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OPERE
DI
GALILEO FERRARIS
PUBBLICATE PER CURA DELLA
ASSOCIAZIONE ELETTROTECNICA ITALIANA
VOL. IL
con 32 iticieiioni e ^ tavole.
ULRICO HOEPLI
EDITORE-LIBRAIO DELLA REAL CASA
1903.
U volume I di quest'opera costa L. 12. — Il volume III
è in corso di stampa.
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OPERE
GALILEO FERRARIS
OPERE
DI
GALILEO FERRARIS
PUBBLICATE PER CURA DELLA
ASSOCIAZIONE ELETTROTECNICA ITALIANA
VOL. IL
con 32 ir&cieiioni e ^ tavole.
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EDITORE-LIBRAIO DELLA REAL CASA
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PUBLIC UBRARY
ACTOR, LENOX ANO
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MiJaQo^ Jipj Bffiyrdoni di C. Rebeschini e C.
INDICE
Le nuove macchine di induzione Pag. i
SULUk ILLUMINAZIONE ELETTRICA. ClNQUE PUBBLICHE CONFERENZE:
Conferenza prima. Equivalenza e conservazione deirenergia , 17
Conferenza seconda. Della corrente elettrica ^ 33
Conferenza terza. Delle macchine d'induzione , 51
Conferenza quarta. Sull'illuminazione per mezzo dell'arco
voltaico 71
Conferenza quinta. Nuove lampade elettriche. — Divisione
della luce elettrica. — Conclusioni , 83
Sulle applicazioni industriali della corrente elettrica alla
Mostra Internazionale di Elettricità tenuta im Parigi
nel 1881 m J17
Parte L Produzione, accumulazione e distribuzione dell'e-
nergia elettrica.
§ I.* Bfacchine magneto-elettriche e dinamo* elettriche . » tao
§ a.* Accumulatori dell'energia elettrica , 139
§ 3.* Distribuzione dell'energia per mezzo di correnti
elettriche „ 155
Parte IL Applicazioni dell'energia elettrica.
§ i.'' Trasmissione del lavoro meccanico a distanza . . . ^74
§ a.** Illuminazione elettrica . aoS
§ 3.* Elettro-metallurgia p 336
Sui lavori della prima sessione della conferenza internazio^
nale di elettricità , ajt
Prima Commissione. Determinazione dell'ohm , p 373
Seconda Conunissione. Correnti elettriche terrestri, elettricità
atmosferica e parafulmini. Collegamento telegrafico degli
osservatori meteorologici « éB6
Terza Commissione. Scelta di un'unità di intensità di luce,
ed esame dei metodi fotometrici , ji^
Condttsioni e proposte , 311
Rel.\ziove della giuria internazionale per la sezione di elet*
tricttà sul conferimento del premio speciale di lire quin-
dicimila stabilito dal governo e dal municipio di torino . . 3i7
^n
Indice,
L'elettrotecnica all'Esposizione Universale del 1889 in Parigi:
Capo I. Le macchine dinamoelettriche Pag. 337
Capo II. I sistemi di distribuzione „ 364
Capo IH. Applicazioni speciali . 384
Sul congresso internazionale di elettricità in Chicago, 1893:
Capo I. Cenno sui Congressi anteriori . 419
Capo IL Congresso di Chicago « 427
Capo III. Considerazioni svolte nelle discussioni e riflessioni
intomo alle deliberazioni prese „ 437
Sulla trasmissione elettrica dell'energia. (Lettura fatta alla R.
Accademia dei Lincei nella solenne adunanza del 3 giugno 1894.) „ 445
Necrologia. Luciano Gaulard 47 1
•• .•. • •
• • • •• «
• • •
l
LE NUOVE MACCHINE DI INDUZIONE
(Nota pubblicata néìVIngi^Meria Civili e U Arti Industriali, 1876.
Anno n, fase. 6.)
Grazie alle recenti innovazioni, le macchine di induzione
magnete-elettriche e dinamo-elettriche sono uscite dalla schiera
di quelle destinate soltanto a ricerche scientifiche ed a dimo-
strazioni scolastiche, ed hanno preso posto fra le macchine in-
dustriali.
Oggetti di questa nota sono:
i.° Dire del principio sul quale si fonda la costruzione
delle nuove macchine quanto basta perchè si possano apprezzare,
senza esagerarli, i pregi che le distinguono dalie macchine an-
teriori.
2.*> Descrivere fra i modelli più recenti delle macchine
moderne quelli che sembrano destinati ad un migliore avvenire
nel campo industriale.
I. Sono note le leggi di Lenz e di Neumann, le quali si
possono riassumere così: se in presenza di correnti elettriche
o di calamite induttrici si muove un circuito o parte di circuito
chiuso, si manifestano in questo correnti indotte contrarie a
quelle che dovrebbero esistervi acciocché le attrazioni o le ri-
pulsioni mutue tra di esse e le correnti o le calamite induttrici
producessero il medesimo movimento. La forza elettro-motrice
indotta in una parte qualunque del circuito indotto è uguale al
lavoro, riferito all'unità di tempo, che su di essa farebbero le
attrazioni delle correnti o delle calamite induttrici, quando essa
fosse percorsa da una corrente di intensità uguale all'unità. In
altri termini, detto V il valore che avrebbe dopo il tempo / il
potenziale del sistema induttqre suj gii;cujtQ , indotto, se questo
G. Ferraris, Optrr, Voi. II.: '-: '.' \. '.'- '- \ : '\ \'\ 1
Le nuove macchine
fosse percorso da una corrente di intensità uguale ad uno, la
forza elettro-motrice indotta nell'istante medesimo è espressa in
dV
unità assolute dalla derivata -^. Questa derivata si annulla e
dt
cambia di segno quando la funzione V passa per un massimo
o per un minimo; dunque la forza elettro-motrice indotta in
una porzione del circuito indotto cambia di segno ogniqualvolta
il potenziale delle attrazioni esercitate dall'induttore sopra di
essa, supposta percorsa da una corrente di intensità uguale ad
uno, è massimo o minimo.
Sopra questo principio generale è fondata la costruzione
di tutte le macchine di induzione, delle più antiche come delle
più recenti. In tutte poi il sistema induttore è costituito da
calamite permanenti o da elettro-magneti attivate da correnti
che si producono nella macchina stessa, ed il sistema indotto
è formato da una o da più spirali con nucleo di ferro dolce,
alle quali si imprime un moto di rotazione. Se una di tali spi-
rali ha rispetto alle linee dei poli della calamita induttrice un
moto angolare, il potenziale di questa sopra di essa è massimo
o minimo quando Tasse del nucleo è parallelo alla linea dei
poli; dunque la forza elettro-motrice indotta nella spirale cambia
di segno quando Tasse di questo diventa parallelo alla retta
dei poli. La posizione per cui si verifica questa condizione di-
cesi posizione assiale. La posizione della spirale, per cui Tasse
del nucleo è perpendicolare alla linea dei poli dicesi invece
equatoriale. Egli è quando le spirali passano per la posizione
assiale, che in esse si inverte il segno della forza elettro-motrice
indotta.
Ora v'hanno due modi di disporre le spirali indotte. O
v'ha una spirale sola, o se ve ne sono parecchie, esse passano
tutte contemporaneamente per la posizione assiale. Esse man-
dano allora nel circuito esterno correnti, le quali cambiano di
segnò periodicamente, ad ogni semi rivoluzione, e che, per
essere utilizzate, richiedono per lo più di essere raccolte per
mezzo di un commutatore destinato ad orientarle. Tale è la
disposizione delle macchine d' induzione ordinarie, delle mac-
chine di Pixii, di Saxton, di Clarke, di Siemens, di Wilde, di
Ladd. Oppure v'hanno spirali disposte così, che le spire passino
nella posizione assiale Tuna dopo Taltra. Allora l'inversione di
segno della forza elettro-motrice indotta avviene nelle singole
spire successiv^njej^te.^ Tale ^ è^ la^ disposizione delle macchine
e
di induzione.
più recenti, delle quali più specialmente noi ci vogliamo occu-
pare. In queste macchine è possibile avere una corrente real-
mente continua e costante in intensità ed in direzione; e per
questo motivo esse formano la soluzione di un problema im-
portante nella scienza come nelle applicazioni. Chi pel primo
trovò questa soluzione fu il dott. Antonio Pacinotti, il quale fin
dal 1860 costrusse un apparecchio, di cui le moderne macchine
non sono che modificazioni di particolari. ^
La parte essenziale dell'invenzione del Pacinotti sta in una
forma nuova di spirale indotta, alla quale egli aveva dato il
nome molto proprio di elettro-calamita trasversale, e che si
denomina anche propriamente spirale od elettro* calamita anulare
od armillare. Essa ha infatti la forma di un anello: è una elet-
tro-magnete continua, senza fine, rientrante in sé stessa. Per
iarsene un'idea basta supporre che una elettro-magnete inizial-
mente diritta sia stata ripiegata in cerchio e che sieno state
saldate insieme le sue estremità, nucleo con nucleo, filo con
filo. Il nucleo adunque è un anello di ferro dolce, e la spirale
di filo di rame isolato, che lo ricopre, non ha estremità. Questa
spirale però non è d'un pezzo, ma è fatta di tanti pezzi o spi-
rali elementari, unite tra di loro capo a capo coU'intermezzo di
un pezzo metallico posto a nudo, contro cui possono appoggiarsi
opportuni sfregatoi uniti agli estremi del circuito esterno. De-
scriveremo fra poco la disposizione ingegnosa data dal Gramme
a questi pezzi; per ora ci basti sapere che col loro mezzo è
possibile porre le estremità di un circuito esterno in comunica-
zione con punti diversi della spirale continua.
La descritta spirale anulare è posta fra i poli di una ca-
lamita permanente o temporaria e può farsi ruotare rapidamente
sul suo asse. Per questo movimento nelle spirali elementari, di
cui essa si compone, le quali si possono considerare come elet-
tro-calamite dritte con nucleo cilindrico, si sviluppano forze
elettro-motrici. L'asse del nucleo di una di esse è normale alla
retta dei poli dell'induttore quando la spirale è affacciata ad
uno di questi poli; è parallelo alla retta medesima quando,
avendo l' anello rotato di 90^ la spirale si trova equidistante
dai poli induttori. Nel primo caso la spirale è in posizione equa-
toriale, nel secondo essa è nella posizione assiale. Dunque in
ogni spirale elementare si ha una forza elettro-motrice che
' Nuovo Cimenio, fascicolo di giugno 1864.
Le nuove macchine
cambia di segno ogniqualvolta la spirale attraversa il piano
condotto per l'asse di rotazione normalmente alla retta dei poli.
In tutte le spirali elementari, che in un dato istante si trovano
da una parte di questo piano, si ha una forza elettro- motrice
diretta in un verso; in tutte quelle, che nel medesimo istante
sono dall'altra parte del piano, si ha una forza elettro-motrice
di segno contrario: in una metà della spirale anulare si ha una
forza elettro-motrice di dato segno, nell'altra metà una forza
elettro-motrice uguale e di segno contrario. Le due parti della
spirale sono separate da un piano, che noi diremo piano di in-
versione.
Possiamo renderci altrimenti conto di questo fatto. L'anello
di ferro dolce formante il nucleo della spirale, posto, come è,
fra i poli della calamita induttrice, si trova magnetizzato per
influenza: nella parte più vicina al polo nord di questa esso
presenta un polo sud^ e presenta un polo nord nella parte af-
facciata al polo sud dell' induttore. Sul diametro dell' anello pa-
rallelo alla retta dei poli dell'induttore si hanno i poli, sul dia-
metro perpendicolare si hanno i punti neutri ; l'anello rappresenta
adunque un sistema di due calamite ripiegate a semicerchio ed
unite coi poli omonimi.
I poli ed i punti neutri non seguono l'anello nella sua ro-
tazione, ma stanno fissi nella posizione loro determinata dalle
condizioni del sistema induttore; quindi i fenomeni che accom-
pagnano la rotazione della spirale anulare debbono essere
quelli, che succederebbero quando le spire girassero sole, e nel
loro interno stessero immobili le due calamite semicircolari
delle quali si è parlato. Ora è facile vedere quello che acca-
drebbe in questo caso. Immaginiamo a quest'uopo tagliato l'anello
di ferro in uno dei poli, e disteso poi in linea retta. Così esso
si riduce ad un sistema di due calamite rettilinee J/, M^ unite
coi poli omonimi 5, H (fig. i). Consideriamone per ora una
soltanto, per esempio, la AT, e supponiamo che una spirale X si
avvicini rapidamente al polo A venendo dalla sinistra, e che si
faccia avanzare verso B. Come è noto, si manifesta in questa
spirale una forza elettro-motrice tendente a produrre una cor-
rente contraria a quelle, che, secondo la teoria di Ampère, esi-
stono nella calamita M, Seguitando a muovere la spirale nel
medesimo verso, una forza elettro-motrice del medesimo segno
seguita a manifestarsi, finché la spirale arriva nella sezione
neutra M ad ugi^ilj. 4ist^qz^ .^^Ì»Jpo^l« Oltrepassando questa
di induzione.
sezione, la forza elettro-motrice cambia di segno. Cosi nella
intera corsa della spirale lungo la calamita M si debbono di*
stinguere due periodi: nella prima metà della corsa la forza
elettro motrice è tale da produrre una corrente inversa rispetto
a quelle di Ampère, nella seconda metà è tale da produrre una
corrente diretta.
Se invece di camminare da sinistra a destra, come noi
abbiamo supposto, la spirale si movesse da destra a sinistra,
entrando dal polo B per uscire dalla parte del polo A, la forza
elettro-motrice indotta sarebbe in ogni posizione della spirale
contraria a quella che nell'ipotesi precedente corrisponde alla
medesima posizione. Ora, se alla calamita ABt unita la B A'
come mostra la figura, e se la spirale, che è entrata dall'estre-
mità Af seguita a muovei-si sempre nel medesimo verso, fino
in A\ essa subisce lungo B' A' la stessa induzione, che subi-
rebbe percorrendo B A Ak destra verso sinistra. Quindi la
forza elettro-motrice ha in B' M* il verso che essa ha in MB,
ed in AT A' il verso che essa aveva in A M; in una parola,
la forza elettro-motrice cambia due volte di segno, in M ed
in Af. Se immaginiamo l'anello rifatto e riposto a sito, noi
troviamo i punti neutri M, Af in un piano prossimo a quello
condotto per Tasse di rotazione perpendicolarmente alla retta
dei poli della calamita induttrice; dunque ritroviamo quello che
abbiamo visto già per altra via: che in tutte le spire, le quali
in un dato istante si trovano da una medesima banda di questo
piano, la forza elettromotrice indotta ha il medesimo segno, e
che in tutte le spire poste dall'altra banda del piano medesimo
la forza elettro-motrice ha il segno contrario.
Detta .S la lunghezza totale della spirale indotta, ed 5 la
lunghezza di una parte di essa misurata in ogni istante a par-
tire da uno dei punti che in quell' istante si trovano nel piano
di inversione, noi possiamo dire, che in ogni elemento ds della
spirale agisce una forza elettro-motrice Fds, e che F è una
funzione continua di s, che si annulla e cambia di segno per
5 = 0 e per s = — , e che per 5 = 5 — e ha il valore che ha
2
per 5 = T. La forza elettro-motrice totale
I
s
Fds
Le nuove macchine
è adunque nulla, e se la spirale non è posta in comunicazione
con circuiti esterni, in essa non si può manifestare una corrente
continua.
In questo caso il solo effetto dell'induzione è di produrre
nella spirale una distribuzione dell'elettricità libera diversa da
quella, che corrisponde allo stato di riposo. Il potenziale P del-
l'elettricità libera, che nello stato di riposo ha un valore co-'
stante in tutti i punti del conduttore, diventa una funzione di s
legata alla F dalla relazione :
ds ^•
Questa uguaglianza prova, che P è massimo o minimo nei
punti ove la forza elettro-motrice F è nulla; ma /" è nulla e
cambia segno nei punti ove la spirale è tagliata dal piano d'in-
versione; dunque il potenziale dell'elettricità libera prende, per
effetto del movimento, valori diversi nei diversi punti della spi-
rale, è massimo in uno dei punti situati nel piano di inversione,
minimo nell'altro.
Se adunque noi mettiamo in contatto con due punti della
spirale le estremità di un circuito esterno, questo sarà percorso
da una corrente, la intensità della quale è proporzionale alla
differenza dei potenziali di quei due punti. Si avrà una intensità
massima, se i punti toccati sono quelli situati nel piano di in-
versione.
Così si fa nelle macchine ad armatura armillare; le estre-
mità del circuito esterno sono unite a due sfregatoi, i quali
vengono a contatto coi pezzi metallici uniti ai capi delle spirali
elementari, nel momento in cui queste attraversano il piano di
inversione.
Per farci un' idea concreta del fatto, possiamo osservare
che le due metà della spirale anulare separate dal piano di in-
versione sono paragonabili a due pile di uguali forze elettro-
motrici, fra loro congiunte co' poli omonimi. Nel circuito formato
da queste due pile non può aversi corrente continua finché esse
non si congiungano con circuiti esterni; ma se ai due poli po-
sitivi tra loro uniti si attacca una delle estremità di un con-
duttore, che coll'altra estremità si colleghi coi due poli negativi,
le due pile riescono congiunte in quantità e mandano nel cir-
cuito esterno una corrente. La resistenza delle due pile così
di induzione.
accoppiate è uguale alla metà di quella che presenterebbe cia-
scuna di esse: così la resistenza della spirale anulare nelle
macchine di induzione riesce uguale ad un quarto di quella del
filo con cui è formata.
Abbiamo supposto per semplicità che il piano di passaggio
coincidesse col piano condotto per l' asse di rotazione perpen-
dicolarmente alla retta dei poli della calamita induttrice. Ciò
però non è esatto per due motivi. In primo luogo il ferro, con
cui il nucleo è formato, non è mai assolutamente privo di forza
coercitiva, la quale fa sì che gli stati magnetici seguano per un
tratto l'anello nella sua rotazione. Ne risulta, che la linea dei
poli dell'anello fa un angolo colla linea dei poli della calamita
induttrice, che i poli dell'anello sono in ritardo rispetto a^ quelli
della calamita induttrice e che questo ritardo cresce colla velocità.
In secondo luogo le correnti, che percorrono le due semi-
spirali quando la macchina è in movimento, agiscono sulla di-
stribuzione del magnetismo nel nucleo: se questo non fosse gik
altrimenti magnetizzato, si formerebbero i poli nel piano di in-
versione. Una tale distribuzione di magnetismo, sovrapponendosi)
a quella dovuta alla influenza della calamita induttrice, dà luogo»
ad una magnetizzazione risultante, per cui i poli sono in ri-
tardo rispetto a quelli della magnete induttrice. Il ritardo dovuto,
a questa seconda causa è tanto maggiore quanto è più intensa*
la corrente indotta; è adunque funzione non solo della velocità*
dell' armilla, ma anche della resistenza sua e di quella del cir-
cuito esterno.
Per questi motivi anche il piano di inversione è in ritardo
rispetto a quello che passa per l'asse di rotazione ed è per-
pendicolare alla linea dei poli induttori. E siccome per avere-
nel circuito esterno la massima differenza dei valori del poten-
ziale, per avere la massima intensità di corrente è necessario-
disporre gli sfregatoi in modo che essi comunichino sempre
con quelle delle spirali elementari, le quali stanno attraversando-
li piano di inversione, così anche gli sfregatoi dovranno essere
posti alquanto in ritardo rispetto al piano equatoriale. 11 ritardo
conveniente è in ogni caso determinato dall'esperienza : ma noi
sappiamo che esso dipende dalla velocità di rotazione dell'anello
e dalla resistenza del circuito. .
Se, senza alterare le dimensioni delle singole spire, si im-
magina ridotto a zero il raggio di curvatura dell'asse del nucleo
anulare, la spirale anulare riesce trasformata in un gomitolo.
8 Le nuove macchine
senza che con ciò si cambino essenzialmente i fenomeni di in-
duzione che vi si producono col movimento. Questa modifica-
zione fu immaginata dallo stesso dott. Pacinotti * e dall' Hefner
Alteneck, dietro le idee del quale Siemens ed Halske di Berlino
costrussero macchine rimarchevoli. Scopo di tale modificazione
era di aumentare l'induzione del nucleo sulle spire e di dimi-
nuire la resistenza di queste. Le esperienze fatte finora non
sono ancora così numerose da bastare per decidere se la somma
de' pregi di queste macchine superi quella degli inconvenienti.
Sembra però che queste esperienze abbiano posto in chiaro un
grave difetto; la spirale a gomitolo abbisognando di una grande
velocità, la macchina si scalda molto in un lavoro continuato. È
questo il difetto più grave che si rimproverasse alle macchine po-
derose ad armatura cilindrica del Siemens, del Wilde e del Ladd.
Quali pregi le macchine ad armatura anulare abbiano sopra
le macchine di induzione ordinaria risulta dalla descrizione
sommaria e dalla teoria che di loro abbiamo esposto:
i.° Mentre le macchine ordinarie danno correnti alternate
che si annullano e cambiano di segno ad ogni semirivoluzione
delle spirali, e che anche orientate con un commutatore non
possono formare ^Itro che una corrente di intensità periodica,
la quale ad ogni mezzo giro delle spirali passa per un massimo
e si annulla, nelle macchine moderne si ha una corrente diretta
sempre nel medesimo verso e che può rendersi quasi assoluta-
mente costante disponendo gli sfregatoi così che essi comunichino
contemporaneamente con più d'una spirale elementare. Questa
differenza costituisce il merito principale delle nuove macchine;
nella scienza essa è la soluzione ingegnosa di un problema nuovo;
nelle applicazioni industriali essa è talora condizione essenziale
di buon esercizio, come nella galvanoplastica, ove è indispensabile
una perfetta costanza della corrente ; sempre è condizione utile
per l'economia, siccome quella che diminuisce la perdita di energia
e lo sciupio della macchina dovuti alle scintille, che nelle ordi-
narie macchine si producono inevitabilmente per la non mai
esattissima posizione del commutatore.
2.° Costrutte col sistema delle macchine dinamo-elettriche
di Siemens, di Wheatstone e di Ladd, ove alle calamite perma-
nenti sono sostituite elettromagneti attivate da correnti indotte
nella macchina stessa, le macchine ad armatura anulare hanno
* Nuovo Cimettio, serie 2.", tomo XII, 1874, pag. 1^0.
di induzione.
con queste comune il merito di avere grande potenza con pic-
colo volume e piccolo peso, senza avere comune con le altre
macchine di grande potenza il grave inconveniente di scaldarsi
così da non permettere senza precauzioni incomode, e talora
Impossibili, un lavoro energico e continuato.
2. Se la possibilità di ottenere i vantaggi di cui abbiamo
parlato sta nella nuova forma della spirale indotta, il merito
di averli ottenuti praticamente spetta al Sig. Gramme, il quale
(forse ignaro dei lavori anteriori del Pacinotti) seppe dare agli
apparecchi disposizioni razionali ed ingegnose cosi, da trasfor-
marli in perfette macchine industriali. ^ Noi descriveremo dap-
prima l'armatura anulare quale è costrutta dal Gramme; descri-
veremo in seguito gli ultimi modelli di macchine di induzione
che questi fece costrurre per le applicazioni più importanti.
La fig. 2.* rappresenta la spirale anulare del Gramme. Il
nucleo, fatto con un fascio di fili di ferro, è segnato con A e
le spirali elementari di filo di rame rivestito sono segnate colla
lettera B. Per facilitare l'intelligenza della sua costruzione, la
spirale fu disegnata completa soltanto in una parte; in un'altra
parte invece si sono supposte tolte alcune spirali, così da la-
sciare a nudo il nucleo di /erro; in un'ultima parte anche
questo si è supposto tagliato. I capi di due spirali successive
non sono congiunti immediatamente fra loro, ma sono attaccati
ad una spranghetta radiale di rame R, la quale, ripiegandosi a
squadra, passa nell'interno dell'anello e ne sporge dall'altra
parte. Le parti sporgenti delle spranghette, le quali sono tante
quante sono le spirali elementari componenti l'anello, e sono
tra loro isolate, stanno sopra una superficie cilindrica avente
per asse Tasse di rotazione dell'anello. Contro questa superficie
cilindrica si appoggiano gli sfregatoi, ai quali si uniscono le
estremità del circuito esterno.
Nella figura 3.* rappresentante una piccola macchina di
Gramme di uno dei modelli più antichi, si può vedere come
questi sfregatoi sieno collocati. SON è una calamita perma-
nente induttrice. Fra due ganasce di ferro unite alle estremità
polari S ed N gira la spirale anulare AM B M' sul cui albero
' La macchina magneto-elettrica del Gramme fu presentata all'Accademia
delle Scienze di Parigi nel luglio 187 1. Essa è sommariamente descrìtta nei
Comptis rtndus, ed il sig. Niaudet-Bréguet ne ha dato una descrìzione partico-
lareggiata nel numero oc' Mont̀s del a8 marzo 1879.
IO Le nuove macchine
vedasi una crosta cilindrica disegnata con righe bianche e nere:
queste righe rappresentano le spranghette di rame R e gli strati
coibenti che le separano. Questa crosta cilindrica é sfregata
sulle due generatrici poste nel piano di inversione M M òz. due
spazzole o fasci di fili di rame argentati, in figura posti verti-
calmente, i quali comunicano coi serrafili a cui sono raccoman-
date le estremità del conduttore esterno.
La disposizione della spirale armillare che abbiamo descritto
è quella di tutte le macchine del Gramme. Le differenze fra
queste macchine stanno soltanto nella natura e nella disposizione
delle magneti-induttrici, le quali per le piccole macchine da
muoversi a mano sono, ne' modelli più recenti, calamite per-
manenti a lamine sovrapposte secondo il sistema del prof. Jamin,
e nelle grandi macchine per uso industriale sono, come nelle
macchine dinamo-elettriche del Siemens, del Wheatstone e del
Ladd, elettro-magneti attivate dalla macchina stessa.
Nella figura 4 è disegnata nella scala 1/5 una delle piccole
macchine con calamita permanente, che il Gramme costruisce
per uso scolastico o per le applicazioni terapeutiche. Vedesi
verso il basso una piccola spirale anulare avente il diametro di
8 centimetri circa, la quale, mossa da una manovella coll'inter-
mezzo di una ruota dentata e di un rocchetto, gira con piccolo
giuoco fra due ceppi di ferro fìssati sulla tavoletta di base della
macchina. Questi ceppi di ferro formano le estremità polari di
una calamita del sistema Jamin, la quale è fatta così: fermata
con viti ad uno degli zoccoli una lamina di acciaio, questa è
ripiegata e fermata all'altra estremità sul secondo zoccolo; nello
stesso modo è fissata una seconda lamina di acciaio alquanto
più lunga, che si adagia sulla prima; sulla seconda lamina è
collocata una terza e così di seguito. La polarità magnetica del
sistema cresce fino ad un limite col numero delle lamine, e può
raggiungere valori che con calamite ordinarie di peso molto
maggiore non si potrebbero ottenere.
Nelle macchine per uso industriale l'induttore è sempre un
sistema di elettro-magneti. Queste sono sempre formate da un
sistema di elettro-magneti diritte con nucleo cilindrico aventi un
punto conseguente nel mezzo; tali sbarre cilindriche, riunite
alle estremità con piastre di ghisa, costituiscono una grande
calamita chiusa con due punti conseguenti, come è il nucleo
anulare della spirale indotta. Furono però date a queste sbarre
disposizioni diverse, e si variò il modo di attivarle.
di induzione, ii
Nelle prime macchine le sbarre formanti il nucleo delle
elettro-magneti erano verticali e la corrente magnetizzante era
somministrata da una spirale indotta apposita. Astrazione fatta
dalla forma della spirale, la disposizione si assomigliava a quella
delle macchine di Ladd: v'erano due o più spirali indotte, una
(la minore se non ve n'erano che due) dava la corrente ma-
gnetizzante, la quale non usciva dalla macchina; gli sfregatoi
corrispondenti comunicavano colla spirale magnetizzante delle
elettro-calamite induttrici; l'altra o le altre davano la corrente
estema.
Le prime macchine per la galvanoplastica, costrutte nel
1872 pei signori Christofle e Comp. di Parigi, erano fatte con
questo sistema. Elsse avevano quattro sbarre verticali, fra le
quali rotavano due spirali. Il corpo della macchina era di
bronzo, il piede di legno.
Sullo stesso modello, ma con intelaiatura di ghisa, il Gramroe
costrusse verso la fine del 1872 ed al principio del 1873 dieci
altre macchine per la galvanoplastica, sei delle quali furono
vendute alla casa Christofle e C. Una di queste è rappresentata
nella fig. 5. Quattro sbarre di elettro-magneti verticali formano
il sistema induttore. Esse sono fissate inferiormente al basa-
mento di ghisa della macchina, e superiormente sono collegate
da una piastra di ghisa; le spirali, che le ricoprono, sono av-
volte in modo tale, che nei punti di mezzo delle sbarre si for-
mano punti conseguenti; il tutto costituisce cosi una grande
elettro calamita chiusa con due punti conseguenti, o, se vuoisi,
rappresenta due elettro-calamite a ferro di cavallo riunite coi
poli omonimi. Ai poli sono adattate appendici di ferro foggiate
ad arco circolare, frammezzo alle quali girano le spirali anulari.
Queste sono due e sono portate da un medesimo albero, al
quale si trasmette il movimento d'una motrice per mezzo d'un
cingolo. Ciascuna spirale ha i suoi sfregatoi: quelli dell'una
sono in comunicazione con fasci di fili che trasmettono la cor-
rente alle spirali magnetizzanti delle elettro-calamite induttrici,
quelli dell'altra comunicano con serrafili ai quali si attaccano
le estremità del circuito esterno. Queste macchine pesavano
750 chilogr. ciascuna; del quale peso 175 chilogr. erano dovuti
al rame. Le loro dimensioni erano m. 1,30 di altezza e m. 0,80
di massima larghezza. La loro corrente produceva il deposito
di 600 grammi d'argento all'ora, e richiedeva per esser prodotta
un lavoro motore di un cavallo-vapore.
12 Le nuove macchine
Le macchine che il Gramme costruiva in quel tempo per la
produzione della luce elettrica avevano la medesima disposizione.
La prima di esse alimentava un arco voltaico di intensità lu-
minosa equivalente a 900 becchi Carcel. Essa possedeva tre
anelli mobili e sei sbarre di elettro-calamite. Una delle spirali
anulari attivava le elettro-calamite, le due altre producevano la
corrente che si raccoglieva nel circuito esterno. La macchina
pesava in tutto 1000 chilogr., il rame avvolto sulle elettro-ma-
gneti induttrici 250 chilogr., quello delle tre spirali indotte 75
chilogrammi. Lo spazio occupato era di m. 0,80 di lato su m. 1^5
di altezza. Questa macchina ha servito per molto tempo per
esperienze sulla torre di Westminster a Londra senza manife-
stare altro inconveniente che un leggiero riscaldamento e la
produzione di alcune scintille tra le lastrine di rame e le spaz-
zole sfreganti.
È affatto simile alla descritta la macchina di Gramme esi-
stente nell'anfiteatro di fisica del R. Museo Industriale italiano
in Torino. Questa ha, come quella di Westminster, sei sbarre
verticali di elettro-magneti; ma ha due sole spirali anulari di
dimensioni diverse. La minore, che riceve l'induzione da due
delle sei sbarre, dà la corrente magnetizzante per le elettro-
magneti ; r altra, che ha una larghezza di fronte doppia della
prima, riceve Tinduziòne delle altre quattro sbarre e dà la cor-
rente esterna. 11 peso della macchina è di chilogr. 850; le di-
mensioni dello zoccolo di ghisa sono 0,73 per 0,68, l'altezza
della macchina è di m. 0,96.
Collo scopo di diminuire le dimensioni e il peso della
macchina, il Gramme ha modificato leggermente la disposizione
che abbiamo descritto, trasformandola in quella disegnata nella
fig. 6. La macchina rappresentata da questa figura ha ancora
sei elettro-magneti diritte verticali, ma gli assi di queste, invece
di essere disposti in due piani paralleli, come nelle macchine
anteriori, sono situati lungo gli spigoli di due prismi a base
triangolare. V'hanno ancora due anelli rotanti, ma invece di
essere destinati unicamente l' uno a dar la corrente magnetiz-
zante, l'altro a dare la corrente esterna, essi permettono o di
mandare la corrente totale nelle spirali magnetizzanti, cosicché
la corrente magnetizzante sìa la stessa corrente esterna, nel
circuito della quale son poste le spirali, o di magnetizzare le
elettro-magneti con una sola spirale anulare, riservando l'altra
per dare la corrente esterna, o finalmente di dare due correnti
di induzione, 13
esterne e produrre cosi due archi voltaici in circuiti distinti.
Questa modificazione nella disposizione delle spirali indotte ha
reso necessaria una nuova disposizione degli sfregatoi, sulla
quale ritorneremo. La macchina così modificata pesa 700 chilogr. ;
la sua altezza è di m.0,90; la sua larghezza di m. 0,65. Il rame
avvolto sopra le sbarre dell' elettro-magnete pesa 180 chilogr.,
quello formante le due spirali anulari pesa 40 chilogr. Essa
produce una luce normale di 500 becchi Carcel, la quale in
esperienze fatte con grandi velocità s'è elevata fino al doppio.
Quando si dirige la corrente a due regolatori, ciascuno di
questi dà 150 becchi Carcel.
Negli ultimi modelli delle macchine Gramme, costrutti dopo
il 1874, ^^ disposizione delle elettromagneti induttrici e de' cir-
cuiti è affatto diversa. Le elettromagneti sono ancora ad asse
cilìndrico ed a punti conseguenti, ma sono in numero di due
soltanto e sono disposte orizzontalmente. La corrente magne-
tizzante è sempre quella stessa che si raccoglie all'esterno ; talché
circuito estemo, spirale indotta e spirali magnetizzanti formano
un circuito solo.
Una macchina del nuovo modello destinata alla galvano-
plastica è disegnata nella fig. 7. Due montanti di ghisa sosten-
gono tutta la macchina, le due sbarre d'elettro-magnete son
situate colmasse orizzontale, Tuna alla parte superiore, l'altra
verso il basso, e tengono riuniti i montanti; la spirale anulare
unica è portata da un albero d'acciaio parallelo alle sbarre di
elettro-magnete e posto nel loro piano. Il rivestimento delle
elettro-magneti induttrici è fatto con un semplice nastro di rame,
che colla sua larghezza occupa tutta la lunghezza di una mezza
sbarra: non si ha in sostanza che una spira per ogni elettro-
magnete semplice. La spirale indotta, invece che di filo rotondo
come nelle macchine anteriori, è formata con filo piatto molto
grosso, il quale offre una rigidità sufficiente per opporsi agli
effetti della forza centrifuga. Questa macchina produce, come
le antiche, il deposito di 600 grammi d' argento all' ora, ma la
forza motrice necessaria per produrre questo lavoro è di soli
50 chilogrammetri al minuto secondo, e le dimensioni della mac-
china sono ridotte assai. Il peso totale dell'apparecchio è infatti di
soli chilogr. 177,50; il peso di rame avvolto sulle elettromagneti
e sulle armature anulari è di 47 chilogr.; la massima larghezza
è di m. 0,55, l'altezza di 0,60. Paragonato col modello del 1872,
quello del 1874 ha adunque i vantaggi di occupare uno spazio
14 Le nuove macchine
uguale alla metà di quello richiesto dal primo, di non pesare
che i tre quarti di questo, di non richiedere per la sua costru-
zione che circa un quarto del peso di rame che l'altro ri-
chiedeva.
Una modificazione analoga hanno ricevuta le macchine de-
stinate alla illuminazione elettrica. Vedesi dalla fig, 8, che rap-
presenta una di queste macchine, come essa abbia una dispo-
sizione identica a quelle per la galvano-plastica; un'intelaiatura
fatta con due montanti di ghisa, due sbarre d'elettro-magnete a
punti conseguenti, ed una sola spirale anulare portata da un
asse parallelo alle sbarre delle calamite induttrici. Le differenze
tra le due macchine sono sole due: i.^^ le spirali magnetizzanti
delle elettromagneti induttrici sono fatte con filo; 2.*» la spirale
indotta è munita di due raccoglitori di correnti e da due coppie
di sfregatoi. Questa disposizione ha per iscopo principale di
sopprimere le scintille e di permettere di accoppiare la macchina
in tensione od in quantità. L'economia di spazio e di materia
che la nuova disposizione ha permesso, è considerevole; una
macchina della potenza normale di 200 becchi Carcel non pesa
che 183 chilogr., non contiene più di 47 chilogrammi di rame,
e non ha che o",55 di lunghezza, 0^,55 di larghezza e o™,6o di
altezza. Questi numeri riescono realmente sorprendenti se si
pensa che una macchina Nollet capace di dare un arco voltaico
dell' intensità di 200 becchi pesa circa 2000 chilogr. ed occupa
uno spazio di i",7o in lunghezza, di i",3o in larghezza e di
1^,50 in altezza.
Fra le innovazioni fatte dal Gramme nella costruzione delie
sue macchine dinamo-elettriche, delle quali abbiamo dato una
idea per mezzo delle figure 6, 7 ed 8, abbiamo notato questa:
che la corrente destinata a magnetizzare le elettro-magneti in-
duttrici è data non più da una spirale indotta apposita, come
nelle macchine anteriori, ma è "la stessa corrente che si vuole
utilizzare all'esterno, la quale prima di essere trasmessa ai
circuiti esterni è mandata nelle spirali magnetizzanti. Questa
disposizione, per la quale le nuove macchine si scostano dal
tipo delle macchine dinamo-elettriche di Ladd, per avvicinarsi
al tipo primitivo delle macchine dinamo-elettriche del Siemens
e del Wheatstone, permise di ridurre di assai il peso di rame
necessario per la costruzione delle macchine e le dimensioni di
queste. Ma senza una nuova disposizione degli sfregatoi essa
avrebbe portato seco in molti casi un inconveniente assai grave.
di induzione. 15
Quando la corrente è impiegata a produrre azioni chimiche,
come nella galvanoplastica e in altri casi, al cessare di essa si
manifesta nel circuito una corrente detta secondaria, diretta nel
vefso opposto alla principale. Ora se del circuito in cui questa
si propaga fanno parte le spirali magnetizzanti delle elettro-
magneti induttrici, questa corrente secondaria produce nei nuclei
di ferro una polarizzazione magnetica opposta a quella che si
era formata durante il lavoro regolare dell'apparecchio. Questo
effetto secondario può ridursi semplicemente a fare scomparire
più prontamente lo stato magnetico preesistente, ma in taluni
casi può invertire la polarità delle elettro-calamite. Se questo
fatto si avverasse e se poi la macchina si rimettesse in azione,
la corrente che essa produrrebbe sarebbe inversa alla prima:
se essa fosse destinata a produrre un deposito galvanico, di-
struggerebbe il lavoro fatto prima della interruzione. Il signor
Gramme ha evitato questo pericolo con una disposizione sem-
plice quanto ingegnosa. Egli munì la macchina di un interruttore
automatico, il quale interrompe il circuito appenachè la macchina
si rallenti tanto da rendere possibile l'inversione della corrente.
Questo interruttore non è altro che un piccolo pezzo mobile a
contrappeso, il quale riunisce gli sfregatoi a spazzola alle elet-
tro-magneti ; finché la corrente, e con questa lo stato magnetico
delle elettro-magneti è abbastanza intenso, le elettro-magneti
tengono attratto il pezzo mobile, ma non appena la velocità
della macchina diminuisce e lo stato magnetico delle elettro-
magneti si affievolisce, il contrappeso fa oscillare il pezzo mobile,
ed in grazia di questo movimento la spazzola che gli è unita
si allontana dalle lastrine di rame contro le quali essa strisciava.
Cosi il circuito rimane aperto e le correnti secondarie non si
possono produrre. Quando dopo una fermata si vuole riprendere
il lavoro, non si ha che da ristabilire con una piccola lamina
metallica la comunicazione tra la spirale indotta e le elettro-
magneti, cosicché il circuito si trovi chiuso; appena cominciata,
la corrente riconduce essa stessa la macchina alle condizioni
normali.
Dell'importanza pratica del principio, che serve di base
alla costruzione delle nuove macchine, e della bontà delle di-
sposizioni, che, grazie alla abilità ed alla attività del Gramme,
queste hanno ricevuto, è prova questo fatto, che colla comparsa
delle macchine a spirale anulare rinacquero le speranze di fare
deir elettricità grandi applicazioni industriali e militari, ed i
i6 Le nuove macchine di induzione,
tentativi di attuare questa speranza, i quali, dopo l'impresa
^^ViL Alliance^ si erano ridotti a rari studi sulF illuminazione
elettrica dei fari, ricominciarono con una alacrità e con una
lena, che dianzi non avevano mai avuto.
Tavola IL
SULLA
ILLUMINAZIONE ELETTRICA
CINQUE PUBBLICHE CONFERENZE
TENUTE
NEL R. MUSEO INDUSTRIALE ITALIANO DI TORINO
(Pubblicate ntW Ingegneria Civile e le Arti Industriali, 1879, Anno V.)
CONFERENZA PRIMA
26 aprile 1879,
Equivalenza e Conservazione delle Energie.
Invitato a tenere una serie di pubbliche conferenze sulle
applicazioni industriali della Fisica, io mi proposi questo pro-
gramma: Premesse alcune nozioni teoretiche, e fatta una de-
scrizione sommaria degli apparecchi adoperati o proposti per
r illuminazione elettrica, indicare i risultati delle esperienze
eseguite; poi per mezzo di questi, e colla scorjta dei principi
della scienza, cercare di porre in chiaro lo stato presente di
questa applicazione dell'elettricità, ed indagare, se possibile,
quale sia il suo probabile avvenire.
È necessario che io giustifichi la scelta della materia, e che
dichiari subito quale metodo e quale ordine mi sembri conve-
niente adottare per svilupparla.
La scelta non mi fu suggerita dalla mancanza di scritti o
di pubbliche letture relative all'argomento, e non poteva esserlo:
quel che si disse o si scrisse su ciò è tanto, e alcuni di quelli
che dissero o scrissero hanno nomi così autorevoli e popolari
nella scienza, che io avrei avuto motivo di temere che non già
la speranza di vedere o sentire cose nuove, ma solo una lu-
G. Ferraris, Opere, Voi. IL a
i8 Sulla
singhiera benevolenza a mio riguardo avrebbe potuto attirare
in questa sala il scelto uditorio a cui ora volgo la parola pieno
di gratitudine.
Successe il contrario: l'argomento mi fu suggerito appuiito
dall'abbondanza degli scritti che vi si riferiscono, e che da
qualche tempo inondano i giornali tecnici, ed anche i libri.
Questi scritti non sono tutti ripetizioni delle medesime cose;
molti di essi sono diretti a chiamare l'attenzione del pubblico
su altrettanti apparecchi diversi, ciascuno dei quali viene messo
innanzi come un'ultima, definitiva, grande invenzione, la quale
o per r economia, o per la comodità dell' impianto, o per la
suddivisibilità che permette, detronizza e annulla tutte le pre-
cedenti. Quest'abbondanza di apparecchi e di pubblicazioni indica
due cose: i.° Che si tratta di un problema realmente impor-
tante; 2.° Che vi ha confusione, che forse non sempre gli in-
ventori e gli autori tennero di mira il vero nodo della questione,
od anche la meta da conseguirsi. Ora l'importanza del problema
e la confusione indicata, e in parte risultante dalla molteplicità
delle invenzioni e degli scritti, dovevano generare nel pubblico
speranze esagerate ed anche esagerati timori.
Parve quindi a me che forse non sarebbe stato inopportuno
nel presentarmi a quelli fra i miei concittadini, che col trovarsi
qui radunati dimostrano di non essere indifferenti ai progressi
delle scienze e delle loro applicazioni, dire loro: proviamo ad
allontanarci per un momento dal frastuono di tante voci diverse
e discordanti, proviamo a portarci in una regione a cui non
arrivi il rumore della lotta, poniamo, se ci è possibile, nella
nostra mente la calma, la serenità dello studioso della scienza,
riandiamo i principi scientifici che servono di base alle applica-
zioni, di cui ci occupiamo, e corroborata con questi la mente,
facciamoci a ragionare su ciò che avremo visto o sentito. Chissà
che così noi riesciamo a vedere molto più chiaro.
E tale è lo scopo che io mi sono proposto.
Il metodo? Lo scopo stesso ce lo addita. Il fatto di cui
siamo oggi testimoni relativi all'illuminazione elettrica, voglio
dire la molteplicità delle proposte e dei giudizi, la confusione
delle lingue, è frequente nella storia delle invenzioni. E quasi
sempre la causa è una stessa, la preoccupazione degl'inventori
pei particolari degli apparecchi, la quale, se è eccessiva, può
confondere la mente e creare illusioni. I particolari di un'in-
venzione sono spesso ciò che la rendono pratica, che la costi-
illuminazione elettrica, 19
tuiscono; ma qualche volta eziandio fanno per l'invenzione ciò
•che fanno le ingegnose disposizioni di pargle per i sofismi: ne
mascherano la insussistenza. Per evitare questo pericolo con-
viene non discendere alla considerazione dei particolari degli
apparecchi prima di aver bene considerato ciò che in questi vi
ha di essenziale, e non considerare gli apparecchi prima di
aver ben inteso, e fatti nostri, i principi teorici che ne formano
la base. Ma le questioni tecniche sonq questioni di dare ed
avere; meta suprema nelle ricerche dei metodi industriali, nelle
applicazioni della scienza alla tecnologia, è riuscire a spender
poco e ricavar molto. Dunque le nozioni scientifiche, che per
fare un'applicazione industriale, o per giudicare di essa importa
avere costantemente presenti, sono essenzialmente quelle che
si riferiscono ai rapporti quantitativi fra ciò che si spende, nella
produzione dei fenomeni, e ciò che dai fenomeni compiuti si
ricava. Ora la fisica odierna pose in evidenza e collocò su basi
salde, sicure, un grande principio, che collega e riassume sotto
<ii sé come altrettanti corollari tutte le leggi quantitative, un
principio generalissimo, di una vastità incalcolabile, un principio
-che non solo abbraccia la maggior parte dei fatti studiati dalla
lisica, ma che si estende alle altre scienze e abbraccierà vero-
similmente neir avvenire tutta la scienza della natura e colle-
^herà insieme i fatti in apparenza i più disparati; è questo il
principio a cui si dà il nome di principio dell'equivalenza e della
xonservazione delle energie fisiche. Esso è un'estensione del teo-
rema conosciuto dai meccanici col nome di teorema dei lavori
o delle forze vive, e fa nella fisica ciò che fa questo nella mec-
canica: permette di giudicare della possibilità di ottenere con
<lati mezzi determinati effetti, di valutare di questi numerica-
mente l'entità, senza bisogno di esaminare i mezzi, i particolari
degli apparecchi; dico di più: senza bisogno di conoscere l'in-
tima natura degli agenti naturali che si mettono in giuoco. Noi
non dobbiamo, né possiamo metterci in cammino senza esserci
prima intesi su di esso. Ecco adunque il mio piano:
In questa prima conferenza io comincìerò ad enunciare, per
-quelli dei miei uditori a cui per avventura esso non fosse fa-
migliare, il principio dell'equivalenza delle energie fisiche; poi
con poche parole, e nel modo il più piano che mi sarà dato
trovare, ne indicherò 1* applicazione ai fenomeni termici e lu-
minosi che intervengono nell'applicazione scientifica, di cui im-
prendiamo a trattare. *
1
20 Sulla
Guidati da queste nozioni preliminari noi potremo facil-
mente intendere nejle conferenze successive quale sia la costru-
zione e l'uso degli apparecchi, coi quali si fa o si propone di
fare la illuminazione elettrica. Ridotti questi apparecchi a pochi
tipi, e fatta accuratamente astrazione da quanto vi ha in essi
di accessorio, diremo dei risultati delle esperienze fatte su di
essi, confronteremo questi risultati colle conseguenze dei nostri
principi teorici, e vedremo se da questo esame si possa rica-
vare un concetto chiaro dello stato attuale dell'applicazione
scientifica che ci interessa, ed anche, come dissi, qualche indizio
sul suo probabile avvenire.
Ubbidienti a questo piano noi dobbiamo per un momento
lasciare in disparte i fenomeni speciali, di cui dovremo parti-
colarmente trattare, e portarci nel campo più elevato e più
vasto delle teorie. Ma per entrare in questo campo dobbiamo
passare per quello più piano, più accessibile della pura mecca-
nica. I fatti che si studiano nella meccanica, semplici e facili ad
esaminarsi direttamente coi sensi, ci guideranno più facilmente
al concetto fondamentale sul quale si aggira tutta la fisica, e su
cui ci appoggeremo in tutto il nostro studio: al concetto di
ENERGIA.
Un'operazione meccanica qualsiasi ha per oggetto un cam-
biamento della forma o della posizione di qualche corpo e si
riduce sempre, se ben considerata, ad uno spostamento: ad uno
spostamento deir inrtiero corpo, o ad uno spostamento delle
parti di questo. II valore meccanico, l'entità, il costo dell'opera-
zione dipende evidentemente dalla grandezza di questo sposta-
mento, ed è a questo proporzionale. Per esempio: se elevare
un dato peso di un metro costa uno, costa due l'elevarlo di
due metri; se per fare che l'utensile d'una pialla si avanzi di
un centimetro bisogna spendere uno, per fare che esso si avanzi
di due centimetri bisogna spendere due] per far dare alla saetta
di un trapano due giri, bisogna spendere il doppio di ciò che
è necessario per un giro solo; due giri di una macina costano
il doppio di uno, ecc.
Ma oltre che dalla grandezza dello spostamento, il valore,
diciamo pure, il costo della trasformazione, dipende da un altro
elemento: dallo sforzo^ dalla forza che bisogna esercitare per
produrre il moto. Se al moto non si opponesse forza alcuna,
esso non costerebbe nulla. Supponiamo che non esistesse la
gravità; un piccolo impulso comunicherebbe allora ad un corpo
illuminazione elettrica, 21
qualunque una velocità che si manterrebbe costante, e il corpo
seguiterebbe ad elevarsi da sé stesso fino air infinito, senza
costo di altra spesa. Se un corpo è collocato su di un piano
orizzontale levigatissimo, può essere spostato con poca fatica;
se fosse possibile togliere ciò che si dice attrito, quel corpo
andrebbe fino all' infinito senza costo di spesa; se le particelle
da staccarsi del ferro che si pialla non opponessero all'utensile
un ostacolo, la piallatura non costerebbe nulla e non potrebbe
formare oggetto di operazione meccanica. Dunque, ripeto, il
valore d' un' operazione meccanica dipende dalla forza. Anzi le
e proporzionale: elevare ad una data altezza un peso doppio
costa il doppio ; e lo stesso dicasi degli altri esempi. Il valore
meccanico dell' operazione è proporzionale allo spazio ed allo
sforzo? è adunque proporzionale al loro prodotto: il prodotto
dei due fattori, spazio e forza, è la misura del suo valore:
questo prodotto si dice il lavoro, e si valuta in numeri adot-
tando per unità il lavoro che si fa elevando un chilogrammo
all'altezza di un metro. Tale unità si dice chilogrammetro.
Come il valore delle trasformazioni che formano l'oggetto
delle operazioni meccaniche si esprime in unità di lavoro, in
chilogrammetri, così è sempre un lavoro, nel senso or definito,
ed esprimibile in chilogrammetri, ciò che si spende per tenere
in azione i meccanismi che le producono; è il peso di una certa
quantità d'acqua che riempie la cassetta di una ruota, e che
discendendo trascina seco la cassetta medesima e fa girar la
ruota, dando così un numero di chilogrammetri uguale al peso
moltiplicato per l'altezza della discesa; è un vapore od un gas
che si dilata in un cilindro, e spinge innanzi a sé uno stantuffo»
dando in ogni elemento di tempo un numero di chilogrammetri
eguale al prodotto della pressione per lo spazio percorso; é lo
sforzo del braccio di un uomo, che spinge una manovella, e
produce un numero di chilogrammetri uguale all'arco descritto
moltiplicato per lo sforzo.
I meccanismi coi quali il moto della ruota idraulica, dello
stantuffo, della manovella, é trasmesso al corpo che si solleva,
al bulino della pialla, alla saetta dal trapano, alla macina, non
producono lavoro, solo lo trasmettono, solo cambiano i rapporti
tra i due fattori sforzo e spazio] il lavoro che si ottiene é una
parte di quello fatto dal peso discendente, dal vapore espan-
dentesi o dal muscolo che si contrae. Il lavoro meccanico non
è adunque gratuito mai: non lo si ha che alla condizione di
22 Sulla
avere un peso distante dal suolo e che possa discendere, od un
vapore o gas compresso che possa dilatarsi, od un muscolo non
contratto che possa contrarsi, od altro equivalente. I fisici odierni
dicono: quel peso, quel vapore, quel muscolo, che hanno l'atti-
tuàine a produrre lavoro, hanno una energia, E per ricordare che
il lavoro in essi è disponibile e non si farà che quando le cir-
costanze permetteranno il movimento, senza del quale non v' è
lavoro, dicono anche: que' corpi hanno una energia potenziale.
Una massa pesante, che ad un momento voluto si possa far
discendere, od un gas tenuto compresso sono un magazzino di
effetti meccanici possibili, sono un tesoro della ricchezza di cui
vivono le industrie, della ricchezza di energia.
Fermiamoci sul primo degli esempi di cui ci siamo serviti
per dare la definizione di energia potenziale: immaginiamo come
poc'anzi un peso sollevato ad una certa altezza sul suolo. In
esso si ha una energia uguale al peso moltiplicato per l'altezza
della discesa possibile. Togliamogli il sostegno; esso cade. Se-
guiamolo colla mente e vediamolo nel momento che non ha
ancora toccato, ma sta per toccare il suolo: in quel momento
il peso è ancora lo stesso, ma l'altezza sta per diventare nulla,
il prodotto sta per annullarsi, l'energia potenziale è scomparsa.
Fu essa senza effetto? No, il corpo che è disceso non è quale
era prima di cadere: prima era fermo, immobile, morto; ora è
in moto, ha una velocità, ed in grazia di questa è capace di
produrre effetti che da un corpo in riposo non si possono avere :
può per esempio, battere un chiodo, schiacciare un corpo, fran-
tumarlo. Dico di più, nulla si è perduto; e infatti se noi, invece
di lasciar cadere liberamente il corpo fino al suolo, ne guidas-
simo il moto con una curva fìssa, lungo cui esso potesse scor-
rere senza sentirne resistenza d'attrito, cosa che otterremmo
per approssimazione, per esempio, legandolo come pendolo ad
un filo, in modo che esso scendesse secondo un arco, esso po-
trebbe risalire di per se, ed arriverebbe di nuovo fino all'altezza,
da cui esso è disceso; solo allora si fermerebbe. Il corpo adunque,
anche disceso, e solo perchè in moto, può fare un lavoro come
se stesse elevato ad una altezza sul suolo: un corpo in movi-
mento equivale pegli effetti meccanici, che può produrre, ad un
corpo che può discendere da una data altezza, e solo perchè è
in moto rappresenta, ha una energia', questa è energia visibile,
in atto, e la si dice energia attuale ed anche forza viva. Pren-
diamo il corpo in una posizione qualunque durante il suo moto
illuminazione elettrica, 23
di discesa o di ascesa: vi troviamo in generale una energia
attuale ed un'energia potenziale: la somma è la sua totale energia
meccanica.
Dall'esempio del corpo scendente per effetto della gravità,
possiamo passare subito al caso generale di un sistema qua-
lunque di corpi: in esso noi vediamo ordinariamente una energia
potenziale ed una energia attuale: la prima è un lavoro dispo-
nìbile, l'altra è dovuta ad un movimento, arrestando il quale
con mezzi opportuni noi possiamo ricavare un lavoro.
La somma delle due, l'energia meccanica totale, è il lavoro
meccanico immagazzinato nel sistema, è l'attitudine del sistema
a produrre effetti meccanici, è il valore meccanico del sistema
nel momento in cui lo si considera. E quésto valore meccanico
di un sistema di corpi si misura in chilogrammetri.
Se mi avete seguito fin qui e se io sono riuscito a darvi
la nozione di energia, posso enunciarvi subito il grande prin-
cìpio della fìsica moderna, al quale, come vi ho detto, noi do-
vremo appoggiarci in tutte le ricerche, che formano l'oggetto
delle nostre conferenze.
Il principio si può enunciare così:
i.*> Tutti gli agenti fisici, il calore, la luce, gli stati elet-
trici, sono energie, le quali si possono trasformare le une nelle
altre in quantità equivalenti, e tutte in quantità equivalenti si
possono convertire in energia meccanica. Quindi tutte le tra-
sformazioni fìsiche sì possono sottoporre a valutazioni numeriche
come le meccaniche, e in tutte queste valutazioni si può far
uso deUa medesima unità di misura, del chilogrammetro.
2.^ Nei fenomeni naturali non v'ha creazione né distru-
zione di energia, ma solo una trasformazione di una specie di
energia in un'altra; la quale si fa in rapporti perfettamente de-
terminati e costanti.
Torniamo, per chiarire la cosa con qualche esempio, e per
cominciare da casi semplici, a considerare quel corpo che cade,
ragionando sul quale noi siamo pervenuti al concetto di energia.
Lasciamolo cadere liberamente finche batta sul fondo e stia.
L'energia potenziale, che in esso si aveva, è scomparsa: la
gravità non può più far lavoro; l' energia attuale è nulla di
nuovo, come era nulla prima che il corpo cominciasse a cadere;
l'energia sensibile, misurabile coi mezzi della pura meccanica,
non è più. È essa perduta? La fìsica ci dice: no, essa ha pro-
dotto un effetto : il corpo caduto si è scaldato e si sono scaldati
24 Sulla
gli ostacoli che l'hanno fermato: scomparve l'energia meccanica,
ma nacque un'altra energia, nacque calore. In questo calore
svolto non abbiamo soltanto un effetto dell'energia meccanica
che è scomparsa, ma abbiamo l'energia stessa, tutta, integral-
mente, identica a quel che era prima, nella sostanza, solo di-
versa per le apparenze esterne: la quantità dell'energia termica
sviluppata è proporzionale al numero di chilogrammetri consu-
mati per isvilupparla, e si può esprimere in chilogrammetri, col
medesimo numero. L'unità, della quale più comunemente noi
ci serviamo per valutare le quantità di calore, non è il chilo-
grammetro, è invece la caloria^ e, come credo che tutti sappiate,
si dice caloria la quantità di calore ' necessaria per scaldare un
chilogrammo d'acqua da zero gradi ad un grado; ma noi cono-
sciamo il rapporto tra questa unità ed il chilogrammetro e
possiamo tradurre in numero di chilogrammetri un dato numero
di calorie o viceversa, colla semplice moltiplicazione o colla di-
visione per quel rapporto. Una caloria equivale a circa 425 chilo-
grammetri ; questo numero dicesi l'equivalente dinamico del calore.
Il peso, che abbiamo considerato, può discendere stando
legato ad una fune e far rotare una ruota: se la velocità di
questa è moderata da attriti, questi sviluppano calore, e questo
calore è equivalente al lavoro consumato, all'energia che il corpo
ha perduto.
L'acqua, che riempie le cassette di una ruota idraulica e
che discende con esse, fa lo stesso effetto : produce lavori mec-
canici, ma produce anche calore.
Viceversa il calore si può trasformare, sempre nel medesimo
rapporto, in energia meccanica: un gas che si espande, spingendo
uno statuffo e facendo un lavoro, si raffredda; i getti d'aria, che
escono, dopo di aver lavorato, dalle perforatrici ad aria com-
pressa, sono freddissimi e producono attorno di sé una conden-
sazione di vapore tale da assumere l'apparenza di getti di fumo;
nelle macchine ad aria compressa si è spesso obbligati a tenere
artificialmente scaldati i bossoli a stoppa per evitare la congela-
zione delle materie lubrificanti; nelle macchine a vapore la quan-
tità di calore che il vapore espanso, che esce, ha in sé, é minore
di quella che esso portava seco entrando nel cilindro. Ebbene,
in tutti questi casi il lavoro o la forza viva prodotta sono l'equi-
valente dinamico del calore speso.
In un'arma da fuoco noi abbiamo una materia combustibile,
la polvere pirica, la quale arde e produce calore. Egli è in
illuminazione elettrica. 25
grazia di questo calore che i gas prodotti dalla combustione
hanno la pressione necessaria per spingere innanzi a sé e lan-
ciare il proiettile. Ciò facendo si raffreddano, ma l'equivalente
del calore che essi avevano sta adesso nel proiettile, il quale
ha una forza viva, un'energia attuale, che prima non aveva.
Supponiamo che il proiettile colpisca un ostacolo: si schiaccia
e si ferma. Dove andò dopo l'urto la sua energia? Essa ha di
nuovo assunto la forma di calore ; il proiettile e l'ostacolo contro
cui esso battè si sono scaldati, e nel calore prodotto da questo
riscaldamento noi ritroviamo una parte di quello prodotto dalla
combustione della polvere: tutta quella parte che non si trasmise
all'arma, ed attraverso alle pareti di questa all'aria esterna, che
non si trasmise in causa dell' attrito all' aria che il proiettile
attraversò, che non concorse a produrre i moti vibratori a cui
dobbiamo la sensazione del rumore.
Tutto, nell'esempio che citai, è l'effetto del calore di com-
bustione della polvere. E questo calore donde nasce? Si ha
una azione chimica: gli atomi di carbonio, di ossigeno, di zolfo
prendono nuovi assetti, si spostano e si raggruppano sotto
l'azione di quelle attrazioni mutue, che i chimici dicono affinità :
se queste forze operano, i loro punti di applicazione si spostano,
si ha in ciò una somma di prodotti di forze per spazi percorsi,
una somma di lavori, un'energia potenziale che si consuma: il
fenomeno avviene fra masse minime, a minime distanze, ma è
quello stesso, dalla considerazione del quale noi abbiamo preso
le mosse, una caduta di corpi su altri che li attraggono.
Nelle macchine a vapore avviene un fenomeno somigliante :
gli atomi del carbone che noi distendiamo sulla graticola, e
quelli dell'ossigeno dell'aria che vi mandiamo sopra son corpi
che si attirano, che gravitano gli uni sugli altri; e, quando le
circostanze lo permettono, cadono gli uni sugli altri. Dopo la
caduta, l'energia delle attrazioni atomiche si trova trasformata
in energia termica, in calore, precisamente come l'energia rap-
presentata da un grave che sta per cadere si trova trasformata
in calore dopo che quello ha urtato contro il terreno e vi rimase
immobile. Quel calore si trasmette in parte alla caldaia ove si
accumula nel vapore; questo finalmente, come dissi già, lo porta
nel cilindro delia macchina, ove in parte esso si trasforma di
nuovo in energia meccanica.
È impossibile essere venuti fino a questo punto e non la-
sciarci trascinare ancora per qualche passo da queste conside-
26 Sulla
razioni. Il lavoro delle nostre macchine a vapore è fatto dalle
affinità chimiche per cui il carbonio dei combustibili si unisce
all'ossigeno dell'aria. Ora questi corpi furono già altra volta
uniti, e furono separati dalle foglie dei vegetali sotto l'azione
dei raggi solari, per effetto del calore e della luce solare. Noi
sappiamo che una porzione della luce solare è assorbita dalle
foglie delle piante; essa scompare come energia attuale, come
energia di moto, ma non fa che trasformarsi, e riappare come
energia potenziale: è quella energia potenziale che nel focolaio
della nostra macchina a vapore ridiventa calore. Così è una
parte del calore solare quello che lavora nelle nostre macchine
a fuoco.
E il calore solare donde nasce ? Qualunque ipotesi si faccia^
esso è il prodotto di una energia potenziale consumata, è l'equi-
valente del lavoro di forze attrattive, è il calore svolto nell'urto
di corpi che cadono gli uni sugli altri. L'attrazione, questa
proprietà così diffusa della materia, di cui l'attrazione universale
è una delle esplicazioni, è così l'origine di tutte le energie.
Dopo questo sguardo generale, il quale, se ci allontanò per
qualche minuto dal nostro argomento, non sarà forse inutile
affatto, siccome quello che avrà servito a scolpire meglio nella
mente di quelli che sono meno avvezzi a queste cose, ai quali
particolarmente è diretta questa prima conferenza, il concetto
fondamentale di energia nella vasta estensione che esso ha og-
gidì, dobbiamo discendere in campo meno esteso e considerare
più da vicino quella forma di energia della quale noi vogliamo
studiare un modo di produzione: voglio dire l'energia luminosa,
la luce.
Immaginiamo di avere un corpo, per esempio un solido, e
diamogli quantità successive di calore, facciamo crescere per
gradi la sua temperatura. L'esperienza la più volgare ci insegna
che di mano in mano che la temperatura di quel corpo aumenta,
questo manda attorno a sé quantità via via crescenti di calore.
Manda calore tutt' attorno e scalda tutti i corpi più freddi che
trovansi all' ingiro, anche quando fra esso e questi non è frap-
posta nessuna sostanza conduttrice, anche quando è tolta perfino
l'aria, quando c'è il vuoto. Si dice che il corpo irradia calore;
e dopo quello che io dissi già, noi comprendiamo subito il si-
gnificato di questa parola. Il corpo caldo è un corpo in moto^
è un corpo di cui le minime particelle vibrano, facendo bensì
escursioni minime, ma con velocità tali da poter rappresentare
illuminazione elettrica, 72
considerevoli forze vive. Trasmettere calore adunque non si-
gnifica altro che trasmettere un moto vibratorio, e l'irradiazione
non può essere altrimenti che una trasmissione di vibrazioni
analoga a quella per cui si propagano e si sentono i suoni.
L'irradiazione si fa anche attraverso il vuoto, anche negli spazi
interstellari: il calore, che ci viene dal sole, ci viene attraverso
una distesa di cui calcoliamo il valore, ma di cui non ci facciamo
certo una adeguata idea; ed in tutta questa distesa noi non
siamo autorizzati ad ammettere l'esistenza di alcuna di quelle
sostanze di cui noi studiamo le proprietà direttamente coi sensi,
e che pesiamo sulle nostre bilancie. Bisogna adunque ammettere
fra il sole e noi, fra le stelle e noi, in tutto lo spazio, nell'in-
terno di tutti i corpi, dappertutto ove si propaga il calore rag-
giante, una sostanza invisibile atta a vibrare ed a trasmettere
le vibrazioni. Noi ammettiamo questa sostanza e le diamo il
nome di etere. Come il suono nell'aria, ma con velocità incom-
parabilmente più grande, il calore raggiante si propaga nel-
r etere.
Seguitiamo a dar calore al corpo che abbiamo immaginato;
tutti sappiamo: viene un momento, quando la sua temperatura
è vicina a 500°, nel quale comparisce un fenomeno nuovo; il
corpo diventa visibile nell'oscurità, diventa incandescente, manda
luce.
È una luce rossa e cupa la prima che si ottiene per questa
via; ma se si seguita a far aumentare la temperatura del corpo
che la emette, essa diventa via via più viva e dal rosso cupo
passa ad un rosso più vivo, allo scarlatto; poi diventa aranciata,
poi gialla, poi bianca, poi abbagliante.
Queste luci si propagano come il calore raggiante, e colla
medesima velocità, si riflettono e si rifrangono colle medesime
leggi; nulla di più naturale che ammettere che esse siano,
come il calore, un moto vibratorio trasmesso dall'etere. La
fisica odierna non ha più alcun dubbio su ciò, dacché partendo
dalla ipotesi che così sia, dalia cosidetta ipotesi delle ondula-
zioni, essa è riuscita a spiegare numericamente pressoché tutti
i fenomeni conosciuti, ed a prevederne dei nuovi. Ma non solo
noi sappiamo che le luci, rossa, aranciata, bianca, che abbiamo
ottenuto sono, come il calore, moti vibratori, ma sappiamo in
che cosa consistono le loro differenze.
Io ho disposto qui un apparecchio, col quale posso accu-
mulare in una piccola massa di materia una grande quantità
28 Sulla
di calore e con questo portare quella massa ad altississima
temperatura e trasformarla in una viva sorgente di luce. L'ap-
parecchio consiste essenzialmente in una pila di 50 elementi
Bunsen che io feci disporre in una camera attigua, ed in due
reofori che possono farsi terminare a due punte di carbone,
che attualmente trovansi affacciate ed a contatto Tuna dell'altra
dentro a questa lanterna. Chiudo il circuito, stabilisco cioè la
comunicazione tra i carboni ed i reofori; si produce una cor-
rente elettrica la quale attraversa i carboni e passa dall'uno
all'altro per mezzo delle punte, che si toccano. Allora un con-
gegno meccanico, di cui parleremo, le distacca e le porta ad
una piccola distanza l'una dall'altra. Si forma tra le due un
ponte, un arco di materia in parte vaporosa ed in parte formata
di particelle solide, detto 1' arco voltaico, pel quale la corrente
seguita a passare. Per un fatto, su cui dovremo discorrere a
lungo in un' altra seduta, le punte de' carboni e 1' arco che le
unisce sono la sede di un grande sviluppo di calore, di buona
parte del calore prodotto dall'azione chimica, che avviene nella
pila, e si arroventano mandando la viva luce che voi osservate.
Non occupiamoci per ora del modo con cui si produce questa
luce, e consideriamo quest'arco voltaico e le punte di carbone,
dalle quali esso ha origine, semplicemente come un corpo molto
caldo, portato al bianco abbagliante, all'ultimo grado di lucen-
tezza a cui praticamente possa arrivare un corpo incandescente.
Prima di arrivare a questa viva incandescenza, a cui corrisponde
una luce sensibilmente bianca, noi sappiamo, questo corpo, se
gradatamente scaldato, avrebbe mandato calore invisibile, poi
calore ed una luce di colore rosso-cupo, poi una luce aranciata,
poi gialla, passando per una serie continua di tinte intermedie ;
or bene io dico: le radiazioni prime apparse han seguitato a
prodursi e si fanno tuttavia, né solo si fanno, ma sono più ab-
bondanti di quel che fossero prima: i successivi aspetti del fe-
nomeno non dipendono dalla sostituzione di nuove radiazioni
a radiazioni cessate, sibbene dalla sovrapposizione di radiazioni
nuove alle preesistenti.
Io ricevo questa luce su di una lente, poi interpongo sul
suo cammino una piastra opaca portante nel mezzo una stretta
fessura, la quale riduce ad un sottile nastro il fascio di luce
che vien fuori da questa lanterna. Porto davanti a questa fessura
una lente acromatica convergente, e per mezzo di questa pro-
ietto una immagine della fessura su di uno schermo bianco. Ho
illuminazione elettrica. 29
su questo schermo una sottile striscia luminosa, bianca o quasi.
Su questa striscia, io dico, arrivano tutte sovrapposte molte
radiazioni diverse; e per riconoscerlo, mi basta frapporre tra
la lente e lo schermo un prisma, attraverso il quale la luce sia
obbligata a passare. Io ottengo così sullo schermo non più una
semplice e stretta striscia luminosa, ma tante striscie giustap-
poste, tutte immagini della fessura collocate Tuna accanto aU
l'altra cosi da formare un lungo nastro luminoso. Questo nastro
è colorato di tinte diverse, e dicesi lo spettro. Non badate per
ora alle linee brillanti che lo attraversano, le quali provengono
dai corpi gasosi incandescenti nell'arco voltaico, e considerate,
come a noi basta per lo scopo che ci interessa in questo mo-
mento, il fenomeno solo nel suo complesso: voi vedete che i
colorì passano gradatamente, senza salti, dal rosso cupo al
rosso vivo, all'aranciato, al giallo, al verde, all'azzurro, al vio-
letto. Tutti questi colori, tutte queste radiazioni coesistevano
nella radiazione del corpo incandescente. Ma ciò non è tutto:
queste radiazioni innumerevoli non sono che una parte, una
piccola parte della radiazione totale. Se noi invece che in una
scuola ci trovassimo, meno numerosi, in un laboratorio, e, fatto
uno spettro di dimensioni minori, e quindi più vivo, vi facessimo
scorrere su la faccia annerita di una stretta pila termo-elettrica,
e confrontassimo le intensità della radiazione calorifica corri-
spondenti alle diverse parti dello spettro, troveremmo, che
l'effetto termico non è lo stesso in tutti i punti: minimo, in-
sensibile affatto alla estremità violetta, esso si fa via via più
intenso andando verso la estremità rossa, e, questo è più no-
tevole, non cessa al rosso estremo, ma continua al di là di esso,
dove non v'ha più luce sensibile; continua e cresce. Raggiunge
un massimo ad una certa distanza dalla estremità dello spettro
visibile, poi diminuisce. Ma non scompare che ad una distanza
dal rosso estremo, maggiore della lunghezza dello spettro lu-
minoso.
Vedete in questa figura (fig. i) rappresentata la cosa grafi-
camente. Su di una retta D E sì è portata la lunghezza dello
spettro; su perpendicolari ad essa si sono portate le intensità
calorifiche nelle varie parti di questo. Le estremità di queste
ordinate furono congiunte con una curva AB CE] la parte
bianca dell'area chiusa da questa curva è la radiazione luminosa;
la tratteggiata è la radiazione oscura. Come vedete, l'intensità
della radiazione luminosa non è che circa un ottavo di quella
dell'oscura.
30 Sulla
Come la radiazione non si limita da una parte al rosso
cupo, così non si limita dall' altra all' estremo violetto. Per un
tratto più lungo dello spettro luminoso si troverebbero da
questa parte radiazioni invisibili, inattive sulla pila termo-elet-
trica, ma capaci di manifestarsi con azioni chimiche; ricevendo
lo spettro su di una piastra fotografica, sì troverebbe questo
prolungato e vivamente disegnato molto al di là del violetto.
Fig. I.
Tutte queste radiazioni, dall'estrema radiazione oscura ultra-
rossa all'estrema radiazione invisibile ultra-violetta, differiscono
le une dalle altre per un solo elemento, ed è che esse corri-
spondono a vibrazioni di diversa durata: le vibrazioni oscure
dell' estremo ultra-rosso sono quelle che si fanno in minor nu-
mero nell'unità di tempo, quelle che hanno la maggiore durata;
sono più rapide, hanno durate minori quelle che si hanno in
vicinanza del rosso; le radiazioni visibili rosse son più rapide
ancora, più rapide ancora sono le gialle, rapidissime le violette
e finalmente più rapide di tutte le ultra-violette invisibili. Queste
non sono congetture, le vibrazioni luminose furono contate. In
questo spettro prolungato da una parte e dall' altra dai due
tratti invisibili, le diverse radiazioni non differiscono nella so-
stanza da una serie di note musicali di altezza diversa: le ra-
diazioni oscure verso il rosso sono le note più basse, le oscure
ultraviolette sono le più acute.
La luce, rappresentata dalla parte mediana dello spettro, è
calore, calore che impressiona l'occhio, il solo che faccia ciò
non per altro che per la conformazione dell'occhio.
Se, fedeli alla odierna teoria meccanica, diciamo calore
r energia dei moti vibratori producentì la radiazione, dobbiamo
illuminazione elettrica. 31
dire: tutta la radiazione è calore, solamente è in parte calore
visibile, in parte calore invisìbile.
Quando un corpo va scaldandosi gradatamente, esso co-
mincia ad emettere calore oscuro. Finché la temperatura è infe-
riore a circa 500° tutta la radiazione che si ha è una parte
della porzione tratteggiata AB CD della figura ora disegnata.
Al di là di circa 500^ la radiazione oscura continua, ma ad essa
comincia a sovrapporsi la luminosa; poi questa si fa via via
più intensa, rappresenta frazioni crescenti della radiazione totale,
finché raggiunta T elevatissima temperatura dell' arco voltaico,
essa sta alla totale radiazione come Tarea in bianco D CE sta.
all'area totale della nostra figura.
Questa osservazione è per noi importantissima e ad arrivare
ad essa mirò tutto il mio discorso. Noi vogliamo occuparci
della illuminazione, noi vogliamo studiare le condizioni econo-
miche della produzione industriale della luce; ebbene noi abbiamo
fatto già un grande passo verso la nostra meta. Infatti noi
sappiamo :
i.** Che ciò che noi dobbiamo spendere per produrre
luce, ossia il lavoro meccanico, od il calore equivalente ad esso,
od una quantità equivalente ad altra energia, non si potrà tutto
trasformare in luce; l'energia spesa è proporzionale alla intensità
della radiazione complessiva, e di questa una minima parte è
effetto utile, è luce.
2.® Almeno fino ad un limite di temperatura molto ele-
vato, la radiazione luminosa ottenuta è una frazione della ra-
diazione totale tanto più grande quanto più è elevata la tem-
peratura del corpo radiante. Quindi il coefficiente di rendimento
in luce, ossia il rapporto tra l'energia luminosa ottenuta e
l'energia spesa, è tanto maggiore quanto più si tiene elevata la
temperatura del corpo ìrradiante.
Ciò equivale a dire che l'economia della produzione della
luce è tanto maggiore quanto più calore si concentra in piccolo
spazio, quanto meno grandi sono le superficie radianti dei corpi
in cui il calore si distribuisce. Scopo a cui dovremo mirare per
ottenere colla massima economia, colla minima spesa, grandi
quantità di luce è di trovar modo di accumulare in un piccolo
spazio una grande energia.
Una esperienza confermerà queste nostre conclusioni.
Noi abbiamo in un locale qui vicino una macchina motrice
a gas di Otto e Langen: essa produce un po' meno di 150 chi-
32 Sulla
logrammetri al minuto secondo. Da questa macchina, questo
lavoro è trasmesso con cingoli e con puleggie all'albero di una
macchina, che studieremo in un'altra sera, ma che possiamo
adoperare fin d' ora : è una macchina dinamo-elettrica, atta a
trasformare l'energia meccanica, con cui la si tiene in movi-
mento, in energia elettrica: essa ci dà una corrente elettrica,
la quale producendoci calore, od azioni meccaniche o scompo-
sizioni chimiche, od altro, può restituirci una parte della energia
spesa. Non tutta però, una parte soltanto; in primo luogo, dei
150 chilogrammetri forse 50 si perdono per istrada, nelle tra-
smissioni, ove per gli attriti si trasformano in calore; dei 100
che rimangono sull'albero della macchina dinamo-elettrica, la
massima parte si trasforma in energia elettrica, ma una porzione
di questa si trasforma di nuovo in calore, e scalda tutti i fili
per cui passa, compresi quelli, che vediamo qui avvolti in
grandi rocchetti nella macchina stessa; rimane perciò disponibile
per produrre l'effetto che noi vogliamo, ossia una radiazione
luminosa di calore, soltanto una frazione della energia elettrica.
Noi impareremo a valutare meglio questa frazione nel seguito
delle nostre conferenze, per ora ammettiamo pure che tutti i
100 chilogrammetri possano utilizzarsi nel produrre la radia-
zione. Io dico, che questi 100 chilogrammetri per minuto se-
condo produrranno una quantità di luce tanto maggiore quanto
più piccole sarà lo spazio in cui noi concentreremo il calore ad
essi equivalente. Voi vedete qui due spirali di platino. Esse
sono fatte ciascheduna con un metro di filo di i°*",5 di diametro.
Io le pongo entrambe nel circuito: vedete l'effetto: diventano
incandescenti, mandano una luce rossa. Vi prego di tenere im-
presso nella vostra memoria per qualche minuto l' effetto di
illuminazione che, prese insieme, le due spirali producono.
Adesso io con un commutatore toglierò una delle spirali dal
circuito, e farò che tutta V energia, che prima si distribuiva fra
le due, si concentri su di una sola ; se le nostre previsioni sono
esatte, noi dovremo vedere questa sola mandare più luce di
quello che facessero prima le due prese insieme. Come vedete,
l'esperimento conferma in modo netto la conseguenza del nostro
ragionamento.
Possiamo verificare il fatto con una prova anche più de-
cisiva. Io tolgo dal circuito della corrente entrambe le spi-
rali, e sostituisco loro due punte di carbone affacciate, come
quelle di fcui ci siamo serviti poco fa per produrre lo spettro.
illuminazione elettrica. 33
Così io concentro in un piccolo spazio, che a voi di lontano
parrà un punto solo, quella energia che or ora era distribuita
sulla spirale incandescente. Come vedete, noi otteniamo così
una intensità luminosa così grande da non essere in nessun
modo paragonabile con quella di prima.
Osservate una cosa : V energia qui accumulata su queste
punte di carbone è forse molto minore di 100 chilogrammetri
al minuto secondo; forse non è che la metà od un terzo di
essa. Ebbene 100 chilogrammetri al minuto secondo corrispon-
dono a 360000 chilogrammetri all'ora, ossia a - — calorie
all'ora, ossia a 848 calorie all'ora. È questa la quantità di calore
prodotta da circa otto candele steariche, ossia, ad un dipresso
da uno dei becchi di gas che illuminano questa scuola. Ora
vedete che la quantità di luce data dall'arco voltaico è enorme
a fronte di quella somministrata da un becco. Perchè? Perchè nel
becco a gas il calore della combustione si distribuisce su di una
grande massa, su tutta la massa dei prodotti della combustione.
Su queste considerazioni dovremo tornare e fermarci con
maggiori particolari quando cercheremo di indovinare quale sia
l'avvenire probabile della luce elettrica. Per ora riteniamo il
fatto, e ricordiamo che per produrre molta luce con poca spesa noi
dovremo procurare di accumulare molta energia in piccolo spazio.
Nella seguente conferenza vedremo come per mezzo delle
-correnti elettriche questo si possa effettivamente ottenere.
CONFERENZA SECONDA.
Dklla corrente elettrica.
Nella nostra prima conferenza abbiamo fatto una breve e
rapidissima escursione nel campo della fisica pura, onde richia-
mare alla nostra memoria alcune delle cose che la scienza
odierna può dirci sull'intima natura di ciò che noi diciamo luce,
G. Freraris, Optrt, Voi. II. 3
34 Conferenza seconda,
e sulle condizioni nelle quali questa si produce. Per noi, che ci
siamo proposto di esaminare in questi nostri convegni uno
de' modi di produzione della luce, quésto doveva infatti essere
il primo oggetto di studio.
La luce, vedemmo, è calore, calore sensibile all'organo
della vista, solo perchè dovuto a vibrazioni di durata compresa
fra certi limiti pei quali l'occhio è. conformato.
Un corpo solido o liquido incandescente irradia sempre
moti vibratori diversi, pei quali le durate di vibrazione hanno
infiniti valori differenti compresi fra il massimo, per cui sieno
riconoscibili effetti termici, ed un minimo, dipendente dalla
temperatura del corpo, e tanto minore quanto più questa è
elevata.
La radiazione luminosa non si può avere se non accom-
pagnata da una radiazione di calore oscuro, invisibile, sempre
e di gran lunga più abbondante di essa. La radiazione luminosa
non è mai che una frazione, una piccola frazione della radiazione
totale.
II valore di questa frazione, ossia il rapporto della radia-
zione luminosa alla radiazione totale, ^uguale a zero quando il
corpo non è sufficientemente caldo per essere incandescente,
piccolissimo quando il corpo comincia ad emettere la cupa luce
rossa dell'estremo dello spettro, è più grande quando il corpo
manda luce di un rosso più vivo, più grande ancora quando la
sovrapposizione di nuove radiazioni corrispondenti a parti più
avanzate dello spettro dà alla luce emessa una tinta aranciata
o gialla; è massimo quando il corpo è al massimo di incande-
scenza, ossia quando essa è bianca; quel valore, in una parola,.
cresce colla temperatura.
Ora ciò che costa, 1' energia che si spende, è, a parità di
circostanze, proporzionale alla energia della radiazione ^totale;
dunque abbiamo concluso: l'economia della produzione cresce,
a parità di circostanze, col crescere della temperatura del corpo
da cui la radiazione è fatta. Ma per ottenere un'alta temperatura
bisogna, fra le altre cose, accumulare in piccole masse, sopra-
tutto entro ristrette superficie irradianti, grandi quantità di ca-
lore: dunque è questa anche la condizione necessaria per una
economica produzione di luce, ed il nostro primo problema si
riduce a questo:
Trovar modo di accumulare grandi quantità di calore iti
piccolo spazio.
Sulla illumhtasione elettrica.
35
È il problema generale della illuminazione. Dopo di averlo
enunciato, io discendo al caso speciale della illuminazione elet-
trica, e mi propongo di mostrare come e in quali condizioni
esso si possa risolvere coll'impiego di una corrente elettrica.
Per raggiungere il mio scopo debbo dedicare tutta la con-
ferenza di questa sera a ricordare alcune nozioni fondamentali
sulle correnti; e neiraccingermi a ciò vi prego di tollerare che
io prenda le mosse da fatti del tutto elementari e che vi dia
alcune definizioni, le quali, se sono note e famigliari a buona
parte di voi, io reputo tuttavia necessarie. È indispensabile che
noi non adoperiamo nemmeno una parola, sul significato della
quale non ci siamo preventivamente intesi; egli è solo a questa
condizione che noi ci faremo dei fenomeni, che dovremo stu-
diare, idee concrete, esatte, numeriche, ed è solo con queste
che potremo portar giudizio sul valore relativo delle varie pro-
PQSte e delle varie opinioni,
e quindi renderci ragione
dejlo stato presente e del
probabile avvenire del pro-
blema di cui ci vogliamo
occupare. Per mio conto mi
propongo di non abusare
delle vostra pazienza, e li-
miterò questi richiami pre-
liminari al minimum che
mi parrà indispensabile.
In un locale attiguo
(non qui, per evitare il dis-
turbo dei vapori acidi, che
altrimenti mescoleremmo
con quest'aria già troppo
scarsa e quindi viziata),
feci disporre una pila di io
elementi alla Bnnseu , la
quale dovrà servire ai no-
stri esperimenti. Sono io
apparecchi come quello che avete sotto agli occhi (fig. 2) : ciascuno
consiste in un vaso di sostanza non intaccabile dagli acidi, dentro
al quale sta concentricamente un vaso poroso. Nello spazio fra
i due recipienti v'è acqua acidulata con acido solforico; nel
truogolo poroso v'è acido nitrico.; nell'acqua acidulata pesca una
Fi|:. a.
36 Conferenza seconda.
lastra di zinco amalgamata Z; nell'acido nitrico è immerso un
prisma di carbone C, di quel carbone compatto, pesante, condut-
tore del calore e della elettricità, che incrosta abitualmente la
superficie interna delle storte del gas, ed al quale per questo
si dà il nome di carbone di storta.
Gli elementi così formati sono posti in serie; con morsetti
e con lastrine metalliche lo zinco di ciascun elemento è colle-
gato col carbone dell'elemento precedente, ed il cacrbone è col-
legato collo zinco dell'elemento successivo. Il carbone dell'ultimo
elemento e lo zinco del primo, che rimangono liberi, sono i
poli positivo e negativo della pila. A questi sono attaccati due
fili metallici: due reofori, l'uno positivo e l'altro negativo; e
questi, isolati con guttaperca, si prolungano fino a noi, così che
noi possiamo adoperarli per mettere la pila in comunicazione
con apparecchi diversi.
Quando poniamo i due reofori in comunicazione tra di loro,
o direttamente, o collegandoli coll'intermezzo di una serie qual-
siasi dì corpi conduttori, noi diciamo che il circuito è chiuso. 11
circuito è formato dalla pila e dai conduttori esterni.
Chiuso il circuito, questo diventa sede di fenomeni diversi
caratteristici; per esprimere il fatto noi diciamo: il circuito ^
percorso da una corrente elettrica. Diciamo anche che la corrente
va, nel conduttore esterno, dal polo positivo (carbone) al polo
negativo (zinco).
A noi non interessa ricordare il modo di interpretare i fe-
nomeni, dal quale è dedotta la denominazione di corrente; è
necessario invece che consideriamo alcuni dei fatti per cui la
corrente si rende manifesta, e che si dicono effetti di essa.
Gli effetti della corrente ai quali ci importa accennare sono:
i.° Le azioni della corrente sulle calamite.
2.'' La produzione di calore nelle diverse parti del circuito.
'^S^ La magnetizzazione del ferro.
La considerazione del primo ci aiuterà a darci alcuni concetti
fondamentali e a precisare il significato di alcune denominazioni,
colle quali soltanto noi potremo porre nel nostro discorso quel
rigore, senza del quale esso non ci guiderebbe alla nostra meta.
Il secondo fatto, la produzione di calore nelle diverse parti
del circuito, si collega intimamente col nostro problema, ed è
per noi il principale. Egli è collo studio delle leggi che lo go-
vernano che noi dovremo riconoscere se, ed a quali condizioni,
la corrente elettrica possa servire a produrre la luce.
Sulla illuminazione elettrica.
37
Il terzo fatto poi, la magnetizzazione del ferro prodotta
dalla corrente, combinato con altri che ad esso si collegano da
vicino, è messo a partito negli apparecchi per mezzo dei quali
si producono le correnti industrial-
mente, a buon mercato. Se noi abbiamo
visto la corrente elettrica uscire dai
laboratori scientifici e dagli uffizi tele-
grafici per entrare nel campo vera-
mente industriale, se si potè sul serio
pensare a fare della luce elettrica un
mezzo di illuminazione non solo di
lusso, ma pratico, corrente, se a discor-
t if . 3-
rere delle controverse questioni,
che a questo si riferiscono, noi ci
troviamo qui radunati, ciò noi
dobbiamo più che ad ogni altra
cosa alla invenzione di quelle
macchine. E ad esse noi dovremo
dedicare tutta una delle nostre
sedute.
Nel ricordarvi questi fatti seguirò l'ordine col quale li ho
nominati. Comincierò dunque a richiamare alla vostra memoria
il fatto, che è certo noto a tutti, delia deviazione dell'ago ma-
gnetico prodotta dalla vicinanza di una corrente.
Io ho qui unrago calamitato, posto su di una punta attorno alla
quale esso può ruotare, tenendosi in un piano orizzontale (fig. 3);
38 Conferenza seconda.
immediatamente al disopra di esso, parallelamente ad esso, tesi
un filo di rame orizzontale AB, le cui estremità posso far co-
municare coi due reofori della pila di cui vi ho parlato. Potrò
così sottoporre l'ago all'azione di una corrente rettilinea ad esso
parallela.
Non potendo sperare che tutti voi poteste vedere diretta-
mente il filo e l'ago, e riconoscere i suoi movimenti, io disposi
il tutto su di una lente orizzontale, attraverso alla quale, e per
mezzo di uno specchio inclinato, potrò far arrivare in direzione
verticale la luce partita da una lanterna elettrica L. Al disopra
sta un prisma a riflessione totale P, che dirigerà la luce di
nuovo orizzontalmente, e che avendo una faccia curva funzio-
nerà come lente, e produrrà sopra il muro, molto ingrandita,
l'immagine dell'ago e del filo per cui si trasmette la corrente.
Metto in azione la lampada elettrica, e voi vedete disegnarsi
sulla parete la figura dell'ago e del filo che gli sta sopra. Le
loro direzioni coincidono. Ma chiudo il circuito? La corrente
passa nel filo? Voi vedete: l'ago N' S è lanciato fuori della
sua posizione d' equilibrio, e dopo alcune oscillazioni si ferma
facendo un angolo colla corrente A B\ Tra la corrente e ciascun
polo della calamita si esercita una forza perpendicolare al piano
determinato da quella e da questo. Queste forze tendono a por-
tare il polo nord dell'ago verso la sinistra della corrente, il polo
sud a destra, se, come è uso fra i fisici, noi personifichiamo la
corrente, immaginando in luogo del filo qui teso un osservatore
nel quale la corrente entri pei piedi ed esca per la testa, e che
stia guardando l'ago, o meglio il polo di cui si tratta.
Sotto l'azione di queste forze l'ago si porterebbe in direzione
perpendicolare alla primitiva-, si porrebbe in croce colla corrente,
se non seguitassero ad agire su di esso il magnetismo terrestre
e le altre forze in causa delle quali, prima che la corrente pas-
sasse, e^so stava in equilibrio stabile nella direzione del filo.
Sotto l'azione simultanea delle forze dovute alla presenza della
corrente e delle altre, esso si ferma in una posizione obliqua:
in quella posizione, dicono i meccanici, nella quale la somma
de' momenti di tutte le forze è uguale. a zero. L'angolo dì de-
viazione, si capisce, è più o meno grande a seconda della, gran-
dezza delle forze esercitate dalla corrente, e varia nel senso in
cui variano queste forze.
Immaginate adesso che, .in luogo del filo con cui abbiamo
sperimentato, ne venga collocato un altro, nella medesima pò*
Sulla illnntinazìone elettrica, 39
sizione; immaginate che questo filo sia anche esso percorso da
una corrente nel verso di quella che pas.sava pel primo ; e sup-
{>onete che si sia riconosciuto che questa seconda corrente
imprime all'ago la deviazione stessa che questo prendeva sotto
l'azione della prima: allora voi potrete dire che le due correnti
per le loro azioni a distanza Sui poli magnetici si equivalgono;
col linguaggio della fìsica direte: le due correnti hanno una
medesima intensità. Prendete i due fili ove si hanno le due
ccH*renti di uguali mtensità, e collocateli l'uno accanto dell'altro,
così vicini r uno all' altro, che rispetto ai poli dell' ago essi si
possano ritenere come nella medesima posizione, e sia questa
pK>sizione comune quella che ciascuno di essi aveva negli espe-
rimenti precedenti; voi constaterete che l'ago devierà più di
quello che deviasse prima; le forze esercitate dalle due correnti
si sommano infatti. Dopo di ciò se riconoscerete che una cor-
rente unica in un solo filo produce da sé la deviazione che avrete
visto essere prodotta dalle due correnti uguali riunite, voi di-
rete: Questa nuova corrente ha una ititensità doppia di quella
delle correnti già sperimentate. Nello stesso modo si dice che
l'intensità di una corrente è tripla, quadrupla, ecc., di quella di
un'altra, quando da sé sola produce sull'ago l'effetto che si
avrebbe adoperando tre, quattro, ecc., correnti uguali all'altra,
e poste così vicine da poter essere considerate come coincidenti
in una medesima posizione. In una parola, si prendono per
misura delle intensità delle correnti le grandezze delle, forze
che queste esercitano sugli aghi magnetici.
Disponendo, in luogo di un semplice filo rettilineo, una
spirale che faccia intorno all'ago un grande numero di giri, e
della quale ciascuna parte concorra a produrre sull' ago una
deviazione in un medesimo verso, sospendendo l'ago ad una
bava di seta, o, comunque, sostenendolo in modo che esso giri
pel minimo sforzo, sottraendo l'ago all'azione di masse magne-
tiche vicine, così che esso sia soggetto unicamente al magne-
tismo terrestre ed all'azione della corrente, dando a tutte le
parti dell'apparecchio forme e dimensioni convenienti, si Ca-
pisce come sia possibile fare delle intensità misure delicate e
precise;
Orbene, dall'intensità della corrente dipendono le grandezze
di tutti gli effetti di questa. Fra gli altri dipende dall' intensità
della corrente la produzione di calore nelle varie parti del cir-
cuito, la quale è, di tutti gli effetti della corrente, quello che
40 Conferenza seconda,
più particolarmente ci occorre considerare, e del quale vi ho
detto di volervi parlare.
Che in un conduttore percorso da una corrente si possa
sviluppare calore voi avete visto già. Mi servii infatti di una
corrente per rendere incandescenti le spirali di platino e le
punte di carbone, con cui cercai di verificare innanzi a voi
sperimentalmente le conclusioni della nostra prima seduta. In
modo meno brillante, ma tuttavia abbastanza evidente, possiamo
accertarci del fatto un'altra volta colla nostra pila di io ele-
menti. Inserisco infatti nel circuito una spirale di sottile filo di
platino? Questa si arroventa subitamente.
Che poi lo sviluppo di calore che sì ha in questa spirale,
al quale è dovuta T incandescenza, dipenda, in grandezza, dalla
intensità della corrente, si vede subito. Il circuito è disposto in
modo che di esso fa parte il filo teso in vicinanza dell'ago
magnetico, col quale abbiamo sperimentato poc'anzi; proietta
un' altra volta l' immagine di quest' ago. Questo, che quando il
circuito è rotto, è parallelo al filo, devia quando la corrente
passa e rende incandescente la spirale. Con questa deviazione
esso ci dà un indizio sulla intensità della corrente, dalla quale
è prodotto lo sviluppo di calore di cui siamo testimoni. Noto
la deviazione, e poi inserisco un lungo filo di ferro nel circuito;
diminuisce così la deviazione dell' ago, e nel tempo stesso di-
minuisce l'intensità della luce mandata dalla spirale di platino.
Adunque la quantità di calore svolta in una determinata
porzione del circuito varia col variare della intensità della cor-
rente. Con quale legge ? Evidentemente non è qui, in una scuola,
che noi potremmo pensare a fare determinazioni numeriche ; ed
anche quando ci fosse possìbile disporre apparecchi di misura,
le cui indicazioni fossero precise, e nel tempo stesso visibili a
tutti noi, le esperienze nostre non potrebbero avere alcuna
utilità. Le più elementari, le più semplici leggi fìsiche conosciute
sono per lo più il frutto di prove lungamente continuate, sono
il risultato del lavoro paziente di ingegni eletti, durato per anni
ed anni. E quella che lega la quantità di calore prodotta alla
intensità della corrente, che la produce, è una di queste; la
scienza ne è debitrice alle ricerche di parecchi de' suoi apostoli
più chiari e più coscienziosi, e sopratutte a quelle del Joule,
che la enunciò pel primo, e che vi unì il suo nome. Da queste
ricerche risultò che se l'intensità della corrente diventa doppia,
la quantità di calore svolta nell'unità di tempo in una porzione
Sulla illuminazione elettrica, 41
data qualunque del circuito diventa quadrupla di quel che era;
se l'intensità della corrente prende un valore triplo del primitivo,
la quantità del calore svolta diventa uguale a 9 volte ciò che
essa era da principio ... in una parola» la quantità di calore
svolta è proporzionale al quadrato della intensità. Per quelli
de' miei uditori, ai quali posso parlare il linguaggio dell'algebra,
posso enunciare la legge concisamente, scrìvendo:
q^ri'' (I)
ove ^ è la quantità di calore, 1 T intensità della corrente, ed r
una grandezza che dipende dalla natura e dalle dimensioni del
conduttore, che è sede dello sviluppo di calore.
Joule studiò anche da quali elementi questa grandezza r
dipendesse, e come. Trovò che, perchè fosse valida la legge
enunciata ed espressa dalla formola (i), bisognava, nel caso di
un conduttore avente la forma di un filo, porre r proporzionale
alla lunghezza / di questo, inversamente proporzionale all'area 5
della sua sezione trasversale, inversamente proporzionale ancora
ad un coefficiente r, che dipende dalla sostanza del conduttore,
e che i fisici conoscono col nome di coefficiente di conduttività,
A quelli a cui è noto il linguaggio conciso dell'algebra, la legge
riuscirà più chiara se scritta così :
cs
ove k è un coefficiente di proporzionalità, il valore del quale
dipende dalle unità di misura, per mezzo delle quali r, /, e, s
sì vogliono tradurre in numeri.
Ora, una grandezza — proporzionale direttamente alla lun-
ghezza di un conduttore, ed inversamente all'area della sezione
trasversale ed al coefficiente di conduttività, è ciò che si suole
denominare resistenza di quel conduttore; la grandezza r, che
figura nella formola (1), è adunque la resistenza del conduttore,
e la legge di Joule si enuncia: La quantità di calore che nasce
in un conduttore in ogni unità di tempo è direttamente propor-
zionale alla resistenza di questo, ed al quadrato della intensità
della corrente*
Come non avremmo potuto eseguire misure per verificare
la proporzionalità della quantità di calore svolto al quadrato
42 Conferenza seconda.
della intensità della corrente, così non potremmo tentare di ve-
rifìcare qui la proporzionalità che sussiste tra quella quantità di
calore e la resistenza. Possiamo però convincerci facilmente
che la quantità di calore varia con /, con e, con s nel senso
voluto dalla legge di Joule.
La quantità di calore svolto cresce con la lunghezza /, dice
la legge, e le è proporzionale. Che così sia basta a dimostrarcelo
il fatto che tante porzioni uguali di un medesimo filo si scaldano
ugualmente. Del resto non occorre per questo alcun esperimento;
il buon senso ci dice che in successive parti uguali di filo ne-
cessariamente debbono succedere i medesimi fenomeni.
La quantità di calore q, dice la legge, varia col variare
della sostanza con cui è fatto il conduttore; cresce col dimi-
nuire del coefficiente di conduttività, è maggiore, a parità di
altre circostanze, pei corpi meno buoni, che pei corpi più buoni
conduttori. Eccone una prova: la corrente della nostra pila
circola, come vedete, in questi fili di rame, alcuni dei quali non
hanno un diametro maggiore di due millimetri a tre millimetri.
Nessuno di questi fili si riscalda così da arroventarsi, nessuno
si scalda tanto da rammollire l'intonaco isolante. Ma inserisco
nel circuito una bacchetta di carbone? Ebbene, benché questa
abbia un diametro più che doppio di quello dei fili, e quindi
una sezione più che quadrupla, voi vedete, si fa incandescente.
Perchè? Perchè il coefficiente di conduttività del rame è forse
uguale a 400 volte quello di questo carbone. Tolgo dal circuito
la bacchetta di carbone, e vi sostituisco una catena, i cui anelli
sono alternativamente di ferro e di rame. I coefficienti di con^
duttività di questi due metalli stanno fra loro prossimamente
nel rapporto di uno a sei\ gli anelli di ferro si debbono adunque
scaldare più di quelli di rame, e noi lo vediamo: i primi diven-
tano incandescenti, mentre gli altri rimangono oscuri.
Finalmente la legge di Joule dice: la quantità di calore
prodotta cresce col diminuire della sezione trasversale del con-
duttore. Io pongo nel circuito un' altra catena, gli anelli della
quale sono tutti di un medesimo metallo, di fèrro; ma essi sono
alternativamente fatti con un filo grosso e con uh filo sottile.
Noi vediamo arroventarsi soltanto questi ultimi. Altra prova:
pongo il reoforo positiva in comunicazione con un grosso ci-
lindro di carbone, e il reoforo negativo in comunicazione con
una bacchetta di carbone che tengo in mano con questo ma-
nubrio,, e che è terminata in punta sottile. Toccando con questa
Sn/ia illuminazione eletin'ca. 43
punta il carbone positivo chiudo il circuito; la corrente passa
e riscalda le diverse parti dei carboni diversamente, a seconda
<Jel loro diametro; il carbone grosso, a cui viene il reoforo po-
sitivo, non si scalda sensibilmente; il carbone più piccolo che
io tengo in mano si scalda assai più, si fa incandescente, rosso
oupo; la punta poi, ove il diametro è minimo, si fa caldissima
e manda una viva luce. Una luce più brillante ottengo quando
io distacco alquanto i due carboni; ma questo è dovuto ad un
fatto di cui dovremo discorrere poi : si fa un arca di materia
fluida in parte, ed in parte polverosa, resistentissima, ed è in
questa che si sviluppa il calore.
Parlai di conduttori aventi la forma di fili; ma la legge si
estende anche ai conduttori aventi un'altra forma qualunque.
Ad una porzione non filiforme di un circuito si può sempre
immaginare sostituito un pezzo di filo, tale che la intensità
della corrente rimanga ancora la stessa; si dice allora che
questo filo ha una resistenza uguale a quella porzione di cir-
cuito; la legge di Joule dice che in questa porzione di circuito
si sviluppa tanto calore quanto si svolgerebbe in quel filo.
La pila con cui noi produciamo questa corrente, o quel-
l'altro apparecchio elettro-motore qualunque che noi potremmo
adoperare invece della pila, è parte del circuito, ed è, come
tutte le altre parti di questo, sede d'uno sviluppo di calore; gli
esperimenti del Favre ci assicurano che questo si fa come nel
circuito esterno, secondo la legge di Joule.
Vera j)er tutte le parti del circuito esterno, vera per l'in-
terno dell' elettro-motore, la legge di Joule è adunque valida
per l'intiero circuito: la quantità totale di calore, che si svolge
nel circuito di una corrente è proporzionale alla resistenza
totale ed al quadrato dell'intensità. Scegliendo convenientemente
le unità di misura, possiamo dire anche: la quantità di calóre
svolta nell'intiero circuito nell'unità di tempo è uguale al prodotto
della resistenza totale pel quadrato della intensità della corrente.
Io m'era imposto per questa sera il compito di darvi de^
finizioni e di fare che noi ci intendessimo su di alcuni concetti
fondamentali elementarissimi, e ve l'ho detto cominciando. Per
fare ciò era necessario che io mi armassi di tutta la calma, di
tutta la fìreddezza necessaria per descrivere i fatti sperimentali
e scolpire nella vostra mente, a semplici contorni, ma ctiiara-
mente, le leggi sperimentali quali ci si presentano, senza mistura
di alcuna idea teorica, senza la complicazione di confronti con
44 Conferenza seconda,
fenomeni di altra natura. Io aveva bisogno che la medesima
calma fosse in voi, e per non turbarla, evitai fin qui ogni al-
lusione, non solo all'applicazione pratica che ci siamo proposto
di studiare, ma ben anco al grande principio sul quale ci siamo
intesi nell'altra nostra conferenza e del quale abbiamo stabilito
di fare la base di tutta la nostra trattazione. Ma adesso che le
leggi sperimentali ci sono note, e che abbiamo un'idea dei fatti
principali, che avvengono nel circuito, io debbo ricondurvi
all'idea di energia ed al principio della sua conservazione.
La corrente, ci disse l'esperimento, ci dà calore, ci dà
adunque energia. Ma 1* energia non si crea, solo si trasforma ;
dunque dobbiamo trovare in qualche sito, in qualche parte del-
l'apparecchio, un consumo di qualche energia equivalente a
quella che compare nel circuito sotto forma di calore. Lo tro-
viamo nella pila. Appena chiuso il circuito, incomincia infatti
nella pila una azione chimica: lo zinco è intaccato dall'acqua
acidulata e si trasforma in solfato di zinco; l'acido nitrico, che
sta nel vaso poroso, si scompone ; l' ossigeno, che nasce da
questa scomposizione, si unisce all'idrogeno posto in libertà
nella reazione tra lo zinco e l'acido solforico. Nell'insieme dì
queste reazioni si ha una scomparsa di energia: le reazioni sì
fanno per effetto di quelle forze attrattive che i chimici dicono
affinità; i punti di applicazione di queste attrazioni, sono gli
atomi de' corpi che prendono parte alla reazione, essi adunque
si spostano; si ha nel fenomeno un sistema di forze i cui punti
di applicazione si muovono, si ha una somma di lavori mecca-
nici che si fanno, si ha una energia potenziale che scompare.
Se noi facessimo avvenire questi fenomeni entro un reci-
piente, così che non si avesse, come qui, una corrente in un cir-
cuito esterno, noi ritroveremmo l'energia scomparsa delle affinità
chimiche rappresentata da una determinata quantità di calore:
r azione chimica sarebbe accompagnata da un determinato svi-
luppo di calore. Ebbene, se la reazione avviene nella pila, e se
ai poli di questa sono attaccate le estremità di un circuito
esterno, non si trova nei truogoli della pila tutto quel calore
che l'azione chimica dovrebbe avere prodotto: una medesima
quantità di zinco, che si consuma, produce quantità di calore
diverse secondochè il suo consumo ha per effetto la produzione
di una corrente elettrica esterna, oppure non produce correnti
fuori dei liquidi in cui avviene la reazione. Quando la {Mia è
unita ai capi del circuito esterno, si produce in essa, mentre
Siil/a illu mi nazione cletirica, 45
passa la corrente, quella quantità di calore che è voluta dalla
legge di Joule, e questa quantità è sempre minore dì quella che
razione chimica sarebbe capace di generare. Ma il calore, che
non si trova nella pila, non è perduto ; noi lo troviamo nel
circuito esterno, lo troviamo tutto, integralmente; e la sola dif-
ferenza tra il caso della reazione che avviene senza produzione
di corrente ed il caso, che si verifica colla pila, è questa, che
nel primo caso tutto il calore equivalente al lavoro delle azioni
chimiche si sviluppa nel vaso stesso nel quale avviene la rea-
zione, mentre nell'altro caso questo calore si trova disseminato
in tutto il circuito nel modo voluto dalla legge di Joule, in
quantità proporzionali alle resistenze delle diverse parti di esso.
È questa una conseguenza forzata del nostro principio, ma è
anche un fatto sperimentale; le misure di Favre ne diedero una
dimostrazione completa.
La pila adunque si può paragonare ad un focolaio, ove con
una azione chimica (combustione per via umida) si produce il
calore; i circuiti sono condotti per mezzo dei quali una parte
di questo calore può essere portato a distanza e distribuito in
luoghi diversi a seconda del bisogno. Disponendo le cose in
modo che nella pila possa avvenire una abbondante azione
chimica, si può avere in essa una produzione di grandi quantità
di calore; disponendo poi il circuito cosi che una breve porzione
di esso rappresenti una grande frazione della resistenza totale,
si può accumulare su quella breve porzione, e quindi in uno
spazio che può essere piccolissimo, una notevole parte di quella
grande quantità di calore. Se il corpo che oppone resistenza è
così disposto che la sua superficie non possa irradiare nell'unità
di tempo una quantità di calore uguale a quella che nel tempo
stesso vi si produce, se non quando essa è portata ad altissima
temperatura, si ha una abbondante radiazione luminosa.
Noi abbiamo così trovato nella corrente elettrica quello che
cercavamo: un mezzo per «accumulare in piccoli spazi grandi
quantità di energia. Se teniamo dietro ancora per un momento
all'ordine di idee, in cui ci siamo portati, e se io posso do-
mandare ai miei uditori ancora per qualche minuto l'attenzione
paziente colla quale m'hanno seguito fin qui, noi possiamo fare
anche un passo di più, e trovare un enunciato preciso delle
condizioni di economia della operazione. Il calore equivalente
al lavoro speso nell' elettro-motore (qui nella pila, ma Io stesso
sarebbe quand'anche T elettro-motore fosse un altro) si distri-
46 Conferenza seconda.
buisce, abbiam detto, su tutto il circuito, e nelle diverse parti
di questo se ne trovano porzioni proporzionali alle loro resi-
stenze; dunque noi possiamo dire: la quantità di calore che si
accumula sulla porzione di circuito, che si vuole portare ad in-
candescenza onde irradii luce, sta a tutto il calore speso come
la resistenza di quella porzione di circuito sta a quella del cir-
cuito intiero : il coefficiente di rendimento in calore^ direbbe qn
ingegnere, è, uguale al rapporto tra quella resistenza e questa. Se
io potessi far usò del linguaggio, dell'algebra sarei molto più
chiaro; direi: sia Q la quantità totale di calore che si spende,
e q quella che si utilizza, ossia quella che si accumula sul corpo
che deve dare la irradiazione; sia poi 1 l'intensità della corrente
e si rappresentino con r e con R le resistenze della parte di
circuito ove si vuole accumulare calore e della parte rimanente
noi abbiamo per la legge di Joule:
0 = (/?+r)/S (2)
e
q = ri^, (3)
quindi il rendimento in calore è
Q~ R^r'
(4)
Per avere poi un buon rendimento in luce, bisogna che
una grande frazione di q sia calore luminoso, e a ciò, dissi,
occorre una elevata temperatura. Precisiamo la condizione: la
porzione dr conduttore, che deve dar luce, riceve in ogni unità
dì tempo la quantità di calore ^, e ne perde per la irradiazione
una quantità che va crescendo mentre cresce la temperatura.
La temperatura diventa costante quando quella porzione di con-
duttore tanto emette quanto riceve. Ora l'irradiazione è pro-
porzionale alla superficie irradiante S e a una certa funzione /(/)
della temperatura /. La temperatura adunque rimane costante
quando si ha
q
Ma/(/) è una funzione crescente, dunque -^ e / son due
grandezze che crescono insieme. Si vede così che da questa
equazione si ricava un valore di / tanto più grande quanto
q
maggiore è -^ .
Stf/Ia illufninasione elettrica, 47
Regola: Per avere un grande rendimento in luce bisogna
produrre una grande quantità di calore q in una piccola su*
perfìcie irradiante S.
Per quelli a cui non è ignoto questo linguaggio è bene che
io faccia ancora una osservazione. Faraday ha dimostrato che
la quantità di zinco, che si consuma nella pila in ogni unità di
tempo, è proporzionale all'intensità della corrente. Quindi Q è
proporzionale ad /, e si può scrivere
Q = Ei, (5)
e la costante E dicesi forza elettro-motrice della pila.
Portando nella (2) questo valore (5), abbiamo
l'intensità è uguale alla forza elettro^motrice divisa per la resi-
stenza totale. È questa la legge di Ohm. Finalmente possiamo
portare il valore (6) dì i nel valore (3) di q^ e scrivere
_ r E}__ E'^
^~R+r R-^r~R~^r' ^^'
di qui
^ = 9—£^. (8)
equazione che c'insegna che, data la quantità di calore q, che
si deve somministrare al corpo radiante, si ha un coefficiente
di rendimento tanto maggiore quanto più si fanno grandi le
resistenze e quanto minore si fa la forza elettro-motrice. Ed
ecco un altro teorema di immediata e pratica applicazione. Ve-
dremo infatti descrivendo le varie lampade elettriche, che pa-
recchie di esse non si possono attivare se q non supera un
certo limite, che, se non si conosce bene, è almeno razionale
ammettere.
Voi vedete, o signori : nella prima conferenza, guidati dalle
idee teoriche in apparenza le più lontane dalle applicazioni,
siamo arrivati, quasi senza accorgerci, a definire con precisione
lo scopo a cui dovevamo mirare per avere economicamente la
luce; abbiamo trovato che bisognava cercare di accumulare
molto calore in poco spazio. In questa seconda nostra seduta
abbiamo fatto un nuovo passo, abbiamo riconosciuto nella cor-
•48 Conferenza seconda.
rente elettrica, un mezzo per risolvere il problema; abbiamo
persino stabilito quali sieno le condizioni necessarie perchè il
problema si trovi risolto con economia. Abbiamo fatto questo
nuovo passo, anche qui senza accorgercene, mediante l'esame
paziente d'una legge fisica; or questa è il frutto del lavoro per-
severante di uomini che alle loro fatiche non posero mai per
meta la ricerca di qualche cosa capace di applicazioni pratiche
immediate, ma che cercarono il vero in sé e per sé, quel vero
che, se non arricchisce chi lo cerca, e anzi spesso ne consuma
le sostanze e la salute, può fare col tempo la ricchezza e la
gloria di intiere nazioni. Quegli uomini non pensarono alle ap-
plicazioni (ed è per quesio appunto che trovarono); ma fecero
per la applicazione la parte più importante: somministrarono
le cose applicabili. Le invenzioni sono il più delle volte dovute
più a chi non vi pensò mai che a chi diede loro il proprio
nome; e noi italiani, per esempio, possiamo dire con orgoglio
al più pratico dei popoli, all' americano : il telegrafo che porta
il nome del vostro concittadino Morse, non esisterebbe ancora
senza l'opera del nostro Volta — e l'opera del Volta è ben al-
trimenti grande della invenzione di un tasto e di una macchina
scrivente. In ogni caso i trovati della scienza sono come fari,
tenendo di mira i quali, il tecnico non smarrisce la strada,
mentre travia assai spesso senza il loro aiuto.
Io mi lasciai trascinare in queste considerazioni perché ciò
che è vero pei ricercatori delle invenzioni, é vero anche per
quelli che, come noi in queste conferenze, si limitano al lavoro
più facile di portar giudizio sui trovati altrui. Inoltre voi vedrete
che nella questione speciale, di cui noi vogliamo trattare, in-
ventori di provata abilità fallirono appunto per aver dimenticato
i principi teorici dai quali noi abbiam preso le mosse.
Un terzo ed ultimo effetto della corrente, al quale, comin-
ciando questa conferenza, ho detto di dover accennare, è la
magnetizzazione del ferro. Il fatto è notissimo, e poche parole
basteranno per richiamarlo alla vostra memoria. Se si circonda
una massa di ferro dolce, p. es., una sbarra cilindrica, con una
spirale di filo metallico isolato, e se in questa si fa passare una
corrente elettrica, il ferro diventa magnetizzato, si trasforma in
una calamita, la quale presenta il polo nord alla estremità verso
la sinistra della corrente, ed il polo sud verso la destra: egli è
come se le particelle del ferro fossero tante calamite disposte
irregolarmente in tutte le direzioni, e si orientassero come tanti
Sulla illuminazione elettrica.
49
aghi magnetici sotto l'azione della corrente. — Questo vi dico
non per dare una spiegazione* ma per offrirvi nel confronto dei
due fatti una regola mnemonica.
Interrotta la corrente, il magnetismo scompare; più esatta-
mente: non rimane di esso che una traccia detta magnetismo
rimanente, la quale è tanto meno sensibile quanto più il ferro
è dolce. Per ricordare questo fatto, che il nucleo di ferro fun-
ziona come una calamita soltanto quando passa la corrente, si
dice l'apparecchio che ho descritto : calamita temporaria, o elet-
tro-magnete.
Invece di una sbarra di ferro cilindrica si può adoperare
una sbarra piegata ad U, dividere la spirale magnetizzante in
due parti e dare una di queste
all'uno e l'altra all'altro braccio
dell' f/; si ha allora una elettro-
magnete a ferro di cavallo. Po-
tendosi far agire con entrambi
i poli sopra una medesima
massa di ferro, sopra una me-
desima armatura, l'elettro-ma-
gnete a ferro di cavallo si ado-
pera con vantaggio quando si
vogliano produrre energiche
attrazioni. L' intensità delle
attrazioni, che si possono ot-
tenere colle calamite tempo-
rarie, è di gran lunga supe-
riore a quelle che possono
offrire le più potenti calamite
permanenti di acciaio, e un
semplice esperimento basterà
a provarlo. Ecco una elettro-
magnete a ferro di cavallo,
che io posso attivare colla
pila di dieci elementi, che ci
ha servito in tutta questa lezione (fìg. 4Ì. La sua armatura porta
un grande piatto di bilancia, che io posso caricare di pesi. Voi
vedete: tutti i pesi, che abbiamo qui, non bastano a distaccare
Tannatura dai poli del ferro di cavallo — e sono più di 150 chi-
logrammi. Ma rompo il circuito? L'armatura subito si distacca
e cade.
G. Ferraris, Optte, Voi. II 4
f*'?- 4.
50 Conferenza seconda.
Un peso così grande non può essere sostenuto se non
quando l'armatura è vicinissima ai poli. Ma togliamo i pesi e
lasciamo solo il piatto colle sue catene; voi vedete: esso è at-
tratto a distanza, si solleva da sé quando il circuito è chiuso.
Rompo il circuito? Il piatto ricade. Chiudo un'altra volta, il
piatto è di nuovo sollevato . . . Ecco un nuovo modo di mani-
festarsi dell' energia della corrente; ecco un movimento, ecco
un lavoro meccanico. Sapendo che la corrente è una energia,
noi eravamo già certi che in qualche modo questa avrebbe po-
tuto darci un lavoro meccanico ; ora ecco il modo. Io non voglio
allontanarmi dal cammino che mi sono prefisso, e non voglio
stancare la vostra attenzione descrivendovi nei suoi particolari
alcuno degli apparecchi, che si possono immaginare a migliaia,
per mezzo dei quali si può ricavare in modo continuo, regolare,
un lavoro da una corrente. Dopo quello che io vi dissi, voi
siete convinti della possibilità di (are tali apparecchi, e ciò a
me basta.
Una piccola macchina di questa natura è disposta qui, e
noi possiamo vederla in moto; chiudo il circuito, e tosto essa
si pone in movimento. Nella energia meccanica che qui vediamo
comparire, noi dobbiamo riconoscere una porzione della energia
della corrente, la quale è distrutta. Appena la macchina si pone
in motOp la intensità della corrente diminuisce, e con questa
diminuiscono la quantità di calore svolta nel circuito e tutti gli
altri effetti della energia elettrica. Se noi misurassimo, come
fece il Favre, la quantità di calore che un gramma di zinco
sciolto nella pila produce adesso, lo troveremmo inferiore a
quello che si avrebbe quando questa macchina stesse in riposo :
la differenza è esattamente equivalente al lavoro con cui la
macchina è tenuta in moto. L'esperimento, nelle abilissime mani
del Favre, non solo riuscì, ma condusse ad una delle più no-
tevoli determinazioni dell'equivalente dinamico del calore.
Noi non possiamo fare misure di lavori, possiamo però
constatare che la macchina non si pone in moto senza far sce-
mare la intensità della corrente. Ci basta far agire la corrente
su di un ago magnetico e constatare che la deviazione di questo
diminuisce ogni qual volta la macchina si pone in moto, e cresce
quando essa si ferma.
Io desiderava, o signori, di condurvi a ciò. Partendo da
questa considerazione noi arriveremo naturalmente, nella pros-
sima conferenza, a trovar modo di produrre la corrente per
Sulla illuminazione elettrica, 51
mezzo di un lavoro meccanico. Ora nella soluzione di questo
problema, la quale permette di sostituire al combustibile zinco,
che questa sera abbiamo consumato nella pila, un combustibile
ordinario, da ardersi sulla graticola di una macchina a vapore,
sta la scoperta che fece della illuminazione elettrica un problema
proponibile industrialmente. E venendo a descrivere le macchine
che servono a dò, noi potremo dire di avere incominciata la
parte realmente pratica del nostro studio.
CONFERENZA TERZA,
10 maggio /c?7p.
Delle MACcmNE d* induzione.
Abbiamo riconosciuto nella corrente elettrica un mezzo per
a^ccumulare entro piccole superficie irradianti quantità grandissime
di cak>re. L'elettro*motore è paragonabile ad un focolaio, ove
noi possiamo produrre quantità di calore quanto vogliamo; il
circuito fa come un canale, che dissemina e distribuisce quel
calore, e ciascuna parte del quale ne ritiene una porzione pro-
porzionale alla propria resistenza. Facendo che una breve por-
zione di circuito abbia di per sé sola una resistenza uguale ad
una notevole frazione della resistenza totale, noi accumuliamo
so quella piccola porzione, e quindi entro piccole superficie ir-
radianti, una notevole parte del calore prodotto nel focolaio. È
questo, noi lo avevamo stabilito già, il problema da risolvere
per trasformare in luce la più grande parte possibile della energia
che si spende; e l'impiego di una corrente elettrica ne offre una
soluzione completa.
Ma perchè la corrente elettrica sì potesse proporre indu-
strialmente come mezzo per produrre la luce, non bastava sapere
come uria grande frazione del calore equivalente alla energia
della corrente si potesse trasformare in calore visibile, in luce;
bisognava inoltre avere modo di produrre la energia elettrica
con piccola spesa. Bisognava avere elettro-motori più economici
52 Conferenza terza.
di quello che sia la pila, nella quale V energia elettrica è data
dal lavoro chimico, che si compie nella reazione tra lo zinco^
l'acido solforico, l'acido nitrico. Per produrre infatti con questa
reazione una quantità di calore uguale a quella data da un chi-
logramma di carbon fossile (litantrace), che costa quattro cen-
tesimi, bisogna consumare da 5 a 6 chilogrammi di zinco ed i
pesi equivalenti di acido solforico e di acido nitrico, il che, col
mercurio necessario per 1* amalgamazione, può costare da 15 a
20 lire.
Questo secondo problema è oggidì risolto. Noi possiamo^
attualmente produrre poderose correnti elettriche consumando^
e trasformando in energia elettrica non l'energia troppo costosa
delle affinità chimiche tra lo zinco e gli acidi, ma la energia
meccanica, la quale si può avere o per mezzo di cadute d'acqua,
od almeno con macchine motrici a fuoco, a vapore, od a gas,
nelle quali non si consuma altro che carbone ordinario ed os-
sigeno atmosferico.
Gli apparecchi di induzione hanno in questi ultimi anni ri-
cevuto le forme, le dimensioni, la robustezza, l'architettura delle
vere macchine industriali, e con queste poterono passate dai
laboratori dei fisici alle officine. È la loro invenzione che non
solo rese possibile ma impose la quistione tecnica, per trattare
della quale noi siamo qui radunati. Io debbo provarmi a darvi
un'idea del loro principio e della loro costruzione. Sarà questa
il nostro compito per la seduta di questa sera.
Converrà che noi cominciamo a ricordare qualche fatto
elementare e che da questo saliamo poi a fatti più complessi
e finalmente agU apparecchi. Prenderemo le mosse dalle espe-
rienze che abbiamo veduto verso il fine dell'ultima conferenza.
Avevamo qui una elettro-magnete : un nucleo di ferro dolce
coperto da una spirale di filo metallico rivestito, ed un'arma-
tura: un pezzo di ferro dolce che poteva applicarsi alle due
estremità del nucleo, che nel nostro esperimento erano vicine
runa all'altra, per essere il nucleo piegato a ferro di cavallo.
Per la spirale fecimo passare una corrente, ed osservammo che
subito l'armatura era attratta con forza e poteva sollevare pesi
considerevoli: il nucleo di ferro era diventato una calamita e
quindi aveva attirato il ferro dell'armatura. Sollevando T arma-
tura, che, cogli annessi, aveva un peso, l'elettro-magnete faceva
un lavoro, la corrente faceva un lavoro : io vi feci notare che
mentre la corrente faceva questo lavoro, essa si trovava indebolita.
Sulla illtiminazione elettrica. 53
Abbiamo veduto il fenomeno in modo assai chiaro mettendo
in azione una piccola macchina, ove la corrente, producendo
regolarmente molte volte di seguito ad intervalli uguali di tempo
l'attrazione di una armatura, metteva in moto una ruota e pro-
duceva un lavoro continuo. In questo apparecchio le diminuzioni
di intensità, che succedevano ad ogni pulsazione dell'armatura
mobile, si sovrapponevano e producevano una sensibile dimi-
nuzione costante nella deviazione di un ago magnetico sottoposto
all'azione della corrente. Notiamo bene il fatto: si aveva tra
r armatura e l' elettro-magnete una attrazione in grazia della
corrente circolante nella spirale di questa; il moto prodotto da
questa attrazione fece diminuire l' intensità della corrente e
quindi l'attrazione stessa; l'effetto del moto dell'armatura fu di
diminuire la propria causa, il che equivale a crearsi una resi-
stenza.
Se, fatto l'esperimento, avessimo distaccato l'armatura, noi
avremmo constatato il fenomeno opposto: un aumento della
intensità della corrente. Qui il movimento avrebbe prodotto un
aumento dell'attrazione, a dispetto della quale esso si fa; anche
qui adunque l'effetto del moto dell'armatura sarebbe stato di
creare a se stesso una resistenza.
Ora un aumento od una diminuzione della intensità di una
corrente, si possono considerare come un'aggiunta od una sot-
trazione di una corrente, come la sovrapposizione alla corrente
principale di una corrente diretta nel medesimo verso o di una
corrente contraria. Dunque possiamo enunciare la cosa dicendo:
il moto dell'armatura ha in tutti casi per effetto di produrre una
corrente che si oppone ad esso.
Ebbene, o signori, l' esperienza dimostra che il medesimo
fenomeno si verifica anche quando nel circuito, di cui fa parte
la spirale magnetizzante dell' elettro-magnete, non v'ha inizial-
mente corrente, con questa sola condizione: di sostituire alla
armatura mobile dì ferro dolce una calamita, sia questa una
calamita permanente di acciaio, od un pezzo di ferro tenuto in
qualunque modo magnetizzato. Se le estremità polari di una
elettro-magnete, la cui spirale faccia parte di un circuito chiuso,
vengono avvicinate ai poli di una calamita, oppure allontanate
dai medesimi, si manifesta nel circuito della spirale una corrente,
la quale dura finché dura il movimento. Questa corrente dicesi
indotta \ il circuito, in cui si trasmette, circuito indotto; la ca-
lamita, che col suo moto la produce, iuduttrice; il fenomeno.
54 Conferenza terza.
fenomeno di induzione. La corrente indotta ha verso tale da
opporsi al movimento.
Così, mentre i poli della calamita induttrice si avvicinano,
la corrente indotta fa nascere in faccia ad essi i poli omonimi,
i quali li respingono; mentre invece i poli della calamita in-
duttrice si allontanano, la corrente indotta fa nascere in faccia
ad essi, nel nucleo della spirale, poli contrari, che li attraggono.
In ogni caso le azioni reciproche tra i poli della calamita e
quelli che, per effetto della corrente indotta, si formano nel
nucleo di ferro dolce, costituiscono una resistenza al moto.
Della numerosa serie di fenomeni compresi nella denomi-
nazione generica di fenomeni di induzione, della conoscenza
de' quali la fìsica è debitrice al grande Faraday, e che oggidì
costituiscono da sé soli un intero e vasto ramo di scienza,
questo che io vi ho descritto è il solo di cui noi avremo bi-
sogno per lo studio al quale ci accingiamo, il solo di cui ci sia
necessario parlare.
Ma appunto per questo dobbiamo procurare di intenderlo
bene, di interpretarlo, e di porlo sotto il suo aspetto più ge-
nerale e più ampio.
Per intenderlo bene, è utile innanzi tutto che lo vediamo.
E a quest'uopo io disposi l'apparecchio che voi vedete qui. La
sua parte essenziale è una bussola reometri ca a riflessione: un
ago magnetico sospeso per una bava di seta assai lunga, tesa
sull'asse di un tubo di vetro, quindi mobilissimo, sta nel centro
di una spirale di filo metallico isolato, la quale si può inserire
mediante opportuni morsetti nel circuito della corrente, di cui
vorremo riconoscere l'esistenza ed il verso. Attualmente la linea
dei poli dell'ago è parallela ai piani delle spire; ma se una
corrente si trasmetterà in queste, ciascun elemento, ciascuna
porzioncella di ciascuna di esse agirà sull' ago, come agiva la
corrente rettilinea sull'ago vicino nelle esperienze che ricorderete
di aver visto nell'ultima nostra seduta: ciascuna spira eserciterà
sui poli dell'ago forze tendenti a far rotare l'ago medesimo e a
portarlo in una direzione perpendicolare a quella che esso ha in
questo momento, col polo nord a sinistra e col polo sud a destra
della corrente. Le azioni delle singole spire si sovrapporranno
così, ed una corrente anche debole potrà produrre deviazioni sen-
sibili. Egli è perciò che la spirale si dice anche un moltiplicatore.
La sensibilità dello strumento è inoltre notevolmente ac-
cresciuta in grazia della disposizione che fu adottata per ren-
Sulla illuminazione elettrica, 55
dere visibili le minime deviazioni dell'ago. All'ago è solidario
uno specchietto, il quale parteciperà così a tutti i suoi movi-
menti. Sullo specchietto io farò cadere un pennello di luce
uscito da una lanterna elettrica attraverso ad luia piccola
apertura circolare. Il pennello si rifletterà, e io, frapponendo in
posizione conveniente, tra l'apertura della lanterna e lo specchio,
una lente convergente, potrò fare che i raggi riflessi formino
sul muro una immagine dell'apertura. — Voi la vedete. Finché
lo specchietto starà fermo, quella immagine si manterrà immo-
bile, e, viceversa, dalla immobilità di essa voi potrete conchiudere
che né lo specchio né l' ago ad esso uniti si sono spostati. Ma
supponete che l'ago roti anche di pochissimo, e che con esso
roti, come necessariamente farà, anche lo specchio: l'angolo di
i^ncidenza dei raggi luminosi sullo specchio varierà allora di
tanto di quanto lo specchio avrà girato; l'angolo di riflessione
varierà d'altrettanto, il fascio di luce riflessa devierà di un an-
golo doppio di quello per cui lo specchio avrà rotato, e l' im-
magine sul muro si sposterà di una quantità, che per la grande
distanza del muro dallo specchio potrà essere notevole. Il fascio
di hice riflessa farà quel che farebbe un lungo indice, che ro-
tasse del doppio di ciò di cui rota l'ago della bussola. La gran-
dezza dello spostamento dell'immagine ci darà cosi in modo
visibile a tutti un indizio della grandezza delle deviazioni del-
l'ago, e il verso dello spostamento ci dirà quale sia il verso
nel quale l'ago ha deviato. Se le deviazioni dell'ago saranno
prodotte da correnti elèttriche circolanti nel moltiplicatore, lo
spostamento dell' immagine ci indicherà V intensità, e quel che
più ci interessa in questo momento, // verso della corrente.
Ciò posto, io unisco i capi del moltiplicatore con quelli di
una doppia spirale ss', la quale avvolge un nucleo arcuato di
ferro dolce, formando una elettro-magnete a ferro di cavallo, e
in faccia alle estremità polari di questa metterò in moto una
calamità M, facendola ora avvicinare ed ora allontanare da
esse (fig. 5). Se è vero il fatto che io ho enunciato, noi dovremo
vedere quell'immagine luminosa spostarsi in un senso tutte le
volte che questa calamita si avvicinerà alle estremità dei nuclei
delle spirali, spostarsi nel senso opposto tutte le volte che la
calamita si allontanerà dai nuclei. L'esperienza conferma piena-
mente la previsione.
Se potessimo esaminare in qual verso sieno qui avvolte le
spire, e come stieno situati i poli dell'ago, noi vedremmo facil-
Conferenza terza.
mente che la corrente che si ha nel distacco, nell'allontana-
mento della calamita mobile induttrice, è diretta in modo da
produrre nei nuclei poli contrari a quelli a cui stanno affacciati,
quindi esercitanti attrazioni che si oppongono al movimento;
vedremmo invece che durante l'attacco, ossia durante l'avvici-
namento della calamita induttrice, si
produce una corrente indotta di tale
verso da far nascere nei nuclei poli
//^ omonimi a quelli affacciati, ossia poli
che esercitano su di questi forze
ripulsive, ossia finalmente, che si
oppongono al movimento. È la legge
che si trattava di verificare.
Posso dimostrare, se non il ver-
so, almeno l'esistenza delle correnti
indotte che si hanno nelle spirali di
una elettro-magnete, quando in fac-
cia a questa si muove una calamita,
anche a quelli che non avessero po-
tuto vedere i moti dell'immagine.
L'apparecchio, che avete sotto agli
occhi, è munito di parti accessorie,
che fanno sì che la corrente indotta
nel distacco ne produce una di più
breve durata, ma per compenso ca-
pace di superare grandi resistenze. Noi non abbiamo bisogno di
descrivere queste parti, perchè sappiamo che apparecchi mecca-
nici, di per sé, non possono creare nessuna energia. Noi, dall'e-
sistenza di questa corrente intensa e di breve durata, potremo
con certezza, anche senza conoscere i particolari del congegno,
conchiudere V esistenza di una corrente indotta per mezzo del
movimento. Orbene, questa corrente può farsi passare per una
porzione di circuito molto resistente e fatta di materia esplosiva,
e lo scoppio di questa ci attesterà in modo rumoroso, ma al-
trettanto sicuro, l'esistenza della corrente indotta. Inserisco nel
circuito una spoletta piena di polvere pirica, in seno alla quale
sta una miscela di solfuri metallici, di clorato di potassa e di
grafite. Attraversata dalla corrente, essa si scalda, e scoppia,
quando si distacca violentemente la calamita dai nuclei delle spirali.
Credo inutile fare esperimenti per dimostrare che gli effetti,
che si hanno dal moto di una calamita permanente, si hanno
Sui/lì illuminazione elettrica. 57
pure dal moto di una elettro-magnete, o dal moto di un pezzo
di ferro magnetizzato per influenza, o dal moto di un pezzo di
ferro calamitata con qualunque altro artifìcio. Noi impareremo
di più se, invece di variare la forma degli esperimenti, ci solle-
veremo ancora una volta alla regione elevata delle teorìe, e se
interpreteremo i fatti di cui fummo testimoni colla scorta del
principio della conservazione della energia. Qui, come sempre,
questo grande teorema rischiarirà i fatti cosi da renderne facile
in ogni caso l'applicazione; qui, come sempre, ci guiderà a con-
cetti più larghi, e, ciò che più importa, più precisi.
Movendo una calamita in faccia ad una spirale, noi abbiamo
appreso, possiam produrre delle correnti: ma le cori-enti sono
manifestazioni di energie, le correnti producono calore, azioni
chimiche, lavori, e siccome V energia non si crea, così le cor-
renti non si producono senza consumare, senza spendere qualche
cosa. Che cosa è ciò che noi spendiamo quando col movimento
relativo di calamite induttrici e di spirali indotte noi produciamo
correnti d' induzione? Se voi avete posto attenzione a ciò che
io ho detto sul verso delle correnti indotte, troverete subito la
risposta: la corrente indotta ha sempre tal direzione da pro-
durre forze che si oppongono al movimento col quale essa è
generata. Quando il movimento ha per effetto una corrente
indotta, questa crea una resistenza, che altrimenti non sussi-
sterebbe; a produrre il moto a dispetto di questa resistenza è
necessaria la spesa di un lavoro; è questo lavoro ciò che si
trasforma in energia elettrica, e che la corrente ci restituisce,
o come calore, o di nuovo, almeno in parte, come lavoro. Così
per esempio, per allontanare la calamita in questo apparecchio
di cui ci siamo serviti poco fa, io debbo fare un lavoro più
grande quando il circuito è chiuso, e produco in questo una
corrente, che non quando è aperto; il lavoro che spendo in
più nel primo caso non è perduto : produce la corrente. Quando
poi la calamita si riavvicina alle estremità dei nuclei delie spi-
rali, essa acquista una velocità, una energia diversa ne* due
casi; questa energia è maggiore quando il circuito è aperto che
non quando esso è chiuso: la differenza è equivalente al calore
svolto nel circuito dalla corrente indotta.
Ecco una interpretazione che ci fa apparire la legge sul
verso delle correnti indotte come naturale, necessaria, quasi
prevedibile. Io credo che non la si possa sentire senza indo-
vinare subito che ciò che noi abbiamo visto non è che un caso
58
Conferenza terza.
particolare di una legge molto più generale. Così è infatti, e la
legge enunciata dapprima dal Lenz, fu completata dal Neumann,
che le diede una forma rigorosa, matematica. Io non ho che da
tradurla in linguaggio ordinario ed enunciarla, per essere sicuro
che voi tutti non solo la comprenderete e saprete fame l'appli-
cazione, ma la giudicherete quasi evidente. La legge è questa:
— Si abbia un sistema qualunque A di circuiti chiusi, posti in
presenza di un sistema qualunque B di correnti o di calamite;
se si imprime ai sistemi -4 e jB un moto relativo, nei circuiti A
nasceranno, durante il moto, correnti indotte, oppure non na-
sceranno. Per vedere se si verificherà il primo caso si immagini
che i circuiti A sieno percorsi da correnti in un verso qua-
lunque, e si veda se queste correnti producano forze che du-
rante il moto facciano, od obblighino a fare, un lavoro meccanico.
Se ciò succede si avranno correnti indotte, se no, non si avranno.
Nel primo caso poi le correnti indotte avranno un verso
tale da opporsi al movimento.
Con questa legge possiamo spiegare V effetto di tutte le
macchine di induzione, Neil' applicazione che noi ne faremo a
queste, essa ci si farà chiara e famigliare; negli effetti poi che
otterremo, mettendo in azione le macchine, troveremo una con-
ferma sperimentale della sua verità.
Noi possiamo ottenere una macchina d'induzione sempli-
cemente cosi: collocando in faccia ad una calamita fìssa una
elettro-magnete, la quale possa farsi ro-
tare attorno ad un asse O in modo che le
sue estremità polari «, 5 vadano in modo
periodico avvicinandosi ed allontanandosi
dai poli iV, 5 di quella (fig. 6). Se alle
estremità della spirale si attaccano i capi
di un circuito esterno e si forma così un
circuito chiuso, questo circuito è, finché
dura il moto, la sede di una successione
di correnti indotte. Applichiamo il princi-
pio or ora enunciato e ce ne convinceremo.
Immaginiamo a quest'uopo che le
spirali mobili sieno percorse da una corrente. 11 nucleo per effetto
di questa si magnetizza allora, e presenta alle due estremità i due
poli nord e sud. 11 primo, «, sarà attratto dal polo sud *S con una
forza / e respinto dal polo nord N con una forza F\ l'altro,
viceversa, sarà respinto dal polo sud ed attratto dal polo nord
Fig. 6.
Sulla illuminazione elettrica.
