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OPERE 

DI 

GIAMBATTISTA    VICO 

ORDINATE  ED  ILLUSTRATE 

COLLI  ANALISI  STORICA  DELLA  MENTE  DI  VICO 

IN  RELAZIONE  ALLA  SCIENZi^  DELLA  CIVILTÀ 

DA 

GIUSEPPE    FERRARI 

VOL.  VI. 


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OPUSCOLI 

DI 

GIAMBATTISTA   VIGO 

NUOVAMENTE  PUBBLICATI 

CON  ALCUm  SCRITTI  INEDITI 

DA  ■  V-  :  :u ■  , 

GIUSEPPE  FERRARI 


MILANO 

DALLA  SOCIETÀ  TIPOGRAFICA  DE'  CLASSICI  ITALIANI 
MDCCCXXXVI 


JUN2  8  iyo 


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LA  SORTE  DI  VICO 


JLia  gloria  è  il  tributo  €on  cui  la  specie  umana  pre- 
mia i  lavori  dei  sommi  :,  V  ammirazione  è  il  contras- 
segno che  distingue  la  scoperta,  è  come  la  moneta 
d'ogni  valore  intellettuale:  scuotere  le  idee  dominan- 
ti, destare  l'entusiasmo  di  una  nazione,  vincere  le 
opposizioni  dell'errore,  comunicare  un  movimento  che 
si  propaga  nelle  istituzioni  sociali ,  nelle  tradizioni 
alla  posterità,  non  è  un  semplice  piacere  dell'orgoglio: 
l'uomo  che  alla  fine  di  una  vita  laboriosa  non  trova 
che  il  sarcasmo  dei  dotti,  o  la  profonda  incuria  de' 
contemporanei,  può  credere  di  aver  esistito  inutilmen- 
te, di  aver  prodigato  il  suo  pensiero  in  un'  aberra- 
zione mentale.  —  Tale  fu  la  sorte  del  pensatore  più 
grande  della  Storia  moderna.  Vico  era  figlio  di  un  li- 
brajo  miserabile,  per  lungo  tempo  fu  pedagogo  in  una 
provincia  del  Cilento  ,  a  trent'  anni  fu  nominato  ad 
una  cattedra  di  rettorica  ,  dove  rimase  per  mezzo  se- 
colo, giudicato  né  superiore  né  inferiore  al  suo  posto. 
Quando  diede  alle  stampe  i  primi  suoi  scritti  scientifici , 
fu  considerato  come  un  dotto  volgare ,  e  probabilmente 
la  contegnosa  opposizione  del  Giornale  de*  Letterati  lo 
disanimò  dal  pubblicare  la  continuazione  del  libro  sul- 
l'antichissima  Sapienza  degli  Italiani^  fu  creduto  te- 
merario quando  annunciò  il  suo  Diritto  Universale,  e 
alla  pubblicazione  del  primo  libro  si  pensò  che  non  a- 
vrebbe  continuato  (i).  La  prima  Scienza  Nuova  ^  scritta 

(i)  Vedi  tomo  I    delle    Opere   latine ^    pag.ug,    e  qui  a 
pag.  aO. 


VI  PROEMIO 

mentre  egli  aveva  già  trent*  anni  di  relazioni  lettera-  | 
rie,  fu  ricusata  da'  libra j^  il  cardinale  Corsini  che  ne 
accettava  la  dedica,  non  volle  fornirgli  le  spese  della 
stampa 5  Vico  fu  costretto  a  mutilare  il  suo  lavoro,  a 
comprimerlo  sotto  di  un  nuovo  metodo  per  restringerlo 
a  pochi  fogli ,  e  vendè  un  anello  per  sostenere  le  spese 
delP edizione  (i).  I  Letterati  di  Napoli  sparlarono  alta- 
mente della  Scienza  JVuoua  y  il  Giornale  di  Lipsia  ne 
diede  conto  in  poche  righe  sprezzanti,  come  di  un'o- 
pera serbile  accolta  col  tedio  dagli  Italiani^  era  dedi- 
cata alle  università,  e  la  disprezzarono  anche  i  profes* 
sori  di  quella  a  cui  egli  apparteneva.  Sfuggo  tutti  i  luoghi 
celebri  (egli  scriveva  ad  un  suo  amico)  per  non  ah- 
hatteimi  in  coloro  acquali  io  Uho  mandata:  e  se  per 
necessità  egli  addivenga ,  di  sfuggita  li  saluto,  nel 
quale  atto  non  dandomi  essi  neppure  un  riscontro  di 
averla  ricevuta  ^  mi  confermano  V opinione  che  io  rab- 
bia mandata  al  deserto.  Poco  diverso  fu  P  accogli- 
mento della  seconda  Scienza  Nuova:  né  in  Napoli  né 
altrove  trovò  tipografo  che  volesse  stamparla  a  pro- 
prie spese ^  fu  nuovamente  forzato  dalla  sua  mala  for- 
tuna a  serrare  in  pochi  fogli  le  sue  scoperte  per  po- 
terle trasmettere  ai  posteri  colla  stampa:  nuovamente 
dedicò  l'opera  al  Corsini  che  era  stato  elevato  al  soglio 
pontificio^  ed  anche  questa  volta  Sua  Santità  si  limitò 
a  fargli  partecipare  la  sua  soddisfazione  da  un  car- 
dinale (2). 

Il  presente  volume  è  una  raccolta  di  documenti  che 
ci  fa  conoscere  il  doloroso  dibattimento  tra  la  volontà 
di  un  uomo  e  la  forza  di  un  secolo:  quelli  che  cercano 

(i^  Vedi  Prima  Scienza  JSuova^  Vita  di  G.  B.  Vico,  p.  438 
e  qui  a  pag.  166. 
(2)  Vita  di  G.  B.  Vico,  op.  cit.  p.  466  e  qui  a  p.  i€6. 


dell'  editore  vii 

ie  rivelazioni  del  genio  nelle  opere  degli  uomini  gran- 
di, possono  ometterne  la  lettura^  desso  serve  a  scan- 
dagliare nella  intimità  della  vita  privata  la  destina- 
zione della  grandezza  ignorata  :  scorrendo  le  poesie,  le 
orazioni ,  le  adulazioni ,  le  servilità  di  cui  ridonda 
questo  volume,  si  scorge  quanto  pesasse  sul  genio  di 
Vico  l' ignoranza  generale.  Quando  egli  scrisse  la  sua 
Vita,  fu  preoccupato  dal  meschino  artifizio  di  scher- 
mirsi dal  disprezzo  generale  colle  lodi  di  alcuni  pochi  ^ 
ma  nelle  confessioni  che  gli  sfuggono  nelle  sue  cor- 
rispondenze ,  nell'  amarezza  che  s' intravede  in  alcuno 
sue  poesie,  nell'argomento  istesso  de'  suoi  lavori  let- 
terarj  si  vedono  le  esitazioni ,  i  dolori ,  i  tentativi ,  gli 
sforzi  di  un  uomo  che  senza  trovare  un  seguace  ha 
consacrata  la  vita  ad  annunziare  la  più  grande  delle 
innovazioni,  il  movimento  del  mondo  civile. 

Non  v'  ha  cura  ,  non  mezzo  che  Vico  abbia  rispar- 
miato per  acquistarsi  un  mecenate ,  un  proselito  per 
diffondere  le  sue  idee  :  esemplari  delle  sue  opere  am- 
piamente prodigati  ai  professori,  alle  biblioteche,  alle 
università,  ai  dotti,  agli  stranieri^  dediche  umiHate  ai 
grandi  colle  frasi  più  servili  ;  lezioni  lette  alle  adu- 
nanze più  solenni  dell'università:  — -  i  suoi  doni  erano 
ringraziati,  le  dediche  accettate,  le  sue  dottrine  erano 
ignorale  o  derise.  Le  lodi  e  le  protezioni  sono  spesso 
un  tacito  commercio  che  giova  alle  celebrità  effìmere 
e  che  nascono  col  bisogno  d'illudere  qualche  migliajo 
di  lettori.  Non  passava  matrimonio  o  morte  di  un 
grande  o  di  un  illustre,  che  Vico  non  meditasse  qual- 
che adulazione  in  versi  o  in  prosa:  nell'  orazione  in 
morte  di  A.  Cimìni  e  della  Contessa  d'Aspremont  lo- 
dava gli  avi ,  i  discendenti  ,  i  collaterali ,  gli  amici ,  i 
dotti  che  frequentavano  le  loro  adunanze:  nella  sola 
Giunone  in  danza  profonde  cncomj  a   circa  quaranta 


vili  PROEMIO 

mediocrità  letterarie:  all'arrivo ,  alla  partenza  de'  Vi- 
ceré d'ogni  merito",  d'ogni  nazione,  creava  nuovi  eroi^ 
pochi  sono  i  dotti  di  cui  le  prose  o  i  versi  di  Vico 
non  contengano  qualche  studiata  allusione-,  si  diceva 
per  celia  che  Vico  voleva  dare  l'immortalità  a  tutti:  — 
i  pochi  che  ricambiarono  le  lodi  ricevute ,  sono  quelli 
che  meglio  mostrarono  di  non  averlo  inteso.  I  primi 
studj  di  Vico  erano  stati  rivolti  alla  poesia  ed,  all'  e- 
loquenza  ^  i  suoi  versi  sono  meschinamente  prosaici , 
le  prose  grettamente  ampollose^  noi  conosciamo  que- 
ste produzioni ,  perchè  degli  uomini  grandi  si  conoscono 
anche  i  difetti:  i  contemporanei  di  Vico  leggevano  i 
suoi  versi,  lodavano  le  sue  prose,  e  furono  inesorabili 
nella  noncuranza  delle  sue  opere  scientifiche.  Solla ,  il 
suo  cordiale  amico,  il  suo  biografo,  gli  scrive  candi- 
damente che  stima  più  l'orazione  in  morte  di  Angiola 
Cimini ,  che  non  tutte  le  altre  sue  opere ,  non  esclusa 
la  Scienza  Nuova ,  quando  scrisse  la  Vita  di  Caraffa 
fu  lautamente  compensato  ,  mentre  la  Scienza  Nuova 
non  trovò  né  libraj  nò  protettori  -,  le  sue  produ- 
zioni letterarie  venivano  stampate  con  lusso  ,  poi  ri- 
stampate nelle  Raccolte ,  mentre  nessun  suo  scritto 
scientifico  ebbe  l'onore  d'una  ristampa:  senza  le  sue 
bassezze,  i  suoi  versi,  le  sue  orazioni,  la  sua  cattedra 
di  rettorica  egli  sarebbe  morto  di  fame,  e  certamente 
quando  a  settant'  anni  fu  nominato  regio  istoriografo, 
si  pensò  a  premiare  1' adulatore  dei  potenti,  non  l'au- 
tore della  Scienza  Nuova. 

Non  si  possono  tacciare  di  soverchia  frivolezza  i  con- 
temporanei di  Vico:  nell'università  di  Napoli  fiorivano 
valenti  professori  ^  la  giurisprudenza ,  la  filosofia  for- 
mavano la  riputazione  di  Gregorio  Calopreso,  Costan- 
tino Grimaldi ,  Carlo  Majello  ,  Troisi ,  De  Gennaro  j 
Nicolò  Cirillo,  Elia  Astorino,  Paolo  Boria,  di  Fardella. 


dell'  editore  IX 

Catalano,  Spada,  Semicola  e  di  molti  altri.  Il  genio  allora 
non  era  un  titolo  di  proscrizione:  d'Argento,  Giusti- 
niani, Egizio,  Gimma,  d'oscuri  natali,  senza  fortune,  in 
breve  tempo  salivano  ai  primi  onori,  alle  prime  cariche 
dello  Stato.  Gravina,  appena  pubblicata  l'opera  sull'Ori- 
gine del  Diritto,  veniva  chiamato  ad  insegnar  legge  a 
Roma-,  gli  erano  offerte  cattedre  dagli  accademici  di  Lip- 
sia ,  da  Vittorio  Amedeo  di  Savoja  ^  il  Fardella  aveva 
insegnato  filosofia  a  Modena,  a  Padova,  a  Venezia ,  e 
di  ritorno  dalla  Spagna  il  suo  merito  gli  aveva  frut- 
tato due  mila  filippi  di  pensione.  Elia  Astorino,  prima 
perseguitato  dall'  ignoranza  ,  destava  1'  ammirazione  a 
Venezia,  a  Marburgo,  a  Groninga,  a  Rena,  a  Cosenza^ 
il  Capasso,  Domenico  De  Angelis,  Carlo  Majello,  Spada, 
Marchese,  Porzio,  Serao,  e  cento  altri  contemporanei  di 
Vico  trovavano  ammiratori ,  erano  insigniti  di  onori , 
arricchiti  di  pensioni:  —  il  solo  Vico  sollecitava  inu- 
tilmente la  carica  di  segretario  della  città  e  una  cat- 
tedra di  Diritto^  —  ogni  giorno  egli  vedeva  innalzarsi 
i  suoi  coetanei  tra  le  aristocrazie  del  merito  nei  tribu- 
nali ,  nelle  università ,  nel  mondo  letterario,  nelle  corti , 
e  rimaneva  nella  classe  de'  pedagoghi^  —  ogni  giorno 
invecchiava  diventando  l'inferiore  de' suoi  colleghi,  re- 
stava maestro  di  rettorica,  pagato  come  un  bidello  del- 
l'università^ —  dopo  la  profetica  visione  della  Scienza 
Nuova^  quelli  stessi  che  erano  nati  mentre  egli  scriveva 
il  Libro  metafisico,  N.  Alfani,  Rapolla,  Carlo  Gagliardi, 
Pasquale  Cirillo  lo  sorpassavano  nelle  cariche  superiori 
dell'università^  —  la  sua  vita  attraversò  tre  generazio- 
ni ,  e  tutte  lo  lasciarono  educatore  di  fanciulli  ^  già 
adulto  egli  vide  succedersi  dodici  viceré,  sei  pontefici^ 
tre  volte  mutarsi  la  fortuna  del  regno  or  sotto  la  Spa- 
gna, or  sotto  l'Austria,  ora  indipendente:,  ma  nessun 
rivolgimento  valse  a  sollevarlo  dalla  sua  miseria. 


X  PROKMIO 

Sembra  che  ^ii  da  giovane  nel  castello  di  Vatolla  Vico 
intravedesse  la  sua  triste  destinazione  ^  colla  coscienza 
del  genio  egli  esclamava  :  nella  misera  vita  che  meno  io 
sono  solo  e  abbandonato,  e  la  mia  sventura  sprezza 
ogni  conforto  (  i  )  :  reduce  in  Napoli  egli ,  secondo  le 
sue  parole,  non  solo  vive  da  straniero  nella  sua  pa- 
tria y  ma  anche  da  sconosciuto ,  e  invidia  la  ventura 
de*  tanti  giovani  ammessi  a  conversare  coi  sommi  (2). 
Quest'  anima  elevata  poteva  allora  rassegnarsi  a  sof- 
frire in  silenzio  una  superiorità  ignorata^  ma  quando 
ebbe  sorpassato  d' un  secolo  e  Cujacio  e  Grozio  e 
Cartesio  che  segnavano  gli  ultimi  confini  della  scienza 
contemporanea  ^  quando  scoperta  una  scienza  nella 
storia  si  trovò  ancora  ignorato  nella  folla  delle  ac- 
cademie ,  allora  cominciò  a  cercare  una  spiegazione 
alla  propria  oscurità  :  si  ricordano  di  me  ,  egli  dice , 
fin  dalla  prima  giovinezza  e  debolezze  ed  errori ,  e 
queste  reminiscenze  diventano  criterj  eterni  per  giu- 
dicare di  tutto  il  bello  e  compito  che  per  avventura 
altri  faccia  poi  —  e  soggiunge  l'amara  riflessione  — 
io  non  ho  né  ricchezze,  né  dignità,  e  sì  mi  mancano 
due  potenti  mezzi  da  conciliarsi  la  stima  della  molti" 
tudine  (3).  Ma  questa  spiegazione  non  vale  ^  P  indif- 
ferenza de'  suol  conoscenti  era  comune  ad  un'  intera 
nazione  ^  si  accorge  che  scrittori  poveri  erano  saliti 
a  riputazioni  europee ,  che  giovani  screditati  pote- 
vano aspirare  alla  celebrità  letteraria  ^  e  allora  cerca 
alla  scienza  la  soluzione  del  problema  :  la  corrotta 
moda  delle  lettere,  egli  dice ,  ha  fatto  la  mia  avversa 
fortuna.  —  La  Scienza  Nuova  è  uscita  in   un^  età 


(i)  Pag.  345  e  se^. 

{1)  Vita,  op.  cit.  pag.  59*2. 

(5)  V.  qui  a  pag.  21  e  seg. 


XI 

in  cuiy  con  l'espressione  di  Tacito ,  oue  riflette  sopra 
i  suoi  tempi  somigliantissimi  a  questi  nostri  y    COR-- 

RUM  PERE  ET  CORRUMPI  SAECULUM  VOCATUR^  6  per- 
ciò come  libro  che  disgusta  o  disagia  i  molti ,  non 
può  conseguire  l'applauso  universale.  La  riforma  di 
Cartesio  ha  intorpidito  gli  ingegni  ^  colle  critiche  ha 
distratto  le  menti  negli  studj  aridi  delle  matematiche^ 
colla  pretesa  di  un  certo  impossibile  ha  reso  inetti  gli 
ingegni  ai  verisimili  della  vita  politica  e  delle  scienze 
civili^  ha  gettato  il  disprezzo  sullo  studio  delle  lingue, 
della  storia j  del  diritto:  quindi  la  Nuova  Scienza  sul 
corso  delle  nazioni ,  perchè  tratta  di  materie  i  di  cui 
studj  si  condannano  dal  metodo  di  Cartesio  ^  contro 
ogni  regola  di  buon'  arte  critica  ^  senza  farne  verun 
esame,  senza  applicarvi  punto  di  attenzione  con  un 
giudizio  superbo,  che  è  quel  che  non  rende  ragione  del 
perchè  così  giudica,  la  condannano  dicendo  che  non 
s'intenda  (i).  —  E  cercava  d'invocare  l'autorità  de' 
più  accreditati  contro  la  corrente  del  secolo  -^  afferrava 
le  testimonianze  più  fuggitive  per  darvi  la  pubblicità 
della  stampa.  Fa  compassione  la  gratitudine  con  cui 
quest'uomo  oppresso  ricorda  una  stretta  di  mano  del- 
l'Aulisio,  l'abbraccio  di  un  avvocato,  il  colloquio  di 
un  frate  Teatino^  egli  pubblica  nelle  sue  orazioni  che 
la  Cantelmi  Stuarta  gli  fece  una  visita,  che  la  Cimini 
ascoltava  i  suoi  discorsi  sulla  Scienza  Nuova.  Ledere 
gli  aveva  dato  nella  sua  Biblioteca  alcune  di  quelle 
vaghe  lodi,  senza  convinzione  di  cui  il  secreto  forma 
l'onniscienza  de'  nostri  giornalisti  ^  egli  ne  menò  vanto 
fin  che  visse,  le  commentò  nella  prima  Scienza  Nuova ^ 
le  citò  in  altri  lavori ,  e  nella  sua  Vita  lo  ringrazia  di 
avergli  data  V  immortalità.    Quelle    lettere   con   cui   i 

(i)  V.  qui  a  pag.  I  e  seg.,  u  e  seg.,  02  e  seg. 


XII  PROEMIO 

dotti  lo  ringraziavano  del  dono   de'  suoi  libri  \  quelle 
lodi   insignificanti   che   P  urbanità  o  la  politica  o   l' i- 
gnoranza  de'  letterati  non  lascia  mancare  alle  più  me- 
diocri  capacità ,   sono  da  lui   mostrate   nelle  adunan- 
ze    spedite   ai  corrispondenti ,   pubblicate  colle  stam- 
pe (i).  —  Verso  la  fine  però  della  vita  si  accorgeva  che 
gli  uomini  letterati  danno  privatamente  assai  pia  van- 
taggiosi giudizj  delle  opere  altrui^  di  quello  farebbero 
se  ne  avessero  pubblicamente  a  far  le  censure.  Doveva 
pur  avvertire  che  nel  commercio  delle  lodi  accademi- 
che se  Agnello  lodava  il  suo  Diritto  Universale,  baciava 
tre  volte  un  viglietto  scritto  dal  Giacchi  (2)  -,  che  Nicolò 
Concina  lodava  la  Scienza  Nuova  j  ma  poneva  Doria  a 
livello  di  Vico:  doveva  pur  disgustarsi  anche  di  Giac- 
chi ,  di  Solla  e  di  altri  amici  che  apprezzavano  egual- 
mente  e  la  Scienza  Nuova  e  la  Vita  di  Caraffa  e  le 
sue  Canzoni.  Sulla  fine  de'  suoi   giorni   parve   procla- 
mare egli  stesso  il  suo  isolamento,  appellarsi  alla  po- 
sterità, sperare  a'  suoi  libri  una  generazione  più  illu- 
minata: quanta  forza  d'animo  in  questo  duello  di  un 
uomo  contro  tutti  gli  altri  !  Ma  il  dubbio  venne  a  scuo- 
tere il  suo  genio  anche  nell'ultimo  asilo  della  coscienza  : 
la  corruzione  Cartesiana  era  cresciuta  non  come  le  ef- 
fimere apparizioni  della  moda,  ma  come  il  movimento 
irresistibile  di  un'epoca*,  alla  riforma  di  Cartesio  succe- 
deva la  scuola  di  Locke  ,  più  splendida  nelle    fisiche , 
più  attraente,  perchè  armata  di  passioni  popolari,  più 
terribile  nella  sua  critica,  perchè  assaliva  le  istituzioni 
sociali.  Vico ,   già  oppresso   dalla   riforma  Cartesiana  , 
vive  abbastanza  per  ravvisare  tutti  i  sintomi  che  pre- 
sagiscono l' era  degli  Enciclopedisti  *,  egli  riponeva  l' u- 

(i)  Pag.  20,  21,  27. 
(2)  Pag.  27,  35. 


DEIL' EDITORE  XIII 


inanità  nelle  idee  di  Platone ,  e  la  filosofia  di  Lo- 
cke degradava  il  pensiero  fino  alla  sensazione^  la  sto- 
ria già  trascurata  da  Cartesio  era  il  campo  della  sua 
grandezza ,  e  vedeva  diffondersi  quelP  epicureismo  es- 
senzialmente antistorico ,  perchè  aveva  ricevuto  la  mis* 
sione  di  demolire^  egli  fondava  la  civilizzazione  sulla 
religione  e  sulP  autorità  de'  principi ,  e  vedeva  sorgere 
quel  secolo  di  incredulità  e  di  derisione ,  che  comin- 
ciò colle  orgie  di  un  Reggente,  e  finì  col  supplizio  di 
un  Re.  Il  genio  di  Vico  fu  confuso  dal  corso  parados- 
sale di  una  civilizzazione  che  doveva  progredire  colle 
rovine:  scandagliando  l'avvenire  colla  sua  meditazione 
Romana ,  non  pensò  che  alla  somiglianza  de'  suoi  tempi 
con  quelli  di  Tacito,  invece  di  attendere  alla  reden- 
zione de'  popoli  :  oppresso  dall'  opposizione  universale 
e  dal  fato  di  Roma,  forse  ha  esitato  tra  il  sospetto  di 
un  decadimento  universale  e  il  sospetto  di  follia  nelle 
proprie  meditazioni  ;  forse  fu  assalito  da  quelle  dubi- 
tazioni crudeli  che  spesso  afflissero  gli  uomini  fatali 
fche  si  sono  consacrati  alla  causa  delP umanità,  che  ar- 
restarono nelP  indecisione  molti  genj  progressivi ,  che 
trovansi  simboleggiate  nelle  religioni  orientali ,  e  che 
dovrà  sempre  soffrire  ogni  mente  privilegiata  in  una 
società  dove  il  male  è  in  natura ,  il  bene  è  un'  arte , 
il  progresso  è  una  lotta.  —  La  disgrazia  mi  persegui^ 
terà  anche  dopo  la  morte  :  ecco  P  ultimo  lamento  di" 
Vico ,  P  ultima  voce  involata  alle  sue  pareti  domesti- 
che, che  giunge  a  noi  ad  un  secolo  di  distanza,  e  che 
risuona  tristamente,  come  il  gemito  uscito  da  una  tomba. 
Gli  ultimi  giorni  di  Vico  furono  infelicissimi  :  vide 
crescere  P  indigenza  domestica  ^  fu  afflitto  profonda- 
mente dalle  infermità  di  una  figlia ,  dal  disonore  di 
un  figlio^  gli  mancarono  le  forze  per  camminare,  perde 
quasi  interamente  la  memoria.  —  La  mente  che  aveva 


XIV  PROEMIO 

evocate  le  leggi,  le  religioni,  i  governi  dell'antichità  per 
ricostruire  idealmente  il  dramma  della  civilizzazione, 
era  ebete ^  —  il  fondatore  di  una  scienza  sterminata, 
come  le  speranze  dell'uomo,  era  ebete ^  —  passava  le 
intere  giornate  seduto  in  un  angolo  della  casa  taciturno , 
non  salutava  gli  amici ,  appena  riconosceva  i  figli.  Noi 
che  abbiamo  passato  per  tanti  disinganni ,  che  per  pro- 
gredire abbiamo  camminato  sulle  rovine  di  ciò  che  fu 
sacro  per  tanti  secoli^  noi  che  spieghiamo  il  patriottismo 
colle  leggi  del  mercato ,  V  entusiasmo  colle  leggi  della 
pazzia ,  noi  alla  vista  di  quelP  uomo  pallido ,  silenzio- 
so, immobile,  distrutto  dalle  malattie,  dai  dispiaceri, 
dalla  meditazione,  ci  saremmo  prostrati  in  un  senti- 
mento d' irresistibile  ammirazione.  Ma  chi  sa  se  V  ab- 
bate Genovesi  si  sarà  ricordato  del  suo  maestro  di  ret- 
torica,  se  il  Boria  si  sarà  risovvenuto  del  suo  assiduo 
cliente?  Quelli  che  rimasero  indifferenti  all'apparizione 
della  Scienza  Nuo{>a^  non  potevano  certo  sospettare  che 
queir  ebete  doveva  passare  all'  ammirazione  dei  poste- 
ri ,  ecclissare  le  più  grandi  celebrità  del  secolo  xviii.  — 
Ricuperò  l'uso  dei  sensi  pochi  giorni  prima  di  mori- 
re, la  gioja  fu  grande  nella  sua  famiglia^  ma  egli  non 
potè  che  ^aggiungere  l' ultima  amarezza  a  quelle  che 
aveva  rattristato  il  corso  della  sua  vita.  I  suoi  fune- 
rali si  celebrarono  senza  pompa,  nel  trasporto  del  ca- 
davere furono  interrotte  le  cerimonie  d' uso ,  la  sua 
tomba  rimase  per  mezzo  secolo  senza  un  epitafio  che 
la  indicasse 

fj  L'oscurità  di  Vico  non  può  essere  un  fatto  mera- 
mente casuale:  un  secolo  e  una  nazione  non  sono  gra- 
tuitamente ostili,  nò  gratuitamente  favorevoli:  l'oscu- 
rità di  Vico  adunque  è  un  problema  istorico  che  in- 
volge nella  sua  soluzione  i  destini  della  scienza  da  lui 


DELL*  EDITORE  XY 

proposta:  questo  problema  è  uno  di  quelli  che  pos- 
sono essere  sciolti  facilmente,  ma  che  sono  il  corolla- 
rio di  un'  intera  scienza^  chi  lo  ricusa,  ignora  la  scien- 
za^ chi  l'accetta  e  vi  sorpassa  leggermente,  tratta  un 
miracolo  come  un  accidente. 

Queste  idee  forse  daranno  un  senso  agli  scritti  per  la 
maggior  parte  insignificanti  che  abbiamo  raccolti  in  que- 
sto volume.  Le  poesie  furono  già  pubblicate  per  educare 
il  gusto,  le  orazioni  per  dare  de^  modelli  di  eloquenza , 
la  corrispondenza  epistolare  per  mostrare  come  Vico 
fosse  applaudito:  noi  presentiamo  le  poesie  e  le  ora- 
zioni come  una  dolorosa  necessità  che  gli  fu  imposta  di 
rifugiarsi  nella  sua  professione  di  retore  ^  presentiamo  la 
corrispondenza  come  una  formale  dimostrazione  della 
sua  oscurità.  Si  tolgano  i  complimenti  d'  uso,  si  leg- 
gano i  rifiuti  dati  da  Esperti,  Vitry,  Corsini*  si  os- 
servi il  tono  abitualmente  rassegnato,  invariabilmente 
umile  delle  sue  lettere^  si  confronti  la  sua  corrispon- 
denza con  quella  di  Magliabechi ,  chiamato  un  nuovo 
Messia,  colle  lodi  date  al  Mazzocchi  proclamato  totiiis 
Europeae  literariae  miraculum^  col  rispetto  mostrato  al 
Serao  eletto  arbitro  in  una  contesa  dei  Medici  di  Pa- 
rigi ^  e  per  non  parlare  che  de'  pari  di  Vico ,  si  con- 
fronti tutta  la  sua  vita  con  quella  di  Cartesio ,  di  Leib- 
nitz  e  di  cento  altri  festeggiati  dai  principi  illustri 
nelle  stesse  sventure,  e  si  vedrà  quanto  triste  fosse 
l'isolamento  di  Vico,  quanto  grande  fosse  la  barriera 
invisibile  che  l' incomunicabilità  delle  sue  idee  pose 
fra  la  sua  mente  e  i  suoi  contemporanei. 

Il  volume  è  ordinato  nelle  tre  parti  degli  Scritti  scien- 
tifici y  delle  Orazioni  ed  Iscrizioni  e  delle  Poesie.  Nella 
disposizione  della  prima  parte  fu  da' noi  leggiermente 
alterato  l'ordine  cronologico,  per  seguire  la  logica  con- 
nessione delle  idee  :  per  tal  modo  col  sacrifizio  di  qual- 


XVI  PROEMIO   dell'  EDITORE 

che  data  posposta  si  troveranno  raccolte  le  idee  di  Vico 
come  in  altrettanti  gruppi,  secondo  che  riguardano  o 
il  suo  secolo  —  o  la  poesia  —  o  la  morale  e  la  filo- 
sofia —  o  semplici  curiosità  letterarie. 

Prima  di  finire  dobbiamo  attestare  la  nostra  ricono- 
scenza al  eh.  sig.  marchese  Cari' Antonio  di  Villarosa 
per  avere  in  qualche  modo  collaborato  con  noi  a  ren- 
dere veramente  completa  quest'edizione.  Grazie  al  soc- 
corso di  questo  diligentissimo  raccoglitore  degli  scritti 
di  Vico  noi  siamo  i  primi  a  pubblicarne  le  Poesie  la- 
tine, le  Iscrizioni  (tranne  le  prime  cinque  a  pag.  822 
e  seg.  e  le  due  a  pag.  327-828  )  e  qualche  prosa.  Nes- 
suno prima  d'ora  ha  mai  indicata  l'esistenza  di  questi 
scritti  5  de'  quali  alcuni  sono  inediti ,  altri  erano  smar- 
riti in  collezioni  affatto  dimenticate:  abbiamo  creduto 
nostro  dovere  di  pubblicarli  in  un'edizione,  lo  scopo 
di  cui  è  di  dare  una  raccolta  completa  delle  opere 
di  Vico ,  e  i  dati  per  lo  studio  istorico  della  sua  mente. 


PARTE    I. 

SCRITTI   SCIENTIFICI 


Vico,  Opuscoli, 


IDEE  SU  I  CONTEMPORANEI  DI  G.  B.  VIGO 


LETTERA   ALL^ ABATE  GIUSEPPE    LUIGI  ESPERTI 
PRELATO  DOMESTICO  ALLA  CORTE  DI  ROMA  0) 


R, 


Napoli,   1726. 

.endo  a  V.  S.  Illustrissima  cumulatamente  i  lieti 
augurj  che  volentieri  prendo  dalla  di  lei  verso  me 
singolare  benivoglienza:  e  nell'atto  stesso  che  gliele 
rendo  j  glie  ne  rimango  infinitamente  obbligato. 

Siccome  infiniti  obblighi  le  professo  altresì  del- 
l'ufizio  passato  col  signor  Cardinale  d' intorno  al- 
l'onesta utilità^  la  quale  io  credeva  avermi  offerto 
la  fortuna  nella  discoverta  delle  origini  eroiche  delle 
due  Case  di  Francia  e  d'Austria:  ma  poiché  non 
sembra  all'È.  S.  convenirgli,  io  tanto  debbo  sti- 
mare. Però  mi  perdoni  qui  la  molta  affezione  che 
V.  S.  Illustrissima  ha  per  li  miei  vantaggi,  se  in 
ciò  non  ascolto  il  di  lei  consiglio.  Perchè  stime- 
rei meritare,  se  non  biasimo,  almeno  poco  gra- 
dimento appo  i  signori  cardinali  Cienfuegos  e  Po- 

(i)  Col  nuovi  prlncipj  della  Scienza  Nuova  il  Vico  aveva 
assegnato  l'antichità  di  quattro  mila  anni  alla  sovranità  delle 
Case  d'Austria  e  di  Francia  {Scienza  Nuova  Prima y  lib.  Ili, 
pag.  243-245):  credeva  che  questo  sogno  gli  dovesse  procac- 
ciare un'onesta  utilità:  l'Esperti  ne  lo  disingannò,  gli  fece 
intendere  che  l'Opera  non  era  applaudita:  in  questa  lettera 
il  Vico  si  rassegna  alla  sua  sorte,  e  spiega  che  1  tempi  di 
Gassendi,  di  Descartes  e  di  Locke  non  possono  essere  quelli 
della  Scienza  Nuova.  —  Fu  nel  1792  che  l'avvocato  France- 
sco Saverlo  Esperti  diede  alla  luce  questi  pensieri  di  Vico,  che 
sessantasei  anni  prima  saranno  stati  compatiti  dal  Prelato  ro- 
mano, a  cui  erano  diretti. 


4  PARTE    I. 

lignac,  se  inviassi  loro  gli  esemplari  delF opera  co- 
tanto tardi  j  e  di  carta  ordinaria ,  perchè  de'  fini 
se  n'è  stampata  una  sola  dozzina,  e  non  più 3  e 
presentarli  senza  altra  mallevadoria  che  della  sua 
fama^  che 5  come  lo  stesso  signor  cardinale  Cor- 
sini diceva  con  essolei,  non  aveva  incontrato  ap- 
plauso appresso  taluni  5  i  quali  devono  essere  i 
piùj  tra  per  le  ragioni  le  quali  ella^  per  favorir- 
mi,  gli  addusse,  ed  esso  signor  Cardinale  con  la 
sua  solita  generosità  si  degnò  di  riceverle,  e  per 
queste  altre  che  io  ora  le  arrecherò. 

11  libro  è  uscito  in  una  età  in  cui,  con  l'espres- 
sione di  Tacito,  ove  riflette  sopra  i  suoi  tempi 
somigliantissimi  a  questi  nostri,  corrumpere  et  cor- 
riunpi  seciilum  vocatur;  e  perciò,  come  libro  che 
o  disgusta  0  disagia  i  molti,  non  può  conseguire 
l'applauso  universale.  Perchè  egli  è  lavorato  sul- 
ridea  della  Provvidenza,  si  adopera  per  la  giu- 
stizia del  genere  umano,  e  richiama  le  nazioni  a 
'  severità.  Ma  oggi  il  mondo  o  fluttua  ed  ondeggia 
tra  le  tempeste  mosse  a'  costumi  umani  dal  Caso 
di  Epicuro,  o  è  inchiodato  e  fìsso  alla  Necessità 
del  Cartesio  :  e  così  o  abbandonatosi  alla  cieca 
Fortuna,  o  lasciandosi  strascinare  dalla  sorda  Ne- 
cessità, poco,  se  non  pur  nulla,  si  cura,  con  gli 
sforzi  invitti  di  una  Eiezion  ragionevole  di  rego- 
lare l'una,  o  di  schivare,  ed  ove  non  possa,  al- 
meno di  temprar  l'altra.  Perciò  non  piacciono  li- 
bri che  quei  i  quali,  come  le  vesti,  si  lavorino 
sulla  moda:  ma  questo  spiega  l'uomo  socievole 
sopra  le  sue  eterne  proprietà.  Gli  scrittori  che 
amano  vivi  udire  gridarsi  i  loro  nomi,  e  con  una 
gloria  tempestiva  accoppiar  l'utile,  e  far  guadagno 
de'  libri,  indrizzano  le  penne  al  gusto  del  secolo, 
perchè  piiì  speditamente  vofìno  a  seconda  del 
tempo.  Ed  in  vero  sarebbe  materia  degna  di  tutta 


SCRITTI    SCIENTIFICI  5 

l'applicazione  degl'ingegni  ben  .informati  de'  par- 
ticolari nella  repubblica  delle  lettere,  di  scrivere 
sulle  occulte  o  straniere  cagioni  della  fortuna  de 
libri.  Il  Gassendi  ritruovò  il  mondo  tutto  marcio 
in  amori  di  Romanzi ,  e  illanguidito  in  braccio  di 
una  troppo  compiacente  Morale  5  e  vivo  udì  da 
per  tutto  celebrarsi  il  suo  nome  di  ristoratore 
della  buona  Filosofia,  perchè  di  un  sistema  che 
fa  criterio  del  vero  il  senso,  di  cui  a  ciascuno 
piace  il  suo,  e  pone  nel  piacere  del  corpo,  per- 
chè non  vi  è  altro  per  Epicuro  che  Vano  e  Cor- 
po, l'umana  felicità.  In  odio  della  Probabile  s'ir- 
rigidisce in  Francia  la  cristiana  Morale,  e  dal  vi- 
cino Settentrione,  e  gran  parte  deìla  Germania  , 
lo  spirito  interno  di  ciascheduno  si  fa  divina  re- 
gola delle  cose  che  si  deon  credere.  Vede  il  Car- 
tesio il  tempo  di  far  uso  de'  suoi  meravigliosi  ta- 
lenti, e  de'  lunghi  e  profondi  suoi  studj ,  e  lavora 
una  Metafisica  in  ossequio  della  Necessità ,  e  sta- 
bilisce per  regola  del  vero  l'idea  venutaci  da  Dio, 
senza  mai  definirla  :  onde  tra  essi  Cartesiani  me- 
desimi sovente  avviene  che  una  stessa  idea  per 
uno  sarà  chiara  e  distinta,  oscura  e  confusa  per 
l'altro.  E  sì  egli  salì  vivente  in  fama  di  Filosofo 
celebratissimo  in  questo  secolo  dilicato  e  vistoso, 
nel  quale  dalli  più  con  poco  studio  e  co'  soH  na- 
turali talenti  si  vuole  comparir  dotti,  e  fanno  la 
loro  capacità  regola  de'  libri*  onde  stimano  buoni 
i  soli  spiegati  e  facili,  di  cui  si  possa  per  passa- 
tempo ragionare  con  le  dame;  al  contrario  quelli 
che  richiedono  nel  leggitore  molta  e  varia  erudi- 
zione, e  l'obbligano  al  tormento  del  molto  riflet- 
tere e  combinare,  condannano  col  solo  dire  che 
non  s'intendono.  L'Inghilterra  incerta  nelle  reli- 
gioni, ed  in  un  secolo  quanto  severo  nel  dettar 
massime,  tanto  dissoluto  nel  praticarle,   a   tempi 

<oo  1U1  ^ib 


6  PARTE    I. 

proprj  da  fuori  il  Locke,  il  quale  si  studia  sta- 
bilire la  metafisica  della  Moda,  e  vuole  sposare 
Epicuro  con  la  Platonica.  Tra'  letterati  la  maggior 
parte  di  tal  fatta  che  non  amano  fissarsi  nella 
lettura  di  libri  di  meditazione,  com' ella  a  mio  prò 
disse  col  signor  Cardinale,  e  quindi  Filologi  che 
non  si  dilettano  che  di  Dizionarj  e  Ristretti,  quanti 
pochi  deono  esser  coloro  a  cui  piaccia  quest'  o- 
pera,  la  cui  materia,  come  dice  il  signore  abbate 
Odazj  per  favorirmi ,  è  una  vasta  disamina  delle 
cose,  la  pruova  è  un  pensar  forte,  per  profon- 
darvi e  comprenderle!  Ma  consolo  le  mie  lunghe 
ed  aspre  fatiche  sofferte  in  mezzo  alle  tempeste 
ddla  contraria  fortuna ,  e  tra  le  secche  della  mia 
povera  numerosa  fan»iglia,  che  l'opera  sia  pia- 
ciuta al  sapientissimo  signor  cardinale  Corsini,  e 
che  stia  al  coverto  della  di  lui  potente  protezio- 
ne. Quindi  sono  io  molto  obbligato  al  signor  abbate 
Odazj  per  l'interesse  che  ne  dimostra,  come  a 
quei  molti  sani  uomini,  che  egli  le  disse,  sen- 
tirne bene. 

D'intorno  agli  esemplari  ch'ella  mi  avvisa  che 
io  mandassi  a'  signori  cardinali  Davia  e  Pjco,  du- 
bito mandarU  e  tardi,  e  di  carta  ordinaria 3  però 
se  ella  comanda  cosi,  al  suo  cenno  tosto  gli  avvie- 
rò.  Godo  che  il  signor  conte  di  Porcia  resterà 
contento  della  vita  letteraria  del  signor  Cirillo.  Per 
quella  del  signor  Doria,  il  signor  D.  Marcello  Fi- 
lomarino vi  si  adopererà  con  tutta  efficacia^  il 
quale  la  riverisce  divotamente,  ed  umilia  i  suoi 
rispetti  a  S.  E.  Corsini,  a  cui  riverentemente  ri- 
sponde, dispiacere  ad  esso  in  sommo  grado  di  dif- 
ferire la  sua  venuta  costà,  per  la  quale  sta  pren- 
dendo tutti  i  mezzi  che  vi  necessitano,  affine  di 
ossequiare  l'È.  S.  di  presenza,  com'è  suo  debi- 
to: ed  io  piegandola  dell'onore  de' suoi  coman- 
di, mi  confermo,  ec. 


SCRITTI    SCIENTIFICI 


LETTERA    DEL    P.   ED.    DE   VITRY 
DELLA  COMPAGNIA  DI  GESÙ 

Roma,  5  gennajo  1726. 

Je  suis  bien  fàché,  Monsieur,  de  n'avoir  pu  réussir 
dans  la  première  affaire,  que  vous  m'avez  fait  l'hou- 
neur  de  me  recommander  en  faveur  de  ce  boa  Reli- 
gieux  Conventuel,  qui  me  parait  avoir  de  l'esprit  et 
du  mérite.  Mais  il  a  eu  un  grand  nombre  de  concur- 
rens  qui  ont  été  plus  heureux.  Je  vous  prie,  Monsieur, 
d'étre  persuade  que  j'ai  fait  de  mon  coté  tout  ce  qui 
m'a  été  possible  pour  le  servir  à  votre  considération; 
mais  il  n'a  pu  avoir  que  5y  points ,  et  le  dernier  qui 
a  été  admis  en  a  eu  67.  J'espère  étre  plus  heureux 
une  autre  fois,  et  vous  me  ferez  justice  de  compter 
toujours  sur  ma  bonne  volonté. 

M.  PAbbé  Esperti  m'a  fait  la  grace  de  me  donner 
votre  dernier  ouvrage,  dont  je  vous  suis  infiniment 
obligé.  Le  dessein  m'en  a  paru  fort  beau,  et  mele  d'une 
érudition  profonde  et  solide.  Il  est  bien  de  l'acheter 
pour  Phonneur  de  notre  sainte  religion ,  que  vous 
acheviez  tout  l'édifice  dont  vous  avez  donne  un  si  beau 
lau,  et  que  vous  fassiez  voir  que  les  vrais  principes 
u  droit  ne  se  trouvent  que  dans  la  vraie  Église. 

Gomme  je  suis  en  correspondance  avec  nos  Pères  de 
Paris  qui  travaillent  aux  Mémoires  de  Trévoux,  vous 
me  feriez  bien  du  plaisir,  Monsieur,  de  ra'instruire  de 
tout  ce  qui  se  passe  dans  vos  quartiers  et  raéme  en  Si- 
cile  par  rapport  à  la  bonne  littérature ,  et  les  auteurs 
des  nouveaux  livres  qui  s'impriment ,  et  ce  sera  encore 
une  plus  grande  faveur  si  vous  voulez  bien  y  joindre 
vos  reflexions.  J'ai  Phonneur  d'étre  avec  beaucoup  de 
considération  et  de  respect,  ec. 


l 


8  PARTE   I. 


RISPOSTA  AL  P.  ED.  DE  VITRY 
DELLA  COMPAGNIA  DI  GESÙ 

Napoli,  20  gennajo  1726. 

Sono  infinitamente  obbligato  a  V.  Riv.  della 
buona  opinione  che  ella  ha  dell'opera  da  me  in- 
viatale ultimamente  data  alla  luce. 

D'intorno  a  ciò  che  ella  mi  comanda  di  noti- 
zie letterarie  di  qui  e  di  Sicilia,  con  miei  giudizj^ 
{)er  ragguagliarne  li  vostri  R.  P.  di  Trévoux,  da' 
etterati  di  quell'Isola  qui  non  si  ha  affatto  con- 
tezz' alcuna:  di  questa  città  io  posso  darle  questa 
novella,  che  da'  savj  uomini  qui  si  vive  persuaso 
che  se  la  Provvidenza  Divina  per  una  dell'  infinite 
sue  occulte  e  ad  ogni  umano  scorgimento  nasco- 
ste vie  non  l'invigorisce  e  rinfranca,  sia  già  verso 
il  suo  fine  la  repubblica  delle  lettere.  Perchè  in 
vero  è  da  far  orrore  a  chiunque  vi  rifletta,  che 
di  questa  famosa  guerra  fatta  per  la  successione 
di  Spagna,  di  cui  dopo  la  seconda  cartaginese, 
non  che  quella  di  Cesare  con  Pompeo,  e  di  Ales- 
sandro con  Dario,  non  s'è  fatta  altra  maggiore 
nel  mondo,  se  non  pure  questa  della  stessa  car- 
taginese è  maggiore,  non  si  è  ritrovato  alcun  So- 
vrano a  cui  cadesse  in  mente  di  farla  conservare 
all'eternità  da  qualche  penna  eccellente  in  lingua 
latina,  onde  si  sperasse  durare  la  lunghezza  de' 
tempi  colla  lingua  della  religione  e  delle  leggi  ro- 
mane comune  a  tutta  l' Europa  :  lo  che  dà  pur 
troppo  evidentemente  ad  intendere  che  oggi  i  prin- 
cipi nemmeno  dal  proprio  interesse  della  loro  glo- 
ria si  muovono  più  a  conservare,  non  che  a  pro- 
muovere le  lettere.  Ne  viene  anche  ciò  confermato 
col  fatto  funesto  a  tutta  la  repubblica   letteraria  ; 


SCRITTI    SCIENTIFICI  Q 

che  nella  Grecia  di  questo  nostro  mondo  presente 
(dico  la  vostra  Francia)    la    celebre   libreria   del 
cardinal  de  Rohan  non   ha    ritrovato  compratore 
che  intera  la  conservasse j  ed  ha  dovuto  vendersi 
per  essere  lasciata  a  merendanti  olandesi,  e  quindi 
se  ne  fossero  sparsi  gl'indici  perle  nazioni.  Dipoi 
per  tutte  le  spezie  delle  scienze  gl'ingegni  d'Eu- 
ropa sono  già  esausti  3  gli  studj  severi  delle  due 
lingue  greca  e  latina    si    consumarono   così    dagli 
scrittori  del  Cinque,  come  da' critici  del  Seicen- 
to.   Un    ragionevol    riposo    della    Chiesa  Cattolica 
sopra  l'antichità  e  perpetuità,  che  piij  che  le  al- 
tre vanta  la  version  vulgata  della  Bibbia,  ha  fatto 
che  la  gloria  delle  lingue  orientali  fosse   de'  Pro- 
testanti. Delle  Teologie  la  Polemica  riposa,  la  Dom- 
matica  è  stabilita.  I  Filosofi  hanno  intorpiditi  gl'in- 
gegni col  Metodo  di  Cartesio  j    per    lo    qual    solo 
paghi   della  lor  chiara    e    distinta    percezione,    in 
quella  essi  senza  spesa  0  fatica  ritrovano   pronte 
ed  aperte  tutte  le  librerie.    Onde    le    Fisiche  non 
più  si  pongono  al  cimento,  per  vedere  se  reggono 
sotto  l'esperienze:    le  Morali    non    più  si   coltiva- 
no,   sulla    massima    che    la  sola    comandataci  dal 
Vangelo  sia  necessaria:  le  Politiche  molto  meno, 
approvandosi  dappertutto    che  bastino  una   felice   ' 
capacità  per  comprender  gli  affari,  ed  una  destra 
presenza  di  spirito   per  maneggiarli    con   vantag- 
gio. Libri  di  Giurisprudenza  romana  colta  si  fan 
vedere  piccioli  e  radi  dalla  sola  Olanda.  La  Me- 
dicina ,  entrata  nello  scetticismo,  si  sta  anche  sul- 
l'epoca dello  scrivere.  Certamente  il  fato  della  sa- 
pienza   greca    andò    a    terminare    in    Metafisiche 
niente  utili,  se  non  pur  dannose  alla  civiltà  ;   ed 
in  Matematiche  tutte  occupate    in  considerare   le 
grandezze,  che  non  sopportano  riga  e  compi>sso, 
le  quali  non  hanno  niun  uso  per  le   Meccaniche, 


IO  PARTE    I# 

nelle  quali  due  sorti  di  studj  sembra  che  oggi 
vada  a  spirare  la  più  del  suo  giusto  punto  raffi- 
nata letteratura  presente.  Per  tutte  le  quali  parti 
dello  scibile  noverate,  si  vede  apertamente  la  ne- 
cessità che  hanno  gli  uomini  di  lettere  di  oggidì 
<  d'assecondare  il  genio  del  secolo  vago  più  di  rac- 
contare in  somma  ciò  che  altri  seppero,  che  pro- 
fondarvisi  per  passar  più  oltre.  Quindi  essi  de- 
vono lavorare  o  Dizionarj  ,  o  Biblioteche ,  o  Ri- 
stretti,  appunto  come  gli  ultimi  letterati  della  Gre- 
cia furono  gli  Suidi,  cioè  gli  stessi  che  i  Greci, 
gli  Offmanni,  Moreri,  Baili,  i  Fozii  colle  lore  Bi- 
blioteche, gli  Stobei  colle  loro  Selve,  ed  altri  molti 
colle  loro  Ecloghe,  che  a  livello  rispondono  a' 
ristretti  de'  nostri  tempi.  E  in  difetto  anche  di 
questi  siffatti  autori,  per  non  languire  le  stampe-^ 
rie,  si  sono  ingegnate  di  allettar  il  gusto  delicato 
e  nauseante  del  secolo ,  ristampando  libri  con  un 
sommo  lusso  di  rami,  con  le  più  vaghe  delizie 
de'  bulini ,  e  con  pompa  sfoggiantissima  di  figu- 
re: talché  si  fatte  ristampe  sembrano  somiglian- 
tissime alle  salse,  pur  oggi  introdotte,  che  allora 
si  condiscono  più  saporose,  ove  sulle  portate  de- 
vonsi  bandire  le  carni  e  i  pesci  più  trapassati. 
Qui  in  Napoli  non  sono  stamperie  di  questo  fon- 
do, ne  artefici  di  questa  perfezione;  e  quantunque 
vi  si  abbondi  di  acuti  ingegni  e  di  severo  giudi- 
zio che  potrebbero  lavorar  opere  tutte  nuove  e 
tutte  proprie,  sono  però  i  nobili  addormentati 
da'  piaceri  della  vita  allegra*  que'  d'inferior  for- 
tuna sono  tratti  dalla  necessità  o  di  disperdersi 
nella  folla  del  nostro  Foro ,  o  per  menar  più  tran- 
quillamente la  vita,  esercitarsi  in  occupazioni,  che 
se  non  glie  ne  dissipano,  certamente  pur  troppo 
glie  ne  infievoliscono  la  natura.  Non  devo  per  tanto 
io  tralasciare    di    darle    questa    notizia    letteraria, 


SCRITTI    SCIENTIFICI  I  I 

ma  pur  poco  lieta  per  gli  avanzi  di  esse  lettere. 
Questi  RR.  PP.  deir  Oratorio  con  animo  veramente 
regale  e  pieno  di  pietà  inverso  di  questa  patria 
han  comperata  la  celebre  libreria  del  cbiarissimo 
Giuseppe  Valletta  per  quattordici  mila  scudi ,  la 
quale  trent'anni  addietro  valeva  ben  trentamila  : 
ma  io  che  sono  stato  adoperato  ad  estimarla,  ho 
dovuto  tener  conto  de' libri,  quanto  essi  vagliono 
in  piazza ,  nella  quale  i  greci  e  i  latini ,  anche 
delle  più  belle  e  più  corrette  edizioni  primiere, 
sono  scaduti  più  della  metà  del  lor  prezzo ,  e  il 
di  lei    maggior  corpo    sono   siffatti   libri    greci   e 

latini.  :yj 

Mi  perdoni  V.  R.  se  ho  ecceduti  i  giusti  ter- 
mini della  lettera  con  alquanto  di  confidenza;  per- 
chè ho  dovuto  approvarle  ciò  che  altra  volta  le 
feci  intendere  dal  signor  abate  Esperti,  che  in 
ciò  ella  mi  aveva  comandato,  se  non  disperava 
affatto ,  diffidava  certamente  di  poterla  servire.  Ora 
pregandola  in  altre  cose,  dov'ella  mi  conosca  abile 
di  onorarmi  de'  suoi  comandi ,  umilissimamente 
riverendola  mi  rassegno,  ec. 


LETTERA  AL  SIG.  D.  FRANCESCO  S0LL4 

Napoli,  19.  gennajo   1759. 

