci  solle- 
veremo ancora  una  volta  alla  regione  elevata  delle  teorìe,  e  se 
interpreteremo  i  fatti  di  cui  fummo  testimoni  colla  scorta  del 
principio  della  conservazione  della  energia.  Qui,  come  sempre, 
questo  grande  teorema  rischiarirà  i  fatti  cosi  da  renderne  facile 
in  ogni  caso  l'applicazione;  qui,  come  sempre,  ci  guiderà  a  con- 
cetti più  larghi,  e,  ciò  che  più  importa,  più  precisi. 

Movendo  una  calamita  in  faccia  ad  una  spirale,  noi  abbiamo 
appreso,  possiam  produrre  delle  correnti:  ma  le  cori-enti  sono 
manifestazioni  di  energie,  le  correnti  producono  calore,  azioni 
chimiche,  lavori,  e  siccome  V  energia  non  si  crea,  così  le  cor- 
renti non  si  producono  senza  consumare,  senza  spendere  qualche 
cosa.  Che  cosa  è  ciò  che  noi  spendiamo  quando  col  movimento 
relativo  di  calamite  induttrici  e  di  spirali  indotte  noi  produciamo 
correnti  d' induzione?  Se  voi  avete  posto  attenzione  a  ciò  che 
io  ho  detto  sul  verso  delle  correnti  indotte,  troverete  subito  la 
risposta:  la  corrente  indotta  ha  sempre  tal  direzione  da  pro- 
durre forze  che  si  oppongono  al  movimento  col  quale  essa  è 
generata.  Quando  il  movimento  ha  per  effetto  una  corrente 
indotta,  questa  crea  una  resistenza,  che  altrimenti  non  sussi- 
sterebbe; a  produrre  il  moto  a  dispetto  di  questa  resistenza  è 
necessaria  la  spesa  di  un  lavoro;  è  questo  lavoro  ciò  che  si 
trasforma  in  energia  elettrica,  e  che  la  corrente  ci  restituisce, 
o  come  calore,  o  di  nuovo,  almeno  in  parte,  come  lavoro.  Così 
per  esempio,  per  allontanare  la  calamita  in  questo  apparecchio 
di  cui  ci  siamo  serviti  poco  fa,  io  debbo  fare  un  lavoro  più 
grande  quando  il  circuito  è  chiuso,  e  produco  in  questo  una 
corrente,  che  non  quando  è  aperto;  il  lavoro  che  spendo  in 
più  nel  primo  caso  non  è  perduto  :  produce  la  corrente.  Quando 
poi  la  calamita  si  riavvicina  alle  estremità  dei  nuclei  delie  spi- 
rali, essa  acquista  una  velocità,  una  energia  diversa  ne*  due 
casi;  questa  energia  è  maggiore  quando  il  circuito  è  aperto  che 
non  quando  esso  è  chiuso:  la  differenza  è  equivalente  al  calore 
svolto  nel  circuito  dalla  corrente  indotta. 

Ecco  una  interpretazione  che  ci  fa  apparire  la  legge  sul 
verso  delle  correnti  indotte  come  naturale,  necessaria,  quasi 
prevedibile.  Io  credo  che  non  la  si  possa  sentire  senza  indo- 
vinare subito  che  ciò  che  noi  abbiamo  visto  non  è  che  un  caso 


58 


Conferenza  terza. 


particolare  di  una  legge  molto  più  generale.  Così  è  infatti,  e  la 
legge  enunciata  dapprima  dal  Lenz,  fu  completata  dal  Neumann, 
che  le  diede  una  forma  rigorosa,  matematica.  Io  non  ho  che  da 
tradurla  in  linguaggio  ordinario  ed  enunciarla,  per  essere  sicuro 
che  voi  tutti  non  solo  la  comprenderete  e  saprete  fame  l'appli- 
cazione, ma  la  giudicherete  quasi  evidente.  La  legge  è  questa: 
—  Si  abbia  un  sistema  qualunque  A  di  circuiti  chiusi,  posti  in 
presenza  di  un  sistema  qualunque  B  di  correnti  o  di  calamite; 
se  si  imprime  ai  sistemi  -4  e  jB  un  moto  relativo,  nei  circuiti  A 
nasceranno,  durante  il  moto,  correnti  indotte,  oppure  non  na- 
sceranno. Per  vedere  se  si  verificherà  il  primo  caso  si  immagini 
che  i  circuiti  A  sieno  percorsi  da  correnti  in  un  verso  qua- 
lunque, e  si  veda  se  queste  correnti  producano  forze  che  du- 
rante il  moto  facciano,  od  obblighino  a  fare,  un  lavoro  meccanico. 
Se  ciò  succede  si  avranno  correnti  indotte,  se  no,  non  si  avranno. 
Nel  primo  caso  poi  le  correnti  indotte  avranno  un  verso 
tale  da  opporsi  al  movimento. 

Con  questa  legge  possiamo  spiegare  V  effetto  di  tutte  le 
macchine  di  induzione,  Neil'  applicazione  che  noi  ne  faremo  a 
queste,  essa  ci  si  farà  chiara  e  famigliare;  negli  effetti  poi  che 
otterremo,  mettendo  in  azione  le  macchine,  troveremo  una  con- 
ferma sperimentale  della  sua  verità. 

Noi  possiamo  ottenere  una  macchina  d'induzione  sempli- 
cemente cosi:  collocando  in  faccia  ad  una  calamita  fìssa  una 
elettro-magnete,  la  quale  possa  farsi  ro- 
tare attorno  ad  un  asse  O  in  modo  che  le 
sue  estremità  polari  «,  5  vadano  in  modo 
periodico  avvicinandosi  ed  allontanandosi 
dai  poli  iV,  5  di  quella  (fig.  6).  Se  alle 
estremità  della  spirale  si  attaccano  i  capi 
di  un  circuito  esterno  e  si  forma  così  un 
circuito  chiuso,  questo  circuito  è,  finché 
dura  il  moto,  la  sede  di  una  successione 
di  correnti  indotte.  Applichiamo  il  princi- 
pio or  ora  enunciato  e  ce  ne  convinceremo. 
Immaginiamo  a  quest'uopo  che  le 
spirali  mobili  sieno  percorse  da  una  corrente.  11  nucleo  per  effetto 
di  questa  si  magnetizza  allora,  e  presenta  alle  due  estremità  i  due 
poli  nord  e  sud.  11  primo,  «,  sarà  attratto  dal  polo  sud  *S  con  una 
forza  /  e  respinto  dal  polo  nord  N  con  una  forza  F\  l'altro, 
viceversa,  sarà  respinto  dal  polo  sud  ed  attratto  dal  polo  nord 


Fig.  6. 


Sulla  illuminazione  elettrica. 


59 


colle  forze/'  ed  F\  Le  spirali  saranno  così  sollecitate  da  una 
coppia  R,  R'  a  rotare,  come  indica  la  freccia  nella  figura.  Dunque^ 
se  noi  produciamo  questo  movimento,  esso  genera  nelle  spirali 
una  corrente.  Il  verso?  Il  verso  sarà  quello  che  si  oppone  al 
moto;  quello  adunque  che  produce  un  polo  nord  in  5  finché  il 
nucleo  «  va  avvi/:inandosi  al  polo  nord  /V,  che  lo  respinge; 
quello  che  produce  in  5  un  polo  sud  quando  il  nucleo  5  lia  ol- 
trepassato il  polo  iV  e  va  allontanandosi  da  esso.  Si  hanno 
adunque  così  correnti,  che  cambiano  di  verso  ogniqualvolta  i 
nuclei  mobili  passano  davanti  ai  poli  fissi  iV  ed  5.  Con  un 
commutatore,  il  quale  in  verta  (fig.  7)  le  riunioni  dei  capi  delle 
spirali  coi  capi  del  circuito  esterno 
nel  momento  in  cui  la  corrente 
nella  spirale  indotta  cambia  di 
segno,  si  può  fare  che  nel  cir- 
cuito esterno  si  abbia  una  cor- 
rente diretta  sempre  nel  medesi- 
mo verso.  Questo  commutatore 
è  semplicissimo:  consiste  in  un 
cilindro  coibente  O  rotante  insie- 
me alla  spirale,  e  coperto  da  due 
gusci  metallici  /,  m  comunicanti 
colle  due  estremità  della  mede- 
sima. I  capi  del  circuito  esterno 
sono  riuniti  in  a,  b  con  due  molle 
Ay  B,  le  quali  si  appoggiano  sul 
cilindro  O  sfregando  alternativamente  i  due  gusci.  I  contatti  tra 
le  molle  ed  i  gusci  si  invertono  due  volte  per  ogni  giro  e  pre- 
cisamente nell'istante  in  cui  la  corrente  nella  spirale  indotta 
cambia  segno. 

Io  ho  descritto  sommariamente  la  macchina  notissima  di 
Clarke.  Essa  è  una  delle  più  antiche  che  si  abbiano,  e  forma 
come  un  tipo,  dal  quale  non  differiscono  se  non  ne'  particolari 
e  nelle  dimensioni  tutte  quelle  che  si  adoperarono  prima  del 
1872. 

Ma  non  l'ho  descritta  che  per  fare  su  di  un  apparecchio 
certamente  noto  alla  massima  parte  dei  miei  uditori  una  appli- 
cazione del  principio  generale  che  noi  abbiamo  enunciato,  ed 
in  questo  modo  renderlo  loro  viemmeglio  chiaro  e  famigliare. 
Io  non  mi  sono  proposto  infatti  di  fare  in  queste  conferenze  la 
storia  delle  invenzioni  che  si  collegano  con  quella  della  illumi- 


Fìg.  7. 


6o  Conferenza  terza. 


nazione  elettrica,  storia  che  troverete  assai  più  completa  di 
quella  che  si  potrebbe  svolgere  nel  limitato  numero  de'  nostri 
convegni,  in  tutti  i  trattati;  mi  sono  invece  proposto,  come 
dissi  cominciando,  di  dare  dello  stato  presente  di  questa  appli- 
cazione scientifica  una  nozione  sufficiente  per  poterne  dedurre 
qualche  indizio  sul, suo  probabile  avvenire.  Sono  quindi  le 
macchine  attualmente  in  uso  che  io  debbo  descrivere,  e  più 
particolarmente  quelle  conosciute  col  nome  di  macchine  di 
Gramme,  alla  teoria  delle  quali  si  collega  intimamente  quella 
di  tutte  le  altre  macchine  moderne,  e  le  quali  sono  fra  noi  le 
più  diffuse. 

Le  macchine  d'induzione  di  Gramme  comparvero  nel  1872; 
i  risultati  che  esse  diedero  furono  tali  da  far  dimenticare  tutto 
quanto  in  quest'  ordine  di  cose  si  era  fatto  prima.  I  problemi 
relativi  alle  applicazioni  tecniche  delia  corrente  elettrica,  fra  cui 
primo  quella  dell'  illuminazione  elettrica,  si  ripresero  in  grazia 
di  quelle  macchine,  con  una  lena  e  con  una  fede  di  cui  prima 
non  si  erano  creduti  degni  mai;  le  macchine  Gramme  non  ave- 
vano soltanto  il  merito  di  aver  forme  solide,  e  dimensioni  tali 
da  potersi  collocare  degnamente  fra  le  macchine  industriali,  ma 
davano  quello  che  nessuna  macchina  anteriore,  fatta  sul  tipo  di 
quella  di  Clarke  o  di  StOrer,  non  escluse  quelle  del  Nollet, 
avrebbe  potuto  dare:  una  corrente  continua,  assolutamente  co- 
stante; e  questo  esse  davano  senza  bisogno  di  alcun  commu- 
tatore, e  con  organi  semplici,  robusti,  di  funzionamento  sicuro. 

Dissi:  le  macchine  Gramme  comparvero  nel  1872;  ma  l'in- 
venzione che  ne  forma  la  base  data  fin  dal  1860,  ed  è  dovere 
che  io  lo  dica:  appartiene  al  nostro  paese.  La  parte  caratteri- 
stica delle  nuove  macchine,  alla  quale  essenzialmente  esse  deb- 
bono le  proprietà  di  cui  parlai,  sta  in  una  forma  speciale  data 
alla  spirale  indotta,  e  di  questa  forma  speciale  di  spirale,  fin 
dar  1860  pubblicava  una  descrizione  il  dott.  Antonio  Pacinotti 
di  Pisa.  Il  Pacinotti  costrusse  anche  una  macchina,  ma,  coi  mezzi 
di  cui  egli  poteva  disporre,  non  fu  possibile  che  egli  ne  otte- 
nesse tali  risultati  da  chiamare  su  di  essa  l'attenzione  che  essa 
si  meritava.  Dodici  anni  dopo,  come  dissi,  nel  1872,  il  Gramme 
rifaceva  V  invenzione,  ma  a  Parigi  e  con  mezzi  di  gran  lunga 
migliori.  La  macchina  si  presentava  al  pubblico  veramente  per- 
fetta, e  siccome  usciva  allora  dalle  sue  mani,  prese  e  riterrà  il 
suo  nome.  E  veramente  noi  stessi  non  potremmo  negare  che, 
senza  l'ingegno  e  l'attività  che  quest'uomo  spiegò  nel  migliorare 


Sulla  illuminazione  elettrica. 


6r 


le   parti   de*  suoi   apparecchi,  la   spirale    del   Pacinottì    sarebbe 
tuttavia  un  progetto,  e  fors'anche  sarebbe  dimenticata. 

La  spirale  di  Pacinottì,  che,  come  dissi,  forma  la  parte  ca- 
ratteristica della  macchina  di  Gramme,  è  anulare:  è  un  anello 
circolare  di  ferro  dolce,  tutto  vestito  di  spire  di  filo  dr  rame 
isolato.  Per  farvene  un'idea  dovete  immaginarvi  una  elettro- 
magnete inizialmente  diritta,  la  quale  sia  poi  stata  piegata  in 
cerchio  e  della  quale  si  sieno  poi  saldate  insieme  le  due  estre- 
mità, ferro  con  ferro,  filo  con  filo,  così  da  formare  un  tut£o  con- 
tinuo. Schematicamente  voi  la  vedete  qui  disegnata  (fig.  8).  Essa 


Fìg.  8. 


è  posta  fra  i  poli  iV  ed  S  di  una  calamita  permanente  o  tetnpo- 
rarìa,  ed  è  portata  da  un  albero  O,  attorno  al  quale  si  può  far 
girare  come  una  ruota.  Il  filo  non  ha  capi,  come  non  ne  ha  il 
nucleo,  ma  con  un  artifizio,  di  cui  diremo  fra  poco,  esso  può 
mettersi  in  comunicazione  metallica  con  un  circuito  esterno  M, 
e  precisamente  così  che  i  capi  di  questo  comunichino  in  ogni 
istante  coi  due  punti  A  e  B  della  spirale,  posti  alle  estremità 
del  diametro  perpendicolare  alla  retta  dei  poli  N  S  della  calamita 
induttricé.  Per  fissare  le  idee  supponete  che  i  due  punti  A  ^  B 
sieno  toccati  dalle  estremità  del  circuito  M,  e  che,  mentre  gira 
la  spirale  anulare,  i  contatti  A,  B  passino  da  una  spira  alle 
successive  in  modo  da  stare  sempre  nella  medesima  posizione. 
Noi  possiamo  vedere  subito  che  la  rotazione  della  spirale 
deve  produrre  nel  filo  M  una  corrente    costante.  Infatti,  appU- 


62  Conferenza  terza. 


chiamo  la  regola  generale  :  immaginiamo  che  il  filo  M  sia  per- 
corso da  una  corrente,  per  esempio  nel  verso  deUa  freccia  /. 
Questa  corrente  nei  punti  -.4  e  -S  si  dividerà  fra  le  due  metà 
della  spirale,  e  circolerà  come  indicano  le  freccie  /'  e  f\  Le 
sinistre  delle  due  correnti  sono  in  entrambe  le  metà  rivolte 
verso  l'alto,  verso  il  punto  A,  Dunque  per  effetto  di  queste 
correnti  le  due  metà  dell'  anello  di  ferro  si  trasformano  in  due 
calamite,  aventi  entrambe  il  polo  nord  in  alto,  in  vicinanza  del 
punto  A,  ed  il  polo  sud  in  basso,  nel  punto  B,  Su  questi  poli  n 
ed  5  i  poli  iV  ed  S  della  calamita  induttrice  fissa  esercitano 
attrazioni  e  ripulsioni:  il  primo  respinge  il  polo  nord  n  ed  at- 
trae il  polo  sud  5  colle  forze  /"ed  F')  il  secondo  attrae  n  e 
respinge  s  colle  forze  /  ed  /'.  Tutte  queste  forze,  voi  vedete, 
cospirano  per  far  rotare  l'anello  da  sinistra  verso  destra.  Se 
noi  facciamo  rotare  l'anello,  queste  forze  fanno  un  lavoro  o  ci 
obbligano  a  spendere  un  lavoro:  dunque,  in  grazia  del  nostro 
principio,  la  rotazione  dell'anello  produce  una  corrente  indotta. 
11  verso  di  questa  corrente,  dice  inoltre  il  principio,  è  tale  che 
essa  si  opponga  al  moto:  dunque  essa  ha  il  verso  indicato  dalla 
freccia  /  quando  l'anello  ruota  da  destra  a  sinistra,  ha  il  verso 
opposto  quando  l'anello  ruota  da  sinistra  verso  destra.  Se,  mentre 
l'anello  gira,  i  contatti  stanno  immobili  nelle  posizioni  A,  B,  si 
mantengono  costanti  le  condizioni  iniziali,  e  la  corrente  indotta 
si  produce  con  intensità  costante  finché  seguita  inalterata  la 
rotazione. 

Le  attrazioni  magnetiche  dovute  alla  esistenza  della  corrente 
indotta  oppongono  costantemente  una  resistenza  al  moto,  agi- 
scono come  un  freno,  e  la  rotazione  non  si  fa  se  non  spendendo 
un  lavoro  meccanico,  che  non  si  avrebbe  da  fare  quando  il 
circuito  fosse  aperto.  Questo  lavoro  meccanico  si  trasforma  in 
energia  elettrica  ed  è  restituito  dalla  corrente. 

Tale  è  il  principio;  per  tradurlo  in  atto,  bastava  trovar 
modo  di  realizzare  almeno  approssimativamente  questa  condi- 
zione: che  le  estremità  del  circuito  esterno  comunicassero  co- 
stantemente coi  punti  della  spirale  passanti  nelle  posizioni  A 
e  B,  mentre  questa  gira.  Ora  ecco  come  ciò  si  ottiene. 

La  spirale,  di  filo  isolato,  è  fatta  di  tante  porzioni  uguali, 
che  possiam  dire  spirali  elementari;  è. formata  da  una  serie  di 
molte  piccole  spirali  uguali  5,  5,  s,  infilzate  l'una  dietro  all'altra 
sul  nucleo  anulare  (fig.  9).  Queste  spirali  sono  congiunte  V  una 
all'altra,  capo  a  capo,  così  da  formare  una  spirale  unica  continua. 


Sulla  illuminazione  ellettrica. 


63 


come  abbiamo  detto;  ma  nei  punti  d'unione  esse  sono  legate  a 
lastrine  metalliche  r,  r,  r,  le  quali  son  piegate  ad  angolo  retto 
ed  hanno  imo  dei  bracci,  r,  diretto  come  un  raggio  deiranello, 
e  l'altro  a  diretto  parallelamente  all'asse  di  rotazione,  e  collocato 
sulla  superfìcie  di  un  cilindro  ab  dì  diametro  minore  dell'anello, 
il  quale  ruota  con  esso.  Le  porzioni  a,  che  coprono  l'albero  di 


r 


Fig.  9. 

rotazione,  sono  isolate  le  une  dalle  altre,  e  sulle  faccie  esleine, 
che  stanno  tutte  su  di  una  superficie  cilindrica,  sono  nude,  prive 
di  ogni  vernice.  Su  di  esse  si  appoggiano  due  sfregatoi  a  spaz- 
zola Ff  P^  ai  quali  sono  uniti  con  opportuni  morsetti  i  capi 
del  circuito  esterno.  Le  due  spazzole  toccano  due  lastrine  a,  b 
diametralmente  opposte,  e  quindi  pongono,  come  si  voleva,  il 
circuito  esterno  in  comunicazione  con  due  punti  A  e  B  dia- 
metralmente opposti  della  spirale. 
Siccome  poi  le  spazzole  toccano 
sempre  più  di  una  lastrina  ad  un 
tempo,  così  la  comunicazione 
della  spirale  indotta  col  circuito  , 
estemo  è  sempre  chiusa,  e  la 
corrente  è  realmente  continua  e 
costante. 

La  fig.  IO  rappresenta  la 
struttura  della  spirale  anulare 
quale  è  nelle  macchine  del  Gram- 
me.  Il  nucleo  A  è  costituito  da 
una  matassa  di  filo  di  ferro;  le 
spirali  elementari  B,  delle  quali  nella  figura  sono  disegnate,  per 
chiarezza,  soltanto  alcune,  sono  di  filo  di  rame  isolato;  i  pezzi 
a  squadra  R  passano,  col  loro  braccio  orizzontale,  dentro  della 
spirale. 


Fig.  IO. 


64 


Conferenza  terza. 


Abbiamo  sotto  agli  occhi,  in  condizioni  da  poter  lavorare, 
una  macchina  di  Gramme  di  piccolo  modello  (fig.  ii).  In  essa 
la  calamita  induttrice  è  una  calamita  permanente  d'acciaio,  di 
quelle  a  lastre  sovrapposte,  che  il  Jamin  ci  mostrò  a  costrurre 
recentemente,  e  che,  come  sapete,  hanno  in  piccola  massa  molta 
potenza.  Fra  i  poli,  che  stanno  qui  in  basso,  voi  vedete  come 

una  piccola  ruota  a  cui,  con 
una  manovella  ed  un  paio  di 
ruote  dentate,  posso  impri- 
mere una  rapida  rotazione:  è 
questa  la  spirale  anulare.  Se 
foste  più  vicini  potreste  ve- 
dere da  una  parte  come  un 
grosso  manicotto  a  superficie 
listata  di .  rame  :  è  questo  il 
sistema  delle  lastrine  a  e  su 
di  esso  si  appoggiano  sopra 
e  sotto  due  spazzole  metalli- 
che. Due  morsetti  servono  a 
mettere  queste  spazzole  in  co- 
municazione col  circuito  ester- 
no. Se,  chiuso  il  circuito,  noi 
poniamo  in  moto  la  manovella,, 
abbiamo  la  corrente,  e  questa 
è  così  intensa,  che,  per  renderla  sensibile  a  tutti  voi,  io  non  ho 
bisogno  di  ricorrere  alla  bussola:  essa  arroventa  un  filo  di  pla- 
tino, che  voi  tutti  potete  vedere. 

La  corrente,  che  arroventa  questo  filo,  è  prodotta  dal  lavoro 
di  chi  gira  la  manovella;  e  se  egli  potesse  comunicare  a  voi  le 
sue  sensazioni,  sentireste  che  a  tenere  in  moto  la  manovella 
con  una  certa  velocità  è  necessario  uno  sforzo  più  grande 
quando  il  circuito  è  chiuso  che  non  quando  è  aperto. 

Ma  anche  senza  provare  a  tenere  col  nostro  braccio  la 
manovella  in  moto,  noi  possiamo  vedere  che  effettivamente 
resistenza  della  corrente  crea  una  resistenza.  Se  noi  imprimiamo 
alla  manovella  una  certa  velocità  e  poi  V  abbandoniamo  a  sé, 
noi  vediamo  che  essa  si  ferma  assai  più  presto  quando  il  cir- 
cuito è  chiuso  che  non  quando  esso  è  aperto:  la  corrente  fa 
quello  che  noi  abbiamo  detto,  agisce  come  un  freno.  E  un  freno 
che  come  gli  ordinari  converte  in  calore  T  energia  meccanica 
degli  organi  rotanti,  ma  con  questa  differenza,  che  questo  calore 


Fig.  II. 


St4//a  illuminazione  elettrica.  65 


si  manifesta  distribuito  lungo  tutto  il  circuito  secondo  la  legge 
di  Joule. 

Se  è  esatta  la  nostra  teoria»  la  spirale  anulare  e  tutti  gli 
organi  annessi  debbono  porsi  in  moto  quando  si  attaccano  i 
morsetti  ai  reofori  di  un  altro  elettro-motore.  E  così  è  in  realtà. 
Pongo  la  macchina  nel  circuito  di  una  pila  di  pochi  elementi 
Bunsen,  e  voi  vedete,  che  subito  essa  si  mette  in  moto.  Inverto 
le  comunicazioni,  e  la  macchina  gira  in  verso  contrario.  Poco 
fa  noi  ottenevamo  una  corrente  elettrica  colla  spesa  di  un  lavoro 
meccanico;  ora  otteniamo  un  lavoro  meccanico  mediante  la 
spesa  di  una  corrente  elettrica.  Vogliamo  vederlo?  Poniamo 
nel  circuito  una  spirale  di  sottile  filo  di  platino.  Se  la  macchina 
non  lavora,  il  filo  si  arroventa;  se  la  macchina  si  pone  in  moto, 
il  filo  rimane  oscuro;  se  fermiamo  rapidamente  la  manovella, 
il  filo  d'un  tratto  diventa  di  nuovo  incandescente.  Se,  invece  di 
far  fare  un  lavoro  dalla  corrente,  facciamo  noi  un  lavoro,  se 
giriamo  la  manovella  nel  verso  opposto  a  quello  in  cui  essa  si 
muove  per  effetto  della  corrente  della  pila,  la  corrente  prende 
una  intensità  più  grande,  e  l'incandescenza  vivissima  della 
spirale  ce  lo  addimostra. 

Se  abbiamo  capito  bene  il  modo  di  agire  di  questo  piccolo 
apparecchio,  non  avremo  adesso  diiBcoltà  ad  intendere  la  teoria 
e  l'uso  delle  grandi  macchine  adoperate  nelle  industrie.  L' ap- 
parecchio è,  nella  sostanza,  sempre  identico  a  questo,  soltanto 
è  fatto  in  modo  da  poter  convertire  in  energia  elettrica  un 
grande  lavoro  meccanico.  Ora  il  lavoro,  che  si  spende  per  tener 
in  moto  la  macchina,  è  il  prodotto  della  resistenza  che  si  vince, 
dello  sforzo,  per  lo  spazio  percorso  a  dispetto  di  questa  resi- 
stenza. Per  avere  un  grande  lavoro  speso  ed  una  grande  in- 
tensità di  corrente,  senza  dover  aumentare  a  dismisura  la  velocità, 
bisogna  adunque  disporre  le  cose  in  modo,  che  le  attrazioni 
magnetiche,  dovute  alle  correnti  indotte,  le  quali  si  oppongono 
al  moto  deUa  spirale,  sieno  molto  grandi.  E  per  ottenere  ciò 
bisogna  adoperare  come  induttrìci  calamite  molto,  potenti.  Ma 
noi  sappiamo,  che  potentissime,  a  fronte  delle  calamite  perma- 
nenti d'acciaio,  sono  le  calamite  temporarie,  le  elettro-magneti: 
dunque  per  avere  macchine  d'induzione  potenti  convien  ado- 
perare come  induttrìci,  non  calamite  d'acciaio,  ma  calamite 
temporarìe.  Il  Wilde,  al  quale  è  dovuta  questa  idea,  adoperava, 
per  magnetizzare  le  elettro-magneti  induttrìci,  la  corrente  di 
una  piccola  macchina  magneto-elettrica  con  calamite  permanenti: 

G.  Ferraris,  Opere,  Voi.  II.  5 


66  Conferenza  terza. 


ma  Siemens  e  Wheatstone  dimostrarono  che  a  ciò  poteva  ser- 
vire la  corrente  stessa  prodotta  dalle  macchine.  11  ferro,  costi- 
tuente il  nucleo  delle  elettro-magneti  induttrici,  ritiene  sempre 
in  sé,  dopo  che  fu  magnetizzato  una  volta,  una  traccia  di  ma- 
gnetismo, la  quale  si  dice  il  magnetismo  rimanente.  Con  questa 
traccia  di  magnetismo  esso  può  agire,  pei  primi  giri  della  spirale 
indotta,  come  una  vera  calamita  permanente,  soltanto  è  debole, 
e  produce  deboli  correnti  indotte.  Ma  se  queste  correnti  si 
fanno  circolare  nella  spirale  magnetizzante  in  verso  conveniente, 
esse  aumentano  lo  stato  magnetico  induttore.  La  corrente  in- 
dotta si  fa  perciò  anch'essa  più  intensa.  Ma  seguitando  a  circolare 
nelle  spirali  magnetizzanti,  questa  corrente  più  intensa  aumenta 
ancor  più  la  potenza  delle  calamite  induttrici.  Le  quali,  a  loro 
volta,  producono  una  induzione  più  energica...  così  seguitando, 
si  vede  che,  dopo  alcuni  giri  della  spirale  indotta,  i  nuclei  delle 
elettro-magneti  induttrici  si  porteranno  ad  uno  stato  magnetico 
massimo,  che  dipende  dalle  dimensioni  dell'apparecchio  e  dal 
lavoro  con  cui  lo  si  tiene  in  azione. 

Così  si  fa  in  tutte  le  grandi  macchine  moderne,  così  si  fa 
nelle  macchine  che  il  signor  Gramme  costruisce*  per  usi  indu- 
striali. 

Ecco  il  primo  modello  di  queste  grandi  macchine:  quello 
che  figurò  alla  esposizione  di  Vienna  del  1873  (fig.  12).  Le 
elettro-magneti  induttrici  sono  costituite  da  sei  sbarre  di  ferro 
verticali  collegate  dallo  zoccolo  e  dal  capitello  di  ghisa  della 
macchina.  Queste  sbarre  sono  coperte  da  spirali  in  cui  dovrà 
circolare  la  corrente  magnetizzante,  e  queste  spirali  sono  av- 
volte in  tal  modo  che,  quando  la  corrente  vi  circoli,  si  forma  un 
polo  nel  punto  di  mezzo  delle  sbarre  e  due  poli  opposti  ad  esso 
alle  due  estremità.  I  poli  che  si  formano  sul  mezzo  delle  sbarre 
di  sinistra  sono  contrari  a  quelli  che  si  formano  nel  mezzo 
delle  sbarre  a  destra.  Questi  poli  mediani  sono  gli  induttori;  e 
per  questo  sono  in  questi  punti  di  mezzo  unite  alle  sbarre  di 
ferro  ganasce  che  abbracciano,  senza  toccarla,  la  spirale  indotta. 
L'insieme  delle  sbarre,  del  capitello  e  dello  zoccolo  costituisce 
come  un  sistema  di  due  elettro-calamite  a  ferro  di  cavallo  coi 
poli  omonimi  affacciati  —  come  la  spirale  anulare. 

In  queste  macchine  di  antico  modello  si  hanno  due  spirali 
indotte:  una  di  esse  dà  la  corrente  esterna,  l'altra,  minore,  non 
dà  che  la  corrente  magnetizzante.  Ciascuna  spirale  ha  il  suo 
sistema  di   lastrine  e  le    sue   spazzole;  ma,  mentre  le  spazzole 


Sulla  illuminazione  elettrica. 


67 


dell'una  comunicano  col  circuito  esterno,  quelle  dell'altra  co- 
municano soltanto  colle  estremità  delle  spirali  delle  elettro-ma- 
gneti induttrici. 

Dopo  il    1874  il   Gramme   modificò,    nella   posizione    delle 
parti,  i  suoi  apparecchi  e  con  ciò  li  rese  meno  voluminosi,  più 


semplici,  più    leggeri,  meno    costosi    (tìg.  13).  Le    modificazioni 
essenziali  sono  due: 

i.**  Le  elettro-magneti  induttrici  sono  orizzontali,  sono  in 
numero  minore  (ordinariamente  2  sole),  e  son  collegate  dai 
montanti  di  ghisa,  invece  che  dallo  zoccolo  e  dal  capitello  della 
macchina. 


68 


Conferenza  terza. 


2.®  V'ha  una  sola  spirale  indotta,  e  serve  come  corrente 
magnetizzante  la  stessa  corrente  esterna. 

La  spirale  magnetizzante  è  a  quest'uopo  inserita  nel  circuito 
esterno  :  un  medesimo  circuito  contiene  il  filo  esterno,  la  spirale 
indotta,  le  spirali  magnetizzanti.  Il  vantaggio  di  queste  modifi- 
cazioni è  considerevole. 

La  fig.  14  rappresenta  una  sezione  longitudinale  di  una 
macchina  di  grande  modello.  In  questa  le  elettro-magneti  in- 
duttrici   sono    quattro,    e    due   di   queste   si   vedono  in   figura. 


>-^.-...^,^>,.^^ 


l-'ig.  13- 


V'hanno  due  copie  di  sfregatoi  a  spazzola;  e  ciò,  mentre  rende 
più  regolare  l'azione  della  macchina,  permette  di  ottenere  a 
piacimento  due  correnti  distinte  od  una  grande  unica. 

Avremo  molte  occasioni,  nel  seguito  delle  nostre  conferenze, 
di  vedere  gli  effetti  di  queste  macchine,  e  ne  ebbimo  già  fin 
dalla  prima  sera  che  noi  ci  siamo  radunati.  Ma  poiché  questa 
sera  io  ho  qui  due  macchine,  voglio  farvi  un  esperimento  che 
confermerà  in  modo  evidente  non  solo  il  teorema  fondamentale 
dell'induzione,  ma  il  grande  principio  delle  energie,  al  quale 
più  che  per  vezzo,  per  un  vero  sentimento  di  dovere  io  ricorro 
ad  ogni  pie  sospinto. 


Sulla  illuminazione  elettrica. 


69 


Farò  passare  nella  macchina  di  nuovo  modello  la  corrente 
prodotta  dalla  macchina  di  modello  antico;  quella  si  metterà  in 
moto  e  trasformerà  in  energia  meccanica  una  porzione  del- 
l'energia  della  corrente.  Avremo  così  nel  sistema  una  duplice 
trasformazione  di  energie,  due  trasformazioni  inverse:  una  con- 
versione di  lavoro  meccanico  in  corrente,  nella  grande  macchina, 


Fig.  14. 


una  trasformazione  di  energia  elettrica  in  lavoro  meccanico, 
nella  macchina  minore.  Risultato  :  un  lavoro  .  trasportato  a  di- 
stanza. 

Voi  vedete  che  per  moderare  la  velocità  della  piccola  mac- 
china occorre  uno  sforzo  considerevole.  Una  serie  di  esperimenti 
che  noi  eseguimmo  ci  diedero  anche  la  misura  del  lavoro  con- 
sumato dal  ireno.  Per  907  giri  al  minuto  trovammo  28  a  30 
chilogrammetri  per  i";  è  il  lavoro  che  potrebbero  fare  quattro 
uomini  lavorando  su  di  una  manovella.  ^ 

Questo  lavoro  è  fatto  a  spese  della  corrente.  E  noi  lo  ve- 
rifichiamo ripetendo  qui  con  altre  proporzioni  l'esperimento  già 


^  Il  lavoro  equivalente  alla  energia  elettrica  svolta  nella  grande  macchina 
magneto^lettrìca  era,  in  questo  esperimento,  uguale  a  circa  100  chilogrammetri 
per  minuto  secondo.  11  lavoro   trasmesso  a  distanza   per  mezzo  della  combina- 

28 
zione  delle  due  macchine  è  adunque  aguale  ai      —  del  lavoro  speso.  Si  potrebbe 

100 
dimostrare   che   con   questo  sistema   non   è   possibile   ottenere  un  rendimento 
notevolmente  maggiore. 


70  Conferenza  terza. 


fatto.  Poniamo  nel  circuito  una  spirale  di  platino:  vediamo  che 
essa  si  fa  incandescente  quando  la  macchina  non  gira,  si  fa 
oscura  quando  la  macchina  è  in  moto. 

Queste  sono  digressioni;  ma  famigliari  zzandoci  coi  grandi 
principi,  io  ne  sono  sicuro,  e -lo  riconoscerete  anche  voi,  ci 
torneranno  utilissime  nelle  nostre  ricerche  ulteriori. 

Le  macchine  di  Gramme  tìon  sono  i  soli  apparecchi  di  in- 
duzione, che  sieno  entrati  nel  campo  industriale  e  che  servano 
alla  produzione  della  luce  elettrica  su  grande  scala.  Oltre  ai 
diversi  tipi  di  macchine  a  spirale  anulare  dovuti  ad  altri  co- 
struttori, oltre  alle  macchine  a  gomitolo  elettro-magnetiche  di 
Siemens  ed  Haiske,  le  quali,  per  'la.  teoria,  si  possono  consi- 
derSire  come  macchine  a  spirale  anulare  ove  il  raggio  di  cur- 
vatura ..del  nucleo  anulare  è  ridotto  a  zero,  si  hanno  parecchi 
sistemi,  che  si  scostano  da  quello  che  abbiamo  studiato;  e  i 
meriti  relativi  di  questi  sono  oggidì  vivamente  discussi.  Ma  a 
noi  non  è  necessario  entrare  in  particolari  su  questi  vari  sistemi, 
né  conveniente  occuparci  delle  controversie  che  ad  essi  si  rife- 
riscono. Scopo  nostro  era  vedere  come  l'energia  meccanica  si 
potesse  convertire  in  energia  elettrica,  e  renderci  conto  delie 
condizioni  pratiche  di  questa  trasformazione.  E  a  ciò  ci  bastava 
la  conoscenza  di  una  macchina,  scelta  fra  quelle  che  nella  pra- 
tica trovarono  più  estese  applicazioni.  Per  la  discussione,  che 
ci  proponiamo  di  fare,  delle  condizioni  economiche  della  illumi- 
nazione elettrica,  i  dati  numerici,  che  abbiamo  sulla  macchina 
da  noi  scelta  e  descritta,  basteranno.  La  scelta  del  tipo  della 
macchina  dinamoelettrica  influisce  per  un  coefficiente  di  rendi- 
mento; ma  siccome  il  coefficiente  di  rendimento  delle  mac- 
chine di  Gramme  è  senza  dubbio  molto  elevato,  così  si  può 
con  sicurezza  asserire  che  la  sostituzione  ad  esse  di  macchine 
di  altri  tipi  non  potrà  migliorare  le  condizioni  economiche  della 
illuminazione  elettrica  tanto  da  infirmare  le  conclusioni,  a  cui 
noi  arriveremo  in  queste  conferenze.  Le  quali,  d'ora  in  poi,  si 
aggireranno  propriamente  sui  vari  sistemi  di  illuminazione  per 
mezzo  della  elettricità. 


StMi  illuminazione  elettrica.  71 


CONFERENZA  QUARTA. 


77  maggio  jSy^ 


Sull'illuminazione  per  mezzo  dell'arco  voltaico. 

Con  quello  che  abbiamo  detto,  noi  sappiamo  come  sì  possa 
produrre,  colla  spesa  della  meno  costosa  delle  energie,  del- 
l'energia  meccanica,  una  poderosa  corrente  elettrica.  Per  tra- 
sformare in  luce  una  parte  dell'energia  di  questa,  bisogna  di- 
sporre una  breve  porzione  del  circuito  in  modo  tale,  che  da  sé 
sola  essa  rappresenti  una  grande  frazione  della  resistenza  totale, 
cosicché  si  accumuli  in  essa,  secondo  la  legge  di  Joule,  buona 
parte  del  calore  equivalente  all'energia  della  corrente.  All'esame 
degli  artifizi  adoperati,  o  tentati,  o  proposti  per  ottenere  questo 
risultato,  si  riduce  ormai  il  nostro  studio. 

In  questo  studio  procederemo  così:  Studieremo  questa  sera 
il  principio  generale  degli  apparecchi,  che  furono  accettati  dalla 
pratica  da  un  tempo  sufficiente  perchè  si  possa  pronunziare  un 
giudizio  sicuro  sulla  loro  convenienza  attuale  e  sulle  loro  ap- 
plicazioni possibili. 

Senza  perderci  in  descrizioni  di  particolari  dei  congegni 
meccanici,  che  ove,  come  qui,  sono  ancora  in  discussione  i 
prìncipi,  non  farebbero  che  intralciare  inutilmente  le  questioni, 
cercheremo  di  renderci  esatto  conto  dei  fenomeni  su  cui  1'  uso 
degli  apparecchi  riposa;  senza  preoccuparci  per  ora  delle  inno- 
vazioni con  cui  si  tentò  o  si  potrebbe  tentare  di  allargarne  le 
applicazioni  o  correggerne  i  difetti,  esamineremo  i  risultati  delle 
più  attendibili  esperienze  fatte  su  di  essi. 

Lo  studio  dei  sistemi  tentati  o  proposti  recentemente,  e  la 
discussione  dei  meriti  loro,  formerà  l'oggetto  di  un'altra  confe- 
renza, nella  quale,  guidati  dalle  nozioni  che  avremo  appreso 
questa  sera,  d'accordo  coi  principi  teorici,  sui  quali  ci  siamo 
dianzi  intesi,  potremo  toccare  la  meta  che  ci  siamo  proposto: 
quella  di  farci  un'idea  del  vero  stato  attuale  del  problema,  e 
del  suo  probabile  avvenire. 

I  sistemi,  di  cui  vogliamo  occuparci  in  questa  seduta,  ri- 
posano tutti  su  di   una  classica  esperienza  che  il  Davy  eseguì 


72  Conferenza  quarta. 


nel  1813.  Fu  questa  la  prima  che  facesse  pensare  alla  possibilità 
di  produrre  colla  corrente  elettrica  sorgenti  di  luce  intensa.  Ai 
due  reofori  di  una  pila  di  2000  elementi  il  Davy  aveva  attaccato 
due  bacchette  di  carbone  di  tre  centimetri  di  lunghezza  e  di 
quattro  millimetri  di  diametro,  separati  da  una  distanza  di  o°^,5. 
Egli  vide  allora  una  luce  abbagliante  brillare  fra  le  due  punte, 
e  continuare  senza  rumore.  Allontanò  allora  progressivamente 
i  carboni  l'uno  dall'altro  fino  a  io  od  11  centimetri,  e  la  luce 
continuò  ancora  con  uno  splendore  paragonabile  a  quello  del 
sole  e  con  uno  sviluppo  di  calore  intenso,  pel  quale  i  carboni 
diventavano  incandescenti  fin  verso  la  metà  della  loro  lunghezza. 
Quella  luce  emanava  dalle  punte  dei  carboni  e  da  un  arco  bril- 
lante stabilito  come  un  ponte  sulla  interruzione  del  circuito.  A 
questo  ponte  luminoso  fu  dato  il  nome  di  arco  voltaico. 

Io  non  ho  a  mia  disposizione  la  pila  di  2000  elementi,  che 
servì  a  Davy  nel  suo  esperimento,  e  non  potrò  quindi  produrre 
un  arco  di  lunghezza  uguale  a  quella  dell'arco  che  egli  otteneva  ; 
ma  della  vivezza  del  fenomeno  luminoso  posso  farvi  testimoni 
colla  semplice  macchina  di  Gramme  che  voi  vedete  qui,  e  che 
in  questo  esperimento  può  equivalere  forse  ad  una  pila  di  set- 
tanta o  ottanta  grandi  elementi  alla  Bunsen.  Davy,  ho  detto, 
aveva  portato,  in  principio  dell'esperimento,  i  carboni  ad  una 
distanza  di  circa  V2  millimetro;  con  elettromotori  di  un  numero 
minore  di  elementi,  come  diciam  noi,  di  una  minore  forza  elet- 
tromotrice, bisogna  portare  inizialmente  i  carboni  a  contatto  l'un 
coU'altro.  Così  faccio  io.  Attualmente  i  due  carboni  che  abbiamo 
qui  si  toccano,  ed  essendo  in  comunicazione  coi  reofori  della 
macchina,  chiudono  il  circuito.  Metto  in  moto  la  macchina^  e  la 
corrente  passa.  E  adesso  io  posso  distaccare  i  carboni:  la  cor- 
rente passerà  ancora  producendo  fra  le  due  punte  il  fenomeno 
del  Davy  (fig.  15).  Quelli  che  son  vicini  vedono  che  i  carboni 
AB,  C D  stanno  separati  da  uno  spazio  M,  e  che  il  fenomeno 
luminoso  avviene  in  questo  spazio:  è  in  questo  spazio  V  arco 
voltaico,  e  la  distanza  dei  due  carboni  ne  misura  la  lunghezza. 

Allontanando  con  precauzione  e  lentamente  i  carboni,  posso 
aumentare  gradatamente  questa  lunghezza  ;  ma  se  allora  io  scosto 
ancora  i  carboni,  il  fenomeno  cessa  e  la  corrente  si  rompe.  Voi 
ne  avete  una  prova  evidente:  la  macchina  non  fa  più  lavoro  e 
si  accelera  sensibilmente.  La  lunghezza  massima  che  si  può 
dare  all'arco  dipende,  come  ho  detto  già,  dall'elettromotore  che 
si  adopera,  essenzialmente  dal  numero  degli  elementi,  se  si  tratta 


Sulla  illuminazione  elettrica.  73 

di  una  pila;  dalla  velocità,  se  si  tratta  di  una  macchina  d'indu- 
zione. Adoperando  600  elementi  alla  Bunsen,  il  Despretz  ottenne 
un  arco  voltaico  di  16,2  centimetri.  In  ogni  caso  la  lunghezza 
dell'arco  è  notevolmente  maggiore  di  quella  distanza  a  cui,  col- 
r elettromotore  adoperato,  potrebbe  scoccare  una  scintilla:  per 
avere  fra  le   estremità   dei   due    reofori   una   scintilla  di  Vi   di 


Fig.  15. 

millimetro  di  lunghezza  il  Gassiot  dovette  adoperare  una  pila 
di  3520  tazze. 

L'arco  voltaico  non  si  produce  soltanto  fra  due  carboni; 
noi  potremmo  sostituire  a  queste  bacchette  due  asticciuole  di 
ferro,  o  di  rame,  o  di  stagno,  o  di  platino:  purché  la  corrente 
avesse  una  intensità  sufficiente  il  fenomeno  si  produrrebbe  con 
apparenze  diverse  bensì,  sopratutto  con  colori  diversi,  ma  coi 
medesimi  caratteri  fondamentali.  Però  la  lunghezza  dell'arco 
ottenibile  è  diversa  a  seconda  dei  corpi  adoperati,  e  questo  è 
provato:  che  essa  è  tanto  maggiore,  quanto  più  i  corpi  con  cui 
son  fatte  le  punte  si  disaggregano  e  si  volatilizzano  facilmente. 
Così  r  arco  è  brevissimo  e  difficile  a  mantenersi  fra  reofori  di 
platino,  e  più  lungo  collo  zinco  e  collo  stagno,  è  lunghissimo 
fra  carboni  imbevuti  di  sostanze  volatili. 

Questo  fatto  basterebbe  a  provare  che  nella  produzione 
dell'arco  voltaico  hanno  una  parte  la  disaggregazione  e  la  vo- 
latilizzazione degli  elettrodi;  ma  di  ciò  abbiamo  una  prova 
diretta  nella  variazione  di  peso  che  i  reofori  subiscono,  mentre 


74  Conferenza  quarta. 


dura  la  corrente.  Se  si  opera  nel  vuoto,  od  in  un  gas  inetto  ad 
alimentare  la  combustione,  si  trova  che,  mentre  Tarco  continua, 
il  carbone  positivo  va  raccorciandosi  e  diminuendo  di  peso, 
mentre  il  negativo  si  allunga  e  cresce  di  peso.  Se  si  opera 
nell'aria,  diminuiscono  di  lunghezza  e  di  peiso  entrambi  i  car- 
boni, ma  diversamente,  e  più  il  positivo  che  il  negativo,  quello 
circa  il  doppio  di  questo.  V'ha  nel  primo  caso  un  trasporto  di 
materia  dall'elettrodo  positivo  al  negativo,  e  nel  secondo  v'ha 
questo  medesimo  trasporto,  a  cui  si  sovrappone  una  consuma- 
zione di  entranlbi  i  carboni,  in  causa  della  combustione. 

La  cosa  apparisce  chiara,  se  si  osserva  la  forma  che  as- 
sumono le  due  punte.  Noi  non  possiamo  osservare  questa  forma 
qui  direttamente,  in  mezzo  alla  luce  abbagliante  che  emana  dalle 
punte,  ma  possiamo  formare  sopra  uno  schermo  una  immagine 
molto  ingrandita  dei  carboni:  la  luce  emessa  dalle  due  punte  si 
troverà  così  disseminata  sopra  una  larga  superficie  e  sarà  in- 
debolita in  proporzione.  La  grandezza  poi  dell'  immagine  per- 
metterà a  noi  tutti  di  vedere  le  più  minute  particolarità  del 
fenomeno. 

A  quest'uopo  disposi  un  sistema  di  due  carboni  in  questa 
lanterna,  che  non  lascia  uscire  la  luce  se  non  attraverso  ad 
una  lente  convergente  portata  da  un  tubo  scorrevole.  Davanti 
alla  lente  collocai  un  diaframma,  che  intercetta  i  raggi  passati 
per  le  pareti  periferiche  della  lente  e  quelli  riflessi  irregolarmente 
dalla  parete  della  lanterna,  i  quali  confonderebbero  l'immagine. 
Dò  passaggio  alla  corrente  elettrica;  i  carboni  si  scaldano;  un 
apparecchio,  di  cui  dirò  fra  poco,  tosto  li  separa  e  si  produce 
l'arco  e  la  luce.  Voi  vedete  sullo  schermo  bianco  disegnarsi, 
ingigantite,  le  figure  dei  due  reofori  (fig.  i6),  vedete  che  non 
si  toccano  e  che  brillano  di  viva  luce  appunto  alle  estremità 
che  si  guardano;  l'incandescenza  di  questa  è  tale  che  in  pre- 
senza di  essa  riesce  quasi  insensibile  quella  dell'arco  voltaico 
che  sta  frammezzo.  Come  v'annunziai,  voi  vedete  che  i  due 
carboni,  che  prima  erano  identici,  entrambi  acuminati,  vanno 
assumendo  forme  diverse,  e  la  differenza  tra  l'uno  e  l'altro 
riesce  marcata,  caratteristica.  Quello  che  vedete  in  alto  è  il 
carbone  a  cui  è  unito  il  polo  positivo  della  macchina  di  Gramme, 
il  carbone  positivo;  l'altro,  quel  di  sotto,  è  il  carbone  negativo. 
Il  primo  ha  perduto  la  punta  acuta  che  gli  si  era  data,  e  sì  è 
anzi  incavato,  presenta  alla  sua  estremità  un  vuoto  craterìforme. 
Il  secondo  invece  non  solo  si  mantenne  acuto,  ma  andò  allun* 


Sulla  illuminazione  elettrica. 


75 


gandosiy  e  va  acuminandosi  tuttavia.  Voi  vedete  come  questo 
succeda:  dal  carbone  positivo  si  distaccano  di  quando  in  quando 
pezzetti,  globuli,  i  quali  si  agglutinano  alla  punta  del  negativo 
e^vi  si  saldano  insieme.  Ma  questo  è  secondario;  oltre  a  questo 
trasporto  così  visibile,  che  la  materia  dei  carboni  subisce  in 
pezzetti  o  in  goccie,  v'ha  un  trasporto  continuo  che  si  effettua 


Fig.  16. 


sotto   forma   di  un  pulviscolo,  ed  uno  scambio  continuo,  forse 
il  più  abbondante,  di  carbone  ridotto  a  vapore. 

La  forma  dei  carboni  ed  i  movimenti  che  osserviamo  ci 
fanno  vedere  quello  che  già  ci  era  indicato  dalla  variazione  di 
lunghezza  e  di  massa  dei  due  elettrodi:  ci  fan  vedere  cioè  che 
il  trasporto  di  materia  avviene  dal  carbone  positivo  verso  il 
negativo.  Questa  però  è  l'apparenza,  il  fatto  nella  realtà  è  più 
complicato.  Nella  realtà  il  trasporto  avviene  nei  due  versi:  dal 


76  Conferenza  quarta. 


carbone  negativo  al  positivo,  come  da  questo  a  quello;  sola- 
mente questo  è  il  più  abbondante,  e  il  trasporto  risultante,  che 
è  la  differenza  dei  due,  si  fa  nel  verso  di  esso.  Adoperando 
due  elettrodi  di  sostanze  diverse,  noi  metteremmo  la  cosa  in 
evidenza,  giacché  troveremmo  dopo  un  certo  tempo  sull'elettrodo 
positivo  materia  dell'  elettrodo  negativo,  e  su  questo  materia  di 
quello. 

Voi  vedete  il  carbone,  la  più  refrattaria  delle  sostanze  che 
si  conoscono,  rammollirsi  come  cera,  e  semifuso  scorrere,  e 
foggiarsi  diversamente  ;  vedete  pezzetti  vicini  riunirsi  e  saldarsi 
in  un  pezzo  unico.  Ma  v'ha  di  più;  quel  bagliore  che  v'ha  fra 
le  punte,  la  luce  dell'arco,  non  emana  soltanto  dal  pulviscolo 
strascinato,  ma  da  un  vero  gas,  e  còllo  studio  dello  spettro  lo 
si  può  riconoscere:  è  gas  di  carbonio,  è  carbonio  ridotto  a  va- 
pore. Della  volatilizzazione  del  carbonio  diede  una  prova  diretta 
il  Despretz  colla  pila  di  600  elementi  che  v'accennai  già.  Pro- 
ducendo  con  questa  pila  un  arco  voltaico  nel  vuoto,  perchè  non 
potesse  intervenire  la  combustione  a  complicare  i  fenomeni,  egli 
trovò  le  pareti  dei  recipienti,  in  cui  operava,  coperte  di  uno 
straterello  di  grafite*,  era  questo  il  prodotto  della  condensazione 
dei  vapori.  È  adunque  elevatissima  la  temperatura  che  regna 
sulle  punte  dei  carboni  e  nell'arco  ;  è  la  più  alta  che  si  conosca, 
la  più  alta  che  si  sappia  produrre  artifizialmente.  Nessun  corpo, 
è  prevedibile  dacché  si  volatilizza  il  carbone,  regge  a  questa 
temperatura;  tutti  i  metalli  si  volatilizzano  ed  ardono:  lo  zinco 
con  luce  bianca  abbagliante,  il  rame  con  luce  verde,  il  ferro 
collo  splendore  con  cui  arderebbe  nell'  ossigeno  ;  il  platino  an- 
ch'esso  si  consuma. 

La  temperatura  più  elevata  si  ha  nel  carbone  positivo.  Lo 
si  vede  nella  immagine  proiettata,  dove  la  coppa,  con  cui  questo 
è  terminato,  appare  più  illuminata  di  ogni  altra  parte.  Lo  si 
vede  anche  senza  proiettare  l'immagine  dei  carboni,  soltanto 
osservando  che,  rotto  il  circuito,  il  carbone  positivo  si  trova 
rovente  su  di  una  lunghezza  maggiore  di  quel  che  faccia  il 
negativo,  e  si  conserva  incandescente  per  un  tempo  più  lungo. 

Analizzato  cosi  il  fenomeno,  voi  capirete  adesso  senza  dif- 
ficoltà come  l'arco  si  produca,  e  per  qual  modo  esso  si  faccia 
sede  di  così  abbondante  sviluppo  di  calore  e  di  luce. 

Ecco  il  fatto:  Quando  le  due  punte  sono  a  contatto  e  chiu- 
dono il  circuito,  la  corrente,  che  produce  nelle  diverse  parti  di 
questo  quantità  di  calore  proporzionali  alle  resistenze,  e  quindi 


Sulla  illuminazione  elettrica. 


11 


tanto  maggiori  quanto  minori  sono  le  sezioni  trasversali,  le 
scalda,  le  arroventa.  Quando  poi  esse  si  distaccano,  le  parti- 
celle ultime  a  distaccarsi  presentano  una  sezione  di  passaggio 
minima:  in  esse  si  accumula  così,  anche  nel  tempo  brevissimo 
per  cui  esse  durano  in  contatto,  una  quantità  di  calore  sufficiente 
per  disgregarle,  per  fonderle,  per  volatilizzarle.  Il  pulviscolo  ed 
il  vapore,  che  ne  nascono,  danno  principio  all'  arco,  il  quale 
tiene  in  comunicazione  le  punte  distaccate,  e  seguita  a  chiudere 
il  circuito.  Ma  la  resistenza  di  questo  brevissimo  conduttore 
vaporoso  è  grande,  e  in  esso  si  produce  un  notevole  riscalda- 
mento; in  grazia  del  quale  anche  le  punte  dei  carboni  si  jman- 
tengono  caldissime,  e  nuove  porzioni  di  esse,  distaccandosi, 
possono  venire  ad  alimentare  il  brevissimo  arco  primitivo,  che 
così  può  allungarsi  ed  ingrossarsi  abbastanza  per  dar  passaggio 
alla  corrente  anche  quando  i  carboni  si  allontanino  di  più.  Così 
si  possono  allontanare  via  via  i  carboni,  e  con  ciò  allungare 
l'arco,  finché  la  resistenza  così  creata  non  renda  troppo  debole 
la  corrente.  L'arco  voltaico  non  è  adunque  altro  che  una  por- 
zione di  conduttore,  breve  e  di  piccola  massa,  ma  avente  una 
grande  resistenza;  in  essa  si  accumula,  conforme- 
mente alla  legge  di  Joule,  una  notevole  qqantità  di 
calore. 

Ora  richiamo  alla  vostra  attenzione.  I  gas  sono 
poco  idonei  ad  irradiare  il  calore;  essi  hanno,  noi 
diciamo  nel  nostro  gergo,  un  piccolo  potere  emissivo; 
quindi,  del  calore  dell'arco,  solo  una  piccola  parte 
è  direttamente  irradiata;  la  parte  più  grande  è  tra- 
smessa per  contatto  alle  punte  de'  due  carboni,  e  poi 
irradiata  da  queste.  Siccome  le  due  punte  si  guar- 
dano, esse  si  scambiano  in  parte  le  loro  radiazioni; 
quindi  la  irradiazione  fatta  verso  l'esterno  non  arriva 
ad  uguagliare  la  produzione  di  calore,  che  continua 
in  seno  all'  arco  per  effetto  della  corrente,  se  non 
quando  la  temperatura  loro  è  elevatissima.  Solo 
quando  la  temperatura  è  elevatissima,  l'arco  e  le 
punte  che  lo  limitano  emettono  nell'  unità  di  tempo 
tutto  il  calore  che  in  esso  si  produce  nel  tempo 
stesso;  solo  quando  la  temperatura  è  elevatissima 
questa  cessa  di  aumentare;  ciò  equivale  a  dire  che 
la  temperatura  si  fa  effettivamente  elevatissima.  Se  ponessimo  in 
luogo  dell'arco  AB  CD  (fig.17)  un  conduttore  solido  avente   le 


n 


lì 


'M 


J) 


i 


78  Conferenza  quarta. 


medesime  dimensioni  e  la  medesima  resistenza,  questo  si  scal- 
derebbe meno  dell'arco.  Infatti  la  corrente  produce  calore  in 
entrambi  nella  medesima  misura,  ma  il  corpo  solido  irradia  li- 
beramente da  tutta  la  superficie  esterna  convessa  A  C  DB, 
mentre  l'arco  emette  il  calore  soltanto  per  la  irradiazione  delle 
due  basi  AB^  CD,  ed  anzi  per  quella  parte  di  questa  irradia- 
zione la  quale  non  si  fa  dall'una  all'altra  punta,  da  A  B  su  CD 
o  viceversa.  Insisto  su  questa  osservazione  a  costo  di  ripetermi 
e  di  tediarvi;  ma  voi  capirete  forse  già  dove  essa  miri,  e  com- 
prenderete tutta  la  sua  importanza.  Coloro  che  cercano  di  fare 
r  illuminazione  elettrica  ricorrendo  invece  che  all'  arco  voltaico 
all'incandescenza  di  un  corpo  solido,  potranno  trovare  corpi 
refrattari,  corpi  capaci  di  resistere  ad  elevatissima  temperatura, 
corpi  capaci  di  farsi  tanto  incandescenti  da  radiare  una  luce 
bianca  e  viva,  ma  quand'anche,  cosa  assai  inverosimile,  essi 
riuscissero  a  trovare  una  sostanza .  refrattaria  come  il  carbone, 
questa  non  potrebbe  mai,  con  una  data  corrente,  ossia  con  una 
data  spesa  di  energia,  riscaldarsi  tanto  come  si  riscaldano  le 
due  punte  fra  le  quali  si  forma  l'arco  voltaico.  Ma  noi  sappiamo 
che  la  frazione  luminosa  del  calore  radiato  è  tanto  maggiore 
quanto  più  è  elevata  la  temperatura,  dunque  noi  possiamo  con- 
chiudere fin  d'ora,  senza  pure  esaminare  le  loro  ricerche,  che 
il  coefficiente  di  rendimento  in  luce  dei  loro  apparecchi  sarà 
sempre  minore,  e  forse  notevolmente  minore  di  quello  degli 
apparecchi  ove  la  luce  è  prodotta  coll'arco  voltaico.  Anche  qui 
io  non  so  trattenermi  dal  ripetere  la  solita  osservazione  :  l'esame 
attento  e  paziente  di  un  fenomeno  fisico  è  spesso,  anche  per 
chi  mira  alle  applicazioni,  di  gran  lunga  più  istruttivo  di  quello 
che  possa  essere  lo  studio  il  più  minuzioso,  il  più  completo, 
delle  particolarità  di  ingegnosi  congegni. 

Collo  scopo  di  non  nuocere  alla  chiarezza  delle  considera- 
zioni per  le  quali  desiderava  condurvi,  io  considerai  il  calore 
prodotto  nell'arco  voltaico  come  dovuto  unicamente  alla  cor- 
rente e  calcolabile  colla  legge  di  Joule.  Nel  fatto  al  calore  svi- 
luppato dalla  corrente  si  aggiunge  quello  dovuto  alla  combustione 
inevitabile  dei  carboni,  e  dalla  somma  dei  due  si  sottrae  quello 
equivalente  al  lavoro  che  la  corrente  deve  fare  per  disgregare 
e  gaseificare  gli  elettrodi.  Questo  fatto  però  non  altera  le  nostre 
conclusioni:  l'effetto  risultante  dei  due  fenomeni,  della  combu- 
stione e  della  disaggregazione  dei  carboni,  è  certamente  una 
produzione  di  calore;  ed  a  parer  mio  erreremmo  se  credessimo 


Sulla  illuminazione  elettrica.  79 

che  il  calore  speso  per  la  gaseifìcazione  fosse  del  tutto  perduto; 
questo  calore  ci  è  quasi  integralmente  restituito  nella  combu- 
stione, giacché  non  v'ha  dubbio  che  la  combustione  del  carbone 
già  gaseificato  produce  più  calore  di  quello  che  produca  la 
combustione  del  carbone  solido,  e  che  la  differenza  equivale 
precisamente  al  lavoro  di  gaseifìcazione. 

Per  produrre  praticamente  la  luce  per  mezzo  dell'arco 
voltaico,  bisognava  trovar  modo  di  fare  che  le  punte  dei  due 
carboni  stessero  a  distanza  costante  l'una  dall'altra  non  ostante 
il  continuo  loro  consumo.  Pei  casi  poi  nei  quali  la  luce  volesse 
proiettarsi  con  specchi  o  con  lenti  in  determinate  direzioni,  bi- 
sognava inoltre  che  l'interruzione  tra  le  due  punte  si  mantenesse 
in  posizione  fìssa  non  ostante  l'ineguale  consumo  del  carbone 
positivo  e  del  negativo.  Il  problema  fu  risolto  da  Foucault,  fin 
dal  1849,  coir  invenzione  di  un  congegno  meccanico  a  cui  egli 
aveva  dato  il  nome  di  regolatore;  questo,  modificato  poi  da 
Foucault  stesso,  dal  Duboscq,  dal  Serrin,  dal  Siemens  e  da  una 
schiera  di  altri  elettricisti  e  meccanici,  fu  ridotto  a  tale  grado 
di  perfezione,  che  da  più  anni  lo  si  vede  funzionare  regolar- 
mente senza  bisogno  di  speciale  sorveglianza  o  di  troppo  fre- 
quenti riparazioni,  sui  fari  e  nelle  officine,  fra  le  macchine  in. 
dustriali.  Le  forme  e  le  disposizioni  che  esso  ha  attualmente 
sono  numerosissime,  e  innumerevoli  sono  quelle  che  esso  potrà 
ricevere;  senza  entrare  in  nessun  particolare  su  di  esse,  il  che, 
per  quel  che  dissi  cominciando,  non  ci  deve  interessare,  io 
cercherò  di  darvi  un'idea  del  principio  sul  quale  la  massima 
parte  di  essi  sono  fondati.  Mi  gioverò  di  una  figura  schematica, 
che,  senza  corrispondere  a  nessun  apparecchio  costruibile,  ci 
servirà  forse  meglio  che  un  vero  disegno  a  farci  intendere  la 
struttura  del  regolatore  Serrin,  che  è  uno  dei  migliori  (fìg.  18): 
AB  e  CD  sono  i  due  carboni.  Il  primo  è  sostenuto  da  un 
portacarbone  M RS  che,  come  ho  indicato  in  X,  comunica  col 
polo  positivo  dell'elettromotore  (pila  ó  macchina  Gramme);  esso 
è  il  carbone  positivo;  l'altro,  C D,  è  portato  da  un'asta  o  por- 
tacarbone DE,  la  quale  con  un  filo  Z,  e  coli' intermezzo  della 
spirale  s,  di  una  elettromagnete  Q,  comunica  in  Y  col  polo  he- 
gativo  dell'elettromotore  ;  esso  è  il  carbone  negativo.  La  parte  R  S 
del  portacarbone  positivo  è  lavorata  a  dentiera,  ed  ingrana  con 
una  mota  //.  Solidario  con  questa  è  un  tamburo  G  di  diametro 
metà  minore,  su  cui  si  avvolge  una  catena  F,  che  passando  su 
di  una  puleggia  di  rimando  T,  viene  a  sostenere  in  E  il  porta- 


So 


Conferenza  quarta. 


carbone  negativo.  Così  succede  che  il  portacarbone  positivo, 
abbassandosi  pel  proprio  peso,  fa  girare  la  ruota  H  ed  il  tam- 
buro C,  e  fa  sollevare  il  carbone  negativo  con  una  velocità 
uguale  alla  metà  della  propria.  Se  nulla  si  oppone  al  moto  della 

ruota  //,  i  due  carboni  AB 
e  CD  si  avanzano  l'uno  verso 
l'altro  con  velocità  che  stanno 
fra  di  loro  come  i  consumi 
che  essi  subiscono  in  un  me- 
desimo tempo  :  essi  non  si  ar- 
restano se  non  quando  le  loro 
punte  -6  e  C  si  toccano. 

Consiste  in  questo  V  ap- 
parecchio motore f  l'apparecchio 
che  avvicina  i  carboni  quando 
non  v'ha  corrente,  o  quando, 
per  esserci  carboni  consumati, 
l'arco  voltaico  BCh  diventato 
soverchiamente  lungo  e  colla 
propria  resistenza  indebolì  la 
corrente.  Oltre  a  questo  ap- 
parecchio motore  si  hanno  or- 
gani atti  a  fare  sì  che,  quando 
la  corrente  passa,  i  due  car- 
boni si  distacchino  per  dar 
luogo  all'arco,  e  che  il  moto 
d'avvicinamento  si  arresti  au- 
tomaticamente quando  l'arco 
non  supera  la  lunghezza  vo- 
luta. L'artifizio  con  cui  ciò  si 
ottiene,  è  semplice  quanto  in- 
gegnoso :  ridotto  a  forma  sche- 
matica, esso  è  il  seguente. 
V'ha  un  parallelogramma  ar- 
ticolato 01  LO  mobile  sui 
perni  fissi  O  O',  il  quale  so- 
stiene r  armatura  P  dell'  elettrocalamita  Q,  ed  è  sostenuto  da 
una  molla  nu  Quando  non  v'ha  nella  spirale  s  della  elettro- 
calamita una  corrente  di  intensità  sufficiente  a  fare  sì  che 
l'attrazione  tra  questa  e  l'armatura  P  superi  la  forza  esercitata 
dalla    molla   m,   il   parallelogramma  sta   sollevato   come   nella 


Fig.  18. 


Sulla  illuminazione  elettrica.  8i 

figura;  ma  se  nella  spirale  s  passa  una  corrente  di  intensità 
sufficiente,  l'armatura  P,  attratta,  trascina  con  sé  tutto  il  si- 
stema, le  aste  01,  O'  L  ruotano  sui  perni  O,  O'  e  l'asta  verticale 
IL  si  abbassa  alquanto.  Orbene,  a  quest'asta  sono  solidari: 
i.<>  I  sostegni  della  puleggia  di  rimando  7". 
2.^  Un  pezzo  a  squadra  V,  che  quando  l'asta  si  abbassa 
viene  ad  impegnarsi  colla  sua  punta  fra  le  palette  di  una  ruota 
a  stella  U. 

Questa  ruota  U  poi  è  l'ultimo  mobile  di  un  rotismo  mosso 
dalla  ruota  H)  riceve  da  questa  un  rapido  movimento  quando 
è  libera,  arresta  il  tutto  quando  è  fermata.  Ora  ecco  come  l'ap- 
parecchio funziona.  Finché  la  corrente  non  passa,  le  punte  B, 
C,  sollecitate  dal  peso  del  portacarbone  positivo,  stanno  a  con- 
tatto. Ma  si  chiuda  il  circuito  e  passi  la  corrente;  questa  ma- 
gnetizza la  elettromagnete  Q,  e  questa,  attraendo  l'armatura  P, 
fa  abbassare  l'asta  IL,  la  puleggia  T  ed  il  portacarbone  ne- 
gativo: le  punte  B,  C  sì  distaccano,  l'arco  voltaico  si  stabilisce; 
la  squadra  V,  che  si  è  abbassata  anch'essa,  tiene  imbrigliato  il 
rotismo  ed  impedisce  che  i  carboni  si  riavvicinino.  Il  tutto  sta 
immobile  finché  l' arco  non  s'  é  allungato  soverchiamente.  Ma 
quando  pel  consumo  avvenuto  nei  carboni  l'arco  sia  cresciuto 
in  lunghezza  così  da  affievolire  soverchiamente  la  corrente,  l'at- 
trazione della  elettrocalamita  Q  sulla  sua  armatura  P  si  fa 
minore  della  forza  antagonista  della  molla  m,  e  questa  risolleva 
il  parallelogramma  O I  LO*  portandolo  nella  posizione  che  esso 
ha  in  figura.  La  squadra  F,  che  si  solleva  coU'asta  IL,  cessa 
di  imbrigliare  la  ruota  U\  il  rotismo  é  libero  e  pel  peso  del  por* 
tacarbone  positivo  MRS  la  ruota  H  gira;  gira  con  essa  il 
tamburo  G,  e  la  catena  F  F  solleva  il  carbone  negativo.  I  due 
carboni  si  avvicinano  finché,  diminuita  sufficientemente  la  re- 
sistenza, la  corrente  acquista  di  nuovo  l' intensità  sufficiente 
perché  l'armatura  P  sìa  attratta.  Quando  questo  succede,  di 
nuovo  il  rotismo  è  arrestato  ed  i  carboni  si  fermano.  Se  uno 
dei  carboni  si  rompesse  e  la  corrente  cessasse,  il  rotismo  sarebbe 
posto  in  libertà;  esso  farebbe  avanzare  i  pezzi  di  carbone  fino 
al  contatto  e  l'arco  si  riaccenderebbe  da  sé. 

Nella  fig.  19  é  rappresentata  una  sezione  dell'apparecchio 
nella  sua  disposizione  effettiva  e  con  tutti  i  suoi  particolari.  B 
è  la  colonna  del  portacarbone  positivo,  //  é  il  morsetto  che 
tiene  il  carbone  positivo,  C  è  il  portacarbone  negativo.  La 
vite  T  serve  a  fissare  la  parte  superiore  del  portacarbone  po- 

G.  Ferraris,  Opere,  Voi.  II.  6 


82 


Conferenza  quarta. 


sitivo  al  tubo  verticale;  la  vite  5,  mediante  il  tirante  /,  serve 
a  far  ruotare  il  carbone  positivo  nel  piano  della  figura  attorno 
al  pernio  raccomandato  alla  estremità  del  pezzo  orizzontale  /, 

ed  il  bottone  G  serve  a  spostare  la- 
teralmente questo  pezzo,  e  così  a  far 
ruotare  il  carbone  in  un  piano  per- 
pendicolare a  quello  della  figura;  in 
questo  modo  si  possono  allineare  i 
carboni.  V  è  un  pezzo  di  avorio  col 
quale  si  può  tener  abbassato  il  porta- 
carbone  negativo  e  così  tener  imbri- 
gliato il  movimento  di  orologieria 
quando  non  passa  la  corrente.  MNQP 
è  il  parallelogrammo  articolato:  esso 
è  mobile  sui  perni  M^  P,  e  porta  in 
D  l'armatura  dell'elettromagnete  j4. 
Quando  l'attrazione  di  questa  è  suf- 
ficiente per  fare  equilibrio  alla  tensione 
della  molla,  che  sostiene  il  parallelo- 
grammo, questo  si  abbassa,  e  la  squa- 
dra E  ferma  il  rotismo  motore,  che 
tende  ad  avvicinare  i  carboni.  Di  questo 
rotismo  si  vede  in  O  l'asse  principale, 
che  porta  la  ruota  dentata  grande  mossa 
dalla  dentiera  del  portacarbone  posi- 
tivo, ed  il  tamburo  di  raggio  metà,  su 
cui  si  avvolge  la  catena,  che  sostiene 
in  F  il  portacarbone  negativo.  La  vite 
R,  il  cui  bottone  sporge  al  di  fuori 
della  cassetta  chiudente  tutto  il  con- 
gegno, serve,  coli' intermezzo  della 
leva  d'angolo  /.AT,  a  regolare  la  ten- 
sione della  spirale  antagonista. 

Abbiamo  qui  un  regolatore  Serrin 
e  possiamo  vederlo  in  azione.  Attual- 
mente i  due  carboni  si  toccano,  e  se 
stabilisco  la  comunicazione  coli' elettromotore  la  corrente  può 
passare;  ma  appena  essa  comincierà  a  trasmettersi,  l'elettro- 
magnete che  sta  qui  sotto,  attrarrà  l'armatura,  abbasserà  il  pa- 
rallelogrammo articolato,  e  con  questo  il  carbone  negativo.  Si 
formerà  così  l'interruzione  necessaria  per  avere  l'arco  voltaico. 


Fig.  19. 


Sulla  illuminazione  elettrica,  83 

In  breve  i  carboni  si  consumeranno,  ma  allora,  subito,  l'armatura 
sarà  abbandonata  dall'elettromagnete  e  si  rialzerà:  con  ciò  essa 
porrà  in  libertà  il  rotismo,  il  carbone  positivo  discenderà  pel 
proprio  peso,  ed  il  negativo  si  rialzerà  per  azione  della  catena. 
Le  velocità  loro  saranno  come  2  ad  i,  come  i  loro  consumi. 

Non  si  può  dire  di  questo,  come  non  si  può  forse  di  alcun 
apparecchio  meccanico,  che  esso  soddisfaccia  completamente  a 
tutte  le  condizioni  necessarie  per  un  perfetto  funzionamento; 
non  si  può  dire  che  esso  non  lasci  assolutamente  nulla  a  desi- 
derare; ma  si  può  oramai,  dopo  parecchi  anni  di  estesissime 
prove,  asserire  che  questi  congegni  raggiungono  abbastanza 
bene  il  loro  scopo,  perchè  l'illuminazione  elettrica,  fatta  col  loro 
mezzo,  abbia  potuto  diventare,  come  diventò,  veramente  indu- 
striale. La  regolarità  del  lavoro  di  un  regolatore  come  questo 
dipende  essenzialmente  dalla  regolarità  colla  quale  si  consumano 
i  carboni,  e  questa  dipende  dall'omogeneità  di  questi,  E  siccome 
nella  preparazione  dei  carboni  sono  possibili  notevoli  perfe- 
zionamenti, così  noi  dobbiamo  aspettarci  di  vedere  le  condizioni 
dell'applicazione  dell'illuminazione  elettrica,  fatta  coi  regolatori, 
farsi  migliori  di  quel  che  ora  sono. 

Intanto  queste  applicazioni  sono  fin  d'ora  numerose  ed  im- 
portanti. Già  prima  che  si  avessero  macchine  di  induzione 
potenti,  quando  ancora  non  si  poteva  aver  l'arcò  voltaico  se 
non  con  l' impiego  costoso  ed  imbarazzante  delle  pile,  la  luce 
-elettrica  si  adoperava  non  nei  teatri  soltanto,  e  nelle  pubbliche 
feste,  ma  in  cantieri  di  costruzione,  ma  su  moli  di  sbarco  in 
tempi  eccezionali,  ma  in  operazioni  militari,  ma  in  altri  casi 
svariati,  ove  occorresse  o  illuminare  con  pochi  centri  di  luce 
-estese  superfìcie,  o  render  visibili  di  notte  oggetti  a  grandi  di- 
stanze. E  fin  d'allora  l'applicazione  della  luce  elettrica  aveva 
spesso  recato  seco  un'economia.  Nella  costruzione  del  ponte  sul 
Reno  a  Kehl  si  adoperò  la  luce  elettrica  per  illuminare  i  lavori 
<lurante  la  notte;  nei  docks  Napoléon  800  operai  lavorarono  pa- 
recchie notti  illuminati  da  regolatori  Serrin,  e  l'illuminazione, 
benché,  ripeto,  fatta  con  pile,  non  costò  più  che  9,75  cent,  per 
•operaio  e  per  ora.  L'ingegnere  Bruii,  addetto  ai  lavori  delle 
strade  ferrate  del  nord  della  Spagna,  adoperò  ao  regolatori 
Serrin  alimentati  da  ptle,  per  ben  9417  ore,  ed  ottenne  sulle 
torcie  a  vento  un'economia  del  60  ^/o*. 

Era  adunque  naturale  che  l'invenzione  delle  macchine  d'in* 
•duzione  di  grande  potenza  facesse  pensare  a  fare  della  illumi- 


84  Conferenza  quarta. 


nazione  elettrica,  divenuta  immensamente  più  economica,  impianti 
stabili.  Colle  macchine  òxXC  Alliance  si  illuminò  elettricamente 
nel  1863  il  faro  di  La  Héve,  presso  Havre,  e  dopo  d'allora 
parecchi  fari  elettrici  si  impiantarono  in  Francia,  in  Inghilterra, 
in  Russia,  in  Austria^  in  Svezia,  in  Egitto.  Fin  dal  principio 
essi  funzionarono  regolarmente,  con  una  economia  notevole,  e 
sarebbero  certamente  molto  più  numerosi  oggidì,  se  le  ammi- 
nistrazioni non  esitassero  di  fronte  alla  spesa  di  un  rimaneg- 
giamento generale.  Colle  macchine  di  induzione  moderne,  le 
applicazioni  si  estesero  ad  un  campo  molto  più  vasto;  la  illu- 
minazione elettrica  si  introdusse  negli,  stabilimenti  industriali. 

Dal  1873,  quando  la  società  costituita  a  Parigi  per  la  co- 
struzione delle  macchine  Gramme  faceva  per  la  prima  volta 
questa  applicazione  nel  suo  opificio,  parecchi  di  quegli  opifìzi 
ove  si  hanno  vasti  locali  atti  ad  essere  convenientemente  ri- 
schiarati con  pochi  centri  potenti  di  luce,  come  sono  le  fonderie, 
gli  opifizi  di  montatura,  o  simili,  adoperano  regolarmente  la 
illuminazione  elettrica.  Uno,  o  due,  o  tre  o  quattro  regolatori 
sostenuti  da  una  colonna,  od  appesi  al  soffitto  con  una  corda, 
attivati  da  altrettante  macchine  Gramme  o  Siemens^  distribui- 
scono in  quei  vasti  locali  una  luce  che  ne  rischiara  tutte  le 
parti,  che  è  sicura  e  calma,  che  è  bianca  come  quella  del  sole. 

Questi  impianti  funzionano  da  parecchi  anni,  ed  oramai  noi 
possiamo  portare  sulla  loro  convenienza  un  giudizio  abbastanza 
sicuro. 

La  questione  si  riduce  a  questa:  Quanto  costa  la  luce 
elettrica? 

11  primo  dato  che  ci  occorre  per  rispondere  a  questa  do- 
manda è  il  lavoro  meccanico  necessario  per  produrre  coir  arco 
voltaico  una  data  quantità  di  luce.  Si  fecero  a  questo  riguardo 
da  molti  e  in  molte  condizioni  diverse,  molte  esperienze,  le 
quali  naturalmente  non  sono  sempre  in  perfetto  accordo  tra  di 
loro,  sia  per  la  difficoltà  loro  intrinseca,  sia  perchè  non  sempre 
furono  pubblicate  col  solo  scopo  di  far  conoscere  la  verità;  ma 
prese  insieme,  danno  per  lo  scopo  nostro  attuale  indicazioni 
più  che  sufficienti.  Le  più  attendibili  di  queste  esperienze  ven- 
nero tutte  a  confermare  i  risultati  ottenuti  fin  dal  1875  dal 
Tresca,  sicché  oggi  come  allora  noi  non  potremmo  appoggiare 
i  nostri  computi  a  basi  più  sicure  che  alle  esperienze  di  questo 
sperimentatore  di  provata  perizia  ed  onestà.  Senza  stancarvi 
con  grande  apparato  di  numeri,  io  registrai  qui  cinque  risultati 


Sulla  illuminazione  elettrica.  85 

trovati  da  questo  sperimentatore,  coi  quali  si  accordano  assai 
bene  molti  altri. 

Nella  prima  colonna  della  piccola  tabella  seguente  è  indicata 
la  intensità  luminosa  degli  archi  voltaici  sui  quali  si  fecero  gli 
esperimenti,  espressa  questa  intensità,  in  becchi  normali  CarceL 
11  becco  normale  Carcel^  voi  sapete,  è  l'unità  di  misura  abituale 
per  la  quantità  di  luce;  è  il  termine  di  confronto  di  cui  abi- 
tualmente si  fa  uso  per  paragonare  tra  di  loro  i  luminari.  £ 
una  fiamma  ad  olio  prodotta  in  una  lampada  a  regolatore,  a 
pompa,  con  corrente  interna  d'aria;  alta,  questa  fiamma,  35""», 
e  consumante  42  gr.  di  òlio  purificato  all'ora.  Questa  luce  può 
essere  ottenuta  con  sette  candele  steariche  consumanti  ciascuna 
IO  gr.  all'ora,  oppure  con  103  litri  (in  media)  di  gaz-luce  con- 
sumati in  un'ora  in  un  becco  BengeL  La  prima  colonna 
adunque  ci  dice  che  le  lampade  elettriche  sperimentate  produ- 
cevano rispettivamente  la  luce  di  1850,  di  300,  di  150,  di  100, 
di  50  becchi  Carcel,  o,  se  vuoisi,  di  1850,  300,  150,  100,  50, 
becchi  a  gaz  al  titolo  di  105  litri. 

1  numeri  scritti  nella  seconda  colonna  indicano  quanti  ca- 
valli-vapore (il  cavallo-vapore  è  il  lavoro  di  75  chilogrammetri 
in  1")  ciascuna  lampada  richiedesse  per  ogni  100  becchi  Carcel. 
I  numeri  di  questa  colonna  rappresentano  il  lavoro  che  bisogna 
spendere  per  produrre  colle  diverse  lampade  sempre  una  me- 
desima quantità  di  luce,  la  luce  di  100  becchi  normali. 


Intensità  luminosa 
dell'arco  voltaico 
in  becchi  Carcel. 

N.o  di  cavalli-vapore 

necessari  per 

100  becchi  Carcel. 

1850 

0,415 

300 

0,920 

150 

i»7 

100 

2,4 

50 

4.4 

Deduciamo  da  questi  numeri  una  conseguenza  importante: 
il  lavoro  meccanico,  che  bisogna  spendere  per  produrre  una 
medesima  quantità  di  luce,  100  becchi  Carcel  per  esempio,  non 
è  sempre  lo  stesso,  ed  è  tanto  minore  quanto  più  potente  è 
l'arco  voltaico  prodotto;  l'economia  della  produzione  della  luce, 
il  coefficiente  di  rendimento  in  luce  è  tanto  maggiore  quanto  è 
maggiore  l'enei^ia  accumulata  nella  lampada  elettrica;  è  questa 


86  Conferenza  quarta. 


la  conferma  sperimentale  del  principio  che  noi  avevamo  sta- 
bilito fin  dalla  prima  seduta,  ed  è  una  conferma  completa. 

Torneremo  su  ciò  un'altra  sera. 

Un  altro  dato,  di  cui  abbiamo  bisogno  per  calcolare  il  costo 
della  luce  elettrica,  è  il  consumo  delle  bacchette  di  carbone. 
Ora  che  l'energia  elettrica  costa  così  poco,  quella  dei  reofori  di 
carbone  figura  fra  le  spese  come  una  delle  importanti,  ed  è  pur 
troppo  ancora  di  valutazione  incerta.  Per  prudenza  noi  ci  at- 
terremo alle  indicazioni  fornite  dai  signori  Heilmann  e  Ducommun 
di  Mulhausen,  che  da  molti  anni  fanno  uso  dei  regolatori  Serrin 
nei  loro  opifizi.  Secondo  questi  industriali  il  consumo  complessivo 
per  ogni  lampada  è  di  metri  0,12  per  ogni  ora  d'illuminazione. 
Ai  carboni  poi,  possiamo  attribuire  il  prezzo  di  L.  1,60  al  metro. 

Servendoci  di  questi  dati  noi  possiamo  calcolare  ciò  che 
può  costare  la  luce  elettrica  nei  diversi  casi. 

Io  ho  scelto  uno  dei  casi  più  comuni  nelle  applicazioni  s^li 
opifizi,  quello  in  cui  si  abbia  un  locale  illuminato  con  lampade 
elettriche  di  100  becchi  ciascuna,  e  per  fissare  le  idee  su  di  un 
caso  concreto  ho  supposto  che  si  abbiano  quattro  regolatori  di 
questa  potenza.  Ho  raccolti  i  risultati  nel  seguente  quadro,  fa- 
cendo il  calcolo  in  due  ipotesi  diverse:  nell'ipotesi  Af  che  non 
si  abbia  nell'opifizio  forza  motrice  esuberante  e  si  debbano 
attivare  le  macchine  d'induzione  con  un  motore  apposito,  ed  il 
caso  B,  nel  quale  si  abbia  forza  esuberante,  e  non  sia  quindi 
necessario  l'impianto  di  un  motore  speciale. 

Ho  supposto  che  si  abbiano  in  un  anno  1000  ore  di  il- 
luminazione  ed  ho  riferite  tutte  le  spese  ad  un'  ora  di  illumi- 
nazione. 

Spese  correnti  per  ogni  ora  d'illuminazione  jl  B 

Interessi  ed  ammortizzazione  della  spesa  di 
L.   10,000    per    impianto   degli    apparecchi 

elettrici L.  i  i 

Id.  id.  per  L.  io,ooo,  costo   della  motrice  di 

IO  cavalli „i  „ 

Salario  del  meccanico „     1,20  „ 

Combustibile  per  la  motrice,  20  kil.  a  L.  0,04  „     0,80  0,80 

Bacchette  di  carbone  o",  48  a  L.  1,6    ,     .     .  „    0,77  0,77 

Lubrificazione „    0,20  0,20 


Totale  L.    4,97    2,77 


Su//a  iliuminazione  elettrica.  87 

La  medesima  quantità  di  luce  per  essere  prodotta  col  gas 
richiede  il  consumo  di  metri  cubi  0,105  x  400  =  42  di  gas,  che 
col  prezzo  di  26  centesimi  che  il  gas  ha  a  Torino,  costano 
lire  II  circa.  Dunque,  a  parità  di  quantità  di  luce,  il  gas  coste- 
rebbe rispettivamente  2,2  e  4,0  volte  ciò  che  costa  la  illumina- 
zione elettrica. 

Bisogna  però  notare  che  non  sempre  il  confronto  vuol  es- 
sere fatto  a  parità  di  quantità  di  luce:  col  gas  noi  possiamo 
illuminare  precisamente  là  dove  si  ha  il  maggior  bisogno  di 
luce  ;  mentre  colla  illuminazione  elettrica  noi  poniamo  il  luminare 
lontano  dalle  persone  che  lavorano,  e  diamo  la  massima  quantità 
di  luce  alle  parti  del  locale  che  hanno  meno  bisogno  di  essere 
rischiarate.  Quindi  per  una  medesima  quantità  totale  di  luce  st 
possono  avere  quantità  diverse  di  luce  utilizzate.  LMmportanza 
di  questa  considerazione  dipende  evidentemente  da  una  quantità 
di  circostanze  diverse,  di  cui  sarebbe  impossibile  tener  calcolo 
in  modo  generale.  Possiamo  fare,  per  avere  un  criterio,  una  ipotesi: 
che  quando  la  luce  è  data  da  molti  becchi  di  gas,  basti  avere 
di  essa  la  metà  di  quella  che  è  necessaria  quando  si  fa  uso 
dell'arco  voltaico.  Allora  l'illuminazione  a  gas  costerebbe  sol- 
tanto L.  5,50.  Vedesi  tuttavia  che  anche  in  questo  caso  Y  illu- 
minazione elettrica  offrirebbe  una  economia  del  9  Vi  %  nel 
caso  A  e  del  50  ^/o  nel  caso  B. 

L'economia  è  evidentemente  maggiore  quando  si  può  far 
uso  di  lampade  più  potenti.  Ce  Ib  dice  la  tabella  su  cui  abbiamo 
ragionato. 

L'economia  è  massima  quando  non  si  ha  bisogno  che  di 
un  potentissimo  centro  luminoso  destinato  ad  essere  visto  da 
lontano,  come  succede  nei  fari.  In  questo  caso: 

i.^  Il   confronto   della   spesa   si   deve   fare   a  parità   dì 
quantità  ; 

2.°  È  massimo  il  rendimento  in  luce. 

E  infatti  le  relazioni  uffìciali  relative  ai  fari  elettrici  esistenti 
constatano  tutte  che  a  parità  di  potenza  e  di  portata,  la  illumi- 
nazione di  un  faro  elettrico  non  costa  più  che  la  ottava  parte 
di  quella  di  un  faro  ad  olio. 

Nei  fari  anche  le  spese  di  impianto  riescono  forse  minori 
quando  si  faccia  uso  della  luce  elettrica  che  nel  caso  contrario: 
infatti,  in  questo  caso  se  si  ha  la  spesa  della  motrice  e  della 
macchina  d'induzione,  si  risparmia  nell'impianto  degli  apparecchi 
lenticolari  che  possono  essere  ridotti  a  minime  dimensioni.  Le 


88  Conferenza  quarta. 


lenti  dei  fari  debbono  avere  diametri  grandi  a  fronte  delle  di- 
mensioni del  focolaio,  se  si  vuole  che  la  luce  ne  esca  in  un 
fascio  sensibilmente  cilindrico,  quindi  debbono  essere  notevol- 
mente più  grandi  quando  il  focolare  è  una  grossa  fiamma  ad 
olio  che  non  quando  è  un  arco  voltaico. 

Poiché  fui  condotto  a  parlarvi  delle  dimensioni  dei  focolai 
dei  fari,  voglio  terminare  con  una  osservazione.  I  progressi 
nella  disposizione  dei  fari  datano  tutti  da  un  secolo  in  qua. 
Nel  1784  i  fari  erano  ancora,  la  maggior  parte,  illuminati  con 
focolài  a  legna:  erano  grandi  fuochi,  fumanti,  fuliginosi;  non 
differivano  da  quelli  con  cui  si  narra  che  Agamennone  telegra- 
fasse a  Clitennestra  la  caduta  di  Troia  ed  il  prossimo  suo 
ritorno.  Nel  1784  Borda  rimpiazzò  il  braciere  con  lampade  ad 
olio,  che  munì,  di  riflettori  parabolici.  Verso  il  1822  Fresnel,  di 
concerto  con  Arago  e  Mathieu,  perfezionò  le  lampade  facendole 
a  stoppini  cilindrici  e  concentrici.  Il  focolaio  fu  cosi  ridotto  a 
circa  9  centimetri  di  diametro  su  10  di  altezza.  Ora  abbiamo 
una  eguale,  una  maggiore  luce  in  un  focolaio  elettrico  di  pochi 
millimetri  cubi.  I  perfezionamenti  successivi  si  ridussero  a  suc- 
cessive diminuzioni  della  superficie  in  cui  si  fa  la  radiazione. 
Vedete  adunque  che  anche  la  storia  dei  fari  conferma  la  verità 
delle  nostre  teorie. 


CONFERENZA  QUINTA. 

24  maggio  /<5*7p. 


Nuove  lampade  elettriche. 
Divisione  della  luce  elettrica.  —  Conclusioni. 

Ci  siamo  occupati  deirilluminazione  elettrica  fatta  per  mezzo 
dei  regolatori:  ci  siamo  in  primo  luogo  fatto  un'idea  degli  ap- 
parecchi a  cui  si  dà  questo  nome,  ci  siamo  in  secondo  luogo 
reso  conto  della  convenienza  economica  del  sistema,  della  sua 
importanza  pratica  e  delle  condizioni  da  cui  questa  dipende. 


Sulla  illuminazioue  elettrica.  89 

Uapparecchio  detto  regolatore  è  un  congegno  da  cui  i  due 
carboni,  fra  le  punte  dei  quali  si  deve  formare  V  arco  voltaico, 
sono  portati  così,  che  nonostante  il  consumo  loro  la  distanza 
fra  le  due  punte  si  mantenga  fra  limiti  convenienti  e  che,  no- 
nostante il  maggiore  consumo  del  carbone  positivo  rispetto  al 
negativo,  l'interruzione  del  circuito,  sulla  quale  si  forma  l'arco 
voltaico,  si  mantenga  immobile  nella  sua  posizione.  Mosso  dal 
peso  del  portacarboni  positivo  o  dall'elasticità  di  una  molla,  un 
rotismo  tende  a  far  avanzare  i  due  carboni  l'uno  verso  l'altro 
con  velocità  proporzionali  ai  loro  consumi;  ma  il  rotismo  è 
imbrigliato  da  un  nottolino  d'arresto  comandato  dall'armatura 
di  una  elettromagnete,  nella  spirale  della  quale  passa  la  cor- 
rente. Quando  l'intensità  della  corrente  è  quella  che  conviene, 
l'armatura  è  attratta,  ed  il  nottolino  arresta  il  rotismo;  quando 
invece  per  essere  la  lunghezza  dell'  arco  cresciuta  a  dismisura, 
la  resistenza  aumentata  fa  diminuire  sotto  ad  un  certo  limite 
l'intensità  della  corrente,  l'armatura  si  distacca  dalla  elettroma- 
gnete, ed  il  nottolino  lascia  in  libertà  il  movimento  di  orologeria, 
e  questo  fa  avvicinare  i  carboni.  Negli  apparecchi  più  completi, 
come  è  quello  di  Serrin  che  noi  abbiamo  veduto,  v'ha  una  di- 
sposizione tale  che  i  carboni,  inizialmente  a  contatto  l'uno  col- 
l'altro,  si  distaccano  appena  passa  la  corrente,  cosicché  l'arco 
voltaico  si  produce  automaticamente^  e  la  lampada  si  accende  da  sé. 

La  convenienza  economica  e  la  importanza  pratica  del  sistema 
può  dedursi  da  dati  sperimentali,  che  oramai,  dopo  cinque  anni 
dacché  il  sistema  é  entrato  nel  campo  industriale,  formano  per 
un  calcolo  una  base  sicura.  Trovammo  che  la  convenienza  è 
tanto  maggiore,  quanto  più  potenti  sono  i  centri  luminosi  ado- 
perati. E  massima  nei  fari;  é  grande  negli  opifizi  ove  é  possibile 
fiure  uso  di  poche  lampade  potenti,  e  dove  si  ha  forza  motrice 
esuberante;  sussiste  ancora  quando  l'illuminazione  elettrica  ri- 
chiegga  l'impianto  di  un  motore  apposito,  purché  ciascuna  lam- 
pada produca  almeno  100  becchi  Carcel. 

Ora  l'esito  felice  di  molte  di  queste  applicazioni  fece  nascere 
più  larghi  desideri,  speranze  più  ardite.  Parve  dover  essere 
possibile  fare  della  luce  elettrica  applicazioni  più  estese;  parve 
di  poter  tentare  di  portare  questo  modo  d' illuminazione  nelle 
strade  e  sulle  piazze,  nei  luoghi  di  convegno,  nelle  botteghe, 
nelle  abitazioni  private;  parve  che  la  illuminazione  per  mezzo 
della  corrente  elettrica  si  presentasse  come  quella  dell'avvenire, 
del  prossimo  avvenire;   e   molti   ingegni   si   posero   dietro   la 


90  Conferenza  quinta. 


guida  di  tali  idee,  e  molti  capitali  si  dedicarono  ad  audaci  ten- 
tativi. Per  conseguire  la  meta  bisognava  modificare  in  molte 
parti  gli  apparecchi  ed  il  loro  uso;  sorsero  quindi  i  numerosi 
sistemi  nuovi,  dai  quali  ebbero  origine  le  speranze  esagerate  ed 
i  timori  esagerati^  a  cui  io  feci  allusione  cominciando  la  prima 
mia  conferenza,  su  cui  si  aggirano  le  controversie  per  giudicare 
delle  quali,  noi  abbiamo  voluto  trovarci  in  queste  serate,  e 
ragionare  insieme. 

La  luce  elettrica  ottenuta  coi  regolatori  non  è  applicabile 
se  non  nei  casi  in  cui  non  sia  un  inconveniente  l'avere  la  luce 
data  da  pochi  centri  radianti,  di  grande  potenza:  quindi  non  è 
applicabile  che  in  pochi  casi.  Bisognava  adunque  frazionarla, 
dividerla.  Ed  a  quest'uopo  bisognava  o  modificare  radicalmente, 
o  togliere  affatto  il  regolatore.  Infatti: 

i.o  II  regolatore  non  può,  per  la  sua  stessa  cosfruzione, 
funzionare  bene  se  non  è  unico  nel  circuito:  se  più  regolatori 
fossero  posti  in  un  medesimo  circuito,  le  oscillazioni  continue, 
inevitabili,  dei  carboni  dell'uno  facendo  variare  la  resistenza  e 
quindi  la  intensità  della  corrente,  provocherebbero  in  tutti  gli 
altri  oscillazioni  irregolari,  le  quali  ne  disturberebbero  il  fun- 
zionamento. 

2.*>  Quando  anche  parecchi  regolatori  potessero  lavorare 
regolarmente  nel  medesimo  circuito  od  in  circuiti  derivati,  essi 
sarebbero  sempre  apparecchi  troppo  complicati,  e  voluminosi 
troppo,  per  essere  posti  su  di  ogni  lampione.  Il  bisogno  poi  di 
rimettere  i  carboni  di  tempo  in  tempo  renderebbe  assai  inco- 
modo il  loro  impiego  su  così  vasta  scala. 

I  sistemi  proposti  sono  molto  numerosi:  ma  a  noi  giova 
ridurli  a  pochi  tipi  per  ragionare  soltanto  su  questi. 

Io  distinguo  tre  classi  principali  di  apparecchi: 
i.°  I  sistemi  ad  arco  voltaico; 
2.*»  I  sistemi  ad  incandescenza; 

3.<>  I  sistemi  misti,  ove  la  radiazione  di  un  brevissimo 
arco  voltaico  e  la  incandescenza  di  una  breve  bacchetta  di  car- 
bone sono  adoperate  insieme. 

Nei  sistemi  della  prima  classe  la  luce  è  data  dall'arco,  o 
meglio  dalle  punte  fra  cui  1'  arco  si  forma,  come  nel  sistema 
ordinario  dei  regolatori;  ma  invece  di  apparecchi  coi  delicati 
rotismi  di  cui  ci  siamo  fatto  una  idea,  si  hanno  disposizioni  più 
semplici  e  tali  che  le  punte  dei  carboni  non  oscillino,  ma  sieno 
assolutamente  immobili  alla  distanza  voluta. 


Sulla  Uiuminaziotie  elettrica. 


91 


Alcuni  di  questi  apparecchi  sono  veri  regolatori,  soltanto 
semplificati,  ove  i  carboni  non  hanno  bisogno,  per  mantenersi 
alla  distanza  voluta,  che  di  essere  spinti  innanzi  di  mano  in 
mano  che  vanno  consumandosi.  Ciò  si  può  ottenere  come  nel- 
l'apparecchio di  Staile  ed  Edwards  (fig.  20),  che  è  il  più  antico 
dei  regolatori,  facendo  che  i  carboni  A,  B  sieno  spinti  contro 
un  pezzo  C  di  materia  refrattaria,  in  modo  che  tra  loro  resti 

sempre  lo  spazio  ab  per  l'arco. 
Oppure  si  può  ottenere  il  me- 
desimo risultato,  adoperando,  in 
luogo  di  due  carboni,  due  coppie 
di  carboni  A  A  e  BB  incon- 
trantisi  ad  angolo  nei  punti  a 
e  b  (fig.  21).  Se  i 
due  carboni  A,  A' 
sono  spinti  innanzi 
secondo  le  loro  di- 
rezioni,.essi,  ancor- 
ché si  consumino, 
si  incontrano  sem- 
pre in  un  medesimo 
punto  a\  similmente 
rimane  fisso  il  pun- 
to b  di  incontro  dei 
due  carboni  aB,  B' 
se  questi,  chiusi  in 
due  tubi,  sono  spinti 
innanzi  e  si  avanzano  mentre  si  consumano.  Se  i  due  carboni  A^ 
A'  sono  in  comunicazione  col  polo  positivo,  ed  i  due  fi,  K 
sono  in  comunicazione  coi  polo  negativo  dell'elettromotore,  si 
forma  fra  a  e  ^  un  arco  assolutamente  fisso.  Tale  è  il  sistema 
recentemente  proposto  dal  russo  signor  Rapieff, 

Di  somiglianti  congegni  ve  n'ha  degli  ingegnosi,  ve  ne  ha 
p>erò  anche  molti  che  non  sono  altro  che  un  ritorno  a  cose 
vecchie  e  dimenticate.  Nessuno  di  essi,  finora  almeno,  ebbe  un 
esito  vero,  nessuno  fu  l'oggetto  di  esperimenti  di  qualche  im- 
portanza, di  qualche  durata. 

Altri  sistemi  invece  sopprimono  addirittura  il  regolatore 
sostituendovi  una  candela  elettrica.  È  tipo  di  questi  il  sistema 
di  Jablochkoff,  che  fra  tutti  ì  nuovi  sistemi  ad  arco  voltaico,  è 
finora  quello  che  venne  sperimentato  su  più  larga  scala,  quello 


F\%,  al. 


92 


Conferenza  quinta. 


gk 


che  levò  più  rumore,  quello  in  cui  la  pratica  ha  detto  già  qualche 
cosa  di  più  decisivo,  quello  a  cui  noi  dobbiamo,  prima  che  ad 
ogni  altro,  rivolgere  la  nostra  attenzione. 

Noi  abbiamo  sotto  agli  occhi  una  candela  elettrica  del  Ja- 
blochkoff  (fig.  22).  È  formata  di  due  bacchette  e,  d  cilindriche 
di  carbone  (carbone  artifiziale  Carré)  collocate  Tuna 
di  fianco  all'altra,  parallelamente  Tuna  all'altra  e  se- 
parate da  una  sostanza  isolante  1'.  Era  questa  caolino 
nelle  prime  candele,  ora  vi  si  sostituì,  dicono  con 
vantaggio,  il  gesso.  Le  estremità  inferiori  dei  carboni 
penetrano  in  due  tubi  di  ottone,  i  quali  permettono  di 
chiudere  facilmente  la  candela  nel  suo  sostegno,  e  per 
mezzo  dei  quali  si  fa  la  comunicazione  metallica  delle 
bacchette  coi  reofori.  La  legatura  M^  annegata  in  una 
pasta  solida,  tiene  uniti  i  due  carboni. 

Quando  si  fa  passare  la  corrente,  l' arco  voltaico 
si  forma  fra:  le  due  estremità  dei  carboni,  i  quali  bru- 
ciano a  poco  a  poco  al  contatto  dell'aria.  La  materia 
isolante,  che  sta  frammezzo,  si  scalda,  fonde,  sì  vola- 
tilizza parzialmente,  e  rende  lo  spazio  compreso  fra 
i  carboni  più  conduttore  di  quello  che  sia  nel  sistema 
ordinario  dei  regolatori.  Inoltre  la  sostanza  isolante  si 
fa  alquanto  conduttrice  quando  entra  in  fusione,  e  con 
ciò  diminuisce  la  resistenza  opposta  al  passaggio  della 
corrente.  Almeno  è  questa  una  delle  cause  a  cui  si 
attribuisce  la  possibilità  di  inserire  parecchie  candele  in 
un  medesimo  circuito. 

L'accensione  delle  candele  si  fa  automaticamente 
appena  la  comunicazione  coli'  elettromotore  è  stabilita, 
e  ciò  in  grazia  di  una  bacchetta  di  grafite  di  un  millimetro  di 
diametro,  collocata  all'estremità  superiore  dei  carboni,  di  tra- 
verso, e  ritenuta  con  una  legatura  ab  d'amianto. 

Lo  stesso  risultato  si  ottiene  con  una  semplice  legatura  di 
fil  di  ferro. 

La  candela  viene  collocata  tra  le  mascelle  di  una  piccola 
morsa,  le  quali  si  serrano  contro  di  essa  per  la  elasticità  di 
una  molla,  sono  isolate  l'una  dall'altra,  e  con  opportuni  morsetti 
si  possono  mettere  in  comunicazione  coi  due  reofori.  Una  can- 
dela non  dura  più  di  un'ora  e  mezza;  quindi  per  una  illumi- 
nazione, che  debba  durare  un  tempo  più  lungo,  occorrono  più 
candele. 


Fig.  93. 


Sulla  illupuinazione  elettrica. 


93 


Per  fare    il   cambio    delle  candele   comodamente,  e  presto, 
senza    interrompere    la    illuminazione,    si    fanno    candelieri   a 
quattro  morse,   portanti  quattro  candele   (fig.  23).  Sono   dischi 
D  D  dì  materia  coibente,  per  esempio  di  vetro  opalino,  su  cui 
sono  impiantate  quattro  morse  M,  N,  P,  Q,  come  quella   che 
io  descrissi,  a   ciascuna  delle   quali   si    può    raccomandare  una 
candela.  Le  quattro  morse  hanno  una  delle  ganasce,  V  interna, 
in  comunicazione   con    un    medesimo    serrafilo,  quindi   con    un 
medesimo  reoforo;  le  altre  ganasce,  le  esterne,  coi  relativi  ser- 
rafili, sono  collegate  coi  pezzi 
di  contatto    di    un    ordinario 
commutatore,  per   mezzo  del 
quale,    coi    semplice   giro   di 
un  manubrio,  quei  morsetti  si 
possono    porre    l' uno    dopo 
l'altro  in  comunicazione   col 
secondo  reoforo  dell'elettro- 
motore. Così  quando  una  can- 
dela sta  pef  essere  consumata, 
la  si  toglie  dal  circuito  e  su- 
bito  le  si   sostituisce  la  sua 
vicina,  la  quale  si  accende  da 
sé  così   presto,   che   appena 
rocchio   se  ne  accorge.  Con 
quattro  candele  per  candeliere 
si  può  così  prolungare  la  il- 
luminazione per  sei   ore,  senza  che   occorra  altro  che  questo: 
che  un  inserviente  venga  ad  intervalli  di  un'ora  e  mezza  a  dare 
un  giro  al  manubrio    del    commutatore.  Per  una  illuminazione, 
che  dovesse  durare  di  più,  si  potrebbero  adoperare  candelieri 
con  un  numero  maggiore  di  candele,  ma  identici  nella  sostanza, 
a  quello  che  abbiamo  descritto. 

Se  si  adoperasse,  per  attivare  una  candela  elettrica,  una 
corrente  costante,  diretta  sempre  nel  medesimo  verso,  i  due 
carboni,  noi  sappiamo,  si  consumerebbero  diversamente,  e  il 
positivo  circa  il  doppio  del  negativo.  La  candela  si  farebbe  in 
breve  zoppa,  la  distanza  fra  le  due  punte  aumenterebbe  grada- 
tamente, e  dopo  poco  l'arco  si  romperebbe,  la  luce  si  spegne- 
rebbe. Bisognerebbe,  per  evitare  questo  guaio,  dare  ai  due 
carboni  sezioni  diverse,  e  far  maggiore  il  positivo  che  il  ne- 
gativo; meglio,  più  semplicemente  e   più  sicuramente,  si  evita 


Fig.  23. 


96 


Conferenza  quinta. 


.^ 


scoperto  e  si  vede.  Vedete  che,  appena  chiuso  il  circuito,  la 
candela  si  accende.  Sulla  punta  della  candela  abbiamo  l'appa- 
renza di  un  globo  luminoso,  e  questo  è  annegato  in  una  fiamma 
purpurea,  che  ne  smorza  la  rigidezza,  che  ne  sfuma  per  così 
dire  i  contorni.  Col  commutatore  toglierò  dal  circuito  questa 
candela  e  vi  sostituirò  la  sua  vicina:  vedrete  che  subito  si  ac- 
cenderà, e  se  in  questo  locale 
avessimo  altre  luci,  non  ci  ac- 
corgeremmo quasi  del  cambio. 
Avete  visto  la  candela  a 
nudo:  per  applicarla  alla  illu- 
minazione, conviene  chiuderla 
in  un  pallone  appannato  di 
grande  diametro.  Così  la  luce 
i'  \    che  qui,  concentrata  in  piccolo 

spazio,  è  insopportabile  all'oc- 
chio, distribuita  in  tutta  la  su- 
perficie del  pallone  si  farà 
meno  viva  e  non  potrà  più 
offendere. 

Ecco  (fig.  25)  un  pallone, 
come  quelli  applicati  a  Parigi 
dalla  Società  Jablochkoff".  Là 
dentro  ho  disposto  una  can- 
dela ;  vi  mando  la  corrente,  e 
voi  ne  vedete  adesso  Teffetto. 
Mentre  che  noi  stavamo 
guardando  l'effetto  di  questa 
Yig.  25.  lampada  elettrica,  il  prepara- 

tore ha  collocato  nella  lanterna 
di  proiezione  una  nuova  candela  :  ora  io  farò  passare  la  corrente 
in  quella,  e  noi  potremo  vedere  proiettata  l'estremità  della  can- 
dela su  di  uno  schermo,  ed  esaminare  i  fenomeni  che  avvengono 
fra  le  punte  dei  carboni.  Vedete  un  bagliore  rossiccio:  questo 
è  l'immagine  di  una  vera  fiamma;  dentro,  assai  più  splendenti, 
brillano  le  due  punte:  essendo  le  correnti  alternate,  esse  sono 
uguali;  in  mezzo  v'ò  il  gesso,  che  si  consuma.  La  materia  coi- 
bente che  dà  passaggio  alla  corrente,  la  fiamma  conduttrice, 
che  fa  altrettanto,  diminuiscono  la  resistenza;  si  ha  un  arco 
pieno,  grosso,  arrotondato,  morbido.  Sono  pregi  questi,  per  la 
bellezza,  ma  vedremo  che  costano  cari. 


r 


Sulla  illuminazione  elettrica. 


97 


Ecco  la  candela  che  illuminò,  con  tanta  attrattiva  pei  vi- 
sitatori dell'Esposizione  di  Parigi,  la  place  e  Vavenue  de  l'Opera, 
i  magazzini  del  Louvre,  V  ippodromo.  Essa  fu  tipo  di  numerosi 
apparecchi  diversi  immaginati  poi,  e  costrutti  da  Rapieff,  Siemens, 
De  Méritens,  Thurston,  Wilde,  Jamin,  E  qualunque  sia  per 
essere  il  suo  avvenire,  comunque  oggi  stesso  siano  svanite  le 
speranze  di  vedere  per  ora  in  essa  un  sistema  economico,  non 
si  può  negare  che  essa  contenga  un'idea  nuova,  semplice,  pratica 
in  sé,  la  quale  frutterà  forse  in  altro  tempo.  Ad  ogni 
modo  è  essenzialmente  alle  prove  fatte  con  questo 
sistema,  che  noi  dobbiamo  tutto  lo  scalpore  attuale 
per  l'illuminazione  elettrica. 

La  divisione  della  luce  elettrica  permessa  dalla 
candela  Jablochkoff  è  molto  limitata;  si  sperò  di  poter 
avere  di  più,  ed  a  quest'uopo  si  pensò  di  ricorrere  a 
lampade  presentanti  piccole  resistenze,  cosi  da  poter 
stare  in  gran  numero  in  un  medesimo  filo  od  in  cir- 
cuiti derivati.  Quindi  le  lampade  ad  incandescenza,       ■Il    I  jB 

Come  dice  la  parola,  in  queste  lampade  la  luce 
emana  da  un  corpo  incandescente  :  una  bacchetta  di 
carbone,  una  spirale  di  platino»  una  lastrina  di  platino, 
un  pezzetto  di  iridio.  La  soluzione  del  problema  fatta 
in  tal  modo  era  semplice  ed  ovvia,  facilissima  ad 
immaginare,  anzi  era  già  immaginata  da  molto  tempo, 
prima  ancora  che  il  Foucault  desse  alla  luce  il  suo 
regolatore.  Nel  1845  il  signor  King  prendeva  un 
brevetto  di  privativa  per  un  apparecchio  che  è  il  tipo 
di  tutti.  Una  bacchetta  di  carbone  A  (fig.  26),  di  pochi 
millimetri^  era  inserita  nel  circuito  fra  due  reofori 
D,  C  II  tutto  era  chiuso  in  un  tubo  B  vuoto  d'aria; 
talvolta  nella  camera  barometrica.  Lo  stesso  si  sa- 
rebbe ottenuto  in  uno  spazio  pieno  di  gaz  inetto  ad  ^ »s-  ^* 
alimentare  la  combustione. 

Un  brevetto  affatto  analogo  a  quello  del  King  prendevano 
nel  1846  Greener  e  Staile]  un  altro  ne  prendeva  il  Patrie  nel 
1849,  proponendo  l'uso  dell'iridio.  I  sistemi  proposti  da  questi 
signori  furono  poi  dimenticati,  finché  nel  1874  un  russo.  Lodi- 
giiine,  li  richiamò  in  vita  riinventandoli.  Kosloff,  Kantt,  poi  Bon- 
liguin^  e  Fontaine  migliorarono  questo  apparecchio  e  l'ultimo 
eseguì  su  di  esso  molte  esperienze.  Ed  altri  fecero  proposte 
analoghe,  le  quali  non  diedero  mai  risultati  molto  felici.  Final- 


G.  Ferraris,  Opere,  Voi.  II. 


98  Conferenza  quinta. 


mente  Edison  fece  brevettare,  recentemente,  un  suo  sistema  di 
illuminazione  elettrica,  che  nella  sostanza  non  è  che  il  metodo 
di  illuminazione  per  incandescenza,  con  alcuni  particolari,  non 
tutti  nuovi,  relativi  ad  artifizi  diversi  per  regolare  automatica- 
mente la  temperatura  del  corpo  incandescente,  onde  evitare  che 
esso  si  rompa. 

Che  con  questi  sistemi  si  possano  porre  in  un  medesimo 
circuito  parecchie  lampade  elettriche,  è  chiaro  :  che  la  luce  ot- 
tenuta possa  essere  economica  e  bella  è  da  dubitare;  e  di  ciò 
dirò  fra  poco. 

La  terza  classe  di  apparecchi,  che  io  ho  distinto,  è  quella 
di  sistema  misto,  ove  la  luce  emana  in  parte  da  una  verghetta 
incandescente  di  carbone  ed  in  parte  da  un  brevissimo  arco 
voltaico.  Comprende  questa  classe  le  lampade  di  Reynier 
e  di  Werdermann, 

Il  principio  è  il  medesimo  in  entrambe,  ed  è  sem- 
plicissimo (fig.  27):  una  sottile  bacchetta  di  carbone  C 
tagliata  in  punta  /,  e.  posta  in  comunicazione  in  i/col 
reoforo  positivo,  premuta  costantemente  dal  peso  pro- 
prio e  del  sostegno,  o  da  una  molla,  o  da  un  contrappeso 
^       convenientemente   proporzionato,   si  appoggia   legger- 
^nB,      mente  contro  la  superficie  di  un  grosso  blocco  di  car- 
Fig.  a7.    bone   B   in   comunicazione   col   reoforo   negativo.  Al 
luogo  del  contatto  si  forma  un  minimo  arco  voltaico  ed 
il  carbone  positivo  si  fa  incandescente,  l'arco  e  la  bacchetta  in- 
viano la  luce.  L'esperienza  prova  che  la  sola  asticciuola  positiva 
si  consuma,   mentre    non   s'altera  sensibilmente  il 
blocco  costituente  l'elettrodo  negativo;  l'apparecchio 
non  ha  adunque  d'uopo   di  meccanismo  di  nessuna 
natura:  bastano  i  contatti  ed  il  contrappeso. 

Reynier  si  era  preoccupato  della  necessità  di 
far  cadere  la  cenere  che  si  formava  sul  carbone  ne- 
gativo, «e  a  quest'uopo  aveva  dato  a  questo  la  forma 
di  una  rotellina  B  (fig.  28)  girevole  su  di  im  asse 
orizzontale,  sulla  quale  il  carbone  positivo  C  si  ap- 
poggiava alquanto  eccentricamente,  cosi  da  provocare 
ad  ognuna  delle  piccole  scosse,  ch'ei  subiva  pel  suc- 
cessivo consumo,  piccoli  moti  angolari.  Cosi  si  rin- 
novava costantemente  la  superficie  di  contatto  fra  i  carboni. 

Werdermann  trovò  inutile  questa  complicazione  ed  ottenne 
un  eSetto  molto  regolare  disponendo  semplicemente  il  carbone 


Sulla  illuminazione  elettrica. 


99 


negativo  in  alto  ed  il  positivo  in  basso  (fig.  29).  Egli  diede  al 
primo  la  forma  di  un  piccolo  disco  C,  di  5  centimetri  di  dia- 
metro, coll'asse  verticale,  e  dispose  sulP  asse  medesimo  la  bac- 
chetta positiva  b.  La  bacchetta  positiva  b  è  tenuta  fra  due  labbra 
di  rame  TR,  che  la  stringono  abbastanza  per  stabilire  la  co- 
municazione col  reoforo,  senza  tuttavia  impedire  che  essa  possa 
scorrere  fra  di  esse.  Il  carbone  è  portato 
da  un  pezzo  munito  di  due  orecchie  /,  le 
quali  sporgono  da  due  scanalature  praticate 
nel  tubo  T,  ed  è  sostenuto  a  sua  volta  da 
due  cordicelle,  che  passando  su  due  puleggie 
di  rimando  vengono  a  riunirsi  al  contrap- 
peso P.  Così  il  carbone  b  è  costantemente 
premuto  contro  il  carbone  negativo  Ce  viene 
rialzato  dal  contrappeso  P  di  mano  in  mano 
che  si  consuma.  Il  reoforo  positivo  è  posto 
in  comunicazione  col  tubo  T,  il  negativo  col 
manicotto  S,  e  quindi,  mediante  l'arco  arti- 
colato D,  col  disco  C. 

Con  questa  disposizione  semplicissima 
si  ha  anche  il  vantaggio  di  avere  la  massima 
radiazione  verso  il  basso,  come  d'ordinario 
conviene. 

Per  darvi  un*  idea  di  questo  sistema, 
disposi  l'apparecchio  rudimentale  che  vedete 
qui.  È  una  lampada  Werdermann  a  rovescio, 
come  conviene  qui  perchè  sia  visibile  da  voi 
che  siete  in  alto.  Un  pezzo  grosso  di  carbone  è  l'elettrodo  ne- 
gativo; su  di  esso  si  appoggia  pel  proprio  peso  una  piccola 
bacchetta  di  carbone  verticale  tenuta  in  comunicazione  coll'elet- 
trodo  positivo.  Voi  vedete:  la  bacchetta  si  fa  rovente  e  manda 
luce;  ma  la  massima  luce  emana  dal  punto  di  contatto  ove  v'ha 
tutta  l'apparenza  di  un  breve  arco  voltaico. 

Non  essendovi  rottura  nel  circuito,  non  essendovi  se  non 
un  minimo  distacco,  è  piccola  la  resistenza.  Si  possono  quindi 
anche  con  elettromotori  di  mediocre  forza  elettromotrice  inserire 
più  lampade  nel  circuito,  o  far  passare  la  corrente  per  più  cir- 
cuiti derivati  contenenti  ciascuno  una  lampada.  La  fig.  30  mostra 
schematicamente  la  disposizione  con  cui  Werdermann  propone 
di  suddividere  la  luce  fra  parecchie  lampade.  Le  lampade  sono 
poste  in  tanti    circuiti   derivati;   tutti    i  dischi  di  carbone  sono 


Fig.  29. 


f  *     J 


lOO 


Conferenza  quinta. 


collegati  col  reoforo  negativo,  tutte  le  bacchette  col  reoforo 
positivo.  Le  spirali  a,  a,  a,.,,  rappresentano  resistenze  intro- 
dotte in  ciascun  circuito  derivato  onde  regolare  la  distribuzione 
della  corrente. 

11   sistema,  vedremo  meglio   fra  poco,  è  ragionevolissimo. 
Per  dividere  la  luce  con  economia  bisognava  ridurre  lo  spazio 


Fig.  30. 


in  cui  si  accumula  il  calore,  o  meglio  la  sua  superficie  radiante, 
come  si  riduceva  la  quantità  di  calore  radiato  da  ciascuna  lam- 
pada. Ciò  qui  succede,  giacché  l'arco  è  piccolissimo,  e  tanto  più 
piccolo  quanto  più  la  luce  è  suddivisa. 

Oltre  ai  sistemi  che  classificai  e  che  descrissi  sommaria- 
mente, se  ne  immaginarono  parecchi  altri,  ingegnosi,  ma  per 
lo  più,  più  ingegnosi  che  pratici.  Cito  un  sistema  di  Jablochkoff, 
nel  quale  una  striscia  luminosa  è  prodotta  su  di  un  pezzo  di 
caolino  da  scariche  di  induzione,  e  i  sistemi  di  Le  Roux  e  di 
altri,  ove  scintille  di  rottura  son  prodotte  fra  due  punte  con 
tale  frequenza  da  dare  una  luce  continua.  Basta  enunciare,  come 
io  fo,  i  principi  di  questi  congegni  per  vedere  che  si  tratta  di 
semplici  giuochi. 

Noi  ci  arrestiamo  ai  tipi  descritti,  che  sono  i  più  importanti, 
che  sono  quelli  che  furono  realmente  provati  od  almeno  che 
furono  accolti  come  progetti  ricchi  di  avvenire;  e  ci  domandiamo: 
in  quale  stato  hanno  essi  lasciato  il  problema  deDa  divisione 
della  luce  elettrica?  Di  quanto,  in  grazia  loro,  si  è  esteso  il 
campo  delle  applicazioni  di  questa?  Quali  speranze  essi  per- 
mettono di  concepire  in  un  prossimo  avvenire? 

Mancano,  premetto  subito,  dati  così  sicuri  come  quelli  con 
cui  potemmo  giudicare  della  convenienza  della  illuminazione 
fatta  coi  regolatori;  per  alcuni  dei  nuovi  sistemi  non  abbiamo 
anzi  che  notizie  di  giornali  politici  date  da  penne  interessate. 
Tuttavia  credo  di  non  esser  temerario  se  vi  dico:  scortati  dai 
principi  teorici  con  cui  oramai  ci  siamo  fatti  famigliari,  appog- 


Sulla  illuminazione  elettrica. 


lOI 


giati  ai  fatti  che  abbiamo  appresi,  possiamo  tentare  una  risposta. 
E  se,  chiuse  le  orecchie  alle  voci  sconcordanti,  che  ci  vengono 
da  tutte  le  parti,  miriam  fiso  ai  grandi  teoremi  di  cui  ci  siara 
fatto  faro,  forse  non  ci  discosteremo  dal  vero. 

Prenderemo  le  mosse  da  ciò  che  vedemmo  all'ultima  con- 
ferenza, discutendo  i  risultati  delle  esperienze  sul  lavoro  ne- 
cessario per  produrre  la  luce  coi  regolatori. 

Noi  ci  siamo  appoggiati  alla  esperienza  del  Tresca  ed  ab- 
biamo riconosciuto  questo  fatto:  che  il  lavoro  necessario  per 
produrre  una  determinata  quantità  di  luce  non  è  sempre  lo 
stesso,  ma  è  tanto  maggiore  quanto  meno  è  potente  la  lampada 
elettrica;  una  medesima  quantità  di  luce,  per  esempio  quella  di 
loo  becchi  Carcel,  costa  meno  se  è  prodotta  da  una  lampada 
sola  che  quando  è  prodotta  da  due;  costa  meno  ancora  se  è 
data  da  una  lampada  producente  la  luce  di  200  becchi 
Carcel)  meno  ancora  se  la  lampada  equivale  a  300 
becchi,  e  vìa  via. 

Cinque  numeri  trovati  dallo  sperimentatore,  che  ho 
nominato,  ci  bastarono  per  porre  in  chiaro  questo  fatto, 
e  per  lo  scopo  a  cui  miravamo  nell'ultima  conferenza 
non  ebbimo  bisogno  di  altro  che  di  nominarli.  Ma  esa- 
miniamo più  attentamente  quei  numeri,  e  potremo  de- 
durre da  essi  una  idea  anche  più  chiara,  e  più  completa, 
del  fatto.  Quando  si  posseggono  numeri  rappresentanti 
risultati  di  esperienze,  e  si  vogliono  discutere,  giova 
spesso  ridurli  a  costruzioni  grafiche,  le  quali  mostrino 
in  un  colpo  d'occhio  l'andamento  dei  fenomeni.  Fac- 
ciamo questa  rappresentazione  grafica  pei  risultati  delle 

esperienze    del 
Tresca. 

Io  tiro  una 


\ 


\J 


F>f .  31- 


n  YrettaQ^(fig.,^i), 
su  cui  porto  lun- 
ghezze propor- 
zionali alle  po- 
tenze delle  lampade  elettriche  'sperimentate;  le  lampade  speri- 
mentate dal  Tresca  essendo  equivalenti  a  50,  100,  150,  300,  1850 
becchi  Carcelf  io  prendo  sulla  retta  O  X,  3,  partire  dal  punto  O, 
le  distanze  0-50,  o-ioo,  0-150,  0-300,  0-1850  tali  che  stieno  fra 
di  loro  come  i  detti  numeri.  Nei  punti  50,  100,  150,  300,  1850, 
così   trovati,  elevo   perpendicolari   alla   retta  O  X,  e  su  queste 


I02  Conferenza  quinta. 


perpendicolari  porto  lunghezze  proporzionali  ai  numeri  di  ca- 
valli-vapore che,  secondo  le  esperienze  del  Tresca,  e  per 
ciascuna  lampada,  sono  necessari  per  ogni  centinaio  di  becchi 
CarceL  Col  linguaggio  dei  matematici,  direi  brevemente  :  prendo 
per  ascisse  le  potenze  delle  lampade,  rappresentate  dai  numeri 
della  prima  colonna  della  tabella,  nella  quale  nell'altra  confe- 
renza noi  riassumemmo  le  esperienze  del  Tresca  (pag.  85), 
e  prendo  per  ordinate  i  lavori  spesi  per  ciascun  centinaio  di 
becchi,  rappresentati  dai  numeri  della  seconda  colonna  nella 
detta  tabella.  Ottengo  così  i  punti  che  nella  figura  sono  segnati  /?. 
Questi  punti  ci  rappresentano  in  modo  visibile  i  risultati  delle 
esperienze.  3e  avessimo  molti  di  questi  punti,  molto  vicini  gli 
uni  agli  altri,  noi  potremmo  far  passare  pei  medesimi  una  linea 
continua,  la  quale  ci  mostrerebbe  in  un  colpo  d'occhio  l'anda- 
mento del  fenomeno,  la  legge  del  fenomeno,  la  legge  secondo 
la  quale  il  lavoro  meccanico  necessario  per  la  produzione  di 
100  becchi  Carcel  varia  col  variare  della  potenza  della  lampada 
adoperata.  Avendo  solamente  cinque  risultati  d'esperienza,  rap- 
presentati dai  cinque  punti  /?,  noi  non  possiamo  determinare 
la  detta  legge  con  precisione;  infinite  curve  diverse  potremmo 
far  passare  pei  medesimi  cinque  punti  /?.  Ma  se  non  possiamo 
avere  la  legge  esatta,  possiamo  però  indovinarne  la  forma;  se 
non  possiamo  con  sicurezza  tracciare  la  vera  curva  rappresen- 
tante la  legge,  possiamo  però  indovinarne  l'andamento  generale, 
e  da  questo  dedurre  utili  conseguenze.  Basta  gettar  gli  occhi 
sulla  figura  per  vedere  che  la  linea  di  cui  ci  occupiamo  deve 
avere  ad  un  dipresso  la  forma  di  quella  disegnata. 

Esaminiamo  questa  linea.  Vediamo  innanzi  tutto  che  allon- 
tanandosi dalla  retta  O  Y  (asse  delle  ordinate;,  la  linea  si  abbassa, 
si  avvicina  alla  retta  OX,  all'asse  delle  ascisse.  Dunque  il  lavoro 
necessario  per  la  produzione  di  100  becchi  Carcel  diminuisce 
col  crescere  della  potenza  delle  lampade:  egli  è  ciò  che  già  sa- 
pevamo. Ma  l'esame  della  curva  ci  dice  anche  come  questa  di- 
minuzione si  faccia;  un  fatto  notevolissimo  ci  si  presenta  al 
primo  sguardo  :  la  linea  è  convessa  verso  l'asse  delle  ascisse  O  Xt 
e  quindi  si  abbassa  tanto  meno  rapidamente  quanto  più  la  por- 
zione di  essa  che  si  considera  è  lontana  dalla  retta  O  Y,  La 
conseguenza  pratica  di  questo  fatto  è  che,  quando  la  potenza 
della  lampada  adoperata  è  già  molto  grande,  è  piccolo  il  van- 
taggio economico  che  si  ricaverebbe  aumentando  ancora  quella 
potenza;  quando  invece   la   potenza  della  lampada  adoperata  è 


SuUa  illuminazione  elettrica.  103 

piccola,  a  piccole  variazioni  della  potenza  medesima  corrispon- 
dono variazioni  considerevoli  del  lavoro  meccanico  necessario 
per  og^i  centinaio  di  becchi,  ossia  variazioni  considerevoli  del 
coefficiente  di  rendimento  in  luce.  Così,  per  esempip,  si  riconosce 
dal  semplice  aspetto  della  nostra  figura,  che,  per  potenze  lumi- 
nose superiori  ad  un  migliaio  di  becchi  Carcel,  il  lavoro  mec- 
canico necessario  per  la  produzione  di  una  data  quantità  di  luce 
si  può  considerare  come  sensibilmente  costante,  mentre  invece 
l>er  le  minori  potenze  luminose  quel  lavoro  varia  rapidissima- 
mente. Cosi,  per  esempio,  si  vede  che  il  lavoro  meccanico  ne- 
cessario per  produrre  100  becchi  Carcel  mediante  due  lampade 
di  50  becchi  ciascuna,  è  circa  doppio  di  quello  necessario  per 
produrre  i  medesimi  100  becchi  mediante  una  lampada  sola. 

£  questa  una  legge  teorica,  la  quale  ha  la  sua  ragione  nella 
natura  stessa  di  ciò  che  noi  diciamo  luce  e  nelle  leggi  della  ra- 
diazione dei  corpi  incandescenti.  Come  tale  essa  deve  essere 
indipendente  dalle  particolarità  di  costruzione  dell'apparecchio 
col  quale  si  fa  la  luce  elettrica;  nessun  inventore,  con  nessun 
sforzo  d'ingegno,  può  sottrarsi  ad  essa;  ed  anche  prima  di 
averne  una  prova  sperimentale  noi  siamo  autorizzati  a  prevederla 
verificata  anche  quando,  invece  del  regolatore,  su  cui  sperimentò 
il  Tresca,  si  hanno  lampade  di  altra  specie,  anche  quando  si 
adoperano  le  nuove  lampade. 

Il  fatto  conferma  pienamente  la  nostra  previsione,  ed  io 
posso  mostrarvelo  rappresentando  graficamente  i  risultati  delle 
esperienze  eseguite  coi  principali  nuovi  sistemi.  Verificherò  cosi 
che  i  punti  così  trovati  vengono  tutti  a  disporsi  sopra  una  linea 
curva  formante  una  naturale  continuazione  della  R,  R,  R.  ,  . 
che  disegnammo  già,  e  che  quando  non  si  trovano  su  questa 
curva  se  ne  scostano  in  un  senso  prevedibile  mediante  la  teoria. 
Farò  questa  verificazione  successivamente  pel  sistema,  Jaòloclikoff, 
pei  sistemi  ad  incandescenza  e  pel  sistema  Werdermann. 

Sistema  Jablochkoff,  —  Stando  alle  esperienze  più  atten- 
dibili, ed,  ultimamente,  anche  alle  dichiarazioni  del  Denayrouze, 
ingegnere  della  Società  Jablochkoff,  pare  che  si  debba  ritenere 
come  dato  medio  conveniente,  che,  nell'applicazione  fatta  a  Pa- 
rigi sulla  piazza  e  sulVavenue  dell'Opera,  ogni  candela  elettrica 
producesse  la  luce  di  16  becchi  Carcel. 

La  potenza  motrice  adoperata  corrispondeva,  in  quella  ap- 
plicazione, ad  un  cavallo  per  ogni  candela;  dunque  per  ciascun 

centinaio  di  becchi  Carcel  si  consumavano  cavalli-vapore 

16 


I04 


Conferenza  quinta. 


ossia  cavalli  6,4.  Portiamo  nella  fig.  31  sull'asse  O  X  l'ascissa  16, 
e  suir  ordinata  corrispondente  la  lunghezza  6,4,  e  troviamo  il 
punto  y.  Come  vedete  il  prolungamento  più  naturale  della 
linea  R,  /?,...  che  noi  possedevamo  già,  passa  precisamente 
per  questo  punto.  Per  maggior  chiarezza  si  sono  disegnati  nella 
fig.  32  i  punti  corrispondenti  alla  prima  porzione  della  linea, 
adottando  scale  maggiori  ed  un  rapporto  diverso  fra  queste.  1 
punti  R,  /? . . .  ed  y  si  vedono  in  questa  figura  congiunti  sem- 
plicemente con  linee  rette,  in  modo  da  avere  un  poligono  in- 
scritto nella  linea  curva  di  cui  si  tratta. 

Sistemi  ad  incandescenza.  —  Su  questi  sistemi  non  abbiamo 
che  pochi  ed  incertissimi  dati;  ma  le  considerazioni  fatte  nel- 
l'ultima conferenza  ci  fanno  credere  che  il  rendimento  loro  sia 
anche  minore  di  quello  voluto  dalla  legge  che  rappre- 
sentammo graficamente.  E  infatti  non  ci  sbagliamo.  Noi 
sappiamo  tutti  quanto  esagerate  possono  essere  le  bril- 
lanti notizie  che  ci  vengono  sui  giornali  ordinari  dal- 
l'America, tanto  più  quando  v'hanno  bassi  speculatori, 
i  quali  non  temono  di  mettere  a  repentaglio  la  riputa- 
zione del  grande  inventore,  di  cui  patrocinano  la  causa, 
a  prò'  dei  propri  interessi.  Ebbene,  qual'è  la  grande 
notizia  che  oggi  ci  si  dà  dei  risultati  offerti 
dal  cosidetto  sistema  Edison?  È  questa: 
quattordici  lampade  ad  incandescenza,  equi- 
valenti ciascuna  a  18  o  20  candele  (candles)^ 

furono  attivate  con 
una  macchina  dina- 
moelettrica consu- 
mante il  lavoro  di 
due  cavalli-vapore 
e  mezzo.  Nessuna 
fede  meritano  noti- 
zie come  queste,  le 
quali  sono  certa- 
mente destinate  ad 
esaltare  i  meriti  del  sistema  di  cui  si  tratta;  ma  poiché  non  ne 
abbiamo  altre  più  attendibili,  registriamo  graficamente  il  risul- 
tato asserto.  Troviamo  così  nelle  due  figure  il  punto  E.  La 
nostra  linea,  prolungata,  passerebbe  forse  sopra  di  quel  punto, 
e  forse  di  molto.  Ma  anche  condotta  per  E  essa  mantiene  l'an- 
damento preveduto. 


Fig.  33. 


Sulla  illuminazione  elettrica,  105 

Il  sistema  Werdermann  ubbidisce  anch'  esso  alla  legge  ge- 
nerale. Esperienze  fatte  a  Londra  dimostrarono  questo  fatto: 
due  lampade  di  27  becchi  ciascuna  consumavano  il  lavoro  di 
due  cavalli- vapore;  dieci  lampade,  ciascuna  di  3,4  becchi  Carcel 
fatte  funzionare  insieme,  consumavano  il  medesimo  lavoro.  Il 
numero  di  cavalli-vapore  speso  per  ogni  centinaio  di  becchi 
Carcel  era  3,7  nel  primo  caso  e  5,9  nel  secondo. 

Qui  adunque,  come  sempre,  il  lavoro  motore  necessario 
cresce  col  diminuire  della  potenza  delle  lampade.  Ma  l'accordo 
tra  l'esperimento  e  le  previsioni  della  nostra  teoria  va  più  oltre. 

Le  lampade  Werdermann  e  le  somiglianti,  nelle  quali  la 
superficie  radiante  del  piccolo  arco  voltaico  diminuisce  col  di- 
minuire della  potenza  della  lampada  stessa,  debbono  avere  un 
coefficiente  di  rendimento,  il  quale,  col  diminuire  della  potenza, 
diminuisce  meno  rapidamente  di  quello  delle  lampade  ordinarie. 
Orbene,  questa  previsione,  della  quale  parlammo  già,  è  confer- 
mata dal  fatto.  Se  infatti  noi  rappresentiamo  graficamente  i  ri- 
sultati delle  citate  esperienze,  troviamo  i  due  punti  W^  IV,  i 
quali  sembrano  appartenere  ad  una  curva  analoga  a  quella  da 
noi  disegnata,  ma  situata  al  disotto  della  medesima. 

Il  lavoro  motore  non  è  mai  gratuito,  nemmeno  quando  esso 
è  dato  da  cadute  d'acqua;  giacché  anche  quando  non  si  ha  da 
spendere  giornalmente  per  combustibile,  bisogna  tuttavia  tener 
conto  dell'interesse  e  dell'  ammortizzazione  del  capitale  speso 
nell'impianto  dei  motori,  e  delle  spese  di  esercìzio  e  di  manu- 
tenzione. Dunque,  dalle  cose  dette,  possiamo  conchiudere  già 
che  il  costo  della  luce  elettrica  sempre  cresce  colla  suddivisione 
di  questa. 

Un'altra  spesa  cresce  colla  suddivisione:  quella  per  l'ac- 
quisto delle  lampade  elettriche,  per  le  loro  riparazioni,  per  la 
loro  manutenzione. 

E  un'altra  ancora:  quella  pel  consumo  dei  carboni  nelle 
lampade.  Questa  spesa  è  notevolissima  in  alcuni  sistemi:  nel 
sistema  Jablochkoff  costituisce,  fra  tutte,  la  spesa  principale. 
Manca  invece  questa  spesa,  od  è  minima,  in  alcuni  dei  sistemi 
ad  incandescenza;  ed  è  questa  l'unica  considerazione  seria  che 
potrebbe  consigliare  a  ricorrere  a  questi  per  aver  la  luce  elet- 
trica molto  suddivisa. 

Tutto  adunque  quello  che  abbiamo  detto  concorre  a  scon- 
sigliare la  suddivisione  della  luce  elettrica.  Ma  che  l'economia 
della  illuminazione   diminuisca   col   crescere  della   suddivisione 


io6  Conferenza^  quinta. 


noi  sapevamo  e  potevamo  prevedere  fin  dalla  prima  nostra 
seduta;  la  cosa  anzi  è  così  elementare  che  non  è  a  credere 
che  alcuno  degli  inventori,  che  studiarono  la  suddivisione,  lo 
abbia  ignorato.  Per  decidere  veramente  se  e  fino  a  qual  punto 
la  divisione  della  luce  elettrica  sia  ottenibile  economicamente, 
e  se  si  possa  realmente  sul  serio  pensare  a  fare  della  luce 
elettrica  un  mezzo  generale  d*  illuminazione,  bisogna  che  noi 
passiamo  dalle  leggi  semplicemente  qualitative  alle  quantitative, 
bisogna  che  poniamo  a  confronto  il  prezzo  prevedibile  della 
luce  elettrica  frazionata  con  quello  della  luce  che  oggi  abbiamo 
per  mezzo  del  gas.  Egli  è  ciò  che  noi  proveremo  a  fare. 

Dovendo  far  numeri  dobbiamo  considerare  un  caso  con- 
creto, ben  definito.  Immaginiamo  adunque  di  volere  illuminare 
una  città.  Vi  sono  diversi  modi  possibili  di  disporre  gli  appa- 
recchi :  si  può  impiantare  un  unico,  grandissimo,  motore  centrale, 
o  pochi  motori  di  grande  potenza,  e  distribuire  il  lavoro  dato 
da  questi  alle  macchine  d'induzione  sparse  per  la  città;  oppure 
si  possono  impiantare  molti  motori  di  piccola  potenza,  ciascuno 
dei  quali  non  serva  che  ad  un  piccolo  numero  di  macchine 
d' induzione  ;  oppure  finalmente  si  può  adottare  un  sistema  in- 
termedio. Considerando  solo  le  cose  nel  caso  generale,  è  vero- 
simile che  quest'ultimo  sistema  debba  ofirire  i  massimi  vantaggi 
e  la  massima  economia;  noi  ci  riferiremo  a  questo.  Immaginiamo 
un  piccolo  quartiere  servito  da  un  unico  motore,  e  supponiamo, 
per  fare  un  caso  concreto,  che  per  V  illuminazione  di  questo 
quartiere  sia  necessaria  una  quantità  di  luce  equivalente  a  looo 
becchi  CarceL  Coi  numeri  di  cui  abbiamo  ragionato  finora  noi 
possiamo  subito  calcolare  approssimativamente  il  lavoro  motore 
che  sarà  necessario  per  produrre  con  uno  qualunque  dei  sistemi 
d'illuminazione  elettrica  la  luce  voluta.  Tenendo  poi  conto,  come 
Si  può  con  qualche  approssimazione,  delle  quantità  di  lavoro 
consumate  nelle  trasmissioni,  si  può  calcolare  per  un  dato  si- 
stema la  potenza  del  motore  che  bisognerà  impiantare.  Si  potrà 
così  avere  un'idea  della  spesa  d*  impianto  probabile  del  motore 
e  delle  trasmissioni.  Un  calcolo  sommario  si  potrà  eziandio  fare 
per  le  spese  d'impianto  degli  apparecchi  elettrici  e  dei  con- 
duttori, e  quindi  si  potrà  avere  un'idea,  benché  grossolana,  del 
costo  totale  d' impianto.  Si  valuterà  allora  la  quota  di  ammor- 
tizzazione e  di  interesse  di  tale  spesa,  e  si  aggiungeranno  a 
questa  le  spese  per  salari  del  personale.  Si  può  ritenere  come 
numero  annuo   massimo   di  ore  di    illuminazione  per  le  grandi 


Sulla  illuminazione  elettrica,  107 

città  4000,  e  come  medio  per  le  grandi  città  3000;  accettando, 
per  metterci  in  condizioni  favorevoli  per  l'illuminazione,  questo 
numero,  e  dividendo  pel  medesimo  le  spese  annue  di  cui  si  è 
detto,  noi  avremo  la  quota  oraria  per  la  spesa  d'impianto  e  pei 
salari.  Aggiungendo  finalmente  a  questa  quota  oraria  la  spesa 
oraria  pel  combustibile  da  bruciarsi  nella  motrice,  quella  del- 
l' olio  necessario  per  la  lubrificazione  dei  meccanismi  e  quella 
pei  carboni  che  si  consumano  nelle  lampade  elettriche,  noi  ot- 
terremo come  somma  la  spesa  necessaria  per  ogni  ora  di  illu- 
minazione, onde  produrre  i  1000  becchi  Carcel  voluti. 

Questi  calcoli,  fatti  coi  dati  surriferiti  pei  sistemi  Jablochkoff, 
Edison,  Werdermann  con  lampade  equivalenti  a  becchi  Carcel 
3,4,  e  Werdermann  con  lampade  di  27  becchi  Carcel,  sono 
riassunti  negli  specchi  seguenti. 

Sistema  Jablochkoff. 

Numero  di  candele  necessarie  =64. 
Numero  di  cavalli-vapore  =64. 

Per  tener  conto  delle  trasmissioni  più  lunghe  di  quelle  che 
si  avevano  negli  esperimenti  di  Parigi,  porremo  come  potenza 
motrice  necessaria  quella  di  70  cavalli. 

Spese  d'impianto.  —  Motrice  di  70  cavalli     .     .  L.    50,000 

Trasmissioni „       6,000 

Caldaia „     ao,ooo 

Edifizio  e  camino „      15,000 

Apparecchi  elettrici  calcolati  in  base  ai  prezzi 
indicati  nel  catalogo .  della  Société  generale 
d'électricité  (Lilla,  1878,  pag.  23),  ammettendo 
che  occorrano  7400  metri  di  filo „     71,000 

Totale  L.     162,000 


Spese  per  ogni  ora  di  illuminazione.  —  Interesse 
ed  ammortizzazione  delle  spese  d'impianto, 
valutate  nella  ragione  del  10  ^/^  per  anno .    .  L.        5,40 

Combustibile:  i*^,  5  per  cavallo  e  per  ora  per 
3550  ore,  a  L.  0,04  il  kilogr „         4,95 

Olio  per  meccanismi  e  trasmissione „         3,70 

da  riportarsi  L.  14,05 


io8  Conferenza  quinta. 


Riporto  L.  14,05 

Salari.  Un  macchinista  a  .    .     .  L.  5  al  giorno 

Un  aiutante „    2        „ 

Un  fuochista ,,4        „ 

Un  aiutante ,,2        „ 

Quattro  uomini  per  le  macchine 

Gramme  e  per  le  lampade.     .  „    8        „ 

Totale  L.  21  al  giorno    „         2,55 
Consumo  orario  di  64  candele „       S^^^oo 

Totale  L.      48,60 


Sistema 'Edison. 

Numero  di  cavalli-vapore  necessario  =90. 

Potenza  motrice  necessaria,  tenendo  conto  delle  trasmissioni 

90 
necessariamente  lunghe  — -  -  =  150  cavalli. 
0,00 

Spese  d'impianto.  —  Motrice  di  150  cavalli   .    .  L.  75,000 

Trasmissioni,  supposte  ciascuna  di  30  cavalli  a 

500  metri,  a  L.  30  il  metro „  15,000 

Caldaie ,  35,000 

Edifìzio  e  camino  per  la  motrice ^  ao,ooo 

Cinque  macchine  d'induzione  da  18  cav.  ciascuna   „  52,500 

Collocamento  in  opera  delle  medesime.    ...»  2,000 

Cinquecento  lampade  a  40  lire  ciascuna    .    .     .    „  20,000 

Diecimila  metri  di  conduttore,  a  lire  2.     .    .     .    „  20,000 

Cinquecento  commutatori  a  lire  5 ^  2,500 

Adattamento  dei  fanali ^  5^000 

Accessori  ed  imprevisti „  10,000 

Totale  L.  257,000 

Spese  per  ogni  ora  di  illuminazione,  —  Ammor- 
tizzazione ed  interesse  della  spesa  d'impianto  L.  8,60 

Combustibile:  ik,  5  per  cavallo  per  3550  ore  a 

L.  0,04  il  kilogr „  10,06 

Olio  per  la  lubrificazione „  7,00 

da  riportarsi  L.  25,66 


r 


Sulla  illuminazione  elettrica. 


109 


Riporto  L,  25,66 

Salari.  Un  macchinista  a.    .     .  L.  5  al  giorno 

Un  aiutante „    2        „ 

Un  fuochista «    4. 

Due  aiutanti „    5        ^ 

Personale  per  gli  apparecchi  di 

illuminazione  e  per  le  macchine 

d'induzione,  io  uomini  a  L.  2  ,,20        „ 

Totale  L.  36  al  giorno   „         4,50 
Totale  L.       30,16 


Sistema  Werdermann 
con  lampade  di  ^,  4  becchi  CarceL 

Numero  di  cavalli- vapore  necessario  =60. 
Potenza  motrice  necessaria,  tenuto  conto  delle  trasmissioni 
70  cavalli. 
Spese  d*impianio.  —  Motrice,  caldaie,  trasmissioni, 

edifizio,  camino  (come  Jablochkoff)    •    .    .    .  L.  91,000 

Quattro  macchine  Gramme  a  L.  10,000     .    .    .    „  40,000 

Collocamento  in  opera  delle  medesime.    .    .    .    „  1,600 

Trecento  lampade  a  L.  80  (forse) „  24,000 

Seimila  metri  di  filo  a  L.  2 „  12,000 

Trecento  conunutatori  a  L.  5 „  ii5QO 

Adattamento  fanali „  3>ooo 

Accessori  ed  imprevisti „  7,000 

Totale  L.   180,100 

Spese  per  ogni  ora  di  illuminazione.  —  Interesse 
ed  ammortizzazione  della  spesa  d'impianto    .  L.        6,00 

Combustibile „         4,95 

Olio  per  la  lubrificazione „         3,70 

Stipendi  ad  un  macchinista,  ad  un  aiutante,  ad 
un  fuochista,  al  suo  aiutante  e  ad  8  uomini  per 
le  macchine  magneto-elettriche  e  per  gli  appa- 
recchi d'illuminazione „         3,52 

Carboni  per  le  lampade,  o",  05  per  lampada,  a 
L.  1,60  il  metro „       24,00 

Totale  L.       42,17 


j 


no 


Conferenza  quinta. 


Sistema  Werdermann 
con  lampade  di  27  becchi  CarceL 

Numero  di  cavalli  necessario  =37. 

Potenza  motrice  necessaria,  tenuto  conto  delle  trasmissioni 
=  50  cavalli. 

Numero  delle  lampade  necessarie  =30. 

Spese  d'impianto,  --  Motrice,  caldaie,  trasmissione, 

edifizio,  camino L.    65,000 

Tre  macchine  d'induzione,  a  L.  10,000.    .    .    .    „     30,000 

Loro  collocamento  in  opera „        1,500 

Trenta  lampade  a  (forse)  L.  80  ciascuna   .    .    .    „       2,400 
Tremila  metri  di  filo,  a  L.  2  il  metro  .    ,     .     .    „        6,000 

Trenta  commutatori,  a  L.  5 „  150 

Adattamento  fanali „        3,000 

Accessori  ed  imprevisti „       5,000 

Totale  L. 


Spese  per  ogni  ora  di  illuminazione,  —  Interesse 
ed  ammortizzazione  della  spesa  d'impianto    .  L. 

Combustibile  per  la  motrice „ 

Olio  per  la  lubrificazione  dei  meccanismi ,     .     .    „ 
Salari  ad   i   macchinista,  i  fuochista,  2  aiutanti' 
ed  a  4  uomini   per   gli    apparecchi   elettrici, 

L.  21  al  giorno „ 

Carboni  per  lamp.  o™,  065  per  lamp.,  a  L.  1,60  il  metro  „ 

Totale  L. 


ii3»05o 

3*75 

3*55 
2,65 


2,55 
3>2o 

15.70 


I  risultati  dei  calcoli  precedenti  sono  riassunti  nel  seguente 
specchio  : 


DENOMINAZIONE   DELLE   SPESE 


Interesse  ed  ammortizzazione 

delle  spese  d'impianto.  .  .  L. 

Combustibile  per  la  motrice.  „ 

Lubrificazione „ 

Salari „ 

Consumo    dei    carboni    nelle 

lampade „ 

Costo  orario  totale  L. 


■  (fa 

5  ^ 

R^  O 

2  ^ 


5.40 

4,95 
3»7o 

2,55 

32,00 
48,60 


•o  N  O 
5  e  (A 


8,60 

10,06 

7,00 

4,50 


Werdermann 


con 
lampade 

Carcel 


6,00 

4»95 
3J0 
3.52 


—       24,00 


30,16     42,17 


con 

lampade 

dia7 

Carcel 


3J5 

3.55 
2,65 

2.55 

3.20 
i5i7o 


Sulla  illuminazione  elettrica,  iii 

Fra  i  sistemi,  a  cui  si  riferiscono  i  calcoli  qui  riassunti, 
quello  che  dà  la  maggiore  suddivisione  è  quello  ad  incande- 
scenza, nel  quale  si  hanno  lampade  equivalenti  ciascuna  a  soli 
due  becchi  a  gas,  e  se  si  esclude  il  sistema  di  Werdermann 
con  lampade  di  27  becchi,  il  quale,  a  rigore,  non  si  può  consi- 
derare come  un  sistema  a  lucè  suddivisa,  il  sistema  ad  incan- 
descenza risulta  dai  nostri  calcoli  anche  il  più  economico.  Bi- 
sogna però  osservare: 

i.^  Che  il  calcolo  della  spesa  necessaria  per  l'illuminazione 
con  questo  sistema  è  basato  in  parte  su  dati  incerti  e  sicura- 
mente errati  tutti  in  favore  del  sistema  medesimo. 

s.**  Che  il  risultato  da  noi  trovato,  quando  non  fosse 
errato  in  favore  del  sistema,  corrisponderebbe  a  tutta  la  massima 
economia,  di  cui  il  sbtema  stesso  è  capace,  mentre  per  gli  altri 
sistemi,  ove  una  notevole  parte  della  spesa  è  dovuta  ai  carboni, 
che  si  consumano  nelle  lampade,  sono  possibili  ulteriori  eco 
nomie;  infatti  il  prezzo  dei  carboni  potrà  diminuire  note  voi 
mente  sia  per  miglioramenti  arrecati  alle  lampade,  sia  per  per 
fezionamenti  nel  sistema  di  preparazione  dei  carboni. 

A  ciò  si  aggiunga  essere  impossibile  che  nulla  si  consum 
nelle  lampade  ad  incandescenza,  come  noi,  nel  fare  il  calcolo, 
abbiamo  supposto. 

Ora  vediamo:  il  sistema  che  dai  nostri  calcoli  risultò  più 
economico,  quello  ad  incandescenza,  può  convenire  nella  pra- 
tica? Il  costo  di  30  lire  per  ora  e  per  ogni  migliaio  di  becchi 
Corcete  che  noi  abbiamo  trovato,  paragonato  con  quello  della 
illuminazione  a  gas,  è  un  prezzo  accettabile?  È  facile  rispon- 
dere: Questa  luce  di  1000  becchi  Carctl  ci  può  essere  data  da 
105  metri  cubi  di  gas  bruciati  in  ogni  ora,  i  quali  costerebbero 
a  Torino  27  lire  e  30  centesimi.  E  in  questo  prezzo  di  27  lire 
e  30  centesimi,  sono  comprese  non  solo  le  spese  di  produzione, 
ma  anche  le  spese  di  amministrazione  ed  i  dividendi  della  so- 
cietà, somme  queste  che  non  furono  valutate  nei  calcoli  rias- 
sunti dalla  precedente  tabella. 

V'ha  di  più  :  ordinariamente  dopo  la  mezzanotte  nelle  strade 
della  città  si  spegne  una  parte  dei  lumi;  se  l'illuminazione  e 
allora  fatta  col  gas,  tutto  il  gas  corrispondente  ai  becchi  spenti 
è  risparmiato;  ma  non  sarebbe  risparmiata  tutta  la  forza  motrice 
corrispondente  ai  lumi  spenti  quando  Tilluminazione  fosse  fatta 
coU'elettridtà.  Il  gas  permette  una  suddivisione  della  luce  doppia 
di  quella  del  sistema  ad  incandescenza,  e  ero,  come  dissimo  già. 


112  Conferenza  quinta. 


reca  seco  una  migliore  utilizzazione  della  luce,  e  quindi  una 
economia.  Finalmente,  non  v'  ha  dubbio,  che  l'illuminazione  col 
gas  si  fa  con  apparecchi  notevolmente  più  semplici  di  quelli 
voluti  dal  più  semplice  dei  sistemi  elettrici. 

Fra  tutti  i  sistemi  dei  quali  ci  siamo  occupati,  quello  che, 
secondo  le  risultanze  dello  specchio  precedente  fa,  in  quanto 
air  economia,  la  peggiore  figura,  è  quello  di  Jablochkoff;  e  che 
così  debba  essere  fu  provato  dall'esperienza.  La  Commissione 
municipale  di  Parigi,  che  eseguì  sull'impianto  della  piazza  e 
dell'  avenue  dell'  Opera,  le  esperienze  più  attendibili  che  si  pos- 
seggono, cohchiuse  asserendo  che  il  prezzo  della  luce  data  dalle 
candele  Jablochkoff  sta  a  quello  della  luce  data  dal  gas  come  73 
sta  a  23.  Una  gara  si  è  stabilita  a  Parigi  tra  la  Société  generale 
d'électricité,  concessionaria  delle  privative  Jablochkoff,  e  la  Com- 
pagnia del  gas,  una  lotta  per  l'esistenza.  Nella  strada  Quattro 
settembre  62  lanterne  di  nuovo  modello  furono  installate  dalla 
Compagnia  del  gas.  Queste  lanterne  hanno  ciascheduna  6  fiamme 
a  gas,  e  proiettano  una  luce  di  13  becchi  Carcel;  in  tutto  adunque 
esse* danno  806  becchi  Carcel.  La  spesa  oraria  dicono  che  sia 
di  lire  11,40;  il  che  equivarrebbe  per  1000  becchi  a  14  lire. 
Vedete  che  anche  facendo  una  tara  a  questi  numeri,  il  confronto 
col  sistema  Jablochkoff  riesce  tutto  a  danno  di  questo.  S'ag- 
giunga che,  in  grazia  della  maggior  suddivisione,  la  luce  della 
via  Quattro  settembre  è  meglio  distribuita  che  in  quelle  ove 
funzionano  le  candele  elettriche. 

Queste  sono  le  condizioni  economiche  del  sistema  Jabloch- 
koff, ed  erano  forse  prevedibili.  Ma  ho  il  dovere  di  ripeterlo: 
noi  avremmo  torto  se  per  questo  dimenticassimo  i  meriti  in- 
contestabili che  il  sistema  ha  per  la  novità  degli  apparecchi,  e 
l'importanza  che  esso  conserverà  sempre  come  tipo  di  una  classe 
nuova  di  congegni,  e  come  un  congegno  esso  stesso  che,  in 
casi  speciali,  potrà  prestare  moltissimi  servigi. 

Fra  poco  si  metterà  in  prova  a  Parigi  l'altro  sistema  :  quello 
di  Werdermann,  Noi  possiamo  prevedere  fin  d'ora  i  risultati 
che  si  otterranno.  Per  riguardo  all'economia  le  prove  daranno 
risultati  migliori  di  quelle  che  offrì  il  sistema  Jablochkoff',  ma 
ad  una  condizione:"  che  non  si  cerchi  di  suddividere  la  luce 
più  di  quello  che  si  fosse  fatto  coll'altro  sistema.  Una  moderata 
illuminazione  costerà  col  sistema  M^erdermann  sempre  più  che 
col  gas;  una  illuminazione  molto  sfarzosa  potrà  forse  costar 
meno.  Il  sistema  è  fra  tutti  il  più  razionale;  ma  per  poter  per- 


Sulla  illuminazìofie  elettrica,  113 

mettere  la  suddivisione  ha  il  torto  di  avere  lampade  ove  v'ha 
un  carbone  costoso,  che  si  consuma.  Io  vedo  nella  lampada 
IVerdermann  un  regolatore  di  estrema  semplicità,  che  funzionerà 
bene  e  che  si  adopererà  con  vantaggio  in  quegli  stabilimenti 
industriali  ove  l'illuminazione  elettrica  richiederebbe  l'uso  dì 
regolatori  di  potenza  inferiore  od  uguale  a  50  becchi  Carcel; 
vedo  un  regolatore  che  in  casi  speciali  potrà  sostituire  con 
vantaggio  gli  apparecchi  antichi  per .  illuminare  con  centri  ra- 
dianti di  30  a  40  Carcel  sale  di  filature,  di  opifizi  di  tessitura, 
cartiere,  magazzini,  e  forse  anche  sale  di  ritrovo,  locali  da  caffé, 
giardini,  o  in  generale  quegli  spazi  ove  la  luce  elettrica  è  con- 
sigliabile o  per  la  bianchezza,  o  per  dare  poco  calore  oscuro^ 
o  per  non  dare  fumo.  In  tali  casi  noi  vedremo  la  lampada  del 
IVerdermann  diffondersi  certamente.  Ma  sulle  strade  e  sulle 
pubbliche  piazze?  Parleranno  su  ciò  gli  esperimenti  di  Parigi; 
ma  in  ogni  caso  non  potrà  mai  essere  che  l' illuminazione  col 
sistema  IVerdermann  venga  a  rimpiazzare  quella  fatta  col  gas 
per  ragione  d'economia:  solo  potrà  sostituir  visi  per  lusso. 
Riassumo  e  concludo: 

i.°  La  luce  elettrica  offre  una  grande  economia  nei  fari, 
ove  il  migliore  sistema,  ed  anzi  1'  unico  finora,  è  quello  pri- 
mitivo col  regolatore.  L'economia  è  grandissima:  si  riduce  a 
circa  un  ottavo  la  spesa  oraria  dell'  illuminazione  e  si  riduce 
spesso  sensibilmente  anche  la  spesa  d'impianto. 

2."  La  luce  elettrica,  ottenuta  col  metodo  primitivo  dei 
regolatori,  può  convenire  in  quegli  opifizi  ove  si  hanno  vasti 
locali  così  disposti  da  poter  essere  illuminati  da  pochi  centri 
di  luce  di  potenza  non  minore  di  100  becchi  Carcel.  L'economia 
è  notevole  se  nell'opificio  si  ha  la  forza  motrice  sovrabbondante, 
così  che  non  sia  necessario  provvedere  un  motore  apposito  per 
far  agire  le  macchine  di  induzione;  essa  sarebbe  notevolissima  se, 
essendo  l'opifizìo  lontano  dalle  città,  la  illuminazione  a  gas  non  vi 
si  potesse  fare  se  non  con  la  costruzione  di  un  gazometro  spe- 
ciale, che  costerebbe  assai  più  che  l' impianto  elettrico  completo. 

3.*»  In  questo  caso  speciale  possono  convenire  ancora 
regolatori  di  piccola  potenza  :  di  50  becchi  normali  o  meno.  Ma 
allora,  quando  non  si  possano  adoperare  lampade  più  potenti. 
Sì  sostituirà  con  vantaggio  ai  regolatori  ordinari  quello  di  fVer- 
€Urmann  o  qualche  altro  somigliante. 

4.»  Per  la  illuminazione  delle  città  è  poco  probabile  che 
si  trovi  conveniente  adottare  la  luce  elettrica  suddivisa;  e  quindi 

G.  FcRRAms,  Op4r*,  Voi.  n.  8 


114  Conferenza  quinta. 


le  lampade  elettriche  ad  incandescenza  hanno  poca  o  nessuna 
probabiHtà  di  trovare  appHcazione.  Nelle  case  private  è,  per 
ora,  ancor  meno  probabile  che  la  luce  elettrica  venga  ad  intro- 
dursi, giacché,  per  questo  caso,  alla  considerazione  della  poca 
economia  devesi  aggiungere  l'altra,  essere  assai  raro  il  caso 
che  ad  una  famiglia  possa  convenire  di  sottomettersi  al  disturbo 
di  avere  in  casa  una  macchina  motrice  pel  solo  scopo  di  illu- 
minare i  propri  appartamenti. 

5.°  La  illuminazione  elettrica  delle  pubbliche  strade  non 
rimpiazzerà  quella  data  dal  gas,  se  non  quando  nelle  popola- 
zioni il  desiderio  di  una  illuminazione  notevolmente  più  ricca 
dell'attuale  si  sia  fatto  bisogno.  Allora  il  sistema,  che,  fra  gli 
attuali,  avrà  la  maggior  probabilità  di  essere  adoperato,  è  quello 
di  Werdermann  o  qualche  altro  somigliante. 

6.°  Fin  d'  ora  v'  hanno  casi  nei  quali  non  solo  può  con- 
venire la  illuminazione  elettrica,  ma  possono  essere  consigliabili 
anche  i  sistemi  meno  economici,  come  per  esempio  quello  di 
Jablochkoff  o  simili.  Sono  questi  i  casi  di  luoghi  di  riunioni 
numerose,  di  luoghi  di  divertimenti,  di  locali  da  caffé,  di  giardini, 
di  teatri,  di  scuole  serali  di  disegno,  di  esposizioni  artistiche.  In 
tutti  questi  casi  potrà  convenire  d'andare  ijicontro  ad  una  spesa 
maggiore  di  quella  che  sarebbe  necessaria  coi  sistemi  attuali 
per  raggiungere  altri  scopi,  come  sono  quelli  di  :  avere  una  illu- 
minazione brillante;  avere  una  luce  accompagnata  da  una  minore 
quantità  di  calore  oscuro;  avere  molta  luce  senza  inquinare 
l'aria  dei  locali  coi  prodotti  della  combustione  delle  fiamme; 
avere  una  luce  bianca,  che  permetta  di  distinguere  i  colori  come 
alla  luce  del  sole;  evitare  il  fumo  che  guasta  le  decorazioni. 

Voglio  accompagnare  queste  conclusioni,  che  possono  essere 
erronee,  ma  che  sono  dettate  da  profonda  convinzione  con  due 
osservazioni.  La  prima  osservazione  si  riferisce  allo  stato  pre- 
sente, nel  quale  non  sentendosi  il  bisogno  di  una  illuminazione 
delle  città  notevolmente  più  sfarzosa  di  quella  che  abbiamo  col 
gas,  non  può  convenire  la  luce  elettrica  applicata  all'illumina- 
zione pubblica.  L'altra  osservazione  riguarda  il  caso  opposto,  e 
si  riferisce  a  quel  tempo,  che  forse  verrà,  nel  quale  sentendosi 
il  bisogno  di  una  illuminazione  pubblica  notevolmente  più  ricca 
dell'attuale,  potrà  convenire  ricorrere  alla  luce  elettrica. 