59
colle forze/' ed F\ Le spirali saranno così sollecitate da una
coppia R, R' a rotare, come indica la freccia nella figura. Dunque^
se noi produciamo questo movimento, esso genera nelle spirali
una corrente. Il verso? Il verso sarà quello che si oppone al
moto; quello adunque che produce un polo nord in 5 finché il
nucleo « va avvi/:inandosi al polo nord /V, che lo respinge;
quello che produce in 5 un polo sud quando il nucleo 5 lia ol-
trepassato il polo iV e va allontanandosi da esso. Si hanno
adunque così correnti, che cambiano di verso ogniqualvolta i
nuclei mobili passano davanti ai poli fissi iV ed 5. Con un
commutatore, il quale in verta (fig. 7) le riunioni dei capi delle
spirali coi capi del circuito esterno
nel momento in cui la corrente
nella spirale indotta cambia di
segno, si può fare che nel cir-
cuito esterno si abbia una cor-
rente diretta sempre nel medesi-
mo verso. Questo commutatore
è semplicissimo: consiste in un
cilindro coibente O rotante insie-
me alla spirale, e coperto da due
gusci metallici /, m comunicanti
colle due estremità della mede-
sima. I capi del circuito esterno
sono riuniti in a, b con due molle
Ay B, le quali si appoggiano sul
cilindro O sfregando alternativamente i due gusci. I contatti tra
le molle ed i gusci si invertono due volte per ogni giro e pre-
cisamente nell'istante in cui la corrente nella spirale indotta
cambia segno.
Io ho descritto sommariamente la macchina notissima di
Clarke. Essa è una delle più antiche che si abbiano, e forma
come un tipo, dal quale non differiscono se non ne' particolari
e nelle dimensioni tutte quelle che si adoperarono prima del
1872.
Ma non l'ho descritta che per fare su di un apparecchio
certamente noto alla massima parte dei miei uditori una appli-
cazione del principio generale che noi abbiamo enunciato, ed
in questo modo renderlo loro viemmeglio chiaro e famigliare.
Io non mi sono proposto infatti di fare in queste conferenze la
storia delle invenzioni che si collegano con quella della illumi-
Fìg. 7.
6o Conferenza terza.
nazione elettrica, storia che troverete assai più completa di
quella che si potrebbe svolgere nel limitato numero de' nostri
convegni, in tutti i trattati; mi sono invece proposto, come
dissi cominciando, di dare dello stato presente di questa appli-
cazione scientifica una nozione sufficiente per poterne dedurre
qualche indizio sul, suo probabile avvenire. Sono quindi le
macchine attualmente in uso che io debbo descrivere, e più
particolarmente quelle conosciute col nome di macchine di
Gramme, alla teoria delle quali si collega intimamente quella
di tutte le altre macchine moderne, e le quali sono fra noi le
più diffuse.
Le macchine d'induzione di Gramme comparvero nel 1872;
i risultati che esse diedero furono tali da far dimenticare tutto
quanto in quest' ordine di cose si era fatto prima. I problemi
relativi alle applicazioni tecniche delia corrente elettrica, fra cui
primo quella dell' illuminazione elettrica, si ripresero in grazia
di quelle macchine, con una lena e con una fede di cui prima
non si erano creduti degni mai; le macchine Gramme non ave-
vano soltanto il merito di aver forme solide, e dimensioni tali
da potersi collocare degnamente fra le macchine industriali, ma
davano quello che nessuna macchina anteriore, fatta sul tipo di
quella di Clarke o di StOrer, non escluse quelle del Nollet,
avrebbe potuto dare: una corrente continua, assolutamente co-
stante; e questo esse davano senza bisogno di alcun commu-
tatore, e con organi semplici, robusti, di funzionamento sicuro.
Dissi: le macchine Gramme comparvero nel 1872; ma l'in-
venzione che ne forma la base data fin dal 1860, ed è dovere
che io lo dica: appartiene al nostro paese. La parte caratteri-
stica delle nuove macchine, alla quale essenzialmente esse deb-
bono le proprietà di cui parlai, sta in una forma speciale data
alla spirale indotta, e di questa forma speciale di spirale, fin
dar 1860 pubblicava una descrizione il dott. Antonio Pacinotti
di Pisa. Il Pacinotti costrusse anche una macchina, ma, coi mezzi
di cui egli poteva disporre, non fu possibile che egli ne otte-
nesse tali risultati da chiamare su di essa l'attenzione che essa
si meritava. Dodici anni dopo, come dissi, nel 1872, il Gramme
rifaceva V invenzione, ma a Parigi e con mezzi di gran lunga
migliori. La macchina si presentava al pubblico veramente per-
fetta, e siccome usciva allora dalle sue mani, prese e riterrà il
suo nome. E veramente noi stessi non potremmo negare che,
senza l'ingegno e l'attività che quest'uomo spiegò nel migliorare
Sulla illuminazione elettrica.
6r
le parti de* suoi apparecchi, la spirale del Pacinottì sarebbe
tuttavia un progetto, e fors'anche sarebbe dimenticata.
La spirale di Pacinottì, che, come dissi, forma la parte ca-
ratteristica della macchina di Gramme, è anulare: è un anello
circolare di ferro dolce, tutto vestito di spire di filo dr rame
isolato. Per farvene un'idea dovete immaginarvi una elettro-
magnete inizialmente diritta, la quale sia poi stata piegata in
cerchio e della quale si sieno poi saldate insieme le due estre-
mità, ferro con ferro, filo con filo, così da formare un tut£o con-
tinuo. Schematicamente voi la vedete qui disegnata (fig. 8). Essa
Fìg. 8.
è posta fra i poli iV ed S di una calamita permanente o tetnpo-
rarìa, ed è portata da un albero O, attorno al quale si può far
girare come una ruota. Il filo non ha capi, come non ne ha il
nucleo, ma con un artifizio, di cui diremo fra poco, esso può
mettersi in comunicazione metallica con un circuito esterno M,
e precisamente così che i capi di questo comunichino in ogni
istante coi due punti A e B della spirale, posti alle estremità
del diametro perpendicolare alla retta dei poli N S della calamita
induttricé. Per fissare le idee supponete che i due punti A ^ B
sieno toccati dalle estremità del circuito M, e che, mentre gira
la spirale anulare, i contatti A, B passino da una spira alle
successive in modo da stare sempre nella medesima posizione.
Noi possiamo vedere subito che la rotazione della spirale
deve produrre nel filo M una corrente costante. Infatti, appU-
62 Conferenza terza.
chiamo la regola generale : immaginiamo che il filo M sia per-
corso da una corrente, per esempio nel verso deUa freccia /.
Questa corrente nei punti -.4 e -S si dividerà fra le due metà
della spirale, e circolerà come indicano le freccie /' e f\ Le
sinistre delle due correnti sono in entrambe le metà rivolte
verso l'alto, verso il punto A, Dunque per effetto di queste
correnti le due metà dell' anello di ferro si trasformano in due
calamite, aventi entrambe il polo nord in alto, in vicinanza del
punto A, ed il polo sud in basso, nel punto B, Su questi poli n
ed 5 i poli iV ed S della calamita induttrice fissa esercitano
attrazioni e ripulsioni: il primo respinge il polo nord n ed at-
trae il polo sud 5 colle forze /"ed F') il secondo attrae n e
respinge s colle forze / ed /'. Tutte queste forze, voi vedete,
cospirano per far rotare l'anello da sinistra verso destra. Se
noi facciamo rotare l'anello, queste forze fanno un lavoro o ci
obbligano a spendere un lavoro: dunque, in grazia del nostro
principio, la rotazione dell'anello produce una corrente indotta.
11 verso di questa corrente, dice inoltre il principio, è tale che
essa si opponga al moto: dunque essa ha il verso indicato dalla
freccia / quando l'anello ruota da destra a sinistra, ha il verso
opposto quando l'anello ruota da sinistra verso destra. Se, mentre
l'anello gira, i contatti stanno immobili nelle posizioni A, B, si
mantengono costanti le condizioni iniziali, e la corrente indotta
si produce con intensità costante finché seguita inalterata la
rotazione.
Le attrazioni magnetiche dovute alla esistenza della corrente
indotta oppongono costantemente una resistenza al moto, agi-
scono come un freno, e la rotazione non si fa se non spendendo
un lavoro meccanico, che non si avrebbe da fare quando il
circuito fosse aperto. Questo lavoro meccanico si trasforma in
energia elettrica ed è restituito dalla corrente.
Tale è il principio; per tradurlo in atto, bastava trovar
modo di realizzare almeno approssimativamente questa condi-
zione: che le estremità del circuito esterno comunicassero co-
stantemente coi punti della spirale passanti nelle posizioni A
e B, mentre questa gira. Ora ecco come ciò si ottiene.
La spirale, di filo isolato, è fatta di tante porzioni uguali,
che possiam dire spirali elementari; è. formata da una serie di
molte piccole spirali uguali 5, 5, s, infilzate l'una dietro all'altra
sul nucleo anulare (fig. 9). Queste spirali sono congiunte V una
all'altra, capo a capo, così da formare una spirale unica continua.
Sulla illuminazione ellettrica.
63
come abbiamo detto; ma nei punti d'unione esse sono legate a
lastrine metalliche r, r, r, le quali son piegate ad angolo retto
ed hanno imo dei bracci, r, diretto come un raggio deiranello,
e l'altro a diretto parallelamente all'asse di rotazione, e collocato
sulla superfìcie di un cilindro ab dì diametro minore dell'anello,
il quale ruota con esso. Le porzioni a, che coprono l'albero di
r
Fig. 9.
rotazione, sono isolate le une dalle altre, e sulle faccie esleine,
che stanno tutte su di una superficie cilindrica, sono nude, prive
di ogni vernice. Su di esse si appoggiano due sfregatoi a spaz-
zola Ff P^ ai quali sono uniti con opportuni morsetti i capi
del circuito esterno. Le due spazzole toccano due lastrine a, b
diametralmente opposte, e quindi pongono, come si voleva, il
circuito esterno in comunicazione con due punti A e B dia-
metralmente opposti della spirale.
Siccome poi le spazzole toccano
sempre più di una lastrina ad un
tempo, così la comunicazione
della spirale indotta col circuito ,
estemo è sempre chiusa, e la
corrente è realmente continua e
costante.
La fig. IO rappresenta la
struttura della spirale anulare
quale è nelle macchine del Gram-
me. Il nucleo A è costituito da
una matassa di filo di ferro; le
spirali elementari B, delle quali nella figura sono disegnate, per
chiarezza, soltanto alcune, sono di filo di rame isolato; i pezzi
a squadra R passano, col loro braccio orizzontale, dentro della
spirale.
Fig. IO.
64
Conferenza terza.
Abbiamo sotto agli occhi, in condizioni da poter lavorare,
una macchina di Gramme di piccolo modello (fig. ii). In essa
la calamita induttrice è una calamita permanente d'acciaio, di
quelle a lastre sovrapposte, che il Jamin ci mostrò a costrurre
recentemente, e che, come sapete, hanno in piccola massa molta
potenza. Fra i poli, che stanno qui in basso, voi vedete come
una piccola ruota a cui, con
una manovella ed un paio di
ruote dentate, posso impri-
mere una rapida rotazione: è
questa la spirale anulare. Se
foste più vicini potreste ve-
dere da una parte come un
grosso manicotto a superficie
listata di . rame : è questo il
sistema delle lastrine a e su
di esso si appoggiano sopra
e sotto due spazzole metalli-
che. Due morsetti servono a
mettere queste spazzole in co-
municazione col circuito ester-
no. Se, chiuso il circuito, noi
poniamo in moto la manovella,,
abbiamo la corrente, e questa
è così intensa, che, per renderla sensibile a tutti voi, io non ho
bisogno di ricorrere alla bussola: essa arroventa un filo di pla-
tino, che voi tutti potete vedere.
La corrente, che arroventa questo filo, è prodotta dal lavoro
di chi gira la manovella; e se egli potesse comunicare a voi le
sue sensazioni, sentireste che a tenere in moto la manovella
con una certa velocità è necessario uno sforzo più grande
quando il circuito è chiuso che non quando è aperto.
Ma anche senza provare a tenere col nostro braccio la
manovella in moto, noi possiamo vedere che effettivamente
resistenza della corrente crea una resistenza. Se noi imprimiamo
alla manovella una certa velocità e poi V abbandoniamo a sé,
noi vediamo che essa si ferma assai più presto quando il cir-
cuito è chiuso che non quando esso è aperto: la corrente fa
quello che noi abbiamo detto, agisce come un freno. E un freno
che come gli ordinari converte in calore T energia meccanica
degli organi rotanti, ma con questa differenza, che questo calore
Fig. II.
St4//a illuminazione elettrica. 65
si manifesta distribuito lungo tutto il circuito secondo la legge
di Joule.
Se è esatta la nostra teoria» la spirale anulare e tutti gli
organi annessi debbono porsi in moto quando si attaccano i
morsetti ai reofori di un altro elettro-motore. E così è in realtà.
Pongo la macchina nel circuito di una pila di pochi elementi
Bunsen, e voi vedete, che subito essa si mette in moto. Inverto
le comunicazioni, e la macchina gira in verso contrario. Poco
fa noi ottenevamo una corrente elettrica colla spesa di un lavoro
meccanico; ora otteniamo un lavoro meccanico mediante la
spesa di una corrente elettrica. Vogliamo vederlo? Poniamo
nel circuito una spirale di sottile filo di platino. Se la macchina
non lavora, il filo si arroventa; se la macchina si pone in moto,
il filo rimane oscuro; se fermiamo rapidamente la manovella,
il filo d'un tratto diventa di nuovo incandescente. Se, invece di
far fare un lavoro dalla corrente, facciamo noi un lavoro, se
giriamo la manovella nel verso opposto a quello in cui essa si
muove per effetto della corrente della pila, la corrente prende
una intensità più grande, e l'incandescenza vivissima della
spirale ce lo addimostra.
Se abbiamo capito bene il modo di agire di questo piccolo
apparecchio, non avremo adesso diiBcoltà ad intendere la teoria
e l'uso delle grandi macchine adoperate nelle industrie. L' ap-
parecchio è, nella sostanza, sempre identico a questo, soltanto
è fatto in modo da poter convertire in energia elettrica un
grande lavoro meccanico. Ora il lavoro, che si spende per tener
in moto la macchina, è il prodotto della resistenza che si vince,
dello sforzo, per lo spazio percorso a dispetto di questa resi-
stenza. Per avere un grande lavoro speso ed una grande in-
tensità di corrente, senza dover aumentare a dismisura la velocità,
bisogna adunque disporre le cose in modo, che le attrazioni
magnetiche, dovute alle correnti indotte, le quali si oppongono
al moto deUa spirale, sieno molto grandi. E per ottenere ciò
bisogna adoperare come induttrìci calamite molto, potenti. Ma
noi sappiamo, che potentissime, a fronte delle calamite perma-
nenti d'acciaio, sono le calamite temporarie, le elettro-magneti:
dunque per avere macchine d'induzione potenti convien ado-
perare come induttrìci, non calamite d'acciaio, ma calamite
temporarìe. Il Wilde, al quale è dovuta questa idea, adoperava,
per magnetizzare le elettro-magneti induttrìci, la corrente di
una piccola macchina magneto-elettrica con calamite permanenti:
G. Ferraris, Opere, Voi. II. 5
66 Conferenza terza.
ma Siemens e Wheatstone dimostrarono che a ciò poteva ser-
vire la corrente stessa prodotta dalle macchine. 11 ferro, costi-
tuente il nucleo delle elettro-magneti induttrici, ritiene sempre
in sé, dopo che fu magnetizzato una volta, una traccia di ma-
gnetismo, la quale si dice il magnetismo rimanente. Con questa
traccia di magnetismo esso può agire, pei primi giri della spirale
indotta, come una vera calamita permanente, soltanto è debole,
e produce deboli correnti indotte. Ma se queste correnti si
fanno circolare nella spirale magnetizzante in verso conveniente,
esse aumentano lo stato magnetico induttore. La corrente in-
dotta si fa perciò anch'essa più intensa. Ma seguitando a circolare
nelle spirali magnetizzanti, questa corrente più intensa aumenta
ancor più la potenza delle calamite induttrici. Le quali, a loro
volta, producono una induzione più energica... così seguitando,
si vede che, dopo alcuni giri della spirale indotta, i nuclei delle
elettro-magneti induttrici si porteranno ad uno stato magnetico
massimo, che dipende dalle dimensioni dell'apparecchio e dal
lavoro con cui lo si tiene in azione.
Così si fa in tutte le grandi macchine moderne, così si fa
nelle macchine che il signor Gramme costruisce* per usi indu-
striali.
Ecco il primo modello di queste grandi macchine: quello
che figurò alla esposizione di Vienna del 1873 (fig. 12). Le
elettro-magneti induttrici sono costituite da sei sbarre di ferro
verticali collegate dallo zoccolo e dal capitello di ghisa della
macchina. Queste sbarre sono coperte da spirali in cui dovrà
circolare la corrente magnetizzante, e queste spirali sono av-
volte in tal modo che, quando la corrente vi circoli, si forma un
polo nel punto di mezzo delle sbarre e due poli opposti ad esso
alle due estremità. I poli che si formano sul mezzo delle sbarre
di sinistra sono contrari a quelli che si formano nel mezzo
delle sbarre a destra. Questi poli mediani sono gli induttori; e
per questo sono in questi punti di mezzo unite alle sbarre di
ferro ganasce che abbracciano, senza toccarla, la spirale indotta.
L'insieme delle sbarre, del capitello e dello zoccolo costituisce
come un sistema di due elettro-calamite a ferro di cavallo coi
poli omonimi affacciati — come la spirale anulare.
In queste macchine di antico modello si hanno due spirali
indotte: una di esse dà la corrente esterna, l'altra, minore, non
dà che la corrente magnetizzante. Ciascuna spirale ha il suo
sistema di lastrine e le sue spazzole; ma, mentre le spazzole
Sulla illuminazione elettrica.
67
dell'una comunicano col circuito esterno, quelle dell'altra co-
municano soltanto colle estremità delle spirali delle elettro-ma-
gneti induttrici.
Dopo il 1874 il Gramme modificò, nella posizione delle
parti, i suoi apparecchi e con ciò li rese meno voluminosi, più
semplici, più leggeri, meno costosi (tìg. 13). Le modificazioni
essenziali sono due:
i.** Le elettro-magneti induttrici sono orizzontali, sono in
numero minore (ordinariamente 2 sole), e son collegate dai
montanti di ghisa, invece che dallo zoccolo e dal capitello della
macchina.
68
Conferenza terza.
2.® V'ha una sola spirale indotta, e serve come corrente
magnetizzante la stessa corrente esterna.
La spirale magnetizzante è a quest'uopo inserita nel circuito
esterno : un medesimo circuito contiene il filo esterno, la spirale
indotta, le spirali magnetizzanti. Il vantaggio di queste modifi-
cazioni è considerevole.
La fig. 14 rappresenta una sezione longitudinale di una
macchina di grande modello. In questa le elettro-magneti in-
duttrici sono quattro, e due di queste si vedono in figura.
>-^.-...^,^>,.^^
l-'ig. 13-
V'hanno due copie di sfregatoi a spazzola; e ciò, mentre rende
più regolare l'azione della macchina, permette di ottenere a
piacimento due correnti distinte od una grande unica.
Avremo molte occasioni, nel seguito delle nostre conferenze,
di vedere gli effetti di queste macchine, e ne ebbimo già fin
dalla prima sera che noi ci siamo radunati. Ma poiché questa
sera io ho qui due macchine, voglio farvi un esperimento che
confermerà in modo evidente non solo il teorema fondamentale
dell'induzione, ma il grande principio delle energie, al quale
più che per vezzo, per un vero sentimento di dovere io ricorro
ad ogni pie sospinto.
Sulla illuminazione elettrica.
69
Farò passare nella macchina di nuovo modello la corrente
prodotta dalla macchina di modello antico; quella si metterà in
moto e trasformerà in energia meccanica una porzione del-
l'energia della corrente. Avremo così nel sistema una duplice
trasformazione di energie, due trasformazioni inverse: una con-
versione di lavoro meccanico in corrente, nella grande macchina,
Fig. 14.
una trasformazione di energia elettrica in lavoro meccanico,
nella macchina minore. Risultato : un lavoro . trasportato a di-
stanza.
Voi vedete che per moderare la velocità della piccola mac-
china occorre uno sforzo considerevole. Una serie di esperimenti
che noi eseguimmo ci diedero anche la misura del lavoro con-
sumato dal ireno. Per 907 giri al minuto trovammo 28 a 30
chilogrammetri per i"; è il lavoro che potrebbero fare quattro
uomini lavorando su di una manovella. ^
Questo lavoro è fatto a spese della corrente. E noi lo ve-
rifichiamo ripetendo qui con altre proporzioni l'esperimento già
^ Il lavoro equivalente alla energia elettrica svolta nella grande macchina
magneto^lettrìca era, in questo esperimento, uguale a circa 100 chilogrammetri
per minuto secondo. 11 lavoro trasmesso a distanza per mezzo della combina-
28
zione delle due macchine è adunque aguale ai — del lavoro speso. Si potrebbe
100
dimostrare che con questo sistema non è possibile ottenere un rendimento
notevolmente maggiore.
70 Conferenza terza.
fatto. Poniamo nel circuito una spirale di platino: vediamo che
essa si fa incandescente quando la macchina non gira, si fa
oscura quando la macchina è in moto.
Queste sono digressioni; ma famigliari zzandoci coi grandi
principi, io ne sono sicuro, e -lo riconoscerete anche voi, ci
torneranno utilissime nelle nostre ricerche ulteriori.
Le macchine di Gramme tìon sono i soli apparecchi di in-
duzione, che sieno entrati nel campo industriale e che servano
alla produzione della luce elettrica su grande scala. Oltre ai
diversi tipi di macchine a spirale anulare dovuti ad altri co-
struttori, oltre alle macchine a gomitolo elettro-magnetiche di
Siemens ed Haiske, le quali, per 'la. teoria, si possono consi-
derSire come macchine a spirale anulare ove il raggio di cur-
vatura ..del nucleo anulare è ridotto a zero, si hanno parecchi
sistemi, che si scostano da quello che abbiamo studiato; e i
meriti relativi di questi sono oggidì vivamente discussi. Ma a
noi non è necessario entrare in particolari su questi vari sistemi,
né conveniente occuparci delle controversie che ad essi si rife-
riscono. Scopo nostro era vedere come l'energia meccanica si
potesse convertire in energia elettrica, e renderci conto delie
condizioni pratiche di questa trasformazione. E a ciò ci bastava
la conoscenza di una macchina, scelta fra quelle che nella pra-
tica trovarono più estese applicazioni. Per la discussione, che
ci proponiamo di fare, delle condizioni economiche della illumi-
nazione elettrica, i dati numerici, che abbiamo sulla macchina
da noi scelta e descritta, basteranno. La scelta del tipo della
macchina dinamoelettrica influisce per un coefficiente di rendi-
mento; ma siccome il coefficiente di rendimento delle mac-
chine di Gramme è senza dubbio molto elevato, così si può
con sicurezza asserire che la sostituzione ad esse di macchine
di altri tipi non potrà migliorare le condizioni economiche della
illuminazione elettrica tanto da infirmare le conclusioni, a cui
noi arriveremo in queste conferenze. Le quali, d'ora in poi, si
aggireranno propriamente sui vari sistemi di illuminazione per
mezzo della elettricità.
StMi illuminazione elettrica. 71
CONFERENZA QUARTA.
77 maggio jSy^
Sull'illuminazione per mezzo dell'arco voltaico.
Con quello che abbiamo detto, noi sappiamo come sì possa
produrre, colla spesa della meno costosa delle energie, del-
l'energia meccanica, una poderosa corrente elettrica. Per tra-
sformare in luce una parte dell'energia di questa, bisogna di-
sporre una breve porzione del circuito in modo tale, che da sé
sola essa rappresenti una grande frazione della resistenza totale,
cosicché si accumuli in essa, secondo la legge di Joule, buona
parte del calore equivalente all'energia della corrente. All'esame
degli artifizi adoperati, o tentati, o proposti per ottenere questo
risultato, si riduce ormai il nostro studio.
In questo studio procederemo così: Studieremo questa sera
il principio generale degli apparecchi, che furono accettati dalla
pratica da un tempo sufficiente perchè si possa pronunziare un
giudizio sicuro sulla loro convenienza attuale e sulle loro ap-
plicazioni possibili.
Senza perderci in descrizioni di particolari dei congegni
meccanici, che ove, come qui, sono ancora in discussione i
prìncipi, non farebbero che intralciare inutilmente le questioni,
cercheremo di renderci esatto conto dei fenomeni su cui 1' uso
degli apparecchi riposa; senza preoccuparci per ora delle inno-
vazioni con cui si tentò o si potrebbe tentare di allargarne le
applicazioni o correggerne i difetti, esamineremo i risultati delle
più attendibili esperienze fatte su di essi.
Lo studio dei sistemi tentati o proposti recentemente, e la
discussione dei meriti loro, formerà l'oggetto di un'altra confe-
renza, nella quale, guidati dalle nozioni che avremo appreso
questa sera, d'accordo coi principi teorici, sui quali ci siamo
dianzi intesi, potremo toccare la meta che ci siamo proposto:
quella di farci un'idea del vero stato attuale del problema, e
del suo probabile avvenire.
I sistemi, di cui vogliamo occuparci in questa seduta, ri-
posano tutti su di una classica esperienza che il Davy eseguì
72 Conferenza quarta.
nel 1813. Fu questa la prima che facesse pensare alla possibilità
di produrre colla corrente elettrica sorgenti di luce intensa. Ai
due reofori di una pila di 2000 elementi il Davy aveva attaccato
due bacchette di carbone di tre centimetri di lunghezza e di
quattro millimetri di diametro, separati da una distanza di o°^,5.
Egli vide allora una luce abbagliante brillare fra le due punte,
e continuare senza rumore. Allontanò allora progressivamente
i carboni l'uno dall'altro fino a io od 11 centimetri, e la luce
continuò ancora con uno splendore paragonabile a quello del
sole e con uno sviluppo di calore intenso, pel quale i carboni
diventavano incandescenti fin verso la metà della loro lunghezza.
Quella luce emanava dalle punte dei carboni e da un arco bril-
lante stabilito come un ponte sulla interruzione del circuito. A
questo ponte luminoso fu dato il nome di arco voltaico.
Io non ho a mia disposizione la pila di 2000 elementi, che
servì a Davy nel suo esperimento, e non potrò quindi produrre
un arco di lunghezza uguale a quella dell'arco che egli otteneva ;
ma della vivezza del fenomeno luminoso posso farvi testimoni
colla semplice macchina di Gramme che voi vedete qui, e che
in questo esperimento può equivalere forse ad una pila di set-
tanta o ottanta grandi elementi alla Bunsen. Davy, ho detto,
aveva portato, in principio dell'esperimento, i carboni ad una
distanza di circa V2 millimetro; con elettromotori di un numero
minore di elementi, come diciam noi, di una minore forza elet-
tromotrice, bisogna portare inizialmente i carboni a contatto l'un
coU'altro. Così faccio io. Attualmente i due carboni che abbiamo
qui si toccano, ed essendo in comunicazione coi reofori della
macchina, chiudono il circuito. Metto in moto la macchina^ e la
corrente passa. E adesso io posso distaccare i carboni: la cor-
rente passerà ancora producendo fra le due punte il fenomeno
del Davy (fig. 15). Quelli che son vicini vedono che i carboni
AB, C D stanno separati da uno spazio M, e che il fenomeno
luminoso avviene in questo spazio: è in questo spazio V arco
voltaico, e la distanza dei due carboni ne misura la lunghezza.
Allontanando con precauzione e lentamente i carboni, posso
aumentare gradatamente questa lunghezza ; ma se allora io scosto
ancora i carboni, il fenomeno cessa e la corrente si rompe. Voi
ne avete una prova evidente: la macchina non fa più lavoro e
si accelera sensibilmente. La lunghezza massima che si può
dare all'arco dipende, come ho detto già, dall'elettromotore che
si adopera, essenzialmente dal numero degli elementi, se si tratta
Sulla illuminazione elettrica. 73
di una pila; dalla velocità, se si tratta di una macchina d'indu-
zione. Adoperando 600 elementi alla Bunsen, il Despretz ottenne
un arco voltaico di 16,2 centimetri. In ogni caso la lunghezza
dell'arco è notevolmente maggiore di quella distanza a cui, col-
r elettromotore adoperato, potrebbe scoccare una scintilla: per
avere fra le estremità dei due reofori una scintilla di Vi di
Fig. 15.
millimetro di lunghezza il Gassiot dovette adoperare una pila
di 3520 tazze.
L'arco voltaico non si produce soltanto fra due carboni;
noi potremmo sostituire a queste bacchette due asticciuole di
ferro, o di rame, o di stagno, o di platino: purché la corrente
avesse una intensità sufficiente il fenomeno si produrrebbe con
apparenze diverse bensì, sopratutto con colori diversi, ma coi
medesimi caratteri fondamentali. Però la lunghezza dell'arco
ottenibile è diversa a seconda dei corpi adoperati, e questo è
provato: che essa è tanto maggiore, quanto più i corpi con cui
son fatte le punte si disaggregano e si volatilizzano facilmente.
Così r arco è brevissimo e difficile a mantenersi fra reofori di
platino, e più lungo collo zinco e collo stagno, è lunghissimo
fra carboni imbevuti di sostanze volatili.
Questo fatto basterebbe a provare che nella produzione
dell'arco voltaico hanno una parte la disaggregazione e la vo-
latilizzazione degli elettrodi; ma di ciò abbiamo una prova
diretta nella variazione di peso che i reofori subiscono, mentre
74 Conferenza quarta.
dura la corrente. Se si opera nel vuoto, od in un gas inetto ad
alimentare la combustione, si trova che, mentre Tarco continua,
il carbone positivo va raccorciandosi e diminuendo di peso,
mentre il negativo si allunga e cresce di peso. Se si opera
nell'aria, diminuiscono di lunghezza e di peiso entrambi i car-
boni, ma diversamente, e più il positivo che il negativo, quello
circa il doppio di questo. V'ha nel primo caso un trasporto di
materia dall'elettrodo positivo al negativo, e nel secondo v'ha
questo medesimo trasporto, a cui si sovrappone una consuma-
zione di entranlbi i carboni, in causa della combustione.
La cosa apparisce chiara, se si osserva la forma che as-
sumono le due punte. Noi non possiamo osservare questa forma
qui direttamente, in mezzo alla luce abbagliante che emana dalle
punte, ma possiamo formare sopra uno schermo una immagine
molto ingrandita dei carboni: la luce emessa dalle due punte si
troverà così disseminata sopra una larga superficie e sarà in-
debolita in proporzione. La grandezza poi dell' immagine per-
metterà a noi tutti di vedere le più minute particolarità del
fenomeno.
A quest'uopo disposi un sistema di due carboni in questa
lanterna, che non lascia uscire la luce se non attraverso ad
una lente convergente portata da un tubo scorrevole. Davanti
alla lente collocai un diaframma, che intercetta i raggi passati
per le pareti periferiche della lente e quelli riflessi irregolarmente
dalla parete della lanterna, i quali confonderebbero l'immagine.
Dò passaggio alla corrente elettrica; i carboni si scaldano; un
apparecchio, di cui dirò fra poco, tosto li separa e si produce
l'arco e la luce. Voi vedete sullo schermo bianco disegnarsi,
ingigantite, le figure dei due reofori (fig. i6), vedete che non
si toccano e che brillano di viva luce appunto alle estremità
che si guardano; l'incandescenza di questa è tale che in pre-
senza di essa riesce quasi insensibile quella dell'arco voltaico
che sta frammezzo. Come v'annunziai, voi vedete che i due
carboni, che prima erano identici, entrambi acuminati, vanno
assumendo forme diverse, e la differenza tra l'uno e l'altro
riesce marcata, caratteristica. Quello che vedete in alto è il
carbone a cui è unito il polo positivo della macchina di Gramme,
il carbone positivo; l'altro, quel di sotto, è il carbone negativo.
Il primo ha perduto la punta acuta che gli si era data, e sì è
anzi incavato, presenta alla sua estremità un vuoto craterìforme.
Il secondo invece non solo si mantenne acuto, ma andò allun*
Sulla illuminazione elettrica.
75
gandosiy e va acuminandosi tuttavia. Voi vedete come questo
succeda: dal carbone positivo si distaccano di quando in quando
pezzetti, globuli, i quali si agglutinano alla punta del negativo
e^vi si saldano insieme. Ma questo è secondario; oltre a questo
trasporto così visibile, che la materia dei carboni subisce in
pezzetti o in goccie, v'ha un trasporto continuo che si effettua
Fig. 16.
sotto forma di un pulviscolo, ed uno scambio continuo, forse
il più abbondante, di carbone ridotto a vapore.
La forma dei carboni ed i movimenti che osserviamo ci
fanno vedere quello che già ci era indicato dalla variazione di
lunghezza e di massa dei due elettrodi: ci fan vedere cioè che
il trasporto di materia avviene dal carbone positivo verso il
negativo. Questa però è l'apparenza, il fatto nella realtà è più
complicato. Nella realtà il trasporto avviene nei due versi: dal
76 Conferenza quarta.
carbone negativo al positivo, come da questo a quello; sola-
mente questo è il più abbondante, e il trasporto risultante, che
è la differenza dei due, si fa nel verso di esso. Adoperando
due elettrodi di sostanze diverse, noi metteremmo la cosa in
evidenza, giacché troveremmo dopo un certo tempo sull'elettrodo
positivo materia dell' elettrodo negativo, e su questo materia di
quello.
Voi vedete il carbone, la più refrattaria delle sostanze che
si conoscono, rammollirsi come cera, e semifuso scorrere, e
foggiarsi diversamente ; vedete pezzetti vicini riunirsi e saldarsi
in un pezzo unico. Ma v'ha di più; quel bagliore che v'ha fra
le punte, la luce dell'arco, non emana soltanto dal pulviscolo
strascinato, ma da un vero gas, e còllo studio dello spettro lo
si può riconoscere: è gas di carbonio, è carbonio ridotto a va-
pore. Della volatilizzazione del carbonio diede una prova diretta
il Despretz colla pila di 600 elementi che v'accennai già. Pro-
ducendo con questa pila un arco voltaico nel vuoto, perchè non
potesse intervenire la combustione a complicare i fenomeni, egli
trovò le pareti dei recipienti, in cui operava, coperte di uno
straterello di grafite*, era questo il prodotto della condensazione
dei vapori. È adunque elevatissima la temperatura che regna
sulle punte dei carboni e nell'arco ; è la più alta che si conosca,
la più alta che si sappia produrre artifizialmente. Nessun corpo,
è prevedibile dacché si volatilizza il carbone, regge a questa
temperatura; tutti i metalli si volatilizzano ed ardono: lo zinco
con luce bianca abbagliante, il rame con luce verde, il ferro
collo splendore con cui arderebbe nell' ossigeno ; il platino an-
ch'esso si consuma.
La temperatura più elevata si ha nel carbone positivo. Lo
si vede nella immagine proiettata, dove la coppa, con cui questo
è terminato, appare più illuminata di ogni altra parte. Lo si
vede anche senza proiettare l'immagine dei carboni, soltanto
osservando che, rotto il circuito, il carbone positivo si trova
rovente su di una lunghezza maggiore di quel che faccia il
negativo, e si conserva incandescente per un tempo più lungo.
Analizzato cosi il fenomeno, voi capirete adesso senza dif-
ficoltà come l'arco si produca, e per qual modo esso si faccia
sede di così abbondante sviluppo di calore e di luce.
Ecco il fatto: Quando le due punte sono a contatto e chiu-
dono il circuito, la corrente, che produce nelle diverse parti di
questo quantità di calore proporzionali alle resistenze, e quindi
Sulla illuminazione elettrica.
11
tanto maggiori quanto minori sono le sezioni trasversali, le
scalda, le arroventa. Quando poi esse si distaccano, le parti-
celle ultime a distaccarsi presentano una sezione di passaggio
minima: in esse si accumula così, anche nel tempo brevissimo
per cui esse durano in contatto, una quantità di calore sufficiente
per disgregarle, per fonderle, per volatilizzarle. Il pulviscolo ed
il vapore, che ne nascono, danno principio all' arco, il quale
tiene in comunicazione le punte distaccate, e seguita a chiudere
il circuito. Ma la resistenza di questo brevissimo conduttore
vaporoso è grande, e in esso si produce un notevole riscalda-
mento; in grazia del quale anche le punte dei carboni si jman-
tengono caldissime, e nuove porzioni di esse, distaccandosi,
possono venire ad alimentare il brevissimo arco primitivo, che
così può allungarsi ed ingrossarsi abbastanza per dar passaggio
alla corrente anche quando i carboni si allontanino di più. Così
si possono allontanare via via i carboni, e con ciò allungare
l'arco, finché la resistenza così creata non renda troppo debole
la corrente. L'arco voltaico non è adunque altro che una por-
zione di conduttore, breve e di piccola massa, ma avente una
grande resistenza; in essa si accumula, conforme-
mente alla legge di Joule, una notevole qqantità di
calore.
Ora richiamo alla vostra attenzione. I gas sono
poco idonei ad irradiare il calore; essi hanno, noi
diciamo nel nostro gergo, un piccolo potere emissivo;
quindi, del calore dell'arco, solo una piccola parte
è direttamente irradiata; la parte più grande è tra-
smessa per contatto alle punte de' due carboni, e poi
irradiata da queste. Siccome le due punte si guar-
dano, esse si scambiano in parte le loro radiazioni;
quindi la irradiazione fatta verso l'esterno non arriva
ad uguagliare la produzione di calore, che continua
in seno all' arco per effetto della corrente, se non
quando la temperatura loro è elevatissima. Solo
quando la temperatura è elevatissima, l'arco e le
punte che lo limitano emettono nell' unità di tempo
tutto il calore che in esso si produce nel tempo
stesso; solo quando la temperatura è elevatissima
questa cessa di aumentare; ciò equivale a dire che
la temperatura si fa effettivamente elevatissima. Se ponessimo in
luogo dell'arco AB CD (fig.17) un conduttore solido avente le
n
lì
'M
J)
i
78 Conferenza quarta.
medesime dimensioni e la medesima resistenza, questo si scal-
derebbe meno dell'arco. Infatti la corrente produce calore in
entrambi nella medesima misura, ma il corpo solido irradia li-
beramente da tutta la superficie esterna convessa A C DB,
mentre l'arco emette il calore soltanto per la irradiazione delle
due basi AB^ CD, ed anzi per quella parte di questa irradia-
zione la quale non si fa dall'una all'altra punta, da A B su CD
o viceversa. Insisto su questa osservazione a costo di ripetermi
e di tediarvi; ma voi capirete forse già dove essa miri, e com-
prenderete tutta la sua importanza. Coloro che cercano di fare
r illuminazione elettrica ricorrendo invece che all' arco voltaico
all'incandescenza di un corpo solido, potranno trovare corpi
refrattari, corpi capaci di resistere ad elevatissima temperatura,
corpi capaci di farsi tanto incandescenti da radiare una luce
bianca e viva, ma quand'anche, cosa assai inverosimile, essi
riuscissero a trovare una sostanza . refrattaria come il carbone,
questa non potrebbe mai, con una data corrente, ossia con una
data spesa di energia, riscaldarsi tanto come si riscaldano le
due punte fra le quali si forma l'arco voltaico. Ma noi sappiamo
che la frazione luminosa del calore radiato è tanto maggiore
quanto più è elevata la temperatura, dunque noi possiamo con-
chiudere fin d'ora, senza pure esaminare le loro ricerche, che
il coefficiente di rendimento in luce dei loro apparecchi sarà
sempre minore, e forse notevolmente minore di quello degli
apparecchi ove la luce è prodotta coll'arco voltaico. Anche qui
io non so trattenermi dal ripetere la solita osservazione : l'esame
attento e paziente di un fenomeno fisico è spesso, anche per
chi mira alle applicazioni, di gran lunga più istruttivo di quello
che possa essere lo studio il più minuzioso, il più completo,
delle particolarità di ingegnosi congegni.
Collo scopo di non nuocere alla chiarezza delle considera-
zioni per le quali desiderava condurvi, io considerai il calore
prodotto nell'arco voltaico come dovuto unicamente alla cor-
rente e calcolabile colla legge di Joule. Nel fatto al calore svi-
luppato dalla corrente si aggiunge quello dovuto alla combustione
inevitabile dei carboni, e dalla somma dei due si sottrae quello
equivalente al lavoro che la corrente deve fare per disgregare
e gaseificare gli elettrodi. Questo fatto però non altera le nostre
conclusioni: l'effetto risultante dei due fenomeni, della combu-
stione e della disaggregazione dei carboni, è certamente una
produzione di calore; ed a parer mio erreremmo se credessimo
Sulla illuminazione elettrica. 79
che il calore speso per la gaseifìcazione fosse del tutto perduto;
questo calore ci è quasi integralmente restituito nella combu-
stione, giacché non v'ha dubbio che la combustione del carbone
già gaseificato produce più calore di quello che produca la
combustione del carbone solido, e che la differenza equivale
precisamente al lavoro di gaseifìcazione.
Per produrre praticamente la luce per mezzo dell'arco
voltaico, bisognava trovar modo di fare che le punte dei due
carboni stessero a distanza costante l'una dall'altra non ostante
il continuo loro consumo. Pei casi poi nei quali la luce volesse
proiettarsi con specchi o con lenti in determinate direzioni, bi-
sognava inoltre che l'interruzione tra le due punte si mantenesse
in posizione fìssa non ostante l'ineguale consumo del carbone
positivo e del negativo. Il problema fu risolto da Foucault, fin
dal 1849, coir invenzione di un congegno meccanico a cui egli
aveva dato il nome di regolatore; questo, modificato poi da
Foucault stesso, dal Duboscq, dal Serrin, dal Siemens e da una
schiera di altri elettricisti e meccanici, fu ridotto a tale grado
di perfezione, che da più anni lo si vede funzionare regolar-
mente senza bisogno di speciale sorveglianza o di troppo fre-
quenti riparazioni, sui fari e nelle officine, fra le macchine in.
dustriali. Le forme e le disposizioni che esso ha attualmente
sono numerosissime, e innumerevoli sono quelle che esso potrà
ricevere; senza entrare in nessun particolare su di esse, il che,
per quel che dissi cominciando, non ci deve interessare, io
cercherò di darvi un'idea del principio sul quale la massima
parte di essi sono fondati. Mi gioverò di una figura schematica,
che, senza corrispondere a nessun apparecchio costruibile, ci
servirà forse meglio che un vero disegno a farci intendere la
struttura del regolatore Serrin, che è uno dei migliori (fìg. 18):
AB e CD sono i due carboni. Il primo è sostenuto da un
portacarbone M RS che, come ho indicato in X, comunica col
polo positivo dell'elettromotore (pila ó macchina Gramme); esso
è il carbone positivo; l'altro, C D, è portato da un'asta o por-
tacarbone DE, la quale con un filo Z, e coli' intermezzo della
spirale s, di una elettromagnete Q, comunica in Y col polo he-
gativo dell'elettromotore ; esso è il carbone negativo. La parte R S
del portacarbone positivo è lavorata a dentiera, ed ingrana con
una mota //. Solidario con questa è un tamburo G di diametro
metà minore, su cui si avvolge una catena F, che passando su
di una puleggia di rimando T, viene a sostenere in E il porta-
So
Conferenza quarta.
carbone negativo. Così succede che il portacarbone positivo,
abbassandosi pel proprio peso, fa girare la ruota H ed il tam-
buro C, e fa sollevare il carbone negativo con una velocità
uguale alla metà della propria. Se nulla si oppone al moto della
ruota //, i due carboni AB
e CD si avanzano l'uno verso
l'altro con velocità che stanno
fra di loro come i consumi
che essi subiscono in un me-
desimo tempo : essi non si ar-
restano se non quando le loro
punte -6 e C si toccano.
Consiste in questo V ap-
parecchio motore f l'apparecchio
che avvicina i carboni quando
non v'ha corrente, o quando,
per esserci carboni consumati,
l'arco voltaico BCh diventato
soverchiamente lungo e colla
propria resistenza indebolì la
corrente. Oltre a questo ap-
parecchio motore si hanno or-
gani atti a fare sì che, quando
la corrente passa, i due car-
boni si distacchino per dar
luogo all'arco, e che il moto
d'avvicinamento si arresti au-
tomaticamente quando l'arco
non supera la lunghezza vo-
luta. L'artifizio con cui ciò si
ottiene, è semplice quanto in-
gegnoso : ridotto a forma sche-
matica, esso è il seguente.
V'ha un parallelogramma ar-
ticolato 01 LO mobile sui
perni fissi O O', il quale so-
stiene r armatura P dell' elettrocalamita Q, ed è sostenuto da
una molla nu Quando non v'ha nella spirale s della elettro-
calamita una corrente di intensità sufficiente a fare sì che
l'attrazione tra questa e l'armatura P superi la forza esercitata
dalla molla m, il parallelogramma sta sollevato come nella
Fig. 18.
Sulla illuminazione elettrica. 8i
figura; ma se nella spirale s passa una corrente di intensità
sufficiente, l'armatura P, attratta, trascina con sé tutto il si-
stema, le aste 01, O' L ruotano sui perni O, O' e l'asta verticale
IL si abbassa alquanto. Orbene, a quest'asta sono solidari:
i.<> I sostegni della puleggia di rimando 7".
2.^ Un pezzo a squadra V, che quando l'asta si abbassa
viene ad impegnarsi colla sua punta fra le palette di una ruota
a stella U.
Questa ruota U poi è l'ultimo mobile di un rotismo mosso
dalla ruota H) riceve da questa un rapido movimento quando
è libera, arresta il tutto quando è fermata. Ora ecco come l'ap-
parecchio funziona. Finché la corrente non passa, le punte B,
C, sollecitate dal peso del portacarbone positivo, stanno a con-
tatto. Ma si chiuda il circuito e passi la corrente; questa ma-
gnetizza la elettromagnete Q, e questa, attraendo l'armatura P,
fa abbassare l'asta IL, la puleggia T ed il portacarbone ne-
gativo: le punte B, C sì distaccano, l'arco voltaico si stabilisce;
la squadra V, che si è abbassata anch'essa, tiene imbrigliato il
rotismo ed impedisce che i carboni si riavvicinino. Il tutto sta
immobile finché l' arco non s' é allungato soverchiamente. Ma
quando pel consumo avvenuto nei carboni l'arco sia cresciuto
in lunghezza così da affievolire soverchiamente la corrente, l'at-
trazione della elettrocalamita Q sulla sua armatura P si fa
minore della forza antagonista della molla m, e questa risolleva
il parallelogramma O I LO* portandolo nella posizione che esso
ha in figura. La squadra F, che si solleva coU'asta IL, cessa
di imbrigliare la ruota U\ il rotismo é libero e pel peso del por*
tacarbone positivo MRS la ruota H gira; gira con essa il
tamburo G, e la catena F F solleva il carbone negativo. I due
carboni si avvicinano finché, diminuita sufficientemente la re-
sistenza, la corrente acquista di nuovo l' intensità sufficiente
perché l'armatura P sìa attratta. Quando questo succede, di
nuovo il rotismo è arrestato ed i carboni si fermano. Se uno
dei carboni si rompesse e la corrente cessasse, il rotismo sarebbe
posto in libertà; esso farebbe avanzare i pezzi di carbone fino
al contatto e l'arco si riaccenderebbe da sé.
Nella fig. 19 é rappresentata una sezione dell'apparecchio
nella sua disposizione effettiva e con tutti i suoi particolari. B
è la colonna del portacarbone positivo, // é il morsetto che
tiene il carbone positivo, C è il portacarbone negativo. La
vite T serve a fissare la parte superiore del portacarbone po-
G. Ferraris, Opere, Voi. II. 6
82
Conferenza quarta.
sitivo al tubo verticale; la vite 5, mediante il tirante /, serve
a far ruotare il carbone positivo nel piano della figura attorno
al pernio raccomandato alla estremità del pezzo orizzontale /,
ed il bottone G serve a spostare la-
teralmente questo pezzo, e così a far
ruotare il carbone in un piano per-
pendicolare a quello della figura; in
questo modo si possono allineare i
carboni. V è un pezzo di avorio col
quale si può tener abbassato il porta-
carbone negativo e così tener imbri-
gliato il movimento di orologieria
quando non passa la corrente. MNQP
è il parallelogrammo articolato: esso
è mobile sui perni M^ P, e porta in
D l'armatura dell'elettromagnete j4.
Quando l'attrazione di questa è suf-
ficiente per fare equilibrio alla tensione
della molla, che sostiene il parallelo-
grammo, questo si abbassa, e la squa-
dra E ferma il rotismo motore, che
tende ad avvicinare i carboni. Di questo
rotismo si vede in O l'asse principale,
che porta la ruota dentata grande mossa
dalla dentiera del portacarbone posi-
tivo, ed il tamburo di raggio metà, su
cui si avvolge la catena, che sostiene
in F il portacarbone negativo. La vite
R, il cui bottone sporge al di fuori
della cassetta chiudente tutto il con-
gegno, serve, coli' intermezzo della
leva d'angolo /.AT, a regolare la ten-
sione della spirale antagonista.
Abbiamo qui un regolatore Serrin
e possiamo vederlo in azione. Attual-
mente i due carboni si toccano, e se
stabilisco la comunicazione coli' elettromotore la corrente può
passare; ma appena essa comincierà a trasmettersi, l'elettro-
magnete che sta qui sotto, attrarrà l'armatura, abbasserà il pa-
rallelogrammo articolato, e con questo il carbone negativo. Si
formerà così l'interruzione necessaria per avere l'arco voltaico.
Fig. 19.
Sulla illuminazione elettrica, 83
In breve i carboni si consumeranno, ma allora, subito, l'armatura
sarà abbandonata dall'elettromagnete e si rialzerà: con ciò essa
porrà in libertà il rotismo, il carbone positivo discenderà pel
proprio peso, ed il negativo si rialzerà per azione della catena.
Le velocità loro saranno come 2 ad i, come i loro consumi.
Non si può dire di questo, come non si può forse di alcun
apparecchio meccanico, che esso soddisfaccia completamente a
tutte le condizioni necessarie per un perfetto funzionamento;
non si può dire che esso non lasci assolutamente nulla a desi-
derare; ma si può oramai, dopo parecchi anni di estesissime
prove, asserire che questi congegni raggiungono abbastanza
bene il loro scopo, perchè l'illuminazione elettrica, fatta col loro
mezzo, abbia potuto diventare, come diventò, veramente indu-
striale. La regolarità del lavoro di un regolatore come questo
dipende essenzialmente dalla regolarità colla quale si consumano
i carboni, e questa dipende dall'omogeneità di questi, E siccome
nella preparazione dei carboni sono possibili notevoli perfe-
zionamenti, così noi dobbiamo aspettarci di vedere le condizioni
dell'applicazione dell'illuminazione elettrica, fatta coi regolatori,
farsi migliori di quel che ora sono.
Intanto queste applicazioni sono fin d'ora numerose ed im-
portanti. Già prima che si avessero macchine di induzione
potenti, quando ancora non si poteva aver l'arcò voltaico se
non con l' impiego costoso ed imbarazzante delle pile, la luce
-elettrica si adoperava non nei teatri soltanto, e nelle pubbliche
feste, ma in cantieri di costruzione, ma su moli di sbarco in
tempi eccezionali, ma in operazioni militari, ma in altri casi
svariati, ove occorresse o illuminare con pochi centri di luce
-estese superfìcie, o render visibili di notte oggetti a grandi di-
stanze. E fin d'allora l'applicazione della luce elettrica aveva
spesso recato seco un'economia. Nella costruzione del ponte sul
Reno a Kehl si adoperò la luce elettrica per illuminare i lavori
<lurante la notte; nei docks Napoléon 800 operai lavorarono pa-
recchie notti illuminati da regolatori Serrin, e l'illuminazione,
benché, ripeto, fatta con pile, non costò più che 9,75 cent, per
•operaio e per ora. L'ingegnere Bruii, addetto ai lavori delle
strade ferrate del nord della Spagna, adoperò ao regolatori
Serrin alimentati da ptle, per ben 9417 ore, ed ottenne sulle
torcie a vento un'economia del 60 ^/o*.
Era adunque naturale che l'invenzione delle macchine d'in*
•duzione di grande potenza facesse pensare a fare della illumi-
84 Conferenza quarta.
nazione elettrica, divenuta immensamente più economica, impianti
stabili. Colle macchine òxXC Alliance si illuminò elettricamente
nel 1863 il faro di La Héve, presso Havre, e dopo d'allora
parecchi fari elettrici si impiantarono in Francia, in Inghilterra,
in Russia, in Austria^ in Svezia, in Egitto. Fin dal principio
essi funzionarono regolarmente, con una economia notevole, e
sarebbero certamente molto più numerosi oggidì, se le ammi-
nistrazioni non esitassero di fronte alla spesa di un rimaneg-
giamento generale. Colle macchine di induzione moderne, le
applicazioni si estesero ad un campo molto più vasto; la illu-
minazione elettrica si introdusse negli, stabilimenti industriali.
Dal 1873, quando la società costituita a Parigi per la co-
struzione delle macchine Gramme faceva per la prima volta
questa applicazione nel suo opificio, parecchi di quegli opifìzi
ove si hanno vasti locali atti ad essere convenientemente ri-
schiarati con pochi centri potenti di luce, come sono le fonderie,
gli opifizi di montatura, o simili, adoperano regolarmente la
illuminazione elettrica. Uno, o due, o tre o quattro regolatori
sostenuti da una colonna, od appesi al soffitto con una corda,
attivati da altrettante macchine Gramme o Siemens^ distribui-
scono in quei vasti locali una luce che ne rischiara tutte le
parti, che è sicura e calma, che è bianca come quella del sole.
Questi impianti funzionano da parecchi anni, ed oramai noi
possiamo portare sulla loro convenienza un giudizio abbastanza
sicuro.
La questione si riduce a questa: Quanto costa la luce
elettrica?
11 primo dato che ci occorre per rispondere a questa do-
manda è il lavoro meccanico necessario per produrre coir arco
voltaico una data quantità di luce. Si fecero a questo riguardo
da molti e in molte condizioni diverse, molte esperienze, le
quali naturalmente non sono sempre in perfetto accordo tra di
loro, sia per la difficoltà loro intrinseca, sia perchè non sempre
furono pubblicate col solo scopo di far conoscere la verità; ma
prese insieme, danno per lo scopo nostro attuale indicazioni
più che sufficienti. Le più attendibili di queste esperienze ven-
nero tutte a confermare i risultati ottenuti fin dal 1875 dal
Tresca, sicché oggi come allora noi non potremmo appoggiare
i nostri computi a basi più sicure che alle esperienze di questo
sperimentatore di provata perizia ed onestà. Senza stancarvi
con grande apparato di numeri, io registrai qui cinque risultati
Sulla illuminazione elettrica. 85
trovati da questo sperimentatore, coi quali si accordano assai
bene molti altri.
Nella prima colonna della piccola tabella seguente è indicata
la intensità luminosa degli archi voltaici sui quali si fecero gli
esperimenti, espressa questa intensità, in becchi normali CarceL
11 becco normale Carcel^ voi sapete, è l'unità di misura abituale
per la quantità di luce; è il termine di confronto di cui abi-
tualmente si fa uso per paragonare tra di loro i luminari. £
una fiamma ad olio prodotta in una lampada a regolatore, a
pompa, con corrente interna d'aria; alta, questa fiamma, 35""»,
e consumante 42 gr. di òlio purificato all'ora. Questa luce può
essere ottenuta con sette candele steariche consumanti ciascuna
IO gr. all'ora, oppure con 103 litri (in media) di gaz-luce con-
sumati in un'ora in un becco BengeL La prima colonna
adunque ci dice che le lampade elettriche sperimentate produ-
cevano rispettivamente la luce di 1850, di 300, di 150, di 100,
di 50 becchi Carcel, o, se vuoisi, di 1850, 300, 150, 100, 50,
becchi a gaz al titolo di 105 litri.
1 numeri scritti nella seconda colonna indicano quanti ca-
valli-vapore (il cavallo-vapore è il lavoro di 75 chilogrammetri
in 1") ciascuna lampada richiedesse per ogni 100 becchi Carcel.
I numeri di questa colonna rappresentano il lavoro che bisogna
spendere per produrre colle diverse lampade sempre una me-
desima quantità di luce, la luce di 100 becchi normali.
Intensità luminosa
dell'arco voltaico
in becchi Carcel.
N.o di cavalli-vapore
necessari per
100 becchi Carcel.
1850
0,415
300
0,920
150
i»7
100
2,4
50
4.4
Deduciamo da questi numeri una conseguenza importante:
il lavoro meccanico, che bisogna spendere per produrre una
medesima quantità di luce, 100 becchi Carcel per esempio, non
è sempre lo stesso, ed è tanto minore quanto più potente è
l'arco voltaico prodotto; l'economia della produzione della luce,
il coefficiente di rendimento in luce è tanto maggiore quanto è
maggiore l'enei^ia accumulata nella lampada elettrica; è questa
86 Conferenza quarta.
la conferma sperimentale del principio che noi avevamo sta-
bilito fin dalla prima seduta, ed è una conferma completa.
Torneremo su ciò un'altra sera.
Un altro dato, di cui abbiamo bisogno per calcolare il costo
della luce elettrica, è il consumo delle bacchette di carbone.
Ora che l'energia elettrica costa così poco, quella dei reofori di
carbone figura fra le spese come una delle importanti, ed è pur
troppo ancora di valutazione incerta. Per prudenza noi ci at-
terremo alle indicazioni fornite dai signori Heilmann e Ducommun
di Mulhausen, che da molti anni fanno uso dei regolatori Serrin
nei loro opifizi. Secondo questi industriali il consumo complessivo
per ogni lampada è di metri 0,12 per ogni ora d'illuminazione.
Ai carboni poi, possiamo attribuire il prezzo di L. 1,60 al metro.
Servendoci di questi dati noi possiamo calcolare ciò che
può costare la luce elettrica nei diversi casi.
Io ho scelto uno dei casi più comuni nelle applicazioni s^li
opifizi, quello in cui si abbia un locale illuminato con lampade
elettriche di 100 becchi ciascuna, e per fissare le idee su di un
caso concreto ho supposto che si abbiano quattro regolatori di
questa potenza. Ho raccolti i risultati nel seguente quadro, fa-
cendo il calcolo in due ipotesi diverse: nell'ipotesi Af che non
si abbia nell'opifizio forza motrice esuberante e si debbano
attivare le macchine d'induzione con un motore apposito, ed il
caso B, nel quale si abbia forza esuberante, e non sia quindi
necessario l'impianto di un motore speciale.
Ho supposto che si abbiano in un anno 1000 ore di il-
luminazione ed ho riferite tutte le spese ad un' ora di illumi-
nazione.
Spese correnti per ogni ora d'illuminazione jl B
Interessi ed ammortizzazione della spesa di
L. 10,000 per impianto degli apparecchi
elettrici L. i i
Id. id. per L. io,ooo, costo della motrice di
IO cavalli „i „
Salario del meccanico „ 1,20 „
Combustibile per la motrice, 20 kil. a L. 0,04 „ 0,80 0,80
Bacchette di carbone o", 48 a L. 1,6 , . . „ 0,77 0,77
Lubrificazione „ 0,20 0,20
Totale L. 4,97 2,77
Su//a iliuminazione elettrica. 87
La medesima quantità di luce per essere prodotta col gas
richiede il consumo di metri cubi 0,105 x 400 = 42 di gas, che
col prezzo di 26 centesimi che il gas ha a Torino, costano
lire II circa. Dunque, a parità di quantità di luce, il gas coste-
rebbe rispettivamente 2,2 e 4,0 volte ciò che costa la illumina-
zione elettrica.
Bisogna però notare che non sempre il confronto vuol es-
sere fatto a parità di quantità di luce: col gas noi possiamo
illuminare precisamente là dove si ha il maggior bisogno di
luce ; mentre colla illuminazione elettrica noi poniamo il luminare
lontano dalle persone che lavorano, e diamo la massima quantità
di luce alle parti del locale che hanno meno bisogno di essere
rischiarate. Quindi per una medesima quantità totale di luce st
possono avere quantità diverse di luce utilizzate. LMmportanza
di questa considerazione dipende evidentemente da una quantità
di circostanze diverse, di cui sarebbe impossibile tener calcolo
in modo generale. Possiamo fare, per avere un criterio, una ipotesi:
che quando la luce è data da molti becchi di gas, basti avere
di essa la metà di quella che è necessaria quando si fa uso
dell'arco voltaico. Allora l'illuminazione a gas costerebbe sol-
tanto L. 5,50. Vedesi tuttavia che anche in questo caso Y illu-
minazione elettrica offrirebbe una economia del 9 Vi % nel
caso A e del 50 ^/o nel caso B.
L'economia è evidentemente maggiore quando si può far
uso di lampade più potenti. Ce Ib dice la tabella su cui abbiamo
ragionato.
L'economia è massima quando non si ha bisogno che di
un potentissimo centro luminoso destinato ad essere visto da
lontano, come succede nei fari. In questo caso:
i.^ Il confronto della spesa si deve fare a parità dì
quantità ;
2.° È massimo il rendimento in luce.
E infatti le relazioni uffìciali relative ai fari elettrici esistenti
constatano tutte che a parità di potenza e di portata, la illumi-
nazione di un faro elettrico non costa più che la ottava parte
di quella di un faro ad olio.
Nei fari anche le spese di impianto riescono forse minori
quando si faccia uso della luce elettrica che nel caso contrario:
infatti, in questo caso se si ha la spesa della motrice e della
macchina d'induzione, si risparmia nell'impianto degli apparecchi
lenticolari che possono essere ridotti a minime dimensioni. Le
88 Conferenza quarta.
lenti dei fari debbono avere diametri grandi a fronte delle di-
mensioni del focolaio, se si vuole che la luce ne esca in un
fascio sensibilmente cilindrico, quindi debbono essere notevol-
mente più grandi quando il focolare è una grossa fiamma ad
olio che non quando è un arco voltaico.
Poiché fui condotto a parlarvi delle dimensioni dei focolai
dei fari, voglio terminare con una osservazione. I progressi
nella disposizione dei fari datano tutti da un secolo in qua.
Nel 1784 i fari erano ancora, la maggior parte, illuminati con
focolài a legna: erano grandi fuochi, fumanti, fuliginosi; non
differivano da quelli con cui si narra che Agamennone telegra-
fasse a Clitennestra la caduta di Troia ed il prossimo suo
ritorno. Nel 1784 Borda rimpiazzò il braciere con lampade ad
olio, che munì, di riflettori parabolici. Verso il 1822 Fresnel, di
concerto con Arago e Mathieu, perfezionò le lampade facendole
a stoppini cilindrici e concentrici. Il focolaio fu cosi ridotto a
circa 9 centimetri di diametro su 10 di altezza. Ora abbiamo
una eguale, una maggiore luce in un focolaio elettrico di pochi
millimetri cubi. I perfezionamenti successivi si ridussero a suc-
cessive diminuzioni della superficie in cui si fa la radiazione.
Vedete adunque che anche la storia dei fari conferma la verità
delle nostre teorie.
CONFERENZA QUINTA.
24 maggio /<5*7p.
Nuove lampade elettriche.
Divisione della luce elettrica. — Conclusioni.
Ci siamo occupati deirilluminazione elettrica fatta per mezzo
dei regolatori: ci siamo in primo luogo fatto un'idea degli ap-
parecchi a cui si dà questo nome, ci siamo in secondo luogo
reso conto della convenienza economica del sistema, della sua
importanza pratica e delle condizioni da cui questa dipende.
Sulla illuminazioue elettrica. 89
Uapparecchio detto regolatore è un congegno da cui i due
carboni, fra le punte dei quali si deve formare V arco voltaico,
sono portati così, che nonostante il consumo loro la distanza
fra le due punte si mantenga fra limiti convenienti e che, no-
nostante il maggiore consumo del carbone positivo rispetto al
negativo, l'interruzione del circuito, sulla quale si forma l'arco
voltaico, si mantenga immobile nella sua posizione. Mosso dal
peso del portacarboni positivo o dall'elasticità di una molla, un
rotismo tende a far avanzare i due carboni l'uno verso l'altro
con velocità proporzionali ai loro consumi; ma il rotismo è
imbrigliato da un nottolino d'arresto comandato dall'armatura
di una elettromagnete, nella spirale della quale passa la cor-
rente. Quando l'intensità della corrente è quella che conviene,
l'armatura è attratta, ed il nottolino arresta il rotismo; quando
invece per essere la lunghezza dell' arco cresciuta a dismisura,
la resistenza aumentata fa diminuire sotto ad un certo limite
l'intensità della corrente, l'armatura si distacca dalla elettroma-
gnete, ed il nottolino lascia in libertà il movimento di orologeria,
e questo fa avvicinare i carboni. Negli apparecchi più completi,
come è quello di Serrin che noi abbiamo veduto, v'ha una di-
sposizione tale che i carboni, inizialmente a contatto l'uno col-
l'altro, si distaccano appena passa la corrente, cosicché l'arco
voltaico si produce automaticamente^ e la lampada si accende da sé.
La convenienza economica e la importanza pratica del sistema
può dedursi da dati sperimentali, che oramai, dopo cinque anni
dacché il sistema é entrato nel campo industriale, formano per
un calcolo una base sicura. Trovammo che la convenienza è
tanto maggiore, quanto più potenti sono i centri luminosi ado-
perati. E massima nei fari; é grande negli opifizi ove é possibile
fiure uso di poche lampade potenti, e dove si ha forza motrice
esuberante; sussiste ancora quando l'illuminazione elettrica ri-
chiegga l'impianto di un motore apposito, purché ciascuna lam-
pada produca almeno 100 becchi Carcel.
Ora l'esito felice di molte di queste applicazioni fece nascere
più larghi desideri, speranze più ardite. Parve dover essere
possibile fare della luce elettrica applicazioni più estese; parve
di poter tentare di portare questo modo d' illuminazione nelle
strade e sulle piazze, nei luoghi di convegno, nelle botteghe,
nelle abitazioni private; parve che la illuminazione per mezzo
della corrente elettrica si presentasse come quella dell'avvenire,
del prossimo avvenire; e molti ingegni si posero dietro la
90 Conferenza quinta.
guida di tali idee, e molti capitali si dedicarono ad audaci ten-
tativi. Per conseguire la meta bisognava modificare in molte
parti gli apparecchi ed il loro uso; sorsero quindi i numerosi
sistemi nuovi, dai quali ebbero origine le speranze esagerate ed
i timori esagerati^ a cui io feci allusione cominciando la prima
mia conferenza, su cui si aggirano le controversie per giudicare
delle quali, noi abbiamo voluto trovarci in queste serate, e
ragionare insieme.
La luce elettrica ottenuta coi regolatori non è applicabile
se non nei casi in cui non sia un inconveniente l'avere la luce
data da pochi centri radianti, di grande potenza: quindi non è
applicabile che in pochi casi. Bisognava adunque frazionarla,
dividerla. Ed a quest'uopo bisognava o modificare radicalmente,
o togliere affatto il regolatore. Infatti:
i.o II regolatore non può, per la sua stessa cosfruzione,
funzionare bene se non è unico nel circuito: se più regolatori
fossero posti in un medesimo circuito, le oscillazioni continue,
inevitabili, dei carboni dell'uno facendo variare la resistenza e
quindi la intensità della corrente, provocherebbero in tutti gli
altri oscillazioni irregolari, le quali ne disturberebbero il fun-
zionamento.
2.*> Quando anche parecchi regolatori potessero lavorare
regolarmente nel medesimo circuito od in circuiti derivati, essi
sarebbero sempre apparecchi troppo complicati, e voluminosi
troppo, per essere posti su di ogni lampione. Il bisogno poi di
rimettere i carboni di tempo in tempo renderebbe assai inco-
modo il loro impiego su così vasta scala.
I sistemi proposti sono molto numerosi: ma a noi giova
ridurli a pochi tipi per ragionare soltanto su questi.
Io distinguo tre classi principali di apparecchi:
i.° I sistemi ad arco voltaico;
2.*» I sistemi ad incandescenza;
3.<> I sistemi misti, ove la radiazione di un brevissimo
arco voltaico e la incandescenza di una breve bacchetta di car-
bone sono adoperate insieme.
Nei sistemi della prima classe la luce è data dall'arco, o
meglio dalle punte fra cui 1' arco si forma, come nel sistema
ordinario dei regolatori; ma invece di apparecchi coi delicati
rotismi di cui ci siamo fatto una idea, si hanno disposizioni più
semplici e tali che le punte dei carboni non oscillino, ma sieno
assolutamente immobili alla distanza voluta.
Sulla Uiuminaziotie elettrica.
91
Alcuni di questi apparecchi sono veri regolatori, soltanto
semplificati, ove i carboni non hanno bisogno, per mantenersi
alla distanza voluta, che di essere spinti innanzi di mano in
mano che vanno consumandosi. Ciò si può ottenere come nel-
l'apparecchio di Staile ed Edwards (fig. 20), che è il più antico
dei regolatori, facendo che i carboni A, B sieno spinti contro
un pezzo C di materia refrattaria, in modo che tra loro resti
sempre lo spazio ab per l'arco.
Oppure si può ottenere il me-
desimo risultato, adoperando, in
luogo di due carboni, due coppie
di carboni A A e BB incon-
trantisi ad angolo nei punti a
e b (fig. 21). Se i
due carboni A, A'
sono spinti innanzi
secondo le loro di-
rezioni,.essi, ancor-
ché si consumino,
si incontrano sem-
pre in un medesimo
punto a\ similmente
rimane fisso il pun-
to b di incontro dei
due carboni aB, B'
se questi, chiusi in
due tubi, sono spinti
innanzi e si avanzano mentre si consumano. Se i due carboni A^
A' sono in comunicazione col polo positivo, ed i due fi, K
sono in comunicazione coi polo negativo dell'elettromotore, si
forma fra a e ^ un arco assolutamente fisso. Tale è il sistema
recentemente proposto dal russo signor Rapieff,
Di somiglianti congegni ve n'ha degli ingegnosi, ve ne ha
p>erò anche molti che non sono altro che un ritorno a cose
vecchie e dimenticate. Nessuno di essi, finora almeno, ebbe un
esito vero, nessuno fu l'oggetto di esperimenti di qualche im-
portanza, di qualche durata.
Altri sistemi invece sopprimono addirittura il regolatore
sostituendovi una candela elettrica. È tipo di questi il sistema
di Jablochkoff, che fra tutti ì nuovi sistemi ad arco voltaico, è
finora quello che venne sperimentato su più larga scala, quello
F\%, al.
92
Conferenza quinta.
gk
che levò più rumore, quello in cui la pratica ha detto già qualche
cosa di più decisivo, quello a cui noi dobbiamo, prima che ad
ogni altro, rivolgere la nostra attenzione.
Noi abbiamo sotto agli occhi una candela elettrica del Ja-
blochkoff (fig. 22). È formata di due bacchette e, d cilindriche
di carbone (carbone artifiziale Carré) collocate Tuna
di fianco all'altra, parallelamente Tuna all'altra e se-
parate da una sostanza isolante 1'. Era questa caolino
nelle prime candele, ora vi si sostituì, dicono con
vantaggio, il gesso. Le estremità inferiori dei carboni
penetrano in due tubi di ottone, i quali permettono di
chiudere facilmente la candela nel suo sostegno, e per
mezzo dei quali si fa la comunicazione metallica delle
bacchette coi reofori. La legatura M^ annegata in una
pasta solida, tiene uniti i due carboni.
Quando si fa passare la corrente, l' arco voltaico
si forma fra: le due estremità dei carboni, i quali bru-
ciano a poco a poco al contatto dell'aria. La materia
isolante, che sta frammezzo, si scalda, fonde, sì vola-
tilizza parzialmente, e rende lo spazio compreso fra
i carboni più conduttore di quello che sia nel sistema
ordinario dei regolatori. Inoltre la sostanza isolante si
fa alquanto conduttrice quando entra in fusione, e con
ciò diminuisce la resistenza opposta al passaggio della
corrente. Almeno è questa una delle cause a cui si
attribuisce la possibilità di inserire parecchie candele in
un medesimo circuito.
L'accensione delle candele si fa automaticamente
appena la comunicazione coli' elettromotore è stabilita,
e ciò in grazia di una bacchetta di grafite di un millimetro di
diametro, collocata all'estremità superiore dei carboni, di tra-
verso, e ritenuta con una legatura ab d'amianto.
Lo stesso risultato si ottiene con una semplice legatura di
fil di ferro.
La candela viene collocata tra le mascelle di una piccola
morsa, le quali si serrano contro di essa per la elasticità di
una molla, sono isolate l'una dall'altra, e con opportuni morsetti
si possono mettere in comunicazione coi due reofori. Una can-
dela non dura più di un'ora e mezza; quindi per una illumi-
nazione, che debba durare un tempo più lungo, occorrono più
candele.
Fig. 93.
Sulla illupuinazione elettrica.
93
Per fare il cambio delle candele comodamente, e presto,
senza interrompere la illuminazione, si fanno candelieri a
quattro morse, portanti quattro candele (fig. 23). Sono dischi
D D dì materia coibente, per esempio di vetro opalino, su cui
sono impiantate quattro morse M, N, P, Q, come quella che
io descrissi, a ciascuna delle quali si può raccomandare una
candela. Le quattro morse hanno una delle ganasce, V interna,
in comunicazione con un medesimo serrafilo, quindi con un
medesimo reoforo; le altre ganasce, le esterne, coi relativi ser-
rafili, sono collegate coi pezzi
di contatto di un ordinario
commutatore, per mezzo del
quale, coi semplice giro di
un manubrio, quei morsetti si
possono porre l' uno dopo
l'altro in comunicazione col
secondo reoforo dell'elettro-
motore. Così quando una can-
dela sta pef essere consumata,
la si toglie dal circuito e su-
bito le si sostituisce la sua
vicina, la quale si accende da
sé così presto, che appena
rocchio se ne accorge. Con
quattro candele per candeliere
si può così prolungare la il-
luminazione per sei ore, senza che occorra altro che questo:
che un inserviente venga ad intervalli di un'ora e mezza a dare
un giro al manubrio del commutatore. Per una illuminazione,
che dovesse durare di più, si potrebbero adoperare candelieri
con un numero maggiore di candele, ma identici nella sostanza,
a quello che abbiamo descritto.
Se si adoperasse, per attivare una candela elettrica, una
corrente costante, diretta sempre nel medesimo verso, i due
carboni, noi sappiamo, si consumerebbero diversamente, e il
positivo circa il doppio del negativo. La candela si farebbe in
breve zoppa, la distanza fra le due punte aumenterebbe grada-
tamente, e dopo poco l'arco si romperebbe, la luce si spegne-
rebbe. Bisognerebbe, per evitare questo guaio, dare ai due
carboni sezioni diverse, e far maggiore il positivo che il ne-
gativo; meglio, più semplicemente e più sicuramente, si evita
Fig. 23.
96
Conferenza quinta.
.^
scoperto e si vede. Vedete che, appena chiuso il circuito, la
candela si accende. Sulla punta della candela abbiamo l'appa-
renza di un globo luminoso, e questo è annegato in una fiamma
purpurea, che ne smorza la rigidezza, che ne sfuma per così
dire i contorni. Col commutatore toglierò dal circuito questa
candela e vi sostituirò la sua vicina: vedrete che subito si ac-
cenderà, e se in questo locale
avessimo altre luci, non ci ac-
corgeremmo quasi del cambio.
Avete visto la candela a
nudo: per applicarla alla illu-
minazione, conviene chiuderla
in un pallone appannato di
grande diametro. Così la luce
i' \ che qui, concentrata in piccolo
spazio, è insopportabile all'oc-
chio, distribuita in tutta la su-
perficie del pallone si farà
meno viva e non potrà più
offendere.
Ecco (fig. 25) un pallone,
come quelli applicati a Parigi
dalla Società Jablochkoff". Là
dentro ho disposto una can-
dela ; vi mando la corrente, e
voi ne vedete adesso Teffetto.
Mentre che noi stavamo
guardando l'effetto di questa
Yig. 25. lampada elettrica, il prepara-
tore ha collocato nella lanterna
di proiezione una nuova candela : ora io farò passare la corrente
in quella, e noi potremo vedere proiettata l'estremità della can-
dela su di uno schermo, ed esaminare i fenomeni che avvengono
fra le punte dei carboni. Vedete un bagliore rossiccio: questo
è l'immagine di una vera fiamma; dentro, assai più splendenti,
brillano le due punte: essendo le correnti alternate, esse sono
uguali; in mezzo v'ò il gesso, che si consuma. La materia coi-
bente che dà passaggio alla corrente, la fiamma conduttrice,
che fa altrettanto, diminuiscono la resistenza; si ha un arco
pieno, grosso, arrotondato, morbido. Sono pregi questi, per la
bellezza, ma vedremo che costano cari.
r
Sulla illuminazione elettrica.
97
Ecco la candela che illuminò, con tanta attrattiva pei vi-
sitatori dell'Esposizione di Parigi, la place e Vavenue de l'Opera,
i magazzini del Louvre, V ippodromo. Essa fu tipo di numerosi
apparecchi diversi immaginati poi, e costrutti da Rapieff, Siemens,
De Méritens, Thurston, Wilde, Jamin, E qualunque sia per
essere il suo avvenire, comunque oggi stesso siano svanite le
speranze di vedere per ora in essa un sistema economico, non
si può negare che essa contenga un'idea nuova, semplice, pratica
in sé, la quale frutterà forse in altro tempo. Ad ogni
modo è essenzialmente alle prove fatte con questo
sistema, che noi dobbiamo tutto lo scalpore attuale
per l'illuminazione elettrica.
La divisione della luce elettrica permessa dalla
candela Jablochkoff è molto limitata; si sperò di poter
avere di più, ed a quest'uopo si pensò di ricorrere a
lampade presentanti piccole resistenze, cosi da poter
stare in gran numero in un medesimo filo od in cir-
cuiti derivati. Quindi le lampade ad incandescenza, ■Il I jB
Come dice la parola, in queste lampade la luce
emana da un corpo incandescente : una bacchetta di
carbone, una spirale di platino» una lastrina di platino,
un pezzetto di iridio. La soluzione del problema fatta
in tal modo era semplice ed ovvia, facilissima ad
immaginare, anzi era già immaginata da molto tempo,
prima ancora che il Foucault desse alla luce il suo
regolatore. Nel 1845 il signor King prendeva un
brevetto di privativa per un apparecchio che è il tipo
di tutti. Una bacchetta di carbone A (fig. 26), di pochi
millimetri^ era inserita nel circuito fra due reofori
D, C II tutto era chiuso in un tubo B vuoto d'aria;
talvolta nella camera barometrica. Lo stesso si sa-
rebbe ottenuto in uno spazio pieno di gaz inetto ad ^ »s- ^*
alimentare la combustione.
Un brevetto affatto analogo a quello del King prendevano
nel 1846 Greener e Staile] un altro ne prendeva il Patrie nel
1849, proponendo l'uso dell'iridio. I sistemi proposti da questi
signori furono poi dimenticati, finché nel 1874 un russo. Lodi-
giiine, li richiamò in vita riinventandoli. Kosloff, Kantt, poi Bon-
liguin^ e Fontaine migliorarono questo apparecchio e l'ultimo
eseguì su di esso molte esperienze. Ed altri fecero proposte
analoghe, le quali non diedero mai risultati molto felici. Final-
G. Ferraris, Opere, Voi. II.
98 Conferenza quinta.
mente Edison fece brevettare, recentemente, un suo sistema di
illuminazione elettrica, che nella sostanza non è che il metodo
di illuminazione per incandescenza, con alcuni particolari, non
tutti nuovi, relativi ad artifizi diversi per regolare automatica-
mente la temperatura del corpo incandescente, onde evitare che
esso si rompa.
Che con questi sistemi si possano porre in un medesimo
circuito parecchie lampade elettriche, è chiaro : che la luce ot-
tenuta possa essere economica e bella è da dubitare; e di ciò
dirò fra poco.
La terza classe di apparecchi, che io ho distinto, è quella
di sistema misto, ove la luce emana in parte da una verghetta
incandescente di carbone ed in parte da un brevissimo arco
voltaico. Comprende questa classe le lampade di Reynier
e di Werdermann,
Il principio è il medesimo in entrambe, ed è sem-
plicissimo (fig. 27): una sottile bacchetta di carbone C
tagliata in punta /, e. posta in comunicazione in i/col
reoforo positivo, premuta costantemente dal peso pro-
prio e del sostegno, o da una molla, o da un contrappeso
^ convenientemente proporzionato, si appoggia legger-
^nB, mente contro la superficie di un grosso blocco di car-
Fig. a7. bone B in comunicazione col reoforo negativo. Al
luogo del contatto si forma un minimo arco voltaico ed
il carbone positivo si fa incandescente, l'arco e la bacchetta in-
viano la luce. L'esperienza prova che la sola asticciuola positiva
si consuma, mentre non s'altera sensibilmente il
blocco costituente l'elettrodo negativo; l'apparecchio
non ha adunque d'uopo di meccanismo di nessuna
natura: bastano i contatti ed il contrappeso.
Reynier si era preoccupato della necessità di
far cadere la cenere che si formava sul carbone ne-
gativo, «e a quest'uopo aveva dato a questo la forma
di una rotellina B (fig. 28) girevole su di im asse
orizzontale, sulla quale il carbone positivo C si ap-
poggiava alquanto eccentricamente, cosi da provocare
ad ognuna delle piccole scosse, ch'ei subiva pel suc-
cessivo consumo, piccoli moti angolari. Cosi si rin-
novava costantemente la superficie di contatto fra i carboni.
Werdermann trovò inutile questa complicazione ed ottenne
un eSetto molto regolare disponendo semplicemente il carbone
Sulla illuminazione elettrica.
99
negativo in alto ed il positivo in basso (fig. 29). Egli diede al
primo la forma di un piccolo disco C, di 5 centimetri di dia-
metro, coll'asse verticale, e dispose sulP asse medesimo la bac-
chetta positiva b. La bacchetta positiva b è tenuta fra due labbra
di rame TR, che la stringono abbastanza per stabilire la co-
municazione col reoforo, senza tuttavia impedire che essa possa
scorrere fra di esse. Il carbone è portato
da un pezzo munito di due orecchie /, le
quali sporgono da due scanalature praticate
nel tubo T, ed è sostenuto a sua volta da
due cordicelle, che passando su due puleggie
di rimando vengono a riunirsi al contrap-
peso P. Così il carbone b è costantemente
premuto contro il carbone negativo Ce viene
rialzato dal contrappeso P di mano in mano
che si consuma. Il reoforo positivo è posto
in comunicazione col tubo T, il negativo col
manicotto S, e quindi, mediante l'arco arti-
colato D, col disco C.
Con questa disposizione semplicissima
si ha anche il vantaggio di avere la massima
radiazione verso il basso, come d'ordinario
conviene.
Per darvi un* idea di questo sistema,
disposi l'apparecchio rudimentale che vedete
qui. È una lampada Werdermann a rovescio,
come conviene qui perchè sia visibile da voi
che siete in alto. Un pezzo grosso di carbone è l'elettrodo ne-
gativo; su di esso si appoggia pel proprio peso una piccola
bacchetta di carbone verticale tenuta in comunicazione coll'elet-
trodo positivo. Voi vedete: la bacchetta si fa rovente e manda
luce; ma la massima luce emana dal punto di contatto ove v'ha
tutta l'apparenza di un breve arco voltaico.
Non essendovi rottura nel circuito, non essendovi se non
un minimo distacco, è piccola la resistenza. Si possono quindi
anche con elettromotori di mediocre forza elettromotrice inserire
più lampade nel circuito, o far passare la corrente per più cir-
cuiti derivati contenenti ciascuno una lampada. La fig. 30 mostra
schematicamente la disposizione con cui Werdermann propone
di suddividere la luce fra parecchie lampade. Le lampade sono
poste in tanti circuiti derivati; tutti i dischi di carbone sono
Fig. 29.
f * J
lOO
Conferenza quinta.
collegati col reoforo negativo, tutte le bacchette col reoforo
positivo. Le spirali a, a, a,.,, rappresentano resistenze intro-
dotte in ciascun circuito derivato onde regolare la distribuzione
della corrente.
11 sistema, vedremo meglio fra poco, è ragionevolissimo.
Per dividere la luce con economia bisognava ridurre lo spazio
Fig. 30.
in cui si accumula il calore, o meglio la sua superficie radiante,
come si riduceva la quantità di calore radiato da ciascuna lam-
pada. Ciò qui succede, giacché l'arco è piccolissimo, e tanto più
piccolo quanto più la luce è suddivisa.
Oltre ai sistemi che classificai e che descrissi sommaria-
mente, se ne immaginarono parecchi altri, ingegnosi, ma per
lo più, più ingegnosi che pratici. Cito un sistema di Jablochkoff,
nel quale una striscia luminosa è prodotta su di un pezzo di
caolino da scariche di induzione, e i sistemi di Le Roux e di
altri, ove scintille di rottura son prodotte fra due punte con
tale frequenza da dare una luce continua. Basta enunciare, come
io fo, i principi di questi congegni per vedere che si tratta di
semplici giuochi.
Noi ci arrestiamo ai tipi descritti, che sono i più importanti,
che sono quelli che furono realmente provati od almeno che
furono accolti come progetti ricchi di avvenire; e ci domandiamo:
in quale stato hanno essi lasciato il problema deDa divisione
della luce elettrica? Di quanto, in grazia loro, si è esteso il
campo delle applicazioni di questa? Quali speranze essi per-
mettono di concepire in un prossimo avvenire?
Mancano, premetto subito, dati così sicuri come quelli con
cui potemmo giudicare della convenienza della illuminazione
fatta coi regolatori; per alcuni dei nuovi sistemi non abbiamo
anzi che notizie di giornali politici date da penne interessate.
Tuttavia credo di non esser temerario se vi dico: scortati dai
principi teorici con cui oramai ci siamo fatti famigliari, appog-
Sulla illuminazione elettrica.
lOI
giati ai fatti che abbiamo appresi, possiamo tentare una risposta.
E se, chiuse le orecchie alle voci sconcordanti, che ci vengono
da tutte le parti, miriam fiso ai grandi teoremi di cui ci siara
fatto faro, forse non ci discosteremo dal vero.
Prenderemo le mosse da ciò che vedemmo all'ultima con-
ferenza, discutendo i risultati delle esperienze sul lavoro ne-
cessario per produrre la luce coi regolatori.
Noi ci siamo appoggiati alla esperienza del Tresca ed ab-
biamo riconosciuto questo fatto: che il lavoro necessario per
produrre una determinata quantità di luce non è sempre lo
stesso, ma è tanto maggiore quanto meno è potente la lampada
elettrica; una medesima quantità di luce, per esempio quella di
loo becchi Carcel, costa meno se è prodotta da una lampada
sola che quando è prodotta da due; costa meno ancora se è
data da una lampada producente la luce di 200 becchi
Carcel) meno ancora se la lampada equivale a 300
becchi, e vìa via.
Cinque numeri trovati dallo sperimentatore, che ho
nominato, ci bastarono per porre in chiaro questo fatto,
e per lo scopo a cui miravamo nell'ultima conferenza
non ebbimo bisogno di altro che di nominarli. Ma esa-
miniamo più attentamente quei numeri, e potremo de-
durre da essi una idea anche più chiara, e più completa,
del fatto. Quando si posseggono numeri rappresentanti
risultati di esperienze, e si vogliono discutere, giova
spesso ridurli a costruzioni grafiche, le quali mostrino
in un colpo d'occhio l'andamento dei fenomeni. Fac-
ciamo questa rappresentazione grafica pei risultati delle
esperienze del
Tresca.
Io tiro una
\
\J
F>f . 31-
n YrettaQ^(fig.,^i),
su cui porto lun-
ghezze propor-
zionali alle po-
tenze delle lampade elettriche 'sperimentate; le lampade speri-
mentate dal Tresca essendo equivalenti a 50, 100, 150, 300, 1850
becchi Carcelf io prendo sulla retta O X, 3, partire dal punto O,
le distanze 0-50, o-ioo, 0-150, 0-300, 0-1850 tali che stieno fra
di loro come i detti numeri. Nei punti 50, 100, 150, 300, 1850,
così trovati, elevo perpendicolari alla retta O X, e su queste
I02 Conferenza quinta.
perpendicolari porto lunghezze proporzionali ai numeri di ca-
valli-vapore che, secondo le esperienze del Tresca, e per
ciascuna lampada, sono necessari per ogni centinaio di becchi
CarceL Col linguaggio dei matematici, direi brevemente : prendo
per ascisse le potenze delle lampade, rappresentate dai numeri
della prima colonna della tabella, nella quale nell'altra confe-
renza noi riassumemmo le esperienze del Tresca (pag. 85),
e prendo per ordinate i lavori spesi per ciascun centinaio di
becchi, rappresentati dai numeri della seconda colonna nella
detta tabella. Ottengo così i punti che nella figura sono segnati /?.
Questi punti ci rappresentano in modo visibile i risultati delle
esperienze. 3e avessimo molti di questi punti, molto vicini gli
uni agli altri, noi potremmo far passare pei medesimi una linea
continua, la quale ci mostrerebbe in un colpo d'occhio l'anda-
mento del fenomeno, la legge del fenomeno, la legge secondo
la quale il lavoro meccanico necessario per la produzione di
100 becchi Carcel varia col variare della potenza della lampada
adoperata. Avendo solamente cinque risultati d'esperienza, rap-
presentati dai cinque punti /?, noi non possiamo determinare
la detta legge con precisione; infinite curve diverse potremmo
far passare pei medesimi cinque punti /?. Ma se non possiamo
avere la legge esatta, possiamo però indovinarne la forma; se
non possiamo con sicurezza tracciare la vera curva rappresen-
tante la legge, possiamo però indovinarne l'andamento generale,
e da questo dedurre utili conseguenze. Basta gettar gli occhi
sulla figura per vedere che la linea di cui ci occupiamo deve
avere ad un dipresso la forma di quella disegnata.
Esaminiamo questa linea. Vediamo innanzi tutto che allon-
tanandosi dalla retta O Y (asse delle ordinate;, la linea si abbassa,
si avvicina alla retta OX, all'asse delle ascisse. Dunque il lavoro
necessario per la produzione di 100 becchi Carcel diminuisce
col crescere della potenza delle lampade: egli è ciò che già sa-
pevamo. Ma l'esame della curva ci dice anche come questa di-
minuzione si faccia; un fatto notevolissimo ci si presenta al
primo sguardo : la linea è convessa verso l'asse delle ascisse O Xt
e quindi si abbassa tanto meno rapidamente quanto più la por-
zione di essa che si considera è lontana dalla retta O Y, La
conseguenza pratica di questo fatto è che, quando la potenza
della lampada adoperata è già molto grande, è piccolo il van-
taggio economico che si ricaverebbe aumentando ancora quella
potenza; quando invece la potenza della lampada adoperata è
SuUa illuminazione elettrica. 103
piccola, a piccole variazioni della potenza medesima corrispon-
dono variazioni considerevoli del lavoro meccanico necessario
per og^i centinaio di becchi, ossia variazioni considerevoli del
coefficiente di rendimento in luce. Così, per esempip, si riconosce
dal semplice aspetto della nostra figura, che, per potenze lumi-
nose superiori ad un migliaio di becchi Carcel, il lavoro mec-
canico necessario per la produzione di una data quantità di luce
si può considerare come sensibilmente costante, mentre invece
l>er le minori potenze luminose quel lavoro varia rapidissima-
mente. Cosi, per esempio, si vede che il lavoro meccanico ne-
cessario per produrre 100 becchi Carcel mediante due lampade
di 50 becchi ciascuna, è circa doppio di quello necessario per
produrre i medesimi 100 becchi mediante una lampada sola.
£ questa una legge teorica, la quale ha la sua ragione nella
natura stessa di ciò che noi diciamo luce e nelle leggi della ra-
diazione dei corpi incandescenti. Come tale essa deve essere
indipendente dalle particolarità di costruzione dell'apparecchio
col quale si fa la luce elettrica; nessun inventore, con nessun
sforzo d'ingegno, può sottrarsi ad essa; ed anche prima di
averne una prova sperimentale noi siamo autorizzati a prevederla
verificata anche quando, invece del regolatore, su cui sperimentò
il Tresca, si hanno lampade di altra specie, anche quando si
adoperano le nuove lampade.
Il fatto conferma pienamente la nostra previsione, ed io
posso mostrarvelo rappresentando graficamente i risultati delle
esperienze eseguite coi principali nuovi sistemi. Verificherò cosi
che i punti così trovati vengono tutti a disporsi sopra una linea
curva formante una naturale continuazione della R, R, R. , .
che disegnammo già, e che quando non si trovano su questa
curva se ne scostano in un senso prevedibile mediante la teoria.
Farò questa verificazione successivamente pel sistema, Jaòloclikoff,
pei sistemi ad incandescenza e pel sistema Werdermann.
Sistema Jablochkoff, — Stando alle esperienze più atten-
dibili, ed, ultimamente, anche alle dichiarazioni del Denayrouze,
ingegnere della Società Jablochkoff, pare che si debba ritenere
come dato medio conveniente, che, nell'applicazione fatta a Pa-
rigi sulla piazza e sulVavenue dell'Opera, ogni candela elettrica
producesse la luce di 16 becchi Carcel.
La potenza motrice adoperata corrispondeva, in quella ap-
plicazione, ad un cavallo per ogni candela; dunque per ciascun
centinaio di becchi Carcel si consumavano cavalli-vapore
16
I04
Conferenza quinta.
ossia cavalli 6,4. Portiamo nella fig. 31 sull'asse O X l'ascissa 16,
e suir ordinata corrispondente la lunghezza 6,4, e troviamo il
punto y. Come vedete il prolungamento più naturale della
linea R, /?,... che noi possedevamo già, passa precisamente
per questo punto. Per maggior chiarezza si sono disegnati nella
fig. 32 i punti corrispondenti alla prima porzione della linea,
adottando scale maggiori ed un rapporto diverso fra queste. 1
punti R, /? . . . ed y si vedono in questa figura congiunti sem-
plicemente con linee rette, in modo da avere un poligono in-
scritto nella linea curva di cui si tratta.
Sistemi ad incandescenza. — Su questi sistemi non abbiamo
che pochi ed incertissimi dati; ma le considerazioni fatte nel-
l'ultima conferenza ci fanno credere che il rendimento loro sia
anche minore di quello voluto dalla legge che rappre-
sentammo graficamente. E infatti non ci sbagliamo. Noi
sappiamo tutti quanto esagerate possono essere le bril-
lanti notizie che ci vengono sui giornali ordinari dal-
l'America, tanto più quando v'hanno bassi speculatori,
i quali non temono di mettere a repentaglio la riputa-
zione del grande inventore, di cui patrocinano la causa,
a prò' dei propri interessi. Ebbene, qual'è la grande
notizia che oggi ci si dà dei risultati offerti
dal cosidetto sistema Edison? È questa:
quattordici lampade ad incandescenza, equi-
valenti ciascuna a 18 o 20 candele (candles)^
furono attivate con
una macchina dina-
moelettrica consu-
mante il lavoro di
due cavalli-vapore
e mezzo. Nessuna
fede meritano noti-
zie come queste, le
quali sono certa-
mente destinate ad
esaltare i meriti del sistema di cui si tratta; ma poiché non ne
abbiamo altre più attendibili, registriamo graficamente il risul-
tato asserto. Troviamo così nelle due figure il punto E. La
nostra linea, prolungata, passerebbe forse sopra di quel punto,
e forse di molto. Ma anche condotta per E essa mantiene l'an-
damento preveduto.
Fig. 33.
Sulla illuminazione elettrica, 105
Il sistema Werdermann ubbidisce anch' esso alla legge ge-
nerale. Esperienze fatte a Londra dimostrarono questo fatto:
due lampade di 27 becchi ciascuna consumavano il lavoro di
due cavalli- vapore; dieci lampade, ciascuna di 3,4 becchi Carcel
fatte funzionare insieme, consumavano il medesimo lavoro. Il
numero di cavalli-vapore speso per ogni centinaio di becchi
Carcel era 3,7 nel primo caso e 5,9 nel secondo.
Qui adunque, come sempre, il lavoro motore necessario
cresce col diminuire della potenza delle lampade. Ma l'accordo
tra l'esperimento e le previsioni della nostra teoria va più oltre.
Le lampade Werdermann e le somiglianti, nelle quali la
superficie radiante del piccolo arco voltaico diminuisce col di-
minuire della potenza della lampada stessa, debbono avere un
coefficiente di rendimento, il quale, col diminuire della potenza,
diminuisce meno rapidamente di quello delle lampade ordinarie.
Orbene, questa previsione, della quale parlammo già, è confer-
mata dal fatto. Se infatti noi rappresentiamo graficamente i ri-
sultati delle citate esperienze, troviamo i due punti W^ IV, i
quali sembrano appartenere ad una curva analoga a quella da
noi disegnata, ma situata al disotto della medesima.
Il lavoro motore non è mai gratuito, nemmeno quando esso
è dato da cadute d'acqua; giacché anche quando non si ha da
spendere giornalmente per combustibile, bisogna tuttavia tener
conto dell'interesse e dell' ammortizzazione del capitale speso
nell'impianto dei motori, e delle spese di esercìzio e di manu-
tenzione. Dunque, dalle cose dette, possiamo conchiudere già
che il costo della luce elettrica sempre cresce colla suddivisione
di questa.
Un'altra spesa cresce colla suddivisione: quella per l'ac-
quisto delle lampade elettriche, per le loro riparazioni, per la
loro manutenzione.
E un'altra ancora: quella pel consumo dei carboni nelle
lampade. Questa spesa è notevolissima in alcuni sistemi: nel
sistema Jablochkoff costituisce, fra tutte, la spesa principale.
Manca invece questa spesa, od è minima, in alcuni dei sistemi
ad incandescenza; ed è questa l'unica considerazione seria che
potrebbe consigliare a ricorrere a questi per aver la luce elet-
trica molto suddivisa.
Tutto adunque quello che abbiamo detto concorre a scon-
sigliare la suddivisione della luce elettrica. Ma che l'economia
della illuminazione diminuisca col crescere della suddivisione
io6 Conferenza^ quinta.
noi sapevamo e potevamo prevedere fin dalla prima nostra
seduta; la cosa anzi è così elementare che non è a credere
che alcuno degli inventori, che studiarono la suddivisione, lo
abbia ignorato. Per decidere veramente se e fino a qual punto
la divisione della luce elettrica sia ottenibile economicamente,
e se si possa realmente sul serio pensare a fare della luce
elettrica un mezzo generale d* illuminazione, bisogna che noi
passiamo dalle leggi semplicemente qualitative alle quantitative,
bisogna che poniamo a confronto il prezzo prevedibile della
luce elettrica frazionata con quello della luce che oggi abbiamo
per mezzo del gas. Egli è ciò che noi proveremo a fare.
Dovendo far numeri dobbiamo considerare un caso con-
creto, ben definito. Immaginiamo adunque di volere illuminare
una città. Vi sono diversi modi possibili di disporre gli appa-
recchi : si può impiantare un unico, grandissimo, motore centrale,
o pochi motori di grande potenza, e distribuire il lavoro dato
da questi alle macchine d'induzione sparse per la città; oppure
si possono impiantare molti motori di piccola potenza, ciascuno
dei quali non serva che ad un piccolo numero di macchine
d' induzione ; oppure finalmente si può adottare un sistema in-
termedio. Considerando solo le cose nel caso generale, è vero-
simile che quest'ultimo sistema debba ofirire i massimi vantaggi
e la massima economia; noi ci riferiremo a questo. Immaginiamo
un piccolo quartiere servito da un unico motore, e supponiamo,
per fare un caso concreto, che per V illuminazione di questo
quartiere sia necessaria una quantità di luce equivalente a looo
becchi CarceL Coi numeri di cui abbiamo ragionato finora noi
possiamo subito calcolare approssimativamente il lavoro motore
che sarà necessario per produrre con uno qualunque dei sistemi
d'illuminazione elettrica la luce voluta. Tenendo poi conto, come
Si può con qualche approssimazione, delle quantità di lavoro
consumate nelle trasmissioni, si può calcolare per un dato si-
stema la potenza del motore che bisognerà impiantare. Si potrà
così avere un'idea della spesa d* impianto probabile del motore
e delle trasmissioni. Un calcolo sommario si potrà eziandio fare
per le spese d'impianto degli apparecchi elettrici e dei con-
duttori, e quindi si potrà avere un'idea, benché grossolana, del
costo totale d' impianto. Si valuterà allora la quota di ammor-
tizzazione e di interesse di tale spesa, e si aggiungeranno a
questa le spese per salari del personale. Si può ritenere come
numero annuo massimo di ore di illuminazione per le grandi
Sulla illuminazione elettrica, 107
città 4000, e come medio per le grandi città 3000; accettando,
per metterci in condizioni favorevoli per l'illuminazione, questo
numero, e dividendo pel medesimo le spese annue di cui si è
detto, noi avremo la quota oraria per la spesa d'impianto e pei
salari. Aggiungendo finalmente a questa quota oraria la spesa
oraria pel combustibile da bruciarsi nella motrice, quella del-
l' olio necessario per la lubrificazione dei meccanismi e quella
pei carboni che si consumano nelle lampade elettriche, noi ot-
terremo come somma la spesa necessaria per ogni ora di illu-
minazione, onde produrre i 1000 becchi Carcel voluti.
Questi calcoli, fatti coi dati surriferiti pei sistemi Jablochkoff,
Edison, Werdermann con lampade equivalenti a becchi Carcel
3,4, e Werdermann con lampade di 27 becchi Carcel, sono
riassunti negli specchi seguenti.
Sistema Jablochkoff.
Numero di candele necessarie =64.
Numero di cavalli-vapore =64.
Per tener conto delle trasmissioni più lunghe di quelle che
si avevano negli esperimenti di Parigi, porremo come potenza
motrice necessaria quella di 70 cavalli.
Spese d'impianto. — Motrice di 70 cavalli . . L. 50,000
Trasmissioni „ 6,000
Caldaia „ ao,ooo
Edifizio e camino „ 15,000
Apparecchi elettrici calcolati in base ai prezzi
indicati nel catalogo . della Société generale
d'électricité (Lilla, 1878, pag. 23), ammettendo
che occorrano 7400 metri di filo „ 71,000
Totale L. 162,000
Spese per ogni ora di illuminazione. — Interesse
ed ammortizzazione delle spese d'impianto,
valutate nella ragione del 10 ^/^ per anno . . L. 5,40
Combustibile: i*^, 5 per cavallo e per ora per
3550 ore, a L. 0,04 il kilogr „ 4,95
Olio per meccanismi e trasmissione „ 3,70
da riportarsi L. 14,05
io8 Conferenza quinta.
Riporto L. 14,05
Salari. Un macchinista a . . . L. 5 al giorno
Un aiutante „ 2 „
Un fuochista ,,4 „
Un aiutante ,,2 „
Quattro uomini per le macchine
Gramme e per le lampade. . „ 8 „
Totale L. 21 al giorno „ 2,55
Consumo orario di 64 candele „ S^^^oo
Totale L. 48,60
Sistema 'Edison.
Numero di cavalli-vapore necessario =90.
Potenza motrice necessaria, tenendo conto delle trasmissioni
90
necessariamente lunghe — - - = 150 cavalli.
0,00
Spese d'impianto. — Motrice di 150 cavalli . . L. 75,000
Trasmissioni, supposte ciascuna di 30 cavalli a
500 metri, a L. 30 il metro „ 15,000
Caldaie , 35,000
Edifìzio e camino per la motrice ^ ao,ooo
Cinque macchine d'induzione da 18 cav. ciascuna „ 52,500
Collocamento in opera delle medesime. ...» 2,000
Cinquecento lampade a 40 lire ciascuna . . . „ 20,000
Diecimila metri di conduttore, a lire 2. . . . „ 20,000
Cinquecento commutatori a lire 5 ^ 2,500
Adattamento dei fanali ^ 5^000
Accessori ed imprevisti „ 10,000
Totale L. 257,000
Spese per ogni ora di illuminazione, — Ammor-
tizzazione ed interesse della spesa d'impianto L. 8,60
Combustibile: ik, 5 per cavallo per 3550 ore a
L. 0,04 il kilogr „ 10,06
Olio per la lubrificazione „ 7,00
da riportarsi L. 25,66
r
Sulla illuminazione elettrica.
109
Riporto L, 25,66
Salari. Un macchinista a. . . L. 5 al giorno
Un aiutante „ 2 „
Un fuochista « 4.
Due aiutanti „ 5 ^
Personale per gli apparecchi di
illuminazione e per le macchine
d'induzione, io uomini a L. 2 ,,20 „
Totale L. 36 al giorno „ 4,50
Totale L. 30,16
Sistema Werdermann
con lampade di ^, 4 becchi CarceL
Numero di cavalli- vapore necessario =60.
Potenza motrice necessaria, tenuto conto delle trasmissioni
70 cavalli.
Spese d*impianio. — Motrice, caldaie, trasmissioni,
edifizio, camino (come Jablochkoff) • . . . L. 91,000
Quattro macchine Gramme a L. 10,000 . . . „ 40,000
Collocamento in opera delle medesime. . . . „ 1,600
Trecento lampade a L. 80 (forse) „ 24,000
Seimila metri di filo a L. 2 „ 12,000
Trecento conunutatori a L. 5 „ ii5QO
Adattamento fanali „ 3>ooo
Accessori ed imprevisti „ 7,000
Totale L. 180,100
Spese per ogni ora di illuminazione. — Interesse
ed ammortizzazione della spesa d'impianto . L. 6,00
Combustibile „ 4,95
Olio per la lubrificazione „ 3,70
Stipendi ad un macchinista, ad un aiutante, ad
un fuochista, al suo aiutante e ad 8 uomini per
le macchine magneto-elettriche e per gli appa-
recchi d'illuminazione „ 3,52
Carboni per le lampade, o", 05 per lampada, a
L. 1,60 il metro „ 24,00
Totale L. 42,17
j
no
Conferenza quinta.
Sistema Werdermann
con lampade di 27 becchi CarceL
Numero di cavalli necessario =37.
Potenza motrice necessaria, tenuto conto delle trasmissioni
= 50 cavalli.
Numero delle lampade necessarie =30.
Spese d'impianto, -- Motrice, caldaie, trasmissione,
edifizio, camino L. 65,000
Tre macchine d'induzione, a L. 10,000. . . . „ 30,000
Loro collocamento in opera „ 1,500
Trenta lampade a (forse) L. 80 ciascuna . . . „ 2,400
Tremila metri di filo, a L. 2 il metro . , . . „ 6,000
Trenta commutatori, a L. 5 „ 150
Adattamento fanali „ 3,000
Accessori ed imprevisti „ 5,000
Totale L.
Spese per ogni ora di illuminazione, — Interesse
ed ammortizzazione della spesa d'impianto . L.
Combustibile per la motrice „
Olio per la lubrificazione dei meccanismi , . . „
Salari ad i macchinista, i fuochista, 2 aiutanti'
ed a 4 uomini per gli apparecchi elettrici,
L. 21 al giorno „
Carboni per lamp. o™, 065 per lamp., a L. 1,60 il metro „
Totale L.
ii3»05o
3*75
3*55
2,65
2,55
3>2o
15.70
I risultati dei calcoli precedenti sono riassunti nel seguente
specchio :
DENOMINAZIONE DELLE SPESE
Interesse ed ammortizzazione
delle spese d'impianto. . . L.
Combustibile per la motrice. „
Lubrificazione „
Salari „
Consumo dei carboni nelle
lampade „
Costo orario totale L.
■ (fa
5 ^
R^ O
2 ^
5.40
4,95
3»7o
2,55
32,00
48,60
•o N O
5 e (A
8,60
10,06
7,00
4,50
Werdermann
con
lampade
Carcel
6,00
4»95
3J0
3.52
— 24,00
30,16 42,17
con
lampade
dia7
Carcel
3J5
3.55
2,65
2.55
3.20
i5i7o
Sulla illuminazione elettrica, iii
Fra i sistemi, a cui si riferiscono i calcoli qui riassunti,
quello che dà la maggiore suddivisione è quello ad incande-
scenza, nel quale si hanno lampade equivalenti ciascuna a soli
due becchi a gas, e se si esclude il sistema di Werdermann
con lampade di 27 becchi, il quale, a rigore, non si può consi-
derare come un sistema a lucè suddivisa, il sistema ad incan-
descenza risulta dai nostri calcoli anche il più economico. Bi-
sogna però osservare:
i.^ Che il calcolo della spesa necessaria per l'illuminazione
con questo sistema è basato in parte su dati incerti e sicura-
mente errati tutti in favore del sistema medesimo.
s.** Che il risultato da noi trovato, quando non fosse
errato in favore del sistema, corrisponderebbe a tutta la massima
economia, di cui il sbtema stesso è capace, mentre per gli altri
sistemi, ove una notevole parte della spesa è dovuta ai carboni,
che si consumano nelle lampade, sono possibili ulteriori eco
nomie; infatti il prezzo dei carboni potrà diminuire note voi
mente sia per miglioramenti arrecati alle lampade, sia per per
fezionamenti nel sistema di preparazione dei carboni.
A ciò si aggiunga essere impossibile che nulla si consum
nelle lampade ad incandescenza, come noi, nel fare il calcolo,
abbiamo supposto.
Ora vediamo: il sistema che dai nostri calcoli risultò più
economico, quello ad incandescenza, può convenire nella pra-
tica? Il costo di 30 lire per ora e per ogni migliaio di becchi
Corcete che noi abbiamo trovato, paragonato con quello della
illuminazione a gas, è un prezzo accettabile? È facile rispon-
dere: Questa luce di 1000 becchi Carctl ci può essere data da
105 metri cubi di gas bruciati in ogni ora, i quali costerebbero
a Torino 27 lire e 30 centesimi. E in questo prezzo di 27 lire
e 30 centesimi, sono comprese non solo le spese di produzione,
ma anche le spese di amministrazione ed i dividendi della so-
cietà, somme queste che non furono valutate nei calcoli rias-
sunti dalla precedente tabella.
V'ha di più : ordinariamente dopo la mezzanotte nelle strade
della città si spegne una parte dei lumi; se l'illuminazione e
allora fatta col gas, tutto il gas corrispondente ai becchi spenti
è risparmiato; ma non sarebbe risparmiata tutta la forza motrice
corrispondente ai lumi spenti quando Tilluminazione fosse fatta
coU'elettridtà. Il gas permette una suddivisione della luce doppia
di quella del sistema ad incandescenza, e ero, come dissimo già.
112 Conferenza quinta.
reca seco una migliore utilizzazione della luce, e quindi una
economia. Finalmente, non v' ha dubbio, che l'illuminazione col
gas si fa con apparecchi notevolmente più semplici di quelli
voluti dal più semplice dei sistemi elettrici.
Fra tutti i sistemi dei quali ci siamo occupati, quello che,
secondo le risultanze dello specchio precedente fa, in quanto
air economia, la peggiore figura, è quello di Jablochkoff; e che
così debba essere fu provato dall'esperienza. La Commissione
municipale di Parigi, che eseguì sull'impianto della piazza e
dell' avenue dell' Opera, le esperienze più attendibili che si pos-
seggono, cohchiuse asserendo che il prezzo della luce data dalle
candele Jablochkoff sta a quello della luce data dal gas come 73
sta a 23. Una gara si è stabilita a Parigi tra la Société generale
d'électricité, concessionaria delle privative Jablochkoff, e la Com-
pagnia del gas, una lotta per l'esistenza. Nella strada Quattro
settembre 62 lanterne di nuovo modello furono installate dalla
Compagnia del gas. Queste lanterne hanno ciascheduna 6 fiamme
a gas, e proiettano una luce di 13 becchi Carcel; in tutto adunque
esse* danno 806 becchi Carcel. La spesa oraria dicono che sia
di lire 11,40; il che equivarrebbe per 1000 becchi a 14 lire.
Vedete che anche facendo una tara a questi numeri, il confronto
col sistema Jablochkoff riesce tutto a danno di questo. S'ag-
giunga che, in grazia della maggior suddivisione, la luce della
via Quattro settembre è meglio distribuita che in quelle ove
funzionano le candele elettriche.
Queste sono le condizioni economiche del sistema Jabloch-
koff, ed erano forse prevedibili. Ma ho il dovere di ripeterlo:
noi avremmo torto se per questo dimenticassimo i meriti in-
contestabili che il sistema ha per la novità degli apparecchi, e
l'importanza che esso conserverà sempre come tipo di una classe
nuova di congegni, e come un congegno esso stesso che, in
casi speciali, potrà prestare moltissimi servigi.
Fra poco si metterà in prova a Parigi l'altro sistema : quello
di Werdermann, Noi possiamo prevedere fin d'ora i risultati
che si otterranno. Per riguardo all'economia le prove daranno
risultati migliori di quelle che offrì il sistema Jablochkoff', ma
ad una condizione:" che non si cerchi di suddividere la luce
più di quello che si fosse fatto coll'altro sistema. Una moderata
illuminazione costerà col sistema M^erdermann sempre più che
col gas; una illuminazione molto sfarzosa potrà forse costar
meno. Il sistema è fra tutti il più razionale; ma per poter per-
Sulla illuminazìofie elettrica, 113
mettere la suddivisione ha il torto di avere lampade ove v'ha
un carbone costoso, che si consuma. Io vedo nella lampada
IVerdermann un regolatore di estrema semplicità, che funzionerà
bene e che si adopererà con vantaggio in quegli stabilimenti
industriali ove l'illuminazione elettrica richiederebbe l'uso dì
regolatori di potenza inferiore od uguale a 50 becchi Carcel;
vedo un regolatore che in casi speciali potrà sostituire con
vantaggio gli apparecchi antichi per . illuminare con centri ra-
dianti di 30 a 40 Carcel sale di filature, di opifizi di tessitura,
cartiere, magazzini, e forse anche sale di ritrovo, locali da caffé,
giardini, o in generale quegli spazi ove la luce elettrica è con-
sigliabile o per la bianchezza, o per dare poco calore oscuro^
o per non dare fumo. In tali casi noi vedremo la lampada del
IVerdermann diffondersi certamente. Ma sulle strade e sulle
pubbliche piazze? Parleranno su ciò gli esperimenti di Parigi;
ma in ogni caso non potrà mai essere che l' illuminazione col
sistema IVerdermann venga a rimpiazzare quella fatta col gas
per ragione d'economia: solo potrà sostituir visi per lusso.
Riassumo e concludo:
i.° La luce elettrica offre una grande economia nei fari,
ove il migliore sistema, ed anzi 1' unico finora, è quello pri-
mitivo col regolatore. L'economia è grandissima: si riduce a
circa un ottavo la spesa oraria dell' illuminazione e si riduce
spesso sensibilmente anche la spesa d'impianto.
2." La luce elettrica, ottenuta col metodo primitivo dei
regolatori, può convenire in quegli opifizi ove si hanno vasti
locali così disposti da poter essere illuminati da pochi centri
di luce di potenza non minore di 100 becchi Carcel. L'economia
è notevole se nell'opificio si ha la forza motrice sovrabbondante,
così che non sia necessario provvedere un motore apposito per
far agire le macchine di induzione; essa sarebbe notevolissima se,
essendo l'opifizìo lontano dalle città, la illuminazione a gas non vi
si potesse fare se non con la costruzione di un gazometro spe-
ciale, che costerebbe assai più che l' impianto elettrico completo.
3.*» In questo caso speciale possono convenire ancora
regolatori di piccola potenza : di 50 becchi normali o meno. Ma
allora, quando non si possano adoperare lampade più potenti.
Sì sostituirà con vantaggio ai regolatori ordinari quello di fVer-
€Urmann o qualche altro somigliante.
4.» Per la illuminazione delle città è poco probabile che
si trovi conveniente adottare la luce elettrica suddivisa; e quindi
G. FcRRAms, Op4r*, Voi. n. 8
114 Conferenza quinta.
le lampade elettriche ad incandescenza hanno poca o nessuna
probabiHtà di trovare appHcazione. Nelle case private è, per
ora, ancor meno probabile che la luce elettrica venga ad intro-
dursi, giacché, per questo caso, alla considerazione della poca
economia devesi aggiungere l'altra, essere assai raro il caso
che ad una famiglia possa convenire di sottomettersi al disturbo
di avere in casa una macchina motrice pel solo scopo di illu-
minare i propri appartamenti.
5.° La illuminazione elettrica delle pubbliche strade non
rimpiazzerà quella data dal gas, se non quando nelle popola-
zioni il desiderio di una illuminazione notevolmente più ricca
dell'attuale si sia fatto bisogno. Allora il sistema, che, fra gli
attuali, avrà la maggior probabilità di essere adoperato, è quello
di Werdermann o qualche altro somigliante.
6.° Fin d' ora v' hanno casi nei quali non solo può con-
venire la illuminazione elettrica, ma possono essere consigliabili
anche i sistemi meno economici, come per esempio quello di
Jablochkoff o simili. Sono questi i casi di luoghi di riunioni
numerose, di luoghi di divertimenti, di locali da caffé, di giardini,
di teatri, di scuole serali di disegno, di esposizioni artistiche. In
tutti questi casi potrà convenire d'andare ijicontro ad una spesa
maggiore di quella che sarebbe necessaria coi sistemi attuali
per raggiungere altri scopi, come sono quelli di : avere una illu-
minazione brillante; avere una luce accompagnata da una minore
quantità di calore oscuro; avere molta luce senza inquinare
l'aria dei locali coi prodotti della combustione delle fiamme;
avere una luce bianca, che permetta di distinguere i colori come
alla luce del sole; evitare il fumo che guasta le decorazioni.
Voglio accompagnare queste conclusioni, che possono essere
erronee, ma che sono dettate da profonda convinzione con due
osservazioni. La prima osservazione si riferisce allo stato pre-
sente, nel quale non sentendosi il bisogno di una illuminazione
delle città notevolmente più sfarzosa di quella che abbiamo col
gas, non può convenire la luce elettrica applicata all'illumina-
zione pubblica. L'altra osservazione riguarda il caso opposto, e
si riferisce a quel tempo, che forse verrà, nel quale sentendosi
il bisogno di una illuminazione pubblica notevolmente più ricca
dell'attuale, potrà convenire ricorrere alla luce elettrica.
La prima osservazione è questa: Pare a me, che il pro-
blema della suddivisione indefinita della luce elettrica, che si
cerca risolvere per sostituire l'illuminazione elettrica a quella
Sulla illuniinazione elettrica, 115
che attualmente è fatta col gas, non abbia ragione di essere
proposto. E infatti, perchè mai si parla di illuminazione elettrica?
Perchè la si desidera? Perchè si lavora tanto per ottenérla?
Egli è perchè essa è bella e piace, perchè il suo splendore ha
fatto nascere V idea che la fumosa fiamma del gas non sia la
più perfetta sorgente di luce che si possa immaginare, e che
essa non debba essere l'unica dell'avvenire. Ma perchè è bella
la luce elettrica? Perchè è intensa e bianca; ed è intensa e
bianca perchè è irradiata da un centro ad alta temperatura, da
un centro potente, perchè non è suddivisa. Ma dividete la luce
elettrica, fatela per esempio emanare da tante piccole spirali
roventi, ed avrete una luce mancante di tutte le proprietà che
ammiravate nella luce elettrica, e che forse sarà meno bella di
quella del gas.
La seconda osservazione è quest'altra: Quello, che pare
non sia per verificarsi adesso, potrà verificarsi in un avvenire
forse non lontano, e sulle pubbliche strade i nostri figli potranno
vedere applicata regolarmente, universalmente, la luce elettrica
non suddivisa. Quando essi vi si saranno abituati, non tolle-
reranno più la luce del gas, come noi non tollereremmo più
quella degli antichi fanali ad olio. I nostri figli avranno un bi-
sogno di più, che noi non abbiamo ancora, come noi abbiamo
molti bisogni ai quali i padri nostri non potevano pensare. —
È questa, noi lo sappiamo, la legge naturale del progresso. —
E succederà, come sempre, che il progresso potrà recar danni
ad alcune classi di persone, e turbamenti di molti interessi; ma
dopo, definitivamente, si vedrà che esso avrà migliorato l'esi-
stenza dell'uomo e l'uomo stesso, mentre i mali ed i turbamenti
saranno stati passeggeri. Venendo al caso concreto io dico:
Quello che per ora non può essere per le società del gas altro
che un falso allarme dovuto ad illusioni di alcuni ed a colpevoli
giuochi di altri, diventerà un giorno o l'altro possibile: la luce
elettrica subentrerà sulle pubbliche strade a quella del gas. Ma
sarà forse questo il segno di una completa rovina per l'industria
del gas? Forse che diventerà inu^le la fabbricazione di questa
sostanza? Io credo che no. Innanzi tutto il gas costituirà forse
sempre l'unico mezzo di illuminazione domestica; ed in secondo
luogo si moltiplicheranno, appunto perchè si avrà bisogno di
lavoro motore per la luce elettrica, si moltiplicheranno, dico, le
piccole motrici a gas: e se il gas non darà la luce direttamente
ardendo nelle lampade, la darà indirettamente ardendo nel cilindro
ii6 Conferenza quinta.
delle macchine motrici. E poiché mi sono lasciato condurre a
queste considerazioni^ finirò con una osservazione che riguarda
particolarmente il nostro paese: Per noi Italiani, che non ab-
biamo il boghead se non a carissimo prezzo dagli stranieri, e
che allora potremo servirci di un gas che potrà aversi, meno
luminoso, ma egualmente buono come semplice combustibile,
mediante combustìbili di minor valore, questo, che dovremo
alla illuminazione elettrica> costituirà un grande guadagno.
SULLE APPLICAZIONI INDUSTRIALI
DELLA CORRENTE ELETTRICA
ALLA MOSTRA INTERNAZIONALE DI ELETTRICITÀ TENUTA IN PARIGI NEL 1881.
RELAZIONE
A S. E. DOMENICO BERTI
MINISTRO DI AGRICOLTURA, INDUSTRIA E COMMERCIO.
Eccellenza !
Quando, delegato dall' E. V. a prendere parte al Congresso
internazionale degli elettricisti, che nello scorso autunno si ra-
dunò a Parigi, accettai Tincarico di studiare in quella esposizione
internazionale di elettricità le applicazioni industriali della cor-
rente elettrica, io sentii di avere assunto un mandato, quanto
onorifico, altrettanto importante. Si poteva infatti prevedere che,
come l'idea di una esposizione speciale di elettricità era sorta
principalmente in grazia delle grandi applicazioni industriali,
che r invenzione delle potenti macchine dinamo-elettriche mo-
derne aveva permesso di attuare o di sperare, cosi quelle ap-
plicazioni avrebbero formato di essa la parte principale.
Oggi, nel presentare una relazione dei principali risultati
dei miei studi, debbo dichiarare che l'importanza della parte
industriale della mostra di Parigi superò nel fatto le mie spe-
ranze. Veramente la rapidità, colla quale oggidì si diffondono i
trovati della scienza, rende impossibile che una esposizione di
applicazioni scientifiche contenga molte cose non ancora cono-
sciute, ma quando le installazioni sono fatte su di una scala
grandiosa come erano a Parigi, esse diventano per ciò stesso
ii8 Relazione a S. E. D. Berti,
istruttive, e possono modificare profondamente, od assodare
potentemente le idee degli studiosi. E in questo sta la grande
importanza industriale della recente mostra internazionale di
elettricità. Da quella mostra io riportai la convinzione, che alcune
delle applicazioni più grandiose della corrente elettrica, come
sono quelle che se ne possono fare alla illuminazione, al tra-
sporto ed alla distribuzione della energia meccanica, e ad alcuni
lavori della metallurgia, possono diventare, in un prossimo
avvenire, effettivamente pratiche ed economiche. E siccome la
riuscita di queste applicazioni permetterebbe a noi di sostituire
in molti casi la énergiai dei nostri torrenti e delle nostre ca-
scate a quella, che, accumulata nel carbon fossile, ci viene oggidì
venduta, a carissimo prezzo, dagli stranieri, così a quella con-
vinzione va associata, in me, la speranza di un guadagno gran-
dissimo per rindustria del nostro paese.
Se il merito dell' opera mia corrisponde alla importanza
della mia missione, io non so; spero bensì che alla gravità del-
Targonfento corrispondano' almeno l'indole e la forma della mia
relazione. Io ho creduto che, per trattare questioni tecniche dì
tanta importanza industriale, fosse anzitutto necessario un esame
spassionato e fatto, per quanto era possibile, coi numeri. In
tutte le parti del mio studio ove fu possibile avere, o dalla
esperienza o dalla teoria, dati sufficienti per fare fra le diverse
invenzioni confronti quantitativi, numerici, io ho fatto di questi
l'argomento principale della trattazione. Siccome è questo l'unico
mpdo' di. evitare il pericolo di essere fuorviato da idee precon-
cètte, o. dà. speranze troppo accarezzate, così io ho pensato che
questp.fosse.il modo migliore per giustificare la convinzione e
le grandi speranze, a cui ho fatto allusione. E se il mio scritto
potrà avere la ventura di infondere in chi lo leggerà anche
solo una parte di quelle speranze, e di stimolare con ciò a ricer-
che da cui il nostro paese deve attendere un grandissimo bene,
io avrò la soddisfazione di aver fatto opera non del tutto inutile.
In ogni caso però, comunque abbia ad essere giudicato il
mio lavoro, rimarrà a me l' inestimabile frutto degli studi, che
la mia missione mi ha dato occasione di fare; e siccome questo
bene debbo tutto alla E. V., così ad Essa io serberò adeguata
riconoscenza. Intanto se col presentare questa relazione pongo
termine al mio mandato, io non credo in nessun modo di essermi
colla medesima sdebitato.
Torino, il 22 gennaio 1SS2,
Prof. Galileo Ferraris.
Sulle applkaz, industriali della con\ eiett, 119
Scopo e divisione del lavoro.
I. Di tutti gli ammaestramenti di cui è stata feconda la
esposizione internazionale di elettricità, il più importante è
questo: che la corrente elettrica, della quale per l'addietro non
erano utilizzate, fuori dei laboratori scientifici, se non alcune
delle proprietà chimiche ed elettromagnetiche e l'attitudine a
trasmettersi rapidissimamente a grandi distanze, si presenta
oggidì come un mezzo pratico, e veramente industriale, per la
trasformazione e pel trasporto di poderosi lavori. Essendo stato
incaricato di studiare l'esposizione elettrica di Parigi dal punto
di vista delle applicazioni industriali, io debbo rivolgere a questo
fatto tutta la mia attenzione, e fare del medesimo l'oggetto
della mia relazione. In questa relazione adunque io prendo in
esame quelle sole applicazioni dell'elettricità, nelle quali questa
iz il prodotto del- lavoro di macchine motrici potenti, e resti-
tuisce quel lavoro, trasportato a distanza o trasformato in altre
energie equivalenti, e mi propongo di ricercare, colla scorta dei
fatti osservati, quale sia lo stato presente di queste applicazioni,
quale il loro avvenire probabile, quale l'importanza per l'indu-
stria del nostro paese.
Per raggiungere il suo scopo, questa relazione non deve
dilungarsi in molte e minute descrizioni di apparecchi speciali.
All'opposto, siccome di tali descrizioni sono pieni i giornali
tecnici, e siccome le medesime, sia per l'eccessivo numero, sia
per la soverchia importanza che in esse si suole dare ai parti:
colari, sono più che mai atte a generare confusione, così questo
lavoro dovrà ridurre le descrizioni a quelle dei tipi più impor-
tanti, e volgere l'attenzione più ai principi che stanno a base
delle invenzioni, che ai particolari della costruzione degli appa-
recchi. Per tal modo essa potrà mettere in evidenza per ciascuna
classe di applicazioni quelle condizioni di attuabilità e di con-
venienza, che dipendono dalla natura stessa delle applicazioni
e dallo stato attuale della scienza, ponendo, come meritano, in
seconda linea quelle altre condizioni che dipendono principal-
mente dall' abilità dell' inventore nel foggiare e combinare ap-
propriati organi meccanici.
In una applicazione della corrente elettrica si hanno a con-
siderare :
/
I20 Parte prima.
i.o I mezzi per la produzione della corrente, per la tra-
smissione e per la distribuzione di essa, e per la accumulazione
dell'energia che essa rappresenta.
2.0 I mezzi per trasformare la corrente in altre energie
e per ricavarne gli effetti, che formano Y oggetto della applica-
zione medesima.
Quindi questo scritto si deve naturalmente dividere in due
parti, la prima delle quali tratti della produzione, delia distribu-
zione e della accumulazione della energia elettrica, e la seconda
delle varie applicazioni di questa.
PARTE PRIMA.
PRODUZIONE, ACCUMULAZIONE E DISTRIBUZIONE
DELL'ENERGIA ELETTRICA.
§ i.o Macchine magnetg-elettriche e dinamo-elettriche.
Considerazioni generali, classificazione. — Macchine a correnti alternate. —
Macchine a correnti continue, classificazione. — Primo tipo: PacinoUi, Grantnie,
Burgin, Goi/areili. — Secondo tipo: Ht/ner-AlUntck (Siemens), Weston^ Edison,
— Terzo tipo. — Quarto tipo: Brush, — Ricapitolazione.
2. Le macchine d'induzione, magnetoelettriche e dinamo-
elettriche sono oggidì i soli apparecchi generatori di correnti
elettriche, ai quali si possa ricorrere per ottenere correnti po-
derose, che rappresentinq, trasmettano e trasformino le grandi
quantità di energia richieste dalle operazioni industriali. L' at-
tuabilità delle applicazioni grandiose che oggidì l'industria trova,
o spera, nella elettricità, dipende tutta dall'invenzione e dai
perfezionamenti di queste macchine; e senza di queste non
avrebbe pur anco potuto nascere V idea di una esposizione di
elettricità come quella a cui abbiamo assistito. Era quindi na-
turale che le macchine d'induzione occupassero la più notevole
parte dell'esposizione e formassero di questa la base. Più di
cinquanta espositori installarono nel palazzo dell'Industria mac-
chine magnetoelettriche o dinamoelettriche, ed alcuni di questi
presentarono apparecchi di tipi diversi. Benché delle macchine
Produz., accumulaz, e distribuz. dell'energia elettrica. 121
esposte una parte soltanto fosse collegata a motori e funzio-
nasse, essa consumava ciò non ostante circa 1800 cavalli di
potenza motrice.
Tuttavia io non debbo dedicare alla esposizione delle mac-
chine generatrici, se non un breve cenno.
Infatti tutte queste macchine, fatta eccezione di alcuni mo-
delli, di cui non si potrebbe ancora apprezzare l'importanza, si
riducono a tipi già noti. Né si potrebbero descrivere qui tutte
le differenze di costruzione, per cui esse assunsero tanti nomi
diversi e diventarono oggetto di tanti attestati di privativa,
senza perdere di mira lo scopo principale delle nostre ricerche.
Quello che io debbo fare è scegliere fra le migliori quelle che
rappresentano tipi essenzialmente diversi e porre in evidenza,
per mezzo del loro esame, la tendenza attuale dei principali co-
struttori nella ricerca dei mezzi per soddisfare alle esigenze
delle varie applicazioni.
3. Abbiamo le macchine a correnti alternate e quelle a cor-
renti continue.
Le prime si riducono ai tre tipi di De-Méritcns, di Gramnie
e di .Siemens, che sono nella pratica adoperate su vastissima
scala. L'esposizione non ha mostrato a questo riguardo nulla
di veramente nuovo, e non ha fatto altro che riconfermare i
loro pregi pressoché uguali ed incontestati.
Soltanto si può notare che le esperienze del giurt, favorevoli
per tutti tre i sistemi, riconfermarono per quello di De-Méritens
il fatto che T impiego delle calamite permanenti quali induttrici
giova sensibilmente alla regolarità del lavoro ed alla bontà del
risultato. Questo fatto potrà consigliare, nei casi ove non co-
stituiscano un grave inconveniente le grandi loro dimensioni, a
prescegliere per la produzione di correnti alternative le mac-
chine magnetoelettriche del De-Méritens, le quali d'altronde sono
di una costruzione veramente perfetta. Negli altri casi le mac-
chine a correnti alternative del Siemens, con spirali indotte
senza nuclei di ferro, saranno ordinariamente preferte, siccome
quelle che, ad uguaglianza di peso, hanno la maggiore po-
tenza.
4. Le macchine a corrente continua, le più numerose, si
riducono a quattro tipi : quello delle macchine a spirale indotta
anulare, quello delle macchine a spirale indotta a gomitolo,
quello a spirali indotte cilindriche riunite in tensione come gli
elementi di una spirale anulare, e finalmente quello di Brusii,
j
122 Parte prima.
5. I tre primi tipi costituiscono altrettante modificazioni
delle macchine primitive del Pacinotti, e sono adoperati da
molto tempo.
Il primo è rappresentato dalle macchine conosciute col nome
di Gramme e dalle congeneri. Figuravano nella esposizione
moltissime forme di queste macchine. La società Gramme espo-
neva tutti i modelli da essa costrutti, e presentava così una
storia completa dell'apparecchio. Il modello originale di Gramme
era poi riprodotto da parecchi costruttori, fra cui meritano spe-
ciale menzione Sauiter, Lemonnier e Compagnia di Parigi, ed
Heilmann, Ducommun e Steinlen di MUlhausen (Alsazia). Le
macchine costrutte da questi ultimi, benché identiche nella di-
sposizione a quelle ordinarie del Gramme, sono notevolissime
per la perfezione meravigliosa della costruzione; su di esse
avrò occasione di ritornare trattando della trasmissione della
forza.
Molteplici poi si presentarono le modificazioni a questo tipo
primitivo. Alcune di queste hanno lo scopo di diminuire il ri-
scaldamento della macchina, favorendo la ventilazione della
spirale indotta e delle estremità polari dell'induttore. Cito come
esempio interessante la macchina del Burgin esposta nella se-
zione svizzera. In essa, in luogo di un semplice anello coperto
da numerose spirali elementari occupanti ciascuna un breve
arco, si trova un certo numero (otto) di ruote portate da un
albero comune, sulla corona di ciascuna delle quali, formante
nucleo, sono avvolte soltanto sei spirali. Le ruote sono calettate
con un ritardo dell'una sull'altra, uguale ad un ventiquattresimo
di giro, e le spirale che esse portano si collegano ad un racco-
glitore di Pacinotti analogo a quello delle macchine di Gramme,
in modo che una qualunque di esse sì trovi unita in tensione
con quelle vicine situate sulle ruote successive, epperò in ri-
tardo su di esse di un ventiquattresimo di giro. In questo modo
si hanno gli effetti stessi che si avrebbero da un semplice anello
di Pacinotti, ma le spirali, fatte di pochi strati dì filo, e circon-
date da ogni parte dall'aria, sì trovano costantemente rinfrescate.
Altre, modificazioni alla macchina del Gramme hanno lo
scopo di aumentarne, a parità di dimensioni, la potenza. E fra
queste debbo nominare quella che si osservava in una piccola
macchina dinamoelettrica esposta nella sezione italiana dal Gol-
farelli, direttore dell' officina Galileo dì Firenze. Le estremità
polari della elettromagnete induttrice sono, in queste macchine,
Produz,, accumulaz. e distribuz. dell'energia eleltrica, 123
foggiate in modo da abbracciare Fanello rotante non solo al-
l'esterno, ma anche nell'interno, producendovi per tal modo un
campo magnetico più intenso. La medesima disposizione si trova
anche nelle macchine costrutte dal W, Fein e brevettate nel 1880,
ma nella macchina Golfarelli, che è anteriore, la costruzione è
molto bene studiata e perfettamente eseguita.
6. Il secondo tipo di macchine a corrente continua, quello
che ho denominato: a spirale indotta a gomitolo, è rappresentato
dalla macchina di Hefner AUeneck costrutta dalla casa Siemens
ed Halske di Berlino, e dalle case dei fratelli Siemens a Londra
e a Parigi. La macchina, come si sa, differisce da quelle a
spirale anulare in questo: che nella sua spirale indotta il filo
è avvolto solamente all'esterno, e non nell'interno dell' anello;
una spirale anulare si trasformerebbe nella spirale di Hefner
AUeneck quando si sopprimessero in essa tutte le porzioni di
filo situate nell'interno dell'anello e si congiungessero tra loro
le porzioni esterne diametralmente opposte, così che la corrente
circolasse in queste nel verso stesso in. cui circola quando la
spirale anulare è completa. L'avvolgimento del filo si ottiene
come in un ordinario gomitolo: sopra di un nucleo cilindrico
vuoto si formano alcune spire parallele ad un certo piano dia-
metrale, poi si fa rotare di un determinato angolo il nucleo e
si formano altrettante spire parallele ad un altro piano diametrale,
p>oi si gira ancora e così di seguito.
Le macchine così costrutte sono notissime ed oramai più
diffuse di quelle di Gramme; sono eziandio note le numerose
esperienze che ne misero fuori di dubbio la perfezione. Alla
esposizione se ne osservavano modelli di tutte le dimensioni e
di tutte le potenze, per luce elettrica o per trasporto di energia,
e per galvanoplastica, esposti in grande numero nella sezione
tedesca dalla casa Siemens ed Halske, esposti nella sezione
inglese dalla casa Siemens brothers di Londra, ed esposti nella
sezione francese dalla casa Siemens frères di Parigi. Notevoli
sopra tutti erano i tipi per galvanoplastica che figuravano nella
mostra della casa di Berlino; in questi, nelle spirali magne-
tizzanti dell'induttore, era sostituita al filo una sbarra di rame,
nuda, a sezione rettangolare, grossissima. La sbarra era ripiegata
a spire rettangolari compatte, isolate con un sottile strato coi-
bente, e formava attorno al nucleo appiattito, di ferro, un blocco
parallelepipedo compatto. Il raccoglitore era lungo ben diciotto
centimetri, e le lastrine del medesimo erano congiunte colle
12| Parte prima,
spire del gomitolo indotto per mezzo di grossi pezzi di ferro
foggiati a squadra.
Fra le macchine analoghe alla Siemens esposte da altri
costruttori sono notevoli quella di Weston e quella di Edison,
La macchina di Weston, esposta in parecchi esemplari nella
sezione americana dalla Weston Electric Light C, presenta
nella struttura della spirale indotta alcune disposizioni destinate
a facilitarne la ventilazione, e quindi ad impedire in essa il ri-
scaldamento, che costituisce il principale, od unico, inconveniente
della macchina Siemens, Il cilindro, sul quale s'avvolge il filo,
invece di essere di un solo pezzo, è costituito da una serie di
36 ruote di lastra di ferro portate da un asse comune e poste
in piani paralleli equidistanti. Queste ruote hanno ciascheduna
quattro razze, ed alla periferia portano ciascheduna sedici denti
quadri. I vani tra i denti, posti in fila su di una parallela al-
l'asse formano una scanalatura, V insieme presenta la forma di
un cilindro con sedici scanalature longitudinali. Egli è in queste
scanalature che si avvolge il filo; il modo di avvolgimento è
quello stesso che si ha nella macchina Siemens, con questa sola
differenza che le spire sono adagiate nei vani fra i denti delle
ruote. È chiaro che in questo modo la ventilazione è perfetta-
mente assicurata, poiché l'armatura, non solo è cava, ma presenta
inoltre, distribuite su tutta la superficie, 16 x 36, ossia 576
aperture, che unite ad altre finestre lasciate sulle due basi emi-
sferiche della spirale, permettono all'aria di circolare liberamente
e di rinfrescare tutte le parti del sistema. Il collettore è analogo
a quello delle macchine del tipo Gramme, ma con questa diffe-
renza, che le lastrine sono semplicemente separate dall'aria ed
invece di essere diritte sono leggermente piegate ad elica.
Quest'ultima disposizione ha per oggetto di assicurare il contatto
di ciascuno degli sfregatoi con almeno due lastrine simultanea-
mente, e di dare per tal modo una maggiore regolarità alla
corrente.
La macchina dinamo-elettrica di Edison è più importante;
benché, nel principio, non presenti nulla di veramente nuovo,
e benché forse non tutte le sue parti abbiano le disposizioni
più razionali, essa é senza dubbio una delle più notevoli mac-
chine dell' esposizione. La macchina di Edison é infatti la più
potente che si sia costrutta finora; mentre le più grandi mac-
chine di Siemens consumano al più 15 cavalli-vapore, quella è
stata preventivata per la potenza di 120 cavalli; e se le appH-
Produz,, accnmulaz, e distribuz. dell'energia elettrica, 125
cazioni della corrente elettrica al trasporto della forza motrice
ed alla ìlluniinazione dovranno assumere un giorno quello svi-
luppo grandioso che l'odierna esposizione ci lascia intravedere,
si può dire che la macchina di Edison, se non è perfetta, è, per
le dimensioni, il primo passo verso le macchine veramente in-
dustriali, verso le macchine dell'avvenire.