La  vostra  luminosa  maniera  di  pensare,  genti- 
lissimo signor  D.  Francesco ,  in  verità  mi  sor- 
prende, e  '1  saper  generoso  (che  se  generoso  non 
è,  egli  non  è  vero  sapere)  m'innalza  sopra  di 
me  medesimo;  e  con  una  civiltà  socratica  m'ad- 
dottrina e  mi  emenda.  Voi  mi  fate  accorto  d'a- 
ver io  nell'  Orazione  di  Angiola  Cimini  marche- 
sana della  Petrella  toccato  quel  segno,  al  quale 
credeva  d'essermi  soltanto  sforzato    d'indirizzare 


12  PARTE  I. 

lo  stile;  e  mi  scovrite  la  scienza  dì  ciò  che  io 
per  un  certo  senso,  diritto  per  avventura,  fatto 
irli  aveva  :  in  cotal  guisa  m' illuminate.  Di  poi 
stimate  da  più  si  fatta  Orazioncina,  che  non 
sono  le  altre  opere  del  mio  debole  ingegno , 
anco  la  Scienza  Nuova;  di  che  io  aveva  certa- 
mente opinione  affatto  contraria.  Ma  se  cotal  com- 
ponimento fosse  stato  egli  dettato  da  una  vera 
Eloquenza,  la  ragione  senza  dubbio  starebbe  dalla 
parte  del  vostro  giudizio  :  perchè  la  vera  Elo- 
quenza è  la  sapienza  che  parla  5  e  la  sapienza  è 
r  aggregato  di  tutte  le  virtù  e  della  mente  e  del 
cuore;  onde  naturalmente  escono  da  sé  stesse  e 
le  più  belle  e  le  più  grandi  virtù  della  lingua:  le 
quali  tre  spezie  di  virtù  compiono  il  vero  uomo, 
che  tutto  è  mente  illuminata,  cuor  diritto,  e  lin- 
gua fedele  interprete  d'  amendue.  Ed  in  vero  in- 
numerabili sono  stati  gli  scienziati  uomini  autori 
di  grandissime  discoverte  :  ma  due  soli  al  mondo 
furono  i  perfetti  oratori,  Demostene  e  Cicerone; 
.  con  la  cui  eloquenza  visse ,  e  que|li  morti  morì 
la  libertà  di  Atene  la  più  ingentilita  e  più  dotta, 
e  di  Roma  la  più  luminosa  e  più  grande  citta  del 
mondo:  così  voi  mi  emendate.  Desiderate  quinci 
sapere ,  come  cotale  Orazione  è  stata  ricevuta  dal 
comune  de'  Letterati  Napoletani,  e  se  n'abbiano 
sparlato^  come  han  fatto  d'altre  Opere  mie,  e 
sopra  tutte  della  Scienza  Nuova.  Io  in  verità  non 
so  darvene  contezza  alcuna  ,  perchè  non  ho  cu- 
rato di  saper  ciò  ch'essi  n'abbiano  detto.  So  bene 
che  'l  comune  degli  uomini  è  lutto  memoria  e  fan- 
tasia ;  e  perciò  hanno  sparlato  tanto  della  Nuova 
Scienza ,  perehè  quella  rovescia  loro  tutto  ciò 
eh'  essi  con  errore  si  ricordavano ,  e  si  avevano 
immaginato  de'  principi  di  tutta  la  divina  ed 
umana  erudizione:  pochissimi  sono  mente  la  qual 


SCRITTI    SCIENTIFICI  l3 

bisogna j  come  di  Architetto  '(giova  qui  avvalermi 
di  mi  grave  giudizio  comunicatomi  dal  signor  Prin- 
cipe della  Scalea,  fatto  da  esso  in  rileggendo  la 
Rettorica  di  Aristotele) ,  per  giudicare  de'  lavori 
deir Eloquenza;  la  quale  fa  uso  con  dignità  di 
tutte  le  parti  del  sapere  umano  e  divino;  e  da 
un  punto,  come  di  prospettiva,  ne  dee  vedere  e 
tra  esso  loro  e  nel  tutto  la  convenevolezza  che 
fa  tutto  il  bello  dell'Eloquenza,  che  si  chiama  de- 
coro. Oltracciò  io  non  mi  son  punto  curato  in- 
formarmene, perchè  vìvo  già  persuaso  che  ne  do- 
vessero giudicare  come  di  una  opericciuola  fatta 
per  passatempo.  Perchè  la  più  parte  de'  Dotti  di 
oggidì  fervono  in  studj  che  soli  reputan  severi  e 
gravi,  e  di  Metodi  e  Critiche;  ma  Metodi  che  dis- 
perdon  affatto  l'intendimento,  di  cui  proprio  è  di 
veder  il  tutto  di  ciascheduna  cosa ,  e  di  vederlo 
tutto  insieme,  che  tanto  propriamente  sona  Intel- 
ligere,  ed  allora  veramente  usiam  Y  intelletto ,  che 
le  nostre  menti  in  questo  corpo  morale  ci  può 
render  in  un  certo  modo  della  spezie,  della  qual 
sono  le  separate,  che  con  peso  di  parola  si  chia- 
man  intelligenze;  e  per  vederne  il  tutto  debbe  con- 
siderarla per  tutti  i  rapporti  ch'ella  può  mai  avere 
con  altre  cose  dell'  Universo ,  e  tra  quella  che 
vuole  perfettamente  intendere,  e  cose  affatto  di- 
sparate e  lontanissime,  rinovarvi  all'istante  alcuna 
comunità  di  ragione,  nel  che  consiste  tutta  la  virtù 
dell'ingegno,  che  è  l'unico  padre  di  tutte  le  in- 
venzioni :  la  qual  sorta  di  percepire  ecci  assicu- 
rata dall'Arte  Topica,  che  da  presenti  Loici,  come 
inutile,  oggi  si  disapprova:  la  quale  sola  ne  può 
soccorrere  negli  affari  ferventi ,  che  non  danno 
tempo  al  consiglio;  e  come  il  percepire  è  prima 
del  giudicare,  così  essa  percezione  puonne  ap- 
parecchiare al  giudizio   una   critica ,    quanto   più 


ìif  PARTE    I. 

accertata,  tanto  più  utile  alla  scienza  per  le  spe- 
rienze  in  natura ,  e  per  li  nuovi  ritrovati  delle 
arti;  utile  alla  prudenza  per  ben  formare  le  con- 
getture delle  cose ,  o  fatte  per  giustamente  giu- 
dicarle j  o  da  farsi  per  utilmente  condurle;  utile 
all'  Eloquenza  per  la  pienezza  delle  pruove  e  per 
lo  piacere  delle  acutezze.  E  finché  tutti  i  Dotti 
ebbero  gP  intelletti  scerai  di  cotesta  quarta  ope- 
razione, che  dicon  Metodo,  han  fruttato  il  tutto 
che  abbiamo  e  di  maraviglioso  e  di  grande  in 
questa  nostra  coltissima  umanità  ;  ma  dappoiché 
Sì  è  in  ciò  da  cotali  Filosofi  supplita  la  mente 
umana ,  ella  é  sterilita  e  sfruttata ,  né  ha  ritro- 
vato alcuna  cosa  piiì  di  rimarco.  Delle  Critiche, 
altra  è  metafisica  ,  che  va  finalmente  a  termi- 
nare donde  incomincian  ad  insegnarsi,  cioè  nello 
scetticismo,  che  nelle  menti  giovanili,  quando  più 
tempestano ,  ed  hanno  P  animo ,  come  di  mollis- 
sima  cera ,  per  ricever  altamente  le  impressioni 
de'  vizj,  stordisce,  e  la  sola  sapienza  stando  so- 
pra un  piede,  li  può  risolvere.  Il  senso  comune, 
del  quale  avevano  incominciato  ad  imbeversi,  con 
l' educazion  iconomica ,  e  doveva  loro  fermarsi 
dalla  sapienza  riposta ,  del  quale  non  ha  la  sa- 
pienza volgare  regola  più  certa  per  la  prudenza 
civile,  la  quale  allora  ci  assiste  quando  operiamo 
conforme  operano  tutti  gli  uomini  di  senso  di- 
ritto. Ma  lo  scetticismo  mettendo  in  dubbio  la 
verità,  la  qual  unisce  gli  uomini,  li  dispone  ad 
ogni  motivo  di  proprio  piacere  e  di  propria  uti- 
lità, che  sieguano  il  senso  propio:  e  si  dalle  co- 
munanze civili  li  richiama  allo  stato  della  solitu- 
dine ,  non  già  degli  animali  mansueti  che  hanno 
pur  talento  di  unitamente  vivere  ne'  greggi  e  ne- 
gli armenti ,  ma  di  fieri  ed  immani  che  vivono 
tutti  divisi  e  soh  nelle  ior  tane  e  covili  :  e  la  sa- 


SCRITTI    SCIENTIFICI  IO 

pienza  riposta    degli    addottrinati ,   che  dovrebbe 
reggere  la  volgare  de'  popoli ,    le  dà  le  più  forti 
spinte   a   precipitarsi    ed  a  perdersi.  L' altra  Cri- 
tica  è    l'erudita,    che    di   nulla    serve    a   far   sa- 
pienti coloro    che    la    coltivano.   Ma  quelF  anahsi 
veramente    divina    de'  pensieri    umani  ,    la    quale 
sceverando   tutti    quelli    che    non    hanno    naturai 
seguito  tra    di    loro ,    per  angusto    sentiero  scor- 
gendoci di  uno    in  uno ,   ci   guida    sottilmente  fil 
filo  entro  i  ciechi  laberinti    del    cuor    dell'  uomo , 
che  ne  può  dare,  non  già  gl'indovinelli  degli  Al- 
gerbisti ,  ma  la  certezza ,  quanto  è  lecito  umana- 
mente, del  cuor  dell'uomo,  senza  la  quale  ne  la 
Politica    può    maneggiarlo ,    né    l' Eloquenza    può 
trionfarne  ;   e    quella  Critica  la  quale    da  ciò  che 
in  ogni  circostanza  è  posto  l'uomo,  giudica  che 
cosa  egli  in  conformità  di  quella  debba  operare, 
che  è  una  critica  sapientissima  dell'arbitrio  uma- 
no, il  qual  è  per  sua  natura  incertissimo,  e  per- 
ciò sommamente  necessaria  agli  uomini  di  Stato, 
entrambe    oltre    a    quello    delle    morali   Filosofie , 
delle  quah  unicamente  s' inlesero  i    Greci    per  lo 
infinito  studio  de'  poeti,  degli  storici,  degli  ora- 
tori, e  delle  lingue  greca  e  latina  che  abbisognan 
per  ben  intenderli,  si  sono  affatto  abbandonate; 
e  si  son  abbandonate  principalmente  per  l' auto- 
rità di  Renato  delle  Carte  nel  suo  Metodo,  ed  in 
grazia  del  suo  Metodo,  perocché  voglia  per  tutto 
il  suo  Metodo.   Ond'  egh  si  ha  fatto  un  gran  se- 
guito   per    quella    debolezza    della    nostra   natura 
umana,    che 'n    brevissimo   tempo  e  con  pochis- 
sima fatica  vorrebbe  saper  di  tutto  :  che  è  la  ca- 
gione perché  oggi  non  si  lavoran    altri    libri  che 
di  nuovi  Metodi  e  di  Compendj  5  perchè  la  deli- 
catezza de'  sensi,  che  è  fastidiosissima  in  questo 
secolo ,    essendosi  tragcltata  alle  menti ,  i    nuovi 


l6  PARTE  I. 

libri  non  per  altro  si  commendano  che  per  la 
facilità  ]  la  quale  così  fiacca  ed  avvelena  gì'  in- 
gegni ,  siccoaie  la  difficoltà  gP  invigorisce  ed  av- 
viva. Però  pubblica  testimonianza  è  che  metodi 
cosi  fatti ,  trasportati  dalle  Matematiche  all'  altre 
scienze,  di  nulla  abbiano  giovato  gl'ingegni  a  di- 
lettarsi dell'  ordine ,  che  da  essi  si  è  fatto  pas- 
saggio (chi  r  crederebbe  ?  )  a  scriversi  Dizionarj 
di  Scienze  ;  e  ciò  che  recar  debbe  più  maravi- 
glia ,  delle  stesse  Matematiche ,  de'  quaU  non  vi 
ha  maniera  più  fatta  a  caso ,  né  più  scioperata 
di  apprendere.  Così  egli  è  addivenuto  che  si  con- 
danna lo  studio  della  lingua  greca  e  latina  3  onde 
sono  da  per  tutto  inutili  i  prezzi  degU  scrittori 
in  entrambe  le  lingue  proprie ,  e  si  sono  sfor- 
matamente alterati  quelli  de'  traduttori  :  e  pure 
si  fatto  studio  ci  può  unicamente  informare  della 
maniera  di  pensare  saggia  e  grande  de'  Romani, 
ed  esatta  e  delicata  de'  Greci:  delle  quali  e  l'una 
e  l'  altra  bisognerebbe  agli  uomini  d'  alto  affare  , 
che  debbono  trattare  di  cose  grandi  co'  Grandi, 
e  con  altezza  d' animo  mostrar  loro  di  sottiUs- 
simo  filo  la  verità  con  aspetto  di  compiacenza  : 
perchè  le  lingue  sono ,  per  dir  cosi ,  il  veicolo 
onde  si  trasfonde ,  in  chi  le  appara ,  lo  spirito 
delle  nazioni  :  si  condanna  lo  studio  che  assolu- 
tamente bisogna  per  l'intelligenza  del  Diritto  Ro- 
mano Latino  ,  che  molto  riceve  di  lume  dall'  O- 
rientale  de'  Greci,  col  quale  si  giudicano  le  cause 
in  tutti  i  tribunali  di  Europa:  si  condanna  lo  stu- 
dio della  lingua  della  nostra  religione,  con  cui 
parlò  la  Chiesa  Greca,  e  parla  tuttavia  la  Latina; 
e  precisamente  è  necessario  per  le  controversie 
che  debbono  nascere  con  le  novità  che  posson 
sorgere  nella  Chiesa  :  si  condanna  la  lezione  de- 
gli oratori ,    i    quali  soli  ci  possono  insegnare  il 


SCRITTI    SCIENTIFICI  l'J 

tuono  con  cui  la  sapienza  favella  :  si  condanna 
quello  degli  storici  j  i  quali  soli  si  possono  spe- 
rare veraci  consiglieri  de'  principi  senza  timore 
e  senz'adulazione:  si  condanna  finalmente  quello 
de'  poeti ,  col  falso  pretesto  che  dican  favole  j 
nulla  riflettendosi  che  le  ottime  favole  sono  verità 
che  più  si  appressano  al  vero  ideale,  o  sia  vero 
eterno  di  Dio,  ond'è  incomparabilmente  più  certo 
della  verità  degli  storici,  la  quale  somministrano 
sovente  loro  il  capriccio,  la  necessità,  la  fortuna: 
ma  il  capitano,  che  finge,  per  cagion  d'esemplo, 
Torquato  Tasso  nel  suo  Goffredo,  è  qual  dee  es- 
ser il  capitano  di  tutti  i  tempi ,  di  tutte  le  na- 
zioni :  e  tali  sono  tutti  i  personaggi  poetici  per 
tutte  le  differenze  che  ne  possono  mai  dare  sesso, 
età,  temperamento,  costume,  nazione,  repubbli- 
ca ,  grado ,  condizione ,  fortuna  j  altro  non  sono 
che  proprietà  eterne  degli  animi  umani  ragionate 
da'  politici ,  iconoraici  e  morali  Filosofi ,  e  da' 
poeti  portate  in  ritratti.  All'incontro,  come  se  i 
giovani  dalle  Accademie  dovesser  uscire  nel  mondo 
degli  uomini ,  il  qual  fossesi  composto  di  linee , 
di  numeri  e  di  spezie  algebraiche,  empiono  loro 
il  capo  de'  magnifici  vocaboli  di  dimostrazioni , 
di  evidenze ,  di  verità  dimostrate,  e  condannano 
il  verisimile ,  che  è  il  vero  per  lo  più ,  che  ne 
dà  quella  regola  di  giudicare,  che  è  un  gran  mo- 
tivo di  vero  ciò  che  sembra  vero  a  tutti,  o  alla 
maggior  parte  degli  uomini  5  di  che  non  hanno 
più  sicura  i  Politici  in  prender  i  loro  consigfi  , 
né  i  capitani  in  guidare  le  loro  imprese ,  né  gli 
oratori  in  condurre  le  loro  cause ,  né  i  giudici 
in  giudicarle,  né  i  medici  in  curare  i  malori  de' 
corpi ,  né  i  morali  teologi  in  curar  quelli  delle 
coscienze;  e  finalmente  la  regola  sopra  la  quale 
tutto  il  mondo   si   acquieta   e   riposa  in   tutte  le 

Vico,  Opuscoli,  2 


l8  PARTE   I. 

liti  e  controversie  j   in   tutti    i   consigli  e  provve- 
dimenti ,   in    tutte    r  elezioni ,    che  tutte  si  deter- 
minano   con,  tutti    o    con    la    maggior    parte    de' 
^  voti.   E   la    ragione  di  tutto  ciò    che   ho  scritto , 

è  che  dappertutto  celebrandosi  il  criterio  della 
verità  del  medesimo  Renato  ,  che  è  la  chiara  e 
distinta  percezione ,  il  quale  non  definito  è  più 
incerto  di  quel  di  Epicuro ,  che  il  senso  evidente 
di  ciascheduno  j  il  qual  ogni  passione  ci  fa  pa- 
rer evidente,  conduce  di  leggieri  allo  scetticismo; 
il  quale,  sconoscendo  le  verità  nate  dentro  di 
noi  medesimi,  poco,  anzi  niun  conto  tiene  di 
quelle  che  si  deono  raccogliere  dal  di  fuori,  che 
bisognano  ritrovarsi  con  la  Topica,  per  fermare 
il  verisimile,  il  senso  comune  e  l'autorità  del.j 
genere  umano;  e  perciò  si  disapprovano  gli  studjf 
'    .      >  che  a  ciò  bisognano,    che    son    quelli   degli  ora- 

tori, degli  storici  e  de'  poeti  ^  e  delle  lingue  nelle 
quali  essi  parlarono.    Con  questo  spirito  la  mag- 
'  gior  parte  de'  Dotti  a  compiacenza  danno  i  giu- 

dizj  delle  opere    di    lettere,    facendone    regola  la 
■  loro  capacità,  e    la  loro  capacità  giustificando  a' 

medesimi  la  propria  lor  passione.  Cosi  in  questi 
'  '  stessi  tempi  che  da  essi  si  coltivano  Metafisiche, 
Metodi  e  Critiche ,  un'  opera  meditata  con  una 
Metafisica  innalzata  a  contemplare  la  mente  del 
genere  umano,  e  quindi  Iddio  per  l'attributo  della 
provvedenza,  per  lo  quale  attributo  Iddio  è  con- 
templato da  tutto  il  genere  umano;  esaminata  con 
una  critica  che  si  fa  sopra  essi  autori  delle  na- 
zioni, la  qual  unicamente  ci  può  accertare  di  ciò 
che  ne  dissero  gli  scrittori,  i  quah  dopo  la  scorsa 
almeno  d'un  dieci  secoli  vi  cominciarono  a  pro-| 
venire;  e  condotta  con  un  metodo  addentrato 
nella  generazione  de'  costumi  umani,  che  ad  ogni 
tratto   ne    dà   importantissime    discoverte  ;   essi , 


I 


SCRITTI     SCIENTIFICI  ig 

perchè  vi  sì  tratta  di  materie  i  cui  studj  si  con- 
dannano dal  Metodo  di  Renato ,  contro  ogni  re- 
gola di  buon'  arte  critica,  senza  farne  verun  esa- 
me ,  senza  applicarvi  punto  di  attenzione ,  con 
un  giudizio  superbo  j  che  è  quel  che  non  rende 
,  ragione  del  perchè  così  giudica ,  la  condannano 
I  dicenda  che  non  s' intenda  :  e  con  costanza  ve- 
ramente di  Filosofi,  coloro  i  quaU  chiamano  que- 
sto secolo  beato,  perocché  si  goda  la  hbertà  di 
conoscere  i  Socrati  ed  i  Fiatoni  per  lo  amore 
della  ragione  e  del  vero ,  fanno  plausibile  il  lor 
giudizio  appresso  il  volgo  ignorante,  che,  peroc- 
ché le  volgari  tradizioni  degli  antichi  sono  state 
ricevute  come  articoli  di  Fede  da  tutti  i  Dotti 
di  tutti  i  tempi,  si  debba  sopra  di  esse  alla  cieca 
serbare  tutta  la  venerazione  dell'Antichità.  Quindi 
potete  intendere,  signor  D.  Francesco,  se  io  debba 
estimare  cotesta  vostra  solitudine  per  una  grande 
celebrità;  e  se  la  Nuova  Scienza  abbia  degno 
luogo  nel  vostro  nulla,  che  voi  dite  per  una  mo- 
destia, nata  da  una  somma  grandezza  di  animo, 
che  avendo  sgombro  la  vostra  gran  mente  di 
tutto  ciò  che  vi  ricordavate,  e  vi  avevate  imma- 
ginato de'  Principi  dell'Umanità,  vi  avete  lasciato 
tutto  solo  il  vostro  alto  intendimento  a  spaziare 
nella  sua  vasta  comprensione,  per  ricevervi  la 
Scienza  Nuova:  ond'ella  entra  nel  numero  di  que' 
dottissimi,  che  sempre  furono  pochi,  che  sosten- 
gono in  questo  paese  ed  all'opera  il  credito,  ed 
all'autore  oppresso  dalla  fortuna  difendono  e  la  pa- 
tria e  la  vita  e  la  libertà  :  e  vi  bacio  caramente 
le  mani. 


20  PARTE    I. 


LETTERA  AL  P.BERNARDO  MARIA  GIACCHI  CAPPUCCINO  (i) 

Napoli,  i4  luglio  1720. 

Se  vi  fusse  questa  legge,  che  le  opere  lettera- 
rie si  dovessero  a  que'  ciotti  uomini  solo  regala- 
re, che  abbiano  come  renderne  il  contraccambio, 
se  ne  riporterebbero  giudizj  più  equi,  ed  ogni  uno 
si  studierebbe  più  di  far  che  di  dire,  per  rendersi 
veramente  degno  di  doni  sì  fatti:  come  degnis- 
sima è  V.  P.  Re<rerendissima,  che  di  tempo  in  tempo 
ne  fa  godere  le  opere  ammirabili  del  suo  divinis- 
simo  ingegno.  Le  mando  un  mezzo  foglio  di  carta, 
che  ha  fatto  nell'una  e  nell'altra  parte  de'  gran 
movimenti  in  questa  città.  Ha  trovato  favore  appo 
dottissimi  uomini,  perchè  i  potenti  sempre  furono 
generosi,  come  i  poveri  sempre  invidi.  Io  mi  sono 
sforzato  lavorare  un  sistema  della  Civiltà,  delle 
Repubbliche ,  delle  Leggi ,  della  Poesia ,  dell'  Isto- 
ria, e,  in  una  parola,  di  tutta  l'Umanità;  e  in 
conseguenza  di  una  Filologia  ragionata,  e  di  tutte 
ciò  che  fin  da'  primi  Greci  ci  è  pervenuto  così  e 
vano  o  incerto  o  assurdo,  come  vi  fossero  stati 
tempi  che  gli  uomini  o  parlassero  senza  idee,  e 
per  non  esser  intesi,  o  per  cianciare  da  senno 
io  ne  rendo  ragioni  tali  e  sì  fatte,  che  con  quelle 
altre  innumerabifi  convenendo,  vi  riposa  soprs 
soddisfatta  la  mente:  fin  tanto  che  o  non  mai  s; 
arrechi  un  sistema  migUore,  o  non  vogliamo  per- 

(1)  Questo  Cappuccino  fu  predicatore  assai  riputato;  quas 
esattamente  coetaneo  di  Vico,  nacque  nel  1672  e  mori  nel  1^44 
mentre  nelle  esequie  di  Vico  s'interrompevano  le  cerimonie 
d'uso,  nell' istess'anno  a  questo  frate  celebravansi  splendid 
funerali  a  spese  degli  amici;  i  primi  letterati  De  Gennaro 
Mazzocchi,  Sergio* 'e  G.  De  Angeli  ne  recitavano  le  lodi. 


SCRITTI    SCIENTIFICI  21 

seguitare  a  pensare  di  si  fatte  cose  così  sconcia- 
mente, come  si  è  fatto  per  lo  passato.  Frattanto 
temo  del  vostro  giudizio  raffinato  cotanto  nella 
buona  Critica,  e  perciò  cotanto  raffinato  perchè 
arricchito  prima  di  una  sceltissima  Topica;  e  temo 
che  non  mi  trovate  in  fallo  o  nelle  posizioni ,  o 
nelle  conseguenze  :  che  se  io  ne  riporto  favore- 
vole giudizio,  che  altro  vado  cercando,  che  pia- 
cere ad  un  uom  dotto  che  è  in  ammirazion  de' 
dottissimi?  Ed  a  V.  P.  Reverendissima  fo  divotis- 
sima  riverenza  (i). 


AL    MEDESIMO 

Napoli,  li  ottobre  1720. 

Non  attribuisca,  V.  P.  Reverendissima,  a  poca 
attenzion  mia,  perchè  dopo  ben  molti  giorni  io 
risponda  alla  vostra  pregiatissima  lettera,  perchè 
io  l'ho  riputata  tanto  superiore  al  mio  merito, 
che  ho  stimato  ben  fatto  portarvene  almeno  le 
lodi,  delle  quali  piià  lodati  uomini  l'avessero  prima 
adornata.  Io  per  mio  sommo  pregio  l'ho  letta,  e 
molti  miei  signori  ed  amici,  ammiratori  insieme 
dell'altissimo  valor  vostro,  tra' quaU  il  sig.  D.Fran- 
cesco Ventura,  il  sig.  D.  Muzio  di  Majo  e 'l  si- 
gnor D.  Agnello  Spagnuolo,  che  vi  mandano  mille 
riverenti  saluti,  ne  hanno  sommamente  lodata  la 
proprietà  del  giudizio  (se  pur  l'opra  mia  fosse 
tale,  quale  voi  con  quella  vostra  solita  maniera 
grande  l'avete  appresa),  e  ne  hanno  ammirato  il 
sublime  torno  di  concepire,  dal  quale  esce,  come 

(1)  La  risposta  del  P.  Giacchi  fu  riportata  in  seguito  al 
Diritto  Universale  (p.  4^2),  dove  si  possono  leggere  anche 
le  lodi  d'uso  con  cui  Giacchi  ringraziava  Vico  di  avergli  spe- 
dilo il  libro  II  De  Constantia  Jurisprudentis  (  pag.  4*3). 


22  PARTE    I. 

da  sèj  il  gran  parlare  con  la  rara  nota  di  una 
eroica  naturalezza.  Onde  il  signor  D.  Marcello  Fi- 
lomarino, che  va  in  ricerca  di  lettere  d'ottima 
idea,  me  ne  ha  richiesto  un  esemplare.  Per  la 
città  se  ne  parla,  come  si  suole  di  ciò  che  di- 
cono uomini  di  grandissima  autorità^  ed  amici  ne 
vorrebbero  copia,  affine  di  opporla  all'altrui  mal- 
dicenza: ma  non  ho  voluto  darla,  perchè  non 
amo  innalzarla  come  bandiera  di  una  inutil  guerra 
con  uomini  de'  quali  più  tosto  si  dee  avere  pietà, 
e  se  si  vuole  giudicar  dritto,  e  anzi  loro  da  farsi 
ragione.  Imperocché  io  ho  scritto  a  voi  uomini 
di  altissimo  rango,  per  riceverne  censure,  oppo- 
sizioni ed  emende*,  conforme  in  fatti  sommamente 
mi  pregio  che  il  sig.  Anton  Maria  Salvini ,  per 
confessione  di  tutta  Europa  un  de'  primi  Lette- 
rati d'Italia,  abbia  degnalo  di  sue  particolari  dif- 
ficoltà ristesso  saggio  che  ne  diedi,  e  che  sol- 
tanto aveva  veduto.  Per  costoro  ho  scritto  affine 
di  ricredergli  da  un  numero  presso  che  infinito 
di  errori  in  tutta  la  distesa  de'  Principj  della  pro- 
fana erudizione.  Ma  son  cittadino,  e  molto  per 
miei  bisogni  conversevole:  si  ricordan  di  me,  fin 
dalla  mia  prima  giovinezza,  e  debolezze  ed  erro- 
ri 5  i  quali  come  gravemente  avvertiamo  in  altrui, 
così  altamente  ci  rimangon  fissi  nella  memoria, 
e  per  la  nostra  corrotta  natura  diventano  criterj 
eterni  da  giudicare  di  tutto  il  bello  e  compito 
che  per  avventura  altri  faccia  di  poi.  Io  non  ho 
ricchezze,  ne  dignità,  e  sì  mi  mancano  due  po- 
tenti mezzi  da  conciUarsi  la  stima  della  moltitu- 
dine. Talché  costoro  o  nulla  curano  di  leggere 
quest'opera  (i),   e   così  il   travaglio  che  dovreb- 


(i)  Parla  dell'opera   che   ha   per  titolo:  De  Universi  Juris 
principio  et  fine  uno. 


scrìtti  scientifici  23 

bero  durare  in  meditarla,  si  fa  loro  innanzi  in 
comparsa  di  uno  schivo  disdegno  di  farle  onore; 
O  se  pure  la  leggono ,  perchè  non  le  precede  la 
stima,  non  le  prestano  l'attenzione  dovuta;  e  si 
non  comprendendola  tutta  insieme,  gli  si  presen- 
tano a  brani  tante  novità  tutte  difformi  dalle  loro 
E  reconcepite  opinioni,  che  veramente  fan  loro  sem- 
iante di  mostri.  Onde  i  Dotti  cattivi,  che  amano 
più  l'erudizione  che  la  verità,  perchè  questa  li 
dislingue,  quella  gli  accomuna  con  tutti,  prendono 
volentieri  occasione  col  colore  di  patrocinare  l'au- 
torità de'  passati,  tanto  plausibile,  quanto  è  gran- 
dissima quella  di  tutti  i  tempi;  mi  concitan  con- 
tro degli  odj  mortali,  perchè  le  lodi,  di  che  i 
veri  savj,  come  voi  siete,  per  vostra  bontà  me 
ne  date,  li  ritengono  a  cagionarmi  disprezzo.  Ed 
in  effetto  le  prime  voci  che  in  Napoli  ho  sentito 
contro  di  me  da  coloro  che  han  voluto  troppo 
in  fretta  accusarmi  dal  medesimo  saggio  che  ne 
avea  dato,  erano  tinte  di  una  simulata  pietà,  che 
nel  fondo  nasconde  una  crudel  voglia  di  oppri- 
mermi con  quelle  arti  con  le  quali  sempre  han 
soluto  gli  ostinati  delle  antiche  o  piuttosto  loro 
opinioni  rovinare  coloro  che  hanno  fatto  nuove 
discoverte  nel  mondo  de'  Letterati.  Però  il  grande 
Iddio  ha  permesso  per  sua  infinita  bontà  che  la 
religione  istessa  mi  servisse  di  scudo ,  e  che  un 
Padre  Giacchi ,  primo  lume  del  più  severo  e  più 
santo  Ordine  de' Religiosi,  desse  tal  giudizio  per 
bontà  sua  delle  mie  debolezze.  Vedete,  Rever.  Pa- 
dre, quanto  mi  onora,  quanto  mi  rinfranca, quanto 
mi  sostiene  e  difende  la  vostra  pregiatissima  let- 
tera :  il  sommo  Iddio  ve  '1  riponga  con  secondare 
tutti  i  vostri  voti,  che  non  possono  essere  che 
di  vera  felicità,   poiché    sono  i  Voti  di  Savio:   e 


2^  PARTE    I. 

pregandovi  che  seguitiate  ad  amarmi,  e  proteg- 
germi, come  mi  amate  e  mi  proteggete,  vi  fo 
umilissima  riverenza. 


AL   MEDESIMO 

Napoli,  4  febbrajo  1721. 

Con  tutto  il  rispetto  dovuto  al  vostro  alto  e 
raro  valore.  Reverendissimo  Padre,  vi  mando  que- 
sta Raccolta  di  varj  Componimenti,  nella  quale 
leggerà  un  mio  (i),  che  in  lavorando  io  mi  pro- 
posi V.  P.  Reverendissima,  come  quella  che,  de' 
viventi  che  io  conosca,  sa  pensar  grande,  affine 
che  avvalorasse  i  miei  sforzi;  ne  ho  tenuto  il  raf- 
finatissimo giudizio,  per  emendarne  T ardire;  mi 
ho  lusingato  di  una  qualche  vostra  pregevolissima 
lode,  per  consolarne  il  travaglio.  Sicché  se  con- 
tiene alcuna  cosa  di  buono,  ella  così  certamente 
è  vostra,  come  i  difetti  son  miei.  Il  riceva  dun- 
que come  suo,  in  quanto  è  lavoro  di  mente;  come 
mio,  in  quanto  è  un  picciol  dono  che  vi  fa  l'a- 
nimo in  segno  della  grandissima  stima  che  io  fo 
del  vostro  singolarissimo  merito:  e  pregandola  a 
conservarmi  nella  sua  memoria ,  parte  della  più 
bell'anima  di  che  Iddio  adorni  oggi  la  nostra  na- 
zione, vi  fo  divotamente  umiHssima  riverenza. 


(i)  La  Giunone  in  Danza y  stampata  nella  sua  Raccolta  per 
le  nozze  del  principe  Filoraarino,  si  troverà  opportunamente 
collocala  tra  le  Poesie  nella  Parte  III  di  questo  volume. 


SCRITTI    SCIENTIFICI  2$ 


RISPOSTA  DEL  P.  BERNARDO  MARIA  GIACCHI 

Arienzo,  i   marzo  1721. 

Il  quasi  nlun  commercio  che  oggimai  ho  io  col  se- 
colo, mio  gentilissimo  signor  Giambattista,  come  mi 
ha  fatto  il  ritardamento  delle  grazie  vostre,  così  ca- 
giona quello  del  mio  rispondervi.  Or  a  farlo  con  l'in- 
genuità che  co'  valentuomini  dell'indole  vostra  usar  si 
dee,  sul  primo  ricevere  della  vostra  pregiatissima  Rac- 
colta, non  senza  qualche  ribrezzo  mi  son  messo  io 
a  leggerne  i  Componimenti,  timoroso  che,  per  aggfi- 
rarsi  al  torno  di  argomento  non  maschio,  non  avesse 
a  risentirsene  la  severità  troppo  gelosa  del  mio  Insti- 
tuto:  ma  ben  tosto  ài  mio  scrupoloso  timore  è  succe- 
duto il  ragionevol  contento  di  vedere  con  tanta  onestà 
e  decoro  trattata  una  passione  alla  nostra  inferma  na- 
tura anche  troppo  pericolosa,  che  su  trasportata  l'a- 
nima dall'altezza  de'  sentimenti,  e  dalla  signoria  del- 
l'espressioni, perde  di  vista  affatto  ciò  che  è  terra  e 
fango.  La  più  parte  di  questa  lode  deesi  a  V.  S.  mio 
signore  per  la  scelta  non  meno  da  voi  fatta  di  Muse 
così  savie  e  pudiche,  che  per  essersi  infra  di  esse  se- 
gnalata a  maraviglia  la  vostra  nel  rischiarare  con  tanta 
grazia  e  bellezza  il  bujo  più  folto  della  poetica  Teo- 
logia^ innestando  così  a  soggetto  ameno  cotanto  e  fe- 
stevole, con  magistero  degno  di  voi,  il  serio  e  '1  grave 
della  più  riposta  erudizione.  Que' virtuosi  signori,  i  cui 
nomi  a  rendere,  com'è  dovere,  immortali,  celebraste 
voi  per  la  lingua  di  un  Nume ,  sapran  fare  al  valor 
vostro  quella  giustizia  che  ogni  amatore  delle  buone 
lettere  dee  interessarsi  a  farvi  per  fomentare  in  voi 
quel  sublime  felicissimo  genio ,  onde  ricevon  novello 
pregio  e  splendore  le  lettere  e  i  letterati.  Del  rima- 
nente io ,  che  sono  obbligato  a  V.  S.  assai  più  che  non 
sa  tollerare  la  mia  picciolezza,  vi  userò  giustizia  e  gra- 
titudine col  pregarvi  da  quel  Signore,  che  vi  ha  data 


26  PARTE    I. 

anima  cosi  nobile,  a  riempiervela  di  quei  doni  onde 
divien  l'uomo  santo,  non  meno  che  savio.  E  qui  col 
solito  profondissimo  rispetto  mi  dico,  ec. 


LETTERA  AL  P.  BERNARDO  MARIA  GIACCHI 

Napoli,  9  settembre  1721. 

Mando  tutto  altiero  (i),  e  poco  msn  che  bal- 
danzoso a  V.  P.  Reverendissima  il  secondo  libro, 
perchè  sopra  degli  altri,  onde  si  pregia,  il  mando 
ornato  del  vostro  gravissimo  giudizio,  col  quale 
ella  parlò  di  tutta  l'opera  come  già  compiuta  so- 
pra tutto  il  suo  disegno;  perchè  con  quel  suo  al- 
tissimo intendimento  già  avvisava  ne'  principj  del 
primo,  come  ne'  semi  i  frutti,  contenersi  i  corol- 
larj  di  questo  secondo.  Gl'ingegni  corti  o  limitati 
ne  dubitavano,  e  la  più  parte  tenevan  per  certis- 
simo che  io  a  mezzo  il  corso  mancassi.  Spero  in 
Dio  (e  ne  avrò  di  questa  sua  divina  grazia  mani- 
festissimo segno  del  vostro  temuto  giudizio)  di 
aver  io  complito  ed  al  mio  debito  ed  alla  vostra 
mallevadoria;  con  la  quale  ella  assicurò  il  pubblico 
de'  Letterati,  con  avvalorar  me  a  soddisfare  al  mio 
debito.  Io  tanto  ansioso  ne  attendo  i  riscontri , 
quanto  bramoso  vivo  dell'onore  de'  suoi  pregiati 
comandi.  Mi  rassegno,  ec. 


(i)  Il  libro   qui  mentovato  è  quello  intitolato  De  Constan- 
tia JurisprudentiSy  stampato  dal  Mosca  nel  1721. 


SCRITTI    SCIEIfTlFICI 


AL   MEDESIMO 


^7 


( 


Napoli,  27  ottobre  1721, 

Quinci  può  V.  P.  Reverendissima  facilmente  co- 
noscere quanto  sia  grande  l'autorità  che  nella  re- 
pubblica de'  Letterati  ella  bassi  meritamente  acqui- 
,  stato  5  che  non  sono  mancati  di  alcuni  a'  quali  la 
mia  opera  dispiace,  che  son  iti  dicendo,  il  Pa- 
dre Giacchi  mal  soffrire  che  io  mi  fussi  onorato 
col  pubblico  del  suo  giudizio ,  che  per  sommo 
onor  mio  con  la  sua  prima  lettera  ne  avea  dato. 
Ma  quanto  sono  perversi  i  pensieri  degli  stolti! 
nello  stesso  tempo  che  essi  fan  sì  gran  conto  di 
una  sola  vostra  testimonianza,  vi  appiccano  una 
di  voi  indegnissima  taccia  di  simulato,  e  che  non 
sia  ella  quel  P.  Bernardo  Maria  ornato  a  meravi- 
glia dì  una  santa  spartana  gravità,  con  la  quale 
tal  si  porterebbe  se  vivesse  tutto  solo  nel  mondo, 
quale  pur  si  porta  pieno  di  splendore  in  mezzo 
alla  pubblica  luce  di  rigidissimi  Religiosi  e  di  gra- 
vissimi Letterati.  Ma  la  virtù,  per  lo  sentiero  che 
indispensabilmente  un  solo  le  apre  la  verità,  tien 
si  dritto  in  mezzo  agli  errori  dell'ignoranza  e  le 
traversie  del  vizio,  che  in  brieve  spazio  aggiunge 
tutti  i  lontani ,  e  corre  la  sterminata  lunghezza  del- 
l'avvenire:  ond'è  che  i  cuori  de'  sapienti  son  cre- 
duti indovini,  e  che  essi  abbian  forza  e  potere 
sopra  le  stelle.  V.  P.  Reverendissima,  come  se  le 
fosse  giunta  all'orecchio  questa  falsa  voce,  con 
quanta  grandezza  d'animo,  con  altrettanta  genti- 
lezza d'espressione  ha  pubblicato  al  mondo  la  sua 
buona  grazia  di  ciò  che  io,  non  per  presunzione 
ò  congettura,  ma  perchè  conosceva  il  vostro  petto 
veracissimo  e  la  vostra  anima  generosa,  come  per 


28  PARTE    I. 

espressa  ordinazion  vostra  aveva  già  fatto,  ador- 
nandomi con  tutta  la  letteratura  alla  vostra  prima 
onorevolissima  lettera.  Ora  scenda  ella  con  l'alta 
sua  mente  nel  profondo  dell'animo  mio,  e  veda 
quanto  sono  umili  le  grazie  che  sopra  la  prima 
io  le  conservo  per  la  seconda  vostra  risposta.  Io 
per  mio  sommo  pregio  ne  ho  dato  copie  agli  altri 
Signori  approvatori  dell'opera  mia,  i  quali  l'hanno 
letta  con  istima,  e  piacere  egualmente  sommi,  e 
sopra  tutti  il  sig.  D.  Agnello  Spagnuolo,  che  umilis- 
simamente vi  saluta;  il  quale  bene  tre  volte  attentis- 
simamente la  rilesse,  e  finalmente  con  un  bacio, 
che  con  singoiar  rispetto  v'impresse,  proruppe  in 
queste  parole:  Lettera  degna  di  esser  trascelta  tra 
i  più  colti  scrittori  del  cinquecento,  la  quale  non 
che  'l  vestito  e 'l  corpo,  ha  tutta  F anima  del  fa- 
vellar grande  toscano.  —  Io  invero ,  se  fosse  ad 
altrui  toccata  la  sorte  di  tanto  onore  che  V.  P. 
Reverendissima  ha  fatto  a  me,  direi  che  la  vostra 
lettera  può  servire  di  regola  e  di  norma  a  chiun- 
que vuole  imparare  tutte  ad  un  tempo  due  diffi- 
cilissime cose,  cioè  uscire  da  vecchi  errori,  e  ap- 
prendere verità  non  più  udite  :  che  gh  faccia  me- 
stieri o  di  una  prudente  opinione  di  credito  in- 
verso di  chi  l'insegna,  come  la  si  acquistarono 
tutti  gli  altri  Filosofi ,  che  insegnando  pubbhca- 
niente,  tratto  tratto  andarono  salendo  in  grido  di 
valenti  maestri ,  e  si  stabilirono  le  loro  nuove  dot- 
trine; o  di  vestire  un  temperano  scetticismo,  col 
quale  vadano  a  leggere,  o  per  meglio  dire,  a  me- 
ditare attentamente  libri  di  nuove  scoverte,  con 
animo  risoluto  e  fermo  di  niegar  tutto  che  non 
gli  costringa  la  forza  di  una  invitta  evidenza  a  ri- 
ceverlo; come  troppo  accortamente  volle  che  seco 
si  usasse  da'  leggitori  della  sua  Metafisica  Renato 
delle  Carte,  il  quale  per  questa  unica  altra  strada 


SCRITTI    SCIENTIFICI  2g 

provvide  poter  fondare  una  Filosofia  tutta   nuova 
da'  suoi  riposti  ritiri,  senza  pubblicamente  profes- 
sarla nell'Accadefnie.  E  quindi  è  incomparabile  la 
delicatezza  dell'  apparecchio   col  quale   presentate 
magnificamente  la  lode  a'  signori  Letterati  che  han 
degnato  per  loro  bontk  lodare  l' opera  mia ,  e  del- 
l'alta  comprensione  delle   loro   menti,    e  della  li- 
bera signoria  sopra  le  passioni  villane:  tal  mera- 
vigliosa destrezza  vi  fu  dettata,  cred'io,  dalla  vo- 
stra eroica  modestia,   essendo   ella    uno    di   loro. 
Ma  intorno  a    ciò    eh'  ella    dice ,    dover   io  quinci 
contentarmi  dell' approvazion  di  que'  pochi  a  quali 
stea  bene  tal  vostra  loda,  i  quali  sono   pochissi- 
mi, egli  non  me  '1  detta  la  moderazion  dell'animo, 
ma  una  certa  superba  necessità,  nella  quale  io  vo- 
lontariamente entrai  quando  nella    mia  vita   lette- 
raria mi  proposi  una  volta  unicamente  piacere  ad 
uomini  in  grado  eccellente  dotti,  e  per  valor  sin- 
golari, tra'  quali  ella  come  un  primo  personaggio  mi 
è  sempre  stata  fissa  dinanzi  gli  occhi  della  mente 
in  tutta  la  maestà,  la  quale  spiega  in  porgendo  le 
sue    divinissime    dicerie.    E  concedendo   a  voi   la 
rara  grandezza  di  animo,  con  la  quale  della  vo- 
stra coscienza  di  aver  ben  oprato   fate    immortai 
teatro  alla  vostra  virtù,    so    che  per    la    bassezza 
del  mio  spirito  mi  vo  cercando  di    fuori  ,   rendo 
infinite  grazie  al  sommo  Iddio,  dator  d'ogni  be- 
ne, perchè  non  restassi  abbattuto  e  vinto  da  que- 
sto ultimo  colpo    di  rea  fortuna,    che    avessi    re- 
cato disgusto  a  coloro  a'  quali  mi  son  sempre -stu- 
diato  unicamente    piacere  ;    onde    ora    i  rabbiosi 
morsi,  co'  quali  mi  lacera  la  maliziosa  ignoranza, 
consolo ,    gustando   il    soavissimo   frutto    di    aver 
contentato  voi  soli,  com'egli  è  una  copia  di  let- 
tere, perchè  finora  non  ho  mandato  fuora  ad  al- 
tri i  miei  Ubri ,  una  del   signor  Biagio   Garofalo ^ 


3o  PARTE   I. 

Faltra  del  P.  Tommaso  Minorelli  (i),  nomi  ch'ella 
ben  sa  assai  distinti  in  Italia  per  la  lor  grande 
letteratura,  le  quali  ora  le  invio,  perchè  ella  goda 
sentirsi  alla  sua  censura  far  eco  uomini  di  tal  ran- 
go :  e  con  ogni  ossequio  baciandole  la  riveritissima 
mano,  mi  confermo  quale  mi  glorio  essere,  ec. 


AL   MEDESIMO 

Napoli,  3  giugno  1724. 

Prendo  invero  un  grande  ardimento  d'inviare 
a  V.  P.  Reverendissima  questa  mia  Orazione  tes- 
suta in  itaHana  favella  (2)',  ma  che  aveva  io  a  fare, 
se  me  ne  faceva  forza  una  certa  giustizia?  poi- 
ché se  questa  contiene  alcuna  particella  di  buo- 
no, tutta  è  dovuta  a  voi,  che  siete  la  norma 
somma  e  sovrana  dell'eloquenza  de'  nostri  tempi, 
la  quale  io  unicamente  mi  ho  proposta  in  medi- 
tando questa  diceria,  e  come  se  l'avessi  a  por- 
gere alla  vostra  presenza:  onde  se  tra  l'ombre 
de'  suoi  difetti  risalta  alcun  buon  lume,  egH  vien 
da  voi  come  di  riflesso,  e  torna  a  voi  medesimo 
di  riverbero.  Ella  non  voleva  affatto  venirvi  in- 
nanzi; ma  finalmente  ve  r ho  indotta,  persuaden- 
dogliele si  dalla  necessità  fattami  dal  comando 
che  io  n'ebbi  di  vestirla  in  questo  idioma,  e  che 
voi,  tra  '1  brieve  spazio  che  la  degnerete  leggere, 
scendereste  da  quella  rara  sublimità  delle  vostre 
maravigliose  divine  idee,  e  la  guardereste  col  solo 
aspetto  dell'umano  vostro  gentilissimo  animo,  col 
quale  l'avesse  da  scusare  e  da  compatire.   Avrei 

(i)  Le  lettere  di  costoro  stanno  in  fine  al  Diriiio  Universale, 
voi.  II  delle  Opere  latine. 

(2)  Parla  dell'Orazione  in  morte  di  Anna  Maria  Asperraont 
contessa  d'Althann,  edita  Tanno  1724. 


SCRITTI    SCIENTIFICI  3l 

forse  fatto  meglio  non  inviarlavi:  raa  ho  temuto 
che  '1  sommo  amor  vostro  verso  di  me  non  l'a- 
vesse attribuito  più  tosto  ad  atto  di  poca  atten- 
zione, che  di  modestia.  Però,  siami  io  pure  sfac- 
ciato, giugnendo  questa  da  voi,  vi  dirà  esser  lei 
un  segno  manifesto  che  io  non  ambisco  altro  al 
mondo  che  di  piacere  a  voi,  a  cui  facendo  umi- 
lissima riverenza,  mi  rassegno  qual  per  mio  sommo 
pregio  appo  tutti  mi  professo ,  ec. 

Di  Vostra  Paternità  Reverendissima,  ec. ,  a  cui 
rispettosamente  soggiungo  di  avermi  presa  con 
lei  sola  la  licenza  di  aggiungere  all'  Orazione  un 
tratto  che  per  certi  riguardi  ho  temuto  di  esporlo 
al  pubblico. 


RISPOSTA  DEL  P.  BERNARDO  MARIA  GIACCHI 

Arienzo,  i5  luglio  1724* 

Il  crudo  spettacolo  di  morte  che  per  lungo  spazio 
ho  io  qui  avuto  su  gli  occhi  in  un  nostro  Religioso 
fratello,  che  finalmente  è  passato  dal  tempo  all'eter- 
nità,, mi  ha  riempiuto  per  modo  l'animo,  che  non  mi 
ha    permesso    di    prima    rendere    a  V.  S.    mio    signore 

3uelle  grazie  che  ora  vi  rendo  moltissime  dell'  Orazione 
i  cui  vi  siete  degnato  di  farmi  il  pregiatissimo  dono. 
Io  l'ho  letta  non  una,  ma  ben  tre  e  quattro  volte, 
e  sempre  con  quel  piacere  che  ad  animo  ingenuo  e 
sincero  recar  suole  il  maschio  e  verace  bello  di  una 
eloquenza  grande  e  signorevole:  mi  piace  di  credere 
che  un  pari  affetto  avrà  cagionato  in  tutti  coloro  che 
sono  giudici  competenti  di  simiglianti  difficilissimi  la- 
vori, e  che  perciò  ve  ne  abbian  data  quella  lode  alla 
quale  voi  generosamente  sovrastate  per  la  secura  co- 
scienza di  meritarla  lungamente  maggiore.  Cosi  aveste 
voi,  signor  mio,  più  spesse  le  occasioni  di  esercitare 
in  opere  si  fatte  il  vostro  conosciuto  valore ,  come  non 


I 


32  PARTE    I. 

avrebbe  la  italiana  favella  in  questa  parte,  che  a  lei 
manca,  di  che  invidiare  alla  latina:  ma  l'infelicità  del 
nostro  secolo  tradisce  P  adempimento  di  un  desiderio 
che  se  non  ispunta  in  cuore  a  molti,  la  è  colpa  o 
della  negligenza  o  della  malizia.  Godete  voi,  signor 
mio,  di  voi  stesso,  e  di  quei  doni  ond'è  ricca  la  vo- 
stra grande  anima,  e  facciamci  a  sperare  dalla  Prov- 
videnza ciò  che  a  torto  ci  vien  dinegato  dagli  uomini 
poco  o  nulla  estimatori  della  virtù,  quando  che  spo- 
sata nOn  sia  ad  una  splendida  fortuna.  Del  rimanente 
continovatemi ,  vi  priego ,  la  vostra  buona  grazia ,  e 
datemi  il  come  giustamente  godere  del  per  me  troppo 
onorevol  titolo  di  vostro,  ec. 


LETTERA  AL  P.  BERNARDO  MARIA  GIACCHI 

Napoli,  25  novembre  1725. 

Accompagnata  dal  sommo  amore  che  le  porto, 
e  da  tutta  la  riverenza  ch'ella  merita,  mando  a 
V.  P.  Reverendissima  la  consaputa  opera.  In  co- 
testo eremo  ella  goderà  tanta  pubblica  luce,  quanto 
ne  potrebbe  nella  più  celebre  delle  Università  del- 
l'Europa,  alle  quali  è  indirizzata  (i).  In  questa  città 
si  io  fo  conto  di  averla  mandata  al  diserto,  e 
sfuggo  tutti  i  luoghi  celebri,  per  non  abbattermi 
in  coloro  a'  quali  l'ho  io  mandata;  e  se  per  ne- 
cessità egli  addivenga,  di  sfuggita  li  saluto:  nel 
quale  atto  non  dandomi  essi  né  pure  un  riscon- 
tro dì  averla  ricevuta,  mi  confermano  l'opinione 
che  io  l'abbia  mandata  al  diserto.  Io  poi  devo 
tutte  le  altre  mie  deboli  opere  d'ingegno  a  me 
medesimo;  perchè  le  ho  lavorate  per  mie  utilità 
propostemi,  affine  di  meritare  alcun  luogo  deco- 
roso nella  mia  città:    ma   poiché   questa  Univer- 

(r)  L'opera  qui  mentovata  è  la  Prima  Scienza  Nuova. 


SCRITTI    SCIENTIFICI  33 

sita  me  ne  ha  riputato  immeritevole  j  io  certa- 
mente debbo  questa  sola  opera  tutta  a  questa  Uni- 
versità; la  quale  non  avendomi  voluto  occupato 
a  trattar  paragrafi,  mi  ha  dato  Tagio  di  medi- 
tarla. Posso  io  avergliene  più  grado  di  questo? 
che  mi  spiace  non  potergliene  professare  altrove, 
che  in  cotesta  vostra  solitudine,  dove  gridando 
dico  che  vorrei  non  avere  lavorate  tutte  le  altre 
mie  deboli  opere  d'ingegno,  e  che  restasse  di  me 
questa  sola;  perchè  le  altre  erano  state  lavorate 
per  avere  io  alcuna  cattedra  prima  in  questa  Uni- 
versità; ed  ella,  giudicandomene  indegno,  mi  ha 
in  un  tacito  modo  comandato  che  io  travagliassi 
questa,  alla  quale  dovevano  menarmi  tutte  le  al- 
tre opere  innanzi  della  mia  vita.  Sia  per  sempre 
lodata  la  Provvidenza,  che  quando  agl'infermi  oc- 
chi mortali  sembra  ella  tutta  severa  giustizia,  al- 
lora più  che  mai  è  impiegata  in  una  somma  be- 
nignità! Perchè  da  questa  opera  io  mi  sento  aver 
vestito  un  nuovo  uomo,  e  provo  rintuzzati  quegli 
stimoli  di  più  lamentarmi  della  mia  avversa  for- 
tuna, e  di  più  inveire  contro  alla  corrotta  moda 
delle  lettere,  che  mi  ha  fatto  tal  avversa  fortuna: 
perchè  questa  moda,  questa  fortuna  mi  hanno  av- 
valorato e  assistito  a  lavorare  quest'opera.  Anzi 
(non  sarà  per  avventura  egli  vero,  ma  mi  piace- 
rebbe che  fosse  vero)  quest'opera  mi  ha  infor- 
mato di  uno  certo  spirito  eroico,  per  lo  quale 
non  più  mi  perturba  alcun  timore  della  morte, 
e  sperimento  l'animo  non  più  curante  di  parlare 
.^egli  emoli.  Finalmente  mi  ha  fermalo,  come  so- 
pra un'alta  adamantina  rocca,  il  giudizio  di  Dio, 
il  quale  fa  giustizia  alle  opere  d'ingegno  con  la 
stima  de'  saggi,  i  quali  sempre  e  da  per  tutto 
iPurono  pochissimi  :  non  già  uomini  recitatori  de' 
libri  altrui,  che  marciscono  le  notti   nella  venere 

Vico,  Opuscoli,  3 


34  PARTE    I.     ■ 

é  'I  vinOj    o   in   infeste  meditazioni  sono  agitati, 
come  con  insidiare  alla  verità  ed  alla  virtii  deb- 
bano covrire  le  scempiezze   o   le  ribalderie  com- 
messe  nel   dì  passato ,    per  seguitar  di  parere  e 
dotti  e  buoni  nel  giorno  appresso:  non  finalmente 
infingardi,  che  stando  tutti  sicuri  all'ombra  della 
loro  negligenza,   anzi  scorrendo  sconosciuti  nella 
densa  notte  de'  loro  nomi  van  latrocinando  Fonor^ 
dovuto  al  merito  degli  uomini  valorosi  j  ed  ardi-i 
scono  in  ogni  modo  di  scannare   il   di  loro  cre- 
dito;   ma   tra  le  tenebre  delia  loro  nera  passion 
dell'invidia  avventano  e  profondano   nelle   propie 
loro  viscere  gli  avvelenatissimi  colpi:  ma  sapientil 
sono  uomini  di  altissimo  intendimento,  di  erudi- 
zione tutta  propia,    generosi    e   magnanimi,   che 
non  altro  studiano  che  conferire  opere  immortali 
nel  comune  delle  lettere,  tra'  quali  o  il  primo  o 
tra'  primi  è  V.  P.  Reverendissima,  la  quale  ora  io 
divotamente  priego  ad  accogliere  con  la  solita  vo- 
stra altezza  d'animo,  come  ha  sempre  fatto  degli  | 
altri,  questo  mio  ultimo  e  più  di  tutti  tenero  par- 1 
to,  il  quale  con  la  buona  vostra  grazia  sarà  più 
agiato  tra  le  vostre  rozzissime   lane,    che   tra   le 
porpore    e   i   dilicati    bissi    de'  grandi  :    e  facen- 
dole umilissime  riverenze  mi  confermo,  ec. 


RISPOSTA  DEL  P.  BERNARDO  MARIA  GIACCHI 

Arienzo,  20  dicembre  1725.         vi 

Egli  é  già  passato  il  mese,  Riv.  sig.  Giambattista, 
da  che  per  la  via  di  Caserta  e  da  mano  assai  gentile 
vennemi  reso  il  vostro  libro  del  Dritto  Naturale  delle 
Genti  :  ma  a  tutt'  altri  che  a  voi  saprebbe  recar  me- 
raviglia il  mio  sì  lungo  differire  a  darvene  convenevol 
riscontro:  voi  che  ben  sapete  le  grandissime  cose  che 


SCRITTI    SCIENTIFICI  35 

nella  di  lui  brieve  mole  si  contengono ,  e  quanto  di 
attenzione  e  di  studio  si  richiegga  a  giustamente  com- 
prenderle, mi  stimerete  presto,  anzi  che  no,  nell'usarvi 
si  difficile  ufizio.  Quante  voi,  signor  mio,  avete  date 
opere  alla  luce,  tutte  fuor  di  dubbio  son  degne  di 
voi^  ma  questa  a  me  pare  che  sia  Io  specchio  il  più 
fedele  dell'ampiezza,  della  fecondità  e  della  fermezza 
della  mente,  dell'ingegno  e  del  giudizio  vostro.  Egli 
è  il  vero  che  in  un  secolo  sì  snervato  e  molle  ezian- 
dio nelle  lettere,  qual  è  il  nostro,  non  incontran  for- 
tuna libri  sì  rigidi  e  severi^  ma  tanto  bene  non  saran 
pochi  quelli  che  avidi  della  vera  gloria  vi  terran  dietro 
a  qualunque  fatica  nel  sublime  cammino^  ed  avvisati 
col  gire  innanzi  a  qual  alta  eroica  meta  voi  gli  scor- 
gete, sian  finalmente  per  rendervi  la  lode  che  deesi 
ad  uomo  scopritor  felice  di  un  mondo  nuovo  nella 
scienza  più  necessaria  e  più  utile  all'umanità.  Feliciti 
il  Signore  Iddio,  prima  cagione  di  ogni  nostro  bene, 
e  questo  mio  giusto  pensiero ,  e  quante  ho  in  petto  te- 
nerissime passioni  per  ogni  qualunque  vostro  cristiano  e 
civile  vantaggio ,  dappoiché  a  mille  titoli  io  pur  sono,  ec. 


LETTERA  AL  P.  BERNARDO  MARIA  GIACCHI  ^       g| 
Napoli,  4  dicembre  lyag. 

Come  per  lo  eterno  obbligo  di  giustizia  che  io 
tengo  con  V.  P.  Reverendissima  le  mando  questo 
libricciuolo  (i);  così  per  l'onore  ch'ella  generosa- 
mente mi  compartisce  della  sua  confidenza  le  scrivo 
ciò  che  non  ho  potuto  confidare  alle  stampe.  Il 
volume  degli  Atti  di  Lipsia  dell'anno  17:27,  ov'è 
stampata  una  Novella  letteraria  della  noslva  Scienza 
Nuova,  era  venuto  qua  in  Napoli  Cm  dal  princi- 
pio del  caduto  anno  1728;  e  si  teneva  sotto  chiave 


(i)  yici  Vindiciae  sive  Notae  in  Ada  ErudUorum  Lipsieri' 
sia  mensis  augusti  A.  MDCCXXyiL 


36  PARTE    I. 

dairAutore,  che  l'aveva  quinci  scritta  a'  signori 
Eruditi  Lipsiesi,  ed  accortamente  dissimulavasi  da 
altri  pochi  che  n'erano  consapevoH  con  esso  Au- 
tore; né  è  mancato  uno  di  essi,  il  quale  pratica 
spesso  in  mia  casa  la  sera,  di  costituirmene  reo 
della  scienza  che  di  tempo  in  tempo  me  ne  dava 
contezza,  ma  sempre  incerta,  varia,  indistinta  e 
confusa,  per  la  quale  non  mai  me  ne  venne  ta- 
lento d' informarmi  del  vero.  Quando  finalmente 
nel  passato  mese  di  agosto  tal  volume  comparve 
qui  pubblicamente  in  piazza  de' Librai,  insieme 
con  tutto  il  corpo,  venuto  a  questo  mercadante 
di  libri  Niccolò  Rispolo  ;  onde  da  molti  curiosi 
cotal  Novella  fu  letta;  la  qua!  essendo  stata  per  1 
mia  buona  sorte  riferita  al  P.  D.  Roberto  Sostegni,  ^ 
egli  con  quella  solita  sua  gran  circospezione  mi 
accertò  che  i  signori  Giornalisti  di  Lipsia  parla- 
vano di  quell'opera,  ma  che  all'orecchio  non  glie 
n'era  giunta  altra  accusa  che  gloriosa  per  me, 
che  r  avessi  io  lavorata  conforme  al  genio  della 
Chiesa  Romana.  Quindi  invogliatomi  di  rincontrar- 
la, perchè  l'osservai  contenere  tredici  proposi- 
zioni dentro  altrettanti  versi,  delle  quali  una  vera 
mi  reca  una  somma  gloria,  l'altre  dodici  son  tutte 
false,  e  che  non  mi  toccano  punto,  io  avrei  cer- 
tamente risparmiato  di  rispondervi;  ma  perchè  si 
aveva  a  divolgare  l'Autore,  come  se  n'avanzò  tut- 
tavia il  rumore  qui  in  Napoli,  acciocché  non  si 
potesse  nemmeno  per  ombra  sospettare  che  l'an- 
dassi io  diffamando,  e  che  volessi  vederlo  punito 
di  quelle  gravissime  pene  e  spirituali  e  temporali 
che  glie  n'aspetterebbono,  io  presi  a  scrivervi  | 
queste  Note,  con  tal  condotta,  che  vi  fo  neces-  1 
saria  comparsa  di  non  saperlo  chi  sia,  per  tre 
fini  tutti  da  conseguirli ,  io  da'  medesimi  Giorna- 
listi, appo  i  quaU  esso  non  si  può  a  verun  patta 


SCRITTI    SCIENTIFICI  3^ 

nascondere:  il  primo,  che  io  ho  tutto  P affare  con 
essi,  con  costui  nulla*,  il  secondo,  ch'essi  stessi 
puniscano  questo  erapio  con  farlo  cadere  dal  loro 
concetto  di  esser  costui  loro  buon  amico,  e  nello 
stesso  loro  concetto  il  cuoprano  tutto  d'ignomi- 
nia e  d'infamia,  e  nel  medesimo  tempo  per  la 
loro  propria  imprudenza  e  temerità  ne  restino  essi 
carichi  di  vergogna  e  di  pentimento,  d'aver  essi 
ciecamente  confidato  la  loro  stima  e  '1  loro  cre- 
dito ad  uno  vilissimo  traditore  della  patria,  della 
nazione  e  della  religione  sua  propria j  e  l'ultimo, 
e  più  rilevante  di  tutti ,  eh'  essi  non  sieguano  per 
l'avvenire  a  credere  di  questa  pietosissima  città, 
che  voglia  dissimulare  un  cotanto  scellerato  cit- 
tadino che  quindi  ha  attentato  di  aprire  con  essi 
un  commerzio  pubblico  di  eresia.  Questo  è  quello 
di  che  doveva  io  ragguagharla;  del  rimanente  le 
parlerà  essa  scrittura,  la  quale,  affidato  nella  di 
lei  alta  generosità,  avviso  che  leggerà  con  buon 
occhio,  come  sempre  ha  soluto  tutte  le  altre  de- 
boli opere  del  mio  afflittissimo  ingegno:  e  facen- 
dole umiHssima  riverenza  mi  confesso,  ec. 


VIGLIETTO  AL  MEDESIMO 

(Senza  data) 

Per  accertare  V.  P.  Reverendissima  quanto  mi 
sia  dilettato  de'  vostri  elogi,  ho  voluto  seco  ga- 
reggiare in  qualche  formola  *,  perchè  i  disegni  sono 
sì  belli,  che  non  si  possono  migliorare.  Sarà  sua 
gentilezza  se  vorrà  di  alcuna  di  quelle  varietà  ser- 
virsi, e  mia  /sarà  la  gloria  di  avervi  solamente 
ubbidito:  e  con  tutto  l'ossequio  resto  rassegnan- 
domi, ec. 


^1! 


IDEE    SULLA  POESIA 


A    GHERARDO    DEGLI    ANGIOLI 

SOPRA  L' INDOLE  DELLA  VERA  POESIA  J 

Napoli,  25  dicembre  1725. 