La  prima  osservazione  è  questa:  Pare  a  me,  che  il  pro- 
blema della  suddivisione  indefinita  della  luce  elettrica,  che  si 
cerca  risolvere  per  sostituire   l'illuminazione  elettrica  a   quella 


Sulla  illuniinazione  elettrica,  115 

che  attualmente  è  fatta  col  gas,  non  abbia  ragione  di  essere 
proposto.  E  infatti,  perchè  mai  si  parla  di  illuminazione  elettrica? 
Perchè  la  si  desidera?  Perchè  si  lavora  tanto  per  ottenérla? 
Egli  è  perchè  essa  è  bella  e  piace,  perchè  il  suo  splendore  ha 
fatto  nascere  V  idea  che  la  fumosa  fiamma  del  gas  non  sia  la 
più  perfetta  sorgente  di  luce  che  si  possa  immaginare,  e  che 
essa  non  debba  essere  l'unica  dell'avvenire.  Ma  perchè  è  bella 
la  luce  elettrica?  Perchè  è  intensa  e  bianca;  ed  è  intensa  e 
bianca  perchè  è  irradiata  da  un  centro  ad  alta  temperatura,  da 
un  centro  potente,  perchè  non  è  suddivisa.  Ma  dividete  la  luce 
elettrica,  fatela  per  esempio  emanare  da  tante  piccole  spirali 
roventi,  ed  avrete  una  luce  mancante  di  tutte  le  proprietà  che 
ammiravate  nella  luce  elettrica,  e  che  forse  sarà  meno  bella  di 
quella  del  gas. 

La  seconda  osservazione  è  quest'altra:  Quello,  che  pare 
non  sia  per  verificarsi  adesso,  potrà  verificarsi  in  un  avvenire 
forse  non  lontano,  e  sulle  pubbliche  strade  i  nostri  figli  potranno 
vedere  applicata  regolarmente,  universalmente,  la  luce  elettrica 
non  suddivisa.  Quando  essi  vi  si  saranno  abituati,  non  tolle- 
reranno più  la  luce  del  gas,  come  noi  non  tollereremmo  più 
quella  degli  antichi  fanali  ad  olio.  I  nostri  figli  avranno  un  bi- 
sogno di  più,  che  noi  non  abbiamo  ancora,  come  noi  abbiamo 
molti  bisogni  ai  quali  i  padri  nostri  non  potevano  pensare.  — 
È  questa,  noi  lo  sappiamo,  la  legge  naturale  del  progresso.  — 
E  succederà,  come  sempre,  che  il  progresso  potrà  recar  danni 
ad  alcune  classi  di  persone,  e  turbamenti  di  molti  interessi;  ma 
dopo,  definitivamente,  si  vedrà  che  esso  avrà  migliorato  l'esi- 
stenza dell'uomo  e  l'uomo  stesso,  mentre  i  mali  ed  i  turbamenti 
saranno  stati  passeggeri.  Venendo  al  caso  concreto  io  dico: 
Quello  che  per  ora  non  può  essere  per  le  società  del  gas  altro 
che  un  falso  allarme  dovuto  ad  illusioni  di  alcuni  ed  a  colpevoli 
giuochi  di  altri,  diventerà  un  giorno  o  l'altro  possibile:  la  luce 
elettrica  subentrerà  sulle  pubbliche  strade  a  quella  del  gas.  Ma 
sarà  forse  questo  il  segno  di  una  completa  rovina  per  l'industria 
del  gas?  Forse  che  diventerà  inu^le  la  fabbricazione  di  questa 
sostanza?  Io  credo  che  no.  Innanzi  tutto  il  gas  costituirà  forse 
sempre  l'unico  mezzo  di  illuminazione  domestica;  ed  in  secondo 
luogo  si  moltiplicheranno,  appunto  perchè  si  avrà  bisogno  di 
lavoro  motore  per  la  luce  elettrica,  si  moltiplicheranno,  dico,  le 
piccole  motrici  a  gas:  e  se  il  gas  non  darà  la  luce  direttamente 
ardendo  nelle  lampade,  la  darà  indirettamente  ardendo  nel  cilindro 


ii6  Conferenza  quinta. 


delle  macchine  motrici.  E  poiché  mi  sono  lasciato  condurre  a 
queste  considerazioni^  finirò  con  una  osservazione  che  riguarda 
particolarmente  il  nostro  paese:  Per  noi  Italiani,  che  non  ab- 
biamo il  boghead  se  non  a  carissimo  prezzo  dagli  stranieri,  e 
che  allora  potremo  servirci  di  un  gas  che  potrà  aversi,  meno 
luminoso,  ma  egualmente  buono  come  semplice  combustibile, 
mediante  combustìbili  di  minor  valore,  questo,  che  dovremo 
alla  illuminazione  elettrica>  costituirà  un  grande  guadagno. 


SULLE  APPLICAZIONI  INDUSTRIALI 

DELLA   CORRENTE   ELETTRICA 

ALLA  MOSTRA  INTERNAZIONALE  DI  ELETTRICITÀ  TENUTA  IN  PARIGI  NEL  1881. 


RELAZIONE 

A  S.  E.  DOMENICO  BERTI 

MINISTRO   DI  AGRICOLTURA,   INDUSTRIA  E   COMMERCIO. 


Eccellenza  ! 

Quando,  delegato  dall' E.  V.  a  prendere  parte  al  Congresso 
internazionale  degli  elettricisti,  che  nello  scorso  autunno  si  ra- 
dunò a  Parigi,  accettai  Tincarico  di  studiare  in  quella  esposizione 
internazionale  di  elettricità  le  applicazioni  industriali  della  cor- 
rente elettrica,  io  sentii  di  avere  assunto  un  mandato,  quanto 
onorifico,  altrettanto  importante.  Si  poteva  infatti  prevedere  che, 
come  l'idea  di  una  esposizione  speciale  di  elettricità  era  sorta 
principalmente  in  grazia  delle  grandi  applicazioni  industriali, 
che  r  invenzione  delle  potenti  macchine  dinamo-elettriche  mo- 
derne aveva  permesso  di  attuare  o  di  sperare,  cosi  quelle  ap- 
plicazioni avrebbero  formato  di  essa  la  parte  principale. 

Oggi,  nel  presentare  una  relazione  dei  principali  risultati 
dei  miei  studi,  debbo  dichiarare  che  l'importanza  della  parte 
industriale  della  mostra  di  Parigi  superò  nel  fatto  le  mie  spe- 
ranze. Veramente  la  rapidità,  colla  quale  oggidì  si  diffondono  i 
trovati  della  scienza,  rende  impossibile  che  una  esposizione  di 
applicazioni  scientifiche  contenga  molte  cose  non  ancora  cono- 
sciute, ma  quando  le  installazioni  sono  fatte  su  di  una  scala 
grandiosa  come  erano  a  Parigi,  esse  diventano  per  ciò  stesso 


ii8  Relazione  a  S.  E.  D.  Berti, 

istruttive,  e  possono  modificare  profondamente,  od  assodare 
potentemente  le  idee  degli  studiosi.  E  in  questo  sta  la  grande 
importanza  industriale  della  recente  mostra  internazionale  di 
elettricità.  Da  quella  mostra  io  riportai  la  convinzione,  che  alcune 
delle  applicazioni  più  grandiose  della  corrente  elettrica,  come 
sono  quelle  che  se  ne  possono  fare  alla  illuminazione,  al  tra- 
sporto ed  alla  distribuzione  della  energia  meccanica,  e  ad  alcuni 
lavori  della  metallurgia,  possono  diventare,  in  un  prossimo 
avvenire,  effettivamente  pratiche  ed  economiche.  E  siccome  la 
riuscita  di  queste  applicazioni  permetterebbe  a  noi  di  sostituire 
in  molti  casi  la  énergiai  dei  nostri  torrenti  e  delle  nostre  ca- 
scate a  quella,  che,  accumulata  nel  carbon  fossile,  ci  viene  oggidì 
venduta,  a  carissimo  prezzo,  dagli  stranieri,  così  a  quella  con- 
vinzione va  associata,  in  me,  la  speranza  di  un  guadagno  gran- 
dissimo per  rindustria  del  nostro  paese. 

Se  il  merito  dell'  opera  mia  corrisponde  alla  importanza 
della  mia  missione,  io  non  so;  spero  bensì  che  alla  gravità  del- 
Targonfento  corrispondano'  almeno  l'indole  e  la  forma  della  mia 
relazione.  Io  ho  creduto  che,  per  trattare  questioni  tecniche  dì 
tanta  importanza  industriale,  fosse  anzitutto  necessario  un  esame 
spassionato  e  fatto,  per  quanto  era  possibile,  coi  numeri.  In 
tutte  le  parti  del  mio  studio  ove  fu  possibile  avere,  o  dalla 
esperienza  o  dalla  teoria,  dati  sufficienti  per  fare  fra  le  diverse 
invenzioni  confronti  quantitativi,  numerici,  io  ho  fatto  di  questi 
l'argomento  principale  della  trattazione.  Siccome  è  questo  l'unico 
mpdo'  di. evitare  il  pericolo  di  essere  fuorviato  da  idee  precon- 
cètte, o.  dà.  speranze  troppo  accarezzate,  così  io  ho  pensato  che 
questp.fosse.il  modo  migliore  per  giustificare  la  convinzione  e 
le  grandi  speranze,  a  cui  ho  fatto  allusione.  E  se  il  mio  scritto 
potrà  avere  la  ventura  di  infondere  in  chi  lo  leggerà  anche 
solo  una  parte  di  quelle  speranze,  e  di  stimolare  con  ciò  a  ricer- 
che da  cui  il  nostro  paese  deve  attendere  un  grandissimo  bene, 
io  avrò  la  soddisfazione  di  aver  fatto  opera  non  del  tutto  inutile. 

In  ogni  caso  però,  comunque  abbia  ad  essere  giudicato  il 
mio  lavoro,  rimarrà  a  me  l' inestimabile  frutto  degli  studi,  che 
la  mia  missione  mi  ha  dato  occasione  di  fare;  e  siccome  questo 
bene  debbo  tutto  alla  E.  V.,  così  ad  Essa  io  serberò  adeguata 
riconoscenza.  Intanto  se  col  presentare  questa  relazione  pongo 
termine  al  mio  mandato,  io  non  credo  in  nessun  modo  di  essermi 
colla  medesima  sdebitato. 

Torino,  il  22  gennaio  1SS2, 

Prof.  Galileo  Ferraris. 


Sulle  applkaz,  industriali  della  con\  eiett,  119 


Scopo  e  divisione  del  lavoro. 

I.  Di  tutti  gli  ammaestramenti  di  cui  è  stata  feconda  la 
esposizione  internazionale  di  elettricità,  il  più  importante  è 
questo:  che  la  corrente  elettrica,  della  quale  per  l'addietro  non 
erano  utilizzate,  fuori  dei  laboratori  scientifici,  se  non  alcune 
delle  proprietà  chimiche  ed  elettromagnetiche  e  l'attitudine  a 
trasmettersi  rapidissimamente  a  grandi  distanze,  si  presenta 
oggidì  come  un  mezzo  pratico,  e  veramente  industriale,  per  la 
trasformazione  e  pel  trasporto  di  poderosi  lavori.  Essendo  stato 
incaricato  di  studiare  l'esposizione  elettrica  di  Parigi  dal  punto 
di  vista  delle  applicazioni  industriali,  io  debbo  rivolgere  a  questo 
fatto  tutta  la  mia  attenzione,  e  fare  del  medesimo  l'oggetto 
della  mia  relazione.  In  questa  relazione  adunque  io  prendo  in 
esame  quelle  sole  applicazioni  dell'elettricità,  nelle  quali  questa 
iz  il  prodotto  del-  lavoro  di  macchine  motrici  potenti,  e  resti- 
tuisce quel  lavoro,  trasportato  a  distanza  o  trasformato  in  altre 
energie  equivalenti,  e  mi  propongo  di  ricercare,  colla  scorta  dei 
fatti  osservati,  quale  sia  lo  stato  presente  di  queste  applicazioni, 
quale  il  loro  avvenire  probabile,  quale  l'importanza  per  l'indu- 
stria del  nostro  paese. 

Per  raggiungere  il  suo  scopo,  questa  relazione  non  deve 
dilungarsi  in  molte  e  minute  descrizioni  di  apparecchi  speciali. 
All'opposto,  siccome  di  tali  descrizioni  sono  pieni  i  giornali 
tecnici,  e  siccome  le  medesime,  sia  per  l'eccessivo  numero,  sia 
per  la  soverchia  importanza  che  in  esse  si  suole  dare  ai  parti: 
colari,  sono  più  che  mai  atte  a  generare  confusione,  così  questo 
lavoro  dovrà  ridurre  le  descrizioni  a  quelle  dei  tipi  più  impor- 
tanti, e  volgere  l'attenzione  più  ai  principi  che  stanno  a  base 
delle  invenzioni,  che  ai  particolari  della  costruzione  degli  appa- 
recchi. Per  tal  modo  essa  potrà  mettere  in  evidenza  per  ciascuna 
classe  di  applicazioni  quelle  condizioni  di  attuabilità  e  di  con- 
venienza, che  dipendono  dalla  natura  stessa  delle  applicazioni 
e  dallo  stato  attuale  della  scienza,  ponendo,  come  meritano,  in 
seconda  linea  quelle  altre  condizioni  che  dipendono  principal- 
mente dall'  abilità  dell'  inventore  nel  foggiare  e  combinare  ap- 
propriati organi  meccanici. 

In  una  applicazione  della  corrente  elettrica  si  hanno  a  con- 
siderare : 


/ 


I20  Parte  prima. 


i.o  I  mezzi  per  la  produzione  della  corrente,  per  la  tra- 
smissione e  per  la  distribuzione  di  essa,  e  per  la  accumulazione 
dell'energia  che  essa  rappresenta. 

2.0  I  mezzi  per  trasformare  la  corrente  in  altre  energie 
e  per  ricavarne  gli  effetti,  che  formano  Y  oggetto  della  applica- 
zione medesima. 

Quindi  questo  scritto  si  deve  naturalmente  dividere  in  due 
parti,  la  prima  delle  quali  tratti  della  produzione,  delia  distribu- 
zione e  della  accumulazione  della  energia  elettrica,  e  la  seconda 
delle  varie  applicazioni  di  questa. 


PARTE  PRIMA. 


PRODUZIONE,  ACCUMULAZIONE  E  DISTRIBUZIONE 
DELL'ENERGIA  ELETTRICA. 

§  i.o  Macchine  magnetg-elettriche  e  dinamo-elettriche. 

Considerazioni  generali,  classificazione.  —  Macchine  a  correnti  alternate.  — 
Macchine  a  correnti  continue,  classificazione.  —  Primo  tipo:  PacinoUi,  Grantnie, 
Burgin,  Goi/areili.  —  Secondo  tipo:  Ht/ner-AlUntck  (Siemens),  Weston^  Edison, 
—  Terzo  tipo.  —  Quarto  tipo:  Brush,  —  Ricapitolazione. 

2.  Le  macchine  d'induzione,  magnetoelettriche  e  dinamo- 
elettriche sono  oggidì  i  soli  apparecchi  generatori  di  correnti 
elettriche,  ai  quali  si  possa  ricorrere  per  ottenere  correnti  po- 
derose, che  rappresentinq,  trasmettano  e  trasformino  le  grandi 
quantità  di  energia  richieste  dalle  operazioni  industriali.  L'  at- 
tuabilità delle  applicazioni  grandiose  che  oggidì  l'industria  trova, 
o  spera,  nella  elettricità,  dipende  tutta  dall'invenzione  e  dai 
perfezionamenti  di  queste  macchine;  e  senza  di  queste  non 
avrebbe  pur  anco  potuto  nascere  V  idea  di  una  esposizione  di 
elettricità  come  quella  a  cui  abbiamo  assistito.  Era  quindi  na- 
turale che  le  macchine  d'induzione  occupassero  la  più  notevole 
parte  dell'esposizione  e  formassero  di  questa  la  base.  Più  di 
cinquanta  espositori  installarono  nel  palazzo  dell'Industria  mac- 
chine magnetoelettriche  o  dinamoelettriche,  ed  alcuni  di  questi 
presentarono  apparecchi  di  tipi  diversi.  Benché  delle  macchine 


Produz.,  accumulaz,  e  distribuz.  dell'energia  elettrica.     121 


esposte  una  parte  soltanto  fosse  collegata  a  motori  e  funzio- 
nasse, essa  consumava  ciò  non  ostante  circa  1800  cavalli  di 
potenza  motrice. 

Tuttavia  io  non  debbo  dedicare  alla  esposizione  delle  mac- 
chine generatrici,  se  non  un  breve  cenno. 

Infatti  tutte  queste  macchine,  fatta  eccezione  di  alcuni  mo- 
delli, di  cui  non  si  potrebbe  ancora  apprezzare  l'importanza,  si 
riducono  a  tipi  già  noti.  Né  si  potrebbero  descrivere  qui  tutte 
le  differenze  di  costruzione,  per  cui  esse  assunsero  tanti  nomi 
diversi  e  diventarono  oggetto  di  tanti  attestati  di  privativa, 
senza  perdere  di  mira  lo  scopo  principale  delle  nostre  ricerche. 
Quello  che  io  debbo  fare  è  scegliere  fra  le  migliori  quelle  che 
rappresentano  tipi  essenzialmente  diversi  e  porre  in  evidenza, 
per  mezzo  del  loro  esame,  la  tendenza  attuale  dei  principali  co- 
struttori nella  ricerca  dei  mezzi  per  soddisfare  alle  esigenze 
delle  varie  applicazioni. 

3.  Abbiamo  le  macchine  a  correnti  alternate  e  quelle  a  cor- 
renti continue. 

Le  prime  si  riducono  ai  tre  tipi  di  De-Méritcns,  di  Gramnie 
e  di  .Siemens,  che  sono  nella  pratica  adoperate  su  vastissima 
scala.  L'esposizione  non  ha  mostrato  a  questo  riguardo  nulla 
di  veramente  nuovo,  e  non  ha  fatto  altro  che  riconfermare  i 
loro  pregi  pressoché  uguali  ed  incontestati. 

Soltanto  si  può  notare  che  le  esperienze  del  giurt,  favorevoli 
per  tutti  tre  i  sistemi,  riconfermarono  per  quello  di  De-Méritens 
il  fatto  che  T  impiego  delle  calamite  permanenti  quali  induttrici 
giova  sensibilmente  alla  regolarità  del  lavoro  ed  alla  bontà  del 
risultato.  Questo  fatto  potrà  consigliare,  nei  casi  ove  non  co- 
stituiscano un  grave  inconveniente  le  grandi  loro  dimensioni,  a 
prescegliere  per  la  produzione  di  correnti  alternative  le  mac- 
chine magnetoelettriche  del  De-Méritens,  le  quali  d'altronde  sono 
di  una  costruzione  veramente  perfetta.  Negli  altri  casi  le  mac- 
chine a  correnti  alternative  del  Siemens,  con  spirali  indotte 
senza  nuclei  di  ferro,  saranno  ordinariamente  preferte,  siccome 
quelle  che,  ad  uguaglianza  di  peso,  hanno  la  maggiore  po- 
tenza. 

4.  Le  macchine  a  corrente  continua,  le  più  numerose,  si 
riducono  a  quattro  tipi  :  quello  delle  macchine  a  spirale  indotta 
anulare,  quello  delle  macchine  a  spirale  indotta  a  gomitolo, 
quello  a  spirali  indotte  cilindriche  riunite  in  tensione  come  gli 
elementi  di  una  spirale  anulare,  e  finalmente  quello  di  Brusii, 


j 


122  Parte  prima. 


5.  I  tre  primi  tipi  costituiscono  altrettante  modificazioni 
delle  macchine  primitive  del  Pacinotti,  e  sono  adoperati  da 
molto  tempo. 

Il  primo  è  rappresentato  dalle  macchine  conosciute  col  nome 
di  Gramme  e  dalle  congeneri.  Figuravano  nella  esposizione 
moltissime  forme  di  queste  macchine.  La  società  Gramme  espo- 
neva tutti  i  modelli  da  essa  costrutti,  e  presentava  così  una 
storia  completa  dell'apparecchio.  Il  modello  originale  di  Gramme 
era  poi  riprodotto  da  parecchi  costruttori,  fra  cui  meritano  spe- 
ciale menzione  Sauiter,  Lemonnier  e  Compagnia  di  Parigi,  ed 
Heilmann,  Ducommun  e  Steinlen  di  MUlhausen  (Alsazia).  Le 
macchine  costrutte  da  questi  ultimi,  benché  identiche  nella  di- 
sposizione a  quelle  ordinarie  del  Gramme,  sono  notevolissime 
per  la  perfezione  meravigliosa  della  costruzione;  su  di  esse 
avrò  occasione  di  ritornare  trattando  della  trasmissione  della 
forza. 

Molteplici  poi  si  presentarono  le  modificazioni  a  questo  tipo 
primitivo.  Alcune  di  queste  hanno  lo  scopo  di  diminuire  il  ri- 
scaldamento della  macchina,  favorendo  la  ventilazione  della 
spirale  indotta  e  delle  estremità  polari  dell'induttore.  Cito  come 
esempio  interessante  la  macchina  del  Burgin  esposta  nella  se- 
zione svizzera.  In  essa,  in  luogo  di  un  semplice  anello  coperto 
da  numerose  spirali  elementari  occupanti  ciascuna  un  breve 
arco,  si  trova  un  certo  numero  (otto)  di  ruote  portate  da  un 
albero  comune,  sulla  corona  di  ciascuna  delle  quali,  formante 
nucleo,  sono  avvolte  soltanto  sei  spirali.  Le  ruote  sono  calettate 
con  un  ritardo  dell'una  sull'altra,  uguale  ad  un  ventiquattresimo 
di  giro,  e  le  spirale  che  esse  portano  si  collegano  ad  un  racco- 
glitore di  Pacinotti  analogo  a  quello  delle  macchine  di  Gramme, 
in  modo  che  una  qualunque  di  esse  sì  trovi  unita  in  tensione 
con  quelle  vicine  situate  sulle  ruote  successive,  epperò  in  ri- 
tardo su  di  esse  di  un  ventiquattresimo  di  giro.  In  questo  modo 
si  hanno  gli  effetti  stessi  che  si  avrebbero  da  un  semplice  anello 
di  Pacinotti,  ma  le  spirali,  fatte  di  pochi  strati  dì  filo,  e  circon- 
date da  ogni  parte  dall'aria,  sì  trovano  costantemente  rinfrescate. 

Altre,  modificazioni  alla  macchina  del  Gramme  hanno  lo 
scopo  di  aumentarne,  a  parità  di  dimensioni,  la  potenza.  E  fra 
queste  debbo  nominare  quella  che  si  osservava  in  una  piccola 
macchina  dinamoelettrica  esposta  nella  sezione  italiana  dal  Gol- 
farelli,  direttore  dell'  officina  Galileo  dì  Firenze.  Le  estremità 
polari  della  elettromagnete  induttrice  sono,  in  queste  macchine, 


Produz,,  accumulaz.  e  distribuz.  dell'energia  eleltrica,     123 

foggiate  in  modo  da  abbracciare  Fanello  rotante  non  solo  al- 
l'esterno, ma  anche  nell'interno,  producendovi  per  tal  modo  un 
campo  magnetico  più  intenso.  La  medesima  disposizione  si  trova 
anche  nelle  macchine  costrutte  dal  W,  Fein  e  brevettate  nel  1880, 
ma  nella  macchina  Golfarelli,  che  è  anteriore,  la  costruzione  è 
molto  bene  studiata  e  perfettamente  eseguita. 

6.  Il  secondo  tipo  di  macchine  a  corrente  continua,  quello 
che  ho  denominato:  a  spirale  indotta  a  gomitolo,  è  rappresentato 
dalla  macchina  di  Hefner  AUeneck  costrutta  dalla  casa  Siemens 
ed  Halske  di  Berlino,  e  dalle  case  dei  fratelli  Siemens  a  Londra 
e  a  Parigi.  La  macchina,  come  si  sa,  differisce  da  quelle  a 
spirale  anulare  in  questo:  che  nella  sua  spirale  indotta  il  filo 
è  avvolto  solamente  all'esterno,  e  non  nell'interno  dell' anello; 
una  spirale  anulare  si  trasformerebbe  nella  spirale  di  Hefner 
AUeneck  quando  si  sopprimessero  in  essa  tutte  le  porzioni  di 
filo  situate  nell'interno  dell'anello  e  si  congiungessero  tra  loro 
le  porzioni  esterne  diametralmente  opposte,  così  che  la  corrente 
circolasse  in  queste  nel  verso  stesso  in. cui  circola  quando  la 
spirale  anulare  è  completa.  L'avvolgimento  del  filo  si  ottiene 
come  in  un  ordinario  gomitolo:  sopra  di  un  nucleo  cilindrico 
vuoto  si  formano  alcune  spire  parallele  ad  un  certo  piano  dia- 
metrale, poi  si  fa  rotare  di  un  determinato  angolo  il  nucleo  e 
si  formano  altrettante  spire  parallele  ad  un  altro  piano  diametrale, 
p>oi  si  gira  ancora  e  così  di  seguito. 

Le  macchine  così  costrutte  sono  notissime  ed  oramai  più 
diffuse  di  quelle  di  Gramme;  sono  eziandio  note  le  numerose 
esperienze  che  ne  misero  fuori  di  dubbio  la  perfezione.  Alla 
esposizione  se  ne  osservavano  modelli  di  tutte  le  dimensioni  e 
di  tutte  le  potenze,  per  luce  elettrica  o  per  trasporto  di  energia, 
e  per  galvanoplastica,  esposti  in  grande  numero  nella  sezione 
tedesca  dalla  casa  Siemens  ed  Halske,  esposti  nella  sezione 
inglese  dalla  casa  Siemens  brothers  di  Londra,  ed  esposti  nella 
sezione  francese  dalla  casa  Siemens  frères  di  Parigi.  Notevoli 
sopra  tutti  erano  i  tipi  per  galvanoplastica  che  figuravano  nella 
mostra  della  casa  di  Berlino;  in  questi,  nelle  spirali  magne- 
tizzanti dell'induttore,  era  sostituita  al  filo  una  sbarra  di  rame, 
nuda,  a  sezione  rettangolare,  grossissima.  La  sbarra  era  ripiegata 
a  spire  rettangolari  compatte,  isolate  con  un  sottile  strato  coi- 
bente, e  formava  attorno  al  nucleo  appiattito,  di  ferro,  un  blocco 
parallelepipedo  compatto.  Il  raccoglitore  era  lungo  ben  diciotto 
centimetri,  e  le   lastrine   del    medesimo   erano   congiunte  colle 


12|  Parte  prima, 

spire  del  gomitolo  indotto  per  mezzo  di  grossi  pezzi  di  ferro 
foggiati  a  squadra. 

Fra  le  macchine  analoghe  alla  Siemens  esposte  da  altri 
costruttori  sono   notevoli  quella  di  Weston  e  quella  di  Edison, 

La  macchina  di  Weston,  esposta  in  parecchi  esemplari  nella 
sezione  americana  dalla  Weston  Electric  Light  C,  presenta 
nella  struttura  della  spirale  indotta  alcune  disposizioni  destinate 
a  facilitarne  la  ventilazione,  e  quindi  ad  impedire  in  essa  il  ri- 
scaldamento, che  costituisce  il  principale,  od  unico,  inconveniente 
della  macchina  Siemens,  Il  cilindro,  sul  quale  s'avvolge  il  filo, 
invece  di  essere  di  un  solo  pezzo,  è  costituito  da  una  serie  di 
36  ruote  di  lastra  di  ferro  portate  da  un  asse  comune  e  poste 
in  piani  paralleli  equidistanti.  Queste  ruote  hanno  ciascheduna 
quattro  razze,  ed  alla  periferia  portano  ciascheduna  sedici  denti 
quadri.  I  vani  tra  i  denti,  posti  in  fila  su  di  una  parallela  al- 
l'asse formano  una  scanalatura,  V  insieme  presenta  la  forma  di 
un  cilindro  con  sedici  scanalature  longitudinali.  Egli  è  in  queste 
scanalature  che  si  avvolge  il  filo;  il  modo  di  avvolgimento  è 
quello  stesso  che  si  ha  nella  macchina  Siemens,  con  questa  sola 
differenza  che  le  spire  sono  adagiate  nei  vani  fra  i  denti  delle 
ruote.  È  chiaro  che  in  questo  modo  la  ventilazione  è  perfetta- 
mente assicurata,  poiché  l'armatura,  non  solo  è  cava,  ma  presenta 
inoltre,  distribuite  su  tutta  la  superficie,  16  x  36,  ossia  576 
aperture,  che  unite  ad  altre  finestre  lasciate  sulle  due  basi  emi- 
sferiche della  spirale,  permettono  all'aria  di  circolare  liberamente 
e  di  rinfrescare  tutte  le  parti  del  sistema.  Il  collettore  è  analogo 
a  quello  delle  macchine  del  tipo  Gramme,  ma  con  questa  diffe- 
renza, che  le  lastrine  sono  semplicemente  separate  dall'aria  ed 
invece  di  essere  diritte  sono  leggermente  piegate  ad  elica. 
Quest'ultima  disposizione  ha  per  oggetto  di  assicurare  il  contatto 
di  ciascuno  degli  sfregatoi  con  almeno  due  lastrine  simultanea- 
mente, e  di  dare  per  tal  modo  una  maggiore  regolarità  alla 
corrente. 

La  macchina  dinamo-elettrica  di  Edison  è  più  importante; 
benché,  nel  principio,  non  presenti  nulla  di  veramente  nuovo, 
e  benché  forse  non  tutte  le  sue  parti  abbiano  le  disposizioni 
più  razionali,  essa  é  senza  dubbio  una  delle  più  notevoli  mac- 
chine dell'  esposizione.  La  macchina  di  Edison  é  infatti  la  più 
potente  che  si  sia  costrutta  finora;  mentre  le  più  grandi  mac- 
chine di  Siemens  consumano  al  più  15  cavalli-vapore,  quella  è 
stata  preventivata  per  la  potenza  di  120  cavalli;   e  se  le  appH- 


Produz,,  accnmulaz,  e  distribuz.  dell'energia  elettrica,      125 

cazioni  della  corrente  elettrica  al  trasporto  della  forza  motrice 
ed  alla  ìlluniinazione  dovranno  assumere  un  giorno  quello  svi- 
luppo grandioso  che  l'odierna  esposizione  ci  lascia  intravedere, 
si  può  dire  che  la  macchina  di  Edison,  se  non  è  perfetta,  è,  per 
le  dimensioni,  il  primo  passo  verso  le  macchine  veramente  in- 
dustriali, verso  le  macchine  dell'avvenire. 

La  macchina  di  Edison  arrivò  alla  esposizione  molto  tardi, 
ed  i  lavori  per  la  sua  installazione  cominciarono  quando  le 
operazioni  del  Giurì  internazionale  stavano  per  terminare;  posso 
tuttavia  dare  su  di  essa  alcune  nozioni. 

La  macchina  dinamo-elettrica  e  la  motrice  a  vapore  sono 
riunite  sopra  di  una  medesima  intelaiatura,  e  la  biella  motrice 
trasmette  direttamente  il  moto  rotatorio  all'albero  della  spirale 
indotta.  La  spirale  indotta  fa  adunque  un  solo  giro  per  ogni 
corsa  completa  dello  stantuffo  motore:  325  per  minuto.  Però 
gli  alberi  della  manovella  motrice  e  della  spirale  indotta,  benché 
posti  sul  prolungamento  Tuno  dell'altro,  sono  distinti  e  stanno 
riuniti  soltanto  per  mezzo  di  un  innesto,  col  quale  si  possono 
separare  le  due  macchine  in  caso  di  accidente.  Fra  i  due  alberi 
è  interposto  un  regolatore  di  velocità,  a  molle  ed  a  forza  cen- 
trifuga, il  quale  agisce  sull'eccentrico  della  distribuzione.  Il  re- 
golatore della  velocità  è  chiuso  nell'  interno  da  una  grande 
puleggia  di  legno,  la  superficie  cilindrica  della  quale  è  stata 
utilizzata  per  mettere  in  movimento,  mediante  un  cingolo,  un 
ventilatore,  che  manda  correnti  d'aria  sull'armatura  indotta  per 
impedirne  il  riscaldamento.  L'elettro-calamita  induttrice,  a  ferra 
di  cavallo  colle  braccia  orizzontali,  ha  otto  nuclei  di  ferro  co- 
perti da  spirali.  Cinque  di  questi  nuclei  sono  in  alto,  e  tre  in 
basso;  una  tale  disposizione  anormale  non  può  essere  dovuta 
che  ad  una  riforma  fatta  a  costruzione  già  incominciata,  per 
essersi  riconosciuto  insufficiente  un  sistema  di  sei  nuclei.  Le 
masse  di  ferro  che  costituiscono  le  estremità  polari  dell'induttore, 
e  che  avviluppano  la  spirale  indotta,  sono  grandissime,  para- 
gonate coi  nuclei,  e  tanto  più  se  si  confrontano  con  quelle 
esistenti  nelle  macchine  dinamo-elettriche,  a  cui  si  è  abituati. 
È  possibile  però  che  questa  disposizione  non  sia  cattiva,  se  si 
ammette  la  regola  del  Dub,  secondo  In  quale  Ja  condizione  di 
massimo  di  una  elettrocalamita  chiusa  corrisponde  all'ugua- 
glianza di  massa  delle  quattro  parti,  che  la  costituiscono. 

La  spirale  indotta  ha  un  nucleo  cilindrico,  vuoto,  di  ferro,, 
ed  è  formata  da  un  sistema  di  sbarre  cilindriche  di  rame,  pa- 


126  Parte  prima. 


rallele,  le  quali  tengono  il  posto  del  filo  delle  macchine  ordi- 
narie. Queste  sbarre  comunicano  tra  loro  mediante  dischi  di 
rame  collocati  alle  due  estremità  del  sistema,  ai  quali  le  sbarre 
si  uniscono  l'una  dopo  l'altra,  avanzando  da  un  disco  al  successivo 
per  ogni  sbarra,  in  modo  da  formare  un  serie  continua.  Le 
sbarre  sono  in  numerò  di  138.  I  collettori  sono  simili  a  quelli 
delle  macchine  di  Gramme  e  di  Siemens;  essi  portano  138  se- 
zioni corrispondenti  ai  successivi  dischi  di  rame.  Vi  sono  due 
sfregatoi  composti  ciascuno  di  parecchie  spazzole. 

La  forza  elettro-motrice  di  questa  macchina  dicesi  che  sia 
di  103  volt.  La  resistenza  della  spirale  indotta  è  appena  di 
0,008  ohm,  e  quella  delle  spirali  magnetizzanti  dell'induttore  è 
invece  di  30  ohm.  Queste  spirali  magnetizzanti  sono  poste  in 
derivazione.  Se  la  macchina  dovesse  governarsi  da  sé,  tale  di- 
sposizione sarebbe  difettosa;  infatti  siccome  le  lampade,  ad  ali- 
mentare le  quali  la  macchina  è  destinata,  sono  poste  in  altrettanti 
circuiti  derivati,  così  V  introduzione  di  qualche  lampada  ha  per 
effetto  di  far  diminuire  1*  intensità  della  corrente  derivata  ma- 
gnetizzante, e  la  soppressione  di  qualche  lampada  ha  per  effetto 
di  far  crescere  la  corrente  magnetizzante.  11  campo  magnetico 
in  cui  ruota  la  spirale  indotta  varia  così  in  senso  tale  da  au- 
mentare le  variazioni  di  intensità  delle  correnti  nelle  lampade. 
Ma  bisogna  considerare  che  nel  sistema  AéiV  Edison  sì  ebbe  in 
vista  di  affidare  il  governo  dell'  apparecchio  ad  un  impiegato 
speciale,  il  quale  agisce  mediante  un  apposito  reostato,  sulla 
resistenza  del  circuito  della  corrente  magnetizzante,  guidato 
dall'osservazione  di  un  reometro  o  di  una  lampada-tipo. 

Che  in  tutte  le  sue  parti  il  colossale  apparecchio  di  Edison 
sia  disposto  nel  modo  più  razionale  è  discutibile.  Quello  però 
che  è  certo  si  è  che  l' avvenire  delle  grandi  applicazioni  della 
corrente  elettrica  dipende  dalla  soluzione  che  riceverà  il  pro- 
blema della  costruzione  di  macchine  di  grande  potenza,  e  che 
la  macchina  ora  descritta  rappresenta  un  passo  fatto  verso 
questa  soluzione.  Sopra  ogni  cosa  la  struttura  ideata  àdiW Edison 
per  la  spirale  indotta  è  ingegnosa  ed  eminentemente  pratica. 

7.  Come  terzo  tipo  di  macchine  a  correnti  continue,  ho 
nominato  quello  delle  macchine  a  spirali  indotte  cilindriche, 
riunite  in  tensione  come  gli  elementi  di  una  spirale  anulare.  Di 
tali  macchine  somiglianti  per  la  disposizione  a  quella  nota  di 
Val/ace-Farmer,  figuravano  all'esposizione  alcuni  esemplari,  che 
come  non  avevano  nulla  di  veramente  nuovo,  così  non  presen- 


Produz,,  accumulaz.  e  dislribuz,  dell'energia  elettrica,     127 


lavano  disposizioni  degne  di  nota.  Me;no  ancora  credo  degne 
di  essere  menzionate  le  macchine  costrutte  analogamente  alla 
Loniin,  le  quali  si  possono  classificare  nel  medesimo  tipo. 

8.  Meritano  invece  una  speciale  menzione  le  macchine  di 
Brush.  Queste  macchine,  delle  quali  la  Anglo-American  Brusii 
Electric  Light  Corporation  Limited  ha  fatto  nella  sezione  inglese 
una  mostra  grandiosa,  e  che  servivano  alla  illuminazione  di  una 
estesissima  porzione  del  palazzo  dell'  industria,  vanno  oggidi 
diffondendosi  rapidamente,  ed  hanno  acquistato  una  importanza 
incontestabile.  Esse  poi  presentano  rispetto  alle  macchine  di 
Gromme  e  di  Siemens  differenze  abbastanza  essenziali  per  co- 
stituire un  tipo  distinto. 

I  tratti  caratteristici  di  una  macchina  Brush  si  trovano 
nella  disposizione  dell'armatura  indotta,  nel  collegamento  dei 
fili,  nel  commutatore,  nelle  resistenze  e  nella  forza  elettro- 
motrice. 

L'armatura  ha  la  forma  anulare,  ma  invece  di  avere  un 
nucleo  intieramente  coperto  dalle  spirali,  essa  presenta  solamente 
otto  spirali,  due  a  due  diametralmente  opposte,  separate  da  ampi 
settori  occupati  da  rigonfiamenti  nudi  del  nucleo.  Il  nucleo  poi 
presenta  sulle  faccie  laterali  settori  rigonfiati,  e  sulla  superficie 
convessa  esterna,  profonde  scanalature  destinate  a  tagliare  le 
correnti  di  Foucault. 

Le  spirali  non  sono  collegate  tutte  insieme  in  serie,  come 
le  spirali  elementari  di  una  ordinaria  armatura  anulare  di  Pa- 
cìnotti,  ma  sono  collegate  soltanto  due  a  due,  ciascuna  con 
quella  che  le  è  diametralmente  opposta.  Le  due  spirali  diame- 
tralmente opposte  sono  riunite  colle  estremità  interne,  e  per 
mezzo  delle  estremità  esterne  sono  collegate  col  commutatore. 

II  commutatore  finalmente  si  compone  di  quattro  coppie  di 
semi-anelli  isolati  (tante  quante  sono  le  coppie  di  spirali  indotte), 
delle  quali  coppie  di  semi-anelli  ciascuna  costituisce  un  commu- 
tatore analogo  a  quello  delle  antiche  macchine  di  Clarke  e  dì 
Saxton.  Una  coppia  di  spirali  unite  colla  corrispondente  coppia 
di  semi-anelli  rappresenta,  in  realtà,  una  di  queste  antiche 
macchine.  Ma  le  coppie  di  spazzole  raccoglitrici  non  sono  che 
due,  %  sono  cosi  larghe  che  ciascuna  spazzola  tocchi  costante- 
mente due  semi-anelli;  in  questo  modo  si  ottiene  nel  circuito 
esterno  una  corrente  non  mai  interrotta  e  sensibilmente  co- 
stante. La  medesima  corrente  circola  nelle  spirali  magnetizzanti 
delle  elettro-magneti  induttrici. 


123  Parie  prima. 


Una  particolarità  vuole  essere  notata  nel  commutatore,  I 
semi-anelli  del  commutatore  non  sono  completi,  non  hanno  una 
ampiezza  angolare  di  i8o°,  talché  ciascuna  coppia  di  essi  lascia 
libero  un  ottavo  della  circonferenza,  il  quale  è  occupato  da  un 
pezzo  metallico,  isolato  da  tutto  il  resto  dell'apparecchio,  e  de- 
stinato unicamente  a  sostenere  la  spazzola  per  quella  porzione 
di  giro.  11  pezzo  isolato  or  nominato  viene  a  passare  sotto  ad 
una  spazzola  nei  momenti  in  cui  la  coppia  di  spirali  corrispon- 
dente passa  nella  posizione  neutra,  ove  è  nulla  la  forza  elettro- 
motrice indotta.  Così  si  ottiene  che  ciascuna  coppia  di  spirali 
si  trova  tolta  dal  circuito,  isolata,  per  un  quarto  di  ogni  giro, 
e  precisamente  nei  momenti  in  cui,  essendo  in  essa  nulla  o 
minima  la  forza  elettro-motrice,  essa  non  farebbe  che  aumentare 
inutilmente  la  resistenza. 

Nelle  resistenze  passa  tra  la  macchina  di  Brush  e  quelle 
di  Siemens  o  di  Gramme  una  notevole  differenza.  La  resistenza 
delle  macchine  Brush  è  molto  grande;  per  le  macchine  Brusìi 
del  modello  usuale,  per  sedici  lampade,  la  resistenza  interna, 
tra  i  morsetti  è  in  media  di  10,55  ohm.  Questa  grande  resistenza 
è  dovuta  alla  notevole  lunghezza  dei  fili  (275  metri  per  ogni 
spirale)  e  quindi  va  accompagnata  ad  una  forza  elettro  motrice 
anche  notevole:  839  volt.  Questi  numeri  valgono  per  una  mac- 
china consumante  il  lavoro  di  circa  15  cavalli  e  mezzo. 

Nelle  macchine  per  40  lampade  elettriche,  le  quali  consu- 
mano circa  36  cavalli-vapore,  la  resistenza  interna  è  di  23  o//w, 
l'intensità  della  corrente  prodotta  normalmente  è  di  12  ampère^ 
e  la  forza  elettro-motrice  raggiunge  l'enorme  valore  di  2200  volt. 

Questi  dati  relativi  alla  resistenza  ed  alla  forza  elettro- 
motrice dovevano  essere  citati,  siccome  quelli  che  più  d'ogni 
altra  cosa  caratterizzano  la  macchina  di  Brush  ed  indicano  le 
applicazioni  speciali  a  cui  essa  è  destinata.  Sono  queste  le  ap- 
plicazioni ove  grandi  resistenze  esterne  debbono  essere  superate, 
come  quando  con  un  unico  circuito  si  vogliono  alimentare 
lampade  elettriche  molto  lontane,  o  quando  si  voglia  inviare  a 
notevoli  distanze  la  forza  motrice. 

9.  Se  riassumiamo  il  fin  qui  detto,  possiamo  conchiudere: 
Oltre  ai  tipi  di  macchine  di  induzione,  conosciuti  coi  nofhi  ^^ 
Siemens  e  di  Gramme^  tipi  che  per  moderate  potenze  e  piccole 
resistenze  dei  circuiti  prestano  da  tempo  utili  servigi  nelle  ap- 
plicazioni, e  sono  da  tutte  le  esperienze  dimostrati  perfetti, 
V  esposizione  di  elettricità  ci   ha  presentato  apparecchi  che  di* 


Produz,,  accumulaz,  e  distribuz,  dell* energia  elettrica,     129 

mostrano  la  possibilità  di  proporzionare  le  macchine  generatrici 
in  modo  da  poter  trasformare  col  loro  mezzo  grandissime 
quantità  di  energia  e  trasmetterle  a  distanza  vincendo  notevoli 
resistenze. 

E  noi  avt!vamo  bisogno  di  questo  dato,  prima  di  venire  al» 
1  oggetto  principale  del  nostro  lavoro:  quello  di  giudicare  dello 
stato  presente  e  dell'  avvenire  probabile  delle  applicazioni  in- 
dustriali. 


§  2.°  Accumulatori  dell'energia  elettrica. 

Pila  secondaria  di  Gasion  Piante.  —  La  società  La  forct  tt  la  lumiere  e  Tac- 
cumulatore  di  Faurt.  —  Costo  della  forza  motrice  distribuita  per  mezzo  degli 
accumulatori  Faure.  —  Confronto  tra  una  distribuzione  di  energia  fatta  cogli 
accumulatori  e  quella  fatta  con  una  canalizzazione  di  correnti  elettriche.  — 
Costo  della  luce  elettrica  ottenuta  con  accumulatori  Faure  caricati  in  uno  sta- 
bilimento centrale  e  trasportati  a  domicilio.  —  Conclusione  sull'impiego  degli 
accumulatori  nella  distribuzione  dell'energia.  —  Altre  applicazioni  proposte  dalla 
società  La  force  et  la  lumiere,  —  Applicazioni  nelle  quali  gli  accumulatori  po- 
tranno realmente  essere  utili.  —  Conclusioni  sulle  applicazioni  degli  accumulatori. 

IO.  È  noto  che  se,  dopo  di  avere  scomposto  con  una  cor- 
rente elettrica  un  elettrolito,  si  toglie  dal  circuito  l'apparecchio 
generatore  della  corrente,  e  si  congìungono  semplicemente  in- 
sieme i  reofori  che  vanno  agli  elettrodi,  si  manifesta  nel  circuito 
così  formato  una  corrente  elettrica  detta  secondaria  o  di  pola- 
rizzazione, opposta  alla  corrente  principale,  con  cui  si  era  fatta 
l'elettrolisi.  La  forza  elettro-motrice,  a  cui  è  dovuta  la  corrente 
secondaria,  risiede  nel  voltametro  che  funziona  allora  come  una 
vera  pila,  mentre  in  esso  si  vanno  ricombinando  i  corpi  se- 
parati nella  precedente  elettrolisi  ;  esso  dicesi  effettivamente 
pila  secondaria. 

La  ricomposizione  chimica  che  si  compie  nel  voltametro 
dopo  la  soppressione  della  corrente  principale  e  la  chiusura  del 
circuito  secondario,  restituisce,  sotto  forma  di  corrente  elettrica, 
il  lavoro  che  si  era  speso  nella  decomposizione;  il  lavoro,  che 
la  corrente  secondaria  può  fare,  è  la  restituzione  di  un  lavoro 
che  si  era  accumulato  nel  voltametro  per  mezzo  della  corrente 
principale.  Perciò  ad  una  pila  secondaria  può  darsi  il  nome  di 
acctimtilatare  voltaico  o  di  accumulatore  dell' energia  elettrica  ; 
ed  oggidì,  che  si  è  intraveduta  la  possibilità,  e  si  è  concepita 
la  speranza  di   servirsi  di  tali   apparecchi    per   immagazzinare 

G.  Ferraris,  Opere,  Voi.  II.  9 


130  Parie  prima. 


considerevoli  quantità  di. lavoro  a  servizio  delle  industrie,  la 
denominazione  si  è  imposta  da  sé,  e  si  è  fatta  accettare  uni- 
versalmente dai  tecnici. 

Gli  stessi  motivi,  che  giustificano  la  denominazione  degli 
accumulatori,  rendono  questi  apparecchi  degni  di  tutta  l' atten- 
zione di  chi  studii  il  problema  del  trasporto  e  della  distribuzione 
del  lavoro  per  mezzo  della  corrente  elettrica. 

La  conoscenza  dei  fenomeni  di  polarizzazione  voltaica  e 
l'invenzione  delle  pile  secondarie  è  molto  antica;  è  notissima 
la  pila  secondaria  del  Rùter,  la  quale  data  dal  1803;  sono  note 
le  ricerche  numerose  di  cui  i  fenomeni  di  polarizzazione  furono 
r  oggetto,  ricerche  alle  quali  si  collegano  i  nomi  di  Volta,  di 
Marianini,  di  Bequerel,  di  Matteucci,  di  Faraday,  di  Wheat- 
sione,  ecc.,  ed  è  noto  come  il  Grov'e  abbia  trasformato  un  vol- 
tametro ad  acqua  in  una  pila  a  gaz.  Tuttavia  alla  possibilità  di 
adoperare  le  pile  secondarie,  come  accumulatori  di  energia, 
nelle  applicazioni  industriali  non  si  poteva  pensare  prima  che 
il  signor  G.  P/aw/^  in  ventasse  la  sua  pila  secondaria  ad  elettrodi 
di  piombo. 

I  lavori  di  G.  Piante  datano  dal  1859  e  la  sua  pila  secon- 
daria fu  presentata  dal  Bequerel  all'Accademia  di  Francia  nel  1860. 
Questa  pila  si  compone  di  due  lunghe  e  larghe  lastre  di  piombo, 
isolate  l'una  dall'altra  per  mezzo  di  strisele  di  gomma  elastica 
ed  immerse,  l' una  in  faccia  dell'  altra,  a  piccola  distanza,  in 
acqua  acidulata  con  un  decimo  di  acido  solforico.  Per  ottenere 
in  piccolo  spazio  una  grande  superficie,  le  lastre  di  piombo 
sono,  nei  modelli  più  diffusi  delle  Pile  Piante,  incartocciate  a 
spirale;  possono  però  essere  piane,  o  foggiate  in  qualunque 
altro  modo.  I  due  reofori  si  atGaccano  a  due  punti  presi  V  uno 
sull'una  e  l'altro  sull'altra  lastra,  e  questi  punti  sono  i  due  poli 
della  pila.  Se  si  uniscono  ai  due  poli,  i  due  poli  di  una  pila 
composta  di  due  elementi  Bunsen,  l'acqua,  nella  pila,  si  scom- 
pone ;  la  lastra  di  piombo  positiva  si  copre  su  tutta  la  superficie 
di  uno  strato  di  perossido  di  piombo  ;  la  lastra  negativa  è  tenuta 
dall'  idrogeno  allo  stato  metallico  puro.  Se  allora  si  tolgono  le 
comunicazioni  colla  pila  di  Bunsen,  e  si  congiungono  insieme 
con  un  filo  le  due  lastre  di  piombo,  si  osserva  nel  filo  d'unione 
una  corrente  inversa  a  quella  che  si  aveva  prima,  corrente  di 
breve  durata,  ma  che  può  essere  molto  intensa,  e  può  bastare 
ad  arroventare  un  filo  di  platino  di  un  millimetro  di  diametro 
e  di  qualche  centimetro   di  lunghezza.  Intanto  lo  strato  di  pe- 


Prodiiz,,  accumu/az.  e  disiribuz.  dell'energia  elettrica.      13  t 

rossido  che  si  era  formato  sull'anodo  si  ridiscioglie  e  le  due 
lastre  si  riducono  alla  medesima  condizione.  L'efficacia  della 
pila  è  poca  nei  primi  esperimenti,  ma  cresce  notevolmente  ri- 
caricando più  volte  e  scaricando  alternativamente  Tapparecchio. 
Dopo  un  certo  numero  di  cariche  lo  strato  di  perossido  assume 
una  grossezza  conveniente,  e  la  pila  arriva  alla  condizione  sua 
normale,  della  massima  efficacia;  si  dice,  che  h  formata. 

Le  pile  secondarie  semplici  descritte  si  possono  riunire  in 
pile  composte  come  le  pile  ordinarie.  Ora  il  Piante  ideò  un 
semplice  commutatore,  per  mezzo  del  quale  si  possono  colle- 
gare gli  elementi  della  pila,  a  piacimento,  in  quantità  od  in 
tensione.  Se  col  commutatore  si  riuniscono  gli  elementi  in 
quantità,  e  se  si  attaccano  ai  poli  della  batteria  i  due  reofori 
di  una  pila  Bunsen  di  due  elementi,  la  corrente  passa,  giacché 
la  forza  elettro-motrice  di  due  elementi  Bunsen  supera  la  forza 
elettro-motrice  di  polarizzazione  della  pila  secondaria,  la  quale 
vale  poco  più  di  due  volt;  così  tutti  gli  elementi  della  pila  se- 
condaria si  caricano  simultaneamente.  Se  allora  si  gira  il  com- 
mutatore e  con  ciò  si  riuniscono  gli  elementi  in  tensione,  si 
ottiene  una  pila,  la  cui  forza  elettro-motrice  vale  quella  di  un 
elemento,  ossia  2  voU,  moltiplicata  pel  numero  degli  elementi. 
Con  siffatta  pila  si  possono  allora  ottenere  effetti  grandiosi, 
che  non  si  potrebbero  avere  coi  due  elementi  di  Bunsen  ado- 
perati per  la  carica;  si  può,  per  esempio,  con  venti  elementi, 
arroventare  un  filo  di  ferro  di  un  metro  di  lunghezza,  e  pro- 
durre r  arco  voltaico  fra  due  carboni.  La  pila  secondaria  resti- 
tuisce così  in  breve  tempo  l'energia  che,  per  mezzo  di  due 
elementi  di  Bunsen,  vi  si  era  accumulata  lavorando  per  un  tempo 
più  lungo. 

Gaston  Piante  andò  più  oltre,  costrusse  un  condensatore 
elettro-statico  a  fogli  di  mica  composto  di  un  grande  numero 
di  coppie,  e  lo  munì  di  un  commutatore  analogo  a  quello  della 
pila  secondaria,  girando  il  quale  si  -possono  collegare  le  coppie 
alternativamente  in  quantità  ed  in  tensione.  Se  si  attaccano  ai 
morsetti  del  condensatore  i  due  reofori  della  pila  secondaria 
disposta  in  tensione,  e  se  le  coppie  del  condensatore  sono  col- 
legate in  quantità,  ciascuna  di  queste  si  carica  con  una  diffe- 
renza di  potenziali  uguale  a  quella  che  misura  la  forza  elettro- 
motrice della  pila.  E  se  allora,  girando  il  commutatore,  si 
riuniscono  le  coppie  del  condensatore  in  tensione,  si  sommano 
le  differenze  di   potenziali   di   tutte  le   coppie,  si   moltiplica  la 


132  Parte  prima. 


differenza  di  potenziali  che  si  aveva  ai  due  poli  della  pila  pel 
numero  delle  coppie  del  condensatore.  La  differenza  di  poten- 
ziale così  ottenuta  è  sufficiente  per  produrre  scintille  di  grande 
lunghezza,  e  per  ripetere  colla  elettricità  delle  pile  tutte  le 
esperienze  di  elettro-statica.  Girando  rapidamente  il  commutatore 
del  condensatore,  si  ottiene  in  uno  spinterometro  una  serie 
frequente  di  scariche,  quali  si  avrebbero  da  una  potente  mac- 
china di  Holtz,  L'ingegnoso  apparecchio  è  stato  denominato 
dall'inventore:  Macchina  reostatica. 

Gli  apparecchi  del  Piante  figuravano  alla  esposizione  nella 
sezione  francese,  classe  terza,  e,  benché  conosciuti,  formavano 
una  delle  cose  più  notevoli  deiresposizione. 

Benché  il  /%i«tó' mirasse  sopratutto  alle  ricerche  scientifiche, 
tuttavia  non  gli  era  sfuggita  l'importanza  che  la  sua  pila  avrebbe 
per  avventura  potuto  avere  nelle  applicazioni.  Egli  accenna 
infatti  a  queste  applicazioni  e  ne  enumera  parecchie  in  una 
pubblicazione  fatta  nel  1879. 

Oltre  a  quelle  che  sì  possono  fare  alla  galvano-caustica, 
all'illuminazione  delle  cavità  oscure  del  corpo  umano,  all'accen- 
sione delle  mine,  alla  produzione  di  segnali  ottici,  ecc.,  si  pre- 
sentano infatti  da  sé  queste,  che  colla  tendenza  odierna  delle 
applicazione  elettriche  assumono  un'importanza  speciale: 

i.°  A  produrre  per  un  breve  tempo  una  luce  elettrica 
intensa  per  mezzo  di  una  piccola  forza  motrice  adoperata  per 
un  tempo  più  lungo. 

2.°  Ad  accumulare  in  batterie  di  pile  secondarie  il  lavoro 
meccanico,  l'energia,  equivalente  alla  corrente  di  una  macchina 
dìnamo  elettrica,  per  conservarla,  trasportarla,  distribuirla,  ed 
utilizzarla  poi  come  lavoro  meccanico,  o  come  luce. 

Il  non  essersi  finora  tradotte  in  pratica  queste  applicazioni 
così  ovvie,  se  non  su  minima  scala,  dimostra  che  nella  pila  se- 
condaria a  lamine  dì  piombo  non  si  verificano  i  rapporti  quan- 
titativi, le  condizioni  di  potenza,  di  dimensioni,  dì  peso,  di 
prezzo,  di  rendimento,  necessarie  per  un  impiego  veramente 
industriale. 

II.  Tuttavia  l'idea  di  portare  l'accumulatore  a  lastre  dì 
piombo  nel  campo  dell'industria  e  di  adoperarlo  su  vastissima 
scala  per  la  distribuzione  della  forza  motrice  e  della  luce,  venne 
nella  scorsa  primavera  rimessa  innanzi  come  nuova,  e,  passata 
dal  mondo  scientifico  al  mondo  finanziario  e  commerciale,  venne 
ingrandita  ed  esaltata  con   tutti  i  mezzi  di  cui  suole  valersi  la 


Prodtts,,  accumulaz.  e  distribuz.  dell'energia  elettrica,     133 

speculazione.  Si  fondò  con  sede  ^  Bruxelles  ed  a  Parigi  una 
società  anonima  che  si  intitolò  La  force  et  la  lumière,  la  quale 
si  propose  per  iscopo  principale  la  distribuzione  industriale 
della  forza  e  della  luce  per  mezzo  di  una  pila  secondaria  a 
piombo,  analoga  a  quella  di  Piante'  e  combinata  dal  signor  Ca- 
millo Faure.  Come  era  prevedibile,  le  esagerate  promesse  della 
società  non  si  poterono  finora  realizzare;  non  si  può  tuttavia 
negare  che  l'opera  della  speculazione  commerciale  abbia  giovato 
assai  a  porre  in  evidenza  il  vero  stato  attuale  del  problema,  ed 
a  far  avere  agli  accumulatori  voltaici  quelle  applicazioni  più 
modeste,  ma  di  incontestabile  utilità,  che  essi  possono  ricevere 
fin  d'ora. 

Nella  esposizione  internazionale  di  elettricità  la  società  La 
force  et  la  lumière  presentava,  insieme  ad  alcuni  oggetti  di  mi- 
nore importanza,  alcune  batterie  di  accumulatori  Faure^  e  ne 
mostrava  Tapplicazione  alla  illuminazione  elettrica  con  lampade 
ad  incandescenza,  ed  alla  produzione  del  lavoro  meccanico  con 
una  macchina  dinamo-elettrica  di  Siemens  funzionante  come 
motore.  Inoltre  numerosi  accumulatori  di  Faure  si  trovavano 
sparsi  in  tutte  le  sezioni  della  Esposizione,  ed  erano  adoperati 
per  attivare  piccoli  gruppi  di  lampade  ad  incandescenza,  o  per 
alimentare  piccoli  motori  elettrici  per  macchine  a  cucire,  e  simili. 

Tre  macchine  dinamo-elettriche  mosse  da  una  macchina  a 
vapore  locomobile  caricavano  giornalmente  circa  130  elementi, 
dei  quali  una  parte  veniva  poi  trasportata  nelle  diverse  sezioni 
dell'esposizione,  per  produrvi  il  lavoro  meccanico,  o  la  luce. 

L'accumulatore  del  signor  Faure  è,  come  quello  del  Piante, 
una  pila  secondaria  ad  elettrodi  di  piombo  immersi  nell'acqua 
acidulata  con  '/io  ^'  acido  solforico.  La  sola  differenza  tra  i  due 
apparecchi  è  questa,  che,  mentre  nella  costruzione  della  pila  di 
Piante  si  adoperano  lastre  di  piombo  a  superfìcie  nuda,  nella 
costruzione  della  pila  di  Faure  si  adoperano  invece  lastre  di 
piombo  coperte  sulle  due  faccie  da  un  grosso  strato  di  minio 
applicato  in  forma  di  pasta  ad  acqua.  Questo  strato  di  minio  fa 
sì,  che  la  pila  non  ha  bisogno  del  lavoro  lungo  e  delicato  della 
formazione,  che  per  quella  di  Piante  è  necessario*  prima  che 
essa  acquisti  tutta  la  sua  efficacia.  Una  pila  di  Faure  dà  subito, 
la  prima  volta  che  la  si  carica,  il  suo  effetto  intiero.  Questa  circo- 
stanza ha  indubbiamente  qualche  valore  nelle  applicazioni  tecniche. 

La  forma  primitiva  della  pila  Faure  era  analoga  a  quella 
usuale  della  pila  Planie\  le  lastre  di  piombo  erano  incartocciate 


134  Parte  prima. 


a  spirale  e  collocate  in  un  vaso  cilindrico.  Quelle  ora  presentate 
alla  esposizione  hanno  invece  la  forma  seguente,  che  per  la 
pratica  è  certamente  buona.  L'elettrodo  positivo  è  costituito  da 
tre  lamine  di  piombo  eguali,  di  forma  rettangolare  e  ripiegate 
in  due.  Le  ripiegature  delle  tre  lamine  sono  dalla  medesima 
parte  e  ad  esse  si  attaccano  tre  linguette  di  piombo  che  si  riu- 
niscono, fuori  del  truogolo,  in  un  morsetto  per  costituire  uno 
dei  poli  dell'  elemento.  Queste  tre  lastre  ripiegate  in  due  pre- 
sentano così  sei  fogli  verticali  paralleli  ed  equidistanti.  L' elet- 
trodo negativo  è  ugualmente  formato  con  tre  lamine  di  piombo 
ripiegate  ciascuna  in  due  e  formanti  così  sei  fogli  paralleli;  ma 
le  ripiegature  di  queste  tre  lamine  sono  dalla  parte  opposta  di 
quelle  delle  tre  precedenti  ed  i  sei  fogli  negativi  passano  fra  i 
sei  positivi,  coi  quali  sono  alternati.  Per  impedire  che  i  fogli 
si  vengano  a  toccare,  essi  sono  inviluppati  in  altrettanti  sacchi 
di  feltro  ;  la  quale  disposizione  ha  anche  per  effetto  di  impedire 
la  caduta  dello  strato  di  minio  e  di  perossido.  Il  tutto  è  immerso 
nell'acqua  acidulata  e  contenuto  in  un  truogolo  parallelepipedo 
di  legno  incatramato,  lungo  circa  40  centimetri,  profondo  30  e 
largo  12  a  13.  Ciascun  elemento  contiene  11  chilogrammi  di 
minio  ed  8  chilogrammi  di  piombo  metallico;  il  suo  peso  totale 
è  di  circa  25  chilogrammi.  Il  prezzo  attuale,  probabilmente  assai 
maggiore  di  quello  che  la  pila  potrebbe  avere  in  seguito,  quando 
le  applicazioni  si  moltiplicassero,  è  di  100  lire. 

La  forza  elettro-motrice  di  un  elemento  Faure  è  uguale  a 
2  volt  o  poco  più;  la  resistenza  interna,  variabile  da  elemento 
ad  elemento,  come  quella  di  tutte  le  pile,  vale  in  media,  secondo 
l'asserzione  dell'inventore,  circa  Vaoo  di  ohm. 

Con  questi  valori  si  può  calcolare  l'intensità  della  corrente, 
che  una  data  batteria  di  accumulatori  può  produrre  in  un  dato 
circuito.  Ma  il  dato  più  importante  a  conoscersi  per  giudicare 
del  valore  industriale,  che  l'apparecchio  può  avere  come  accu- 
mulatore, è  la  quantità  di  energia  che  si  può  immagazzinare  in 
una  pila  contenente  un  dato  peso  di  piombo  e  di  minio,  è  il 
numero  di  chilogrammetri  che  si  possono  accumulare  per  ogni 
chilogrammo  di  piombo  e  minio.  E  questo  dato  dipende  oltreché 
dalla  forza  elettro-motrice,  anche  dalla  grossezza  utile  dello 
strato  di  perossido  che  si  può  produrre  sulle  lamine  di  piombo; 
questo  dato,  quindi,  non  si  può  conoscere  se  non  con  l'esperienza. 

A  questo  riguardo  l' inventore,  appoggiandosi  sull'  autorità 
del  W.  Thomson,  dà  il  risultato  seguente  :  se  tutti  gli  elementi 


Produz,,  accumuìaz,  e  distribus.  dell* energia  elettrica.     135 

sono  in  perfette  condizioni,  la  quantità  di  energia  che  si  può 
immagazzinare  in  50  elementi  contenenti  ciascuno  20  chilo- 
grammi di  piombo  e  di  minio  è  di  poco  più  di  20  cavalli-ora, 
ossia  è  quella  sufficiente  per  produrre  durante  un'ora  20  cavalli- 
vapore.  Se  si  accettasse  questo  dato^  se  ne  dedurrebbe  che  il 
numero  di  chilogrammetri  accumulabile  in  una  tonnellata  di 
piombo  e  minio  è  uguale  a  20x75x3600,  ossia  a  5,400,000; 
e  quindi  il  numero  di  chilogrammetri  che  si  può  accumulare  per 
ogni  chilogrammo  di  piombo  e  di  minio  sarebbe  5400. 

Se  non  potesse  nascere  il  dubbio  che  questo  risultato  sia 
esagerato,  o  che  almeno  esso  sia  dovuto  ad  eccezionali  condi- 
zioni di  bontà  dell'elemento  di  pila  sul  quale  il  Thomson  eseguì 
le  sue  esperienze,  esso  farebbe  credere  che  lo  strato  di  minio 
disteso  sulle  lamine  di  piombo  nella  costruzione  della  pila  di 
Faure,  oltre  a  servire  a  togliere  il  bisogno  della  formazione, 
giovi  notevolmente  ad  aumentare  la  capacità  di  accumulazione 
della  pila.  Risulta  infatti  da  alcune  esperienze  eseguite  da 
Frank  Ge'raldy  e  da  Trouvé  su  pile  secondarie  di  Gaston  Piante', 
che  queste  non  possono  accumulare,  per  ogni  chilogrammo  di 
piombo,  più  di  3450  chilogrammetri,  e  siccome  la  sola  differenza 
importante  fra  i  due  accumulatori  consiste  nello  strato  di  minio, 
così  non  si  può  spiegare  la  disparità  dei  due  numeri  su  riferiti, 
qualora  essa  sia  reale,  se  non  attribuendola  all'esistenza  di 
quello  strato  in  uno  solo  dei  due  apparecchi. 

La  capacità  di  accumulazione,  di  cui  si  è  parlato,  rappre- 
senta la  quantità  totale  di  energia  che  può  accumularsi  nella 
pila  secondaria  caricandola  quanto  è  possibile;  praticamente 
però  la  quantità  di  energia  utilizzabile  è  minore  di  quella  espressa 
dal  numero  che  abbiamo  dato.  Prima  infatti  che  l'accumulatore 
sia  completamente  scaricato,  la  sua  forza  elettro-motrice,  neces- 
sariamente, comincia  a  diminuire,  e  prima  di  ridursi  a  zero 
diventa  insufficiente  per  gli  effetti  che  si  vogliono  ottenere.  Il 
Faure,  valendosi  dell'autorità  del  signor  T.  Bottomley,  membro 
della  società  reale  di  Edimburgo,  asserisce  che  la  perdita  di 
effetto  utile  dovuta  alla  carica  residua,  di  cui  non  si  può  trarre 
partito,  è,  in  media,  uguale  a  0,15  della  carica  totale.  È  però 
prudente  supporre  che  la  perdita  in  discorso  possa  essere  mag- 
giore di  quella  rappresentata  da  questo  numero,  giacché  alcune 
esperienze  fatte  sugli  accumulatori  di  Piante  indicarono  una 
perdita  approssimativa  del  25  per  cento,  e  la  differenza  tra  i 
due  numeri  non  si  saprebbe  facilmente  spiegare. 


136  Parte  prima. 


Come  l'energia  praticamente  utilizzabile  è  minore  di  quella 
totale  immagazzinata  nella  pila  secondaria,  così  questa  energia 
immagazzinata  è  necessariamente  minore  di  quella  somministrata 
dalla  macchina  dinamo*elettrica,  con  cui  si  fa  la  carica.  Una 
parte  di  questa  si  trasforma  inevitabilmente  in  calore  durante 
l'operazione.  Riferendosi  all'opinione  dello  stesso  signor  Boi- 
totnky^  il  paure  crede  che  la  perdita  di  energia  durante  la 
carica  dell'accumulatore  si  possa  sempre  ridurre  a  non  superare 
il  IO  per  cento. 

Le  due  perdite  di  effetto  utile,  di  cui  abbiamo  parlato,  sono 
tanto  minori,  quanto  più  lentamente  si  compiono  le  operazioni 
della  carica  e  della  scarica;  i  numeri  su  riferiti  corrispondono 
al  caso  delle  migliori  condizioni  pratiche. 

Bisogna  finalmente  ricordare  che  né  la  macchina  dinamo- 
elettrica, per  mezzo  della  quale  si  fa  la  carica,  né  il  motore 
elettrico,  per  mezzo  del  quale  si  ritrasforma  in  lavoro  meccanico 
r  energia  accumulata,  possono  avere  un  coefHciente  di  rendi- 
mento uguale  all'unità.  Per  le  buone  macchine  dinamo-elettriche 
di  Gramme  o  di  Siemens  il  coefficiente  di  rendimento  può 
avere  in  alcuni  casi  un  valore  prossimo  a  0,90;  ma  nello  stato 
attuale,  e  nel  lavoro  corrente,  non  si  deve  realmente  contare 
su  di  un  rendimento  maggiore  di  0,85,  con  un  minimum  di  0,80, 
per  cui  i  costruttori  di  queste  macchine  sogliono  rendersi  garanti. 

Oltre  alle  perdite  di  effetto  utile,  che  hanno  luogo  negli 
apparati  elettrici,  si  hanno  quelle  che  sì  verificano  nella  tra- 
smissione del  movimento  dalla  macchina  motrice  alla  macchina 
dinamo-elettrica  caricante,  e  dal  motore  elettrico  alle  macchine 
che  si  vogliono  attivare  col  medesimo,  e  di  queste  si  può  in 
ogni  caso  tener  conto  nei  modi  usati  nella  meccanica. 

Se,  come  possiamo  nelle  circostanze  medie  ordinarie,  rite- 
niamo che  la  perdita  di  effetto  utile  dovuta  alla  trasmissione 
del  movimento  dal  motore  alla  macchina  dinamo-elettrica  ser- 
vente alla  carica  degli  accumulatori  sia  eguale  al  20  per  cento 
del  lavoro  speso,  e  se  facciamo  uso  dei  coefficienti  di  rendimento 
sopra  riferiti,  deduciamo  che: 

Per  un  lavoro  sull'albero  del  motore,  uguale  a.  .  .  1,00 
Si  ha  sull'albero  della  macchina  dinamo-elettrica,  che 

serve  alla  carica,  un  lavoro  uguale  a 0,80 

Nella  corrente  caricante  si  ha  una  energia  uguale  a  .  0,68 
Si    immagazzina    nell'accumulatore    una    quantità    di 

energia 0,61 


Produz.,  accuifìulaz.  e  distribuz.  dell'energia  elettrica.     137 

Se  ne  ricava  nella  scarica  una  corrente,  la  cui  energia  è    0,52 
E  si  ottiene  finalmente  sull'albero  motore  del  motore 
elettrico,  ossia   della   macchina  dinamo-elettrica  ricettrice 
un  lavoro  uguale  a 0,44 

Sono  questi  i  dati  che  noi  abbiamo  relativamente  agli  ac- 
cumulatori di  Paure;  e  con  questi  dati  possiamo  tentare  di 
renderci  conto  del  loro  valore  industriale,  delle  loro  possìbili 
applicazioni,  e,  per  quanto  è  possibile,  del  loro  avvenire  pro- 
babile. 

12.  La  società  La  force  et  la  lumiere  esordi  con  un  pro- 
getto altamente  grandioso,  il  quale  attrasse,  come  era  destinato 
ad  attrarre,  sugli  accumulatori  del  Paure  il  più  vivo  interesse 
del  pubblico.  La  società  si  proponeva  d'impiantare  in  opportuae 
località  centrali  potenti  motori,  a  vapore  od  idraulici,  di  accu- 
mulare, per  mezzo  di  macchine  dinamo-elettriche,  il  lavoro  di 
questi  motori  in  grandi  batterie  di  accumulatori  voltaici,  e  di 
distribuire  giornalmente  gli  accumulatori  caricati  ai  diversi 
opifìzi,  sopratutto  ai  piccoli  laboratori,  dove  per  mezzo  di  mac- 
chine dinamo-elettriche  adoperate  come  ricettori,  o  con  appositi 
motori  elettrici,  si  sarebbe  trasformata  un'altra  volta  in  lavoro 
meccanico  1'  energia  accumulata.  Si  sarebbe  così  realizzata  una 
distribuzione  del  lavoro  meccanico,  o,  come  si  suol  dire  impro- 
priamente, della  forza,  a  domicilio,  senza  bisogno  di  gomene 
conduttrici,  e,  secondo  i  programmi  che  si  pubblicavano  sui 
giornali  e  sulle  cantonate,  ad  un  prezzo  minimo,  tale  da  detro- 
nizzare tutti  i  piccoli  motori  a  vapore  ed  a  gas,  che  animano 
oggidì  la  piccola  industria. 

Un  progetto  di  questa  natura  merita  di  essere  studiato,  e 
noi  possiamo  studiarlo,  almeno  quanto  basta  per  decidere  sulla 
sua  praticabilità,  per  mezzo  dei  numeri  che  abbiamo  riferito  qui 
sopra.  A  quest'uopo  io  considererò  un  esempio  numerico,  e  per 
evitare  il  pericolo  dì  incorrere  in  errori  che  possano  mascherare 
la  convenienza  del  progetto,  lo  sceglierò  nelle  condizioni  più 
favorevoli.  La  condizione  di  massima  convenienza  economica 
per  un' intrapresa  come  quella  di  cui  si  tratta  è  quella  di  un 
impianto  su  vasta  scala,  per  la  distribuzione  di  una  grande 
quantità  di  forza  motrice;  io  supporrò  adunque  che  nello  sta- 
bilimento centrale  si  voglia  produrre  ed  accumulare  tanta  energia 
che  basti  per  distribuire  agli  abbonati  loooo  cavalli-vapore  per 
12  ore  al  giorno.  Per  pormi  poi  nelle  condizioni  della  più  grande 


138  Parte  prima. 

economia,  supporrò  che  la  forza  motrice  si  possa  ottenere  eoa 
motori  idraulici,  e  nel  calcolo,  che  farò  del  costo  per  l'impianto 
di  questi  motori,  farò  tutte  le  ipotesi  più  favorevoli. 

Valuterò,  per  ordine,  in  parte,  le  spese  generali  d'impianto 
e  di  provvista  di  materiale^  e  le  spese  giornaliere  per  la  di- 
stribuzione degli  accumulatori.  Ne  dedurrò  un  limite  inferiore, 
minimo,  del  costo  che  potrà  avere  un  cavallo-vapore  dato  a 
domicilio  ad  uno  degli  utenti. 

Comincio  dalle  spese  generali  d*  impianto,  e  considero  per 
prima  cosa  l'impianto  dei  motori. 

Benché  dai  numeri  che  ho  dato  più  sopra  risulti  che  nel 
passaggio  dell'energia  dall'albero  della  macchina  motrice  all'al- 
bero del  ricettore  elettrico  situato  in  casa  dell'utente,  attraverso 
agli  accumulatori,  si  perde  il  66  per  cento  del  lavoro  speso, 
tuttavia  pel  desiderio  di  errare  piuttosto  in  favore  che  a  scapito 
del  progetto,  riterrò  che,  per  le  buone  disposizioni  di  tutto  il 
sistema,  la  perdita  complessiva  di  effetto  utile  sia  soltanto  del 
50  per  cento.  In  questa  ipotesi,  per  distribuire  agli  utenti  loooo 
cavalli  per  la  durata  giornaliera  di  12  ore  bisogna  che  i  motori 
producano  giornalmente  12  x  20  000  cavalli-ore;  quindi,  ammesso 
che  lavorino  tutte  le  24  ore,  basterà  che  essi  abbiano  la  potenza 
di  loooo  cavalli.  Le  migliori  condizioni  per  l'economia  dell'im- 
pianto dei  motori  idraulici  corrispondono  al  caso  di  una  caduta 
di  altezza  piuttosto  grande;  io  supporrò  perciò  che  si  abbia  un 
salto  di  20  metri,  e  che  lo  si  voglia  utilizzare  con  50  turbine 
di  200  cavalli  ciascuna.  Ciascuna  di  queste  potrà  pesare  ap- 
prossimativamente 16000  chilogrammi  e  costare  20000  lire.  Si 
avrà  adunque  il  costo: 

Per  le  50  turbine L.  i  000  000 

Per  la  muratura  occorrente „  500000 

Per  la  copertura  di  una  parte „  50000 

Per  lavori  di  scavo „  20000 

Totale  L.  i  570  000 

Sul  quale  numero  bisogna  osservare,  che  esso  è  certamente 
minore  del  vero,  giacché  nel  calcolarlo  si  sono  supposte  le 
opere  di  muratura  ridotte  al  minimo,  e  si  é  fatta  l' ipotesi  che 
non  occorressero  lavori  pel  canale  di  arrivo  e  per  quello  di  fuga. 

Considero  in  secondo  luogo  la  spesa  per  la  provvista  degli 
accumulatori. 


Produz,,  accttmulaz.  e  distribuz,  dell'energia  elettrica.     139 

Se  si  ammette,  secondo  i  dati  dell'inventore,  che  il  coeffi- 
ciente di  rendimento  nella  scarica  sia  0,85,  e  che  il  coefficiente 
di  rendimento  della  macchina  dinamo-elettrica  ricettrice  sia 
ugualmente  0,85,  sé  ne  deduce  che  per  avere  loooo  x  12  ca- 
valli-ore  utilizzabili,  occorre   immagazzinare  negli  accumulatori 

---  -—  cavalli-ora,  ossìa  166667   cavalli-ora.   Siccome   poi 

0,85x0,85  '  ^ 

sono   necessari  50  accumulatori  per  contenere  20   cavalli-ora, 

50 
per  contenere  166667  cavalli-ore  ne  abbisognano  166667  x  -     , 

ossia  416667. 

Per  fare  la  distribuzione  dell'  energia,  secondo  il  progetto, 
è  necessario  avere  due  batterie  di  accumulatori,  delle  quali  una 
sia  allo  stabilimento  centrale  per  la  carica,  mentre  l'altra  è  in 
azione  presso  gli  utenti;  inoltre  è  indispensabile  una  riserva  di 
accumulatori  uguale,  al  minimum,  ad  una  mezza  batteria,  ossia 
al  quarto  delle  pile  in  opera;  dunque  il  numero  degli  accumu- 
latori da  provvedersi  nel  primo  impianto  non  potrà  essere  in- 
feriore a  416  667  X  2,5  ossia  a  i  041 668.  Tuttavia  per  fare  una 
ipotesi  in  favore  dell'economia,  arrotonderemo  il  numero  ridu- 
cendolo ad  I  000  000. 

11  prezzo,  a  cui  la  società  Laforcfi  et  la  lumière  vende  attual- 
mente gli  accumulatori  è  di  lire  100  per  ciascuno.  Ritenendo 
che  nell'avvenire  questo  prezzo  possa  diminuire  notevolmente, 
io  sostituirò  ad  esso  un  prezzo  minimo  calcolato  in  base  a 
quello  del  materiale  di  cui  la  pila  è  composta,  prezzo  al  di 
sotto  del  quale  non  si  potrà  discendere  senza  cambiare  del 
tutto  la  composizione  della  pila. 

Per  8  chilogrammi  di  piombo  laminato.     .     .    .  L.  6,40 

Per  II  chilogrammi  di  minio „  11  „ 

Per  3  metri  quadrati  di  feltro „  9  „ 

Pel  truogolo „  6^ 

Pei  morsetti,  filo  d'unione,  acido,  accessori  .     .    „  3  „ 

Mano  d'opera „  5„ 

Totale  L.       40,40 


lo  assumo,  tralasciando  i  centesimi,  il  valore  di  40  lire,  e 
facendo  certamente  un  notevole  errore  in  favore  dell'economia, 
lo  considero  come  realizzabile.  Con  questo  prezzo,  i  000  000  di 
accumulatori  importano  la  spesa  di  lire  40000000. 


140  Parte  prima. 


Considero  in  terzo  luogo  le  macchine  dinamo-elettriche  ne- 
cessarie per  la  carica.  Queste  macchine  dovranno  consumare  il 
lavoro  di  io  000  cavalli.  Siccome  non  si  può  dire,  per  ora,  se 
le  grandi  macchine  come  quella  di  Edison  potranno  entrare  e 
diffondersi  nella  pratica,  né  si  può  per  ora  stabilire  il  loro 
prezzo,  così  riterrò,  come  approssimazione,  che  le  macchine 
dinamo-elettriche  che  adoperansi,  analoghe  alle  massime  oggidì 
costruite  dal  Siemens,  costino  lire  200  per  cavallo,  e  quindi  in 
tutto  2000000  lire. 

Finalmente  terrò  conto  delle  spese  per  l'edifizìo  delle  mac- 
chine, dei  magazzini,  degli  uffizi,  per  le  trasmissioni  e  per  ^li 
accessori,  ammettendole,  sicuramente  con  un  errore  in  meno, 
uguale  a  500000  lire. 

Con  ciò,  e  colla  certezza  di  errare  in  meno,  possiamo  cal- 
colare la  spesa  d'impianto: 

Pei  motori,  compreso  l'edificio  e  le  opere  di 

scavo L.  I  570  000 

Per  gli  accumulatori „  40000000 

Per  le  macchine  dinamo-elettriche     .    .     .     .  ,  2000000 
Per  Tedifizio  delle  macchine,  dei  depositi,  del- 
l'amministrazione, ecc.,  e  per  le  trasmissioni  „  500  000 

Totale  L.  44070000 

Passando  alle  spese  annue  dell'  esercizio,  noi  troviamo  in 
primo  luogo  quella  rappresentata  dall'ammortizzazione  e  dall'in- 
teresse del  capitale  impiegato  nell'  impianto.  Trattandosi  di  un 
materiale  di  cui  la  parte  più  costosa,  costituita  dagli  accumu- 
latori, è  per  sua  natura  di  breve  durata,  e  necessita  inoltre 
frequenti  operazioni  di  pulitura  e  di  riadattamenti,  la  quota  di 
ammortizzazione  deve  ritenersi  molto  elevata.  Pensando  che  lo 
stesso  inventore  non  promette  per  gli  accumulatori  una  durata 
maggiore  di  15  anni,  e  che  questa  durata  deve  necessariamente 
essere  diminuita  dai  giornalieri  trasporti;  considerando  inoltre 
che  in  questo  intervallo  di  tempo  la  pila  non  può  a  meno  di 
richiedere  operazioni  di  riadattamento  corrispondenti,  per  la 
spesa,  ad  un  completo  rifacimento,  io  credo  di  stare  molto  al 
disotto  di  quel  che  bisognerebbe  in  un  preventivo,  dando  alla 
quota  di  ammortizzazione  e  d' interesse  il  valore  complessivo 
del  12  per  cento.  Ne  risulta  una  spesa  annua  di  5288400  lire. 


Produz.,  accumulaz.  e  distribuz.  delVenergia  elettrica,     141 

Troviamo  poi  un'altra  spesa  gravissima:  quella  pel  trasporto 
quotidiano  degli  accumulatori  carichi  dallo  stabilimento  centrale 
agli  opifìzi  degli  utenti,  e  pel  ritorno  da  questi  allo  stabilimento 
centrale,  dopo  che  si  sono  scaricati.  Un  accumulatore  pesa 
25  chilogrammi;  i  416667  accumulatori  che  si  debbono  portare 
e  riportare  ogni  giorno,  pesano  adunque  416  667  x  25  chilo- 
grammi, ossia  IO  416  tonnellate.  Se,  per  fare  anche  qui  un'ipotesi 
favorevole,  supponiamo  che  la  media  distanza  degli  utenti  dallo 
stabilimento  centrale  sia  appena  di  due  chilometri,  talché,  com- 
preso il  ritorno,  si  abbia  a  percorrere  la  media  distanza  di 
4  chilometri,  abbiamo  giornalmente  io  416  j<  4,  ossia  41  664  ton- 
nellate-chilometri. Trattandosi  di  un  materiale  che  richiede  nel 
maneggio  qualche  riguardo,  non  sarà  possibile,  anche  nelle  mi- 
gliori condizioni,  fare  i  trasporti  con  una  spesa  inferiore  a 
lire  0,50  per  tonnellata-chilometro,  onde  risulta  una  spesa  gior- 
naliera di  20  832  lire.  Se  il  trasporto  si  fa  per  300  giorni  all'anno, 
la  spesa  annua  pel  trasporto  ammonta  a  6  249  600  lire. 

Oltre  a  queste  sarebbero  a  considerarsi  le  spese  per  lavori 
di  riparazione  e  manutenzione,  le  spese  pel  personale,  quelle 
per  l'amministrazione,  le  imposte,  i  diritti  degli  inventori,  ecc.» 
le  quali,  insieme,  potrebbero  elevarsi  ad  una  somma  dell'ordine 
di  grandezza  di  quelle  che  abbiamo  calcolato.  Per  lo  scopo 
nostro,  però,  è  inutile  che  ci  affatichiamo  a  calcolarle:  per  giu- 
dicare della  praticabilità  della  intrapresa,  ci  basta  la  conoscenza 
della  quota  d'ammortizzazione  e  d'interesse,  e  quella  della  spesa 
dei  trasporti. 

Se  sommiamo  infatti  le  due  spese  che  abbiamo  calcolato, 
troviamo  la  somma  di  11  538  000  lire.  Per  coprire  questa  sola 
parte  delle  spese  si  dovrebbe  far  pagare  agli  utenti  la  somma 

,.  ,.      II 538000         .       .  ,.  .  ,. 

annua  di  lire  — ,  ossia  circa  1154  lire  per  ogni  cavallo- 
io  000 

vapore  dato  per  300  giorni  e  per  12  ore  al  giorno. 

E  siccome  l' utente  dovrà  essersi  provveduto  di  una  mac- 
china dinamo-elettrica  per  farla  funzionare  come  motrice  me- 
diante la  corrente  somministrata  dagli  accumulatori,  la  quale 
macchina,  installata,  può  costare  almeno  1000  lire,  così  bisognerà 
aggiungere,  come  quota  d'ammortamento  e  d'interesse  100  lire. 

La  spesa  adunque  a  cui  l'utente  dovrà  sottostare  per  un 
cavallo  sarà,  tenuto  conto  delle  sole  spese  di  cui  abbiamo  parlato, 
uguale  a  1254  lire  all'anno,  oltre  a  quelle  pel  meccanico,  per 
la  sorveglianza  e  per  la  condotta  dell'apparecchio. 


142  Parte  prima. 


Se  avessimo  tenuto  conto  delle  altre  spese  che  abbiamo 
tralasciato,  avremmo  certamente  trovato,  invece  di  1254  lire, 
1500  lire  o  più,  senza  contare  il  profitto  di  chi  fa  la  distri- 
buzione. 

E  se  invece  di  assegnare  ad  una  pila  Faure  il  prezzo  minimo 
di  40  lire,  avessimo  introdotto  nel  calcolo  il  prezzo  attuale  di 
tire  100,  col  quale  la  pila  viene  venduta,  avremmo  trovato  per 
la  spesa,  a  cui  1*  utente  dovrebbe  sottostare  per  ogni  anno  e 
per  ogni  cavallo,  unicamente  per  coprire  le  spese  di  ammor- 
tizzazione e  di  trasporto,  il  valore  di  1874  lire. 

Ora  supponiamo  che,  invece  di  servirsi  dell'  energia  accu- 
mulata nelle  pile  secondarie,  il  medesimo  utente  si  serva  di  una 
motrice  propria,  e  come  pel  calcolo  precedente  abbiamo  fatto 
le  ipotesi  più  vantaggiose,  così  adesso  poniamoci  nel  caso  meno 
favorevole  per  l'economia.  Il  meno  favorevole  dei  casi  è  quello 
di  un  utente,  che  non  ha  bisogno  che  di  una  pìccola  forza  mo- 
trice, per  esempio,  di  un  cavallo,  e  che  per  procurarsela  è  ob- 
bligato a  servirsi  di  un  piccolo  motore,  per  esempio,  di  una 
macchina  a  gas.  Consideriamo  adunque  questo  caso.  Si  ritiene 
che  una  macchina  a  gas  di  Otto  della  potenza  di  un  cavallo  ed 
in  buone  condizioni  consumi  approssimativamente  un  metro 
cubo  di  gas  per  cavallo  e  per  ora.  In  12  ore  di  lavoro  giorna- 
liero la  macchina  consumerà  adunque  12  metri  cubi,  ed  in 
300  giorni  di  lavoro  3600  metri  cubi  di  gas.  Col  prezzo  di 
25  centesimi  per  metro  cubo  questo  volume  di  gas  costerebbe 
900  lire;  e  se  a  questa  somma  noi  aggiungiamo  300  lire,  quota 
d'interesse  e  d'ammortamento  del  valore  della  macchina,  va- 
lutato in  2500  lire  e  della  spesa  d'installazione,  valutata  in 
500  lire,  troviamo  che  la  spesa  annua  per  un  cavallo  vapore, 
non  tenuto  conto  del  personale,  è  dì  1200  lire. 

Siccome  tanto  la  macchina  dinamo  elettrica  quanto  la  mo- 
trice a  gas  possono  funzionare  lodevolmente  con  pochissima 
sorveglianza,  così  le  spese  pel  personale  si  possono  ritenere 
uguali  nei  due  casi.  Quindi  i  numeri  che  abbiamo  trovato  si 
possono  confrontare.  11  confronto  ci  dimostra  che  essi  sono 
pressoché  uguali;  dunque  concludiamo,  che  il  costo  di  un  ca- 
vallo-vapore nel  caso  della  minima  economia,  nel  caso  cioè  di 
una  macchina  a  gas  di  un  solo  cavallo,  basterebbe  appena  a 
coprire  le  spese  necessarie  per  l'ammortizzazione  della  spesa 
d'impianto  e  pel  trasporto  giornaliero  degli  accumulatori,  e  ciò 
anche  nell'ipotesi  che  tutte  le  condizioni  sieno  le  più  favorevoli 


Produz,,  accumulaz,  e  disiribuz.  dell'energia  elettrica.     143 


air  impiego  degli  accumulatori,  e  che  il  prezzo  degli  accumu- 
latori si  riduca  un  giorno  al  40  per  cento  di  ciò  che  esso  è 
attualmente. 

Non  è  necessario  aggiungere,  che  se  invece  del  caso  di  un 
utente  il  quale,  non  avendo  bisogno  che  di  un  cavallo,  deve 
procurarsi  una  piccola  macchina  a  gas,  si  fosse  considerato  il 
caso  di  un  industriale  che  adopera  una  macchina  a  vapore  di 
12  o  di  15  cavalli,  il  confronto  sarebbe  riuscito  assai  meno  fa- 
vorevole pel  sistema  della  distribuzione  della  forza  con  le  pile 
secondarie. 

13.  Del  resto,  indipendentemente  da  questi  confronti,  si 
deve  osservare  che  Tuso  degli  accumulatori  non  costituisce  il 
solo  modo  per  la  distribuzione  della  energia  per  mezzo  della 
elettricità.  Invece  di  immagazzinare  l'energia  di  una  corrente 
elettrica  in  una  batteria  di  accumulatori,  per  distribuirla,  cosi 
immagazzinata,  agli  utenti,  i  quali  ne  ricavino  di  nuovo  una 
corrente  elettrica,  si  può  assai  più  semplicemente,  e,  quel  che 
più  monta,  assai  più  economicamente,  distribuire  addirittura  fra 
gli  utenti  la  corrente  elettrica  prodotta  dalle  macchine  dinamo- 
elettriche dello  stabilimento  centrale,  trasmettendola  lungo  con- 
duttori metallici.  Invece  di  fare  una  distribuzione  per  mezzo  di 
secchie  e  di  carri,  si  può  fare  una  distribuzione  per  mezzo  di 
una  canalizzazione,  e  ciò  con  maggiore  semplicità,  e  con  eco- 
nomia incomparabilmente  più  grande. 

Che  col  sistema  della  canalizzazione  si  guadagni  in  sem- 
plicità è  evidente;  che  si  ottenga  con  esso  una  economia  in- 
comparabilmente più  grande  di  quella  che  si  avrebbe  cogli 
accumulatori,  possiamo  dimostrare  in  poche  parole. 

A  quest'uopo  supponiamo  di  volere,  come  sopra,  distribuire 
ad  utenti  situati  ad  una  distanza  media  di  due  chilometri  da  un 
motore  idraulico  centrale  una  forza  motrice  di  loooo  cavalli; 
ma  supponiamo  questa  volta  di  voler  fare  la  distribuzione  in- 
viando direttamente  una  corrente  elettrica  dallo  stabilimento 
centrale  alla  macchina  dinamo  •  elettrica  ricettrice  di  ciascun 
utente. 

Proponiamoci  di  renderci  conto  della  spesa  occorrente  in 
questo  caso.  Dobbiamo  valutare  il  costo  d'impianto  dei  motori 
e  poi  quello  delle  gomene  elettriche  con  cui  si  farà  la  cana- 
lizzazione. 

E  oggidì  un  fatto  universalmente  ammesso,  come  dimostrato 
da  tutte   le  esperienze,  e  noi  avremo  occasione  di  discorrerne 


144  Parte  prima. 


in  altro  momento,  questo:  che  nel  trasporto  del  lavoro  mecca- 
nico a  distanza  per  mezzo  di  due  macchine  dinamo-elettriche 
funzionanti  Tuna  come  generatrice  della  corrente  e  l'altra  come 
ricettrice  della  medesima  e  produttrice  di  lavoro,  si  può  ordi- 
nariamente, mediante  buone  proporzioni,  ottenere  un  coefficiente 
di  rendimento  uguale,  od  anche  superiore  a  0,50.  Ammesso, 
che  le  cose  si  proporzionino  in  modo  da  ottenere  questo  coef- 
ficiente di  rendimento,  noi,  per  distribuire  agli  utenti  10,000  ca- 
valli effettivi,  dovremo  avere  nello  stabilimento  centrale  un 
sistema  di  motori  di  20000  cavalli. 

Facendo  le  medesime  ipotesi  che  ci  servirono  nell'esempio 
precedente,  ma  valutando  i  prezzi  più  largamente,  potremo 
ammettere  che  l'insieme  dei  motori  costi  3000000  lire. 

Il  prezzo  dei  conduttori  metallici,  si  può  calcolare  come  segue: 
Abbiamo  ammesso  che  il  coefficiente  di  rendimento  della 
trasmissione  del  lavoro  delle  macchine  motrici  alle  macchine 
dinamo-elettriche  generatrici  valga  0,80,  e  che  il  coefficiente  d* 
rendimento  di  ciascuna  delle  macchine  dinamo-elettriche  coniu- 
gate sia  uguale  a  0,85.  Ne  deduciamo  che  spendendo  un  lavoro 
di  20000  cavalli,  le  macchine  dinamo-elettriche  generatrici  tra- 
sformano in  energia  elettrica  cavalli  20000x0,80x0,85,  ossia 
13  600  cavalli  ;  e  che  le  macchine  ricettrici,  per  produrre  il  lavoro 
di  IO  000  cavalli,  consumano  una  energia  elettrica  equivalente  a 

1 0000 

-   —  cavalli,  ossia  a  11  765  cavalli.  La  differenza  tra  i  due  nu- 
0;85 

meri  13  600  ed  11  765  è  il  numero  di  cavalli- vapore  che  si  con- 
sumano nel  circuito  della  corrente  trasformandovisi  in  calore. 
Nel  circuito  si  trasformano  adunque  in  calore  1835  cavalli-vapore, 
ossia  137625  chilogrammetri  per  minuto  secondo. 

Ora,  se  si  rappresenta  con  L  questo  numero  di  chilogram- 
metri trasformato  in  calore  nel  circuito  in  ogni  minuto  secondo, 
e  se  con  i  e  con  r  si  rappresentano  l'intensità  della  corrente 
espressa  in  ampère  e  la  resistenza  totale  del  circuito  espressa 
in  oA/«,  si  ha  dicendo  g  l'accelerazione  della  gravità: 

gL  =  riK 

Se  d'altra  parte  si  rappresenta  con  e  la  differenza  tra  la 
forza  elettro-motrice  della  macchina  dinamo-elettrica  generatrice 
e  la  forza  elettro-motrice  inversa  della  macchina  ricettrice,  si  ha 

. e 

r 


Produz,,  accumuiaz.  e  distribuz.  dell'energia  elettrica.     145 

1 

Dalle  due  uguaglianze  deduciamo 

e^ 
r=  — -. 

Questo  valore  di  r  cresce  con  e,  e  siccome  il  peso  ed  il 
prezzo  del  metallo  crescono  col  diminuire  della  resistenza  r, 
così,  per  fare  una  ipotesi  sfavorevole  alla  economia,  attribuiremo 
alla  differenza  di  potenziali  e  un  valore  minore  di  quelli  che  si 
avrebbero  certamente  quando  si  facesse  un  impianto  studiato  a 
dovere.  Supponiamo  che  le  due  forze  elettro-motrici,  di  cui  e 
è  la  differenza,  siano  uguali  a  400  ed  a  200  volt^  e  che  quindi 
sia  «  =  200.  Ponendo  nella  ultima  formula  questo  valore,  e  po- 
nendo 5=9,81,  Z,  =  137625,  ricaviamo 

r  =  o,®**"  030. 

Di  questa  resistenza  totale  una  parte  sarà  rappresentata 
dalla  resistenza  interna  delle  due  macchine.  Ritenendo  che  la 
somma  delle  resistenze  interne  delle  due  macchine  rappresenti 
la  metà  della  resistenza  totale,  avremo  pel  valore  della  resistenza 
esterna,  ossia  del  conduttore  che  congiunge  le  due  macchine 
il  valore  di  0,015  ohm. 

Se  adunque  diciamo  0  la  resistenza  specifica  del  metallo  con 
cui  il  conduttore  è  fatto,  /  la  sua  lunghezza  in  centimetri,  ed  s 
la  sua  sezione  in  centimetri  quadrati,  abbiamo 

e/ 
0,015  =  -^   . 

Ponendo  p  =  0,00000162,  com'è  pel  rame,  e  ricordando  che 
/  vale  quattro  chilometri  ossia  400  000  centimetri,  ne  deduciamo 

Questa  è,  in  centimetri  quadrati,  la  somma  delle  sezioni  di 

tutte  le  gomene  con  cui  si  farà  la  distribuzione  delle  correnti; 

Is 

il  volume  loro,  espresso  in  litri,  vale ,    ossia  17280.   Sic- 

1000 

come  il  rame  ha  il  peso  specifico  8,9,  così  il  peso  totale  delle 

gomene  risulta   uguale   a  17  280  x  8,  9,    ossia  a  153  792  chilo- 

g^rammi,   che    al   prezzo    di   4   lire    per    chilogrammo    costano 

lire  615  168. 

G.  Ferraris,  Optrw,  Voi.  IL  io 


146  Parte  prima, 

T" ^ 

Possiamo  adunque  calcolare  come  segue  l'ammontare  delle 
spese  generali  d'impianto  del  sistema: 

Per  i  motori  idraulici L.  3  000  eoo 

Per  le  macchine  dinamo-elettriche  generatrici.  „  4000000 
Per  le  gomene  di   rame  per  la  trasmissione 

delle  correnti „      615  168 

Per  l'isolamento  e  per  la  posa  delle  medesime, 

una  metà  del  costo .     .    „       307584 

Totale  L.  7  922  752 

Se,  come  abbiamo  fatto  studiando  il  caso  degli  accumulatori, 
tralasciamo  di  considerare  le  spese  pel  personale,  per  la  manu- 
tenzione, per  l'amministrazione,  Tunica  spesa  annua  che  si 
abbia  a  considerare  è  l'ammortizzazione  e  l'interesse  delle  spese 
d'impianto.  Ritenendo  anche  qui  che  la  quota  d'ammortamento 
e  d' interesse  sia  del  12  per  cento,  abbiamo  la  spesa  annua  di 
lire  950  730,  che  divisa  fra  loooo  cavalli  risulta,  per  ogni  ca- 
vallo, uguale  a  lire  95,07. 

Quésto  numero  sta  a  quello  che  abbiamo  trovato  pel  caso  degh' 
accumulatori,  nelle  circostanze  e  colle  ipotesi  più  favorevole*,  come 
I  a  13,2;  e  sta  a  quello  che  avremmo  trovato  attribuendo  agli 
accumulatori  il  prezzo  attuale  di  lire  100,  come  i  sta  a  19,92. 

Possiamo  adunque  asserire  con  sicurezza: 

i.**  Che  gli  accumulatori  voltaici  ad  elettrodi  di  piombo 
come  quelli  di  Faure,  o  somiglianti,  non  possono  convenire 
nella  distribuzione  della  forza  motrice  su  vasta  scala. 

2."  Che  se  la  distribuzione  della  forza  motrice  per  mezzo 
della  elettricità  si  potrà  fare  un  giorno  industrialmente,  su 
grande  scala,  la  si  farà  certamente  distribuendo  le  correnti 
elettriche  per  mezzo  di  una  ramificazione  dì  conduttori  metallici, 
per  mezzo  di  una  canalizzazione,  piuttosto  che  per  mezzo  degli 
accumulatori. 

Chi  preferisse  una  distribuzione  per  mezzo  di  accumulatori 
alla  distribuzione  per  mezzo  di  gomene  metalliche,  farebbe 
r  errore  di  chi  credesse  preferibile  distribuire  alle  case  di  una 
città  r  acqua  per  mezzo  delle  secchie,  al  distribuirla  con  una 
tubulazione.  Ma  Terrore  sarebbe  assai  più  grave  nel  caso  della 
distribuzione  della  elettricità  che  nel  caso  della  distribuzione 
dell'acqua,  perchè  per  l'elettricità  le  secchie,  che  sono  gli  accu- 
mulatori, costerebbero  carissimo  e  sarebbero  molto  pesanti. 


Produz,,  accumulaz,  e  distribuz,  dell'energia  elettrica.     147 

14.  Insieme  alla  forza  motrice  la  società  La  force  et  la 
lumiere  si  proponeva  di  distribuire  a  domicilio  la  luce,  alimen- 
tando colla  corrente  ricavata  da  una  batteria  di  accumulatori 
lampade  elettriche  ad  incandescenza  come  quelle  di  Swan,  di 
Maxim  o  simili.  Questo  progetto  è  più  razionale  del  prece- 
dente: per  la  distribuzione  dell'illuminazione  le  condizioni  eco- 
nomiche sono  alquanto  migliori  che  per  la  distribuzione  del 
lavoro  meccanico.  Infatti  la  corrente  ottenuta  con  una  batteria 
di  accumulatori  dà  direttamente  la  luce  nelle  lampade  elettriche, 
senza  bisogno  di  altre  trasformazioni,  mentrechè  chi  volesse 
attivare  quelle  medesime  lampade  elettriche  servendosi  di  una 
macchina  motrice  e  di  una  macchina  dinamoelettrica,  dovrebbe 
operare  la  trasformazione  dell'energia  meccanica  in  corrente 
elettrica,  per  ottenere  poi  da  questa  la  luce,  e  nella  trasforma- 
zione dovrebbe  inevitabilmente  sottostare  ad  una  perdita  di 
effetto  utile.  Tuttavia  le  condizioni  non  sono  abbastanza  mi- 
gliorate perchè  la  cosa  si  possa,  in  generale,  dire  conveniente. 
Dobbiamo  distinguere  due  casi. 

Il  primo  caso  è  quello  nel  quale  i  locali  da  illuminarsi  ap- 
partengono a  stabilimenti  industriali,  ove  sia  possibile  installare 
una  motrice  ed  attivare  le  lampade  elettriche  direttamente  con 
le  correnti  di  una  apposita  macchina  dinamo-elettrica. 

Siccome  nel  calcolo  che  abbiamo  fatto  relativamente  al 
trasporto  della  forza  motrice  abbiamo  assunto,  come  coefficiente 
di  rendimento  della  macchina  ricettrice,  destinata  a  trasformare 
in  lavoro  meccanico  V  energia  della  corrente  di  scarica,  il  nu- 
mero 0,85,  così  ad  un  cavai  lo- vapore  utilizzato  corrisponde  una 

energia  della   corrente   di  scarica    equivalente   a   cavalli  — — - 

ossia  a  cavalli  1,18;  una  corrente  di  uguale  energia  si  otter- 
rebbe mediante  una  macchina  dinamo-elettrica  con  coefficiente 
di  rendimento  uguale  a  0,85  attivata   da  una  macchina  motrice 

I  18 
di  cavalli    '     ,  ossia  di  cavalli  1,38. 
o»85 

Ora  riferendoci  ai  risultati  del  calcolo  precedente  possiamo 

per  approssimazione  ritenere  che   il  lavoro  di  cavalli  1,38  nel 

caso    più    sfavorevole    di    una    piccola    motrice    a    gas    costi 

lire  1200x1,38  =  1656;    invece    il    lavoro    elettrico  dato  dagli 

accumulatori   costa   per   la   sola   ammortizzazione    delle    spese 

d'impianto  e  per  le  spese  di  trasporto   almeno  lire  1254,  se 

gli  accumulatori  costano  sole  lire  40,   e  lire  1874  se,  come  at- 


148  Parte  prima. 


tualmente,  costano  lire  100.  Essendo  evidente  che  il  prezzo  da 
noi  calcolato,  per  l'energia  trasportata  per  mezzo  degli  accumu- 
latori, è  molto  al  di  sotto  del  vero,  e  forse  non  raggiunge  la 
metà  del  prezzo  effettivo,  il  confronto  dei  numeri  precedenti 
dimostra  che  nel  caso  considerato  il  trasporto  dell'energia  cogli 
accumulatori  non  può  essere  economico  nemmeno  per  la  illu- 
minazione. A  fortiori  ciò  si  potrebbe  dire  se  si  considerasse  il 
caso  della  illuminazione  di  stabilimenti  industriali  nei  quali  la 
forza  motrice  per  le  macchine  dinamo-elettriche  si  potesse  ri- 
cavare dai  grandi  motori  che  servono  agli  altri  lavori. 

Il  secondo  caso  è  quello  nel  quale  i  locali  da  illuminarsi 
appartengono  ad  abitazioni  private,  ove  non  si  può  pensare  ad 
installare  un  motore  semplicemente  allo  scopo  di  fare  T  illumi- 
nazione. Per  questo  caso  possiamo  renderci  conto  delle  condi- 
zioni di  convenienza  economica  dell'illuminazione  elettrica  fatta 
per  mezzo  degli  accumulatori,  confrontando  il  costo  della  me- 
desima con  quello  della  illuminazione  equivalente  fatta  col  gas. 
Neil'  esame  del  problema  del  trasporto  della  forza  motrice  ab- 
biamo trovato  che,  solamente  per  coprire  l'ammortamento  delle 
spese  d'impianto  e  le  spese  di  trasporto,  occorrerebbe  per  ogni 
cavallo  trasportato  a  domicilio  la  spesa  annua  di  lire  1874  at- 
tualmente, e  quella  di  lire  1254  quando  nell'avvenire  il  prezzo 
di  un  accumulatore  si  potesse  ridurre  da  100  a  40  lire.  Siccome 
abbiamo  fatto  il  calcolo  per  300  giorni  di  lavoro  e  per  12  ore 
al  giorno,  così  ne  dedurremo  che  per  la  sola  parte  di  spesa  su 
nominata  un  cavallo-ora  trasportato   a  domicilio  deve   costare 

1874  ,.  ,       .   .  1 

presentemente —  ==  0,52  lire,  e   costerà  al  mmimo  nel- 

12  X  300 

12^4 

l'avvenire —  =  o,3s  lire.  Ora  un  cavallo-ora  dato  da  un 

12  X  300 

ricettore  dinamo-elettrico  corrisponde  ad  —^  cavalli-ora  nella 

0,85 

corrente  elettrica,  e  questa  corrente  si  può  ottenere  spendendo 

sull'albero  di  una  macchina  dinamoelettrica  cavalli-ore    «-  x  -  „ 

0,85     0,85 

ossia  1,38.  E  col  lavoro  di  cavalli  1,38  si  possono  alimentare 
circa  14  lampade  ad  incandescenza  di  Swan  equivalenti  ciascuna 
a  1,5  Carcel,  e  così  si  può  ottenere  una  illuminazione  equiva- 
lente a  21  becchi  Carcel.  Dunque  concludiamo  che  una  illumi- 
nazione di  21  becchi  Carcel  ottenuta  cogli  accumulatori  coste- 
rebbe attualmente   per   le  sole  spese  d*  impianto  e  di  trasporto 


Produz,,  accumtilaz.  e  distribuz.  dell'energia  elettrica,      149 

lire  0,52  all'ora,  ed  al  minimum  potrà  costare  nell'avvenire 
lire  0,35.  Col  gas  invece  la  medesima  quantità  di  luce  si  otter- 
rebbe consumando  circa  2,1  metri  cubi  all'ora,  che  al  prezzo 
di  25  centesimi  costerebbero  lire  0,53.  Siccome  i  numeri  cal- 
colati per  gli  accumulatori  non  rappresentano  che  una  piccola 
parte  del  prezzo  effettivo,  così  si  può  conchiudere  che  anche 
in  questo  caso  l'illuminazione  elettrica  ottenuta  per  mezzo  degli 
accumulatori  caricati  in  un  opifizio  centrale  e  portati  a  domicilio 
non  può  in  nessun  modo  essere  economica  oggidì,  e  difficil- 
mente potrà  diventarlo  in  avvenire. 

15.  Riassumendo  ciò  che  riguarda  l'impiego  delle  pile  se- 
condarie per  la  distribuzione  della  forza  e  della  luce,  impiego, 
che,  secondo  le  promesse  dell'inventore,  doveva  essere  il  più 
importante,  e  dal  quale  la  società  proprietaria  dell'apparecchio 
ha  desunto  il  proprio  nome,  noi  ci  formiamo  la  convinzione  che 
i  progetti  grandiosi  che  si  sono  formati  non  possono  oggidì,  e 
non  potranno  probabilmente  mai  essere  tradotti  in  pratica.  La 
distribuzione  a  domicilio  dell'energia  meccanica  e  della  luce, 
fatta  per  mezzo  delle  pile  secondarie,  non  potrà  convenire  se 
non  per  piccole  applicazioni,  nelle  quali  abbisognino  lavori 
motori  minimi  o  minime  quantità  di  luce.  £  veramente  se  noi 
ripensiamo  alle  cose  che  si  vedevano  esposte  nel  palazzo  del- 
l' industria,  troviamo  che  le  macchine  che  lavoravano  animate 
dalle  pile  del  Paure  erano  unicamente  macchine  da  cucire,  ed 
altri  apparecchi  somiglianti,  pei  quali  bastava  il  lavoro  di  pochi 
chilogrammetri  per  minuto  secondo.  Si  fecero  bensì  durante 
l'esposizione  alcuni  esperimenti  nei  quali  colle  pile  Paure  si 
ottenevano  lavori  di  uno  o  più  cavalli;  e  ad  alcuni  di  questi 
esperimenti  dovetti  prendere  parte  io  stesso  durante  il  lavoro 
dei  giurati,  ma  quegli  esperimenti  non  potevano  servire  ad  altro 
che  a  determinare  i  coefficienti  di  rendimento  meccanici,  e  non 
potevano  dire  nulla  sulla  parte  più  grave  della  questione,  che 
è  quella  dei  prezzi. 

16.  Oltre  alla  applicazione  della  quale  abbiamo  parlato,  la 
società  La  force  et  la  lumière  ne  indicava  alcune  altre,  e  prima  fra 
queste  quella  che  si  sarebbe  fatta  alla  trazione  delle  carrozze 
sulle  tramvie. 

Le  considerazioni  che  ho  avuto  occasione  di  fare  poc*  anzi, 
relativamente  al  prezzo  ed  al  peso  delle  pile  secondarie  a  piombo, 
bastano  a  fare  presentire  che  una  così  fatta  applicazione  non 
potrà  forse  mai  convenire.  Senza  dilungarmi  per  giustificare  con 


150  Parte  prima. 


considerazioni  numeriche  questa  previsione,  io  citerò  in  ap- 
poggio della  medesima  un  esperimento.  Nel  giorno  15  giugno 
scorso,  sulla  linea  delia  tramvia  di  Vincennes  (tra  il  Boulroard 
Richard  Lenoir  e  la  Barrière  du  Tróné)  si  mise  in  moto  un 
omnibus  per  mezzo  della  corrente  elettrica  data  da  una  batteria 
di  accumulatori  Faure  collocata  su  di  esso.  La  velocità  ottenuta 
fu  di  IO  chilometri  all'ora.  Il  generatore  elettrico  era  costituito 
da  180  accumulatori  Faure,  che,  insieme,  pesavano  1700  chilo- 
grammi. Da  questo  risultato  si  può  trarre  la  conclusione,  che 
per  ottenere  il  lavoro  che  potrebbero  fare  due  cavalli  d'omnibus 
del  valore  di  forse  2600  lire,  bisognerebbe  fare  una  prima  spesa 
di  20000  lire,  caricare  la  carrozza  di  un  peso  morto  di  1700  chi- 
logrammi, ed  andare  incontro  ad  una  spesa  per  l'esercizio  e 
per  la  manutenzione,  che,  se  non  si  può  calcolare,  si  può  però 
prevedere  molto  elevata. 

Fra  le  applicazioni  possibili  degli  accumulatori  si  parlò 
anche  di  questa:  accumulare  durante  l'intera  giornata  il  lavoro 
di  una  motrice  di  piccola  potenza,  per  utilizzarlo  in  operazioni, 
che  richiedono  una  forza  motrice  grande,  ma  per  un  tempo 
breve.  È  questa  una  delle  applicazioni  che  si  presentano  prima, 
da  sé,  alla  mente;  ma  analizzata  colla  scorta  dei  dati  numerici 
che  possediamo,  si  riconosce  vantaggiosa  soltanto  quando  il 
tempo  per  cui  si  ha  bisogno  del  lavoro  sia  brevissimo.  Lo  scopo 
dell'applicazione  si  riduce  ad  una  economia  nell'acquisto  del 
motore;  e  per  ottenerlo  si  fa  una  nuova  spesa  per  l'acquisto 
del  materiale  elettrico.  Confrontiamo  ciò  che  si  risparmia  con 
ciò  che  si  spende;  e  a  quest'uopo  consideriamo,  come  esempio, 
il  caso  nel  quale  si  voglia  far  servire  una  motrice  di  un  ca- 
vallo, che  lavori  tutta  la  giornata,  ad  accumulare  l'energia  ne- 
cessaria per  fare  un  lavoro  che  richiede  6  cavalli  durante  4  ore 
sole.  In  questo  caso  si  risparmierebbero  nell'acquisto  del  motore 
forse  6000  —  2500  =  3500  lire.  Ma  per  compenso  si  dovrebbero 
provvedere: 

i.°  Per  l'accumulazione  di  4x6  =  24  cavalli-ore  60  ac- 
cumulatori, che  costano  attualmente  lire  60  x  100  =  6000,  e  che 
al  minimum  potranno  costare  nell'avvenire  lire  60  >?.  40  =  2400  ; 

2.°  Una  macchina  dinamo-elettrica  da  un  cavallo,  per  la 
carica,  ed  una  da  6  cavalli,  per  la  scarica,  le  quali  potranno 
costare  almeno  4000  lire. 

Dunque  per  risparmiare  3500  lire  si  dovrà  sopportare  una 
maggiore  spesa,  che,  col  prezzo  attuale  degli  accumulatori,  può 


Produz,,  accumuiaz.  e  distribuz.  de W energia  elettrica,      151 

ammontare  a  loooo  lire,  e  che  neir  avvenire  non  potrebbe 
scendere  al  disotto  di  6400  lire.  Se  la  corrente  prodotta  dagli 
accumulatori  non  si  dovesse  trasformare  in  energia  meccanica, 
si  risparmierebbero  sulla  spesa  ora  calcolata  lire  3000  per  la 
macchina  dinamo-elettrica  ricettrice  di  sei  cavalli,  la  quale  non 
sarebbe  più  necessaria,  e  così  la  spesa  totale  si  ridurrebbe  a 
7000  lire  attualmente  e  3400  al  minimum  nell'  avvenire.  Nem- 
meno in  questo  caso  non  vi  sarebbe  economia. 

L'economia  però  potrebbe  aversi  quando  il  numero  delle 
ore,  per  cui  si  ha  bisogno  della  corrente,  fosse  ancora  più  pic- 
colo, giacché  in  questo  caso,  mentre  rimarrebbe  la  stessa  la 
spesa  per  la  provvista  degli  accumulatori,  si  farebbe  maggiore 
il  risparmio  nell'acquisto  della  macchina  motrice. 

Analoga  alla  precedente  è  l'applicazione  che  si  può  fare 
alla  utilizzazione  di  forze  motrici,  che  si  hanno  a  buon  mercato 
o  gratuite,  ma  che  non  si  possono  impiegare  direttamente, 
perchè  troppo  variabili.  Non  è  impossibile  che  in  alcuni  casi 
l'applicazione  possa  convenire;  non  lo  si  potrebbe  però  dimo- 
strare in  generale. 

17.  Dopo  di  aver  esaminato  quelle  applicazioni  che,  benché 
dagli  inventori  poste  innanzi  per  le  prime,  non  potranno  essere 
tradotte  utilmente  in  pratica,  o  non  lo  potranno  se  non  in  casi 
speciali,  io  arrivo  ad  altre  applicazioni  alle  quali  si  attribuì 
finora  una  importanza  secondaria,  od  a  cui  non  si  é  ancora 
pensato,  e  che  tuttavia  mi  si  presentano  come  pratiche  e  ve- 
ramente ricche  di  avvenire. 

Colloco  fra  queste  l'applicazione  che  si  può  fare  delle  pile 
dì  Paure  ad  utilizzare  durante  il  giorno  le  macchine  dinamo- 
elettriche, che  di  notte  s'impiegano  direttamente  per  la  illumi- 
nazione. L'occasione  di  pensare  ad  un'applicazione  di  questa 
natura  si  può  presentare,  per  eseoipio,  alle  amministrazioni  di 
ferrovie;  se  su  di  una  linea  di  strada  ferrata  si  hanno  stazioni 
illuminate  di  notte  con  lampade  elettriche,  il  che  nell'avvenire 
sarà  il  caso  generale,  può  essere  ragionevole  studiare  se  per 
avventura  non  convenga  adoperare  durante  il  giorno  le  mac- 
chine dinamo-elettriche  destinate  a  queste  lampade,  e  caricare 
con  esse  batterie  di  accumulatori  destinate  alla  illuminazione 
delle  sale,  degli  uffizi,  delle  carrozze,  od  anche  delle  stazioni 
minori.  È  questa  una  questione  che  non  si  può  decidere  in  ge- 
nerale, ma  che  merita  d'essere  studiata,  nei  singoli  casi  speciali, 
dalle  amministrazioni. 


152  Parte  prima. 


Analoga  a  questa,  ma  più  grandiosa,  è  l'applicazione  che  si 
potrà  fare  degli  accumulatori  alla  illuminazione  elettrica  delle 
abitazioni  private,  quando,  come  potrà  verificarsi  nell'avvenire, 
la  luce  elettrica  avrà  sostituito  il  gas  nell'illuminazione  pub- 
blica. Se  un  giorno  avverrà  che  per  le  vie  e  sulle  piazze  delle 
città  gli  attuali  becchi  a  gas  si  veggano  rimpiazzati  da  lampade 
elettriche,  e  se,  come  a  suo  luogo  dimostrerò  essere  probabile, 
queste  lampade  saranno  ad  arco  voltaico,  e  perciò  inette  alla 
illuminazione  domestica,  allora  potrà  accadere  che  gli  accumu- 
latori voltaici  vengano  collocati  nelle  abitazioni  private  ed  uti- 
lizzate per  l'illuminazione  di  queste  con  lampade  ad  incande- 
scenza. La  carica  degli  accumulatori  si  farebbe  allora  per  mezzo 
di  correnti  derivate  dai  grandi  circuiti  dell'illuminaziane  pubblica, 
e  la  corrente  di  scarica,  che  potrà  differire  per  durata,  per  in- 
tensità, per  forza  elettro-motrice  da  quella  che  ha  servito  alla 
carica,  potrà  sempre,  con  buone  proporzioni  e  disposizioni  degli 
apparecchi,  ridursi  alle  condizioni  più  convenienti  per  le  lampade 
domestiche  ad  incandescenza.  Potrà  accadere  eziandio  che  la 
carica  degli  accumulatori  pei  privati  si  faccia  lungo  il  giorno, 
riservando,  nella  sera,  tutta  l'energia  delle  correnti  alla  illumi- 
nazione pubblica.  Se  questa  applicazione  verrà  un  giorno  a 
verificarsi,  gli  accumulatori  di  Faure  faranno  nelle  case,  per  la 
distribuzione  elettrica,  ciò  che  fanno,  nelle  distribuzioni  di  acqua 
potabile,  i  serbatoi.  £  considerando  la  cosa  da  questo  punto  di 
vista,  si  può  dire:  non  si  può  per  ora  prevedere  se  1*  illumi- 
nazione elettrica  diventerà  un  giorno  generale  e  si  estenderà 
alle  case  private  come  ai  luoghi  pubblici,  ma  si  può  asserire 
che  se  questo  avverrà,  le  pile  secondarie  diventeranno  una  delle 
parti  essenziali  dell'apparecchio. 

Fin  d'  ora,  intanto,  si  adoperano  con  profitto  gli  accumu- 
latori voltaici  come  regolatori  delle  correnti  per  l'illuminazione 
con  lampade  ad  incandescenza  come  quelle  di  Swan. 

Ma  la  più  importante  delle  applicazioni,  che  forse  fin  d'oggi 
si  potrebbe  tradurre  in  pratica  in  molti  luoghi,  è  quella  che 
si  potrebbe  fare  per  utilizzare  nelle  ore  di  riposo  la  forza  mo- 
trice già  destinata  ad  altri  usi,  per  farla  servire  alla  illumina- 
zione. Io  penso  ad  una  città  industriale,  come  va  diventando 
quella  da  cui  scrivo,  nella  quale  si  abbia  una  poderosa  forza 
motrice  idraulica,  utilizzata  soltanto  di  giorno  e  per  poche  ore 
della  sera,  e  mi  domando  se  non  si  potrebbe  utilizzare  quella 
forza  motrice  durante  la  notte  per  l'illuminazione.  Una  difficoltà 


Produz.,  accumulaz.  e  distribuz,  dell'energia  elettrica.      153 

si  presenta,  ed  è  che  il  lavoro  negli  opifizi  si  prolunga  alla 
sera  fino  ad  ora  avanzata,  e,  sopratutto  nell'inverno,  T illumi- 
nazione, a  cui  i  motori  vorrebbero  farsi  servire,  deve  cominciare 
alcune  ore  prima  che  gli  opifizi  cessino  di  averne  bisogno. 
Ebbene,  questa  difficoltà  si  potrebbe  forse  superare  ricorrendo 
agli  accumulatori,  e,  per  rispetto  aireconomia,  la  cosa  potrebbe 
riuscire  più  che  conveniente. 

Poniamo,  per  esempio,  che  per  3000  ore  per  ogni  anno  si 
abbiano  inoperosi  1000  cavalli  di  forza  motrice  idraulica,  e  che 
Tunica  difficoltà  per  utilizzarli  nella  illuminazione  della  città  sia 
che  in  alcune  stagioni  il  lavoro  dei  motori  non  può  distrarsi 
dalle  fabbriche  per  tutte  le  prime  quattr'  ore  di  notte.  Per  ri- 
mediare a  ciò  basta  impiegare  una  parte  della  forza  motrice, 
nelle  ore  in  cui  la  si  ha  disponibile,  a  caricare  batterie  di  accu- 
mulatori della  capacità  complessiva  massima  di  4000  cavalli-ore. 

4000 
Per  avere  questa  capacità  è  necessario  il  numero        -  x  50, 

20 

ossia  loooo  di  accumulatori,  i  quali,  col  prezzo  attuale  massimo 
di  100  lire  ciascuno,  costano  lire  i.ooo.ooo. 

Per  caricare  poi  questi  accumulatori  si  richiedono  macchine 
dinamo*elettriche  per  la  forza  complessiva  di  1000  cavalli,  le 
quali  potranno  costare  200.000  lire.  Il  materiale  necessario  co- 
sterebbe adunque  in  tutto  lire  1.200.000.  Con  questa  spesa  si 
otterrebbe  una  illuminazione  equivalente  a  quella  di  7000  lam- 
pade Swan  di  1,5  becchi  Carcel  durante  3000  ore;  illuminazione 
che,  fatta  col  gas,  e  posto  uguale  a  0,2  il  prezzo  di  un  metro 
cubo  di  gas,  costerebbe  630.000  lire.  Cosi  con  una  spesa  d'im- 
pianto uguale  a  4  si  ricaverebbe  un  reddito  brutto  annuo  mag- 
giore di  2.  Se  poi,  come  è  possibile,  il  prezzo  degli  accumulatori 
potrà  ridursi  ad  un  minimo  di  40  lire,  la  spesa  necessaria  per 
ottenere  un  frutto  annuo  maggiore  di  2  si  ridurrà  a  2. 

18.  Riassumendo  i  risultati  dei  confronti  e  delle  conside- 
razioni che  ho  fatto  relativamente  alle  applicazioni  industriali 
delle  pile  secondarie  adoperate  come  accumulatori  dell'energia, 
io  posso  conchiudere  : 

I.»  Pel  loro  prezzo  elevato  e  pel  loro  grande  peso  gli 
accumulatori  voltaici  ad  elettrodi  di  piombo  non  possono,  né 
potranno  forse  mai,  essere  adoperati,  su  grande  scala,  come 
mezzo  pel  trasporto  a  distanza  e  per  la  distribuzione  della 
energia  meccanica.  I  soli  casi  in  cui  essi  potranno  forse  essere 
adoperati  sono   quelli   nei  quali   si   hanno   a   distribuire   forze 


154  Parie  prima. 


motrici  minime,  equivalenti  ad  una  piccola  frazione  d'un  cavallo- 
vapore. 

2.**  Benché  gli  accumulatori  si  prestino  meglio  alla  distri- 
buzione della  luce  che  a  quella  dell'energia  meccanica,  tuttavia 
le  condizioni  economiche  di  questa  applicazione  sono  talmente 
sfavorevoli,  che  si  può  asserire  con  sicurezza  che  gli  accumu- 
latori attualmente  conosciuti  non  saranno  mai  adoperati  su 
vasta  scala  pel  trasporto  e  per  la  distribuzione  della  luce.  E  ciò 
anche  quando  il  loro  prezzo  diventasse  minore  della  metà  del 
prezzo  attuale. 

3.*»  In  questo  caso  il  trasporto  e  la  distribuzione  del- 
l'energia, data  da  un  motore  centrale,  si  farà  con  una  economia 
incomparabilmente  più  grande  trasmettendo  direttamente  le  cor- 
renti elettriche  dalle  macchine  generatrici  centrali  alle  macchine 
ricettrici  situate  presso  gli  utenti,  mediante  gomene  metalliche, 
che  non  portandola  e  distribuendola  immagazzinata  negli  accu- 
mulatori. 

4.°  L'applicazione  che  è  stata  proposta  delle  pile  di  Faure 
alla  trazione  delle  carrozze  sulle  tramvie  difficilmente  diventerà 
pratica  ed  economica. 

5.**  L' utilità  degli  accumulatori  considerati  come  mezzo 
per  far  servire  un  motore  di  piccola  potenza,  che  lavori  conti- 
nuamente, a  produrre  effetti  che  richieggono  per  un  breve  tempo 
una  grande  forza  motrice,  non  può  sussistere  se  non  nei  casi 
ove  il  tempo,  per  cui  si  fa  uso  dell'energia  accumulata,  sia 
brevissimo. 

ó.*»  Non  è  impossibile  che  in  qualche  caso  gli  accumulatori 
possano  servire  ad  utilizzare  forze  motrici  gratuite  ma  troppo 
variabili  per  potersi  impiegare  direttamente;  ma  la  convenienza 
economica  di  quest'applicazione  non  si  potrebbe  dimostrare  in 
generale.  In  questo  caso  poi  le  pile  secondarie  non  rappresentano 
il  solo  mezzo  a  cui  si  possa  ricorrere,  né  fra  i  mezzi  adoperabili 
sono  il  migliore. 

7.°  Possono  tornare  utili  le  pile  secondarie  per  adoperare 
lungo  il  giorno  le  macchine  d' induzione  destinate  a  dare  di 
notte  direttamente  le  correnti  per  l'illuminazione. 

8.°  Le  pile  secondarie  avrebbero  un'applicazione  sicura 
ed  importante  qualora  per  l'illuminazione  pubblica  nelle  città  si 
adottasse  generalmente  la  luce  elettrica.  In  questo  caso  le  pile 
secondarie  darebbero  un  modo  per  estendere  in  buone  condi- 
zioni r  illuminazione  elettrica  anche  alle  abitazioni  private.  Fin 


Produz.,  accufftulaz,  e  distribuz,  dell'energia  elettrica.     155 

d'ora  gli  accumulatori  si  vedono  adoperati  per  regolare  le  cor- 
renti nell'uso  delle  lampade  ad  incandescenza. 

9.°  Un'applicazione  grandiosa,  che  può  essere  attuabile 
fin  d'ora,  è  quella  che  si  può  fare  in  una  città  industriale  ove 
si  abbia  una  forza  motrice  idraulica,  che  nella  notte,  durante  il 
riposo  degli  opifizi,  vada  tutta  perduta.  Colle  pile  secondarie  si 
può  risolvere  il  problema  di  far  servire  quel  lavoro,  attualmente 
perduto,  all'  illuminazione. 

Da  questo  riassunto  poi  scaturisce  questa  conclusione  ge- 
nerale: che,  fatta  astrazione  da  qualche  caso  specialissimo,  le 
pile  secondarie,  quali  ora  sono,  non  possono  prestare  servizi 
nelle  applicazioni  industriali  se  non  quando  ciò  che  si  vuole 
utilizzare  col  loro  mezzo  e  ciò  che  col  loro  mezzo  si  vuole  pro- 
durre sia  una  corrente  elettrica  e  non  un  lavoro  meccanico. 
Inoltre,  le  migliori  condizioni  per  l'impiego  industriale  di  questi 
apparecchi  si  hanno  quando  i  medesimi  non  debbono  essere 
trasportati  da  luogo  a  luogo. 


§  3.°  Distribuzione  dell'energia 
per  mezzo  di  correnti  elettriche. 

Problema  da  risolvere.  —  Vari  modi  di  risolverlo.  Regolatori  a  mano  e 
regolatori  automatici:  Edison,  Brush,  Maxim.  —  Loro  insuflScienza.  —  Sistema 
di  A.  Gravitr.  —  Sistema  di  Marcel  Deprez. 

19.  I  confronti  numerici,  di  cui  ci  ha  dato  occasione  lo 
studio  delle  applicazioni  possibili  degli  accumulatori  voltaici,  ci 
hanno  portato  a  questa  conclusione:  che  se  verrà  un  giorno, 
nel  quale  si  possa  risolvere  su  grande  scala,  per  mezzo  del- 
l'elettricità,  il  problema  di  distribuire  a  molti  utenti,  suddivisa 
a  piacimento  e  trasmessa  a  grandi  distanze,  l' energia  sommi* 
nistrata  da  grandi  motori  centrali,  questo  si  farà  per  mezzo  di 
una  canalizzazione  di  correnti  elettriche.  Siccome  la  soluzione 
di  questo  problema  costituirebbe  la  più  grandiosa  delle  appli- 
cazioni industriali,  che  i  risultati  attualmente  ottenuti  abbiano 
permesso  sperare,  così  noi  troviamo  nella  esposizione  di  Parigi 
parecchie  proposte  ed  alcune  invenzioni  che  la  riguardano. 

Per  poter  dividere  e  distribuire  fra  molti  apparecchi  ricet- 
tori, come  motori  elettrici,  lampade  elettriche,  bagni  elettro- 
chimici, ecc.,  r  energia  elettrica  prodotta  da  un  generatore  cen- 


156  Parte  prima. 


trale,  e  per  fare  ciò  in  buone  condizioni  tecniche,  bisogna  potere, 
prima,  risolvere  questo   problema:    disporre   le   macchine  ed  i 
conduttori  in   tale   maniera,  che    si    possano    introdurre  nel  si- 
stema o  sopprimere,  attivare   od   arrestare,  quanti  si  vogliano 
apparecchi  ricettori,  senza  che  le  correnti  che  animano  gli  altri 
risentano   variazioni   sensibili.  Acciocché   poi  il  sistema  ;5Ìa  in 
perfette  condizioni  economiche,  è   necessario   che   la   costanza 
delle  correnti  elettriche  sia  ottenuta  senza  bisogno  di  consumare 
in  effetti  inutili  il  lavoro  delle  macchine  generatrici;  è  mestieri 
in  altri  termini  che  la  costanza  delle  correnti  sia  ottenuta,  non 
già  introducendo  nei  circuiti  resistenze   variabili,  le  quali  tra- 
sformino in  calore  1'  energia  elettrica   nei  momenti   in  cui  essa 
diventa  eccessiva,  ma  sia  invece  ottenuta  agendo  sul  generatore 
in    tal   modo  che    in    ogni   istante   esso    non    consumi   più  di 
quella  quantità  d'energia  meccanica  di  cui  in  quell'istante  si  ha 
bisogno. 

Il  problema  si  era  presentato,  benché  sotto  una  forma  assai 
meno  generale,  fino  dal  tempo  dei  primi  tentativi  di  applicazione 
della  luce  elettrica  alla  illuminazione  pubblica.  Ma  per  questo 
caso  speciale,  molto  ristretto,  bastava  una  soluzione  parziale, 
la  quale  si  ottenne  costruendo  macchine  d'induzione  con  più 
spirali  indotte  indipendenti  e  poste  in  circuiti  distinti.  Con 
questo  artifizio,  che  noi  troviamo  già  nelle  antiche  macchine 
dtW  Alliance  e  vediamo  riprodotto  nelle  macchine  del  Lontin  e 
nelle  macchine  a  correnti  alternative  di  Grantme  e  di  Siemens, 
l'attivazione  delle  lampade  di  un  circuito  e  la  loro  soppressione 
non  influisce  direttamente  sulle  lampade  degli  altri  circuiti;  e 
se  la  macchina  motrice  è  munita  di  un  regolatore  che  ne  man- 
tenga costante  la  velocità,  le  intensità  delle  correnti  nei  circuiti 
che  rimangono  chiusi  rimangono  costanti,  ed  il  lavoro  consu- 
mato dalla  macchina  cresce  o  diminuisce  in  proporzione  dei 
circuiti  che  si  chiudono  o  che  si  interrompono. 

In  questi  giorni  però,  coli*  ingrandirsi  e  moltiplicarsi  degli 
impianti  e  dei  progetti  per  l'illuminazione,  e  sopratutto  col 
sorgere  del  progetto  assai  più  generale  e  grande  dell'applica- 
zione delle  correnti  elettriche  al  trasporto  ed  alla  distribuzione 
dell'energia,  la  soluzione  parziale,  ora  accennata,  è  diventata 
insufficiente.  Quindi  il  problema  si  è  ripresentato  nella  sua 
forma  generale;  e  la  sua  importanza  è  stata  tanto  sentita,  che 
in  pochi  mesi  si  videro  parecchie  proposte  di  soluzioni.  L'espo- 
sizione ci  ha  posto   innanzi   esempi   istruttivi  dei  principali  si- 


Produz.,  accumniaz.  e  dìstribuz,  dell* energia  elettrica»     157 

stemi  tentati  e   fra  le  altre   ci   ha   mostrato  una  soluzione  che 
forse  è  completa. 

20.  Per  far  variare  T  intensità  della  corrente  data  da  una 
macchina  dinamo-elettrica,  senza  modificare  la  resistenza  del 
circuito,  ci  sono  due  modi:  far  variare  la  velocità  della  spirale 
indotta,  o,  tenendo  costante  la  velocità,  far  variare  T  intensità 
del  campo  magnetico  nel  quale  la  spirale  indotta  si  muove. 

Il  primo  modo  sarebbe  pessimo  meccanicamente,  inamis- 
sibiie  elettricamente.  Pessimo  meccanicamente  pel  principio 
generale,  e  fondamentale  nella  teoria  delle  macchine,  per  cui 
la  costanza  della  velocità  è  una  condizione  essenziale  pel  buon 
rendimento  di  qualunque  meccanismo.  Inammissibile  elettrica- 
mente, perchè,  qualunque  fossero  gli  artifizi  adoperati  per  far 
variare,  a  seconda  delle  variazioni  della  intensità  della  corrente 
la  velocità  angolare  dell'armatura  indotta,  le  variazioni  si  fa- 
rebbero sempre  troppo  lentamente  per  servire  allo  scopo.  Le 
variazioni  di  intensità  di  corrente,  che  possono  verificarsi  per 
cause  accidentali  o  per  le  variazioni  del  numero  dei  ricettori 
in  azione,  sono  sempre  rapidissime  e  possono  produrre,  anche 
in  tempi  brevissimi  inconvenienti  assai  gravi,  contro  i  quali  il 
rimedio,  che  può  arrecare  la  variazione  della  velocità  della 
macchina,  arriverebbe  sempre  troppo  tardi.  Cito  come  esempio 
il  caso  di  un  sistema  per  Tillumi  nazione  con  lampade  ad  incan- 
descenza, nel  quale  basterebbe  che  la  intensità  della  corrente 
eccedesse  durante  pochi  minuti  secondi  un  limite  determinato^ 
perchè  molte  lampade  venissero  distrutte. 

Conviene  dunque  agire  sulla  intensità  del  campo  magnetico^ 
ed  a  questo  mirano  i  vari  sistemi  che  hanno  figurato  nell'espo* 
sizione. 

Un  modo  di  far  diminuire  od  aumentare,  a  seconda  del 
bisogno,  l'intensità  del  campo  magnetico,  in  cui  ruota  la  spirale 
indotta,  consiste  nel  far  variare,  a  seconda  del  bisogno,  la  di- 
stanza tra  i  poli  dell'induttore  e  l'indotto  che  ruota  Ira  di  essi. 
Lo  spostamento  delle  braccia  dell'induttore,  a  ciò  necessario,, 
si  può  ottenere  a  mano,  o  meglio  automaticamente.  Un  esempio 
di  quest'ultima  disposizione  era  rappresentato  da  una  piccola 
macchina  dinamo-elettrica  esposta  nella  sezione  francese  da 
certo  signor  Chameroy.  L'apparecchio  però  era  più  ingegnoso 
che  pratico  od  imitabile;  infatti  oltre  all'essere  difficile  a  rego- 
larsi, oltre  al  presentare,  nei  grandi  modelli,  difficoltà  gravi  di 
costruzione,  esso  ha,  sebbene  in  minor  proporzione,  l' inconve- 


158  Parte  prima, 

niente  di  cui  abbiamo  parlato  poc'  anzi,  di  essere  troppo  lento 
nella  sua  azione. 

Assai  più  comodo  e  più  ragionevole  è  modificare  Tintensità 
del  campo  magnetico,  facendo  variare  opportunamente  l'intensità 
delle  correnti  nelle  spirali  magnetizzanti  delle  elettro-magneti 
induttrici.  Per  fare  ciò  è  necessario  adoperare  come  corrente 
magnetizzante  dell'induttore  una  corrente  distinta  dalla  corrente 
principale.  La  cosa  si  può  fare  in  due  modi,  o  mettendo  le 
spirali  magnetizzanti  dell'  induttore  in  un  circuito  derivato,  o 
separando  queste  spirali  completamente  dal  circuito  principale 
della  macchina,  e  mandando  in  esse  la  corrente  data  da  una 
macchina  eccitatrice  apposita.  La  disposizione  che  figurava  nelle 
antiche  macchine  di  Ladd  e  nelle  prime  grandi  macchine  a  luce 
del  Gramme,  nelle  quali  si  avevano  due  spirali  indotte  destinate 
r  una  a  produrre  la  corrente  principale  e  l' altra  la  corrente 
magnetizzante,  rientra  in  questo  secondo  caso.  Quelle  macchine 
infatti  si  possono  considerare  come  sistemi  di  due  macchine, 
una  principale  e  l'altra  eccitatrice,  riunite  insieme. 

Disposti  i  circuiti  in  una  di  queste  maniere,  si  può  agire 
sulla  corrente  eccitatrice,  per  farne  variare  l'intensità,  in  due 
modi:  o  per  mezzo  di  un  regolatore  a  mano  governato  da  una 
persona  dietro  le  indicazioni  di  un  galvanoscopio  appropriato 
alla  specie  di  applicazione  in  cui  la  macchina  è  impiegata,  oppure 
per  mezzo  di  un  regolatore  automatico. 

Il  primo  modo  è  quello  che  si  trova  applicato  nella  grande 
macchina  di  Edison  alla  quale  ho  dedicato  più  sopra  alcune 
parole  di  descrizione.  Quella  macchina  colossale  deve,  secondo 
i  progetti  dell'  inventore,  essere  il  centro  di  una  grande  distri- 
buzione di  energia  per  l'illuminazione  con  lampade  ad  incande- 
scenza, e  siccome  queste  lampade  hanno  bisogno  di  una  corrente 
moderata  e  costante,  e  potrebbero  essere  distrutte  da  un  acci- 
dentale aumento  della  intensità,  così  quella  macchina  doveva 
necessariamente  essere  provveduta  di  un  regolatore.  —  Edison 
ha  creduto  che  l'ufficio  importante  e  delicato  di  regolatore 
dovesse  essere  tenuto  da  una  persona.  Nella  grande  macchina 
esposta  le  elettro  calamite  induttrici  sono  eccitate  da  una  cor- 
rente derivata  dai  poli  della  macchina  stessa;  in  altri  modelli 
della  macchina  di  Edison,  esse  lo  sono  invece  dalla  corrente 
di  una  macchina  eccitatrice  apposita.  In  ogni  caso,  sul  circuito 
della  corrente  eccitatrice  è  inserita  una  cassa  di  resistenze,  a 
quadrante  ed  a   manovella.  La    manovella  è  alla   portata  di  urt 


Produz,,  acatmulaz,  e  distribuz,  dell'energia  elettrica.     159 

sorvegliante,  il  quale  regolandosi   dietro   le    indicazioni    di   un 
galvanoscopio,  oppure  a   seconda   dell'aspetto  di  una  lampada 
normale,  fa  variare  la  resistenza  del  circuito  della  corrente  ec- 
citatrice, e  con  questa  l'intensità  del  campo  magnetico,  in  modo 
da  mantenere   costante  l'intensità  della  corrente  principale,  op- 
pure, a  secondo   del   modo  di   collegamento  delle   lampade,  la 
differenza  dei   potenziali  ai  due  poli  della  macchina.  Lo  scopo 
per  cui  l'inventore  ha  creduto  di  dovere  preferire  questo  sistema 
è  certamente  quello  di  sottrarre  il  governo  della  corrente,  così 
importante  in  un*  applicazione   su  grande  scala,  alle  incertezze 
inevitabili  nel  funzionare  di    tutti   i   meccanismi  automatici.  Si 
potrebbe  dubitare  però  che  così  facendo  egli  sia  andato  incontro 
ad  un  inconveniente   anche  più   grave:   quello  che  per  una  di- 
sattenzione^ troppo  facile,  della  persona   incaricata  della  sorve- 
glianza, l'uniformità  della  corrente  venga  in  qualche  momento 
a  mancare,  od  almeno  non  si  ristabilisca  colla  necessaria  pron- 
tezza. A    questo   riguardo,  l'esposizione   non    ci    ha   insegnato 
nulla,  giacché  il    regolatore   che   era  stato  applicato,  nei  primi 
giorni,  alla  piccola  macchina,  venne  in  seguito  soppresso^  e  poi 
rìapplicato  alla   macchina   grande;    ma  non  ha  mai  funzionato. 
Nell'esposizione,  infatti,  ove  l'apparecchio,  regolato  nel  momento 
della  messa  in  moto,  si  trovava  in   condizioni    eccezionalmente 
buone  di  invariabilità,  il  regolatore  non  poteva  essere  necessario. 
La   società   Brush  (Anglo-American    Brusii   Electric -light 
Corporation  iimited)  nella  sezione  inglese,  presentava  due  rego- 
latori, uno  dei  quali  doveva  essere,  come  quello  di  Edison,  go- 
vernato da   una  persona,  e  l'altro   era  automatico.  Con  questi 
apparecchi,  invece  di  far  variare  la  resistenza  del  circuito  della 
corrente  eccitatrice,  si  fa  variare  quella  di  un  circuito  derivato. 
La  variazione  della  resistenza  è  fatta,  nel  primo  apparecchio,  a 
roano,  in  modo  analogo  a  quello   adoperato  da  Edison  nel  suo 
regolatore.  Nell'altro  apparecchio  è  fatta  automaticamente;  in 
questo  secondo  regolatore  la  resistenza  variabile  è  data  da  una 
pila  di  tavolette  di  carbone,  ed  è  regolata  dalla  pressione  eser- 
citata su  detta  pila  dall'  armatura  di  una  elettro-calamita,  per  la 
spirale  della  quale  passa  la  corrente  principale. 

Il  primo  di  questi  sistemi  ha  tutti  gli  inconvenienti  di  quello 
più  semplice  di  Edison,  ed  ha  inoltre  quello  di  deviare  conti- 
nuamente, in  pura  perdita,  una  parte  della  corrente  eccitatrice. 
U  secondo  sistema  poi,  oltre  al  dare  luogo  ad  una  perdita,  ha 
il  difetto  di  essere  troppo  delicato  e  variabile  nella  sua  funzione. 


i6o  Parte  prima, 

I  due  apparecchi  erano  esposti,  ma  che  io  sappia,  non  furono, 
durante  l'esposizione,  mai  adoperati.  Del  primo  si  può  dire, 
colle  riserve  che  ho  fatte,  che  esso  potrà  tornare  utile  per  l'ac- 
comodamento preliminare,  quando  si  mette  in  azione  la  mac- 
china; quanto  al  regolatore  automatico,  è  probabile  che  esso 
non  possa  dare  alcun  serio  risultato. 

Assai  migliore  dei  precedenti  è  il  regolatore  di  Maxim,  che 
fu  esposto  nella  sezione  americana  della  United  States  Electric 
Lighting  Company  di  New  York.  È  questo  un  apparecchio  in- 
gegnoso, perfettamente  studiato  in  tutte  le  sue  parti,  il  quale 
può  probabilmente  rendere  nella  pratica  utili  servìgi.  Inoltre 
esso  differisce  da  tutti  gli  apparecchi  precedenti  pel  principio 
stesso  sul  quale  è  fondato,  e  merita,  anche  per  questo  riguardo, 
di  essere  conosciuto. 

Nelle  macchine    dinamo- elettriche   del   Maxim  la  corrente 
eccitatrice  è  somministrata   da   una   macchina  dinamo-elettrica 
apposita;  nelle  grandi  installazioni,  quando  si  hanno  parecchie 
macchine  che  debbono  lavorare  insieme,  un'unica  macchina  ec- 
citatrice dà  la  corrente   magnetizzante  alle   elettro-calamite   in- 
duttrici  di  tutto  il  sistema.  Ebbene,  il  regolatore  della  intensità 
della  corrente  è  applicato  alla  macchina  eccitatrice,  e  fa  variare 
r  intensità   della   corrente   prodotta   da   questa ,    spostando   gli 
sfregatoi  del  suo  raccoglitore.  Si  sa  che    la   intensità  della  cor- 
rente data  da  una   macchina   a   corrente  continua  del  tipo  Pa- 
cinotti  varia  colla  posizione  dei  due  punti  diametralmente  opposti, 
nei  quali  le  spazzole   raccoglitrici    toccano   le   lamine  del  com- 
mutatore; r  intensità   è    massima   quando  il   contatto  ha  luogo 
nei  due  punti  neutri,  vale  a  dire  nei  due  punti  per  cui  la  forza 
elettro-motrice  è  nulla  e  cambia  di  segno,  punti   situati  in  vici- 
nanza del  piano  perpendicolare  alla  linea  dei  poli  induttori,  con 
un  piccolo  ritardo    rispetto   al   medesimo;    essa   diminuisce  se, 
facendo  rotare  il  sistema  delle  due  spazzole,  si  allontanano,  in 
un  senso  o  nell'altro,  i  punti  di   contatto  dai  punti  neutri.  Ciò 
è  quanto  succede   nella    macchina    eccitatrice  di  Maxim;   il  si- 
stema delle  sue  due   spazzole   raccoglitrici   può  girare  intorno 
all'asse  della  spirale  indotta,  per  modo  che  i  due  punti  di  con- 
tatto tra  le  spazzole  e  le  lastrine  del  commutatore,  pur  rimanendo 
sempre  diametralmente  opposti,  possono   passare    su   diametri 
diversamente   inclinati    rispetto   a   quello    che   passa  pei   punti 
neutri;  il  movimento  poi  è  impresso  alle  spazzole  da  un  appa- 
recchio automatico  che  agisce  per  effetto  delle  variazioni  della 
corrente  principale. 


Produz.,  accumulaz,  e  distribuz.  dell'energia  elettrica,     i6i 


L'apparecchio  automatico  è  collocato  sul  capitello  stesso 
della  macchina  eccitatrice  ed  è  fatto  nel  modo  seguente.  Una 
elettrocalamita  a  filo  sottile,  posta  in  derivazione  sul  circuito 
principale,  attira  con  una  forza,  la  quale  varia  coir  intensità 
della  corrente,  una  armatura,  alla  quale  è  sospéso  un  nottolino 
munito  di  due  denti  opposti.  Questo  nottolino  riceve  da  una 
trasmissione  intermediaria,  presa  sull'asse  medesimo  della  mac- 
china, un  movimento  oscillatorio,  di  va  e  vieni,  e  i  due  denti 
di  cui  esso  è  munito  compiono  le  loro  oscillazioni  frammezzo 
a  due  ruote  dentate,  in  direzione  tangenziale  alle  medesime,  ma, 
nello  stato  normale,  senza  toccarle.  I  denti  del  nottolino  oscil- 
lante non  toccano  né  l'una,  né  l'altra  delle  due  ruote  dentate 
quando  la  corrente,  che  passa  per  la  spirale  dell'elettro-magnete 
del  regolatore,  ha  la  sua  intensità  normale.  Ma  se  la  corrente 
s'indebolisce,  allora  l'armatura,  attirata  meno  fortemente  e  sol- 
lecitata da  una  molla  antagonista,  si  allontana  dall'  elettro-ma- 
gnete e  solleva  il  nottolino.  Ne  segue  che  il  dente  superiore 
del  nottolino  si  impegna  fra  i  denti  della  ruota  superiore  e  la 
mette  in  moto,  facendola  avanzare  di  un  dente  per  ogni  oscil- 
lazione. Il  movimento  della  ruota  è  trasmesso,  per  mezzo  di  un 
sistema  dì  ruote  dentate,  alle  spazzole  del  raccoglitore  i  cui 
punti  di  contatto  si  allontanano  così  dai  punti  neutri.  L' effetto 
inverso  si  produce  quando  l'intensità  della  corrente  attraversante 
la  elettro-magnete  aumenta;  allora  infatti  l'armatura,  attratta  più 
potentemente,  si  abbassa  e  fa  abbassare  seco  il  nottolino;  il 
dente  inferiore  di  questo  viene  cosi  ad  impegnarsi  fra  i  denti 
della  ruota  inferiore;  e  questa  imprime  al  sistema  delle  spazzole 
un  movimento  opposto  a  quello  che  si  era  prodotto  nel  caso 
precedente.  Una  seconda  elettro-calamita  situata  d'accanto  a 
quella  del  regolatore  funziona  come  apparecchio  di  sicurezza^ 
pel  caso  di  un  accidentale  aumento  dell'intensità  della  corrente 
e  di  tale  grandezza  da  poter  danneggiare  le  lampade  alimentate 
dalla  macchina.  Quando  l' intensità  della  corrente  raggiunga  un 
valore  limite,  al  di  là  del  quale  essa  diventerebbe  pericolosa^ 
Tannatura  di  questa  elettro-magnete  chiude  un  breve  circuito 
derivato,  di  minima  resistenza,  e  riduce  così  ad  un  nonnulla 
l'intensità  della  corrente  eccitatrice. 

Fra  tutti  i  regolatori  automatici  che  figuravano  alla  espo- 
sizione,  quello  che  abbiamo  descritto  è  certamente  il  migliore. 
Benché,  come  tutti  gli  altri,  di  cui  abbiamo  già  parlato,  esso, 
nel  palazzo    dell'  industria,  non   funzionasse,   tuttavia   basta    la 

G.  FERRARIS,  Optre,  Voi.  II.  *  ii 


i62  Parte  prima. 


descrizione  che  ne  abbiamo  data  per  farlo  giudicare  atto  a 
servire,  almeno  in  alcuni  casi.  Suoi  difetti  sono  unicamente  di 
essere  assai  complicato  e  delicato,  e  di  essere  alquanto  lento 
nella  sua  azione. 

21.  Quest'ultimo  difetto,  quello  di  essere  troppo  lento  in 
confronto  alla  rapidità  delle  variazioni  che  sogliono  verificarsi 
negli  apparecchi  elettrici,  è  inevitabile  in  tutti  gli  apparecchi 
regolatori,  l'azione  dei  quali  consiste  nel  modificare,  quando  se 
ne  presenta  il  bisogno,  alcune  parti  della  macchina  dinamo- 
elettrica, o  della  sua  eccitatrice,  per  modo  da  far  variare  nel 
senso  voluto  l' intensità  della  corrente.  Qualunque  infatti  sia  la 
modificazione  che  l'apparecchio  deve  produrre  nella  macchina, 
essa  non  si  può  effettuare  senza  poire-in  movimento  alcuni  or- 
gani meccanici,  e  se  questo  movimento  ha  da  essere  propor- 
zionato al  bisogno,  esso  deve  in  generale  farsi  dolcemente,  e 
consumare  così  un  tempo  considerevole. 

Un  altro  inconveniente,  comune  a  tutti  gli  apparecchi  auto- 
matici, è  che  la  loro  azione' 6  soggetta  a  mancare  talvolta  ac- 
cidentalmente, e  ciò  indipendentemente  dalla  perfezione  con 
cui  la  costruzione  può  essere  eseguita. 

Per  questi  motivi  i  meccanismi  automatici,  applicati  alle 
macchine  generatrici,  per  governare  l'azione  col  modificarle 
ogni  qualvolta  la  corrente  tende  a  variare,  comunque  ingegnosi 
e  perfetti,  non  possono  bastare  se  non  in  casi  speciali  e  per 
piccole  applicazioni.  Essi  non  bastano  per  la  soluzione  del  pro- 
blema generale,  dal  quale  dipende  la  possibilità  di  fare  su  larga 
scala,  industrialmente,  la  distribuzione  delP  energia  per  mezzo 
di  correnti  elettriche.  Una  soluzione  completa,  e  realmente 
pratica,  di  questo  problema  non  si  può  avere  se  non  trovando 
modo  di  disporre  e  collegare  i  circuiti  e  le  spirali  delle  mac- 
chine così  che,  senza  bisogno  di  apparecchi  governatori  o  di 
sorveglianza  personale,  ma  in  grazia  delle  leggi  stesse  che  pre- 
siedono alla  distribuzione  delle  correnti  nei  conduttori,  l'intensità 
della  corrente  che  anima,  uno  qualunque  degli  apparecchi  ri- 
cettori sia  indipendente  dalle  variazioni  che  possono  avvenire 
in  tutti  gli  altri. 

22.  Se  fosse  possibile  avere  un  generatore  con  resistenza 
interna  nulla  o  trascurabile,  si  potrebbe  ottenere  il  risultato  a 
cui  si  mira,  si  potrebbero  cioè  combinare  i  circuiti  dei  ricettori 
in  modo  che  l'attivazione  o  l'inserzione  di  un  numero  qualunque 
di  questi  apparecchi,  o  la  loro  soppressione,  non  recasse  alte- 


Produz.,  accumulaz.  e  disiribuz,  dell'energia  elettrica,     163 

razione  sensibile  nell'andamento  di  tutti  gli  altri,  con  una  di- 
sposizione semplicissima,  la  quale  si  presenta  alla  mente  da  sé. 
Basterebbe  a  quest'uopo  collocare  i  ricettori,  vale  a  dire  le 
lampade  elettriche,  od  i  motori  elettrici,  od  i  bagni  elettro- 
chimici, ecc.,  sopra  altrettanti  circuiti  distinti  derivati  tutti  dai 
due  poli  del  generatore.  Mantenendo  allora  costante  la  velocità 
<iella  macchina,  si  avrebbe  sopra  ciascuno  dei  circuiti  derivati 
una  corrente  costante,  il  valore  della  quale  sarebbe  indipen- 
dente dal  numero  degli  altri  circuiti  che  rimangono  chiusi.  In- 
fatti colla  costanza  della  velocità  del  generatore  si'  avrebbe  la 
costanza  della  sua  forza  elettro-motrice,  ed  essendo  nulla  la 
resistenza  interna,  la  forza  elettro-motrice  costante  manterrebbe 
ai  due  poli  una  differenza  di  potenziali  di  valore  costante;  le 
variazioni  delle  resistenze  e  delle  forze  elettro*motrici  che  possono 
esistere  sui  circuiti  esterni  farebbero  bensì  variare  la  grandezza 
del  lavoro  necessario  per  mantenere  costante  la  velocità,  fa- 
rebbero variare  l'intensità  della  corrente  attraverso  il  generatore, 
ina  non  influirebbero  sul  valore  della  differenza  dei  potenziali 
ai  due  poli.  Ora  in  uno  qualunque  dei  circuiti  derivati  sia  r  la 
resistenza  ed  e  la  forza  elettro-motrice  inversa  prodotta  dal  ri- 
cettore durante  il  lavoro;  se  noi  diciamo  E  la  differenza  costante 
dei  potenziali  alle  due  estremità  del  circuito,  e  se  rappresentiamo 
con  I  rintensità  della  corrente  che  lo  percorre,  abbiamo  ir  =  E 
—  e,  ed  il  valore  di  i  che  ne  ricaviamo  è  indipendente  dal 
numero  degli  altri  circuiti  derivati  che  rimangono  chiusi,  dalle 
loro  resistenze  e  dalle  forze  elettro-motrici  prodotte  dagli  ap- 
parecchi ricettori  su  di  essi  collocati. 

Le  condizioni  necessarie  per  una  buona  distribuzione  di 
energia  sarebbero  in  questo  modo  verificate. 

Siccome  è  impossibile  avere  una  macchina  dinamo-elettrica 
<li  resistenza  nulla,  siccome  anzi  nella  pratica,  data  la  forza 
elettro-motrice  che  si  vuole  ottenere,  esiste  un  limite  minimo 
del  valore  della  resistenza,  al  disotto  del  quale  non  si  può  di- 
scendere, così  nella  pratica  la  soluzione  del  problema,  che  ho 
indicato,  non  si  può  realizzare.  È  però  possibile  in  alcuni  casi 
avvicinarsi  alle  condizioni  teoriche  in  cui  or  ora  ci  siamo  col- 
locati, ed  avere  così  una  soluzione  pratica  approssimata.  Per  fare 
ciò  bisogna  adoperare  come  generatori  macchine  dinamo-elettriche 
di  piccola  resistenza  interna,  e  raggrupparne  insieme,  nel  centro 
della  distribuzione,  un  certo  numero  nel  modo  che  dai  pratici 
si  suol  dire  in  quantità;  ossia  congiungendo  insieme  tutti  i  poli 


164  Parte  prima. 


positivi  da  una  parte,  e  tutti  i  poli  negativi  dall'  altra.  Bisogna 
poi  dare  alle  resistenze  dei  vari  circuiti  derivati,  su  cui  saranno 
inseriti  i  ricettori,  valori  abbastanza  grandi,  perchè  la  resistenza 
interna  della  batteria  dei  generatori,  rispetto  ad  esse,  sia  molto 
piccola. 

La  soluzione  approssimativa  del  problema,  della  quale  ho 
parlato,  è,  nella  sostanza,  quella  che  fu  proposta  dal  signor 
A,  Gravier  di  Varsavia,  e  che  figurava  nella  sezione  russa  del- 
l' esposizione.  Benché  presentato  in  modo  meno  semplice,  il 
sistema  di  distribuzione  del  Gravier  si  riduce  a  questo  :  una 
batteria  centrale  di  macchine  dinamo- elettriche,  collegate  in 
quantità  allo  scopo  di  presentare  una  minima  resistenza,  ed  un 
sistema  di  tanti  circuiti  derivati  quanti  sono  i  ricettori  che  si 
vogliono  attivare,  attaccati  tutti,  questi  circuiti  derivati,  a  due 
grossi  conduttori  di  resistenza  trascurabile,  uniti  ai  due  poli 
delle  macchine. 

Questi  due  grossi  conduttori,  di  resistenza  trascurabile,  for- 
mano, in  questa  disposizione,  una  semplice  espansione  dei  poli  dei 
generatori,  destinata  a  portare  in  sito  conveniente  i  punti  d'attacco 
dei  circuiti  parziali;  il  Gravier  li  denomina  condutlori-serbatoi. 

L'unione  dei  circuiti  parziali  coi  conduttori-serbatoi  è  fatta 
mediante  un  commutatore  assai  semplice,  per  mezzo  del  quale 
si  possono  introdurre  o  togliere  dal  sistema  quanti  si  vogliono 
circuiti  parziali.  11  commutatore  poi  è  disposto  in  modo  che, 
quando  si  vuole  togliere  uno  dei  circuiti  derivati,  la  rottura  del 
circuito  si  fa  in  due  punti:  in  un  punto  del  filo  di  andata  ed 
in  un  punto  del  filo  di  ritorno;  ciò  per  diminuire  le  scintille  di 
rottura. 

Pei  casi,  nei  quali  non  si  possa  installare  la  batteria  dei 
generatori  dinamo-elettrici  ,in  vicinanza  del  centro  geometrico 
della  distribuzione,  il  Gravier  propone  di  collocare  in  questo 
centro  un  recipiente  di  distribuzione  e  di  attaccare  al  medesimo, 
invece  che  ai  poli  degli  elettro-motori,  le  estremità  dei  singoli 
circuiti  parziali.  I  recipienti  di  distribuzione  saranno,  seconda 
il  programma  del  Gravier^  costituiti  da  pile  secondarie  di  Piante) 
o  più  semplicemente  da  grandi  masse  metalliche  comunicanti 
per  mezzo  di  conduttori  di  resistenza  trascurabile)  coi  due  poli 
del  generatore.  Invece  di  un  recipiente  di  distribuzione  unico 
se  ne  possono,  quando  occorra,  installare  parecchi,  ed  a  ciascun 
distributore  primario  si  possono  col  legare,  con  grandi  conduttori, 
distributori  secondari. 


Produz.,  acctnnitìas.  e  dtstribuz.  deir energia  eleUrica.     165 

Nei  momenti  di  maggiore  consumo  di  energia  elettrica,  può 
accadere  che  in  qualche  punto  della  rete  si  verifichi  un  abbas- 
samento di  potenziali  tale  da  impedire  il  regolare  lavoro  dei 
ricettori.  Allora  è  necessario  che  chi  governa  i  generatori  sia 
avvertito  del  fatto,  onde  potere  con  un  aumento  di  velocità,  o 
meglio  con  un  aumento  dell'intensità  del  campo  magnetico,  au- 
mentare convenientemente  la  forza  elettro-motrice.  A  questo 
uopo  l'inventore  ha  ideato  di  far  partire  da  quelle  stazioni, 
nelle  quali  il  difetto  delle  correnti  è  sentito  più  presto,  un  filo 
di  ritorno  il  quale  riporta  allo  stabilimento  dei  generatori  una 
corrente  ricavata  dal  punto  debole.  Questa  corrente  può  dare, 
per  mezzo  di  un  galvanometro  di  Marcel  Deprez  o  di  altro  ap- 
parecchio analogo,  le  indicazioni  volute,  dietro  alle  quali  chi 
sorveglia  le  macchine  si  possa  regolare.  Pel  caso  poi  che  si 
volesse  evitare  il  bisogno  di  un  sorvegliante,  il  Gravier  propone 
un  regolatore  automatico  comandato  direttamente  dalla  corrente 
di  ritorno,  al  quale  egli  dà  il  nome  di  regolatore  di  emissione, 
È  un'  elettro-magnete  inserta  sul  circuito  della  corrente  di  ri- 
tomo, l'armatura  della  quale,  equilibrata  quando  la  corrente  di 
ritomo  ha  l' intensità  normale,  oscilla  fra  due  contatti  quando 
l'intensità  della  corrente  di  ritorno  è  superiore  od  inferiore  al 
valore  normale.  Secondochè  l' armatura  si  appoggia  all'  uno  od 
all'altro  dei  due  contatti,  una  corrente  locale  è  mandata  in  un 
verso  o  nell'altro  attraverso  ad  un  piccolo  motore  elèttrico. 
Così  la  spirale  mobile  di  questo  gira  in  un  verso  o  nell'  altro, 
secondochè  la  corrente  di  ritorno  ha  un'  intensità  maggiore  o 
minore  di  quella  che  conviene.  Il  movimento  poi  di  questa 
spirale  è  utilizzato,  per  mezzo  di  un  ingranaggio  a  vite  perpetua, 
a  far  variare  l' intensità  del  campo  magnetico. 

Il  sistema  del  Gravier  meritava  di  essere  descritto,  siccome 
quello  che  rappresenta  un  primo  passo  fatto  sulla  via  che  deve 
condurre  alla  vera  soluzione  pratica  del  problema;  la  quale  si 
deve  cercare  piuttosto  che  in  congegni  regolatori,  in  una  ben 
intesa  combinazione  di  circuiti.  La  descrizione  però  basta  da 
sé  sola  a  porre  in  evidenza  i  difetti  del  sistema  e  a  dimostrarne 
1* insufficienza.  Questa  insufficienza  è  posta  in  evidenza  dal 
semplice  fatto  che  l'inventore  ha  creduto  necessario  di  pensare 
ai  punti  deboli,  alle  correnti  di  ritorno,  al  regolatore  di  emis- 
sione. Tutto  ciò  riconduce  ai  sistemi,  a  regolatore,  di  cui  ab- 
biamo parlato,  ed  inoltre  ad  una  complicazione  di  organi  de- 
licati, nella  pratica  forse  inammissibile.  Inoltre  la  soluzione  che 


i66  Parte  prima. 


il  sistema  rappresenta,  benché  non  sia  che  approssimata,  obbliga 
a  rinunziare  a  due  delle  condizioni  di  economia  che  nelle  tras- 
missioni dell'energia  coll'elettricità  sono  essenziali.  Esso  obbliga 
a  rinunziare  all'impiego  delle  grandi  forze  elettro-motrici,  giacché 
è  impossibile  aver  forze  elettro-motrici  considerevoli  senza  far 
grande  la  resistenza  delle  spirali  delle  macchine;  esso  obbliga 
poi  a  rinunziare  all'impiego  di  linee  di  piccola  resistenza,  giacché 
esso  riposa  tutto  suU'  ipotesi  che  la  resistenza  interna  del  ge- 
neratore sia  trascurabile  a  fronte  di  quelle  dei  circuiti  esterni. 
Non  è  finalmente  inutile  notare  che  la  distribuzione  dei  con- 
duttori nella  rete  non  é,  con  questo  sistema,  sempre  la  più 
comoda,  o  la  più  economica. 