La macchina di Edison arrivò alla esposizione molto tardi,
ed i lavori per la sua installazione cominciarono quando le
operazioni del Giurì internazionale stavano per terminare; posso
tuttavia dare su di essa alcune nozioni.
La macchina dinamo-elettrica e la motrice a vapore sono
riunite sopra di una medesima intelaiatura, e la biella motrice
trasmette direttamente il moto rotatorio all'albero della spirale
indotta. La spirale indotta fa adunque un solo giro per ogni
corsa completa dello stantuffo motore: 325 per minuto. Però
gli alberi della manovella motrice e della spirale indotta, benché
posti sul prolungamento Tuno dell'altro, sono distinti e stanno
riuniti soltanto per mezzo di un innesto, col quale si possono
separare le due macchine in caso di accidente. Fra i due alberi
è interposto un regolatore di velocità, a molle ed a forza cen-
trifuga, il quale agisce sull'eccentrico della distribuzione. Il re-
golatore della velocità è chiuso nell' interno da una grande
puleggia di legno, la superficie cilindrica della quale è stata
utilizzata per mettere in movimento, mediante un cingolo, un
ventilatore, che manda correnti d'aria sull'armatura indotta per
impedirne il riscaldamento. L'elettro-calamita induttrice, a ferra
di cavallo colle braccia orizzontali, ha otto nuclei di ferro co-
perti da spirali. Cinque di questi nuclei sono in alto, e tre in
basso; una tale disposizione anormale non può essere dovuta
che ad una riforma fatta a costruzione già incominciata, per
essersi riconosciuto insufficiente un sistema di sei nuclei. Le
masse di ferro che costituiscono le estremità polari dell'induttore,
e che avviluppano la spirale indotta, sono grandissime, para-
gonate coi nuclei, e tanto più se si confrontano con quelle
esistenti nelle macchine dinamo-elettriche, a cui si è abituati.
È possibile però che questa disposizione non sia cattiva, se si
ammette la regola del Dub, secondo In quale Ja condizione di
massimo di una elettrocalamita chiusa corrisponde all'ugua-
glianza di massa delle quattro parti, che la costituiscono.
La spirale indotta ha un nucleo cilindrico, vuoto, di ferro,,
ed è formata da un sistema di sbarre cilindriche di rame, pa-
126 Parte prima.
rallele, le quali tengono il posto del filo delle macchine ordi-
narie. Queste sbarre comunicano tra loro mediante dischi di
rame collocati alle due estremità del sistema, ai quali le sbarre
si uniscono l'una dopo l'altra, avanzando da un disco al successivo
per ogni sbarra, in modo da formare un serie continua. Le
sbarre sono in numerò di 138. I collettori sono simili a quelli
delle macchine di Gramme e di Siemens; essi portano 138 se-
zioni corrispondenti ai successivi dischi di rame. Vi sono due
sfregatoi composti ciascuno di parecchie spazzole.
La forza elettro-motrice di questa macchina dicesi che sia
di 103 volt. La resistenza della spirale indotta è appena di
0,008 ohm, e quella delle spirali magnetizzanti dell'induttore è
invece di 30 ohm. Queste spirali magnetizzanti sono poste in
derivazione. Se la macchina dovesse governarsi da sé, tale di-
sposizione sarebbe difettosa; infatti siccome le lampade, ad ali-
mentare le quali la macchina è destinata, sono poste in altrettanti
circuiti derivati, così V introduzione di qualche lampada ha per
effetto di far diminuire 1* intensità della corrente derivata ma-
gnetizzante, e la soppressione di qualche lampada ha per effetto
di far crescere la corrente magnetizzante. 11 campo magnetico
in cui ruota la spirale indotta varia così in senso tale da au-
mentare le variazioni di intensità delle correnti nelle lampade.
Ma bisogna considerare che nel sistema AéiV Edison sì ebbe in
vista di affidare il governo dell' apparecchio ad un impiegato
speciale, il quale agisce mediante un apposito reostato, sulla
resistenza del circuito della corrente magnetizzante, guidato
dall'osservazione di un reometro o di una lampada-tipo.
Che in tutte le sue parti il colossale apparecchio di Edison
sia disposto nel modo più razionale è discutibile. Quello però
che è certo si è che l' avvenire delle grandi applicazioni della
corrente elettrica dipende dalla soluzione che riceverà il pro-
blema della costruzione di macchine di grande potenza, e che
la macchina ora descritta rappresenta un passo fatto verso
questa soluzione. Sopra ogni cosa la struttura ideata àdiW Edison
per la spirale indotta è ingegnosa ed eminentemente pratica.
7. Come terzo tipo di macchine a correnti continue, ho
nominato quello delle macchine a spirali indotte cilindriche,
riunite in tensione come gli elementi di una spirale anulare. Di
tali macchine somiglianti per la disposizione a quella nota di
Val/ace-Farmer, figuravano all'esposizione alcuni esemplari, che
come non avevano nulla di veramente nuovo, così non presen-
Produz,, accumulaz. e dislribuz, dell'energia elettrica, 127
lavano disposizioni degne di nota. Me;no ancora credo degne
di essere menzionate le macchine costrutte analogamente alla
Loniin, le quali si possono classificare nel medesimo tipo.
8. Meritano invece una speciale menzione le macchine di
Brush. Queste macchine, delle quali la Anglo-American Brusii
Electric Light Corporation Limited ha fatto nella sezione inglese
una mostra grandiosa, e che servivano alla illuminazione di una
estesissima porzione del palazzo dell' industria, vanno oggidi
diffondendosi rapidamente, ed hanno acquistato una importanza
incontestabile. Esse poi presentano rispetto alle macchine di
Gromme e di Siemens differenze abbastanza essenziali per co-
stituire un tipo distinto.
I tratti caratteristici di una macchina Brush si trovano
nella disposizione dell'armatura indotta, nel collegamento dei
fili, nel commutatore, nelle resistenze e nella forza elettro-
motrice.
L'armatura ha la forma anulare, ma invece di avere un
nucleo intieramente coperto dalle spirali, essa presenta solamente
otto spirali, due a due diametralmente opposte, separate da ampi
settori occupati da rigonfiamenti nudi del nucleo. Il nucleo poi
presenta sulle faccie laterali settori rigonfiati, e sulla superficie
convessa esterna, profonde scanalature destinate a tagliare le
correnti di Foucault.
Le spirali non sono collegate tutte insieme in serie, come
le spirali elementari di una ordinaria armatura anulare di Pa-
cìnotti, ma sono collegate soltanto due a due, ciascuna con
quella che le è diametralmente opposta. Le due spirali diame-
tralmente opposte sono riunite colle estremità interne, e per
mezzo delle estremità esterne sono collegate col commutatore.
II commutatore finalmente si compone di quattro coppie di
semi-anelli isolati (tante quante sono le coppie di spirali indotte),
delle quali coppie di semi-anelli ciascuna costituisce un commu-
tatore analogo a quello delle antiche macchine di Clarke e dì
Saxton. Una coppia di spirali unite colla corrispondente coppia
di semi-anelli rappresenta, in realtà, una di queste antiche
macchine. Ma le coppie di spazzole raccoglitrici non sono che
due, % sono cosi larghe che ciascuna spazzola tocchi costante-
mente due semi-anelli; in questo modo si ottiene nel circuito
esterno una corrente non mai interrotta e sensibilmente co-
stante. La medesima corrente circola nelle spirali magnetizzanti
delle elettro-magneti induttrici.
123 Parie prima.
Una particolarità vuole essere notata nel commutatore, I
semi-anelli del commutatore non sono completi, non hanno una
ampiezza angolare di i8o°, talché ciascuna coppia di essi lascia
libero un ottavo della circonferenza, il quale è occupato da un
pezzo metallico, isolato da tutto il resto dell'apparecchio, e de-
stinato unicamente a sostenere la spazzola per quella porzione
di giro. 11 pezzo isolato or nominato viene a passare sotto ad
una spazzola nei momenti in cui la coppia di spirali corrispon-
dente passa nella posizione neutra, ove è nulla la forza elettro-
motrice indotta. Così si ottiene che ciascuna coppia di spirali
si trova tolta dal circuito, isolata, per un quarto di ogni giro,
e precisamente nei momenti in cui, essendo in essa nulla o
minima la forza elettro-motrice, essa non farebbe che aumentare
inutilmente la resistenza.
Nelle resistenze passa tra la macchina di Brush e quelle
di Siemens o di Gramme una notevole differenza. La resistenza
delle macchine Brush è molto grande; per le macchine Brusìi
del modello usuale, per sedici lampade, la resistenza interna,
tra i morsetti è in media di 10,55 ohm. Questa grande resistenza
è dovuta alla notevole lunghezza dei fili (275 metri per ogni
spirale) e quindi va accompagnata ad una forza elettro motrice
anche notevole: 839 volt. Questi numeri valgono per una mac-
china consumante il lavoro di circa 15 cavalli e mezzo.
Nelle macchine per 40 lampade elettriche, le quali consu-
mano circa 36 cavalli-vapore, la resistenza interna è di 23 o//w,
l'intensità della corrente prodotta normalmente è di 12 ampère^
e la forza elettro-motrice raggiunge l'enorme valore di 2200 volt.
Questi dati relativi alla resistenza ed alla forza elettro-
motrice dovevano essere citati, siccome quelli che più d'ogni
altra cosa caratterizzano la macchina di Brush ed indicano le
applicazioni speciali a cui essa è destinata. Sono queste le ap-
plicazioni ove grandi resistenze esterne debbono essere superate,
come quando con un unico circuito si vogliono alimentare
lampade elettriche molto lontane, o quando si voglia inviare a
notevoli distanze la forza motrice.
9. Se riassumiamo il fin qui detto, possiamo conchiudere:
Oltre ai tipi di macchine di induzione, conosciuti coi nofhi ^^
Siemens e di Gramme^ tipi che per moderate potenze e piccole
resistenze dei circuiti prestano da tempo utili servigi nelle ap-
plicazioni, e sono da tutte le esperienze dimostrati perfetti,
V esposizione di elettricità ci ha presentato apparecchi che di*
Produz,, accumulaz, e distribuz, dell* energia elettrica, 129
mostrano la possibilità di proporzionare le macchine generatrici
in modo da poter trasformare col loro mezzo grandissime
quantità di energia e trasmetterle a distanza vincendo notevoli
resistenze.
E noi avt!vamo bisogno di questo dato, prima di venire al»
1 oggetto principale del nostro lavoro: quello di giudicare dello
stato presente e dell' avvenire probabile delle applicazioni in-
dustriali.
§ 2.° Accumulatori dell'energia elettrica.
Pila secondaria di Gasion Piante. — La società La forct tt la lumiere e Tac-
cumulatore di Faurt. — Costo della forza motrice distribuita per mezzo degli
accumulatori Faure. — Confronto tra una distribuzione di energia fatta cogli
accumulatori e quella fatta con una canalizzazione di correnti elettriche. —
Costo della luce elettrica ottenuta con accumulatori Faure caricati in uno sta-
bilimento centrale e trasportati a domicilio. — Conclusione sull'impiego degli
accumulatori nella distribuzione dell'energia. — Altre applicazioni proposte dalla
società La force et la lumiere, — Applicazioni nelle quali gli accumulatori po-
tranno realmente essere utili. — Conclusioni sulle applicazioni degli accumulatori.
IO. È noto che se, dopo di avere scomposto con una cor-
rente elettrica un elettrolito, si toglie dal circuito l'apparecchio
generatore della corrente, e si congìungono semplicemente in-
sieme i reofori che vanno agli elettrodi, si manifesta nel circuito
così formato una corrente elettrica detta secondaria o di pola-
rizzazione, opposta alla corrente principale, con cui si era fatta
l'elettrolisi. La forza elettro-motrice, a cui è dovuta la corrente
secondaria, risiede nel voltametro che funziona allora come una
vera pila, mentre in esso si vanno ricombinando i corpi se-
parati nella precedente elettrolisi ; esso dicesi effettivamente
pila secondaria.
La ricomposizione chimica che si compie nel voltametro
dopo la soppressione della corrente principale e la chiusura del
circuito secondario, restituisce, sotto forma di corrente elettrica,
il lavoro che si era speso nella decomposizione; il lavoro, che
la corrente secondaria può fare, è la restituzione di un lavoro
che si era accumulato nel voltametro per mezzo della corrente
principale. Perciò ad una pila secondaria può darsi il nome di
acctimtilatare voltaico o di accumulatore dell' energia elettrica ;
ed oggidì, che si è intraveduta la possibilità, e si è concepita
la speranza di servirsi di tali apparecchi per immagazzinare
G. Ferraris, Opere, Voi. II. 9
130 Parie prima.
considerevoli quantità di. lavoro a servizio delle industrie, la
denominazione si è imposta da sé, e si è fatta accettare uni-
versalmente dai tecnici.
Gli stessi motivi, che giustificano la denominazione degli
accumulatori, rendono questi apparecchi degni di tutta l' atten-
zione di chi studii il problema del trasporto e della distribuzione
del lavoro per mezzo della corrente elettrica.
La conoscenza dei fenomeni di polarizzazione voltaica e
l'invenzione delle pile secondarie è molto antica; è notissima
la pila secondaria del Rùter, la quale data dal 1803; sono note
le ricerche numerose di cui i fenomeni di polarizzazione furono
r oggetto, ricerche alle quali si collegano i nomi di Volta, di
Marianini, di Bequerel, di Matteucci, di Faraday, di Wheat-
sione, ecc., ed è noto come il Grov'e abbia trasformato un vol-
tametro ad acqua in una pila a gaz. Tuttavia alla possibilità di
adoperare le pile secondarie, come accumulatori di energia,
nelle applicazioni industriali non si poteva pensare prima che
il signor G. P/aw/^ in ventasse la sua pila secondaria ad elettrodi
di piombo.
I lavori di G. Piante datano dal 1859 e la sua pila secon-
daria fu presentata dal Bequerel all'Accademia di Francia nel 1860.
Questa pila si compone di due lunghe e larghe lastre di piombo,
isolate l'una dall'altra per mezzo di strisele di gomma elastica
ed immerse, l' una in faccia dell' altra, a piccola distanza, in
acqua acidulata con un decimo di acido solforico. Per ottenere
in piccolo spazio una grande superficie, le lastre di piombo
sono, nei modelli più diffusi delle Pile Piante, incartocciate a
spirale; possono però essere piane, o foggiate in qualunque
altro modo. I due reofori si atGaccano a due punti presi V uno
sull'una e l'altro sull'altra lastra, e questi punti sono i due poli
della pila. Se si uniscono ai due poli, i due poli di una pila
composta di due elementi Bunsen, l'acqua, nella pila, si scom-
pone ; la lastra di piombo positiva si copre su tutta la superficie
di uno strato di perossido di piombo ; la lastra negativa è tenuta
dall' idrogeno allo stato metallico puro. Se allora si tolgono le
comunicazioni colla pila di Bunsen, e si congiungono insieme
con un filo le due lastre di piombo, si osserva nel filo d'unione
una corrente inversa a quella che si aveva prima, corrente di
breve durata, ma che può essere molto intensa, e può bastare
ad arroventare un filo di platino di un millimetro di diametro
e di qualche centimetro di lunghezza. Intanto lo strato di pe-
Prodiiz,, accumu/az. e disiribuz. dell'energia elettrica. 13 t
rossido che si era formato sull'anodo si ridiscioglie e le due
lastre si riducono alla medesima condizione. L'efficacia della
pila è poca nei primi esperimenti, ma cresce notevolmente ri-
caricando più volte e scaricando alternativamente Tapparecchio.
Dopo un certo numero di cariche lo strato di perossido assume
una grossezza conveniente, e la pila arriva alla condizione sua
normale, della massima efficacia; si dice, che h formata.
Le pile secondarie semplici descritte si possono riunire in
pile composte come le pile ordinarie. Ora il Piante ideò un
semplice commutatore, per mezzo del quale si possono colle-
gare gli elementi della pila, a piacimento, in quantità od in
tensione. Se col commutatore si riuniscono gli elementi in
quantità, e se si attaccano ai poli della batteria i due reofori
di una pila Bunsen di due elementi, la corrente passa, giacché
la forza elettro-motrice di due elementi Bunsen supera la forza
elettro-motrice di polarizzazione della pila secondaria, la quale
vale poco più di due volt; così tutti gli elementi della pila se-
condaria si caricano simultaneamente. Se allora si gira il com-
mutatore e con ciò si riuniscono gli elementi in tensione, si
ottiene una pila, la cui forza elettro-motrice vale quella di un
elemento, ossia 2 voU, moltiplicata pel numero degli elementi.
Con siffatta pila si possono allora ottenere effetti grandiosi,
che non si potrebbero avere coi due elementi di Bunsen ado-
perati per la carica; si può, per esempio, con venti elementi,
arroventare un filo di ferro di un metro di lunghezza, e pro-
durre r arco voltaico fra due carboni. La pila secondaria resti-
tuisce così in breve tempo l'energia che, per mezzo di due
elementi di Bunsen, vi si era accumulata lavorando per un tempo
più lungo.
Gaston Piante andò più oltre, costrusse un condensatore
elettro-statico a fogli di mica composto di un grande numero
di coppie, e lo munì di un commutatore analogo a quello della
pila secondaria, girando il quale si -possono collegare le coppie
alternativamente in quantità ed in tensione. Se si attaccano ai
morsetti del condensatore i due reofori della pila secondaria
disposta in tensione, e se le coppie del condensatore sono col-
legate in quantità, ciascuna di queste si carica con una diffe-
renza di potenziali uguale a quella che misura la forza elettro-
motrice della pila. E se allora, girando il commutatore, si
riuniscono le coppie del condensatore in tensione, si sommano
le differenze di potenziali di tutte le coppie, si moltiplica la
132 Parte prima.
differenza di potenziali che si aveva ai due poli della pila pel
numero delle coppie del condensatore. La differenza di poten-
ziale così ottenuta è sufficiente per produrre scintille di grande
lunghezza, e per ripetere colla elettricità delle pile tutte le
esperienze di elettro-statica. Girando rapidamente il commutatore
del condensatore, si ottiene in uno spinterometro una serie
frequente di scariche, quali si avrebbero da una potente mac-
china di Holtz, L'ingegnoso apparecchio è stato denominato
dall'inventore: Macchina reostatica.
Gli apparecchi del Piante figuravano alla esposizione nella
sezione francese, classe terza, e, benché conosciuti, formavano
una delle cose più notevoli deiresposizione.
Benché il /%i«tó' mirasse sopratutto alle ricerche scientifiche,
tuttavia non gli era sfuggita l'importanza che la sua pila avrebbe
per avventura potuto avere nelle applicazioni. Egli accenna
infatti a queste applicazioni e ne enumera parecchie in una
pubblicazione fatta nel 1879.
Oltre a quelle che sì possono fare alla galvano-caustica,
all'illuminazione delle cavità oscure del corpo umano, all'accen-
sione delle mine, alla produzione di segnali ottici, ecc., si pre-
sentano infatti da sé queste, che colla tendenza odierna delle
applicazione elettriche assumono un'importanza speciale:
i.° A produrre per un breve tempo una luce elettrica
intensa per mezzo di una piccola forza motrice adoperata per
un tempo più lungo.
2.° Ad accumulare in batterie di pile secondarie il lavoro
meccanico, l'energia, equivalente alla corrente di una macchina
dìnamo elettrica, per conservarla, trasportarla, distribuirla, ed
utilizzarla poi come lavoro meccanico, o come luce.
Il non essersi finora tradotte in pratica queste applicazioni
così ovvie, se non su minima scala, dimostra che nella pila se-
condaria a lamine dì piombo non si verificano i rapporti quan-
titativi, le condizioni di potenza, di dimensioni, dì peso, di
prezzo, di rendimento, necessarie per un impiego veramente
industriale.
II. Tuttavia l'idea di portare l'accumulatore a lastre dì
piombo nel campo dell'industria e di adoperarlo su vastissima
scala per la distribuzione della forza motrice e della luce, venne
nella scorsa primavera rimessa innanzi come nuova, e, passata
dal mondo scientifico al mondo finanziario e commerciale, venne
ingrandita ed esaltata con tutti i mezzi di cui suole valersi la
Prodtts,, accumulaz. e distribuz. dell'energia elettrica, 133
speculazione. Si fondò con sede ^ Bruxelles ed a Parigi una
società anonima che si intitolò La force et la lumière, la quale
si propose per iscopo principale la distribuzione industriale
della forza e della luce per mezzo di una pila secondaria a
piombo, analoga a quella di Piante' e combinata dal signor Ca-
millo Faure. Come era prevedibile, le esagerate promesse della
società non si poterono finora realizzare; non si può tuttavia
negare che l'opera della speculazione commerciale abbia giovato
assai a porre in evidenza il vero stato attuale del problema, ed
a far avere agli accumulatori voltaici quelle applicazioni più
modeste, ma di incontestabile utilità, che essi possono ricevere
fin d'ora.
Nella esposizione internazionale di elettricità la società La
force et la lumière presentava, insieme ad alcuni oggetti di mi-
nore importanza, alcune batterie di accumulatori Faure^ e ne
mostrava Tapplicazione alla illuminazione elettrica con lampade
ad incandescenza, ed alla produzione del lavoro meccanico con
una macchina dinamo-elettrica di Siemens funzionante come
motore. Inoltre numerosi accumulatori di Faure si trovavano
sparsi in tutte le sezioni della Esposizione, ed erano adoperati
per attivare piccoli gruppi di lampade ad incandescenza, o per
alimentare piccoli motori elettrici per macchine a cucire, e simili.
Tre macchine dinamo-elettriche mosse da una macchina a
vapore locomobile caricavano giornalmente circa 130 elementi,
dei quali una parte veniva poi trasportata nelle diverse sezioni
dell'esposizione, per produrvi il lavoro meccanico, o la luce.
L'accumulatore del signor Faure è, come quello del Piante,
una pila secondaria ad elettrodi di piombo immersi nell'acqua
acidulata con '/io ^' acido solforico. La sola differenza tra i due
apparecchi è questa, che, mentre nella costruzione della pila di
Piante si adoperano lastre di piombo a superfìcie nuda, nella
costruzione della pila di Faure si adoperano invece lastre di
piombo coperte sulle due faccie da un grosso strato di minio
applicato in forma di pasta ad acqua. Questo strato di minio fa
sì, che la pila non ha bisogno del lavoro lungo e delicato della
formazione, che per quella di Piante è necessario* prima che
essa acquisti tutta la sua efficacia. Una pila di Faure dà subito,
la prima volta che la si carica, il suo effetto intiero. Questa circo-
stanza ha indubbiamente qualche valore nelle applicazioni tecniche.
La forma primitiva della pila Faure era analoga a quella
usuale della pila Planie\ le lastre di piombo erano incartocciate
134 Parte prima.
a spirale e collocate in un vaso cilindrico. Quelle ora presentate
alla esposizione hanno invece la forma seguente, che per la
pratica è certamente buona. L'elettrodo positivo è costituito da
tre lamine di piombo eguali, di forma rettangolare e ripiegate
in due. Le ripiegature delle tre lamine sono dalla medesima
parte e ad esse si attaccano tre linguette di piombo che si riu-
niscono, fuori del truogolo, in un morsetto per costituire uno
dei poli dell' elemento. Queste tre lastre ripiegate in due pre-
sentano così sei fogli verticali paralleli ed equidistanti. L' elet-
trodo negativo è ugualmente formato con tre lamine di piombo
ripiegate ciascuna in due e formanti così sei fogli paralleli; ma
le ripiegature di queste tre lamine sono dalla parte opposta di
quelle delle tre precedenti ed i sei fogli negativi passano fra i
sei positivi, coi quali sono alternati. Per impedire che i fogli
si vengano a toccare, essi sono inviluppati in altrettanti sacchi
di feltro ; la quale disposizione ha anche per effetto di impedire
la caduta dello strato di minio e di perossido. Il tutto è immerso
nell'acqua acidulata e contenuto in un truogolo parallelepipedo
di legno incatramato, lungo circa 40 centimetri, profondo 30 e
largo 12 a 13. Ciascun elemento contiene 11 chilogrammi di
minio ed 8 chilogrammi di piombo metallico; il suo peso totale
è di circa 25 chilogrammi. Il prezzo attuale, probabilmente assai
maggiore di quello che la pila potrebbe avere in seguito, quando
le applicazioni si moltiplicassero, è di 100 lire.
La forza elettro-motrice di un elemento Faure è uguale a
2 volt o poco più; la resistenza interna, variabile da elemento
ad elemento, come quella di tutte le pile, vale in media, secondo
l'asserzione dell'inventore, circa Vaoo di ohm.
Con questi valori si può calcolare l'intensità della corrente,
che una data batteria di accumulatori può produrre in un dato
circuito. Ma il dato più importante a conoscersi per giudicare
del valore industriale, che l'apparecchio può avere come accu-
mulatore, è la quantità di energia che si può immagazzinare in
una pila contenente un dato peso di piombo e di minio, è il
numero di chilogrammetri che si possono accumulare per ogni
chilogrammo di piombo e minio. E questo dato dipende oltreché
dalla forza elettro-motrice, anche dalla grossezza utile dello
strato di perossido che si può produrre sulle lamine di piombo;
questo dato, quindi, non si può conoscere se non con l'esperienza.
A questo riguardo l' inventore, appoggiandosi sull' autorità
del W. Thomson, dà il risultato seguente : se tutti gli elementi
Produz,, accumuìaz, e distribus. dell* energia elettrica. 135
sono in perfette condizioni, la quantità di energia che si può
immagazzinare in 50 elementi contenenti ciascuno 20 chilo-
grammi di piombo e di minio è di poco più di 20 cavalli-ora,
ossia è quella sufficiente per produrre durante un'ora 20 cavalli-
vapore. Se si accettasse questo dato^ se ne dedurrebbe che il
numero di chilogrammetri accumulabile in una tonnellata di
piombo e minio è uguale a 20x75x3600, ossia a 5,400,000;
e quindi il numero di chilogrammetri che si può accumulare per
ogni chilogrammo di piombo e di minio sarebbe 5400.
Se non potesse nascere il dubbio che questo risultato sia
esagerato, o che almeno esso sia dovuto ad eccezionali condi-
zioni di bontà dell'elemento di pila sul quale il Thomson eseguì
le sue esperienze, esso farebbe credere che lo strato di minio
disteso sulle lamine di piombo nella costruzione della pila di
Faure, oltre a servire a togliere il bisogno della formazione,
giovi notevolmente ad aumentare la capacità di accumulazione
della pila. Risulta infatti da alcune esperienze eseguite da
Frank Ge'raldy e da Trouvé su pile secondarie di Gaston Piante',
che queste non possono accumulare, per ogni chilogrammo di
piombo, più di 3450 chilogrammetri, e siccome la sola differenza
importante fra i due accumulatori consiste nello strato di minio,
così non si può spiegare la disparità dei due numeri su riferiti,
qualora essa sia reale, se non attribuendola all'esistenza di
quello strato in uno solo dei due apparecchi.
La capacità di accumulazione, di cui si è parlato, rappre-
senta la quantità totale di energia che può accumularsi nella
pila secondaria caricandola quanto è possibile; praticamente
però la quantità di energia utilizzabile è minore di quella espressa
dal numero che abbiamo dato. Prima infatti che l'accumulatore
sia completamente scaricato, la sua forza elettro-motrice, neces-
sariamente, comincia a diminuire, e prima di ridursi a zero
diventa insufficiente per gli effetti che si vogliono ottenere. Il
Faure, valendosi dell'autorità del signor T. Bottomley, membro
della società reale di Edimburgo, asserisce che la perdita di
effetto utile dovuta alla carica residua, di cui non si può trarre
partito, è, in media, uguale a 0,15 della carica totale. È però
prudente supporre che la perdita in discorso possa essere mag-
giore di quella rappresentata da questo numero, giacché alcune
esperienze fatte sugli accumulatori di Piante indicarono una
perdita approssimativa del 25 per cento, e la differenza tra i
due numeri non si saprebbe facilmente spiegare.
136 Parte prima.
Come l'energia praticamente utilizzabile è minore di quella
totale immagazzinata nella pila secondaria, così questa energia
immagazzinata è necessariamente minore di quella somministrata
dalla macchina dinamo*elettrica, con cui si fa la carica. Una
parte di questa si trasforma inevitabilmente in calore durante
l'operazione. Riferendosi all'opinione dello stesso signor Boi-
totnky^ il paure crede che la perdita di energia durante la
carica dell'accumulatore si possa sempre ridurre a non superare
il IO per cento.
Le due perdite di effetto utile, di cui abbiamo parlato, sono
tanto minori, quanto più lentamente si compiono le operazioni
della carica e della scarica; i numeri su riferiti corrispondono
al caso delle migliori condizioni pratiche.
Bisogna finalmente ricordare che né la macchina dinamo-
elettrica, per mezzo della quale si fa la carica, né il motore
elettrico, per mezzo del quale si ritrasforma in lavoro meccanico
r energia accumulata, possono avere un coefHciente di rendi-
mento uguale all'unità. Per le buone macchine dinamo-elettriche
di Gramme o di Siemens il coefficiente di rendimento può
avere in alcuni casi un valore prossimo a 0,90; ma nello stato
attuale, e nel lavoro corrente, non si deve realmente contare
su di un rendimento maggiore di 0,85, con un minimum di 0,80,
per cui i costruttori di queste macchine sogliono rendersi garanti.
Oltre alle perdite di effetto utile, che hanno luogo negli
apparati elettrici, si hanno quelle che sì verificano nella tra-
smissione del movimento dalla macchina motrice alla macchina
dinamo-elettrica caricante, e dal motore elettrico alle macchine
che si vogliono attivare col medesimo, e di queste si può in
ogni caso tener conto nei modi usati nella meccanica.
Se, come possiamo nelle circostanze medie ordinarie, rite-
niamo che la perdita di effetto utile dovuta alla trasmissione
del movimento dal motore alla macchina dinamo-elettrica ser-
vente alla carica degli accumulatori sia eguale al 20 per cento
del lavoro speso, e se facciamo uso dei coefficienti di rendimento
sopra riferiti, deduciamo che:
Per un lavoro sull'albero del motore, uguale a. . . 1,00
Si ha sull'albero della macchina dinamo-elettrica, che
serve alla carica, un lavoro uguale a 0,80
Nella corrente caricante si ha una energia uguale a . 0,68
Si immagazzina nell'accumulatore una quantità di
energia 0,61
Produz., accuifìulaz. e distribuz. dell'energia elettrica. 137
Se ne ricava nella scarica una corrente, la cui energia è 0,52
E si ottiene finalmente sull'albero motore del motore
elettrico, ossia della macchina dinamo-elettrica ricettrice
un lavoro uguale a 0,44
Sono questi i dati che noi abbiamo relativamente agli ac-
cumulatori di Paure; e con questi dati possiamo tentare di
renderci conto del loro valore industriale, delle loro possìbili
applicazioni, e, per quanto è possibile, del loro avvenire pro-
babile.
12. La società La force et la lumiere esordi con un pro-
getto altamente grandioso, il quale attrasse, come era destinato
ad attrarre, sugli accumulatori del Paure il più vivo interesse
del pubblico. La società si proponeva d'impiantare in opportuae
località centrali potenti motori, a vapore od idraulici, di accu-
mulare, per mezzo di macchine dinamo-elettriche, il lavoro di
questi motori in grandi batterie di accumulatori voltaici, e di
distribuire giornalmente gli accumulatori caricati ai diversi
opifìzi, sopratutto ai piccoli laboratori, dove per mezzo di mac-
chine dinamo-elettriche adoperate come ricettori, o con appositi
motori elettrici, si sarebbe trasformata un'altra volta in lavoro
meccanico 1' energia accumulata. Si sarebbe così realizzata una
distribuzione del lavoro meccanico, o, come si suol dire impro-
priamente, della forza, a domicilio, senza bisogno di gomene
conduttrici, e, secondo i programmi che si pubblicavano sui
giornali e sulle cantonate, ad un prezzo minimo, tale da detro-
nizzare tutti i piccoli motori a vapore ed a gas, che animano
oggidì la piccola industria.
Un progetto di questa natura merita di essere studiato, e
noi possiamo studiarlo, almeno quanto basta per decidere sulla
sua praticabilità, per mezzo dei numeri che abbiamo riferito qui
sopra. A quest'uopo io considererò un esempio numerico, e per
evitare il pericolo dì incorrere in errori che possano mascherare
la convenienza del progetto, lo sceglierò nelle condizioni più
favorevoli. La condizione di massima convenienza economica
per un' intrapresa come quella di cui si tratta è quella di un
impianto su vasta scala, per la distribuzione di una grande
quantità di forza motrice; io supporrò adunque che nello sta-
bilimento centrale si voglia produrre ed accumulare tanta energia
che basti per distribuire agli abbonati loooo cavalli-vapore per
12 ore al giorno. Per pormi poi nelle condizioni della più grande
138 Parte prima.
economia, supporrò che la forza motrice si possa ottenere eoa
motori idraulici, e nel calcolo, che farò del costo per l'impianto
di questi motori, farò tutte le ipotesi più favorevoli.
Valuterò, per ordine, in parte, le spese generali d'impianto
e di provvista di materiale^ e le spese giornaliere per la di-
stribuzione degli accumulatori. Ne dedurrò un limite inferiore,
minimo, del costo che potrà avere un cavallo-vapore dato a
domicilio ad uno degli utenti.
Comincio dalle spese generali d* impianto, e considero per
prima cosa l'impianto dei motori.
Benché dai numeri che ho dato più sopra risulti che nel
passaggio dell'energia dall'albero della macchina motrice all'al-
bero del ricettore elettrico situato in casa dell'utente, attraverso
agli accumulatori, si perde il 66 per cento del lavoro speso,
tuttavia pel desiderio di errare piuttosto in favore che a scapito
del progetto, riterrò che, per le buone disposizioni di tutto il
sistema, la perdita complessiva di effetto utile sia soltanto del
50 per cento. In questa ipotesi, per distribuire agli utenti loooo
cavalli per la durata giornaliera di 12 ore bisogna che i motori
producano giornalmente 12 x 20 000 cavalli-ore; quindi, ammesso
che lavorino tutte le 24 ore, basterà che essi abbiano la potenza
di loooo cavalli. Le migliori condizioni per l'economia dell'im-
pianto dei motori idraulici corrispondono al caso di una caduta
di altezza piuttosto grande; io supporrò perciò che si abbia un
salto di 20 metri, e che lo si voglia utilizzare con 50 turbine
di 200 cavalli ciascuna. Ciascuna di queste potrà pesare ap-
prossimativamente 16000 chilogrammi e costare 20000 lire. Si
avrà adunque il costo:
Per le 50 turbine L. i 000 000
Per la muratura occorrente „ 500000
Per la copertura di una parte „ 50000
Per lavori di scavo „ 20000
Totale L. i 570 000
Sul quale numero bisogna osservare, che esso è certamente
minore del vero, giacché nel calcolarlo si sono supposte le
opere di muratura ridotte al minimo, e si é fatta l' ipotesi che
non occorressero lavori pel canale di arrivo e per quello di fuga.
Considero in secondo luogo la spesa per la provvista degli
accumulatori.
Produz,, accttmulaz. e distribuz, dell'energia elettrica. 139
Se si ammette, secondo i dati dell'inventore, che il coeffi-
ciente di rendimento nella scarica sia 0,85, e che il coefficiente
di rendimento della macchina dinamo-elettrica ricettrice sia
ugualmente 0,85, sé ne deduce che per avere loooo x 12 ca-
valli-ore utilizzabili, occorre immagazzinare negli accumulatori
--- -— cavalli-ora, ossìa 166667 cavalli-ora. Siccome poi
0,85x0,85 ' ^
sono necessari 50 accumulatori per contenere 20 cavalli-ora,
50
per contenere 166667 cavalli-ore ne abbisognano 166667 x - ,
ossia 416667.
Per fare la distribuzione dell' energia, secondo il progetto,
è necessario avere due batterie di accumulatori, delle quali una
sia allo stabilimento centrale per la carica, mentre l'altra è in
azione presso gli utenti; inoltre è indispensabile una riserva di
accumulatori uguale, al minimum, ad una mezza batteria, ossia
al quarto delle pile in opera; dunque il numero degli accumu-
latori da provvedersi nel primo impianto non potrà essere in-
feriore a 416 667 X 2,5 ossia a i 041 668. Tuttavia per fare una
ipotesi in favore dell'economia, arrotonderemo il numero ridu-
cendolo ad I 000 000.
11 prezzo, a cui la società Laforcfi et la lumière vende attual-
mente gli accumulatori è di lire 100 per ciascuno. Ritenendo
che nell'avvenire questo prezzo possa diminuire notevolmente,
io sostituirò ad esso un prezzo minimo calcolato in base a
quello del materiale di cui la pila è composta, prezzo al di
sotto del quale non si potrà discendere senza cambiare del
tutto la composizione della pila.
Per 8 chilogrammi di piombo laminato. . . . L. 6,40
Per II chilogrammi di minio „ 11 „
Per 3 metri quadrati di feltro „ 9 „
Pel truogolo „ 6^
Pei morsetti, filo d'unione, acido, accessori . . „ 3 „
Mano d'opera „ 5„
Totale L. 40,40
lo assumo, tralasciando i centesimi, il valore di 40 lire, e
facendo certamente un notevole errore in favore dell'economia,
lo considero come realizzabile. Con questo prezzo, i 000 000 di
accumulatori importano la spesa di lire 40000000.
140 Parte prima.
Considero in terzo luogo le macchine dinamo-elettriche ne-
cessarie per la carica. Queste macchine dovranno consumare il
lavoro di io 000 cavalli. Siccome non si può dire, per ora, se
le grandi macchine come quella di Edison potranno entrare e
diffondersi nella pratica, né si può per ora stabilire il loro
prezzo, così riterrò, come approssimazione, che le macchine
dinamo-elettriche che adoperansi, analoghe alle massime oggidì
costruite dal Siemens, costino lire 200 per cavallo, e quindi in
tutto 2000000 lire.
Finalmente terrò conto delle spese per l'edifizìo delle mac-
chine, dei magazzini, degli uffizi, per le trasmissioni e per ^li
accessori, ammettendole, sicuramente con un errore in meno,
uguale a 500000 lire.
Con ciò, e colla certezza di errare in meno, possiamo cal-
colare la spesa d'impianto:
Pei motori, compreso l'edificio e le opere di
scavo L. I 570 000
Per gli accumulatori „ 40000000
Per le macchine dinamo-elettriche . . . . , 2000000
Per Tedifizio delle macchine, dei depositi, del-
l'amministrazione, ecc., e per le trasmissioni „ 500 000
Totale L. 44070000
Passando alle spese annue dell' esercizio, noi troviamo in
primo luogo quella rappresentata dall'ammortizzazione e dall'in-
teresse del capitale impiegato nell' impianto. Trattandosi di un
materiale di cui la parte più costosa, costituita dagli accumu-
latori, è per sua natura di breve durata, e necessita inoltre
frequenti operazioni di pulitura e di riadattamenti, la quota di
ammortizzazione deve ritenersi molto elevata. Pensando che lo
stesso inventore non promette per gli accumulatori una durata
maggiore di 15 anni, e che questa durata deve necessariamente
essere diminuita dai giornalieri trasporti; considerando inoltre
che in questo intervallo di tempo la pila non può a meno di
richiedere operazioni di riadattamento corrispondenti, per la
spesa, ad un completo rifacimento, io credo di stare molto al
disotto di quel che bisognerebbe in un preventivo, dando alla
quota di ammortizzazione e d' interesse il valore complessivo
del 12 per cento. Ne risulta una spesa annua di 5288400 lire.
Produz., accumulaz. e distribuz. delVenergia elettrica, 141
Troviamo poi un'altra spesa gravissima: quella pel trasporto
quotidiano degli accumulatori carichi dallo stabilimento centrale
agli opifìzi degli utenti, e pel ritorno da questi allo stabilimento
centrale, dopo che si sono scaricati. Un accumulatore pesa
25 chilogrammi; i 416667 accumulatori che si debbono portare
e riportare ogni giorno, pesano adunque 416 667 x 25 chilo-
grammi, ossia IO 416 tonnellate. Se, per fare anche qui un'ipotesi
favorevole, supponiamo che la media distanza degli utenti dallo
stabilimento centrale sia appena di due chilometri, talché, com-
preso il ritorno, si abbia a percorrere la media distanza di
4 chilometri, abbiamo giornalmente io 416 j< 4, ossia 41 664 ton-
nellate-chilometri. Trattandosi di un materiale che richiede nel
maneggio qualche riguardo, non sarà possibile, anche nelle mi-
gliori condizioni, fare i trasporti con una spesa inferiore a
lire 0,50 per tonnellata-chilometro, onde risulta una spesa gior-
naliera di 20 832 lire. Se il trasporto si fa per 300 giorni all'anno,
la spesa annua pel trasporto ammonta a 6 249 600 lire.
Oltre a queste sarebbero a considerarsi le spese per lavori
di riparazione e manutenzione, le spese pel personale, quelle
per l'amministrazione, le imposte, i diritti degli inventori, ecc.»
le quali, insieme, potrebbero elevarsi ad una somma dell'ordine
di grandezza di quelle che abbiamo calcolato. Per lo scopo
nostro, però, è inutile che ci affatichiamo a calcolarle: per giu-
dicare della praticabilità della intrapresa, ci basta la conoscenza
della quota d'ammortizzazione e d'interesse, e quella della spesa
dei trasporti.
Se sommiamo infatti le due spese che abbiamo calcolato,
troviamo la somma di 11 538 000 lire. Per coprire questa sola
parte delle spese si dovrebbe far pagare agli utenti la somma
,. ,. II 538000 . . ,. . ,.
annua di lire — , ossia circa 1154 lire per ogni cavallo-
io 000
vapore dato per 300 giorni e per 12 ore al giorno.
E siccome l' utente dovrà essersi provveduto di una mac-
china dinamo-elettrica per farla funzionare come motrice me-
diante la corrente somministrata dagli accumulatori, la quale
macchina, installata, può costare almeno 1000 lire, così bisognerà
aggiungere, come quota d'ammortamento e d'interesse 100 lire.
La spesa adunque a cui l'utente dovrà sottostare per un
cavallo sarà, tenuto conto delle sole spese di cui abbiamo parlato,
uguale a 1254 lire all'anno, oltre a quelle pel meccanico, per
la sorveglianza e per la condotta dell'apparecchio.
142 Parte prima.
Se avessimo tenuto conto delle altre spese che abbiamo
tralasciato, avremmo certamente trovato, invece di 1254 lire,
1500 lire o più, senza contare il profitto di chi fa la distri-
buzione.
E se invece di assegnare ad una pila Faure il prezzo minimo
di 40 lire, avessimo introdotto nel calcolo il prezzo attuale di
tire 100, col quale la pila viene venduta, avremmo trovato per
la spesa, a cui 1* utente dovrebbe sottostare per ogni anno e
per ogni cavallo, unicamente per coprire le spese di ammor-
tizzazione e di trasporto, il valore di 1874 lire.
Ora supponiamo che, invece di servirsi dell' energia accu-
mulata nelle pile secondarie, il medesimo utente si serva di una
motrice propria, e come pel calcolo precedente abbiamo fatto
le ipotesi più vantaggiose, così adesso poniamoci nel caso meno
favorevole per l'economia. Il meno favorevole dei casi è quello
di un utente, che non ha bisogno che di una pìccola forza mo-
trice, per esempio, di un cavallo, e che per procurarsela è ob-
bligato a servirsi di un piccolo motore, per esempio, di una
macchina a gas. Consideriamo adunque questo caso. Si ritiene
che una macchina a gas di Otto della potenza di un cavallo ed
in buone condizioni consumi approssimativamente un metro
cubo di gas per cavallo e per ora. In 12 ore di lavoro giorna-
liero la macchina consumerà adunque 12 metri cubi, ed in
300 giorni di lavoro 3600 metri cubi di gas. Col prezzo di
25 centesimi per metro cubo questo volume di gas costerebbe
900 lire; e se a questa somma noi aggiungiamo 300 lire, quota
d'interesse e d'ammortamento del valore della macchina, va-
lutato in 2500 lire e della spesa d'installazione, valutata in
500 lire, troviamo che la spesa annua per un cavallo vapore,
non tenuto conto del personale, è dì 1200 lire.
Siccome tanto la macchina dinamo elettrica quanto la mo-
trice a gas possono funzionare lodevolmente con pochissima
sorveglianza, così le spese pel personale si possono ritenere
uguali nei due casi. Quindi i numeri che abbiamo trovato si
possono confrontare. 11 confronto ci dimostra che essi sono
pressoché uguali; dunque concludiamo, che il costo di un ca-
vallo-vapore nel caso della minima economia, nel caso cioè di
una macchina a gas di un solo cavallo, basterebbe appena a
coprire le spese necessarie per l'ammortizzazione della spesa
d'impianto e pel trasporto giornaliero degli accumulatori, e ciò
anche nell'ipotesi che tutte le condizioni sieno le più favorevoli
Produz,, accumulaz, e disiribuz. dell'energia elettrica. 143
air impiego degli accumulatori, e che il prezzo degli accumu-
latori si riduca un giorno al 40 per cento di ciò che esso è
attualmente.
Non è necessario aggiungere, che se invece del caso di un
utente il quale, non avendo bisogno che di un cavallo, deve
procurarsi una piccola macchina a gas, si fosse considerato il
caso di un industriale che adopera una macchina a vapore di
12 o di 15 cavalli, il confronto sarebbe riuscito assai meno fa-
vorevole pel sistema della distribuzione della forza con le pile
secondarie.
13. Del resto, indipendentemente da questi confronti, si
deve osservare che Tuso degli accumulatori non costituisce il
solo modo per la distribuzione della energia per mezzo della
elettricità. Invece di immagazzinare l'energia di una corrente
elettrica in una batteria di accumulatori, per distribuirla, cosi
immagazzinata, agli utenti, i quali ne ricavino di nuovo una
corrente elettrica, si può assai più semplicemente, e, quel che
più monta, assai più economicamente, distribuire addirittura fra
gli utenti la corrente elettrica prodotta dalle macchine dinamo-
elettriche dello stabilimento centrale, trasmettendola lungo con-
duttori metallici. Invece di fare una distribuzione per mezzo di
secchie e di carri, si può fare una distribuzione per mezzo di
una canalizzazione, e ciò con maggiore semplicità, e con eco-
nomia incomparabilmente più grande.
Che col sistema della canalizzazione si guadagni in sem-
plicità è evidente; che si ottenga con esso una economia in-
comparabilmente più grande di quella che si avrebbe cogli
accumulatori, possiamo dimostrare in poche parole.
A quest'uopo supponiamo di volere, come sopra, distribuire
ad utenti situati ad una distanza media di due chilometri da un
motore idraulico centrale una forza motrice di loooo cavalli;
ma supponiamo questa volta di voler fare la distribuzione in-
viando direttamente una corrente elettrica dallo stabilimento
centrale alla macchina dinamo • elettrica ricettrice di ciascun
utente.
Proponiamoci di renderci conto della spesa occorrente in
questo caso. Dobbiamo valutare il costo d'impianto dei motori
e poi quello delle gomene elettriche con cui si farà la cana-
lizzazione.
E oggidì un fatto universalmente ammesso, come dimostrato
da tutte le esperienze, e noi avremo occasione di discorrerne
144 Parte prima.
in altro momento, questo: che nel trasporto del lavoro mecca-
nico a distanza per mezzo di due macchine dinamo-elettriche
funzionanti Tuna come generatrice della corrente e l'altra come
ricettrice della medesima e produttrice di lavoro, si può ordi-
nariamente, mediante buone proporzioni, ottenere un coefficiente
di rendimento uguale, od anche superiore a 0,50. Ammesso,
che le cose si proporzionino in modo da ottenere questo coef-
ficiente di rendimento, noi, per distribuire agli utenti 10,000 ca-
valli effettivi, dovremo avere nello stabilimento centrale un
sistema di motori di 20000 cavalli.
Facendo le medesime ipotesi che ci servirono nell'esempio
precedente, ma valutando i prezzi più largamente, potremo
ammettere che l'insieme dei motori costi 3000000 lire.
Il prezzo dei conduttori metallici, si può calcolare come segue:
Abbiamo ammesso che il coefficiente di rendimento della
trasmissione del lavoro delle macchine motrici alle macchine
dinamo-elettriche generatrici valga 0,80, e che il coefficiente d*
rendimento di ciascuna delle macchine dinamo-elettriche coniu-
gate sia uguale a 0,85. Ne deduciamo che spendendo un lavoro
di 20000 cavalli, le macchine dinamo-elettriche generatrici tra-
sformano in energia elettrica cavalli 20000x0,80x0,85, ossia
13 600 cavalli ; e che le macchine ricettrici, per produrre il lavoro
di IO 000 cavalli, consumano una energia elettrica equivalente a
1 0000
- — cavalli, ossia a 11 765 cavalli. La differenza tra i due nu-
0;85
meri 13 600 ed 11 765 è il numero di cavalli- vapore che si con-
sumano nel circuito della corrente trasformandovisi in calore.
Nel circuito si trasformano adunque in calore 1835 cavalli-vapore,
ossia 137625 chilogrammetri per minuto secondo.
Ora, se si rappresenta con L questo numero di chilogram-
metri trasformato in calore nel circuito in ogni minuto secondo,
e se con i e con r si rappresentano l'intensità della corrente
espressa in ampère e la resistenza totale del circuito espressa
in oA/«, si ha dicendo g l'accelerazione della gravità:
gL = riK
Se d'altra parte si rappresenta con e la differenza tra la
forza elettro-motrice della macchina dinamo-elettrica generatrice
e la forza elettro-motrice inversa della macchina ricettrice, si ha
. e
r
Produz,, accumuiaz. e distribuz. dell'energia elettrica. 145
1
Dalle due uguaglianze deduciamo
e^
r= — -.
Questo valore di r cresce con e, e siccome il peso ed il
prezzo del metallo crescono col diminuire della resistenza r,
così, per fare una ipotesi sfavorevole alla economia, attribuiremo
alla differenza di potenziali e un valore minore di quelli che si
avrebbero certamente quando si facesse un impianto studiato a
dovere. Supponiamo che le due forze elettro-motrici, di cui e
è la differenza, siano uguali a 400 ed a 200 volt^ e che quindi
sia « = 200. Ponendo nella ultima formula questo valore, e po-
nendo 5=9,81, Z, = 137625, ricaviamo
r = o,®**" 030.
Di questa resistenza totale una parte sarà rappresentata
dalla resistenza interna delle due macchine. Ritenendo che la
somma delle resistenze interne delle due macchine rappresenti
la metà della resistenza totale, avremo pel valore della resistenza
esterna, ossia del conduttore che congiunge le due macchine
il valore di 0,015 ohm.
Se adunque diciamo 0 la resistenza specifica del metallo con
cui il conduttore è fatto, / la sua lunghezza in centimetri, ed s
la sua sezione in centimetri quadrati, abbiamo
e/
0,015 = -^ .
Ponendo p = 0,00000162, com'è pel rame, e ricordando che
/ vale quattro chilometri ossia 400 000 centimetri, ne deduciamo
Questa è, in centimetri quadrati, la somma delle sezioni di
tutte le gomene con cui si farà la distribuzione delle correnti;
Is
il volume loro, espresso in litri, vale , ossia 17280. Sic-
1000
come il rame ha il peso specifico 8,9, così il peso totale delle
gomene risulta uguale a 17 280 x 8, 9, ossia a 153 792 chilo-
g^rammi, che al prezzo di 4 lire per chilogrammo costano
lire 615 168.
G. Ferraris, Optrw, Voi. IL io
146 Parte prima,
T" ^
Possiamo adunque calcolare come segue l'ammontare delle
spese generali d'impianto del sistema:
Per i motori idraulici L. 3 000 eoo
Per le macchine dinamo-elettriche generatrici. „ 4000000
Per le gomene di rame per la trasmissione
delle correnti „ 615 168
Per l'isolamento e per la posa delle medesime,
una metà del costo . . „ 307584
Totale L. 7 922 752
Se, come abbiamo fatto studiando il caso degli accumulatori,
tralasciamo di considerare le spese pel personale, per la manu-
tenzione, per l'amministrazione, Tunica spesa annua che si
abbia a considerare è l'ammortizzazione e l'interesse delle spese
d'impianto. Ritenendo anche qui che la quota d'ammortamento
e d' interesse sia del 12 per cento, abbiamo la spesa annua di
lire 950 730, che divisa fra loooo cavalli risulta, per ogni ca-
vallo, uguale a lire 95,07.
Quésto numero sta a quello che abbiamo trovato pel caso degh'
accumulatori, nelle circostanze e colle ipotesi più favorevole*, come
I a 13,2; e sta a quello che avremmo trovato attribuendo agli
accumulatori il prezzo attuale di lire 100, come i sta a 19,92.
Possiamo adunque asserire con sicurezza:
i.** Che gli accumulatori voltaici ad elettrodi di piombo
come quelli di Faure, o somiglianti, non possono convenire
nella distribuzione della forza motrice su vasta scala.
2." Che se la distribuzione della forza motrice per mezzo
della elettricità si potrà fare un giorno industrialmente, su
grande scala, la si farà certamente distribuendo le correnti
elettriche per mezzo di una ramificazione dì conduttori metallici,
per mezzo di una canalizzazione, piuttosto che per mezzo degli
accumulatori.
Chi preferisse una distribuzione per mezzo di accumulatori
alla distribuzione per mezzo di gomene metalliche, farebbe
r errore di chi credesse preferibile distribuire alle case di una
città r acqua per mezzo delle secchie, al distribuirla con una
tubulazione. Ma Terrore sarebbe assai più grave nel caso della
distribuzione della elettricità che nel caso della distribuzione
dell'acqua, perchè per l'elettricità le secchie, che sono gli accu-
mulatori, costerebbero carissimo e sarebbero molto pesanti.
Produz,, accumulaz, e distribuz, dell'energia elettrica. 147
14. Insieme alla forza motrice la società La force et la
lumiere si proponeva di distribuire a domicilio la luce, alimen-
tando colla corrente ricavata da una batteria di accumulatori
lampade elettriche ad incandescenza come quelle di Swan, di
Maxim o simili. Questo progetto è più razionale del prece-
dente: per la distribuzione dell'illuminazione le condizioni eco-
nomiche sono alquanto migliori che per la distribuzione del
lavoro meccanico. Infatti la corrente ottenuta con una batteria
di accumulatori dà direttamente la luce nelle lampade elettriche,
senza bisogno di altre trasformazioni, mentrechè chi volesse
attivare quelle medesime lampade elettriche servendosi di una
macchina motrice e di una macchina dinamoelettrica, dovrebbe
operare la trasformazione dell'energia meccanica in corrente
elettrica, per ottenere poi da questa la luce, e nella trasforma-
zione dovrebbe inevitabilmente sottostare ad una perdita di
effetto utile. Tuttavia le condizioni non sono abbastanza mi-
gliorate perchè la cosa si possa, in generale, dire conveniente.
Dobbiamo distinguere due casi.
Il primo caso è quello nel quale i locali da illuminarsi ap-
partengono a stabilimenti industriali, ove sia possibile installare
una motrice ed attivare le lampade elettriche direttamente con
le correnti di una apposita macchina dinamo-elettrica.
Siccome nel calcolo che abbiamo fatto relativamente al
trasporto della forza motrice abbiamo assunto, come coefficiente
di rendimento della macchina ricettrice, destinata a trasformare
in lavoro meccanico V energia della corrente di scarica, il nu-
mero 0,85, così ad un cavai lo- vapore utilizzato corrisponde una
energia della corrente di scarica equivalente a cavalli — — -
ossia a cavalli 1,18; una corrente di uguale energia si otter-
rebbe mediante una macchina dinamo-elettrica con coefficiente
di rendimento uguale a 0,85 attivata da una macchina motrice
I 18
di cavalli ' , ossia di cavalli 1,38.
o»85
Ora riferendoci ai risultati del calcolo precedente possiamo
per approssimazione ritenere che il lavoro di cavalli 1,38 nel
caso più sfavorevole di una piccola motrice a gas costi
lire 1200x1,38 = 1656; invece il lavoro elettrico dato dagli
accumulatori costa per la sola ammortizzazione delle spese
d'impianto e per le spese di trasporto almeno lire 1254, se
gli accumulatori costano sole lire 40, e lire 1874 se, come at-
148 Parte prima.
tualmente, costano lire 100. Essendo evidente che il prezzo da
noi calcolato, per l'energia trasportata per mezzo degli accumu-
latori, è molto al di sotto del vero, e forse non raggiunge la
metà del prezzo effettivo, il confronto dei numeri precedenti
dimostra che nel caso considerato il trasporto dell'energia cogli
accumulatori non può essere economico nemmeno per la illu-
minazione. A fortiori ciò si potrebbe dire se si considerasse il
caso della illuminazione di stabilimenti industriali nei quali la
forza motrice per le macchine dinamo-elettriche si potesse ri-
cavare dai grandi motori che servono agli altri lavori.
Il secondo caso è quello nel quale i locali da illuminarsi
appartengono ad abitazioni private, ove non si può pensare ad
installare un motore semplicemente allo scopo di fare T illumi-
nazione. Per questo caso possiamo renderci conto delle condi-
zioni di convenienza economica dell'illuminazione elettrica fatta
per mezzo degli accumulatori, confrontando il costo della me-
desima con quello della illuminazione equivalente fatta col gas.
Neil' esame del problema del trasporto della forza motrice ab-
biamo trovato che, solamente per coprire l'ammortamento delle
spese d'impianto e le spese di trasporto, occorrerebbe per ogni
cavallo trasportato a domicilio la spesa annua di lire 1874 at-
tualmente, e quella di lire 1254 quando nell'avvenire il prezzo
di un accumulatore si potesse ridurre da 100 a 40 lire. Siccome
abbiamo fatto il calcolo per 300 giorni di lavoro e per 12 ore
al giorno, così ne dedurremo che per la sola parte di spesa su
nominata un cavallo-ora trasportato a domicilio deve costare
1874 ,. , . . 1
presentemente — == 0,52 lire, e costerà al mmimo nel-
12 X 300
12^4
l'avvenire — = o,3s lire. Ora un cavallo-ora dato da un
12 X 300
ricettore dinamo-elettrico corrisponde ad —^ cavalli-ora nella
0,85
corrente elettrica, e questa corrente si può ottenere spendendo
sull'albero di una macchina dinamoelettrica cavalli-ore «- x - „
0,85 0,85
ossia 1,38. E col lavoro di cavalli 1,38 si possono alimentare
circa 14 lampade ad incandescenza di Swan equivalenti ciascuna
a 1,5 Carcel, e così si può ottenere una illuminazione equiva-
lente a 21 becchi Carcel. Dunque concludiamo che una illumi-
nazione di 21 becchi Carcel ottenuta cogli accumulatori coste-
rebbe attualmente per le sole spese d* impianto e di trasporto
Produz,, accumtilaz. e distribuz. dell'energia elettrica, 149
lire 0,52 all'ora, ed al minimum potrà costare nell'avvenire
lire 0,35. Col gas invece la medesima quantità di luce si otter-
rebbe consumando circa 2,1 metri cubi all'ora, che al prezzo
di 25 centesimi costerebbero lire 0,53. Siccome i numeri cal-
colati per gli accumulatori non rappresentano che una piccola
parte del prezzo effettivo, così si può conchiudere che anche
in questo caso l'illuminazione elettrica ottenuta per mezzo degli
accumulatori caricati in un opifizio centrale e portati a domicilio
non può in nessun modo essere economica oggidì, e difficil-
mente potrà diventarlo in avvenire.
15. Riassumendo ciò che riguarda l'impiego delle pile se-
condarie per la distribuzione della forza e della luce, impiego,
che, secondo le promesse dell'inventore, doveva essere il più
importante, e dal quale la società proprietaria dell'apparecchio
ha desunto il proprio nome, noi ci formiamo la convinzione che
i progetti grandiosi che si sono formati non possono oggidì, e
non potranno probabilmente mai essere tradotti in pratica. La
distribuzione a domicilio dell'energia meccanica e della luce,
fatta per mezzo delle pile secondarie, non potrà convenire se
non per piccole applicazioni, nelle quali abbisognino lavori
motori minimi o minime quantità di luce. £ veramente se noi
ripensiamo alle cose che si vedevano esposte nel palazzo del-
l' industria, troviamo che le macchine che lavoravano animate
dalle pile del Paure erano unicamente macchine da cucire, ed
altri apparecchi somiglianti, pei quali bastava il lavoro di pochi
chilogrammetri per minuto secondo. Si fecero bensì durante
l'esposizione alcuni esperimenti nei quali colle pile Paure si
ottenevano lavori di uno o più cavalli; e ad alcuni di questi
esperimenti dovetti prendere parte io stesso durante il lavoro
dei giurati, ma quegli esperimenti non potevano servire ad altro
che a determinare i coefficienti di rendimento meccanici, e non
potevano dire nulla sulla parte più grave della questione, che
è quella dei prezzi.
16. Oltre alla applicazione della quale abbiamo parlato, la
società La force et la lumière ne indicava alcune altre, e prima fra
queste quella che si sarebbe fatta alla trazione delle carrozze
sulle tramvie.
Le considerazioni che ho avuto occasione di fare poc* anzi,
relativamente al prezzo ed al peso delle pile secondarie a piombo,
bastano a fare presentire che una così fatta applicazione non
potrà forse mai convenire. Senza dilungarmi per giustificare con
150 Parte prima.
considerazioni numeriche questa previsione, io citerò in ap-
poggio della medesima un esperimento. Nel giorno 15 giugno
scorso, sulla linea delia tramvia di Vincennes (tra il Boulroard
Richard Lenoir e la Barrière du Tróné) si mise in moto un
omnibus per mezzo della corrente elettrica data da una batteria
di accumulatori Faure collocata su di esso. La velocità ottenuta
fu di IO chilometri all'ora. Il generatore elettrico era costituito
da 180 accumulatori Faure, che, insieme, pesavano 1700 chilo-
grammi. Da questo risultato si può trarre la conclusione, che
per ottenere il lavoro che potrebbero fare due cavalli d'omnibus
del valore di forse 2600 lire, bisognerebbe fare una prima spesa
di 20000 lire, caricare la carrozza di un peso morto di 1700 chi-
logrammi, ed andare incontro ad una spesa per l'esercizio e
per la manutenzione, che, se non si può calcolare, si può però
prevedere molto elevata.
Fra le applicazioni possibili degli accumulatori si parlò
anche di questa: accumulare durante l'intera giornata il lavoro
di una motrice di piccola potenza, per utilizzarlo in operazioni,
che richiedono una forza motrice grande, ma per un tempo
breve. È questa una delle applicazioni che si presentano prima,
da sé, alla mente; ma analizzata colla scorta dei dati numerici
che possediamo, si riconosce vantaggiosa soltanto quando il
tempo per cui si ha bisogno del lavoro sia brevissimo. Lo scopo
dell'applicazione si riduce ad una economia nell'acquisto del
motore; e per ottenerlo si fa una nuova spesa per l'acquisto
del materiale elettrico. Confrontiamo ciò che si risparmia con
ciò che si spende; e a quest'uopo consideriamo, come esempio,
il caso nel quale si voglia far servire una motrice di un ca-
vallo, che lavori tutta la giornata, ad accumulare l'energia ne-
cessaria per fare un lavoro che richiede 6 cavalli durante 4 ore
sole. In questo caso si risparmierebbero nell'acquisto del motore
forse 6000 — 2500 = 3500 lire. Ma per compenso si dovrebbero
provvedere:
i.° Per l'accumulazione di 4x6 = 24 cavalli-ore 60 ac-
cumulatori, che costano attualmente lire 60 x 100 = 6000, e che
al minimum potranno costare nell'avvenire lire 60 >?. 40 = 2400 ;
2.° Una macchina dinamo-elettrica da un cavallo, per la
carica, ed una da 6 cavalli, per la scarica, le quali potranno
costare almeno 4000 lire.
Dunque per risparmiare 3500 lire si dovrà sopportare una
maggiore spesa, che, col prezzo attuale degli accumulatori, può
Produz,, accumuiaz. e distribuz. de W energia elettrica, 151
ammontare a loooo lire, e che neir avvenire non potrebbe
scendere al disotto di 6400 lire. Se la corrente prodotta dagli
accumulatori non si dovesse trasformare in energia meccanica,
si risparmierebbero sulla spesa ora calcolata lire 3000 per la
macchina dinamo-elettrica ricettrice di sei cavalli, la quale non
sarebbe più necessaria, e così la spesa totale si ridurrebbe a
7000 lire attualmente e 3400 al minimum nell' avvenire. Nem-
meno in questo caso non vi sarebbe economia.
L'economia però potrebbe aversi quando il numero delle
ore, per cui si ha bisogno della corrente, fosse ancora più pic-
colo, giacché in questo caso, mentre rimarrebbe la stessa la
spesa per la provvista degli accumulatori, si farebbe maggiore
il risparmio nell'acquisto della macchina motrice.
Analoga alla precedente è l'applicazione che si può fare
alla utilizzazione di forze motrici, che si hanno a buon mercato
o gratuite, ma che non si possono impiegare direttamente,
perchè troppo variabili. Non è impossibile che in alcuni casi
l'applicazione possa convenire; non lo si potrebbe però dimo-
strare in generale.
17. Dopo di aver esaminato quelle applicazioni che, benché
dagli inventori poste innanzi per le prime, non potranno essere
tradotte utilmente in pratica, o non lo potranno se non in casi
speciali, io arrivo ad altre applicazioni alle quali si attribuì
finora una importanza secondaria, od a cui non si é ancora
pensato, e che tuttavia mi si presentano come pratiche e ve-
ramente ricche di avvenire.
Colloco fra queste l'applicazione che si può fare delle pile
dì Paure ad utilizzare durante il giorno le macchine dinamo-
elettriche, che di notte s'impiegano direttamente per la illumi-
nazione. L'occasione di pensare ad un'applicazione di questa
natura si può presentare, per eseoipio, alle amministrazioni di
ferrovie; se su di una linea di strada ferrata si hanno stazioni
illuminate di notte con lampade elettriche, il che nell'avvenire
sarà il caso generale, può essere ragionevole studiare se per
avventura non convenga adoperare durante il giorno le mac-
chine dinamo-elettriche destinate a queste lampade, e caricare
con esse batterie di accumulatori destinate alla illuminazione
delle sale, degli uffizi, delle carrozze, od anche delle stazioni
minori. È questa una questione che non si può decidere in ge-
nerale, ma che merita d'essere studiata, nei singoli casi speciali,
dalle amministrazioni.
152 Parte prima.
Analoga a questa, ma più grandiosa, è l'applicazione che si
potrà fare degli accumulatori alla illuminazione elettrica delle
abitazioni private, quando, come potrà verificarsi nell'avvenire,
la luce elettrica avrà sostituito il gas nell'illuminazione pub-
blica. Se un giorno avverrà che per le vie e sulle piazze delle
città gli attuali becchi a gas si veggano rimpiazzati da lampade
elettriche, e se, come a suo luogo dimostrerò essere probabile,
queste lampade saranno ad arco voltaico, e perciò inette alla
illuminazione domestica, allora potrà accadere che gli accumu-
latori voltaici vengano collocati nelle abitazioni private ed uti-
lizzate per l'illuminazione di queste con lampade ad incande-
scenza. La carica degli accumulatori si farebbe allora per mezzo
di correnti derivate dai grandi circuiti dell'illuminaziane pubblica,
e la corrente di scarica, che potrà differire per durata, per in-
tensità, per forza elettro-motrice da quella che ha servito alla
carica, potrà sempre, con buone proporzioni e disposizioni degli
apparecchi, ridursi alle condizioni più convenienti per le lampade
domestiche ad incandescenza. Potrà accadere eziandio che la
carica degli accumulatori pei privati si faccia lungo il giorno,
riservando, nella sera, tutta l'energia delle correnti alla illumi-
nazione pubblica. Se questa applicazione verrà un giorno a
verificarsi, gli accumulatori di Faure faranno nelle case, per la
distribuzione elettrica, ciò che fanno, nelle distribuzioni di acqua
potabile, i serbatoi. £ considerando la cosa da questo punto di
vista, si può dire: non si può per ora prevedere se 1* illumi-
nazione elettrica diventerà un giorno generale e si estenderà
alle case private come ai luoghi pubblici, ma si può asserire
che se questo avverrà, le pile secondarie diventeranno una delle
parti essenziali dell'apparecchio.
Fin d' ora, intanto, si adoperano con profitto gli accumu-
latori voltaici come regolatori delle correnti per l'illuminazione
con lampade ad incandescenza come quelle di Swan.
Ma la più importante delle applicazioni, che forse fin d'oggi
si potrebbe tradurre in pratica in molti luoghi, è quella che
si potrebbe fare per utilizzare nelle ore di riposo la forza mo-
trice già destinata ad altri usi, per farla servire alla illumina-
zione. Io penso ad una città industriale, come va diventando
quella da cui scrivo, nella quale si abbia una poderosa forza
motrice idraulica, utilizzata soltanto di giorno e per poche ore
della sera, e mi domando se non si potrebbe utilizzare quella
forza motrice durante la notte per l'illuminazione. Una difficoltà
Produz., accumulaz. e distribuz, dell'energia elettrica. 153
si presenta, ed è che il lavoro negli opifizi si prolunga alla
sera fino ad ora avanzata, e, sopratutto nell'inverno, T illumi-
nazione, a cui i motori vorrebbero farsi servire, deve cominciare
alcune ore prima che gli opifizi cessino di averne bisogno.
Ebbene, questa difficoltà si potrebbe forse superare ricorrendo
agli accumulatori, e, per rispetto aireconomia, la cosa potrebbe
riuscire più che conveniente.
Poniamo, per esempio, che per 3000 ore per ogni anno si
abbiano inoperosi 1000 cavalli di forza motrice idraulica, e che
Tunica difficoltà per utilizzarli nella illuminazione della città sia
che in alcune stagioni il lavoro dei motori non può distrarsi
dalle fabbriche per tutte le prime quattr' ore di notte. Per ri-
mediare a ciò basta impiegare una parte della forza motrice,
nelle ore in cui la si ha disponibile, a caricare batterie di accu-
mulatori della capacità complessiva massima di 4000 cavalli-ore.
4000
Per avere questa capacità è necessario il numero - x 50,
20
ossia loooo di accumulatori, i quali, col prezzo attuale massimo
di 100 lire ciascuno, costano lire i.ooo.ooo.
Per caricare poi questi accumulatori si richiedono macchine
dinamo*elettriche per la forza complessiva di 1000 cavalli, le
quali potranno costare 200.000 lire. Il materiale necessario co-
sterebbe adunque in tutto lire 1.200.000. Con questa spesa si
otterrebbe una illuminazione equivalente a quella di 7000 lam-
pade Swan di 1,5 becchi Carcel durante 3000 ore; illuminazione
che, fatta col gas, e posto uguale a 0,2 il prezzo di un metro
cubo di gas, costerebbe 630.000 lire. Cosi con una spesa d'im-
pianto uguale a 4 si ricaverebbe un reddito brutto annuo mag-
giore di 2. Se poi, come è possibile, il prezzo degli accumulatori
potrà ridursi ad un minimo di 40 lire, la spesa necessaria per
ottenere un frutto annuo maggiore di 2 si ridurrà a 2.
18. Riassumendo i risultati dei confronti e delle conside-
razioni che ho fatto relativamente alle applicazioni industriali
delle pile secondarie adoperate come accumulatori dell'energia,
io posso conchiudere :
I.» Pel loro prezzo elevato e pel loro grande peso gli
accumulatori voltaici ad elettrodi di piombo non possono, né
potranno forse mai, essere adoperati, su grande scala, come
mezzo pel trasporto a distanza e per la distribuzione della
energia meccanica. I soli casi in cui essi potranno forse essere
adoperati sono quelli nei quali si hanno a distribuire forze
154 Parie prima.
motrici minime, equivalenti ad una piccola frazione d'un cavallo-
vapore.
2.** Benché gli accumulatori si prestino meglio alla distri-
buzione della luce che a quella dell'energia meccanica, tuttavia
le condizioni economiche di questa applicazione sono talmente
sfavorevoli, che si può asserire con sicurezza che gli accumu-
latori attualmente conosciuti non saranno mai adoperati su
vasta scala pel trasporto e per la distribuzione della luce. E ciò
anche quando il loro prezzo diventasse minore della metà del
prezzo attuale.
3.*» In questo caso il trasporto e la distribuzione del-
l'energia, data da un motore centrale, si farà con una economia
incomparabilmente più grande trasmettendo direttamente le cor-
renti elettriche dalle macchine generatrici centrali alle macchine
ricettrici situate presso gli utenti, mediante gomene metalliche,
che non portandola e distribuendola immagazzinata negli accu-
mulatori.
4.° L'applicazione che è stata proposta delle pile di Faure
alla trazione delle carrozze sulle tramvie difficilmente diventerà
pratica ed economica.
5.** L' utilità degli accumulatori considerati come mezzo
per far servire un motore di piccola potenza, che lavori conti-
nuamente, a produrre effetti che richieggono per un breve tempo
una grande forza motrice, non può sussistere se non nei casi
ove il tempo, per cui si fa uso dell'energia accumulata, sia
brevissimo.
ó.*» Non è impossibile che in qualche caso gli accumulatori
possano servire ad utilizzare forze motrici gratuite ma troppo
variabili per potersi impiegare direttamente; ma la convenienza
economica di quest'applicazione non si potrebbe dimostrare in
generale. In questo caso poi le pile secondarie non rappresentano
il solo mezzo a cui si possa ricorrere, né fra i mezzi adoperabili
sono il migliore.
7.° Possono tornare utili le pile secondarie per adoperare
lungo il giorno le macchine d' induzione destinate a dare di
notte direttamente le correnti per l'illuminazione.
8.° Le pile secondarie avrebbero un'applicazione sicura
ed importante qualora per l'illuminazione pubblica nelle città si
adottasse generalmente la luce elettrica. In questo caso le pile
secondarie darebbero un modo per estendere in buone condi-
zioni r illuminazione elettrica anche alle abitazioni private. Fin
Produz., accufftulaz, e distribuz, dell'energia elettrica. 155
d'ora gli accumulatori si vedono adoperati per regolare le cor-
renti nell'uso delle lampade ad incandescenza.
9.° Un'applicazione grandiosa, che può essere attuabile
fin d'ora, è quella che si può fare in una città industriale ove
si abbia una forza motrice idraulica, che nella notte, durante il
riposo degli opifizi, vada tutta perduta. Colle pile secondarie si
può risolvere il problema di far servire quel lavoro, attualmente
perduto, all' illuminazione.
Da questo riassunto poi scaturisce questa conclusione ge-
nerale: che, fatta astrazione da qualche caso specialissimo, le
pile secondarie, quali ora sono, non possono prestare servizi
nelle applicazioni industriali se non quando ciò che si vuole
utilizzare col loro mezzo e ciò che col loro mezzo si vuole pro-
durre sia una corrente elettrica e non un lavoro meccanico.
Inoltre, le migliori condizioni per l'impiego industriale di questi
apparecchi si hanno quando i medesimi non debbono essere
trasportati da luogo a luogo.
§ 3.° Distribuzione dell'energia
per mezzo di correnti elettriche.
Problema da risolvere. — Vari modi di risolverlo. Regolatori a mano e
regolatori automatici: Edison, Brush, Maxim. — Loro insuflScienza. — Sistema
di A. Gravitr. — Sistema di Marcel Deprez.
19. I confronti numerici, di cui ci ha dato occasione lo
studio delle applicazioni possibili degli accumulatori voltaici, ci
hanno portato a questa conclusione: che se verrà un giorno,
nel quale si possa risolvere su grande scala, per mezzo del-
l'elettricità, il problema di distribuire a molti utenti, suddivisa
a piacimento e trasmessa a grandi distanze, l' energia sommi*
nistrata da grandi motori centrali, questo si farà per mezzo di
una canalizzazione di correnti elettriche. Siccome la soluzione
di questo problema costituirebbe la più grandiosa delle appli-
cazioni industriali, che i risultati attualmente ottenuti abbiano
permesso sperare, così noi troviamo nella esposizione di Parigi
parecchie proposte ed alcune invenzioni che la riguardano.
Per poter dividere e distribuire fra molti apparecchi ricet-
tori, come motori elettrici, lampade elettriche, bagni elettro-
chimici, ecc., r energia elettrica prodotta da un generatore cen-
156 Parte prima.
trale, e per fare ciò in buone condizioni tecniche, bisogna potere,
prima, risolvere questo problema: disporre le macchine ed i
conduttori in tale maniera, che si possano introdurre nel si-
stema o sopprimere, attivare od arrestare, quanti si vogliano
apparecchi ricettori, senza che le correnti che animano gli altri
risentano variazioni sensibili. Acciocché poi il sistema ;5Ìa in
perfette condizioni economiche, è necessario che la costanza
delle correnti elettriche sia ottenuta senza bisogno di consumare
in effetti inutili il lavoro delle macchine generatrici; è mestieri
in altri termini che la costanza delle correnti sia ottenuta, non
già introducendo nei circuiti resistenze variabili, le quali tra-
sformino in calore 1' energia elettrica nei momenti in cui essa
diventa eccessiva, ma sia invece ottenuta agendo sul generatore
in tal modo che in ogni istante esso non consumi più di
quella quantità d'energia meccanica di cui in quell'istante si ha
bisogno.
Il problema si era presentato, benché sotto una forma assai
meno generale, fino dal tempo dei primi tentativi di applicazione
della luce elettrica alla illuminazione pubblica. Ma per questo
caso speciale, molto ristretto, bastava una soluzione parziale,
la quale si ottenne costruendo macchine d'induzione con più
spirali indotte indipendenti e poste in circuiti distinti. Con
questo artifizio, che noi troviamo già nelle antiche macchine
dtW Alliance e vediamo riprodotto nelle macchine del Lontin e
nelle macchine a correnti alternative di Grantme e di Siemens,
l'attivazione delle lampade di un circuito e la loro soppressione
non influisce direttamente sulle lampade degli altri circuiti; e
se la macchina motrice è munita di un regolatore che ne man-
tenga costante la velocità, le intensità delle correnti nei circuiti
che rimangono chiusi rimangono costanti, ed il lavoro consu-
mato dalla macchina cresce o diminuisce in proporzione dei
circuiti che si chiudono o che si interrompono.
In questi giorni però, coli* ingrandirsi e moltiplicarsi degli
impianti e dei progetti per l'illuminazione, e sopratutto col
sorgere del progetto assai più generale e grande dell'applica-
zione delle correnti elettriche al trasporto ed alla distribuzione
dell'energia, la soluzione parziale, ora accennata, è diventata
insufficiente. Quindi il problema si è ripresentato nella sua
forma generale; e la sua importanza è stata tanto sentita, che
in pochi mesi si videro parecchie proposte di soluzioni. L'espo-
sizione ci ha posto innanzi esempi istruttivi dei principali si-
Produz., accumniaz. e dìstribuz, dell* energia elettrica» 157
stemi tentati e fra le altre ci ha mostrato una soluzione che
forse è completa.
20. Per far variare T intensità della corrente data da una
macchina dinamo-elettrica, senza modificare la resistenza del
circuito, ci sono due modi: far variare la velocità della spirale
indotta, o, tenendo costante la velocità, far variare T intensità
del campo magnetico nel quale la spirale indotta si muove.
Il primo modo sarebbe pessimo meccanicamente, inamis-
sibiie elettricamente. Pessimo meccanicamente pel principio
generale, e fondamentale nella teoria delle macchine, per cui
la costanza della velocità è una condizione essenziale pel buon
rendimento di qualunque meccanismo. Inammissibile elettrica-
mente, perchè, qualunque fossero gli artifizi adoperati per far
variare, a seconda delle variazioni della intensità della corrente
la velocità angolare dell'armatura indotta, le variazioni si fa-
rebbero sempre troppo lentamente per servire allo scopo. Le
variazioni di intensità di corrente, che possono verificarsi per
cause accidentali o per le variazioni del numero dei ricettori
in azione, sono sempre rapidissime e possono produrre, anche
in tempi brevissimi inconvenienti assai gravi, contro i quali il
rimedio, che può arrecare la variazione della velocità della
macchina, arriverebbe sempre troppo tardi. Cito come esempio
il caso di un sistema per Tillumi nazione con lampade ad incan-
descenza, nel quale basterebbe che la intensità della corrente
eccedesse durante pochi minuti secondi un limite determinato^
perchè molte lampade venissero distrutte.
Conviene dunque agire sulla intensità del campo magnetico^
ed a questo mirano i vari sistemi che hanno figurato nell'espo*
sizione.
Un modo di far diminuire od aumentare, a seconda del
bisogno, l'intensità del campo magnetico, in cui ruota la spirale
indotta, consiste nel far variare, a seconda del bisogno, la di-
stanza tra i poli dell'induttore e l'indotto che ruota Ira di essi.
Lo spostamento delle braccia dell'induttore, a ciò necessario,,
si può ottenere a mano, o meglio automaticamente. Un esempio
di quest'ultima disposizione era rappresentato da una piccola
macchina dinamo-elettrica esposta nella sezione francese da
certo signor Chameroy. L'apparecchio però era più ingegnoso
che pratico od imitabile; infatti oltre all'essere difficile a rego-
larsi, oltre al presentare, nei grandi modelli, difficoltà gravi di
costruzione, esso ha, sebbene in minor proporzione, l' inconve-
158 Parte prima,
niente di cui abbiamo parlato poc' anzi, di essere troppo lento
nella sua azione.
Assai più comodo e più ragionevole è modificare Tintensità
del campo magnetico, facendo variare opportunamente l'intensità
delle correnti nelle spirali magnetizzanti delle elettro-magneti
induttrici. Per fare ciò è necessario adoperare come corrente
magnetizzante dell'induttore una corrente distinta dalla corrente
principale. La cosa si può fare in due modi, o mettendo le
spirali magnetizzanti dell' induttore in un circuito derivato, o
separando queste spirali completamente dal circuito principale
della macchina, e mandando in esse la corrente data da una
macchina eccitatrice apposita. La disposizione che figurava nelle
antiche macchine di Ladd e nelle prime grandi macchine a luce
del Gramme, nelle quali si avevano due spirali indotte destinate
r una a produrre la corrente principale e l' altra la corrente
magnetizzante, rientra in questo secondo caso. Quelle macchine
infatti si possono considerare come sistemi di due macchine,
una principale e l'altra eccitatrice, riunite insieme.
Disposti i circuiti in una di queste maniere, si può agire
sulla corrente eccitatrice, per farne variare l'intensità, in due
modi: o per mezzo di un regolatore a mano governato da una
persona dietro le indicazioni di un galvanoscopio appropriato
alla specie di applicazione in cui la macchina è impiegata, oppure
per mezzo di un regolatore automatico.
Il primo modo è quello che si trova applicato nella grande
macchina di Edison alla quale ho dedicato più sopra alcune
parole di descrizione. Quella macchina colossale deve, secondo
i progetti dell' inventore, essere il centro di una grande distri-
buzione di energia per l'illuminazione con lampade ad incande-
scenza, e siccome queste lampade hanno bisogno di una corrente
moderata e costante, e potrebbero essere distrutte da un acci-
dentale aumento della intensità, così quella macchina doveva
necessariamente essere provveduta di un regolatore. — Edison
ha creduto che l'ufficio importante e delicato di regolatore
dovesse essere tenuto da una persona. Nella grande macchina
esposta le elettro calamite induttrici sono eccitate da una cor-
rente derivata dai poli della macchina stessa; in altri modelli
della macchina di Edison, esse lo sono invece dalla corrente
di una macchina eccitatrice apposita. In ogni caso, sul circuito
della corrente eccitatrice è inserita una cassa di resistenze, a
quadrante ed a manovella. La manovella è alla portata di urt
Produz,, acatmulaz, e distribuz, dell'energia elettrica. 159
sorvegliante, il quale regolandosi dietro le indicazioni di un
galvanoscopio, oppure a seconda dell'aspetto di una lampada
normale, fa variare la resistenza del circuito della corrente ec-
citatrice, e con questa l'intensità del campo magnetico, in modo
da mantenere costante l'intensità della corrente principale, op-
pure, a secondo del modo di collegamento delle lampade, la
differenza dei potenziali ai due poli della macchina. Lo scopo
per cui l'inventore ha creduto di dovere preferire questo sistema
è certamente quello di sottrarre il governo della corrente, così
importante in un* applicazione su grande scala, alle incertezze
inevitabili nel funzionare di tutti i meccanismi automatici. Si
potrebbe dubitare però che così facendo egli sia andato incontro
ad un inconveniente anche più grave: quello che per una di-
sattenzione^ troppo facile, della persona incaricata della sorve-
glianza, l'uniformità della corrente venga in qualche momento
a mancare, od almeno non si ristabilisca colla necessaria pron-
tezza. A questo riguardo, l'esposizione non ci ha insegnato
nulla, giacché il regolatore che era stato applicato, nei primi
giorni, alla piccola macchina, venne in seguito soppresso^ e poi
rìapplicato alla macchina grande; ma non ha mai funzionato.
Nell'esposizione, infatti, ove l'apparecchio, regolato nel momento
della messa in moto, si trovava in condizioni eccezionalmente
buone di invariabilità, il regolatore non poteva essere necessario.
La società Brush (Anglo-American Brusii Electric -light
Corporation iimited) nella sezione inglese, presentava due rego-
latori, uno dei quali doveva essere, come quello di Edison, go-
vernato da una persona, e l'altro era automatico. Con questi
apparecchi, invece di far variare la resistenza del circuito della
corrente eccitatrice, si fa variare quella di un circuito derivato.
La variazione della resistenza è fatta, nel primo apparecchio, a
roano, in modo analogo a quello adoperato da Edison nel suo
regolatore. Nell'altro apparecchio è fatta automaticamente; in
questo secondo regolatore la resistenza variabile è data da una
pila di tavolette di carbone, ed è regolata dalla pressione eser-
citata su detta pila dall' armatura di una elettro-calamita, per la
spirale della quale passa la corrente principale.
Il primo di questi sistemi ha tutti gli inconvenienti di quello
più semplice di Edison, ed ha inoltre quello di deviare conti-
nuamente, in pura perdita, una parte della corrente eccitatrice.
U secondo sistema poi, oltre al dare luogo ad una perdita, ha
il difetto di essere troppo delicato e variabile nella sua funzione.
i6o Parte prima,
I due apparecchi erano esposti, ma che io sappia, non furono,
durante l'esposizione, mai adoperati. Del primo si può dire,
colle riserve che ho fatte, che esso potrà tornare utile per l'ac-
comodamento preliminare, quando si mette in azione la mac-
china; quanto al regolatore automatico, è probabile che esso
non possa dare alcun serio risultato.
Assai migliore dei precedenti è il regolatore di Maxim, che
fu esposto nella sezione americana della United States Electric
Lighting Company di New York. È questo un apparecchio in-
gegnoso, perfettamente studiato in tutte le sue parti, il quale
può probabilmente rendere nella pratica utili servìgi. Inoltre
esso differisce da tutti gli apparecchi precedenti pel principio
stesso sul quale è fondato, e merita, anche per questo riguardo,
di essere conosciuto.
Nelle macchine dinamo- elettriche del Maxim la corrente
eccitatrice è somministrata da una macchina dinamo-elettrica
apposita; nelle grandi installazioni, quando si hanno parecchie
macchine che debbono lavorare insieme, un'unica macchina ec-
citatrice dà la corrente magnetizzante alle elettro-calamite in-
duttrici di tutto il sistema. Ebbene, il regolatore della intensità
della corrente è applicato alla macchina eccitatrice, e fa variare
r intensità della corrente prodotta da questa , spostando gli
sfregatoi del suo raccoglitore. Si sa che la intensità della cor-
rente data da una macchina a corrente continua del tipo Pa-
cinotti varia colla posizione dei due punti diametralmente opposti,
nei quali le spazzole raccoglitrici toccano le lamine del com-
mutatore; r intensità è massima quando il contatto ha luogo
nei due punti neutri, vale a dire nei due punti per cui la forza
elettro-motrice è nulla e cambia di segno, punti situati in vici-
nanza del piano perpendicolare alla linea dei poli induttori, con
un piccolo ritardo rispetto al medesimo; essa diminuisce se,
facendo rotare il sistema delle due spazzole, si allontanano, in
un senso o nell'altro, i punti di contatto dai punti neutri. Ciò
è quanto succede nella macchina eccitatrice di Maxim; il si-
stema delle sue due spazzole raccoglitrici può girare intorno
all'asse della spirale indotta, per modo che i due punti di con-
tatto tra le spazzole e le lastrine del commutatore, pur rimanendo
sempre diametralmente opposti, possono passare su diametri
diversamente inclinati rispetto a quello che passa pei punti
neutri; il movimento poi è impresso alle spazzole da un appa-
recchio automatico che agisce per effetto delle variazioni della
corrente principale.
Produz., accumulaz, e distribuz. dell'energia elettrica, i6i
L'apparecchio automatico è collocato sul capitello stesso
della macchina eccitatrice ed è fatto nel modo seguente. Una
elettrocalamita a filo sottile, posta in derivazione sul circuito
principale, attira con una forza, la quale varia coir intensità
della corrente, una armatura, alla quale è sospéso un nottolino
munito di due denti opposti. Questo nottolino riceve da una
trasmissione intermediaria, presa sull'asse medesimo della mac-
china, un movimento oscillatorio, di va e vieni, e i due denti
di cui esso è munito compiono le loro oscillazioni frammezzo
a due ruote dentate, in direzione tangenziale alle medesime, ma,
nello stato normale, senza toccarle. I denti del nottolino oscil-
lante non toccano né l'una, né l'altra delle due ruote dentate
quando la corrente, che passa per la spirale dell'elettro-magnete
del regolatore, ha la sua intensità normale. Ma se la corrente
s'indebolisce, allora l'armatura, attirata meno fortemente e sol-
lecitata da una molla antagonista, si allontana dall' elettro-ma-
gnete e solleva il nottolino. Ne segue che il dente superiore
del nottolino si impegna fra i denti della ruota superiore e la
mette in moto, facendola avanzare di un dente per ogni oscil-
lazione. Il movimento della ruota è trasmesso, per mezzo di un
sistema dì ruote dentate, alle spazzole del raccoglitore i cui
punti di contatto si allontanano così dai punti neutri. L' effetto
inverso si produce quando l'intensità della corrente attraversante
la elettro-magnete aumenta; allora infatti l'armatura, attratta più
potentemente, si abbassa e fa abbassare seco il nottolino; il
dente inferiore di questo viene cosi ad impegnarsi fra i denti
della ruota inferiore; e questa imprime al sistema delle spazzole
un movimento opposto a quello che si era prodotto nel caso
precedente. Una seconda elettro-calamita situata d'accanto a
quella del regolatore funziona come apparecchio di sicurezza^
pel caso di un accidentale aumento dell'intensità della corrente
e di tale grandezza da poter danneggiare le lampade alimentate
dalla macchina. Quando l' intensità della corrente raggiunga un
valore limite, al di là del quale essa diventerebbe pericolosa^
Tannatura di questa elettro-magnete chiude un breve circuito
derivato, di minima resistenza, e riduce così ad un nonnulla
l'intensità della corrente eccitatrice.
Fra tutti i regolatori automatici che figuravano alla espo-
sizione, quello che abbiamo descritto è certamente il migliore.
Benché, come tutti gli altri, di cui abbiamo già parlato, esso,
nel palazzo dell' industria, non funzionasse, tuttavia basta la
G. FERRARIS, Optre, Voi. II. * ii
i62 Parte prima.
descrizione che ne abbiamo data per farlo giudicare atto a
servire, almeno in alcuni casi. Suoi difetti sono unicamente di
essere assai complicato e delicato, e di essere alquanto lento
nella sua azione.
21. Quest'ultimo difetto, quello di essere troppo lento in
confronto alla rapidità delle variazioni che sogliono verificarsi
negli apparecchi elettrici, è inevitabile in tutti gli apparecchi
regolatori, l'azione dei quali consiste nel modificare, quando se
ne presenta il bisogno, alcune parti della macchina dinamo-
elettrica, o della sua eccitatrice, per modo da far variare nel
senso voluto l' intensità della corrente. Qualunque infatti sia la
modificazione che l'apparecchio deve produrre nella macchina,
essa non si può effettuare senza poire-in movimento alcuni or-
gani meccanici, e se questo movimento ha da essere propor-
zionato al bisogno, esso deve in generale farsi dolcemente, e
consumare così un tempo considerevole.
Un altro inconveniente, comune a tutti gli apparecchi auto-
matici, è che la loro azione' 6 soggetta a mancare talvolta ac-
cidentalmente, e ciò indipendentemente dalla perfezione con
cui la costruzione può essere eseguita.
Per questi motivi i meccanismi automatici, applicati alle
macchine generatrici, per governare l'azione col modificarle
ogni qualvolta la corrente tende a variare, comunque ingegnosi
e perfetti, non possono bastare se non in casi speciali e per
piccole applicazioni. Essi non bastano per la soluzione del pro-
blema generale, dal quale dipende la possibilità di fare su larga
scala, industrialmente, la distribuzione delP energia per mezzo
di correnti elettriche. Una soluzione completa, e realmente
pratica, di questo problema non si può avere se non trovando
modo di disporre e collegare i circuiti e le spirali delle mac-
chine così che, senza bisogno di apparecchi governatori o di
sorveglianza personale, ma in grazia delle leggi stesse che pre-
siedono alla distribuzione delle correnti nei conduttori, l'intensità
della corrente che anima, uno qualunque degli apparecchi ri-
cettori sia indipendente dalle variazioni che possono avvenire
in tutti gli altri.
22. Se fosse possibile avere un generatore con resistenza
interna nulla o trascurabile, si potrebbe ottenere il risultato a
cui si mira, si potrebbero cioè combinare i circuiti dei ricettori
in modo che l'attivazione o l'inserzione di un numero qualunque
di questi apparecchi, o la loro soppressione, non recasse alte-
Produz., accumulaz. e disiribuz, dell'energia elettrica, 163
razione sensibile nell'andamento di tutti gli altri, con una di-
sposizione semplicissima, la quale si presenta alla mente da sé.
Basterebbe a quest'uopo collocare i ricettori, vale a dire le
lampade elettriche, od i motori elettrici, od i bagni elettro-
chimici, ecc., sopra altrettanti circuiti distinti derivati tutti dai
due poli del generatore. Mantenendo allora costante la velocità
<iella macchina, si avrebbe sopra ciascuno dei circuiti derivati
una corrente costante, il valore della quale sarebbe indipen-
dente dal numero degli altri circuiti che rimangono chiusi. In-
fatti colla costanza della velocità del generatore si' avrebbe la
costanza della sua forza elettro-motrice, ed essendo nulla la
resistenza interna, la forza elettro-motrice costante manterrebbe
ai due poli una differenza di potenziali di valore costante; le
variazioni delle resistenze e delle forze elettro*motrici che possono
esistere sui circuiti esterni farebbero bensì variare la grandezza
del lavoro necessario per mantenere costante la velocità, fa-
rebbero variare l'intensità della corrente attraverso il generatore,
ina non influirebbero sul valore della differenza dei potenziali
ai due poli. Ora in uno qualunque dei circuiti derivati sia r la
resistenza ed e la forza elettro-motrice inversa prodotta dal ri-
cettore durante il lavoro; se noi diciamo E la differenza costante
dei potenziali alle due estremità del circuito, e se rappresentiamo
con I rintensità della corrente che lo percorre, abbiamo ir = E
— e, ed il valore di i che ne ricaviamo è indipendente dal
numero degli altri circuiti derivati che rimangono chiusi, dalle
loro resistenze e dalle forze elettro-motrici prodotte dagli ap-
parecchi ricettori su di essi collocati.
Le condizioni necessarie per una buona distribuzione di
energia sarebbero in questo modo verificate.
Siccome è impossibile avere una macchina dinamo-elettrica
<li resistenza nulla, siccome anzi nella pratica, data la forza
elettro-motrice che si vuole ottenere, esiste un limite minimo
del valore della resistenza, al disotto del quale non si può di-
scendere, così nella pratica la soluzione del problema, che ho
indicato, non si può realizzare. È però possibile in alcuni casi
avvicinarsi alle condizioni teoriche in cui or ora ci siamo col-
locati, ed avere così una soluzione pratica approssimata. Per fare
ciò bisogna adoperare come generatori macchine dinamo-elettriche
di piccola resistenza interna, e raggrupparne insieme, nel centro
della distribuzione, un certo numero nel modo che dai pratici
si suol dire in quantità; ossia congiungendo insieme tutti i poli
164 Parte prima.
positivi da una parte, e tutti i poli negativi dall' altra. Bisogna
poi dare alle resistenze dei vari circuiti derivati, su cui saranno
inseriti i ricettori, valori abbastanza grandi, perchè la resistenza
interna della batteria dei generatori, rispetto ad esse, sia molto
piccola.
La soluzione approssimativa del problema, della quale ho
parlato, è, nella sostanza, quella che fu proposta dal signor
A, Gravier di Varsavia, e che figurava nella sezione russa del-
l' esposizione. Benché presentato in modo meno semplice, il
sistema di distribuzione del Gravier si riduce a questo : una
batteria centrale di macchine dinamo- elettriche, collegate in
quantità allo scopo di presentare una minima resistenza, ed un
sistema di tanti circuiti derivati quanti sono i ricettori che si
vogliono attivare, attaccati tutti, questi circuiti derivati, a due
grossi conduttori di resistenza trascurabile, uniti ai due poli
delle macchine.
Questi due grossi conduttori, di resistenza trascurabile, for-
mano, in questa disposizione, una semplice espansione dei poli dei
generatori, destinata a portare in sito conveniente i punti d'attacco
dei circuiti parziali; il Gravier li denomina condutlori-serbatoi.
L'unione dei circuiti parziali coi conduttori-serbatoi è fatta
mediante un commutatore assai semplice, per mezzo del quale
si possono introdurre o togliere dal sistema quanti si vogliono
circuiti parziali. 11 commutatore poi è disposto in modo che,
quando si vuole togliere uno dei circuiti derivati, la rottura del
circuito si fa in due punti: in un punto del filo di andata ed
in un punto del filo di ritorno; ciò per diminuire le scintille di
rottura.
Pei casi, nei quali non si possa installare la batteria dei
generatori dinamo-elettrici ,in vicinanza del centro geometrico
della distribuzione, il Gravier propone di collocare in questo
centro un recipiente di distribuzione e di attaccare al medesimo,
invece che ai poli degli elettro-motori, le estremità dei singoli
circuiti parziali. I recipienti di distribuzione saranno, seconda
il programma del Gravier^ costituiti da pile secondarie di Piante)
o più semplicemente da grandi masse metalliche comunicanti
per mezzo di conduttori di resistenza trascurabile) coi due poli
del generatore. Invece di un recipiente di distribuzione unico
se ne possono, quando occorra, installare parecchi, ed a ciascun
distributore primario si possono col legare, con grandi conduttori,
distributori secondari.
Produz., acctnnitìas. e dtstribuz. deir energia eleUrica. 165
Nei momenti di maggiore consumo di energia elettrica, può
accadere che in qualche punto della rete si verifichi un abbas-
samento di potenziali tale da impedire il regolare lavoro dei
ricettori. Allora è necessario che chi governa i generatori sia
avvertito del fatto, onde potere con un aumento di velocità, o
meglio con un aumento dell'intensità del campo magnetico, au-
mentare convenientemente la forza elettro-motrice. A questo
uopo l'inventore ha ideato di far partire da quelle stazioni,
nelle quali il difetto delle correnti è sentito più presto, un filo
di ritorno il quale riporta allo stabilimento dei generatori una
corrente ricavata dal punto debole. Questa corrente può dare,
per mezzo di un galvanometro di Marcel Deprez o di altro ap-
parecchio analogo, le indicazioni volute, dietro alle quali chi
sorveglia le macchine si possa regolare. Pel caso poi che si
volesse evitare il bisogno di un sorvegliante, il Gravier propone
un regolatore automatico comandato direttamente dalla corrente
di ritorno, al quale egli dà il nome di regolatore di emissione,
È un' elettro-magnete inserta sul circuito della corrente di ri-
tomo, l'armatura della quale, equilibrata quando la corrente di
ritomo ha l' intensità normale, oscilla fra due contatti quando
l'intensità della corrente di ritorno è superiore od inferiore al
valore normale. Secondochè l' armatura si appoggia all' uno od
all'altro dei due contatti, una corrente locale è mandata in un
verso o nell'altro attraverso ad un piccolo motore elèttrico.
Così la spirale mobile di questo gira in un verso o nell' altro,
secondochè la corrente di ritorno ha un' intensità maggiore o
minore di quella che conviene. Il movimento poi di questa
spirale è utilizzato, per mezzo di un ingranaggio a vite perpetua,
a far variare l' intensità del campo magnetico.
Il sistema del Gravier meritava di essere descritto, siccome
quello che rappresenta un primo passo fatto sulla via che deve
condurre alla vera soluzione pratica del problema; la quale si
deve cercare piuttosto che in congegni regolatori, in una ben
intesa combinazione di circuiti. La descrizione però basta da
sé sola a porre in evidenza i difetti del sistema e a dimostrarne
1* insufficienza. Questa insufficienza è posta in evidenza dal
semplice fatto che l'inventore ha creduto necessario di pensare
ai punti deboli, alle correnti di ritorno, al regolatore di emis-
sione. Tutto ciò riconduce ai sistemi, a regolatore, di cui ab-
biamo parlato, ed inoltre ad una complicazione di organi de-
licati, nella pratica forse inammissibile. Inoltre la soluzione che
i66 Parte prima.
il sistema rappresenta, benché non sia che approssimata, obbliga
a rinunziare a due delle condizioni di economia che nelle tras-
missioni dell'energia coll'elettricità sono essenziali. Esso obbliga
a rinunziare all'impiego delle grandi forze elettro-motrici, giacché
è impossibile aver forze elettro-motrici considerevoli senza far
grande la resistenza delle spirali delle macchine; esso obbliga
poi a rinunziare all'impiego di linee di piccola resistenza, giacché
esso riposa tutto suU' ipotesi che la resistenza interna del ge-
neratore sia trascurabile a fronte di quelle dei circuiti esterni.
Non è finalmente inutile notare che la distribuzione dei con-
duttori nella rete non é, con questo sistema, sempre la più
comoda, o la più economica.
23. Il merito di avere trovato pel problema che ci interessa
una soluzione teoricamente completa, e nel tempo stesso così
semplice da non permettere alcun dubbio sulla sua attuabilità,
appartiene al signor Marcel Deprez.
Il sistema proposto da questo elettricista non richiede l'im-
piego di alcun regolatore automatico, tranne quello che deve
essere applicato alla macchina motrice per mantenere costante
la velocità; esso non richiede che una disposizione appropriata
delle spirali magnetizzanti dell' induttore della macchina gene-
ratrice, e può applicarsi in tutti i casi, con esattezza, qualunque
sieno le resistenze della macchina generatrice e dei circuiti
esterni; nella combinazione poi di questi circuiti permette due
disposizioni diverse, le quali potranno bastare nella grande
maggioranza dei casi. Colla sola condizione che la velocità
della macchina generatrice sia mantenuta constantemente uguale
ad un valore convenientemente determinato, e facile a trovarsi in
ogni caso, la disposizione proposta dal Deprez fa sì che la cor-
rente che anima uno qualunque degli apparecchi ricettori sia
indipendente dalle variazioni che si verificano in tutti gli altri;
la macchina generatrice, da sé, non per effetto di alcun appa-
recchio regolatore, ma in conseguenza delle leggi stesse da cui
dipende la propagazione delle correnti elettriche nei conduttori,
si regola in modo da dare in ogni istante quel tanto di energia
elettrica di cui si ha bisogno, e non più di quanto abbisogna;
la macchina dinamo-elettrica generatrice prende dal motore in
ogni istante tutto il lavoro meccanico che è necessario, e non
ne prende di più; non si ha in tutto il sistema alcuna resistenza
destinata unicamente a moderare l'intensità della corrente^ nella
quale resistenza l' energia elettrica si trasformi inutilmeJit^ ^^
Produz», accumulaz. e distrtbuz, dell'energia elettrica. 167
calore. Se non è temeraria la speranza di vedere un giorno
fatta su vasta scala la distribuzione dell' energia per mezzo di
correnti elettriche, l'invenzione del M. Deprez è destinata, nel-
r avvenire, a grandi applicazioni ; e per questo motivo l' instal-
lazione del sistema, che era stata fatta nell'esposizione di Parigi,
comunque imperfetta, e solo mediocremente riuscita, si può
considerare come una delle cose più notevoli di quella mostra
internazionale.
Il sistema di distribuzione proposto dal Marcel Deprez è
semplicissimo; e si riduce alla applicazione di alcuni teoremi
affiitto elementari, relativi alle leggi delle correnti elettriche,
combinati con risultati di note esperienze sulla produzione delle
correnti nelle macchine dinamo*elettriche.
Il signor Deprez presenta i princìpi, su cui si basa il suo
sistema, come conseguenza di quella che egli denomina teoria
grafica delle macchine dinamo-elettriche; i medesimi però si
possono ritrovare più facilmente senza bisogno di alcuna rap-
presentazione grafica, e, se io non erro, in un modo più diretto
e quindi migliore.
Le disposizioni proposte dal Deprez per la distribuzione
elettrica dell'energia sono due. Nella prima si diramano da un
unico circuito principale, contenente la macchina dinamo-elettrica
generatrice, tanti circuiti derivati quanti sono • gli apparecchi
ricettori ai quali l'energia si vuole distribuire; ciascun ricettore
è collocato in un proprio circuito derivato. Nella seconda di-
sposizione, invece, si ha un circuito unico, su cui sono installati
tutti i ricettori; una medesima corrente anima tutti gli apparecchi.
Col linguaggio dei pratici diremo: nel primo sistema i ricettori
sono disposti in derivazione, nel secondo essi sono in tensione
od in serie. I due casi vogliono essere studiati separatamente.
Io considero dapprima la disposizione in derivazione.
Se con F si rappresenta la differenza dei potenziali tra i
due punti dai quali si diramano i vari circuiti derivati, e se si
rappresentano colle lettere /? ed ^ la resistenza di uno qualunque
di questi circuiti e la forza elettro-motrice inversa prodotta dal
ricettore situato su di esso, si sa che l'intensità / della corrente
in questo circuito è data dalla formula.
RI=F-e.
Siccome in questa formula non figurano, oltre ad F, altre
grandezze che dipendano dal numero e dalle condizioni degli
i68 Parte prima.
altri circuiti derivati e dei ricettori situati su di essi, così essa
ci insegna, che acciocché l'intensità / rimanga costante, co-
munque si faccia variare il numero ed il modo di funzionare
degli altri ricettori, è necessario e sufficiente che rimanga co-
stante la differenza F dei potenziali nei due punti di diramazione.
Il problema da risolversi si riduce adunque a questo: tro-
vare una disposizione per cui la differenza F dei potenziali nei
due punti, nei quali sono fatte le derivazioni, sia costante.
Diciamo E la forza elettro-motrice della macchina dinamo-elet-
trica ed i r intensità della corrente principale ; applichiamo poi
la legge di Ohm al circuito principale, ossia al tratto di con-
duttore, di cui indichiamo con r la resistenza, che termina ai
due punti di diramazione e che comprende la macchina gene-
ratrice; abbiamo
F^ E — ri.
Questa uguaglianza, mostrandoci in qual modo la differenza
di potenziali F dipenda dalla variabile «, intensità della cor-
rente, ci permette dì trovare il modo di rendernela indipendente.
Se il campo magnetico fosse prodotto da una corrente data
da una macchina' eccitatrice distìnta dalla macchina principale,
E sarebbe indipendente da i*; 1' equazione ci dimostra che in
questo caso F diminuirebbe col crescere di i.
Se invece si adoperasse come corrente eccitatrice la cor-
rente principale stessa, di cui l'intensità è rappresentata dalla
lettera /, E crescerebbe con i. Si sa dalle esperienze, che se le
elettro-magneti induttrici non sono prossime allo stato di satu-
razione, E è sensibilmente proporzionale ad i; si sa pure che
ciò si può ammettere, con sufficiente approssimazione, nei casi
ordinari della pratica. Detta quindi k una costante, e rappre-
sentato con n il numero dei giri fatti dalla spirale indotta in
ogni minuto, si può scrivere E= kni. La nostra equazione ci
dà in questo caso
F=(kn-'r)i,
e ci fa vedere che F cresce proporzionalmente ad i.
Se noi adunque combinassimo insieme i due modi di ecci-
tazione, e producessimo il campo magnetico simultaneamente
per mezzo di una corrente data da una eccitatrice indipendente,
e per mezzo della corrente principale, potremmo, con un con-
veniente valore dato alla velocità, ottenere una differenza di
potenziali F di valore costante.
Produz., accumulaz, e distribuz. dell'energia elettrica. 169
Ciò pensò di fare il Deprez, ed in ciò consiste il suo sì-
stema. U Deprez propone di formare le spirali magnetizzanti
deir elettro-calamita induttrice per mezzo di due fili avvolti in-
sieme, simultaneamente, e di inserire poi uno di questi nel
circuito principale della macchina, e l'altro nel circuito di una
macchina eccitatrice distinta. In questo modo si hanno due
correnti eccitatrici: la corrente principale, che ha l'intensità 1,
e la corrente dell' eccitatrice indipendente, che ha un' altra in-
tensità /'.
La prima di queste correnti produrrebbe, da sola, una forza
elettro-motrice kni\ la seconda, similmente, produrrebbe da
sola una forza elettro-motrice kni'; le due correnti insieme
producono quindi una forza elettro -motrice
E = kn(i i- 1").
Portando questo valore di E nell'espressione di F, otte-
niamo
F^{kn-'r)i+kni\
Ora si vede che dando ad n il valore
r
il termine dipendente da i si annulla, ed il valore di F si ri-
duce a
F=kni' = ri\
Questo valore non dipende da altro che dalla resistenza r
e dalla intensità delia corrente eccitatrice 1'; esso è assoluta-
mente indipendente da tutte le variazioni che possono avvenire
nel numero e nelle condizioni dei circuiti derivati. Per mante-
nere costante il valore di F basta mantenere costante l'intensità
della corrente ausiliaria i\ e mantenere invariata la velocità
della macchina.
Il problema è adunque completamente risolto: per avere
nei due punti di derivazione una differenza di potenziali co-
stante, e rendere con ciò indip>endenti gli uni dagli altri i ri-
cettori situati sui diversi circuiti derivati basta:
i.° Formare le spirali magnetizzanti delle elettro-magneti
eccitatrici con due fili e far passare per l' uno la corrente prin-
cipale, e per l' altro la corrente di una macchina eccitatrice in-
dipendente.
170 Parie prima.
2.° Fare si che la spirale indotta ruoti con una velocità
costante, e faccia in ogni minuto un numero di giri uguale ad
3.° Mantenere costante l'intensità della corrente data dalla
eccitatrice indipendente.
Questa soluzione del problema soddisfa alla condizione della
massima economia. In ogni elemento di tempo la macchina dì-
namo-elettrica generatrice non produce che quella quantità di
energia elettrica di cui si ha bisogno per alimentare i circuiti
derivati che in quell'istante si trovano chiusi, e non assorbisce
del lavoro delU macchina motrice più di quella parte che è
strettamente necessaria per produrre quella quantità di energia.
Se in un dato istante si sopprimono una o più derivazioni, la
intensità della corrente principale, la quale è la somma di quelle
delle correnti derivate, diminuisce di una quantità uguale alla
somma delle intensità delle correnti soppresse, ed il lavoro
consumato dalla generatrice, che vale Et, diminuisce. Se una
o più nuove derivazioni si vengono ad aggiungere, l' intensità
della corrente principale cresce di una quantità uguale alla
somma di quelle delle nuove correnti, ed il lavoro consumato
dalla macchina dinamo-elettrica aumenta di quanto è necessario
per soddisfare alle nuove esigenze.
Prima di passare alla seconda disposizione del sistema, è
necessario che io insista sopra di una osservazione. La teoria
che ho svolto riposa sopra l'ipotesi che tutte le derivazioni
siano fatte nei due medesimi punti: nelle due estremità del cir-
cuito principale. Se le diramazioni delle correnti si facessero in
diversi punti presi lungo i due reofori principali, la distribuzione
delle correnti sarebbe più complicata, ed il sistema esposto
riuscirebbe unicamente a rendere costante la differenza di po-
tenziale nei due punti di derivazione più prossimi: il modo di
dimostrazione che io ho seguito, essendo il più semplice ed il
più diretto, lo mette in chiaro. Ora pare che questa circostanza
sia sfuggita all'inventore del sistema, giacché nella installazione
che figurava all'esposizione, le prese delle correnti parziali erano
fatte in diversi punti, a grandi distanze, lungo i due reofori princi-
pali. Se l'installazione fosse stata eseguita in modo da poter fare
su di essa esperienze di qualche valore, egli è probabile che le
conseguenze di tale falsa disposizione si sarebbero rese sensibili.
Produs., accumulaz. e distribuz. dell'energìa elettrica. 171
Vengo ora alla disposizione coi ricettori in serie sopra di
un circuito unico.
In questo caso la condizione a cui si deve soddisfare, ac-
ciocché i diversi ricettori situati lungo il circuito sienò indi-
pendenti gli uni dagli altri, e non risentano alcun effetto dalla
soppressione o dall' ag^unta di un numero qualunque di essi,
è che l'intensità dell'unica corrente che li attraversa abbia un
valore costante, indipendente dalla resistenza del circuito e
dalle forze elettro-motrici che si producono negli apparecchi
ricettori durante il lavoro. D Marcel Deprez ha dimostrato, che
anche questa condizione può essere soddisfatta, facendo la ec-
citazione della macchina dinamo- elettrica per mezzo di due cor-
renti, prodotte l'una dalla macchina stessa e l'altra da una
macchina eccitatrice indipendente. La sola differenza tra questo
caso e quello della distribuzione per derivazione sta in ciò, che
la prima corrente eccitatrice non deve più essere la corrente
principale della macchina, ma una corrente derivata dalla me-
desima e presa sui due poli.
Io posso dimostrare questa proposizione in poche parole.
Dico a, bf r le resistenze della spirale indotta» della spirale
magnetizzante posta in derivazione sulla corrente principale, e
del circuito esterno: ia, tb, I le intensità delle correnti rispet-
tive, r r intensità della corrente eccitatrice indipendente, È la
forza elettro-motrice della macchina generatrice, ed ^ la somma
delle forze elettro-motrici inverse dovute agli apparecchi ricet-
tori. Applicando i noti teoremi di Kirchhoff, ho le tre equazioni
/= t'a — ib ,
aia + rI^=E — e,
ri — 6ib = — e.
Inoltre, detta k una costante, ed n il numero dei giri fatti
dalla spirale indotta in ogni minuto, posso, come insegna l'espe-
rienza, porre
E=kH(Ìb + f).
Eliminando tra le quattro equazioni le tre incognite E, ia,
io, ottengo con facili riduzioni:
bkni'— eia-^ò — kn)
r(a-^ ò - kn) -^aò
172 Parte prima.
Ora quest'uguaglianza dimostra che se si dà alla macchina
una velocità tale che sia
a-\' b — kn = Of
ossia
a + b
il valore di / si riduce a
bknt _ a-Vb .,
^~ ab ~'~ir\ '
e diventa indipendente tanto dalla resistenza r del circuito
esterno, quanto dalle forze elettro-motrici che per effetto degli
apparecchi ricettori si producono sul medesimo.
E questa è la condizione a cui si voleva soddisfare.
Dunque per rendere indipendenti tra di loro i ricettori col-
locati in serie su di un unico circuito si deve:
i.° Formare le spirali dell'induttore con due fili posti
l'uno su di una derivazione presa ai due poli della macchina,
l'altro nel circuito di una macchina eccitatrice indipendente.
2.0 Mantenere costante l'intensità della corrente data dalla
eccitatrice indipendente.
3.® Mantenere costante la velocità della spirale indotta, e
procurare che essa faccia in ogni minuto un numero di giri
uguale ad — 7— .
R
Questa disposizione, come la precedente, soddisfa alla con-
dizione della massima economia. Quando uno degli apparecchi
ricettori viene arrestato, od è tolto dal circuito, diminuisce la
intensità h della corrente derivata eccitatrice, diminuisce l'in-
tensità del campo magnetico, diminuisce quindi il lavoro con-
sumato dalla macchina dinamoelettrica, ed il motore non deve
somministrare più di quanto è necessario per tenere in azione
i ricettori che rimangono attivi. Se invece un nuovo apparecchio
ricettore si inserisce nel circuito, ed entra in azione, cresce
l'intensità della corrente eccitatrice derivata, cresce l'intensità
del campo magnetico, e la macchina, per conservare la sua ve-
locità, deve assorbire un lavoro più grande.
Una osservazione è importante ed aggiunge bellezza a
questa semplicissima soluzione del problema fondamentale di
Froditz., accmmmias, e distriòmz^ delttturgia tUUrica. 173
ogni distrìbnzioac elettrica. L'osservazione è che, colle notazioni
dì cui ci siamo serviti, a ^ b rappresenta la somma delle resi-
stenze della girale indotta e di una delle spirali magnetizzanti
deir indottore ; ora la medesima somma, nelle formole relative
alia disposizione per derivazione era rap{Mresentata da r. Quindi
per una macchina, le cui spirali abbiano resistenze date, la ve-
locità necessaria è la stessa nei due casL Ciò permette di feir
servire una medesima macchina dinamo-elettrica, a {ùacimento,
ad un .sLstema di distribuzione per derivazione, oppure ad un
sistema con ricettcni disposti per serie su di un unico circuito.
Basta a quest'uopo munire la macchina di un semplice commu-
tatore, per mezzo del quale si possa, a piacimento, inserire la
spirale magnetizzante nel circuito principale, oppure metterla
in derivazione. In tutti i rasi, e qualunque sieno i circuiti
estemi, qualunque sia la quantità di energia che si vuole tras-
mettere e distribuire, la velocità che bisogna dare alla spirale
indotta è sempre la medesima; il numero di giri che la spirale
deve compiere in ogni minuto è in tutti i casi uguale al quo-
ziente della resistenza totale delle spirali indotte ed induttrici^
divisa per la costante k.
LsL costante k, che bisogna conoscere per poter determinare
il valore necessario delia velocità, è quella per cui bisogna
moltiplicare il prodotto dell'intensità della corrente eccitatrice
pel numero di giri, onde ottenere il valore della forza elettro-
motrice corrispondente. D valore di questa costante si può de-
terminare facilmente per mezzo di alcune esperienze preventive,
in ciascuna delle quali si misurino il numero di giri n, l'intensità
della corrente eccitatrice data da una pila o da una macchina
eccitatrice indipendente, e la forza elettro-motrice ottenuta. De-
terminata una volta questa costante, e calcolato con essa il
valore di n, questo varrà sempre, in tutte le applicazioni.
Nella teorìa il sistema di distribuzione delle correnti pro-
posto dal Marcel Deprez è completo e perfetto; e per la pratica
esso ha il carattere prezioso di una grande semplicità, il quale
costituisce la prima condizione per la buona riuscita. Io credo
che basti il cenno, che ne ho dato, a giustificare l' asserzione
colla quale ho cominciato, che per. chi pensi alle possibili ap-
plicazioni che la corrente elettrica avrà in avvenire, come
mezzo per la trasmissione e per la distribuzione dell' energia,
l'invenzione del Deprez deve presentarsi come una delle cose
più notevoli dell'esposizione.
174 Parte seconda.
Ma poiché ho espresso questa opinione, ho anche il dovere
di osservare che un giudizio sicuro e definitivo sul valore pra-
tico dell'invenzione non sarebbe possibile oggidì. Si richieggono
per darlo, risultati di esperienze serie fatte su scala sufficien-
temente grande e con apparecchi appositivamente costrutti e
disposti in perfette condizioni. Tali non erano gli esperimenti
che si sono fatti e che si sarebbero potuti fare cogli apparecchi
provvisori che erano stati installati nel palazzo dell'esposizione.
PARTE SECONDA.
APPLICAZIONI DELL'ENERGIA ELETTRICA.
§1.0 Trasmissione del lavoro meccanico a distanza.
Considerazioni generali. — Applicazioni speciali Applicazione agli opifizi:
Htilmann, Ducommun e SteinUn. — Aratura elettrica : Felix e ChréiUn, —
Ferrovie elettriche : Siemens ed Halske, Siemens frères, ChréHen. ^ Vantaggi e
difficoltà della trazione elettrica sulle ferrovie, casi in cui essa può essere eoo*
veniente. — Posta elettrica di Werner Siemens, — Applicazione della trasmis-
sione elettrica alle perforatrici. — Applicazione agli apparecchi di ventilazione
pei locali abitati: Génesie, Herscher et Comp. — Sulla distribuzione dell'energia
meccanica alla piccola industria.
24. Se nel circuito della corrente prodotta da una macchina
dinamo-elettrica a corrente contìnua, tenuta in azione da una
motrice^ si inserisce un'altra macchina a corrente contìnua,
ijuesta, per eflTetto della corrente, si mette in movimento e re-
stituisce sotto forma di energia meccanica una parte del lavoro
speso. Così la corrente elettrica può essere adoperata come
mezzo telo-dinamico, e V esposizione di elettricità ci ha pre-
sentato esempi svariati delle applicazioni che si possono fare
di questo principio.
Ma per renderci conto della importanza che possono avere
neir industria tali applicazioni, per giudicare della loro conve-
nienza economica, e, se possibile, per prevedere il loro pro-
babile avvenire, è necessario che, prima di esaminarle partita-
mente, noi entriamo in alcune considerazioni generali. Queste,
Applicazioni dell'energia elettrica. 175
mentre ci ricorderanno le relazioni quantitative fra le varie
grandezze che si hanno a considerare, ci condurranno ad alcune
proposizioni, che, se io non m'illudo, possono gettare molta luce
sulle condizioni economiche della applicazione.
Si abbiano due macchine dinamo*eIettriche poste in un me-
desimo circuito; la prima delle quali, che diremo generatrice,
sia tenuta in movimento da una macchina motrice, e la seconda,
che diremo ricettrice, si muova per effetto della corrente e re-
stituisca una parte del lavoro assorbito dalla prima. Diciamo poi:
L il lavoro meccanico assorbito in ogni minuto secondo
daUa macchina generatrice, espresso prendendo per unità di
misura il lavoro di dieci milioni di unità assolute (C, G, S)\
L! il lavoro meccanico restituito dalla macchina ricettrice
nel medesimo tempo, espresso colla medesima unità di misura;
Q il lavoro equivalente al calore svolto dalla corrente nel
circuito, espresso nella medesima unità di misura;
R la resistenza totale del circuito, in ohm;
/ l'intensità della corrente elettrica in ampère;
E la forza elettro-motrice della prima macchina, in volt ;
E la forza elettro-motrice inversa prodotta dalla ricettrice
durante il movimento, pure espressa in volt.
Abbiamo pel principio dei lavori l'uguaglianza
L=^L'^.Q; (1)
abbiamo inoltre le note relazioni:
L = EI, L^EI, Q = RP. (2)
Portando nella (i) questi valori, otteniamo E^--^ E + RI,
da cui ricaviamo
E — E
1=^, (3)
che è un'altra relazione nota: quella che esprime la legge di
Ohm. Dividendo poi l'uno per l'altro i valori (2) di E e di L,
e dicendo k il vsdore del loro rapporto, abbiamo:
A è il coefficiente di rendimento della trasmissione ; la (4) ci
insegna che questo coefficiente di rendimento è uguale al rap-
porto tra la forza elettro-motrice inversa prodotta dalla ricettrice
176 Parte seconda.
e la forza elettro-motrice diretta della macchina generatrice. Se
le due macchine fossero identiche, come accade in molte delle
applicazioni attuali, le loro forze elettro-motrici, per un mede-
simo valore della intensità della corrente, starebbero fra di loro
semplicemente come le velocità, o, ciò che vai lo stesso, come
i numeri dei giri fatti in ogni minuto dalle spirali indotte delle
due macchine; detti quindi n ed n* questi numeri di giri, si
avrebbe
n
Portando nei valori (2) di L, di L\ e di j^ in luogo di /,
il suo valore (3), ed eliminando poi dalle espressioni così otte-
■ nute la forza elettro-motrice E, per mezzo della (4), noi ot-
teniamo i valori del lavoro speso L, del lavoro ricuperato L!
e del lavoro trasformato in calore nel circuito, espressi unica-
mente per mezzo della forza elettro-motrice E del generatore,
della resistenza R del circuito e del coefficiente di rendimento
k del sistema. Questi valori sono:
L = (x-k)~, (5)
L'=k(i-k)-^, (6)
ie = (i-A)»^-. (7)
Queste tre uguaglianze compendiano tutte le relazioni quan-
titative, di cui noi abbiamo bisogno per istudiare con rigore
scientifico le condizioni meccaniche ed economiche delle tras-
missioni telo-dinamiche fatte per mezzo di correnti elettriche.
Deduciamo da esse una prima conseguenza importante, che
fu dimostrata già dal signor Marcel Deprez. Per valori dati di
Z, di L e di jp, il valore di k ricavato da una qualunque
delle (5), (6), (7) dipende unicamente dal valore di - : il coeffi-
ciente di rendimento rimane lo stesso, qualunque sia la resi-
stenza R del circuito, qualunque sia la distanza fra le due
macchine generatrice e ricettrice, qualunque sia il diametro e
la natura del filo o della gomena che le riunisce, a questa sola
Applicazioni dell* energia elettrica, 177
condizione: che a seconda dei diversi valori della resistenza R
si dieno anche alla forza elettro-motrice E valori diversi, tali
che il quoziente -^- rimanga costante. In altri termini: in una
trasmissione di forza motrice fatta per mezzo dell' elettricità si
può ottenere un coefficiente di rendimento costante, indipen-
dente dalla lunghezza della trasmissione e dalle dimensioni del
conduttore; basta, a quest'uopo, far variare la forza elettro-
motrice della macchina generatrice nella ragione diretta della
radice quadrata della resistenza del circuito.
E
Siccome è ^ = -_ , così per k costante la forza elettro-
h,
motrice E della macchina ricettrice deve variare nel medesimo
rapporto in cui varia la forza elettro-motrice E della macchina
generatrice; entrambe le forze elettro-motrici debbono variare
nella ragione diretta della radice quadrata della resistenza totale.
Il valore che si può dare nella pratica alla resistenza del
circuito di una trasmissione di rendimento prescelto è limitato
oggidì unicamente dalla limitata forza elettro-motrice delle mac-
chine attuali, e dalla difficoltà dell'isolamento, la quale cresce
col crescere delle forze elettro-motrici.
Sia r la somma delle resistenze interne delle due macchine
generatrice e ricettrice; la resistenza esterna, ossia- la resistenza
del filo o delle gomene con cui le due macchine sono riunite
insieme, sarà /? — r. Dato il valore k che si vuole che abbia il
coefficiente di rendimento, data la grandezza E del lavoro che
si vuole ottenere trasmesso, e che dev'essere prodotto dalla ri-
cettrice, data finalmente la forza elettro-motrice E della macchina
generatrice della quale si vuole far uso, questa resistenza R — r
si può facilmente calcolare.
La (6) dà infatti
R=zk(i^k) ^,,
E
E
e quindi
/?-r=it(i-*)^"-r. (8)
Siccome la resistenza dei conduttori esterni non può essere
né nulla, né negativa, così questa equazione ci determina due
G. Ferraris, Optre, VoL II. la
17B Parie seconda.
lìmiti fia cui /t deve essere compreso: sono i due valori di k
che soddisfanno all'equazione
^(i -^)— -r = o,
ed hanno i valori
rr
Se si potesse fare r == o, i due limiti diventerebbero uguali
ad uno ed a zero: il coefBciente di rendimento potrebbe allora
avere tutti i valori immaginabili. Ma col crescere della resistenza
interna r delle due macchine, ì due limiti si accostano l'uno
all'altro; per
essi diventano uguali tra di loro, ed uguali entrambi a — ;
2
questo allora è il solo valore possibile del coefficiente di ren-
dimento. Se poi fosse
'4L'
r>-r,.
i valori dei due limiti diventerebbero inmiaginari^ e ciò significa
che allora non sarebbe possibile trasmettere un lavoro uguale
ad L', ma soltanto lavori minori.
Dalle precedenti considerazioni risulta, che, proporzionando
convenientemente le diverse parti del sistema, si possono otte-
nere tutti gli infiniti coefficienti di rendimento che sono com-
presi fra due limiti determinati dalla resistenza interna delle
due macchine dinamo-elettriche, limiti che per piccoli valori di
questa resistenza possono essere assai lontani l'uno dall'altro.
Quando si avesse a fare un progetto, si potrebbe scegliere fra
quei limiti il valore che si vuol dare al coefficiente di rendi-
mento, e calcolare in conseguenza tutte le parti dell'apparecchio.
Ora si presenta la domanda: fra tutti i valori possibili del
coefficiente di rendimento qual'è il più conveniente? È questa
la questione più importante che ci si possa presentare; ed è in-
dispensabile averla esaminata, se si vuole poter giudicare della
importanza industriale delle trasmissioni elettriche della forza,
Applicazioni dell'energia elettrica, 179
importanza che dipende principalmente dalle condizioni di eco-
nomia nelle quali le trasmissioni si possono effettuare.
Per dare una risposta a questa questione, mettiamoci n^el
caso più importante della pratica. Si voglia trasmettere ad un
dato luogo un lavoro U determinato, adoperando a quest'uopo
un motore da installarsi in un altro luogo dato, al quale noi
daremo la potenza necessaria, e col quale metteremo in azione
«ma macchina dinamo-elettrica generatrice di data forza elettro-
f
motrice £ e di data resistenza interna — . Se queste due gran-
fa
^exz^ E ed — , invece di esserci date fossero lasciate alla
2
nostra scelta, noi daremmo loro i valori più convenienti per la
economia, che sono per E il massimo possibile, avuto riguardo
alh costruzione della macchina ed all' isolamento della linea, e
per r il minimo praticabile; dopo di che, le considereremmo
come date. Con questi dati si voglia determinare il valore più
conveniente del coefficiente di rendimento k, per calcolare poi
in base a questo tutte le parti del astema.
Per determinare il valore più conveniente del coefficiente
di rendimento, bisogna prendere in considerazione le condi-
zioni di economia. Il valore più conveniente di >& è quello
per cui il costo del lavoro L', dato nel luogo voluto, riesce il
minimo.
Ora il costo del lavoro L\ somministrato dal sistema che
si vuole installare, si compone di tre partii che sono:
i.*> Il costo del lavoro motore, che si spende per attivare
la macchina generatrice. Questo costo, nd caso di una motrice
idraulica, si riduce al salario del sorvegliante, riferito all'imita
di tempo, ed all'olio per la lubrificazione; nel caso di una mo-
trice a vapore esso comprende inoltre il prezzo del combustibile
consumato.
2.° La quota d'interesse e di ammortizzazione del capitale
impiegato nell' impianto dèi motore e delle macchine, riferita
all'unità attuale di tempo, ossia al minuto secondo; e la quota,
riferita alla medesima unità di tempo, delle spese di manuten-
zione e di riparazione degli apparecchi nominati.
3.° La quota d'interesse e di ammortizzazione pel capitale
impiegato nella provvista e nella collocazione delle gomene
metaUiche congiungenti la macchina generatrice colla ricettrice ;
riferita, questa quota, alla medesima unità di tempo.
i8ò Parte seconda.
La condizione a cui bisogna cercare di soddisfare, nello
studio di un progetto, è che la somma di queste tre spese sia
la minima possibile.
Ora tutte tre queste spese dipendono dal valore che si dà
al coefficiente k di rendimento:
i.o II costo del lavoro motore, per ogni unità di tempo,
cresce col crescere della grandezza di questo lavoro; se noi
rappresentiamo con F(L) questa prima parte del costo, possiamo
dire che F(L) è una funzione crescente del lavoro L. Ora ab-
L! (L'\
biamo Z,= -7-; e quindi il costo del lavoro motore è -^ |-T-j •
Se L' ha un valore costante dato, -^ I -t" | cresce col diminuire
di k, diminuisce col crescere di k.
2.° Il costo di impianto della motrice e delle macchine
cresce col crescere del lavoro L che esse debbono produrre e
trasformare; e siccome L vale -ed è inversamente proporzio-
nale a k, così quel costo diminuisce col crescere di k. La quota
d'interesse e di ammortizzazione, che gli corrisponde, si può
adunque rappresentare con /(-r-) essendo /il simbolo di una
funzione crescente di -- e quindi decrescènte di k.
3.° Le dimensioni ed in conseguenza il prezzo delle go-
mene conduttrici congiungenti le due macchine dipendono dalla
resistenza R — r che esse debbono presentare, e quindi dal
coefficiente di rendimento, che, come vedemmo, è legato a
queste resistenze. Diciamo / la lunghezza delle gomene neces-
sarie per formare il circuito, espressa in centimetri; rappresen-
tiamo con e il coefficiente di conduttività del metallo con cui
son fatte le gomene, riferito al centimetro ed all'ohm; e rap-
presentiamo con 5 la sezione trasversale delle gomene espressa
in centimetri quadrati; abbiamo
cs
e quindi
_ I /
Applicazioni dell'energia elettrica. i8i
Il volume delle gomene vale adunque
'^=-c-R--r
centimetri cubi; e se diciamo b l'ammontare dell'interesse e
dell'ammortizzazione del valore di un centimetro cubo del con-
duttore, l'ammortamento e l'interesse del valore totale delle
gomene risulta uguale a
b P
e R-r'
Se in questa espressione poniamo, in luogo di R — r, il
suo valore (8), otteniamo
b P
e E*
Questa espressione ci fa vedere come varii quest'ultima parte
del costo del lavoro col variare del valore del coefficiente di
rendimento k. L'espressione prende un valore infinitamente
grande quando il coefficiente di rendimento k ha l'uno o l'altro
dei due valori limiti, di cui abbiamo parlato, valori per cui il
denominatore della formola va a zero. Per un determinato va-
lore di k compreso fra questi limiti l'espressione prende un
valore minimo. Il valore di k, a cui corrisponde questo valore
minimo della spesa pel conduttore, è quello che rende massimo
il denominatore, e siccome in questo denominatore ^ è la sola
variabile, così il valore che lo rende massimo è quello per cui
è massimo il prodotto k{i — k), ossia è k = --,
2
Ora possiamo concludere: La quantità da rendersi minima
è la somma
-(xiM^-)-:-
la derivata della quale, rispetto a k, deve perciò essere uguale
a zero. Ma i due primi termini, che diminuiscono col crescere
di A, hanno derivate negative; perciò l'ultimo deve avere una
derivata positiva. Ora l'ultimo termine, che ha un minimum per
i82 Parte seconda.
k=i — , ha la derivata positiva solamente per ^> — ; dunque
il valore di k che rende minima la somma è maggiore di — . Il
2
valore più conveniente da scegliersi pel coefficiente di rendi-
mento non si può determinare esattamente se non ne' diversi
casi particolari, in cui si conoscano le spese di impianto delle
macchine ed il prezzo del lavoro motore ; ma fin d' ora, ed in
modo affatto generale, possiamo affermare questa importante
proposizione:
Il valore del coefficiente di rendimento di una trasmissione
di lavoro meccanico per mezzo della elettricità, pel quale si ha
la massima economia nelle spese, è sempre maggiore di — .
2
La quantità, di cui, per condurre alla massima economia^ il
coefficiente di rendimento deve superare il valore — , è diversa
2
nei diversi casi speciali. Essa ha valori più grandi in tutti quei
casi ove i due primi termini della somma precedente hanno
valori elevati ed è, in confronto con essi, piccolo il terzo ter-
mine; ha invece valori più piccoli ogni qualvolta hanno piccoli
valori i due primi termini e rispetto ad essi ha un valor con-
siderevole l'ultimo termine.
Così, per esempio, se si tratta del caso in cui si abbia un
motore idraulico, il primo termine è piccolissimo; e se per la
buona condizione della località la spesa d'impianto del motore
riesce moderata, può dirsi che anche il secondo termine prende
un valore non grande a fronte del terzo; allora il valore con-
veniente del coefficiente di rendimento sarà poco superiore
a 0,50. Ciò accadrà con maggior ragione nei casi in cui i mo-
tori sieno molto potenti, giacché allora il prezzo d'impianto ed
il costo del lavoro varieranno più lentamente col variare di L,
ossia di >fc; le derivate delle funzioni F ed / avranno piccoli
valori numerici.
Se invece si hanno motori a vapore, il primo termine della
somma è assai maggiore che nel caso precedente, ed a parità
di altre circostanze conviene adottare un coefficiente di rendi-
mento, più grande.
In ogni caso, l'importanza del terzo termine della somma
cresce col quadrato della lunghezza / del conduttore; quindi il
valore conveniente pel coefficiente di rendimento è tanto più
Applicazioni dell'energia elettrica. 183
prossimo al mìnimo — , quanto più quella lunghezza è grande.
2
La natura del metallo adoperato per la costruzione del con-
b
duttore influisce sul valore di — , e quindi, indirettamente, su k,
e
Se paragoniamo, a questo riguardo, il rame col ferro, troviamo
che mentre i prezzi di volumi uguali di rame in fili e di ferro
pure in fili stanno fra di loro approssimativamente come 4,5
sta ad imo, il coefficiente e di conduttività del rame vaie circa
il sestuplo di quello del ferro, e quindi il valore di — pel rame
75
equivale soltanto a di quello che si ha pel ferro. In con-
seguenza di ciò, il valore più conveniente del coefficiente di
rendimento è maggiore quando si adoperano conduttori di rame,
che non quando si fa uso di conduttori di ferro. La differenza
però non è di grande momento.
Dato il coefficiente di rendimento k, la formola (8) deter-
mina il valore che bisogna dare alla resistenza /? — r del con-
duttore estemo, che collega le due macchine ; quindi dal valore
più conveniente di k possiamo dedurre il valore più conveniente
di quella resistenza. Per >fe = — la (8) dà
2
e per k> — , essa dà
3
R-r<
E*
AL'
E*
\L'
Dunque noi impariamo, che, affinchè sia soddisfatta la con-
dizione della massima economia, la resistenza delle gomene, o
dei fili, o delle sbarre congiungenti la macchina generatrice
colla ricettrice deve essere minore di
E}
r. (9>
Le proposizioni, a cui ci condussero le considerazioni ge-
nerali, che precedono, ci permettono di renderci conto del valore
184 Parte seconda.
pratico che possono avere oggidì e nelVav venire le trasmissioni
elettriche dell'energia meccanica.
In primo luogo risulta dalle nostre considerazioni, che ado-
perando la corrente elettrica, come mezzo telo dinamico, è pos-
sibile ottenere un coefficiente di rendimento assai grande, al
quale, proporzionando convenientemente gli apparecchi ed i
conduttori, si può dare il valore che si vuole, entro limiti estesi.
Il valore del coefficiente di rendimento è, nella pratica, limitato
piuttosto che da ragioni tecniche, da ragioni di economia. Au-
mentando infatti il coefficiente di rendimento si diminuiscono
bensì le spese di impianto delle macchine e dei motori, e le
spese correnti per la produzione del lavoro motore, ma si au-
mentano le spese pel conduttore fra le due stazioni. Esiste
adunque in ogni caso un valore determinato del coefficiente di
rendimento, pel quale la somma di tutte le spese si riduce ad
un minimum.
Il valore del coefficiente di rendimento, a cui corrisponde
questo minimum di spesa, ed a cui bisognerà attenersi, in ge-
nerale, nelle applicazioni pratiche, è sempre superiore a — .Or
2
bene, si sa che un coefficiente di rendimento uguale a — non
2
è sempre ottenibile nelle trasmissioni di forza motrice fatte per
mezzo dell'aria compressa; considerate adunque dal punto di
vista meccanico queste ultime sono meno convenienti di quelle
che si possono fare per mezzo dell'elettricità.