Ho  ricevuto  alquanti  Sonetti  ed  un  Capitolo, 
composti  da  V.  S.  in  cotesta  sua  patria ,  e  vi  ho 
scorto  un  molto  maggiore  ingrandimento  di  stile 
sopra  il  primiero,  con  cui  ella  due  mesi  fa  era 
partita  da  Napoli;  talché  mi  han  dato  forte  mo- 
tivo di  osservarli  con  l'  aspetto  de'  Principj  della 
Poesia  da  noi  ultimamente  scoverti  col  lume  della 
Scienza  Nuova  dintorno  alla  Natura  delle  Na- 
zioni: perchè  le  selve  ed  i  boschi  ^  che  non  so- 
gliono fare  gentili  gli  animi,  né  punto  raffinare 
gl'ingegni  (né  certamente  vedo  altra  cagione),  han 
fatto  cotesto  vostro  tanto  sensibile,  quanto  repen- 
tino miglioramento.  Primieramente  ella  é  venuta 
a  tempi  troppo  assottigliati  da'  metodi  analitici, 
troppo  irrigiditi  dalla  severità  de'  criterj,  e  si  di 
una  filosofìa  che  professa  ammortire  tutte  le  fa- 
coltà dell'animo,  che  le  provengono  dal  corpo,  e 
sopra  tutte  quella  d'immaginare,  che  oggi  si  de- 
testa, come  madre  di  tutti  gli  errori  umani;  ed, 
in  una  parola,  ella  è  venuta  a'  tempi  di  una  sa* 
pienza  che  assidera  tutto  il  generoso  della  miglior 
poesia  :  la  quale  non  sa  spiegarsi  che  per  traspor* 
ti;  fa  sua  regola  il  giudizio  de'  sensi;  ed  imita  e 
pigne  al  vivo  le  cose,  i  costumi,  gli    affetti   con 


PARTE    I.    SCRITTI    SCIENTIFICI  3g 

un  fortemente  immaginarli ,  e  quindi  vivamente 
sentirli.  Ma  a'  ragionamenti  filosofici  di  tali  mate- 
rie,  ella,  come  spesso  ho  avvertito,  soltanto  colla 
sua  mente  si  affaccia,  come  per  vederle  in  piazza 
o  in  teatro,  non  per  riceverle  dentro  a  dileguarvi 
la  fantasia,  disperdervi  la  memoria  e  rintuzzarvi 
lo  ingegno,  il  quale  senza  contrasto  è  'l  padre  di 
tutte  l'invenzioni:  onde  è  quello  che  merita  tutta 
la  meraviglia  de'  dotti  j  perchè  tutte  ne'  tempi  bar- 
bari nacquero  le  piiì  grandi  e  le  più  utili  inven- 
zioni, come  la  bussola  e  la  nave  a  sole  vele,  che 
entrambe  han  fruttato  lo  scuoprimento  dell'Indie, 
e  '1  dimostrato  compimento  della  Geografia 5  il  lam- 
bicco che  ha  cagionato  colla  Spargirica  tanti  avan- 
zamenti alla  Medicina;  la  circolazione  del  sangue 
che  ha  fatto  cambiare  di  sentimenti  alla  Fisica 
del  corpo  animato,  e  voltar  faccia  all'Anatomia  j 
la  polvere  e  lo  schioppo  che  han  portato  una 
nuova  Arte  bellica-  la  stampa  e  la  carta  che  han 
riparato  alla  difficoltà  delle  ricerche  ed  alle  per- 
dite de'  manoscritti*,  la  cupola  sopra  quattro  punti 
da  altrettanti  archi  sospesa,  che  ha  fatto  stupire 
l'Architettura  degli  Antichi,  ed  ha  dato  motivo  a 
scienza  nuova  di  Meccanica;  e  sullo  spirare  della 
barbarie  il  cannocchiale,  che  ha  prodotto  nuovi 
sistemi  di  Astronomia.  Dipoi  ella  è  venuta  in  età 
della  qui  tra  noi  rifiorente  toscana  Poesia:  ma  un 
tanto  beneficio  deve  ella  al  tempo  da  cui  è  stata , 
senza  guida  altrui,  menata  a  leggere  Dante,  Pe- 
trarca, Guidiccioni,  Casa,  Bembo,  Ariosto  ed  al- 
tri poeti  eroici  del  cinquecento;  poiché  sopra  tutti, 
non  per  altrui  avviso  fattone  accorto,  ma  per  lo 
vostro  senso  poetico ,  vi  compiacete  di  Dante , 
contro  il  corso  naturale  de'  giovani,  i  quali,  per 
lo  bel  sangue  che  ride  loro  nelle  vene,  si  dilet- 
tano di  fiori,  d'acconcezze,  d'amenità;  e  voi  con 


4o'  PARTE   I. 

un  gusto  austero  innanzi  gli  anni  gustate  di  quel 
divino  poeta  che  alle  fantasie  delicate  di  oggidì 
sembra  incolto  e  ruvido  anzi  che  noj  ed  agU  orec- 
chi ammorbiditi  da  musiche  effemminate  suona 
una  soventi  fiate  insoave  e  bene  spesso  ancora 
dispiacente  armonia.  Cotesto  le  fu  dato  dal  me- 
lanconico umore  di  che  ella  abbonda  :  onde  nelle 
conversazioni  nostre,  anche  araenissime,  voi  dal 
piacere  degli  esterni  solete  ritrarvì  a  quello  del 
vostro  senso  interiore  :  e  quantunque  dalla  vostra 
tenera  età  siate  versato  ben  dieci  anni  nel  lume 
di  questa  grande,  bella  e  gentil  città  dell' ItaHa; 
pure  perchè  siete  nato  a  pensar  poetico,  rado  e 
poco  parlate  con  favella  volgare,  e  ancora  vi  com- 
parite poco  addestrato  alla  puHtezza  del  nostro 
sermon  civile.  Or  è  ben  fatto  che  sappiate  cosa 
fece  gran  poeta  Dante,  di  cui  voi  cotanto  vi  di- 
lettate per  un  certo  naturai  senso  ,  onde  egli  vi 
fa  poeta,  che  lavorate  di  getto,  non  per  riflessione 
forse  men  propria,  onde  egli  vi  facesse  un  imita- 
tore meschino.  Egli  nacque  Dante  in  seno  alla 
fiera  e  feroce  barbarie  d'Italia,  la  quale  non  fu 
maggiore  che  da  quattro  secoli  innanzi,  cioè  ix, 
X  ed  XI,  e  nel  xu,  di  mezzo  ad  essa,  Firenze  in- 
crudelì con  le  fazioni  dei  Bianchi  e  Neri,  che  poi 
arsero  tutta  Italia,  propagate  in  quelle  de'  Guelfi 
e  de' Gibellini:  per  le  quali  gli  uomini  dovevano 
menar  la  vita  nelle  selve,  o  nella  città  come  sel- 
ve 5  nulla  e  poco  tra  loro,  o  non  altrimenti  che 
per  le  streme  necessità  della  vita  comunicando; 
nel  quale  stato  dovendosi  penuriare  di  una  somma 
povertà  di  parlari,  tra  per  la  confusione  di  tante 
lingue,  quanto  furono  le  nazioni  che  dal  Setten- 
trione eranvi  scese  ad  innondarla ,  quasi  ritornata 
in  Italia  quella  della  gran  torre  di  Babilonia ,  i  La- 
tini da'  barbari,  i  barbari    da'  Latini   non   inten- 


SCRITTI    SCIKNTJFICI  4^ 

dendosi  5  e  per  la  vita  selvaggia  e  sola  menata 
nella  crudel  meditazione  di  inestinguibili  odj  che 
si  lasciarono  lunga  eia  in  retaggio  a'  vegnenti,  do- 
vette tra  gl'Italiani  ritornare  la  Hngua  muta,  che 
noi  dimostrammo  delle  prime  nazioni  gentili,  con 
cui  i  loro  autori ,  innanzi  di  truovarsi  le  lingue  ar- 
ticolate,  dovettero  spiegarsi  a  guisa  di  mutoli,  per 
atti  o  corpi  aventino  naturali  rapporti  all'idee, 
che  allora  dovevano  essere  sensibilissime ,  delle 
cose  che  volevan  essi  significare*,  le  quali  espres- 
sioni vestite  appresso  di  parole  vocali  debbono 
aver  fatta  tutta  l'evidenza  della  favella  poetica:  il 
quale  stato  di  cose  dovette  più  che  altrove  du- 
rare in  Firenze ,  per  lo  bollore  turbolento  di  quel- 
l' acerrima  nazione*,  come  per  ben  dugento  anni 
appresso,  fino  che  fu  tranquillata  col  principato, 
durò  il  maroso  di  quella  repubblica  tempestosis- 
sima. Ma  la  Provvidenza,  perchè  non  si  estermi- 
nasse affatto  il  genere  umano,  rimenandovi  i  tempi 
divini  del  primo  mondo  delle  nazioni,  dispose  che 
almeno  la  religione  con  la  Hngua  della  Chiesa  la- 
tina (lo  stesso  per  le  stesse  cagioni  provvide  al- 
l'Oriente con  la  greca)  tenesse  gli  uomini  dell'Oc- 
cidente in  società:  onde  coloro  soH  che  se  n'in- 
tendevano, cioè  i  sacerdoti,  erano  i  sapienti:  di 
che  quanto  poco  avvertite,  tanto  gravi  ripruove 
sono  queste  tre:  I.  Che  da  questi  tempi  i  regni 
cristiani  in  mezzo  al  pili  cieco  furore  delle  armi 
si  fermarono  sopra  ordini  di  ecclesiastici;  onde 
quanti  erano  vescovi,  tanti  erano  i  consiglieri  de' 
re;  e  ne  restò  che  per  tutta  la  Cristianità  ,  ed  in 
Francia  più  che  altrove,  gli  ecclesiastici  andarono 
a  formare  il  primo  ordine  degli  Stati.  II.  Che  di 
tempi  sì  miserevoli  non  ci  sono  giunte  memorie 
che  scritte  in  latin  corrotto  da  uomini  religiosi , 
0  monaci  o  cherici.  III.  Che  i  primi  scrittori  de* 


4»  PARTE    I. 

novelli  idiomi  volgari  furono  i  Rimatori  proven- 
zali, siciliani  e  fiorentini;  e  la  loro  volgare  dagli 
Spagnuoli  si  dice  tuttavia  lingua  di  Romanzo,  appo 
i  quali  i  primi  poeti  furono  Romanzieri,  appunto 
come  per  le  stesse  precorrenti  cagioni  noi  nella 
Scienza  Nuova  dimostrammo  Omero,  come  egli 
è  il  primo  certo  autor  greco  che  ci  è  pervenuto, 
così  è  senza  contrasto  il  principe  e  padre  di  tutti 
i  poeti  che  fiorirono  appresso  ne'  tempi  addottri- 
nati di  Grecia,  che  gli  tengon  dietro,  ma  per  as- 
sai lungo  spazio  lontani.  La  qual  origine  di  poe- 
sia può  ogni  uno  che  se  ne  diletti  sentire,  non  che 
riflettere,  esser  vera  in  sé  stessa;  che  in  questa 
stessa  copia  di  lingua  volgare,  nella  quale  siamo 
nati,  egli  subito  che  col  verso  o  con  la  rima  avrà 
messa  la  mente  in  ceppi  ed  in  difficoltà  di  spie- 
garsi, senza  intenderlo,  è  portato  a  parlar  poeti- 
co, e  non  mai  piiì  prorompe  nel  meraviglioso,  se 
non  quando  egli  è  piii  angustiato  da  sì  fatta  dif- 
ficoltà. Per  cotal  povertà  di  volgar  favella  Dante 
a  spiegare  la  sua  Commedia  dovette  raccogliere 
una  lingua  di  tutti  i  popoU  delf  Italia,  come,  per- 
chè venuto  in  tempi  somigfianti ,  Omero  avea  rac- 
colta la  sua  da  tutti  quelli  di  Grecia;  onde  poi 
ogni  uno  ne'  di  lui  poemi  ravvisando  i  suoi  parlari 
natii,  tutte  le  città  greche  contesero  che  Omero 
fosse  suo  cittadino.  Così  Dante  fornito  di  poetici 
favellari  impiegò  il  colerico  ingegno  nella  sua  Com- 
media; nel  cui  Inferno  spiegò  tutto  il  grande  della 
sua  fantasia,  in  narrando  ire  implacabili,  delle  quali 
una,  e  non  piià,  fu  quella  di  Achille,  ed  in  mem- 
brando  quantità  di  spietatissimi  tormenti:  come 
appunto  nella  fierezza  di  Grecia  barbara  Omero 
descrisse  tante  varie  atroci  forme  di  fierissime 
morti,  avvenute  ne'  combattimenti  de'  Trojani  co' 
Greci,  che  rendono  inimitabile  la  sua   Iliade:  ed 


SCRITTI    SCIENTIFICI  4^ 

entrambi  di  tanta  atrocità  risparsero  le  loro  fa- 
vole, che  in  questa  nostra  umanità  fanno  compas- 
sione, ed  allora  cagionavan  piacere  negli  uditori} 
come  oggi  gli  Inglesi  poco  ammolliti  dalla  delica- 
tezza del  secolo  non  si  dilettano  di  tragedie  che 
non  abbiano  dell'atroce:  appunto  quale  il  primo 
gusto  del  teatro  greco  ancor  fiero  fu  certamente 
delle  nefarie  cene  di  Tieste,  e  dell'empie  stragi 
fatte  da  Medea  di  fratelli  e  figliuoli.  Ma  nel  Pur- 
gatorio, dove  si  soffrono  tormentosissime  pene 
con  inalterabile  pazienza;  nel  Paradiso,  ove  si 
gode  infinita  gioja  con  una  somma  pace  dell'ani- 
mo, quanto  in  questa  mansuetudine  e  pace  di  co- 
stumi umani  non  lo  è,  tanto  a  que'  tempi  impa- 
zienti di  offesa  o  di  dolore  era  meravigliosissimo 
Dante:  appunto  come,  per  lo  concorso  delle  stesse 
cagioni,  l'Odissea,  ove  si  celebra  l'eroica  pazienza 
di  Ulisse,  è  appresa  ora  minore  dell'Iliade,  la 
quale  a'  tempi  barbari  di  Omero ,  simiglianti  a 
quelli  che  poi  seguirono  di  Dante,  dovette  recare 
altissima  meraviglia.  Per  ciò  che  si  è  detto,  ella 
non  già  mi  sembra  esser  imitatore  di  Dante,  per- 
chè certamente,  quando  ella  compone,  non  pensa 
ad  imitar  Dante,  ma  con  tal  melancolico  ingegno, 
tal  severo  costume,  tal  incelta  di  poetici  favellari , 
è  un  giovinetto  di  natura  poetica  de'  tempi  di 
Dante.  Quindi  nascono  coteste  tre  vostre  poetiche 
proprietà:  I.  Che  cotal  vostra  fantasia  vi  porta  ad 
entrare  nelle  cose  stesse  che  volete  voi  dire,  ed 
in  quella  le  vedete  si  risentite  e  vive,  che  non  vi 
permettono  di  riflettervi;  ma  vi  fanno  forza  a  sen- 
tirle, e  sentirle  con  cotesto  vostro  senso  di  gio- 
ventù, il  quale,  come  l'avverte  Orazio  nell'Arte, 
è  di  sua  natura  sublime:  di  più  con  senso  di  nulla 
infievolito  dalle  presenti  filosofie,  di  nulla  ammol- 
lito da^  piaceri  effemminati,  e  perciò  senso  robusto; 


44  PARTE    I. 

e  finalmente  per  le  ombre  della  vostra  malinco- 
nia, come  all'ombra  degli  oggetti  sembrano  mag- 
giori del  vero,  con  senso  anche  grande j  il  quale 
perciò  si  dee  per  natura  portar  dietro  l'espres- 
sione con  grandezza,  veemenza,  sublimità.  IL  Che 
i  vostri  sono  sentimenti  veri  poetici,  perchè  sono 
spiegati  per  sensi,  non  intesi  per  riflessione^  le 
quali  due  sorti  di  poeti  Terenzio  ci  divisò  nel 
suo  Cherea,  giovinetto  violentissimo,  il  quale  della 
schiava,  di  cui  esso,  in  vedendola  passare  per 
istrada,  si  era  ferventissimamente  innamorato,  dice 
al  suo  amico  Antifone: 

.  ,  .   Quid  ego  ejus  Ubi  nane  faciem  praedicent  aut  laudetn  ,  jintipho  / 
Cum  ipsum  me  noris  y  quam  elegans  formarum  spectator  siem  ? 

(ecco  i  poeti  che  cantano  le  bellezze  e  le  virtù 
delle  loro  donne  per  riflessione,  che  sono  Filosofi 
che  ragionano  in  versi  o  in  rime  di  amore) 5  e 
chiude  tutte  le  somme  e  sovrane  lodi  della  sua 
bella  schiava  con  questo  senso  poetico  in  questo 
motto  spiegato  con  poetica  brevità:  In  hac  com- 
motus  sum,  con  cui  lascia  da  raccogliere  al  ra- 
ziocinio che  la  schiava  sia  più  bella  e  leggiadra 
di  quante  belle  e  leggiadre  donne  e  donne  Ate- 
niesi abbia  giammai  veduto ,  osservato  e  scorto 
un  giudice  di  buon  gusto  delle  bellezze.  III.  E  fi- 
nalmente, perchè  i  vostri  componimenti  sono  pro- 
prj  di  subietti  di  cui  parlate;  perchè  non  gli  an- 
date a  ritrovare  nell'idee  de'  Filosofi  per  cui  i  su- 
bietti tali  dovrebbono  essere,  onde  le  false  lodi 
sono  veri  rimproveri  di  ciò  che  loro  manca;  ma 
gì' incontrate  nell'idee  de'  poeti,  come  in  quelle 
de'  pittori,  le  quali  sono  le  stesse,  e  non  differi- 
scono tra  loro  che  per  le  parole  e  i  colori:  e  si 
elleno  sono  idee  delle  quali  essi  subietti  parteci-. 
pano  qualche  cosa;  onde  con  merito  li  compite, 
contornandoli    sopra   esse  idee:  appunto  come  i 


SCRITTI    SCIENTIFICI  4^ 

divini  pittori  compiscono  sopra  certi  loro  modelli 
ideali  gli  uomini  o  le  donne,  che  essi  in  tele  ri- 
traggono; talché  i  ritratti  in  una  mighor  aria  rap- 
presentino gli  originali,  che  tu  puoi  dire  che  è 
quello  o  quella. 

Per  tutto  ciò  io  me  ne  congratulo  con  esso  lei, 
e  con  la  nostra  nazione,  a  cui  ella  farà  molta  glo- 
ria. Le  porto  mille  saluti  che  le  manda  il  dolcis- 
simo ornamento  degli  amici  P.  D.  Roberto  Soste- 
gni: e  le  bacio  caramente  le  mani.  ':^'m$b 


^tì 


GIUDIZIO    SOPRA    DANTE 


(Dopo  il  1732) 


La  Commedia  di  Dante  Alighieri  ella  è  da  leg- 
gersi per  tre  riguardi:  e  d'istoria    de'  tempi  bar- 
Bari  dell'Italia,  e  di  fonte  di  bellissimi  parlari  to- 
scani ,  e  di  esemplo   di    sublime  poesia.   Per   ciò 
che  si  attiene  al  primo,  egli  sta  cosi  dalla  natura 
ordinato  e  disposto ,  che  per  una  certa  uniformità 
di  corso  che  fa  la  mente  comune  delle  nazioni  sul 
cominciare  ad  ingentilirsi  la  lor  barbarie,  la  qual 
è  per  naturai  costume  aperta  e  veritiera,   perchè 
manca  di  riflessione,  la  quale  applicando  a  male, 
è  l'unica  madre  della  menzogna,  i  poeti  vi  can- 
tino istorie  vere.  Così  nella  Nuova  Scienza  d!in^ 
torno  alla  Natura  delle  Nazioni  abbiamo,  Omero 
essere  il  primo  storico  della  Gentilità,  lo  che  più 
si  conferma  nelle  Annotazioni  da  noi  scritte  a  quel-  i 
l'opera,  nelle  quali  l'abbiam  trovato  affatto  altro 
da  queir  Omero  il  qual  finora  è  stato  da  tutto  il 
mondo  creduto  5  e  certamente  il  primo  storico  de' 
Romani  a  noi  conosciuto  fu  Ennio,  che  cantò  le 
guerre  cartaginesi:  agli  stessi  esempli  il  primo  o 
tra'  primi  degl' istorici  italiani  egli  si  fu  il  nostro 
Dante.  Ciò  ch'egli  nella   sua   Commedia    mescolò 
di  poeta,  è  che  narra  i  trapassati  secondo  i  me- 
riti di  ciascuno  allogati  o  nell'  Inferno  o  nel  Pur- 
gatorio o  nel  Paradiso;  e  quivi,  qual  poeta  deb- 
be,  sic  veris  falsa  remiscet ,  per  essere  un  Omero 
od  un  Ennio  convenevole  alla  nostra  cristiana  re- 
ligione, la  qual  c'insegna  i  premj  e  i  castighi  delle 
nostre  buone  o  cattive  operazioni  essere,  più  che 
i  temporali,  gli  eterni.  Talché  le    allegorie   di  tal 
poema  non  sono  piiì  di  quelle  riflessioni  che  dee 


PARTE    I.    SCRITTI    SCIENTIFICI  4t 

far  da  se  stesso  un  leggitore  d' istoria ,  di  Irarvi 
profitto  dagli  altrui  esempli.  Il  secondo  riguardo 
per  lo  quale  Dante  è  da  leggersi ,  è  eh'  egli  è  un 
puro  e  largo  fonte  di  bellissimi  favellari  toscani: 
nella  qual  cosa  non  è  ancor  soddisfatto  di  un 
profittevol  commento ,  per  quello  stesso  che  di- 
cesi volgarmente  che  Dante  v'  abbia  raccolto  i  par- 
lari di  tutti  i  dialetti  d'Italia  :  la  qual  falsa  opi- 
nione non  ha  potuto  che  indi  provenire,  perchè 
al  cinquecento ,  che  dotti  uomini  si  diedero  a  col- 
tivare la  toscana  favella  che  si  era  in  Firenze  par- 
lata al  trecento j  che  fu  il  secolo  d'oro  di  cotal 
lingua,  osservando  essi  un  gran  numero  di  par- 
lari in  Dante,  de'  quali  non  avevano  affatto  rin- 
contri da  altri  toscani  scrittori;  ed  altronde  rico- 
noscendone per  fortuna  molti  ancor  vivere  per  le 
bocche  di  altri  popoh  dell'Italia,  credettero  che 
Dante  l'avesse  indi  raccolti  e  nella  sua  Commedia 
portati  :  che  è  lo  stesso  fato  appunto  che  avvenne 
ad  Omero,  il  quale  quasi  tutti  i  popoli  della  Gre- 
cia vollero  che  fusse  lor  cittadino,  perchè  ciascun 
popolo  ne'  di  lui  poemi  ravvisava  i  suoi  natii  an- 
cor viventi  parlari.  Ma  sì  fatta  opinione  ella  è  falsa, 
per  due  ragioni  gravissime:  la  prima,  perchè  do- 
veva pure  in  quei  tempi  Firenze  avere  la  maggior 
parte  de'  parlari  comuni  con  tutte  le  altre  città 
dell'Italia,  altrimenti  l'itaHana  favella  non  sarebbe 
stata  comune  anco  alla  fiorentina  ;  la  seconda  è 
che  in  que'  secoli  infelici  non  ritrovandosi  scrit- 
tori in  volgari  idiomi  per  le  altre  città  dell'Italia, 
come  in  effetto  non  ce  ne  sono  pervenuti ,  non 
bastava  la  vita  di  Dante  per  apprender  le  hngue 
volgari  da  tanti  popoli,  onde  nel  comporre  la  sua 
Commedia  avesse  avuto  poi  pronta  la  copia  di 
quei  parlari  che  a  lui  facevano  d' uopo  per  ispie- 


48  PARTE    I. 

garsì.  Onde  sarebbe  mestieri  agli  Accademici  della 
Crusca  che  mandassero  per  l' Italia  un  catalogo  di 
sì  fatte  voci  e  parlari ,  e  dagli  ordini  bassi  delle 
città,  che  meglio  de'  nobili  e  degli  uomini  di  cor- 
te, e  molto  più  da'  contadini  che  megUo  de'  più 
bassi  ordini  delle  città  conservano  i  costumi  ed 
i  Hnguaggi  antichi,  ed  indi  informarsi  quanti  e 
quali  ne  usassero,  e  in  che  significazione  l'usas- 
sero, per  averne  essi  la  vera  intelligenza.  Il  terzo 
riguardo  perchè  è  Dante  da  leggersi,  è  per  con- 
templarvi un  raro  esemplo  di  un  subHme  poeta. 
Ma  questa  è  la  natura  della  sublime  poesia,  ch'ella 
non  si  fa  apprender  per  alcun' arte.  Omero  è  il 
più  sublime  poeta  di  quanti  mai  appresso  gli  son 
venuti;  né  ebbe  alcun  Longino  innanzi  che  gli 
avesse  dato  precetti  di  poetica  sublimità.  E  gli 
stessi  principaU  fonti  che  ne  dimostra  Longino, 
non  si  possono  gustare  se  non  se  da  coloro  a' 
quali  è  stato  conceduto  e  dato  in  sorte  dal  cielo. 
Sono  essi  lì  più  sacri  e  U  più  profondi  non  più 
che  due:  primo,  altezza  di  animo,  che  non  curi 
altro  che  gloria  ed  immortalità,  onde  disprezzi  e 
tenga  a  vile  tutte  quelle  cose  che  ammiransi  da- 
gli uomini  avari,  ambiziosi,  molli,  dehcati  e  di 
femmineschi  costumi;  secondo,  animo  informato 
di  virtù  pubbliche  e  grandi,  e  sopra  tutte  di  ma- 
gnanimità e  di  giustizia,  come  senz' alcun' arte,  ed 
in  forza  della  sublime  educazione  de'  fanciulli  or- 
dinata loro  da  Licurgo,  gU  Spartani,  i  quah  per 
legge  eran  proibiti  saper  di  lettera,  davano  tutto 
giorno  e  volgarmente  in  espressioni  cotanto  su- 
bHmi  e  grandi ,  che  ne  farebbono  pregio  i  più 
chiari  poeti  eroici  e  tragici  darne  di  poche  simi- 
glianti  ne'  loro  poemi.  Ma  quello  che  è  più  pro- 
prio della  sublimità  di  Dante,  egli  fu  la  sorte  di 


SCRITTI    SCIENTIFICI  49 

nascer  grande  ingegno  nel  tempo  della  spirante 
barbarie  d'Italia;  perchè  gl'ingegni  umani  sono  a 
guisa  de' terreni,  i  quali  per  lunghi  secoli  incolti, 
se  finalmente  una  volta  riduconsi  alla  coltura , 
danno  sul  bel  principio  frutti  e  nella  perfezione 
e  nella  grandezza  e  nella  copia  meravigliosi;  ma 
stanchi  di  essere  tuttavia  più  e  più  coltivati ,  li 
danno  pochi ,  sciapiti  e  piccoli.  Che  è  la  cagione 
perchè  nel  finire  de'  tempi  barbari  provennero  un 
Dante  nella  sublime,  un  Petrarca  nella  delicata 
poesia ,  un  Boccaccio  nella  leggiadra  e  graziosa 
prosa;  esempli  tutti  e  tre  incomparabili,  che  si 
debbono  in  ogni  conto  seguire,  ma  non  si  pos- 
sono a  patto  alcuno  raggiungere;  ma  de'  tempi 
nostri  coltissimi  si  lavorano  delle  belle  opere  d'in- 
gegno, nelle  quali  altri  possono  ergersi  in  ispe- 
ranza,  non  che  di  raggiungerli,  di  avanzarh.  A 
tutto  ciò,  cred'io,  avendo  avuto  riguardo  N.  N. 
ha  scritto  le  presenti  Annotazioni  alla  Commedia 
di  Dante,  nelle  quali  con  quel  difìicil  nesso  di  chia- 
rezza e  di  brevità  fa  verisimile  la  storia  delle  co- 
se, o  fatti,  o  persone  che  vi  si  mentovano  dal  poe- 
ta; spiega  con  ragionevolezza  i  di  lui  sentimenti, 
onde  si  può  venire  in  cognizione  della  bellezza  o 
leggiadrìa,  dell'ornamento  o  dell' altezza  de' di  lui 
parlari;  che  è  la  maniera  più  efficace  per  conse- 
guire la  lingua  de'  buoni  scrittori,  con  entrare  nello 
spirito  di  ciò  che  han  sentito,  e  che  essi  han  vo- 
luto dire;  onde  nel  cinquecento  per  tal  via  riu- 
scirono tanti  chiarissimi  scrittori  latini  ed  in  prosa 
ed  in  verso,  innanzi  di  celebrarsi  i  Calepini  e 
tanti  altri  Dizionarj:  tralascia  ogni  morale  e  molto 
più  altra  scienziata  allegoria:  non  vi  si  pone  in 
cattedra  a  spiegare  l'Arte  poetica;  ma  tutto  si  ado- 
pera che  la  gioventù  il  legga  con  quel  piacere  che 

Vico,  Opuscoli.  4 


5o  PARTE    I.    SCRITTI    SCIENTIFICI 

gustano  le  menti  umane ,  ove  senza  pericolo  di 
nausearsi  apparano  molto  in  breve  da^  lunghi  com- 
menti, ne'  quali  i  commentatori  a  disagio  sogliono 
ridurre  tutto  ciò  eh'  essi  commentano.  Perciò  le 
stimo  utilissime  in  questa  età  particolarmente,  nella 
quale  si  vuol  sapere  il  proprio  delle  cose  con  net- 
tezza e  facilità. 


PREFAZIONE 

ALLE    RIME    SCELTE    DI    GHERARDO    DE    ANGELIS 
STAMPATE  CON  LA  DATA  DI  FIRENZE   I73o. 


r 


G.  B.  VICO  AL  LEGGITORE 

Il  signor  De  Angelis  quattro  suoi  Canzonieri, 
che  a  lui  giovinetto  avevano  conciliato  la  stima 
de' dotti  uomini,  ha  in  buona  parte  soppressi, 
ed  in  poca  rimastavi  ha  migliorati  e  contornati 
ad  una  forma  più  luminosa.  Lo  che  certamente, 
o  cortese  leggitore,  dovratti  recar  meraviglia,  che 
non  essendo  in  lui  ancora,  non  diciam  raffred- 
dato, ma  intiepidito  l'arder  dell'invenzione,  e  in- 
venzion  giovanile,  il  qual  fervendo  rappresenta  le 
opere  troppo  conformi  all'idee,  dalla  qual  confor- 
mazione, e  non  altronde,  nasce  il  compiacimen- 
to; egli  con  senil  maturezza  di  senno  abbia  po- 
tuto sconoscere  tali  suoi  nobili  parti  d'ingegno 
di  fresco  nati,  i  quali  naturalmente  non  si  scono- 
scono che  per  lunga  età  dagli  autori  già  fatti  vec- 
chi. Ma  cesserai  di  maravigliartene,  se  sarai  per- 
suaso dell'altezza  dell'animo,  che  è'I  fomento  onde 
s'accende  l'estro  che  debbe  infiammare  lo  stil  su- 
blime, con  la  quale  l'autore,  disprezzando  tutto 
ciò  che  suol  ammirare  il  volgo,  e'n  conseguenza 
ogni  dottrina  o  vana  o  falsa  che  si  appaga  sul- 
l'ammirazione del  volgo,  le  lodi  di  essi  Dotti  egli 
non  ha  per  meta,  ma  per  incentivi  e  sproni  al 
corso  che  tiene  verso  la  vera  gloria.  Maraviglia 
bensì  dovrà  cagionarti  che  egli  ha  ciò  fatto,  ove 
abbia  avuto  alcun  brieve  tempo  di  rallentar  l'a- 
nimo dagli  sludj  severi  e  gravi  o  della  scienza  in 
Divinità,  o  da' lavori  delle  sacre  Orazioni,  le  quaH 


52  PARTE   I. 

ora  da  lui  recitandosi,  tanta  lode  gli  acquistano 
appresso  i  saccenti ,  quanta  glien'  aveano  recato  le 
poesie.  Perchè  le  cose  della  nostra  Teologia,  che 
superano  ogni  senso  ed  ogni  immaginazione,  di 
troppo  spossano  la  poetica  facultà,  la  quale  al- 
lora è  più  grande  ove  più  vivamente  sente  ed  im- 
magina; ed  appo  i  Greci  e  i  Latini  furono  così 
stabilmente  divisi  e  fermi  e  religiosamente  osser- 
vati i  confini  dell'  Eloquenza  e  della  Poesia ,  che 
non  vi  ha  pur  uno  eh'  avessevi  scritto  ed  Orazioni 
e  Poemi 3  e  di  Cicerone,  che  volle  osarlo,  vennero 
in  tanto  discredito,  che  francamentts  da  Giovenale 
sono  motteggiati,  ridenda  Poemata.  C'd^ion  di  ciò 
ella  fu,  perchè  vivendo  esse  lingue,  e  regnando 
le  medesime  in  repubbliche  popolari,  e  perchè  la 
lingua  de'  poeti  dovendo  esser  diversa  dalle  vol- 
gari de'  popoli,  onde  Giceron  disse  Poetae  aliena, 
o,  come  meglio  altri  leggono,  alia  lingua  loquun- 
tur'y  per  quella  eterna  proprietà  uscente  dalla  na- 
tura di  essa  poesia,  ritruovata  nella  Scienza  Nuo- 
va^  ch'ella  fu  un  parlar  naturale  de' popoH  eroici, 
i  quaU  fiorirono  innanzi  di  formarsi  le  lingue  vol- 
gari j  perciò  gli  oratori  si  guardarono  a  tutto  po- 
tere di  comporre  in  versi,  per  timore  che  nelle 
dicerie  non  cadesse  loro  inavvedutamente  di  bocca 
alcuna  espressione  la  quale,  perchè  non  volgare, 
offendesse  il  popolo,  che  voleva  ben  essere  infor- 
mato delle  cause  le  quali  si  trattavano,  e  de'  mo- 
tivi onde  doveva  più  in  una  che  in  altra  forma 
comandarle:  per  la  cui  contraria  ragione  i  poeti 
erano  naturalmente  vietati  di  esercitare  l'Arte  ora- 
toria. Ma ,  quantunque  ora  nell'  Itaha  non  vi  sia 
tal  timore ,  perchè  la  Hngua  della  prosa  oggi  è  una 
lingua  comune  de'  soli  Dotti,  o  gli  Stati  vi  sono 
quasi  tutti  monarchici ,  ove  non  ha  molto  che  far 
l'eloquenza,  per  ciò  che  ne  avvisa  l'Autore  del  dia- 


SCRITTI    SCIENTIFICI  53 

logo  De  Caussis  corruptae  eloquentìae ,  sia  egli 
Quintiliano  o  Tacito  3  pur  dura  tal  distinzion  di 
confini,  che  tra  tutti  appena  due  vi  han  lavorato 
Orazioni  e  Poesie  egualmente  grandi ,  Giovanni 
Casa  e  Giulio  Camillo  Delminio.  Cotal  riflessione 
li  può  dare  certo  argomento,  o  leggitore,  che  'l 
nostro  valoroso  giovane  abbia  a  riuscire  anche  un 
grande  predicatore.  Ciò  finora  si  è  detto  per  quello 
riguarda  l'ingegno,  la  facoltà  e 'l  giudizio  dell' Au- 
tore^ mi  rimane  poco  a  dire  per  approvartene  il 
costume.  Egli  aveva  ciò  fatto  per  tranquillare  la 
coscienza  delle  sue  cognizioni,  e  veder  privata- 
mente tutti  i  suoi  componimenti  vestiti  d'  un  co- 
lor più  conforme  di  stile.  Ma  gli  amici,  i  quali 
sopra  il  di  lui  animo  naturalmente  gentile  ed  os- 
sequioso posson  molto  e  per  amicizia  e  per  au- 
torità, co'  conforti  e  co'  prieghi  l'hanno  spinto, 
che  lasciasse  di  nuovo  uscirH  per  le  stampe.  Non 
è  perciò  che  contengano  cose  le  quali  sconvengano 
al  suo  presente  più  degno  stato;  e  pochissimi  com- 
ponimenti^ fatti  da  lui  nella  più  fervida  etade,  pur 
da  sensi  onestissimi  sono  avvivati.  Vivi  felice. ;j> 

.fliiijap 


•i'.J 


i^tHI^ 


il  DISCORSO 


ir. 


PER    UN'  ANNUALE    APERTURA    DELL  ACCADEMIA 
ISTITUITA    DA    D.  NICCOLÒ    SALERNI 

(1736) 


vuesto  nome  Accademia ,  che  abbiamo  preso 
da' Greci  per  significare  un  comune  d'uomini  let- 
terati uniti  insieme  affin  di  esercitare  gl'ingegni 
in  lavori  di  erudizione  e  dottrina,  egli  sembra  che 
con  più  proprietà  di  origine  non  si  convenga  ad 
altra  che  a  questa  nobilissima  ragunanza.  Imper- 
ciocché le  altre  o  sono  state  istituite  per  recitarvi 
discorsi  d'intorno  a' singolari  problemi  appesi  al- 
l' arguta  bilancia  di  contrapposti ,  o  per  disami- 
narvi particolari  argomenti  o  di  Hngue  o  di  espe- 
rienze. Ma  l'Accademia  fondata  da  Socrate  era  un 
luogo  dov'egU  con  eleganza,  con  copia,  con  or- 
namenti ragionava  di  tutte  le  parti  dell'umano  e 
divin  sapere:  siccome  in  questa  è  ordinato  che 
gU  Accademici  con  colte,  abbondanti  ed  ornate 
dissertazioni  vadano  scorrendo  tutto  l'ampio  campo 
della  sapienza.  Talché  quest'Accademia  può  dirsi 
quella  dove  Socrate  ragionava.  Un  tale  ordina- 
mento reca  primieramente  quella  grandissima  uti- 
lità, che  quantunque  i  gentih  spiriti  i  quali  vi  si 
radunano,  essi  o  per  diletto  ovvero  per  profes- 
sione sieno  applicati  ad  un  particolare  studio  di 
lettere;  però  in  sì  fatti  congressi  vengonsi  col 
tempo  a  fornire  di  tutte  le  cognizioni  che  fan  bi- 
sogno ad  un  sapiente  compiuto.  Di  poi,  ciò  che 
importa  assaissimo,  vi  si  ricompongono  col  loro 
naturai  legame  il  cuore  e  la  lingua,  che  Socrate, 

Pien  di  Filosofia  la  lingua  e '1  petto, 
teneva    strettamente    congiunti    insieme  :    perchè 


PARTE    I.    SCRITTI    SCIENTIFICI  55 

fuori  della  di  lui  scuola  si  fece  quel  violento  di- 
vorzio che  i  Sofisti  esercitarono  una  vana  arte  di 
favellare,  e  i  Filosofi  una  secca  ed  inornata  ma- 
niera d'intendere.  Però  gli  altri  greci  Filosofanti, 
come  di  una  nazione    quanto    mai  dire  o  imma- 
ginar sì  possa  delicata  e  gentile,  scrissero  in  una 
lingua  la  quale,   come   un  sottilissimo  puro  velo 
di  molle  cera,  si  stendeva  sulle  forme  astratte  de* 
pensieri  che  concepivano:   e  quantunque  ne'  loro 
filosofici  ragionamenti  avessero   rinunciato  all'  or- 
namento e  alla   copia,   però   conservarono   l'ele- 
ganza. Ma  ritornandosi  a  coltivare  le  Filosofie  in 
mezzo  alla  più  robusta  barbarie,  dandovi  comin- 
ciamento  Averroe  col  commentare  le  opere  di  A- 
ristotile,   vi    s'introdussero   una   sorta   di    parlari 
ciechi  affatto  di  lume,  non  che  privi  di  ogni  soa- 
vità di  colore,  una  maniera  sazievole  di  ragiona- 
re, perchè  sempre  l'istessa  della  forma  sillogisti- 
ca, e  un  portamento  neghittosissimo,  dando  i  nu- 
meri   tutto   l'ordine    a'  loro    discorsi    con    quelli 
praemitto  primo,  praemitto  secando;  objicies  pri- 
mo, objicies  secundo.  Tanto  che,  se  io  non  vado 
errato,  porto  opinione  che  ne'  nostri  tempi  l'elo- 
quenza non  sia  rimessa  nel  lustro  de'  Latini  e  de' 
Greci,    quando    le  scienze  vi  han  fatto  progressi 
uguaH,   e   forse   anche  maggiori,    egli   addivenga 
perchè  le  scienze  s'insegnano  nude  affatto  d'ogni 
fregio  dell'eloquenza.    E   con  tutto  ciie  la  Carte- 
siana Filosofia  abbia  emendato   l'  error  dell'  ordi- 
ne,   in  che  peccavano    gli   Scolastici,    riponendo 
tutta  la  forza  delle  sue  pruove   nel   metodo  geo- 
metrico; però  egli  è  cosi  sottile  e  stirato,  che  se 
per  mala  sorte  si  spezza  in  non  avvertire  ad  una 
proposizione,  è  negato  affatto  a  chi  ode  d'inten- 
der nulla  del  tutto  che  si  ragiona.  Ma  dall'Acca* 
demia  di  Platone,    che   avea  udito  per  ben  otto 


56  PARTE   I. 

anni,  uscì  Demostene,  ed  uscinne  armato  del  suo 
invitto  entimema,  ch'egli  formava  con  un  assai 
ben  regolato  disordine,  andando  fuori  nella  causa 
in  lontanissime  cose,  delle  quali  temprava  i  ful- 
mini de' suoi  argomenti,  i  quali,  cadendo,  tanto 
più  sbalordivano  gli  uditori,  quanto  da  essolui 
erano  stati  più  divertiti.  E  dalla  stessa  Accademia 
Cicerone  professa  essersi  arricchito  della  felice  sua 
copia,  che  a  guisa  di  gran  torrente  d'inverno 
sbocca  dalle  rive,  allaga  le  campagne,  rovina  balze 
e  pendici,  e  rotolando  pesanti  sassi  ed  annose 
quèrce,  trionfante  di  tutto  ciò  che  fecegli  resi- 
stenza si  ritorna  al  proprio  letto  della  sua  causa. 
Ne  a  difesa  del  nostro  poco  spirito,  per  questo 
istesso  che  affettiamo  d'essere  tutto  spirito,  giova 
punto  risponder  quello,  che  Demostene  e  Cicerone 
regnarono  in  repubbliche  popolari,  nelle  quali,  al 
dir  di  Tacito,  vanno  del  pari  l'eloquenza  e  la  li- 
bertà. Perchè  quella  eloquenza  che  aveva  Cicerone 
usato  nella  libertà,  poscia  adoperò  appresso  Ce- 
sare, fatto  signore  di  Roma,  a  prò  di  Quinto  Li- 
garioj  nella  qual  causa  gli  tolse  dalle  mani  asso- 
luto quel  reo  che  '1  Dittatore  in  entrando  nel  Con- 
siglio si  era  apertamente  professato  di  condan- 
nare, dicendo  quelle  parole:  nunquam  hoclie  tam 
bene  dixerit  Cicero ,  quìn  Ligarius  e  nostris  ma- 
nibus  effugiat^A  nel  secolo  decimosesto,  nel  quale 
si  celebrò  una  sapienza  ben  parlante ,  così  Giulio 
Camillo  Delminio  fece  venire  le  lagrime  su  gli  oc- 
chi di  Francesco  I  re  di  Francia  con  l'Orazione 
che  gH  disse  per  la  liberazione  di  suo  fratello  j 
come  Monsignor  Gio.  della  Casa  commosse  l'im- 
perator  Carlo  V  con  quella  dettagU  per  la  resti- 
tuzion  di  Piacenza.  E  pure  l'Orazione  a  prò  di 
Ligario  è  la  più  gloriosa  di  tutte  le  altre  di  Ci- 
cerone, nella  quale  egli  trionfò   con   la  lingua  di 


SCRITTI    SCIENTIFICI  5n 

chi  con  le  armi  avea  trionfato  del  mondo:  e  delle 
altre  due,  recitata  l'ima  ad  un  grandissimo  re, 
l'altra  ad  un  chiarissimo  imperadore,  quella  è  una 
regina,  e  questa  l'imperatrice  delle  Orazioni  to- 
scane. Or  per  raccogliere  il  detto  in  breve,  voi, 
signori,  con  maestrevole  accorgimento  adoperate 
di  praticare  quel  precetto  di  Orazio  che  ristretto 
in  tre  versi  contiene  tutta  l'arte  cosi  in  prosa, 
come  in  versi  di  ben  parlare: 

Scribendi  ree  te  ^  sapere  est  et  princìpium  et  fons  : 

perchè  non  vi  è  eloquenza  senza  verità  e  digni- 
tà, delle  quali  due  parti  componesi  la  sapienza. 

Id  tibi  Socratìcae  potenmt  estendere  chartae: 

cioè  gli  studj  della  Morale,  che  principalmente 
informano  il  sapere  dell'uomo,  nella  quale  più  che 
nelle  altre  parti  della  Filosofia  Socrate  fu  divina- 
mente applicato;  onde  di  lui  fu  detto:  Moralem 
Phìlosophiam  Socrates  de  coelo  revocavit. 

Verbaque  provisam  rem  non  invita  sequentur, 

per  lo  naturai  legame  onde  noi  dicemmo  essere 
stretti  insieme  la  hngua  e  '1  cuore  3  perocché  ad 
ogni  idea  sta  naturalmente  la  sua  propria  voce 
attaccata;  onde  l'eloquenza  non  è  altro  che  la  sa- 
pienza che  parla. 

Sono  scorsi  ormai  ben  tre  anni  che  questa  no- 
bile Accademia,  in  questo  riguardevol  luogo  dal 
gentilissimo  signor  D.  Niccolò  Salerni  onorevol- 
mente accolta,  fu  istituita,  e  con  lo  stesso  fervore 
col  quale  ha  incominciato  felicemente  prosiegue, 
contro  il  maligno  corso  della  stolta  fortuna,  la 
quale  le  belle  imprese  attraversa,  e  soventi  fiate 
ne'  primi  lor  generosi  sforzi  invidiosa  opprime.  Or 
in  quest'anno  la  vostra  generosità  sopra  ogni  mio 


58  PARTE    I.    SCRITTI    SCIENTIFICI 

merito  mi  ha  voluto  ed  ordinato  custode  e  col- 
lega del  signor  di  Ganosa,  nobilissimo  fregio  di 
cui  questo  comune  si  adorna ,  avendovi  creato 
censore  il  signor  D.  Paolo  Doria,  mente  di  rari 
e  sublimi  lumi ,  e  per  le  molte  opere  di  Filoso- 
fìa e  di  Matematica  celebratissimo  tra'  dotti  di 
questa  età;  e  per  colmarmi  di  sommo  e  sovrano 
onore,  mi  ha  comandato  che  io  vi  facessi  l'an- 
niversaria apertura. 

Laonde,  raccolte  tutte  le  mie  potenze  in  un  pen- 
siero di  altissima  riverenza,  dettandomi  la  formola 
il  gran  Padre  Agostino,  sotto  la  cui  protezione 
quest'Accademia  sta  rassegnata,  concepisco  questo 
voto  con  queste  solenni  e  consegrate  parole:  Odi, 
umilmente  ti  priego,  odi,  non  favolosa  Minerva, 
Sapienza  eterna,  generata  dal  divin  capo  del  vero 
Giove,  l'onnipotente  tuo  padre,  oggi  in  tua  lode, 
in  tuo  onore,  in  tua  gloria  si  riapre  questo  quarto 
anno  accademico,  lo  che  sia  a  perfezione  di  que- 
sti ben  nati  ingegni;  poiché  la  sapienza  è  la  per- 
fezionatrice  dell'  uomo  nel  suo  proprio  esser  d'uo- 
mo, eh' è  mente  e  lingua. 


NOTE 

ALL'  ARTE   POETICA   DI  ORAZIO 


(  Dopo  il  1 780  ) 

xi umano  capiti  cervicem  pictor  equìnam 
lungere  si  velit,  et  varias  inducere  plumas, 
Undique  collatis  membris,  ut  turpiter  atrum 
Desinat  in  piscem  mulier  formosa  superne; 
Spectatum  admissi,  risum  teneatis,  amici? 
Credite,  Pisones,  isti  tabulae  fore  librum 
Persimilem,  cuius,  velut  aegri  somnia,  vanae 
Fingentur  species:  ut  nec  pes,  nec  caput  uni 
Reddatur  formae.  Pictoribus  atque  poetis 
Quidlibet  audendi  semper  fuit  aequa  potestas. 
Scimus,  et  hanc  veniam  petimusque  damusque  vicissim: 
Sed  non  ut  placìdis  coeant  iramitia;  non  ut 
Serpentes  avibus  geminentur,  tigribus  agni. 


o? 


DE  UNITA.TE  POEMATIS 
1  Humano  capiti')  Monstrosum  poema  est,  cuius  partes in  unam 
certam  formam  non  congruunt:    uti   naturalia  monstra  sunt, 
quorum  corpora  ex  aliis,    diversisque   ab   eorum  natura  par- 
tibus  coaluere. 

Ib.  Pictor)  Recte  Poeta  poesim  picturae  comparai  :  namque  pie- 
tura  mutum  poema,  poema  loquens  piclura  dici  solet:  et  sane 
is  optimus  poeta  est,  qui  sensilibus  imaginibus  res  exponit, 
ut  lectorum  oculis,  non  intellectu ,  percipiantur. 
3  Undiifue  collatis  membris)  Ingeniose  fingit  hoc  monstrum  ex 
omnium  animantium  partibus ,  quae  coelo,  terra  marique  gi- 
gnuntur  :  eaque  ad  duo  somma  genera  revocai;  rationis  nempe 
expers  et  particeps. 

Ib.  Atrum)   Sordidum ,   sozzo:    nam   sordes   nigrum   colorem   of- 
fundunt. 

8  Uni  reddatur  format")   His  verbis   stat  praeceptum  de  unitale 

poematis. 

9  Pictoribus  atque  poetis)  Id  obiicitur  inde,  quod  Poeta  poesim 

cum  pictura  comparaverat. 
i3  Geminentur)  Eleganfcr  dictum  a  partubus  geminis. 
Ib.  Tigribus  agni)  Atqui  sunt  pìctores  qui  eiusmodi  raonstrosas 
imagines  elcganter  depingunl ,  quae  a  nostris  dicuntur  pittut'c 
di  rabesco.  Sed  cum  his  componi  possunt  poetae,  qui  id  agunt, 
ut  risum  moveant,  cxcìtantquc  tragoedias,  quae  in  comoedias 
abeunt;  uti  ex  lalinis  Petronius  Arbiter  in  Satyrica  ,  quod  sane 
quoddam  poematis  genus  est,  et  ex  Italis  Alexander  Tasso- 
nius  in  poematc  ìnscrìpto  La  Secchia  Rapita, 


7  y 


60  PARTE    I. 

Inceptis  gravibus  plerumque  et  magna  professis, 
i5     Purpureus,  late  qui  splendeat,  unus  et  alter 

Adsuitur  pannus^  quum  lucus  et  ara  Dianae, 

Et  properantis  aquae  per  amoenos  ambitus  agros; 

Aut  flumen  Rhenum,  aut  pluvìus  describitur  arcus. 

Sed  nunc  non  erat  bis  locus.  Et  fortasse  cupressum 
20     Scis  simulare:  quid  hoc,  si  fractis  enatat  exspes 

Navibus,  aere  dato,  qui  pingitur?  amphora  coepit 

Institui^  currente  rota,  cur  urceus  exit? 

Denique,  sit  quod  vis  simplex  dumtaxat  et  unum. 

Maxima  pars  vatum,  pater,  et  iuvenes  patre  digni, 
25    Decipimur  specie  recti:  brevis  esse  labore, 

Obscurus  fio:  sectantem  levia  nervi 

Detìciunt,  animique:  professus  grandia  turgetj 

Serpit  humi  tutus  nimium  timidusque  procellae. 

Qui  variare  cupit  rem  prodigialiter  unam, 


i4  Inceptis  grai^ibus)  Apponit  monstrosorum  poemalum  exempla. 

16  Pannus)  Cura  eius  generis  purpurea  chlamyde  rex  Armeniae 
Tyridates  Romae  theatrum  in  sole  ingrcssus,  omnium  specta- 
torum  oculos  in  se  convertii ,  quibus  candens  fiamma  prodi- 
re, incedere  ac  sedere  visus  est. 

18  Flumen  Bhenum^  Parvus  in  Italia  fluvius  amoenissimus,  non 
qui  Germaniam  a  Gallia  dividit,  quem  in  Annalibus  descri- 
bit  sublimìs  Tacitus. 

20  Scis  simulare  cupressum")  Satis  scita  emphasi  cupressum  dicit, 

qua  nihìl  facilius  pingi  potest. 

21  Aere  dato  qui  pingitur)  Ut  tabella  in  aede  Neptuni  suspensa , 

voti  reus  voti  solutus  sit. 
23  Denique  sii)  Haec  est  complexio  praecepti  de  unitale  poematis. 

DE  ARTIS  NECESSITATE 

'  24  Maxima  pars  ifatum)   Natura  quidem   cuiusque  facultatis  pars 

potissima  est,  sed  incerta.    Quare    acuti  homines  caussas  in- 

vestigarunt,  ex  quibus  natura  aut  recte  aut  prave  fecisset:  et 

ita  artes  inveneruntj  quarum  praeceptis  arlifices  in  suis  ope- 

^     ribus  efficiendis  recta  sequantur,  prava  declinent. 

26  Leuia)  Elegantias  verborum. 

Ib.  Nen^i  de/iciunt  animique)  Robur  sententiarum.  Vitium  formae 
temperatae. 

27  Professus  grandia  turget)  Idque  est  vitium  formae  sublimis.  « 

28  Serpit  humi")  Vilescit, 

Ib.  Tutus  nimium  timidusque  procellae)  Et  id  vitium  est  formae 
tennis. 

29  Jiem  (cariare)  Poema  ornare  dictum  a  veste  varia. 
Ih.  Prodigialiter)  Miris  fabulis. 


SCRITTI    SCIENTIFICI  6i) 

Delphinum  silvìs  appingit,  fluctìbus  aprum. 
In  vitium  ducit  culpae  fuga,  si  caret  arte. 
iEmilium  circa  ludum  faber,  unus  et  ungues 
Exprimet,  et  molles  imitabitur  aere  capillos: 
Infelix  operis  summa^  quia  ponere  totum 
Nesciet.  Hunc  ego  me,  si  quid  componere  curem, 
Non  magis  esse  velim,  quam  naso  vivere  pravo, 
Spectandum  nigris  oculis,  nigroque  capillo. 

Sunaite  maleriam  vestris,  qui  scribitis,  aequam 
Viribus:  et  versate  diu  quid  ferre  recusent, 
Quid  valeant  humeri.  Cui  lecta  potenter  erit  ras, 
Nec  facundia  deseret  hunc,  nec  lucidus  ordo.  >  *f 


3o  Delphinum)  Quod  non  nisi  in  universali  diluvio  eveniretj  atque 
ìd  tamen  ipsum  in  omnium  urbium ,  gentium  ,  animantium 
submersione  notare,  ut  ne  dicam  ridicali,  certe  pusilli  in- 
genii  nota  esset. 

32  Ludum')  Gladiatorium ,   unde  Italis  venit  giuocare  dì  scherma. 

34  Ponere')  Componere  :  namque  ex  aere  roembratim  funduntur 
corporis  partes,  deinde  ferruminantur.  Atque  heic  recurrit 
superius  praeceptum  de  unitate  poematis.  At  Zeuxis  Helenam 
Croloniatibus  pìnxìt  corapositam  ex  duodecim  puellarum  sin- 
gulis  membris,  quibus  praestabant  egregiis,  et  in  unaquaque 
cetera  non  erant  ad  idem  pulchritudinis  instar:  idque  divinus 
pictor  ex  arte  praestitit,  qua  genus  pulchrae  feminarum  for- 
mae  quodammodo  factum  mente  conceperat,  in  quod  illae 
duodecim  puellarum  pulcherriraae  partes  muliebre  corpus  unum 
ex  natura  quidem  ,  sed  supra  naturam  pulchrum  expromerent; 
ad  quod  illae  natura  pulchrae  collatae ,  non  vere  pulchrae 
spectarentur.  Ex  quibus  dictis  hoc  sane  mirum  confici  potest, 
falsum  poeticum  esse  quoddam  verura  metaphysicum  ,  seu,  ut 
nunc  loquuntur,  d''idea,  cum  quo  vera  physica  collata,  falsa 
esse  videantur. 

DE  FACULTATE  POETICA 

38  Sumite  materiam)   In   primis   poetara  delìgere  poematis  genus 

oportet,  cuius  habeat  facultatem. 

39  Et  versate  diu  )  Baiulorum  exemplo ,  qui  prius  explorant  one- 

ra ,  quibus  ferendis  pares  suas  sentiaut  vires. 

40  Potenter)  Cuius  habeat  facultatem,  quae   priscis  dicebaturya- 

culitas,  unde  porro  dieta  Jhcilitas, 

4 1  Facundia  )  Quae  ab  ipsa  nascitur  facultate.  Ea  enim  virtus  ora- 

tionis  est,  qua  quae  dicuntur  non  ab  auctore,  sed  ultro,  sive 
ex  se  ipsis,  atque  adeo  natura  prodirc  videantur:  unde  Ho- 
meri  poemata  et  picturae  Nicomachi  a  Grecis  auTOOPTara  di- 
cebanturj  uti  Ludovici  Ariosti  poema  et  Francisci  Guicciar- 
dini historiac  apud  nos  Italos  dici  possent. 
Ib.  Lucidus  ordo)  Nam  quae  natura  fiunt,  ea  ex  aetcrno  rerum 
ordine  nascuutur.  Facundia  autcm  et  lucidus  ordo,  quae  heic 
dicit  Horatius,  ab  Itali»  verlerentur  naturalezza  e  proprietà» 


62  PARTE  i.f*r!r  f^ 

Ordinis  haec  vìrtus  erit,  et  venus,  haud  ego  fallor, 
Ut  iam  nunc  dìcat,  iam  nunc  debentia  dici 
Pleraque  differat,  et  praesens  in  tempus  omittat. 
45         Hoc  amet,  hoc  sperriat  proraissi  carminis  auctor, 
In  verbis  etiam  tenuis,  cautusque  serendis: 
Dixeris  egregie,  notum  si  callida  verbuna 
Reddiderit  iunctura  novum.  Si  forte  Decesse  est, 
Indiciis  raonstrare  recentibus  abdita  rerum: 


DE  ORDINE  FINGENDORUM 

42  Ordinis  haec  uirtus  erit^  et  venus)  Quia   ordo  pulchritudinetn 

rerum  gignit;  cum  ut  heic  inferius  Poeta  dicit: 

SÌDguIa  quaequ«  locum  teneant  sortita  deccnter. 

43  Ut  iam  nunc  dicat)    Ad   id   servandum   praeceplum   tenenda 

quaedam  de  rebus  humanis  analysis  idearura;  quae  omnia  ab 
re  qua  de  agitur,  aliena  dividat;  atque  ea  ipsa  quae  rei  in- 
sunt  propria  alia  in  alia  protinus  inferi;  eaque  ratione  quod 
dicitur,  ita  suo  tempore  locoque  prodit,  ut  e  re  natura  esse 
videatur:  queraadmodum  in  natura  rerum  quaeque  forma, 
omnia  sibi  extranea  ab  se  amovet,  et  cuiusque  semen  ab 
stirpe  per  suum  truncum,  ramum,  ramale,  stelum ,  prius  flo- 
rem,  deinde  fructum  educit.  Ad  hoc  exemplum  quae  ordine 
dicuntur,  natura  dici  videntur.  Hmc  mira  illa  in  oratione  vir- 
tus  latet ,  quae  auditorem  detinet ,  nec  lectorem  sinit  librum , 
nisi  perlectum  relinquere:  quia  hac  quam  dicimus  idearum 
analysim,  prima  quodammodo  se  aperiunt,  ut  mox  pariant 
quae  sequuntur.  Hinc  illa  eximia  dictorum  laus,  ut  alii  quam- 
vis  acuti,  si  aetatem  cogitent,  magis  proprie  dicere  non  pos- 
sint  :  qua  ex  caussa,  nec  aliunde  praeclara  sapientum  dieta 
celebrantur. 

^6  In  verbis  etiam)  Id  fortasse  polissimum  movit  Horatium  ad 
hunc  scribendum  de  Arte  Poetica  librum  5  quod  ipsius  detra- 
ctores  dicerent  eum  Lyrica  vocibus,  phrasibusque  e  graeca 
in  latinam  linguam  versis  composuisse  ;  namque  in  Satyris 
Epistolisque  et  hoc  ipso  de  Arte  libro  purus  putus  vulgaris 
latinus  est. 

Ib.  Tennis)  Non  parcus,  ut  vulgo  interpretanturj  namque  id  prae- 
cipitur  paulo  inferius  in  verbis ,  dabiturque  licentia  sumpta 
pudenter ,  sed  tenuis  heic  significai ,  quod  nos  diceremus  con 
dilicatezza* 

47  Egregie)  Appositissima  voce  dictum  :  nam  ut  egregium  est  e- 
gregie  deleclum  ,  ita  locutio  poetica  e  vulgari  supra  vulgarera 
linguam  assurgi! ;  quam  praecipue  conflant  verba  de  medio 
lecta^  quae  dicit  Cicero,  quibus  in  primis  hoc  ipsum  numero 
fit  :  quod  Horatius  dicit  egregie  dicere, 

Ib.  Callida)  Nempc  tenuis  et  cauta,  quod  superius  dixit. 

49  Abdita  rerum)  Aniìni  sententias,  quae  latine  manifestari  non 
possunt. 


SCRITTI    SCIENTIFICI  63 

Fingere  cinctutls  non  exaudita  Celhegis. 
Continget:  dabiturque  licentia  sumpta  pudenter: 
Et  nova  fictaque  nuper  habebunt  verba  fìdem,  si 
Gracco  fonte  cadant,  parce  detorta.  Quid  autem 
Caecilio  Plautoque  dabit  Romanus,  adeniptura 
Vii*gilio,  Varioque?  Ego  cur,  acquirere  pauca 
Sì  possum,  invidcor,  quum  lingua  Catonis,  et  Ennì 
Sermonem  patri um  ditaverit,  et  nova  rerum 
Nomina  protulerit?  Licuit,  semperque  licebit, 
Signatum  praesente  nota  producere  nomen. 
Ut  silvae  foliìs  pronos  mutantur  in  annos^ 
Prima  cadunt^  ita  verborum  vetus  interit  aetas; 
Et  iuvenum  ritu  florent  modo  nata,  virentque. 
Debemur  morti  nos,  nostraque;  sive  receptus 
Terrà  Neptunus,  classes  Aquilonibus  arcet, 
Regis  opus^  «terilisque  diu  palus,  aptaque  remis, 
Vicinas  urbes  alit,  et  grave  sentit  aratrum; 
Seu  cursum  mutavit  iniquum  frugibus  amnis, 
Doctus  iter  melius.  Mortalia  facta  peribunt; 
Nedum  sermonum  stet  honos,  et  gratia  vivax. 
Multa  renascentur,  quae  iam  ceciderej    cadenlque, 
Quae  nunc  sunt  in  honore  vocabula,  si  volet  usus, 

5o  Cìnctutis)  Quum  antiquos  dicit,  antiquo  vocabulo  perbelle  uti- 
tur:  cinctutus  enim  antiquitus  dicebatur  prò  cincto^  et  cincti 
prò  militibus,  qui  ut  plurimum  rudes  sunt;  unde  discinctus 
prò  militia  exauctoratus  :  quare  non  existimem  heic  ab  Ho- 
ralio  intelligi  Marcum  Gethegum ,  quem  Cicero  in  Bruto  inter 
priscos  oratores  enumerai. 