23.  Il  merito  di  avere  trovato  pel  problema  che  ci  interessa 
una  soluzione  teoricamente  completa,  e  nel  tempo  stesso  così 
semplice  da  non  permettere  alcun  dubbio  sulla  sua  attuabilità, 
appartiene  al  signor  Marcel  Deprez. 

Il  sistema  proposto  da  questo  elettricista  non  richiede  l'im- 
piego di  alcun  regolatore  automatico,  tranne  quello  che  deve 
essere  applicato  alla  macchina  motrice  per  mantenere  costante 
la  velocità;  esso  non  richiede  che  una  disposizione  appropriata 
delle  spirali  magnetizzanti  dell'  induttore  della  macchina  gene- 
ratrice, e  può  applicarsi  in  tutti  i  casi,  con  esattezza,  qualunque 
sieno  le  resistenze  della  macchina  generatrice  e  dei  circuiti 
esterni;  nella  combinazione  poi  di  questi  circuiti  permette  due 
disposizioni  diverse,  le  quali  potranno  bastare  nella  grande 
maggioranza  dei  casi.  Colla  sola  condizione  che  la  velocità 
della  macchina  generatrice  sia  mantenuta  constantemente  uguale 
ad  un  valore  convenientemente  determinato,  e  facile  a  trovarsi  in 
ogni  caso,  la  disposizione  proposta  dal  Deprez  fa  sì  che  la  cor- 
rente che  anima  uno  qualunque  degli  apparecchi  ricettori  sia 
indipendente  dalle  variazioni  che  si  verificano  in  tutti  gli  altri; 
la  macchina  generatrice,  da  sé,  non  per  effetto  di  alcun  appa- 
recchio regolatore,  ma  in  conseguenza  delle  leggi  stesse  da  cui 
dipende  la  propagazione  delle  correnti  elettriche  nei  conduttori, 
si  regola  in  modo  da  dare  in  ogni  istante  quel  tanto  di  energia 
elettrica  di  cui  si  ha  bisogno,  e  non  più  di  quanto  abbisogna; 
la  macchina  dinamo-elettrica  generatrice  prende  dal  motore  in 
ogni  istante  tutto  il  lavoro  meccanico  che  è  necessario,  e  non 
ne  prende  di  più;  non  si  ha  in  tutto  il  sistema  alcuna  resistenza 
destinata  unicamente  a  moderare  l'intensità  della  corrente^  nella 
quale  resistenza   l' energia   elettrica  si   trasformi  inutilmeJit^  ^^ 


Produz»,  accumulaz.  e  distrtbuz,  dell'energia  elettrica.     167 

calore.  Se  non  è  temeraria  la  speranza  di  vedere  un  giorno 
fatta  su  vasta  scala  la  distribuzione  dell'  energia  per  mezzo  di 
correnti  elettriche,  l'invenzione  del  M.  Deprez  è  destinata,  nel- 
r  avvenire,  a  grandi  applicazioni  ;  e  per  questo  motivo  l' instal- 
lazione del  sistema,  che  era  stata  fatta  nell'esposizione  di  Parigi, 
comunque  imperfetta,  e  solo  mediocremente  riuscita,  si  può 
considerare  come  una  delle  cose  più  notevoli  di  quella  mostra 
internazionale. 

Il  sistema  di  distribuzione  proposto  dal  Marcel  Deprez  è 
semplicissimo;  e  si  riduce  alla  applicazione  di  alcuni  teoremi 
affiitto  elementari,  relativi  alle  leggi  delle  correnti  elettriche, 
combinati  con  risultati  di  note  esperienze  sulla  produzione  delle 
correnti  nelle  macchine  dinamo*elettriche. 

Il  signor  Deprez  presenta  i  princìpi,  su  cui  si  basa  il  suo 
sistema,  come  conseguenza  di  quella  che  egli  denomina  teoria 
grafica  delle  macchine  dinamo-elettriche;  i  medesimi  però  si 
possono  ritrovare  più  facilmente  senza  bisogno  di  alcuna  rap- 
presentazione grafica,  e,  se  io  non  erro,  in  un  modo  più  diretto 
e  quindi  migliore. 

Le  disposizioni  proposte  dal  Deprez  per  la  distribuzione 
elettrica  dell'energia  sono  due.  Nella  prima  si  diramano  da  un 
unico  circuito  principale,  contenente  la  macchina  dinamo-elettrica 
generatrice,  tanti  circuiti  derivati  quanti  sono  •  gli  apparecchi 
ricettori  ai  quali  l'energia  si  vuole  distribuire;  ciascun  ricettore 
è  collocato  in  un  proprio  circuito  derivato.  Nella  seconda  di- 
sposizione, invece,  si  ha  un  circuito  unico,  su  cui  sono  installati 
tutti  i  ricettori;  una  medesima  corrente  anima  tutti  gli  apparecchi. 
Col  linguaggio  dei  pratici  diremo:  nel  primo  sistema  i  ricettori 
sono  disposti  in  derivazione,  nel  secondo  essi  sono  in  tensione 
od  in  serie.  I  due  casi  vogliono  essere  studiati  separatamente. 

Io  considero  dapprima  la  disposizione  in  derivazione. 

Se  con  F  si  rappresenta  la  differenza  dei  potenziali  tra  i 
due  punti  dai  quali  si  diramano  i  vari  circuiti  derivati,  e  se  si 
rappresentano  colle  lettere  /?  ed  ^  la  resistenza  di  uno  qualunque 
di  questi  circuiti  e  la  forza  elettro-motrice  inversa  prodotta  dal 
ricettore  situato  su  di  esso,  si  sa  che  l'intensità  /  della  corrente 
in  questo  circuito  è  data  dalla  formula. 

RI=F-e. 

Siccome  in  questa  formula  non  figurano,  oltre  ad  F,  altre 
grandezze  che  dipendano   dal   numero   e  dalle  condizioni  degli 


i68  Parte  prima. 


altri  circuiti  derivati  e  dei  ricettori  situati  su  di  essi,  così  essa 
ci  insegna,  che  acciocché  l'intensità  /  rimanga  costante,  co- 
munque si  faccia  variare  il  numero  ed  il  modo  di  funzionare 
degli  altri  ricettori,  è  necessario  e  sufficiente  che  rimanga  co- 
stante la  differenza  F  dei  potenziali  nei  due  punti  di  diramazione. 
Il  problema  da  risolversi  si  riduce  adunque  a  questo:  tro- 
vare una  disposizione  per  cui  la  differenza  F  dei  potenziali  nei 
due  punti,  nei  quali  sono  fatte  le  derivazioni,  sia  costante. 
Diciamo  E  la  forza  elettro-motrice  della  macchina  dinamo-elet- 
trica ed  i  r  intensità  della  corrente  principale  ;  applichiamo  poi 
la  legge  di  Ohm  al  circuito  principale,  ossia  al  tratto  di  con- 
duttore, di  cui  indichiamo  con  r  la  resistenza,  che  termina  ai 
due  punti  di  diramazione  e  che  comprende  la  macchina  gene- 
ratrice; abbiamo 

F^  E  —  ri. 

Questa  uguaglianza,  mostrandoci  in  qual  modo  la  differenza 
di  potenziali  F  dipenda  dalla  variabile  «,  intensità  della  cor- 
rente, ci  permette  dì  trovare  il  modo  di  rendernela  indipendente. 

Se  il  campo  magnetico  fosse  prodotto  da  una  corrente  data 
da  una  macchina'  eccitatrice  distìnta  dalla  macchina  principale, 
E  sarebbe  indipendente  da  i*;  1'  equazione  ci  dimostra  che  in 
questo  caso  F  diminuirebbe  col  crescere  di  i. 

Se  invece  si  adoperasse  come  corrente  eccitatrice  la  cor- 
rente principale  stessa,  di  cui  l'intensità  è  rappresentata  dalla 
lettera  /,  E  crescerebbe  con  i.  Si  sa  dalle  esperienze,  che  se  le 
elettro-magneti  induttrici  non  sono  prossime  allo  stato  di  satu- 
razione, E  è  sensibilmente  proporzionale  ad  i;  si  sa  pure  che 
ciò  si  può  ammettere,  con  sufficiente  approssimazione,  nei  casi 
ordinari  della  pratica.  Detta  quindi  k  una  costante,  e  rappre- 
sentato con  n  il  numero  dei  giri  fatti  dalla  spirale  indotta  in 
ogni  minuto,  si  può  scrivere  E=  kni.  La  nostra  equazione  ci 
dà  in  questo  caso 

F=(kn-'r)i, 

e  ci  fa  vedere  che  F  cresce  proporzionalmente  ad  i. 

Se  noi  adunque  combinassimo  insieme  i  due  modi  di  ecci- 
tazione, e  producessimo  il  campo  magnetico  simultaneamente 
per  mezzo  di  una  corrente  data  da  una  eccitatrice  indipendente, 
e  per  mezzo  della  corrente  principale,  potremmo,  con  un  con- 
veniente valore  dato  alla  velocità,  ottenere  una  differenza  di 
potenziali  F  di  valore  costante. 


Produz.,  accumulaz,  e  distribuz.  dell'energia  elettrica.     169 

Ciò  pensò  di  fare  il  Deprez,  ed  in  ciò  consiste  il  suo  sì- 
stema.  U  Deprez  propone  di  formare  le  spirali  magnetizzanti 
deir  elettro-calamita  induttrice  per  mezzo  di  due  fili  avvolti  in- 
sieme, simultaneamente,  e  di  inserire  poi  uno  di  questi  nel 
circuito  principale  della  macchina,  e  l'altro  nel  circuito  di  una 
macchina  eccitatrice  distinta.  In  questo  modo  si  hanno  due 
correnti  eccitatrici:  la  corrente  principale,  che  ha  l'intensità  1, 
e  la  corrente  dell'  eccitatrice  indipendente,  che  ha  un'  altra  in- 
tensità /'. 

La  prima  di  queste  correnti  produrrebbe,  da  sola,  una  forza 
elettro-motrice  kni\  la  seconda,  similmente,  produrrebbe  da 
sola  una  forza  elettro-motrice  kni';  le  due  correnti  insieme 
producono  quindi  una  forza  elettro -motrice 

E  =  kn(i  i-  1"). 

Portando  questo  valore  di  E  nell'espressione  di  F,  otte- 
niamo 

F^{kn-'r)i+kni\ 

Ora  si  vede  che  dando  ad  n  il  valore 

r 

il  termine   dipendente   da  i  si  annulla,  ed  il  valore  di  F  si  ri- 
duce a 

F=kni'  =  ri\ 

Questo  valore  non  dipende  da  altro  che  dalla  resistenza  r 
e  dalla  intensità  delia  corrente  eccitatrice  1';  esso  è  assoluta- 
mente indipendente  da  tutte  le  variazioni  che  possono  avvenire 
nel  numero  e  nelle  condizioni  dei  circuiti  derivati.  Per  mante- 
nere costante  il  valore  di  F  basta  mantenere  costante  l'intensità 
della  corrente  ausiliaria  i\  e  mantenere  invariata  la  velocità 
della  macchina. 

Il  problema  è  adunque  completamente  risolto:  per  avere 
nei  due  punti  di  derivazione  una  differenza  di  potenziali  co- 
stante, e  rendere  con  ciò  indip>endenti  gli  uni  dagli  altri  i  ri- 
cettori situati  sui  diversi  circuiti  derivati  basta: 

i.°  Formare  le  spirali  magnetizzanti  delle  elettro-magneti 
eccitatrici  con  due  fili  e  far  passare  per  l' uno  la  corrente  prin- 
cipale, e  per  l' altro  la  corrente  di  una  macchina  eccitatrice  in- 
dipendente. 


170  Parie  prima. 


2.°  Fare  si  che  la  spirale  indotta  ruoti  con  una  velocità 
costante,  e  faccia  in  ogni   minuto  un  numero  di  giri  uguale  ad 


3.°  Mantenere  costante  l'intensità  della  corrente  data  dalla 
eccitatrice  indipendente. 

Questa  soluzione  del  problema  soddisfa  alla  condizione  della 
massima  economia.  In  ogni  elemento  di  tempo  la  macchina  dì- 
namo-elettrica generatrice  non  produce  che  quella  quantità  di 
energia  elettrica  di  cui  si  ha  bisogno  per  alimentare  i  circuiti 
derivati  che  in  quell'istante  si  trovano  chiusi,  e  non  assorbisce 
del  lavoro  delU  macchina  motrice  più  di  quella  parte  che  è 
strettamente  necessaria  per  produrre  quella  quantità  di  energia. 
Se  in  un  dato  istante  si  sopprimono  una  o  più  derivazioni,  la 
intensità  della  corrente  principale,  la  quale  è  la  somma  di  quelle 
delle  correnti  derivate,  diminuisce  di  una  quantità  uguale  alla 
somma  delle  intensità  delle  correnti  soppresse,  ed  il  lavoro 
consumato  dalla  generatrice,  che  vale  Et,  diminuisce.  Se  una 
o  più  nuove  derivazioni  si  vengono  ad  aggiungere,  l' intensità 
della  corrente  principale  cresce  di  una  quantità  uguale  alla 
somma  di  quelle  delle  nuove  correnti,  ed  il  lavoro  consumato 
dalla  macchina  dinamo-elettrica  aumenta  di  quanto  è  necessario 
per  soddisfare  alle  nuove  esigenze. 

Prima  di  passare  alla  seconda  disposizione  del  sistema,  è 
necessario  che  io  insista  sopra  di  una  osservazione.  La  teoria 
che  ho  svolto  riposa  sopra  l'ipotesi  che  tutte  le  derivazioni 
siano  fatte  nei  due  medesimi  punti:  nelle  due  estremità  del  cir- 
cuito principale.  Se  le  diramazioni  delle  correnti  si  facessero  in 
diversi  punti  presi  lungo  i  due  reofori  principali,  la  distribuzione 
delle  correnti  sarebbe  più  complicata,  ed  il  sistema  esposto 
riuscirebbe  unicamente  a  rendere  costante  la  differenza  di  po- 
tenziale nei  due  punti  di  derivazione  più  prossimi:  il  modo  di 
dimostrazione  che  io  ho  seguito,  essendo  il  più  semplice  ed  il 
più  diretto,  lo  mette  in  chiaro.  Ora  pare  che  questa  circostanza 
sia  sfuggita  all'inventore  del  sistema,  giacché  nella  installazione 
che  figurava  all'esposizione,  le  prese  delle  correnti  parziali  erano 
fatte  in  diversi  punti,  a  grandi  distanze,  lungo  i  due  reofori  princi- 
pali. Se  l'installazione  fosse  stata  eseguita  in  modo  da  poter  fare 
su  di  essa  esperienze  di  qualche  valore,  egli  è  probabile  che  le 
conseguenze  di  tale  falsa  disposizione  si  sarebbero  rese  sensibili. 


Produs.,  accumulaz.  e  distribuz.  dell'energìa  elettrica.     171 

Vengo  ora  alla  disposizione  coi  ricettori  in  serie  sopra  di 
un  circuito  unico. 

In  questo  caso  la  condizione  a  cui  si  deve  soddisfare,  ac- 
ciocché i  diversi  ricettori  situati  lungo  il  circuito  sienò  indi- 
pendenti gli  uni  dagli  altri,  e  non  risentano  alcun  effetto  dalla 
soppressione  o  dall' ag^unta  di  un  numero  qualunque  di  essi, 
è  che  l'intensità  dell'unica  corrente  che  li  attraversa  abbia  un 
valore  costante,  indipendente  dalla  resistenza  del  circuito  e 
dalle  forze  elettro-motrici  che  si  producono  negli  apparecchi 
ricettori  durante  il  lavoro.  D  Marcel  Deprez  ha  dimostrato,  che 
anche  questa  condizione  può  essere  soddisfatta,  facendo  la  ec- 
citazione della  macchina  dinamo- elettrica  per  mezzo  di  due  cor- 
renti, prodotte  l'una  dalla  macchina  stessa  e  l'altra  da  una 
macchina  eccitatrice  indipendente.  La  sola  differenza  tra  questo 
caso  e  quello  della  distribuzione  per  derivazione  sta  in  ciò,  che 
la  prima  corrente  eccitatrice  non  deve  più  essere  la  corrente 
principale  della  macchina,  ma  una  corrente  derivata  dalla  me- 
desima e  presa  sui  due  poli. 

Io  posso  dimostrare  questa  proposizione  in  poche  parole. 
Dico  a,  bf  r  le  resistenze  della  spirale  indotta»  della  spirale 
magnetizzante  posta  in  derivazione  sulla  corrente  principale,  e 
del  circuito  esterno:  ia,  tb,  I  le  intensità  delle  correnti  rispet- 
tive, r  r  intensità  della  corrente  eccitatrice  indipendente,  È  la 
forza  elettro-motrice  della  macchina  generatrice,  ed  ^  la  somma 
delle  forze  elettro-motrici  inverse  dovute  agli  apparecchi  ricet- 
tori. Applicando  i  noti  teoremi  di  Kirchhoff,  ho  le  tre  equazioni 

/=  t'a  —  ib  , 

aia  +  rI^=E  —  e, 

ri — 6ib  =  —  e. 

Inoltre,  detta  k  una  costante,  ed  n  il  numero  dei  giri  fatti 
dalla  spirale  indotta  in  ogni  minuto,  posso,  come  insegna  l'espe- 
rienza, porre 

E=kH(Ìb  +  f). 

Eliminando  tra  le  quattro  equazioni  le  tre  incognite  E,  ia, 
io,  ottengo  con  facili  riduzioni: 

bkni'— eia-^ò  —  kn) 


r(a-^  ò  -  kn)  -^aò 


172  Parte  prima. 


Ora  quest'uguaglianza  dimostra  che  se  si  dà  alla  macchina 
una  velocità  tale  che  sia 

a-\'  b  —  kn  =  Of 

ossia 

a  +  b 

il  valore  di  /  si  riduce  a 

bknt  _  a-Vb   ., 

^~  ab   ~'~ir\  ' 

e  diventa  indipendente  tanto  dalla  resistenza  r  del  circuito 
esterno,  quanto  dalle  forze  elettro-motrici  che  per  effetto  degli 
apparecchi  ricettori  si  producono  sul  medesimo. 

E  questa  è  la  condizione  a  cui  si  voleva  soddisfare. 
Dunque  per  rendere  indipendenti  tra  di  loro  i  ricettori  col- 
locati in  serie  su  di  un  unico  circuito  si  deve: 

i.°  Formare  le  spirali  dell'induttore  con  due  fili  posti 
l'uno  su  di  una  derivazione  presa  ai  due  poli  della  macchina, 
l'altro  nel  circuito  di  una  macchina  eccitatrice  indipendente. 

2.0  Mantenere  costante  l'intensità  della  corrente  data  dalla 
eccitatrice  indipendente. 

3.®  Mantenere  costante  la  velocità  della  spirale  indotta,  e 
procurare  che   essa   faccia   in   ogni  minuto  un  numero  di  giri 

uguale  ad  — 7—  . 

R 

Questa  disposizione,  come  la  precedente,  soddisfa  alla  con- 
dizione della  massima  economia.  Quando  uno  degli  apparecchi 
ricettori  viene  arrestato,  od  è  tolto  dal  circuito,  diminuisce  la 
intensità  h  della  corrente  derivata  eccitatrice,  diminuisce  l'in- 
tensità del  campo  magnetico,  diminuisce  quindi  il  lavoro  con- 
sumato dalla  macchina  dinamoelettrica,  ed  il  motore  non  deve 
somministrare  più  di  quanto  è  necessario  per  tenere  in  azione 
i  ricettori  che  rimangono  attivi.  Se  invece  un  nuovo  apparecchio 
ricettore  si  inserisce  nel  circuito,  ed  entra  in  azione,  cresce 
l'intensità  della  corrente  eccitatrice  derivata,  cresce  l'intensità 
del  campo  magnetico,  e  la  macchina,  per  conservare  la  sua  ve- 
locità, deve  assorbire  un  lavoro  più  grande. 

Una  osservazione  è  importante  ed  aggiunge  bellezza  a 
questa   semplicissima   soluzione    del   problema  fondamentale  di 


Froditz.,  accmmmias,  e  distriòmz^  delttturgia  tUUrica.     173 

ogni  distrìbnzioac  elettrica.  L'osservazione  è  che,  colle  notazioni 
dì  cui  ci  siamo  serviti,  a  ^  b  rappresenta  la  somma  delle  resi- 
stenze della  girale  indotta  e  di  una  delle  spirali  magnetizzanti 
deir  indottore  ;  ora  la  medesima  somma,  nelle  formole  relative 
alia  disposizione  per  derivazione  era  rap{Mresentata  da  r.  Quindi 
per  una  macchina,  le  cui  spirali  abbiano  resistenze  date,  la  ve- 
locità necessaria  è  la  stessa  nei  due  casL  Ciò  permette  di  feir 
servire  una  medesima  macchina  dinamo-elettrica,  a  {ùacimento, 
ad  un  .sLstema  di  distribuzione  per  derivazione,  oppure  ad  un 
sistema  con  ricettcni  disposti  per  serie  su  di  un  unico  circuito. 
Basta  a  quest'uopo  munire  la  macchina  di  un  semplice  commu- 
tatore, per  mezzo  del  quale  si  possa,  a  piacimento,  inserire  la 
spirale  magnetizzante  nel  circuito  principale,  oppure  metterla 
in  derivazione.  In  tutti  i  rasi,  e  qualunque  sieno  i  circuiti 
estemi,  qualunque  sia  la  quantità  di  energia  che  si  vuole  tras- 
mettere e  distribuire,  la  velocità  che  bisogna  dare  alla  spirale 
indotta  è  sempre  la  medesima;  il  numero  di  giri  che  la  spirale 
deve  compiere  in  ogni  minuto  è  in  tutti  i  casi  uguale  al  quo- 
ziente della  resistenza  totale  delle  spirali  indotte  ed  induttrici^ 
divisa  per  la  costante  k. 

LsL  costante  k,  che  bisogna  conoscere  per  poter  determinare 
il  valore  necessario  delia  velocità,  è  quella  per  cui  bisogna 
moltiplicare  il  prodotto  dell'intensità  della  corrente  eccitatrice 
pel  numero  di  giri,  onde  ottenere  il  valore  della  forza  elettro- 
motrice corrispondente.  D  valore  di  questa  costante  si  può  de- 
terminare facilmente  per  mezzo  di  alcune  esperienze  preventive, 
in  ciascuna  delle  quali  si  misurino  il  numero  di  giri  n,  l'intensità 
della  corrente  eccitatrice  data  da  una  pila  o  da  una  macchina 
eccitatrice  indipendente,  e  la  forza  elettro-motrice  ottenuta.  De- 
terminata una  volta  questa  costante,  e  calcolato  con  essa  il 
valore  di  n,  questo  varrà  sempre,  in  tutte  le  applicazioni. 

Nella  teorìa  il  sistema  di  distribuzione  delle  correnti  pro- 
posto dal  Marcel  Deprez  è  completo  e  perfetto;  e  per  la  pratica 
esso  ha  il  carattere  prezioso  di  una  grande  semplicità,  il  quale 
costituisce  la  prima  condizione  per  la  buona  riuscita.  Io  credo 
che  basti  il  cenno,  che  ne  ho  dato,  a  giustificare  l' asserzione 
colla  quale  ho  cominciato,  che  per.  chi  pensi  alle  possibili  ap- 
plicazioni che  la  corrente  elettrica  avrà  in  avvenire,  come 
mezzo  per  la  trasmissione  e  per  la  distribuzione  dell'  energia, 
l'invenzione  del  Deprez  deve  presentarsi  come  una  delle  cose 
più  notevoli  dell'esposizione. 


174  Parte  seconda. 


Ma  poiché  ho  espresso  questa  opinione,  ho  anche  il  dovere 
di  osservare  che  un  giudizio  sicuro  e  definitivo  sul  valore  pra- 
tico dell'invenzione  non  sarebbe  possibile  oggidì.  Si  richieggono 
per  darlo,  risultati  di  esperienze  serie  fatte  su  scala  sufficien- 
temente grande  e  con  apparecchi  appositivamente  costrutti  e 
disposti  in  perfette  condizioni.  Tali  non  erano  gli  esperimenti 
che  si  sono  fatti  e  che  si  sarebbero  potuti  fare  cogli  apparecchi 
provvisori  che  erano  stati  installati  nel  palazzo  dell'esposizione. 


PARTE  SECONDA. 

APPLICAZIONI  DELL'ENERGIA  ELETTRICA. 
§1.0  Trasmissione  del  lavoro  meccanico  a  distanza. 

Considerazioni  generali.  —  Applicazioni  speciali  Applicazione  agli  opifizi: 
Htilmann,  Ducommun  e  SteinUn.  —  Aratura  elettrica  :  Felix  e  ChréiUn,  — 
Ferrovie  elettriche  :  Siemens  ed  Halske,  Siemens  frères,  ChréHen.  ^  Vantaggi  e 
difficoltà  della  trazione  elettrica  sulle  ferrovie,  casi  in  cui  essa  può  essere  eoo* 
veniente.  —  Posta  elettrica  di  Werner  Siemens,  —  Applicazione  della  trasmis- 
sione elettrica  alle  perforatrici.  —  Applicazione  agli  apparecchi  di  ventilazione 
pei  locali  abitati:  Génesie,  Herscher  et  Comp.  —  Sulla  distribuzione  dell'energia 
meccanica  alla  piccola  industria. 

24.  Se  nel  circuito  della  corrente  prodotta  da  una  macchina 
dinamo-elettrica  a  corrente  contìnua,  tenuta  in  azione  da  una 
motrice^  si  inserisce  un'altra  macchina  a  corrente  contìnua, 
ijuesta,  per  eflTetto  della  corrente,  si  mette  in  movimento  e  re- 
stituisce sotto  forma  di  energia  meccanica  una  parte  del  lavoro 
speso.  Così  la  corrente  elettrica  può  essere  adoperata  come 
mezzo  telo-dinamico,  e  V  esposizione  di  elettricità  ci  ha  pre- 
sentato esempi  svariati  delle  applicazioni  che  si  possono  fare 
di  questo  principio. 

Ma  per  renderci  conto  della  importanza  che  possono  avere 
neir  industria  tali  applicazioni,  per  giudicare  della  loro  conve- 
nienza economica,  e,  se  possibile,  per  prevedere  il  loro  pro- 
babile avvenire,  è  necessario  che,  prima  di  esaminarle  partita- 
mente,  noi  entriamo  in  alcune  considerazioni  generali.  Queste, 


Applicazioni  dell'energia  elettrica.  175 

mentre  ci  ricorderanno  le  relazioni  quantitative  fra  le  varie 
grandezze  che  si  hanno  a  considerare,  ci  condurranno  ad  alcune 
proposizioni,  che,  se  io  non  m'illudo,  possono  gettare  molta  luce 
sulle  condizioni  economiche  della  applicazione. 

Si  abbiano  due  macchine  dinamo*eIettriche  poste  in  un  me- 
desimo circuito;  la  prima  delle  quali,  che  diremo  generatrice, 
sia  tenuta  in  movimento  da  una  macchina  motrice,  e  la  seconda, 
che  diremo  ricettrice,  si  muova  per  effetto  della  corrente  e  re- 
stituisca una  parte  del  lavoro  assorbito  dalla  prima.  Diciamo  poi: 

L  il  lavoro  meccanico  assorbito  in  ogni  minuto  secondo 
daUa  macchina  generatrice,  espresso  prendendo  per  unità  di 
misura  il  lavoro  di  dieci  milioni  di  unità  assolute  (C,  G,  S)\ 

L!  il  lavoro  meccanico  restituito  dalla  macchina  ricettrice 
nel  medesimo  tempo,  espresso  colla  medesima  unità  di  misura; 

Q  il  lavoro  equivalente  al  calore  svolto  dalla  corrente  nel 
circuito,  espresso  nella  medesima  unità  di  misura; 

R  la  resistenza  totale  del  circuito,  in  ohm; 

/  l'intensità  della  corrente  elettrica  in  ampère; 

E  la  forza  elettro-motrice  della  prima  macchina,  in  volt  ; 

E  la  forza  elettro-motrice  inversa  prodotta  dalla  ricettrice 
durante  il  movimento,  pure  espressa  in  volt. 

Abbiamo  pel  principio  dei  lavori  l'uguaglianza 

L=^L'^.Q;  (1) 

abbiamo  inoltre  le  note  relazioni: 

L  =  EI,      L^EI,      Q  =  RP.  (2) 

Portando  nella  (i)  questi   valori,  otteniamo  E^--^  E  +  RI, 

da  cui  ricaviamo 

E  — E 
1=^,  (3) 

che  è  un'altra  relazione  nota:  quella  che  esprime  la  legge  di 
Ohm.  Dividendo  poi  l'uno  per  l'altro  i  valori  (2)  di  E  e  di  L, 
e  dicendo  k  il  vsdore  del  loro  rapporto,  abbiamo: 

A  è  il  coefficiente  di  rendimento  della  trasmissione  ;  la  (4)  ci 
insegna  che  questo  coefficiente  di  rendimento  è  uguale  al  rap- 
porto tra  la  forza  elettro-motrice  inversa  prodotta  dalla  ricettrice 


176  Parte  seconda. 


e  la  forza  elettro-motrice  diretta  della  macchina  generatrice.  Se 
le  due  macchine  fossero  identiche,  come  accade  in  molte  delle 
applicazioni  attuali,  le  loro  forze  elettro-motrici,  per  un  mede- 
simo valore  della  intensità  della  corrente,  starebbero  fra  di  loro 
semplicemente  come  le  velocità,  o,  ciò  che  vai  lo  stesso,  come 
i  numeri  dei  giri  fatti  in  ogni  minuto  dalle  spirali  indotte  delle 
due  macchine;  detti  quindi  n  ed  n*  questi  numeri  di  giri,  si 
avrebbe 

n 

Portando  nei  valori  (2)  di  L,  di  L\  e  di  j^  in  luogo  di  /, 
il  suo  valore  (3),  ed  eliminando  poi  dalle  espressioni  così  otte- 
■  nute  la  forza  elettro-motrice  E,  per  mezzo  della  (4),  noi  ot- 
teniamo i  valori  del  lavoro  speso  L,  del  lavoro  ricuperato  L! 
e  del  lavoro  trasformato  in  calore  nel  circuito,  espressi  unica- 
mente per  mezzo  della  forza  elettro-motrice  E  del  generatore, 
della  resistenza  R  del  circuito  e  del  coefficiente  di  rendimento 
k  del  sistema.  Questi  valori  sono: 

L  =  (x-k)~,  (5) 

L'=k(i-k)-^,  (6) 

ie  =  (i-A)»^-.  (7) 

Queste  tre  uguaglianze  compendiano  tutte  le  relazioni  quan- 
titative, di  cui  noi  abbiamo  bisogno  per  istudiare  con  rigore 
scientifico  le  condizioni  meccaniche  ed  economiche  delle  tras- 
missioni telo-dinamiche  fatte  per  mezzo   di  correnti  elettriche. 

Deduciamo  da  esse  una  prima  conseguenza  importante,  che 
fu  dimostrata  già  dal  signor  Marcel  Deprez.  Per  valori  dati  di 
Z,  di  L   e   di  jp,  il   valore   di  k   ricavato    da   una   qualunque 

delle  (5),  (6),  (7)  dipende  unicamente  dal  valore  di      -  :  il  coeffi- 

ciente  di  rendimento  rimane  lo  stesso,  qualunque  sia  la  resi- 
stenza R  del  circuito,  qualunque  sia  la  distanza  fra  le  due 
macchine  generatrice  e  ricettrice,  qualunque  sia  il  diametro  e 
la  natura  del  filo  o  della  gomena  che  le  riunisce,  a  questa  sola 


Applicazioni  dell* energia  elettrica,  177 

condizione:  che  a  seconda  dei  diversi  valori  della  resistenza  R 
si  dieno  anche  alla   forza  elettro-motrice  E  valori  diversi,  tali 

che  il  quoziente  -^-   rimanga  costante.  In  altri  termini:  in  una 

trasmissione  di  forza  motrice  fatta  per  mezzo  dell' elettricità  si 
può  ottenere  un  coefficiente  di  rendimento  costante,  indipen- 
dente dalla  lunghezza  della  trasmissione  e  dalle  dimensioni  del 
conduttore;  basta,  a  quest'uopo,  far  variare  la  forza  elettro- 
motrice della  macchina  generatrice  nella  ragione  diretta  della 
radice  quadrata  della  resistenza  del  circuito. 

E 

Siccome  è  ^  =  -_  ,  così   per   k  costante   la   forza   elettro- 
h, 

motrice  E  della  macchina  ricettrice  deve  variare  nel  medesimo 

rapporto  in  cui  varia  la  forza  elettro-motrice  E  della  macchina 

generatrice;  entrambe   le    forze  elettro-motrici  debbono  variare 

nella  ragione  diretta  della  radice  quadrata  della  resistenza  totale. 

Il  valore  che  si  può  dare  nella  pratica  alla  resistenza  del 
circuito  di  una  trasmissione  di  rendimento  prescelto  è  limitato 
oggidì  unicamente  dalla  limitata  forza  elettro-motrice  delle  mac- 
chine attuali,  e  dalla  difficoltà  dell'isolamento,  la  quale  cresce 
col  crescere  delle  forze  elettro-motrici. 

Sia  r  la  somma  delle  resistenze  interne  delle  due  macchine 
generatrice  e  ricettrice;  la  resistenza  esterna,  ossia- la  resistenza 
del  filo  o  delle  gomene  con  cui  le  due  macchine  sono  riunite 
insieme,  sarà  /?  —  r.  Dato  il  valore  k  che  si  vuole  che  abbia  il 
coefficiente  di  rendimento,  data  la  grandezza  E  del  lavoro  che 
si  vuole  ottenere  trasmesso,  e  che  dev'essere  prodotto  dalla  ri- 
cettrice, data  finalmente  la  forza  elettro-motrice  E  della  macchina 
generatrice  della  quale  si  vuole  far  uso,  questa  resistenza  R  —  r 
si  può  facilmente  calcolare. 

La  (6)  dà  infatti 


R=zk(i^k)  ^,, 


E 
E 


e  quindi 


/?-r=it(i-*)^"-r.  (8) 


Siccome  la  resistenza  dei  conduttori  esterni  non  può  essere 
né  nulla,  né  negativa,  così  questa  equazione  ci   determina  due 

G.  Ferraris,  Optre,  VoL  II.  la 


17B  Parie  seconda. 


lìmiti  fia  cui  /t  deve  essere  compreso:  sono  i  due  valori  di  k 
che  soddisfanno  all'equazione 


^(i  -^)— -r  =  o, 


ed  hanno  i  valori 


rr 


Se  si  potesse  fare  r  ==  o,  i  due  limiti  diventerebbero  uguali 
ad  uno  ed  a  zero:  il  coefBciente  di  rendimento  potrebbe  allora 
avere  tutti  i  valori  immaginabili.  Ma  col  crescere  della  resistenza 
interna  r  delle  due  macchine,  ì  due  limiti  si  accostano  l'uno 
all'altro;  per 

essi  diventano   uguali   tra   di   loro,  ed  uguali   entrambi   a  —  ; 

2 

questo  allora  è  il  solo  valore  possibile  del  coefficiente  di  ren- 
dimento. Se  poi  fosse 

'4L' 


r>-r,. 


i  valori  dei  due  limiti  diventerebbero  inmiaginari^  e  ciò  significa 
che  allora  non  sarebbe  possibile  trasmettere  un  lavoro  uguale 
ad  L',  ma  soltanto  lavori  minori. 

Dalle  precedenti  considerazioni  risulta,  che,  proporzionando 
convenientemente  le  diverse  parti  del  sistema,  si  possono  otte- 
nere tutti  gli  infiniti  coefficienti  di  rendimento  che  sono  com- 
presi fra  due  limiti  determinati  dalla  resistenza  interna  delle 
due  macchine  dinamo-elettriche,  limiti  che  per  piccoli  valori  di 
questa  resistenza  possono  essere  assai  lontani  l'uno  dall'altro. 
Quando  si  avesse  a  fare  un  progetto,  si  potrebbe  scegliere  fra 
quei  limiti  il  valore  che  si  vuol  dare  al  coefficiente  di  rendi- 
mento, e  calcolare  in  conseguenza  tutte  le  parti  dell'apparecchio. 
Ora  si  presenta  la  domanda:  fra  tutti  i  valori  possibili  del 
coefficiente  di  rendimento  qual'è  il  più  conveniente?  È  questa 
la  questione  più  importante  che  ci  si  possa  presentare;  ed  è  in- 
dispensabile averla  esaminata,  se  si  vuole  poter  giudicare  della 
importanza  industriale  delle  trasmissioni   elettriche  della  forza, 


Applicazioni  dell'energia  elettrica,  179 

importanza  che  dipende  principalmente  dalle  condizioni  di  eco- 
nomia nelle  quali  le  trasmissioni  si  possono  effettuare. 

Per  dare  una  risposta  a  questa  questione,  mettiamoci  n^el 
caso  più  importante  della  pratica.  Si  voglia  trasmettere  ad  un 
dato  luogo  un  lavoro  U  determinato,  adoperando  a  quest'uopo 
un  motore  da  installarsi  in  un  altro  luogo  dato,  al  quale  noi 
daremo  la  potenza  necessaria,  e  col  quale  metteremo  in  azione 
«ma  macchina  dinamo-elettrica  generatrice  di  data  forza  elettro- 

f 
motrice  £  e  di  data  resistenza  interna  — .  Se  queste  due  gran- 
fa 
^exz^  E  ed  — ,  invece   di  esserci  date   fossero   lasciate  alla 
2 

nostra  scelta,  noi  daremmo  loro  i  valori  più  convenienti  per  la 
economia,  che  sono  per  E  il  massimo  possibile,  avuto  riguardo 
alh  costruzione  della  macchina  ed  all'  isolamento  della  linea,  e 
per  r  il  minimo  praticabile;  dopo  di  che,  le  considereremmo 
come  date.  Con  questi  dati  si  voglia  determinare  il  valore  più 
conveniente  del  coefficiente  di  rendimento  k,  per  calcolare  poi 
in  base  a  questo  tutte  le  parti  del  astema. 

Per  determinare  il  valore  più  conveniente  del  coefficiente 
di  rendimento,  bisogna  prendere  in  considerazione  le  condi- 
zioni di  economia.  Il  valore  più  conveniente  di  >&  è  quello 
per  cui  il  costo  del  lavoro  L',  dato  nel  luogo  voluto,  riesce  il 
minimo. 

Ora  il  costo  del  lavoro  L\  somministrato  dal  sistema  che 
si  vuole  installare,  si  compone  di  tre  partii  che  sono: 

i.*>  Il  costo  del  lavoro  motore,  che  si  spende  per  attivare 
la  macchina  generatrice.  Questo  costo,  nd  caso  di  una  motrice 
idraulica,  si  riduce  al  salario  del  sorvegliante,  riferito  all'imita 
di  tempo,  ed  all'olio  per  la  lubrificazione;  nel  caso  di  una  mo- 
trice a  vapore  esso  comprende  inoltre  il  prezzo  del  combustibile 
consumato. 

2.°  La  quota  d'interesse  e  di  ammortizzazione  del  capitale 
impiegato  nell'  impianto  dèi  motore  e  delle  macchine,  riferita 
all'unità  attuale  di  tempo,  ossia  al  minuto  secondo;  e  la  quota, 
riferita  alla  medesima  unità  di  tempo,  delle  spese  di  manuten- 
zione e  di  riparazione  degli  apparecchi  nominati. 

3.°  La  quota  d'interesse  e  di  ammortizzazione  pel  capitale 
impiegato  nella  provvista  e  nella  collocazione  delle  gomene 
metaUiche  congiungenti  la  macchina  generatrice  colla  ricettrice  ; 
riferita,  questa  quota,  alla  medesima  unità  di  tempo. 


i8ò  Parte  seconda. 


La  condizione  a  cui  bisogna  cercare  di  soddisfare,  nello 
studio  di  un  progetto,  è  che  la  somma  di  queste  tre  spese  sia 
la  minima  possibile. 

Ora  tutte  tre  queste  spese  dipendono  dal  valore  che  si  dà 

al  coefficiente  k  di  rendimento: 

i.o  II  costo  del  lavoro  motore,  per  ogni  unità  di  tempo, 

cresce  col  crescere  della  grandezza  di  questo  lavoro;  se  noi 

rappresentiamo  con  F(L)  questa  prima  parte  del  costo,  possiamo 

dire  che  F(L)  è  una  funzione  crescente  del  lavoro  L.  Ora  ab- 

L!  (L'\ 

biamo  Z,=  -7-;  e  quindi  il  costo  del  lavoro  motore  è  -^  |-T-j  • 

Se  L'  ha  un  valore  costante  dato,  -^  I  -t"  |  cresce  col  diminuire 

di  k,  diminuisce  col  crescere  di  k. 

2.°  Il  costo  di  impianto  della  motrice  e  delle  macchine 
cresce  col  crescere  del  lavoro  L  che  esse  debbono  produrre  e 

trasformare;  e  siccome  L  vale -ed  è  inversamente  proporzio- 
nale a  k,  così  quel  costo  diminuisce  col  crescere  di  k.  La  quota 
d'interesse  e  di  ammortizzazione,  che  gli  corrisponde,  si  può 

adunque  rappresentare  con  /(-r-)  essendo /il  simbolo  di  una 

funzione  crescente  di  --  e  quindi  decrescènte  di  k. 

3.°  Le  dimensioni  ed  in  conseguenza  il  prezzo  delle  go- 
mene conduttrici  congiungenti  le  due  macchine  dipendono  dalla 
resistenza  R  —  r  che  esse  debbono  presentare,  e  quindi  dal 
coefficiente  di  rendimento,  che,  come  vedemmo,  è  legato  a 
queste  resistenze.  Diciamo  /  la  lunghezza  delle  gomene  neces- 
sarie per  formare  il  circuito,  espressa  in  centimetri;  rappresen- 
tiamo con  e  il  coefficiente  di  conduttività  del  metallo  con  cui 
son  fatte  le  gomene,  riferito  al  centimetro  ed  all'ohm;  e  rap- 
presentiamo con  5  la  sezione  trasversale  delle  gomene  espressa 
in  centimetri  quadrati;  abbiamo 

cs 


e  quindi 


_  I         / 


Applicazioni  dell'energia  elettrica.  i8i 

Il  volume  delle  gomene  vale  adunque 

'^=-c-R--r 

centimetri  cubi;  e  se  diciamo  b  l'ammontare  dell'interesse  e 
dell'ammortizzazione  del  valore  di  un  centimetro  cubo  del  con- 
duttore, l'ammortamento  e  l'interesse  del  valore  totale  delle 
gomene  risulta  uguale  a 

b        P 
e    R-r' 

Se  in  questa  espressione  poniamo,  in  luogo  di  R  —  r,  il 
suo  valore  (8),  otteniamo 

b  P 

e  E* 

Questa  espressione  ci  fa  vedere  come  varii  quest'ultima  parte 
del  costo  del  lavoro  col  variare  del  valore  del  coefficiente  di 
rendimento  k.  L'espressione  prende  un  valore  infinitamente 
grande  quando  il  coefficiente  di  rendimento  k  ha  l'uno  o  l'altro 
dei  due  valori  limiti,  di  cui  abbiamo  parlato,  valori  per  cui  il 
denominatore  della  formola  va  a  zero.  Per  un  determinato  va- 
lore di  k  compreso  fra  questi  limiti  l'espressione  prende  un 
valore  minimo.  Il  valore  di  k,  a  cui  corrisponde  questo  valore 
minimo  della  spesa  pel  conduttore,  è  quello  che  rende  massimo 
il  denominatore,  e  siccome  in  questo  denominatore  ^  è  la  sola 
variabile,  così  il  valore  che  lo  rende  massimo  è  quello  per  cui 

è  massimo  il  prodotto  k{i  —  k),  ossia  è  k  =  --, 

2 

Ora  possiamo  concludere:  La  quantità  da  rendersi  minima 
è  la  somma 


-(xiM^-)-:- 


la  derivata  della  quale,  rispetto  a  k,  deve  perciò  essere  uguale 
a  zero.  Ma  i  due  primi  termini,  che  diminuiscono  col  crescere 
di  A,  hanno  derivate  negative;  perciò  l'ultimo  deve  avere  una 
derivata  positiva.  Ora  l'ultimo  termine,  che  ha  un  minimum  per 


i82  Parte  seconda. 


k=i  — ,  ha  la  derivata  positiva  solamente  per  ^>  —  ;  dunque 
il  valore  di  k  che  rende  minima  la  somma  è  maggiore  di  — .  Il 

2 

valore  più  conveniente  da  scegliersi  pel  coefficiente  di  rendi- 
mento non  si  può  determinare  esattamente  se  non  ne' diversi 
casi  particolari,  in  cui  si  conoscano  le  spese  di  impianto  delle 
macchine  ed  il  prezzo  del  lavoro  motore  ;  ma  fin  d' ora,  ed  in 
modo  affatto  generale,  possiamo  affermare  questa  importante 
proposizione: 

Il  valore  del  coefficiente  di  rendimento  di  una  trasmissione 
di  lavoro  meccanico  per  mezzo  della  elettricità,  pel  quale  si  ha 

la  massima  economia  nelle  spese,  è  sempre  maggiore  di  — . 

2 

La  quantità,  di  cui,  per  condurre  alla  massima  economia^  il 
coefficiente  di  rendimento  deve  superare  il  valore  — ,  è  diversa 

2 

nei  diversi  casi  speciali.  Essa  ha  valori  più  grandi  in  tutti  quei 
casi  ove  i  due  primi  termini  della  somma  precedente  hanno 
valori  elevati  ed  è,  in  confronto  con  essi,  piccolo  il  terzo  ter- 
mine; ha  invece  valori  più  piccoli  ogni  qualvolta  hanno  piccoli 
valori  i  due  primi  termini  e  rispetto  ad  essi  ha  un  valor  con- 
siderevole l'ultimo  termine. 

Così,  per  esempio,  se  si  tratta  del  caso  in  cui  si  abbia  un 
motore  idraulico,  il  primo  termine  è  piccolissimo;  e  se  per  la 
buona  condizione  della  località  la  spesa  d'impianto  del  motore 
riesce  moderata,  può  dirsi  che  anche  il  secondo  termine  prende 
un  valore  non  grande  a  fronte  del  terzo;  allora  il  valore  con- 
veniente del  coefficiente  di  rendimento  sarà  poco  superiore 
a  0,50.  Ciò  accadrà  con  maggior  ragione  nei  casi  in  cui  i  mo- 
tori sieno  molto  potenti,  giacché  allora  il  prezzo  d'impianto  ed 
il  costo  del  lavoro  varieranno  più  lentamente  col  variare  di  L, 
ossia  di  >fc;  le  derivate  delle  funzioni  F  ed  /  avranno  piccoli 
valori  numerici. 

Se  invece  si  hanno  motori  a  vapore,  il  primo  termine  della 
somma  è  assai  maggiore  che  nel  caso  precedente,  ed  a  parità 
di  altre  circostanze  conviene  adottare  un  coefficiente  di  rendi- 
mento, più  grande. 

In  ogni  caso,  l'importanza  del  terzo  termine  della  somma 
cresce  col  quadrato  della  lunghezza  /  del  conduttore;  quindi  il 
valore  conveniente   pel  coefficiente  di   rendimento   è  tanto  più 


Applicazioni  dell'energia  elettrica.  183 

prossimo  al  mìnimo  — ,  quanto  più  quella  lunghezza  è  grande. 
2 

La  natura  del  metallo  adoperato  per  la  costruzione  del  con- 

b 

duttore  influisce  sul  valore  di  — ,  e  quindi,  indirettamente,  su  k, 

e 

Se  paragoniamo,  a  questo  riguardo,  il  rame  col  ferro,  troviamo 

che  mentre  i  prezzi  di  volumi  uguali  di  rame  in  fili  e  di  ferro 

pure  in  fili   stanno  fra   di  loro   approssimativamente  come  4,5 

sta  ad  imo,  il  coefficiente  e  di  conduttività  del  rame  vaie  circa 

il  sestuplo  di  quello  del  ferro,  e  quindi  il  valore  di  —  pel  rame 

75 
equivale  soltanto  a di  quello  che  si  ha  pel  ferro.  In  con- 
seguenza di  ciò,  il  valore  più  conveniente  del  coefficiente  di 
rendimento  è  maggiore  quando  si  adoperano  conduttori  di  rame, 
che  non  quando  si  fa  uso  di  conduttori  di  ferro.  La  differenza 
però  non  è  di  grande  momento. 

Dato  il  coefficiente  di  rendimento  k,  la  formola  (8)  deter- 
mina il  valore  che  bisogna  dare  alla  resistenza  /?  —  r  del  con- 
duttore estemo,  che  collega  le  due  macchine  ;  quindi  dal  valore 
più  conveniente  di  k  possiamo  dedurre  il  valore  più  conveniente 

di  quella  resistenza.  Per  >fe  =  —  la  (8)  dà 

2 


e  per  k>  — ,  essa  dà 
3 

R-r< 


E* 


AL' 


E* 
\L' 


Dunque  noi  impariamo,  che,  affinchè  sia  soddisfatta  la  con- 
dizione della  massima  economia,  la  resistenza  delle  gomene,  o 
dei  fili,  o  delle  sbarre  congiungenti  la  macchina  generatrice 
colla  ricettrice  deve  essere  minore  di 

E} 

r.  (9> 


Le  proposizioni,  a  cui  ci  condussero  le  considerazioni  ge- 
nerali, che  precedono,  ci  permettono  di  renderci  conto  del  valore 


184  Parte  seconda. 


pratico  che  possono  avere  oggidì  e  nelVav venire  le  trasmissioni 
elettriche  dell'energia  meccanica. 

In  primo  luogo  risulta  dalle  nostre  considerazioni,  che  ado- 
perando la  corrente  elettrica,  come  mezzo  telo  dinamico,  è  pos- 
sibile ottenere  un   coefficiente  di  rendimento  assai  grande,  al 
quale,  proporzionando    convenientemente   gli   apparecchi  ed  i 
conduttori,  si  può  dare  il  valore  che  si  vuole,  entro  limiti  estesi. 
Il  valore  del  coefficiente  di  rendimento  è,  nella  pratica,  limitato 
piuttosto  che  da  ragioni  tecniche,  da  ragioni  di  economia.  Au- 
mentando infatti  il  coefficiente   di   rendimento    si  diminuiscono 
bensì  le  spese  di  impianto   delle   macchine   e  dei   motori,  e  le 
spese  correnti  per  la  produzione  del  lavoro  motore,  ma  si  au- 
mentano le   spese   pel   conduttore   fra   le    due  stazioni.   Esiste 
adunque  in  ogni  caso  un  valore  determinato  del  coefficiente  di 
rendimento,  pel  quale   la  somma  di  tutte  le  spese  si  riduce  ad 
un  minimum. 

Il  valore  del  coefficiente  di  rendimento,  a  cui  corrisponde 
questo  minimum  di  spesa,  ed  a  cui  bisognerà  attenersi,  in  ge- 
nerale, nelle  applicazioni  pratiche,  è  sempre  superiore  a    — .Or 

2 

bene,  si  sa  che  un  coefficiente  di  rendimento  uguale  a    —  non 

2 

è  sempre  ottenibile  nelle  trasmissioni  di  forza  motrice  fatte  per 
mezzo  dell'aria  compressa;  considerate  adunque  dal  punto  di 
vista  meccanico  queste  ultime  sono  meno  convenienti  di  quelle 
che  si  possono  fare  per  mezzo  dell'elettricità. 

Per  tutte  le  altre  specie  di  trasmissioni  telo-dinamiche  la 
frazione  del  lavoro  speso,  la  quale  viene  consumata  per  istrada 
dalle  resistenze  passive,  e  trasformata  inutilmente  in  calore, 
cresce  necessariamente  colla  distanza;  per  le  trasmissioni  elet- 
triche invece  è  possibile  far  sì  che,  qualunque  sia  la  distanza, 
la  quantità  di  energia  trasformata  in  calore  lungo  la  linea  ri- 
manga sempre  la  stessa,  e  che  quindi  l'effetto  utile  conservi  il 
medesimo  valore  a  tutte  le  distanze.  Ciò  si  ottiene  senza  bisogno 
di  aumentare  in  modo  impraticabile  le  dimensioni  dei  conduttori; 
si  ottiene  semplicemente  modificando,  a  seconda  delle  distanze, 
la  forza  elettro-motrice  delle  macchine  generatrici  e  delle  ri- 
cettrici.  La  distanza  alla  quale,  con  un  determinato  coefficiente 
di  rendimento,  e  con  un  filo  metallico  di  diametro  determinato, 
è  possibile  trasportare  una  determinata  potenza  motrice,  è  li- 
mitata unicamente  dalla  difficoltà  pratica  di  ottenere,  e  conser- 


Applicazioni  dell'energia  elettrica,  185 


vare  senza  disperdimenti,  differenze  di  potenziali  superiori  ad  un 
certo  limite;  e  questa  difficoltà  è  suscettibile  dì  diminuire  col  tempo. 

Fin  d'ora  le  trasmissioni  elettriche  dell*  energia  meccanica 
ci  si  presentano  come  le  più  adatte  per  superare  le  grandi  di- 
stanze; e  fin  d'ora,  in  base  a  considerazioni  teoriche  rigorose, 
e  coli' appoggio  di  dati  sperimentali  noi  possiamo  prevedere, 
pei  casi  delle  grandi  distanze,  applicazioni  grandiose. 

Questa  è  la  prima  conseguenza  che  scaturisce  dall'  esame 
generale  che  abbiamo  fatto  della  questione.  Una  seconda  conse- 
guenza è  che  i  risultati,  di  cui  abbiamo  parlato,  si  possono  otte- 
nere con  installazioni  perfettamente  pratiche,  e  soprattutto  senza 
bisogno  di  adoperare  conduttori  di  dimensioni  imbarazzanti  e 
costose.  Noi  abbiamo  nella  espressione  (9)  il  valore  massimo 
che  può  convenire  di  dare  alla  resistenza  del  filo  di  linea  ed 
abbiamo  nella  formola  (8)  il  modo  di  calcolare  la  resistenza  che 
bisogna  dare  al  filo  di  linea  per  avere  un  coefficiente  di  rendi- 
mento k  di  determinato  valore.  Possiamo  servirci  di  questa 
formola  per  calcolare  le  dimensioni  di  un  conduttore  destinato 
alla  trasmissione  di  un  dato  lavoro  meccanico  fra  due  stazioni  : 
qualche  esempio  di  questo   calcolo  ci  riuscirà  molto  istruttivo. 

Perchè  l'esempio  sia  pratico^  io  suppongo  di  volere  adope- 
rare, per  trasportare  il  lavoro  a  distanza,  due  macchine  dinamo- 
elettriche di  un  tipo  attualmente  esistente.  Suppongo  di  voler 
adoperare  come  generatrice  e  come  ricettrice  due  macchine  del 
tipo  Brush,  del  quale  ho  parlato  nel  primo  paragrafo  di  questa 
relazione.  Suppongo  che  le  due  macchine,  identiche  tra  di  loro, 
sieno  del  modello  più  grande  fra  quelli  che  la  Anglo-American 
Brush  Electric  Light  Corporation  costruisce.  Queste  macchine, 
destinate  ad  alimentare  40  lampade  elettriche  ad  arco  voltaico 
poste  in  serie  su  di  un  medesimo  circuito,  consumano,  come 
ho  detto,  nelle  condizioni  normali,  36  cava  Ili- vapore,  hanno  una 
forza  elettro-motrice  uguale  a  2200  volt,  e  presentano  una  re- 
sistenza interna  uguale  a  23  ohm.  Assumo  poi  un  coefficiente 
di  rendimento  uguale  a  0,6,  ossia  suppongo  che  mentre  la  mac- 
china generatrice  prende  dal  motore  un  lavoro  di  36  cavalli,  la 
macchina  ricettrice  riproduca  il  lavoro  di  36  v  0,6  ossia  di 
21,6  cavalli-vapore.  Con  questi  dati  posso  calcolare  R  —  r  per 
mezzo  della  formola  (8);  basta  che  io  ponga  in  essa 


E  =  2200,  r  =  2  X  23  ~  46, 
L  =  21,6  X  75  X  9,8i  =  15892, 
k  =:o,6o, 


i86  Parte  seconda^ 


Trovo  così:  R  —  r^^^j  ohm. 

Supponiamo  che  si  voglia  adoperare  come  conduttore  un 
filo  di  ferro  del  diametro  di  4  millimetri,  come  quello  con  cui 
si  sogliono  costrurre  le  linee  telegrafiche  ordinarie  e  che  dicesi 
normak.  Un  tale  filo  presenta  una  resistenza  di  circa  un  ohm 
per  ogni  120  metri  di  lunghezza;  quindi  per  avere  una  resi- 
stenza di  27  ohm  esso  dovrebbe  avere  la  lunghezza  di  circa 
3200  metri.  Se  supponiamo  che  si  abbia  un  filo  di  andata  ed 
un  filo  di  ritorno,  noi  possiamo  conchiudere,  che  adoperando 
le  macchine  Brush  come  generatrici  e  come  ricettrici,  ed  im- 
piegando per  congiungere  le  due  macchine  un  semplice  filo  te- 
legrafico ordinario  del  diametro  di  4  millimetri,  si  possono 
mandare  ad  una  distanza  di  1600  metri  più  di  21  cavalli-vapore, 
spendendone  36,  con  un  rendimento  del  6a  per  cento. 

Se  invece  di  voler  ottenere  un  rendimento  uguale  a  0,60, 
si  volesse  soltanto  un  rendimento  uguale  a  0,50,  il  filo  telegrafico 
adoperato  come  conduttore  potrebbe  avere  una  lunghezza  di 
metri  5400,  e  le  due  stazioni,  anche  adoperando  il  filo  di  ri- 
tomo, potrebbero  distare  l'una  dall'altra  2700  metri. 

Se  poi  invece  di  adoperare  un  filo  di  ferro,  si  avesse  ricorso 
ad  un  filo  di  rame  di  ugual  diametro,  si  potrebbe  avere  il  ren- 
dimento 0,60  con  una  lunghezza  di  oltre  a  19  chilometri  di  filo, 
ed  un  rendimento  0,50  con  una  lunghezza  di  filo  uguale  a  più 
dì  32  chilometri. 

Se  finalmente,  invece  di  adoperare  macchine  di  Brush  quali 
attualmente  sono  costrutte,  noi  avessimo  supposto  di  fare  uso 
di  macchine  speciali  costrutte  in  modo  da  ottenere  una  forza 
elettro-motrice  più  grande  ;  se,  per  esempio,  noi  avessimo  sup- 
posto di  aver  costrutto  le  macchine  colle  dimensioni  attuali, 
ma  con  fili  più  piccoli  e  più  lunghi,  noi  avremmo  potuto  arrivare 
a  numeri  anche  più  soddisfacenti.  Se,  per  esempio,  avessimo 
ritenuto  possibile  costrurre  due  macchine  aventi  una  forza 
elettro-motrice  uguale  al  triplo  di  quella  delle  macchine  Brus/t, 
con  una  resistenza  interna  uguale  eziandio  al  '  triplo  di  quella 
delle  macchine  attuali,  avremmo  trovato  che  con  un  coefficiente 
di  rendimento  uguale  a  0,60  si  possono  ottenere  sull'albero 
delle  ricettrici  21,6  cavalli-vapore  con  un  circuito  fatto  con  filo 
telegrafico  di  ferro  del  diametro  di  4  millimetri  e  della  lun- 
^ezza  di  oltre  60  chilometri. 

Così  le  semplici  considerazioni  generali  da  cui  siamo  partiti 
ci  hanno  condotto   alla   convinzione   che   la   trasmissione  deUa 


Applicazioni  dell'energia  elettrica.  187 

forza  motrice  per  mezzo  dell*  elettricità  non  solo  può  ricevere 
nel  campo  industriale  importantissime  applicazioni,  ma  può  di- 
ventare inoltre,  in  molti  casi,  di  una  attuazione  semplice,  eco- 
nomica e  comodissima.  Dalle  medesime  considerazioni  generali 
deduciamo  ancora  un'ultima  conseguenza.  £  questa  si  riferisce 
all'indirizzo  che  gli  inventori  ed  i  fabbricanti  dovranno  dare 
alle  loro  ricerche  per  migliorare  le  macchine  d'induzione  de- 
stinate al  trasporto  dell'energia  meccanica. 

Risulta  in  primo  luogo  dalle  nostre  considerazioni,  che,  per 
ottenere  nelle  trasmissioni  un  buon  coefficiente  di  rendimento, 
bisogna  adoperare  grandi  forze  elettro-motrici;  dalla  formola  (5) 
si  ha  infatti 

e  questo  valore,  per  dati  valori  del  lavoro  Z,  che  si  spende,  e 
della  resistenza  totale  R  del  circuito,  si  accosta  tanto  più  al- 
l'unità quanto  più  grande  è  la  forza  elettro-motrice  E. 

Risulta  in  secondo  luogo  che  per  economizzare  il  metallo 
nella  costruzione  del  conduttore  che  deve  congiungere  le  due 
macchine  generatrice  e  ricettrice,  bisogna  similmente  dare  elevati 
valori  alle  forze  elettro-motrici,  e  piccoli  valori  alle  resistenze 
inteme.  Questo  è  dimostrato  dall'espressione 


*=  k(^-k)^^-r 


della  spesa  relativa  al  conduttore,  ed  è  inoltre  posto  in  evidenza 
dai  calcoli  numerici  fatti  poc'anzi.  La  cosa  apparirà  anche  più 
chiara  se  porremo  in  confronto,  coi  risultati  dei  calcoli  prece- 
denti, quelli  a  cui  si  arriva  quando  si  consideri  una  trasmissione 
fatta  con  macchine  di  minori  forze  elettro-motrici.  Si  abbiano 
per  esempio  due  macchine  Gramme  del  tipo  C  identiche  a 
quella  che  servì  alle  note  esperienze  di  Chatam.  Per  una  di 
queste  macchine  la  forza  elettro-motrice  è  di  69,9  volt,  il  lavoro 
consumato  quando  la  macchina  funziona  come  generatrice  nelle 
circostanze  normali  è  di  579  chilogrammetri  per  minuto  se- 
condo, ossia  7,7  cavalli-vapore,  e  la  resistenza  interna  è,  in 
tutto,  uguale  a  0,21   ohm.  Dando  al  coefficiente  di  rendimento 

il    valore   minimo  --,   si   avranno    sull'albero    della   ricettrice 
2 


i88  Parte  seconda. 


289  chilogrammetri  al  minuto  secondo,  ossia  si  avrà  i'=  289x9,81. 
Se  poniamo  nella  espressione  (9)  della  resistenza  da  darsi  al 
conduttore  esterno  in  luogo  di  i'  questo  suo  valore,  ed  in  luogo 
di  -E  e  di  r,  rispettivamente  i  valori  -£=69,9  ed  r  =  2  x  0,21  =0,42, 
troviamo  per  la  resistenza  della  linea  il  valore  di  3,80  ohm. 
Questa  resistenza,  che  è  la  massima  ammessibile  nel  caso  attuale, 
è  quella  che  presenterebbe  un  filo  telegrafico  normale  della 
lunghezza  di  appena  456  metri.  Mentre  adunque  con  due  mac- 
chine Brush  si  possono  trasportare  sull'albero  della  ricettrice, 
con  un  rendimento  del  60  per  cento,  con  un  filo  telegrafico 
lungo  3200  metri,  più  di  21  cavalli,  con  due  macchine  Gramme 
del  tipo  considerato  si  possono  trasportare  appena  cavalli  3,85 
con  un  rendimento  uguale  solamente  al  50  per  cento,  e  con  un 
circuito  di  filo  telegrafico  lungo  appena  456  metri.  Se  si  volesse, 
con  sistemi  dì  macchine  come  queste  riunite  in  quantità,  in  modo 
di  avere  una  forza  elettro-motrice  semplicemente  uguale  a  69,9, 
ed  una  resistenza  interna  uguale  a  quella  di  una  macchina 
semplice  divisa  pel  numero  delle  macchine,  ottenere  come  nel 
caso  delle  macchine  Brush  un  lavoro  effettivo  di  21,6  cavalli 
sull'albero  della  ricettrice,  con  un  rendimento  del  60  per  cento, 
si  dovrebbero  riunire  le  macchine  generatrici  alle  ricettrici  con 
un  conduttore  avente  una  resistenza  uguale  appena  a  0,014  ohm. 
E  se  questo  conduttore  dovesse  avere  la  lunghezza  di  3200  metri 
come  nel  caso  considerato  delle  macchine  Brush,  esso  dovrebbe 
avere,  se  di  ferro  un  diametro  di  176  millimetri,  e  di  72  milli- 
metri se  di  rame.  Un  risultato  molto  migliore  avremmo  ottenuto 
supponendo  le  macchine  collegate  tra  di  loro  in  tensione. 

Questo  esempio,  oltre  al  servire  alla  questione  di  cui  ci 
occupiamo  attualmente,  è  molto  istruttivo  a  riguardo  del  sistema 
di  distribuzione  del  Gravier,  il  quale,  come  abbiamo  veduto, 
richiede  Tuso  di  macchine  d'induzione  disposte  in  quantità. 

25.  Ho  considerato  fin  qui  l' impiego  della  elettricità  nella 
trasmissione  a  distanza  dell'energia  meccanica  dal  punto  di  vista 
più  generale;  ed  ho  avuto  in  mira  le  applicazioni  grandiose 
che  forse  ne  vedremo  nell'avvenire.  Questo  io  doveva  fare  per 
due  motivi:  in  primo  luogo  perchè  le  installazioni  che  si  am- 
miravano nel  palazzo  dell'esposizione  e  la  rapidità  dei  progressi 
che  l'esposizione  ci  ha  mostrato  relativamente  alla  costruzione 
degli  apparecchi  sono  tali  da  forzarci  a  credere  quell'avvenire 
certo  e  vicino;  in  secondo  luogo  perchè  se  v'ha  alcuno  che 
debba  vagheggiare  un   tale  avvenire,  questi  siamo  noi,  i  quali, 


Applicazioni  dell'energia  elettrica,  189 


se  esso  si  verificherà,  potremo  supplire  in  parte  colla  energia 
dei  nostri  torrenti  quella  che  il  nostro  suolo  non  tiene  accu- 
mulata nei  banchi  di  litantrace.  Ma  indipendentemente  dalle  ap- 
plicazioni vaste  e  generali,  di  cui  abbiamo  parlato,  la  corrente 
elettrica^  considerata  come  mezzo  telo-dinamico,  può  fin  d'ora 
trovare  un  utile  impiego  in  parecchi  casi  speciali;  ed  a  questo 
riguardo  l'esposizione  di  Parigi  ci  ha  offerto  interessanti  oggetti 
di  studio. 

Nella  sezione  tedesca  dell'esposizione  i  signori  Hetlmann, 
Ducommun  e  Steinlen  noti  fabbricanti  di  macchine  di  Mùhlhausen 
nell'Alsazia,  avevano  installato  un  piccolo,  ma  completo,  opifizio 
meccanico,  ove  parecchie  macchine-utensili  come  pialle,  trapani^ 
limatrici,  ecc.,  lavoravano  mosse  da  due  piccole  macchine  di 
Gramme,  del  tipo  comunemente  adoperato  per  la  illuminazione. 
Le  due  macchine  di  Gramme  erano  animate  dalle  correnti 
elettriche  prodotte  da  due  altre  macchine  identiche,  situate  a 
distanza  ed  attivate^  insieme  ad  altre,  da  una  motrice  a  vapore» 
Le  macchine  generatrici  consumavano  ciascuna  circa  tre  cavalli 
di  potenza  motrice  e  le  macchine  ricettrici  riproducevano  cia- 
scuna, utilizzabile  sul  loro  albero,  il  lavoro  di  un  cavallo  e 
mezzo.  Durante  la  sera  il  piccolo  opifizio  era  illuminato  da 
lampade  Swan  alimentate  da  altre  macchine  dinamo-elettriche. 
Questa  installazione  non  presentava  alcuna  applicazione  di  prin- 
cipi nuovi;  ma  era  accuratissima,  e  come  tale  metteva  in  evi- 
denza, nel  modo  migliore,  diversi  vantaggi  che  la  trasmissione 
elettrica  del  lavoro  potrebbe  presentare  anche  solo  applicata  a 
distribuire  in  uno  stabilimento  industriale  il  lavoro  del  motore. 
In  causa  della  distribuzione  dei  locali  potrà  darsi  che  ad  alcune 
parti  di  uno  stabilimento  industriale  non  si  possa  trasmettere 
il  movimento,  coi  mezzi  ordinari,  senza  una  perdita  di  effetto 
utile  paragonabile  a  quella,  a  cui  darebbe  luogo  la  trasmissione 
elettrica.  Ebbene  in  questo  caso  può  darsi  che  l' impiego  del- 
l'elettricità  sia  preferibile  ai  soliti  mezzi  di  trasmissione.  La 
trasmissione  elettrica  evita  i  traballamenti  dell'  edifizio  ;  è  più 
pronta  di  qualunque  altra  perchè  in  essa  sono  minime  le  masse 
in  moto;  si  interrompe  e  si  ristabilisce  col  semplice  giuoco  di 
un  commutatore;  permette  di  dividere  il  lavoro  fra  diversi  ri- 
cettori destinati  ciascuno  ad  una  sola  macchina  o  ad  un  gruppo 
di  un  piccolo  numero  di  macchine,  rendendole  così  fra  loro  in- 
dipendenti ;  nei  casi  ove  occorrano  grandi  velocità  assicura  una 
maggiore   uniformità   nei   movimenti;  non   produce  rumori;   è 


190  Parte  seconda. 


scevra  di  pericolL  Se  poi  nella  notte  si  fa  ia  illuminazione  con 
apparecchi  elettrici,  la  spesa  della  installazione  può  essere  di- 
minuita ed  ì  vantaggi  accresciuti.  A  tutto  questo  s' aggiunga 
•che  in  alcuni  casi  V  installazione  elettrica  può  costare  meno  di 
<]uella  di  una  ordinaria  trasmissione. 

96.  Ma  più  che  nei  casi  di  opifizi  ordinari  ove  i  diversi 
lavori  si  compiono  in  un  unico  edifizio  od  in  pochi  edifizi  si- 
tuati a  brevi  distanze  gli  uni  dagli  altri,  l'impiego  delle  correnti 
elettriche  quali  mezzi  di  trasmissione  si  presenta  spontaneamente 
coi  carattere  dì  una  convenienza  evidente,  qaaodo  si  tratti  di 
industrie  in  cui  i  diversi  lavori  si  debbono  fare  in  luoghi  lontani 
e  variabili.  Sono  in  questo  caso  alctmi  rami  delle  industrie 
agrìcole.  Per  ragioni  che  si  connettono  alle  condizioni  della 
nostra  agricoltura,  ragioni  delle  quali  non  è  compito  nostro  né 
di  nostra  competenza  discorrere,  ie  applicazioni  dell'  elettricità 
ai  lavori  agricoli  non  possono  avere  oggidì,  né  forse  avranno 
molto  presto  una  grande  importanza  nel  nostro  paese;  ma,  nella 
storia  delle  applicazioni  della  corrente  elettrica  alla  trasmissione 
dell'energia  meccanica,  esse  occupano  un  posto  notevole,  e 
presentano  un  tale  interesse,  che  non  possiamo  lasciare  inos- 
servata la  parte  della  esposizione  di  elettricità  ad  essa  dedicata. 

È  nota  l'estensione  e  l'importanza  che  l'aratura  meccanica, 
od  a  vapore,  ha  acquistato  oggidì  in  alcuni  paesi;  ebbene,  egli 
é  probabile  che  in  molti  casi  all'aratura  a  vapore,  oggi  in  uso, 
si  possa  sostituire  con  vantaggio  l'aratura  ^ettrica.  I  più  difiusi 
sistemi  d'aratura  a  vapore  attuahnente  in  uso  ridiiedono  l'im- 
piego di  locomotive  stradali  e  di  tamburi  sui  quali  s'avvolge 
una  fune  metallica  rimorchiante  un  aratro  a  vomeri  multipli. 
Questi  meccanismi  sono  molto  costosi  e  richiedono  nella  con- 
dotta e  nella  manutenzione  riguardi  speciali,  diffìcili  ad  aversi 
in  uno  stabilimento  agricolo;  il  loro  peso  è  grandissimo,  e  la 
manovra  loro  riesce  diffìcile  soprattutto  in  tempo  dì  pioggìe; 
finalmente  essi  oltre  al  richiedere,  per  la  natura  delle  motrici 
di  cui  si  valgono,  un  notevole  consumo  di  combustibile,  neces- 
sitano un  approvvigionamento  d'acqua  durante  il  lavoro,  il 
<]uale,  in  alcune  circostanze,  può  riuscire  assai  imbarazzante  e 
molto  costoso.  Si  sa  che  talora  l'acqua  costa  più  che  il  carbone. 

Per  mezzo  dell'elettricità  tutti  questi  inconvenienti  si  pos- 
sono evitare.  L'  apparecchio  per  l' aratura  elettrica  si  compone 
essenzialmente  di  due  macchine  dinamo-elettriche,  che,  attivate 
alternativamente  da  una  medesima  corrente,  mettono  in  moto 


Applicazioni  dell'energia  elettrica,  191 

in  versi  opposti  i  due  tamburi  su  cui  si  avvolge  la  fune  me- 
tallica rimorchiante  l'aratro.  Le  due  macchine  sono  portate  da 
due  carri  identici,  i  quali,  durante  il  lavoro,  debbono  essere 
collocati  ai  due  lati  del  terreno  da  lavorarsi,  alle  due  estremità 
dei  solchi  che  si  vogliono  eseguire.  Le  macchine  dinamo-elet- 
triche servono  eziandio  a  mettere  in  moto  le  ruote  portanti  dei 
carri  onde  farli  avanzare  perpendicolarmente  alla  direzione  dei 
solchi,  di  mano  in  mano  che  questi  ven^no  eseguiti.  Il  sem- 
plice giuoco  di  un  commutatore  permette  di  invertire  U  verso 
del  movimento  dell'aratro;  un  altro  commutatore  permette  di 
porre  in  moto  a  piacimento  i  cilindri  rimorchiatori,  oppure  i 
carri  che  portano  tutto  il  meccanismo.  L'apparecchio  elettrico 
completo  pesa  assai  meno  di  quello  a  vapore,  due  tonnellate 
invece  di  diciotto,  quindi  si  maneggia  più  comodamente;  in  esso 
tutto  il  governo  può  essere  affidato  a  tre  sole  persone;  in  esso 
finalmente  non  si  ha  la  spesa  e  l'imbarazzo  dell'approvvigiona- 
mento de4  combustibile  e  dell'  acqua.  Benché  la  trasmissione 
elettrica  del  lavoro  dall'  edifìzio  centrale,  ove  è  il  motore,  fino 
alle  macchine  lavoratrici  che  sono  nel  campo,  consumi  circa  la 
metà  del  lavoro  speso,  può  tuttavia  aversi  un'economia  rispetto 
all'  impiego  dei  sistemi  a  vapore.  L' economia  risulta  dal  rendi- 
mento delle  macchine  motrici,  il  quale  per  le  macchine  fìsse  di 
grande  potenza  può  essere  tanto  più  grande  (£  quello  delle  lo- 
comotive stradali  da  compensare  quella  perdita.  L'economia  poi 
è  evidente  e  grande,  se  nello  stabilimento  centì^ale  il  lavoro  è 
somministrato  da  una  motrice  idraulica. 

Ai  vantaggi  enumerati  se  ne  aggiunge  ordinariamente  jun 
altro,  che  in  alcuni  casi  speciali  può  essere  il  più  importante. 
Alludo  al  vantaggio  di  potere,  in  grazia  della  trasmissione  elet- 
trica, adoperare  per  tutti  i  lavori  agricoli,  i  quali  si  compiono 
durante  la  più  gran  parte  dell'anno,  la  forza  motrice  che  si  ha 
disponibile  nello  stabilimento  centrale  e  di  cui,  senza  di  ciò, 
non  si  trarrebbe  partito  se  non  per  un  breve  periodo  dell'annata. 

Fu  quest'ultima  considerazione  quella  che,  più  d'ogni  altra, 
suggerì  l'idea  dell'aratura  elettrica.  L'idea  è  dovuta  ai  signori 
ChrOien  e  F^lix,  ingegneri  francesi,  noti  nel  campo  industriale, 
e  ad  essi  fu  certamente  suggerita  dalla  considerazione  delle 
condizioni  speciali  dell'industria  dello  zucchero,  che  in  Francia 
ha  tanta  importanza.  In  questa  industria,  ad  una  attività  febbrile 
di  qualche  mese,  succede  nell'opifìzio  una  inazione  assoluta  per 
tutto  il  resto  dell'anno;  donde  segue   che  una  forza   motrice. 


192  Parte  seconda. 


sempre  considerevole,  rappresentante  un  capitale  ingente,  rimane 
per  tutto  questo  tempo  inattiva,  senza  tuttavia  dispensare  dalle 
spese  e  dalle  cure  della  manutenzione.  E  siccome  nell'Inghilterra 
e  negli  Stati  uniti  d' America  V  impiego  della  lavorazione  mec- 
canica andava  acquistando  favore,  così  era  razionale  pensare 
ad  utilizzare  la  forza  motrice  dell'  opifizio  per  fare  con  essa  la 
coltura  dei  terreni  dipendenti,  che  provvedono  all' opifizio  me- 
desimo la  materia  prima. 

Sono  note  le  esperienze  che  i  signori  Felix  e  Chrétien  ese- 
guirono fin  dal  1879  a  Sermaize  (Marne),  nelle  quali  attraverso 
ad  un  filo  di  rame  di  dieci  millimetri  quadrati  di  sezione  si 
trasmise  alla  distanza  di  due  chilometri  e  si  ottenne  utilizzabile 
sull'aratro  il  lavoro  di  circa  tre  cavalli-vapore,  spendendone  col 
motore  circa  il  doppio.  Quelle  esperienze  costituiscono  uno  dei 
primi  tentativi  per  l'applicazione  industriale  della  trasmissione 
elettrica  del  lavoro,  ed  hanno  una  importanza  storica  speciale. 

Alla  esposizione  si  vedevano  nella  sezione  francese  i  mec- 
canismi per  la  lavorazione  elettrica,  che  avevano  servito  a  quelle 
esperienze.  Insieme  ad  essi  il  signor  Felix  esponeva  diversi 
altri  apparecchi  per  l'applicazione  della  trasmissione  elettrica  ad 
altri  lavori  agricoli,  al  lavoro  delle  miniere,  all'elevazione  del- 
l'acqua, ecc.  La  sua  svariata  esposizione  faceva  testimonianza 
della  grande  attività  e  dell'opera  perseverante  per  cui  egli  ed 
il  Chrétien  si  sono  resi  benemeriti  di  questo  ramo,  così  ricco 
di  avvenire,  della  elettrologia  applicata. 

27.  Uno  dei  casi  ove  è  impossibile  adoperare  motori  col- 
locati sul  sito  del  lavoro,  ed  ove  inoltre  riesce  per  lo  più  im- 
barazzante ed  impossibile  l'impiego  degli  ordinari  mezzi  telo- 
dinamici,  si  presenta  nei  lavori  delle  miniere;  ed  il  problema 
di  operare  per  mezzo  di  motori  fissi,  esterni,  la  trazione  dei 
vagoncini  per  l'estrazione  del  carbone  e  dei  minerali  delle  gal- 
lerie, fu  uno  dei  primi  che  si  sia  tentato  di  risolvere  per  mezzo 
dell'elettricità.  Fu  questo  problema  quello  che  condusse  il  dot- 
tore Werner  Siemens  a  pensare  alla  possibilità  di  adoperare  la 
trasmissione  elettrica  del  lavoro  per  la  trazione  sulle  ferrovie. 

Nella  esposizione  tedesca  che  si  tenne  in  Berlino  nel  1879 
figurava  il  primo  modello  di  ferrovia  elettrica;  e  questo  non  era 
altro  che  l'apparecchio  immaginato  dal  Siemens  e  costrutto 
dalla  casa  Siemens  ed  Halske  per  l'estrazione  del  carbon  fossile 
da  una  miniera,  trasformato  e  ridotto  ad  uso  dei  passeggeri  in 
occasione  dell'esposizione.  La  disposizione  di  quel  primo  saggio 


Applicazioni  dell'  energia  elettrica,  193 


di  ferrovia  elettrica  era  la  seguente  :  essa  era  una  piccola  strada 
ferrata  a  binario  ridotto,  percorrente  una  linea  curva  chiusa 
della  lunghezza  di  circa  300  metri.  Frammezzo  alle  due  rotaie 
correva  lungo  tutta  la  strada  una  terza  guida,  costituita  da  un 
ferro  piatto  verticale.  Il  treno  si  componeva  di  tre  vagoncini, 
portanti  ciascuno  sei  persone,  e  di  una  locomotiva  elettrica. 
Questa  locomotiva  era  costituita  semplicemente  da  una  macchina 
dinamo-elettrica  di  Hefner-Altenek,  del  tipo  solitamente  costrutto 
dalla  fabbrica  Siemens  ed  Halske  per  l'illuminazione  elettrica, 
portata  da  un  piccolo  carro  a  quattro  ruote,  e  funzionante  come 
ricettrice,  come  motore  elettrico,  per  effetto  della  corrente  pro- 
dotta da  una  seconda  macchina  dinamoelettrica  installata  nella 
galleria  delle  macchine  e  comandata  da  una  macchina  a  vapore. 
II  circuito  era  formato  dalla  guida  centrale  e  dalle  rotaie  por- 
tanti; uno  dei  poli  della  macchina  dinamo-elettriq^i  fìssa,  ge- 
neratrice, era  posto  in  comunicazione,  per  mezzo  di  un  con- 
duttore metallico,  colla  guida  centrale,  l'altro  polo  comunicava 
invece  colle  due  rotaie  portanti;  i  due  poli  della  macchina  ri- 
cettrice costituente  la  locomotiva  comunicavano  l'uno  con  due 
rotelle  orizzontali  appoggiantisi,  per  effetto  di  molle,  contro  la 
guida  centrale  e  l'altro  colle  ruote  portanti.  Così,  in  qualunque 
posizione  la  locomotiva  si  trovasse,  la  corrente  elettrica  pro- 
dotta dalla  generatrice  fìssa  trovava  chiuso  questo  circuito: 
spirale  indotta  della  generatrice,  guida  centrale,  spirali  della 
ricettrice,  rotaie  portanti.  Per  assicurare  meglio  il  contatto  me- 
tallico conduttore  tra  le  ruote  e  le  rotaie,  tutte  le  ruote  del 
treno  erano  collegate  metallicamente  tra  di  loro.  Il  meccanico 
incaricato  della  condotta  del  piccolo  treno  sedeva  sulla  loco- 
motiva ed  aveva  a  sua  portata  un  manubrio  pei  freni  ed  un 
commutatore  per  interrompere  il  circuito  e  per  richiuderlo.  11 
numero  delle  persone  portate  dal  treno  variava  da  18  a  24,  lo 
sforzo  di  trazione  da  40  a  75  chilogrammi,  la  velocità  da 
metri  1,90  a  metri  3,50,  il  lavoro  da  2  a  3,5  cavalli;  il  rendi- 
mento era  risultato  di  circa  0,50. 

Questo  primo  esperimento  riuscì,  a  giudizio  del  Siemens, 
abbastanza  bene  per  indurre  il  celebre  costruttore  a  pensare 
alla  possibilità  ed  alla  convenienza  della  trazione  elettrica  anche 
in  casi  diversi  da  quelli  delle  miniere.  A  lui  parve  che  la  tra- 
zione elettrica  si  potesse  adoperare  con  vantaggio,  in  parecchi 
casi,  sulle  tramvie,  segnatamente  nell'  interno  delle  città.  In 
questo   caso   la   possibilità   di    camminare   rapidamente,   senza 

G.  Ferraris,  Opere,  Voi.  II.  13 


194  Parte  seconda. 


rumori,  senza  fumo,  con  un  materiale  elegante  e  leggero,  con 
una  grande  semplicità  e  sicurezza  nel  servizio,  e  con  notevole 
economia  nel  personale,  parve  al  Siemens  una  ragione  sufficiente 
per  dover  tentare  la  prova.  La  leggerezza  poi  del  materiale 
mobile  di  una  ferrovia  elettrica  avrebbe  permesso  di  costrurre 
in  condizioni  di  una  massima  economia  binari  aerei,  sostenuti 
all'altezza  di  un  primo  piano  da  colonne  metalliche,  e  così  dotare 
le  città  più  popolose  di  un  mezzo  di  comunicazione  atto  a  rime- 
.  diare  alla  crescente  insufficienza  delle  strade  attuali.  Ciò  indusse 
i  signori  Siemens  ed  Halske  a.  presentare  alle  autorità  di  Berlino 
un  progetto  per  una  strada  ferrata  aerea  attraverso  la  città. 
Questa  strada  aerea  avrebbe  avuto  la  lunghezza  di  circa  io  chi- 
lometri e  sarebbe  stata  sostenuta  da  colonne  metalliche  alte 
metri  4,40  e  disposte  lungo  i  marciapiedi  a  io  metri  l'una  dal- 
l'altra. Le  rotaie,  distanti  tra  loro  un  metro,  avrebbero  dovuto 
servire  come  conduttori  per  la  corrente  elettrica;  ciascuna  car- 
rozza sarebbe  stata  munita  di  una  propria  macchina  dinamo- 
elettrica ricettrice  e  la  velocità  del  treno  avrebbe*  dovuto  essere 
di  30  chilometri  all'  ora.  Un  calcolo  delle  spese  di  installazione 
e  di  esercizio  mostrava,  che  con  200  partenze  al  giorno  e  con 
una  media  di  5  a  6  passeggeri  in  ciascuna  delle  sei  carrozze, 
le  spese  avrebbero  potuto  facilmente  essere  coperte. 

Questo  progetto  non  fu  accolto,  ma  i  signori  Siemens  ed 
Halske  hanno  potuto  costrurre,  colle  medesime  disposizioni 
degli  apparecchi  elettrici  e  delle  carrozze,  ma  al  livello  del 
suolo,  un  tratto  di  ferrovia  elettrica  tra  l' istituto  centrale  dei 
cadetti  e  Lichterfelde,  stazione  della  strada  ferrata  da  Anhalt  a 
Berlino,  ove  essi  hanno  trovato  condizioni  di  installazione  favo- 
revoli. La  strada  ferrata  di  Lichterfelde  è  quindi  una  ferrovia  a 
livello  del  suolo;  ma  siccome  i  costruttori  avevano  avuto  in  mira 
lo  studio  di  una  ferrovia  aerea,  così  essa  fu  installata  piuttosto 
come  tale,  che  come  una  strada  a  livello.  Così,  per  esempio,  e 
per  non  citare  che  una  sola  circostanza  importante,  venne  con- 
servata la  trasmissione  della  corrente  per  mezzo  delle  due  rotaie, 
la  quale,  come  è  evidente,  sarebbe  conveniente  per  una  strada 
aerea  assai  più  che  per  una  strada  a  livello  del  suolo,  ove,  anche 
facendo  astrazione  dalle  maggiori  difficoltà  di  un  buon  isolamento, 
le  due  rotaie  difficilmente  si  possono  mantenere  pulite  quanto  è 
necessario  per  un  buon  contatto  metallico  colle  ruote. 

La  lunghezza   totale  della   strada   ferrata  è  di  2450  metri. 
Le  rotaie  dovendo  essere  isolate  l'una  dall'altra,  sono  disposte 


Applicazioni  dell'energia  elettrica,  195 

in  modo  da  non  toccare  altro  che  le  traversine  di  legno  e  da 
non  essere  in  contatto  diretto  col  suolo  sul  quale  esse  riposano. 
Nelle  condizioni  attuali  questo  isolamento  è  sufficiente;  lo  si 
potrebbe  del  resto  rendere  migliore,  sia  rivestendo  le  traversine 
di  materie  bituminose,  sia  frapponendo  tra  le  traversine  e  le 
rotaie  appositi  isolatori  di  vetro  o  di  porcellana.  Nei  passaggi 
a  livello  le  rotaie  sono  incastrate  fra  due  lungarine  di  legno,  e 
sottratte  per  tal  modo  al  contatto  diretto  colla  terra. 

L'apparecchio  per  la  produzione  della  corrente  è  installato 
•dentro  a  fabbricati  dipendenti  dalla  stazione  di  Lichterfelde.  Esso 
è  costituito  da  una  macchina  a  vapore  orizzontale,  la  quale  tiene 
in  azione  due  macchine  dinamo-elettriche  di  Siemetts.  Questa  in- 
stallazione però  è  provvisoria  e  le  due  macchine  dinamo-elettriche 
dovranno  venire  rimpiazzate  da  una  sola  mossa  direttamente  da 
una  macchina  a  vapore  rotatoria  dei  sistema  Dolgorouki, 

Due  gomene  metalliche  partenti  dalle  macchine  generatrici, 
«  passanti  sotterra,  portano  la  corrente  alle  rotaie;  queste  la 
trasmettono  alle  spirali  della  macchina  ricettrice  per  contatto 
•diretto  colle  ruote  del  veicolo. 

Nella  prima  ferrovia  elettrica,  di  cui  abbiamo  già  parlato, 
si  avevano  treni  composti  di  alcune  piccole  carrozze  trainate 
da  una  locomotiva  distinta  da  esse.  A  Lichterfelde  invece  non 
corre  che  una  sola  carrozza  capace  di  portare  26  persone,  e 
somigliante  in  tutto  alle  ordinarie  carrozze  delle  tramvie.  La 
macchina  dinamo-elettrica  ricettrice,  che  la  deve  mettere  in  moto, 
é  collocata  al  di  sotto  di  essa,  frammezzo  agli  assi  delle  due 
coppie  di  ruote.  La  corrente  passa  dalle  rotaie  alla  macchina 
per  mezzo  delle  ruote  portanti.  A  quest'  uopo  le  ruote  sono 
isolate  elettricamente  da  tutte  le  altre  parti  del  veicolo,  ed  i 
loro  cerchioni  comunicano,  per  mezzo  di  liste  metalliche,  con 
manicotti  metallici  cilindrici  portati  dal  loro  asse  ed  isolati  dal 
medesimo.  Su  questi  manicotti  si  appoggiano  sfregatoi  a  spazzola 
posti  in  comunicazione  coi  due  poli  della  macchina  ricettrice. 
La  trasmissione  del  movimento  dall'  albero  della  macchina  di- 
namo-elettrica alle  ruote  portanti  della  carrozza  è  iatta  per 
mezzo  di  una  puleggia  calettata  direttamente  sull'albero,  la  quale 
con  un  cingolo  comanda  due  puleggie  scanalate,  di  diametro 
maggiore,  solìdarìe  alle  ruote  portanti  che  stanno  da  una  me- 
desima parte.  Il  cingolo  è  costituito  da  una  elica  di  filo  metallico 
a  spire  serrate,  che  si  avvolge  a  molti  giri  sulle  puleggie,  ada- 
^iandovisi  in  appositi  solchi. 


196  Parie  seconda. 


La  macchina  dinamo-elettrica  è  munita  di  un  commutatore» 
che  può  essere  manovrato  dal  conduttore  da  entrambe  le  piat- 
taforme che  stanno  alle  due  estremità  della  carrozza,  cosicché 
questa  può  correre  in  entrambi  i  versi  senza  bisogno  di  essere 
fatta  girare.  Essa  è  inoltre  provvista  di  un  apparecchio  a  re- 
sistenza variabile,  che  permette  di  regolarne,  entro  limiti,  la 
velocità. 

Secondo  le  condizioni  della  concessione,  la  velocità  della 
carrozza  sulla  tramvia  elettrica  dove  essere  di  20  chilometri 
all'ora;  ma  essa  potrebbe,  volendolo,  percorrere  da  35  a  40  chi- 
lometri su  di  una  strada  orizzontale,  col  suo  massimo  dì  carico, 
di  26  persone,  che  corrisponde  ad  un  peso  totale  dì  4800  chi- 
logrammi. In  queste  condizioni  la  generatrice  funziona  con  tutta 
la  sua  velocità,  e  la  ricettrìce,  che  ha  il  peso  dì  500  chilogrammi,, 
produce  un  lavoro  di  cinque  cavalli  e  mezzo. 

La  strada  ferrata  elettrica  di  Lichterfelde  fu  aperta  al  pub- 
blico il  16  maggio  188 1  ora  trascorso  ed  ha  finora  funzionato 
senza  alcun  accidente  degno  di  nota. 

A  Parigi  Siemens  ed  Halske  hanno  esposto  nella  sezione 
tedesca  una  carrozza  identica  a  quella  della  strada  ferrata  di 
Lichterfelde,  e  questa,  per  la  razionale  disposizione  di  tutte  le 
parti  e  per  la  perfezione  della  costruzione,  era,  a  ragione,  am-  , 

mirata   come   l'apparecchio   più    perfetto,    che   figurasse    nella 
classe  9.*  destinata  ai  motori  elettrici  ed  al  trasporto  della  forza.  I 

Questo  apparecchio  alla  esposizione  non  fu  messo  in  azione.  ' 

Funzionò,  invece,  e,  dopo  qualche  settimana  spesa  nel  superare  j 

varie  difficoltà,  prese  un  andamento  del  tutto  regolare  la  tramvia 
elettrica  che  i  fratelli  Siemens  esposero,  colla  firma  Sieme>ts 
freres,  nella  sezione  francese.  Dagli  ultimi  giorni  di  agosto  fino 
al  termine  dell'esposizione  questa  tramvia  trasportò  quotidiana- 
mente dalla  piazza  della  Concordia  al  palazzo  dell'Industria,  e 
viceversa,  un  numero  grandissimo  di  visitatori,  ed  in  tutto 
questo  tempo  essa  non  presentò  alcun  accidente  degno  di  nota. 
La  ferrovia  elettrica  dell'esposizione  fu,  pei  particolari, 
studiata  e  messa  in  opera  dall'  ingegnere  Boistel  della  casa 
Siemens  freres  di  Parigi.  Essa  differiva  da  quella  di  Lichterfelde 
principalmente  pel  modo  di  condurre  la  corrente  dalla  gene- 
ratrice fissa  alla  ricettrice  viaggiante.  Si  è  notato  poc'anzi, 
descrivendo  la  ferrovia  di  Lichterfelde,  come  la  trasmissione 
della  corrente  per  mezzo  delle  rotaie  portanti,  la  quale  sarebbe 
convenientissima  per  strade  aeree,  p>resenti  gravi  inconvenienti. 


Applicazioni  dell'energia  elettrica,  197 

applicata  a  ferrovie  a  livello  del  suolo.  In  questo  caso  infatti  è 
difficile  risolamento,  è  impossibile  un  perfetto  contatto  metallico 
colle  ruote,  e  le  rotaie,  portate,  come  sono,  ad  alti  potenziali 
elettrici,  possono  essere  causa  di  accidenti  quando  per  avventura 
un  cavallo  venga  a  toccarle  simultaneamente.  Per  questi  motivi 
già  Siemens  ed  Halske  erano  ricorsi  ad  un  altro  modo  di  tra- 
smissione nello  studio  della  ferrovia  elettrica  tra  Charlottenburg 
e  Sfxindau.  In  questa  installazione,  onde  evitare  gl'inconvenienti 
notati,  Siemens  ed  Halske  hanno  ideato  di  trasmettere  la  cor- 
rente per  mezzo  di  conduttori  aerei  sostenuti  da  pali,  lungo  i 
quali  conduttori  scorre  un  carretto  di  contatto,  legato  alla  car- 
rozza con  una  funicella,  e  portante  due  corde  di  rame  collegate 
all'altra  estremità  coi  p)oli  della  macchina  ricettrice. 

Nella  installazione  fatta  a  Parigi  è  stata  adottata  questa 
disposizione,  ed  i  particolari  di  essa  sono  stati  studiati  in  modo 
assai  ingegnoso.  In  luogo  di  corde  metalliche  sono  adoperati 
come  conduttori  della  corrente  due  tubi  di  ottone  fessi  al  di 
sotto  su  tutta  la  loro  lunghezza  e  per  la  larghezza  di  im  cen- 
timetro. I  due  tubi  sono  raccomandati  ad  un  listello  di  legno 
sostenuto  in  posizione  orizzontale,  all'altezza  di  circa  tre  metri, 
da  una  fila  di  pali,  che  corre  su  di  un  fianco  della  strada  ferrata, 
da  un  capo  all'altro  di  questa.  Per  diminuire  le  inflessioni  che 
i  tubi  potrebbero  prendere,  col  tempo,  sotto  l'azione  del  peso, 
essi  sono  sostenuti  in  vari  punti,  tra  un  palo  e  l'altro,  da  fili  di 
ferro  a  guisa  di  ponti  sospesi.  In  questo  modo  la  linea  formata 
dai  conduttori  non  è  rigida,  ma  presenta  una  certa  flessibilità 
favorevole  al  movimento  rapido  degli  sfregatoi.  I  due  tubi  sono 
messi  in  comunicazione,  ad  una  estremità,  per  mezzo  di  corde 
metalliche,  coi  due  poli  della  macchina  generatrice  installata 
nel  palazzo  dell'  esposizione  ;  all'  altra  estr^nità  e  su  tutta  la 
lunghezza  essi  sono  isolati.  I  contatti  per  la  trasmissione  della 
corrente  dai  tubi  alla  macchina  ricettrice  portata  dalla  carrozza 
si  fanno  specialmente  sulla  superficie  interna  dei  due  tubi; 
dentro  a  ciascun  tubo  scorre  uno  sfregatoio  avente  Ja  forma  di 
un  nucleo  cilindrico  allungato.  Verso  le  due  estremità  di  questo 
nucleo  sono  saldate  due  asticciuole  cilindriche  parallele,  verticali, 
<he  attraverso  alla  fessura  longitudinale,  di  cui  si  è  parlato, 
«scono  fuori  dal  tubo,  ed  alle  due  estremità  inferiori  sono  unite 
a  vite  con  una  traversa;  si  ha  così  un  telarino  rettangolare  di 
cui  uno  dei  lati  è  costituito  dal  nucleo  scorrevole  nell'interno 
del  tubo,  ed  il  lato  opposto  a  questo  è  rappresentato  dalla  tra- 


198  Parte  seconda. 


versa;  il  nucleo  serve  a  dare  il  contatto  coi  conduttori  tubolari, 
la  traversa  serve  di  attacco  ad  una  cordicella  di  fili  di  rame, 
la  quale  va  a  terminare  ad  uno  dei  poli  della  macchina  ricettrice, 
sulla  carrozza.  Una  seconda  traversa  orizzontale  situata  fram- 
mezzo al  nucleo  sfregatore  ed  alla  traversa  di  cui  ho  parlato, 
porta  una  rotella  metallica,  occupante  l'interno  del  rettangolo, 
la  quale  si  appoggia  esternamente  contro  il  tubo;  la  traversa 
che  sostiene  questa  rotella  è  portata  da  due  manicotti  scorrevoli 
lungo  le  due  astine  verticali,  e  due  molle  spirali  avvolte  attorno 
a  queste  assicurano  la  pressione  necessaria  della  rotella  contro 
la  faccia  esterna,  e  del  nucleo  contro  la  faccia  interna  del  tubo. 
Pei  due  conduttori  si  hanno  due  carretti  di  contatto  identici  a 
quello  descritto.  I  due  carretti  di  contatto  sono  trascinati  lungo 
i  rispettivi  tubi  per  piezzo  di  due  cordicelle  attaccate  alla 
carrozza. 

La  carrozza  ed  i  meccanismi,  che  essa  porta,  non  difieriscono 
sostanzialmente  da  quelli  della  ferrovia  di  Lichterfelde.  Però  la 
carrozza  è  più  grande,  è  munita  di  imperiale  e  può  contenere, 
quando  è  completa,  ben  50  persone.  La  macchina  ricettrice  è 
in  questa  carrozza,  come  in  quella  di  Lichterfelde,  collocata  al 
di  sotto  del  tavolato  fra  i  due  assi  portanti  ;  e  la  trasmissione 
del  movimento  dall'asse  della  macchina  alle  ruote  portanti  si  fa 
anche  qui  per  mezzo  di  una  cinghia. 

Finalmente  il  binario  è  a  scartamento  normale,  e  siccome 
qui  le  rotaie  non  hanno  bisogno  di  essere  isolate,  cosi  l'arma- 
mento non  presenta  alcuna  differenza  da  quello  delle  tramvie 
ordinarie. 

La  macchina  generatrice  della  corrente  è  una  macchina 
dinamo-elettrica  di  Siemens  di  grande  modello,  cogli  induttori 
inserti  nel  circuito  principale.  La  sua  spirale  indotta  gira  colla 
velocità  di  550  rivoluzioni  per  minuto.  La  ricettrice  situata  sulla 
carrozza  è  del  medesimo  sistema,  e  fa,  nelle  condizioni  normali» 
465  giri  al  minuto.  Tenendo  conto  del  diametro  delle  ruote  e 
di  quello  delle  puleggie  di  trasmissione,  questa  velocità  della 
macchina  dinamo-elettrica  corrisponde  ad  una  velocità  del  veicolo 
.di  17  chilometri  per  ora.  Non  è  però  questa  la  velocità  limite, 
poiché  in  una  esperienza  si  è  potuto  percorrere  l'intiera  linea, 
lunga  493  metri,  in  25  minuti  secondi,  il  che  corrisponde  ad 
una  velocità  di  70  chilometri  all'ora. 

Il  peso  della  carrozza  vuota  è  di  5500  chilogrammi  ;  coi 
50  passeggeri  questo  peso  si  eleva  a  9000  chilogrammi. 


Applicazioni  dell'energia  elettrica,  199 

La  linea  costrutta  tra  la  piazza  della  Concordia  ed  il  Pa- 
lazzo dell'industria  presentava,  non  ostante  la  sua  piccola  lun- 
ghezza, parecchie  difficoltà,  le  quali  concorrevano  a  rendere 
importante  l'esperimento.  Così,  per  esempio,  si  aveva  all'arrivo 
sulla  piazza  della  Concordia  una  curva  col  raggio  di  55  metri 
appena;  e  le  curve  all'ingresso  nel  palazzo  dell'esposizione 
avevano  raggi  di  soli  27  e  30  metri.  La  pendenza  superava,  in 
un  punto  il  20  per  mille. 

Il  lavoro  speso,  quando  la  velocità  era  di  17  chilometri 
all'ora,  era  di  tre  cavalli  e  mezzo  nelle  porzioni  orizzontali  e 
rettilinee,  di  sette  cavalli  e  mezzo  nelle  curve  e  di  oltre  otto 
cavalli  e  mezzo  nella  rampa  del  20  per  mille. 

Per  regolare  la  velocità  basta  introdurre  nel  circuito  resi- 
stenze che  si  possono  far  variare  a  piacimento;  nella  carrozza 
elettrica  dei  fratelli  Siemens  l'apparecchio  per  far  variare  la 
resistenza,  era  comandato  da  una  leva  di  manovra,  indifferen- 
temente dall'una  o  dall'altra  piattaforma.  La  rottura  del  circuito 
non  produceva  scintille  capaci  di  recare  guasti  alla  macchina,  in 
grazia  di  una  disposizione  ingegnosa  per  cui  la  rottura  completa 
del  circuito  non  avveniva  se  non  dopo  che  tutte  le  resistenze 
erano  state  introdotte,  e  per  conseguenza  avevano  affievolito 
notevolmente  l'intensità  della  corrente.  Il  sistema  per  l'arresto 
era  completato  da  un  freno  a  ceppo  ordinari. 

Oltre  agli  apparecchi  effettivi,  di  cui  ho  fatto  menzione, 
figurava  nella  sezione  francese  della  esposizione,  svolto  in  una 
descrizione  ed  in  molti  disegni,  un  progetto  dell' ing.  Chrétien 
per  la  costruzione  di  una  ferrovia  elettrica  aerea  nell'interno  di 
Parigi,  dalla  Bastiglia  alla  Maddalena,  lungo  i  Boulevards^  con 
diram^ioni.  Il  progetto  però  non  presenta  alcuna  novità  rela- 
tivamente agli  apparecchi  elettrici,  e  non  potrebbe  essere  stu- 
diato se  non  dal  punto  di  vista  delle  condizioni  di  convenienza 
o  di  costruzione  dipendenti  dalle  circostanze  locali;  la  qual  cosa 
non  ci  riguarda. 

28.  A  noi  invece  si  presenta  la  quistione  generale:  Indi- 
pendentemente dalle  considerazioni  generiche  che  abbiamo  fatto 
sull'impiego  industriale  della  elettricità  come  mezzo  telo-dina- 
mico, quali  vantaggi  speciali  può  quest'impiego  presentare  nel 
caso  delle  ferrovie? 

Un  primo  vantaggio  si  presenta  da  sé  e  sta  nella  piccolezza 
del  peso  della  macchina  che  tiene  le  veci  della  locomotiva. 
Questo  vantaggio  ha  una  grande  importanza  nei  casi  di  ferrovie 


200  Parte  seconda, 

aeree,  per  le  quali  la  leggerezza  del  treno  può  permettere  una 
grandissima  economia  nella  costruzione  della  strada. 

Sulle  linee  di  forti  pendenze  si  è,  colla  trazione  a  vapore, 
costretti  a  ricorrere  all'impiego  di  locomotive  molto  pesanti,  ed 
a  quello  di  più  locomotive  attaccate  al  medesimo  treno:  cosa 
sempre  costosa  pel  peso  inutile  che  bisogna  elevare,  e  non 
sempre  sufficiente  perchè,  aumentando  la  pendenza,  si  raggiunge 
presto  un  punto  in  cui  le  locomotive  sono  incapaci  di  sollevare 
sé  stesse.  Colla  trazione  elettrica  l'inconveniente  è  molto  di- 
minuito: non  solo  si  hanno  in  questo  caso  macchine  leggere, 
ma  si  possono  adoperare,  come  ha  fatto  Siemens,  tante  macchine 
quante  sono  le  carrozze  del  treno,  e  per  tal  modo  utilizzare 
per  l'aderenza  il  peso  intiero  di  tutto  il  convoglio, 

L'incamminamento  del  convoglio  (démarrage)  presenta  fre- 
quentemente gravi  difficoltà  sulle  ferrovie  ordinarie;  su  di  una 
ferrovia  elettrica,  invece,  esso  deve  riuscire  sempre  più  facile. 
Ciò  in  grazia  delle  stesse  proprietà  fondamentali  della  corrente 
elettrica  che  somministra  il  lavoro.  Infatti  quando  il  treno  è 
fermo  e  si  chiude  il  circuito  per  incominciare  la  marcia,  la  cor- 
rente elettrica  che  si  produce  ha  nei  primi  momenti  una  in- 
tensità massima,  notevolmente  maggiore  di  quella  che  essa  ha, 
in  media,  durante  la  marcia:  durante  la  marcia  essa  è  dovuta 
alla  sola  differenza  tra  la  forza  elettro-motrice  della  macchina 
dinamo-elettrica  generatrice  e  quella  inversa  della  ricettrice; 
in  principio,  invece,  finché  la  ricettrice  non  ha  cominciato  a 
lavorare,  essa  è  dovuta  alia  forza  elettro-motrice  tutta  intiera 
della  generatrice.  Dal  valore  massimo  che  ha  in  principio,  l'in- 
tensità della  corrente  diminuisce  per  gradi  di  mano  in  mano 
che,  accelerandosi  la  macchina  ricettrice,  va  crescendo  la  forza 
elettro-motrice  inversa  che  essa  produce;  T  intensità  diventa 
costante  ed  ha  un  valore  minimo,  quando  il  treno  ha  acquistato 
tutta  la  sua  velocità.  Ora  le  forze  che  mettono  in  moto  la 
spirale  rotante  della  ricettrice  crescono  col  crescere  della  in- 
tensità della  corrente;  esse  hanno  adunque  una  intensità  mas- 
sima nell'atto  dell'incamm inamento,  quando  se  ne  ha  il  massimo 
bisogno. 

11  fatto,  di  cui  ho  parlato,  ossia  la  dipendenza  che  esiste 
tra  la  velocità  della  ricettrice  e  l'intensità  della  corrente,  è  causa 
di  un'altra  utile  proprietà  della  trazione  elettrica:  la  marcia 
degli  apparecchi  si  modifica  da  sé,  senza  bisogno  di  essere  go- 
vernata dal  meccanico,  a   seconda  del  variare  delle  pendenze, 


Applicazioni  dell'energia  elettrica.  201 


e  si  modifica  in  modo  che  le  forze  che  agiscono  sulle  ruote 
per  tenerle  in  moto  crescono  o  diminuiscono,  secondo  il  bi- 
sogno, quando  cresce  oppure  diminuisce  la  pendenza  della 
strada. 

Per  vedere  come  ciò  avvenga  basta  ricordare  che  le  forze 
che  sollecitano  l'armatura  mobile  della  macchina  dinamo-elettrica 
ricettrice  crescono   col   crescere   della   intensità   della  corrente 
elettrica,  che  l'intensità  di  questa  corrente  è  proporzionale  alla 
differenza  tra  la   forza   elettro-motrice   della   macchina  genera- 
trice e  quella  inversa  della  ricettrice,  e  che  finalmente  la  forza 
elettro-motrice  di   una  macchina  è  a  parità  di  altre  circostanze 
proporzionale  alla   velocità.  Ciò   posto  si   supponga  che  in  un 
determinato   punto  la   strada   prenda  a    salire  più  rapidamente 
di  quello  che  faceva  prima;  a  partire  da  quel  punto  la  carrozza 
elettrica  incomincia  a   rallentarsi.  Ma  col  diminuire   della   ve- 
locità diminuisce  pure  la  forza  elettro-motrice  inversa  prodotta 
dalla  ricettrice,  e  col  diminuire  di  questa  cresce  l'intensità  della 
corrente.  Colla  intensità  della  corrente  aumenta  nella  macchina 
ricettrice  anche   lo   sforzo   motore;  e   questo   non   diventa  co- 
stante finché  non  ha  cessato   di  diminuire  la  velocità.  Cosi  lo 
sforzo  motore,  senza  bisogno  di  alcun  apparecchio  regolatore  e 
senza  richiedere  l'opera  di  un  sorvegliante,  assume  da  sé  l'au- 
mento imposto  dall' accresciuta  pendenza.  Si  supponga,  invece, 
che  in  un  dato  punto  la  salita  si  faccia  meno  rapida  oppure  si 
cambi  in  una  discesa;  in  quel  punto  la  carrozza  comincia  ad 
accelerarsi;  colla  velocità  comincia  ad  aumentare  la  forza  elettro- 
motrice inversa  prodotta   dalla   macchina   ricettrice,  e  coli' au- 
mentare di  questa  forza  elettro-motrice  inversa  diminuisce  l'in- 
tensità della  corrente;   coir  intensità   della   corrente  diminuisce 
lo  sforzo  motore,  e  così  lo  sforzo  motore,  da  sé,  senza  bisogno 
dell'intervento  di  un  sorvegliante,  si  riduce  in  proporzione  del 
diminuito  bisogno. 

Come  lo  sforzo  motore  sulle  ruote  delle  carrozze,  così  la 
somministrazione  dell'energia  data  dalla  generatrice  cresce  o 
diminuisce,  secondo  il  bisogno,  col  variare  delle  pendenze. 
Quando  infatti  la  salita  aumenta,  e  diminuisce  in  conseguenza 
la  velocità,  aumenta  l'intensità  della  corrente,  e  se  la  macchina 
generatrice,  in  grazia  del  moderatore  annesso  alla  motrice, 
conserva  una  velocità  costante,  aumenta  il  lavoro  che  essa  con- 
suma. Succede  l'opposto  quando,  diminuita  la  salita,  la  velocità 
delia  carrozza  prende  ad  aumentare. 


202  Parte  seconda. 


Le  variazioni  di  peso  del  treno  producono  gli  stessi  effetti 
che  le  variazioni  di  pendenza;  in  ogni  caso  lo  sforzo  motore  e 
la  somministrazione  di  energia  variano  nel  senso  stesso  in  cui 
varia  il  lavoro  che  la  locomotiva  elettrica  deve  fare  per  cam- 
minare. 

Nelle  gallerie  e  nell'  interno  delle  città  è  un  vantaggio  no- 
tevole, che  talvolta  potrebbe  bastare  a  decidere  nella  scelta  del 
sistema,  la  mancanza  del  fumo. 

Nei  centri  popolosi  costituisce,  finalmente,  un  merito  pel 
sistema,  la  semplicità  del  servizio,  che  trae  seco  una  maggiore 
sicurezza  pei  passeggieri.  Un  sol  uomo  può  bastare  a  tutto  e 
governare  la  condotta  del  treno  in  modo  da  evitare  i  pericoli 
pel  materiale  e  per  le  persone  più  facilmente  che  colla  trazione 
a  vapore;  egli  non  ha  da  fare  altro  che  guardare  innanzi  a  sé 
e  tenersi  preparato  a  maneggiare  il  commutatore  ed  il  freno. 
Il  treno,  essendo  leggierissimo,  si  arresta  prontissimamente. 

Le  difficoltà  che  si  presentano  nell'attuazione  del  sistema 
sono  essenzialmente  queste:  la  resistenza  del  circuito  aumenta 
di  mano  in  mano  che  la  carrozza  si  va  allontanando  dalla  ge- 
neratrice, e,  coir  aumentare  della  resistenza,  diminuisce  la  ve- 
locità e  scema  il  coefficiente  di  rendimento;  è  difficile  special- 
mente in  tempo  piovoso,  ottenere  un  perfetto  isolamento;  i 
contatti  tra  gli  sfregatoi  della  ricettrice  ed  i  conduttori  di  linea 
possono  in  alcuni  istanti  mancare.  Ma  la  prima  di  queste  diffi- 
coltà si  evita  nelle  ferrovie  aeree  adoperando  come  conduttori 
le  rotaie  e  collegando  con  queste  una  parte  della  struttura  me- 
tallica della  strada,  in  modo  da  offrire  alla  corrente  una  gran- 
dissima sezione  ;  e  per  le  strade  a  livello  del  suolo  si  diminuirà 
coU'avvenire  l'importanza  della  resÌ3tenza  variabile  adoperando 
macchine  dinamo-elettriche  di  alta  forza  elettro-motrice. 

L'imperfetto  isolamento  delle  linee  è  un  inconveniente  che 
può  diventare  grave  per  le  linee  lunghe,  ma  il  toglierlo  non 
dipende  che  da  miglioramenti  nei  particolari  dell'armamento, 
miglioramenti  che  probabilmente  il  tempo  ci  apporterà.  Final- 
mente la  mancanza  accidentale  dei  contatti  non  solo  si  potrà 
evitare  in  gran  parte  con  uno  studio  accurato  dei  particolari, 
ma  non  ha  nemmeno  nello  stato  attuale  una  importanza  grave. 
Bisogna  infatti  osservare  che  colla  disposizione  dei  Siemens  la 
corrente  eccitatrice  della  macchina  generatrice  è  la  stessa  cor- 
rente principale;  se,  mancando  il  contatto,  il  circuito  si  rompe, 
cessa  la  corrente  eccitatrice,  e  la  macchina  generatrice  cessa  di 


Applicazioni  deWentrgia  elettrica,  203 


produrre  corrente  e  di  consumare  lavoro.  La  generatrice  non 
riprende  la  sua  forza  elettro-motrice  e  non  ricomincia  a  con- 
sumare lavoro  se  non  quando  i  contatti  sono  ristabiliti. 

Tutte  queste  considerazioni  inducono  a  credere  che  alle 
ferrovie  elettriche  sia  riservato  un  avvenire  fecondo  di  applica- 
zioni. Bisogna  notare  però,  che  gli  ultimi  vantaggi  che  abbiamo 
enumerato  si  riferiscono  specialmente  al  caso  delle  tramvie 
nell'interno  delle  città,  e  che  gli  altri  vantaggi  hanno  un'im- 
portanza tanto  minore  quanto  più  sono  grandi  i  treni  che  deb- 
bono percorrere  le  ferrovie.  E  siccome,  nello  stato  attuale  del- 
l'industria della  costruzione  degli  apparecchi  elettrici,  l'applicazione 
della  trazione  elettrica  sulle  lunghe  linee  con  grande  traffìco  sa- 
rebbe complicata,  od  impossibile,  così  per  ora  non  pare  che  alla 
trazione  per  mezzo  della  elettricità  si  debba  pensare  se  non  per 
alcune  tramvie  e  per  qualche  caso  di  piccole  ferrovie  in  circo- 
stanze affatto  speciali. 

La  trazione  elettrica,  come  in  generale  la  trasmissione  del- 
l'energia per  mezzo  della  elettricità,  non  è  destinata  a  soppian- 
tare i  sistemi  già  in  uso  ;  è  destinata  invece  a  dare  la  soluzione 
di  problemi  che  coi  sistemi  in  uso  non  si  possono  risolvere;  è 
destinata  ad  essere  adoperata  in  alcuni  casi  per  cui  gli  altri 
sistemi  presentano  maggiori  inconvenienti.  Qui,  come  in  tutte 
le  altre  applicazioni,  ogni  sistema  ha  il  suo  campo  d'azione  di- 
stinto da  quello  di  tutti  gli  altri;  la  scoperta  di  un  sistema 
nuovo  non  nuoce  alla  importanza  degli  altri,  all'opposto  li 
completa,  allargando,  combinato  con  essi,  la  cerchia  delle  ap- 
plicazioni possibili. 

Stando  alle  cose  che  abbiamo  detto,  noi  possiamo  prevedere^ 
fin  d'ora,  per  le  ferrovie  elettriche,  applicazioni  nei  casi  se- 
guenti: 

I.*»  Nelle  grandi  città  quando  si  vogliono  costrurre  linee 
aeree. 

2.*»  Nelle  gallerie  delle  miniere. 
3.*»  In  brevi  tratti  di  ferrovie  con  grandi  pendenze. 
4.®  In  un  caso  che  nel  nostro  paese  si  può  presentare 
sovente,  e  sul  quale  io  credo  di  dovere  chiamare  in  modo  spe- 
ciale l'attenzione  dei  nostri  ingegneri  e  delle  nostre  amministra- 
zioni. Parecchie  vallate  alpine,  ricche  di  industrie  e  di  commercio, 
sono  destinate  ad  essere  nell'avvenire  avvivate  da  linee  di 
tramvie.  Ebbene:  in  più  di  una  di  queste  vallate  si  presentano 
riunite   molte   circostanze   che   possono  consigliare   l'adozione 


204  Parte  seconda. 


<ielJa  trazione  per  mezzo  della  elettricità.  Noi  troviamo  sovente 
la  necessità  di  pendenze  considerevoli  e  variabili  e  di  curve  di 
corto  raggio;  noi  troviamo  poi,  ciò  che  più  monta,  lungo  il 
thalweg  della  valle,  un  fiume  con  acque  copiose  e  perenni, 
lungo  il  quale,  in  molti  punti,  a  giuste  distanze,  sarebbe  pos- 
-sibile  installare  una  serie  di  motori  idraulici  di  considerevole 
potenza.  Ciascuno  di  questi  motori  potrebbe  somministrare  la 
-corrente  elettrica  ad  un  tronco  della  tramvia  che  corre  parallela 
al  fiume  e  questo  tronco  si  troverebbe,  per  la  sua  lunghezza, 
nelle  condizioni  delle  ferrovie  elettriche  oggidì  già  in  esercizio. 
L' applicazione  del  sistema  sarebbe  adunque  possibile  fin  d'ora; 
-ed  io  credo  che  forse  fin  d*  ora,  certo  fra  non  molto,  essa  sa- 
rebbe anche  economica. 

29.  Una  applicazione  della  trasmissione  elettrica  del  la- 
voro, la  quale  si  collega  con  quella  delle  ferrovie  elettriche,  è 
quella  che  si  potrebbe  fare  pel  trasporto  rapido  delle  corri- 
spondenze. Il  dottor  Werner  Siemens  presentò  nel  1880  alla 
Società  elettrotecnica  di  Berlino,  insieme  al  suo  progetto  di 
ferrovia  aerea,  un  progetto,  completamente  studiato,  per  una 
posta  elettrica,  la  quale  avrebbe  dovuto  fare  sulle  lunghe  linee 
in  una  cerchia  estesa,  il  servizio  che  fanno  attualmente  nell'in- 
terno delle  grandi  città  le  poste  pneumatiche.  La  posta  elettrica 
ideata  dal  Siemens  consisteva  in  una  piccola  ferrovia  elettrica, 
possibilmente  aerea,  chiusa  con  pareti  e  copertura  di  lastre  di 
ferro,  sulla  quale  si  dovevano  far  correre  coli' elettricità  piccoli 
vagoncini  portanti  i  dispacci.  Ciascun  vagoncino  portava  una 
piccola  macchina  dinamo-elettrica  destinata  a  funzionare  come 
ricettrice;  l'albero  di  questa  piccola  macchina  portava  diretta- 
mente due  delle  ruote  del  vagoncino,  era  cioè  uno  dei  due  assi 
del  vagoncino.  In  questo  modo  le  ruote  del  vagoncino  avrebbero 
fatto  tanti  giri  quanti  ne  faceva  la  spirale  rotante  della  mac- 
china dinamoelettrica,  e  benché  esse  non  avessero  che  un 
diametro  di  30  centimetri,  avrebbero  camminato  colla  velocità 
dei  treni  ferroviari.  Adoperando  macchine  generatrici  molto  più 
potenti  che  le  piccole  ricettrici,  si  sarebbe  potuto  mettere  in 
movimento  simultaneamente,  sulla  medesima  linea,  parecchi  va- 
goncini spediti  a  brevi  intervalli  di  tempo,  ottenendo  così  una 
rapidissima  trasmissione  delle  corrispondenze.  Anche  con  pa- 
recchi vagoncini  correnti  sul  medesimo  binario  si  sarebbe  fa- 
cilmente potuto  ottenere  in  ciascuno  da  800  a  1000  giri  di  ruote 
in  ogni  minuto. 


Applicazioni  dell'energia  elettrica,  205 


Per  trasmettere  la  corrente  ai  vagoncini  dovevano  servire, 
secondo  il  progetto,  le  due  rotaie  coilegate  opportunamente  a 
tutte  le  parti  metalliche  della  piccola  strada  ferrata.  Le  due 
rotaie  dovevano  essere  isolate  V  una  dall*  altra  e  comunicare 
runa  con  uno,  l'altra  coll'altro  polo  della  macchina  generatrice; 
ma  per  diminuire  la  resistenza  del  circuito  una  delle  due  rotaie 
doveva  essere  collegata  metallicamente,  in  molti  punti,  colle 
pareti  laterali  e  colla  copertura  della  piccola  strada,  pareti  e 
copertura  che,  come  dissi,  erano  di  lastra  di  ferro;  l'altra  rotaia 
invece  doveva  collegarsi  metallicamente  a  tutte  le  colonne  di 
ferro  sostenenti  la  ferrovia,  e  così  fornire  una  larga  comunica- 
zione col  suolo.  Siccome  in  questo  modo  la  resistenza  della 
linea  non  avrebbe  superato  il  valore  di  0,02  ohm  per  ogni  chi- 
lometro, così  sarebbe  stato  sufficiente  installare,  pel  servizio 
della  posta  elettrica,  una  macchina  generatrice  ad  ogni  20  chi- 
lometri. Dalle  rotaie  serventi  come  conduttori  di  linea  alle 
piccole  macchine  dinamo -elettriche  ricettrici  portate  dai  va- 
goncini la  corrente  sarebbe  passata  direttamente  per  contatto- 
colle  ruote. 

Alcuni  modelli  della  posta  elettrica  si  vedevano  esposti 
nella  sezione  francese  dalla  casa  Siemens  frères  di  Parigi,  ed 
erano  notevoli  per  la  perfezione  dell'esecuzione. 

30.  Come  si  è  pensato  a  far  servire  la  corrente  elettrica 
alla  trazione  dei  vagoncini  nelle  miniere,  così  era  naturale  che 
si  pensasse  a  servirsene  per  far  lavorare  le  macchine  perfora- 
trici pei  fori  di  mina  nella  costruzione  delle  gallerie.  L' esposi- 
zione ci  ha  mostrato  alcuni  apparecchi  destinati  a  queste  ap- 
plicazioni. Uno  di  questi,  notevole  per  la  costruzione  della 
macchina  dinamo-elettrica,  figurava  nella  mostra  di  Siemens  ed 
Ualske  nella  sezione  tedesca.  Un  altro  era  in  azione  nella 
mostra  del  signor  A.  L.  Taverdon  nella  sezione  francese;  que- 
st'ultimo però  non  era  che  una  perforatrice  rotativa  a  diamanti, 
messa  in  moto  da  una  macchina  di  Gromme,  sull'asse  della 
quale  essa  era  direttamente  innestata:  l'esposizione  del  Ta- 
verdon, interessantissima  per  gli  utensili  a  diamante  nero,  non 
presentava  nulla  né  di  notevole,  ne  di  nuovo  dal  punto  di  vista 
elettrico. 

A  questa  applicazione  della  trasmissione  elettrica  della 
forza  motrice  io  non  faccio  che  accennare.  Senza  escludere  la 
possibilità  che  in  casi  speciali  essa  possa  tornare  vantaggiosa,, 
io  credo  di  dover  osservare  che  nella  perforazione  delle  gallerie 


2o6  Parte  seconda. 


la  trasmissione  dell'energia  per  mezzo  deiraria  compressa  sarà 
sempre,  a  meno  dì  una  impossibilità  assoluta,  preferibile  a  qua- 
lunque altra.  L'aria  compressa  non  serve  soltanto  a  mettere  in 
movimento  la  perforatrice,  ma  serve  ancora  alla  ventilazione; 
e  siccome  dopo  di  essersi  espansa  nel  cilindro  della  perforatrice, 
l'aria  esce  dalla  macchina  notevolmente  raffreddata,  essa  giova, 
in  molti  casi  a  moderare  la  temperatura  eccessiva  del  sotter- 
raneo. Quand'  anche  accadesse  che  la  trasmissione  per  mezzo 
della  elettricità  riuscisse  molto  più  economica  di  quella  ad  aria 
compressa,  bisognerebbe  prima  di  darle  la  preferenza,  vedere 
se  la  maggiore  spesa,  ed  il  maggiore  ingombro,  a  cui  si  an- 
drebbe incontro  per  provvedere  alla  indispensabile  ventilazione, 
non  compensino  il  risparmio. 

31.  Assai  più  razionale  e  feconda  di  utili  applicazioni  è 
l'idea  di  far  servire  la  corrente  elettrica  a  mettere  in  moto 
ventilatori  meccanici  per  la  rinnovazione  dell'aria  nei  locali 
abitati.  L'idea  fu  messa  innanzi  dai  signori  Geneste,  Herscher 
et  Comp,  di  Parigi,  l'esposizione  dei  quali,  benché  non  presenti 
nulla  di  perfetto  e  di  nuovo  dal  punto  di  vista  dell'  elettricità, 
è  tuttavia  degna  di  essere  notata  per  1'  utilità  pratica  delle  ap- 
plicazioni che  ne  formano  l'oggetto. 

La  ventilazione  di  grandi  edifìzi  non  si  può  sempre  otte- 
nere nelle  migliori  condizioni  per  mezzo  della  sola  aspirazione 
prodotta  da  camini  di  richiamo.  Sopratutto  si  incontrano  diffi- 
coltà gravi  nei  grandi  ambienti,  come  nelle  sale  d'assemblea, 
negli  anfiteatri,  nei  teatri  e  negli  opifizi,  ove  l'aria  è  inquinata 
da  esalazioni  dovute  alle  operazioni  industriali  che  in  essi  sj 
eseguiscono.  In  molti  di  questi  casi  la  ventilazione  riuscirebbe 
non  solo  più  sicura,  ma  anche  più  economica,  se  si  potessero 
aiutare  i  camini  di  richiamo  con  ventilatori  meccanici. 

V'ha  poi  una  circostanza,  alla  quale  io  non  so  se  gli  espo- 
sitori, che  ho  nominato,  abbiano  pensato,  ma  che  a  me  ed  a 
quanti  hanno  avuto  occasione  di  occuparsi  della  ventilazione  di 
grandi  ambienti  apparirà  importantissima.  Acciocché  la  ventila- 
zione di  un  locale  possa  dirsi  perfetta,  non  basta  che  in  ogni 
ora  si  estragga  dal  locale  un  numero  conveniente  di  metri  cubi 
d'aria,  e  che  nel  tempo  stesso  si  introducano  nel  locale  altret- 
tanti metri  cubi  d'aria  pura  presa  in  sito  conveniente,  e  conve- 
nientemente riscaldata  o  rinfrescata;  non  basta  nemmeno  che 
le  bocche  d'estrazione  dell'aria  viziata  e  quelle  d'ingresso  per 
l'aria  nuova   sieno  convenientemente  calcolate  e  collocate;  ma 


Applicazioni  dell'energia  elettrica,  207 

bisogna  ancora  che  il  movimento  dell'aria  si  faccia  sempre  nel 
modo  voluto,  attraverso  alla  bocche  ed  ai  canali  a  ciò  predi- 
sposti. Perchè  questo  succeda  è  necessario  evitare  che,  apren- 
dosi accidentalmente  porte  o  finestre,  si  producano  correnti 
d'aria,  le  quali  oltre  al  molestare  o  danneggiare  le  persone  che 
colpiscono,  possono  alterare  completamente  il  regime  della  ven- 
tilazione. Ora  per  evitare  le  correnti  d'aria  attraverso  alle  p)orte 
od  alle  finestre  accidentalmente  aperte  è  necessario  che  la 
pressione  nell'interno  del  locale  ventilato  sia  uguale  alla  pres- 
sione esterna.  Per  soddisfare  a  questa  condizione  bisogna  pro- 
durre il  movimento  dell'aria  non  solamente  per  mezzo  di  una 
aspirazione,  come  si  fa  quando  si  ricorre  ai  camini  di  ventila- 
zione, né  solamente  con  una  inspirazione,  ma  coi  due  sistemi 
combinati  :  bisogna  che  l'aria  nuova  sia  inspirata  e  l'aria  viziata 
sia  aspirata.  Bisogna  adunque  combinare  ventilatori  inspiranti 
con  camini  di  richiamo,  oppure  ventilatori  inspiranti  con  ven- 
tilatori aspiranti:  in  ogni  caso  bisogna,  per  raggiungere  lo 
scopo,  ricorrere  a  ventilatori  meccanici. 

Dimostrata  l'importanza  dell'uso  dei  ventilatori  meccanici, 
riesce  dimostrata  l'utilità  della  trasmissione  del  movimento  per 
mezzo  dell'elettricità.  Egli  è  infatti  evidente  che  raramente  nelle 
case  di  abitazione  o  negli  ospedali,  o  nei  pubblici  edifizi  destinati 
a  riunioni  si  potranno  collocare  macchine  motrici  dovunque  si 
abbia  bisogno  di  collocare  un  ventilatore,  né  si  potranno  in- 
stallare trasmissioni  di  movimenti  con  ingranaggi,  alberi  e 
cinghie  tra  una  motrice  collocata  al  pianterreno  ed  un  sistema 
di  ventilatori  collocati  altri  nei  sotterranei,  altri  sotto  i  tetti,  in 
siti  lontani,  nelle  varie  parti  dell' edifizio.  Ogni  difficoltà  scom- 
pare se  si  ricorre  alla  trasmissione  elettrica. 

I  signori  Geneste,  Herscher  et  Contp,  esponevano,  oltre  ad 
alcuni  ventilatori  mossi  da  macchine  di  Granirne,  i  disegni  di 
due  progetti  per  la  ventilazione  delV  Hotel  de  Ville  di  Parigi  e 
della  casa  di  pena  di  Nan terre,  il  primo  già  approvato,  l'altro 
in  corso  di  esecuzione.  In  entrambi  i  progetti  dalle  macchine 
motrici  il  moto  si  trasmetteva  ai  ventilatori  inspiranti  del  sot- 
terraneo direttamente  con  alberi  di  trasmissione,  ingranaggi  o 
cinghie,  si  trasmetteva  invece  ai  ventilatori  aspiranti  collocati 
al  piano  superiore  per  mezzo  della  elettricità. 

Un  particolare  degli  apparecchi  di  Geneste,  Herscher  et  C, 
il  quale  merita  menzione,  è  un  congegno  automatico,  il  quale, 
nel  caso  di  arresto  o   di   anormale   rallentamento  di  un  venti- 


2o8  Parte  seconda, 

latore  aspirante,  accende  immediatamente  nel  camino  di  venti- 
lazione un  conveniente  numero  di  becchi  di  gas,  e  così  sostituisce 
una  aspirazione  fìsica  fatta  per  mezzo  del  calore  alla  aspirazione 
meccanica  divenuta  insufficiente.  L'apparecchio  consiste  in  un 
regolatore  a  forza  centrifuga,  il  quale,  quando  il  ventilatore  ha 
la  velocità  minima  al  disotto  di  cui  non  si  deve  discendere, 
chiude  un  circuito  elettrico;  una  elettro-calamita  inserta  in  questo 
circuito  attira  allora  la  propria  armatura,  e  questa,  muovendosi, 
toglie  un  arresto  che  teneva  chiuso  il  rubinetto  del  gas,  che, 
sollecitato  da  una  molla,  si  apre.  11  gas  poi  è  acceso  da  spirali 
di  platino  rese  incandescenti  dalla  corrente  elettrica. 

32.  Un'ultima  applicazione,  che  forse  l'avvenire  riserva  alla 
trasmissione  elettrica  del  lavoro,  è  quella  che  si  potrà  fare  alla 
distribuzione  della  forza  motrice  alle  piccole  industrie  per  mac- 
chine da  cucire,  per  telai,  per  macchine  litografiche,  ecc.  Ma 
bastano  le  cose  che  abbiamo  detto  trattando  in  modo  speciale 
della  distribuzione  dell'energia,  per  dimostrare  che  di  questa 
applicazione  non  si  potrà  parlare  sul  serio  se  non  il  giorno,  di 
cui  non  vogliamo  per  ora  prevedere  la  lontananza,  nel  quale  si 
abbiano  ne' centri  abitati  canalizzazioni  grandiose  ed  estese  di 
correnti  elettriche  destinate  ad  altro  uso,  all'uso  cui  esse  sono 
più  direttamente  chiamate,  a  quello  che  se  ne  farà  nella  illumi- 
nazione. L'avvenire  della  trasmissione  e  della  distribuzione 
elettrica  dell'energia  meccanica  dipende  da  quello  della  illumi- 
nazione elettrica,  e  questo  dipende  dal  primo;  le  due  applica- 
zioni, se  pure  sono  destinate  ad  un  avvenire  grandioso,  lo  sono 
alla  condizione  di  essere  fatte  insieme,  in  modo  che  un  mede- 
simo motore,  un  medesimo  impianto  si  utilizzi  durante  tutta  la 
giornata,  di  notte  per  la  illuminazione,  di  giorno  per  la  distri- 
buzione della  forza  motrice. 


§  2.<»  Illuminazione  elettrica. 

Classificazione.  —  Sistemi  ad  arco  voltaico  della  prima  specie:  regolatori 
Strrin  e  sue  applicazioni;  lampada  Jaspar,  —  Sistemi  ad  arco  voltaico  della 
seconda  specie:  lampade  differenziali  di  Siemtns  e  di  Brush,  —  Sistemi  ad 
arco  voltaico  della  terza  specie:  candela  di  Jabhchkoff;  lampada  SoUil  di  Cierc 
e  Bureau,  r-  Lampade  a  contatto  imperfetto:  Werdirmann,  Napoli,  Reynitr.  — 
Lampade  ad  incandescenza  :  Edison,  Swart,  Maxim,  Lane-Fox.  —  Lavoro  mec- 
canico necessario  per  produrre    una   determinata    quantità    dì    luce  coi  diversi 


Applicazioni  dell'energia  elettrica,  209 

sistemi  di  illuminazione  elettrica.  —  Spesa  necessaria  per  l'illuminazione  con 
diversi  sistemi.  Confronti.  ->  Casi  nei  quali  i  diversi  sistemi  di  illuminazione 
elettrica  sono  o  potranno  diventare  convenienti. 


33.  Fra  le  applicazioni  industriali  della  corrente  elettrica, 
alle  quali  ha  dato  origine  V  invenzione  delle  grandi  macchine 
dinamo-elettriche  moderne,  la  prima  tentata,  la  più  importante 
finora,  è  quella  che  ha  per  oggetto  l'illuminazione.  Quindi  una 
parte  notevole  della  esposizione  era  destinata  ad  essa.  Nella 
sola  sezione  francese  più  di  70  espositori  presentavano  appa- 
recchi per  l'illuminazione  elettrica,  e  nell'intera  esposizione  il 
numero  degli  espositori  di  sistemi  di  illuminazione  superava  il 
centinaio.  Una  descrizione,  anche  sommaria,  di  tanti  sistemi, 
sarebbe  impossibile  qui.  Per  noi  essa  sarebbe  anche  inutile.  Per 
lo  scopo  nostro,  che  è  di  renderci  conto  dello  stato  attuale  di 
questa  applicazione,  dell'indirizzo  delle  ricerche  che  la  riguardano, 
e  del  suo  probabile  avvenire,  conviene  considerare  piuttosto 
che  i  singoli  sistemi,  i  tipi  principali,  essenzialmente  diversi, 
nei  quali  i  medesimi  si  possono  classificare  e  descrivere,  piut- 
tosto che  i  singoli  apparecchi,  quelli  che  meglio  convengono  a 
caratterizzare  quei  tipi. 

Tutti  i  sistemi  di  illuminazione  elettrica,  quali  l'esposizione 
ce  li  ha  presentati,  si  possono  dividere  in  cinque  grandi  specie  : 

I.®  Sistemi  ad  arco  voltaico,  nei  quali  ciascun  circuito 
contiene  una  lampada  unica  di  grande  potenza. 

2.0  Sistemi  ad  arco  voltaico  con  più  lampade  in  un  me* 
desimo  circuito. 

3.°  Sistemi  ad  arco  voltaico  nei  quali  fra  i  carboni  esiste 
una  materia  solida,  isolante,  che  pel  calore  dell'arco  diventa 
incandescente. 

4.*  Sistemi  a  contatto  imperfetto. 

5.°  Sistemi  ad  incandescenza. 

34.  I  sistemi  della  prima  specie  sono  destinati  a  quei  casi 
ove  occorrono  uno  o  pochi  centri  potentissimi  di  luce:  ai  fari, 
alle  navi,  alle  operazioni  delia  guerra,  alla  telegrafìa  ottica, 
alle  proiezioni^  all'illuminazione  di  cantieri  di  costruzione,  ecc. 
Appartengono  a  questa  specie  gli  apparecchi  del  Foucault^  del 
Duboscq,  del  Serrin^  del  Siemens,  del  Gaiffe,  ecc.,  noti  ed  im- 
portantissimi nella  storia  della  luce  elettrica  e  delle  sue  appli- 
cazioni. In  tutti  gli  apparecchi  di  questa  categorìa  l'arco  voltaico 
si  fa  tra  le  punte  di  due   carboni  situati,  il  più  delle  volte,  sul 

G.  Ferraris,  Opere,  Voi.  II.  14 


2  IO  Parte  seconda. 


prolungamento  1'  uno  dell'  altro;  il  peso  dei  portacarboni  o  la 
forza  elastica  di  una  molla  tende  a  far  avanzare  l'uno  verso 
l'altro  i  due  carboni,  con  velocità  proporzionali  ai  loro  con- 
sumi; ma  un  arresto  comandato  da  una  elettro-magnete  o  da 
un  solenoide,  per  cui  passa  la  corrente  elettrica,  impedisce 
questo  movimento  ogni  qualvolta  la  corrente  ha  l'intensità  con- 
veniente, e  non  lo  lascia  libero  se  non  quando  pel  consumo 
dei  carboni  e  pel  conseguente  allungamento  dell'arco,  la  cor- 
rente si  è  sensibilmente  affievolita. 

L'esposizione  presentava  quasi  completa  la  numerosa  schiera 
degli  apparecchi  fondati  su  questo  principio,  e  per  alcuni  di 
essi  metteva  in  evidenza  non  solo  la  bontà  dei  sistemi,  ma  l'im- 
portanza dei  servizi  da  essi  prestati  %\k  da  molti  anni  nelle 
applicazioni  pratiche. 

Cito  per  esempio  il  notissimo  regolatore  del  Sem'ft,  il  quale 
nell'esposizione  non  solo  era  rappresentato  da  parecchi  modelli, 
ma  figurava  inoltre  come  parte  di  vari  apparati  destinati  ad 
applicazioni  speciali. 

L'applicazione  ai  fari  era  presentata  in  modo  grandioso 
nella  mostra  del  Ministero  francese  dei  lavori  pubblici.  La 
mostra  comprendeva  tre  apparecchi  ottici  ed  una  lanterna  per 
fari  elettrici.  I  tre  apparecchi  rappresentavano  i  tipi  di  quelli 
che  dovranno  applicarsi  a  46  fari  elettrici  progettati  per  le  coste 
francesi.  Essi  fanno  conoscere  tre  degli  otto  caratieri  nuovi 
adottati  per  questi  fari,  che  sono:  un  fuoco  scintillante  a  gruppi 
di  due  sprazzi  bianchi  ;  un  fuoco  scintillante  a  gruppi  di  quattro 
sprazzi  bianchi;  e  un  fuoco  scintillante  a  gruppi  di  tre  sprazzi 
bianchi  ed  uno  rosso.  Sono  destinati  ai  nuovi  fari  elettrici  di 
Dunkerque,  di  Calais  e  di  Gris-Nez.  La  lanterna,  collocata  su 
di  una  torre  al  centro  del  palazzo  dell'esposizione,  aveva 
nietri  3,50  di  diametro.  La  luce  era  prodotta,  in  questo  appa- 
recchio, dalle  macchine  magneto-elettriche  di  De  Me'riiens  con 
regolatori  di  Serrin.  Gli  apparecchi  erano  costrutti,  dietro  i 
progetti  dell'ingegnere  Allard,  direttore  del  servizio  centrale  dei 
fari,  dalle  fabbriche  di  Sautter,  Lemonnier  e  C,  di  Henry- 
Lepaute  figlio,  e  di  Barbier  e  Fenestre. 

L' applicazione  agli  usi  della  guerra  era  presentata  nella 
mostra  del  Ministero  francese  della  guerra,  ove  si  vedevano 
apparecchi  completi  per  illuminare  a  distanza  con  un  fascio  di 
luce  proiettata.  Gli  apparecchi  comprendevano,  su  di  un  unico 
carro,  una    motrice  a   vapore  del   tipo    Broiherìiood^  una  mac- 


Applicazioni  dell'energia  elettrica.  21 1 

<:hina  di  Gramme  ed  una  lampada  di  Serrin  collocata  in  un 
proiettore  del  sistema  del  colonnello  Mangin.  Questi  apparecchi 
«rano  fabbricati  da  Sautter,  Lemonnier  e  Comp.,  e  figuravano 
anche  nell'esposizione  di  questi  costruttori. 

Le  applicazioni  alla  marina,  air  illuminazione  dei  cantieri, 
Gl'illuminazione  dei  grandi  ambienti  facevano  parte  della  mostra 
<lei  medesimi  costruttori. 

Cito  in  secondo  luogo  la  lampada  del  Jaspar^  costruttore 
meccanico  di  Liège,  sulla  quale  ho  il  dovere  di  chiamare  V  at- 
tenzione in  modo  affatto  speciale.  Essa  è  infatti  presso  di  noi 
assai  meno  conosciuta  di  quella  del  Serrin,  mentre  per  la  sem- 
plicità, per  la  sicurezza  e  per  la  regolarità  del  funzionamento 
dovrebbe  in  molti  casi  essere  prescelta.  Durante  tutta  l'esposi- 
zione, nella  quale  brillava,  sostenuta  da  alti  pali,  ai  quattro 
angoli  della  sezione  belga,  la  lampada  Jaspar  si  è  distinta  da 
tutte  le  altre  per  la  bellezza  e  per  la  fissità  della  luce;  e  se  si 
pensa  che  questo  risultato  in  essa  si  ottiene  senza  l'uso  d'alcun 
meccanismo  con  ruote  dentate,  si  può  asserire  che  fra  tutte  le 
lampade  ad  arco  voltaico  destinate  a  funzionare  sole  in  un  cir- 
cuito quella  di  Jaspar  è  oggidì,  per  la  pratica,  la  migliore. 

Il  regolatore  di  Jaspar  è  a  carboni  verticali,  e  nel  modello 
che  ha  figurato  nell'esposizione  i  portacarboni,  situati  al  disopra 
del  meccanismo,  hanno  una  disposizione  esterna  somigliante  a 
quella  che  esiste  nel  regolatore  di  Serrin.  I  due  portacarboni 
sono  colle  estremità  inferiori  attaccati  ciascuno  ad  una  cordi- 
cella, e  le  due  cordicelle  si  avvolgono  in  versi  opposti  sopra 
due  puleggie  solidarie  ad  un  medesimo  albero;  la  puleggia  che 
sostiene  il  portacarboni  positivo  ha  un  diametro  doppio  di 
quella  che  sostiene  il  negativo.  I  pesi  dei  due  portacarboni 
tendono  per  tal  modo  a  far  rotare  il  sistema  delle  due  puleggie 
in  sensi  opposti;  ma  siccome  il  peso  del  portacarboni  positivo 
ha  un  momento  maggiore  dell'altro,  così,  se  non  intervengono 
altre  forze,  il  carbone  positivo  discende  e  fa  salire  il  porta- 
carbone  negativo  con  una  velocità  uguale  alla  metà  della  propria. 
I  due  carboni  si  avanzano  così  l'uno  verso  l'altro  con  velocità 
proporzionali  ai  loro  consumi  rispettivi,  che,  com'è  noto,  stanno 
tra  di  loro  come  i  a  2,  e  se  non  passa  la  corrente,  essi  non  si 
arrestano  finché  non  sono  a  contatto.  A  regolare  *  secondo  il  bi- 
sogno il  momento  della  forza  che  fa  rotare  le  puleggie  ed  avvi- 
cinare i  carboni,  serve  un  contrappeso  scorrevole  a  piacimento 
lungo  una  leva  orizzontale  situata  nella  parte  più  bassa  di  tutto  il 


212  Parte  seconda. 


meccanismo,  la  quale  ad  una  estremità  è  portata  da  un  perno 
orizzontale  attorno  a  cui  può  rotare,  ed  all'altra  estremità  è  soste- 
nuta da  una  cordicella.  La  cordicella  è  avvolta  superiormente 
sopra  di  una  terza  puleggia  di  piccolo  diametro  portata  dairalberó 
delle  due  altre  e  facente  corpo  con  esse.  L'azione  di  questo  con- 
trappeso si  aggiunge  a  quello  del  peso  del  portacarboni  negativo^ 
epperò  il  suo  momento  si  sottrae  da  quello  per  cui  i  carboni 
tendono  ad  avvicinarsi.  Facendo  scorrere  il  contrappeso  lungo  la 
leva  in  cui  è  infilato,  cosa  che  si  può  fare  dall'esterno  girando 
una  vite,  si  fa  variare  a  piacimento  la  grandezza  del  momento 
che  gli  corrisponde,  e  così  si  regola  a  secondo  dei  bisogni  il 
valore  del  momento  risultante  che  tende  a  far  ravvicinare  i 
carboni.  L'asta  del  portacarbone  negativo,  nella  parte  inferiore^ 
è  di  ferro  e  penetra  in  un  solenoide  inserito  nel  circuito  della 
corrente.  Quando  si  chiude  il  circuito  e  la  corrente  passa,  l'asta 
di  ferro  è  magnetizzata  ed  attratta,  succhiata,  dal  solenoide; 
essa  si  abbassa  e  fa  abbassare  con  sé  il  carbone  negativo,  le 
puleggie  girano  di  un  certo  angolo,  ed  il  carbone  positivo  è 
sollevato;  così  le  punte  dei  carboni  si  distaccano  Tuna  dall'altra 
e  l'arco  voltaico  si  stabilisce.  La  distanza  a  cui  si  arrestano  i 
due  carboni  è  quella  per  cui  la  forza  con  cui  il  solenoide  succhia 
l'asta  di  ferro  del  portacarbone  negativo  fa  equilibrio  a  quella 
che  tende  ad  innalzarla;  e  siccome  la  prima  di  queste  forze 
cresce  coli' intensità  della  corrente  e  diminuisce  coli' inoltrarsi 
dell'asta  nel  solenoide,  così  la  distanza  a  cui  le  punte  dei  due 
carboni  vengono  a  portarsi  nell'equilibrio  è  tanto  maggiore 
quanto  è  maggiore  l' intensità  della  corrente.  Quando  pel  con- 
sumo dei  carboni  l'arco  voltaico  si  allunga,  aumenta  la  resi^ 
stenza  del  circuito  e  diminuisce  in  conseguenza  l'intensità  della 
corrente;  l'attrazione  del  solenoide  diminuisce,  e  per  ritrovare 
r  equilibrio  i  carboni  si  riavvicinano.  Per  tal  modo  i  due  car- 
boni si  avanzano  in  modo  continuo,  l'uno  verso  l'altro,  di  mano 
in  mano  che  essi  si  consumano. 

Questo  artifizio  per  regolare  la  posizione  dei  carboni,  in 
modo  continuo,  per  mezzo  di  un  solenoide,  non  è  d'invenzione 
del  Jaspar;^  esso  si  trova,  come  è  noto,  applicato  già  nel  rego- 
latore àt}^  Archereau  che  data  dal  1850,  e  fu  utilizzato  in  se- 
guito dal  Gaiffe  e  da  parecchi  altri.  Quello  che  appartiene  at 
Jaspar  e  che  forma  la  parte  caratteristica  del  suo  regolatore  è 
r  artifizio  col  quale  si  ottiene  che  durante  tutta  la  corsa  dei- 
carboni,  comunque  l'asta  di  ferro  si  trovi  internata  nel  solenoide^ 


Applicazioni  dell'energia  elettrica.  213 

la  posizione  di  equilibrio  corrisponda  ad  una  medesima  intensità 
della  corrente.  L'intensità  della  forza  colla  quale  un  solenoide 
•cilindrico,  colle  spire  uniformemente  distribuite  e  percorso  da 
una  corrente  costante,  attrae  un'asta  di  ferro  situata  nel  suo 
interno,  ha  un  valore  massimo  quando  l'estremità  dell'asta  co- 
incide colla  sezione  mediana  del  solenoide,  e  diminuisce  quando, 
partendo  da  questa  posizione,  l'asta  si  affonda  maggiormente; 
«ssa  si  riduce  a  zero  quando  il  punto  di  mezzo  dell'asta  co- 
incide con  quello  della  spirale.  Ne  segue  che  se  la  forza  che 
tende  a  sollevare  l'asta  è  costante,  e  se  le  spire  del  solenoide 
sono  uniformemente  distribuite,  la  posizione  d' equilibrio  corri- 
-sponde  ad  un'intensità  di  corrente  tanto  maggiore  quanto  più 
l'asta  è  afiondata;  e  qi^indi  il  regolatore  invece  di  mantenere 
costante  la  corrente  mentre  i  carboni  si  consumano,  la  lascia 
diminuire  gradatamente.  Per  ovviare  a  questo  inconveniente, 
senza  rinunziare  al  vantaggio  di  utilizzare  tutta  la  corsa  pos- 
sibile dei  portacarboni,  il  Gaiffe  formava  il  solenoide  con  spire 
a.wolte  non  uniformemente,  ma  accumulate  in  numero  maggiore, 
in  strati  più  numerosi  verso  V  estremità  inferiore  che  verso 
l'estremità  superiore. 

Il  Jaspar  invece  conserva  al  solenoide  la  sua  forma  cilin- 
drica, avvolgendo  su  di  esso  le  spire  in  modo  uniforme,  ma  fa 
variare  la  forza  antagonista,  che  tende  a  rialzare  il  porta- 
carbone  negativo,  nel  senso  stesso  in  cui  varia,  per  l'innalza- 
mento del  nucleo,  la  forza  attrattiva  del  solenoide.  Questo  egli 
-ottiene  in  modo  estremamente  semplice  e  pratico:  col  munire 
la  ruota  su  cui  è  avvolta  la  cordicella,  sostenente  il  portacar- 
<>one  positivo,  di  un  contrappeso  il  cui  momento  aumenta,  pel 
girare  della  puleggia,  di  mano  in  mano  che  innalzandosi  il 
portacarbone  negativo  va  aumentando  la  forza  succhiante  del 
solenoide.  Il  contrappeso  può  avvicinarsi  od  allontanarsi  al- 
quanto dall'asse  della  puleggia,  e  così  è  possibile  regolare  a 
dovere  la  sua  azione. 

Per  smorzare  le  oscillazioni  dei  carboni  e  fare  che  il  loro 
movimento  si  riduca  ad  un  avanzamento  progressivo  e  regolare, 
h  attaccato  al  portacarbone  negativo,  a  fianco  di  esso,  uno  stan- 
tuffo di  ferro  il  quale  si  muove  con  un  piccolo  giuoco  in  un 
cilindro  pieno  di  mercurio. 

Queste  disposizioni,  grazie  ad  uno  studio  accuratissimo  di 
tutte  le  proporzioni,  raggiungono  nel  modo  più  soddisfacente 
lo  scopo.  E  siccome  per  gli  usi  industriali  la  lampada  Jaspar 


214  Parte  seconda. 


si  raccomanda  anche  per  la  semplicità  estrema  del  suo  mecca- 
nismo, così  io  credo  che  benché  essa  non  sia  fra  le  più  nuovcr 
la  si  possa  presentare  come  una  delle  migliori  lampade  della 
prima  specie. 

35.  Due  regolatori  della  luce  elettrica  analoghi  a  quelli  di 
cui  abbiamo  parlato,  nei  quali-  il  movimento  dei  carboni  è  co- 
mandato dalle  variazioni  nell'  intensità  della  corrente,  non  pos- 
sono funzionare  lodevolmente  in  un  medesimo  circuito.  Infatti 
tutte  le  variazioni  dell'  intensità  della  corrente  che  avvengono 
in  causa  di  uno  di  essi  mettono  in  movimento  i  carboni  del> 
l'altro,  indipendentemente  dal  bisogno  che  se  ne  può  avere. 
Per  ovviare  a  questo  inconveniente  e  poter  collocare  parecchie 
lampade  in  un  medesimo  circuito,  ci  sono  due  modi: 

i.*>  Produrre  il  movimento  dei  due  carboni  con  apparecchi 
comandati,  invece  che  dalle  variazioni  dell'intensità  della  cor- 
rente, dalle  variazioni  della  resistenza  dell'arco; 

2.<»  Abbandonare  i  regolatori  automatici  comandati  dalla 
corrente,  e  tenere  le  punte  dei  carboni  alla  distanza  voluta, 
costante,  semplicemente  frapponendo  tra  le  medesime  un  pezzo 
di  una  materia  solida  coibente. 

Gli  apparecchi  coi  quali  il  problema  è  risolto  nella  prima 
maniera  formano  la  seconda  delle  specie  di  sistemi  d'illumina* 
zione  elettrica,  che  noi  abbiamo  distinto;  quelli  coi  quali  il  pro- 
blema è  risolto  nella  seconda  maniera  formano  la  terza  specie. 

Degli  apparecchi  appartenenti  alla  seconda  specie  i  tipi  mi- 
gliori sono  rappresentati  dalle  lampade  differenziali  di  Siemens 
e  di  Brush. 

Una  lampada  differenziale  è  un  regolatore  nel  quale  per 
comandare  il  movimento  dei  carboni,  invece  di  una  semplice 
elettromagnete  o  di  un  semplice  solenoide  percorso  dalla  cor- 
rente principale,  si  hanno  due  elettro-calamite  o  due  solenoidi, 
oppure,  ciò  che  vai  lo  stesso,  una  elettro-magnete  od  un  sole- 
noide con  due  spirali.  Delle  due  spirali  l'una,  fatta  con  filo 
grosso  e  corto,  è  percorsa  dalla  corrente  principale,  che  passa 
pei  due  carboni  e  che  produce  l'arco,  l'altra,  fatta  con  filo  sottile 
e  lungo,  forma  un  circuito  derivato.  Le  due  elettro-calamite  od 
i  due  solenoidi,  o  le  due  spirali  agiscono  in  versi  opposti;  la 
prima,  quella  percorsa  dalla  corrente  principale,  tende  ad  al- 
lontanare i  due  carboni,  l'altra,  quella  percorsa  dalla  corrente 
derivata,  tende  ad  avvicinarli.  La  posizione  d'equilibrio  dei 
carboni  è  quella  per  cui  le  forze  opposte,  esercitate  dalle  due 


Applicazioni  dell'energia  elettrica,  215 

correnti  sono  eguali;  e  questa  posizione  è  indii>endente  dal 
valore  assoluto  delle  due  intensità;  dipende  unicamente  dal 
rapporto  delle  resistenze  dei  due  circuiti.  Egli  è  così  che  si 
riesce  a  rendere  il  regolatore  indipendente  dalle  variazioni  di 
intensità  della  corrente  le  quali  possono  provenire  da  cause 
esterne  al  regolatore  medesimo,  e  che  quindi  si  riesce  a  far 
funzionare  regolarmente  parecchie  lampade  inserite  nel  circuito 
di  una  medesima  corrente. 

Nelle  lampade  differenziali  di  Siemens^  uno  dei  carboni  è 
fìssO;  l'altro  è  portato  da  una  leva  orizzontale  di  prima  specie, 
che  all'altra  estremità  è  articolata  coi  nuclei  mobili  di  due  so- 
lenoidi posti  verticalmente  l'uno  sull'altro,  cogli  assi  su  dì  una 
medesima  linea  retta.  La  spirale  inferiore,  fatta  con  filo  grosso 
e  breve  è  percorsa  dalla  corrente  principale,  la  spirale  supe- 
riore fatta  con  un  filo  lungo  e  sottile,  forma  un  circuito  deri- 
vato; la  prima  attira  il  nucleo  dall'alto  al  basso,  la  seconda  lo 
attira  dal  basso  all'alto;  la  prima  tende  ad  innalzare  il  carbone, 
l'altro  ad  abbassarlo;  la  posizione  d'equilibrio  che  il  carbone 
assume  dipende  unicamente  dal  rapporto  delle  intensità  delle 
due  correnti,  rapporto  che  è  quello  delle  resistenze  dei  rispettivi 
circuiti.  Quando,  pel  consumo  dei  carboni,  la  resistenza  dell'arco 
voltaico  si  trova  accresciuta,  l'intensità  della  corrente  principale 
si  fa  minore,  quella  della  derivata  si  fa  maggiore  di  quella  per 
cui  si  aveva  l'equilibrio,  ed  il  carbone  si  abbassa. 

Siccome  però  le  intensità  delle  attrazioni  dei  due  solenoidi 
variano  diversamente  mentre,  i  nuclei  si  spostano,  così  non  è 
possibile  con  questo  sistema  utilizzare  altro  che  una  brevissima 
frazione  dell'intera  corsa  dei  nuclei.  Onde  potere,  ciò  nono- 
stante, adoperare  lunghi  carboni,  il  portacarbone  mobile  non  è 
unito  in  modo  invariabile  alla  estremità  della  leva  di  cui  si  è 
parlato,  la  quale  riceve  il  movimento  dai  solenoidi,  ma  vi  è 
unito  semplicemente  per  mezzo  di  una  dentiera  che  ingrana  in 
un  rocchetto  portato  da  quella  leva,  ed  è  quindi  sostenuto  da 
questa  solamente  quando  quel  rocchetto  non  può  girare;  se  il 
rocchetto  è  libero  di  rotare  il  portacarboni  diventa  libero  e 
discende,  indipendentemente  dalla  leva,  pel  proprio  peso.  Il 
rocchetto  è  unito  ad  una  ruota  di  scappamento,  la  quale  non 
può  girare  senza  che  un  piccolo  pendolo  comandante  lo  scap- 
pamento, oscilli;  se  il  pendolo  è  fermato,  la  ruota  non  può  gi- 
rare, ed  il  portacarbone  è  sostenuto;  se  il  pendolo  può  oscillare 
il  portacarbone   è    libero.  Ora  v'ha  un  arresto  il  quale,  finché 


2i6  Parte  seconda» 


la  leva  sostenente  il  portacarbone  non  è  pervenuta  alla  estremità 
della  sua  corsa,  tiene  fermo  il  pendolino  e  con  ciò  rende  il 
portacarbone  solidario  alla  leva,  ma  quando  l'estremo  inferiore 
della  breve  corsa  della  leva  è  raggiunto,  quell'arresto  è  sollevato 
da  un  ostacolo  fisso,  e  lascia  libero  il  movimento  del  pendolino^ 
allora  il  portacarboni  diventa  indipendente  dalla  leva  e  discende 
pel  proprio  peso;  la  leva,  d'altra  parte,  allegerita  del  peso  del 
portacarbone,  si  solleva.  Ma  appena  la  leva  si  è  sollevata  al- 
quanto, l'arresto  ferma  un'altra  volta  il  pendolo,  ed  il  porta- 
carboni  si  trova  un'altra  volta  sostenuto.  In  questo  modo  i 
nuclei  dei  due  solenoidi  non  hanno  da  compiere  se  non  oscilla- 
zioni di  piccolissima  ampiezza  e  le  intensità  delle  attrazioni  su 
di  essi  esercitate  per  una  data  intensità  delle  correnti  riescono 
sensibilmente  costanti.  L'effetto  di  un  aumento  della  resistenza 
dell'arco  e  della  conseguente  variazione  delle  intensità  delle  due 
correnti  si  riduce  a  svincolare  la  leva  dal  portacarboni  acciocché, 
allegerita,  essa  si  sollevi  e  venga  ad  afferrare  il  portacarboni  in 
un  punto  più  elevato. 

Il  piccolo  pendolo  di  cui  si  è  parlato  non  serve  solamente 
all'arresto  del  rocchetto  dentato,  ma  ha  ancora  l'uffizio  più  im- 
portante di  moderare  la  velocità  della  discesa  del  portacarbone 
quando  questo  è  libero,  o,  più  esattamente  la  velocità  di  ascesa 
della  leva  quando  questa  si  trova  allegerita  del  peso  del  porta- 
carbone.  A  rendere  viemmeglio  dolci  i  movimenti  ed  a  smorzare 
le  oscillazioni  serve  inoltre  un  piccolo  stantuffo  che  comandato 
dai  nuclei  dei  solenoidi,  si  muove  nell'  interno  di  un-  piccolo 
corpo  di  pompa. 

Con  questa  ingegnosissima  disposizione  il  dottor  Werner 
Siemens  è  riuscito  ad  avere  lampade  elettriche  ad  arco  voltaico 
atte  a  funzionare  in  gran  numero,  fino  a  venti,  in  un  medesimo 
circuito.  Colla  perfezione  poi  della  costruzione  egli  è  riuscito 
a  collocare  la  sua  lampada  difierenziale  fra  le  migliori  che  esi- 
stano oggidì  per  la  bellezza  e  per  la  fissità  della  luce. 

Nel  palazzo  dell'esposizione  le  lampade  differenziali  àìSiemens 
oltre  ad  illuminare  nelle  sezioni  tedesca,  inglese  e  francese  le 
installazioni  delle  tre  fabbriche  Siemens,  rischiaravano  il  grande 
atrio  d'ingresso,  e  diverse  parti  della  navata  centrale  e  del 
piano  superiore.  L'esperimento,  che  durò  per  tutta  l'esposizione, 
ha  dimostrato  che  dopo  le  lampade  monofotiche  del  Jaspar, 
quelle  differenziali  di  Siemens  sono  finora,  fra  tutte  le  esposte, 
quelle  che  danno  la  luce  più  stabile. 


Applicazioni  dell'energia  elettrica.  217 

Le  lampade  di  Brusii  sono  fondate  sul  medesimo  principio 
<ii  quelle  differenziali  di  Siemens,  ma  differiscono  notevolmente 
<la  queste  per  la  disposizione  del  meccanismo,  e  per  le  condi- 
zioni della  corrente  da  cui  debbono  essere  attivate.  Il  mecca- 
nismo è  più  semplice  e  non  contiene  rotismi;  la  corrente  è 
prodotta  dalle  macchine  di  Brush  di  cui  abbiamo  parlato  e  che 
hanno,  in  confronto  colle  altre  macchine  una  forza  elettro- 
motrice grandissima.  La  semplicità  del  meccanismo  e  la  man- 
canza completa  di  rotismi  d'orologeria  è  evidentemente  una 
condizione  impqrtante  per  le  applicazioni  industriali  su  vasta 
scala;  la  grandezza  poi  della  forza  elettro-motrice  della  mac- 
china dinamo-elettrica  generatrice  non  solamente  permette  di 
collocare  un  numero  grandissimo  di  lampade,  fino  a  40,  su  di 
un  medesimo  circuito,  ma  è,  come  abbiamo  avuto  occasione  di 
dimostrare  in  un  precedente  paragrafo,  una  condizione  essen- 
ziale per  poter  trasmettere  l'energia  a  grandi  distanze  colla 
massima  economia.  Per  queste  ragioni  si  può  dire  che,  se  forse 
il  sistema  di  Brush  è  suscettibile  ancora  di  miglioramento  in 
<)ualche  sua  parte,  esso  però,  nel  suo  insieme,  rappresenta  un 
primo  esempio  di  ciò  che  dovranno  essere  neir  avvenire  gli 
apparecchi  per  la  luce  elettrica,  se  questa  dovrà  ricevere  ap- 
plicazioni grandiose  nella  illuminazione  pubblica.  Tal  quale  esso 
e  oggidì,  il  sistema  Brush  dà,  tanto  per  la  qualità  della  luce 
quanto  pei  rendimento  economico,  risultati  che  giustificano  i 
grandi  impianti  che  ogni  giorno  se  ne  vanno  facendo. 

Alla  esposizione  gli  apparecchi  del  Brush,  benché  per  la 
stabilità  della  luce  fossero  superati  da  quelli  di  Siemens,  costi- 
tuivano rimpianto  di  illuminazione  il  più  grandioso,  e  per  la 
vastità  delle  applicazioni  che  esso  dimostrava  possibili,  il  più 
importante. 