Per tutte le altre specie di trasmissioni telo-dinamiche la
frazione del lavoro speso, la quale viene consumata per istrada
dalle resistenze passive, e trasformata inutilmente in calore,
cresce necessariamente colla distanza; per le trasmissioni elet-
triche invece è possibile far sì che, qualunque sia la distanza,
la quantità di energia trasformata in calore lungo la linea ri-
manga sempre la stessa, e che quindi l'effetto utile conservi il
medesimo valore a tutte le distanze. Ciò si ottiene senza bisogno
di aumentare in modo impraticabile le dimensioni dei conduttori;
si ottiene semplicemente modificando, a seconda delle distanze,
la forza elettro-motrice delle macchine generatrici e delle ri-
cettrici. La distanza alla quale, con un determinato coefficiente
di rendimento, e con un filo metallico di diametro determinato,
è possibile trasportare una determinata potenza motrice, è li-
mitata unicamente dalla difficoltà pratica di ottenere, e conser-
Applicazioni dell'energia elettrica, 185
vare senza disperdimenti, differenze di potenziali superiori ad un
certo limite; e questa difficoltà è suscettibile dì diminuire col tempo.
Fin d'ora le trasmissioni elettriche dell* energia meccanica
ci si presentano come le più adatte per superare le grandi di-
stanze; e fin d'ora, in base a considerazioni teoriche rigorose,
e coli' appoggio di dati sperimentali noi possiamo prevedere,
pei casi delle grandi distanze, applicazioni grandiose.
Questa è la prima conseguenza che scaturisce dall' esame
generale che abbiamo fatto della questione. Una seconda conse-
guenza è che i risultati, di cui abbiamo parlato, si possono otte-
nere con installazioni perfettamente pratiche, e soprattutto senza
bisogno di adoperare conduttori di dimensioni imbarazzanti e
costose. Noi abbiamo nella espressione (9) il valore massimo
che può convenire di dare alla resistenza del filo di linea ed
abbiamo nella formola (8) il modo di calcolare la resistenza che
bisogna dare al filo di linea per avere un coefficiente di rendi-
mento k di determinato valore. Possiamo servirci di questa
formola per calcolare le dimensioni di un conduttore destinato
alla trasmissione di un dato lavoro meccanico fra due stazioni :
qualche esempio di questo calcolo ci riuscirà molto istruttivo.
Perchè l'esempio sia pratico^ io suppongo di volere adope-
rare, per trasportare il lavoro a distanza, due macchine dinamo-
elettriche di un tipo attualmente esistente. Suppongo di voler
adoperare come generatrice e come ricettrice due macchine del
tipo Brush, del quale ho parlato nel primo paragrafo di questa
relazione. Suppongo che le due macchine, identiche tra di loro,
sieno del modello più grande fra quelli che la Anglo-American
Brush Electric Light Corporation costruisce. Queste macchine,
destinate ad alimentare 40 lampade elettriche ad arco voltaico
poste in serie su di un medesimo circuito, consumano, come
ho detto, nelle condizioni normali, 36 cava Ili- vapore, hanno una
forza elettro-motrice uguale a 2200 volt, e presentano una re-
sistenza interna uguale a 23 ohm. Assumo poi un coefficiente
di rendimento uguale a 0,6, ossia suppongo che mentre la mac-
china generatrice prende dal motore un lavoro di 36 cavalli, la
macchina ricettrice riproduca il lavoro di 36 v 0,6 ossia di
21,6 cavalli-vapore. Con questi dati posso calcolare R — r per
mezzo della formola (8); basta che io ponga in essa
E = 2200, r = 2 X 23 ~ 46,
L = 21,6 X 75 X 9,8i = 15892,
k =:o,6o,
i86 Parte seconda^
Trovo così: R — r^^^j ohm.
Supponiamo che si voglia adoperare come conduttore un
filo di ferro del diametro di 4 millimetri, come quello con cui
si sogliono costrurre le linee telegrafiche ordinarie e che dicesi
normak. Un tale filo presenta una resistenza di circa un ohm
per ogni 120 metri di lunghezza; quindi per avere una resi-
stenza di 27 ohm esso dovrebbe avere la lunghezza di circa
3200 metri. Se supponiamo che si abbia un filo di andata ed
un filo di ritorno, noi possiamo conchiudere, che adoperando
le macchine Brush come generatrici e come ricettrici, ed im-
piegando per congiungere le due macchine un semplice filo te-
legrafico ordinario del diametro di 4 millimetri, si possono
mandare ad una distanza di 1600 metri più di 21 cavalli-vapore,
spendendone 36, con un rendimento del 6a per cento.
Se invece di voler ottenere un rendimento uguale a 0,60,
si volesse soltanto un rendimento uguale a 0,50, il filo telegrafico
adoperato come conduttore potrebbe avere una lunghezza di
metri 5400, e le due stazioni, anche adoperando il filo di ri-
tomo, potrebbero distare l'una dall'altra 2700 metri.
Se poi invece di adoperare un filo di ferro, si avesse ricorso
ad un filo di rame di ugual diametro, si potrebbe avere il ren-
dimento 0,60 con una lunghezza di oltre a 19 chilometri di filo,
ed un rendimento 0,50 con una lunghezza di filo uguale a più
dì 32 chilometri.
Se finalmente, invece di adoperare macchine di Brush quali
attualmente sono costrutte, noi avessimo supposto di fare uso
di macchine speciali costrutte in modo da ottenere una forza
elettro-motrice più grande ; se, per esempio, noi avessimo sup-
posto di aver costrutto le macchine colle dimensioni attuali,
ma con fili più piccoli e più lunghi, noi avremmo potuto arrivare
a numeri anche più soddisfacenti. Se, per esempio, avessimo
ritenuto possibile costrurre due macchine aventi una forza
elettro-motrice uguale al triplo di quella delle macchine Brus/t,
con una resistenza interna uguale eziandio al ' triplo di quella
delle macchine attuali, avremmo trovato che con un coefficiente
di rendimento uguale a 0,60 si possono ottenere sull'albero
delle ricettrici 21,6 cavalli-vapore con un circuito fatto con filo
telegrafico di ferro del diametro di 4 millimetri e della lun-
^ezza di oltre 60 chilometri.
Così le semplici considerazioni generali da cui siamo partiti
ci hanno condotto alla convinzione che la trasmissione deUa
Applicazioni dell'energia elettrica. 187
forza motrice per mezzo dell* elettricità non solo può ricevere
nel campo industriale importantissime applicazioni, ma può di-
ventare inoltre, in molti casi, di una attuazione semplice, eco-
nomica e comodissima. Dalle medesime considerazioni generali
deduciamo ancora un'ultima conseguenza. £ questa si riferisce
all'indirizzo che gli inventori ed i fabbricanti dovranno dare
alle loro ricerche per migliorare le macchine d'induzione de-
stinate al trasporto dell'energia meccanica.
Risulta in primo luogo dalle nostre considerazioni, che, per
ottenere nelle trasmissioni un buon coefficiente di rendimento,
bisogna adoperare grandi forze elettro-motrici; dalla formola (5)
si ha infatti
e questo valore, per dati valori del lavoro Z, che si spende, e
della resistenza totale R del circuito, si accosta tanto più al-
l'unità quanto più grande è la forza elettro-motrice E.
Risulta in secondo luogo che per economizzare il metallo
nella costruzione del conduttore che deve congiungere le due
macchine generatrice e ricettrice, bisogna similmente dare elevati
valori alle forze elettro-motrici, e piccoli valori alle resistenze
inteme. Questo è dimostrato dall'espressione
*= k(^-k)^^-r
della spesa relativa al conduttore, ed è inoltre posto in evidenza
dai calcoli numerici fatti poc'anzi. La cosa apparirà anche più
chiara se porremo in confronto, coi risultati dei calcoli prece-
denti, quelli a cui si arriva quando si consideri una trasmissione
fatta con macchine di minori forze elettro-motrici. Si abbiano
per esempio due macchine Gramme del tipo C identiche a
quella che servì alle note esperienze di Chatam. Per una di
queste macchine la forza elettro-motrice è di 69,9 volt, il lavoro
consumato quando la macchina funziona come generatrice nelle
circostanze normali è di 579 chilogrammetri per minuto se-
condo, ossia 7,7 cavalli-vapore, e la resistenza interna è, in
tutto, uguale a 0,21 ohm. Dando al coefficiente di rendimento
il valore minimo --, si avranno sull'albero della ricettrice
2
i88 Parte seconda.
289 chilogrammetri al minuto secondo, ossia si avrà i'= 289x9,81.
Se poniamo nella espressione (9) della resistenza da darsi al
conduttore esterno in luogo di i' questo suo valore, ed in luogo
di -E e di r, rispettivamente i valori -£=69,9 ed r = 2 x 0,21 =0,42,
troviamo per la resistenza della linea il valore di 3,80 ohm.
Questa resistenza, che è la massima ammessibile nel caso attuale,
è quella che presenterebbe un filo telegrafico normale della
lunghezza di appena 456 metri. Mentre adunque con due mac-
chine Brush si possono trasportare sull'albero della ricettrice,
con un rendimento del 60 per cento, con un filo telegrafico
lungo 3200 metri, più di 21 cavalli, con due macchine Gramme
del tipo considerato si possono trasportare appena cavalli 3,85
con un rendimento uguale solamente al 50 per cento, e con un
circuito di filo telegrafico lungo appena 456 metri. Se si volesse,
con sistemi dì macchine come queste riunite in quantità, in modo
di avere una forza elettro-motrice semplicemente uguale a 69,9,
ed una resistenza interna uguale a quella di una macchina
semplice divisa pel numero delle macchine, ottenere come nel
caso delle macchine Brush un lavoro effettivo di 21,6 cavalli
sull'albero della ricettrice, con un rendimento del 60 per cento,
si dovrebbero riunire le macchine generatrici alle ricettrici con
un conduttore avente una resistenza uguale appena a 0,014 ohm.
E se questo conduttore dovesse avere la lunghezza di 3200 metri
come nel caso considerato delle macchine Brush, esso dovrebbe
avere, se di ferro un diametro di 176 millimetri, e di 72 milli-
metri se di rame. Un risultato molto migliore avremmo ottenuto
supponendo le macchine collegate tra di loro in tensione.
Questo esempio, oltre al servire alla questione di cui ci
occupiamo attualmente, è molto istruttivo a riguardo del sistema
di distribuzione del Gravier, il quale, come abbiamo veduto,
richiede Tuso di macchine d'induzione disposte in quantità.
25. Ho considerato fin qui l' impiego della elettricità nella
trasmissione a distanza dell'energia meccanica dal punto di vista
più generale; ed ho avuto in mira le applicazioni grandiose
che forse ne vedremo nell'avvenire. Questo io doveva fare per
due motivi: in primo luogo perchè le installazioni che si am-
miravano nel palazzo dell'esposizione e la rapidità dei progressi
che l'esposizione ci ha mostrato relativamente alla costruzione
degli apparecchi sono tali da forzarci a credere quell'avvenire
certo e vicino; in secondo luogo perchè se v'ha alcuno che
debba vagheggiare un tale avvenire, questi siamo noi, i quali,
Applicazioni dell'energia elettrica, 189
se esso si verificherà, potremo supplire in parte colla energia
dei nostri torrenti quella che il nostro suolo non tiene accu-
mulata nei banchi di litantrace. Ma indipendentemente dalle ap-
plicazioni vaste e generali, di cui abbiamo parlato, la corrente
elettrica^ considerata come mezzo telo-dinamico, può fin d'ora
trovare un utile impiego in parecchi casi speciali; ed a questo
riguardo l'esposizione di Parigi ci ha offerto interessanti oggetti
di studio.
Nella sezione tedesca dell'esposizione i signori Hetlmann,
Ducommun e Steinlen noti fabbricanti di macchine di Mùhlhausen
nell'Alsazia, avevano installato un piccolo, ma completo, opifizio
meccanico, ove parecchie macchine-utensili come pialle, trapani^
limatrici, ecc., lavoravano mosse da due piccole macchine di
Gramme, del tipo comunemente adoperato per la illuminazione.
Le due macchine di Gramme erano animate dalle correnti
elettriche prodotte da due altre macchine identiche, situate a
distanza ed attivate^ insieme ad altre, da una motrice a vapore»
Le macchine generatrici consumavano ciascuna circa tre cavalli
di potenza motrice e le macchine ricettrici riproducevano cia-
scuna, utilizzabile sul loro albero, il lavoro di un cavallo e
mezzo. Durante la sera il piccolo opifizio era illuminato da
lampade Swan alimentate da altre macchine dinamo-elettriche.
Questa installazione non presentava alcuna applicazione di prin-
cipi nuovi; ma era accuratissima, e come tale metteva in evi-
denza, nel modo migliore, diversi vantaggi che la trasmissione
elettrica del lavoro potrebbe presentare anche solo applicata a
distribuire in uno stabilimento industriale il lavoro del motore.
In causa della distribuzione dei locali potrà darsi che ad alcune
parti di uno stabilimento industriale non si possa trasmettere
il movimento, coi mezzi ordinari, senza una perdita di effetto
utile paragonabile a quella, a cui darebbe luogo la trasmissione
elettrica. Ebbene in questo caso può darsi che l' impiego del-
l'elettricità sia preferibile ai soliti mezzi di trasmissione. La
trasmissione elettrica evita i traballamenti dell' edifizio ; è più
pronta di qualunque altra perchè in essa sono minime le masse
in moto; si interrompe e si ristabilisce col semplice giuoco di
un commutatore; permette di dividere il lavoro fra diversi ri-
cettori destinati ciascuno ad una sola macchina o ad un gruppo
di un piccolo numero di macchine, rendendole così fra loro in-
dipendenti ; nei casi ove occorrano grandi velocità assicura una
maggiore uniformità nei movimenti; non produce rumori; è
190 Parte seconda.
scevra di pericolL Se poi nella notte si fa ia illuminazione con
apparecchi elettrici, la spesa della installazione può essere di-
minuita ed ì vantaggi accresciuti. A tutto questo s' aggiunga
•che in alcuni casi V installazione elettrica può costare meno di
<]uella di una ordinaria trasmissione.
96. Ma più che nei casi di opifizi ordinari ove i diversi
lavori si compiono in un unico edifizio od in pochi edifizi si-
tuati a brevi distanze gli uni dagli altri, l'impiego delle correnti
elettriche quali mezzi di trasmissione si presenta spontaneamente
coi carattere dì una convenienza evidente, qaaodo si tratti di
industrie in cui i diversi lavori si debbono fare in luoghi lontani
e variabili. Sono in questo caso alctmi rami delle industrie
agrìcole. Per ragioni che si connettono alle condizioni della
nostra agricoltura, ragioni delle quali non è compito nostro né
di nostra competenza discorrere, ie applicazioni dell' elettricità
ai lavori agricoli non possono avere oggidì, né forse avranno
molto presto una grande importanza nel nostro paese; ma, nella
storia delle applicazioni della corrente elettrica alla trasmissione
dell'energia meccanica, esse occupano un posto notevole, e
presentano un tale interesse, che non possiamo lasciare inos-
servata la parte della esposizione di elettricità ad essa dedicata.
È nota l'estensione e l'importanza che l'aratura meccanica,
od a vapore, ha acquistato oggidì in alcuni paesi; ebbene, egli
é probabile che in molti casi all'aratura a vapore, oggi in uso,
si possa sostituire con vantaggio l'aratura ^ettrica. I più difiusi
sistemi d'aratura a vapore attuahnente in uso ridiiedono l'im-
piego di locomotive stradali e di tamburi sui quali s'avvolge
una fune metallica rimorchiante un aratro a vomeri multipli.
Questi meccanismi sono molto costosi e richiedono nella con-
dotta e nella manutenzione riguardi speciali, diffìcili ad aversi
in uno stabilimento agricolo; il loro peso è grandissimo, e la
manovra loro riesce diffìcile soprattutto in tempo dì pioggìe;
finalmente essi oltre al richiedere, per la natura delle motrici
di cui si valgono, un notevole consumo di combustibile, neces-
sitano un approvvigionamento d'acqua durante il lavoro, il
<]uale, in alcune circostanze, può riuscire assai imbarazzante e
molto costoso. Si sa che talora l'acqua costa più che il carbone.
Per mezzo dell'elettricità tutti questi inconvenienti si pos-
sono evitare. L' apparecchio per l' aratura elettrica si compone
essenzialmente di due macchine dinamo-elettriche, che, attivate
alternativamente da una medesima corrente, mettono in moto
Applicazioni dell'energia elettrica, 191
in versi opposti i due tamburi su cui si avvolge la fune me-
tallica rimorchiante l'aratro. Le due macchine sono portate da
due carri identici, i quali, durante il lavoro, debbono essere
collocati ai due lati del terreno da lavorarsi, alle due estremità
dei solchi che si vogliono eseguire. Le macchine dinamo-elet-
triche servono eziandio a mettere in moto le ruote portanti dei
carri onde farli avanzare perpendicolarmente alla direzione dei
solchi, di mano in mano che questi ven^no eseguiti. Il sem-
plice giuoco di un commutatore permette di invertire U verso
del movimento dell'aratro; un altro commutatore permette di
porre in moto a piacimento i cilindri rimorchiatori, oppure i
carri che portano tutto il meccanismo. L'apparecchio elettrico
completo pesa assai meno di quello a vapore, due tonnellate
invece di diciotto, quindi si maneggia più comodamente; in esso
tutto il governo può essere affidato a tre sole persone; in esso
finalmente non si ha la spesa e l'imbarazzo dell'approvvigiona-
mento de4 combustibile e dell' acqua. Benché la trasmissione
elettrica del lavoro dall' edifìzio centrale, ove è il motore, fino
alle macchine lavoratrici che sono nel campo, consumi circa la
metà del lavoro speso, può tuttavia aversi un'economia rispetto
all' impiego dei sistemi a vapore. L' economia risulta dal rendi-
mento delle macchine motrici, il quale per le macchine fìsse di
grande potenza può essere tanto più grande (£ quello delle lo-
comotive stradali da compensare quella perdita. L'economia poi
è evidente e grande, se nello stabilimento centì^ale il lavoro è
somministrato da una motrice idraulica.
Ai vantaggi enumerati se ne aggiunge ordinariamente jun
altro, che in alcuni casi speciali può essere il più importante.
Alludo al vantaggio di potere, in grazia della trasmissione elet-
trica, adoperare per tutti i lavori agricoli, i quali si compiono
durante la più gran parte dell'anno, la forza motrice che si ha
disponibile nello stabilimento centrale e di cui, senza di ciò,
non si trarrebbe partito se non per un breve periodo dell'annata.
Fu quest'ultima considerazione quella che, più d'ogni altra,
suggerì l'idea dell'aratura elettrica. L'idea è dovuta ai signori
ChrOien e F^lix, ingegneri francesi, noti nel campo industriale,
e ad essi fu certamente suggerita dalla considerazione delle
condizioni speciali dell'industria dello zucchero, che in Francia
ha tanta importanza. In questa industria, ad una attività febbrile
di qualche mese, succede nell'opifìzio una inazione assoluta per
tutto il resto dell'anno; donde segue che una forza motrice.
192 Parte seconda.
sempre considerevole, rappresentante un capitale ingente, rimane
per tutto questo tempo inattiva, senza tuttavia dispensare dalle
spese e dalle cure della manutenzione. E siccome nell'Inghilterra
e negli Stati uniti d' America V impiego della lavorazione mec-
canica andava acquistando favore, così era razionale pensare
ad utilizzare la forza motrice dell' opifizio per fare con essa la
coltura dei terreni dipendenti, che provvedono all' opifizio me-
desimo la materia prima.
Sono note le esperienze che i signori Felix e Chrétien ese-
guirono fin dal 1879 a Sermaize (Marne), nelle quali attraverso
ad un filo di rame di dieci millimetri quadrati di sezione si
trasmise alla distanza di due chilometri e si ottenne utilizzabile
sull'aratro il lavoro di circa tre cavalli-vapore, spendendone col
motore circa il doppio. Quelle esperienze costituiscono uno dei
primi tentativi per l'applicazione industriale della trasmissione
elettrica del lavoro, ed hanno una importanza storica speciale.
Alla esposizione si vedevano nella sezione francese i mec-
canismi per la lavorazione elettrica, che avevano servito a quelle
esperienze. Insieme ad essi il signor Felix esponeva diversi
altri apparecchi per l'applicazione della trasmissione elettrica ad
altri lavori agricoli, al lavoro delle miniere, all'elevazione del-
l'acqua, ecc. La sua svariata esposizione faceva testimonianza
della grande attività e dell'opera perseverante per cui egli ed
il Chrétien si sono resi benemeriti di questo ramo, così ricco
di avvenire, della elettrologia applicata.
27. Uno dei casi ove è impossibile adoperare motori col-
locati sul sito del lavoro, ed ove inoltre riesce per lo più im-
barazzante ed impossibile l'impiego degli ordinari mezzi telo-
dinamici, si presenta nei lavori delle miniere; ed il problema
di operare per mezzo di motori fissi, esterni, la trazione dei
vagoncini per l'estrazione del carbone e dei minerali delle gal-
lerie, fu uno dei primi che si sia tentato di risolvere per mezzo
dell'elettricità. Fu questo problema quello che condusse il dot-
tore Werner Siemens a pensare alla possibilità di adoperare la
trasmissione elettrica del lavoro per la trazione sulle ferrovie.
Nella esposizione tedesca che si tenne in Berlino nel 1879
figurava il primo modello di ferrovia elettrica; e questo non era
altro che l'apparecchio immaginato dal Siemens e costrutto
dalla casa Siemens ed Halske per l'estrazione del carbon fossile
da una miniera, trasformato e ridotto ad uso dei passeggeri in
occasione dell'esposizione. La disposizione di quel primo saggio
Applicazioni dell' energia elettrica, 193
di ferrovia elettrica era la seguente : essa era una piccola strada
ferrata a binario ridotto, percorrente una linea curva chiusa
della lunghezza di circa 300 metri. Frammezzo alle due rotaie
correva lungo tutta la strada una terza guida, costituita da un
ferro piatto verticale. Il treno si componeva di tre vagoncini,
portanti ciascuno sei persone, e di una locomotiva elettrica.
Questa locomotiva era costituita semplicemente da una macchina
dinamo-elettrica di Hefner-Altenek, del tipo solitamente costrutto
dalla fabbrica Siemens ed Halske per l'illuminazione elettrica,
portata da un piccolo carro a quattro ruote, e funzionante come
ricettrice, come motore elettrico, per effetto della corrente pro-
dotta da una seconda macchina dinamoelettrica installata nella
galleria delle macchine e comandata da una macchina a vapore.
II circuito era formato dalla guida centrale e dalle rotaie por-
tanti; uno dei poli della macchina dinamo-elettriq^i fìssa, ge-
neratrice, era posto in comunicazione, per mezzo di un con-
duttore metallico, colla guida centrale, l'altro polo comunicava
invece colle due rotaie portanti; i due poli della macchina ri-
cettrice costituente la locomotiva comunicavano l'uno con due
rotelle orizzontali appoggiantisi, per effetto di molle, contro la
guida centrale e l'altro colle ruote portanti. Così, in qualunque
posizione la locomotiva si trovasse, la corrente elettrica pro-
dotta dalla generatrice fìssa trovava chiuso questo circuito:
spirale indotta della generatrice, guida centrale, spirali della
ricettrice, rotaie portanti. Per assicurare meglio il contatto me-
tallico conduttore tra le ruote e le rotaie, tutte le ruote del
treno erano collegate metallicamente tra di loro. Il meccanico
incaricato della condotta del piccolo treno sedeva sulla loco-
motiva ed aveva a sua portata un manubrio pei freni ed un
commutatore per interrompere il circuito e per richiuderlo. 11
numero delle persone portate dal treno variava da 18 a 24, lo
sforzo di trazione da 40 a 75 chilogrammi, la velocità da
metri 1,90 a metri 3,50, il lavoro da 2 a 3,5 cavalli; il rendi-
mento era risultato di circa 0,50.
Questo primo esperimento riuscì, a giudizio del Siemens,
abbastanza bene per indurre il celebre costruttore a pensare
alla possibilità ed alla convenienza della trazione elettrica anche
in casi diversi da quelli delle miniere. A lui parve che la tra-
zione elettrica si potesse adoperare con vantaggio, in parecchi
casi, sulle tramvie, segnatamente nell' interno delle città. In
questo caso la possibilità di camminare rapidamente, senza
G. Ferraris, Opere, Voi. II. 13
194 Parte seconda.
rumori, senza fumo, con un materiale elegante e leggero, con
una grande semplicità e sicurezza nel servizio, e con notevole
economia nel personale, parve al Siemens una ragione sufficiente
per dover tentare la prova. La leggerezza poi del materiale
mobile di una ferrovia elettrica avrebbe permesso di costrurre
in condizioni di una massima economia binari aerei, sostenuti
all'altezza di un primo piano da colonne metalliche, e così dotare
le città più popolose di un mezzo di comunicazione atto a rime-
. diare alla crescente insufficienza delle strade attuali. Ciò indusse
i signori Siemens ed Halske a. presentare alle autorità di Berlino
un progetto per una strada ferrata aerea attraverso la città.
Questa strada aerea avrebbe avuto la lunghezza di circa io chi-
lometri e sarebbe stata sostenuta da colonne metalliche alte
metri 4,40 e disposte lungo i marciapiedi a io metri l'una dal-
l'altra. Le rotaie, distanti tra loro un metro, avrebbero dovuto
servire come conduttori per la corrente elettrica; ciascuna car-
rozza sarebbe stata munita di una propria macchina dinamo-
elettrica ricettrice e la velocità del treno avrebbe* dovuto essere
di 30 chilometri all' ora. Un calcolo delle spese di installazione
e di esercizio mostrava, che con 200 partenze al giorno e con
una media di 5 a 6 passeggeri in ciascuna delle sei carrozze,
le spese avrebbero potuto facilmente essere coperte.
Questo progetto non fu accolto, ma i signori Siemens ed
Halske hanno potuto costrurre, colle medesime disposizioni
degli apparecchi elettrici e delle carrozze, ma al livello del
suolo, un tratto di ferrovia elettrica tra l' istituto centrale dei
cadetti e Lichterfelde, stazione della strada ferrata da Anhalt a
Berlino, ove essi hanno trovato condizioni di installazione favo-
revoli. La strada ferrata di Lichterfelde è quindi una ferrovia a
livello del suolo; ma siccome i costruttori avevano avuto in mira
lo studio di una ferrovia aerea, così essa fu installata piuttosto
come tale, che come una strada a livello. Così, per esempio, e
per non citare che una sola circostanza importante, venne con-
servata la trasmissione della corrente per mezzo delle due rotaie,
la quale, come è evidente, sarebbe conveniente per una strada
aerea assai più che per una strada a livello del suolo, ove, anche
facendo astrazione dalle maggiori difficoltà di un buon isolamento,
le due rotaie difficilmente si possono mantenere pulite quanto è
necessario per un buon contatto metallico colle ruote.
La lunghezza totale della strada ferrata è di 2450 metri.
Le rotaie dovendo essere isolate l'una dall'altra, sono disposte
Applicazioni dell'energia elettrica, 195
in modo da non toccare altro che le traversine di legno e da
non essere in contatto diretto col suolo sul quale esse riposano.
Nelle condizioni attuali questo isolamento è sufficiente; lo si
potrebbe del resto rendere migliore, sia rivestendo le traversine
di materie bituminose, sia frapponendo tra le traversine e le
rotaie appositi isolatori di vetro o di porcellana. Nei passaggi
a livello le rotaie sono incastrate fra due lungarine di legno, e
sottratte per tal modo al contatto diretto colla terra.
L'apparecchio per la produzione della corrente è installato
•dentro a fabbricati dipendenti dalla stazione di Lichterfelde. Esso
è costituito da una macchina a vapore orizzontale, la quale tiene
in azione due macchine dinamo-elettriche di Siemetts. Questa in-
stallazione però è provvisoria e le due macchine dinamo-elettriche
dovranno venire rimpiazzate da una sola mossa direttamente da
una macchina a vapore rotatoria dei sistema Dolgorouki,
Due gomene metalliche partenti dalle macchine generatrici,
« passanti sotterra, portano la corrente alle rotaie; queste la
trasmettono alle spirali della macchina ricettrice per contatto
•diretto colle ruote del veicolo.
Nella prima ferrovia elettrica, di cui abbiamo già parlato,
si avevano treni composti di alcune piccole carrozze trainate
da una locomotiva distinta da esse. A Lichterfelde invece non
corre che una sola carrozza capace di portare 26 persone, e
somigliante in tutto alle ordinarie carrozze delle tramvie. La
macchina dinamo-elettrica ricettrice, che la deve mettere in moto,
é collocata al di sotto di essa, frammezzo agli assi delle due
coppie di ruote. La corrente passa dalle rotaie alla macchina
per mezzo delle ruote portanti. A quest' uopo le ruote sono
isolate elettricamente da tutte le altre parti del veicolo, ed i
loro cerchioni comunicano, per mezzo di liste metalliche, con
manicotti metallici cilindrici portati dal loro asse ed isolati dal
medesimo. Su questi manicotti si appoggiano sfregatoi a spazzola
posti in comunicazione coi due poli della macchina ricettrice.
La trasmissione del movimento dall' albero della macchina di-
namo-elettrica alle ruote portanti della carrozza è iatta per
mezzo di una puleggia calettata direttamente sull'albero, la quale
con un cingolo comanda due puleggie scanalate, di diametro
maggiore, solìdarìe alle ruote portanti che stanno da una me-
desima parte. Il cingolo è costituito da una elica di filo metallico
a spire serrate, che si avvolge a molti giri sulle puleggie, ada-
^iandovisi in appositi solchi.
196 Parie seconda.
La macchina dinamo-elettrica è munita di un commutatore»
che può essere manovrato dal conduttore da entrambe le piat-
taforme che stanno alle due estremità della carrozza, cosicché
questa può correre in entrambi i versi senza bisogno di essere
fatta girare. Essa è inoltre provvista di un apparecchio a re-
sistenza variabile, che permette di regolarne, entro limiti, la
velocità.
Secondo le condizioni della concessione, la velocità della
carrozza sulla tramvia elettrica dove essere di 20 chilometri
all'ora; ma essa potrebbe, volendolo, percorrere da 35 a 40 chi-
lometri su di una strada orizzontale, col suo massimo dì carico,
di 26 persone, che corrisponde ad un peso totale dì 4800 chi-
logrammi. In queste condizioni la generatrice funziona con tutta
la sua velocità, e la ricettrìce, che ha il peso dì 500 chilogrammi,,
produce un lavoro di cinque cavalli e mezzo.
La strada ferrata elettrica di Lichterfelde fu aperta al pub-
blico il 16 maggio 188 1 ora trascorso ed ha finora funzionato
senza alcun accidente degno di nota.
A Parigi Siemens ed Halske hanno esposto nella sezione
tedesca una carrozza identica a quella della strada ferrata di
Lichterfelde, e questa, per la razionale disposizione di tutte le
parti e per la perfezione della costruzione, era, a ragione, am- ,
mirata come l'apparecchio più perfetto, che figurasse nella
classe 9.* destinata ai motori elettrici ed al trasporto della forza. I
Questo apparecchio alla esposizione non fu messo in azione. '
Funzionò, invece, e, dopo qualche settimana spesa nel superare j
varie difficoltà, prese un andamento del tutto regolare la tramvia
elettrica che i fratelli Siemens esposero, colla firma Sieme>ts
freres, nella sezione francese. Dagli ultimi giorni di agosto fino
al termine dell'esposizione questa tramvia trasportò quotidiana-
mente dalla piazza della Concordia al palazzo dell'Industria, e
viceversa, un numero grandissimo di visitatori, ed in tutto
questo tempo essa non presentò alcun accidente degno di nota.
La ferrovia elettrica dell'esposizione fu, pei particolari,
studiata e messa in opera dall' ingegnere Boistel della casa
Siemens freres di Parigi. Essa differiva da quella di Lichterfelde
principalmente pel modo di condurre la corrente dalla gene-
ratrice fissa alla ricettrice viaggiante. Si è notato poc'anzi,
descrivendo la ferrovia di Lichterfelde, come la trasmissione
della corrente per mezzo delle rotaie portanti, la quale sarebbe
convenientissima per strade aeree, p>resenti gravi inconvenienti.
Applicazioni dell'energia elettrica, 197
applicata a ferrovie a livello del suolo. In questo caso infatti è
difficile risolamento, è impossibile un perfetto contatto metallico
colle ruote, e le rotaie, portate, come sono, ad alti potenziali
elettrici, possono essere causa di accidenti quando per avventura
un cavallo venga a toccarle simultaneamente. Per questi motivi
già Siemens ed Halske erano ricorsi ad un altro modo di tra-
smissione nello studio della ferrovia elettrica tra Charlottenburg
e Sfxindau. In questa installazione, onde evitare gl'inconvenienti
notati, Siemens ed Halske hanno ideato di trasmettere la cor-
rente per mezzo di conduttori aerei sostenuti da pali, lungo i
quali conduttori scorre un carretto di contatto, legato alla car-
rozza con una funicella, e portante due corde di rame collegate
all'altra estremità coi p)oli della macchina ricettrice.
Nella installazione fatta a Parigi è stata adottata questa
disposizione, ed i particolari di essa sono stati studiati in modo
assai ingegnoso. In luogo di corde metalliche sono adoperati
come conduttori della corrente due tubi di ottone fessi al di
sotto su tutta la loro lunghezza e per la larghezza di im cen-
timetro. I due tubi sono raccomandati ad un listello di legno
sostenuto in posizione orizzontale, all'altezza di circa tre metri,
da una fila di pali, che corre su di un fianco della strada ferrata,
da un capo all'altro di questa. Per diminuire le inflessioni che
i tubi potrebbero prendere, col tempo, sotto l'azione del peso,
essi sono sostenuti in vari punti, tra un palo e l'altro, da fili di
ferro a guisa di ponti sospesi. In questo modo la linea formata
dai conduttori non è rigida, ma presenta una certa flessibilità
favorevole al movimento rapido degli sfregatoi. I due tubi sono
messi in comunicazione, ad una estremità, per mezzo di corde
metalliche, coi due poli della macchina generatrice installata
nel palazzo dell' esposizione ; all' altra estr^nità e su tutta la
lunghezza essi sono isolati. I contatti per la trasmissione della
corrente dai tubi alla macchina ricettrice portata dalla carrozza
si fanno specialmente sulla superficie interna dei due tubi;
dentro a ciascun tubo scorre uno sfregatoio avente Ja forma di
un nucleo cilindrico allungato. Verso le due estremità di questo
nucleo sono saldate due asticciuole cilindriche parallele, verticali,
<he attraverso alla fessura longitudinale, di cui si è parlato,
«scono fuori dal tubo, ed alle due estremità inferiori sono unite
a vite con una traversa; si ha così un telarino rettangolare di
cui uno dei lati è costituito dal nucleo scorrevole nell'interno
del tubo, ed il lato opposto a questo è rappresentato dalla tra-
198 Parte seconda.
versa; il nucleo serve a dare il contatto coi conduttori tubolari,
la traversa serve di attacco ad una cordicella di fili di rame,
la quale va a terminare ad uno dei poli della macchina ricettrice,
sulla carrozza. Una seconda traversa orizzontale situata fram-
mezzo al nucleo sfregatore ed alla traversa di cui ho parlato,
porta una rotella metallica, occupante l'interno del rettangolo,
la quale si appoggia esternamente contro il tubo; la traversa
che sostiene questa rotella è portata da due manicotti scorrevoli
lungo le due astine verticali, e due molle spirali avvolte attorno
a queste assicurano la pressione necessaria della rotella contro
la faccia esterna, e del nucleo contro la faccia interna del tubo.
Pei due conduttori si hanno due carretti di contatto identici a
quello descritto. I due carretti di contatto sono trascinati lungo
i rispettivi tubi per piezzo di due cordicelle attaccate alla
carrozza.
La carrozza ed i meccanismi, che essa porta, non difieriscono
sostanzialmente da quelli della ferrovia di Lichterfelde. Però la
carrozza è più grande, è munita di imperiale e può contenere,
quando è completa, ben 50 persone. La macchina ricettrice è
in questa carrozza, come in quella di Lichterfelde, collocata al
di sotto del tavolato fra i due assi portanti ; e la trasmissione
del movimento dall'asse della macchina alle ruote portanti si fa
anche qui per mezzo di una cinghia.
Finalmente il binario è a scartamento normale, e siccome
qui le rotaie non hanno bisogno di essere isolate, cosi l'arma-
mento non presenta alcuna differenza da quello delle tramvie
ordinarie.
La macchina generatrice della corrente è una macchina
dinamo-elettrica di Siemens di grande modello, cogli induttori
inserti nel circuito principale. La sua spirale indotta gira colla
velocità di 550 rivoluzioni per minuto. La ricettrice situata sulla
carrozza è del medesimo sistema, e fa, nelle condizioni normali»
465 giri al minuto. Tenendo conto del diametro delle ruote e
di quello delle puleggie di trasmissione, questa velocità della
macchina dinamo-elettrica corrisponde ad una velocità del veicolo
.di 17 chilometri per ora. Non è però questa la velocità limite,
poiché in una esperienza si è potuto percorrere l'intiera linea,
lunga 493 metri, in 25 minuti secondi, il che corrisponde ad
una velocità di 70 chilometri all'ora.
Il peso della carrozza vuota è di 5500 chilogrammi ; coi
50 passeggeri questo peso si eleva a 9000 chilogrammi.
Applicazioni dell'energia elettrica, 199
La linea costrutta tra la piazza della Concordia ed il Pa-
lazzo dell'industria presentava, non ostante la sua piccola lun-
ghezza, parecchie difficoltà, le quali concorrevano a rendere
importante l'esperimento. Così, per esempio, si aveva all'arrivo
sulla piazza della Concordia una curva col raggio di 55 metri
appena; e le curve all'ingresso nel palazzo dell'esposizione
avevano raggi di soli 27 e 30 metri. La pendenza superava, in
un punto il 20 per mille.
Il lavoro speso, quando la velocità era di 17 chilometri
all'ora, era di tre cavalli e mezzo nelle porzioni orizzontali e
rettilinee, di sette cavalli e mezzo nelle curve e di oltre otto
cavalli e mezzo nella rampa del 20 per mille.
Per regolare la velocità basta introdurre nel circuito resi-
stenze che si possono far variare a piacimento; nella carrozza
elettrica dei fratelli Siemens l'apparecchio per far variare la
resistenza, era comandato da una leva di manovra, indifferen-
temente dall'una o dall'altra piattaforma. La rottura del circuito
non produceva scintille capaci di recare guasti alla macchina, in
grazia di una disposizione ingegnosa per cui la rottura completa
del circuito non avveniva se non dopo che tutte le resistenze
erano state introdotte, e per conseguenza avevano affievolito
notevolmente l'intensità della corrente. Il sistema per l'arresto
era completato da un freno a ceppo ordinari.
Oltre agli apparecchi effettivi, di cui ho fatto menzione,
figurava nella sezione francese della esposizione, svolto in una
descrizione ed in molti disegni, un progetto dell' ing. Chrétien
per la costruzione di una ferrovia elettrica aerea nell'interno di
Parigi, dalla Bastiglia alla Maddalena, lungo i Boulevards^ con
diram^ioni. Il progetto però non presenta alcuna novità rela-
tivamente agli apparecchi elettrici, e non potrebbe essere stu-
diato se non dal punto di vista delle condizioni di convenienza
o di costruzione dipendenti dalle circostanze locali; la qual cosa
non ci riguarda.
28. A noi invece si presenta la quistione generale: Indi-
pendentemente dalle considerazioni generiche che abbiamo fatto
sull'impiego industriale della elettricità come mezzo telo-dina-
mico, quali vantaggi speciali può quest'impiego presentare nel
caso delle ferrovie?
Un primo vantaggio si presenta da sé e sta nella piccolezza
del peso della macchina che tiene le veci della locomotiva.
Questo vantaggio ha una grande importanza nei casi di ferrovie
200 Parte seconda,
aeree, per le quali la leggerezza del treno può permettere una
grandissima economia nella costruzione della strada.
Sulle linee di forti pendenze si è, colla trazione a vapore,
costretti a ricorrere all'impiego di locomotive molto pesanti, ed
a quello di più locomotive attaccate al medesimo treno: cosa
sempre costosa pel peso inutile che bisogna elevare, e non
sempre sufficiente perchè, aumentando la pendenza, si raggiunge
presto un punto in cui le locomotive sono incapaci di sollevare
sé stesse. Colla trazione elettrica l'inconveniente è molto di-
minuito: non solo si hanno in questo caso macchine leggere,
ma si possono adoperare, come ha fatto Siemens, tante macchine
quante sono le carrozze del treno, e per tal modo utilizzare
per l'aderenza il peso intiero di tutto il convoglio,
L'incamminamento del convoglio (démarrage) presenta fre-
quentemente gravi difficoltà sulle ferrovie ordinarie; su di una
ferrovia elettrica, invece, esso deve riuscire sempre più facile.
Ciò in grazia delle stesse proprietà fondamentali della corrente
elettrica che somministra il lavoro. Infatti quando il treno è
fermo e si chiude il circuito per incominciare la marcia, la cor-
rente elettrica che si produce ha nei primi momenti una in-
tensità massima, notevolmente maggiore di quella che essa ha,
in media, durante la marcia: durante la marcia essa è dovuta
alla sola differenza tra la forza elettro-motrice della macchina
dinamo-elettrica generatrice e quella inversa della ricettrice;
in principio, invece, finché la ricettrice non ha cominciato a
lavorare, essa è dovuta alia forza elettro-motrice tutta intiera
della generatrice. Dal valore massimo che ha in principio, l'in-
tensità della corrente diminuisce per gradi di mano in mano
che, accelerandosi la macchina ricettrice, va crescendo la forza
elettro-motrice inversa che essa produce; T intensità diventa
costante ed ha un valore minimo, quando il treno ha acquistato
tutta la sua velocità. Ora le forze che mettono in moto la
spirale rotante della ricettrice crescono col crescere della in-
tensità della corrente; esse hanno adunque una intensità mas-
sima nell'atto dell'incamm inamento, quando se ne ha il massimo
bisogno.
11 fatto, di cui ho parlato, ossia la dipendenza che esiste
tra la velocità della ricettrice e l'intensità della corrente, è causa
di un'altra utile proprietà della trazione elettrica: la marcia
degli apparecchi si modifica da sé, senza bisogno di essere go-
vernata dal meccanico, a seconda del variare delle pendenze,
Applicazioni dell'energia elettrica. 201
e si modifica in modo che le forze che agiscono sulle ruote
per tenerle in moto crescono o diminuiscono, secondo il bi-
sogno, quando cresce oppure diminuisce la pendenza della
strada.
Per vedere come ciò avvenga basta ricordare che le forze
che sollecitano l'armatura mobile della macchina dinamo-elettrica
ricettrice crescono col crescere della intensità della corrente
elettrica, che l'intensità di questa corrente è proporzionale alla
differenza tra la forza elettro-motrice della macchina genera-
trice e quella inversa della ricettrice, e che finalmente la forza
elettro-motrice di una macchina è a parità di altre circostanze
proporzionale alla velocità. Ciò posto si supponga che in un
determinato punto la strada prenda a salire più rapidamente
di quello che faceva prima; a partire da quel punto la carrozza
elettrica incomincia a rallentarsi. Ma col diminuire della ve-
locità diminuisce pure la forza elettro-motrice inversa prodotta
dalla ricettrice, e col diminuire di questa cresce l'intensità della
corrente. Colla intensità della corrente aumenta nella macchina
ricettrice anche lo sforzo motore; e questo non diventa co-
stante finché non ha cessato di diminuire la velocità. Cosi lo
sforzo motore, senza bisogno di alcun apparecchio regolatore e
senza richiedere l'opera di un sorvegliante, assume da sé l'au-
mento imposto dall' accresciuta pendenza. Si supponga, invece,
che in un dato punto la salita si faccia meno rapida oppure si
cambi in una discesa; in quel punto la carrozza comincia ad
accelerarsi; colla velocità comincia ad aumentare la forza elettro-
motrice inversa prodotta dalla macchina ricettrice, e coli' au-
mentare di questa forza elettro-motrice inversa diminuisce l'in-
tensità della corrente; coir intensità della corrente diminuisce
lo sforzo motore, e così lo sforzo motore, da sé, senza bisogno
dell'intervento di un sorvegliante, si riduce in proporzione del
diminuito bisogno.
Come lo sforzo motore sulle ruote delle carrozze, così la
somministrazione dell'energia data dalla generatrice cresce o
diminuisce, secondo il bisogno, col variare delle pendenze.
Quando infatti la salita aumenta, e diminuisce in conseguenza
la velocità, aumenta l'intensità della corrente, e se la macchina
generatrice, in grazia del moderatore annesso alla motrice,
conserva una velocità costante, aumenta il lavoro che essa con-
suma. Succede l'opposto quando, diminuita la salita, la velocità
delia carrozza prende ad aumentare.
202 Parte seconda.
Le variazioni di peso del treno producono gli stessi effetti
che le variazioni di pendenza; in ogni caso lo sforzo motore e
la somministrazione di energia variano nel senso stesso in cui
varia il lavoro che la locomotiva elettrica deve fare per cam-
minare.
Nelle gallerie e nell' interno delle città è un vantaggio no-
tevole, che talvolta potrebbe bastare a decidere nella scelta del
sistema, la mancanza del fumo.
Nei centri popolosi costituisce, finalmente, un merito pel
sistema, la semplicità del servizio, che trae seco una maggiore
sicurezza pei passeggieri. Un sol uomo può bastare a tutto e
governare la condotta del treno in modo da evitare i pericoli
pel materiale e per le persone più facilmente che colla trazione
a vapore; egli non ha da fare altro che guardare innanzi a sé
e tenersi preparato a maneggiare il commutatore ed il freno.
Il treno, essendo leggierissimo, si arresta prontissimamente.
Le difficoltà che si presentano nell'attuazione del sistema
sono essenzialmente queste: la resistenza del circuito aumenta
di mano in mano che la carrozza si va allontanando dalla ge-
neratrice, e, coir aumentare della resistenza, diminuisce la ve-
locità e scema il coefficiente di rendimento; è difficile special-
mente in tempo piovoso, ottenere un perfetto isolamento; i
contatti tra gli sfregatoi della ricettrice ed i conduttori di linea
possono in alcuni istanti mancare. Ma la prima di queste diffi-
coltà si evita nelle ferrovie aeree adoperando come conduttori
le rotaie e collegando con queste una parte della struttura me-
tallica della strada, in modo da offrire alla corrente una gran-
dissima sezione ; e per le strade a livello del suolo si diminuirà
coU'avvenire l'importanza della resÌ3tenza variabile adoperando
macchine dinamo-elettriche di alta forza elettro-motrice.
L'imperfetto isolamento delle linee è un inconveniente che
può diventare grave per le linee lunghe, ma il toglierlo non
dipende che da miglioramenti nei particolari dell'armamento,
miglioramenti che probabilmente il tempo ci apporterà. Final-
mente la mancanza accidentale dei contatti non solo si potrà
evitare in gran parte con uno studio accurato dei particolari,
ma non ha nemmeno nello stato attuale una importanza grave.
Bisogna infatti osservare che colla disposizione dei Siemens la
corrente eccitatrice della macchina generatrice è la stessa cor-
rente principale; se, mancando il contatto, il circuito si rompe,
cessa la corrente eccitatrice, e la macchina generatrice cessa di
Applicazioni deWentrgia elettrica, 203
produrre corrente e di consumare lavoro. La generatrice non
riprende la sua forza elettro-motrice e non ricomincia a con-
sumare lavoro se non quando i contatti sono ristabiliti.
Tutte queste considerazioni inducono a credere che alle
ferrovie elettriche sia riservato un avvenire fecondo di applica-
zioni. Bisogna notare però, che gli ultimi vantaggi che abbiamo
enumerato si riferiscono specialmente al caso delle tramvie
nell'interno delle città, e che gli altri vantaggi hanno un'im-
portanza tanto minore quanto più sono grandi i treni che deb-
bono percorrere le ferrovie. E siccome, nello stato attuale del-
l'industria della costruzione degli apparecchi elettrici, l'applicazione
della trazione elettrica sulle lunghe linee con grande traffìco sa-
rebbe complicata, od impossibile, così per ora non pare che alla
trazione per mezzo della elettricità si debba pensare se non per
alcune tramvie e per qualche caso di piccole ferrovie in circo-
stanze affatto speciali.
La trazione elettrica, come in generale la trasmissione del-
l'energia per mezzo della elettricità, non è destinata a soppian-
tare i sistemi già in uso ; è destinata invece a dare la soluzione
di problemi che coi sistemi in uso non si possono risolvere; è
destinata ad essere adoperata in alcuni casi per cui gli altri
sistemi presentano maggiori inconvenienti. Qui, come in tutte
le altre applicazioni, ogni sistema ha il suo campo d'azione di-
stinto da quello di tutti gli altri; la scoperta di un sistema
nuovo non nuoce alla importanza degli altri, all'opposto li
completa, allargando, combinato con essi, la cerchia delle ap-
plicazioni possibili.
Stando alle cose che abbiamo detto, noi possiamo prevedere^
fin d'ora, per le ferrovie elettriche, applicazioni nei casi se-
guenti:
I.*» Nelle grandi città quando si vogliono costrurre linee
aeree.
2.*» Nelle gallerie delle miniere.
3.*» In brevi tratti di ferrovie con grandi pendenze.
4.® In un caso che nel nostro paese si può presentare
sovente, e sul quale io credo di dovere chiamare in modo spe-
ciale l'attenzione dei nostri ingegneri e delle nostre amministra-
zioni. Parecchie vallate alpine, ricche di industrie e di commercio,
sono destinate ad essere nell'avvenire avvivate da linee di
tramvie. Ebbene: in più di una di queste vallate si presentano
riunite molte circostanze che possono consigliare l'adozione
204 Parte seconda.
<ielJa trazione per mezzo della elettricità. Noi troviamo sovente
la necessità di pendenze considerevoli e variabili e di curve di
corto raggio; noi troviamo poi, ciò che più monta, lungo il
thalweg della valle, un fiume con acque copiose e perenni,
lungo il quale, in molti punti, a giuste distanze, sarebbe pos-
-sibile installare una serie di motori idraulici di considerevole
potenza. Ciascuno di questi motori potrebbe somministrare la
-corrente elettrica ad un tronco della tramvia che corre parallela
al fiume e questo tronco si troverebbe, per la sua lunghezza,
nelle condizioni delle ferrovie elettriche oggidì già in esercizio.
L' applicazione del sistema sarebbe adunque possibile fin d'ora;
-ed io credo che forse fin d* ora, certo fra non molto, essa sa-
rebbe anche economica.
29. Una applicazione della trasmissione elettrica del la-
voro, la quale si collega con quella delle ferrovie elettriche, è
quella che si potrebbe fare pel trasporto rapido delle corri-
spondenze. Il dottor Werner Siemens presentò nel 1880 alla
Società elettrotecnica di Berlino, insieme al suo progetto di
ferrovia aerea, un progetto, completamente studiato, per una
posta elettrica, la quale avrebbe dovuto fare sulle lunghe linee
in una cerchia estesa, il servizio che fanno attualmente nell'in-
terno delle grandi città le poste pneumatiche. La posta elettrica
ideata dal Siemens consisteva in una piccola ferrovia elettrica,
possibilmente aerea, chiusa con pareti e copertura di lastre di
ferro, sulla quale si dovevano far correre coli' elettricità piccoli
vagoncini portanti i dispacci. Ciascun vagoncino portava una
piccola macchina dinamo-elettrica destinata a funzionare come
ricettrice; l'albero di questa piccola macchina portava diretta-
mente due delle ruote del vagoncino, era cioè uno dei due assi
del vagoncino. In questo modo le ruote del vagoncino avrebbero
fatto tanti giri quanti ne faceva la spirale rotante della mac-
china dinamoelettrica, e benché esse non avessero che un
diametro di 30 centimetri, avrebbero camminato colla velocità
dei treni ferroviari. Adoperando macchine generatrici molto più
potenti che le piccole ricettrici, si sarebbe potuto mettere in
movimento simultaneamente, sulla medesima linea, parecchi va-
goncini spediti a brevi intervalli di tempo, ottenendo così una
rapidissima trasmissione delle corrispondenze. Anche con pa-
recchi vagoncini correnti sul medesimo binario si sarebbe fa-
cilmente potuto ottenere in ciascuno da 800 a 1000 giri di ruote
in ogni minuto.
Applicazioni dell'energia elettrica, 205
Per trasmettere la corrente ai vagoncini dovevano servire,
secondo il progetto, le due rotaie coilegate opportunamente a
tutte le parti metalliche della piccola strada ferrata. Le due
rotaie dovevano essere isolate V una dall* altra e comunicare
runa con uno, l'altra coll'altro polo della macchina generatrice;
ma per diminuire la resistenza del circuito una delle due rotaie
doveva essere collegata metallicamente, in molti punti, colle
pareti laterali e colla copertura della piccola strada, pareti e
copertura che, come dissi, erano di lastra di ferro; l'altra rotaia
invece doveva collegarsi metallicamente a tutte le colonne di
ferro sostenenti la ferrovia, e così fornire una larga comunica-
zione col suolo. Siccome in questo modo la resistenza della
linea non avrebbe superato il valore di 0,02 ohm per ogni chi-
lometro, così sarebbe stato sufficiente installare, pel servizio
della posta elettrica, una macchina generatrice ad ogni 20 chi-
lometri. Dalle rotaie serventi come conduttori di linea alle
piccole macchine dinamo -elettriche ricettrici portate dai va-
goncini la corrente sarebbe passata direttamente per contatto-
colle ruote.
Alcuni modelli della posta elettrica si vedevano esposti
nella sezione francese dalla casa Siemens frères di Parigi, ed
erano notevoli per la perfezione dell'esecuzione.
30. Come si è pensato a far servire la corrente elettrica
alla trazione dei vagoncini nelle miniere, così era naturale che
si pensasse a servirsene per far lavorare le macchine perfora-
trici pei fori di mina nella costruzione delle gallerie. L' esposi-
zione ci ha mostrato alcuni apparecchi destinati a queste ap-
plicazioni. Uno di questi, notevole per la costruzione della
macchina dinamo-elettrica, figurava nella mostra di Siemens ed
Ualske nella sezione tedesca. Un altro era in azione nella
mostra del signor A. L. Taverdon nella sezione francese; que-
st'ultimo però non era che una perforatrice rotativa a diamanti,
messa in moto da una macchina di Gromme, sull'asse della
quale essa era direttamente innestata: l'esposizione del Ta-
verdon, interessantissima per gli utensili a diamante nero, non
presentava nulla né di notevole, ne di nuovo dal punto di vista
elettrico.
A questa applicazione della trasmissione elettrica della
forza motrice io non faccio che accennare. Senza escludere la
possibilità che in casi speciali essa possa tornare vantaggiosa,,
io credo di dover osservare che nella perforazione delle gallerie
2o6 Parte seconda.
la trasmissione dell'energia per mezzo deiraria compressa sarà
sempre, a meno dì una impossibilità assoluta, preferibile a qua-
lunque altra. L'aria compressa non serve soltanto a mettere in
movimento la perforatrice, ma serve ancora alla ventilazione;
e siccome dopo di essersi espansa nel cilindro della perforatrice,
l'aria esce dalla macchina notevolmente raffreddata, essa giova,
in molti casi a moderare la temperatura eccessiva del sotter-
raneo. Quand' anche accadesse che la trasmissione per mezzo
della elettricità riuscisse molto più economica di quella ad aria
compressa, bisognerebbe prima di darle la preferenza, vedere
se la maggiore spesa, ed il maggiore ingombro, a cui si an-
drebbe incontro per provvedere alla indispensabile ventilazione,
non compensino il risparmio.
31. Assai più razionale e feconda di utili applicazioni è
l'idea di far servire la corrente elettrica a mettere in moto
ventilatori meccanici per la rinnovazione dell'aria nei locali
abitati. L'idea fu messa innanzi dai signori Geneste, Herscher
et Comp, di Parigi, l'esposizione dei quali, benché non presenti
nulla di perfetto e di nuovo dal punto di vista dell' elettricità,
è tuttavia degna di essere notata per 1' utilità pratica delle ap-
plicazioni che ne formano l'oggetto.
La ventilazione di grandi edifìzi non si può sempre otte-
nere nelle migliori condizioni per mezzo della sola aspirazione
prodotta da camini di richiamo. Sopratutto si incontrano diffi-
coltà gravi nei grandi ambienti, come nelle sale d'assemblea,
negli anfiteatri, nei teatri e negli opifizi, ove l'aria è inquinata
da esalazioni dovute alle operazioni industriali che in essi sj
eseguiscono. In molti di questi casi la ventilazione riuscirebbe
non solo più sicura, ma anche più economica, se si potessero
aiutare i camini di richiamo con ventilatori meccanici.
V'ha poi una circostanza, alla quale io non so se gli espo-
sitori, che ho nominato, abbiano pensato, ma che a me ed a
quanti hanno avuto occasione di occuparsi della ventilazione di
grandi ambienti apparirà importantissima. Acciocché la ventila-
zione di un locale possa dirsi perfetta, non basta che in ogni
ora si estragga dal locale un numero conveniente di metri cubi
d'aria, e che nel tempo stesso si introducano nel locale altret-
tanti metri cubi d'aria pura presa in sito conveniente, e conve-
nientemente riscaldata o rinfrescata; non basta nemmeno che
le bocche d'estrazione dell'aria viziata e quelle d'ingresso per
l'aria nuova sieno convenientemente calcolate e collocate; ma
Applicazioni dell'energia elettrica, 207
bisogna ancora che il movimento dell'aria si faccia sempre nel
modo voluto, attraverso alla bocche ed ai canali a ciò predi-
sposti. Perchè questo succeda è necessario evitare che, apren-
dosi accidentalmente porte o finestre, si producano correnti
d'aria, le quali oltre al molestare o danneggiare le persone che
colpiscono, possono alterare completamente il regime della ven-
tilazione. Ora per evitare le correnti d'aria attraverso alle p)orte
od alle finestre accidentalmente aperte è necessario che la
pressione nell'interno del locale ventilato sia uguale alla pres-
sione esterna. Per soddisfare a questa condizione bisogna pro-
durre il movimento dell'aria non solamente per mezzo di una
aspirazione, come si fa quando si ricorre ai camini di ventila-
zione, né solamente con una inspirazione, ma coi due sistemi
combinati : bisogna che l'aria nuova sia inspirata e l'aria viziata
sia aspirata. Bisogna adunque combinare ventilatori inspiranti
con camini di richiamo, oppure ventilatori inspiranti con ven-
tilatori aspiranti: in ogni caso bisogna, per raggiungere lo
scopo, ricorrere a ventilatori meccanici.
Dimostrata l'importanza dell'uso dei ventilatori meccanici,
riesce dimostrata l'utilità della trasmissione del movimento per
mezzo dell'elettricità. Egli è infatti evidente che raramente nelle
case di abitazione o negli ospedali, o nei pubblici edifizi destinati
a riunioni si potranno collocare macchine motrici dovunque si
abbia bisogno di collocare un ventilatore, né si potranno in-
stallare trasmissioni di movimenti con ingranaggi, alberi e
cinghie tra una motrice collocata al pianterreno ed un sistema
di ventilatori collocati altri nei sotterranei, altri sotto i tetti, in
siti lontani, nelle varie parti dell' edifizio. Ogni difficoltà scom-
pare se si ricorre alla trasmissione elettrica.
I signori Geneste, Herscher et Contp, esponevano, oltre ad
alcuni ventilatori mossi da macchine di Granirne, i disegni di
due progetti per la ventilazione delV Hotel de Ville di Parigi e
della casa di pena di Nan terre, il primo già approvato, l'altro
in corso di esecuzione. In entrambi i progetti dalle macchine
motrici il moto si trasmetteva ai ventilatori inspiranti del sot-
terraneo direttamente con alberi di trasmissione, ingranaggi o
cinghie, si trasmetteva invece ai ventilatori aspiranti collocati
al piano superiore per mezzo della elettricità.
Un particolare degli apparecchi di Geneste, Herscher et C,
il quale merita menzione, è un congegno automatico, il quale,
nel caso di arresto o di anormale rallentamento di un venti-
2o8 Parte seconda,
latore aspirante, accende immediatamente nel camino di venti-
lazione un conveniente numero di becchi di gas, e così sostituisce
una aspirazione fìsica fatta per mezzo del calore alla aspirazione
meccanica divenuta insufficiente. L'apparecchio consiste in un
regolatore a forza centrifuga, il quale, quando il ventilatore ha
la velocità minima al disotto di cui non si deve discendere,
chiude un circuito elettrico; una elettro-calamita inserta in questo
circuito attira allora la propria armatura, e questa, muovendosi,
toglie un arresto che teneva chiuso il rubinetto del gas, che,
sollecitato da una molla, si apre. 11 gas poi è acceso da spirali
di platino rese incandescenti dalla corrente elettrica.
32. Un'ultima applicazione, che forse l'avvenire riserva alla
trasmissione elettrica del lavoro, è quella che si potrà fare alla
distribuzione della forza motrice alle piccole industrie per mac-
chine da cucire, per telai, per macchine litografiche, ecc. Ma
bastano le cose che abbiamo detto trattando in modo speciale
della distribuzione dell'energia, per dimostrare che di questa
applicazione non si potrà parlare sul serio se non il giorno, di
cui non vogliamo per ora prevedere la lontananza, nel quale si
abbiano ne' centri abitati canalizzazioni grandiose ed estese di
correnti elettriche destinate ad altro uso, all'uso cui esse sono
più direttamente chiamate, a quello che se ne farà nella illumi-
nazione. L'avvenire della trasmissione e della distribuzione
elettrica dell'energia meccanica dipende da quello della illumi-
nazione elettrica, e questo dipende dal primo; le due applica-
zioni, se pure sono destinate ad un avvenire grandioso, lo sono
alla condizione di essere fatte insieme, in modo che un mede-
simo motore, un medesimo impianto si utilizzi durante tutta la
giornata, di notte per la illuminazione, di giorno per la distri-
buzione della forza motrice.
§ 2.<» Illuminazione elettrica.
Classificazione. — Sistemi ad arco voltaico della prima specie: regolatori
Strrin e sue applicazioni; lampada Jaspar, — Sistemi ad arco voltaico della
seconda specie: lampade differenziali di Siemtns e di Brush, — Sistemi ad
arco voltaico della terza specie: candela di Jabhchkoff; lampada SoUil di Cierc
e Bureau, r- Lampade a contatto imperfetto: Werdirmann, Napoli, Reynitr. —
Lampade ad incandescenza : Edison, Swart, Maxim, Lane-Fox. — Lavoro mec-
canico necessario per produrre una determinata quantità dì luce coi diversi
Applicazioni dell'energia elettrica, 209
sistemi di illuminazione elettrica. — Spesa necessaria per l'illuminazione con
diversi sistemi. Confronti. -> Casi nei quali i diversi sistemi di illuminazione
elettrica sono o potranno diventare convenienti.
33. Fra le applicazioni industriali della corrente elettrica,
alle quali ha dato origine V invenzione delle grandi macchine
dinamo-elettriche moderne, la prima tentata, la più importante
finora, è quella che ha per oggetto l'illuminazione. Quindi una
parte notevole della esposizione era destinata ad essa. Nella
sola sezione francese più di 70 espositori presentavano appa-
recchi per l'illuminazione elettrica, e nell'intera esposizione il
numero degli espositori di sistemi di illuminazione superava il
centinaio. Una descrizione, anche sommaria, di tanti sistemi,
sarebbe impossibile qui. Per noi essa sarebbe anche inutile. Per
lo scopo nostro, che è di renderci conto dello stato attuale di
questa applicazione, dell'indirizzo delle ricerche che la riguardano,
e del suo probabile avvenire, conviene considerare piuttosto
che i singoli sistemi, i tipi principali, essenzialmente diversi,
nei quali i medesimi si possono classificare e descrivere, piut-
tosto che i singoli apparecchi, quelli che meglio convengono a
caratterizzare quei tipi.
Tutti i sistemi di illuminazione elettrica, quali l'esposizione
ce li ha presentati, si possono dividere in cinque grandi specie :
I.® Sistemi ad arco voltaico, nei quali ciascun circuito
contiene una lampada unica di grande potenza.
2.0 Sistemi ad arco voltaico con più lampade in un me*
desimo circuito.
3.° Sistemi ad arco voltaico nei quali fra i carboni esiste
una materia solida, isolante, che pel calore dell'arco diventa
incandescente.
4.* Sistemi a contatto imperfetto.
5.° Sistemi ad incandescenza.
34. I sistemi della prima specie sono destinati a quei casi
ove occorrono uno o pochi centri potentissimi di luce: ai fari,
alle navi, alle operazioni delia guerra, alla telegrafìa ottica,
alle proiezioni^ all'illuminazione di cantieri di costruzione, ecc.
Appartengono a questa specie gli apparecchi del Foucault^ del
Duboscq, del Serrin^ del Siemens, del Gaiffe, ecc., noti ed im-
portantissimi nella storia della luce elettrica e delle sue appli-
cazioni. In tutti gli apparecchi di questa categorìa l'arco voltaico
si fa tra le punte di due carboni situati, il più delle volte, sul
G. Ferraris, Opere, Voi. II. 14
2 IO Parte seconda.
prolungamento 1' uno dell' altro; il peso dei portacarboni o la
forza elastica di una molla tende a far avanzare l'uno verso
l'altro i due carboni, con velocità proporzionali ai loro con-
sumi; ma un arresto comandato da una elettro-magnete o da
un solenoide, per cui passa la corrente elettrica, impedisce
questo movimento ogni qualvolta la corrente ha l'intensità con-
veniente, e non lo lascia libero se non quando pel consumo
dei carboni e pel conseguente allungamento dell'arco, la cor-
rente si è sensibilmente affievolita.
L'esposizione presentava quasi completa la numerosa schiera
degli apparecchi fondati su questo principio, e per alcuni di
essi metteva in evidenza non solo la bontà dei sistemi, ma l'im-
portanza dei servizi da essi prestati %\k da molti anni nelle
applicazioni pratiche.
Cito per esempio il notissimo regolatore del Sem'ft, il quale
nell'esposizione non solo era rappresentato da parecchi modelli,
ma figurava inoltre come parte di vari apparati destinati ad
applicazioni speciali.
L'applicazione ai fari era presentata in modo grandioso
nella mostra del Ministero francese dei lavori pubblici. La
mostra comprendeva tre apparecchi ottici ed una lanterna per
fari elettrici. I tre apparecchi rappresentavano i tipi di quelli
che dovranno applicarsi a 46 fari elettrici progettati per le coste
francesi. Essi fanno conoscere tre degli otto caratieri nuovi
adottati per questi fari, che sono: un fuoco scintillante a gruppi
di due sprazzi bianchi ; un fuoco scintillante a gruppi di quattro
sprazzi bianchi; e un fuoco scintillante a gruppi di tre sprazzi
bianchi ed uno rosso. Sono destinati ai nuovi fari elettrici di
Dunkerque, di Calais e di Gris-Nez. La lanterna, collocata su
di una torre al centro del palazzo dell'esposizione, aveva
nietri 3,50 di diametro. La luce era prodotta, in questo appa-
recchio, dalle macchine magneto-elettriche di De Me'riiens con
regolatori di Serrin. Gli apparecchi erano costrutti, dietro i
progetti dell'ingegnere Allard, direttore del servizio centrale dei
fari, dalle fabbriche di Sautter, Lemonnier e C, di Henry-
Lepaute figlio, e di Barbier e Fenestre.
L' applicazione agli usi della guerra era presentata nella
mostra del Ministero francese della guerra, ove si vedevano
apparecchi completi per illuminare a distanza con un fascio di
luce proiettata. Gli apparecchi comprendevano, su di un unico
carro, una motrice a vapore del tipo Broiherìiood^ una mac-
Applicazioni dell'energia elettrica. 21 1
<:hina di Gramme ed una lampada di Serrin collocata in un
proiettore del sistema del colonnello Mangin. Questi apparecchi
«rano fabbricati da Sautter, Lemonnier e Comp., e figuravano
anche nell'esposizione di questi costruttori.
Le applicazioni alla marina, air illuminazione dei cantieri,
Gl'illuminazione dei grandi ambienti facevano parte della mostra
<lei medesimi costruttori.
Cito in secondo luogo la lampada del Jaspar^ costruttore
meccanico di Liège, sulla quale ho il dovere di chiamare V at-
tenzione in modo affatto speciale. Essa è infatti presso di noi
assai meno conosciuta di quella del Serrin, mentre per la sem-
plicità, per la sicurezza e per la regolarità del funzionamento
dovrebbe in molti casi essere prescelta. Durante tutta l'esposi-
zione, nella quale brillava, sostenuta da alti pali, ai quattro
angoli della sezione belga, la lampada Jaspar si è distinta da
tutte le altre per la bellezza e per la fissità della luce; e se si
pensa che questo risultato in essa si ottiene senza l'uso d'alcun
meccanismo con ruote dentate, si può asserire che fra tutte le
lampade ad arco voltaico destinate a funzionare sole in un cir-
cuito quella di Jaspar è oggidì, per la pratica, la migliore.
Il regolatore di Jaspar è a carboni verticali, e nel modello
che ha figurato nell'esposizione i portacarboni, situati al disopra
del meccanismo, hanno una disposizione esterna somigliante a
quella che esiste nel regolatore di Serrin. I due portacarboni
sono colle estremità inferiori attaccati ciascuno ad una cordi-
cella, e le due cordicelle si avvolgono in versi opposti sopra
due puleggie solidarie ad un medesimo albero; la puleggia che
sostiene il portacarboni positivo ha un diametro doppio di
quella che sostiene il negativo. I pesi dei due portacarboni
tendono per tal modo a far rotare il sistema delle due puleggie
in sensi opposti; ma siccome il peso del portacarboni positivo
ha un momento maggiore dell'altro, così, se non intervengono
altre forze, il carbone positivo discende e fa salire il porta-
carbone negativo con una velocità uguale alla metà della propria.
I due carboni si avanzano così l'uno verso l'altro con velocità
proporzionali ai loro consumi rispettivi, che, com'è noto, stanno
tra di loro come i a 2, e se non passa la corrente, essi non si
arrestano finché non sono a contatto. A regolare * secondo il bi-
sogno il momento della forza che fa rotare le puleggie ed avvi-
cinare i carboni, serve un contrappeso scorrevole a piacimento
lungo una leva orizzontale situata nella parte più bassa di tutto il
212 Parte seconda.
meccanismo, la quale ad una estremità è portata da un perno
orizzontale attorno a cui può rotare, ed all'altra estremità è soste-
nuta da una cordicella. La cordicella è avvolta superiormente
sopra di una terza puleggia di piccolo diametro portata dairalberó
delle due altre e facente corpo con esse. L'azione di questo con-
trappeso si aggiunge a quello del peso del portacarboni negativo^
epperò il suo momento si sottrae da quello per cui i carboni
tendono ad avvicinarsi. Facendo scorrere il contrappeso lungo la
leva in cui è infilato, cosa che si può fare dall'esterno girando
una vite, si fa variare a piacimento la grandezza del momento
che gli corrisponde, e così si regola a secondo dei bisogni il
valore del momento risultante che tende a far ravvicinare i
carboni. L'asta del portacarbone negativo, nella parte inferiore^
è di ferro e penetra in un solenoide inserito nel circuito della
corrente. Quando si chiude il circuito e la corrente passa, l'asta
di ferro è magnetizzata ed attratta, succhiata, dal solenoide;
essa si abbassa e fa abbassare con sé il carbone negativo, le
puleggie girano di un certo angolo, ed il carbone positivo è
sollevato; così le punte dei carboni si distaccano Tuna dall'altra
e l'arco voltaico si stabilisce. La distanza a cui si arrestano i
due carboni è quella per cui la forza con cui il solenoide succhia
l'asta di ferro del portacarbone negativo fa equilibrio a quella
che tende ad innalzarla; e siccome la prima di queste forze
cresce coli' intensità della corrente e diminuisce coli' inoltrarsi
dell'asta nel solenoide, così la distanza a cui le punte dei due
carboni vengono a portarsi nell'equilibrio è tanto maggiore
quanto è maggiore l' intensità della corrente. Quando pel con-
sumo dei carboni l'arco voltaico si allunga, aumenta la resi^
stenza del circuito e diminuisce in conseguenza l'intensità della
corrente; l'attrazione del solenoide diminuisce, e per ritrovare
r equilibrio i carboni si riavvicinano. Per tal modo i due car-
boni si avanzano in modo continuo, l'uno verso l'altro, di mano
in mano che essi si consumano.
Questo artifizio per regolare la posizione dei carboni, in
modo continuo, per mezzo di un solenoide, non è d'invenzione
del Jaspar;^ esso si trova, come è noto, applicato già nel rego-
latore àt}^ Archereau che data dal 1850, e fu utilizzato in se-
guito dal Gaiffe e da parecchi altri. Quello che appartiene at
Jaspar e che forma la parte caratteristica del suo regolatore è
r artifizio col quale si ottiene che durante tutta la corsa dei-
carboni, comunque l'asta di ferro si trovi internata nel solenoide^
Applicazioni dell'energia elettrica. 213
la posizione di equilibrio corrisponda ad una medesima intensità
della corrente. L'intensità della forza colla quale un solenoide
•cilindrico, colle spire uniformemente distribuite e percorso da
una corrente costante, attrae un'asta di ferro situata nel suo
interno, ha un valore massimo quando l'estremità dell'asta co-
incide colla sezione mediana del solenoide, e diminuisce quando,
partendo da questa posizione, l'asta si affonda maggiormente;
«ssa si riduce a zero quando il punto di mezzo dell'asta co-
incide con quello della spirale. Ne segue che se la forza che
tende a sollevare l'asta è costante, e se le spire del solenoide
sono uniformemente distribuite, la posizione d' equilibrio corri-
-sponde ad un'intensità di corrente tanto maggiore quanto più
l'asta è afiondata; e qi^indi il regolatore invece di mantenere
costante la corrente mentre i carboni si consumano, la lascia
diminuire gradatamente. Per ovviare a questo inconveniente,
senza rinunziare al vantaggio di utilizzare tutta la corsa pos-
sibile dei portacarboni, il Gaiffe formava il solenoide con spire
a.wolte non uniformemente, ma accumulate in numero maggiore,
in strati più numerosi verso V estremità inferiore che verso
l'estremità superiore.
Il Jaspar invece conserva al solenoide la sua forma cilin-
drica, avvolgendo su di esso le spire in modo uniforme, ma fa
variare la forza antagonista, che tende a rialzare il porta-
carbone negativo, nel senso stesso in cui varia, per l'innalza-
mento del nucleo, la forza attrattiva del solenoide. Questo egli
-ottiene in modo estremamente semplice e pratico: col munire
la ruota su cui è avvolta la cordicella, sostenente il portacar-
<>one positivo, di un contrappeso il cui momento aumenta, pel
girare della puleggia, di mano in mano che innalzandosi il
portacarbone negativo va aumentando la forza succhiante del
solenoide. Il contrappeso può avvicinarsi od allontanarsi al-
quanto dall'asse della puleggia, e così è possibile regolare a
dovere la sua azione.
Per smorzare le oscillazioni dei carboni e fare che il loro
movimento si riduca ad un avanzamento progressivo e regolare,
h attaccato al portacarbone negativo, a fianco di esso, uno stan-
tuffo di ferro il quale si muove con un piccolo giuoco in un
cilindro pieno di mercurio.
Queste disposizioni, grazie ad uno studio accuratissimo di
tutte le proporzioni, raggiungono nel modo più soddisfacente
lo scopo. E siccome per gli usi industriali la lampada Jaspar
214 Parte seconda.
si raccomanda anche per la semplicità estrema del suo mecca-
nismo, così io credo che benché essa non sia fra le più nuovcr
la si possa presentare come una delle migliori lampade della
prima specie.
35. Due regolatori della luce elettrica analoghi a quelli di
cui abbiamo parlato, nei quali- il movimento dei carboni è co-
mandato dalle variazioni nell' intensità della corrente, non pos-
sono funzionare lodevolmente in un medesimo circuito. Infatti
tutte le variazioni dell' intensità della corrente che avvengono
in causa di uno di essi mettono in movimento i carboni del>
l'altro, indipendentemente dal bisogno che se ne può avere.
Per ovviare a questo inconveniente e poter collocare parecchie
lampade in un medesimo circuito, ci sono due modi:
i.*> Produrre il movimento dei due carboni con apparecchi
comandati, invece che dalle variazioni dell'intensità della cor-
rente, dalle variazioni della resistenza dell'arco;
2.<» Abbandonare i regolatori automatici comandati dalla
corrente, e tenere le punte dei carboni alla distanza voluta,
costante, semplicemente frapponendo tra le medesime un pezzo
di una materia solida coibente.
Gli apparecchi coi quali il problema è risolto nella prima
maniera formano la seconda delle specie di sistemi d'illumina*
zione elettrica, che noi abbiamo distinto; quelli coi quali il pro-
blema è risolto nella seconda maniera formano la terza specie.
Degli apparecchi appartenenti alla seconda specie i tipi mi-
gliori sono rappresentati dalle lampade differenziali di Siemens
e di Brush.
Una lampada differenziale è un regolatore nel quale per
comandare il movimento dei carboni, invece di una semplice
elettromagnete o di un semplice solenoide percorso dalla cor-
rente principale, si hanno due elettro-calamite o due solenoidi,
oppure, ciò che vai lo stesso, una elettro-magnete od un sole-
noide con due spirali. Delle due spirali l'una, fatta con filo
grosso e corto, è percorsa dalla corrente principale, che passa
pei due carboni e che produce l'arco, l'altra, fatta con filo sottile
e lungo, forma un circuito derivato. Le due elettro-calamite od
i due solenoidi, o le due spirali agiscono in versi opposti; la
prima, quella percorsa dalla corrente principale, tende ad al-
lontanare i due carboni, l'altra, quella percorsa dalla corrente
derivata, tende ad avvicinarli. La posizione d'equilibrio dei
carboni è quella per cui le forze opposte, esercitate dalle due
Applicazioni dell'energia elettrica, 215
correnti sono eguali; e questa posizione è indii>endente dal
valore assoluto delle due intensità; dipende unicamente dal
rapporto delle resistenze dei due circuiti. Egli è così che si
riesce a rendere il regolatore indipendente dalle variazioni di
intensità della corrente le quali possono provenire da cause
esterne al regolatore medesimo, e che quindi si riesce a far
funzionare regolarmente parecchie lampade inserite nel circuito
di una medesima corrente.
Nelle lampade differenziali di Siemens^ uno dei carboni è
fìssO; l'altro è portato da una leva orizzontale di prima specie,
che all'altra estremità è articolata coi nuclei mobili di due so-
lenoidi posti verticalmente l'uno sull'altro, cogli assi su dì una
medesima linea retta. La spirale inferiore, fatta con filo grosso
e breve è percorsa dalla corrente principale, la spirale supe-
riore fatta con un filo lungo e sottile, forma un circuito deri-
vato; la prima attira il nucleo dall'alto al basso, la seconda lo
attira dal basso all'alto; la prima tende ad innalzare il carbone,
l'altro ad abbassarlo; la posizione d'equilibrio che il carbone
assume dipende unicamente dal rapporto delle intensità delle
due correnti, rapporto che è quello delle resistenze dei rispettivi
circuiti. Quando, pel consumo dei carboni, la resistenza dell'arco
voltaico si trova accresciuta, l'intensità della corrente principale
si fa minore, quella della derivata si fa maggiore di quella per
cui si aveva l'equilibrio, ed il carbone si abbassa.
Siccome però le intensità delle attrazioni dei due solenoidi
variano diversamente mentre, i nuclei si spostano, così non è
possibile con questo sistema utilizzare altro che una brevissima
frazione dell'intera corsa dei nuclei. Onde potere, ciò nono-
stante, adoperare lunghi carboni, il portacarbone mobile non è
unito in modo invariabile alla estremità della leva di cui si è
parlato, la quale riceve il movimento dai solenoidi, ma vi è
unito semplicemente per mezzo di una dentiera che ingrana in
un rocchetto portato da quella leva, ed è quindi sostenuto da
questa solamente quando quel rocchetto non può girare; se il
rocchetto è libero di rotare il portacarboni diventa libero e
discende, indipendentemente dalla leva, pel proprio peso. Il
rocchetto è unito ad una ruota di scappamento, la quale non
può girare senza che un piccolo pendolo comandante lo scap-
pamento, oscilli; se il pendolo è fermato, la ruota non può gi-
rare, ed il portacarbone è sostenuto; se il pendolo può oscillare
il portacarbone è libero. Ora v'ha un arresto il quale, finché
2i6 Parte seconda»
la leva sostenente il portacarbone non è pervenuta alla estremità
della sua corsa, tiene fermo il pendolino e con ciò rende il
portacarbone solidario alla leva, ma quando l'estremo inferiore
della breve corsa della leva è raggiunto, quell'arresto è sollevato
da un ostacolo fisso, e lascia libero il movimento del pendolino^
allora il portacarboni diventa indipendente dalla leva e discende
pel proprio peso; la leva, d'altra parte, allegerita del peso del
portacarbone, si solleva. Ma appena la leva si è sollevata al-
quanto, l'arresto ferma un'altra volta il pendolo, ed il porta-
carboni si trova un'altra volta sostenuto. In questo modo i
nuclei dei due solenoidi non hanno da compiere se non oscilla-
zioni di piccolissima ampiezza e le intensità delle attrazioni su
di essi esercitate per una data intensità delle correnti riescono
sensibilmente costanti. L'effetto di un aumento della resistenza
dell'arco e della conseguente variazione delle intensità delle due
correnti si riduce a svincolare la leva dal portacarboni acciocché,
allegerita, essa si sollevi e venga ad afferrare il portacarboni in
un punto più elevato.
Il piccolo pendolo di cui si è parlato non serve solamente
all'arresto del rocchetto dentato, ma ha ancora l'uffizio più im-
portante di moderare la velocità della discesa del portacarbone
quando questo è libero, o, più esattamente la velocità di ascesa
della leva quando questa si trova allegerita del peso del porta-
carbone. A rendere viemmeglio dolci i movimenti ed a smorzare
le oscillazioni serve inoltre un piccolo stantuffo che comandato
dai nuclei dei solenoidi, si muove nell' interno di un- piccolo
corpo di pompa.
Con questa ingegnosissima disposizione il dottor Werner
Siemens è riuscito ad avere lampade elettriche ad arco voltaico
atte a funzionare in gran numero, fino a venti, in un medesimo
circuito. Colla perfezione poi della costruzione egli è riuscito
a collocare la sua lampada difierenziale fra le migliori che esi-
stano oggidì per la bellezza e per la fissità della luce.
Nel palazzo dell'esposizione le lampade differenziali àìSiemens
oltre ad illuminare nelle sezioni tedesca, inglese e francese le
installazioni delle tre fabbriche Siemens, rischiaravano il grande
atrio d'ingresso, e diverse parti della navata centrale e del
piano superiore. L'esperimento, che durò per tutta l'esposizione,
ha dimostrato che dopo le lampade monofotiche del Jaspar,
quelle differenziali di Siemens sono finora, fra tutte le esposte,
quelle che danno la luce più stabile.
Applicazioni dell'energia elettrica. 217
Le lampade di Brusii sono fondate sul medesimo principio
<ii quelle differenziali di Siemens, ma differiscono notevolmente
<la queste per la disposizione del meccanismo, e per le condi-
zioni della corrente da cui debbono essere attivate. Il mecca-
nismo è più semplice e non contiene rotismi; la corrente è
prodotta dalle macchine di Brush di cui abbiamo parlato e che
hanno, in confronto colle altre macchine una forza elettro-
motrice grandissima. La semplicità del meccanismo e la man-
canza completa di rotismi d'orologeria è evidentemente una
condizione impqrtante per le applicazioni industriali su vasta
scala; la grandezza poi della forza elettro-motrice della mac-
china dinamo-elettrica generatrice non solamente permette di
collocare un numero grandissimo di lampade, fino a 40, su di
un medesimo circuito, ma è, come abbiamo avuto occasione di
dimostrare in un precedente paragrafo, una condizione essen-
ziale per poter trasmettere l'energia a grandi distanze colla
massima economia. Per queste ragioni si può dire che, se forse
il sistema di Brush è suscettibile ancora di miglioramento in
<)ualche sua parte, esso però, nel suo insieme, rappresenta un
primo esempio di ciò che dovranno essere neir avvenire gli
apparecchi per la luce elettrica, se questa dovrà ricevere ap-
plicazioni grandiose nella illuminazione pubblica. Tal quale esso
e oggidì, il sistema Brush dà, tanto per la qualità della luce
quanto pei rendimento economico, risultati che giustificano i
grandi impianti che ogni giorno se ne vanno facendo.
Alla esposizione gli apparecchi del Brush, benché per la
stabilità della luce fossero superati da quelli di Siemens, costi-
tuivano rimpianto di illuminazione il più grandioso, e per la
vastità delle applicazioni che esso dimostrava possibili, il più
importante.
Come quella di Siemens la lampada di Brush è differenziale,
e la disposizione dei suoi circuiti differisce da quella dei cir-
cuiti nelle lampade Siemens soltanto per questo, che invece di
due solenoidi posti sui prolungamento l'uno dell'altro si ha qui
un solenoide unico formato con due fili avvolti insieme: con un
filo grosso e corto per mezzo del quale la corrente si trasmette
ai carboni, e con un filo lungo e sottile messo in derivazione,
nel quale passa, in verso opposto alla corrente che va ai car-
boni, una corrente derivata. Le forze esercitate dalle due cor-
renti sul nucleo comune delle due spirali sono opposte e si
neutralizzano più o meno a seconda delle resistenze.
2i8 Parte seconda.
Due solenoidi a doppia spirale, fatti nel modo detto, stanno
collocati l'uno accanto all'altro a somiglianza delle due braccia
di una ordinaria elettro-magnete a ferro di cavallo; ed i due
nuclei, che salgono e si abbassano insieme, sono riuniti infe-
riormente con una traversa in modo da formare, quando sona
magnetizzati dalle correnti dei solenoidi, una calamita a ferra
di cavallo. La traversa sostiene, nel modo che dirò, il porta-
carbone superiore. Quando la resistenza dell'arco ha il valore
conveniente i nuclei, e con essi il portacarbone positivo, stanna
in equilibrio sotto l'azione delle forze opposte delle due spirali ;
ma se pel consumo dei carboni l'arco si allunga ed aumenta di
resistenza, l'intensità della corrente che passa per la grossa
spirale diminuisce, e quella della corrente derivata, che passa
per la spirale sottile, aumenta: la forza, colla quale la prima
tende a sollevare i nuclei, diminuisce, quella con cui la seconda
tende ad abbassarli cresce, ed i nuclei si abbassano. Si abbassa
con loro il portacarbone superiore, e l'arco ritorna alla lun-
ghezza ed alla resistenza volute.
Qui come nella lampada differenziale di Siemens non si pu6
ujtilizzare altro che una brevissima corsa dei nuclei, e quindi
il portacarbone invece di essere unito direttamente ai nuclei,
è disposto in modo da essere sostenuto solamente quando l'arca
ha una lunghezza uguale o minore della normale, e da svinco-
larsi dai nuclei e discendere pel proprio peso quando l' arco è
diventato troppo lungo. Qui adunque, come nella lampada del
Siemens t l'azione dei solenoidi differenziali è adoperata soltanto
per regolare V alimentazione del carbone superiore.
Ma quello che nella lampada Siemens si ottiene per mezza
del meccanismo assai complicato, composto della dentiera, del
rocchetto, dello scappamento, del pendolo e dell'arresto di
questo, nella lampada di Brush è ottenuto senza rotismo di
sorta, in un modo straordinariamente semplice. La traversa
dei nuclei sostiene, coli' intermezzo di una leva, un gancio, il
quale tien sollevato, pigliandolo per un punto della circonfe-
renza esterna, un anello dentro a cui passa l'asta cilindrica del
portacarbone. L'anello, così sostenuto da un lato, prende una
posizione inclinata e quindi esercita sull'asta del portacarbone
una pressione sufficiente perchè l'attrito la tenga sollevata. Ma
quando i nuclei si abbassano al disotto della posizione corri-
spondente alla lunghezza normale dell'arco, l'anello si -appoggia
col suo punto più basso sopra una traversa fìssa, e se il gancio
Applicazioni dell* energia elettrica. 219
che lo sosteneva continua ad abbassarsi, esso prende una in-
clinazione minore, e si accosta a diventare orizzontale. Allora
esso cessa di esercitare sull'asta del portacarbone una pressione
sufficiente per poterlo sostenere, e questo, svincolato, prende a
discendere pel proprio peso. Ma appena il portacarbone si trova
svincolato, i nuclei dei solenoidi, allegeriti dal peso di esso, si
risollevano, ed il gancio, che essi sollevano seco, rialza un'altra
volta l'anello, il quale inclinandosi afferra l'asta del portacarbone
in un punto un po' più alto di quello in cui lo teneva per lo
innanzi.
Per smorzare ì movimenti troppo repentini l'asta del por-
tacarbone è cava ed è piena di glicerina. Uno stantuffo fisso
all'estremità inferiore di un'asta immobile è immerso nella gli-
cerina, e presenta ai movimenti di questa una resistenza cre-
scente colla velocità, la quale basta allo scopo.
Quando l'illuminazione deve durare molto tempo, le lam-
pade hanno due coppie di carboni, le quali entrano in azione
r una dopo 1* altra. La traversa dei nuclei sostiene in questo
caso per mezzo di una leva un pezzo munito di due ganci de-
stinati a sollevare gli anelli dei due portacarboni superiori; ma
uno dei due ganci è un po' più alto dell'altro e comincia a
sollevare il portacarbone corrispondente un po' prima dell'altro.
Allora la corrente passa tutta per la coppia di carboni che ri-
mangono a contatto, e quando, seguitando ad elevarsi i nuclei,
anche i carboni di questa coppia si distaccano, 1* arco voltaico
si stabilisce soltanto fra le punte dei medesimi. Stabilito l'arco,
questo continua ed è regolato come nel caso di una lampada
semplice, fino a tanto che i due carboni non sono consumati.
In questo momento vengono a contatto i due carboni dell'altra
coppia e l'arco si stabilisce fra di essi. Così la durata dell'illu-
minazione è duplicata.
Annesso a ciascuna lampada vi è un apparecchio destinato
a sostituire alla lampada un breve conduttore quando, per un
accidente, questa non può più funzionare. L'apparecchio con-
siste in una elettro-magnete con due spirali. Una di queste
spirali fatta con un filo molto grosso e cortissimo costituisce il
breve conduttore destinato a sostituirsi alla lampada ed a man-
tenere chiuso il circuito quando questa è guasta; l'altra, latta
con filo lungo e sottile, è inserita nel circuito derivato che con-
tiene le spirali di filo sottile dei solenoidi del regolatore; le due
spirali poi sono avvolte nel medesimo verso. Quando la resi-
*
§
220 Parte seconda.
stenza della lampada diventa grande in modo anormale, la cor-
rente derivata, che passa per la spirale sottile, magnetizza il
nucleo dell* elettro-magnete, in modo che questa, vincendo la
tensione di una molla antagonista, attrae la sua armatura. Questa
allora si appoggia su di un contatto unito alle estremità della
spirale di grosso filo, e chiude il circuito per mezzo di questo,
escludendone la lampada. Il contatto per cui questo breve cir-
cuito rimane chiuso, è assicurato dalla forte attrazione che
Telettro-magnete esercita sull'armatura dal momento che la cor-
rente ha cominciato k percorrere oltre il filo sottile anche il
filo grosso. Lo spegnimento della lampada avverte subito i sor-
veglianti del guasto avvenuto, mentre le altre lampade rimaste
attive nel circuito compensano con un maggiore splendore la
mancanza della lampada difettosa.
I carboni adoperati nelle lampade Brush hanno la lunghezza
di 30 centimetri, e sono ricoperti di uno strato di rame deposto
galvanicamente. Essi durano in media circa 8 ore, e durante
questo tempo si consumano circa 24 centimetri del carbone
positivo e IO centimetri del negativo. Una lampada con doppio
sistema di carboni può adunque funzionare senza interruzione
per circa 18 ore.
La resistenza di una lampada nelle condizioni normali
medie è di circa 4^5 ohm; l'intensità della corrente necessaria
è, nelle medesime condizioni, compresa tra io e 12 ampère; in
una installazione ben proporzionata la forza elettro-motrice del
generatore equivale a circa 54 volt per ciascuna lampada in-
serta nel circuito: la forza motrice necessaria per ogni lampada
^ di cavalli 1,5 quando si hanno nel circuito solamente 4 lam-
pade, di cavalli 0,9 circa quando il numero delle lampade è
uguale o superiore a 16. L'intensità della luce data da ciascuna
lampada in queste condizioni è di circa 40 carcel nella direzione
orizzontale e di circa 70 nella direzione inclinata di 45° dal-
l' alto al basso. Pei grandi focolari di luce, per fari o per pro-
iezioni, le proporzioni sono diverse e l'intensità della luce per
ciascun centro può superare i 200 carcel.
36. I regolatori differenziali, di cui quelli di Siemens e di
Brusii sono i tipi principali, non costituiscono il solo mezzo
per poter tenere in azione in un medesimo circuito parecchie
lampade ad arco voltaico; un modo più semplice per fare ciò
consiste nel tenere separati ad una distanza invariabile i due
carboni per mezzo di un pezzo di qualche materia solida iso-
Applicazioni dell* energia elettrica, 221
lante. Così facendo però, si ha in contatto coll'arco voltaico un
corpo solido, il quale, diventando incandescente pel calore del-
l'arco^ modifica notevolmente la qualità della luce e le condi-
zioni di economia della sua produzione. Egli è per questo mo*
tìvo, che io ho collocato le lampade, ove è messo in pratica
questo artifizio, in una specie distinta, che è la terza di quelle
in cui ho classificato tutti i sistemi d'illuminazione elettrica.
La più importante delle lampade di questa specie è la can-
dela elettrica di Jablochkoff. In questa i due carboni, invece di
essere, come nei regolatori, collocati di punta, sul prolunga-
mento l'uno dell'altro, sono posti l'uno di fianco all'altro e se-
parati da uno straterello di caolino o di gesso; l'arco si fa tra
le due punte passando al di sopra del corpo coibente, il quale
pel calore dell'arco si fonde e si volatilizza consumandosi gra-
datamente di mano in mano che si consumano e si raccorciano
i due carboni. Così la candela si consuma regolarmente come
una candela ordinaria. La luce che essa manda è irradiata dalle
punte dei carboni e dal bottone formato frammezzo alle me-
desime dal coibente fuso ; il tutto poi si trova annegato in una
fiamma dovuta alla combustione dei carboni ed alla volatilizza-
zione del coibente.
La candela elettrica del Jablochkoff, troppo nota perchè io
insista sulla descrizione dei suoi particolari, occupa nella storia
delle invenzioni relative alla illuminazione elettrica un posto
importantissimo. Essa fu il primo apparecchio che abbia fatto
pensare alla possibilità di applicare la luce elettrica alla illu-
minazione pubblica, e fu realmente il primo apparecchio che
abbia potuto servire alla illuminazione pratica delle strade e
delle piazze.
Tuttavia essa non rappresenta un tipo di lampada elettrica
destinato nell'avvenire alle grandi applicazioni. Ciò si può as-
serire per vari motivi:
i.^ Il confronto tra la qualità della luce data dalle candele
Jablochkoff e quella data dalle lampade differenziali di Siemens
e di Brushf confronto che anche prima dell'esposizione di elet-
tricità si è potuto fare per mezzo delle grandi installazioni di
illuminazione elettrica coi sistemi di Jablochkoff, di Brush e dì
Siemens esistenti a Londra, dimostra nella candela elettrica
una evidente inferiorità; le variazioni continue di intensità e di
colorazione, che essa presenta, sono incomparabilmente più
grandi di quelle presentate dagli altri due sistemi.
222 Parte seconda.
2.° La candela elettrica è inetta a riaccendersi da sé
quando, per la rottura di un carbone o per a'tro accidente essa
venga a spegnersi; la qual cosa obbliga a conservare daccanto
alle lampade elettriche i fanali del gas, per rimpiazzarle in caso
di bisogno.
3.<» Il costo della luce è notevolmente più grande con le
candele elettriche che con le lampade differenziali. Questo fatto
deriva specialmente dall' esistenza del solido coibente che si fa
incandescente fra le punte dei carboni; e noi avremo occasione
di occuparcene fra poco, studiando in generale le condizioni di
economia della illuminazione elettrica.
Il Jamin modificò, come è noto, la candela del Jablochkoff
sopprimendo il coibente solido, ed utilizzando, per mantenere
l'arco sulle punte dei carboni, V azione elettro-dinamica eser-
citata su di esso dalla corrente opportunamente conformata.
Ma il tentativo, per cui la candela elettrica rientrerebbe nella
classe precedentemente studiata degli apparecchi ad arco vol-
taico senza coibente incandescente, con conseguente vantaggio
economico, è assai male riuscito; nel palazzo dell'esposizione
le lampade del Jamin figuravano fra le meno stabili.
Invece di adoperare, come nella candela elettrica, due car-
boni paralleli isolati con un corpo solido frapposto, si può ot-
tenere le stesso risultato disponendo i due carboni in modo che
«ssi pel proprio peso oppure per effetto di una molla, sì avan-
zino l'uno verso T altro di mano in mano che si consumano,
ma sieno tenuti colle loro punte a una distanza costante da un
eorpo 3olido isolante, contro cui si appoggiano costantemente.
L' idea di costrurre in questo modo lampade elettriche è molto
antica, ed è messa in pratica in alcuni dei primi regolatori che
si sieno inventati ; è noto fra gli altri il semplicissimo regolatore
di Staile ed Edwards, nel quale i due carboni, disposti obliqua-
mente e spinti in avanti ciascuno da una molla a spirale, si
appoggiavano colle loro punte contro di un pezzo di materia
refrattaria in modo che la distanza fra le punte rimanesse co-
stante e l'arco voltaico lambisse la superficie del coibente. Questa
medesima idea, attuata soltanto con una disposizione alquanto
differente, è stata ripresentata recentemente, concretata in una
lampada elettrica alla quale si è dato il nome di Lampe-Solài
La lampada a sole ideata dai signori Clero e Bureau figu-
rava e funzionava in molti esemplari nella esposizione. Essa
era esposta nella sezione francese del Clerc e nella sezione
Applicazioni dell'energia elettrica. 223
belga dalla Compagnia generale belga di luce elettrica. Oltre
ad alcune parti della navata principale, essa illuminava assai
bene una sala di quadri.
Questa lampada si compone di un blocco di materia refrat-
taria nella parte inferiore del quale è scavata una cavità pris-
matica in forma di tetto. Nel blocco sono praticati due fori
inclinati V uno verso V altro, i quali si aprono nella cavità alle
<iue estremità dello spigolo dell'angolo diedro formato dalle
faccia principali di questa. Due carboni scorrono in questi fori
e tendono ad avanzarsi in grazia del proprio peso; questi due
carboni per mezzo di conduttori flessibili comunicano con due
reofori. L'orifizio inferiore dei due buchi non è abbastanza
grande per lasciar passare i carboni, di modo che le estremità
<li questi si trovano costantemente ad una medesima distanza.
L'arco voltaico si forma tra i due orifìzi lunghesso lo spigolo
dell'angolo diedro al fondo della cavità del blocco refrattario.
<}uando l'arco è stabilito, il calore che in esso si sviluppa porta
all'incandescenza la sostanza del blocco, il quale diventa la
principale sorgente di luce. Il blocco è di marmo; ma per l'ele-
vata temperatura a cui è sottoposto si trasforma presto, in vi-
cinanza dello spigolo, ove si forma l'arco voltaico, in calce. La
luce è adunque emessa da calce incandescente come nella lam-
pada di Drummond.
Praticamente il blocco refrattario è formato di parecchi
pezzi: due pezzi di granito servono di sostegno a due pezzi di
una pietra bianca, lungo i quali scorrono i due carboni; tra
questi due pezzi di pietra bianca stanno due pezzi di marmo
formanti le due faccie dell'angolo diedro. Al di sopra un pezzo
trapezoidale di pietra e due cunei completano il parallelepipedo.
Tutti i detti pezzi sono collocati dentro ad una staffa di ghisa
-e stretti con viti. La staffa è a sua volta introdotta in un col-
lare metallico, a cui sono attaccati i pezzi destinati a sostenere
la lampada.
Per la qualità e per la fissità la luce della Lampe- Soleil si
assomiglia, come si poteva prevedere, a quella di Drummond,
ma spesso è assai meno intensa e presenta una tinta aranciata
ibrse eccessivamente sensibile. Quando questo sucéede, la lam-
pada, benché chiusa in un pallone di vetro appannato, presenta
un aspetto che ricorda quello di una lampada ad olio male ac-
cesa. Ma r inconveniente più grave sta in ciò, che la presenza
-del corpo solido incandescente, che irradia sotto forma di ca-
224 Parte seconda.
lore oscuro, una buona parte del calore sviluppato nell'arco
voltaico, nuoce inevitabilmente al rendimento economico del-
l'apparecchio. L'asserzione degli espositori, che la lampada
Soleil possa produrre la luce di loo a no carcel per ogni ca-
vallo dinamico consumato, è assolutamente inverosimile, e noi
avremo occasione di convincercene quando, più sotto, ci occu-
peremo delle condizioni economiche della illuminazione elettrica.
Benché la lampada di cui parliamo, abbia alcune utili proprietà,
che possono raccomandarla in alcuni casi speciali, io credo che
essa non si possa annoverare fra quelle a cui l'avvenire riserva
applicazioni grandiose.
Questo, che io asserisco per le lampade Soleii, si deve
estendere alle altre lampade, che pur figuravano nella esposi-
zione, nelle quali l'arco voltaico non ha altro uffizio che quello
di rendere incandescente un pezzo di materia solida.
37. La quarta specie di lampade elettriche comprende ap-
parecchi, nei quali, come negli ultimi di cui abbiamo parlato,
la luce è emessa in parte da un arco voltaico ed in parte da
una materia solida incandescente; ma la disposizione di questi
apparecchi è affatto diversa, e la luce da essi prodotta si asso-
miglia di più, tanto per la quantità, quanto per l'economia, a
quella data dalle lampade ad arco voltaico. Io ho denominato
questi apparecchi: lampade a contatto imperfetto, e per darne
una idea cito il più importante di tutti, che è la lampada Wer-
dermann.
In questa lampada il carbone positivo ha la forma di un
disco di circa 5 centimetri di diametro, posto in alto, orizzon-
talmente. Il carbone negativo è invece una bacchetta sottile
situata verticalmente al disotto del disco, sull'asse di questo;
essa è sollecitata dal basso verso l'alto da un contrappeso o da
una molla, per cui si appoggia colla punta sul centro della
faccia inferiore del disco, esercitandovi una leggera pressione»
Due labbra di rame si appoggiano lateralmente contro la bac-
chetta esercitandovi una pressione sufficiente per istabilire con
essa un buon contatto, ed abbastanza piccola perchè il carbone
possa scorrere liberamente fra di esse di mano in mano che,
consumandosi, esso viene sollevato dalle molle o dal contrap-
peso. Le due labbra di rame sono collegate col reoforo negativo.
Quando passa la corrente un breve tratto della bacchetta di
carbone, in vicinanza della punta, diventa incandescente, e tra
la punta ed il disco di carbone, che le sta di fronte, si produce
Applicazioni dell'energia elettrica. 225
un breve arco voltaico, la luce bianca del quale si mescola con
quella aranciata emessa dal carbone incandescente. Più lampade
di questa specie possono funzionare regolarmente alimentate da
una medesima macchina generatrice; in questo caso esse ven-
gono riunite in derivazione : tutti i dischi di carbone sono posti
in comunicazione col reoforo positivo, e tutte le bacchette sono
collegate col reoforo negativo.
Nei particolari la lampada Werdermann è stata migliorata
con molto ingegno dal signor Napoli; ed è colle disposizioni
datele da questo ingegnere che essa figurava nella mostra di
Parigi. Essa era esposta dalla Compagnia generale di illumina-
zione elettrica di Parigi, la quale per mostrare una delle appli-
cazioni per cui la si potrebbe preferire, illuminava colla mede-
sima un piccolo teatro appositamente preparato nel palazzo
dell'industria.
La medesima società presentava all'esposizione alcune lam-
pade Reynier, lampade fondate sul medesimo principio di quelle
di Werdermann ma diversamente disposte. Con 8 di queste
lampade si faceva l'illuminazione della sala detta del Presidente
della Repubblica.
Le lampade a contatto imperfetto di Werdermann e di
Reynier non sono recentissime, e per molte esperienze erano
note già prima della esposizione i loro pregi. L'esposizione non
ha fatto che rinconfermare ciò che si sapeva, dimostrando per
mezzo di una installazione assai bene studiata, che le lampade
di questa specie possono dare una luce bianca quasi come quella
dell'arco, perfettamente fissa, regolabile a volontà, e divisibile
entro limiti molto estesi. Se si fossero potute eseguire misure
dinamometriche e fotometriche, si sarebbe presumibilmente dimo-
strata anche l'economia notevole che esse possono oflFrire in
confronto colle candele elettriche o colle lampade SoleiL La
disposizione loro è perfettamente razionale; e ira tutte le lam-
pade destinate a suddividere la luce esse sono probabilmente
quelle che consumano, per una data quantità di luce prodotta,
la minore quantità di lavoro meccanico. Ma le considerazioni
che dovremo fare fra poco discorrendo in generale delle con-
dizioni di economia della illuminazione elettrica e dell'avvenire
probabile di questa, ci condurranno a credere che per l'illumi-
nazione pubblica abbiano maggiore probabilità di trovare grandi
applicazioni lampade più potenti, come quelle di Brush o di
Siemepis, e che per l'illuminazione domestica abbiano ad essere
G. Ferraris, Opwre, Voi. II. 15
226 Parte seconda.
preferiti apparecchi più maneggevoli, quali sono le lampade ad
incandescenza. Quindi io penso che le lampade a contatto im-
perfetto, le quali avrebbero forse avuto un grande avvenire se
Siemens non ci avesse dato colle lampade differenziali un mezzo
migliore per far agire molte lampade in un medesimo circuito,
attualmente non possono gareggiare cogli altri sistemi se non
forse in alcuni casi affatto speciali.
38. Noi arriviamo ai sistemi di illuminazione elettrica, che
abbiamo classificato nella quinta specie: ai sistemi ad incande-
scenza. Si sogliono comprendere con questo nome i sistemi dove
la luce è data dall'irradiazione di un solido reso incandescente
dal passaggio attraverso ad esso di una corrente elettrica.
L'idea di produrre la luce per mezzo dell'incandescenza di
una porzione resistente del circuito di una corrente non è nuova;
essa è così semplice, che si presenta da sé alla mente, e di
fatto si è tentato di metterla in pratica già da molto tempo,
prima ancora che il Foucault facesse conoscere il suo primo
regolatore. Già nel 1845 un tale King, russo, prendeva un bre-
vetto di privativa per un metodo per produrre la luce per mezzo
della incandescenza di una asticciuola di carbone nel vuoto, e
brevetti analoghi ottenevano Greener e Staite nel 1846, e Petrie
nel 1849.
Questi sistemi furono per molto tempo dimenticati, ma nel
1874 un russo, certo Lodiguine li richiamava a vita brevettan-
doli un'altra volta; e Kosloff, Kann, Bouliguine miglioravano
l'apparecchio. Finalmente nel 1879 T Edison brevettava una
lampada basata sull'incandescenza di un filo formato con una
lega di platino e di iridio, e poco dopo un'altra lampada ad in-
candescenza, ove al filo metallico era sostituita una listerella
arcuata di carbone fatta con cartoncino, situata nell' interno di
un palloncino di vetro vuotato d'aria. Questi apparecchi, che in
grazia di alcuni speculatori levarono molto rumore e provoca-
rono nel pubblico speranze eccessive, e nell'industria del gaz
un panico esagerato, non riuscirono allora ad alcun risultato
diretto; ma furono l'origine di una serie di studi che in questi
giorni condussero alla costruzione di apparecchi veramente degni
di nota. Le odierne lampade elettriche ad incandescenza sono
tali da far credere, almeno dal punto di vista fisico, risolto il
problema di produrre la luce elettrica in condizioni adatte alla
illuminazione dei piccoli ambienti, delle abitazioni private; queste
lampade furono una delle più importanti novità della esposizione.
Applicazioni dell'energia elettrica. 227
Attualmente le lampade ad incandescenza proposte sono
•assai numerose, ma per lo scopo nostro, avuto riguardo alla
scarsità presente dei dati d'esperienza relativi, dobbiamo limitarci
a considerare i quattro sistemi principali che figuravano alla
-esposizione, i quali sono quelli di Edison, di Swan, di Maxim
-e di Zuine Fox,
La lampada di Edison è costituita da un sottile filamento
-di carbone piegato a ferro di cavallo e collocato nell'interno di
4in palloncino di vetro in cui, con una pompa a mercurio è '
^tato fatto il vuoto più perfetto che praticamente sia possibile.
Le due estremità del filo di carbone sono collegate a due fili
•di platino che escono dal palloncino e servono ad inserire il
-carbone nel circuito della corrente.
Il filamento di carbone è ottenuto colla carbonizzazione di
«ina fibra di bambù. Prima di chiudere il palloncino, mentre si
sta facendo il vuoto colla pompa a mercurio, il filamento è te-
nuto incandescente per un certo tempo per mezzo di una- cor-
rente elettrica; in questo modo esso viene privato dei gas che
vi erano. condensati, i quali altrimenti avrebbero screpolato il
carbone ad ogni riscaldamento ed avrebbero nociuto alla com*
pattezza, alla tenacità ed alla durata del medesimo. Con questa
operazione il filo di carbone acquista una densità ed una du-
rezza affatto speciali, per cui esso, benché non sia più grosso
di un crine, può resistere per molto tempo alle variazioni di
temperatura ed ai sussulti a cui è esposto nell'uso. Le due
estremità del filo di carbone presentano un rigonfiamento e
vengono strette da due piccole pinzette di platino colle quali
terminano i due reofori di platino destinati a mettere il carbone
in comunicazione coi conduttori esterni. La giuntura è saldata
per mezzo di un deposito di rame ottenuto elettricamente. Al-
l'esterno i due fili di platino terminano in due pezzi metallici
isolati, i quali possono essere messi in comunicazione coi reofori
<rhe vengono dal generatore, oppure essere separati dai me-
desimi per mezzo di un commutatore adatto al sostegno della
lampada, commutatore che presenta l'aspetto di un ordinario
robinetto e che si maneggia nella medesima maniera.
Edison costruisce lampade di due grandezze diverse che
denomina lampade e mezze lampade. Le lampade, dicono i suoi
rappresentanti, danno una luce equivalente a 16 candele, ossia
-di circa 1,6 carcel, e le mezze lampade equivalgono a circa la
metà, ad 8 candele, ossia a 0,8 carcel. Con un cavallo dinamico
228 Parte seconda.
si possono attivare dieci mezze lampade, oppure 5 a 6 lampade
grandi. La resistenza elettrica di una lampada, a caldo, nelle
condizioni normali, è di circa 125 ohm; quella di una mezza
lampada è di circa 250 ohm. Quando una lampada funziona nelle
condizioni normali, la differenza dei potenziali tra i suoi due
contatti dev'essere di circa 100 volt, e quindi, ritenuto il valore
della resistenza suindicata, V intensità della corrente attraverso
al filamento di carbone dev'essere, nello stato normale, intorno a
0,800 ampère. Le lampade vengono tutte collegate in derivazione,
o, come dicesi anche, in quantità: dai poli della macchina gene-
ratrice partono due grossi reofori di resistenza trascurabile, o
minima, e ciascheduna lampada è inserta, sola, su di un con-
duttore il quale si attacca con una estremità all'uno e con
l'altra all'altro reoforo. In questo modo la corrente si divide
in tante correnti derivate sensibilmente uguali quante sono le
lampade, ed il lavoro necessario per tenere in azione la mac-
china dinamo-elettrica generatrice è proporzionale al numera
delle lampade attivate.
La resistenza del sistema di molti circuiti derivati è tanto
più piccola quanto più questi sono numerosi; quindi benché
ciascuna lampada presenti da sola una resistenza considerevole,
l' insieme di tutte le lampade, in un impianto di qualche impor-
tanza, presenta effettivamente una resistenza piccolissima; è
dunque necessario, per avere un buon rendimento economico,
adoperare una macchina dinamo-elettrica di resistenza interna
piccolissima. Egli è a quest'uopo che Edison ha dato alla sua
macchina generatrice la disposizione che noi abbiamo descritto
nel primo paragrafo di questa relazione. Nella macchina dinamo-
elettrica di Edison la spirale magnetizzante per l' induttore è
posta in derivazione e cosi non figura nella resistenza interna
della macchina; la spirale indotta poi è fatta con grosse sbarre
di rame, le quali hanno una resistenza estremamente piccola;
la resistenza interna complessiva non raggiunge, come abbiamo
detto a suo tempo, il valore di un centesimo di ohm. Con questo
minimo valore della resistenza interna, e col modo di collega^
mento delle lampade di cui abbiamo parlato, pel quale basta
mantenere tra i due grandi reofori principali una differenza di
potenziali uguale a circa 100 volt, è sufficiente che la macchina
generatrice abbia una forza elettro-motrice di poco superiore a
questo numero: come abbiamo detto descrivendo la macchina,,
Edtson dà a questa forza elettro-motrice il valore di 103 volt^
Applicazioni dell'energia elettrica. 229
<|ualunque sìa il numero delle lampade che la macchina è de-
stinata ad alimentare.
Pel buon funzionamento e per la conservazione della lam-
pada è necessario che, qualunque sia il numero delle lampade
in azione, la differenza dei potenziali nei due reofori principali,
ossia ai due poli della macchina generatrice rimanga sempre la
stessa. Io ho detto già, parlando della macchina e trattando in
generale della distribuzione dell'energia per mezzo della corrente
elettrica, che nel sistema di Edison la costanza dei potenziali
ai due poli della generatrice si ottiene coli' opera di un sorve-
gliante a ciò delegato. Ai due poli della macchina dinamo-elet-
trica è attaccato un circuito derivato di grandissima resistenza
<i8o 000 ohm), nel quale è inserto un galvanometro a riflessione
di IV. Thomson. La intensità della corrente indicata da questo
galvanometro è, con grandissima approssimazione, proporzionale
alla differenza dei potenziali sui due poli della macchina, e la
^aduazione della scala è fatta in modo da dare direttamente
<|uesta differenza di potenziali espressa in volty un volt corri-
sponde a 3 divisioni della scala del galvanometro. A seconda
delle indicazioni di questo galvanometro il sorvegliante introduce
o toglie con un reostato a quadrante resistenze convenienti nel
circuito della corrente eccitatrice, e fa variare nel senso voluto
r intensità del campo magnetico induttore. Invece del galvano-
metro, può servire a dare al sorvegliante le necessarie indica-
zioni una lampada normale, che si osserva per mezzo di un
fotometro di uso comodo, appositamente costrutto.
Oltre alla lampada, al generatore ed all'apparecchio pel
-controllo e per il governo della corrente, Edison ha studiato i
più minuti particolari del suo sistema. Io non potrei entrare in
una descrizione di tutti questi senza perdere di mira lo scopo
principale del mio scritto; debbo tuttavia accennare ad alcuni
<ii essi i quali possono dare una idea dei vari problemi secon-
dari a cui conduce un impianto di illuminazione elettrica come
quello di Edison, e degli artifizi coi quali quei problemi pos-
sono essere risolti.
In primo luogo merita una menzione il modo in cui, se-
condo il progetto di Edison, sono disposti i conduttori principali,
e quello in cui sono prese su questi le derivazioni. I conduttori
principali che partono dai due poli della macchina generatrice
« dai quali si debbono fare le prese di corrente pei vari utenti,
sono di forma semicilindrica; sono piatti da una parte ed ar-
u
230 Parte seconda.
rotondati dall'altra; così essi, disposti l'uno sull'altro con in
mezzo uno strato di materia coibente^ formano un solo cilindro^
che si ricopre con un involucro isolante, e si distende sotto
terra lungo la strada. Per prendere una derivazione si toglie
per un breve tratto l'involucro isolante, si tagliano i due con-
duttori semicilindrici, si ripiegano i capi verso l'esterno, e si
stringono i due capi di uno dei conduttori in una morsa, e
quelli dell'altro in un'altra morsa. Dalle due morse partono i
fili della derivazione. Ma acciocché la corrente non possa di-
strurre le lampade quando per accidente essa diventasse troppo
intensa, una delle due comunicazioni delle morse coi fili della
derivazione è fatta coli' intermediario di un pezzo di filo di
piombo, il quale, quando l'intensità della corrente è troppo
grande, si fonde, e rompe così il circuito. Tutto questo è pro-
tetto da una scatola ermeticamente chiusa e ricoperta di un
intonaco isolante.
Una seconda particolarità, che merita di essere notata, ri-
guarda la disposizione degli interruttori con cui si accendono
o si spengono le lampade. La chiave di questi interruttori, so-
migliante per r aspetto a quella di un robinetto ordinario, co-
manda una vite, la quale porta alla sua estremità una specie dr
tappo tronco-conico. Questo pezzo conico, ritirandosi, si allon-
tana da due larghe lamine di contatto, e cosi rompe il circuito
in due punti diversi e su di una larga superficie. In tal modo
si evitano le grandi scintille di rottura, che potrebbero altri-
menti essere causa di deterioramenti negli apparecchi od anche
dar luogo a pericoli di incendio.
Merita pure un cenno un piccolo apparecchio regolatore
dell' intensità della corrente, il quale permette di affievolire la
luce in quella proporzione che si desidera. Esso è una specie
di reostato a carboni, composto di bacchette cilindriche di car-
bone di differenti sezioni e di un semplice commutatore, che
permette di far passare la corrente attraverso a quel carbone
che si desidera. Facendo in questa maniera variare la resistenza,,
si regola l' intensità della luce. Le bacchette di carbone sono
disposte verticalmente dentro ad un astuccio cilindrico fatto,
per diminuire il riscaldamento, con lastra tutta traforata. Siil-
r astuccio del reostato sta una lampada ad incandescenza colla
quale si riconosce la posizione più conveniente del regolatore.
Debbo finalmente notare gli apparecchi per la misura della
quantità di elettricità data a ciascun utente; apparecchi destinati
Applicazioni dell'energia elettrica. 231
a fare per la distribuzione delle correnti elettriche ciò che fanno
i contatori nelle attuali distribuzioni di gaz. Gli apparecchi a
quest'uopo immaginati àsiìV Edison sono due: uno di essi è au-
tomatico; r altro esige, ad ogni misurazione, una pesata. II
primo è costituito da un giogo di bilancia a cui sono appese,
alle due estremità, due lastre di rame piegate a cilindro, iden-
tiche, costituenti due elettrodi., Queste due lastre sono immerse
in due vasi distinti pieni di una soluzione di solfato di rame e
muniti di due altri elettrodi fissi. I due voltometri a solfato di
rame così costituiti sono attraversati dalla corrente in versi
opposti, in modo che mentre una delle lastre appese al giogo
di bilancia riceve un deposito elettrolitico di rame, l'altra si
consuma; mentre la prima va aumentando di peso l'altra va
diminuendo. Quando la differenza di peso delle due lastre ha
raggiunto un valore determinato, la bilancia trabocca. Ma nel
traboccare del giogo un commutatore, facile ad immaginarsi,
inverte i contatti coi reofori ed inverte così la direzione della
corrente attraverso ai due truogoli; allora la lastra, che nel
periodo precedente si era andata consumando, comincia ad au-
mentare di peso, e quella che prima aveva aumentato di peso
comincia a consumarsi; quando una determinata quantità di
elettricità è passata attraverso ai due voltametri, lo squilibrio
si produce nel senso opposto al precedente, e la bilancia tra-
bocca dall' altra parte. Allora il commutatore inverte un' altra
volta la corrente, la quale dopo un altro intervallo di tempo
fa traboccare la bilancia nel senso primitivo. Così seguitando,
il giogo di bilancia fa una serie di oscillazioni, a ciascuna delle
quali corrisponde un dato numero di grammi di rame deposto,
e quindi una data quantità di elettricità passata, un dato nu-
mero di coulomb somministrati all'utente. È ora facile immagi-
nare un contatore elettrico il quale indichi in ogni istante il
numero delle oscillazioni compiute.
L' altro apparecchio misuratore è più semplice. Esso con-
siste in due voltametri a solfato di rame, i cui elettrodi possono
facilmente essere ritirati e pesati. Uno di questi voltametri è
nelle mani dell'abbonato, l'altro è tenuto chiuso dal controllore.
Oltre alle lampade con cui erano illuminate le due sale
destinate alla mostra degli svariati suoi apparecchi ed alcune
altre parti del palazzo dell'esposizione, Edison presentava varie
foggie di sostegni per le sue lampade ad incandescenza: come
bracci e mensole, lucerne trasportabili, lucerne per miniere.
232 Parte seconda.
In queste ultime la lampada elettrica era contenuta in un vaso
di vetro più grande pieno d'acqua, e nell'acqua erano immersi
tutti i contatti, dove, nel momento della rottura del circuito,
sono possibili scintille di estracorrente. In questo modo si evita
ogni pericolo di incendio o di esplosione.
Contemporaneamente all' Edison, e sulla medesima via ha
lavorato pel perfezionamento delle lampade ad incandescenza
/. IV. Swan di NewcastU-on-Tyne. Questi però non prese pri-
vativa pel suo sistema se non nel dicembre del 1880, e non
presentò alla esposizione di elettricità di Parigi altro che la
lampada. Per compenso l'esposizione delle lampade Swan è
stata la più grandiosa e la meglio riuscita. Più di 300 lampade
di questo sistema disposte in festoni lungo le pareti e riunite
in alcuni piccoli lampadari illuminavano la grande sala del
congresso, circa 100 illuminavano la sala del caffè al piano
superiore, altre molte rischiaravano il padiglione dell'ammini-
strazione dei telegrafi inglesi, ed altre erano disseminate in tutto
il palazzo dell'esposizione.
La lampada di Swan si compone, come quella di Edison^
di un filo di carbone destinato a diventare incandescente per
effetto della corrente, contenuto in un palloncino di vetro in
cui si è fatto il vuoto. Le comunicazioni del filamento di car-
bone coi reofori esterni sono fatte per mezzo di due porta-
carboni di platino, come nella lampada di Edison; ma l'unione
tra questi portacarboni e le due estremità del filamento di car-
bone è fatta alquanto diversamente; i portacarboni terminano
ciascuno in una coppia di mascelle cilindriche, fra le quali il
filo di carbone si può stringere mediante un anello di pressione,
precisamente come una matita si stringe fra le mascelle del
portamatite. Il filo di carbone è assai ingrossato alle due estre-
mità dove dev'essere tenuto dai portacarboni. Esso poi, invece
di essere semplicemente piegato a ferro di cavallo come nella
lampada di Edison, forma una spira di un'elica appiattita, in
vicinanza del centro del palloncino, dove si vuole concentrare
la massima quantità di luce.
La preparazione dei fili di carbone è nel sistema di Swan
alquanto diversa da quella praticata àdXYEdison, Questi filamenti
sono preparati colla carbonizzazione di fili di cotone. Si pren-
dono pezzi di filo di cotone della lunghezza di circa io centi-
metri, e se ne ingrossano le estremità attorcigliandovi altro filo.
Si immergono allora i fili nell'acido solforico dilungato con
Applicazioni dell'energia elettrica, 233
acqua nella proporzione di due parti d'acido con una di acqua,
e con questa operazione si produce in essi una modificazione
analoga a quella con cui si fa la pergamena vegetale: i fili di-
ventano consistenti e duri. Dopo di ciò i fili vengono adagiati
in mezzo a polvere fina di carbone dentro ad un recipiente di
terra, che si chiude ermeticamente. Si porta il recipiente in un
fornello e lo si riscalda per un certo tempo al color bianco.
Allora si estraggono i fili carbonizzati, e si mettono a sito nei
palloncini di vetro; si fa il vuoto nei palloncini con una pompa
a mercurio, e poi, seguitando sempre ad agire colla pompa, si
portano i fili di carbone all'incandescenza per mezzo di una
corrente elettrica. Dopo questa operazione, che può durare una
mezz'ora, il filo di carbone è diventato assai duro, più denso e
meno luminoso. In queste condizioni esso è atto a servire; si
chiude il palloncino e la lampada è preparata.
Secondo le indicazioni fornite dai rappresentanti dell'espo-
sitore, la resistenza elettrica di una lampada è, a freddo, di
•circa 100 ohm, ma quando la lampada è in funzione ed il filo
di carbone è incandescente, questa resistenza discende ad un
valore compreso tra 30 e 36 ohm. Nelle condizioni normali
ciascuna lampada dev'essere attraversata da una corrente di
intensità prossimamente uguale ad un ampère; e, se l'asserzione
dell'inventore merita fede, la luce prodotta può variare tra 1,5
e 2,5 carcel. Con un cavallo dinamico si possono, secondo l'in-
ventore, alimentare in media io lampade di questo sistema; io
però ho ragioni per credere che quando le lampade hanno l'in-
tensità di 1,5 a 2,5 carcel, non se ne possano in realtà alimen-
tare più di 5 a 6 per cavallo dinamico.
Se si fa astrazione dalle differenze, che abbiamo enumerato,
le quali riguardano il modo di fabbricazione del filo di carbone
ed il suo modo d'attacco coi portacarboni, noi vediamo che per
ciò che nella lampada vi ha di essenziale, per le condizioni
elettriche, una sola differenza di qualche importanza sussiste
fra i due sistemi di Edison e di Swan, che abbiamo descritto:
la differenza delle resistenze elettriche. La resistenza della lam-
pada di Edison è, a parità di potenza luminosa, assai più
grande di quella della lampada di Swan, Questa differenza di
resistenza porta seco come conseguenza la necessità di seguire
norme diverse nella disposizione dei circuiti e nella distribu-
zione delle lampade nei medesimi. Colle piccole resistenze delle
lampade di Swan non si potrebbero disporre moltissime lam-
234 Parte seconda.
pade in altrettanti circuiti derivati senza essere costretti a dare
alle altre parti del circuito resistenze minime, e quindi gran-
dissime sezioni, oppure rinunziare ad un buon coefficiente di
rendimento economico. Egli è perciò che lo Swan, almeno per
ora, pure adottando come disposizione generale, normale, quella
ad archi multipli, dispone tuttavia in alcuni casi le sue lampade
in gruppi di 5, di io, od anche di 100 lampade collegate in
serie, su di un medesimo circuito.
Colle lampade lo Swan ha esposto alcune forme di cande-
lieri e di lanterne per diversi usi. Io ricorderò fra queste ul-
time la lanterna trasportabile per le miniere. Essa è costituita
da una lampada Swan contenuta in un recipiente più grande
di vetro robusto, protetto a sua volta contro gli urti da una
corona di fili metallici arcuati. I reofori sono riuniti in un tubo-
di caoucciù e formano una cordicella flessibile, comoda nei
trasporti.
Una terza lampada ad incandescenza che l'esposizione ci ha
presentato è quella di Hiram- Maxim, esposta dalla United States
Electric Lighting Company di New- York,
In questa lampada, come nelle precedenti, il corpo, che si
porta all'incandescenza per mezzo della corrente e che irradia
la luce, è ancora un filamento di carbone. Ma questo filamento
differisce da quelli delle lampade di cui abbiamo già parlato,
per la forma e per la preparazione. La forma è quella di una M,.
ed ha lo scopo di concentrare verso il mezzo del palloncino
un'estesa superficie raggiante. La preparazione si accosta a
quelle primitivamente tentate, ma senza successo, da Edison e
da Swan: il carbone è fatto per mezzo di un cartoncino. La
preparazione è la seguente: si colloca un pezzo di cartoncino
bristol tra due piastre di ferraccio convenientemente scaldate, ia
modo che esso si carbonizzi leggermente ed assuma una tinta
rossastra. Dal cartoncino semicarbonizzato si taglia con uno
stampo una listerella strettissima della forma di un M voluta;
si porta questa listerella in un' atmosfera di idrocarburo molto
ricco di carbonio, il quale formando alla sua superficie un de-
posito di carbone, ne ottura i pori e le dà una conduttività suf-
ficiente. Si fissa allora la listerella a sito nelle lampade, si fa il
vuoto, e poi si fa passare una corrente elettrica pel filamento-
di cartoncino, in modo da renderlo incandescente. Con ciò il
cartoncino finisce di carbonizzarsi, ed inoltre, se si ha cura di
seguitare a fare il vuoto nel palloncino, mentre il filamento è
Applicazioni dell'energia elettrica. 235
incandescente, sì evacuano completamente i gaz che questo
teneva condensati.
In grazia della sua forma appiattita il carbone può fissarsi
facilmente ai fili metallici del circuito; basta a quest'uopo ren-
dere appiattite anche le estremità dei fili di platino e ripiegarle
in modo da formare un piccolo anellino ; poi mettere di contro
il carbone ed inchiodarvelo per mezzo di una puntina a due
teste analoga ad una piccola chiavarda. La saldatura dei reofori
di platino col vetro del recipiente è fatta per mezzo di uno
smalto o cemento, nella massa del quale essi sono annegati; e
siccome questo cemento si salda con facilità col vetro, cosi non
c'è pericolo che gli effetti della dilatazione dei fili possano al-
terare la perfezione del vuoto.
La resistenza elettrica delle lampade di Maxim è compresa
tra 40 e 60 ohm, e la loro potenza luminosa è, secondo V as-
serzione dell'inventore, dì 26 candele, ossìa di circa 2,6 carcel.
Sei lampade richiedevano, secondo l'inventore, il lavoro di un
cavallo vapore.
Le macchine dìnamo-elettriche destinate ad attivare le lam-
pade Maxim ricevono la corrente eccitatrice da una macchina
eccitatrice indipendente; e se più macchine generatrici sono
adoperate simultaneamente, l'eccitatrice è unica e la sua cor-
rente magnetizza gli induttori di tutte. L'eccitatrice è munita di
un regolatore automatico che fa variare l'intensità della corrente
spostando le spazzole raccoglitrici; di questo ingegnoso appa-
recchio abbiamo dato una descrizione trattando, più sopra, della
distribuzione delle correnti elettriche e degli artifizi che servono
a mantenere la costanza della loro intensità.
Debbo accennare finalmente alla lampada di Lane-Fox, la
quale era esposta dalla Anglo-American Brush-electric Light
Corporation^ e che illuminava il padiglione di questa società, la
sala di lettura della esposizione, e quelle dei telefoni.
La lampada ad incandescenza del Lane- Fox si assomiglia a
tutte quelle di cui abbiamo già parlato, ma sono differenti la
natura del carbone incandescente, il modo dì unire questo car-
bone ai fili di platino, ed il modo di riunire questi fili di platino
coi reofori esterni. Il filamento dì carbone, invece di essere ri-
gonfiato alle estremità, è di diametro costante, e le sue due
estremità sono introdotte in due piccoli tubetti di grafite, infilati
a loro volta, a sfregamento forzato, sui fili di platino. Il pal-
loncino si tiene sempre sospeso colla tubulatura in alto. In
236 Parte seconda.
questa tubulatura il vetro è lavorato in modo da formare una
specie di ampollina con due colli rivolti verso il basso; in cia-
scuno di questi colli è saldato uno dei fili di platino, che ser-
vono da portacarboni. Per evitare il riscaldamento dei due fili
i due colli di vetro, sull'asse dei quali essi giacciono, sono ri-
pieni di mercurio. Al disopra, nel corpo dell'ampollina, vi è
del cotone pigiato ed al disopra di questo un tappo dì smalto,
che chiude il tutto.
Il filamento di carbone destinato a diventare incandescente
•è costituito da uno stelo dì gramigna, oppure è fabbricato con
fibre vegetali vulcanizzate ed impregnate di ossicloruro di zinco.
Come negli altri sistemi sì rendono incandescenti questi carboni
per mezzo di una corrente, mentre si continua a fare il vuoto
nel palloncino. Per fare il vuoto Lane- Fox impiega invece della
pompa di Sprengel un sistema analogo a quello seguito dzWAl-
vergniat per la fabbricazione dei tubi di Geissler, con qualche
modificazione destinata a renderlo più comodo e migliore.
La resistenza elettrica media di una di queste lampade a
freddo è di 60 a 100 ohm, a caldo è circa la metà. Nel funzio-
namento normale ciascuna lampada deve essere attraversata
da una corrente di intensità compresa tra i ed 1,25 ampère;
talché ciascuna lampada richiede, per assere alimentata, circa
un decimo di cavallo. Le lampade si dispongono in circuiti de-
rivati. Secondo l'asserzione degli espositori la luce data da una
lampada equivale a circa 1,2 carcel.
Le macchine generatrici adoperate per le lampade Lane-Fox
sono quelle di Brusk, ed è la società proprietaria delia pri-
vativa Brusìi quella che ha acquistato il diritto di applicare in
Europa questo sistema ad incandescenza.
Come ho accennato già trattando in generale della distri-
buzione delle correnti elettriche, il Lane-Fox ha presentato in-
sieme alle lampade un regolatore automatico per la intensità.
L'apparecchio, assai complicato, si compone di un vibratore
analogo a quello delle ordinarie sonerie elettriche, il quale fa
girare di un dente ad ogni vibrazione una ruota dentata ad
asse verticale. L'asse di questa ruota porta all'estremità supe-
riore un piccolo rocchetto dentato conico, il quale si trova
frammezzo a due ruote dentate coniche, portate da un medesimo
albero orizzontale; questo albero finalmente porta un braccio,
la cui estremità percorre, quando l'albero gira^ un arco di cir-
colo sul quale è disposta una serie di resistenze crescenti in-
Appticazioni dell'energia elettrica, 237
■ . — - — . — <
trodotte nel circuito; la resistenza del circuito cresce, o dimi-
nuisce, secondochè il braccio mobile viene ad appoggiare sugli
uni o sugli altri contatti, girando in un verso o nel verso op-
posto. Ora Tasse orizzontale portante il braccio e le due ruote
coniche è mobile longitudinalmente, ed il suo movimento è
comandato dall'armatura comune di due elettro-magneti, le quali^
quando sono attive, gl'imprimono movimenti opposti. Un relais
a doppio contatto, nelle elettro-calamite del quale passa una
corrente derivata da quelle in cui si trovano le lampade, manda
la corrente nell'una o nell'altra elettro-magnete secondochè l'in-
tensità della corrente che dà la luce supera l'intensità normale
od è inferiore alla medesima.
39. Ho descritto pochi sistemi di lampade elettriche, i quali
possono servire a rappresentare i tipi principali degli apparecchi
oggidì inventati. L'esposizione, io ho detto cominciando, pre-
sentava un numero grandissimo di congegni diversi, che noi
non abbiamo che classificato, limitando le descrizioni a quei
pochi che meglio potevano servire a dare una idea dei caratteri
distintivi delle diverse classi. Descrivere tutte le forn\e e le
disposizioni che si sono presentate, e giudicare del merito di
ciascheduna, sarebbe, per ora, impossibile, ed il Giurì stesso
dell'esposizione, sentendo questa impossibilità, non seppe evitare
il pericolo di lasciare senza premio alcuna invenzione realmente
di valore, altrimenti che decretando un numero grandissimo di
ricompense.
Ma una ricerca ci è possibile, e questa costituisce lo scopa
principale del nostro studio: quali applicazioni sono riservate
ai diversi tipi principali di lampade elettriche? Quale potrà
essere nell'avvenire l'importanza di ognuna delle classi distinte
di cui abbiamo parlato?
Per rispondere a questo quesito dovremo tener conto di molte
circostanze, quali sono la qualità e la colorazione della luce, la
sua fissità, la sua suddivisibilità, la comodità degli apparecchi, le
dimensioni dei medesimi, la facilità delle riparazioni, ecc....; ma
prima d'ogni cosa dovremo aver paragonato le diverse classi di
lampade considerandole dai seguenti punti di vista:
i.<> Del lavoro meccanico consumato dalle diverse classi
di lampade per la produzione di una data quantità di luce.
2.<' Del costo complessivo della illuminazione.
Ad ordinare le diverse classi di lampade elettriche secondo
il consumo di lavoro meccanico necessario per la produzione
238 Parte seconda.
di una determinata quantità di luce basta un principio teorico
affatto elementare, che è una conseguenza immediata della na-
tura fisica di ciò che noi diciamo luce. Quando un corpo è in-
candescente per effetto del calore, esso non irradia solamente
luce, ma irradia eziandio, ed in grande proporzione, calore
inetto ad impressionare V organo della vista, calore oscuro. La
radiazione luminosa non rappresenta che una piccola frazione
della radiazione totale, e siccome ciò che equivale al lavoro
speso, ciò che costa è la radiazione totale, così noi possiamo
dire che la luce prodotta, che rappresenta l'effetto utile, non è
mai altro che una, piccola frazione di ciò che si spende. Ma il
valore di questa frazione dipende dalla temperatura del corpo
raggiante, e cresce rapidamente col crescere di questa; uguale
a zero per temperature inferiori a circa 500 gradi, questa fra-
zione comincia ad assumere valori sensibili quando la tempe-
ratura supera quel limite, e cresce in seguito tanto più rapida-
mente quanto più la temperatura è elevata. Un corpo a bassa
temperatura, a temperatura inferiore a circa 500 gradi, irradia
bensì calore, ma questo calore corrisponde a moti vibratori di
lunghezza d' onda troppo grande per essere sentiti come luce
dalla retina; ma se la temperatura aumenta, a questi moti vi-
bratori, che continuano ad essere irradiati, se ne aggiungono
altri di periodo più breve, di minor lunghezza d'onda, che nel
nostro occhio producono l'impressione di una luce rossa ; se la
temperatura aumenta ancora, altre vibrazioni più rapide si ag-
giungono alle preesistenti, e queste, che da sole produrreb-
bero sul nostro occhio l'impressione di una luce aranciata
o gialla, unite colle rosse, che seguitano ad essere emesse»
danno un rosso più vivo volgente all'aranciato; a temperature
ancora più elevate si sovrappongono a queste altre nuove ra-
diazioni ancora più rapide, le quali da sole darebbero l'impres-
sione di una luce verde, azzurra, violacea, e che, tutte riunite
e sovrapposte alle preesistenti, danno come risultante una
luce prima aranciata, poi gialla, e poi di più in più volgente
al bianco.
Da questo fatto deduciamo che la quantità di lavoro mec-
canico necessario per produrre una determinata quantità di luce
è tanto più piccola quanto più elevata è la temperatura della
sorgente luminosa; e con questo semplice principio possiamo
subito paragonare tra loro, sotto' questo aspetto, le varie specie
di lampade elettriche che abbiamo enumerato.
Applicazioni dell'energia elettrica. 239
Le lampade nelle quali il corpo raggiante ha la temperatura
più elevata sono quelle ad arco voltaico ; si sa che la più alta
temperatura che si sappia produrre è quella del carbone po-
sitivo di una lampada ad arco. Nell'arco voltaico poi la tempe-
ratura è tanto più elevata quanto maggiore è la quantità di
energia che per effetto della corrente si accumula in esso: a
parità di altre circostanze essa è tanto maggiore quanto più è
grande il lavoro meccanico speso per produrre l'arco, o, ciò
che vai lo stesso, quanto più è grande l'intensità della luce
data dall'arco. Dunque possiamo dire subito: di tutte le lam-
pade elettriche, quelle ove una determinata quantità di luce
prodotta richiede la spesa di un lavoro meccanico più piccolo,
sono le lampade ad arco voltaico potenti che funzionano sole
nel circuito della corrente: sono le lampade della prima specie
da noi considerata.
Vengono in seguito le lampade ad arco voltaico di minore
potenza, fra le quali troviamo tutte quelle della seconda specie
<ia noi considerate ; le lampade differenziali, per lo scopo stesso
a cui sono destinate, hanno in generale potenza minore delle
monofotiche.
L'irradiazione che si ottiene per mezzo dell'arco voltaico
non è fatta direttamente dall' arco, che come tutte le sostanze
gasose ha un piccolo potere emissivo ; ma è fatta principalmente
dai corpi solidi con cui l'arco è a contatto, ed ai quali esso
cede il proprio calore. Nelle lampade a semplice arco voltaico
delle due specie già considerate i soli corpi solidi in contatto
coir arco sono le punte dei due carboni, e siccome queste si
guardano ed irradiano l'una verso l'altra, cosi l'irradiazione che
si ha verso l' esterno non raggiunge l' intensità necessaria per
uguagliare la produzione di calore, che per effetto della corrente
si ha nell' arco, se non quando la temperatura è elevatissima.