Ib.  Exaudita)  Intellecta. 

5i  Pudenter")  Parce, 

53  Cadant)  Exeant,  terminentur:  nam  exitus  ut  reram,  ita  ver- 
borum dicuntur  casus. 

55  Varioque)  Eximio  poetae  tragico,  qui  Orestem  tragoediam 
scripserat,  qua  Latini  Graecis  non  invidebant;  ad  quem  Vir- 
gilius  et  Horatius  ipse  sua  deferebant  emendanda  poemata  : 
et  heroica  poesi  quoque  excelluisse  ,  ipsique  Virgilio  praesti- 
tisse  dal  coniicienaum  idemmet  Horatius  in  Oda  ad  Àgrippam: 

Scriberis  Vario  forlis,  et  hostium 
Victor  ..... 

69  Nota)  Et  sane  verba  sunt  notae  rerum:  unde  notatio  dicitur 
in  Topica,  locus  quod  ab  ipsa  vi  verbi  argumentum  suppe- 
ditat.  Sunt  item  monetae  quibus  homines  animorum  commer- 
cia agitant,  iisque  monetis  sapientes  aureis ,  qui  paucis  verbis 
multa  signiGcant;  elegantes  argcnteis,  qui  verborum  numero 
numerum  rerum  cxacquant;  vulgarcs  et  rudes  aereis  quam- 
plurimis  verbis  pauca  dicunt. 


64  >  PARTE    I. 

Quem  penes  arbitrlum  est,  et  iiis,  et  norma  loquendi. 

Res  gestae  regumque,  ducumque,  et  tristia  bella 
Quo  scribi  possent  numero,  monstravit  Homerus. 
Versibus  impariter  iunctis  querimonia  primum^ 
Post  etiam  inclusa  est  voti  sententia  compos. 


DE  CARMINUW  GENERIBUS 

73  jRes  gestae)  Heic  Horatius  praecipua  carminum  genera  exequi- 

tur,  et  quod  materiam  poeticam  excipit. 

74  Numero)  Versu  nempe  hexametro,  qui  et  amplitudine  et  gra- 

vitate celerà  versuum  genera  exsuperat.  Quanqtiara  enira  iam- 
bicus  tetrameter,  sive  octonarius  tantis  quantis  hexameter, 
temporibus  meliatur;  tamen  iambus  a  brevi  incipit,  qui  rhyth- 
mura  celerem  gignit,  at  spondeus  sive  dactylus  incipit  a  pro- 
ducta,  qui  numerum  gravem  efficiunt^  ut  idem  Horatius  heic 
in  jérte  iambum  pedem  citum,  spondeos  stabiles  dicit. 

Ib.  Homerus)  Fallitur  heic  Horatius;  namque  ante  Homerum  quam- 
plurimos  poetas  heroicos  Cicero  affirmat  in  Bruto,  et  Eusebius 
in  Praeparatìone  Et^angelica  nominatim  enumerat  Philemonem, 
Tharayridam,  Demodocum,  Aristeum,  aliosque.  Certe  ante  he- 
roicos narrantur  poetae  theologi ,  qui  hexaraetris  versibus  ce- 
cinere;  uti  Orpheus,  Amphion,  Linus,  Museus,  Hesiodus,  eos- 
que  hexametris  versibus  suam  Theologiam  concepisse  testantur 
Orphica;  quae  carmina  quanquam  subditiva  a  Criticis  habean- 
tur,  tamen  qui  ea  confinxit,  hexametris  consignavit  ut  vera 
vulgo  probaret,  quod  poetae  theologi  eo  carminis  genere  usi 
fuerint.  Procul  dubio  Hesiodi  Theogonia  hexametris  est  mo- 
dulata. In  Noi^a  Scientia  ejus  rei  principium  et  caussae  expo- 
nuntur,  in  qua  demonstralur  primos  gentium  populos  natura 
extitisse  poetas:  unde  omnes  profanae  historiae  fabulosa  ha- 

(  bent  principia,  gentiumque  origines  a  Diis    aut  heroibus  re- 

vocai: eosque  ipsos  naturaliter  heroicà  lingua  et  hexametro 
Carmine,  quod  omnium  antiquissiraum  est,  et  heroicura  dici- 
tur,  quia  heroum  tempore  celebratum,  locutos  esse.  Id  gra- 
viter  evincit  antiquissima  illa  Graecorum  traditi© ,  quae  narrat 
ipsos  a  Pythone  misere  infestatos,  opera  ApoUinis  implorasse 
primo  heroico  versu ,  quem  fudere  spondaicum , 

«&>  Tratav  tw  Tratav  iw  Tratav, 

quum  Pythone  occiso,  quum  Apollini  victori  acclamarent,  prae 
exsultante  laetitia  dactylicum  protulere  m  in  00  duplicato,  et 
dipthongo  Trae  diviso  in  syllabas  duas:  cuius  traditionis  haec 
mansere  vestigia,  ut  versus  hexameter  a  Pythone  occiso  Py- 
thius  diceretur;  et  omnibus  sedibus,  praeterquam  ultima,  dac- 
tylo  cederei.  Ex  quibus  disserlatis  communis  illa  Grammati- 
corum  opinio  convellitur,  uno  ore  affirmantium,  linguam 
poeticam  fuisse  prorsa  oratione  posteriorem. 
75  Versibus  impariter  iunctis)  Hexametro  nempe  et  pentametro. 


SCRITTI    SCIENTIFICI  65) 

^uis  tamen  exiguos  elegos  emiserit  auctor, 
Grammatici  certant,  et  adhuc  sub  indice  lis  est. 
Archilochum  proprio  rabies  armavit  lambo. 
Hunc  socci  cepere  pedem,  grandesque  cothurni, 
Alternis  aptum  sermonibus,  et  populares 
Vincentem  strepitus,  et  natum  rebus  agendis. 

Musa  dedit  ndibus  divos,  puerosque  Deorum, 
Et  pugilem  victorem,  et  equum  cerlamine  primum, 
Et  ìuvenum  curas,  et  libera  vina  referre. 


77  Exiguos  elegos')  Tenues,  huraìles,  qui  sui  dtssimiles  brevissimo 
verborura  ambitu  currunt,  ut  hexameter  breve  orationis  mem- 
bruin  contineat,  pentameter  in  duo  breviora  incisa  fundatur  : 
quae  omnia  sane  decent  duos  pusilli  animi  affectus,  tristitiam 
laetitìamque. 

79  Rabies)   Nam  pes  iambus   a  brevi  incipit,   in  longura  desinit; 

qui  motus  est  naturae  contrarius,  et  irae  proprius,  quae  ini- 
lio  concitata,  in  fine  languescit. 

80  Hunc  socci  cepere  pedenì)  Comoedia. 

Ib.  Grandesque  cothurni^  Tiagoedia.  Sed  tragoedia  longe  prior  co- 
moedia nata  est:  et  quidem  iambus  tragico  poemati  convenit, 
quod  populorum  iram  in  tyrannos  ciere  debet.  Sed  quonam 
pacto  deinde  iambus  in  comoediam  traduclus  est  quae  exhibet 
amores,  anioenitates  et  risus?  Ex  Noi^ae  Scientiae  Principiis 
solvitur  haec  difficultas,  quod  cum  tragoedia  inventa  est,  quod 
longe  post  epopoeiam  evcnit,  Graeci  populi  iambico  carmina 
naluraliter  loquebanturj  deinde  ex  vana  exempli  observatione 
in  comoediam  intrusum  est,  quura  iam  Graeci  prorsa  oratione 
uterentur. 

8i  Alternis  aptum  sermonibus)  Ut  prorsa  oratione  scribentibus  ul- 
tro  iambi  passim  exciderent. 

Ib.  Populares  i^incentem  strepitus)  Etenim  natura  comparatum,  ut 
qui  cantant,  vocera  extollant,  Sed  cum  tragoedia  orta  est,  in 
quoque  parvo  theatro  populus  erat  numerabilis,  ut  inferius 
idem  Horatius  obscrvat,  ut  hislrionibus  clamore  opus  non  es- 
set,  quo  a  spectatoribus  exaudircntur. 

82  Natum  rebus  agendis)  Aptum  actui  fabularum  5  quod  confirmat 

supcrius  a  nobis  dictum,  graecos  populos  primumjcarmine  he- 
roico,  deinde  iambico,  tandem  prorsa  oratione  loquutos  esse. 

83  Musa  dedit  Jìdibus)  Tandem  provcnit  poesis  melica,  quae  ly- 

rica  poemata  ex  cboreis  iambisque  ut  plurimum  concinnantur  : 
chorcus  namque  est  naturae  conveniens,  ut  qui  a  producta 
incipit  in  correptam  desinit,  uti  naturalitor  niotus  principio 
tardior,  in  fine  velocior  est:  et  ita  hoc   gcnus  poesows  tem- 

Eeratum,  quod  laudat   Dcos,  heroas ,  ludorum  victores,  puel- 
18,  quae  in  deliciis  habentur  et  vitia,   ex   acribus  iambis  et 
lenibus  trochaeis  commistum  est. 


Vico,  Opuscoli, 


66  ,  PARTE  |?Tia;; 

Descriptas  servare  vices,  operumque  colores, 
Cur  ego  si  nequeo,  ignoroque,  poeta  salutor? 
dir  nescire,  pudens  prave,  quam  discere  malo? 
Versibus  exponi  tragicis  res  comica  non  vult: 

90     Indignatur  item  privatis  ac  prope  socco 
Dignis  carminibus  narrari  coena  Thyestae. 
Singula  quaeque  locum  teneant  sortita  decenter. 
Interdum  tamen  et  vocem  comoedia  tollit, 
Iratusque  Chremes  tumido  delitigat  ore: 

95     Et  tragicns  plerumque  dolet  sermone  pedestri 

Telephus  et  Peleus,  cum  pauper  et  exsul  uterque 
Proiicit  ampullas,  et  sesquipedalia  verba, 
Sì  curat  cor  spectantis  tetigisse  querela. 

Non  satis  est  pulchra  esse  poemata:  dulcia  sunto 

100  Et  quocumque  volent,  animum  auditoris  agunto. 
Ut  ridentibus  arrident,  ita  flentibus  adsint 
Humani  vultus:  si  vis  me  fiere,  dolendum  est 
Primum  ipsi  tibi:  tunc  tua  me  iufortunia  laedent, 


DE  DECORO  POETICO 

86  Descriptas  servare  i^ices)  Heic  generatim  de  poetico  decoro  prae- 
ceptuni  proponit;  qiiod  in  poemate  sive  epico,  sive  dra- 
niatico  teneri  oportet,  ut  ])oeta  servet  vices;  seu  partes,  quas 
sui  pocmatis  personis  semel  adscripsit. 

Ib.  Operumque  colores)  Poematum  mendacia  :  ut  Plautus  obtinere 
colorcm,  dixit,  mendacium  excogitare,  quod  ab  omni  ejus 
parte  prò  vero  probes. 

DE  DECORO  STYLI  POETICI 
89  Versibus  exponi  tragicis)  Hinc  incipit  particulatim  decori  prae- 
cepta  Iradere,  et  primum  quidem  de  decoro  styli  poetici;  quod 
quanquam  in  argumentis  de  comoedia  et  tragoedia  proponat, 
sunt  tamen  epopoeiae  quoque  etiam  communia. 

94  Tumido)  Quia  ira  affectus  est  naturae  sublirais;  unde  Homerus 

in  Iliade  iram  Achillis  canit. 

95  Sermone  pedestri)  Quia  infirmi  animi  est  dolore  percelli. 

96  Cum  pauper")  Legerem  cur  pauper^  qua  unius  literulae  corrcc- 

tione,  et  acutior  est  senLenlia,  et  latina  oratio  rectior. 

98  Querela)  Ex  superiori  emendatione  heic  legendum  querela? 

99  Pulchra)  Quae  tantummodo  delectant  ingenium,  quum  iis  ac- 

clamatur  euge,   belle ^   sophos^  quod  sane   fit,   quum    animus 

ociatur,  nec  ullo  affectus  motu  cietur. 
Ib,  Dulcia)  Quae  suaviter  afficiant  animos. 
102  Si  uis  me  Jlere)  Maximi   momenti   de   eloquentia  praeceptum, 

ut  oralores  ex.  gr.  in  medias  reornra  miserias  phantasià  con- 

iiciantur,    ut    vere  misera  eorum  oratio  audilores  ad  misera- 

tioneni  commoveat. 


SCRITTI    SCIENTIFICI  67 

Telephe,  vel  Peleu;  male  si  mandata  loqueris, 
o5  Aut  dormitabo,  aut  ridebo.  Tristia  moestum 
Vultum  verba  decent;  iratum,  piena  minarum; 
Ludentem,  lasciva  5  severum,  seria  dictu. 
Format  enim  natura  prius  nos  intiis  ad  omnem 

,        Forlunarum  habitum  :  iuvat,  aut  impellit  ad  iram , 

1:10  Aut  ad  humum  moerore  gravi  deducit,  et  angitj 

'        Post  effert  animi  motus  interprete  lingua. 
Sì  dicentis  erunt  fortunis  absona  dieta, 
Romani  tollent  equites  peditesque  cachinnum. 
Intererit  multum,  Davusne  loquatur,  an  heros; 

ii5  Maturusne  senex,  an  adhuc  fiorente  inventa 
Fervidus^  et  matrona  parens,  an  sedala  nutrix* 
Mercatorne  vagus;  cultorne  virentis  agelli: 
Colchus  an  Assyrius^  Thebis  nutritus,  an  Argis. 
Aut  famam  sequere,  aut  sibi  convenientia  finge, 

120  Scriptor.  Honoratum  si  forte  reponis  Achillem , 
Impiger,  iracundus,  inexorabilis,  acer, 
lura  neget  sibi  nata,  nihil  non  arroget  armis: 

io4  Mandata")  Parles  libi  attributas,  vices  tibi  adsciiptas. 

loS  Aut  dormitabo j  aut  ridebo)  Nullurn  evidentius  est  argumentum, 
poetarti  vel  oratorem  nihil  dicere,  quando,  dum  dicit,  audi- 
tores  aliud  agunt,  quia  tunc  illorum  animos  non  alloquitur. 

109  Impellit  ad  iram)  Affectum  sublimem,   ut  superius  diximus. 

iio  Moerore  grawi  deducit)  Quo  dicuntur  afflicti,  abbattuti. 

114  Intererit  multum)  Heic  agit  de  personarum  decoro  a  conditio- 
ne,  aetate,  fortuna,  vitae  institulo,  natione  et  moribus  civitatis. 

DE  DELIGENDO  TRAGOEDIAE  SUBIECTO 

119  Aut  J'amam  sequere)  Heic  ad  decorura  apposite  dat  praecepta 
de  deligendis  tragoediarum  argomentis:  ubi  famam ^  intelligit 
historiara  poeticani. 

lao  Honoratum)  Cui  ab  love  Troianorum  Graecorumque  res  mode- 
rante honor  est  restitutus,  quem  Agamemnon  laeserat,  quum  ci 
Briseidera  abduxerat:  qua  in  re  totura  Iliadis  poema  occupalur. 

122  Nihil  non  arroget  armis)  Quos  Achilli  mores  Homerus  attribuii. 
Atque  hic  est  Achilles,  cuius  virtutera  maximus  poetaruin  Grae- 
ciae  populis  imitandam  proponit,  quemquo  perpetuo  irrepre- 
hensilis  adiuncto  cohonestat.  Quod  sane  omnes  philosophos  et 
philologos  solicilat  et  contor<[uet;  nec  ullis  quantumvis  Socra- 
ticis  allegoriis,  quibus  eminet  Plato  et  Plnfaichus,  ii  hoc  nodo 
se  expediuntj  quia  qualis  ab  Homerp  canitur,  talis  ab  rudi 
Graecorum  vulgo  tempore,  quo  nulli  adhuc  crant  philosophi, 
Achilles  accipitur.  Sod  in  Notm  Scientia  demonslratur,  Home- 
rum  graecis  populis  ferocibus  adhuc  cccinisse  Achillis  gesta, 
quae  recurrente  barbarie  gontcs  suspexere,  et  sunt  admiratae, 
quac  dicebantur,  Bravure  di  Duellanti, 


68  PARTE    I. 

Sit  Medea  ferox  invictaque;  flebilis  Ino^ 

Perfidus  Ixion*,  Io  vaga;  tristis  Orestes. 

ici5  Si  quid  inexpertura  scenae  commiltis,  et  audes 
Personam  formare  novam,  servetur  ad  imum 
Qualis  ab  incepto  processerit,  et  sibi  constet. 
Difficile  est  proprie  communia  dicere:  tuque 
Rectius  lliacum  carmen  diducìs  in  actus, 

i3o  Quam  si  proferres  ignota  indictaque  primus. 


128  Difficile  est  proprie  communia  dicere')  Hoc  in  loco  omnes  in 
terpretes  sunt  misere  hallucinati  :  dicit  enim  Horatius  difficile 
esse  ex  gencribus  philosophicis  confingere  genera  poetica,  sive 
personas  ideales  tragoediarum.  Sed  haec  difficultas  obtinet  in 
tragoediis,  et  in  comoedia  nova  Graeci  id  ipsura  et  facile  et 
feliciter  praestitere,  cuius  personas  nonnisi  ex  generibus  phi- 
losophicis fingere  ius  fuit.  Id  sane  turbat  quidquid  hactenus 
de  pocseos  origine  scriptum  diclumque  sit.  Nam  philosophia, 
arlibusque  poetica  et  critica  inventis,  nullus  poeta  heroicus 
Horaero  extitit,  nedum  maior,  vel  par;  sed  vel  praeslantis- 
simi  ei  sunt  longo  intervallo  secundi.  Haec  quaestio  ex  Nouae 
Scientiae  Principiis  dissolvitur,  qua  demonstratur  primos  grae- 
carum  ut  et  aliarum  gentiura  fundatores  natura  fuisse  poetasj 
qui  cum  praeinsigni  rudilate  philosophorum  genera  intelli- 
gere  non  possent ,  et  ad  scienlias,  quae  sine  eiusmodi  gene- 
ribus non  Constant,  iter  intendere  primulum  conarentur,  quae- 
dani  sibi  illustria  exempla  fìnxere,  ad  quae  tanquam  genera 
ipsi  omnia  cuique  generi  pertinentia  affiugebant,  et  sane  quae- 
que  luculenlissima,  quae  pene  brutas  ipsorum  raentes  excitare 
et  in  se  convertere  possent,  ut  omnia  fortia  facta  Achilli, 
Ulyxi  omnia  sedula  Consilia:  quae  ab  universa  natione  con- 
ficta  ob  id  erant  maxime  sensui  communi  convenientia;  in 
quo  praeter  cetera  poeticum  decorum  spectatur.  Haec  duo 
poetica  historiae  subiecta  Homerus  sumpsit,  alterum  Iliadis, 
alterum  Odysseae.  Hinc  illud  est,  quod  Aristoteles  in  Jrte 
Poetica  mendacia  poetica  ab  uno  Homero  scite  commenta 
dixitj  id  numero  ipsum,  quod  Horatius  heic  dicit,  ex  Ho- 
mero argumenta  tragoediarum  sumenda  esse:  quia  Homerus 
tempore  heroico  floruit,  quo  naturaliter  ab  Graecis  ejusmodì 
characlcfes  iieroici  exprimebantur.  At  vero  cura  a  Socratis 
temporibus  Graecia  ad  excultissiroam  humanitatem  pervenis- 
set,  ex  generibus,  quae  philosophi  de  humanis  moribus  in- 
tellexerant,  unde  morum  characteres  postea  Theophrastus  per 
genera  philosophica  scripsit;  novae  comoediae  genera  poeti- 
ca, sive  characteres,  sive  personae  facile  a  Monandro  eius 
principe  conficta  sunt,  quae  in  theatro  vulgus  vitae  officia 
docerent,  quod  ut  genera  metaphysica  difficile  percipit,  ita 
facile  illnsfribns  movctur  cxcmplis. 


{■  SCRITTI    SCIENTlFJCi  6g 

^    Publlca  niateries  privati  iiiris  erit,  si 

Non  circa  vilem  patulumque  moraberis  orbem. 

Nec  verbum  verbo  curabis  reddere  fidus 

Interpres:  nec  desilies  imitator  in  arctum; 
35  Unde  pedem  proferre  pudor  vetet,  aut  operis  lex. 

Nec  sic  incipies,  ut  scriptor  Cyciicus  olim: 

Fortunam  Priami  cantabo,  et  nobile  bellum. 

Quid  dignum  tanto  feret  hic  promissor  hiatu? 

Parturient  montes,  nascetur  ridiculus  mus. 
4o  Quanto  recti us  hic,  qui  nil  molitur  ineptel 

Die  mihi  Musa  virum,  captae  post  tempora  Troiae, 

Qui  mores  hominum  multorum  vidit,  et  urbes. 

i3i  Publìca  materies)  Hic  locus  ab  inlerpretibus  adhiic  intcllectus 
non  est,  quod  eruilitissimus  Andreas  Dacier  in  suis  ad  hunc 
locum  notis  agnoscit.  Dicit  enim  Horatius  quod  publìca  ma' 
teries,  hoc  est  fabula  homerica. 

Ih.  Prillati  iuris  erit)  Fiet  fabula  propria. 

Ib.  Sì  non  circa  t^ìlem  patulumque  moraberis  orbem")  Ubi  interpre- 
tes  prorsus  nugantur,  quum  orbem  vilem  patulumque  exponunt 
longa  episodia.  Sed  episodia,  quod  longa,  non  idcirco  sunt 
vilia,  uti  ex.  gr.  illa  Torquati  Tassi  duo  de  hortorum  Arrai- 
dae  deliciis,  et  Pastoris  ad  Erminiam  sermo  de  rusticae  vitae 
felicitate;  quorum  prius  ornatae,  alteruui  tennis  nolae  est; 
utrumque  sane  longum,  neutrura  tamen  vile  quis  dixerit.  Sed 
orbe  vili  patuloque  intelligit  Horatius  paraphrases  :  uti  quidam 
otiosae  plebeculae  in  latum  orbem  coactae  nostros  italos  poe- 
tas  cantando  legunt,  et  quamque  stropham  vulgaribus  verbis 
ac  sentenliis  exponunt:  a  quo  orbe^  qui  Graecis  xux^oc  dici- 
tur,  circumforaneus  poeta  ab  Horatio  panilo  inferius  scriptor 
Cyciicus  prò  vili  appellatur.  Igitur  Horatii  sententia  est,  si 
nec  fueris  Homeri  paraphrastes. 

i33  Nec  verbum  verbo  curabis  reddere  fìdus  Interpres)  Si  nec  fue- 
ris Homeri  ex  graeca  in  latinam  linguam  traductor. 

i34  J^'^c  desilies  imitator)  Si  ncque  fueris  servilis  Homeri  imitator: 
quae  tria  cum  declinaveris,  circa  eandem  fabulam  fies  Homeri 
aemulator,  si  curos  tragicam  pcrsonam  ab  Homero  desum- 
ptam,  ex  iis  ipsis  moribus  quos  Homerus  illi  attribuit,  alia 
nova  conformia  dicere,  et  agere  commenlus  sis;  eaque  ratione 
novae  fabulae  auctor,  et,  ut  uno  verbo  dicam,   poeta  existes. 

DE  PROPOSITIONE  POEMATIS  HEROICI 

i36  Nec  sic  incipies)  Heic  digreditur  Horatius  ab  instituto  argu- 
mento  de  fabularum  decoro,  et  de  poemalis  heroici  propo- 
sitione  praeceptum  tradit,  et  Odysseae  exemplum  apponit. 

iSg  Ridiculus  mus)  Numero  ipso  vilem  sentcntiam  èxprimit. 

l4i   ^irum)  Qui  LalinisGraecorum  heroem  signifìcat;  sic  Virgilius: 

Arma  virumque  cano  ... 


z 


rO  PARTE    hTtr»:.- 

fon  ftimum  ex  fulgore,  sed  ex  fumo  dare  lucem 
Cogitai,  ut  speciosa  dehinc  miracula  proinat, 
1/^5  Antiphaten,  Scyllamque,  et  cum  Cyclope  Charibdin. 

Nec  reditum  Diomedis  ab  interitu  Meleagri,  ^ 

Nec  gemino  bellum  Troianura  orditur  ab  ovo.  i^ÉM 

Semper  ad  eventum  festinat:  et  in  medias  res  ^ 

Non  secLis  ac  notas,  auditorem  rapit;  et  quae 
i5o  Desperat  tractata  nitescere  posse,  relinquit. 
Atque  ita  mentitur,  sic  veris  falsa  remiscel, 
Primo  ne  medium,  medio  ne  discrepet  imum. 

Tu  quid  ego,  et  populus  mecum  desideret,  audi. 
Si  plausoris  eges  aulaea  manentis,  et  usque 
i55  Sessuri,  donec  cantor,  F'os  plaudite ^  dicat, 
JEtatis  cuiusque  notandi  sunt  tibi  mores; 
Mobilibusque  decor  uaturis  dandus,  et  annis. 

Reddere  qui  voces  iam  scit  puer,  et  pede  certo 
Signat  humum,  gestii  paribus  colludere,  et  iram 


143  Non  fumum  ex  fulgore^  Ut  palearum  fiamma,  quae  illlco  ac 
brevi  collucens,  mox  in  longura  desinit  fumura. 

Ib.  Ex  fumo  dare  lucem')  Ut  robora,  quae  principio  diu  fumantia, 
tandem  accensa  edunt  candentem  ignem ,  ac  diuturnum  :  illi 
sunt  libri  qui  superficiariam ,  hi  vero  qui  profundam  doctri- 
tiam  continent:  illi  semel  ledi  te  explent;  quo  magis  hos  le- 
gas,  magis  proficias. 

i44  Speciosa)  Quae  multum  habent  speciei,  seu  raritatis. 

DE  HEROICI  POEMATIS  ORDINE 

146  Nec  reditum  Diomedis^  Pergit  Horatius  digredì  ab  argumento 
de  fabularum  decoro,  et  de  heroici  poematis  ordine  hoc  tra- 
dii praeceptum,  ut  eius  media  in  prircipio,  initia  in  medio 
narrantur.  Sic  Homerus  bellum  troianum  ab  nono  eius  anno, 
Virgilius  fundationem  romanae  gentis  a  tempestate  qua  yEneas 
Carthaginem  delatus  est,  Torquatus  Tassus  liierosolymorum 
liberationem  a  sexto  anno,  quo  bellum  in  Asiam  Ghristianis 
illatum  erat,  sua  poemata  incipiunt. 

i49  Et  quae  Desperat  tractata  nitescere  posse  ^  relinquit)  Id  prae- 
ceptum religiose  Tassus  servavit,  qui  suos  heroas  nunquam 
prandentes,  nunquam  coenantes  inducit. 

i5i   Veris)  Nimirum  iis  quae  natura  fiunt. 

Ib.  Falsa.)  Nempe  miracula. 

DE  CUIUSQUE  AETATIS  DECORO 
i53  Tu  quid  ego)    Redit  Poeta  ad  proposilura  supra  argumentum 
de  fabularum  decoro,  et  singillatim  exequitur  mores  cuiusque 
aetatis ,  quod  generatim  antea  proposuerat  eo  loco  maturusne 
senex. 


X 


SCRITTI    SCIENTIFICI  -J  I 

iGo  Colligit,  ac  ponit  temere,  et  mutatur  in  horas. 
Imberbis  iuvenis,  tandem  custode  remoto, 
Gaudet  equis  canibusqiie,  et  aprici  graraine  campi  ^ 
Cereus  in  vitium  flecti,  nioniloribus  asper^ 
Ulilium  tardus  provisor,  prodigus  aeris; 

iGS  Sublimis,  cupidiisque,  et  amata  relinquere  pernix. 
Conversis  studiis,  aetas  animusque  virilis 
Quaerit  opes  et  amicitias,  inservit  honori, 
Commisisse  cavet,  quod  mox  mutare  laboret. 

Multa  senem  circumveniunt  incommoda*  vel,  quod 

170  Quaerit,  et  inrentis  miser  abstinet,  ac  timet  uti; 
Vel  quod  res  omnes  timide  gelideque  ministrat, 
Dilator,  spe  longus,  iners,  avidusque  futuri, 
Difficilis,  querulus,  laudator  temporis  acti 
Se  puero,  castigator  censorque  minorum. 

175       Multa  ferunt  anni  venientes  commoda  secum, 
MultcT  recedentes  adimunt.  Ne  forte  senile* 
Mandentur  iuveni  partes,  pueroque  viriles, 
Semper  in  adiunctis,  aevoque  morabimur  aptis. 
Aut  agitur  res  in  scenis,  aut  acta  refertur: 

180  Segnius  irritant  animos  demissa  per  aurem, 

Quam  quae  sunt  oculis  subiecta  fìdelibus,  et  quae 
Ipse  sibi  tradit  spectator.  Non  tamen  intus 
Digua  geri,  promes  in  scenam;  multaque  toUes 
Ex  oculis,  quae  mox  narret  facundia  praesens. 

i85  Ne  pueros  coram  populo  Medea  trucidet^ 

Aut  humana  palam  coquat  exta  nefarius  Atreus; 
Aut  in  avem  Progne  vertatur,  Cadmus  in  anguèm. 
Quodcumque  ostendis  mihi  sic,  incredulus  odi. 
Neve  minor,  neu  sit  quinto  productior  actu 

190  Fabula,  quae  posci  vult,  et  spedata  reponi: 


iGf)  Sublimi'')  Gloriae  appetcns. 
ifiy  Opes)  Polentiam. 

168  Commisisse  capei)  Quod  virum  fortem  decet. 
178  Aptis)    Quia  qnisque  vel   e   vulgo    notat,    se    non    dicUiiura , 
facturumve,  quoa  suae  aetati  Poeta  appingit. 

PRAECEPTA  QUAEDAM  GENERALIA  DE  POESl  DRAMATICA 
184  Facundia  praesens)  Nuncii,  qui  evidenti  narratioue  rem  ocu- 
lis spectatorum  subiiciat. 
189  Actu)  Haec  sunt  dramatis  partes,  quae  in  scholis  dicuntur 
quantitativae  ;  nam  quae  appellantur  tormales,  sunt  tres,  Pro- 
tasis,  quae  fabulam  conslituitj  Epitasis ,  quae  iuvolvit;  Cata- 
strophe.,  quae  dissolvit. 


l 


12  '-  PARTE   fP^'''- 

lec  Deus  intersìt,  nisi  dignus  vindice  nodus 
Incideiit:  nec  quarta  loqui  persona  laboret. 
Acloris  partes  chorus  officiumque  virile 
Defendat:  neu  quid  medios  intercinat  actus, 
,  195  Quod  non  proposito  conducat,  et  haereat  apte. 
Ille  bonis  faveatque,  et  consilietur  amicis, 
Et  regat  iratos,  et  amet  peccare  timentes: 
Ille  dapes  laudet  mensae  brevis:  ille  salubrem 
lustitiam,  legesque,  et  apertis  otia  portis  ; 
aoo  Ille  tegat  commissa^  Deosque  precetur,  et  oret 
Ut  redeat  miseris,  abeat  fortuna  superbis. 

Tibia  non,  ut  mine,  orichalco  vincta,  tubaeque 
JEmula;  sed  tenuis,  simplexque  foramine  pauco 
Adspirare,  et  adesse  choris  erat  utilis,  atque 
2o5  Nondum  spissa  nimis  compiere  sedilia  flatu^ 
Quo  sane  populus  numerabilis,  utpote  parvuSj 
Et  frugi,  castusque  verecundusque  coibat. 

Postquam  coepit  agros  extendere  victor,  et  urbem 
Latior  amplecti  murus ,  vinoque  diurno 
310  Placari  genius  festis  impune  diebus, 

Accessit  numerisque  modisque  licentia  maior. 
Indoctus  quid  enim  saperet,  liberque  laborum, 
Rusticus  urbano  confusus,  turpis  honesto? 
Sic  priscae  motumque  et  luxuriem  addidit  arti 
,  2i5  Tibicen,  traxitque  vagus  per  pulpita  veslem: 
Sic  etiam  fìdibus  voces  crevere  severis^ 
Et  tulit  eloquium  insolitum  facundia  praeceps: 


191  Dignus  vindice  nodus  ^    Tnnc   reciirritur  ad  machinam ,  quum 

fabula  miraculose  involuta  est. 
193  OJflciumque  virile)  Fungalnr  officio  boni  viri. 
2o3  JSrnula)  Quae  eadem  recurrente  rerum  civilium  serie,  rediit, 

quae  dicitur  Oboe. 
2o5  Flatu)  En  cur  supra  dicebamus,  iambum  non  idcirco  drama- 

tis  in   principium    accommodatum,  ut  vincerei  strepitus   po- 

pulares. 
207  Castusque")  Castitate ,  qua  Cicero  in  Legibus  ait  Deos  caste  a- 

deunto:  nana  ludi,  in  quibus  agebantur  coraoediae,  edebantur 

in  honorem  Deorum,  quibus  sacrificaturos  prius  lavari  opor- 

teb  at. 
Sii   Numerisque  modisque  licentia  maior)    Ex  eodem  recursu  caus- 

sarum  musica  nostri  temporis   metris   utitur   brevioribus,    et 

Jevioribus  rhythmis. 
2i4  Motumque  et  luxuriem)  Id  ipsum  numero,  quod  nunc  faciunt 

le  correntine  francesi, 
2i5  F'agus)  Errans,  uti  nunc  spectatur  gallica  saltatio. 


in/ 


SCRITTI    SCIENTIFICI  ^3 

Uliliumque  sagax  rerum ,  et  divina  futuri 

Sortilegis  non  discrepuit  sententia  Delphis.  *^*^ 

120  Carmine  qui  tragico  vilem  certavit  ob  hircum, 

Mox  etiam  agrestes  Satyros  nudavit,  et  asper 

Incolumi  gravitate,  iocum  tentavit,  eo  quod 

Illecebris  erat,  et  grata  novilate  morandus 

Spectator,  functusque  sacris,  et  potus  et  exlex. 
laS  Verum  ita  risores,  ita  commendare  dicaces 

Conveniet  Satyros,  ita  vertere  seria  ludo;  '''''' ^ 

Ne  quicumque  Deus,  quicumque  adhibebitur  heros, 

Regali  conspectus  in  auro  nuper  et  ostro, 

Migret  in  obscuras  humili  sermone  tabernas: 
a3o  Aut,  dum  vitat  humum,  nubes  et  inania  captet. 

EfFutire  leves  indigna  tragoedia  versus, 

Ut  festis  matrona  moveri  iussa  diebus, 

lutererit  Satyris  paullum  pudibunda  protervis. 


219  Delphis)    Quia    musica  principio    ad  canendas  Deorum  laudes 

inventa  est,  et  nunc  sane  surnmi  pontificis  oraculum  consoli 
oporterel,  ut  cantui  Gregoriano,  quo  in  iacris  utimur,  ad- 
misceretur  cantus  qui  dìciiur  Jiguratus, 

DE  TRAGOEDIAE  ORIGINE  *"> 

220  Carmine  qui  tragico')  Heic  Poeta  incipit  verba  facere  de    tra- 

goedia, de  cuius  historia  quaedam  ex  antiquis  traditionibus 
satis  obscura  et  confusa  tradii  ;  quae  ex  Novae  Scientiae  Prin- 
cipiis  illustrata,  ac  distincla  priraum  dramaticae  personae  in- 
ventum,  et  veram  etymi  rationem ,  qua  tragoedia  dieta  est, 
evidenter  demonstrant.  Caper  enim  Graecis  rpcc/og  dicitur, 
unde  Tragoedia  appellata:  sed  non  iccirco,  quod  hircus  victo- 
ribus  eius  certaminis  vili  praemio  daretur,  quod  Horatius 
ipse  heic  miratur  ;  sed  quia  prima  dramatica  persona  haec 
Satyri  inventa  est,  quam  naturae  conveniens  fuit,  ut  rustici 
homines,  inter  quos  primos  poetica  historia  dramaticum  poema 
ortum  narrat,  caprinis  pellibus  pedes ,  crura  et  coxas  tege- 
rent,  pectora  et  ora  vini  faecibus  ungerent,  et  cornibus  de- 
nique  frontes  armarent:  coque  pacto  prima  theatri  persona 
extitit. 
225  rerum  ita  risores)  Huiusmodi  dramatum  nullum  ex  antiqui- 
tate  exemplum  ad  nos  perlatum  ,  sed  ex  hoc  Horatii  loco 
audacter  definire  licet ,  satyram  fuissc  drama  quo  et  tragi- 
cae  et  comicae  personae  in  scenam  prodibant  :  qua  simili- 
tudine Latini»  satyra  fuit  cdulium  in  quo  diversa  ciborum 
genera  confundebantur :  unde  postea  lex  per  satyram  dieta, 
quae  plura  ac  diversa  rerum  capita  complectebatur< 


74  PARTE  |^M>'>p 

Non  ego  inornata  et  doininantia  nomina  solum, 

a35  Verbaque,  Pisones,  Satyrorum  scriptor  amabo: 
Nec  sic  enitar  tragico  difFerre  colori , 
Ut  nihil  intersit,  Davusne  loquatur,  et  audax 
Pythias,  emuncto  lucrata  Simone  talentum, 
An  custos  famulusque  Dei  Silenus  alumni. 

240  Ex  noto  fictiim  Carmen  sequar,  ut  sibi  quivis 
Speret  idem;  sudet  multum  frustraque  laboret, 
Ausus  idem.  Tantum  series  iuncturaque  poUetl 
Tantum  de  medio  sumptis  accedit  honoris! 
Silvis  deducti  caveant,  me  judice,  Fauni, 

245  Ne  velut  innati  triviis,  ac  pene  forenses, 

Aut  nimium  teneris  iuvenentur  versibus  umquam, 
Aut  immunda  crepent,  ignominiosaque  dieta. 
OfTenduntur  enim  quibus  est  equus,  et  pater,  et  res; 
Nec,  si  quid  fricti  ciceris  probat  et  nucis  emptor, 

25o  iEquis  accipiunt  animis,  donantve  corona. 

Syllaba  longa  brevi  subiecta  vocatur  lambus, 


234  Non  ego  inornata}  Agii  de  stylo  satyrico. 

Jb.  Domìnantia)  Quae  item  dicuntur  verba  nativa;  quae  ad  id 
ipsuin  significandum  nata  sunt ,  quod  animo  praeconceperis , 
et  in  60  cxpìicando  dominantur:  quo  verboriim  genere  Ho- 
ratius  in  Satyrarum  libris  summa  cum  laude  usus  est. 

236  Tragico  difjerre  colori')  Non  a  tragica  inagniloquentia,  ut  in- 
terpretes  vulgo  interpretantur,  sed  a  satyrica  puritate  et  ele- 
gantia,  quia  prima  tragoedia,  ut  supra  diximus,  hoc  genus 
satyrae  fuit:  quod  est  idem  numero  ipsum  quod  pauUo  supe- 
rius  Poeta  dixit  : 

Ne  quicumqu<'  Deus ,  qutcumque  adhibeliilur  heros , 
Regali  conspeclus  in  auro  nuper  et  ostro, 
Migret  io  obscuras  humili  sermone  tabernas. 

240  Ex  noto  fìctum  Carmen  sequar}  Non  heic  agit  Horatius  de  ar- 
gumento  satyrae  deligendo,  sed  de  satyrici  styli  difficultate: 
ubi  detractoribus  suis  respondet,  qui  ipsius  satyras  contem- 
nebant  a  locutionis  facilitate. 

245  Innati  triviis)  Qui  Romae  in  conducta  quidem  domo  nati  sunt. 
Ib.  Pene  forenses}  Del  uil  mercato. 

246  Nimium  teneris  iuvenentur  uersibus)  Nempe  lascivis. 

247  Immunda}  Sordida. 

IIj.  Ignominiosaque  dieta}  Quae  alterius  famam  laeduut. 
348  Pater}  Hoc  est  patricii. 

Ib.  Et  res}  Intelligit  Senatores,  qui  censu,  non  genere,  in  ordine 
censebantur. 

DE  METRIS  DRAMATUML 
-x^w   Syllaba  loiiga  brevi  subiecta  i^ocatur  ìambus}  Heic  agit  Horatius 
de  tuetris  draraatum  propriis. 


i-S  ì- 


I  SCRITTI    SCIENTIFICI  ^5 

Pes  citus:  unde  etiam  trimetris  accrescere  iussit 
Nomen  iarabeis,  quum  senos  redderet  ictus  ^ 

I       Priraus  ad  extremum  similis  sibi  :  non  ila  pridem, 

55  Tardior  ut  paullo  graviorque  veniret  ad  aures. 
Spondeos  stabiles  in  iura  paterna  recepii 
Commodus  et  patiens:  non  ut  de  sede  secunda 
Cederet,  aut  quarta  socialiter.  Hic  et  in  Acci 
Nobilibus  trimetris  apparet  rarus,  et  Ennì. 

60  In  scenam  missos  magno  cum  pondera  versus, 
Aut  operae  celeris  nimium  curaque  carentis, 
Aut  ignoratae  premit  artis  crimine  turpi. 

Non  quivis  -videt  immodulata  poemata  index* 
Et  data  Romanis  venia  est  indigna  poetis. 

.^S  Idcircone  vager,  scribamque  licenter?  An  omnes 
Visuros  peccata  putem  mea,  tutus,  et  intra 
Spem  veniae  cautus?  Vitavi  denique  culpam, 
Non  laudem  merui.  Vos  exemplaria  Graeca 
Nocturna  versate  manu,  versate  diurna. 

870  At  vestri  proavi  Plautinos  et  numeros  et 

Laudavere  sales:  nimium  patienter  utrumque^ 
Ne  dicam  stulte,  mirati:  si  modo  ego  et  vos 
Scimus  inurbanum  lepido  seponere  dicto^ 
Legitimumque  sonum  digitis  callemus,  et  aure. 


262  Pes  citus)  Ut  in  praesenti  musica  nota  brevis  in  systematis  prin- 
cipio praeposita  productae  celerem  rhythraum  significai. 

Ih.  Trimetris)  In  graeca  musica  dicuntur  dipodiae-j  ut  quaeque 
dipodia  duobus  pedibns  metiietur. 

253  Senos  ictus)  Tempore,  quod  nostri  temporis  Musici  dicunt  tempo 
a  cappella,  quod  est  omnium  celerrimum. 

258  ^ut  quarta)  Nam  in  sexta  nunquam  cessit  spondeo,  quod  ar- 
gumento  est  principio  iambicum  natura  esse  ex  solis  iambis 
compositum;  uti  in  versu  hexametro,  quia  initio  spondaicus 
natus  est,  ut  in  Noua  Scientia  demonstratur,  nunquam  ulti- 
mum  pedem  dactylo  cedit. 

260  In  scenam  missos  magno  cum  pondere  uersus)  Supple  esse ^ 
alque  haec  infinita  oratio  heic  vicem  recti  obtinet,  quod  re- 
git  verbura  premit:  ex  quo  sermonis  genere  est,  si  dicas 
hoc  facere  turpe  est. 

2O5  An  omnes)  Quia  non  omnes  visuros  putem. 

278  Inurbanum)  Scurrile. 

27/1  Digitis  callemus,  et  aure)  Ut  in  poesi  italica  nedum  digitis 
numerando  versuura  syllalìas,  sed  aure  legitimum  eorum  so- 
num callemus:  et  in  latina  quoque  poesi  callereraus,  si  tem- 
pora syllabarum  non  arte,  uti  nunc  mortuà  lingua,  sed  na- 
tura,  uti  ea  vivente  a  pueris  diaceremus. 


^^  PARTE    l/ 

275       Ignotum  tragicae  genus  invenisse  Camenae 
Dicitur,  et  plaustris  vexisse  poemata  Thespis, 
Quae  canerent  agerentque  peruncti  faecibus  ora. 
Post  hunc  personae  pallaeque  repertor  honestae 
^schylus  et  modicis  instrarit  pulpita  tignis, 
280  Et  docuit  magnumque  loqui,  nitique  cothurno. 
Successit  vetus  his  comoedia,  non  sine  multa 


DE  DRAMATICAE  POESEOS  HISTORIA 
275  Ignotum  tragicae  genus)  Hinc  Horatium  doctrinara   de  satyra, 
sive  de  autiquissima  tragoedia  incipere  oportuit. 

376  Plaustris")   Vindemiae  tempore,   quibus    uvas    ad   torcularia  et 

lacus  ferebant:  quorum  antiquissimum  vestigium  in  nostra 
Campania  permansit,  ubi  vinitores  dicuntur  vulgo  Cornuti', 
et  impune  liabent  honestos  viros  foeminasque  procacibus  die- 
tis  impetendi  licentiam. 

377  Peruncti  faecibus  ora)  Quare  Satyri  pectore  et  ore  rubicundi 

fingunturj  ubi  ridere  licet  mythologos ,  qui  in  errorem  in- 
ducti,  quod  vox  Trav  totum  vel  universum  significat,  in  Dei 
Panis  fabulam  eruditam  mythologiam  obtrudunt,  quod  pedes, 
crura,  coxae  caprinae  terram  sylvosam ,  pectus  et  os  rubicun- 
dum  elementum  ignis,  cornua  solem  lunamque  significent. 

Sed  heic  illa  haud  spernenda  oritur  difficultas:  Qui  tragoe- 
dia, quae  poslea  in  eam  sublimitatem  evecta  est,  ut  Plato  cara 
epopoeia  grandiorem  exislimet,  his  rndissimis  principiis  orta 
est}  et  Homerus  Eupoli  multo  prior  incoraparabilis  heroicus 
poeta  repente  extitit?  Haec  difficultas  ex  Novae  Scientiae  Prin- 
cipiis facile  solvitur^  quibus  demonstratur  Homerum  in  tertia 
heroicorum  poetarum  aetate  provenisse,  et  heroicam  poesim 
non  minus  rudem,  quam  heic  dramatica  narratur,  primulum 
ortam  esse:  quod  graviter  confirmatur  tum  eo  quod  de  car- 
minis  heroici  origine  superius  dictum  est,  quae  primorum  ho- 
minum  infantiam  apertissime  probat:  tum  ipsis  antiquissimis 
fabulis,  quae  satis  inconditae  ineptaeque  ad  nos  usque  per- 
venerunt;  ut  illa  primae  aetatis  poeticae,  utpote  quae  rem 
statim  post  diluvium  traditj  Deucalio  et  Pyrrha  conjugcs  su- 
per Parnassi  montis  jugo  ante  Deae  Themidis  templum  lapi- 
'  des  ante  pedes  positos  post  terga  reiiciunt,  et  bomines  na- 
scuntur;  et  illa  mediae  aetatis  poeticae,  Cadmus  serpentem 
occidit,  eius  serit  dentes,  lapidom  in  medium  iacit,  ex  sulcis 
homines  armati  cooriuntur;  secumque  ipsis  confligunt,  et  Cad- 
mus in  serpentem  convertitur  :  quae  fabula  ex  nostrae  mytho- 
logiae  historicae  principiis  poeticam  quingentorura  ferme  anno- 
rum  historiam  complectitur. 
2S0  Et  docuit  magnumque  loqui)  Id  haud  vere  dicit  Horatius}  nam 
magnum  loqui  iam  ante  docuerat  Homerus. 


SCRITTI    SCIENTIFICI  'JJ 

Laude;  sed  in  vitiura  lìbertas  excìdit,  et  vim  - 

])ignam  lege  regi:  lex  est  accepta,  chorusque 

Tiirpiter  obticuit,  sublato  iure  nocendi. 
i5  Nil  intenlatum  nostri  liquere  poetae  : 

Nec  minimum  raeruere  decus  vestigia  Graeca 

Ausi  deserere,  et  celebrare  domestica  facta, 

Vel  qui  praetextas,  vel  qui  docuere  togatas. 

Nec  virtute  foret  clarisve  polentius  armis, 
^  Quam  lingun,  Latium,  si  non  ofFenderet  unum- 

Quemque  poetarura  limae  labor  et  mora.  Vos,  o  ,>>jj  {<^ 

Pompilius  sanguis,  Carmen  reprehendite,  quod  non        .,7' 

Multa  dies  et  multa  litura  coercuit,  atque 

Perfectum  decies  non  castigavit  ad  unguem.  >,,,; 

Ingenium  misera  quia  fortunatius  arte  ;;>  ' 


fA  l 


282  Laude)  Quia  famosos  horoines  publica  reprehensione  dignos  fa- 

bulis  traducebat,  ut  eo  metu  civitatis  proceres  aites  excolcrent. 

Ib.  In  %'itium  libertas  excìdit)  Ut  perderei  viros  optiraos;  uti  Ari- 

stophanes  Nebularum  fabula  perdidit  sanctissitnurn   Socratem. 

283  Chorusque  turpiter  obticuit)  Quia  antiqua  comoedia  argumenta 

sibi  sumebat  summates  riros,  qui  in  ore  omni  populo  erant.  At 
comoedia   nova,   cuius   princeps   Menander   hi' 
personas  6ngit.  Quare  ad  illud  Simonis  in  Andria^ 

Meam  gnatum  rumor  est  amare, 

t)avus  mutiens  subdit: 

Id  populus  curai  scilicef. 

288  Praetextas)  Quae  respondebant  Graecorum  tragoediis;  in  iis 
namque  personae  nobiles,  quae  praetextas  gerebant,  induce- 
bantur. 

Jb.  Togatas)  Quae  graecas  comoe^ias  referebant:  toga  enira  Ro- 
mani vulgo  utebantur,  quare  gens  togata;  uli  palliata  a  pal- 
liis,  quae  gerebant,  Graecorum  natio  dieta  est. 

291  Mora)  Fastidium,  ut  in  emendandis  poeraatis  morosi,  fasti- 
diosi essent. 

294  Decies)  Id  ipsum  posterius  dicit,  ut  poemata  nonum  premantur 

in  annum, 

DE  FACULTATIS  POETICAE  INSTRUWENTIS 

295  Ingenium  misera  Jbrtunatius  arte)  In  omni  facultate  id  verum 

est,  sed  in  poetica  omnium  maxime:  nam  in  quavis  facultate 
nalurae  vitium  labore  improbo  sive  obstinato  suppleveris  :  quod 
in  poetica  omnino  negatur.  Ratio  aulera  eius  est,  quia  poesis 
sola  natura  extilit;  cum  ante  poesim  nullae  artes  inventae  es- 
sent, quando  omnes  artes  ex  poesi  natae  sunt,  ut  in  Novae 
Scientiae  Principiis  demonstraìur.  Quare  Homerus  ante  Omnes 
philosophos,  artcsque  poeticas  et  criticas,  summus  poctarum 
poeta  cxtitit;  quem  posteris  sequi  datura,  acraulari,  nedum 
superare  negatum  est. 


j8  PARTE    I. 

Credit,  et  excludit  sanos  Helicone  poetas 

Democritus,  bona  pars  non  ungues  ponere  curat, 

Non  barbara;  secreta  petit  loca,  balnea  vital. 

Nanciscetur  enim  pretium,  nomenque  poetae, 
3oo  Si  tribus  Anticyris  caput  insanabile  numquam 

Tonsori  Licino  commiserit.  O  ego  laevus, 

Qui  purgor  bilem  sub  verni  temporis  borami 

Non  alius  faceret  meliora  poemata:  verum 

Nil  tanti  est.  Ergo  fungar  vice  cotis,  acutura 
3o5  Reddere  quae  ferrum  valet,  exsors  ipsa  secandi. 

Munus  et  officium,  nil  scribens  ipse,  docebo: 
,  Unde  parentur  opes,  quid  alat,  formelque  poetam^ 

Quid  deceat,  quid  non;  quo  virtus,  quo  ferat  error. 
Scribendi  recte,  sapere  est  et  principium  et  fons: 
3 IO  Rem  tibi  Socra ticae  poterunt  ostendere  chartae; 

Verbaque  provisam  rem  non  invita  sequentur. 

Qui  didicit,  patriae  quid  debeat,,  et  quid  amicis; 

Quo  sit  amore  parens,  quo  frater  amandus,  et  hospes; 

Quod  sit  conscripti,  quod  iudicis  officium;  quae 
3i5  Partes  in  bellum  missi  ducis:  ille  profecto 

Reddere  personae  scit  convenientia  cuique. 

Respicere  esemplar  vitae  morumque  iubebo 

Doctum  imitatorem,  et  vivas  bine  ducere  voces. 

Inlerdum  speciosa  locis,  morataque  recte 
3^0  Fabula  nulìius  veneris,  sine  pondere  et  arte, 

396  Excludit  sanos  Helicone  poetasi  Quia  prima  poesie,  nerape 
theologica,  ex  quodam  divino  furore  nata  est,  quo  poetae  teo- 
logi primi  gentium  fundatores  correpti  Deos  inler  se  versar! 
sibi  videre  videbanturi  quod  aperte  docetur  Novae  Scientiae 
Principiis.  Quare  poesis  hanc  liabet  suae  originis  proprieta- 
tem,   ut  natura  plurimum  conslet. 

309  Scribendi  recte,  sapere  est  et  principium  et  fons)  Id  alterum  nunc 
poeticae  facultatis  praecipuum  instrumentum,  phtlosophia:  quia 
fabulae  nunc  sunt  genera  poetica  ex  generibus  philosophorum 
consita,  ut  supra  diximus. 

317  Respicere  exemplar  vitae")  Hoc  est  intueri  vitara  humanam  in 
sua  idea  optima:  quod  non  alibi  discitnr,  nisi  in  evolvendis 
lis  qui  de  moribus  ac  vitae  officiis  scripserunt. 


\ 


3i8  Doctum  imitatorem)  Qui  non  alterius  artificis  opera,  sed  ipsam 
veram  naturam  sibi  iraitandam  proponit:  ut  tres  pictores  prin- 
cipes  in  suo  certo  pingendi  genere,  Bonarrota  in  sublimi,  Ur- 
binas  in  tenui,  Titianus  in  temperato  excelluerunt. 

Ib.  Et  viifas  hinc  ducere  uoces)  Id  ipsum  est  quod  superius  dixi- 
mus, falsum  poeticum  esse  verum  metaphysicura,  sive  in  idea 
optima,  ad  quod  vera  physica  comparata  falsa  esse  compe- 
riuntur. 


SCRITTI    SCIENTIFICI  ng^ 

Valdius  oblectat  populum,  meliusque  moratur, 

Quain  \ersus  inopes  rerum  ^  nugaeque  canorae. 
Graiis  ingenium,  Graiis  dedit  ore  rotundo 

Musa  loqui,  praeter  laudem,  nullius  avaris. 
ì5  Romani  pueri  longis  rationibus  assem 

Discunt  in  partes  centum  diducere:  dicat 

Fiiius  Albini,  si  de  quincunce  remota  est 

Uncia,  quid  superai?  Poteras  dixisse,  triens,  Eu! 

Rem  poteris  servare  luam:  redit  uncta:  quid  fit? 
Jo  Semis.  At  haec  animos  aerugo  et  cura  peculi  '>    oi}Ì, 

Quum  semel  imbuerit,  speramus  carmina  fìng^i  ' 

Posse,  linenda  cedro,  et  levi  servanda  cupresso? 
Aut  prodesse  volunt  aut  deleclare  poetae: 

Aut  simul  et  iucunda  et  idonea  dicere  vitae. 
35  Quidquid  praecipies,  esto  brevis,  ut  cito  dieta 

Percipiant  animi  dociles,  teneantque  fideles: 

Omne  supervacuura  pieno  de  pectore  manat. 
Ficta  voluptatis  caussa  sint  proxima  veris: 

Ne  quodcumque  velit,  poscat  sibi  fabula  credi: 
4©  Neu  pransae  lamiae  vivum  puerum  extrahat  alvo. 

Centuriae  seniorum  agitant  expertia  frugis: 

Gelsi  praetereuut  austera  poemata  Rhamnes. 

Omne  tulit  punctum  qui  miscuit  utile  dolci, 

Lectorem  delectando,  pariterque  monendo. 
45  Hic  meret  aera  liber  Sosiis*  lue  et  mare  Iransit, 

Et  longum  noto  scriptori  prorogai  aevum. 

Sunt  delieta  tamen,  quibus  iguovisse  velimusj 

Nam  ncque  chorda  sonum  reddit,  quem  vult  manus  et  mens, 

Poscentique  gravem  persaepe  remittit  acutum; 
5o  Nec  semper  Feriet,  quodcumque  miriabitur,  arcus. 


DE  FINE  POESEWS 

333  Àut  prodesse  uoliint)  Finis  pocscws,  quum  primum  orta  est,  fuit 
utilitas,  qua  gentes  fundatae  sunt,  ut  paullo  inf'erius  dicetur, 
deinde  alter  successit,  delectatio.  Sed  pocsis  reipublicae  utilis 
nulla,  iiisi  quae  media  delectatione  utilitatem  sibi  praecipuum 
(inem  proponat. 

340  Neu  pransae  lamiae)  Materia  poeseus  maxime  propria  est  non 
impossibile,  sed  credibile,  ut  supra  diximus  :  sed  gentes  omnia 
de  Diis  credidcre,  prac«terquara  ut  raortuos  in  vitam  revocare 

pOSSCQt. 

DE  CRITICA  POETICA 

347  Sunt  delieta  tamen')  Heic  iacipit  Horatius  tradere  praecepta  de 
critica  poetica. 


^  PARTE    I. 

Verum  ubi  plura  nltent  in  cannine,  non  ego  paucis 
•     OfFendar  maculis,  quas  aut  incuria  fudit, 

Aut  humana  parum  cavit  natura:  quid  ergo  est? 
Ut  scriptor  si  peccat  idem  librarius  usque, 

355  Quamvis  est  monitus,  venia  caret^  et  citharoedus 
Ridetur,  chorda  qui  scraper  oberrat  eadem: 
Sic  mihi,  qui  multum  cessat,  fìt  Choerilus  ille, 
Quem  bis  terve  bonum  cum  risu  miror,  et  idem 
Indignor:  quandoque  bonus  dormilat  Homerus, 

36o  Verum  operi  longo  fas  est  obrepere  soranum. 
Ut  pictura,  poesis^  erit  quae,  si  propius  stes, 
Te  capiat  magisj  et  quaedam^  si  longius  adstes: 
Haec  amat  obscurum^  volet  haec  sub  luce  videri, 
ludicis  argutum  quae  non  formidat  acumen: 

365  Haec  placuit  semel,  haec  decies  repetita  placebit. 
O  maior  iuvenum!  quamvis  et  voce  paterna 
Fingeris  ad  rectum,  et  per  te  sapis;  hoc  tibi  dictum 
Tolle  memor:  certis  medium  et  tolerabile  rebus 
Recte  concedi.  Consultus  iuris  et  actor 

Syo  Caussarum  mediocris  abest  virtute  diserti 

Messalae*  nec  scit,  quantum  Cascellius  AuUis: 
'Sed  tamen  in  prelio  est.  Mediocribus  esse  poetis, 
Non  homines,  non  Dt,  non  concessere  columnae. 
Ut,  gratas  inter  mensas  symphonia  discors, 

375  Et  crassum  ungucntum,  et  Sardo  cum  melle  papaver 
OfFendunt^  poterat  duci  quia  coena  sine  istis* 
Sic,  animis  natum  inventumque  poema  iuvandis, 
Si  paullum  summo  decessit,  vergit  ad  imum. 
Ludere  qui  nescit,  campestribus  abstinet  armìsj 

38o  Indoctusque  piiae,  discive,  trochive  quiescitj 
Ne  spissae  risum  tollant  impune  coronae. 
Qui  nescit,  versus  tamen  audet  fingerei  Quidni? 
Liber  et  ingenuus,  praesertim  census  equestrem 
Summam  nummorum,  vitioque  remotus  ab  omnil 

385  Tu  nihii  invita  dices,  faciesve  Minerva: 

Id  tibi  iudicium  est,  ea  meus.  Si  quid  tamen  olim 

Scripseris,  in  Melii  descendat  iudicis  aures. 

Et  patris,  et  nostras^  nonumque  prematur  in  annum, 

36i  «Si  propius  stes,  Te  capiat  magis)  Sic  poema  notae  lenuis. 
362  jEt  quaedqm,  sì  longius  adstes)  Sic  poema  notae  grandis. 
364  argutum')  Solers,  quod  et  facile  et  cito  advertit. 
3^7  luuandis)  Delectandis,  ut  iuvat  spectare:  è  bello  star  a  t^edere, 
388  Nonumque  prematur   in  annum)    Quod   superius    dixit,    decies 
castigavit  ad  wiguem. 