Come  quella  di  Siemens  la  lampada  di  Brush  è  differenziale, 
e  la  disposizione  dei  suoi  circuiti  differisce  da  quella  dei  cir- 
cuiti nelle  lampade  Siemens  soltanto  per  questo,  che  invece  di 
due  solenoidi  posti  sui  prolungamento  l'uno  dell'altro  si  ha  qui 
un  solenoide  unico  formato  con  due  fili  avvolti  insieme:  con  un 
filo  grosso  e  corto  per  mezzo  del  quale  la  corrente  si  trasmette 
ai  carboni,  e  con  un  filo  lungo  e  sottile  messo  in  derivazione, 
nel  quale  passa,  in  verso  opposto  alla  corrente  che  va  ai  car- 
boni, una  corrente  derivata.  Le  forze  esercitate  dalle  due  cor- 
renti sul  nucleo  comune  delle  due  spirali  sono  opposte  e  si 
neutralizzano  più  o  meno  a  seconda  delle  resistenze. 


2i8  Parte  seconda. 


Due  solenoidi  a  doppia  spirale,  fatti  nel  modo  detto,  stanno 
collocati  l'uno  accanto  all'altro  a  somiglianza  delle  due  braccia 
di  una  ordinaria  elettro-magnete  a  ferro  di  cavallo;  ed  i  due 
nuclei,  che  salgono  e  si  abbassano  insieme,  sono  riuniti  infe- 
riormente con  una  traversa  in  modo  da  formare,  quando  sona 
magnetizzati  dalle  correnti  dei  solenoidi,  una  calamita  a  ferra 
di  cavallo.  La  traversa  sostiene,  nel  modo  che  dirò,  il  porta- 
carbone  superiore.  Quando  la  resistenza  dell'arco  ha  il  valore 
conveniente  i  nuclei,  e  con  essi  il  portacarbone  positivo,  stanna 
in  equilibrio  sotto  l'azione  delle  forze  opposte  delle  due  spirali  ; 
ma  se  pel  consumo  dei  carboni  l'arco  si  allunga  ed  aumenta  di 
resistenza,  l'intensità  della  corrente  che  passa  per  la  grossa 
spirale  diminuisce,  e  quella  della  corrente  derivata,  che  passa 
per  la  spirale  sottile,  aumenta:  la  forza,  colla  quale  la  prima 
tende  a  sollevare  i  nuclei,  diminuisce,  quella  con  cui  la  seconda 
tende  ad  abbassarli  cresce,  ed  i  nuclei  si  abbassano.  Si  abbassa 
con  loro  il  portacarbone  superiore,  e  l'arco  ritorna  alla  lun- 
ghezza ed  alla  resistenza  volute. 

Qui  come  nella  lampada  differenziale  di  Siemens  non  si  pu6 
ujtilizzare  altro  che  una  brevissima  corsa  dei  nuclei,  e  quindi 
il  portacarbone  invece  di  essere  unito  direttamente  ai  nuclei, 
è  disposto  in  modo  da  essere  sostenuto  solamente  quando  l'arca 
ha  una  lunghezza  uguale  o  minore  della  normale,  e  da  svinco- 
larsi dai  nuclei  e  discendere  pel  proprio  peso  quando  l' arco  è 
diventato  troppo  lungo.  Qui  adunque,  come  nella  lampada  del 
Siemens t  l'azione  dei  solenoidi  differenziali  è  adoperata  soltanto 
per  regolare  V alimentazione  del  carbone  superiore. 

Ma  quello  che  nella  lampada  Siemens  si  ottiene  per  mezza 
del  meccanismo  assai  complicato,  composto  della  dentiera,  del 
rocchetto,  dello  scappamento,  del  pendolo  e  dell'arresto  di 
questo,  nella  lampada  di  Brush  è  ottenuto  senza  rotismo  di 
sorta,  in  un  modo  straordinariamente  semplice.  La  traversa 
dei  nuclei  sostiene,  coli' intermezzo  di  una  leva,  un  gancio,  il 
quale  tien  sollevato,  pigliandolo  per  un  punto  della  circonfe- 
renza esterna,  un  anello  dentro  a  cui  passa  l'asta  cilindrica  del 
portacarbone.  L'anello,  così  sostenuto  da  un  lato,  prende  una 
posizione  inclinata  e  quindi  esercita  sull'asta  del  portacarbone 
una  pressione  sufficiente  perchè  l'attrito  la  tenga  sollevata.  Ma 
quando  i  nuclei  si  abbassano  al  disotto  della  posizione  corri- 
spondente alla  lunghezza  normale  dell'arco,  l'anello  si  -appoggia 
col  suo  punto  più  basso  sopra  una  traversa  fìssa,  e  se  il  gancio 


Applicazioni  dell*  energia  elettrica.  219 


che  lo  sosteneva  continua  ad  abbassarsi,  esso  prende  una  in- 
clinazione minore,  e  si  accosta  a  diventare  orizzontale.  Allora 
esso  cessa  di  esercitare  sull'asta  del  portacarbone  una  pressione 
sufficiente  per  poterlo  sostenere,  e  questo,  svincolato,  prende  a 
discendere  pel  proprio  peso.  Ma  appena  il  portacarbone  si  trova 
svincolato,  i  nuclei  dei  solenoidi,  allegeriti  dal  peso  di  esso,  si 
risollevano,  ed  il  gancio,  che  essi  sollevano  seco,  rialza  un'altra 
volta  l'anello,  il  quale  inclinandosi  afferra  l'asta  del  portacarbone 
in  un  punto  un  po'  più  alto  di  quello  in  cui  lo  teneva  per  lo 
innanzi. 

Per  smorzare  ì  movimenti  troppo  repentini  l'asta  del  por- 
tacarbone è  cava  ed  è  piena  di  glicerina.  Uno  stantuffo  fisso 
all'estremità  inferiore  di  un'asta  immobile  è  immerso  nella  gli- 
cerina, e  presenta  ai  movimenti  di  questa  una  resistenza  cre- 
scente colla  velocità,  la  quale  basta  allo  scopo. 

Quando  l'illuminazione  deve  durare  molto  tempo,  le  lam- 
pade hanno  due  coppie  di  carboni,  le  quali  entrano  in  azione 
r  una  dopo  1*  altra.  La  traversa  dei  nuclei  sostiene  in  questo 
caso  per  mezzo  di  una  leva  un  pezzo  munito  di  due  ganci  de- 
stinati a  sollevare  gli  anelli  dei  due  portacarboni  superiori;  ma 
uno  dei  due  ganci  è  un  po'  più  alto  dell'altro  e  comincia  a 
sollevare  il  portacarbone  corrispondente  un  po'  prima  dell'altro. 
Allora  la  corrente  passa  tutta  per  la  coppia  di  carboni  che  ri- 
mangono a  contatto,  e  quando,  seguitando  ad  elevarsi  i  nuclei, 
anche  i  carboni  di  questa  coppia  si  distaccano,  1*  arco  voltaico 
si  stabilisce  soltanto  fra  le  punte  dei  medesimi.  Stabilito  l'arco, 
questo  continua  ed  è  regolato  come  nel  caso  di  una  lampada 
semplice,  fino  a  tanto  che  i  due  carboni  non  sono  consumati. 
In  questo  momento  vengono  a  contatto  i  due  carboni  dell'altra 
coppia  e  l'arco  si  stabilisce  fra  di  essi.  Così  la  durata  dell'illu- 
minazione è  duplicata. 

Annesso  a  ciascuna  lampada  vi  è  un  apparecchio  destinato 
a  sostituire  alla  lampada  un  breve  conduttore  quando,  per  un 
accidente,  questa  non  può  più  funzionare.  L'apparecchio  con- 
siste in  una  elettro-magnete  con  due  spirali.  Una  di  queste 
spirali  fatta  con  un  filo  molto  grosso  e  cortissimo  costituisce  il 
breve  conduttore  destinato  a  sostituirsi  alla  lampada  ed  a  man- 
tenere chiuso  il  circuito  quando  questa  è  guasta;  l'altra,  latta 
con  filo  lungo  e  sottile,  è  inserita  nel  circuito  derivato  che  con- 
tiene le  spirali  di  filo  sottile  dei  solenoidi  del  regolatore;  le  due 
spirali  poi  sono  avvolte   nel   medesimo  verso.  Quando  la  resi- 


* 

§ 


220  Parte  seconda. 


stenza  della  lampada  diventa  grande  in  modo  anormale,  la  cor- 
rente derivata,  che  passa  per  la  spirale  sottile,  magnetizza  il 
nucleo  dell*  elettro-magnete,  in  modo  che  questa,  vincendo  la 
tensione  di  una  molla  antagonista,  attrae  la  sua  armatura.  Questa 
allora  si  appoggia  su  di  un  contatto  unito  alle  estremità  della 
spirale  di  grosso  filo,  e  chiude  il  circuito  per  mezzo  di  questo, 
escludendone  la  lampada.  Il  contatto  per  cui  questo  breve  cir- 
cuito rimane  chiuso,  è  assicurato  dalla  forte  attrazione  che 
Telettro-magnete  esercita  sull'armatura  dal  momento  che  la  cor- 
rente ha  cominciato  k  percorrere  oltre  il  filo  sottile  anche  il 
filo  grosso.  Lo  spegnimento  della  lampada  avverte  subito  i  sor- 
veglianti del  guasto  avvenuto,  mentre  le  altre  lampade  rimaste 
attive  nel  circuito  compensano  con  un  maggiore  splendore  la 
mancanza  della  lampada  difettosa. 

I  carboni  adoperati  nelle  lampade  Brush  hanno  la  lunghezza 
di  30  centimetri,  e  sono  ricoperti  di  uno  strato  di  rame  deposto 
galvanicamente.  Essi  durano  in  media  circa  8  ore,  e  durante 
questo  tempo  si  consumano  circa  24  centimetri  del  carbone 
positivo  e  IO  centimetri  del  negativo.  Una  lampada  con  doppio 
sistema  di  carboni  può  adunque  funzionare  senza  interruzione 
per  circa  18  ore. 

La  resistenza  di  una  lampada  nelle  condizioni  normali 
medie  è  di  circa  4^5  ohm;  l'intensità  della  corrente  necessaria 
è,  nelle  medesime  condizioni,  compresa  tra  io  e  12  ampère;  in 
una  installazione  ben  proporzionata  la  forza  elettro-motrice  del 
generatore  equivale  a  circa  54  volt  per  ciascuna  lampada  in- 
serta nel  circuito:  la  forza  motrice  necessaria  per  ogni  lampada 
^  di  cavalli  1,5  quando  si  hanno  nel  circuito  solamente  4  lam- 
pade, di  cavalli  0,9  circa  quando  il  numero  delle  lampade  è 
uguale  o  superiore  a  16.  L'intensità  della  luce  data  da  ciascuna 
lampada  in  queste  condizioni  è  di  circa  40  carcel  nella  direzione 
orizzontale  e  di  circa  70  nella  direzione  inclinata  di  45°  dal- 
l' alto  al  basso.  Pei  grandi  focolari  di  luce,  per  fari  o  per  pro- 
iezioni, le  proporzioni  sono  diverse  e  l'intensità  della  luce  per 
ciascun  centro  può  superare  i  200  carcel. 

36.  I  regolatori  differenziali,  di  cui  quelli  di  Siemens  e  di 
Brusii  sono  i  tipi  principali,  non  costituiscono  il  solo  mezzo 
per  poter  tenere  in  azione  in  un  medesimo  circuito  parecchie 
lampade  ad  arco  voltaico;  un  modo  più  semplice  per  fare  ciò 
consiste  nel  tenere  separati  ad  una  distanza  invariabile  i  due 
carboni  per  mezzo  di    un   pezzo  di   qualche  materia  solida  iso- 


Applicazioni  dell* energia  elettrica,  221 

lante.  Così  facendo  però,  si  ha  in  contatto  coll'arco  voltaico  un 
corpo  solido,  il  quale,  diventando  incandescente  pel  calore  del- 
l'arco^ modifica  notevolmente  la  qualità  della  luce  e  le  condi- 
zioni di  economia  della  sua  produzione.  Egli  è  per  questo  mo* 
tìvo,  che  io  ho  collocato  le  lampade,  ove  è  messo  in  pratica 
questo  artifizio,  in  una  specie  distinta,  che  è  la  terza  di  quelle 
in  cui  ho  classificato  tutti  i  sistemi  d'illuminazione  elettrica. 

La  più  importante  delle  lampade  di  questa  specie  è  la  can- 
dela  elettrica  di  Jablochkoff.  In  questa  i  due  carboni,  invece  di 
essere,  come  nei  regolatori,  collocati  di  punta,  sul  prolunga- 
mento l'uno  dell'altro,  sono  posti  l'uno  di  fianco  all'altro  e  se- 
parati da  uno  straterello  di  caolino  o  di  gesso;  l'arco  si  fa  tra 
le  due  punte  passando  al  di  sopra  del  corpo  coibente,  il  quale 
pel  calore  dell'arco  si  fonde  e  si  volatilizza  consumandosi  gra- 
datamente di  mano  in  mano  che  si  consumano  e  si  raccorciano 
i  due  carboni.  Così  la  candela  si  consuma  regolarmente  come 
una  candela  ordinaria.  La  luce  che  essa  manda  è  irradiata  dalle 
punte  dei  carboni  e  dal  bottone  formato  frammezzo  alle  me- 
desime dal  coibente  fuso  ;  il  tutto  poi  si  trova  annegato  in  una 
fiamma  dovuta  alla  combustione  dei  carboni  ed  alla  volatilizza- 
zione del  coibente. 

La  candela  elettrica  del  Jablochkoff,  troppo  nota  perchè  io 
insista  sulla  descrizione  dei  suoi  particolari,  occupa  nella  storia 
delle  invenzioni  relative  alla  illuminazione  elettrica  un  posto 
importantissimo.  Essa  fu  il  primo  apparecchio  che  abbia  fatto 
pensare  alla  possibilità  di  applicare  la  luce  elettrica  alla  illu- 
minazione pubblica,  e  fu  realmente  il  primo  apparecchio  che 
abbia  potuto  servire  alla  illuminazione  pratica  delle  strade  e 
delle  piazze. 

Tuttavia  essa  non  rappresenta  un  tipo  di  lampada  elettrica 
destinato  nell'avvenire  alle  grandi  applicazioni.  Ciò  si  può  as- 
serire per  vari  motivi: 

i.^  Il  confronto  tra  la  qualità  della  luce  data  dalle  candele 
Jablochkoff  e  quella  data  dalle  lampade  differenziali  di  Siemens 
e  di  Brushf  confronto  che  anche  prima  dell'esposizione  di  elet- 
tricità si  è  potuto  fare  per  mezzo  delle  grandi  installazioni  di 
illuminazione  elettrica  coi  sistemi  di  Jablochkoff,  di  Brush  e  dì 
Siemens  esistenti  a  Londra,  dimostra  nella  candela  elettrica 
una  evidente  inferiorità;  le  variazioni  continue  di  intensità  e  di 
colorazione,  che  essa  presenta,  sono  incomparabilmente  più 
grandi  di  quelle  presentate  dagli  altri  due  sistemi. 


222  Parte  seconda. 


2.°  La  candela  elettrica  è  inetta  a  riaccendersi  da  sé 
quando,  per  la  rottura  di  un  carbone  o  per  a'tro  accidente  essa 
venga  a  spegnersi;  la  qual  cosa  obbliga  a  conservare  daccanto 
alle  lampade  elettriche  i  fanali  del  gas,  per  rimpiazzarle  in  caso 
di  bisogno. 

3.<»  Il  costo  della  luce  è  notevolmente  più  grande  con  le 
candele  elettriche  che  con  le  lampade  differenziali.  Questo  fatto 
deriva  specialmente  dall'  esistenza  del  solido  coibente  che  si  fa 
incandescente  fra  le  punte  dei  carboni;  e  noi  avremo  occasione 
di  occuparcene  fra  poco,  studiando  in  generale  le  condizioni  di 
economia  della  illuminazione  elettrica. 

Il  Jamin  modificò,  come  è  noto,  la  candela  del  Jablochkoff 
sopprimendo  il  coibente  solido,  ed  utilizzando,  per  mantenere 
l'arco  sulle  punte  dei  carboni,  V  azione  elettro-dinamica  eser- 
citata su  di  esso  dalla  corrente  opportunamente  conformata. 
Ma  il  tentativo,  per  cui  la  candela  elettrica  rientrerebbe  nella 
classe  precedentemente  studiata  degli  apparecchi  ad  arco  vol- 
taico senza  coibente  incandescente,  con  conseguente  vantaggio 
economico,  è  assai  male  riuscito;  nel  palazzo  dell'esposizione 
le  lampade  del  Jamin  figuravano  fra  le  meno  stabili. 

Invece  di  adoperare,  come  nella  candela  elettrica,  due  car- 
boni paralleli  isolati  con  un  corpo  solido  frapposto,  si  può  ot- 
tenere le  stesso  risultato  disponendo  i  due  carboni  in  modo  che 
«ssi  pel  proprio  peso  oppure  per  effetto  di  una  molla,  sì  avan- 
zino l'uno  verso  T altro  di  mano  in  mano  che  si  consumano, 
ma  sieno  tenuti  colle  loro  punte  a  una  distanza  costante  da  un 
eorpo  3olido  isolante,  contro  cui  si  appoggiano  costantemente. 
L' idea  di  costrurre  in  questo  modo  lampade  elettriche  è  molto 
antica,  ed  è  messa  in  pratica  in  alcuni  dei  primi  regolatori  che 
si  sieno  inventati  ;  è  noto  fra  gli  altri  il  semplicissimo  regolatore 
di  Staile  ed  Edwards,  nel  quale  i  due  carboni,  disposti  obliqua- 
mente e  spinti  in  avanti  ciascuno  da  una  molla  a  spirale,  si 
appoggiavano  colle  loro  punte  contro  di  un  pezzo  di  materia 
refrattaria  in  modo  che  la  distanza  fra  le  punte  rimanesse  co- 
stante e  l'arco  voltaico  lambisse  la  superficie  del  coibente.  Questa 
medesima  idea,  attuata  soltanto  con  una  disposizione  alquanto 
differente,  è  stata  ripresentata  recentemente,  concretata  in  una 
lampada  elettrica  alla  quale  si  è  dato  il  nome  di  Lampe-Solài 

La  lampada  a  sole  ideata  dai  signori  Clero  e  Bureau  figu- 
rava e  funzionava  in  molti  esemplari  nella  esposizione.  Essa 
era  esposta    nella   sezione    francese    del  Clerc   e   nella  sezione 


Applicazioni  dell'energia  elettrica.  223 

belga  dalla  Compagnia  generale  belga  di  luce  elettrica.  Oltre 
ad  alcune  parti  della  navata  principale,  essa  illuminava  assai 
bene  una  sala  di  quadri. 

Questa  lampada  si  compone  di  un  blocco  di  materia  refrat- 
taria nella  parte  inferiore  del  quale  è  scavata  una  cavità  pris- 
matica in  forma  di  tetto.  Nel  blocco  sono  praticati  due  fori 
inclinati  V  uno  verso  V  altro,  i  quali  si  aprono  nella  cavità  alle 
<iue  estremità  dello  spigolo  dell'angolo  diedro  formato  dalle 
faccia  principali  di  questa.  Due  carboni  scorrono  in  questi  fori 
e  tendono  ad  avanzarsi  in  grazia  del  proprio  peso;  questi  due 
carboni  per  mezzo  di  conduttori  flessibili  comunicano  con  due 
reofori.  L'orifizio  inferiore  dei  due  buchi  non  è  abbastanza 
grande  per  lasciar  passare  i  carboni,  di  modo  che  le  estremità 
<li  questi  si  trovano  costantemente  ad  una  medesima  distanza. 
L'arco  voltaico  si  forma  tra  i  due  orifìzi  lunghesso  lo  spigolo 
dell'angolo  diedro  al  fondo  della  cavità  del  blocco  refrattario. 
<}uando  l'arco  è  stabilito,  il  calore  che  in  esso  si  sviluppa  porta 
all'incandescenza  la  sostanza  del  blocco,  il  quale  diventa  la 
principale  sorgente  di  luce.  Il  blocco  è  di  marmo;  ma  per  l'ele- 
vata temperatura  a  cui  è  sottoposto  si  trasforma  presto,  in  vi- 
cinanza dello  spigolo,  ove  si  forma  l'arco  voltaico,  in  calce.  La 
luce  è  adunque  emessa  da  calce  incandescente  come  nella  lam- 
pada di  Drummond. 

Praticamente  il  blocco  refrattario  è  formato  di  parecchi 
pezzi:  due  pezzi  di  granito  servono  di  sostegno  a  due  pezzi  di 
una  pietra  bianca,  lungo  i  quali  scorrono  i  due  carboni;  tra 
questi  due  pezzi  di  pietra  bianca  stanno  due  pezzi  di  marmo 
formanti  le  due  faccie  dell'angolo  diedro.  Al  di  sopra  un  pezzo 
trapezoidale  di  pietra  e  due  cunei  completano  il  parallelepipedo. 
Tutti  i  detti  pezzi  sono  collocati  dentro  ad  una  staffa  di  ghisa 
-e  stretti  con  viti.  La  staffa  è  a  sua  volta  introdotta  in  un  col- 
lare metallico,  a  cui  sono  attaccati  i  pezzi  destinati  a  sostenere 
la  lampada. 

Per  la  qualità  e  per  la  fissità  la  luce  della  Lampe- Soleil  si 
assomiglia,  come  si  poteva  prevedere,  a  quella  di  Drummond, 
ma  spesso  è  assai  meno  intensa  e  presenta  una  tinta  aranciata 
ibrse  eccessivamente  sensibile.  Quando  questo  sucéede,  la  lam- 
pada, benché  chiusa  in  un  pallone  di  vetro  appannato,  presenta 
un  aspetto  che  ricorda  quello  di  una  lampada  ad  olio  male  ac- 
cesa. Ma  r  inconveniente  più  grave  sta  in  ciò,  che  la  presenza 
-del  corpo  solido  incandescente,  che   irradia  sotto  forma  di  ca- 


224  Parte  seconda. 


lore  oscuro,  una  buona  parte  del  calore  sviluppato  nell'arco 
voltaico,  nuoce  inevitabilmente  al  rendimento  economico  del- 
l'apparecchio.  L'asserzione  degli  espositori,  che  la  lampada 
Soleil  possa  produrre  la  luce  di  loo  a  no  carcel  per  ogni  ca- 
vallo dinamico  consumato,  è  assolutamente  inverosimile,  e  noi 
avremo  occasione  di  convincercene  quando,  più  sotto,  ci  occu- 
peremo delle  condizioni  economiche  della  illuminazione  elettrica. 
Benché  la  lampada  di  cui  parliamo,  abbia  alcune  utili  proprietà, 
che  possono  raccomandarla  in  alcuni  casi  speciali,  io  credo  che 
essa  non  si  possa  annoverare  fra  quelle  a  cui  l'avvenire  riserva 
applicazioni  grandiose. 

Questo,  che  io  asserisco  per  le  lampade  Soleii,  si  deve 
estendere  alle  altre  lampade,  che  pur  figuravano  nella  esposi- 
zione, nelle  quali  l'arco  voltaico  non  ha  altro  uffizio  che  quello 
di  rendere  incandescente  un  pezzo  di  materia  solida. 

37.  La  quarta  specie  di  lampade  elettriche  comprende  ap- 
parecchi, nei  quali,  come  negli  ultimi  di  cui  abbiamo  parlato, 
la  luce  è  emessa  in  parte  da  un  arco  voltaico  ed  in  parte  da 
una  materia  solida  incandescente;  ma  la  disposizione  di  questi 
apparecchi  è  affatto  diversa,  e  la  luce  da  essi  prodotta  si  asso- 
miglia di  più,  tanto  per  la  quantità,  quanto  per  l'economia,  a 
quella  data  dalle  lampade  ad  arco  voltaico.  Io  ho  denominato 
questi  apparecchi:  lampade  a  contatto  imperfetto,  e  per  darne 
una  idea  cito  il  più  importante  di  tutti,  che  è  la  lampada  Wer- 
dermann. 

In  questa  lampada  il  carbone  positivo  ha  la  forma  di  un 
disco  di  circa  5  centimetri  di  diametro,  posto  in  alto,  orizzon- 
talmente. Il  carbone  negativo  è  invece  una  bacchetta  sottile 
situata  verticalmente  al  disotto  del  disco,  sull'asse  di  questo; 
essa  è  sollecitata  dal  basso  verso  l'alto  da  un  contrappeso  o  da 
una  molla,  per  cui  si  appoggia  colla  punta  sul  centro  della 
faccia  inferiore  del  disco,  esercitandovi  una  leggera  pressione» 
Due  labbra  di  rame  si  appoggiano  lateralmente  contro  la  bac- 
chetta esercitandovi  una  pressione  sufficiente  per  istabilire  con 
essa  un  buon  contatto,  ed  abbastanza  piccola  perchè  il  carbone 
possa  scorrere  liberamente  fra  di  esse  di  mano  in  mano  che, 
consumandosi,  esso  viene  sollevato  dalle  molle  o  dal  contrap- 
peso. Le  due  labbra  di  rame  sono  collegate  col  reoforo  negativo. 
Quando  passa  la  corrente  un  breve  tratto  della  bacchetta  di 
carbone,  in  vicinanza  della  punta,  diventa  incandescente,  e  tra 
la  punta  ed  il  disco  di  carbone,  che  le  sta  di  fronte,  si  produce 


Applicazioni  dell'energia  elettrica.  225 


un  breve  arco  voltaico,  la  luce  bianca  del  quale  si  mescola  con 
quella  aranciata  emessa  dal  carbone  incandescente.  Più  lampade 
di  questa  specie  possono  funzionare  regolarmente  alimentate  da 
una  medesima  macchina  generatrice;  in  questo  caso  esse  ven- 
gono riunite  in  derivazione  :  tutti  i  dischi  di  carbone  sono  posti 
in  comunicazione  col  reoforo  positivo,  e  tutte  le  bacchette  sono 
collegate  col  reoforo  negativo. 

Nei  particolari  la  lampada  Werdermann  è  stata  migliorata 
con  molto  ingegno  dal  signor  Napoli;  ed  è  colle  disposizioni 
datele  da  questo  ingegnere  che  essa  figurava  nella  mostra  di 
Parigi.  Essa  era  esposta  dalla  Compagnia  generale  di  illumina- 
zione elettrica  di  Parigi,  la  quale  per  mostrare  una  delle  appli- 
cazioni per  cui  la  si  potrebbe  preferire,  illuminava  colla  mede- 
sima un  piccolo  teatro  appositamente  preparato  nel  palazzo 
dell'industria. 

La  medesima  società  presentava  all'esposizione  alcune  lam- 
pade Reynier,  lampade  fondate  sul  medesimo  principio  di  quelle 
di  Werdermann  ma  diversamente  disposte.  Con  8  di  queste 
lampade  si  faceva  l'illuminazione  della  sala  detta  del  Presidente 
della  Repubblica. 

Le  lampade  a  contatto  imperfetto  di  Werdermann  e  di 
Reynier  non  sono  recentissime,  e  per  molte  esperienze  erano 
note  già  prima  della  esposizione  i  loro  pregi.  L'esposizione  non 
ha  fatto  che  rinconfermare  ciò  che  si  sapeva,  dimostrando  per 
mezzo  di  una  installazione  assai  bene  studiata,  che  le  lampade 
di  questa  specie  possono  dare  una  luce  bianca  quasi  come  quella 
dell'arco,  perfettamente  fissa,  regolabile  a  volontà,  e  divisibile 
entro  limiti  molto  estesi.  Se  si  fossero  potute  eseguire  misure 
dinamometriche  e  fotometriche,  si  sarebbe  presumibilmente  dimo- 
strata anche  l'economia  notevole  che  esse  possono  oflFrire  in 
confronto  colle  candele  elettriche  o  colle  lampade  SoleiL  La 
disposizione  loro  è  perfettamente  razionale;  e  ira  tutte  le  lam- 
pade destinate  a  suddividere  la  luce  esse  sono  probabilmente 
quelle  che  consumano,  per  una  data  quantità  di  luce  prodotta, 
la  minore  quantità  di  lavoro  meccanico.  Ma  le  considerazioni 
che  dovremo  fare  fra  poco  discorrendo  in  generale  delle  con- 
dizioni di  economia  della  illuminazione  elettrica  e  dell'avvenire 
probabile  di  questa,  ci  condurranno  a  credere  che  per  l'illumi- 
nazione pubblica  abbiano  maggiore  probabilità  di  trovare  grandi 
applicazioni  lampade  più  potenti,  come  quelle  di  Brush  o  di 
Siemepis,  e  che  per  l'illuminazione  domestica  abbiano  ad  essere 

G.  Ferraris,  Opwre,  Voi.  II.  15 


226  Parte  seconda. 


preferiti  apparecchi  più  maneggevoli,  quali  sono  le  lampade  ad 
incandescenza.  Quindi  io  penso  che  le  lampade  a  contatto  im- 
perfetto, le  quali  avrebbero  forse  avuto  un  grande  avvenire  se 
Siemens  non  ci  avesse  dato  colle  lampade  differenziali  un  mezzo 
migliore  per  far  agire  molte  lampade  in  un  medesimo  circuito, 
attualmente  non  possono  gareggiare  cogli  altri  sistemi  se  non 
forse  in  alcuni  casi  affatto  speciali. 

38.  Noi  arriviamo  ai  sistemi  di  illuminazione  elettrica,  che 
abbiamo  classificato  nella  quinta  specie:  ai  sistemi  ad  incande- 
scenza. Si  sogliono  comprendere  con  questo  nome  i  sistemi  dove 
la  luce  è  data  dall'irradiazione  di  un  solido  reso  incandescente 
dal  passaggio  attraverso  ad  esso  di  una  corrente  elettrica. 

L'idea  di  produrre  la  luce  per  mezzo  dell'incandescenza  di 
una  porzione  resistente  del  circuito  di  una  corrente  non  è  nuova; 
essa  è  così  semplice,  che  si  presenta  da  sé  alla  mente,  e  di 
fatto  si  è  tentato  di  metterla  in  pratica  già  da  molto  tempo, 
prima  ancora  che  il  Foucault  facesse  conoscere  il  suo  primo 
regolatore.  Già  nel  1845  un  tale  King,  russo,  prendeva  un  bre- 
vetto di  privativa  per  un  metodo  per  produrre  la  luce  per  mezzo 
della  incandescenza  di  una  asticciuola  di  carbone  nel  vuoto,  e 
brevetti  analoghi  ottenevano  Greener  e  Staite  nel  1846,  e  Petrie 
nel  1849. 

Questi  sistemi  furono  per  molto  tempo  dimenticati,  ma  nel 
1874  un  russo,  certo  Lodiguine  li  richiamava  a  vita  brevettan- 
doli un'altra  volta;  e  Kosloff,  Kann,  Bouliguine  miglioravano 
l'apparecchio.  Finalmente  nel  1879  T Edison  brevettava  una 
lampada  basata  sull'incandescenza  di  un  filo  formato  con  una 
lega  di  platino  e  di  iridio,  e  poco  dopo  un'altra  lampada  ad  in- 
candescenza, ove  al  filo  metallico  era  sostituita  una  listerella 
arcuata  di  carbone  fatta  con  cartoncino,  situata  nell'  interno  di 
un  palloncino  di  vetro  vuotato  d'aria.  Questi  apparecchi,  che  in 
grazia  di  alcuni  speculatori  levarono  molto  rumore  e  provoca- 
rono nel  pubblico  speranze  eccessive,  e  nell'industria  del  gaz 
un  panico  esagerato,  non  riuscirono  allora  ad  alcun  risultato 
diretto;  ma  furono  l'origine  di  una  serie  di  studi  che  in  questi 
giorni  condussero  alla  costruzione  di  apparecchi  veramente  degni 
di  nota.  Le  odierne  lampade  elettriche  ad  incandescenza  sono 
tali  da  far  credere,  almeno  dal  punto  di  vista  fisico,  risolto  il 
problema  di  produrre  la  luce  elettrica  in  condizioni  adatte  alla 
illuminazione  dei  piccoli  ambienti,  delle  abitazioni  private;  queste 
lampade  furono  una  delle  più  importanti  novità  della  esposizione. 


Applicazioni  dell'energia  elettrica.  227 

Attualmente  le  lampade  ad  incandescenza  proposte  sono 
•assai  numerose,  ma  per  lo  scopo  nostro,  avuto  riguardo  alla 
scarsità  presente  dei  dati  d'esperienza  relativi,  dobbiamo  limitarci 
a  considerare  i  quattro  sistemi  principali  che  figuravano  alla 
-esposizione,  i  quali  sono  quelli  di  Edison,  di  Swan,  di  Maxim 
-e  di  Zuine  Fox, 

La  lampada  di  Edison  è  costituita  da  un  sottile  filamento 
-di  carbone  piegato  a  ferro  di  cavallo  e  collocato  nell'interno  di 
4in  palloncino  di  vetro  in  cui,  con  una  pompa  a  mercurio  è  ' 
^tato  fatto  il  vuoto  più  perfetto  che  praticamente  sia  possibile. 
Le  due  estremità  del  filo  di  carbone  sono  collegate  a  due  fili 
•di  platino  che  escono  dal  palloncino  e  servono  ad  inserire  il 
-carbone  nel  circuito  della  corrente. 

Il  filamento  di  carbone  è  ottenuto  colla  carbonizzazione  di 
«ina  fibra  di  bambù.  Prima  di  chiudere  il  palloncino,  mentre  si 
sta  facendo  il  vuoto  colla  pompa  a  mercurio,  il  filamento  è  te- 
nuto incandescente  per  un  certo  tempo  per  mezzo  di  una-  cor- 
rente elettrica;  in  questo  modo  esso  viene  privato  dei  gas  che 
vi  erano. condensati,  i  quali  altrimenti  avrebbero  screpolato  il 
carbone  ad  ogni  riscaldamento  ed  avrebbero  nociuto  alla  com* 
pattezza,  alla  tenacità  ed  alla  durata  del  medesimo.  Con  questa 
operazione  il  filo  di  carbone  acquista  una  densità  ed  una  du- 
rezza affatto  speciali,  per  cui  esso,  benché  non  sia  più  grosso 
di  un  crine,  può  resistere  per  molto  tempo  alle  variazioni  di 
temperatura  ed  ai  sussulti  a  cui  è  esposto  nell'uso.  Le  due 
estremità  del  filo  di  carbone  presentano  un  rigonfiamento  e 
vengono  strette  da  due  piccole  pinzette  di  platino  colle  quali 
terminano  i  due  reofori  di  platino  destinati  a  mettere  il  carbone 
in  comunicazione  coi  conduttori  esterni.  La  giuntura  è  saldata 
per  mezzo  di  un  deposito  di  rame  ottenuto  elettricamente.  Al- 
l'esterno i  due  fili  di  platino  terminano  in  due  pezzi  metallici 
isolati,  i  quali  possono  essere  messi  in  comunicazione  coi  reofori 
<rhe  vengono  dal  generatore,  oppure  essere  separati  dai  me- 
desimi per  mezzo  di  un  commutatore  adatto  al  sostegno  della 
lampada,  commutatore  che  presenta  l'aspetto  di  un  ordinario 
robinetto  e  che  si  maneggia  nella  medesima  maniera. 

Edison  costruisce  lampade  di  due  grandezze  diverse  che 
denomina  lampade  e  mezze  lampade.  Le  lampade,  dicono  i  suoi 
rappresentanti,  danno  una  luce  equivalente  a  16  candele,  ossia 
-di  circa  1,6  carcel,  e  le  mezze  lampade  equivalgono  a  circa  la 
metà,  ad  8  candele,  ossia  a  0,8  carcel.  Con  un  cavallo  dinamico 


228  Parte  seconda. 


si  possono  attivare  dieci  mezze  lampade,  oppure  5  a  6  lampade 
grandi.  La  resistenza  elettrica  di  una  lampada,  a  caldo,  nelle 
condizioni  normali,  è  di  circa  125  ohm;  quella  di  una  mezza 
lampada  è  di  circa  250  ohm.  Quando  una  lampada  funziona  nelle 
condizioni  normali,  la  differenza  dei  potenziali  tra  i  suoi  due 
contatti  dev'essere  di  circa  100  volt,  e  quindi,  ritenuto  il  valore 
della  resistenza  suindicata,  V  intensità  della  corrente  attraverso 
al  filamento  di  carbone  dev'essere,  nello  stato  normale,  intorno  a 
0,800  ampère.  Le  lampade  vengono  tutte  collegate  in  derivazione, 
o,  come  dicesi  anche,  in  quantità:  dai  poli  della  macchina  gene- 
ratrice partono  due  grossi  reofori  di  resistenza  trascurabile,  o 
minima,  e  ciascheduna  lampada  è  inserta,  sola,  su  di  un  con- 
duttore il  quale  si  attacca  con  una  estremità  all'uno  e  con 
l'altra  all'altro  reoforo.  In  questo  modo  la  corrente  si  divide 
in  tante  correnti  derivate  sensibilmente  uguali  quante  sono  le 
lampade,  ed  il  lavoro  necessario  per  tenere  in  azione  la  mac- 
china dinamo-elettrica  generatrice  è  proporzionale  al  numera 
delle  lampade  attivate. 

La  resistenza  del  sistema  di  molti  circuiti  derivati  è  tanto 
più  piccola  quanto  più  questi  sono  numerosi;  quindi  benché 
ciascuna  lampada  presenti  da  sola  una  resistenza  considerevole, 
l' insieme  di  tutte  le  lampade,  in  un  impianto  di  qualche  impor- 
tanza, presenta  effettivamente  una  resistenza  piccolissima;  è 
dunque  necessario,  per  avere  un  buon  rendimento  economico, 
adoperare  una  macchina  dinamo-elettrica  di  resistenza  interna 
piccolissima.  Egli  è  a  quest'uopo  che  Edison  ha  dato  alla  sua 
macchina  generatrice  la  disposizione  che  noi  abbiamo  descritto 
nel  primo  paragrafo  di  questa  relazione.  Nella  macchina  dinamo- 
elettrica di  Edison  la  spirale  magnetizzante  per  l' induttore  è 
posta  in  derivazione  e  cosi  non  figura  nella  resistenza  interna 
della  macchina;  la  spirale  indotta  poi  è  fatta  con  grosse  sbarre 
di  rame,  le  quali  hanno  una  resistenza  estremamente  piccola; 
la  resistenza  interna  complessiva  non  raggiunge,  come  abbiamo 
detto  a  suo  tempo,  il  valore  di  un  centesimo  di  ohm.  Con  questo 
minimo  valore  della  resistenza  interna,  e  col  modo  di  collega^ 
mento  delle  lampade  di  cui  abbiamo  parlato,  pel  quale  basta 
mantenere  tra  i  due  grandi  reofori  principali  una  differenza  di 
potenziali  uguale  a  circa  100  volt,  è  sufficiente  che  la  macchina 
generatrice  abbia  una  forza  elettro-motrice  di  poco  superiore  a 
questo  numero:  come  abbiamo  detto  descrivendo  la  macchina,, 
Edtson  dà  a  questa  forza   elettro-motrice  il  valore   di  103  volt^ 


Applicazioni  dell'energia  elettrica.  229 


<|ualunque  sìa  il  numero  delle  lampade  che  la  macchina  è  de- 
stinata ad  alimentare. 

Pel  buon  funzionamento  e  per  la  conservazione  della  lam- 
pada è  necessario  che,  qualunque  sia  il  numero  delle  lampade 
in  azione,  la  differenza  dei  potenziali  nei  due  reofori  principali, 
ossia  ai  due  poli  della  macchina  generatrice  rimanga  sempre  la 
stessa.  Io  ho  detto  già,  parlando  della  macchina  e  trattando  in 
generale  della  distribuzione  dell'energia  per  mezzo  della  corrente 
elettrica,  che  nel  sistema  di  Edison  la  costanza  dei  potenziali 
ai  due  poli  della  generatrice  si  ottiene  coli' opera  di  un  sorve- 
gliante a  ciò  delegato.  Ai  due  poli  della  macchina  dinamo-elet- 
trica è  attaccato  un  circuito  derivato  di  grandissima  resistenza 
<i8o  000  ohm),  nel  quale  è  inserto  un  galvanometro  a  riflessione 
di  IV.  Thomson.  La  intensità  della  corrente  indicata  da  questo 
galvanometro  è,  con  grandissima  approssimazione,  proporzionale 
alla  differenza  dei  potenziali  sui  due  poli  della  macchina,  e  la 
^aduazione  della  scala  è  fatta  in  modo  da  dare  direttamente 
<|uesta  differenza  di  potenziali  espressa  in  volty  un  volt  corri- 
sponde a  3  divisioni  della  scala  del  galvanometro.  A  seconda 
delle  indicazioni  di  questo  galvanometro  il  sorvegliante  introduce 
o  toglie  con  un  reostato  a  quadrante  resistenze  convenienti  nel 
circuito  della  corrente  eccitatrice,  e  fa  variare  nel  senso  voluto 
r  intensità  del  campo  magnetico  induttore.  Invece  del  galvano- 
metro,  può  servire  a  dare  al  sorvegliante  le  necessarie  indica- 
zioni una  lampada  normale,  che  si  osserva  per  mezzo  di  un 
fotometro  di  uso  comodo,  appositamente  costrutto. 

Oltre  alla  lampada,  al  generatore  ed  all'apparecchio  pel 
-controllo  e  per  il  governo  della  corrente,  Edison  ha  studiato  i 
più  minuti  particolari  del  suo  sistema.  Io  non  potrei  entrare  in 
una  descrizione  di  tutti  questi  senza  perdere  di  mira  lo  scopo 
principale  del  mio  scritto;  debbo  tuttavia  accennare  ad  alcuni 
<ii  essi  i  quali  possono  dare  una  idea  dei  vari  problemi  secon- 
dari a  cui  conduce  un  impianto  di  illuminazione  elettrica  come 
quello  di  Edison,  e  degli  artifizi  coi  quali  quei  problemi  pos- 
sono essere  risolti. 

In  primo  luogo  merita  una  menzione  il  modo  in  cui,  se- 
condo il  progetto  di  Edison,  sono  disposti  i  conduttori  principali, 
e  quello  in  cui  sono  prese  su  questi  le  derivazioni.  I  conduttori 
principali  che  partono  dai  due  poli  della  macchina  generatrice 
«  dai  quali  si  debbono  fare  le  prese  di  corrente  pei  vari  utenti, 
sono  di  forma  semicilindrica;    sono   piatti   da  una  parte  ed  ar- 


u 


230  Parte  seconda. 


rotondati  dall'altra;  così  essi,  disposti  l'uno  sull'altro  con  in 
mezzo  uno  strato  di  materia  coibente^  formano  un  solo  cilindro^ 
che  si  ricopre  con  un  involucro  isolante,  e  si  distende  sotto 
terra  lungo  la  strada.  Per  prendere  una  derivazione  si  toglie 
per  un  breve  tratto  l'involucro  isolante,  si  tagliano  i  due  con- 
duttori semicilindrici,  si  ripiegano  i  capi  verso  l'esterno,  e  si 
stringono  i  due  capi  di  uno  dei  conduttori  in  una  morsa,  e 
quelli  dell'altro  in  un'altra  morsa.  Dalle  due  morse  partono  i 
fili  della  derivazione.  Ma  acciocché  la  corrente  non  possa  di- 
strurre  le  lampade  quando  per  accidente  essa  diventasse  troppo 
intensa,  una  delle  due  comunicazioni  delle  morse  coi  fili  della 
derivazione  è  fatta  coli' intermediario  di  un  pezzo  di  filo  di 
piombo,  il  quale,  quando  l'intensità  della  corrente  è  troppo 
grande,  si  fonde,  e  rompe  così  il  circuito.  Tutto  questo  è  pro- 
tetto da  una  scatola  ermeticamente  chiusa  e  ricoperta  di  un 
intonaco  isolante. 

Una  seconda  particolarità,  che  merita  di  essere  notata,  ri- 
guarda la  disposizione  degli  interruttori  con  cui  si  accendono 
o  si  spengono  le  lampade.  La  chiave  di  questi  interruttori,  so- 
migliante per  r  aspetto  a  quella  di  un  robinetto  ordinario,  co- 
manda una  vite,  la  quale  porta  alla  sua  estremità  una  specie  dr 
tappo  tronco-conico.  Questo  pezzo  conico,  ritirandosi,  si  allon- 
tana da  due  larghe  lamine  di  contatto,  e  cosi  rompe  il  circuito 
in  due  punti  diversi  e  su  di  una  larga  superficie.  In  tal  modo 
si  evitano  le  grandi  scintille  di  rottura,  che  potrebbero  altri- 
menti essere  causa  di  deterioramenti  negli  apparecchi  od  anche 
dar  luogo  a  pericoli  di  incendio. 

Merita  pure  un  cenno  un  piccolo  apparecchio  regolatore 
dell'  intensità  della  corrente,  il  quale  permette  di  affievolire  la 
luce  in  quella  proporzione  che  si  desidera.  Esso  è  una  specie 
di  reostato  a  carboni,  composto  di  bacchette  cilindriche  di  car- 
bone di  differenti  sezioni  e  di  un  semplice  commutatore,  che 
permette  di  far  passare  la  corrente  attraverso  a  quel  carbone 
che  si  desidera.  Facendo  in  questa  maniera  variare  la  resistenza,, 
si  regola  l' intensità  della  luce.  Le  bacchette  di  carbone  sono 
disposte  verticalmente  dentro  ad  un  astuccio  cilindrico  fatto, 
per  diminuire  il  riscaldamento,  con  lastra  tutta  traforata.  Siil- 
r  astuccio  del  reostato  sta  una  lampada  ad  incandescenza  colla 
quale  si  riconosce  la  posizione  più  conveniente  del  regolatore. 

Debbo  finalmente  notare  gli  apparecchi  per  la  misura  della 
quantità  di  elettricità  data  a  ciascun  utente;  apparecchi  destinati 


Applicazioni  dell'energia  elettrica.  231 

a  fare  per  la  distribuzione  delle  correnti  elettriche  ciò  che  fanno 
i  contatori  nelle  attuali  distribuzioni  di  gaz.  Gli  apparecchi  a 
quest'uopo  immaginati  àsiìV  Edison  sono  due:  uno  di  essi  è  au- 
tomatico; r  altro  esige,  ad  ogni  misurazione,  una  pesata.  II 
primo  è  costituito  da  un  giogo  di  bilancia  a  cui  sono  appese, 
alle  due  estremità,  due  lastre  di  rame  piegate  a  cilindro,  iden- 
tiche, costituenti  due  elettrodi.,  Queste  due  lastre  sono  immerse 
in  due  vasi  distinti  pieni  di  una  soluzione  di  solfato  di  rame  e 
muniti  di  due  altri  elettrodi  fissi.  I  due  voltometri  a  solfato  di 
rame  così  costituiti  sono  attraversati  dalla  corrente  in  versi 
opposti,  in  modo  che  mentre  una  delle  lastre  appese  al  giogo 
di  bilancia  riceve  un  deposito  elettrolitico  di  rame,  l'altra  si 
consuma;  mentre  la  prima  va  aumentando  di  peso  l'altra  va 
diminuendo.  Quando  la  differenza  di  peso  delle  due  lastre  ha 
raggiunto  un  valore  determinato,  la  bilancia  trabocca.  Ma  nel 
traboccare  del  giogo  un  commutatore,  facile  ad  immaginarsi, 
inverte  i  contatti  coi  reofori  ed  inverte  così  la  direzione  della 
corrente  attraverso  ai  due  truogoli;  allora  la  lastra,  che  nel 
periodo  precedente  si  era  andata  consumando,  comincia  ad  au- 
mentare di  peso,  e  quella  che  prima  aveva  aumentato  di  peso 
comincia  a  consumarsi;  quando  una  determinata  quantità  di 
elettricità  è  passata  attraverso  ai  due  voltametri,  lo  squilibrio 
si  produce  nel  senso  opposto  al  precedente,  e  la  bilancia  tra- 
bocca dall'  altra  parte.  Allora  il  commutatore  inverte  un'  altra 
volta  la  corrente,  la  quale  dopo  un  altro  intervallo  di  tempo 
fa  traboccare  la  bilancia  nel  senso  primitivo.  Così  seguitando, 
il  giogo  di  bilancia  fa  una  serie  di  oscillazioni,  a  ciascuna  delle 
quali  corrisponde  un  dato  numero  di  grammi  di  rame  deposto, 
e  quindi  una  data  quantità  di  elettricità  passata,  un  dato  nu- 
mero di  coulomb  somministrati  all'utente.  È  ora  facile  immagi- 
nare un  contatore  elettrico  il  quale  indichi  in  ogni  istante  il 
numero  delle  oscillazioni  compiute. 

L'  altro  apparecchio  misuratore  è  più  semplice.  Esso  con- 
siste in  due  voltametri  a  solfato  di  rame,  i  cui  elettrodi  possono 
facilmente  essere  ritirati  e  pesati.  Uno  di  questi  voltametri  è 
nelle  mani  dell'abbonato,  l'altro  è  tenuto  chiuso  dal  controllore. 

Oltre  alle  lampade  con  cui  erano  illuminate  le  due  sale 
destinate  alla  mostra  degli  svariati  suoi  apparecchi  ed  alcune 
altre  parti  del  palazzo  dell'esposizione,  Edison  presentava  varie 
foggie  di  sostegni  per  le  sue  lampade  ad  incandescenza:  come 
bracci   e   mensole,  lucerne    trasportabili,  lucerne   per   miniere. 


232  Parte  seconda. 


In  queste  ultime  la  lampada  elettrica  era  contenuta  in  un  vaso 
di  vetro  più  grande  pieno  d'acqua,  e  nell'acqua  erano  immersi 
tutti  i  contatti,  dove,  nel  momento  della  rottura  del  circuito, 
sono  possibili  scintille  di  estracorrente.  In  questo  modo  si  evita 
ogni  pericolo  di  incendio  o  di  esplosione. 

Contemporaneamente  all'  Edison,  e  sulla  medesima  via  ha 
lavorato  pel  perfezionamento  delle  lampade  ad  incandescenza 
/.  IV.  Swan  di  NewcastU-on-Tyne.  Questi  però  non  prese  pri- 
vativa pel  suo  sistema  se  non  nel  dicembre  del  1880,  e  non 
presentò  alla  esposizione  di  elettricità  di  Parigi  altro  che  la 
lampada.  Per  compenso  l'esposizione  delle  lampade  Swan  è 
stata  la  più  grandiosa  e  la  meglio  riuscita.  Più  di  300  lampade 
di  questo  sistema  disposte  in  festoni  lungo  le  pareti  e  riunite 
in  alcuni  piccoli  lampadari  illuminavano  la  grande  sala  del 
congresso,  circa  100  illuminavano  la  sala  del  caffè  al  piano 
superiore,  altre  molte  rischiaravano  il  padiglione  dell'ammini- 
strazione dei  telegrafi  inglesi,  ed  altre  erano  disseminate  in  tutto 
il  palazzo  dell'esposizione. 

La  lampada  di  Swan  si  compone,  come  quella  di  Edison^ 
di  un  filo  di  carbone  destinato  a  diventare  incandescente  per 
effetto  della  corrente,  contenuto  in  un  palloncino  di  vetro  in 
cui  si  è  fatto  il  vuoto.  Le  comunicazioni  del  filamento  di  car- 
bone coi  reofori  esterni  sono  fatte  per  mezzo  di  due  porta- 
carboni  di  platino,  come  nella  lampada  di  Edison;  ma  l'unione 
tra  questi  portacarboni  e  le  due  estremità  del  filamento  di  car- 
bone è  fatta  alquanto  diversamente;  i  portacarboni  terminano 
ciascuno  in  una  coppia  di  mascelle  cilindriche,  fra  le  quali  il 
filo  di  carbone  si  può  stringere  mediante  un  anello  di  pressione, 
precisamente  come  una  matita  si  stringe  fra  le  mascelle  del 
portamatite.  Il  filo  di  carbone  è  assai  ingrossato  alle  due  estre- 
mità dove  dev'essere  tenuto  dai  portacarboni.  Esso  poi,  invece 
di  essere  semplicemente  piegato  a  ferro  di  cavallo  come  nella 
lampada  di  Edison,  forma  una  spira  di  un'elica  appiattita,  in 
vicinanza  del  centro  del  palloncino,  dove  si  vuole  concentrare 
la  massima  quantità  di  luce. 

La  preparazione  dei  fili  di  carbone  è  nel  sistema  di  Swan 
alquanto  diversa  da  quella  praticata  àdXYEdison,  Questi  filamenti 
sono  preparati  colla  carbonizzazione  di  fili  di  cotone.  Si  pren- 
dono pezzi  di  filo  di  cotone  della  lunghezza  di  circa  io  centi- 
metri, e  se  ne  ingrossano  le  estremità  attorcigliandovi  altro  filo. 
Si  immergono  allora  i   fili  nell'acido   solforico   dilungato   con 


Applicazioni  dell'energia  elettrica,  233 

acqua  nella  proporzione  di  due  parti  d'acido  con  una  di  acqua, 
e  con  questa  operazione  si  produce  in  essi  una  modificazione 
analoga  a  quella  con  cui  si  fa  la  pergamena  vegetale:  i  fili  di- 
ventano consistenti  e  duri.  Dopo  di  ciò  i  fili  vengono  adagiati 
in  mezzo  a  polvere  fina  di  carbone  dentro  ad  un  recipiente  di 
terra,  che  si  chiude  ermeticamente.  Si  porta  il  recipiente  in  un 
fornello  e  lo  si  riscalda  per  un  certo  tempo  al  color  bianco. 
Allora  si  estraggono  i  fili  carbonizzati,  e  si  mettono  a  sito  nei 
palloncini  di  vetro;  si  fa  il  vuoto  nei  palloncini  con  una  pompa 
a  mercurio,  e  poi,  seguitando  sempre  ad  agire  colla  pompa,  si 
portano  i  fili  di  carbone  all'incandescenza  per  mezzo  di  una 
corrente  elettrica.  Dopo  questa  operazione,  che  può  durare  una 
mezz'ora,  il  filo  di  carbone  è  diventato  assai  duro,  più  denso  e 
meno  luminoso.  In  queste  condizioni  esso  è  atto  a  servire;  si 
chiude  il  palloncino  e  la  lampada  è  preparata. 

Secondo  le  indicazioni  fornite  dai  rappresentanti  dell'espo- 
sitore, la  resistenza  elettrica  di  una  lampada  è,  a  freddo,  di 
•circa  100  ohm,  ma  quando  la  lampada  è  in  funzione  ed  il  filo 
di  carbone  è  incandescente,  questa  resistenza  discende  ad  un 
valore  compreso  tra  30  e  36  ohm.  Nelle  condizioni  normali 
ciascuna  lampada  dev'essere  attraversata  da  una  corrente  di 
intensità  prossimamente  uguale  ad  un  ampère;  e,  se  l'asserzione 
dell'inventore  merita  fede,  la  luce  prodotta  può  variare  tra  1,5 
e  2,5  carcel.  Con  un  cavallo  dinamico  si  possono,  secondo  l'in- 
ventore, alimentare  in  media  io  lampade  di  questo  sistema;  io 
però  ho  ragioni  per  credere  che  quando  le  lampade  hanno  l'in- 
tensità di  1,5  a  2,5  carcel,  non  se  ne  possano  in  realtà  alimen- 
tare più  di  5  a  6  per  cavallo  dinamico. 

Se  si  fa  astrazione  dalle  differenze,  che  abbiamo  enumerato, 
le  quali  riguardano  il  modo  di  fabbricazione  del  filo  di  carbone 
ed  il  suo  modo  d'attacco  coi  portacarboni,  noi  vediamo  che  per 
ciò  che  nella  lampada  vi  ha  di  essenziale,  per  le  condizioni 
elettriche,  una  sola  differenza  di  qualche  importanza  sussiste 
fra  i  due  sistemi  di  Edison  e  di  Swan,  che  abbiamo  descritto: 
la  differenza  delle  resistenze  elettriche.  La  resistenza  della  lam- 
pada di  Edison  è,  a  parità  di  potenza  luminosa,  assai  più 
grande  di  quella  della  lampada  di  Swan,  Questa  differenza  di 
resistenza  porta  seco  come  conseguenza  la  necessità  di  seguire 
norme  diverse  nella  disposizione  dei  circuiti  e  nella  distribu- 
zione delle  lampade  nei  medesimi.  Colle  piccole  resistenze  delle 
lampade  di  Swan   non  si   potrebbero  disporre  moltissime  lam- 


234  Parte  seconda. 


pade  in  altrettanti  circuiti  derivati  senza  essere  costretti  a  dare 
alle  altre  parti  del  circuito  resistenze  minime,  e  quindi  gran- 
dissime sezioni,  oppure  rinunziare  ad  un  buon  coefficiente  di 
rendimento  economico.  Egli  è  perciò  che  lo  Swan,  almeno  per 
ora,  pure  adottando  come  disposizione  generale,  normale,  quella 
ad  archi  multipli,  dispone  tuttavia  in  alcuni  casi  le  sue  lampade 
in  gruppi  di  5,  di  io,  od  anche  di  100  lampade  collegate  in 
serie,  su  di  un  medesimo  circuito. 

Colle  lampade  lo  Swan  ha  esposto  alcune  forme  di  cande- 
lieri e  di  lanterne  per  diversi  usi.  Io  ricorderò  fra  queste  ul- 
time la  lanterna  trasportabile  per  le  miniere.  Essa  è  costituita 
da  una  lampada  Swan  contenuta  in  un  recipiente  più  grande 
di  vetro  robusto,  protetto  a  sua  volta  contro  gli  urti  da  una 
corona  di  fili  metallici  arcuati.  I  reofori  sono  riuniti  in  un  tubo- 
di  caoucciù  e  formano  una  cordicella  flessibile,  comoda  nei 
trasporti. 

Una  terza  lampada  ad  incandescenza  che  l'esposizione  ci  ha 
presentato  è  quella  di  Hiram- Maxim,  esposta  dalla  United  States 
Electric  Lighting  Company  di  New- York, 

In  questa  lampada,  come  nelle  precedenti,  il  corpo,  che  si 
porta  all'incandescenza  per  mezzo  della  corrente  e  che  irradia 
la  luce,  è  ancora  un  filamento  di  carbone.  Ma  questo  filamento 
differisce  da  quelli  delle  lampade  di  cui  abbiamo  già  parlato, 
per  la  forma  e  per  la  preparazione.  La  forma  è  quella  di  una  M,. 
ed  ha  lo  scopo  di  concentrare  verso  il  mezzo  del  palloncino 
un'estesa  superficie  raggiante.  La  preparazione  si  accosta  a 
quelle  primitivamente  tentate,  ma  senza  successo,  da  Edison  e 
da  Swan:  il  carbone  è  fatto  per  mezzo  di  un  cartoncino.  La 
preparazione  è  la  seguente:  si  colloca  un  pezzo  di  cartoncino 
bristol  tra  due  piastre  di  ferraccio  convenientemente  scaldate,  ia 
modo  che  esso  si  carbonizzi  leggermente  ed  assuma  una  tinta 
rossastra.  Dal  cartoncino  semicarbonizzato  si  taglia  con  uno 
stampo  una  listerella  strettissima  della  forma  di  un  M  voluta; 
si  porta  questa  listerella  in  un'  atmosfera  di  idrocarburo  molto 
ricco  di  carbonio,  il  quale  formando  alla  sua  superficie  un  de- 
posito di  carbone,  ne  ottura  i  pori  e  le  dà  una  conduttività  suf- 
ficiente. Si  fissa  allora  la  listerella  a  sito  nelle  lampade,  si  fa  il 
vuoto,  e  poi  si  fa  passare  una  corrente  elettrica  pel  filamento- 
di  cartoncino,  in  modo  da  renderlo  incandescente.  Con  ciò  il 
cartoncino  finisce  di  carbonizzarsi,  ed  inoltre,  se  si  ha  cura  di 
seguitare  a  fare  il   vuoto  nel  palloncino,  mentre  il  filamento  è 


Applicazioni  dell'energia  elettrica.  235 


incandescente,  sì  evacuano  completamente  i  gaz  che  questo 
teneva  condensati. 

In  grazia  della  sua  forma  appiattita  il  carbone  può  fissarsi 
facilmente  ai  fili  metallici  del  circuito;  basta  a  quest'uopo  ren- 
dere appiattite  anche  le  estremità  dei  fili  di  platino  e  ripiegarle 
in  modo  da  formare  un  piccolo  anellino  ;  poi  mettere  di  contro 
il  carbone  ed  inchiodarvelo  per  mezzo  di  una  puntina  a  due 
teste  analoga  ad  una  piccola  chiavarda.  La  saldatura  dei  reofori 
di  platino  col  vetro  del  recipiente  è  fatta  per  mezzo  di  uno 
smalto  o  cemento,  nella  massa  del  quale  essi  sono  annegati;  e 
siccome  questo  cemento  si  salda  con  facilità  col  vetro,  cosi  non 
c'è  pericolo  che  gli  effetti  della  dilatazione  dei  fili  possano  al- 
terare  la  perfezione  del  vuoto. 

La  resistenza  elettrica  delle  lampade  di  Maxim  è  compresa 
tra  40  e  60  ohm,  e  la  loro  potenza  luminosa  è,  secondo  V  as- 
serzione dell'inventore,  dì  26  candele,  ossìa  di  circa  2,6  carcel. 
Sei  lampade  richiedevano,  secondo  l'inventore,  il  lavoro  di  un 
cavallo  vapore. 

Le  macchine  dìnamo-elettriche  destinate  ad  attivare  le  lam- 
pade Maxim  ricevono  la  corrente  eccitatrice  da  una  macchina 
eccitatrice  indipendente;  e  se  più  macchine  generatrici  sono 
adoperate  simultaneamente,  l'eccitatrice  è  unica  e  la  sua  cor- 
rente magnetizza  gli  induttori  di  tutte.  L'eccitatrice  è  munita  di 
un  regolatore  automatico  che  fa  variare  l'intensità  della  corrente 
spostando  le  spazzole  raccoglitrici;  di  questo  ingegnoso  appa- 
recchio abbiamo  dato  una  descrizione  trattando,  più  sopra,  della 
distribuzione  delle  correnti  elettriche  e  degli  artifizi  che  servono 
a  mantenere  la  costanza  della  loro  intensità. 

Debbo  accennare  finalmente  alla  lampada  di  Lane-Fox,  la 
quale  era  esposta  dalla  Anglo-American  Brush-electric  Light 
Corporation^  e  che  illuminava  il  padiglione  di  questa  società,  la 
sala  di  lettura  della  esposizione,  e  quelle  dei  telefoni. 

La  lampada  ad  incandescenza  del  Lane- Fox  si  assomiglia  a 
tutte  quelle  di  cui  abbiamo  già  parlato,  ma  sono  differenti  la 
natura  del  carbone  incandescente,  il  modo  dì  unire  questo  car- 
bone ai  fili  di  platino,  ed  il  modo  di  riunire  questi  fili  di  platino 
coi  reofori  esterni.  Il  filamento  dì  carbone,  invece  di  essere  ri- 
gonfiato alle  estremità,  è  di  diametro  costante,  e  le  sue  due 
estremità  sono  introdotte  in  due  piccoli  tubetti  di  grafite,  infilati 
a  loro  volta,  a  sfregamento  forzato,  sui  fili  di  platino.  Il  pal- 
loncino si    tiene   sempre   sospeso   colla    tubulatura   in   alto.  In 


236  Parte  seconda. 


questa  tubulatura  il  vetro  è  lavorato  in  modo  da  formare  una 
specie  di  ampollina  con  due  colli  rivolti  verso  il  basso;  in  cia- 
scuno di  questi  colli  è  saldato  uno  dei  fili  di  platino,  che  ser- 
vono da  portacarboni.  Per  evitare  il  riscaldamento  dei  due  fili 
i  due  colli  di  vetro,  sull'asse  dei  quali  essi  giacciono,  sono  ri- 
pieni di  mercurio.  Al  disopra,  nel  corpo  dell'ampollina,  vi  è 
del  cotone  pigiato  ed  al  disopra  di  questo  un  tappo  dì  smalto, 
che  chiude  il  tutto. 

Il  filamento  di  carbone  destinato  a  diventare  incandescente 
•è  costituito  da  uno  stelo  dì  gramigna,  oppure  è  fabbricato  con 
fibre  vegetali  vulcanizzate  ed  impregnate  di  ossicloruro  di  zinco. 
Come  negli  altri  sistemi  sì  rendono  incandescenti  questi  carboni 
per  mezzo  di  una  corrente,  mentre  si  continua  a  fare  il  vuoto 
nel  palloncino.  Per  fare  il  vuoto  Lane- Fox  impiega  invece  della 
pompa  di  Sprengel  un  sistema  analogo  a  quello  seguito  dzWAl- 
vergniat  per  la  fabbricazione  dei  tubi  di  Geissler,  con  qualche 
modificazione  destinata  a  renderlo  più  comodo  e  migliore. 

La  resistenza  elettrica  media  di  una  di  queste  lampade  a 
freddo  è  di  60  a  100  ohm,  a  caldo  è  circa  la  metà.  Nel  funzio- 
namento normale  ciascuna  lampada  deve  essere  attraversata 
da  una  corrente  di  intensità  compresa  tra  i  ed  1,25  ampère; 
talché  ciascuna  lampada  richiede,  per  assere  alimentata,  circa 
un  decimo  di  cavallo.  Le  lampade  si  dispongono  in  circuiti  de- 
rivati. Secondo  l'asserzione  degli  espositori  la  luce  data  da  una 
lampada  equivale  a  circa  1,2  carcel. 

Le  macchine  generatrici  adoperate  per  le  lampade  Lane-Fox 
sono  quelle  di  Brusk,  ed  è  la  società  proprietaria  delia  pri- 
vativa Brusìi  quella  che  ha  acquistato  il  diritto  di  applicare  in 
Europa  questo  sistema  ad  incandescenza. 

Come  ho  accennato  già  trattando  in  generale  della  distri- 
buzione delle  correnti  elettriche,  il  Lane-Fox  ha  presentato  in- 
sieme alle  lampade  un  regolatore  automatico  per  la  intensità. 
L'apparecchio,  assai  complicato,  si  compone  di  un  vibratore 
analogo  a  quello  delle  ordinarie  sonerie  elettriche,  il  quale  fa 
girare  di  un  dente  ad  ogni  vibrazione  una  ruota  dentata  ad 
asse  verticale.  L'asse  di  questa  ruota  porta  all'estremità  supe- 
riore un  piccolo  rocchetto  dentato  conico,  il  quale  si  trova 
frammezzo  a  due  ruote  dentate  coniche,  portate  da  un  medesimo 
albero  orizzontale;  questo  albero  finalmente  porta  un  braccio, 
la  cui  estremità  percorre,  quando  l'albero  gira^  un  arco  di  cir- 
colo sul  quale  è  disposta   una   serie  di   resistenze  crescenti  in- 


Appticazioni  dell'energia  elettrica,  237 

■ . — - — . —  < 

trodotte  nel  circuito;  la  resistenza  del  circuito  cresce,  o  dimi- 
nuisce, secondochè  il  braccio  mobile  viene  ad  appoggiare  sugli 
uni  o  sugli  altri  contatti,  girando  in  un  verso  o  nel  verso  op- 
posto. Ora  Tasse  orizzontale  portante  il  braccio  e  le  due  ruote 
coniche  è  mobile  longitudinalmente,  ed  il  suo  movimento  è 
comandato  dall'armatura  comune  di  due  elettro-magneti,  le  quali^ 
quando  sono  attive,  gl'imprimono  movimenti  opposti.  Un  relais 
a  doppio  contatto,  nelle  elettro-calamite  del  quale  passa  una 
corrente  derivata  da  quelle  in  cui  si  trovano  le  lampade,  manda 
la  corrente  nell'una  o  nell'altra  elettro-magnete  secondochè  l'in- 
tensità della  corrente  che  dà  la  luce  supera  l'intensità  normale 
od  è  inferiore  alla  medesima. 

39.  Ho  descritto  pochi  sistemi  di  lampade  elettriche,  i  quali 
possono  servire  a  rappresentare  i  tipi  principali  degli  apparecchi 
oggidì  inventati.  L'esposizione,  io  ho  detto  cominciando,  pre- 
sentava un  numero  grandissimo  di  congegni  diversi,  che  noi 
non  abbiamo  che  classificato,  limitando  le  descrizioni  a  quei 
pochi  che  meglio  potevano  servire  a  dare  una  idea  dei  caratteri 
distintivi  delle  diverse  classi.  Descrivere  tutte  le  forn\e  e  le 
disposizioni  che  si  sono  presentate,  e  giudicare  del  merito  di 
ciascheduna,  sarebbe,  per  ora,  impossibile,  ed  il  Giurì  stesso 
dell'esposizione,  sentendo  questa  impossibilità,  non  seppe  evitare 
il  pericolo  di  lasciare  senza  premio  alcuna  invenzione  realmente 
di  valore,  altrimenti  che  decretando  un  numero  grandissimo  di 
ricompense. 

Ma  una  ricerca  ci  è  possibile,  e  questa  costituisce  lo  scopa 
principale  del  nostro  studio:  quali  applicazioni  sono  riservate 
ai  diversi  tipi  principali  di  lampade  elettriche?  Quale  potrà 
essere  nell'avvenire  l'importanza  di  ognuna  delle  classi  distinte 
di  cui  abbiamo  parlato? 

Per  rispondere  a  questo  quesito  dovremo  tener  conto  di  molte 
circostanze,  quali  sono  la  qualità  e  la  colorazione  della  luce,  la 
sua  fissità,  la  sua  suddivisibilità,  la  comodità  degli  apparecchi,  le 
dimensioni  dei  medesimi,  la  facilità  delle  riparazioni,  ecc....;  ma 
prima  d'ogni  cosa  dovremo  aver  paragonato  le  diverse  classi  di 
lampade  considerandole  dai  seguenti  punti  di  vista: 

i.<>  Del  lavoro  meccanico  consumato  dalle  diverse  classi 
di  lampade  per  la  produzione  di  una  data  quantità  di  luce. 
2.<'  Del  costo  complessivo  della  illuminazione. 

Ad  ordinare  le  diverse  classi  di  lampade  elettriche  secondo 
il  consumo  di  lavoro  meccanico  necessario  per  la  produzione 


238  Parte  seconda. 


di  una  determinata  quantità  di  luce  basta  un  principio  teorico 
affatto  elementare,  che  è  una  conseguenza  immediata  della  na- 
tura  fisica  di  ciò  che  noi  diciamo  luce.  Quando  un  corpo  è  in- 
candescente per  effetto  del  calore,  esso  non  irradia  solamente 
luce,  ma  irradia  eziandio,  ed  in  grande  proporzione,  calore 
inetto  ad  impressionare  V  organo  della  vista,  calore  oscuro.  La 
radiazione  luminosa  non  rappresenta  che  una  piccola  frazione 
della  radiazione  totale,  e  siccome  ciò  che  equivale  al  lavoro 
speso,  ciò  che  costa  è  la  radiazione  totale,  così  noi  possiamo 
dire  che  la  luce  prodotta,  che  rappresenta  l'effetto  utile,  non  è 
mai  altro  che  una,  piccola  frazione  di  ciò  che  si  spende.  Ma  il 
valore  di  questa  frazione  dipende  dalla  temperatura  del  corpo 
raggiante,  e  cresce  rapidamente  col  crescere  di  questa;  uguale 
a  zero  per  temperature  inferiori  a  circa  500  gradi,  questa  fra- 
zione comincia  ad  assumere  valori  sensibili  quando  la  tempe- 
ratura  supera  quel  limite,  e  cresce  in  seguito  tanto  più  rapida- 
mente quanto  più  la  temperatura  è  elevata.  Un  corpo  a  bassa 
temperatura,  a  temperatura  inferiore  a  circa  500  gradi,  irradia 
bensì  calore,  ma  questo  calore  corrisponde  a  moti  vibratori  di 
lunghezza  d' onda  troppo  grande  per  essere  sentiti  come  luce 
dalla  retina;  ma  se  la  temperatura  aumenta,  a  questi  moti  vi- 
bratori, che  continuano  ad  essere  irradiati,  se  ne  aggiungono 
altri  di  periodo  più  breve,  di  minor  lunghezza  d'onda,  che  nel 
nostro  occhio  producono  l'impressione  di  una  luce  rossa  ;  se  la 
temperatura  aumenta  ancora,  altre  vibrazioni  più  rapide  si  ag- 
giungono alle  preesistenti,  e  queste,  che  da  sole  produrreb- 
bero sul  nostro  occhio  l'impressione  di  una  luce  aranciata 
o  gialla,  unite  colle  rosse,  che  seguitano  ad  essere  emesse» 
danno  un  rosso  più  vivo  volgente  all'aranciato;  a  temperature 
ancora  più  elevate  si  sovrappongono  a  queste  altre  nuove  ra- 
diazioni ancora  più  rapide,  le  quali  da  sole  darebbero  l'impres- 
sione di  una  luce  verde,  azzurra,  violacea,  e  che,  tutte  riunite 
e  sovrapposte  alle  preesistenti,  danno  come  risultante  una 
luce  prima  aranciata,  poi  gialla,  e  poi  di  più  in  più  volgente 
al  bianco. 

Da  questo  fatto  deduciamo  che  la  quantità  di  lavoro  mec- 
canico necessario  per  produrre  una  determinata  quantità  di  luce 
è  tanto  più  piccola  quanto  più  elevata  è  la  temperatura  della 
sorgente  luminosa;  e  con  questo  semplice  principio  possiamo 
subito  paragonare  tra  loro,  sotto'  questo  aspetto,  le  varie  specie 
di  lampade  elettriche  che  abbiamo  enumerato. 


Applicazioni  dell'energia  elettrica.  239 


Le  lampade  nelle  quali  il  corpo  raggiante  ha  la  temperatura 
più  elevata  sono  quelle  ad  arco  voltaico  ;  si  sa  che  la  più  alta 
temperatura  che  si  sappia  produrre  è  quella  del  carbone  po- 
sitivo di  una  lampada  ad  arco.  Nell'arco  voltaico  poi  la  tempe- 
ratura è  tanto  più  elevata  quanto  maggiore  è  la  quantità  di 
energia  che  per  effetto  della  corrente  si  accumula  in  esso:  a 
parità  di  altre  circostanze  essa  è  tanto  maggiore  quanto  più  è 
grande  il  lavoro  meccanico  speso  per  produrre  l'arco,  o,  ciò 
che  vai  lo  stesso,  quanto  più  è  grande  l'intensità  della  luce 
data  dall'arco.  Dunque  possiamo  dire  subito:  di  tutte  le  lam- 
pade elettriche,  quelle  ove  una  determinata  quantità  di  luce 
prodotta  richiede  la  spesa  di  un  lavoro  meccanico  più  piccolo, 
sono  le  lampade  ad  arco  voltaico  potenti  che  funzionano  sole 
nel  circuito  della  corrente:  sono  le  lampade  della  prima  specie 
da  noi  considerata. 

Vengono  in  seguito  le  lampade  ad  arco  voltaico  di  minore 
potenza,  fra  le  quali  troviamo  tutte  quelle  della  seconda  specie 
<ia  noi  considerate  ;  le  lampade  differenziali,  per  lo  scopo  stesso 
a  cui  sono  destinate,  hanno  in  generale  potenza  minore  delle 
monofotiche. 

L'irradiazione  che  si  ottiene  per  mezzo  dell'arco  voltaico 
non  è  fatta  direttamente  dall'  arco,  che  come  tutte  le  sostanze 
gasose  ha  un  piccolo  potere  emissivo  ;  ma  è  fatta  principalmente 
dai  corpi  solidi  con  cui  l'arco  è  a  contatto,  ed  ai  quali  esso 
cede  il  proprio  calore.  Nelle  lampade  a  semplice  arco  voltaico 
delle  due  specie  già  considerate  i  soli  corpi  solidi  in  contatto 
coir  arco  sono  le  punte  dei  due  carboni,  e  siccome  queste  si 
guardano  ed  irradiano  l'una  verso  l'altra,  cosi  l'irradiazione  che 
si  ha  verso  l' esterno  non  raggiunge  l' intensità  necessaria  per 
uguagliare  la  produzione  di  calore,  che  per  effetto  della  corrente 
si  ha  nell'  arco,  se  non  quando  la  temperatura  è  elevatissima. 
È  questo  il  motivo  per  cui  la  temperatura  dell'  arco  voltaico  è 
cosi  elevata,  ed  è  questo  il  motivo  per  cui  colle  lampade  or 
nominate  la  luce  si  ottiene  con  un  piccolo  consumo  di  lavoro. 
Ma  se  in  seno  all'arco  voltaico,  od  in  contatto  con  esso  si  ha, 
oltre  i  carboni,  un  altro  corpo  solido,  questo  togliendo  per 
contatto  calore  all'arco,  diventando  in  questo  modo  incande- 
scente, ed  irradiando  poi  il  calore  di  mano  in  mano  che  lo 
riceve,  fa  si  che  l' irradiazione  compensi  la  produzione  ad  una 
temperatura  più  bassa.  Quel  corpo  solido  incandescente  abbassa 
perciò  la  temperatura  della  sorgente  di  luce  e  fa  aumentare  la 


240  Parte  seconda. 


quantità  di  lavoro  meccanico  necessario  per  la  produzione  di 
una  quantità  di  luce  determinata.  Ricaviamo  da  ciò  la  conse- 
guènza, che  le  lampade  elettriche  della  terza  specie,  nelle  quali 
frammezzo  ai  carboni  si  ha  un  solido  isolante,  che  diventa  in- 
candescente pel  calore  dell'arco,  consumano  per  la  produzione 
di  una  data  quantità  di  luce  un  lavoro  meccanico  più  grande 
che  le  lampade  ad  arco  voltaico  nudo,  dei  due  primi  tipi. 

L'osservazione  si  applica  anche  alle  lampade  del  quarta 
tipo,  analoghe  a  quelle  a  contatto  imperfetto  di  Werdermann, 
Però  in  queste  la  massima  parte  della  luce  è  prodotta  dall'arco 
voltaico,  in  seno  al  quale  non  esistono  che  minime  particelle 
di  carbone  che  vanno  continuamente  rinnovandosi;  e  l'irradia- 
zione della  bacchetta  di  carbone  non  ha  una  importanza  molta 
maggiore  di  quella  che  ha  l'irradiazione  dei  carboni  nelle  lam- 
pade ad  arco  voltaico  ordinarie.  Quindi  il  lavoro  necessario  per 
la  produzione  della  luce  deve  essere  in  queste  lampade  minore 
di  quello  richiesto,  a  parità  di  quantità  di  luce,  dalle  lampade 
del  terzo  tipo. 

Finalmente  nelle  lampade  ad  incandescenza  la  temperatura 
del  corpo  raggiante  è  certamente  minore  di  quella  delle  punte 
dei  carboni  nell'arco  voltaico.  Infatti,  alle  temperature  dell'  arco 
voltaico  il  filamento  di  carbone  si  volatilizzerebbe  come  si  vo- 
latilizzano le  punte  dei  carboni  fra  cui  si  fa  l'arco.  Dunque  pos- 
siamo conchiudere  che  fra  tutte  le  lampade  elettriche  le  lam- 
pade ad  incandescenza  sono  quelle  che  per  produrre  una  de- 
terminata quantità  di  luce  consumano  la  maggiore  quantità  di 
lavoro  meccanico. 

Il  fatto  giustifica  completamente  queste  previsioni  della 
teoria:  basta  per  vederlo  confrontare  i  numeri  seguenti  ricavati 
o  da  esperienze  di  misura  autorevoli  od,  in  mancanza  di  queste, 
dalle  asserzioni  degli  inventori: 


Numero  di  cavalli  dinamici 

NECESSARI   PER   OGNI   CENTINAIO  DI  BECCHI  CarceL 

Con  una  lampada  Serriti  della  potenza  di  1850 
carcel Cavalli  0,415 

Con  una  lampada  Siemens  a  pendolo,  sola  nel 
circuito,  della  potenza  di  600  carcel. „        0,500 

Con  una  lampada  Serrin  di  300  carcel .    .    .       „       0,920 


Applicazioni  delf  energia  elettrica.  241 

Con  una  lampada  Siemens  a  fuoco  unico  di 

200  carcel Cavalli  1,0 

Con  una  lampada  Serrtn  di  100  carcel .    .     .       „        2,4 
Con  lampade  differenziali  di  Brush  della  po- 
tenza di  50  carcel,  circa „        2,0 

(Secondo  l'inventore.) 

Con  lampade  differenziali  di  Siemens  della  po- 
tenza media  di  40  carcel. „        2,3 

(Come  sopra.) 

Con  lampade  Werdermann  di  27  carceL    .     .        „        3,7 

Colle  candele  Jablochkqff,  che  secondo  la  re- 
lazione ufficiale  dell'ingegnere  Allard  hanno  una 
potenza  di  21  carcel „        4,8 

Con  lampade   Werdermann  di  4  carcel  ...        „        5,9 

Con  lampade  ad  incandescenza  di  Maxim,  che 
secondo  l'inventore  equivalgono  ciascuna  a  2,6  carcel       „        6,4 

Con  lampade  Swan,  che,  secondo  l'asserzione 
dell'inventore,  hanno  la  potenza  di  2  carcel,    .    .        „        5,0 

Con  lampade  di  Lane-Fox,  che,  secondo  l'as- 
serto dell'inventore,  equivalgono  a  i  carceL    .     •        „        9,4 

Con  lampade  ad  incandescenza  di  Edison,  che 
secondo  i  dati  forniti  dai  rappresentanti  dell'in- 
ventore, equivalgono  a  0,8  carceL „      12,5 


Benché  nella  progressione  di  questi  numeri  appariscano  al- 
cune irregolarità  dovute  al  diverso  grado  di  attendibilità  delle 
fonti,  da  cui  i  numeri  furono  ricavati,  tuttavia  in  essa  le  diverse 
specie  di  lampade  elettriche  si  seguono  coU'ordine  che  noi  ab- 
biamo previsto.  Così  i  numeri  sopra  riferiti,  benché  i  meno  fa- 
vorevoli di  essi  sieno  ricavati  dalle  asserzioni  degli  interessati» 
giustificano  le  nostre  previsioni. 

40.  Di  più  i  medesimi  numeri  ci  serviranno  e  ci  basteranno 
a  paragonare  tra  di  loro  i  diversi  sistemi  di  illuminazione  elet- 
trica dal  secondo  punto  di  vista  da  cui  ci  siamo  proposti  di 
considerarli:  dal  punto  di  vista  cioè  del  costo  complessivo  della 
illuminazione. 

La  spesa  necessaria  per  l'illuminazione  elettrica  si  può  in 
generale  scomporre  in  tre  parti: 

I.®  Spesa  oraria  per  la  produzione  e  per  la  distribuzione 
delle  correnti  elettriche.  Questa  spesa  comprende:  la  quota 
d'ammortizzazione   e    di    interesse  del  capitale  impiegato  nella 

G.  Ferraris,  Opere,  Voi.  II.  i6 


242  Parte  seconda. 


provvista  e  nella  installazione  dei  motori,  in  quella  delle  mac- 
chine dinamo-elettriche  ed  in  quella  dei  fili  conduttori;  la  spesa 
oraria  pel  salario  al  personale  addetto  ai  motori  ed  alle  mac- 
chine  dinamo-elettriche;  la  spesa  oraria  per  la  manutenzione  e 
per  la  sorveglianza  dei  conduttori;  la  spesa  oraria  per  la  lubri- 
ficazione dei  meccanismi;  e,  se  si  tratta  di  motori  a  vapore,  la 
spesa  pel  combustibile. 

2.°  Spesa  per   la  provvista  e  per  la  manutenzione  delle" 
lampade,  riferita  all'ora. 

^.^  Spesa  pei  carboni  consumati  nelle  lampade  elettriche 
in  ogni  ora  di  illuminazione. 

Della  prima  parte  della  spesa,  parte  che  si  riferisce  alla 
produzione  della  corrente,  noi  possiamo  fare  un  calcolo  coi  dati 
che  possediamo,  e  che  abbiamo  riferito,  relativamente  al  nu- 
mero di  cavalli  dinamici  necessari  nei  diversi  sistemi  per  una 
data  quantità  di  luce,  e  con  quelli  che  conosciamo  relativamente 
ai  valori  delle  resistenze,  delle  intensità  e  delle  forze  elettro- 
motrici occorrenti  pei  diversi  tipi  di  lampade. 

Per  la  seconda  parte  di  spese,  la  quale  riguarda  la  provvista 
e  la  manutenzione  delle  lampade,  abbiamo  eziandio  parecchi 
dati;  ma  pel  confronto  che  noi  ci  proponiamo  di  fare  ci  basterà 
sapere  che  una  lampada  di  Brush  costa  attualmente  circa  400  lire, 
che  una  lampada  differenziale  di  Siemens  ne  costa  300,  che 
Swan  vende  attualmente  le  sue  lampade  ad  incandescenza  al 
prezzo  di  20  lire,  promettendo  che  nell'  avvenire  le  potrà  ven- 
dere a  sole  tre  o  quattro  lire;  che  Edison  dà  in  America  le 
sue  lampade  ad  incandescenza  al  prezzo  di  circa  due  lire,  e  che 
finalmente  una  lampada  di  Swan  o  di  Edison,  secondo  l'asser- 
zione degli  inventori,  può  in  media  durare  in  servizio  per  sci 
mesi. 

Per  quello,  finalmente,  che  riguarda  la  terza  parte  della 
spesa,  ossia  il  costo  dei  carboni  consumati  dalle  lampade  elet- 
triche, potremo,  nei  confronti  che  ci  siamo  proposto  di  fare, 
ritenere  i  dati  seguenti: 

Una  lampada  ad  arco  voltaico  unica  nel  circuito  e 
della  potenza  di  circa  100  carcel,  consuma  in  ogni  ora 
la  lunghezza  di  circa  metri  0,10  di  bacchette  di  carbone, 
la  quale  costa L.  0,15 

Una  lampada  differenziale  di  Siemens  o  di  Brush 
consuma  in  ogni  ora  una  lunghezza  di  carboni  del  prezzo 
di  centesimi  io;  quindi  ritenenendo  che  la  lampada  Brush 


Applicazioni  deirenergim  elettrica,  243 

produca  50  carcel  e  che  la  Siemens  ne  produca  soli  40, 
risulta  che  colle  lampade  Brush  le  bacchette  di  carbone 
costano  per  100  becchi  carcel  e  per  ogni  ora   .    .    .    .  L.  0,20 

E  colle  lampade  Siemens „    0,25 

Una  lampada  Werdermann  della  potenza  di  27  carcel 
-consuma  in  un'ora  metri  0,065  di  bacchette  di  carbone; 
quindi  4  lampade  quali  occorrono  per  dare  100  carcel 
consumano  metri  0,26,  che,  al  prezzo  di  lire  1,50  al  metro, 
importano »    0,39 

Una  candela  Jablochkoff  che  dura  un'ora  e  mezza 
potrà  costare  al  minimum  centesimi  quindici,  e  quindi 
per  ogni  ora  centesimi  io.  Siccome  per  produrre  100 
carcel  sono  necessarie  5  candele,  cosi  nel  sistema  Ja- 
blochkoff la  spesa  pel  consumo  delle  candele  è  per  ogni 
100  becchi  carcel  e  per  ogni  ora  al  minimum  di  .    .    .  ,,    0,50 

Finalmente  una  lampada  di  Werdermann  della  po- 
tenza di  3,4  carcel  consuma  in  ogni  ora  metri  0,05  di 
carbone,  che,  al  prezzo  di  lire  1,50  al  metro,  costa  lire  0,075. 
Per  30  lampade  necessarie  per  produrre  100  carcel  la 
spesa  è  adunque  di „    2,25 

Con  questi  dati  ci  è  possibile  paragonare  tra  loro  i  prezzi 
di  una  medesima  quantità  di  luce,  per  esempie,  di  100  carcel 
data  dai  diversi  sistemi  di  illuminazione  elettrica.  Paragoniamo 
in  primo  luogo  il  sistema  di  Jablochkoff  con  quelli  a  lampade 
differenziali  di  Siemens  e  di  Brush,  e  vedremo  facilmente  che 
dopo  l'invenzione  di  questi  due  ultimi  sistemi,  i  quali  per  la 
qualità  e  per  l'intensità  della  luce  possono  applicarsi  in  tutti  i 
casi  per  cui  esso  era  destinato,  il  sistema  di  Jablochkoff  non  ha 
più  oggidì  ragione  di  esistere. 

Infatti  il  lavoro  necessario  per  la  produzione  di  100  becchi 
carcel,  che  pei  sistemi  di  Brush  e  di  Siemens  con  lampade  dif- 
ferenziali è  rispettivamente  di  2  e  di  2,3  cavalli  dinamici,  pel 
sistema  di  Jablochkoff  non  è  minore  di  cavalli  4,8:  quindi  è 
necessaria  per  questo  sistema  una  spesa  maggiore  e  quasi 
doppia  neir  impianto  delle  macchine  motrici  e  generatrici.  E  la 
spesa  pel  consumo  dei  carboni,  che  colle  lampade  differenziali 
si  riduce  a  centesimi  20  e  25,  raggiunge  per  le  candele  Ja- 
blochkoff, anche  nell'ipotesi  di  un  prezzo  minimo  di  15  centesimi 
per  candela,  il  valore  di  centesimi  50;  ossia  circa  il  doppio. 
Né  la  differenza  tra   il  costo   di   una   lampada   differenziale   e 


244  Parte  seconda. 


quello  minimo  di  un  candeliere  Jablochkoff  compensa  questa 
maggiore  spesa:  basta,  per  convincersene,  osservare  che  il 
prezzo  di  acquisto  di  due  lampade  differenziali,  che  è  di  lire  8oq 
al  più,  dà  luogo  ad  una  quota  di  ammortizzazione  e  di  interesse 
di  lire  80,  che  ripartita  anche  soltanto  su  1000  ore  di  illumina* 
zione,  dà  una  spesa  oraria  di  centesimi  8  appena. 

Pel  sistema  di  Jablochkoff,  si  aggiungono  altre  circostanze 
non  meno  gravi,  che  concorrono  a  sconsigliarlo.  In  primo  luogo 
la  mancanza  di  un  regolatore  automatico  fa  sì  che  se,  per  ac» 
cidente,  un  carbone  viene  a  spezzarsi  e  l'arco  si  interrompe,  la 
candela  non  può  riaccendersi  da  sé;  quindi  l'installazione  del- 
l'illuminazione elettrica  con  candele  Jablochkoff  non  dispensa 
dal  bisogno  di  una  installazione  per  l'illuminazione  a  gas.  In 
secondo  luogo  l' eterogeneità  inevitabile  dei  carboni  e  la  man- 
canza di  un  apparecchio  automatico,  che  ne  corregga  l'influenza,, 
fanno  sì  che  la  luce  data  dalle  candele  Jablochkoff  vada  sog- 
getta a  continue  variazioni  di  intensità  e  di  colorazione,  le 
quali  ne  rendono  l'effetto  sgradevole  e  l'uso  affaticante;  mentre 
che  la  luce  data  dalle  lampade  differenziali,  per  essere  assai 
più  ferma  e  più  bella,  benché  più  intensa,  affatica  l'occhio  assai 
meno. 

Per  le  lampade  Soleil^  che  appartengono  alla  medesima 
classe  di  quelle,  di  Jablochkoff,  ci  mancano  dati  attendibili  per 
potervi  basare  un  calcolo  numerico;  ma  possiamo  tuttavia,  con 
sicurezza,  asserire  che  esse  non  sono,  dal  punto  di  vista  del- 
l'economia, migliori  di  quelle  di  Jablochkoff.  Il  lavoro  meccanica 
necessario  per  produrre  con  esse  una  data  quantità  di  luce  non 
può  essere  inferiore  a  quello  necessario  colle  candele  Jablochkoff y 
perché  l'arco  voltaico  vi  si  forma,  come  in  queste,  a  contatta 
con  un  solido  incandescente;  ed  anzi,  se  si  pensa  alla  colora- 
zione aranciata  della  luce  che  quelle  lampade  danno,  si  è  con- 
dotti a  credere  che  in  esse  la  temperatura  sia  più  bassa  che 
nelle  candele  Jablochkoff^  e  che  quindi  il  lavoro  consumato  per 
una  determinata  produzione  di  luce  sia  ancora  più  grande.  Il 
prezzo  poi  dei  carboni,  se  può  essere  minore  di  quello  delle 
candele  Jablochkoff^  si  aggiunge,  per  compensa,  a  quello  delle 
lampade,  che  bisogna  rinnovare,  in  parte,  giornalmente.  E  fi- 
nalmente se  per  le  lampade  Soletl  non  esiste  l'inconveniente 
della  variabilità  della  luce,  sussiste  però  sempre  quello  della 
loro  inettitudine  a  riaccendersi  automaticamente  in  caso  di- 
guasto  accidentale. 


Applicazioni  dell'energia  elettrica.  245 

Come  le  candele  di  Jablochkoff  e  come  le  lampade  Soleil 
così  pure  le  lampade  Werdermann  hanno  oggidì  perduto  la 
probabilità  di  ricevere  applicazioni  importanti.  Prima  che  fossero 
conosciute  le  lampade  differenziali,  le  lampade  di  Werdermann 
atte  a  dare  centri  di  luce  assai  fissi,  alla  cui  potenza,  variabile 
a  piacimento,  si  poteva  dare  il  valore  di  30  o  di  40  carcel,  atte 
a  funzionare  regolarmente  anche  in  grande  numero  sopra  un 
sistema  di  circuiti  derivati,  si  presentavano  come  le  lampade 
meglio  indicate^  e  più  ricche  di  avvenire,  per  T  illuminazione 
di  grandi  ambienti  e  di  luoghi  pubblici.  Ma  oggidì  che  noi  ab* 
biamo  le  lampade  differenziali  di  Brush  e  di  Siemens,  colle 
quali  si  può  nei  medesimi  casi  ottenere  un  effetto  migliore  ed 
a  migliore  mercato,  le  lampade  a  contatto  imperfetto  analoghe 
a  quelle  di  Werdermann  hanno  perduto  ogni  probabilità  di 
trovare  utili  impieghi,  se  non  forse  in  qualche  caso'  specialissimo. 
Di  ciò  è  facile  convincersi;  basta  considerare  che  se  le  lampade 
di  ìVerdermann  che  si  vogliono  adoperare  hanno  una  grande 
potenza,  per  esempio,  27  carcel,  esse  producono  un  effetto  ana- 
logo alle  lampade  differenziali  consumando  3,7  cavalli  in  luogo 
di  2,  ed  una  quantità  di  carboni  del  valore  di  lire  0,39  in  luogo 
di  lire  o,ao.  Se  invece  si  vuole  avere  dal  sistema  una  luce 
suddivisa,  adoperando,  per  esempio,  lampade  della  potenza  di 
3,4  carcel,  si  debbono  consumare,  per  ogni  centinaio  di  becchi 
carcel,  quasi  sei  cavalli  dinamici,  e  spendere  in  ogni  ora  per 
le  bacchette  di  carbone  la  enorme  somma  di  lire  2,25,  uguale  a 
circa  il  decuplo  di  quello  che  occorre  per  le  lampade  diffe- 
renziali. 

Escluse  così  le  lampade  della  terza  e  della  quarta  specie 
rimangono  quelle  della  prima,  della  seconda  e  della  quinta;  ri- 
mangono,  cioè  le  lampade  ad  arco  voltaico  di  grande  potenza 
funzionanti  da  sole  nel  circuito,  le  lampade  ad  arco  voltaico 
differenziali  atte  a  funzionare  in  parecchie  su  di  un  medesimo 
circuito,  e  le  lampade  ad  incandescenza.  Sono  queste,  attual- 
mente, le  lampade,  dalle  quali  abbiamo  ragione  di  sperare,  ora 
o  per  l'avvenire,  le  più  convenienti  applicazioni. 

Paragoniamo  ora,  sempre  rispetto  alla  economia,  queste 
lampade  tra  dì  loro. 

Cominciamo  a  confrontare  le  lampade  ad  arco  voltaico  dif- 
ferenziali con  quelle  ad  incandescenza:  ci  convinceremo  facil- 
mente che  la  luce  data  dalle  prime  costa  meno  di  quella  data 
dalle  seconde. 


246  Parte  seconda. 


Per  dimostrarlo  vogliamo  metterci  nel  caso  più  sfavorevole 
per  le  lampade  ad  arco  voltaico  e  più  favorevole  per  quelle  ad 
incandescenza.  La  principale  parte  di  spesa^  per  cui  le  lampade 
ad  incandescenza  sono  in  condizioni  meno  buone  di  quelle  ad 
arco  voltaico,  è  quella  che  riguarda  il  costo  orario  del  lavoro 
motore  e  della  produzione  della  corrente;  e  la  parte  di  spesa 
per  cui  le  lampade  ad  incandescenza  hanno  un  vantaggio  su 
quelle  di  tutti  gli  altri  sistemi  è  la  spesa  relativa  al  consuma 
dei  carboni  nelle  lampade,  la  quale  per  esse  è  nulla.  Dunque 
le  condizioni  più  vantaggiose  per  le  lampade  ad  incandescenza 
sono  quelle  in  cui  il  lavoro  motore  è  al  massimo  buon  mercato^ 
talché  la  spesa  che  lo  riguarda  sia  di  minore  importanza  ed 
assuma,  rispetto  ad  essa,  una  importanza  maggiore  la  spesa  re- 
lativa ai  carboni  consumati  nelle  lampade.  Sono  queste  le  con- 
dizioni nelle  quali  noi  ci  porremo  per  fare  il  confronto. 

Il  caso  in  cui  il  lavoro  motore  costa  meno  si  presenta 
quando  il  lavoro  è  prodotto  da  grandi  motori  idraulici,  ed  è  di- 
stribuito sotto  forma  di  corrente  elettrica  a  molte  lampade  si- 
tuate su  di  una  grande  rete  di  conduttori.  In  questo  caso  poi  è 
certo  che  l'energia  elettrica  distribuita  alle  lampade  costerà 
sempre  di  più  di  quello  che  costerebbe  il  lavoro  meccanico, 
quando  fosse  possibile  trasmetterlo  direttamente,  nelle  migliori 
condizioni,  colle  più  economiche  trasmissioni  telo-dinamiche; 
giacché  : 

i.°  Rimpianto  elettrico  non  è  meno  costoso  di  quello  di 
una  trasmissione  per  funi,  in  buone  condizioni. 

2.*»  Il  rendimento  della  trasmissione  elettrica  è  certamente 
molto  minore  di  quello  di  una  buona  trasmissione  telo-dinamica. 

Dunque  noi  faremo  certamente  l'ipotesi  più  favorevole  per 
le  lampade  ad  incandescenza,  se,  ammettendo  per  un  momento 
una  cosa  non  realizzabile,  riterremo  che  il  prezzo  del  lavoro 
motore,  compresevi  le  spese  di  impianto  e  di  manutenzione 
delle  macchine  e  dei  conduttori,  e  le  spese  di  amministrazione, 
sia  uguale  a  quello  che  si  può  avere  in  una  buonissima  distri- 
buzione di  forza  per  funi  telo-dinamiche. 

Ora  fra  tutti  i  casi  finora  realizzati,  quello  nel  quale  il  lavoro 
motore  è  dato  al  prezzo  più  basso,  è,  per  quanto  io  so,  quello 
della  distribuzione  di  forza  per  mezzo  di  funi  telo-dinamiche 
stabilita  in  SciafTusa.  A  SciafTusa  il  lavoro  dinamico  ricavato 
dal  Reno,  e  distribuito  con  funi,  si  vende  al  prezzo  di  lire  150 
per  cavallo  e  per  anno:  noi  riterremo  questo  numero. 


/ 


Applicazioni  dell'energia  elettrica,  247 

Or  bene,  calcoliamo  con  questo  dato  il  costo  di  100  becchi 
carcel  ottenuti  prima  con  lampade  differenziali  ad  arco  voltaico 
di  Brushp  poi  con  lampade  ad  incandescenza  di  Swan,  e  final- 
mente con  lampade  di  Edison. 


Sistema  Brush. 

Spesa  pel  lavoro  motore,  incluse  l'installazione  e  la 
manutenzione  delle  macchine  e  dei  conduttori.  —  Per 
100  carcel  occorrono  due  lampade,  le  quali  richiedono 
2  cavalli  dinamici,  che,  a  lire  150  ciascuno,  costano  an- 
nualmente lire  300;  su  2000  ore  di  illuminazione  il  costo 

OQO 

del  lavoro  per  ogni  ora  risulta-^ —  ossia L.  o.is 

2000  ^ 

Spesa  per  la  provvista  delle  lampade,  —  Due  lam- 
pade Brush  costano  lire  800,  il  che  importa  una  quota 
annua  di  ammortizzazione  e  d'interesse  di  lire  80;  questa 
somma,  divisa  per  aooo  ore  di  illuminazione,  dà  per 
ogni  ora „    0,04 

Spesa  oraria  pei  carboni  consumati  nelle  lampade  .  „    0,20 

Totale  L.  0,39 

Sistema  Swan. 

Spesa  pel  lavoro  motore,  come  sopra,  —  Secondo 
l'asserto  dell'inventore,  il  quale,  come  ho  notato  già, 
attribuisce  alla  lampada  una  intensità  luminosa  forse 
doppia  della  vera,  occorrono  per  100  carcel  circa  5  ca- 
valli,  che  costano  annualmente  lire  5  x  150  =  750,  e 

750 
quindi  per  ogni  ora  di  illuminazione  lire  — -  -  ossia.     .     .  L.  0,38 

Spesa  per  la  provvista  delle  lampade.  —  Ammettendo 
la  potenza  asserita  di  2  carcel  per  lampada,  occorrono 
50  lampade,  e  siccome  la  durata  media  di  una  lampada 
è,  secondo  l'inventore,  uguale  a  6  mesi,  ^  così  bisogna 


>  Che  ima  lampada  Swan  possa  durare,  in  media,  6  mesi,  era  asserito 
dagli  espositori  durante  la  mostra;  ora  però  si  ammette  che  la  durata  di  una 
lampada  ad  incandescenza  non  possa  superare  400  a  500  ore  di  illuminazione. 
Noi  riteniamo  tuttavia  in  questo  calcolo  il  dato  delF  inventore,  come  il  più 
fìivorevole  al  sistema. 


248  Parte  seconda. 


Riporto  L.  0,38 
provvedere   annualmente  100  lampade.  Attualmente  le 
lampade  si  vendono  a  20  lire  ciascuna,  ma  ammettendo, 
come  promette  l'inventore^  che  questo  prezzo  possa  nel- 
l'avvenire ridursi  a  3  lire,  abbiamo  una  spesa  annua  di 

lire  300  ed  una  spesa  oraria  di  lire  ~ — ossia  di.     .    .  L.  0,15 

2000  

Totale  L.  0,53 


Sistema  Edison. 

Spesa  pel  lavoro  motore.  —  Essendo  necessari,  se- 
condo l'asserzione  dell'inventore  12,5  cavalli  per  ogni 
100  becchi  carcel,  si  avrà  la  spesa  annua  di  lire  12,5  x  150, 
ossia  di  lire  1875,  che  divisa  su  2000  ore  di  illumina- 
zione dà  per  ogni  ora L.  0,94 

Spesa  per  la  provvista  delle  lampade,  —  Siccome  la  . 
potenza  di  una  semilampada  è,  secondo  l'inventore,  di 
0,8  carcel,  così  occorrono  125  lampade,  che  al  prezzo 
di  lire  2  importano  una  spesa  di  250  lire.  E  siccome  le 
lampade  si  debbono  rinnovare  ogni  6  mesi,  cosi  si  ha 
all'anno  la  spesa  di  lire  500,  ed  in  ogni  ora  di  illumina- 
zione quella  di „    0,25 

Totale  L.  1,19 


Confrontando  questi  risultati  si  riconosce  la  grande  diffe- 
renza che  dal  punto  di  vista  del  prezzo  della  luce  esiste  tra  i 
sistemi  a  lampade  differenziali  ad  arco  voltaico  ed  i  sistemi  ad 
incandescenza  :  per  entrambe  le  lampade  ad  incandescenza,  che 
noi  abbiamo  considerato,  la  spesa  necessaria  per  ottenere  una 
determinata  quantità  di  luce,  100  carcel,  è  notevolmente  pi" 
grande  di  quella  che  essa  sarebbe  quando  si  facesse  uso  di  un 
sistema  ad  arco  con  lampade  differenziali  analogo  a  qu^l^o  ^^ 
Brusii;  per  le  lampade  di  Edison  poi  questa  spesa  sta  a  quella 
che  si  avrebbe  con  lampade  Brush  nel  rapporto  di  2,5  a^  ^* 

Alla  differenza  notevole  che  esiste  tra  i  due  numeri  t^o^^^^ 
per  le  lampade  di  Swan  e  per  quelle  di  Edison  non  bisogna 
attribuire  molta  importanza,  prima  perchè  essa  può  risultare  in 
parte  da  dati  inesatti  forniti  dagli   interessati,  e   poi  per^l^^  ^ 


Applicazioni  dell'energia  elettrica,  249 

possibile  che  l'intensità  luminosa  delle  lampade  Swan,  che  noi 
abbiamo  assunto  ricavandola  dalle  dichiarazioni  dell'inventore, 
sia  bensì  ottenibile,  ma  corrisponda  ad  una  intensità  di  corrente 
-eccessiva,  che  in  un  lungo  esercizio  potrebbe  diminuire  la  du- 
rata delle  lampade  e  la  regolarità  della  illuminazione.  À  questo 
riguardo  importa  notare  che  le  differenze  di  splendore  ed  anche 
•di  effetto  utile  presentate  dalle  diverse  lampade  ad  incande- 
scenza, che  figuravano  nell'esposizione,  possono  non  corrispon- 
dere punto  a  differenze  di  bontà  e  di  convenienza  delle  lampade 
medesime,  ed  essere  dovute  unicamente  alle  condizioni  diverse 
della  installazione. 

Lo  splendore  ed  il  rendimento  di  una  lampada  ad  incande- 
scenza, di  qualunque  sistema,  possono  farsi  variare  fra  limiti 
assai  estesi  facendo  variare  l'intensità  della  corrente,  da  cui  di- 
pende la  temperatura  del  filo  di  carbone;  ma  per  correnti  troppo 
intense  la  durata  delle  lampade  può  essere  ridotta  al  punto  da 
rendere  la  lampada  inetta  ad  applicazioni  veramente  pratiche. 

Dimostrata  la  superiorità  delle  lampade  differenziali  su  quelle 
ad  incandescenza  rispetto  alla  spesa  necessaria  per  la  produ- 
zione di  una  determinata  quantità  di  luce,  riesce  dimostrata  a 
fortiori  la  superiorità  che  per  questo  riguardo  hanno  su  tutti 
gli  altri  sistemi  le  lampade  ad  arco  voltaico  di  grande  potenza 
funzionanti  sole  nel  circuito,  come  le  lampade  di  Sernn,  di 
Jaspar  e  somiglianti.  Per  queste  infatti  tutti  gli  elementi  della 
spesa  sono  minori  che  per  le  lampade  differenziali;  e  ciò  ri- 
sulta dai  dati  numerici  che  noi  abbiamo  testé  riferiti. 

Il  confronto  delle  spese  corrispondenti  ad  una  medesima 
quantità  di  luce  non  basta,  in  generale,  per  decidere  sulla  scelta 
fra  i  vari  sistemi  d'' illuminazione:  bisogna  per  questa  scelta 
tener  conto  anche  della  divisibilità  delia  luce.  E  infatti  evidente 
che  quanto  meno  la  luce  è  suddivisibile,  quanto  più  sono  pò-  ■ 
tenti  e  lontani  i  centri  luminosi,  altrettanto  maggiore  è  la 
quantità  totale  di  luce  che  bisogna  produrre  onde  avere  nei 
punti  più  lontani  una  illuminazione  sufficiente.  L'importanza  di 
questa  considerazione  dipende  evidentemente  da  una  quantità 
di  circostanze  diverse,  di  cui  sarebbe  impossibile  tener  conto 
in  modo  generale.  Tuttavia,  se  si  pensa  che  il  confronto  nu- 
merico che  noi  abbiamo  fatto  è  basato  su  ipotesi  forse  più  fa- 
vorevoli alle  lampade  ad  incandescenza  di  tutte  le  realizzabili, 
se  si  pensa,  per  esempio,  che  il  costo  del  lavoro  motore  può 
nei  casi  pratici  equivalere  al  quintuplo  di  quello  che  noi  abbiamo 


250  Parte  seconda. 


posto  a  base  del  nostro  calcolo,  si  può  con  molta  sicurezza 
asserire  che  le  lampade  ad  incandescenza  non  saranno  mai 
preferibili  a  quelle  ad  arco  voltaico,  se  non  in  quei  casi  in  cui 
la  scelta  non  può  essere  basata  su  considerazioni  di  economìa, 
ed  in  cui  le  lampade  ad  arco  voltaico  non  sono  ammissibili,  sia 
per  la  potenza,  sia  per  la  qualità  della  luce. 

I  numeri,  che  abbiamo  calcolato  poc'anzi,  sono  destinati 
unicamente  a  confrontare  tra  di  loro  i  diversi  sistemi  di  lampade 
elettriche;  essi  sono  basati  su  ipotesi  scelte  a  quest'uopo,  e  per 
conseguenza  non  rappresentano  il  costo  che  la  luce  può  real- 
mente avere  nella  pratica.  In  realtà  il  costo  del  lavoro  motore 
sarà  ordinariamente  molto  più  grande  di  quello  che  noi  abbiami 
ammesso,  e  quindi  sarà  più  grande  il  prezzò  della  luce  data  da 
tutti  i  sistemi.  Per  considerare  il  caso  opposto  a  quello  già 
trattato  ed  avere  un  limite  superiore  della  spesa,  come  abbiamo 
già  un  limite  inferiore,  possiamo  esaminare  quello  di  un  sistema 
di  lampade  di  Edison  attivate  con  una  macchina  a  gas.  In  questa 
caso  per  ottenere  i  12  cavalli  e  mezzo  necessari  per  produrre 
la  luce  di  100  becchi  carcel  bisogna  consumare  in  ogni  ora 
circa  12,5  metri  cubi  di  gas,  che  al  prezzo  di  lire  0,20  costano 
lire  2,5.  A  questa  spesa  bisogna  aggiungere  quella  per  l'ammor- 
tizzazione e  per  l'interesse  del  capitale  impiegato  nell'impianto, 
capitale  che  può  ascendere  a  circa  20^000  lire;  assumendo  il 
tasso  del  io  per  cento  si  ha  una  quota  annua  di  lit-e  200,  che, 
ripartita  su  2000  ore,  dà  per  ciascuna  lire  0,1.  Bisogna  final- 
mente aggiungere  la  spesa  pel  meccanico  che  possiamo  valutare 
a  0,50  all'ora;  e  quella  per  la  provvista  e  per  la  rinnovazione 
delle  lampade,  che,  come  sopra  abbiamo  visto,  equivale  a  lire  0,25. 
Si  ha  così  una  spesa  oraria  di  lire  2,5  +  0,10+  0,50  +0,25 
ossia  di  lire  3,35. 

Per  avere  analogamente  un  limite  superiore  pel  prezzo  della 
luce  data  da  un  sistema  di  lampade  differenziali,  supporremmo 
di  attivare  due  lampade  Brush  con  una  macchina  a  gas.  Le 
due  lampade  richiedono  2  cavalli,  per  cui  si  debbono  consu- 
mare 2  metri  cubi  di  gas  all'ora.  Al  prezzo  di  lire  0,20  questi 
costano  lire  0,40.  Aggiungiamo  a  questa  somma  lire  0,10  per 
ammortizzazione  della  installazione,  lire  0,50  per  salari,  e  lire  0,20 
pel  consumo  di  carboni  nelle  lampade,  ed  otteniamo  come  costo 
orario  complessivo  della  luce  di  100  carcel  lire  1,20. 

Questa  spesa  vale  circa  il  triplo  di  quella  dianzi  calcolata 
corrispondente  al  limite  inferiore. 


Applicazioni  dell'energia  elettrica,  251 

Abbiamo  confrontato  i  diversi  sistemi  di  illuminazione  elet- 
trica tra  loro,  confrontiamoli  ora  colla  illuminazione  a  gas. 

La  luce  di  100  becchi  carcel  si  può  ottenere  col  consumo 
dì  metri  cubi  10,5  di  gas,  che,  al  prezzo  di  lire  0,20  col  quale 
lo  paga  oggidì  la  città  di  Torino,  e  che  potrebbe  aversi  in  tutte 
le  città  italiane,  costano  lire  a,io.  Confrontando  questo  numero 
coi  precedenti  possiamo  asserire  : 

i.""  Che  l'illuminazione  fatta  con  lampade  ad  incandescenza 
costa  assai  più  di  quella  a  gas  quando  il  lavoro  motore  è  dato 
da  macchine  appositamente  installate  per  l'illuminazione;  ma 
può  diventare  economica  quando  il  lavoro  motore  sia  dato  da 
g^ndi  motori  già  installati  per  altri  usi,  oppure  da  motori  de- 
stinati alla  illuminazione,  ma  di  grande  potenza  ed  animanti  un 
esteso  sistema  di  distribuzione  di  correnti.  L'economìa  è  evi- 
dentemente massima  quando  il  lavoro  è  dato  da  grandi  mac- 
chine idrauliche,  come  nel  primo  esempio  che  abbiamo  consi- 
derato. 

2.^  Che  l'illuminazione  fatta  con  lampade  ad  arco  voltaico,, 
a  parità  di  quantità  assolute  di  luce  costa  sempre  meno  di 
quella  fatta  col  gas. 

Non  bisogna  però  dedurre  da  ciò  che  convenga  in  tutti  \ 
casi  sostituire  alla  illuminazione  a  gas  quella  elettrica  con  lam- 
pade ad  arco.  Bisogna  ricordare  infatti  che  il  paragone  fra  i 
due  sistemi  non  vuole  ordinariamente  essere  fatto  in  base  a 
quantità  uguali  di  luce.  Per  fissare  le  idee,  supponiamo  che  si 
tratti  della  illuminazione  di  strade  o  di  piazze  pubbliche;  in 
questo  caso  una  condizione  da  soddisfarsi  è  che  nei  punti  meno 
illuminati  l'illuminazione  elettrica  sia  almeno  uguale  a  quella 
che  si  ha  col  gas.  Siccome  le  lampade  Brush  danno  una  luce 
equivalente  a  37  becchi  di  gas»  e  siccome  l'intensità  dell'illumi- 
nazione diminuisce  come  crescono  i  quadrati  delle  distanze,  cosi 
per  soddisfare  alla  detta  condizione  è  necessario  che  le  distanze 
fra  le  lampade  Brush  stieno  a  quelle,  che  si  hanno  tra  gli 
attuali  fanali   a   gas,   come  ^35:1.  Quindi   bisogna,  per  avere 

35 

l'illuminazione    voluta,  produrre   -• —  ossia  circa   sei   volte    la 

V35 
quantità  di  luce  che  si   ha   attualmente   col   gas.  Così  facendo, 

si  sarebbe  condotti  ad  una  spesa  maggiore  che  pel  gas  anche 
nel  caso  più  favorevole.  Dunque  non  solo  l'economia  dell'illu- 
minazione elettrica  non  esiste  sempre,  ma  per  ottenerla  è  in 
generale  necessario  munire  le  lampade  di  riflettori  e  collocarle 


252  Parte  seconda. 


in  modo  che  la  diminuzione  dell'  intensità  della  illuminazione 
segua  una  legge  meno  rapida  di  quella  dei  quadrati  delle  di- 
stanze. 

41.  Dopo  queste  considerazioni  e  questi  confronti  numerici 
possiamo  tentare  una  risposta  alla  questione  che  ci  siam  posto 
come  oggetto  principale  del  nostro  studio:  quali  sono  le  appli- 
cazioni attualmente  convenienti  e  quali  le  probabili  nell'avvenire 
per  i  diversi  sistemi  d'illuminazione  elettrica? 

Se  teniamo  conto,  oltreché  delle  condizioni  economiche, 
anche  delle  qualità  della  luce,  noi  possiamo  rispondere  colle 
seguenti  conclusioni: 

i.°  Per  r  illuminazione  dei  fari  la  luce  elettrica  può  fin 
"d'ora  presentare  vantaggi  indiscutibili,  e  per  questa  applicazione 
convengono  tutti  i  regolatori  monofotici  come  quello  di  Serrtn^ 
o  meglio  ancora  come  quello  di  Jaspar. 

2.**  A  rischiarare  cantieri  per  opere  di  costruzioni  al- 
l'aperto, alle  operazioni  della  guerra,  alle  applicazioni  della  marina, 
alla  telegrafìa  ottica,  le  lampade  elettriche  ad  arco  voltaico  di 
grandi  potenze  sono  fra  tutti  gli  apparecchi  d'illuminazione  i 
più  convenienti;  e  fra  queste  lampade  elettriche,  per  la  rego- 
larità del  funzionamento  e  per  la  semplicità  del  meccanismo, 
sono  preferibili  quelle  del  Jaspar. 

3.°  In  quegli  opifìzi  o  parti  di  opifìzio  ove  si  hanno  locali 
ampi  ed  alti,  ed  ove,  per  la  natura  dei  lavori  che  vi  si  fanno, 
-è  ammissibile  un'illuminazione  con  pochi  centri  di  luce,  le  lam- 
pade ad  arco  voltaico  monofotiche,  di  potenza  uguale  a  100  0 
più  carcel,  non  solo  possono  convenire,  ma  possono  essere  fra 
tutti  i  mezzi  d' illuminazione  il  più  economico.  L'  economia  è 
certa  e  notevole  quando  1*  opifizio  non  è  in  luogo  ove  esista 
una  distribuzione  di  gas  d'illuminazione,  né  è  provvisto  di  ga- 
zometro  speciale.  Essa  poi  é  certa  quando  l' opifizio  ha  forza 
motrice  esuberante  data  da  motori  di  grande  potenza,  ed  è 
grandissima  se  questi  motori  sono  idraulici.  L'applicazione  a 
questi  casi  delle  lampade  Serriti  s' é  fatta  fin  dal  1872,  e  la 
esperienza  di  io  anni  ha  dimostrato  che  in  circostanze  conve- 
nienti la  cosa  é  perfettamente  pratica.  Meglio  però  che  le  lam- 
pade Serriti  potrebbero  forse  convenire  le  Jaspar.  Qualora 
l'ambiente  da  illuminare  non  fosse  sufficientemente  alto,  o  qua- 
lora si  richiedesse  un'illuminazione  uniformemente  distribuita  in 
tutte  le  parti  del  locale,  potrebbe  prestare  utili  servigi  la  dispo- 
sizione ideata  già   da   tempo   dal   Jaspar,  e   da   lui   presentata 


Applicazioni  dell'energia  elettrica,  253 

all'esposizione,  nella  quale  la  lampada  elettrica,  mascherata 
tutt'attorno  e  di  sotto,  invia  la  luce  dal  basso  all'alto  contro  ad 
un  grande  riflettore  a  superficie  bianca,  che  la  riflette  e  la  dif» 
fonde  uniformemente.  Nei  casi,  finalmente,  in  cui  nemmeno 
questo  sistema  fosse  applicabile  potrebbero  servire,  benché  con 
un'economia  alquanto  minore,  le  lampade  differenziali  di  Brt4sh 
o  di  Siemens. 

4.*'  Anche  in  quegli  opifizi  nei  quali  è  indispensabile  una 
luce  molto  suddivisa,  come  sono  gli  stabilimenti  di  filatura  e  dì 
tessitura,  opifizi  in  cui  le  sole  lampade  elettriche  ammessibili 
sono  quelle  ad  incandescenza,  può  in  alcuni  casi  convenire  la 
illuminazione  elettrica.  Questo  alle  condizioni:  i.  che  non  si 
abbia  nell'opifizio  o  nelle  località  una  fabbrica  di  gas  d'illumi- 
nazione; 2.  che  la  forza  motrice  sia  idraulica  ed  esuberante» 
Queste  condizioni  si  presentano  ordinariamente  nelle  più  indu- 
striose delle  nostre  vallate  alpine,  ed  il  caso  considerato  è 
perciò  importantissimo  per  noi.  Ciò  dicendo  però  noi  miriamo, 
più  che  al  presente,  ad  un  prossimo  avvenire,  quando  l'espe- 
rienza avrà  dimostrato  che  le  lampadine  a  vuoto  sono  vera- 
mente pratiche. 

5.<»  Le  lampade  differenziali  sono  di  tutti  i  mezzi  di  illu- 
minazione il  migliore  per  le  grandi  tettoie  delle  stazioni  delle 
strade  ferrate.  In  parecchie  delle  principali  stazioni  di  Londra, 
come  nella  stazione  di  Charing-Cross,  in  quella  di  Cannon  Street,, 
ed  altre,  funzionano  inappuntabilmente  per  tutta  la  notte  le  lam- 
pade di  Brusii,  e  l'esempio  meriterebbe  di  essere  imitato  in 
molti  casi,  anche  nel  nostro  paese. 

6.^  Sulle  linee  di  strade  ferrate,  ove  esistessero  parecchie 
stazioni  illuminate  nel  modo  ora  detto,  potrebbe  forse  presen- 
tarsi la  questione  se  non  convenga  utilizzare  durante  il  giorno 
le  macchine  dinamo-elettriche  destinate  alla  illuminazione  delle 
stazioni  per  caricare  accumulatori  con  cui  attivare  durante  la 
notte  lampade  ad  incandescenza  per  l'illuminazione  delle  altre 
parti  degli  edifizi,  e  fors'anco  dei  treni.  È  questa  una  questione 
che  non  può  essere  risolta  se  non  nei  casi  speciali  dalle  ammi- 
nistrazioni, ma  a  cui  io  doveva  accennare. 

7.®  Pei  teatri  il  problema  della  illuminazione  elettrica  pre- 
senta attualmente  ancora  gravi  difficoltà  :  la  luce  delle  lampadine 
ad  incandescenza  si  è  mostrata  nei  recenti  esperimenti  fatti  a 
Parigi,  in  occasione  dell'esposizione  d'elettricità  e  del  congresso, 
poco  adatta  all'illuminazione  completa  di  grandi  ambienti  come 


254  Parte  seconda. 


sono  le  sale  di  spettacolo;  e  la  luce  delle  lampade  ad  arco  presenta, 
oltre  all'inconveniente  di  non  potere  essere  regolata  e  moderata, 
oltre  a  quello  di  produrre  rumore,  oltre  a  quello  di  non  potersi 
distribuire  convenientemente  sulle  scene,  l'inconveniente  di  essere 
ancora,  per  la  sua  colorazione  e  per  la  non  perfetta  fissità  poco  fa- 
migliare e  poco  accetta  ai  scenografi  e  ad  una  parte  del  pubblico. 

Attualmente  possono  tentarsi  sistemi  misti  ad  arco  voltaico 
e  ad  incandescenza,  oppure  ad  arco  ed  a  gas;  disponendo  i  lu- 
minari elettrici  ad  arco  nel  centro  di  lampadari  a  gas  od  a 
lampade  incandescenti,  così  che  la  luce  fredda  dell'arco  voltaico 
non  si  diffonda  nella  sala  se  non  dopo  di  essersi  filtrata  e  me- 
scolata con  quella  più  calda  delle  lampade  ad  incandescenza  o 
<ielle  fiamme  di  gas. 

Nelle  sale  d'assemblea  o  nei  locali  per  numerose  riunioni 
il  problema  è  analogo  ma  più  semplice;  in  questi  casi  le  lam- 
pade differenziali  possono  convenire,  fin  d'ora,  da  sole. 

Le  condizioni  del  problema  varieranno  completamente  se 
verrà  un  giorno  in  cui  nelle  città  esistano  grandi  distribuzioni 
di  correnti  elettriche  per  l'illuminazione  pubblica  e  privata; 
allora  le  condizioni  economiche  dell'illuminazione  elettrica  sa- 
ranno assai  migliori,  ed  anche  le  lampade  ad  incandescenza  si 
potranno  forse  adoperare  da  sole. 

8.**  Per  l'illuminazione  delle  strade  e  delle  piazze  delle 
■città  non  è  improbabile  che  l'avvenire  riservi  alla  luce  elettrica 
grandissime  applicazioni.  Dai  confronti  numerici,  che  abbiamo 
fatto  poc'anzi,  risulta  che  ove  esiste  un  impianto  già  stabilito  e 
sufficiente,  per  l'illuminazione  col  gas,  difficilmente  può  accadere 
■che  la  sostituzione  di  un  impianto  elettrico  al  medesimo  possa 
convenire.  Ma  ove  la  luce  attualmente  data  dal  gas  diventi  in- 
sufficiente, od  ove  le  condizioni  per  la  produzione  del  lavoro 
meccanico  sieno  convenienti,  egli  è  probabile  che  le  applicazioni 
delle  lampade  elettriche  alla  illuminazione  pubblica  si  moltipli- 
cheranno. Le  grandiose  installazioni  che  noi  vediamo  a  Londra, 
ove  buona  parte  della  City  è  illuminata  con  lampade  differenziali 
di  Brush  e  di  Siemens,  installazioni  che  vanno  allargandosi  ogni 
dì,  giustificano  la  nostra  previsione. 

Qualora  queste  previsioni  si  verificassero,  quali  sistemi  di 
lampade  elettriche  avrebbero  maggior  probabilità  di  trovare 
utili  e  grandi  applicazioni? 

Se  si  volesse  dare  alle  città  colle  correnti  elettriche  una 
quantità  di  luce   non   molto  maggiore  di   quella   che   abbiamo 


Applicazioni  dell'energia  elettrica,  255 

o^idl  col  gas,  le  lampade  ad  arco  voltaico  sarebbero,  per  le 
ragioni  svolte  più  sopra,  meno  convenienti  e  si  potrebbe  pensare 
ad  adoperare  le  lampade  ad  incandescenza.  Ma  la  convenienza 
economica  di  queste  non  potrebbe  sussistere  se  non  in  casi 
afiatto  speciali,  ove  la  forza  motrice  si  potesse  avere  con  motori 
idraulici  ad  un  minimo  prezzo.  Un  caso  a  cui  ho  fatto  allusione 
già  in  altra  occasione,  parlando  degli  accumulatori,  è  quello  nel 
quale  si  volesse  per  mezzo  di  accumulatori  e  di  lampade  ad 
incandescenza  utilizzare  di  notte  per  l'illuminazione  pubblica 
una  forza  motrice  idraulica  di  cui  l'industria  si  serve  solamente 
nelle  ore  del  giorno. 

Ma  questi  ed  i  somiglianti  sono  casi  speciali:  nel  caso  ge- 
nerale io  penso  che  non  possa  essere  questo  l'avvenire  della 
luce  elettrica  applicata  alla  illuminazione  pubblica.  Io  penso  che 
la  luce  elettrica  non  si  sostituirà  a  quella  del  gas  sulle  vie  e 
3ulle  piazze  delle  città,  se  non  dove  l' illuminazione  a  gas  sia 
divenuta  insufficiente,  e  sia  reclamata  dal  pubblico  una  illumi- 
nazione più  ricca.  Quando  le  lampade  elettriche  avranno  a  su- 
bentrare a  quelle  a  gas  esse  entreranno  in  campo  collo  scopo 
«di  migliorare  l'illuminazione  ;  è  questa  la  legge  naturale  del  pro- 
gresso. Allora  non  v'ha  dubbio  che  le  sole  lampade  ammessibili 
per  l'illuminazione  degli  spazi  aperti  saranno  quelle  ad  arco 
voltaico.  Io  splendore  delle  quali  è  stato  la  prima  cagione  per 
cui  si  è  pensato  alle  applicazioni  possibili  della  luce  elettrica. 
Se  nulla  di  meglio  si  sarà  inventato,  le  lampade  che  rischiare- 
ranno allora  le  strade  e  le  piazze  saranno  lampade  differenziali 
analoghe  a  quelle  che  ora  possediamo  coi  tipi  di  Brtish  e  di 
Siemens, 

Qualora  l'installazione  sia  grandiosa  ed  il  motore  dia  il  la- 
voro con  piccola  spesa,  come  succederà  se  esso  sarà  idraulico, 
l'illuminazione  ottenuta  con  tali  lampade  potrà  anche  riuscire 
economica  in  confronto  di  quella  che  si  avrebbe  quando  col  gas 
si  volesse  ottenere  la  medesima  quantità  di  luce.  Una  condizione 
però  sarà  necessaria,  la  quale  risulta  dai  confronti  numerici 
fatti  poc'anzi,  ed  è  che  si  muniscano  i  fanali  elettrici  di  riflettori, 
che  impediscano  alla  luce  di  disperdersi  in  tutte  le  direzioni. 
Questo  si  è  fatto  nelle  installazioni  di  Londra  a  cui  ho  accennato. 

Se  verrà  un  giorno  in  cui  le  strade  e  le  piazze  di  una  in- 
tera città  sieno  illuminate  nel  modo  che  io  ho  detto,  anche  le 
lampade  ad  incandescenza  troveranno  la  loro  applicazione;  esse 
serviranno  alla  illuminazione  dei  piccoli  ambienti  chiusi,  delle 


256  Parte  seconda. 


abitazioni  private,  e  ricevendo  l'energia  elettrica  da  motori 
posti  nelle  migliori  condizioni  di  economia  potranno  presentare 
quella  convenienza  economica  che  attualmente  non  possono^ 
per  questo  caso,  avere  in  nessun  modo. 

Anche  gli  accumulatori  avranno  allora  un  largo  campo  di 
applicazione;  saranno  essi  che  daranno  la  corrente  alle  lampade 
ad  incandescenza,  nelle  condizioni  migliori  pel  buon  funziona- 
mento di  queste.  Essi  potranno  caricarsi  nelle  ore  in  cui  le 
correnti  principali  non  servono  alla  illuminazione  pubblica,  e 
restituire  l'energia  accumulata  nelle  ore  volute. 

Se  finalmente  non  è  chimerico  pensare  ad  una  distribuzione 
a  domicilio  della  forza  motrice  di  pochi  grandi  motori,  fatta 
per  mezzo  della  corrente  elettrica,  questa  applicazione  dell'elet- 
tricità avrà  luogo  nelle  migliori  condizioni  di  economia  se  la  si 
farà  insieme  alla  illuminazione;  infatti  i  medesimi  motori,  le 
medesime  macchine  dinamo-elettriche,  le  medesime  gomene  con- 
duttrici che  serviranno  di  giorno  alla  distribuzione  della  forza 
motrice,  serviranno  nella  notte  alla  illuminazione. 

In  questo  modo  tutte  quante  le  grandi  applicazioni,  di  cui 
abbiamo  parlato,  si  completeranno  a  vicenda.  È  questo  un  av- 
venire soltanto  possibile;  ma  a  noi  italiani,  ai  quali  esso  per- 
metterebbe di  sostituire  in  parte  l'energia  dei  nostri  corsi  di 
acqua  a  quella  che  ora  ci  è  mandata  a  caro  prezzo,  immagazzi- 
nata nel  carbon  fossile,  dagli  stranieri,  giova  sperarlo  anche 
probabile. 


§  3.*»  Elettro -METALLURGIA. 

Osservazione  sulle  applicazioni  elettro-chimiche  in  generale.  —  Applicazione 
dell'elettrolisi  alla  purificazione  del  rame  ed  alla  separazione  dei  metalli  pre- 
ziosi: Norddtutsche  Afjintrit  di  Amburgo;  opifìzio  elettrolitico  di  Ocker.  — 
Trattamento  elettrolitico  dei  minerali  di  zinco  :  Litrangt.  —  Macchine  magneto- 
ed  elettro-cernitrici:  Chinot,  Vavtn,  Edison,  Siemens, 

42.  Le  applicazioni  chimiche  della  corrente  elettrica  non 
possono,  per  la  loro  stessa  natura,  essere  studiate  in  modo 
completo  in  una  esposizione.  L'esposizione  mostra  i  prodotti» 
ma  non  fa,  in  generale,  conoscere  i  particolari  della  operazione 
con  cui  questi  si  ottengono,  come  sono  la  composizione  quan- 
titativa dei  bagni,  le  manipolazioni  varie  e  speciali,  gli  elementi 
numerici  relativi  alle  correnti  adoperate,   ecc.,  cose   tutte,  che 


Applicazioni  dell'energia  elettrica,  257 


gli  espositori  hanno  spesso  interesse  di  tenere  segrete.  Per 
trattare  delle  applicazioni  elettro-chiniiche-industriali»  quali  si 
presentavano  alla  esposizione  di  elettricità,  noi  dovremmo 
adunque  accingerci  a  fare  una  enumerazione  di  prodotti  esposti, 
ed  a  riferire,  senza  dati  sufficienti  per  discuterle  o  controllarle, 
le  asserzioni  degli  'espositori,  cosa  che  non  corrisponderebbe 
allo  scopo  ed  all'indole  di  questa  relazione.  Tuttavia  alcune 
delle  applicazioni  che  si  sono  presentate  alla  esposizione  avreb- 
bero, qualora  fossero,  come  è  possibile,  veramente  pratiche, 
una  importanza  eccezionale,  specialmente  pel  nostro  paese  ove 
molti  minerali  vengono  esportati  in  natura  per  difetto  di  com- 
bustibile; io  debbo  dedicare  loro  un  cenno,  che  valga  a  chiamare 
su  di  esse  l'attenzione  degli  industriali  e  delle  amministrazioni. 
Sono  procedimenti  elettro-metallurgici  applicabili  su  grande  scala» 
industrialmente,  e  destinati  altri  a  purificare  e  separare  metalli 
diversi,  altri  a  ricavare  direttamente,  per  via  galvanica,  metalli 
dai  loro  minerali. 

43.  Dell'applicazione  industriale,  su  grande  scala,  della  cor- 
rente elettrica  alla  purificazione  di  metalli  ed  alla  loro  separa- 
zione, l'esempio  più  notevole  ci  è  stato  offerto  dalla  esposizione 
della  società  Norddeutsche  Affinerie  di  Amburgo. 

Gli  opifizi  di  questa  società  hanno  dal  1875  una  sezione 
elettrolitica,  l'oggetto  principale  della  quale  è  di  ricavare  rame 
chimicamente  puro,  da  rami  brutti  contenenti  da  90  a  99  per 
cento  di  rame  ed  una  quantità  di  metalli  preziosi  mescolati  ad 
ogni  sorta  d'impurità.  L'operazione  si  fa  per  via  elettrolitica  e 
consiste  in  ciò:  il  rame  impuro,  foggiato  a  grosse  lastre  viene 
appeso  come  anodo  in  una  soluzione  di  solfato  di  rame;  per 
effetto  della  corrente  il  rame  si  scioglie  e  si  depone,  puro,  sul 
catodo,  mentre  l'argento,  l'oro  e  le  impurità,  che  erano  mescolate 
con  esso,  cadono  al  fondo  della  vasca  elettrolitica,  dove  si  rac- 
colgono. 

Con  un  procedimento  modificato  l'opificio  è  riuscito  a 
scomporre  leghe  di  rame  e  di  argento,  il  cui  tenore  in  argento 
si  eleva  al  50  per  100;  egli  è  coli' applicazione  di  questo  pro- 
cedimento che  nel  1877-78  si  è  scomposto  una  grande  parte  del 
bilione  smonetato  dagli  Stati  tedeschi,  in  modo  da  ricavarne 
più  di  33000  chilogrammi  di  argento  e  23^5  chilogrammi  d'oro, 
precipitando  nel  tempo  stesso  1 15000  chilogrammi  di  rame  puro. 

Se  il  rame  contiene  una  quantità  considerevole  di  nichelio, 
questo  metallo  entra  in  soluzione  insieme  al  rame,  ma  non  è 

G.  Ferraris,  Optre,  Voi.  II.  17 


deposto  al  catodo  come  quest'ultimo;  per  conseguenza 

zrone  va  diventando  gradatamente  sempre  più   ricca  di 

di  nichelio.  Il  solfato  di   nichelio  è  poi  ricavato  dalla  soluzìor'^ 

satura  per  cristallizzazione,  e  quindi  viene  trasformato  in  solfar 

doppio  dì  nichelio    e    dì    aiTimoniaca,  composto    che  si  adope»:^ 

nella  nichelatura. 

La  produzione  del  rame  puro  s»  eleva,  attualmente,  a  chil- 
grammi   1600  per  ogni  giornata  dì  24  ore. 

La  corrente   elettrica  è  somministrata  da  sei  macchine  cz:^ 
namo-elettriche  di  Gramim   messe   in  azione  da  una  macchir"^ 
a  vapore  di  circa  40  cavalli. 

Il  rame  è  chimicamente  puro  ed   ha  una  altissima  condì»  ^ 
ti  vita;  esso  è  per  conseguenza  utile  specialmente  per  la  fabbr*^ 
cazione  dei  fili  destinati  a  condurre  le  correnti  elettriche;  ma  ess<* 
è  conveniente  eziandio  per  la  fabbricazione  delle  leghe  ramifere* 
e  per  tutte  le  apph*cazìonÌ  ove  è  richiesta  una  grande  purezza- 

A  iato  della  produzione  del  rame  la  società  Nonitieutschf 
Affmerie  ottiene  per  mezzo  di  un  procedimento  elettrolitico 
analogo  a  quella  di  cui  si  è  parlato,  messo  in  pratica  dal  1878, 
oro  assolutamente  puro,  che  si  ricava  da  leghe  d'oro  contenenti 
piombo,  argento,  rame,  e  sopratutto  platino  e  metalli  del  gruppo 
del  platino.  Questo  metodo  di  separazione  è  per  le  leghe  di  oro 
e  di  platino  il  primo  che  si  possa  designare  come  procedimento 
tecnico,  giacché  i  procedimenti  fin  qui  adoperati  non  costituì* 
scono  altro  che  applicazioni  in  grande  dei  metodi  da  laboratorio. 
Per  mezzo  dì  questo  nuovo  procedimento  si  sono  ottenuti  nel  18B0 
12000  chilogrammi  di  oro  puro,  ricavando  nel  tempo  stesso, 
quali  prodotti  secondari,  grandi  quantità  di  sali  di  platino  e  dì 
palladio.  Air  esposizione  attirarono  T  attenzione  dei  chimici  in 
special  mudo  le  verghe  d' oro  presentate,  delle  quali  il  saggio 
fatto  dal  Debray  dimostro  la  purezza  assoluta. 

Con  un  procedimento  analogo  si  separano  dall'argento  pie* 
cole  quantità  d*oro,  facendo  deporre  sul  catodo  l'argento  puro. 
Anche  questo  prodotto  era  esposto  a  Parigi,  sia  allo  stato  ori* 
ginario,  cristallino,  sia  fuso  in  verghe  dì  2  a  3  chilogrammi* 

D'accanto  alla  mostra  della  Affineria  dì  Amburgo,  delU 
quale  abbiamo  parlato,  si  notava  quella  ugualmente  importante 
delie  materie  prime  e  dei  prodotti  dell' opifizio  elettrolitico  di 
Ockèr  ( Kóftiglìch'Prcussisches  nini  Hcrzogikh'Braunschwngisches 
Ctmmiìmion  HnUenamty  Ocker).  Questa  mostra  era  fatta  dal  Mt» 
nistero  tedesco  dei  lavori  pubblici. 


Applicazioni  dellUìurgia  elettrica.  259 

L'oggetto  principale  della  fabbricazione  ù,  neiropifizio  elet- 
trolitico di  Ockcr,  quello  di  ottenere  da  rame  greggio,  contenente 
insieme  a  diverse  impurità  una  certa  quantità  di  metalli  pre- 
ziosi, argento  ed  oro,  il  rame  chimicamente  puro,  e  di  ricavarne 
intftnto  l'oro  e  l'argento. 

L' operazione   consiste,  anche    qui,  nelT  appendere   il  rame 
f?^^Sgio,  foggiato  a  grossi  lastroni,  come  anodo  in  seno  ad  una 
soluzione  di  solfato  di  rame.  Per  effetto  della  corrente  il  rame 
s'    Scioglie  ed  una  quantità  di  rame  uguale  a  quella  che  si  scioglie 
s^    depone,  chimicamente  pura,  sul  catodo.  Le  materie  che  erano 
1^^  ^Colate  col  rame  cadono    sul    fondo  del  bagno,  dove   si  rac- 
cc^lg^ono.  Da  questi    residui   si  ricavano,  quando  la  proporzione 
^^    ^    sufficiente,  l'argento  e  Toro.  L'operazione  è  nella  sostanza 
A^^l^a  stessa   che    si    fa    nelle    officine  della  "  Affìneria  di  Am- 
burgo ^,  ma  è  più  semplice  per  questo  motivo:  che  mentre  l'opi- 
ft'-tìo  di  Amburgo    lavora   rami  greggi   in   composizioni  diverse, 
^^  è  perciò  nei  diversi  casi  obbligato  a  modificare  le  manipola- 
zioni, nello  stabilimento  di  Ockcr  invece  si  lavora  rame  grejj^gio 
<ìi  una  sola  provenienza   e   quindi    di  composizione  assai  meno 
variabile,  che  può  essere   trattato    sempre  nella  medesima  ma- 
niera. La  proporzione  media  del  rame  greggio  adoperato  come 
anodo  è  la  seguente: 

Rame 0,9900 

Argento  ed  oro 0,0015 

Antimonio 0*0035 

Arsenico,    bismuto,    piombe^    ferro,    zinco,   cobalto, 

nichelio  ed  altre  sostan/o 0,0050 

Totale     1 ,0000 


Il  residuo  argentifero  della  ojìL-razione  ù  una  jìolvirf  bruna 
contenente  il  io  per  100  di  argento  più  una  (|uaiìtiià  niiuorc  e 
variabile  di  oro. 

L'importanza  di  tale  esposizione  risulta  sojìratutto  dalla 
grandezza  della  produzione  di  questa  industria  elettrolitica.  La 
produzione  annua  di  rame  puro  e  di  500000  chilogrammi. 

44.  Ho  detto  che,  oltre  a  questi  risultati  dell' elettrolisi 
applicata  alla  purificazione  ed  alla  se])arazione  dei  metalli,  la 
esposizione  presentava  saggi  di  prucetlinicnti  veramente  metal- 
lurgici, destinati  a  ricavane  j)er  via  galvanica,  direttamente, 
nietalli  dai  loro  minerali.  Uno  di  questi  procedimenti  metallurgici 


26o  Parte  seconda. 


potrebbe  avere,  od  acquistare  nell'avvenire,  una  importanza 
tutta  speciale  pel  nostro  paese;  quindi  fra  tutte  le  applicazioni 
elettro-chimiche  che  hanno  figurato  all'esposizione  esso  è  quello 
che  deve  maggiormente  attirare  la  nostra  attenzione.  Io  intendo 
di  parlare  di  un  procedimento  elettrolitico  per  la  fabbricazione 
dello  zinco. 

Noi  abbiamo  nella  Sardegna  abbondanti  giacimenti  di  mine- 
rali zinciferi  (a  Malfìdano,  a  Planu  Sartu  nel  Salto  Gessa,  a 
Monteponi,  ecc.),  ed  altri  giacimenti  di  minerali  di  zinco,  benché 
di  gran  lunga  meno  importanti,  abbiamo  nelle  dolomie  dei  monti 
lombardi.  Tuttavia  l'industria  della  produzione  e  della  lavora- 
zione dello  zinco  non  esiste  affatto  in  Italia;  e  la  ragione  di 
questo  fatto  sta  nel  grande  consumo  di  carbone  necessario  per 
ricavare  dai  minerali  lo  zinco  metallico.  Questa  circostanza  fa  sì 
che  la  sola  cosa  conveniente  sia  per  noi  la  spedizione  del  mi- 
nerale all'estero;  e  l'esportazione  delle  calamine  della  Sardegna 
ha  acquistato  una  certa  importanza  dopo  l'esaurimento  delle 
miniere  zincifere  del  nord  dell'Europa.  Oggidì  il  minerale  di 
zinco  composto  essenzialmente  di  calamina  e  di  piccole  quantità 
di  blenda,  il  quale  si  esporta  dall'Italia  per  essere  trattato  nelle 
fabbriche  di  Liège,  di  Stolberg,  di  Swansed,  ed  in  alcune  ma- 
nifatture francesi,  ascende  annualmente,  in  media,  al  valore  di 
oltre  quattro  milioni  di  lire;  ma  egli  è  probabile  che  la  colti- 
vazione delle  nostre  miniere  di  zinco  si  farebbe  assai  più  attiva 
quando  fosse  possibile  trattare  il  minerale  sul  luogo. 

Ora  i  saggi  di  trattamento  elettrolitico  dei  minerali  di  zinco^ 
che  si  sono  presentati  alla  esposizione  elettrica  di  Parigi,  fanno 
sperare  che,  se  non  attualmente,  almeno  in  un  prossimo  avve- 
nire, la  fabbricazione  di  questo  metallo  possa,  col  sussidio  della 
corrente  elettrica,  diventare  rimunerativa  anche  nel  nostro  paese. 
Questi  saggi  figuravano  nella  sezione  francese  fra  le  collezioni 
di  prodotti  metallurgici  presentati  da  Z.  Létrange  e  C*  dì  Parigi. 

L'idea  di. far  servire  la  corrente  elettrica  al  trattamento  dei 
minerali  di  zinco  non  è  nuova;  questa  volta  però  essa  è  pre- 
sentata sotto  forma  più  semplice  ed  è  concretata  in  un  proce- 
dimento che  offre  maggiore  apparenza  di  essere,  o  di  poter 
diventare  pratico  ed  economico.  Uno  dei  procedimenti  già  pro- 
posti consisteva  nel  trattare  il  minerale  con  acido  cloridrico 
per  trasformarlo  in  cloruro  idrato  neutro  molto  concentrato.  Il 
liquido  veniva  poi  sottoposto  alla  azione  di  una  corrente  elet- 
trica, per  cui  lo  zinco  si  deponeva  allo  stato  metallico  e  puro. 


Applicazioni  dell'energia  elettrica.  zói 

In  questo  procedimento,  acciocché  lo  zinco  deposto  non.  fosse 
mescolato  con  ferro,  si  era  costretti  a  precipitare  quest'ultimo 
allo  stato  di  perossido  idrato  per  mezzo  di  un  ossidante  ener- 
gico, come  cloro  od  acido  nitrico.  Sull'elettrodo  positivo,  formato 
di  carbone  di  storta,  si  sviluppava  gas  cloro  che  veniva  rac- 
colto ed  impiegato  per  la  fabbricazione  del  cloruro  di  calcio. 
Ma  siccome  la  blenda  non  è  solubile  nell'acido  cloridrico,  questo 
procedimento  non  si  sarebbe  applicato  che  alla  calamina.  Per 
rendere  il  procedimento  elettrolitico  applicabile  a  tutti  i  minerali 
zinciferi  altri  aveva  proposto  di  sciogliere  il  minerale  nell'acido 
azotico;  ma  in  questo  caso  si  sarebbe  deposto  dell'ossido,  e 
r  impiego  di  materie  organiche,  come  glicerina,  glucosio,  ecc., 
per  impedire  questo  deposito  avrebbe  aumentato  notevolmente 
le  spese  di  trattamento.  A  differenza  di  questo  metodo  e  dei 
somiglianti  già  noti,  il  procedimento  che  ora  viene  presentato 
dal  Lélrange  non  richiede  il  consumo  di  alcun  acido  proveniente 
da  altre  industrie;  in  esso  si  impiega,  per  trasformare  il  minerale 
dì  zinco  in  sale  solubile  e  trattabile  colla  elettrolisi,  l'acido  sol- 
forico prodotto  per  mezzo  dello  zolfo  contenuto  nella  blenda 
medesima. 

Il  minerale,  composto  di  una  mescolanza  di  blenda  e  di  ca- 
lamina viene  innanzitutto  sottoposto  ad  un  arrostimento,  il  quale 
dev'essere  eseguito  ad  una  temperatura  moderata  onde  facilitare 
la  formazione  della  massima  quantità  possibile  di  solfato  di 
zinco.  L'anidride  solforosa,  che  si  sviluppa  durante  l'arrostimento,* 
viene  trattata  con  un  metodo  del  quale  è  a  lamentare  che  l'espo- 
sitore non  abbia  dato  tutti  i  particolari,  ma  che  è  analogo  a 
quello  adoperato  nell'ordinario  procedimento  per  la  fabbricazione 
dell'acido  solforico.  Quest'ultimo  serve  poi  alla  dissoluzione 
della  calamina  ed  alla  solfatazione  dei  minerali  già  calcinati,  ma 
incompletamente  trasformati. 

Allorché  il  minerale  é  trasformato  in  solfato,  lo  si  dispone 
in  grandi  bacini  nei  quali  si  fa  arrivare  una  corrente  d'acqua 
destinata  a  scioglierlo.  Il  liquido  quindi  passa  lentamente  in 
una  nuova  serie  di  bacini  ove   viene  sottoposto  alla  elettrolisi. 

La  soluzione  di  solfato  di  zinco  destinata  ad  essere  elettro- 
lizzata arriva  nei  truogoli  elettrolitici  dal  basso,  e  sale  lenta- 
mente nei  truogoli  di  mano  in  mano  che  l'elettrolisi  procede, 
e  che  in  grazia  di  questa  il  liquido  va  impoverendosi  di  solfato 
di  zinco  ed  aiTicchendosi  di  acido  solforico.  In  questo  modo 
l'acido  solforico  prodotto  dalla  decomposizione  galvanica  viene 


202  Parte  seconda. 


a  portarsi  alla  parte  superiore  dei  bacini,  e  di  qui  esso  si  versa 
in  altri  bacini,  dove  stanno  minerali  da  sciogliere. 

Per  tal  guisa  si  stabilisce  una  circolazione  continua;  per 
mezzo  di  una  differenza  di  livello  tra  le  vasche  e  di  un  piccolo 
lavoro  meccanico  applicato  in  un  punto  del  circuito,  la  corrente 
liquida,  che  sì  può  regolare  a  piacimento,  percorre  i  bacini  di 
dissoluzione  ove  il  suo  acido  solforico  trasforma  in  solfato  lo 
zinco  contenuto  nel  minerale;  poi  attraversa  i  truogoli  elettro- 
litici ove,  per  effetto  della  corrente  elettrica,  depone  Io  zinco  e 
ridiventa  acida  ed  atta  a  ricominciare  le  medesime  operazioni. 
Tuttavia  il  medesimo  liquido  non  può  servire  indefinitamente, 
perchè  i  minerali  da  sciogliersi  contengono  altri  metalli,  che 
si  appropriano  una  parte  dell'acido  solforico  e  non  la  restitui- 
scono nell'elettrolisi. 

L' elettrodo  negativo  è  costituito,  in  questo  processo,  da 
una  lastrina  sottile  di  zinco,  la  quale  nell'  operazione  sì  va  in- 
grossando in  causa  dello  zinco  che  vi  si  depone  sopra:  l'elet- 
trodo positivo  è  invece  una  lastra  di  piombo.  Su  questa  lastra 
il  ferro  contenuto  nella  soluzione  si  depone  allo  stato  di  pe- 
rossido, il  quale  poi  si  distacca  e  cade  al  fondo  delle  vasche. 
Il  piombo,  l'argento  e  gli  altri  metalli  insolubili  nell'acido  sol- 
forico rimangono  nel  residuo,  ove  possono  essere  raccolti. 

La  corrente  elettrica  necessaria  per  queste  operazioni  deve 
essere  prodotta  da  macchine  dinamo-elettriche  attivate  da  motori 
'idraulici;  è  questa  la  condizione  della  massima  economia,  ed  è 
questo  il  progetto  del  Lctrange,  Gli  studi  di  questo  inventore 
hanno  infatti  essenzialmente  lo  scopo  di  rendere  possibile  la 
fabbricazione  dello  zinco  sul  luogo,  alla  miniera,  cosa  che  at- 
tualmente non  è,  perchè  le  miniere  di  zinco  attualmente  in 
esercizio  sono,  per  lo  più,  lontane  dai  centri  litantraciferi. 

Tuttavia  l' inventore  asserisce  che  anche  nel  caso  in  cui 
si  fosse  obbligati  ad  impiegare  una  macchina  a  vapore,  la  spesa 
di  carbone  sarebbe,  per  loo  chilogrammi  di  zinco  prodotto, 
circa  quella  che  essa  è,  col  procedimento  ordinario;  per  cento 
chilogrammi  di  minerale  da  trattare.  Si  avrebbe  quindi  ancora 
una  economia  considerevole,  e  tale  da  permettere  in  alcune 
circostanze  di  trattare  il  minerale  presso  la  miniera.  Il  Létrangc 
indica  inoltre  una  grande  economia  nell'  installazione  del  pro- 
cesso. Col  metodo  attuale  un  opifìzio  capace  dì  produrre  un 
milione  di  chilogrammi  di  zinco  all'  anno  importa  una  spesa  di 
impianto  di  circa  un  milione.  Il  nuovo  procedimento  non  richie- 


Applicazioni  dell'energia  elettrica.  263 

derebbe,  al  contrario,  per  la  medesima  produzione,  più  di  due 
a  trecento  cavalli  di  forza  motrice,  una  quantità  corrispondente 
di  macchine  dinamoelettriche  ed  un  certo  numero  di  bacini 
per  la  soluzione  e  per  1*  elettrolisi.  La  spesa  necessaria  per 
r  installazione  di  questo  materiale  non  si  eleverebbe  a  più  di 
cinquecentomila  lire. 

II  trattamento  elettrolitico  dei  minerali  di  zinco,  di  cui  ab- 
biamo parlato,  non  è  finora  stato  applicato  in  alcuna  maniera, 
ma  è  stato  l'oggetto  di  qualche  esperienza  industriale.  Il  Le- 
trange  lo  applicò,  a  titolo  di  prova,  durante  tre  mesi,  nella  sua 
officina  di  Romilly  pel  ricupero  dello  zinco  dai  residui  della 
fabbricazione  dell'ottone.  Inoltre  da  parecchi  mesi  egli  si  occupa 
di  esperienze  pel  trattamento  degli  ossidi  di  zinco  provenienti 
dalla  ri  fondita  del  metallo.  Giova  sperare  che  questi  studi  pos- 
sano condurre  alla  realizzazione  pratica  di  un  progetto  che 
pres'enta  per  noi  uno  speciale  interesse;  a  noi  anzi  sorride  la 
speranza  che  il  metodo  del  Létrange  possa  essere  il  punto  di 
partenza  per  ricerche  ulteriori  e  diventare  in  un  prossimo  av- 
venire la  base  di  un  procedimento  metallurgico  più  generale, 
applicabile  anche  ad  altri  metalli. 

45.  Un  problema,  che  si  collega  colle  applicazioni  dell'  elet- 
tricità alla  metallurgia,  è  quello  della  separazione  di  sostanze 
non  magnetiche  operata  per  mezzo  di  calamite  permanenti  o 
temporarie. 

L'idea  della  cernita  magnetica  od  elettro-magnetica  non  è 
nuova.  Sì  sa  che  fin  dal  1852  il  Chénot  ha  ideato  ed  ha  fatto 
costnirre  dal  meccanico  Froment  una  elettro-cernitrice  (électro- 
trieuse)  destinata  a  servire  di  appendice  al  suo  procedimento 
siderurgico,  nel  quale  essa  doveva  separare  il  ferro  spugnoso 
ridotto  dalle  scorie  con  esso  mescolate. 

L'apparecchio  dello  Chénot  consiste  in  una  ruota  girante 
lentamente  attorno  ad  un  albero  orizzontale,  e  portante  su  tutta 
la  periferia  tre  corone  di  elettro-magneti  diritte  disposte  radial- 
mente. I  fili  di  queste  elettro-calamite  sono  collegate  con  un 
commutatore  portato  dall'albero  medesimo  della  ruota,  il  quale 
è  cosi  combinato,  che  la  corrente  elettrica,  che  arriva  da  una  pila 
di  due  elementi  Bunsen,  viene  in  ogni  istante  mandata  nelle 
tre  elettro-magneti  che  nell'istante  medesimo  stanno  per  passare 
nella  posizione  più  bassa,  e  soltanto  in  quelle;  le  elettro-magneti 
diventano  per  tal  modo  attive  soltanto  un  momento  prima  di 
arrivare  nella  posizione  più  bassa,  e  durano  attive  soltanto  per 


264  Parte  seconda. 


un  certo  angolo  al  di  là  di  questa  posizione,  oltrepassato  il 
quale  la  corrente  è  interrotta  nelle  loro  spirali,  ed  esse  diventano 
inerti.  Al  disotto  della  ruota  delle  elettro-magneti  è  situata  una 
tela  continua  che,  portata  da  rulli,  cammina  lentamente  in  di- 
rezione parallela  all'asse  della  ruota,  passando  così  sotto  le  tre 
elettro-magneti  attive,  che  stanno  appunto  sulla  generatrice  più 
bassa;  la  distanza  fra  la  tela  e  le  estremità  polari  delle  elettro- 
magneti si  può  regolare  secondo  il  bisogno;  la  tela  poi  invece 
di  essere  orizzontale  si  muove  alquanto  in  salita,  così  da  avvi- 
cinarsi alle  elettro-magneti  di  mano  in  mano  che  essa  si  avanza. 
Una  tramoggia  versa  sulla  tela,  da  una  parte,  la  mescolanza  su 
cui  si  vuole  fare  la  cernita,  preventivamente  triturata  e  ridotta 
in  granelli  del  diametro  di  0,5  a  2  millimetri;  la  tela  si  copre 
così  di  uno  straterello  di  questa  mescolanza  e  lo  porta  con  sé 
lentamente  al  disotto  della  ruota  delle  magneti.  Le  elettro-ma- 
gneti, che,  come  si  disse,  quando  sono  in  vicinanza  della  tela 
continua  diventano  attive,  attraggono  le  parti  magnetiche  delia 
mescolanza,  le  trasportano  con  sé  per  tutto  quell'angolo  per 
cui  rimangono  attive,  e  le  mettono  così  fuori  della  tela,  sopra 
ad  un  piano  inclinato  di  scarica.  Allora  la  corrente  che  attirava 
le  elettro-magneti  è  interrotta  dal  commutatore;  le  elettro-ma- 
gneti diventano  inattive,  e  le  materie  magnetiche,  che  aderivano 
ai  loro  poli,  si  distaccano,  e  cadono  sul  piano  inclinato,  che  le 
guida  al  sito  loro  destinato.  Intanto  le  materie  non  magnetiche, 
trasportate  dalla  tela  continua,  vanno  a  cadere  in  una  seconda 
tramoggia  di  scarico.  In  un  altro  sistema,  pure  immaginato  dal 
Chénot  la  separazione  è  operata  da  elettro-calamite  sempre  at- 
tive, ed  il  distacco  delle  materie  magnetiche  è  fatto  da  spazzole. 
È  noto  pure  come  in  quel  tempo  (nel  1854)  l' ingegnere 
Quintino  Sella  ideasse  pel  cav.  Ricardi  di  Neiro  un  apparecchio 
analogo  a  quello  del  Chénot^  destinato  a  servire  nella  miniera 
di  Traversella  a  separare  l'ossido  magnetico  di  ferro  dalla  cal- 
copirite; e  come,  dopo  alcuni  esperimenti  fatti  con  un  piccolo 
modello  di  prova,  egli  facesse  costruire  dal  Frontent  apparecchi 
più  grandi,  definitivi,  i  quali  non  solo  funzionano  tuttavia,  ma 
costituiscono  oggidì  la  parte  più  importante  di  quella  officina 
metallurgica.  Nell'officina  di  Traversella  si  hanno  quattro  elettro- 
cernitrici  con  ruota  ad  elettro-magneti  e  con  tela  continua  ana- 
loghe a  quelle  del  Chénot,  e  differenti  da  queste  soltanto  per 
alcuni  particolari  del  commutatore  e  delle  trasmissioni  del  moto. 
I  quattro  apparecchi  sono   posti  su   di  una  medesima  linea,  e 


Applicazioni  dell'energia  elettrica,  265 

riuniti  in  catena  per  mezzo  di  norie  e  di  piani  inclinati,  per 
modo  che  la  magnetite  esportata  dalla  prima  macchina  è  tra- 
smessa alla  seconda,  dove  abbandona  una  parte  della  calcopirite 
stata  attratta  meccanicamente,  insieme  al  minerale  di  ferro  della 
prima;  dalla  seconda  macchina  la  magnetite  passa  alla  terza,  e 
da  questa  alla  quarta,  abbandonando,  ad  ogni  volta,  sulla  tela 
una  certa  quantità  di  calcopirite. 

È  noto  finalmente  come  20  anni  più  tardi  il  Vavin  costruisse 
un  separatore  magnetico  destinato  specialmente  a  sceverare, 
nelle  officine  meccaniche,  la  limatura  ed  i  trucioli  di  ferro  e 
di  ghisa  da  quelli  di  altri  metalli.  In  questo  separatore  la  cernita 
era  fatta  da  calamite  permanenti  d' acciaio,  dalle  quali  i  corpi 
magnetici  attratti  venivano  distaccati  con  spazzole  giranti. 

L*idea,  ripeto,  non  è  nuova;  ma  l'esposizione  di  elettricità 
è  venuta  a  confermare  che  nella  pratica  essa  è  veramente  riu- 
scita; alla  mostra  di  Parigi  infatti  figuravano  alcuni  apparecchi 
cernitori,  di  uso  pratico,  dimostranti  che  V  impiego  del  magne- 
tismo nella  cernita  dei  metalli  e  dei  minerali,  lungi  dall'essere 
oggidì  abbandonato,  va  estendendosi  ed  acquistando  impor- 
tanza. 

L'esposizione  presentava  quattro  cernitrici  diverse:  una  di 
Vavin,  una  di  Edison,  una  di  Siemens  ed  una  di  un  Chénot  ainé. 

Tralasciando  quest'ultima,  che  non  è  che  un  diminutivo  di 
quella  di  cui  abbiamo  parlato  poc'  anzi,  faremo  un  cenno  delle 
altre  tre. 

L'apparecchio  del  Vavin,  che  figurava  nella  sezione  francese, 
funziona,  come  si  è  detto,  per  mezzo  di  sole  calamite  perma- 
nenti, ma  è  disposto  in  modo  da  effettuare,  in  piccolo  spazio, 
l'operazione  meccanicamente,  ed  in  grande  misura.  Esso  è  com- 
posto di  due  cilindri  muniti  di  calamite,  su  cui  si  fa  cadere  e 
si  distribuisce  per  mezzo  di  una  tramoggia  la  limatura  o  la 
mescolanza  di  minerali  che  si  vogliono  classificare,  e  di  due 
sistemi  di  spazzole  giranti,  le  quali  distaccano  dalle  calamite, 
e  fanno  cadere  i  corpi  magnetici  che  rimangono  aderenti  alle 
medesime.  I  cilindri  sono  di  bronzo,  e  portano  sulla  superficie 
convessa,  spoi^enti,  il  primo  quattro  ed  il  secondo  cinque  anelli 
di  ferro  dolce,  tenuti  con  viti  e  messi  in  comunicazione  con 
potenti  calamite  a  ferro  di  cavallo  disposte  radialmente  nell'in- 
terno dei  cilindri.  Gli  anelli  di  ferro  sono  scanalati  per  presentare 
maggior  superficie;  le  calamite  sono  unite  a  ciascun  anello  coi 
poli  del  medesimo  nome,  talché  ciascun  anello  rappresenta  un 


266  Parte  seconda. 


polo.  La  distanza  fra  due  anelli  consecutivi  di  un  medesimo 
cilindro  è  di  tre  soli  centimetri,  e  gli  anelli  di  un  cilindro  sono 
alternati  con  quelli  dell'altro,  in  modo  che  nessuna  particella 
magnetica,  che  si  trovi  sulla  superficie  dei  cilindri,  può  sfuggire 
all'azione  magnetica.  L'apparecchio  è  ben  costrutto  e  poco  vo- 
luminoso (0,80  X  0,80  j<  1,60);  può  essere  mosso  a  mano  o  col 
vapore,  e  può  trattare  non  meno  di  2000  chilogrammi  di  limatura 
al  giorno.  Il  Vavin  applica  eziandio  la  sua  macchina  alla  cernita 
dei  minerali,  e  pare  che  i  risultati  sieno  soddisfacenti. 

L'apparecchio  cernitore  di  Edison^  al  quale  l'inventore  diede 
il  nome  di  Separatore  magnetico,  è  principalmente  appropriato 
alla  separazione  di  materie  allo  stato  di  polvere  minuta,  ed  è 
notevole  per  la  semplicità  della  sua  costruzione.  In  esso  si  ha 
una  elettro-calamita,  la  quale  agisce  a  distanza  sopra  la  polvere 
che  cade,  sotto  forma  di  un  velo,  da  una  tramoggia,  ed  ha  per 
effetto  di  far  deviare  dalla  verticale  le  particelle  magnetiche, 
separandole  in  questo  modo  dalle  non  magnetiche  che  discendono 
verticalmente.  L'  apparecchio  si  riduce  ad  una  tramoggia  pris- 
matica al  fondo  della  quale  una  serie  di  aperture  di  cui  si  può 
far  variare  a  piacimento  la  larghezza,  lascia  cadere  sotto  forma 
di  un  velo  verticale  di  piccola  grossezza  la  polvere  minuta  che 
si  vuole  classificare.  Alquanto  al  disotto  della  tramoggia,  a  lato 
del  velo  di  polvere  che  discende  da  essa,  è  collocata  una  grossa 
elettro-calamita  a  ferro  di  cavallo  con  braccia  appiattite,  oriz- 
zontali, e  larghe  quanto  il  velo.  Le  estremità  polari  di  questa 
elettro-magnete  si  possono,  trasportando  con  apposito  volantino 
tutta  r  elettro-magnete,  avvicinare  più  o  meno  al  velo  della 
polvere  che  cade.  Quando  l'elettro-magnete  è  attiva,  l'attrazione 
che  essa  esercita  sulle  particelle  magnetiche  esistenti  nella  pol- 
vere, le  fa  deviare  dalla  verticale,  così  il  velo  polveroso  si  di- 
vide in  due,  l' uno  piano  e  verticale  composto  delle  parti  non 
magnetiche,  l'altro,  deviato  verso  l'elettro-magnete,  composto  delle 
parti  magnetiche.  I  due  getti  si  trovano  separati  abbastanza  per 
poterli  raccogliere  in  due  casse  diverse.  Si  dice,  che  questo  ap- 
parecchio sia  oggidì  assai  adoperato  in  America,  e,  come  vedesi, 
esso  non  potrebbe  essere  più  semplice.  La  circostanza  però,  che 
l'elettro-magnete  agisce  a  distanza,  fa  credere  che  il  separatore 
magnetico  di  Edison  sia  specialmente  adatto  al  trattamento  di 
non  grandi  quantità  di  materie.  È  probabile  inoltre  che  esso 
non  possa  funzionare  lodevolmente  quando  le  sostanze  da  se- 
parare sono  in  pezzi  alquanto  grossi. 