È questo il motivo per cui la temperatura dell' arco voltaico è
cosi elevata, ed è questo il motivo per cui colle lampade or
nominate la luce si ottiene con un piccolo consumo di lavoro.
Ma se in seno all'arco voltaico, od in contatto con esso si ha,
oltre i carboni, un altro corpo solido, questo togliendo per
contatto calore all'arco, diventando in questo modo incande-
scente, ed irradiando poi il calore di mano in mano che lo
riceve, fa si che l' irradiazione compensi la produzione ad una
temperatura più bassa. Quel corpo solido incandescente abbassa
perciò la temperatura della sorgente di luce e fa aumentare la
240 Parte seconda.
quantità di lavoro meccanico necessario per la produzione di
una quantità di luce determinata. Ricaviamo da ciò la conse-
guènza, che le lampade elettriche della terza specie, nelle quali
frammezzo ai carboni si ha un solido isolante, che diventa in-
candescente pel calore dell'arco, consumano per la produzione
di una data quantità di luce un lavoro meccanico più grande
che le lampade ad arco voltaico nudo, dei due primi tipi.
L'osservazione si applica anche alle lampade del quarta
tipo, analoghe a quelle a contatto imperfetto di Werdermann,
Però in queste la massima parte della luce è prodotta dall'arco
voltaico, in seno al quale non esistono che minime particelle
di carbone che vanno continuamente rinnovandosi; e l'irradia-
zione della bacchetta di carbone non ha una importanza molta
maggiore di quella che ha l'irradiazione dei carboni nelle lam-
pade ad arco voltaico ordinarie. Quindi il lavoro necessario per
la produzione della luce deve essere in queste lampade minore
di quello richiesto, a parità di quantità di luce, dalle lampade
del terzo tipo.
Finalmente nelle lampade ad incandescenza la temperatura
del corpo raggiante è certamente minore di quella delle punte
dei carboni nell'arco voltaico. Infatti, alle temperature dell' arco
voltaico il filamento di carbone si volatilizzerebbe come si vo-
latilizzano le punte dei carboni fra cui si fa l'arco. Dunque pos-
siamo conchiudere che fra tutte le lampade elettriche le lam-
pade ad incandescenza sono quelle che per produrre una de-
terminata quantità di luce consumano la maggiore quantità di
lavoro meccanico.
Il fatto giustifica completamente queste previsioni della
teoria: basta per vederlo confrontare i numeri seguenti ricavati
o da esperienze di misura autorevoli od, in mancanza di queste,
dalle asserzioni degli inventori:
Numero di cavalli dinamici
NECESSARI PER OGNI CENTINAIO DI BECCHI CarceL
Con una lampada Serriti della potenza di 1850
carcel Cavalli 0,415
Con una lampada Siemens a pendolo, sola nel
circuito, della potenza di 600 carcel. „ 0,500
Con una lampada Serrin di 300 carcel . . . „ 0,920
Applicazioni delf energia elettrica. 241
Con una lampada Siemens a fuoco unico di
200 carcel Cavalli 1,0
Con una lampada Serrtn di 100 carcel . . . „ 2,4
Con lampade differenziali di Brush della po-
tenza di 50 carcel, circa „ 2,0
(Secondo l'inventore.)
Con lampade differenziali di Siemens della po-
tenza media di 40 carcel. „ 2,3
(Come sopra.)
Con lampade Werdermann di 27 carceL . . „ 3,7
Colle candele Jablochkqff, che secondo la re-
lazione ufficiale dell'ingegnere Allard hanno una
potenza di 21 carcel „ 4,8
Con lampade Werdermann di 4 carcel ... „ 5,9
Con lampade ad incandescenza di Maxim, che
secondo l'inventore equivalgono ciascuna a 2,6 carcel „ 6,4
Con lampade Swan, che, secondo l'asserzione
dell'inventore, hanno la potenza di 2 carcel, . . „ 5,0
Con lampade di Lane-Fox, che, secondo l'as-
serto dell'inventore, equivalgono a i carceL . • „ 9,4
Con lampade ad incandescenza di Edison, che
secondo i dati forniti dai rappresentanti dell'in-
ventore, equivalgono a 0,8 carceL „ 12,5
Benché nella progressione di questi numeri appariscano al-
cune irregolarità dovute al diverso grado di attendibilità delle
fonti, da cui i numeri furono ricavati, tuttavia in essa le diverse
specie di lampade elettriche si seguono coU'ordine che noi ab-
biamo previsto. Così i numeri sopra riferiti, benché i meno fa-
vorevoli di essi sieno ricavati dalle asserzioni degli interessati»
giustificano le nostre previsioni.
40. Di più i medesimi numeri ci serviranno e ci basteranno
a paragonare tra di loro i diversi sistemi di illuminazione elet-
trica dal secondo punto di vista da cui ci siamo proposti di
considerarli: dal punto di vista cioè del costo complessivo della
illuminazione.
La spesa necessaria per l'illuminazione elettrica si può in
generale scomporre in tre parti:
I.® Spesa oraria per la produzione e per la distribuzione
delle correnti elettriche. Questa spesa comprende: la quota
d'ammortizzazione e di interesse del capitale impiegato nella
G. Ferraris, Opere, Voi. II. i6
242 Parte seconda.
provvista e nella installazione dei motori, in quella delle mac-
chine dinamo-elettriche ed in quella dei fili conduttori; la spesa
oraria pel salario al personale addetto ai motori ed alle mac-
chine dinamo-elettriche; la spesa oraria per la manutenzione e
per la sorveglianza dei conduttori; la spesa oraria per la lubri-
ficazione dei meccanismi; e, se si tratta di motori a vapore, la
spesa pel combustibile.
2.° Spesa per la provvista e per la manutenzione delle"
lampade, riferita all'ora.
^.^ Spesa pei carboni consumati nelle lampade elettriche
in ogni ora di illuminazione.
Della prima parte della spesa, parte che si riferisce alla
produzione della corrente, noi possiamo fare un calcolo coi dati
che possediamo, e che abbiamo riferito, relativamente al nu-
mero di cavalli dinamici necessari nei diversi sistemi per una
data quantità di luce, e con quelli che conosciamo relativamente
ai valori delle resistenze, delle intensità e delle forze elettro-
motrici occorrenti pei diversi tipi di lampade.
Per la seconda parte di spese, la quale riguarda la provvista
e la manutenzione delle lampade, abbiamo eziandio parecchi
dati; ma pel confronto che noi ci proponiamo di fare ci basterà
sapere che una lampada di Brush costa attualmente circa 400 lire,
che una lampada differenziale di Siemens ne costa 300, che
Swan vende attualmente le sue lampade ad incandescenza al
prezzo di 20 lire, promettendo che nell' avvenire le potrà ven-
dere a sole tre o quattro lire; che Edison dà in America le
sue lampade ad incandescenza al prezzo di circa due lire, e che
finalmente una lampada di Swan o di Edison, secondo l'asser-
zione degli inventori, può in media durare in servizio per sci
mesi.
Per quello, finalmente, che riguarda la terza parte della
spesa, ossia il costo dei carboni consumati dalle lampade elet-
triche, potremo, nei confronti che ci siamo proposto di fare,
ritenere i dati seguenti:
Una lampada ad arco voltaico unica nel circuito e
della potenza di circa 100 carcel, consuma in ogni ora
la lunghezza di circa metri 0,10 di bacchette di carbone,
la quale costa L. 0,15
Una lampada differenziale di Siemens o di Brush
consuma in ogni ora una lunghezza di carboni del prezzo
di centesimi io; quindi ritenenendo che la lampada Brush
Applicazioni deirenergim elettrica, 243
produca 50 carcel e che la Siemens ne produca soli 40,
risulta che colle lampade Brush le bacchette di carbone
costano per 100 becchi carcel e per ogni ora . . . . L. 0,20
E colle lampade Siemens „ 0,25
Una lampada Werdermann della potenza di 27 carcel
-consuma in un'ora metri 0,065 di bacchette di carbone;
quindi 4 lampade quali occorrono per dare 100 carcel
consumano metri 0,26, che, al prezzo di lire 1,50 al metro,
importano » 0,39
Una candela Jablochkoff che dura un'ora e mezza
potrà costare al minimum centesimi quindici, e quindi
per ogni ora centesimi io. Siccome per produrre 100
carcel sono necessarie 5 candele, cosi nel sistema Ja-
blochkoff la spesa pel consumo delle candele è per ogni
100 becchi carcel e per ogni ora al minimum di . . . ,, 0,50
Finalmente una lampada di Werdermann della po-
tenza di 3,4 carcel consuma in ogni ora metri 0,05 di
carbone, che, al prezzo di lire 1,50 al metro, costa lire 0,075.
Per 30 lampade necessarie per produrre 100 carcel la
spesa è adunque di „ 2,25
Con questi dati ci è possibile paragonare tra loro i prezzi
di una medesima quantità di luce, per esempie, di 100 carcel
data dai diversi sistemi di illuminazione elettrica. Paragoniamo
in primo luogo il sistema di Jablochkoff con quelli a lampade
differenziali di Siemens e di Brush, e vedremo facilmente che
dopo l'invenzione di questi due ultimi sistemi, i quali per la
qualità e per l'intensità della luce possono applicarsi in tutti i
casi per cui esso era destinato, il sistema di Jablochkoff non ha
più oggidì ragione di esistere.
Infatti il lavoro necessario per la produzione di 100 becchi
carcel, che pei sistemi di Brush e di Siemens con lampade dif-
ferenziali è rispettivamente di 2 e di 2,3 cavalli dinamici, pel
sistema di Jablochkoff non è minore di cavalli 4,8: quindi è
necessaria per questo sistema una spesa maggiore e quasi
doppia neir impianto delle macchine motrici e generatrici. E la
spesa pel consumo dei carboni, che colle lampade differenziali
si riduce a centesimi 20 e 25, raggiunge per le candele Ja-
blochkoff, anche nell'ipotesi di un prezzo minimo di 15 centesimi
per candela, il valore di centesimi 50; ossia circa il doppio.
Né la differenza tra il costo di una lampada differenziale e
244 Parte seconda.
quello minimo di un candeliere Jablochkoff compensa questa
maggiore spesa: basta, per convincersene, osservare che il
prezzo di acquisto di due lampade differenziali, che è di lire 8oq
al più, dà luogo ad una quota di ammortizzazione e di interesse
di lire 80, che ripartita anche soltanto su 1000 ore di illumina*
zione, dà una spesa oraria di centesimi 8 appena.
Pel sistema di Jablochkoff, si aggiungono altre circostanze
non meno gravi, che concorrono a sconsigliarlo. In primo luogo
la mancanza di un regolatore automatico fa sì che se, per ac»
cidente, un carbone viene a spezzarsi e l'arco si interrompe, la
candela non può riaccendersi da sé; quindi l'installazione del-
l'illuminazione elettrica con candele Jablochkoff non dispensa
dal bisogno di una installazione per l'illuminazione a gas. In
secondo luogo l' eterogeneità inevitabile dei carboni e la man-
canza di un apparecchio automatico, che ne corregga l'influenza,,
fanno sì che la luce data dalle candele Jablochkoff vada sog-
getta a continue variazioni di intensità e di colorazione, le
quali ne rendono l'effetto sgradevole e l'uso affaticante; mentre
che la luce data dalle lampade differenziali, per essere assai
più ferma e più bella, benché più intensa, affatica l'occhio assai
meno.
Per le lampade Soleil^ che appartengono alla medesima
classe di quelle, di Jablochkoff, ci mancano dati attendibili per
potervi basare un calcolo numerico; ma possiamo tuttavia, con
sicurezza, asserire che esse non sono, dal punto di vista del-
l'economia, migliori di quelle di Jablochkoff. Il lavoro meccanica
necessario per produrre con esse una data quantità di luce non
può essere inferiore a quello necessario colle candele Jablochkoff y
perché l'arco voltaico vi si forma, come in queste, a contatta
con un solido incandescente; ed anzi, se si pensa alla colora-
zione aranciata della luce che quelle lampade danno, si è con-
dotti a credere che in esse la temperatura sia più bassa che
nelle candele Jablochkoff^ e che quindi il lavoro consumato per
una determinata produzione di luce sia ancora più grande. Il
prezzo poi dei carboni, se può essere minore di quello delle
candele Jablochkoff^ si aggiunge, per compensa, a quello delle
lampade, che bisogna rinnovare, in parte, giornalmente. E fi-
nalmente se per le lampade Soletl non esiste l'inconveniente
della variabilità della luce, sussiste però sempre quello della
loro inettitudine a riaccendersi automaticamente in caso di-
guasto accidentale.
Applicazioni dell'energia elettrica. 245
Come le candele di Jablochkoff e come le lampade Soleil
così pure le lampade Werdermann hanno oggidì perduto la
probabilità di ricevere applicazioni importanti. Prima che fossero
conosciute le lampade differenziali, le lampade di Werdermann
atte a dare centri di luce assai fissi, alla cui potenza, variabile
a piacimento, si poteva dare il valore di 30 o di 40 carcel, atte
a funzionare regolarmente anche in grande numero sopra un
sistema di circuiti derivati, si presentavano come le lampade
meglio indicate^ e più ricche di avvenire, per T illuminazione
di grandi ambienti e di luoghi pubblici. Ma oggidì che noi ab*
biamo le lampade differenziali di Brush e di Siemens, colle
quali si può nei medesimi casi ottenere un effetto migliore ed
a migliore mercato, le lampade a contatto imperfetto analoghe
a quelle di Werdermann hanno perduto ogni probabilità di
trovare utili impieghi, se non forse in qualche caso' specialissimo.
Di ciò è facile convincersi; basta considerare che se le lampade
di ìVerdermann che si vogliono adoperare hanno una grande
potenza, per esempio, 27 carcel, esse producono un effetto ana-
logo alle lampade differenziali consumando 3,7 cavalli in luogo
di 2, ed una quantità di carboni del valore di lire 0,39 in luogo
di lire o,ao. Se invece si vuole avere dal sistema una luce
suddivisa, adoperando, per esempio, lampade della potenza di
3,4 carcel, si debbono consumare, per ogni centinaio di becchi
carcel, quasi sei cavalli dinamici, e spendere in ogni ora per
le bacchette di carbone la enorme somma di lire 2,25, uguale a
circa il decuplo di quello che occorre per le lampade diffe-
renziali.
Escluse così le lampade della terza e della quarta specie
rimangono quelle della prima, della seconda e della quinta; ri-
mangono, cioè le lampade ad arco voltaico di grande potenza
funzionanti da sole nel circuito, le lampade ad arco voltaico
differenziali atte a funzionare in parecchie su di un medesimo
circuito, e le lampade ad incandescenza. Sono queste, attual-
mente, le lampade, dalle quali abbiamo ragione di sperare, ora
o per l'avvenire, le più convenienti applicazioni.
Paragoniamo ora, sempre rispetto alla economia, queste
lampade tra dì loro.
Cominciamo a confrontare le lampade ad arco voltaico dif-
ferenziali con quelle ad incandescenza: ci convinceremo facil-
mente che la luce data dalle prime costa meno di quella data
dalle seconde.
246 Parte seconda.
Per dimostrarlo vogliamo metterci nel caso più sfavorevole
per le lampade ad arco voltaico e più favorevole per quelle ad
incandescenza. La principale parte di spesa^ per cui le lampade
ad incandescenza sono in condizioni meno buone di quelle ad
arco voltaico, è quella che riguarda il costo orario del lavoro
motore e della produzione della corrente; e la parte di spesa
per cui le lampade ad incandescenza hanno un vantaggio su
quelle di tutti gli altri sistemi è la spesa relativa al consuma
dei carboni nelle lampade, la quale per esse è nulla. Dunque
le condizioni più vantaggiose per le lampade ad incandescenza
sono quelle in cui il lavoro motore è al massimo buon mercato^
talché la spesa che lo riguarda sia di minore importanza ed
assuma, rispetto ad essa, una importanza maggiore la spesa re-
lativa ai carboni consumati nelle lampade. Sono queste le con-
dizioni nelle quali noi ci porremo per fare il confronto.
Il caso in cui il lavoro motore costa meno si presenta
quando il lavoro è prodotto da grandi motori idraulici, ed è di-
stribuito sotto forma di corrente elettrica a molte lampade si-
tuate su di una grande rete di conduttori. In questo caso poi è
certo che l'energia elettrica distribuita alle lampade costerà
sempre di più di quello che costerebbe il lavoro meccanico,
quando fosse possibile trasmetterlo direttamente, nelle migliori
condizioni, colle più economiche trasmissioni telo-dinamiche;
giacché :
i.° Rimpianto elettrico non è meno costoso di quello di
una trasmissione per funi, in buone condizioni.
2.*» Il rendimento della trasmissione elettrica è certamente
molto minore di quello di una buona trasmissione telo-dinamica.
Dunque noi faremo certamente l'ipotesi più favorevole per
le lampade ad incandescenza, se, ammettendo per un momento
una cosa non realizzabile, riterremo che il prezzo del lavoro
motore, compresevi le spese di impianto e di manutenzione
delle macchine e dei conduttori, e le spese di amministrazione,
sia uguale a quello che si può avere in una buonissima distri-
buzione di forza per funi telo-dinamiche.
Ora fra tutti i casi finora realizzati, quello nel quale il lavoro
motore è dato al prezzo più basso, è, per quanto io so, quello
della distribuzione di forza per mezzo di funi telo-dinamiche
stabilita in SciafTusa. A SciafTusa il lavoro dinamico ricavato
dal Reno, e distribuito con funi, si vende al prezzo di lire 150
per cavallo e per anno: noi riterremo questo numero.
/
Applicazioni dell'energia elettrica, 247
Or bene, calcoliamo con questo dato il costo di 100 becchi
carcel ottenuti prima con lampade differenziali ad arco voltaico
di Brushp poi con lampade ad incandescenza di Swan, e final-
mente con lampade di Edison.
Sistema Brush.
Spesa pel lavoro motore, incluse l'installazione e la
manutenzione delle macchine e dei conduttori. — Per
100 carcel occorrono due lampade, le quali richiedono
2 cavalli dinamici, che, a lire 150 ciascuno, costano an-
nualmente lire 300; su 2000 ore di illuminazione il costo
OQO
del lavoro per ogni ora risulta-^ — ossia L. o.is
2000 ^
Spesa per la provvista delle lampade, — Due lam-
pade Brush costano lire 800, il che importa una quota
annua di ammortizzazione e d'interesse di lire 80; questa
somma, divisa per aooo ore di illuminazione, dà per
ogni ora „ 0,04
Spesa oraria pei carboni consumati nelle lampade . „ 0,20
Totale L. 0,39
Sistema Swan.
Spesa pel lavoro motore, come sopra, — Secondo
l'asserto dell'inventore, il quale, come ho notato già,
attribuisce alla lampada una intensità luminosa forse
doppia della vera, occorrono per 100 carcel circa 5 ca-
valli, che costano annualmente lire 5 x 150 = 750, e
750
quindi per ogni ora di illuminazione lire — - - ossia. . . L. 0,38
Spesa per la provvista delle lampade. — Ammettendo
la potenza asserita di 2 carcel per lampada, occorrono
50 lampade, e siccome la durata media di una lampada
è, secondo l'inventore, uguale a 6 mesi, ^ così bisogna
> Che ima lampada Swan possa durare, in media, 6 mesi, era asserito
dagli espositori durante la mostra; ora però si ammette che la durata di una
lampada ad incandescenza non possa superare 400 a 500 ore di illuminazione.
Noi riteniamo tuttavia in questo calcolo il dato delF inventore, come il più
fìivorevole al sistema.
248 Parte seconda.
Riporto L. 0,38
provvedere annualmente 100 lampade. Attualmente le
lampade si vendono a 20 lire ciascuna, ma ammettendo,
come promette l'inventore^ che questo prezzo possa nel-
l'avvenire ridursi a 3 lire, abbiamo una spesa annua di
lire 300 ed una spesa oraria di lire ~ — ossia di. . . L. 0,15
2000
Totale L. 0,53
Sistema Edison.
Spesa pel lavoro motore. — Essendo necessari, se-
condo l'asserzione dell'inventore 12,5 cavalli per ogni
100 becchi carcel, si avrà la spesa annua di lire 12,5 x 150,
ossia di lire 1875, che divisa su 2000 ore di illumina-
zione dà per ogni ora L. 0,94
Spesa per la provvista delle lampade, — Siccome la .
potenza di una semilampada è, secondo l'inventore, di
0,8 carcel, così occorrono 125 lampade, che al prezzo
di lire 2 importano una spesa di 250 lire. E siccome le
lampade si debbono rinnovare ogni 6 mesi, cosi si ha
all'anno la spesa di lire 500, ed in ogni ora di illumina-
zione quella di „ 0,25
Totale L. 1,19
Confrontando questi risultati si riconosce la grande diffe-
renza che dal punto di vista del prezzo della luce esiste tra i
sistemi a lampade differenziali ad arco voltaico ed i sistemi ad
incandescenza : per entrambe le lampade ad incandescenza, che
noi abbiamo considerato, la spesa necessaria per ottenere una
determinata quantità di luce, 100 carcel, è notevolmente pi"
grande di quella che essa sarebbe quando si facesse uso di un
sistema ad arco con lampade differenziali analogo a qu^l^o ^^
Brusii; per le lampade di Edison poi questa spesa sta a quella
che si avrebbe con lampade Brush nel rapporto di 2,5 a^ ^*
Alla differenza notevole che esiste tra i due numeri t^o^^^^
per le lampade di Swan e per quelle di Edison non bisogna
attribuire molta importanza, prima perchè essa può risultare in
parte da dati inesatti forniti dagli interessati, e poi per^l^^ ^
Applicazioni dell'energia elettrica, 249
possibile che l'intensità luminosa delle lampade Swan, che noi
abbiamo assunto ricavandola dalle dichiarazioni dell'inventore,
sia bensì ottenibile, ma corrisponda ad una intensità di corrente
-eccessiva, che in un lungo esercizio potrebbe diminuire la du-
rata delle lampade e la regolarità della illuminazione. À questo
riguardo importa notare che le differenze di splendore ed anche
•di effetto utile presentate dalle diverse lampade ad incande-
scenza, che figuravano nell'esposizione, possono non corrispon-
dere punto a differenze di bontà e di convenienza delle lampade
medesime, ed essere dovute unicamente alle condizioni diverse
della installazione.
Lo splendore ed il rendimento di una lampada ad incande-
scenza, di qualunque sistema, possono farsi variare fra limiti
assai estesi facendo variare l'intensità della corrente, da cui di-
pende la temperatura del filo di carbone; ma per correnti troppo
intense la durata delle lampade può essere ridotta al punto da
rendere la lampada inetta ad applicazioni veramente pratiche.
Dimostrata la superiorità delle lampade differenziali su quelle
ad incandescenza rispetto alla spesa necessaria per la produ-
zione di una determinata quantità di luce, riesce dimostrata a
fortiori la superiorità che per questo riguardo hanno su tutti
gli altri sistemi le lampade ad arco voltaico di grande potenza
funzionanti sole nel circuito, come le lampade di Sernn, di
Jaspar e somiglianti. Per queste infatti tutti gli elementi della
spesa sono minori che per le lampade differenziali; e ciò ri-
sulta dai dati numerici che noi abbiamo testé riferiti.
Il confronto delle spese corrispondenti ad una medesima
quantità di luce non basta, in generale, per decidere sulla scelta
fra i vari sistemi d'' illuminazione: bisogna per questa scelta
tener conto anche della divisibilità delia luce. E infatti evidente
che quanto meno la luce è suddivisibile, quanto più sono pò- ■
tenti e lontani i centri luminosi, altrettanto maggiore è la
quantità totale di luce che bisogna produrre onde avere nei
punti più lontani una illuminazione sufficiente. L'importanza di
questa considerazione dipende evidentemente da una quantità
di circostanze diverse, di cui sarebbe impossibile tener conto
in modo generale. Tuttavia, se si pensa che il confronto nu-
merico che noi abbiamo fatto è basato su ipotesi forse più fa-
vorevoli alle lampade ad incandescenza di tutte le realizzabili,
se si pensa, per esempio, che il costo del lavoro motore può
nei casi pratici equivalere al quintuplo di quello che noi abbiamo
250 Parte seconda.
posto a base del nostro calcolo, si può con molta sicurezza
asserire che le lampade ad incandescenza non saranno mai
preferibili a quelle ad arco voltaico, se non in quei casi in cui
la scelta non può essere basata su considerazioni di economìa,
ed in cui le lampade ad arco voltaico non sono ammissibili, sia
per la potenza, sia per la qualità della luce.
I numeri, che abbiamo calcolato poc'anzi, sono destinati
unicamente a confrontare tra di loro i diversi sistemi di lampade
elettriche; essi sono basati su ipotesi scelte a quest'uopo, e per
conseguenza non rappresentano il costo che la luce può real-
mente avere nella pratica. In realtà il costo del lavoro motore
sarà ordinariamente molto più grande di quello che noi abbiami
ammesso, e quindi sarà più grande il prezzò della luce data da
tutti i sistemi. Per considerare il caso opposto a quello già
trattato ed avere un limite superiore della spesa, come abbiamo
già un limite inferiore, possiamo esaminare quello di un sistema
di lampade di Edison attivate con una macchina a gas. In questa
caso per ottenere i 12 cavalli e mezzo necessari per produrre
la luce di 100 becchi carcel bisogna consumare in ogni ora
circa 12,5 metri cubi di gas, che al prezzo di lire 0,20 costano
lire 2,5. A questa spesa bisogna aggiungere quella per l'ammor-
tizzazione e per l'interesse del capitale impiegato nell'impianto,
capitale che può ascendere a circa 20^000 lire; assumendo il
tasso del io per cento si ha una quota annua di lit-e 200, che,
ripartita su 2000 ore, dà per ciascuna lire 0,1. Bisogna final-
mente aggiungere la spesa pel meccanico che possiamo valutare
a 0,50 all'ora; e quella per la provvista e per la rinnovazione
delle lampade, che, come sopra abbiamo visto, equivale a lire 0,25.
Si ha così una spesa oraria di lire 2,5 + 0,10+ 0,50 +0,25
ossia di lire 3,35.
Per avere analogamente un limite superiore pel prezzo della
luce data da un sistema di lampade differenziali, supporremmo
di attivare due lampade Brush con una macchina a gas. Le
due lampade richiedono 2 cavalli, per cui si debbono consu-
mare 2 metri cubi di gas all'ora. Al prezzo di lire 0,20 questi
costano lire 0,40. Aggiungiamo a questa somma lire 0,10 per
ammortizzazione della installazione, lire 0,50 per salari, e lire 0,20
pel consumo di carboni nelle lampade, ed otteniamo come costo
orario complessivo della luce di 100 carcel lire 1,20.
Questa spesa vale circa il triplo di quella dianzi calcolata
corrispondente al limite inferiore.
Applicazioni dell'energia elettrica, 251
Abbiamo confrontato i diversi sistemi di illuminazione elet-
trica tra loro, confrontiamoli ora colla illuminazione a gas.
La luce di 100 becchi carcel si può ottenere col consumo
dì metri cubi 10,5 di gas, che, al prezzo di lire 0,20 col quale
lo paga oggidì la città di Torino, e che potrebbe aversi in tutte
le città italiane, costano lire a,io. Confrontando questo numero
coi precedenti possiamo asserire :
i."" Che l'illuminazione fatta con lampade ad incandescenza
costa assai più di quella a gas quando il lavoro motore è dato
da macchine appositamente installate per l'illuminazione; ma
può diventare economica quando il lavoro motore sia dato da
g^ndi motori già installati per altri usi, oppure da motori de-
stinati alla illuminazione, ma di grande potenza ed animanti un
esteso sistema di distribuzione di correnti. L'economìa è evi-
dentemente massima quando il lavoro è dato da grandi mac-
chine idrauliche, come nel primo esempio che abbiamo consi-
derato.
2.^ Che l'illuminazione fatta con lampade ad arco voltaico,,
a parità di quantità assolute di luce costa sempre meno di
quella fatta col gas.
Non bisogna però dedurre da ciò che convenga in tutti \
casi sostituire alla illuminazione a gas quella elettrica con lam-
pade ad arco. Bisogna ricordare infatti che il paragone fra i
due sistemi non vuole ordinariamente essere fatto in base a
quantità uguali di luce. Per fissare le idee, supponiamo che si
tratti della illuminazione di strade o di piazze pubbliche; in
questo caso una condizione da soddisfarsi è che nei punti meno
illuminati l'illuminazione elettrica sia almeno uguale a quella
che si ha col gas. Siccome le lampade Brush danno una luce
equivalente a 37 becchi di gas» e siccome l'intensità dell'illumi-
nazione diminuisce come crescono i quadrati delle distanze, cosi
per soddisfare alla detta condizione è necessario che le distanze
fra le lampade Brush stieno a quelle, che si hanno tra gli
attuali fanali a gas, come ^35:1. Quindi bisogna, per avere
35
l'illuminazione voluta, produrre -• — ossia circa sei volte la
V35
quantità di luce che si ha attualmente col gas. Così facendo,
si sarebbe condotti ad una spesa maggiore che pel gas anche
nel caso più favorevole. Dunque non solo l'economia dell'illu-
minazione elettrica non esiste sempre, ma per ottenerla è in
generale necessario munire le lampade di riflettori e collocarle
252 Parte seconda.
in modo che la diminuzione dell' intensità della illuminazione
segua una legge meno rapida di quella dei quadrati delle di-
stanze.
41. Dopo queste considerazioni e questi confronti numerici
possiamo tentare una risposta alla questione che ci siam posto
come oggetto principale del nostro studio: quali sono le appli-
cazioni attualmente convenienti e quali le probabili nell'avvenire
per i diversi sistemi d'illuminazione elettrica?
Se teniamo conto, oltreché delle condizioni economiche,
anche delle qualità della luce, noi possiamo rispondere colle
seguenti conclusioni:
i.° Per r illuminazione dei fari la luce elettrica può fin
"d'ora presentare vantaggi indiscutibili, e per questa applicazione
convengono tutti i regolatori monofotici come quello di Serrtn^
o meglio ancora come quello di Jaspar.
2.** A rischiarare cantieri per opere di costruzioni al-
l'aperto, alle operazioni della guerra, alle applicazioni della marina,
alla telegrafìa ottica, le lampade elettriche ad arco voltaico di
grandi potenze sono fra tutti gli apparecchi d'illuminazione i
più convenienti; e fra queste lampade elettriche, per la rego-
larità del funzionamento e per la semplicità del meccanismo,
sono preferibili quelle del Jaspar.
3.° In quegli opifìzi o parti di opifìzio ove si hanno locali
ampi ed alti, ed ove, per la natura dei lavori che vi si fanno,
-è ammissibile un'illuminazione con pochi centri di luce, le lam-
pade ad arco voltaico monofotiche, di potenza uguale a 100 0
più carcel, non solo possono convenire, ma possono essere fra
tutti i mezzi d' illuminazione il più economico. L' economia è
certa e notevole quando 1* opifizio non è in luogo ove esista
una distribuzione di gas d'illuminazione, né è provvisto di ga-
zometro speciale. Essa poi é certa quando l' opifizio ha forza
motrice esuberante data da motori di grande potenza, ed è
grandissima se questi motori sono idraulici. L'applicazione a
questi casi delle lampade Serriti s' é fatta fin dal 1872, e la
esperienza di io anni ha dimostrato che in circostanze conve-
nienti la cosa é perfettamente pratica. Meglio però che le lam-
pade Serriti potrebbero forse convenire le Jaspar. Qualora
l'ambiente da illuminare non fosse sufficientemente alto, o qua-
lora si richiedesse un'illuminazione uniformemente distribuita in
tutte le parti del locale, potrebbe prestare utili servigi la dispo-
sizione ideata già da tempo dal Jaspar, e da lui presentata
Applicazioni dell'energia elettrica, 253
all'esposizione, nella quale la lampada elettrica, mascherata
tutt'attorno e di sotto, invia la luce dal basso all'alto contro ad
un grande riflettore a superficie bianca, che la riflette e la dif»
fonde uniformemente. Nei casi, finalmente, in cui nemmeno
questo sistema fosse applicabile potrebbero servire, benché con
un'economia alquanto minore, le lampade differenziali di Brt4sh
o di Siemens.
4.*' Anche in quegli opifizi nei quali è indispensabile una
luce molto suddivisa, come sono gli stabilimenti di filatura e dì
tessitura, opifizi in cui le sole lampade elettriche ammessibili
sono quelle ad incandescenza, può in alcuni casi convenire la
illuminazione elettrica. Questo alle condizioni: i. che non si
abbia nell'opifizio o nelle località una fabbrica di gas d'illumi-
nazione; 2. che la forza motrice sia idraulica ed esuberante»
Queste condizioni si presentano ordinariamente nelle più indu-
striose delle nostre vallate alpine, ed il caso considerato è
perciò importantissimo per noi. Ciò dicendo però noi miriamo,
più che al presente, ad un prossimo avvenire, quando l'espe-
rienza avrà dimostrato che le lampadine a vuoto sono vera-
mente pratiche.
5.<» Le lampade differenziali sono di tutti i mezzi di illu-
minazione il migliore per le grandi tettoie delle stazioni delle
strade ferrate. In parecchie delle principali stazioni di Londra,
come nella stazione di Charing-Cross, in quella di Cannon Street,,
ed altre, funzionano inappuntabilmente per tutta la notte le lam-
pade di Brusii, e l'esempio meriterebbe di essere imitato in
molti casi, anche nel nostro paese.
6.^ Sulle linee di strade ferrate, ove esistessero parecchie
stazioni illuminate nel modo ora detto, potrebbe forse presen-
tarsi la questione se non convenga utilizzare durante il giorno
le macchine dinamo-elettriche destinate alla illuminazione delle
stazioni per caricare accumulatori con cui attivare durante la
notte lampade ad incandescenza per l'illuminazione delle altre
parti degli edifizi, e fors'anco dei treni. È questa una questione
che non può essere risolta se non nei casi speciali dalle ammi-
nistrazioni, ma a cui io doveva accennare.
7.® Pei teatri il problema della illuminazione elettrica pre-
senta attualmente ancora gravi difficoltà : la luce delle lampadine
ad incandescenza si è mostrata nei recenti esperimenti fatti a
Parigi, in occasione dell'esposizione d'elettricità e del congresso,
poco adatta all'illuminazione completa di grandi ambienti come
254 Parte seconda.
sono le sale di spettacolo; e la luce delle lampade ad arco presenta,
oltre all'inconveniente di non potere essere regolata e moderata,
oltre a quello di produrre rumore, oltre a quello di non potersi
distribuire convenientemente sulle scene, l'inconveniente di essere
ancora, per la sua colorazione e per la non perfetta fissità poco fa-
migliare e poco accetta ai scenografi e ad una parte del pubblico.
Attualmente possono tentarsi sistemi misti ad arco voltaico
e ad incandescenza, oppure ad arco ed a gas; disponendo i lu-
minari elettrici ad arco nel centro di lampadari a gas od a
lampade incandescenti, così che la luce fredda dell'arco voltaico
non si diffonda nella sala se non dopo di essersi filtrata e me-
scolata con quella più calda delle lampade ad incandescenza o
<ielle fiamme di gas.
Nelle sale d'assemblea o nei locali per numerose riunioni
il problema è analogo ma più semplice; in questi casi le lam-
pade differenziali possono convenire, fin d'ora, da sole.
Le condizioni del problema varieranno completamente se
verrà un giorno in cui nelle città esistano grandi distribuzioni
di correnti elettriche per l'illuminazione pubblica e privata;
allora le condizioni economiche dell'illuminazione elettrica sa-
ranno assai migliori, ed anche le lampade ad incandescenza si
potranno forse adoperare da sole.
8.** Per l'illuminazione delle strade e delle piazze delle
■città non è improbabile che l'avvenire riservi alla luce elettrica
grandissime applicazioni. Dai confronti numerici, che abbiamo
fatto poc'anzi, risulta che ove esiste un impianto già stabilito e
sufficiente, per l'illuminazione col gas, difficilmente può accadere
■che la sostituzione di un impianto elettrico al medesimo possa
convenire. Ma ove la luce attualmente data dal gas diventi in-
sufficiente, od ove le condizioni per la produzione del lavoro
meccanico sieno convenienti, egli è probabile che le applicazioni
delle lampade elettriche alla illuminazione pubblica si moltipli-
cheranno. Le grandiose installazioni che noi vediamo a Londra,
ove buona parte della City è illuminata con lampade differenziali
di Brush e di Siemens, installazioni che vanno allargandosi ogni
dì, giustificano la nostra previsione.
Qualora queste previsioni si verificassero, quali sistemi di
lampade elettriche avrebbero maggior probabilità di trovare
utili e grandi applicazioni?
Se si volesse dare alle città colle correnti elettriche una
quantità di luce non molto maggiore di quella che abbiamo
Applicazioni dell'energia elettrica, 255
o^idl col gas, le lampade ad arco voltaico sarebbero, per le
ragioni svolte più sopra, meno convenienti e si potrebbe pensare
ad adoperare le lampade ad incandescenza. Ma la convenienza
economica di queste non potrebbe sussistere se non in casi
afiatto speciali, ove la forza motrice si potesse avere con motori
idraulici ad un minimo prezzo. Un caso a cui ho fatto allusione
già in altra occasione, parlando degli accumulatori, è quello nel
quale si volesse per mezzo di accumulatori e di lampade ad
incandescenza utilizzare di notte per l'illuminazione pubblica
una forza motrice idraulica di cui l'industria si serve solamente
nelle ore del giorno.
Ma questi ed i somiglianti sono casi speciali: nel caso ge-
nerale io penso che non possa essere questo l'avvenire della
luce elettrica applicata alla illuminazione pubblica. Io penso che
la luce elettrica non si sostituirà a quella del gas sulle vie e
3ulle piazze delle città, se non dove l' illuminazione a gas sia
divenuta insufficiente, e sia reclamata dal pubblico una illumi-
nazione più ricca. Quando le lampade elettriche avranno a su-
bentrare a quelle a gas esse entreranno in campo collo scopo
«di migliorare l'illuminazione ; è questa la legge naturale del pro-
gresso. Allora non v'ha dubbio che le sole lampade ammessibili
per l'illuminazione degli spazi aperti saranno quelle ad arco
voltaico. Io splendore delle quali è stato la prima cagione per
cui si è pensato alle applicazioni possibili della luce elettrica.
Se nulla di meglio si sarà inventato, le lampade che rischiare-
ranno allora le strade e le piazze saranno lampade differenziali
analoghe a quelle che ora possediamo coi tipi di Brtish e di
Siemens,
Qualora l'installazione sia grandiosa ed il motore dia il la-
voro con piccola spesa, come succederà se esso sarà idraulico,
l'illuminazione ottenuta con tali lampade potrà anche riuscire
economica in confronto di quella che si avrebbe quando col gas
si volesse ottenere la medesima quantità di luce. Una condizione
però sarà necessaria, la quale risulta dai confronti numerici
fatti poc'anzi, ed è che si muniscano i fanali elettrici di riflettori,
che impediscano alla luce di disperdersi in tutte le direzioni.
Questo si è fatto nelle installazioni di Londra a cui ho accennato.
Se verrà un giorno in cui le strade e le piazze di una in-
tera città sieno illuminate nel modo che io ho detto, anche le
lampade ad incandescenza troveranno la loro applicazione; esse
serviranno alla illuminazione dei piccoli ambienti chiusi, delle
256 Parte seconda.
abitazioni private, e ricevendo l'energia elettrica da motori
posti nelle migliori condizioni di economia potranno presentare
quella convenienza economica che attualmente non possono^
per questo caso, avere in nessun modo.
Anche gli accumulatori avranno allora un largo campo di
applicazione; saranno essi che daranno la corrente alle lampade
ad incandescenza, nelle condizioni migliori pel buon funziona-
mento di queste. Essi potranno caricarsi nelle ore in cui le
correnti principali non servono alla illuminazione pubblica, e
restituire l'energia accumulata nelle ore volute.
Se finalmente non è chimerico pensare ad una distribuzione
a domicilio della forza motrice di pochi grandi motori, fatta
per mezzo della corrente elettrica, questa applicazione dell'elet-
tricità avrà luogo nelle migliori condizioni di economia se la si
farà insieme alla illuminazione; infatti i medesimi motori, le
medesime macchine dinamo-elettriche, le medesime gomene con-
duttrici che serviranno di giorno alla distribuzione della forza
motrice, serviranno nella notte alla illuminazione.
In questo modo tutte quante le grandi applicazioni, di cui
abbiamo parlato, si completeranno a vicenda. È questo un av-
venire soltanto possibile; ma a noi italiani, ai quali esso per-
metterebbe di sostituire in parte l'energia dei nostri corsi di
acqua a quella che ora ci è mandata a caro prezzo, immagazzi-
nata nel carbon fossile, dagli stranieri, giova sperarlo anche
probabile.
§ 3.*» Elettro -METALLURGIA.
Osservazione sulle applicazioni elettro-chimiche in generale. — Applicazione
dell'elettrolisi alla purificazione del rame ed alla separazione dei metalli pre-
ziosi: Norddtutsche Afjintrit di Amburgo; opifìzio elettrolitico di Ocker. —
Trattamento elettrolitico dei minerali di zinco : Litrangt. — Macchine magneto-
ed elettro-cernitrici: Chinot, Vavtn, Edison, Siemens,
42. Le applicazioni chimiche della corrente elettrica non
possono, per la loro stessa natura, essere studiate in modo
completo in una esposizione. L'esposizione mostra i prodotti»
ma non fa, in generale, conoscere i particolari della operazione
con cui questi si ottengono, come sono la composizione quan-
titativa dei bagni, le manipolazioni varie e speciali, gli elementi
numerici relativi alle correnti adoperate, ecc., cose tutte, che
Applicazioni dell'energia elettrica, 257
gli espositori hanno spesso interesse di tenere segrete. Per
trattare delle applicazioni elettro-chiniiche-industriali» quali si
presentavano alla esposizione di elettricità, noi dovremmo
adunque accingerci a fare una enumerazione di prodotti esposti,
ed a riferire, senza dati sufficienti per discuterle o controllarle,
le asserzioni degli 'espositori, cosa che non corrisponderebbe
allo scopo ed all'indole di questa relazione. Tuttavia alcune
delle applicazioni che si sono presentate alla esposizione avreb-
bero, qualora fossero, come è possibile, veramente pratiche,
una importanza eccezionale, specialmente pel nostro paese ove
molti minerali vengono esportati in natura per difetto di com-
bustibile; io debbo dedicare loro un cenno, che valga a chiamare
su di esse l'attenzione degli industriali e delle amministrazioni.
Sono procedimenti elettro-metallurgici applicabili su grande scala»
industrialmente, e destinati altri a purificare e separare metalli
diversi, altri a ricavare direttamente, per via galvanica, metalli
dai loro minerali.
43. Dell'applicazione industriale, su grande scala, della cor-
rente elettrica alla purificazione di metalli ed alla loro separa-
zione, l'esempio più notevole ci è stato offerto dalla esposizione
della società Norddeutsche Affinerie di Amburgo.
Gli opifizi di questa società hanno dal 1875 una sezione
elettrolitica, l'oggetto principale della quale è di ricavare rame
chimicamente puro, da rami brutti contenenti da 90 a 99 per
cento di rame ed una quantità di metalli preziosi mescolati ad
ogni sorta d'impurità. L'operazione si fa per via elettrolitica e
consiste in ciò: il rame impuro, foggiato a grosse lastre viene
appeso come anodo in una soluzione di solfato di rame; per
effetto della corrente il rame si scioglie e si depone, puro, sul
catodo, mentre l'argento, l'oro e le impurità, che erano mescolate
con esso, cadono al fondo della vasca elettrolitica, dove si rac-
colgono.
Con un procedimento modificato l'opificio è riuscito a
scomporre leghe di rame e di argento, il cui tenore in argento
si eleva al 50 per 100; egli è coli' applicazione di questo pro-
cedimento che nel 1877-78 si è scomposto una grande parte del
bilione smonetato dagli Stati tedeschi, in modo da ricavarne
più di 33000 chilogrammi di argento e 23^5 chilogrammi d'oro,
precipitando nel tempo stesso 1 15000 chilogrammi di rame puro.
Se il rame contiene una quantità considerevole di nichelio,
questo metallo entra in soluzione insieme al rame, ma non è
G. Ferraris, Optre, Voi. II. 17
deposto al catodo come quest'ultimo; per conseguenza
zrone va diventando gradatamente sempre più ricca di
di nichelio. Il solfato di nichelio è poi ricavato dalla soluzìor'^
satura per cristallizzazione, e quindi viene trasformato in solfar
doppio dì nichelio e dì aiTimoniaca, composto che si adope»:^
nella nichelatura.
La produzione del rame puro s» eleva, attualmente, a chil-
grammi 1600 per ogni giornata dì 24 ore.
La corrente elettrica è somministrata da sei macchine cz:^
namo-elettriche di Gramim messe in azione da una macchir"^
a vapore di circa 40 cavalli.
Il rame è chimicamente puro ed ha una altissima condì» ^
ti vita; esso è per conseguenza utile specialmente per la fabbr*^
cazione dei fili destinati a condurre le correnti elettriche; ma ess<*
è conveniente eziandio per la fabbricazione delle leghe ramifere*
e per tutte le apph*cazìonÌ ove è richiesta una grande purezza-
A iato della produzione del rame la società Nonitieutschf
Affmerie ottiene per mezzo di un procedimento elettrolitico
analogo a quella di cui si è parlato, messo in pratica dal 1878,
oro assolutamente puro, che si ricava da leghe d'oro contenenti
piombo, argento, rame, e sopratutto platino e metalli del gruppo
del platino. Questo metodo di separazione è per le leghe di oro
e di platino il primo che si possa designare come procedimento
tecnico, giacché i procedimenti fin qui adoperati non costituì*
scono altro che applicazioni in grande dei metodi da laboratorio.
Per mezzo dì questo nuovo procedimento si sono ottenuti nel 18B0
12000 chilogrammi di oro puro, ricavando nel tempo stesso,
quali prodotti secondari, grandi quantità di sali di platino e dì
palladio. Air esposizione attirarono T attenzione dei chimici in
special mudo le verghe d' oro presentate, delle quali il saggio
fatto dal Debray dimostro la purezza assoluta.
Con un procedimento analogo si separano dall'argento pie*
cole quantità d*oro, facendo deporre sul catodo l'argento puro.
Anche questo prodotto era esposto a Parigi, sia allo stato ori*
ginario, cristallino, sia fuso in verghe dì 2 a 3 chilogrammi*
D'accanto alla mostra della Affineria dì Amburgo, delU
quale abbiamo parlato, si notava quella ugualmente importante
delie materie prime e dei prodotti dell' opifizio elettrolitico di
Ockèr ( Kóftiglìch'Prcussisches nini Hcrzogikh'Braunschwngisches
Ctmmiìmion HnUenamty Ocker). Questa mostra era fatta dal Mt»
nistero tedesco dei lavori pubblici.
Applicazioni dellUìurgia elettrica. 259
L'oggetto principale della fabbricazione ù, neiropifizio elet-
trolitico di Ockcr, quello di ottenere da rame greggio, contenente
insieme a diverse impurità una certa quantità di metalli pre-
ziosi, argento ed oro, il rame chimicamente puro, e di ricavarne
intftnto l'oro e l'argento.
L' operazione consiste, anche qui, nelT appendere il rame
f?^^Sgio, foggiato a grossi lastroni, come anodo in seno ad una
soluzione di solfato di rame. Per effetto della corrente il rame
s' Scioglie ed una quantità di rame uguale a quella che si scioglie
s^ depone, chimicamente pura, sul catodo. Le materie che erano
1^^ ^Colate col rame cadono sul fondo del bagno, dove si rac-
cc^lg^ono. Da questi residui si ricavano, quando la proporzione
^^ ^ sufficiente, l'argento e Toro. L'operazione è nella sostanza
A^^l^a stessa che si fa nelle officine della " Affìneria di Am-
burgo ^, ma è più semplice per questo motivo: che mentre l'opi-
ft'-tìo di Amburgo lavora rami greggi in composizioni diverse,
^^ è perciò nei diversi casi obbligato a modificare le manipola-
zioni, nello stabilimento di Ockcr invece si lavora rame grejj^gio
<ìi una sola provenienza e quindi di composizione assai meno
variabile, che può essere trattato sempre nella medesima ma-
niera. La proporzione media del rame greggio adoperato come
anodo è la seguente:
Rame 0,9900
Argento ed oro 0,0015
Antimonio 0*0035
Arsenico, bismuto, piombe^ ferro, zinco, cobalto,
nichelio ed altre sostan/o 0,0050
Totale 1 ,0000
Il residuo argentifero della ojìL-razione ù una jìolvirf bruna
contenente il io per 100 di argento più una (|uaiìtiià niiuorc e
variabile di oro.
L'importanza di tale esposizione risulta sojìratutto dalla
grandezza della produzione di questa industria elettrolitica. La
produzione annua di rame puro e di 500000 chilogrammi.
44. Ho detto che, oltre a questi risultati dell' elettrolisi
applicata alla purificazione ed alla se])arazione dei metalli, la
esposizione presentava saggi di prucetlinicnti veramente metal-
lurgici, destinati a ricavane j)er via galvanica, direttamente,
nietalli dai loro minerali. Uno di questi procedimenti metallurgici
26o Parte seconda.
potrebbe avere, od acquistare nell'avvenire, una importanza
tutta speciale pel nostro paese; quindi fra tutte le applicazioni
elettro-chimiche che hanno figurato all'esposizione esso è quello
che deve maggiormente attirare la nostra attenzione. Io intendo
di parlare di un procedimento elettrolitico per la fabbricazione
dello zinco.
Noi abbiamo nella Sardegna abbondanti giacimenti di mine-
rali zinciferi (a Malfìdano, a Planu Sartu nel Salto Gessa, a
Monteponi, ecc.), ed altri giacimenti di minerali di zinco, benché
di gran lunga meno importanti, abbiamo nelle dolomie dei monti
lombardi. Tuttavia l'industria della produzione e della lavora-
zione dello zinco non esiste affatto in Italia; e la ragione di
questo fatto sta nel grande consumo di carbone necessario per
ricavare dai minerali lo zinco metallico. Questa circostanza fa sì
che la sola cosa conveniente sia per noi la spedizione del mi-
nerale all'estero; e l'esportazione delle calamine della Sardegna
ha acquistato una certa importanza dopo l'esaurimento delle
miniere zincifere del nord dell'Europa. Oggidì il minerale di
zinco composto essenzialmente di calamina e di piccole quantità
di blenda, il quale si esporta dall'Italia per essere trattato nelle
fabbriche di Liège, di Stolberg, di Swansed, ed in alcune ma-
nifatture francesi, ascende annualmente, in media, al valore di
oltre quattro milioni di lire; ma egli è probabile che la colti-
vazione delle nostre miniere di zinco si farebbe assai più attiva
quando fosse possibile trattare il minerale sul luogo.
Ora i saggi di trattamento elettrolitico dei minerali di zinco^
che si sono presentati alla esposizione elettrica di Parigi, fanno
sperare che, se non attualmente, almeno in un prossimo avve-
nire, la fabbricazione di questo metallo possa, col sussidio della
corrente elettrica, diventare rimunerativa anche nel nostro paese.
Questi saggi figuravano nella sezione francese fra le collezioni
di prodotti metallurgici presentati da Z. Létrange e C* dì Parigi.
L'idea di. far servire la corrente elettrica al trattamento dei
minerali di zinco non è nuova; questa volta però essa è pre-
sentata sotto forma più semplice ed è concretata in un proce-
dimento che offre maggiore apparenza di essere, o di poter
diventare pratico ed economico. Uno dei procedimenti già pro-
posti consisteva nel trattare il minerale con acido cloridrico
per trasformarlo in cloruro idrato neutro molto concentrato. Il
liquido veniva poi sottoposto alla azione di una corrente elet-
trica, per cui lo zinco si deponeva allo stato metallico e puro.
Applicazioni dell'energia elettrica. zói
In questo procedimento, acciocché lo zinco deposto non. fosse
mescolato con ferro, si era costretti a precipitare quest'ultimo
allo stato di perossido idrato per mezzo di un ossidante ener-
gico, come cloro od acido nitrico. Sull'elettrodo positivo, formato
di carbone di storta, si sviluppava gas cloro che veniva rac-
colto ed impiegato per la fabbricazione del cloruro di calcio.
Ma siccome la blenda non è solubile nell'acido cloridrico, questo
procedimento non si sarebbe applicato che alla calamina. Per
rendere il procedimento elettrolitico applicabile a tutti i minerali
zinciferi altri aveva proposto di sciogliere il minerale nell'acido
azotico; ma in questo caso si sarebbe deposto dell'ossido, e
r impiego di materie organiche, come glicerina, glucosio, ecc.,
per impedire questo deposito avrebbe aumentato notevolmente
le spese di trattamento. A differenza di questo metodo e dei
somiglianti già noti, il procedimento che ora viene presentato
dal Lélrange non richiede il consumo di alcun acido proveniente
da altre industrie; in esso si impiega, per trasformare il minerale
dì zinco in sale solubile e trattabile colla elettrolisi, l'acido sol-
forico prodotto per mezzo dello zolfo contenuto nella blenda
medesima.
Il minerale, composto di una mescolanza di blenda e di ca-
lamina viene innanzitutto sottoposto ad un arrostimento, il quale
dev'essere eseguito ad una temperatura moderata onde facilitare
la formazione della massima quantità possibile di solfato di
zinco. L'anidride solforosa, che si sviluppa durante l'arrostimento,*
viene trattata con un metodo del quale è a lamentare che l'espo-
sitore non abbia dato tutti i particolari, ma che è analogo a
quello adoperato nell'ordinario procedimento per la fabbricazione
dell'acido solforico. Quest'ultimo serve poi alla dissoluzione
della calamina ed alla solfatazione dei minerali già calcinati, ma
incompletamente trasformati.
Allorché il minerale é trasformato in solfato, lo si dispone
in grandi bacini nei quali si fa arrivare una corrente d'acqua
destinata a scioglierlo. Il liquido quindi passa lentamente in
una nuova serie di bacini ove viene sottoposto alla elettrolisi.
La soluzione di solfato di zinco destinata ad essere elettro-
lizzata arriva nei truogoli elettrolitici dal basso, e sale lenta-
mente nei truogoli di mano in mano che l'elettrolisi procede,
e che in grazia di questa il liquido va impoverendosi di solfato
di zinco ed aiTicchendosi di acido solforico. In questo modo
l'acido solforico prodotto dalla decomposizione galvanica viene
202 Parte seconda.
a portarsi alla parte superiore dei bacini, e di qui esso si versa
in altri bacini, dove stanno minerali da sciogliere.
Per tal guisa si stabilisce una circolazione continua; per
mezzo di una differenza di livello tra le vasche e di un piccolo
lavoro meccanico applicato in un punto del circuito, la corrente
liquida, che sì può regolare a piacimento, percorre i bacini di
dissoluzione ove il suo acido solforico trasforma in solfato lo
zinco contenuto nel minerale; poi attraversa i truogoli elettro-
litici ove, per effetto della corrente elettrica, depone Io zinco e
ridiventa acida ed atta a ricominciare le medesime operazioni.
Tuttavia il medesimo liquido non può servire indefinitamente,
perchè i minerali da sciogliersi contengono altri metalli, che
si appropriano una parte dell'acido solforico e non la restitui-
scono nell'elettrolisi.
L' elettrodo negativo è costituito, in questo processo, da
una lastrina sottile di zinco, la quale nell' operazione sì va in-
grossando in causa dello zinco che vi si depone sopra: l'elet-
trodo positivo è invece una lastra di piombo. Su questa lastra
il ferro contenuto nella soluzione si depone allo stato di pe-
rossido, il quale poi si distacca e cade al fondo delle vasche.
Il piombo, l'argento e gli altri metalli insolubili nell'acido sol-
forico rimangono nel residuo, ove possono essere raccolti.
La corrente elettrica necessaria per queste operazioni deve
essere prodotta da macchine dinamo-elettriche attivate da motori
'idraulici; è questa la condizione della massima economia, ed è
questo il progetto del Lctrange, Gli studi di questo inventore
hanno infatti essenzialmente lo scopo di rendere possibile la
fabbricazione dello zinco sul luogo, alla miniera, cosa che at-
tualmente non è, perchè le miniere di zinco attualmente in
esercizio sono, per lo più, lontane dai centri litantraciferi.
Tuttavia l' inventore asserisce che anche nel caso in cui
si fosse obbligati ad impiegare una macchina a vapore, la spesa
di carbone sarebbe, per loo chilogrammi di zinco prodotto,
circa quella che essa è, col procedimento ordinario; per cento
chilogrammi di minerale da trattare. Si avrebbe quindi ancora
una economia considerevole, e tale da permettere in alcune
circostanze di trattare il minerale presso la miniera. Il Létrangc
indica inoltre una grande economia nell' installazione del pro-
cesso. Col metodo attuale un opifìzio capace dì produrre un
milione di chilogrammi di zinco all' anno importa una spesa di
impianto di circa un milione. Il nuovo procedimento non richie-
Applicazioni dell'energia elettrica. 263
derebbe, al contrario, per la medesima produzione, più di due
a trecento cavalli di forza motrice, una quantità corrispondente
di macchine dinamoelettriche ed un certo numero di bacini
per la soluzione e per 1* elettrolisi. La spesa necessaria per
r installazione di questo materiale non si eleverebbe a più di
cinquecentomila lire.
II trattamento elettrolitico dei minerali di zinco, di cui ab-
biamo parlato, non è finora stato applicato in alcuna maniera,
ma è stato l'oggetto di qualche esperienza industriale. Il Le-
trange lo applicò, a titolo di prova, durante tre mesi, nella sua
officina di Romilly pel ricupero dello zinco dai residui della
fabbricazione dell'ottone. Inoltre da parecchi mesi egli si occupa
di esperienze pel trattamento degli ossidi di zinco provenienti
dalla ri fondita del metallo. Giova sperare che questi studi pos-
sano condurre alla realizzazione pratica di un progetto che
pres'enta per noi uno speciale interesse; a noi anzi sorride la
speranza che il metodo del Létrange possa essere il punto di
partenza per ricerche ulteriori e diventare in un prossimo av-
venire la base di un procedimento metallurgico più generale,
applicabile anche ad altri metalli.
45. Un problema, che si collega colle applicazioni dell' elet-
tricità alla metallurgia, è quello della separazione di sostanze
non magnetiche operata per mezzo di calamite permanenti o
temporarie.
L'idea della cernita magnetica od elettro-magnetica non è
nuova. Sì sa che fin dal 1852 il Chénot ha ideato ed ha fatto
costnirre dal meccanico Froment una elettro-cernitrice (électro-
trieuse) destinata a servire di appendice al suo procedimento
siderurgico, nel quale essa doveva separare il ferro spugnoso
ridotto dalle scorie con esso mescolate.
L'apparecchio dello Chénot consiste in una ruota girante
lentamente attorno ad un albero orizzontale, e portante su tutta
la periferia tre corone di elettro-magneti diritte disposte radial-
mente. I fili di queste elettro-calamite sono collegate con un
commutatore portato dall'albero medesimo della ruota, il quale
è cosi combinato, che la corrente elettrica, che arriva da una pila
di due elementi Bunsen, viene in ogni istante mandata nelle
tre elettro-magneti che nell'istante medesimo stanno per passare
nella posizione più bassa, e soltanto in quelle; le elettro-magneti
diventano per tal modo attive soltanto un momento prima di
arrivare nella posizione più bassa, e durano attive soltanto per
264 Parte seconda.
un certo angolo al di là di questa posizione, oltrepassato il
quale la corrente è interrotta nelle loro spirali, ed esse diventano
inerti. Al disotto della ruota delle elettro-magneti è situata una
tela continua che, portata da rulli, cammina lentamente in di-
rezione parallela all'asse della ruota, passando così sotto le tre
elettro-magneti attive, che stanno appunto sulla generatrice più
bassa; la distanza fra la tela e le estremità polari delle elettro-
magneti si può regolare secondo il bisogno; la tela poi invece
di essere orizzontale si muove alquanto in salita, così da avvi-
cinarsi alle elettro-magneti di mano in mano che essa si avanza.
Una tramoggia versa sulla tela, da una parte, la mescolanza su
cui si vuole fare la cernita, preventivamente triturata e ridotta
in granelli del diametro di 0,5 a 2 millimetri; la tela si copre
così di uno straterello di questa mescolanza e lo porta con sé
lentamente al disotto della ruota delle magneti. Le elettro-ma-
gneti, che, come si disse, quando sono in vicinanza della tela
continua diventano attive, attraggono le parti magnetiche delia
mescolanza, le trasportano con sé per tutto quell'angolo per
cui rimangono attive, e le mettono così fuori della tela, sopra
ad un piano inclinato di scarica. Allora la corrente che attirava
le elettro-magneti è interrotta dal commutatore; le elettro-ma-
gneti diventano inattive, e le materie magnetiche, che aderivano
ai loro poli, si distaccano, e cadono sul piano inclinato, che le
guida al sito loro destinato. Intanto le materie non magnetiche,
trasportate dalla tela continua, vanno a cadere in una seconda
tramoggia di scarico. In un altro sistema, pure immaginato dal
Chénot la separazione è operata da elettro-calamite sempre at-
tive, ed il distacco delle materie magnetiche è fatto da spazzole.
È noto pure come in quel tempo (nel 1854) l' ingegnere
Quintino Sella ideasse pel cav. Ricardi di Neiro un apparecchio
analogo a quello del Chénot^ destinato a servire nella miniera
di Traversella a separare l'ossido magnetico di ferro dalla cal-
copirite; e come, dopo alcuni esperimenti fatti con un piccolo
modello di prova, egli facesse costruire dal Frontent apparecchi
più grandi, definitivi, i quali non solo funzionano tuttavia, ma
costituiscono oggidì la parte più importante di quella officina
metallurgica. Nell'officina di Traversella si hanno quattro elettro-
cernitrici con ruota ad elettro-magneti e con tela continua ana-
loghe a quelle del Chénot, e differenti da queste soltanto per
alcuni particolari del commutatore e delle trasmissioni del moto.
I quattro apparecchi sono posti su di una medesima linea, e
Applicazioni dell'energia elettrica, 265
riuniti in catena per mezzo di norie e di piani inclinati, per
modo che la magnetite esportata dalla prima macchina è tra-
smessa alla seconda, dove abbandona una parte della calcopirite
stata attratta meccanicamente, insieme al minerale di ferro della
prima; dalla seconda macchina la magnetite passa alla terza, e
da questa alla quarta, abbandonando, ad ogni volta, sulla tela
una certa quantità di calcopirite.
È noto finalmente come 20 anni più tardi il Vavin costruisse
un separatore magnetico destinato specialmente a sceverare,
nelle officine meccaniche, la limatura ed i trucioli di ferro e
di ghisa da quelli di altri metalli. In questo separatore la cernita
era fatta da calamite permanenti d' acciaio, dalle quali i corpi
magnetici attratti venivano distaccati con spazzole giranti.
L*idea, ripeto, non è nuova; ma l'esposizione di elettricità
è venuta a confermare che nella pratica essa è veramente riu-
scita; alla mostra di Parigi infatti figuravano alcuni apparecchi
cernitori, di uso pratico, dimostranti che V impiego del magne-
tismo nella cernita dei metalli e dei minerali, lungi dall'essere
oggidì abbandonato, va estendendosi ed acquistando impor-
tanza.
L'esposizione presentava quattro cernitrici diverse: una di
Vavin, una di Edison, una di Siemens ed una di un Chénot ainé.
Tralasciando quest'ultima, che non è che un diminutivo di
quella di cui abbiamo parlato poc' anzi, faremo un cenno delle
altre tre.
L'apparecchio del Vavin, che figurava nella sezione francese,
funziona, come si è detto, per mezzo di sole calamite perma-
nenti, ma è disposto in modo da effettuare, in piccolo spazio,
l'operazione meccanicamente, ed in grande misura. Esso è com-
posto di due cilindri muniti di calamite, su cui si fa cadere e
si distribuisce per mezzo di una tramoggia la limatura o la
mescolanza di minerali che si vogliono classificare, e di due
sistemi di spazzole giranti, le quali distaccano dalle calamite,
e fanno cadere i corpi magnetici che rimangono aderenti alle
medesime. I cilindri sono di bronzo, e portano sulla superficie
convessa, spoi^enti, il primo quattro ed il secondo cinque anelli
di ferro dolce, tenuti con viti e messi in comunicazione con
potenti calamite a ferro di cavallo disposte radialmente nell'in-
terno dei cilindri. Gli anelli di ferro sono scanalati per presentare
maggior superficie; le calamite sono unite a ciascun anello coi
poli del medesimo nome, talché ciascun anello rappresenta un
266 Parte seconda.
polo. La distanza fra due anelli consecutivi di un medesimo
cilindro è di tre soli centimetri, e gli anelli di un cilindro sono
alternati con quelli dell'altro, in modo che nessuna particella
magnetica, che si trovi sulla superficie dei cilindri, può sfuggire
all'azione magnetica. L'apparecchio è ben costrutto e poco vo-
luminoso (0,80 X 0,80 j< 1,60); può essere mosso a mano o col
vapore, e può trattare non meno di 2000 chilogrammi di limatura
al giorno. Il Vavin applica eziandio la sua macchina alla cernita
dei minerali, e pare che i risultati sieno soddisfacenti.
L'apparecchio cernitore di Edison^ al quale l'inventore diede
il nome di Separatore magnetico, è principalmente appropriato
alla separazione di materie allo stato di polvere minuta, ed è
notevole per la semplicità della sua costruzione. In esso si ha
una elettro-calamita, la quale agisce a distanza sopra la polvere
che cade, sotto forma di un velo, da una tramoggia, ed ha per
effetto di far deviare dalla verticale le particelle magnetiche,
separandole in questo modo dalle non magnetiche che discendono
verticalmente. L' apparecchio si riduce ad una tramoggia pris-
matica al fondo della quale una serie di aperture di cui si può
far variare a piacimento la larghezza, lascia cadere sotto forma
di un velo verticale di piccola grossezza la polvere minuta che
si vuole classificare. Alquanto al disotto della tramoggia, a lato
del velo di polvere che discende da essa, è collocata una grossa
elettro-calamita a ferro di cavallo con braccia appiattite, oriz-
zontali, e larghe quanto il velo. Le estremità polari di questa
elettro-magnete si possono, trasportando con apposito volantino
tutta r elettro-magnete, avvicinare più o meno al velo della
polvere che cade. Quando l'elettro-magnete è attiva, l'attrazione
che essa esercita sulle particelle magnetiche esistenti nella pol-
vere, le fa deviare dalla verticale, così il velo polveroso si di-
vide in due, l' uno piano e verticale composto delle parti non
magnetiche, l'altro, deviato verso l'elettro-magnete, composto delle
parti magnetiche. I due getti si trovano separati abbastanza per
poterli raccogliere in due casse diverse. Si dice, che questo ap-
parecchio sia oggidì assai adoperato in America, e, come vedesi,
esso non potrebbe essere più semplice. La circostanza però, che
l'elettro-magnete agisce a distanza, fa credere che il separatore
magnetico di Edison sia specialmente adatto al trattamento di
non grandi quantità di materie. È probabile inoltre che esso
non possa funzionare lodevolmente quando le sostanze da se-
parare sono in pezzi alquanto grossi.
Applicazioni delV energia elettrica. 267
È invece una macchina veramente industriale, atta a trat-
tare grandissime quantità di materie, e applicabile anche quando
le sostanze da separarsi sono minerali debolmente magnetici
e sono ridotti in pezzi non molto minuti, una macchina vera-
mente adatta ai lavori delle miniere, l'elettro-cernitrice del dot-
tore Werner Siemens, Per la piccolezza delle dimensioni, per
la potenza, per la robustezza, essa è la migliore di tutte le
elettro-cernitrici finora conosciute, e forse la sua disposizione
è fra tutte le immaginabili la più razionale.
Questa macchina era esposta dalla fabbrica Siemens e
Halske nella sezione tedesca. Essa è costituita da un cilindro
della lunghezza di un metro a un metro e mezzo, il quale gira
attorno al suo asse, collocato in posizione inclinata con un an-
golo di circa 25° coli' orizzonte. Il cilindro è cavo ed aperto
alle due estremità : all' estremità superiore esso riceve da una
tramoggia la mescolanza dei minerali che si vogliono sceverare;
dall'estremità inferiore escono in due correnti separate la parte
non magnetica e la parte magnetica delia medesima. La parte
non magnetica cade liberamente dalla estremità aperta del ci-
lindro rotante, di cui occupa sempre la porzione inferiore; la
parte magnetica invece vien fuori da un canale di lastra di ot-
tone, fisso, che avviluppa l'albero, e nel quale gira coli' albero
una vite di Archimede. Ora ecco come il cilindro è formato e
come in esso avviene la separazione del minerale.
Il cilindro è formato di molti anelli piatti, o meglio di molte
corone circolari di lastra di ferro dolce, tutte uguali, poste in
altrettanti piani perpendicolari all'asse, coi centri su questo, ed
ugualmente spaziate. Verso l'interno, stanno tra le successive
corone circolari di ferro anelli di ottone o di rame, talché l'in-
sieme costituisce un tubo cilindrico continuo a superficie interna
perfettamente liscia; questa superficie interna continua e liscia
è per tal modo formata di tante porzioni uguali alternativamente
di ferro e di ottone. Essendo gli anelli di ottone assai più stretti
delle corone circolari di ferro, rimangono al di fuori degli anelli
di ottone, tra le successive corone circolari di ferro, spazi anulari
liberi: in questi spazi sono avvolte altrettante spirali di filo di
rame isolato. Queste spirali sono congiunte tra loro, capo a
capo, in tal modo che, mettendo le estremità libere della prima
e dell'ultima in comunicazione coi poli di una pila o di una
macchina dinamo-elettrica, la corrente circoli nelle successive
spirali alternativamente in un verso e nel verso opposto. Quando
268 Parie seconda.
passa la corrente ciascuna corona circolare di ferro si magne-
tizza, presenta un polo sulla circonferenza interna ed il polo
opposto sull'esterna; i poli magnetici che cosi si formano sugli
orli interni degli anelli di ferro sono alternati. All'esterno tutte
le periferie degli anelli di ferro sono collegate insieme da tante
spranghe piatte di ferro dolce, che mentre chiudono e proteg-
gono tutto l'apparecchio, rinforzano il magnetismo sugli orli
interni degli anelli di ferro funzionando come le traverse di
elettro-calamite a ferro di cavallo. In grazia di questa ingegnosa
disposizione la superficie interna del cilindro cavo girante riesce
formata da tanti poli magnetici alternati, separati da piccoli
spazi occupati da metallo non magnetico.
La mescolanza dei minerali da sceverare, la quale entra nel
cilindro dalla parte superiore, obbligata come è dalla rotazione
del cilindro medesimo a rimescolarsi ed a venire a contatto
con tutti i punti della sua superficie, lascia aderenti a questa
tutte le parti magnetiche, e quando arriva alla estremità infe-
riore del cilindro essa è privata di tutti i corpi magnetici che
conteneva : quello che cade dall' estremità inferiore, aperta, del
cilindro rotante è adunque la sola parte non magnetica della
mescolanza.
I pezzetti magnetici che, attratti dalle calamite anulari ri-
mangono aderenti alla parete del cilindro rotante, sono trasci-
nati in giro da questo. Ma quando arrivano nel punto più alto
del giro, ne vengono distaccati e cadono nel canale fisso di
lastra d'ottone che si è detto essere situato attorno all'albero
del sistema. A quest'uopo questo canale è aperto superiormente
su tutta la lunghezza^ e la lastra di ottone che lo forma è pro-
lungata su uno dei lembi fino a toccare la superficie del grande
cilindro rotante. Questo lembo prolungato, che è fisso, fa, mentre
il cilindro gira, l' uffizio di un raschiatoio : esso distacca dalla
parete del cilindro tutte le particelle di minerale che vi sono
aderenti, e le fa cadere nel canale di ottone ad esse destinato.
Dentro a questo canale gira coll'albero una vite di Archimede,
la quale obbliga il minerale a camminare verso la estremità più
bassa, da cui esce.
In tal guisa la separazione dei minerali si fa in modo con-
tinuo : la porzione non magnetica occupa costantemente la parte
più bassa del cilindro rotante e percorre lentamente tutta la
lunghezza di questo, pel proprio pesò; la porzione magnetica
invece è portata in alto dalla parete del cilindro che la tiene
Applicazioni deWenergia elettrica. 269
aderente a sé, e là è distaccata dal raschiatoio fisso che la fa
cadere nel canale interno, da cui esce per effetto della vite
d'Archimede,
Le condizioni migliori per una cernita rapida ■ e completa
sono in questo apparecchio evidentemente soddisfatte: infatti
il movimento rotatorio del cilindro obbliga tutte le particelle
del minerale a venire a contatto colla parete magnetizzata; le
elettro-magneti poi, agendo sempre su corpi a contatto, sono
nelle migliori condizioni per trattenerli anche quando questi
sono debolmente magnetici; Tessere finalmente alternati e vicini
i poli magnetici aiuta l'attrazione.
Una particolarità degna di nota è questa, che le spirali
magnetizzanti avvolte fra gli anelli di ferro, di cui è composto
il cilindro, non sono dappertutto in ugual numero; poco nu-
merose in alto, sono numerosissime in vicinanza dell'estremità
inferiore. Con ciò si ottiene che in principio, dove le sostanze
magnetiche sono abbondanti, l'attrazione sia più debole, ed il
canale non venga ingombrato; che invece si abbia una attra-
zione più energica in basso, dove il minerale è diventato povero
di materie magnetiche. È questa una condizione necessaria, per
utilizzare bene tutta la superficie. '
n dottor Werner Siemens compose la macchina che abbiamo
descritto per una società belga, che coltiva in Ispagna una mi-
niera di zinco. Il minerale è in quella miniera una calamina
mescolata a grandi quantità di minerali di ferro, che non si
era riuscito a sceverare con nessun altro trattamento, e che
portati colla calamina nei forni di distillazione davano luogo ad
un consumo grandissimo di combustibile. Colla macchina cer-
nitrice del Siemens la separazione del minerale di ferro dalle
calamine si fa in modo completo. Una sola macchina basta al
trattamento di 20 tonnellate di minerale al giorno. Io non credo
che si possa sperare di più ed ho per questo il dovere di se-
gnalare la macchina ai nostri industriali.
SUI LAVORI DELLA PRIMA SESSIONE
DELLA
CONFERENZA INTERNAZIONALE
DI ELETTRICITÀ
CONVOCATA IN PaRIGI NELL'OTTOBRE 1882.
A S. E. DOMENICO BERTI
MINISTRO d'agricoltura, INDUSTRIA E COMMERCIO
Affidandomi l'onorifica missione di rappresentare il Ministero
italiano di agricoltura, industria e commercio, alla conferenza
internazionale di elettricità convocata in Parigi nella seconda
metà dell'ora trascorso mese di ottobre, 1!£. V. mi chiedeva una
relazione sul risultato dei lavori della conferenza medesima.
Rispondo oggi a questo invito, e ciò facendo, adempio al
più urgente dei doveri che mi sono imposti dal mio mandato.
Infatti, in questa sua prima sessione, il comitato internazionale
non poteva fare, e non fece altro, che un lavoro preparatorio,
lasciando, prima di riunirsi nuovamente, ai sìngoli delegati il
compito di tentare, ciascuno nel proprio laboratorio, le ricerche
scientifiche sperimentali, necessarie alla soluzione delle quistioni
che gli erano proposte; ed esprimendo il voto che i governi
delle nazioni in esso rappresentate incoraggiassero, ciascuno
fra i propri nazionali, tali ricerche. Il primo mio dovere è
adunque di esporre lo stato attuale delle questioni proposte
alla conferenza, quale risulta dalle discussioni, a cui ho avuto
l'onore di assistere. Da questa esposizione l'È. V. potrà vedere,
se e come, il suo Ministero possa contribuire a fare che la
^
272 A S. E, D, Berti.
Nazione italiana prenda la parte decorosa, che le spetta, nel
grande ed urgentissimo lavoro scientifico che si sta preparando»
All'È. V. è noto che, in conformità delle deliberazioni e dei
voti del Congresso del 1881, la conferenza intemazionale di
elettricità, che di quel Congresso è una continuazione, si è di-
visa in tre Commissioni:
La prima per la determinazione dell' oAw.
La seconda per le questioni relative allo studio delle cor-
renti elettriche terrestri e dell'elettricità atmosferica, e pel col-
legamento telegrafico degli osservatori meteorologici.
La terza per la scelta di un'unità di intensità di luce, e
per lo studio dei metodi fotometrici.
Io esporrò i risultati attuali dei lavori e le deliberazioni
delle tre Commissioni, considerandole l'una dopo dell'altra, nel-
l'ordine col quale 1^ ho nominate.
PRIMA COMMISSIONE.
Determinazione dell'ohm.
Di tutti i problemi che si presentarono al Congresso in-
ternazionale degli elettricisti nel 1881, il più urgente, tanto per
la scienza, quanto per i bisogni delle applicazioni industriali,
fu quello della scelta di un sistema di unità per le misure elet-
triche; ed alla soluzione, che potè dare di questo problema, il
Congresso deve, in massima parte, la sua importanza. La scelta
delle unità, fatta d'accordo dagli scienziati e dai tecnici di tutte
le nazioni, permetterà nell'avvenire di rendere facilmente com-
parabili le misure di tutti gli sperimentatori; l'aver trovato per
le principali unità di misura nomi convenienti, e l'aver fatto
accettare questi nomi dagli elettricisti di tutte le nazioni, eviterà
la confusione che dianzi risultava dalla molteplicità dei significati
che una medesima parola aveva nei diversi paesi; l'avere pre-
scelto e fatto accettare universalmente un sistema di misure
assolute faciliterà tutti i calcoli, così frequenti nelle applicazioni^
nei quali da grandezze meccaniche si deve passare a grandezze
Determinazione dell'Ohm,
273
elettriche, o viceversa; l'avere scelto le unità fondamentali in
modo, da collegare le unità elettriche col sistema metrico de*
cimale, farà sì che tutte le unità di misura in uso nella scienza
e nelle applicazioni industriali costituiscano- un unico sistema,
completo e grandioso ; finalmente il fatto che questo sistema di
misure fu proposto ed adottato dagli elettricisti di tutti i paesi,
dà a sperare che esso sia per accelerare, almeno pei lavori
scientifici, l'adozione del sistema metrico decimale, anche in
quelle nazioni ove questo sistema non è attualmente in uso.
La scelta delle unità fatta dal Congresso del 1881 fu inspi-
rata da un concetto elevato, e risponde completamente ai de-
sideri della scienza. Tuttavia per diventare veramente pratica,
e per essere accettata come definitiva, essa richiede un lavoro
scientifico preliminare; e lo stesso Congresso* non l'adottò se
non colla condizione che una Commissione internazionale ve-
nisse incaricata di sollecitare e di guidare un tale lavoro.
Questa Commissione internazionale è la prima dell'attuale
Conferenza. L'È. V. permetterà, che senza entrare in conside-
razioni scientifiche, che non potrebbero trovare posto conve-
niente in una semplice relazione come questa, io mi provi a
dare, in poche parole, un'idea del problema da risolversi, e del
modo nel quale la Commissione ha proposto di risolverlo.
Il sistema di unità per le misure elettriche, adottato dal
Congresso degli elettricisti nel 1881, è quello stesso che già
nel 1862 era stato prescelto dzW Associazione britannica per
l'avanzamento delle scienze. Esso è il sistema elettro-magnetico
di Guglielmo Weber, e le unità che lo costituiscono non diffe-
riscono da quelle, di cui si era servito questo grande scienziato
nelle sue classiche Electro-dynantische Maassbestimmungen, se
non per una diversa scelta delle unità fondamentali di lunghezza,
di massa e di tempo ; scelta, colla quale l'Associazione britannica
ed il Congresso ebbero in mira di ottenere un'unità di resi-
stenza, un'unità di intensità di corrente ed un'unità di forza
elettro-motrice di grandezza comoda per gli usi più frequenti
della pratica.
Lasciando, per un momento, indeterminate le unità fonda-
mentali di lunghezza, di massa e di tempo, le unità, che costi-
tuiscono il sistema elettro-magnetico, si possono definire come
segue:
Unità di velocità: la velocità di un mobile che percorre, con
moto uniforme, Tunità di lunghezza nell'unità di tempo.
G. Feuraris. Opere, Voi. II. * 18
274 Prima commissione.
Unità di forza: idi forza che nell'unità di tempo imprime
all'unità di massa l'unità di velocità.
Unità di lavoro : il lavoro fatto da una forza uguale all'unità
quando il suo punto di applicazione percorra nella sua direzione
uno spazio uguale all'unità di lunghezza.
Unità di magnetismo: la quantità di magnetismo, che su di
una quantità uguale a sé stessa, alla distanza uno, esercita una
forza uguale ad uno.
Unità di intensità di corrente: l'intensità di una corrente di
cui l'unità di lunghezza, avvolta su di un arco di circonferenza
di raggio r, esercita su di un polo magnetico situato nel centro
una forza eguale a quella che sul medesimo polo eserciterebbe
un'unità di magnetismo situata alla distanza r.
Unità di quantità di elettricità: la quantità di elettricità che
nell'unità di tempo si trasmette attraverso ad una sezione qua-
lunque di un circuito, quando questo è percorso da una cor-
rente costante di intensità uguale ad uno.
Unità di forza elettro-motrice: la forza elettro-motrice che
si esercita sopra un conduttore quando questo, movendosi in
un campo magnetico d'intensità uguale ad uno, in un piano
perpendicolare alla direzione del campo, genera in ogni unità
di tempo una superfìcie di area uno ; o più in generale : la forza
elettro-motrice colla quale, spendendo in ogni unità di tempo
un lavoro uguale ad uno, si produce una corrente costante di
intensità uguale ad uno; oppure ancora: la differenza di poten-
ziale tra due punti A^ B quando un'unità di elettricità, passando
Ó2i A 2i B, produce un lavoro uguale ad uno.
Unità di capacità elettrica: la capacità di un condensatore,
nel quale una quantità di elettricità uguale ad uno, accumulata
su ciascuna armatura, produce fra le due armature una diffe-
renza di potenziale uguale ad uno.
Unità di resistenza elettrica: la resistenza di un circuito,
nel quale l'unità di forza elettro-motrice produce una corrente
di intensità uguale ad uno; od anche: la resistenza di un con-
duttore, nel quale il passaggio di una corrente di intensità
uguale ad uno produce, in ogni unità di tempo, una quantità
di calore equivalente ad una unità di lavoro meccanico.
Il Weber aveva adoperato nelle sue ricerche, come unità
fondamentali di lunghezza, di massa e di tempo, il millimetro,
la massa di un milligrammo ed il minuto secondo di tempo
solare medio. L'Associazione britannica invece adottò come
Determinazione dell'Ohm. 275
^nità di lunghezza e di massa il centimetro e la massa di un
grammo; e poi, collo scopo di ottenere unità di grandezze più
comode per la pratica, propose:
I.** Di adottare come unità pratica per le resistenze elet-
triche, invece dell'unità elettro-magnetica derivata dal centimetro
e dal secondo, invece dell'unità C G. S,, una resistenza uguale
■a io' di tali unità.
2.° Di adottare come unità pratica per le forze elettro-
.motrici, invece dell'unità C G. S. derivata, giusta la precedente
definizione, dalle unità fondamentali centimetro, grammo, se-
condo, una forza elettro-motrice uguale a io® di tali unità.
3.® Di adottare per conseguenza, come unità pratica di
intensità di corrente e di quantità, come unità pratica di capa-
cità, e come unità pratica di lavoro meccanico, rispettivamente :
un decimo dell'unità C. G. 5. di intensità e di quantità, il nu-
jmero io-» di unità C. G. S. di capacità ed il numero 10^ di
unità C G. S. di lavoro meccanico.
Le unità pratiche, così definite, di resistenza, di forza elet-
tro-motrice, di intensità di corrente, di quantità di elettricità,
di capacità elettrica e di lavoro meccanico sono le unità asso-
lute elettro-magnetiche che si avrebbero prendendo per unità
fondamentali di lunghezza, di massa e di tempo la lunghezza
di dieci milioni di metri, la frazione - — della massa di un
io"
grammo, ed il minuto secondo.
Neil' adottare queste unità pratiche, il comitato dell'asso-
ciazione britannica propose per alcune di esse nomi speciali. I
nomi furono scelti in modo da ricordare quelli dei grandi elet-
tricisti, ai quali sono specialmente dovute le nozioni a cui le
unità di misura stesse si riferiscono. Alla unità pratica di resi-
stenza si diede il nome di Ohm, a quella di forza elettro-motrice
il nome di Volt, a quella di capacità elettrica il nome di Farad,
Il Congresso degli elettricisti, che si adunò nel settembre
del 188 1 a Parigi, diede al sistema di unità dell'Associazione
britannica, già diffuso ed universalmente adoperato fra i tecnici,
una sanzione internazionale. Chiamato a proporre, per tutte le
ricerche e le applicazioni elettriche, un complesso di unità di
misura definitivo, il Congresso ha dovuto preferire ad ogni
altro questo sistema, il quale, essendo assoluto, ha il merito di
ridurre al minimo gli elementi arbitrari; di permettere di pas-
sare facilmente, nei calcoli, da grandezze di una specie a gran-
276 Prima commissione,
dezze di altre specie; di presentare per ciascuna unità dì misura
una definizione scientifica sufficiente per potere in ogni occa-
sione rifare un campione perduto, e controllare una misura per
mezzo dei soli campioni che già possediamo, e che sono il metro
ed il chilogrammo degli archivi.
Però il Congresso dovette preoccuparsi di due cose: della
necessità di dare alle varie unità del sistema adottato nomi
convenienti e della necessità di offrire agli sperimentatori, oltre
alla definizione scientifica delle varie unità, definizioni pratiche
e campioni per le misure usuali.
Era necessario in primo luogo che il Congresso pensasse
a dare alle varie unità adottate nomi convenienti. L'Associa-
zione britannica infatti aveva dato definitivamente un nome
soltanto all'unità di resistenza e a quella di forza elettro-motrice,
denominando la prima ohm e la seconda volL Per le altre gran-
dezze il comitato della Associazione inglese si era limitato a
proporre il nome di farad, col quale si sarebbe potuto signifi-
care l'unità di capacità elettrica, e che avrebbe potuto servire
per denominare anche l'unità di quantità e quella di corrente.
In conformità a questa proposta era invalso l'uso di esprimere
il valore delle quantità di elettricità in farad per volt, e quello
delle intensità di corrente in farad per minuto secondo. Ma
mentre un gran numero di elettricisti si abituava a servirsi di
queste denominazioni, altri nomi si venivano proponendo ed
erano promiscuamente adoperati. Il Latimer Clark dava all'unità
pratica di quantità, ossia alla quantità di elettricità contenuta in
un farad quando la differenza di potenziali è uguale ad un volt^
un nome speciale, e, in onore del fondatore delle misure elet-
triche assolute, la chiamava weber. Denominava quindi l'unità
di intensità: l'intensità di un weber per minuto secondo; e la
denominazione era adottata da molti. Intanto alcuni cominciavano
a denominare weber addirittura l'unità pratica di intensità; altri
col nome di weber rappresentavano l'unità di intensità assoluta
centimetrica (C> G. S.J, ed altri, specialmente in Germania, da-
vano il nome di weber all'unità assoluta d'intensità nel sistema
millimetro, milligrammo, secondo, ossia all'unità della quale si
era effettivamente servito Guglielmo Weber nelle sue classiche
ricerche. Quindi una confusione, per rimediare alla quale era
indispensabile che il Congresso stabilisse in modo definitivo ed
imponesse colla sua autorità i nomi delle diverse unità compo-
nenti il sistema da esso adottato.
Determinazione dell'Ohm, 277
Il Congresso pensò che il modo più sicuro di por termine
alla confusione derivante dalla pluralità dei significati attribuiti
alla parola weber, fosse quello di togliere addirittura questo
nome dai novero di quelli delle unità pratiche adottate. All'unità
pratica di intensità di corrente, ossia alla intensità della cor-
rente prodotta da una forza elettro-motrice uguale ad un volt
in un circuito di resistenza uguale ad un ohm, si diede perciò
il nome di ampère. All'unità di quantità di elettricità, ossia alla
quantità di elettricità che in un minuto secondo si trasmette
attraverso ad ogni sezione di un circuito percorso da una cor-
rente costante di intensità uguale ad un ampère si diede il nome
di coulomb; ed alla unità di capacità elettrica, ossia alla capa-
cità di un conduttore nel quale un coulomb produce un aumento
di potenziale uguale ad un volt, si conservò il nome di farad.
11 sistema delle unità elettriche risultò quindi cosi costituito:
L'unità di intensità di corrente è l'ampère e si può definire:
un decimo dell'unità elettro-magnetica del sistema centimetro,
grammo, secondo; oppure l'unità elettro-magnetica nel sistema
grammo
quadrante terrestre, ^^— , secondo, oppure, praticamente:
V intensità di quella corrente che percorrendo io metri <fi filo
avvolti su di una circonferenza di raggio uguale ad un decimetro,
esercita sull'unità C. G. S. di magnetismo situata nel centro
una forza uguale all'unità assoluta centimetrica, ossia uguale a
circa */,8i di grammo.
L'unità di forza elettro-motrice è il volt/ e si può definire:
IO* unità assolute C G. S./ oppure l' unità assoluta elettro-
grammo
magnetica nel sistema quadrante terrestre, - — -. — , secondo;
oppure, praticamente : la forza elettro-motrice colla quale si può
produrre un ampère consumando in ogni minuto secondo un
lavoro uguale a dieci milioni di unità assolute centimetriche, a
dieci milioni di erg, a circa -_ - di chilogrammetro.
L'unità di resistenza è V ohm, e si può definire: io* unità
C G. S; oppure l'unità assoluta elettro-magnetica nel sistema
quadrante terrestre, — — zj— , secondo; oppure, praticamente:
IO.
la resistenza nella quale una forza elettro-motrice uguale ad un
volt produce una corrente di intensità uguale ad un ampère;
oppure ancora la resistenza di un conduttore nel quale una
278 Prima commissione.
corrente costante di intensità uguale ad un ampère produce in
ogni minuto secondo una quantità di calore equivalente a
io' er£^. ossia a circa — ;r- di chilogrammetro.
9,81
L'unità di quantità di elettricità è il coulomb; e si definisce :
un decimo dell'unità elettro-magnetica C. G, S.; oppure l'unità
, , . » . . . grammo
elettromagnetica del sistema quadrante terrestre, — — , se-
condo; oppure, come si è detto già: la quantità di elettricità
che in un minuto secondo passa a traverso ad una sezione di
un conduttore percorso da una corrente costante d' intensità
uguale ad un ampère.
Finalmente l'unità di capacità è il farad; e si definisce : la
frazione io-9 di un'unità assoluta elettro-magnetica C G. 5. di
capacità; oppure l'unità elettro-magnetica corrispondente alle
unità fondamentali ywarfraw/^ terrestre,— — :^^—, secondo; oppure,
come si è detto già: la capacità di un corpo nel quale una quan-
tità di elettricità uguale ad un coulomb produce un aumento di
potenziale uguale ad un volt.
Con questi nomi imposti dall'autorità di un Congresso scien-
tifico internazionale fu risolta la prima difficoltà a cui ho ac-
cennato, e fu evitato per l'avvenire il pericolo di ogni confusione.
Rimaneva però la seconda difficoltà: quella di ofirire agli spe-
rimentatori, oltre alle definizioni scientifiche delle varie unità,
definizioni pratiche, e, se possibile, campioni per le misure
usuali. Le definizioni sovra riferite, o le altre equivalenti, che
si potrebbero dare delle unità elettro-magnetiche, sono troppo
astratte; e le misure assolute basate direttamente su di esse
richiedono tali mezzi e tale cura da non potersi fare corrente-
mente da chiunque ed in qualunque luogo. Le unità proposte
dal Congresso non avrebbero potuto essere accolte dai pratici
se non alla condizione che si potesse definire la grandezza al-
meno di alcune di esse, dando con sufficiente esattezza i loro
rapporti con grandezze della medesima specie facilmente ripro-
ducibili ed atte a servire come campioni. Né il Congresso
avrebbe prescelto il sistema elettro-magnetico, se non avesse
creduto possibile determinare in un tempo non lontano, con
approssimazione sufficiente per gli ordinari bisogni della pratica,
tali rapporti. Sopratutto era sentita la necessità di avere un
campione dell' ohm, od almeno di conoscere con sicurezza il
Deierminazione dell'Ohm. 279
rapporto dell'ohm con un campione di resistenza atto ad essere
riprodotto, senza bisogno di fare ad ogni volta la diflìcile misura
di una forza elettro-motrice e di una intensità dì corrente in
unità assolute elettro-magnetiche.
Questa necessità era stata sentita già dal Comitato dell'As-
sociazione britannica, il quale si era perciò occupato esso stesso
di misure dirette ad ottenere, espressa in unità elettro-magne-
tiche, la resistenza di fili metallici, ed a costruire campioni
rappresentanti V unità, a cui esso aveva dato il nome di ohm.
Il Comitato aveva esteso i suoi studi aUa ricerca del metallo
più conveniente per la costruzione di campioni invariabili di
resistenza; ed in conformità della proposta fatta dal Matthiessen
in seguito ad una estesa serie di ricerche, esso aveva costrutto,
per essere distribuiti agli elettricisti, campioni fatti con una lega
dì 33f4 di platino e di 66,6 d'argento. Intanto, per servire ad
ulteriori ricerche esso aveva costrutto, con due metalli semplici
e con tre leghe diverse, dieci campioni dell'ohm, due per ogni
specie. I due metalli semplici erano l'oro ed il mercurio; le
leghe erano di oro ed argento, di platino ed argento, di platino
ed iridio. I dieci campioni erano stati depositati nell'osservatorio
di Kew insieme agli istrumenti destinati a riconfrontarli di tempo
in tempo.
Ma le misure fatte dal Comitato della Associazione britan-
nica non furono, né pel metodo seguito, né per i risultati che
diedero, esenti da critiche severe. Il Kohlrausch con un esame
minuzioso delle vane cause d'errore che avevano potuto alte-
rare i risultati di quelle misure, e colla discussione dei risultati
delle medesime, asserì che il campione di resistenza determinato
dell'Associazione inglese poteva differire dal vero, ossia da ciò
che avrebbe dovuto essere secondo la definizione teorica, del
due od anche del tre per cento.
Fece poi egli stesso nuove determinazioni e trovò come
risultato un valore dell' ohm inferiore di circa 2 per cento a
quello della Associazione britannica. Intanto, mentre Stoleiow
riconferma i risultati di Kohlrausch, il Dehms in un notevole
lavoro trova per l'ohm un valore molto più grande, e superiore
non solo a quello di Kohlrausch e di Stoletow ma anche a
quello della Associazione britannica; Hermann Siemens ritrova
il valore ottenuto da Dehms, e Lorenz con un metodo nuovo,
che ha il merito di impiegare correnti costanti, trova per l'ohm
un valore più grande ancora, valore che supera quello dato
28o Prima commissione.
dairAssociazione britannica di circa 2,6 per cento. Il professore
H, Friedrich Weber di Zurigo viene dopo, ed in base a sue
determinazioni, dà per l'ohm un valore molto prossimo a quello
della Associazione inglese. E finalmente Lord Raykigh e Ar-
turo Schuster riprendendo il metodo già seguito dall'Associa-
zione britannica, e valendosi dei medesimi apparecchi, conchiu-
dono che il valore trovato dalla Associazione supera il vero di
circa 1,1 per cento.
A queste discrepanze dei risultati delle misure si aggiun-
gevano differenze di opinioni sulla scelta più conveniente del
metallo per definire praticamente l'unità di resistenza, e per
farne de' campioni. Werner Siemens di Berlino, che già nel 1860,
un anno prima che il Comitato dell'Associazione britannica
cominciasse i suoi lavori, aveva proposto e costrutto la sua
unità di resistenza (la resistenza di una colonna di mercurio
di un metro di lunghezza e di un millimetro quadrato di sezione,
alla temperatura di zero gradi), sosteneva che il mercurio era
l'unico metallo atto a servire alla definizione della unità, e che
alla costruzione di campioni per le misure usuali poteva servire
il pakfong. Con lui era una schiera di scienziati, specialmente
tedeschi. Invece il Matthiessen, il Fkemtng Jenkin, ed altri non
ammettevano la possibilità di ottenere con una colonna di
mercurio una resistenza atta al confronto dei campioni usuali,
e per la costruzione di questi preferivano la lega dell'Associa-
zione britannica, di platino ed argento.
In mezzo a tale discrepanza di numeri e di opinioni era
adunque indispensabile, che nuove ricerche, autorevoli, definitive
venissero a mostrare se, e con quale precisione, le resistenze
si possono sperimentalmente comparare colla unità elettro-ma-
gnetica prescelta: senza di ciò l'ohm non sarebbe che un'unità
empirica come tutte le altre, la quale all'inconveniente di essere
difficile a definire ed a riprodurre non contrapporrebbe altro
vantaggio che quello di facilitare nei calcoli più grossolani al-
cune valutazioni pratiche. Era inoltre necessario che si ponesse
termine alle discussioni sul metallo da scegliersi per definire
praticamente l'unità.
Il Congresso internazionale del 1881 risolse questa seconda
questione stabilendo che il valore dell'ohm dovesse praticamente
definirsi per mezzo della lunghezza, in metri, di una colonna
di mercurio a zero gradi, della sezione trasversale di un milli-
metro quadrato. Ed in quanto alla prima questione, a quella
Detep-minazione del/' Ohm. 281
che si riferisce al valore dell'ohm, deliberò che lo studio di
essa fosse affidato ad una Commissione internazionale. La Com-
missione ebbe adunque il mandato seguente: Determinare la
lunghezza che deve avere una colonna di mercurio puro alla tem-
peratura di 0°, di sezione trasversale uguale ad un millimetro
quadrato, acciocché la sua resistenza sia uguale ad un ohm.
Per corrispondere a questo mandato la Commissione doveva
occuparsi successivamente di due distinti lavori:
i.° Studiare i vari metodi per la misura assoluta delle
resistenze elettriche fin qui adoperati o proposti; esaminare,
confrontare e discutere i risultati finora ottenuti, per vedere se
coi medesimi fosse fin d'ora possibile determinare con un'esat-
tezza sufficiente, per gli usi ordinari della pratica, il valore
dell'ohm; e nel caso che i risultati attualmente conosciuti non
fossero sufficienti per questa determinazione, indicare i metodi
migliori da seguirsi per nuove esperienze, tracciare il pro-
gramma di lavori ulteriori. Studiare analogamente le operazioni
necessarie per confrontare la resistenza di un conduttore me-
tallico, misurata in unità assolute nel modo ora detto, con
quella di una colonna di mercurio puro, a zero gradi, di di-
mensioni conosciute, onde calcolare la lunghezza della colonna
di mercurio di tin millimetro quadrato di sezione, la quale rap-
presenta colla approssimazione voluta il valore dell'ohm.
a.*» Cercare in seguito il modo migliore per costruire
campioni effettivi di resistenza, i quali soddisfacciano alla con-
dizione di conservarsi inalterati così da rimanere per un tempo
abbastanza lungo comparabili con sé stessi. Collo studio dei
procedimenti per la costruzione effettiva dei campioni di resi-
stenza si collegherebbe quello delle questioni relative ai metodi
per la loro riproduzione, e di quelle relative ai luoghi, agli
istituti ed alle persone che li dovranno conservare e riprodurre.
Nella sua prima sessione, che si è chiusa testé, la Com-
missione non si occupò che del primo di questi due lavori; ed
anche di questo non potè fare altro che una parte.
Il confronto dei risultati ottenuti dai vari sperimentatori
che prima d'ora hanno fatto misure assolute di resistenza,
confronto al quale io stesso ebbi poc'anzi occasione di alludere,
pone in evidenza l'assoluta insufficienza di questi risultati e la
necessità di nuove determinazioni. Perciò la Commissione in-
temazionale dovette rinunciare a stabilire fin d'ora il valore
delPohm in colonna di mercurio, e rivolgere invece il proprio
282 Prima commissione.
studio ai mezzi più opportuni per sollecitare, aiutare ed indi*
rizzare i lavori degli sperimentatori. A quest' uopo la prima
cosa da farsi consisteva nel passare a rassegna i diversi metodi
per le misure assolute di resistenza, onde classificarli secondo
la loro attendibilità, e raccomandare agli sperimentatori quelli
che si presentassero come suscettibili di dare buoni risultati.
Innanzi tutto la Commissione considerò che le difficoltà e
la cause di errore, che si presentano nelle misure assolute,
sono di tale natura da non potere essere ponderate se non
pei procedimenti che furono già effettivamente messi in pratica»
Prescindendo perciò da ogni giudizio sui metodi proposti
ma non ancora sperimentati, essa prese in esame, classificandoli ^
i vari procedimenti che hanno già avuto la consacrazione del-
l'esperienza.
Come conclusione della discussione che fece di questi pro-
cedimenti la Commissione approvò la seguente lista di metodi,
che essa propone come particolarmente atti a dare risultati
precisi:
i.° Metodi basati sulla misura dell'intensità della corrente
indotta in un circuito chiuso nell'atto della chiusura o della
rottura di una corrente di intensità misurata, circolante in una
spirale di note dimensioni (Metodo di Kirchhofi).
2.^ Metodi nei quali si misura in unità elettro-magnetiche
l'intensità della corrente indotta dal magnetismo terrestre in
una grande spirale di note dimensioni, quando questa viene
fatta rotare di 180 gradi attorno ad un suo diametro. Questi
metodi, che presentano varie differenze nei particolari^ e spe-
cialmente nel modo di determinare la superficie della spirale
del moltiplicatore e l'azione sua sull'ago, sono dovuti a Gu-
glielmo Weber, che li adoperò con buoni risultati.
3.° Metodo nel quale la resistenza di un moltiplicatore
viene determinata per mezzo dello smorzamento delle oscillazioni
di un ago magnetico situato nel suo interno. Anche questo
metodo è dovuto a Guglielmo Weber, che ne fece uso nelle
classiche sue ricerche elettro-dinamiche.
4.*» Metodo che ha servito nelle misure fatte dalla Asso-
ciazione britannica. Questo metodo, come i due precedenti, è
di Guglielmo Weber. Esso consiste nel misurare la deviazione
di una leggiera calamita, appesa al centro di una spirale cir*
colare che si fa rotare, con moto uniforme e con velocità nota,
attorno al proprio diametro verticale. Le difficoltà e le cause
Determinazione deiPOInn. 283
di errore che si presentano in questo procedimento sono gra-
vksime^ ed è noto come dall'esame delle medesime il Kohlrausch
traesse serie obbiezioni contro l'operato della Associazione inglese.
Tuttavia le recenti riccrdie di lord Rayldgh e del Scfauster^
le quali furono eseguite cogli apparecchi medesimi dell'Asso-
ciazione britannica, hanno tale valore, che il metodo non po-
trebbe non essere preso in considerazione.
5.<» Metodo del Lorenz, Questo metodo si distingue^ fra
quelli finora adoperati, per essere basato sull'uso di sole cor-
renti costanti. In esso la forza elettro-motrice necessaria per la
misura assoluta della resistenza è prodotta dall' induzione di
una corrente elettrica costante sopra un disco circolare di
rame rotante attorno al centro, nel proprio piano. È noto che
una corrente costante di forma circolare fa girare un disco me-
tallico concentrico, quando questo è percorso da correnti radiali ;
inversamente, se si imprime al disco metallico un movimento
di rotazione, si produce una forza elettro-motrice diretta secondo
i raggi del disco, la quale si può raccogliere per mezzo di due
sfregatoi collocati l'uno al centro, l'altro alla circonferenza.
Questa forza elettro-motrice è proporzionale alla intensità 1 della
corrente circolare induttrice ed alla velocità angolare w del
disco; detta C una costante che dipende unicamente dalle di-
mensioni del disco, e che si sa calcolare, la forza elettro-motrice
d'induzione vale Cm i. Intanto la corrente induttrice di intensità i
si fa passare pel filo di cui si vuol misurare la resistenza r, e
produce alle due estremità del medesimo una differenza di po-
tenziale uguale ad ri. Se si mettono i due sfregatoi, in comu-
nicazione, mediante due fili, colle estremità suddette, in modo
che la forza elettro-motrice d'induzione si opponga alla ri, e
si fa variare la velocità o) finché un galvanometro inserto su
uno dei fili partenti dagli sfregatoi indichi che in questo filo, e
quindi nel disco, non c'è corrente, si ha Co> i=r i, ossia rs^ Co.
La resistenza r si può adunque calcolare in unità elettro-ma-
gnetiche assolute, senza bisogno di misurare altro che le di-
mensioni del disco, dalle quali dipende il valore di C, e la
velocità angolare co del medesimo. Questo metodo, posto in
pratica dal Lorenz, ha condotto ad un numero assai diversa
da tutti i precedenti: ad una lunghezza della colonna di mercurio
equivalente all'ohm, la quale supera quelle date dagli altri spe-
rimentatori di circa il 2 per cento. Egli è probabile che le
numerose cause di errore che in esso si presentano siano molto
:284 * Prima commissione.
gravi, e la discussione che di esse si fece in seno alla Com-
missione lo ha dimostrato. Le difficoltà più gravi stanno nelle
forze elettro-motrici termo-elettriche, che possono generarsi nei
-contatti del disco cogli sfregatoi, e nella incertezza della misura
•del diametro del disco. Tuttavia il vantaggio di non richiedere
la misura assoluta né di intensità di correnti, né di campi ma-
gnetici, e l'eleganza del metodo sono tali che la Commissione
non solo ammise il metodo fra i raccomandabili, ma si senti
inclinata a dare al medesimo una importanza eccezionale. Il
Lorenz poi presentò alla Commissione una proposta di modifi-
cazione, che eliminerebbe, secondo le sue speranze, la difficoltà
dei contatti mobili e delle forze elettro-motrici termo-elettriche
che ne sono la conseguenza. La modificazione consisterebbe
nell'adoperare, invece di uno, due dischi rotanti in sensi opposti
e toccantisi alla periferia. La forza elettro-motrice si raccoglie-
rebbe allora ai centri dei due dischi.
Oltre ai metodi sovra enumerati, nei quali si fa uso di una
forza elettro-motrice prodotta dalla induzione magneto-elettrica
« calcolabile in unità elettro-magnetiche, si ha il procedimento
calorimetrico, nel quale la resistenza di un conduttore viene
dedotta dalla quantità di calore in esso prodotta da una corrente
di intensità conosciuta. Questo metodo, uno dei più diretti, è
anche uno dei più importanti nella storia della questione, sopra-
tutto per l'applicazione che ne fece il Joule, che controllò per
mezzo del medesimo i risultati delle misure del Comitato della
Associazione britannica. Attualmente però esso non potrebbe
essere adoperato come mezzo per trovare il valore esatto del-
l'ohm, in causa dell' incertezza in cui siamo circa il valore del-
l' equivalente dinamico del calore. Questa incertezza, dovuta
specialmente ai risultati delle ultime ricerche del Régnault, è
grandissima. E quindi, benché nella discussione, che se ne fece,
il W. -Thomson abbia asserito che la discrepanza tra il valore
dell'equivalente dinamico del calore dedotto dalle esperienze del
Régnault e tutti gli altri sia dovuta ad una imperfezione nel
modo di porre a calcolo le esperienze, e che, fecondo la sua
convinzione, il valore dell' equivalente dinamico del calore si
possa fin d'ora fissare tra 424 e 425 con un errore minore di Va
per cento, la Commissione credette di non potere annoverare
il metodo calorimetrico fra quelli specialmente raccomandabili
per la determinazione dell' ohm. Ciò non toglie che le misure
della quantità di calore svolta in dati conduttori da correnti di
Determinazione dell'Ohm. 285
intensità conosciute non siano utilissime, giacché se esse, per
ora, non possono condurre alla determinazione delle resistenze
in misura assoluta, potranno essere utilissime per la determi-
nazione definitiva dell'equivalente dinamico del calore. A questo
titolo la Commissione internazionale raccomandò agli sperimen-
tatori, insieme ai metodi elettro-magnetici sovra enumerati, le
misure calorimetriche sulle correnti.
Annoverati per tal modo, e classificati i vari procedimenti?
degni di essere specialmente raccomandati agli sperimentatori,,
la Commissione si dovette occupare del grado di approssima-
zione che i risultati delle misure dovranno avere, onde si possa
pensare a preparare, per mezzo dei medesimi, campioni suffi-
cienti per le applicazioni più ordinarie della pratica. La deter-
minazione esatta della lunghezza della colonna di mercurio della
sezione di un millimetro quadrato, la cui resistenza è uguale ad
un ohm, non potrà essere ottenuta né in uno né in pochi anni
di esperienze, non la si otterrà mai; e comunque si facciano »
campioni di questa unità di misura, rimarrà sempre agli scien-
ziati il problema di determinare Terrore. Ma la pratica, special-
mente quella delle applicazioni industriali, domanda con urgenza
almeno una soluzione approssimata. Quindi la Commissione fu
d'avviso, che, per rispondere a questo bisogno delle applicazioni,,
si dovesse nella determinazione del campione delTohm consi-
derare come sufficiente una approssimazione di un millesimo :
approssimazione che, se supera notevolmente quella dei risultati
già ottenuti, sì spera di poter ottenere in un tempo non lontano
colle nuove ricerche. Essa adunque ammise che allorquando i
risultati delle diverse determinazioni presenteranno una concor-
danza, la quale permetta di assicurare la approssimazione di un
millesimo, converrà arrestarsi a questa approssimazione per
fissare subito il valore del campione pratico di resistenza.
Dopo queste decisioni incombeva alla Commissione inter-
nazionale il dovere di aiutare coi suoi pareri e coi suoi voti le
nuove esperienze. Ed a questo scopo emise i due voti seguenti :
Che il Governo francese prendesse le disposizioni neces-
sarie acciocché un medesimo campione, o parecchi campioni di
resistenza vengano messi a disposizione degli sperimentatori
che si occupano di misure assolute, onde facilitare i confronti.
Che il Governo francese si assumesse V incarico di tras-
mettere ai Governi rappresentati nella conferenza un voto ten-
dente a far sì che ciascuno di essi, considerando V importanza
^86 Seconda commissione.
€ l'urgenza di una soluzione pratica del problema, prendesse
le disposizioni necessarie per favorire le ricerche dei suoi na-
zionali relative alla determinazione delle Unità elettriche.
Si presentò da alcuni dei delegati alla conferenza la pro-
posta di studiare fin d'ora l'impianto di uno stabilimento inter-
nazionale destinato alla determinazione, alla costruzione, alla
conservazione ed alla riproduzione dei campioni per le misure
elettriche, ed alle ricerche che vi si collegano. Ma la grande
maggioranza della Commissione fu d'avviso che il momento di
pensare a ciò non fosse ancora venuto. Nello stato attuale della
<|uestione, il lavoro che bisogna fare consiste nel moltiplicare
le determinazioni, nel provare i metodi più svariati, nello stu-
ellare il problema sotto tutti gli aspetti, nell' attaccarlo da tutte
le parti. Occorre adunque, e questa è la cosa più urgente, che
il più grande numero di sperimentatori si accinga a tali ricerche
delicate; e siccome queste richiedono mezzi superiori a quelli
che ordinariamente posseggono i singoli laboratori, è deside-
rabile, è indispensabile, che i Governi, che col farsi rappresentare
nella conferenza dimostrarono di interessarsi a questo grande
lavoro scientifico, vengano in aiuto di quelli che possono degna-
mente rappresentarli nella palestra internazionale che si è aperta.
SECONDA COMMISSIONE.
Correnti elettriche terrestri,
elettricità atmosferica e parafulmini.
Collegamento telegrafico degli osservatori meteorologici.
In conformità delle risoluzioni adottate dal Congresso degli
-elettricisti nella seduta del 5 ottobre 1881, il mandato della
seconda Commissione era il seguente:
I. Precisare i metodi d' osservazione per V elettricità atmo-
sferica, allo scopo di generalizzarne lo studio.
II. Riunire gli elementi statistici relativi all' efficacia dei
parafulmini dei diversi sistemi, ed all'azione preservatrice o
nociva delle reti telegrafiche e telefoniche.
Correnti elettriche terrestri, ecc. 287
HI. Organizzare lo studio sistematico delle correnti terrestri
sulle linee telegrafiche, od almeno le osservazioni di tali cor-
renti nei giorni termini specificati dalla Commissione polare
internazionale all'epoca delle sue spedizioni (il i.** ed il 15 di
ciascun mese).
IV. Studiare le migliori condizioni di impianto di una rete
ielemeteorografica internazionale, la quale permetta alle varie
stazioni di comunicare tra loro senza interruzione, onde ottenere
così, in modo continuo, lo stato meteorologico del più grande
iiumero possibile di punti utili.
La Commissione esaminò, Tuna dopo l'altra tutte quattro
le questioni su nominate.
<2uESTiONE I. — Precisate i metodi di osservazione per /' elet-
tricità atmosferica allo scopo di generalizzarne lo studio.
Lo studio deirelettricità atmosferica si divide naturalmente
in due parti: nella osservazione continua delle variazioni pe-
riodiche regolari del potenziale elettrico dell'aria; e nella os-
servazione dei fenomeni elettrici che accompagnano gli uragani.
La prima parte, l'osservazione continua e regolare dell'elet-
tricità dell'aria, ha molta importanza: da essa dipende la solu*
zione di questioni ancora controverse, le quali interessano
moltissimo lo studio dei fenomeni dell'atmosfera. Una di queste,
che citerò come esempio, fu oggetto di discussione nelle riunioni
stesse della Commissione; ed è questa: se il potenziale elettrico
dell' atmosfera presenti quotidianamente due massimi e due mi-
nimi, come pare risultare dalle osservazioni fatte àdXVEverett o
se invece esso presenti un solo massimo ed un solo minimo
giornaliero, come pare che risulti dalle regolari osservazioni
del Mascari. Bisognava adunque promuovere questo studio, ed
additare agli studiosi i procedimenti migliori per ricavarne
buoni risultati.
Per promuovere le osservazioni dell* elettricità atmosferica
la Commissione non aveva che un mezzo: emettere un voto,
il voto che i governi delle nazioni rappresentate nella confe-
renza incoraggino e diffondano, ciascuno nella propria sfera,
tali studi. Questo voto fu adottato all'unanimità; ed io adempio
a un dovere segnalandolo all'È. V.
Emesso questo voto, la Commissione doveva discutere i
procedimenti per le osservazioni del potenziale elettrico del-
l'aria. Anche su ciò essa si trovò unanime. Il potenziale elet-
288 Seconda commissione.
trico dell'atmosfera è variabilissimo, e le sue variazioni repentine
avvengono bruscamente, irregolarmente, per salti. Sarebbe quindi
impossibile ricavare alcuna conseguenza da osservazioni fatte
di tempo in tempo, anche se ad intervalli molto brevi; osser-
vazioni fatte solamente in istanti determinati difficilmente po-
trebbero condurre alla conoscenza della legge generale, principale,
del fenomeno. La Commissione quindi fu d'avviso di consigliare
r installazione di apparecchi ad indicazione continua, di appa-
recchi registratori. Il Mascari^ professore nel Collegio di Francia
e direttore dell'uffizio centrale meteorologico di Parigi, indicò
come convenientissimo l'apparecchio di cui egli si serve.
Questo apparecchio si compone di un raccoglitore della
elettricità dell'aria, e di un elettrometro registratore. Il racco-
glitore è a scolo di liquido ed è costituito da un grande reci-
piente cilindrico di metallo, da cui si diparte in basso un piccolo
tubo, donde effluisce un filo di liquido.
L'apparecchio può essere collocato a qualunque altezza.
Come liquido si può, nelle condizioni ordinarie, adoperare
l'acqua pura; e quando la temperatura è bassa, basta aggiungere
all'acqua alquanto alcool per impedire la congelazione; nei casi
eccezionali di freddi intensissimi, si può adoperare l'alcool puro^
L'apparecchio registratore è un elettrometro a quadrante
di W. Thomson colla disposizione più semplice che gli ha dato
il Mascart. Le deviazioni dello specchietto sono registrate, per
mezzo della fotografia, su di una striscia di carta, che si muove
verticalmente con moto uniforme.
La Commissione, invitata dal Mascart, potè vedere nel la-
boratorio di fisica del Collegio di Francia l' installazione dello
strumento. La massima cura, in una installazione come questa^
si deve avere per il perfetto isolamento; stando alle osserva-
zioni del Mascart ed a quelle del Thomson, risulta possibile
che l'apparenza di un doppio periodo giornaliero, con due
massimi e con due minimi, si possa attribuire ad una insuffi-
cienza delle disposizioni prese per isolare gli apparecchi.
Dietro proposta di sir W. Thomson, la conferenza affermò
inoltre l'opinione che, oltre all'osservazione del potenziale elet-
trico esterno, sia utile fare osservazioni sull'elettricità dell'aria
nell'interno degli edifizi. Secondo i risultati di alcune esperienze
citate da Helmholtz risulta che le osservazioni del potenziale
dell'aria si possono fare assai bene e regolarmente nell'interno
di una camera, alla condizione che le pareti sieno sufficiente-
Correnti elettriche terrestri, ecc. 289
mente conduttrici per assumere in ogni istante un potenziale
uniforme.
Quanto alla comparabilità delle osservazioni fatte nei diversi
osservatori, la questione è duplice. Si debbono considerare se-
paratamente la comparabilità degli elettrometri, e quella dei
risultati delle osservazioni fatte coi medesimi del potenziale
elettrico dell'atmosfera. Ora la comparabilità degli elettrometri
è certamente sufficiente quando questi sieno apparecchi a qua-
drante del sistema Thomson, come sopra si è detto. Non sòia-
mente è facile verificare se le condizioni di un medesimo elei-
trometro si mantengono inalterate, in modo che le misure fatte
col medesimo in tempi diversi si possano paragonare con suf-
ficiente esattezza tra di loro; ma non è difficile nemmeno pa-
ragonare con sufficiente esattezza due elettrometri diversi situati
in luoghi diversi; basta infatti paragonare le deviazioni segnate
dai due apparecchi quando sono adoperati a misurare una me-
desima differenza di potenziali, per esempio quella di una pila
Danieli dì un certo numero di elementi. Ma lo stesso non è dei
risultati delle osservazioni del potenziale atmosferico fatte nei
diversi osservatori. Queste non sono facili a compararsi; esse
sono influenzate dalle conformazioni del luogo dove vengono
eseguite. Il Thomson indicò il solo artifizio che si abbia per
rendersi conto, in qualche modo, di questa influenza. Bisogna
fare simultaneamente osservazioni nella stazione meteorologica
ed in stazioni provvisorie poste in mezzo ad uno spazio largo,
libero e scoperto, scelto in prossimità della stazione meteoro-
logica. A quest'uopo si scava nel suolo una fossa sufficiente
perchè vi possa stare un osservatore munito di un elettrometro
portatile; il potenziale dell'aria è preso per mezzo di una miccia
collocata alla altezza di tre o quattro metri dal suolo.
Tutto ciò riguarda lo studio regolare e continuo del po-
tenziale atmosferico, nelle condizioni normali. Un'altra parte
importante dello studio dell'elettricità dell'atmosfera è, come ho
detto, quella dei fenomeni che accompagnano gli uragani. Per
lo studio di questi fenomeni sarebbe utilissimo che si riuscisse
ad aggiungere ai dati raccolti negli osservatori meteorologici,
quelli che si potrebbero raccogliere negli uffizi telegrafici. L'in-
sieme di tutte le osservazioni, che si avrebbero così riunite,
darebbe un'immagine più esatta della variazione dell'elettricità
atmosferica sopra regioni molto estese. Coli' intento di ciò ot-
tenere, l'osservatorio meteorologico centrale di Parigi distribuisce
G. FcRKARis, Opere, Voi. II. 19
290 Seconda coìiwiissione.
a tutti gli uffici telegrafici francesi bollettini dei temporali, dove
si debbono inscrivere i numeri dei fili telegrafici sui quali gli
uragani si fanno sentire, l'ora delle osservazioni ed i principali
fenomeni osservati. È bensì vero, che spesso le esigenze del
servizio telegrafico rendono impossibili le osservazioni desiderate;
finché infatti le perturbazioni dovute al temporale non sono così
forti da rendere impossibile il servizio, l'impiegato seguita a
telegrafare, e quando le perturbazioni diventano molto intense,
egli, per preservare gli apparecchi telegrafici, mette la linea a
terra e non può quindi più nulla osservare. Ma un risultato
utile si potrà ciò nonostante ricavare, ed è l'indicazione precisa
del momento in cui il temporale ha cominciato a farsi sentire;
a questo riguardo i telegrafisti non si possono sbagliare. Per
questo motivo la pratica seguita dall' uffizio meteorologico di
Parigi è raccomandabile, e la Commissione affermò il desiderio
di vederla estesa anche negli altri paesi. Ed a ciò si riduce
tutto quanto la Commissione poteva fare, su questo punto, in
questa sua prima riunione; essa non potè fare altro che espri-
mere il voto che lo studio degli uragani venga esteso a tutti i
paesi.
Questione IL — Riunire gli elementi statistici relativi all'efficacia
dei parafulmini ed all'azione preservatrice o nociva delle reti
telegrafiche e telefoniche,
A preparare materiali utili per lo studio degli effetti del
fulmine, per quello delle questioni relative all'efficacia de' para-
fulmini e per l' influenza preservatrice o dannosa delle reti
telegrafiche e telefoniche, danno opera già fin d'ora, benché iso-
latamente, alcuni osservatori. Fra questi merita di essere citata
con lode l'uffizio centrale meteorologico di Roma diretto dal
professore P. Tacchini, il quale già dall'anno scorso ha comin-
ciato a notare nei bollettini, oltre agli altri elementi dei tem-
porali, anche i danni del fulmine. Egli é certo che se la pratica
fosse seguita da tutti gli osservatori ove si fa lo studio degli
uragani, sarebbe possibile raccogliere, in un tempo non lungo,
dati preziosi ed istruttivi.
Ma l'opera degli osservatori vorrebbe essere aiutata da
quella di tutte le amministrazioni che vi possono avere interesse.
E benché fin d'ora alcune di queste, segnatamente le ammini-
strazioni telegrafiche e telefoniche, per cui le questioni collegate
a questo studio hanno maggiore importanza, vadano raccogliendo
e or retiti elettriche terrestri, ecc. 291
utili osservazioni, egli sarebbe desiderabile che queste venissero
estese, regolate da criteri generali, e, quel che più monta, coor-
dinate e comunicate regolarmente agli uffizi meteorologici .
Questo è il voto emesso dalla Commissione: che i Governi rap-
presentati nella conferenza organizzino ed incoraggino tutte le
osservazioni che hanno attinenza cogli effetti del fulmine e col-
r efficacia dei parafulmini, ed invitino tutte le amministrazioni a
ciò più interessate a moltiplicare per proprio conto le osservazioni,
ed a farle conoscere regolarmente.
Per precisare le regole relative a questo studio, e per fa-
cilitare la comparazione delle varie osservazioni, su cui si dovrà
basare la desiderata statistica sull'efficacia dei parafulmini e
sull'azione delle reti telegrafiche e telefoniche, la Commissione
adottò due questionari da trasmettersi ai Governi perchè li di-
stribuiscano a tutti quelli da cui si potranno avere utili osser-
vazioni. Il primo di questi questionari si riferisce ai colpi di
fulmine fuori delle linee telegrafiche o telefoniche, e mira spe-
cialmente allo studio dell'efficacia dei parafulmini. L'altro si
riferisce ai colpi di fulmine sulle lìnee telegrafiche e telefoniche,
o nelle abitazioni collegate coi fili; e questo mira a constatare
l'azione preservativa o dannosa delle reti medesime.
I due questionari sono i seguenti:
PRIMO QUESTIONARIO.
•Colpi di fulmine fuori delle linee telegrafiche o telefoniche.
I.*» Località:
Posizione geografica — Ora.
2.' Natura dell'oggetto colpito:
Casa ^
, j Altezza — Modo di costruzione —
Chiesa f Materiali - Natura del tetto e
Monumento pubblico . . V della sua ossatura — Masse me-
Costruzione in generale. , uniche - Travi di ferro, ecc.
Alberi (specie, altezza).
Pagliai o fienili.
Persone - animali.
3.** Posizione di questi oggetti:
Dintorni: L'oggetto è isolato o vicino a case o ad
:alberi poco elevati? — A quale distanza? — Natura del suolo.
— Sonvi giacimenti metallici o lame d'acqua nelle vicinanze?
292 Seconda commissione.
4.® Natura dei guasti :
Strada seguita dalla folgore. — Oggetti abbruciati, fusi o
distrutti. — Incendi consecutivi. — Effetti meccanici. — Tra-
sporto di materiali. — Sono state toccate dal fulmine condotte
d'acqua, di gas, o di caloriferi? — Sembra che esse abbiano
avuta una parte nei danni?
S.*' Esiste un parafulmine, sia sull'oggetto colpito, sia nelle
vicinanze?
Quale è la distanza^ e quale l'altezza del parafulmine, re-
lativamente alla posizione del colpo di fulmine?
Indicare il sistema di parafulmine e descriverne la co-
struzione. — Numero delle punte, loro altezza, loro diametro,
natura delle loro estremità. — Numero dei conduttori lungo il
tetto, loro forma, loro sezione e loro diametro. — Numero delle
sbarre di comunicazione col suolo e loro diametro.
Stato dell'apparecchio prima dell'accidente. — Data della
costruzione e dell'ultima verificazione, se ne è del caso.
Stato della comunicazione colla terra. — Natura, gran-
dezza e forma delle superficie di contatto col suolo. — Natura
del terreno.
Sono i parafulmini posti in comunicazione colle condotte
d'acqua e di gas, ed in qual modo? — Sonvi masse metalliche
nelle vicinanze? Sono queste collegate col parafulmine?
6.° Informazioni diverse:
Vi ebbero parecchi colpi successivi? — Vi ebbero altri
colpi di fulmine nelle vicinanze, ed a quale distanza? — Fu il
colpo di fulmine preceduto da pioggia, da grandine o da una
tromba? — Testimonianza delle persone che hanno veduto il
colpo di fulmine.
SECONDO QUESTIONARIO.
Colpi di fulmine sulle linee telegrafiche o telefoniche
o nelle abitazioni collegate coi fili.
i.« Località:
Posizione geografica — Ora.
2.° Accidenti sui fili:
Natura del filo colpito. — Diametro. — Modo di installa-
zio ne. — Natura, dimensioni e modo di preparazione dei pali.
— Numero dei fili portati dai pali nel punto colpito. — Isolatori.
Correnti elettriche terrestri, ecc, 293
Natura e modo dì installazione. — Esistono parafulmini sui pali
vicini? — Distanza dal punto colpito alle stazioni vicine da una
parte e dall'altra.
Guasti sulla linea a qualche distanza dal punto colpito.
Guasti sugli oggetti vicini. — Natura di questi guasti. —
Fusione e volatilizzazione dei metalli. — Trasporti metallici.
3.° Accidenti nelle abitazioni :
Uffici telegrafici e stazioni telefoniche. — Natura della
linea. — Modo di costruzione. — Natura e diametro del filo.
Modo d'installazione degli appoggi vicini. — Numero dei
fili che essi portano. — Cammino seguito dal fulmine. — Guasti
sui parafulmini. — Natura dei parafulmini. — Guasti sugli ap-
parecchi, sugli oggetti vicini, sulle persone. — Traccie lasciate
sui vari apparecchi, e tra gli altri sulle piastre dei commutatori.
— Per le stazioni telefoniche indicare la natura degli apparecchi
— V'è un microfono ed una pila? — Natura della comunica-
zione col suolo.
Influenza della vicinanza dei tubi del gas e dell'acqua. —
Modo di unione di questi tubi.
Preparato in questo modo il piano del lavoro che dovrà
fornire gli elementi per una statistica dei casi di fulmine, la
Commissione chiuse le sue discussioni sulla seconda quistione
esprimendo ancora un desiderio: il desiderio che, per cura delle
pubbliche amministrazioni, i parafulmini vengano sottoposti ad
una verificazione periodica.
Questione III. — Organizzare lo studio sistematico delle correnti
terrestri sulle linee telegrafiche, od almeno le osservazioni di
tali correnti nei giorni " termini „ specificati dalla Commis-
sione polare internazionale all'epoca delle sue spedizioni.
Il modo migliore di fare lo studio delle correnti terrestri
sarebbe, se fosse attuabile, quello di far servire a ciò, in cia-
scun paese, almeno due lunghe linee telegrafiche dirette prefe-
ribilmente l'una dal nord al sud, e l'altra dall'est all'ovest; ed
installare su queste linee apparecchi registratori da cui si pos-
sano avere indicazioni continue. Il Mascari, a questo riguardo,
ammetteva non essere impossibile combinare un apparecchio
reometrico registratore tale da poter lavorare regolarmente an-
che durante il servizio telegrafico.
294 Seconda commissione.
Nelle condizioni attuali però l'idea di istituire osservazioni
continue su linee telegrafiche in esercizio non è attuabile. Parve
alla Commissione essere assai più pratico rinunziare, per ora,
al vantaggio di poter operare su grandi distanze, e proporre
invece la costruzione di linee telegrafiche anche brevi, ma uni-
camente destinate alle osservazioni delle correnti terrestri, e
collegate perciò direttamente cogli osservatorii. È molto proba-
bile che, ricorrendo ad apparecchi di misura abbastanza sensi-
bili, si possano ricavare indicazioni utili anche su linee di lun-
ghezza piccolissima; linee di tre a cinque chilometri potrebbero
in alcuni casi essere sufficienti. Ora la spesa necessaria per
l'impianto di linee così fatte potrebbe non superare quella che
in tutti i paesi un osservatorio scientifico può ragionevolmente
chiedere al Governo in servizio degli studi. Nella Russia l'espe-
rimento è già avviato, ed alcune linee destinate unicamente allo
studio delle correnti telluriche sono di già costrutte; inoltre si
posseggono già fin d'ora risultati di osservazioni isolate, le quali
dimostrano che anche su linee brevissime si possono fare os-
servazioni importanti. L'idea adunque di proporre ai Governi
la costruzione di linee speciali destinate unicamente a questi
studi è perfettamente pratica; è, nello stato attuale, la sola ve-
ramente pratica.
Lo studio regolare, fondamentale, basato sulle indicazioni
continue degli apparecchi installati sulle brevi linee apposita-
mente costrutte, delle quali si è detto, dovrebbe poi essere com-
pletato colle osservazioni che si potrebbero fare ad intervalli
regolari di tempo, ed il più spesso possibile, sulle grandi linee.
Si dovrebbero a quest'uopo scegliere per fare le osservazioni
sulle lunghe linee, possibilmente, i medesimi giorni in tutti i
paesi. Quindi la scelta dovrebbe cadere preferibilmente sui giorni
nei quali le linee telegrafiche sono meno ingombre: sui giorni
festivi.
Le linee appositamente costrutte per le osservazioni sulle
correnti terrestri dovranno essere disposte preferibilmente nelle
due direzioni cardinali ; dal nord al sud e dall'est all'ovest. Esse
poi dovranno essere sotterranee, acciocché ai fenomeni tellurici
che si vogliono osservare non vengano a sovrapporsi quelli
dovuti all'elettricità atmosferica.
Nei paesi che posseggono estese reti telegrafiche sotterranee,
come sono la Germania e la Francia, si dovranno scegliere in
queste reti le lunghe linee per le osservazioni saltuarie, dome-
Correnti elettriche terrestri, ecc, 295
nicali, che abbiamo detto doversi combinare colle continue degli
osservatori!. Le linee sotterranee prescelte saranno, se possibile,
dirette dal nord al sud o dall'est all'ovest.
I fenomeni di polarizzazione sulle lastre a terra potrebbero
alterare i risultati delle osservazioni. Per ovviare a questo in-
conveniente il modo migliore è quello che fu suggerito alla
Commissione dal Kohlrausch. Ciò che si ha da misurare, os-
servò il Kohlrausch, non è già una corrente elettrica, ma sem-
plicemente una differenza di potenziali, la differenza del po-
tenziale elettrico tra due punti scelti nella parte superficiale
della crosta terrestre; quindi si possono fare le misure senza
bisogno di produrre lungo la linea telegrafica correnti elettriche,
oppure producendo correnti debolissime, per cui i fenomeni di
pK)larizzazione riescano insensibili. Il meglio è fare uso di un
reometro sensibile, e porre nel circuito una resistenza gran-
dissima.
Esprimendo il voto che alcune linee, ancorché brevi, indi-
pendenti dalla rete telegrafica generale, sieno in ciascun paese
consacrate in modo esclusivo allo studio delle correnti terrestri ;
e che le grandi linee, specialmente se sotterranee, e se dirette
dal nord al sud o dall'est all'ovest, vengano il più spesso pos-
sibile utilizzate per ricerche della medesima natura; e precisando
inoltre nel modo che ho detto le condizioni necessarie per ot-
tenere utili risultati, la Commissione ha preparato il programma
di una serie di osservazioni importanti, e che nel corso degU
anni porterà frutti considerevoli. Per l'anno corrente però questo
piano non avrebbe potuto essere realizzato nemmeno parzial-
mente. Quindi la conferenza dovette aggiungere alle conclusioni
precedenti il seguente voto :
Per l'anno corrente la conferenza raccomatida che vengano
fatte osservazioni regolari nei giorni " termini „ determinati per le
spedizioni polari internazionali, che sono il 1° ed il 15 di ogni mese.
Questione IV. — Studiare le migliori condizioni di impianto di
tuia rete tele-meteorografica internazionale che permetta alle
varie stazioni di comunicare tra loro senza interruzione, onde
ottenere così in modo continuo lo stato meteorologico del più
grande numero possibile di punti utili.
Nel i88i il signor Van Rysselberghe^ meteorologo all'osser-
vatorio di Bruxelles, presentò al Congresso internazionale degli
elettricisti in Parigi una proposta diretta ad accelerare grande-
296 Seconda commissione.
mente, rendendola indipendente dal servizio telegrafico ordina-
rio, la trasmissione telegrafica delle osservazioni meteorologiche
fra i diversi osservatorii europei. La proposta consisteva nel
collegare tra di loro gli osservatorii principali per mezzo di
una rete telegrafica internazionale unicamente destinata al ser-
vizio meteorologico. Su questa rete le varie osservazioni mete-
orologiche sarebbero state trasmesse istantaneamente, ed auto-
maticamente, per mezzo di un suo telemeteorografo registratore.
Tale apparecchio era fin d'allora installato tra Bruxelles e Pa-
rigi, e funzionava regolarmente. L'adozione del progetto per la
parte nord-ovest dell'Europa, singolarmente importante dal punto
di vista meteorologico, avrebbe richiesto l'impianto di 12,000
chilometri di fili telegrafici, i quali avrebbero, secondo l'autore,
importato una spesa non maggiore di 1,200,000 lire. Parago-
nando questa spesa, che non avrebbe dovuto essere rinnovata
se non dopo il periodo di 20 anni, con quella attualmente ri-
chiesta per rinvio dei telegrammi meteorologici, che per la re-
gione, su cui si proponeva di estendere il nuovo sistema, rag-
giunge la somma di lire 900 al giorno, il Rysselberghe credeva
di poter asserire che l'adozione del suo progetto, lungi dall'es-
sere onerosa, avrebbe permesso una notevole economia.
Il Congresso rinviò l'esame di questa proposta alla Com-
missione attuale.
La Commissione però, dopo un rapido esame della question e
ebbe a riconoscere che all'attuazione del grandioso progetto si,
opporrebbero attualmente difficoltà gravissime. Quindi votò la
risoluzione seguente:
Non si crede ancora venuto il momento di dar seguito al
progetto di una rete tele-meteorografica internazionale. Ma frat-
tanto la conferenza si dichiara estremamente favorevole a tutte le
disposizioni, a tutte le misure, atte a facilitare lo sviluppo dei te-
legrammi meteorologici ed a migliorare il servizio della previsione
del tempo.
Scelta di un'atti fa di iitietisilà di luce, ecc. 297
TERZA COMMISSIONE.
Scelta di un'unità di intensità di luce, ed esame
DEI metodi fotometrici.
Il problema proposto alla terza Commissione è duplice:
i.° Scegliere un campione di luce atto a rendere compa-
rabili le misure fotometriche richieste 'dagli attuali bisogni della
scienza e dell'industria.
2.° Precisare i metodi per fare, coll'unità scelta, misure
effettive.
Le due questioni sono intimamente collegate tra di loro,
per modo che non è possibile trattare dell' una senza aver ri-
guardo anche all'altra. È chiaro infatti che la scelta di un foto-
metro o di un metodo fotometrico deve dipendere dalla natura
e dalle condizioni della sorgente luminosa assunta come termine
di confronto; e che reciprocamente nello scegliere fra le sor-
genti luminose quella che si dovrà adottare come campione,
come termine di paragone per tutte le altre, devesi aver riguardo,
fra le altre cose, all'attitudine sua ad essere comodamente, e
con sicurezza, adoperata negli esperimenti di confronto. Do-
vendo tuttavia stabilire un ordine pei propri lavori, la Commis-
sione internazionale dovette separare le due questioni: e, come
era naturale, dovette dare la precedenza alla prima, che è, fra
le due, la più grave e la più urgente. Le sedute della Commis-
sione furono quasi intieramente dedicate ad essa.
PRIMA QUESTIONE.
Scelta di una unità di misura per le quantità di luce.
Le condizioni, a cui dovrebbe soddisfare una sorgente di
luce, per potere utilmente essere adottata come termine di
confronto, come campione per le misure fotometriche, sono pa-
recchie.
In primo luogo essa dovrebbe avere le proprietà necessarie
e fondamentali di qualunque buona unità di misura; quella di
avere una definizione precisa; quella di potersi conservare inai-
298 Terza commissioue.
tarata e costante almeno per la durata intiera di un esperi-
mento; quella di potere essere riprodotta, sempre in identiche
condizioni, in modo che le misure fatte col suo mezzo sieno
tutte paragonabili tra di loro.
In secondo luogo dovrebbe avere una intensità facilmente
paragonabile con quella delle sorgenti di luce che dovranno
essere studiate col suo mezzo. Quindi nelle condizioni presenti,
mentre da una parte il gas forma ancora il mezzo ordinario di
illuminazione, e dall'altra parte l'illuminazione elettrica va dif-
fondendosi ed acquistando importanza di giorno in giorno, il
campione di luce dovrebbe preferibilmente avere una intensità
intermedia fra quella del gas e quella, assai più grande, di
molte lampade elettriche.
In terzo luogo la luce irradiata dal campione dovrebbe
avere una colorazione poco diversa da quella delle sorgenti
colle quali il campione dovrà essere paragonato; la differenza
di colore costituisce infatti la difficoltà più grave fra tutte quelle
che si incontrano nel confronto di due luminari. Quindi pei
bisogni attuali dell'industria, la sorgente scelta come campione
dovrebbe dare una luce di colore intermedio fra l'aranciato
delle fiamme di gas ed il bianco pallido dell'arco voltaico.
Le sorgenti di luce adoperate finora come unità nelle mi-
sure fotometriche non soddisfano a nessuna delle condizioni ora
enumerate. Tali sorgenti sono la lampada Carcel, il cui uso è
generale in Francia e presso di noi, e le candele, l'impiego delle
quali è diffuso in Inghilterra, in Germania e nell'America.
Della lampada Carcel adoperata come campione di luce si
dà una definizione, la quale, oltre alla descrizione della lampada,
comprende la forma e le dimensioni dello stoppino, la lunghezza
della fiamma, la qualità dell'olio ed il consumo orario di questo.