SCRITTI    SCIENTIFICI 
Membranis  intus  positis.  Delere  licebit 
^  Quod  non  edideris;  nescit  vox  missa  reverti. 

Silvestres  homines  sacer  interpresque  Deorutn 
Caedibus,  et  victu  foedo  deterruit  Orpheus^ 
Dictiis  ob  hoc  lenire  tigres,  rabidosqiie  leones  : 
Dictus  et  Amphion,  Thebanae  conditor  urbis, 

)5  Saxa  movere  sono  testudinis,  et  prece  blanda 
Ducere  quo  vellct.  Fuit  baec  sapientia  quondam, 
Publica  privatis  secernere,  sacra  profanisi 
Concubitu  prohibere  vago,  dare  iura  maritis* 
Oppida  moliri,  leges  incidere  Ugno: 

30  Sic  honor  et  nomen  divinis  vatibus  atque 
Carminibus  venit.  Post  hos  insignis  Homerus, 
Tyrtaeusque  mares  animos  in  Martia  beila 
Versibus  exacuit;  dictae  per  carmina  sortes, 
Et  vitae  monstrata  via  est^  et  gratia  regum 

33  Pieriis  tentata  modis;  ludusque  repertus, 
Et  longorum  operum  finis:  ne  forte  pudori 
Sii  tibi  Musa  lyrae  sollers,  et  cantor  Apollo. 

Natura  fìeret  laudabile  carmen,  an  arte, 
Quaesitum  est:  ego  nec  studium  sine  divite  vena, 

IO  Nec  rude  quid  possit  video  ingenium:  alterius  sic 
Altera  poscit  opem  res,  et  coniurat  amica. 


8i 


II 


DE  POETICIS  LAUDIBUS 

391  Sihestres  homines')  Gravissima  omnium  et  maxima  poetices  laus, 
quod  ea  humanam  societatera  fundavit:  cum  omnes  gentium 
populi  ab  aliquo  Deo  vel  heroe  suas  origines  repetant. 
Ib.  Sacer)  Sacerdos,  quia  primi  gentium  sacerdotes  fucrunt  poetae. 
Ib.  Interpresque  Deorum)  Qui  Graecis  dicilur  |UV(TT>2?j  unde  pri- 
ma gentium  raysteria  fuere  fabulae  poelarum,  et  prima  theo-, 
logia  mystica  fuit,  quam  professi  sunt  poetae  thcologi. 

393  Orpheus)  Atqui   Orpheus   venit   nongentis   annis   post  graecam 

nationem  inceptam  fundari. 

394  Àmphion)  At   Ampliion   floruit    trecenlis  annis    post  Thebas  a 

Cadmo  conditas.  His  diflìcultalibus  in  Noua  Scientia  fit  satis. 
396  Fuit  haec  sapientia  quondam)  Prima  sapientia  vulgaris  fuit  poe- 
tica. Quare  ab  historia  poetica  sunt  repetendae  origines  rerum 
publicarum,  Icgum,  omniumque  artium  ac  scientiarum,  quae 
iiumanitatem  perfecere.  Quod  in  Nowae  Scientiae  secundae  edi- 
lionis  lil)ro  II  pracstilum  est:  qui  libcr  est  huius  loci  Hora- 
liaui  quidam  pcrpetuus  commcntarius. 

ITERUIVI  DE  POETiCES  INSTRUMENTIS 
408  Natura  fìeret  laudabile  Carmen,  an  arte)  Rcdit  ad  instrumenta 
facultatis  poeticac,  de  quibus  dictum  est  ^upra. 

Vico ,  Opuscoli,  6 


Stì  PARTE    I. 

Qui  studet  oplatam  cursii  contingere  metam 
Multa  tulit  fecitque  puer,  sudavit  et  alsit, 
Abstinuit  venere  et  vino.  Qui  Pythia  cantal 

4i5  Tibicen,  didicit  prius,  exlimuitque  magistrum. 
Nunc  satis  est  dixisse:  ego  mira  poemata  pango: 
Occupet  extremum  scabies^  mihi  turpe  relinqui  est, 
Et,  quod  non  didici,  sane  nescire  fateri. 

Ut  praeco  ad  inerces  turbam  qui  cogit  emendas, 

420  Adsentatores  iubet  ad  lucrum  ire  poeta, 

Dives  agris,  dives  positis  in  foenore  nummis. 
Si  vero  est,  unctum  qui  recte  ponere  possit, 
Et  spoudere  levi  prò  paupeve,  et  eripere  atris 
Litibus  implicitum  :  mirabor,  si  sciet  inter- 

4^5  Noscere  mendacem,  verumque,  beatus,  amicum. 
Tu,  seu  donaris,  seu  quid  donare  voles  cui, 
Nolito  ad  versus  tibi  factos  ducere  plenum 
Laetitae^  clamabil  enim .  Pulchre!  Bene!  Recte! 
Pallescet  super  bis  5  etiam  stiliabit  amicis 

430  Ex  oculis  rorem:  saliet,  tundet  pede  terram. 
Ut,  qui  conducti  plorant  in  funere,  dicunt, 
Et  faciunt  prope  plura  dolentibus  ex  animo:  sic 
Derisor  vero  plus  laudatore  movetur. 
Reges  dicuntur,  multis  urgere  culullis, 

435  Et  torquere  mero,  quem  prospexisse  laborant, 
An  sit  amicilia  dignus:  si  carmina  condes, 
Nunquam  le  fallant  animi  sub  vulpe  latentes. 
Quinlilio  si  quid  recitares,  Corrige,  sodes,        * 
Hoc,  aiebat,  et  hoc:  melius  te  posse  negares 

44^  Bis  terque  expertum  frustra.  Delere  iubebat, 
Et  male  loruatos  incudi  reddere  versus. 
Sì  defendere  delictum,  quam  vertere,  raalles, 
Nullum  ultra  verbum  aut  operam  sumebal  inanem, 
Quin  sine  rivali  teque  et  tua  solus  amares. 

445  Vir  bonus  et  prudens  versus  reprehendet  inertes^ 


DE  STUDIO  POETICES 

/^^ù  Qui  studet  oplatam)  Hoc  praeceptum  in  poetica,  oratoria  et  qua- 
vis  alia  faoultate  servandum,  ut  flagrantissimo  studio  excolatur. 

DE  CENSORE  DELIGENDO 

419  Ut  praeco")  Dat  praeceptum  de  deligendo  censore. 

DE  CENSORIS  OFFICIO 

438  Quìntìlio  si  quid  recitares)  Hcic  censoiis  iiiunus  exctjuilur. 


SCRITTI    SCIENTIFICI  83 

Culpabit  duroSj  incomptis  adlÌDet  atrum 
Transverso  calamo  sigiium;  ambitiosa  recidet 
Ornamenta,  parum  claris  lucem  dare  coget: 
Arguet  ambigue  dictumj  mutauda  notabìt: 
)o  Fiat  Aristarchus^  nec  dicel,  Cur  ego  amicum 
Ofl'endam  in  nugis?  Hae  nugae  seria  ducent 
In  mala  derisum  semel  exceptnmque  sinistre. 

Ut,  mala  qiiem  scabies,  aut  morbus  regius  urget, 
Aut  fanaticus  error,  et  iracunda  Diana, 

'5  Vesanum  tetigisse  timent  fugiuntque  poetam^ 
Qui  sapiunt:  agitant  pueri,  incautique  sequuntur. 
Hic,  dum  sublimis  versus  ructatur,  et  errat, 
Si,  veluti  merulis  intentus  decidit  auceps 
In  puteum  foveamve,  licet,  Succurrite^  longum 

3o  Clamet,  io  cives!  non  sit  qui  tollere  curet^ 
Si  curet  quis  opem  ferre,  et  demittere  funem , 
Qui  scis,  an  prudens  huc  se  deiecerit,  atque 
Servari  nolit?  dicam,  Siculique  poetae 
Narrabo  interitum.  Deus  im mortai is  haberi 

55  Dum  cupit  Empedocies,  ardentem  frigidus  ^tnam 
Insiluit.  Sit  ius,  liceatque  perire  poetis. 
Invitum  qui  servat,  idem  facit  occidenti. 
Nec  semel  hoc  fecit:  nec,  si  retractus  eritj  iam 
Fiet  homo,  et  ponet  famosae  mortis  amorem.  ' 

70  Nec  satis  apparet,  cur  versus  factitet:  utrum  . 

Minxerit  in  patrios  cineres,  an  triste  bidental  ^ 

Moverit  incestus.  Certe  furit,  ac,  velut  ursus 
Obiectos  caveae  valuit  si  frangere  clathros, 
Indoctum  doctumque  fugat  recitator  acerbus. 

75  Quem  vero  arripuit,  tenet  occiditque  legende, 
Non  missura  cutem,  nisi  piena  cruoris,  hirudo. 


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IDEE  SULLA  MORALE  E  SULLA  FILOSOFIA 

O  R  A  T  I  O 

HABITA    XV     KAL.    N  O  V  E  M  B  R  1  S    ANNO    MDCC 

CUJUS    ARGUMENTUM 

nOSTEM  HOSTI  INFENSJOREM  INFESTIOREMQVB 
QVy4M  STULTVM  SIBI  ESSE  NEMINEM 


Illustrissimo  ac  generosissimo  Domino 
Marcello  Philomarino  e  Turrensium  ducibus 

J,  B.  A   Vico  S.  P.  D. 

i^ì  quìhiis  me  .amplìssima  Domits  tua  ^  Nobilissime  Ado' 
lesccns  y  Marcelle  Philomarìne ^  complectìtur y  Immani tatem 
bem'gniialemque  considero^  tantas  profccto  ac  tam  muni- 
jìcas  video,  uty  quàmquam  omnem  aetatem  ejus  commodis 
inservi  re  m  f  vix  tamen^  quanta  isthinc  sum  assecutus  ^  me- 
reri  possem.  Sed  si  meam  cum  a  fortuna  occlusami  tum 
a  natura  negatam  alicujus  magni  ac  praeclari  operis  vim 
ac  facultatem  a^nosco  ^  nihil  quicquam  majus  hoc  tenui 
munere  ti  hi  unquam  ad  animi  grati  argumentum  dicare 
posse  videor.  Ea  est  Oratio  de  taetris  foedisque  stultitiae 
malis,  Quamnam  in  Domum  ea  facilius  admiltatur^  quam 
iuam?  cujus  famìliaris  laus  est  doctissimos  ac  sapientìs- 
simos  Reipuhlicae  viros  edere?  cui  nam  quam  tibi,  qui 
ex  amplissimis  Fratribus  germanis  tuis  id  vilae  genus  a 
puero  instituis  y  ut  ad  magni  illius  A  scarni  Philomarini  S.  R. 
E.  Cardinalisy  et  Neapolitanorum  Ponteficis  ^  Propatrui  tuiy 
exemplar  te  totum  conformes?  Indoles  id  promiitit,  spes 
fovety  institutio  sedulo  curai.  Tanta  enim  cura  et  diligen- 
tia  lectissima-y  atque  omnium  virlutum  genere  laudatissima 
Foemina  Camilla  Philomarina  Mater  tua  te  tuosque  fra- 
tres  educai  y  ut  non    majore  posset    Cornelia    Gracchoruni 


PARTE    I.    SCRITTI    SCIENTIFICI  85 

vialcr:  tanta  sedulìtate  assìduitatvque  eruditissimus  aeque 
oc  optìmus  vìr  Josephus  Scoppa  te  docet ^  ut  ìmpuhes  adhuc 
fquod  tccuni  saepe  ex  animo  gratular  :  auuni  ejus  forte 
absentìSf  aut  morbo  impediti  subeo  vìcesj  Poetas  HistO'- 
ricosque  latinos  jam  ferme  omnes  praelegeris  ;  et  imprimis 
Plautum,  Terentiumque  latinae  veneris  et  eleganliae  pa^ 
rentes  quam  familiarissinios  ìiabeas ^  et  mine  Cora.  Taciti 
succiplenam  brevitateni  degustes.  Itaque  tua  aetate  praeter- 
gressa  eruditione ,  tuisque  suavissimis  moribus,  et  maxime 
ista  tua  modestia  vere  ingenua  ac  liberali  omnes  allicis , 
omnes  capis,  omnium  studia  ^  nedum  adolescentum  y  quos 
aetas  potius  ^  quam  consilium  conciliat  ^  scd  gravissimo  rum 
aetate y  virlute  ac  sapientia  virorum  studia  in  te  conifertis, 
Quare  hoc  unum  de  te  votum  conci  pere  licet  y  ut,  qua  in» 
stituistiy  pergas  ^  quo  brevi  Te  virum  in  Chris tiano  terra-» 
rum  Orbe  praeclarissimum  videamus.  Habes  igitur,  cur  in 
tiiam  amplissimam  Domum  ,  Tibique  inscriptam  liane  Ora» 
tionem  induxi:  tuae  modo  fldei  est .  eani  foris  quoque  sa- 
pientissimo tuo  Pliilomarino  nomine  protutari.  Macte  virtù- 
tCy  j4dolescens  Generosissime,  et  omnem  humanam  aetalem 
vale.  Dat,  Neap.  hai.  decembris  An.  MDCcynr. 


O  RA  T I O 

(Desunl  nonnulla  ) 

Cum  haec  ita  sint,  et  tamen  humanam  natu- 
ram  in  nobis  absurdam,  minimeque  sibi  aptam, 
immo  piane  a  semetipsa  abhorrentem  sentiamus; 
bine  factum  est,  ut  veteres  si  ve  Vates  illi  sint, 
sive  in  sacris,  initiisque  tradendis  divinae  mentis 
interpretesj  quum  nos  ob  aliqua  scelera  in  vita 
superiore  a  nobis  in  nos  admissa  poenarum  caussa 
luendarum  natos  esse  dixerunt;  aliquid  veri  dixisse 
videantur.  Enimvero  poena,  et  quidem  omnium 
acerbissima  poena  est,  vita,  quam  stulti  degunt. 
Nec  vero  eam  pendunt  ob  illa,  quae  Tbeologi 
Poetae  comminiscuntur  delieta;  quae  cum  non- 
dum  essemus,  haudquaquam  admiltere  pol^jrucaus: 


^  PARTE    I. 

sed  quia  in  aeternam  illam  facimus  legem,  qua 
Deus  Optimus  Maximus  hanc  totius  Mundi  Civi- 
tatem  fundavit:  ut  omnia,  si  se  et  universi  Rempu- 
blicam  saivara  velint,  reliqua  creata  suam  cujusque 
naturam,  homo  vero  sapientiam  ducem  sequalur. 
Ejus  legis  tot  sunt  digito  omnìpolenti  praescripta 
capita,  quot  sunt  rerum  cv7ici.t  et  potestates.  Sed 
illud  quod  ad  rem  nostram  facit  de  homine  con- 
ceptum  recitemus.  Homo  mortali  corpore^  aeterno 
animo  esto:  ad  duas  res,  verum  et  honestum, 
sii^e  adeo  mihi  uni  nascìtor:  mens  verum  fai- 
sumque  cognoscito  :  sensus  menti  ne  imponunto: 
ratio  vitae  auspicium^  ductum  imperiumque  ha- 
beto:  cupidi tates  rationi  ancillantor:  ne  m^ns  de 
rebus  ex  opinione,  sed  sui  conscia  judicato :  neve 
animus  ex  libidine ^  sed  ratione  bonum  amplec^ 
titor:  honis  animi  artibus  aeternam  sibi  nominis 
claritudinem  parato  :  virtute  et  constantia  huma^ 
nam  felicitatem  indipiscitor.  Si  quis  stultus  sive 
per  luxum^  sive  perignaviam,  sive  adeo  per  im- 
prudentiam  secus  faxit^  perduellionis  reus  sibi 
ipse  bellum  indicito.  Lex  igitur,  quam  Deus  hu- 
mano  generi  sanxit,  sapientia  est.  Si  sapientiae  stu- 
diis  animum  adjungamus,  naturam  sequimur:  sin 
ab  ea  ad  stultitiam  traducamur,  a  nostra  decli- 
namus  natura,  et  in  eam  facimus  legem,  cujus 
sanctio  tam  exprompta  et  parata  ostentai  suppli- 
cia,  ut  repraesentatn  poena  sit  ipsa  fraus:  et  ne 
quam  carnifex  moram  faciat,  qui  damnatis  com- 
pedes,  manicas,  bojasque  constringat*,  in  crucia- 
tum  agat,  uncoque  trahat;  eam  a  semetipsis  poe- 
nam  tanta  diritate  exigunt,  ac  duricie,  ut  hodierno 
die  vobis  proponere  audeam  :  Hostem  hosti  infen- 
siorem  infestioremque^  quam  stultum  sibi  essene- 
minem.  A  vobis  modo,  lectissimi  Adolescentes,  qui 
beata  indole  a  stultitia  aversi  ad  sapientiae  studia 


SCRITTI    SCIENTIFICI  8^ 

aiiimos  appulistis:  a  vobis,  qui  sapientiam  pro- 
fitemini,  vos  quitlem  officiisj  Amplissimi  Patres, 
vos  autem  institutionibus,  doctissimi  Antecesso- 
res,  etiam  atque  etiani  rogo,  quaesoque,  ut  aequas 
mihi  praebere  ac  paratas  aures  ne  recusetis,  unice 
operam  daluro,  ut  quidquid  toedii  huic  Oratioiii 
verba  et  stylus  attulerit,  id  ipsum  gravitate  re- 
rum et  temporis  brevitate  leniatur. 

Et  quidem  possem  ex  omni  temporuni  memo- 
ria alroces  foedasque  hostium  clades  repetere,  sed 
quaenam  sunt  reruni  gestarum  historiae,  qui  anna- 
les,  qui  commeiìtarii,  in  quibus  non  ejusuiodi  multa 
dictu  gravia^ perpessu  aspera  legentibus  passim  pro- 
stent?  Ne  igitur  in  auctoribus  recitandis  sim  multus, 
vos,  quaeso,  trucem  ipsamac  terribilem  praeliorura 
imaginem  animo  conformate.  Ubi  imperatores  utrin- 
que  e  castris  eductis  et  in  acie  instructis  copiis 
pugnae  signum  dederunt;  et  confestim  sublato 
utrinque  clamore,  feroces  viri  concurrunt,  et  com- 
missum  proelium  ineuntj  quae  tum  infensa  infe- 
staque  in  cujusque  petetore  odia  excitantur?  quam 
inexorabiles  irae  effervescunt?  quam  infractus  au- 
daciae  cornes  furor  mentej  occaecat?  quam  impo- 
tens  occidionis  libido  animos  occupat?  Onnies  tru- 
ci atque  efferato  vultu  sibi  ultro  citroque  minan- 
tur  excidium:  quisque  ardentibus  oculis  paLentem 
in  hoste  vulneri  quaerit  locum;  pugnaci  petit  ma- 
nu;  infesto  transigit  ferro.  Si  alteri  repulsi  referunt 
pedem,  alteri  insistunt:  si  hi  ordinem  obtineant, 
illi  impetum  fliciunt;  utra  turbata  acie,  altera  in- 
gruit.  Ubi  stataria  rem  gerunt  pugna  stantes,  et 
conferti  vir  virum  neci  dedit:  ubi  circumducto 
agmine  praeliantur,  praetereundo  mutuas  sibi  dant 
clades:  aliis  occumbentibus  alii  ex  integro  pugnani 
ineunt:  si  qui  labore  et  vulneribus  fessi  cedunt,  re- 
centes   et  integri   restituunt  praelium.   Nihil  slu*- 


88  PARTE    I. 

dentj  nisi  caedein  Tacere:  iiiliil  affectantj  nisi  stra- 
ges  edere:  id  unum  gestiuntj  afferre  clades.  In 
vulneribns,  in  occidionibus  loti  sunt.  At  ubi  Vi- 
ctoria parta  est,  ibi  non  sine  ingenti  horrore,  luc- 
tuque  maximo  videre  est,  ex  victis  alios  trepi- 
doSj  aut  dissipatos  fugam  efFunderCj  et  in  ter  tu- 
giendum  misere  trucidari:  alios,  qui  in  vestigio  ca- 
dere maluerunt,  in  caesorum  strages  congestos, 
ut  quem  cuique  sors  aut  virtus  conjunxerat,  pe- 
ditesj  equilesque,  victores,  et  victos  animi  fero- 
ciam,  quam  baberent  in  vita,  in  vultu  retinentes 
jacere.  Videres  alios  in  pulvere  tabido  spiritum 
intercludere:  alios  ex  strage  media  nudantes  cer- 
vicem  jugulumque  victoribus,  eosque  obsecrantes, 
ut  reliquum  sibi  sanguineni  hauriant.  At  vero  hi 
vel  effera  ulciscendae  injuriae  libidine  in  eos  af- 
flictos  insultare,  et  objectare  probra,  vel  cupidi- 
tate  legendi  spolia  transilire:  ac,  ne  quid  sit  in 
mora,  aliis  poplites,  brachia  aliis  decidunt,  alios 
medios  diffindunt,  quo  ocjus  eos  minitantibus  ar- 
mis  vestibusque  despolient.  Ncque  enim  Victoria 
praeliorum  exitu  terminatur:  nam  mox  ad  agro- 
rum  vasti tatem,  urbiumque  direptiones  divertunt. 
Et  o  quam  foeda  tetraque  lieic  sese  ofFert  imago 
latitantium,  extrahentium,  fugentium,  assequentium, 
observantium,  irrumpentium;  trucium  inter  pavi- 
dos,  ferorum  inter  miseros,  et  ex  alienis  laetorum 
malis!  Omnia,  quocumque  oculos  animumque  con- 
vertas,  infensa,  hostilia  omnia:  morbo  afiecti,  con- 
fecti  senio,  honestae  matronae,  generosae  virgines, 
pueri  liberales  in  angiportubus,  in  conclavibus,  in 
intimis  aedium  penetralibus,  in  parentum  com- 
plexu,  ante  focos,  ante  aras,  omni  humanitate 
abacta,  omni  admissa  fandi  nefandique  licentia, 
vita  privantur,  spoliantur  fortunis,  bonis  omni- 
bus exuuntur.    Maxima   quidem  videntur  et  acer- 


SCRITTI    SCIENTIFICI  89 

bissima  tlaninuj  mala  et   exitia,   quae   bella  dare 
et  afferre  solent,    ita  ut   quivis    forti   robustoque 
animo    praeditus,   corum  vel   sola    imagiiie   luctu 
liorroreque  refugiat.  Sed  si  cui,  omni  erroris  ne- 
bulà  dissipata,  clarior  veritatis  Phoebus  afTulgeat, 
et  has  cum  iis  componat  cladibus,  quas  sibi  dat 
stuUus  secum  ipse  belligeransj  si  uUam  sensus  lia- 
beat  partem,  haec  longe  majora  esse  fateatur.  Ete- 
nim  quae  vulnera  infligere  solent  bostes,  ea  saepe 
et  majore  quidem  animi  sensu  a  cbirurgis  excipi- 
mus;  quas  li  inferunt  mortes,   eas^   nisi   vetarent 
id  leges,  saepe  in  mala  spe  positi  bomines   nitro 
sibi    consciscerent.    Urbe    spoliant?    at   facinorosi 
scientes  prudentesque  solum  vertunt.  Fortunis  pri- 
vant?  at  ganeones  nepotesque   per  luxum  eas,  et 
libidinem  prodigunt.  Libertatem  adimunL?  at  sunt 
perditi  bomines,    qui  ad    prelìum    partiendum  se 
venundari  patiuntur.  Gontra  vero  (attendite,  Au- 
ditores,  res  magna  est:  attendite,  res  vestra  est) 
contra,  inquam,  stultus  sibi  bellum  infert,  non  ar- 
mis,  quibus  punctim  aut  caesim  ferit,  sed  per  sum- 
mum  cruciatum  distrabitur.  Ea  vi  superatur,  qua 
vehementior  nulla:    ea    spoliatur   urbe,  quae  una 
est:  iis  privatur  fortunis,    quas    vel  Reges    expe- 
tunt:  in  eum  conjicitur  carcerem,  quo  nihil  acrius, 
nibil  tenebricosius:  in  ejus    redigitur   servitutem, 
cujus  omnium  saevissimum  est  imperium.  An  pu- 
tatis,  me  inopinata  magnifice  loqui?  non  ita  est, 
ita  me  Deus  amet,   non  ita   est:    vera    loquor  et 
quorum,  si  quis  beic  stultus  adesset,   quod  band 
puto,  si  is  modo  secum  babitet,  de  se  conjectu- 
ram  facere  posset.    Stultorum  arma  sunt  ettVenes 
animi  afiectus:  vis,   qua  superantur,   conscientia; 
urbs,   qua  spoliantur,  Mundus;    fortunae,  quibus 
exuuntur,  bumana  felicitasi  career,  quo  truduntur, 
corpus 5  domina,  cujus  iiuperio  subjiciuntur,  For- 


gO  PARTE    I. 

tuna.  Haec  igitur  siiigula,  duiii  aliquanto  araplius 
persequar,  quaeso  vos,  Auditores,  benigne,  idest 
vestro  de  more  audiatis.  Et  principio  quidem  atten- 
dile, quos  acerrimos  ad  versus  semet  hostes,  et 
quain  perniciosis  araiis  instruat  stultus.  In  ea  animi 
parte,  quae  rationis  est  expers  (comparatione  Phi- 
ìonis  ad  hanc  rem  apposita  utar),  duo  sunt  veluti 
equi,  irascens  unus^  alter  concupiscens:  ille  mas, 
haec  foemina:  ille  gestiens  animosus,  impotensj 
hic  fractus,  languidus,  deses;  ilio  animus  in  ar- 
dua atrociaqne,  hoc  vero  in  prodi  via  et  amoena 
fertur.  Ex  his  duobus  equis  non  secus  ac  ilio  Tro- 
janorum  equo  quot  inclusi  sese  exerunt  hostes! 
Etenim  ubi  semel  prava  cupiditas  alicujus  appa- 
rentis  boni  aniraum  stulti  incessit,  ibi  tum  omnium 
perturbationum  fons  et  origo  existit  amor:  si  bo- 
num  quam  longissime  absit,  desiderium  nascituri 
si  consequi  possit,  spes  erigitur:  si  praesens  sit, 
exoritur  gaudium:  si  ita  summum  reputatur,  ut 
in  eo  non  nisi  unus  excellere  possit,  zelotypia 
et  aemutatio  praesto  est:  si  ejus  copiam  alius  ha- 
beat,  nos  inopia  laboremus,  invidia  cietur.  At  ubi 
ejusmodi  fluxi  et  fucati  boni  compotes  fati  su- 
raus,  et,  detractà  persona,  res  manet,  quia  quod 
prius  bonum  videbatur,  mox  sub  specie  boni  la- 
tens  retegit  malumj  statini  odium  amori  contra- 
rium  succenturiabitur  :  ac  si  malum  longe  absit, 
fiet  ut  abominatio  et  fuga  expediatur:  si  prae- 
sens nos  premat,  tristitia  erumpat  et  dolor.  At- 
que  heic  confestim  cupiditati  irascibilis  appetitus 
opportunam  fert  opem.  Etenim  ad  malum  depel- 
lendum  excitat  iram:  quod  si  vincere  posse  pu- 
tet,  armat  audaciam:  si  de  Victoria  desperet,  ite- 
rum  cupiditas  ingruit;  et  si  malum  mediocre  sit, 
taedium,  si  summum,  ad  stultum  debellandum, 
stuporem  etiam  educit.    Ducunl  agmen  appetitus 


I 


SCRITTI    SCIENTIFICI  ^P 

et  fuga;  mediani  tenet  aciem  gaudium,  est  in  sub- 
sidiis  dolor.  His  hostibus  stulti  animus  impetitus 
astat,  timetj  gaudet  doletqiie.  Sed  quia  arte  vi- 
tae  sapientiam  non  calici ,  fluxa  vota,  timores  ir-*' 
riti,  mala  mentis  gaudia;  soli  dolores.  Si  quidem 
optant  Adolescentes  unguenta ,  coroUaSj  convivia: 
sed  in  his  subest  animis  aliquid,  quod  lotam  po- 
stea  rationem  vitae  conturbat.  Optant  Juvenes  glo- 
riam,  sed  quae  exquisita  et  affectata  Varrones  Gan- 
nensi  clade  deturpet.  Optant  viri  potentiam,  sed 
quae  virtute  non  moderata  trahit  unco  Sejanos. 
Optant  senes  divitias,  sed  quae  mentis  non  partae 
Crassos  pessundant.  Optant  decrepiti  longaevam 
vitam,  ut  senii  incommoda  sentiant,  et  suorum 
funera  videant.  Timent  quidem  insipientes,  sed 
quae  nihilo  metuenda  magis  sunt,  quam  quae  pueri 
in  tenebris  pavere  solent:  et  vertunt  terga,  queni- 
admodum  liostes,  quos  actu  pecorum  pulvis  su- 
blatus  exuit  castris.  Quamobrem  eos,  scita  transla- 
tione,  majusculos  pueros  Senecav  ocat:  quibus  post 
juventam,  canosque,  non  pueritia,  sed  quod  gra- 
vius  est,  puerilitas  manet.  Timent  enim,  ne  quid 
sibi  detrahatur  honoris;  qui  re  ipsa  in  honoran- 
tibus  est:  timent,  ne  quid  patrimonii  atteratur; 
quod  revera  est  in  bonis  Fortunae  :  timent,  ne 
supremum  properet  fatum  ;  quod ,  si  sanguinis 
guttula  in  sinistro  cordis  ventriculo  subsistat,  im- 
minet repentinum.  Gaudia  vero stultorum  (sitameli 
gaudia  appellanda  sint,  et  non  potius  integratio- 
nes  doloris)  quam  perfunctoria!  quae  non  perpe- 
tua hilaritas,  sed  subita  dift'usio  consequitur.  Ete- 
nim  ea  animi  pars,  quae  ratione  praedita  est,  et 
stultis,  ut  ila  dicam ,  pene  nomine  relieta,  su- 
spicit  quandoque  Archimedem  inter  Syracusarum 
direptionem  in  erudito  pulvcre  geometricarum  apo- 
dixium  suavitale  occupatum  teneri:  admiratur  Sci- 


9^  PARTE    Vrr^'^*?- 

pionempost  Carthaginenieversam  prò  ingrata  Roma 
libentissime  Linterni  villulam  commutare,  et  per 
summam  animi  tranquillitatem  inter  Literas  abdi- 
tum,  et  sua  ipsius  virtute  iuvolutum,  vel  sapien- 
tiae  studiis,  vel  memoria  rerum  praeclarissime  a 
se  gestarum  delectari.  Adeo  enira  gratiosa  est  vir- 
tus,  ut  insitum  etiam  sit  improbis,  probare  me- 
liora.  Sed  quid  tum?  gravissimum  illud  sentiunt 
malum,  quod  stultis  Poeta  grandiloquo  ore  im- 
precatur : 

Virliitem  ut  videant,   intabescantque  relieta. 

Quandoquidem  ratio  a  virtutis  pulchritudine , 
ad  quam  nata  est,  commota  arripit  affectuum,  et 
perturbationis  habenas.  Sed  nequicquam:  etenim 
aut  a  refractariis  equis  instar  Homerici  Hectoris 
raptatur,  aut,  quoniam  nescit  fines, 

Quos  ultra  citraque  nequit  consistere  rectum, 

vel  vehemens,  dum  aliqua  devitat  vitia,  currit  in 
contraria;  vel  a  seipsa  dissidens,  laudat  virtutes, 
vitiis  obsequitur.  Et  ne  timidus  audiat,  audacium 
fert  praemia,  injurias  et  contumelias:  ne  audax, 
omnia  tuta  timet:  ne  avarus  habeatur,  rem  om- 
nem  prodigit:  ne  prodigus,  a  congesta  pecunia 
tanquam  a  Sacro  abstinet,  et  suum  genium  de- 
fraudat.  Itaque  in  omni  vita,  vel  cupiditatibus  tre- 
pidat,  vel  voluptatibus  insanit,  vel  curis  aerumnis- 
que  conficitur.  His  suppositis  flammis,  bis  admotis 
arietibus,  pluteisque  stulti  animus  oppugnatur.  Qua 
vi  expugnatur  tandem?  qua  nemo  se  protegere  po- 
testi vitae  inter  vitia  traductae  conscientià.  Haec 
diras,  haec  intemperias  ciet,  quae  stultum  tenent 
et  agitant.  Lubet  eos  oculis  videre  jactatos?  Spec- 
iale :  stulti  vita  semper  ingrata,  semper  trepida  est; 
semper  is  sibi  dissidet,  secumque  pugnai:  semper 


SCRITTI    SCIENTIFICI  93 

fastidio  sui  laboratj  suique  taedet,  ac  poenitet. 
Nunquam  ei  velie  ac  iiolle  decretum  est:  variat 
quotidie  jiidicium,  vertitque  in  contraria:  sua  de- 
spicitj  aliena  miratur^  et  ut  Plautini  Alcerimarchi^ 

i 

.  .'.  ubi  est,  ibi  non  est;  ubi  non  est,  ibi  est  animus: 

semper  apud  se  caussam  dicit,  et  se  condemnat  : 
semper  foris  est 5   nunquam  secum  habitat:   nova 
commutans  loca,  nova  obiens  munia,  novam  vitae 
rationem   instituens,    novas   spes   etiam   in  exitu 
inchoansj  semper  se  fugit.  Tabbus  stulli  oppugnati 
armis  j  tanta  vi  debellali  quam  amplissima  et  pul- 
cberrima  privantur  urbe?  Ea  nimirum,  quam  non 
aratro  designati  ambiunt    muri  ;    sed  Jlammantia 
coeli  moenia  circumdant:  quae  non  mutabili  lege 
fundata  est,  sed  aeterno  regitur  jure:  in  qua  non 
municipale   sacrum,    sed   coelum ,    sydereum  Dei 
Opt.  Max.   templum    reseratur:   cujus   Theatrum, 
terrae  patent;  Thermae  maria;   stadia  solis  viae. 
Ejus   urbis    civitas   nonnisi   Deo ,    sapientibusque 
communis  est:    quando    ejus   juris  communionem 
non  principali  beneficio,   non  liberis,  non  nave, 
non  mibtià  homines,  sed  sapientià  consequuntur. 
Etenim  (attendile   per  vestram   fidem  )    jus,    quo 
haec  maxima  Civitas  fundata  est,  divina  ratio  est 
loti  Mundo   et  partibus  ejus  inserta,  quae  omnia 
permeans  Mundum   continet   et   tuetur.    Haec  in 
Deo  est,  et  Sapientià  divina  dicitur;    a   solo  sa- 
piente cognoscitur,  et  sapientià  humana  appella- 
tur.  Quis  igitur  non,  quod  olim  Mutius,  Cwis  Ro- 
manus  sum,  sed,  quod  multo  est  grandius,  ma- 
gnificentiusque.  Mundi  ci  vis  sum,    potest  dicere, 
nisi  solus  sapiens,   qui  de  rebus  superis,    inferis- 
que,  divinis,  humanis,  universis  vera  cogitare  et 
disserere  sciat?  Quis  nisi  sapiens,  prò  tantae  Gi- 
vilatis  cive   se   probare   potest,    qui   Naturae    et 


94  PARTE    f. 

universi  Legem  novit  ac  servai?  quae  res  ejus 
Reipublicae  jura  Deo,  hotninibusque  communicat? 
Perfecta  ratio,  qua  Deus  cuncta  operaturj  sapiens 
cuncta  intelligit.  Quae  res  honiinum  curn  Deo  ne- 
cessitudines  conciliat?  Veritas,  quae  ab  unis  sa- 
pientibus  sese  vestigari  sinit:  et,  ut  graecum  notat 
nomen,  circa  Deum  versatur.  Quae  res  homines 
Dei  similes  facit?  Virtus,  qua  freti  Stoici  nimis 
superbe  de  sapiente,  nimis  abjecte  de  Deo  dis- 
serentes  illud  7:apadc-rcu  statuunt,  quod  vere  in 
narjo'j.cycv  abit:  quod  eadem  res  sapientem  efìSciat, 
quae  Deum,  nempe  virtus,  nulla  re  praeterea,  nisi 
immortali  tate,  quae  nihil  ad  bene  vivendum  per- 
tinet,  cedens  caelestibus.  Dicamus  id  magis  sic, 
et  verius  graviusque:  una  re  nos  Deus  sui  simi- 
les reddit:  virtute,  qua  nedum  humanae,  sed  cura 
caelestibus  etiam  aeteruae  nos  corapotes  facit  fe- 
licitatis.  Magna  stulti  Givitate  privantur:  magnis 
item  necesse  est,  ut  spolientur  opibus  ac  fortu- 
nis.  Quibus,  rogabitis?  Felicitale.  Nam  omnibus 
quidem  hominibus  natura  insitum  est,  ut  beatam 
expetant  vitam.  At  vero  stulti,  dum  illam  petunt, 
fugiunt:  quandoquidem  cum  beatae  vitae  surama 
sit  vera  bilaritas,  solida  tranquillitas,  inconcussa 
securitas;  ii  solicitudinum  caussas  colligunt,  et 
per  insidiosum  iter  longius  ab  eo,  quod  petunt, 
semper  abscedunt:  et  in  Labyrintbo  properantiura 
instar,  sua  ipsorum  velocitate  se  implicant.  Quid 
ita?  quia  eos  deficit  perfecta  virtus;  hoc  est  ae- 
qualitas  ac  tenor  vitae  per  omnia  sibi  constans: 
quod  fieri  nullo  pacto  potest,  nisi  rerum  scien- 
tià  prudentiàque  contingat.  Etenira  humanae  vi- 
tae propositum,  et  appetendorum  ultimum,  quo 
potiti  nihil  ultra  petimus,  vel  egemus,  et  quo  uno, 
utpote  ad  id  natus  animus,  consummatur,  est  certa 
scire,  recta  operari,  atque  ilio  contemplari,  hoc 


SCRITTI    SCIENTIFICI  9^) 

imitali  Deum.  Ubi  semel  inter  haec  studia  sapiens 
versatuFj  eo  gaudio  ejus  vita  perfunditur,  cujus 
iiidivisae  sunt  comites,  conscientiae  tranquillitas , 
innocentiaeque  securitas.  Scientia  enim  praestat, 
ut  sapiens  animum  deducat  a  corpore,  et  multum 
cum  meliore  ao  divina  parte  versetur;  et  cum 
hac  querula  ac  fragili,  quantum  necesse  est.  Ita- 
que  rerum  vestigans  caussas,  mente  Deum  adit; 
et  bis  cogitationibus  oblectatur  et  pascitur.  Recta 
vitae  institutione  agnoscit  in  nobis  esse  appetitio- 
nem  et  fugam,  virtutem  et  vitia:  extra  nos  cor- 
pus, opesj  gloriam  :  agnoscit,  quae  in  nobis  sunt, 
natura  sua  libera  et  propria  esse:  extra  autem 
posila  serva  et  alieni  juris.  Quamobrem  ita  se 
conformat,  ut  quidquid  ex  Dei  constitutione  nos 
pati  necesse  sit,  id  magno  animo  excipiatur.  Ad 
hoc  sacramentum  se  adactum  intelligit;  ferre  mor- 
talia,  nec  perturbari  bis,  quae  vilare,  nostrae  po- 
testà tis  non  est.  Itaque  ab  celsa  mentis  veluti  arce 
orane  Fortunae  regnum  despectat,  et  veluti  sum- 
musOljmpi  vertex  humanorum  casuum  ventos  nu- 
besque  superai.  Tot  tantisque  stultus  spoliatus 
fortunis,  liberiate  etiam,  justi  jure  belli,  privatur; 
liberiate,  inquam,  quae  non  vindictà,  aut  pileo 
donari  solet  a  dominis,  sed  quam  praestat  sua 
manumissione  sapientia.  Hic  in  arctum  iruditur 
carcerem  asservandus  multis,  spissìsque  tenebris 
circumtextum,  et  borroribus  undique  circumfusum. 
Nulla  ibi  rimula  hiat,  per  quam  lucis  radius  pe- 
netrare possit.  Nullus  ei  verus  Triumvir  praeestj 
nullus  fidus  ad  ostia  custos,  qui  extrinsecus  aliata 
ex  bona  referat  fide.  Credo  equidem ,  vos  jamdu- 
dum  tenere,  quae  dicam.  Tenebricosus  career  est 
corpus:  Triumviri,  opinio,  falsitas,  error:  Gusto- 
des,  sensus:  qui  in  pueris  acerrimi,  in  senibus 
hebetes,  et  in  omni  vita  pravis  affectionibus  cor- 


\ 

96  ^  PARTE    K''»T'»^. 

ruptissimi.    Qiiivis   nervorum  morbus,    quodlibet 
organorura  vitiutn,  quicumque  appetilus,   intem- 
perantia  eos  corrumpit   et  labofactat.    Quid?    di- 
versae  corporurn  compagesj  quarti  diversa,  immo 
contraria  ingenia  induunt?  Amor  vero  quam  miris 
modis  vim  imagines  conformandi  distorquet?  quam 
miris  odium  depravat?    Qui   amant,    dominarum 
vitia,  tanquam  virtutes  exosculantur:  qui  oderint, 
^tanquam  vitia,  virtutes  abhorrent.    Hinc  illi  opi- 
nionum,  quibus  jactantur,  fluctus;  illi  studiorum, 
quibus  submerguntur,    Euripij    illi   errorum  sco- 
puli, in  quos  impingunt.  Gumque  nesciant,  quam 
alti  rebus  termini  baereant^   et  quid  fieri  possit, 
quid  secus,    ignorent:    atque    adeo   non    habeant 
gubernaculum  vitae  sapientiam,  sed  fortunae  corn- 
mittant:    a  qua  dum  sacerrimis  habentur  modis, 
iilas  voces  per  summum  animi  dolorem  emittunt: 
non  putabam  :  spes  me  frustra  habuit  :  hoc  mihi 
restare  nesciebam.    O  quam  vere  cor,  et  pupula 
sapientum,  o  quam  vere,  Plato  dixisti:    omnium 
ferocissimum  animai  esse  hominem  stultum!  Nam 
quae  major  ferocia,    quam   ad  versus   semetipsum 
tam  infandum  bellum  indicere?    in    horas    a    sua 
ipsius  conscientia  sub  jugum  per  summam  turpi- 
tudinem  agi  ?  in  tam  amplissima  urbe  nullum  ca- 
put habere?  fortunis  privari,  quae  unae  propriae 
sunt?  carcere  tam  duro  asservari,  quem  non  po- 
test  infringere?    a  saevissima  Domina  non  perfu- 
gere  ad  aram  Sapientiae?  Eja  agamus  hoc  tandem: 
et  nosmetipsos  respiciamus^  nos  nostri  misereatj 
et  sanctum  nobiscum  ipsis  paciscamur  foedus.  En 
-Foeciales  ad   id  feriendum   parati:    heic  adsunt, 
ut  nobis  verbis  praeeant:  sequamur  igitur.  Et  illi 
pareamus  Naturae  legi,    quae   jubet,    ut   quisque 
sibi  constet.  Facilis  est,  nam  ingenita:  benigna, 
quia  Natura  ... 


SCRITTI    SCIENTIFICI 


LETTERA  DEL  DUCA  DI  LAURENZANO 


97 


Pedimonte,   i4  febbrajo  1784. 

Essendo  terminato  di  stamparsi  un  mio  libro  sopra 
il  buon  uso  delle  umane  passioni,  che  per  mio  trat- 
tenimento mi  posi  in  animo  di  scrivere  (i),  ho  sti- 
mato di  non  potergli  dare  spaccio  più  onorevole,  che 
mandarne  le  copie  nelle  mani  de' letterati  uomini  della 
nostra  patria:  non  già  perchè  io  intenda  di  mettere 
sotto  i  di  loro  occhi  cosa  di  molto  pregio,  ma  affin- 
chè riceva  presso  di  loro  quel  lume  e  schiarimento  che 
da  sé  stesso  non  potrebbe  conseguire.  Per  lo  cui  effet- 
to, ed  in  significazione  della  singolare  stima  che  io 
sempre  mi  ho  coltivato  nell'animo  della  persona  di 
V.  S.,  glie  ne  fo  giungere  dieci  di  esse  copie,  una  per 
lei,  e  air  altre  nove  la  priego  di  far  ottenere  la  me- 
desima sorte  in  dispensandole  alletterati  suoi  amici  per 
testimonianza  della  mia  attenzione,  che  sempre  mai 
avrò  per  li  meriti  di  ciascheduno,  e  spezialmente  per 
quello  di  V.  S.  a  cui  mi  esprimo,  ec. 


AL  DUCA  DI  LAURENZANO 

Napoli,  I  marzo  1734» 

Rendo  infinite  grazie  a  V.  E.  del  preziosissimo 
dono  eh'  ella  ha  degnato  farmi  della  Signoril  Mo- 
rale che  ha  scritto  a'  signori  suoi  Nipoti,  il  quale 
mi  è  giunto  adorno  di  tre  onorevoli  circostanze, 
e  d'essere  accompagnata  da  vostro  gentilissimo  fo- 
glio, e  d'avermi  fatto  rendere  l'un  e  l'altro  per  le 
pregiate  mani  del  signor  Abate  Giovo,  e  di  avervi 

(i)  Parla  de' suol  Jiuertimenii  intorno  alle  passioni  dell* a» 
ninio^  pubblicali  Panno   1733. 

Vico,  Ofju^culi.  7 


98  "  PARTE    I. 

uniti  nove  altri  esemplari  de'  quali  io  mi  fossi  ono- 
rato co'  miei  signori  ed  amici.  In  leggere  il  tito- 
lo j  mi  si  è  rappresentato  l'eroico  romano  costu- 
me j  col  quale  i  zìi  educavano  i  lor  nipoti,  di  che 
è  quel  motto  di  Giovenale,  quuni  sapimus  pa- 
truosj  mi  venne  innanzi  Cicerone,  il  qual  ricco 
di  matura  sapienza  così  riposta  di  gran  filosofo, 
come  civile  di  gran  politico,  scrisse  gli  aurei  li- 
bri degli  Ufficj  al  suo  unico  diletto  figliuolo.  In  ad- 
dentrarmi nell'Opera  ho  ammiratola  vostra  eru- 
dizione e  dottrina  tanto  delle  antiche  quanto  delle 
moderne  Filosofie,  e  i  varj  nuovi  subhmi  lumi  de' 
quali  e  quelle  e  queste  illustrate.  Pone  l'È.  V.  la 
virtù  nella  moderazione  delle  passioni,  ed  in  ciò 
ho  scorto  che  non  l'irrigidisce  con  gli  Stoici  che 
ne  facciano  disperare  le  pratiche,  né  la  rilascia 
con  Epicuro  che  ne  apra  un  vii  mercato  a  chiun- 
que ne  vogha  a  suo  capriccio  le  opinioni:  ma  la 
sente  con  Platone,  dalla  cui  Accademia  quanti 
scolari,  tanti  uscirono  famosi  capitani  e  politici;  la 
sente  con  Aristotile  che  seppe  formare  un  grande 
Alessandro.  E  mi  ha  confermato  in  ciò,  che  io 
sempre  ho  osservato  vero,  che  quando  scrivono 
uomini  i  quali  o  per  signoria  o  per  cariche  hanno 
gran  parie  nelle  repubbhche,  sempre  danno  opere 
sostenute  dalla  rehgione  e  dalla  pietà.  Né  in  vero 
libri  perniziosi  agli  Stati  sono  usciti,  che  da  au- 
tori o  della  vii  feccia  de'  popoli ,  o  malcontenti 
de'  loro  stati.  Lo  stile  poi,  il  quale  dipigne  al  vivo 
la  natura  degli  scrittori  con  una  splendida  frase, 
dappertutto  spira  una  nobiltà  generosa,  qual  é  pro- 
pria della  vostra  grandezza;  onde  aveva  la  ragione 
il  dottissimo  cardinale  Sforza  Pallavicino,  che  ove 
lodar  voleva  alcuno  scrittore  dallo  stile  (  di  cui 
scrisse  un  hbro  piccolo  di  mole,  ma  di  gran  pe- 
so), diceva:  scrive  da  signore.  Perchè  certamente 


SCRITTI    SCIENTIFICI  gg 

se  si  faccia  il  calcolo  de' libri  di  conto  che  han 
sofferto  la  lunghezza  de' tempi  j  si  troverà  che  le 
tre  parti  sono  stati  scritti  da  uomini  nati  nobiH, 
appena  la  quarta  da  nati  bassi.  Finalmente  nelle 
vostre  luminose  Canzoni  mescolate  d' un' aggrade- 
vole gravità,  nelle  quali  uscite  talvolta  secondo 
il  proposito  delle  materie  che  ragionate,  mi  è  pa- 
ruto  di  leggere  nella  nostra  favella  Boezio ,  il  Pla- 
ton cristiano,  che  sovente  raddolcisce  la  conso- 
lazione della  Filosofia  co'  dolcemente  istruttivi  versi 
che  vi  tramezza.  Felici  gli  Eccellentissimi  vostri 
Nipoti ,  i  quali  son  formati  ad  una  signorile  virtù 
con  la  voce  e  con  l'esemplo  di  V.  E.  dottissimo 
e  virtuosissimo  principe  I  Laonde  mi  rallegro  con 
la  nostra  patria,  che  nella  degnissima  vostra  per- 
sona vede  un  gran  raggio  di  quella  luce  della  quale 
rifulse  ne' beatissimi  tempi  degl'incliti,  in  parte  vo- 
stri, re  Alfonso  e  Ferdinando  d'Aragona,  quando 
quasi  quanti  erano  grandi  signori  del  Reame  di 
Napoh,  tanti  erano  gran  letterati,  tra'quah  un  Dio- 
mede Carafa  conte  di  Maddaloni  in  bel  latino  scrisse 
dell'Educazione  de' fìghuoli  de' sovrani  principi:  mi 
rallegro  con  la  nostra  età,  che  personaggio  di  tanto 
alto  stato  sostenga  la  cadente  riputazion  delle  let- 
tere, che  altrimenti  anderebbe  a  rovinare  con  la 
moda,  la  quale  V.  E.  in  questi  stessi  hbri  con- 
danna j  e  consolo  finalmente  la  mia  ostinata  av- 
versa fortuna,  che  senza  alcun  mio  merito  per 
vostra  generosità  mi  vegga  di  tanto  dall'  E.  V. 
onorato,  a  cui  rassegnando  tutto  il  mio  ossequio, 
mi  confermo,  ec. 


100  PARTE    I. 


AL  SIGNOK  D.  NICCOLO  GIOVO 


(.Senza  data) 

Rendo  infinite  grazie  a  V.  S.  lUuslrissima  del 
prezioso  dono  che  mi  ba  mandato  della  Signoril 
Morale  che  T  Eccellentissimo  signor  Duca  di  Lan- 
renzano  ha  dato  alle  stampe,  scritta  a'  di  lui  si- 
gnori Nipoti,  il  quale  mi  è  giunto  adorno  di  tre 
bellissime  circostanze:  una  di  essere  accompagnato 
da  un  di  lui  gentilissimo  foglio;  l'altra  di  avervi 
uniti  dodici  altri  esemplari,  de' quali  io  facessi 
dono  a' degni  miei  signori  ed  amici;  la  terza  ed 
ultima  di  essermi  pervenuti  per  mezzo  vostro  con 
altra  vostra  pregevolissima  lettera.  Io  ne  ho  pro- 
fessato al  signor  Duca  i  dovuti  obblighi  con  una 
mia  a  lui  indiritta ,  nella  quale,  perdi' egli  come 
saggio  e  grave  non  ama  lode  se  non  quella  che 
risuoni  lontana  dalle  sue  orecchie,  gli  ho  con  po- 
che e  generali  parole  dilicatamente  lodato  tal  sua 
bell'Opera.  Talché  mi  rimane  ora  con  V.  S.  Il- 
lustrissima tutta  la  libertà  di  dirne  con  chiarezza 
i  miei  sentimenti. 

E  questa  è  una  delle  due  grandi  utilità  che 
ForgogHo,  il  quale  è  proprietà  de'nobih,  arreca 
per  la  gloria  delle  nazioni,  che  quello  come  gli 
avvalora  a  fare  delle  imprese  magnanime  nelle 
guerre,  così  ov'essì  sieno  ben  avviati  per  la  strada 
del  sapere,  li  mena  a  scrivere  opere  distinte  in 
materia  di  lettere.  Cospirano  a  ciò  quelle  due  al- 
tre ragioni:  una  che  i  nobiH,  come  osservano  i 
soli  sommi  re  nella  maniera  del  vivere,  così  guar- 
dano i  soli  principi  de' dotti  in  quello  ancor  dello 
scrivere;  e  l'altra  è,  perchè  stimano  di  dar  essi 
lustro  alla  letteratura,  e  perciò  non  scrivon  opere 


SCniTTI    SCIENTIFICI  lOl 

per  raccogliere  gli  applausi  del  basso  volgo,  molto 
meno  per  fine  di  vii  guadagno;  per  le  quali  ra- 
gioni tutte  datemi  gli  scrittori  nobili  dotti,  che 
le  lor  opere  non  possono  essere  ch'eccellenti. 

Mi  rallegro  con  la  nostra  età,  che  un  signore 
di  cotanto  alto  stato  rinno velli  gli  studj  d' intorno 
all'uomo,  il  quale  contemplato  per  tutti  gli  aspetti 
della  vita  morale,  famigliare  e  civile,  fa  la  mate- 
ria perpetua  della  sapienza  greca  più  sana  e  ro- 
busta, e  della  romana,  quando  questa  si  diede  a 
studiare  e  scrivere  sulla  greca,  e  di  quella  d'I- 
talia nel  cinquecento,  nel  qual  secolo  tutta  fer- 
vette in  ricoltivare  tal  sapienza  romana  e  greca: 
onde  in  tali  tempi  tutte  e  tre  queste  nazioni  sfol- 
gorarono di  sublimi  Filosofi,  Poeti,  Storici  ed  Ora- 
tori; i  quali  studj  oggi  si  sono  affatto  abbando- 
nati, perchè  il  genio  del  secolo  si  disgusta  di  rin- 
contrarsi nelle  idee  ottime  della  vita:  onde  si  è 
dato  tutto  a  coltivare  studj  che  più  dilettino  le 
menti,  che  perfezionino  gli  animi,  e  che  quanto 
facilmente  rendon  paghi  gli  studiosi  entro  le  so- 
litudini, tanto  li  rendono  insoavi  nella  conver- 
sazione civile. 


LETTERA  DI  M.  MUZIO  GAETA  ARCIVESCOVO  DI  BARI 

Bari,  24  agosto  1737. 

Avendo  avuto  per  le  mani,  ha  gran  tempo,  una 
certa  mia  fantasia  che  molto  abbraccia,  vorrei  final- 
mente vedere  per  via  di  un  occhio  più  sottile,  quanto 
ella  stringa  e  quanto  vaglia  ^  e  dopo  molti  pensieri ,  ho 
deliberato  di  ricorrere  a  V.  S.  Illust. ,  come  quella  che 
so  che  non  solo  sa  l'Istoria,  ma  ha  la  scienza  delle 
cose^  e  di  questa  condizione  dev'essere  il  giudice  mio, 
se  la  cosa  che  ho  pensata  è  di  questa  qualità ,  e  di 
modo  che  dà  nel  troppo,    perche  cerca   ristringere   le 


I02  '*         PARTE    I. 

molte  verità,  anzi  tutte,  in  una  sola  e  semplicis- 
sima verità  che  di  tutte  è  principio.  Il  materiale  Pho 
preso  da  due  gran  maestri ,  siccome  è  S.  Agostino  e 
Cicerone^  se  dal  primo  ho  ricavato  la  dottrina  delle 
cose,  dal  secondo  la  dottrina  delle  parole  per  com- 
porre uno  stile  anche  metafisico,  siccome  è  quello  dì 
Cicerone ,  e  uno  stile  insomma  che  abbracciasse  la 
maestà  latina,  e  l'amenità  e  semplicità  toscana  o  ita- 
liana. Per  ora  non  vorrei  dirle  plìi ,  per  non  dirle 
troppo,  e  per  avere  il  gran  piacere  e  vantaggio  di 
sperimentare  s'ella  indovina  i  miei  pensieri,  per  ac- 
certarmi se  io  gli  ho  spiegati  abbastanza.  Pregherò 
dunque  solo  la  gran  perizia  e  bontà  di  V.  S.  Illustris- 
sima a  prendersi  questa  gran  briga  per  favorirmi  con 
suo  comodo,  ed  a  scusarmi  insieme  se  io,  per  la  prima 
volta  che  la  prego,  la  preghi  d'impicci^  ma  tanto  sarà 
maggiore  il  suo  favore  e '1  mio  obbligo,  e  questo  sarà 
massimo  quanto  piìi  ella  magistralmente  deciderà  la 
lite  del  sì  e  no,  che  nel  capo  mi  tenzona,  perchè  il 
soggetto  è  strano ,  P  oggetto  è  vastissimo ,  e  '1  genere 
della  scrittura  è  novissimo:  tutte  cose  che  han  fatto 
girar  il  capo  ad  altre  teste  della  mia  per  il  vario  sen- 
timento del  senso  comune.  Or  io  mi  metto  in  buone 
mani,  giacch'ella  nella  nostra  stagione  ha  tentate  gran 
cose  che  saran  semi  di  moltissime  e  importantissime 
cose^  sicché  a  lei  son  ben  note  le  vie  non  calcate  da 
altri.  La  prego  insomma  e  la  riprego  a  leggere  e  ri- 
legger tutto,  prima  scorrendo,  poi  esaminando  e  poi 
censurando  ogni  cosa  in  generale,  e  in  particolare  della 
mia  piccola  Opera  che  le  mando  con  questa,  che  va 
a  lei  come  va  il  discepolo  a  scuola  del  suo  maestro. 
Raffermando  a  V.  S.  Illustrissima  tuttavia  l'antica  stima 
che  sempre  ho  fatta  del  suo  gran  merito  e  gran  sa- 
pere, non  farò  altro  ora  che  accertarla  del  grande  ob- 
bligo che  mi  rimarrà  di  soddisfare  al  particolar  favore 
del  dottissimo  e  sincerisslrao  suo  giudizio ,  che  io  con 
desiderio  attendo*,  e  così  resto  con  molta  osservanza 
e  volontà  di  servirla,  dichiarandomi,  ec.  (i). 

(i)  Si  è  perduta  la  risposta  di  Vico  a  questa  prima  lettera 
del  Gaeta. 


I 


SCRITTI    SCIENTIFICI  Io3 


DEL  MEDESIMO 


Bari,  28  settembre  1737. 

Lette  le  stimatissime  lettere  di  V.  S.  Illustrissima ,  e 
vedendole  piene  e  traboccanti  di  sapere  e  di  bontà,  mi 
sono  insieme  consolato  e  confuso  ^  tuttavia  lodando  e 
ammirando  la  sua  gran  mente  e  la  sua  gran  cortesia, 
per  aver  così  sollecitamente  Ietta  e  compresa  la  mia 
Opera ^  la  quale,  se  ben  picciola  di  mole,  contiene  molte 
delle  più  universali  e  prime  verità  che  richieggono  tempo 
e  riflessione  particolare  per  formarne  il  retto  giudizio 
che  assai  vantaggioso  ne  dà,  e  che  fa  pigliar  animo 
alla  mia  ragione  che  stava  nel  gran  dubbio  di  unirsi 
alla  mia  fantasia,  che  confesso  schiettamente  si  lusin- 
gava di  aver  conseguito  il  gran  fine  a  cui  ella  si  è  ci- 
mentata ,  col  disegno  di  mettere  in  piìi  chiarezza ,  col 
motivo  della  chiara  virtù  del  gran  Papa  Benedetto  XIII, 
le  verità  prime  e  più  principali,  dalle  quali  nascono 
tutte  V  altre  verità.  E  promettendomi  V.  S.  Illustrissima 
di  voler  con  più  agio  esaminarne  tutto  meglio,  consi- 
derandola assai  occupata  per  me  in  questo  esame,  pen- 
sai di  non  aggiungere  nuove  brighe  a  questa  briga, 
col  ringraziarla  prontamente  con  altre  mie  lettere,  per 
farlo  meglio  e  in  miglior  modo  e  più  pienamente  in 
tempo  a  lei  più  sbrigato^  pregandola  prima  a  compa- 
tirmene, mi  permetta  ella  che  oramai  almcn  le  dica 
che  intendo  di  farlo  con  quella  maggiore  vivezza  che 
conviene  al  suo  gran  merito  e  cortesia,  e  al  mio  gran 
debito  che  anderà  crescendo  con  lei ,  giacché  mi  fa- 
vorisce e  mi  dovrà  favorir  tuttavia  per  far  uscir  alla 
luce  (col  divin  favore)  quest'Opera  con  più  splendi- 
dezza e  lustro,  che  certamente  le  darà  la  sua  mente 
e  '1  suo  nome  chiarissimo  ^  verso  il  quale  mi  cresce  il 
gran  conto  che  sempre  ne  ho  fatto,  quando  rifletto 
d'  aver  ella  in  poche  ore  comprese  quelle  cose  per  le 
quali  a  me  sono  bisognati  più  anni^  avendo  fino  ella 
pescato  il  mio  disegno  di  cercar  d'imitare  Io  stile  de- 


I04  PATITE    I. 

gli  antichi  Filosofi,  e  specialmente  Platonici,  dietro  alla 
scorta  di  o.  Agostino  e  di  Cicerone.  Starò  dunque  at- 
tendendo con  molto  desiderio,  ma  con  tutto  il  comodo 
di  V.  S.  Illustrissima,  il  suo  intero  giudizio,  e  molto  più 
la  sua  dotta  censura^  la  quale  tanto  più  desidero  li- 
bera e  liberale,  quanto  più  ho  buona  ragione  di  cre- 
dere che  in  questa  maniera  la  mia  scrittura  possa  ri- 
purgarsi da  quei  difetti  che  sempre  scorrono  e  nella 
sentenza  e  nella  elocuzione,  e  specialmente  nelle  cose 
metafisiche  ed  astratte^  nelle  quali  non  è  cosi  agevole 
usar  chiarezza  che  principalmente  richieggono,  e  net- 
tezza e  bellezza  di  dire^  tanto  più  che  la  mia  Opera 
abbraccia  (vorrei  dire)  tutti  i  generi  del  dire ,  e  molto 
più  del  didascalico  ed  anche  critico^  essendo  ella  in- 
sieme e  lode  e  difesa  della  virtù  eroica  di  Benedetto , 
e  come  un  sistema  insomma  di  tutte  le  verità  scienti- 
fiche e  rivelate:  e  finalmente  per  adempir  la  promessa 
d'esser  breve,  riconfessando  in  questo  modo,  e  come 
col  silenzio,  a  V.  S.  Illustrissima  i  miei  doveri  strettis- 
simi ,  la  riprego  semprepiù  a  comandarmi ,  nell'  atto 
che  raffermo  al  suo  chiarissimo  merito  la  mia  migliore 
osservanza^  e  cosi  divotamente  mi  rassegno,  ec. 