Applicazioni  delV energia  elettrica.  267 

È  invece  una  macchina  veramente  industriale,  atta  a  trat- 
tare grandissime  quantità  di  materie,  e  applicabile  anche  quando 
le  sostanze  da  separarsi  sono  minerali  debolmente  magnetici 
e  sono  ridotti  in  pezzi  non  molto  minuti,  una  macchina  vera- 
mente adatta  ai  lavori  delle  miniere,  l'elettro-cernitrice  del  dot- 
tore Werner  Siemens,  Per  la  piccolezza  delle  dimensioni,  per 
la  potenza,  per  la  robustezza,  essa  è  la  migliore  di  tutte  le 
elettro-cernitrici  finora  conosciute,  e  forse  la  sua  disposizione 
è  fra  tutte  le  immaginabili  la  più  razionale. 

Questa  macchina  era  esposta  dalla  fabbrica  Siemens  e 
Halske  nella  sezione  tedesca.  Essa  è  costituita  da  un  cilindro 
della  lunghezza  di  un  metro  a  un  metro  e  mezzo,  il  quale  gira 
attorno  al  suo  asse,  collocato  in  posizione  inclinata  con  un  an- 
golo di  circa  25°  coli'  orizzonte.  Il  cilindro  è  cavo  ed  aperto 
alle  due  estremità  :  all'  estremità  superiore  esso  riceve  da  una 
tramoggia  la  mescolanza  dei  minerali  che  si  vogliono  sceverare; 
dall'estremità  inferiore  escono  in  due  correnti  separate  la  parte 
non  magnetica  e  la  parte  magnetica  delia  medesima.  La  parte 
non  magnetica  cade  liberamente  dalla  estremità  aperta  del  ci- 
lindro rotante,  di  cui  occupa  sempre  la  porzione  inferiore;  la 
parte  magnetica  invece  vien  fuori  da  un  canale  di  lastra  di  ot- 
tone, fisso,  che  avviluppa  l'albero,  e  nel  quale  gira  coli' albero 
una  vite  di  Archimede.  Ora  ecco  come  il  cilindro  è  formato  e 
come  in  esso  avviene  la  separazione  del  minerale. 

Il  cilindro  è  formato  di  molti  anelli  piatti,  o  meglio  di  molte 
corone  circolari  di  lastra  di  ferro  dolce,  tutte  uguali,  poste  in 
altrettanti  piani  perpendicolari  all'asse,  coi  centri  su  questo,  ed 
ugualmente  spaziate.  Verso  l'interno,  stanno  tra  le  successive 
corone  circolari  di  ferro  anelli  di  ottone  o  di  rame,  talché  l'in- 
sieme costituisce  un  tubo  cilindrico  continuo  a  superficie  interna 
perfettamente  liscia;  questa  superficie  interna  continua  e  liscia 
è  per  tal  modo  formata  di  tante  porzioni  uguali  alternativamente 
di  ferro  e  di  ottone.  Essendo  gli  anelli  di  ottone  assai  più  stretti 
delle  corone  circolari  di  ferro,  rimangono  al  di  fuori  degli  anelli 
di  ottone,  tra  le  successive  corone  circolari  di  ferro,  spazi  anulari 
liberi:  in  questi  spazi  sono  avvolte  altrettante  spirali  di  filo  di 
rame  isolato.  Queste  spirali  sono  congiunte  tra  loro,  capo  a 
capo,  in  tal  modo  che,  mettendo  le  estremità  libere  della  prima 
e  dell'ultima  in  comunicazione  coi  poli  di  una  pila  o  di  una 
macchina  dinamo-elettrica,  la  corrente  circoli  nelle  successive 
spirali  alternativamente  in  un  verso  e  nel  verso  opposto.  Quando 


268  Parie  seconda. 


passa  la  corrente  ciascuna  corona  circolare  di  ferro  si  magne- 
tizza, presenta  un  polo  sulla  circonferenza  interna  ed  il  polo 
opposto  sull'esterna;  i  poli  magnetici  che  cosi  si  formano  sugli 
orli  interni  degli  anelli  di  ferro  sono  alternati.  All'esterno  tutte 
le  periferie  degli  anelli  di  ferro  sono  collegate  insieme  da  tante 
spranghe  piatte  di  ferro  dolce,  che  mentre  chiudono  e  proteg- 
gono tutto  l'apparecchio,  rinforzano  il  magnetismo  sugli  orli 
interni  degli  anelli  di  ferro  funzionando  come  le  traverse  di 
elettro-calamite  a  ferro  di  cavallo.  In  grazia  di  questa  ingegnosa 
disposizione  la  superficie  interna  del  cilindro  cavo  girante  riesce 
formata  da  tanti  poli  magnetici  alternati,  separati  da  piccoli 
spazi  occupati  da  metallo  non  magnetico. 

La  mescolanza  dei  minerali  da  sceverare,  la  quale  entra  nel 
cilindro  dalla  parte  superiore,  obbligata  come  è  dalla  rotazione 
del  cilindro  medesimo  a  rimescolarsi  ed  a  venire  a  contatto 
con  tutti  i  punti  della  sua  superficie,  lascia  aderenti  a  questa 
tutte  le  parti  magnetiche,  e  quando  arriva  alla  estremità  infe- 
riore del  cilindro  essa  è  privata  di  tutti  i  corpi  magnetici  che 
conteneva  :  quello  che  cade  dall'  estremità  inferiore,  aperta,  del 
cilindro  rotante  è  adunque  la  sola  parte  non  magnetica  della 
mescolanza. 

I  pezzetti  magnetici  che,  attratti  dalle  calamite  anulari  ri- 
mangono aderenti  alla  parete  del  cilindro  rotante,  sono  trasci- 
nati in  giro  da  questo.  Ma  quando  arrivano  nel  punto  più  alto 
del  giro,  ne  vengono  distaccati  e  cadono  nel  canale  fisso  di 
lastra  d'ottone  che  si  è  detto  essere  situato  attorno  all'albero 
del  sistema.  A  quest'uopo  questo  canale  è  aperto  superiormente 
su  tutta  la  lunghezza^  e  la  lastra  di  ottone  che  lo  forma  è  pro- 
lungata su  uno  dei  lembi  fino  a  toccare  la  superficie  del  grande 
cilindro  rotante.  Questo  lembo  prolungato,  che  è  fisso,  fa,  mentre 
il  cilindro  gira,  l' uffizio  di  un  raschiatoio  :  esso  distacca  dalla 
parete  del  cilindro  tutte  le  particelle  di  minerale  che  vi  sono 
aderenti,  e  le  fa  cadere  nel  canale  di  ottone  ad  esse  destinato. 
Dentro  a  questo  canale  gira  coll'albero  una  vite  di  Archimede, 
la  quale  obbliga  il  minerale  a  camminare  verso  la  estremità  più 
bassa,  da  cui  esce. 

In  tal  guisa  la  separazione  dei  minerali  si  fa  in  modo  con- 
tinuo :  la  porzione  non  magnetica  occupa  costantemente  la  parte 
più  bassa  del  cilindro  rotante  e  percorre  lentamente  tutta  la 
lunghezza  di  questo,  pel  proprio  pesò;  la  porzione  magnetica 
invece  è  portata  in   alto  dalla   parete  del   cilindro  che  la  tiene 


Applicazioni  deWenergia  elettrica.  269 


aderente  a  sé,  e  là  è  distaccata  dal  raschiatoio  fisso  che  la  fa 
cadere  nel  canale  interno,  da  cui  esce  per  effetto  della  vite 
d'Archimede, 

Le  condizioni  migliori  per  una  cernita  rapida  ■  e  completa 
sono  in  questo  apparecchio  evidentemente  soddisfatte:  infatti 
il  movimento  rotatorio  del  cilindro  obbliga  tutte  le  particelle 
del  minerale  a  venire  a  contatto  colla  parete  magnetizzata;  le 
elettro-magneti  poi,  agendo  sempre  su  corpi  a  contatto,  sono 
nelle  migliori  condizioni  per  trattenerli  anche  quando  questi 
sono  debolmente  magnetici;  Tessere  finalmente  alternati  e  vicini 
i  poli  magnetici  aiuta  l'attrazione. 

Una  particolarità  degna  di  nota  è  questa,  che  le  spirali 
magnetizzanti  avvolte  fra  gli  anelli  di  ferro,  di  cui  è  composto 
il  cilindro,  non  sono  dappertutto  in  ugual  numero;  poco  nu- 
merose in  alto,  sono  numerosissime  in  vicinanza  dell'estremità 
inferiore.  Con  ciò  si  ottiene  che  in  principio,  dove  le  sostanze 
magnetiche  sono  abbondanti,  l'attrazione  sia  più  debole,  ed  il 
canale  non  venga  ingombrato;  che  invece  si  abbia  una  attra- 
zione più  energica  in  basso,  dove  il  minerale  è  diventato  povero 
di  materie  magnetiche.  È  questa  una  condizione  necessaria,  per 
utilizzare  bene  tutta  la  superficie.     ' 

n  dottor  Werner  Siemens  compose  la  macchina  che  abbiamo 
descritto  per  una  società  belga,  che  coltiva  in  Ispagna  una  mi- 
niera di  zinco.  Il  minerale  è  in  quella  miniera  una  calamina 
mescolata  a  grandi  quantità  di  minerali  di  ferro,  che  non  si 
era  riuscito  a  sceverare  con  nessun  altro  trattamento,  e  che 
portati  colla  calamina  nei  forni  di  distillazione  davano  luogo  ad 
un  consumo  grandissimo  di  combustibile.  Colla  macchina  cer- 
nitrice  del  Siemens  la  separazione  del  minerale  di  ferro  dalle 
calamine  si  fa  in  modo  completo.  Una  sola  macchina  basta  al 
trattamento  di  20  tonnellate  di  minerale  al  giorno.  Io  non  credo 
che  si  possa  sperare  di  più  ed  ho  per  questo  il  dovere  di  se- 
gnalare la  macchina  ai  nostri  industriali. 


SUI  LAVORI  DELLA  PRIMA  SESSIONE 

DELLA 

CONFERENZA  INTERNAZIONALE 
DI  ELETTRICITÀ 

CONVOCATA   IN   PaRIGI   NELL'OTTOBRE    1882. 


A    S.    E.    DOMENICO    BERTI 

MINISTRO   d'agricoltura,   INDUSTRIA   E   COMMERCIO 


Affidandomi  l'onorifica  missione  di  rappresentare  il  Ministero 
italiano  di  agricoltura,  industria  e  commercio,  alla  conferenza 
internazionale  di  elettricità  convocata  in  Parigi  nella  seconda 
metà  dell'ora  trascorso  mese  di  ottobre,  1!£.  V.  mi  chiedeva  una 
relazione  sul  risultato  dei  lavori  della  conferenza  medesima. 

Rispondo  oggi  a  questo  invito,  e  ciò  facendo,  adempio  al 
più  urgente  dei  doveri  che  mi  sono  imposti  dal  mio  mandato. 
Infatti,  in  questa  sua  prima  sessione,  il  comitato  internazionale 
non  poteva  fare,  e  non  fece  altro,  che  un  lavoro  preparatorio, 
lasciando,  prima  di  riunirsi  nuovamente,  ai  sìngoli  delegati  il 
compito  di  tentare,  ciascuno  nel  proprio  laboratorio,  le  ricerche 
scientifiche  sperimentali,  necessarie  alla  soluzione  delle  quistioni 
che  gli  erano  proposte;  ed  esprimendo  il  voto  che  i  governi 
delle  nazioni  in  esso  rappresentate  incoraggiassero,  ciascuno 
fra  i  propri  nazionali,  tali  ricerche.  Il  primo  mio  dovere  è 
adunque  di  esporre  lo  stato  attuale  delle  questioni  proposte 
alla  conferenza,  quale  risulta  dalle  discussioni,  a  cui  ho  avuto 
l'onore  di  assistere.  Da  questa  esposizione  l'È.  V.  potrà  vedere, 
se  e  come,  il  suo   Ministero   possa   contribuire    a   fare   che    la 


^ 


272  A  S.  E,  D,  Berti. 


Nazione  italiana  prenda  la  parte  decorosa,  che  le  spetta,  nel 
grande  ed  urgentissimo  lavoro  scientifico  che  si  sta  preparando» 

All'È.  V.  è  noto  che,  in  conformità  delle  deliberazioni  e  dei 
voti  del  Congresso  del  1881,  la  conferenza  intemazionale  di 
elettricità,  che  di  quel  Congresso  è  una  continuazione,  si  è  di- 
visa in  tre  Commissioni: 

La  prima  per  la  determinazione  dell' oAw. 

La  seconda  per  le  questioni  relative  allo  studio  delle  cor- 
renti elettriche  terrestri  e  dell'elettricità  atmosferica,  e  pel  col- 
legamento telegrafico  degli  osservatori  meteorologici. 

La  terza  per  la  scelta  di  un'unità  di  intensità  di  luce,  e 
per  lo  studio  dei  metodi  fotometrici. 

Io  esporrò  i  risultati  attuali  dei  lavori  e  le  deliberazioni 
delle  tre  Commissioni,  considerandole  l'una  dopo  dell'altra,  nel- 
l'ordine col  quale  1^  ho  nominate. 


PRIMA  COMMISSIONE. 

Determinazione  dell'ohm. 

Di  tutti  i  problemi  che  si  presentarono  al  Congresso  in- 
ternazionale degli  elettricisti  nel  1881,  il  più  urgente,  tanto  per 
la  scienza,  quanto  per  i  bisogni  delle  applicazioni  industriali, 
fu  quello  della  scelta  di  un  sistema  di  unità  per  le  misure  elet- 
triche; ed  alla  soluzione,  che  potè  dare  di  questo  problema,  il 
Congresso  deve,  in  massima  parte,  la  sua  importanza.  La  scelta 
delle  unità,  fatta  d'accordo  dagli  scienziati  e  dai  tecnici  di  tutte 
le  nazioni,  permetterà  nell'avvenire  di  rendere  facilmente  com- 
parabili le  misure  di  tutti  gli  sperimentatori;  l'aver  trovato  per 
le  principali  unità  di  misura  nomi  convenienti,  e  l'aver  fatto 
accettare  questi  nomi  dagli  elettricisti  di  tutte  le  nazioni,  eviterà 
la  confusione  che  dianzi  risultava  dalla  molteplicità  dei  significati 
che  una  medesima  parola  aveva  nei  diversi  paesi;  l'avere  pre- 
scelto e  fatto  accettare  universalmente  un  sistema  di  misure 
assolute  faciliterà  tutti  i  calcoli,  così  frequenti  nelle  applicazioni^ 
nei  quali  da  grandezze  meccaniche  si  deve  passare  a  grandezze 


Determinazione  dell'Ohm, 


273 


elettriche,  o  viceversa;  l'avere  scelto  le  unità  fondamentali  in 
modo,  da  collegare  le  unità  elettriche  col  sistema  metrico  de* 
cimale,  farà  sì  che  tutte  le  unità  di  misura  in  uso  nella  scienza 
e  nelle  applicazioni  industriali  costituiscano-  un  unico  sistema, 
completo  e  grandioso  ;  finalmente  il  fatto  che  questo  sistema  di 
misure  fu  proposto  ed  adottato  dagli  elettricisti  di  tutti  i  paesi, 
dà  a  sperare  che  esso  sia  per  accelerare,  almeno  pei  lavori 
scientifici,  l'adozione  del  sistema  metrico  decimale,  anche  in 
quelle  nazioni  ove  questo  sistema  non  è  attualmente  in  uso. 

La  scelta  delle  unità  fatta  dal  Congresso  del  1881  fu  inspi- 
rata da  un  concetto  elevato,  e  risponde  completamente  ai  de- 
sideri della  scienza.  Tuttavia  per  diventare  veramente  pratica, 
e  per  essere  accettata  come  definitiva,  essa  richiede  un  lavoro 
scientifico  preliminare;  e  lo  stesso  Congresso* non  l'adottò  se 
non  colla  condizione  che  una  Commissione  internazionale  ve- 
nisse incaricata  di  sollecitare  e  di  guidare  un  tale  lavoro. 

Questa  Commissione  internazionale  è  la  prima  dell'attuale 
Conferenza.  L'È.  V.  permetterà,  che  senza  entrare  in  conside- 
razioni scientifiche,  che  non  potrebbero  trovare  posto  conve- 
niente in  una  semplice  relazione  come  questa,  io  mi  provi  a 
dare,  in  poche  parole,  un'idea  del  problema  da  risolversi,  e  del 
modo  nel  quale  la  Commissione  ha  proposto  di  risolverlo. 

Il  sistema  di  unità  per  le  misure  elettriche,  adottato  dal 
Congresso  degli  elettricisti  nel  1881,  è  quello  stesso  che  già 
nel  1862  era  stato  prescelto  dzW  Associazione  britannica  per 
l'avanzamento  delle  scienze.  Esso  è  il  sistema  elettro-magnetico 
di  Guglielmo  Weber,  e  le  unità  che  lo  costituiscono  non  diffe- 
riscono da  quelle,  di  cui  si  era  servito  questo  grande  scienziato 
nelle  sue  classiche  Electro-dynantische  Maassbestimmungen,  se 
non  per  una  diversa  scelta  delle  unità  fondamentali  di  lunghezza, 
di  massa  e  di  tempo  ;  scelta,  colla  quale  l'Associazione  britannica 
ed  il  Congresso  ebbero  in  mira  di  ottenere  un'unità  di  resi- 
stenza, un'unità  di  intensità  di  corrente  ed  un'unità  di  forza 
elettro-motrice  di  grandezza  comoda  per  gli  usi  più  frequenti 
della  pratica. 

Lasciando,  per  un  momento,  indeterminate  le  unità  fonda- 
mentali di  lunghezza,  di  massa  e  di  tempo,  le  unità,  che  costi- 
tuiscono il  sistema  elettro-magnetico,  si  possono  definire  come 
segue: 

Unità  di  velocità:  la  velocità  di  un  mobile  che  percorre,  con 
moto  uniforme,  Tunità  di  lunghezza  nell'unità  di  tempo. 

G.  Feuraris.  Opere,  Voi.  II.  *  18 


274  Prima  commissione. 


Unità  di  forza:  idi  forza  che  nell'unità  di  tempo  imprime 
all'unità  di  massa  l'unità  di  velocità. 

Unità  di  lavoro  :  il  lavoro  fatto  da  una  forza  uguale  all'unità 
quando  il  suo  punto  di  applicazione  percorra  nella  sua  direzione 
uno  spazio  uguale  all'unità  di  lunghezza. 

Unità  di  magnetismo:  la  quantità  di  magnetismo,  che  su  di 
una  quantità  uguale  a  sé  stessa,  alla  distanza  uno,  esercita  una 
forza  uguale  ad  uno. 

Unità  di  intensità  di  corrente:  l'intensità  di  una  corrente  di 
cui  l'unità  di  lunghezza,  avvolta  su  di  un  arco  di  circonferenza 
di  raggio  r,  esercita  su  di  un  polo  magnetico  situato  nel  centro 
una  forza  eguale  a  quella  che  sul  medesimo  polo  eserciterebbe 
un'unità  di  magnetismo  situata  alla  distanza  r. 

Unità  di  quantità  di  elettricità:  la  quantità  di  elettricità  che 
nell'unità  di  tempo  si  trasmette  attraverso  ad  una  sezione  qua- 
lunque di  un  circuito,  quando  questo  è  percorso  da  una  cor- 
rente costante  di  intensità  uguale  ad  uno. 

Unità  di  forza  elettro-motrice:  la  forza  elettro-motrice  che 
si  esercita  sopra  un  conduttore  quando  questo,  movendosi  in 
un  campo  magnetico  d'intensità  uguale  ad  uno,  in  un  piano 
perpendicolare  alla  direzione  del  campo,  genera  in  ogni  unità 
di  tempo  una  superfìcie  di  area  uno  ;  o  più  in  generale  :  la  forza 
elettro-motrice  colla  quale,  spendendo  in  ogni  unità  di  tempo 
un  lavoro  uguale  ad  uno,  si  produce  una  corrente  costante  di 
intensità  uguale  ad  uno;  oppure  ancora:  la  differenza  di  poten- 
ziale tra  due  punti  A^  B  quando  un'unità  di  elettricità,  passando 
Ó2i  A  2i  B,  produce  un  lavoro  uguale  ad  uno. 

Unità  di  capacità  elettrica:  la  capacità  di  un  condensatore, 
nel  quale  una  quantità  di  elettricità  uguale  ad  uno,  accumulata 
su  ciascuna  armatura,  produce  fra  le  due  armature  una  diffe- 
renza di  potenziale  uguale  ad  uno. 

Unità  di  resistenza  elettrica:  la  resistenza  di  un  circuito, 
nel  quale  l'unità  di  forza  elettro-motrice  produce  una  corrente 
di  intensità  uguale  ad  uno;  od  anche:  la  resistenza  di  un  con- 
duttore, nel  quale  il  passaggio  di  una  corrente  di  intensità 
uguale  ad  uno  produce,  in  ogni  unità  di  tempo,  una  quantità 
di  calore  equivalente  ad  una  unità  di  lavoro  meccanico. 

Il  Weber  aveva  adoperato  nelle  sue  ricerche,  come  unità 
fondamentali  di  lunghezza,  di  massa  e  di  tempo,  il  millimetro, 
la  massa  di  un  milligrammo  ed  il  minuto  secondo  di  tempo 
solare   medio.   L'Associazione   britannica   invece   adottò   come 


Determinazione  dell'Ohm.  275 

^nità  di  lunghezza  e  di  massa  il  centimetro  e  la  massa  di  un 
grammo;  e  poi,  collo  scopo  di  ottenere  unità  di  grandezze  più 
comode  per  la  pratica,  propose: 

I.**  Di  adottare  come  unità  pratica  per  le  resistenze  elet- 
triche, invece  dell'unità  elettro-magnetica  derivata  dal  centimetro 
e  dal  secondo,  invece  dell'unità  C  G.  S,,  una  resistenza  uguale 
■a  io'  di  tali  unità. 

2.°  Di  adottare  come  unità  pratica  per  le  forze  elettro- 
.motrici,  invece  dell'unità  C  G.  S.  derivata,  giusta  la  precedente 
definizione,  dalle  unità  fondamentali  centimetro,  grammo,  se- 
condo, una  forza  elettro-motrice  uguale  a  io®  di  tali  unità. 

3.®  Di  adottare  per  conseguenza,  come  unità  pratica  di 
intensità  di  corrente  e  di  quantità,  come  unità  pratica  di  capa- 
cità, e  come  unità  pratica  di  lavoro  meccanico,  rispettivamente  : 
un  decimo  dell'unità  C.  G.  5.  di  intensità  e  di  quantità,  il  nu- 
jmero  io-»  di  unità  C.  G.  S.  di  capacità  ed  il  numero  10^  di 
unità  C  G.  S.  di  lavoro  meccanico. 

Le  unità  pratiche,  così  definite,  di  resistenza,  di  forza  elet- 
tro-motrice, di  intensità  di  corrente,  di  quantità  di  elettricità, 
di  capacità  elettrica  e  di  lavoro  meccanico  sono  le  unità  asso- 
lute elettro-magnetiche  che  si  avrebbero  prendendo  per  unità 
fondamentali  di  lunghezza,  di  massa  e  di  tempo  la  lunghezza 

di   dieci   milioni   di   metri,  la   frazione  -  —  della   massa  di  un 

io" 

grammo,  ed  il  minuto  secondo. 

Neil' adottare  queste  unità  pratiche,  il  comitato  dell'asso- 
ciazione britannica  propose  per  alcune  di  esse  nomi  speciali.  I 
nomi  furono  scelti  in  modo  da  ricordare  quelli  dei  grandi  elet- 
tricisti, ai  quali  sono  specialmente  dovute  le  nozioni  a  cui  le 
unità  di  misura  stesse  si  riferiscono.  Alla  unità  pratica  di  resi- 
stenza si  diede  il  nome  di  Ohm,  a  quella  di  forza  elettro-motrice 
il  nome  di  Volt,  a  quella  di  capacità  elettrica  il  nome  di  Farad, 

Il  Congresso  degli  elettricisti,  che  si  adunò  nel  settembre 
del  188 1  a  Parigi,  diede  al  sistema  di  unità  dell'Associazione 
britannica,  già  diffuso  ed  universalmente  adoperato  fra  i  tecnici, 
una  sanzione  internazionale.  Chiamato  a  proporre,  per  tutte  le 
ricerche  e  le  applicazioni  elettriche,  un  complesso  di  unità  di 
misura  definitivo,  il  Congresso  ha  dovuto  preferire  ad  ogni 
altro  questo  sistema,  il  quale,  essendo  assoluto,  ha  il  merito  di 
ridurre  al  minimo  gli  elementi  arbitrari;  di  permettere  di  pas- 
sare facilmente,  nei  calcoli,  da  grandezze  di  una  specie  a  gran- 


276  Prima  commissione, 

dezze  di  altre  specie;  di  presentare  per  ciascuna  unità  dì  misura 
una  definizione  scientifica  sufficiente  per  potere  in  ogni  occa- 
sione rifare  un  campione  perduto,  e  controllare  una  misura  per 
mezzo  dei  soli  campioni  che  già  possediamo,  e  che  sono  il  metro 
ed  il  chilogrammo  degli  archivi. 

Però  il  Congresso  dovette  preoccuparsi  di  due  cose:  della 
necessità  di  dare  alle  varie  unità  del  sistema  adottato  nomi 
convenienti  e  della  necessità  di  offrire  agli  sperimentatori,  oltre 
alla  definizione  scientifica  delle  varie  unità,  definizioni  pratiche 
e  campioni  per  le  misure  usuali. 

Era  necessario  in  primo  luogo  che  il  Congresso  pensasse 
a  dare  alle  varie  unità  adottate  nomi  convenienti.  L'Associa- 
zione britannica  infatti  aveva  dato  definitivamente  un  nome 
soltanto  all'unità  di  resistenza  e  a  quella  di  forza  elettro-motrice, 
denominando  la  prima  ohm  e  la  seconda  volL  Per  le  altre  gran- 
dezze il  comitato  della  Associazione  inglese  si  era  limitato  a 
proporre  il  nome  di  farad,  col  quale  si  sarebbe  potuto  signifi- 
care l'unità  di  capacità  elettrica,  e  che  avrebbe  potuto  servire 
per  denominare  anche  l'unità  di  quantità  e  quella  di  corrente. 
In  conformità  a  questa  proposta  era  invalso  l'uso  di  esprimere 
il  valore  delle  quantità  di  elettricità  in  farad  per  volt,  e  quello 
delle  intensità  di  corrente  in  farad  per  minuto  secondo.  Ma 
mentre  un  gran  numero  di  elettricisti  si  abituava  a  servirsi  di 
queste  denominazioni,  altri  nomi  si  venivano  proponendo  ed 
erano  promiscuamente  adoperati.  Il  Latimer  Clark  dava  all'unità 
pratica  di  quantità,  ossia  alla  quantità  di  elettricità  contenuta  in 
un  farad  quando  la  differenza  di  potenziali  è  uguale  ad  un  volt^ 
un  nome  speciale,  e,  in  onore  del  fondatore  delle  misure  elet- 
triche assolute,  la  chiamava  weber.  Denominava  quindi  l'unità 
di  intensità:  l'intensità  di  un  weber  per  minuto  secondo;  e  la 
denominazione  era  adottata  da  molti.  Intanto  alcuni  cominciavano 
a  denominare  weber  addirittura  l'unità  pratica  di  intensità;  altri 
col  nome  di  weber  rappresentavano  l'unità  di  intensità  assoluta 
centimetrica  (C>  G.  S.J,  ed  altri,  specialmente  in  Germania,  da- 
vano il  nome  di  weber  all'unità  assoluta  d'intensità  nel  sistema 
millimetro,  milligrammo,  secondo,  ossia  all'unità  della  quale  si 
era  effettivamente  servito  Guglielmo  Weber  nelle  sue  classiche 
ricerche.  Quindi  una  confusione,  per  rimediare  alla  quale  era 
indispensabile  che  il  Congresso  stabilisse  in  modo  definitivo  ed 
imponesse  colla  sua  autorità  i  nomi  delle  diverse  unità  compo- 
nenti il  sistema  da  esso  adottato. 


Determinazione  dell'Ohm,  277 

Il  Congresso  pensò  che  il  modo  più  sicuro  di  por  termine 
alla  confusione  derivante  dalla  pluralità  dei  significati  attribuiti 
alla  parola  weber,  fosse  quello  di  togliere  addirittura  questo 
nome  dai  novero  di  quelli  delle  unità  pratiche  adottate.  All'unità 
pratica  di  intensità  di  corrente,  ossia  alla  intensità  della  cor- 
rente  prodotta  da  una  forza  elettro-motrice  uguale  ad  un  volt 
in  un  circuito  di  resistenza  uguale  ad  un  ohm,  si  diede  perciò 
il  nome  di  ampère.  All'unità  di  quantità  di  elettricità,  ossia  alla 
quantità  di  elettricità  che  in  un  minuto  secondo  si  trasmette 
attraverso  ad  ogni  sezione  di  un  circuito  percorso  da  una  cor- 
rente costante  di  intensità  uguale  ad  un  ampère  si  diede  il  nome 
di  coulomb;  ed  alla  unità  di  capacità  elettrica,  ossia  alla  capa- 
cità di  un  conduttore  nel  quale  un  coulomb  produce  un  aumento 
di  potenziale  uguale  ad  un  volt,  si  conservò  il  nome  di  farad. 
11  sistema  delle  unità  elettriche  risultò  quindi  cosi  costituito: 

L'unità  di  intensità  di  corrente  è  l'ampère  e  si  può  definire: 

un  decimo  dell'unità  elettro-magnetica   del  sistema  centimetro, 

grammo,  secondo;  oppure  l'unità  elettro-magnetica  nel  sistema 

grammo 
quadrante  terrestre, ^^— ,   secondo,    oppure,    praticamente: 

V  intensità  di  quella  corrente  che  percorrendo  io  metri  <fi  filo 

avvolti  su  di  una  circonferenza  di  raggio  uguale  ad  un  decimetro, 

esercita  sull'unità  C.  G.  S.  di   magnetismo  situata   nel  centro 

una  forza  uguale  all'unità  assoluta  centimetrica,  ossia  uguale  a 

circa  */,8i  di  grammo. 

L'unità  di  forza  elettro-motrice  è  il  volt/  e  si  può  definire: 

IO*  unità   assolute    C  G.  S./  oppure   l' unità  assoluta   elettro- 

grammo 
magnetica   nel   sistema  quadrante  terrestre,   - — -. — ,   secondo; 

oppure,  praticamente  :  la  forza  elettro-motrice  colla  quale  si  può 
produrre  un  ampère  consumando  in  ogni  minuto  secondo  un 
lavoro  uguale  a  dieci  milioni  di  unità  assolute  centimetriche,  a 

dieci  milioni  di  erg,  a  circa  -_  -  di  chilogrammetro. 

L'unità  di  resistenza  è  V ohm,  e  si  può  definire:  io*  unità 
C  G.  S;  oppure  l'unità  assoluta  elettro-magnetica  nel  sistema 

quadrante  terrestre,   — — zj— ,  secondo;  oppure,   praticamente: 

IO. 

la  resistenza  nella  quale  una  forza  elettro-motrice  uguale  ad  un 
volt  produce  una  corrente  di  intensità  uguale  ad  un  ampère; 
oppure  ancora   la  resistenza  di   un   conduttore  nel  quale  una 


278  Prima  commissione. 

corrente  costante  di  intensità  uguale  ad  un  ampère  produce  in 
ogni   minuto    secondo    una    quantità    di   calore    equivalente   a 

io'  er£^.  ossia  a  circa  — ;r-  di  chilogrammetro. 
9,81 

L'unità  di  quantità  di  elettricità  è  il  coulomb;  e  si  definisce  : 

un  decimo  dell'unità  elettro-magnetica  C.  G,  S.;  oppure  l'unità 

,  ,     .                    »      .    .         .       grammo 
elettromagnetica  del  sistema  quadrante  terrestre, — — ,   se- 

condo;  oppure,  come  si  è  detto  già:  la  quantità  di  elettricità 
che  in  un  minuto  secondo  passa  a  traverso  ad  una  sezione  di 
un  conduttore  percorso  da  una  corrente  costante  d' intensità 
uguale  ad  un  ampère. 

Finalmente  l'unità  di  capacità  è  il  farad;  e  si  definisce  :  la 
frazione  io-9  di  un'unità  assoluta  elettro-magnetica  C  G.  5.  di 
capacità;  oppure   l'unità   elettro-magnetica  corrispondente  alle 

unità  fondamentali  ywarfraw/^  terrestre,— — :^^—,  secondo;  oppure, 

come  si  è  detto  già:  la  capacità  di  un  corpo  nel  quale  una  quan- 
tità di  elettricità  uguale  ad  un  coulomb  produce  un  aumento  di 
potenziale  uguale  ad  un  volt. 

Con  questi  nomi  imposti  dall'autorità  di  un  Congresso  scien- 
tifico internazionale  fu  risolta  la  prima  difficoltà  a  cui  ho  ac- 
cennato, e  fu  evitato  per  l'avvenire  il  pericolo  di  ogni  confusione. 
Rimaneva  però  la  seconda  difficoltà:  quella  di  ofirire  agli  spe- 
rimentatori, oltre  alle  definizioni  scientifiche  delle  varie  unità, 
definizioni  pratiche,  e,  se  possibile,  campioni  per  le  misure 
usuali.  Le  definizioni  sovra  riferite,  o  le  altre  equivalenti,  che 
si  potrebbero  dare  delle  unità  elettro-magnetiche,  sono  troppo 
astratte;  e  le  misure  assolute  basate  direttamente  su  di  esse 
richiedono  tali  mezzi  e  tale  cura  da  non  potersi  fare  corrente- 
mente da  chiunque  ed  in  qualunque  luogo.  Le  unità  proposte 
dal  Congresso  non  avrebbero  potuto  essere  accolte  dai  pratici 
se  non  alla  condizione  che  si  potesse  definire  la  grandezza  al- 
meno di  alcune  di  esse,  dando  con  sufficiente  esattezza  i  loro 
rapporti  con  grandezze  della  medesima  specie  facilmente  ripro- 
ducibili ed  atte  a  servire  come  campioni.  Né  il  Congresso 
avrebbe  prescelto  il  sistema  elettro-magnetico,  se  non  avesse 
creduto  possibile  determinare  in  un  tempo  non  lontano,  con 
approssimazione  sufficiente  per  gli  ordinari  bisogni  della  pratica, 
tali  rapporti.  Sopratutto  era  sentita  la  necessità  di  avere  un 
campione  dell'  ohm,  od   almeno  di   conoscere  con  sicurezza  il 


Deierminazione  dell'Ohm.  279 

rapporto  dell'ohm  con  un  campione  di  resistenza  atto  ad  essere 
riprodotto,  senza  bisogno  di  fare  ad  ogni  volta  la  diflìcile  misura 
di  una  forza  elettro-motrice  e  di  una  intensità  dì  corrente  in 
unità  assolute  elettro-magnetiche. 

Questa  necessità  era  stata  sentita  già  dal  Comitato  dell'As- 
sociazione britannica,  il  quale  si  era  perciò  occupato  esso  stesso 
di  misure  dirette  ad  ottenere,  espressa  in  unità  elettro-magne- 
tiche, la  resistenza  di  fili  metallici,  ed  a  costruire  campioni 
rappresentanti  V  unità,  a  cui  esso  aveva  dato  il  nome  di  ohm. 
Il  Comitato  aveva  esteso  i  suoi  studi  aUa  ricerca  del  metallo 
più  conveniente  per  la  costruzione  di  campioni  invariabili  di 
resistenza;  ed  in  conformità  della  proposta  fatta  dal  Matthiessen 
in  seguito  ad  una  estesa  serie  di  ricerche,  esso  aveva  costrutto, 
per  essere  distribuiti  agli  elettricisti,  campioni  fatti  con  una  lega 
dì  33f4  di  platino  e  di  66,6  d'argento.  Intanto,  per  servire  ad 
ulteriori  ricerche  esso  aveva  costrutto,  con  due  metalli  semplici 
e  con  tre  leghe  diverse,  dieci  campioni  dell'ohm,  due  per  ogni 
specie.  I  due  metalli  semplici  erano  l'oro  ed  il  mercurio;  le 
leghe  erano  di  oro  ed  argento,  di  platino  ed  argento,  di  platino 
ed  iridio.  I  dieci  campioni  erano  stati  depositati  nell'osservatorio 
di  Kew  insieme  agli  istrumenti  destinati  a  riconfrontarli  di  tempo 
in  tempo. 

Ma  le  misure  fatte  dal  Comitato  della  Associazione  britan- 
nica non  furono,  né  pel  metodo  seguito,  né  per  i  risultati  che 
diedero,  esenti  da  critiche  severe.  Il  Kohlrausch  con  un  esame 
minuzioso  delle  vane  cause  d'errore  che  avevano  potuto  alte- 
rare i  risultati  di  quelle  misure,  e  colla  discussione  dei  risultati 
delle  medesime,  asserì  che  il  campione  di  resistenza  determinato 
dell'Associazione  inglese  poteva  differire  dal  vero,  ossia  da  ciò 
che  avrebbe  dovuto  essere  secondo  la  definizione  teorica,  del 
due  od  anche  del  tre  per  cento. 

Fece  poi  egli  stesso  nuove  determinazioni  e  trovò  come 
risultato  un  valore  dell'  ohm  inferiore  di  circa  2  per  cento  a 
quello  della  Associazione  britannica.  Intanto,  mentre  Stoleiow 
riconferma  i  risultati  di  Kohlrausch,  il  Dehms  in  un  notevole 
lavoro  trova  per  l'ohm  un  valore  molto  più  grande,  e  superiore 
non  solo  a  quello  di  Kohlrausch  e  di  Stoletow  ma  anche  a 
quello  della  Associazione  britannica;  Hermann  Siemens  ritrova 
il  valore  ottenuto  da  Dehms,  e  Lorenz  con  un  metodo  nuovo, 
che  ha  il  merito  di  impiegare  correnti  costanti,  trova  per  l'ohm 
un  valore  più  grande   ancora,  valore   che   supera   quello   dato 


28o  Prima  commissione. 


dairAssociazione  britannica  di  circa  2,6  per  cento.  Il  professore 
H,  Friedrich  Weber  di  Zurigo  viene  dopo,  ed  in  base  a  sue 
determinazioni,  dà  per  l'ohm  un  valore  molto  prossimo  a  quello 
della  Associazione  inglese.  E  finalmente  Lord  Raykigh  e  Ar- 
turo Schuster  riprendendo  il  metodo  già  seguito  dall'Associa- 
zione britannica,  e  valendosi  dei  medesimi  apparecchi,  conchiu- 
dono che  il  valore  trovato  dalla  Associazione  supera  il  vero  di 
circa  1,1  per  cento. 

A  queste  discrepanze  dei  risultati  delle  misure  si  aggiun- 
gevano differenze  di  opinioni  sulla  scelta  più  conveniente  del 
metallo  per  definire  praticamente  l'unità  di  resistenza,  e  per 
farne  de'  campioni.  Werner  Siemens  di  Berlino,  che  già  nel  1860, 
un  anno  prima  che  il  Comitato  dell'Associazione  britannica 
cominciasse  i  suoi  lavori,  aveva  proposto  e  costrutto  la  sua 
unità  di  resistenza  (la  resistenza  di  una  colonna  di  mercurio 
di  un  metro  di  lunghezza  e  di  un  millimetro  quadrato  di  sezione, 
alla  temperatura  di  zero  gradi),  sosteneva  che  il  mercurio  era 
l'unico  metallo  atto  a  servire  alla  definizione  della  unità,  e  che 
alla  costruzione  di  campioni  per  le  misure  usuali  poteva  servire 
il  pakfong.  Con  lui  era  una  schiera  di  scienziati,  specialmente 
tedeschi.  Invece  il  Matthiessen,  il  Fkemtng  Jenkin,  ed  altri  non 
ammettevano  la  possibilità  di  ottenere  con  una  colonna  di 
mercurio  una  resistenza  atta  al  confronto  dei  campioni  usuali, 
e  per  la  costruzione  di  questi  preferivano  la  lega  dell'Associa- 
zione britannica,  di  platino  ed  argento. 

In  mezzo  a  tale  discrepanza  di  numeri  e  di  opinioni  era 
adunque  indispensabile,  che  nuove  ricerche,  autorevoli,  definitive 
venissero  a  mostrare  se,  e  con  quale  precisione,  le  resistenze 
si  possono  sperimentalmente  comparare  colla  unità  elettro-ma- 
gnetica prescelta:  senza  di  ciò  l'ohm  non  sarebbe  che  un'unità 
empirica  come  tutte  le  altre,  la  quale  all'inconveniente  di  essere 
difficile  a  definire  ed  a  riprodurre  non  contrapporrebbe  altro 
vantaggio  che  quello  di  facilitare  nei  calcoli  più  grossolani  al- 
cune valutazioni  pratiche.  Era  inoltre  necessario  che  si  ponesse 
termine  alle  discussioni  sul  metallo  da  scegliersi  per  definire 
praticamente  l'unità. 

Il  Congresso  internazionale  del  1881  risolse  questa  seconda 
questione  stabilendo  che  il  valore  dell'ohm  dovesse  praticamente 
definirsi  per  mezzo  della  lunghezza,  in  metri,  di  una  colonna 
di  mercurio  a  zero  gradi,  della  sezione  trasversale  di  un  milli- 
metro quadrato.  Ed   in  quanto   alla   prima   questione,  a   quella 


Detep-minazione  del/' Ohm.  281 

che  si  riferisce  al  valore  dell'ohm,  deliberò  che  lo  studio  di 
essa  fosse  affidato  ad  una  Commissione  internazionale.  La  Com- 
missione ebbe  adunque  il  mandato  seguente:  Determinare  la 
lunghezza  che  deve  avere  una  colonna  di  mercurio  puro  alla  tem- 
peratura di  0°,  di  sezione  trasversale  uguale  ad  un  millimetro 
quadrato,  acciocché  la  sua  resistenza  sia  uguale  ad  un  ohm. 

Per  corrispondere  a  questo  mandato  la  Commissione  doveva 
occuparsi  successivamente  di  due  distinti  lavori: 

i.°  Studiare  i  vari  metodi  per  la  misura  assoluta  delle 
resistenze  elettriche  fin  qui  adoperati  o  proposti;  esaminare, 
confrontare  e  discutere  i  risultati  finora  ottenuti,  per  vedere  se 
coi  medesimi  fosse  fin  d'ora  possibile  determinare  con  un'esat- 
tezza sufficiente,  per  gli  usi  ordinari  della  pratica,  il  valore 
dell'ohm;  e  nel  caso  che  i  risultati  attualmente  conosciuti  non 
fossero  sufficienti  per  questa  determinazione,  indicare  i  metodi 
migliori  da  seguirsi  per  nuove  esperienze,  tracciare  il  pro- 
gramma di  lavori  ulteriori.  Studiare  analogamente  le  operazioni 
necessarie  per  confrontare  la  resistenza  di  un  conduttore  me- 
tallico, misurata  in  unità  assolute  nel  modo  ora  detto,  con 
quella  di  una  colonna  di  mercurio  puro,  a  zero  gradi,  di  di- 
mensioni conosciute,  onde  calcolare  la  lunghezza  della  colonna 
di  mercurio  di  tin  millimetro  quadrato  di  sezione,  la  quale  rap- 
presenta colla  approssimazione  voluta  il  valore  dell'ohm. 

a.*»  Cercare  in  seguito  il  modo  migliore  per  costruire 
campioni  effettivi  di  resistenza,  i  quali  soddisfacciano  alla  con- 
dizione di  conservarsi  inalterati  così  da  rimanere  per  un  tempo 
abbastanza  lungo  comparabili  con  sé  stessi.  Collo  studio  dei 
procedimenti  per  la  costruzione  effettiva  dei  campioni  di  resi- 
stenza si  collegherebbe  quello  delle  questioni  relative  ai  metodi 
per  la  loro  riproduzione,  e  di  quelle  relative  ai  luoghi,  agli 
istituti  ed  alle  persone  che  li  dovranno  conservare  e  riprodurre. 

Nella  sua  prima  sessione,  che  si  è  chiusa  testé,  la  Com- 
missione non  si  occupò  che  del  primo  di  questi  due  lavori;  ed 
anche  di  questo  non  potè  fare  altro  che  una  parte. 

Il  confronto  dei  risultati  ottenuti  dai  vari  sperimentatori 
che  prima  d'ora  hanno  fatto  misure  assolute  di  resistenza, 
confronto  al  quale  io  stesso  ebbi  poc'anzi  occasione  di  alludere, 
pone  in  evidenza  l'assoluta  insufficienza  di  questi  risultati  e  la 
necessità  di  nuove  determinazioni.  Perciò  la  Commissione  in- 
temazionale dovette  rinunciare  a  stabilire  fin  d'ora  il  valore 
delPohm  in  colonna  di  mercurio,  e  rivolgere  invece  il  proprio 


282  Prima  commissione. 


studio  ai  mezzi  più  opportuni  per  sollecitare,  aiutare  ed  indi* 
rizzare  i  lavori  degli  sperimentatori.  A  quest'  uopo  la  prima 
cosa  da  farsi  consisteva  nel  passare  a  rassegna  i  diversi  metodi 
per  le  misure  assolute  di  resistenza,  onde  classificarli  secondo 
la  loro  attendibilità,  e  raccomandare  agli  sperimentatori  quelli 
che  si  presentassero  come  suscettibili  di  dare  buoni  risultati. 

Innanzi  tutto  la  Commissione  considerò  che  le  difficoltà  e 
la  cause  di  errore,  che  si  presentano  nelle  misure  assolute, 
sono  di  tale  natura  da  non  potere  essere  ponderate  se  non 
pei  procedimenti  che  furono  già  effettivamente  messi  in  pratica» 
Prescindendo  perciò  da  ogni  giudizio  sui  metodi  proposti 
ma  non  ancora  sperimentati,  essa  prese  in  esame,  classificandoli ^ 
i  vari  procedimenti  che  hanno  già  avuto  la  consacrazione  del- 
l'esperienza. 

Come  conclusione  della  discussione  che  fece  di  questi  pro- 
cedimenti la  Commissione  approvò  la  seguente  lista  di  metodi, 
che  essa  propone  come  particolarmente  atti  a  dare  risultati 
precisi: 

i.°  Metodi  basati  sulla  misura  dell'intensità  della  corrente 
indotta  in  un  circuito  chiuso  nell'atto  della  chiusura  o  della 
rottura  di  una  corrente  di  intensità  misurata,  circolante  in  una 
spirale  di  note  dimensioni  (Metodo  di  Kirchhofi). 

2.^  Metodi  nei  quali  si  misura  in  unità  elettro-magnetiche 
l'intensità  della  corrente  indotta  dal  magnetismo  terrestre  in 
una  grande  spirale  di  note  dimensioni,  quando  questa  viene 
fatta  rotare  di  180  gradi  attorno  ad  un  suo  diametro.  Questi 
metodi,  che  presentano  varie  differenze  nei  particolari^  e  spe- 
cialmente nel  modo  di  determinare  la  superficie  della  spirale 
del  moltiplicatore  e  l'azione  sua  sull'ago,  sono  dovuti  a  Gu- 
glielmo Weber,  che  li  adoperò  con  buoni  risultati. 

3.°  Metodo  nel  quale  la  resistenza  di  un  moltiplicatore 
viene  determinata  per  mezzo  dello  smorzamento  delle  oscillazioni 
di  un  ago  magnetico  situato  nel  suo  interno.  Anche  questo 
metodo  è  dovuto  a  Guglielmo  Weber,  che  ne  fece  uso  nelle 
classiche  sue  ricerche  elettro-dinamiche. 

4.*»  Metodo  che  ha  servito  nelle  misure  fatte  dalla  Asso- 
ciazione britannica.  Questo  metodo,  come  i  due  precedenti,  è 
di  Guglielmo  Weber.  Esso  consiste  nel  misurare  la  deviazione 
di  una  leggiera  calamita,  appesa  al  centro  di  una  spirale  cir* 
colare  che  si  fa  rotare,  con  moto  uniforme  e  con  velocità  nota, 
attorno  al   proprio  diametro   verticale.  Le   difficoltà  e  le  cause 


Determinazione  deiPOInn.  283 


di  errore  che  si  presentano  in  questo  procedimento  sono  gra- 
vksime^  ed  è  noto  come  dall'esame  delle  medesime  il  Kohlrausch 
traesse  serie  obbiezioni  contro  l'operato  della  Associazione  inglese. 
Tuttavia  le  recenti  riccrdie  di  lord  Rayldgh  e  del  Scfauster^ 
le  quali  furono  eseguite  cogli  apparecchi  medesimi  dell'Asso- 
ciazione britannica,  hanno  tale  valore,  che  il  metodo  non  po- 
trebbe non  essere  preso  in  considerazione. 

5.<»  Metodo  del  Lorenz,  Questo  metodo  si  distingue^  fra 
quelli  finora  adoperati,  per  essere  basato  sull'uso  di  sole  cor- 
renti costanti.  In  esso  la  forza  elettro-motrice  necessaria  per  la 
misura  assoluta  della  resistenza  è  prodotta  dall'  induzione  di 
una  corrente  elettrica  costante  sopra  un  disco  circolare  di 
rame  rotante  attorno  al  centro,  nel  proprio  piano.  È  noto  che 
una  corrente  costante  di  forma  circolare  fa  girare  un  disco  me- 
tallico concentrico,  quando  questo  è  percorso  da  correnti  radiali  ; 
inversamente,  se  si  imprime  al  disco  metallico  un  movimento 
di  rotazione,  si  produce  una  forza  elettro-motrice  diretta  secondo 
i  raggi  del  disco,  la  quale  si  può  raccogliere  per  mezzo  di  due 
sfregatoi  collocati  l'uno  al  centro,  l'altro  alla  circonferenza. 
Questa  forza  elettro-motrice  è  proporzionale  alla  intensità  1  della 
corrente  circolare  induttrice  ed  alla  velocità  angolare  w  del 
disco;  detta  C  una  costante  che  dipende  unicamente  dalle  di- 
mensioni del  disco,  e  che  si  sa  calcolare,  la  forza  elettro-motrice 
d'induzione  vale  Cm  i.  Intanto  la  corrente  induttrice  di  intensità  i 
si  fa  passare  pel  filo  di  cui  si  vuol  misurare  la  resistenza  r,  e 
produce  alle  due  estremità  del  medesimo  una  differenza  di  po- 
tenziale uguale  ad  ri.  Se  si  mettono  i  due  sfregatoi,  in  comu- 
nicazione, mediante  due  fili,  colle  estremità  suddette,  in  modo 
che  la  forza  elettro-motrice  d'induzione  si  opponga  alla  ri,  e 
si  fa  variare  la  velocità  o)  finché  un  galvanometro  inserto  su 
uno  dei  fili  partenti  dagli  sfregatoi  indichi  che  in  questo  filo,  e 
quindi  nel  disco,  non  c'è  corrente,  si  ha  Co>  i=r  i,  ossia  rs^  Co. 
La  resistenza  r  si  può  adunque  calcolare  in  unità  elettro-ma- 
gnetiche assolute,  senza  bisogno  di  misurare  altro  che  le  di- 
mensioni del  disco,  dalle  quali  dipende  il  valore  di  C,  e  la 
velocità  angolare  co  del  medesimo.  Questo  metodo,  posto  in 
pratica  dal  Lorenz,  ha  condotto  ad  un  numero  assai  diversa 
da  tutti  i  precedenti:  ad  una  lunghezza  della  colonna  di  mercurio 
equivalente  all'ohm,  la  quale  supera  quelle  date  dagli  altri  spe- 
rimentatori di  circa  il  2  per  cento.  Egli  è  probabile  che  le 
numerose  cause  di  errore  che  in  esso  si  presentano  siano  molto 


:284  *  Prima  commissione. 


gravi,  e  la  discussione  che  di  esse  si  fece  in  seno  alla  Com- 
missione lo  ha  dimostrato.  Le  difficoltà  più  gravi  stanno  nelle 
forze  elettro-motrici  termo-elettriche,  che  possono  generarsi  nei 
-contatti  del  disco  cogli  sfregatoi,  e  nella  incertezza  della  misura 
•del  diametro  del  disco.  Tuttavia  il  vantaggio  di  non  richiedere 
la  misura  assoluta  né  di  intensità  di  correnti,  né  di  campi  ma- 
gnetici, e  l'eleganza  del  metodo  sono  tali  che  la  Commissione 
non  solo  ammise  il  metodo  fra  i  raccomandabili,  ma  si  senti 
inclinata  a  dare  al  medesimo  una  importanza  eccezionale.  Il 
Lorenz  poi  presentò  alla  Commissione  una  proposta  di  modifi- 
cazione, che  eliminerebbe,  secondo  le  sue  speranze,  la  difficoltà 
dei  contatti  mobili  e  delle  forze  elettro-motrici  termo-elettriche 
che  ne  sono  la  conseguenza.  La  modificazione  consisterebbe 
nell'adoperare,  invece  di  uno,  due  dischi  rotanti  in  sensi  opposti 
e  toccantisi  alla  periferia.  La  forza  elettro-motrice  si  raccoglie- 
rebbe allora  ai  centri  dei  due  dischi. 

Oltre  ai  metodi  sovra  enumerati,  nei  quali  si  fa  uso  di  una 
forza  elettro-motrice  prodotta  dalla  induzione  magneto-elettrica 
«  calcolabile  in  unità  elettro-magnetiche,  si  ha  il  procedimento 
calorimetrico,  nel  quale  la  resistenza  di  un  conduttore  viene 
dedotta  dalla  quantità  di  calore  in  esso  prodotta  da  una  corrente 
di  intensità  conosciuta.  Questo  metodo,  uno  dei  più  diretti,  è 
anche  uno  dei  più  importanti  nella  storia  della  questione,  sopra- 
tutto per  l'applicazione  che  ne  fece  il  Joule,  che  controllò  per 
mezzo  del  medesimo  i  risultati  delle  misure  del  Comitato  della 
Associazione  britannica.  Attualmente  però  esso  non  potrebbe 
essere  adoperato  come  mezzo  per  trovare  il  valore  esatto  del- 
l'ohm, in  causa  dell'  incertezza  in  cui  siamo  circa  il  valore  del- 
l' equivalente  dinamico  del  calore.  Questa  incertezza,  dovuta 
specialmente  ai  risultati  delle  ultime  ricerche  del  Régnault,  è 
grandissima.  E  quindi,  benché  nella  discussione,  che  se  ne  fece, 
il  W.  -Thomson  abbia  asserito  che  la  discrepanza  tra  il  valore 
dell'equivalente  dinamico  del  calore  dedotto  dalle  esperienze  del 
Régnault  e  tutti  gli  altri  sia  dovuta  ad  una  imperfezione  nel 
modo  di  porre  a  calcolo  le  esperienze,  e  che,  fecondo  la  sua 
convinzione,  il  valore  dell'  equivalente  dinamico  del  calore  si 
possa  fin  d'ora  fissare  tra  424  e  425  con  un  errore  minore  di  Va 
per  cento,  la  Commissione  credette  di  non  potere  annoverare 
il  metodo  calorimetrico  fra  quelli  specialmente  raccomandabili 
per  la  determinazione  dell'  ohm.  Ciò  non  toglie  che  le  misure 
della  quantità  di  calore  svolta  in  dati  conduttori  da  correnti  di 


Determinazione  dell'Ohm.  285 

intensità  conosciute  non  siano  utilissime,  giacché  se  esse,  per 
ora,  non  possono  condurre  alla  determinazione  delle  resistenze 
in  misura  assoluta,  potranno  essere  utilissime  per  la  determi- 
nazione definitiva  dell'equivalente  dinamico  del  calore.  A  questo 
titolo  la  Commissione  internazionale  raccomandò  agli  sperimen- 
tatori, insieme  ai  metodi  elettro-magnetici  sovra  enumerati,  le 
misure  calorimetriche  sulle  correnti. 

Annoverati  per  tal  modo,  e  classificati  i  vari  procedimenti? 
degni  di  essere  specialmente  raccomandati  agli  sperimentatori,, 
la  Commissione  si  dovette  occupare  del  grado  di  approssima- 
zione che  i  risultati  delle  misure  dovranno  avere,  onde  si  possa 
pensare  a  preparare,  per  mezzo  dei  medesimi,  campioni  suffi- 
cienti per  le  applicazioni  più  ordinarie  della  pratica.  La  deter- 
minazione esatta  della  lunghezza  della  colonna  di  mercurio  della 
sezione  di  un  millimetro  quadrato,  la  cui  resistenza  è  uguale  ad 
un  ohm,  non  potrà  essere  ottenuta  né  in  uno  né  in  pochi  anni 
di  esperienze,  non  la  si  otterrà  mai;  e  comunque  si  facciano  » 
campioni  di  questa  unità  di  misura,  rimarrà  sempre  agli  scien- 
ziati il  problema  di  determinare  Terrore.  Ma  la  pratica,  special- 
mente quella  delle  applicazioni  industriali,  domanda  con  urgenza 
almeno  una  soluzione  approssimata.  Quindi  la  Commissione  fu 
d'avviso,  che,  per  rispondere  a  questo  bisogno  delle  applicazioni,, 
si  dovesse  nella  determinazione  del  campione  delTohm  consi- 
derare come  sufficiente  una  approssimazione  di  un  millesimo  : 
approssimazione  che,  se  supera  notevolmente  quella  dei  risultati 
già  ottenuti,  sì  spera  di  poter  ottenere  in  un  tempo  non  lontano 
colle  nuove  ricerche.  Essa  adunque  ammise  che  allorquando  i 
risultati  delle  diverse  determinazioni  presenteranno  una  concor- 
danza, la  quale  permetta  di  assicurare  la  approssimazione  di  un 
millesimo,  converrà  arrestarsi  a  questa  approssimazione  per 
fissare  subito  il  valore  del  campione  pratico  di  resistenza. 

Dopo  queste  decisioni  incombeva  alla  Commissione  inter- 
nazionale il  dovere  di  aiutare  coi  suoi  pareri  e  coi  suoi  voti  le 
nuove  esperienze.  Ed  a  questo  scopo  emise  i  due  voti  seguenti  : 

Che  il  Governo  francese  prendesse  le  disposizioni  neces- 
sarie acciocché  un  medesimo  campione,  o  parecchi  campioni  di 
resistenza  vengano  messi  a  disposizione  degli  sperimentatori 
che  si  occupano  di  misure  assolute,  onde  facilitare  i  confronti. 

Che  il  Governo  francese  si  assumesse  V  incarico  di  tras- 
mettere ai  Governi  rappresentati  nella  conferenza  un  voto  ten- 
dente a  far  sì  che  ciascuno  di   essi,  considerando  V  importanza 


^86  Seconda  commissione. 


€  l'urgenza  di  una  soluzione  pratica  del  problema,  prendesse 
le  disposizioni  necessarie  per  favorire  le  ricerche  dei  suoi  na- 
zionali relative  alla  determinazione  delle  Unità  elettriche. 

Si  presentò  da  alcuni  dei  delegati  alla  conferenza  la  pro- 
posta di  studiare  fin  d'ora  l'impianto  di  uno  stabilimento  inter- 
nazionale destinato  alla  determinazione,  alla  costruzione,  alla 
conservazione  ed  alla  riproduzione  dei  campioni  per  le  misure 
elettriche,  ed  alle  ricerche  che  vi  si  collegano.  Ma  la  grande 
maggioranza  della  Commissione  fu  d'avviso  che  il  momento  di 
pensare  a  ciò  non  fosse  ancora  venuto.  Nello  stato  attuale  della 
<|uestione,  il  lavoro  che  bisogna  fare  consiste  nel  moltiplicare 
le  determinazioni,  nel  provare  i  metodi  più  svariati,  nello  stu- 
ellare il  problema  sotto  tutti  gli  aspetti,  nell' attaccarlo  da  tutte 
le  parti.  Occorre  adunque,  e  questa  è  la  cosa  più  urgente,  che 
il  più  grande  numero  di  sperimentatori  si  accinga  a  tali  ricerche 
delicate;  e  siccome  queste  richiedono  mezzi  superiori  a  quelli 
che  ordinariamente  posseggono  i  singoli  laboratori,  è  deside- 
rabile, è  indispensabile,  che  i  Governi,  che  col  farsi  rappresentare 
nella  conferenza  dimostrarono  di  interessarsi  a  questo  grande 
lavoro  scientifico,  vengano  in  aiuto  di  quelli  che  possono  degna- 
mente rappresentarli  nella  palestra  internazionale  che  si  è  aperta. 


SECONDA  COMMISSIONE. 

Correnti  elettriche  terrestri, 

elettricità   atmosferica   e   parafulmini. 

Collegamento  telegrafico  degli  osservatori  meteorologici. 

In  conformità  delle  risoluzioni  adottate  dal  Congresso  degli 
-elettricisti  nella  seduta  del  5  ottobre  1881,  il  mandato  della 
seconda  Commissione  era  il  seguente: 

I.  Precisare  i  metodi  d'  osservazione  per  V  elettricità  atmo- 
sferica, allo  scopo  di  generalizzarne  lo  studio. 

II.  Riunire  gli  elementi  statistici  relativi  all'  efficacia  dei 
parafulmini  dei  diversi  sistemi,  ed  all'azione  preservatrice  o 
nociva  delle  reti  telegrafiche  e  telefoniche. 


Correnti  elettriche  terrestri,  ecc.  287 

HI.  Organizzare  lo  studio  sistematico  delle  correnti  terrestri 
sulle  linee  telegrafiche,  od  almeno  le  osservazioni  di  tali  cor- 
renti nei  giorni  termini  specificati  dalla  Commissione  polare 
internazionale  all'epoca  delle  sue  spedizioni  (il  i.**  ed  il  15  di 
ciascun  mese). 

IV.  Studiare  le  migliori  condizioni  di  impianto  di  una  rete 
ielemeteorografica  internazionale,  la  quale  permetta  alle  varie 
stazioni  di  comunicare  tra  loro  senza  interruzione,  onde  ottenere 
così,  in  modo  continuo,  lo  stato  meteorologico  del  più  grande 
iiumero  possibile  di  punti  utili. 

La  Commissione  esaminò,  Tuna  dopo  l'altra  tutte  quattro 
le  questioni  su  nominate. 

<2uESTiONE  I.  —  Precisate  i  metodi  di  osservazione  per  /'  elet- 
tricità atmosferica  allo  scopo  di  generalizzarne  lo  studio. 
Lo  studio  deirelettricità  atmosferica  si  divide  naturalmente 
in  due  parti:  nella  osservazione  continua  delle  variazioni  pe- 
riodiche regolari  del  potenziale  elettrico  dell'aria;  e  nella  os- 
servazione dei  fenomeni  elettrici  che  accompagnano  gli  uragani. 
La  prima  parte,  l'osservazione  continua  e  regolare  dell'elet- 
tricità dell'aria,  ha  molta  importanza:  da  essa  dipende  la  solu* 
zione  di  questioni  ancora  controverse,  le  quali  interessano 
moltissimo  lo  studio  dei  fenomeni  dell'atmosfera.  Una  di  queste, 
che  citerò  come  esempio,  fu  oggetto  di  discussione  nelle  riunioni 
stesse  della  Commissione;  ed  è  questa:  se  il  potenziale  elettrico 
dell'  atmosfera  presenti  quotidianamente  due  massimi  e  due  mi- 
nimi, come  pare  risultare  dalle  osservazioni  fatte  àdXVEverett  o 
se  invece  esso  presenti  un  solo  massimo  ed  un  solo  minimo 
giornaliero,  come  pare  che  risulti  dalle  regolari  osservazioni 
del  Mascari.  Bisognava  adunque  promuovere  questo  studio,  ed 
additare  agli  studiosi  i  procedimenti  migliori  per  ricavarne 
buoni  risultati. 

Per  promuovere  le  osservazioni  dell*  elettricità  atmosferica 
la  Commissione  non  aveva  che  un  mezzo:  emettere  un  voto, 
il  voto  che  i  governi  delle  nazioni  rappresentate  nella  confe- 
renza incoraggino  e  diffondano,  ciascuno  nella  propria  sfera, 
tali  studi.  Questo  voto  fu  adottato  all'unanimità;  ed  io  adempio 
a  un  dovere  segnalandolo  all'È.  V. 

Emesso  questo  voto,  la  Commissione  doveva  discutere  i 
procedimenti  per  le  osservazioni  del  potenziale  elettrico  del- 
l'aria.  Anche  su  ciò  essa   si   trovò  unanime.  Il  potenziale  elet- 


288  Seconda  commissione. 


trico  dell'atmosfera  è  variabilissimo,  e  le  sue  variazioni  repentine 
avvengono  bruscamente,  irregolarmente,  per  salti.  Sarebbe  quindi 
impossibile  ricavare  alcuna  conseguenza  da  osservazioni  fatte 
di  tempo  in  tempo,  anche  se  ad  intervalli  molto  brevi;  osser- 
vazioni fatte  solamente  in  istanti  determinati  difficilmente  po- 
trebbero condurre  alla  conoscenza  della  legge  generale,  principale, 
del  fenomeno.  La  Commissione  quindi  fu  d'avviso  di  consigliare 
r  installazione  di  apparecchi  ad  indicazione  continua,  di  appa- 
recchi registratori.  Il  Mascari^  professore  nel  Collegio  di  Francia 
e  direttore  dell'uffizio  centrale  meteorologico  di  Parigi,  indicò 
come  convenientissimo  l'apparecchio  di  cui  egli  si  serve. 

Questo  apparecchio  si  compone  di  un  raccoglitore  della 
elettricità  dell'aria,  e  di  un  elettrometro  registratore.  Il  racco- 
glitore è  a  scolo  di  liquido  ed  è  costituito  da  un  grande  reci- 
piente cilindrico  di  metallo,  da  cui  si  diparte  in  basso  un  piccolo 
tubo,  donde  effluisce  un  filo  di  liquido. 

L'apparecchio  può  essere  collocato  a  qualunque  altezza. 
Come  liquido  si  può,  nelle  condizioni  ordinarie,  adoperare 
l'acqua  pura;  e  quando  la  temperatura  è  bassa,  basta  aggiungere 
all'acqua  alquanto  alcool  per  impedire  la  congelazione;  nei  casi 
eccezionali  di  freddi  intensissimi,  si  può  adoperare  l'alcool  puro^ 

L'apparecchio  registratore  è  un  elettrometro  a  quadrante 
di  W.  Thomson  colla  disposizione  più  semplice  che  gli  ha  dato 
il  Mascart.  Le  deviazioni  dello  specchietto  sono  registrate,  per 
mezzo  della  fotografia,  su  di  una  striscia  di  carta,  che  si  muove 
verticalmente  con  moto  uniforme. 

La  Commissione,  invitata  dal  Mascart,  potè  vedere  nel  la- 
boratorio di  fisica  del  Collegio  di  Francia  l' installazione  dello 
strumento.  La  massima  cura,  in  una  installazione  come  questa^ 
si  deve  avere  per  il  perfetto  isolamento;  stando  alle  osserva- 
zioni del  Mascart  ed  a  quelle  del  Thomson,  risulta  possibile 
che  l'apparenza  di  un  doppio  periodo  giornaliero,  con  due 
massimi  e  con  due  minimi,  si  possa  attribuire  ad  una  insuffi- 
cienza delle  disposizioni  prese  per  isolare  gli  apparecchi. 

Dietro  proposta  di  sir  W.  Thomson,  la  conferenza  affermò 
inoltre  l'opinione  che,  oltre  all'osservazione  del  potenziale  elet- 
trico esterno,  sia  utile  fare  osservazioni  sull'elettricità  dell'aria 
nell'interno  degli  edifizi.  Secondo  i  risultati  di  alcune  esperienze 
citate  da  Helmholtz  risulta  che  le  osservazioni  del  potenziale 
dell'aria  si  possono  fare  assai  bene  e  regolarmente  nell'interno 
di  una  camera,  alla   condizione    che  le  pareti   sieno  sufficiente- 


Correnti  elettriche  terrestri,  ecc.  289 

mente  conduttrici  per  assumere  in  ogni  istante  un  potenziale 
uniforme. 

Quanto  alla  comparabilità  delle  osservazioni  fatte  nei  diversi 
osservatori,  la  questione  è  duplice.  Si  debbono  considerare  se- 
paratamente la  comparabilità  degli  elettrometri,  e  quella  dei 
risultati  delle  osservazioni  fatte  coi  medesimi  del  potenziale 
elettrico  dell'atmosfera.  Ora  la  comparabilità  degli  elettrometri 
è  certamente  sufficiente  quando  questi  sieno  apparecchi  a  qua- 
drante del  sistema  Thomson,  come  sopra  si  è  detto.  Non  sòia- 
mente  è  facile  verificare  se  le  condizioni  di  un  medesimo  elei- 
trometro  si  mantengono  inalterate,  in  modo  che  le  misure  fatte 
col  medesimo  in  tempi  diversi  si  possano  paragonare  con  suf- 
ficiente esattezza  tra  di  loro;  ma  non  è  difficile  nemmeno  pa- 
ragonare con  sufficiente  esattezza  due  elettrometri  diversi  situati 
in  luoghi  diversi;  basta  infatti  paragonare  le  deviazioni  segnate 
dai  due  apparecchi  quando  sono  adoperati  a  misurare  una  me- 
desima differenza  di  potenziali,  per  esempio  quella  di  una  pila 
Danieli  dì  un  certo  numero  di  elementi.  Ma  lo  stesso  non  è  dei 
risultati  delle  osservazioni  del  potenziale  atmosferico  fatte  nei 
diversi  osservatori.  Queste  non  sono  facili  a  compararsi;  esse 
sono  influenzate  dalle  conformazioni  del  luogo  dove  vengono 
eseguite.  Il  Thomson  indicò  il  solo  artifizio  che  si  abbia  per 
rendersi  conto,  in  qualche  modo,  di  questa  influenza.  Bisogna 
fare  simultaneamente  osservazioni  nella  stazione  meteorologica 
ed  in  stazioni  provvisorie  poste  in  mezzo  ad  uno  spazio  largo, 
libero  e  scoperto,  scelto  in  prossimità  della  stazione  meteoro- 
logica. A  quest'uopo  si  scava  nel  suolo  una  fossa  sufficiente 
perchè  vi  possa  stare  un  osservatore  munito  di  un  elettrometro 
portatile;  il  potenziale  dell'aria  è  preso  per  mezzo  di  una  miccia 
collocata  alla  altezza  di  tre  o  quattro  metri  dal  suolo. 

Tutto  ciò  riguarda  lo  studio  regolare  e  continuo  del  po- 
tenziale atmosferico,  nelle  condizioni  normali.  Un'altra  parte 
importante  dello  studio  dell'elettricità  dell'atmosfera  è,  come  ho 
detto,  quella  dei  fenomeni  che  accompagnano  gli  uragani.  Per 
lo  studio  di  questi  fenomeni  sarebbe  utilissimo  che  si  riuscisse 
ad  aggiungere  ai  dati  raccolti  negli  osservatori  meteorologici, 
quelli  che  si  potrebbero  raccogliere  negli  uffizi  telegrafici.  L'in- 
sieme di  tutte  le  osservazioni,  che  si  avrebbero  così  riunite, 
darebbe  un'immagine  più  esatta  della  variazione  dell'elettricità 
atmosferica  sopra  regioni  molto  estese.  Coli' intento  di  ciò  ot- 
tenere, l'osservatorio  meteorologico  centrale  di  Parigi  distribuisce 

G.  FcRKARis,  Opere,  Voi.  II.  19 


290  Seconda  coìiwiissione. 

a  tutti  gli  uffici  telegrafici  francesi  bollettini  dei  temporali,  dove 
si  debbono  inscrivere  i  numeri  dei  fili  telegrafici  sui  quali  gli 
uragani  si  fanno  sentire,  l'ora  delle  osservazioni  ed  i  principali 
fenomeni  osservati.  È  bensì  vero,  che  spesso  le  esigenze  del 
servizio  telegrafico  rendono  impossibili  le  osservazioni  desiderate; 
finché  infatti  le  perturbazioni  dovute  al  temporale  non  sono  così 
forti  da  rendere  impossibile  il  servizio,  l'impiegato  seguita  a 
telegrafare,  e  quando  le  perturbazioni  diventano  molto  intense, 
egli,  per  preservare  gli  apparecchi  telegrafici,  mette  la  linea  a 
terra  e  non  può  quindi  più  nulla  osservare.  Ma  un  risultato 
utile  si  potrà  ciò  nonostante  ricavare,  ed  è  l'indicazione  precisa 
del  momento  in  cui  il  temporale  ha  cominciato  a  farsi  sentire; 
a  questo  riguardo  i  telegrafisti  non  si  possono  sbagliare.  Per 
questo  motivo  la  pratica  seguita  dall'  uffizio  meteorologico  di 
Parigi  è  raccomandabile,  e  la  Commissione  affermò  il  desiderio 
di  vederla  estesa  anche  negli  altri  paesi.  Ed  a  ciò  si  riduce 
tutto  quanto  la  Commissione  poteva  fare,  su  questo  punto,  in 
questa  sua  prima  riunione;  essa  non  potè  fare  altro  che  espri- 
mere il  voto  che  lo  studio  degli  uragani  venga  esteso  a  tutti  i 
paesi. 

Questione  IL  —  Riunire  gli  elementi  statistici  relativi  all'efficacia 
dei  parafulmini  ed  all'azione  preservatrice  o  nociva  delle  reti 
telegrafiche  e  telefoniche, 

A  preparare  materiali  utili  per  lo  studio  degli  effetti  del 
fulmine,  per  quello  delle  questioni  relative  all'efficacia  de'  para- 
fulmini e  per  l' influenza  preservatrice  o  dannosa  delle  reti 
telegrafiche  e  telefoniche,  danno  opera  già  fin  d'ora,  benché  iso- 
latamente, alcuni  osservatori.  Fra  questi  merita  di  essere  citata 
con  lode  l'uffizio  centrale  meteorologico  di  Roma  diretto  dal 
professore  P.  Tacchini,  il  quale  già  dall'anno  scorso  ha  comin- 
ciato a  notare  nei  bollettini,  oltre  agli  altri  elementi  dei  tem- 
porali, anche  i  danni  del  fulmine.  Egli  é  certo  che  se  la  pratica 
fosse  seguita  da  tutti  gli  osservatori  ove  si  fa  lo  studio  degli 
uragani,  sarebbe  possibile  raccogliere,  in  un  tempo  non  lungo, 
dati  preziosi  ed  istruttivi. 

Ma  l'opera  degli  osservatori  vorrebbe  essere  aiutata  da 
quella  di  tutte  le  amministrazioni  che  vi  possono  avere  interesse. 
E  benché  fin  d'ora  alcune  di  queste,  segnatamente  le  ammini- 
strazioni telegrafiche  e  telefoniche,  per  cui  le  questioni  collegate 
a  questo  studio  hanno  maggiore  importanza,  vadano  raccogliendo 


e  or  retiti  elettriche  terrestri,  ecc.  291 

utili  osservazioni,  egli  sarebbe  desiderabile  che  queste  venissero 
estese,  regolate  da  criteri  generali,  e,  quel  che  più  monta,  coor- 
dinate e  comunicate  regolarmente  agli  uffizi  meteorologici . 
Questo  è  il  voto  emesso  dalla  Commissione:  che  i  Governi  rap- 
presentati  nella  conferenza  organizzino  ed  incoraggino  tutte  le 
osservazioni  che  hanno  attinenza  cogli  effetti  del  fulmine  e  col- 
r  efficacia  dei  parafulmini,  ed  invitino  tutte  le  amministrazioni  a 
ciò  più  interessate  a  moltiplicare  per  proprio  conto  le  osservazioni, 
ed  a  farle  conoscere  regolarmente. 

Per  precisare  le  regole  relative  a  questo  studio,  e  per  fa- 
cilitare la  comparazione  delle  varie  osservazioni,  su  cui  si  dovrà 
basare  la  desiderata  statistica  sull'efficacia  dei  parafulmini  e 
sull'azione  delle  reti  telegrafiche  e  telefoniche,  la  Commissione 
adottò  due  questionari  da  trasmettersi  ai  Governi  perchè  li  di- 
stribuiscano a  tutti  quelli  da  cui  si  potranno  avere  utili  osser- 
vazioni. Il  primo  di  questi  questionari  si  riferisce  ai  colpi  di 
fulmine  fuori  delle  linee  telegrafiche  o  telefoniche,  e  mira  spe- 
cialmente allo  studio  dell'efficacia  dei  parafulmini.  L'altro  si 
riferisce  ai  colpi  di  fulmine  sulle  lìnee  telegrafiche  e  telefoniche, 
o  nelle  abitazioni  collegate  coi  fili;  e  questo  mira  a  constatare 
l'azione  preservativa  o  dannosa  delle  reti  medesime. 

I  due  questionari  sono  i  seguenti: 

PRIMO  QUESTIONARIO. 

•Colpi  di  fulmine  fuori  delle  linee  telegrafiche  o  telefoniche. 

I.*»  Località: 

Posizione  geografica  —  Ora. 

2.'  Natura  dell'oggetto  colpito: 

Casa  ^ 

,      j  Altezza  —  Modo  di  costruzione  — 

Chiesa f        Materiali  -   Natura  del  tetto  e 

Monumento  pubblico    .   .   V        della  sua  ossatura  —  Masse  me- 

Costruzione  in  generale.  ,       uniche  -  Travi  di  ferro,  ecc. 

Alberi  (specie,  altezza). 

Pagliai  o  fienili. 

Persone  -  animali. 
3.**  Posizione  di  questi  oggetti: 

Dintorni:  L'oggetto  è  isolato  o  vicino  a  case  o  ad 
:alberi  poco  elevati?  —  A  quale  distanza?  —  Natura  del  suolo. 
—  Sonvi  giacimenti  metallici  o  lame  d'acqua   nelle  vicinanze? 


292  Seconda  commissione. 


4.®  Natura  dei  guasti  : 

Strada  seguita  dalla  folgore.  —  Oggetti  abbruciati,  fusi  o 
distrutti.  —  Incendi  consecutivi.  —  Effetti  meccanici.  —  Tra- 
sporto di  materiali.  —  Sono  state  toccate  dal  fulmine  condotte 
d'acqua,  di  gas,  o  di  caloriferi?  —  Sembra  che  esse  abbiano 
avuta  una  parte  nei  danni? 

S.*'  Esiste  un  parafulmine,  sia  sull'oggetto  colpito,  sia  nelle 
vicinanze? 

Quale  è  la  distanza^  e  quale  l'altezza  del  parafulmine,  re- 
lativamente alla  posizione  del  colpo  di  fulmine? 

Indicare  il  sistema  di  parafulmine  e  descriverne  la  co- 
struzione. —  Numero  delle  punte,  loro  altezza,  loro  diametro, 
natura  delle  loro  estremità.  —  Numero  dei  conduttori  lungo  il 
tetto,  loro  forma,  loro  sezione  e  loro  diametro.  —  Numero  delle 
sbarre  di  comunicazione  col  suolo  e  loro  diametro. 

Stato  dell'apparecchio  prima  dell'accidente.  —  Data  della 
costruzione  e  dell'ultima  verificazione,  se  ne  è  del  caso. 

Stato  della  comunicazione  colla  terra.  —  Natura,  gran- 
dezza e  forma  delle  superficie  di  contatto  col  suolo.  —  Natura 
del  terreno. 

Sono  i  parafulmini  posti  in  comunicazione  colle  condotte 
d'acqua  e  di  gas,  ed  in  qual  modo?  —  Sonvi  masse  metalliche 
nelle  vicinanze?  Sono  queste  collegate  col  parafulmine? 
6.°  Informazioni  diverse: 

Vi  ebbero  parecchi  colpi  successivi?  —  Vi  ebbero  altri 
colpi  di  fulmine  nelle  vicinanze,  ed  a  quale  distanza?  —  Fu  il 
colpo  di  fulmine  preceduto  da  pioggia,  da  grandine  o  da  una 
tromba?  —  Testimonianza  delle  persone  che  hanno  veduto  il 
colpo  di  fulmine. 

SECONDO  QUESTIONARIO. 

Colpi  di  fulmine  sulle  linee  telegrafiche  o  telefoniche 
o  nelle  abitazioni  collegate  coi  fili. 

i.«  Località: 

Posizione  geografica  —  Ora. 
2.°  Accidenti  sui  fili: 

Natura  del  filo  colpito.  —  Diametro.  —  Modo  di  installa- 
zio  ne.  —  Natura,  dimensioni  e  modo  di  preparazione  dei  pali. 
—  Numero  dei  fili  portati  dai  pali  nel  punto  colpito.  —  Isolatori. 


Correnti  elettriche  terrestri,  ecc,  293 


Natura  e  modo  dì  installazione.  —  Esistono  parafulmini  sui  pali 
vicini?  —  Distanza  dal  punto  colpito  alle  stazioni  vicine  da  una 
parte  e  dall'altra. 

Guasti  sulla  linea  a  qualche  distanza  dal  punto  colpito. 

Guasti  sugli  oggetti  vicini.  —  Natura  di  questi  guasti.  — 
Fusione  e  volatilizzazione  dei  metalli.  —  Trasporti  metallici. 
3.°  Accidenti  nelle  abitazioni  : 

Uffici  telegrafici  e  stazioni  telefoniche.  —  Natura  della 
linea.  —  Modo  di  costruzione.  —  Natura  e  diametro  del  filo. 

Modo  d'installazione  degli  appoggi  vicini.  —  Numero  dei 
fili  che  essi  portano.  —  Cammino  seguito  dal  fulmine.  —  Guasti 
sui  parafulmini.  —  Natura  dei  parafulmini.  —  Guasti  sugli  ap- 
parecchi, sugli  oggetti  vicini,  sulle  persone.  —  Traccie  lasciate 
sui  vari  apparecchi,  e  tra  gli  altri  sulle  piastre  dei  commutatori. 

—  Per  le  stazioni  telefoniche  indicare  la  natura  degli  apparecchi 

—  V'è  un  microfono  ed  una  pila?  —  Natura  della  comunica- 
zione col  suolo. 

Influenza  della  vicinanza  dei  tubi  del  gas  e  dell'acqua.  — 
Modo  di  unione  di  questi  tubi. 


Preparato  in  questo  modo  il  piano  del  lavoro  che  dovrà 
fornire  gli  elementi  per  una  statistica  dei  casi  di  fulmine,  la 
Commissione  chiuse  le  sue  discussioni  sulla  seconda  quistione 
esprimendo  ancora  un  desiderio:  il  desiderio  che,  per  cura  delle 
pubbliche  amministrazioni,  i  parafulmini  vengano  sottoposti  ad 
una  verificazione  periodica. 

Questione  III.  —  Organizzare  lo  studio  sistematico  delle  correnti 
terrestri  sulle  linee  telegrafiche,  od  almeno  le  osservazioni  di 
tali  correnti  nei  giorni  "  termini  „  specificati  dalla  Commis- 
sione polare  internazionale  all'epoca  delle  sue  spedizioni. 
Il   modo    migliore  di  fare  lo  studio  delle  correnti  terrestri 
sarebbe,  se  fosse  attuabile,  quello  di  far  servire  a  ciò,  in   cia- 
scun paese,  almeno  due  lunghe  linee  telegrafiche  dirette  prefe- 
ribilmente l'una  dal  nord  al  sud,  e  l'altra  dall'est  all'ovest;  ed 
installare  su  queste  linee  apparecchi  registratori  da  cui  si  pos- 
sano avere  indicazioni  continue.  Il  Mascari,  a  questo  riguardo, 
ammetteva  non  essere  impossibile   combinare   un    apparecchio 
reometrico  registratore  tale  da  poter  lavorare  regolarmente  an- 
che durante  il  servizio  telegrafico. 


294  Seconda  commissione. 


Nelle  condizioni  attuali  però  l'idea  di  istituire  osservazioni 
continue  su  linee  telegrafiche  in  esercizio  non  è  attuabile.  Parve 
alla  Commissione  essere  assai  più  pratico  rinunziare,  per  ora, 
al  vantaggio  di  poter  operare  su  grandi  distanze,  e  proporre 
invece  la  costruzione  di  linee  telegrafiche  anche  brevi,  ma  uni- 
camente destinate  alle  osservazioni  delle  correnti  terrestri,  e 
collegate  perciò  direttamente  cogli  osservatorii.  È  molto  proba- 
bile che,  ricorrendo  ad  apparecchi  di  misura  abbastanza  sensi- 
bili, si  possano  ricavare  indicazioni  utili  anche  su  linee  di  lun- 
ghezza piccolissima;  linee  di  tre  a  cinque  chilometri  potrebbero 
in  alcuni  casi  essere  sufficienti.  Ora  la  spesa  necessaria  per 
l'impianto  di  linee  così  fatte  potrebbe  non  superare  quella  che 
in  tutti  i  paesi  un  osservatorio  scientifico  può  ragionevolmente 
chiedere  al  Governo  in  servizio  degli  studi.  Nella  Russia  l'espe- 
rimento è  già  avviato,  ed  alcune  linee  destinate  unicamente  allo 
studio  delle  correnti  telluriche  sono  di  già  costrutte;  inoltre  si 
posseggono  già  fin  d'ora  risultati  di  osservazioni  isolate,  le  quali 
dimostrano  che  anche  su  linee  brevissime  si  possono  fare  os- 
servazioni importanti.  L'idea  adunque  di  proporre  ai  Governi 
la  costruzione  di  linee  speciali  destinate  unicamente  a  questi 
studi  è  perfettamente  pratica;  è,  nello  stato  attuale,  la  sola  ve- 
ramente pratica. 

Lo  studio  regolare,  fondamentale,  basato  sulle  indicazioni 
continue  degli  apparecchi  installati  sulle  brevi  linee  apposita- 
mente costrutte,  delle  quali  si  è  detto,  dovrebbe  poi  essere  com- 
pletato colle  osservazioni  che  si  potrebbero  fare  ad  intervalli 
regolari  di  tempo,  ed  il  più  spesso  possibile,  sulle  grandi  linee. 
Si  dovrebbero  a  quest'uopo  scegliere  per  fare  le  osservazioni 
sulle  lunghe  linee,  possibilmente,  i  medesimi  giorni  in  tutti  i 
paesi.  Quindi  la  scelta  dovrebbe  cadere  preferibilmente  sui  giorni 
nei  quali  le  linee  telegrafiche  sono  meno  ingombre:  sui  giorni 
festivi. 

Le  linee  appositamente  costrutte  per  le  osservazioni  sulle 
correnti  terrestri  dovranno  essere  disposte  preferibilmente  nelle 
due  direzioni  cardinali  ;  dal  nord  al  sud  e  dall'est  all'ovest.  Esse 
poi  dovranno  essere  sotterranee,  acciocché  ai  fenomeni  tellurici 
che  si  vogliono  osservare  non  vengano  a  sovrapporsi  quelli 
dovuti  all'elettricità  atmosferica. 

Nei  paesi  che  posseggono  estese  reti  telegrafiche  sotterranee, 
come  sono  la  Germania  e  la  Francia,  si  dovranno  scegliere  in 
queste  reti  le  lunghe  linee  per  le  osservazioni  saltuarie,  dome- 


Correnti  elettriche  terrestri,  ecc,  295 


nicali,  che  abbiamo  detto  doversi  combinare  colle  continue  degli 
osservatori!.  Le  linee  sotterranee  prescelte  saranno,  se  possibile, 
dirette  dal  nord  al  sud  o  dall'est  all'ovest. 

I  fenomeni  di  polarizzazione  sulle  lastre  a  terra  potrebbero 
alterare  i  risultati  delle  osservazioni.  Per  ovviare  a  questo  in- 
conveniente il  modo  migliore  è  quello  che  fu  suggerito  alla 
Commissione  dal  Kohlrausch.  Ciò  che  si  ha  da  misurare,  os- 
servò il  Kohlrausch,  non  è  già  una  corrente  elettrica,  ma  sem- 
plicemente una  differenza  di  potenziali,  la  differenza  del  po- 
tenziale elettrico  tra  due  punti  scelti  nella  parte  superficiale 
della  crosta  terrestre;  quindi  si  possono  fare  le  misure  senza 
bisogno  di  produrre  lungo  la  linea  telegrafica  correnti  elettriche, 
oppure  producendo  correnti  debolissime,  per  cui  i  fenomeni  di 
pK)larizzazione  riescano  insensibili.  Il  meglio  è  fare  uso  di  un 
reometro  sensibile,  e  porre  nel  circuito  una  resistenza  gran- 
dissima. 

Esprimendo  il  voto  che  alcune  linee,  ancorché  brevi,  indi- 
pendenti dalla  rete  telegrafica  generale,  sieno  in  ciascun  paese 
consacrate  in  modo  esclusivo  allo  studio  delle  correnti  terrestri  ; 
e  che  le  grandi  linee,  specialmente  se  sotterranee,  e  se  dirette 
dal  nord  al  sud  o  dall'est  all'ovest,  vengano  il  più  spesso  pos- 
sibile  utilizzate  per  ricerche  della  medesima  natura;  e  precisando 
inoltre  nel  modo  che  ho  detto  le  condizioni  necessarie  per  ot- 
tenere utili  risultati,  la  Commissione  ha  preparato  il  programma 
di  una  serie  di  osservazioni  importanti,  e  che  nel  corso  degU 
anni  porterà  frutti  considerevoli.  Per  l'anno  corrente  però  questo 
piano  non  avrebbe  potuto  essere  realizzato  nemmeno  parzial- 
mente. Quindi  la  conferenza  dovette  aggiungere  alle  conclusioni 
precedenti  il  seguente  voto  : 

Per  l'anno  corrente  la  conferenza  raccomatida  che  vengano 
fatte  osservazioni  regolari  nei  giorni  "  termini  „  determinati  per  le 
spedizioni  polari  internazionali,  che  sono  il  1°  ed  il  15  di  ogni  mese. 

Questione  IV.  —  Studiare  le  migliori  condizioni  di  impianto  di 
tuia  rete  tele-meteorografica  internazionale  che  permetta  alle 
varie  stazioni  di  comunicare  tra  loro  senza  interruzione,  onde 
ottenere  così  in  modo  continuo  lo  stato  meteorologico  del  più 
grande  numero  possibile  di  punti  utili. 
Nel  i88i  il  signor  Van  Rysselberghe^  meteorologo  all'osser- 
vatorio di  Bruxelles,  presentò  al  Congresso  internazionale  degli 
elettricisti  in  Parigi  una  proposta  diretta  ad  accelerare  grande- 


296  Seconda  commissione. 


mente,  rendendola  indipendente  dal  servizio  telegrafico  ordina- 
rio, la  trasmissione  telegrafica  delle  osservazioni  meteorologiche 
fra  i  diversi  osservatorii  europei.  La  proposta  consisteva  nel 
collegare  tra  di  loro  gli  osservatorii  principali  per  mezzo  di 
una  rete  telegrafica  internazionale  unicamente  destinata  al  ser- 
vizio meteorologico.  Su  questa  rete  le  varie  osservazioni  mete- 
orologiche sarebbero  state  trasmesse  istantaneamente,  ed  auto- 
maticamente, per  mezzo  di  un  suo  telemeteorografo  registratore. 
Tale  apparecchio  era  fin  d'allora  installato  tra  Bruxelles  e  Pa- 
rigi, e  funzionava  regolarmente.  L'adozione  del  progetto  per  la 
parte  nord-ovest  dell'Europa,  singolarmente  importante  dal  punto 
di  vista  meteorologico,  avrebbe  richiesto  l'impianto  di  12,000 
chilometri  di  fili  telegrafici,  i  quali  avrebbero,  secondo  l'autore, 
importato  una  spesa  non  maggiore  di  1,200,000  lire.  Parago- 
nando questa  spesa,  che  non  avrebbe  dovuto  essere  rinnovata 
se  non  dopo  il  periodo  di  20  anni,  con  quella  attualmente  ri- 
chiesta per  rinvio  dei  telegrammi  meteorologici,  che  per  la  re- 
gione, su  cui  si  proponeva  di  estendere  il  nuovo  sistema,  rag- 
giunge la  somma  di  lire  900  al  giorno,  il  Rysselberghe  credeva 
di  poter  asserire  che  l'adozione  del  suo  progetto,  lungi  dall'es- 
sere onerosa,  avrebbe  permesso  una  notevole  economia. 

Il  Congresso  rinviò  l'esame  di  questa  proposta  alla  Com- 
missione attuale. 

La  Commissione  però,  dopo  un  rapido  esame  della  question  e 
ebbe  a  riconoscere  che  all'attuazione  del  grandioso  progetto  si, 
opporrebbero  attualmente  difficoltà  gravissime.  Quindi  votò  la 
risoluzione  seguente: 

Non  si  crede  ancora  venuto  il  momento  di  dar  seguito  al 
progetto  di  una  rete  tele-meteorografica  internazionale.  Ma  frat- 
tanto la  conferenza  si  dichiara  estremamente  favorevole  a  tutte  le 
disposizioni,  a  tutte  le  misure,  atte  a  facilitare  lo  sviluppo  dei  te- 
legrammi meteorologici  ed  a  migliorare  il  servizio  della  previsione 
del  tempo. 


Scelta  di  un'atti  fa  di  iitietisilà  di  luce,  ecc.  297 


TERZA  COMMISSIONE. 

Scelta  di  un'unità  di  intensità  di  luce,  ed  esame 

DEI  metodi  fotometrici. 

Il  problema  proposto  alla  terza  Commissione  è  duplice: 
i.°  Scegliere  un  campione  di  luce  atto  a  rendere  compa- 
rabili le  misure  fotometriche  richieste  'dagli  attuali  bisogni  della 
scienza  e  dell'industria. 

2.°  Precisare  i   metodi   per  fare,  coll'unità  scelta,  misure 
effettive. 

Le  due  questioni  sono  intimamente  collegate  tra  di  loro, 
per  modo  che  non  è  possibile  trattare  dell'  una  senza  aver  ri- 
guardo anche  all'altra.  È  chiaro  infatti  che  la  scelta  di  un  foto- 
metro o  di  un  metodo  fotometrico  deve  dipendere  dalla  natura 
e  dalle  condizioni  della  sorgente  luminosa  assunta  come  termine 
di  confronto;  e  che  reciprocamente  nello  scegliere  fra  le  sor- 
genti luminose  quella  che  si  dovrà  adottare  come  campione, 
come  termine  di  paragone  per  tutte  le  altre,  devesi  aver  riguardo, 
fra  le  altre  cose,  all'attitudine  sua  ad  essere  comodamente,  e 
con  sicurezza,  adoperata  negli  esperimenti  di  confronto.  Do- 
vendo tuttavia  stabilire  un  ordine  pei  propri  lavori,  la  Commis- 
sione internazionale  dovette  separare  le  due  questioni:  e,  come 
era  naturale,  dovette  dare  la  precedenza  alla  prima,  che  è,  fra 
le  due,  la  più  grave  e  la  più  urgente.  Le  sedute  della  Commis- 
sione furono  quasi  intieramente  dedicate  ad  essa. 

PRIMA  QUESTIONE. 
Scelta  di  una  unità  di  misura  per  le  quantità  di  luce. 

Le  condizioni,  a  cui  dovrebbe  soddisfare  una  sorgente  di 
luce,  per  potere  utilmente  essere  adottata  come  termine  di 
confronto,  come  campione  per  le  misure  fotometriche,  sono  pa- 
recchie. 

In  primo  luogo  essa  dovrebbe  avere  le  proprietà  necessarie 
e  fondamentali  di  qualunque  buona  unità  di  misura;  quella  di 
avere  una  definizione  precisa;  quella  di  potersi  conservare  inai- 


298  Terza  commissioue. 


tarata  e  costante  almeno  per  la  durata  intiera  di  un  esperi- 
mento; quella  di  potere  essere  riprodotta,  sempre  in  identiche 
condizioni,  in  modo  che  le  misure  fatte  col  suo  mezzo  sieno 
tutte  paragonabili  tra  di  loro. 

In  secondo  luogo  dovrebbe  avere  una  intensità  facilmente 
paragonabile  con  quella  delle  sorgenti  di  luce  che  dovranno 
essere  studiate  col  suo  mezzo.  Quindi  nelle  condizioni  presenti, 
mentre  da  una  parte  il  gas  forma  ancora  il  mezzo  ordinario  di 
illuminazione,  e  dall'altra  parte  l'illuminazione  elettrica  va  dif- 
fondendosi ed  acquistando  importanza  di  giorno  in  giorno,  il 
campione  di  luce  dovrebbe  preferibilmente  avere  una  intensità 
intermedia  fra  quella  del  gas  e  quella,  assai  più  grande,  di 
molte  lampade  elettriche. 

In  terzo  luogo  la  luce  irradiata  dal  campione  dovrebbe 
avere  una  colorazione  poco  diversa  da  quella  delle  sorgenti 
colle  quali  il  campione  dovrà  essere  paragonato;  la  differenza 
di  colore  costituisce  infatti  la  difficoltà  più  grave  fra  tutte  quelle 
che  si  incontrano  nel  confronto  di  due  luminari.  Quindi  pei 
bisogni  attuali  dell'industria,  la  sorgente  scelta  come  campione 
dovrebbe  dare  una  luce  di  colore  intermedio  fra  l'aranciato 
delle  fiamme  di  gas  ed  il  bianco  pallido  dell'arco  voltaico. 

Le  sorgenti  di  luce  adoperate  finora  come  unità  nelle  mi- 
sure fotometriche  non  soddisfano  a  nessuna  delle  condizioni  ora 
enumerate.  Tali  sorgenti  sono  la  lampada  Carcel,  il  cui  uso  è 
generale  in  Francia  e  presso  di  noi,  e  le  candele,  l'impiego  delle 
quali  è  diffuso  in  Inghilterra,  in  Germania  e  nell'America. 

Della  lampada  Carcel  adoperata  come  campione  di  luce  si 
dà  una  definizione,  la  quale,  oltre  alla  descrizione  della  lampada, 
comprende  la  forma  e  le  dimensioni  dello  stoppino,  la  lunghezza 
della  fiamma,  la  qualità  dell'olio  ed  il  consumo  orario  di  questo. 
In  grazia  di  questa  definizione  o  descrizione  particolareggiata  e 
precisa,  ed  in  grazia  delle  cautele  indicate  con  grande  chiarezza 
e  precisione  dal  Fresuel,  uno  sperimentatore  pratico  e  coscien- 
zioso può  non  solo  mantenere  la  lampada  in  condizioni  inva- 
riate per  tutta  la  durata  di  un  esperimento,  ma  eziandio  prepa- 
rare sempre,  in  tutti  gli  esperimenti,  la  lampada  in  modo,  che 
essa  dia  ad  ogni  volta  approssimativamente  la  medesima  quan- 
tità di  luce.  Il  Le  Blatte,  direttore  dell' uffìzio  municipale  pel 
saggio  del  gas  a  Parigi,  asserisce  che  la  differenza  tra  le  in- 
tensità della  lampada  in  due  esperimenti  diversi  può  rendersi 
sempre  inferiore  ad  Vso-  Ma  se   ciò   dimostra   che   la   lampada 


Scelta  di  un'unità  di  intensità  di  luce,  ecc.  299 


Carcel  è  il  migliore  fra  i  campioni  di  luce  attualmente  in  uso, 
e  che  le  misure  fatte  colla  lampada  stessa  in  un  medesimo  la- 
boratorio sono  tra  di  loro  comparabili  con  una  approssimazione 
spesso  sufficiente,  ciò  tion  dimostra  però  che  ugualmente  com- 
parabili possano  essere  le  misure  fatte  da  sperimentatori  diversi, 
in  diversi  paesi.  Rimane  infatti  l'indeterminazione  e  l'incertezza 
dipendenti  dalle  diversità  negli  olii  adoperati  ne'  diversi  labora- 
tori. Quindi  la  lampada  soddisfa  solo  mediocremente  alla  prima 
condizione. 

Alla  seconda  condizione  la  lampada  Carcel  non  soddisfa 
affatto,  perchè  la  sua  luce  è  meno  intensa  di  quella  di  un  ordi- 
nario becco  di  gas,  ed  è,  per  conseguenza,  lontanissima  da 
quella  di  molti  fanali  elettrici. 

Meno  ancora  essa  corrisponde  alla  terza  condizione,  avendo 
la  sua  luce  una  tinta  più  aranciata  di  quella  delle  ordinarie 
fiamme  di  gas. 

Peggio  della  lampada  Carcel  soddisfano  alle  dovute  condi- 
zioni le  candele  adoperate  come  campioni  fotometrici.  Oltre 
alla  indeterminazione  che  risulta  dall'essere  diversa  la  compo- 
sizione delle  candele  delle  quali  si  fa  uso,  per  le  misure,  nei 
vari  paesi,  si  ha  quella  che  risulta  dalla  diversità  inevitabile  tra 
le  stesse  candele  di  una  medesima  specie  e  di  una  medesima 
fabbrica,  e  quella,  pure  inevitabile,  che  nasce  dalla  eterogeneità 
di  una  medesima  candela,  di  cui  una  porzione  non  è  mai  asso- 
lutamente identica  alle  altre.  Alla  prima  delle  condizioni  che 
abbiamo  indicato,  le  candele  soddisfano  adunque  assai  meno 
bene  della  lampada  Carcel.  E  quanto  alle  altre  due  condizioni, 
alle  condizioni  relative  alla  intensità  della  luce  ed  alla  sua  co- 
lorazione, è  evidente  che  le  candele  sono  inferiori  di  gran  lunga 
alla  lampada  Carcel  :  l'intensità  della  luce  di  una  candela  di  sper- 
maceti, del  tipo  di  quelle  adoperate  in  Inghilterra  come  campioni 
fotometrici,  è  infatti  compresa  tra  Vio  ^^  V9  ^^  quella  di  una 
fiamma  Carcel;  e  la  tinta  della  luce  è  sensibilmente  più  aranciata 
di  quella  data,  nelle  condizioni  ordinarie,  da  un  becco  di  gas. 

Di  fronte  al  grande  sviluppo  ed  alla  grande  importanza  che 
vanno  acquistando  i  nuovi  sistemi  di  illuminazione,  l'insuffi- 
cienza delle  unità  di  misura  fin  qui  adoperate  e  la  mancanza  di 
metodi  confacenti  ai  nuovi  bisogni  della  fotometria  sono  gra- 
vissimamente sentite,  ed  il  problema  di  rimediare  ad  esso  è,  per 
la  scienza  e  per  le  applicazioni  industriali,  uno  dei  più  urgenti 
del  giorno. 


300  Terza  commissione. 


Nel  congresso  internazionale  degli  elettricisti,  nel  1881,  le 
questioni  attinenti  a  questo  problema  occuparono  parecchie  se- 
dute. In  quell'occasione  alcuni  scienziati,  e  fra  questi  autorevo- 
lissimo il  Crova,  sostennero  non  essere,  nello  stato  presente 
della  scienza,  possibile  fissare  un  campione  di  luce  meglio  defi- 
nibile e  migliore  nella  pratica  di  quello  che  sia  la  lannpada 
Carcel;  doversi  attualmente  dirigere  gli  studi  unicamente  ai  me- 
todi per  le  misure  fotometriche;  sopratutto  doversi  mirare  a 
diminuire  la  difficoltà  e  l'incertezza  che  nelle  esperienze  di  fo- 
tometria è  dovuta  alla  differenza  di  colore  fra  le  due  luci  para- 
gonate; potersi  finalmente  ottenere  questo  risultato  eliminando 
dalle  due  luci  le  parti  estreme  dello  spettro.  Altri  mettevano 
innanzi  il  campione  proposto  già  dallo  Schwendler,  consistente 
in  un  filo  od  in  una  lastrina  di  platino  resa  incandescente  per 
mezzo  di  una  corrente  elettrica  di  intensità  costante  e  deter- 
minata. Altri  proponevano  la  luce  di  Drummond,  ed  altri  face- 
vano proposte  svariate.  Intanto  il  signor  Violle,  professore  nella 
facoltà  di  scienze  di  Lione,  presentava  all'assemblea  la  proposta 
di  assumere,  come  unità  di  misura  per  le  quantità  di  luce,  la 
luce  irradiata,  nella  direzione  della  normale,  da  un  centimetro 
quadrato  di  platino  alla  temperatura  di  fusione. 

Nella  impossibilità  di  dare  immediatamente  una  soluzione 
ad  una  questione  come  questa,  la  quale  non  si  può  trattare  se- 
riamente se  non  con  ricerche  sperimentali,  e  con  studi  complessi 
e  delicati  di  laboratorio,  il  congresso  del  1881  dovette  limitarsi 
ad  affermare  la  importanza  e  l'urgenza  della  medesima,  votando 
le  due  seguenti  deliberazioni: 

i.°  Che  in  attesa  del  giorno,  in  cui  si  possa  indicare  una 
unità  assoluta,  veramente  scientìfica,  per  le  misure  fotometriche, 
si  dovesse  raccomandare  l'uso  della  lampada  Carcel  (tipo  del 
servizio  dei  fari  francesi)  piuttosto  che  la  candela. 

2.°  Che  si  proponesse  l'istituzione  di  una  Commissione 
internazionale  incaricata  di  studiare  i  migliori  metodi  fotometrici 
e  di  proporre  un  campione  definitivo  di  luce. 

Alla  Commissione  internazionale,  che  è  stata  nominata  in 
conformità  di  quest'ultima  deliberazione,  si  presentarono,  come 
già  al  Congresso,  varie  proposte. 

Prima  di  tutte  dovette  essere  presa  in  esame  dalla  Commis- 
sione l'unità  immaginata  già  dal  signor  Draper,  e  poi  riproposta 
dallo  Schwendler.  Questa  unità,  alla  quale  ebbi  poc'anzi  a  fare 
allusione,  consiste,  come  ho  detto,  in    un  filo,  od  in  una  lami- 


Scelta  di  un'uniià  di  intensità  di  luce,  ecc. 


301 


netta  di  platino,  percorsa  e  portata  all'incandescenza  da  una 
corrente  elettrica  d'intensità  costante  e  ben  determinata.  La 
semplicità  apparente  dell'apparecchio,  la  possibilità  di  avere  dal 
medesimo  una  luce  più  bianca  e  più  intensa,  non  solo  di  quella 
degli  antichi  campioni,  ma  anche  di  quella  di  un  ordinario  becco 
di  gas,  e  più  di  tutto  il  merito  di  prestarsi  ad  una  definizione 
precisa  e  veramente  scientìfica,  raccomanderebbero  tale  unità, 
se  l'uso  della  medesima  non  presentasse  alcune  difficoltà  gra- 
vissime. La  prima  difficoltà  deriva  dal  fatto  che  a  variazioni 
anche  piccolissime  dell'intensità  della  corrente  elettrica  corri- 
spondono variazioni  molto  grandi  nella  intensità  e  nella  co- 
lorazione della  luce  irradiata  dal  platino  incandescente.  A  dimo- 
strare la  gravità  di  questo  inconveniente  bastano  i  risultati  di 
alcune  esperienze  fatte  dal  signor  Zenmer  e  citate  nella  confe- 
renza dal  Wiedemann,  dai  quali  si  deduce  che,  facendo  variare 
l'intensità  della  corrente  elettrica  nel  rapporto  di  14  a  17,  l'in- 
tensità della  luce  rossa  irradiata  dal  platino  varia  approssima- 
tivamente nel  rapporto  di  uno  a  trenta,  e  quella  della  luce  verde 
varia  approssimativamente  nel  rapporto  di  uno  a  cinquanta. 
Una  seconda  difficoltà  si  incontra  nel  determinare  e  nel  conser- 
vare con  esattezza  le  dimensioni  e  la  forma  del  filo  o  della 
laminetta,  e  nel  mantenere  inalterate  e  perfettamente  definibili 
in  tutte  le  esperienze  le  varie  condizioni  da  cui  dipende  l'irra- 
diazione termica,  e  quindi  la  temperatura  corrispondente  ad  una 
data  intensità  della  corrente  elettrica.  Un'ultima  difficoltà,  forse 
la  più  grave  di  tutte,  sta  nelle  variazioni  di  struttura  e  di  po- 
tere emissivo  che  il  platino  subisce  in  causa  del  passaggio  della 
corrente. 

Quello  che  ho  detto  pel  campione  fotometrico  dello  Schwen- 
dler,  devesi  ripere,  ed  a  più  forte  ragione,  per  le  lampade 
elettriche  ad  incandescenza  di  Swan  o  somiglianti. 

Lo  Helmhoitz,  che  in  seno  alla  Commissione  espresse  la 
opinione  che  tali  lampade  possano  in  alcune  ricerche  essere 
adoperate  utilmente  come  campioni  di  luce,  indicò  un  modo 
delicato  e  pratico  di  assicurare  con  molta  precisione  la  costanza 
della  corrente  elettrica.  L' artifizio  consiste  nel  collocare  in  un 
circuito  derivato  una  pila,  la  cui  forza  elettromotrice  a  circuito 
aperto  sia  costante,  p.  es.,  una  pila  di  Clarke,  ed  un  galvano- 
scopio sensibile  con  cui  si  riconosca  che,  durante  tutto  l'espe- 
rimento, nella  derivazione  non  si  ha  corrente.  E  con  questo 
mezzo  si  può  eliminare  la  prima  delle  difficoltà  notate  poc'anzi, 


j 


302  Terza  commissione. 


e  rendere  la  lampada  elettrica  atta  a  servire  per  qualche  tempo 
come  unità  arbitraria,  provvisoria,  di  luce.  Ma  è  evidente  che 
le  altre  due  difficoltà  che  si  oppongono  per  ora  all' adozione 
dell'unità  d^  Schwendler  sussistono,  e  con  maggiore  gravità, 
per  le  lampadine  a  filo  di  carbone;  e  che  quindi  non  si  potrebbe, 
nello  stato  attuale  delle  cose,  fare  con  alcuna  di  esse  un  cam- 
pione fotometrico  di  uso  generale. 

Giudicando  essere  impossibile,  nello  stato  presente  delia 
fotometria,  definire  un'unità  dì  luce  assoluta  e  definitiva,  e  pen- 
sando per  conseguenza  che  convenga  per  ora  limitarsi  a  cercare 
campioni  pratici  che  possano  presentare  qualche  vantaggio  su 
quelli  già  in  uso,  un  membro  molto  autorevole  della  conferenza, 
il  professore  Wiedemann^  chiamò  l'attenzione  della  Commissione 
sul  campione  pratico  proposto  dal  signor  Vemon  Harcourt, 
Consiste  questo  campione  in  una  lampada,  nella  quale  arde  un 
miscuglio  di  composizione  costante  formato  d'aria  e  di  un  carburo 
d' idrogene.  Per  ottenere  il  miscuglio  di  composizione  costante 
si  potrebbe,  secondo  la  proposta,  far  passare,  sotto  pressione 
costante,  ed  attraverso  ad  orifizii  di  dimensioni  ben  determinate, 
una  corrente  d*aria  sopra  spugne  imbevute  del  carburo  d' idro- 
gene e  mantenute  ad  una  temperatura  rigorosamente  fissa.  La 
luce  di  questa  lampada,  più  bianca  di  quella  del  gas  d'illumina- 
zione, si  potrebbe  paragonare  meglio  con  quella  delle  lampade 
elettriche. 

Secondo  lo  stesso  Wiedemann  uno  stoppino  imbevuto  di 
essenza  dì  trementina,  ed  ardente  nell'ossigeno,  dà  una  luce 
bianchissima,  che  meriterebbe  di  essere  presa  in  considerazione. 
E  secondo  il  dott.  Werner  Siemens  la  proposta  del  Vernon 
Harcourt,  convenientemente  studiata,  e  migliorata  nei  partico- 
lari, potrebbe  condurre  alla  definizione  più  precisa  e  più  sicura 
di  un'unità  fotometrica,  che  si  possa  desiderare  nello  stato 
attuale  della  scienza.  Egli  impiegherebbe  a  quest'uopo  una  cor- 
rente dì  ossigeno,  la  quale  passi  attraverso  ad  un  idrocarburo 
mantenuto  ad  una  temperatura  rigorosamente  fissa:  a  o°,  per 
esempio.  Si  avrebbe  così  una  mescolanza  di  composizione  co- 
stante, la  quale  arderebbe  con  fiamma  bianca.  Un  contatore 
regolarizzerebbe  la  corrente  d'aria. 

Se  non  che  tutte  le  lampade  fatte  con  queste  o  con  analo- 
ghe disposizioni,  difficilmente  soddisferebbero  a  tutte  le  condi- 
zioni essenziali  per  un  campione  fotometrico.  Come  Helmkokz 
osservò  giustamente,  sarebbe  assai  difficile  ottenere  cogli  artifizi 


Sce/ta  di  tm'twiià  di  intensità  di  luce,  tee,  303 


sovradescritti  una  mescolanza  d'aria  e  d'idrocarburo,  di  propor* 
zione  costante  e  ben  determinata;  ugualmente  difficile  sarebbe 
mantenere  invariabile  la  temperatura  in  causa  dell'evaporazione 
del  liquido  sotto  l'influenza  della  corrente  gasosa.  Inoltre,  se  la 
combustione  s'effettuasse  nell'aria  atmosferica,  i  movimenti  dì 
questa  influirebbero  sulla  fiamma,  come  influiscono  su  quella  di 
una  lampada  Carcel.  Talché,  tenuto  contò  di  tutto,  quest'ultima 
si  presenterebbe  ancora  come  più  pratica  e  più  conveniente* 

In  mezzo  a  tutte  queste  proposte  tendenti  a  dare  del  pro- 
blema una  soluzione  parziale  ed  unicamente  provvisoria,  ne 
venne  presentata  una,  la  quale,  quando  fosse  realizzabile,  po- 
trebbe corrispondere  ai  desiderii  della  scienza  e  diventare  forse 
definitiva.  E  questa,  benché  si  mostrasse,  anche  a  primo  aspetto, 
circondata  da  gravissime  diflìcoltà,  e  benché  per  essere  tradotta 
in  pratica  richiedesse,  e  richieda  ancora,  molte  ricerche  speri- 
mentali, di  cui  non  é  possibile  prevedere  il  risultato^  parve  alla 
maggioranza  della  Commissione  degna  di  formare  T  oggetto 
principale  dei  suoi  studi  e  delle  sue  speranze.  La  proposta»  che 
per  tal  modo  venne  ad  occupare  la  più  grande  parte  delle  di- 
scussioni della  Commissione,  é  quella  che  il  Vioik  aveva  pre- 
sentato già  nel  1881  al  congresso  internazionale  degli  elettricisti: 
quella  di  assutnere  conte  unità  di  luce  la  luce  irradiata,  nella 
direzione  della  normale,  da  un  centimetro  quadrato  della  superficie 
di  una  massa  di  platino  alla  temperatura  di  fusione. 

La  proposta  del  Violle  venne  presentata  alla  Commissione 
dal  Dumas,  che  la  sostenne  con  convinzione,  e  colla  propria 
autorità  la  impose  all'attenzione  della  conferenza.  Considerata 
dal  punto  di  vista  elevato  della  teoria,  la  proposta  di  far  servire 
come  tipo  delle  sorgenti  di  luce  il  platino  alla  temperatura  dì 
fusione  è  infatti,  fra  tutte  le  possibili,  la  più  razionale  e  la  più 
soddisfacente. 

La  intensità  della  radiazione  luminosa  di  un  corpo  t:  per- 
fettamente fìssa  e  determinata  quando  e  solo  quando  sono  ben 
determinate  ed  invariabili  la  natura  e  le  condizioni  della  super- 
fìcie raggiante,  e  la  temperatura  a  cui  questa  è  mantenuta. 
Quindi  per  fissare  una  intensità  luminosa  e  definirla  in  modo 
scientifico  e  sicuro  bisogna: 

I.®  Ricorrere  ad  un  fenomeno  semplice^  nel  quale  il  corpo 
raggiante  non  cambi  di  natura  o  di  condizioni  durante  1*  espe- 
rimento. 

2.®  Servirsi  dì  un  corpo  inalterabile; 


304  Terza  commissione. 


3.°  Precisare  la  temperatura,  a  cui  avviene  l'irradiazione, 
per  mezzo  di  un  effetto  che  presenti  una  garanzia  assoluta 
nella  sua  costanza.  Ora:  1°  fra  tutti  i  fenomeni,  con  cui  si  può 
avere  una  irradiazione  luminosa,  il  più  semplice  è  quello  della 
pura  incandescenza;  2.«  fra  tutti  i  corpi  chimicamente  definiti, 
la  incandescenza  dei  quali  può  essere  adoperata  per  produrre 
la  luce,  i  soli  inalterabili  a  temperature  elevate  sono  Toro,  il 
platino,  ed  il  platino  indiato;  3.°  il  miglior  modo  di  avere  una 
temperatura  determinata  e  costante  consiste  nel  far  uso  della 
fusione  di  un  corpo;  giacché  il  punto  di  fusione  è  uno  dei  dati 
più  fissi  che  si  possano  ottenere.  Se  invece  che  ad  una  sem- 
plice incandescenza  si  ricorresse,  come  negli  attuali  campioni, 
ad  un  fenomeno  di  combustione,  sarebbe  assolutamente  impos- 
sibile fissare  in  modo  preciso  tanto  la  composizione  e  le  condi- 
zioni della  fiamma,  quanto  la  temperatura  della  medesima;  e 
risulta  dalle  osservazioni  che  il  Dumas  ebbe  a  Jfare,  durante 
due  anni,  per  l'organizzazione  dell'ufficio  di  verificazione  del 
gas  nella  città  di  Parigi,  che  qualunque  circostanza,  la  quale 
modifichi,  anche  pochissimo,  la  temperatura  di  combustione  nella 
lampada,  dà  luogo  a  considerevoli  variazioni  nella  quantità  e 
nella  qualità  della  luce  irradiata. 

Il  Violle  ha  fatto  già  da  oltre  un  anno  esperienze  sulla  ra- 
diazione del  platino  fuso.  Queste  esperienze,  incominciate  collo 
scopo  di  determinare  la  variazione  dell'irradiazione  in  funzione 
della  temperatura,  furono  quelle  che  gli  suggerirono  poi  l'idea 
della  sua  unità  fotometrica,  e  furono  in  seguito  continuate  col- 
r  intento  di  arrivare  alla  pratica  attuazione  di  questa  idea. 
L'esperimento  è  condotto  così:  una  massa  considerevole  (un 
chilogramma  circa)  di  platino  viene  fusa  in  un  crogiuolo  rettan- 
golare, col  procedimento  di  Sainte  Oaire  Deville  e  di  Debray^ 
e  viene  portato  ad  una  temperatura  superiore  al  punto  di  fu- 
sione. Fatto  ciò,  si  sopprime  V  arrivo  del  gas  nel  cannello,  si 
toglie  il  coperchio  del  crogiuolo  e  si  colloca  al  posto  di  questo 
un  doppio  schermo  dì  lastra,  nel  quale  è  praticato  un  foro  di 
un  centimetro  quadrato  di  superficie.  La  radiazione  del  platino 
viene  allora  ricevuta  in  uno  con  quella  della  lampada  Carcel, 
tipo,  sopra  di  uno  spettrofotometro  a  strie  d'interferenza.  Si  gira 
l'analizzatore  in  modo  da  fare  scomparire  le  strie  nella  regione 
dello  spettro  che  si  vuole  studiare.  Poi  si  sposta  lentamente 
Tanalizzatore  così  che  le  strie  non  ricompariscano  non  ostante 
il  graduale  raffreddamento  del  platino. 


Scelta  di  un'unità  di  intensità  di  luce,  ecc.  305 

Ad  un  certo  istante  la  solidificazione  comincia;  un  aiutante 
ne  dà  avviso  con  una  voce.  Durante  tutto  il  tempo  che  il  me- 
tallo impiega  per  solidificarsi,  l'intensità  della  luce  irradiata 
rimane  costante,  e  si  può  facilmente  stabilire  con  esattezza  la 
posizione  corrispondente  dell'analizzatore. 

Si  ha,  per  fare  ciò,  un  mezzo  minuto,  un  minuto,  un  minuto 
e  mezzo,  a  seconda  della  quantità  di  platino  impiegata.  Quando 
la  solidificazione  sta  per  essere  compiuta,  un  nuovo  segnale, 
dato  dall'aiutante,  previene  l'operatore  di  non  più  toccare  il 
bottone  dell'analizzatore.  Si  fa  allora  la  lettura.  Si  rimette  sul 
crogiuolo  il  coperchio;  si  rida  il  gas  al  cannello,  e  qualche 
minuto  dopo  si  può  ricominciare  una  nuova  misura.  Così  l'ope- 
razione si  può  ripetere,  sempre  nelle  stesse  condizioni,  tante 
volte  quante  si  credono  necessarie. 

Nel  descrivere  davanti  alla  Commissione,  in  seno  alla  quale 
egli  era  stato  appositamente  chiamato,  queste  sue  esperienze, 
il  Violle  fece  pure  allusione  ad  un  altro  procedimento  da  lui 
tentato  per  mezzo  di  un  apparecchio  speciale  da  lui  studiato 
insieme  al  Wiesnegg.  Questo  apparecchio  consisteva  in  un  cro- 
giuolo scaldato  per  di  sotto,  nel  quale  una  bacchetta  di  platino 
solido,  collocata  verticalmente,  stava  immersa  colla  propria  base 
nel  platino  fuso  e,  fondendosi  essa  stessa  lentamente,  doveva, 
secondo  l'intenzione  dell'operatore,  mantenere  il  bagno  esatta- 
mente e  continuamente  alla  temperatura  di  fusione.  Con  questo 
semplice  artifizio  egli  sperava  che  si  potrebbe,  quando  lo  si 
giudicasse  necessario,  avere  disponibile  per  l'operazione  foto- 
metrica un  tempo  notevolmente  più  lungo  di  quello  concesso 
dal  primo  modo  di  operare. 

Le  difficoltà  che  si  debbono  presentare  nell'esecuzione  di 
esperimenti  fotometrici  di  questa  natura  sono  evidentemente 
molte;  e  diventeranno  gravissime  quando  dal  periodo  delle  prove 
preliminari,  nel  quale  ora  siamo,  si  vorrà  passare  a  quello  delle 
misure  definitive,  le  quali  mancherebbero  affatto  al  loro  scopo 
se  non  presentassero  un'  esattezza  superiore,  od  almeno  uguale, 
a  quella  ottenuta  oggidì  nelle  migliori  prove  fotometriche.  Infatti 
dai  particolari  attualmente  conosciuti  delle  esperienze  del  Violle 
non  risulta  come  sia  possibile  assicurarsi  della  perfetta  purezza 
della  superficie  raggiante  del  platino  fuso  ;  ne  si  hanno  dati  che 
bastino  a  renderci  conto  della  influenza  che  possono  avere  sulla 
radiazione  le  impurità,  anche  minime.  Non  risulta  come  l'ope- 
ratore possa,  senza  adoperare  aperture  minime,  le  quali  porte- 

G.  Ferraris.  Ofttre,  Voi.  II.  ao 


3o6  Terza  commissione. 

rebbero  seco  altre  difficoltà,  liberarsi  completamente  dalFinfluenza 
perturbatrice  della  radiazione  delle  pareti  del  crogiuolo.  Non 
risulta  come  T  apparecchio  fotometrico  si  possa  disporre  onde 
fare  le  misure  senza  bisogno  di  far  riflettere  la  luce,  emanata 
dal  platino  fuso  in  direzione  verticale,  sopra  specchi  che  ne 
possono  alterare  in  proporzione  non  facilmente  determinabili 
l'intensità. 

Queste  difficoltà  sono  di  tale  natura,  che  a  giudicare  di 
esse  sono  necessarie  esperienze  molteplici  e  continuate.  La 
Commissione  non  potè  portare  sulle  medesime  alcun  giudizio, 
e  non  avrebbe  neppure  potuto  aprire  fin  d'ora  su  di  esse,  ba- 
sandosi su  dati  sicuri,  alcuna  discussione.  Quindi  essa  dovette, 
per  ora,  limitarsi  ad  affermare  che  le  esperienze  sulla  radiazione 
dei  metalli  in  fusione,  potranno  probabilmente  condurre  nell'av- 
venire alla  fissazione  di  un  campione  assoluto  di  luce;  che 
perciò  queste  esperienze  hanno  una  grande  importanza,  e  deb- 
bono essere  seguite  con  interesse,  continuate  ed  incoraggiate. 
La  Commissione  formulò  questa  sua  opinione  nel  voto  seguente: 
La  conferenza^  riconoscendo  che  le  ricerche  fatte  fino  ad  oggi 
danno  luogo  a  sperare  che  la  luce  irradiata  dal  platino  fondente 
possa  condurre  ad  un  campione  assoluto,  emette  il  voto  che  queste 
esperienze  siano  continuate. 

Quando  la  speranza  a  cui  allude  il  voto  della  Commissione 
si  venisse  a  verificare,  quando  cioè  esperienze  ulteriori  aves- 
sero dimostrato  che  realmente  è  possibile  ottenere,  per  mezzo 
del  platino  fuso,  sempre  e  con  sicurezza  una  medesima  radia- 
zione luminosa,  e  confrontare  con  questa  la  luce  delle  lampade 
ordinarie,  con  misure  fotometriche  esatte  e  sicure,  si  sarebbe 
risoluto  un  importantissimo  problema.  Il  campione  fotometrico 
costituito  col  platino  in  fusione  darebbe  modo  di  rendere  com- 
parabili tra  di  loro  con  esattezza  scientifica  tutte  le  misure  di 
luce  fatte  nei  diversi  paesi  con  campioni  diversi.  Egli  è  certo 
che,  quand'anche  l'esperimento  riuscisse  e  l'apparecchio  per  ese- 
guirlo fosse  inappuntabilmente  studiato  e  costrutto,  una  misura 
fotometrica  fatta  per  mezzo  del  platino  in  fusione  costituirebbe 
sempre  una  esperienza  complicata  e  difficile,  una  esperienza  da 
laboratorio,  una  esperienza  anzi  da  non  potersi  eseguire  che  in 
alcuni  laboratorii  speciali;  ma  ciò  non  toglierebbe  al  campione 
assoluto  la  sua  importanza.  Infatti  le  misure  della  pratica,  le 
misure  per  scopi  industriali,  le  misure  correnti  si  faranno  sempre 
con  campioni  intermediarii,  più  comodi,  come  sono  le  lampade 


Scella  di  un'unìlà  di  initnsiià  di  incft  fcc,  307 

<Iarcel  attuali  o  le  attuali  candele  di  spermaceti,  od  altro;  ma 
intanto  si  potrà  avere  il  mezzo  di  confrontare  i  campioni  inter- 
mediari] con  un  unico  campione  prototipo,  e  rendere  così  com- 
parabili tutte  le  misure.  Basterà  a  quest'  uopo  che  sì  abbiano 
ne'  diversi  paesi  uno  o  più  laboratori  scientìfici  muniti  di  un 
apparecchio  per  ]a  realizzazione  del  campione  prototipo,  a  pla- 
tino fuso,  ed  un  personale  atto  a  servirsene;  nei  quali  labo- 
ratori! ciascuno  possa  far  eseguire  la  tara  del  proprio  campione 
usuale. 

Egli  è  sotto  a  questo  aspetto*,  che  la  Commissione  considerò 
come  importanti  le  esperienze  analoghe  a  quelle  attualmente 
intraprese  dal  Vìolle,  ed  è  in  questo  senso  che  essa  accetterebbe 
nell'avvenire,  quando  le  esperienze  lo  dimostrassero  eflrettuabilep 
il  campione  dì  luce  a  fusione  di  platino. 

Quanto  ai  campioni  usuali,  intermediari,  la  Commissione 
-ebbe  a  ripetere  in  parte  le  considerazioni,  che  sui  medesimi 
erano  state  fatte  nel  congresso  internazionale  degli  elettricisti 
nel  1881.  Da  queste  considerazioni  era  rìsuitato  essere,  a  parità 
di  circostanze,  in  generale  preferibile  alle  candele  la  lampada 
tipo  Carcel,  ed  io  ho  ricordato  poc'anzi  come  il  congresso 
avesse  votato  in  favore  di  questa  una  delle  sue  deliberazioni. 
Ora  però,  stabilito  che  né  le  candele  né  la  lampada  Carcel  deb- 
bano ritenersi  come  campioni  definitivi^  ma  semplicemente  come 
-campioni  usuali,  intermedi,  destinati  ad  essere  confrontati  e 
tarati  con  un  unico  protoUpo,  alcune  delle  considerazioni,  su  cui 
si  appoggiava  la  preferenza  da  darsi  alla  Carcel  sulle  candele» 
hanno  perduto  una  parte  del  loro  valore.  Quindi  è  che  la  Com- 
missione, pur  mettendo  sempre  al  primo  posto  la  lampada  nor- 
male di  Carcel,  riconobbe  che  colle  debite  cautele  si  possono 
adoperare  utilmente  nelle  misure  pratiche  anche  le  candele 
attualmente  in  uso  nelle  misure  fotometriche. 

La  deliberazione  della  Commissione  fu  formulata  nei  termini 
seguenti  : 

Coint  cantpione  secondario  usuale,  la  Conferentii  raccomanda 
rimpiego  della  lampada  Carcel,  sistema  dell'uffizio  di  verificatone 
del  gas  domito  ai  signori  Dumas  e  Regn&uU.  Le  candele  possono 
^andto  sennre  se  si  ha  sufficiente  cura  di  accertare  l'identità  di 
Xotnpùsi^ione,  di  format  di  costruzione  e  di  constano. 


3o8  Terza  contìrnssioìie. 


SECONDA  QUESTIONE. 

Precisare  i  metodi  per  eseguire  coll' unità  scelta 
misure  fotometriche. 

L'esame  della  questione  relativa  alla  scelta  di  un  campione 
definitivo  di  luce  formò,  come  ebbi  già  occasione  di  accennare, 
la  più  grande  parte  del  lavoro  della  Commissione.  La  seconda 
questione,  quella  relativa  ai  mètodi  da  seguirsi  nelle  misure  fo- 
tometriche, non  fu,  in  questa  prima  sessione  della  Conferenza, 
trattata  se  non  in  via  subordinata. 

Tuttavia  il  poco  che  se  ne  disse  basta  a  porre  in  chiaro 
quanta  importanza  la  Conferenza  attribuisca  agli  studi  che  si 
riferiscono  a  questa  questione  diffìcile  e  delicata. 

E  evidente  che  la  bontà  stessa  del  campione  definitivo  di 
luce,  che  si  spera  di  potere  adottare  in  un  tempo  non  lontano, 
renderà  indispensabile  ricorrere  per  le  misure  fotometriche  a 
metodi  più  perfetti  e  più  completi  di  quelli  che  oggidì,  avuto 
riguardo  alla  imperfezione  dei  campioni,  possono  bastare.  È 
chiaro  inoltre,  che,  anche  attualmente,  i  nuovi  sistemi  di  illu- 
minazione che  si  vanno  diffondendo  hanno  introdotto  nelle  mi^ 
sure  fotometriche  industriali  difficoltà  nuove  e  gravissime. 

La  difficoltà  principale  sta  nella  diversità  di  colorazione 
delle  due  luci  che  si  hanno  da  paragonare.  È  difficile  che  due 
luci  diversamente  colorate  vengano  con  sicurezza  confrontate 
da  un  osservatore;  è  poi  difficilissimo,  od  impossibile,  che  due 
osservatori  diversi,  ugualmente  esperti  nelle  misure  fotometriche, 
trovino  pel  rapporto  tra  le  intensità  delle  due  luci  un  medesimo 
valore.  L'incertezza  che  ogni  osservatore  trova  nel  confrontare 
due  luci  di  tinte  diverse  si  può  diminuire  rinunziando  agli^ 
usuali  e  semplici  metodi  fotometrici,  nei  quali  il  confronto  delle 
due  luci  è  fatto  col  paragone  di  due  porzioni  attigue  di  un- 
piano  illuminate  Tuna  dall'una,  l'altra  dall'altra  sorgente;  e  ri- 
correndo invece  agli  apparecchi  ed  ai  metodi,  assai  meno  comodi, 
coi  quali  si  paragonano  Tuna  dopo  l'altra  le  diverse  porzioni 
degli  spettri  delle  due  luci.  Ma  anche  dopo  quest'operazione  il 
problema  pratico  della  fotometria  potrà  non  essere  risolto;  sarà 
risolto  il  problema  scientifico,  non  l'industriale.  Acciocché  la 
misura  fotometrica  raggiungesse  esattamente  lo  scopo  che  ha 
nell'industria  bisognerebbe  che,  dopo  di  aver  trovato  i  rapporti 


Scelta  di  un'unità  di  intensità  di  luce,  ecc.  309 

<lelle  intensità  delle  due  sorgenti  per  le  diverse  regioni  dello 
spettro,  si  potesse  dedurre  dai  medesimi,  con  esattezza,  il  rap- 
porto dei  valori  delle  due  sorgenti  di  luce,  considerate  come 
mezzi  per  illuminare.  Ora  ciò  richiederebbe  le  conoscenza  esatta 
<lella  sensibilità  relativa  dell'occhio  per  la  diverse  radiazioni 
dello  spettro;  sensibilità  che  dipende  dalle  condizioni  dell'occhio 
«e  che  non  sì  può  precisare  in  modo  generale. 

Ammesso  poi  che  la  cosa  sia  possibile  per  un  determinato 
osservatore,  rimane  l'altra  difficoltà  :  è  forse  impossibile  che  due 
osservatori  diversi  trovino  pel  rapporto  fra  due  luci  di  diverso 
-colore  un  medesimo  valore.  Questa  è  una  conseguenza  del 
fatto,  su  cui  non  si  può  elevar  dubbio,  che  la  sensibilità  del- 
l'occhio per  le  luci  di  diverso  colore  varia  da  individuo  ad  in- 
dividuo. 

Queste  considerazioni  dimostrano  che  il  problema  della 
fotometria,  quale  è  proposto  dall'industria,  non  potrà  forse  mai 
avere  una  soluzione  completa.  È  possibile  però  che,  moltiplicando 
le  ricerche,  e  dando  a  queste  un  indirizzo  veramente  scientifico, 
si  trovino  soluzioni  approssimate  e  sufficienti  per  gli  ordinari 
bisogni  della  pratica.  È  possibile,  per  esempio,  che  le  esperienze 
vengano  a  provare  l'attendibilità  e  la  convenienza  pratica  di 
qualche  metodo  analogo  a  quello  semplicissimo  che  il  Crova 
descriveva  nel  Congresso  del  1881.  Questo  autorevole  sperimen- 
tatore dice  di  potere  evitare  la  difficoltà  dei  colori  con  una 
operazione  semplice  e  pratica,  nel  modo  seguente.  Egli  elimina 
in  ciascuna  delle  due  luci  le  parti  estreme  degli  spettri,  le  quali 
sono  quelle  che  introducono  le  più  grandi  differenze  di  tinta,  e 
paragona  in  seguito  le  regioni  medie  degli  spettri.  Ciò  con  un 
procedimento  comodissimo.  Egli  si  serve  del  fotometro  di  Fou- 
cault, e  guarda  le  due  metà  illuminate  del  disco  per  mezzo  di 
un  cannocchiale  racchiudente  due  prismi  di  Nicol  colle  sezioni 
principali  poste  in  croce,  separati  l'uno  dall'altro  con  una  lamina 
di  quarzo  di  9  millimetri  di  grossezza.  In  questo  modo  le  por- 
zioni estreme  dei  due  spettri  sono  eliminate  e  rimangono  per 
runa  e  per  l'altra  sorgente  due  luci  di  un  bianco  volgente  al 
verde,  molto  somiglianti  tra  di  loro  e  facilissime  a  confrontarsi. 
È  similmente  possibile  che  le  esperienze  vengano  a  dare  corpo 
alla  proposta  che  il  professore  H.  Bequerel  fece  in  seno  della 
attuale  Commissione.  La  proposta  consiste  nel  fare  i  confronti 
fotometrici  per  mezzo  dell' attinometro.  Egli  riferì  che  l'espe- 
rienza ha  provato  essere  possibile,  scegliendo  convenientemente 


^lo  Terza  commissione. 


Telettrolito  e  gli  elettrodi,  avere  dall' attinometro  indicazioni 
proporzionali  alle  impressioni  della  luce  sull'occhio,  ed  indipen- 
denti dalle  diversità  di  colorazione.  Ma  su  queste  proposte,  a 
cui,  come  ad  esempi,  ho  accennato,  non  si  potrà  portare  un 
giudizio  sicuro,  se  non  in  seguito  ad  esperienze  fatte  con 
metodo  scientifico,  nelle  quali  le  misure  fotometriche  sieno  fatte 
sulle  radiazioni  elementari  dello  spettro.  Il  compito  attuale  di 
quelli  che  studiano  il  problema  della  fotometria  è  adunque 
questo:  moltiplicare  le  ricerche  di  spettrofotometria.  Questa  è 
l'opinione  in  cui  si  è  trovata  unanime  la  Conferenza  interna- 
zionale; e  nel  formulare  il  voto  che  le  misure  fotometriche  per 
iscopo  scientifico  vengano  eseguite  sulle  radiazioni  elementari 
delle  due  sorgenti,  sta  essenzialmente  l'operato  della  Commis- 
sione per  ciò  che  riguarda  i  metodi  di  misura. 

Nel  suo  voto  la  Commissione  espresse  pure  il  desiderio 
che  lo  spettro-fotometro  sia  adoperato  oltreché  nelle  ricerche 
scientifiche  anche  in  alcune  applicazioni  speciali.  La  più  impor- 
tante delle  applicazioni,  a  cui  la  Commissione  volle  alludere 
con  ciò,  è  quella  che  riguarda  i  fari.  È  noto  come  siano  tuttora 
disparate  le  opinioni  dei  pratici  circa  la  convenienza  dei  fari 
elettrici  in  confronto  coi  fari  ad  olio  od  a  gas.  Si  obbietta  da 
molti  contro  i  fari  elettrici,  che  il  merito  della  maggiore  po- 
tenza, per  cui  essi  si  distinguono,  non  sussiste  se  non  quando 
l'aria  è  perfettamente  pura.  Nella  nebbia  le  radiazioni  molto 
rifrangibili,  azzurre  e  violacee,  che  abbondano  nella  luce  del- 
l'arco voltaico,  si  estinguerebbero  rapidissimamente,  ed  il  van- 
taggio dei  fari  elettrici  scomparirebbe.  Altri  danno  a  questa 
obbiezione  una  importanza  minore.  In  ogni  modo,  è  certo  che 
il  paragone  tra  un  faro  elettrico  ed  un  faro  ad  olio  od  a  gas 
non  è  completo,  né  sufficiente,  se  non  è  fatto  per  mezzo  dei 
differenti  elementi  che  compongono  le  loro  luci. 

La  Commissione  chiuse  i  suoi  lavori  reiterando  un  voto  che 
era  stato  emesso  già  dal  Congresso  internazionale  del  1881.  Il 
voto  si  riferisce  alle  esperienze  sopra  quelle  sorgenti  di  luce 
che  irradiano  con  intensità  diverse  nelle  diverse  direzioni.  Di 
questa  specie  sono  pressoché  tutte  le  lampade  elettriche.  Nelle 
lampade  ad  arco  voltaico,  per  esempio,  la  radiazione  massima 
è  fatta  dalla  concavità  presentata  dall'  estremità  del  carbone 
positivo;  quindi  queste  lampade  danno  una  quantità  di  luce 
più  grande  dalla  parte  verso  cui  guarda  quella  concavità,  che 
in   tutte   le   altre    direzioni.  Similmente  le  lampadine  elettriche 


Scelta  di  un'unità  di  intensità  di  htce^  ecc,  311 


ad  incandescenza  danno  una  radiazione  maggiore  nella  direzione 
perpendicolare  al  piano  in  cui  giace  il  filo  di  carbone  incande- 
scente, che  non  nel  piano  medesimo.  Acciocché  il  confronto  di 
una  di  tali  lampade  con  un  campione  di  luce  possa  dare  una 
idea  esatta  del  valore  di  essa,  è  evidentemente  necessario  che 
parecchie  determinazioni  fotometriche  vengano  eseguite  nelle 
diverse  direzioni;  in  modo  che,  oltre  al  valore  assoluto  della 
radiazione,  si  possa  determinare  la  legge  che  lo  lega  alla  dire- 
zione; in  modo  che  si  possa  determinare  la  sua  equazione. 

Il  voto  che  a  questo  riguardo  fu  emesso  dalla  Commissione,, 
fu  espresso  nei  termini  seguenti: 

La  Conferenza  riconferma  la  decisiotie  del  Congresso  del  iSSi^ 
tn  virili  della  quale  qualunque  determinazione  fotometrica  di  un 
focolaio  elettrico  ed  in  generale  di  qualunque  luminare  che  irradii 
differentemente  nelle  diverse  direzioni ,  deve  comprendere  come 
elemento  essettziale  la  formola  del  focolaio^  vale  a  dire  la  rela- 
zione che  esiste  tra  l'intensità  luminosa  e  la  direzione  dei  raggi 
di  luce. 


CONCLUSIONI  E  PROPOSTE. 

Le  decisioni  delle  tre  Commissioni,  presentate  alla  confe- 
renza riunita  in  seduta  plenaria,  furono  da  questa  approvate 
all'unanimità.  Così  il  grande  consesso  scientifico  internazionale 
avvalorò  colla  propria  autorità  i  voti  emessi  nelle  riunioni  par- 
ziali delle  Commissioni.  Dai  quali  emerge  come  risultante  que- 
sto :  che  su  tutte  le  principali  questioni  proposte  alla  conferenza 
si  intraprendano  subito,  e  si  conducano  con  alacrità  pari  all'ur- 
§^enza  delle  questioni,  lavori  sperimentali,  sui  risultati  dei  quali 
possano  trovare  una  base  sicura  gli  ulteriori  lavori  delle  Com- 
missioni. Questi  lavori  sperimentali  dovranno  eseguirsi  dai 
singoli  scienziati  nei  propri  laboratori,  ma  non  potranno  por- 
tare i  frutti  che  si  desiderano  se  non  saranno  fatti  con  mezzi 
sufficienti.  Quindi  la  necessità  che  i  Governi  li  incoraggino  e  li 
aiutino. 


312  Conclusioni  e  proposte. 

Il  Governo  francese,  per  bocca  del  benemerito  suo  ministro 
delle  poste  e  dei  telegrafi,  sig.  Cochery,  che  fu  degno  presidente 
della  conferenza,  prese,  coi  rappresentanti  riuniti  di  tutte  le 
nazioni  civili,  formale  impegno,  non  solo  di  promuovere  per 
suo  conto  le  desiderate  ricerche,  aiutando  con  cospicui  sussidi 
gli  scienziati  nazionali  che  le  intraprenderanno,  ma  eziandio  di 
farsi,  presso  i  Governi  delle  altre  nazioni,  interprete  dei  desi- 
derii  della  conferenza,  invitandoli  a  promuovere  ed  a  sostenere, 
ciascuno  nella  propria  sfera,  l'opera  degli  sperimentatori. 

Se  gli  altri  Governi,  asseconderanno  ed  imiteranno  l'azione 
meritoria  della  Francia,  si  potrà  sperare  di  vedere,  in  breve 
tempo,  raccolto  un  materiale  sufficiente  perchè  la  conferenza 
internazionale  possa  affrontare  efficacemente  i  problemi  che, 
imposti  dai  bisogni  della  scienza  e  delle  sue  applicazioni  indu- 
striali, le  sono  stati  proposti.  Consigliata  intanto  dall'urgenza 
di  questi  problemi,  essa  accolse  con  riconoscenza  l'invito  che, 
a  nome  del  Governo  francese,  le  fece  il  suo  presidente,  ministro 
Cochery,  di  fissare  fin  d'ora  il  giorno  per  la  sua  seconda  riu- 
nione. 

Il  giorno  prescelto  fu  il  primo  lunedi  di  ottobre  del  pros- 
simo anno  1883. 


Eccellenza, 

Dalla  esposizione,  che  ho  avuto  l'onore  di  fare,  emerge  che 
l'operato  della  prima  sessione  della  conferenza  internazionale 
di  elettricità  si  riduce  ad  un  lavoro  preparatorio. 

Il  vero,  il  grande  lavoro  scientifico  per  cui  la  conferenza  è 
stata  convocata  deve  cominciare  adesso,  e  la  prima  parte  di 
tale  lavoro,  quella  che  dovrà  apparecchiare  la  materia  prima 
per  gli  studi  definitivi  della  Commissione,  è  affidata  all'opera 
individuale  degli  sperimentatori  di  tutti  i  paesi.  Riunendosi  una 
seconda  volta  nell'autunno  dell'anno  prossimo,  la  conferenza 
spera  di  trovare,  raccolta  da  tutti  i  paesi  in  essa  rappresentati, 
una  larga  messe  di  risultati  di  lavori  sperimentali.  Essa  aspetta 
dagli  studiosi  di  tutte  le  nazioni  il  frutto  di  ricerche  svariate; 
aspetta  : 

i.°  Misure  assolute  di  resistenze  elettriche  fatte  con  tutti 
i  metodi;  studi  comparativi  sulla  conduttività  elettrica  de'  me- 
talli  e   delle  leghe  che   possono   servire   alla   fabbricazione  di 


Coììclusiofii  e  proposte.  313 


campioni   di  resistenza;  studi  speciali  sulla  costruzione  di  co- 
lonne di  mercurio  di  resistenza  esattamente  determinabile; 

2.°  Relazioni  su  impianti  per  lo  studio  regolare  dell'elet- 
tricità  dell'aria  atmosferica;  su  lavori  iniziati  per  la  formazione 
della  statistica  sui  colpi  di  fulmine  e  sui  parafulmini;  e  su  im- 
pianti di  linee  telegrafiche  sotterranee  collegate  con  osservatori! 
meteorologici,  o  con  istituti  fisici,  e  destinate  unicamente  allo 
studio  sistematico  delle  correnti  elettriche  terrestri; 

3.®  Esperienze  fotometriche  sul  platino  e  sugli  altri  me- 
talli in  fusione,  sui  conduttori  incandescenti  per  efietto  di  cor- 
renti elettriche;  sulle  lampade  elettriche  di  tutte  le  specie;  espe- 
rienze comparative  sui  vari  metodi  fotometrici;  in  una  parola, 
tutte  quelle  ricerche  sperimentali  che  possono  rischiarare  l'ur- 
gentissima questione  della  scelta  di  un  campione  di  luce  e  della 
fissazione  dei  metodi  fotometrici. 

È  una  palestra  internazionale  che  si  è  aperta  a  benefizio 
della  scienza  e  dell'industria;  e  dalla  sollecitudine  colla  quale 
tutti  i  Governi  hanno  risposto  all'appello  della  Francia,  inviando 
a  Parigi  i  loro  delegati,  dall'accordo  entusiastico  di  tutti  gli 
intervenuti,  dalle  nobili  promesse  della  Nazione  che  li  aveva 
ospitati,  tutti  i  delegati  hanno  desunto  la  speranza  di  poter  fare 
assegnamento  sull'appoggio  dei  loro  Governi,  e  di  potere,  senza 
tema  di  dover  mancare  alla  parola  data,  promettere  di  lavorare. 

Anche  i  delegati  italiani  hanno  lasciato  Parigi  con  questa 
speranza.  Essi  confidano  che,  se  non  per  opera  loro,  almeno 
per  loro  iniziativa,  l'Italia  possa  ripresentarsi  al  convegno  inter- 
nazionale, e  dire:  anch'io  ho  lavorato. 

Io  che  ho  avuto  dall' E.  V.  l'onorifico  incarico  di  sedere 
nella  conferenza  come  delegato  del  Ministero  dell'agricoltura, 
dell'industria  e  del  commercio,  faccio  voti  perchè  codesto  Mi- 
nistero, che  col  farsi  rappresentare  mostrò  di  apprezzare  degna- 
mente l'importanza  di  quel  convegno  scientifico  internazionale, 
compia  l'opera  lodevole  col  prendere  una  parte  attiva  nell'esteso 
lavoro  scientifico  che  si  sta  preparando. 

Tutte  le  questioni  proposte  alla  conferenza  interessano  in 
sommo  grado  le  industrie;  e  ciò  è  tanto  vero,  che  il  congresso 
degli  elettricisti  del  1881,  il  quale  propose  tali  questioni,  e  de 
liberò,  per  vederle  risolte,  la  convocazione  dell'attuale  confe 
renza,  doveva  la  sua  esistenza  al  grande  sviluppo  che  in  quest 
ultimi  tempi  erano  venute  acquistando  le  applicazioni  industriai 
della  corrente   elettrica.  E  quindi  nel  largo  campo   dei  lavori 


314  Conclusioni  e  proposte. 


sperimentali,  dichiarati  urgenti  dalla  conferenza,  lavori  dei  quali 
ho  tenuto  parola  in  questa  relazione,  TE.  V.  troverà  molte  vie 
per  fare  che  codesto  Ministero  presti  un'opera  utile.  Tuttavia, 
poiché  è  da  sperare  che  anche  il  Ministero  della  pubblica  istru- 
zione, il  quale  era  degnamente  rappresentato  nella  conferenza, 
si  faccia  promotore  di  alcuni  lavori,  e  poiché  é  desiderabile  che 
gli  operati  delle  due  amministrazioni  si  aiutino  e  si  completino 
vicendevolmente,  senza  sovrapporsi,  così  io  mi  faccio  lecito  di 
sottoporre  all'apprezzamento  dell' E.  V.  una  proposta. 

Fra  le  varie  serie  di  esperienze,  che,  secondo  il  voto  delle 
Commissioni  dovranno  essere  promosse,  ve  n'ha  una  che  ri- 
chiede materiali  e  mezzi  di  tale  natura,  che  difficilmente  si  po- 
trebbero riunire  in  un  laboratorio  di  fisica  generale,  e  che,  in 
ogni  caso,  troveranno  sede  più  conveniente  in  un  laboratorio 
di  scienza  applicata.  Il  materiale  poi,  che  servirebbe  agli  studi 
attuali,  potrebbe,  almeno  in  parte,  servire  ad  una  installazione 
definitiva,  che  potrebbe,  in  un  prossimo  avvenire  diventare  ne- 
cessaria. Le  esperienze  a  cui  faccio  allusione,  sono  quelle  rela- 
tive alla  scelta  di  un  campione  definitivo  di  luce  ed  allo  studio 
de*  metodi  fotometrici.  Se  in  un  laboratorio  nazionale  si  tentas- 
sero esperienze  analoghe  a  quelle  del  Violle  sulla  fusione  dei 
metalli,  e  si  intraprendess(^ro,  su  larga  scala  e  con  mezzi  suffi- 
cienti, confronti  fotometrici  fra  le  varie  sorgenti  di  luce,  non  si 
avrebbe  solamente  il  vanto  di  poter  portare  qualche  contributo 
alla  soluzione  dell'urgentissimo  problema  delia  fissazione  di  un 
campione  prototipo  di  luce;  ma  se  ne  potrebbe  ricavare  un 
vantaggio  reale.  Infatti  si  supponga,  che,  come  é  a  sperare,  il 
campione  prototipo  di  luce  venga  definitivamente  adottato,  e  si 
supponga  che,  come  è  possibile,  esso  abbia  ad  essere  analogo, 
a  quello  proposto  dal  Violle,  e  richieda,  per  essere  adoperato, 
una  installazione  costosa  ed  una  operazione  difficile;  in  questo 
caso,  per  la  pratica  utilizzazione  del  campione  diventerà  indi- 
spensabile che  in  ciascun  paese  si  abbiano  uno  o  più  laboratori, 
nei  quali  sia  installato,  nelle  migliori  condizioni,  il  materiale 
necessario  per  le  misure,  ed  al  quale  gli  industriali  possano 
ricorrere  per  confrontare  col  prototipo  i  lori  campioni  usuali. 
Ora  l'installazione  definitiva  di  questo  uffizio  di  controllo  sarà 
più  facile  là,  dove  per  le  ricerche  preliminari,  attualmente  desi- 
derate, sarà  già  stato  raccolto  il  materiale  d' esperienza,  e  si 
saranno  già  addestrati  gli  sperimentatori.  Quindi  io  penso  che 
il  Ministero  di  cui  TE.  V.  è  a  capo,  potrebbe  fare  opera  utilis- 


Conclusioni  e  proposte,  315 


sima  disponendo  che  in  uno  dei  laboratori  scientifici,  che  da 
esso  dipendono,  si  intraprendessero  subito,  con  mezzi  adeguati, 
ricerche  fotometriche  come  quelle  delle  quali  ho  parlato. 

Sede  opportima,  e  naturale,  di  un  laboratorio  fotometrico, 
come  quello  di  cui  le  deliberazioni  della  conferenza  rendono 
desiderabile  l'impianto,  potrebbe  essere  il  Regio  Museo  Indu- 
striale Italiano,  i  laboratori  scientifici  del  quale  oltre  a  servire 
all'insegnamento,  stanno,  per  la  natura  stessa  dell'istituto,  aperti 
per  tutte  le  determinazioni  e  le  misure  che  possono  interessare 
l'industria.  Stando  quindi  aUe  considerazioni  fatte  poc'anzi, 
anche  le  attuali  ricerche  fotometriche  preliminari  potrebbero  con 
vantaggio  essere  eseguite  nel  museo  industriale. 

Se,  come  è  certo,  il  Ministero  della  pubblica  istruzione  darà 
opera,  dal  canto  suo,  a  promuovere  per  mezzo  dei  degni  scien- 
ziati, che  lo  rappresentavano  nella  conferenza,  lavori  sulle  altre 
questioni  ivi  trattate,  lavori  sulla  determinazione  dell'ohni,  la- 
vori  per  le  installazioni  necessarie  allo  studio  regolare  deirelet- 
tricità  atmosferica,  ed  a  quello  delle  correnti  elettriche  terrestri^ 
ì  delegati  italiani  potranno  sperare  di  presentare  al  convegno 
internazionale  un  insieme  decoroso  di  utili  risultati. 

Ma  ad  ottenere  i  risultati  desiderati  sarà  necessario  che  fra 
i  vari  sperimentatori  e  fra  le  amministrazioni,  in  cui  esse  tro- 
vano appoggio  ed  incoraggiamento,  esista,  su  tutte  le  quistìoni, 
una  vicendevole  e  completa  intelligenza.  Alcuni  dei  lavori^  che 
vorranno  essere  eseguiti,  sono  infatti  di  tale  natura  da  non 
poter  riuscire  se  non  con  grandi  mezzi  e  coli' opera  concorde 
di  tutti. 

Fra  questi  segnalo  all'È.  V.  i  lavori  necessari  per  uno 
studio  regolare  ed  efficace  delle  correnti  elettriche  terrestri. 
Occorrerà  a  quest'uopo  l'impianto  di  speciali  linee  telegrafiche 
sotterranee,  le  quali  potranno  bensì  essere  di  piccola  lunghezza, 
j>er  esempio  di  quattro  o  cinque  chilometri,  ma  dovranno  essere, 
per  quanto  sarà  possibile,  numerose,  e  dovranno  far  capo  ad 
osservatori  meteorologici  od  a  laboratori  fisici  diversi.  Questi 
laboratori  poi  dovranno  essere  scelti  a  grandi  distanze  gli  uni 
dagli  altri. 

Se  la  cooperazione  dell*  E.  V.  potesse  far  sì  che  oltre  alla 
installazione  che  probabilmente  per  cura  del  Ministero  di  pub- 
blica istruzione,  si  farà  per  l'osservatorio  meteorologico  cen- 
trale di  Roma,  ne  venisse  stabilita  almeno  un'altra  in  un  osser- 
vatorio od  in  un  laboratorio  di  fisica  lontano  da  Roma,  nell'Alta 


3i6  Conclnsioni  e  proposte, 

Italia  o  nell'Italia  meridionale,  in  modo  che  le  osservazioni  da 
eseguirsi  a  Roma  ed  in  quell'altro  laboratorio  si  potessero  coor- 
dinare, si  avrebbe  in  Italia  un  insieme  di  disposizioni  da  cui 
questo  ramo  importante  di  scienza  potrebbe  sperarfe  utilissimi 
risultati. 

Nell'esporre  queste  idee  io  non  m'illudo  sul  valore  che  le 
mie  proposte  possono  avere;  ma  adempio  ad  un  dovere;  e  son 
certo  che  l'È.  V,  le  accoglierà  benignamente  come  l'espressione 
del  desiderio  che  nel  grande  lavoro  scientifico  che  si  è  inaugu- 
rato a  Parigi  la  nostra  Nazione  possa  avere  quella  parte  deco- 
rosa che  le  compete. 

Torino,  i8  dicembre  i88a. 


Prof,  Galileo  Ferraris. 


RELAZIONE 


DELLA  GIURIA  INTERNAZIONALE  PER  LA  SEZIONE  DI  ELETTRICITÀ 

SUL   CONFERIMENtO 

DEL  PREMIO   SPECIALE   DI  URE   QUINDICIMILA 
stabilito  dal  Governo  e  dal  Municipio  di  Torino. 


I. 

Il  R.  Decreto  n.^  i747#  del  io  dicembre  1883,  che  istituiva 
premi  da  conferirsi  per  concorso  agli  Espositori  nella  Mostra 
Generale  di  Torino,  portava,  fra  le  altre,  la  disposizione  se- 
guente : 

"  È  istituito  un  premio  di  lire  10.000  da  conferirsi  a  colui 
che  presenterà  nella  Sezione  di  Elettricità  dell*  Esposizione  ge- 
nerale di  Torino  una  invenzione,  od  un  complesso  di  apparecchi 
onde  si  avvantaggi  notabilmente  la  soluzione  pratica  dei  pro- 
blemi che  si  connettono  con  le  applicazioni  industriali  della 
elettricità  alla  trasmissione  del  lavoro  meccanico  a  distanza,  alla 
illuminazione  ed  alla  metallurgia. 

**  Si  avranno  in  considerazione  soltanto  le  invenzioni  rap- 
presentate all'Esposizione  da  apparecchi  sui  quali  si  possano 
eseguire  esperienze  pratiche  e  sicure. 

**  Potranno  concorrere  al  premio  anche  gli  Espositori  stra- 
nieri. „ 

Il  Consiglio  Comunale  di  Torino,  il  quale  dal  canto  suo, 
aveva  accolto  favorevolmente  una  proposta  del  compianto  Inge- 
gnere Benazzo  tendente  a  istituire,  neiroccasione  deirEsposizione, 
un  premio  per  la  soluzione  del  problema  relativo  alla  trasmis- 
sione elettrica  dell'energia  a  grandi  distanze,  avuta  comunica- 
zione della  precedente  disposizione  del  GovernOp  nella  seduta 
del  giorno  11  febbraio  1884,  con  nobile  liberaSità,  rinunziando 
alla   propria    iniziativa,    votava   all'unanimità   un  contributo  di 


3i8  Relazione  della  giuria  internazionale 

lire  500O;  il  quale,  aggiunto  alla  somma  già  stanziata  dal  Go- 
verno, veniva  a  costituire  un  grande  premio  di  lire  15.000  ri- 
spondente veramente  alla  importanza  dei  difficili  problemi. 

In  seguito  S.  E.  il  Ministro  di  Agricoltura,  Industria  e  Com- 
mercio, d' accordo  col  Sindaco  della  Città  di  Torino,  inaugu- 
rando, il  22  settembre  1884,  i  lavori  della  Giuria  internazionale 
per  la  Sezione  di  Elettricità,  affidava  alla  medesima  V  esame 
degli  oggetti  presentati  al  concorso  e  l'aggiudicazione  del  premio. 

E  per  tal  modo  la  Commissione  esaminatrice  del  concorso 
risultava  composta  dei  signori: 

H.  E.  Tresca,  membro  dell'Istituto  di  Francia, 
Prof,  nel  Conservatorio  d'Arti  e  Mestieri 
e  nella  Scuola  Centrale  di  Parigi  .    .     Presidente  onorario, 

Galileo  Ferraris,  Prof,  nel  R.  Museo  In- 
dustriale di  Torino Presidente  effettivo. 

Elia  Wartmann,  Prof.  nell'Università  di  Gi- 
nevra   Vice-Presidetite. 

Ernst  Voit,  Prof.  all'Università  di  Monaco  i</. 

Friedrich  Heinrich  Weber,  Prof,  nel  Poli- 
tecnico di  Zurigo Membro. 

Erasmus  Kittler,  Direttore  dell'Istituto  elet- 
trotecnico del  Politecnico  di  Darmstadt  id. 

Alfonso  Cossa,  Prof,  nella  Scuola  di  appli- 
cazione degli  Ingegneri  di  Torino     .    .  id. 

Rinaldo  Ferrini,  Prof.  nell'Istituto  tecnico 

superiore  di  Milano id. 

Antonio  Roiti,  Prof.  nell'Istituto  di  studi  su- 
periori in  Firenze id. 

Eugenio  Parent,  Capitano  di  Corvetta,  dele- 
gato del  Ministero  di  Marina    ....  id. 

Federico  Pescetto,  Capitano  del  Genio  .    .  id. 

Stefano  Pagliani,'  Prof.  nell'Istituto  tecnico 

di  Torino id. 

Pietro  Paolo  Morra,  Prof,  di  fisica  in  To- 
rino       id, 

Calisto  Candellero,  ingegnere.  Segretario 
della  Commissione  ordinatrice  della  Mo- 
stra di  elettricità Segretario. 

Neil*  intraprendere  i  suoi  lavori,  la  Giurìa  internazionale 
dovette  innanzi  tutto  occuparsi  di  due  questioni  preliminari. 


per  /fi  stzìùne  di  eletlricità,  ce  e,  319 


Una  prima  questione  si  presentava  circa  T  interpretazione 
da  darsi  alla  deliberazione  presa  dal  Consiglio  municipale  di 
Torino  nella  sua  seduta  dell'undici  febbraio  1884.  Risultava  in- 
fatti che  l'idea  di  istituire  un  premio  nell'occasione  dell'Esposi- 
zione di  elettricità  era  sorta  nel  Consiglio  comunale  nella  seduta 
del  19  novembre  1883,  quando  il  compianto  e  benemerito  inge- 
gnere Benazzo  faceva  intravedere  la  possibilità  che  l'energia 
meccanica  dei  torrenti  alpini,  trasmessa  col  mezzo  di  correnti 
elettriche,  potesse  un  giorno  venire  in  aiuto  alle  industrie  citta- 
dine, per  le  quali  la  mancanza  della  forza  motrice  si  faceva 
sentire  ogni  dì  più  seriamente.  £  il  testo  della  deliberazione 
del  giorno  11  febbraio  1884  alludeva  ad  un  premio  da  conferirsi , 
in  occasione  dell'Esposizione  elettrica  internazionale,  a/ m^/ibr^ 
progetto  di  irasmissione  della  forza  a  grandi  distanze  col  mezzo 
delle  correnti  elettriche. 

Sorgeva  quindi  il  dubbio  se  il  contributo  del  Municipio  di 
Torino  dovesse  considerarsi  come  aggiunto  incondizionatamente 
al  premio  governativo,  o  se  non  si  dovesse  piuttosto  ritenere 
che  la  somma  di  lire  5000  fosse  offerta  dal  Municipio  unicamente 
pel  caso  che  il  premio  del  Governo  venisse  conferito  ad  una 
invenzione  relativa  al  trasporto  a  distanza  della  energia  mecca- 
nica. Per  risolvere  tale  dubbio  la  Giurìa  interrogava  in  proposito, 
per  mezzo  del  suo  Presidente,  il  Sindaco  della  Città  di  Torino, 
e  riceveva  da  quel  funzionario  la  risposta  più  assoluta  e  precisa  : 
Benché  la  prima  idea  della  istituzione  del  premio  fosse  stata 
suggerita  dal  desiderio  di  vedere  accelerata  la  soluzione  del 
problema  della  telodinamia  elettrica,  che  in  modo  speciale  inte- 
ressava la  Città,  tuttavia  il  Consiglio,  apprezzando  le  ragioni 
che  avevano  indotto  il  Ministero  ad  allargare  il  programma  del 
Concorso,  ed  inspirandosi  al  nobile  concetto  di  contribuire  al- 
l' incremento  delle  applicazioni  della  scienza,  sotto  qualunque 
forma  queste  si  presentassero,  aveva  nella  seduta  dell'  11  feb- 
braio avuto  l'intenzione  di  aggiungere  incondizionatamente  il 
suo  concorso  al  premio  governativo. 

Una  seconda  questione  si  presentava  circa  i  limiti  del  man- 
dato della  Commissione  aggiudicatrice.  Poteva  la  Commissione, 
presentandosene  la  convenienza,  dividere  in  due  o  più  parti  la 
somma  stanziata  pel  premio,  e  ripartirla  fra  più  concorrenti? 
Poteva  essa,  presentandosi  il  caso  che  nessuno  dei  concorrenti 
fosse  giudicato  degno  dell'onore  del  premio,  servirsi  tuttavia 
della  somma  posta  a  sua  disposizione,  ed  assegnarla  a  titolo  di 


320  Relazione  della  gmria  internazionale 


incoraggiamento  ad  uno  od  a  più  Espositori?  Su  tale  questione 
la  Giurìa  interrogava,  per  mezzo  del  suo  Presidente,  S,  E.  il 
Ministro  di  Agricoltura,  Industria  e  Commercio  ed  il  Sindaco 
della  Città  di  Torino,  ed  otteneva  in  risposta  la  dichiarazione, 
che  essa  aveva  la  più  assoluta  autorizzazione  di  fare  della  somma 
statuita  l'uso  che  avrebbe  giudicato  più  opportuno. 

Risolte  tali  questioni  preliminari,  la  Commissione  potè  ac- 
cingersi con  chiara  conoscenza  del  proprio  mandato  all'esame 
delle  invenzioni  e  degli  oggetti  presentati  al  Concorso,  ed  ora, 
nel  presentare  una  succinta  relazione  del  suo  operato,  è  lieta 
di  constatare,  che,  se  il  grande  premio  non  ha  potuto  essere 
assegnato,  incondizionatamente  ed  indiviso,  all'autore  di  una 
soluzione  completa  e  perfetta  di  alcuno  dei  problemi  a  cui  si 
riferiva  il  concorso,  esso  ha  potuto  tuttavia  servire  a  dare  me» 
ritate  attestazioni  di  lode  ed  utili  incoraggiamenti  ad  autori  di 
procedimenti  nuovi,  che  costituiscono  fin  d'ora  invenzioni  note- 
voli, e  promettono  per  l'avvenire  applicazioni  industriali  vera- 
mente grandi  ed  importanti. 


II. 

Fecero  domanda  di  essere  ammessi  al  Concorso  sei  Espo- 
sitori  : 

i.°  Ferrara  Francesco  e  Guidi  Filippo  di  Roma; 

2.*»  Società  Cauderay  di  Losanna; 

3.®  Ganz  e  Comp.*  di  Budapest; 

4.°  Società  generale  Italiana  di  elettricità,  sistema  Edison,. 
di  Milano; 

5.*»  Società  anonima  Italiana  di  miniere  di  rame  e  di 
elettrometallurgia,  di  Genova; 

6.°  The  National  Company  for  the  distribution  of  elee- 
tricity  by  secondary  generators,  Limited,  di  Londra. 


i.^  Ferrara  Francesco  e  Guidi  Filippo  di  Roma. 