In grazia di questa definizione o descrizione particolareggiata e
precisa, ed in grazia delle cautele indicate con grande chiarezza
e precisione dal Fresuel, uno sperimentatore pratico e coscien-
zioso può non solo mantenere la lampada in condizioni inva-
riate per tutta la durata di un esperimento, ma eziandio prepa-
rare sempre, in tutti gli esperimenti, la lampada in modo, che
essa dia ad ogni volta approssimativamente la medesima quan-
tità di luce. Il Le Blatte, direttore dell' uffìzio municipale pel
saggio del gas a Parigi, asserisce che la differenza tra le in-
tensità della lampada in due esperimenti diversi può rendersi
sempre inferiore ad Vso- Ma se ciò dimostra che la lampada
Scelta di un'unità di intensità di luce, ecc. 299
Carcel è il migliore fra i campioni di luce attualmente in uso,
e che le misure fatte colla lampada stessa in un medesimo la-
boratorio sono tra di loro comparabili con una approssimazione
spesso sufficiente, ciò tion dimostra però che ugualmente com-
parabili possano essere le misure fatte da sperimentatori diversi,
in diversi paesi. Rimane infatti l'indeterminazione e l'incertezza
dipendenti dalle diversità negli olii adoperati ne' diversi labora-
tori. Quindi la lampada soddisfa solo mediocremente alla prima
condizione.
Alla seconda condizione la lampada Carcel non soddisfa
affatto, perchè la sua luce è meno intensa di quella di un ordi-
nario becco di gas, ed è, per conseguenza, lontanissima da
quella di molti fanali elettrici.
Meno ancora essa corrisponde alla terza condizione, avendo
la sua luce una tinta più aranciata di quella delle ordinarie
fiamme di gas.
Peggio della lampada Carcel soddisfano alle dovute condi-
zioni le candele adoperate come campioni fotometrici. Oltre
alla indeterminazione che risulta dall'essere diversa la compo-
sizione delle candele delle quali si fa uso, per le misure, nei
vari paesi, si ha quella che risulta dalla diversità inevitabile tra
le stesse candele di una medesima specie e di una medesima
fabbrica, e quella, pure inevitabile, che nasce dalla eterogeneità
di una medesima candela, di cui una porzione non è mai asso-
lutamente identica alle altre. Alla prima delle condizioni che
abbiamo indicato, le candele soddisfano adunque assai meno
bene della lampada Carcel. E quanto alle altre due condizioni,
alle condizioni relative alla intensità della luce ed alla sua co-
lorazione, è evidente che le candele sono inferiori di gran lunga
alla lampada Carcel : l'intensità della luce di una candela di sper-
maceti, del tipo di quelle adoperate in Inghilterra come campioni
fotometrici, è infatti compresa tra Vio ^^ V9 ^^ quella di una
fiamma Carcel; e la tinta della luce è sensibilmente più aranciata
di quella data, nelle condizioni ordinarie, da un becco di gas.
Di fronte al grande sviluppo ed alla grande importanza che
vanno acquistando i nuovi sistemi di illuminazione, l'insuffi-
cienza delle unità di misura fin qui adoperate e la mancanza di
metodi confacenti ai nuovi bisogni della fotometria sono gra-
vissimamente sentite, ed il problema di rimediare ad esso è, per
la scienza e per le applicazioni industriali, uno dei più urgenti
del giorno.
300 Terza commissione.
Nel congresso internazionale degli elettricisti, nel 1881, le
questioni attinenti a questo problema occuparono parecchie se-
dute. In quell'occasione alcuni scienziati, e fra questi autorevo-
lissimo il Crova, sostennero non essere, nello stato presente
della scienza, possibile fissare un campione di luce meglio defi-
nibile e migliore nella pratica di quello che sia la lannpada
Carcel; doversi attualmente dirigere gli studi unicamente ai me-
todi per le misure fotometriche; sopratutto doversi mirare a
diminuire la difficoltà e l'incertezza che nelle esperienze di fo-
tometria è dovuta alla differenza di colore fra le due luci para-
gonate; potersi finalmente ottenere questo risultato eliminando
dalle due luci le parti estreme dello spettro. Altri mettevano
innanzi il campione proposto già dallo Schwendler, consistente
in un filo od in una lastrina di platino resa incandescente per
mezzo di una corrente elettrica di intensità costante e deter-
minata. Altri proponevano la luce di Drummond, ed altri face-
vano proposte svariate. Intanto il signor Violle, professore nella
facoltà di scienze di Lione, presentava all'assemblea la proposta
di assumere, come unità di misura per le quantità di luce, la
luce irradiata, nella direzione della normale, da un centimetro
quadrato di platino alla temperatura di fusione.
Nella impossibilità di dare immediatamente una soluzione
ad una questione come questa, la quale non si può trattare se-
riamente se non con ricerche sperimentali, e con studi complessi
e delicati di laboratorio, il congresso del 1881 dovette limitarsi
ad affermare la importanza e l'urgenza della medesima, votando
le due seguenti deliberazioni:
i.° Che in attesa del giorno, in cui si possa indicare una
unità assoluta, veramente scientìfica, per le misure fotometriche,
si dovesse raccomandare l'uso della lampada Carcel (tipo del
servizio dei fari francesi) piuttosto che la candela.
2.° Che si proponesse l'istituzione di una Commissione
internazionale incaricata di studiare i migliori metodi fotometrici
e di proporre un campione definitivo di luce.
Alla Commissione internazionale, che è stata nominata in
conformità di quest'ultima deliberazione, si presentarono, come
già al Congresso, varie proposte.
Prima di tutte dovette essere presa in esame dalla Commis-
sione l'unità immaginata già dal signor Draper, e poi riproposta
dallo Schwendler. Questa unità, alla quale ebbi poc'anzi a fare
allusione, consiste, come ho detto, in un filo, od in una lami-
Scelta di un'uniià di intensità di luce, ecc.
301
netta di platino, percorsa e portata all'incandescenza da una
corrente elettrica d'intensità costante e ben determinata. La
semplicità apparente dell'apparecchio, la possibilità di avere dal
medesimo una luce più bianca e più intensa, non solo di quella
degli antichi campioni, ma anche di quella di un ordinario becco
di gas, e più di tutto il merito di prestarsi ad una definizione
precisa e veramente scientìfica, raccomanderebbero tale unità,
se l'uso della medesima non presentasse alcune difficoltà gra-
vissime. La prima difficoltà deriva dal fatto che a variazioni
anche piccolissime dell'intensità della corrente elettrica corri-
spondono variazioni molto grandi nella intensità e nella co-
lorazione della luce irradiata dal platino incandescente. A dimo-
strare la gravità di questo inconveniente bastano i risultati di
alcune esperienze fatte dal signor Zenmer e citate nella confe-
renza dal Wiedemann, dai quali si deduce che, facendo variare
l'intensità della corrente elettrica nel rapporto di 14 a 17, l'in-
tensità della luce rossa irradiata dal platino varia approssima-
tivamente nel rapporto di uno a trenta, e quella della luce verde
varia approssimativamente nel rapporto di uno a cinquanta.
Una seconda difficoltà si incontra nel determinare e nel conser-
vare con esattezza le dimensioni e la forma del filo o della
laminetta, e nel mantenere inalterate e perfettamente definibili
in tutte le esperienze le varie condizioni da cui dipende l'irra-
diazione termica, e quindi la temperatura corrispondente ad una
data intensità della corrente elettrica. Un'ultima difficoltà, forse
la più grave di tutte, sta nelle variazioni di struttura e di po-
tere emissivo che il platino subisce in causa del passaggio della
corrente.
Quello che ho detto pel campione fotometrico dello Schwen-
dler, devesi ripere, ed a più forte ragione, per le lampade
elettriche ad incandescenza di Swan o somiglianti.
Lo Helmhoitz, che in seno alla Commissione espresse la
opinione che tali lampade possano in alcune ricerche essere
adoperate utilmente come campioni di luce, indicò un modo
delicato e pratico di assicurare con molta precisione la costanza
della corrente elettrica. L' artifizio consiste nel collocare in un
circuito derivato una pila, la cui forza elettromotrice a circuito
aperto sia costante, p. es., una pila di Clarke, ed un galvano-
scopio sensibile con cui si riconosca che, durante tutto l'espe-
rimento, nella derivazione non si ha corrente. E con questo
mezzo si può eliminare la prima delle difficoltà notate poc'anzi,
j
302 Terza commissione.
e rendere la lampada elettrica atta a servire per qualche tempo
come unità arbitraria, provvisoria, di luce. Ma è evidente che
le altre due difficoltà che si oppongono per ora all' adozione
dell'unità d^ Schwendler sussistono, e con maggiore gravità,
per le lampadine a filo di carbone; e che quindi non si potrebbe,
nello stato attuale delle cose, fare con alcuna di esse un cam-
pione fotometrico di uso generale.
Giudicando essere impossibile, nello stato presente delia
fotometria, definire un'unità dì luce assoluta e definitiva, e pen-
sando per conseguenza che convenga per ora limitarsi a cercare
campioni pratici che possano presentare qualche vantaggio su
quelli già in uso, un membro molto autorevole della conferenza,
il professore Wiedemann^ chiamò l'attenzione della Commissione
sul campione pratico proposto dal signor Vemon Harcourt,
Consiste questo campione in una lampada, nella quale arde un
miscuglio di composizione costante formato d'aria e di un carburo
d' idrogene. Per ottenere il miscuglio di composizione costante
si potrebbe, secondo la proposta, far passare, sotto pressione
costante, ed attraverso ad orifizii di dimensioni ben determinate,
una corrente d*aria sopra spugne imbevute del carburo d' idro-
gene e mantenute ad una temperatura rigorosamente fissa. La
luce di questa lampada, più bianca di quella del gas d'illumina-
zione, si potrebbe paragonare meglio con quella delle lampade
elettriche.
Secondo lo stesso Wiedemann uno stoppino imbevuto di
essenza dì trementina, ed ardente nell'ossigeno, dà una luce
bianchissima, che meriterebbe di essere presa in considerazione.
E secondo il dott. Werner Siemens la proposta del Vernon
Harcourt, convenientemente studiata, e migliorata nei partico-
lari, potrebbe condurre alla definizione più precisa e più sicura
di un'unità fotometrica, che si possa desiderare nello stato
attuale della scienza. Egli impiegherebbe a quest'uopo una cor-
rente dì ossigeno, la quale passi attraverso ad un idrocarburo
mantenuto ad una temperatura rigorosamente fissa: a o°, per
esempio. Si avrebbe così una mescolanza di composizione co-
stante, la quale arderebbe con fiamma bianca. Un contatore
regolarizzerebbe la corrente d'aria.
Se non che tutte le lampade fatte con queste o con analo-
ghe disposizioni, difficilmente soddisferebbero a tutte le condi-
zioni essenziali per un campione fotometrico. Come Helmkokz
osservò giustamente, sarebbe assai difficile ottenere cogli artifizi
Sce/ta di tm'twiià di intensità di luce, tee, 303
sovradescritti una mescolanza d'aria e d'idrocarburo, di propor*
zione costante e ben determinata; ugualmente difficile sarebbe
mantenere invariabile la temperatura in causa dell'evaporazione
del liquido sotto l'influenza della corrente gasosa. Inoltre, se la
combustione s'effettuasse nell'aria atmosferica, i movimenti dì
questa influirebbero sulla fiamma, come influiscono su quella di
una lampada Carcel. Talché, tenuto contò di tutto, quest'ultima
si presenterebbe ancora come più pratica e più conveniente*
In mezzo a tutte queste proposte tendenti a dare del pro-
blema una soluzione parziale ed unicamente provvisoria, ne
venne presentata una, la quale, quando fosse realizzabile, po-
trebbe corrispondere ai desiderii della scienza e diventare forse
definitiva. E questa, benché si mostrasse, anche a primo aspetto,
circondata da gravissime diflìcoltà, e benché per essere tradotta
in pratica richiedesse, e richieda ancora, molte ricerche speri-
mentali, di cui non é possibile prevedere il risultato^ parve alla
maggioranza della Commissione degna di formare T oggetto
principale dei suoi studi e delle sue speranze. La proposta» che
per tal modo venne ad occupare la più grande parte delle di-
scussioni della Commissione, é quella che il Vioik aveva pre-
sentato già nel 1881 al congresso internazionale degli elettricisti:
quella di assutnere conte unità di luce la luce irradiata, nella
direzione della normale, da un centimetro quadrato della superficie
di una massa di platino alla temperatura di fusione.
La proposta del Violle venne presentata alla Commissione
dal Dumas, che la sostenne con convinzione, e colla propria
autorità la impose all'attenzione della conferenza. Considerata
dal punto di vista elevato della teoria, la proposta di far servire
come tipo delle sorgenti di luce il platino alla temperatura dì
fusione è infatti, fra tutte le possibili, la più razionale e la più
soddisfacente.
La intensità della radiazione luminosa di un corpo t: per-
fettamente fìssa e determinata quando e solo quando sono ben
determinate ed invariabili la natura e le condizioni della super-
fìcie raggiante, e la temperatura a cui questa è mantenuta.
Quindi per fissare una intensità luminosa e definirla in modo
scientifico e sicuro bisogna:
I.® Ricorrere ad un fenomeno semplice^ nel quale il corpo
raggiante non cambi di natura o di condizioni durante 1* espe-
rimento.
2.® Servirsi dì un corpo inalterabile;
304 Terza commissione.
3.° Precisare la temperatura, a cui avviene l'irradiazione,
per mezzo di un effetto che presenti una garanzia assoluta
nella sua costanza. Ora: 1° fra tutti i fenomeni, con cui si può
avere una irradiazione luminosa, il più semplice è quello della
pura incandescenza; 2.« fra tutti i corpi chimicamente definiti,
la incandescenza dei quali può essere adoperata per produrre
la luce, i soli inalterabili a temperature elevate sono Toro, il
platino, ed il platino indiato; 3.° il miglior modo di avere una
temperatura determinata e costante consiste nel far uso della
fusione di un corpo; giacché il punto di fusione è uno dei dati
più fissi che si possano ottenere. Se invece che ad una sem-
plice incandescenza si ricorresse, come negli attuali campioni,
ad un fenomeno di combustione, sarebbe assolutamente impos-
sibile fissare in modo preciso tanto la composizione e le condi-
zioni della fiamma, quanto la temperatura della medesima; e
risulta dalle osservazioni che il Dumas ebbe a Jfare, durante
due anni, per l'organizzazione dell'ufficio di verificazione del
gas nella città di Parigi, che qualunque circostanza, la quale
modifichi, anche pochissimo, la temperatura di combustione nella
lampada, dà luogo a considerevoli variazioni nella quantità e
nella qualità della luce irradiata.
Il Violle ha fatto già da oltre un anno esperienze sulla ra-
diazione del platino fuso. Queste esperienze, incominciate collo
scopo di determinare la variazione dell'irradiazione in funzione
della temperatura, furono quelle che gli suggerirono poi l'idea
della sua unità fotometrica, e furono in seguito continuate col-
r intento di arrivare alla pratica attuazione di questa idea.
L'esperimento è condotto così: una massa considerevole (un
chilogramma circa) di platino viene fusa in un crogiuolo rettan-
golare, col procedimento di Sainte Oaire Deville e di Debray^
e viene portato ad una temperatura superiore al punto di fu-
sione. Fatto ciò, si sopprime V arrivo del gas nel cannello, si
toglie il coperchio del crogiuolo e si colloca al posto di questo
un doppio schermo dì lastra, nel quale è praticato un foro di
un centimetro quadrato di superficie. La radiazione del platino
viene allora ricevuta in uno con quella della lampada Carcel,
tipo, sopra di uno spettrofotometro a strie d'interferenza. Si gira
l'analizzatore in modo da fare scomparire le strie nella regione
dello spettro che si vuole studiare. Poi si sposta lentamente
Tanalizzatore così che le strie non ricompariscano non ostante
il graduale raffreddamento del platino.
Scelta di un'unità di intensità di luce, ecc. 305
Ad un certo istante la solidificazione comincia; un aiutante
ne dà avviso con una voce. Durante tutto il tempo che il me-
tallo impiega per solidificarsi, l'intensità della luce irradiata
rimane costante, e si può facilmente stabilire con esattezza la
posizione corrispondente dell'analizzatore.
Si ha, per fare ciò, un mezzo minuto, un minuto, un minuto
e mezzo, a seconda della quantità di platino impiegata. Quando
la solidificazione sta per essere compiuta, un nuovo segnale,
dato dall'aiutante, previene l'operatore di non più toccare il
bottone dell'analizzatore. Si fa allora la lettura. Si rimette sul
crogiuolo il coperchio; si rida il gas al cannello, e qualche
minuto dopo si può ricominciare una nuova misura. Così l'ope-
razione si può ripetere, sempre nelle stesse condizioni, tante
volte quante si credono necessarie.
Nel descrivere davanti alla Commissione, in seno alla quale
egli era stato appositamente chiamato, queste sue esperienze,
il Violle fece pure allusione ad un altro procedimento da lui
tentato per mezzo di un apparecchio speciale da lui studiato
insieme al Wiesnegg. Questo apparecchio consisteva in un cro-
giuolo scaldato per di sotto, nel quale una bacchetta di platino
solido, collocata verticalmente, stava immersa colla propria base
nel platino fuso e, fondendosi essa stessa lentamente, doveva,
secondo l'intenzione dell'operatore, mantenere il bagno esatta-
mente e continuamente alla temperatura di fusione. Con questo
semplice artifizio egli sperava che si potrebbe, quando lo si
giudicasse necessario, avere disponibile per l'operazione foto-
metrica un tempo notevolmente più lungo di quello concesso
dal primo modo di operare.
Le difficoltà che si debbono presentare nell'esecuzione di
esperimenti fotometrici di questa natura sono evidentemente
molte; e diventeranno gravissime quando dal periodo delle prove
preliminari, nel quale ora siamo, si vorrà passare a quello delle
misure definitive, le quali mancherebbero affatto al loro scopo
se non presentassero un' esattezza superiore, od almeno uguale,
a quella ottenuta oggidì nelle migliori prove fotometriche. Infatti
dai particolari attualmente conosciuti delle esperienze del Violle
non risulta come sia possibile assicurarsi della perfetta purezza
della superficie raggiante del platino fuso ; ne si hanno dati che
bastino a renderci conto della influenza che possono avere sulla
radiazione le impurità, anche minime. Non risulta come l'ope-
ratore possa, senza adoperare aperture minime, le quali porte-
G. Ferraris. Ofttre, Voi. II. ao
3o6 Terza commissione.
rebbero seco altre difficoltà, liberarsi completamente dalFinfluenza
perturbatrice della radiazione delle pareti del crogiuolo. Non
risulta come T apparecchio fotometrico si possa disporre onde
fare le misure senza bisogno di far riflettere la luce, emanata
dal platino fuso in direzione verticale, sopra specchi che ne
possono alterare in proporzione non facilmente determinabili
l'intensità.
Queste difficoltà sono di tale natura, che a giudicare di
esse sono necessarie esperienze molteplici e continuate. La
Commissione non potè portare sulle medesime alcun giudizio,
e non avrebbe neppure potuto aprire fin d'ora su di esse, ba-
sandosi su dati sicuri, alcuna discussione. Quindi essa dovette,
per ora, limitarsi ad affermare che le esperienze sulla radiazione
dei metalli in fusione, potranno probabilmente condurre nell'av-
venire alla fissazione di un campione assoluto di luce; che
perciò queste esperienze hanno una grande importanza, e deb-
bono essere seguite con interesse, continuate ed incoraggiate.
La Commissione formulò questa sua opinione nel voto seguente:
La conferenza^ riconoscendo che le ricerche fatte fino ad oggi
danno luogo a sperare che la luce irradiata dal platino fondente
possa condurre ad un campione assoluto, emette il voto che queste
esperienze siano continuate.
Quando la speranza a cui allude il voto della Commissione
si venisse a verificare, quando cioè esperienze ulteriori aves-
sero dimostrato che realmente è possibile ottenere, per mezzo
del platino fuso, sempre e con sicurezza una medesima radia-
zione luminosa, e confrontare con questa la luce delle lampade
ordinarie, con misure fotometriche esatte e sicure, si sarebbe
risoluto un importantissimo problema. Il campione fotometrico
costituito col platino in fusione darebbe modo di rendere com-
parabili tra di loro con esattezza scientifica tutte le misure di
luce fatte nei diversi paesi con campioni diversi. Egli è certo
che, quand'anche l'esperimento riuscisse e l'apparecchio per ese-
guirlo fosse inappuntabilmente studiato e costrutto, una misura
fotometrica fatta per mezzo del platino in fusione costituirebbe
sempre una esperienza complicata e difficile, una esperienza da
laboratorio, una esperienza anzi da non potersi eseguire che in
alcuni laboratorii speciali; ma ciò non toglierebbe al campione
assoluto la sua importanza. Infatti le misure della pratica, le
misure per scopi industriali, le misure correnti si faranno sempre
con campioni intermediarii, più comodi, come sono le lampade
Scella di un'unìlà di initnsiià di incft fcc, 307
<Iarcel attuali o le attuali candele di spermaceti, od altro; ma
intanto si potrà avere il mezzo di confrontare i campioni inter-
mediari] con un unico campione prototipo, e rendere così com-
parabili tutte le misure. Basterà a quest' uopo che sì abbiano
ne' diversi paesi uno o più laboratori scientìfici muniti di un
apparecchio per ]a realizzazione del campione prototipo, a pla-
tino fuso, ed un personale atto a servirsene; nei quali labo-
ratori! ciascuno possa far eseguire la tara del proprio campione
usuale.
Egli è sotto a questo aspetto*, che la Commissione considerò
come importanti le esperienze analoghe a quelle attualmente
intraprese dal Vìolle, ed è in questo senso che essa accetterebbe
nell'avvenire, quando le esperienze lo dimostrassero eflrettuabilep
il campione dì luce a fusione di platino.
Quanto ai campioni usuali, intermediari, la Commissione
-ebbe a ripetere in parte le considerazioni, che sui medesimi
erano state fatte nel congresso internazionale degli elettricisti
nel 1881. Da queste considerazioni era rìsuitato essere, a parità
di circostanze, in generale preferibile alle candele la lampada
tipo Carcel, ed io ho ricordato poc'anzi come il congresso
avesse votato in favore di questa una delle sue deliberazioni.
Ora però, stabilito che né le candele né la lampada Carcel deb-
bano ritenersi come campioni definitivi^ ma semplicemente come
-campioni usuali, intermedi, destinati ad essere confrontati e
tarati con un unico protoUpo, alcune delle considerazioni, su cui
si appoggiava la preferenza da darsi alla Carcel sulle candele»
hanno perduto una parte del loro valore. Quindi è che la Com-
missione, pur mettendo sempre al primo posto la lampada nor-
male di Carcel, riconobbe che colle debite cautele si possono
adoperare utilmente nelle misure pratiche anche le candele
attualmente in uso nelle misure fotometriche.
La deliberazione della Commissione fu formulata nei termini
seguenti :
Coint cantpione secondario usuale, la Conferentii raccomanda
rimpiego della lampada Carcel, sistema dell'uffizio di verificatone
del gas domito ai signori Dumas e Regn&uU. Le candele possono
^andto sennre se si ha sufficiente cura di accertare l'identità di
Xotnpùsi^ione, di format di costruzione e di constano.
3o8 Terza contìrnssioìie.
SECONDA QUESTIONE.
Precisare i metodi per eseguire coll' unità scelta
misure fotometriche.
L'esame della questione relativa alla scelta di un campione
definitivo di luce formò, come ebbi già occasione di accennare,
la più grande parte del lavoro della Commissione. La seconda
questione, quella relativa ai mètodi da seguirsi nelle misure fo-
tometriche, non fu, in questa prima sessione della Conferenza,
trattata se non in via subordinata.
Tuttavia il poco che se ne disse basta a porre in chiaro
quanta importanza la Conferenza attribuisca agli studi che si
riferiscono a questa questione diffìcile e delicata.
E evidente che la bontà stessa del campione definitivo di
luce, che si spera di potere adottare in un tempo non lontano,
renderà indispensabile ricorrere per le misure fotometriche a
metodi più perfetti e più completi di quelli che oggidì, avuto
riguardo alla imperfezione dei campioni, possono bastare. È
chiaro inoltre, che, anche attualmente, i nuovi sistemi di illu-
minazione che si vanno diffondendo hanno introdotto nelle mi^
sure fotometriche industriali difficoltà nuove e gravissime.
La difficoltà principale sta nella diversità di colorazione
delle due luci che si hanno da paragonare. È difficile che due
luci diversamente colorate vengano con sicurezza confrontate
da un osservatore; è poi difficilissimo, od impossibile, che due
osservatori diversi, ugualmente esperti nelle misure fotometriche,
trovino pel rapporto tra le intensità delle due luci un medesimo
valore. L'incertezza che ogni osservatore trova nel confrontare
due luci di tinte diverse si può diminuire rinunziando agli^
usuali e semplici metodi fotometrici, nei quali il confronto delle
due luci è fatto col paragone di due porzioni attigue di un-
piano illuminate Tuna dall'una, l'altra dall'altra sorgente; e ri-
correndo invece agli apparecchi ed ai metodi, assai meno comodi,
coi quali si paragonano Tuna dopo l'altra le diverse porzioni
degli spettri delle due luci. Ma anche dopo quest'operazione il
problema pratico della fotometria potrà non essere risolto; sarà
risolto il problema scientifico, non l'industriale. Acciocché la
misura fotometrica raggiungesse esattamente lo scopo che ha
nell'industria bisognerebbe che, dopo di aver trovato i rapporti
Scelta di un'unità di intensità di luce, ecc. 309
<lelle intensità delle due sorgenti per le diverse regioni dello
spettro, si potesse dedurre dai medesimi, con esattezza, il rap-
porto dei valori delle due sorgenti di luce, considerate come
mezzi per illuminare. Ora ciò richiederebbe le conoscenza esatta
<lella sensibilità relativa dell'occhio per la diverse radiazioni
dello spettro; sensibilità che dipende dalle condizioni dell'occhio
«e che non sì può precisare in modo generale.
Ammesso poi che la cosa sia possibile per un determinato
osservatore, rimane l'altra difficoltà : è forse impossibile che due
osservatori diversi trovino pel rapporto fra due luci di diverso
-colore un medesimo valore. Questa è una conseguenza del
fatto, su cui non si può elevar dubbio, che la sensibilità del-
l'occhio per le luci di diverso colore varia da individuo ad in-
dividuo.
Queste considerazioni dimostrano che il problema della
fotometria, quale è proposto dall'industria, non potrà forse mai
avere una soluzione completa. È possibile però che, moltiplicando
le ricerche, e dando a queste un indirizzo veramente scientifico,
si trovino soluzioni approssimate e sufficienti per gli ordinari
bisogni della pratica. È possibile, per esempio, che le esperienze
vengano a provare l'attendibilità e la convenienza pratica di
qualche metodo analogo a quello semplicissimo che il Crova
descriveva nel Congresso del 1881. Questo autorevole sperimen-
tatore dice di potere evitare la difficoltà dei colori con una
operazione semplice e pratica, nel modo seguente. Egli elimina
in ciascuna delle due luci le parti estreme degli spettri, le quali
sono quelle che introducono le più grandi differenze di tinta, e
paragona in seguito le regioni medie degli spettri. Ciò con un
procedimento comodissimo. Egli si serve del fotometro di Fou-
cault, e guarda le due metà illuminate del disco per mezzo di
un cannocchiale racchiudente due prismi di Nicol colle sezioni
principali poste in croce, separati l'uno dall'altro con una lamina
di quarzo di 9 millimetri di grossezza. In questo modo le por-
zioni estreme dei due spettri sono eliminate e rimangono per
runa e per l'altra sorgente due luci di un bianco volgente al
verde, molto somiglianti tra di loro e facilissime a confrontarsi.
È similmente possibile che le esperienze vengano a dare corpo
alla proposta che il professore H. Bequerel fece in seno della
attuale Commissione. La proposta consiste nel fare i confronti
fotometrici per mezzo dell' attinometro. Egli riferì che l'espe-
rienza ha provato essere possibile, scegliendo convenientemente
^lo Terza commissione.
Telettrolito e gli elettrodi, avere dall' attinometro indicazioni
proporzionali alle impressioni della luce sull'occhio, ed indipen-
denti dalle diversità di colorazione. Ma su queste proposte, a
cui, come ad esempi, ho accennato, non si potrà portare un
giudizio sicuro, se non in seguito ad esperienze fatte con
metodo scientifico, nelle quali le misure fotometriche sieno fatte
sulle radiazioni elementari dello spettro. Il compito attuale di
quelli che studiano il problema della fotometria è adunque
questo: moltiplicare le ricerche di spettrofotometria. Questa è
l'opinione in cui si è trovata unanime la Conferenza interna-
zionale; e nel formulare il voto che le misure fotometriche per
iscopo scientifico vengano eseguite sulle radiazioni elementari
delle due sorgenti, sta essenzialmente l'operato della Commis-
sione per ciò che riguarda i metodi di misura.
Nel suo voto la Commissione espresse pure il desiderio
che lo spettro-fotometro sia adoperato oltreché nelle ricerche
scientifiche anche in alcune applicazioni speciali. La più impor-
tante delle applicazioni, a cui la Commissione volle alludere
con ciò, è quella che riguarda i fari. È noto come siano tuttora
disparate le opinioni dei pratici circa la convenienza dei fari
elettrici in confronto coi fari ad olio od a gas. Si obbietta da
molti contro i fari elettrici, che il merito della maggiore po-
tenza, per cui essi si distinguono, non sussiste se non quando
l'aria è perfettamente pura. Nella nebbia le radiazioni molto
rifrangibili, azzurre e violacee, che abbondano nella luce del-
l'arco voltaico, si estinguerebbero rapidissimamente, ed il van-
taggio dei fari elettrici scomparirebbe. Altri danno a questa
obbiezione una importanza minore. In ogni modo, è certo che
il paragone tra un faro elettrico ed un faro ad olio od a gas
non è completo, né sufficiente, se non è fatto per mezzo dei
differenti elementi che compongono le loro luci.
La Commissione chiuse i suoi lavori reiterando un voto che
era stato emesso già dal Congresso internazionale del 1881. Il
voto si riferisce alle esperienze sopra quelle sorgenti di luce
che irradiano con intensità diverse nelle diverse direzioni. Di
questa specie sono pressoché tutte le lampade elettriche. Nelle
lampade ad arco voltaico, per esempio, la radiazione massima
è fatta dalla concavità presentata dall' estremità del carbone
positivo; quindi queste lampade danno una quantità di luce
più grande dalla parte verso cui guarda quella concavità, che
in tutte le altre direzioni. Similmente le lampadine elettriche
Scelta di un'unità di intensità di htce^ ecc, 311
ad incandescenza danno una radiazione maggiore nella direzione
perpendicolare al piano in cui giace il filo di carbone incande-
scente, che non nel piano medesimo. Acciocché il confronto di
una di tali lampade con un campione di luce possa dare una
idea esatta del valore di essa, è evidentemente necessario che
parecchie determinazioni fotometriche vengano eseguite nelle
diverse direzioni; in modo che, oltre al valore assoluto della
radiazione, si possa determinare la legge che lo lega alla dire-
zione; in modo che si possa determinare la sua equazione.
Il voto che a questo riguardo fu emesso dalla Commissione,,
fu espresso nei termini seguenti:
La Conferenza riconferma la decisiotie del Congresso del iSSi^
tn virili della quale qualunque determinazione fotometrica di un
focolaio elettrico ed in generale di qualunque luminare che irradii
differentemente nelle diverse direzioni , deve comprendere come
elemento essettziale la formola del focolaio^ vale a dire la rela-
zione che esiste tra l'intensità luminosa e la direzione dei raggi
di luce.
CONCLUSIONI E PROPOSTE.
Le decisioni delle tre Commissioni, presentate alla confe-
renza riunita in seduta plenaria, furono da questa approvate
all'unanimità. Così il grande consesso scientifico internazionale
avvalorò colla propria autorità i voti emessi nelle riunioni par-
ziali delle Commissioni. Dai quali emerge come risultante que-
sto : che su tutte le principali questioni proposte alla conferenza
si intraprendano subito, e si conducano con alacrità pari all'ur-
§^enza delle questioni, lavori sperimentali, sui risultati dei quali
possano trovare una base sicura gli ulteriori lavori delle Com-
missioni. Questi lavori sperimentali dovranno eseguirsi dai
singoli scienziati nei propri laboratori, ma non potranno por-
tare i frutti che si desiderano se non saranno fatti con mezzi
sufficienti. Quindi la necessità che i Governi li incoraggino e li
aiutino.
312 Conclusioni e proposte.
Il Governo francese, per bocca del benemerito suo ministro
delle poste e dei telegrafi, sig. Cochery, che fu degno presidente
della conferenza, prese, coi rappresentanti riuniti di tutte le
nazioni civili, formale impegno, non solo di promuovere per
suo conto le desiderate ricerche, aiutando con cospicui sussidi
gli scienziati nazionali che le intraprenderanno, ma eziandio di
farsi, presso i Governi delle altre nazioni, interprete dei desi-
derii della conferenza, invitandoli a promuovere ed a sostenere,
ciascuno nella propria sfera, l'opera degli sperimentatori.
Se gli altri Governi, asseconderanno ed imiteranno l'azione
meritoria della Francia, si potrà sperare di vedere, in breve
tempo, raccolto un materiale sufficiente perchè la conferenza
internazionale possa affrontare efficacemente i problemi che,
imposti dai bisogni della scienza e delle sue applicazioni indu-
striali, le sono stati proposti. Consigliata intanto dall'urgenza
di questi problemi, essa accolse con riconoscenza l'invito che,
a nome del Governo francese, le fece il suo presidente, ministro
Cochery, di fissare fin d'ora il giorno per la sua seconda riu-
nione.
Il giorno prescelto fu il primo lunedi di ottobre del pros-
simo anno 1883.
Eccellenza,
Dalla esposizione, che ho avuto l'onore di fare, emerge che
l'operato della prima sessione della conferenza internazionale
di elettricità si riduce ad un lavoro preparatorio.
Il vero, il grande lavoro scientifico per cui la conferenza è
stata convocata deve cominciare adesso, e la prima parte di
tale lavoro, quella che dovrà apparecchiare la materia prima
per gli studi definitivi della Commissione, è affidata all'opera
individuale degli sperimentatori di tutti i paesi. Riunendosi una
seconda volta nell'autunno dell'anno prossimo, la conferenza
spera di trovare, raccolta da tutti i paesi in essa rappresentati,
una larga messe di risultati di lavori sperimentali. Essa aspetta
dagli studiosi di tutte le nazioni il frutto di ricerche svariate;
aspetta :
i.° Misure assolute di resistenze elettriche fatte con tutti
i metodi; studi comparativi sulla conduttività elettrica de' me-
talli e delle leghe che possono servire alla fabbricazione di
Coììclusiofii e proposte. 313
campioni di resistenza; studi speciali sulla costruzione di co-
lonne di mercurio di resistenza esattamente determinabile;
2.° Relazioni su impianti per lo studio regolare dell'elet-
tricità dell'aria atmosferica; su lavori iniziati per la formazione
della statistica sui colpi di fulmine e sui parafulmini; e su im-
pianti di linee telegrafiche sotterranee collegate con osservatori!
meteorologici, o con istituti fisici, e destinate unicamente allo
studio sistematico delle correnti elettriche terrestri;
3.® Esperienze fotometriche sul platino e sugli altri me-
talli in fusione, sui conduttori incandescenti per efietto di cor-
renti elettriche; sulle lampade elettriche di tutte le specie; espe-
rienze comparative sui vari metodi fotometrici; in una parola,
tutte quelle ricerche sperimentali che possono rischiarare l'ur-
gentissima questione della scelta di un campione di luce e della
fissazione dei metodi fotometrici.
È una palestra internazionale che si è aperta a benefizio
della scienza e dell'industria; e dalla sollecitudine colla quale
tutti i Governi hanno risposto all'appello della Francia, inviando
a Parigi i loro delegati, dall'accordo entusiastico di tutti gli
intervenuti, dalle nobili promesse della Nazione che li aveva
ospitati, tutti i delegati hanno desunto la speranza di poter fare
assegnamento sull'appoggio dei loro Governi, e di potere, senza
tema di dover mancare alla parola data, promettere di lavorare.
Anche i delegati italiani hanno lasciato Parigi con questa
speranza. Essi confidano che, se non per opera loro, almeno
per loro iniziativa, l'Italia possa ripresentarsi al convegno inter-
nazionale, e dire: anch'io ho lavorato.
Io che ho avuto dall' E. V. l'onorifico incarico di sedere
nella conferenza come delegato del Ministero dell'agricoltura,
dell'industria e del commercio, faccio voti perchè codesto Mi-
nistero, che col farsi rappresentare mostrò di apprezzare degna-
mente l'importanza di quel convegno scientifico internazionale,
compia l'opera lodevole col prendere una parte attiva nell'esteso
lavoro scientifico che si sta preparando.
Tutte le questioni proposte alla conferenza interessano in
sommo grado le industrie; e ciò è tanto vero, che il congresso
degli elettricisti del 1881, il quale propose tali questioni, e de
liberò, per vederle risolte, la convocazione dell'attuale confe
renza, doveva la sua esistenza al grande sviluppo che in quest
ultimi tempi erano venute acquistando le applicazioni industriai
della corrente elettrica. E quindi nel largo campo dei lavori
314 Conclusioni e proposte.
sperimentali, dichiarati urgenti dalla conferenza, lavori dei quali
ho tenuto parola in questa relazione, TE. V. troverà molte vie
per fare che codesto Ministero presti un'opera utile. Tuttavia,
poiché è da sperare che anche il Ministero della pubblica istru-
zione, il quale era degnamente rappresentato nella conferenza,
si faccia promotore di alcuni lavori, e poiché é desiderabile che
gli operati delle due amministrazioni si aiutino e si completino
vicendevolmente, senza sovrapporsi, così io mi faccio lecito di
sottoporre all'apprezzamento dell' E. V. una proposta.
Fra le varie serie di esperienze, che, secondo il voto delle
Commissioni dovranno essere promosse, ve n'ha una che ri-
chiede materiali e mezzi di tale natura, che difficilmente si po-
trebbero riunire in un laboratorio di fisica generale, e che, in
ogni caso, troveranno sede più conveniente in un laboratorio
di scienza applicata. Il materiale poi, che servirebbe agli studi
attuali, potrebbe, almeno in parte, servire ad una installazione
definitiva, che potrebbe, in un prossimo avvenire diventare ne-
cessaria. Le esperienze a cui faccio allusione, sono quelle rela-
tive alla scelta di un campione definitivo di luce ed allo studio
de* metodi fotometrici. Se in un laboratorio nazionale si tentas-
sero esperienze analoghe a quelle del Violle sulla fusione dei
metalli, e si intraprendess(^ro, su larga scala e con mezzi suffi-
cienti, confronti fotometrici fra le varie sorgenti di luce, non si
avrebbe solamente il vanto di poter portare qualche contributo
alla soluzione dell'urgentissimo problema delia fissazione di un
campione prototipo di luce; ma se ne potrebbe ricavare un
vantaggio reale. Infatti si supponga, che, come é a sperare, il
campione prototipo di luce venga definitivamente adottato, e si
supponga che, come è possibile, esso abbia ad essere analogo,
a quello proposto dal Violle, e richieda, per essere adoperato,
una installazione costosa ed una operazione difficile; in questo
caso, per la pratica utilizzazione del campione diventerà indi-
spensabile che in ciascun paese si abbiano uno o più laboratori,
nei quali sia installato, nelle migliori condizioni, il materiale
necessario per le misure, ed al quale gli industriali possano
ricorrere per confrontare col prototipo i lori campioni usuali.
Ora l'installazione definitiva di questo uffizio di controllo sarà
più facile là, dove per le ricerche preliminari, attualmente desi-
derate, sarà già stato raccolto il materiale d' esperienza, e si
saranno già addestrati gli sperimentatori. Quindi io penso che
il Ministero di cui TE. V. è a capo, potrebbe fare opera utilis-
Conclusioni e proposte, 315
sima disponendo che in uno dei laboratori scientifici, che da
esso dipendono, si intraprendessero subito, con mezzi adeguati,
ricerche fotometriche come quelle delle quali ho parlato.
Sede opportima, e naturale, di un laboratorio fotometrico,
come quello di cui le deliberazioni della conferenza rendono
desiderabile l'impianto, potrebbe essere il Regio Museo Indu-
striale Italiano, i laboratori scientifici del quale oltre a servire
all'insegnamento, stanno, per la natura stessa dell'istituto, aperti
per tutte le determinazioni e le misure che possono interessare
l'industria. Stando quindi aUe considerazioni fatte poc'anzi,
anche le attuali ricerche fotometriche preliminari potrebbero con
vantaggio essere eseguite nel museo industriale.
Se, come è certo, il Ministero della pubblica istruzione darà
opera, dal canto suo, a promuovere per mezzo dei degni scien-
ziati, che lo rappresentavano nella conferenza, lavori sulle altre
questioni ivi trattate, lavori sulla determinazione dell'ohni, la-
vori per le installazioni necessarie allo studio regolare deirelet-
tricità atmosferica, ed a quello delle correnti elettriche terrestri^
ì delegati italiani potranno sperare di presentare al convegno
internazionale un insieme decoroso di utili risultati.
Ma ad ottenere i risultati desiderati sarà necessario che fra
i vari sperimentatori e fra le amministrazioni, in cui esse tro-
vano appoggio ed incoraggiamento, esista, su tutte le quistìoni,
una vicendevole e completa intelligenza. Alcuni dei lavori^ che
vorranno essere eseguiti, sono infatti di tale natura da non
poter riuscire se non con grandi mezzi e coli' opera concorde
di tutti.
Fra questi segnalo all'È. V. i lavori necessari per uno
studio regolare ed efficace delle correnti elettriche terrestri.
Occorrerà a quest'uopo l'impianto di speciali linee telegrafiche
sotterranee, le quali potranno bensì essere di piccola lunghezza,
j>er esempio di quattro o cinque chilometri, ma dovranno essere,
per quanto sarà possibile, numerose, e dovranno far capo ad
osservatori meteorologici od a laboratori fisici diversi. Questi
laboratori poi dovranno essere scelti a grandi distanze gli uni
dagli altri.
Se la cooperazione dell* E. V. potesse far sì che oltre alla
installazione che probabilmente per cura del Ministero di pub-
blica istruzione, si farà per l'osservatorio meteorologico cen-
trale di Roma, ne venisse stabilita almeno un'altra in un osser-
vatorio od in un laboratorio di fisica lontano da Roma, nell'Alta
3i6 Conclnsioni e proposte,
Italia o nell'Italia meridionale, in modo che le osservazioni da
eseguirsi a Roma ed in quell'altro laboratorio si potessero coor-
dinare, si avrebbe in Italia un insieme di disposizioni da cui
questo ramo importante di scienza potrebbe sperarfe utilissimi
risultati.
Nell'esporre queste idee io non m'illudo sul valore che le
mie proposte possono avere; ma adempio ad un dovere; e son
certo che l'È. V, le accoglierà benignamente come l'espressione
del desiderio che nel grande lavoro scientifico che si è inaugu-
rato a Parigi la nostra Nazione possa avere quella parte deco-
rosa che le compete.
Torino, i8 dicembre i88a.
Prof, Galileo Ferraris.
RELAZIONE
DELLA GIURIA INTERNAZIONALE PER LA SEZIONE DI ELETTRICITÀ
SUL CONFERIMENtO
DEL PREMIO SPECIALE DI URE QUINDICIMILA
stabilito dal Governo e dal Municipio di Torino.
I.
Il R. Decreto n.^ i747# del io dicembre 1883, che istituiva
premi da conferirsi per concorso agli Espositori nella Mostra
Generale di Torino, portava, fra le altre, la disposizione se-
guente :
" È istituito un premio di lire 10.000 da conferirsi a colui
che presenterà nella Sezione di Elettricità dell* Esposizione ge-
nerale di Torino una invenzione, od un complesso di apparecchi
onde si avvantaggi notabilmente la soluzione pratica dei pro-
blemi che si connettono con le applicazioni industriali della
elettricità alla trasmissione del lavoro meccanico a distanza, alla
illuminazione ed alla metallurgia.
** Si avranno in considerazione soltanto le invenzioni rap-
presentate all'Esposizione da apparecchi sui quali si possano
eseguire esperienze pratiche e sicure.
** Potranno concorrere al premio anche gli Espositori stra-
nieri. „
Il Consiglio Comunale di Torino, il quale dal canto suo,
aveva accolto favorevolmente una proposta del compianto Inge-
gnere Benazzo tendente a istituire, neiroccasione deirEsposizione,
un premio per la soluzione del problema relativo alla trasmis-
sione elettrica dell'energia a grandi distanze, avuta comunica-
zione della precedente disposizione del GovernOp nella seduta
del giorno 11 febbraio 1884, con nobile liberaSità, rinunziando
alla propria iniziativa, votava all'unanimità un contributo di
3i8 Relazione della giuria internazionale
lire 500O; il quale, aggiunto alla somma già stanziata dal Go-
verno, veniva a costituire un grande premio di lire 15.000 ri-
spondente veramente alla importanza dei difficili problemi.
In seguito S. E. il Ministro di Agricoltura, Industria e Com-
mercio, d' accordo col Sindaco della Città di Torino, inaugu-
rando, il 22 settembre 1884, i lavori della Giuria internazionale
per la Sezione di Elettricità, affidava alla medesima V esame
degli oggetti presentati al concorso e l'aggiudicazione del premio.
E per tal modo la Commissione esaminatrice del concorso
risultava composta dei signori:
H. E. Tresca, membro dell'Istituto di Francia,
Prof, nel Conservatorio d'Arti e Mestieri
e nella Scuola Centrale di Parigi . . Presidente onorario,
Galileo Ferraris, Prof, nel R. Museo In-
dustriale di Torino Presidente effettivo.
Elia Wartmann, Prof. nell'Università di Gi-
nevra Vice-Presidetite.
Ernst Voit, Prof. all'Università di Monaco i</.
Friedrich Heinrich Weber, Prof, nel Poli-
tecnico di Zurigo Membro.
Erasmus Kittler, Direttore dell'Istituto elet-
trotecnico del Politecnico di Darmstadt id.
Alfonso Cossa, Prof, nella Scuola di appli-
cazione degli Ingegneri di Torino . . id.
Rinaldo Ferrini, Prof. nell'Istituto tecnico
superiore di Milano id.
Antonio Roiti, Prof. nell'Istituto di studi su-
periori in Firenze id.
Eugenio Parent, Capitano di Corvetta, dele-
gato del Ministero di Marina .... id.
Federico Pescetto, Capitano del Genio . . id.
Stefano Pagliani,' Prof. nell'Istituto tecnico
di Torino id.
Pietro Paolo Morra, Prof, di fisica in To-
rino id,
Calisto Candellero, ingegnere. Segretario
della Commissione ordinatrice della Mo-
stra di elettricità Segretario.
Neil* intraprendere i suoi lavori, la Giurìa internazionale
dovette innanzi tutto occuparsi di due questioni preliminari.
per /fi stzìùne di eletlricità, ce e, 319
Una prima questione si presentava circa T interpretazione
da darsi alla deliberazione presa dal Consiglio municipale di
Torino nella sua seduta dell'undici febbraio 1884. Risultava in-
fatti che l'idea di istituire un premio nell'occasione dell'Esposi-
zione di elettricità era sorta nel Consiglio comunale nella seduta
del 19 novembre 1883, quando il compianto e benemerito inge-
gnere Benazzo faceva intravedere la possibilità che l'energia
meccanica dei torrenti alpini, trasmessa col mezzo di correnti
elettriche, potesse un giorno venire in aiuto alle industrie citta-
dine, per le quali la mancanza della forza motrice si faceva
sentire ogni dì più seriamente. £ il testo della deliberazione
del giorno 11 febbraio 1884 alludeva ad un premio da conferirsi ,
in occasione dell'Esposizione elettrica internazionale, a/ m^/ibr^
progetto di irasmissione della forza a grandi distanze col mezzo
delle correnti elettriche.
Sorgeva quindi il dubbio se il contributo del Municipio di
Torino dovesse considerarsi come aggiunto incondizionatamente
al premio governativo, o se non si dovesse piuttosto ritenere
che la somma di lire 5000 fosse offerta dal Municipio unicamente
pel caso che il premio del Governo venisse conferito ad una
invenzione relativa al trasporto a distanza della energia mecca-
nica. Per risolvere tale dubbio la Giurìa interrogava in proposito,
per mezzo del suo Presidente, il Sindaco della Città di Torino,
e riceveva da quel funzionario la risposta più assoluta e precisa :
Benché la prima idea della istituzione del premio fosse stata
suggerita dal desiderio di vedere accelerata la soluzione del
problema della telodinamia elettrica, che in modo speciale inte-
ressava la Città, tuttavia il Consiglio, apprezzando le ragioni
che avevano indotto il Ministero ad allargare il programma del
Concorso, ed inspirandosi al nobile concetto di contribuire al-
l' incremento delle applicazioni della scienza, sotto qualunque
forma queste si presentassero, aveva nella seduta dell' 11 feb-
braio avuto l'intenzione di aggiungere incondizionatamente il
suo concorso al premio governativo.
Una seconda questione si presentava circa i limiti del man-
dato della Commissione aggiudicatrice. Poteva la Commissione,
presentandosene la convenienza, dividere in due o più parti la
somma stanziata pel premio, e ripartirla fra più concorrenti?
Poteva essa, presentandosi il caso che nessuno dei concorrenti
fosse giudicato degno dell'onore del premio, servirsi tuttavia
della somma posta a sua disposizione, ed assegnarla a titolo di
320 Relazione della gmria internazionale
incoraggiamento ad uno od a più Espositori? Su tale questione
la Giurìa interrogava, per mezzo del suo Presidente, S, E. il
Ministro di Agricoltura, Industria e Commercio ed il Sindaco
della Città di Torino, ed otteneva in risposta la dichiarazione,
che essa aveva la più assoluta autorizzazione di fare della somma
statuita l'uso che avrebbe giudicato più opportuno.
Risolte tali questioni preliminari, la Commissione potè ac-
cingersi con chiara conoscenza del proprio mandato all'esame
delle invenzioni e degli oggetti presentati al Concorso, ed ora,
nel presentare una succinta relazione del suo operato, è lieta
di constatare, che, se il grande premio non ha potuto essere
assegnato, incondizionatamente ed indiviso, all'autore di una
soluzione completa e perfetta di alcuno dei problemi a cui si
riferiva il concorso, esso ha potuto tuttavia servire a dare me»
ritate attestazioni di lode ed utili incoraggiamenti ad autori di
procedimenti nuovi, che costituiscono fin d'ora invenzioni note-
voli, e promettono per l'avvenire applicazioni industriali vera-
mente grandi ed importanti.
II.
Fecero domanda di essere ammessi al Concorso sei Espo-
sitori :
i.° Ferrara Francesco e Guidi Filippo di Roma;
2.*» Società Cauderay di Losanna;
3.® Ganz e Comp.* di Budapest;
4.° Società generale Italiana di elettricità, sistema Edison,.
di Milano;
5.*» Società anonima Italiana di miniere di rame e di
elettrometallurgia, di Genova;
6.° The National Company for the distribution of elee-
tricity by secondary generators, Limited, di Londra.
i.^ Ferrara Francesco e Guidi Filippo di Roma.
1 signori Ferrara e Guidi presentarono una macchina dina-
moelettrica di nuovo modello, a quattro poli induttori, che si
distingue per una disposizione nuova destinata a far sì che \\
per la sezione di elettricità , ecc. 321
nucleo di ferro dell'anello indotto stia costantemente in contatto
colla massa di ferro dei nuclei delle elettrocalamite induttrici.
Nelle masse polari degli induttori sono scavate cavità cilindriche,
in cui stanno, riempiendole quasi completamente, cilindri mas-
sicci di ferro. Questi poi sono portati da alberi di ferro, su cui
possono girare liberamente, e colla loro superfìcie convessa si
appoggiano costantemente su pezzi di ferro, che fanno parte
del nucleo dell'anello indotto, e che sporgono dalla spirale, da
cui il nucleo è ricoperto. Con questa disposizione gli inventori
si proposero di far si che il nucleo dell'anello, invece di essere
magnetizzato semplicemente per l'influenza dei poli induttori,
formasse parte materiale dell'induttore medesimo, e riuscisse
perciò magnetizzato più potentemente. L'intensità del campo
magnetico compreso fra le estremità polari dell'induttore ed il
ferro dell'indotto sarebbe così riuscita maggiore, e per conse-
guenza la macchina avrebbe avuto, con date dimensioni, e con
data velocità, una più elevata forza elettromotrice.
La Giurìa però, pur riconoscendo l'ingegnosità di qualche
particolare del nuovo congegno, osservò che qualora il contatto
del nucleo dell'anello con quelli dell'induttore si effettuasse per
mezzo di masse di ferro sufficienti per produrre effetti sensibili,
la distribuzione di magnetismo, che ne risulterebbe, non sarebbe
quella che conviene per aumentare la forza elettromotrice della
macchina. In ogni caso la complicazione non sarebbe compen-
sata da vantaggi adeguati. Ed anche ammettendo che col modi-
ficare le proporzioni, col rendere più compatto e più fisso l'in»
sieme, col correggere, insomma, le imperfezioni inevitabili di
un primo modello, gli autori potessero riuscire a migliorare le
condizioni meccaniche dell'apparecchio, la Giurìa credette che
la modificazione immaginata dal Ferrara e dal Guidi non po-
tesse costituire un reale perfezionamento e non dovesse perciò
essere presa in considerazione pel conferimento del premio.
2.° Società Cauderay di Losanna.
La Società Cauderay di Losanna concorse al premio con
un coniatore di elettricità. Tale contatore è elettromagnetico, ed
è semplicissimo. Un bilanciere oscillante analogo a quello degli
orologi da tasca, ma di grandi dimensioni, il quale oscilla iso-
cronicamente, serve da motore. 11 movimento è mantenuto per
G. Ferraris, Opcrt, Voi. II. ar
322 Relazione della giuria internazionale
mezzo di una corrente derivata, il cui circuito si chiude quando
r ampiezza delle oscillazioni è sensibilmente diminuita, e che
attiva allora due elettrocalamite, le quali, attirando un pezzo di
ferro unito, in croce, all'albero del bilanciere, danno a questo
un impulso, che restituisce alle oscillazioni l'ampiezza primitiva.
Il bilanciere per mezzo di un sistema di ruote dentate fa, ad
ogni sua oscillazione, avanzare di un angolo costante un tam-
buro di ottone, di fronte al quale, a piccola distanza dalla sua
superficie, sta la punta, piegata ad uncino, dell'indice di un or-
dinario amperometro. Il tamburo porta delle punte di acciaio
^sporgenti dalla superficie convessa; se una di queste viene ad
incontrare l'estremità dell'indice dell'amperometro, obbliga l'in-
dice medesimo ad inclinarsi alquanto, e mettendo in movimento
un sistema di leve, fa avanzare di un dente la prima ruota di
un ordinario contatore. Ora le punte sono distribuite sulla su-
perficie del tamburo in modo che in ciascuna sezione retta di
questo ve ne sia un numero proporzionale alla intensità della
corrente per la quale l'estremità dell'indice si trova nel piano
della sezione medesima. Per tal modo avviene che il numero
dei contatti dell'indice colle punte, e quindi il numero dei denti
di cui gira la prima ruota del contatore, e quindi finalmente le
indicazioni del contatore sieno proporzionali alla quantità di
elettricità trasmessa attraverso l'amperometro.
L'ingegnoso apparecchio funziona regolarmente. Esso sarà
destinato a rendere utilissimi servigi quando si faranno su larga
scala distribuzioni di correnti elettriche per l'illuminazione pri-
vata. Non parve tuttavia al Giuri che una invenzione come
questa, avente in mira soltanto la risoluzione di uno dei molte-
plici problemi secondari, che si collegano con quello dell* illu-
minazione elettrica, potesse corrispondere al concetto a cui si
è inspirata l'istituzione del premio. Il Giuri credette di premiare
degnamente l'autore, prendendo l'apparecchio in considerazione
nel conferimento delle altre ricompense.
3.° Ganz e Comp.* di Budapest.
La casa Ganz e Comp." di Budapest portò all'Esposizione
di Torino parecchie macchine dinamoelettriche a correnti alter-
native del noto tipo del sig. Zipernowsky. Alcune di queste
macchine sono autoeccitatrici, ed una di queste è presentata al
per la sezione dì eletlrìcitày ccc, 323
Concorso pel premio speciale del Governo e della Città. Tale
macchina, destinata all' illuminazione con lampade ad incande-
scenza, è analoga alle altre per la disposizione delle parti, ma
si distingue per la piccolezza delle sue dimensioni e per la
straordinaria intensità delle correnti che è capace di produrrf.
Essa è notevolissima: colle dimensioni di circa o,"^Xo*6o
X 0,60, e con un peso di soli 430 chilogrammi, può assorbire»
nelle condizioni di lavoro regolare, circa 25 cavalli, e produrre
4ina corrente di 300 ampère con una forza elettromotrice di 60
volt L'eccitazione è ottenuta per mezzo delle correnti generate
in due delle spirali indotte, correnti che vengono raddrizzate
•per mezzo di un commutatore portato dall'albero della macchina.
Tale commutatore funziona inappuntabilmente.
La Giurìa apprezzò il valore della macchina^ e ne tenne
conto conferendo alla casa Ganz la medaglia d'oro, ed asse-
gnando all'Ingegnere Zipernowsky una medaglia di collabora-
zione. Non credette tuttavia che pel concorso al premio speciale
'del Governo e della Città di Torino essa potesse essere presa
ìn\:onsiderazione. Il premio fu stabilito per le nuove invenzioni
•costituenti un progresso notevole nella soluzione dei problemi
relativi alle applicazioni industriali della corrente elettrica; ora
la macchina del Ganz, benché dimostri l'abilità dell'ingegnere
che ne fece lo studio ed il valore dell'officina che la costruì,
.non ha di veramente nuovo altro che le proporzioni.
4.° Società generale di elettricità, sistema Edison,
DI Milano.
La Società generale Italiana di elettricità, sistema Edison,
'di Milano dichiarò di adire al concorso tanto in nome proprio
quanto in nome di T. A. Edison di Nuova-York, che essa rap-
presenta in Italia.
Ad Edison spetta incontestabilmente il merito di avere ri-
solto il problema dell'illuminazione pratica di grandi centri con
lampade ad incandescenza e con una rete di conduttori collegati
ad una stazione centrale. Nessuno prima di luì ha immaginato
un sistema di distribuzione così perfetto, e nessuno dopo di luì
ha saputo introdurvi modificazioni di qualche utilità ed impor-
tanza. Il modo di collegare e di proporzionare i conduttori,
.acciocché l'intensità della luce riesca praticamente la stessa in
324 Relazione della giuria internazionale
tutte le lampade alimentate dalla rete, la struttura e la disposi-
zione dei conduttori sotterranei, delle scatole di unione, degli
apparecchi di sicurezza e di presa, la serie completa d'organi
di sicurezza così numerosi e così suddivisi che la loro efficacia
si estende dalle singole lampade ai gruppi di lampade e alla
rete intera, l' invenzione di una macchina dinamoelettrica di
grandi proporzioni, capace di alimentare sino a 1200 lampade
di 16 candele, l'applicazione a ciascuna dinamo del suo motore,
la serie completa di apparecchi regolatori, avvisatori, indicatori,
misuratori, sono invenzioni di un valore incontestato; e l'avere,
coir applicazione di un sistema così completo in tutte le sue
partì, illuminato per la prima volta, in uno dei quartieri di
Nuova- York, una area di un chilometro quadrato con più di
10.000 lampade elettriche è un fatto sufficiente per legare indis-
solubilmente il nome dell'inventore alla storia delle grandi ap-
plicazioni dell'elettricità. E per questi titoli la Società generale
Italiana concorre al premio in nome di Edison.
Nel nome proprio essa concorre per aver fatto il primo, ed
ancora unico impianto in Europa di una stazione centrale di
illuminazione elettrica con distribuzione di luce in un vasto
quartiere, mediante una rete sotterranea di conduttori ; per avere
applicato l'illuminazione elettrica ad incandescenza, se non al
primo teatro, certo per la prima volta in Italia e nel teatro più
grande che sinora sia stato illuminato elettricamente in Europa;
per avere esteso notevolmente l'illuminazione elettrica negli
stabilimenti industriali, e sopratutto per averne fatta 1' applica-
zione alla marina mercantile.
Tutto il materiale di un impianto Edison completo, eoa
quanto poteva giovare a dare un' idea chiara del sistema, è stato
esposto a Torino dalla Società generale italiana; ed una serie
di piani e di disegni è stata disposta per modo da dare una
idea esatta dell'importanza degli impianti che la Società ha fatto
a Milano.
La Giurìa si trovò unanime nel ritenere la Società espc-
sitrice meritevole di una ricompensa di primo ordine, ed in
considerazione della perfezione e della grandiosità degli impianti
eseguiti dalla Società, e dell' incremento che essa ha dato alle
applicazioni elettriche in Italia, le ha conferito il più onorifico
dei premi di cui essa potesse disporre, il Diploma d'onore.
Ma non parve alla Giurìa internazionale che alla Società
milanese potesse essere assegnato il premio speciale in denaro
per la sezione di elettricità, ecc, 325
stabilito dallo Stato e dalla Città di Torino. A tale premio la
Società non avrebbe potuto aspirare, né in nome di Edison, né
in nome proprio.
Non in nome di Edison. A tenore dell'art. 3*» del R. Decreto
del IO dicembre 1883 il premio fu istituito a favore degli Espo-
sitori, ed Edison non lo é. Che se si volesse considerare Edison
come espositore, siccome quello che è rappresentato in Italia
dalla Società esponente, egli non potrebbe tuttavia (avuto ri-
guardo allo scopo del premio) essere preso in considerazione,
È infatti evidente che quando in occasione di una Esposizione
si istituisce una ricompensa speciale per qualche nuova inven-
zione o per qualche nuovo apparato, si deve sottintendere
che l'invenzione o l'apparato sia di data posteriore all'ultima
delle Esposizioni precedenti e non sia ancora passato in giudi-
cato. Se così non si dovesse interpretare la cosa, avrebben»
potuto presentarsi al Concorso, e con titoli equivalenti a quelli
di Edison, tutti i grandi inventori, ai quali la moderna elettro-
tecnica deve i suoi progressi giganteschi, come sono Pacinotti^
Siemens, Hefner-Alteneck, Piante, ecc.
La Società non avrebbe nemmeno potuto aspirare al premio
in nome proprio, perché gli apparecchi, l'invenzione dei quali
le appartiene, sono unicamente quelli che servono al maneggio
delle lampade elettriche sulle scene dei teatri ; e tali apparecchi,
benché ingegnosi e pratici, risolvono unicamente un problema
secondario, e non sono né i soli, né i primi che lo risolvano.
5.° Società anOxNima Italiana di miniere di rame
e di elettrometallurgia.
La Società anonima Italiana di miniere di rame e di elet-
trometallurgia, avente sede in Genova, si presentò al concorso
pel procedimento elettrolitico pel trattamento dei minerali di
rame dovuto all'ingegnere Marchese, procedimento che essa
applica su grande scala nelle sue officine di Casarza (Sestri-
Levante) e pel quale sta organizzando nuovi e considerevoli
impianti.
Il procedimento dell'ingegnere Marchese era illustrato nel-
l'Esposizione di elettricità da un piccolo impianto, sul quale si
potevano studiare i caratteri più importanti della parte elettro*
litica dell'operazione. Tale operazione é la seguente:
326 Relazione della giuria inlernaziouale
Una parte del minerale, determinata secondo la sua compo-
sizione, è fusa per metallina (ferro, rame e zolfo) allo scopo di
ottenere gli anodi necessari all'operazione elettrolitica. L'altra
parte è arrostita per ottenere una soluzione contenente solfato
di rame, destinata a servire come elettrolito. La metallina, fatta
coi mezzi ordinari, viene colata in lastre di piccola grossezza
e di superficie considerevole. Le lastre vengono poi collocate
nei bagni in posizione verticale, ed alternate con sottili lastre
di rame elettrolitico, le quali, coHegate insieme, costituiscono il
catodo.
II liquido è preparato, come si disse poc'anzi, per mezzo di
quella parte del minerale che non si impiega per fare le metal-
line. A quest'uopo il minerale viene torrefatto, e poi sottoposto
ad una lisciviazione sistematica coll'addizione dell'acido solforico
che occorre a disciogliere il rame. La soluzione contenente il
solfato di ferro ed il solfato di rame viene allora condotta nei
bacini elettrolitici. Coll'elettrclisi la soluzione si impoverisce di
rame e si arricchisce d'acido solforico; ma la saturazione e la
composizione del liquido nelle vasche elettrolitiche è mantenuta
costante per mezzo di una regolare circolazione. Il liquido che
viene dai bacini elettrolitici, raccolto da un tubo, viene portato,
per mezzo di una pompa, nelle vasche di lisciviazione, ove il
suo acido solforico viene utilizzato, mentre esso si arricchisce
nuovamente di rame. Arricchita, la soluzione ridiscende nei
truogoli voltaici per ricominciare un'altra volta la medesima
serie di trasformazioni.
Nei bagni elettrolitici il solfato di rame della soluzione è
decomposto dalia corrente elettrica ed il rame è deposto sul
catodo, mentre sull'anodo vengono attaccati i solfuri di ferro e
di rame, i quali cedono i loro metalli al liquido e lasciano sulla
lastra il solfo. I sali ferrici dovuti alla dissoluzione degli anodi
impediscono la deposizione del ferro dei sali ferrosi e lo svi-
luppo dell'idrogeno sul catodo; giovano per tal modo a far si
che il rame si depositi sugli elettrodi. negativi puro e compatto.
Gli anodi esauriti si utilizzano per ottenere solfo ed acido
solforico. La soluzione poi, quando è divenuta troppo ricca in
ferro, viene ritirata dalla circolazione. Allora per mezzo dell'a-
cido solfidrico, prodotto dalla reazione sopra metallina, viene
precipitato quanto il liquido contiene ancora di rame, mentre
viene ridotto il persolfato di ferro e neutralizzato l'acido libero,
li solfato di ferro, clie costituisce allora la massima parte della
per la sezione di elettricità, ecc. 327
soluzione, è fatto cristallizzare se vi è vendita conveniente;
altrimenti è gettato.
Il trattamento elettrolitico sovradescritto soddisfa alla con-
dizione necessaria ed essenziale di un buon procedimento indu-
striale; alla condizione cioè che tutti i prodotti ed i residui in-
termediari abbiano un impiego naturale nelle operazioni che
costituiscono il trattamento, e nulla in questo sia perduto, o
posto a parte per trattamenti speciali secondarli. Ma ciò die
precipuamente distingue il sistema del Marchese da quelli già
in uso, ciò che dà al medesimo un carattere di novità, ciò che,,
secondo il giudizio unanime della Giurìa internazionale, dà ve-
ramente importanza al sistema, è che il deposito di rame chimi-
camente puro, privo cioè da ogni traccia di ferro, è ottenuto
adoperando :
i.° Anodi di solfuri metallici preparati per mezzo di una.
sola fusione e contenenti non meno del quaranta per cento di
ferro,
2.° Elettroliti costituiti per la massima parte da solfati di
ferro.
L'importanza del fatto che nel procedimento del Marchese
sono adoperate come anodi metalline di prima fusione, ricchis-
sime di ferro, vuol essere considerata da due punti di vista :
dal punto di vista della economia del combustibile, e da quello
dell'economia di forza motrice nella operazione elettrolitica.
Che l'economia di combustibile possa essere considerevole,
almeno dove tutta l'operazione elettrolitica può essere fatta con
forza motrice idraulica, risulta dalla semplice considerazione che
nel procedimento della Società anonima Italiana una parte sol-
tanto del minerale viene sottoposta a fusione, e anche per
questa parte del minerale basta una prima fusione, la quale pei
minerali italiani richiede meno del 15 p. ®/o di coke.
Che poi l'impiego di anodi fatti con metalline molto ricche
di ferro possa giovare alla economia dell'operazione elettrochi-
mica è un fatto constatato, e nella utilizzazione di esso sta so-
stanzialmente l'invenzione del Marchese. Il ferro della metallina
dà luogo ad una forza elettromotrice favorevole alla corrente
elettrica, la quale si sottrae da quella opposta che bisogna vin-
cere per decomporre il solfato di rame. In altri termini la dis-
soluzione del ferro delle metalline produce un lavoro elettrico
utile, che sopperisce in parte a quello necessario per dissociare
il sale di rame. Nel fatto la forza elettromotrice necessaria per
328 Relazione della giuria internazionale
far passare la corrente attraverso il bagno è sempre inferiore
ad un volt.
Il ferro degli anodi va disciogliendosi nell'elettrolito, il quale
per conseguenza, ad operazione avviata, risulta principalmente
costituito da solfati di ferro. Che da tale soluzione, ricchissima
di solfati di ferro e povera di rame, si possa ottenere un depo-
sito di rame elettrolitico purissimo e compatto, si può spiegare
pensando che il solfato ferrico che abbonda nel liquido agisca
come il liquido depolarizzante in una pila a due liquidi, impe-
dendo lo sviluppo di idrogeno ed il deposito del ferro. Ma qua-
lunque sia la spiegazione del fatto, questo è importantissimo,
ed è merito incontestabile del Marchese l'averlo provato ed
utilizzato.
La Giurìa internazionale fu unanime nel riconoscere, che
il procedimento elettromctallurgico adoperato dalla Società ano-
nima italiana di miniere di rame e di elettrometallurgia presenta
veramente un carattere di novità e può acquistare una impor-
tanza considerevole nell'industria metallurgica in generale ed in
quella dell'Italia in particolare. Essa credette adunque che alla
Società dovesse essere assegnata almeno una parte della somma
stabilita pel premio.
Credette tuttavia il Giurì internazionale, che la somma che
si sarebbe assegnata alla Società di miniere di rame non dovesse
essere data come premio, ma semplicemente come incoraggia-
mento. Il premio infatti deve essere, secondo il programma del
concorso, l'attestazione di un progresso nel campo industriale,
notevole e sicuro. Ora, comunque razionali sieno i procedimenti
del Marchese, comunque buoni i risultati degli esperimenti at-
tuali, nessuno potrebbe oggidì asserire che il problema, che
l'inventore e la Società si sono proposto, sia fin d'ora comple-
tamente risolto sotto tutti gli aspetti. Per giudicare dell'impor-
tanza industriale di un nuovo processo di fabbricazione, non
basta esaminare il processo nelle sue particolarità tecniche e
nei suoi prodotti, ma bisogna averne constatato i frutti pratici
ottenuti, ad esercizio regolarmente avviato, dagli opifizi nei
quali esso è adoperato. Ora la grandiosa officina di Sestri-
Levante è di impianto troppo recente perchè sia possibile farsi
oggi un' idea chiara della importanza che essa è destinata ad
acquistare.
per la sezione di cleiiricitìi, ecc. 329
6.° The National Company for distributiox
OF Electricity by Secondary Generators, Limited, di Londra.
La National Company for the distribution of Ekctricity by
secondary generators di Londra è proprietaria della privativa
dei sigg. Gaulard e Gibbs per gli apparecchi denominati gene-
ratori secondari.
Gli apparati/ ai quali i sigg. Gaulard e Gibbs danno questo
nome, hanno per iscopo di produrre, per mezzo dell'induzione
esercitata da una corrente alternativa di intensità data, altre
correnti alternative, l'intensità delle quali si possa, pur mante-
nendo sensibilmente costante l'energia che esse rappresentano,
far variare a piacimento. Una corrente data da una macchina a
correnti alternative è trasmessa in una spirale, che noi diremo
primaria, avvolta su di un nucleo di fili di ferro. Altre spirali,
che diremo secondarie, e che si possono, riunite in circuito unico
od in circuito multiplo, inserire in uno, od in più circuiti chiusi,
sono avvolte sul medesimo nucleo di ferro. L'induzione della
corrente primaria produce nelle spirali secondarie forze elettro-
motrici alternative. E siccome le spirali secondarie si possono
a piacimento, per mezzo di un commutatore, collegare in circuito
semplice od in circuito multiplo, così si possono sommare delle
correnti secondarie, a piacimento, le forze elettromotrici o le
intensità, e se l'energia spesa nella spirale primaria è sufficiente,
si possono avere nei circuiti secondari quelle intensità e quelle
forze elettromotrici, che convengono alle applicazioni che si
vogliono fare colle medesime. Nelle applicazioni, alle quali mi
rano precipuamente gli inventori e delle quali diremo più in
nanzi, si ha bisogno di produrre, con una corrente primaria d
non grande intensità, correnti secondarie di intensità maggiore
Allora la corrente primaria è data da una macchina dinamo
elettrica di grande forza elettromotrice, e le spirali secondarie
sono collegate in circuito multiplo. Si hanno per tal modo sui
morsetti terminali delle spirali secondarie differenze di potenziali
minori di quelle che si hanno sulle estremità della spirale pri
maria, ma per compenso si ottiene nei circuiti secondari una
intensità di corrente corrispondentemente più grande. Astrazione
fatta dalla inevitabile perdita di energia che ha luogo nell'appa-
recchio, si può dire che passando dalla corrente primaria alla
secondaria si sono fatti variare in sensi opposti i valori dei due
33° Relazione delia giuria intenmziofiale
fattori deirenergia: si è diminuita la forza elettromotrice e si è
aumentata l'intensità della corrente.
L'idea di ricavare da correnti di piccola intensità correnti
alternative di intensità maggiore per mezzo di un apparecchio
fondato sul medesimo principio del rocchetto di RuhmkorfT, ma
adoperato a rovescio, è cosi semplice e così ovvia, che non è
difficile trovare molti che da tempo la enunciarono e la sotto-
posero allo esperimento. E Tidea che di questo modo dì ado-
perare il rocchetto d* induzione si potessero fare applicazioni
pratiche nella distribuzione dell'energia colle correnti elettriche
e sovratutto nella illuminazione elettrica è anch'essa abbastanza
ovvia perchè più d' uno, prima dei signori Gaulard e Gibbs, la
proponessero e ne facessero anche l'oggetto di brevetti di pri-
vativa. Ma se si confronta coU'ordinario rocchetto di induzione
il nuovo apparecchio di Gaulard e di Gibbs, il quale, benché
fondato sul medesimo principio, noto a tutti, ne differisce tut-
tavia sostanzialmente per le proporzioni e per la disposizione
delle sue parti, e pel rendimento che può dare; e se colle pro-
poste di quelli, che, pure alludendo ad apparecchi diversi <ial
rocchetto di Ruhmkorff, stettero tuttavia nel vago dei progetti,
si mettono a confronto le esperienze pratiche effettive già fatte
dalla Società proprietaria del nuovo brevetto, si è forzati a ri-
conoscere, che non mai prima d'ora il problema fu presentato
in forma più razionale e più pratica.
Che invertendo la funzione di un ordinario rocchetto di
Ruhmkorff, facendo cioè passare la corrente primaria nel filo
lungo e sottile, e ricavando la secondaria dal filo grosso e corto,
si possa con una corrente primaria di piccola intensità, ma
data da una macchina di grande forza elettromotrice, ottenere
una corrente secondaria dovuta ad una forza elettromotrice mi-
nore, ma di una assai più grande intensità, è cosa nota e chiara;
ma è evidente eziandio che in un apparecchio così fatto sarebbe
necessariamente impossibile ottenere un coefficiente di rendi-
mento conveniente. Ciò in causa della grande resistenza della
spirale per cui passerebbe la corrente primaria. È evidente
inoltre che l'apparecchio dovrebbe assumere dimensioni, peso e
prezzo considerevoli quando esso dovesse somministrare, sotto
forma di corrente secondaria, quella quantità di energia che
occorre nelle pratiche applicazioni alle quali oggi si mira. Il
sig. Gaulard ha evitato questa difficoltà in modo semplice ed
ingegnoso ; ed il suo merito sta appunto nell' aver trasformalo
per la sezione di elettricità, ecc, 331
il rocchetto di induzione in modo di ottenere i seguenti quattro
risultati:
I.*» Di rendere piccolissima, minima, la resistenza tanto
delia spirale primaria quanto della secondaria.
2.° Di rendere massimo il coefficiente di induzione mutuo
delle due spirali, e quindi minime le dimensioni ed il peso del-
l'apparato.
3.*» Di rendere la costruzione dell'apparato semplice e
facile in modo tale che il prezzo di esso superi di poco quello,
del resto assai piccolo, del metallo con cui è fatto.
4.» Di aver collocato le due spirali, primaria e secondaria,
identicamente nella medesima posizione relativamente al nucleo
di fili di ferro, cosa, che, rendendo uguali le forze elettromotrici
dovute all'induzione del nucleo sulle due spirali, primaria e se-
condaria, contribuisce al buon rendimento ed agevola inoltre
l'impiego pratico dell'apparecchio.
Negli apparati presentati alla Esposizione di Torino, appa-
rati di forma nuova e non esperimentata prima d'ora, le spirali
primarie e secondarie sono fatte con dischi di lastra sottile di
rame. I dischi hanno la forma di corone circolari, tagliate ' se-
condo un raggio e presentanti sui due lati dèi taglio^ verso
l'esterno, sporgenze in forma di linguette rettangolari destinate
a permettere di saldare i dischi tra di loro per formare le spi-
rali. Una serie di dischi identici, saldati convenientemente l!uno
all'altro per mezzo delle linguette sunnominate, forma una spi-
rale continua, di cui ciascun disco rappresenta una spira: una
spirale a nastro. Ciascun apparecchio ha due spirali; e le spire
di una di queste sono alternate con quelle dell'altra. L'isola-
mento è ottenuto per mezzo di dischi di carta alternati coi
dischi di rame. Una delle due spirali è tutta di un pezzo e serve
come primaria; l'altra e fatta di più pezzi uguali sovrapposti, i
quali, per mezzo di un semplice commutatore a spine si possono
congiungere in circuito semplice, od in circuito multiplo, a piaci-
mento. Nel tubo contenuto entro ai fori dei dischi sta un nucleo
costituito da un fascio di fili di ferro, il quale si può innalzare più
o meno, e così estrarre più o meno dall'apparecchio, onde rego-
lare l'efficacia del medesimo. Un commutatore serve ad intro-
durre il generatore secondario nel circuito della corrente primaria,
oppure ad estrarnelo chiudendo il detto circuito con corto filo.
I generatori secondari presentati alla Esposizione di Torino
sono di due modelli: un piccolo modello, che può dare nel eir-
332 Relazione della giuria internazionale
culto secondario P energia equivalente ad un cavallo dinamico»
ed un modello più grande, atto a dare correnti secondarie equi-
valenti alla energia di circa due cavalli. Questi ultimi, i quali
hanno servito alla massima parte delle esperienze che furono
fatte nella Esposizione, hanno la spirale secondaria composta
di quattro porzioni eguali, le quali, prese insieme, contengono
455 dischi. Altrettanti dischi formano la spirale primaria. La
spirale primaria ed il complesso delle secondarie, quando queste
ultime sono riunite in circuito semplice, presentano approssi-
mativamente la medesima resistenza; tale resistenza è di circa
un terzo di ohm. Il peso del rame contenuto nell'apparecchio
completo è compreso fra i8 e 20 chilogrammi; il che equivale
a circa dieci chilogrammi per cavallo dinamico. Colle proporzioni
attuali i generatori secondari sono fatti per funzionare regolar-
mente con una corrente primaria di circa dodici ampère, e ven-
gono adoperati in modo da produrre correnti secondarie di
intensità compresa fra otto e dieci ampère. Nell'impianto che la
Società espositrice ha fatto in Torino, la corrente primaria è
somministrata da una macchina dinamoelettrica a corrente alter-
nativa di Siemens, la quale fa mediamente 760 giri per minuto,
e produce in ogni minuto secondo, mediamente, 304 inversioni
di corrente. Per le esperienze su grandi distanze ha servito un
filo di rame cromato somministrato dalla ditta Mouchel di Pa-
rigi. Tale filo ha il diametro di millimetri 3,7 ed è disteso su
isolatori, come i conduttori telegrafici aerei ordinari, lungo la
linea telegrafica delle Strade ferrate dell'Alta Italia e lungo quella
della Strada ferrata da Torino a Lanzo. La distanza effettiva
tra la galleria dell'elettricità nella Esposizione e la stazione di
Lanzo, misurata lungo la linea, è di circa 42 chilometri; il filo
misura quindi, coi due tratti di andata e di ritorno, circa 84
chilometri. I generatori secondari furono distribuiti alle due
estremità della linea ed in due stazioni intermedie.
La Giurìa internazionale ebbe campo a constatare che gli
apparecchi di Gaulard e Gibbs sono realmenti atti a trasfor-
mare le considerevoli quantità di energia, di cui si è detto
poc'anzi; che realmente essi si prestano a risolvere in modo
semplice e comodo il problema, in molti casi importante, di
alimentare per mezzo di un'unica corrente primaria, simulta-
neamente, lampade elettriche di natura e di tipi diversi; che
finalmente l'intensità delle correnti secondarie si può facilmente
regolare.
per la sezione di elettricità, ecc. 333
Del coefficiente di rendimento del trasformatore, coefficiente
il cui valore dipende da molte circostanze, e può, per un mede-
simo apparecchio, variare moltissimo, a seconda della velocità
della macchina dinamoelettrica e della resistenza del circuito
secondario, il Giurì non crede che si possano dare fin d'ora
valori numerici precisi. Esso tuttavia non trascurò di fare sugli
apparecchi esposti varie determinazioni, e di esaminare inoltre
i risultati delle molte esperienze da altri eseguite nel corso
della Esposizione, e potè dedurre dall'insieme di tutti i fatti
osservati, che il coefficiente di rendimento della trasforma-
zione, che ha luogo nel generatore secondario, può avere, se
le resistenze dei circuiti secondari sono bene proporzionate,
valori molto elevati, e certo incomparabilmente superiori a
quelli che si avrebbero coli' impiego degli ordinari rocchetti di
induzione.
Anche gli esperimenti che si sono fatti sul circuito stabilito
lungo la linea TorinoLanzo, hanno avuto, agli occhi della Giu-
rìa, una qualche importanza. Benché l' invenzione dei signori
Gaulard e Gibbs lasci intatto il problema generale del trasporto
dell'energia a grandi distanze per mezzo dell'elettricità, problema
la cui soluzione sta essenzialmente nel trovare macchine di gran-
dissima forza elettromotrice e nel trasmettere praticamente a
distanza le lóro correnti, essa tuttavia offre una soluzione del
problema secondario di rendere utilizzabile l'energia trasmessa
nei casi in cui questa si vuole adoperare sotto forma di cor-
renti elettriche per l'illuminazione. E benché raramente si pos-
sano presentare nella pratica casi nei quali possa economica-
mente convenire di applicare il sistema su distanze grandi come
quella su cui si è fatto in Torino l'esperimento, tuttavia é indu-
bitabile che anche applicando il sistema su distanze minori, e
combinandolo coi sistemi di distribuzione delle correnti già in
uso, esso potrà permettere non solo di allargare notevolmente
il raggio di azione degli attuali sistemi di illuminazione elettrica
con impianti centrali, ma ancora di combinare, in modo semplice
ed uniforme, in un medesimo tutto, impianti di illuminazione
con ogni forma di lampade.
Per questi motivi la Giurìa internazionale fu unanime nel
giudicare la National Company for the distribution of Electricity
by secondary generatore di Londra degna di essere presa in con-
siderazione, e stabilì dì assegnare alla medesima una parte della
somma stabilita pel premio.
334 Relazione delia giuria internazionale
Però nel prendere questa deliberazione la Giurìa credette
necessario di fare, rispetto alla medesima, una dichiarazione
simile a quella già fatta relativamente al conferimento di una
parte della somma alla Società anonima Italiana di miniere dì
rame e di elettrometallurgia: la Giurìa non crede che nello
stato attuale l'invenzione di Gaulard e Gibbs possa, senza ulte-
riori perfezionamenti ed ulteriori prove pratiche, essere consi-
derata come compiuta; e quindi vuole che la somma assegnata
alla Società che la presenta venga considerata non già come
un premio attestante l'importanza dell'invenzione compiuta, ma
come un incoraggiamento a proseguire nel perfezionamento di
un sistema che si crede fecondo di utili applicazioni. Acciocché
il sistema di distribuzione delle correnti basato sull'impiego dei
generatori secondari possa essere considerato come indubbia-
mente pratico e sicuro, non è soltanto necessario che l'espe-
rienza, fatta in circostanze svariate, dimostri 1' economia reale
che esso presenta, ma è necessario ancora che gli inventori
completino il loro apparecchio con accessori diversi, e lo com-
binino con altri già in uso o proposti in modo che:
i.^' Si abbia nel sistema l'indipendenza degli apparecchi
di un utente qualunque da quelli degli altri, e si eviti la neces-
sità che ciascun utente regoli il proprio generatore secondario
ogniqualvolta vengono introdotti o tolti dal circuito primario
altri generatori, od ogniqualvolta egli stesso spegne od accende
alcune lampade.
2.<> Il maneggio dei circuiti e degli apparecchi sia facile
e sicuro.
III.
CONCLUSIONI.
Dalle considerazioni sovraesposte, la Giurìa internazionale
fu condotta alla decisione di dividere la somma di lire quindi-
cimila stabilita pel premio del Governo e della Città di Torino,
in due parti da assegnarsi, a titolo di incoraggiamento, ai due
seguenti espositori:
a) Società anonima Italiana di miniere di rame e di elet-
trometallurgia, avente sede in Genova:
per la sezione di elettricità, ecc. 335
b) The National Company far the distribution of Eleciricity
òy secondary generators, Limited, di Londra,
Per dividere poi la somma fra le due Case concorrenti, la
Giurìa non credette di poter mettere a confronto l'importanza
relativa dei trovati dalle medesime presentati al concorso, im-
perocché non è possibile un tale confronto fra cose affatto dif-
ferenti per la natura loro e pei problemi che mirano a risolvere.
Essa credette invece essere più equo tenere a calcolo, nel fare
la ripartizione, le spese che debbono avere incontrato le due
Società concorrenti nel fare i loro impianti nella Esposizione.
Partendo da questo concetto, la Giurìa decise di dare un terzo
della somma alla Società anonima Italiana di miniere di rame e
due terzi alla Società dei generatori secondari.
Le decisioni relative alle due Società concorrenti furono for-
mulate ed approvate all'unanimità dalla Giurìa nel modo seguente:
a) Per la Società anonima Italiana di miniere di rame e
di elettrometallurgia;
La Giurìa per l'Esposizione internazionale di elettricità con-
siderando :
I.® Che se le Officine della Società anonima Italiana di
miniere di rame e di elettrometallurgia, con sede in Genova,
non hanno ancora funzionato regolarmente per un tempo suffi-
ciente a dimostrare che il problema dell'estrazione industriale
del rame dai suoi minerali per via elettrolitica è stato comple-
tamente risolto, tuttavia dagli apparecchi e dai prodotti dalla
Società presentati all'Esposizione risulta che la Società mede-
sima è già riuscita ad ottenere mediante l'elettrolisi, su vasta
scala, direttamente rame riconosciuto puro, da metalline molto
ricche di ferro ;
2.° Che l'applicazione della elettrolisi al trattamento dei
minerali di rame, quale fu attuata dalla Società anonima di Ge-
nova, permette di impiegare utilmente minerali poveri;
3." Che le ricerche eseguite su vasta scala per sostituire,
anche in parte, i metodi elettrometallurgici ai modi ordinari
nella estrazione dei metalli meritano di essere incoraggiate sic-
come quelle che sono destinate a fare sotto più rapporti pro-
^^redire le industrie metallurgiche;
Delibera di accordare alla suddetta Società, a titolo di in-
coraggiamento, lire cinquemila.
b) Per la National Company f or the distribution of Elec-
iricity by secondary generators, Limited, di Londra:
33^ Relaziqnc della giuria internazionale, ecc.
Quantunque il problema di trasformare per mezzo della
induzione correnti deboli in correnti più forti non sia nuovo,
pure il Giurì riconosce che l'ultima forma data dal Sig. Gaulard
agli apparati di induzione è molto razionale e rende possibile
siffattta trasformazione con lieve perdita di energia. E perciò
delibera di assegnare alla Società dei generatori secondari die-
cimila lire a titolo di incoraggiamento, acciocché prosegua a
perfezionare il suo sistema molto acconcio per distribuire sopra
regioni estese l'illuminazione elettrica di qualunque forma.
Al Sig. Ingegnere E. Marchese ideatore del sistema elet-
trolitico della Società anonima Italiana di miniere di rame e di
elettro-metallurgia, ed al Sig. Lucien Gaulard, inventore dei
generatori secondarii della National Company for the disirtbtdion
of Electricity by secondary generators di Londra, la Giurìa deli-
berò la Medaglia d'oro di collaborazione.
Torino, 9 Novembre 1884.
// Presidente della Giuria Internazionale
Incaricato delia Relazione
Prof. Galileo Ferraris.
■ ■ JP^" '
L'ELETTROTECNICA
ALL'ESPOSIZIONE UNIVERSALE DEL 1889
IN PARIGI
CAPO L
Le macchine dinamoelettriche.
§ i.° Considerazioni generali,
I. Primo sguardo complessivo, confronto coli* Esposizione dei
18S1, — Nell'autunno del 1881 si ebbe in Parigi la prima Espo-
sizione Internazionale di Elettricità; nel 1889, dopo otto anni,
di nuovo in Parigi, l'elettricità ha dato materia ad una parte
cospicua di una grande Esposizione mondiale. Benché tra le due
mostre altre ve ne siano state a Monaco, a Vienna, a Torino^
ad Anversa, le quali hanno man mano illustrato il graduale in-
cremento delle nascenti industrie elettrotecnìchCi tuttavia que-
st'ultima esposizione parigina doveva riuscire singolarmente
istruttiva, siccome quella che, svolgendosi nelì' ambiente mede-
simo ov'era sorta la prima, poteva offrire più spontanei e più
chiari confronti, e porgere per tal modo, colla massima evidenza,
una esatta idea del meraviglioso cammino che le nuove Industrie
hanno percorso dal giorno, in cui si affermarono solennemente
per la prima volta, al giorno d'oggi.
Tale effettivamente è riuscita nell'Esposizione la Classe 6a,
concernente l'elettrotecnica. In essa il visitatore, prima ancora
di entrare in un minuto esame dei singoli apparecchi e delle
varie applicazioni, già col primo sguardo generale, ha trovalo
materia di riflessione e di ammaestramento. Questo fatto si é
verificato colla maggiore evidenza per quel ramo della elettro-
tecnica, al quale si riferiscono le brevi note che io sto per
esporre: e più specialmente si è verificato nella mostra delle
G. Ferraris, Opere, Voi. II. aa
338 L 'elettrotecnica
macchine che danno vita alle grandi appHcazìoni industriali della
corrente elettrica, nella mostra delle macchine dinamoelettriche.
La prima osservazione che si presenta a chi getti uno
sguardo generale sul complesso delle macchine dinamoelettriche
presentate in questa ultima esposizione parigina e confronti
tali macchine con quelle che figuravano nella mostra del 1881
ed in quelle che in altri luoghi la seguirono, è questa: il nu-
mero dei modelli o dei sistemi non è aumentato, è anzi dimi-
nuito. Se alcune nuove forme di macchine si notano, più nume-
rose però sono quelle che scomparvero, o che non figurano più
se non nelle collezioni a scopo di storia. E i fabbricanti, nel
presentare le loro macchine, non mirano più, in generale, a
porre in evidenza, come cosa essenziale, le forme nuove e gli
sperati vantaggi delle medesime; né i visitatori esperti si arre-
stano più a considerarle.
Orbene tale osservazione è importante. Infatti come la mol-
teplicità delle forme e la varietà dei disegni erano la conse-
guenza e la prova della mancanza di un'idea chiara e precisa
degli scopi ai quali si doveva mirare, e della incertezza dei
criteri che dovevano guidare al conseguimento dei medesimi,
così la somiglianza di aspetto risultante dalla uniformità delle
proporzioni, che attualmente presentano tra di loro le macchine
delle migliori fabbriche attesta, per converso, che oramai no-
zioni esatte e criteri certi offrono a tutti i costruttori una guida
uniforme. Quando mancano nozioni precise sulle leggi quanti-
tative che impongano determinate proporzioni e additino per
conseguenza anche le forme più acconcie e più facilmente con-
ciliabili con quelle, nulla circoscrive il campo alle speculazioni
degli inventori, i quali, procedendo a tentoni, cercano nelle
nuove forme dei loro apparecchi ciò che meglio essi potrebbero
ottenere collo studio delle dimensioni. Quindi la molteplicità dei
disegni e la gara dei sistemi. Quando invece le leggi dei feno-
meni, che debbono prodursi nelle macchine progettate, sono
note così da prendere forma di leggi quantitative, il costruttore
che sa determinare le dimensioni in relazione cogli effetti che
vuole, e subordina ai risultati di calcoli sicuri l'intiero studio
del suo progetto, si trova naturalmente guidato a scegliere tra
poche forme razionali e pratiche, e piuttosto che alla ricerca
inutile di nuovi sistemi, dirige il proprio studio a soddisfare
alle norme di una buona composizione meccanica. All'inventore
subentra l'ingegnere; l'osservanza delle regole generali della
all'Esposizione Universale del iSSp in Parigi. 339
buona ingegnerìa dà luogo ad una generale somiglianza d'a-
spetto nelle macchine; alla gara de' sistemi subentra la gara,
molto più seria e proficua, della buona costruzione.
Il progresso che in pochi anni si è fatto nella conoscenza
delle proprietà delle macchine dinamoelettriche e delle leggi
quantitative che le governano è meraviglioso; e notevolissima
è la trasformazione che tale conoscenza ha prodotto nell'arte di
disegnare e di costrurre le macchine. Ancora nel 1881 le mac-
chine si costruivano con empiriche ed incerte regole di fab-
brica; gli effetti che esse avrebbero dato non si prevedevano se
non per mezzo di confronti e di analogie con macchine già co-
strutte e già sperimentate; tali effetti non si potevano accertare
in modo sicuro se non a costruzione avviata, o finita, coll'espe-
rimento. Ora invece, dati gli effetti che si vogliono ottenere, e
note soltanto le qualità dei materiali che si vogliono impiegare
nella costruzione, le macchine si calcolano a priori e si dise-
gnano sulla base delle dimensioni calcolate, con una sicurezza
non inferiore a quella colla quale si studiano i progetti delle
macchine a vapore e degli altri apparecchi industriali. Lo studio
e la costruzione delle macchine dinamoelettriche costituiscono
presentemente, propriamente, un ramo di ingegneria meccanica,
e le macchine hanno assunto effettivamente l'aspetto ed il ca-
rattere di apparecchi francamente industriali.
Questo grande progresso, pel quale l'arte di costrurre le
macchine di induzione è passata nel volgere dì pochi anni dal-
l'infanzia alla maturità, è precipuamente dovuto alla più estesa
e più chiara conoscenza che ora si ha delle proprietà magneti-
che del ferro. E tale conoscenza, che costituisce da sé un im-
portante acquisto scientifico, è a sua volta dovuta in gran parte
alla diffusione ed al retto impiego che ha trovato tra i tecnici
il concetto chiaro e fecondo di circuito magnetico. Se ai lavori
scientifici di Warburg, di Rowland, di Ewing, di John Hopkin-
son la scienza deve un prezioso complesso di fatti, i quali danno
nuova forma e nuovo significato alle nozioni che si hanno sul
magnetismo, si deve pure affermare che l'applicazione pratica
alle macchine dinamoelettriche del concetto di circuito magne-
tico e di flusso d'induzione, che l'Hopkinson stesso in unione
col fratello e l'ing. Gisbert Kapp ci insegnarono a fare, non solo
ha aperto ai tecnici un nuovo orizzonte, ma ha servito a pro-
vocare e ad incoraggiare potentemente gli stessi lavori scienti-
fici. Non v'ha altro ramo di scienza applicata ove la reciprocità
340 L'elettrotecnica
. degli interessi scientifici e di quelli industriali si sia palesata in
modo più evidente. Imperocché non si saprebbe dire se nel
promuovere il rapido e grande progresso di cui parliamo abbiano
contribuito più le ricerche disinteressate degli studiosi della
scienza, o quelle imposte ai tecnici dai problemi industriali.
2. Esempi. — Queste considerazioni, ho detto, si presentano
spontanee alla mente di chi getti un primo sguardo d'insieme
sulle macchine dinamoelettriche esposte a Parigi. Ed a porre qui
in chiaro l'evidenza di esse mi basta notare per sommi tratti i
prodotti che presentano attualmente le fabbriche più importanti
fra quelle che avevano già esposto nel 1881, e delle quali le
macchine erano allora considerate come tipi o modelli distinti.
Cito, come principalissime, le macchine di Edison, di Siemens
ed Halske, di Gramme, di Sautter e Lemonnier.
Edison presentava nel 1881 due modelli di macchine: la
grande macchina dinamoelettrica a vapore, e la macchina Z.
La prima, che potè essere messa in azione soltanto negli ul-
timi giorni dell'esposizione, era allora la più grande macchina
che mai fosse stata costrutta; produceva circa 1000 ampere con
108 volt, ossia circa 108 chilowatt; poteva alimentare 1400 lam*
pade di 16 candele, ed era comandata direttamente dalla biella
di una macchina a vapore portata dalla medesima base e dalla
medesima intelaiatura. Aveva un elettromagnete di campo a sem-
plice ferro dì cavallo colle braccia orizzontali; il braccio supe-
riore era formato con otto, l'altro, l'inferiore, con quattro sbarre
cilindriche coperte di spirali. Le estremità polari erano enormi,
ed erano anche dissimmetriche, giacché la superiore era assai
più grande dell'inferiore.
L'altra macchina, la Z, la quale produceva da 37 a 38 am-
pere con 106 volt, aveva anch'essa un magnete di campo a
semplice ferro di cavallo, ma questo era verticale co' poli in
basso. E ciò che distingueva la macchina da tutte le altre era
una straordinaria altezza delle braccia dell'elettromagnete e la
relativa magrezza delle medesime. Come nella grande macchina,
le estremità polari, assai grandi, avviluppavano quasi per in-
tiero l'indotto.
La Casa Siemens ed Halske di Berlino aveva nel 1881,
come macchina per corrente continua, il tipo D, con doppio cir-
cuito magnetico. Fra le particolarità di tale macchina si notava
questa, che i nuclei degli elettromagneti di campo erano for-
mati con sottili sbarre di ferro di sezione rettangolare. La se-
all'Esposizione Universale del iSSg in Parigi, 341
zione del ferro era piccolissima, e a fronte di essa era consi-
derevole quella delle spirali magnetizzanti.
La Società Gramme aveva molti modelli diversi, ma fra
tutti erano presentati e ritenuti come principali quelli coli' in-
duttore a doppio circuito magnetico, e specialmente quello no-
tissimo conosciuto col nome di tipo ** Atelier „.
Sautter e Lemonnier costruivano allora macchine di mo-
dello Gramme e più precisamente coll'induttore a molte colonne
verticali. La disposizione di esse non differiva sostanzialmente
da quella che già aveva figurato nella esposizione universale di
Vienna nel 1873; "^ ^^ ^^sa differiva sostanzialmente quella
delle macchine che la stessa Casa costruttrice aveva posterior-
mente presentato a Torino nel 1884.
Attualmente tutti gli accennati tipi di macchine sono scom-
parsi o vennero profondamente modificati. La trasformazione
cominciò, come è debito ricordare, già fin dal 1883 per opera
principalmente del dottor J. Hopkinson, il quale, senza mutare
la disposizione generale delle parti, modificò profondamente,
guidato da sicuri concetti scientifici, le principali proporzioni
della macchina di Edison a magnete verticale. La modificazione
consistette principalmente in una notevole riduzione della lun-
ghezza delle braccia dell'elettromagnete di campo, ed in un in-
grossamento delle medesime. Il miglioramento ottenuto fu note-
volissimo. Lo Sprague ^ esponeva in una relazione, già nel 1883,
i seguenti risultati: — Una antica macchina Edison di antico mo-
dello fatta per 150 lampade di 16 candele aveva un peso di
2720 chilogrammi^ e con una velocità di 900 giri al minuto pro-
duceva 112 ampere con no volt. Dopo un ingrossamento di soli
25 millimetri ed un raccorciamento delle braccia del magnete,
combinati con un corrispondente aumento del numero delle spire
e con una moderata diminuzione della intensità della corrente
eccitatrice, bastarono 500 giri al minuto per ottenere il mede-
simo effetto. Con ciò il peso della macchina risultò aumentato
di circa 300 chilogrammi rappresentati per tre quarti dal ferro
e per un solo quarto dal rame. La trasformazione si compiè
adunque rapidamente e quasi contemporaneamente nelle fabbri-
che della Società Edison americane ed europee.
Quasi contemporaneamente ad Edison, Siemens ed Haiske
introdussero nella loro fabbricazione una analoga modificazione.
* Vedi GuEROUT, La lunttèn électriqut, pag. 359; 1883.
342 L'elettrotecnica
Nel 1883 infatti usciva dalla loro fabbrica il modello F, che fi-
gurò, per la prima volta in una esposizione internazionale, nella
Sezione elettrotecnica della Esposizione del 1884 in Torino. In
tale modello di macchina era conservata l'antica disposizione
con doppio circuito magnetico, ma grosse colonne cilindriche di
ghisa, rastremate in corrispondenza dell'indotto, avevano preso
il posto delle sottili sbarre di ferro che dianzi costituivano i
nuclei delle calamite. Nello stesso anno 1884 la stessa Casa fa-
ceva nella medesima direzione ancora un passo e produceva le
macchine H, dette superiori, con magnete a semplice ferro di
cavallo, coi poli in alto e colle braccia grossissime e cortissime.
Poco stante, nel 1885, Ting. Gisbert Kapp presentava nella
Esposizione delle invenzioni in Londra una serie di macchine
ove lo studio del circuito magnetico era fatto con molta cura,
ed ove era in più modi risolto il problema di avere in tale cir-
cuito una minima lunghezza ed una massima sezione. Notevolis-
sima tra tali macchine era quella a poli superiori, ove la forma
complessiva corrispondeva a quella delle macchine superiori di
Siemens, ma i nuclei erano di ferro fucinato ed erano uniti allo
zoccolo ed alle appendici polari in modo quasi iàentico a quello
che si osserva nelle macchine attualmente presentate dalle fab-
briche che si servono dei modelli della Casa Siemens.
Intanto le pubblicazioni di Rowland, di Bosanquet e dello
stesso Kapp * cominciavano a rendere famigliari tra i tecnici il
concetto del circuito magnetico e la influenza delle dimensioni
di esso sul flusso d'induzione. E tali pubblicazioni, segnatamente
quella del Kapp, ove il metodo e la forma dell'esposizione erano
quelli propri all'ingegnere, che ha attinto i suoi concetti nella
lunga famigliarità colle macchine effettive^ e che li presenta
coU'intento di farli servire in modo chiaro e comodo alla solu-
zione di questioni pratiche, delle quali egli ha un senso tecnico
sicuro, fecero sì che la trasformazione nella fabbricazione delle
macchine dinamoelettriche diventasse generale in brevissimo
tempo.
Per tal modo scomparvero molti modelli o sistemi speciali,
e in loro vece trovarono impiego vieppiù frequente e generale
quelli che sovra ho accennato, e pochi altri studiati razional-
mente coi medesimi criteri. E così nell'Esposizione noi vediamo
che la Casa Edison presenta tanto per le più grandi macchine
* Thi Electncian, 25 ottobre 1884; id., 14 febbraio 1885; id., 14 aprile 1885.
air Esposizione Universale del i88g in Parigi, 343
come per le più piccole un unico modello, il modello a sem-
plice ferro di cavallo con braccia verticali grosse e corte, con
estremità polari assottigliate, colle proporzioni, insomma, consi-
gliate da Hopkinson. Nella mostra della Società Americana di
Edison non si trova più alcuna macchina ove le elettrocalamite
di campo abbiano sbarre multiple : anche la più grande di tutte,
quella di 175 chilowatt, che pure supera per potenza la dinamo
a vapore del 1881, ha il campo magnetico prodotto da una elet-
trocalamita a grosse braccia cilindriche semplici. La Compagnia
continentale Edison di Parigi ha nella sua stazione centrale della
Esposizione, come nella bella stazione del Palais Royal, mac-
chine con doppio circuito magnetico disegnate dall' ing. Picou,
ma il tipo di esse ricorda assai più le macchine F di Siemens
ed Halske, che non le antiche macchine dell'inventore ameri-
cano. Così pure la Società Gramme non presenta più le sue an-
tiche macchine del tipo " Atelier „ e le altre numerose forme
per le quali essa è passata, se non a scopo di storia; nella sua
costruzione attuale essa si è fissata specialmente su di un solo
tipo, sul tipo a semplice ferro dì cavallo coi poli in alto e colle
braccia robuste e corte. Nella stazione centrale che la Società
ha nella Esposizione, non si vedono che macchine di tale tipo,
e a questo unico tipo appartengono tutte le macchine dalla So-
cietà adoperate negli impianti più recenti e più grandiosi. La
Casa Sautter e Lemonnier, anch'essa, ha abbandonato quasi
completamente il modello Gramme a colonne multiple verticali,
e per le macchine bipolari ha adottato francamente il tipo della
macchina " Manchester „ della fabbrica Mather e Platt, tipo al
quale anche altri costruttori si sono accostati, e che rappresenta
una applicazione razionale, ottima dal punto di vista costruttivo,
dei nuovi principi. Anche per le macchine multipolari la Casa
Sautter e Lemonnier si è allontanata dalla forma delle macchine
Gramme e si è accostata a quella delle macchine Thtiry , che
la fabbrica De Meuron et Cucnod di Ginevra aveva esposto a
Torino nel 1884. Finalmente, benché la Casa Siemens ed Halske
di Berlino, come tutte le fabbriche tedesche, si siano astenute
dall'Esposizione, pur tuttavia il visitatore di questa ha potuto
estendere il suo esame anche ad essa; e fare anche sulle mac-
chine, che essa costruisce attualmente, confronti e considera-
zioni analoghe alle precedenti. Figurava infatti a Parigi, con una
splendida mostra, la Società Alsaziana di costruzione meccanica^
che ha le sue officine a Belfort; e tutto il materiale elettrico che
344 L'elettrotecnica
questa Società produceva era costrutto sui disegni della Casa
Siemens ed Halske. Ora tutte le macchine bipolari esposte dalla
Società Alsaziana erano del tipo a semplice circuito magnetico
coi poli in alto, avevano nuclei corti e grossi, e ciò che qui più
importa notare, il collegamento dei nuclei cilindrici di ferro fu-
cinato collo zoccolo e colle appendici polari, che sono di ghisa,
e la forma di queste, e le proporzioni tutte, e tutto l'insieme
delle macchine ricordavano perfettamente la macchina a poli su-
periori del Kapp, della quale sì è fatto cenno più sopra. La stessa
Società presentava eziandio una macchina a 6 poli con indut-
tore interno ed anello esterno conforme agli ultimi disegni di
Hefner Alteneck, macchina che, come tutti sanno, differisce com-
pletamente da quante la Casa Siemens aveva prima del 1886, e
che fu disegnata appunto colla guida dei nuovi principi, dei quali
rappresenta una applicazione perfettamente razionale.
Potremmo moltiplicare gli esempi, ma questi bastano, per
ora, a dimostrare la natura e l'importanza della trasformazione
che nel volgere di pochi anni ha ricevuto l'arte della costru-
zione dei generatori industriali della corrente elettrica.
Tale trasformazione è, come abbiamo detto cominciando,
uno dei fatti più importanti che l'Esposizione abbia messo in
evidenza: è il fatto che si presenta pel primo allo studioso, e
doveva occupare il primo posto in queste nostre note. Ora che
lo abbiamo notato, noi potremo nell'esame dei particolari of-
ferti dalle varie macchine esposte procedere a grandi passi, e
soffermarci solamente su quelle macchine che presentano, in
qualche loro disposizione, novità degne di osservazione. Non
ve ne ha molte, ve ne ha però di quelle veramente degne di
studio.
§ 2.® Note su alcune macchine speciali.
A) Macchine a corrente continua.
Comincieremo a considerare le macchine a corrente conti-
nua, che nella Esposizione erano riccamente rappresentate, e
verremo dopo alle macchine a corrente alternativa.
3. Edison. — Dopo le osservazioni precedenti non ho mestieri
di descrivere le macchine presentate dalla Società Americana
Edison; non è però inutile che io qui riferisca qualche dato nu-
all'Esposizione Universale del rSS^ in Partii, 345
merico relativamente al più grande degli esemplari esposti, che,
come già ebbi occasione di dire, ha la forma a ferro di cavallo
semplice colle proporzioni e coll'aspetto di quelle dei tipo Edison-
Hopkinson. Colla velocità corrispondente a 450 giri al minuto,
esso produce 140 volt con 1250 ampere, il che equivale a 175
chilowatt. Può cosi alimentare 2500 lampade di 16 candele, op-
pure 4000 lampade di io candele. Ha 41 segmenti nel collettore
e sei spazzole per polo. Pesa in tutto 12,7 tonnellate. Tali numeri
diventano istruttivi se si confrontano con quelli relativi alla
grande macchina dinamoelettrica a vapore dairEdison presentata
nella Esposizione del 1881, macchina la potenza della quale su-
perava tutto quanto in quel tempo era lecito immaginare come
praticamente possibile. Quella macchina, con una velocità corri-
spondente a 350 giri al minuto, produceva poco più di 100 chi-
lowatt; essa intanto presentava i seguenti pesi: ferro dell'i ndotto,
nuclei del magnete di campo, pezzi polari e gioghi dell'elettro-
magnete medesimo, ritti pei cuscinetti, piastre di zinco serventi
di zoccolo al magnete: chilogrammi 24420; rame dell' indotto
e dell'induttore: chilogrammi 1560; totale chilogrammi 25980,
ossia poco meno di 26 tonnellate.
Per render chiaro il confronto dividiamo il numero di watt
per il peso in chilogrammi e per il numero di giri fatti dall'in-
dotto in un minuto secondo, avremo calcolato cosi ciò che si
può denominare il numero di joule per chilogramma dt peso e
per giro. Troviamo per la macchina del t8Si:
looooo X 60 ^^ . , . 1 ■«
1=0,66 joule per giro e per chilogramma;
25980x350
e per la macchina del 1889: ».
175000 X 60 0.1 • I M
— = 1,84 joule per giro e per chilogramma.
12 700 X 450
Si può adunque dire che Tutilizzazione del materiale impie-
gato nella costruzione della macchina è, col nuovo modello, quasi
tre volte migliore che col modello antico.
Tale confronto mette in chiaro la ragione per cui non solo
il disegno, ma anche la potenza delle macchine ha molto varialo»
E questo punto è degno di nota. Nel 1881, eccezione fatta dalla
macchina dinamo-vapore Edison, le maggiori macchine dinamo-
elettriche, anche quelle costrutte dalle fabbriche più importanlij
346 L'elettrotecnica
avevano potenza non superiore a qualche decina di cavalli di-
namici. Ora invece noi vediamo numerosissime, assolutamente
comuni, macchine che con moderate dimensioni hanno potenze
di centinaia di chilowatt, equivalenti a centinaia di cavalli va-
pore. Gli impianti elettrici hanno perciò anch'essi cambiato d'a-
spetto e di carattere. Quegli impianti, che una volta erano fre-
quentissimi e costituivano il tipo più comune, quegli impianti
ove ciascuna macchina motrice comandava per mezzo di altret-
tante cinghie parecchie piccole macchine dinamoelettriche di-
sposte a scaglioni, sono ora quasi completamente scomparsi; ed
in loro vece si hanno sistemi ove ciascuna macchina a vapore
comanda solamente una o due macchine dinamoelettriche dì di-
mensioni armonizzanti con quelle della motrice e formanti con
essa un tutto compatto e robusto, sul quale riposa con soddi-
sfazione l'occhio dell'ingegnere abituato all'architettura delle co-
struzioni meccaniche.
Oltre alla grande macchina della quale abbiamo fatto cenno^
la Società Americana Edison esponeva alcuni modelli di mac-
chine minori. Fra queste meritano una menzione speciale quelle
destinate alle distribuzioni con lampade in serie, secondo il si-
stema che la Società Edison Americana impiega oggidì estesis-
simamente col nome di sistema Municipale, Su questo sistema
e su altri analoghi oggi in uso avremo occasione di discorrere
più avanti ; ora notiamo soltanto, quale prova dell'immenso pro-
gresso che si è compiuto nella costruzione delle macchine di-
namoelettriche, questo fatto, che possono essere di uso pratico
e funzionare industrialmente su larga scala, senza offrire alcun
inconveniente, macchine a corrente continua con un collettore
di loo e più segmenti, le quali producono regolarmente fra i
poli una differenza di 'potenziali di 1200 volt.
4. Officine di Oerlikon. — Le officine di Oerlikon presso Zu-
rigo esponevano una notevole collezione di macchine dinamo-
elettriche disegnate dall'ing. Brown. Le macchine dovute a questo
distinto ingegnere sono entrate da pochi anni nella industria, ma
sono notissime per la bontà del disegno e per la perfezione della
costruzione. Quelle poi esposte a Parigi formavano un complesso
tale che ad essa noi dobbiamo dare qui un posto distinto. La più
grande di essa è una macchina a 4 poli, del tipo ottagonale, desti-
nata a servire come generatrice per un trasporto di forza motrice,
ed era accoppiata ad una ricettrice del medesimo sistema. Con
una velocità corrispondente a 480 giri al minuto, la macchina
all'Esposizione Universale del i88g in Parigi. 347
produceva tra i poli 600 volt e trasmetteva circa 180 chilowatt.
L'ossatura del sistema induttore ed i nuclei degli elettromagneti
erano di ghisa. Tale sistema induttore, il quale, come si è detto^
aveva forma ottagonale, era fatto di due pezzi uniti secondo
il piano orizzontale passante per Tasse; ciascun pezzo portava
due dei nuclei delle elettrocalamite, venuti di getto con essi;
gli assi di questi nuclei erano inclinati a 45 gradi sull'orizzonte.
L'armatura era anulare ed il nucleo di essa, composto di dischi
isolati con carta, era portato dall'asse per mezzo di una ruota
di bronzo a otto braccia. L'armatura era lunga 56 cm., aveva
un diametro esterno di circa 94 cm., ed un vano centrale del
diametro di circa 58 cm. Essa era avvolta alla Gramme in 200
sezioni di due spire ciascuna. Il conduttore consisteva in una
fune di 19 fili di rame del diametro di circa mm. 1,30, coperta
di cotone e verniciata. Approssimativamente, per quanto era
possibile giudicare ad occhio, la distanza, misurata sulla circon-
ferenza dell'indotto, fra due magneti consecutivi, era uguale alla
larghezza dei nuclei dei magneti stessi, misurata anch'essa sulla
circonferenza. Questi ultimi adunque potevano avere una lar-
ghezza di 37 cm., e questa moltiplicata per 56, dà circa 2ioa
centimetri quadrati come area della sezione dei nuclei dei ma-
gneti. La sezione trasversale del telaio ottagonale, portante i
magneti e chiudente con essi i circuiti magnetici, era alquanto
maggiore della metà di quella dei nuclei, era cioè di 1097 cm. q.
La corrente era raccolta da quattro coppie di spazzole, ciascuna
delle quali era larga circa 5 cm., e siccome le spazzole opposte
erano congiunte in parallelo, così si avevano 4 spazzole, for-
manti una larghezza complessiva di 20 cm., per raccogliere una
corrente di circa 300 ampere. I magneti erano eccitati in serie/
ciascun nucleo era coperto con 60 giri di una lastra di rame
larga 30 cm. e grossa circa i mm.; le quattro spirali così for-
mate erano congiunte tra di loro in serie. La descritta macchina
funzionava come generatrice e somministrava la corrente ad una
macchina quasi identica funzionante come motore nella galleria
della meccanica agraria.
Un'altra macchina a quattro poli figurava nella mostra delle
officine di Oerlikon, ed era notevolissima. Era una macchina di
soli 14 chilowatt, ma presentava una disposizione dell'induttore
tale che i quattro poli vi erano prodotti per mezzo di due sole
spirali magnetizzanti. Questa disposizione ingegnosa era stata
proposta già dal Kapp, ma non era ancora stata messa in pra-
348 L'elettrotecnica
tìca. L'induttore della macchina di cui facciamo cenno è formato
da un telaio rettangolare di ghisa coi due lati maggiori orizzon-
tali e co' minori verticali. Con questi ultimi lati sono venuti di
getto i nuclei di due elettromagneti grossi e corti, situati dentro
al telaio rettangolare cogli assi su di una medesima retta oriz-
zontale. La corrente eccitatrice circola nelle spirali dei due elet-
tromagneti in versi opposti, cosicché si formano due poli omo-
nimi sulle estremità libere de' medesimi, e due punti conseguenti
rappresentanti due poli contrari ai precedenti si formano nei
punti di mezzo dei due lati orizzontali del telaio rettangolare.
Per tal modo si hanno i quattro poli induttori. Le estremità li-
bere de' nuclei dei due elettromagneti e le parti mediane dei
lati orizzontali del telaio sono opportunamente incavate in modo
da formare parti di una medesima superfìcie cilindrica, e nel
vano cilindrico così formato è situato l'indotto. Il nucleo di ferro
dell'indotto ha la forma di un anello. Le linee di induzione che
emanano dalle estremità polari dei due elettromagneti entrano
nell'anello sui due fianchi, e percorrendo ciascuna un quarto di
esso ne escono in forma di due fasci simmetrici dalla parte su-
periore e dalla inferiore. L'indotto ha, come si è detto, un nucleo
anulare, ma è avvolto come un'armatura a tamburo. Ciascuna
spira occupa sulla superficie cilindrica del tamburo l'ampiezza
di 90 gradi. Sul collettore si appoggiano due sole spazzole a 90
gradi. Le sezioni dell'armatura sono collegate internamente in
serie. La macchina è direttamente accoppiata ad una motrice a
vapore verticale di 20 cavalli. Essa dà normalmente 200 ampere
con 70 volt.
Le macchine bipolari della fal)brica di Oerlikon hanno, come
è noto, una disposizione somigliante a quella delle macchine
dette ** Manchester. „ Di queste figurava nella Esposizione un
ottimo esemplare, rappresentato da una macchina direttamente
accoppiata ad un motore a vapore verticale compound di 60 ca-
valli. Colla velocità corrispondente a 350 giri al minuto essa
dava 500 ampere con 65 volt. Era eccitata in derivazione. I fili
dell'indotto erano avvolti sulla superficie esterna del nucleo e
non inseriti in buchi come nelle macchine analoghe preceden-
temente costrutte dalla medesima fabbrica.
5. Sautter e Lemonnier. — Le macchine esposte dallo stabi-
limento di Sautter et Lemonnier di Parigi, alle quali ho già avuto
occasione di fare allusione, meritano anch'esse di essere qui citate.
Ve n'erano di due tipi principali: delle multipolari e delle bipolari.
all'Esposizione Universale del iSSg in Parigi. 349
Le multipolari presentavano neirinduttore una disposizione molto
somigliante a quella, oramai notissima, delle macchine del Thury,
e precisamente a quella che era stata presentata ed aveva ottima-
mente funzionato nella Esposizione di Torino nel 1884; rindotto
avevano invece anulare, alla Gramme, come tutte le macchine
della medesima fabbrica. Notevole fra queste macchine multipo-
lari era una grande ad otto poli, eccitata in derivazione, di 70
chilowatt. Le macchine bipolari poi avevano , come già accen-
nammo più sopra, una disposizione analoga a quella del tipo
" Manchester, „ e solamente si distinguevano dalle altre mac-
chine di tale tipo per il grande diametro della spirale anulare
indotta. La tendenza di numerosi costruttori ad accostarsi a que-
sto tipo costituisce un fatto notevolissimo. Elsso conferma meglio
d'ogni altro la tesi enunciata in principio di queste pagine:' fi-
nito il periodo de* tentativi e delle incertezze, i migliori co-
struttori cominciano a porre in disparte la vana ricerca di nuovi
sistemi, e ad essa antepongono lo studio, assai più serio, di fare
della buona ingegneria. E i tipi che presentano le forme più
semplici, più robuste, più pratiche, più facili nella costruzione
hanno la preferenza.
6. Société Alsacienne de construction ntécanique, usine de Bel*
forL — Una mostra notevolissima era quella fatta da questa casa.
Tale mostra riceveva poi una importanza affatto speciale, perchè
le macchine dinamoelettriche e tutto il materiale elettrico costrutto
dalla Società Alsaziana sono fatti, come è noto, sui disegni e
coi criteri della Casa Siemens ed Halske, che la Società rap-
presenta nella Francia. La mostra deirofficìna di Belfort rappre-
sentava perciò nella Esposizione di Parigi un saggio della fab*
bricazione tedesca. Era questo il solo saggio, ma era molto
importante. Esso infatti presentava ottimi esemplari degli ultimi
tipi di macchine prodotti dalla più cospicua Casa tedesca.
La mostra della Société Alsacienne comprendeva una mac-
china a 6 poli con indotto anulare e con induttore interno, del
tipo Hefner Alteneck, due macchine bipolari del tipo superiore,
ed un quadro di distribuzione per stazione centrale.
La macchina a sei poli rappresentava l'ultimo modello delle
macchine a corrente contìnua che Siemens ed Halske adoperano
nei grandi impianti. L'induttore era costituito da una stella a
sei braccia, ciascun braccio della quale era una elettrocalamita
grossa e corta. Esso era fìsso. L'indotto era un anello del tipo
Gramme racchiudente l'induttore. Esso era portato in falso da
350 L 'elettrotecnica
una stella solìdaria all'albero. Questo era rigidamente unito al-
l'albero della macchina a vapore, del quale costituiva un pro-
lungamento. La spirale anulare era fatta con lamelle di rame;
ciascuna spira di essa costituiva da sé una spirale elementare,
e il lato esterno di ogni spira, denudato sulla faccia esterna, co-
stituiva un segmento del collettore. Per tal modo il collettore risul
tava formato dalla faccia esterna, cilindrica e tornita, della stessa
spirale indotta. E su di questa si appoggiavano direttamente le
spazzole. Essendo sei i poli induttori, sei erano gli sfregatorì,
ciascuno dei quali era costituito da un conveniente numero di
spazzoline di filo di rame. Una stella girevole, a sei braccia,
portava tutte le spazzole, che così potevano spostarsi e rego-
larsi tutte insieme. La macchina era eccitata in derivazione; le
spazzole erano collegate in parallelo. Colla velocità corrispon-
dente a 150 giri per minuto, la macchina dava 125 volt e 1000
ampere, ossia 125 chilowatt (170 cavalli). Il tipo di macchina
-che abbiamo descritto si presta assai bene a potenze anche molto
maggiori, ed infatti la fabbrica di Siemens ed Halske di Berlino,
•e quella della Socie'te' Alsacienne, costruiscono correntemente
macchine simili alla descritta, le quali, con una velocità corri-
spondente a soli 70 giri per minuto, danno 600 chilowatt, il che
corrisponde a più di 810 cavalli.
Le due macchine bipolari sono del modello che Siemens ed
Haiske contrassegnano col nome di tipo H, modello che, come
abbiamo già avuto occasione di notare, riproduce quasi identi-
camente una delle forme adottate dal Kapp. Esse sono di co-
struzione accuratissima; hanno il collettore di acciaio coirisola-
mento ad aria; con 300 giri danno 100 volt e 500 ampere.
11 quadro dì distribuzione che completava la bella esposi-
zione della Società Alsaziana era anch'esso del tipo Siemens ed
Haiske, e presentava una completa collezione degli interruttori,
a mano od automatici, dei regolatori, degli amperometri e vol-
tometri, degli indicatori di terra, ecc., coi quali la grande fab-
brica tedesca suole fare l'apparecchiamento delle stazioni cen-
trali.
7. Marcel Deprez. — Occupavano un posto importante nella
Esposizione le macchine del Marcel Deprez^ le quali erano pre-
sentate dalla Socie'te ano ny me pour la transmission de la force par
r électricité. Tali macchine rappresentano, come è noto, un tipo
speciale studiato precipuamente per la trasmissione della energia
meccanica a distanza, e il loro tratto caratteristico sta nell'impiego
all'Esposizione Universale del iSSp in Parigi. 351
di due armature in un medesimo circuito magnetico. li più grande
modello delle macchine di cui parliamo è quello che il Marcel
Deprez fece per le note esperienze per la trasmissione della
energia meccanica tra Creil e Parigi; ed è noto come in tale
modello il circuito magnetico sia prodotto da sei elettromagneti
a ferro di cavallo disposti radialmente attorno agl'albero portante
le due armature. E nella Esposizione notavasi appunto un grande
esemplare di tale modello, egregiamente costrutto e funzionante
nella grande galleria delle macchine. Ma il tipo di macchina
Marcel Deprez, che nella Esposizione era rappresentato da un
maggior numero di esemplari, è più semplice ed è senza alcun
•dubbio migliore. È un tipo di macchina ove il circuito magnetico
è semplice ed è prodotto con due sole spirali magnetizzanti.
Costituiscono il circuito magnetico due grandi elettromagneti con
grossi nuclei cilindrici paralleli. Le estremità polari delle due
elettrocalamite sono ripiegate ad angolo retto ed abbracciano le
due armature. Le armature sono, come del resto in tutte le
macchine del Deprez, anulari, alla Gramme. Sonvi due puleggie
motrici, una per ciascuna estremità dell'albero e in alcuni esem-
plari a ciascuna puleggia attiva si accompagna una puleggia
folle. 11 tutto forma un complesso, dal punto di vista mec-
canico , solido e pratico. Il piano del circuito magnetico in al-
cuni esemplari, fra i quali sonvi quelli che funzionano nella
stazione centrale che la Società esponente impiantò per l'illumi-
nazione di una parte dell'Esposizione, è orizzontale; in altri esso
è verticale. In uno di essi l'intiero sistema induttore era portato
su due coltelli e collegato con un dinamometro registratore ed
integratore col quale si poteva misurare in modo continuo il la-
voro assorbito dalla macchina.
8. Rechniewsky. — Le macchine di Rechniewsky che funziona-
vano nella stazione impiantata in riva della Senna per l'illumina-
zione di una parte dell'Esposizione dalla Società anonima L'Echi-
rage électrique e quelle del medesimo autore, che con varie dimen-
sioni figuravano nella galleria delle macchine, attraevano anch'esse
l'attenzione degli elettricisti. E veramente se le macchine del
Rechniewsky, per il costo della costruzione e per le condizioni
meccaniche, non sono probabilmente destinate ad una estesa e
grande applicazione industriale, esse meritano tuttavia di essere
notate per gli effetti che producono e per l'insegnamento che
offrono. Esse pongono in evidenza la capitale importanza che
ha la grossezza dell'interferro sull'efficacia di una macchina. La
352 L'elettrotecnica
particolarità delle macchine Rechniewsky consiste nell'avere un
indotto con nucleo dentato ed un induttore con nucleo lamellare
come quello dell'indotto. I denti dell'armatura sono piccoli e nu-
merosi così, che piccole risultano le oscillazioni della resistenza
magnetica del circuito magnetico; e la lamellazione dell'indut-
tore sopprime quasi completamente gli effetti dannosi delle cor-
renti di Foucault dovute alle oscillazioni medesime. Si ha così
intiero il vantaggio offerto dai denti, che è quello di diminuire
notevolmente la grossezza dell'interferro, senza avere gli incon-
venienti delle correnti parassite che, colla ordinaria costruzione,
i denti produrrebbero nel ferro della macchina. Se si dà fede
ai dati forniti dagli espositori, il vantaggio effettivamente otte-
nuto colla indicata disposizione è veramente notevole. Ecco per
esempio alcune cifre relative ad una macchina Rechniewsky, che
funzionava nella stazione centrale della Società L'Eclairage elee-
trique:
Peso totale della macchina: chilogrammi . . 980
Giri per minuto 800
Velocità periferica dell'indotto: metri per i" 11,04
Potenza della macchina: watt 26,000
Watt per chilogr. di rame nell'indotto . . . 800
Id. id. id. totale 225
9. Crompton, Cuenod e Sautter, Gramme, — Come ho detto
cominciando, questi cenni su alcune delle macchine dinamo-
elettriche che hanno figurato nella Esposizione si debbono
estendere solamente a quelle macchine che presentano qual-
che particolarità nuova e degna di osservazione. Né lo scopo,
né le proporzioni della presente relazione potrebbero permet-
tere di descrivere, non dico tutte le macchine esposte, ma
nemmeno tutte quelle che per la bontà del disegno e della
costruzione o per l'importanza degli stabilimenti dai quali de-
rivano, hanno ottenuto o meritano l'elogio dei tecnici ed il fa-
vore degli industriali. Quindi io mi accontento di nominare,
senza descriverle e ritenendole, come sono infatti, note a tutti
gli elettricisti, le ottime macchine del Crompton (Cronipton and
Company, Limited, London), le quali si distinguono per le ampie
proporzioni dell'armatura anulare e la relativa cortezza dei cir-
cuiti magnetici ; e quelle di Cuenod e Sautter di Ginevra co-
strutte secondo il noto modello della macchina Thury; e quelle
che Steinlen e C. di Muhlhausen presentavano in molti esem-
all'Esposizione Universale del iSS^ in Parigi. 353
plari nella loro ammirevole esposizione di macchine lavoratrici.
Così pure non mi arresto a descrivere i numerosi modelli di
macchine presentati dalla Società Gromme, i quali son noti uni-
versalmente, e solamente noto come nella sua mostra tale So-
cietà, che tanta parte ha avuto nello svolgimento della odierna
elettrotecnica, ponga in evidenza che molte forme, che, adottate
da altre fabbriche, ottennero impiego e favore nella pratica, sono
state ideate dal Gramme e da lui stesso effettivamente provate.
Mi fermo invece su due macchine le quali presentano disposi-
zioni degne di un cenno speciale. Sono queste una macchina a
corrente continua del prof. Elihu Thomson, e la macchina del
Desroziers.
IO. Elihu Thomson. — La macchina del prof. Elihu Thomson,
della quale intendo parlare, è una di quelle esposte dalla Società
Americana Thomson- Houston, E una macchina di forma ordi-
naria, bipolare, con induttore a semplice ferro di cavallo, coi
poli in alto. Ma è a doppia eccitazione (compound); e ciò che
la rende notevole è appunto il modo nel quale è collocata ed
avvolta la spirale eccitatrice in serie, o come dicono i pratici:
il compound.
Tale spirale non è avvolta sulle braccia cilindriche dell'e-
lettromagnete di campo, sulle quali si hanno soltanto le spirali
eccitatrici in derivazione; è invece collocata nella zona libera
fra i lembi delle estremità polari, così che essa circonda pro-
priamente l'armatura. La spirale è costituita da due parti uguali
simmetricamente collocate l'una sul lembo di una ganascia po-
lare e l'altra su quello dell'altra. Ciascuna spira ha due lati ret-
tilinei correnti parallelamente all'asse dell'armatura l'uno al di-
sopra e l'altro al disotto di questa, e due lati incurvati a semi-
cerchio, i quali assecondano gli spigoli laterali dei blocchi polari,
lasciando frammezzo libero Io spazio per le teste dell'armatura.
Le spire sono legate in fascio con un nastro, e formano come
due grossi cordoni orlanti i blocchi polari. Con tale disposizione
l'inventore si è proposto di rendere meno variabile che nelle
macchine ordinarie la posizione delle spazzole. La posizione
nella quale conviene collocare le spazzole dipende, come è noto,
dalla intensità della corrente nell'armatura. La corrente che cir-
cola nella spirale indotta produce infatti nel nucleo una indu-
zione magnetica parallela al piano d'inversione, la quale si com-
pone con quella prodotta dall'induttore, e dà luogo ad una risul-
tante inclinata, rispetto a quest'ultima, nel senso della rotazione.
G. FxRRARis, Op€ie, Voi. li 33
354 L'eleltrotecnica
La deviazione così prodotta nella induzione magnetica è tanto
più grande quanto più è intensa la corrente. Ora la spirale ec-
citatrice in serie (il compound), collocata com'è nella macchina
del prof. Thomson, produce nel ferro dell'armatura una induzione
magnetica di direzione fìssa, orizzontale, la quale cresce an-
ch'essa colla intensità della corrente e dà, composta con quella
prodotta dalla corrente dell'armatura, una risultante di direzione
approssimativamente costante. Tale è l'idea che ha guidato l'in-
ventore, e qualunque sia il suo valore pratico sul quale è lecito
discutere, è certamente una prova del talento inventivo del pro-
fessore americano. In ogni caso la posizione nella quale il Thom-
son ha collocata la spirale in serie è quella più conveniente per
collocarvi le spirali eccitatrici, e tutte le spirali magnetizzanti
si dovrebbero collocare a quel modo, proprio sul meridiano
dell'armatura, se a ciò non si opponessero difficoltà di costru-
zione.
D'accanto alla macchina ora descritta la Società Thomson-
Houston espose un'altra macchina a corrente continua, la quale
ha esternamente la forma ben nota delle macchine che la me-
desima Ditta costruisce per l'illuminazione con archi in serie.
Essa ha, come quest'ultima macchina, un indotto sferico; ma
l'avvolgimento di esso è quello di Hefner-Alteneck, ed il collet-
tore suo ha la forma ordinaria. Ed anche in tale macchina si
osserva un compound disposto proprio attorno all'armatura come
in quella sovradescritta.
II. Desroziers. — La macchina del Desroziers, costrutta ed
esposta dal Bréguet di Parigi, rappresenta una forma pratica-
mente ben riuscita di macchina a disco.
Si dà questo nome, come è noto, alle macchine dinamo-
elettriche nelle quali le spirali indotte sono tutte approssimativa-
mente in un piano perpendicolare all'asse di rotazione, e for-
mano insieme ai pezzi di sostegno, che le rendono solidarie
all'albero, un disco sottile, il quale ruota tra i poli contrari, af-
facciati a piccola distanza, del sistema induttore. L'indotto così
formato ordinariamente non contiene nuclei di ferro, e tuttavia
l'interferro può essere piccolo in grazia della sottigliezza del
disco. L'origine delle macchine di questa classe, che sono ora-
mai numerose, si suole far risalire al disco rotante di Faraday,
e ciò sta bene. Ma nel medesimo modo e con egual diritto si
possono far risalire agli apparecchi del Faraday tutti gli appa-
recchi d'induzione che hanno oggidì applicazioni nella pratica.
all'Esposizione Universale del iSSg in Parigi. 355
Se quindi si vuol parlare delle macchine effettive delle • varie
specie e delle loro particolarità, non hassi a risalire tant'alto;
•e se, nel caso speciale, si vuole designare un prototipo delle
macchine a disco, questo deve essere una macchina ove le spi*
rali elementari disposte sul disco son coUegate con un collettore
come nelle macchine ordinarie. Io faccio qui questa osservazione
perchè mi preme notare che come prototipo delle macchine di
cui stiamo parlando si può designare quella che il nostro An-
tonio Pacinotti ideava fin dal 1875, che poi costruiva in Cagliari
coll'aiuto dell'officina Doglio e del meccanico G. Dessi nella pri*
mavera del 1878, e presentava nella Esposizione internazionale
di elettricità in Parigi nel 1881. Quella piccola macchina era hi*
polare. Il circuito magnetico vi era formato da due elettroma-
gneti ad E3 posti di rimpetto l'uno all'altro in un piano verti-
cale, co' poli contrari affacciati. I poli erano provvisti di espan-
sioni piatte, e nell'angusto spazio fra queste compreso rotava il
disco. Le spirali elementari erano fatte in modo da abbracciare
approssimativamente la metà della superficie del disco ; avevano
quindi approssimativamente la forma di un D. Esse erano col-
legate ad un collettore come le spirali di un'armatura ad anello
od a tamburo. Il Pacinotti intuì i pregi che una macchina così
fatta può presentare, tanto che più volte egli ritornò sulla sua
idea, che considerò come pratica, prima che altri con mezzi più
adeguati la traducessero in atto in forma industriale.
I pregi delle macchine a disco derivano essenzialmente dalla
soppressione del ferro nell'indotto, e sono: la soppressione di
un notevole peso morto nelle parti mobili; la soppressione pres-
soché completa deUa reazione dell'indotto sul circuito magnetico ;
-la eliminazione della dissipazione di energia per la isteresi e
per le correnti parassite, e per conseguenza anche quella delle
cause anormali di riscaldamento dell'armatura; l'ottima ventila-
zione della spirale indotta e quindi la possibilità di elevare in
questa la densità della corrente assai più che nelle altre macchine.
La forma a disco dell'indotto rende però meno opportuno
l'impiego di un induttore bipolare come quello che adoperò il
Pacinotti; molto più conveniente è l'impiego di un induttore
multipolare. E multipolari sono tutte le macchine a disco che
comparvero in questi ultimi anni e che incontrarono qualche
favore nella pratica, come son quelle universalmente note di
Jehl e Rupp e di Frttsche. Multipolare è anche la macchina di
JDesroziers.
35^ L'ekttrotecnica
L'induttore è costituito da due corone di elettromagneti a
poli alternati cogli assi orizzontali e paralleli all'albero; esso è
identico a quelli delle macchine a corrente alternante di Sier
mens, di Ferranti, di Kapp, e simili. L'indotto, che ha la forma
di un disco sottile, gira nello stretto spazio compreso fra le due
corone dei poli induttori. La spirale che esso porta è formata
di tratti rettilinei radiali alternati con tratti curvilinei foggiati
come evolventi di circolo. I tratti radiali rappresentano la parte
utile della spirale, sono cioè quelli che, quando il disco gira^
tagliano le linee di forza; i tratti curvilinei servono invece come
tratti d'unione e dì collegamento, e congiungono alternativa-
mente l'estremità esterna di un tratto utile con quella pure
esterna di un altro, e la estremità interna di quest'ultimo con
quella di un terzo tratto radiale. Detti / il numero delle coppie
di poli presentati dall'induttore ed N il numero dei tratti utili
(numero che si sceglie sempre pari), ciascun tratto utile è con-
giunto, per mezzo di un tratto d'unione, con un tratto utile che
viene «™** dopo di esso, ove « è un numero impari determinato
colla formola
2
I tratti d'unione, alternativamente esterni ed interni, si se-
guono come ì lati di un poligono stellato. In così fatto avvol-
gimento ciascun tratto radiale si trova collegato con due altri,,
l'uno che lo precede e l'altro che lo segue, i quali in ogni
istante si trovano in campi magnetici opposti a quello che essa
sta attraversando. Quando il disco gira, le forze elettromotrici
N . . '
che si producono in tutti gli — tratti radiali compresi in una
metà della spirale si sommano, e tutte quelle che si producona
N
negli — tratti radiali dell'altra metà, si sommano pure, ma
sono opposte alle precedenti. Le due somme hanno valori ugual»
e segni contrari, esse adunque nella intiera spirale si elidono.
Le due metà della spirale si comportano adunque come le due
metà della spirale Pacinotti e di quella di Hefner-Alteneck. Si
può per conseguenza far uso di un collettore analogo a quello
delle macchine ordinarie. La macchina di Desroziers ha effet-
tivamente un tale collettore. Le due spazzole sono diametral-
mente opposte. Siccome però l'inversione della forza elettro-
motrice avviene, per ogni giro, 2 p volte, così i segmenti del
all'Esposizione Universale del 1SS9 in Parigi. 357
collettore sono in numero uguale a p volte il numero degli ele-
menti della spirale; e ciascuno dì essi è congiunto con / — i
altri situati Tuno rimpetto all'altro alla distanza angolare- - .
Tutte le macchine Desroziers finora costrujtte sono a 6 poli ;
quindi in esse i segmenti del collettore sono in numero triplo
<ii quello degli elementi della spirale indotta, e sono collegati
tre a tre. Ciascun segmento è collegato ai due che stanno da
«sso alla distanza angolare di 120 gradi.
Quello descritto è l'avvolgimento schematico. L'avvolgi-
mento effettivo differisce da esso, e la difierenza ha lo scopo d
moltiplicare il numero di tratti utili ed accrescere con ciò la
forza elettromotrice delia macchina. Tale differenza consiste in
ciò, che, dopo aver disteso il primo tratto radiale, il primo tratto
di raccordamento ed il secondo tratto radiale, si ritorna col filo
al punto di partenza del primo tratto radiale e si distende ac-
canto a questo un secondo tratto ad esso parallelo; con un
tratto arcuato giustaposto al primo tratto di raccordamento si
viene una seconda volta all'origine del secondo tratto radiale,
poi si ritorna ancora al punto di partenza, e così si forma una
spirale piatta avente la forma di un settore compreso tra due
Iati rettilinei radiali e due lati incurvati ad evolvente di cerchio.
Fatta questa prima spirale, si passa col filo, seguendo un arco
di evolvente, al terzo tratto radiale e si dà principio all'avvolgi-
mento di una seconda spirale piatta uguale alla precedente. £
così si procede fino alla fine. Per tal modo si può dare al filo
indotto una lunghezza qualunque ed ottenere, con un prestabi-
lito numero di spirali elementari, quella forza elettromotrice che
si vuole.