RISPOSTA  A  MONSIGNOR  MUZIO  GAETA 

Ho  meditato  la  maravigliosa  Opera  di  V.  S.  Il- 
lustrissima 5  e  con  mio  sommo  piacere  e  profitto 
vi  ho  scorto  ch'ella  vi  dà  una  perfetta  idea  del 
cristiano  eroismo,  che  è  tanto  dire  quanto  una 
cristiana  Moral  dimostrata,  della  quale  e  per  l'in- 
certezza della  materia  e  per  la  difficoltà  del  la- 
voro ,  come  le  scrissi  nella  prima  mia  lettera ,  il 
cardinale  Sforza  Pallavicino  non  ne  diede  che  un 
embrione  nel  suo  trattato  Del  Bene;  il  Padre 
Malebrance  nelle  sue  quantunque  al  suo  argomento 
più  adatte  e  però  poche  Meditazioni  Metafisiche 
pur  v'inciampò^  Ludovico  Muratori  ultimamente 


SCRITTI    SCIENTIFICI  lò5 

nella  sua  Filosofia  Morale  non  \i  è  punto  più 
riuscito*  ed  or  vi  aggiungo  che  '1  Pascale  e  'l  Ni- 
colio  ne  han  professato  quasi  l'impossibilità  di 
riuscirvi  con  gli  stessi  titoli  delle  loro  divine  ope- 
re, quello  di  Pensieri  e  questo  di  Saggi  della  Mo- 
rale. Ma  ella  dalle  grandi,  varie,  molti plici  e  nu- 
merose virtù  del  sommo  pontefice  Benedetto  XIII 
s'innalza  a' principj  metafisici,  cioè  sublimi  ed  uni- 
versali della  virtù  cristiana  5  e  con  un  metodo  sor- 
prendente ponendo  per  primo  principio  del  suo 
sistema  che  le  divine  verità  rivelate  che  insegna 
la  nostra  cristiana  Religione  non  solo  non  pu- 
gnano con  le  divine  verità  naturali  che  insegna  la 
Metafisica,  che  era  sol  tanto  di  che  erano  contenti 
finora  i  Teologi,  ma  che  quelle  dimostrano  e  più 
confermano  questa  j  entra  con  animo  ed  ingegno 
egualmente  grande  nella  difficilissima  questione 
delle  origini  delle  Idee,  di  cui  vi  ha  un  hbric- 
ciuolo  intitolato  Historia  de  Ideis,  che  si  con- 
duce fin  da'  primi  tempi  della  greca  Filosofia  fino 
a'  nostri  ultimi,  ne'  quali  ne  hanno  tanto  conteso 
prima  Arnaldo  e  Malebrance,  ed  ultimamente  li 
due  più  grandi  ingegni  dell'  età  nostra  il  Leibni- 
zio  e  'l  Neutone;  e  con  un'altezza  d'animo  incom- 
parabile, propria  della  vostra  nascita  e  della  vo- 
stra pietà,  stabilisce  come  prima  pianta  e  fonda- 
mento dello  stupendo  edifizio ,  che  dall'  eterno 
decreto  dell'  unione  ipostatica  della  natura  umana 
e  divina  nella  persona  del  Verbo  che  avevasi  da 
incarnare,  venne  alle  nienti  così  angeliche  come 
umane  l' origine  dell'  idee.  Quindi  discende  a  ra- 
gionare de'  principj  così  delle  menti,  come  de' 
corpi;  e  per  quanto  s'appartiene  ai  corpi,  ella 
disapprovando  tutte  le  Fisiche  per  ipotesi,  con 
una  splendida  e  luminosa  maniera  ragiona  de' 
principj  metafisici  delle  naturali  cose,  seguitando 


I06  P\RiE    1. 

Pitagoraj  Platone^  Aristotile,  quali  sono  da  Pro- 
clo gran  filosofo  platonico  dimostrati  in  un  libro 
fatto  radoj  tradotto  da  Francesco  Patrizio  col  ti- 
tolo De  principiis  Phjsicae  Aristotelis  geometrice 
ckmonstratis  ;  la  qual  dottrina  da  alcun  tempo  in 
qua  o  si  riveriva  come  una  divinità  occulta,  o  si 
riferiva  come  una  riposta  erudizione,  o  si  deri- 
deva come  una  vanità.  Ma  V.  S.  Illustriss.  non  usa 
il  metodo  matematico,  il  quale,  ove  non  sono  fi- 
gure di  linee  o  numeri,  o  non  porta  necessità, 
spesso  in  vece  di  dimostrar  il  vero,  può  dar  ap- 
parenza di  dimostrazione  al  falso,  come  con  lo 
stesso  metodo  geometrico  Benedetto  Spinoza  im- 
pone a'  cervelli  deboli  una  Metafisica  dimostrata 
che  porta  all'Ateismo.  Nemmeno  vi  adoperate  le 
dimostrazioni  geometriche  o  aritmetiche  per  so- 
miglianze, come  i  Filosofi  hanno  finora  usato  di 
fare;  ma  con  istupore  di  chi  vi  leggerà  fate  scen- 
dere i  vostri  principj  metafisici  a  dimostrare  egual- 
mente così  le  perfezioni  de'  corpi,  de'  quali  prima 
proprietà  è  la  grandezza,  come  quella  degli  ani- 
mi, di  cui  la  maggior  proprietà  è  la  virtii.  E  qui 
mostrate  la  vostra  aria  grande  e  di  Teologo  e  di 
Filosofo  e  di  Oratore,  ove  si  sarebbe  ogni  altro 
perduto;  che  avendo  questo  santissimo  Pontefice 
avuto  alcuna  fiata  de'  grandi  trasporti  che  agli 
occhi  volgari  forse  han  potuto  sembrare  grandi 
difetti;  ella  perle  di  esso  lui  eccellenti,  copióse, 
varie,  diverse  instancabili  virtiì  avendolo  riposto 
dentro  l'ordine  universale,  nel  quale  versan  gli 
eroi,  fa  vedere  questa  essere  proprietà  di  eroi- 
smo, per  quel  principio  che  stabilite,  che  la  virtù 
eroica  è  dentro  l'ordine  universale,  a  cui  servono 
talvolta  i  particolari  disordini.  E  questo  è  quanto 
ho  potuto  io  scorgere  del  vostro  gran  pensiero, 
eh'  ella  mi  comanda  che  io  indovinassi  se  egli  vi 


SCRITTI    SCIENTIFICI  IO7 

sia  riuscito.  Se  non  ho  dato  al  segno,  incolpatene 
non  la  mia  diligenza  ed  attenzione  in  meditare 
la  vostra  divina  Opera j  ma  la  mia  poca  sagaci tà 
ed  acutezza  di  penetrarla.  La  maniera  del  dire  è 
piena  di  luce,  ed  è  sostenuta  da  una  fiducia  ge- 
nerosa, e  da  miL  asseverazione  magnanima;  lo  che 
assolutamente  forma  un  certo  dir  da  signore  ;  la 
copia  de'  sentimenti  è  affollata  ;  le  parole  tutte  si- 
gnoreggiano sulle  vostre  nuove,  rare  e  subhmi 
idee,  talché  lo  stile  si  conduce  con  una  maestosa 
sempHcità,  quale  debbe  esser  d'un  pur  parlante 
Filosofo.  Vi  si  leggono,  è  vero,  spesso  le  agno- 
minazioni  e  bisquitti  ;  ma  sono  essi  spontanei , 
non  ricercati,  e  vogHono  non  tanto  dileticare  gli 
orecchi,  quanto  più  illuminare  le  menti  de'  leggi- 
tori. Io  mi  rallegro  con  la  nostra  patria,  e  con 
la  nostra  lingua  itahana,  che  mercè  vostra  parla 
in  un  non  finora  udito  e  quasi  suono  superiore 
all'  umano.  Se  ella  vuole  da  me  le  dica  alcuna 
cosa  che  non  mi  piaccia,  egli  è  soltanto  il  tito- 
lo, che  desidererei  breve  e  schietlo,  come  hanno 
usato  far  tutti  i  gravi  scrittori,  e  che  restasse  cir- 
coscritto così:  Orazione  di  Benedetto  XIII,  nella 
cui  \>ita  si  scuopre  Videa  del  cristiano  eroismo. 


LETTERA  DI  M.  MUZIO  GAETA 

Bari,  5  ottobre  1737.    ,j^ 

Non  men  le  seconde  che  le  prime  lettere  di  V.  S. 
Illustrissima  mi  accertano  tuttavia  della  somma  sua  dot- 
trina e  bontà  :  onde  io  semprepiù  ne  rimango  non  men 
contento  che  ammirato  e  confuso,  ed  animato  a  cre- 
dere che  'l  mio  disegno  mi  sia  riuscito  in  buona  par- 
te, e  direi  forse  anche  in  tutto,  s'ella  si  fosse  com- 
piaciuta avvertirmi  meglio  di  molte  cose  che  si  dovreb- 


I08  ^'^'*''  PARTE    I. 

bero  o  emendare  o  migliorare^  non  potendo  io  si  age- 
volmente credere  che  tanto  riuscito  mi  fosse  quello  che 
non  è  riuscito  a  tanti  spiriti  grandi,  di  dar  fuori  si 
nette  e  si  purgate  le  loro  scritture ,  che  prima  di  me- 
ritare la  luce  delle  stampe  non  comparissero  bisognose 
de' buoni  lumi  de' bravi  e  dotti  amici ^  i  quali,  e  per 
la  maggior  dottrina  e  per  la  minor  passione,  ben  si 
possono  accorger  meglio  di  quanto  abbonda  o  manca 
l'Opera:  dove  io  riduco  il  buono  e  'i  reo  di  tutte  le 
cose  umane.  Insomma  avrei  voluto  che  V".  S.  Illustris- 
sima m'avesse  parlato  pili  chiaro,  giacch'ella  m"*  ha 
compreso  abbastanza  in  cosa  che  racchiude  in  poco 
grandi  cose ,  e  più  cose  di  quelle  che  esprimono  le 
parole  ^  che  io  ho  studiato  di  renderle  tutte  cose ,  per 
dire  con  brevità  e  con  abbondanza^  da  che  è  venuta 
la  folla  de'  concetti,  i  quali,  se  ben  si  riflette,  tutti 
servono  al  gran  disegno,  non  solo  della  parte  dottri- 
nale, ma  anche  lodativa^  giacche  per  ben  lodar  la  virtìi 
non  basta  virtù  chiamarla,  ma  per  virtù  dimostrarla 
nella  sua  essenza  e  nelle  sue  proprietà  essenziali^  tanto 
più  che  nel  caso  mio  la  lode  del  mio  Eroe  particolare 
mi  dovea  fare  strada  alla  dimostrazione  della  virtù  eroica 
in  generale ,  anzi  di  qualsivoglia  perfezione  creata ,  per 
poi  collazionar  tutto  coli' archetipo  Eroe,  e  principio 
universale  perfettivo  così  dell'ordine  naturale,  come 
dell'ordine  soprannaturale^  cimentandomi  fino  ad  ad- 
ditarlo e  dimostrarlo  nelle  menti  cosi  angeliche,  come 
umane,  nell'innata  nozione  ch'esse  hanno  del  circolo, 
ove  sta  il  principale  intento  dell'Opera^  e  intento  tanto 
nuovo,  che  in  ninno  autore  antico  o  moderno  che  sia, 
e  che  io  sappia,  se  ne  trova  traccia  o  segnale^  siccome 
non  si  trova  in  S.  Agostino,  le  di  cui  Opere  metafi- 
siche io  paragono  alla  Natura,  nella  quale,  siccome 
sono  tutti  i  semi  delle  cose  naturali,  cosi  in  esse  Opere 
si  trovano  sparse  e  come  principiate  tutte  le  verità^  dalle 
quali  per  altro  ho  ricavato  i  migliori  lumi^  ciò  che 
fa  il  materiale  del  mio  disegno ,  che  posso  dir  tutto 
mio  per  la  forma,  e  tutto  di  S.  Agostino  per  la  ma- 
teria, tramischiata  delle  migliori    notizie    della  Mistica 


SCRITTI    SCIENTIFICI  IO9 

Teologia  e  della  moderna  Metafisica  :  siccome  posso  dire 
dello  stile,  che  nel  materiale  sìa  tutto  di  Cicerone  e  dei 
primi  autori  toscani^  e  per  quel  che  riguarda  al  for- 
male, sia  tutto  mio,  tirando  io  a  fare  e  a  stabilire  non 
meno  un  nuovo  sistema,  che  un  nuovo  stile,  per  pur- 
gare le  verità  e  i  parlari  da  cento  e  mille  e  infinite 
superfluità,  e  vorrei  dir  torcimenti,  che  non  nascono 
dalla  felicità  e  perfezione  della  natura  e  dell'arte,  ma 
si  bene  dal  disordine  e  dalla  corruzione  d'entrambe, 
ciò  che  mi  ha  portato  la  meditazione  di  più  anni-,  giac- 
ché, a  dir  il  vero,  la  consaputa  Orazione,  od  Opera 
che  vogliam  dire,  se  ben  prenda  la  sua  epoca  dalla 
morte  di  Benedetto  XIII,  pure  ella  nasce  da  un'ope- 
retta metafisica  che  io  cominciai  tra  i  monti,  e  avea 
per  le  mani  tuttavia^  alla  qual  Opera  pensava  di  dar 
questo  titolo:  Idea  e  sistema  generale  delle  naturali 
e  suprannaturali  inerita ^  dove  io  dall'ordine  e  disor- 
dine dell'uomo  cerco  di  ricavarle  tutte,  per  tutte  fi- 
nalmente dimostrarle  in  Gesù  Cristo,  che  fa  il  princi- 
pio universale  di  questo  sistema,  che  ci  abbozza  la 
ragione  universale  e  ci  ritocca  la  Fede:  e  questa  è 
insomma  l'idea  della  mia  Orazione  ed  Opera ^  nella 
quale  perciò  m'è  convenuto  accennare  assai  le  tracce 
dell'ordine  e  del  disordine  dell'uomo,  anche  col  ri- 
flesso che  mal  si  possa  dimostrare  o  lodare  in  tutto  la 
virtù,  se  non  si  confronta  col  vizio,  nella  guisa  che 
fa  Plinio  nel  suo  gran  Panegirico  a  Trajano.  Da  que- 
sta economia  mi  è  nata  ancora  l'opportunità,  anzi  la 
necessità  di  dimostrare  in  maniera  assai  nuova  e  con- 
cludente che,  secondo  il  principio  assegnato  e  l'ordine 
posto,  dovette  nella  gran  Madre  di  Gesù  Cristo  esser 
tutto  l'ordine  della  Natura  e  della  Grazia,  senza  che 
vi  potesse  esser  disordine  mai,  e  credo  che  mi  sia  riu- 
scito assai*  rischiarando  meglio  la  ragione  universale, 
che  si  regge  da  se  per  via  del  circolo  circoscritto  al 
circolo  primo  ed  uno,  che  si  fa  l'idea  di  Gesù  Cristo^ 
mettendo  cosi  in  chiaro  un'altra  verità,  che  questi  e 
simiglianti  caratteri  e  figure  di  linee  e  numeri  non  son 
mica  già  segni  capricciosi  e  fantastici,  ma  si  cai^atteri 


1  IO  "  "PARTE    1.  '  '  f  4> 

e  belle  idee  effettive  e  reali  di  quelle  Nature  che  ci 
producono  queste  idee^  cosa  mai  toccata  da  altri,  i 
quali  perciò  han  fatto  o  mal  uso,  o  non  il  miglior  uso 
di  simlglianti  caratteri-,  de' quali  peraltro  si  son  valuti, 
assai  meglio  degli  antichi ,  i  moderni  Metafisici ,  ai  quali 
è  riuscito  bene,  in  buona  parte,  e  meglio  al  Malebran- 
che ,  di  mettere  in  chiaro  certe  verità  per  via  de'  ma- 
tematici argomenti  e  proposizioni  geometriche.  Or  tante 
cose  della  mia  Opera,  ristrette,  si  può  dire,  in  pochi 
fogli,  dai  quali  io  ne  potrei  far  nascer  volumi,  m'haa 
resa  l'impresa  più  difficile  di  quel  che  io  pensava,  e 
specialmente  per  darle  la  miglior  chiarezza,  che  tutta 
viene  finalmente  dal  miglior  ordine  e  metodo^  valen- 
domi perciò  a  tale  oggetto  del  Sintetico  e  Analitico, 
per  dar  prima  un'idea  generale  del  mio  Eroe  e  della 
virtù  eroica,  per  farne  poi  l'Analisi,  e  compirne  me- 
glio la  Sintesi  coli' idea  generallssìma  del  principio  ar- 
chetipo più  dimostrato:  sicché,  ciò  ben  compreso,  si 
può  meglio  scorgere  che  il  filo  di  quanto  io  dico  non 
è  mai  rotto  da  quelle  cose  che  alla  prima  sembrano 
digressioni,  e  fino,  per  quel  che  io  suppongo,  non  s'in- 
terrompe dalle  critiche  che  di  mano  in  mano  si  van  fa- 
cendo del  senso  comune  e  della  moderna  usanza,  e  fin 
anche  da  certi  ornamenti  oratorj,  che  servendo  al  fine 
particolare  di  rendere  il  parlare  ornato  e  grave  e  grande, 
non  trascurano  mai  di  servire  al  fine  primario,  che  è  quello 
di  mettere  in  chiaro  la  perfezione  e  l'imperfezione  delle 
cose  umane,  che  viene  dall'ordine  e  disordine  rispettivo  : 
e  camminando  io  per  una  via  così  difficile,  ci  entrai  fran- 
camente ,  perchè  credea  che  non  fosse  tanto  disastro- 
sa^ ma  poi  nel  corso  mi  ha  spaventato  più  volte,  sic- 
come avviene  a  chi  entra  in  mare  per  far  gran  viag- 
gio quando  il  mare  è  tranquillo,  che  tanto  è  lontano 
dal  temerlo,  quanto  più  lo  stima  spasso  e  sollazzo^ 
ma  poi,  trovandosi  in  alto  mare,  e '1  mare  imperver- 
sando, lo  teme  tanto,  quanto  si  teme  la  morte.  Ma 
mi  accorgo  oramai  d'essermi  troppo  disteso,  e  perciò 
più  d' un  poco  abusato  della  sua  bontà  ,  alla  quale 
semprepiù  rendo  grazie  infinite  per  le  simiglianti   che 


SCRITTI    SCIENTIFICI  III 

mi  ha  dispensale^  e  tanto  meno  io  finirò  di  ringra- 
ziarla, quanto  meno  ella  non  finirà  d'istruirmi  inge- 
nerale ed  in  particolare,  come  scrive  in  una  sua  let- 
tera monsignor  della  Casa  al  suo  gran  Pier  Vettori, 
mandandogli  a  rivedere  una  sua  Oda ,  e  dicendogli 
ch'egli  non  avea  fretta  nelle  sue  cose,  piacendogli  di 
farle  e  rifarle ,  per  farle  meglio  ^  e  particolarmente  vor- 
rei che  mi  palesasse  candidamente  il  suo  dottissimo 
genio,  per  sapere  s'ella  stimasse  meglio  di  togliere  dal 
mio  stile,  come  io  già  pensava  di  fare,  di  passo  in 
passo  alquante  delle  assillabazioni  e  alliterazioni ,  ch'ella 
chiama  frequenti,  ma  spontanee  e  non  ricercate^  per 
cui  io  ho  impiegata  non  poca  fatica  e  diligenza,  ac- 
ciocché comparissero  più  naturali  e  necessarie  che  ar- 
tificiali, per  dare  al  mio  stile  una  certa  novità  e  nu- 
mero nuovo,  che  rendesse  il  parlare  più  grato  e  gran- 
de^ sapendo  io  benissimo  che  Cicerone  le  usa,  ma  più 
di  rado,  ma  più  frequentemente  S.  Agostino^  il  carat- 
tere de'  quali  m'è  piaciuto  imitare  in  molte  cose,  e 
specialmente  nel  dir  dotto  e  metafisico  e  magistrale, 
donde  viene  quella  fiducia  generosa  e  asseveranza  ma- 
gnanima^ e  finalmente  un  certo  dir  da  signore,  com'ella 
dice  non  men  vivamente  che  graziosamente  e  gentil- 
mente di  me^  che  ho  sempre  ammirato  in  Cicerone 
questo  pregio  singolarissimo,  da  tanti  spiriti  grandi  in 
ciò  o  non  imitato  perchè  non  ammirato,  ovvero  am- 
mirato ,  come  cosa  assai  difficile  ad  imitarsi  dalla  sola 
arte*  siccome  era  riuscito  all'assai  felice  arte  e  natura 
di  Cicerone  il  maravigliosamente  imitare  in  questo  pre- 
gio Platone  ed  Aristotele  e  Demostene,  suoi  maestri^ 
e  finalmente  riusci  a  S.  Agostino  d'imitare  la  fiducia  e 
asseveranza  magnanima,  e  da  gran  maestro,  di  Cice- 
rone ^  e  io  dico  che  tra'  Toscani  non  poco  ci  sia  riu- 
scito monsignor  della  Casa,  il  quale  tanto  più  ne  me- 
rita la  lode,  quanto  il  genere  delle  sue  scritture  non 
porta  dottrina  e  profondità  di  sentenza^  e  finalmente 
ognuno  abbonda  nel  senso  suo:  e  perciò  io  lasciai  la 
mia  scrittura,  come  si  vede,  persuadendomi  che  certe 
caricature  o  affettature   sian    necessarie   a   quelli   che 


112  PAllTE    I. 

teiitan  di  fare  cose  nuove  ,  senza  delle  quali  sembra 
si  dia  finalmente  alPistesso  e  all'ordinario.  E  per  fi- 
nii'la,  prego  e  rlprego  V.  S.  Illustrissima  a  parlarmi  più 
chiaro,  giacche  in  questo  particolare  non  mi  torna 
niun  conto  eh'  ella  mi  sia  tanto  discreta  e  gentile ,  che 
tra  tante  cose  che  rai  potrebbe  dire  per  migliorare 
notabilmente  questa  mia  cosa,  e  tra  tante  sì  belle  e 
sì  abbondanti  e  si  generose  lodi  che  per  troppo  fa- 
vorirmi mi  dà ,  non  mi  dia  altro  lume  e  insegnamento 
che  intorno  al  Titolo  ch'ella  vorrebbe  più  ristretto, 
e  che  io  son  per  far  prontamente,  sempre  ch'ella  non 
approvi  il  motivo  che  mi  mosse  a  farlo  nella  forma 
che  ho  fatto,  per  fare  che  alla  prima  il  lettore  avesse 
innanzi  come  una  face  per  entrar  nell'  Opera  con  mi- 
glior lume ,  e  per  non  crederla  un  puro  panegirico , 
quando  insomma  è  un  sistema.  Anche  su  questo  par- 
ticolare starò  aspettando  gli  ulteriori  insegnamenti  di 
V.  S.  Illustrissima,  alla  quale  non  so  dir  quanto  devo, 
e  quanto  io  desideri  di  servirla  e  di  soddisfarle  tanti 
debiti  meglio  che  non  fo  ora  col  raffermarle  la  somma 
stima  e  osservanza  migliore^  e  pregandola  a  compatire 
ancora  questa  mia  dettatura  in  fretta ,  con  tutto  il 
mio  animo  e  rispetto  a  V.  S.  Illustrissima  mi  esibisco  e 
rassegno  ,  dichiarandomi ,  ec. 


LETTERA  A  M.  MUZIO  GAETA 

(Senza  data) 

Godo  infinitamente  intendere  dalla  in  sommo 
grado  egualmente  gentile  ed  istruttiva  risposta  di 
V.  S.  Illustrissima  che  io  abbia  abbastanza  com- 
preso il  nuovo,  raro,  sublime  disegno  da  essolei  con- 
dotto nella  Orazione  funerale  del  sommo  pontefice 
Benedetto  XIII;  perocché  egli  mi  ha  fatto  dilettare 
del  mio  scorgimento  in  intendere  profondissime 
opere  e  di  gran  peso.  Ma  il  voler  ella  che  io  vi 
scoprissi  errori  e  vi  notassi  difetti  ^  ciò  proviene 


SCRITTI    SCIENTIFICI  ll3 

da  due  cagioni:  una  del  grande  animo  vostro,  che 
mi  slima  da  tanto,  quanto  io  non  sotìo;  F altra! 
della  vostra  gran  mente,  del  qual  genere  gli  Au- 
tori architettonici  sempre  hanno  idee  più  perfette 
delle  medesime  loro  quantunque  bellissime  opere. 
Ne  ve  ne  faccia  punto  dubitar  quello  che  gli  uo- 
mini letterati  dieno  privatamente  assai  più  van^ 
taggiosi  giudizj  delle  opere  altrui,  di  quello  fareb- 
bono  se  ve  ne  avessero  pubblicamente  a  far  le 
censure:  perchè  io  così  la  sento  di  cotale  Orazion 
vostra,  come  ne  ho  scritto,  che  mi  recherei  a 
somma  gloria  che  tal  mio  giudizio  fosse  dato  pub- 
blicamente alle  stampe.  Oltreché  come  poteva  io 
non  solo  non  approvare  tutto,  lo  che  ivi  da  V.  S. 
Illustrissima  sta  divinamente  pensato,  ma  anche 
non  dilettarmene,  avendovi  ella  meditato  in  una 
guisa  maravigliosa  un  compiuto  sistema  di  Meta- 
fisica, d'ini  orno  al  quale  io,  molti  anni  fa,  aveva 
intesi  tutti  i  miei  debolissimi  sforzi,  e  ne  diedi 
fuori  un  libro  ch'era  il  primo  di  un'opera  con 
questo  titolo:  De  Àntìquissima  Italorum  Sapien- 
tia  ex  linguae  latinae  ori^inibus  emenda;  del  qua- 
le, come  di  tutte  le  altre  mie,  a  riserva  solo  della 
Scienza  Nuova  si  trova  l'  originale.  Ivi  io  trava- 
gliava di  dimostrare  che  l'uomo  è  Dio  nel  Mondo 
delle  grandezze  astratte,  e  Dio  è  Geometra  nel 
Mondo  delle  concrete j  che  è  tanto  dire  quanto 
nel  Mondo  della  natura  e  de'  corpi.  Poiché  la 
niente  umana  principia  la  Geometria  dal  punto, 
che  é  cosa,  che  non  ha  parti,  e 'n  conseguenza 
è  infinito;  onde  é  quello  che  egregiamente  Gali- 
leo dice  che  quando  siamo  ridotti  a  punti,  si. 
perde  ogni  maggioranza,  ogni  minoranza,  ogni 
egualità;  il  perché  i  circoli  concentrici  e  i  lati  de' 
quadrati  con  le  diagonali  si  segano  ne'  medesimi 
punti:  e  come  comincia  dall'infinito,  così  all'in- 

Vico ,    Opuscoli.  8 


1  l4  PARTE    I. 

finito  si  porta  con  quel  postulato,  che  sia  lecito 
di  menare  in  infinito  una  linea:  dentro  di  sé  con- 
tiene gli  elementi  della  grandezza  astratta  conti- 
nua, che  sono  le  proposizioni  dimostrate  di  co- 
tale scienza:  ne  dispone  essa  le  guise,  e  dispo- 
nendole le  conosce,  e  conoscendole  fa  il^  vero 
geometrico;  tantoché  non  sol  ne*  problemi,  anco 
ne*  teoremi  nel  Geometra,  come  in  Dio,  lo  stesso 
è  il  conoscere  e  *1  fare;  per  lo  che  non  si  contro- 
verte in  Matematica  pura;  perchè  colui  col  quale 
ragionate,  in  udendovi  ragionare,  fa  quello  stesso 
vero  che  fate  voi.  Indi  poscia  discendo  ad  esa- 
minare la  certezza  e  la  verità  delle  scienze  subal- 
terne, per  quanto  più  o  meno  partecipano  di  tali 
princìpj  di  Metafisica  :  lo  che  V.  S.  Illustrissima 
con  una  maniera  non  mai  più  intesa  insegna  che 
le  figure  matematiche,  sieno  figure  di  linee  o  pure 
di  numeri,  non  sono  mica  già  segni  capricciosi  e 
fantastici,  ma  sì  caratteri  e  belle  idee  effettive  e 
reali  di  quelle  nature  che  ci  producono  queste 
idee;  ed  io  il  dissi  con  meno  di  efficacia  e  di 
lume,  ch'ella  si  serve  delle  linee  e  de*  numeri 
non  per  somiglianza,  come  han  fatto  tutti  i  Fi- 
losofi; e  fa  discendere  i  suoi  principj  metafisici 
egualmente  a  dimostrare  così  le  perfezioni  de'  cor- 
pi, come  quelle  degli  animi;  dissi  tutti  i  Filosofi; 
V.  S.  Illustrissima  ne  eccettua  i  moderni,  e  più 
degli  altri  Malebrance:  ma  egli  il  Malebrance  con- 
fessa e  professa  la  dura  necessità  che  naturalmente 
il  preme  di  spiegare  le  cose  delle  menti  per  rap- 
porto a  quelle  de'  corpi ,  lo  che  sembra  confirmare 
generalmente  il  mio  detto.  Ella  usa  prima  sintesi 
per  fare  l' idea  general  del  suo  Eroe,  e  poi  l'  analisi 
per  rincontrare  tutti  gli  eroi  nell'idea  generalis- 
sima  del  principio  archetipo  più  dimostrato.  Que- 
lito sì  gran  mpmento  di  cosa  della  vostra  Opera 


SCRITTI    SCIENTIFICI  Il5 

io  confesso  che  perdei  di  veduta,  e  non  iscorsi  un 
grande  argomento  di  vostra  somma  e  sovrana  lo- 
de,  che  ha  ella  trasportato  alle  cose  morali  e  me- 
tafisiche il  maraviglioso  Organo  di  Bacone  da  Ve- 
rulamio,  che  ha  dato  cotante  discoperte  in  Fisica 
e  in  Medicina,  con  usar  l'induzione,  perchè  con 
essa  si  facci  incetta  di  particolari,  come  storie 
naturali,  osservazioni  ed  esperienze  per  via  della 
sintesi,  onde  si  formino  poi  i  princìpj  generali  da 
rincontrarli  per  tutta  l'estensione  de'  loro  generi. 
Ho  r  ardir  di  affermare  che  le  vostre  sono  digres- 
sioni; ch'ella  niega  di  esserlo,  ma  sono  digres- 
sioni Demosteniche;  nel  qual  maraviglioso  disor- 
dine consistono  i  terribili  suoi  entimemi ,  che  finge 
uscir  dal  proposito,  e  tutto  trattava  in  lontanis- 
sime parli,  dove  trova  argomenti  che  con  una 
felice  speditezza  d'ingegno  al  suo  proposito  fa- 
talmente attaccati  i  suoi  fulmini  fa  cadere  sugU 
già  divertiti  uditori,  tanto  più  terribili,  quanto 
men  preveduti.  L'Opera  poi  da  V.  S.  Illustrissima 
meditata  già  innanzi  col  titolo  Idea,  a  sistema 
generale  della  naturale  e  soprannaturale  verità  anzi 
trasfusa  che  trasportata  in  cotesta  Orazione,  la 
rende  più  maravigliosa,  perchè  si  unisce  la  sa- 
pienza con  l'eloquenza,  che  fu  la  favella  filoso- 
fica ben  parlante  formata  nella  scuola  di  Socrate, 
con  cui  parlarono  tutti  gli  Accademici  antichi  Gre- 
ci, tra'  Latini  Cicerone,  e  tra  gl'Itahani  niun  al- 
tro innanzi  di  V.  S.  Illustrissima.  D'intorno  all'arV 
gutezze  delle  voci  ch'ella  frequenta,  già  ne  la  ri- 
mordeva la  molta  copia:  ond' ella  potrà  lasciarvi 
le  più  necessarie  che  sieno  insieme  le  più  n^lMr^ 
rali.  Sto  fermo  (  priego  a  perdonarmi  di  questa 
libertà  che  mi  prendo  per  vostra  gloria)  e  mi  per- 
doni eh'  ella  concepisca  il  titolo  semplice  e  brieve , 
e  per  ciò  che  gUe  ne  ho  scritto,  e  perchè  la  novi- 


I  l6  PARTE    I. 

tà^  i^rvastità  e  la  difficoltà  della  proposizione  o 
sbigottirà  o  alienerà  il  leggitore:  mi  piacerebbe  sì, 
che  ove  disse  si  scuopre  V idea,  si  dica  si  dimo- 
stra Videa,  che  farebbe  un  senso  doppio  assai 
acconcio,  per  essere  T Orazione  in  genere  dimo- 
strativo, e  perchè  vi  si  dimostrano  i  principj  della 
Yostra  dottrina.  Le  rendo  grazie  infinite  del  gentil 
dono  di  che  V.  S.  Illustrissima  senz'  alcun  mio  me- 
rito si  è  degnata  onorarmi  per  mezzo  del  molto 
Reverendo  P Gaeta  degnissimo  fratello  vostro. 


LETTERA  DI  M.  MUZIO  GAETA 

Bari,  26  ottobre  1737. 

<jt^Le  lettere  di  V.  S.  Illustrissima,  non  meno  che  la  sua 
gran  dottrina  sono  insomma  come  i  gran  fiumi  che 
quanto  più  scorrono,  tanto  per  via  più  s'ingrossano 
é  si  spandono,  e  bagnano  e  fecondano  e  rallegrano  più 
le  campagne  e  le  terre:  siccome  io  sperimento  dalla 
terza  sua  lettera,  colla  quale  maggiormente  m'illumina 
e  mi  obbliga  e  mi  consola,  per  cui  si  accresce  il  mio 
debito  e  '1  mio  profitto.  Io  dunque  di  tutto  la  ringra- 
zio sempre  più,  e  al  suo  gran  giudizio  mi  rimetto  e 
acquieto,  da  una  cosa  in  fuori,  perchè  fa  la  somma 
delle  mie  cose  il  pregio  della  mia  Opera ^  come  è  la 
cosa  di  passar  ella  risolutamente  per  digressioni  o  per 
appicchi  quello  che  fa  l'ordine  e  come  l'ossa  e  i  nervi 
della  mia  scrittura^  la  qual  comincia  dall'uomo  e  pro- 
cede coli' uomo,  e  termina  finalmente  nell'uomo:  giac- 
ché comincia  dal  mio  uomo  eroico  particolare,  pro- 
cede coli' uomo  eroico  in  generale,  e  fa  il  gran  punto 
nell'uomo  eroico  archetipo^  e  tutto  quanto  quivi  si  ra- 
giona j  e  quanto  qua  e  là  si  dimostra,  tutto  va  quivi 
e  si  raggira  generalmente  e  circolarmente  intorno  al 
grand' uomo,  come  intorno  al  centro  suo.  Ma  perchè 
si  tratta  di  cotesto  grand' uomo  interiore  e  mistico  as- 
sali, non  è  sempre  facile  di   dimostrarne   facilmente  e 


SCRITTr    SCIKNTTFFCl  II -J 

chiaramente  il  forte  ed  il  filo^  tanto  più  quando  questi 
parlari,  e  come  le  ossa  e  i  nervi  di  quest'uomo  in- 
teriore, si  van  tratto  tratto  rivestendo  di  parole  e  d'im- 
magini e  di  fatti  particolari ,  come  ricoprendone  tutto 
lo  scheletro  di  cartilagini  e  di  carne  e  di  membrane 
e  di  pelle;  le  quali  cose  ci  nascondono  l'esatto  ordine 
e  diramazione  delle  nostre  ossa  e  de' nostri  nervi.  On- 
d'io  per  far  palese  quanto  poteva  il  mio  ordine,  non 
solo  mi  son  valuto  del  bell'ordine  della  sintesi  ed  ana- 
lisi ,  che  le  accennai ,  ma  ancora  mi  son  presa  la  grossa 
briga  di  ripeterlo  a  rovescio,  per  via  de' tre  moti,  cioè 
retto,  obliquo  e  circolare,  assegnati  alle  menti  umane 
ed  angeliche  dal  gran  Platonico  e  teologo  Areopagita, 
insegnando  egli  che  le  menti  umane  vanno  col  moto 
retto  dalle  cose  particolari  alle  universali ,  e  da  queste 
obliquamente  tornano  a  quelle^  e  finalmente  perfezio- 
nati questi  due  moti,  che  fanno  tutto  il  camminò  della 
meditazione,  le  menti  nostre,  se  non  si  van  elle  baloc- 
cando tra  via  al  moto  circolare,  come  nella  quiete,  si 
formano:^  e  questo  solo  è  il  moto  delle  menti  angeli- 
che^ le  quali  non  hanno  perciò  bisogno  di  meditare, 
se  tutto  insìem  elle  contemplano  le  verità  une  e  prime 
nel  centro  delle  loro  idee  universali.  Or  io  cominciando 
dalla  mia  sintesi  meno  universale,  siccome  è  l'univer- 
sale dell'uomo  mio,  vado  poi  a  farne  l'analisi  più  ge- 
nerale, qual  dee  esser  l'analisi  dell'eroismo,  che  più 
si  accosta  alla  semplicità  e  unità  dell'uomo  archetipo. 
E  questo  moto  si  può  chiamare  il  moto  retto  ^  dal  qual 
moto  io  procedo  per  i  gradi  suoi  al  moto  pblìquo,  di- 
scendendo via  via  gradatamente  da  Gesù  Cristo  alla  di 
lui  divina  Madre,  che  fa  la  prima  immagine  della  per- 
fezione del  divino  Figliuolo.  Ed  ecco  che  né  pur  que- 
sta è  digressione,  ma  necessaria  progressione^  siccome 
è  quella  di  passar  da  lei  alle  perfezioni  degli  ordini 
angelici,  e  da  questi  all'uomo  eroico,  e  da  questo  a 
i  più  e  manco  eroi,  per  comprovare  tuttavia  che  l'uomo 
mio  tra  questi  solennissimi  uomini  fosse  stato  uno  de' 
più  solenni  e  singolari^  e  finalmente,  per  dimostrare 
tutto  l'ordine   intero,   discendo  a  tutti  i  grandi   degli 


Il8  n  PARTE    1. 

esseri,  e  fino  all'infimo,  siccome  è  la  ragione  delle  cose 
insensate:  e  cotesto  mi  pare  un  bell'ordine  di  ragio- 
nare, ed  ogni  arte,  se  cotesto  è  il  grand' ordine  del 
favore  della  Natura  e  della  Grazia^  il  cui  ordine  quanto 
è  più  perfetto,  tanto  è  più  ascoso:  onde  la  Natura  e  la 
Grazia  quanto  meno  serbano  il  loro  ordine  ordinario, 
tanto  più  sono  nell'atto  del  grand'ordine^  e  così  si  vuole 
intendere  quel  detto  per  l'antichità  già  fatto  volgare ,  che 
tanto  bene  è  ordine  il  non  servar  l'ordine,  cioè  l'or- 
dine comunale:  e  queste  e  simiglianti  cose  le  noto  di 
passo  in  passo,  per  far  meno  inciampare  e  smarrir  tra 
via  il  mio  lettore,  e  per  non  farlo  fermar  tutto  nelle 
cose  particolari,  nelle  quali  non  bisogna  arrestarsi,  ma 
solo  appoggiarsi  per  procedere  innanzi  con  maggior 
lena  e  noja  minore  alle  nozioni  generali,  secondo  l'in- 
segnamento che  spesso  ripete  S.  Agostino  nelle  sue  cose 
metafisiche  :  siccome  fa  per  altro  il  buon  Geometra  che 
cerca  sempre  le  nude  essenze^  e  quindi  le  spoglia  sem- 
pre fino  delle  lor  proprietà  essenziali,  non  che  acci- 
dentali^ e  quindi  è  che  suppone  egli  il  punto  senza 
alcuna  dimensione^  e  in  simigliante  modo  considera  la 
linea  retta  di  ogni  larghezza  scevra,  e  la  dimensione 
della  larghezza  senza  la  profondità^  e  in  questa  ma- 
niera viene  meglio'  ad  intendere  l'essenza  della  trina 
dimensione  del  corpo.  E  così  e  non  altrimente  bisogna 
esaminar  la  ragion  dell'ordine  della  mia  scrittura,  sem- 
pre astraendo  dalle  cose  particolari  dell'uomo  eroico 
particolare,  per  esaminarne  meglio  come  Io  scheletro 
e  i  nervi,  dove  è  posta  l'economia  dell'ordine  di  quanto 
si  ragiona^  e  in  questo  modo  il  pratico  Notomista  non 
sbaglia  intorno  all'ordine  e  alla  commessura  delle  umane 
ossa  e  nervi,  non  ostante  che  li  vegga  nel  corpo  vi- 
vente coperti  di  carne  e  di  pelle.  Ma  io  già  confesso 
che  nelle  cose  astratte  e  dello  spirito  non  sia  tanto  fa- 
cile non  ismarrirsi  nell'ordine,  ed  anche  a  spiriti  gran- 
di^ sicché  non  è  gran  fatto  che  in  un'opera  di  simil 
fatta  non  se  ne  rintracci  tutto  l'ordine  alla  prima,  ed 
anche  dopo  molte  e  molte  ricerche;  e  questa  difficoltà 
maggiormente  si  sperimenta  quanto  n'è  maggiore  Pam- 


SCRITTI    SCIENTIFICI  I  m 

plczza  e  '1  numero  delle  cose  ^  giacché  io  dico  che  se 
all'Autore  è  bisognato  gran  tempo  e  grande  medita- 
zione per  pensarle,  disporle  e  spiegarle,  certo  che  mag- 
gior tempo  e  pensiero  si  ricerca  per  capirne  con  chia- 
rezza il  magistero  e  '1  mistero.  E  di  questa  gran  ra- 
gione e  profondità  sono  tutte  l'opere  eruditissime  ed 
elevatissime  di  V.  S.  Illustrissima,  le  quali,  non  ho  ri- 
paro di  confessare,  ho  sempre  più  ammirate  che  in- 
tese ,  facendo  buon  uso  della  regola  magistrale  di  S.  Ago- 
stino^ il  quale  parlando  principalmente  della  profondità 
delle  divine  Scritture,  e  proporzionalmente  dell'opera 
de'  grandi  ingegni ,  insegna  egli  che  bisogna ,  quando 
non  si  comprendono  alcune  cose,  confessare  che  non 
s'intendano,  e  non  già,  perchè  non  sì  capiscono ,  cen- 
surarle o  notarle  d'incoerenza  o  d'errore,  procurando 
sempre  di  meglio  studiarle,  per  meglio  capirle.  Ed  io 
per  ispiegare  con  un  esempio  volgare  la  confusione  che 
genera  l'abbondanza  delle  cose,  soglio  valermi  di  ciò 
che  mi  accade  nel  vedere  e  rivedere  tante  volte  la 
gran  Basilica  di  S.  Pietro,  che  piìi  e  più  cercandone 
e  ricercandone,  sempre  più  e  più  mi  parca  di  ritro- 
varci cose  nuove  e  migliori^  e '1  medesimo  sperimento 
quando  rileggo  alla  scordata  l'istessa  mia  Opera  di  cui 
ragiono:  né  io  me  ne  maraviglio  quando  rifletto  a 
quanto  ci  è  dentro^  tanto  che  non  mi  par  vero  che 
ci  sia  tutto;  giacché  avendola  rifatta  ben  nove  volte, 
dopo  averla  già  fatta  alla  prima,  certo  che  per  conto 
fatto  a  mio  diletto  vi  ho  aggiunte  per  ogni  volta  più 
di  mille  cose  o  parole.  E  da  ciò  viene,  come  sempre 
ho  pensato,  che  certe  opere  che  son  così  più  stagio- 
nate, si  leggano  e  si  rileggano  sempre  con  diletto  e 
con  profitto,  perchè  par  che  vi  si  ritrovi  sempre  e  vi 
s'impari  qualche  cosa  di  più^  e  questa  novità  ne  fa  ii 
diletto:  sicché  quello  che  ne  fa  sazietà  per  un  verso, 
ne  fa  gola  per  l'altro^  la  qual  gola  ritorna  dopo  che 
se  n'é  digerita  la  sazietà,  come  tornando  sempre  la 
mente  satolla  dalla  svogliatura  alla  voglia,  e  per  lo 
contrario.  Ma  non  è  già  che  io  cred^  che  l' Opera  mia 
sia  delle  sì  fatte,  se  dico  solo  che  ho  procurato  di  farla 


130  PARTE    I. 

con  questo  gran  disegno,  non  ostante  che  Io  fossi  certo 
che  mi  sarebbe  fallito  in  ciò^  siccome  è  accaduto  ai 
più,  e  per  cui  non  è  poco  che  V.  S.  Illustrissima  ne 
parli  bene:  dico  bene,  perchè  tanto  mi  basta,  perchè 
il  più  del  bene  eh'  ella  ne  dice ,  non  mi  tocca  se  non 
per  gentilezza^  diche  io  sempre  più  ne  la  ringrazio, 
e  glie  ne  prometto  una  gran  memoria.  Al  qual  debito 
aggiungo  l'altro  del  gentilissimo  gradimento  che  mi  pa- 
lesa ella  della  picciola  gratitudine  che  le  ho  mostrata, 
più  per  confessarle  che  per  soddisfarle  le  mie  partite , 
che  terrò  sempre  accese  per  esser  sempre  suo  buon 
debitore,  e  per  sempre  ricordarle  di  comandarmi,  e 
per  tuttavia  riprotestare  a  V.  S.  Illustrissima  in  quanto 
conto  io  abbia  i  suoi  favori  e  i  suoi  meriti^  e  intanto 
con  piena  osservanza  tutto  me  l'esibisco  riprotestan- 
domi,  ec. 


DEL  MEDESIMO 

Bari,   i5  novembre  lyBS. 

Ricevo  in  luogo  di  caro  dono  e  d'amore  e  di  favor 
singolare  non  meno  le  obbligantissime  lettere  di  V.  S. 
Illustrissima,  che  la  cortesia,  che  con  pieno  gradimento 
ho  ricevuta,  d'una  copia  di  cotesta  Reale  Accademia, 
celebrata  nelle  grandi  nozze  de'  nostri  Serenissimi  Re- 
gnanti, che  il  Signor  sempre  feliciti  (i).  Me  ne  corre 
dunque  il  debito  di  pienamente  e  distintamente  ringra- 
ziamela*, siccome  avrò  primo  anche  il  bel  motivo  di 
altamente  lodare  e  ammirare  il  grand'  ingegno  ed  arte 
di  si  dotti  ed  esperti  Accademici^  tra'  quali  ella,  senza 
controversia ,  ha  sempre  avuto  il  primo  luogo  e  '1  primo 
vanto,  che  semprepiù  le  conviene,  e  se  lo  guadagna 
maggiore  coi  nuovi  testimonj  ch'ella  ne  dà  a  dispetto 
dell'età  e   della   sanità   aggravata   e    malmenata    dalla 


(i)  Si  possono  vedere  nella  seconda  e  terza  parte  di  questo 
volume  le  iscrizioni  e  le  poesie  fatte  da  Vico  per  celebrare  le 
nozze  reali  di  Carlo  UE  con  Amalia  Walsburg. 


SCRITTI    SCIENTIFICI  121 

sua  contrarla  fortuna.  Ma  solo  il  Savio  sa  superare  il 
Fato  colla  virtù  dell'animo,  che  si  confà  con  ogni 
cnso  e  vicenda  delle  cose  umane:  ed  accrescendosi  in 
me  1'  obbligo  di  servirla ,  ne  raddoppio  a  V.  S.  Illustris- 
sima le  mie  istanze,  per  riceverne  da  lei  le  opportu- 
nità più  confacenti  al  suo  genio  e  al  suo  gran  meri- 
to: al  quale  tutta  raffermo  la  grande  stima  che  io  ne 
faccio^  e  cosi  particolarmente  e  cordialmente  mi  di- 
chiaro j  ec. 


r 


A  D.  TOMMASO  ROSSI  ABATE  INFULATO  DEL  COLLEGIO 
DI  S.  GIORGIO  DELLA  MONTAGiNA 

Napoli,  7  noaggio  1735. 

Ho  letto  con  sommo  mio  piacere,  perchè  con 
altrettanto  profitto,  la  vostra  maravigliosa  Dispu- 
tazioiie  dell'Animo  Umano,  nella  quale  vigorosa- 
mente sciogliete  gli  argomenti  di  Tito  Lucrezio 
Caro  contro  la  di  lui  Immortalità  (i).  Dappertutto 
vi  ho  ammirato  la  bella  luce,  il  vivo  splendore  e 
la  grande  feracità  della  vostra  sublimissima  divina 
mente;  e,  per  dirla  in  un  motto,  vi  ho  scorto  il 
vero  Metafisico,  che  quanto  dite,  quanto  ragio- 
nate, tutto  il  traete  fuori  da'  tesori  della  vostra 
altissima  Idea;  e  senza  dirlo  con  parole,  dimo- 
strate di  fatto  la  debolezza  di  Renato  delle  Car- 
te, che  in  sei  brievi  Meditazioni  metafisiche,  per 
ispiegarsi,  vi  adopera  cento  simiglianze  e  compa- 
razioni prese  da  cose  al  di  fuori  di  essa  mente; 


(1)  Parla  dell'opera  coltitelo  VelV Animo  delVuomoy  dispii- 
tazione  unica,  nella  quale  si  sciolgono  principalmente  gli  argo- 
menti di  Tito  Lucrezio  Caro  intorno  all'immortalità:  fu  pub- 
blicala del  1736  in  Napoli  colla  falsa  data  di  Venezia;  nella 
prefazione  il  Rossi  prometteva  di  dar  fuori  un'  altra  disputa 
su  la  mente  eterna  regolatrice  del  mondo,  dimoslraudone  la 
realità,  e  combattendo  il  sistema  di  Spinosa. 


122  PARTE    I. 

quando  ò  j3roprietà  della  mente  umana  di  pren- 
dere da  sé  le  comparazioni  e  le  somiglianze^  ovun- 
que ella  non  può  altrimenti  spiegare  le  cose  delle 
quali  non  sa  la  loro  propria  natura:  convincete 
la  corpulenza  del  Padre  Malebrance,  che  aperta- 
mente professa  non  potersi  spiegare  le  cose  della 
mente  che  per  rapporti ^  i  quali  si  prendon  dal 
corpo 5  perchè  voi  con  una  maniera  veramente 
divina,  e 'n  conseguenza  propria  di  questa  scien- 
za, al  lume  delle  cose  dello  spirito  rischiarate 
quelle  del  corpo,  e  dallo  splendore  dell'Idea  il- 
lustrate Toscurezza  della  materia.  Che  debbo  io 
dire  della  vostra  generosità  con  cui  combattete 
Epicuro,  di  cui  non  solo  non  dissimulate  o  al- 
meno infievohte  gU  argomenti,  ma  gì' invigorite 
ed  esaltate  con  nuove  vostre  interpretazioni  che 
gli  Epicurei  tutti  non  seppero  intendere  j  e  con 
animo  pugnace  così  gli  andate  ad  incontrare,  per- 
chè quindi  si  scorga  il  vigore  con  cui  l'incontrate, 
il  combattete,  il  mandate  a  terra?  Che  poi  di  quel 
torrente  d'eloquenza  divina,  con  la  quale  vi  avete 
fatto  una  spezie  di  favellare  tutta  vostra  propria, 
perchè  propria  di  cotal  scienza?  Della  bellezza  e 
leggiadria  de'  trasporti,  che  usate  tutti  opposti, 
come  debbono  essere,  a  quelli  che  usa  l'eloquenza 
umana,  perchè  questa  debbe  fare  dello  spirito  cor- 
po, e  voi  in  certo  modo  fate  del  corpo  spirito? 
Voi  siete  degno,  signor  D.  Tommaso,  non  già 
di  Montefuscolo ,  ma  della  piiì  famosa  Università 
dell'Europa.  Laonde  perchè  la  vostra  modestia, 
eguale  alla  vostra  gran  dottrina  e  virtù,  ve  ne 
fa  contento,  almeno  giovate  il  Mondo  di  cotesta 
sapientissima  scrittura 5  la  quale  l'assicuro  che  re- 
cherà gloria,  non  che  a  Napoli,  all'Italia  tutta  con 
merito  grandissimo  inverso  della  pietà,  che  si  ri- 
fonda in  utihtà  di  tutte  le  repiibbhche,  e  mollo 
pili  cristiane  5  e  vi  fo  divota  riverenza. 


SCniTTI    SCIENTIFICI  1^3 


RISPOSTA  DELL'ABATE  ROSS[ 

Sangiorgio,  12  febbrajo  1737. 

Colla  onorevolissima  raccomandazione  che  V.  S.  Il- 
lustrissima ha  fatta  al  pubblico  del  mio  libro ,  ho  spe- 
rato che  quella  mia  per  altro  sprezzevole  Opera  po- 
tesse passare  il  mare  e  i  monti.  Onde,  siccome  il  si- 
gnor D.  Giuseppe  Mattioli  a  mie  preghiere  ne  ha  già 
sparsi  molti  per  Napoli,  presentandola  a  molti  lette- 
rati di  coicsta  città  ^  così  col  favor  vostro  ardisco  di 
dire  che  vorrei  che  si  facessero  capitar  fuori  ancora: 
poiché  ben  so  quanto  per  tutto  sia  riputato  il  vostro 
giudizio ,  e  riputato  il  nome  vostro.  Assicuro  V.  S.  Il- 
lustrissima che  io,  più  per  accertarmi  da  ogni  parte 
e  con  ciò  ad  accendermi  vie  più  a  terminare  il  se- 
condo libro  che  ivi  prometto ,  che  per  ambizione  fo 
questa  preghiera  colla  presente  mia  supplichevole  let- 
tera. A  questo  fine  questo  Ecclesiastico  mio  famigliare 
ha  tutta  la  facoltà  di  disponere  e  la  prontezza  di  ub- 
bidire a  V.  S.  Illustrissima.  Priego  il  Signore  a  donarle 
lunga  vita,  e  priego  V.  S.  Illustrissima  ad  onorarmi  al- 
l'incontro con  suoi  comandi^  e  con  divozione  di  cuore 
le  bacio  riverentemente  le  mani,  ec. 


DE   MENTE    hTrOICA 

O  RAT  I  O 

H  AB  ITA    IN    R.    NEAPOLITANA    ACADEMIA 
XIII  KAL.  NOV.  MDCCXXXII 


EXGELLENTISSBIO  PRINCIPI  VIRO 

COM.    ALOY.    THOMAE    DE    HARRAGH 

NEAPOLITANI  REGNI 

PRO  REGE 

MODERATORI 

\^GILANTISSIMO  INTEGERRIMO  OPTIMO 

QVI 

QVATVOR  GENEROSISSIMOS  FILIOS 

AD  EGREGIAS  PACIS  BELLIQVE  ARTES 

MAIORVM  ET  SVO  IN  PRIMIS  HEROIGO  FINXIT  EXEMPLO 

HANG  ORATIONEM 

QVAE 

STVDIOSAM  LITERARVM  IVVENTVTEM 

MANVDVGIT 

AD  HEROICAM  SAPIENTIAM 

COMPARANDAM  PRAECEPTIS 

REGIA  ACADEMIA  NEAPOLITANA 

OB  PLVRIMA  AB  EO  ET  MAXIMA 

BENEFICIA  SIBI  COLLATA 

OBSEQVENTIS  ET  GRATI  ANIMI 

TESTEM  D. 


Ex  Doctrina  de  Moribas. 

Juvenes  gloria,   viri  i>olentià  , 
sencs  utilitate  ducuntur. 