1  signori  Ferrara  e  Guidi  presentarono  una  macchina  dina- 
moelettrica di  nuovo  modello,  a  quattro  poli  induttori,  che  si 
distingue  per  una  disposizione  nuova  destinata  a  far  sì  che  \\ 


per  la  sezione  di  elettricità ,  ecc.  321 


nucleo  di  ferro  dell'anello  indotto  stia  costantemente  in  contatto 
colla  massa  di  ferro  dei  nuclei  delle  elettrocalamite  induttrici. 
Nelle  masse  polari  degli  induttori  sono  scavate  cavità  cilindriche, 
in  cui  stanno,  riempiendole  quasi  completamente,  cilindri  mas- 
sicci di  ferro.  Questi  poi  sono  portati  da  alberi  di  ferro,  su  cui 
possono  girare  liberamente,  e  colla  loro  superfìcie  convessa  si 
appoggiano  costantemente  su  pezzi  di  ferro,  che  fanno  parte 
del  nucleo  dell'anello  indotto,  e  che  sporgono  dalla  spirale,  da 
cui  il  nucleo  è  ricoperto.  Con  questa  disposizione  gli  inventori 
si  proposero  di  far  si  che  il  nucleo  dell'anello,  invece  di  essere 
magnetizzato  semplicemente  per  l'influenza  dei  poli  induttori, 
formasse  parte  materiale  dell'induttore  medesimo,  e  riuscisse 
perciò  magnetizzato  più  potentemente.  L'intensità  del  campo 
magnetico  compreso  fra  le  estremità  polari  dell'induttore  ed  il 
ferro  dell'indotto  sarebbe  così  riuscita  maggiore,  e  per  conse- 
guenza la  macchina  avrebbe  avuto,  con  date  dimensioni,  e  con 
data  velocità,  una  più  elevata  forza  elettromotrice. 

La  Giurìa  però,  pur  riconoscendo  l'ingegnosità  di  qualche 
particolare  del  nuovo  congegno,  osservò  che  qualora  il  contatto 
del  nucleo  dell'anello  con  quelli  dell'induttore  si  effettuasse  per 
mezzo  di  masse  di  ferro  sufficienti  per  produrre  effetti  sensibili, 
la  distribuzione  di  magnetismo,  che  ne  risulterebbe,  non  sarebbe 
quella  che  conviene  per  aumentare  la  forza  elettromotrice  della 
macchina.  In  ogni  caso  la  complicazione  non  sarebbe  compen- 
sata da  vantaggi  adeguati.  Ed  anche  ammettendo  che  col  modi- 
ficare le  proporzioni,  col  rendere  più  compatto  e  più  fisso  l'in» 
sieme,  col  correggere,  insomma,  le  imperfezioni  inevitabili  di 
un  primo  modello,  gli  autori  potessero  riuscire  a  migliorare  le 
condizioni  meccaniche  dell'apparecchio,  la  Giurìa  credette  che 
la  modificazione  immaginata  dal  Ferrara  e  dal  Guidi  non  po- 
tesse costituire  un  reale  perfezionamento  e  non  dovesse  perciò 
essere  presa  in  considerazione  pel  conferimento  del  premio. 


2.°  Società  Cauderay  di  Losanna. 

La  Società  Cauderay  di  Losanna  concorse  al  premio  con 
un  coniatore  di  elettricità.  Tale  contatore  è  elettromagnetico,  ed 
è  semplicissimo.  Un  bilanciere  oscillante  analogo  a  quello  degli 
orologi  da  tasca,  ma  di  grandi  dimensioni,  il  quale  oscilla  iso- 
cronicamente,  serve  da  motore.  11  movimento  è  mantenuto  per 

G.  Ferraris,  Opcrt,  Voi.  II.  ar 


322  Relazione  della  giuria  internazionale 

mezzo  di  una  corrente  derivata,  il  cui  circuito  si  chiude  quando 
r  ampiezza  delle  oscillazioni  è  sensibilmente  diminuita,  e  che 
attiva  allora  due  elettrocalamite,  le  quali,  attirando  un  pezzo  di 
ferro  unito,  in  croce,  all'albero  del  bilanciere,  danno  a  questo 
un  impulso,  che  restituisce  alle  oscillazioni  l'ampiezza  primitiva. 
Il  bilanciere  per  mezzo  di  un  sistema  di  ruote  dentate  fa,  ad 
ogni  sua  oscillazione,  avanzare  di  un  angolo  costante  un  tam- 
buro di  ottone,  di  fronte  al  quale,  a  piccola  distanza  dalla  sua 
superficie,  sta  la  punta,  piegata  ad  uncino,  dell'indice  di  un  or- 
dinario amperometro.  Il  tamburo  porta  delle  punte  di  acciaio 
^sporgenti  dalla  superficie  convessa;  se  una  di  queste  viene  ad 
incontrare  l'estremità  dell'indice  dell'amperometro,  obbliga  l'in- 
dice medesimo  ad  inclinarsi  alquanto,  e  mettendo  in  movimento 
un  sistema  di  leve,  fa  avanzare  di  un  dente  la  prima  ruota  di 
un  ordinario  contatore.  Ora  le  punte  sono  distribuite  sulla  su- 
perficie del  tamburo  in  modo  che  in  ciascuna  sezione  retta  di 
questo  ve  ne  sia  un  numero  proporzionale  alla  intensità  della 
corrente  per  la  quale  l'estremità  dell'indice  si  trova  nel  piano 
della  sezione  medesima.  Per  tal  modo  avviene  che  il  numero 
dei  contatti  dell'indice  colle  punte,  e  quindi  il  numero  dei  denti 
di  cui  gira  la  prima  ruota  del  contatore,  e  quindi  finalmente  le 
indicazioni  del  contatore  sieno  proporzionali  alla  quantità  di 
elettricità  trasmessa  attraverso  l'amperometro. 

L'ingegnoso  apparecchio  funziona  regolarmente.  Esso  sarà 
destinato  a  rendere  utilissimi  servigi  quando  si  faranno  su  larga 
scala  distribuzioni  di  correnti  elettriche  per  l'illuminazione  pri- 
vata. Non  parve  tuttavia  al  Giuri  che  una  invenzione  come 
questa,  avente  in  mira  soltanto  la  risoluzione  di  uno  dei  molte- 
plici problemi  secondari,  che  si  collegano  con  quello  dell*  illu- 
minazione elettrica,  potesse  corrispondere  al  concetto  a  cui  si 
è  inspirata  l'istituzione  del  premio.  Il  Giuri  credette  di  premiare 
degnamente  l'autore,  prendendo  l'apparecchio  in  considerazione 
nel  conferimento  delle  altre  ricompense. 


3.°  Ganz  e  Comp.*  di  Budapest. 

La  casa  Ganz  e  Comp."  di  Budapest  portò  all'Esposizione 
di  Torino  parecchie  macchine  dinamoelettriche  a  correnti  alter- 
native del  noto  tipo  del  sig.  Zipernowsky.  Alcune  di  queste 
macchine  sono  autoeccitatrici,  ed  una  di  queste  è  presentata  al 


per  la  sezione  dì  eletlrìcitày  ccc,  323 

Concorso  pel  premio  speciale  del  Governo  e  della  Città.  Tale 
macchina,  destinata  all'  illuminazione  con  lampade  ad  incande- 
scenza, è  analoga  alle  altre  per  la  disposizione  delle  parti,  ma 
si  distingue  per  la  piccolezza  delle  sue  dimensioni  e  per  la 
straordinaria  intensità  delle  correnti  che  è  capace  di  produrrf. 
Essa  è  notevolissima:  colle  dimensioni  di  circa  o,"^Xo*6o 
X  0,60,  e  con  un  peso  di  soli  430  chilogrammi,  può  assorbire» 
nelle  condizioni  di  lavoro  regolare,  circa  25  cavalli,  e  produrre 
4ina  corrente  di  300  ampère  con  una  forza  elettromotrice  di  60 
volt  L'eccitazione  è  ottenuta  per  mezzo  delle  correnti  generate 
in  due  delle  spirali  indotte,  correnti  che  vengono  raddrizzate 
•per  mezzo  di  un  commutatore  portato  dall'albero  della  macchina. 
Tale  commutatore  funziona  inappuntabilmente. 

La  Giurìa  apprezzò  il  valore  della  macchina^  e  ne  tenne 
conto  conferendo  alla  casa  Ganz  la  medaglia  d'oro,  ed  asse- 
gnando all'Ingegnere  Zipernowsky  una  medaglia  di  collabora- 
zione. Non  credette  tuttavia  che  pel  concorso  al  premio  speciale 
'del  Governo  e  della  Città  di  Torino  essa  potesse  essere  presa 
ìn\:onsiderazione.  Il  premio  fu  stabilito  per  le  nuove  invenzioni 
•costituenti  un  progresso  notevole  nella  soluzione  dei  problemi 
relativi  alle  applicazioni  industriali  della  corrente  elettrica;  ora 
la  macchina  del  Ganz,  benché  dimostri  l'abilità  dell'ingegnere 
che  ne  fece  lo  studio  ed  il  valore  dell'officina  che  la  costruì, 
.non  ha  di  veramente  nuovo  altro  che  le  proporzioni. 


4.°  Società  generale  di  elettricità,  sistema  Edison, 
DI  Milano. 

La  Società  generale  Italiana  di  elettricità,  sistema  Edison, 
'di  Milano  dichiarò  di  adire  al  concorso   tanto  in  nome  proprio 
quanto  in  nome  di  T.  A.  Edison  di  Nuova-York,  che  essa  rap- 
presenta in  Italia. 

Ad  Edison  spetta  incontestabilmente  il  merito  di  avere  ri- 
solto il  problema  dell'illuminazione  pratica  di  grandi  centri  con 
lampade  ad  incandescenza  e  con  una  rete  di  conduttori  collegati 
ad  una  stazione  centrale.  Nessuno  prima  di  luì  ha  immaginato 
un  sistema  di  distribuzione  così  perfetto,  e  nessuno  dopo  di  luì 
ha  saputo  introdurvi  modificazioni  di  qualche  utilità  ed  impor- 
tanza. Il  modo  di  collegare  e  di  proporzionare  i  conduttori, 
.acciocché  l'intensità  della  luce  riesca  praticamente  la  stessa  in 


324  Relazione  della  giuria  internazionale 

tutte  le  lampade  alimentate  dalla  rete,  la  struttura  e  la  disposi- 
zione dei  conduttori  sotterranei,  delle  scatole  di  unione,  degli 
apparecchi  di  sicurezza  e  di  presa,  la  serie  completa  d'organi 
di  sicurezza  così  numerosi  e  così  suddivisi  che  la  loro  efficacia 
si  estende  dalle  singole  lampade  ai  gruppi  di  lampade  e  alla 
rete  intera,  l' invenzione  di  una  macchina  dinamoelettrica  di 
grandi  proporzioni,  capace  di  alimentare  sino  a  1200  lampade 
di  16  candele,  l'applicazione  a  ciascuna  dinamo  del  suo  motore, 
la  serie  completa  di  apparecchi  regolatori,  avvisatori,  indicatori, 
misuratori,  sono  invenzioni  di  un  valore  incontestato;  e  l'avere, 
coir  applicazione  di  un  sistema  così  completo  in  tutte  le  sue 
partì,  illuminato  per  la  prima  volta,  in  uno  dei  quartieri  di 
Nuova- York,  una  area  di  un  chilometro  quadrato  con  più  di 
10.000  lampade  elettriche  è  un  fatto  sufficiente  per  legare  indis- 
solubilmente il  nome  dell'inventore  alla  storia  delle  grandi  ap- 
plicazioni dell'elettricità.  E  per  questi  titoli  la  Società  generale 
Italiana  concorre  al  premio  in  nome  di  Edison. 

Nel  nome  proprio  essa  concorre  per  aver  fatto  il  primo,  ed 
ancora  unico  impianto  in  Europa  di  una  stazione  centrale  di 
illuminazione  elettrica  con  distribuzione  di  luce  in  un  vasto 
quartiere,  mediante  una  rete  sotterranea  di  conduttori  ;  per  avere 
applicato  l'illuminazione  elettrica  ad  incandescenza,  se  non  al 
primo  teatro,  certo  per  la  prima  volta  in  Italia  e  nel  teatro  più 
grande  che  sinora  sia  stato  illuminato  elettricamente  in  Europa; 
per  avere  esteso  notevolmente  l'illuminazione  elettrica  negli 
stabilimenti  industriali,  e  sopratutto  per  averne  fatta  1'  applica- 
zione alla  marina  mercantile. 

Tutto  il  materiale  di  un  impianto  Edison  completo,  eoa 
quanto  poteva  giovare  a  dare  un'  idea  chiara  del  sistema,  è  stato 
esposto  a  Torino  dalla  Società  generale  italiana;  ed  una  serie 
di  piani  e  di  disegni  è  stata  disposta  per  modo  da  dare  una 
idea  esatta  dell'importanza  degli  impianti  che  la  Società  ha  fatto 
a  Milano. 

La  Giurìa  si  trovò  unanime  nel  ritenere  la  Società  espc- 
sitrice  meritevole  di  una  ricompensa  di  primo  ordine,  ed  in 
considerazione  della  perfezione  e  della  grandiosità  degli  impianti 
eseguiti  dalla  Società,  e  dell'  incremento  che  essa  ha  dato  alle 
applicazioni  elettriche  in  Italia,  le  ha  conferito  il  più  onorifico 
dei  premi  di  cui  essa  potesse  disporre,  il  Diploma  d'onore. 

Ma  non  parve  alla  Giurìa  internazionale  che  alla  Società 
milanese  potesse  essere  assegnato  il  premio  speciale  in  denaro 


per  la  sezione  di  elettricità,  ecc,  325 

stabilito  dallo  Stato  e  dalla  Città  di  Torino.  A  tale  premio  la 
Società  non  avrebbe  potuto  aspirare,  né  in  nome  di  Edison,  né 
in  nome  proprio. 

Non  in  nome  di  Edison.  A  tenore  dell'art.  3*»  del  R.  Decreto 
del  IO  dicembre  1883  il  premio  fu  istituito  a  favore  degli  Espo- 
sitori, ed  Edison  non  lo  é.  Che  se  si  volesse  considerare  Edison 
come  espositore,  siccome  quello  che  è  rappresentato  in  Italia 
dalla  Società  esponente,  egli  non  potrebbe  tuttavia  (avuto  ri- 
guardo allo  scopo  del  premio)  essere  preso  in  considerazione, 
È  infatti  evidente  che  quando  in  occasione  di  una  Esposizione 
si  istituisce  una  ricompensa  speciale  per  qualche  nuova  inven- 
zione  o  per  qualche  nuovo  apparato,  si  deve  sottintendere 
che  l'invenzione  o  l'apparato  sia  di  data  posteriore  all'ultima 
delle  Esposizioni  precedenti  e  non  sia  ancora  passato  in  giudi- 
cato. Se  così  non  si  dovesse  interpretare  la  cosa,  avrebben» 
potuto  presentarsi  al  Concorso,  e  con  titoli  equivalenti  a  quelli 
di  Edison,  tutti  i  grandi  inventori,  ai  quali  la  moderna  elettro- 
tecnica deve  i  suoi  progressi  giganteschi,  come  sono  Pacinotti^ 
Siemens,  Hefner-Alteneck,  Piante,  ecc. 

La  Società  non  avrebbe  nemmeno  potuto  aspirare  al  premio 
in  nome  proprio,  perché  gli  apparecchi,  l'invenzione  dei  quali 
le  appartiene,  sono  unicamente  quelli  che  servono  al  maneggio 
delle  lampade  elettriche  sulle  scene  dei  teatri  ;  e  tali  apparecchi, 
benché  ingegnosi  e  pratici,  risolvono  unicamente  un  problema 
secondario,  e  non  sono  né  i  soli,  né  i  primi   che  lo  risolvano. 


5.°  Società  anOxNima  Italiana  di  miniere  di  rame 
e  di  elettrometallurgia. 

La  Società  anonima  Italiana  di  miniere  di  rame  e  di  elet- 
trometallurgia, avente  sede  in  Genova,  si  presentò  al  concorso 
pel  procedimento  elettrolitico  pel  trattamento  dei  minerali  di 
rame  dovuto  all'ingegnere  Marchese,  procedimento  che  essa 
applica  su  grande  scala  nelle  sue  officine  di  Casarza  (Sestri- 
Levante)  e  pel  quale  sta  organizzando  nuovi  e  considerevoli 
impianti. 

Il  procedimento  dell'ingegnere  Marchese  era  illustrato  nel- 
l'Esposizione di  elettricità  da  un  piccolo  impianto,  sul  quale  si 
potevano  studiare  i  caratteri  più  importanti  della  parte  elettro* 
litica  dell'operazione.  Tale  operazione  é  la  seguente: 


326  Relazione  della  giuria  inlernaziouale 

Una  parte  del  minerale,  determinata  secondo  la  sua  compo- 
sizione, è  fusa  per  metallina  (ferro,  rame  e  zolfo)  allo  scopo  di 
ottenere  gli  anodi  necessari  all'operazione  elettrolitica.  L'altra 
parte  è  arrostita  per  ottenere  una  soluzione  contenente  solfato 
di  rame,  destinata  a  servire  come  elettrolito.  La  metallina,  fatta 
coi  mezzi  ordinari,  viene  colata  in  lastre  di  piccola  grossezza 
e  di  superficie  considerevole.  Le  lastre  vengono  poi  collocate 
nei  bagni  in  posizione  verticale,  ed  alternate  con  sottili  lastre 
di  rame  elettrolitico,  le  quali,  coHegate  insieme,  costituiscono  il 
catodo. 

II  liquido  è  preparato,  come  si  disse  poc'anzi,  per  mezzo  di 
quella  parte  del  minerale  che  non  si  impiega  per  fare  le  metal- 
line.  A  quest'uopo  il  minerale  viene  torrefatto,  e  poi  sottoposto 
ad  una  lisciviazione  sistematica  coll'addizione  dell'acido  solforico 
che  occorre  a  disciogliere  il  rame.  La  soluzione  contenente  il 
solfato  di  ferro  ed  il  solfato  di  rame  viene  allora  condotta  nei 
bacini  elettrolitici.  Coll'elettrclisi  la  soluzione  si  impoverisce  di 
rame  e  si  arricchisce  d'acido  solforico;  ma  la  saturazione  e  la 
composizione  del  liquido  nelle  vasche  elettrolitiche  è  mantenuta 
costante  per  mezzo  di  una  regolare  circolazione.  Il  liquido  che 
viene  dai  bacini  elettrolitici,  raccolto  da  un  tubo,  viene  portato, 
per  mezzo  di  una  pompa,  nelle  vasche  di  lisciviazione,  ove  il 
suo  acido  solforico  viene  utilizzato,  mentre  esso  si  arricchisce 
nuovamente  di  rame.  Arricchita,  la  soluzione  ridiscende  nei 
truogoli  voltaici  per  ricominciare  un'altra  volta  la  medesima 
serie  di  trasformazioni. 

Nei  bagni  elettrolitici  il  solfato  di  rame  della  soluzione  è 
decomposto  dalia  corrente  elettrica  ed  il  rame  è  deposto  sul 
catodo,  mentre  sull'anodo  vengono  attaccati  i  solfuri  di  ferro  e 
di  rame,  i  quali  cedono  i  loro  metalli  al  liquido  e  lasciano  sulla 
lastra  il  solfo.  I  sali  ferrici  dovuti  alla  dissoluzione  degli  anodi 
impediscono  la  deposizione  del  ferro  dei  sali  ferrosi  e  lo  svi- 
luppo dell'idrogeno  sul  catodo;  giovano  per  tal  modo  a  far  si 
che  il  rame  si  depositi  sugli  elettrodi. negativi  puro  e  compatto. 

Gli  anodi  esauriti  si  utilizzano  per  ottenere  solfo  ed  acido 
solforico.  La  soluzione  poi,  quando  è  divenuta  troppo  ricca  in 
ferro,  viene  ritirata  dalla  circolazione.  Allora  per  mezzo  dell'a- 
cido solfidrico,  prodotto  dalla  reazione  sopra  metallina,  viene 
precipitato  quanto  il  liquido  contiene  ancora  di  rame,  mentre 
viene  ridotto  il  persolfato  di  ferro  e  neutralizzato  l'acido  libero, 
li  solfato  di  ferro,  clie  costituisce  allora  la  massima  parte  della 


per  la  sezione  di  elettricità,  ecc.  327 


soluzione,  è  fatto   cristallizzare   se    vi    è    vendita   conveniente; 
altrimenti  è  gettato. 

Il  trattamento  elettrolitico  sovradescritto  soddisfa  alla  con- 
dizione necessaria  ed  essenziale  di  un  buon  procedimento  indu- 
striale; alla  condizione  cioè  che  tutti  i  prodotti  ed  i  residui  in- 
termediari abbiano  un  impiego  naturale  nelle  operazioni  che 
costituiscono  il  trattamento,  e  nulla  in  questo  sia  perduto,  o 
posto  a  parte  per  trattamenti  speciali  secondarli.  Ma  ciò  die 
precipuamente  distingue  il  sistema  del  Marchese  da  quelli  già 
in  uso,  ciò  che  dà  al  medesimo  un  carattere  di  novità,  ciò  che,, 
secondo  il  giudizio  unanime  della  Giurìa  internazionale,  dà  ve- 
ramente importanza  al  sistema,  è  che  il  deposito  di  rame  chimi- 
camente puro,  privo  cioè  da  ogni  traccia  di  ferro,  è  ottenuto 
adoperando  : 

i.°  Anodi  di  solfuri  metallici  preparati  per  mezzo  di  una. 
sola  fusione  e  contenenti  non  meno  del  quaranta  per  cento  di 
ferro, 

2.°  Elettroliti  costituiti  per  la  massima  parte  da  solfati  di 
ferro. 

L'importanza  del  fatto  che  nel  procedimento  del  Marchese 
sono  adoperate  come  anodi  metalline  di  prima  fusione,  ricchis- 
sime di  ferro,  vuol  essere  considerata  da  due  punti  di  vista  : 
dal  punto  di  vista  della  economia  del  combustibile,  e  da  quello 
dell'economia  di  forza  motrice  nella  operazione  elettrolitica. 

Che  l'economia  di  combustibile  possa  essere  considerevole, 
almeno  dove  tutta  l'operazione  elettrolitica  può  essere  fatta  con 
forza  motrice  idraulica,  risulta  dalla  semplice  considerazione  che 
nel  procedimento  della  Società  anonima  Italiana  una  parte  sol- 
tanto del  minerale  viene  sottoposta  a  fusione,  e  anche  per 
questa  parte  del  minerale  basta  una  prima  fusione,  la  quale  pei 
minerali  italiani  richiede  meno  del  15  p.  ®/o  di  coke. 

Che  poi  l'impiego  di  anodi  fatti  con  metalline  molto  ricche 
di  ferro  possa  giovare  alla  economia  dell'operazione  elettrochi- 
mica è  un  fatto  constatato,  e  nella  utilizzazione  di  esso  sta  so- 
stanzialmente l'invenzione  del  Marchese.  Il  ferro  della  metallina 
dà  luogo  ad  una  forza  elettromotrice  favorevole  alla  corrente 
elettrica,  la  quale  si  sottrae  da  quella  opposta  che  bisogna  vin- 
cere per  decomporre  il  solfato  di  rame.  In  altri  termini  la  dis- 
soluzione del  ferro  delle  metalline  produce  un  lavoro  elettrico 
utile,  che  sopperisce  in  parte  a  quello  necessario  per  dissociare 
il  sale  di  rame.  Nel  fatto  la  forza  elettromotrice  necessaria  per 


328  Relazione  della  giuria  internazionale 

far  passare  la  corrente  attraverso  il  bagno  è  sempre  inferiore 
ad  un  volt. 

Il  ferro  degli  anodi  va  disciogliendosi  nell'elettrolito,  il  quale 
per  conseguenza,  ad  operazione  avviata,  risulta  principalmente 
costituito  da  solfati  di  ferro.  Che  da  tale  soluzione,  ricchissima 
di  solfati  di  ferro  e  povera  di  rame,  si  possa  ottenere  un  depo- 
sito di  rame  elettrolitico  purissimo  e  compatto,  si  può  spiegare 
pensando  che  il  solfato  ferrico  che  abbonda  nel  liquido  agisca 
come  il  liquido  depolarizzante  in  una  pila  a  due  liquidi,  impe- 
dendo lo  sviluppo  di  idrogeno  ed  il  deposito  del  ferro.  Ma  qua- 
lunque sia  la  spiegazione  del  fatto,  questo  è  importantissimo, 
ed  è  merito  incontestabile  del  Marchese  l'averlo  provato  ed 
utilizzato. 

La  Giurìa  internazionale  fu  unanime  nel  riconoscere,  che 
il  procedimento  elettromctallurgico  adoperato  dalla  Società  ano- 
nima italiana  di  miniere  di  rame  e  di  elettrometallurgia  presenta 
veramente  un  carattere  di  novità  e  può  acquistare  una  impor- 
tanza considerevole  nell'industria  metallurgica  in  generale  ed  in 
quella  dell'Italia  in  particolare.  Essa  credette  adunque  che  alla 
Società  dovesse  essere  assegnata  almeno  una  parte  della  somma 
stabilita  pel  premio. 

Credette  tuttavia  il  Giurì  internazionale,  che  la  somma  che 
si  sarebbe  assegnata  alla  Società  di  miniere  di  rame  non  dovesse 
essere  data  come  premio,  ma  semplicemente  come  incoraggia- 
mento. Il  premio  infatti  deve  essere,  secondo  il  programma  del 
concorso,  l'attestazione  di  un  progresso  nel  campo  industriale, 
notevole  e  sicuro.  Ora,  comunque  razionali  sieno  i  procedimenti 
del  Marchese,  comunque  buoni  i  risultati  degli  esperimenti  at- 
tuali, nessuno  potrebbe  oggidì  asserire  che  il  problema,  che 
l'inventore  e  la  Società  si  sono  proposto,  sia  fin  d'ora  comple- 
tamente risolto  sotto  tutti  gli  aspetti.  Per  giudicare  dell'impor- 
tanza industriale  di  un  nuovo  processo  di  fabbricazione,  non 
basta  esaminare  il  processo  nelle  sue  particolarità  tecniche  e 
nei  suoi  prodotti,  ma  bisogna  averne  constatato  i  frutti  pratici 
ottenuti,  ad  esercizio  regolarmente  avviato,  dagli  opifizi  nei 
quali  esso  è  adoperato.  Ora  la  grandiosa  officina  di  Sestri- 
Levante  è  di  impianto  troppo  recente  perchè  sia  possibile  farsi 
oggi  un'  idea  chiara  della  importanza  che  essa  è  destinata  ad 
acquistare. 


per  la  sezione  di  cleiiricitìi,  ecc.  329 

6.°  The  National  Company  for  distributiox 
OF  Electricity  by  Secondary  Generators,  Limited,  di  Londra. 

La  National  Company  for  the  distribution  of  Ekctricity  by 
secondary  generators  di  Londra  è  proprietaria  della  privativa 
dei  sigg.  Gaulard  e  Gibbs  per  gli  apparecchi  denominati  gene- 
ratori secondari. 

Gli  apparati/ ai  quali  i  sigg.  Gaulard  e  Gibbs  danno  questo 
nome,  hanno  per  iscopo  di  produrre,  per  mezzo  dell'induzione 
esercitata  da  una  corrente  alternativa  di  intensità  data,  altre 
correnti  alternative,  l'intensità  delle  quali  si  possa,  pur  mante- 
nendo sensibilmente  costante  l'energia  che  esse  rappresentano, 
far  variare  a  piacimento.  Una  corrente  data  da  una  macchina  a 
correnti  alternative  è  trasmessa  in  una  spirale,  che  noi  diremo 
primaria,  avvolta  su  di  un  nucleo  di  fili  di  ferro.  Altre  spirali, 
che  diremo  secondarie,  e  che  si  possono,  riunite  in  circuito  unico 
od  in  circuito  multiplo,  inserire  in  uno,  od  in  più  circuiti  chiusi, 
sono  avvolte  sul  medesimo  nucleo  di  ferro.  L'induzione  della 
corrente  primaria  produce  nelle  spirali  secondarie  forze  elettro- 
motrici alternative.  E  siccome  le  spirali  secondarie  si  possono 
a  piacimento,  per  mezzo  di  un  commutatore,  collegare  in  circuito 
semplice  od  in  circuito  multiplo,  così  si  possono  sommare  delle 
correnti  secondarie,  a  piacimento,  le  forze  elettromotrici  o  le 
intensità,  e  se  l'energia  spesa  nella  spirale  primaria  è  sufficiente, 
si  possono  avere  nei  circuiti  secondari  quelle  intensità  e  quelle 
forze  elettromotrici,  che  convengono  alle  applicazioni  che  si 
vogliono  fare  colle  medesime.  Nelle  applicazioni,  alle  quali  mi 
rano  precipuamente  gli  inventori  e  delle  quali  diremo  più  in 
nanzi,  si  ha  bisogno  di  produrre,  con  una  corrente  primaria  d 
non  grande  intensità,  correnti  secondarie  di  intensità  maggiore 
Allora  la  corrente  primaria  è  data  da  una  macchina  dinamo 
elettrica  di  grande  forza  elettromotrice,  e  le  spirali  secondarie 
sono  collegate  in  circuito  multiplo.  Si  hanno  per  tal  modo  sui 
morsetti  terminali  delle  spirali  secondarie  differenze  di  potenziali 
minori  di  quelle  che  si  hanno  sulle  estremità  della  spirale  pri 
maria,  ma  per  compenso  si  ottiene  nei  circuiti  secondari  una 
intensità  di  corrente  corrispondentemente  più  grande.  Astrazione 
fatta  dalla  inevitabile  perdita  di  energia  che  ha  luogo  nell'appa- 
recchio, si  può  dire  che  passando  dalla  corrente  primaria  alla 
secondaria  si  sono  fatti  variare  in  sensi  opposti  i  valori  dei  due 


33°  Relazione  delia  giuria  intenmziofiale 

fattori  deirenergia:  si  è  diminuita  la  forza  elettromotrice  e  si  è 
aumentata  l'intensità  della  corrente. 

L'idea  di  ricavare  da  correnti  di  piccola  intensità  correnti 
alternative  di  intensità  maggiore  per  mezzo  di  un  apparecchio 
fondato  sul  medesimo  principio  del  rocchetto  di  RuhmkorfT,  ma 
adoperato  a  rovescio,  è  cosi  semplice  e  così  ovvia,  che  non  è 
difficile  trovare  molti  che  da  tempo  la  enunciarono  e  la  sotto- 
posero allo  esperimento.  E  Tidea  che  di  questo    modo  dì  ado- 
perare il  rocchetto  d*  induzione   si   potessero   fare   applicazioni 
pratiche  nella  distribuzione  dell'energia  colle  correnti  elettriche 
e  sovratutto  nella  illuminazione  elettrica  è  anch'essa  abbastanza 
ovvia  perchè  più  d' uno,  prima  dei  signori  Gaulard  e  Gibbs,  la 
proponessero  e  ne  facessero  anche  l'oggetto  di  brevetti  di  pri- 
vativa. Ma  se  si  confronta  coU'ordinario  rocchetto  di  induzione 
il  nuovo    apparecchio  di    Gaulard  e   di  Gibbs,  il  quale,  benché 
fondato  sul  medesimo  principio,  noto  a  tutti,  ne  differisce  tut- 
tavia sostanzialmente  per  le  proporzioni  e  per   la  disposizione 
delle  sue  parti,  e  pel  rendimento  che  può  dare;  e  se  colle  pro- 
poste di  quelli,  che,  pure  alludendo   ad    apparecchi  diversi  <ial 
rocchetto  di  Ruhmkorff,  stettero  tuttavia  nel  vago  dei  progetti, 
si  mettono  a  confronto  le  esperienze  pratiche  effettive  già  fatte 
dalla  Società  proprietaria  del  nuovo  brevetto,  si  è  forzati  a  ri- 
conoscere, che  non  mai  prima  d'ora  il  problema  fu  presentato 
in  forma  più  razionale  e  più  pratica. 

Che  invertendo  la  funzione  di  un  ordinario  rocchetto  di 
Ruhmkorff,  facendo  cioè  passare  la  corrente  primaria  nel  filo 
lungo  e  sottile,  e  ricavando  la  secondaria  dal  filo  grosso  e  corto, 
si  possa  con  una  corrente  primaria  di  piccola  intensità,  ma 
data  da  una  macchina  di  grande  forza  elettromotrice,  ottenere 
una  corrente  secondaria  dovuta  ad  una  forza  elettromotrice  mi- 
nore, ma  di  una  assai  più  grande  intensità,  è  cosa  nota  e  chiara; 
ma  è  evidente  eziandio  che  in  un  apparecchio  così  fatto  sarebbe 
necessariamente  impossibile  ottenere  un  coefficiente  di  rendi- 
mento conveniente.  Ciò  in  causa  della  grande  resistenza  della 
spirale  per  cui  passerebbe  la  corrente  primaria.  È  evidente 
inoltre  che  l'apparecchio  dovrebbe  assumere  dimensioni,  peso  e 
prezzo  considerevoli  quando  esso  dovesse  somministrare,  sotto 
forma  di  corrente  secondaria,  quella  quantità  di  energia  che 
occorre  nelle  pratiche  applicazioni  alle  quali  oggi  si  mira.  Il 
sig.  Gaulard  ha  evitato  questa  difficoltà  in  modo  semplice  ed 
ingegnoso  ;  ed  il  suo   merito  sta  appunto  nell'  aver  trasformalo 


per  la  sezione  di  elettricità,  ecc,  331 

il  rocchetto  di  induzione  in  modo  di  ottenere  i  seguenti  quattro 
risultati: 

I.*»  Di  rendere  piccolissima,  minima,  la  resistenza  tanto 
delia  spirale  primaria  quanto  della  secondaria. 

2.°  Di  rendere  massimo  il  coefficiente  di  induzione  mutuo 
delle  due  spirali,  e  quindi  minime  le  dimensioni  ed  il  peso  del- 
l'apparato. 

3.*»  Di  rendere  la  costruzione  dell'apparato  semplice  e 
facile  in  modo  tale  che  il  prezzo  di  esso  superi  di  poco  quello, 
del  resto  assai  piccolo,  del  metallo  con  cui  è  fatto. 

4.»  Di  aver  collocato  le  due  spirali,  primaria  e  secondaria, 
identicamente  nella  medesima  posizione  relativamente  al  nucleo 
di  fili  di  ferro,  cosa,  che,  rendendo  uguali  le  forze  elettromotrici 
dovute  all'induzione  del  nucleo  sulle  due  spirali,  primaria  e  se- 
condaria, contribuisce  al  buon  rendimento  ed  agevola  inoltre 
l'impiego  pratico  dell'apparecchio. 

Negli  apparati  presentati  alla  Esposizione  di  Torino,  appa- 
rati di  forma  nuova  e  non  esperimentata  prima  d'ora,  le  spirali 
primarie  e  secondarie  sono  fatte  con  dischi  di  lastra  sottile  di 
rame.  I  dischi  hanno  la  forma  di  corone  circolari,  tagliate  '  se- 
condo un  raggio  e  presentanti  sui  due  lati  dèi  taglio^  verso 
l'esterno,  sporgenze  in  forma  di  linguette  rettangolari  destinate 
a  permettere  di  saldare  i  dischi  tra  di  loro  per  formare  le  spi- 
rali. Una  serie  di  dischi  identici,  saldati  convenientemente  l!uno 
all'altro  per  mezzo  delle  linguette  sunnominate,  forma  una  spi- 
rale continua,  di  cui  ciascun  disco  rappresenta  una  spira:  una 
spirale  a  nastro.  Ciascun  apparecchio  ha  due  spirali;  e  le  spire 
di  una  di  queste  sono  alternate  con  quelle  dell'altra.  L'isola- 
mento è  ottenuto  per  mezzo  di  dischi  di  carta  alternati  coi 
dischi  di  rame.  Una  delle  due  spirali  è  tutta  di  un  pezzo  e  serve 
come  primaria;  l'altra  e  fatta  di  più  pezzi  uguali  sovrapposti,  i 
quali,  per  mezzo  di  un  semplice  commutatore  a  spine  si  possono 
congiungere  in  circuito  semplice,  od  in  circuito  multiplo,  a  piaci- 
mento. Nel  tubo  contenuto  entro  ai  fori  dei  dischi  sta  un  nucleo 
costituito  da  un  fascio  di  fili  di  ferro,  il  quale  si  può  innalzare  più 
o  meno,  e  così  estrarre  più  o  meno  dall'apparecchio,  onde  rego- 
lare l'efficacia  del  medesimo.  Un  commutatore  serve  ad  intro- 
durre il  generatore  secondario  nel  circuito  della  corrente  primaria, 
oppure  ad  estrarnelo  chiudendo  il  detto  circuito  con  corto  filo. 
I  generatori  secondari  presentati  alla  Esposizione  di  Torino 
sono  di  due  modelli:  un  piccolo  modello,  che  può  dare  nel  eir- 


332  Relazione  della  giuria  internazionale 

culto  secondario  P  energia  equivalente  ad  un  cavallo  dinamico» 
ed  un  modello  più  grande,  atto  a  dare  correnti  secondarie  equi- 
valenti alla  energia  di  circa  due  cavalli.  Questi  ultimi,  i  quali 
hanno  servito  alla  massima  parte  delle  esperienze  che  furono 
fatte  nella  Esposizione,  hanno  la  spirale  secondaria  composta 
di  quattro  porzioni  eguali,  le  quali,  prese  insieme,  contengono 
455  dischi.  Altrettanti  dischi  formano  la  spirale  primaria.  La 
spirale  primaria  ed  il  complesso  delle  secondarie,  quando  queste 
ultime  sono  riunite  in  circuito  semplice,  presentano  approssi- 
mativamente la  medesima  resistenza;  tale  resistenza  è  di  circa 
un  terzo  di  ohm.  Il  peso  del  rame  contenuto  nell'apparecchio 
completo  è  compreso  fra  i8  e  20  chilogrammi;  il  che  equivale 
a  circa  dieci  chilogrammi  per  cavallo  dinamico.  Colle  proporzioni 
attuali  i  generatori  secondari  sono  fatti  per  funzionare  regolar- 
mente con  una  corrente  primaria  di  circa  dodici  ampère,  e  ven- 
gono adoperati  in  modo  da  produrre  correnti  secondarie  di 
intensità  compresa  fra  otto  e  dieci  ampère.  Nell'impianto  che  la 
Società  espositrice  ha  fatto  in  Torino,  la  corrente  primaria  è 
somministrata  da  una  macchina  dinamoelettrica  a  corrente  alter- 
nativa di  Siemens,  la  quale  fa  mediamente  760  giri  per  minuto, 
e  produce  in  ogni  minuto  secondo,  mediamente,  304  inversioni 
di  corrente.  Per  le  esperienze  su  grandi  distanze  ha  servito  un 
filo  di  rame  cromato  somministrato  dalla  ditta  Mouchel  di  Pa- 
rigi. Tale  filo  ha  il  diametro  di  millimetri  3,7  ed  è  disteso  su 
isolatori,  come  i  conduttori  telegrafici  aerei  ordinari,  lungo  la 
linea  telegrafica  delle  Strade  ferrate  dell'Alta  Italia  e  lungo  quella 
della  Strada  ferrata  da  Torino  a  Lanzo.  La  distanza  effettiva 
tra  la  galleria  dell'elettricità  nella  Esposizione  e  la  stazione  di 
Lanzo,  misurata  lungo  la  linea,  è  di  circa  42  chilometri;  il  filo 
misura  quindi,  coi  due  tratti  di  andata  e  di  ritorno,  circa  84 
chilometri.  I  generatori  secondari  furono  distribuiti  alle  due 
estremità  della  linea  ed  in  due  stazioni  intermedie. 

La  Giurìa  internazionale  ebbe  campo  a  constatare  che  gli 
apparecchi  di  Gaulard  e  Gibbs  sono  realmenti  atti  a  trasfor- 
mare le  considerevoli  quantità  di  energia,  di  cui  si  è  detto 
poc'anzi;  che  realmente  essi  si  prestano  a  risolvere  in  modo 
semplice  e  comodo  il  problema,  in  molti  casi  importante,  di 
alimentare  per  mezzo  di  un'unica  corrente  primaria,  simulta- 
neamente, lampade  elettriche  di  natura  e  di  tipi  diversi;  che 
finalmente  l'intensità  delle  correnti  secondarie  si  può  facilmente 
regolare. 


per  la  sezione  di  elettricità,  ecc.  333 

Del  coefficiente  di  rendimento  del  trasformatore,  coefficiente 
il  cui  valore  dipende  da  molte  circostanze,  e  può,  per  un  mede- 
simo apparecchio,  variare  moltissimo,  a  seconda  della  velocità 
della  macchina  dinamoelettrica  e  della  resistenza  del  circuito 
secondario,  il  Giurì  non  crede  che  si  possano  dare  fin  d'ora 
valori  numerici  precisi.  Esso  tuttavia  non  trascurò  di  fare  sugli 
apparecchi  esposti  varie  determinazioni,  e  di  esaminare  inoltre 
i  risultati  delle  molte  esperienze  da  altri  eseguite  nel  corso 
della  Esposizione,  e  potè  dedurre  dall'insieme  di  tutti  i  fatti 
osservati,  che  il  coefficiente  di  rendimento  della  trasforma- 
zione, che  ha  luogo  nel  generatore  secondario,  può  avere,  se 
le  resistenze  dei  circuiti  secondari  sono  bene  proporzionate, 
valori  molto  elevati,  e  certo  incomparabilmente  superiori  a 
quelli  che  si  avrebbero  coli' impiego  degli  ordinari  rocchetti  di 
induzione. 

Anche  gli  esperimenti  che  si  sono  fatti  sul  circuito  stabilito 
lungo  la  linea  TorinoLanzo,  hanno  avuto,  agli  occhi  della  Giu- 
rìa, una  qualche  importanza.  Benché  l' invenzione  dei  signori 
Gaulard  e  Gibbs  lasci  intatto  il  problema  generale  del  trasporto 
dell'energia  a  grandi  distanze  per  mezzo  dell'elettricità,  problema 
la  cui  soluzione  sta  essenzialmente  nel  trovare  macchine  di  gran- 
dissima forza  elettromotrice  e  nel  trasmettere  praticamente  a 
distanza  le  lóro  correnti,  essa  tuttavia  offre  una  soluzione  del 
problema  secondario  di  rendere  utilizzabile  l'energia  trasmessa 
nei  casi  in  cui  questa  si  vuole  adoperare  sotto  forma  di  cor- 
renti elettriche  per  l'illuminazione.  E  benché  raramente  si  pos- 
sano presentare  nella  pratica  casi  nei  quali  possa  economica- 
mente convenire  di  applicare  il  sistema  su  distanze  grandi  come 
quella  su  cui  si  è  fatto  in  Torino  l'esperimento,  tuttavia  é  indu- 
bitabile che  anche  applicando  il  sistema  su  distanze  minori,  e 
combinandolo  coi  sistemi  di  distribuzione  delle  correnti  già  in 
uso,  esso  potrà  permettere  non  solo  di  allargare  notevolmente 
il  raggio  di  azione  degli  attuali  sistemi  di  illuminazione  elettrica 
con  impianti  centrali,  ma  ancora  di  combinare,  in  modo  semplice 
ed  uniforme,  in  un  medesimo  tutto,  impianti  di  illuminazione 
con  ogni  forma  di  lampade. 

Per  questi  motivi  la  Giurìa  internazionale  fu  unanime  nel 
giudicare  la  National  Company  for  the  distribution  of  Electricity 
by  secondary  generatore  di  Londra  degna  di  essere  presa  in  con- 
siderazione, e  stabilì  dì  assegnare  alla  medesima  una  parte  della 
somma  stabilita  pel  premio. 


334  Relazione  delia  giuria  internazionale 

Però  nel  prendere  questa  deliberazione  la  Giurìa  credette 
necessario  di  fare,  rispetto  alla  medesima,  una  dichiarazione 
simile  a  quella  già  fatta  relativamente  al  conferimento  di  una 
parte  della  somma  alla  Società  anonima  Italiana  di  miniere  dì 
rame  e  di  elettrometallurgia:  la  Giurìa  non  crede  che  nello 
stato  attuale  l'invenzione  di  Gaulard  e  Gibbs  possa,  senza  ulte- 
riori perfezionamenti  ed  ulteriori  prove  pratiche,  essere  consi- 
derata come  compiuta;  e  quindi  vuole  che  la  somma  assegnata 
alla  Società  che  la  presenta  venga  considerata  non  già  come 
un  premio  attestante  l'importanza  dell'invenzione  compiuta,  ma 
come  un  incoraggiamento  a  proseguire  nel  perfezionamento  di 
un  sistema  che  si  crede  fecondo  di  utili  applicazioni.  Acciocché 
il  sistema  di  distribuzione  delle  correnti  basato  sull'impiego  dei 
generatori  secondari  possa  essere  considerato  come  indubbia- 
mente pratico  e  sicuro,  non  è  soltanto  necessario  che  l'espe- 
rienza, fatta  in  circostanze  svariate,  dimostri  1'  economia  reale 
che  esso  presenta,  ma  è  necessario  ancora  che  gli  inventori 
completino  il  loro  apparecchio  con  accessori  diversi,  e  lo  com- 
binino con  altri  già  in  uso  o  proposti  in  modo  che: 

i.^'  Si  abbia  nel  sistema  l'indipendenza  degli  apparecchi 
di  un  utente  qualunque  da  quelli  degli  altri,  e  si  eviti  la  neces- 
sità che  ciascun  utente  regoli  il  proprio  generatore  secondario 
ogniqualvolta  vengono  introdotti  o  tolti  dal  circuito  primario 
altri  generatori,  od  ogniqualvolta  egli  stesso  spegne  od  accende 
alcune  lampade. 

2.<>  Il  maneggio  dei  circuiti  e  degli  apparecchi  sia  facile 
e  sicuro. 


III. 

CONCLUSIONI. 

Dalle  considerazioni  sovraesposte,  la  Giurìa  internazionale 
fu  condotta  alla  decisione  di  dividere  la  somma  di  lire  quindi- 
cimila stabilita  pel  premio  del  Governo  e  della  Città  di  Torino, 
in  due  parti  da  assegnarsi,  a  titolo  di  incoraggiamento,  ai  due 
seguenti  espositori: 

a)  Società  anonima  Italiana  di  miniere  di  rame  e  di  elet- 
trometallurgia, avente  sede  in  Genova: 


per  la  sezione  di  elettricità,  ecc.  335 

b)  The  National  Company  far  the  distribution  of  Eleciricity 
òy  secondary  generators,  Limited,  di  Londra, 

Per  dividere  poi  la  somma  fra  le  due  Case  concorrenti,  la 
Giurìa  non  credette  di  poter  mettere  a  confronto  l'importanza 
relativa  dei  trovati  dalle  medesime  presentati  al  concorso,  im- 
perocché non  è  possibile  un  tale  confronto  fra  cose  affatto  dif- 
ferenti per  la  natura  loro  e  pei  problemi  che  mirano  a  risolvere. 
Essa  credette  invece  essere  più  equo  tenere  a  calcolo,  nel  fare 
la  ripartizione,  le  spese  che  debbono  avere  incontrato  le  due 
Società  concorrenti  nel  fare  i  loro  impianti  nella  Esposizione. 
Partendo  da  questo  concetto,  la  Giurìa  decise  di  dare  un  terzo 
della  somma  alla  Società  anonima  Italiana  di  miniere  di  rame  e 
due  terzi  alla  Società  dei  generatori  secondari. 

Le  decisioni  relative  alle  due  Società  concorrenti  furono  for- 
mulate ed  approvate  all'unanimità  dalla  Giurìa  nel  modo  seguente: 

a)  Per  la  Società  anonima  Italiana  di  miniere  di  rame  e 
di  elettrometallurgia; 

La  Giurìa  per  l'Esposizione  internazionale  di  elettricità  con- 
siderando : 

I.®  Che  se  le  Officine  della  Società  anonima  Italiana  di 
miniere  di  rame  e  di  elettrometallurgia,  con  sede  in  Genova, 
non  hanno  ancora  funzionato  regolarmente  per  un  tempo  suffi- 
ciente a  dimostrare  che  il  problema  dell'estrazione  industriale 
del  rame  dai  suoi  minerali  per  via  elettrolitica  è  stato  comple- 
tamente risolto,  tuttavia  dagli  apparecchi  e  dai  prodotti  dalla 
Società  presentati  all'Esposizione  risulta  che  la  Società  mede- 
sima è  già  riuscita  ad  ottenere  mediante  l'elettrolisi,  su  vasta 
scala,  direttamente  rame  riconosciuto  puro,  da  metalline  molto 
ricche  di  ferro  ; 

2.°  Che  l'applicazione  della  elettrolisi  al  trattamento  dei 
minerali  di  rame,  quale  fu  attuata  dalla  Società  anonima  di  Ge- 
nova, permette  di  impiegare  utilmente  minerali  poveri; 

3."  Che  le  ricerche  eseguite  su  vasta  scala  per  sostituire, 
anche  in  parte,  i  metodi  elettrometallurgici  ai  modi  ordinari 
nella  estrazione  dei  metalli  meritano  di  essere  incoraggiate  sic- 
come quelle  che  sono  destinate  a  fare  sotto  più  rapporti  pro- 
^^redire  le  industrie  metallurgiche; 

Delibera  di  accordare  alla  suddetta  Società,  a  titolo  di  in- 
coraggiamento, lire  cinquemila. 

b)  Per  la  National  Company  f or  the  distribution  of  Elec- 
iricity by  secondary  generators,  Limited,  di  Londra: 


33^  Relaziqnc  della  giuria  internazionale,  ecc. 

Quantunque  il  problema  di  trasformare  per  mezzo  della 
induzione  correnti  deboli  in  correnti  più  forti  non  sia  nuovo, 
pure  il  Giurì  riconosce  che  l'ultima  forma  data  dal  Sig.  Gaulard 
agli  apparati  di  induzione  è  molto  razionale  e  rende  possibile 
siffattta  trasformazione  con  lieve  perdita  di  energia.  E  perciò 
delibera  di  assegnare  alla  Società  dei  generatori  secondari  die- 
cimila lire  a  titolo  di  incoraggiamento,  acciocché  prosegua  a 
perfezionare  il  suo  sistema  molto  acconcio  per  distribuire  sopra 
regioni  estese  l'illuminazione  elettrica  di  qualunque  forma. 

Al  Sig.  Ingegnere  E.  Marchese  ideatore  del  sistema  elet- 
trolitico della  Società  anonima  Italiana  di  miniere  di  rame  e  di 
elettro-metallurgia,  ed  al  Sig.  Lucien  Gaulard,  inventore  dei 
generatori  secondarii  della  National  Company  for  the  disirtbtdion 
of  Electricity  by  secondary  generators  di  Londra,  la  Giurìa  deli- 
berò la  Medaglia  d'oro  di  collaborazione. 

Torino,  9  Novembre  1884. 

//  Presidente  della  Giuria  Internazionale 
Incaricato  delia  Relazione 

Prof.  Galileo  Ferraris. 


■  ■   JP^"  ' 


L'ELETTROTECNICA 

ALL'ESPOSIZIONE   UNIVERSALE  DEL   1889 
IN  PARIGI 


CAPO  L 


Le  macchine  dinamoelettriche. 

§  i.°  Considerazioni  generali, 

I.  Primo  sguardo  complessivo,  confronto  coli* Esposizione  dei 
18S1,  —  Nell'autunno  del  1881  si  ebbe  in  Parigi  la  prima  Espo- 
sizione Internazionale  di  Elettricità;  nel  1889,  dopo  otto  anni, 
di  nuovo  in  Parigi,  l'elettricità  ha  dato  materia  ad  una  parte 
cospicua  di  una  grande  Esposizione  mondiale.  Benché  tra  le  due 
mostre  altre  ve  ne  siano  state  a  Monaco,  a  Vienna,  a  Torino^ 
ad  Anversa,  le  quali  hanno  man  mano  illustrato  il  graduale  in- 
cremento delle  nascenti  industrie  elettrotecnìchCi  tuttavia  que- 
st'ultima esposizione  parigina  doveva  riuscire  singolarmente 
istruttiva,  siccome  quella  che,  svolgendosi  nelì' ambiente  mede- 
simo ov'era  sorta  la  prima,  poteva  offrire  più  spontanei  e  più 
chiari  confronti,  e  porgere  per  tal  modo,  colla  massima  evidenza, 
una  esatta  idea  del  meraviglioso  cammino  che  le  nuove  Industrie 
hanno  percorso  dal  giorno,  in  cui  si  affermarono  solennemente 
per  la  prima  volta,  al  giorno  d'oggi. 

Tale  effettivamente  è  riuscita  nell'Esposizione  la  Classe  6a, 
concernente  l'elettrotecnica.  In  essa  il  visitatore,  prima  ancora 
di  entrare  in  un  minuto  esame  dei  singoli  apparecchi  e  delle 
varie  applicazioni,  già  col  primo  sguardo  generale,  ha  trovalo 
materia  di  riflessione  e  di  ammaestramento.  Questo  fatto  si  é 
verificato  colla  maggiore  evidenza  per  quel  ramo  della  elettro- 
tecnica, al  quale  si  riferiscono  le  brevi  note  che  io  sto  per 
esporre:  e  più  specialmente   si  è   verificato    nella   mostra  delle 

G.  Ferraris,  Opere,  Voi.  II.  aa 


338  L 'elettrotecnica 


macchine  che  danno  vita  alle  grandi  appHcazìoni  industriali  della 
corrente  elettrica,  nella  mostra  delle  macchine  dinamoelettriche. 

La  prima  osservazione  che  si  presenta  a  chi  getti  uno 
sguardo  generale  sul  complesso  delle  macchine  dinamoelettriche 
presentate  in  questa  ultima  esposizione  parigina  e  confronti 
tali  macchine  con  quelle  che  figuravano  nella  mostra  del  1881 
ed  in  quelle  che  in  altri  luoghi  la  seguirono,  è  questa:  il  nu- 
mero dei  modelli  o  dei  sistemi  non  è  aumentato,  è  anzi  dimi- 
nuito. Se  alcune  nuove  forme  di  macchine  si  notano,  più  nume- 
rose però  sono  quelle  che  scomparvero,  o  che  non  figurano  più 
se  non  nelle  collezioni  a  scopo  di  storia.  E  i  fabbricanti,  nel 
presentare  le  loro  macchine,  non  mirano  più,  in  generale,  a 
porre  in  evidenza,  come  cosa  essenziale,  le  forme  nuove  e  gli 
sperati  vantaggi  delle  medesime;  né  i  visitatori  esperti  si  arre- 
stano più  a  considerarle. 

Orbene  tale  osservazione  è  importante.  Infatti  come  la  mol- 
teplicità delle  forme  e  la  varietà  dei  disegni  erano  la  conse- 
guenza e  la  prova  della  mancanza  di  un'idea  chiara  e  precisa 
degli  scopi  ai  quali  si  doveva  mirare,  e  della  incertezza  dei 
criteri  che  dovevano  guidare  al  conseguimento  dei  medesimi, 
così  la  somiglianza  di  aspetto  risultante  dalla  uniformità  delle 
proporzioni,  che  attualmente  presentano  tra  di  loro  le  macchine 
delle  migliori  fabbriche  attesta,  per  converso,  che  oramai  no- 
zioni esatte  e  criteri  certi  offrono  a  tutti  i  costruttori  una  guida 
uniforme.  Quando  mancano  nozioni  precise  sulle  leggi  quanti- 
tative che  impongano  determinate  proporzioni  e  additino  per 
conseguenza  anche  le  forme  più  acconcie  e  più  facilmente  con- 
ciliabili con  quelle,  nulla  circoscrive  il  campo  alle  speculazioni 
degli  inventori,  i  quali,  procedendo  a  tentoni,  cercano  nelle 
nuove  forme  dei  loro  apparecchi  ciò  che  meglio  essi  potrebbero 
ottenere  collo  studio  delle  dimensioni.  Quindi  la  molteplicità  dei 
disegni  e  la  gara  dei  sistemi.  Quando  invece  le  leggi  dei  feno- 
meni, che  debbono  prodursi  nelle  macchine  progettate,  sono 
note  così  da  prendere  forma  di  leggi  quantitative,  il  costruttore 
che  sa  determinare  le  dimensioni  in  relazione  cogli  effetti  che 
vuole,  e  subordina  ai  risultati  di  calcoli  sicuri  l'intiero  studio 
del  suo  progetto,  si  trova  naturalmente  guidato  a  scegliere  tra 
poche  forme  razionali  e  pratiche,  e  piuttosto  che  alla  ricerca 
inutile  di  nuovi  sistemi,  dirige  il  proprio  studio  a  soddisfare 
alle  norme  di  una  buona  composizione  meccanica.  All'inventore 
subentra  l'ingegnere;  l'osservanza  delle  regole  generali   della 


all'Esposizione  Universale  del  iSSp  in  Parigi.  339 

buona  ingegnerìa  dà  luogo  ad  una  generale  somiglianza  d'a- 
spetto nelle  macchine;  alla  gara  de'  sistemi  subentra  la  gara, 
molto  più  seria  e  proficua,  della  buona  costruzione. 

Il  progresso  che  in  pochi  anni  si  è  fatto  nella  conoscenza 
delle  proprietà  delle  macchine  dinamoelettriche  e  delle  leggi 
quantitative  che  le  governano  è  meraviglioso;  e  notevolissima 
è  la  trasformazione  che  tale  conoscenza  ha  prodotto  nell'arte  di 
disegnare  e  di  costrurre  le  macchine.  Ancora  nel  1881  le  mac- 
chine si  costruivano  con  empiriche  ed  incerte  regole  di  fab- 
brica; gli  effetti  che  esse  avrebbero  dato  non  si  prevedevano  se 
non  per  mezzo  di  confronti  e  di  analogie  con  macchine  già  co- 
strutte e  già  sperimentate;  tali  effetti  non  si  potevano  accertare 
in  modo  sicuro  se  non  a  costruzione  avviata,  o  finita,  coll'espe- 
rimento.  Ora  invece,  dati  gli  effetti  che  si  vogliono  ottenere,  e 
note  soltanto  le  qualità  dei  materiali  che  si  vogliono  impiegare 
nella  costruzione,  le  macchine  si  calcolano  a  priori  e  si  dise- 
gnano sulla  base  delle  dimensioni  calcolate,  con  una  sicurezza 
non  inferiore  a  quella  colla  quale  si  studiano  i  progetti  delle 
macchine  a  vapore  e  degli  altri  apparecchi  industriali.  Lo  studio 
e  la  costruzione  delle  macchine  dinamoelettriche  costituiscono 
presentemente,  propriamente,  un  ramo  di  ingegneria  meccanica, 
e  le  macchine  hanno  assunto  effettivamente  l'aspetto  ed  il  ca- 
rattere di  apparecchi  francamente  industriali. 

Questo  grande  progresso,  pel  quale  l'arte  di  costrurre  le 
macchine  di  induzione  è  passata  nel  volgere  dì  pochi  anni  dal- 
l'infanzia alla  maturità,  è  precipuamente  dovuto  alla  più  estesa 
e  più  chiara  conoscenza  che  ora  si  ha  delle  proprietà  magneti- 
che del  ferro.  E  tale  conoscenza,  che  costituisce  da  sé  un  im- 
portante acquisto  scientifico,  è  a  sua  volta  dovuta  in  gran  parte 
alla  diffusione  ed  al  retto  impiego  che  ha  trovato  tra  i  tecnici 
il  concetto  chiaro  e  fecondo  di  circuito  magnetico.  Se  ai  lavori 
scientifici  di  Warburg,  di  Rowland,  di  Ewing,  di  John  Hopkin- 
son  la  scienza  deve  un  prezioso  complesso  di  fatti,  i  quali  danno 
nuova  forma  e  nuovo  significato  alle  nozioni  che  si  hanno  sul 
magnetismo,  si  deve  pure  affermare  che  l'applicazione  pratica 
alle  macchine  dinamoelettriche  del  concetto  di  circuito  magne- 
tico e  di  flusso  d'induzione,  che  l'Hopkinson  stesso  in  unione 
col  fratello  e  l'ing.  Gisbert  Kapp  ci  insegnarono  a  fare,  non  solo 
ha  aperto  ai  tecnici  un  nuovo  orizzonte,  ma  ha  servito  a  pro- 
vocare e  ad  incoraggiare  potentemente  gli  stessi  lavori  scienti- 
fici. Non  v'ha  altro  ramo  di  scienza  applicata  ove  la  reciprocità 


340  L'elettrotecnica 


.  degli  interessi  scientifici  e  di  quelli  industriali  si  sia  palesata  in 
modo  più  evidente.  Imperocché  non  si  saprebbe  dire  se  nel 
promuovere  il  rapido  e  grande  progresso  di  cui  parliamo  abbiano 
contribuito  più  le  ricerche  disinteressate  degli  studiosi  della 
scienza,  o  quelle  imposte  ai  tecnici  dai  problemi  industriali. 

2.  Esempi.  —  Queste  considerazioni,  ho  detto,  si  presentano 
spontanee  alla  mente  di  chi  getti  un  primo  sguardo  d'insieme 
sulle  macchine  dinamoelettriche  esposte  a  Parigi.  Ed  a  porre  qui 
in  chiaro  l'evidenza  di  esse  mi  basta  notare  per  sommi  tratti  i 
prodotti  che  presentano  attualmente  le  fabbriche  più  importanti 
fra  quelle  che  avevano  già  esposto  nel  1881,  e  delle  quali  le 
macchine  erano  allora  considerate  come  tipi  o  modelli  distinti. 
Cito,  come  principalissime,  le  macchine  di  Edison,  di  Siemens 
ed  Halske,  di  Gramme,  di  Sautter  e  Lemonnier. 

Edison  presentava  nel  1881  due  modelli  di  macchine:  la 
grande  macchina  dinamoelettrica  a  vapore,  e  la  macchina  Z. 
La  prima,  che  potè  essere  messa  in  azione  soltanto  negli  ul- 
timi giorni  dell'esposizione,  era  allora  la  più  grande  macchina 
che  mai  fosse  stata  costrutta;  produceva  circa  1000  ampere  con 
108  volt,  ossia  circa  108  chilowatt;  poteva  alimentare  1400  lam* 
pade  di  16  candele,  ed  era  comandata  direttamente  dalla  biella 
di  una  macchina  a  vapore  portata  dalla  medesima  base  e  dalla 
medesima  intelaiatura.  Aveva  un  elettromagnete  di  campo  a  sem- 
plice ferro  dì  cavallo  colle  braccia  orizzontali;  il  braccio  supe- 
riore era  formato  con  otto,  l'altro,  l'inferiore,  con  quattro  sbarre 
cilindriche  coperte  di  spirali.  Le  estremità  polari  erano  enormi, 
ed  erano  anche  dissimmetriche,  giacché  la  superiore  era  assai 
più  grande  dell'inferiore. 

L'altra  macchina,  la  Z,  la  quale  produceva  da  37  a  38  am- 
pere con  106  volt,  aveva  anch'essa  un  magnete  di  campo  a 
semplice  ferro  di  cavallo,  ma  questo  era  verticale  co'  poli  in 
basso.  E  ciò  che  distingueva  la  macchina  da  tutte  le  altre  era 
una  straordinaria  altezza  delle  braccia  dell'elettromagnete  e  la 
relativa  magrezza  delle  medesime.  Come  nella  grande  macchina, 
le  estremità  polari,  assai  grandi,  avviluppavano  quasi  per  in- 
tiero l'indotto. 

La  Casa  Siemens  ed  Halske  di  Berlino  aveva  nel  1881, 
come  macchina  per  corrente  continua,  il  tipo  D,  con  doppio  cir- 
cuito magnetico.  Fra  le  particolarità  di  tale  macchina  si  notava 
questa,  che  i  nuclei  degli  elettromagneti  di  campo  erano  for- 
mati con  sottili  sbarre  di  ferro  di  sezione  rettangolare.  La  se- 


all'Esposizione  Universale  del  iSSg  in  Parigi,  341 

zione  del  ferro  era  piccolissima,  e  a  fronte  di  essa  era  consi- 
derevole quella  delle  spirali  magnetizzanti. 

La  Società  Gramme  aveva  molti  modelli  diversi,  ma  fra 
tutti  erano  presentati  e  ritenuti  come  principali  quelli  coli' in- 
duttore a  doppio  circuito  magnetico,  e  specialmente  quello  no- 
tissimo conosciuto  col  nome  di  tipo  **  Atelier  „. 

Sautter  e  Lemonnier  costruivano  allora  macchine  di  mo- 
dello Gramme  e  più  precisamente  coll'induttore  a  molte  colonne 
verticali.  La  disposizione  di  esse  non  differiva  sostanzialmente 
da  quella  che  già  aveva  figurato  nella  esposizione  universale  di 
Vienna  nel  1873;  "^  ^^  ^^sa  differiva  sostanzialmente  quella 
delle  macchine  che  la  stessa  Casa  costruttrice  aveva  posterior- 
mente presentato  a  Torino  nel  1884. 

Attualmente  tutti  gli  accennati  tipi  di  macchine  sono  scom- 
parsi o  vennero  profondamente  modificati.  La  trasformazione 
cominciò,  come  è  debito  ricordare,  già  fin  dal  1883  per  opera 
principalmente  del  dottor  J.  Hopkinson,  il  quale,  senza  mutare 
la  disposizione  generale  delle  parti,  modificò  profondamente, 
guidato  da  sicuri  concetti  scientifici,  le  principali  proporzioni 
della  macchina  di  Edison  a  magnete  verticale.  La  modificazione 
consistette  principalmente  in  una  notevole  riduzione  della  lun- 
ghezza delle  braccia  dell'elettromagnete  di  campo,  ed  in  un  in- 
grossamento delle  medesime.  Il  miglioramento  ottenuto  fu  note- 
volissimo. Lo  Sprague  ^  esponeva  in  una  relazione,  già  nel  1883, 
i  seguenti  risultati:  —  Una  antica  macchina  Edison  di  antico  mo- 
dello fatta  per  150  lampade  di  16  candele  aveva  un  peso  di 
2720  chilogrammi^  e  con  una  velocità  di  900  giri  al  minuto  pro- 
duceva 112  ampere  con  no  volt.  Dopo  un  ingrossamento  di  soli 
25  millimetri  ed  un  raccorciamento  delle  braccia  del  magnete, 
combinati  con  un  corrispondente  aumento  del  numero  delle  spire 
e  con  una  moderata  diminuzione  della  intensità  della  corrente 
eccitatrice,  bastarono  500  giri  al  minuto  per  ottenere  il  mede- 
simo effetto.  Con  ciò  il  peso  della  macchina  risultò  aumentato 
di  circa  300  chilogrammi  rappresentati  per  tre  quarti  dal  ferro 
e  per  un  solo  quarto  dal  rame.  La  trasformazione  si  compiè 
adunque  rapidamente  e  quasi  contemporaneamente  nelle  fabbri- 
che della  Società  Edison  americane  ed  europee. 

Quasi  contemporaneamente  ad  Edison,  Siemens  ed  Haiske 
introdussero  nella  loro  fabbricazione  una  analoga  modificazione. 


*  Vedi  GuEROUT,  La  lunttèn  électriqut,  pag.  359;  1883. 


342  L'elettrotecnica 


Nel  1883  infatti  usciva  dalla  loro  fabbrica  il  modello  F,  che  fi- 
gurò, per  la  prima  volta  in  una  esposizione  internazionale,  nella 
Sezione  elettrotecnica  della  Esposizione  del  1884  in  Torino.  In 
tale  modello  di  macchina  era  conservata  l'antica  disposizione 
con  doppio  circuito  magnetico,  ma  grosse  colonne  cilindriche  di 
ghisa,  rastremate  in  corrispondenza  dell'indotto,  avevano  preso 
il  posto  delle  sottili  sbarre  di  ferro  che  dianzi  costituivano  i 
nuclei  delle  calamite.  Nello  stesso  anno  1884  la  stessa  Casa  fa- 
ceva nella  medesima  direzione  ancora  un  passo  e  produceva  le 
macchine  H,  dette  superiori,  con  magnete  a  semplice  ferro  di 
cavallo,  coi  poli  in  alto  e  colle  braccia  grossissime  e  cortissime. 

Poco  stante,  nel  1885,  Ting.  Gisbert  Kapp  presentava  nella 
Esposizione  delle  invenzioni  in  Londra  una  serie  di  macchine 
ove  lo  studio  del  circuito  magnetico  era  fatto  con  molta  cura, 
ed  ove  era  in  più  modi  risolto  il  problema  di  avere  in  tale  cir- 
cuito una  minima  lunghezza  ed  una  massima  sezione.  Notevolis- 
sima tra  tali  macchine  era  quella  a  poli  superiori,  ove  la  forma 
complessiva  corrispondeva  a  quella  delle  macchine  superiori  di 
Siemens,  ma  i  nuclei  erano  di  ferro  fucinato  ed  erano  uniti  allo 
zoccolo  ed  alle  appendici  polari  in  modo  quasi  iàentico  a  quello 
che  si  osserva  nelle  macchine  attualmente  presentate  dalle  fab- 
briche  che  si  servono  dei  modelli  della  Casa  Siemens. 

Intanto  le  pubblicazioni  di  Rowland,  di  Bosanquet  e  dello 
stesso  Kapp  *  cominciavano  a  rendere  famigliari  tra  i  tecnici  il 
concetto  del  circuito  magnetico  e  la  influenza  delle  dimensioni 
di  esso  sul  flusso  d'induzione.  E  tali  pubblicazioni,  segnatamente 
quella  del  Kapp,  ove  il  metodo  e  la  forma  dell'esposizione  erano 
quelli  propri  all'ingegnere,  che  ha  attinto  i  suoi  concetti  nella 
lunga  famigliarità  colle  macchine  effettive^  e  che  li  presenta 
coU'intento  di  farli  servire  in  modo  chiaro  e  comodo  alla  solu- 
zione di  questioni  pratiche,  delle  quali  egli  ha  un  senso  tecnico 
sicuro,  fecero  sì  che  la  trasformazione  nella  fabbricazione  delle 
macchine  dinamoelettriche  diventasse  generale  in  brevissimo 
tempo. 

Per  tal  modo  scomparvero  molti  modelli  o  sistemi  speciali, 
e  in  loro  vece  trovarono  impiego  vieppiù  frequente  e  generale 
quelli  che  sovra  ho  accennato,  e  pochi  altri  studiati  razional- 
mente coi  medesimi  criteri.  E  così  nell'Esposizione  noi  vediamo 
che  la  Casa  Edison  presenta  tanto  per  le  più  grandi   macchine 


*   Thi  Electncian,  25  ottobre  1884;  id.,  14  febbraio  1885;  id.,  14  aprile  1885. 


air  Esposizione  Universale  del  i88g  in  Parigi,  343 

come  per  le  più  piccole  un  unico  modello,  il  modello  a  sem- 
plice ferro  di  cavallo  con  braccia  verticali  grosse  e  corte,  con 
estremità  polari  assottigliate,  colle  proporzioni,  insomma,  consi- 
gliate da  Hopkinson.  Nella  mostra  della  Società  Americana  di 
Edison  non  si  trova  più  alcuna  macchina  ove  le  elettrocalamite 
di  campo  abbiano  sbarre  multiple  :  anche  la  più  grande  di  tutte, 
quella  di  175  chilowatt,  che  pure  supera  per  potenza  la  dinamo 
a  vapore  del  1881,  ha  il  campo  magnetico  prodotto  da  una  elet- 
trocalamita a  grosse  braccia  cilindriche  semplici.  La  Compagnia 
continentale  Edison  di  Parigi  ha  nella  sua  stazione  centrale  della 
Esposizione,  come  nella  bella  stazione  del  Palais  Royal,  mac- 
chine con  doppio  circuito  magnetico  disegnate  dall' ing.  Picou, 
ma  il  tipo  di  esse  ricorda  assai  più  le  macchine  F  di  Siemens 
ed  Halske,  che  non  le  antiche  macchine  dell'inventore  ameri- 
cano. Così  pure  la  Società  Gramme  non  presenta  più  le  sue  an- 
tiche macchine  del  tipo  "  Atelier  „  e  le  altre  numerose  forme 
per  le  quali  essa  è  passata,  se  non  a  scopo  di  storia;  nella  sua 
costruzione  attuale  essa  si  è  fissata  specialmente  su  di  un  solo 
tipo,  sul  tipo  a  semplice  ferro  dì  cavallo  coi  poli  in  alto  e  colle 
braccia  robuste  e  corte.  Nella  stazione  centrale  che  la  Società 
ha  nella  Esposizione,  non  si  vedono  che  macchine  di  tale  tipo, 
e  a  questo  unico  tipo  appartengono  tutte  le  macchine  dalla  So- 
cietà adoperate  negli  impianti  più  recenti  e  più  grandiosi.  La 
Casa  Sautter  e  Lemonnier,  anch'essa,  ha  abbandonato  quasi 
completamente  il  modello  Gramme  a  colonne  multiple  verticali, 
e  per  le  macchine  bipolari  ha  adottato  francamente  il  tipo  della 
macchina  "  Manchester  „  della  fabbrica  Mather  e  Platt,  tipo  al 
quale  anche  altri  costruttori  si  sono  accostati,  e  che  rappresenta 
una  applicazione  razionale,  ottima  dal  punto  di  vista  costruttivo, 
dei  nuovi  principi.  Anche  per  le  macchine  multipolari  la  Casa 
Sautter  e  Lemonnier  si  è  allontanata  dalla  forma  delle  macchine 
Gramme  e  si  è  accostata  a  quella  delle  macchine  Thtiry ,  che 
la  fabbrica  De  Meuron  et  Cucnod  di  Ginevra  aveva  esposto  a 
Torino  nel  1884.  Finalmente,  benché  la  Casa  Siemens  ed  Halske 
di  Berlino,  come  tutte  le  fabbriche  tedesche,  si  siano  astenute 
dall'Esposizione,  pur  tuttavia  il  visitatore  di  questa  ha  potuto 
estendere  il  suo  esame  anche  ad  essa;  e  fare  anche  sulle  mac- 
chine, che  essa  costruisce  attualmente,  confronti  e  considera- 
zioni analoghe  alle  precedenti.  Figurava  infatti  a  Parigi,  con  una 
splendida  mostra,  la  Società  Alsaziana  di  costruzione  meccanica^ 
che  ha  le  sue  officine  a  Belfort;  e  tutto  il  materiale  elettrico  che 


344  L'elettrotecnica 


questa  Società  produceva  era  costrutto  sui  disegni  della  Casa 
Siemens  ed  Halske.  Ora  tutte  le  macchine  bipolari  esposte  dalla 
Società  Alsaziana  erano  del  tipo  a  semplice  circuito  magnetico 
coi  poli  in  alto,  avevano  nuclei  corti  e  grossi,  e  ciò  che  qui  più 
importa  notare,  il  collegamento  dei  nuclei  cilindrici  di  ferro  fu- 
cinato collo  zoccolo  e  colle  appendici  polari,  che  sono  di  ghisa, 
e  la  forma  di  queste,  e  le  proporzioni  tutte,  e  tutto  l'insieme 
delle  macchine  ricordavano  perfettamente  la  macchina  a  poli  su- 
periori del  Kapp,  della  quale  sì  è  fatto  cenno  più  sopra.  La  stessa 
Società  presentava  eziandio  una  macchina  a  6  poli  con  indut- 
tore interno  ed  anello  esterno  conforme  agli  ultimi  disegni  di 
Hefner  Alteneck,  macchina  che,  come  tutti  sanno,  differisce  com- 
pletamente da  quante  la  Casa  Siemens  aveva  prima  del  1886,  e 
che  fu  disegnata  appunto  colla  guida  dei  nuovi  principi,  dei  quali 
rappresenta  una  applicazione  perfettamente  razionale. 

Potremmo  moltiplicare  gli  esempi,  ma  questi  bastano,  per 
ora,  a  dimostrare  la  natura  e  l'importanza  della  trasformazione 
che  nel  volgere  di  pochi  anni  ha  ricevuto  l'arte  della  costru- 
zione dei  generatori  industriali  della  corrente  elettrica. 

Tale  trasformazione  è,  come  abbiamo  detto  cominciando, 
uno  dei  fatti  più  importanti  che  l'Esposizione  abbia  messo  in 
evidenza:  è  il  fatto  che  si  presenta  pel  primo  allo  studioso,  e 
doveva  occupare  il  primo  posto  in  queste  nostre  note.  Ora  che 
lo  abbiamo  notato,  noi  potremo  nell'esame  dei  particolari  of- 
ferti dalle  varie  macchine  esposte  procedere  a  grandi  passi,  e 
soffermarci  solamente  su  quelle  macchine  che  presentano,  in 
qualche  loro  disposizione,  novità  degne  di  osservazione.  Non 
ve  ne  ha  molte,  ve  ne  ha  però  di  quelle  veramente  degne  di 
studio. 


§  2.®  Note  su  alcune  macchine  speciali. 
A)  Macchine  a  corrente  continua. 

Comincieremo  a  considerare  le  macchine  a  corrente  conti- 
nua, che  nella  Esposizione  erano  riccamente  rappresentate,  e 
verremo  dopo  alle  macchine  a  corrente  alternativa. 

3.  Edison.  —  Dopo  le  osservazioni  precedenti  non  ho  mestieri 
di  descrivere  le  macchine  presentate  dalla  Società  Americana 
Edison;  non  è  però  inutile  che  io  qui  riferisca  qualche  dato  nu- 


all'Esposizione  Universale  del  rSS^  in  Partii,  345 

merico  relativamente  al  più  grande  degli  esemplari  esposti,  che, 
come  già  ebbi  occasione  di  dire,  ha  la  forma  a  ferro  di  cavallo 
semplice  colle  proporzioni  e  coll'aspetto  di  quelle  dei  tipo  Edison- 
Hopkinson.  Colla  velocità  corrispondente  a  450  giri  al  minuto, 
esso  produce  140  volt  con  1250  ampere,  il  che  equivale  a  175 
chilowatt.  Può  cosi  alimentare  2500  lampade  di  16  candele,  op- 
pure 4000  lampade  di  io  candele.  Ha  41  segmenti  nel  collettore 
e  sei  spazzole  per  polo.  Pesa  in  tutto  12,7  tonnellate.  Tali  numeri 
diventano  istruttivi  se  si  confrontano  con  quelli  relativi  alla 
grande  macchina  dinamoelettrica  a  vapore  dairEdison  presentata 
nella  Esposizione  del  1881,  macchina  la  potenza  della  quale  su- 
perava tutto  quanto  in  quel  tempo  era  lecito  immaginare  come 
praticamente  possibile.  Quella  macchina,  con  una  velocità  corri- 
spondente a  350  giri  al  minuto,  produceva  poco  più  di  100  chi- 
lowatt; essa  intanto  presentava  i  seguenti  pesi:  ferro  dell'i ndotto, 
nuclei  del  magnete  di  campo,  pezzi  polari  e  gioghi  dell'elettro- 
magnete medesimo,  ritti  pei  cuscinetti,  piastre  di  zinco  serventi 
di  zoccolo  al  magnete:  chilogrammi  24420;  rame  dell' indotto 
e  dell'induttore:  chilogrammi  1560;  totale  chilogrammi  25980, 
ossia  poco  meno  di  26  tonnellate. 

Per  render  chiaro  il  confronto  dividiamo  il  numero  di  watt 
per  il  peso  in  chilogrammi  e  per  il  numero  di  giri  fatti  dall'in- 
dotto in  un  minuto  secondo,  avremo  calcolato  cosi  ciò  che  si 
può  denominare  il  numero  di  joule  per  chilogramma  dt  peso  e 
per  giro.  Troviamo  per  la  macchina  del  t8Si: 

looooo  X  60  ^^  .     ,  .  1  ■« 

1=0,66  joule  per  giro  e  per  chilogramma; 

25980x350 

e  per  la  macchina  del  1889:  ». 

175000  X  60  0.1  •  I  M 

— =  1,84  joule  per  giro  e  per  chilogramma. 

12  700  X  450 

Si  può  adunque  dire  che  Tutilizzazione  del  materiale  impie- 
gato nella  costruzione  della  macchina  è,  col  nuovo  modello,  quasi 
tre  volte  migliore  che  col  modello  antico. 

Tale  confronto  mette  in  chiaro  la  ragione  per  cui  non  solo 
il  disegno,  ma  anche  la  potenza  delle  macchine  ha  molto  varialo» 
E  questo  punto  è  degno  di  nota.  Nel  1881,  eccezione  fatta  dalla 
macchina  dinamo-vapore  Edison,  le  maggiori  macchine  dinamo- 
elettriche, anche  quelle  costrutte  dalle  fabbriche  più  importanlij 


346  L'elettrotecnica 


avevano  potenza  non  superiore  a  qualche  decina  di  cavalli  di- 
namici. Ora  invece  noi  vediamo  numerosissime,  assolutamente 
comuni,  macchine  che  con  moderate  dimensioni  hanno  potenze 
di  centinaia  di  chilowatt,  equivalenti  a  centinaia  di  cavalli  va- 
pore. Gli  impianti  elettrici  hanno  perciò  anch'essi  cambiato  d'a- 
spetto e  di  carattere.  Quegli  impianti,  che  una  volta  erano  fre- 
quentissimi e  costituivano  il  tipo  più  comune,  quegli  impianti 
ove  ciascuna  macchina  motrice  comandava  per  mezzo  di  altret- 
tante cinghie  parecchie  piccole  macchine  dinamoelettriche  di- 
sposte a  scaglioni,  sono  ora  quasi  completamente  scomparsi;  ed 
in  loro  vece  si  hanno  sistemi  ove  ciascuna  macchina  a  vapore 
comanda  solamente  una  o  due  macchine  dinamoelettriche  dì  di- 
mensioni armonizzanti  con  quelle  della  motrice  e  formanti  con 
essa  un  tutto  compatto  e  robusto,  sul  quale  riposa  con  soddi- 
sfazione l'occhio  dell'ingegnere  abituato  all'architettura  delle  co- 
struzioni meccaniche. 

Oltre  alla  grande  macchina  della  quale  abbiamo  fatto  cenno^ 
la  Società  Americana  Edison  esponeva  alcuni  modelli  di  mac- 
chine minori.  Fra  queste  meritano  una  menzione  speciale  quelle 
destinate  alle  distribuzioni  con  lampade  in  serie,  secondo  il  si- 
stema che  la  Società  Edison  Americana  impiega  oggidì  estesis- 
simamente col  nome  di  sistema  Municipale,  Su  questo  sistema 
e  su  altri  analoghi  oggi  in  uso  avremo  occasione  di  discorrere 
più  avanti  ;  ora  notiamo  soltanto,  quale  prova  dell'immenso  pro- 
gresso che  si  è  compiuto  nella  costruzione  delle  macchine  di- 
namoelettriche, questo  fatto,  che  possono  essere  di  uso  pratico 
e  funzionare  industrialmente  su  larga  scala,  senza  offrire  alcun 
inconveniente,  macchine  a  corrente  continua  con  un  collettore 
di  loo  e  più  segmenti,  le  quali  producono  regolarmente  fra  i 
poli  una  differenza  di 'potenziali  di  1200  volt. 

4.  Officine  di  Oerlikon.  —  Le  officine  di  Oerlikon  presso  Zu- 
rigo esponevano  una  notevole  collezione  di  macchine  dinamo- 
elettriche disegnate  dall'ing.  Brown.  Le  macchine  dovute  a  questo 
distinto  ingegnere  sono  entrate  da  pochi  anni  nella  industria,  ma 
sono  notissime  per  la  bontà  del  disegno  e  per  la  perfezione  della 
costruzione.  Quelle  poi  esposte  a  Parigi  formavano  un  complesso 
tale  che  ad  essa  noi  dobbiamo  dare  qui  un  posto  distinto.  La  più 
grande  di  essa  è  una  macchina  a  4  poli,  del  tipo  ottagonale,  desti- 
nata a  servire  come  generatrice  per  un  trasporto  di  forza  motrice, 
ed  era  accoppiata  ad  una  ricettrice  del  medesimo  sistema.  Con 
una  velocità  corrispondente  a  480  giri  al  minuto,  la  macchina 


all'Esposizione  Universale  del  i88g  in  Parigi.  347 

produceva  tra  i  poli  600  volt  e  trasmetteva  circa  180  chilowatt. 
L'ossatura  del  sistema  induttore  ed  i  nuclei  degli  elettromagneti 
erano  di  ghisa.  Tale  sistema  induttore,  il  quale,  come  si  è  detto^ 
aveva  forma  ottagonale,  era  fatto  di  due  pezzi  uniti  secondo 
il  piano  orizzontale  passante  per  Tasse;  ciascun  pezzo  portava 
due  dei  nuclei  delle  elettrocalamite,  venuti  di  getto  con  essi; 
gli  assi  di  questi  nuclei  erano  inclinati  a  45  gradi  sull'orizzonte. 
L'armatura  era  anulare  ed  il  nucleo  di  essa,  composto  di  dischi 
isolati  con  carta,  era  portato  dall'asse  per  mezzo  di  una  ruota 
di  bronzo  a  otto  braccia.  L'armatura  era  lunga  56  cm.,  aveva 
un  diametro  esterno  di  circa  94  cm.,  ed  un  vano  centrale  del 
diametro  di  circa  58  cm.  Essa  era  avvolta  alla  Gramme  in  200 
sezioni  di  due  spire  ciascuna.  Il  conduttore  consisteva  in  una 
fune  di  19  fili  di  rame  del  diametro  di  circa  mm.  1,30,  coperta 
di  cotone  e  verniciata.  Approssimativamente,  per  quanto  era 
possibile  giudicare  ad  occhio,  la  distanza,  misurata  sulla  circon- 
ferenza dell'indotto,  fra  due  magneti  consecutivi,  era  uguale  alla 
larghezza  dei  nuclei  dei  magneti  stessi,  misurata  anch'essa  sulla 
circonferenza.  Questi  ultimi  adunque  potevano  avere  una  lar- 
ghezza di  37  cm.,  e  questa  moltiplicata  per  56,  dà  circa  2ioa 
centimetri  quadrati  come  area  della  sezione  dei  nuclei  dei  ma- 
gneti. La  sezione  trasversale  del  telaio  ottagonale,  portante  i 
magneti  e  chiudente  con  essi  i  circuiti  magnetici,  era  alquanto 
maggiore  della  metà  di  quella  dei  nuclei,  era  cioè  di  1097  cm.  q. 
La  corrente  era  raccolta  da  quattro  coppie  di  spazzole,  ciascuna 
delle  quali  era  larga  circa  5  cm.,  e  siccome  le  spazzole  opposte 
erano  congiunte  in  parallelo,  così  si  avevano  4  spazzole,  for- 
manti una  larghezza  complessiva  di  20  cm.,  per  raccogliere  una 
corrente  di  circa  300  ampere.  I  magneti  erano  eccitati  in  serie/ 
ciascun  nucleo  era  coperto  con  60  giri  di  una  lastra  di  rame 
larga  30  cm.  e  grossa  circa  i  mm.;  le  quattro  spirali  così  for- 
mate erano  congiunte  tra  di  loro  in  serie.  La  descritta  macchina 
funzionava  come  generatrice  e  somministrava  la  corrente  ad  una 
macchina  quasi  identica  funzionante  come  motore  nella  galleria 
della  meccanica  agraria. 

Un'altra  macchina  a  quattro  poli  figurava  nella  mostra  delle 
officine  di  Oerlikon,  ed  era  notevolissima.  Era  una  macchina  di 
soli  14  chilowatt,  ma  presentava  una  disposizione  dell'induttore 
tale  che  i  quattro  poli  vi  erano  prodotti  per  mezzo  di  due  sole 
spirali  magnetizzanti.  Questa  disposizione  ingegnosa  era  stata 
proposta  già  dal  Kapp,  ma  non  era  ancora  stata  messa  in  pra- 


348  L'elettrotecnica 


tìca.  L'induttore  della  macchina  di  cui  facciamo  cenno  è  formato 
da  un  telaio  rettangolare  di  ghisa  coi  due  lati  maggiori  orizzon- 
tali e  co'  minori  verticali.  Con  questi  ultimi  lati  sono  venuti  di 
getto  i  nuclei  di  due  elettromagneti  grossi  e  corti,  situati  dentro 
al  telaio  rettangolare  cogli  assi  su  di  una  medesima  retta  oriz- 
zontale. La  corrente  eccitatrice  circola  nelle  spirali  dei  due  elet- 
tromagneti in  versi  opposti,  cosicché  si  formano  due  poli  omo- 
nimi sulle  estremità  libere  de'  medesimi,  e  due  punti  conseguenti 
rappresentanti  due  poli  contrari  ai  precedenti  si  formano  nei 
punti  di  mezzo  dei  due  lati  orizzontali  del  telaio  rettangolare. 
Per  tal  modo  si  hanno  i  quattro  poli  induttori.  Le  estremità  li- 
bere de'  nuclei  dei  due  elettromagneti  e  le  parti  mediane  dei 
lati  orizzontali  del  telaio  sono  opportunamente  incavate  in  modo 
da  formare  parti  di  una  medesima  superfìcie  cilindrica,  e  nel 
vano  cilindrico  così  formato  è  situato  l'indotto.  Il  nucleo  di  ferro 
dell'indotto  ha  la  forma  di  un  anello.  Le  linee  di  induzione  che 
emanano  dalle  estremità  polari  dei  due  elettromagneti  entrano 
nell'anello  sui  due  fianchi,  e  percorrendo  ciascuna  un  quarto  di 
esso  ne  escono  in  forma  di  due  fasci  simmetrici  dalla  parte  su- 
periore e  dalla  inferiore.  L'indotto  ha,  come  si  è  detto,  un  nucleo 
anulare,  ma  è  avvolto  come  un'armatura  a  tamburo.  Ciascuna 
spira  occupa  sulla  superficie  cilindrica  del  tamburo  l'ampiezza 
di  90  gradi.  Sul  collettore  si  appoggiano  due  sole  spazzole  a  90 
gradi.  Le  sezioni  dell'armatura  sono  collegate  internamente  in 
serie.  La  macchina  è  direttamente  accoppiata  ad  una  motrice  a 
vapore  verticale  di  20  cavalli.  Essa  dà  normalmente  200  ampere 
con  70  volt. 

Le  macchine  bipolari  della  fal)brica  di  Oerlikon  hanno,  come 
è  noto,  una  disposizione  somigliante  a  quella  delle  macchine 
dette  **  Manchester.  „  Di  queste  figurava  nella  Esposizione  un 
ottimo  esemplare,  rappresentato  da  una  macchina  direttamente 
accoppiata  ad  un  motore  a  vapore  verticale  compound  di  60  ca- 
valli. Colla  velocità  corrispondente  a  350  giri  al  minuto  essa 
dava  500  ampere  con  65  volt.  Era  eccitata  in  derivazione.  I  fili 
dell'indotto  erano  avvolti  sulla  superficie  esterna  del  nucleo  e 
non  inseriti  in  buchi  come  nelle  macchine  analoghe  preceden- 
temente costrutte  dalla  medesima  fabbrica. 

5.  Sautter  e  Lemonnier.  —  Le  macchine  esposte  dallo  stabi- 
limento di  Sautter  et  Lemonnier  di  Parigi,  alle  quali  ho  già  avuto 
occasione  di  fare  allusione,  meritano  anch'esse  di  essere  qui  citate. 
Ve  n'erano  di  due  tipi  principali:  delle  multipolari  e  delle  bipolari. 


all'Esposizione  Universale  del  iSSg  in  Parigi.  349 

Le  multipolari  presentavano  neirinduttore  una  disposizione  molto 
somigliante  a  quella,  oramai  notissima,  delle  macchine  del  Thury, 
e  precisamente  a  quella  che  era  stata  presentata  ed  aveva  ottima- 
mente funzionato  nella  Esposizione  di  Torino  nel  1884;  rindotto 
avevano  invece  anulare,  alla  Gramme,  come  tutte  le  macchine 
della  medesima  fabbrica.  Notevole  fra  queste  macchine  multipo- 
lari era  una  grande  ad  otto  poli,  eccitata  in  derivazione,  di  70 
chilowatt.  Le  macchine  bipolari  poi  avevano ,  come  già  accen- 
nammo più  sopra,  una  disposizione  analoga  a  quella  del  tipo 
"  Manchester,  „  e  solamente  si  distinguevano  dalle  altre  mac- 
chine di  tale  tipo  per  il  grande  diametro  della  spirale  anulare 
indotta.  La  tendenza  di  numerosi  costruttori  ad  accostarsi  a  que- 
sto tipo  costituisce  un  fatto  notevolissimo.  Elsso  conferma  meglio 
d'ogni  altro  la  tesi  enunciata  in  principio  di  queste  pagine:'  fi- 
nito il  periodo  de*  tentativi  e  delle  incertezze,  i  migliori  co- 
struttori cominciano  a  porre  in  disparte  la  vana  ricerca  di  nuovi 
sistemi,  e  ad  essa  antepongono  lo  studio,  assai  più  serio,  di  fare 
della  buona  ingegneria.  E  i  tipi  che  presentano  le  forme  più 
semplici,  più  robuste,  più  pratiche,  più  facili  nella  costruzione 
hanno  la  preferenza. 

6.  Société  Alsacienne  de  construction  ntécanique,  usine  de  Bel* 
forL  —  Una  mostra  notevolissima  era  quella  fatta  da  questa  casa. 
Tale  mostra  riceveva  poi  una  importanza  affatto  speciale,  perchè 
le  macchine  dinamoelettriche  e  tutto  il  materiale  elettrico  costrutto 
dalla  Società  Alsaziana  sono  fatti,  come  è  noto,  sui  disegni  e 
coi  criteri  della  Casa  Siemens  ed  Halske,  che  la  Società  rap- 
presenta nella  Francia.  La  mostra  deirofficìna  di  Belfort  rappre- 
sentava perciò  nella  Esposizione  di  Parigi  un  saggio  della  fab* 
bricazione  tedesca.  Era  questo  il  solo  saggio,  ma  era  molto 
importante.  Esso  infatti  presentava  ottimi  esemplari  degli  ultimi 
tipi  di  macchine  prodotti  dalla  più  cospicua  Casa  tedesca. 

La  mostra  della  Société  Alsacienne  comprendeva  una  mac- 
china a  6  poli  con  indotto  anulare  e  con  induttore  interno,  del 
tipo  Hefner  Alteneck,  due  macchine  bipolari  del  tipo  superiore, 
ed  un  quadro  di  distribuzione  per  stazione  centrale. 

La  macchina  a  sei  poli  rappresentava  l'ultimo  modello  delle 
macchine  a  corrente  contìnua  che  Siemens  ed  Halske  adoperano 
nei  grandi  impianti.  L'induttore  era  costituito  da  una  stella  a 
sei  braccia,  ciascun  braccio  della  quale  era  una  elettrocalamita 
grossa  e  corta.  Esso  era  fìsso.  L'indotto  era  un  anello  del  tipo 
Gramme  racchiudente  l'induttore.  Esso  era  portato  in  falso  da 


350  L 'elettrotecnica 


una  stella  solìdaria  all'albero.  Questo  era  rigidamente  unito  al- 
l'albero della  macchina  a  vapore,  del  quale  costituiva  un  pro- 
lungamento. La  spirale  anulare  era  fatta  con  lamelle  di  rame; 
ciascuna  spira  di  essa  costituiva  da  sé  una  spirale  elementare, 
e  il  lato  esterno  di  ogni  spira,  denudato  sulla  faccia  esterna,  co- 
stituiva un  segmento  del  collettore.  Per  tal  modo  il  collettore  risul 
tava  formato  dalla  faccia  esterna,  cilindrica  e  tornita,  della  stessa 
spirale  indotta.  E  su  di  questa  si  appoggiavano  direttamente  le 
spazzole.  Essendo  sei  i  poli  induttori,  sei  erano  gli  sfregatorì, 
ciascuno  dei  quali  era  costituito  da  un  conveniente  numero  di 
spazzoline  di  filo  di  rame.  Una  stella  girevole,  a  sei  braccia, 
portava  tutte  le  spazzole,  che  così  potevano  spostarsi  e  rego- 
larsi tutte  insieme.  La  macchina  era  eccitata  in  derivazione;  le 
spazzole  erano  collegate  in  parallelo.  Colla  velocità  corrispon- 
dente a  150  giri  per  minuto,  la  macchina  dava  125  volt  e  1000 
ampere,  ossia  125  chilowatt  (170  cavalli).  Il  tipo  di  macchina 
-che  abbiamo  descritto  si  presta  assai  bene  a  potenze  anche  molto 
maggiori,  ed  infatti  la  fabbrica  di  Siemens  ed  Halske  di  Berlino, 
•e  quella  della  Socie'te'  Alsacienne,  costruiscono  correntemente 
macchine  simili  alla  descritta,  le  quali,  con  una  velocità  corri- 
spondente a  soli  70  giri  per  minuto,  danno  600  chilowatt,  il  che 
corrisponde  a  più  di  810  cavalli. 

Le  due  macchine  bipolari  sono  del  modello  che  Siemens  ed 
Haiske  contrassegnano  col  nome  di  tipo  H,  modello  che,  come 
abbiamo  già  avuto  occasione  di  notare,  riproduce  quasi  identi- 
camente una  delle  forme  adottate  dal  Kapp.  Esse  sono  di  co- 
struzione accuratissima;  hanno  il  collettore  di  acciaio  coirisola- 
mento  ad  aria;  con  300  giri  danno  100  volt  e  500  ampere. 

11  quadro  dì  distribuzione  che  completava  la  bella  esposi- 
zione della  Società  Alsaziana  era  anch'esso  del  tipo  Siemens  ed 
Haiske,  e  presentava  una  completa  collezione  degli  interruttori, 
a  mano  od  automatici,  dei  regolatori,  degli  amperometri  e  vol- 
tometri, degli  indicatori  di  terra,  ecc.,  coi  quali  la  grande  fab- 
brica tedesca  suole  fare  l'apparecchiamento  delle  stazioni  cen- 
trali. 

7.  Marcel  Deprez.  —  Occupavano  un  posto  importante  nella 
Esposizione  le  macchine  del  Marcel  Deprez^  le  quali  erano  pre- 
sentate dalla  Socie'te  ano ny me  pour  la  transmission  de  la  force  par 
r électricité.  Tali  macchine  rappresentano,  come  è  noto,  un  tipo 
speciale  studiato  precipuamente  per  la  trasmissione  della  energia 
meccanica  a  distanza,  e  il  loro  tratto  caratteristico  sta  nell'impiego 


all'Esposizione  Universale  del  iSSp  in  Parigi.  351 


di  due  armature  in  un  medesimo  circuito  magnetico.  li  più  grande 
modello  delle  macchine  di  cui  parliamo  è  quello  che  il  Marcel 
Deprez  fece  per  le  note  esperienze  per  la  trasmissione  della 
energia  meccanica  tra  Creil  e  Parigi;  ed  è  noto  come  in  tale 
modello  il  circuito  magnetico  sia  prodotto  da  sei  elettromagneti 
a  ferro  di  cavallo  disposti  radialmente  attorno  agl'albero  portante 
le  due  armature.  E  nella  Esposizione  notavasi  appunto  un  grande 
esemplare  di  tale  modello,  egregiamente  costrutto  e  funzionante 
nella  grande  galleria  delle  macchine.  Ma  il  tipo  di  macchina 
Marcel  Deprez,  che  nella  Esposizione  era  rappresentato  da  un 
maggior  numero  di  esemplari,  è  più  semplice  ed  è  senza  alcun 
•dubbio  migliore.  È  un  tipo  di  macchina  ove  il  circuito  magnetico 
è  semplice  ed  è  prodotto  con  due  sole  spirali  magnetizzanti. 
Costituiscono  il  circuito  magnetico  due  grandi  elettromagneti  con 
grossi  nuclei  cilindrici  paralleli.  Le  estremità  polari  delle  due 
elettrocalamite  sono  ripiegate  ad  angolo  retto  ed  abbracciano  le 
due  armature.  Le  armature  sono,  come  del  resto  in  tutte  le 
macchine  del  Deprez,  anulari,  alla  Gramme.  Sonvi  due  puleggie 
motrici,  una  per  ciascuna  estremità  dell'albero  e  in  alcuni  esem- 
plari a  ciascuna  puleggia  attiva  si  accompagna  una  puleggia 
folle.  11  tutto  forma  un  complesso,  dal  punto  di  vista  mec- 
canico ,  solido  e  pratico.  Il  piano  del  circuito  magnetico  in  al- 
cuni esemplari,  fra  i  quali  sonvi  quelli  che  funzionano  nella 
stazione  centrale  che  la  Società  esponente  impiantò  per  l'illumi- 
nazione di  una  parte  dell'Esposizione,  è  orizzontale;  in  altri  esso 
è  verticale.  In  uno  di  essi  l'intiero  sistema  induttore  era  portato 
su  due  coltelli  e  collegato  con  un  dinamometro  registratore  ed 
integratore  col  quale  si  poteva  misurare  in  modo  continuo  il  la- 
voro assorbito  dalla  macchina. 

8.  Rechniewsky.  —  Le  macchine  di  Rechniewsky  che  funziona- 
vano nella  stazione  impiantata  in  riva  della  Senna  per  l'illumina- 
zione di  una  parte  dell'Esposizione  dalla  Società  anonima  L'Echi- 
rage  électrique  e  quelle  del  medesimo  autore,  che  con  varie  dimen- 
sioni figuravano  nella  galleria  delle  macchine,  attraevano  anch'esse 
l'attenzione  degli  elettricisti.  E  veramente  se  le  macchine  del 
Rechniewsky,  per  il  costo  della  costruzione  e  per  le  condizioni 
meccaniche,  non  sono  probabilmente  destinate  ad  una  estesa  e 
grande  applicazione  industriale,  esse  meritano  tuttavia  di  essere 
notate  per  gli  effetti  che  producono  e  per  l'insegnamento  che 
offrono.  Esse  pongono  in  evidenza  la  capitale  importanza  che 
ha  la  grossezza  dell'interferro  sull'efficacia  di  una  macchina.  La 


352  L'elettrotecnica 

particolarità  delle  macchine  Rechniewsky  consiste  nell'avere  un 
indotto  con  nucleo  dentato  ed  un  induttore  con  nucleo  lamellare 
come  quello  dell'indotto.  I  denti  dell'armatura  sono  piccoli  e  nu- 
merosi così,  che  piccole  risultano  le  oscillazioni  della  resistenza 
magnetica  del  circuito  magnetico;  e  la  lamellazione  dell'indut- 
tore sopprime  quasi  completamente  gli  effetti  dannosi  delle  cor- 
renti di  Foucault  dovute  alle  oscillazioni  medesime.  Si  ha  così 
intiero  il  vantaggio  offerto  dai  denti,  che  è  quello  di  diminuire 
notevolmente  la  grossezza  dell'interferro,  senza  avere  gli  incon- 
venienti delle  correnti  parassite  che,  colla  ordinaria  costruzione, 
i  denti  produrrebbero  nel  ferro  della  macchina.  Se  si  dà  fede 
ai  dati  forniti  dagli  espositori,  il  vantaggio  effettivamente  otte- 
nuto colla  indicata  disposizione  è  veramente  notevole.  Ecco  per 
esempio  alcune  cifre  relative  ad  una  macchina  Rechniewsky,  che 
funzionava  nella  stazione  centrale  della  Società  L'Eclairage  elee- 
trique: 

Peso  totale  della  macchina:  chilogrammi    .     .    980 

Giri  per  minuto 800 

Velocità  periferica  dell'indotto:  metri  per  i"       11,04 

Potenza  della  macchina:  watt 26,000 

Watt  per  chilogr.  di  rame  nell'indotto  .    .     .    800 
Id.  id.  id.     totale 225 

9.  Crompton,  Cuenod  e  Sautter,  Gramme,  —  Come  ho  detto 
cominciando,  questi  cenni  su  alcune  delle  macchine  dinamo- 
elettriche che  hanno  figurato  nella  Esposizione  si  debbono 
estendere  solamente  a  quelle  macchine  che  presentano  qual- 
che particolarità  nuova  e  degna  di  osservazione.  Né  lo  scopo, 
né  le  proporzioni  della  presente  relazione  potrebbero  permet- 
tere di  descrivere,  non  dico  tutte  le  macchine  esposte,  ma 
nemmeno  tutte  quelle  che  per  la  bontà  del  disegno  e  della 
costruzione  o  per  l'importanza  degli  stabilimenti  dai  quali  de- 
rivano, hanno  ottenuto  o  meritano  l'elogio  dei  tecnici  ed  il  fa- 
vore degli  industriali.  Quindi  io  mi  accontento  di  nominare, 
senza  descriverle  e  ritenendole,  come  sono  infatti,  note  a  tutti 
gli  elettricisti,  le  ottime  macchine  del  Crompton  (Cronipton  and 
Company,  Limited,  London),  le  quali  si  distinguono  per  le  ampie 
proporzioni  dell'armatura  anulare  e  la  relativa  cortezza  dei  cir- 
cuiti magnetici  ;  e  quelle  di  Cuenod  e  Sautter  di  Ginevra  co- 
strutte secondo  il  noto  modello  della  macchina  Thury;  e  quelle 
che   Steinlen  e  C.  di  Muhlhausen    presentavano  in  molti    esem- 


all'Esposizione  Universale  del  iSS^  in  Parigi.  353 

plari  nella  loro  ammirevole  esposizione  di  macchine  lavoratrici. 
Così  pure  non  mi  arresto  a  descrivere  i  numerosi  modelli  di 
macchine  presentati  dalla  Società  Gromme,  i  quali  son  noti  uni- 
versalmente, e  solamente  noto  come  nella  sua  mostra  tale  So- 
cietà, che  tanta  parte  ha  avuto  nello  svolgimento  della  odierna 
elettrotecnica,  ponga  in  evidenza  che  molte  forme,  che,  adottate 
da  altre  fabbriche,  ottennero  impiego  e  favore  nella  pratica,  sono 
state  ideate  dal  Gramme  e  da  lui  stesso  effettivamente  provate. 
Mi  fermo  invece  su  due  macchine  le  quali  presentano  disposi- 
zioni  degne  di  un  cenno  speciale.  Sono  queste  una  macchina  a 
corrente  continua  del  prof.  Elihu  Thomson,  e  la  macchina  del 
Desroziers. 

IO.  Elihu  Thomson.  —  La  macchina  del  prof.  Elihu  Thomson, 
della  quale  intendo  parlare,  è  una  di  quelle  esposte  dalla  Società 
Americana  Thomson- Houston,  E  una  macchina  di  forma  ordi- 
naria, bipolare,  con  induttore  a  semplice  ferro  di  cavallo,  coi 
poli  in  alto.  Ma  è  a  doppia  eccitazione  (compound);  e  ciò  che 
la  rende  notevole  è  appunto  il  modo  nel  quale  è  collocata  ed 
avvolta  la  spirale  eccitatrice  in  serie,  o  come  dicono  i  pratici: 
il  compound. 

Tale  spirale  non  è  avvolta  sulle  braccia  cilindriche  dell'e- 
lettromagnete di  campo,  sulle  quali  si  hanno  soltanto  le  spirali 
eccitatrici  in  derivazione;  è  invece  collocata  nella  zona  libera 
fra  i  lembi  delle  estremità  polari,  così  che  essa  circonda  pro- 
priamente l'armatura.  La  spirale  è  costituita  da  due  parti  uguali 
simmetricamente  collocate  l'una  sul  lembo  di  una  ganascia  po- 
lare e  l'altra  su  quello  dell'altra.  Ciascuna  spira  ha  due  lati  ret- 
tilinei correnti  parallelamente  all'asse  dell'armatura  l'uno  al  di- 
sopra e  l'altro  al  disotto  di  questa,  e  due  lati  incurvati  a  semi- 
cerchio, i  quali  assecondano  gli  spigoli  laterali  dei  blocchi  polari, 
lasciando  frammezzo  libero  Io  spazio  per  le  teste  dell'armatura. 
Le  spire  sono  legate  in  fascio  con  un  nastro,  e  formano  come 
due  grossi  cordoni  orlanti  i  blocchi  polari.  Con  tale  disposizione 
l'inventore  si  è  proposto  di  rendere  meno  variabile  che  nelle 
macchine  ordinarie  la  posizione  delle  spazzole.  La  posizione 
nella  quale  conviene  collocare  le  spazzole  dipende,  come  è  noto, 
dalla  intensità  della  corrente  nell'armatura.  La  corrente  che  cir- 
cola nella  spirale  indotta  produce  infatti  nel  nucleo  una  indu- 
zione magnetica  parallela  al  piano  d'inversione,  la  quale  si  com- 
pone con  quella  prodotta  dall'induttore,  e  dà  luogo  ad  una  risul- 
tante inclinata,  rispetto  a  quest'ultima,  nel  senso  della  rotazione. 

G.  FxRRARis,  Op€ie,  Voi.  li  33 


354  L'eleltrotecnica 


La  deviazione  così  prodotta  nella  induzione  magnetica  è  tanto 
più  grande  quanto  più  è  intensa  la  corrente.  Ora  la  spirale  ec- 
citatrice in  serie  (il  compound),  collocata  com'è  nella  macchina 
del  prof.  Thomson,  produce  nel  ferro  dell'armatura  una  induzione 
magnetica  di  direzione  fìssa,  orizzontale,  la  quale  cresce  an- 
ch'essa colla  intensità  della  corrente  e  dà,  composta  con  quella 
prodotta  dalla  corrente  dell'armatura,  una  risultante  di  direzione 
approssimativamente  costante.  Tale  è  l'idea  che  ha  guidato  l'in- 
ventore, e  qualunque  sia  il  suo  valore  pratico  sul  quale  è  lecito 
discutere,  è  certamente  una  prova  del  talento  inventivo  del  pro- 
fessore americano.  In  ogni  caso  la  posizione  nella  quale  il  Thom- 
son ha  collocata  la  spirale  in  serie  è  quella  più  conveniente  per 
collocarvi  le  spirali  eccitatrici,  e  tutte  le  spirali  magnetizzanti 
si  dovrebbero  collocare  a  quel  modo,  proprio  sul  meridiano 
dell'armatura,  se  a  ciò  non  si  opponessero  difficoltà  di  costru- 
zione. 

D'accanto  alla  macchina  ora  descritta  la  Società  Thomson- 
Houston  espose  un'altra  macchina  a  corrente  continua,  la  quale 
ha  esternamente  la  forma  ben  nota  delle  macchine  che  la  me- 
desima Ditta  costruisce  per  l'illuminazione  con  archi  in  serie. 
Essa  ha,  come  quest'ultima  macchina,  un  indotto  sferico;  ma 
l'avvolgimento  di  esso  è  quello  di  Hefner-Alteneck,  ed  il  collet- 
tore suo  ha  la  forma  ordinaria.  Ed  anche  in  tale  macchina  si 
osserva  un  compound  disposto  proprio  attorno  all'armatura  come 
in  quella  sovradescritta. 

II.  Desroziers.  —  La  macchina  del  Desroziers,  costrutta  ed 
esposta  dal  Bréguet  di  Parigi,  rappresenta  una  forma  pratica- 
mente ben  riuscita  di  macchina  a  disco. 

Si  dà  questo  nome,  come  è  noto,  alle  macchine  dinamo- 
elettriche nelle  quali  le  spirali  indotte  sono  tutte  approssimativa- 
mente in  un  piano  perpendicolare  all'asse  di  rotazione,  e  for- 
mano insieme  ai  pezzi  di  sostegno,  che  le  rendono  solidarie 
all'albero,  un  disco  sottile,  il  quale  ruota  tra  i  poli  contrari,  af- 
facciati a  piccola  distanza,  del  sistema  induttore.  L'indotto  così 
formato  ordinariamente  non  contiene  nuclei  di  ferro,  e  tuttavia 
l'interferro  può  essere  piccolo  in  grazia  della  sottigliezza  del 
disco.  L'origine  delle  macchine  di  questa  classe,  che  sono  ora- 
mai numerose,  si  suole  far  risalire  al  disco  rotante  di  Faraday, 
e  ciò  sta  bene.  Ma  nel  medesimo  modo  e  con  egual  diritto  si 
possono  far  risalire  agli  apparecchi  del  Faraday  tutti  gli  appa- 
recchi d'induzione  che  hanno  oggidì  applicazioni   nella  pratica. 


all'Esposizione  Universale  del  iSSg  in  Parigi.  355 

Se  quindi  si  vuol  parlare  delle  macchine  effettive  delle  •  varie 
specie  e  delle  loro  particolarità,  non  hassi  a  risalire  tant'alto; 
•e  se,  nel  caso  speciale,  si  vuole  designare  un  prototipo  delle 
macchine  a  disco,  questo  deve  essere  una  macchina  ove  le  spi* 
rali  elementari  disposte  sul  disco  son  coUegate  con  un  collettore 
come  nelle  macchine  ordinarie.  Io  faccio  qui  questa  osservazione 
perchè  mi  preme  notare  che  come  prototipo  delle  macchine  di 
cui  stiamo  parlando  si  può  designare  quella  che  il  nostro  An- 
tonio  Pacinotti  ideava  fin  dal  1875,  che  poi  costruiva  in  Cagliari 
coll'aiuto  dell'officina  Doglio  e  del  meccanico  G.  Dessi  nella  pri* 
mavera  del  1878,  e  presentava  nella  Esposizione  internazionale 
di  elettricità  in  Parigi  nel  1881.  Quella  piccola  macchina  era  hi* 
polare.  Il  circuito  magnetico  vi  era  formato  da  due  elettroma- 
gneti ad  E3  posti  di  rimpetto  l'uno  all'altro  in  un  piano  verti- 
cale, co'  poli  contrari  affacciati.  I  poli  erano  provvisti  di  espan- 
sioni piatte,  e  nell'angusto  spazio  fra  queste  compreso  rotava  il 
disco.  Le  spirali  elementari  erano  fatte  in  modo  da  abbracciare 
approssimativamente  la  metà  della  superficie  del  disco  ;  avevano 
quindi  approssimativamente  la  forma  di  un  D.  Esse  erano  col- 
legate ad  un  collettore  come  le  spirali  di  un'armatura  ad  anello 
od  a  tamburo.  Il  Pacinotti  intuì  i  pregi  che  una  macchina  così 
fatta  può  presentare,  tanto  che  più  volte  egli  ritornò  sulla  sua 
idea,  che  considerò  come  pratica,  prima  che  altri  con  mezzi  più 
adeguati  la  traducessero  in  atto  in  forma  industriale. 

I  pregi  delle  macchine  a  disco  derivano  essenzialmente  dalla 
soppressione  del  ferro  nell'indotto,  e  sono:  la  soppressione  di 
un  notevole  peso  morto  nelle  parti  mobili;  la  soppressione  pres- 
soché completa  deUa  reazione  dell'indotto  sul  circuito  magnetico  ; 
-la  eliminazione  della  dissipazione  di  energia  per  la  isteresi  e 
per  le  correnti  parassite,  e  per  conseguenza  anche  quella  delle 
cause  anormali  di  riscaldamento  dell'armatura;  l'ottima  ventila- 
zione della  spirale  indotta  e  quindi  la  possibilità  di  elevare  in 
questa  la  densità  della  corrente  assai  più  che  nelle  altre  macchine. 

La  forma  a  disco  dell'indotto  rende  però  meno  opportuno 
l'impiego  di  un  induttore  bipolare  come  quello  che  adoperò  il 
Pacinotti;  molto  più  conveniente  è  l'impiego  di  un  induttore 
multipolare.  E  multipolari  sono  tutte  le  macchine  a  disco  che 
comparvero  in  questi  ultimi  anni  e  che  incontrarono  qualche 
favore  nella  pratica,  come  son  quelle  universalmente  note  di 
Jehl  e  Rupp  e  di  Frttsche.  Multipolare  è  anche  la  macchina  di 
JDesroziers. 


35^  L'ekttrotecnica 

L'induttore  è  costituito  da  due  corone  di  elettromagneti  a 
poli  alternati  cogli  assi  orizzontali  e  paralleli  all'albero;  esso  è 
identico  a  quelli  delle  macchine  a  corrente  alternante  di  Sier 
mens,  di  Ferranti,  di  Kapp,  e  simili.  L'indotto,  che  ha  la  forma 
di  un  disco  sottile,  gira  nello  stretto  spazio  compreso  fra  le  due 
corone  dei  poli  induttori.  La  spirale  che  esso  porta  è  formata 
di  tratti  rettilinei  radiali  alternati  con  tratti  curvilinei  foggiati 
come  evolventi  di  circolo.  I  tratti  radiali  rappresentano  la  parte 
utile  della  spirale,  sono  cioè  quelli  che,  quando  il  disco  gira^ 
tagliano  le  linee  di  forza;  i  tratti  curvilinei  servono  invece  come 
tratti  d'unione  e  dì  collegamento,  e  congiungono  alternativa- 
mente l'estremità  esterna  di  un  tratto  utile  con  quella  pure 
esterna  di  un  altro,  e  la  estremità  interna  di  quest'ultimo  con 
quella  di  un  terzo  tratto  radiale.  Detti  /  il  numero  delle  coppie 
di  poli  presentati  dall'induttore  ed  N  il  numero  dei  tratti  utili 
(numero  che  si  sceglie  sempre  pari),  ciascun  tratto  utile  è  con- 
giunto, per  mezzo  di  un  tratto  d'unione,  con  un  tratto  utile  che 
viene  «™**  dopo  di  esso,  ove  «  è  un  numero  impari  determinato 
colla  formola 

2 

I  tratti  d'unione,  alternativamente  esterni  ed  interni,  si  se- 
guono come  ì  lati  di  un  poligono  stellato.  In  così  fatto  avvol- 
gimento ciascun  tratto  radiale  si  trova  collegato  con  due  altri,, 
l'uno  che  lo  precede  e  l'altro  che  lo  segue,  i  quali  in  ogni 
istante  si  trovano  in  campi  magnetici  opposti  a  quello  che  essa 
sta  attraversando.  Quando  il  disco  gira,  le  forze   elettromotrici 

N  .    .    ' 

che  si  producono  in  tutti  gli —  tratti   radiali    compresi    in    una 

metà  della  spirale  si  sommano,  e  tutte  quelle  che  si  producona 

N 
negli   —  tratti  radiali   dell'altra   metà,  si  sommano    pure,    ma 

sono  opposte  alle  precedenti.  Le  due  somme  hanno  valori  ugual» 
e  segni  contrari,  esse  adunque  nella  intiera  spirale  si  elidono. 
Le  due  metà  della  spirale  si  comportano  adunque  come  le  due 
metà  della  spirale  Pacinotti  e  di  quella  di  Hefner-Alteneck.  Si 
può  per  conseguenza  far  uso  di  un  collettore  analogo  a  quello 
delle  macchine  ordinarie.  La  macchina  di  Desroziers  ha  effet- 
tivamente un  tale  collettore.  Le  due  spazzole  sono  diametral- 
mente opposte.  Siccome  però  l'inversione  della  forza  elettro- 
motrice avviene,  per  ogni  giro,  2  p  volte,  così  i  segmenti  del 


all'Esposizione  Universale  del  1SS9  in  Parigi.  357 

collettore  sono  in  numero  uguale  a  p  volte  il  numero  degli  ele- 
menti della  spirale;    e  ciascuno  dì  essi  è  congiunto  con  /  —  i 

altri  situati  Tuno    rimpetto  all'altro  alla  distanza  angolare-  -  . 

Tutte  le  macchine  Desroziers  finora  costrujtte  sono  a  6  poli  ; 
quindi  in  esse  i  segmenti  del  collettore  sono  in  numero  triplo 
<ii  quello  degli  elementi  della  spirale  indotta,  e  sono  collegati 
tre  a  tre.  Ciascun  segmento  è  collegato  ai  due  che  stanno  da 
«sso  alla  distanza  angolare  di  120  gradi. 

Quello  descritto  è  l'avvolgimento  schematico.  L'avvolgi- 
mento effettivo  differisce  da  esso,  e  la  difierenza  ha  lo  scopo  d 
moltiplicare  il  numero  di  tratti  utili  ed  accrescere  con  ciò  la 
forza  elettromotrice  delia  macchina.  Tale  differenza  consiste  in 
ciò,  che,  dopo  aver  disteso  il  primo  tratto  radiale,  il  primo  tratto 
di  raccordamento  ed  il  secondo  tratto  radiale,  si  ritorna  col  filo 
al  punto  di  partenza  del  primo  tratto  radiale  e  si  distende  ac- 
canto a  questo  un  secondo  tratto  ad  esso  parallelo;  con  un 
tratto  arcuato  giustaposto  al  primo  tratto  di  raccordamento  si 
viene  una  seconda  volta  all'origine  del  secondo  tratto  radiale, 
poi  si  ritorna  ancora  al  punto  di  partenza,  e  così  si  forma  una 
spirale  piatta  avente  la  forma  di  un  settore  compreso  tra  due 
Iati  rettilinei  radiali  e  due  lati  incurvati  ad  evolvente  di  cerchio. 
Fatta  questa  prima  spirale,  si  passa  col  filo,  seguendo  un  arco 
di  evolvente,  al  terzo  tratto  radiale  e  si  dà  principio  all'avvolgi- 
mento di  una  seconda  spirale  piatta  uguale  alla  precedente.  £ 
così  si  procede  fino  alla  fine.  Per  tal  modo  si  può  dare  al  filo 
indotto  una  lunghezza  qualunque  ed  ottenere,  con  un  prestabi- 
lito numero  di  spirali  elementari,  quella  forza  elettromotrice  che 
si  vuole. 

Praticamente  l'avvolgimento  si  fa  sopra  due  dischi  di  car- 
tone compresso,  nel  quale  sono  praticati  buchi  nei  punti  dove 
debbono  trovarsi  le  estremità  dei  tratti  radiali  del  filo  indotto. 
l  tratti  radiali  si  distendono  su  una  delle  faccie  del  disco,  ed 
i  tratti  curvilinei  di  collegamento  si  dispongono  sull'altra  faccia. 
Per  tal  modo  si  evitano  gli  incrociamenti  e  gli  accavallamenti 
del  filo.  Sull'uno  dei  dischi  si  dispongono  la  i*,  la  3*,  la  5%  ecc. 
spirale  elementare;  sull'altro  si  dispongono  la  2*,  la  4%  la  6*,  ecc. 
I  due  dischi  vengono  poi  applicati  con  viti  sulle  due  faccie  di 
una  stella  di  lamina  sottile  di  argentana,  che  serve  a  collegarli 
all'albero  ed  a  dare  al  sistema  la  necessaria  rigidità.  La  stella 
di  pakfong  è  intagliata  in  modo  di  sopprimere  in   essa  le  cor- 


35^  L* elettrotecnica 


renti  di  Foucault.  La  scelta  dell' argentana,  lega  che  ha  una 
grande  resistenza  specifica,  ha  anch'essa  lo  scopo  di  ridurre 
viemmeglio  le  correnti  parassite.  I  due  dischi  sono  applicati 
contro  la  stella  di  sostegno  colle  faccie  portanti  i  tratti  radiali, 
cosicché  rimangono  sulle  facete  esterne  del  sistema  i  soli  tratti 
curvilinei  di  raccordamento.  Formato  nella  maniera  descrìtta  il 
disco,  si  taglia  via  da  ciascuno  dei  due  dischi  di  cartone  la  co- 
rona circolare  compresa  fra  i  due  fascia  interno  ed  esterno,  dei 
tratti  curvilinei,  in  modo  da  mettere  allo  scoperto  i  tratti  utili. 
E  per  tal  modo  si  rende  possibile  ridurre  Tinterferro  alla  gros- 
sezza strettamente  necessaria  per  dar  passaggio  ai  tratti  utili 
del  filo  indotto.  Si  ottiene  inoltre  il  vantaggio  di  una  perfetta 
ventilazione  dell'armatura,  ventilazione  la  quale  rende  possibile 
adoperare  una  intensità  di  corrente  assai  elevata.  E  questo  un 
pregio  dell'  armatura  a  disco,  il  quale  viene  ad  aggiungersi  a 
quelli  dianzi  enumerati. 

Un  altro  pregio  prevedibile,  che  l'esperienza  ha  completa- 
mente confermato,  consiste  nella  eliminazione  quasi  completa 
delia  cosidetta  reazione  dell'indotto.  Nelle  macchine  del  Desro- 
ziers  la  reazione  dell'indotto  è  così  tenue,  che  se  si  tracciano 
le  caratteristiche  a  circuito  aperto  ed  a  circuito  chiuso  e  se  si 
aggiunge  a  ciascuna  ordinata  di  quest'ultima  il  prodotto  dell'in- 
tensità della  corrente  di  piena  carica  per  la  resistenza  statica 
dell'indotto,  si  ottiene  una  curva,  le  cui  ordinate,  nelle  vicinanze 
del  ginocchio  differiscono  da  quelle  della  caratteristica  a  circuito 
aperto  solamente  di  i  o  di  1.5  per  cento.  È  questo  un  risultato 
notevolissimo,  se  si  pensa  che  la  reazione  dell'indotto,  che  si 
constata  nelle  ordinarie  macchine  ad  anello  ed  a  tamburo,  rag- 
giunge spesso  il  IO  e  qualche  volta,  nelle  macchine  mal  pro- 
porzionate, persino  il  20  per  100. 

Quasi  tutte  le  macchine  del  descritto  sistema  finora  costrutte 
sono  macchine  a  piccola  velocità  angolare;  il  loro  indotto  fa 
da  200  a  350  giri  al  minuto.  La  maggior  parte  delle  macchine 
finora  costrutte  ha  trovato  impiego  nella  illuminazione  di  piro- 
scafi. Per  tale  applicazione  ciascuna  macchina  dinamoelettrica  è 
direttamente  comandata,  per  mezzo  di  una  piastra  elastica  di 
accoppiamento  del  sistema  Raffard,  da  un  motore  a  vapore  ap- 
positamente studiato  nelle  officine  Breguet,  L'insieme  costituisce 
un  gruppo  compatto  ed  acconcio  al  servizio  a  cui  è  destinato. 

Le  macchine  Desroziers  che  lo  stabilimento  Breguet  ha  pre- 
sentato alla  Esposizione  avevano  potenze  comprese  tra  12  e  144 


all'Esposizione  Universale  del  i8S^  in  Parigi,  359 

chilowatt.  La  più  grande,  quella  di  144  chilowatt  (circa  200  ca- 
valli) aveva  una  velocità  corrispondente  a  soli  200  giri  al  mi- 
nuto. L'interferro  era  poco  superiore  a  circa  2  cm.  La  costru- 
zione loro  è  compatta  e  meccanicamente  soddisfacente.  I  risul- 
tati delle  esperienze  sembrano  accordarsi  nel  constatare  la  bontà 
del  rendimento,  e  i  confronti  di  essi  con  quelli  relativi  alle  mac- 
chine ordinarie  attesta  la  possibilità  di  ridurre  notevolmente, 
col  sistema  a  disco,  il  peso  del  rame  e  quello  della  macchina 
intiera.  Noi  non  crediamo  che  tali  vantaggi  non  sieno  compen- 
sati .dalla  maggiore  complicazione  della  costruzione ,  ma  non 
possiamo  nemmeno  non  affermare  che  nella  macchina  del  Desro- 
ziers  si  trovano  riunite  disposizioni  ingegnosissime  e  veramente 
degne  di  essere  notate. 


B)  Macchine  a  corrente  alternante, 

12.  Osservazioni  preliminari,  —  In  confronto  col  grande 
numero  delle  macchine  a  corrente  continua  in  mezzo  alle  quali 
noi  abbiamo  fatto  or  ora  una  rapida  corsa,  il  numero  delle 
macchine  a  corrente  alternante  presentate  alia  mostra  di  Parigi 
é  stato  scarsissimo.  E  ciò  si  spiega,  se  si  pensa  allo  scarso 
impiego  che  in  Francia  hanno  finora  trovato  le  correnti  alter- 
native. Se  si  eccettuano  le  vecchie  macchine  alternative  che 
il  Gramme  aveva  costrutto  pel  servizio  delle  candele  Jabloch- 
koff,  macchine  che  si  trovano  ancora  molto  diffuse  negli  im- 
pianti di  illuminazione  elettrica  esistenti  a  Parigi,  e  che  lavora- 
vano in  alcune  delle  stazioni  centrali  impiantate  nella  esposizione, 
e  se  si  lasciano  in  disparte  alcuni  modelli  che  non  presentavano 
nulla  di  buono,  si  può  dire  che  le  sole  macchine  alternanti  che 
abbiano  figurato  nella  esposizione  e  che  meritino  un  cenno, 
sono:  una  macchina  del  Ferranti,  alcune  macchine  di  Thomson- 
Houston  ed  una  di  Heisler. 

13.  La  macchina  Ferranti  figurava  e  funzionava  nel  padi- 
glione della  Società  Anonima  V  *"  Eclairage  électrique  „  il  quale 
serviva  come  stazione  centrale  per  l'illuminazione  di  una  parte 
dell'Esposizione. 

Essa  era  la  più  grande  macchina  a  corrente  alternativa  che 
esistesse  nella  Esposizione,  e  si  presentava  anche  come  un 
saggio  di  ottima  costruzione;  non  offriva  però  nulla  di  nuovo. 
Come  è  noto  la  macchina  Ferranti  è  a  disco,  con  l'indotto  mo- 


36o  Ueletiroiecnica 


bile  e  l'induttore  fisso.  L'induttore,  per  la  disposizione  generale, 
è  identico  a  quella  delle  notissime  macchine  alternative  di  Sie- 
mens. I  nuclei  degli  elettro-magneti  hanno  sezione  trapezia  e 
sono  sostenute  da  corone  circolari  di  ghisa.  Nell'armatura  il 
conduttore  è  una  sottile  striscia  di  rame  avvolta  su  di  un  nucleo 
di  bronzo  insieme  ad  un  nastro  di  fibra  vulcanizzata  di  eguale 
larghezza.  Per  evitare  le  correnti  parassite,  il  nucleo  è  suddiviso 
in  molte  striscie  strette  ed  increspate,  separate  l'una  dall'altra 
per  mezzo  di  asbesto.  Le  spirali  hanno  forma  ovale  oblunga 
come  quelle  della  macchina  Siemens,  sono  disposte  in  corona  e 
portate  da  un  disco  solidario  all'albero.  L'unione  delle  spirali 
al  disco  di  sostegno  non  è  fatta  direttamente,  ma  bensì  per 
mezzo  di  porta  spirali.  Ciascuno  di  questi  porta  due  spirali  e 
serve  a  congiungere  le  estremità  interne  delle  medesime.  I  porta 
spirali  sono  isolati  dal  disco  o  mozzo  centrale  che  li  sostiene 
cosicché  v'ha  nella  armatura  un  duplice  isolamento:  risolamento 
delle  spirali  rispetto  ai  nuclei  e  l'isolamento  di  questi  rispetto 
alla  massa  metallica  della  macchina.  L'  avvolgimento  delle  spi- 
rali è  tale  che  la  corrente  passa  attraverso  l'indotto  in  due  cir- 
cuiti paralleli,  per  la  quale  disposizione  i  capi  dell'indotto  ven- 
gono a  trovarsi  alle  due  estremità  di  un  diametro.  Le  connes- 
sioni tra  le  spirali  adiacenti  si  effettua  automaticamente  nell'atto 
stesso  col  quale  si  inserisce  una  spirale  e  la  si  ferma  nella  sua 
sede;  per  tal  modo  riesce  impossibile  che  un  operaio  faccia, 
ricambiando  qualche  spirale,  una  falsa  connessione. 

Risulta  da  questa  descrizione,  come  il  Ferranti  abbia  rinun- 
ziato alla  disposizione  primitiva  che  formava  una  volta  la  parte 
caratteristica  delle  sue  macchine,  alla  disposizione  cioè  nella 
quale  l'indotto  era  formato  non  già  da  una  serie  di  spirali 
messe  in  corona,  ma  da  un  unico  nastro  continuo  avvolto  se- 
condo una  linea  ondulata.  Così  la  sua  macchina  è  diventata 
quasi  identica  all'antica  e  primitiva  macchina  di  Siemens,  dalla 
quale  non  differisce  se  non  per  semplici  particolari  costruttivi. 
La  fattura  però  è  ottima,  ed  i  particolari  ai  quali  abbiamo  ac- 
cennato hanno  una  grande  importanza.  La  corrente  eccitatrice 
per  r  induttore  è  prodotta  da  una  piccola  macchina  a  corrente 
continua  portata  dalla  stessa  intelaiatura  della  macchina  princi- 
pale ed  avente  con  questa  l'albero  comune. 

14.  Thomson- Houston,  —  Le  macchine  dinamo  elettriche  che 
la  Società  Thomson- Houston  di  Boston  adopera  nei  suoi  impianti 
per  correnti  alternative  e  che  la  Società  stessa  esponeva  nella 


all'Esposizione  Universale  del  iSSp  in  Parigi,  36: 


grande  galleria  delle  macchine,  hanno  molta  rassomiglianza  con 
le  Stanley  della  Società  Americana  Westinghouse  e  C,  Sono  mac- 
chine a  tamburo  coir  induttore  fisso  e  coli' indotto  rotante.  11 
nucleo  dell'indotto  ha  forma  cilindrica  ed  è  composto  di  sottili 
dischi  di  ferro  come  nelle  ordinarie  macchine  a  tamburo  per 
correnti  continue. 

Le  spirali  indotte  di  forma  piatta,  strette  e  lunghe,  sono 
adagiate  sulle  superficii  convesse  del  tamburo  coi  lati  maggiori, 
che  sono  i  lati  utili,  paralleli  alle  generatrici.  Gli  elettro-magneti 
induttori  sono  disposti  radialmente  tutt' attorno  all'armatura  ci- 
lindrica e  presentano  a  questa  le  loro  estremità  interne,  le  quali 
sono  alternativamente  estremità  nord  e  sud.  Le  estremità  esterne 
sono  riunite  da  un  grosso  inviluppo  cilindrico  di  ferro  fuso, 
che  loro  serve  come  giogo  e  che  le  sostiene.  Questo  inviluppo 
a  tamburo  cilindrico  è  fissato  sulla  piastra  di  base  e  costituisce 
la  parte  principale  dell'intelaiatura  della  macchina. 

11  nucleo  dell'armatura  ha  un  largo  foro  centrale  ed  è  con- 
giunto all'  albero  per  mezzo  di  una  stella  colle  braccia  legger- 
mente torte.  Ciò  produce  una  continua  chiamata  d'aria  attra- 
verso al  vano  centrale  ed  assicura  così  una  buona  ventilazione 
dell'indotto. 

Le  macchine  del  descritto  tipo  che  figuravano  a  Parigi  erano 
due,  e  differivano  l'una  dall'altra  pel  modo  di  eccitazione.  La 
prima  macchina  era  auto-eccitatrice.  Serviva  in  essa  come  cor- 
rente eccitatrice  la  corrente  indotta  in  una  delle  spirali  della 
armatura.  1  due  capi  di  tale  spirale  erano  collegati  coi. segmenti 
alternati  di  un  commutatore,  partendo  dal  quale  la  corrente, 
raccolta  con  due  spazzole,  era  condotta  alle  spirali  magnetiz- 
zanti dell'induttore.  In  tale  macchina  si  avevano  dieci  poli  in- 
duttori e  dieci  spirali  indotte.  Queste  erano  fatte  con  filo  a  se- 
zione quadrata  e  disposte  in  un  unico  strato.  La  velocità  corri- 
spondeva a  1500  giri  per  minuto,  e  quindi  ad  una  frequenza 
eguale  a  125.  La  corrente  era  di  20  ampere  e  la  differenza  di 
potenziali  tra  i  poli  1500  volt.  Il  peso  totale  era  di  circa  1500 
chilogrammi. 

La  seconda  macchina  invece  ha  una  doppia  eccitazione,  lo 
scopo  della  quale  è  di  far  sì  che  la  differenza  dei  potenziali  ai 
poli  aumenti  quando  aumenta  l' intensità  della  corrente  totale. 
Questo  risultato  è  ottenuto  eccitando  V  induttore  in  parte  con 
una  corrente  prodotta  da  una  macchina  ausiliaria  a  corrente 
continua  ed  in  parte  con  l'intiera  corrente  principale  orientata 


1 


362  L'ektlroitcnica 


per  mezzo  di  un  commutatore.  Gli  elettromagneti  dell'induttore 
sono  in  numero  di  dieci  come  nella  macchina  precedente.  Di 
essi  otto  sono  eccitati  dalla  corrente  continua  prodotta  dalla 
eccitatrice  separata,  gli  altri  due  sono  invece  eccitati  dalla  in- 
tiera corrente  prodotta  dalla  macchina  principale,  corrente  che^ 
opportunamente  orientata,  viene  mandata  nelle  loro  spirali.  A 
quest'uopo  alla  corrente  alternativa  prodotta  nell'armatura  dalla 
grande  macchina  si  fa  percorrere  il  seguente  cammino:  da  uno 
dei  capi  dell'armatura  al  primo  anello  del  collettore  e  da  questo 
al  circuito  esterno,  dal  circuito  esterno  al  secondo  anello  del 
collettore,  dal  quale  la  corrente  passa  a  cinque  segmenti  alter- 
nati di  un  commutatore  di  dieci  sezioni  ;  da  una  delle  spazzole 
del  commutatore  alle  due  spirali  magnetizzanti,  che  sono  colle- 
gate in  serie,  poi  all'altra  spazzola  del  commutatore,  e  finalmente^ 
per  mezzo  di  un  conduttore  partente  dagli  altri  cinque  segmenti 
alternati  del  commutatore,  all'altro  capo  dell'armatura.  Con  tale 
disposizione  si  può  ottenere  questo  risultato  :  che  quando  cresce 
il  numero  delle  lampade  alimentate  e  crescono  con  esso  l'in- 
tensità della  corrente  totale  e  la  caduta  di  potenziale  nei  reofori 
principali,  cresce  anche  l'eccitazione  delle  due  elettro-calamite 
ed  aumenta  con  questa  la  forza  elettromotrice  indotta  nell'ar» 
matura.  Le  cose  si  possono  proporzionare  e  regolare  in  modo- 
che  la  differenza  di  potenziali  utilizzabile  nei  luoghi  di  consumo 
rimanga  invariata  nonostante  l'accresciuto  numero  delle  lam— 
pade.  Per  regolare  l'autoeccitazione  e  far  sì  che  si  verifichi 
esattamente  la  voluta  compensazione,  serve  una  resistenza,  re- 
golabile a  mano,  messa  in  derivazione,  o  come  shunta  parallela- 
mente alle  due  spirali  magnetizzanti.  Tale  resistenza,  aggiustata 
una  volta,  non  richiede  ulteriore  attenzione.  La  macchina  de- 
scritta è  proporzionata  per  dare  nei  luoghi  di  consumo  una 
differenza  di  potenziali  di  300  volt. 

15.  Heisler.  —  La  macchina  a  corrente  alternante  di  Carlo 
Heisler  di  S.  Louis  (America),  è  Tultima  della  quale  dobbiamo  far 
cenno.  Come  principio,  come  disposizione,  come  costruzione,  tale 
macchina  non  presenta  nulla  di  veramente  nuovo  o  di  notevole; 
essa  ha  tuttavia  una  qualche  importanza  siccome  quella  che  è 
costrutta  e  viene  adoperata  come  parte  di  un  sistema  di  illumi- 
nazione con  lampade  ad  incandescenza  in  serie,  il  quale  è  stato, 
in  America,  accolto  con  qualche  favore,  e  del  quale  noi  dovremo 
far  cenno  in  questa  nostra  relazione.  Nella  macchina  di  Heisler 
l'indotto  è  fisso  e  l'induttore  gira  nell'interno  di  esso.  Sull'ai- 


all'Esposizione  Universale  del  iSSg  in  Parigi,  363 

bero  di  quest'ultimo  è  fissata  anche  l'armatura  della  macchina 
eccitatrice,  la  quale  è  un  anello  alla  Gramme  rotante  in  un 
campo  magnetico  a  quattro  poli.  Entrambe  le  macchine,  la  mac- 
china principale  a  corrente  alternante  e  la  eccitatrice  a  corrente 
continua,  sono  racchiuse  in  un  involucro  cilindrico  di  lastra  di 
ferro  che  dà  all'insieme  l'aspetto  di  un  lungo  tamburo.  L'indotto 
della  macchina  principale,  a  corrente  alternante,  il  quale,  come 
si  è  già  detto,  è  fisso,  è  un  tamburo  composto  di  piastrine  dì 
ferro  ed  è  scomponibile  in  otto  settori  amovibili,  i  quali  sono 
tenuti  in  posto  da  tiranti  di  bronzo  fosforoso,  paralleli  all'asse» 
assicurati  alle  piastre  terminali.  Sul  tamburo  cilindrico  così  for- 
mato stanno  avvolte  le  spirali  indotte.  L'avvolgimento  è  fatto 
alla  maniera  di  Gramme,  e  propriamente  come  lo  è  nell'indotto, 
pure  fisso,  della  macchina  a  corrente  alternante  dal  Gramme 
costrutta  per  il  sistema  Jablochkoff.  La  sola  differenza  tra  l'av- 
volgimento dell'indotto  Heisler  e  quello  dell'indotto  Gramme 
sta  in  ciò,  che  mentre  in  quest'ultimo  le  spirali  indotte  sono- 
ripartite  in  quattro  circuiti  distinti,  nel  primo  invece  esse  sono- 
ripartite  solamente  in  due  circuiti.  Sonvi  in  tutto  32  spirali  ele- 
mentari, che,  tutte  insieme,  coprono  completamente  tutta  la  su- 
perficie del  tamburo  Di  esse  16  sono  in  un  circuito  e  16  in  \xn 
altro;  le  spirali  di  un  circuito  sono  alternate  con  quelle  dell'ai- 
irò.  L'induttore,  che  ruota  nell'interno,  ha  16  elettro-magneti 
radiali  presentanti  sulle  estremità  esterne  poli  alternati.  Le  spi- 
rali in  ciascun  circuito  sono  adunque  in  numero  eguale  ai  poli 
induttori,  come  nell'antica  macchina  di  Gramme  ora  citata.  Con 
questo  artificio,  di  avvolgere  sull'armatura  un  numero  di  spirali 
indotte  doppio  di  quello  dei  magneti  induttori  e  di  porle  in  due 
circuiti  separati  si  ottiene  il  vantaggio  di  poter  coprire  di  spi- 
rali completamente  tutta  l'armatura,  pur  osservando  per  ciascun 
circuito  indotto  la  nota  regola,  che  per  le  macchine  alternative 
è  fondamentale,  di  coprire  colle  spirali  indotte  inserte  in  un 
medesimo  circuito  solamente  una  piccola  parte  del  nucleo  del- 
l'armatura.  Però  l'esempio  della  macchina  di  Gramme  sovra- 
citata  basta,  anche  senza  ricordarne  altri,  a  dimostrare  che  tale 
disposizione,  che  Heisler  presenta  come  nuova,  è  da  lungo  tempa 
nel  dominio  del  pubblico. 

La  macchina  eccitatrice  a  corrente  continua,  la  quale,  come 
si  è  detto,  ha  l'asse  comune  colla  macchina  principale,  è  ecci- 
tata in  serie  ed  è  a  quattro  poli.  L' induttore  di  essa  consiste 
in  un  anello  circondante  l'armatura,  sul  quale  sono  fissati  quat- 


364  L'elettrotecnica 


tro  blocchi  polari.  Le  porzioni  dell*  anello  comprese  fra  tali 
blocchi  sono  coperte  dalle  spirali  magnetizzanti.  La  corrente  è 
raccolta  da  due  spazzole  appoggiate  alla  distanza  di  90°  V  una 
dall'altra  su  di  un  ordinario  collettore.  Dalle  spazzole,  per  con- 
•duttori  esterni  essa  passa  ad  altre  spazzole  appoggiate  su  due 
anelli  comunicanti  coi  capi  delle  spirali  magnetizzanti;  tutte  le 
spirali  dell'induttore  sono  congiunte  in  serie. 

In  tutte  le  macchine  di  Heisler,  qualunque  sia  la  loro  gran- 
dezza, ciascuno  dei  circuiti  esterni  trasmette  5  ampere.  La  dif- 
ferenza efficace  dei  potenziali  ai  poli  varia  da  macchina  a  mac- 
china e  può  salire  fino  a  3000  volt.  La  velocità  varia  da  600 
ad  800  giri  per  minuto.  La  macchina  esposta  a  Parigi,  colla 
velocità  normale  dì  640  giri  dava  1750  volt  con  5  ampere  in 
ogni  circuito. 


CAPO  II. 
I  sistemi  di  distribuzione. 

16.  Osservazioni  preliminari.  —  Più  ancora  che  nella  costru- 
zione delle  macchine  dinamoelettriche  è  stato  grande  il  progresso 
«che  dalla  prima  esposizione  di  elettricità  di  Parigi  a  questi  giorni 
si  è  fatto  nella  distribuzione  delle  correnti  elettriche  e  nell'im- 
pianto delle  grandi  stazioni  centrali.  Nel  1881  il  sistema  di  distri- 
1)uzione  per  lampade  ad  incandescenza  collegate  in  parallelo  con 
due  iili,  che  fin  d'allora  era  stato  da  Edison  studiato  in  tutte  le  sue 
parti  e  stava  applicandosi  su  grande  scala  nell'America,  non  aveva 
ancora  ricevuto  in  Europa  alcuna  grande  applicazione;  il  sistema 
per  lampade  ad  arco  in  serie  del  Brush,  che  permetteva  di  ali- 
mentare con  una  sola  macchina  40  lampade  di  io  ampere,  co- 
minciava appena  ad  essere  ritenuto  pratico;  e  i  sistemi  escogi- 
tati da  Marcel  Deprez  per  distribuzioni  in  derivazione  con  po- 
tenziali costanti  e  per  distribuzioni  in  serie  con  correnti  costanti, 
sistemi  che  dovevano  utilizzare  il  concetto,  appena  abbozzato, 
della  doppia  eccitazione,  erano  allo  stato  embrionale  ed  ancora 
molto  lontani  dalle  condizioni  di  pratica  applicabilità.  Le  idee 
poi  sul  modo  di  impiantare,  di  disporre  e  di  governare  una 
grande  stazione  centrale,  sul  modo  di  accoppiare  più  macchine 


all'Esposizione  Universale  del  iSS^  in  Parigi,  365 


dinamoelettriche  su  di  una  medesima  rete  di  circuiti  e  sul  moda 
di  regolarne  il  funzionamento  erano  incerte  tanto,  che  un  con- 
cetto così  semplice  e  rudimentale  come  è  /quello  di  accoppiare 
in  batteria,  in  parallelo,  più  macchine  con  piccola  resistenza  di 
armatura,  eccitate  in  derivazione  o  con  una  macchina  ausiliaria 
separata,  concetto  che  pure  nella  esposizione  era  stato  abboz- 
zato dal  Gravier,  quasi  non  era  stato  apprezzato.  Ed  ora  invece, 
dopo  soli  otto  anni,  non  solo  il  sistema  primitivo  di  Edison  si 
è  perfezionato  coli' ingegnoso  impiego  dei  feeders,  non  solo  il 
raggio  d'azione  di  esso  si  è  notevolmente  accresciuto  mercè 
l'impiego  dei  tre  fili,  non  solo  il  principio  del  sistema  a  tre  fili^ 
ormai  divenuto  generale,  sta  ricevendo  un'ulteriore  generaliz- 
zazione nei  sistemi  a  cinque  fili;  non  solo  le  stazioni  centrali,, 
che  sono  diventate  numerose  e  colossali,  sono  sistematicamente 
ordinate  e  regolate  con  metodi  assolutamente  pratici  e  sicuri; 
non  solo  d'accanto  al  sistema  in  serie  del  Brush  è  venuto  a 
prender  posto  l'ingegnoso  ed  ottimo  sistema  in  serie  per  lampade 
ad  arco  della  Società  Thomson-Houston  ;  non  solo  vanno  ap- 
plicandosi d'accanto  ai  sistemi  in  serie  per  archi  voltaici,  anche 
sistemi  in  serie  per  lampade  ad  incandescenza;  ma  una  nuova 
classe  di  sistemi  è  venuta  ad  allargare  enormemente  il  campo 
delle  distribuzioni  elettriche  e  ad  accrescere  notevolissimamente 
il  raggio  di  azione  di  esse;  la  classe  delle  distribuzioni  o  tras- 
missioni indirette  basate  sull'uso  dei  ti*asformatori.  Nella  storia 
di  questi  nuovi  modi  di  distribuzione,  'e,  si  può  ben  dire,  nella 
storia  dell'elettrotecnica,  ha  avuto  una  importanza  eccezionale 
l'Esposizione  del  1884  in  Torino.  Un  uomo  d'ingegno,  Luciano 
Gaulard,  fatta  sua  l'idea,  non  nuova,  ma  non  ancora  ben  com- 
presa, dei  trasformatori  a  corrente  alternativa,  aveva  saputo 
indovinarne  l'importanza,  e  seguendola  con  una  costanza,  con 
una  fede  e  con  una  operosità  ammirabili,  era  riuscito  a  tradurla 
in  atto  con  apparecchi,  se  non  perfetti,  atti  a  funzionare  rego- 
larmente come  congegni  pratici,  industriali.  11  Gaulard  presen- 
tava alla  Esposizione  di  Torino  i  suoi  generatori  secondarii  e 
riusciva  con  essi  ad  eseguirvi  esperienze  grandiose,  che  richia- 
marono sul  nuovo  sistema  l'attenzione  dei  tecnici  e  bastarono 
a  dimostrare  come  l'elettrotecnica  fosse  oramai  in  possesso  di 
un  nuovo  strumento  fecondo  di  grandiose  applicazioni.  Dopo 
l'esperienza  di  Torino  la  costruzione  e  l'impiego  dei  trasforma- 
tori a  correnti  alternative  si  perfezionarono  rapidissimamente,. 
ed  in  pochi  anni  si  videro  sorgere  nell'Europa  continentale  per 


366  L'elettrotecnica 


'opera  della  Casa  Ganz  di  Budapest,  nell'Inghilterra  per  opera 
del  Ferranti,  in  America  per  opera  della  Società  Westinghouse, 
impianti  colossali,  oye  coi  trasformatori  si  utilizzano  migliaia  di 
cavalli  dinamici.  Fu  cosi  aperto  ali*  elettrotecnica  un  campo 
nuovo  ove  si  sono  mietute  e  si  mietono  messi  rimuneratrici. 

Cosa  strana  e  deplorevole,  dei  frutti  di  questo  nuovo  campo 
<ii  studii  e  di  applicazioni  l'Esposizione  di  Parigi  ha  presentato 
poco  o  nulla.  La  mostra  di  elettricità,  che,  come  vedemmo,  of- 
friva un  quadro  così  completo  e  grandioso  della  odierna  condi- 
zione della  industria  della  costruzione  delle  macchine  genera- 
trici delle  correnti  elettriche,  nulla  o  quasi  nulla  conteneva  di 
ciò  che  riguarda  le  macchine  trasformatrici  delle  correnti  me- 
«desime.  Imperocché  nessuna  importanza  ha  il  fatto  che  la  So- 
cietà Thomson-Houston  si  servisse  di  alcuni  trasformatori  per 
illuminare  una  parte  della  sua  mostra,  e  che  di  qualche  trasfor- 
matore si  servisse  alcuna  delle  stazioni  centrali  serventi  alla  illu- 
minazione di  qualche  parte  della  Esposizione,  né  merita  menzione 
un  meschino  esemplare  di  trasformatore  Zipernowsky  presentato, 
inoperoso,  dalla  Compagnia  continentale  Edison  di  Parigi. 

Per  compenso  l'esposizione  presentava  nella  bellissima  sta- 
zione della  Compagnia  continentale  Edison  un  ottimo  modello 
-di  stazione  centrale  col  sistema  di  distribuzione  a  tre  fili,  offriva 
nella  mostra  della  Società  Thomson-Houston  un  nuovo  modo 
<ii  applicazione  per  tale  sistema,  ed  illustrava  colle  mostre  della 
Società  Americana  di  Edison,  della  Casa  Thomson-Houston  e 
<ii  Heisler  i  nuovi  sistemi  di  distribuzione  per  lampade  ad  in- 
candescenza in  serie,  mercé  i  quali  con  impianti  economici  si 
riesce  ad  allargare  il  raggio  di  azione  della  distribuzione  pur 
evitando  l'impiego  dei  trasformatori.  Queste  parti  dell'Esposi- 
zione meritano  un  cenno. 

17.  Stazione  centrale  della  Compagnia  continentale  Edison.  — 
La  stazione  centrale  impiantata  nella  Esposizione  dalla  Compa- 
gnia Continentale  Edison  di  Parigi,  ha  una  importanza  speciale, 
non  solo  per  la  bontà  di  alcune  sue  disposizioni  e  per  la  bellezza 
del  suo  insieme,  ma  anche,  e  più  ancora,  perché  offre  un  saggio 
di  ciò  che  sono  i  migliori  impianti  attualmente  eseguiti  dalla 
Società  Edison.  Essa  infatti  non  differisce  dalla  stazione  centrale 
che  la  medesima  compagnia  ha  nel  Palais  Royal,  né  da  quella 
impiantata  nella  Cité  Bergère  per  l' illuminazione  di  una  parte 
dei  BoulevardSf  se  non  per  la  grandezza  di  alcune  delle  mac- 
chine e  per  le  condizioni  imposte  dai  differenti  locali. 


all'Esposizione  Universale  del  iSSg  in  Parigi,  367 

Le  caldaie,  del  tipo  moltitubólare  di  Belleville,  sono  in  nu-* 
mero  di  tre  e  possono  produrre  ciascuna  2600  chilogrammi  di 
vapore  all'ora.  Le  macchine  a  vapore,  della  fabbrica  Wehyer  e 
Richemond,  sono  verticali,  a  tripla  espansione  ed  a  condensa- 
zione. Fanno  160  giri  al  minuto,  lavorano  con  una  pressione 
iniziale  del  vapore  di  io  chilogrammi  per  cmq.,  consumano 
7  chilogrammi  di  vapore  per  ora  e  per  cavallo  indicato.  Sonvi 
quattro  macchine  di  150  cavalli  ed  una  di  140.  Le  macchine 
dinamoelettriche  sono  tutte  dei  tipi  attualmente  costrutti  dalla 
Compagnia  Continentale,  sono  macchine  coir  indotto  Edison  e 
•coir induttore  a  doppio  circuito  magnetico  somigliante  a  quello 
•delle  macchine  F  di  Siemens  ed  Halske.  Esse  sono  in  numero 
•di  otto.  Due,  comandate  ciascuna  da  una  delle  macchine  a  va- 
pore, hanno  l'induttore  con  quattro  colonne,  sono  calcolate  per 
mille  ampere,  e  danno,  nell'impianto  che  stiamo  descrivendo, 
•800  ampere.  Come  tutte  le  macchine  Edison,  le  macchine  di 
cui  parliamo  sono  regolate  per  una  differenza  di  potenziali  ai 
poli  uguale  a  no  volt.  Esse  danno  adunque  88  chilowatt  e  ciò 
con  una  velocità  corrispondente  a  350  giri  al  minuto.  11  peso  totale 
•è  di  II 750  chilogrammi.  Le  sei  altre  macchine  sono  di  modello 
più  piccolo,  ed  hanno  due  sole  colonne  nell'induttore;  sono  co- 
mandate due  a  due  dalle  tre  rimanenti  macchine  a  vapore.  Queste 
sei  macchine  minori  sono  calcolate  per  500  ampere  e  nell'im- 
pianto attuale  danno  effettivamente  450  ampere  con  no  volt, 
ossia  49,50  chilowatt;  e  ciò  con  una  velocità  corrispondente  a 
"650  giri  per  minuto.  11  loro  peso  è  di  5675  chilogrammi. 

Ciò  che  a  noi  interessa  qui  considerare  è  il  sistema  di  di- 
stribuzione, e  propriamente  il  collegamento  delle  macchine, 
r  apparecchio  per  regolarle  e  il  commutatore  generale  che  serve 
ad  inserirle  nei  circuiti  ed  a  variare  a  seconda  del  bisogno  i 
■collegamenti. 

11  sistema  di  distribuzione  è,  come  abbiamo  già  detto,  quello 
-a  tre  fili;  e  in  che  consista  questo  sistema  è  cosa  nota.  Le 
macchine  dinamoelettriche  attive  formano  due  gruppi,  che  diremo 
A  e  B,  in  ciascuno  dei  quali  le  macchine  sono  collegate  in  pa- 
rallelo. I  due  gruppi  poi  sono  collegati  l'uno  coH'altro  in  serie: 
il  polo  positivo  del  gruppo  B  è  collegato  col  negativo  del  gruppo 
A;  rimangono  liberi  il  polo  positivo  del  gruppo  A  ed  il  polo 
negativo  del  gruppo  B,  i  quali  rappresentano  rispettivamente  il 
polo  positivo  ed  il  polo  negativo  del  sistema.  Se,  come  nel  caso 
•degli  impianti   Edison,   le  macchine  producono  individualmente 


368  L'elettrotecnica 


una  differenza  di  potenziali  di  no  volt,  si  ha  fra  i  due  poli  del 
sistema  una  differenza  di  potenziali  di  220  volt.  Dal  polo  posi- 
tivo di  A,  che  è  il  polo  positivo  del  sistema,  dal  pezzo  di  unione 
del  polo  negativo  di  A  col  positivo  di  B  e  dal  polo  negativo 
di  B,  che  è  polo  negativo  del  sistema,  partono  tre  conduttori^ 
che  noi  contrassegneremo  coi  numeri  i,  2  e  3.  Le  lampade  sono 
anch'esse  divise  in  due  gruppi  che  noi  diremo  ancora  A  e  B; 
quelle  del  gruppo  A  sono  messe  in  derivazione  tra  i  conduttori 
I  e  2;  quelle  del  gruppo  B  sono  messe  in  derivazione  tra  i 
conduttori  2  e  3.  Si  hanno  così  due  sistemi  in  derivazione,  \\ 
primo  dei  quali  comprende  le  macchine  A  e  le  lampade  A,  ed 
il  secondo  le  macchine  B  e  le  lampade  B;  ma  questi  due  sistemi 
hanno  comune  un  reoforo:  il  conduttore  2,  che  è  reoforo  nega- 
tivo pel  sistema  A,  è  nel  tempo  stesso  reoforo  positivo  pel  si- 
stema B.  Se  i  due  gruppi  contengono  un  medesimo  numero  di 
lampade,  o  meglio  se  i  due  gruppi  ricevono  correnti  di  una 
medesima  intensità  totale,  il  filo  2  comune  ai  due  sistemi  non 
prende  dalle  macchine,  né  riconduce  alle  medesime  alcuna  cor- 
rente; su  di  esso  non  si  hanno  allora  correnti  se  non  in  alcuni 
tratti  compresi  fra  i  punti  di  derivazione  dei  due  gruppi,  cor- 
renti di  intensità  uguale  alla  differenza  tra  quelle  esistenti  sulle 
derivazioni.  Se  poi  i  due  gruppi  contengono  numeri  diversi  di 
lampade,  o  più  in  generale,  se  ricevono  correnti  di  intensità 
totali  diverse,  il  conduttore  2,  comune  ai  due  gruppi,  trasmette 
solamente  la  differenza  delle  due  correnti;  e  se  nel  distribuire 
le  derivazioni  si  ha  cura  di  far  sì  che  entrambi  i  gruppi  richie- 
dano normalmente  correnti  uguali  o  poco  diverse,  il  conduttore 
intermediario  può  avere  una  assai  piccola  sezione.  E  se  anche 
si  vuole  ammettere  il  caso  estremo,  che  solo  un  gruppo  fun- 
zioni, al  conduttore  2  basta  dare  una  sezione  uguale  a  quella 
degli  altri  due.  Così  anche  in  questo  caso,  che  è  il  caso  peggiore,, 
si  risparmia  uno  dei  quattro  conduttori  che  occorrerebbero  per 
alimentare  un  egual  numero  di  lampade  col  sistema  semplice  a 
due  fili.  Per  tal  modo  si  ottiene  questo  risultato,  che,  pur  essendo 
le  singole  derivazioni  e  le  singole  lampade  indipendenti  tra  di 
loro,  si  duplica  la  differenza  dei  potenziali,  e  con  ciò  si  estende 
notevolissimamente  il  raggio  d'azione  entro  il  quale  la  distribu- 
zione, tenuto  conto  delle  spese  di  impianto  e  di  esercizio,  pu6 
essere  rimuneratrice.  Questo  sistema,  che  è  dovuto  ad  Hopkinson, 
ha  ormai  ricevuto  numerosissime  applicazioni,  quindi  non  solo 
il  principio  di  esso,  ma  nemmeno  le  disposizioni  generali  della 


all'Esposizione  Universale  del  i88g  in  Parigi,  369 


stazione  centrale  necessarie  per  metterlo  in  pratica  non  pos- 
sono costituire  una  novità.  Tuttavia  la  stazione  centrale  della 
Compagnia  Continentale  Edison  di  Parigi  offre  interessanti  og- 
getti di  osservazione  e  di  studio.  Ciò  sovratutto  per  la  ingegnosa 
disposizione  e  per  la  bellissima  costruzione  del  grande  commu- 
tatore generale  e  del  quadro  di  distribuzione. 

11  commutatore  generale  deve  servire  ad  inserire  una  qua- 
lunque delle  macchine  dinamoelettriche,  a  piacimento,  nel  grup- 
po A  oppure  nel  gruppo  B;  esso  deve  inoltre  contenere  gli 
organi  di  comando  dei  reostati  regolatori  dei  campi  magnetici 
delle  singole  macchine,  riuniti  in  piccolo  spazio,  in  posizione 
comoda  per  le  operazioni  della  inserzione,  o  della  esclusione,  o 
della  commutazione  delle  macchine  medesime.  Il  commutatore 
della  Compagnia  Continentale  ha  appunto  il  merito  di  ridurre 
al  minimo  lo  spazio  in  cui  tutti  i  manubrìi  dei  commutatori  e 
dei  regolatori  delle  varie  macchine  dinamoelettriche  sono  collo- 
cati. Ciò  si  è  ottenuto  collocando  tutti  i  commutatori,  tanto 
quelli  per  l'inserzione  e  la  commutazione  delle  macchine,  quanto 
quelli  dei  reostati  regolatori,  l'uno  accanto  all'altro  in  tanti  piani 
perpendicolari  alla  fronte  dell'intiero  apparecchio.  Tutti  questi 
commutatori  sono  a  disco,  con  pezzi  metallici  di  contatto  di- 
sposti, come  settori  di  una  corona  circolare,  sulla  periferia.  I 
manubrii,  colla  manovra  dei  quali  si  stabiliscono  con  quei  pezzi 
i  varii  contatti,  sporgono  sul  davanti,  sulla  fronte  principale  del 
sistema;  e  la  distanza  tra  i  piani  verticali,  perpendicolari  alla 
fronte  stessa,  nei  quali  essi  si  trovano,  è  ridotta  a  quella  stret- 
tamente necessaria  per  contenere  la  grossezza  dei  dischi  e  per 
dar  spazio  ai  fili  di  unione.  I  commutatori  per  l'inserzione  delle 
macchine  sono  in  alto,  a  circa  m.  1.50  dal  suolo;  quelli  dei  reo- 
stati regolatori  sono  in  basso  all'altezza  di  un  tavolo  ordinario, 
e  ciascuno  di  essi  sta  sotto  al  commutatore  d'inserzione  corri- 
spondente alla  medesima  macchina.  Il  tutto  è  di  costruzione 
metallica,  ed  è  riunito  da  una  intelaiatura  di  ghisa  in  un  sistema 
semplice  e  compatto. 

Il  commutatore  per  l'inserzione  di  una  macchina  ha,  come 
si  è  detto,  la  forma  di  un  disco.  Tale  disco  porta  su  una  delle 
faccie,  verso  la  periferia,  cinque  pezzi  massicci  di  bronzo  di 
forma  arcuata,  isolati.  Due  di  questi  pezzi,  o  settori,  sono  si- 
tuati alle  estremità  del  diametro  orizzontale;  e  questi  comuni- 
cano, per  mezzo  di  due  cordoni  di  rame,  coi  due  poli  della 
macchina  dinamoelettrica;  per  esempio  il  pezzo  anteriore  comu- 

G.  FxRRARis,  Optrf,  Voi.  II.  04 


3  70  L  *  elettrotecnica 


nica  col  polo  positivo  ed  il  posteriore  col  polo  negativo;  noi 
potremo  contrassegnarli  coi  nomi:  settore  -+-  e  settore  — .  Un 
terzo  settore  occupa  tutta  la  parte  inferiore  del  disco,  ed  è  in 
comunicazione  con  una  grossa  asta  di  rame,  di  sezione  rettan- 
golare, la  quale  a  sua  volta  è  collegata  col  conduttore  2  della 
distribuzione,  del  quale  essa  rappresenta  l'origine.  Per  ricordare 
ciò  noi  denomineremo  tale  asta:  conduttore  2.  La  parte  supe- 
riore del  disco  porta  finalmente  due  altri  settori  isolati,  i  quali, 
insieme  allo  spazio  interposto  per  T  isolamento,  occupano  un 
arco  di  ampiezza  uguale  a  quello  occupato  dal  settore  inferiore. 
Questi  due  settori  isolati  sono  collegati  a  due  aste  di  rame, 
cojrrenti  lungo  tutto  il  sistema,  identiche  per  forma  e  per  gran- 
dezza a  quella  che  abbiamo  denominato  conduttore  2,  e  colle- 
gate, runa,  l'anteriore  col  conduttore  i,  l'altra,  la  posteriore,  col 
conduttore  3.  Noi  potremo  denominarle  addirittura:  conduttore  i 
e  conduttore  3;  potremo  poi  contrassegnare  coi  medesimi  nu- 
meri anche  i  settori  del  commutatore.  Una  alidada,  manovrabile 
per  mezzo  di  un  manubrio  isolato,  è  girevole  attorno  al  centro 
<iel  disco.  Essa  porta  due  settori  di  bronzo,  diametralmente  op- 
posti, l'uno  dall'altro  isolati,  che  da  molle  a  lamina  sono  costan- 
temente premuti  contro  i  settori  del  commutatore,  sui  quali 
scorrono  quando  si  fa  girare  l'alidada.  Quando  il  manubrio  e 
la  alidada  sono  in  posizione  orizzontale,  i  due  settori  scorrevoli 
stanno  appoggiati  sui  settori  +  e  — ,  senza  toccare  alcun  altro 
settore  e  quindi  senza  stabilire  alcuna  comunicazione  tra  i  poli 
della  macchina  ed  i  conduttori.  La  macchina  è  allora  fuori  di 
circuito.  Quando  l'alidada  è  inclinata  in  modo  che  il  manubrio 
sia  in  alto,  in  una  posizione  fissata  da  un  acconcio  arresto,  il 
settore  mobile  anteriore  si  appoggia  sul  settore  +  ^  sul  setto- 
re I,  ed  il  settore  mobile  posteriore  si  appoggia  sul  settore  — 
e  sul  settore  2;  il  polo  positivo  della  macchina  si  trova  quindi 
collegato  col  conduttore  i,  ed  il  polo  negativo  col  conduttore  2; 
la  macchina  è  inserta  nel  gruppo  A.  Quando  finalmente  l'alidada 
-è  inclinata  in  senso  inverso,  in  modo  che  il  manubrio  stia  in 
basso,  il  settore  scorrevole  anteriore  si  appoggia  sui  settori 
fissi  -j-  e  2,  mentre  quello  posteriore  si  appoggia  sui  settori 
fissi  —  e  3;  quindi  la  macchina  si  trova  collegata  col  polo  po- 
sitivo al  conduttore  2  e  col  negativo  al  conduttore  3';  la  mac- 
china è  adunque  inserita  nel  gruppo  B. 