Praticamente l'avvolgimento si fa sopra due dischi di car-
tone compresso, nel quale sono praticati buchi nei punti dove
debbono trovarsi le estremità dei tratti radiali del filo indotto.
l tratti radiali si distendono su una delle faccie del disco, ed
i tratti curvilinei di collegamento si dispongono sull'altra faccia.
Per tal modo si evitano gli incrociamenti e gli accavallamenti
del filo. Sull'uno dei dischi si dispongono la i*, la 3*, la 5% ecc.
spirale elementare; sull'altro si dispongono la 2*, la 4% la 6*, ecc.
I due dischi vengono poi applicati con viti sulle due faccie di
una stella di lamina sottile di argentana, che serve a collegarli
all'albero ed a dare al sistema la necessaria rigidità. La stella
di pakfong è intagliata in modo di sopprimere in essa le cor-
35^ L* elettrotecnica
renti di Foucault. La scelta dell' argentana, lega che ha una
grande resistenza specifica, ha anch'essa lo scopo di ridurre
viemmeglio le correnti parassite. I due dischi sono applicati
contro la stella di sostegno colle faccie portanti i tratti radiali,
cosicché rimangono sulle facete esterne del sistema i soli tratti
curvilinei di raccordamento. Formato nella maniera descrìtta il
disco, si taglia via da ciascuno dei due dischi di cartone la co-
rona circolare compresa fra i due fascia interno ed esterno, dei
tratti curvilinei, in modo da mettere allo scoperto i tratti utili.
E per tal modo si rende possibile ridurre Tinterferro alla gros-
sezza strettamente necessaria per dar passaggio ai tratti utili
del filo indotto. Si ottiene inoltre il vantaggio di una perfetta
ventilazione dell'armatura, ventilazione la quale rende possibile
adoperare una intensità di corrente assai elevata. E questo un
pregio dell' armatura a disco, il quale viene ad aggiungersi a
quelli dianzi enumerati.
Un altro pregio prevedibile, che l'esperienza ha completa-
mente confermato, consiste nella eliminazione quasi completa
delia cosidetta reazione dell'indotto. Nelle macchine del Desro-
ziers la reazione dell'indotto è così tenue, che se si tracciano
le caratteristiche a circuito aperto ed a circuito chiuso e se si
aggiunge a ciascuna ordinata di quest'ultima il prodotto dell'in-
tensità della corrente di piena carica per la resistenza statica
dell'indotto, si ottiene una curva, le cui ordinate, nelle vicinanze
del ginocchio differiscono da quelle della caratteristica a circuito
aperto solamente di i o di 1.5 per cento. È questo un risultato
notevolissimo, se si pensa che la reazione dell'indotto, che si
constata nelle ordinarie macchine ad anello ed a tamburo, rag-
giunge spesso il IO e qualche volta, nelle macchine mal pro-
porzionate, persino il 20 per 100.
Quasi tutte le macchine del descritto sistema finora costrutte
sono macchine a piccola velocità angolare; il loro indotto fa
da 200 a 350 giri al minuto. La maggior parte delle macchine
finora costrutte ha trovato impiego nella illuminazione di piro-
scafi. Per tale applicazione ciascuna macchina dinamoelettrica è
direttamente comandata, per mezzo di una piastra elastica di
accoppiamento del sistema Raffard, da un motore a vapore ap-
positamente studiato nelle officine Breguet, L'insieme costituisce
un gruppo compatto ed acconcio al servizio a cui è destinato.
Le macchine Desroziers che lo stabilimento Breguet ha pre-
sentato alla Esposizione avevano potenze comprese tra 12 e 144
all'Esposizione Universale del i8S^ in Parigi, 359
chilowatt. La più grande, quella di 144 chilowatt (circa 200 ca-
valli) aveva una velocità corrispondente a soli 200 giri al mi-
nuto. L'interferro era poco superiore a circa 2 cm. La costru-
zione loro è compatta e meccanicamente soddisfacente. I risul-
tati delle esperienze sembrano accordarsi nel constatare la bontà
del rendimento, e i confronti di essi con quelli relativi alle mac-
chine ordinarie attesta la possibilità di ridurre notevolmente,
col sistema a disco, il peso del rame e quello della macchina
intiera. Noi non crediamo che tali vantaggi non sieno compen-
sati .dalla maggiore complicazione della costruzione , ma non
possiamo nemmeno non affermare che nella macchina del Desro-
ziers si trovano riunite disposizioni ingegnosissime e veramente
degne di essere notate.
B) Macchine a corrente alternante,
12. Osservazioni preliminari, — In confronto col grande
numero delle macchine a corrente continua in mezzo alle quali
noi abbiamo fatto or ora una rapida corsa, il numero delle
macchine a corrente alternante presentate alia mostra di Parigi
é stato scarsissimo. E ciò si spiega, se si pensa allo scarso
impiego che in Francia hanno finora trovato le correnti alter-
native. Se si eccettuano le vecchie macchine alternative che
il Gramme aveva costrutto pel servizio delle candele Jabloch-
koff, macchine che si trovano ancora molto diffuse negli im-
pianti di illuminazione elettrica esistenti a Parigi, e che lavora-
vano in alcune delle stazioni centrali impiantate nella esposizione,
e se si lasciano in disparte alcuni modelli che non presentavano
nulla di buono, si può dire che le sole macchine alternanti che
abbiano figurato nella esposizione e che meritino un cenno,
sono: una macchina del Ferranti, alcune macchine di Thomson-
Houston ed una di Heisler.
13. La macchina Ferranti figurava e funzionava nel padi-
glione della Società Anonima V *" Eclairage électrique „ il quale
serviva come stazione centrale per l'illuminazione di una parte
dell'Esposizione.
Essa era la più grande macchina a corrente alternativa che
esistesse nella Esposizione, e si presentava anche come un
saggio di ottima costruzione; non offriva però nulla di nuovo.
Come è noto la macchina Ferranti è a disco, con l'indotto mo-
36o Ueletiroiecnica
bile e l'induttore fisso. L'induttore, per la disposizione generale,
è identico a quella delle notissime macchine alternative di Sie-
mens. I nuclei degli elettro-magneti hanno sezione trapezia e
sono sostenute da corone circolari di ghisa. Nell'armatura il
conduttore è una sottile striscia di rame avvolta su di un nucleo
di bronzo insieme ad un nastro di fibra vulcanizzata di eguale
larghezza. Per evitare le correnti parassite, il nucleo è suddiviso
in molte striscie strette ed increspate, separate l'una dall'altra
per mezzo di asbesto. Le spirali hanno forma ovale oblunga
come quelle della macchina Siemens, sono disposte in corona e
portate da un disco solidario all'albero. L'unione delle spirali
al disco di sostegno non è fatta direttamente, ma bensì per
mezzo di porta spirali. Ciascuno di questi porta due spirali e
serve a congiungere le estremità interne delle medesime. I porta
spirali sono isolati dal disco o mozzo centrale che li sostiene
cosicché v'ha nella armatura un duplice isolamento: risolamento
delle spirali rispetto ai nuclei e l'isolamento di questi rispetto
alla massa metallica della macchina. L' avvolgimento delle spi-
rali è tale che la corrente passa attraverso l'indotto in due cir-
cuiti paralleli, per la quale disposizione i capi dell'indotto ven-
gono a trovarsi alle due estremità di un diametro. Le connes-
sioni tra le spirali adiacenti si effettua automaticamente nell'atto
stesso col quale si inserisce una spirale e la si ferma nella sua
sede; per tal modo riesce impossibile che un operaio faccia,
ricambiando qualche spirale, una falsa connessione.
Risulta da questa descrizione, come il Ferranti abbia rinun-
ziato alla disposizione primitiva che formava una volta la parte
caratteristica delle sue macchine, alla disposizione cioè nella
quale l'indotto era formato non già da una serie di spirali
messe in corona, ma da un unico nastro continuo avvolto se-
condo una linea ondulata. Così la sua macchina è diventata
quasi identica all'antica e primitiva macchina di Siemens, dalla
quale non differisce se non per semplici particolari costruttivi.
La fattura però è ottima, ed i particolari ai quali abbiamo ac-
cennato hanno una grande importanza. La corrente eccitatrice
per r induttore è prodotta da una piccola macchina a corrente
continua portata dalla stessa intelaiatura della macchina princi-
pale ed avente con questa l'albero comune.
14. Thomson- Houston, — Le macchine dinamo elettriche che
la Società Thomson- Houston di Boston adopera nei suoi impianti
per correnti alternative e che la Società stessa esponeva nella
all'Esposizione Universale del iSSp in Parigi, 36:
grande galleria delle macchine, hanno molta rassomiglianza con
le Stanley della Società Americana Westinghouse e C, Sono mac-
chine a tamburo coir induttore fisso e coli' indotto rotante. 11
nucleo dell'indotto ha forma cilindrica ed è composto di sottili
dischi di ferro come nelle ordinarie macchine a tamburo per
correnti continue.
Le spirali indotte di forma piatta, strette e lunghe, sono
adagiate sulle superficii convesse del tamburo coi lati maggiori,
che sono i lati utili, paralleli alle generatrici. Gli elettro-magneti
induttori sono disposti radialmente tutt' attorno all'armatura ci-
lindrica e presentano a questa le loro estremità interne, le quali
sono alternativamente estremità nord e sud. Le estremità esterne
sono riunite da un grosso inviluppo cilindrico di ferro fuso,
che loro serve come giogo e che le sostiene. Questo inviluppo
a tamburo cilindrico è fissato sulla piastra di base e costituisce
la parte principale dell'intelaiatura della macchina.
11 nucleo dell'armatura ha un largo foro centrale ed è con-
giunto all' albero per mezzo di una stella colle braccia legger-
mente torte. Ciò produce una continua chiamata d'aria attra-
verso al vano centrale ed assicura così una buona ventilazione
dell'indotto.
Le macchine del descritto tipo che figuravano a Parigi erano
due, e differivano l'una dall'altra pel modo di eccitazione. La
prima macchina era auto-eccitatrice. Serviva in essa come cor-
rente eccitatrice la corrente indotta in una delle spirali della
armatura. 1 due capi di tale spirale erano collegati coi. segmenti
alternati di un commutatore, partendo dal quale la corrente,
raccolta con due spazzole, era condotta alle spirali magnetiz-
zanti dell'induttore. In tale macchina si avevano dieci poli in-
duttori e dieci spirali indotte. Queste erano fatte con filo a se-
zione quadrata e disposte in un unico strato. La velocità corri-
spondeva a 1500 giri per minuto, e quindi ad una frequenza
eguale a 125. La corrente era di 20 ampere e la differenza di
potenziali tra i poli 1500 volt. Il peso totale era di circa 1500
chilogrammi.
La seconda macchina invece ha una doppia eccitazione, lo
scopo della quale è di far sì che la differenza dei potenziali ai
poli aumenti quando aumenta l' intensità della corrente totale.
Questo risultato è ottenuto eccitando V induttore in parte con
una corrente prodotta da una macchina ausiliaria a corrente
continua ed in parte con l'intiera corrente principale orientata
1
362 L'ektlroitcnica
per mezzo di un commutatore. Gli elettromagneti dell'induttore
sono in numero di dieci come nella macchina precedente. Di
essi otto sono eccitati dalla corrente continua prodotta dalla
eccitatrice separata, gli altri due sono invece eccitati dalla in-
tiera corrente prodotta dalla macchina principale, corrente che^
opportunamente orientata, viene mandata nelle loro spirali. A
quest'uopo alla corrente alternativa prodotta nell'armatura dalla
grande macchina si fa percorrere il seguente cammino: da uno
dei capi dell'armatura al primo anello del collettore e da questo
al circuito esterno, dal circuito esterno al secondo anello del
collettore, dal quale la corrente passa a cinque segmenti alter-
nati di un commutatore di dieci sezioni ; da una delle spazzole
del commutatore alle due spirali magnetizzanti, che sono colle-
gate in serie, poi all'altra spazzola del commutatore, e finalmente^
per mezzo di un conduttore partente dagli altri cinque segmenti
alternati del commutatore, all'altro capo dell'armatura. Con tale
disposizione si può ottenere questo risultato : che quando cresce
il numero delle lampade alimentate e crescono con esso l'in-
tensità della corrente totale e la caduta di potenziale nei reofori
principali, cresce anche l'eccitazione delle due elettro-calamite
ed aumenta con questa la forza elettromotrice indotta nell'ar»
matura. Le cose si possono proporzionare e regolare in modo-
che la differenza di potenziali utilizzabile nei luoghi di consumo
rimanga invariata nonostante l'accresciuto numero delle lam—
pade. Per regolare l'autoeccitazione e far sì che si verifichi
esattamente la voluta compensazione, serve una resistenza, re-
golabile a mano, messa in derivazione, o come shunta parallela-
mente alle due spirali magnetizzanti. Tale resistenza, aggiustata
una volta, non richiede ulteriore attenzione. La macchina de-
scritta è proporzionata per dare nei luoghi di consumo una
differenza di potenziali di 300 volt.
15. Heisler. — La macchina a corrente alternante di Carlo
Heisler di S. Louis (America), è Tultima della quale dobbiamo far
cenno. Come principio, come disposizione, come costruzione, tale
macchina non presenta nulla di veramente nuovo o di notevole;
essa ha tuttavia una qualche importanza siccome quella che è
costrutta e viene adoperata come parte di un sistema di illumi-
nazione con lampade ad incandescenza in serie, il quale è stato,
in America, accolto con qualche favore, e del quale noi dovremo
far cenno in questa nostra relazione. Nella macchina di Heisler
l'indotto è fisso e l'induttore gira nell'interno di esso. Sull'ai-
all'Esposizione Universale del iSSg in Parigi, 363
bero di quest'ultimo è fissata anche l'armatura della macchina
eccitatrice, la quale è un anello alla Gramme rotante in un
campo magnetico a quattro poli. Entrambe le macchine, la mac-
china principale a corrente alternante e la eccitatrice a corrente
continua, sono racchiuse in un involucro cilindrico di lastra di
ferro che dà all'insieme l'aspetto di un lungo tamburo. L'indotto
della macchina principale, a corrente alternante, il quale, come
si è già detto, è fisso, è un tamburo composto di piastrine dì
ferro ed è scomponibile in otto settori amovibili, i quali sono
tenuti in posto da tiranti di bronzo fosforoso, paralleli all'asse»
assicurati alle piastre terminali. Sul tamburo cilindrico così for-
mato stanno avvolte le spirali indotte. L'avvolgimento è fatto
alla maniera di Gramme, e propriamente come lo è nell'indotto,
pure fisso, della macchina a corrente alternante dal Gramme
costrutta per il sistema Jablochkoff. La sola differenza tra l'av-
volgimento dell'indotto Heisler e quello dell'indotto Gramme
sta in ciò, che mentre in quest'ultimo le spirali indotte sono-
ripartite in quattro circuiti distinti, nel primo invece esse sono-
ripartite solamente in due circuiti. Sonvi in tutto 32 spirali ele-
mentari, che, tutte insieme, coprono completamente tutta la su-
perficie del tamburo Di esse 16 sono in un circuito e 16 in \xn
altro; le spirali di un circuito sono alternate con quelle dell'ai-
irò. L'induttore, che ruota nell'interno, ha 16 elettro-magneti
radiali presentanti sulle estremità esterne poli alternati. Le spi-
rali in ciascun circuito sono adunque in numero eguale ai poli
induttori, come nell'antica macchina di Gramme ora citata. Con
questo artificio, di avvolgere sull'armatura un numero di spirali
indotte doppio di quello dei magneti induttori e di porle in due
circuiti separati si ottiene il vantaggio di poter coprire di spi-
rali completamente tutta l'armatura, pur osservando per ciascun
circuito indotto la nota regola, che per le macchine alternative
è fondamentale, di coprire colle spirali indotte inserte in un
medesimo circuito solamente una piccola parte del nucleo del-
l'armatura. Però l'esempio della macchina di Gramme sovra-
citata basta, anche senza ricordarne altri, a dimostrare che tale
disposizione, che Heisler presenta come nuova, è da lungo tempa
nel dominio del pubblico.
La macchina eccitatrice a corrente continua, la quale, come
si è detto, ha l'asse comune colla macchina principale, è ecci-
tata in serie ed è a quattro poli. L' induttore di essa consiste
in un anello circondante l'armatura, sul quale sono fissati quat-
364 L'elettrotecnica
tro blocchi polari. Le porzioni dell* anello comprese fra tali
blocchi sono coperte dalle spirali magnetizzanti. La corrente è
raccolta da due spazzole appoggiate alla distanza di 90° V una
dall'altra su di un ordinario collettore. Dalle spazzole, per con-
•duttori esterni essa passa ad altre spazzole appoggiate su due
anelli comunicanti coi capi delle spirali magnetizzanti; tutte le
spirali dell'induttore sono congiunte in serie.
In tutte le macchine di Heisler, qualunque sia la loro gran-
dezza, ciascuno dei circuiti esterni trasmette 5 ampere. La dif-
ferenza efficace dei potenziali ai poli varia da macchina a mac-
china e può salire fino a 3000 volt. La velocità varia da 600
ad 800 giri per minuto. La macchina esposta a Parigi, colla
velocità normale dì 640 giri dava 1750 volt con 5 ampere in
ogni circuito.
CAPO II.
I sistemi di distribuzione.
16. Osservazioni preliminari. — Più ancora che nella costru-
zione delle macchine dinamoelettriche è stato grande il progresso
«che dalla prima esposizione di elettricità di Parigi a questi giorni
si è fatto nella distribuzione delle correnti elettriche e nell'im-
pianto delle grandi stazioni centrali. Nel 1881 il sistema di distri-
1)uzione per lampade ad incandescenza collegate in parallelo con
due iili, che fin d'allora era stato da Edison studiato in tutte le sue
parti e stava applicandosi su grande scala nell'America, non aveva
ancora ricevuto in Europa alcuna grande applicazione; il sistema
per lampade ad arco in serie del Brush, che permetteva di ali-
mentare con una sola macchina 40 lampade di io ampere, co-
minciava appena ad essere ritenuto pratico; e i sistemi escogi-
tati da Marcel Deprez per distribuzioni in derivazione con po-
tenziali costanti e per distribuzioni in serie con correnti costanti,
sistemi che dovevano utilizzare il concetto, appena abbozzato,
della doppia eccitazione, erano allo stato embrionale ed ancora
molto lontani dalle condizioni di pratica applicabilità. Le idee
poi sul modo di impiantare, di disporre e di governare una
grande stazione centrale, sul modo di accoppiare più macchine
all'Esposizione Universale del iSS^ in Parigi, 365
dinamoelettriche su di una medesima rete di circuiti e sul moda
di regolarne il funzionamento erano incerte tanto, che un con-
cetto così semplice e rudimentale come è /quello di accoppiare
in batteria, in parallelo, più macchine con piccola resistenza di
armatura, eccitate in derivazione o con una macchina ausiliaria
separata, concetto che pure nella esposizione era stato abboz-
zato dal Gravier, quasi non era stato apprezzato. Ed ora invece,
dopo soli otto anni, non solo il sistema primitivo di Edison si
è perfezionato coli' ingegnoso impiego dei feeders, non solo il
raggio d'azione di esso si è notevolmente accresciuto mercè
l'impiego dei tre fili, non solo il principio del sistema a tre fili^
ormai divenuto generale, sta ricevendo un'ulteriore generaliz-
zazione nei sistemi a cinque fili; non solo le stazioni centrali,,
che sono diventate numerose e colossali, sono sistematicamente
ordinate e regolate con metodi assolutamente pratici e sicuri;
non solo d'accanto al sistema in serie del Brush è venuto a
prender posto l'ingegnoso ed ottimo sistema in serie per lampade
ad arco della Società Thomson-Houston ; non solo vanno ap-
plicandosi d'accanto ai sistemi in serie per archi voltaici, anche
sistemi in serie per lampade ad incandescenza; ma una nuova
classe di sistemi è venuta ad allargare enormemente il campo
delle distribuzioni elettriche e ad accrescere notevolissimamente
il raggio di azione di esse; la classe delle distribuzioni o tras-
missioni indirette basate sull'uso dei ti*asformatori. Nella storia
di questi nuovi modi di distribuzione, 'e, si può ben dire, nella
storia dell'elettrotecnica, ha avuto una importanza eccezionale
l'Esposizione del 1884 in Torino. Un uomo d'ingegno, Luciano
Gaulard, fatta sua l'idea, non nuova, ma non ancora ben com-
presa, dei trasformatori a corrente alternativa, aveva saputo
indovinarne l'importanza, e seguendola con una costanza, con
una fede e con una operosità ammirabili, era riuscito a tradurla
in atto con apparecchi, se non perfetti, atti a funzionare rego-
larmente come congegni pratici, industriali. 11 Gaulard presen-
tava alla Esposizione di Torino i suoi generatori secondarii e
riusciva con essi ad eseguirvi esperienze grandiose, che richia-
marono sul nuovo sistema l'attenzione dei tecnici e bastarono
a dimostrare come l'elettrotecnica fosse oramai in possesso di
un nuovo strumento fecondo di grandiose applicazioni. Dopo
l'esperienza di Torino la costruzione e l'impiego dei trasforma-
tori a correnti alternative si perfezionarono rapidissimamente,.
ed in pochi anni si videro sorgere nell'Europa continentale per
366 L'elettrotecnica
'opera della Casa Ganz di Budapest, nell'Inghilterra per opera
del Ferranti, in America per opera della Società Westinghouse,
impianti colossali, oye coi trasformatori si utilizzano migliaia di
cavalli dinamici. Fu cosi aperto ali* elettrotecnica un campo
nuovo ove si sono mietute e si mietono messi rimuneratrici.
Cosa strana e deplorevole, dei frutti di questo nuovo campo
<ii studii e di applicazioni l'Esposizione di Parigi ha presentato
poco o nulla. La mostra di elettricità, che, come vedemmo, of-
friva un quadro così completo e grandioso della odierna condi-
zione della industria della costruzione delle macchine genera-
trici delle correnti elettriche, nulla o quasi nulla conteneva di
ciò che riguarda le macchine trasformatrici delle correnti me-
«desime. Imperocché nessuna importanza ha il fatto che la So-
cietà Thomson-Houston si servisse di alcuni trasformatori per
illuminare una parte della sua mostra, e che di qualche trasfor-
matore si servisse alcuna delle stazioni centrali serventi alla illu-
minazione di qualche parte della Esposizione, né merita menzione
un meschino esemplare di trasformatore Zipernowsky presentato,
inoperoso, dalla Compagnia continentale Edison di Parigi.
Per compenso l'esposizione presentava nella bellissima sta-
zione della Compagnia continentale Edison un ottimo modello
-di stazione centrale col sistema di distribuzione a tre fili, offriva
nella mostra della Società Thomson-Houston un nuovo modo
<ii applicazione per tale sistema, ed illustrava colle mostre della
Società Americana di Edison, della Casa Thomson-Houston e
<ii Heisler i nuovi sistemi di distribuzione per lampade ad in-
candescenza in serie, mercé i quali con impianti economici si
riesce ad allargare il raggio di azione della distribuzione pur
evitando l'impiego dei trasformatori. Queste parti dell'Esposi-
zione meritano un cenno.
17. Stazione centrale della Compagnia continentale Edison. —
La stazione centrale impiantata nella Esposizione dalla Compa-
gnia Continentale Edison di Parigi, ha una importanza speciale,
non solo per la bontà di alcune sue disposizioni e per la bellezza
del suo insieme, ma anche, e più ancora, perché offre un saggio
di ciò che sono i migliori impianti attualmente eseguiti dalla
Società Edison. Essa infatti non differisce dalla stazione centrale
che la medesima compagnia ha nel Palais Royal, né da quella
impiantata nella Cité Bergère per l' illuminazione di una parte
dei BoulevardSf se non per la grandezza di alcune delle mac-
chine e per le condizioni imposte dai differenti locali.
all'Esposizione Universale del iSSg in Parigi, 367
Le caldaie, del tipo moltitubólare di Belleville, sono in nu-*
mero di tre e possono produrre ciascuna 2600 chilogrammi di
vapore all'ora. Le macchine a vapore, della fabbrica Wehyer e
Richemond, sono verticali, a tripla espansione ed a condensa-
zione. Fanno 160 giri al minuto, lavorano con una pressione
iniziale del vapore di io chilogrammi per cmq., consumano
7 chilogrammi di vapore per ora e per cavallo indicato. Sonvi
quattro macchine di 150 cavalli ed una di 140. Le macchine
dinamoelettriche sono tutte dei tipi attualmente costrutti dalla
Compagnia Continentale, sono macchine coir indotto Edison e
•coir induttore a doppio circuito magnetico somigliante a quello
•delle macchine F di Siemens ed Halske. Esse sono in numero
•di otto. Due, comandate ciascuna da una delle macchine a va-
pore, hanno l'induttore con quattro colonne, sono calcolate per
mille ampere, e danno, nell'impianto che stiamo descrivendo,
•800 ampere. Come tutte le macchine Edison, le macchine di
cui parliamo sono regolate per una differenza di potenziali ai
poli uguale a no volt. Esse danno adunque 88 chilowatt e ciò
con una velocità corrispondente a 350 giri al minuto. 11 peso totale
•è di II 750 chilogrammi. Le sei altre macchine sono di modello
più piccolo, ed hanno due sole colonne nell'induttore; sono co-
mandate due a due dalle tre rimanenti macchine a vapore. Queste
sei macchine minori sono calcolate per 500 ampere e nell'im-
pianto attuale danno effettivamente 450 ampere con no volt,
ossia 49,50 chilowatt; e ciò con una velocità corrispondente a
"650 giri per minuto. 11 loro peso è di 5675 chilogrammi.
Ciò che a noi interessa qui considerare è il sistema di di-
stribuzione, e propriamente il collegamento delle macchine,
r apparecchio per regolarle e il commutatore generale che serve
ad inserirle nei circuiti ed a variare a seconda del bisogno i
■collegamenti.
11 sistema di distribuzione è, come abbiamo già detto, quello
-a tre fili; e in che consista questo sistema è cosa nota. Le
macchine dinamoelettriche attive formano due gruppi, che diremo
A e B, in ciascuno dei quali le macchine sono collegate in pa-
rallelo. I due gruppi poi sono collegati l'uno coH'altro in serie:
il polo positivo del gruppo B è collegato col negativo del gruppo
A; rimangono liberi il polo positivo del gruppo A ed il polo
negativo del gruppo B, i quali rappresentano rispettivamente il
polo positivo ed il polo negativo del sistema. Se, come nel caso
•degli impianti Edison, le macchine producono individualmente
368 L'elettrotecnica
una differenza di potenziali di no volt, si ha fra i due poli del
sistema una differenza di potenziali di 220 volt. Dal polo posi-
tivo di A, che è il polo positivo del sistema, dal pezzo di unione
del polo negativo di A col positivo di B e dal polo negativo
di B, che è polo negativo del sistema, partono tre conduttori^
che noi contrassegneremo coi numeri i, 2 e 3. Le lampade sono
anch'esse divise in due gruppi che noi diremo ancora A e B;
quelle del gruppo A sono messe in derivazione tra i conduttori
I e 2; quelle del gruppo B sono messe in derivazione tra i
conduttori 2 e 3. Si hanno così due sistemi in derivazione, \\
primo dei quali comprende le macchine A e le lampade A, ed
il secondo le macchine B e le lampade B; ma questi due sistemi
hanno comune un reoforo: il conduttore 2, che è reoforo nega-
tivo pel sistema A, è nel tempo stesso reoforo positivo pel si-
stema B. Se i due gruppi contengono un medesimo numero di
lampade, o meglio se i due gruppi ricevono correnti di una
medesima intensità totale, il filo 2 comune ai due sistemi non
prende dalle macchine, né riconduce alle medesime alcuna cor-
rente; su di esso non si hanno allora correnti se non in alcuni
tratti compresi fra i punti di derivazione dei due gruppi, cor-
renti di intensità uguale alla differenza tra quelle esistenti sulle
derivazioni. Se poi i due gruppi contengono numeri diversi di
lampade, o più in generale, se ricevono correnti di intensità
totali diverse, il conduttore 2, comune ai due gruppi, trasmette
solamente la differenza delle due correnti; e se nel distribuire
le derivazioni si ha cura di far sì che entrambi i gruppi richie-
dano normalmente correnti uguali o poco diverse, il conduttore
intermediario può avere una assai piccola sezione. E se anche
si vuole ammettere il caso estremo, che solo un gruppo fun-
zioni, al conduttore 2 basta dare una sezione uguale a quella
degli altri due. Così anche in questo caso, che è il caso peggiore,,
si risparmia uno dei quattro conduttori che occorrerebbero per
alimentare un egual numero di lampade col sistema semplice a
due fili. Per tal modo si ottiene questo risultato, che, pur essendo
le singole derivazioni e le singole lampade indipendenti tra di
loro, si duplica la differenza dei potenziali, e con ciò si estende
notevolissimamente il raggio d'azione entro il quale la distribu-
zione, tenuto conto delle spese di impianto e di esercizio, pu6
essere rimuneratrice. Questo sistema, che è dovuto ad Hopkinson,
ha ormai ricevuto numerosissime applicazioni, quindi non solo
il principio di esso, ma nemmeno le disposizioni generali della
all'Esposizione Universale del i88g in Parigi, 369
stazione centrale necessarie per metterlo in pratica non pos-
sono costituire una novità. Tuttavia la stazione centrale della
Compagnia Continentale Edison di Parigi offre interessanti og-
getti di osservazione e di studio. Ciò sovratutto per la ingegnosa
disposizione e per la bellissima costruzione del grande commu-
tatore generale e del quadro di distribuzione.
11 commutatore generale deve servire ad inserire una qua-
lunque delle macchine dinamoelettriche, a piacimento, nel grup-
po A oppure nel gruppo B; esso deve inoltre contenere gli
organi di comando dei reostati regolatori dei campi magnetici
delle singole macchine, riuniti in piccolo spazio, in posizione
comoda per le operazioni della inserzione, o della esclusione, o
della commutazione delle macchine medesime. Il commutatore
della Compagnia Continentale ha appunto il merito di ridurre
al minimo lo spazio in cui tutti i manubrìi dei commutatori e
dei regolatori delle varie macchine dinamoelettriche sono collo-
cati. Ciò si è ottenuto collocando tutti i commutatori, tanto
quelli per l'inserzione e la commutazione delle macchine, quanto
quelli dei reostati regolatori, l'uno accanto all'altro in tanti piani
perpendicolari alla fronte dell'intiero apparecchio. Tutti questi
commutatori sono a disco, con pezzi metallici di contatto di-
sposti, come settori di una corona circolare, sulla periferia. I
manubrii, colla manovra dei quali si stabiliscono con quei pezzi
i varii contatti, sporgono sul davanti, sulla fronte principale del
sistema; e la distanza tra i piani verticali, perpendicolari alla
fronte stessa, nei quali essi si trovano, è ridotta a quella stret-
tamente necessaria per contenere la grossezza dei dischi e per
dar spazio ai fili di unione. I commutatori per l'inserzione delle
macchine sono in alto, a circa m. 1.50 dal suolo; quelli dei reo-
stati regolatori sono in basso all'altezza di un tavolo ordinario,
e ciascuno di essi sta sotto al commutatore d'inserzione corri-
spondente alla medesima macchina. Il tutto è di costruzione
metallica, ed è riunito da una intelaiatura di ghisa in un sistema
semplice e compatto.
Il commutatore per l'inserzione di una macchina ha, come
si è detto, la forma di un disco. Tale disco porta su una delle
faccie, verso la periferia, cinque pezzi massicci di bronzo di
forma arcuata, isolati. Due di questi pezzi, o settori, sono si-
tuati alle estremità del diametro orizzontale; e questi comuni-
cano, per mezzo di due cordoni di rame, coi due poli della
macchina dinamoelettrica; per esempio il pezzo anteriore comu-
G. FxRRARis, Optrf, Voi. II. 04
3 70 L * elettrotecnica
nica col polo positivo ed il posteriore col polo negativo; noi
potremo contrassegnarli coi nomi: settore -+- e settore — . Un
terzo settore occupa tutta la parte inferiore del disco, ed è in
comunicazione con una grossa asta di rame, di sezione rettan-
golare, la quale a sua volta è collegata col conduttore 2 della
distribuzione, del quale essa rappresenta l'origine. Per ricordare
ciò noi denomineremo tale asta: conduttore 2. La parte supe-
riore del disco porta finalmente due altri settori isolati, i quali,
insieme allo spazio interposto per T isolamento, occupano un
arco di ampiezza uguale a quello occupato dal settore inferiore.
Questi due settori isolati sono collegati a due aste di rame,
cojrrenti lungo tutto il sistema, identiche per forma e per gran-
dezza a quella che abbiamo denominato conduttore 2, e colle-
gate, runa, l'anteriore col conduttore i, l'altra, la posteriore, col
conduttore 3. Noi potremo denominarle addirittura: conduttore i
e conduttore 3; potremo poi contrassegnare coi medesimi nu-
meri anche i settori del commutatore. Una alidada, manovrabile
per mezzo di un manubrio isolato, è girevole attorno al centro
<iel disco. Essa porta due settori di bronzo, diametralmente op-
posti, l'uno dall'altro isolati, che da molle a lamina sono costan-
temente premuti contro i settori del commutatore, sui quali
scorrono quando si fa girare l'alidada. Quando il manubrio e
la alidada sono in posizione orizzontale, i due settori scorrevoli
stanno appoggiati sui settori + e — , senza toccare alcun altro
settore e quindi senza stabilire alcuna comunicazione tra i poli
della macchina ed i conduttori. La macchina è allora fuori di
circuito. Quando l'alidada è inclinata in modo che il manubrio
sia in alto, in una posizione fissata da un acconcio arresto, il
settore mobile anteriore si appoggia sul settore + ^ sul setto-
re I, ed il settore mobile posteriore si appoggia sul settore —
e sul settore 2; il polo positivo della macchina si trova quindi
collegato col conduttore i, ed il polo negativo col conduttore 2;
la macchina è inserta nel gruppo A. Quando finalmente l'alidada
-è inclinata in senso inverso, in modo che il manubrio stia in
basso, il settore scorrevole anteriore si appoggia sui settori
fissi -j- e 2, mentre quello posteriore si appoggia sui settori
fissi — e 3; quindi la macchina si trova collegata col polo po-
sitivo al conduttore 2 e col negativo al conduttore 3'; la mac-
china è adunque inserita nel gruppo B.
Quando il manubrio è nella posizione orizzontale, corrispon-
dente alla macchina fuori circuito, esso è trattenuto in tale pò-
all'Esposizione Universale del 1S89 in Parigi, 371
sizione da un bocciuolo di arresto, e non può essere spostato
né. verso Talto né verso il basso se prima quel bocciuolo non
-è stato girato. Ciò obbliga l'operatore, che sta per inserire la
macchina in circuito, a fare una manovra che ferma la sua at-
tenzione ed impedisce che egli inserisca la macchina prima di
averla eccitata.
I commutatori dei reostati regolatori dei campi magnetici
sono anche essi a disco ed alidada. Essi si possono manovrare
uno ad uno per mezzo di un proprio manubrio, oppure tutti in-
sieme per mezzo di una trasmissione comune. I manubri! per
la manovra dei singoli regolatori ed i volantini per la manovra
simultanea di tutti sono collocati in posizione comodissima. Per
evitare qualunque pericolo di inversione dei poli, la corrente di
eccitazione é presa sui 220 volt.
Fra le sbarre di distribuzione sono collocati due voltometri
a grandi divisioni. Un voltometro differenziale collocato sul
quadro generale serve alle operazioni dell'inserzione delle mac-
<:hine in circuito. Quando si deve far tale operazione, uno dei
fili del voltometro differenziale viene messo in derivazione tra
le sbarre di distribuzione alle quali fa capo il circuito in cui la
macchina dev'essere inserita, e l'altro filo del voltometro viene
riunito coi suoi capi ai due poli della macchina che si vuole
inserire. Si fa allora variare l'eccitazione della macchina fino
a tanto che l'indice del voltometro differenziale rimanga sen-
sibilmente allo zero. Quando ciò è ottenuto, la macchina viene
messa in circuito. Sui circuiti parziali delle singole macchine
sonvi gli amperometri, dietro alle indicazioni dei quali si hanno
a regolare i campi magnetici per dividere equabilmente su
le macchine funzionanti in un medesimo gruppo la corrente
totale.
Colle sbarre di distribuzione del commutatore generale co-
municano altre sbarre, anch'esse di rame con sezione rettango-
lare, poste orizzontalmente su di un quadro di distribuzione, che
sta di fianco al grande commutatore. Su queste ultime sbarre
sono fatte le prese pei varii circuiti. Su ciascuna presa di cor-
rente si trova un commutatore a catenaccio, un amperometro
ed una lastra fusibile.
18. Sistema a tre fili Thomson- Houston. — Quello che ab-
biamo descritto, è un saggio di applicazione del sistema a tre
fili nella sua forma primitiva ed ordinaria. Un altro modo di
applicare il medesimo sistema è stato illustrato in una parte
372 L'elettrotecnica
della mostra dalla Thornson- Houston International Electric Com-
pany. È un modo di applicazione, pel quale il prof. Elihu
Thomson ha una privativa. Da esso non differisce sostanzial-
mente quello che, con altri particolari, e generalizzato per
un sistema di distribuzione a cinque fìli, è ora in istudio nella
stabilimento Siemens ed Halske di Berlino.
Mentre nel sistema a tre fili ordinario si hanno due macchine
generatrici o due batterie di macchine riunite in serie, ed i tre
conduttori partono dai poli liberi esterni e dal punto dì con-
giunzione delle due macchine o dei due gruppi di macchine,
nel sistema del prof. Elihu Thomson, invece, si adopera una
sola macchina generatrice od una sola batterìa dì macchine ge-
neratrici, avente da sé sola la forza elettromotrice necessaria
per mantenere fra i due poli la differenza di potenziali che si
vuole fra i fili i e 3; 220 volt, per esempio. I conduttori i e 3
della rete a tre fili partono dai due poli dell'unica generatrice;
il conduttore 12, invece, ossìa il filo intermedio, non è con tale
macchina direttamente collegato. Finché nei due gruppi (ne^
gruppo A derivato dai fili i e 2, e nel gruppo B derivato dai
fili 2 e 3) sta acceso un egual numero di lampade, il filo 2, in-
termedio, non ha altro ufficio che quello di collegare tra di loro
in serie i due gruppi di lampade; esso non ha da condurre al-
cuna corrente e non ha bisogno di essere collegato con alcuna
generatrice. Quindi il sistema funziona, in tale caso, come nella
disposizione ordinaria. Ma non appena il numero delle lampade
accese in uno dei gruppi risulti diverso da quello delle lampade
attive dell'altro gruppo, anche le intensità totali delle correnti
nei due gruppi debbono essere diverse, se si vuole che le lam-
pade dei due gruppi seguitino a funzionare con uguali differenze
di potenziali; ed il conduttore intermedio deve poter portare
la differenza delle due intensità; se ciò non potesse aver luogo,
si produrrebbe una differenza fra la caduta di potenziali esistente
tra i fili I e 2 e quella esistente tra i fili 2 e 3 : la caduta di
potenziale diventerebbe maggiore pel gruppo ove le lampade
accese sono in minor numero, e minore per quello ove le lam-
pade accese sono in numero maggiore. Per impedire che tale
ineguaglianza si produca, e fare sì che comunque variino i
numeri delle lampade accese nei due gruppi, sempre la caduta
di potenziali disponibile tra i fili i e 2 uguagli quella dispo-
nibile tra i fili 2 e 3, il prof. Elihu Thomson collega, nella
stazione centrale, i tre conduttori con una speciale mac-
all'Esposizione Universale del iSSg in Parigi. 373
china dinamo elettrica ausiliaria alla quale dà il nome di ugua-
lizzature,
L' ugualizzatore è una macchina dinamoelettrica eccitata
per mezzo di una derivazione presa sui conduttori estremi, cioè
sui fili 163. L'armatura di questa macchina porta due spirali
indotte identiche; e ciascuna di queste spirali ha un proprio
collettore. La spazzola positiva del primo collettore è collegata
col conduttore i, la negativa col conduttore 2; la spazzola po-
sitiva del secondo collettore è collegata anch'essa col conduttore
2, e la negativa è congiunta col conduttore 3. Per tal modo
una delle spirali dell'armatura, che noi diremo: spirale A^ si
trova inserita fra i fili i e 2 ai quali sono collegate le lampade
del gruppo A\ e l'altra, che noi diremo: spirale J?, si trova in-
serita fra i fili 2 e 3 che servono alle lampade del gruppo B.
<2uando le lampade accese sono in egual numero nei due gruppi,
nessuna corrente si ha sul filo 2, le due spirali dell'armatura si
trovano percorse da una medesima corrente, e su di essa il
campo magnetico della macchina produce coppie di rotazione
cospiranti ed uguali. L'armatura si mette adunque in moto e la
sua velocità diventa costante quando la somma delle forze elet-
tromotrici che si producono nelle due spirali e della piccola
caduta di potenziali dovuta alla resistenza propria delle spirali
medesime, uguaglia la differenza di potenziali tra i fili i e 3.
La macchina funziona allora come un motore il quale è attivato
da una debolissima corrente derivata tra i fili i e 3, e gira a
vuoto. E siccome le due spirali dell'armatura sono perfettamente
identiche e girano in un medesimo campo magnetico, così le
differenze di potenziali fra le estremità di esse sono esattamente
uguali. Sono adunque anche uguali le differenze di potenziali
tra i conduttori con esse collegati. Così stando le cose, si sup-
ponga ora che tutto d'un tratto vengano spente alcune lampade
in uno dei gruppi, per esempio nel gruppo B, La prima conse-
guenza di tale fatto è che la caduta di potenziali tra i condut-
tori 2 e 3 aumenta alquanto, mentre quella fra i conduttori i
•e 2 diminuisce ; la intensità della corrente nella spirale B del-
l'ugual izzatore inserta tra 2 e 3 aumenta; quella nella spirale ^
inserta tra i e 2 diminuisce, e se la resistenza propria di tale
spirale è piccola, presto si annulla e poi si inverte; il lavoro
-esercitato dal campo magnetico sulla prima spirale aumenta;
•quello sulla seconda spirale diminuisce, o si annulla, o cambia
di segno. Mentre adunque la spirale B , la quale seguita a fun*
374 L'elettrotecnica
zionare come quella dell'armatura di un motore elettrico, svi-
luppa un lavoro meccanico maggiore di quello ch'essa dava da
prima, l'altra spirale, quella A, dà minor lavoro, o non ne dà
affatto, oppure ne consuma e funziona come l'indotto di una
macchina dinamoelettrica generatrice. Se si fanno molto piccole
le resistenze ohmiche delle due spirali, l'ultimo caso si verifica
anche per minime variazioni nel numero delle lampade. E allora
mentre la spirale B, utilizzando l'eccesso della corrente dei
gruppo A su quello del gruppo jB, produce un lavoro mecca-
nico, la spirale A utilizza tale lavoro per produrre corrente in
favore del gruppo A, Se le spirali dell'armatura non presen-
tassero veruna resistenza, l'apparecchio manterrebbe tra i fili.
I e 2 e tra i fili 2 e 3 differenze di potenziali assolutamente
uguali ed invariabili, e se fosse possibile pure che nessuna
resistenza meccanica si opponesse al movimento dell'arma-
tura, l'ugualizzatore funzionerebbe senza alcun consumo d'e-
nergia.
Ma siccome non è possibile ridurre a zero né la resistenza
elettrica delle spirali, né la resistenza d'attrito, così accadrà che
l'ugualizzazione ottenibile coU'apparecchio non sarà né assoluta-
mente perfetta, né gratuita.
19. Teoria delVugualizzatore, — Possiamo facilmente vedere
da quali elementi dipendano l'esattezza ed il costo della ugua-
lizzazione ottenibile.
Supponiamo a quest' uopo che le due spirali dell' armatura
siano esattamente uguali l'una all'altra, come il costruttore deve
mirare a farle, e rappresentiamo con r la resistenza elettrica
di ciascuna. Ammettiamo poi, come, fra i limiti pratici delle ve-
locità, possiamo ammettere con grandissima esattezza, che la
forza elettromotrice d'induzione prodotta in ciascuna spirale sia
proporzionale al numero n di giri fatti dall'armatura in ogni
minuto secondo ; rappresentiamola perciò con n e. Ammettiamo
similmente che tra i limiti pratici della velocità il lavoro consu-
mato in i'' dalle resistenze meccaniche passive sia anch'esso
proporzionale ad « e rappresentiamolo con nL. Se allora noi
rappresentiamo con v la differenza di potenziali tra i fili i e 3^
con v' quella tra i fili i e 2 e con v" quella tra i fili 2 e 3; se
con / rappresentiamo l' intensità della corrente nel filo 2, e la
consideriamo come positiva quando essa è diretta verso l'ugua-
lizzatore ; se finalmente rappresentiamo con i ed i" le intensità
delle correnti nelle due spirali dell'armatura e le prendiamo
alP Esposizione Universale dei iS8^ in Parigi. 375
come positive quando esse vanno rispettivamente da i a 2 e
da 2 a 3; abbiamo le cinque equazioni:
— ne =^rt, (i)
— ne =iri\ (2)
a + i;" i" = rn + ri^'^ + n Z., (3)
+ ^" =v, (4>
-i' =1 (5)
per mezzo delle quali, dati e^ L, r, v, /, possiamo determinare
V, v\ r, r, n.
Dalle due prime ricaviamo per sottrazione, tenuto conto
della (5):
v" -v=rl, (a)
e combinando questa colla (4):
2 z;' = z; — r /, 2 v" = v -j- r / {b)
Le (1) e (2) moltiplicate rispettivamente per f e per /*", e
poi sommate danno :
w'i'-M/'r' = r«'"' +
rT* i ne(C i- «
quindi la (3) si riduce a
«<r ('' + '")
-=nLt
e dà
_ L
e
Questa poi e la (5) danno :
„-=A-.
2/'= ^ +/
e
Kc>
Portando in (i) i valori \}>) e (r/), otteniamo finalmente
. w = _ . (/>
2 ^ 2 ^*
Queste semplici relazioni comprendono tutta la teoria del-
Tugualizzatore. Esse pongono in chiaro i fatti seguenti :
Data la differenza di potenziale v tra i fili i e 3, e supposto
che questa sia mantenuta costante per mezzo del regolatore
della macchina dinamoelettrica generatrice, le differenze di pò-
37^ L'elettrotecnica
tenzialì v' e v' tra i fili i e 2 e tra i fili 2 e 3 non dipendono
da Z. né da ^; non dipendono cioè né dalle resistenze niecca>
niche che si hanno da vincere per far girare l'armatura, né
dalla intensità del campo magnetico in cui l'armatura é collo-
cata, né dall'avvolgimento delle spirali di questa. Esse dipendono
unicamente da r e da /. Data /, ossia data la differenza tra le
somme delle correnti attraversanti i due gruppi di lampade,
esse dipendono unicamente dalla resistenza elettrica r delle spirali
dell'armatura; la loro differenza «;" — v' t proporzionale ad r.
Ciò vuol dire che l'esattezza colla quale l'ugualizzatore adempie
il suo uffizio, l'uffizio cioè di ripartire in parti uguali fra i due
gruppi di lampade la caduta totale di potenziale disponibile, di-
pende unicamente dalla resistenza elettrica delle spirali dell'ar-
matura, ed è tanto maggiore quanto più piccola è tale resistenza.
Se la resistenza r potesse farsi uguale a zero, sarebbe esatta-
la
mente , sempre: v* -= v"^^ —] e 1* ugual izzazione sarebbe per-
2
fetta. Per un dato valore della resistenza r, le formole (b) danno:
V V
2 2
7=2 -=2 ,
r r
e permettono di calcolare il valore di /, e ciò che vai lo stesso,
la differenza tra le correnti totali nei due gruppi, che si può
ammettere senza che le differenze di potenziali subiscano varia-
V V
zioni v" oppure v' superiori al limite compatibile con
un regolare servizio d'illuminazione.
Mentre v e v" sono indipendenti da Z. e da ^, e dipendono
solamente da r, le intensità f ed i'\ invece f formole (d)) sono
indipendenti da r e dipendono da £ e da e. Il loro valore
t' ' i" L,
medio — "^- - , uguale, per la (e), ad - - , è anche indipendente
2 2^
da /; la loro differenza dal medio è uguale alla metà della cor-
rente / del filo 2, la quale si divide in due correnti uguali per-
correnti in sensi opposti le due spirali dell'armatura. Nel caso
ideale di Z, — o , ossia di un egualizzatore non presentante al-
cuna, anche minima, resistenza di attrito, le (d) darebbero
r'=:— r= , ossia le due spirali si troverebbero percorse
2
all'Esposizione Universale del 1S89 in Parigi, 377
sempre da due correnti uguali ed opposte. Per un dato valore
di L tale stato di cose si può verificare con tanto maggiore
approssimazione in quanto più si fa grande la forza elettromo-
trice e.
Finalmente la formola (/) fa vedere che il numero dei giri
n fatti dall'armatura in ogni minuto secondo dipende bensì da v,
da ^, da Z, e da r, ma è indipendente da /. Ciò vuol dire che,
data la costruzione dell' ugualizzatore, e data la differenza di
potenziali v che la macchina dinamoelettrica generatrice princi-
pale mantiene costante tra i fili estremi i e 3, l'armatura del-
l'ugualizzatore assume una velocità determinata la quale si man-
tiene poi sempre costante, indipendentemente dalle variazioni
che possono avvenire nel numero delle lampade nei due gruppi.
Tale velocità non varia se non col variare di z; e col variare
dello stato di nettezza e di lubrificazione dei cuscinetti su cui
gira l'armatura.
L'impiego dell' ugtializzatore dà luogo ad una perdita di
energia. Per renderci conto di essa noi distingueremo la perdita
di energia P, che si ha propriamente nell'ugualizzatore, da quella
P^ che si ha sul circuito principale.
L'energia consumata propriamente nell'ugualizzatore si com-
pone di quella convertita in calore nelle spirali e di quella im-
piegata a fare il lavoro nL necessario per vincere gli attriti.
Detta p la resistenza della spirale magnetizzante degli elettro-
V
magneti di campo, l'intensità della corrente eccitatrice vale ;
P
e l'energia da essa trasformata in calore è — ; quindi l'energia
P
consumata nell'egualizzatore è:
P= ^ +ri'^ \ rr^ + nL.
P
Portando in questa espressione i valori (il) di /' ed T', ed
eliminando n per mezzo della relazione (/), la si trasforma
nella
p 2 2^
Si può notare che — è il numero di giri che bisognerebbe
Tar compiere in ogni minuto secondo all'armatura dell' ugualiz-
378 L'elettrotecnica
zatore per produrre, a circuito aperto, fra i capi di ciascuna
V
delle due spirali, una differenza di potenziale uguale a — ; ossia
2
tra i morsetti estremi una differenza v. Detto v questo numero
di giri, possiamo scrivere:
P = — + ' r/« Ivi (^>
P 2
I tre termini di questa espressione contengono, separate,.
rispettivamente: la resistenza elettrica p delle spirali eccitatrici
del campo magnetico, la resistenza elettrica r delle spirali del-
l'armatura, ed il lavoro L che definisce le resistenze meccaniche;
la formola adunque mostra chiaramente come ciascuno di questi
elementi concorra nel produrre il consumo P di energia. È da
notarsi che la spesa di energia dovuta ad i, ossia alle resistenze
passive, è uguale al lavoro che bisognerebbe spendere per far
girare l'armatura quando, tenendola in circuito aperto, ossia te-
nendo le spazzole isolate dai circuiti esterni si volesse produrre
e mantenere tra le estremità delle spirali rotanti riunite in serie
una differenza di potenziali uguale a v. Non tutto questo lavoro
va speso nel vincere gli attriti, né tutto si trasforma in calore
sui cuscinetti o negli altri pezzi dell'apparecchio ove succedono
sfregamenti od urti ; una parte di esso è spesa per produrre la
corrente — necessaria per produrre la coppia di rotazione, e
questa parte si ritrova trasformata in calore nelle spirali del-
l'armatura. La parte che viene direttamente trasformata in ca-
lore dagli attriti e dagli urti è nL\ quella che si trasforma in
energia elettrica e che si trasforma in calore nelle spirali del-
l'armatura è — -\ la loro somma è appunto, come mostra l'equa-
zione (/), uguale a vZ..
Quella che abbiamo calcolato, e che abbiamo rappresentato
con P, è l'energia consumata propriamente nell'apparecchio
ugualizzatore. Essa però non è la sola a cui l'impiego dell* ap-
parecchio dia luogo. Tale impiego infatti obbliga a mantenere
i nel circuito principale una corrente d'intensità maggiore di quella
utilizzata nei circuiti. Dette /, /i, /, le intensità delle correnti
nel circuito principale, nel conduttore i e nel conduttore 3,.
si ha:
P P
all'Esposizione Universale del iS8g in Parigi. 379
e quindi per la relazione (e) :
2 p 2^
Egli è in base a questa intensità J che bassi a calcolare i(
lavoro consumato nel circuito principale. Detta R la resistenza
di tale circuito, ossia la resistenza della generatrice e dei due
reofori che collegano questa coU'ugualizzatore, l'energia trasfor-
mata in calore è
RJS
mentre quella che si trasformerebbe in calore, qualora non sì
facesse uso dell'ugualizzatore, sarebbe
-(^:-^)'
e con ciò si ha un' idea della perdita di cui l' ugualizzatore è
causa. Si può osservare che l'eccesso di J su -* * , e quindi
il maggior consumo di energia, del quale stiamo discorrendo^
dipendono unicamente da p e da non da r, né da /. — 7,.
e
La differenza di potenziali, che devesi mantenere tra i poli
della generatrice è
ove con R^ si rappresenti la resistenza dei reofori congiun-
genti la generatrice coli' ugualizzatore. Anche questa è indipen-
dente da /j — /, ossia dalla ripartizione delle lampade tra i
due gruppi e dalla resistenza r delle spirali dell'armatura del-
l'ugualizzatore; dipende oltreché dal numero totale delle lampade
da 2 e da .
e
20. Impiego dell' ugualizzatore. Generalizzazione; sistema a
cinque fili di Siemens ed Halske. — Le precedenti considerazioni
mettono in chiaro il modo di funzionare dell'ugualizzatore, danno
un'idea dell'ordine di grandezza delle oscillazioni di potenziali
che l'apparecchio concede, e somministrano criteri per valutare
le spese di energia a cui l'impiego di esso conduce. Per la sicu-
rezza, per la regolarità del funzionamento, per la facilità del go-
380 L'elettrotecnica
verno, il sistema di distribuzione a tre fili coli' ugualizzatore è
evidentemente meno buono di quello primitivo di Hopkinson; e
se si tratta di collocare l'ugualizzatore presso alla macchina g^e-
neratrice, nella stazione centrale, esso non è certamente racco-
mandabile. Esso non dispensa dall'impiego di due macchine e non
semplifica nulla. Tuttavia l'idea ingegnosa, che gli serve di base,
può ricevere utili applicazioni. Un vantaggio importantissimo del
sistema sta nel fatto che l'ugualizzatore può essere collocato, oc-
correndo, lontano dalla stazione centrale ove sta la macchina
generatrice, in una stazione secondaria. Per tal modo si possono
con un' unica stazione centrale, per mezzo di una rete princi-
pale, o primaria, ^ due fili, alimentare parecchie stazioni secon-
darie munite di ugualizzatori, ciascuna delle quali sia centro di
una rete a tre fili. E non v'ha dubbio che in parecchi casi si
possono fare con questo artifizio distribuzioni su larghe super-
ficie ed a grandi distanze con un notevole risparmio di spesa.
Tale disposizione è analoga, e corrisponde, nella sostanza, a
«quella che si potrebbe fare per mezzo di trasformatori a cor-
rente continua, ma è certamente più semplice nell'impianto e
più comoda neiresercizio. All'ugualizzatore si possono eviden-
temente sostituire, in ciascuna stazione secondaria, due serie di
accumulatori riunite tra di loro in serie, alimentate in serie dai
due reofori primarii, ed alimentanti nella rete secondaria un
sistema a tre fili.
Ciascuna batteria terrebbe il posto di una delle spirali del-
l' armatura dell' ugualizzatore. Meglio ancora gli accumulatori
potrebbero disporsi in parallelo coli' ugualizzatore, in modo da
servire come riserva.
Il principio dell'ugualizzatore può facilmente essere genera-
lizzato. Invece di un'armatura con due sole spirali, si possono
adoperare più armature con più spirali; e si può così comporre
un apparecchio che serva ad ugualizzare le differenze di poten-
ziali in un sistema di distribuzione a quattro, a cinque ed a
più fili.
Appunto una tale idea è attualmente coltivata e praticata
dalla Casa Siemens e Halske di Berlino, la. quale l'ha posta a
base di progetti per distribuzioni con cinque fili. Uno di questi
progetti, assai grandioso, è quello che la Casa Siemens e Halske
presentava recentemente per l'illuminazione elettrica della città
■di Francoforte sul Meno. Tale progetto comprendeva una sta-
zione centrale principale ed un certo numero di stazioni secon-
air Esposizione Universale del iSSp in Pangù 381
darìe. La stazione principale doveva contenere le macchine
dinamoelettriche a corrente continua, destinate ad essere rag-
gnippate in parallelo e ad alimentare con una costante differenza
di potenziali di 440 volt un sistema di conduttori principali. Le
stazioni secondarie dovevano essere centri di altrettante distri-
buzioni a cinque fili. Ciascuna di esse, doveva a quest'uopo
contenere un ugualizzatore ; e questo era costituito da quattro^
macchine dinamo elettriche identiche aventi l'albero comune-
Le quattro spirali delle armature, per mezzo delle relative spaz-
zole, erano riunite tra di loro in serie ; coi due capi della serie
erano collegati i conduttori primari provenienti dalla stazione
centrale principale; coi due capi medesimi e inoltre coi punti
d'unione intermedi, tra le quattro armature, erano collegati i
cinque fili della rete parziale. Per tal modo la totale differenza
di potenziali mantenuta sui reofori d' alimentazione dalle mac>
chine della stazione centrale sarebbe stata divisa fra i cinque
fili di ciascuna rete secondaria in quattro parti uguali. Ciascuna
rete avrebbe alimentato quattro gruppi di lampade, ciascuno coiy
una differenza di potenziali uguale a 110 volt. Al posto degli
ugualizzatori dinamo-elettrici la Casa Siemens ed Halske propo-
neva pure di adoperare, se ciò si fosse preferito, ugualizzatori
idroelettrici formati con quattro serie di accumulatori disposti
in serie. Od anche essa proponeva di adoperare ad un tempo
r ugualizzatore dinamoelettrico e l' idroelettrico messi di fianco
l'uno all'altro, in modo che l'uno potesse all'altro servire come
riserva.
L'idea di tale sistema non è nuova, ma solo adesso essa si
presenta in forma pratica e con progetti chiari e completi. E
siccome essa offre un nuovo modo di allargare il campo delle
distribuzioni di energia elettrica, così la parte della esposizione
di ThomsonHouston che serviva ad illustrarla aveva nella mo-
stra mondiale di Parigi una speciale importanza.
21. Distribuzione in serie : Edison, Thomson- Houston, — Un
altro sistema di distribuzione che ha fin d'ora numerose e
grandi applicazioni è quello per gruppi di lampade ad incan-
descenza in serie. Esempi di tale distribuzione e parti del
macchinario per essa necessario erano presentati nella espo-
sizione di Parigi dalla Società Americana Edison, dalla Società
ThomsonHouston e da quel C. Heisler di S. Louis (America!
del quale abbiamo più sopra descritto la macchina dinamo-
elettrica.
382 L'elettrotecnica
Edison fu notoriamente il primo ad attuare praticamente,
su larga scala, tale sistema. Egli Io denomina: Sistema muni-
■cipale, ed ha pel medesimo un macchinario completo. Le lam-
pade ad incandescenza pel sistema municipale sono fatte per
essere attivate con una corrente di 3 ampère, e con tale cor-
rente presentano ai due morsetti una differenza di potenziali di
circa 20 volt, se sono di t6 candele, e di circa 13 se sono di
IO candele. Le lampade di 16 candele sono disposte in tante
serie di 60 lampade; quelle di io candele in tante serie di 90
.lampade. Le serie sono poi tra di loro riunite in parallelo ed
alimentate da una macchina dinamo-elettrica sui poli della quale
è mantenuta, colla necessaria intensità di corrente, una diffe-
renza di potenziali di 1200 volt. Ecco uno specchio dei vari
modelli di macchine dinamo-elettriche che la Società Edison
impiega a quest'uso:
Tipo X
Volt ai poli 1200
Ampere 9
Chilowatt 10,8
Massimo numero di circuiti da 3
ampere 3
Numero delle sezioni del collettore 94
Velocità (N.® di giri per i') 1600
La Società Thonison-Houston adopera anch'essa, in alcuni
dei suoi impianti, sistemi di lampade ad incandescenza collegate
in serie, e appunto con uno di questi sistemi essa illuminava
la propria mostra nella galleria delle macchine.
Le lampade adoperate a quest'uso sono, come quelle di
Edison, fatte per tre ampere e per 20 a 25 volt. Esse sono mu-
nite, come è necessario, di disposizioni automatiche per chiudere
un corto circuito quando per accidente si spezza il filamento
di carbone. E V artifizio che serve a tale effetto è il seguente.
La corrente che va alla lampada e quella che viene dalla me-
desima passano per due lamine metalliche vicine, facenti parte
del porta-lampade, le quali per la propria elasticità tendono a
stare appoggiate fortemente l'una contro l'altra. Ma un pezzetto
di carta sottile frapposto impedisce che le lamine si tocchino.
Quando si rompe il filamento di carbone e si produce perciò
fra le due lamine una differenza di potenziali grandissima, la
A
B
C
1200
1200
120O
16
32
48
19,2
38,4
57.6
5
II
16
90
122
100
1300
1000
700
ali* Esposizione Universale del 1S89 in Parigi. 383
carta viene attraversata da una scarica che la distrugge, le due
lamine vengono a contatto e richiudono il circuito. Disposizioni
ingegnose permettono di ricambiare, dopo l'accidente, il foglietto
<ii carta e di rimettere con ciò l'apparecchio in istato di ser-
vizio. In alcuni tipi di lampade si ha, oltre l'apparecchio solito
a foglietto di carta, anche quest' altra disposizione, che serve
come riserva pel caso che V effetto dell' apparecchio accidental-
mente mancasse. I due fili (di rame), ai quali sono attaccati i
capi del filamento di carbone, sono incrociati e passano vicinis-
simi l'uno all'altro senza toccarsi. Nel caso di una rottura del
filamento si produce fra i due fili, là dove essi son più vicini,
un arco voltaico, il quale, quando l' apparecchio a carta non
funzioni e la rottura del circolo perduri, produce una saldatura
fra i due fili.
22. Sistema Heisler. — Il sistema di distribuzione del sig. C
Heisler, del quale ci rimane a parlare, è anch'esso un sistema
per serie, ma è nel tempo stesso un sistema a correnti alterna-
tive. La macchina dinamoelettrica in essa adoperata è quella che
abbiamo già descritta: è una macchina con due spirali indotte,
nelle quali si producono forze elettromotrici con una difterenza
di fase di un quarto di periodo. Le due spirali indotte sono in-
serite in due distinti circuiti.
L'intensità della corrente in ciascun circuito è di 5 ampere;
la forza elettromotrice, variabile col numero delle lampade, può
salire fino a 3000 volt. In ciascun circuito è inserita una serie
di lampade ad incandescenza di 70 watt, ognuna delle quali
produce una caduta di potenziali di 14 volt; in ciascun circuito
se ne possono inserire fino a 212.
A mantenere nei circuiti una intensità di corrente costante
serve un regolatore automatico, che è la parte più interessante
di tutto il sistema. Tale regolatore fa due uffizi : 1° Ugualizza
tra di loro le intensità delle correnti nei due circuiti; 2.° fa sì
che il valore comune delle due correnti sia sempre quello che
conviene alle lampade, 5 ampere. Adempie il regolatore il primo
ufficio inserendo nel circuito ove è minore il numero delle lam-
pade una resistenza equivalente a quella delle lampade man-
canti. Adempie il secondo ufficio spostando le spazzole della
macchina eccitatrice in modo da far variare, a seconda del. bi-
sogno, la forza elettromotrice della macchina principale.
Col sistema di Heisler si può estendere il raggio d'azione
-di un impianto per illuminazione con correnti alternative nella
"~^
384 L'elettrotecnica
misura ìstessa nella quale ciò si può fare col sistema ordinaria
dei trasformatori. È poi facile vedere che l'economia del me-
tallo nelle condutture, che la distribuzione Heisler permette dt
ottenere, è del medesimo ordine di quella ottenibile nei trasfor-
matori. £ siccome colla distribuzione in serie si risparmia la
spesa di costruzione e d'impianto dei trasformatori, e si evitano
le perdite di energia inerenti all'impiego di questi apparecchi,
così si può spiegare come l'idea di un tale sistema possa essere
sorta e possa avere trovato fautori ed imitatori. Ma è pure
evidente che i citati vantaggi non hanno nella pratica una im-
portanza pari a quella che può apparire in un esame superfi-
ciale e che, ciò che più monta, essi sono largamente compen-
sati da inconvenienti gravissimi. Ciò che si risparmia nell'im-
pianto dei trasformatori è in parte compensato dalla maggior
spesa occorrente nelle condutture, le quali debbono essere tutte
isolate per alti potenziali, mentre negli impianti con trasforma-
tori gli alti potenziali sono limitati alla rete primaria. 11 rispar-
mio della energia che i trasformatori consumerebbero per iste-
resi e per correnti di Foucault è anche esso più che compensata
dal consumo dovuto alle resistenze introdotte nei circuiti per
la regolazione. La regolarità del servizio, intieramente affidata
ad un regolatore automatico, è certamente malsicura. Finalmente
gli enormi potenziali di 2000 e di 3000 volt, che si ammettono
nei circuiti, anche nelle case degli utenti, offrono tali pericoli
per le persone da rendere il sistema, presso di noi, assoluta-
mente inaccettabile.
CAPO III.
Applicazioni speciali.
§ i.° Motori elettrici.
23. Esperienze di Elihu Thomson sulle ripulsioni elettrodina-
miche, — Descrivendo le macchine dinamoelettriche che hanno
figurato nella Esposizione, abbiamo più volte avuto occasione
di accennare all'impiego di esse alla trasmissione della energia
meccanica a distanza. Così, per esempio, abbiamo notato che la
all'Esposizione Universale del iSS^ in Parigi, 385
grande macchina a quattro poli della fabbrica di Oerlikon som-
ministrava la corrente ad un'altra macchina del medesimo tipo e
di dimensioni poco diverse, la quale funzionava come motore
nella galleria delle macchine agrarie.
Così pure descrivendo le macchine di Marcel Deprez abbiamo
fatto cenno della destinazione speciale per la quale esse furono
studiate, che è quella della trasmissione dell'energia meccanica
a distanza, ed abbiamo notato come anche nella Esposizione
alcune di esse servissero a tale uffizio. Ora possiamo aggiun*
gere che l'impiego dei motori elettrici agli usi più svariati era
illustrato con una numerosa schiera di apparecchi ingegnosi,
come quelli dei ponti scorrevoli, quelli pei magli, pei verricelli,
pegli argani, per le gru, e quelli per le ferrovie elettriche. Ma
che il problema della trasmissione elettrica del lavoro mecca-
nico tra una generatrice ed una ricettrice a corrente continua
sia orrtiai completamente risolto, hanno dimostrato, assai prima
dell'Esposizione parigina, ed assai meglio di qualunque esposi-
zione, i risultati ottenuti nella vera pratica industriale. Basti
citare quelli trovati dal prof. H. F. Weber nelle sue classiche
esperienze sull'impianto eseguito dalla Società delle officine di
Oerlikon per la trasmissione dell'energia tra Kriegstetten e So-
letta. E che l'energia trasmessa possa poi con appropriati ap-
parecchi essere adoperata per servigi svariati come a muovere
argani, o gru, o ponti scorrevoli, o magli, è questione di cine-
matica, che presenta per l'elettrotecnica un interesse secondario.
Perciò si capisce come il fastoso apparato di trasmissione elet-
trica offerto dalla Esposizione, comunque fosse grandioso, abbia
tuttavia potuto non corrispondere completamente al desiderio
ed all'aspettazione degli studiosi dell'elettrotecnica.
Per corrispondere a tale aspettazione la mostra delle tras-
missioni elettriche avrebbe dovuto presentare daccanto ai saggi
delle disposizioni e delle applicazioni già note, anche qualche
accenno ai problemi nuovi. Ora il problema nuovo, attuale, è,
per ciò che concerne le applicazioni meccaniche dell'elettricità,
quello della trasmissione dell'energia meccanica per mezzo delle
correnti alternative; e l'Esposizione invece non presentava
nemmeno un motore a corrente alternante che potesse consi-
derarsi come d'uso pratico industriale, e dal quale si potessero
ricavare dati d'importanza veramente tecnica.
Ma se non vi erano nella Esposizione motori fin d'ora pra-
tici, e costrutti con criteri e con scopi industriali, non manca-
G. Ferraris, Optrt, Voi. II. 95
386 L'elettrotecnica
vano tuttavia oggetti di studio aventi relazione colle applicazioni
meccaniche delle correnti alternative, e, se non per le attuali
pratiche applicazioni, certamente per l'avvenire, interessantis-
simi. Tali erano quelli offerti dalla mostra speciale degli appa-
recchi elettrici del prof. Elihu Thomson, la quale figurava nella
sezione degli Stati Uniti d'America.
11 prof. Elihu Thomson presentava in quella mostra una nu-
merosa serie di apparecchi, che avevano servito alle proprie
ricerche.
E di questi debbono essere notati alcuni, i quali hanno
servito a mettere in evidenza certe azioni meccaniche prodotte
per mezzo delle correnti alternative. Tali apparecchi che erano
fatti funzionare in presenza del pubblico, e che hanno anche
dato materia ad una conferenza davanti al Congresso interna-
zionale degli elettricisti, formavano una delle parti più osservate
di tutta l'Esposizione; essi poi avevano coli' argomento, del
quale ora stiamo discorrendo, una stretta relazione.
I fatti che gli apparecchi e gli esperimenti del Thomson di-
mostravano ed applicavano, erano già stati in gran parte de-
scritti dal Thomson stesso nella adunanza annuale dell' Istituto
Americano degli Ingegneri elettricisti tenuto in Nuova York nel
giugno 1887, e poi, a più riprese, in vari articoli di giornali
tecnici. Ma non mai come ora essi avevano chiamato su di se
l'attenzione dei pratici. Io debbo qui esporre i principali.'
Se in presenza di una spirale percorsa da una corrente
alternativa, si porta un conduttore nel quale quella produca cor-
renti indotte, quel conduttore è respinto dalla spirale. La dispo-
sizione più semplice per dimostrare questo fatto consiste nel
far passare una corrente alternante di grande intensità in una
spirale cilindrica coli' asse verticale, e collocare al di sopra di
essa, a breve distanza, in un piano orizzontale, un anello di
grosso filo di rame.
Si osserva allora che l'anello è sollecitato da una forza ver-
ticale, che tende a sollevarlo. L'effetto risulta potentissimamente
accresciuto, se nella spirale si colloca un nucleo fatto con un
fascio di fili di ferro. Allora, se l'anello di rame è fatto con
una grossa verga e presenta una piccola resistenza, la ripulsione
è cosi intensa da lanciare l'anello in alto non appena lo si ab-
bandona. Per tenerlo in posto, o per spingerlo in basso, in
modo che esso circondi la spirale, occorre un notevole sforzo;
se si fa tale sforzo, e si impedisce così che esso ubbidisca alla
all'Esposizione Universale del iSSg in Parigi. 387
ripulsione elettrodinamica della spirale, esso si scalda viva-
mente. Questo fatto è facile a spiegarsi. La corrente alternativa
circolante nella spirale produce per induzione un'altra corrente
alternativa nell'anello; le due correnti poi esercitano forze l'una
sull'altra; sì attraggono quando hanno il medesimo verso, si
respingono quando hanno versi opposti. Ora è noto che la cor-
rente indotta e l'induttrice hanno, l'una rispetto all'altra, una
differenza di fase; ed è noto di più, che tale differenza di fase
<è prossima ad un quarto di periodo quando il conduttore indotto
ha una grande resistenza metallica ed una piccola auto-induzione;
«cresce e tende verso un mezzo periodo quando si fa diminuire
la resistenza metallica e si fa crescere la resistenza apparente
«di auto-induzione. Si hanno a considerare due casi limiti : quello
•di. un anello indotto presentante una resistenza metallica infinita,
e quello di un anello indotto di resistenza metallica assoluta-
jnente nulla.
Nel primo caso le due correnti avrebbero una differenza di
fase di un quarto di periodo, esse adunque sarebbero alterna-
tivamente, e per intervalli di tempo tutti eguali, ora concordanti
ed ora opposte; per intervalli di tempo uguali ed alternati esse
si attrarrebbero e si respingerebbero; l'anello indotto riceverebbe
impulsioni alternate verso il basso e verso Talto, e rimarrebbe
a riposo.
Nell'altro caso limite, invece, quando la resistenza ohmica
o metallica potesse ridursi assolutamente a zero, la differenza
di fase sarebbe esattamente di un mezzo periodo, il che vuol
dire che in ogni istante la corrente indotta avrebbe direzione
opposta a quella della corrente induttrice, in ogni istante, sem-
pre, l'anello sarebbe respinto dalla spirale. Praticamente il caso
è sempre intermedio e quindi l'anello è alternativamente re-
spinto ed attratto, ma gli intervalli di tempo durante i quali
esso è respinto sono sempre maggiori di quelli durante i quali
esso è attratto. Quindi gli impulsi repulsivi superano gli attrat-
tivi; e quindi la ripulsione osservata.
La ripulsione è tanto più intensa quanto più le condizioni
•dell'anello indotto si approssimano a quelle corrispondenti al
secondo caso limite; quanto più, cioè, è piccola la resistenza
metallica. Quindi la convenienza di adoperare, per fare l'anello,
una grossa verga di rame.
Invece di un anello di rame si può adoperare un disco.
-Questo, posto orizzontalmente al di sopra dell'elettromagnete a
388 L 'elettrotecnica
corrente alternativa, ne è respinto. E invece di un anello o di
un disco si possono adoperare conduttori di altre forme, a con-
statare che r elettromagnete esercita forze repulsive su tutte
quelle parti di essi alle quali arrivano linee di forza. 11 fatto
diventa evidente, e tutte le sue modalità si possono facilmente
prevedere, se si pensa al teorema generale dimostrato da Lipp-
mann sull' induzione nei conduttori privi di resistenza. Tale
teorema dice che se in un campo magnetico variabile si colloca
un conduttore privo di resistenza, si generano in questo cor-
renti indotte tali che il flusso di induzione complessivo passante
dentro al conduttore rimane costante, indipendente dal tempo.
Se il campo magnetico è prodotto con una corrente alternativa^
così che in ogni suo punto l'intensità media sia nulla, il flusso-
d'induzione passante dentro al conduttore indotto rimane co-
stantemente uguale a zero.
11 conduttore privo di resistenza elettrica si comporta adunque
in questo caso come un corpo impermeabile alle linee di indu-
zione. Le linee di induzione che, qualora il conduttore non esì-
stesse, passerebbero attraverso allo spazio da questo occupato,.
per eff*etto delle correnti indotte in esso risultano deviate cos>
da evitarlo. Tali linee di forza prendono adunque direzioni di-
vergenti o convergenti, parallele alla superficie del conduttore*
Ma una nota legge di Faraday dice che le linee di forza paral-
lele si respingono mutuamente; dunque si ha la ripulsione che
l'esperienza di Elihu Thomson ha constatato. Praticamente noi>
è possibile sperimentare .con conduttori privi assolutamente di
resistenza; quindi alcune linee d'induzione attraversano il con-
duttore; ma molte linee di forza divergono nel modo detto e
danno luogo alla ripulsione.
Se si presenta in questa forma la spiegazione del fenomeno^
risulta facilmente prevedibile e chiaro un altro fatto che il
prof. Thomson ha pure dimostrato coi suoi esperimenti. Se tra
l'elettromagnete eccitato colla corrente alternativa ed il condut-
tore mobile si frappone un altro conduttore, per esempio ur^
foglio di rame, il quale copra completamente il magnete, ogni
ripulsione scompare. Egli è che la lastra conduttrice frapposta
intercetta il flusso di forza e gli impedisce di arrivare al con-
duttore mobile; agisce come uno schermo, o, come ama espri-
mersi il prof. Thomson, proietta \\vl ombra su di esso.
Se la lastra conduttrice interposta fra l'elettromagnete ed
il conduttore mobile viene collocato così che l'ombra da essa
air Esposizione Universale del iS8^ in Parigi, 389
proiettata copra soltanto una parte del conduttore medesimo,
sussistono le forze repulsive soltanto sulla parte non ombreg-
giata. Si può per tal modo produrre sul conduttore mobile una
distribuzione di forze dissimmetrica, tale da dar luogo a momenti
di rotazione. Vari esperimenti semplicissimi mettono questo fatto
in evidenza. Si tenga per esempio al di sopra dell'elettromagnete
una lamina di rame orizzontale, in modo che essa copra solo
una parte dell'estremità polare del nucleo; sulla lastra si ap-
poggi una sfera vuota pure di rame, così che essa sporga al-
quanto fuori del contorno della lastra; la parte sporgente, che
non è ombreggiata^ riceve la ripulsione, mentre la parte ombreg-
giata è schermita; quindi la ripulsione ha un momento rispetto
al punto d'appoggio della sfera, e produce in questa un moto
di rotazione. Alla sfera si può sostituire una ruota; e alla lastra
di rame ombreggiante si può sostituire una appendice metallica
applicata direttamente sull'estremità polare del magnete; si può
quindi modificare in mille modi 1* esperimento ed ottenere con
esso effetti di moto svariatissimi.
Fra le varie forme che si possono dare all'esperimento è
notevole questa. Se il nucleo dell'elettromagnete è prolungato
fuori della spirale, e se sulla parte sporgente si avvolge un
grosso filo di rame, che formi come una cerchiatura conduttrice,
questa cerchiatura diventa sede di correnti indotte, le quali im-
pediscono alle linee di induzione di seguire tutte il loro cammino
nel ferro. Molte di queste divergono adunque, e si sparpagliano
lateralmente. L'anello di rame fa adunque per le linee di indu-
zione l'effetto di una strozzatura; e lateralmente si ha un campo
magnetico oscillatorio nel quale portando corpi conduttori si
possono produrre e variamente utilizzare le forze ripulsive ed
i movimenti, dei quali abbiamo parlato.
24. Motori per correnti alternative di Elihu Thomson, — Basta
4|ue5to rapido cenno per far capire come i fenomeni dimostrati
da Elihu Thomson si possano utilizzare per produrre moti rota-
tori continui, e come si possano facilmente immaginare appa-
recchi che, producendo regolarmente tali movimenti, si possano
considerare come veri motori elettrici. Ed effettivamente lo stesso
prof. Thomson compose alcuni piccoli motori, e due di questi
-egli presentò pure alla Esposizione.
Il primo di essi, il più semplice, è composto nel modo seguente:
La parte mobile dell'apparecchio, Varmatura è costituita da
^n nucleo cilindrico formato con dischi sottili di ferro isolati.
390 L'elettrotecnica
come quello di una ordinaria macchina dinamoelettrica di Edison.
Tale tamburo cilindrico è, come al solito, portato da un albero
coassiale, perpendicolare ai piani dei dischi, il quale può girare
su due cuscinetti. Sul tamburo di ferro sono avvolte tre spirali,
o matasse, di filo di rame isolato, analoghe alle spirali elemen-
tari di un ordinario avvolgimento alla Siemens. I piani delle
spire di ciascuna matassa fanno con quelli delle due altre an-
goli uguali a 120°. I capi delle tre spirali non sono però uniti
insieme come nelle macchine a corrente continua di Siemens,
ma sono semplicemente collegati a sei settori di bronzo isolati
fra di loro e disposti come quelli di un ordinario collettore. Due
coppie di spazzole, diametralmente opposte, si appoggiano su
tale collettore; ciascuna spazzola poi è permanentemente colle-
gata colla spazzola diametralmente opposta per mezzo di un
grosso e corto filo. Per tal modo ciascuna spirale si trova chiusa
in corto circuito ogni qualvolta i segmenti sui quali termina
sono in contatto colle spazzole; si trova invece aperta ogni
qualvolta i segmenti non toccano le spazzole. Queste ultime
sono collocate cosi, che ciascuna spirale si chiuda in corto cir-
cuito quando il piano delle sue spire oltrepassa, girando, la
posizione orizzontale; si apra invece nell'istante nel quale il
piano delle sue spire passa per la posizione verticale. Ciascuna
spirale rimane adunque chiusa in corto circuito due volte per
ogni giro, e precisamente per tutto il tempo durante il quale
essa passa da una posizione orizzontale ad una verticale; ri-
mane aperta per i due altri quarti di giro, cioè quando essa
passa da una posizione verticale ad una orizzontale.
La parte fissa della macchina consiste in un anello fatto
con dischi sottili di ferro isolati, il quale circonda l'armatura.
Tale anello, la cui larghezza di petto, nel senso dell'asse, è
uguale alla lunghezza dei tratti rettilinei dei fili dell'armatura,
presenta sulla superficie cilindrica interna due profonde e lar-
ghe scanalature di sezione rettangolare, diametralmente op-
poste, nel piano orizzontale passante per l'asse. Dentro a que-
ste scanalature sono adagiate le spire di due matasse di filo
isolato; matasse che fuori dell'anello di ferro sulle due fronti
di questo, sono ripiegate in modo da concedere il necessario
spazio alle teste dell'armatura. Le due matasse poi sono col-
legate in serie e fanno capo ai due morsetti pei quali si
manda alla macchina la corrente alternativa che deve metterla
in moto.
alt Esposizione Vniversale dei iS^^ in Parigi. 3gi
Per fare agire l'apparecchio basta mandare nelle spirali fisse
una corrente alternativa. Questa produce in quelle spirali del-
l'armatura, che sono chiuse in corto circuito^ correnti che poi
respìnge. Le spirali chiuse in corto circtiiio si trovano adunque
sollecitate da forze che tendono a portarle in un piano per-
pendicolare a quelle delle spirali fisse, ossia in un piano ver-
ticale.
E siccome appunto le spirali che hanno oltrepassata la po-
sizione orizzontale sono quelle che si trovano chiuse, mentre
le altre, che hanno oltrepassato la posizione verticale sono
aperte, così tutte le forze agenti sull'armatura tendono costan-
temente a produrre la rotazione. Siccome, in qualunque posi-
zione si trovi l'armatura, v'ha sempre qualche spirale chiusa in
corto circuito, così la macchina non ha punto morto e s'incam-
mina sempre da se.
Il motore che abbiamo descritto è asìncrono, e, come no-
tammo, si incammina da sé. Si può aggiungere ancora: appunto
quando la velocità è nulla, o piccola, il momento della coppia
che tende a metterlo in rotazione, ha il massimo valore. In tale
caso, cioè quando l'armatura si sposta poco durante il periodo
della corrente alternativa, si possono applicare senz* altro alle
spirali dell'armatura i risultati delle esperienze sulle ripulsioni
elettrodinamiche, e dimostrare con essi come le spirali sìeno
sollecitate a girare per mettersi in posizione perpendicolare alle
spirali fisse. Ma quando l'armatura ha cominciato a girare ed ha
assunto una velocità tale che nella durata del perìodo della
corrente le spirali si spostino di un angolo considerevole, allora
intervengono altri fatti che complicano notevolmente il feno-
meno. Nascono allora nelle spirali rotanti forze elettromotrici
tendenti a produrre correnti sulle quali il campo magnetico
prodotto dalla corrente alternativa circolante nelle spirali fìsse
agisce con forze opposte al movimento. Debbono poi prodursi
effetti di estracorrenti assai complicati nei momenti dei passaggi
delle spazzole da un segmento all'altro del collettore, effetti che
non solo complicano vieppiù i fenomeni, ma che evidentemente
non si possono conciliare con un regolare e lodevcle funziona*
mento della macchina.
Nella Esposizione il motore non funzionava ; quindi non
offriva il mezzo di controllare colla esperienza la verità e la
importanza di queste nostre considerazioni ; ma il fatto stesso
che il motore, solo in mezzo ad una brillante mostra di appa-
1
392 L'elettrotecnica
recchi in azione, era lasciato inerte, fa credere che in realtà
gli inconvenienti accennati si siano verificati, e si siano ricono-
sciuti gravi.
L'altro motore a corrente alternativa presentato dal pro-
fessore Elihu Thomson appartiene alla classe dei motori sincroni,
Quando esso è avviato ed ha assunto la velocità normale, la
posizione relativa delle spirali dell' armatura rotante rispetto 'a
quelle fisse varia periodicamente collo stesso periodo della cor-
rente alternativa eccitatrice; quindi non v'ha luogo di consi-
derare in esso forze ripulsive elettrodinamiche prodotte nelle
condizioni di quelle studiate cogli esperimenti sovradescrìtti ,
forze dovute a correnti alternative indotte in un conduttore ira-
mobile; v'ha luogo invece di applicare semplicemente le consi-
derazioni relative alle macchine dinamoelettriche a correnti al-
ternative funzionanti come motori.
Ma, a differenza dei soliti motori sincroni, il motore di cui
stiamo parlando ha, nel funzionamento normale, la spirale di
armatura semplicemente chiusa su sé stessa e percorsa da cor-
renti indotte dalla parte fissa della macchina; esso è un motore
a reazione, ed a questo titolo può essere classificato insieme
agli altri apparecchi dei quali abbiamo parlato.
La disposizione di questo motore è, nel complesso, quella
di una macchina dinamoelettrica a corrente alternativa con in-
dotto a tamburo. Sei spirali piatte, oblunghe, sono fissate sulla
superficie interna di un tamburo cilindrico di ferro, fatto con
dischi isolati. Brevi sporgenze del ferro, in forma di denti, for-
mano i nuclei delle sei spirali. Il tutto rappresenta esattamente
l'induttore di una macchina alternante del tipo Whestinghouse
o ThomsonHouston, con questa sola differenza : che il ferro è
lamellare. L'armatura, che sta nell'interno, consiste in un nucleo
cilindrico di ferro formato di dischi isolati, sulla superficie con-
vessa del quale sono adagiate sei spirali oblunghe identiche a
quelle dell'indotto delle macchine dinamoelettriche alternanti
sovra nominate. La corrente alternativa proveniente dalla mac-
china generatrice passa nelle spirali fisse, le quali sono avvolte
in direzioni alternate; passa quindi, attraverso ad un commu-
tatore, nelle spirali dell'armatura, le quali, anch'esse, sono av-
volte in direzioni alternate. Il commutatore è della forma solita;
ha sei segmenti comunicanti alternativamente coll'uno e coiraltro
capo del filo dell'armatura, ed in verte le comunicazioni negli
istanti nei quali le spirali rotanti oltrepassano le spirali fisse.
air Esposizione Universale del iSSg in Parigi. 393
Per tal modo si ottiene che in ogni istante ciascuna spirale mo-
bile sia respinta dal polo fìsso che essa ha oltrepassato e sia
attratta da quello verso cui si muove; e si ottiene così una
coppia di rotazione diretta sempre nel medesimo verso, per
effetto della quale il motore si incammina sempre. Tale dispo-
sizione però non è adoperata se non in principio, per avviare
il motore e per portare l'armatura alla velocità normale, che è
quella per la quale ciascuna spirale mobile percorre l'intervallo
fra due poli fissi nella durata di un periodo della corrente.
Quando tale velocità è raggiunta, la spirale dell'armatura
vien chiusa su sé stessa in corto circuito, e le spazzole vengono
distaccate dal commutatore e congiunte direttamente tra di loro
con un corto circuito, così che la corrente introdotta nella mac-
china dall'esterno prenda a circolare unicamente nelle spirali
degli elettromagneti fissi senza più passare nell'armatura, mentre
le spirali di quest'ultima sono percorse unicamente da correnti
indotte in esse dagli elettromagneti.
La chiusura dell'armatura in corto circuito si fa automati-
camente, e l'apparecchio a ciò destinato trovasi dentro al com-
mutatore. Tale apparecchio consiste in due pezzi metallici che
la forza centrifuga tende ad allontanare contro l'azione di una
molla. Quando la velocità ha raggiunto il voluto valore normale,
la forza centrifuga prevale sulla tensione della molla ed allon-
tana i pezzi metallici tanto che questi vengono ad appoggiarsi
contro la superficie interna dei segmenti del commutatore. Per
tal modo viene stabilita una comunicazione diretta fra segmenti
contigui e quindi la spirale dell'armatura viene a trovarsi chiusa
in corto circuito.
La congiunzione delle spazzole in corto circuito ed il di-
stacco delle medesime dal commutatore si fanno simultaneamente,
a mano, per mezzo di un manubrio, il quale mentre comanda
un commutatore stabiliente la diretta comunicazione fra le spaz-
zole, comanda nel tempo stesso un boccinolo che solleva le
spazzole medesime.
Quando le su descritte commutazioni hanno avuto luogo,
la macchina entra nel suo funzionamento normale. Essa conserva
la sua velocità di regime e non esce dal passo se non quando
si applichi all'albero una eccessiva coppia resistente.
Questo, che abbiamo descritto, era il solo modello di mo-
tore elettrico che nella mostra del prof. E. Thomson venisse fatto
funzionare, esso era evidentemente quello al quale l'inventore
39+ L 'elettrotecnica
attribuiva la maggiore importanza; ed era anche uno degli oggetti
che più attraevano, in quella mostra, Tattenzione del pubblico.
Ora facciamoci a considerare quale affettivamente possa es»
sere la sua importanza pratica.
Il motore è sincrono-, ha adunque il pregio ed il difetto
inerenti al sistema, e comuni a tutti i motori sincroni. Il pregio
consiste nella assoluta autoregolabilità che il motore ha quando
è avviato; la velocità infatti si mantiene allora assolutamente
costante se tale è quella della macchina generatrice; le varia-
zioni della coppia resistente, o come suol dirsi: le variazioni
di carico, sempre quando non oltrepassino un certo limite, al di
là del quale il motore si arresta del tutto, non hanno altro ef-
fetto che quello di far variare alquanto la fase del movimento
rispetto alla corrente alternativa. Il difetto sta nel bisogno di
una commutazione per la quale nel periodo di avviamento i cir-
cuiti sieno collegati altrimenti che nel funzionamento normale
e, ciò che è più grave, nella proprietà di fermarsi assolutamente
non appena la coppia resistente superi un certo limite. Pregi
speciali il motore non ha, salvochè si voglia considerare come
un vantaggio d'importanza l'essere autoeccitatore. Presenta per
contro un inconveniente che io giudico gravissimo, il quale
mette il nuovo motore molto al di sotto degli ordinari motori
sincroni, e limita moltissimo la sfera di applicabilità di esso.
L'inconveniente è questo: Tutta la corrente passa nelle spirali
fisse producenti il campo magnetico; quindi il motore ha una
autoinduzione grandissima, proporzionale alla potenza; in grazia
di tale autoinduzione si produce una notevole differenza di fase
tra la corrente alternativa che attraversa il motore e la diffe-
renza di potenziali ai morsetti di esso; ed il lavoro meccanico
che il motore fa, lavoro proporzionale al coseno di tale diffe-
renza di fase, risulta notevolissimamente minore del prodotto
della intensità efficace della corrente, per la differenza efficace
di potenziali, minore cioè di quello che assai opportunamente
si può denominare col BIàthy: il lavoro apparente.
Conseguenza di tale fatto è che la potenza effettiva di un
impianto del quale facciano parte motori elettrici del descritto
tipo, di grande potenza oppure numerosi, risulta notevolmente
diminuita; risulta diminuito ciò che molto acconciamente il Kapp
denomina l'efficacia dell'impianto o del sistema.
Un simile inconveniente non presentano, o presentano in
misura molto minore i motori sincroni ordinari, consistenti in
all'Esposizione Universale del iSS^ in Parigi, 395
semplici macchine dinamoelettriche a corrente alternativa. In
tali macchine gli elettro magneti di campo, che sono le sole
parti presentanti inevitabilmente grandi coefficienti d'induzione
propria, possono essere eccitati con una corrente continua, od
almeno con una corrente raddrizzata ; e la sola armatura è per-
corsa dalla corrente alternativa. Ora l'armatura, da sola, pre-
senta una autoinduzione, che si può, con una opportuna scelta
del tipo delle macchine, rendere piccola od anche praticamente
trascurabile.
La considerazione dell* induzione propria del motore elet-
trico, e della influenza di essa sull'efficacia del complessivo im-
pianto ha una capitale importanza. Essa potrebbe bastare da
sola a giustificare l'asserzione da noi fatta intorno al merito
del motore Elihu Thomson ed al probabile suo avvenire in
confronto con quello degli ordinari motori sincroni.
Le esperienze del prof. Thomson adunque, benché per sé
stesse importantissime e feconde di applicazioni, non avranno
probabilmente alcuna influenza* sull'avvenire della costruzione e
dell'impiego dei motori elettrici a corrente alternativa. Tale
avvenire é ormai nettamente delineato; e la storia delle inveu-
zioni e delle esperienze è ormai abbastanza svolta, perchè si
possa, senza tema di gravi smentite, prevedere l'ulteriore svol-
gimento di esse.
25. Sguardo sui motori a correnti alternative finora proposti.
Motori asincroni. — Che una macchina dinamo elettrica a cor-
rente alternativa, pòssa, attivata dalla corrente prodotta da un'altra
macchina simile, funzionare come un motore, é cosa saputa da
parecchi anni. Già nella esposizione di elettricità di Torino, nel
1884, il Gaulard tentava, non senza qualche successo, l'esperi-
mento; e nel medesimo anno, il 13 novembre, il dottore J. Hop-
kinson, al quale spetta in questa materia il massimo merito, leg-
geva davanti alla Società degli ingegneri telegrafici ed elettricisti
di Londra, una memoria, ove con una chiarezza di vedute ammi-
rabile in quel tempo, trattava teoricamente le questioni concer-
nenti l'accoppiamento di due macchine alternatrici in un mede-
simo circuito, ed il funzionamento di esse come generatori o
come motori.
In quella memoria era nettamente enunciato e teoricamente
provato il teorema, che una macchina dinamoelettrica alterna-
trice inserita in un circuito, in serie con un'altra, tende a met-
tersi in opposizione con questa ed a funzionare come motore;
396 L * elettroieatica
e questo teorema che è il principio fondamentale della teoria
dei motori sincroni, non aveva, fin d'allora, bisogno d'altro che
di una conferma sperimentale per servire subito di base alia
trasmissione elettrica dell'energia con macchine alternatrici, senza
bisogno di nuove radicali invenzioni. Se le effettive applicazioni
non tennero immediatamente dietro alla scoperta del principio,
e nemmeno oggidì sono avviate, ciò devesi attribuire a due
ragioni. In primo luogo erano necessarie esperienze, non tanto
per confermare le previsioni della teoria, quanto per accertare
fra quali limiti si potesse far variare il carico, ossia la coppia
resistente al movimento, senza che il motore uscisse dal sincro-
nismo e cessasse con ciò dal funzionare, e per rendersi inoltre
conto della facilità delia regolazione e della condotta del
motore.
Esperienze veramente concludenti non si fecero che in questi
ultimi tempi, e sull'accennato punto gli elettricisti non incomin-
ciarono a formarsi idee chiare e convinzioni assodate se non
recentissimamente dopo i notevoli esperimenti del Mordey, e
dopo quelli, aventi carattere ufficiale, che nello scorso autunno
furono eseguiti dalla Commissione scientifica di Francoforte sul
Meno. In secondo luogo si esagerò forse V importanza dell'in-
conveniente, proprio del sistema, che i motori sincroni presen-
tano quando non sono muniti di acconcie disposizioni accessorie,
all'inconveniente cioè di non potersi mettere in moto da sé, e
di dover essere portati inizialmente, a mano, o con un motore
ausiliare, alla velocità di regime prima di incominciare a lavo-
rare regolarmente da sé. Quest'ultima circostanza ha dato luogo
a studi ed a tentativi, che, se portarono frutti di incontestabile
utilità pratica, ebbero però nel tempo stesso l'effetto di ritardare
le applicazioni.
Intanto la stessa proprietà del sincronismo, che in molti
casi e specialmente pei motori di grande potenza è utilissima,
siccome quella che assicura di per sé la autoregolazione la più
perfetta e la più assoluta, può essere in altri casi, e special-
mente per i piccoli motori, troppo rigida e costituire un in-
conveniente. E questa considerazione, unita alle sovraesposte»
indusse più di un inventore a cercare altre forme di motori
non sincroni.
Si ebbe adunque una serie di invenzioni, di proposte e di
esperienze che, specialmente nei due ultimi anni, attrassero su
di sé l'attenzione degli elettricisti.
alP Esposizione Universale del i88<) in Parigi, 397
1 motori elettrici per correnti alternative finora proposti
sono di due specie : sincroni ed asincroni. I sincroni poi si pos-
sono dividere in tre classi :
i.^ Nella prima classe collochiamo i motori consistenti in
semplici macchine a corrente alternativa con eccitazione sepa*
rata fatta con una corrente continua. Tali motori quando non
sono di potenza così piccola che si possano avviare colla mano,
debbono essere provvisti di qualche disposizione o di qualche
apparecchio accessorio, che serva a metterli inizialmente in moto
ed a portarli fino alla velocità normale a cui corrisponde il sin-
cronismo. La difficoltà pratica principale sta nello studio dì
questo meccanismo ausiliario, ed appunto a tale meccanismo si
riferiscono numerosi brevetti di privativa, che ancora aspettano
la sanzione della pratica.
Un'altra difficoltà sta nella necessità di ricorrere ad appa-
recchi ausiliari per la eccitazione, ed anche questa difficoltà con-
tribuisce a ritardare l'impiego del sistema. Ma io penso che se
le cennate difficoltà possono parere gravi quando si tratti di un
motore di piccola o di mediocre potenza, destinato ad usi do»
mestici od alla piccola industria, esse perderebbero ogni impor-
tanza quando si trattasse di un motore potentissimo, destinato
a funzionare come macchina ricettrice nella trasmissione d'una
cospicua quantità di energia ad una grande distanza. Allora in*
fatti nessun ingegnere potrebbe considerare come ostacolo grave
alla utilizzazione del sistema la necessità di provvedere la sta-
zione ricettrice di un piccolo motore ausiliario, a vapore od a
gas od idraulico, od anche elettrico, destinato a mettere in moto
l'armatura della grande macchina ricettrice per portarla inizial-
mente fino alla velocità normale; né quella di provvedere la
stazione di una macchina dinamoelettrica a corrente continua,
la quale, comandata inizialmente dal motore speciale, ed in se-
guito, a regime stabilito, dal grande motore medesimo, dia la
corrente necessaria per la eccitazione. Superate le difficoltà e le
incertezze inerenti a tutte le cose nuove, l'impiego dei motori
di cui stiamo parlando diventerà pratico e sicuro, ed io oso
affermare che appunto un tale impiego darà finalmente la solu-
zione più pratica e più semplice del problema di trasmettere
a grande distanza tra due stazioni una grande quantità di
energia. Occorrono, per fare economicamente la trasmissione^
macchine potenti e di grandi forze elettromotrici; ora le mac-
chine dinamoelettriche a corrente alternativa sono appunto quelle
98 U elettrotecnica
più facili a costruirsi per grandi potenze e per grandi forze
elettromotrici. L'impiego dì tali macchine eliminerebbe d'un sol
tratto tutte le maggiori difficoltà che il Marcel Deprez non riuscì
a superare nelle sue disgraziate e sconfortanti esperienze di
Creil.
L'avvenire delle grandi trasmissioni elettriche dell'energia
su grandi distanze sta adunque molto probabilmente nello im-
piego delle correnti alternative e dei motori sincroni della classe
ora considerata.
2.<> Poniamo nella seconda classe i motori sincroni, con-
sistenti, come i precedenti, in semplici macchine a correnti al-
ternative, quando gli elettromagneti, invece che da una corrente
indipendente, continua, sono eccitati dalla stessa corrente alter-
nativa attivante il motore, o da una derivazione di essa. Tali
motori hanno un commutatore che orienta la corrente degli
«elettromagneti.
Un motore di questa classe è quello degli ingegneri Ziper-
nowsky, Déri e Blàthy della casa Ganz e Comp. di Budapest;
il quale, sia per le esperienze ufficiali di cui è stato oggetto,
sia per le applicazioni pratiche che fin d'ora ha ricevuto, ha
attualmente una speciale importanza.
Sostanzialmente la sua costruzione è la seguente: L'arma-
tura e gli elettromagneti sono fatti e disposti esattamente come
nelle macchine alternatrici della casa Ganz: l'armatura è fissa,
«sterna; gli elettromagneti, disposti radialmente su di un albero,
sono girevoli nell'interno. Nell'armatura si manda la corrente
alternativa derivata direttamente dalla rete primaria oppure dai
morsetti secondari di un trasformatore. Negli elettromagneti si
manda la corrente secondaria prodotta da un apposito trasfor-
matore, a cui si dà il nome di magnetizzatore) tale corrente se-
<:ondaria passa però per un commutatore posto sull'albero della
macchina, il quale inverte le comunicazioni tra i capi delle spi-
rali degli elettromagneti ed i due morsetti secondari del magne-
tizzatore negli istanti nei quali gli elettromagneti, girando, pas-
sano di fronte alle spirali dell'armatura.
Collocando convenientemente le spazzole, si può far sì che
-ciascun polo degli elettromagneti sia costantemente respinto
^alla spirale d'armatura che esso ha oltrepassato, ed attratto
dalla spirale verso cui è avviato. Soddisfatta questa condizione,
^li elettromagneti si trovano sollecitati a girare sempre nel
medesimo verso, qualunque sia il verso della corrente nell'ar-
y
all'Esposizione Universale del i88g in Parigi. 399
matura. Il motore può adunque avviarsi da sé solo, oppure con
l'aiuto di un piccolo impulso iniziale ; se il motore è di picco-
lissime dimensioni si avvia da sé purché inizialmente i poli
degli elettromagneti non si trovino eventualmente affacciati alle
spirali deir armatura ; se il motore ha grandi dimensioni, esso
si avvia coir aiuto di un piccolo impulso che si può dare colla
mano. Così stando le cose, il motore può lavorare con tutte le
velocità, esso non è un motore sincrono ; ma è evidente che le
condizioni del suo funzionamento non possono essere buone se
non quando la velocità ha il valore corrispondente al sincro-
nismo. Finché infatti il sincronismo non sussiste, le commuta-
zioni prodotte dal commutatore possono avvenire ed avvengono
in istanti nei quali le correnti hanno grandi intensità, e danno
allora luogo a scintillazioni grandissime.
Inoltre si hanno allora correnti alternanti non solo nell'ar-
matura, ma anche negli elettromagneti, i quali presentano grandi
coefficienti di induzione propria, ed anche ciò, come già notammo
più avanti, è incompatibile con un pratico e buono funziona-
mento del motore; se anche il motore potesse lavorare sempre
cosi, esso affievolirebbe a dismisura l'efficacia dell'impianto. Si
aggiunga che gli effetti delle correnti di Foucault e della iste-
resi si farebbero allora gravissimi. Quando, invece, la velocità
ha raggiunto il valore corrispondente al sincronismo, gli incon-
venienti notati scompariscono od almeno si affievoliscono mol-
tissimo. Infatti le commutazioni coincidono allora colle inversioni
delle correnti, e si possono quindi fare senza grandi scintille;
inoltre gli elettromagneti, che ricevono le correnti commutate,
si trovano allora eccitati da correnti orientate, rimangono ma-
gnetizzati sempre nel medesimo verso e danno luogo a minime
induzioni proprie, a minime correnti di Foucault, a minimi effetti
di isteresi.
In tali condizioni il motore può lavorare lodevolmente e
regolarmente.
Tale a grandi tratti é il modo di funzionare del motore Ganz;
ma la particolarità caratteristica di questo motore, quella a cui
si debbono i buoni risultati ottenuti, quella che costituisce il
cuore della invenzione, è un sistema di commutatori col quale
si operano nel periodo di avviamento collegamenti diversi da
quelli corrispondenti al funzionamento normale, in modo da mi-
gliorare le condizioni di quest'ultimo, e da diminuire gli incon-
venienti del primo.
400 L'elettrotecnica
Per migliorare le condizioni del funzionamento normale
occorre attenuare, per quanto è possibile, la produzione delle
scintille sul commutatore; occorre inoltre affievolire, possibil-
mente, le variazioni della magnetizzazione degli elettromagneti.
L'una cosa e l'altra sono ottenute, nel motore di Ganz, con un
artifizio semplicissimo, che consiste nell* applicare al commuta-
tore, invece di due sole spazzole, due coppie di spazzole, con
una distanza angolare tale che ad ogni inversione le spirali
degli elettromagneti rimangano per qualche tempo chiuse in
corto circuito. Una resistenza inserita nel circuito di eccitazione,
ossia nel circuito secondario del trasformatore magnetizzatore,
serve a limitare la intensità della corrente esterna al commu-
tatore durante i corti circuiti.
Per migliorare le condizioni del periodo di avviamento, oc-
corre, invece, evitare la produzione di corti circuiti e di cstra-
correnti che ritardino le inversioni della magnetizzazione negli
elettromagneti ; conviene anzi rendere pronte quanto è possibile
tali inversioni. Ciò si ottiene escludendo dal circuito una delle
coppie di spazzole del commutatore. Siccome poi durante il pe.
riodo di avviamento le spirali degli elettromagneti, che allora
sono percorse da correnti alternative, presentano una grande
resistenza apparente, così nel trasformatore magnetizzatore la
spirale secondaria è fatta di due pezzi : nel periodo di funzio-
namento normale, quando il circuito secondario, che è per la
macchina il circuito di eccitazione, ha una piccola resistenza
apparente, si utilizza un solo pezzo; nel periodo di avviamento
quando il circuito d'eccitazione ha una resistenza apparente più
grande, si utilizzano entrambi i pezzi. Finalmente per fare si
che la forza elettromotrice nel circuito di eccitazione, dopo di
essere stata massima in principio, a motore fermo, diminuisca
poi gradatamente di mano in mano che col crescere della ve-
locità diminuisce la resistenza apparente delle spirali dei ma-
gneti, e per moderare nel tempo stesso Tintensità della corrente
nell'armatura mentre la controforza-elettromotrice del motore
non ha ancora raggiunto il valore normale, si adopera un altro
trasformatore, detto compensatore. Durante il periodo di avvia-
mento, la spirale primaria di questo trasformatore viene inserita
in serie coll'armatura, mentre la spirale secondaria è inserita nel
circuito di eccitazione.
Un gruppo di quattro commutatori, che si comandano a
mano con un unico manubrio, serve a ottenere d'un colpo tutti
all'Esposizione Universale del jS8^ in Parigi. 401
i descritti effetti. Esso può prendere due posizioni : la posizione
per ravviamento e quella pel lavoro normale. Colla prima po-
sizione, due sole spazzole sono in circuito, entrambe le parti
della spirale secondaria del magnetizzatore sono in circuito, il
compensatore funziona. Colla seconda posizione, entrambe le
coppie di spazzole sono in circuito, un solo pezzo della spirale
secondaria del magnetizzatore è utilizzato, il compensatore è
escluso.
Colle descritte disposizioni, che per piccoli motori possono
anche essere semplificate, e che in ogni caso possono venire
applicate praticamente in molteplici modi, gli ingegnèri della
casa Ganz sono riusciti a comporre un tipo di motore elettrico
per corrente alternativa che per potenze moderate, non supe-
riori, per esempio, a 40 o 50 cavalli, può fin d'ora considerarsi
come perfettamente pratico. È questo fin ora il solo motore
elettrico che abbia servito a prove ufficiali. La Commissione
scientifica incaricata dalla città di Francoforte sul Meno dello
studio delle questioni tecniche concernenti la scelta del si-
stema per un impianto elettrico civico, eseguì negli ultimi
giorni di ottobre e nei primi di novembre del 1889 una notevole
serie di esperienze sopra tre motori elettrici della casa Ganz
dati rispettivamente per le potenze di 25, di 5 e di 0,2 cavalli.
I risultati furono soddisfacenti ssi mi : il coefficiente di rendimento
salì fino al valore 0,86 pel motore di 25 cavalli, ed al valore 0,80
per quello di 5 cavalli; i motori conservarono inalterata la loro
velocità normale, anche quando si fece variare bruscamente, e'
molto, la coppia resistente; quello di 25 cavalli non uscì dal
sincronismo se non quando si elevò la carica ad oltre 40 cavalli.
Le scintillazioni, assai energiche nel periodo d'avviamento,
sono tollerabili nel lavoro normale; pei piccoli motori esse sono
assolutamente insignificanti. 11 solo inconveniente sta nel rumore,
che pel motore di 25 cavalli risultò assai intenso, e che natural-
mente potrebbe limitare in alcuni casi l'applicabilità del sistema.
Dopo tali risultati di esperienza si può asserire che i mo-
tori elettrici alternativi sincroni di questa classe risolvono il
problema della distribuzione dell'energia con correnti alternative
in tutti i casi nei quali il rigido sincronismo non è un incon-
veniente.
3.^ La terza classe dei motori sincroni è per ora rappre-
sentata da un solo apparecchio, il quale non fu peranco speri-
mentato in modo industriale, ma che merita tuttavia d'essere*
G. Ferraris. Opere, Voi. II. a6
402 L'elettrotecnica
notato. Questo motore venne descritto nell* ultimo settembre in
una lettura fatta nell'Istituto americano degl'ingegneri elettri-
cisti dal sìg. F. Jarvìs Patten. E un motore sincrono autoecci-
tatore, atto a mettersi in moto da sé. Come in quello di Ganz
gli elettromagneti di campo, che nel funzionamento normale,
sincrono, si trovano percorsi da correnti orientate, sono invece
eccitati con una corrente alternata durante il periodo di avvia-
mento. Ma mentre nel motore di Ganz l'armatura è sempre
percorsa da correnti alternative, in quello del Patten essa pure
viene attraversata da correnti orientate quando ilsincronismo
è raggiunto. Il motore proposto dal Patten ha la forma di una
macchina dinamoelettrica a corrente continua ordinaria con elet-
tromagnete laminato; ha però un collettore disposto in modo
speciale. Tale collettore è doppio; è formato di due collettori
contigui portati, Tuno d'accanto all'altro, dal medesimo albero.
Uno di questi è un collettore ordinario; i suoi segmenti sono
collegati nel modo solito alle spirali dell'armatura. L'altro, che,
come si disse, è posto d'accanto al primo, ha i suoi segmenti
collegati uno ad uno coi segmenti di questo; e precisamente
ciascun segmento di ordine impari è collegato col contiguo, e
ciascun segmento di ordine pari è collegato col segmento dia-
metralmente opposto del primo collettore. Sul secondo collettore
si appoggiano due spazzole per mezzo delle quali il motore ri-
ceve la corrente alternativa; sul primo collettore si appoggiano
altre due spazzole colle quali sono collegati i capì del circuito
di eccitazione per l'elettromagnete. Se l'armatura gira con una
velocità tale che le spazzole passino da un segmento all'altro
precisamente negli istanti nei quali si inverte la corrente esterna,
la corrente si trova raddrizzata e trasformata in una corrente
pulsativa tanto nell'armatura quanto nelle spirali eccitatrici del-
l'elettromagnete: allora la macchina funziona come un motore
ordinario a corrente continua. Se la velocità non è quella del
sincronismo la corrente rimane alternativa tanto nell'armatura
quanto nell'elettromagnete; ma le inversioni di essa sono simul-
tanee, così che la coppia di rotazione conserva sempre il me-
desimo verso. Con la descritta disposizione la velocità normale
t quella per cui durante un giro dell'armatura la corrente alter-
nativa si inverte tante volte quanti sono i segmenti nel collet-
tore; ma si possono facilmente modificare i collegamenti in
modo che la velocità normale sia diversa. Se si vuole, per es.,
che la velocità sia doppia, si collegano i segmenti i e 2 del
air Esposizione Universale del iS8g in Parigi. 403
secondo collettore coll'i e 2 del primo, i segmenti 364 coi
segmenti opposti del primo, ecc.
In generale si possono formare coi segmenti di ciascun
collettore gruppi di «, e collegare i gruppi del secondo alterna-
tivamente coi gruppi corrispondenti e coi diametralmente opposti
del primo; in tal modo la velocità normale è quella per cui du-
rante ogni giro dell'armatura si ha un numero di inversioni di
corrente uguale alla «"* parte del numero dei segmenti.
11 Patten colloca tra i gruppi di segmenti del secondo col-
lettore segmenti oziosi, isolati cioè dalle spirali, ai quali attacca
ì capi di resistenze disposte dentro al collettore medesimo. Tali
resistenze sono destinate ad evitare le complete interruzioni
della corrente ed a diminuire per tal modo le scintille. Nessuna
esperienza si ha finora sul motore di Patten, né è finora dimo-
strato che esso possa effettivamente funzionare in modo rego-
lare; e se esperienze si faranno, è probabile che esse abbiano
da mettere in evidenza gravi inconvenienti inerenti al sistema.
11 cenno ora dato sarà tuttavia utile per facilitare e completare
i confronti ed i ravvicinamenti; il motore del Patten infatti,
mentre è sincrono, ha la forma esterna e la disposizione mec-
canica complessiva di uno dei motori asincroni dei quali dob-
biamo ora discorrere.
26. Motori asincroni. — Di motori asincroni si proposero
vari sistemi.
Non per la sua importanza, che non ne ha alcuna, ma per-
-che è affine ai motori sincroni già descritti, e perchè fu anche
oggetto di una lettura nel Congresso degli elettricisti tenutosi
^ Parigi in occasione dell'Esposizione, cito pel primo un motore
proposto dal sig. Maurice Le Blanc. L'inventore, esagerando
«ella propria mente gl'inconvenienti propri dei motori sincroni
« non avendo un'idea chiara dei larghi limiti entro i quali un
ordinario motore sincrono può venir sovraccaricato senza uscire
-dal sincronismo, immaginò una disposizione mirante a far ro-
tare per mezzo di spazzole scorrevoli su di un ordinario col-
lettore il campo magnetico. Con ciò egli suppone di poter dare
^l motore una velocità variabile, pur mantenendo costante la
velocità relativa dell'armatura rispetto al campo magnetico. Le
disposizioni però da lui proposte non risolvono affatto il pro-
blema e sono basate su di una pura illusione.
Un modo che si presenta spontaneamente coi caratteri di
«ina grande semplicità, per fare un motore asincrono, consiste
404 U elettrotecnica
nell' impiegare a quest'uopo una pura e semplice macchina di-
namoelettrica a corrente continua eccitata in serie, difTerente
dalle ordinarie solo per avere l'elettromagnete col ferro suddi-
viso, onde evitare gli effetti delle correnti di Foucault. Motori
così fatti furono sperimentati da vari ingegneri, fra i quali é
da citare Gisbert Kapp. Ma i risultati furono scoraggianti. E la
ragione principale dell'insuccesso sta nel fatto di cui abbiamo
già ragionato discorrendo dei motori di Elihu Thomson, nel fatto
cioè che la forza elettromotrice dovuta all'autoinduzione è spro-
porzionatamente grande in confronto della controforza elettro-
motrice utile dovuta al movimento dell'armatura; tale forza elet-
tromotrice di autoinduzione dà luogo ad un grande ritardo di
fase, ed affievolisce enormemente l'efficacia dell'impianto. Se-
condo il Kapp, nelle migliori condizioni immaginabili l'efficacia
dell' impianto non potrebbe superare 0,70 ; ed anche questo va-
lore non si potrebbe ottenere se non alla condizione di poter
ridurre la forza elettromotrice di iselfinduzione ad essere appena
uguale alla controforza elettromotrice utile, cosa questa, che pare
difficile, se non impossibile, di poter ottenere. Nelle esperienze
fatte dal Kapp il lavoro ottenibile con un simile motore, attivato
con una data intensità efficace della corrente e con una data
caduta efficace di potenziali, risultò appena uguale al quinto di
ciò che sarebbe stato adoperando una corrente continua della
medesima intensità e con una medesima caduta di potenziali.
Oltre a questo inconveniente gravissimo, il motore ne presenta
un altro, che merita pure di essere notato : l' armatura corre
rischio di venire abbruciata quando per avventura il motore
per una eccessiva resistenza si abbia a fermare. Quando l'ar-
matura è in riposo ed una corrente alternativa circola nella
macchina, quelle spirali dell'armatura, le quali in. quel momento
si trovano chiuse in corto circuito dalle spazzole, sono nelle
medesime condizioni della spirale secondaria di un trasformatore
chiuso in corto circuito su se stesso. Esse adunque vanno soggette
ad abbruciarsi se per caso l'armatura non si può subito avviare.
Il sig. Patten ha proposto, come abbiamo veduto, un rimedio
allo inconveniente maggiore, ossia a quello della soverchia auto-
induzione; ma, ciò facendo, egli ha trasformato l'apparecchio in un
motore sincrono, e probabilmente in un cattivo motore sincrono.
I soli motori asincroni coi quali finora si siano ottenuti ri*
sultati sufficienti per dar luogo ad una fabbricazione industriale
sono quelli nei quali si utilizza un campo magnetico rotante
all'Esposizione Universale del iSSg in Parigi, 405
prodotto per mezzo di due correnti alternative presentanti una
differenza di fase. Il principio su cui riposa il funzionamento
di questi apparecchi è stato dimostrato dall'autore di queste
note, ed un primo modello di motore fu sperimentato nel labo-
ratorio di Elettrotecnica del Museo Industriale italiano già nello
autunno del 1885. ^ ^^ principio è il seguente :
Se in uno spazio si sovrappongono due campi magnetici
alternativi di uguale frequenza, aventi direzioni diverse, e pre-
sentanti l'uno rispetto all'altro una differenza di fase, si ottiene
in quello spazio un campo magnetico risultante, che non si an-
nulla in nessun istante e la direzione del quale ruota in un
piano parallelo ai campi magnetici componenti, compiendo un
giro in ogni periodo di questi. Se i due campi magnetici alter»
nativi componenti seguono la legge sinusoidale, il campo ma-
gnetico risultante può per ogni punto rappresentarsi in gran-
dezza ed in direzione col raggio vettore di un'ellisse avente
il centro in quel punto. Se, in particolare, i due campi com-
ponenti sono l'uno all'altro perpendicolari, se hanno uguali in-
tensità e se la loro differenza di fase corrisponde ad un quarto
di periodo, l'ellisse si riduce ad un cerchio; il che vuol dire
che il campo magnetico risultante ha allora un'intensità costante
ed una direzione, la quale ruota con velocità uniforme, com-
piendo un giro in ogni periodo. Se nel campo magnetico rotante
si colloca un corpo conduttore, nascono in questo correnti in-
dotte in virtù delle quali il conduttore viene trascinato nella
rotazione. I due campi magnetici alternativi si possono produrre
per mezzo di due correnti alternative circolanti in due spirali
gli assi delle quali comprendano fra di loro un angolo, per
esempio un angolo retto; si possono adunque produrre rota»
zioni continue per mezzo di correnti alternative.
Le due correnti alternative necessarie per quest'uso possono
essere ottenute in due circuiti distinti, direttamente, con una
macchina dinamoelettrica appositamente costrutta, per esempio
con una macchina avente sull'armatura due sistemi di spirali.
Oppure possono essere ricavate da un unico circuito e ciò
in più modi.
Un modo consiste nell'adoperare le correnti di due circuiti
derivati, dei quali Tuno abbia una piccola resistenza reale ed
^ Le esperienze alle quali qui si allude furono eseguite e pubblicamente
presentate nei mesi di agosto e settembre del 1885.
4o6 L'elettroiecuica
una grande resistenza apparente di selfinduzione, e l'altro abbia
invece una grande resistenza effettiva e sia privo di selfin-
duzione.
Un altro modo consiste nell'adoperare le due correnti pri-
maria e secondaria di un trasformatore, nel circuito secondario
del quale siasi inserita, per produrre la voluta differenza di fase,
una resistenza esente da autoinduzione. Un terzo modo, che
non è che una modificazione di quest'ultimo, consiste nello in-
serire nel circuito di una corrente alternativa una sola delle spi-
rali impiegate per la produzione dei campi magnetici, e nel
chiudere l'altra spirale semplicemente su sé stessa. Se allora si
ha l'avvertenza di collocare quest'ultima in modo che i piani
delle due spire facciano un angolo obliquo con quelli delle spire
della prima^ si produce senz'altro in essa la seconda corrente
alternativa di cui si ha bisogno.
Ma secondochè si opera in un modo o nell'altro, secondochè
si adoperano due correnti alternative prodotte in due circuiti
distinti, direttamente, con una speciale macchina dinamoelettrica»
oppure si adoperano due correnti ricavate da un'unica corrente
alternativa con uno degli artifizi sovra enumerati, le condizioni
del motore risultano molto diverse. Nel primo caso la differenza
di fase fra le due correnti, necessaria per la produzione del
campo magnetico rotante,: è prodotta dalla macchina dinamo*
elettrica stessa, e si mantiene indipendentemente dal valore dei
coefficienti di induzione delle due spirali del motore, purché
tali coefficienti non siano molto diversi tra di loro. Nel secondo
caso, invece, la necessaria differenza di fase si può ottenere
soltanto coU'inserire nel circuito di una delle spirali una resi-
stenza grande a fronte della resistenza apparente di autoindu-
zione esistente nella spirale medesima. Tale resistenza oziosa
dev'essere tanto più grande quanto più è grande l'induzione
propria della spirale, quanto più è grande il flusso d'induzione
che essa produce. Si è adunque, in questo caso, obbligati a
sciupare una notevole quantità d'energia col solo scopo di pro-
durre la differenza di fase; o, date le condizioni del circuito e
le costanti della corrente, si è obbligati a limitare la quantità
di ferro contenuto nel motore, ed a limitare la potenza di
questo.
Per questo motivo il primo motore a campo magnetico
rotante, il quale servì alle esperienze fatte nel 1885 nel Museo
industriale era stato composto senza ferro. Esso consisteva
all'Esposizione Universale del iSSg in Parigi. 407
semplicemente in due spirali messe in croce cogli assi mutua*
mente perpendicolari, circondanti un cilindro di rame portato
da un albero girevole su due cuscinetti. Una delle spirali, avente
poche spire di grosso filo, era inserita nel circuito primario,
l'altra, comprendente molte spire di filo più sottile, era inserita
nel circuito secondario di un trasformatore di Gaulard.' L'appa-
recchio era destinato sovratutto a verificare il principio ed a
dimostrare la possibilità di applicarlo alla costruzione di conta*
tori e di altri strumenti di misura.
Per motori di maggiore potenza destinati a servire come
motori industriali, nei quali naturalmente le spirali debbono
essere avvolte su nuclei di ferro, bisogna adoperare due cor-
renti alternative prodotte direttamente colla voluta differenza
di fase dalla macchina generatrice. Così infatti si fanno fun-
zionare i motori industriali, che finora si costrussero sul prin-
cipio del campo magnetico rotante. Il più conosciuto di questi
apparecchi è il motore per cui prese una privativa nel i888
Nicola Tesla.
In tale motore il campo magnetico rotante è prodotto da un
anello di ferro sul quale sono avvolte quattro spirali occupanti
ciascuna un quadrante. Ciascuna spirale è collegata in serie con
quella diametralmente opposta, in modo che risultano due sole
spirali formate ciascheduna da due pezzi uguali ed opposti; in
esse si mandano le due correnti alternative discordanti. L'ar-
matura, che gira dentro all'anello, è costituita da un nucleo la-
minato di ferro sul quale sono avvolte spirali chiuse su sé stesse.
Con modificazioni facili ad immaginarsi la macchina può anche
essere fatta multipolare. La Società Westinghouse di Pittsburg
(Stati Uniti) ha fatto di questo motore una fabbricazione com-
merciale ed ha dato cosi al medesimo una speciale rinomanza.
Per l'impiego dei motori in un sistema di distribuzione di energia,
Tesla e la Società Westinghouse hanno proposto un sistema
a tre fili, che evidentemente è sufficiente per la trasmissione
delle due correnti alternative.
Per un sistema affatto analogo prese una privativa anche
ìsi casa Ganz di Budapest.
Più tardi, il signor Tesla ridusse l'ufficio del suo motore
asincrono a quello di servire all'incamminamento di un motore
sincrono. Egli propose allora di far servire, nel breve periodo
di avviamento, la terra come conduttore neutro, riducendo così
a due i conduttori metallici della rete di distribuzione.
4o8 L* elettrotecnica
Il motore Tesla rappresenta la più conosciuta, ma non la
sola forma di apparecchio colla quale si possa applicare prati-
camente il principio delle rotazioni elettrodinamiche. Per dare
un'idea della varietà delle disposizioni immaginabili, citiamo
dopo il motore Tesla ancora un motore asincrono di Rankin
Kennedy. Questo è costituito da due macchine dinamo-elettriche
bipolari identiche, nella forma, a macchine ordinarie a corrente
continua, ma col ferro degli elettromagneti lamellare. Le due
macchine sono poste Tuna d'accanto all'altra su di una mede-
sima base, ed hanno l'albero comune. Le due armature, portate
dall'albero comune, non hanno commutatori né collettori, ma
semplicemente ciascuna spirale dell'una è collegata con una spi-
rale dell'altra e forma con essa un circuito chiuso. Il collega-
mento è fatto in modo che, mentre la spirale appartenente ad
una delle armature passa nel piano neutrale, quella dell'altra
armatura, che è in circuito insieme ad essa, si trovi nel piano
perpendicolare al piano neutrale. Per far funzionare il motore
basta inserire gli elettromagneti delle due macchine in due cir-
cuiti nei quali si abbiano correnti alternative presentanti una
discordanza di fase di un quarto di /periodo. Per i maggiori
modelli il Kennedy propone una disposizione multipolare.
Bastano le sommarie descrizioni sovraesposte per mettere
in chiaro i pregi ed i difetti dei motori a campo magnetico ro-
tante.
Un pregio sta nella estrema semplicità della costruzione, e
sovratutto nella assenza di qualunque commutatore o collettore.
La semplicità del servizio derivante dalla mancanza del collet-
tore, che è l'organo più delicato di tutte le macchine dinamo-
elettriche e di tutti gli altri motori elettrici, è tale un vantaggio
che basta da solo a spiegare il grande favore col quale i nuovi
motori furono salutati dai pratici. Un altro pregio sta nella pro-
prietà che essi, come del resto tutti i motori asincroni, hanno
di mettersi spontaneamente in moto; e tale pregio è qui ancora
accresciuto dalla circostanza, che il verso della rotazione, iT
quale per un dato collegamento dei circuiti è determinato e co-
stante, si può invertire, quando occorra, colla più grande faci-
lità. Basta a tal uopo invertire con un semplice commutatore le
connessioni dL una delle spirali col rispettivo circuito. In tal
modo si fa variare di i8o® la differenza di fase fra le due cor-
renti, e si inverte con ciò la rotazione del campo magnetico
risultante.
all'Esposizione Universale del i88^ in Parigi. 409
In molti casi, e specialmente quando si tratti di piccoli mo-
tori, bastano evidentemente gli esposti pregi a far preferire i
motori a campo rotante, non solamente a tutti gli altri motori
'elettrici a corrente alternativa, ma anche agli ordinari motori
^ corrente continua.
Ma se si tratta di motori di considerevole potenza, si pre-
sentano anche inconvenienti che, giova qui riassumere. In primo
luogo dobbiamo ricordare che, se la potenza del motore elettrico
non è così piccola che non si abbia da tenere alcun conto del
rendimento, non si può pensare ad eccitarlo con due correnti
alternative ricavate entrambe da un unico circuito; così facendo
si sarebbe obbligati, per produrre tra le due correnti la neces-
saria differenza di fase, ad inserire nel circuito di una di esse
una resistenza ohmica grande a fronte della resistenza appa-
rente dovuta alla autoinduzione. Quindi si andrebbe incontro
ad uno spreco di energia inevitabile e grandissimo. Bisogna
adunque eccitare il motore con due correnti alternative prodotte
^erettamente nella stazione centrale colla voluta differenza di
fase, e distribuite per mezzo di due distinti circuiti. Occorre
allora costruire l'intiera rete di distribuzione almeno con tre
fili; e questo è un inconveniente, che limita evidentemente Tap-
.plicabilità del sistema. A questo inconveniente, che è proprio
<iel sistema, si sovrappone poi Taltro, che è comune a tutti i
motori asincroni : V inconveniente derivante dal dover far pas-
sare le correnti alternative in spirali presentanti necessariamente
jìotevoli coefficienti di induzione propria. Noi abbiamo già con-
siderato poco sopra questo fatto ed abbiamo notato che in con-
seguenza di esso la caduta di potenziale prodotta dal motore
ne' circuiti in cui è inserito risulta notevolmente maggiore di
<]uella dovuta alla controforza elettromotrice utile , quindi l'effi-
cacia dell'intiero impianto risulta diminuita.
Questi inconvenienti si potranno certamente attenuare. Ed
ain mezzo potrà consistere nell'impiegare per la produzione del
<:ampo magnetico rotante non due sole, ma tre o più correnti
-con fasi diverse. Intanto essi spiegano le difficoltà finora incon-
trate. Prevedendo le quali, noi nel pubblicare le nostre espe-
rienze, * prima che venissero alla luce i brevetti di Tesla, di
Kennedy e di altri, abbiamo chiamata in modo speciale Tatten-
^ Memoria citata. Atti R. Accademia dille Sciente di Torino volume XXIII.
Adunanza 18 marzo 1888.
4IO L'elettrotecnica
zione su alcune applicazioni ove le difficoltà suaccennate non
esistono. E tali applicazioni appunto ora si vanno facendo con
pieno successo; sono le applicazioni alla costruzione di conta-
tori per correnti alternative, come quelli ora notissimi che por-
tano i nomi di Borei, di Schallenberger, di Ferranti, di Blathy, ecc.
Un'altra applicazione è quella ora coltivata dal Tesla, quella
colla quale si fa servire un motore a campo magnetico rotante
come apparecchio ausiliario per la messa in moto di un motore
sincrono. Ma in tal caso è questo, il motore sincrono, il motore
principale e non v'ha dubbio che per esso è serbato un gran-
dissimo avvenire.
§ 2. Applicazioni termiche.
27. Forni elettrici. — Nella esposizione di Parigi del 1881
Sir William Siemens presentava, nella splendida mostra della
casa Siemens Brothers di Londra, un apparecchio per la fusione
dei metalli, ed eseguiva con esso notevolissimi esperimenti. Il
procedimento adoperato consisteva nell'accumulare in uno spazio
chiuso in pareti refrattarie il calore svolto da un arco voltaico.
L'apparecchio era semplicissimo: consisteva in un crogiuolo di
grafite, a grossa parete, il fondo del quale era messo in comu-
nicazione col reoforo positivo di una macchina dinamoelettrica.
11 crogiuolo si riempiva fino a metà col metallo da fondere, e
si chiudeva con un grosso coperchio di terra refrattaria avente
nel centro un foro circolare destinato a dar passaggio al reoforo
negativo. Tale reoforo poi era costituito da un grosso bastone
cilindrico di carbone, fabbricato come quelli che servono per le
lampade elettriche ad arco voltaico. Esso era sospeso all'estre-
mità di una leva di prima specie, che coll'altra estremità soste*
neva un nucleo di ferro, il quale colla sua metà inferiore pe-
netrava nel vano di una spirale cilindrica verticale, fatta con
grosso filo di rame isolato e collegata in serie col carbone. Il
tutto costituiva un semplice regolatore analogo a quello di una
lampada elettrica ad arco voltaico con avvolgimento in serie.
Quando il circuito era rotto e nessuna corrente circolava nella
spirale, il carbone stava abbassato e si appoggiava colla sua
estremità inferiore sul metallo contenuto nel crogiuolo. Ma
chiuso il circuito, la corrente circolante nel solenoide esercitava
sul nucleo di ferro una forza succhiante per cui il carbone si
all'Esposizione Universale del iSSg in Parigi, 41 1
sollevava alquanto, distaccandosi dal metallo. Si produceva per
tal modo tra il metallo ed il carbone un arco voltaico. 11 ca-
lore dell'arco, accumulandosi man mano nel crogiuolo, produ-
ceva dopo qualche tempo, in quello spazio confinato, una tem-
peratura elevatissima, per la quale il metallo fondeva*
Quell'apparecchio costituì il primo forno elettrico, e nella
sua primitiva e grossolana semplicità si presentò subito come
invenzione feconda di numerose ed importantissime applica-
zioni. Nel corso di tali invenzioni l'apparecchio ricevette poi
forme e disposizioni svariate.
Presentemente si hanno due distinti sistemi di forni elet-
trici; i forni ad arco voltaico, che hanno per tipo primitivo il
descritto apparecchio di Siemens; ed i forni che possiamo de-
nominare a circuito chiuso, che hanno per tipo quello adope-
rato da Cowles nell'elettrometallurgia dell'alluminio.
I forni di questo secondo tipo servono quando si hanno a
fondere materiali poco conduttori a freddo, mediocremente con-
duttori allo stato di fusione. I due carboni si fanno allora pe*
netrare nel materiale contenuto nel forno fino ad una breve
distanza l'uno dall'altro. La corrente passa cosi attraverso al
frapposto materiale, lo scalda e lo fonde. Di mano in mano che,
procedendo il riscaldamento e la fusione, la resistenza specifica
del materiale diminuisce, si allontanano gradatamente i carboni
per mezzo di un apposito manubrio comandato colla mano. Per
tal modo si mantiene costante la resistenza e si continua rego-
larmente l'accumulazione progressiva del calore.
L'importanza dei forni elettrici sta nel fatto, che con essi
si può accumulare in uno spazio chiuso, che può anche essere
piccolissimo, una grandissima quantità di calore, la quale non
è limitata che dalla conduttività e dalla fusibilità delle pareti. Le
conseguenze del quale fatto sono due. In primo luogo si pos*
sono con un forno elettrico produrre temperature incompara*
bilmente più elevate di quelle ottenibili con forni ordinari a
combustione, nei quali la temperatura è limitata dalla necessità
di disseminare il calore nella grande massa dei gas prodotti
dalla combustione, e dal fatto della dissociazione, che comincia
ad acquistare una importanza quando la temperatura supera i
1500°, e che stabilisce per questa un limite teorico insuperabile.
In secondo luogo parecchie operazioni metallurgiche consìstenti
in riduzione di ossidi in presenza del carbonio, le quali coi
forni a combustione sono impossibili, perchè consumano una
412 L'elettrotecnica
quantità di calore maggiore di quella che si può produrre colla
combustione, sono invece possibili e si possono razionalmente
tentare per mezzo di un forno elettrico.
Le applicazioni più importanti fin d'ora tentate, quelle che
presumibilmente avranno il più splendido avvenire, sono ap-
punto applicazioni metallurgiche : sono quelle che si vanno pro-
vando con impianti veramente industriali e grandiosi nella me-
tallurgia dell'alluminio. Fra i procedimenti elettrometallurgici
per l'alluminio, i soli che finora abbiano dato serie speranze di
pratica riuscita e che si possano dire applicati in scala indu-
striale, sono quelli di Cowles, di Heroult e gli affini, nei quali
il minerale viene ridotto col carbone in un forno elettrico. Nella
esposizione si notavano, nella sezione americana, alcuni cam-
pioni di bronzi di alluminio ottenuti con tali procedimenti. Sgra-
ziatamente però nulla era esposto o descritto relativamente agli
apparecchi ed ai procedimenti adoperati ; quindi in queste note,
che si riferiscono unicamente alla elettrotecnica, non si può far
luogo che al cenno precedente.
28. Saldatura elettrica: sistema De Benardos, — Ma per
compenso l'esposizione presentava cose notevolissime relativa-
mente ad un'altra applicazione termica della corrente elettrica:
alla saldatura elettrica.
Anche la saldatura elettrica risale al 1881; ma nella espo-
sizione di quell'anno non figurava ancora ; quindi essa costituiva
nell'ultima esposizione una novità saliente.
Coi procedimenti elettrici si ottiene la saldatura autogena di
due pezzi metallici per mezzo del calore prodotto da una cor-
rente. Ma i modi per ottenere tali risultati sono due, e corri-
spondono ai due sistemi di forni elettrici sovradescritti. Nell'uno
il calore viene svolto in un arco voltaico prodotto tra i pezzi
da saldarsi ed un reoforo di carbone tenuto a breve distanza da
essi ; nell'altro il calore viene prodotto nei pezzi medesimi, messi
a contatto, da una corrente che li attraversa. Anche storicamente
i due procedimenti si seguirono coll'ordìne stesso nel quale si
seguirono i forni elettrici. Il primo procedimento tentato fu quello
basato sull'impiego dell'arco voltaico, ed è dovuto all'ingegnere
russo De Benardos. Le prime prove, che diedero origine al pro-
cedimento, furono eseguite da De Benardos e da Kotinsky nel
laboratorio del signor De Kabath per la saldatura autogena delle
lastre di piombo per gli accumulatori. Più tardi il De Benardos
generalizzò il suo processo, rendendolo applicabile alla salda-
all'Esposizione Universale del iSSg in Parigi. 413
tura di diversi metalli, ed ottenne in proposito nel 1885 una
privativa.
In tale procedimento la saldatura di due pezzi si opera su
di una così detta incudine elettrica; la quale consiste in una lastra
di ghisa portata da una tavola isolante e tenuta in permanente
comunicazione col polo negativo di una macchina dinamoelet-
trica o di una batteria di accumulatori di forza elettromotrice
sufficiente per la produzione di un arco voltaico. Sull'incudine
elettrica si collocano i pezzi da saldare in quella posizione re-
lativa che dovranno avere ad operazione compiuta. Il polo posi-
tivo della macchina dinamoelettrica o degli accumulatori si mette
in comunicazione, per mezzo di un cordone flessibile, con un'asta
di carbone portata da un manico isolante, che l'operaio tiene
colla mano destra.
Appoggiando per un istante il carbone sul metallo e poi
risollevandolo alquanto, si dà origine ad un arco voltaico, che
fa fondere i metalli. Facendo allora scorrere l'arco lungo i lembi
de' due pezzi, si opera tra questi la saldatura autogena. È inu-
tile notare che durante tutta l'operazione l'operaio deve avere
gli occhi protetti da vetri affumicati portati da una maschera o
da un telarino a mano, o da appropriati occhiali. L'intensità della
corrente deve variare colla natura del lavoro che si ha da fare.
Perciò in uno stabilimento industriale ove si voglia applicare il
procedimento a vari lavori giova adoperare, come di fatto si fa,
una batteria di accumulatori, della quale si possa utilizzare in
ogni singolo caso quel numero di elementi che meglio conviene.
Secondo Ruhlmann la cosa più importante dell'invenzione
di De Benardos consiste nell'attaccare il carbone al polo positiva
invece che al negativo come faceva Siemens nel suo forno elet-
trico. Il più rapido consumo del carbone è infatti compensata
da un grande vantaggio: si produce sul metallo un'atmosfera
riduttrice che impedisce l'ossidazione. Il metallo non richiede
alcuna preparazione; gli ossidi fondono e si riducono rapida-
mente, o formano coU'argilla sabbiosa, spesso impiegata come
fondente, una scoria che protegge il metallo.
Si può anche operare sott'acqua.
È facile capire come oltre alle ordinarie saldature si pos-
sano col descritto procedimento fare altri lavori, come fori, tagli,
chiodature, ecc. È similmente facile capire come apparecchi sva-
riati possano impiegarsi nei vari casi. E infatti lo stesso De Be-
nardos ottenne per tali apparecchi più di una privativa.
414 L'elettrotecnica
Fra i congegni meritevoli di nota proposti da questo inven-
tore cito il cosidetto chalumeau elettrico. Questo si compone di
una incudine elettrica e di due carboni per la produzione deirarco.