Quum  in  hac  Regia  Academia  utilissimum  insti- 
tutum  quotannis  literarum  studia  solerani  ad  vos, 
optimae  spei  Adolescentes,  Oratione  habita,  rite 
et  ordine  auspicandi  satis  diu  siluisset;  et  huic 
nuper  creato  111.  Praefecto,  viro  usquequaque  do- 
ctissimOj  et  m  vestra  Re  Literaria  augenda,  quam 
qui  maxime j  effuso,  id  de  more  hac  stata  recur- 
rente  die  in  primis  usurpari  placuerit:  me  sane, 
qui  tres  supra  triginta  perpetuos  annos  eloquen- 
tiae  Professoris  munere  in  hac  ipsa  fungor,  et  se- 
veris  meditationibus  literariis  sum  pene  absumtus, 
novum  aliquod  ad  vos  afferre  argumentum  omnino 
decet,  non  sententiarum  calamistris,  verborumque 
cincinnis  juveniliter  exornatum,  sed  quam  maxime 
fieri  potest,  et  ipsarum  rerum  pondere  grave  et 
vestro  uberrimo  fructu  refertum.  Quod,  quia  suapte 
natura  est  amplitudinis,  splendoris  sublimitatisque 
plenissimum,  in  eo  dissertando, 

fungar  vice  cotis,  acutum 

Recidere  quae  fenum  valel,  exsors  ipsa  secandi;   .^ 

et  quia  vos  tantis  promissis  exciti  in  causa,  in 
qua  vestra  res  agitur,  jam  ad  attente  ac  benigne 
audiendum  parati  estis,  in  primo  ingressu  hujus 
Orationis  id  dabo.  In  literarum  studia,  Adolescen- 
tes  ingenui,  incumbendum  vobis  est,  haud  sane 
ob  fines,  quibus,  facile  a  vili  vulgo  sordìdoque 
vincamini,  ut  ob  parandas  divitias;  nec  quibus  a 
niilitibus  aulicisque  longe  superemini,  ut  caussa 
honorum  et  potenliae^  ncque  adeo  quibus  ducun- 
tur philosophi,  ipsius  nempe  Sapientiae  desiderio, 
quo  capti  plerique  omnes  in  umbra  abditi  omnein 


126  PARTE    I. 

aetatem  degunt,  ut  otiosi  sua  animi  Iraiiquillitate 
perfruantur.  Aliquid  est  a  vobis  expectandum  longe 
praestantius.  Sed  quid  isthuc?  mirabundus  aliquis 
vestrum  inquiet:  a  iiobis  h'urnana  conditione  ma- 
jora  petis?  Isthuc  numero  ipsum;  sed  ita  majora, 
ut  sint  tamen  vestrae  naturae  convenientia.  A  vo- 
bis, inquam,  est  expectandum,  ut  literarum  stu- 
diis  operam  detis,  qua  vestram  Mentem  explicetis 
Heroicamj  et  Sapientiam  ad  Generis  Humani  fe- 
licitatem  instituatis:  quo  Consilio  nedum  divitiae 
opesque,  vobis  eas  aspernantibus,  affluentj  sed 
ipsi  honores  et  potentia,  vos  nìhil  tale  curantes, 
ultro  ambibiint.  Neque  enim  sine  verbi  delectu  et 
pondere  dixi,  ut  literarum  studiis  Mentem  Heroi- 
cam  explicetis.  Nam  si  Heroés  a  Poétis  seu  dicti, 
seu  fleti  sunt,  qui  divinum  jactabant 

humana  certe  Mens  sine  crani  fabularum  com- 
mento divinam  habet  originem;  cui  tantum  deest, 
ut  doctrina  et  erudi tione  explicetur.  Videte^  quan- 
tum a  vobis  humana  conditione  majora  peto,  ut 
postuiem  a  vobis  divinam  prope  vestrarum  men- 
tium  celebrari  naturami  Heros  enim  Philosophis  de- 
finitur,  qui  sublimia  appetit:  sublimia  autem  iisdem 
ipsis  sunthaec  optima  maxima rsupraNaturam  Deus; 
in  Natura  haec  spectabilium  rerum  Uni versitasj  in 
qua  neque  quid  majus  est,  quam  Hominum  Ge- 
nus,  neque  quid  proinde  melius,  quam  Generis 
Humani  felicitasi  ad  quam  unam  uni  unice  inten- 
dunt  Heroés;  qui  fama  meritorum  in  Genus  Hu- 
manum  maxime  pervagatà,  qua  per  populos  et 
nationes  perstrepente  voce  Cicero  eleganter  Glo- 
riam  describit,  nominis  sibi  pariunt  immortalita- 
tem.  Itaque  vestra  vobis  studia  principio  ad  Deum 
Opt  Max.  sunt  dirigenda;  deinde  prae  Dei  gloria, 


SCRITTI    SCIENTIFICI  12^ 

qui  nobis  in  universum  Genus  Humanum  diligen- 
tiam  jubetj  ad  Generis  Huniani  felicitatem.  Quum 
haec  igitur  proposi ta  exposita  ita  sint,  eja  agite, 
Adolescentes  ad  optima  maxima  nati,  et  Mente 
Heroica  ad  liane  Studiorum  Universitatem  animos 
Deo  plenos  appellite,  ac  proinde  cunctis  terrenis 
affectibus  defaecatos  ac  purosj  et  cum  ingenti  ve- 
stro  profectu  experi  minor  divinum  verum  illud: 
Initium  Sapientìae  est  timor  Domini:  Mens  enim, 
quae  divinis  rebus  suapte  natura  infinitis  aeter- 
nisque  oblectatur,  non  potest  non  agitare  subli- 
mia,  non  condri  grandia,  non  efficere  egregia: 
quare  illa  est  persuasio  minime  temeraria,  viros 
pietate  insignes,  ubi  literis  applicuerunt,  non  sine 
certa  divina  ope,  ut  Gaesarem  Baronium  Gardi- 
nalenij  aliosque  quammultos  cum  mole,  tum  in- 
genio et  doctrina  admiranda  opera  lucubrasse. 
Dum  vero  istbinc  Mente  Heroica  Sapientiam  e 
primo  limine  saluta tis,  magno  animo  con  tempie- 
mini,  quae  heic  vobis  ob  oculos  sunt  exposita. 
Qui  gravissimi  viri  praeclaris  distincti  insignibus 
heic  ab  dextera  consident,  est  Publica  Eruditio, 
quam  Augustus  Gaesar,  Garolus  VI  Austrius,  Rex 
Hispaniarum  vobis  erudiendis  heic  habet  instru- 
ctam  :  ut  quales  virtute  ad  Imperii  Romani  Regno- 
rumque  tutelam  fortissimos  belli  duces  per  cam- 
pos  et  acies  sibi  paravit;  tales  sapientia  ex  vobis 
in  hac  umbra  comparet  ad  eorumdem  beatitudi- 
nem:  quo  vos  invitat  et  compluribus  in  vos  le- 
gum  irrogatis  beneficiis,  et  praeclaris  honoribus 
buie  Palatinae  Militiae  vestrà  potissimum  caussà 
collatis,  studiosa  literarum  Juventus,  o  spes  al- 
tera Reipublicae,  o  altera  praecìpua  Summi  Prin- 
cipis  cura:  cui  administrans  qui  prò  Rege  hoc 
Regnum  summa  virtute  et  sapientia  feliciter  mo- 
deratur,  Excell.  Gomes  Aloysius  Thomas  de  Har- 


128  PARTE    I. 

radi  ita  hanc  Studiorum  Universitatem  enixe  fo- 
vetj  eique  ila  prolixe  favet^  ut  quod  antea  saeculo 
contingebat,  is  triuQi  annorum  spatio  quinque  ex 
hoc  Goiisessu  Caesari  commendarit  Antecessores, 
quos  Regios  Episcopos  designavit.  Quantum  auteni 
in  his  ipsis  sit  doctrinae  instar,  etiam  atque  etiam 
cogitate:  omnium  aetatum,  omniumque  doctarum 
gentium  principes  in  quaque  scientia  Scriptores 
quemque  horum  ex  sua  cujusque  facultatis  vi  mente 
condere,  ut  vobis  non  solum  promptos  habeant, 
et  ad  manum  paratos,  sed,  ubi  usus  opusve  iis 
videatUFj  ab  sese  praeterea  explicatosj  emendatos 
et  auctos:  cui  facultati  quisque  suae  proluserunt 
periculosis  solemnium  Praelectionum  intra  brevis- 
simns  temporis  angustias  factis  experimentisj  qui- 
bus  spedati  in  hunc  Antecessorum  Ordinem  lecti 
sunt.  Hinc  intelligite,  quo  honore,  quantaqueVe- 
neratione  vos  eos  prosequi  oporteat:  quod  ab  eo- 
rum  laeva  tot  amplissimi  Senatores  adsideantj  qua 
loci  dignitate  profitentur,  se  suam  buie  Publicae 
Eruditioni  accepto  referre  sapientiam,  qua  prae- 
clarissimos  in  Republica  honores  adepti  sunt.  Qui- 
bus  argumentis  plenissimis  dignitatis  magnum  exci- 
tate animum-  et  magnanimitatis  pulcherrimam  il- 
lam  notam  ostendite,  vos  dociles,  obsequentes  et 
gratos  ab  his  doctissimis  Antecessoribus  castigari, 
docerij  corrigi;  quod  hi  in  haCj  non  solum  Ita- 
liae,  sed  totius  ferme  Europae  splendidissima  Urbe, 
vestram  conditionem  velint  quam  ornatissimam:  et 
nunc  patria  pietate  heic  se  vobis  praebent,  ut  vos 
omnibus  et  cyclicis  et  acroamaticisj  quae  usquam 
celebrantur,  disciplinis  instituant:  namque  id  est, 
quod  haec  vox  Studiorum  Unwersitas  pollicetur. 
Et  quidem  certe  ab  his  Doctoribus  scientiae  vo- 
bis omnes  sunt  perdiscendae.  Elenim  manca  et  de- 
bilis  institutio  literaria  illa  est  in  unam,  tertam  ac 


SCRITTI    SCIENTIFICI  12g 

peculiarem  dìsciplinam  tota  mole  incumbentium  : 
scientiae  iiamque  eadem  natura  suiit,  qua  virtutes; 
de  quibus  Socrates,  qui  in  placitis  habebat,  ipsas 
virtutes  nihil  allud  esse  quam    scientias,  omnino 
negabatj   uspiam  unam  esse   veram,   nisi  ibidem 
ceterae  omnes  adessent.  Quid?    conlraxistis  fron- 
tem?  an  hoc  dicto  vestra  ingenia  deterrui?  Inju- 
riam  sane  facitis  divinae  vestrarum  mentium  ori- 
gini. Ne  supina  vota  concipiatis,  ut  dormientibus 
vobis  in  sinum  de  coelo  cadat  Sapientia^  ejus  ef- 
ficaci desiderio  commovearaini,  improbo  invicto- 
que  labore  facite  vestri  pericula,  quid  possitis;  co- 
naminor,  quantum  possitis:  vestras  in  omnes  par- 
tes  versate  vires:  vestras  mentes  excuti  te  5  et  in- 
calescite  Ì)eOj  quo  pieni  eslis:  coque  Consilio^  quod 
poétis  natura  evenit,  vobis  ipsis  mirantibus,    di- 
vina edideritis  vestra  ingeniorum  miracula.  Haec, 
quae  dissero^  Literati  Itali  momentoso  ilio  j  et  ad 
rem,  qua  de  agimus,  apposito  verbo  graviter  lu- 
culenterque  confirmant,  quo  quamque  Studiorura 
Universitatem  Sapientiam  appellant.  Sapientia  Pia- 
toni  difinitur  Hominis  interioris  purgatrix,  sanatrix, 
consùmmatrix:  interior  autem  Homo  mens  et  ani- 
mus est;  utraque  pars  originis  vitio  corruptissima: 
mens  ad  verum  factajfalsis  opinionibus  et  erroribus 
aestuans;  animus  natus  ad  virtutem,  pravis  affecti- 
bus  et  vitiis  excruciatus.  Igitur  hoc  est  hujus  Pu- 
blicae  Eruditionis  propositum,  ad  quod  oculos  coi** 
limetis  oportet;  vos  huc  mente  animoque  aegrotos 
convenisse  ob  vestrae  melioris  naturae  medelara, 
sai u tem j  perfectionem.  Ncque  enim  haec^  quae  dico, 
stultus  aliquis  derisor  subsannet:  namque  eorum, 
quae  dico,  eruditos  omnes    mihi   habeo  auctores 
ilio   a   corporibus    ad   animos   sapienter  translato 
vocabulo,    quo  studiorum   Universitates  Publica 
appellant  Gymnasia'.  quod,  quia  Antiquis  nosoco- 

V^ico ,  Opuscoli,  t) 


l3o  PARTE    r. 

mia  erant  incognita,  uti  gyninasticà,  quae  in  ther- 
ruis  exercebatuFj  corpoiuin,  ita  Studiorura  Univer- 
sitatibus  vires  reficiuntur,  firmantur,  augentur  ani- 
morum.  Haec  si  cogitaveritis,  ingens  illiid  e  vestris 
studiis  emolumentum  percipietis,  yos  Rei  Litera- 
riae  dare  operam,  qua  velitis,  non  videri,  sed  esse 
doctosj  qiiod  a  Sapientia  desideretis  curari,  sanari, 
perfici;  nani  de  omnibus  aliis  sive  Naturae,  sive 
Fortunae  bonis  bomines  sat  babent  videri;  de  una 
salute  omnes  sese  esse  revera  sanos  exoptant.  Hoc 
fine,  qui  sapientiae  proprius  est,  vobis  semel  pro- 
posito, jam  illi  longe  minores  vestris  animis  ex- 
cidant  necesse  est,  divitiae  nempe  et  honores; 
et  opibus  aucti,  honoribus  cumulati,  non  de- 
stiteritis  fieri  usque  et  usque  doctioresj  omnis 
fraus  a  vestris  mentibus  aberit,  vanitas  omnis  et 
impostura,  quod  non  cupiatis  videri,  sed  deside- 
retis esse  doctissimi:  vos  nec  ulla  afficiet  in  alios, 
neque  adeo  aliorum  in  vos  perstringet  invidia;  qua 
utuntur,  qua  laeduntur  opum  avidi,  honorum  am- 
bitiosi:  et  quae  inter  illos  invidia  est,  inter  vos  fiet 
generosa  aemula tio;  quod  id  omnibus  citra  invi- 
dentiam  commune  bonum,  ut  sunt  omnia  divina, 
quia  infinita,  desideretis  vestram  mentium,  ac  pro- 
inde animorum  a  corporis  contagione  secretam 
cpLct^etcr/jra.  Nam  quod  curta  contenti  Hterarum 
suppellectile,  non  solum  ineptam,  perversam  quo- 
que etiam  accusant  liane  in  Studiorum  Universi- 
tatibus  docendi  rationemj  ubi  nedum  alii  alia,  sive 
adeo  eadem,  alio  tamen  argumento,  aliave  me- 
thodo,  sed  saepe  prorsus  contraria  doceant.  Incom- 
moda  sane  ratio  j  fatemur  quidem:  namque  optima 
perpetuo  uniformis  optanda  esset:  sed  quando  ea 
per  rerum  naturam  ab  tribus  bis  pulcherrimis  ne- 
cessitatibus  pernegatur,  novis  Inventis,  no  vis  de- 
tectis  Veris,  novis  castigatioribus  Curisj  haec,  quae 


SCRITTI    SCIEI^TIFICI  l3l 

ab  istis  accusa  tur,  docendi  ratio  optima  est;  et  ob 
tres  has  vicissim,  quas  affert  haud  spernendas  uti- 
lilates:  principio  ne  quis  vestrum  in  ullius  magi- 
stri  verba  sacramento  adigatur;  quod  plerumque 
fit  in  Scholasticorum  disciplinis:  deinde  ne  ullo 
literarum  saeculo  abripiatur,  ut  in  privatis  Gym- 
nasiis;  cujus  fluxa  studia  ut  cooriuntur,  sic  occi- 
dunt,  et  repente  adulta,  repente  consenescuntj  at 
literariae  operae,  quae  immortalia  opera  efficiant, 
iEternitati  locandae  sunt:  postremo,  quod  ad  no- 
strum argumentum  in  primis  attinet,  ut  pernosca- 
tis,  ecquid  boni  aliae  aliis  disciplinis  commodent, 
nam  quaeque  aliquid  in  se  boni  habet,  ecquid  om- 
nes  in  ipsam  Sapientiae  Integrae  summam  confe- 
rant*  ad  quam  capessendam,  liberales  Adolescen- 
tes,  vos  serio  seduloque  et  monco  et  exhortor. 
Hac  igitur  potissima  de  caussa  audite  omnes  di- 
sciplinarum  Doctores,  eo  tamen,  quod  diximus,  prò* 
prio  Sapientiae  proposito,  ut  eorum  doctrinae  cu- 
renl ,  saii,ent,  perficiant  omnes  vestrarum  mentium 
aninioruujque  facultates.  Et  Metaphysica  intellec- 
tum  a  sensuum  carcere,  Logica  rationem  a  falsis 
opinionibus,  Etilica  voluntatem  a  pravis  affectibus 
liberet:  Rhetorica,  ne  lingua  mentem,  neve  mens 
caussam  aut  prodat,  aut  deserat:  Poetica,  ut  ef- 
frenes  pbantasiae  aestus  temperet:  Geometria  in- 
genii  errores  contineat:  Pbysica  vero  stupore  vos 
excitet,  quo  defixit  cum  suis  Natura  miraculis.  At 
enim  non  hi  sunt  amplissimi  bonorum  fines,  qui«4 
bus  Sapientia  beaturj  proponite  vobis,  et  expe- 
ctale  longe  splendidiores.  Studiis  namque  Lingua- 
rum,  quas  nostra  Christiana  Religio  colit  ut  suas, 
cum  praeclarissimis  historiae  universae  populis  ser- 
mones  serite*,  omnium  antiquissimà  cum  Hebraeis; 
ouuiium  elegantissima  cum  Graecis,  omnium  maje- 
statis  pienissima  cumLatinis:  quumque  linguaesint 


l33  PARTE    I, 

ferme  naturalia  inomm  vehicula,  OrientalibuSj  quae 
adLinguae  Sanctae  captum  sunt  necessariaCjUt  ante 
omnes  Chaldaica,  vos  in  urbe  omnium  maxima, 
Babylone  Assyrii  raagnificentià,  Athenis  Graeci  At- 
tica vitae  elegantià,  Romae  Latini  animi  altitudine 
ìmbuant.  Lectione  historiarum  maximis  Orbis  ter- 
rarum  Imperiis,  quae  unquam  floruerunt,  animis 
praesentes  adesle:  et  ad  civilem  prudentiam  exem- 
plis  fìrmandam,  expendite  origines,  incrementa, 
status,  devolutiones  et  interitus  populorum  ac  gen- 
tium^  et  ut  rebus  humanis  flagitiosa  Fortuna  su- 
perbe dominatur;  ac  super  Fortuna  ut  Sapientia 
lìrmum  ac  stabile  regnum  obtinet.  At  hercule  illa 
Poètarum,  cum  ineffabili,  quia  hominis  maxime 
propria,  voluptate,  qui  suapte  natura  fertur  ad 
uniforme^  personarum  in  omni  vitae  genere  si  ve 
moralis,  sive  familiaris,  sive  civilis  ad  ideam 
optimam,  atque  ob  id  ipsum  verissimam  gra- 
phyce  descriptos  observate  cbaracteres;  ad  quos 
vulgaris  tìaturae  homines  collati ,  quia  vita  non 
Constant,  ubi  non  Constant,  ipsi  potius  falsi 
esse  videantur:  eaque  ratione  in  praestantium  Fa- 
bulis  Poètarum  Humanam  Naturam,  vel  in  sua 
ipsius  turpitudine  pulcberrimam,  quia  sibi  sem- 
per  convenientem,  sui  semper  similem,  in  omni 
sui  parte  decoram  divina  quadam  mente  con- 
templemini:  uti  Deus  Opt.  Max.  Naturae  Uni- 
versae  sive  errantia  monstra ,  sive  malignas  pestes 
in  aeterno  suae  Providentiae  Ordine  et  bona  et 
pulchra  intuetur.  Qui  praestantes  Poètas,  ingenti 
voluptate  perfusi,  aeque  tanta  admiratione  correpti 
legite  sublimes  Oratores,  qui  mira  arte  ad  corrup- 
tam  bumanam  naturam  accommodata^  animos  quan- 
tumvis  obfìrmatos,  affectibus  qui  a  corpore  com- 
moventur,  in  prorsus  contraria  volentes  contor- 
quent:   quod  unus  praeterea   praestat  Opt.  Max. 


SCRITTI    SCIENTIFICI  l33 

DeuSj  at  per  suas  in  immensutn  adversas  victri- 
cium  auxiliorum  divinas  vias,  quibus  hominuni 
quantumlibet  affectibus  terrae  defìxas  mentes  cae- 
lesti  voluptate  ad  se  trahit.  Ad  haec  humana  ac- 
cedant  illa  sublimia  Naturae.  Geographià  magni 
itineris  duce,  cum  Sole  universam  terram,  et  Ocea- 
num  ambite.  Astronomiae  observationibus  Plane- 
tarum  peragrate  orbes,  coecas  ac  sinuosas  Gome- 
tarum  explorate  vias.  Cosmographia  vos  sistat  ad 

....  flammaotìa  moenia  Mundi. 

Tandem  vos  Metapbysica  Natiiram  supergressa  in 
beatissiraos   interminatosque   ^Eternitatis    campos 
educat;   ubi  in  Divinis  Ideis,  quantum   menti  fi- 
nitae  fas  est,  et  innumeras    hactenus    creatas  vi- 
dete  formas,  et  quae  deinceps  creari  possunt,  si, 
uti  re  ipsa  non  est,  Mundus  essent  aeternus.  Ita 
omnes  humanarum,  naturalium  aeternarumque  re- 
rum tres  Mundos  permeate:  et  doctrina  alque  eru- 
ditione  divinam  ferme  vestrarum  mentium  celebrate 
Naturam.  Namque  liae  sublimes  meditationes  certo 
sperare  jubent,  foie,  uti  tam  altos  erectosque  fin- 
gatis  animosj  ut  omnes  divitias  et   opes^   omnes 
honores    et  potentiam   quam   profundissime   infra 
vos  posita   despiciatis.    Jam  vero    de    Scriptorum 
delectu,   quo  ad    Integram   Sapientiam    auditione 
acquirendam  sequamini,  sat  vobis  sapientes  hujus 
Regiae  Academiae  Ordinatores  suis  legibus  provi- 
derunt,   juxta   illud   Quintiliani   monitum,   in  di- 
sciplinis  optimos  esse  deligendos;  ut  de  Theolo- 
gia  divinum  utriusque  Instrumenti  Godicem,  quem 
Ecclesia  Gatholica  rite  ac  recte  interpretatur  j  ejus- 
que  ab  Apostolicis  usque  temporibus  perpetua  Tra- 
ditio  solidis  Historiae  Ecclesiasticac    monumentis 
graviter    fideliterque   custoditi    de  Jurisprudentia 
Gorpus  Juris  Justinianeiy  Antiquitutum  Romano- 


l34  PAIITK    I. 

rum  locupletissimum  testeriij  elegantiaruiii  Latinac 
Linguae  conditissimam  penum,  et  sanctius  leguiii 
humanarum  aerarium  :  de  Medicina  in  primis  Hip- 
pocratei^i,  qui  immortale  elogium  meritus  est,  nec 
iallit  quenquam,  nec  ab  ullo  unquam  falsus  est:  de 
Philosophia  Universa  Aristotelem,  aliosque  prae- 
stantis  famae  Philosopbosj  ubi  is  deficiat:  de  cae- 
teris  disciplinis  ejusdem  amplissimi  census  abos. 
Ad  hos  omnis  memoriae  Scriptores  principes  porro 
legendos  hi  Antecessores  doctissimi  Gommentariis 
suis,  tanquam  digitum  intendentes  vos  dimittent 
instructos  ratibnibus,  ex  quibus  ii  optimi  in  sua 
quisque  doctrina  extitere.  Quod  Commentariorum 
genus  non  solem  vos  illexerit,  ut  a  vestris  studio- 
rum  incunabubs  diurna  nocturnaque  manu  verse- 
tis  optimosj  sed  illa  investigatione  caussarum,  ex 
quibus  ii  extitere  optimi,  vos  praeterea  excitave- 
ritj  ut  ideam  perfectiorem  finga tisj  ad  quam  ipsi 
doctrinarum  principes  compositi  de  exemplaribus 
fient  exemplaj  ita  ut  super  eorum  archetypis  eos 
aemulari,  et  superare  quoque  etiam  possitis:  qua 
rationCj  nec  certe  aUa  scientiae  artesve  emendan- 
tur,  augentur,  perficiuntur.  Ncque  enim  venia  di- 
gni  suntj  qui  in  mediocribus,  ne  dicam,  imae  no- 
tae  Scriptoribus  legendis  omnem  literariam  vitam 
contriverint;  quos  iis  haec  Pubbca  Eruditio  suis 
legibus  academicis  haud  sane  commendavit.  Totum 
autem  audiendi  tempus  nihil  abud  agite,  quam  con- 
ferre  quae  didiceritis;  ut  quaeque  inter  se  constent, 
et  cuncta  in  quavis  scientia  consentiant:  ad  quod 
faciendum  ipsa  hunianae  mentis  natura  vos  duxe- 
ritj  quae  uniformi,  convenienti,  decoro  summo- 
pere  delectatur^  ut  Latini  sapienti  vocabulo  Scien- 
tiam  appellasse  videantur  ab  eadem,  unde  dicitur 
Scitus,  origine,  quod  idem  ac  pulcher  significat: 
quia,  cum   pulcluitudo   sit  membrorum  inter  se, 


SCRITTI    SCIENTIFICI  I  35 

omnìuraque   in   aliquo    praestaiiti   corpore   justus 
commcnsus;  scientia  nihil  aliud  existimari  debet, 
quam  mentis  humanae  pulchritudo  :  qua  homines 
semel  capti   formas   corporum  vai   maxime  lucu- 
lentas  ne  advertunt  quidem;  tantum  abest,  ut  iis 
commoveantur.  Isto  conferendi  firmato  habitu,  vo- 
bis  parabitis  facultatem  scientias  ipsas  inter  se  con- 
ferendi, quacj  tanquam  caelestia  membra  divinum 
Sapientiae  Integrae,  ut  ita  dicam,  corpus  compo- 
nunt.  Quumque  Ratio  Humana  Pythagorae  sit  haec 
ipsissima   rerum   spiritualium  coilatio,  quam  sive 
explicat,  sive  involvit   exemplis   numerorum  5   eo 
pacto  Rationem  Humanam   Universam  perficietis 
ad  purissimae  et  candentissimae  lucis  instar^  quae 
quocumque   mentis  oculos  convertalis,  suos  diri- 
git  radios;  ita  ut  omne,  quod  dicunt  scibile,  om- 
nesque  ejus  partes  quam  bellissime  sibi  convenire ^ 
responderCj  constare  j  tanquam  in  uno  aliquo  pun- 
cto,  in  unaquaque  vestra  cogitatione  conspiciatis: 
quod  est  absolutissimum  Integri  Sapientis  exem- 
plar.  Ad  quamnam  autem  disciplinam  egregie  prae- 
ter  caeteras  animum  applicetis  (namque,  ut  sitis 
Reipublicae   utiles,   aliquam  unam  in  ea  profiteri 
vos,   oportet)j   ipse   vos   vester   Genius  edocebit 
voluptate,  qua  in  illa  praeter  caeteras  ediscenda 
perfundi  sentietis:  eo  namque  criterio  natura  uti- 
tur,  quae  vobis  in  id  a  Summo  Numine  tutor  da- 
tus  est,  ut  sciatisj  ibi  volentem  lubentemque  ve- 
stram   esse   Minervam.    Quod   consilium    cum  sit 
natura  tutissimum;  mihi  tamen,  qui  vos  ad  optima 
maxima  hortor,  haud  splendidissimum  esse  vide- 
tur.   Saepe  enim  in   homine   optimarum  maxima- 
rumque  rerum  facultates  insunt  ita  abditae  et  con- 
sopitae,  ut  vix  ac  ne  vix  quidem  ab  earum  com- 
pote  sentiantur.  Cimo  Atbeniensis,  est  vulgalissima 
historia,  homo  sane  plumbeus)  adolescentulam  ef- 


l36  PAUTE    I. 

flictim  deperibatj  quumque  haec  ei  joco^  tanquam 
rem  illius  natura  negatam  dixisset,  se  eum,  cum 
mililum  centuno  factus  esset,  amaturumj  homo 
militiae  nomen  dedit,  et  in  belli  ducem  praecla- 
rissimum  abiit.  Socrates  ingenio  ad  flagitia  impense 
proclivi  natus  erat;  sed  divino  quodam  conatu  ad 
Sapientiae  studium  conversus ,  primus  Philoso- 
phiam  de  Goelo  revocasse  dictus  est,  et  omnium 
Philosophorum  Parens  appellatus.  Cum  quibus  ve- 
terum  recentia  componamus  exempla  praestantium 
virorum,  qui  mira  sua  sibi  ignota  ingenia  aliena 
sapientià  experti  sunt.  Julius  Mazzarinius  Cardi- 
nalis  de  se  forensem  operam,  gregarium  militem, 
privatae  fortunae  aulicum  praebuerat:  at  per  alias 
ex  aliis  civdium  agendarum  rerum  occasiones  na- 
tas^  et  ab  amplissimis  viris  imprudenti  objectas 
sapientissimus  vir  politicus  factus  est;  qui  apud 
Ludovicum  XIV  Galliae  Regem  particeps  secre- 
torum,  perraro  magnae  fortunae  exemplo  in  longa 
potentia  obiit.  Franciscus  Guicciardinius  in  Ro- 
mano foro  Jurisprudentiam  profitebatur,  at  a  sum- 
mis  suis  temporis  Pontificibus  ingratiis,  atque  adeo 
invitus  compluribus  Pontificiae  ditionis  Urbibus 
Praefectus  impositus,  cum  per  occasionem  Gallici 
belli,  quo  Garolus  Vili  Italiam  omnem  concusse- 
ratj  complura  cum  Gallis  gravissima  e  bello  nata 
negocia  Summorum  Pontificum  mandatis  transe- 
gisset;  ea  de  causa  ad  res  Italiae  sui  temporis 
scribendas  animum  adjunxit;  et  Italicae  Linguae 
Historicus  omnium  facile  princeps  extitit.  Quapro- 
pter  quoquoversus  mentis  oculis  circumspicite;  quo- 
quoversus  ingenia  circumagite;  abditas  et  abstru- 
sas  vestras  facultates  scrutaminor,  ut  vestrum  igno- 
J;um  forsan  splendidioris  naturae  genium  agnosca- 
tis.  Ita  Universo  Scientiarum  Orbe  circumacto, 
quam   potìssimum    delegistis,   eam   altiore,   quam 


SCRITTI    SCIENTIFICI  iS-J 

ipsi  viri  dodi  faciunt,  animo  profìteamini:  non 
tantum  (paucis  exemplis  totum  genus  complectar) 
Medicinam  ut  bene  morbos  curetisj  Jurispruden- 
tiam,  ut  sapienter  de  jure  respondeatis  ;  Theolo- 
giam,  ut  divinarum  rerum  rectam  doctrinam  cu- 
stodiatis:  sed  quo  ingenti  animo  sublimique  arte 
vobis  auditio  lectioque  praeiverint,  eopse  animo, 
eapse  arte  sequatur  necesse  est  lucubralio.  Ea 
namque  Scriptorum  principum  perpetua  sic  au- 
diendo,  sic  legendo  firmata  consuetudo  egregiae 
naturae  sponte  vos  duxerit,  ut  eos  ipsos  in  lu- 
cubrando  judices  vobis  semper  praesentes  adhi- 
beatis:  et  illud  a  vobis  metipsis  identidem  scisci- 
teminij  Medici  (propositis  exemplis  insistam),  quid, 
si  haec,  quae  meditor  scriboque,  ipse  audiret  Hip- 
pocrates?  Jurisconsulti  illud,  quid,  si  haec  audi- 
ret Cujacius?  Illud  Theologi,  quid,  si  haec  Mel- 
chior Canus  audiret?  Nam  qui  Scriptores,  qui 
temporum  vetustatem  pertulere,  sibi  censores  pro- 
posuit,  non  potest  opera  lucubrare,  quae  non  re- 
iiqua  posteritas  admiretur.  Grandibus  bis  gradi- 
bus,  quibus  in  via  Sapientiae  grassemini,  facile 
vobis  erit  ulterius  progredi,  ut  non  unus  aliquis 
vestrum  dixerit 

A  via  Pieridum  peragro  loca: 

et  ab  ahis  praestantissimis  ingenio  et  doctrina  vi- 
ris  aut  ardua  frustra  tentata  perficiatis,  aut  hacte- 
nus  intentata  conemini:  vos.  Medici  (propositis 
exemphs  rem  peragam),  historiis,  observationibus- 
que  medicis  undique  collatis ,  alios  aphorismos  de- 
cernere; quae  duum  millium,  et  plus  eo,  annorum 
gloria  adhuc  apud  unum  perstat  Hippocratem  :  Ju- 
risconsulti,  nominum  Juris  definitionibus,  qua  scien- 
lia  ^milius  Papinìanus  Jurisconsultorum  princeps 
habitus  est,  et  Jacobus  Cujacius,  vel  maxime  fio- 


l38  PARTE    I. 

rente  Eruditomni  Juris  Interpretum  saeculo  sese 
supra  oinnes  efFerebat,  universani  Jurisprudentiam 
per  coroUaria  complecti:  quod  praestantissimuai 
opus  ut  aetatCj  ita  Juris  sapientià  grandis  Anto- 
nius  Faber  in  sua  Jiirisprudentia  Papinianea  ag- 
gressus  est 5  at  sive  in  progressu  difficultate  deter- 
ritusj  sive  morte  occupatus,  non  absolvit:  Theo- 
logij  Philosopbiae  Moralis  super  Cbristìanae  Do- 
ctrinae  principiis  systema  conderej  quod  Sfortia 
Pallavicinius  Cardinalis  magnanimo  ausu  tentavit  ; 
de  eadem  re  Paschalius  sapientissima  quidem  co- 
gnitu,  sed  sparsa  edidit;  Malebrancbius  in  ipso 
conatu  defecit.  Legite  magni  Verulamii  aureum  de 
Augmentis  Scientiarum ,  et,  si  nonnulla  excipias, 
semper  suspiciendum  et  ob  oculos  babendum  li- 
brum;  et  considerate,  quantum  Scientlarum  Or- 
bis  restet  adhuc  corrigendum,  supplendum,  dete- 
gendum!  Neque  vero  vos  incautos  iste  sive  invidus, 
sive  ignavus  circumveniat  rumor;  hoc  beatissimo 
saeculo,  quae  in  Re  Literaria  effecta  dari  unquam 
potuerant,  jam  omnia  absoluta,  consumata,  per- 
ìecta  esse,  ut  in  ea  nihil  ultra  desiderandum  su- 
persit.  Falsus  rumor  est,  qui  a  pusilli  animi  Lite- 
ratis  differtur.  Mundus  enim  juvenescit  adhuc:  nam 
septingentis  non  ultra  ab  bine  annis,  quorum  ta- 
men  quadringentos  Barbaries  percurrit,  quot  nova 
Inventa?  quot  novae  Artes,  quot  novae  Scientiae 
excogitatae?  Acus  Nautica,  Navis  sohs  instructa 
velis,  Tubus  Opticus,  Turricelli  Machina,  Machina 
Pneumatica  Bojlis,  Sanguinis  Circulatio,  Micro- 
scopium,  Tubus  Arabum  stillatorius,  Arabicae  Nu- 
merorum  formae,  Informia  magnitudinum  genera, 
Pulvis  pyrius,  Tormentum  bellicum  glandignivo- 
mum,  Tbolus  templorum,  Typi  Hterarii,  Gharta 
iintea,  Horologium:  singula  quaeque  optima  ma- 
xima, et  omnia  Antiquis  prorsus  incognita.  Unde 


SCRITTI    SCIENTIFICI  I  3^ 

ortae  nova  Navalis  et  Nautica,  quibus,  novus  ter- 
rarum  Orbis  detectus,  et  Geograpbia  miruQi  quan- 
tum aclaucta!  nova  Astronomiae  observata*  novae 
temporum  rationes,  nova  mundana,  nova  Mecha- 
nicaCj  nova  Physicaej  nova  Medicinae  sistemata, 
nova  Anatome,  nova  Spargirica,  Galeno  tantopere 
desiderata;  nova  Geometriae  methodus,  et  Arithme- 
tica  facta  longe  expeditior,  nova  Bellica,  nova  Ar- 
chitectura,  tanta  librorum  facilitas,  quae  vilescit, 
tanta  copia,  quae  fatiscat.  Quoniodo  tam  repente 
Humani  Ingenii  natura  efibeta  est,  ut  alia  inventu 
aeque  egregia  sint  desperanda?  Ne  despondeatis 
animum,  generosi  Auditores;  innuniera  restant  ad- 
irne, et  forsan  bis,  quae  numera vimus,  majora, 
meliora.  In  magno  enim  Naturae  sinu,  in  ma- 
gno Artium  emporio  ingentia  Humano  Generi  pro- 
fulura  bona  in  medio  posita  sunt,  quae  bacte- 
nus  jacent  neglecta,  quia  hactenus  ad  ea  Mens 
Heroica  animum  non  advertit.  Magnus  Alexan- 
der in  iEgyptum  delatus  uno  suo  magno  ocu- 
lorum  obtutu  Islbmum  vidit,  qui  Erytbraeum  a 
mari  Mediterraneo  dividit,  et  qua  Nilus  in  Medi- 
terraneum  effluit,  et  Africa  Asiaque  continentur; 
et  dignum  reputavit,  ubi  suo  nomine  urbem  fun- 
daret  Alexandriam,  quae  statim  et  Africae  et  Asiae 
et  Europae,  totius  Mediterranei  maris  et  Oceani, 
Indiarumque  commerciis  celebratissima  fuit.  Subli- 
mis  GaHlaeus  Venerem  corniculatam  observavit, 
et  de  Mundano  Systeraate  admiranda  detexit.  Ob- 
servavit  ingens  Gbartesius  lapidis  a  funda  jacti  rao- 
tum  ;  et  novum  systema  pbysicum  est  meditatus. 
Christophorus  Columbus  ventum  ab  Occidentali 
Oceano  in  os  sibi  adspirantem  sensit;  et  eo  Ari- 
stotelis  argumento,  ventos  a  terra  gigni,  alias  ul- 
tra Oceanum  esse  terras  conjecit,  et  novum  terra- 
rum  Orbem  detexit.  Magnus  Hugo  Grotius^  unum 


l40  PARTE    I.    SCRITTI    SCIENTIFICI 

illud  Li  vii  dictum,  sunt  quaedam  pacis  et  belli 
jura,  graviter  advertit;  ac  de  Iure  Belli  et  Pacis 
admirabiles  libros  ediditj  a  quibus  si  aliqua  ex- 
punxeris,  iiicoraparabiles  non  immerito  dixeris. 
Quibus  illustribus  argumentis,  quibus  exemplis  am- 
plissimis,  Adolescentes  ad  optirna  maxima  nati. 
Mente  Heroica,  ac  proinde  magno  animo  Liteia- 
rum  studiis  incumbite;  Integram  Sapientiam  ex- 
colite, Rationem  Humanam  Universam  perficite  : 
divinam  fere  vestrarum  mentium  celebrate  natu- 
ram:  aestuate  Deo,  quo  pieni  estis:  sublimi  spi- 
ritu  audite,  legite,  lucubrate:  herculeas  subite  ae- 
rumnas;  quibus  exantlatis,  ab  vero  Jove  Opt.  Max. 
vestrum  divinum  genus  optimo  jure  probetis:  at- 
que  adeo  vos  Heroas  asserite ,  aliis  Genus  Huma- 
num  ingentibus  commodis  ditaturi.  Quae  amplis- 
sima in  Universam  Humanam  Società tem  merita 
facili  negocio  et  divitiae  et  opes  et  honores  et 
potentia  in  hac  vestra  Republica  consequentur: 
quae  tamen  si  cessaverint,  non  manebitis:  et  cum 
Seneca  aequo  animo,  hoc- est,  non  elato,  si  ad- 
venerint,  excipietis;  nec  demisso,  si  abierint,  re- 
signabitis  stultae  furentique  Fortunae:  et  contenti 
eritis  eo  divino  et  immortali  beneficio,  quod  Deus 
Opt.  Max.,  qui  nobis,  ut  principio  diximus,  in 
Universum  Genus  Humanum  diligentiam  jubet, 
vestrum  aliquos  praecipuos  delegisset,  per  quos 
suam  in  Terris  gloriam  explicarit. 


IDEE  DIVERSE  E  CURIOSITÀ  LETTERARIE 


EPISTOLA   DEDICATORIA 

PREMESSA     ALLA    SlFlLIDE    DI    GIROLAMO    FbaCASTORO,    TRA~ 

DOTTA  DA  Pietro  Belli ,  al  sic.  Ernesto  de'  conti 
DI  Harràch  uditore  della  sacra  Ruota  Romana,  — 
N AVOLI ^  lySi  (i). 

Napoli,  19  ottobre  i^Si. 

Perchè,  come  i  libri  di  ogni  più  sublime  scien- 
za, così  quelli  di  Medicina  da  chiarissimi  autori 
furono  scritti  a'  potentissimi  re,  o  altre  persone 
grandi  (come  Asclepiade,  sommo  filosofante,  me- 
dico ed  oratore,  scrisse  i  suoi  a  Mitridate  re  di 
Ponto,  e  '1  famoso  Collegio  de'  Medici  di  Salerno 
scrisse  il  celebre  libro  intitolato  la  Scuola  Saler^ 
nitana  a  Roberto  re  d'Inghilterra)  sopra  questi 
esempH,  e  qui  ora  quello  più  potente  di  entram- 
bi, dell' incomparabil  latin  poeta  e  famoso  medico 
de'  suoi  tempi  Girolamo  Fracastoro  che  indirizzò 
la  sua  maravigliosa  Sifilide  a  monsignor  Pietro 
Bembo  ampHssimo  cardinale,  io  ora  prendo  P  ar- 
dire di  presentare  umilmente  all'È.  V.  Reverendis- 
sima questa  traduzione,  la  quale  ne  ha  fatto,  nella 
nostra  volgar  lingua 5  la  quale,  quanto  per  se  stessa 
non  lo  è,  tanto  per  lo  merito  del  celebratissimo 

(i)  Quantunque  la  presente  Dedica  si  vegga  impressa  col 
nome  del  traduttore  del  poema  Pietro  Belli,  pure  da  uno  squar- 
cio dì  essa  da  me  ritrovato  fra  le  carie  del  Vico  deducesi  es- 
serne costui  stato  l'autore.  Ed  oltre  a  ciò  dallo  stile  e  dalle  cose 
rlje  contiene,  tutte  uniformi  ai  pensieri  del  Vico,  chiaramente 
si  scor«je  averla  egli  distesa  iuteramentc  (Nota  di  C.  A»  FU' 
laro  sa).  •      '•-'  1  ; 


ì^2  PARTE    I. 

Autore  e  di  essa  opera  originale^  reputo  degna  eli 
portare  in  fronte  il  vostro  nome  chiarissimo;  anzi 
stimo  far  cosa  che ,  se  lo  stesso  Fracastoro  vivesse 
a  dì  nostri,  avrebbe  esso  lui  fatto,  messe  in  con- 
tesa, o  sia  contrapposto  la  nobiltà,  l'età,  l'eru- 
dizione di  entrambi.    Pietro   Bembo,    gentiluomo 
veneziano,   la   qual  è  nobiltà   di   signori   in   una 
Repubblica  aristocratica  la  più  riputata  del  mon- 
do; ella  nata  da  una  delle  più  nobiH  e  splendide 
case    della    Germania ,  la  quale    non  accolse  mai 
dentro  il  suo  seno  toghe  e  fasci  romani,  le  quali 
comandarono  a  tutto  il  Mondo:  quegli  vecchio  fu 
creato  cardinale  di  Santa  Chiesa;    voi  in  troppo 
giovanile  età  fatto  Auditore  della  Sagra  Ruota  Ro- 
mana,  prossimo    scaglione  all'amplissima  dignità 
del  Cardinalato:    quegli    ornato  di  amene   lettere 
latine  e  toscane,   così    di    prosa   come   di  verso, 
onde  fu  uno    de'  maggiori  lumi  de'  Letterati  del 
cinquecento;   voi  di  più  ricco  di  scienze   riposte 
e  sublimi,  per  le  quali   già  siete  in  ammirazione 
alla   Repubblica   de'  Letterati.    Imperciocché   ella 
insieme  con  l'eccellentissimo  signor  conte  Ferdi- 
nando, tanto  ne'  grandi  talenti  e  studj  generosi, 
quanto  per   lo    nobihssimo    sangue    germano   fra- 
tello vostro,  per  molti  anni  in  Roma  con  la  di- 
rezione del   dottissimo  Abate  Don  Celestino   Ga- 
liani,  ora  ben  degno  arcivescovo  di  Taranto,   e 
dell'eruditissimo  signor  canonico  Marci,  assai  ben 
costumato  ajo  vostro,    è    stata   istruita,   dopo    le 
cognizioni    delle  lingue,    delle  leggi  civih  e  delle 
Storie  profane,  a  meravigha  bene  nelle  Matema- 
tiche, nelle  Filosofie,   nelle   Storie   Ecclesiastiche 
e  ne'  sagri  Canoni,  e  sopra  tu It' altre  nell'ampia 
scienza  sublime  del  Diritto  Naturale  delle  Genti, 
la  quale  tutte  quasi  le  dianzi  noverate  discipline, 
come   propria    suppellettile^  debbono   fornire   ed 


SCRITTI    SCIENTIFICI  l43 

adornare.  Studio  degno  della  vostra  anima  gran- 
de, l'erudizione  del  Diritto,  che  fu  detto  Fas 
Deorum^  le  cui  leggi  sono  acclamate  Leges  ge- 
neris humani,  Leges  aeternae,  Foedera  huinanae 
societatis:  Diritto  col  quale  i  vincitori  regolano  il 
cieco  furore  delle  armi  e  la  sfrenata  insolenza  delle 
vittorie,  e  i  vinti  ne  consolano  i  danni  delle  guerre 
e  la  suggezione  delle  conquiste;  il  cui  prudente 
si  può  degnamente  dire  Giureconsulto  del  genere 
umano;  la  cui  professione  porta  di  seguito  neces- 
sariamente la  gloria,  perchè  ha  per  fine  la  con- 
servazione dell'umana  società,  la  qual  è  tutta  l'oc- 
cupazion  della  gloria:  Giurisprudenza  incompara- 
bilmente più  degna  sopra  quella  delle  leggi  o  di 
Atene  o  di  Sparta  o  di  Roma,  le  tre  più  lumi- 
nose città  che  fiorirono  nella  scorsa  di  tutti  i 
tempi,  e  nella  distesa  di  tutte  le  nazioni;  i  Di- 
ritti delle  quali  furono  piccole  particelle  di  questo 
Diritto  universale  ed  eterno:  sapienza  degna  del 
popolo  romano,  della  cui  grandezza  non  vide  il 
sole  maggior  al  Mondo;  come  senza  punto  di  adu- 
lazione Virgilio  concede  a'  Greci  tutte  le  belle  arti 
dell'ingegno;  concede  le  scienze  riposte;  concede 
la  gloria  del  bel  parlare:  ma  riserba  la  sapienza 
di  tal  Diritto  a'  Romani: 

Excudent  alii  spirantia  mollius  aera: 
Credo  equidem:  vìvos  ducent  de  marmore  vultus: 
Orabiint  caussas  rnelius;  Coelique  meatus 
Describent  radio ^  et  surgentia  sidera  dicent: 
Tu  regere  imperio  populos ,  Romane,  memento, 
(Hae  libi  erunt  artes)  pacique  imponere  morem; 
Parcere  subjectis  et  debellare  superbos. 

Perchè  questa  scienza  è  propria  delle  sovrane 
Potenze;  e  perciò  dalla  romana  sapientemente  pra- 
ticata, fece  tutta  la  romana  grandezza:  ma  non  è 


l44  PARTE    I. 

ella  professata  pubblicamente  sotto  le  monarchie; 
perchè  i  monarchi  la  racchiudono  dentro  i  lor  ga- 
binetti: non  nelle  repubbhche  aristocraticlie;  per- 
chè sol   importa   saperla  ai  loro  senati  regnanti , 
de'  quali  l'anima,  con  cui  reggono  e  vivono,  è  il 
segreto  di  Stato.  E  perciò  il  grande  Ugone  Grozio 
ne  incominciò  prima    di   ogni  altro  a  trattare,  e 
per  la  sua  inarrivabile  erudizione  e  dottrina,  che 
vi  abbisognavano,  ne  divenne  principe  in  tale  sorta 
di  studj;  perchè  era  cittadino  di  una  repubblica 
libera  popolare,   nella  quale  per  civil  natura  co- 
tale scienza  debbe  a  tutti  essere  pubblica;  ove  ogni 
cittadino  dee  esser  ben  informato  di  tal  Diritto, 
per   comandare    giustamente  o  guerre,  o  paci,  o 
allianze,  o  altra  delle  parti  che  ne  compiono  l'in- 
tiero subbietto:  che  è  la  cagione  perla  quale  ne 
sono  erette   le   pubbliche   cattedre   in   Olanda,  e 
nelle  città  libere  di  Germania,  e  non  nelle  altre 
nazioni  di  Europa,  ove  da  per  tutto  si  legge  di 
Giurisprudenza  privata  ;  perchè  gì'  imperadori  ro- 
mani ne  chiusero  nel  Corpo    delle    romane   leggi 
solamente  quelle  che  trattano  della  privata  ragio- 
ne, e  le  menome  della  pubblica,  che  parlano  de 
Jure  Fisci,  e  degli  ordini  civih,  e  de'  corpi  delle 
Arti  e  Collegi  :   onde   ninno  di  tutti  gì'  interpreti 
così  antichi  come  moderni  applicarono  l' animo  a 
ragionarne.    Per  tutto  ciò  l'È.  V.  Reverendissima 
coir  eccellentissimo  vostro  signor  fratello,  indiriz- 
zando entrambi  i  vostri  magnanimi  studj  al  glo- 
rioso fine   di  servire    in  questa   parte    alla  gloria 
del  nostro  Augustissimo  Impera  dorè,   a  cui  par- 
ticolarmente per   la    giustizia  dell'  armi  s' inchina 
riverente  tutta  l'Europa,  e  l'Asia  timorosa  si  umi- 
lia; si  determinarono  di  fare  un  letterario  viaggio, 
per  conoscere  gli  uomini  valorosi  in  sapere,  e  par- 


SCRITTI    SCIENTIFICI  1^5 

ticolarraente  di  tal  Diritto:  nello  che  seguiste  Te- 
semplo  del  saggio  Ulisse, 

Qui  mores  hominum  mullorum  vidit  et  urbes; 

facendo  uso  per  la  sapienza  de'  fatali  errori  e  delle 
fatali  tempeste  del  mare,  che  sono  i  bollori  e  i 
trasporti  della  gioventù,  la  qual  è  più  tempestosa 
nella  condizione  de'  Grandi:  schivando  le  Gahpsi, 
le  Girci,  le  Sirene,  che  sono  i  piaceri  de'  sensi, 
troppo  esposti  alla  fortuna  de'  Sovrani:  superando 
le  rabbie  funeste  di  Scilla  e  Gariddi,  che  sono  le 
violente  passioni  de'  giovani,  e  più  de'  giovani 
nati  Grandi  :  accortamente  schernendo  la  fierezza 
ed  immanità  de'  PoHfemi,  che  sono  la  ferocia  e 
l'orgoglio,  i  quaU  sono  vizj  dei  Grandi.  Gosi  for- 
niti di  varia  e  profonda  letteratura,  la  qual  ren- 
dete più  ammirabile  col  sublime  ingegno  di  che 
siete  a  dovizia  da  una  benigna  particolar  natura 
dotati;  con  una  vivace  presenza  di  spirito  che  vi 
dà  la  vostra  naturai  signoria;  con  una  compren- 
sione che  vi  ha  fatto  la  vostra  grandezza  ;  con 
un  purgato  giudizio,  coltivato  da  una  severissima 
critica;  con  una  somma  chiarezza  di  mente,  pro- 
venutavi dalla  potenza,  nella  quale  siete  nati  e 
cresciuti;  della  quale  è  propia  la  facilità  che  vi 
ha  prodotto  una  signoril  eloquenza,  con  cui  spo- 
nete in  una  naturale,  facile  e  spiegata  comparsa 
le  più  astruse  ed  aspre  materie,  delle  quali  im- 
prendete a  ragionare;  le  quali  virtù  della  mente 
rendete  amabili  e  care  con  la  singolare  soavità 
de'  costumi,  i  quali  a  meraviglia  temperate  di 
gentilezza  e  di  gravità:  con  augusti  auspicj  par- 
tiste per  lo  vostro  letterario  viaggio  da  Roma;  e 
giunti  qui  in  Napoh,  vi  concihaste  la  venerazione 
di  tutti  i  dotti  uomini,  co'  quali  entraste  in  let- 
terarj  ragionamenti;  de' qu ah  sopra  tu tt' altri  nio-^ 

Vico,  Opuscoli.  10 


l46  PARTE    I. 

straste  di  dilettarvi  di  quelli  che  si  facessero  d'in- 
torno a  materie  di  Diritto  naturale  delle  nazioni: 
con  l'occasione  d'uno  de' quali  essendosene  TE. 
V.  Reverendissima  ricordata,  ella  al  lettore  di  Elo- 
quenza di  questi  Regj  Studj,  signor  Giambattista 
YicOj  che  è  il  primo  il  quale  in  Italia  n'ha  scrit- 
to j  gentilmente  disse  di  averne  in  Roma  veduto 
un  di  lui  libro  che  ne  trattava;  e  sì  gli  diede 
l'ardire  di  presentarglielo  il  giorno  appresso,  ed 
ella  con  grandezza  d'animo  gradinne  il  presente, 
ed  onoronne  FAutore.  Quindi  per  lo  rimanente 
d'ItaHa  e  per  Oltramonti  destaste  di  voi  l'am- 
mirazione negli  animi  de'  più  grandi  letterati  di 
Europa,  come  del  signor  Abate  Longuerue,  il 
quale  per  l'ammirabile  sublimità  del  sapere  vien 
riputato  il  Socrate  della  Francia;  del  signor  Fon- 
tenelle,  gran  filosofo  e  matematico,  ond'è  ripu- 
tato uno  de'  maggiori  ornamenti  delfAccademia 
Real  di  Parigi;  de'  due  rari  ingegni  de'  quali  va 
adorna  e  superba  la  celebratissima  Accademia  di 
Lejden,  vogHo  dire  del  signor  Gravesande  e  del 
signor  VitriariOj  il  primo  assai  eccellente  nelle 
scienze  fisiche  e  matematiche,  l'altro  nella  cono- 
scenza universale  delle  leggi  e  della  storia  ;  ap- 
prendendo da  quello,  come  da  vivo  e  pieno  fon- 
te ,  le  sperienze  d' intorno  alla  Naturale  Scienza , 
e  da  questo  il  Diritto  della  Natura  e  delle  Gen- 
ti, al  qual  solo  fine  imprendeste  si  lodevole  e 
lungo  cammino.  Formovvi  a  cotesta  subhrae,  e, 
per  parlare  con  dignità,  eroica  idea  di  sapienza 
la  vostra  splendidissima  prosapia ,  nella  quale , 
come  ruscelli  in  fiume,  è  derivato  il  sangue  di 
tante  Case  sovrane  della  Germania;  e  come  aure 
feconde  vi  cospirarono  a  crescere,  germogliare  e 
produrre  le  celesti  frutta  dell'umano  e  divin  sa- 
pere i  vostri   gloriosi  Maggiori,   per  imprese  di 


SCRITTI    SCIENTIFICI  1^7 

guerra  e  per  arti  di  pace  chiarissimi.  E  perchè 
fora  ben  lungo,  e  materia  più  ampia  che  da  chiu- 
dersi dentro  i  brieri  confini  di  una  lettera,  ripe- 
tergli da*  loro  primi  antichissimi  tempi;  e  perchè 
ad  imitare  vagliono  più  efficacemente  i  vicini,  e 
più  di  tutti  i  presenti;  cotesti  furono  un  Eminen- 
tissimo,  e  per  dottrina  e  per  alti  maneggi  sapien- 
tissimo cardinal  Ernesto  Adolfo  d'Harrach  arci- 
vescovo di  Praga,  vescovo  di  Trento,  il  quale 
incaricato  degU  affari  deirimperadore  intervenne 
al  conclave  di  Clemente  X;  un  signor  conte  Fer- 
dinando Bonaventura  d'Harrach  vostro  avolo,  mag- 
giordomo maggiore  e  primo  ministro  dell'  impe- 
rador  Leopoldo  di  gloriosa  memoria:  i  vostri  va- 
lorosi zii  monsignor  di  Harrach  arcivescovo  di 
Salzburgo,  passato  a  miglior  vita,  e '1  signor  conte 
feld  maresciallo  Gio.  Giuseppe  conte  di  Harrach; 
invitandovi  a  generosa  gara  il  signor  conte  Fe- 
derico primogenito  fratello  vostro,  inviato  per  lo 
Regno  di  Boemia  alla  Dieta  di  Ratisbona,  am- 
basciatore alla  Corte  di  Torino,  ed  or  incaricato 
delli  più  importanti  affari  di  S.  C.  C.  Maestà  alle 
Corti  dell'Imperio;  come  anche  il  signor  conte 
Vencislao  di  Harrach  Gran  Croce  della  Rehgione 
Gerosolimitana,  ed  in  acerba,  quantunque  assai 
di  senno  matura  etade,  glorioso  Generale  delle 
galee  di  Malta,  e  per  essa  Rehgione  ambasciatore 
al  Re  di  Portogallo,  ed  a  questo  nostro  eccellen- 
tissimo signor  Viceré  vostro  padre,  ed  ora  co- 
lonnello nel  reggimento  del  signor  Conte  mare- 
sciallo vostro  zio.  Ma  più  d'ogni  altro  sopra  co- 
testa  grande  idea  vi  ha  formato  col  vivo  esemplo 
della  sua  incomparabil  virtù  e  sapienza  l'eccel- 
lentissimo signor  conte  di  Harrach,  odierno  vi- 
ceré di  questo  grande  Reame,  vostro  padre  de- 
gnissimo; il  quale  gloriosamente  ostinato  del  solo 


l48  PARTE    I.    SCRITTI    SCIENTIFICI 

giusto  e  diritto^    gloriosamente   appassionato  del 
solo  merito,  ha  promosso  sapientissimi  giurecon- 
sulti a  regi  maestrati,  dottissimi  e  santissimi  preti 
e  Regolari,  e  tra  questi  con  raro  esemplo  dentro 
un  anno  e  poco  più  cinque  regj  lettori  di  questa 
Università  a  regj  vescovadi:  e  con  una  sollecita 
vigilanza  sopra  degli  «^ordini ,  con  una  osservanza 
religiosissima  inverso  le  leggi,   con  una  pazienza 
indefessa  e  singolare  benignità  nelle  udienze,  con 
una  instancabile  industria,  sopraffino  scorgimento 
e  ammirabil  prudenza    nel   comandare  gli  affari , 
con  una  venerabile  gravità  nelle  risposte,  con  una 
sempre  a  sé  simile  e  con  tutte  l'altre  corrispon- 
dente costanza  nelle  azioni,  ne  fa  godere  la  pub- 
blica sicurezza,  non  che  ne'  luoghi  celebri,  nelle 
pia  diserte  campagne,  l'abbondanza  nelle  piazze^ 
la  giustizia  de'  tribunali,    e  la  ci  vii   felicità  dap- 
pertutto.   Onde    pubblico  voto   è    di    tutti  che  '1 
nostro  Augustissimo  Imperadore  Re  delle  Spagne 
lo  vi  mantenga  al  governo  di  questo  Regno,  fin- 
che egli  vive,  e  che  viva  gli  anni  di  Nestore.  E 
ben  tutto  ciò  che ,  con  addolorare  la  vostra  mo- 
destia, ho  di  voi  detto,  e  molto  anco  di  più  che 
noi  ne  abbiam  detto   di  meno  ;    Sua  G.  G.  M.  ha 
contestato,  con  aver  nominato  l'È.  V.  Reverendis- 
sima all'Auditorato  della  Sacra  Ruota  Romana  j  e 
ne  fa  sperare  in  brieve  lo  stesso  dell'eccellentis- 
simo sig.  conte  Ferdinando ,  formato  con  essolei 
allo  stesso  torno  così  della  dottrina,   come  della 
virtù.  Si  compiaccia  adunque  l'È.  V.  Reverendis- 
sima per  tutti  questi  argomenti  di  gradire  con  la 
grandezza  dell'  animo  propia  del  vostro  alto  stato 
e  sapienza  questo  piccol  dono,  che  riverentemente 
l'offero  in  testimone  del  moltissimo  che  con  tutti 
i  giusti  estimatori  delle  cose  io  professo  della  stima 
che  si  debbe  al  merito  vostro  immortale. 


PREFAZIONE 

PREMESSA  ALLA  TRADVZWffE  DELLA  SiFIUDE  DI  FracA- 
STORO  FATTA  DA  PlETRO  BeLLI ,  IMPRESSA  Iti  NaPOH 
NEL    lySi. 