Quando  il  manubrio  è  nella  posizione  orizzontale,  corrispon- 
dente alla  macchina  fuori  circuito,  esso  è  trattenuto  in  tale  pò- 


all'Esposizione  Universale  del  1S89  in  Parigi,  371 

sizione  da  un  bocciuolo  di  arresto,  e  non  può  essere  spostato 
né.  verso  Talto  né  verso  il  basso  se  prima  quel  bocciuolo  non 
-è  stato  girato.  Ciò  obbliga  l'operatore,  che  sta  per  inserire  la 
macchina  in  circuito,  a  fare  una  manovra  che  ferma  la  sua  at- 
tenzione ed  impedisce  che  egli  inserisca  la  macchina  prima  di 
averla  eccitata. 

I  commutatori  dei  reostati  regolatori  dei  campi  magnetici 
sono  anche  essi  a  disco  ed  alidada.  Essi  si  possono  manovrare 
uno  ad  uno  per  mezzo  di  un  proprio  manubrio,  oppure  tutti  in- 
sieme per  mezzo  di  una  trasmissione  comune.  I  manubri!  per 
la  manovra  dei  singoli  regolatori  ed  i  volantini  per  la  manovra 
simultanea  di  tutti  sono  collocati  in  posizione  comodissima.  Per 
evitare  qualunque  pericolo  di  inversione  dei  poli,  la  corrente  di 
eccitazione  é  presa  sui  220  volt. 

Fra  le  sbarre  di  distribuzione  sono  collocati  due  voltometri 
a  grandi  divisioni.  Un  voltometro  differenziale  collocato  sul 
quadro  generale  serve  alle  operazioni  dell'inserzione  delle  mac- 
<:hine  in  circuito.  Quando  si  deve  far  tale  operazione,  uno  dei 
fili  del  voltometro  differenziale  viene  messo  in  derivazione  tra 
le  sbarre  di  distribuzione  alle  quali  fa  capo  il  circuito  in  cui  la 
macchina  dev'essere  inserita,  e  l'altro  filo  del  voltometro  viene 
riunito  coi  suoi  capi  ai  due  poli  della  macchina  che  si  vuole 
inserire.  Si  fa  allora  variare  l'eccitazione  della  macchina  fino 
a  tanto  che  l'indice  del  voltometro  differenziale  rimanga  sen- 
sibilmente allo  zero.  Quando  ciò  è  ottenuto,  la  macchina  viene 
messa  in  circuito.  Sui  circuiti  parziali  delle  singole  macchine 
sonvi  gli  amperometri,  dietro  alle  indicazioni  dei  quali  si  hanno 
a  regolare  i  campi  magnetici  per  dividere  equabilmente  su 
le  macchine  funzionanti  in  un  medesimo  gruppo  la  corrente 
totale. 

Colle  sbarre  di  distribuzione  del  commutatore  generale  co- 
municano altre  sbarre,  anch'esse  di  rame  con  sezione  rettango- 
lare, poste  orizzontalmente  su  di  un  quadro  di  distribuzione,  che 
sta  di  fianco  al  grande  commutatore.  Su  queste  ultime  sbarre 
sono  fatte  le  prese  pei  varii  circuiti.  Su  ciascuna  presa  di  cor- 
rente si  trova  un  commutatore  a  catenaccio,  un  amperometro 
ed  una  lastra  fusibile. 

18.  Sistema  a  tre  fili  Thomson- Houston.  —  Quello  che  ab- 
biamo descritto,  è  un  saggio  di  applicazione  del  sistema  a  tre 
fili  nella  sua  forma  primitiva  ed  ordinaria.  Un  altro  modo  di 
applicare  il  medesimo  sistema  è  stato  illustrato  in  una  parte 


372  L'elettrotecnica 


della  mostra  dalla  Thornson- Houston  International  Electric  Com- 
pany. È  un  modo  di  applicazione,  pel  quale  il  prof.  Elihu 
Thomson  ha  una  privativa.  Da  esso  non  differisce  sostanzial- 
mente quello  che,  con  altri  particolari,  e  generalizzato  per 
un  sistema  di  distribuzione  a  cinque  fìli,  è  ora  in  istudio  nella 
stabilimento  Siemens  ed  Halske  di  Berlino. 

Mentre  nel  sistema  a  tre  fili  ordinario  si  hanno  due  macchine 
generatrici  o  due  batterie  di  macchine  riunite  in  serie,  ed  i  tre 
conduttori  partono  dai  poli  liberi  esterni  e  dal  punto  dì  con- 
giunzione delle  due  macchine  o  dei  due  gruppi  di  macchine, 
nel  sistema  del  prof.  Elihu  Thomson,  invece,  si  adopera  una 
sola  macchina  generatrice  od  una  sola  batterìa  dì  macchine  ge- 
neratrici, avente  da  sé  sola  la  forza  elettromotrice  necessaria 
per  mantenere  fra  i  due  poli  la  differenza  di  potenziali  che  si 
vuole  fra  i  fili  i  e  3;  220  volt,  per  esempio.  I  conduttori  i  e  3 
della  rete  a  tre  fili  partono  dai  due  poli  dell'unica  generatrice; 
il  conduttore  12,  invece,  ossìa  il  filo  intermedio,  non  è  con  tale 
macchina  direttamente  collegato.  Finché  nei  due  gruppi  (ne^ 
gruppo  A  derivato  dai  fili  i  e  2,  e  nel  gruppo  B  derivato  dai 
fili  2  e  3)  sta  acceso  un  egual  numero  di  lampade,  il  filo  2,  in- 
termedio, non  ha  altro  ufficio  che  quello  di  collegare  tra  di  loro 
in  serie  i  due  gruppi  di  lampade;  esso  non  ha  da  condurre  al- 
cuna corrente  e  non  ha  bisogno  di  essere  collegato  con  alcuna 
generatrice.  Quindi  il  sistema  funziona,  in  tale  caso,  come  nella 
disposizione  ordinaria.  Ma  non  appena  il  numero  delle  lampade 
accese  in  uno  dei  gruppi  risulti  diverso  da  quello  delle  lampade 
attive  dell'altro  gruppo,  anche  le  intensità  totali  delle  correnti 
nei  due  gruppi  debbono  essere  diverse,  se  si  vuole  che  le  lam- 
pade dei  due  gruppi  seguitino  a  funzionare  con  uguali  differenze 
di  potenziali;  ed  il  conduttore  intermedio  deve  poter  portare 
la  differenza  delle  due  intensità;  se  ciò  non  potesse  aver  luogo, 
si  produrrebbe  una  differenza  fra  la  caduta  di  potenziali  esistente 
tra  i  fili  I  e  2  e  quella  esistente  tra  i  fili  2  e  3  :  la  caduta  di 
potenziale  diventerebbe  maggiore  pel  gruppo  ove  le  lampade 
accese  sono  in  minor  numero,  e  minore  per  quello  ove  le  lam- 
pade accese  sono  in  numero  maggiore.  Per  impedire  che  tale 
ineguaglianza  si  produca,  e  fare  sì  che  comunque  variino  i 
numeri  delle  lampade  accese  nei  due  gruppi,  sempre  la  caduta 
di  potenziali  disponibile  tra  i  fili  i  e  2  uguagli  quella  dispo- 
nibile tra  i  fili  2  e  3,  il  prof.  Elihu  Thomson  collega,  nella 
stazione    centrale,    i    tre    conduttori    con    una    speciale    mac- 


all'Esposizione  Universale  del  iSSg  in  Parigi.  373 

china  dinamo  elettrica  ausiliaria  alla  quale  dà  il  nome  di  ugua- 
lizzature, 

L' ugualizzatore  è  una  macchina  dinamoelettrica  eccitata 
per  mezzo  di  una  derivazione  presa  sui  conduttori  estremi,  cioè 
sui  fili  163.  L'armatura  di  questa  macchina  porta  due  spirali 
indotte  identiche;  e  ciascuna  di  queste  spirali  ha  un  proprio 
collettore.  La  spazzola  positiva  del  primo  collettore  è  collegata 
col  conduttore  i,  la  negativa  col  conduttore  2;  la  spazzola  po- 
sitiva del  secondo  collettore  è  collegata  anch'essa  col  conduttore 
2,  e  la  negativa  è  congiunta  col  conduttore  3.  Per  tal  modo 
una  delle  spirali  dell'armatura,  che  noi  diremo:  spirale  A^  si 
trova  inserita  fra  i  fili  i  e  2  ai  quali  sono  collegate  le  lampade 
del  gruppo  A\  e  l'altra,  che  noi  diremo:  spirale  J?,  si  trova  in- 
serita fra  i  fili  2  e  3  che  servono  alle  lampade  del  gruppo  B. 
<2uando  le  lampade  accese  sono  in  egual  numero  nei  due  gruppi, 
nessuna  corrente  si  ha  sul  filo  2,  le  due  spirali  dell'armatura  si 
trovano  percorse  da  una  medesima  corrente,  e  su  di  essa  il 
campo  magnetico  della  macchina  produce  coppie  di  rotazione 
cospiranti  ed  uguali.  L'armatura  si  mette  adunque  in  moto  e  la 
sua  velocità  diventa  costante  quando  la  somma  delle  forze  elet- 
tromotrici che  si  producono  nelle  due  spirali  e  della  piccola 
caduta  di  potenziali  dovuta  alla  resistenza  propria  delle  spirali 
medesime,  uguaglia  la  differenza  di  potenziali  tra  i  fili  i  e  3. 
La  macchina  funziona  allora  come  un  motore  il  quale  è  attivato 
da  una  debolissima  corrente  derivata  tra  i  fili  i  e  3,  e  gira  a 
vuoto.  E  siccome  le  due  spirali  dell'armatura  sono  perfettamente 
identiche  e  girano  in  un  medesimo  campo  magnetico,  così  le 
differenze  di  potenziali  fra  le  estremità  di  esse  sono  esattamente 
uguali.  Sono  adunque  anche  uguali  le  differenze  di  potenziali 
tra  i  conduttori  con  esse  collegati.  Così  stando  le  cose,  si  sup- 
ponga ora  che  tutto  d'un  tratto  vengano  spente  alcune  lampade 
in  uno  dei  gruppi,  per  esempio  nel  gruppo  B,  La  prima  conse- 
guenza di  tale  fatto  è  che  la  caduta  di  potenziali  tra  i  condut- 
tori 2  e  3  aumenta  alquanto,  mentre  quella  fra  i  conduttori  i 
•e  2  diminuisce  ;  la  intensità  della  corrente  nella  spirale  B  del- 
l'ugual izzatore  inserta  tra  2  e  3  aumenta;  quella  nella  spirale  ^ 
inserta  tra  i  e  2  diminuisce,  e  se  la  resistenza  propria  di  tale 
spirale  è  piccola,  presto  si  annulla  e  poi  si  inverte;  il  lavoro 
-esercitato  dal  campo  magnetico  sulla  prima  spirale  aumenta; 
•quello  sulla  seconda  spirale  diminuisce,  o  si  annulla,  o  cambia 
di  segno.  Mentre  adunque  la  spirale  B ,  la  quale  seguita  a  fun* 


374  L'elettrotecnica 

zionare  come  quella  dell'armatura  di  un  motore  elettrico,  svi- 
luppa un  lavoro  meccanico  maggiore  di  quello  ch'essa  dava  da 
prima,  l'altra  spirale,  quella  A,  dà  minor  lavoro,  o  non  ne  dà 
affatto,  oppure  ne  consuma  e  funziona  come  l'indotto  di  una 
macchina  dinamoelettrica  generatrice.  Se  si  fanno  molto  piccole 
le  resistenze  ohmiche  delle  due  spirali,  l'ultimo  caso  si  verifica 
anche  per  minime  variazioni  nel  numero  delle  lampade.  E  allora 
mentre  la  spirale  B,  utilizzando  l'eccesso  della  corrente  dei 
gruppo  A  su  quello  del  gruppo  jB,  produce  un  lavoro  mecca- 
nico, la  spirale  A  utilizza  tale  lavoro  per  produrre  corrente  in 
favore  del  gruppo  A,  Se  le  spirali  dell'armatura  non  presen- 
tassero veruna  resistenza,  l'apparecchio  manterrebbe  tra  i  fili. 
I  e  2  e  tra  i  fili  2  e  3  differenze  di  potenziali  assolutamente 
uguali  ed  invariabili,  e  se  fosse  possibile  pure  che  nessuna 
resistenza  meccanica  si  opponesse  al  movimento  dell'arma- 
tura, l'ugualizzatore  funzionerebbe  senza  alcun  consumo  d'e- 
nergia. 

Ma  siccome  non  è  possibile  ridurre  a  zero  né  la  resistenza 
elettrica  delle  spirali,  né  la  resistenza  d'attrito,  così  accadrà  che 
l'ugualizzazione  ottenibile  coU'apparecchio  non  sarà  né  assoluta- 
mente perfetta,  né  gratuita. 

19.  Teoria  delVugualizzatore,  —  Possiamo  facilmente  vedere 
da  quali  elementi  dipendano  l'esattezza  ed  il  costo  della  ugua- 
lizzazione  ottenibile. 

Supponiamo  a  quest'  uopo  che  le  due  spirali  dell'  armatura 
siano  esattamente  uguali  l'una  all'altra,  come  il  costruttore  deve 
mirare  a  farle,  e  rappresentiamo  con  r  la  resistenza  elettrica 
di  ciascuna.  Ammettiamo  poi,  come,  fra  i  limiti  pratici  delle  ve- 
locità, possiamo  ammettere  con  grandissima  esattezza,  che  la 
forza  elettromotrice  d'induzione  prodotta  in  ciascuna  spirale  sia 
proporzionale  al  numero  n  di  giri  fatti  dall'armatura  in  ogni 
minuto  secondo  ;  rappresentiamola  perciò  con  n  e.  Ammettiamo 
similmente  che  tra  i  limiti  pratici  della  velocità  il  lavoro  consu- 
mato in  i'' dalle  resistenze  meccaniche  passive  sia  anch'esso 
proporzionale  ad  «  e  rappresentiamolo  con  nL.  Se  allora  noi 
rappresentiamo  con  v  la  differenza  di  potenziali  tra  i  fili  i  e  3^ 
con  v'  quella  tra  i  fili  i  e  2  e  con  v"  quella  tra  i  fili  2  e  3;  se 
con  /  rappresentiamo  l' intensità  della  corrente  nel  filo  2,  e  la 
consideriamo  come  positiva  quando  essa  è  diretta  verso  l'ugua- 
lizzatore ;  se  finalmente  rappresentiamo  con  i  ed  i"  le  intensità 
delle  correnti   nelle  due  spirali  dell'armatura    e    le   prendiamo 


alP Esposizione  Universale  dei  iS8^  in  Parigi.  375 

come   positive  quando  esse  vanno    rispettivamente  da  i  a  2   e 
da  2  a  3;  abbiamo  le  cinque  equazioni: 


—  ne     =^rt,  (i) 

—  ne     =iri\  (2) 
a  +  i;"  i"  =  rn  +  ri^'^  +  n  Z.,  (3) 

+  ^"      =v,  (4> 

-i'       =1  (5) 


per  mezzo  delle  quali,  dati  e^  L,  r,  v,  /,  possiamo  determinare 

V,  v\  r,  r,  n. 

Dalle  due  prime   ricaviamo  per  sottrazione,  tenuto  conto 
della  (5): 

v"  -v=rl,  (a) 

e  combinando  questa  colla  (4): 

2  z;'  =  z;  —  r  /,  2  v"  =  v  -j-  r  /  {b) 

Le  (1)  e  (2)  moltiplicate  rispettivamente  per  f  e  per  /*",  e 
poi  sommate  danno  : 


w'i'-M/'r'  =  r«'"'  + 

rT*  i  ne(C  i-  « 

quindi  la  (3)  si  riduce  a 

«<r  (''  +  '") 

-=nLt 

e  dà 

_  L 
e 

Questa  poi  e  la  (5)  danno  : 

„-=A-. 

2/'=  ^   +/ 
e 

Kc> 


Portando  in  (i)  i  valori  \}>)  e  (r/),  otteniamo  finalmente 

.    w  =      _ .  (/> 

2  ^       2  ^* 

Queste  semplici  relazioni  comprendono  tutta  la  teoria  del- 
Tugualizzatore.  Esse  pongono  in  chiaro  i  fatti  seguenti  : 

Data  la  differenza  di  potenziale  v  tra  i  fili  i  e  3,  e  supposto 
che  questa  sia  mantenuta  costante  per  mezzo  del  regolatore 
della  macchina  dinamoelettrica  generatrice,  le  differenze  di  pò- 


37^  L'elettrotecnica 


tenzialì  v'  e  v'  tra  i  fili  i  e  2  e  tra  i  fili  2  e  3  non  dipendono 
da  Z.  né  da  ^;  non  dipendono  cioè  né  dalle  resistenze  niecca> 
niche  che  si  hanno  da  vincere  per  far  girare  l'armatura,  né 
dalla  intensità  del  campo  magnetico  in  cui  l'armatura  é  collo- 
cata, né  dall'avvolgimento  delle  spirali  di  questa.  Esse  dipendono 
unicamente  da  r  e  da  /.  Data  /,  ossia  data  la  differenza  tra  le 
somme  delle  correnti  attraversanti  i  due  gruppi  di  lampade, 
esse  dipendono  unicamente  dalla  resistenza  elettrica  r  delle  spirali 
dell'armatura;  la  loro  differenza  «;"  —  v'  t  proporzionale  ad  r. 
Ciò  vuol  dire  che  l'esattezza  colla  quale  l'ugualizzatore  adempie 
il  suo  uffizio,  l'uffizio  cioè  di  ripartire  in  parti  uguali  fra  i  due 
gruppi  di  lampade  la  caduta  totale  di  potenziale  disponibile,  di- 
pende unicamente  dalla  resistenza  elettrica  delle  spirali  dell'ar- 
matura, ed  è  tanto  maggiore  quanto  più  piccola  è  tale  resistenza. 
Se  la  resistenza  r  potesse  farsi  uguale  a  zero,  sarebbe  esatta- 
la 
mente  ,  sempre:  v* -=  v"^^  —]  e  1* ugual izzazione   sarebbe  per- 

2 

fetta.  Per  un  dato  valore  della  resistenza  r,  le  formole  (b)  danno: 

V      V 

2                 2 
7=2 -=2  , 

r  r 


e  permettono  di  calcolare  il  valore  di  /,  e  ciò  che  vai  lo  stesso, 
la  differenza  tra  le  correnti  totali  nei  due  gruppi,  che  si  può 
ammettere  senza  che  le  differenze  di  potenziali  subiscano  varia- 

V  V 

zioni  v" oppure v'  superiori  al  limite  compatibile  con 

un  regolare  servizio  d'illuminazione. 

Mentre  v  e  v"  sono  indipendenti  da  Z.  e  da  ^,  e  dipendono 

solamente  da  r,  le  intensità  f  ed  i'\  invece  f  formole  (d))  sono 

indipendenti    da  r   e    dipendono    da   £  e  da  e.   Il   loro  valore 

t'  '    i"  L, 

medio  — "^-  - ,  uguale,  per  la  (e),  ad  -  - ,   è   anche   indipendente 
2  2^ 

da  /;  la  loro  differenza  dal  medio  è  uguale  alla  metà  della  cor- 
rente /  del  filo  2,  la  quale  si  divide  in  due  correnti  uguali  per- 
correnti in  sensi  opposti  le  due  spirali  dell'armatura.  Nel  caso 
ideale  di  Z,  —  o ,  ossia  di  un  egualizzatore  non  presentante  al- 
cuna,   anche    minima,    resistenza   di   attrito,   le    (d)    darebbero 

r'=:— r=     ,  ossia   le   due   spirali   si   troverebbero   percorse 
2 


all'Esposizione  Universale  del  1S89  in  Parigi,  377 


sempre  da  due  correnti  uguali  ed  opposte.  Per  un  dato  valore 
di  L  tale  stato  di  cose  si  può  verificare  con  tanto  maggiore 
approssimazione  in  quanto  più  si  fa  grande  la  forza  elettromo- 
trice  e. 

Finalmente  la  formola  (/)  fa  vedere  che  il  numero  dei  giri 
n  fatti  dall'armatura  in  ogni  minuto  secondo  dipende  bensì  da  v, 
da  ^,  da  Z,  e  da  r,  ma  è  indipendente  da  /.  Ciò  vuol  dire  che, 
data  la  costruzione  dell' ugualizzatore,  e  data  la  differenza  di 
potenziali  v  che  la  macchina  dinamoelettrica  generatrice  princi- 
pale mantiene  costante  tra  i  fili  estremi  i  e  3,  l'armatura  del- 
l'ugualizzatore  assume  una  velocità  determinata  la  quale  si  man- 
tiene poi  sempre  costante,  indipendentemente  dalle  variazioni 
che  possono  avvenire  nel  numero  delle  lampade  nei  due  gruppi. 
Tale  velocità  non  varia  se  non  col  variare  di  z;  e  col  variare 
dello  stato  di  nettezza  e  di  lubrificazione  dei  cuscinetti  su  cui 
gira  l'armatura. 

L'impiego  dell' ugtializzatore  dà  luogo  ad  una  perdita  di 
energia.  Per  renderci  conto  di  essa  noi  distingueremo  la  perdita 
di  energia  P,  che  si  ha  propriamente  nell'ugualizzatore,  da  quella 
P^  che  si  ha  sul  circuito  principale. 

L'energia  consumata  propriamente  nell'ugualizzatore  si  com- 
pone di  quella  convertita  in  calore  nelle  spirali  e  di  quella  im- 
piegata a  fare  il  lavoro  nL  necessario  per  vincere  gli  attriti. 
Detta  p  la  resistenza  della  spirale  magnetizzante   degli   elettro- 

V 

magneti  di  campo,  l'intensità  della  corrente  eccitatrice  vale      ; 

P 

e  l'energia  da  essa  trasformata  in  calore  è  — ;  quindi  l'energia 

P 
consumata  nell'egualizzatore  è: 

P=  ^    +ri'^  \  rr^  +  nL. 

P 

Portando  in  questa  espressione  i  valori  (il)  di  /'  ed  T',  ed 
eliminando  n  per  mezzo  della  relazione  (/),  la  si  trasforma 
nella 

p  2  2^ 

Si  può  notare  che  —  è  il  numero  di  giri  che  bisognerebbe 
Tar  compiere  in  ogni  minuto  secondo  all'armatura  dell' ugualiz- 


378  L'elettrotecnica 


zatore  per  produrre,   a  circuito  aperto,    fra   i  capi   di   ciascuna 

V 

delle  due  spirali,  una  differenza  di  potenziale  uguale  a  — ;  ossia 

2 

tra  i  morsetti  estremi  una  differenza  v.  Detto  v  questo  numero 
di  giri,  possiamo  scrivere: 

P  =  — +  '  r/«  Ivi  (^> 

P         2 

I  tre  termini  di  questa  espressione  contengono,  separate,. 
rispettivamente:  la  resistenza  elettrica  p  delle  spirali  eccitatrici 
del  campo  magnetico,  la  resistenza  elettrica  r  delle  spirali  del- 
l'armatura, ed  il  lavoro  L  che  definisce  le  resistenze  meccaniche; 
la  formola  adunque  mostra  chiaramente  come  ciascuno  di  questi 
elementi  concorra  nel  produrre  il  consumo  P  di  energia.  È  da 
notarsi  che  la  spesa  di  energia  dovuta  ad  i,  ossia  alle  resistenze 
passive,  è  uguale  al  lavoro  che  bisognerebbe  spendere  per  far 
girare  l'armatura  quando,  tenendola  in  circuito  aperto,  ossia  te- 
nendo le  spazzole  isolate  dai  circuiti  esterni  si  volesse  produrre 
e  mantenere  tra  le  estremità  delle  spirali  rotanti  riunite  in  serie 
una  differenza  di  potenziali  uguale  a  v.  Non  tutto  questo  lavoro 
va  speso  nel  vincere  gli  attriti,  né  tutto  si  trasforma  in  calore 
sui  cuscinetti  o  negli  altri  pezzi  dell'apparecchio  ove  succedono 
sfregamenti  od  urti  ;  una  parte  di  esso  è  spesa  per  produrre  la 

corrente  —  necessaria  per  produrre  la  coppia  di   rotazione,  e 

questa  parte  si  ritrova  trasformata  in  calore  nelle  spirali  del- 
l'armatura. La  parte  che  viene  direttamente  trasformata  in  ca- 
lore dagli  attriti  e  dagli  urti  è  nL\  quella  che  si  trasforma  in 
energia  elettrica  e  che  si  trasforma   in  calore   nelle  spirali  del- 

l'armatura  è  — -\  la  loro  somma  è  appunto,  come  mostra  l'equa- 
zione (/),  uguale  a  vZ.. 

Quella  che  abbiamo  calcolato,  e  che  abbiamo  rappresentato 
con  P,  è   l'energia   consumata   propriamente   nell'apparecchio 
ugualizzatore.  Essa  però  non  è  la  sola  a  cui  l'impiego  dell* ap- 
parecchio dia  luogo.   Tale  impiego  infatti  obbliga   a  mantenere 
i  nel  circuito  principale  una  corrente  d'intensità  maggiore  di  quella 

utilizzata  nei  circuiti.  Dette  /,  /i,  /,  le  intensità  delle  correnti 
nel  circuito  principale,  nel  conduttore  i  e  nel  conduttore  3,. 
si  ha: 

P  P 


all'Esposizione  Universale  del  iS8g  in  Parigi.  379 

e  quindi  per  la  relazione  (e)  : 

2  p  2^ 

Egli  è  in  base  a  questa  intensità  J  che  bassi  a  calcolare  i( 
lavoro  consumato  nel  circuito  principale.  Detta  R  la  resistenza 
di  tale  circuito,  ossia  la  resistenza  della  generatrice  e  dei  due 
reofori  che  collegano  questa  coU'ugualizzatore,  l'energia  trasfor- 
mata in  calore  è 

RJS 

mentre  quella  che  si  trasformerebbe  in  calore,   qualora    non  sì 
facesse  uso  dell'ugualizzatore,  sarebbe 


-(^:-^)' 


e  con  ciò  si  ha  un'  idea  della  perdita  di  cui  l' ugualizzatore   è 

causa.  Si  può  osservare  che  l'eccesso  di  J  su  -* * ,  e  quindi 

il  maggior  consumo   di  energia,   del  quale  stiamo  discorrendo^ 

dipendono  unicamente  da   p   e  da      non  da  r,  né  da  /.  —  7,. 

e 

La  differenza  di  potenziali,  che  devesi  mantenere  tra  i  poli 

della  generatrice  è 

ove  con  R^  si  rappresenti  la  resistenza  dei  reofori  congiun- 
genti  la  generatrice  coli' ugualizzatore.  Anche  questa  è  indipen- 
dente da  /j  —  /,  ossia  dalla  ripartizione  delle  lampade  tra  i 
due  gruppi  e  dalla  resistenza  r  delle  spirali  dell'armatura  del- 
l'ugualizzatore;  dipende  oltreché  dal  numero  totale  delle  lampade 

da  2  e  da     . 
e 

20.  Impiego  dell'  ugualizzatore.  Generalizzazione;  sistema  a 
cinque  fili  di  Siemens  ed  Halske.  —  Le  precedenti  considerazioni 
mettono  in  chiaro  il  modo  di  funzionare  dell'ugualizzatore,  danno 
un'idea  dell'ordine  di  grandezza  delle  oscillazioni  di  potenziali 
che  l'apparecchio  concede,  e  somministrano  criteri  per  valutare 
le  spese  di  energia  a  cui  l'impiego  di  esso  conduce.  Per  la  sicu- 
rezza, per  la  regolarità  del  funzionamento,  per  la  facilità  del  go- 


380  L'elettrotecnica 


verno,  il  sistema  di  distribuzione  a  tre  fili  coli' ugualizzatore  è 
evidentemente  meno  buono  di  quello  primitivo  di  Hopkinson;  e 
se  si  tratta  di  collocare  l'ugualizzatore  presso  alla  macchina  g^e- 
neratrice,  nella  stazione  centrale,  esso  non  è  certamente  racco- 
mandabile. Esso  non  dispensa  dall'impiego  di  due  macchine  e  non 
semplifica  nulla.  Tuttavia  l'idea  ingegnosa,  che  gli  serve  di  base, 
può  ricevere  utili  applicazioni.  Un  vantaggio  importantissimo  del 
sistema  sta  nel  fatto  che  l'ugualizzatore  può  essere  collocato,  oc- 
correndo, lontano  dalla  stazione  centrale  ove  sta  la  macchina 
generatrice,  in  una  stazione  secondaria.  Per  tal  modo  si  possono 
con  un'  unica  stazione  centrale,  per  mezzo  di  una  rete  princi- 
pale, o  primaria,  ^  due  fili,  alimentare  parecchie  stazioni  secon- 
darie munite  di  ugualizzatori,  ciascuna  delle  quali  sia  centro  di 
una  rete  a  tre  fili.  E  non  v'ha  dubbio  che  in  parecchi  casi  si 
possono  fare  con  questo  artifizio  distribuzioni  su  larghe  super- 
ficie ed  a  grandi  distanze  con  un  notevole  risparmio  di  spesa. 
Tale  disposizione  è  analoga,  e  corrisponde,  nella  sostanza,  a 
«quella  che  si  potrebbe  fare  per  mezzo  di  trasformatori  a  cor- 
rente continua,  ma  è  certamente  più  semplice  nell'impianto  e 
più  comoda  neiresercizio.  All'ugualizzatore  si  possono  eviden- 
temente sostituire,  in  ciascuna  stazione  secondaria,  due  serie  di 
accumulatori  riunite  tra  di  loro  in  serie,  alimentate  in  serie  dai 
due  reofori  primarii,  ed  alimentanti  nella  rete  secondaria  un 
sistema  a  tre  fili. 

Ciascuna  batteria  terrebbe  il  posto  di  una  delle  spirali  del- 
l' armatura  dell'  ugualizzatore.  Meglio  ancora  gli  accumulatori 
potrebbero  disporsi  in  parallelo  coli'  ugualizzatore,  in  modo  da 
servire  come  riserva. 

Il  principio  dell'ugualizzatore  può  facilmente  essere  genera- 
lizzato. Invece  di  un'armatura  con  due  sole  spirali,  si  possono 
adoperare  più  armature  con  più  spirali;  e  si  può  così  comporre 
un  apparecchio  che  serva  ad  ugualizzare  le  differenze  di  poten- 
ziali in  un  sistema  di  distribuzione  a  quattro,  a  cinque  ed  a 
più  fili. 

Appunto  una  tale  idea  è  attualmente  coltivata  e  praticata 
dalla  Casa  Siemens  e  Halske  di  Berlino,  la.  quale  l'ha  posta  a 
base  di  progetti  per  distribuzioni  con  cinque  fili.  Uno  di  questi 
progetti,  assai  grandioso,  è  quello  che  la  Casa  Siemens  e  Halske 
presentava  recentemente  per  l'illuminazione  elettrica  della  città 
■di  Francoforte  sul  Meno.  Tale  progetto  comprendeva  una  sta- 
zione centrale  principale  ed  un  certo  numero  di  stazioni  secon- 


air  Esposizione  Universale  del  iSSp  in  Pangù  381 


darìe.  La  stazione  principale  doveva  contenere  le  macchine 
dinamoelettriche  a  corrente  continua,  destinate  ad  essere  rag- 
gnippate in  parallelo  e  ad  alimentare  con  una  costante  differenza 
di  potenziali  di  440  volt  un  sistema  di  conduttori  principali.  Le 
stazioni  secondarie  dovevano  essere  centri  di  altrettante  distri- 
buzioni a  cinque  fili.  Ciascuna  di  esse,  doveva  a  quest'uopo 
contenere  un  ugualizzatore  ;  e  questo  era  costituito  da  quattro^ 
macchine  dinamo  elettriche  identiche  aventi  l'albero  comune- 
Le  quattro  spirali  delle  armature,  per  mezzo  delle  relative  spaz- 
zole, erano  riunite  tra  di  loro  in  serie  ;  coi  due  capi  della  serie 
erano  collegati  i  conduttori  primari  provenienti  dalla  stazione 
centrale  principale;  coi  due  capi  medesimi  e  inoltre  coi  punti 
d'unione  intermedi,  tra  le  quattro  armature,  erano  collegati  i 
cinque  fili  della  rete  parziale.  Per  tal  modo  la  totale  differenza 
di  potenziali  mantenuta  sui  reofori  d'  alimentazione  dalle  mac> 
chine  della  stazione  centrale  sarebbe  stata  divisa  fra  i  cinque 
fili  di  ciascuna  rete  secondaria  in  quattro  parti  uguali.  Ciascuna 
rete  avrebbe  alimentato  quattro  gruppi  di  lampade,  ciascuno  coiy 
una  differenza  di  potenziali  uguale  a  110  volt.  Al  posto  degli 
ugualizzatori  dinamo-elettrici  la  Casa  Siemens  ed  Halske  propo- 
neva pure  di  adoperare,  se  ciò  si  fosse  preferito,  ugualizzatori 
idroelettrici  formati  con  quattro  serie  di  accumulatori  disposti 
in  serie.  Od  anche  essa  proponeva  di  adoperare  ad  un  tempo 
r  ugualizzatore  dinamoelettrico  e  l' idroelettrico  messi  di  fianco 
l'uno  all'altro,  in  modo  che  l'uno  potesse  all'altro  servire  come 
riserva. 

L'idea  di  tale  sistema  non  è  nuova,  ma  solo  adesso  essa  si 
presenta  in  forma  pratica  e  con  progetti  chiari  e  completi.  E 
siccome  essa  offre  un  nuovo  modo  di  allargare  il  campo  delle 
distribuzioni  di  energia  elettrica,  così  la  parte  della  esposizione 
di  ThomsonHouston  che  serviva  ad  illustrarla  aveva  nella  mo- 
stra mondiale  di  Parigi  una  speciale  importanza. 

21.  Distribuzione  in  serie  :  Edison,  Thomson- Houston,  —  Un 
altro  sistema  di  distribuzione  che  ha  fin  d'ora  numerose  e 
grandi  applicazioni  è  quello  per  gruppi  di  lampade  ad  incan- 
descenza in  serie.  Esempi  di  tale  distribuzione  e  parti  del 
macchinario  per  essa  necessario  erano  presentati  nella  espo- 
sizione di  Parigi  dalla  Società  Americana  Edison,  dalla  Società 
ThomsonHouston  e  da  quel  C.  Heisler  di  S.  Louis  (America! 
del  quale  abbiamo  più  sopra  descritto  la  macchina  dinamo- 
elettrica. 


382  L'elettrotecnica 


Edison  fu  notoriamente  il  primo  ad  attuare  praticamente, 
su  larga  scala,  tale  sistema.  Egli  Io  denomina:  Sistema  muni- 
■cipale,  ed  ha  pel  medesimo  un  macchinario  completo.  Le  lam- 
pade ad  incandescenza  pel  sistema  municipale  sono  fatte  per 
essere  attivate  con  una  corrente  di  3  ampère,  e  con  tale  cor- 
rente presentano  ai  due  morsetti  una  differenza  di  potenziali  di 
circa  20  volt,  se  sono  di  t6  candele,  e  di  circa  13  se  sono  di 
IO  candele.  Le  lampade  di  16  candele  sono  disposte  in  tante 
serie  di  60  lampade;  quelle  di  io  candele  in  tante  serie  di  90 
.lampade.  Le  serie  sono  poi  tra  di  loro  riunite  in  parallelo  ed 
alimentate  da  una  macchina  dinamo-elettrica  sui  poli  della  quale 
è  mantenuta,  colla  necessaria  intensità  di  corrente,  una  diffe- 
renza di  potenziali  di  1200  volt.  Ecco  uno  specchio  dei  vari 
modelli  di  macchine  dinamo-elettriche  che  la  Società  Edison 
impiega  a  quest'uso: 

Tipo  X 

Volt  ai  poli 1200 

Ampere 9 

Chilowatt 10,8 

Massimo   numero    di    circuiti   da  3 

ampere 3 

Numero  delle  sezioni  del  collettore     94 
Velocità  (N.®  di  giri  per  i') 1600 

La  Società  Thonison-Houston  adopera  anch'essa,  in  alcuni 
dei  suoi  impianti,  sistemi  di  lampade  ad  incandescenza  collegate 
in  serie,  e  appunto  con  uno  di  questi  sistemi  essa  illuminava 
la  propria  mostra  nella  galleria  delle  macchine. 

Le  lampade  adoperate  a  quest'uso  sono,  come  quelle  di 
Edison,  fatte  per  tre  ampere  e  per  20  a  25  volt.  Esse  sono  mu- 
nite, come  è  necessario,  di  disposizioni  automatiche  per  chiudere 
un  corto  circuito  quando  per  accidente  si  spezza  il  filamento 
di  carbone.  E  V  artifizio  che  serve  a  tale  effetto  è  il  seguente. 
La  corrente  che  va  alla  lampada  e  quella  che  viene  dalla  me- 
desima passano  per  due  lamine  metalliche  vicine,  facenti  parte 
del  porta-lampade,  le  quali  per  la  propria  elasticità  tendono  a 
stare  appoggiate  fortemente  l'una  contro  l'altra.  Ma  un  pezzetto 
di  carta  sottile  frapposto  impedisce  che  le  lamine  si  tocchino. 
Quando  si  rompe  il  filamento  di  carbone  e  si  produce  perciò 
fra    le  due  lamine  una  differenza   di  potenziali  grandissima,    la 


A 

B 

C 

1200 

1200 

120O 

16 

32 

48 

19,2 

38,4 

57.6 

5 

II 

16 

90 

122 

100 

1300 

1000 

700 

ali* Esposizione  Universale  del  1S89  in  Parigi.  383 


carta  viene  attraversata  da  una  scarica  che  la  distrugge,  le  due 
lamine  vengono  a  contatto  e  richiudono  il  circuito.  Disposizioni 
ingegnose  permettono  di  ricambiare,  dopo  l'accidente,  il  foglietto 
<ii  carta  e  di  rimettere  con  ciò  l'apparecchio  in  istato  di  ser- 
vizio. In  alcuni  tipi  di  lampade  si  ha,  oltre  l'apparecchio  solito 
a  foglietto  di  carta,  anche  quest'  altra  disposizione,  che  serve 
come  riserva  pel  caso  che  V  effetto  dell'  apparecchio  accidental- 
mente mancasse.  I  due  fili  (di  rame),  ai  quali  sono  attaccati  i 
capi  del  filamento  di  carbone,  sono  incrociati  e  passano  vicinis- 
simi l'uno  all'altro  senza  toccarsi.  Nel  caso  di  una  rottura  del 
filamento  si  produce  fra  i  due  fili,  là  dove  essi  son  più  vicini, 
un  arco  voltaico,  il  quale,  quando  l' apparecchio  a  carta  non 
funzioni  e  la  rottura  del  circolo  perduri,  produce  una  saldatura 
fra  i  due  fili. 

22.  Sistema  Heisler.  —  Il  sistema  di  distribuzione  del  sig.  C 
Heisler,  del  quale  ci  rimane  a  parlare,  è  anch'esso  un  sistema 
per  serie,  ma  è  nel  tempo  stesso  un  sistema  a  correnti  alterna- 
tive. La  macchina  dinamoelettrica  in  essa  adoperata  è  quella  che 
abbiamo  già  descritta:  è  una  macchina  con  due  spirali  indotte, 
nelle  quali  si  producono  forze  elettromotrici  con  una  difterenza 
di  fase  di  un  quarto  di  periodo.  Le  due  spirali  indotte  sono  in- 
serite in  due  distinti  circuiti. 

L'intensità  della  corrente  in  ciascun  circuito  è  di  5  ampere; 
la  forza  elettromotrice,  variabile  col  numero  delle  lampade,  può 
salire  fino  a  3000  volt.  In  ciascun  circuito  è  inserita  una  serie 
di  lampade  ad  incandescenza  di  70  watt,  ognuna  delle  quali 
produce  una  caduta  di  potenziali  di  14  volt;  in  ciascun  circuito 
se  ne  possono  inserire  fino  a  212. 

A  mantenere  nei  circuiti  una  intensità  di  corrente  costante 
serve  un  regolatore  automatico,  che  è  la  parte  più  interessante 
di  tutto  il  sistema.  Tale  regolatore  fa  due  uffizi  :  1°  Ugualizza 
tra  di  loro  le  intensità  delle  correnti  nei  due  circuiti;  2.°  fa  sì 
che  il  valore  comune  delle  due  correnti  sia  sempre  quello  che 
conviene  alle  lampade,  5  ampere.  Adempie  il  regolatore  il  primo 
ufficio  inserendo  nel  circuito  ove  è  minore  il  numero  delle  lam- 
pade una  resistenza  equivalente  a  quella  delle  lampade  man- 
canti. Adempie  il  secondo  ufficio  spostando  le  spazzole  della 
macchina  eccitatrice  in  modo  da  far  variare,  a  seconda  del.  bi- 
sogno, la  forza  elettromotrice  della  macchina  principale. 

Col  sistema  di  Heisler  si  può  estendere  il  raggio  d'azione 
-di  un  impianto  per  illuminazione  con  correnti  alternative  nella 


"~^ 


384  L'elettrotecnica 

misura  ìstessa  nella  quale  ciò  si  può  fare  col  sistema  ordinaria 
dei  trasformatori.   È   poi  facile  vedere  che  l'economia  del  me- 
tallo nelle  condutture,  che  la  distribuzione  Heisler   permette  dt 
ottenere,  è  del  medesimo  ordine  di  quella  ottenibile  nei  trasfor- 
matori.  £  siccome  colla  distribuzione  in  serie   si   risparmia   la 
spesa  di  costruzione  e  d'impianto  dei  trasformatori,  e  si  evitano 
le  perdite  di  energia  inerenti   all'impiego  di   questi  apparecchi, 
così  si  può  spiegare  come  l'idea  di  un  tale  sistema  possa  essere 
sorta    e  possa  avere  trovato  fautori   ed   imitatori.   Ma   è   pure 
evidente  che  i  citati  vantaggi  non  hanno  nella  pratica  una  im- 
portanza pari   a  quella  che  può  apparire   in  un  esame  superfi- 
ciale  e  che,  ciò  che   più  monta,  essi  sono  largamente  compen- 
sati da  inconvenienti  gravissimi.    Ciò  che  si  risparmia  nell'im- 
pianto dei  trasformatori   è   in  parte  compensato   dalla  maggior 
spesa  occorrente  nelle  condutture,  le  quali  debbono  essere  tutte 
isolate  per  alti  potenziali,  mentre  negli  impianti  con  trasforma- 
tori gli  alti  potenziali  sono  limitati  alla  rete  primaria.  11  rispar- 
mio della  energia  che  i  trasformatori  consumerebbero  per  iste- 
resi e  per  correnti  di  Foucault  è  anche  esso  più  che  compensata 
dal  consumo  dovuto   alle  resistenze  introdotte    nei  circuiti   per 
la  regolazione.   La  regolarità  del  servizio,  intieramente  affidata 
ad  un  regolatore  automatico,  è  certamente  malsicura.  Finalmente 
gli  enormi  potenziali  di  2000  e  di  3000  volt,  che  si  ammettono 
nei  circuiti,   anche   nelle  case  degli  utenti,   offrono  tali  pericoli 
per  le  persone  da  rendere  il  sistema,   presso  di  noi,  assoluta- 
mente inaccettabile. 


CAPO  III. 

Applicazioni    speciali. 

§  i.°  Motori  elettrici. 

23.  Esperienze  di  Elihu  Thomson  sulle  ripulsioni  elettrodina- 
miche, —  Descrivendo  le  macchine  dinamoelettriche  che  hanno 
figurato  nella  Esposizione,  abbiamo  più  volte  avuto  occasione 
di  accennare  all'impiego  di  esse  alla  trasmissione  della  energia 
meccanica  a  distanza.  Così,  per  esempio,  abbiamo  notato  che  la 


all'Esposizione  Universale  del  iSS^  in  Parigi,  385 


grande  macchina  a  quattro  poli  della  fabbrica  di  Oerlikon  som- 
ministrava la  corrente  ad  un'altra  macchina  del  medesimo  tipo  e 
di  dimensioni  poco  diverse,  la  quale  funzionava  come  motore 
nella  galleria  delle  macchine  agrarie. 

Così  pure  descrivendo  le  macchine  di  Marcel  Deprez  abbiamo 
fatto  cenno  della  destinazione  speciale  per  la  quale  esse  furono 
studiate,  che  è  quella  della  trasmissione  dell'energia  meccanica 
a  distanza,  ed  abbiamo  notato  come  anche  nella  Esposizione 
alcune  di  esse  servissero  a  tale  uffizio.  Ora  possiamo  aggiun* 
gere  che  l'impiego  dei  motori  elettrici  agli  usi  più  svariati  era 
illustrato  con  una  numerosa  schiera  di  apparecchi  ingegnosi, 
come  quelli  dei  ponti  scorrevoli,  quelli  pei  magli,  pei  verricelli, 
pegli  argani,  per  le  gru,  e  quelli  per  le  ferrovie  elettriche.  Ma 
che  il  problema  della  trasmissione  elettrica  del  lavoro  mecca- 
nico tra  una  generatrice  ed  una  ricettrice  a  corrente  continua 
sia  orrtiai  completamente  risolto,  hanno  dimostrato,  assai  prima 
dell'Esposizione  parigina,  ed  assai  meglio  di  qualunque  esposi- 
zione, i  risultati  ottenuti  nella  vera  pratica  industriale.  Basti 
citare  quelli  trovati  dal  prof.  H.  F.  Weber  nelle  sue  classiche 
esperienze  sull'impianto  eseguito  dalla  Società  delle  officine  di 
Oerlikon  per  la  trasmissione  dell'energia  tra  Kriegstetten  e  So- 
letta. E  che  l'energia  trasmessa  possa  poi  con  appropriati  ap- 
parecchi essere  adoperata  per  servigi  svariati  come  a  muovere 
argani,  o  gru,  o  ponti  scorrevoli,  o  magli,  è  questione  di  cine- 
matica, che  presenta  per  l'elettrotecnica  un  interesse  secondario. 
Perciò  si  capisce  come  il  fastoso  apparato  di  trasmissione  elet- 
trica offerto  dalla  Esposizione,  comunque  fosse  grandioso,  abbia 
tuttavia  potuto  non  corrispondere  completamente  al  desiderio 
ed  all'aspettazione  degli  studiosi  dell'elettrotecnica. 

Per  corrispondere  a  tale  aspettazione  la  mostra  delle  tras- 
missioni elettriche  avrebbe  dovuto  presentare  daccanto  ai  saggi 
delle  disposizioni  e  delle  applicazioni  già  note,  anche  qualche 
accenno  ai  problemi  nuovi.  Ora  il  problema  nuovo,  attuale,  è, 
per  ciò  che  concerne  le  applicazioni  meccaniche  dell'elettricità, 
quello  della  trasmissione  dell'energia  meccanica  per  mezzo  delle 
correnti  alternative;  e  l'Esposizione  invece  non  presentava 
nemmeno  un  motore  a  corrente  alternante  che  potesse  consi- 
derarsi come  d'uso  pratico  industriale,  e  dal  quale  si  potessero 
ricavare  dati  d'importanza  veramente  tecnica. 

Ma  se  non  vi  erano  nella  Esposizione  motori  fin  d'ora  pra- 
tici, e  costrutti  con  criteri  e  con  scopi  industriali,   non  manca- 

G.  Ferraris,  Optrt,  Voi.  II.  95 


386  L'elettrotecnica 


vano  tuttavia  oggetti  di  studio  aventi  relazione  colle  applicazioni 
meccaniche  delle  correnti  alternative,  e,  se  non  per  le  attuali 
pratiche  applicazioni,  certamente  per  l'avvenire,  interessantis- 
simi. Tali  erano  quelli  offerti  dalla  mostra  speciale  degli  appa- 
recchi elettrici  del  prof.  Elihu  Thomson,  la  quale  figurava  nella 
sezione  degli  Stati  Uniti  d'America. 

11  prof.  Elihu  Thomson  presentava  in  quella  mostra  una  nu- 
merosa serie  di  apparecchi,  che  avevano  servito  alle  proprie 
ricerche. 

E  di  questi  debbono  essere  notati  alcuni,  i  quali  hanno 
servito  a  mettere  in  evidenza  certe  azioni  meccaniche  prodotte 
per  mezzo  delle  correnti  alternative.  Tali  apparecchi  che  erano 
fatti  funzionare  in  presenza  del  pubblico,  e  che  hanno  anche 
dato  materia  ad  una  conferenza  davanti  al  Congresso  interna- 
zionale degli  elettricisti,  formavano  una  delle  parti  più  osservate 
di  tutta  l'Esposizione;  essi  poi  avevano  coli' argomento,  del 
quale  ora  stiamo  discorrendo,  una  stretta  relazione. 

I  fatti  che  gli  apparecchi  e  gli  esperimenti  del  Thomson  di- 
mostravano ed  applicavano,  erano  già  stati  in  gran  parte  de- 
scritti dal  Thomson  stesso  nella  adunanza  annuale  dell' Istituto 
Americano  degli  Ingegneri  elettricisti  tenuto  in  Nuova  York  nel 
giugno  1887,  e  poi,  a  più  riprese,  in  vari  articoli  di  giornali 
tecnici.  Ma  non  mai  come  ora  essi  avevano  chiamato  su  di  se 
l'attenzione  dei  pratici.  Io  debbo  qui  esporre  i  principali.' 

Se  in  presenza  di  una  spirale  percorsa  da  una  corrente 
alternativa,  si  porta  un  conduttore  nel  quale  quella  produca  cor- 
renti indotte,  quel  conduttore  è  respinto  dalla  spirale.  La  dispo- 
sizione più  semplice  per  dimostrare  questo  fatto  consiste  nel 
far  passare  una  corrente  alternante  di  grande  intensità  in  una 
spirale  cilindrica  coli' asse  verticale,  e  collocare  al  di  sopra  di 
essa,  a  breve  distanza,  in  un  piano  orizzontale,  un  anello  di 
grosso  filo  di  rame. 

Si  osserva  allora  che  l'anello  è  sollecitato  da  una  forza  ver- 
ticale, che  tende  a  sollevarlo.  L'effetto  risulta  potentissimamente 
accresciuto,  se  nella  spirale  si  colloca  un  nucleo  fatto  con  un 
fascio  di  fili  di  ferro.  Allora,  se  l'anello  di  rame  è  fatto  con 
una  grossa  verga  e  presenta  una  piccola  resistenza,  la  ripulsione 
è  cosi  intensa  da  lanciare  l'anello  in  alto  non  appena  lo  si  ab- 
bandona. Per  tenerlo  in  posto,  o  per  spingerlo  in  basso,  in 
modo  che  esso  circondi  la  spirale,  occorre  un  notevole  sforzo; 
se  si  fa  tale  sforzo,  e  si  impedisce  così  che  esso  ubbidisca  alla 


all'Esposizione  Universale  del  iSSg  in  Parigi.  387 

ripulsione  elettrodinamica  della  spirale,  esso  si  scalda  viva- 
mente. Questo  fatto  è  facile  a  spiegarsi.  La  corrente  alternativa 
circolante  nella  spirale  produce  per  induzione  un'altra  corrente 
alternativa  nell'anello;  le  due  correnti  poi  esercitano  forze  l'una 
sull'altra;  sì  attraggono  quando  hanno  il  medesimo  verso,  si 
respingono  quando  hanno  versi  opposti.  Ora  è  noto  che  la  cor- 
rente indotta  e  l'induttrice  hanno,  l'una  rispetto  all'altra,  una 
differenza  di  fase;  ed  è  noto  di  più,  che  tale  differenza  di  fase 
<è  prossima  ad  un  quarto  di  periodo  quando  il  conduttore  indotto 
ha  una  grande  resistenza  metallica  ed  una  piccola  auto-induzione; 
«cresce  e  tende  verso  un  mezzo  periodo  quando  si  fa  diminuire 
la  resistenza  metallica  e  si  fa  crescere  la  resistenza  apparente 
«di  auto-induzione.  Si  hanno  a  considerare  due  casi  limiti  :  quello 
•di. un  anello  indotto  presentante  una  resistenza  metallica  infinita, 
e  quello  di  un  anello  indotto  di  resistenza  metallica  assoluta- 
jnente  nulla. 

Nel  primo  caso  le  due  correnti  avrebbero  una  differenza  di 
fase  di  un  quarto  di  periodo,  esse  adunque  sarebbero  alterna- 
tivamente, e  per  intervalli  di  tempo  tutti  eguali,  ora  concordanti 
ed  ora  opposte;  per  intervalli  di  tempo  uguali  ed  alternati  esse 
si  attrarrebbero  e  si  respingerebbero;  l'anello  indotto  riceverebbe 
impulsioni  alternate  verso  il  basso  e  verso  Talto,  e  rimarrebbe 
a  riposo. 

Nell'altro  caso  limite,  invece,  quando  la  resistenza  ohmica 
o  metallica  potesse  ridursi  assolutamente  a  zero,  la  differenza 
di  fase  sarebbe  esattamente  di  un  mezzo  periodo,  il  che  vuol 
dire  che  in  ogni  istante  la  corrente  indotta  avrebbe  direzione 
opposta  a  quella  della  corrente  induttrice,  in  ogni  istante,  sem- 
pre, l'anello  sarebbe  respinto  dalla  spirale.  Praticamente  il  caso 
è  sempre  intermedio  e  quindi  l'anello  è  alternativamente  re- 
spinto ed  attratto,  ma  gli  intervalli  di  tempo  durante  i  quali 
esso  è  respinto  sono  sempre  maggiori  di  quelli  durante  i  quali 
esso  è  attratto.  Quindi  gli  impulsi  repulsivi  superano  gli  attrat- 
tivi; e  quindi  la  ripulsione  osservata. 

La  ripulsione  è  tanto  più  intensa  quanto  più  le  condizioni 
•dell'anello  indotto  si  approssimano  a  quelle  corrispondenti  al 
secondo  caso  limite;  quanto  più,  cioè,  è  piccola  la  resistenza 
metallica.  Quindi  la  convenienza  di  adoperare,  per  fare  l'anello, 
una  grossa  verga  di  rame. 

Invece  di  un  anello  di  rame  si  può  adoperare  un  disco. 
-Questo,  posto  orizzontalmente  al  di  sopra  dell'elettromagnete  a 


388  L 'elettrotecnica 

corrente  alternativa,  ne  è  respinto.  E  invece  di  un  anello  o  di 
un  disco  si  possono  adoperare  conduttori  di  altre  forme,  a  con- 
statare che  r  elettromagnete  esercita  forze  repulsive  su  tutte 
quelle  parti  di  essi  alle  quali  arrivano  linee  di  forza.  11  fatto 
diventa  evidente,  e  tutte  le  sue  modalità  si  possono  facilmente 
prevedere,  se  si  pensa  al  teorema  generale  dimostrato  da  Lipp- 
mann  sull'  induzione  nei  conduttori  privi  di  resistenza.  Tale 
teorema  dice  che  se  in  un  campo  magnetico  variabile  si  colloca 
un  conduttore  privo  di  resistenza,  si  generano  in  questo  cor- 
renti indotte  tali  che  il  flusso  di  induzione  complessivo  passante 
dentro  al  conduttore  rimane  costante,  indipendente  dal  tempo. 
Se  il  campo  magnetico  è  prodotto  con  una  corrente  alternativa^ 
così  che  in  ogni  suo  punto  l'intensità  media  sia  nulla,  il  flusso- 
d'induzione  passante  dentro  al  conduttore  indotto  rimane  co- 
stantemente uguale  a  zero. 

11  conduttore  privo  di  resistenza  elettrica  si  comporta  adunque 
in  questo  caso  come  un  corpo  impermeabile  alle  linee  di  indu- 
zione. Le  linee  di  induzione  che,  qualora  il  conduttore  non  esì- 
stesse, passerebbero  attraverso  allo  spazio  da  questo  occupato,. 
per  eff*etto  delle  correnti  indotte  in  esso  risultano  deviate  cos> 
da  evitarlo.  Tali  linee  di  forza  prendono  adunque  direzioni  di- 
vergenti o  convergenti,  parallele  alla  superficie  del  conduttore* 
Ma  una  nota  legge  di  Faraday  dice  che  le  linee  di  forza  paral- 
lele si  respingono  mutuamente;  dunque  si  ha  la  ripulsione  che 
l'esperienza  di  Elihu  Thomson  ha  constatato.  Praticamente  noi> 
è  possibile  sperimentare  .con  conduttori  privi  assolutamente  di 
resistenza;  quindi  alcune  linee  d'induzione  attraversano  il  con- 
duttore; ma  molte  linee  di  forza  divergono  nel  modo  detto  e 
danno  luogo  alla  ripulsione. 

Se  si  presenta  in  questa  forma  la  spiegazione  del  fenomeno^ 
risulta  facilmente  prevedibile  e  chiaro  un  altro  fatto  che  il 
prof.  Thomson  ha  pure  dimostrato  coi  suoi  esperimenti.  Se  tra 
l'elettromagnete  eccitato  colla  corrente  alternativa  ed  il  condut- 
tore mobile  si  frappone  un  altro  conduttore,  per  esempio  ur^ 
foglio  di  rame,  il  quale  copra  completamente  il  magnete,  ogni 
ripulsione  scompare.  Egli  è  che  la  lastra  conduttrice  frapposta 
intercetta  il  flusso  di  forza  e  gli  impedisce  di  arrivare  al  con- 
duttore mobile;  agisce  come  uno  schermo,  o,  come  ama  espri- 
mersi il  prof.  Thomson,  proietta  \\vl  ombra  su  di  esso. 

Se  la  lastra  conduttrice  interposta  fra  l'elettromagnete  ed 
il  conduttore  mobile  viene    collocato  così   che   l'ombra  da  essa 


air  Esposizione  Universale  del  iS8^  in  Parigi,  389 


proiettata  copra  soltanto  una  parte  del  conduttore  medesimo, 
sussistono  le  forze  repulsive  soltanto  sulla  parte  non  ombreg- 
giata. Si  può  per  tal  modo  produrre  sul  conduttore  mobile  una 
distribuzione  di  forze  dissimmetrica,  tale  da  dar  luogo  a  momenti 
di  rotazione.  Vari  esperimenti  semplicissimi  mettono  questo  fatto 
in  evidenza.  Si  tenga  per  esempio  al  di  sopra  dell'elettromagnete 
una  lamina  di  rame  orizzontale,  in  modo  che  essa  copra  solo 
una  parte  dell'estremità  polare  del  nucleo;  sulla  lastra  si  ap- 
poggi una  sfera  vuota  pure  di  rame,  così  che  essa  sporga  al- 
quanto fuori  del  contorno  della  lastra;  la  parte  sporgente,  che 
non  è  ombreggiata^  riceve  la  ripulsione,  mentre  la  parte  ombreg- 
giata è  schermita;  quindi  la  ripulsione  ha  un  momento  rispetto 
al  punto  d'appoggio  della  sfera,  e  produce  in  questa  un  moto 
di  rotazione.  Alla  sfera  si  può  sostituire  una  ruota;  e  alla  lastra 
di  rame  ombreggiante  si  può  sostituire  una  appendice  metallica 
applicata  direttamente  sull'estremità  polare  del  magnete;  si  può 
quindi  modificare  in  mille  modi  1*  esperimento  ed  ottenere  con 
esso  effetti  di  moto  svariatissimi. 

Fra  le  varie  forme  che  si  possono  dare  all'esperimento  è 
notevole  questa.  Se  il  nucleo  dell'elettromagnete  è  prolungato 
fuori  della  spirale,  e  se  sulla  parte  sporgente  si  avvolge  un 
grosso  filo  di  rame,  che  formi  come  una  cerchiatura  conduttrice, 
questa  cerchiatura  diventa  sede  di  correnti  indotte,  le  quali  im- 
pediscono alle  linee  di  induzione  di  seguire  tutte  il  loro  cammino 
nel  ferro.  Molte  di  queste  divergono  adunque,  e  si  sparpagliano 
lateralmente.  L'anello  di  rame  fa  adunque  per  le  linee  di  indu- 
zione l'effetto  di  una  strozzatura;  e  lateralmente  si  ha  un  campo 
magnetico  oscillatorio  nel  quale  portando  corpi  conduttori  si 
possono  produrre  e  variamente  utilizzare  le  forze  ripulsive  ed 
i  movimenti,  dei  quali  abbiamo  parlato. 

24.  Motori  per  correnti  alternative  di  Elihu  Thomson,  —  Basta 
4|ue5to  rapido  cenno  per  far  capire  come  i  fenomeni  dimostrati 
da  Elihu  Thomson  si  possano  utilizzare  per  produrre  moti  rota- 
tori continui,  e  come  si  possano  facilmente  immaginare  appa- 
recchi che,  producendo  regolarmente  tali  movimenti,  si  possano 
considerare  come  veri  motori  elettrici.  Ed  effettivamente  lo  stesso 
prof.  Thomson  compose  alcuni  piccoli  motori,  e  due  di  questi 
-egli  presentò  pure  alla  Esposizione. 

Il  primo  di  essi, il  più  semplice,  è  composto  nel  modo  seguente: 

La  parte  mobile  dell'apparecchio,  Varmatura  è  costituita  da 
^n  nucleo  cilindrico    formato    con  dischi  sottili    di  ferro  isolati. 


390  L'elettrotecnica 


come  quello  di  una  ordinaria  macchina  dinamoelettrica  di  Edison. 
Tale  tamburo  cilindrico  è,  come  al  solito,  portato  da  un  albero 
coassiale,  perpendicolare  ai  piani  dei  dischi,  il  quale  può  girare 
su  due  cuscinetti.  Sul  tamburo  di  ferro  sono  avvolte  tre  spirali, 
o  matasse,  di  filo  di  rame  isolato,  analoghe  alle  spirali  elemen- 
tari di  un  ordinario  avvolgimento  alla  Siemens.  I  piani  delle 
spire  di  ciascuna  matassa  fanno  con  quelli  delle  due  altre  an- 
goli uguali  a  120°.  I  capi  delle  tre  spirali  non  sono  però  uniti 
insieme  come  nelle  macchine  a  corrente  continua  di  Siemens, 
ma  sono  semplicemente  collegati  a  sei  settori  di  bronzo  isolati 
fra  di  loro  e  disposti  come  quelli  di  un  ordinario  collettore.  Due 
coppie  di  spazzole,  diametralmente  opposte,  si  appoggiano  su 
tale  collettore;  ciascuna  spazzola  poi  è  permanentemente  colle- 
gata colla  spazzola  diametralmente  opposta  per  mezzo  di  un 
grosso  e  corto  filo.  Per  tal  modo  ciascuna  spirale  si  trova  chiusa 
in  corto  circuito  ogni  qualvolta  i  segmenti  sui  quali  termina 
sono  in  contatto  colle  spazzole;  si  trova  invece  aperta  ogni 
qualvolta  i  segmenti  non  toccano  le  spazzole.  Queste  ultime 
sono  collocate  cosi,  che  ciascuna  spirale  si  chiuda  in  corto  cir- 
cuito quando  il  piano  delle  sue  spire  oltrepassa,  girando,  la 
posizione  orizzontale;  si  apra  invece  nell'istante  nel  quale  il 
piano  delle  sue  spire  passa  per  la  posizione  verticale.  Ciascuna 
spirale  rimane  adunque  chiusa  in  corto  circuito  due  volte  per 
ogni  giro,  e  precisamente  per  tutto  il  tempo  durante  il  quale 
essa  passa  da  una  posizione  orizzontale  ad  una  verticale;  ri- 
mane aperta  per  i  due  altri  quarti  di  giro,  cioè  quando  essa 
passa  da  una  posizione  verticale  ad  una  orizzontale. 

La  parte  fissa  della  macchina  consiste  in  un  anello  fatto 
con  dischi  sottili  di  ferro  isolati,  il  quale  circonda  l'armatura. 
Tale  anello,  la  cui  larghezza  di  petto,  nel  senso  dell'asse,  è 
uguale  alla  lunghezza  dei  tratti  rettilinei  dei  fili  dell'armatura, 
presenta  sulla  superficie  cilindrica  interna  due  profonde  e  lar- 
ghe scanalature  di  sezione  rettangolare,  diametralmente  op- 
poste, nel  piano  orizzontale  passante  per  l'asse.  Dentro  a  que- 
ste scanalature  sono  adagiate  le  spire  di  due  matasse  di  filo 
isolato;  matasse  che  fuori  dell'anello  di  ferro  sulle  due  fronti 
di  questo,  sono  ripiegate  in  modo  da  concedere  il  necessario 
spazio  alle  teste  dell'armatura.  Le  due  matasse  poi  sono  col- 
legate in  serie  e  fanno  capo  ai  due  morsetti  pei  quali  si 
manda  alla  macchina  la  corrente  alternativa  che  deve  metterla 
in  moto. 


alt  Esposizione  Vniversale  dei  iS^^  in  Parigi.  3gi 


Per  fare  agire  l'apparecchio  basta  mandare  nelle  spirali  fisse 
una  corrente  alternativa.  Questa  produce  in  quelle  spirali  del- 
l'armatura, che  sono  chiuse  in  corto  circuito^  correnti  che  poi 
respìnge.  Le  spirali  chiuse  in  corto  circtiiio  si  trovano  adunque 
sollecitate  da  forze  che  tendono  a  portarle  in  un  piano  per- 
pendicolare a  quelle  delle  spirali  fisse,  ossia  in  un  piano  ver- 
ticale. 

E  siccome  appunto  le  spirali  che  hanno  oltrepassata  la  po- 
sizione orizzontale  sono  quelle  che  si  trovano  chiuse,  mentre 
le  altre,  che  hanno  oltrepassato  la  posizione  verticale  sono 
aperte,  così  tutte  le  forze  agenti  sull'armatura  tendono  costan- 
temente  a  produrre  la  rotazione.  Siccome,  in  qualunque  posi- 
zione si  trovi  l'armatura,  v'ha  sempre  qualche  spirale  chiusa  in 
corto  circuito,  così  la  macchina  non  ha  punto  morto  e  s'incam- 
mina sempre  da  se. 

Il  motore  che  abbiamo  descritto  è  asìncrono,  e,  come  no- 
tammo, si  incammina  da  sé.  Si  può  aggiungere  ancora:  appunto 
quando  la  velocità  è  nulla,  o  piccola,  il  momento  della  coppia 
che  tende  a  metterlo  in  rotazione,  ha  il  massimo  valore.  In  tale 
caso,  cioè  quando  l'armatura  si  sposta  poco  durante  il  periodo 
della  corrente  alternativa,  si  possono  applicare  senz*  altro  alle 
spirali  dell'armatura  i  risultati  delle  esperienze  sulle  ripulsioni 
elettrodinamiche,  e  dimostrare  con  essi  come  le  spirali  sìeno 
sollecitate  a  girare  per  mettersi  in  posizione  perpendicolare  alle 
spirali  fisse.  Ma  quando  l'armatura  ha  cominciato  a  girare  ed  ha 
assunto  una  velocità  tale  che  nella  durata  del  perìodo  della 
corrente  le  spirali  si  spostino  di  un  angolo  considerevole,  allora 
intervengono  altri  fatti  che  complicano  notevolmente  il  feno- 
meno. Nascono  allora  nelle  spirali  rotanti  forze  elettromotrici 
tendenti  a  produrre  correnti  sulle  quali  il  campo  magnetico 
prodotto  dalla  corrente  alternativa  circolante  nelle  spirali  fìsse 
agisce  con  forze  opposte  al  movimento.  Debbono  poi  prodursi 
effetti  di  estracorrenti  assai  complicati  nei  momenti  dei  passaggi 
delle  spazzole  da  un  segmento  all'altro  del  collettore,  effetti  che 
non  solo  complicano  vieppiù  i  fenomeni,  ma  che  evidentemente 
non  si  possono  conciliare  con  un  regolare  e  lodevcle  funziona* 
mento  della  macchina. 

Nella  Esposizione  il  motore  non  funzionava  ;  quindi  non 
offriva  il  mezzo  di  controllare  colla  esperienza  la  verità  e  la 
importanza  di  queste  nostre  considerazioni  ;  ma  il  fatto  stesso 
che  il  motore,  solo  in  mezzo  ad  una  brillante  mostra  di   appa- 


1 


392  L'elettrotecnica 


recchi  in  azione,  era  lasciato  inerte,  fa  credere  che  in  realtà 
gli  inconvenienti  accennati  si  siano  verificati,  e  si  siano  ricono- 
sciuti gravi. 

L'altro  motore  a  corrente  alternativa  presentato  dal  pro- 
fessore Elihu  Thomson  appartiene  alla  classe  dei  motori  sincroni, 
Quando  esso  è  avviato  ed  ha  assunto  la  velocità  normale,  la 
posizione  relativa  delle  spirali  dell'  armatura  rotante  rispetto  'a 
quelle  fisse  varia  periodicamente  collo  stesso  periodo  della  cor- 
rente alternativa  eccitatrice;  quindi  non  v'ha  luogo  di  consi- 
derare in  esso  forze  ripulsive  elettrodinamiche  prodotte  nelle 
condizioni  di  quelle  studiate  cogli  esperimenti  sovradescrìtti , 
forze  dovute  a  correnti  alternative  indotte  in  un  conduttore  ira- 
mobile;  v'ha  luogo  invece  di  applicare  semplicemente  le  consi- 
derazioni relative  alle  macchine  dinamoelettriche  a  correnti  al- 
ternative funzionanti  come  motori. 

Ma,  a  differenza  dei  soliti  motori  sincroni,  il  motore  di  cui 
stiamo  parlando  ha,  nel  funzionamento  normale,  la  spirale  di 
armatura  semplicemente  chiusa  su  sé  stessa  e  percorsa  da  cor- 
renti indotte  dalla  parte  fissa  della  macchina;  esso  è  un  motore 
a  reazione,  ed  a  questo  titolo  può  essere  classificato  insieme 
agli  altri  apparecchi  dei  quali  abbiamo  parlato. 

La  disposizione  di  questo  motore  è,  nel  complesso,  quella 
di  una  macchina  dinamoelettrica  a  corrente  alternativa  con  in- 
dotto a  tamburo.  Sei  spirali  piatte,  oblunghe,  sono  fissate  sulla 
superficie  interna  di  un  tamburo  cilindrico  di  ferro,  fatto  con 
dischi  isolati.  Brevi  sporgenze  del  ferro,  in  forma  di  denti,  for- 
mano i  nuclei  delle  sei  spirali.  Il  tutto  rappresenta  esattamente 
l'induttore  di  una  macchina  alternante  del  tipo  Whestinghouse 
o  ThomsonHouston,  con  questa  sola  differenza  :  che  il  ferro  è 
lamellare.  L'armatura,  che  sta  nell'interno,  consiste  in  un  nucleo 
cilindrico  di  ferro  formato  di  dischi  isolati,  sulla  superficie  con- 
vessa del  quale  sono  adagiate  sei  spirali  oblunghe  identiche  a 
quelle  dell'indotto  delle  macchine  dinamoelettriche  alternanti 
sovra  nominate.  La  corrente  alternativa  proveniente  dalla  mac- 
china generatrice  passa  nelle  spirali  fisse,  le  quali  sono  avvolte 
in  direzioni  alternate;  passa  quindi,  attraverso  ad  un  commu- 
tatore, nelle  spirali  dell'armatura,  le  quali,  anch'esse,  sono  av- 
volte in  direzioni  alternate.  Il  commutatore  è  della  forma  solita; 
ha  sei  segmenti  comunicanti  alternativamente  coll'uno  e  coiraltro 
capo  del  filo  dell'armatura,  ed  in  verte  le  comunicazioni  negli 
istanti  nei  quali   le  spirali    rotanti  oltrepassano    le  spirali  fisse. 


air  Esposizione  Universale  del  iSSg  in  Parigi.  393 


Per  tal  modo  si  ottiene  che  in  ogni  istante  ciascuna  spirale  mo- 
bile sia  respinta  dal  polo  fìsso  che  essa  ha  oltrepassato  e  sia 
attratta  da  quello  verso  cui  si  muove;  e  si  ottiene  così  una 
coppia  di  rotazione  diretta  sempre  nel  medesimo  verso,  per 
effetto  della  quale  il  motore  si  incammina  sempre.  Tale  dispo- 
sizione però  non  è  adoperata  se  non  in  principio,  per  avviare 
il  motore  e  per  portare  l'armatura  alla  velocità  normale,  che  è 
quella  per  la  quale  ciascuna  spirale  mobile  percorre  l'intervallo 
fra  due  poli  fissi  nella  durata  di  un  periodo  della  corrente. 

Quando  tale  velocità  è  raggiunta,  la  spirale  dell'armatura 
vien  chiusa  su  sé  stessa  in  corto  circuito,  e  le  spazzole  vengono 
distaccate  dal  commutatore  e  congiunte  direttamente  tra  di  loro 
con  un  corto  circuito,  così  che  la  corrente  introdotta  nella  mac- 
china dall'esterno  prenda  a  circolare  unicamente  nelle  spirali 
degli  elettromagneti  fissi  senza  più  passare  nell'armatura,  mentre 
le  spirali  di  quest'ultima  sono  percorse  unicamente  da  correnti 
indotte  in  esse  dagli  elettromagneti. 

La  chiusura  dell'armatura  in  corto  circuito  si  fa  automati- 
camente, e  l'apparecchio  a  ciò  destinato  trovasi  dentro  al  com- 
mutatore. Tale  apparecchio  consiste  in  due  pezzi  metallici  che 
la  forza  centrifuga  tende  ad  allontanare  contro  l'azione  di  una 
molla.  Quando  la  velocità  ha  raggiunto  il  voluto  valore  normale, 
la  forza  centrifuga  prevale  sulla  tensione  della  molla  ed  allon- 
tana i  pezzi  metallici  tanto  che  questi  vengono  ad  appoggiarsi 
contro  la  superficie  interna  dei  segmenti  del  commutatore.  Per 
tal  modo  viene  stabilita  una  comunicazione  diretta  fra  segmenti 
contigui  e  quindi  la  spirale  dell'armatura  viene  a  trovarsi  chiusa 
in  corto  circuito. 

La  congiunzione  delle  spazzole  in  corto  circuito  ed  il  di- 
stacco delle  medesime  dal  commutatore  si  fanno  simultaneamente, 
a  mano,  per  mezzo  di  un  manubrio,  il  quale  mentre  comanda 
un  commutatore  stabiliente  la  diretta  comunicazione  fra  le  spaz- 
zole, comanda  nel  tempo  stesso  un  boccinolo  che  solleva  le 
spazzole  medesime. 

Quando  le  su  descritte  commutazioni  hanno  avuto  luogo, 
la  macchina  entra  nel  suo  funzionamento  normale.  Essa  conserva 
la  sua  velocità  di  regime  e  non  esce  dal  passo  se  non  quando 
si  applichi  all'albero  una  eccessiva  coppia  resistente. 

Questo,  che  abbiamo  descritto,  era  il  solo  modello  di  mo- 
tore elettrico  che  nella  mostra  del  prof.  E.  Thomson  venisse  fatto 
funzionare,  esso  era  evidentemente  quello  al  quale  l'inventore 


39+  L 'elettrotecnica 


attribuiva  la  maggiore  importanza;  ed  era  anche  uno  degli  oggetti 
che  più  attraevano,  in  quella  mostra,  Tattenzione  del  pubblico. 

Ora  facciamoci  a  considerare  quale  affettivamente  possa  es» 
sere  la  sua  importanza  pratica. 

Il   motore  è  sincrono-,    ha   adunque    il   pregio  ed  il  difetto 
inerenti  al  sistema,  e  comuni  a  tutti  i  motori  sincroni.  Il  pregio 
consiste  nella  assoluta  autoregolabilità  che  il  motore  ha  quando 
è  avviato;  la  velocità  infatti   si  mantiene   allora  assolutamente 
costante   se  tale  è  quella  della  macchina  generatrice;   le  varia- 
zioni   della  coppia  resistente,    o  come  suol  dirsi:    le  variazioni 
di  carico,  sempre  quando  non  oltrepassino  un  certo  limite,  al  di 
là  del  quale  il  motore  si  arresta  del  tutto,  non  hanno  altro  ef- 
fetto che  quello  di   far  variare  alquanto  la  fase  del  movimento 
rispetto  alla  corrente  alternativa.    Il  difetto  sta   nel  bisogno  di 
una  commutazione  per  la  quale  nel  periodo  di  avviamento  i  cir- 
cuiti sieno  collegati  altrimenti    che   nel  funzionamento  normale 
e,  ciò  che  è  più  grave,  nella  proprietà  di  fermarsi  assolutamente 
non  appena    la  coppia  resistente  superi    un  certo  limite.   Pregi 
speciali  il  motore  non   ha,  salvochè  si  voglia  considerare  come 
un  vantaggio  d'importanza  l'essere  autoeccitatore.  Presenta  per 
contro    un  inconveniente    che    io  giudico  gravissimo,   il   quale 
mette  il   nuovo  motore  molto  al   di  sotto  degli  ordinari  motori 
sincroni,    e    limita  moltissimo    la  sfera   di  applicabilità  di  esso. 
L'inconveniente  è  questo:  Tutta  la  corrente  passa  nelle  spirali 
fisse  producenti  il  campo  magnetico;    quindi  il  motore   ha  una 
autoinduzione  grandissima,  proporzionale  alla  potenza;  in  grazia 
di  tale  autoinduzione  si  produce  una  notevole  differenza  di  fase 
tra  la  corrente  alternativa  che  attraversa    il  motore  e  la  diffe- 
renza di  potenziali  ai  morsetti  di  esso;  ed  il  lavoro  meccanico 
che  il  motore  fa,   lavoro  proporzionale  al  coseno   di   tale  diffe- 
renza di  fase,   risulta  notevolissimamente  minore   del   prodotto 
della  intensità  efficace  della  corrente,  per  la  differenza  efficace 
di  potenziali,  minore  cioè   di  quello    che  assai  opportunamente 
si  può  denominare  col  BIàthy:  il  lavoro  apparente. 

Conseguenza  di  tale  fatto  è  che  la  potenza  effettiva  di  un 
impianto  del  quale  facciano  parte  motori  elettrici  del  descritto 
tipo,  di  grande  potenza  oppure  numerosi,  risulta  notevolmente 
diminuita;  risulta  diminuito  ciò  che  molto  acconciamente  il  Kapp 
denomina  l'efficacia  dell'impianto  o  del  sistema. 

Un  simile  inconveniente  non  presentano,  o  presentano  in 
misura  molto  minore    i  motori  sincroni  ordinari,  consistenti  in 


all'Esposizione  Universale  del  iSS^  in  Parigi,  395 


semplici  macchine  dinamoelettriche  a  corrente  alternativa.  In 
tali  macchine  gli  elettro  magneti  di  campo,  che  sono  le  sole 
parti  presentanti  inevitabilmente  grandi  coefficienti  d'induzione 
propria,  possono  essere  eccitati  con  una  corrente  continua,  od 
almeno  con  una  corrente  raddrizzata  ;  e  la  sola  armatura  è  per- 
corsa dalla  corrente  alternativa.  Ora  l'armatura,  da  sola,  pre- 
senta una  autoinduzione,  che  si  può,  con  una  opportuna  scelta 
del  tipo  delle  macchine,  rendere  piccola  od  anche  praticamente 
trascurabile. 

La  considerazione  dell*  induzione  propria  del  motore  elet- 
trico, e  della  influenza  di  essa  sull'efficacia  del  complessivo  im- 
pianto ha  una  capitale  importanza.  Essa  potrebbe  bastare  da 
sola  a  giustificare  l'asserzione  da  noi  fatta  intorno  al  merito 
del  motore  Elihu  Thomson  ed  al  probabile  suo  avvenire  in 
confronto  con  quello  degli  ordinari  motori  sincroni. 

Le  esperienze  del  prof.  Thomson  adunque,  benché  per  sé 
stesse  importantissime  e  feconde  di  applicazioni,  non  avranno 
probabilmente  alcuna  influenza* sull'avvenire  della  costruzione  e 
dell'impiego  dei  motori  elettrici  a  corrente  alternativa.  Tale 
avvenire  é  ormai  nettamente  delineato;  e  la  storia  delle  inveu- 
zioni  e  delle  esperienze  è  ormai  abbastanza  svolta,  perchè  si 
possa,  senza  tema  di  gravi  smentite,  prevedere  l'ulteriore  svol- 
gimento di  esse. 

25.  Sguardo  sui  motori  a  correnti  alternative  finora  proposti. 
Motori  asincroni.  —  Che  una  macchina  dinamo  elettrica  a  cor- 
rente alternativa,  pòssa,  attivata  dalla  corrente  prodotta  da  un'altra 
macchina  simile,  funzionare  come  un  motore,  é  cosa  saputa  da 
parecchi  anni.  Già  nella  esposizione  di  elettricità  di  Torino,  nel 
1884,  il  Gaulard  tentava,  non  senza  qualche  successo,  l'esperi- 
mento; e  nel  medesimo  anno,  il  13  novembre,  il  dottore  J.  Hop- 
kinson,  al  quale  spetta  in  questa  materia  il  massimo  merito,  leg- 
geva davanti  alla  Società  degli  ingegneri  telegrafici  ed  elettricisti 
di  Londra,  una  memoria,  ove  con  una  chiarezza  di  vedute  ammi- 
rabile in  quel  tempo,  trattava  teoricamente  le  questioni  concer- 
nenti l'accoppiamento  di  due  macchine  alternatrici  in  un  mede- 
simo circuito,  ed  il  funzionamento  di  esse  come  generatori  o 
come  motori. 

In  quella  memoria  era  nettamente  enunciato  e  teoricamente 
provato  il  teorema,  che  una  macchina  dinamoelettrica  alterna- 
trice  inserita  in  un  circuito,  in  serie  con  un'altra,  tende  a  met- 
tersi in  opposizione  con  questa  ed  a  funzionare  come  motore; 


396  L  *  elettroieatica 


e  questo  teorema  che  è  il  principio  fondamentale  della  teoria 
dei  motori  sincroni,  non  aveva,  fin  d'allora,  bisogno  d'altro  che 
di  una  conferma  sperimentale  per  servire  subito  di  base  alia 
trasmissione  elettrica  dell'energia  con  macchine  alternatrici,  senza 
bisogno  di  nuove  radicali  invenzioni.  Se  le  effettive  applicazioni 
non  tennero  immediatamente  dietro  alla  scoperta  del  principio, 
e  nemmeno  oggidì  sono  avviate,  ciò  devesi  attribuire  a  due 
ragioni.  In  primo  luogo  erano  necessarie  esperienze,  non  tanto 
per  confermare  le  previsioni  della  teoria,  quanto  per  accertare 
fra  quali  limiti  si  potesse  far  variare  il  carico,  ossia  la  coppia 
resistente  al  movimento,  senza  che  il  motore  uscisse  dal  sincro- 
nismo e  cessasse  con  ciò  dal  funzionare,  e  per  rendersi  inoltre 
conto  della  facilità  delia  regolazione  e  della  condotta  del 
motore. 

Esperienze  veramente  concludenti  non  si  fecero  che  in  questi 
ultimi  tempi,  e  sull'accennato  punto  gli  elettricisti  non  incomin- 
ciarono a  formarsi  idee  chiare  e  convinzioni  assodate  se  non 
recentissimamente  dopo  i  notevoli  esperimenti  del  Mordey,  e 
dopo  quelli,  aventi  carattere  ufficiale,  che  nello  scorso  autunno 
furono  eseguiti  dalla  Commissione  scientifica  di  Francoforte  sul 
Meno.  In  secondo  luogo  si  esagerò  forse  V  importanza  dell'in- 
conveniente,  proprio  del  sistema,  che  i  motori  sincroni  presen- 
tano quando  non  sono  muniti  di  acconcie  disposizioni  accessorie, 
all'inconveniente  cioè  di  non  potersi  mettere  in  moto  da  sé,  e 
di  dover  essere  portati  inizialmente,  a  mano,  o  con  un  motore 
ausiliare,  alla  velocità  di  regime  prima  di  incominciare  a  lavo- 
rare regolarmente  da  sé.  Quest'ultima  circostanza  ha  dato  luogo 
a  studi  ed  a  tentativi,  che,  se  portarono  frutti  di  incontestabile 
utilità  pratica,  ebbero  però  nel  tempo  stesso  l'effetto  di  ritardare 
le  applicazioni. 

Intanto  la  stessa  proprietà  del  sincronismo,  che  in  molti 
casi  e  specialmente  pei  motori  di  grande  potenza  è  utilissima, 
siccome  quella  che  assicura  di  per  sé  la  autoregolazione  la  più 
perfetta  e  la  più  assoluta,  può  essere  in  altri  casi,  e  special- 
mente per  i  piccoli  motori,  troppo  rigida  e  costituire  un  in- 
conveniente. E  questa  considerazione,  unita  alle  sovraesposte» 
indusse  più  di  un  inventore  a  cercare  altre  forme  di  motori 
non  sincroni. 

Si  ebbe  adunque  una  serie  di  invenzioni,  di  proposte  e  di 
esperienze  che,  specialmente  nei  due  ultimi  anni,  attrassero  su 
di  sé  l'attenzione  degli  elettricisti. 


alP Esposizione  Universale  del  i88<)  in  Parigi,  397 

1  motori  elettrici  per  correnti  alternative  finora  proposti 
sono  di  due  specie  :  sincroni  ed  asincroni.  I  sincroni  poi  si  pos- 
sono dividere  in  tre  classi  : 

i.^  Nella  prima  classe  collochiamo  i  motori  consistenti  in 
semplici  macchine  a  corrente  alternativa  con  eccitazione  sepa* 
rata  fatta  con  una  corrente  continua.  Tali  motori  quando  non 
sono  di  potenza  così  piccola  che  si  possano  avviare  colla  mano, 
debbono  essere  provvisti  di  qualche  disposizione  o  di  qualche 
apparecchio  accessorio,  che  serva  a  metterli  inizialmente  in  moto 
ed  a  portarli  fino  alla  velocità  normale  a  cui  corrisponde  il  sin- 
cronismo. La  difficoltà  pratica  principale  sta  nello  studio  dì 
questo  meccanismo  ausiliario,  ed  appunto  a  tale  meccanismo  si 
riferiscono  numerosi  brevetti  di  privativa,  che  ancora  aspettano 
la  sanzione  della  pratica. 

Un'altra  difficoltà  sta  nella  necessità  di  ricorrere  ad  appa- 
recchi ausiliari  per  la  eccitazione,  ed  anche  questa  difficoltà  con- 
tribuisce a  ritardare  l'impiego  del  sistema.  Ma  io  penso  che  se 
le  cennate  difficoltà  possono  parere  gravi  quando  si  tratti  di  un 
motore  di  piccola  o  di  mediocre  potenza,  destinato  ad  usi  do» 
mestici  od  alla  piccola  industria,  esse  perderebbero  ogni  impor- 
tanza quando  si  trattasse  di  un  motore  potentissimo,  destinato 
a  funzionare  come  macchina  ricettrice  nella  trasmissione  d'una 
cospicua  quantità  di  energia  ad  una  grande  distanza.  Allora  in* 
fatti  nessun  ingegnere  potrebbe  considerare  come  ostacolo  grave 
alla  utilizzazione  del  sistema  la  necessità  di  provvedere  la  sta- 
zione ricettrice  di  un  piccolo  motore  ausiliario,  a  vapore  od  a 
gas  od  idraulico,  od  anche  elettrico,  destinato  a  mettere  in  moto 
l'armatura  della  grande  macchina  ricettrice  per  portarla  inizial- 
mente fino  alla  velocità  normale;  né  quella  di  provvedere  la 
stazione  di  una  macchina  dinamoelettrica  a  corrente  continua, 
la  quale,  comandata  inizialmente  dal  motore  speciale,  ed  in  se- 
guito, a  regime  stabilito,  dal  grande  motore  medesimo,  dia  la 
corrente  necessaria  per  la  eccitazione.  Superate  le  difficoltà  e  le 
incertezze  inerenti  a  tutte  le  cose  nuove,  l'impiego  dei  motori 
di  cui  stiamo  parlando  diventerà  pratico  e  sicuro,  ed  io  oso 
affermare  che  appunto  un  tale  impiego  darà  finalmente  la  solu- 
zione più  pratica  e  più  semplice  del  problema  di  trasmettere 
a  grande  distanza  tra  due  stazioni  una  grande  quantità  di 
energia.  Occorrono,  per  fare  economicamente  la  trasmissione^ 
macchine  potenti  e  di  grandi  forze  elettromotrici;  ora  le  mac- 
chine dinamoelettriche  a  corrente  alternativa  sono  appunto  quelle 


98  U  elettrotecnica 


più  facili  a  costruirsi  per  grandi  potenze  e  per  grandi  forze 
elettromotrici.  L'impiego  dì  tali  macchine  eliminerebbe  d'un  sol 
tratto  tutte  le  maggiori  difficoltà  che  il  Marcel  Deprez  non  riuscì 
a  superare  nelle  sue  disgraziate  e  sconfortanti  esperienze  di 
Creil. 

L'avvenire  delle  grandi  trasmissioni  elettriche  dell'energia 
su  grandi  distanze  sta  adunque  molto  probabilmente  nello  im- 
piego delle  correnti  alternative  e  dei  motori  sincroni  della  classe 
ora  considerata. 

2.<>  Poniamo  nella  seconda  classe  i  motori  sincroni,  con- 
sistenti, come  i  precedenti,  in  semplici  macchine  a  correnti  al- 
ternative, quando  gli  elettromagneti,  invece  che  da  una  corrente 
indipendente,  continua,  sono  eccitati  dalla  stessa  corrente  alter- 
nativa attivante  il  motore,  o  da  una  derivazione  di  essa.  Tali 
motori  hanno  un  commutatore  che  orienta  la  corrente  degli 
«elettromagneti. 

Un  motore  di  questa  classe  è  quello  degli  ingegneri  Ziper- 
nowsky,  Déri  e  Blàthy  della  casa  Ganz  e  Comp.  di  Budapest; 
il  quale,  sia  per  le  esperienze  ufficiali  di  cui  è  stato  oggetto, 
sia  per  le  applicazioni  pratiche  che  fin  d'ora  ha  ricevuto,  ha 
attualmente  una  speciale  importanza. 

Sostanzialmente  la  sua  costruzione  è  la  seguente:  L'arma- 
tura e  gli  elettromagneti  sono  fatti  e  disposti  esattamente  come 
nelle  macchine  alternatrici  della  casa  Ganz:  l'armatura  è  fissa, 
«sterna;  gli  elettromagneti,  disposti  radialmente  su  di  un  albero, 
sono  girevoli  nell'interno.  Nell'armatura  si  manda  la  corrente 
alternativa  derivata  direttamente  dalla  rete  primaria  oppure  dai 
morsetti  secondari  di  un  trasformatore.  Negli  elettromagneti  si 
manda  la  corrente  secondaria  prodotta  da  un  apposito  trasfor- 
matore, a  cui  si  dà  il  nome  di  magnetizzatore)  tale  corrente  se- 
<:ondaria  passa  però  per  un  commutatore  posto  sull'albero  della 
macchina,  il  quale  inverte  le  comunicazioni  tra  i  capi  delle  spi- 
rali degli  elettromagneti  ed  i  due  morsetti  secondari  del  magne- 
tizzatore negli  istanti  nei  quali  gli  elettromagneti,  girando,  pas- 
sano di  fronte  alle  spirali  dell'armatura. 

Collocando  convenientemente  le  spazzole,  si  può  far  sì  che 
-ciascun  polo  degli  elettromagneti  sia  costantemente  respinto 
^alla  spirale  d'armatura  che  esso  ha  oltrepassato,  ed  attratto 
dalla  spirale  verso  cui  è  avviato.  Soddisfatta  questa  condizione, 
^li  elettromagneti  si  trovano  sollecitati  a  girare  sempre  nel 
medesimo  verso,  qualunque   sia  il  verso  della  corrente  nell'ar- 


y 


all'Esposizione  Universale  del  i88g  in  Parigi.  399 


matura.  Il  motore  può  adunque  avviarsi  da  sé  solo,  oppure  con 
l'aiuto  di  un  piccolo  impulso  iniziale  ;  se  il  motore  è  di  picco- 
lissime dimensioni  si  avvia  da  sé  purché  inizialmente  i  poli 
degli  elettromagneti  non  si  trovino  eventualmente  affacciati  alle 
spirali  deir  armatura  ;  se  il  motore  ha  grandi  dimensioni,  esso 
si  avvia  coir  aiuto  di  un  piccolo  impulso  che  si  può  dare  colla 
mano.  Così  stando  le  cose,  il  motore  può  lavorare  con  tutte  le 
velocità,  esso  non  è  un  motore  sincrono  ;  ma  è  evidente  che  le 
condizioni  del  suo  funzionamento  non  possono  essere  buone  se 
non  quando  la  velocità  ha  il  valore  corrispondente  al  sincro- 
nismo. Finché  infatti  il  sincronismo  non  sussiste,  le  commuta- 
zioni  prodotte  dal  commutatore  possono  avvenire  ed  avvengono 
in  istanti  nei  quali  le  correnti  hanno  grandi  intensità,  e  danno 
allora  luogo  a  scintillazioni  grandissime. 

Inoltre  si  hanno  allora  correnti  alternanti  non  solo  nell'ar- 
matura,  ma  anche  negli  elettromagneti,  i  quali  presentano  grandi 
coefficienti  di  induzione  propria,  ed  anche  ciò,  come  già  notammo 
più  avanti,  è  incompatibile  con  un  pratico  e  buono  funziona- 
mento del  motore;  se  anche  il  motore  potesse  lavorare  sempre 
cosi,  esso  affievolirebbe  a  dismisura  l'efficacia  dell'impianto.  Si 
aggiunga  che  gli  effetti  delle  correnti  di  Foucault  e  della  iste- 
resi si  farebbero  allora  gravissimi.  Quando,  invece,  la  velocità 
ha  raggiunto  il  valore  corrispondente  al  sincronismo,  gli  incon- 
venienti notati  scompariscono  od  almeno  si  affievoliscono  mol- 
tissimo. Infatti  le  commutazioni  coincidono  allora  colle  inversioni 
delle  correnti,  e  si  possono  quindi  fare  senza  grandi  scintille; 
inoltre  gli  elettromagneti,  che  ricevono  le  correnti  commutate, 
si  trovano  allora  eccitati  da  correnti  orientate,  rimangono  ma- 
gnetizzati sempre  nel  medesimo  verso  e  danno  luogo  a  minime 
induzioni  proprie,  a  minime  correnti  di  Foucault,  a  minimi  effetti 
di  isteresi. 

In  tali  condizioni  il  motore  può  lavorare  lodevolmente  e 
regolarmente. 

Tale  a  grandi  tratti  é  il  modo  di  funzionare  del  motore  Ganz; 
ma  la  particolarità  caratteristica  di  questo  motore,  quella  a  cui 
si  debbono  i  buoni  risultati  ottenuti,  quella  che  costituisce  il 
cuore  della  invenzione,  è  un  sistema  di  commutatori  col  quale 
si  operano  nel  periodo  di  avviamento  collegamenti  diversi  da 
quelli  corrispondenti  al  funzionamento  normale,  in  modo  da  mi- 
gliorare le  condizioni  di  quest'ultimo,  e  da  diminuire  gli  incon- 
venienti del  primo. 


400  L'elettrotecnica 


Per  migliorare  le  condizioni  del  funzionamento  normale 
occorre  attenuare,  per  quanto  è  possibile,  la  produzione  delle 
scintille  sul  commutatore;  occorre  inoltre  affievolire,  possibil- 
mente, le  variazioni  della  magnetizzazione  degli  elettromagneti. 
L'una  cosa  e  l'altra  sono  ottenute,  nel  motore  di  Ganz,  con  un 
artifizio  semplicissimo,  che  consiste  nell*  applicare  al  commuta- 
tore, invece  di  due  sole  spazzole,  due  coppie  di  spazzole,  con 
una  distanza  angolare  tale  che  ad  ogni  inversione  le  spirali 
degli  elettromagneti  rimangano  per  qualche  tempo  chiuse  in 
corto  circuito.  Una  resistenza  inserita  nel  circuito  di  eccitazione, 
ossia  nel  circuito  secondario  del  trasformatore  magnetizzatore, 
serve  a  limitare  la  intensità  della  corrente  esterna  al  commu- 
tatore durante  i  corti  circuiti. 

Per  migliorare  le  condizioni  del  periodo  di  avviamento,  oc- 
corre, invece,  evitare  la  produzione  di  corti  circuiti  e  di  cstra- 
correnti  che  ritardino  le  inversioni  della  magnetizzazione  negli 
elettromagneti  ;  conviene  anzi  rendere  pronte  quanto  è  possibile 
tali  inversioni.  Ciò  si  ottiene  escludendo  dal  circuito  una  delle 
coppie  di  spazzole  del  commutatore.  Siccome  poi  durante  il  pe. 
riodo  di  avviamento  le  spirali  degli  elettromagneti,  che  allora 
sono  percorse  da  correnti  alternative,  presentano  una  grande 
resistenza  apparente,  così  nel  trasformatore  magnetizzatore  la 
spirale  secondaria  è  fatta  di  due  pezzi  :  nel  periodo  di  funzio- 
namento normale,  quando  il  circuito  secondario,  che  è  per  la 
macchina  il  circuito  di  eccitazione,  ha  una  piccola  resistenza 
apparente,  si  utilizza  un  solo  pezzo;  nel  periodo  di  avviamento 
quando  il  circuito  d'eccitazione  ha  una  resistenza  apparente  più 
grande,  si  utilizzano  entrambi  i  pezzi.  Finalmente  per  fare  si 
che  la  forza  elettromotrice  nel  circuito  di  eccitazione,  dopo  di 
essere  stata  massima  in  principio,  a  motore  fermo,  diminuisca 
poi  gradatamente  di  mano  in  mano  che  col  crescere  della  ve- 
locità diminuisce  la  resistenza  apparente  delle  spirali  dei  ma- 
gneti, e  per  moderare  nel  tempo  stesso  Tintensità  della  corrente 
nell'armatura  mentre  la  controforza-elettromotrice  del  motore 
non  ha  ancora  raggiunto  il  valore  normale,  si  adopera  un  altro 
trasformatore,  detto  compensatore.  Durante  il  periodo  di  avvia- 
mento, la  spirale  primaria  di  questo  trasformatore  viene  inserita 
in  serie  coll'armatura,  mentre  la  spirale  secondaria  è  inserita  nel 
circuito  di  eccitazione. 

Un  gruppo  di   quattro  commutatori,   che  si  comandano  a 
mano  con  un  unico  manubrio,  serve  a  ottenere  d'un  colpo  tutti 


all'Esposizione  Universale  del  jS8^  in  Parigi.  401 

i  descritti  effetti.  Esso  può  prendere  due  posizioni  :  la  posizione 
per  ravviamento  e  quella  pel  lavoro  normale.  Colla  prima  po- 
sizione, due  sole  spazzole  sono  in  circuito,  entrambe  le  parti 
della  spirale  secondaria  del  magnetizzatore  sono  in  circuito,  il 
compensatore  funziona.  Colla  seconda  posizione,  entrambe  le 
coppie  di  spazzole  sono  in  circuito,  un  solo  pezzo  della  spirale 
secondaria  del  magnetizzatore  è  utilizzato,  il  compensatore  è 
escluso. 

Colle  descritte  disposizioni,  che  per  piccoli  motori  possono 
anche  essere  semplificate,  e  che  in  ogni  caso  possono  venire 
applicate  praticamente  in  molteplici  modi,  gli  ingegnèri  della 
casa  Ganz  sono  riusciti  a  comporre  un  tipo  di  motore  elettrico 
per  corrente  alternativa  che  per  potenze  moderate,  non  supe- 
riori, per  esempio,  a  40  o  50  cavalli,  può  fin  d'ora  considerarsi 
come  perfettamente  pratico.  È  questo  fin  ora  il  solo  motore 
elettrico  che  abbia  servito  a  prove  ufficiali.  La  Commissione 
scientifica  incaricata  dalla  città  di  Francoforte  sul  Meno  dello 
studio  delle  questioni  tecniche  concernenti  la  scelta  del  si- 
stema per  un  impianto  elettrico  civico,  eseguì  negli  ultimi 
giorni  di  ottobre  e  nei  primi  di  novembre  del  1889  una  notevole 
serie  di  esperienze  sopra  tre  motori  elettrici  della  casa  Ganz 
dati  rispettivamente  per  le  potenze  di  25,  di  5  e  di  0,2  cavalli. 
I  risultati  furono  soddisfacenti ssi mi  :  il  coefficiente  di  rendimento 
salì  fino  al  valore  0,86  pel  motore  di  25  cavalli,  ed  al  valore  0,80 
per  quello  di  5  cavalli;  i  motori  conservarono  inalterata  la  loro 
velocità  normale,  anche  quando  si  fece  variare  bruscamente,  e' 
molto,  la  coppia  resistente;  quello  di  25  cavalli  non  uscì  dal 
sincronismo  se  non  quando  si  elevò  la  carica  ad  oltre  40  cavalli. 

Le  scintillazioni,  assai  energiche  nel  periodo  d'avviamento, 
sono  tollerabili  nel  lavoro  normale;  pei  piccoli  motori  esse  sono 
assolutamente  insignificanti.  11  solo  inconveniente  sta  nel  rumore, 
che  pel  motore  di  25  cavalli  risultò  assai  intenso,  e  che  natural- 
mente potrebbe  limitare  in  alcuni  casi  l'applicabilità  del  sistema. 

Dopo  tali  risultati  di  esperienza  si  può  asserire  che  i  mo- 
tori elettrici  alternativi  sincroni  di  questa  classe  risolvono  il 
problema  della  distribuzione  dell'energia  con  correnti  alternative 
in  tutti  i  casi  nei  quali  il  rigido  sincronismo  non  è  un  incon- 
veniente. 

3.^  La  terza  classe  dei  motori  sincroni  è  per  ora  rappre- 
sentata da  un  solo  apparecchio,  il  quale  non  fu  peranco  speri- 
mentato in  modo  industriale,   ma  che   merita  tuttavia   d'essere* 

G.  Ferraris.  Opere,  Voi.  II.  a6 


402  L'elettrotecnica 


notato.  Questo  motore  venne  descritto  nell*  ultimo  settembre  in 
una  lettura  fatta  nell'Istituto  americano  degl'ingegneri  elettri- 
cisti dal  sìg.  F.  Jarvìs  Patten.  E  un  motore  sincrono  autoecci- 
tatore, atto  a  mettersi  in  moto  da  sé.  Come  in  quello  di  Ganz 
gli  elettromagneti  di  campo,  che  nel  funzionamento  normale, 
sincrono,  si  trovano  percorsi  da  correnti  orientate,  sono  invece 
eccitati  con  una  corrente  alternata  durante  il  periodo  di  avvia- 
mento. Ma  mentre  nel  motore  di  Ganz  l'armatura  è  sempre 
percorsa  da  correnti  alternative,  in  quello  del  Patten  essa  pure 
viene  attraversata  da  correnti  orientate  quando  ilsincronismo 
è  raggiunto.  Il  motore  proposto  dal  Patten  ha  la  forma  di  una 
macchina  dinamoelettrica  a  corrente  continua  ordinaria  con  elet- 
tromagnete laminato;  ha  però  un  collettore  disposto  in  modo 
speciale.  Tale  collettore  è  doppio;  è  formato  di  due  collettori 
contigui  portati,  Tuno  d'accanto  all'altro,  dal  medesimo  albero. 
Uno  di  questi  è  un  collettore  ordinario;  i  suoi  segmenti  sono 
collegati  nel  modo  solito  alle  spirali  dell'armatura.  L'altro,  che, 
come  si  disse,  è  posto  d'accanto  al  primo,  ha  i  suoi  segmenti 
collegati  uno  ad  uno  coi  segmenti  di  questo;  e  precisamente 
ciascun  segmento  di  ordine  impari  è  collegato  col  contiguo,  e 
ciascun  segmento  di  ordine  pari  è  collegato  col  segmento  dia- 
metralmente opposto  del  primo  collettore.  Sul  secondo  collettore 
si  appoggiano  due  spazzole  per  mezzo  delle  quali  il  motore  ri- 
ceve la  corrente  alternativa;  sul  primo  collettore  si  appoggiano 
altre  due  spazzole  colle  quali  sono  collegati  i  capì  del  circuito 
di  eccitazione  per  l'elettromagnete.  Se  l'armatura  gira  con  una 
velocità  tale  che  le  spazzole  passino  da  un  segmento  all'altro 
precisamente  negli  istanti  nei  quali  si  inverte  la  corrente  esterna, 
la  corrente  si  trova  raddrizzata  e  trasformata  in  una  corrente 
pulsativa  tanto  nell'armatura  quanto  nelle  spirali  eccitatrici  del- 
l'elettromagnete: allora  la  macchina  funziona  come  un  motore 
ordinario  a  corrente  continua.  Se  la  velocità  non  è  quella  del 
sincronismo  la  corrente  rimane  alternativa  tanto  nell'armatura 
quanto  nell'elettromagnete;  ma  le  inversioni  di  essa  sono  simul- 
tanee, così  che  la  coppia  di  rotazione  conserva  sempre  il  me- 
desimo verso.  Con  la  descritta  disposizione  la  velocità  normale 
t  quella  per  cui  durante  un  giro  dell'armatura  la  corrente  alter- 
nativa si  inverte  tante  volte  quanti  sono  i  segmenti  nel  collet- 
tore; ma  si  possono  facilmente  modificare  i  collegamenti  in 
modo  che  la  velocità  normale  sia  diversa.  Se  si  vuole,  per  es., 
che  la  velocità  sia  doppia,   si   collegano  i  segmenti  i  e  2   del 


air  Esposizione  Universale  del  iS8g  in  Parigi.  403 

secondo  collettore  coll'i  e  2  del  primo,  i  segmenti  364  coi 
segmenti  opposti  del  primo,  ecc. 

In  generale  si  possono  formare  coi  segmenti  di  ciascun 
collettore  gruppi  di  «,  e  collegare  i  gruppi  del  secondo  alterna- 
tivamente coi  gruppi  corrispondenti  e  coi  diametralmente  opposti 
del  primo;  in  tal  modo  la  velocità  normale  è  quella  per  cui  du- 
rante ogni  giro  dell'armatura  si  ha  un  numero  di  inversioni  di 
corrente  uguale  alla  «"*  parte  del  numero  dei  segmenti. 

11  Patten  colloca  tra  i  gruppi  di  segmenti  del  secondo  col- 
lettore segmenti  oziosi,  isolati  cioè  dalle  spirali,  ai  quali  attacca 
ì  capi  di  resistenze  disposte  dentro  al  collettore  medesimo.  Tali 
resistenze  sono  destinate  ad  evitare  le  complete  interruzioni 
della  corrente  ed  a  diminuire  per  tal  modo  le  scintille.  Nessuna 
esperienza  si  ha  finora  sul  motore  di  Patten,  né  è  finora  dimo- 
strato che  esso  possa  effettivamente  funzionare  in  modo  rego- 
lare; e  se  esperienze  si  faranno,  è  probabile  che  esse  abbiano 
da  mettere  in  evidenza  gravi  inconvenienti  inerenti  al  sistema. 
11  cenno  ora  dato  sarà  tuttavia  utile  per  facilitare  e  completare 
i  confronti  ed  i  ravvicinamenti;  il  motore  del  Patten  infatti, 
mentre  è  sincrono,  ha  la  forma  esterna  e  la  disposizione  mec- 
canica complessiva  di  uno  dei  motori  asincroni  dei  quali  dob- 
biamo ora  discorrere. 

26.  Motori  asincroni.  —  Di  motori  asincroni  si  proposero 
vari  sistemi. 

Non  per  la  sua  importanza,  che  non  ne  ha  alcuna,  ma  per- 
-che  è  affine  ai  motori  sincroni  già  descritti,  e  perchè  fu  anche 
oggetto  di  una  lettura  nel  Congresso  degli  elettricisti  tenutosi 
^  Parigi  in  occasione  dell'Esposizione,  cito  pel  primo  un  motore 
proposto  dal  sig.  Maurice  Le  Blanc.  L'inventore,  esagerando 
«ella  propria  mente  gl'inconvenienti  propri  dei  motori  sincroni 
«  non  avendo  un'idea  chiara  dei  larghi  limiti  entro  i  quali  un 
ordinario  motore  sincrono  può  venir  sovraccaricato  senza  uscire 
-dal  sincronismo,  immaginò  una  disposizione  mirante  a  far  ro- 
tare per  mezzo  di  spazzole  scorrevoli  su  di  un  ordinario  col- 
lettore il  campo  magnetico.  Con  ciò  egli  suppone  di  poter  dare 
^l  motore  una  velocità  variabile,  pur  mantenendo  costante  la 
velocità  relativa  dell'armatura  rispetto  al  campo  magnetico.  Le 
disposizioni  però  da  lui  proposte  non  risolvono  affatto  il  pro- 
blema e  sono  basate  su  di  una  pura  illusione. 

Un  modo  che  si  presenta  spontaneamente  coi  caratteri  di 
«ina  grande  semplicità,  per  fare  un  motore  asincrono,  consiste 


404  U elettrotecnica 


nell' impiegare  a  quest'uopo  una  pura  e  semplice  macchina  di- 
namoelettrica a  corrente  continua  eccitata  in  serie,  difTerente 
dalle  ordinarie  solo  per  avere  l'elettromagnete  col  ferro  suddi- 
viso, onde  evitare  gli  effetti  delle  correnti  di  Foucault.  Motori 
così  fatti  furono  sperimentati  da  vari  ingegneri,  fra  i  quali  é 
da  citare  Gisbert  Kapp.  Ma  i  risultati  furono  scoraggianti.  E  la 
ragione  principale  dell'insuccesso  sta  nel  fatto  di  cui  abbiamo 
già  ragionato  discorrendo  dei  motori  di  Elihu  Thomson,  nel  fatto 
cioè  che  la  forza  elettromotrice  dovuta  all'autoinduzione  è  spro- 
porzionatamente grande  in  confronto  della  controforza  elettro- 
motrice utile  dovuta  al  movimento  dell'armatura;  tale  forza  elet- 
tromotrice di  autoinduzione  dà  luogo  ad  un  grande  ritardo  di 
fase,  ed  affievolisce  enormemente  l'efficacia  dell'impianto.  Se- 
condo il  Kapp,  nelle  migliori  condizioni  immaginabili  l'efficacia 
dell'  impianto  non  potrebbe  superare  0,70  ;  ed  anche  questo  va- 
lore non  si  potrebbe  ottenere  se  non  alla  condizione  di  poter 
ridurre  la  forza  elettromotrice  di  iselfinduzione  ad  essere  appena 
uguale  alla  controforza  elettromotrice  utile,  cosa  questa,  che  pare 
difficile,  se  non  impossibile,  di  poter  ottenere.  Nelle  esperienze 
fatte  dal  Kapp  il  lavoro  ottenibile  con  un  simile  motore,  attivato 
con  una  data  intensità  efficace  della  corrente  e  con  una  data 
caduta  efficace  di  potenziali,  risultò  appena  uguale  al  quinto  di 
ciò  che  sarebbe  stato  adoperando  una  corrente  continua  della 
medesima  intensità  e  con  una  medesima  caduta  di  potenziali. 
Oltre  a  questo  inconveniente  gravissimo,  il  motore  ne  presenta 
un  altro,  che  merita  pure  di  essere  notato  :  l' armatura  corre 
rischio  di  venire  abbruciata  quando  per  avventura  il  motore 
per  una  eccessiva  resistenza  si  abbia  a  fermare.  Quando  l'ar- 
matura è  in  riposo  ed  una  corrente  alternativa  circola  nella 
macchina,  quelle  spirali  dell'armatura,  le  quali  in.  quel  momento 
si  trovano  chiuse  in  corto  circuito  dalle  spazzole,  sono  nelle 
medesime  condizioni  della  spirale  secondaria  di  un  trasformatore 
chiuso  in  corto  circuito  su  se  stesso.  Esse  adunque  vanno  soggette 
ad  abbruciarsi  se  per  caso  l'armatura  non  si  può  subito  avviare. 

Il  sig.  Patten  ha  proposto,  come  abbiamo  veduto,  un  rimedio 
allo  inconveniente  maggiore,  ossia  a  quello  della  soverchia  auto- 
induzione; ma,  ciò  facendo,  egli  ha  trasformato  l'apparecchio  in  un 
motore  sincrono,  e  probabilmente  in  un  cattivo  motore  sincrono. 

I  soli  motori  asincroni  coi  quali  finora  si  siano  ottenuti  ri* 
sultati  sufficienti  per  dar  luogo  ad  una  fabbricazione  industriale 
sono  quelli    nei  quali   si   utilizza   un  campo  magnetico   rotante 


all'Esposizione  Universale  del  iSSg  in  Parigi,  405 

prodotto  per  mezzo  di  due  correnti  alternative  presentanti  una 
differenza  di  fase.  Il  principio  su  cui  riposa  il  funzionamento 
di  questi  apparecchi  è  stato  dimostrato  dall'autore  di  queste 
note,  ed  un  primo  modello  di  motore  fu  sperimentato  nel  labo- 
ratorio di  Elettrotecnica  del  Museo  Industriale  italiano  già  nello 
autunno  del  1885.  ^  ^^  principio  è  il  seguente  : 

Se  in  uno  spazio  si  sovrappongono  due  campi  magnetici 
alternativi  di  uguale  frequenza,  aventi  direzioni  diverse,  e  pre- 
sentanti l'uno  rispetto  all'altro  una  differenza  di  fase,  si  ottiene 
in  quello  spazio  un  campo  magnetico  risultante,  che  non  si  an- 
nulla in  nessun  istante  e  la  direzione  del  quale  ruota  in  un 
piano  parallelo  ai  campi  magnetici  componenti,  compiendo  un 
giro  in  ogni  periodo  di  questi.  Se  i  due  campi  magnetici  alter» 
nativi  componenti  seguono  la  legge  sinusoidale,  il  campo  ma- 
gnetico risultante  può  per  ogni  punto  rappresentarsi  in  gran- 
dezza ed  in  direzione  col  raggio  vettore  di  un'ellisse  avente 
il  centro  in  quel  punto.  Se,  in  particolare,  i  due  campi  com- 
ponenti sono  l'uno  all'altro  perpendicolari,  se  hanno  uguali  in- 
tensità e  se  la  loro  differenza  di  fase  corrisponde  ad  un  quarto 
di  periodo,  l'ellisse  si  riduce  ad  un  cerchio;  il  che  vuol  dire 
che  il  campo  magnetico  risultante  ha  allora  un'intensità  costante 
ed  una  direzione,  la  quale  ruota  con  velocità  uniforme,  com- 
piendo un  giro  in  ogni  periodo.  Se  nel  campo  magnetico  rotante 
si  colloca  un  corpo  conduttore,  nascono  in  questo  correnti  in- 
dotte in  virtù  delle  quali  il  conduttore  viene  trascinato  nella 
rotazione.  I  due  campi  magnetici  alternativi  si  possono  produrre 
per  mezzo  di  due  correnti  alternative  circolanti  in  due  spirali 
gli  assi  delle  quali  comprendano  fra  di  loro  un  angolo,  per 
esempio  un  angolo  retto;  si  possono  adunque  produrre  rota» 
zioni  continue  per  mezzo  di  correnti  alternative. 

Le  due  correnti  alternative  necessarie  per  quest'uso  possono 
essere  ottenute  in  due  circuiti  distinti,  direttamente,  con  una 
macchina  dinamoelettrica  appositamente  costrutta,  per  esempio 
con  una  macchina  avente  sull'armatura  due  sistemi  di  spirali. 

Oppure  possono  essere  ricavate  da  un  unico  circuito  e  ciò 
in  più  modi. 

Un  modo  consiste  nell'adoperare  le  correnti  di  due  circuiti 
derivati,  dei   quali  Tuno  abbia  una  piccola  resistenza  reale  ed 


^  Le  esperienze   alle   quali   qui  si  allude  furono  eseguite  e  pubblicamente 
presentate  nei  mesi  di  agosto  e  settembre  del  1885. 


4o6  L'elettroiecuica 


una  grande  resistenza  apparente  di  selfinduzione,  e  l'altro  abbia 
invece  una  grande  resistenza  effettiva  e  sia  privo  di  selfin- 
duzione. 

Un  altro  modo  consiste  nell'adoperare  le  due  correnti  pri- 
maria e  secondaria  di  un  trasformatore,  nel  circuito  secondario 
del  quale  siasi  inserita,  per  produrre  la  voluta  differenza  di  fase, 
una  resistenza  esente  da  autoinduzione.  Un  terzo  modo,  che 
non  è  che  una  modificazione  di  quest'ultimo,  consiste  nello  in- 
serire nel  circuito  di  una  corrente  alternativa  una  sola  delle  spi- 
rali impiegate  per  la  produzione  dei  campi  magnetici,  e  nel 
chiudere  l'altra  spirale  semplicemente  su  sé  stessa.  Se  allora  si 
ha  l'avvertenza  di  collocare  quest'ultima  in  modo  che  i  piani 
delle  due  spire  facciano  un  angolo  obliquo  con  quelli  delle  spire 
della  prima^  si  produce  senz'altro  in  essa  la  seconda  corrente 
alternativa  di  cui  si  ha  bisogno. 

Ma  secondochè  si  opera  in  un  modo  o  nell'altro,  secondochè 
si  adoperano  due  correnti  alternative  prodotte  in  due  circuiti 
distinti,  direttamente,  con  una  speciale  macchina  dinamoelettrica» 
oppure  si  adoperano  due  correnti  ricavate  da  un'unica  corrente 
alternativa  con  uno  degli  artifizi  sovra  enumerati,  le  condizioni 
del  motore  risultano  molto  diverse.  Nel  primo  caso  la  differenza 
di  fase  fra  le  due  correnti,  necessaria  per  la  produzione  del 
campo  magnetico  rotante,:  è  prodotta  dalla  macchina  dinamo* 
elettrica  stessa,  e  si  mantiene  indipendentemente  dal  valore  dei 
coefficienti  di  induzione  delle  due  spirali  del  motore,  purché 
tali  coefficienti  non  siano  molto  diversi  tra  di  loro.  Nel  secondo 
caso,  invece,  la  necessaria  differenza  di  fase  si  può  ottenere 
soltanto  coU'inserire  nel  circuito  di  una  delle  spirali  una  resi- 
stenza grande  a  fronte  della  resistenza  apparente  di  autoindu- 
zione esistente  nella  spirale  medesima.  Tale  resistenza  oziosa 
dev'essere  tanto  più  grande  quanto  più  è  grande  l'induzione 
propria  della  spirale,  quanto  più  è  grande  il  flusso  d'induzione 
che  essa  produce.  Si  è  adunque,  in  questo  caso,  obbligati  a 
sciupare  una  notevole  quantità  d'energia  col  solo  scopo  di  pro- 
durre la  differenza  di  fase;  o,  date  le  condizioni  del  circuito  e 
le  costanti  della  corrente,  si  è  obbligati  a  limitare  la  quantità 
di  ferro  contenuto  nel  motore,  ed  a  limitare  la  potenza  di 
questo. 

Per  questo  motivo  il  primo  motore  a  campo  magnetico 
rotante,  il  quale  servì  alle  esperienze  fatte  nel  1885  nel  Museo 
industriale   era   stato  composto   senza   ferro.   Esso   consisteva 


all'Esposizione  Universale  del  iSSg  in  Parigi.  407 

semplicemente  in  due  spirali  messe  in  croce  cogli  assi  mutua* 
mente  perpendicolari,  circondanti  un  cilindro  di  rame  portato 
da  un  albero  girevole  su  due  cuscinetti.  Una  delle  spirali,  avente 
poche  spire  di  grosso  filo,  era  inserita  nel  circuito  primario, 
l'altra,  comprendente  molte  spire  di  filo  più  sottile,  era  inserita 
nel  circuito  secondario  di  un  trasformatore  di  Gaulard.'  L'appa- 
recchio era  destinato  sovratutto  a  verificare  il  principio  ed  a 
dimostrare  la  possibilità  di  applicarlo  alla  costruzione  di  conta* 
tori  e  di  altri  strumenti  di  misura. 

Per  motori  di  maggiore  potenza  destinati  a  servire  come 
motori  industriali,  nei  quali  naturalmente  le  spirali  debbono 
essere  avvolte  su  nuclei  di  ferro,  bisogna  adoperare  due  cor- 
renti alternative  prodotte  direttamente  colla  voluta  differenza 
di  fase  dalla  macchina  generatrice.  Così  infatti  si  fanno  fun- 
zionare i  motori  industriali,  che  finora  si  costrussero  sul  prin- 
cipio del  campo  magnetico  rotante.  Il  più  conosciuto  di  questi 
apparecchi  è  il  motore  per  cui  prese  una  privativa  nel  i888 
Nicola  Tesla. 

In  tale  motore  il  campo  magnetico  rotante  è  prodotto  da  un 
anello  di  ferro  sul  quale  sono  avvolte  quattro  spirali  occupanti 
ciascuna  un  quadrante.  Ciascuna  spirale  è  collegata  in  serie  con 
quella  diametralmente  opposta,  in  modo  che  risultano  due  sole 
spirali  formate  ciascheduna  da  due  pezzi  uguali  ed  opposti;  in 
esse  si  mandano  le  due  correnti  alternative  discordanti.  L'ar- 
matura, che  gira  dentro  all'anello,  è  costituita  da  un  nucleo  la- 
minato di  ferro  sul  quale  sono  avvolte  spirali  chiuse  su  sé  stesse. 
Con  modificazioni  facili  ad  immaginarsi  la  macchina  può  anche 
essere  fatta  multipolare.  La  Società  Westinghouse  di  Pittsburg 
(Stati  Uniti)  ha  fatto  di  questo  motore  una  fabbricazione  com- 
merciale ed  ha  dato  cosi  al  medesimo  una  speciale  rinomanza. 
Per  l'impiego  dei  motori  in  un  sistema  di  distribuzione  di  energia, 
Tesla  e  la  Società  Westinghouse  hanno  proposto  un  sistema 
a  tre  fili,  che  evidentemente  è  sufficiente  per  la  trasmissione 
delle  due  correnti  alternative. 

Per  un  sistema  affatto  analogo  prese  una  privativa  anche 
ìsi  casa  Ganz  di  Budapest. 

Più  tardi,  il  signor  Tesla  ridusse  l'ufficio  del  suo  motore 
asincrono  a  quello  di  servire  all'incamminamento  di  un  motore 
sincrono.  Egli  propose  allora  di  far  servire,  nel  breve  periodo 
di  avviamento,  la  terra  come  conduttore  neutro,  riducendo  così 
a  due  i  conduttori  metallici  della  rete  di  distribuzione. 


4o8  L*  elettrotecnica 


Il  motore  Tesla  rappresenta  la  più  conosciuta,  ma  non  la 
sola  forma  di  apparecchio  colla  quale  si  possa  applicare  prati- 
camente il  principio  delle  rotazioni  elettrodinamiche.  Per  dare 
un'idea  della  varietà  delle  disposizioni  immaginabili,  citiamo 
dopo  il  motore  Tesla  ancora  un  motore  asincrono  di  Rankin 
Kennedy.  Questo  è  costituito  da  due  macchine  dinamo-elettriche 
bipolari  identiche,  nella  forma,  a  macchine  ordinarie  a  corrente 
continua,  ma  col  ferro  degli  elettromagneti  lamellare.  Le  due 
macchine  sono  poste  Tuna  d'accanto  all'altra  su  di  una  mede- 
sima base,  ed  hanno  l'albero  comune.  Le  due  armature,  portate 
dall'albero  comune,  non  hanno  commutatori  né  collettori,  ma 
semplicemente  ciascuna  spirale  dell'una  è  collegata  con  una  spi- 
rale dell'altra  e  forma  con  essa  un  circuito  chiuso.  Il  collega- 
mento è  fatto  in  modo  che,  mentre  la  spirale  appartenente  ad 
una  delle  armature  passa  nel  piano  neutrale,  quella  dell'altra 
armatura,  che  è  in  circuito  insieme  ad  essa,  si  trovi  nel  piano 
perpendicolare  al  piano  neutrale.  Per  far  funzionare  il  motore 
basta  inserire  gli  elettromagneti  delle  due  macchine  in  due  cir- 
cuiti nei  quali  si  abbiano  correnti  alternative  presentanti  una 
discordanza  di  fase  di  un  quarto  di  /periodo.  Per  i  maggiori 
modelli  il  Kennedy  propone  una  disposizione  multipolare. 

Bastano  le  sommarie  descrizioni  sovraesposte  per  mettere 
in  chiaro  i  pregi  ed  i  difetti  dei  motori  a  campo  magnetico  ro- 
tante. 

Un  pregio  sta  nella  estrema  semplicità  della  costruzione,  e 
sovratutto  nella  assenza  di  qualunque  commutatore  o  collettore. 
La  semplicità  del  servizio  derivante  dalla  mancanza  del  collet- 
tore, che  è  l'organo  più  delicato  di  tutte  le  macchine  dinamo- 
elettriche e  di  tutti  gli  altri  motori  elettrici,  è  tale  un  vantaggio 
che  basta  da  solo  a  spiegare  il  grande  favore  col  quale  i  nuovi 
motori  furono  salutati  dai  pratici.  Un  altro  pregio  sta  nella  pro- 
prietà che  essi,  come  del  resto  tutti  i  motori  asincroni,  hanno 
di  mettersi  spontaneamente  in  moto;  e  tale  pregio  è  qui  ancora 
accresciuto  dalla  circostanza,  che  il  verso  della  rotazione,  iT 
quale  per  un  dato  collegamento  dei  circuiti  è  determinato  e  co- 
stante, si  può  invertire,  quando  occorra,  colla  più  grande  faci- 
lità. Basta  a  tal  uopo  invertire  con  un  semplice  commutatore  le 
connessioni  dL  una  delle  spirali  col  rispettivo  circuito.  In  tal 
modo  si  fa  variare  di  i8o®  la  differenza  di  fase  fra  le  due  cor- 
renti, e  si  inverte  con  ciò  la  rotazione  del  campo  magnetico 
risultante. 


all'Esposizione  Universale  del  i88^  in  Parigi.  409 

In  molti  casi,  e  specialmente  quando  si  tratti  di  piccoli  mo- 
tori, bastano  evidentemente  gli  esposti  pregi  a  far  preferire  i 
motori  a  campo  rotante,  non  solamente  a  tutti  gli  altri  motori 
'elettrici  a  corrente  alternativa,  ma  anche  agli  ordinari  motori 
^  corrente  continua. 

Ma  se  si  tratta  di  motori  di  considerevole  potenza,  si  pre- 
sentano anche  inconvenienti  che,  giova  qui  riassumere.  In  primo 
luogo  dobbiamo  ricordare  che,  se  la  potenza  del  motore  elettrico 
non  è  così  piccola  che  non  si  abbia  da  tenere  alcun  conto  del 
rendimento,  non  si  può  pensare  ad  eccitarlo  con  due  correnti 
alternative  ricavate  entrambe  da  un  unico  circuito;  così  facendo 
si  sarebbe  obbligati,  per  produrre  tra  le  due  correnti  la  neces- 
saria differenza  di  fase,  ad  inserire  nel  circuito  di  una  di  esse 
una  resistenza  ohmica  grande  a  fronte  della  resistenza  appa- 
rente dovuta  alla  autoinduzione.  Quindi  si  andrebbe  incontro 
ad  uno  spreco  di  energia  inevitabile  e  grandissimo.  Bisogna 
adunque  eccitare  il  motore  con  due  correnti  alternative  prodotte 
^erettamente  nella  stazione  centrale  colla  voluta  differenza  di 
fase,  e  distribuite  per  mezzo  di  due  distinti  circuiti.  Occorre 
allora  costruire  l'intiera  rete  di  distribuzione  almeno  con  tre 
fili;  e  questo  è  un  inconveniente,  che  limita  evidentemente  Tap- 
.plicabilità  del  sistema.  A  questo  inconveniente,  che  è  proprio 
<iel  sistema,  si  sovrappone  poi  Taltro,  che  è  comune  a  tutti  i 
motori  asincroni  :  V  inconveniente  derivante  dal  dover  far  pas- 
sare le  correnti  alternative  in  spirali  presentanti  necessariamente 
jìotevoli  coefficienti  di  induzione  propria.  Noi  abbiamo  già  con- 
siderato poco  sopra  questo  fatto  ed  abbiamo  notato  che  in  con- 
seguenza di  esso  la  caduta  di  potenziale  prodotta  dal  motore 
ne'  circuiti  in  cui  è  inserito  risulta  notevolmente  maggiore  di 
<]uella  dovuta  alla  controforza  elettromotrice  utile ,  quindi  l'effi- 
cacia dell'intiero  impianto  risulta  diminuita. 

Questi  inconvenienti  si  potranno  certamente  attenuare.  Ed 
ain  mezzo  potrà  consistere  nell'impiegare  per  la  produzione  del 
<:ampo  magnetico  rotante  non  due  sole,  ma  tre  o  più  correnti 
-con  fasi  diverse.  Intanto  essi  spiegano  le  difficoltà  finora  incon- 
trate. Prevedendo  le  quali,  noi  nel  pubblicare  le  nostre  espe- 
rienze, *  prima  che  venissero  alla  luce  i  brevetti  di  Tesla,  di 
Kennedy  e  di  altri,  abbiamo  chiamata  in  modo  speciale  Tatten- 


^  Memoria  citata.  Atti  R.  Accademia  dille  Sciente  di  Torino  volume  XXIII. 
Adunanza  18  marzo  1888. 


4IO  L'elettrotecnica 


zione  su  alcune  applicazioni  ove  le  difficoltà  suaccennate  non 
esistono.  E  tali  applicazioni  appunto  ora  si  vanno  facendo  con 
pieno  successo;  sono  le  applicazioni  alla  costruzione  di  conta- 
tori per  correnti  alternative,  come  quelli  ora  notissimi  che  por- 
tano i  nomi  di  Borei,  di  Schallenberger,  di  Ferranti,  di  Blathy,  ecc. 
Un'altra  applicazione  è  quella  ora  coltivata  dal  Tesla,  quella 
colla  quale  si  fa  servire  un  motore  a  campo  magnetico  rotante 
come  apparecchio  ausiliario  per  la  messa  in  moto  di  un  motore 
sincrono.  Ma  in  tal  caso  è  questo,  il  motore  sincrono,  il  motore 
principale  e  non  v'ha  dubbio  che  per  esso  è  serbato  un  gran- 
dissimo avvenire. 


§  2.  Applicazioni  termiche. 

27.  Forni  elettrici.  —  Nella  esposizione  di  Parigi  del  1881 
Sir  William  Siemens  presentava,  nella  splendida  mostra  della 
casa  Siemens  Brothers  di  Londra,  un  apparecchio  per  la  fusione 
dei  metalli,  ed  eseguiva  con  esso  notevolissimi  esperimenti.  Il 
procedimento  adoperato  consisteva  nell'accumulare  in  uno  spazio 
chiuso  in  pareti  refrattarie  il  calore  svolto  da  un  arco  voltaico. 
L'apparecchio  era  semplicissimo:  consisteva  in  un  crogiuolo  di 
grafite,  a  grossa  parete,  il  fondo  del  quale  era  messo  in  comu- 
nicazione col  reoforo  positivo  di  una  macchina  dinamoelettrica. 
11  crogiuolo  si  riempiva  fino  a  metà  col  metallo  da  fondere,  e 
si  chiudeva  con  un  grosso  coperchio  di  terra  refrattaria  avente 
nel  centro  un  foro  circolare  destinato  a  dar  passaggio  al  reoforo 
negativo.  Tale  reoforo  poi  era  costituito  da  un  grosso  bastone 
cilindrico  di  carbone,  fabbricato  come  quelli  che  servono  per  le 
lampade  elettriche  ad  arco  voltaico.  Esso  era  sospeso  all'estre- 
mità  di  una  leva  di  prima  specie,  che  coll'altra  estremità  soste* 
neva  un  nucleo  di  ferro,  il  quale  colla  sua  metà  inferiore  pe- 
netrava nel  vano  di  una  spirale  cilindrica  verticale,  fatta  con 
grosso  filo  di  rame  isolato  e  collegata  in  serie  col  carbone.  Il 
tutto  costituiva  un  semplice  regolatore  analogo  a  quello  di  una 
lampada  elettrica  ad  arco  voltaico  con  avvolgimento  in  serie. 
Quando  il  circuito  era  rotto  e  nessuna  corrente  circolava  nella 
spirale,  il  carbone  stava  abbassato  e  si  appoggiava  colla  sua 
estremità  inferiore  sul  metallo  contenuto  nel  crogiuolo.  Ma 
chiuso  il  circuito,  la  corrente  circolante  nel  solenoide  esercitava 
sul  nucleo  di  ferro  una  forza   succhiante   per  cui  il  carbone  si 


all'Esposizione  Universale  del  iSSg  in  Parigi,  41 1 

sollevava  alquanto,  distaccandosi  dal  metallo.  Si  produceva  per 
tal  modo  tra  il  metallo  ed  il  carbone  un  arco  voltaico.  11  ca- 
lore dell'arco,  accumulandosi  man  mano  nel  crogiuolo,  produ- 
ceva  dopo  qualche  tempo,  in  quello  spazio  confinato,  una  tem- 
peratura elevatissima,  per  la  quale  il  metallo  fondeva* 

Quell'apparecchio  costituì  il  primo  forno  elettrico,  e  nella 
sua  primitiva  e  grossolana  semplicità  si  presentò  subito  come 
invenzione  feconda  di  numerose  ed  importantissime  applica- 
zioni. Nel  corso  di  tali  invenzioni  l'apparecchio  ricevette  poi 
forme  e  disposizioni  svariate. 

Presentemente  si  hanno  due  distinti  sistemi  di  forni  elet- 
trici; i  forni  ad  arco  voltaico,  che  hanno  per  tipo  primitivo  il 
descritto  apparecchio  di  Siemens;  ed  i  forni  che  possiamo  de- 
nominare a  circuito  chiuso,  che  hanno  per  tipo  quello  adope- 
rato da  Cowles  nell'elettrometallurgia  dell'alluminio. 

I  forni  di  questo  secondo  tipo  servono  quando  si  hanno  a 
fondere  materiali  poco  conduttori  a  freddo,  mediocremente  con- 
duttori allo  stato  di  fusione.  I  due  carboni  si  fanno  allora  pe* 
netrare  nel  materiale  contenuto  nel  forno  fino  ad  una  breve 
distanza  l'uno  dall'altro.  La  corrente  passa  cosi  attraverso  al 
frapposto  materiale,  lo  scalda  e  lo  fonde.  Di  mano  in  mano  che, 
procedendo  il  riscaldamento  e  la  fusione,  la  resistenza  specifica 
del  materiale  diminuisce,  si  allontanano  gradatamente  i  carboni 
per  mezzo  di  un  apposito  manubrio  comandato  colla  mano.  Per 
tal  modo  si  mantiene  costante  la  resistenza  e  si  continua  rego- 
larmente l'accumulazione  progressiva  del  calore. 

L'importanza  dei  forni  elettrici  sta  nel  fatto,  che  con  essi 
si  può  accumulare  in  uno  spazio  chiuso,  che  può  anche  essere 
piccolissimo,  una  grandissima  quantità  di  calore,  la  quale  non 
è  limitata  che  dalla  conduttività  e  dalla  fusibilità  delle  pareti.  Le 
conseguenze  del  quale  fatto  sono  due.  In  primo  luogo  si  pos* 
sono  con  un  forno  elettrico  produrre  temperature  incompara* 
bilmente  più  elevate  di  quelle  ottenibili  con  forni  ordinari  a 
combustione,  nei  quali  la  temperatura  è  limitata  dalla  necessità 
di  disseminare  il  calore  nella  grande  massa  dei  gas  prodotti 
dalla  combustione,  e  dal  fatto  della  dissociazione,  che  comincia 
ad  acquistare  una  importanza  quando  la  temperatura  supera  i 
1500°,  e  che  stabilisce  per  questa  un  limite  teorico  insuperabile. 
In  secondo  luogo  parecchie  operazioni  metallurgiche  consìstenti 
in  riduzione  di  ossidi  in  presenza  del  carbonio,  le  quali  coi 
forni  a  combustione   sono    impossibili,  perchè    consumano    una 


412  L'elettrotecnica 


quantità  di  calore  maggiore  di  quella  che  si  può  produrre  colla 
combustione,  sono  invece  possibili  e  si  possono  razionalmente 
tentare  per  mezzo  di  un  forno  elettrico. 

Le  applicazioni  più  importanti  fin  d'ora  tentate,  quelle  che 
presumibilmente  avranno  il  più  splendido  avvenire,  sono  ap- 
punto applicazioni  metallurgiche  :  sono  quelle  che  si  vanno  pro- 
vando con  impianti  veramente  industriali  e  grandiosi  nella  me- 
tallurgia dell'alluminio.  Fra  i  procedimenti  elettrometallurgici 
per  l'alluminio,  i  soli  che  finora  abbiano  dato  serie  speranze  di 
pratica  riuscita  e  che  si  possano  dire  applicati  in  scala  indu- 
striale, sono  quelli  di  Cowles,  di  Heroult  e  gli  affini,  nei  quali 
il  minerale  viene  ridotto  col  carbone  in  un  forno  elettrico.  Nella 
esposizione  si  notavano,  nella  sezione  americana,  alcuni  cam- 
pioni di  bronzi  di  alluminio  ottenuti  con  tali  procedimenti.  Sgra- 
ziatamente però  nulla  era  esposto  o  descritto  relativamente  agli 
apparecchi  ed  ai  procedimenti  adoperati  ;  quindi  in  queste  note, 
che  si  riferiscono  unicamente  alla  elettrotecnica,  non  si  può  far 
luogo  che  al  cenno  precedente. 

28.  Saldatura  elettrica:  sistema  De  Benardos,  —  Ma  per 
compenso  l'esposizione  presentava  cose  notevolissime  relativa- 
mente ad  un'altra  applicazione  termica  della  corrente  elettrica: 
alla  saldatura  elettrica. 

Anche  la  saldatura  elettrica  risale  al  1881;  ma  nella  espo- 
sizione di  quell'anno  non  figurava  ancora  ;  quindi  essa  costituiva 
nell'ultima  esposizione  una  novità  saliente. 

Coi  procedimenti  elettrici  si  ottiene  la  saldatura  autogena  di 
due  pezzi  metallici  per  mezzo  del  calore  prodotto  da  una  cor- 
rente. Ma  i  modi  per  ottenere  tali  risultati  sono  due,  e  corri- 
spondono ai  due  sistemi  di  forni  elettrici  sovradescritti.  Nell'uno 
il  calore  viene  svolto  in  un  arco  voltaico  prodotto  tra  i  pezzi 
da  saldarsi  ed  un  reoforo  di  carbone  tenuto  a  breve  distanza  da 
essi  ;  nell'altro  il  calore  viene  prodotto  nei  pezzi  medesimi,  messi 
a  contatto,  da  una  corrente  che  li  attraversa.  Anche  storicamente 
i  due  procedimenti  si  seguirono  coll'ordìne  stesso  nel  quale  si 
seguirono  i  forni  elettrici.  Il  primo  procedimento  tentato  fu  quello 
basato  sull'impiego  dell'arco  voltaico,  ed  è  dovuto  all'ingegnere 
russo  De  Benardos.  Le  prime  prove,  che  diedero  origine  al  pro- 
cedimento, furono  eseguite  da  De  Benardos  e  da  Kotinsky  nel 
laboratorio  del  signor  De  Kabath  per  la  saldatura  autogena  delle 
lastre  di  piombo  per  gli  accumulatori.  Più  tardi  il  De  Benardos 
generalizzò  il  suo  processo,  rendendolo  applicabile  alla  salda- 


all'Esposizione  Universale  del  iSSg  in  Parigi.  413 

tura  di  diversi  metalli,  ed  ottenne  in  proposito  nel  1885  una 
privativa. 

In  tale  procedimento  la  saldatura  di  due  pezzi  si  opera  su 
di  una  così  detta  incudine  elettrica;  la  quale  consiste  in  una  lastra 
di  ghisa  portata  da  una  tavola  isolante  e  tenuta  in  permanente 
comunicazione  col  polo  negativo  di  una  macchina  dinamoelet- 
trica o  di  una  batteria  di  accumulatori  di  forza  elettromotrice 
sufficiente  per  la  produzione  di  un  arco  voltaico.  Sull'incudine 
elettrica  si  collocano  i  pezzi  da  saldare  in  quella  posizione  re- 
lativa che  dovranno  avere  ad  operazione  compiuta.  Il  polo  posi- 
tivo della  macchina  dinamoelettrica  o  degli  accumulatori  si  mette 
in  comunicazione,  per  mezzo  di  un  cordone  flessibile,  con  un'asta 
di  carbone  portata  da  un  manico  isolante,  che  l'operaio  tiene 
colla  mano  destra. 

Appoggiando  per  un  istante  il  carbone  sul  metallo  e  poi 
risollevandolo  alquanto,  si  dà  origine  ad  un  arco  voltaico,  che 
fa  fondere  i  metalli.  Facendo  allora  scorrere  l'arco  lungo  i  lembi 
de' due  pezzi,  si  opera  tra  questi  la  saldatura  autogena.  È  inu- 
tile notare  che  durante  tutta  l'operazione  l'operaio  deve  avere 
gli  occhi  protetti  da  vetri  affumicati  portati  da  una  maschera  o 
da  un  telarino  a  mano,  o  da  appropriati  occhiali.  L'intensità  della 
corrente  deve  variare  colla  natura  del  lavoro  che  si  ha  da  fare. 
Perciò  in  uno  stabilimento  industriale  ove  si  voglia  applicare  il 
procedimento  a  vari  lavori  giova  adoperare,  come  di  fatto  si  fa, 
una  batteria  di  accumulatori,  della  quale  si  possa  utilizzare  in 
ogni  singolo  caso  quel  numero  di  elementi  che  meglio  conviene. 
Secondo  Ruhlmann  la  cosa  più  importante  dell'invenzione 
di  De  Benardos  consiste  nell'attaccare  il  carbone  al  polo  positiva 
invece  che  al  negativo  come  faceva  Siemens  nel  suo  forno  elet- 
trico. Il  più  rapido  consumo  del  carbone  è  infatti  compensata 
da  un  grande  vantaggio:  si  produce  sul  metallo  un'atmosfera 
riduttrice  che  impedisce  l'ossidazione.  Il  metallo  non  richiede 
alcuna  preparazione;  gli  ossidi  fondono  e  si  riducono  rapida- 
mente, o  formano  coU'argilla  sabbiosa,  spesso  impiegata  come 
fondente,  una  scoria  che  protegge  il  metallo. 
Si  può  anche  operare  sott'acqua. 

È  facile  capire  come  oltre  alle  ordinarie  saldature  si  pos- 
sano col  descritto  procedimento  fare  altri  lavori,  come  fori,  tagli, 
chiodature,  ecc.  È  similmente  facile  capire  come  apparecchi  sva- 
riati possano  impiegarsi  nei  vari  casi.  E  infatti  lo  stesso  De  Be- 
nardos ottenne  per  tali  apparecchi  più  di  una  privativa. 


414  L'elettrotecnica 


Fra  i  congegni  meritevoli  di  nota  proposti  da  questo  inven- 
tore cito  il  cosidetto  chalumeau  elettrico.  Questo  si  compone  di 
una  incudine  elettrica  e  di  due  carboni  per  la  produzione  deirarco. 
L'incudine  non  è,  come  quella  or  ora  descritta,  tenuta  in  comu- 
nicazione col  polo  negativo  del  generatore  di  corrente,  è  invece 
isolata,  ed  appoggiata  su  di  una  potente  elettrocalamita  attivata 
dalla  corrente  stessa  colla  quale  si  opera.  I  due  carboni  sono 
tenuti  l'uno  d'accanto  all'altro,  alquanto  convergenti,  da  un  co- 
mune sostegno  che  si  può  far  passeggiare  colla  mano  al  disopra 
dell'incudine.  Un  semplice  apparecchio  regola  la  distanza  delle 
punte  di  carboni  fra  le  quali  si  produce  l'arco  voltaico.  La  cor- 
rente adunque  non  passa  attraverso  i  metalli  da  saldare  ed  alla 
incudine,  e  l'arco  anziché  tra  un  carbone  ed  il  metallo,  si  forma 
tra  i  due  carboni,  vicino  al  metallo.  Ma  l'elettrocalamita  su  cui 
si  appoggia  l'incudine  attrae  l'arco  e  lo  incurva,  così  che  esso 
forma  un  dardo  il  quale  colpisce  il  metallo,  un  dardo  analogo 
a  quello  prodotto  dalle  ordinarie  lampade  dei  saldatori. 

Il  procedimento  di  De  Benardos  ebbe  qualche  applicazione 
pratica.  Una  di  queste,  la  quale  fece  parlare  molto  di  sé,  e  che 
diede  effettivamente  buoni  risultati,  é  quella  che  fece  Legrand 
alla  fabbricazione  dei  serbatoi  ermetici.  Tuttavia  l'impiego  di 
essi  dopo  alcuni  anni  di  esperimento  non  si  è  esteso,  né  attual- 
mente accenna  ad  estendersi  notevolmente. 

29.  Saldatura  elettrica,  sistema  Thomson.  —  È  probabile  in- 
vece che  ad  un  grande  avvenire  sia  chiamato  l'altro  procedimento, 
quello  ove  non  si  fa  uso  di  alcun  arco  voltaico,  ma  si  fa  passare 
la  corrente  direttamente  attraverso  ai  pezzi  da  saldare,  messi  a 
contatto.  Questo  procedimento,  dovuto  al  prof.  Elihu  Thomson, 
ha  fin  d'ora  acquistato  una  certa  importanza  industriale,  e  k 
privative,  che  lo  riguardano,  sono  attualmente  proprietà  di  una 
società  americana,  detta  Thomson  Electric  Welding  Company, 
avente  sede  a  Boston,  la  quale  impiega  per  esso  notevoli  capitali. 
Questa  società  ha  presentato  a  Parigi  i  principali  suoi  apparecchi 
ed  ha  eseguito  con  essi  esperimenti  brillantissimi.  Benché  nei 
loro  tratti  principali  gli  apparecchi  di  Thomson  fossero  già  uni- 
versalmente conosciuti,  tuttavia  la  mostra  della  Thomson  Electnc 
Welding  Company  fu  una  delle  cose  più  notevoli  dell'Espo- 
sizione. 

Il  procedimento  di  Elihu  Thomson  consiste  nel  far  passare 
attraverso  ai  pezzi  da  saldare,  messi  a  contatto  e  conveniente- 
mente premuti  l'uno  contro  l'altro,  una  corrente  di  grande  inten« 


ali* Esposizione  Universale  del  1889  in  Parigi.  415 

sita.  Per  effetto  di  questa  i  pezzi  si  riscaldano  sulla  superficie 
di  contatto  e  nelle  vicinanze  di  essa,  si  rammolliscono,  e  col- 
l'aiuto  della  pressione,  che  intanto  si  va  esercitando  su  di  essi, 
penetrano  Tuno  nell'altro  e  si  saldano  perfettamente.  L'incan- 
descenza comincia  sulla  superficie  di  contatto  dei  due  pezzi,  e 
poi  si  propaga  a  sinistra  ed  a  destra  di  essa  per  un  piccolo  tratto, 
per  un  tratto  dell'ordine  di  grandezza  del  diametro  dei  pezzi 
che  si  saldano.  Essa  intanto,  continuando  l'operazione,  si  fa  di 
più  in  più  viva.  Egli  è  appunto  dalla  vivezza  dell'incandescenza, 
che  l'operatore,  edotto  dalla  pratica,  giudica  del  momento  op- 
portuno per  sospendere  l'operazione.  La  saldatura  comincia  nel- 
l'interno, e  si  propaga  gradualmente  verso  l'esterno,  per  modo 
che,  quando  essa  appare  fatta  sulla  superficie,  essa  è  certamente 
perfetta  anche  nell'interno. 

Il  procedimento  riposa  su  questo  fatto  notevole:  che  durante 
tutta  l'operazione  il  calore  prodotto  dalla  corrente  si  manifesta 
localizzato  in  uno  strettissimo  spazio  in  vicinanza  della  super- 
ficie di  contatto  dei  due  pezzi.  Tale  fatto  si  spiega  facilmente. 
In  principio  quando  i  due  pezzi  sono  semplicementi  appoggiati 
l'uno  contro  l'altro,  la  resistenza  elettrica  è  evidentemente  mag- 
giore sulla  superficie  di  contatto  che  nelle  altre  parti  del  circuito, 
ove  si  ha  la  continuità  metallica.  Quindi  là  sulla  superficie  di 
contatto  si  svolge,  per  reff*etto  di  Joule,  la  massima  parte  del 
calore  equivalente  all'energia  della  corrente,  là  si  produce  subito 
l'incandescenza  e  la  fusione  parziale  del  metallo.  Quando  poi 
-questa  prima  fase  dell'operazione  è  compiuta  ed  i  due  pezzi  hanno 
cominciato  a  saldarsi  insieme,  il  metallo,  che  nel  luogo  della 
saldatura  è  caldissimo  e  semifuso,  presenta  una  resistenza  spe- 
cifica notevolmente  maggiore  di  quella  che  presenta  là  dove  è 
freddo  ;  quindi  reff*etto  di  Joule  seguita  a  prodursi  specialmente 
in  quella  regione,  e  l'incandescenza  non  solo  si  mantiene,  ma 
seguita  ad  aumentare. 

In  causa  della  compressione,  che  si  esercita  tra  i  pezzi  mentre 
sono  rammolliti  dal  calore,  si  produce  nel  luogo  della  saldatura 
un  rigonfiamento  della  sbarra,  che  bisogna  poi  togliere  colla  lima. 

Ma,  tolto  questo  rigonfiamento,  la  struttura  del  metallo  nel 
luogo  ove  è  stata  fatta  la  saldatura  si  mostra  così  omogenea  da 
rendere  irriconoscibile  l'esistenza  della  saldatura  medesima.  La 
struttura  del  metallo  nel  luogo  dove  si  è  fatta  la  saldatura  è  ge- 
neralmente fibrosa  se  si  tratta  di  ferro,  granulosa  se  si  tratta 
di  acciaio.   La  resistenza  alla  trazione  risulta  nel  luogo  della 


4i6  L'elettrotecnica 


saldatura  pressoché  uguale  a  quella  che  si  ha  nelle  altre  parli 
del  metallo. 

Per  mettere  in  pratica  il  descritto  metodo  di  saldatura,  bi- 
sogna far  passare  attraverso  i  pezzi,  che  si  hanno  da  riunire, 
una  corrente  di  tale  intensità  da  provocare  nei  pezzi  medesimi^ 
nel  modo  che  abbiam  detto,  una  elevatissima  temperatura.  Oc- 
corrono adunque  correnti  di  intensità  proporzionata  alla  sezione 
dei  pezzi  sui  quali  si  vuole  operare;  e  se  tale  sezione  misura 
qualche  centimetro  quadrato,  la  corrente  deve  avere  una  inten- 
sità di  migliaia  di  ampère.  Per  compenso  il  circuito  si  può  sempre 
fare  così  che  la  sua  resistenza  elettrica  sia  minima;  e  quindi  la 
necessaria  corrente  si  può  ottenere  per  mezzo  di  piccolissime 
forze  elettromotrici,  per  esempio,  per  mezzo  di  una  frazione  di  volt. 
Per  produrre  le  minime  forze  elettromotrici  e  le  enormi 
intensità  di  corrente  di  cui  si  ha  bisogno,  e  per  far  variare  e 
regolare  a  seconda  della  natura  del  lavoro  i  valori  delle  une  e 
delle  altre,  la  cosa  più  comoda  e  più  pratica  che  si  possa  fare 
è  di  far  uso  di  apparecchi  a  corrente  alternativa  compren- 
denti opportuni  trasformatori.  Così  fa  il  professore  Elihu  Thom- 
son, ed  anzi  il  nodo  della  sua  invenzione  e  la  ragione  del  suo 
successo  stanno  appunto  nell'idea  di  far  servire  alla  operazione 
della  saldatura  elettrica  correnti  alternative. 

Gli  apparecchi,  che  Elihu  Thomson  fecesi  brevettare,  sono 
numerosi,^  parecchi  di  essi  figuravano  nella  mostra  di  Parigi, 
ma  tutti  sono  a  corrente  alternativa. 

Per  la  saldatura  di  piccoli  pezzi,  di  fili  o  di  verghette 
di  diametro  minore  di  13  millimetri,  si  adopera  direttamente, 
senza  Tintermediario  di  alcun  trasformatore,  la  corrente  alter- 
nativa data  da  una  macchina  dinamoelettrica  bipolare,  identica, 
nell'insieme,  ad  un'ordinaria  macchina  a  corrente  continua,  ma 
avente  sull'indotto  una  spirale  unica  collegata  con  un  collettore 
a  due  anelli. 

Per  la  saldatura  di  verghe  più  grosse  si  adopera,  invece, 
sempre  la  corrente  secondaria  di  un  trasformatore.  Il  trasforma- 
tore poi  è  variamente  conformato  e  proporzionato  a  seconda 
della  grandezza  delle  verghe.  Io  descrìverò,  come  esempio,  il 
più  grande  di  tutti,  quello  col  quale  nell'Esposizione  si  esegui- 
vano le  più  brillanti  esperienze,  saldando  in  pochi  minuti  aste 
di  acciaio  o  di  ferro  da  5  o  6  centimetri  di  diametro. 

È  questo  un  trasformatore  a  circuito  magnetico  chiuso.  Il 
nucleo  di  ferro  formante  il  circuito  magnetico  è  costituito  da  un 


air  Esposizione  Universale  del  1889  in  Parigi,  417 

tamburo  cilindrico  coU'asse  orizzontale,  composto  con  lamine  di 
ferro  isolate.  Esso  è  solidamente  fissato  su  di  uno  zoccolo  di 
ghisa  servente  di  base  a  tutto  l'apparecchio. 

La  spirale  primaria  è  avvolta  su  di  una  parte  del  tamburo 
nella  maniera  solita,  come  una  parte  di  una  spirale  di  Gramme. 
Data  la  natura  del  lavoro  che  si  vuole  eseguire,  data  quindi 
l'intensità  della  corrente  secondaria,  il  numero  delle  spire  ed 
il  diametro  del  filo  dipendono  dalla  forza  elettromotrice  della 
macchina  dinamoelettrica  e  dall'intensità  della  corrente  primaria 
che  si  ha  da  adoperare.  Ed  un  pregio  dell'apparecchio  sta  ap- 
punto in  questo:  che  senza  modificare  nulla  nell'ossatura,  ma 
modificando  semplicemente  il  numero  delle  spire  adoperate,  si 
può  far  servire  il  medesimo  trasformatore  a  lavori  diversi,  oppure 
si  possono  far  servire  a  compiere  un  medesimo  lavoro  mac- 
chine dinamoelettriche  diverse.  Il  circuito  secondario  è  costituito 
da  un  semplice  quadro  o  telaio  rettangolare  passante,  con  uno 
de*  suoi  Iati  maggiori,  dentro  al  tamburo  di  ferro  in  modo  da 
risultare  con  questo  concatenato.  Tale  telaio  rappresenta  una 
spira  avvolta  sul  nucleo  di  ferro:  rappresenta  la  spirale  secon- 
daria: una  spirale  composta  di  un'unica  spira.  11  telaio  di  cui 
parliamo  è  nel  piano  orizzontale  passante  per  l'asse  del  tamburo 
di  ferro. 

Esso  poi  è  formato  con  una  grossissima  sbarra  massiccia 
di  rame.  La  sezione  trasversale  della  sbarra  è  quadrata  ed  ha 
una  superficie  non  minore  della  somma  delle  sezioni  delle  spire 
primarie.  Nel  modello,  che  ha  funzionato  a  Parigi,  la  sezione 
trasversale  della  sbarra  aveva  da  12  a  13  centimetri  di  lato.  Il 
descritto  telaio  non  forma  però,  da  solo,  un  circuito  chiuso;  in- 
fatti il  lato  esterno  parallelo  a  quello  passante  nell'anello  di 
ferro,  è  interrotto  verso  la  metà  della  propria  lunghezza.  Ma  sui 
due  pezzi  di  esso,  i  quali  servono  come  guide,  si  appoggiano  e 
possono  scorrere  due  robustissime  e  massiccie  morse  di  bronzo 
alle  quali  si  raccomandano  le  due  sbarre  destinate  ad  essere 
saldate  insieme.  Una  delle  morse  è  collegata  con  una  madrevite 
che  si  può  far  avanzare  o  retrocedere  girando  la  vite  con  un 
volantino. 

Per  chiudere  il  circuito  bisogna  mettere  a  posto  nelle  morse 
i  due  pezzi  da  saldare,  e  poi  girare  il  volantino  finché  questi 
sieno  venuti  a  contatto.  Il  circuito  allora  comprende  i  pezzi  da 
saldare  e  la  corrente  secondaria  passa  attraverso  alla  superficie 
di  contatto  dei  medesimi.  Chiuso  il  circuito  ed  incominciata  la 

G.  Ferraris,  Optrt,  Voi.  II.  aj 


4i8      L'elettrotecnica  all'Esp.  Univers.  del  1889  in  Parigi. 

saldatura,  il  medesimo  volantino,  che  si  governa  colia    mano, 
serve  a  provocare  tra  i  due  pezzi  la  necessaria  pressione. 

Nell'apparecchio  che  ha  funzionato  nell'Esposizione  di  Pa- 
rigi la  forza  elettromotrice  secondaria  era  di  circa  un  mezzo  volt, 
e  l'intensità  della  corrente  secondaria  raggiungeva  approssimati- 
vamente il  valore  di  26.000  ampère.  Si  adoperava  adunque  una 
potenza  motrice  di  circa  18  cavalli-vapore.  In  un  esperimento 
eseguito  con  questo  apparecchio  davanti  ai  membri  del  Congresso 
internazionale  degli  elettricisti  si  saldarono  perfettamente  nello 
spazio  di  195  minuti  secondi  due  sbarre  d'acciaio  del  diametro 
di  6  centimetri. 


SUL 

CONGRESSO   INTERNAZIONALE 

DI  ELETTRICITÀ  IN  CHICAGO, 
1893 


Il  Congresso  internazionale  di  elettricità,  che  si  tenne  in  Chi- 
cago dal  21  al  27  agosto  1893,  comprendeva  due  parti:  il  Con- 
gresso generale,  al  quale  potevano  essere  invitati  tutti  gli  elet- 
tricisti anche  senza  speciale  delegazione  dei  rispettivi  Governi; 
e  la  Camera  dei  delegati,  la  quale  era  costituita  dai  delegati  offi- 
ciali dei  vari  Governi.  È  a  questa  sezione  ufficiale  del  Congresso 
che  io  ebbi  l'onore  di  partecipare  come  delegato  del  Governo 
italiano;  e  dei  lavori  di  questa  io  debbo  rendere  conto  nella  pre- 
sente relazione. 

Premesso  un  cenno  sui  Congressi  anteriori,  dal  quale  risulti 
lo  stato  delle  questioni,  di  cui  il  Congresso  ha  dovuto  occuparsi, 
esporrò  dapprima  i  lavori  della  Camera  dei  delegati,  e  farò  se- 
guire le  considerazioni  svolte  nelle  discussioni  e  le  riflessioni 
alle  quali  danno  luogo  le  deliberazioni  prese. 

CAPO  I. 
Cenno  sui  Congressi  anteriori. 

I.  Congresso  di  Parigi,  iSSi.  —  11  primo  Congresso  di  elet- 
tricità,  che  era  stato  tenuto  a  Parigi  nel  1881,  aveva  adottato 
un  sistema  di  unità  di  misura  per  le  grandezze  elettriche,  che 
fu  accettato  in  tutti  i  paesi  e  divenne  la  base  di  tutte  le  misure 
e  di  tutte  le  contrattazioni.  Quel  Congresso  deve  a  questo  risul- 
tato la  sua  importanza.  La  scelta  delle  unità,  fatta  d'accordo 


420  Sui  Congresso  Iniernaziofiale 

dagli  scienziati  e  dai  tecnici  di  tutte  le  nazioni,  rese  facilmente 
comparabili  le  esperienze  di  tutti  gli  studiosi  e  di  quelli  che  fanno 
delle  applicazioni  elettriche  l'oggetto  di  intraprese  industriali; 
l'aver  trovato  per  le  principali  unità  di  misura  nomi  convenienti 
e  l'aver  fatto  accettare  questi  nomi  dagli  elettricisti  di  tutte  le 
nazioni,  tolse  di  mezzo  la  confusione  che  prima  derivava  dalla 
molteplicità  dei  significati  che  una  medesima  parola  aveva  nei 
diversi  paesi  ;  Tavere  prescelto  un  sistema  di  misure  assolute 
facilitò  tutti  i  calcoli,  così  frequenti  nelle  applicazioni,  coi  quali 
da  grandezze  meccaniche  si  deve  passare  a  grandezze  elettriche^ 
o  viceversa;  Tavere  scelto  le  unità  fondamentali  in  modo  da 
collegare  le  unità  elettriche  col  sistema  metrico  decimale  fece  sì 
che  tutte  le  unità  di  misura,  in  uso  nella  scienza  e  nelle  appli- 
cazioni industriali,  costituissero  un  unico  sistema  completo  ed 
armonico;  Taver  fatto  accettare  questo  sistema  di  misure  dagli 
elettricisti  di  tutti  i  paesi  ebbe,  ed  avrà,  Teifetto  di  accelerare^ 
almeno  pei  lavori  scientifici,  l'adozione  del  sistema  metrico  de- 
cimale anche  in  quelle  nazioni,  ove  questo  sistema  non  è  attual- 
mente di  uso  generale. 

2.  Il  sistema  di  unità  adottato  da  quel  Congresso  era  quelIo^ 
stesso  che  già  nel  1862  era  stato  prescelto  dalla  Associazione 
òriiannica  per  V avanzamento  delle  scienze.  Esso  era  il  sistema 
elettromagnetico  di  Wilhelm  Weber,  e  le  unità  che  lo  costitui- 
vano non  differivano  da  quelle  adoperate  dal  grande  scienziate^ 
tedesco  se  non  per  una  diversa  scelta  delle  unità  fondamentali 
di  lunghezza,  di  massa  e  di  tempo.  Weber  aveva  adoperato  nelle 
sue  ricerche  come  unità  fondamentali  il  millimetro,  la  massa  di 
un  milligrammo  ed  il  minuto  secondo  di  tempo  solare  medio» 
L'Associazione  britannica  invece  ed  il  Congresso  di  Parigi  adot- 
tarono come  unità  di  lunghezza  e  di  massa  il  centimetro  ed  il 
grammo;  e  inoltre,  collo  scopo  di  ottenere  unità  di  grandezze 
più  comode  per  la  pratica,  avevano  scelto: 

i.«  Come  unità  pratica  per  le  resistenze  elettriche  una  re- 
sistenza eguale  a  10^  unità  assolute; 

2.°  Come  unità  pratica  di  forza  elettromotrice  una  forza 
elettromotrice  eguale  a  10^  unità  assolute; 

3.°  Come  unità  pratiche  di  intensità  di  corrente  e  di  quan- 
tità di  elettricità  una  intensità  ed  una  quantità  eguali  a  10—^ 
unità  assolute; 

4.°  Come  unità  pratica  di  capacità  elettrostatica  una  capa- 
cità eguale  a  io— ^  unità  assolute;  ^ 


di  elettricità  in  Chicago,  iS^j.  421 

5.<>  Finalmente  come  unità  pratiche  di  lavoro  meccanico  e 
di  potenza  meccanica  un  lavoro  ed  una  potenza  eguali  a  io' 
unità  assolute. 

Le  unità  così  definite  costituiscono  un  sistema  assoluto  basato 
sulle  unità  fondamentali  seguenti:  10^  centimetri,  io— "grammi, 
«  minuto  secondo. 

3.  L'Associazione  britannica  aveva  proposto  già  di  dare  ad 
alcune  di  queste  unità  pratiche  nomi  scelti  in  modo  da  ricordare 
quelli  dei  grandi  elettricisti,  ai  quali  sono  più  specialmente  do- 
vute le  nozioni  alle  quali  le  unità  di  misura  stesse  si  riferiscono. 
Per  la  unità  pratica  di  resistenza  essa  aveva  proposto  il  nome 
di  ohm;  per  quella  di  forza  elettromotrice  il  nome  di  volt]  per 
quella  di  capacità  elettrostatica  il  nome  di  farad. 

Il  Congresso  di  Parigi,  mentre  diede  al  sistema  di  unità  della 
Associazione  britannica,  già  diflfuso  ed  universalmente  adoperato 
fra  i  tecnici,  una  sanzione  internazionale,  accettò  pure  questi 
nomi;  però  dovette  preoccuparsi  di  dare  dei  nomi  anche  alle 
altre  unità  di  misura.  L'avere  infatti  lasciata  incompleta  la  lista 
dei  nomi  aveva  dato  luogo  a  confusioni  deplorevoli.  Mentre  al- 
cuni, seguendo  la  proposta  dell'Associazione  britannica,  comin- 
ciavano ad  abituarsi  ad  esprimere  la  quantità  di  elettricità  in 
farad  per  volt,  ed  a  denominare  conformemente  le  intensità  di 
corrente,  altri  venivano  proponendo  per  queste  grandezze  nomi 
diversi.  Alcuni  davano  all'unità  pratica  di  quantità  il  nome  di 
weber,  e  denominavano  per  conseguenza  l'unità  di  corrente:  un 
weber  per  minuto  secondo.  Altri  denominavano  iveber  addirit- 
tura L'unità  pratica  di  intensità;  altri  collo  stesso  nome  designa- 
vano l'unità  di  intensità  assoluta  centimetrica  (C.  G.  SJy  altri 
davano  il  nome  di  weber  all'unità  assoluta  di  intensità  nel  sistema 
millimetro,  milligramma,  secondo,  ossia  all'unità  della  quale  si 
era  servito  Wilhelm  Weber  nelle  sue  classiche  ricerche.  Di 
qui,  come  sopra  si  disse,  una  confusione,  per  rimediare  alla  quale 
era  indispensabile  che  il  Congresso  stabilisse  in  modo  definitivo 
ed  imponesse  colla  sua  autorità  i  nomi  di  tutte  le  unità  compo- 
nenti il  sistema  da  esso  adottato. 