L'incudine non è, come quella or ora descritta, tenuta in comu-
nicazione col polo negativo del generatore di corrente, è invece
isolata, ed appoggiata su di una potente elettrocalamita attivata
dalla corrente stessa colla quale si opera. I due carboni sono
tenuti l'uno d'accanto all'altro, alquanto convergenti, da un co-
mune sostegno che si può far passeggiare colla mano al disopra
dell'incudine. Un semplice apparecchio regola la distanza delle
punte di carboni fra le quali si produce l'arco voltaico. La cor-
rente adunque non passa attraverso i metalli da saldare ed alla
incudine, e l'arco anziché tra un carbone ed il metallo, si forma
tra i due carboni, vicino al metallo. Ma l'elettrocalamita su cui
si appoggia l'incudine attrae l'arco e lo incurva, così che esso
forma un dardo il quale colpisce il metallo, un dardo analogo
a quello prodotto dalle ordinarie lampade dei saldatori.
Il procedimento di De Benardos ebbe qualche applicazione
pratica. Una di queste, la quale fece parlare molto di sé, e che
diede effettivamente buoni risultati, é quella che fece Legrand
alla fabbricazione dei serbatoi ermetici. Tuttavia l'impiego di
essi dopo alcuni anni di esperimento non si è esteso, né attual-
mente accenna ad estendersi notevolmente.
29. Saldatura elettrica, sistema Thomson. — È probabile in-
vece che ad un grande avvenire sia chiamato l'altro procedimento,
quello ove non si fa uso di alcun arco voltaico, ma si fa passare
la corrente direttamente attraverso ai pezzi da saldare, messi a
contatto. Questo procedimento, dovuto al prof. Elihu Thomson,
ha fin d'ora acquistato una certa importanza industriale, e k
privative, che lo riguardano, sono attualmente proprietà di una
società americana, detta Thomson Electric Welding Company,
avente sede a Boston, la quale impiega per esso notevoli capitali.
Questa società ha presentato a Parigi i principali suoi apparecchi
ed ha eseguito con essi esperimenti brillantissimi. Benché nei
loro tratti principali gli apparecchi di Thomson fossero già uni-
versalmente conosciuti, tuttavia la mostra della Thomson Electnc
Welding Company fu una delle cose più notevoli dell'Espo-
sizione.
Il procedimento di Elihu Thomson consiste nel far passare
attraverso ai pezzi da saldare, messi a contatto e conveniente-
mente premuti l'uno contro l'altro, una corrente di grande inten«
ali* Esposizione Universale del 1889 in Parigi. 415
sita. Per effetto di questa i pezzi si riscaldano sulla superficie
di contatto e nelle vicinanze di essa, si rammolliscono, e col-
l'aiuto della pressione, che intanto si va esercitando su di essi,
penetrano Tuno nell'altro e si saldano perfettamente. L'incan-
descenza comincia sulla superficie di contatto dei due pezzi, e
poi si propaga a sinistra ed a destra di essa per un piccolo tratto,
per un tratto dell'ordine di grandezza del diametro dei pezzi
che si saldano. Essa intanto, continuando l'operazione, si fa di
più in più viva. Egli è appunto dalla vivezza dell'incandescenza,
che l'operatore, edotto dalla pratica, giudica del momento op-
portuno per sospendere l'operazione. La saldatura comincia nel-
l'interno, e si propaga gradualmente verso l'esterno, per modo
che, quando essa appare fatta sulla superficie, essa è certamente
perfetta anche nell'interno.
Il procedimento riposa su questo fatto notevole: che durante
tutta l'operazione il calore prodotto dalla corrente si manifesta
localizzato in uno strettissimo spazio in vicinanza della super-
ficie di contatto dei due pezzi. Tale fatto si spiega facilmente.
In principio quando i due pezzi sono semplicementi appoggiati
l'uno contro l'altro, la resistenza elettrica è evidentemente mag-
giore sulla superficie di contatto che nelle altre parti del circuito,
ove si ha la continuità metallica. Quindi là sulla superficie di
contatto si svolge, per reff*etto di Joule, la massima parte del
calore equivalente all'energia della corrente, là si produce subito
l'incandescenza e la fusione parziale del metallo. Quando poi
-questa prima fase dell'operazione è compiuta ed i due pezzi hanno
cominciato a saldarsi insieme, il metallo, che nel luogo della
saldatura è caldissimo e semifuso, presenta una resistenza spe-
cifica notevolmente maggiore di quella che presenta là dove è
freddo ; quindi reff*etto di Joule seguita a prodursi specialmente
in quella regione, e l'incandescenza non solo si mantiene, ma
seguita ad aumentare.
In causa della compressione, che si esercita tra i pezzi mentre
sono rammolliti dal calore, si produce nel luogo della saldatura
un rigonfiamento della sbarra, che bisogna poi togliere colla lima.
Ma, tolto questo rigonfiamento, la struttura del metallo nel
luogo ove è stata fatta la saldatura si mostra così omogenea da
rendere irriconoscibile l'esistenza della saldatura medesima. La
struttura del metallo nel luogo dove si è fatta la saldatura è ge-
neralmente fibrosa se si tratta di ferro, granulosa se si tratta
di acciaio. La resistenza alla trazione risulta nel luogo della
4i6 L'elettrotecnica
saldatura pressoché uguale a quella che si ha nelle altre parli
del metallo.
Per mettere in pratica il descritto metodo di saldatura, bi-
sogna far passare attraverso i pezzi, che si hanno da riunire,
una corrente di tale intensità da provocare nei pezzi medesimi^
nel modo che abbiam detto, una elevatissima temperatura. Oc-
corrono adunque correnti di intensità proporzionata alla sezione
dei pezzi sui quali si vuole operare; e se tale sezione misura
qualche centimetro quadrato, la corrente deve avere una inten-
sità di migliaia di ampère. Per compenso il circuito si può sempre
fare così che la sua resistenza elettrica sia minima; e quindi la
necessaria corrente si può ottenere per mezzo di piccolissime
forze elettromotrici, per esempio, per mezzo di una frazione di volt.
Per produrre le minime forze elettromotrici e le enormi
intensità di corrente di cui si ha bisogno, e per far variare e
regolare a seconda della natura del lavoro i valori delle une e
delle altre, la cosa più comoda e più pratica che si possa fare
è di far uso di apparecchi a corrente alternativa compren-
denti opportuni trasformatori. Così fa il professore Elihu Thom-
son, ed anzi il nodo della sua invenzione e la ragione del suo
successo stanno appunto nell'idea di far servire alla operazione
della saldatura elettrica correnti alternative.
Gli apparecchi, che Elihu Thomson fecesi brevettare, sono
numerosi,^ parecchi di essi figuravano nella mostra di Parigi,
ma tutti sono a corrente alternativa.
Per la saldatura di piccoli pezzi, di fili o di verghette
di diametro minore di 13 millimetri, si adopera direttamente,
senza Tintermediario di alcun trasformatore, la corrente alter-
nativa data da una macchina dinamoelettrica bipolare, identica,
nell'insieme, ad un'ordinaria macchina a corrente continua, ma
avente sull'indotto una spirale unica collegata con un collettore
a due anelli.
Per la saldatura di verghe più grosse si adopera, invece,
sempre la corrente secondaria di un trasformatore. Il trasforma-
tore poi è variamente conformato e proporzionato a seconda
della grandezza delle verghe. Io descrìverò, come esempio, il
più grande di tutti, quello col quale nell'Esposizione si esegui-
vano le più brillanti esperienze, saldando in pochi minuti aste
di acciaio o di ferro da 5 o 6 centimetri di diametro.
È questo un trasformatore a circuito magnetico chiuso. Il
nucleo di ferro formante il circuito magnetico è costituito da un
air Esposizione Universale del 1889 in Parigi, 417
tamburo cilindrico coU'asse orizzontale, composto con lamine di
ferro isolate. Esso è solidamente fissato su di uno zoccolo di
ghisa servente di base a tutto l'apparecchio.
La spirale primaria è avvolta su di una parte del tamburo
nella maniera solita, come una parte di una spirale di Gramme.
Data la natura del lavoro che si vuole eseguire, data quindi
l'intensità della corrente secondaria, il numero delle spire ed
il diametro del filo dipendono dalla forza elettromotrice della
macchina dinamoelettrica e dall'intensità della corrente primaria
che si ha da adoperare. Ed un pregio dell'apparecchio sta ap-
punto in questo: che senza modificare nulla nell'ossatura, ma
modificando semplicemente il numero delle spire adoperate, si
può far servire il medesimo trasformatore a lavori diversi, oppure
si possono far servire a compiere un medesimo lavoro mac-
chine dinamoelettriche diverse. Il circuito secondario è costituito
da un semplice quadro o telaio rettangolare passante, con uno
de* suoi Iati maggiori, dentro al tamburo di ferro in modo da
risultare con questo concatenato. Tale telaio rappresenta una
spira avvolta sul nucleo di ferro: rappresenta la spirale secon-
daria: una spirale composta di un'unica spira. 11 telaio di cui
parliamo è nel piano orizzontale passante per l'asse del tamburo
di ferro.
Esso poi è formato con una grossissima sbarra massiccia
di rame. La sezione trasversale della sbarra è quadrata ed ha
una superficie non minore della somma delle sezioni delle spire
primarie. Nel modello, che ha funzionato a Parigi, la sezione
trasversale della sbarra aveva da 12 a 13 centimetri di lato. Il
descritto telaio non forma però, da solo, un circuito chiuso; in-
fatti il lato esterno parallelo a quello passante nell'anello di
ferro, è interrotto verso la metà della propria lunghezza. Ma sui
due pezzi di esso, i quali servono come guide, si appoggiano e
possono scorrere due robustissime e massiccie morse di bronzo
alle quali si raccomandano le due sbarre destinate ad essere
saldate insieme. Una delle morse è collegata con una madrevite
che si può far avanzare o retrocedere girando la vite con un
volantino.
Per chiudere il circuito bisogna mettere a posto nelle morse
i due pezzi da saldare, e poi girare il volantino finché questi
sieno venuti a contatto. Il circuito allora comprende i pezzi da
saldare e la corrente secondaria passa attraverso alla superficie
di contatto dei medesimi. Chiuso il circuito ed incominciata la
G. Ferraris, Optrt, Voi. II. aj
4i8 L'elettrotecnica all'Esp. Univers. del 1889 in Parigi.
saldatura, il medesimo volantino, che si governa colia mano,
serve a provocare tra i due pezzi la necessaria pressione.
Nell'apparecchio che ha funzionato nell'Esposizione di Pa-
rigi la forza elettromotrice secondaria era di circa un mezzo volt,
e l'intensità della corrente secondaria raggiungeva approssimati-
vamente il valore di 26.000 ampère. Si adoperava adunque una
potenza motrice di circa 18 cavalli-vapore. In un esperimento
eseguito con questo apparecchio davanti ai membri del Congresso
internazionale degli elettricisti si saldarono perfettamente nello
spazio di 195 minuti secondi due sbarre d'acciaio del diametro
di 6 centimetri.
SUL
CONGRESSO INTERNAZIONALE
DI ELETTRICITÀ IN CHICAGO,
1893
Il Congresso internazionale di elettricità, che si tenne in Chi-
cago dal 21 al 27 agosto 1893, comprendeva due parti: il Con-
gresso generale, al quale potevano essere invitati tutti gli elet-
tricisti anche senza speciale delegazione dei rispettivi Governi;
e la Camera dei delegati, la quale era costituita dai delegati offi-
ciali dei vari Governi. È a questa sezione ufficiale del Congresso
che io ebbi l'onore di partecipare come delegato del Governo
italiano; e dei lavori di questa io debbo rendere conto nella pre-
sente relazione.
Premesso un cenno sui Congressi anteriori, dal quale risulti
lo stato delle questioni, di cui il Congresso ha dovuto occuparsi,
esporrò dapprima i lavori della Camera dei delegati, e farò se-
guire le considerazioni svolte nelle discussioni e le riflessioni
alle quali danno luogo le deliberazioni prese.
CAPO I.
Cenno sui Congressi anteriori.
I. Congresso di Parigi, iSSi. — 11 primo Congresso di elet-
tricità, che era stato tenuto a Parigi nel 1881, aveva adottato
un sistema di unità di misura per le grandezze elettriche, che
fu accettato in tutti i paesi e divenne la base di tutte le misure
e di tutte le contrattazioni. Quel Congresso deve a questo risul-
tato la sua importanza. La scelta delle unità, fatta d'accordo
420 Sui Congresso Iniernaziofiale
dagli scienziati e dai tecnici di tutte le nazioni, rese facilmente
comparabili le esperienze di tutti gli studiosi e di quelli che fanno
delle applicazioni elettriche l'oggetto di intraprese industriali;
l'aver trovato per le principali unità di misura nomi convenienti
e l'aver fatto accettare questi nomi dagli elettricisti di tutte le
nazioni, tolse di mezzo la confusione che prima derivava dalla
molteplicità dei significati che una medesima parola aveva nei
diversi paesi ; Tavere prescelto un sistema di misure assolute
facilitò tutti i calcoli, così frequenti nelle applicazioni, coi quali
da grandezze meccaniche si deve passare a grandezze elettriche^
o viceversa; Tavere scelto le unità fondamentali in modo da
collegare le unità elettriche col sistema metrico decimale fece sì
che tutte le unità di misura, in uso nella scienza e nelle appli-
cazioni industriali, costituissero un unico sistema completo ed
armonico; Taver fatto accettare questo sistema di misure dagli
elettricisti di tutti i paesi ebbe, ed avrà, Teifetto di accelerare^
almeno pei lavori scientifici, l'adozione del sistema metrico de-
cimale anche in quelle nazioni, ove questo sistema non è attual-
mente di uso generale.
2. Il sistema di unità adottato da quel Congresso era quelIo^
stesso che già nel 1862 era stato prescelto dalla Associazione
òriiannica per V avanzamento delle scienze. Esso era il sistema
elettromagnetico di Wilhelm Weber, e le unità che lo costitui-
vano non differivano da quelle adoperate dal grande scienziate^
tedesco se non per una diversa scelta delle unità fondamentali
di lunghezza, di massa e di tempo. Weber aveva adoperato nelle
sue ricerche come unità fondamentali il millimetro, la massa di
un milligrammo ed il minuto secondo di tempo solare medio»
L'Associazione britannica invece ed il Congresso di Parigi adot-
tarono come unità di lunghezza e di massa il centimetro ed il
grammo; e inoltre, collo scopo di ottenere unità di grandezze
più comode per la pratica, avevano scelto:
i.« Come unità pratica per le resistenze elettriche una re-
sistenza eguale a 10^ unità assolute;
2.° Come unità pratica di forza elettromotrice una forza
elettromotrice eguale a 10^ unità assolute;
3.° Come unità pratiche di intensità di corrente e di quan-
tità di elettricità una intensità ed una quantità eguali a 10—^
unità assolute;
4.° Come unità pratica di capacità elettrostatica una capa-
cità eguale a io— ^ unità assolute; ^
di elettricità in Chicago, iS^j. 421
5.<> Finalmente come unità pratiche di lavoro meccanico e
di potenza meccanica un lavoro ed una potenza eguali a io'
unità assolute.
Le unità così definite costituiscono un sistema assoluto basato
sulle unità fondamentali seguenti: 10^ centimetri, io— "grammi,
« minuto secondo.
3. L'Associazione britannica aveva proposto già di dare ad
alcune di queste unità pratiche nomi scelti in modo da ricordare
quelli dei grandi elettricisti, ai quali sono più specialmente do-
vute le nozioni alle quali le unità di misura stesse si riferiscono.
Per la unità pratica di resistenza essa aveva proposto il nome
di ohm; per quella di forza elettromotrice il nome di volt] per
quella di capacità elettrostatica il nome di farad.
Il Congresso di Parigi, mentre diede al sistema di unità della
Associazione britannica, già diflfuso ed universalmente adoperato
fra i tecnici, una sanzione internazionale, accettò pure questi
nomi; però dovette preoccuparsi di dare dei nomi anche alle
altre unità di misura. L'avere infatti lasciata incompleta la lista
dei nomi aveva dato luogo a confusioni deplorevoli. Mentre al-
cuni, seguendo la proposta dell'Associazione britannica, comin-
ciavano ad abituarsi ad esprimere la quantità di elettricità in
farad per volt, ed a denominare conformemente le intensità di
corrente, altri venivano proponendo per queste grandezze nomi
diversi. Alcuni davano all'unità pratica di quantità il nome di
weber, e denominavano per conseguenza l'unità di corrente: un
weber per minuto secondo. Altri denominavano iveber addirit-
tura L'unità pratica di intensità; altri collo stesso nome designa-
vano l'unità di intensità assoluta centimetrica (C. G. SJy altri
davano il nome di weber all'unità assoluta di intensità nel sistema
millimetro, milligramma, secondo, ossia all'unità della quale si
era servito Wilhelm Weber nelle sue classiche ricerche. Di
qui, come sopra si disse, una confusione, per rimediare alla quale
era indispensabile che il Congresso stabilisse in modo definitivo
ed imponesse colla sua autorità i nomi di tutte le unità compo-
nenti il sistema da esso adottato.
Il Congresso opinò che il solo modo di por termine alla
lamentata confusione, derivante dalla pluralità dei significati at-
tribuiti alla parola weber, fosse quello di escludere addirittura
questo nome dal novero di quelli delle unità pratiche. All'unità
pratica di intensità di corrente diede perciò il nome di ampère/
a quella di quantità di elettricità diede il nome di coulomb; e man-
422 Sui Congresso Internazionale
tenne quello di farad per l'unità pratica di capacità elettrostatica.
Non si pensò a scegliere alcun nome per designare i coefficienti
di induzione, perchè, in quel tempo, quando non avevano ancora
acquistato alcuna importanza pratica, né accennavano ad acqui-
starla i sistemi a corrente alternativa, i coefficienti di induzione
non si annoveravano fra le grandezze elettriche di uso continuo.
4. Di un'altra necessità si preoccupò il Congresso di Parigi:
di quella di dare ai pratici, oltre alle definizioni teoriche delle
unità principali, definizioni pratiche e, se possibile, campioni cor-
rispondenti.
Le unità dianzi definite non avrebbero potuto essere accolte
nella pratica, se non alla condizione che si potessero definire le
grandezze di alcune di esse per mezzo dei loro rapporti con
grandezze della medesima specie facilmente riproducibili e con-
servabili come campioni. Né il Congresso avrebbe prescelto il
sistema elettromagnetico se non avesse creduto possibile deter-
minare in un tempo non lontano, con sufficiente approssimazione,
tali rapporti. Più d'ogni altra era sentita la necessità di avere un
campione dell'o/r/;/, od almeno di conoscere con sicurezza il rap-
porto àtWohm con un campione di resistenza atto ad essere
riprodotto, senza bisogno di ricorrere ogni volta a misure as-
solute.
La stessa necessità era già stata riconosciuta dalla Associr-
zione britannica, la quale si era perciò occupata essa stessa di
misure miranti ad ottenere, espressa in unità elettromagnetiche»
la resistenza di fili metallici, ed a costruire campioni dell'ohm.
Ma le sue misure non erano state esenti da inesattezze. Oltre
a ciò la scelta di un metallo solido per costruire praticamente
il campione dava luogo ad obbiezioni. Era adunque indispensa-
bile che nuove ricerche venissero a stabiHre se e con quale pre-
cisione le resistenze elettriche si potessero sperimentalmente
comparare colla unità elettromagnetica prescelta; era necessario
inoltre por termine alle discussioni sul metallo da scegliersi per
definire praticamente l'unità. Il Congresso del 1881 risolse questa
seconda questione stabilendo, che il valore dtWohm dovesse
praticamente definirsi per mezzo della lunghezza di una colonna
di mercurio a zero gradi, colla sezione trasversale di un milli-
metro quadrato. Ed in quanto alla prima questione, a quella re-
lativa al valore dell'o//;;/, deliberò che lo studio di essa fosse
affidato ad una Conferenza internazionale, che il Governo fran-
cese si sarebbe incaricato di convocare a Parigi.
di elettricità in Chicago, iS^j, 423
5. Oltrecchè delle misure elettriche, il Congresso aveva do-
vuto occuparsi della scelta di una unità per le misure fotome-
triche. Infatti le più grandiose, e quasi le sole applicazioni indu-
striali delle correnti elettriche erano allora quelle, che si facevano
per la illuminazione. Anche delle misure fotometriche il Congresso
deliberava di deferire lo studio alla Conferenza internazionale.
Alla medesima Conferenza si era rimesso lo studio di altre
questioni, e propriamente di quelle relative alla organizzazione
ed al coordinamento delle osservazioni sulla elettricità atmosfe-
rica e sui parafulmini. Ma di tale questione non ebbero ad oc-
cuparsi i Congressi posteriori.
6. Conferenza internazionale di Parigi, 1S82 e 1884. — La
Conferenza internazionale proposta dal Congresso venne con-
vocata una prima volta nel 1882. In quella prima riunione essa
prese ad esame i vari metodi per la misura assoluta delle resi-
stenze, e discusse i risultati che con essi si erano fin d'allora
ottenuti. Fra questi risultati essa non trovò una vera concor-
danza sufficiente per definire, secondo il compito ricevuto, la lun-
ghezza della colonna di mercurio rappresentante To/rw, con una
approssimazione sufficiente per le ordinarie misure ; essa quindi
si limitò ad indicare agli sperimentatori di tutti i paesi quelli
fra i metodi di misura che giudicava suscettibili di maggiore
precisione, e ad esprimere il voto, che, col sussidio dei vari
Governi, le ricerche con quei metodi si moltiplicassero. Intanto
la Conferenza stabiliva la massima, che l'approssimazione nel va-
lore deir^/ff» avesse da ritenersi sufficiente quando, e solo quando^
Terrore probabile non superasse un millesimo; e proponeva al
Governo francese di convocare una seconda sessione nell'anno
successivo.
7. Per ciò che riguarda l'unità di misura per la fotometria
la Conferenza si trovò nella impossibilità di fare una scelta de-
finitiva fra i campioni usuali di luce, completamente empirici e
male confrontabili, e l'unità proposta dal Violle, la quale, benché
rispondente ad una più precisa definizione teorica, non era an-
cora sufficientemente sperimentata per essere ritenuta pratica.
Essa perciò sì limitava ad affermare l'importanza e l'urgenza
della questione, votando la seguente deliberazione:
** La Conferenza, riconoscendo che le ricerche fatte finora
danno luogo a sperare che la luce emessa dal platino fondente
potrà condurre ad un campione assoluto, emette il voto che
queste esperienze vengano proseguite.
424. Sul Congresso Internazionale
•" Come campione secondario usuale, la Conferenza racco-
manda rimpiego della lampada Carcel del tipo adoperato per la
verificazione del gas, dovuto a Dumas e Regnault, od una lam-
pada equivalente impiegata colle medesime cautele.
" Le candele possono egualmente servire, se si ha sufficiente
cura per assicurare l'identità di composizione, di forma, di co-
struzione e di consumazione.
" Per le esperienze di precisione e per certe applicazioni,
come pei fari, il confronto delle luci deve essere fatto mediante
una analisi dei differenti elementi che le costituiscono.
** La Conferenza reitera la decisione del Congresso del i88j,
in virtù della quale qualunque determinazione di un focolare
elettrico, ed in generale di qualunque focolare che irradii diffe-
rentemente nelle diverse direzioni, deve comprendere, come ele-
mento essenziale, la formola di questo focolare, cioè la relazione
che esiste fra l'intensità luminosa e la direzione dei raggi. „
8. La seconda sessione della Conferenza ebbe luogo a Pa-
rigi nella primavera del 1884. In essa si credette opportuno di
dare senz'altro ritardo la definizione pratica dellVA/w, e quan-
tunque non si avessero ancora dati sufficienti per assicurare che
la differenza fra Vohm così definito e la resistenza di io* unità
assolute fosse minore di un millesimo, come nella prima sessione
erasi stabilito che dovesse essere, quantunque anzi si fosse quasi
certi di commettere un errore di alcuni millesimi, tuttavia si votò
una deliberazione fissante in 106 centimetri la lunghezza della
colonna di mercurio rappresentante l'unità pratica di resistenza.
Per ricordare che l'unità così fissata non era esattamente eguale
a quella denominata ohntf si deliberò di dare ad essa il nome
di ohm legale, e si formulò la sua definizione nel modo seguente:
L'ohm legale è la resistenza di una colonna di mercurio di
un millimetro quadrato di sezione e di 106 centimetri di lun-
ghezza alla temperatura del ghiaccio fondente.
A questa deliberazione si fece seguire il voto che il Governo
francese volesse trasmettere questa risoluzione ai diversi Stati
e raccomandarne l'adozione internazionale.
La Conferenza continuava poi l'opera sua dando nel modo
seguente le definizioni ótWamfiere e del volt:
" U ampere è la corrente la cui misura assoluta è io — * unità
elettromagnetiche C G, S,
" Il volt è la forza elettromotrice che mantiene la corrente di
un ampere in un conduttore, la resistenza del quale è Vohm legale.
di elettricità in Chicago, iSpj, 425
" In questo modo la Conferenza definiva, per mezzo di un
campione, soltanto la prima delle tre unità di resistenza, di cor-
rente e di forza elettromotrice; conservava per la seconda la
definizione basata sulle misure assolute, e definiva la terza per
mezzo delle due prime. „
9. Come unità di luce la Conferenza adottava senz'altra esi-
tazione quella proposta dal Violle, e la precisava formulandone
<iuesta definizione:
** L'unità di ciascuna luce semplice è la quantità di luce della
medesima specie emessa in direzione normale da un centimetro
quadrato di superficie di platino fuso alla temperatura della so-
lidificazione.
'* L'unità pratica di luce bianca è la quantità totale di luce
emessa normalmente dalla medesima sorgente. „
10. Congresso degli elettricisti in Parigi, 1889, — Nella oc-
casione della Esposizione universale di Parigi nel 1889 ^^ tenuto
in quella città un altro Congresso di elettricità, il quale ritornò
sopra le unità di misura coll'intendimento di completare, colla
guida dei bisogni messi in evidenza dalle allargate applicazioni
elettrotecniche, il sistema di quelle già precedentemente fissate.
E quantunque il Congresso non avesse carattere ufficiale, come
quello del 1881, tuttavia le sue deliberazioni furono in gran parte,
e quasi da pertutto, accettate. Tali deliberazioni si riferivano
alle unità per il lavoro meccanico, per la potenza motrice, per
la luce, per i coefficienti di induzione.
Come unità di lavoro venne adottato il joule, e come unità
di potenza motrice venne adottato il watt. Entrambe le unità si
definirono come uguali a io"' unità assolute C. G. S,; si indi-
carono però, d'accanto alle definizioni rigorose, i valori appros-
simativi del joule e del watt espressi rispettivamente per mezzo
dtWampere e ùtWohm.
Il nome di watt era già stato proposto in una conferenza te-
nuta a Filadelfia nel 1884, ma non era stato formalmente adottato.
Nell'adottare le sovradette unità di misura, il Congresso
esprimeva anche il voto che non solo nella elettrotecnica, ma
anche nella ordinaria meccanica industriale si avesse nell'avve-
nire ad adoperare come unità di potenza il kilowatt, abbando-
nando l'unità empirica a cui si dà il nome di cavallo- vapore.
Questa proposta non trovò, nel Congresso di meccanica in-
dustriale, che in quel medesimo tempo era riunito in Parigi,
terreno abbastanza preparato per essere formalmente accettata;
426 Stdl Congresso Internazionale
ina non fu del tutto priva di effetto, perchè nelle scuole ed in
quelle industrie che hanno più frequenti contatti colle industrie
elettriche l'impiego del kilowatt andò diffondendosi con progresso
lento ma continuo.
11. Per le misure fotometriche il Congresso, ormai convinto
che rimpiego della unità di Violle non poteva diffondersi nella
pratica, e che, a dispetto delle deliberazioni della Conferenza
internazionale del 1884, la candela continuava ad essere l'unità
preferita, cercò di mantenere il nome di candela senza rinun-
ziare ai vantaggi teorici dell'unità di Violle. Ciò il Congresso cre-
dette di fare proponendo una nuova unità, detta candela decimale^
la quale non era niente' altro che la ventesima parte dell'unità
adottata per la luce bianca dalla Conferenza del 1884.
12. La convenienza di stabilire un nome di una unità anche
per esprimere il valore dei coefficienti di induzione pareva in
quel tempo evidente, in grazia del notevole incremento che ave-
vano ricevuto gli impianti elettrici per correnti alternative. Quindi
erano state fatte varie proposte, e tra queste erano accolte col
maggior favore quella di Ayrton e Perry, consistente nel dare
all'unità il nome di secohm^ quella caldamente raccomandata
dagli elettricisti americani, secondo la quale il nome dell'unità
avrebbe ricordato lo scienziato americano Henry^ e quella la
quale, tenendo conto dei fatti che nel sistema elettromagnetico
le dimensioni di un coefficiente d'induzione sono quelle di una
lunghezza, e che nel sistema di unità pratiche l'unità di lunghezza
è di IO® centimetri, ossia un quadrante terrestre, consisteva
nell'esprimere in quadranti anche i coefficienti d'induzione. Il
Congresso adottò quest'ultima proposta denominando quadrante
l'unità pratica.
13. 11 Congresso si occupò anche di fissare alcune defini-
zioni di grandezze, che frequentemente occorrono nello studio e
nelle applicazioni delle correnti alternative, e così definì — la
frequenza f — il valor medio , — il valore efficace, — la resistenza
apparente.
Per la prima volta venne messa ihnanzi in quel Congresso,
dal signor Hospitalier, la idea, per molti rispetti lodevole ed at-
traente, di stabilire, con una convenzione od intelligenza inter-
nazionale, alcune regole generali per le abbreviazioni dei nomi
delle unità e per i simboli da adoperarsi per designare nelle
formole le varie grandezze, che si presentano nella considera-
zione de* fenomeni elettromagnetici. L'idea fu accolta con favore
/
di elettricità in Chicago, iS^j, 427
da molti; ma per la evidente difficoltà derivante dalle differenze
delle lingue, e per la mancanza del tempo, essa non potè essere
formalmente adottata.
14. Congresso di Francoforte, i8gi. — Nel 1891 fu tenuto
un altro Congresso a Francoforte sul Meno in occasione della
Esposizione internazionale di elettricità. Neppure questo Con-
gresso aveva carattere ufficiale, perchè fra i membri di esso non
vi erano delegati dei governi. Esso poi non si occupò come i
precedenti in modo speciale delle unità di misura. Tuttavia l'at-
tenzione del Congresso fu chiamata sulle questioni relative alle
unità, da due fatti.
Il primo fatto fu la formale proposta presentata al Congresso
dal signor Hospitalier di stabilire una serie di convenzioni sulle
abbreviazioni e sui sìmboli per le grandezze elettriche.
Il secondo fu la proposta presentata dai delegati dell'Istituto
americano degli ingegneri elettricisti di dare il nome di he9try
all'unità di misura per i coefficienti di induzione.
Per studiare le proposte di Hospitalier e dell'Istituto ame-
ricano fu dal Congresso nominata una Commissione, la quale
però non potè addivenire ad alcuna deliberazione definitiva. La
Commissione riconobbe tuttavia l'opportunità di prendere le due
proposte in seria considerazione, e, nella impossibilità di esau-
rirne lo studio nel breve tempo che essa aveva a sua disposi-
zione, espresse il voto che la soluzione delle questioni ad esse
relative fosse preparata per il prossimo Congresso internazio-
nale di Chicago.
CAPO li.
Congresso di Chicago.
15. Origini del Congresso, — Mentre per opera dei succes-
sivi Congressi tenuti in Europa il sistema delle misure elettriche
andava formandosi nel modo sovra esposto, sorgeva in America
e cresceva a grande importanza V American bistitute of electrical
Engineers. Fondata da un nucleo d'elettricisti nell'occasione della
Esposizione di Filadelfia del 1884, questa Società scientifica e
tecnica crebbe rapidamente ed estese le sue diramazioni e la
sua attività a tutti gli Stati Uniti. Dopo di essersi affermato come
428 Sul Congresso Internazionale
il rappresentante dell'elettrotecnica americana, Tlstituto sentì i!
bisogno di partecipare al movimento scientifico mondiale. E poi-
ché colle denominazioni stabilite nei vari Congressi per le unità
di misura si erano ricordati i nomi di grandi scienziati europei,
così sorsero nell'Istituto il desiderio ed il proposito di ottenere
che nel medesimo modo venisse onorato il nome di alcuni dei
maggiori scienziati americani.
Già al Congresso di Parigi del 1889 l'Istituto americano
inviava delegati con l'incarico di proporre alcuni di questi nomi,
e segnatamente quello di henry^ col quale l'Istituto pensava, che
si sarebhfe dovuto designare l'unità di misura per l'induzione
elettromagnetica. La proposta fu ripresentata da speciali delegati
dell'Istituto al Congresso di Francoforte nel 1891, e come è
stato detto più sopra, essa ebbe colà un principio di accetta-
zione, poiché ne fu proposto lo studio per il successivo Con-
gresso di Chicago.
Ma l'Istituto americano intendeva affermarsi solennemente
per mezzo di un Congresso mondiale convocato in America, ed
in quel Congresso era stabilito in precedenza che l'oggetto prin-
cipale di discussioni internazionali dovesse essere quello relativo
alle nuove denominazioni, e specialmente 2\)^ henry, L'Istituto
faceva della adozione di questo nome questione di amor pro-
prio nazionale.
Il proposito 'di riunire un Congresso in America e l'inten-
zione di sottoporre alle deliberazioni del medesimo le proposte
dei nuovi nomi, furono fatte conoscere da delegati ofBciali del-
l'Istituto, tanto nel Congresso di Parigi del 1889, quanto in quello
di Francoforte del 1891. Fin d'allora era fissata l'idea che il Con-
gresso dovesse avere una sezione ufficiale.
16. Organizzazione del Congresso, — Il Comitato organiz-
zatore, incaricato dall'Istituto di formulare il programma del Con-
gresso, stabih che questo dovesse riunire il carattere di un li-
bero convegno di elettricisti, atto ad offrire ad essi l'opportunità
per letture scientifiche e tecniche e per scambiarsi le idee sulle
attuali questioni tecniche interessanti l'industria elettrica, e quello
di una conferenza internazionale ufficiale incaricata di discutere
le proposte sulle unità di misura, e rivestita del potere neces-
sario perché le deliberazioni potessero servire dì base, quando
ciò occorresse, a una convenzione internazionale.
Perciò fu stabilito che il Congresso risultasse di due parti,
ossia di un Congresso generale e di un Congresso ufficiale.
di elettricità in Chicago, rS^j, 429
AI Congresso generale si sarebbero ammesse tutte le per-
sone conosciute come esperte nella scienza o nella tecnica elet-
trica od interessate nelle industrie relative. Speciali membri del
Comitato esecutivo residenti ne' vari paesi avrebbero comunicata
al Comitato stesso, per le rispettive nazioni, le liste delle persone,
alle quali col detto criterio si sarebbero dovuti mandare gli inviti.
Il Congresso ufficiale, o la Camera dei delegati, doveva es-
sere formata da un piccolo numero di membri delegati officiai-
mente dai Governi delle varie nazioni collo speciale proposito
di trattare le questioni relative alle unità di misura. Fu stabilito
che il massimo numero di delegati concessi a ciascuna nazione
dovesse essere cinque. Questo numero di delegati fu dato agli
Stati Uniti, alla Gran Brettagna, alla Germania ed alla Francia;
furono assegnati tre delegati airitalia, all'Austria Ungheria, alla
Svizzera e al Belgio; agli altri Stati furono assegnati ora due,
ed ora un solo delegato.
Fu stabilito inoltre, acciocché il carattere ufficiale della Ca-
mera dei delegati fosse meglio affermato, che una speciale Com-
missione di cinque membri, scelti nella Camera stessa nella prima
riunione, dovesse esaminare i titoli degli intervenuti.
Risposero all'invito e mandarono delegati, oltre agli Stati
Uniti, la Gran Brettagna, la Francia, l'Italia, la Germania, il
Messico, l'Austria Ungheria, la Svizzera, la Svezia, il Nord Ame-
rica inglese.
17. Costituzione della Camera dei delegati. — 1 delegati pre-
senti e partecipanti alle discussioni della Camera dei delegati
furono i seguenti :
Rappresentanti degli Stati Uniti,
Prof. H. A. RowLAND, dell'Università John Hopkins di Baltimora.
Dott. T. C. Mendenhall, sopraintendente dell'Ufficio geodetico degli Stati
Uniti e di quello dei pesi e misure in Washington.
Prof. H. S. Carhart, dell'Università di Michigan, Ann Arbor. Mich.
Prof. Elihu Thomson, Lynn, Mas.
Dott E. L. NicHOLS, Università Cornell di Ithaca, N. Y.
Rappresentanti della Gran Brettagna,
W. H. Preece, F. R. S., ingegnere capo del Post-Offict d'Inghilterra, pre-
sidente dell'Istituto degli ingegneri elettricisti di Londra.
W. E. Ayrton, prof, nella City and Guilds 0/ London Central Instilution.
Prof. SiLVANUS P. Thompson, dott. se. F. R. S., direttore del City and
Guilds Technical ColUgé, di Londra.
Alex. Siemens, di Londra.
430 ^«^ Congresso Internazionak
RappresentanH Mìa Francia,
E. Mascart, membro dell'Istituto dì Francia.
T. VioLLE, professore al Conservatorio di arti e mestieri in Parigi.
De La Touanne, ingegnere governativo dei telegrafi, Parigi.
Edoardo Hospitalier, professore alla Scuola di fìsica e di chimica indu-
striale della città di Parigi.
Dott. S. Leduc, Nantes.
Rappresentante dell* Italia,
Galileo Ferraris, professore di elettrotecnica nel R. Museo industriale
in Torino.
Rappresentanti della Germania,
H. E. Hermann von Helmholtz, presidente del Reichsanstalt fisico-tecnico,
professore all'Università di Berlino.
Dott. Emil BuDDRy Berlino.
A. ScHRÀDER, membro dell'Ufficio imperiale dei brevetti, Berlino.
Dott. Ernesto Voit, professore al Politecnico di Monaco.
Dott. Otto Luhmer, membro del Riichsansialt di Berlino.
Rappresentante del Messico,
A. W. Chavez, Messico.
Rappresentante dell'Austria.
Dott. Johann Sahulka, professore nel Politenico di Vienna.
Rappresentanti della Svizzera,
A. Palaz, professore dell'Università di Losanna.
René Thury, ingegnere a Ginevra.
Rappresentante della Svezia,
M. Wennmann, direttore dei telegrafi, Stoccolma.
Rappresentante del Nord- America Inglese,
Ormond Higman, elettricista in Ottawa.
Le sedute della Camera dei delegati erano presiedute dal
dott. H. Rowland e a tutte prese parte attiva von Heiraohitz.
i8. Lavori della Camera dei delegati, — Le sedute della Ca-
mera dei delegati durarono 6 giorni. Dopo dì avere stabilito che
la lingua ufficiale fosse la lingua inglese, la Camera prese nella
sua prima seduta la deliberazione che a ciascuna nazione fos-
és rkitridià ìh Chicago, /v>\>,\ ^^i^i
sero assegnati ndle votazioni tanti voti quanti erano i dclci::^!!
A cui aveva diritto in conformità del piano dì orgaiui/A^ionc*
Qualora i membri di una medesima delegazione i^ì ti\>vAssei\>
cliscordi in qualche questione, ciascuno axTebbc diritto alKt sua
parte proporzionale nel voto del suo Governo,
Dopo di ciò la Camera prese tosto in esame le questioni
€ le proposte su cui doveva deliberare.
Ma nell'esporre le idee svolte nella discussione ed i risul-
tati di queste non è qui opportuno seguire Tordìne esatto nel
quale la discussione si è svolu. Infatti, per esaurire, nei pochi
giorni a sua disposizione, il proprio programma, la Camera do-
vette più d'una volta servirsi di Commissioni sjìecìalì elette nel
suo seno ed i risultati dei lavori di queste Commissioni speciali
dovettero essere presi in considerazione man mano che cs^ì
venivano comunicati, e quindi senza un ordine prestabilito. La
presente relazione risulterà quindi più chiara seguendo quest'or»
dine : si enumereranno dapprima le questioni e le proposte che
stavano davanti alla Camera; poi si daranno, riunite come in
un quadro, le deliberazioni prese dalla Camera medesima; final-
mente si indicheranno le principali considerazioni che si svoN
sero nelle discussioni e quelle alle quali le risoluzioni adottate
possono dar luogo.
19. Questioni e proposte presentate alla Camera dei delegati. —
Le questioni e le proposte che la Camera dei delegati trovò
dinanzi a sé si riferiscono tutte, coll'eccezione di una sola di
secondaria importanza, la quale venne scartata, alle unità di
misura, ai nomi delle medesime, ed alle notazioni.
V'era in primo luogo la questione se si avesse a dare una
nuova definizione dellWiw. La definizione deiro//;/i le^^ale quale,
forse con soverchia premura, era stata data dalla Conferenza
parigina del 1884, non soddisfaceva alla condizione di una ap-
prossimazione sufficiente col valore della resistenza io" C, (l. S,;
invece di essere inferiore ad un millesimo come aveva dichia-
rato dover essere la stessa Conferenza di Parigi nel 1882, tale
differenza raggiungeva circa i tre millesimi. Per questa ragionr
il Board of Trade di Londra, ncJh ostante le decisioni della Con»
ferenza, aveva adottato per la lunghezza della colonna di mer-
curio che rappresenta Vohm il valore dì centimetri 106,3 \ '*
questo valore aveva incominciato ad adoperarsi da molti Sf)eri-
mentatori inglesi. D'altra parte le investigazioni ed i confronti
istituiti dal prof. Dorn di Halle sulle varie detcrminnzioni del-
432 Sul Congresso Internazionale
Vohm avevano condotto questo scienziato alla conclusione che
la esatta lunghezza della colonna mercuriale rappresentante la
resistenza lo^ C C S. è compresa tra centimetri
106,2 e 106,3
e che è più vicina al secondo che al primo limite. E in base
a questo risultato il ReichsanstaU tedesco in Charlottenburg, nel
suo progetto per le determinazioni legali sulle unità di misura^
aveva proposto l'adozione del valore 106,3, come quello che con
solo quattro cifre esprime Vohm colla massima esattezza.
Era dunque naturale che si presentasse la questione se con-
venisse sostituire zWohm legale del 1884 una nuova unità basata
su questi risultati, e conforme a queste proposte.
20. In secondo luogo rimaneva ancora, dopo la Confe-
renza di Parigi, insoluto il problema di dare alla pratica un
sistema di unità di misura così definito da escludere completa-
mente il bisogno di ricorrere alle misure assolute. A tal uopo
sarebbe stato necessario avere dato una definizione pratica, non
di una sola, ma di due unità di misura: non solamente d^Wohm,
ma déWohm e d^Wampère o dtWohm e del volt. Una via per
risolvere questo problema poteva essere quella di definire pra-
ticamente Vampère per mezzo della grandezza di un deposita
elettrolitico. Anzi a questo riguardo si avevano proposte con-
crete. L'intensità di una corrente elettrica si può misurare con
esattezza per mezzo della quantità di argento deposto elettroli-
ticamente. Questa quantità è, per un ampère in un secondo,,
uguale a 1,11826 mg. se si sta ai risultati di F. e W. Kohlrausch^
ed a 1,11794 se si sta alle determinazioni di Lord Rayleigh. Il
Board of Trade ha assunto il valore 1,118, il quale può ritenersi
come sicuro a meno di 0,001 mg., ed ha basato su questo nu-
mero una definizione óelVa^npère,
Definiti in tal modo Vohm e Vampère risulterebbe definita
praticamente, per mezzo della legge di Ohm, anche il volt
La stessa proposta è stata fatta anche dal Reichsanstalt nel
progetto sovraricordato. •
Un'altra via, la quale però prima del Congresso di Chicago
non era stata prescelta da alcuno, sarebbe quella di definire di-
rettamente il volt per mezzo di una pila campione, per dedurre
poi, per mezzo della legge di Ohm, una definizione indiretta
deWampère.
di elettricità in Chicago iSgj 433
Si presentava adunque al Congresso la questione se con-
venisse seguire alcuna di queste due vie e quale di esse.
21. In terzo luogo aspettavano ancora la sanzione di un
corpo ufficiale le unità di lavoro e di potenza motrice stabilite
dal Congresso di Parigi del 1889.
Il Congresso aveva poi dinanzi a sé la proposta dell'Istituto
americano degli ingegneri elettricisti di designare col nome di
henry quella unità di misura che nel Congresso di Parigi del 1889
era stata denominata quadrante, proposta che era stata uno dei
moventi principali della convocazione del Congresso di Chicago.
Infine rimanevano aperte le questioni relative alla scelta di
una unità fotometrica, e si doveva soddisfare la promessa di
prendere in considerazione le proposte dell'Hospitalier per una
convenzione sulle annotazioni.
Oltre che su queste questioni, le quali erano una eredità
dei Congressi e delle Conferenze precedenti, la Camera dei de-
legati era chiamata a deliberare sopra una serie di proposte di
nuove unità e di nuovi nomi, le quali erano state formulate da
una Commissione appositamente nominata dall'Istituto americano
degli ingegneri elettricisti.
Le unità, a cui qui si accenna, erano quelle di forza magneto-
motrice, di flusso magnetico, di intensità magnetica, di riluttanza
magnetica, di conduttività elettrica, di illuminazione; i nomi pro-
posti erano rispettivamente: gilbert, weber, gauss, oersted, mho,
e candela metro,
22. Deliberazioni della Camera dei delegati. — Le delibera-
zioni della Camera dei delegati relative alle questioni ed alle
proposte sovranumerate furono tutte prese alla unanimità. Noi
le riassumiamo qui tradotte con quella maggiore fedeltà che la
differenza delle lingue consente; svolgeremo poi più sotto le
principali considerazioni che si presentarono nella discussione
e quelle riflessioni che le deliberazioni adottate ci sembrano
meritare.
La Camera dei delegati deliberò di raccomandare ai vari
Governi, rappresentati da delegati nel Congresso internazionale
degli elettricisti, di adottare formalmente come unità legali per
le misure elettriche le seguenti :
" Come unità di resistenza Volwt internazionale, che è ba-
sato sopra Vohm uguale a 10^ unità di resistenza del sistema
C. G. S, di unità elettromagnetiche, ed è rappresentato dalla
resistenza offerta ad una corrente elettrica costante da una co-
G. Ferraris, Open, Voi. II. a8
434 ^5"^ Congresso Internazionale
lonna di mercurio alla temperatura del ghiaccio fondente, della
massa di 14,4521 grammi, di sezione trasversale uniforme e delia
lunghezza di 106,3 ^m.
" Come unità di corrente, Vampère internazionale, che è un
decimo della unità di corrente del sistema C, G, S, di unità
elettromagnetiche e che è rappresentato abbastanza bene, per
Tuso pratico, dalla corrente costante, che, fatta passare attraverso
ad una soluzione di nitrato d'argento nell'acqua, ed in confor-
mità colle annesse istruzioni ^ deposita argento nella ragione
di 0,001118 grammi per minuto secondo.
" Come unità dì forza elettromotrice, il volt intemazionale,
che è la forza elettromotrice, la quale, agendo in modo continuo
su di un conduttore la cui resistenza è un ohm internazionale,
produce una corrente di un ampère internazionale, e che è rappre-
sentato abbastanza bene per l'uso pratico da ^^®*^/u84 della dif-
ferenza di potenziale fra i poli della pila voltaica conosciuta sotto
il nome di pila Clark ad una temperatura di 15® centigradi, e
preparata nel modo descritto nell'annessa istruzione. *
^ Nelle seguenti istruzioni la parola " voltametro ad argento » significa
l'apparecchio, per mezzo del quale una corrente elettrica vien fatta passare
attraverso ad una soluzione di nitrato d' argento nell' acqua. Il voltametro ad
argento misura la totale quantità di elettricità che è passata durante l'esperi-
mento, e notando la durata di questo, si può dedurre il valore medio (rispetto
al tempo) della corrente, o, se la corrente è stata tenuta costante, la corrente stessa.
Nell'impiego del voltametro ad argento per misurare correnti di circa un
ampere si debbono adottare le seguenti disposizioni :
Il catodo, su cui 1* argento deve depositarsi, deve avere la forma di una
tazza di platino di diametro non minore di io cm. e di 4 a 5 cm. di profondità.
L'anodo deve essere una lamina d'argento puro di circa 30 cm.^ di super-
fìcie e di a o 3 mm. di grossezza.
Questa è sostenuta orizzontalmente nel liquido presso la superficie di questo
per mezzo di un filo di platino passato attraverso a fori praticati nella lamina,
presso il contorno, in punti opposti. Per evitare che l'argento disaggregato, che
si forma sull'anodo, cada sul catodo, l'anodo deve essere avvolto con carta da
filtro pura, assicurata al dorso della lamina per mezzo di ceralacca.
Il liquido deve consistere in una soluzione neutra di nitrato d'argento
puro, contenente 15 parti in peso di nitrato su 85 parti d'acqua.
La resistenza del voltametro varia alcun poco quando passa la corrente.
Per evitare che questi cambiamenti abbiano un effetto troppo grande sulla
corrente, deve essere inserita nel circuito una conveniente resistenza oltre
quella del voltametro. La resistenza metallica totale del circuito non deve es-
sere minore di io ohm,
" Una Commissione, composta dei signori Ilelmholtz, Ayrton e Carhart, fu
incaricata di preparare le istruzioni per la pila di Clark. La relazione di tale
Commissione non fu ancora ricevuta.
di elettricità in Chicago i8^j 435
" Come unità di quantità di elettricità, il coulomb intema-
zionale, che è la quantità di elettricità che si trasmette durante
un minuto secondo in un circuito percorso da una corrente
eguale ad un ampère internazionale.
" Come unità di capacità elettrostatica, il farad intemazio-
nale, che è la capacità di un condensatore il quale è caricato ad
una differenza di potenziale di un volt internazionale da una
quantità di elettricità uguale ad un coloumb internazionale.
** Come unità di lavoro, il joule, che è uguale a 10^ unità
di lavoro nel sistema C. G, S,, e che è rappresentato abba-
stanza bene per Tuso pratico dal lavoro fatto in un secondo da
un ampère internazionale in un ohm internazionale.
** Come unità di potenza, il tvatt, che è .uguale a 10^ unità
di potenza nel sistema C. G. S., e che è rappresentato abba-
stanza bene per l'uso pratico * dal lavoro fatto nella ragione di
un joule per secondo.
" Come unità di induzione V henry, che è l'induzione in un
circuito, quando la forza elettromotrice indotta in questo circuito
è un volt internazionale, mentre l' intensità della corrente indut-
trice varia nella ragione di un ampère per minuto secondo. ^
23. Queste sono le sole unità elettriche pratiche stabilite.
Sulle proposte che erano state portate al Congresso, come sopra
si è detto, relative alla adozione di una serie di altre unità e
particolarmente dì unità pratiche magnetiche, la Camera dei de-
legati votò unanimemente in senso negativo. Essa affermò anzi
-esplicitamente, ed all'unanimità, il parere che non si abbia a sta-
bilire più alcun'altra unità pratica oltre a quelle sovradefìnite.
Essa deliberò di raccomandare per le misure magnetiche le unità
assolute C. G. S,, e stabilì che per ora non si abbiano a dare
nomi speciali a tali unità.
24. Per ciò che riguarda l'unità di luce, la Camera dei de-
legati si limitò ad udire la relazione della Sottocommissione com-
posta dei signori Violle, S. P. Thompson, Nichols, Budde, Lum-
tner e Palaz, e ad approvarla. Tale relazione era la seguente:
*" La Commissione incaricata di prendere in esame i cam-
pioni di luce rassegna la seguente relazione.
" La Commissione discusse lungamente intorno alle varie
* Le parole abbastattza bene per l'uso pratico (sufficiently well for practical
use) sono di troppo, e sono dovute a una svista di redazione, la quale passò
•inosservata all'atto della firma del protocollo.
436 Sul Congresso Internazionale
forme suggerite per campioni pratici, ed in particolare intorno
alle due speciali forme di lampade designate rispettivamente coi
nomi di lampada ad amil-acetato di von Hefner Alteneck e di
lampada a pcntano di Vernon Harcourt. La sola lampada pra-
tica, attualmente presentata alla Commissione, è la nuova lam-
pada di Hefner, la quale, ben che sia stata sottoposta a prove
laboriose al Reichsanstalt ed ivi sia stata dichiarata esatta nel
limite di due percento, tuttavia non ha ricevuto alcuna larga prova
in altri paesi. D'altra parte fu riferito che la lampada a pentano,
nella sua nuova forma perfezionata, era in Inghilterra preferita
per la fotometria delle fiamme a gas. Si rimprovera alla lam-
pada a pentano che la composizione del pentano del commercia
non è sufficientemente ben definita; ed alla lampada ad amila-
cetato si rimprovera che il colore della sua luce è troppo rosso.
Finalmente si fa l'obbiezione a tutte le lampade a fiamma libera,,
che esse vanno troppo soggette ad essere influenzate da va-
riazioni nella pressione, nella temperatura e nella umidità del-
l'aria. Egli è ammesso, d'altra parte, che finora non fu trovata
ancora alcuna lampada elettrica atta a servire come conveniente
campione pratico. In tale stato di cose fuvvi una netta divisione
di opinioni nella Commissione, tra quelli che propugnavano l'a-
dozione della lampada di von Hefner come campione indipen-
dente, e quelli che desideravano di conservare lo statu quo finché
ulteriori ricerche fossero state eseguite in vari paesi. Venne
proposto dai dottori Budde e Lummer che la lampada di von
Hefner, costrutta esattamente in conformità delle specificazioni
del signor von Hefner Alteneck, fosse introdotta come campione
pratico provvisorio di luce, e che il problema di determinare il
suo valore in funzione dell'unità assoluta fosse lasciato ad ul-
teriori ricerche.
" Posta ai voti, questa proposta ebbe due voti favorevoli e
quattro contrari.
*• La seguente mozione, proposta dai signori Palaz e Thomp-
son, e modificata dai dottori Budde e Lummer, fu allora appro-
vata all'unanimità:
" La Commissione, mentre riconosce il grande progresso
verificatosi nella lampada campione di von Hefner Alteneck e
la grandissima importanza delle ricerche eseguite nel Reichs-
anstalt, riconosce eziandio che altri campioni sono stati proposti
e si stanno ora provando, e che vi sono serie obbiezioni a qua-
lunque specie di campione, nel quale sia adoperata una fiamma
di elettricità in Chicago i8^j 437
libera. Perciò la Commissione non è in grado di raccomandare,
al giorno d'oggi, né l'una né l'altra delle lampade di von Hefner
ed a pentano, ma raccomanda che tutte le nazioni vengano in-
vitate a far ricerche in comune su campioni pratici ben definiti,
e sulla conveniente realizzazione dell'unità assoluta. „
25. L'esame delle proposte di Hospitalier relative alle no-
tazioni ed ai simboli fu affidato ad una Commissione, la quale
presentò la sua relazione nella penultima seduta della Camera.
Questa però dopo una viva discussione deliberò di prendere
semplicemente atto della relazione e di stamparla come appen-
dice ai processi verbali delle sedute.
26. Oltre le questioni prese in esame e risolte nel modo che
abbiamo esposto, le quali tutte riguardavano le unità di misura,
la Camera dei delegati ebbe a trattare un quesito, che le era
presentato dagli interessati nella industria della illuminazione
elettrica con lampade ad arco voltaico. Siccome è uso in tale in-
dustria di indicare per le lampade potenze luminose nominait
talvolta molto differenti dalle reali, e siccome non per tutti i
sistemi di lampade sono in uso a questo riguardo convenzioni
uniformi, cosi si desiderava che la Camera dei delegati stabilisse
come regola una relazione convenzionale tra la potenza lumi-
nosa nominale e le costanti della corrente elettrica. Ma dopo
qualche discussione la Camera deliberò che questa non potesse
considerarsi come materia di importanza internazionale, e che
quindi la mozione non avesse da prendersi in considerazione.
CAPO IH.
Considerazioni svolte nelle discussioni e riflessioni
intorno alle deliberazioni prese.
27. Ohm intemazionale. — Le considerazioni che condussero
il Congresso a modificare la definizione dell'oAm e a sostituire
àWohm legale del 1884 l'attuale ohm internazionale sono già state
in gran parte indicate all'art. 19, nel quale abbiamo ricordato le
risultanze delle indagini che furono eseguite sul valore A^Wohm
dopK) la conferenza internazionale di Parigi. In quelParticolo ab*
biamo anche notato come, indipendentemente da qualunque de-
43^ Sul Congresso Internazionale
terminazione di Congressi internazionali, il nuovo valore deiro/iw
fosse già stato fissato dal Board of Trade, la deliberazione del
quale sta per essere tradotta in legge, e come la stessa cosa
fosse avvenuta in Germania per opera del Reichsanstalt. Era
adunque a temersi che mantenendo l'antica definizione sarebbe
in breve tempo sorta una confusione più grave a quella a cui
si va incontro col modificarla ; tanto più che Vohm legale non
aveva avuto sanzione giuridica in nessun paese, e in alcuni
luoghi non erasi ancora sostituito all'antica unità dì Siemens.
Oltre alla differenza di valore tra Vohm internazionale e
Vohm legale si nota differenza nelle loro definizioni. La defini-
zione àéWohm internazionale è quella proposta per l'o/rw pratico
dal Reichsanstalt e differisce tanto da quella déX'ohm di Parigi
quanto da quella AtWohm del Board of Trade per questo, che
in essa non è indicata Tarea della sezione della colonna mer-
curiale, ma è indicata invece la massa della colonna medesima.
Questa modificazione è razionale. Infatti nella preparazione di
resistenze a mercurio secondo l'antica definizione si presenta
la circostanza che non si è in grado di determinare la sezione
del tubo di vetro, che il mercurio riempie, per mezzo di misure
lineari, ed inoltre tale sezione non 6 nemmeno esattamente
eguale a quella della colonnina di mercurio. Si è perciò obbli-
gati a determinare in grammi, per mezzo di una pesata, la massa
del mercurio riempiente il tubo, ed a dedurre da tale massa,
dalla lunghezza misurata della colonna, e dalla densità del mer-
curio l'area della sezione. Ma qui entra in giuoco la relazione
fra le misure di lunghezza e quelle di massa, che in origine erano
state poste a base del sistema metrico decimale. Ora questa re-
lazione è nota solamente con una approssimazione di o,oi per
cento al più; e l'incertezza che ne deriva intaccala determina-
zione òtWohm, qualora sia necessaria per questa la misura della
sezione della colonna del mercurio. Per contro, tale incertezza
risulta eliminata se si adotta la definizione ora prescelta, perchè
in essa la massa, che si misura direttamente, figura propriamente
come elemento della definizione, e non soltanto come mezzo
per il calcojo della sezione. Per il calcolo della massa il peso
specifico del mercurio a o® fu assunto in base alle migliori de-
terminazioni conosciute come eguale a 13,5956.
Per queste considerazioni bassi a ritenere che la delibera-
zione del Congresso di Chicago sia completamente giustificata,
e si può sperare che l'unità di resistenza ora fissata rimanga
dì elettricità in Chicago ìSgj 439
definitiva, finché almeno non abbiasi a cambiare radicalmente
tutto il sistema delle misure elettriche.
Il riferente però deve fare sulla definizione adottata un ap-
punto, ed è il seguente : Siccome lo scopo, a cui si mirava nei
dare per Vohm una definizione pratica, era quello dì eliminare
completamente il bisogno di ricorrere nella pratica a misure as-
solute, così sarebbe stato più razionale l'escludere dalla defini-
zione ogni accenno al valore dell'oAm in unità assolute. Per
questo motivo sarebbe stato preferibile adottare senz'altro una
definizione simile a quella proposta dal Reichsanstalt, la quale,
del resto, è identica a quella adottata àa}^ EUctrical Standards^
Contmittee della British AssocicUion.
28. Ampère e volt internazionali. — Per ciò che riguarda
le definizioni éeW ampère e del z»o//, si è già detto più sopra,
all'art. 20, quale fosse il desideratum della pratica. Sarebbe stato
desiderabile potere completare l'opera de' precedenti Congressi
e della Conferenza di Parigi col dare per l'una o per l'altra dì
queste due unità una definizione pratica,, nella quale non si fa-
cesse alcun accenno alle unità assolute, e poi definire l'altra per
mezzo di quella e AéiVohm, Soltanto così si sarebbe eliminato
completamente il bisogno di ricorrere a misure assolute. La via
migliore per arrivare a tale risultato pareva nettamente trac-
ciata. Infatti le ricerche dei professori F. e W. Kohlrausch e
di Lord Rayleigh, delle quali si è fatto cenno più sopra (art. 20)^
davano ormai, colla loro concordanza, la certezza di potere per
mezzo dell'elettrolisi del nitrato d'argento definire Vampèrc con
un errore inferiore ad un millesimo. Questa via era stata pre*
scelta già concordemente dal Comitato per le misure elettriche
del Board of Trade, e dal Reichsanstalt; e la maggior parte dei
delegati era andata a Chicago colla previsione che la Camera
dei delegati avrebbe fatto lo stesso.
Nel fatto la convinzione sulla convenienza di definire fin
d'ora nel modo detto, e recisamente, le unità in questione non
si appalesò nella Camera dei delegati così radicata e così gene-
rale come si sarebbe potuto prevedere. Ma ciò che propria-
mente fece sì che la Camera non si decidesse risolutamente ad
adottare questo partito, fu la dichiarazione fatta da Helmholtz
che le ricerche eseguite nel Reichsanstalt lo avevano convinto
della possibilità di dare per mezzo della pila campione di Clark
una definizione diretta del volt altrettanto precisa, sicura e con-
veniente quanto quella che si voleva dare dell'amarra per mezzo
440 Sul Congresso Internazionale
del voltametro ad argento. Egli affermò che ciò si poteva fare
con vantaggio, purché nella preparazione e nell' impiego della
pila campione si osservassero alcune cautele, che le ricerche del
Reichsanstalt permettevano ormai di fissare. Il peso della opi-
nione del grande scienziato favorevole alla definizione del voli
colla pila Clark controbilanciò quello delle molte ragioni che mi-
litavano in favore della definizione voltametrica óéìVampère; e
la Camera dei delegati, mirando ad abbracciare entrambe le so-
luzioni, finì col non adottare nettamente né Tuna né l'altra. Così
si venne a definire \* ampère internazionale ed il voli internazionale
per mezzo dei loro rapporti colle rispettive unità assolute elet-
tromagnetiche C. G. S. , e ad indicare i valori definiti per mezzo
del voltametro e della pila campione semplicemente come valori
approssimativi sufficienti per la pratica usuale, senza pensare che
in questo modo si rendeva inutile anche lo stesso epiteto:
* internazionale „. Questo sarebbe riuscito, invece, molto oppor-
tuno qualora lo si fosse adottato per designare V ampère definito
col voltametro ad argento, ed il volt definito per mezzo di tale
ampère e dell'o/iw internazionale, oppure il volt definito colla
pila di Clark, e Vampère definito con tale volt e con Vokm in-
ternazionale. Fra queste due soluzioni poi sarebbe stata più con-
forme alla opinione generale, e molto probabilmente più pratica
la prima, quella cioè nella quale si definisce direttamente Vam-
père internazionale e si deriva poi la definizione del volt inter-
nazionale dall'ohm e édXVampère internazionale.
Tale soluzione, anzi, si imporrà da sé se non verranno for-
mulate secondo la promessa di Helmholtz le istruzioni per la co-
struzione e per l'impiego della pila campione di Clark, o se si
avvererà il dubbio che il ritardo della Commissione incaricata dalla
Camera dei delegati di preparare tali istruzioni a presentare la
sua relazione (tuttora attesa) sia appunto dovuto all'imi>ossibilità
attuale di ottenere colla pila Clark una esattezza nelle misure, pa-
ragonabile a quella che si può ottenere col voltametro ad argento.
Queste considerazioni^ che il riferente con altri ha sostenuto
nella Camera dei delegati, e che dovevano essere qui accennate,
non tolgono però che nella pratica le deliberazioni del Congresso
possano avere benefici effetti. Infatti Taffermazione contenuta nella
definizione dell'am^^r^ internazionale, che la misura elettrolitica
offre una esattezza sufficiente per gli usi pratici, farà sì che nel
fatto la definizione elettrolitica sarà quella di cui la pratica si
servirà sempre.
di eUitricità in Chicago iS^j, 441
ag. Joule e watt. — Nelle definizioni del fottìs e del watt
non è stato adoperato, come in quelle dell'oAtir, óiAVampàrt^ del
volt, del comiofnb e del farad, Tepiteto intemazionale. Ciò si fece
dietro un'osservazione messa innanzi dal riferente* L'osserva*
zione è stata questa: il joule e il watt sono unità appartenenti
alla pura meccanica, le quali si possono definire indipendente-
mente da qualunque considerazione relativa a grandezze elet-
triche, tantoché fin d'ora vengono adoperate anche nei corsi
elementari di meccanica. La loro definizione deve essere basata
direttamente ed unicamente sulle unità fondamentali di lunghezza»
di massa e di tempo, perchè nella meccanica le misure dei la-
vori si fanno per mezzo di tali grandezze. Anzi è desiderio più
volte espresso queUo che Tuso di queste unità assolute di la*
voro e di potenza si introduca e si popolarìzzi, non solo nel*
r industria elettrica, ma anche nella meccanica generale. Il Con^
gresso di Parigi del 1889 aveva emesso formalmente questo
voto, ed aveva deciso, come si è accennato al n. io, che fossero
fatte pratiche presso il Congresso di meccanica industriale, che
allora era pure riunito in Parigi, acciocché venisse adottato
formalmente come unità industriale di potenza motrice invece
del cavallo-vapore il kiiowatt.
Per queste considerazioni il riferente si oppose con successo
a che si definissero, come da alcuni si proponeva, il joule e il watt
per mezzo del volt, AéiVampère, e del coulomb internazionali; e
inoltre ottenne che si sopprìmesse per queste due unità l'epiteto
di interttaziofiale, il quale avrebbe fatto supporre che le due unità
adottate fossero diverse da quelle basate sulle unità assolute.
Il riferente crede che le definizioni sarebbero riuscite anche
migliori, se neir indicare la relazione approssimativa esistente
tra il joule e le unità elettriche internazionali, si fosse conside-
rato il coulomb internazionale invece dell'am^^r^ durante un se-
condo, e déìVampère si fosse parlato relativamente al watt. Egli
osserva inoltre che la seconda parte della definizione del watt
è inutile, e che in ogni caso le parole abbastanza bene per fuso
pratico (sufjiciently well far practical use) dovrebbero essere sop-
presse.
Però le mende delle definizioni non diminuiscono il bene-
fizio che deriverà dall'aver dato una sanzione ufficiale alle due
unità di misura, le quali erano già diventate famigliari ai pratici.
30. Henry. — Coiraccettare Vhenry fra i nomi delle unità
di misura elettriche, il Congresso non solamente diede soddisfa-
44^2 Sul Congresso Internazionale
zione ad un giusto desiderio degli Americani, ma fece anche
cosa pratica, in quanto che sanzionò un nome che aveva già
incominciato, anche fuori deirAmerica, a diffondersi ed a po-
polarizzarsi fra gli elettricisti. Si può dire che la nuova deno-
minazione era già entrata nella pratica prima che il Congresso
la proclamasse.
La definizione che la Camera dei delegati ha formulato, ha
il merito di eliminare le dubbiezze che derivavano dalla man*
canza di una convenzione sul significato da attribursi alla parola
coefficiente di induzione nel caso in cui questo coefficiente, per
la presenza di ferro o di altro corpo magnetico, è variabile
coir intensità della corrente. 11 nome coefficiente d'induzione era
adoperato in due significati diversi: talora serviva a rappresen-
tare il flusso d'induzione magnetica per unità d'intensità di
corrente, talora per rappresentare la derivata del flusso rispetta
all' intensità della corrente.
Ora colla definizione data, nella quale è detto: " ...quando
la forza elettromotrice indotta è un volt internazionale y mentre
V intensità della corrente induttrice varia nella ragione di un afn-
fière per minuto secondo „, viene ad essere adottato il secondo
significato. Solo è a lamentarsi che nella definizione, per evitare
la dicitura unità di coefficiente d'induzione^ la quale realmente
non è soddisfacente, non si sia trovata per sostituire alle pa»
role coefficiente d'induzione altra locuzione che induzione, la
quale è già adoperata in troppi significati.
31. Proposte di nuove unità e di nuovi nomi. — Col respingere
tutte Je proposte che erano state presentate relativamente a nuove
unità pràtiche, oltre a quelle già definite, e a nuove denominazioni,
la Camera dei delegati fece cosa indubbiamente lodevole. È certa-
mente l'evidenza dei vantaggi, che nella pratica elettrotecnica
si sono ricavati dall'introduzione di un sistema internazionale
di unità, e dall'impiego di nomi convenienti per designarli»
quella che di quando in quando fa pullulare nuove proposte
analoghe a quelle che il Congresso, trovò davanti a sé. Ma
questa tendenza deve essere. contenuta fra limiti ragionevoli. Se
è evidente l'utilità di avere nomi speciali, brevi e comodi, per
designare le unità fondamentali e quelle relative alle grandezze
che servono a dare un'idea della potenza, del valore delle mac-
chine, degli apparecchi, delle condutture, e della grandezza degli
effetti che dai medesimi si possono ottenere, ed hanno perciò
un'importanza industriale e commerciale, è evidente eziandio
di elettricità in Chicago iS^j. 443
che non si farebbe altro che complicare inutilmente e rendere
meno chiaro il linguaggio ed aumentare il pericolo di errori ^
quando si volessero stabilire e designare con nomi speciali unità
di misura per tutte le grandezze, attraverso alle quali si svol*
gono i calcoli di un ingegnere, mentre questi sta studiando un
apparecchio o un impianto, ma alle quali non si ha più da ri-
correre in modo continuo nell'uso dell'apparecchio o dell'im-
pianto medesimo.
Per introdurre tali unità non vi ha maggior ragione dì
quella che vi sarebbe per stabilire altrettante unità con nomi
speciali per le velocità, le accelerazioni, i momenti delle forze^
i momenti d'inerzia, le densità, i calori specifici e simili.
Le unità assolute C G. 5. servono senza alcuna difficoltà,
all'infuori di quella derivante dal bisogno di far uso talvolta di
potenze di io, per tutti i bisogni della pratica; e quando esse
si presentano non occorre quasi mai di nominarle. Spesso un
nome sarebbe di puro imbarazzo. Perciò la Camera dei delegati
fece cosa opportuna raccomandando l'uso delle unità assolute
per le misure magnetiche e deliberando che ad esse non si ab-
biano per ora a dare dei nomi.
SULLA
TRASMISSIONE ELETTRICA
DELL'ENERGIA
(Lettura fatta nella solenne adunanza del 3 giugno 1894
alla R. Accademia dei Lincei.)
Sire, Graziosissima Regina,
Signore, Signori.
La scienza ha ideali più alti dì quello dell'utile materiale di-
retto; tuttavia essa non può non compiacersi dell'inno di rico-
scenza che la società innalza a lei per i trovati che di continuo
essa mette a disposizione delle industrie : essa non può nemmeno
non ricambiare la gratitudine colla gratitudine e non ripensare
che, se molte grandiose applicazioni tecniche sono frutto dell'opera
sua disinteressata, essa in ricambio va attingendo nelle applica-
zioni stimolo, mezzi ed idee.
Io penso che, affidando a me l'onorifico compito di parlare
in questa adunanza solenne, il nostro Presidente è stato mosso
appunto da questo pensiero, e mi ha voluto dire: Tu che, pur
vivendo per la scienza, sei per i tuoi studi istessi messo di fre-
quente a contatto colle applicazioni, tu in questo giorno di ri-
poso e di festa metterai davanti agli occhi dell'Accademia qual-
cuna delle grandi applicazioni moderne; e parlerai di due cose:
del suo stato presente, e dei benefizi che in ricambio la scienza
ha avuto da essa. Ed io scelgo un'applicazione, che, mentre ò
una fra molte, è nel tempo stesso, considerata dall'alto, la sin-
tesi di molte ; la trasmissione a distanza e la distribuzione elet-
trica dell'energia.
446 Sulla trastnissione elettrica
Le applicazioni alle quali, secondo l'uso attuale della parola
si allude, quando si parla di trasmissione e di distribuzione elet-
trica dell'energia, incominciarono ad essere possibili dopo il 1872
o 1873, quando si costrussero le prime macchine dinamoelet-
triche con forme e con proporzioni di macchine industriali. Ma
allora una macchina si diceva grande quando aveva la potenza
di sei o sette cavalli; e ancora nel 1877 ^^^ macchina destinata
alla illuminazione soleva alimentare una lampada sola; pareva
un grande risultato poter sostituire un apparecchio meccanico
a quell'ingombrante, costoso ed uggioso arnese che era una bat-
teria di cinquanta elementi di pila Bunsen. La prima esperienza
di trasmissione, nella quale l'energia sia stata raccolta alla sta-
zione di arrivo come energia meccanica, era stata fatta fin dal
1873 nella esposizione universale di Vienna, ma era stata fatta
involontariamente, per uno sbaglio ; ^ e il risultato della fortuita
esperienza non veniva utilizzato, per parecchi anni, se non in
modesti tentativi per muovere qualche pompa o qualche aratro.
E ancora nel 1881 a molti sembravano paradossali le idee che
Marcel Deprez esponeva nel Congresso elettrico di Parigi in-
torno alla possibilità di trasmettere il lavoro meccanico econo-
micamente alla distanza di qualche chilometro. Quelli erano i
tempi antichi, leggendari dell'Elettrotecnica; la storia della tra-
smissione elettrica dell'energia, intesa come tale, comincia solo
da quei tempi.
Ed ora? Ora noi vediamo città intiere, dove per la illumi-
nazione, per la locomozione, per il lavoro nelle officine e quasi
per ogni casa l'energia viene distribuita mediante una rete di
conduttori, che si diramano da gigantesche stazioni centrali; città
dove si vive come in mezzo ad una grande macchina, che tutto
abbraccia e tutto muove. Noi vediamo opifizi, o gruppi di opifizi,
o città intiere, che per l'illuminazione, o per il lavoro delle mac-
chine, ricevono l'energia da motori idraulici distanti diecine di
chilometri; e dopo di avere assistito nel 1891 ad un esperimento,
nel quale da Lauffen sul Neckar a Francoforte sul Meno, alla
distanza di 170 chilometri si è trasportato il lavoro di quasi
^ Nella esposizione internazionale di elettricità di Vienna nel 1883 un ope-
raio, incaricato di mettere in circuito una dinamo di Gramme, sbagliò gli at-
tacchi ed inserì la macchina su reofori attivi. Questa si pose tosto in movimento
funzionando come motore. L^osservazione fu fatta e pubblicata dal sig. Hxppo-
LYTE FONTAINE.
dell'energia. 447
200 cavalli, ^ noi assistiamo in questi giorni alla esecuzione di
una prima parte di un impianto col quale 50.000 cavalli dinamici,
tolti alle cataratte del Niagara, saranno fra poco distribuiti elet-
tricamente, per le industrie e per la illuminazione, dentro un
raggio di centinaia di chilometri. *
Dai modesti primordi, che ho ricordato, alla attuale gran-
dezza, le applicazioni della trasmissione e della distribuzione
elettrica dell'energia camminarono a grandi passi.
Precedette ogni altra l'applicazione alla illuminazione, sul
rapido cammino della quale noi troviamo come pietre miliari:
l'attuazione dei grandi sistemi di distribuzione in parallelo di
Edison, l'allargamento di questi per mezzo dell'impiego, ideato
«da yopkinson, dei tre conduttori, e, principalissima fra tutte, la
distribuzione indiretta coi trasformatori a correnti alternative.
Quest'ultima, sulla quale Luciano Gaulard, abbattendo molti pre-
giudizi, con entusiasmo di apostolo, aveva saputo richiamare l'at-
tenzione dei tecnici, in breve, per la razionale applicazione che ne
fecero Zipernowsky, Déri e Blàthy, prese forma di un sistema
completo ed armonico, ed è ora la base sulla quale si appoggiano,
oltreché per le altre applicazioni, anche per la distribuzione del
lavoro meccanico, i più importanti studi e le maggiori speranze. ^
' Il resoconto ufficiale delle esperienze di LaufTen-Francoforte, redatto dal
prof. H. F. Weber del Politecnico di Zurìgo, è stato recentemente pubblicato
nel secondo volume della relazione ufficiale sulla esposizione di elettricità di
Francoforte sul Meno, 1891 (Frankfurt am Maìn, J. D. SauerUnder 1894).
' L'impianto attualmente in costruzione a Niagara Falls, che è la metà di
quello definitivo progettato, è destinato a ricavare dalle cascate del Niagara
circa looooo cavalli dinamici, dei quali una metà si utilizzerà sul posto e l'altra
metà verrà trasmessa a distanza con correnti elettriche. La zona, entro la quale
è progettata la distribuzione, comprende fin d'ora la città di Biiflalo, che è a
circa 35 chilometri dalle cascate, ma potrà estendersi a distanze molto mag-
giori. Infatti la Società delle Cataratte ha già fin d'ora fatto proposte concrete
per sommin'strare l'energia per la navigazione sul canale dell'Eric fino ad
Albany (a circa 500 chilometri). Attualmente si stanno collocando le turbine.
Per la trasmissione elettrica fu prescelto il sistema bifase con piccole frequenze.
Le macchine dinamo-elettriche ed i motori elettrici saranno costrutti nelle offi-
cine della compagnia Westinghouse.
' Le esperienze del Gaulard, le quali richiamarono l'attenzione dei tecnici
Bui trasformatori a correnti alternative, e distrussero la credenza che tali ap-
parecchi non potessero avere rendimenti accettabili, ne potessero servire a
pratiche applicazioni, furono eseguite a Torino nella sezione internazionale di
elettricità della esposizione generale del 1884. Gaulard non fu il primo ad im-
cnaginare i trasformatori, né seppe applicarli nel modo più conveniente, ma
•ebbe il grande merito di avere avuto la fede nel successo e di averla saputa
44^ Sulla trasmissione elettrica
Le applicazioni, nelle quali l'energia trasmessa serve a lavori
meccanici, seguirono, naturalmente, progressi paralleli. Dopo che
le pubblicazioni di Kapp e di Hopkinson ebbero resi popolari
i concetti direttivi per Io studio delle macchine dinamoelettriche,.
la costruzione de' motori elettrici a corrente continua, la loro
regolazione e l'impiego di essi per la trasmissione fra due sta-
zioni, o per la distribuzione del lavoro alle numerose macchine
di un vasto opifizio^ o a vari utenti collegati con una rete di
conduttori servente nel tempo stesso alla illuminazione, diven-
nero problemi comuni di ordinaria ingegneria.
A speciale importanza crebbe in pochi anni la trazione elet-
trica. Nata in Europa per opera dì Siemens, questa trovò ur>
immenso campo di applicazione sul vergine suolo degli ^tati
Uniti d'America, dove, colle disposizioni introdotte dallo Spragu^r
da Thomson ed Houston e dai Westinghouse, le carrozze elet-
triche corrono attualmente su più di diecimila chilometri di bi-
nari ed i fili conduttori coprono, in parecchie città, a guisa di
pergolati, tutte quante le strade. Ove si ammettano tali pergo-
lati, la preferenza data alla trazione elettrica per l'interno delle
città si spiega facilmente pensando alla docilità de' veicoli, al-
l'assenza di locomotive producenti fumo, e, date opportune con-
dizioni di traffico, anche alla economìa. Ma l'assenza del fuma
potrà essere ragione sufficiente a consigliare questo modo di
trazione anche in altri casi, segnatamente nella traversata di
grandi gallerie. E la possibilità di ridurre il peso morto, la pos-
sibilità di utilizzare per l'aderenza tutto il peso del treno, a
buona parte di esso, la facilità di superare le curve più strette
e le più forti pendenze, e sopratutto la possibilità di adoperare
l'energia de' corsi d'acqua solcanti, parallelamente alla strada, il
thalweg delle vallate, potranno consigliare la trazione elettrica
anche su alcune strade ferrate destinate al grande traffico. Col
nuovo sistema potrà accadere che la trazione diventi la più eco-
nomica appunto ove ora è la più costosa. Il problema tecnico è
uno di quelli che fin d'ora si possono studiare e risolvere senza
infondere negli altri. Gli ingegneri Zipernowsky, Déri e Blàthy della fabbrica
Ganz e C." di Budapest, hanno il merito di avere costrutto fin dal 1885 trasfor-
matori a circuito magnetico chiuso e di averli adoperati in un sistema di distri-
buzione, ove non solo le lampade ne' circuiti secondari, ma anche i trasforma*
tori sulla rete primaria sono inseriti in parallelo. Questo è il solo modo pratico
per ottenere l'indipendenza non solo delle stazioni secondarie, ma di tutti gli
apparecchi utilizzatori.
dell'energia, 449
bisogno di nuove invenzioni. Le difficoltà attuali stanno tutte
nell'inerzia; non nella inerzia delle persone, ma in quella do-
vuta alla grande massa del materiale e del servizio, che bisogna
muovere o disturbare anche solo per fare un semplice esperi-
mento. Erberto Spencer nel suo Study of Sociology,^ volendo
dimostrare che una organizzazione molto progredita è spesso un
impedimento insuperabile a perfezionamenti ulteriori, si serve
appunto dell'esempio delle strade ferrate. Qualunque proposta
di un esperimento, il quale richieda una modificazione nel ma-
teriale fisso o mobile, od una alterazione qualsiasi nel servizio,
incontra necessariamente obbiezioni gravissime. L'importanza
del disturbo o della spesa è infatti commisurata alla importanza
del traffico ed alla corrispondente grandezza del materiale. E
appunto in questi giorni noi assistiamo ad un fatto che conferma
questa asserzione. Un ingegnere di bella fama, il signor Heil-
mann di Mohlhausen, desideroso di sperimentare la trazione elet-
trica sulle grandi strade ferrate, e convinto della impossibilità
di indurre una amministrazione a modificare la strada ed il ma-
teriale, come occorrerebbe per trasmettere ai motori viaggianti
la corrente prodotta in una stazione fissa, pensò di far viaggiare
su treno anche la stazione; ideò, cioè di collocare su di un carro
la macchina a vapore e la dinamo generatrice, che avrebbe
dovuto somministrare la corrente elettrica a motori distribuiti
lungo il treno. Egli pensava che, pur rinunziando, con questo
ripiego, a buona parte dei pregi della trazione elettrica, tuttavia
si sarebbero avuti risultati tali da incoraggiare ad esperimenti
più completi. Ma neppure questo progetto non risultò attuabile,
e l'ingegnere Heilmann si decise a riunire ogni cosa, la caldaia,
la dinamo, i motori, tutto su di un unico carro costituente una
locomotiva, nella quale gli apparecchi elettrici non fanno altro
che sostituire gli organi meccanici, che nelle macchine ordinarie
collegano gli stantuffi colle ruote motrici. La mostruosa loco-
motiva è in questi giorni l'oggetto di esperienze, dalle quali
certamente non si hanno ad attendere risultati ottimi. Ma ap-
punto perchè il congegno rappresenta un ripiego transitorio, lo
scopo dell'esperimento sarà raggiunto anche quando i risultati
sieno semplicemente mediocri. '
* Herbert Spencer, The study of Sociology (Library edition, being the
ninth, Williams and Norgate, London 1880, pag. 65).
^ Le esperienze colla locomotiva Heilmann si stanno facendo dalla Società
delle strade ferrate dell'ovest in Francia, sulla linea Havre-Parigi.
G. FxRRARis, Optrt, Voi. II. 39
450 Sulla trasmissione elettrica
Ma come per la illuminazione elettrica, così per il trasporto
elettrico dell'energia meccanica, l'ultimo passo è stato segnato
dall'impiego delle correnti alternative. E tale passo, benché non
sia ancora completo, è non pertanto sicuro ed accenna ad assu-
mere una importanza straordinaria. Infatti fin d'ora, mentre an-
cora durano le questioni e i dubbi intorno ai sistemi definitivi,
o preferibili, dei motori e delle reti di distribuzione, già si è
fatta generale la convinzione che per mezzo delle correnti al-
ternative il trasporto dell'energia si possa fare praticamente, e
nel miglior modo, a grandissime distanze e su vastissima scala.
E ciò che è più notevole e che interessa non soltanto questa
applicazione speciale, ma tutta la elettrotecnica, è che, non ap-
pena fu posto il problema della trasmissione con correnti alter-
native, d'un tratto le idee dei tecnici intorno ai limiti dei poten-
ziali praticamente adoperabili nella trasmissione ed alle distanze
raggiungibili con questa si allargarono prodigiosamente. Fu una
onda di fiducia che d'un subito invase il campo dell'elettrotec-
nica. Quando si cominciarono ad adoperare i trasformatori negli
impianti per la illuminazione elettrica, si adottavano sulla rete
primaria differenze di potenziali di 2500 o di 3000 volt, e pa-
reva molto; nella trasmissione da Tivoli a Roma, destinata an-
cora essenzialmente alla illuminazione, si arrivava a 5000 volt
e pareva di aver raggiunto il limite imposto dalla più elemen-
tare prudenza ; attualmente si parla come di cosa affatto naturale
e comune di differenze di potenziali di 10.000, di 15.000 e per-
fino di 20.000 e di 30.000 volt, e si intraprendono effettivamente
impianti basati su questi valori. Ai potenziali adottati corrispon-
dono le distanze raggiungibili; ed effettivamente i pratici vanno
rapidamente famigliarizzandosi coll'idea di trasmissioni a distanze
prima inaudite.
Questo repentino allargamento di idee, al quale corrisponde
un indirizzo nuovo nella intiera elettrotecnica, ebbe principio
nel 1891, al tempo della esposizione elettrica di Francoforte, in
grazia dell'esperimento di trasporto di energia da Lauffen, al
quale ho or ora accennato. Quell'ardito esperimento, che in pro-
getto era giudicato temerario ed ora già pare cosa antica ed, a
fronte de' nuovi progetti, piccina, ha avuto queste conseguenze:
Esso ha dissipato i timori sull'impiego degli alti potenziali
ed ha così dato una base alle larghe idee alle quali ho accennato. ^
^ Benché durante le esperienze ufficiali della Prùfungscomntissionf le quali
ebbero luogo dall'i i al 15, dal 18 al 2a e dal 25 al 27 ottobre 1891, i potenziali
dell'energia, 451
Esso Ila distrutto la credenza, alla quale i tecnici parevano
rassegnati, che per l'uso delle correnti alternative non si avesse
a sperare di trovare motori praticamente convenienti. Quella
credenza era dovuta principalmente alla esagerata importanza
che si soleva attribuire all'inconveniente de' motori sincroni di
non potersi avviare da sé; e si dileguò quel giorno che si vide
funzionare, come parte di un impianto notevole, un grande mo-
tore asincrono polifase. *
Esso ha dato impulso a nuove ricerche, le quali condussero
a sperimentare nuove forme di motori, che, pur derivando dal
principio del campo magnetico rotante, sono atti a funzionare
con una semplice corrente alternativa e possono perciò venire
adoperati sulle attuali reti di distribuzione serventi alla illumina-
zione. ^ E richiamando l'attenzione su tutta la materia delle cor-
renti alternative, ha ricondotto il pensiero dei tecnici sui motori
sincroni, consistenti in semplici dinamo alternatrici funzionanti
a rovescio, il difetto dei quali, come ho detto, era stato strana-
mente esagerato. Ed anche questo fatto è importante, perchè
anche ai motori sincroni è certamente serbato un grande avve-
nire. Quando si tratti di grandi motori, di centinaia di chilowatt,
destinati a funzionare in una, od in poche grandi stazioni, ove
il lavoro proceda continuo, senza interruzioni, l'inettitudine al-
Tautoavviamento non può costituire un serio inconveniente, oggi
sopratutto che si sa ricorrere, per l'avviamento, al sussidio dei
campi rotanti. E intanto il sincronismo costituisce, nel caso con-
siderato, un pregio meccanico d'impareggiabile valore. In grazia
dì esso la velocità di tutti i motori delle stazioni secondarie è
perfettamente governata da un unico regolatore, dal regolatore
della turbine della stazione centrale generatrice.
Finalmente l'esperimento di Lauffen ha fatto entrare nel
adoperati non si sieno elevati oltre a 8500 volt, tuttavia nel tempo, molto più
lungo, per cui l'impianto funzionò, si raggiunsero talvolta potenziali più che
doppi di questo.
^ Il motore era trifase. — Era stato costrutto dalia Ailgtmeine Elektricitàts-
Geseìlschafi di Berlino su disegni dell' ing. Dolivo Dobrowolsky.
* I motori a campo alternativo, come quelli di Thomson-Brown, ai quali
•qui si allude, si possono considerare come motori a campo rotante doppi, dif-
ferenziali. Essi non possono mettersi in moto da sé, ma quando sono lanciati
con una velocità angolare sufficiente, assumono andamento e proprietà analoghe
a quelle dei motori a campo magnetico rotante (V. Un mttodo per la trattasione
dfi Vittori rotanti od alternativi, ecc. in Opere di G. Ferraris al voi. I a pag. 355
« nelle Mcm. Acc. di Torino, voi. XLIV, 1893).
452 Sulla trasmissione elettrica
campo pratico i sistemi di distribuzione con correnti polifasi, ì
quali, se, fortunatamente, non sono sempre necessari, offrono
pur sempre alla elettrotecnica un nuovo mezzo per la soluzione
dei suoi problemi, che ogni giorno più vanno diventando larghi
e multiformi. I pregi delle distribuziqni con correnti polifasi ap-
pariscono, in questi giorni, anche maggiori dopo che un inge-
gnosa proposta deiringegnere Scott * della Società Westinghouse
ha messo in chiaro la possibilità di combinare, per mezzo di
ordinari trasformatori, il sistema trifase col bifase, e di passare
dall'uno all'altro a piacimento. L'artifizio dello Scott si può fa-
cilmente generalizzare : date due correnti di fasi diverse, si pos-
sono ottenere, per mezzo di ordinari trasformatori, quante si
vogliano correnti presentanti tutte quelle differenze di fasi che
si possono desiderare.* Coi trasformatori sapevamo già trasfor-
mare i valori efficaci de' potenziali e delle correnti; ora sappiamo
anche modificare comunque il numero e le fasi di queste. Nessun
altro sistema di distribuzione di energia può presentare una pla-
sticità paragonabile a quella delle odierne distribuzioni elettriche.
Ma vi ha un'altra specie di plasticità anche più notevole:
quella colla quale le correnti elettriche si adattano a sommini-
strare l'energia sotto forme diverse.
È legittimo prevedere grandiose applicazioni dei lavori chi-
mici delle correnti nella metallurgia ed in altre industrie. L'ener-
gia del campo elettromagnetico è il prodotto di fattori vettoriali
nettamente orientati ; le azioni elettrolitiche, anch'esse orientate,
si presentano adunque in prima linea fra quelle a produrre le
quali la corrente elettrica è specialmente acconcia. Ad esse è
serbato l'avvenire.
Per ora le applicazioni più progredite, oltre a quelle nelle
quali l'energia è raccolta come lavoro meccanico, sono quelle
ove questa è data, direttamente, come calore. In tali applicazioni
si trae specialmente partito della proprietà per la quale colla
corrente elettrica si può localizzare il calore, accumulandolo in
piccoli spazi ed in piccole masse di materia presentanti piccole
superficie irradianti, e produrre così elevatissime temperature.
Ciò è quanto si fa nei fornelli elettrici ad alluminio; ciò è quanta
* Chas. F. Scott, Polyphast trammission, Lettura fatta davanti alla * Na-
tional Electric Light Asaociation , a Washington, D. C, i." marzo 1894 (vedi
anche The electrical World. 24 marzo 1894, pag. 393^
^ Vedi a questo proposito: Ch. Proteus Steinmetz, Transformation of
alUrnating currents (The Electr. World, Aprii 7^'' 1884, voi. XXIII, n. 14. p. 464).
dell'energia^ 453
si fa nelle attuali lampade elettriche. E in ciò sta il segreto della
economia della illuminazione elettrica. Luce è calore, ma del
calore totale irradiato da un corpo caldo ha la lunghezza d'onda
conveniente per impressionare il nostro occhio, come luce, una
frazione tanto più grande quanto più è alta la temperatura del
corpo. La superiorità di un faro elettrico in confronto di un faro
ad olio, come quella di questo sui fari primitivi a legna, sta nella
piccolezza dello spazio ove si accumula il calore ed in quella
delle superficie dalle quali il calore è irradiato.
Al lume della scienza moderna questo fatto della possibilità
di ottenere alte temperature, si presenta col carattere di una
importanza più grande di quella che risulta dall'utile che se ne
è fin d'ora ricavato in una applicazione speciale. Della energia
non hassi a considerare solamente la quantità, ma anche la qua-
lità; essa non ha soltanto un valore matematico, ossia una gran-
dezza, ma ha anche un valore d'uso, che può variare, a quantità
costante; è come una merce che, a parità di quantità, può avere
pregi e valori commerciali diversi. L'energia infatti non è tutta
ugualmente atta a trasformarsi ; e ciò vuol dire che non tutta si
può ugualmente utilizzare per la produzione di speciali fenomeni.
11 principio di Carnot dice che il lavoro ottenibile con una data
quantità di calore è tanto maggiore quanto più è elevata la tem-
peratura alla quale questa quantità di calore è data. Quindi a
proposito osserva il Tait, che il calore ad alta temperatura è
energia di qualità superiore, e quello a bassa temperatura è ener-
gia di qualità inferiore. La corrente elettrica ci dà calore ad alta
temperatura, essa adunque ci dà l'energia termica della migliore
specie.
Una lampada elettrica ad arco, colla quale la luce di una
candela normale si può ottenere con una spesa di energia mi-
nore di un mezzo watt, paragonata con una lampada a gas, colla
quale ad una candela corrisponde una quantità di calore equi-
valente a più di novanta watt, rappresenta un progresso cospi-
cuo. Ma certamente non è ancora l'ideale ; della energia irradiata
dalla lampada elettrica la luce rappresenta meno della decima
parte. Perciò alcuni si compiacciono fin d'ora della speranza di
poter fare molto di più; e pensano che un giorno si abbia a riuscire
a produrre, per mezzo di regolari oscillazioni elettriche, diret-
tamente la luce, senza passare per l'intermediario di quella forma
disordinata di energia, che si dice calore. Se, come ora si am-
mette, le vibrazioni luminose sono oscillazioni elettriche, se sono
454 Sulla trasmissione elettrica
correnti di spostamento alternanti di grande frequenza, o che
non si potranno esse produrre direttamente per utilizzarle, sen-
z'altro intermediario, nella illuminazione? La difficoltà sta in
questo, che la proprietà della energia elettromagnetica, di la-
sciarsi guidare con quelle rotaie che sono i fili metallici, non
sussiste se non per frequenze molto minori di quelle della luce.
La luce si può guidare come sappiamo: con specchi e con lenti,.
non con fili. E se pensiamo a distribuire correnti elettriche con
le frequenze usuali per trasformarla poi sul luogo d'impiego in
oscillazioni elettriche rapidissime, sorge un problema troppo
nuovo, sul quale non è ancora possibile fare previsioni. La fre-
quenza poi delle oscillazioni elettriche di Tesla e di Elihu Thom-
son, deve ancora essere moltiplicata per circa un milione per
diventare paragonabile con quella delle oscillazioni luminose. Se
tale moltiplicazione si possa fare con un rendimento pratico tol-
lerabile, è questione alla quale per ora non si può rispondere,
E di un problema tecnico come questo non è qui il luogo di
trattare. La scienza si compiace dell'utile che la società sa ri-
trarre dalla applicazione dei trovati che ogni giorno essa mette
a disposizione delle industrie, ma non lavora alla ricerca di
quelle applicazioni, e non ha bisogno di esse per stimare la propria
opera, né la speranza di esso è stimolo necessario alla sua atti-
vità. Essa anzi sa che la preoccupazione pell'utile immediato
offuscherebbe il faro verso cui s'affatica o guasterebbe il frutto
del suo lavoro, che deve consistere nella ricerca disinteressata
del vero.
Ma, ho detto, vi ha un secondo aspetto sotto il quale è do-
veroso considerare le applicazioni tecniche: esse ripagano la
scienza dandole impulso, idee e mezzi.
Io quando mi trovo nella stazione centrale di un grande
impianto elettrico, all'officina de' Cerchi, a Tivoli, a Deptford, od
in una delle ciclopiche officine elettriche americane della Gene-
ral Company o di Westinghouse, ed ho davanti a me una di
quelle poderose macchine dinamoelettriche che vi lavorano, e la
contemplo, ed osservo la immane armatura, o la pesante corona
dei magneti induttori girare nello spazio, libera, portata da un
albero di acciaio su cui si affatica una macchina a vapore od
una turbina di centinaia, e talora di migliaia di cavalli dinamici,
e non vedo organi meccanici che ricevano e trasmettano il la-
voro ad altre macchine, né, in mancanza di tali organi, vedo
alcun freno che trasformi sul posto quel lavoro in calore, ma
dell'energia, 455
per rintracciare quel lavoro debbo ricorrere col pensiero a ciò
che ho veduto fuori dell'officina, a chilometri di distanza, e ri-
pensare ai filamenti di carbone incandescenti in migliaia di lam-
pade, ed agli archi voltaici brillanti fra le punte di carbone, che
vanno struggendosi per l'elevata temperatura, ed alle armature
di motori, le quali girano da sé senza nulla di visibile che le
sospinga, e girando comandano macchine, io quando vedo e
penso a queste cose, sento irresistibilmente che prima che al
pensiero della utilità pratica del maraviglioso meccanismo la
mente si rivolge alla contemplazione del fenomeno. Prima della
importanza industriale io sento l'importanza scientifica, prima
dell'utile materiale l'utile intellettuale.
E notiamo: non è già che io prima non conoscessi l'esi-
stenza e le leggi dei fenomeni che sto contemplando; mille volte
nelle scuole e nei laboratori, e nei libri ognuno dì noi ha ve-
duto e studiato quei fenomeni. Ma la conoscenza di essi non
attenua, anzi ingigantisce l'impressione. Così è : la grandezza, e
non solo la natura intrinseca della cosa che si osserva, concorre
a determinare l'impressione che la cosa fa sulla mente ed a dare
una direzione ai pensieri che nasceranno dalla osservazione. Un
ruscelletto, l'acqua del quale cade a perpendicolo dall'altezza di
alcuni metri, e la cascata delle Marmore, o le cataratte del Nia-
gara, sono, oggettivamente, cose della medesima specie; ma non
fanno sull'anima una medesima impressione, né guidano la mente
ad una medesima serie di pensieri. La corrente alternativa pro-
dotta con un telefono e quella prodotta da un alternatore di
300 cavalli, come quelli di Tivoli, sono nella sostanza una me-
desima cosa; e l'esperimento che si fa quando per mezzo delle
vibrazioni della lastrina di ferro del telefono trasmettitore si
mette in vibrazione la lastrina di ferro di un telefono ricevitore
è, obbietivamente, identico a quello che si fa quando con l'al-
ternatore di Tivoli si mette in movimento un motore elettrico
lontano; ma le idee che i due esperimenti fanno nascere nella
mente dello studioso, e le nuove ricerche che essi suggeriscono
possono essere, e furono nel fatto, completamente diverse. Gli
impianti elettrotecnici industriali costituiscono molte volte veri
e grandi laboratori scientifici, e se fosse necessario dimostrare
ciò che la scienza vi ha attinto, basterebbe considerare la com-
pleta trasformazione che per ampiezza, per idee, per metodo^
per linguaggio si verificò in pochi anni appunto in quei rami
della elettrologia, che hanno colle applicazioni pratiche la più
456 Sulla trasmissione elettrica
stretta relazione. Ma qui io voglio fermare l'attenzione special-
mente su questo fatto : che l'estendersi delle applicazioni indu-
striali della trasmissione elettrica dell'energia ha avuto una parte
molto importante nell'introdurre, nel delineare e nel diffondere
il concetto scientifico stesso dal quale deriva il loro nome : il
concetto nuovo della scienza, di trasmissione dell'energia.
Il principio della conservazione dell'energia, che come teo-
rèma di pura meccanica è antico come Newton, è da circa mezzo
secolo ritenuto nel mondo scientifico come una verità universale
abbracciante tutti i fenomeni della natura. Esso è attualmente un
articolo di fede scientifica; ormai, per il lungo uso e per le in-
numerevoli verificazioni, la convinzione, colla quale si crede in
esso, è limitata soltanto dal pensiero che le leggi della mecca-
nica e della fisica, o le stesse proprietà dello spazio, possano
nel mondo a noi inaccessibile essere diverse da quelle che val-
gono pel mondo accessibile. Ma fino a questi ultimi anni, in tutti
gli enunciati ed in tutte le applicazioni del principio sempre si
era considerata una cosa solo: la quantità totale, od integrale,
della energia, la quale si conserva e non può variare. Nulla si
soleva dire intorno al suo movimento, nemmeno quando la na-
tura stessa de' fenomeni studiati dava luogo a considerazioni di
spazio e portava a paragonare quantità di energie esistenti in
luoghi diversi, e nemmeno quando si conosceva per esperienza
l'esistenza ed il valore di una velocità di propagazione finita e
determinata. Si affermava, per esempio, che la massima parte
dell'energia disponibile su questa terra ci viene mandata dal sole;
che è il calor del sole quello che, innalzando dal mare i vapori,
rifornisce di continuo i ghiacciai, le sorgenti, i torrenti e i fiumi,
dà moto alle nostre macchine idrauliche e somministra l'energia
a quella macchina immane per la quale incessantemente si mo-
difica la crosta terrestre; che al calore del sole sono dovute le
correnti atmosferiche e le marine; che è l'energia della radiazione
solare quella che si accumula ne' tessuti vegetali, quando in essisi
fissa il carbonio tolto alla anidride carbonica dell'atmosfera e del-
l'acqua, quella, per conseguenza, che gli animali ti'ovano negli
alimenti, e quella accumulata nel litantrace col quale noi an-
diamo alimentando i focolari delle nostre caldaie a vapore e le
storte de* nostri gasometri. Ma con queste proposizioni si affer-
mava unicamente l'equivalenza tra l'energia ricevuta qui sulla
terra ed una parte di quella irradiata dal sole; si considerava
l'energia non ancor partita dal sole e la si riconsiderava arri-
dell'energia. 457
vata sulla terra; non la si considerava durante il viaggio. Du-
rante il viaggio si consideravano le oscillazioni termiche e lu-
minose e si studiavano le leggi della loro propagazione; la
energia dovuta alle oscillazioni si considerava solamente nei
corpi irradianti ed in quelli riceventi la irradiazione. Nello studio
della grande macchina trasmettitrice si faceva, in sostanza, quello
che ordinariamente si fa nello studio delle macchine industriali,
ove si considera la energia spesa ad una estremità sul primo mo-
bile e quella restituita all'altra estremità dall'ultimo mobile, mentre
per gli organi intermedi si studiano le forze e i moti senza bisogno
di pensare al modo nel quale in grazia di essi ed attraverso ad
essi, da un capo all'altro della macchina, fluisce l'energia.
Lo stesso si faceva, inevitabilmente, nel considerare l'ener-
gia dovuta alle forze tra i corpi elettrizzati ed a quelle tra i
magneti; né si sarebbe potuto fare altrimenti, finché si trattarono
tali forze come forze newtoniane agenti a distanza senza l'inter-
vento di alcun mezzo fra i loro punti d'applicazione. Ed era
anche naturale che la stessa cosa si facesse nella considerazione
dei fenomeni delle correnti elettriche, quando le applicazioni di
queste non erano ancora uscite dai laboratori scientifici, oppure
si limitavano alla produzione a distanza di piccoli movimenti
destinati a generare suoni od a servire altrimenti come segnali.
La quantità di energia che si presentava in quelle applicazioni
-era piccolissima e perciò non attraeva su di sé l'attenzione, o
non era oggetto principale di studio: lo studio si aggirava su
altri concetti, il fenomeno si considerava sotto altri aspetti. Nes-
suno fra quanti lavoravano, praticamente, o colle teorie, attorno
ai telegrafi elettrici, od ai telefoni, ebbe mai occasione di con-
siderare una trasmissione telegrafica o telefonica come una tras-
missione di energia; ad una trasmissione di energia nessuno
pensava nemmeno quando, per festeggiare la posa del primo ca-
napo telegrafico sottomarino, si sparava un cannone su di una
sponda della Manica con una corrente mandata dall'altra sponda,
non più di quanto ad essa potesse pensare a' suoi tempi Benia-
mino Franklin quando con una scarica elettrica, trasmessa lungo
un filo attraverso al fiume Schuylkill, che allora era lontano al-
cune miglia da Filadelfia, immolava un gallinaccio, con un'altra
scarica elettrica, trasmessa nel medesimo modo, accendeva il
fuoco per arrostirlo, e coronava la festa bevendo alla salute degli
elettricisti europei in coppe elettrizzate fra le scariche dei mor-
taretti accesi anch'essi colla batteria elettrica.
458 Sulla trasmissione elettrica
Ma non appena si cominciarono a trasmettere correnti di
grande intensità, prodotte per mezzo di macchine d'induzione
colla spesa di lavoro meccanico, e con quelle si cominciarono
ad attivare lampade elettriche^ a fondere metalli, a comandare
motori, l'attenzione dovette rivolgerei naturalmente, come alla
cosa più importante, alla considerazione del lavoro. E siccome
con una medesima corrente in un unico circuito, od in una rete
di circuiti, si poteva produrre a piacimento lavoro meccanico,
o lavoro chimico, o calore, o luce, nelle condizioni più svariate
ed in regioni comunque lontane dal luogo dove il lavoro era
speso, così il fatto non solamente costituì la più evidente riprova
del grande principio della conservazione dell'energia, ma natu-
ralmente dovette forzare nel pensiero il concetto dell'energia
che passa da luogo a luogo, che. si muove, che si trasmette. Col
concetto nacque la corrispondente locuzione: trasmissione del-
l'energia; concetto e locuzione si assodarono e divennero po-
polari nella tecnologia, prima che su di essi si fermasse di pro-
posito la speculazione scientifica.
Ora è a notarsi l'importanza di questa affermazione. Le
idee larghe mandano spesso i loro semi e danno frutti anche
fuori del campo nel quale sono nate. Il fatto, frequente nella
storia delle scienze, che una medesima nozione fa in varie di-
scipline, con forme diverse confacienti a ciascuna di queste, si-
multaneamente, la sua apparizione, non è, in generale, fortuito.
Esso si verifica il più delle volte perchè una qualche nozione,
sorta, non importa in quale ramo speciale di ricerche o di ap-
plicazioni, si è, per così dire, diffusa nell'aria, ed ha penetrato
inavvertita le menti degli studiosi, le quali inconsciamente la
ritrovano e la ripresentano nelle forme corrispondenti ai diversi
caratteri delle loro ricerche. Quindi io non penso che abbia da
attribuirsi ad un caso fortuito questo fatto, che proprio nei giorni
in cui più ferveva il lavoro per le prime grandi esperienze sulla
trasmissione elettrica dell'energia meccanica, proprio nel 1884^
quando Marcel Deprez, incoraggiato ed agguerito dalle sue prime
esperienze del 1882 a Monaco di Baviera, e da quelle del 1883
alla stazione del Nord di Parigi ed a Grenoble, stava prepa-
l'andò, fra l'attesa e le speranze di tutto il mondo, il suo non
felice, ma pur coraggioso e pur sempre grande tentativo di Creil,
proprio allora mentre le menti di tutti erano rivolte al nuovo ideale
della trasmissione elettrica, un lavoratore del campo della scienza
pura ed astratta, il professore J. H. Poynting del Mason College
delt energìa, 459
di Birminghain, ^ abbia messo alia luce, scavandolo dalla miniera
delle formole del Maxwell, dove era racchiuso completo, ma allo
stato latente, il suo teorema sul flusso della energia nel campo
elettro magnetico; un teorema, che, quantunque presentato sol-
tanto pel caso speciale della energia elettromagnetica, ha avuto
per effetto di mettere in evidenza un concetto molto più largo,
il concetto della continuità della energia.
Questo concetto non è una conseguenza necessaria di quello
della conservazione dell'energia^ è un allargamento, è il comple-
mento di questo; e perciò è importante. Col semplice principio
della conservazione non si attribuiva all'energia nessuna indivi-
dualità; si diceva: una quantità di energia, data in una deter-
minata forma, può scomparire, a condizione che una quantità
uguale di quella medesima forma, o di un'altra, comparisca si-
multaneamente in qualche luogo, dovechessia. Col principio della
continuità, invece, si cerca di seguire nel suo movimento e nei
suoi mutamenti ciascuna parte, ciascun singolo pezzo, si direbbe,
della energia, come si seguirebbe un pezzo di materia, sul quale
si fosse fatto un segno per identificarlo in altri luoghi e sotto
altre condizioni. Secondo il nuovo modo di considerare le cose,
diceva Oliver Lodge nel 1885, compreso d'entusiasmo, in una
nota * a lui inspirata dalla pubblicazione della memoria di Poynting,
secondo il nuovo modo di considerare le cose noi possiamo ra-
gionare intorno alla via percorsa dall'energia ed avere sulla con-
tinuità della esistenza della medesima la stessa certezza che
avremmo quando stessimo ragionando intorno alla via per cui ci
arriva un bagaglio da qualche stazione lontana, comunque que-
sto possa giungere a noi manomesso o trasformato.
La nozione della continuità delTenergia era, come ho detto,
già contenuta, intiera e con tutto ciò che occorreva per svol-
gerla ed analizzarla, nelle teorie del Maxwell. Clerk Maxwell,
dando forma matematica precisa ai concetti divinati da Faraday,
aveva espresso l'energia elettrica, quella magnetica e quella elet-
* J. U. Poynting, On the transfer of Energy in the electrontagnetic fielt/^
Philosophical transactions of the Royal Society of London 1884, voi. 175, part. a.\
pag. 343. — Idem, On the connexion between electric current and magnetic in-
dttction in the surrounding field, id. 1885, voi. 176, part. 2.', pag. 277.
■ Oliver Lodge, On the identity of energy: in connection wtth Mr. Foynting's
paper on the transfer of energy in an electromagnettc field; and on the tivr>
fìtndaniental forms of energy, Philosoph. Magaz. London, voi. XIX, serie 5.',
maggio 1885, pag. 482.
460 Sulla trasmissione elettrica
tromagnetica non più per mezzo di integrali estesi alle suf>erfici
ed ai volumi occupati dai supposti fluidi elettrico e magnetico
agenti a distanza con forze newtoniane, od a quelli occupati
dai conduttori attraverso ai quali, col linguaggio ancora in uso,
si suol dire che si trasmettono correnti elettriche, ma per mezzo
di integrali estesi anche a tutto lo spazio frapposto fra i corpi
elettrizzati, o fra i magneti, o fra i conduttori delle correnti.
L'idea che l'energia avesse la sua sede in tale spazio era perciò
legittima. Legittima, per conseguenza, era anche l'idea che le
forze elettriche e le magnetiche dipendessero da una modifica-
zione di un mezzo riempiente tale spazio. Il dover ammettere
la presenza in ogni dove di un mezzo avente alcune proprietà
analoghe a quelle di un solido elasticissimo non poteva più co-
stituire una difficoltà, poiché la medesima necessità era già al-
trimenti imposta per la interpretazione dei fenomoni della luce;
e neppure infirmava la legittimità dell'idea l'impossibilità di spie-
gare le forze maxwelliane per mezzo delle sole proprietà dei
solidi elastici. ^
Maxvell aveva fatto di più. Con quella trovata geniale che
fu il suo concetto dello spostamento elettrico egli era riuscito
a presentare ad a trattare le variazioni, rispetto al tempo, delle
suaccennate modificazioni del mezzo come un fenomeno della
stessa natura di quello a cui si dà il nome di corrente elettrica,
ed allora, attribuendo, con una ipotesi ormai naturale, a questa
corrente, alla corrente di spostamento, le note proprietà delle
correnti di conduzione, egli potè scrivere equazioni differenziali
tra le forze elettriche e le magnetiche esistenti in un campo
elettromagnetico, le quali dimostrano che una modificazione di
queste forze si deve trasmettere come si trasmettono nell'etere
le vibrazioni luminose. Dalla sua teoria risultò che la velocità
di propagazione nell'etere libero doveva essere uguale al rap-
porto tra le unità elettromagnetica ed elettrostatica di elettricità,
e siccome già W. Weber e Kohlrausch, poi egli stesso, poi
W. Thomson ed altri avevano trovato sperimentalmente che il
rapporto delle unità era uguale alla velocità della luce, cosi si
presentò come molto probabile la seducente ipotesi che il mezzo
ove si propagano le forze elettriche e magnetiche e l'etere lu-
* L' impossibilità di spiegare le forze maxwelliane per mezzo delle ordinarie
proprietà di un mezzo isotropo fu posta in chiaro da Beltrami; vedi £. Beltrami,
SulVinierpretaziont meccamca dtlle formoli di Maxwell, Nuovo Cimento, serie 3.*,
tomo XX, 1885, pag. 5 e pag. 97.
dell'energìa, 461
mi ni fero fossero una medesima cosa. Prima ancora che la teoria
elettromagnetica della luce ricevesse una più diretta conferma
sperimentale era adunque naturale cercare nel mezzo dielettrico,
o nell'etere, la sede, come delle forze, così dell'energia; ed anzi,,
poiché Maxwell aveva dato l'espressione dell'energia contenuta
in una superficie chiusa comunque tracciata nello spazio, così era
dal Maxwell stesso implicitamente dato tutto quanto occorreva
per studiare col sussidio della pura matematica il modo di tras-
mettersi di essa.
Ma, come ho detto, il concetto era rimasto inavvertito, era
allo stato latente ; e fu il Poynting, solo ne! 1884, appunto quando
come ho notato, la nozione della • trasmissione dell'energia, già
diffusa e famigliare, riempiva le menti dei tecnici lavoranti alla
ricerca delle applicazioni industriali, fu il Poynting che lo vide
chiaramente, e che, estraendolo dal suo ripostiglio, lo portò alla
luce del giorno. A tal uopo gli bastò scrivere per mezzo delle
formole di Maxwell l'espressione dell'energia elettrica e magne-
tica contenuta entro una superficie chiusa, comunque tracciata
nello spazio, e differenziarla rispetto al tempo. Trasformando il
risultato per mezzo delle equazioni di Maxwell, egli trovò che
le variazioni della quantità totale di energia contenuta nella su-
perficie sono uguali a quelle che si avrebbero se l'energia fluisse
nello spazio in direzione perpendicolare al piano delle forze elet-
trica e magnetica, e propriamente nella direzione nella quale si
avanzerebbe una vite destrorsa girante dalla prima di queste
forze verso la seconda, e se in una unità di tempo, in un se-
condò, passasse attraverso ad ogni unità di superficie, ad un
centimetro quadrato preso su tale piano, una quantità di energia
proporzionale all'area del parallelogrammo fatto sulle due forze
medesime prese come lati.
Ora ecco la conseguenza a cui conduce questo teorema. In
un filo percorso da una corrente elettrica la forza elettrica è
longitudinale mentre quella magnetica è perpendicolare al piano
passante per l'asse, è tangenziale ; il flusso dell'energia è adun-
que radiale e diretto v^rso l'interno. L'energia non fluisce nel
filo longitudinalmente, ma entra dall'esterno normalmente alla
superficie, ed entrata si trasforma in calore. Fuori del filo, a
breve distanza da esso, la forza elettrica è radiale, colla forza
magnetica, che è tangenziale, essa determina un piano appros-
simativamente normale al filo; il flusso di energia è longitudi-
nale ; l'energia fluisce all'esterno del filo ; fluirebbe tutta all'esterno^
462 Sulla trasmissione elettrica
senza che alcuna parte di essa penetrasse nel metallo, se questo
potesse avere una resistenza elettrica nulla: penetra in parte
nel metallo e vi si perde trasformandosi in calore se vi ha una
resistenza diversa da zero. Il filo non è un canale dentro al
quale l'energia fluisca; è una rotaia lungo la quale l'energia
scorre esternamente e nella quale una parte di questa si dissipa
come calore. Il metallo del filo non è il materiale attivo del
meccanismo trasmittente ; è invece un materiale passivo, che nel
funzionamento di tale meccanismo interviene colla sua cedevo-
lezza. In mezzo al dielettrico circostante, che è il corpo ove le
forze hanno sede e si trasmettono, il filo non fa altro che sta-
bilire una linea di debolezza, la quale fa sì che la propagazione
dell'energia avvenga in una direzione determinata; il filo non
è la sede del fenomeno principale, ma semplicemente determina
pel fenomeno un asse. Se il circuito elettrico è formato da due
fili paralleli, l'energia corre frammezzo a questi come fra due
guide. Se si ha un canapo concentrico, l'energia fluisce nello
spazio isolante fra l'anima di rame ed il conduttore tubolare
esterno. In tutti i casi essa si trasmette attraverso allo spazio
non occupato dal metallo.
Vecchie abitudini, derivate in parte da un vecchio linguaggio,
il quale ci rende propensi a paragonare una corrente elettrica
in un conduttore ad una vena liquida scorrente in un tubo, pos-
sono fare sì che le esposte conclusioni ci si presentino a prima
giunta come inattese, ed anche come strane. Ma tali non sono.
Anzi io voglio notare che forse esse ci si presenterebbero come
affatto naturali, quasi come intuitive, se, dopo di avere accettato
il concetto di Faraday, che sta a base della teoria maxwelliana,
il concetto cioè che non vi abbiano forze a distanza, noi pro-
vassimo a spogliarci di ogni altro preconcetto e ci mettessimo
a considerare un impianto di trasmissione elettrica coH'occhio
del pratico, che, avendo maggiore famigliarità colle macchine
che colle astrazioni scientifiche, suole cercare di ciò che osserva
le spiegazioni più semplici e più dirette.
Consideriamo infatti un impianto di trasmissione costituito
da una dinamo generatrice e da un motore elettrico collegato
in circuito con questa per mezzo di due fili metallici. Se le due
macchine sono di quelle ove i fili partono da spazzole appog-
giate alle parti metalliche mobili, vi ha tra i due alberi rotanti
continuità cosi del metallo come del dielettrico, e perciò si può
fare tanto l' ipotesi che la energia si trasmetta nell' interno dei
i
dell'energia, 463
fili quanto quella che essa si trasmetta all'esterno. La difBcoltà
di capire il meccanismo della trasmissione è la stessa nelle due
ipotesi, perchè come fuori dei fili, così dentro di essi nessun
movimento è visibile. Ma possiamo considerare casi nei quali
sussiste la continuità soltanto del dielettrico, o soltanto del me-
tallo e da questi possiamo dedurre criteri sicuri per la scelta
fra le ipotesi. Si ha la continuità del solo dielettrico, e non quella
del metallo, nel caso di una trasmissione da una dinamo alterna-
trice ad armatura fissa, come quelle di Tivoli, o de' Cerchi, ad
un motore a corrente alternante del medesimo tipo. In questo
caso infatti la continuità metallica può esistere solo tra le parti
fisse delle due macchine, le quali consistono, come si sa, in due
corone di spirali ; la continuità non esiste tra queste parti fisse
e le mobili, le quali sono, come si sa, due stelle di magneti por-
tate da alberi e giranti dentro alle due corone; queste due stelle
girano nelle due corone di spirali senza toccarle, girano
nell'aria. Ebbene, quantunque manchi la continuità metallica,
tuttavia le due stelle si trasmettono dall'una all'altra il movi-
mento, esattamente come farebbero due ruote dentate imboccanti
runa nell'altra. Dunque alla trasmissione non è necessaria la
continuità del metallo; lo strato di isolante che avviluppa tutta
la parte mobile della dinamo e quello che avviluppa tutta la parte
mobile del motore non impediscono la trasmissione; il dielet-
trico si lascia attraversare dall'energia elettromagnetica. La cosa
risulta anche più evidente se, invece che ad una trasmissione
diretta, pensiamo ad una trasmissione indiretta con trasformatori.
Allora infatti non esiste continuità metallica nemmeno tra le
parti fisse delle due macchine. Ma consideriamo ora un caso nel
quale sia interrotta la continuità dell'isolante; immaginiamo che
la camera dove è la dinamo, o quella dove è il motore, od en-
trambe sieno tappezzate con un grosso strato di metallo, che
non lasci scoperta né sulle pareti laterali, né sul pavimento, né
sul soffitto, alcuna parte isolante. In questo caso non é più pos-
sibile nessuna trasmissione; noi non possiamo, in questo caso,
far uscire anche solo un briciolo di energia elettromagnetica
dalla camera ove é la dinamo, né possiamo farne entrare un
briciolo in quella dove é il motore. La parete metallica non
lascia passare l'energia elettromagnetica; questa non esce, o non
entra nella stanza, se non alla condizione che vi sia una fine-
strina ove essa possa passare; e questa finestrina é aperta al
l'energia se chiusa solo da materia isolante, come le finestre
464 Sulla trasmissione elettrica
delle nostre abitazioni sono aperte alla luce quando sono chiuse
solamente con vetri. L'energia può penetrare, in parte, nel me-
tallo della parete, ma quivi rimane trasformata in calore, e sol-
tanto in questo stato potrà poi parzialmente passare dall'altra
parte. Se il metallo costituente la parete potesse essere un per-
fetto conduttore, se non avesse una resistenza specifica, nemmeno
questo fatto avverrebbe, l'energia elettromagnetica non penetre-
rebbe nemmeno nell'interno di esso; un perfetto conduttore sa*
rebbe per l'energia elettromagnetica un perfetto ostruttore. Se fosse
completamente vero il fatto che le notevoli ricerche di Dewar e
Fleming ^ fanno prevedere, che cioè alla temperatura dello zero
assoluto la resistenza specifica dei metalli si annulla, si potrebbe
dire che una parete metallica allo zero assoluto non solo co-
stituirebbe uno schermo perfetto per l'energia elettromagnetica,
ma non si lascierebbe nemmeno penetrare da essa, per effetto
diretto di essa non potrebbe essere riscaldata, e rimarrebbe in-
variabilmente allo zero assoluto. E adunque forza concludere
che delle due ipotesi, che l'energia elettromagnetica viaggi nel
metallo o che viaggi fuori del metallo, nel dielettrico, solamente
la seconda è accettabile. Lo scaldarsi che fanno i fili metallici
congiungenti la stazione generatrice con la ricettrice non infirma
questa ipotesi: anche nei congegni della ordinaria meccanica
non sono già gli organi trasmettitori quelli che si scaldano, ma
sono i perni, i cuscinetti, le guide, le rotaie.
Tanto queste idee, alle quali conduce intuitivamente la
contemplazione diretta dei fatti, quanto quelle più precise, alle
quali conduce la trattazione matematica di Poynting, riposano
intieramente sul concetto fondamentale di Faraday e di Maxwell^
che le forze elettriche e le magnetiche abbiane la loro sede in
un mezzo riempiente lo spazio dielettrico. Ora questa ipotesi,,
che Maxwell aveva dimostrato matematicamente conciliabile coi
fatti sperimentali, e che la coincidenza del valore del rapporto
delle unità elettriche con quello della velocità della luce già
rendeva immensamente probabile, riposa attualmente sopra una
base sperimentale positiva. Le scoperte che formarono tale base
hanno avuto un'importanza cosi straordinaria, e di esse è così
piena in questi giorni la mente di quanti si interessano del
* J. Dewar e J, A. Fleming, The eltctrical rtsistance of melals and alioys^
nt ttntperatures approaching the absolule zero. Philosophical Magazine, settem-
bre 1893; The electrician, 15 settembre 1893, pag. 539.
f
delVenergia, 465
mondo fisico, che io non ho quasi bisogno di nominarle. Enrico
Hertz nel 1888 * riuscì a produrre, per mezzo di una serie di
scariche oscillanti, regolari e rapidissime variazioni periodiche
della forza elettrica, rapide oscillazioni elettriche, come si suole
dire; e per mezzo di un conduttore aperto funzionante come
risonatore riuscì a scoprire quelle oscillazioni nello spazio ed
a seguirle; seppe produrre con quelle fenomeni d'interferenza e
per mezzo di questi potè dimostrare che le oscillazioni si pro-
pagano atti'a verso allo spazio con una velocità determinata.
Riuscì anzi a fare una approssimativa misura della velocità di
propagazione, e la trovò uguale a quella della luce.
Ora se le forze elettriche impiegano un tempo a propagarsi ,
esse rimangono un certo tempo nello spazio e con esse rimane
nello spaifio la corrispondente energìa. Il concetto di un mezzo
sede delle forze e dell'energia elettromagnetica è adunque ob-
bligatorio; e siccome la velocità di propagazione delle forze
elettriche è uguale a quella della luce, così l' ipotesi più sem-
plice e più legittima è che il corpo, nel quale ha sede e si pro-
paga l'energìa elettromagnetica, sia quel medesimo etere attra-
verso al quale si propaga la luce. Ormai è indubitabile : il mezzo
che trasmette l'energia dall'albero di una ruota idraulica a quello
di un motore elettrico lontano, o dal focolare di una motrice a
vapore alle punte dei carboni fra le quali brilla l'arco voltaico
od ai fili di carbone splendenti nei palloncini delle lampade ad
incandescenza, è quel medesimo, attraverso al quale, e per opera
del quale viene dal sole a noi pressoché tutta l'energia di cui
disponiamo su questa terra. Mi è occorso di dire come in alcuni
paesi industriali si viva ormai in mezzo ad una grande mac-
china che abbraccia e muove ogni cosa; ora quella grande mac-
china ci si presenta come una minima parte di una macchina
ancora più grande. E se, come già divinava Lamé, ^ verrà un
giorno nel quale si dovranno spiegare per mezzo dell'etere anche
le forze nei corpi elastici, che sono quelle che si utilizzano negli
organi delle macchine ordinarie, quel giorno si dovrà dire che
dappertutto e sempre, nella grande macchina dell'universo come
' H. Hertz^ Utbtr di$ Aushreilungsgtschwindigktii der eltktrodynami^chtn
Wirkungtn, Sitzungsberichte d. Berliner Akad. d. Wissenschaften, 2 febbr. 1888;
Wicdem. Ann. 34, pag. 551. — Idem, Uehtr tUktrodynamischt Wellen in Luf'
traumi und deren ReflectioHf Wiedem. Annalen, 34, 610; 1888.
^ G. Lamé, Leforis sur la théorie mathématique de l'élasticité dis corps so»
h'deSf Deuxième édition. Paris 1866, pag. 335.
G. Ferraris, Opere, Voi. II. 30
466 Sulla trasmissione elettrica
nelle parti di essa da noi modificate e disposte pe' bisogni delle
nostre industrie, il mezzo nel quale l'energia si trasmette, è
uno solo, l'etere.
Intorno alla legge quantitativa della trasmissione il teorema
di Poynting non dice ancora tutto. Il teorema ci assicura che
la variazione della quantità totale di energia nell'interno di una j
superfìcie chiusa è quella che si avrebbe se il flusso di energia
fosse in ogni punto uguale al vettor-prodotto della forza elet-
trica per la magnetica; non dice che effettivamente esso abbia ^
tale valore. Noi potremmo sommare col flusso calcolato colla
legge di Poynting, arbitrariamente, un altro flusso qualunque a
distribuzione solenoidale senza punto modificare il flusso totale ' \
entrante nella superficie chiusa; il che vuol dire che la distri-
buzione del flusso indicata da Poynting non è che una fra in- J
finite altre tutte conciliabili colle equazioni di Maxwell. Che fra ^
le infinite possibili essa possa non essere sempre la distrìbu- i
zione effettiva, risulta anche dalla considerazione di certe circo-
lazioni di energia, che con essa si avrebbero in sistemi appa- ' i
rentemente statici; tantoché Hertz ebbe ripugnanza a servirsi
del teorema. Ma che l'energia si trasmetta attraverso all'etere,
non può ormai più essere posto in dubbio; e credere con Hertz
che il principio della continuità dell'energia, quale fu nettamente ,
delineato da Poynting, non trovi ancora nella scienza attuale I
un terreno preparato, è certamente una esagerazione. * i
Intorno poi al meccanismo della trasmissione nell'etere si
è cercato e si va cercando di diffondere alcune delle idee fon-
damentali per mezzo di finzioni o di modelli meccanici, alcuni
dei quali, segnatamente quelli di Fitzgerald * e di Lodge, * hanno
^ H. Hertz, Uebtr die Grundgleichungen dtr Eltktrodynamik fùr ruMendi
Kórp€r, Gottingcr Nachr. voi. XIX. Marzo 1890; Wicd. Ann. XL, pag. 577;
Untersuchungen iiber die Ausbrtitung dtr Eltktrischtn Kraft, Leipzig 1892,
pag. ao8. — I dubbi sulla interpretazione del teorema di Poynting sono espressi
a pag. 934 del volume ultimo citato. Nella nota 31 alla fine del volume, p. 393,
Hertz dà ragione de' suoi dubbi, servendosi dell'esempio dell'energia trasmessa
da una motrice a vapore ad una dinamo per mezzo di una cinghia e dalla
dinamo ad una lampada elettrica per mezzo di due fili. Ma a noi pare evidente
che se la trasmissione dell'energia lungo la cinghia non si suole considerare,
ciò dipende più dal non avere ancora sentito il bisogno di farlo che dalla
oscurità o dalle difficoltà intrìnseche del problema.
'* Fitzgerald, Proc. R. Dub. Soc. Gennaio 1885. — Vedi anche: Fitzgerald,
On the structure of Mechanical Models illustrating some properties of Atthcr,
Phil. Mag. 1885, pa?- 438.
' Oliver Lodge, Modem viezvs of eleciricity, London, 1892.
dell'energia. 467
indubbiamente contribuito in larghissima misura a popolarizzare
le nuove teorie. Ma questi sono artifizi utili soltanto per aiutare
ne' primi passi gli studiosi meno addestrati alle astrazioni, mate-
matiche. Meno imperfettamente, ed in un campo più elevato,
giovano a delineare le idee sulla proprietà dell'etere e sul mec-
canismo della trasmissione le ricerche teoriche, colle quali, in
forma matematica, si confrontano le proprietà del mezzo elet-
tromagnetico con quelle de' corpi elastici, * o si cercano le pro-
prietà meccaniche che si dovrebbero attribuire ad un corpo
acciocché i suoi movimenti potessero soddisfare alle equazioni
di Maxwell o di Hertz. ■ Tali ricerche possono anche avere una
importanza grande per sé, perchè la dimostrazione di una ana-
logia, o di una differenza, é per se stessa un trovato scientifico.
Ma se si considerano come teorie elettromagnetiche, anche queste
hanno puramente il carattere di modelli provvisori, Tuflicio dei
quali é somigliante a quello dei ponti di servizio che si adope-
rano nei lavori architettonici: necessari durante la costruzione,,
questi ponti debbono essere demoliti ad opera finita; lasciati in
posto, impedirebbero la vista dell' edifizio. Le equazioni dì
Maxwell, o quelle di Hertz, compendiano quella parte delle no-
stre nozioni intorno al mezzo elettromagnetico, la quale é fin
d*ora, nello stato attuale della scienza, riducibile a forma pre*
cisa; esse compendiano quanto effettivamente si sa per espe-
rienza intorno alle proprietà meccaniche del mezzo. Conoscendo-
quelle equazioni, noi siamo autorizzati a dire che conosciamo-
Tetere, col medesimo diritto col quale diciamo di conoscere le
proprietà de' corpi elastici, perchè conosciamo le equazioni che
reggono l'equilibrio ed il moto di essi. Una teoria meccanica
dell'etere può essere legittima se si accorda con quelle equa-
zioni, ma non può aggiungere nulla a ciò che esse dicono, o
se aggiunge, aggiunge troppo. Le equazioni di Maxwell e dr
Hertz costituiscono da sé una teoria meccanica, una teoria mec-
canica larga, senza una precisa specificazione del meccanismo;
una così detta interpretazione meccanica di essa non fa che
specificare il meccanismo, ed ha maggiore probabilità di allon-
^ £. Beltrami, Mem. citata.
* Notevoli a questo riguardo i lavori seguenti: Ernesto Padova^ Un<t
titiova interprtiaziont dti ftnomi tUltrid, magnetici t luminosi, Nuovo Cimento,
1891, serie 3.', tom. XXIX, pag. 225; Hermann Ebert, Zur Theori* d«r ma-
gnttischen unti eltkirischen Erscheinungen^ Ann. dcr Physik und Chemie, Neue:
Folgc Bd. 51, 1894, pag. 268.
463 Sulla trasmissione elettrica
tanarla dal vero, che non di avvicinarla ad esso. Una teoria è
tanto più probabile quanto più è astratta. Se essa si traduce in
equazioni rispondenti ai fatti direttamente dati all'esperienza»
essa è quanto oggi si può desiderare. Il progresso starà nel fare
che le equazioni abbraccino domani un più largo numero di
fatti sperimentali.
Sire, Graziosissima Regina,
Signore, Signori,
Ho cominciato a parlare di impianti industriali, ed ho finito
'col dire che quegli impianti sono parti di una macchina più
grande, nella quale gli organi principali, gli organi che propria-
»mente trasmettono le forze ed i lavori, non sono quelli visibih',
^i metallo, ma sono invisibili nello spazio, il quale è tutto pieno
■di essi^ anche là dove abbiamo l'abitudine di dire che lo spazio
è vuoto. Ed ho detto ancora che la migliore conoscenza di queg^li
•organi e del materiale con cui sono fatti si deve cercare nelle
teorie astratte; ho detto in sostanza, che invece di materializzare
le equazioni matematiche vestendole, per cosi dire, con finti
meccanismi, dobbiamo guardare il tessuto geometrico, che forma
•come lo scheletro dei fenomeni, in sé e per sé, come la espres-
sione più semplice e fpiù genuina di essi. Sono partito dalle
applicazioni industriali della parte più tecnica della fìsica, e,
senz'accorgermi, stavo quasi per entrare nelle regioni più astratte
alle quali la fìsica sia mai arrivata. Ebbene io debbo notare che
in ciò non vi fu sforzo né intenzione. La stessa cosa fanno spesso,
senza accorgersi, anche gli uomini della pratica. Egli è che
realmente non è sempre possibile segnare un confìne fra la
scienza pura e le sue applicazioni: egli è che queste non avan-
zano se quella non interviene di continuo; egli è che queste
non si muovono se quella non si muove, come una ruota den-
tata non gira se non gira con essa anche la ruota compagna.
11 popolo più tecnico del mondo, il nordamericano, dopo di
avere coperto dì opifizi il suo grande paese, incominciò col-
l'impiantarvi scuole industriali, ma attualmente è intento ad al-
lestire, con uno slancio e con una larghezza di idee per noi
dell'energia. 469
inaudita, istituti e laboratori per la scienza alta e pura. Noij che
per necessità storica procediamo in ordine inverso, noi, mentre
intendiamo all'incremento delle nostre industrie e dei nostri
commerci, serberemo nel tempo stesso agli studi l'antico culto*
Ed oggi vedendo questa nostra serena e severa casa dedicata agli
studi onorata dai Sovrani e da sì eletta adunanza di cittadini, sen-
tiamo pieni i nostri cuori non solo dì gratitudine, ma anche del
conforto che ci arreca ogni nuova evidenza della saggezza, che
veglia su di noi e di quella che ci circonda.
NECROLOGIA
{DsdVInge^erta CivtU e U Arti Industriali. Voi. XIV.)
Luciano Gaulard.
Il a6 novembre ultimo (1888) nella casa di salute di Sant'Anna,
in Parigi, moriva Luciano Gaulard. — L'iniziatore delle distri-
buzioni d'energia elettrica a grande distanza per mezzo dei
trasformatori a correnti alternanti, colui che previde e dimostrò
pel primo tutta l'importanza pratica delle correnti alternative e
dei trasformatori, moriva, a soli 38 anni, dopo un anno di cru-
dele malattia, in mezzo alle disillusioni ed allo sconforto, nel
momento stesso in cui le idee, di cui egli era stato l'apostolo,
prendevano un increménto immenso ed una importanza indu-
striale illimitata.
Ingegno singolarmente ardito ed intraprendente, egli si era,
ancora giovanissimo, fatto conoscere con ricerche, alle quali
aveva consacrato alcuni anni, sulla fabbricazione di composti
esplosivi, e con qualche apparecchio elettrico da lui presentato
alla Esposizione di Parigi del 1881. Ma la sua opera principale,
quella che ha stampato indelebilmente il suo nome nella storia
delle applicazioni elettrotecniche, quella che consumò troppo
immaturamente e troppo dolorosamente gli ultimi anni della breve
ed ansiosa sue esistenza, è quella relativa ai trasformatori per
correnti alternative. La prima applicazione della sua idea fu da
lui tentata a Londra nel 1882 con apparecchi primitivi ed inetti
a dare un buon rendimento industriale; ma dopo due soli anni,
nel 1884, egli presentava al pubblico apparecchi migliorati, e
riusciva a farli funzionare in modo da ricavarne rendimenti al-
tissimi, impreveduti. Tali apparecchi furono da lui presentati
per la prima volta nella sezione internazionale di elettricità della
Esposizione generale italiana di Torino, e sarebbero bastati da
\
472 A^ecro/ogia,
soli a dare a quella nostra Esposizione una importanza grandis-
sima. Nel fatto, l'Esposizione torinese segnò^ in grazia dei Gau-
lard, una data importante nella storia delle applicazioni elettriche.
Gli apparecchi del Gaulard presentati alla Esposizione di
Torino nel 1884 col nome di generatori secondari, sono noti ai
lettori deW Ingegneria, e sono note pure le esperienze che su
di essi si fecero, qui a Torino, dal Gaulard stesso, dai membri
della Giuria internazionale e da altri. Quelle esperienze posero
in chiaro la perfetta applicabilità del principio su cui riposava il
nuovo modo di distribuzione, assodarono che gli apparecchi tra-
sformatori potevano presentare coefficienti di rendimento uguali^
e talora anche superiori al 90 ®/o, realizzavano finalmente un
primo esempio di illuminazione elettrica a grande distanza. Colle
macchine installate nei locali della Esposizione si poterono at-
tivare, con discreto rendimento, lampade elettriche di differenti
modelli, collocate nella stazione ferroviaria dì Lanzo, alla dì-
stanza di trentaquattro chilometri, su di un circuito di circa
ottanta chilometri di filo di rame di quattro millìmetri dì dia-
metro. L' idea non era, né avrebbe potuto essere nuova, ma la
convinzione della attualità pratica della medesima, il coraggio-
deli* intrapresa, il merito della riuscita spettano indubbiamente
al Gaulard. E se ì generatori secondari presentati dall'ardito in-
ventore erano suscettibili ancora di notevoli ed importanti per-
fezionamenti, che furono poi realizzati da altri, ciò non eliminava
né la benemerenza dell'inventore, né l'importanza dei suoi
esperimenti. Il Giurì internazionale conferì al Gaulard, merita-
mente, a titolo di incoraggiamento, ì due terzi del grande
premio di L. 15.000 stabilito dal Governo e dal Municipio di
Torino.
Per una fatalità, il Gaulard, che aveva obbligato rintìero
mondo elettrico a riconoscere l'immensa importanza dei trasfor-
matori a corrente alternativa, incespicava poi in alcune moda-
lità nel loro impiego, perdeva tempo e subiva la mortificazione
di doversi arrestare mentre altri avanzavano rapidamente e
trionfalmente sul cammino nel quale egli si era messo pel primo.
Allora lo sconforto e le difficoltà materiali e finanziarie finironcK
per portare il povero inventore ad uno stato dì sovreccitazione
di mente che lo condusse al manicomio, ed un anno dopo alla
tomba.
Ultimamente anche il brevetto dì privativa del Gaulard era
stato dichiarato decaduto. Ma se oggidì noi vediamo moltìpli-
/
Luciano Gaulard.
carsi e diffondersi le distribuzioni di elettricità per mezzo dei
trasformatori e delle correnti alternative, le quali in Americap
per opera delle Società Westinghouse e Thomson Houston,
in Inghilterra per opera del Ferranti, nell'Europa continentale
per opera della Casa Ganz, trasformano ed utilizzano migliaia
e migliaia di cavalli dinamici, noi, senza nulla detrarre al merito
degli altri inventori e continuatori, non possiamo nel tempo
stesso impedirci di ripensare con immenso compiacimento alla
nostra Esposizione di Torino, che fu la sede dei primi esperi-
menti, e di appendere, con sincero rimpianto e con perenne
gratitudine, una corona sulla tomba di Luciano Gaulardp che
ebbe fin d'allora e diffuse la fede nel successo.
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