Il  Congresso  opinò  che  il  solo  modo  di  por  termine  alla 
lamentata  confusione,  derivante  dalla  pluralità  dei  significati  at- 
tribuiti alla  parola  weber,  fosse  quello  di  escludere  addirittura 
questo  nome  dal  novero  di  quelli  delle  unità  pratiche.  All'unità 
pratica  di  intensità  di  corrente  diede  perciò  il  nome  di  ampère/ 
a  quella  di  quantità  di  elettricità  diede  il  nome  di  coulomb;  e  man- 


422  Sui  Congresso  Internazionale 

tenne  quello  di  farad  per  l'unità  pratica  di  capacità  elettrostatica. 
Non  si  pensò  a  scegliere  alcun  nome  per  designare  i  coefficienti 
di  induzione,  perchè,  in  quel  tempo,  quando  non  avevano  ancora 
acquistato  alcuna  importanza  pratica,  né  accennavano  ad  acqui- 
starla i  sistemi  a  corrente  alternativa,  i  coefficienti  di  induzione 
non  si  annoveravano  fra  le  grandezze  elettriche  di  uso  continuo. 

4.  Di  un'altra  necessità  si  preoccupò  il  Congresso  di  Parigi: 
di  quella  di  dare  ai  pratici,  oltre  alle  definizioni  teoriche  delle 
unità  principali,  definizioni  pratiche  e,  se  possibile,  campioni  cor- 
rispondenti. 

Le  unità  dianzi  definite  non  avrebbero  potuto  essere  accolte 
nella  pratica,  se  non  alla  condizione  che  si  potessero  definire  le 
grandezze  di  alcune  di  esse  per  mezzo  dei  loro  rapporti  con 
grandezze  della  medesima  specie  facilmente  riproducibili  e  con- 
servabili come  campioni.  Né  il  Congresso  avrebbe  prescelto  il 
sistema  elettromagnetico  se  non  avesse  creduto  possibile  deter- 
minare in  un  tempo  non  lontano,  con  sufficiente  approssimazione, 
tali  rapporti.  Più  d'ogni  altra  era  sentita  la  necessità  di  avere  un 
campione  dell'o/r/;/,  od  almeno  di  conoscere  con  sicurezza  il  rap- 
porto àtWohm  con  un  campione  di  resistenza  atto  ad  essere 
riprodotto,  senza  bisogno  di  ricorrere  ogni  volta  a  misure  as- 
solute. 

La  stessa  necessità  era  già  stata  riconosciuta  dalla  Associr- 
zione  britannica,  la  quale  si  era  perciò  occupata  essa  stessa  di 
misure  miranti  ad  ottenere,  espressa  in  unità  elettromagnetiche» 
la  resistenza  di  fili  metallici,  ed  a  costruire  campioni  dell'ohm. 
Ma  le  sue  misure  non  erano  state  esenti  da  inesattezze.  Oltre 
a  ciò  la  scelta  di  un  metallo  solido  per  costruire  praticamente 
il  campione  dava  luogo  ad  obbiezioni.  Era  adunque  indispensa- 
bile che  nuove  ricerche  venissero  a  stabiHre  se  e  con  quale  pre- 
cisione le  resistenze  elettriche  si  potessero  sperimentalmente 
comparare  colla  unità  elettromagnetica  prescelta;  era  necessario 
inoltre  por  termine  alle  discussioni  sul  metallo  da  scegliersi  per 
definire  praticamente  l'unità.  Il  Congresso  del  1881  risolse  questa 
seconda  questione  stabilendo,  che  il  valore  dtWohm  dovesse 
praticamente  definirsi  per  mezzo  della  lunghezza  di  una  colonna 
di  mercurio  a  zero  gradi,  colla  sezione  trasversale  di  un  milli- 
metro quadrato.  Ed  in  quanto  alla  prima  questione,  a  quella  re- 
lativa al  valore  dell'o//;;/,  deliberò  che  lo  studio  di  essa  fosse 
affidato  ad  una  Conferenza  internazionale,  che  il  Governo  fran- 
cese si  sarebbe  incaricato  di  convocare  a  Parigi. 


di  elettricità  in  Chicago,  iS^j,  423 

5.  Oltrecchè  delle  misure  elettriche,  il  Congresso  aveva  do- 
vuto occuparsi  della  scelta  di  una  unità  per  le  misure  fotome- 
triche. Infatti  le  più  grandiose,  e  quasi  le  sole  applicazioni  indu- 
striali delle  correnti  elettriche  erano  allora  quelle,  che  si  facevano 
per  la  illuminazione.  Anche  delle  misure  fotometriche  il  Congresso 
deliberava  di  deferire  lo  studio  alla  Conferenza  internazionale. 

Alla  medesima  Conferenza  si  era  rimesso  lo  studio  di  altre 
questioni,  e  propriamente  di  quelle  relative  alla  organizzazione 
ed  al  coordinamento  delle  osservazioni  sulla  elettricità  atmosfe- 
rica e  sui  parafulmini.  Ma  di  tale  questione  non  ebbero  ad  oc- 
cuparsi i  Congressi  posteriori. 

6.  Conferenza  internazionale  di  Parigi,  1S82  e  1884.  —  La 
Conferenza  internazionale  proposta  dal  Congresso  venne  con- 
vocata una  prima  volta  nel  1882.  In  quella  prima  riunione  essa 
prese  ad  esame  i  vari  metodi  per  la  misura  assoluta  delle  resi- 
stenze, e  discusse  i  risultati  che  con  essi  si  erano  fin  d'allora 
ottenuti.  Fra  questi  risultati  essa  non  trovò  una  vera  concor- 
danza sufficiente  per  definire,  secondo  il  compito  ricevuto,  la  lun- 
ghezza della  colonna  di  mercurio  rappresentante  To/rw,  con  una 
approssimazione  sufficiente  per  le  ordinarie  misure  ;  essa  quindi 
si  limitò  ad  indicare  agli  sperimentatori  di  tutti  i  paesi  quelli 
fra  i  metodi  di  misura  che  giudicava  suscettibili  di  maggiore 
precisione,  e  ad  esprimere  il  voto,  che,  col  sussidio  dei  vari 
Governi,  le  ricerche  con  quei  metodi  si  moltiplicassero.  Intanto 
la  Conferenza  stabiliva  la  massima,  che  l'approssimazione  nel  va- 
lore deir^/ff»  avesse  da  ritenersi  sufficiente  quando,  e  solo  quando^ 
Terrore  probabile  non  superasse  un  millesimo;  e  proponeva  al 
Governo  francese  di  convocare  una  seconda  sessione  nell'anno 
successivo. 

7.  Per  ciò  che  riguarda  l'unità  di  misura  per  la  fotometria 
la  Conferenza  si  trovò  nella  impossibilità  di  fare  una  scelta  de- 
finitiva fra  i  campioni  usuali  di  luce,  completamente  empirici  e 
male  confrontabili,  e  l'unità  proposta  dal  Violle,  la  quale,  benché 
rispondente  ad  una  più  precisa  definizione  teorica,  non  era  an- 
cora sufficientemente  sperimentata  per  essere  ritenuta  pratica. 
Essa  perciò  sì  limitava  ad  affermare  l'importanza  e  l'urgenza 
della  questione,  votando  la  seguente  deliberazione: 

**  La  Conferenza,  riconoscendo  che  le  ricerche  fatte  finora 
danno  luogo  a  sperare  che  la  luce  emessa  dal  platino  fondente 
potrà  condurre  ad  un  campione  assoluto,  emette  il  voto  che 
queste  esperienze  vengano  proseguite. 


424.  Sul  Congresso  Internazionale 

•"  Come  campione  secondario  usuale,  la  Conferenza  racco- 
manda rimpiego  della  lampada  Carcel  del  tipo  adoperato  per  la 
verificazione  del  gas,  dovuto  a  Dumas  e  Regnault,  od  una  lam- 
pada equivalente  impiegata  colle  medesime  cautele. 

"  Le  candele  possono  egualmente  servire,  se  si  ha  sufficiente 
cura  per  assicurare  l'identità  di  composizione,  di  forma,  di  co- 
struzione e  di  consumazione. 

"  Per  le  esperienze  di  precisione  e  per  certe  applicazioni, 
come  pei  fari,  il  confronto  delle  luci  deve  essere  fatto  mediante 
una  analisi  dei  differenti  elementi  che  le  costituiscono. 

**  La  Conferenza  reitera  la  decisione  del  Congresso  del  i88j, 
in  virtù  della  quale  qualunque  determinazione  di  un  focolare 
elettrico,  ed  in  generale  di  qualunque  focolare  che  irradii  diffe- 
rentemente nelle  diverse  direzioni,  deve  comprendere,  come  ele- 
mento essenziale,  la  formola  di  questo  focolare,  cioè  la  relazione 
che  esiste  fra  l'intensità  luminosa  e  la  direzione  dei  raggi.  „ 

8.  La  seconda  sessione  della  Conferenza  ebbe  luogo  a  Pa- 
rigi nella  primavera  del  1884.  In  essa  si  credette  opportuno  di 
dare  senz'altro  ritardo  la  definizione  pratica  dellVA/w,  e  quan- 
tunque non  si  avessero  ancora  dati  sufficienti  per  assicurare  che 
la  differenza  fra  Vohm  così  definito  e  la  resistenza  di  io*  unità 
assolute  fosse  minore  di  un  millesimo,  come  nella  prima  sessione 
erasi  stabilito  che  dovesse  essere,  quantunque  anzi  si  fosse  quasi 
certi  di  commettere  un  errore  di  alcuni  millesimi,  tuttavia  si  votò 
una  deliberazione  fissante  in  106  centimetri  la  lunghezza  della 
colonna  di  mercurio  rappresentante  l'unità  pratica  di  resistenza. 
Per  ricordare  che  l'unità  così  fissata  non  era  esattamente  eguale 
a  quella  denominata  ohntf  si  deliberò  di  dare  ad  essa  il  nome 
di  ohm  legale,  e  si  formulò  la  sua  definizione  nel  modo  seguente: 

L'ohm  legale  è  la  resistenza  di  una  colonna  di  mercurio  di 
un  millimetro  quadrato  di  sezione  e  di  106  centimetri  di  lun- 
ghezza alla  temperatura  del  ghiaccio  fondente. 

A  questa  deliberazione  si  fece  seguire  il  voto  che  il  Governo 
francese  volesse  trasmettere  questa  risoluzione  ai  diversi  Stati 
e  raccomandarne  l'adozione  internazionale. 

La  Conferenza  continuava  poi  l'opera  sua  dando  nel  modo 
seguente  le  definizioni  ótWamfiere  e  del  volt: 

"  U ampere  è  la  corrente  la  cui  misura  assoluta  è  io  — *  unità 
elettromagnetiche  C  G,  S, 

"  Il  volt  è  la  forza  elettromotrice  che  mantiene  la  corrente  di 
un  ampere  in  un  conduttore,  la  resistenza  del  quale  è  Vohm  legale. 


di  elettricità  in   Chicago,  iSpj,  425 


"  In  questo  modo  la  Conferenza  definiva,  per  mezzo  di  un 
campione,  soltanto  la  prima  delle  tre  unità  di  resistenza,  di  cor- 
rente e  di  forza  elettromotrice;  conservava  per  la  seconda  la 
definizione  basata  sulle  misure  assolute,  e  definiva  la  terza  per 
mezzo  delle  due  prime.  „ 

9.  Come  unità  di  luce  la  Conferenza  adottava  senz'altra  esi- 
tazione quella  proposta  dal  Violle,  e  la  precisava  formulandone 
<iuesta  definizione: 

**  L'unità  di  ciascuna  luce  semplice  è  la  quantità  di  luce  della 
medesima  specie  emessa  in  direzione  normale  da  un  centimetro 
quadrato  di  superficie  di  platino  fuso  alla  temperatura  della  so- 
lidificazione. 

'*  L'unità  pratica  di  luce  bianca  è  la  quantità  totale  di  luce 
emessa  normalmente  dalla  medesima  sorgente.  „ 

10.  Congresso  degli  elettricisti  in  Parigi,  1889,  —  Nella  oc- 
casione della  Esposizione  universale  di  Parigi  nel  1889  ^^  tenuto 
in  quella  città  un  altro  Congresso  di  elettricità,  il  quale  ritornò 
sopra  le  unità  di  misura  coll'intendimento  di  completare,  colla 
guida  dei  bisogni  messi  in  evidenza  dalle  allargate  applicazioni 
elettrotecniche,  il  sistema  di  quelle  già  precedentemente  fissate. 
E  quantunque  il  Congresso  non  avesse  carattere  ufficiale,  come 
quello  del  1881,  tuttavia  le  sue  deliberazioni  furono  in  gran  parte, 
e  quasi  da  pertutto,  accettate.  Tali  deliberazioni  si  riferivano 
alle  unità  per  il  lavoro  meccanico,  per  la  potenza  motrice,  per 
la  luce,  per  i  coefficienti  di  induzione. 

Come  unità  di  lavoro  venne  adottato  il  joule,  e  come  unità 
di  potenza  motrice  venne  adottato  il  watt.  Entrambe  le  unità  si 
definirono  come  uguali  a  io"'  unità  assolute  C.  G.  S,;  si  indi- 
carono però,  d'accanto  alle  definizioni  rigorose,  i  valori  appros- 
simativi del  joule  e  del  watt  espressi  rispettivamente  per  mezzo 
dtWampere  e  ùtWohm. 

Il  nome  di  watt  era  già  stato  proposto  in  una  conferenza  te- 
nuta a  Filadelfia  nel  1884,  ma  non  era  stato  formalmente  adottato. 

Nell'adottare  le  sovradette  unità  di  misura,  il  Congresso 
esprimeva  anche  il  voto  che  non  solo  nella  elettrotecnica,  ma 
anche  nella  ordinaria  meccanica  industriale  si  avesse  nell'avve- 
nire ad  adoperare  come  unità  di  potenza  il  kilowatt,  abbando- 
nando l'unità  empirica  a  cui  si  dà  il  nome  di  cavallo- vapore. 

Questa  proposta  non  trovò,  nel  Congresso  di  meccanica  in- 
dustriale, che  in  quel  medesimo  tempo  era  riunito  in  Parigi, 
terreno  abbastanza  preparato  per  essere  formalmente  accettata; 


426  Stdl  Congresso  Internazionale 


ina  non  fu  del  tutto  priva  di  effetto,  perchè  nelle  scuole  ed  in 
quelle  industrie  che  hanno  più  frequenti  contatti  colle  industrie 
elettriche  l'impiego  del  kilowatt  andò  diffondendosi  con  progresso 
lento  ma  continuo. 

11.  Per  le  misure  fotometriche  il  Congresso,  ormai  convinto 
che  rimpiego  della  unità  di  Violle  non  poteva  diffondersi  nella 
pratica,  e  che,  a  dispetto  delle  deliberazioni  della  Conferenza 
internazionale  del  1884,  la  candela  continuava  ad  essere  l'unità 
preferita,  cercò  di  mantenere  il  nome  di  candela  senza  rinun- 
ziare ai  vantaggi  teorici  dell'unità  di  Violle.  Ciò  il  Congresso  cre- 
dette di  fare  proponendo  una  nuova  unità,  detta  candela  decimale^ 
la  quale  non  era  niente'  altro  che  la  ventesima  parte  dell'unità 
adottata  per  la  luce  bianca  dalla  Conferenza  del  1884. 

12.  La  convenienza  di  stabilire  un  nome  di  una  unità  anche 
per  esprimere  il  valore  dei  coefficienti  di  induzione  pareva  in 
quel  tempo  evidente,  in  grazia  del  notevole  incremento  che  ave- 
vano ricevuto  gli  impianti  elettrici  per  correnti  alternative.  Quindi 
erano  state  fatte  varie  proposte,  e  tra  queste  erano  accolte  col 
maggior  favore  quella  di  Ayrton  e  Perry,  consistente  nel  dare 
all'unità  il  nome  di  secohm^  quella  caldamente  raccomandata 
dagli  elettricisti  americani,  secondo  la  quale  il  nome  dell'unità 
avrebbe  ricordato  lo  scienziato  americano  Henry^  e  quella  la 
quale,  tenendo  conto  dei  fatti  che  nel  sistema  elettromagnetico 
le  dimensioni  di  un  coefficiente  d'induzione  sono  quelle  di  una 
lunghezza,  e  che  nel  sistema  di  unità  pratiche  l'unità  di  lunghezza 
è  di  IO®  centimetri,  ossia  un  quadrante  terrestre,  consisteva 
nell'esprimere  in  quadranti  anche  i  coefficienti  d'induzione.  Il 
Congresso  adottò  quest'ultima  proposta  denominando  quadrante 
l'unità  pratica. 

13.  11  Congresso  si  occupò  anche  di  fissare  alcune  defini- 
zioni di  grandezze,  che  frequentemente  occorrono  nello  studio  e 
nelle  applicazioni  delle  correnti  alternative,  e  così  definì  —  la 

frequenza f  —  il  valor  medio ,  —  il  valore  efficace,  —  la  resistenza 
apparente. 

Per  la  prima  volta  venne  messa  ihnanzi  in  quel  Congresso, 
dal  signor  Hospitalier,  la  idea,  per  molti  rispetti  lodevole  ed  at- 
traente, di  stabilire,  con  una  convenzione  od  intelligenza  inter- 
nazionale, alcune  regole  generali  per  le  abbreviazioni  dei  nomi 
delle  unità  e  per  i  simboli  da  adoperarsi  per  designare  nelle 
formole  le  varie  grandezze,  che  si  presentano  nella  considera- 
zione de*  fenomeni  elettromagnetici.  L'idea  fu  accolta  con  favore 


/ 


di  elettricità  in  Chicago,  iS^j,  427 

da  molti;  ma  per  la  evidente  difficoltà  derivante  dalle  differenze 
delle  lingue,  e  per  la  mancanza  del  tempo,  essa  non  potè  essere 
formalmente  adottata. 

14.  Congresso  di  Francoforte,  i8gi.  —  Nel  1891  fu  tenuto 
un  altro  Congresso  a  Francoforte  sul  Meno  in  occasione  della 
Esposizione  internazionale  di  elettricità.  Neppure  questo  Con- 
gresso aveva  carattere  ufficiale,  perchè  fra  i  membri  di  esso  non 
vi  erano  delegati  dei  governi.  Esso  poi  non  si  occupò  come  i 
precedenti  in  modo  speciale  delle  unità  di  misura.  Tuttavia  l'at- 
tenzione del  Congresso  fu  chiamata  sulle  questioni  relative  alle 
unità,  da  due  fatti. 

Il  primo  fatto  fu  la  formale  proposta  presentata  al  Congresso 
dal  signor  Hospitalier  di  stabilire  una  serie  di  convenzioni  sulle 
abbreviazioni  e  sui  sìmboli  per  le  grandezze  elettriche. 

Il  secondo  fu  la  proposta  presentata  dai  delegati  dell'Istituto 
americano  degli  ingegneri  elettricisti  di  dare  il  nome  di  he9try 
all'unità  di  misura  per  i  coefficienti  di  induzione. 

Per  studiare  le  proposte  di  Hospitalier  e  dell'Istituto  ame- 
ricano fu  dal  Congresso  nominata  una  Commissione,  la  quale 
però  non  potè  addivenire  ad  alcuna  deliberazione  definitiva.  La 
Commissione  riconobbe  tuttavia  l'opportunità  di  prendere  le  due 
proposte  in  seria  considerazione,  e,  nella  impossibilità  di  esau- 
rirne lo  studio  nel  breve  tempo  che  essa  aveva  a  sua  disposi- 
zione, espresse  il  voto  che  la  soluzione  delle  questioni  ad  esse 
relative  fosse  preparata  per  il  prossimo  Congresso  internazio- 
nale di  Chicago. 


CAPO  li. 
Congresso  di  Chicago. 

15.  Origini  del  Congresso,  —  Mentre  per  opera  dei  succes- 
sivi Congressi  tenuti  in  Europa  il  sistema  delle  misure  elettriche 
andava  formandosi  nel  modo  sovra  esposto,  sorgeva  in  America 
e  cresceva  a  grande  importanza  V American  bistitute  of  electrical 
Engineers.  Fondata  da  un  nucleo  d'elettricisti  nell'occasione  della 
Esposizione  di  Filadelfia  del  1884,  questa  Società  scientifica  e 
tecnica  crebbe  rapidamente  ed  estese  le  sue  diramazioni  e  la 
sua  attività  a  tutti  gli  Stati  Uniti.  Dopo  di  essersi  affermato  come 


428  Sul  Congresso  Internazionale 

il  rappresentante  dell'elettrotecnica  americana,  Tlstituto  sentì  i! 
bisogno  di  partecipare  al  movimento  scientifico  mondiale.  E  poi- 
ché colle  denominazioni  stabilite  nei  vari  Congressi  per  le  unità 
di  misura  si  erano  ricordati  i  nomi  di  grandi  scienziati  europei, 
così  sorsero  nell'Istituto  il  desiderio  ed  il  proposito  di  ottenere 
che  nel  medesimo  modo  venisse  onorato  il  nome  di  alcuni  dei 
maggiori  scienziati  americani. 

Già  al  Congresso  di  Parigi  del  1889  l'Istituto  americano 
inviava  delegati  con  l'incarico  di  proporre  alcuni  di  questi  nomi, 
e  segnatamente  quello  di  henry^  col  quale  l'Istituto  pensava,  che 
si  sarebhfe  dovuto  designare  l'unità  di  misura  per  l'induzione 
elettromagnetica.  La  proposta  fu  ripresentata  da  speciali  delegati 
dell'Istituto  al  Congresso  di  Francoforte  nel  1891,  e  come  è 
stato  detto  più  sopra,  essa  ebbe  colà  un  principio  di  accetta- 
zione, poiché  ne  fu  proposto  lo  studio  per  il  successivo  Con- 
gresso di  Chicago. 

Ma  l'Istituto  americano  intendeva  affermarsi  solennemente 
per  mezzo  di  un  Congresso  mondiale  convocato  in  America,  ed 
in  quel  Congresso  era  stabilito  in  precedenza  che  l'oggetto  prin- 
cipale di  discussioni  internazionali  dovesse  essere  quello  relativo 
alle  nuove  denominazioni,  e  specialmente  2\)^  henry,  L'Istituto 
faceva  della  adozione  di  questo  nome  questione  di  amor  pro- 
prio nazionale. 

Il  proposito 'di  riunire  un  Congresso  in  America  e  l'inten- 
zione di  sottoporre  alle  deliberazioni  del  medesimo  le  proposte 
dei  nuovi  nomi,  furono  fatte  conoscere  da  delegati  ofBciali  del- 
l'Istituto, tanto  nel  Congresso  di  Parigi  del  1889,  quanto  in  quello 
di  Francoforte  del  1891.  Fin  d'allora  era  fissata  l'idea  che  il  Con- 
gresso dovesse  avere  una  sezione  ufficiale. 

16.  Organizzazione  del  Congresso,  —  Il  Comitato  organiz- 
zatore, incaricato  dall'Istituto  di  formulare  il  programma  del  Con- 
gresso, stabih  che  questo  dovesse  riunire  il  carattere  di  un  li- 
bero convegno  di  elettricisti,  atto  ad  offrire  ad  essi  l'opportunità 
per  letture  scientifiche  e  tecniche  e  per  scambiarsi  le  idee  sulle 
attuali  questioni  tecniche  interessanti  l'industria  elettrica,  e  quello 
di  una  conferenza  internazionale  ufficiale  incaricata  di  discutere 
le  proposte  sulle  unità  di  misura,  e  rivestita  del  potere  neces- 
sario perché  le  deliberazioni  potessero  servire  dì  base,  quando 
ciò  occorresse,  a  una  convenzione  internazionale. 

Perciò  fu  stabilito  che  il  Congresso  risultasse  di  due  parti, 
ossia  di  un  Congresso  generale  e  di  un  Congresso  ufficiale. 


di  elettricità  in  Chicago,  rS^j,  429 

AI  Congresso  generale  si  sarebbero  ammesse  tutte  le  per- 
sone conosciute  come  esperte  nella  scienza  o  nella  tecnica  elet- 
trica od  interessate  nelle  industrie  relative.  Speciali  membri  del 
Comitato  esecutivo  residenti  ne' vari  paesi  avrebbero  comunicata 
al  Comitato  stesso,  per  le  rispettive  nazioni,  le  liste  delle  persone, 
alle  quali  col  detto  criterio  si  sarebbero  dovuti  mandare  gli  inviti. 

Il  Congresso  ufficiale,  o  la  Camera  dei  delegati,  doveva  es- 
sere formata  da  un  piccolo  numero  di  membri  delegati  officiai- 
mente  dai  Governi  delle  varie  nazioni  collo  speciale  proposito 
di  trattare  le  questioni  relative  alle  unità  di  misura.  Fu  stabilito 
che  il  massimo  numero  di  delegati  concessi  a  ciascuna  nazione 
dovesse  essere  cinque.  Questo  numero  di  delegati  fu  dato  agli 
Stati  Uniti,  alla  Gran  Brettagna,  alla  Germania  ed  alla  Francia; 
furono  assegnati  tre  delegati  airitalia,  all'Austria  Ungheria,  alla 
Svizzera  e  al  Belgio;  agli  altri  Stati  furono  assegnati  ora  due, 
ed  ora  un  solo  delegato. 

Fu  stabilito  inoltre,  acciocché  il  carattere  ufficiale  della  Ca- 
mera dei  delegati  fosse  meglio  affermato,  che  una  speciale  Com- 
missione di  cinque  membri,  scelti  nella  Camera  stessa  nella  prima 
riunione,  dovesse  esaminare  i  titoli  degli  intervenuti. 

Risposero  all'invito  e  mandarono  delegati,  oltre  agli  Stati 
Uniti,  la  Gran  Brettagna,  la  Francia,  l'Italia,  la  Germania,  il 
Messico,  l'Austria  Ungheria,  la  Svizzera,  la  Svezia,  il  Nord  Ame- 
rica inglese. 

17.  Costituzione  della  Camera  dei  delegati. —  1  delegati  pre- 
senti e  partecipanti  alle  discussioni  della  Camera  dei  delegati 
furono  i  seguenti  : 

Rappresentanti  degli  Stati  Uniti, 

Prof.  H.  A.  RowLAND,  dell'Università  John  Hopkins  di  Baltimora. 
Dott.  T.  C.  Mendenhall,  sopraintendente  dell'Ufficio  geodetico  degli  Stati 
Uniti  e  di  quello  dei  pesi  e  misure  in  Washington. 

Prof.  H.  S.  Carhart,  dell'Università  di  Michigan,  Ann  Arbor.  Mich. 

Prof.  Elihu  Thomson,  Lynn,  Mas. 

Dott  E.  L.  NicHOLS,  Università  Cornell  di  Ithaca,  N.  Y. 

Rappresentanti  della  Gran  Brettagna, 

W.  H.  Preece,  F.  R.  S.,  ingegnere  capo  del  Post-Offict  d'Inghilterra,  pre- 
sidente dell'Istituto  degli  ingegneri  elettricisti  di  Londra. 

W.  E.  Ayrton,  prof,  nella  City  and  Guilds  0/  London  Central  Instilution. 

Prof.  SiLVANUS  P.  Thompson,  dott.  se.  F.  R.  S.,  direttore  del  City  and 
Guilds  Technical  ColUgé,  di  Londra. 

Alex.  Siemens,  di  Londra. 


430  ^«^  Congresso  Internazionak 

RappresentanH  Mìa  Francia, 

E.  Mascart,  membro  dell'Istituto  dì  Francia. 

T.  VioLLE,  professore  al  Conservatorio  di  arti  e  mestieri  in  Parigi. 
De  La  Touanne,  ingegnere  governativo  dei  telegrafi,  Parigi. 
Edoardo  Hospitalier,  professore  alla  Scuola  di  fìsica  e  di  chimica  indu- 
striale della  città  di  Parigi. 
Dott.  S.  Leduc,  Nantes. 

Rappresentante  dell*  Italia, 

Galileo   Ferraris,  professore  di   elettrotecnica  nel  R.  Museo  industriale 
in  Torino. 

Rappresentanti  della  Germania, 

H.  E.  Hermann  von  Helmholtz,  presidente  del  Reichsanstalt  fisico-tecnico, 
professore  all'Università  di  Berlino. 
Dott.  Emil  BuDDRy  Berlino. 

A.  ScHRÀDER,  membro  dell'Ufficio  imperiale  dei  brevetti,  Berlino. 
Dott.  Ernesto  Voit,  professore  al  Politecnico  di  Monaco. 
Dott.  Otto  Luhmer,  membro  del  Riichsansialt  di  Berlino. 

Rappresentante  del  Messico, 
A.  W.  Chavez,  Messico. 

Rappresentante  dell'Austria. 
Dott.  Johann  Sahulka,  professore  nel  Politenico  di  Vienna. 

Rappresentanti  della  Svizzera, 

A.  Palaz,  professore  dell'Università  di  Losanna. 
René  Thury,  ingegnere  a  Ginevra. 

Rappresentante  della  Svezia, 
M.  Wennmann,  direttore  dei  telegrafi,  Stoccolma. 

Rappresentante  del  Nord- America  Inglese, 
Ormond  Higman,  elettricista  in  Ottawa. 

Le  sedute  della  Camera  dei  delegati  erano  presiedute  dal 
dott.  H.  Rowland  e  a  tutte  prese  parte   attiva   von  Heiraohitz. 

i8.  Lavori  della  Camera  dei  delegati,  —  Le  sedute  della  Ca- 
mera dei  delegati  durarono  6  giorni.  Dopo  dì  avere  stabilito  che 
la  lingua  ufficiale  fosse  la  lingua  inglese,  la  Camera  prese  nella 
sua  prima  seduta  la  deliberazione  che  a  ciascuna  nazione  fos- 


és  rkitridià  ìh  Chicago,  /v>\>,\  ^^i^i 


sero  assegnati  ndle  votazioni  tanti  voti  quanti  erano  i  dclci::^!! 
A  cui  aveva  diritto  in  conformità  del  piano  dì  orgaiui/A^ionc* 
Qualora  i  membri  di  una  medesima  delegazione  i^ì  ti\>vAssei\> 
cliscordi  in  qualche  questione,  ciascuno  axTebbc  diritto  alKt  sua 
parte  proporzionale  nel  voto  del  suo  Governo, 

Dopo  di  ciò  la  Camera  prese  tosto  in  esame  le  questioni 
€  le  proposte  su  cui  doveva  deliberare. 

Ma  nell'esporre  le  idee  svolte  nella  discussione  ed  i  risul- 
tati di  queste  non  è  qui  opportuno  seguire  Tordìne  esatto  nel 
quale  la  discussione  si  è  svolu.  Infatti,  per  esaurire,  nei  pochi 
giorni  a  sua  disposizione,  il  proprio  programma,  la  Camera  do- 
vette più  d'una  volta  servirsi  di  Commissioni  sjìecìalì  elette  nel 
suo  seno  ed  i  risultati  dei  lavori  di  queste  Commissioni  speciali 
dovettero  essere  presi  in  considerazione  man  mano  che  cs^ì 
venivano  comunicati,  e  quindi  senza  un  ordine  prestabilito.  La 
presente  relazione  risulterà  quindi  più  chiara  seguendo  quest'or» 
dine  :  si  enumereranno  dapprima  le  questioni  e  le  proposte  che 
stavano  davanti  alla  Camera;  poi  si  daranno,  riunite  come  in 
un  quadro,  le  deliberazioni  prese  dalla  Camera  medesima;  final- 
mente si  indicheranno  le  principali  considerazioni  che  si  svoN 
sero  nelle  discussioni  e  quelle  alle  quali  le  risoluzioni  adottate 
possono  dar  luogo. 

19.  Questioni  e  proposte  presentate  alla  Camera  dei  delegati.  — 
Le  questioni  e  le  proposte  che  la  Camera  dei  delegati  trovò 
dinanzi  a  sé  si  riferiscono  tutte,  coll'eccezione  di  una  sola  di 
secondaria  importanza,  la  quale  venne  scartata,  alle  unità  di 
misura,  ai  nomi  delle  medesime,  ed  alle  notazioni. 

V'era  in  primo  luogo  la  questione  se  si  avesse  a  dare  una 
nuova  definizione  dellWiw.  La  definizione  deiro//;/i  le^^ale  quale, 
forse  con  soverchia  premura,  era  stata  data  dalla  Conferenza 
parigina  del  1884,  non  soddisfaceva  alla  condizione  di  una  ap- 
prossimazione sufficiente  col  valore  della  resistenza  io"  C,  (l.  S,; 
invece  di  essere  inferiore  ad  un  millesimo  come  aveva  dichia- 
rato dover  essere  la  stessa  Conferenza  di  Parigi  nel  1882,  tale 
differenza  raggiungeva  circa  i  tre  millesimi.  Per  questa  ragionr 
il  Board  of  Trade  di  Londra,  ncJh  ostante  le  decisioni  della  Con» 
ferenza,  aveva  adottato  per  la  lunghezza  della  colonna  di  mer- 
curio che  rappresenta  Vohm  il  valore  dì  centimetri  106,3  \  '* 
questo  valore  aveva  incominciato  ad  adoperarsi  da  molti  Sf)eri- 
mentatori  inglesi.  D'altra  parte  le  investigazioni  ed  i  confronti 
istituiti  dal  prof.  Dorn  di  Halle  sulle  varie   detcrminnzioni  del- 


432  Sul  Congresso  Internazionale 

Vohm  avevano  condotto  questo  scienziato  alla  conclusione  che 
la  esatta  lunghezza  della  colonna  mercuriale  rappresentante  la 
resistenza  lo^  C  C  S.  è  compresa  tra  centimetri 

106,2  e  106,3 

e  che  è  più  vicina  al  secondo  che  al  primo  limite.  E  in  base 
a  questo  risultato  il  ReichsanstaU  tedesco  in  Charlottenburg,  nel 
suo  progetto  per  le  determinazioni  legali  sulle  unità  di  misura^ 
aveva  proposto  l'adozione  del  valore  106,3,  come  quello  che  con 
solo  quattro  cifre  esprime  Vohm  colla  massima  esattezza. 

Era  dunque  naturale  che  si  presentasse  la  questione  se  con- 
venisse sostituire  zWohm  legale  del  1884  una  nuova  unità  basata 
su  questi  risultati,  e  conforme  a  queste  proposte. 

20.  In  secondo  luogo  rimaneva  ancora,  dopo  la  Confe- 
renza di  Parigi,  insoluto  il  problema  di  dare  alla  pratica  un 
sistema  di  unità  di  misura  così  definito  da  escludere  completa- 
mente il  bisogno  di  ricorrere  alle  misure  assolute.  A  tal  uopo 
sarebbe  stato  necessario  avere  dato  una  definizione  pratica,  non 
di  una  sola,  ma  di  due  unità  di  misura:  non  solamente  d^Wohm, 
ma  déWohm  e  d^Wampère  o  dtWohm  e  del  volt.  Una  via  per 
risolvere  questo  problema  poteva  essere  quella  di  definire  pra- 
ticamente Vampère  per  mezzo  della  grandezza  di  un  deposita 
elettrolitico.  Anzi  a  questo  riguardo  si  avevano  proposte  con- 
crete. L'intensità  di  una  corrente  elettrica  si  può  misurare  con 
esattezza  per  mezzo  della  quantità  di  argento  deposto  elettroli- 
ticamente. Questa  quantità  è,  per  un  ampère  in  un  secondo,, 
uguale  a  1,11826  mg.  se  si  sta  ai  risultati  di  F.  e  W.  Kohlrausch^ 
ed  a  1,11794  se  si  sta  alle  determinazioni  di  Lord  Rayleigh.  Il 
Board  of  Trade  ha  assunto  il  valore  1,118,  il  quale  può  ritenersi 
come  sicuro  a  meno  di  0,001  mg.,  ed  ha  basato  su  questo  nu- 
mero una  definizione  óelVa^npère, 

Definiti  in  tal  modo  Vohm  e  Vampère  risulterebbe  definita 
praticamente,  per  mezzo  della  legge  di  Ohm,  anche  il  volt 

La  stessa  proposta  è  stata  fatta  anche  dal  Reichsanstalt  nel 
progetto  sovraricordato.  • 

Un'altra  via,  la  quale  però  prima  del  Congresso  di  Chicago 
non  era  stata  prescelta  da  alcuno,  sarebbe  quella  di  definire  di- 
rettamente il  volt  per  mezzo  di  una  pila  campione,  per  dedurre 
poi,  per  mezzo  della  legge  di  Ohm,  una  definizione  indiretta 
deWampère. 


di  elettricità  in  Chicago  iSgj  433 

Si  presentava  adunque  al  Congresso  la  questione  se  con- 
venisse seguire  alcuna  di  queste  due  vie  e  quale  di  esse. 

21.  In  terzo  luogo  aspettavano  ancora  la  sanzione  di  un 
corpo  ufficiale  le  unità  di  lavoro  e  di  potenza  motrice  stabilite 
dal  Congresso  di  Parigi  del  1889. 

Il  Congresso  aveva  poi  dinanzi  a  sé  la  proposta  dell'Istituto 
americano  degli  ingegneri  elettricisti  di  designare  col  nome  di 
henry  quella  unità  di  misura  che  nel  Congresso  di  Parigi  del  1889 
era  stata  denominata  quadrante,  proposta  che  era  stata  uno  dei 
moventi  principali  della  convocazione  del  Congresso  di  Chicago. 

Infine  rimanevano  aperte  le  questioni  relative  alla  scelta  di 
una  unità  fotometrica,  e  si  doveva  soddisfare  la  promessa  di 
prendere  in  considerazione  le  proposte  dell'Hospitalier  per  una 
convenzione  sulle  annotazioni. 

Oltre  che  su  queste  questioni,  le  quali  erano  una  eredità 
dei  Congressi  e  delle  Conferenze  precedenti,  la  Camera  dei  de- 
legati era  chiamata  a  deliberare  sopra  una  serie  di  proposte  di 
nuove  unità  e  di  nuovi  nomi,  le  quali  erano  state  formulate  da 
una  Commissione  appositamente  nominata  dall'Istituto  americano 
degli  ingegneri  elettricisti. 

Le  unità,  a  cui  qui  si  accenna,  erano  quelle  di  forza  magneto- 
motrice,  di  flusso  magnetico,  di  intensità  magnetica,  di  riluttanza 
magnetica,  di  conduttività  elettrica,  di  illuminazione;  i  nomi  pro- 
posti erano  rispettivamente:  gilbert,  weber,  gauss,  oersted,  mho, 
e  candela  metro, 

22.  Deliberazioni  della  Camera  dei  delegati.  —  Le  delibera- 
zioni della  Camera  dei  delegati  relative  alle  questioni  ed  alle 
proposte  sovranumerate  furono  tutte  prese  alla  unanimità.  Noi 
le  riassumiamo  qui  tradotte  con  quella  maggiore  fedeltà  che  la 
differenza  delle  lingue  consente;  svolgeremo  poi  più  sotto  le 
principali  considerazioni  che  si  presentarono  nella  discussione 
e  quelle  riflessioni  che  le  deliberazioni  adottate  ci  sembrano 
meritare. 

La  Camera  dei  delegati  deliberò  di  raccomandare  ai  vari 
Governi,  rappresentati  da  delegati  nel  Congresso  internazionale 
degli  elettricisti,  di  adottare  formalmente  come  unità  legali  per 
le  misure  elettriche  le  seguenti  : 

"  Come  unità  di  resistenza  Volwt  internazionale,  che  è  ba- 
sato sopra  Vohm  uguale  a  10^  unità  di  resistenza  del  sistema 
C.  G.  S,  di  unità  elettromagnetiche,  ed  è  rappresentato  dalla 
resistenza  offerta  ad  una  corrente  elettrica  costante  da  una  co- 

G.  Ferraris,  Open,  Voi.  II.  a8 


434  ^5"^  Congresso  Internazionale 

lonna  di  mercurio  alla  temperatura  del  ghiaccio  fondente,  della 
massa  di  14,4521  grammi,  di  sezione  trasversale  uniforme  e  delia 
lunghezza  di  106,3  ^m. 

"  Come  unità  di  corrente,  Vampère  internazionale,  che  è  un 
decimo  della  unità  di  corrente  del  sistema  C,  G,  S,  di  unità 
elettromagnetiche  e  che  è  rappresentato  abbastanza  bene,  per 
Tuso  pratico,  dalla  corrente  costante,  che,  fatta  passare  attraverso 
ad  una  soluzione  di  nitrato  d'argento  nell'acqua,  ed  in  confor- 
mità colle  annesse  istruzioni  ^  deposita  argento  nella  ragione 
di  0,001118  grammi  per  minuto  secondo. 

"  Come  unità  dì  forza  elettromotrice,  il  volt  intemazionale, 
che  è  la  forza  elettromotrice,  la  quale,  agendo  in  modo  continuo 
su  di  un  conduttore  la  cui  resistenza  è  un  ohm  internazionale, 
produce  una  corrente  di  un  ampère  internazionale,  e  che  è  rappre- 
sentato abbastanza  bene  per  l'uso  pratico  da  ^^®*^/u84  della  dif- 
ferenza di  potenziale  fra  i  poli  della  pila  voltaica  conosciuta  sotto 
il  nome  di  pila  Clark  ad  una  temperatura  di  15®  centigradi,  e 
preparata  nel  modo  descritto  nell'annessa  istruzione.  * 


^  Nelle  seguenti  istruzioni  la  parola  "  voltametro  ad  argento  »  significa 
l'apparecchio,  per  mezzo  del  quale  una  corrente  elettrica  vien  fatta  passare 
attraverso  ad  una  soluzione  di  nitrato  d'  argento  nell'  acqua.  Il  voltametro  ad 
argento  misura  la  totale  quantità  di  elettricità  che  è  passata  durante  l'esperi- 
mento, e  notando  la  durata  di  questo,  si  può  dedurre  il  valore  medio  (rispetto 
al  tempo)  della  corrente,  o,  se  la  corrente  è  stata  tenuta  costante,  la  corrente  stessa. 

Nell'impiego  del  voltametro  ad  argento  per  misurare  correnti  di  circa  un 
ampere  si  debbono  adottare  le  seguenti  disposizioni  : 

Il  catodo,  su  cui  1*  argento  deve  depositarsi,  deve  avere  la  forma  di  una 
tazza  di  platino  di  diametro  non  minore  di  io  cm.  e  di  4  a  5  cm.  di  profondità. 

L'anodo  deve  essere  una  lamina  d'argento  puro  di  circa  30  cm.^  di  super- 
fìcie e  di  a  o  3  mm.  di  grossezza. 

Questa  è  sostenuta  orizzontalmente  nel  liquido  presso  la  superficie  di  questo 
per  mezzo  di  un  filo  di  platino  passato  attraverso  a  fori  praticati  nella  lamina, 
presso  il  contorno,  in  punti  opposti.  Per  evitare  che  l'argento  disaggregato,  che 
si  forma  sull'anodo,  cada  sul  catodo,  l'anodo  deve  essere  avvolto  con  carta  da 
filtro  pura,  assicurata  al  dorso  della  lamina  per  mezzo  di  ceralacca. 

Il  liquido  deve  consistere  in  una  soluzione  neutra  di  nitrato  d'argento 
puro,  contenente  15  parti  in  peso  di  nitrato  su  85  parti  d'acqua. 

La  resistenza  del  voltametro  varia  alcun  poco  quando  passa  la  corrente. 
Per  evitare  che  questi  cambiamenti  abbiano  un  effetto  troppo  grande  sulla 
corrente,  deve  essere  inserita  nel  circuito  una  conveniente  resistenza  oltre 
quella  del  voltametro.  La  resistenza  metallica  totale  del  circuito  non  deve  es- 
sere minore  di  io  ohm, 

"  Una  Commissione,  composta  dei  signori  Ilelmholtz,  Ayrton  e  Carhart,  fu 
incaricata  di  preparare  le  istruzioni  per  la  pila  di  Clark.  La  relazione  di  tale 
Commissione  non  fu  ancora  ricevuta. 


di  elettricità  in  Chicago  i8^j  435 

"  Come  unità  di  quantità  di  elettricità,  il  coulomb  intema- 
zionale, che  è  la  quantità  di  elettricità  che  si  trasmette  durante 
un  minuto  secondo  in  un  circuito  percorso  da  una  corrente 
eguale  ad  un  ampère  internazionale. 

"  Come  unità  di  capacità  elettrostatica,  il  farad  intemazio- 
nale, che  è  la  capacità  di  un  condensatore  il  quale  è  caricato  ad 
una  differenza  di  potenziale  di  un  volt  internazionale  da  una 
quantità  di  elettricità  uguale  ad  un  coloumb  internazionale. 

**  Come  unità  di  lavoro,  il  joule,  che  è  uguale  a  10^  unità 
di  lavoro  nel  sistema  C.  G,  S,,  e  che  è  rappresentato  abba- 
stanza bene  per  Tuso  pratico  dal  lavoro  fatto  in  un  secondo  da 
un  ampère  internazionale  in  un  ohm  internazionale. 

**  Come  unità  di  potenza,  il  tvatt,  che  è  .uguale  a  10^  unità 
di  potenza  nel  sistema  C.  G.  S.,  e  che  è  rappresentato  abba- 
stanza bene  per  l'uso  pratico  *  dal  lavoro  fatto  nella  ragione  di 
un  joule  per  secondo. 

"  Come  unità  di  induzione  V henry,  che  è  l'induzione  in  un 
circuito,  quando  la  forza  elettromotrice  indotta  in  questo  circuito 
è  un  volt  internazionale,  mentre  l' intensità  della  corrente  indut- 
trice  varia  nella  ragione  di  un  ampère  per  minuto  secondo.  ^ 

23.  Queste  sono  le  sole  unità  elettriche  pratiche  stabilite. 
Sulle  proposte  che  erano  state  portate  al  Congresso,  come  sopra 
si  è  detto,  relative  alla  adozione  di  una  serie  di  altre  unità  e 
particolarmente  dì  unità  pratiche  magnetiche,  la  Camera  dei  de- 
legati votò  unanimemente  in  senso  negativo.  Essa  affermò  anzi 
-esplicitamente,  ed  all'unanimità,  il  parere  che  non  si  abbia  a  sta- 
bilire più  alcun'altra  unità  pratica  oltre  a  quelle  sovradefìnite. 
Essa  deliberò  di  raccomandare  per  le  misure  magnetiche  le  unità 
assolute  C.  G.  S,,  e  stabilì  che  per  ora  non  si  abbiano  a  dare 
nomi  speciali  a  tali  unità. 

24.  Per  ciò  che  riguarda  l'unità  di  luce,  la  Camera  dei  de- 
legati si  limitò  ad  udire  la  relazione  della  Sottocommissione  com- 
posta dei  signori  Violle,  S.  P.  Thompson,  Nichols,  Budde,  Lum- 
tner  e  Palaz,  e  ad  approvarla.  Tale  relazione  era  la  seguente: 

*"  La  Commissione  incaricata  di  prendere  in  esame  i  cam- 
pioni di  luce  rassegna  la  seguente  relazione. 

"  La  Commissione  discusse  lungamente   intorno  alle  varie 


*  Le  parole  abbastattza  bene  per  l'uso  pratico  (sufficiently  well  for  practical 
use)  sono  di  troppo,  e  sono  dovute  a  una  svista  di  redazione,  la  quale  passò 
•inosservata  all'atto  della  firma  del  protocollo. 


436  Sul  Congresso  Internazionale 

forme  suggerite  per  campioni  pratici,  ed  in  particolare  intorno 
alle  due  speciali  forme  di  lampade  designate  rispettivamente  coi 
nomi  di  lampada  ad  amil-acetato  di  von  Hefner  Alteneck  e  di 
lampada  a  pcntano  di  Vernon  Harcourt.  La  sola  lampada  pra- 
tica, attualmente  presentata  alla  Commissione,  è  la  nuova  lam- 
pada di  Hefner,  la  quale,  ben  che  sia  stata  sottoposta  a  prove 
laboriose  al  Reichsanstalt  ed  ivi  sia  stata  dichiarata  esatta  nel 
limite  di  due  percento,  tuttavia  non  ha  ricevuto  alcuna  larga  prova 
in  altri  paesi.  D'altra  parte  fu  riferito  che  la  lampada  a  pentano, 
nella  sua  nuova  forma  perfezionata,  era  in  Inghilterra  preferita 
per  la  fotometria  delle  fiamme  a  gas.  Si  rimprovera  alla  lam- 
pada a  pentano  che  la  composizione  del  pentano  del  commercia 
non  è  sufficientemente  ben  definita;  ed  alla  lampada  ad  amila- 
cetato  si  rimprovera  che  il  colore  della  sua  luce  è  troppo  rosso. 
Finalmente  si  fa  l'obbiezione  a  tutte  le  lampade  a  fiamma  libera,, 
che  esse  vanno  troppo  soggette  ad  essere  influenzate  da  va- 
riazioni nella  pressione,  nella  temperatura  e  nella  umidità  del- 
l'aria. Egli  è  ammesso,  d'altra  parte,  che  finora  non  fu  trovata 
ancora  alcuna  lampada  elettrica  atta  a  servire  come  conveniente 
campione  pratico.  In  tale  stato  di  cose  fuvvi  una  netta  divisione 
di  opinioni  nella  Commissione,  tra  quelli  che  propugnavano  l'a- 
dozione della  lampada  di  von  Hefner  come  campione  indipen- 
dente, e  quelli  che  desideravano  di  conservare  lo  statu  quo  finché 
ulteriori  ricerche  fossero  state  eseguite  in  vari  paesi.  Venne 
proposto  dai  dottori  Budde  e  Lummer  che  la  lampada  di  von 
Hefner,  costrutta  esattamente  in  conformità  delle  specificazioni 
del  signor  von  Hefner  Alteneck,  fosse  introdotta  come  campione 
pratico  provvisorio  di  luce,  e  che  il  problema  di  determinare  il 
suo  valore  in  funzione  dell'unità  assoluta  fosse  lasciato  ad  ul- 
teriori ricerche. 

"  Posta  ai  voti,  questa  proposta  ebbe  due  voti  favorevoli  e 
quattro  contrari. 

*•  La  seguente  mozione,  proposta  dai  signori  Palaz  e  Thomp- 
son, e  modificata  dai  dottori  Budde  e  Lummer,  fu  allora  appro- 
vata all'unanimità: 

"  La  Commissione,  mentre  riconosce  il  grande  progresso 
verificatosi  nella  lampada  campione  di  von  Hefner  Alteneck  e 
la  grandissima  importanza  delle  ricerche  eseguite  nel  Reichs- 
anstalt, riconosce  eziandio  che  altri  campioni  sono  stati  proposti 
e  si  stanno  ora  provando,  e  che  vi  sono  serie  obbiezioni  a  qua- 
lunque specie  di  campione,  nel  quale  sia  adoperata  una  fiamma 


di  elettricità  in  Chicago  i8^j  437 

libera.  Perciò  la  Commissione  non  è  in  grado  di  raccomandare, 
al  giorno  d'oggi,  né  l'una  né  l'altra  delle  lampade  di  von  Hefner 
ed  a  pentano,  ma  raccomanda  che  tutte  le  nazioni  vengano  in- 
vitate a  far  ricerche  in  comune  su  campioni  pratici  ben  definiti, 
e  sulla  conveniente  realizzazione  dell'unità  assoluta.  „ 

25.  L'esame  delle  proposte  di  Hospitalier  relative  alle  no- 
tazioni ed  ai  simboli  fu  affidato  ad  una  Commissione,  la  quale 
presentò  la  sua  relazione  nella  penultima  seduta  della  Camera. 
Questa  però  dopo  una  viva  discussione  deliberò  di  prendere 
semplicemente  atto  della  relazione  e  di  stamparla  come  appen- 
dice ai  processi  verbali  delle  sedute. 

26.  Oltre  le  questioni  prese  in  esame  e  risolte  nel  modo  che 
abbiamo  esposto,  le  quali  tutte  riguardavano  le  unità  di  misura, 
la  Camera  dei  delegati  ebbe  a  trattare  un  quesito,  che  le  era 
presentato  dagli  interessati  nella  industria  della  illuminazione 
elettrica  con  lampade  ad  arco  voltaico.  Siccome  è  uso  in  tale  in- 
dustria di  indicare  per  le  lampade  potenze  luminose  nominait 
talvolta  molto  differenti  dalle  reali,  e  siccome  non  per  tutti  i 
sistemi  di  lampade  sono  in  uso  a  questo  riguardo  convenzioni 
uniformi,  cosi  si  desiderava  che  la  Camera  dei  delegati  stabilisse 
come  regola  una  relazione  convenzionale  tra  la  potenza  lumi- 
nosa nominale  e  le  costanti  della  corrente  elettrica.  Ma  dopo 
qualche  discussione  la  Camera  deliberò  che  questa  non  potesse 
considerarsi  come  materia  di  importanza  internazionale,  e  che 
quindi  la  mozione  non  avesse  da  prendersi  in  considerazione. 


CAPO  IH. 

Considerazioni   svolte   nelle  discussioni  e  riflessioni 
intorno  alle  deliberazioni  prese. 

27.  Ohm  intemazionale.  —  Le  considerazioni  che  condussero 
il  Congresso  a  modificare  la  definizione  dell'oAm  e  a  sostituire 
àWohm  legale  del  1884  l'attuale  ohm  internazionale  sono  già  state 
in  gran  parte  indicate  all'art.  19,  nel  quale  abbiamo  ricordato  le 
risultanze  delle  indagini  che  furono  eseguite  sul  valore  A^Wohm 
dopK)  la  conferenza  internazionale  di  Parigi.  In  quelParticolo  ab* 
biamo  anche  notato  come,  indipendentemente  da  qualunque  de- 


43^  Sul  Congresso  Internazionale 

terminazione  di  Congressi  internazionali,  il  nuovo  valore  deiro/iw 
fosse  già  stato  fissato  dal  Board  of  Trade,  la  deliberazione  del 
quale  sta  per  essere  tradotta  in  legge,  e  come  la  stessa  cosa 
fosse  avvenuta  in  Germania  per  opera  del  Reichsanstalt.  Era 
adunque  a  temersi  che  mantenendo  l'antica  definizione  sarebbe 
in  breve  tempo  sorta  una  confusione  più  grave  a  quella  a  cui 
si  va  incontro  col  modificarla  ;  tanto  più  che  Vohm  legale  non 
aveva  avuto  sanzione  giuridica  in  nessun  paese,  e  in  alcuni 
luoghi  non  erasi  ancora   sostituito  all'antica   unità  dì  Siemens. 

Oltre  alla  differenza  di  valore  tra  Vohm  internazionale  e 
Vohm  legale  si  nota  differenza  nelle  loro  definizioni.  La  defini- 
zione àéWohm  internazionale  è  quella  proposta  per  l'o/rw  pratico 
dal  Reichsanstalt  e  differisce  tanto  da  quella  déX'ohm  di  Parigi 
quanto  da  quella  AtWohm  del  Board  of  Trade  per  questo,  che 
in  essa  non  è  indicata  Tarea  della  sezione  della  colonna  mer- 
curiale, ma  è  indicata  invece  la  massa  della  colonna  medesima. 
Questa  modificazione  è  razionale.  Infatti  nella  preparazione  di 
resistenze  a  mercurio  secondo  l'antica  definizione  si  presenta 
la  circostanza  che  non  si  è  in  grado  di  determinare  la  sezione 
del  tubo  di  vetro,  che  il  mercurio  riempie,  per  mezzo  di  misure 
lineari,  ed  inoltre  tale  sezione  non  6  nemmeno  esattamente 
eguale  a  quella  della  colonnina  di  mercurio.  Si  è  perciò  obbli- 
gati a  determinare  in  grammi,  per  mezzo  di  una  pesata,  la  massa 
del  mercurio  riempiente  il  tubo,  ed  a  dedurre  da  tale  massa, 
dalla  lunghezza  misurata  della  colonna,  e  dalla  densità  del  mer- 
curio l'area  della  sezione.  Ma  qui  entra  in  giuoco  la  relazione 
fra  le  misure  di  lunghezza  e  quelle  di  massa,  che  in  origine  erano 
state  poste  a  base  del  sistema  metrico  decimale.  Ora  questa  re- 
lazione è  nota  solamente  con  una  approssimazione  di  o,oi  per 
cento  al  più;  e  l'incertezza  che  ne  deriva  intaccala  determina- 
zione òtWohm,  qualora  sia  necessaria  per  questa  la  misura  della 
sezione  della  colonna  del  mercurio.  Per  contro,  tale  incertezza 
risulta  eliminata  se  si  adotta  la  definizione  ora  prescelta,  perchè 
in  essa  la  massa,  che  si  misura  direttamente,  figura  propriamente 
come  elemento  della  definizione,  e  non  soltanto  come  mezzo 
per  il  calcojo  della  sezione.  Per  il  calcolo  della  massa  il  peso 
specifico  del  mercurio  a  o®  fu  assunto  in  base  alle  migliori  de- 
terminazioni conosciute  come  eguale  a  13,5956. 

Per  queste  considerazioni  bassi  a  ritenere  che  la  delibera- 
zione del  Congresso  di  Chicago  sia  completamente  giustificata, 
e  si    può  sperare  che  l'unità   di  resistenza  ora  fissata  rimanga 


dì  elettricità  in  Chicago  ìSgj  439 


definitiva,  finché  almeno  non  abbiasi  a  cambiare  radicalmente 
tutto  il  sistema  delle  misure  elettriche. 

Il  riferente  però  deve  fare  sulla  definizione  adottata  un  ap- 
punto, ed  è  il  seguente  :  Siccome  lo  scopo,  a  cui  si  mirava  nei 
dare  per  Vohm  una  definizione  pratica,  era  quello  dì  eliminare 
completamente  il  bisogno  di  ricorrere  nella  pratica  a  misure  as- 
solute, così  sarebbe  stato  più  razionale  l'escludere  dalla  defini- 
zione ogni  accenno  al  valore  dell'oAm  in  unità  assolute.  Per 
questo  motivo  sarebbe  stato  preferibile  adottare  senz'altro  una 
definizione  simile  a  quella  proposta  dal  Reichsanstalt,  la  quale, 
del  resto,  è  identica  a  quella  adottata  àa}^ EUctrical  Standards^ 
Contmittee  della  British  AssocicUion. 

28.  Ampère  e  volt  internazionali.  —  Per  ciò  che  riguarda 
le  definizioni  éeW ampère  e  del  z»o//,  si  è  già  detto  più  sopra, 
all'art.  20,  quale  fosse  il  desideratum  della  pratica.  Sarebbe  stato 
desiderabile  potere  completare  l'opera  de' precedenti  Congressi 
e  della  Conferenza  di  Parigi  col  dare  per  l'una  o  per  l'altra  dì 
queste  due  unità  una  definizione  pratica,,  nella  quale  non  si  fa- 
cesse alcun  accenno  alle  unità  assolute,  e  poi  definire  l'altra  per 
mezzo  di  quella  e  AéiVohm,  Soltanto  così  si  sarebbe  eliminato 
completamente  il  bisogno  di  ricorrere  a  misure  assolute.  La  via 
migliore  per  arrivare  a  tale  risultato  pareva  nettamente  trac- 
ciata. Infatti  le  ricerche  dei  professori  F.  e  W.  Kohlrausch  e 
di  Lord  Rayleigh,  delle  quali  si  è  fatto  cenno  più  sopra  (art.  20)^ 
davano  ormai,  colla  loro  concordanza,  la  certezza  di  potere  per 
mezzo  dell'elettrolisi  del  nitrato  d'argento  definire  Vampèrc  con 
un  errore  inferiore  ad  un  millesimo.  Questa  via  era  stata  pre* 
scelta  già  concordemente  dal  Comitato  per  le  misure  elettriche 
del  Board  of  Trade,  e  dal  Reichsanstalt;  e  la  maggior  parte  dei 
delegati  era  andata  a  Chicago  colla  previsione  che  la  Camera 
dei  delegati  avrebbe  fatto  lo  stesso. 

Nel  fatto  la  convinzione  sulla  convenienza  di  definire  fin 
d'ora  nel  modo  detto,  e  recisamente,  le  unità  in  questione  non 
si  appalesò  nella  Camera  dei  delegati  così  radicata  e  così  gene- 
rale come  si  sarebbe  potuto  prevedere.  Ma  ciò  che  propria- 
mente fece  sì  che  la  Camera  non  si  decidesse  risolutamente  ad 
adottare  questo  partito,  fu  la  dichiarazione  fatta  da  Helmholtz 
che  le  ricerche  eseguite  nel  Reichsanstalt  lo  avevano  convinto 
della  possibilità  di  dare  per  mezzo  della  pila  campione  di  Clark 
una  definizione  diretta  del  volt  altrettanto  precisa,  sicura  e  con- 
veniente quanto  quella  che  si  voleva  dare  dell'amarra  per  mezzo 


440  Sul  Congresso  Internazionale 

del  voltametro  ad  argento.  Egli  affermò  che  ciò  si  poteva  fare 
con  vantaggio,  purché  nella  preparazione  e  nell'  impiego  della 
pila  campione  si  osservassero  alcune  cautele,  che  le  ricerche  del 
Reichsanstalt  permettevano  ormai  di  fissare.  Il  peso  della  opi- 
nione del  grande  scienziato  favorevole  alla  definizione  del  voli 
colla  pila  Clark  controbilanciò  quello  delle  molte  ragioni  che  mi- 
litavano in  favore  della  definizione  voltametrica  óéìVampère;  e 
la  Camera  dei  delegati,  mirando  ad  abbracciare  entrambe  le  so- 
luzioni, finì  col  non  adottare  nettamente  né  Tuna  né  l'altra.  Così 
si  venne  a  definire  \* ampère  internazionale  ed  il  voli  internazionale 
per  mezzo  dei  loro  rapporti  colle  rispettive  unità  assolute  elet- 
tromagnetiche C.  G.  S. ,  e  ad  indicare  i  valori  definiti  per  mezzo 
del  voltametro  e  della  pila  campione  semplicemente  come  valori 
approssimativi  sufficienti  per  la  pratica  usuale,  senza  pensare  che 
in  questo  modo  si  rendeva  inutile  anche  lo  stesso  epiteto: 
*  internazionale  „.  Questo  sarebbe  riuscito,  invece,  molto  oppor- 
tuno qualora  lo  si  fosse  adottato  per  designare  V ampère  definito 
col  voltametro  ad  argento,  ed  il  volt  definito  per  mezzo  di  tale 
ampère  e  dell'o/iw  internazionale,  oppure  il  volt  definito  colla 
pila  di  Clark,  e  Vampère  definito  con  tale  volt  e  con  Vokm  in- 
ternazionale. Fra  queste  due  soluzioni  poi  sarebbe  stata  più  con- 
forme alla  opinione  generale,  e  molto  probabilmente  più  pratica 
la  prima,  quella  cioè  nella  quale  si  definisce  direttamente  Vam- 
père internazionale  e  si  deriva  poi  la  definizione  del  volt  inter- 
nazionale dall'ohm  e  édXVampère  internazionale. 

Tale  soluzione,  anzi,  si  imporrà  da  sé  se  non  verranno  for- 
mulate secondo  la  promessa  di  Helmholtz  le  istruzioni  per  la  co- 
struzione e  per  l'impiego  della  pila  campione  di  Clark,  o  se  si 
avvererà  il  dubbio  che  il  ritardo  della  Commissione  incaricata  dalla 
Camera  dei  delegati  di  preparare  tali  istruzioni  a  presentare  la 
sua  relazione  (tuttora  attesa)  sia  appunto  dovuto  all'imi>ossibilità 
attuale  di  ottenere  colla  pila  Clark  una  esattezza  nelle  misure,  pa- 
ragonabile a  quella  che  si  può  ottenere  col  voltametro  ad  argento. 

Queste  considerazioni^  che  il  riferente  con  altri  ha  sostenuto 
nella  Camera  dei  delegati,  e  che  dovevano  essere  qui  accennate, 
non  tolgono  però  che  nella  pratica  le  deliberazioni  del  Congresso 
possano  avere  benefici  effetti.  Infatti  Taffermazione  contenuta  nella 
definizione  dell'am^^r^  internazionale,  che  la  misura  elettrolitica 
offre  una  esattezza  sufficiente  per  gli  usi  pratici,  farà  sì  che  nel 
fatto  la  definizione  elettrolitica  sarà  quella  di  cui  la  pratica  si 
servirà  sempre. 


di  eUitricità  in  Chicago  iS^j,  441 

ag.  Joule  e  watt.  —  Nelle  definizioni  del  fottìs  e  del  watt 
non  è  stato  adoperato,  come  in  quelle  dell'oAtir,  óiAVampàrt^  del 
volt,  del  comiofnb  e  del  farad,  Tepiteto  intemazionale.  Ciò  si  fece 
dietro  un'osservazione  messa  innanzi  dal  riferente*  L'osserva* 
zione  è  stata  questa:  il  joule  e  il  watt  sono  unità  appartenenti 
alla  pura  meccanica,  le  quali  si  possono  definire  indipendente- 
mente da  qualunque  considerazione  relativa  a  grandezze  elet- 
triche, tantoché  fin  d'ora  vengono  adoperate  anche  nei  corsi 
elementari  di  meccanica.  La  loro  definizione  deve  essere  basata 
direttamente  ed  unicamente  sulle  unità  fondamentali  di  lunghezza» 
di  massa  e  di  tempo,  perchè  nella  meccanica  le  misure  dei  la- 
vori  si  fanno  per  mezzo  di  tali  grandezze.  Anzi  è  desiderio  più 
volte  espresso  queUo  che  Tuso  di  queste  unità  assolute  di  la* 
voro  e  di  potenza  si  introduca  e  si  popolarìzzi,  non  solo  nel* 
r  industria  elettrica,  ma  anche  nella  meccanica  generale.  Il  Con^ 
gresso  di  Parigi  del  1889  aveva  emesso  formalmente  questo 
voto,  ed  aveva  deciso,  come  si  è  accennato  al  n.  io,  che  fossero 
fatte  pratiche  presso  il  Congresso  di  meccanica  industriale,  che 
allora  era  pure  riunito  in  Parigi,  acciocché  venisse  adottato 
formalmente  come  unità  industriale  di  potenza  motrice  invece 
del  cavallo-vapore  il  kiiowatt. 

Per  queste  considerazioni  il  riferente  si  oppose  con  successo 
a  che  si  definissero,  come  da  alcuni  si  proponeva,  il  joule  e  il  watt 
per  mezzo  del  volt,  AéiVampère,  e  del  coulomb  internazionali;  e 
inoltre  ottenne  che  si  sopprìmesse  per  queste  due  unità  l'epiteto 
di  interttaziofiale,  il  quale  avrebbe  fatto  supporre  che  le  due  unità 
adottate  fossero  diverse  da  quelle  basate  sulle  unità  assolute. 

Il  riferente  crede  che  le  definizioni  sarebbero  riuscite  anche 
migliori,  se  neir  indicare  la  relazione  approssimativa  esistente 
tra  il  joule  e  le  unità  elettriche  internazionali,  si  fosse  conside- 
rato il  coulomb  internazionale  invece  dell'am^^r^  durante  un  se- 
condo,  e  déìVampère  si  fosse  parlato  relativamente  al  watt.  Egli 
osserva  inoltre  che  la  seconda  parte  della  definizione  del  watt 
è  inutile,  e  che  in  ogni  caso  le  parole  abbastanza  bene  per  fuso 
pratico  (sufjiciently  well  far  practical  use)  dovrebbero  essere  sop- 
presse. 

Però  le  mende  delle  definizioni  non  diminuiscono  il  bene- 
fizio che  deriverà  dall'aver  dato  una  sanzione  ufficiale  alle  due 
unità  di  misura,  le  quali  erano  già  diventate  famigliari  ai  pratici. 

30.  Henry.  —  Coiraccettare  Vhenry  fra  i  nomi  delle  unità 
di  misura  elettriche,  il  Congresso  non  solamente  diede  soddisfa- 


44^2  Sul  Congresso  Internazionale 


zione  ad  un  giusto  desiderio  degli  Americani,  ma  fece  anche 
cosa  pratica,  in  quanto  che  sanzionò  un  nome  che  aveva  già 
incominciato,  anche  fuori  deirAmerica,  a  diffondersi  ed  a  po- 
polarizzarsi  fra  gli  elettricisti.  Si  può  dire  che  la  nuova  deno- 
minazione era  già  entrata  nella  pratica  prima  che  il  Congresso 
la  proclamasse. 

La  definizione  che  la  Camera  dei  delegati  ha  formulato,  ha 
il  merito  di  eliminare  le  dubbiezze  che  derivavano  dalla  man* 
canza  di  una  convenzione  sul  significato  da  attribursi  alla  parola 
coefficiente  di  induzione  nel  caso  in  cui  questo  coefficiente,  per 
la  presenza  di  ferro  o  di  altro  corpo  magnetico,  è  variabile 
coir  intensità  della  corrente.  11  nome  coefficiente  d'induzione  era 
adoperato  in  due  significati  diversi:  talora  serviva  a  rappresen- 
tare il  flusso  d'induzione  magnetica  per  unità  d'intensità  di 
corrente,  talora  per  rappresentare  la  derivata  del  flusso  rispetta 
all'  intensità  della  corrente. 

Ora  colla  definizione  data,  nella  quale  è  detto:  "  ...quando 

la  forza  elettromotrice  indotta è  un  volt  internazionale y  mentre 

V  intensità  della  corrente  induttrice  varia  nella  ragione  di  un  afn- 
fière  per  minuto  secondo  „,  viene  ad  essere  adottato  il  secondo 
significato.  Solo  è  a  lamentarsi  che  nella  definizione,  per  evitare 
la  dicitura  unità  di  coefficiente  d'induzione^  la  quale  realmente 
non  è  soddisfacente,  non  si  sia  trovata  per  sostituire  alle  pa» 
role  coefficiente  d'induzione  altra  locuzione  che  induzione,  la 
quale  è  già  adoperata  in  troppi  significati. 

31.  Proposte  di  nuove  unità  e  di  nuovi  nomi.  —  Col  respingere 
tutte  Je  proposte  che  erano  state  presentate  relativamente  a  nuove 
unità  pràtiche,  oltre  a  quelle  già  definite,  e  a  nuove  denominazioni, 
la  Camera  dei  delegati  fece  cosa  indubbiamente  lodevole.  È  certa- 
mente l'evidenza  dei  vantaggi,  che  nella  pratica  elettrotecnica 
si  sono  ricavati  dall'introduzione  di  un  sistema  internazionale 
di  unità,  e  dall'impiego  di  nomi  convenienti  per  designarli» 
quella  che  di  quando  in  quando  fa  pullulare  nuove  proposte 
analoghe  a  quelle  che  il  Congresso,  trovò  davanti  a  sé.  Ma 
questa  tendenza  deve  essere. contenuta  fra  limiti  ragionevoli.  Se 
è  evidente  l'utilità  di  avere  nomi  speciali,  brevi  e  comodi,  per 
designare  le  unità  fondamentali  e  quelle  relative  alle  grandezze 
che  servono  a  dare  un'idea  della  potenza,  del  valore  delle  mac- 
chine, degli  apparecchi,  delle  condutture,  e  della  grandezza  degli 
effetti  che  dai  medesimi  si  possono  ottenere,  ed  hanno  perciò 
un'importanza  industriale  e  commerciale,   è   evidente   eziandio 


di  elettricità  in  Chicago  iS^j.  443 

che  non  si  farebbe  altro  che  complicare  inutilmente  e  rendere 
meno  chiaro  il  linguaggio  ed  aumentare  il  pericolo  di  errori ^ 
quando  si  volessero  stabilire  e  designare  con  nomi  speciali  unità 
di  misura  per  tutte  le  grandezze,  attraverso  alle  quali  si  svol* 
gono  i  calcoli  di  un  ingegnere,  mentre  questi  sta  studiando  un 
apparecchio  o  un  impianto,  ma  alle  quali  non  si  ha  più  da  ri- 
correre in  modo  continuo  nell'uso  dell'apparecchio  o  dell'im- 
pianto medesimo. 

Per  introdurre  tali  unità  non  vi  ha  maggior  ragione  dì 
quella  che  vi  sarebbe  per  stabilire  altrettante  unità  con  nomi 
speciali  per  le  velocità,  le  accelerazioni,  i  momenti  delle  forze^ 
i  momenti  d'inerzia,  le  densità,  i  calori  specifici  e  simili. 

Le  unità  assolute  C  G.  5.  servono  senza  alcuna  difficoltà, 
all'infuori  di  quella  derivante  dal  bisogno  di  far  uso  talvolta  di 
potenze  di  io,  per  tutti  i  bisogni  della  pratica;  e  quando  esse 
si  presentano  non  occorre  quasi  mai  di  nominarle.  Spesso  un 
nome  sarebbe  di  puro  imbarazzo.  Perciò  la  Camera  dei  delegati 
fece  cosa  opportuna  raccomandando  l'uso  delle  unità  assolute 
per  le  misure  magnetiche  e  deliberando  che  ad  esse  non  si  ab- 
biano per  ora  a  dare  dei  nomi. 


SULLA 

TRASMISSIONE   ELETTRICA 
DELL'ENERGIA 


(Lettura  fatta  nella  solenne  adunanza  del  3  giugno  1894 
alla  R.  Accademia  dei  Lincei.) 


Sire,  Graziosissima  Regina, 

Signore,  Signori. 

La  scienza  ha  ideali  più  alti  dì  quello  dell'utile  materiale  di- 
retto; tuttavia  essa  non  può  non  compiacersi  dell'inno  di  rico- 
scenza  che  la  società  innalza  a  lei  per  i  trovati  che  di  continuo 
essa  mette  a  disposizione  delle  industrie  :  essa  non  può  nemmeno 
non  ricambiare  la  gratitudine  colla  gratitudine  e  non  ripensare 
che,  se  molte  grandiose  applicazioni  tecniche  sono  frutto  dell'opera 
sua  disinteressata,  essa  in  ricambio  va  attingendo  nelle  applica- 
zioni stimolo,  mezzi  ed  idee. 

Io  penso  che,  affidando  a  me  l'onorifico  compito  di  parlare 
in  questa  adunanza  solenne,  il  nostro  Presidente  è  stato  mosso 
appunto  da  questo  pensiero,  e  mi  ha  voluto  dire:  Tu  che,  pur 
vivendo  per  la  scienza,  sei  per  i  tuoi  studi  istessi  messo  di  fre- 
quente a  contatto  colle  applicazioni,  tu  in  questo  giorno  di  ri- 
poso e  di  festa  metterai  davanti  agli  occhi  dell'Accademia  qual- 
cuna delle  grandi  applicazioni  moderne;  e  parlerai  di  due  cose: 
del  suo  stato  presente,  e  dei  benefizi  che  in  ricambio  la  scienza 
ha  avuto  da  essa.  Ed  io  scelgo  un'applicazione,  che,  mentre  ò 
una  fra  molte,  è  nel  tempo  stesso,  considerata  dall'alto,  la  sin- 
tesi di  molte  ;  la  trasmissione  a  distanza  e  la  distribuzione  elet- 
trica dell'energia. 


446  Sulla  trastnissione  elettrica 

Le  applicazioni  alle  quali,  secondo  l'uso  attuale  della  parola 
si  allude,  quando  si  parla  di  trasmissione  e  di  distribuzione  elet- 
trica dell'energia,  incominciarono  ad  essere  possibili  dopo  il  1872 
o  1873,  quando  si  costrussero  le  prime  macchine  dinamoelet- 
triche con  forme  e  con  proporzioni  di  macchine  industriali.  Ma 
allora  una  macchina  si  diceva  grande  quando  aveva  la  potenza 
di  sei  o  sette  cavalli;  e  ancora  nel  1877  ^^^  macchina  destinata 
alla  illuminazione  soleva  alimentare  una  lampada  sola;  pareva 
un  grande  risultato  poter  sostituire  un  apparecchio  meccanico 
a  quell'ingombrante,  costoso  ed  uggioso  arnese  che  era  una  bat- 
teria di  cinquanta  elementi  di  pila  Bunsen.  La  prima  esperienza 
di  trasmissione,  nella  quale  l'energia  sia  stata  raccolta  alla  sta- 
zione di  arrivo  come  energia  meccanica,  era  stata  fatta  fin  dal 
1873  nella  esposizione  universale  di  Vienna,  ma  era  stata  fatta 
involontariamente,  per  uno  sbaglio  ;  ^  e  il  risultato  della  fortuita 
esperienza  non  veniva  utilizzato,  per  parecchi  anni,  se  non  in 
modesti  tentativi  per  muovere  qualche  pompa  o  qualche  aratro. 
E  ancora  nel  1881  a  molti  sembravano  paradossali  le  idee  che 
Marcel  Deprez  esponeva  nel  Congresso  elettrico  di  Parigi  in- 
torno alla  possibilità  di  trasmettere  il  lavoro  meccanico  econo- 
micamente alla  distanza  di  qualche  chilometro.  Quelli  erano  i 
tempi  antichi,  leggendari  dell'Elettrotecnica;  la  storia  della  tra- 
smissione elettrica  dell'energia,  intesa  come  tale,  comincia  solo 
da  quei  tempi. 

Ed  ora?  Ora  noi  vediamo  città  intiere,  dove  per  la  illumi- 
nazione, per  la  locomozione,  per  il  lavoro  nelle  officine  e  quasi 
per  ogni  casa  l'energia  viene  distribuita  mediante  una  rete  di 
conduttori,  che  si  diramano  da  gigantesche  stazioni  centrali;  città 
dove  si  vive  come  in  mezzo  ad  una  grande  macchina,  che  tutto 
abbraccia  e  tutto  muove.  Noi  vediamo  opifizi,  o  gruppi  di  opifizi, 
o  città  intiere,  che  per  l'illuminazione,  o  per  il  lavoro  delle  mac- 
chine, ricevono  l'energia  da  motori  idraulici  distanti  diecine  di 
chilometri;  e  dopo  di  avere  assistito  nel  1891  ad  un  esperimento, 
nel  quale  da  Lauffen  sul  Neckar  a  Francoforte  sul  Meno,  alla 
distanza  di  170  chilometri  si  è  trasportato   il  lavoro   di   quasi 


^  Nella  esposizione  internazionale  di  elettricità  di  Vienna  nel  1883  un  ope- 
raio, incaricato  di  mettere  in  circuito  una  dinamo  di  Gramme,  sbagliò  gli  at- 
tacchi ed  inserì  la  macchina  su  reofori  attivi.  Questa  si  pose  tosto  in  movimento 
funzionando  come  motore.  L^osservazione  fu  fatta  e  pubblicata  dal  sig.  Hxppo- 

LYTE   FONTAINE. 


dell'energia.  447 


200  cavalli,  ^  noi  assistiamo  in  questi  giorni  alla  esecuzione  di 
una  prima  parte  di  un  impianto  col  quale  50.000  cavalli  dinamici, 
tolti  alle  cataratte  del  Niagara,  saranno  fra  poco  distribuiti  elet- 
tricamente, per  le  industrie  e  per  la  illuminazione,  dentro  un 
raggio  di  centinaia  di  chilometri.  * 

Dai  modesti  primordi,  che  ho  ricordato,  alla  attuale  gran- 
dezza, le  applicazioni  della  trasmissione  e  della  distribuzione 
elettrica  dell'energia  camminarono  a  grandi  passi. 

Precedette  ogni  altra  l'applicazione  alla  illuminazione,  sul 
rapido  cammino  della  quale  noi  troviamo  come  pietre  miliari: 
l'attuazione  dei  grandi  sistemi  di  distribuzione  in  parallelo  di 
Edison,  l'allargamento  di  questi  per  mezzo  dell'impiego,  ideato 
«da  yopkinson,  dei  tre  conduttori,  e,  principalissima  fra  tutte,  la 
distribuzione  indiretta  coi  trasformatori  a  correnti  alternative. 
Quest'ultima,  sulla  quale  Luciano  Gaulard,  abbattendo  molti  pre- 
giudizi, con  entusiasmo  di  apostolo,  aveva  saputo  richiamare  l'at- 
tenzione dei  tecnici,  in  breve,  per  la  razionale  applicazione  che  ne 
fecero  Zipernowsky,  Déri  e  Blàthy,  prese  forma  di  un  sistema 
completo  ed  armonico,  ed  è  ora  la  base  sulla  quale  si  appoggiano, 
oltreché  per  le  altre  applicazioni,  anche  per  la  distribuzione  del 
lavoro  meccanico,  i  più  importanti  studi  e  le  maggiori  speranze.  ^ 


'  Il  resoconto  ufficiale  delle  esperienze  di  LaufTen-Francoforte,  redatto  dal 
prof.  H.  F.  Weber  del  Politecnico  di  Zurìgo,  è  stato  recentemente  pubblicato 
nel  secondo  volume  della  relazione  ufficiale  sulla  esposizione  di  elettricità  di 
Francoforte  sul  Meno,  1891  (Frankfurt  am  Maìn,  J.  D.  SauerUnder  1894). 

'  L'impianto  attualmente  in  costruzione  a  Niagara  Falls,  che  è  la  metà  di 
quello  definitivo  progettato,  è  destinato  a  ricavare  dalle  cascate  del  Niagara 
circa  looooo  cavalli  dinamici,  dei  quali  una  metà  si  utilizzerà  sul  posto  e  l'altra 
metà  verrà  trasmessa  a  distanza  con  correnti  elettriche.  La  zona,  entro  la  quale 
è  progettata  la  distribuzione,  comprende  fin  d'ora  la  città  di  Biiflalo,  che  è  a 
circa  35  chilometri  dalle  cascate,  ma  potrà  estendersi  a  distanze  molto  mag- 
giori. Infatti  la  Società  delle  Cataratte  ha  già  fin  d'ora  fatto  proposte  concrete 
per  sommin'strare  l'energia  per  la  navigazione  sul  canale  dell'Eric  fino  ad 
Albany  (a  circa  500  chilometri).  Attualmente  si  stanno  collocando  le  turbine. 
Per  la  trasmissione  elettrica  fu  prescelto  il  sistema  bifase  con  piccole  frequenze. 
Le  macchine  dinamo-elettriche  ed  i  motori  elettrici  saranno  costrutti  nelle  offi- 
cine della  compagnia  Westinghouse. 

'  Le  esperienze  del  Gaulard,  le  quali  richiamarono  l'attenzione  dei  tecnici 
Bui  trasformatori  a  correnti  alternative,  e  distrussero  la  credenza  che  tali  ap- 
parecchi non  potessero  avere  rendimenti  accettabili,  ne  potessero  servire  a 
pratiche  applicazioni,  furono  eseguite  a  Torino  nella  sezione  internazionale  di 
elettricità  della  esposizione  generale  del  1884.  Gaulard  non  fu  il  primo  ad  im- 
cnaginare  i  trasformatori,  né  seppe  applicarli  nel  modo  più  conveniente,  ma 
•ebbe  il  grande  merito  di  avere   avuto   la   fede  nel  successo  e  di  averla  saputa 


44^  Sulla  trasmissione  elettrica 

Le  applicazioni,  nelle  quali  l'energia  trasmessa  serve  a  lavori 
meccanici,  seguirono,  naturalmente,  progressi  paralleli.  Dopo  che 
le  pubblicazioni  di  Kapp  e  di  Hopkinson  ebbero  resi  popolari 
i  concetti  direttivi  per  Io  studio  delle  macchine  dinamoelettriche,. 
la  costruzione  de' motori  elettrici  a  corrente  continua,  la  loro 
regolazione  e  l'impiego  di  essi  per  la  trasmissione  fra  due  sta- 
zioni, o  per  la  distribuzione  del  lavoro  alle  numerose  macchine 
di  un  vasto  opifizio^  o  a  vari  utenti  collegati  con  una  rete  di 
conduttori  servente  nel  tempo  stesso  alla  illuminazione,  diven- 
nero problemi  comuni  di  ordinaria  ingegneria. 

A  speciale  importanza  crebbe  in  pochi  anni  la  trazione  elet- 
trica. Nata  in  Europa  per  opera  dì  Siemens,  questa  trovò  ur> 
immenso  campo  di  applicazione  sul  vergine  suolo  degli  ^tati 
Uniti  d'America,  dove,  colle  disposizioni  introdotte  dallo  Spragu^r 
da  Thomson  ed  Houston  e  dai  Westinghouse,  le  carrozze  elet- 
triche corrono  attualmente  su  più  di  diecimila  chilometri  di  bi- 
nari ed  i  fili  conduttori  coprono,  in  parecchie  città,  a  guisa  di 
pergolati,  tutte  quante  le  strade.  Ove  si  ammettano  tali  pergo- 
lati, la  preferenza  data  alla  trazione  elettrica  per  l'interno  delle 
città  si  spiega  facilmente  pensando  alla  docilità  de' veicoli,  al- 
l'assenza di  locomotive  producenti  fumo,  e,  date  opportune  con- 
dizioni di  traffico,  anche  alla  economìa.  Ma  l'assenza  del  fuma 
potrà  essere  ragione  sufficiente  a  consigliare  questo  modo  di 
trazione  anche  in  altri  casi,  segnatamente  nella  traversata  di 
grandi  gallerie.  E  la  possibilità  di  ridurre  il  peso  morto,  la  pos- 
sibilità di  utilizzare  per  l'aderenza  tutto  il  peso  del  treno,  a 
buona  parte  di  esso,  la  facilità  di  superare  le  curve  più  strette 
e  le  più  forti  pendenze,  e  sopratutto  la  possibilità  di  adoperare 
l'energia  de'  corsi  d'acqua  solcanti,  parallelamente  alla  strada,  il 
thalweg  delle  vallate,  potranno  consigliare  la  trazione  elettrica 
anche  su  alcune  strade  ferrate  destinate  al  grande  traffico.  Col 
nuovo  sistema  potrà  accadere  che  la  trazione  diventi  la  più  eco- 
nomica appunto  ove  ora  è  la  più  costosa.  Il  problema  tecnico  è 
uno  di  quelli  che  fin  d'ora  si  possono  studiare  e  risolvere  senza 


infondere  negli  altri.  Gli  ingegneri  Zipernowsky,  Déri  e  Blàthy  della  fabbrica 
Ganz  e  C."  di  Budapest,  hanno  il  merito  di  avere  costrutto  fin  dal  1885  trasfor- 
matori a  circuito  magnetico  chiuso  e  di  averli  adoperati  in  un  sistema  di  distri- 
buzione, ove  non  solo  le  lampade  ne'  circuiti  secondari,  ma  anche  i  trasforma* 
tori  sulla  rete  primaria  sono  inseriti  in  parallelo.  Questo  è  il  solo  modo  pratico 
per  ottenere  l'indipendenza  non  solo  delle  stazioni  secondarie,  ma  di  tutti  gli 
apparecchi  utilizzatori. 


dell'energia,  449 


bisogno  di  nuove  invenzioni.  Le  difficoltà  attuali  stanno  tutte 
nell'inerzia;  non  nella  inerzia  delle  persone,  ma  in  quella  do- 
vuta alla  grande  massa  del  materiale  e  del  servizio,  che  bisogna 
muovere  o  disturbare  anche  solo  per  fare  un  semplice  esperi- 
mento. Erberto  Spencer  nel  suo  Study  of  Sociology,^  volendo 
dimostrare  che  una  organizzazione  molto  progredita  è  spesso  un 
impedimento  insuperabile  a  perfezionamenti  ulteriori,  si  serve 
appunto  dell'esempio  delle  strade  ferrate.  Qualunque  proposta 
di  un  esperimento,  il  quale  richieda  una  modificazione  nel  ma- 
teriale fisso  o  mobile,  od  una  alterazione  qualsiasi  nel  servizio, 
incontra  necessariamente  obbiezioni  gravissime.  L'importanza 
del  disturbo  o  della  spesa  è  infatti  commisurata  alla  importanza 
del  traffico  ed  alla  corrispondente  grandezza  del  materiale.  E 
appunto  in  questi  giorni  noi  assistiamo  ad  un  fatto  che  conferma 
questa  asserzione.  Un  ingegnere  di  bella  fama,  il  signor  Heil- 
mann  di  Mohlhausen,  desideroso  di  sperimentare  la  trazione  elet- 
trica sulle  grandi  strade  ferrate,  e  convinto  della  impossibilità 
di  indurre  una  amministrazione  a  modificare  la  strada  ed  il  ma- 
teriale, come  occorrerebbe  per  trasmettere  ai  motori  viaggianti 
la  corrente  prodotta  in  una  stazione  fissa,  pensò  di  far  viaggiare 
su  treno  anche  la  stazione;  ideò,  cioè  di  collocare  su  di  un  carro 
la  macchina  a  vapore  e  la  dinamo  generatrice,  che  avrebbe 
dovuto  somministrare  la  corrente  elettrica  a  motori  distribuiti 
lungo  il  treno.  Egli  pensava  che,  pur  rinunziando,  con  questo 
ripiego,  a  buona  parte  dei  pregi  della  trazione  elettrica,  tuttavia 
si  sarebbero  avuti  risultati  tali  da  incoraggiare  ad  esperimenti 
più  completi.  Ma  neppure  questo  progetto  non  risultò  attuabile, 
e  l'ingegnere  Heilmann  si  decise  a  riunire  ogni  cosa,  la  caldaia, 
la  dinamo,  i  motori,  tutto  su  di  un  unico  carro  costituente  una 
locomotiva,  nella  quale  gli  apparecchi  elettrici  non  fanno  altro 
che  sostituire  gli  organi  meccanici,  che  nelle  macchine  ordinarie 
collegano  gli  stantuffi  colle  ruote  motrici.  La  mostruosa  loco- 
motiva è  in  questi  giorni  l'oggetto  di  esperienze,  dalle  quali 
certamente  non  si  hanno  ad  attendere  risultati  ottimi.  Ma  ap- 
punto perchè  il  congegno  rappresenta  un  ripiego  transitorio,  lo 
scopo  dell'esperimento  sarà  raggiunto  anche  quando  i  risultati 
sieno  semplicemente  mediocri.  ' 

*  Herbert  Spencer,  The  study  of  Sociology  (Library  edition,  being  the 
ninth,  Williams  and  Norgate,  London  1880,  pag.  65). 

^  Le  esperienze  colla  locomotiva  Heilmann  si  stanno  facendo  dalla  Società 
delle  strade  ferrate  dell'ovest  in  Francia,  sulla  linea  Havre-Parigi. 

G.  FxRRARis,  Optrt,  Voi.  II.  39 


450  Sulla  trasmissione  elettrica 

Ma  come  per  la  illuminazione  elettrica,  così  per  il  trasporto 
elettrico  dell'energia  meccanica,  l'ultimo  passo  è  stato  segnato 
dall'impiego  delle  correnti  alternative.  E  tale  passo,  benché  non 
sia  ancora  completo,  è  non  pertanto  sicuro  ed  accenna  ad  assu- 
mere una  importanza  straordinaria.  Infatti  fin  d'ora,  mentre  an- 
cora durano  le  questioni  e  i  dubbi  intorno  ai  sistemi  definitivi, 
o  preferibili,  dei  motori  e  delle  reti  di  distribuzione,  già  si  è 
fatta  generale  la  convinzione  che  per  mezzo  delle  correnti  al- 
ternative il  trasporto  dell'energia  si  possa  fare  praticamente,  e 
nel  miglior  modo,  a  grandissime  distanze  e  su  vastissima  scala. 
E  ciò  che  è  più  notevole  e  che  interessa  non  soltanto  questa 
applicazione  speciale,  ma  tutta  la  elettrotecnica,  è  che,  non  ap- 
pena fu  posto  il  problema  della  trasmissione  con  correnti  alter- 
native, d'un  tratto  le  idee  dei  tecnici  intorno  ai  limiti  dei  poten- 
ziali praticamente  adoperabili  nella  trasmissione  ed  alle  distanze 
raggiungibili  con  questa  si  allargarono  prodigiosamente.  Fu  una 
onda  di  fiducia  che  d'un  subito  invase  il  campo  dell'elettrotec- 
nica. Quando  si  cominciarono  ad  adoperare  i  trasformatori  negli 
impianti  per  la  illuminazione  elettrica,  si  adottavano  sulla  rete 
primaria  differenze  di  potenziali  di  2500  o  di  3000  volt,  e  pa- 
reva molto;  nella  trasmissione  da  Tivoli  a  Roma,  destinata  an- 
cora essenzialmente  alla  illuminazione,  si  arrivava  a  5000  volt 
e  pareva  di  aver  raggiunto  il  limite  imposto  dalla  più  elemen- 
tare prudenza  ;  attualmente  si  parla  come  di  cosa  affatto  naturale 
e  comune  di  differenze  di  potenziali  di  10.000,  di  15.000  e  per- 
fino di  20.000  e  di  30.000  volt,  e  si  intraprendono  effettivamente 
impianti  basati  su  questi  valori.  Ai  potenziali  adottati  corrispon- 
dono le  distanze  raggiungibili;  ed  effettivamente  i  pratici  vanno 
rapidamente  famigliarizzandosi  coll'idea  di  trasmissioni  a  distanze 
prima  inaudite. 

Questo  repentino  allargamento  di  idee,  al  quale  corrisponde 
un  indirizzo  nuovo  nella  intiera  elettrotecnica,  ebbe  principio 
nel  1891,  al  tempo  della  esposizione  elettrica  di  Francoforte,  in 
grazia  dell'esperimento  di  trasporto  di  energia  da  Lauffen,  al 
quale  ho  or  ora  accennato.  Quell'ardito  esperimento,  che  in  pro- 
getto era  giudicato  temerario  ed  ora  già  pare  cosa  antica  ed,  a 
fronte  de' nuovi  progetti,  piccina,  ha  avuto  queste  conseguenze: 

Esso  ha  dissipato  i  timori  sull'impiego  degli  alti  potenziali 
ed  ha  così  dato  una  base  alle  larghe  idee  alle  quali  ho  accennato.  ^ 


^  Benché  durante  le  esperienze  ufficiali  della  Prùfungscomntissionf  le  quali 
ebbero  luogo  dall'i  i  al  15,  dal  18  al  2a  e  dal  25  al  27  ottobre  1891,  i  potenziali 


dell'energia,  451 


Esso  Ila  distrutto  la  credenza,  alla  quale  i  tecnici  parevano 
rassegnati,  che  per  l'uso  delle  correnti  alternative  non  si  avesse 
a  sperare  di  trovare  motori  praticamente  convenienti.  Quella 
credenza  era  dovuta  principalmente  alla  esagerata  importanza 
che  si  soleva  attribuire  all'inconveniente  de' motori  sincroni  di 
non  potersi  avviare  da  sé;  e  si  dileguò  quel  giorno  che  si  vide 
funzionare,  come  parte  di  un  impianto  notevole,  un  grande  mo- 
tore asincrono  polifase.  * 

Esso  ha  dato  impulso  a  nuove  ricerche,  le  quali  condussero 
a  sperimentare  nuove  forme  di  motori,  che,  pur  derivando  dal 
principio  del  campo  magnetico  rotante,  sono  atti  a  funzionare 
con  una  semplice  corrente  alternativa  e  possono  perciò  venire 
adoperati  sulle  attuali  reti  di  distribuzione  serventi  alla  illumina- 
zione. ^  E  richiamando  l'attenzione  su  tutta  la  materia  delle  cor- 
renti alternative,  ha  ricondotto  il  pensiero  dei  tecnici  sui  motori 
sincroni,  consistenti  in  semplici  dinamo  alternatrici  funzionanti 
a  rovescio,  il  difetto  dei  quali,  come  ho  detto,  era  stato  strana- 
mente esagerato.  Ed  anche  questo  fatto  è  importante,  perchè 
anche  ai  motori  sincroni  è  certamente  serbato  un  grande  avve- 
nire. Quando  si  tratti  di  grandi  motori,  di  centinaia  di  chilowatt, 
destinati  a  funzionare  in  una,  od  in  poche  grandi  stazioni,  ove 
il  lavoro  proceda  continuo,  senza  interruzioni,  l'inettitudine  al- 
Tautoavviamento  non  può  costituire  un  serio  inconveniente,  oggi 
sopratutto  che  si  sa  ricorrere,  per  l'avviamento,  al  sussidio  dei 
campi  rotanti.  E  intanto  il  sincronismo  costituisce,  nel  caso  con- 
siderato, un  pregio  meccanico  d'impareggiabile  valore.  In  grazia 
dì  esso  la  velocità  di  tutti  i  motori  delle  stazioni  secondarie  è 
perfettamente  governata  da  un  unico  regolatore,  dal  regolatore 
della  turbine  della  stazione  centrale  generatrice. 

Finalmente  l'esperimento  di   Lauffen  ha  fatto  entrare   nel 


adoperati  non  si  sieno  elevati  oltre  a  8500  volt,  tuttavia  nel  tempo,  molto  più 
lungo,  per  cui  l'impianto  funzionò,  si  raggiunsero  talvolta  potenziali  più  che 
doppi  di  questo. 

^  Il  motore  era  trifase.  —  Era  stato  costrutto  dalia  Ailgtmeine  Elektricitàts- 
Geseìlschafi  di  Berlino  su  disegni  dell' ing.  Dolivo  Dobrowolsky. 

*  I  motori  a  campo  alternativo,  come  quelli  di  Thomson-Brown,  ai  quali 
•qui  si  allude,  si  possono  considerare  come  motori  a  campo  rotante  doppi,  dif- 
ferenziali. Essi  non  possono  mettersi  in  moto  da  sé,  ma  quando  sono  lanciati 
con  una  velocità  angolare  sufficiente,  assumono  andamento  e  proprietà  analoghe 
a  quelle  dei  motori  a  campo  magnetico  rotante  (V.  Un  mttodo  per  la  trattasione 
dfi  Vittori  rotanti  od  alternativi,  ecc.  in  Opere  di  G.  Ferraris  al  voi.  I  a  pag.  355 
«  nelle  Mcm.  Acc.  di  Torino,  voi.  XLIV,  1893). 


452  Sulla  trasmissione  elettrica 

campo  pratico  i  sistemi  di  distribuzione  con  correnti  polifasi,  ì 
quali,  se,  fortunatamente,  non  sono  sempre  necessari,  offrono 
pur  sempre  alla  elettrotecnica  un  nuovo  mezzo  per  la  soluzione 
dei  suoi  problemi,  che  ogni  giorno  più  vanno  diventando  larghi 
e  multiformi.  I  pregi  delle  distribuziqni  con  correnti  polifasi  ap- 
pariscono, in  questi  giorni,  anche  maggiori  dopo  che  un  inge- 
gnosa proposta  deiringegnere  Scott  *  della  Società  Westinghouse 
ha  messo  in  chiaro  la  possibilità  di  combinare,  per  mezzo  di 
ordinari  trasformatori,  il  sistema  trifase  col  bifase,  e  di  passare 
dall'uno  all'altro  a  piacimento.  L'artifizio  dello  Scott  si  può  fa- 
cilmente generalizzare  :  date  due  correnti  di  fasi  diverse,  si  pos- 
sono ottenere,  per  mezzo  di  ordinari  trasformatori,  quante  si 
vogliano  correnti  presentanti  tutte  quelle  differenze  di  fasi  che 
si  possono  desiderare.*  Coi  trasformatori  sapevamo  già  trasfor- 
mare i  valori  efficaci  de' potenziali  e  delle  correnti;  ora  sappiamo 
anche  modificare  comunque  il  numero  e  le  fasi  di  queste.  Nessun 
altro  sistema  di  distribuzione  di  energia  può  presentare  una  pla- 
sticità paragonabile  a  quella  delle  odierne  distribuzioni  elettriche. 

Ma  vi  ha  un'altra  specie  di  plasticità  anche  più  notevole: 
quella  colla  quale  le  correnti  elettriche  si  adattano  a  sommini- 
strare l'energia  sotto  forme  diverse. 

È  legittimo  prevedere  grandiose  applicazioni  dei  lavori  chi- 
mici delle  correnti  nella  metallurgia  ed  in  altre  industrie.  L'ener- 
gia del  campo  elettromagnetico  è  il  prodotto  di  fattori  vettoriali 
nettamente  orientati  ;  le  azioni  elettrolitiche,  anch'esse  orientate, 
si  presentano  adunque  in  prima  linea  fra  quelle  a  produrre  le 
quali  la  corrente  elettrica  è  specialmente  acconcia.  Ad  esse  è 
serbato  l'avvenire. 

Per  ora  le  applicazioni  più  progredite,  oltre  a  quelle  nelle 
quali  l'energia  è  raccolta  come  lavoro  meccanico,  sono  quelle 
ove  questa  è  data,  direttamente,  come  calore.  In  tali  applicazioni 
si  trae  specialmente  partito  della  proprietà  per  la  quale  colla 
corrente  elettrica  si  può  localizzare  il  calore,  accumulandolo  in 
piccoli  spazi  ed  in  piccole  masse  di  materia  presentanti  piccole 
superficie  irradianti,  e  produrre  così  elevatissime  temperature. 
Ciò  è  quanto  si  fa  nei  fornelli  elettrici  ad  alluminio;  ciò  è  quanta 


*  Chas.  F.  Scott,  Polyphast  trammission,  Lettura  fatta  davanti  alla  *  Na- 
tional Electric  Light  Asaociation  ,  a  Washington,  D.  C,  i."  marzo  1894  (vedi 
anche  The  electrical  World.  24  marzo  1894,  pag.  393^ 

^  Vedi  a  questo  proposito:  Ch.  Proteus  Steinmetz,  Transformation  of 
alUrnating  currents  (The  Electr.  World,  Aprii  7^''  1884,  voi.  XXIII,  n.  14.  p.  464). 


dell'energia^  453 


si  fa  nelle  attuali  lampade  elettriche.  E  in  ciò  sta  il  segreto  della 
economia  della  illuminazione  elettrica.  Luce  è  calore,  ma  del 
calore  totale  irradiato  da  un  corpo  caldo  ha  la  lunghezza  d'onda 
conveniente  per  impressionare  il  nostro  occhio,  come  luce,  una 
frazione  tanto  più  grande  quanto  più  è  alta  la  temperatura  del 
corpo.  La  superiorità  di  un  faro  elettrico  in  confronto  di  un  faro 
ad  olio,  come  quella  di  questo  sui  fari  primitivi  a  legna,  sta  nella 
piccolezza  dello  spazio  ove  si  accumula  il  calore  ed  in  quella 
delle  superficie  dalle  quali  il  calore  è  irradiato. 

Al  lume  della  scienza  moderna  questo  fatto  della  possibilità 
di  ottenere  alte  temperature,  si  presenta  col  carattere  di  una 
importanza  più  grande  di  quella  che  risulta  dall'utile  che  se  ne 
è  fin  d'ora  ricavato  in  una  applicazione  speciale.  Della  energia 
non  hassi  a  considerare  solamente  la  quantità,  ma  anche  la  qua- 
lità; essa  non  ha  soltanto  un  valore  matematico,  ossia  una  gran- 
dezza, ma  ha  anche  un  valore  d'uso,  che  può  variare,  a  quantità 
costante;  è  come  una  merce  che,  a  parità  di  quantità,  può  avere 
pregi  e  valori  commerciali  diversi.  L'energia  infatti  non  è  tutta 
ugualmente  atta  a  trasformarsi  ;  e  ciò  vuol  dire  che  non  tutta  si 
può  ugualmente  utilizzare  per  la  produzione  di  speciali  fenomeni. 
11  principio  di  Carnot  dice  che  il  lavoro  ottenibile  con  una  data 
quantità  di  calore  è  tanto  maggiore  quanto  più  è  elevata  la  tem- 
peratura alla  quale  questa  quantità  di  calore  è  data.  Quindi  a 
proposito  osserva  il  Tait,  che  il  calore  ad  alta  temperatura  è 
energia  di  qualità  superiore,  e  quello  a  bassa  temperatura  è  ener- 
gia di  qualità  inferiore.  La  corrente  elettrica  ci  dà  calore  ad  alta 
temperatura,  essa  adunque  ci  dà  l'energia  termica  della  migliore 
specie. 

Una  lampada  elettrica  ad  arco,  colla  quale  la  luce  di  una 
candela  normale  si  può  ottenere  con  una  spesa  di  energia  mi- 
nore di  un  mezzo  watt,  paragonata  con  una  lampada  a  gas,  colla 
quale  ad  una  candela  corrisponde  una  quantità  di  calore  equi- 
valente a  più  di  novanta  watt,  rappresenta  un  progresso  cospi- 
cuo. Ma  certamente  non  è  ancora  l'ideale  ;  della  energia  irradiata 
dalla  lampada  elettrica  la  luce  rappresenta  meno  della  decima 
parte.  Perciò  alcuni  si  compiacciono  fin  d'ora  della  speranza  di 
poter  fare  molto  di  più;  e  pensano  che  un  giorno  si  abbia  a  riuscire 
a  produrre,  per  mezzo  di  regolari  oscillazioni  elettriche,  diret- 
tamente la  luce,  senza  passare  per  l'intermediario  di  quella  forma 
disordinata  di  energia,  che  si  dice  calore.  Se,  come  ora  si  am- 
mette, le  vibrazioni  luminose  sono  oscillazioni  elettriche,  se  sono 


454  Sulla  trasmissione  elettrica 

correnti  di  spostamento  alternanti  di  grande  frequenza,  o    che 
non  si  potranno  esse  produrre  direttamente  per  utilizzarle,  sen- 
z'altro intermediario,   nella  illuminazione?  La    difficoltà  sta  in 
questo,  che    la  proprietà  della  energia  elettromagnetica,   di   la- 
sciarsi guidare  con  quelle  rotaie  che  sono   i  fili  metallici,    non 
sussiste  se  non  per  frequenze  molto  minori  di  quelle  della  luce. 
La  luce  si  può  guidare  come  sappiamo:  con  specchi  e  con  lenti,. 
non  con  fili.  E  se  pensiamo  a  distribuire  correnti  elettriche  con 
le  frequenze  usuali  per  trasformarla  poi  sul  luogo  d'impiego  in 
oscillazioni    elettriche  rapidissime,  sorge  un  problema   troppo 
nuovo,  sul  quale  non  è  ancora  possibile  fare  previsioni.  La  fre- 
quenza poi  delle  oscillazioni  elettriche  di  Tesla  e  di  Elihu  Thom- 
son, deve  ancora  essere  moltiplicata  per  circa  un  milione   per 
diventare  paragonabile  con  quella  delle  oscillazioni  luminose.  Se 
tale  moltiplicazione  si  possa  fare  con  un  rendimento  pratico  tol- 
lerabile, è  questione  alla  quale  per  ora  non  si  può  rispondere, 
E  di  un  problema  tecnico  come  questo  non  è  qui  il  luogo   di 
trattare.  La  scienza  si  compiace  dell'utile  che  la  società  sa  ri- 
trarre dalla  applicazione  dei  trovati  che  ogni  giorno  essa  mette 
a  disposizione   delle  industrie,  ma    non  lavora  alla  ricerca    di 
quelle  applicazioni,  e  non  ha  bisogno  di  esse  per  stimare  la  propria 
opera,  né  la  speranza  di  esso  è  stimolo  necessario  alla  sua  atti- 
vità. Essa  anzi   sa  che  la  preoccupazione  pell'utile   immediato 
offuscherebbe  il  faro  verso  cui  s'affatica  o  guasterebbe  il  frutto 
del  suo  lavoro,  che  deve  consistere  nella  ricerca  disinteressata 
del  vero. 

Ma,  ho  detto,  vi  ha  un  secondo  aspetto  sotto  il  quale  è  do- 
veroso considerare  le  applicazioni  tecniche:  esse  ripagano  la 
scienza  dandole  impulso,  idee  e  mezzi. 

Io  quando  mi  trovo  nella  stazione  centrale  di  un  grande 
impianto  elettrico,  all'officina  de' Cerchi,  a  Tivoli,  a  Deptford,  od 
in  una  delle  ciclopiche  officine  elettriche  americane  della  Gene- 
ral Company  o  di  Westinghouse,  ed  ho  davanti  a  me  una  di 
quelle  poderose  macchine  dinamoelettriche  che  vi  lavorano,  e  la 
contemplo,  ed  osservo  la  immane  armatura,  o  la  pesante  corona 
dei  magneti  induttori  girare  nello  spazio,  libera,  portata  da  un 
albero  di  acciaio  su  cui  si  affatica  una  macchina  a  vapore  od 
una  turbina  di  centinaia,  e  talora  di  migliaia  di  cavalli  dinamici, 
e  non  vedo  organi  meccanici  che  ricevano  e  trasmettano  il  la- 
voro ad  altre  macchine,  né,  in  mancanza  di  tali  organi,  vedo 
alcun  freno  che  trasformi  sul  posto  quel   lavoro   in  calore,  ma 


dell'energia,  455 


per  rintracciare  quel  lavoro  debbo  ricorrere  col  pensiero  a  ciò 
che  ho  veduto  fuori  dell'officina,  a  chilometri  di  distanza,  e  ri- 
pensare ai  filamenti  di  carbone  incandescenti  in  migliaia  di  lam- 
pade, ed  agli  archi  voltaici  brillanti  fra  le  punte  di  carbone,  che 
vanno  struggendosi  per  l'elevata  temperatura,  ed  alle  armature 
di  motori,  le  quali  girano  da  sé  senza  nulla  di  visibile  che  le 
sospinga,  e  girando  comandano  macchine,  io  quando  vedo  e 
penso  a  queste  cose,  sento  irresistibilmente  che  prima  che  al 
pensiero  della  utilità  pratica  del  maraviglioso  meccanismo  la 
mente  si  rivolge  alla  contemplazione  del  fenomeno.  Prima  della 
importanza  industriale  io  sento  l'importanza  scientifica,  prima 
dell'utile  materiale  l'utile  intellettuale. 

E  notiamo:  non  è  già  che  io  prima  non  conoscessi  l'esi- 
stenza e  le  leggi  dei  fenomeni  che  sto  contemplando;  mille  volte 
nelle  scuole  e  nei  laboratori,  e  nei  libri  ognuno  dì  noi  ha  ve- 
duto e  studiato  quei  fenomeni.  Ma  la  conoscenza  di  essi  non 
attenua,  anzi  ingigantisce  l'impressione.  Così  è  :  la  grandezza,  e 
non  solo  la  natura  intrinseca  della  cosa  che  si  osserva,  concorre 
a  determinare  l'impressione  che  la  cosa  fa  sulla  mente  ed  a  dare 
una  direzione  ai  pensieri  che  nasceranno  dalla  osservazione.  Un 
ruscelletto,  l'acqua  del  quale  cade  a  perpendicolo  dall'altezza  di 
alcuni  metri,  e  la  cascata  delle  Marmore,  o  le  cataratte  del  Nia- 
gara,  sono,  oggettivamente,  cose  della  medesima  specie;  ma  non 
fanno  sull'anima  una  medesima  impressione,  né  guidano  la  mente 
ad  una  medesima  serie  di  pensieri.  La  corrente  alternativa  pro- 
dotta con  un  telefono  e  quella  prodotta  da  un  alternatore  di 
300  cavalli,  come  quelli  di  Tivoli,  sono  nella  sostanza  una  me- 
desima cosa;  e  l'esperimento  che  si  fa  quando  per  mezzo  delle 
vibrazioni  della  lastrina  di  ferro  del  telefono  trasmettitore  si 
mette  in  vibrazione  la  lastrina  di  ferro  di  un  telefono  ricevitore 
è,  obbietivamente,  identico  a  quello  che  si  fa  quando  con  l'al- 
ternatore di  Tivoli  si  mette  in  movimento  un  motore  elettrico 
lontano;  ma  le  idee  che  i  due  esperimenti  fanno  nascere  nella 
mente  dello  studioso,  e  le  nuove  ricerche  che  essi  suggeriscono 
possono  essere,  e  furono  nel  fatto,  completamente  diverse.  Gli 
impianti  elettrotecnici  industriali  costituiscono  molte  volte  veri 
e  grandi  laboratori  scientifici,  e  se  fosse  necessario  dimostrare 
ciò  che  la  scienza  vi  ha  attinto,  basterebbe  considerare  la  com- 
pleta trasformazione  che  per  ampiezza,  per  idee,  per  metodo^ 
per  linguaggio  si  verificò  in  pochi  anni  appunto  in  quei  rami 
della  elettrologia,  che  hanno  colle   applicazioni   pratiche   la   più 


456  Sulla  trasmissione  elettrica 

stretta  relazione.  Ma  qui  io  voglio  fermare  l'attenzione  special- 
mente su  questo  fatto  :  che  l'estendersi  delle  applicazioni  indu- 
striali della  trasmissione  elettrica  dell'energia  ha  avuto  una  parte 
molto  importante  nell'introdurre,  nel  delineare  e  nel  diffondere 
il  concetto  scientifico  stesso  dal  quale  deriva  il  loro  nome  :  il 
concetto  nuovo  della  scienza,  di  trasmissione  dell'energia. 

Il  principio  della  conservazione  dell'energia,  che  come  teo- 
rèma di  pura  meccanica  è  antico  come  Newton,  è  da  circa  mezzo 
secolo  ritenuto  nel  mondo  scientifico  come  una  verità  universale 
abbracciante  tutti  i  fenomeni  della  natura.  Esso  è  attualmente  un 
articolo  di  fede  scientifica;  ormai,  per  il  lungo  uso  e  per  le  in- 
numerevoli verificazioni,  la  convinzione,  colla  quale  si  crede  in 
esso,  è  limitata  soltanto  dal  pensiero  che  le  leggi  della  mecca- 
nica e  della  fisica,  o  le  stesse  proprietà  dello   spazio,   possano 
nel  mondo  a  noi  inaccessibile  essere  diverse  da  quelle  che  val- 
gono pel  mondo  accessibile.  Ma  fino  a  questi  ultimi  anni,  in  tutti 
gli  enunciati  ed  in  tutte  le  applicazioni  del  principio  sempre  si 
era  considerata  una  cosa  solo:  la  quantità  totale,  od  integrale, 
della  energia,  la  quale  si  conserva  e  non  può  variare.  Nulla  si 
soleva  dire  intorno  al  suo  movimento,  nemmeno  quando  la  na- 
tura stessa  de'  fenomeni  studiati  dava  luogo  a  considerazioni  di 
spazio  e  portava  a  paragonare  quantità  di  energie  esistenti   in 
luoghi  diversi,  e  nemmeno  quando  si  conosceva  per  esperienza 
l'esistenza  ed  il  valore  di  una  velocità  di  propagazione  finita  e 
determinata.  Si  affermava,  per  esempio,  che  la   massima    parte 
dell'energia  disponibile  su  questa  terra  ci  viene  mandata  dal  sole; 
che  è  il  calor  del  sole  quello  che,  innalzando  dal  mare  i  vapori, 
rifornisce  di  continuo  i  ghiacciai,  le  sorgenti,  i  torrenti  e  i  fiumi, 
dà  moto  alle  nostre  macchine  idrauliche  e  somministra  l'energia 
a  quella  macchina  immane  per  la  quale  incessantemente  si  mo- 
difica la  crosta  terrestre;  che  al  calore  del  sole  sono  dovute  le 
correnti  atmosferiche  e  le  marine;  che  è  l'energia  della  radiazione 
solare  quella  che  si  accumula  ne' tessuti  vegetali,  quando  in  essisi 
fissa  il  carbonio  tolto  alla  anidride  carbonica  dell'atmosfera  e  del- 
l'acqua, quella,  per  conseguenza,  che  gli  animali  ti'ovano  negli 
alimenti,  e  quella  accumulata  nel  litantrace   col    quale  noi  an- 
diamo alimentando  i  focolari  delle  nostre  caldaie  a  vapore  e  le 
storte  de*  nostri  gasometri.  Ma  con  queste  proposizioni  si  affer- 
mava unicamente  l'equivalenza  tra  l'energia  ricevuta  qui    sulla 
terra  ed  una  parte  di  quella  irradiata  dal   sole;  si   considerava 
l'energia  non  ancor  partita  dal  sole  e  la  si  riconsiderava  arri- 


dell'energia.  457 


vata  sulla  terra;  non  la  si  considerava  durante  il  viaggio.  Du- 
rante il  viaggio  si  consideravano  le  oscillazioni  termiche  e  lu- 
minose e  si  studiavano  le  leggi  della  loro  propagazione;  la 
energia  dovuta  alle  oscillazioni  si  considerava  solamente  nei 
corpi  irradianti  ed  in  quelli  riceventi  la  irradiazione.  Nello  studio 
della  grande  macchina  trasmettitrice  si  faceva,  in  sostanza,  quello 
che  ordinariamente  si  fa  nello  studio  delle  macchine  industriali, 
ove  si  considera  la  energia  spesa  ad  una  estremità  sul  primo  mo- 
bile e  quella  restituita  all'altra  estremità  dall'ultimo  mobile,  mentre 
per  gli  organi  intermedi  si  studiano  le  forze  e  i  moti  senza  bisogno 
di  pensare  al  modo  nel  quale  in  grazia  di  essi  ed  attraverso  ad 
essi,  da  un  capo  all'altro  della  macchina,  fluisce  l'energia. 

Lo  stesso  si  faceva,  inevitabilmente,  nel  considerare  l'ener- 
gia dovuta  alle  forze  tra  i  corpi  elettrizzati  ed  a  quelle  tra  i 
magneti;  né  si  sarebbe  potuto  fare  altrimenti,  finché  si  trattarono 
tali  forze  come  forze  newtoniane  agenti  a  distanza  senza  l'inter- 
vento di  alcun  mezzo  fra  i  loro  punti  d'applicazione.  Ed  era 
anche  naturale  che  la  stessa  cosa  si  facesse  nella  considerazione 
dei  fenomeni  delle  correnti  elettriche,  quando  le  applicazioni  di 
queste  non  erano  ancora  uscite  dai  laboratori  scientifici,  oppure 
si  limitavano  alla  produzione  a  distanza  di  piccoli  movimenti 
destinati  a  generare  suoni  od  a  servire  altrimenti  come  segnali. 
La  quantità  di  energia  che  si  presentava  in  quelle  applicazioni 
-era  piccolissima  e  perciò  non  attraeva  su  di  sé  l'attenzione,  o 
non  era  oggetto  principale  di  studio:  lo  studio  si  aggirava  su 
altri  concetti,  il  fenomeno  si  considerava  sotto  altri  aspetti.  Nes- 
suno fra  quanti  lavoravano,  praticamente,  o  colle  teorie,  attorno 
ai  telegrafi  elettrici,  od  ai  telefoni,  ebbe  mai  occasione  di  con- 
siderare una  trasmissione  telegrafica  o  telefonica  come  una  tras- 
missione di  energia;  ad  una  trasmissione  di  energia  nessuno 
pensava  nemmeno  quando,  per  festeggiare  la  posa  del  primo  ca- 
napo telegrafico  sottomarino,  si  sparava  un  cannone  su  di  una 
sponda  della  Manica  con  una  corrente  mandata  dall'altra  sponda, 
non  più  di  quanto  ad  essa  potesse  pensare  a'  suoi  tempi  Benia- 
mino Franklin  quando  con  una  scarica  elettrica,  trasmessa  lungo 
un  filo  attraverso  al  fiume  Schuylkill,  che  allora  era  lontano  al- 
cune miglia  da  Filadelfia,  immolava  un  gallinaccio,  con  un'altra 
scarica  elettrica,  trasmessa  nel  medesimo  modo,  accendeva  il 
fuoco  per  arrostirlo,  e  coronava  la  festa  bevendo  alla  salute  degli 
elettricisti  europei  in  coppe  elettrizzate  fra  le  scariche  dei  mor- 
taretti accesi  anch'essi  colla  batteria  elettrica. 


458  Sulla  trasmissione  elettrica 

Ma  non  appena  si  cominciarono  a  trasmettere  correnti  di 
grande  intensità,  prodotte  per  mezzo  di  macchine  d'induzione 
colla  spesa  di  lavoro  meccanico,  e  con  quelle  si  cominciarono 
ad  attivare  lampade  elettriche^  a  fondere  metalli,  a  comandare 
motori,  l'attenzione  dovette  rivolgerei  naturalmente,  come  alla 
cosa  più  importante,  alla  considerazione  del  lavoro.  E  siccome 
con  una  medesima  corrente  in  un  unico  circuito,  od  in  una  rete 
di  circuiti,  si  poteva  produrre  a  piacimento  lavoro  meccanico, 
o  lavoro  chimico,  o  calore,  o  luce,  nelle  condizioni  più  svariate 
ed  in  regioni  comunque  lontane  dal  luogo  dove  il  lavoro  era 
speso,  così  il  fatto  non  solamente  costituì  la  più  evidente  riprova 
del  grande  principio  della  conservazione  dell'energia,  ma  natu- 
ralmente dovette  forzare  nel  pensiero  il  concetto  dell'energia 
che  passa  da  luogo  a  luogo,  che.  si  muove,  che  si  trasmette.  Col 
concetto  nacque  la  corrispondente  locuzione:  trasmissione  del- 
l'energia; concetto  e  locuzione  si  assodarono  e  divennero  po- 
polari nella  tecnologia,  prima  che  su  di  essi  si  fermasse  di  pro- 
posito la  speculazione  scientifica. 

Ora  è  a  notarsi  l'importanza  di  questa  affermazione.  Le 
idee  larghe  mandano  spesso  i  loro  semi  e  danno  frutti  anche 
fuori  del  campo  nel  quale  sono  nate.  Il  fatto,  frequente  nella 
storia  delle  scienze,  che  una  medesima  nozione  fa  in  varie  di- 
scipline, con  forme  diverse  confacienti  a  ciascuna  di  queste,  si- 
multaneamente, la  sua  apparizione,  non  è,  in  generale,  fortuito. 
Esso  si  verifica  il  più  delle  volte  perchè  una  qualche  nozione, 
sorta,  non  importa  in  quale  ramo  speciale  di  ricerche  o  di  ap- 
plicazioni, si  è,  per  così  dire,  diffusa  nell'aria,  ed  ha  penetrato 
inavvertita  le  menti  degli  studiosi,  le  quali  inconsciamente  la 
ritrovano  e  la  ripresentano  nelle  forme  corrispondenti  ai  diversi 
caratteri  delle  loro  ricerche.  Quindi  io  non  penso  che  abbia  da 
attribuirsi  ad  un  caso  fortuito  questo  fatto,  che  proprio  nei  giorni 
in  cui  più  ferveva  il  lavoro  per  le  prime  grandi  esperienze  sulla 
trasmissione  elettrica  dell'energia  meccanica,  proprio  nel  1884^ 
quando  Marcel  Deprez,  incoraggiato  ed  agguerito  dalle  sue  prime 
esperienze  del  1882  a  Monaco  di  Baviera,  e  da  quelle  del  1883 
alla  stazione  del  Nord  di  Parigi  ed  a  Grenoble,  stava  prepa- 
l'andò,  fra  l'attesa  e  le  speranze  di  tutto  il  mondo,  il  suo  non 
felice,  ma  pur  coraggioso  e  pur  sempre  grande  tentativo  di  Creil, 
proprio  allora  mentre  le  menti  di  tutti  erano  rivolte  al  nuovo  ideale 
della  trasmissione  elettrica,  un  lavoratore  del  campo  della  scienza 
pura  ed  astratta,  il  professore  J.  H.  Poynting  del  Mason  College 


delt energìa,  459 

di  Birminghain,  ^  abbia  messo  alia  luce,  scavandolo  dalla  miniera 
delle  formole  del  Maxwell,  dove  era  racchiuso  completo,  ma  allo 
stato  latente,  il  suo  teorema  sul  flusso  della  energia  nel  campo 
elettro  magnetico;  un  teorema,  che,  quantunque  presentato  sol- 
tanto pel  caso  speciale  della  energia  elettromagnetica,  ha  avuto 
per  effetto  di  mettere  in  evidenza  un  concetto  molto  più  largo, 
il  concetto  della  continuità  della  energia. 

Questo  concetto  non  è  una  conseguenza  necessaria  di  quello 
della  conservazione  dell'energia^  è  un  allargamento,  è  il  comple- 
mento di  questo;  e  perciò  è  importante.  Col  semplice  principio 
della  conservazione  non  si  attribuiva  all'energia  nessuna  indivi- 
dualità; si  diceva:  una  quantità  di  energia,  data  in  una  deter- 
minata forma,  può  scomparire,  a  condizione  che  una  quantità 
uguale  di  quella  medesima  forma,  o  di  un'altra,  comparisca  si- 
multaneamente in  qualche  luogo,  dovechessia.  Col  principio  della 
continuità,  invece,  si  cerca  di  seguire  nel  suo  movimento  e  nei 
suoi  mutamenti  ciascuna  parte,  ciascun  singolo  pezzo,  si  direbbe, 
della  energia,  come  si  seguirebbe  un  pezzo  di  materia,  sul  quale 
si  fosse  fatto  un  segno  per  identificarlo  in  altri  luoghi  e  sotto 
altre  condizioni.  Secondo  il  nuovo  modo  di  considerare  le  cose, 
diceva  Oliver  Lodge  nel  1885,  compreso  d'entusiasmo,  in  una 
nota  *  a  lui  inspirata  dalla  pubblicazione  della  memoria  di  Poynting, 
secondo  il  nuovo  modo  di  considerare  le  cose  noi  possiamo  ra- 
gionare intorno  alla  via  percorsa  dall'energia  ed  avere  sulla  con- 
tinuità della  esistenza  della  medesima  la  stessa  certezza  che 
avremmo  quando  stessimo  ragionando  intorno  alla  via  per  cui  ci 
arriva  un  bagaglio  da  qualche  stazione  lontana,  comunque  que- 
sto possa  giungere  a  noi  manomesso  o  trasformato. 

La  nozione  della  continuità  delTenergia  era,  come  ho  detto, 
già  contenuta,  intiera  e  con  tutto  ciò  che  occorreva  per  svol- 
gerla ed  analizzarla,  nelle  teorie  del  Maxwell.  Clerk  Maxwell, 
dando  forma  matematica  precisa  ai  concetti  divinati  da  Faraday, 
aveva  espresso  l'energia  elettrica,  quella  magnetica  e  quella  elet- 


*  J.  U.  Poynting,  On  the  transfer  of  Energy  in  the  electrontagnetic  fielt/^ 
Philosophical  transactions  of  the  Royal  Society  of  London  1884,  voi.  175,  part.  a.\ 
pag.  343.  —  Idem,  On  the  connexion  between  electric  current  and  magnetic  in- 
dttction  in  the  surrounding  field,  id.   1885,  voi.  176,  part.  2.',  pag.  277. 

■  Oliver  Lodge,  On  the  identity  of  energy:  in  connection  wtth  Mr.  Foynting's 
paper  on  the  transfer  of  energy  in  an  electromagnettc  field;  and  on  the  tivr> 
fìtndaniental  forms  of  energy,  Philosoph.  Magaz.  London,  voi.  XIX,  serie  5.', 
maggio  1885,  pag.  482. 


460  Sulla  trasmissione  elettrica 

tromagnetica  non  più  per  mezzo  di  integrali  estesi  alle  suf>erfici 
ed  ai  volumi  occupati  dai  supposti  fluidi  elettrico  e  magnetico 
agenti  a  distanza  con  forze  newtoniane,  od  a  quelli  occupati 
dai  conduttori  attraverso  ai  quali,  col  linguaggio  ancora  in  uso, 
si  suol  dire  che  si  trasmettono  correnti  elettriche,  ma  per  mezzo 
di  integrali  estesi  anche  a  tutto  lo  spazio  frapposto  fra  i  corpi 
elettrizzati,  o  fra  i  magneti,  o  fra  i  conduttori  delle  correnti. 
L'idea  che  l'energia  avesse  la  sua  sede  in  tale  spazio  era  perciò 
legittima.  Legittima,  per  conseguenza,  era  anche  l'idea  che  le 
forze  elettriche  e  le  magnetiche  dipendessero  da  una  modifica- 
zione di  un  mezzo  riempiente  tale  spazio.  Il  dover  ammettere 
la  presenza  in  ogni  dove  di  un  mezzo  avente  alcune  proprietà 
analoghe  a  quelle  di  un  solido  elasticissimo  non  poteva  più  co- 
stituire una  difficoltà,  poiché  la  medesima  necessità  era  già  al- 
trimenti imposta  per  la  interpretazione  dei  fenomoni  della  luce; 
e  neppure  infirmava  la  legittimità  dell'idea  l'impossibilità  di  spie- 
gare le  forze  maxwelliane  per  mezzo  delle  sole  proprietà  dei 
solidi  elastici.  ^ 

Maxvell  aveva  fatto  di  più.  Con  quella  trovata  geniale  che 
fu  il  suo  concetto  dello  spostamento  elettrico  egli  era  riuscito 
a  presentare  ad  a  trattare  le  variazioni,  rispetto  al  tempo,  delle 
suaccennate  modificazioni  del  mezzo  come  un  fenomeno  della 
stessa  natura  di  quello  a  cui  si  dà  il  nome  di  corrente  elettrica, 
ed  allora,  attribuendo,  con  una  ipotesi  ormai  naturale,  a  questa 
corrente,  alla  corrente  di  spostamento,  le  note  proprietà  delle 
correnti  di  conduzione,  egli  potè  scrivere  equazioni  differenziali 
tra  le  forze  elettriche  e  le  magnetiche  esistenti  in  un  campo 
elettromagnetico,  le  quali  dimostrano  che  una  modificazione  di 
queste  forze  si  deve  trasmettere  come  si  trasmettono  nell'etere 
le  vibrazioni  luminose.  Dalla  sua  teoria  risultò  che  la  velocità 
di  propagazione  nell'etere  libero  doveva  essere  uguale  al  rap- 
porto tra  le  unità  elettromagnetica  ed  elettrostatica  di  elettricità, 
e  siccome  già  W.  Weber  e  Kohlrausch,  poi  egli  stesso,  poi 
W.  Thomson  ed  altri  avevano  trovato  sperimentalmente  che  il 
rapporto  delle  unità  era  uguale  alla  velocità  della  luce,  cosi  si 
presentò  come  molto  probabile  la  seducente  ipotesi  che  il  mezzo 
ove  si  propagano  le  forze  elettriche  e  magnetiche  e  l'etere  lu- 


*  L' impossibilità  di  spiegare  le  forze  maxwelliane  per  mezzo  delle  ordinarie 
proprietà  di  un  mezzo  isotropo  fu  posta  in  chiaro  da  Beltrami;  vedi  £.  Beltrami, 
SulVinierpretaziont  meccamca  dtlle  formoli  di  Maxwell,  Nuovo  Cimento,  serie  3.*, 
tomo  XX,  1885,  pag.  5  e  pag.  97. 


dell'energìa,  461 


mi  ni  fero  fossero  una  medesima  cosa.  Prima  ancora  che  la  teoria 
elettromagnetica  della  luce  ricevesse  una  più  diretta  conferma 
sperimentale  era  adunque  naturale  cercare  nel  mezzo  dielettrico, 
o  nell'etere,  la  sede,  come  delle  forze,  così  dell'energia;  ed  anzi,, 
poiché  Maxwell  aveva  dato  l'espressione  dell'energia  contenuta 
in  una  superficie  chiusa  comunque  tracciata  nello  spazio,  così  era 
dal  Maxwell  stesso  implicitamente  dato  tutto  quanto  occorreva 
per  studiare  col  sussidio  della  pura  matematica  il  modo  di  tras- 
mettersi di  essa. 

Ma,  come  ho  detto,  il  concetto  era  rimasto  inavvertito,  era 
allo  stato  latente  ;  e  fu  il  Poynting,  solo  ne!  1884,  appunto  quando 
come  ho  notato,  la  nozione  della •  trasmissione  dell'energia,  già 
diffusa  e  famigliare,  riempiva  le  menti  dei  tecnici  lavoranti  alla 
ricerca  delle  applicazioni  industriali,  fu  il  Poynting  che  lo  vide 
chiaramente,  e  che,  estraendolo  dal  suo  ripostiglio,  lo  portò  alla 
luce  del  giorno.  A  tal  uopo  gli  bastò  scrivere  per  mezzo  delle 
formole  di  Maxwell  l'espressione  dell'energia  elettrica  e  magne- 
tica contenuta  entro  una  superficie  chiusa,  comunque  tracciata 
nello  spazio,  e  differenziarla  rispetto  al  tempo.  Trasformando  il 
risultato  per  mezzo  delle  equazioni  di  Maxwell,  egli  trovò  che 
le  variazioni  della  quantità  totale  di  energia  contenuta  nella  su- 
perficie sono  uguali  a  quelle  che  si  avrebbero  se  l'energia  fluisse 
nello  spazio  in  direzione  perpendicolare  al  piano  delle  forze  elet- 
trica e  magnetica,  e  propriamente  nella  direzione  nella  quale  si 
avanzerebbe  una  vite  destrorsa  girante  dalla  prima  di  queste 
forze  verso  la  seconda,  e  se  in  una  unità  di  tempo,  in  un  se- 
condò, passasse  attraverso  ad  ogni  unità  di  superficie,  ad  un 
centimetro  quadrato  preso  su  tale  piano,  una  quantità  di  energia 
proporzionale  all'area  del  parallelogrammo  fatto  sulle  due  forze 
medesime  prese  come  lati. 

Ora  ecco  la  conseguenza  a  cui  conduce  questo  teorema.  In 
un  filo  percorso  da  una  corrente  elettrica  la  forza  elettrica  è 
longitudinale  mentre  quella  magnetica  è  perpendicolare  al  piano 
passante  per  l'asse,  è  tangenziale  ;  il  flusso  dell'energia  è  adun- 
que radiale  e  diretto  v^rso  l'interno.  L'energia  non  fluisce  nel 
filo  longitudinalmente,  ma  entra  dall'esterno  normalmente  alla 
superficie,  ed  entrata  si  trasforma  in  calore.  Fuori  del  filo,  a 
breve  distanza  da  esso,  la  forza  elettrica  è  radiale,  colla  forza 
magnetica,  che  è  tangenziale,  essa  determina  un  piano  appros- 
simativamente normale  al  filo;  il  flusso  di  energia  è  longitudi- 
nale ;  l'energia  fluisce  all'esterno  del  filo  ;  fluirebbe  tutta  all'esterno^ 


462  Sulla  trasmissione  elettrica 

senza  che  alcuna  parte  di  essa  penetrasse  nel  metallo,  se  questo 
potesse  avere  una  resistenza  elettrica  nulla:  penetra  in  parte 
nel  metallo  e  vi  si  perde  trasformandosi  in  calore  se  vi  ha  una 
resistenza  diversa  da  zero.  Il  filo  non  è  un  canale  dentro  al 
quale  l'energia  fluisca;  è  una  rotaia  lungo  la  quale  l'energia 
scorre  esternamente  e  nella  quale  una  parte  di  questa  si  dissipa 
come  calore.  Il  metallo  del  filo  non  è  il  materiale  attivo  del 
meccanismo  trasmittente  ;  è  invece  un  materiale  passivo,  che  nel 
funzionamento  di  tale  meccanismo  interviene  colla  sua  cedevo- 
lezza. In  mezzo  al  dielettrico  circostante,  che  è  il  corpo  ove  le 
forze  hanno  sede  e  si  trasmettono,  il  filo  non  fa  altro  che  sta- 
bilire una  linea  di  debolezza,  la  quale  fa  sì  che  la  propagazione 
dell'energia  avvenga  in  una  direzione  determinata;  il  filo  non 
è  la  sede  del  fenomeno  principale,  ma  semplicemente  determina 
pel  fenomeno  un  asse.  Se  il  circuito  elettrico  è  formato  da  due 
fili  paralleli,  l'energia  corre  frammezzo  a  questi  come  fra  due 
guide.  Se  si  ha  un  canapo  concentrico,  l'energia  fluisce  nello 
spazio  isolante  fra  l'anima  di  rame  ed  il  conduttore  tubolare 
esterno.  In  tutti  i  casi  essa  si  trasmette  attraverso  allo  spazio 
non  occupato  dal  metallo. 

Vecchie  abitudini,  derivate  in  parte  da  un  vecchio  linguaggio, 
il  quale  ci  rende  propensi  a  paragonare  una  corrente  elettrica 
in  un  conduttore  ad  una  vena  liquida  scorrente  in  un  tubo,  pos- 
sono fare  sì  che  le  esposte  conclusioni  ci  si  presentino  a  prima 
giunta  come  inattese,  ed  anche  come  strane.  Ma  tali  non  sono. 
Anzi  io  voglio  notare  che  forse  esse  ci  si  presenterebbero  come 
affatto  naturali,  quasi  come  intuitive,  se,  dopo  di  avere  accettato 
il  concetto  di  Faraday,  che  sta  a  base  della  teoria  maxwelliana, 
il  concetto  cioè  che  non  vi  abbiano  forze  a  distanza,  noi  pro- 
vassimo a  spogliarci  di  ogni  altro  preconcetto  e  ci  mettessimo 
a  considerare  un  impianto  di  trasmissione  elettrica  coH'occhio 
del  pratico,  che,  avendo  maggiore  famigliarità  colle  macchine 
che  colle  astrazioni  scientifiche,  suole  cercare  di  ciò  che  osserva 
le  spiegazioni  più  semplici  e  più  dirette. 

Consideriamo  infatti  un  impianto  di  trasmissione  costituito 
da  una  dinamo  generatrice  e  da  un  motore  elettrico  collegato 
in  circuito  con  questa  per  mezzo  di  due  fili  metallici.  Se  le  due 
macchine  sono  di  quelle  ove  i  fili  partono  da  spazzole  appog- 
giate alle  parti  metalliche  mobili,  vi  ha  tra  i  due  alberi  rotanti 
continuità  cosi  del  metallo  come  del  dielettrico,  e  perciò  si  può 
fare  tanto  l' ipotesi  che  la  energia  si  trasmetta   nell'  interno  dei 


i 


dell'energia,  463 


fili  quanto  quella  che  essa  si  trasmetta  all'esterno.  La  difBcoltà 
di  capire  il  meccanismo  della  trasmissione  è  la  stessa  nelle  due 
ipotesi,  perchè  come  fuori  dei  fili,  così  dentro  di  essi  nessun 
movimento  è  visibile.  Ma  possiamo  considerare  casi  nei  quali 
sussiste  la  continuità  soltanto  del  dielettrico,  o  soltanto  del  me- 
tallo e  da  questi  possiamo  dedurre  criteri  sicuri  per  la  scelta 
fra  le  ipotesi.  Si  ha  la  continuità  del  solo  dielettrico,  e  non  quella 
del  metallo,  nel  caso  di  una  trasmissione  da  una  dinamo  alterna- 
trice  ad  armatura  fissa,  come  quelle  di  Tivoli,  o  de'  Cerchi,  ad 
un  motore  a  corrente  alternante  del  medesimo  tipo.  In  questo 
caso  infatti  la  continuità  metallica  può  esistere  solo  tra  le  parti 
fisse  delle  due  macchine,  le  quali  consistono,  come  si  sa,  in  due 
corone  di  spirali  ;  la  continuità  non  esiste  tra  queste  parti  fisse 
e  le  mobili,  le  quali  sono,  come  si  sa,  due  stelle  di  magneti  por- 
tate da  alberi  e  giranti  dentro  alle  due  corone;  queste  due  stelle 
girano  nelle  due  corone  di  spirali  senza  toccarle,  girano 
nell'aria.  Ebbene,  quantunque  manchi  la  continuità  metallica, 
tuttavia  le  due  stelle  si  trasmettono  dall'una  all'altra  il  movi- 
mento, esattamente  come  farebbero  due  ruote  dentate  imboccanti 
runa  nell'altra.  Dunque  alla  trasmissione  non  è  necessaria  la 
continuità  del  metallo;  lo  strato  di  isolante  che  avviluppa  tutta 
la  parte  mobile  della  dinamo  e  quello  che  avviluppa  tutta  la  parte 
mobile  del  motore  non  impediscono  la  trasmissione;  il  dielet- 
trico si  lascia  attraversare  dall'energia  elettromagnetica.  La  cosa 
risulta  anche  più  evidente  se,  invece  che  ad  una  trasmissione 
diretta,  pensiamo  ad  una  trasmissione  indiretta  con  trasformatori. 
Allora  infatti  non  esiste  continuità  metallica  nemmeno  tra  le 
parti  fisse  delle  due  macchine.  Ma  consideriamo  ora  un  caso  nel 
quale  sia  interrotta  la  continuità  dell'isolante;  immaginiamo  che 
la  camera  dove  è  la  dinamo,  o  quella  dove  è  il  motore,  od  en- 
trambe sieno  tappezzate  con  un  grosso  strato  di  metallo,  che 
non  lasci  scoperta  né  sulle  pareti  laterali,  né  sul  pavimento,  né 
sul  soffitto,  alcuna  parte  isolante.  In  questo  caso  non  é  più  pos- 
sibile nessuna  trasmissione;  noi  non  possiamo,  in  questo  caso, 
far  uscire  anche  solo  un  briciolo  di  energia  elettromagnetica 
dalla  camera  ove  é  la  dinamo,  né  possiamo  farne  entrare  un 
briciolo  in  quella  dove  é  il  motore.  La  parete  metallica  non 
lascia  passare  l'energia  elettromagnetica;  questa  non  esce,  o  non 
entra  nella  stanza,  se  non  alla  condizione  che  vi  sia  una  fine- 
strina  ove  essa  possa  passare;  e  questa  finestrina  é  aperta  al 
l'energia  se  chiusa  solo  da   materia  isolante,  come  le  finestre 


464  Sulla  trasmissione  elettrica 


delle  nostre  abitazioni  sono  aperte  alla  luce  quando  sono  chiuse 
solamente  con  vetri.  L'energia  può  penetrare,  in  parte,  nel  me- 
tallo della  parete,  ma  quivi  rimane  trasformata  in  calore,  e  sol- 
tanto in  questo  stato  potrà  poi  parzialmente  passare  dall'altra 
parte.  Se  il  metallo  costituente  la  parete  potesse  essere  un  per- 
fetto conduttore,  se  non  avesse  una  resistenza  specifica,  nemmeno 
questo  fatto  avverrebbe,  l'energia  elettromagnetica  non  penetre- 
rebbe nemmeno  nell'interno  di  esso;  un  perfetto  conduttore  sa* 
rebbe  per  l'energia  elettromagnetica  un  perfetto  ostruttore.  Se  fosse 
completamente  vero  il  fatto  che  le  notevoli  ricerche  di  Dewar  e 
Fleming  ^  fanno  prevedere,  che  cioè  alla  temperatura  dello  zero 
assoluto  la  resistenza  specifica  dei  metalli  si  annulla,  si  potrebbe 
dire  che  una  parete  metallica  allo  zero  assoluto  non  solo  co- 
stituirebbe uno  schermo  perfetto  per  l'energia  elettromagnetica, 
ma  non  si  lascierebbe  nemmeno  penetrare  da  essa,  per  effetto 
diretto  di  essa  non  potrebbe  essere  riscaldata,  e  rimarrebbe  in- 
variabilmente allo  zero  assoluto.  E  adunque  forza  concludere 
che  delle  due  ipotesi,  che  l'energia  elettromagnetica  viaggi  nel 
metallo  o  che  viaggi  fuori  del  metallo,  nel  dielettrico,  solamente 
la  seconda  è  accettabile.  Lo  scaldarsi  che  fanno  i  fili  metallici 
congiungenti  la  stazione  generatrice  con  la  ricettrice  non  infirma 
questa  ipotesi:  anche  nei  congegni  della  ordinaria  meccanica 
non  sono  già  gli  organi  trasmettitori  quelli  che  si  scaldano,  ma 
sono  i  perni,  i  cuscinetti,  le  guide,  le  rotaie. 

Tanto  queste  idee,  alle  quali  conduce  intuitivamente  la 
contemplazione  diretta  dei  fatti,  quanto  quelle  più  precise,  alle 
quali  conduce  la  trattazione  matematica  di  Poynting,  riposano 
intieramente  sul  concetto  fondamentale  di  Faraday  e  di  Maxwell^ 
che  le  forze  elettriche  e  le  magnetiche  abbiane  la  loro  sede  in 
un  mezzo  riempiente  lo  spazio  dielettrico.  Ora  questa  ipotesi,, 
che  Maxwell  aveva  dimostrato  matematicamente  conciliabile  coi 
fatti  sperimentali,  e  che  la  coincidenza  del  valore  del  rapporto 
delle  unità  elettriche  con  quello  della  velocità  della  luce  già 
rendeva  immensamente  probabile,  riposa  attualmente  sopra  una 
base  sperimentale  positiva.  Le  scoperte  che  formarono  tale  base 
hanno  avuto  un'importanza  cosi  straordinaria,  e  di  esse  è  così 
piena  in    questi    giorni   la    mente    di    quanti  si  interessano  del 


*  J.  Dewar  e  J,  A.  Fleming,  The  eltctrical  rtsistance  of  melals  and  alioys^ 
nt  ttntperatures  approaching  the  absolule  zero.  Philosophical  Magazine,  settem- 
bre 1893;  The  electrician,  15  settembre  1893,  pag.  539. 


f 


delVenergia,  465 

mondo  fisico,  che  io  non  ho  quasi  bisogno  di  nominarle.  Enrico 
Hertz  nel  1888  *  riuscì  a  produrre,  per  mezzo  di  una  serie  di 
scariche  oscillanti,  regolari  e  rapidissime  variazioni  periodiche 
della  forza  elettrica,  rapide  oscillazioni  elettriche,  come  si  suole 
dire;  e  per  mezzo  di  un  conduttore  aperto  funzionante  come 
risonatore  riuscì  a  scoprire  quelle  oscillazioni  nello  spazio  ed 
a  seguirle;  seppe  produrre  con  quelle  fenomeni  d'interferenza  e 
per  mezzo  di  questi  potè  dimostrare  che  le  oscillazioni  si  pro- 
pagano atti'a verso  allo  spazio  con  una  velocità  determinata. 
Riuscì  anzi  a  fare  una  approssimativa  misura  della  velocità  di 
propagazione,  e  la  trovò  uguale  a  quella  della  luce. 

Ora  se  le  forze  elettriche  impiegano  un  tempo  a  propagarsi , 
esse  rimangono  un  certo  tempo  nello  spazio  e  con  esse  rimane 
nello  spaifio  la  corrispondente  energìa.  Il  concetto  di  un  mezzo 
sede  delle  forze  e  dell'energia  elettromagnetica  è  adunque  ob- 
bligatorio; e  siccome  la  velocità  di  propagazione  delle  forze 
elettriche  è  uguale  a  quella  della  luce,  così  l' ipotesi  più  sem- 
plice e  più  legittima  è  che  il  corpo,  nel  quale  ha  sede  e  si  pro- 
paga l'energìa  elettromagnetica,  sia  quel  medesimo  etere  attra- 
verso al  quale  si  propaga  la  luce.  Ormai  è  indubitabile  :  il  mezzo 
che  trasmette  l'energia  dall'albero  di  una  ruota  idraulica  a  quello 
di  un  motore  elettrico  lontano,  o  dal  focolare  di  una  motrice  a 
vapore  alle  punte  dei  carboni  fra  le  quali  brilla  l'arco  voltaico 
od  ai  fili  di  carbone  splendenti  nei  palloncini  delle  lampade  ad 
incandescenza,  è  quel  medesimo,  attraverso  al  quale,  e  per  opera 
del  quale  viene  dal  sole  a  noi  pressoché  tutta  l'energia  di  cui 
disponiamo  su  questa  terra.  Mi  è  occorso  di  dire  come  in  alcuni 
paesi  industriali  si  viva  ormai  in  mezzo  ad  una  grande  mac- 
china che  abbraccia  e  muove  ogni  cosa;  ora  quella  grande  mac- 
china ci  si  presenta  come  una  minima  parte  di  una  macchina 
ancora  più  grande.  E  se,  come  già  divinava  Lamé,  ^  verrà  un 
giorno  nel  quale  si  dovranno  spiegare  per  mezzo  dell'etere  anche 
le  forze  nei  corpi  elastici,  che  sono  quelle  che  si  utilizzano  negli 
organi  delle  macchine  ordinarie,  quel  giorno  si  dovrà  dire  che 
dappertutto  e  sempre,  nella  grande  macchina  dell'universo  come 


'  H.  Hertz^  Utbtr  di$  Aushreilungsgtschwindigktii  der  eltktrodynami^chtn 
Wirkungtn,  Sitzungsberichte  d.  Berliner  Akad.  d.  Wissenschaften,  2  febbr.  1888; 
Wicdem.  Ann.  34,  pag.  551.  —  Idem,  Uehtr  tUktrodynamischt  Wellen  in  Luf' 
traumi  und  deren  ReflectioHf  Wiedem.  Annalen,  34,  610;  1888. 

^  G.  Lamé,  Leforis  sur  la  théorie  mathématique  de  l'élasticité  dis  corps  so» 
h'deSf  Deuxième  édition.  Paris  1866,  pag.  335. 

G.  Ferraris,  Opere,  Voi.  II.  30 


466  Sulla  trasmissione  elettrica 

nelle  parti  di  essa  da  noi  modificate  e  disposte  pe'  bisogni  delle 
nostre  industrie,  il  mezzo  nel  quale  l'energia  si  trasmette,  è 
uno  solo,  l'etere. 

Intorno  alla  legge  quantitativa  della  trasmissione  il  teorema 
di  Poynting  non  dice  ancora  tutto.  Il  teorema  ci  assicura  che 
la  variazione  della  quantità  totale  di  energia  nell'interno  di  una  j 

superfìcie  chiusa  è  quella  che  si  avrebbe  se  il  flusso  di  energia 
fosse  in  ogni   punto  uguale  al  vettor-prodotto   della  forza  elet- 
trica per  la  magnetica;  non   dice  che  effettivamente  esso  abbia  ^ 
tale  valore.  Noi  potremmo   sommare  col   flusso  calcolato  colla 
legge  di  Poynting,  arbitrariamente,  un  altro  flusso  qualunque  a 
distribuzione  solenoidale  senza  punto  modificare  il  flusso  totale                '  \ 
entrante  nella  superficie   chiusa;  il  che  vuol   dire  che  la  distri- 
buzione del  flusso  indicata  da  Poynting  non  è  che  una  fra  in-  J 
finite  altre  tutte  conciliabili  colle  equazioni  di  Maxwell.  Che  fra  ^ 
le  infinite  possibili  essa  possa  non  essere   sempre   la   distrìbu-  i 
zione  effettiva,  risulta  anche  dalla  considerazione  di  certe  circo- 
lazioni di  energia,   che  con  essa  si  avrebbero  in  sistemi  appa-                '  i 
rentemente  statici;  tantoché  Hertz   ebbe   ripugnanza  a  servirsi 
del  teorema.  Ma  che  l'energia  si  trasmetta  attraverso  all'etere, 
non  può  ormai  più  essere  posto  in  dubbio;  e  credere  con  Hertz 
che  il  principio  della  continuità  dell'energia,  quale  fu  nettamente  , 
delineato  da   Poynting,  non  trovi  ancora  nella  scienza  attuale  I 
un  terreno  preparato,  è  certamente  una  esagerazione.  *  i 

Intorno  poi  al  meccanismo  della  trasmissione  nell'etere  si 
è  cercato  e  si  va  cercando  di  diffondere  alcune  delle  idee  fon- 
damentali per  mezzo  di  finzioni  o  di  modelli  meccanici,  alcuni 
dei  quali,  segnatamente  quelli  di  Fitzgerald  *  e  di  Lodge,  *  hanno 


^  H.  Hertz,  Uebtr  die  Grundgleichungen  dtr  Eltktrodynamik  fùr  ruMendi 
Kórp€r,  Gottingcr  Nachr.  voi.  XIX.  Marzo  1890;  Wicd.  Ann.  XL,  pag.  577; 
Untersuchungen  iiber  die  Ausbrtitung  dtr  Eltktrischtn  Kraft,  Leipzig  1892, 
pag.  ao8.  —  I  dubbi  sulla  interpretazione  del  teorema  di  Poynting  sono  espressi 
a  pag.  934  del  volume  ultimo  citato.  Nella  nota  31  alla  fine  del  volume,  p.  393, 
Hertz  dà  ragione  de'  suoi  dubbi,  servendosi  dell'esempio  dell'energia  trasmessa 
da  una  motrice  a  vapore  ad  una  dinamo  per  mezzo  di  una  cinghia  e  dalla 
dinamo  ad  una  lampada  elettrica  per  mezzo  di  due  fili.  Ma  a  noi  pare  evidente 
che  se  la  trasmissione  dell'energia  lungo  la  cinghia  non  si  suole  considerare, 
ciò  dipende  più  dal  non  avere  ancora  sentito  il  bisogno  di  farlo  che  dalla 
oscurità  o  dalle  difficoltà  intrìnseche  del  problema. 

'*  Fitzgerald,  Proc.  R.  Dub.  Soc.  Gennaio  1885.  —  Vedi  anche:  Fitzgerald, 
On  the  structure  of  Mechanical  Models  illustrating  some  properties  of  Atthcr, 
Phil.  Mag.  1885,  pa?-  438. 

'  Oliver  Lodge,  Modem  viezvs  of  eleciricity,  London,  1892. 


dell'energia.  467 


indubbiamente  contribuito  in  larghissima  misura  a  popolarizzare 
le  nuove  teorie.  Ma  questi  sono  artifizi  utili  soltanto  per  aiutare 
ne' primi  passi  gli  studiosi  meno  addestrati  alle  astrazioni, mate- 
matiche. Meno  imperfettamente,  ed  in  un  campo  più  elevato, 
giovano  a  delineare  le  idee  sulla  proprietà  dell'etere  e  sul  mec- 
canismo della  trasmissione  le  ricerche  teoriche,  colle  quali,  in 
forma  matematica,  si  confrontano  le  proprietà  del  mezzo  elet- 
tromagnetico con  quelle  de'  corpi  elastici,  *  o  si  cercano  le  pro- 
prietà meccaniche  che  si  dovrebbero  attribuire  ad  un  corpo 
acciocché  i  suoi  movimenti  potessero  soddisfare  alle  equazioni 
di  Maxwell  o  di  Hertz.  ■  Tali  ricerche  possono  anche  avere  una 
importanza  grande  per  sé,  perchè  la  dimostrazione  di  una  ana- 
logia, o  di  una  differenza,  é  per  se  stessa  un  trovato  scientifico. 
Ma  se  si  considerano  come  teorie  elettromagnetiche,  anche  queste 
hanno  puramente  il  carattere  di  modelli  provvisori,  Tuflicio  dei 
quali  é  somigliante  a  quello  dei  ponti  di  servizio  che  si  adope- 
rano nei  lavori  architettonici:  necessari  durante  la  costruzione,, 
questi  ponti  debbono  essere  demoliti  ad  opera  finita;  lasciati  in 
posto,  impedirebbero  la  vista  dell' edifizio.  Le  equazioni  dì 
Maxwell,  o  quelle  di  Hertz,  compendiano  quella  parte  delle  no- 
stre nozioni  intorno  al  mezzo  elettromagnetico,  la  quale  é  fin 
d*ora,  nello  stato  attuale  della  scienza,  riducibile  a  forma  pre* 
cisa;  esse  compendiano  quanto  effettivamente  si  sa  per  espe- 
rienza intorno  alle  proprietà  meccaniche  del  mezzo.  Conoscendo- 
quelle  equazioni,  noi  siamo  autorizzati  a  dire  che  conosciamo- 
Tetere,  col  medesimo  diritto  col  quale  diciamo  di  conoscere  le 
proprietà  de'  corpi  elastici,  perchè  conosciamo  le  equazioni  che 
reggono  l'equilibrio  ed  il  moto  di  essi.  Una  teoria  meccanica 
dell'etere  può  essere  legittima  se  si  accorda  con  quelle  equa- 
zioni, ma  non  può  aggiungere  nulla  a  ciò  che  esse  dicono,  o 
se  aggiunge,  aggiunge  troppo.  Le  equazioni  di  Maxwell  e  dr 
Hertz  costituiscono  da  sé  una  teoria  meccanica,  una  teoria  mec- 
canica larga,  senza  una  precisa  specificazione  del  meccanismo; 
una  così  detta  interpretazione  meccanica  di  essa  non  fa  che 
specificare  il  meccanismo,  ed  ha  maggiore  probabilità  di  allon- 


^  £.  Beltrami,  Mem.  citata. 

*  Notevoli  a  questo  riguardo  i  lavori  seguenti:  Ernesto  Padova^  Un<t 
titiova  interprtiaziont  dti  ftnomi  tUltrid,  magnetici  t  luminosi,  Nuovo  Cimento, 
1891,  serie  3.',  tom.  XXIX,  pag.  225;  Hermann  Ebert,  Zur  Theori*  d«r  ma- 
gnttischen  unti  eltkirischen  Erscheinungen^  Ann.  dcr  Physik  und  Chemie,  Neue: 
Folgc  Bd.  51,  1894,  pag.  268. 


463  Sulla  trasmissione  elettrica 


tanarla  dal  vero,  che  non  di  avvicinarla  ad  esso.  Una  teoria  è 
tanto  più  probabile  quanto  più  è  astratta.  Se  essa  si  traduce  in 
equazioni  rispondenti  ai  fatti  direttamente  dati  all'esperienza» 
essa  è  quanto  oggi  si  può  desiderare.  Il  progresso  starà  nel  fare 
che  le  equazioni  abbraccino  domani  un  più  largo  numero  di 
fatti  sperimentali. 


Sire,  Graziosissima  Regina, 

Signore,  Signori, 

Ho  cominciato  a  parlare  di  impianti  industriali,  ed  ho  finito 
'col  dire  che  quegli  impianti  sono  parti  di  una  macchina  più 
grande,  nella  quale  gli  organi  principali,  gli  organi  che  propria- 
»mente  trasmettono  le  forze  ed  i  lavori,  non  sono  quelli  visibih', 
^i  metallo,  ma  sono  invisibili  nello  spazio,  il  quale  è  tutto  pieno 
■di  essi^  anche  là  dove  abbiamo  l'abitudine  di  dire  che  lo  spazio 
è  vuoto.  Ed  ho  detto  ancora  che  la  migliore  conoscenza  di  queg^li 
•organi  e  del  materiale  con  cui  sono  fatti  si  deve  cercare  nelle 
teorie  astratte;  ho  detto  in  sostanza,  che  invece  di  materializzare 
le  equazioni  matematiche  vestendole,  per  cosi  dire,  con  finti 
meccanismi,  dobbiamo  guardare  il  tessuto  geometrico,  che  forma 
•come  lo  scheletro  dei  fenomeni,  in  sé  e  per  sé,  come  la  espres- 
sione più  semplice  e  fpiù  genuina  di  essi.  Sono  partito  dalle 
applicazioni  industriali  della  parte  più  tecnica  della  fìsica,  e, 
senz'accorgermi,  stavo  quasi  per  entrare  nelle  regioni  più  astratte 
alle  quali  la  fìsica  sia  mai  arrivata.  Ebbene  io  debbo  notare  che 
in  ciò  non  vi  fu  sforzo  né  intenzione.  La  stessa  cosa  fanno  spesso, 
senza  accorgersi,  anche  gli  uomini  della  pratica.  Egli  è  che 
realmente  non  è  sempre  possibile  segnare  un  confìne  fra  la 
scienza  pura  e  le  sue  applicazioni:  egli  è  che  queste  non  avan- 
zano se  quella  non  interviene  di  continuo;  egli  è  che  queste 
non  si  muovono  se  quella  non  si  muove,  come  una  ruota  den- 
tata non  gira  se  non  gira  con  essa  anche  la  ruota  compagna. 

11  popolo  più  tecnico  del  mondo,  il  nordamericano,  dopo  di 
avere  coperto  dì  opifizi  il  suo  grande  paese,  incominciò  col- 
l'impiantarvi  scuole  industriali,  ma  attualmente  è  intento  ad  al- 
lestire, con    uno  slancio    e    con  una   larghezza  di  idee  per  noi 


dell'energia.  469 

inaudita,  istituti  e  laboratori  per  la  scienza  alta  e  pura.  Noij  che 
per  necessità  storica  procediamo  in  ordine  inverso,  noi,  mentre 
intendiamo  all'incremento  delle  nostre  industrie  e  dei  nostri 
commerci,  serberemo  nel  tempo  stesso  agli  studi  l'antico  culto* 
Ed  oggi  vedendo  questa  nostra  serena  e  severa  casa  dedicata  agli 
studi  onorata  dai  Sovrani  e  da  sì  eletta  adunanza  di  cittadini,  sen- 
tiamo pieni  i  nostri  cuori  non  solo  dì  gratitudine,  ma  anche  del 
conforto  che  ci  arreca  ogni  nuova  evidenza  della  saggezza,  che 
veglia  su  di  noi  e  di  quella  che  ci  circonda. 


NECROLOGIA 


{DsdVInge^erta  CivtU  e  U  Arti  Industriali.  Voi.  XIV.) 


Luciano  Gaulard. 

Il  a6  novembre  ultimo  (1888)  nella  casa  di  salute  di  Sant'Anna, 
in  Parigi,  moriva  Luciano  Gaulard.  —  L'iniziatore  delle  distri- 
buzioni d'energia  elettrica  a  grande  distanza  per  mezzo  dei 
trasformatori  a  correnti  alternanti,  colui  che  previde  e  dimostrò 
pel  primo  tutta  l'importanza  pratica  delle  correnti  alternative  e 
dei  trasformatori,  moriva,  a  soli  38  anni,  dopo  un  anno  di  cru- 
dele malattia,  in  mezzo  alle  disillusioni  ed  allo  sconforto,  nel 
momento  stesso  in  cui  le  idee,  di  cui  egli  era  stato  l'apostolo, 
prendevano  un  increménto  immenso  ed  una  importanza  indu- 
striale illimitata. 

Ingegno  singolarmente  ardito  ed  intraprendente,  egli  si  era, 
ancora  giovanissimo,  fatto  conoscere  con  ricerche,  alle  quali 
aveva  consacrato  alcuni  anni,  sulla  fabbricazione  di  composti 
esplosivi,  e  con  qualche  apparecchio  elettrico  da  lui  presentato 
alla  Esposizione  di  Parigi  del  1881.  Ma  la  sua  opera  principale, 
quella  che  ha  stampato  indelebilmente  il  suo  nome  nella  storia 
delle  applicazioni  elettrotecniche,  quella  che  consumò  troppo 
immaturamente  e  troppo  dolorosamente  gli  ultimi  anni  della  breve 
ed  ansiosa  sue  esistenza,  è  quella  relativa  ai  trasformatori  per 
correnti  alternative.  La  prima  applicazione  della  sua  idea  fu  da 
lui  tentata  a  Londra  nel  1882  con  apparecchi  primitivi  ed  inetti 
a  dare  un  buon  rendimento  industriale;  ma  dopo  due  soli  anni, 
nel  1884,  egli  presentava  al  pubblico  apparecchi  migliorati,  e 
riusciva  a  farli  funzionare  in  modo  da  ricavarne  rendimenti  al- 
tissimi, impreveduti.  Tali  apparecchi  furono  da  lui  presentati 
per  la  prima  volta  nella  sezione  internazionale  di  elettricità  della 
Esposizione  generale  italiana  di  Torino,  e  sarebbero  bastati  da 


\ 


472  A^ecro/ogia, 


soli  a  dare  a  quella  nostra  Esposizione  una  importanza  grandis- 
sima. Nel  fatto,  l'Esposizione  torinese  segnò^  in  grazia  dei  Gau- 
lard,  una  data  importante  nella  storia  delle  applicazioni  elettriche. 

Gli  apparecchi  del  Gaulard  presentati  alla  Esposizione  di 
Torino  nel  1884  col  nome  di  generatori  secondari,  sono  noti  ai 
lettori  deW  Ingegneria,  e  sono  note  pure  le  esperienze  che  su 
di  essi  si  fecero,  qui  a  Torino,  dal  Gaulard  stesso,  dai  membri 
della  Giuria  internazionale  e  da  altri.  Quelle  esperienze  posero 
in  chiaro  la  perfetta  applicabilità  del  principio  su  cui  riposava  il 
nuovo  modo  di  distribuzione,  assodarono  che  gli  apparecchi  tra- 
sformatori potevano  presentare  coefficienti  di  rendimento  uguali^ 
e  talora  anche  superiori  al  90  ®/o,  realizzavano  finalmente  un 
primo  esempio  di  illuminazione  elettrica  a  grande  distanza.  Colle 
macchine  installate  nei  locali  della  Esposizione  si  poterono  at- 
tivare, con  discreto  rendimento,  lampade  elettriche  di  differenti 
modelli,  collocate  nella  stazione  ferroviaria  dì  Lanzo,  alla  dì- 
stanza  di  trentaquattro  chilometri,  su  di  un  circuito  di  circa 
ottanta  chilometri  di  filo  di  rame  di  quattro  millìmetri  dì  dia- 
metro. L' idea  non  era,  né  avrebbe  potuto  essere  nuova,  ma  la 
convinzione  della  attualità  pratica  della  medesima,  il  coraggio- 
deli*  intrapresa,  il  merito  della  riuscita  spettano  indubbiamente 
al  Gaulard.  E  se  ì  generatori  secondari  presentati  dall'ardito  in- 
ventore erano  suscettibili  ancora  di  notevoli  ed  importanti  per- 
fezionamenti, che  furono  poi  realizzati  da  altri,  ciò  non  eliminava 
né  la  benemerenza  dell'inventore,  né  l'importanza  dei  suoi 
esperimenti.  Il  Giurì  internazionale  conferì  al  Gaulard,  merita- 
mente, a  titolo  di  incoraggiamento,  ì  due  terzi  del  grande 
premio  di  L.  15.000  stabilito  dal  Governo  e  dal  Municipio  di 
Torino. 

Per  una  fatalità,  il  Gaulard,  che  aveva  obbligato  rintìero 
mondo  elettrico  a  riconoscere  l'immensa  importanza  dei  trasfor- 
matori a  corrente  alternativa,  incespicava  poi  in  alcune  moda- 
lità nel  loro  impiego,  perdeva  tempo  e  subiva  la  mortificazione 
di  doversi  arrestare  mentre  altri  avanzavano  rapidamente  e 
trionfalmente  sul  cammino  nel  quale  egli  si  era  messo  pel  primo. 
Allora  lo  sconforto  e  le  difficoltà  materiali  e  finanziarie  finironcK 
per  portare  il  povero  inventore  ad  uno  stato  dì  sovreccitazione 
di  mente  che  lo  condusse  al  manicomio,  ed  un  anno  dopo  alla 
tomba. 

Ultimamente  anche  il  brevetto  dì  privativa  del  Gaulard  era 
stato  dichiarato  decaduto.    Ma  se  oggidì  noi  vediamo  moltìpli- 


/ 


Luciano  Gaulard. 


carsi  e  diffondersi  le  distribuzioni  di  elettricità  per  mezzo  dei 
trasformatori  e  delle  correnti  alternative,  le  quali  in  Americap 
per  opera  delle  Società  Westinghouse  e  Thomson  Houston, 
in  Inghilterra  per  opera  del  Ferranti,  nell'Europa  continentale 
per  opera  della  Casa  Ganz,  trasformano  ed  utilizzano  migliaia 
e  migliaia  di  cavalli  dinamici,  noi,  senza  nulla  detrarre  al  merito 
degli  altri  inventori  e  continuatori,  non  possiamo  nel  tempo 
stesso  impedirci  di  ripensare  con  immenso  compiacimento  alla 
nostra  Esposizione  di  Torino,  che  fu  la  sede  dei  primi  esperi- 
menti, e  di  appendere,  con  sincero  rimpianto  e  con  perenne 
gratitudine,  una  corona  sulla  tomba  di  Luciano  Gaulardp  che 
ebbe  fin  d'allora  e  diffuse  la  fede  nel  successo. 


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