Il  signor  D.  Pietro  Belli  nato  da  una  delle  più 
nobili  famiglie  che  illustrano  la  città  di  Lecce,  la 
quale  dopo  Napoli,   capitale  di  questo  Regno,  e 
per  magnificenza  di  edificj  e  per  frequenza  di  abi- 
tatori e  per  isplendore  di  civili  costumi  e  per  ric- 
chezza  di    marittimi   traffichi   è  la   più  riputata; 
adorno  di  buone  cognizioni  di  Filosofia ,  assai  ben 
inteso  di  Hngua  latina,  e  nella  toscana   versatis- 
simo,  ha  tradotto  la  Sifilide  di  Girolamo  Fraca- 
storo,  la  quale  ora  o  per  elezione  o  per  fortuna 
hai  tu  ora,  discreto  leggitore,  preso  tra  le  mani. 
Mi   piace    di   ragguagfiarti   così   della    cagione   la 
quale  l'ha   mosso  a  far  questa    traduzione,  come 
del  consiglio  che   ha   seguitato   in    condurla.    La 
principal  cagione,  la  quale  l'ha  indotto  a  farla,  è 
stata  per  profittare  nella  toscana  poesia)  la  qual 
facoltà  non  può  con  più  utll  esercizio  acquistar- 
si, che  col  traducendo  gareggiare  i  poeti  migliori 
della  lingua  latina,  tanto  naturalmente  eroica,  su- 
bhme  e  grande,  quanto  è  tenera,  gentile  e  deli- 
licata  volgarmente  la  greca;  perchè,  così  facendo, 
le   nobili   maniere   del    concepire  poetico  restano 
più  altamente  impresse   nella   fantasia  col  tratte- 
nervisi  molto  sopra,  e  col  procurare  di  renderle 
nella  nostra  favella  con  uguale   splendore,   orna- 
mento e  bellezza:  ond' è  avvenuto  che  li  più  va- 
lorosi toscani  poeti  del  cinquecento  sono  stati  an- 
che chiari  poeti  latini,  come  lo  furono  Giovanni 
Casa,   Pietro   Bembo,   Giacomo    Sannazzaro,   ed 
altri.    In  sì  fatto   studio   egli ,   com'  era    diritto   e 


IvSo  PARTE    f. 

ragione  j  ha  ammirato  il  conte  dell'Anguillara  in 
quella  dell'Eneide  di  Virgilio,  ed  in  quella  della 
Tebaide  di  Stazio  l'Eminentissimo  cardinal  Ben- 
tivoglio,  sommo  e  sovrano  ornamento  a'  dì  nostri 
della  letteratura  italiana  in  pregio  di  poesia,  quanto 
lo  fu  in  quello  della  prosa  T  altro  cardinal  Benti- 
TOglio,  scrittore  delle  Guerre  di  Fiandra.  Con  as- 
sai diritto  giudizio  quella  del  Marchetti  non  gli  è 
paruta  di  tanto,  a  cagion  che  Tito  Lucrezio  Caro 
tenne  uno  stile  di  sermon  volgare  latino,  dello 
che  meritò  pur  una  somma  lode  d'  aver  portato 
nella  lingua  latina,  ed  in  versi  di  più  un' affatto 
nuova  materia  greca  :  ma  a  riserva  delle  poetiche 
introduzioni  a'  suoi  libri,  e  d'una  od  altra  digres- 
sione, come  quella  nella  nota  delicata  inimitabile 
descrizione  della  tenera  giovenca  che  ha  perduta 
la  madre,  e  quella  nella  nota  grande  incompara- 
bile ove  descrive  la  pestilenza  di  Atene;  del  ri- 
manente tratta  le  materie  fisiche  con  uno  stile 
niente  diverso  da  quello  con  cui  si  sarebbon  in- 
segnate in  una  scuola  latina  di  Filosofia  naturale. 
Onde  s' intenda,  quanto  taluno,  non  che  degli  stili 
poetici  latini,  sia  affatto  ignorante  di  essa  lingua 
medesima  ;  il  quale  ragguaglia  coloro  che  non 
hanno  veduto  l' opera  che  'I  Padre  Quinzj  della 
Compagnia  di  Gesù  abbia  scritto  i  suoi  nobilis- 
simi Libri  de'  Bagni  alla  maniera  di  Lucrezio  ; 
quando  ad  esso  chiarissimo  Autore  apertamente 
professa  di  averli  lavorati  sull'esempio  della  Geor- 
gica  di  Virgilio,  ove  tratta  poeticamente  di  essa 
arte  villereccia,  e  l'opera  stessa  ad  ogni  scolaretto 
che  ha  nella  scuola  della  Grammatica  Virgilio  spie- 
gato, manifestamente  il  dimostra.  Perciò  il  nostro 
avvedutissimo  Traduttore  si  ha  eletto  più  degli 
altri  questo  celebratissimo  poeta,  il  quale  sol  di 
tanto    ha    da    ceder  alli  più  celebrati  Latini,  nel 


SCRITTI    SCIENTIFlCr  l5l 

tempo  j  ma  per  questo  istesso  egli  non  dee  loro 
ceder  punto  in  valore,  anzi,  mi  fo  lecita  dirlo, 
li  supera 5  perchè  quelli  avevano  scritto  quando 
essa  lingua  vivente  fioriva,  e  questi  scrisse  quando 
per  lungo  tratto  di  secoli  era  già  morta,  e  scrisse 
poeticamente  d'una  materia  allatto  nuova,  non 
che  a  Latini,  a  medesimi  tempi  suoi:  e  tutto  ciò 
il  signor  Belli  ha  egli  fatto  per  avvezzare  l'inge- 
gno con  simigliante  esercizio  non  solo  a  parlare 
poeticamente  di  ciò  che  deve,  perocché  quel  poeta 
che  parla  di  ciò  che  vuole,  egli  è  il  triviale  pit- 
tor  di  Orazio,  il  quale 

Scit  simulare  cupressum; 

ma  anche  per  accostumarlo  al  più  difficile,  per- 
chè più  grande  lavoro  della  poesia,  il  qual  è,  con 
la  novità  della  materia  strascinarsi  dietro,  come 
necessaria,  la  novità  della  locuzione,  e  con  en- 
trambe destare  la  maravigha ,  la  qual  sola  passione 
del  cuore  umano  è  quella  che  col  silenzio  acclama 
allo  stil  subhme.  Però  egli  sembra  eh'  essa  materia 
non  abbia  dell' eroico^  ma  a  chiunque  leggermente 
vi  rifletta  sopra  e  combini ,  si  fa  manifesto  eh'  ella 
lo  ha  pur  benissimo.  Perchè  la  Medicina  negli  an- 
tichissimi tempi  fu  professione  di  eroi  5  onde  tan- 
t'  erbe  ne  serbano  ancora  i  nomi  fin  al  dì  d'oggi: 
Medea  co'  suoi  rimedj  rinnovella  il  suo  vecchio 
padre  Esone:  la  moglie  di  Tono  re  di  Egitto  ad 
Elena  regala  il  nepente:  e  di  esser  lo  Dio  della  Me- 
dicina fa  vanto  esso  Apollo,  il  quale  nella  Scienza 
Nuos>a  si  è  ritrovato  Dio  della  luce  civile,  o  sia 
della  Nobiltà j  ed  a  tempi  barbari  ricorsi  ella  fu 
solamente  praticata  da'  grandi  signori,  de'  quali 
insigne  è  Giovanni  signor  di  Procida ,  che  fu  l  au- 
tore del  Vespro  Siciliano,  e  ne  serba  oggi  ancor 
il  nome  il  suo  empiastro;  come  altri  medicamenti 


l52  PARTE    I. 

pur  gli  serbano  di  Re  e  di  Grandi,  quali  sono  il 
Mitridatico,  F  unguento  della  Contessa,  ed  oggi  , 
è  celebratissimo  purgante  la  polve  del  conte  Pal- 
ma; il  qual  costume  eroico  veggiamo  rimasto  tra 
potenti  signori,  i  quali  si  gloriano  di  graziosa- 
mente dispensare  chi  uno,  chi  altro  efficace  spe- 
cifico per  li  malori  che  travagliano  la  salute  de- 
gli uomini:  e  li  Re  d'Inghilterra  si  pregiano  di 
esser  principi  della  Real  Società  Anghca,  la  quale 
per  lo  più  si  compone  di  Medici,  i  quali  in  quel 
Reame  son  nobilissimi;  e  la  Casa  de' Gran  Du- 
chi di  Toscana  fra  le  altre  pone  in  magnificenza 
nella  sua  fonderia.  Il  vero  è  eh'  essa  materia  è 
trattata  con  principj  i  quali  ora  non  soddisfano 
al  buon  gusto  del  fisicare  presente;  perchè  l'Au- 
tore siegue  la  vanità  dell'Astrologia,  e  spiega  le 
ragioni  naturaU  di  cotal  morbo  per  qualità;  ma 
nientemeno  vi  sfolgora  di  tempo  in  tempo  alcuni 
grandi  lumi  di  Fisica  e  di  Medicina.  Oltreché  que- 
sti hbri  sono  necessarissimi  d'esser  rapportati  in 
tutte  le  hngue  viventi,  almeno  per  la  storia  na- 
turale d'  un  tanto  malore,  che  ha  dato  il  guasto 
ad  una  gran  parte,  ed  ha  gravemente  infievolito 
l' altra  di  quasi  tutto  il  genere  umano.  Ciò  sia 
detto  d' intorno  all'  elezione  di  tal  fatica ,  che  ha 
fatto  con  saggio  avvedimento  il  nostro  nobil  Tra- 
duttore di  tal  poeta  :  ora  mi  rimane  poc'  altro  a 
dire  della  condotta  che  vi  ha  tenuto.  Egli  si  è 
ristretto  tra  gli  autori  principi  della  toscana  fa- 
vella, particolarmente  poeti,  per  apparecchiare  alle 
idee  poetiche  latine  la  materia  più  pura ,  e  l' im- 
pronto migliore  che  posson  unquemai  avere  le 
voci  e  le  frasi  nostre  poetiche  italiane.  Quindi 
nel  tradurre  questi  aurei  libri  ha  avuto  due  cose 
principalmente  dinanzi  agli  occhi,  la  verità  de' 
sentimenti  per  esser  fedele ,  e  la  degnità   dell'  e- 


SCRITTI    SCIENTIFICI  1  53 

spressioni  per  esser  esatto  traduttore,  E  per  l*  in- 
teresse della  verità^  d'intorno  alle  voci  delParte, 
le  quali  non  si  sanno  che  da'  maestri  delle  arti, 
egli  particolarmente  nella  Botanica ,  come  la  pru- 
denza il  richiedeva,  si  è  consigliato  con  saccenti 
espertissimi  professori.  Per  la  degnità  poi  si  è  a 
tutto  potere  studiato  dentro  i  medesimi  tratti  la- 
tini di  dir  in  volgare  ne  più  ne  meno  né  altri- 
menti, per  isperimentare  quanto  possa  la  nostra 
rendere  del  nerbo  e  vigore  che  ha  la  poetica  la- 
tina favella:  e  per  ciò  fare  ha  usato,  ove  la  biso- 
gna il  richiedeva,  alcune  maniere  antiche,  le  quali 
anco  senza  cotal  necessità,  a  tempo  e  luogo  ado- 
perate, fanno  grave  e  veneranda  essa  poetica  lo- 
cuzione. Prendi  adunque,  o  discreto  leggitore,  a 
leggere  questa  lodevolissima  traduzione  con  animo 
di  compiacertene 5  il  qual  animo  certamente  non 
puoi  tu  avere,  se  non  la  prendi  a  leggere  almeno 
con  una  indifferente  curiosità  di  veder  ciò  che  di- 
ca; e  ti  priego  a  giudicarne  su  questa  riflessione, 
che  del  tuo  giudizio  ha  a  giudicare  il  comune  de' 
Dotti:  e  non  vogho,  ne  debbo,  né '1  voglio,  per- 
chè non  debbo  estimarti  che  tu  non  sappia  di- 
scernere i  confini  eterni  delle  cose,  le  quali  tra 
loro  a  morte  combattono,  e  che  si  abbia  teco  a 
ponere  in  consulta  la  necessità,  se  tu  ami  meglio 
d' approvarti  appo  gf  indifferenti  per  giudice  di 
cuor  diritto  ed  equanimo,  o  di  accusarti  per  un 
invidioso  livido  e  dimagrato.  Vivi  felice,  che  i 
Filosofi  diffiniscono:  Con  salute  e  con  sapienza. 


l54  PAH  TE    I. 


LETTERA  DEL  P.  NICOLO  CONCINA  [i 

Venezia,  27  giugno  i-j^i. 

Egli  non  è  possibile  che  io  faccia  comprendere  a 
V.  S.  Illustrissima  la  straordinaria  compiacenza  risve- 
gliatasi nell'animo  mio  in  reggendomi  onorato  da  una 
sua  lettera,  senza  che  io  prima  con  qualche  mia  gliene 
abbia  dato  motivo.  Le  posso  però  bensì  dire  con  one- 
sta cristiana  e  religiosa  sincerità ,  che  di  niun  altro  let- 
terato del  mondo  tutto  mi  potevano  riuscire  più  gra- 
devoli le  lettere,  che  quelle  di  V.  S.  Illustrissima,  perchè 
di  ninno  io  porto  maggiore  stima  che  di  lei,  mentre 
giudico  le  opere  sue  per  le  più  ragionate  di  quante  mai 
ne  abbia  lette.  V.  S.  da  per  tutto  getta  principi  fon- 
damentali ed  inconcussi  e  di  una  fecondità  meraviglio- 
sissima^ l'erudizione  che  tocca  ed  accenna,  ella  è  ira- 
mensa^  ma  l'uso  e '1  raziocinio  che  sopra  ne  forma,  dee 
sorprendere  gl'ingegni  più  sublimi  e  più  illuminati.  Tutte 
le  parti  della  Filosofia  più  scelta,  la  Teologia  sacra  e 
cristiana ,  la  Giurisprudenza  naturale  e  positiva ,  la  Geo- 
metria nel  suo  metodo,  la  Storia  e  la  Filologìa  più  re- 
condita, e  le  combinazioni  più  ingegnose  di  tutte  coteste 
disciphne  risplendono  di  una  maniera  incomprensibile 
nelle  due  opere,  che  come  due  tesori  della  miniera 
inesausta  e  profondissima  del  di  lei  ingegno  io  con- 
servo. Bisogna  però  che  io  confessi  ciò  che  Socrate 
disse  dell'opera  di  Eraclito:  niagnam  indo  lem  spirant  ^ 
quae  intellexi^  puto  idem  fuere  ^  quae  non  intellexi. 
Ferum  (non  già  Delio)  /^/co  ipso  notatore  et  expli- 
calore  opus  habent.  E  le  giuro  che  niente  più  io  bra- 
merei che  di  esserle  vicino  per  poter  essere  istruito  ed 
illuminato  sopra  di  molte  cose  che  non  arrivo  ad  in- 
tendere per  debolezza  del  mio  ingegno,  e  per  mancanza 
di  que' requisiti  accennati  da  V.  S.  sul  fine  dell'idea 
premessa  alla  sua  Scienza  Nuova.  Attenderò  frattanto 
con  impazienza  le  annotazioni  che  si  è  compiaciuta 
V.  S.  di  porre  sul  margine  di  quella   copia  regalata  a 


SCRITTI    SCIENTJFtC[  l55 

mio  fratello  :  per  lo  che  glie  ne  rendo  infinite  grazie , 
siccome  per  gli  altri  favori  al  medesimo  impartiti,  e 
per  gli  onori  da  lui  costì  riportati  singolarmente  per 
le  dimostrazioni  e  sentimenti  di  V.  S.  Illustrissima*  ma 
molto  pili  me  le  protesto  obbligato,  e  col  più  vivo  del 
mio  cuore  la  ringrazio  per  i  due  opuscoli  che  si  de- 
gna di  mandarmi  in  dono  per  la  bontà  che  nutre  verso 
di  me,  e  per  l'aggradimento  della  stima  ed  ossequio  che 
professo  al  suo  rarissimo  merito.  Se  poi  V.  S.  avesse 
dato  alla  luce  altre  opere  che  non  si  ritrovassero,  la 
supplico  di  darmene  contezza  per  mìa  regola.  La  rin- 
grazio nuovamente  pel  favorevole  giudizio  di  cui  onora 
la  mia  Orazione^  e  che  io  stimo  sopra  quello  di  ogni 
altro.  Ma  per  mio  lume  mi  premerebbe  fortemente  di 
essere  avvisato  con  piena  confidenza  da  V.  S.  di  tutto 
ciò  che  per  entro  ci  ha  scoperto  di  difettoso ,  che  cer- 
tamente sarà  ben  molto.  Le  giuro  che  riceverò  tutto 
con  intera  docilità  e  con  piena  soddisfazione.  Venera- 
tissimo  ed  amatissimo  signor  Vico ,  mi  permetta  di  sfo- 
gare seco  lei  il  mio  cuore.  Io  peno  ed  affanno  per  non 
essere  in  libertà,  ed  in  istato  di  portarmi  costà,  e  di- 
morare lungo  tempo  con  esso  lei ,  affine  di  approfittare 
delle  sue  sublimi  e  peregrine  cognizioni.  Piaccia  almeno 
all'Altissimo  Dio  di  aprirmi  la  strada  per  fare  una  volta 
una  scappata,  e  seco  lei  trattenermi  per  qualche  mese, 
e  con  alcun  altro  di  cotesti  signori!  Io  credo  essere  stato 
un  tratto  particolare  della  divina  Provvidenza,  che  i 
già  quattro  anni,  quando  fui  costì  per  pochi  giorni, 
non  avessi  la  bella  sorte  di  abboccarmi  con  V.  S.  Il- 
lustrissima, perché  forse  non  mi  sarei  più  partito  da 
Napoli,  e  con  ciò  mi  sarei  opposto  alle  disposizioni 
della  medesima  Provvidenza.  Non  resta  però  che  io 
sempre  non  me  ne  risenta,  e  meco  medesimo  non  mi 
lagni  di  aver  perduta  una  sì  bella  occasione  di  cono- 
scere una  mente  delle  più  rare  che  siano  al  mondo: 
non  esagero,  non  adulo;  parlo  sfccome  sento  nell'a- 
nimo mio.  Ma  molto  più  però  mi  dolgo  e  mi  lamento 
che  '1  merito  suo  non  venga  riconosciuto  e  premiato 
da  chi  il  potrebbe  e  dovrebbe.   Io  non    finirci   mai  di 


|56  PARTE    I. 

parlare  di  V,  S.j  e  parlerei  senza  ordine,  perchè  pe- 
netrato dal  suo  merito,  in  cui  io  uoq  ci  veggo  lìmiti, 
né  la  mia  per  altro  giusta  passione  mi  permette  di  pen- 
sare ordinatamente,  trattandosi  di  farne  uno  sfogo  in 
brieve  foglio  che  per  la  prima  volta  le  umilio.  Io  l'ab- 
braccio strettamente,  e  col  cuore  sulle  labbra  le  stampo 
un  bacio  in  fronte,  senza  pregiudizio  però  del  sommo 
rispetto  che  le  porto,  e  per  cui  fo  mia  gloria  essere 
riconosciuto,  ec. 


LETTERA  DEL  P.  DANIELE  CONCINA 

Venezia,  ii  dicembre  1734. 

Dopo  tanto  tempo  da  che  non  ho  avuto  V  onore  di 
riverire  V.  S.  Illustrissima,  vengo  finalmente  a  rasse- 
gnarle la  mia  antica  servitù.  Aspetto  la  occasione  di 
trasmetterle  un  libretto  di  mio  fratello,  nel  quale  fa 
giustizia  alla  sua  «ingoiare  ed  incomparabile  virtù,  ri- 
ponendo il  suo  nome  glorioso  tra  i  pochi  sapienti  veri 
della  nostra  Italia  nelle  filosofiche  scienze  (i).  Con  que- 
sta occasione  io  sono  a  supplicarla  del  suo  patrocinio 
presso  codesto  signor  Reggente  Ventura  in  un  inte- 
resse del  signor  Abate  Aloisi,  il  quale  essendo  parti- 
colare mio  amico  ,  bramerei  che  fusse  assistito  dalla 
sua  valida  protezione.  Le  porgo  pertanto  le  mie  più 
fervorose  suppliche,  acciocché  voglia  interessarsi  a  fa- 
vore di  questo  degno  Letterato.  Sono  sicuro  che  non 
mancherà  di  favorirmi,  e  perciò  non  voglio  dilungarle 
il  tedio. 

Volentieri  sentirò  qualche  cosa  della  sua  sanità ,  e  se 


(1)  La  seguente  Nota  è  scritta  di  propria  mano  del  Vico 
nella  lettera  autografa  del  P.  Concina.  •«  Il  P.  Niccolò  Conci- 
u  na ,  lettor  primario  di  Metafìsica  in  Padova  ,  mi  fa  que- 
tt  st' onore  da  me  non  meritato  in  un  Progetto  latino  dato 
«  Tanno  iy'56  fuori  in  istampa  d'un  Sistema  di  Diritto  Natu- 
($  rale  delle  Genti,  il  quale  fu  da  me  donato  a  Monsignor  C«p- 
<i  pellano  maggiore.  »> 


SCRITTI    SCIENTIFICI  iS^ 

r  umor  nerveo  scorre  bene.  Frattanto  io  le  auguro  ogni 
felicità,  e  la  prego  a  favorirmi  di  qualche  suo  coman- 
do^ e  rassegnando  a  Y.  S.  Illustrissima  la  mia  servitù 
mi  raffermo,  ec. 

LETTERA  DEL  P.  NICCOLO  CONCINA 

Venezia,  i  settembre   i^SG. 

Se  in  Napoli  ci  fosse  il  bel  costume,  che  è  qui  in 
Venezia,  di  esser  mandati  dalli  maestri  di  Posta  alcuni 
uomini  per  la  città  e  per  le  contrade,  che  si  segnano 
nelle  soprascritte  delle  lettere  a  portar  queste  alle  case 
medesime  di  quelli  ai  quali  sono  indirizzate,  non  cosi 
facilmente  si  smarrirebbero  con  pregiudizio  della  pun- 
tualità di  coloro  che  costà  scrivono^  siccome  mi  av- 
veggo essere  accaduto  a  me  in  riguardo  a  V.  S.  Illu- 
strissima, e  del  signor  Giuseppe  Cirillo,  dai  quali  con 
ultime  loro  intendo  non  aver  ricevuto  le  mie  risposte 
a  due  antecedenti,  di  che  grandemente  me  ne  ramma- 
rico. Voglio  sperare  che  questa  volta  avrò  miglior  for- 
tuna dell'altre.  Rendo  infinite  grazie  a  V.  S.  Illustris- 
sima della  cognizione  recatami  intorno  alle  rarissime 
qualità  del  P.  Maestro  Gaspari*,  io  non  mancherò  di 
pubblicarle  con  ogni  premura,  producendo  l'autorità 
di  V.  S.  che  deve  prevalere  ad  ogni  altra.  Si  accerti 
che  userò  qualunque  diligenza  per  porre  in  alto  cre- 
dito il  soggetto  raccomandato,  siccome  appunto  in  que- 
sto stesso  ordinario  scrivo  al  signor  Cirillo.  Qui,  oltre 
le  testimonianze  del  valore  de' concorrenti  alle  cattedre, 
ci  vogliono  ancora  degli  officj  di  persone  autorevoli, 
non  però  di  gente  privata,  come  sono  dame  e  cavalie- 
ri. Io  mi  stimerei  fortunatissimo  se  mi  riuscisse  di  vedere 
in  questa  nostra  Università  un  Teologo  che  merita  la 
stima  di  un  signor  Vico ,  la  cui  mente  io  soglio  chia- 
mare eroica,  e  di  cui  sinceramente  mi  contenterei  di 
essere  scolare,  anzi  che  professore  in  Padova,  o  in 
qualunque  altra  Università.  Oh  quanto  mai  io  sospiro 
di  conoscerla  a  faccia  a  faccia,  e  di  trattarla  almeno 


i58  PAiiTii:  I. 

per  qualche  breve  tempo,  il  che  spero  Iddio  mi  fai  a 
la  grazia  di  conseguire,  conservando  e  lei  e  me  in  vita 
sino  a  che  torni  a  fare  un  altro  viaggio  a  cotesta  ame- 
nissima  e  letteratissima  Partenopei  Sicché  ella  si  fac- 
cia coraggio  e  si  governi,  ed  io  non  mancherò  di  pre- 
gare il  Signore  che  la  conservi,  e  rinvigorisca  per  suo 
e  mio  e  comune  vantaggio  del  Mondo  letterato.  Mi  ri- 
verisca quel  suo  figliuolo,  che  intendo  essere  di  una 
grande  espettazione,  per  cui  sento  un  ardentissimo 
amore  e  gli  bramo  ogni  miglior  fortuna. 

Molto  e  moltissimo  mi  consolo  che  '1  mio  mezzo  ab- 
bozzo del  Gius  Naturale  e  delle  Genti  sia  stato  gra- 
dito da  V.  S.  Illustrissima,  il  cui  divino  ingegno  non 
posso  finire  di  ammirare.  Le  rendo  poi  infinite  grazie 
dell'onore  che  mi  vuol  fare  nella  sua  Scienza  Nuova ^ 
che  dice  di  avere  notabilmente  accresciuta  ed  illustrata, 
la  quale  starò  attendendo  con  impazienza.  Oh  quanti 
fecondissimi  e  sublimissimi  lumi  vi  sono  per  entro  !  Cosi 
avessi  io  talento  da  farne  uso,  e  di  comprendere  il 
fondo  ed  il  mirabile  artificio  che  parmi  alquanto  di 
ravvisare.  In  breve  spero  di  dare  alle  stampe  una  pic- 
cola Dissertazione,  in  cui  credo  di  rigorosamente  di- 
mostrare non  essere  io  uscito  fuori  della  giurisdizione 
metafisica  in  trattando  del  Gius  Naturale ,  siccome  qui 
si  è  andato  spargendo  da  gente  che  non  intende  la  na- 
tura di  si  fatta  scienza.  Seguita  la  stampa  ne  invierò 
una  copia  a  V.  S.  di  cui  aspetterò  il  giudizio.  Ne  fac- 
cio uso  in  questa  della  di  lei  autorità,  e  pongo  in  vi- 
sta il  giudizio  fatto  dal  signor  Clerico  del  libro  De 
Universi  Juris  uno  principio ,  ec.  In  una  mia  anzi  in 
due  lezioni  fatte  in  questa  Università  mi  è  caduto  in 
acconcio  di  porre  in  vista  la  bellissima  ed  eruditissima 
opinione  di  V.  S.,  che  le  leggi  delle  XII  Tavole  non 
sieno  state  altrimenti  prese  da' Greci,  il  che  mi  ha  ec- 
citato contro  il  furore  di  qualcuno  di  questi  nostri  pro- 
fessori di  Giurisprudenza  civile^  ma  che  io  raoltd  non 
stimo,  perchè  non  sono  scientifici  né  molto  eruditi  di 
fondo.  Bramerei  però  qualche  nuovo  lume  da  V.  S.  se 
pur  vi  fosse ,  e  particolai-raente  per   screditare   il  rac- 


scrìtti  scientifici  iSq 

conto  ^i  Tito  Livio  e  di  Dionigi  Alicarnasseo  ^  in  par- 
ticolare desidero  sapere  il  luogo  preciso  in  cui  Livio 
dice  di  principiar  a  narrare  la  vera  Storia  Romana  solp 
dalla  seconda  Guerra  Punica ,  siccome  V.  S.  riferi- 
sce, senza  acceunare  il  luogo  dello  Storico.  Ora  non 
posso  scrivere  di  vantaggio^  mi  riserbo  ad  altro  rin- 
contro. Fra  tanto  sono  e  sarò  sempre  con  tutto  l'os- 
sequio, ec.  • 


RISPOSTA  DI  VICO 

Napoli,   i6  settembre   1736. 

Io  e  '1  signor  Cirillo  dobbiamo  certaaiente  do- 
lerci dell'ordine  delle  Poste  meno  ben  posto  qui 
che  tra  voi,  il  quale  ed  a  noi  ha  ritardato  il 
piacere  di  ricevere  le  vostre  giocondissime  lette- 
re, ed  a  V.  P.  Reverendissima  ha  accresciuto  il 
travaglio  di  duplicarle.  Il  P.  Maestro  Gaspari  V  è 
infinitamente  obbligato  cosi  della  somma  beoignità 
con  la  quale  ella  ha  ricevuto  nella  sua  protezione 
la  sua  domanda  alla  cattedra,  come  degli  utili  av- 
visi gli  dà,  per  farla  efficace;  i  quali  mentre  li 
porrà  in  uso,  io  non  resto  di  caldamente  prie- 
garla  a  continuar  di  proteggerlo.  Io  sempre  più 
e  pili  son  confuso  dell'alta  stima  ch'ella  fa  di 
me,  la  quale  io  confesso  affatto  non  meritare.  Le 
rendo  infinite  grazie  tanto  degli  autorevoli  con- 
forti onde  io  sostenga  la  mia  natura  e  fortuna  di 
già  cadenti,  e  de'  prieghi  eh'  ella  porge  a  Dio  per 
me,  che  si  degni  di  conservarmi,  quanto  del  gen- 
til desiderio  di  riportarsi  un  giorno  qui  in  Napoli, 
e  darmi  la  bella  sorte  di  veder  io  di  persona  un 
mio  sì  dotto  e  si  generoso  maestro.  La  lode  del 
profitto  che  Gennaro  mio  figliuolo,  che  umilmente 
v'inchina,  fa  negli  studj  migliori,  la  quale  scrive 


l60  PAKTE    I. 

esserle  con  piacere  giunta  all'  orecchia ,  e  F  amore 
che  gentilmente  perciò  gli  portate,  gli  sono  forti 
stimoli  a  più  vigorosameute  correre  la  strada  della 
virtù.  Monsignor  Galiano,  prefetto  de'  nostri  Stu- 
dj,  chiarissimo  letterato  d'Italia,  nel  vostro  prò-  j 
getto  del  Dritto  Naturale  vi  ha  osservato  lumi  di  \ 
severa  e  colta  dottrina:  ma  vedete  quanto  i  dotti 
giudicano  diverso  a  tutto  cielo  dagli  ignoranti;  più 
di  una  volta  riflettendovi  sopra ,  mi  disse  che  con 
quello  voi  fate  saggio  ai  lettori  che  vogliono  ador- 
nare le  loro  Università,  dover  essi  promuover  le 
scienze  che  vi  professano,  e  far  loro  far  degli  avan- 
zi, com'  ella  in  cotal  maniera  fa  della  Metafisica. 
Sto  attendendo   con   ansietà   la   risposta  che  voi 
date  a  costoro,  i  quali  di  cotesto   bel   merito  vi 
riprendono.  A'  sostenitori   della   favola   delle  XII 
Tavole  venute  di  Grecia  sarà  facilmente  infrenato 
il  furore  con  solamente  replicar  loro  che  rovescino 
i  principi   della  Scienza  Nuova,  e  ne  incolpino 
il  metodo  con  cui  sta  condotta:  perchè  il  risen- 
tirsi delle  sorprendenti  conchiusioni  è  di  cervelli 
ottusi  che  sentono  il  grosso  delle  cose,  e  deboli 
per  tenere  la  continua  fatica  del  metodo  geome- 
trico;   col    quale  innumerevoli  verità   escono  me- 
ravighose  in  Matematica,   le   quali  pur  sono  per 
quella  via  dimostrate.    D' intorno    ad  altri  luoghi 
che  V.  P.  Reverendissima  mi  comanda  di  sugge- 
rirle  valevoli   a    più   screditare   Livio    e   Dionisio 
circa  la  favola    delle    leggi    delle  XII  Tavole  ve- 
nute di  Grecia,  se  ne  sono  arrecati  molti  nel  ma- 
noscritto che  aspetta  la  terza  impressione:  ma  mi 
piace  di  scrivergliene  uno   che    mi  è  venuto   in- 
nanzi nel   tempo    istesso    che  ho  ricevuto  la  vo- 
stra lettera,  il  quale  io  stimo  gravissimo;  mentre 
rileggendo   per   mio   profitto  Polibio ^  autore  che 


SCRITTI    SCIENTIFICI  f6i 

senza  contrasto  più  seppe  di  Politica,  che  Livio 
e  Dionisio,  e  fiorì  dugento  anni  più  vicino  a'  De- 
cemviri, che  Dionisio  e  Livio,  egh  nel  hb.  VI  al 
iium.  IV  e  molt*  appresso,  dell'edizione  di  Giacomo 
Gronovio,  a  pie  fermo  si  pone  a  contemplare  la 
costituzione   delle  RepubbHche  libere  più  famose 
de'  tempi  suoi  :   ed  osserva  la  Romana   esser   di- 
versa da  quella  di  Atene  e  di  Sparta,  e  più  che 
di  Sparta  esserlo   da  quella  di  Atene,  dalla  quale 
più  che  da  Sparta  i  Pareggiatori  del  Gius  Attico 
col   Romano   vogliono   esser   venute   in   Roma  le 
leggi  per  ordinarvi  la  libertà:  ma  osserva  al  con- 
trario  somigliantissime    tra    loro  la  Romana  e  la 
Cartaginese,  la  quale  ninno  mai  si  è  sognato  es- 
sere stata  ordinata    hbera   con   le    leggi    di    Gre- 
cia.  Ed  uno  scrittore  sapientissimo  di  Repubbli- 
che non  fa  sopra    ciò    questa    cotanto  naturale  e 
cotanto   ovvia    riflessione,  e  non   ne   investiga  la 
cagion  della   differenza,   le   Repubbliche   Romana 
ed  Atene  se  diverse,    ordinate    con   le   medesime 
leggi,    e   Repubbliche  Romana   e   Cartaginese   si- 
mili, ordinate  con  leggi  diverse?  Laonde  per  as- 
solverlo di  un'oscitanza  si  dissoluta,  è  necessaria 
cosa  a  dirsi  che  nelf  età  di  Polibio  non  era  an- 
cor nata  in  Roma  cotesta  favola  delle  leggi  greche 
venutevi    ad   ordinare  il  governo  libero.  Il  luogo 
finalmente  di  Livio  eh'  ella  da  me  desidera,  egli 
è  uno  de'  molti    che  nella  terza  edizione  sarà  il- 
lustrato.   Diciamo    che   Livio   nel   principio  della 
seconda  (cartaginese  professa  di  scrivere  la  Storia 
Romana  con  più  certezza,  perchè  dandole  un  par- 
ticolare   proemio,    professa,   bellum  maxime  me- 
morabile  omnium,  quae  unquam  gesta  sunt,  me 
ò'cripturum  :  e  in  conseguenza  per  tanta  incompa- 
rabil  grandezza  ne  debbon  essere  più  certe  le  me- 

Vico ,    Ofm.u'oU.  1 1 


iGa  PARTE    I.    SCRITTI    SCIENTIFICI 

morie  che  dell'altre  cose  romane  innanzi  minori: 
e  pure  professa  di  non  saperne  tre  grandissime  j 
circostanze:  I.  i  consoli  sotto  i  quali  Annibale  da 
Spagna  prese  la  volta  d'Italia 5  II.  per  quali  Alpi 
vi  scese;  III.  con  quanto  esercito,  di  che  trova 
negli  Annali  un  infinito  divario.  E  qui  fo  fine, 
facendole  umihssima  riverenza. 


•9m  al  yJji)3  u 


GIUDIZIO 

INTOBJ»0    ALLA    GRAMMATICA    DI    AnTONIO    d'A  RONNB 


La  Metafisica  è  una  scienza  la  quale  ha  per  og- 
getto la  mente  umana.  Onci'  ella  si  stende  a  tutto 
ciò  che  può  giammai  pensar  F  uomo.  Quindi  ella 
scende  ad  illuminare  tutte  le  arti  e  le  scienze  che 
compiono  il  subbietto  dell'  umana  sapienza.  Le 
prime  tra  queste  sono  la  Grammatica  e  la  Logi- 
ca: l'una  che  dà  le  regole  del  parlar  dritto,  l'al- 
tra del  parlar  vero.  E  perchè  per  ordine  di  na- 
tura dee  precedere  il  parlar  vero  al  parlar  dritto 5 
perciò  con  generoso  sforzo  Giulio  Cesare  della 
Scala,  seguitato  poi  da  tutti  i  migUori  Gramma- 
tici che  gh  vennero  dietro,  si  diede  a  ragionare 
delle  cagioni  della  lingua  latina  co'  principj  di  Lo- 
gica. Ma  in  ciò  venne  fallito  il  gran  disegno,  con 
attaccarsi  a'  principj  di  Logica  che  ne  pensò  un 
particolare  uomo  Filosofo,  cioè  colla  Logica  di 
Aristotele,  i  cui  principj  essendo  troppo  univer- 
saH,  non  riescono  a  spiegare  i  quasi  infiniti  par- 
ticolari che  per  natura  vengono  innanzi  a  chiun- 
que vuol  ragionare  di  una  Hngua.  Onde  Francesco 
Sanzio,  che  con  magnanimo  ardire  gli  tenne  die- 
tro nella  sua  Minen^a,  sì  sforza  colla  sua  famosa 
Ellissi  di  spiegare  gì' innumerabili  particolari  che 
osserva  nella  lingua  latina;  e  con  infelice  succes- 
so, per  salvare  gfi  universali  principj  della  Logica 
di  Aristotele,  riesce  sforzato  e  importuno  in  una 
quasi  innumerabile  copia  di  parlari  latini,  dei  quali 
crede  supplire  i  leggiadri  ed  eleganti  difetti  che 
la  hngua  latina  usa  nello  spiegarsi.  Ma  il  quanto 
acuto  tanto  avveduto  Autore  di  questa  novella 
Grammatica  ha  ridotto  tutte  le  maniere  di  penr 


i64  PARTE    !.. 

8are^  che  nascer  mai  possono  in  mente  uninna 
intorno  la  Sostanza,  e  le  innumerabili  varie  di^ 
verse  modificazioni  di  essa,  a  certi  principj  me- 
tafisici così  utili  e  comodi,  che  si  ritrovano  av- 
verati in  tutto  ciò  che  la  Grammatica  latina  pro- 
pone nelle  sue  regole  e  nelle  sue  eccezioni.  Il 
frutto  di  una  sì  fatta  Grammatica  è  grandissimo, 
perchè  il  fanciullo,  senz' avvedersene,  viene  infor- 
mato di  una  Metafisica,  per  dir  così,  pratica,  con 
cui  rende  ragione  di  tutte  le  maniere  del  suo  pen- 
sare; appunto  come  colla  Geometria  i  giovani,  pur 
senz'  avvedersene,  apprendono  un  abito  di  pensar 
ordinatamente.  Per  tutto  ciò,  secondo  il  mio  de- 
bole e  corto  giudizio,  stimo  questa  Grammatica 
degna  della  pubblica  luce ,  siccome  quella  che 
porta  seco  una  discoverta  di  grandissimi  lumi  alla 
repubblica  delle  lettere. 


SCRITTI    SCIENTIFICI  l65 

GOMITI  ANTONIO  COPPOLik 

/.  B,  Ficus  s.  d. 

Duo  mihi  videntur  dubietatum  genera,  Amice 
I  suavissime,  et  alterum  ex  ingeiiii  acumiiie,  alterum 
f  ex  rerum  ignoratione  proficiscì.  At  vereor  ne  tua 
^  percontatio  de  Biscardiani  Responsi  epigraphe  in 
nac  postrema  Y.cLzzyoptcL  contineatur.  Eius  enira  li- 
bri epigramma  ita  conceptum  est:  Epistola  prò 
u4ugustissimo  Philippo  Hispaniarum  Rege,  in  qua 
et  jus  ei  assertuin,  et  omnia  confutantur,  quae 
prò  Investitura  Regni  Neap.  ab  Austriacis  af- 
feruntur:  in  quo  sane  sì  pars  illa  orationis  et  jus 
ei  assertum  vulgari  ellipsi  verbi  est  suppleatur;; 
in  Latio  prorsus  peregrinari  videtur,  qui  ex  iis  ver- 
bis  hanc  non  assequatur  sententiam:  quod  eà  epi- 
stola et  jus  in  Hispaniensem  Monarcbiam  Philippo 
asseritur,  et  omnia  confutantur  ec.  quae  ab  Au- 
striacis afferuntur  :  coque  raagis  quod  Epistola 
panilo  ante  dicitur  prò  Philippo  scripta.  Quam- 
ombrem  tantum  abest,  ut  quid  absurdi  in  eo  ti- 
tulo  subsit,  ut  qui  ejus  vicii  Biscardura  insimulare 
Telit,  ipse  mihi  mentis  omnino  absurdae  videatur. 
At  si  dixeris  lìbrorum  propositiones  quam  maxime 
perspicuas  esse  oportere,  ne  lector  offendat  in  ipso 
limine:  in  re  atque  natura  recte  dixeris,  ut  in  pro- 
posilo nullus  dixeris.  Nam  ejusmodi  ellipsis  adeo 
irequen^  apud  probatos  scriptores  est  usus,  ut  ubi- 
que  prostet.  Atque  in  ejus  rei  argumento  cuni 
mihi  literae  tuae  dalae  sunt,  tum  ego  initium  li- 
bri XXI  Historiae  Livianae  animi  caussa  legcbam , 
et  numero  Hannibahs  iconem,  ejusque  primam  ex- 
peditionem  ubi  auctor  scribit:  Cibi  potionisquc 
desiderio  naturali  non   \>oluptatc   modus  finita^-. 


l66  PAKTF.    !. 

supple  erat;  quam  mox,  id  quod  rebus  gerendis 
superesset  quieti  datum^  supple  erat;  et  e  vesti- 
gio: eaque  neque  molli  strato,  neque  silentio  ac- 
cersitay  supple  erat;  et  paucis  interiectis:  P^ere 
primo  in  J^accaeos  permotum^  supple  est.  Atque 
haec  intra  uiiius  pagellae  ambitum  apud  scripto- 
rem  qui  neque  j  ut  Tacitus,  loquitur  praefinito, 
neque  caesim  uti  Sallustiusj  sed  qui  scriptionis  ge- 
nere excellit  maxime  perspicuo  et  affluenti.  Pro- 
inde  desinas  nodum  in  scirpo  quaerere,  ut  aiunt: 
et  Te  digna,  et  magis  ex  usu  disputanda  porro 
proponas.  Vale,  multumque  vale;  et  qua  plurima 
salute  ego  Te,  Tu  meo  nomine  praeclarissimos  Vi- 
ros  Patrem  Avulumque  tuum  impertias.  —  Neap. 
Ili  kal.  septembris  cidiocciii.  — '  Amo  Te  pluri- 
mum  de  optimis  pomis  et  afFatim  ad  me  missis. 


LETTERA  DEL  CARDINALE  LORENZO  CORSINI 

Roma,  20  luglio  1726. 

Nella  visita  che  io  feci  ultimamente  della  mia  Dio- 
cesi di  Frascati,  mi  occorse  di  metter  mano  a  molte 
esorbitanti  spese,  per  le  quali  ho  fin  dovuto  restrin- 
gere alcune  altre  che  qua  prima  io  soleva  usare  con 
qualche  larghezza.  Su  questo  confìdenzial  motivo,  che 
apro  alla  buona  estimativa  di  V.  S.,  mi  riprometto  il 
di  lei  cortese  compatimento,  se  non  ho  modo,  come 
per  altro  bramerei,  di  secondare  la  sua  istanza.  Gra- 
dirò bensì  ch'ella  me  ne  porga  l'adeguato  compenso 
coir  impiegarmi  in  altre  occasioni  di  suo  vantaggio^  e 
le  auguro  per  fine  ogni  maggior  prosperità  (i). 

(i)  Dietro  di  una  tal  lettera  sono  scritte  di  carattere  di 
Vico  le  seguenti  parole.  «  Lettera  di  S.  E.  Corsini,  che  non 
u  ha  taccila  di  sonirninistrare  la  spesa  della  stampa  dell' O- 
«  pera  precedente  alla  Scienza  Nuova,  onde  fui  messo  in  ne- 
u  (essila  di  pen;syr  a  questa  dalla  mia  povertà,  che  restrinse 


SCRITTI    SCIENTIFICI  167 


DEL   MEDESIMO 

Roma,  8  dicembre  i^^S, 

Con  quel  gradimento  che  può  V.  S.  creder  maggiore 
ho  ricevuto  gli  esemplari  ch'ella  gentilmente  ha  voluto 
inviarmi  ào*  Principi  della  Nuoi^a  Scienza  intorno  alla 
natura  delle  nazioni  da  lei  ultimamente  dati  alla  luce: 
opera  al  certo  che  per  antica  dignità  di  lingua  e  per 
solidezza  di  dottrina  basta  a  far  conoscere  che  vive  an- 
che oggi  negl'Italiani  spiriti,  non  meno  la  nativa  par- 
ticolarissima attitudine  alla  buona  eloquenza,  che  il  ro- 
busto felice  ardimento  a  nuove  produzioni  nelle  più 
diffìcili  discipline.  Io  però  nelPistesso  tempo  che  seco 
me  ne  congratulo,  e  con  cotesta  sua  ornatissima  pa- 
tria, posso  ancora  assicurarla  che  io  già  l'ho  incomin- 
ciata a  leggere  con  quella  attenzione  e  diletto  che  me- 
rita la  gravità  istessa  dell'argomento,  ed  il  credito  del 
riguardevole  autore:  verso  cui  l'affezione  già  in  me 
nata  da  preventiva  stima,  ha  preso  anche  nuovo  augu- 
mento  per  la  legge  di  gratitudine,  dacché  egli,  non 
contento  d'indirizzare  a  me  la  dedica  dell'opera  di 
tanta  fama ,  ha  voluto  anche  mostrarmisi  cortese  nella 
largita  del  dono  di  essi  esemplari.  Da  questi  senti- 
menti può  V.  S.  ben  ravvisare  la  qualità  della  grata 
mia  riconoscenza,  e  ripromettersene  altresì  i  propor- 
zionati effetti,  ove  mi  somministri  ella,  come  desidero, 
le  convenevoli  aperture  da  impiegarmi  in  cose  di  suo 
servigio^  e  le  auguro  intanto  ogni  maggior  felicità. 


u  il  mio  spirilo  a  stamparne  quel  libricciuolo,  traendomì  un 
tt  anello  che  avea,  ov'era  un  diamante  di  cinque  grani  dì 
tt  purissima  acqua ^  col  cui  prezzo  potei  pagarne  la  stampa,  e 
u  la  legatura  degli  esemplari  del  libro»  il  quale  perchè  me  '1 
«  trovava  promesso  a  divulgarlo,  dedicai  ad  esso  signor  Cat- 
«  dioale.  » 


i68 


PARTE    I. 


AL  CARDINAL  LORENZO  CORSINI 


Napoli,   i5  dicembre   i^aS. 

Con  ruminazione  più  ossequiosa  m'inchino  a 
professare  a  V.  E.  gl'infiniti  obblighi  per  l'altezza 
dell'  animo  onde  ha  essa  degnato  con  sensi  sì  ge- 
nerosi e  proprj  della  vostra  grandezza  ricevere  la 
mia  Opera  e  me  nella  vostra  potente  protezione: 
talché  benedico  ben  venticinque  anni  da  me  spesi 
nella  meditazione  di  siffatto  argomento  j  ed  in 
mezzo  le  avversità  della  mia  fortuna ^  e  le  remore 
che  mi  facevano  gli  esempli  infelici  degl'ingegni 
che  han  tentato  delle  nuove  e  gravi  discoverte , 
abbia  io  menato  tant' oltre  la  vita,  che  portassi 
a  compimento  questo  lavoro,  che  mi  ha  prodotto 
il  merito,  o,  per  meglio  dire,  la  buona  ventura 
di  compiacersene  un  Principe  di  santa  Chiesa  di 
tanta  sapienza,  di  quanta  la  fama  da  per  tutto 
con  immortali  laudi  la  celebra.  Con  l' istessa  umiltà 
di  spirito  supplico  V.  E.  a  seguitare  di  proleggermi 
e  continovarmi  l'onore,  onde  mi  pregio,  profon- 
damente inchinandola,  di  rassegnarmi  per  sem- 
pre, ec. 

AL    MEDESIMO 

Nafpoli,  36  dicembre   i^jaS. 

11  chiaro  e  distinto  onore  di  cui  TE.  V.  beni- 
gnamente si  è  degnata  colmarmi,  essendosi  com- 
piaciuta di  gradire  con  una  generosità  propria 
della  vostra  grandezza  un  mio  umile  ed  ossequioso 
desiderio  di  consagrare  sotto  l' alto  e  potente  vo- 
stro patrocinio  un  debol  parto  del  mio  scarso  in- 
gegno, che  sia  per  uscire  alla  luce,  acciocché  quel 


SCRITTI    SCIENTIFICI  169 

«redito  ehe  F  opera  in  sé  stessa  non  ha  per  il 
poco  pregio  dell'autore,  possa  sicuramente  con- 
seguirlo col  portare  nella  sua  fronte  lo  splendore 
del  luminosissimo  nome  vostro ,  mi  dà  ora  lo  spi- 
rito di  non  perdere  un'onorevole  occasione  di 
dare  a  V.  E.  una  piena  testimonianza  del  mio  animo 
umile  e  riverente,  di  annunziarle  propizio  questo 
giorno  tanto  per  noi  segnalato  e  memorabile ,  au- 
gurandoglielo con  que'  più  fervidi  voli  che  l*  animo 
mio  può  concepire,  continuato  da  una  lunghis- 
sima serie  d'anni  per  la  felicità  della  cristiana 
Repubblica;  sperando  che  l'È.  V.  con  quell' istessa 
grandezza  d' animo  colla  quale  anticipatamente  si 
è  compiaciuta  della  mia  tenue  ossequiosa  offerta, 
voglia  gradire  questi  miei  sinceri  sentimenti,  men- 
tre io  profondamente  inchinandola  mi  rassegno 
umilmente  per  sempre,  ec. 


LETTERA  DEL  CARDINALE  LORENZO  CORSINI 

Roma,  19  gennajo  1751G. 

Non  s'inganna  punto  V.  S.  nel  credermi  disposto  con 
tutto  l'animo  a  promuover  sempre  le  maggiori  conve- 
nienze della  di  lei  persona  e  casa^  e  può  ella  esser  an- 
che persuasa  che  io  proverei  sommo  piacere  di  corri- 
spondere cogli  effetti  stessi  a  questa  sua  giusta  opinione. 
Ma  nel  particolare  per  altro  del  far  conseguire  qualche 
benefizio  a  cotesto  suo  signor  Figliuolo ,  io  v'  incontro 
delle  difficoltà  pur  troppo  contrarie  al  suo  ed  al  mio 
desiderio^  imperciocché,  oltre  all'età  assai  tenera  di 
esso  Figliuolo,  che  può  fare  non  piccolo  ostacolo,  vi  ò 
da  considerare  ancora  che  si  trovano  in  oggi  nel  Pa- 
lazzo Apostolico  tante  persone  di  Regno,  che  non  si 
tosto  vaca  qualche  cosa,  che  già  prima  assai  della  va- 
canza scntesi  la  provista.  Deve  V.  S.  nondimeno  esser 
certa  che  dove  a  me  se  ne  presenti  qualche  buona  apcr- 


ino  PARTE    1. 

tura,  non  mancherò  di   averne    ogni   più   sollecito   ed 
affettuoso  pensiere:  e  le  auguro  intanto  dal  Signore  co- 


AL  CARDINAL  LORENZO  CORSINI 

Napoli,  20  febbrajo   i'j'ìG, 

Rendo  a  V.  E.  le  più  umili  grazie  che  io  so  e 
posso  della  benigna  efficace  volontà  che  ha  di 
consolare  me  e  questa  mia  povera  casa  con  un 
qualche  beneficio ,  onde  possa  elencarsi  un  mio 
figliuolo  e  vostro  servo ,  per  nome  Gennaro:  ma 
l'alta  idea  che  si  ha  da  per  tutto  della  rara  ge- 
nerosità che  cotanto  la  distingue  tra'  Principi, 
deve  rendermi  persuaso  che  il  differimento  del- 
l'effetto egli  nasca  dall'impossibile.  Mitigo  però  la 
mia  avversa  fortuna  fi-attanto  con  la  speranza, 
anzi  fiducia  di  vivere  sotto  la  vostra  potente  pro- 
tezione, e  per  di  lei  somma  pietà  di  esser  tenuto 
presente  alla  sua  pregiatissima  grazia.  E  col  più 
umile  rispetto  inchinandola,  profondamente  mi 
rassegno  per  sempre,  ec. 


A  MONSIGNOR  GIOVANNI  BARBA 

IN    RISPOSTA    all'opera    DAL    MEDESIMO    INVIATOGLI 

SUL   METODO    DELLE    LINGUE 

STAMPATO     IN     ROMA     NEL    lyS^ 

Napoli,  27  agosto  i^SS. 

Io  rendo  grandi  grazie  a  V.  S.  Illustrissima  della 
vantaggiosa  opinione  che  ha  del  mio  poco  merito, 
maggiori  del  gentil  ufizio  passato  meco  di  congra- 
tulazione per  l'onore  che  mi  ha  S.  M.  compartito 


SCRITTI    SCIENTIFICI  I  «J  I 

(li  SUO  Storiografo,  grandissime  per  lo  prezioso 
dono  da  lei  fattomi  del  primo  libro  d'intorno  al- 
l'Arte e  al  Metodo  delle  Lingue;  nel  quale  pro- 
pone la  magnanima  impresa  di  dare  una  certa 
scienza  di  parlare  colto  non  che  emendato  in 
tutte  le  lingue  più  riputate  morte  e  viventi;  e 
ne  ragiona  gli  apparecchi  con  uno  stile  dotto, 
erudito  e  saggio,  pieno  d'ornamento  e  splendore. 
Io  mi  rallegro  con  la  nostra  comune  patria  d'aver 
dato  un  ingegno  sì  vasto  che  abbia  preso  a  trat- 
tare così  grande  argomento  che,  riputato  per  sua 
natura  infinito,  ha  spaventato  i  dotti  ad  appli- 
carvi F  attenzione.  Confido  nella  di  lei  gravità, 
che  la  porterà  gloriosamente  a  fine  negU  altri  due 
che  promette,  ed  io  sto  ansiosamente  attendendo; 
e  facendole  ossequiosa  riverenza  mi  confermo,  ec. 


A  GIUSEPPE  PASQUAL  CIRILLO 
(1738) 

Voi,  per  quel  singolare  amore  che  mi  portate, 
vi  siete  jeri  compiaciuto  di  comunicarmi  privata- 
mente la  bellissima  Orazione  che  vi  è  stato  ordi- 
nato di  recitare  nella  nostra  Università,  ove  sarà 
una  pubblica  rimostranza  d' ossequio  nell'occasione 
che  'l  nostro  Re  si  è  impalmato  alla  Principessa 
Real  di  Polonia.  L'argomento  sono  Nozze  Reali, 
e  li  Re  sono  la  cosa  più  sublime  che  ammirano 
e  venerano  le  nazioni  sopra  la  terra;  e  le  nozze 
altronde  sono  l'azione  più  gaja  ed  ornata  che  ce- 
lebrano gli  uomini  nella  vita.  Voi  con  saggio  tem- 
peramento avete  concepita  e  tessuta  la  vostra  pre- 
gevolissima Diceria  di  concetti  grandi  insieme, 
ameni,  robusti  e  teneri,  gravi  e  leggiadri;  e  l'a- 
vete vestita  d' una  locuzione  scelta  raa  non  ricer- 


1^2  »ARTE    I. 

eata,  naturale  ma  nobile^  dotta  ma  che  non  sa 
nulla  affatto  di  scuola,  e  sembra  nata  in  una  bel- 
lissima Corte.  Io  mi  rallegro  con  esso  voi  di  co- 
testo bel  parto  del  rostro  pronto  e  purgato  in- 
gegno; e  ve  ne  auguro  molta  lode,  e  molto  più 
da  coloro  i  quali  son  usi  di  gustare  la  grandezza 
della  romana  e  la  delicatezza  altresì  della  greca  ^ 
delle  quali  avete  fatto  un  bel  misto  nella  nostra 
italiana  favella  5  ed  umilmente  vi  riverisco  (i). 


FRANCISCO    SERAO 

VIR.  CLARIS.  PUBLICO  MEDICINìE  PROFESSORI 

/.  B,  Ficus  S.  P.  D. 

Liberant  fidem  suam  qui  ad  solvendum  aliquo 
juris  vinculo  sunt  obligati;  at  Tu,  Vir  clarissime, 
prò  tua  singulari  benignitate  erga  me  mihi  misisti 
quae  de  Phalangio  Apulo  hactenus  edideras.  Ea 
tuae  feracissimae  menti,  et  mira  doctrinae  et  eru- 
ditionis  suppellectile  abunde  instructae  panca  vi- 
dentur,  et  plura  mittere  voluisses  si  per  aliena  ne- 


(1)  Si  11  Vico  che  G.  P.  Cirillo  appartenevano  all'Accademia 
di  D.  Nicola  Salerni:  narra  il  Giustiniani  che  «  una  volta  es- 
f»  sendosi  tenuta  quest'Accademia  in  casa  di  D.  Isabella  Masilli 
«  duchessa  di  Marigliano,  parlò  il  Cirillo  delle  maschere  da 
*t  commedia  e  tragedia  che  usavano  gli  antichi,  ed  essendo 
«  voce  che  il  dottissimo  G.  B.  Vico  avesse  di  molto  criticato 
«  un  tal  suo  ragionamento.  Saputosi  ciò  da  esso  Vico,  scrisse 
€(  una  lettera  al  Cirillo  in  data  de'  3o  agosto  lySS,  colla  quale 
«  gli  palesò  il  dispiacere  di  una  così  falsa  voce,  ed  avvisollo 
«  che  egli  altro  non  disse  che  poteansi  aggiungere  tre  cose  che 
«  forse  a  cagione  di  brevità  egli  tralasciate  avea ,  cioè  i.°  in- 
«I  torno  alla  prima  maschera  cìie  dovette  trovarsi  nel  mondo 
«  e  sostenere  che  fosse  quella  di  satiro;  2."  sull'etimologia  della 
«  voce  persona}  5."  intorno  alla  difficoltà  d'intendere,  come^ 
M  nelle  favole  drammatiche  greche  e  latine  gl'istrioni  diceansi 
ù  cambiar  sembiante  quando  che  recilavan  mascherati,  w  Giusi, 
voi.  I,  pag.  i54i 


$CK1TT1    SClliNTIFlCl  1^3 

ììtSL  quibus  distrahi,  ac  distineri  vis,  Tacere  li- 
lisset.  Sed  isthaec  magis  laus,  quam  excusatio 
ibenda  est.  "Ea  enitn  egregi!  operis  partìcula  tanto 
igenio,  tantoqiie  judicio  est  pertractata ,  ut  qui  Te 
rgnorant,  in  nulla  alia  re  occupatum  putaverint. 
At  enini  videris  aut  tuòs  divinos  mentis  partus 
nedum  contemnere,  graviter  sane  odisse,  aut  me 
nullum  omnino  doctorum  hominum  sensum  ha- 
bere,  qui  postulas,  ut  pulclierrimum  nitidissimum- 
que  opus  emendationum  notis  deturpem.  Neque 
quod  in  hac  iniqua  re  tibi  non  obsequor,  idcirco 
de  animo  in  Te  meo  quicquam  dubites:  et  istam 
suspicionem  differas  tantisper  quaeso,  dum  Rep, 
Literariae  universae  censuram  de  edita  Disserta- 
tione,  ut  confido  honorificentissimam  referas.  Dul- 
ciariorum  suave  munus  mihi  pergratum  fuit,  tum 
ipso  mancipio,  tum  a  tali  Viro  ad  me  missum: 
et  quod  dulcia  Medici  dicant  vilescere,  id  pace 
dicam  tua  magis  argute,  quam  acute  a  Te  dictum 
interpretor,  scilicet  ut  luae  amabilissimae  Disser- 
tationi  injurius  irascerer.  Igitur  quam  vere  et  se- 
vere Pbalangi  Apuli  naluralem  historiam  scribis, 
tuum  ipsius  animum  consule,  et  certe  scias  quam 
in  tuto  tua  doctissimi  viri  fama  sita  sit.  Vale  pe- 
ritissima Sopbiae  Medulla. 


^4  PARTfi    I. 


Iscrizione  con   la  quale  ii  Vico  accompagnava 

^  un  esemplare  dell'  Opera  De  Universo  Iure  man^ 

dato  in  dono  al  principe  Eugenio  di  Savoja, 

I  SANE  CODEX 

OMINE  FELICISSIMO  LVCVBRATVS 

QVI 

OMNIVM  QVOTQVOT  FVERVNT  QVOT  SVNT  ERVNTQVE 

MAXIMVM  BELLI  IMPERATOREM 

evi  PAR  KM 

NEC  SAPIENTIA  VNQVAM  GENERE  IPSO  DESCRIPSIT 

NEC  MVSAE  VNQVAM  LAVDARVNT  SATIS 

MVSARVM  SAPIENTIAEQVE  OPERA  VERSANTEM 

QVVM  A  BELLIGIS  GVRIS  OCIARI  LICET 

DE  IMO  IPSIVS  REGIAE  BIBLIOTHECAE  LOCO 

FORTVNATVS  VIDEBIS 

SI  IS  TE  CONSPEXERIT  FORTVNATIOR 

SI  IN  MANVS  SVMPSERIT  FORTVNATISSIMVS 

AT  lìERCVLE  SI  QVANDOQVE  LEGERIT 

PARIES  IMMORTALITATEM  AVCTORI 


RISPOSTA 

Vienna,  29  agosto   172.4. 

Siccome  il  signor  Abate  Garofalo  ha,  in  conformità 
di  quanto  lo  incaricai,  passati  presso  di  lei  in  mio  nome 
gli  uftìcj  di  ringraziamento  per  l' Opera  virtuosa  di  cui 
ha  voluto  favorirmi  la  cortesia  sua  ^  cosi  con  la  presente 
le  ne  confermo  l'obbligo  che  mi  corre  seco,  e  ne  la 
ringrazio  nuovamente  anche  per  le  espressioni  partico- 
lari che  leggo  nella  lettera  sua  in  data  de' 25  scaduto. 
E  qui  desiderando  aperture  di  potermi  impiegare  nelle 
di  lei  occorrenze,  le  bramo  frattanto  ogni  più  compito 
bene,  e  sono  con  parzialità,  ec. 


SCRITTI    SCIENTIFICI  1^5 


LETTERA  DI  GIO.  ARTICO  CONTE  DI  PORCIA 

Porcia,  a  aprile  1728. 

Il  merito  sommo  di  V.  S.  Illustrissima,  più  che  i  miei 
buoni  uffìzj,  ha  contribuito  a  conciliare  a  lei  l'ami- 
cizia e  la  stima  del  P.  Lodoli  e  del  signor  Abate  Conti. 
Questi  due  soggetti  dottissimi  si  pregiano  al  pari  di  me 
d'essere  entrati  in  possesso  del  di  lei  amore,  e  si  fanno 
gloria  di  promuovere  la  fama  della  di  lei  virtìi,  e '1 
divulgamento  delle  di  lei  produzioni  di  spirito,  che 
tanto  onorano  la  Filosofia  italiana.  Farò  intanto  sapere 
al  P.  Lodoli  le  difficoltà  addotte  a  V.  S.  Illustrissima 
da  cotesto  signor  Residente  Veneziano  intorno  al  rica- 
pito delle  di  lei  note  ai  Principj  della  Nuova  Scienza, 
e  son  certo  ch'egli  si  studierà  la  maniera  di  trovarvi 
il  compenso,  perchè  giungano  a  noi  sicure  le  note 
accennate.  Sino  a  che  arrivino  queste  non  si  perderà 
tempo  nel  far  pubblicare  la  storia  della  di  lei  vita  e 
studj ,  perchè  questa  serva  di  norma  a  chi  vorrà  aju- 
tarci  a  proseguire  quest' Opera ,  che,  se  l' amor  de' miei 
pensamenti  e  trovati  non  m'inganna,  vuol  riuscire  di 
profitto  e  di  gloria  alle  lettere  italiane.  Alla  storia  stessa 
farò  aggiungere  le  correzioni,  le  quali  V.  S.  Illustrissima 
mi  propone  nella  sua  gentilissima  lettera  de'  1  o  del  ca- 
duto marzo ,  siccome  pure  le  protestazioni  che  la  di 
lei  modestia  m' insinua.  Io  spero  che  ogni  cosa  riuscirà 
a  di  lei  maggior  gloria,  e  soddisfazione  a  me,  che  de- 
sidero ardentissimamente  promosso  e  divulgato  il  di  lei 
merito  e  nome,  e  desidero  pure  qualche  suo  comando, 
in  eseguendo  il  quale  possa  far  conoscere  che  vera- 
mente sono  con  tutta  la  stima,  ec. 


1^6  PARTK 


LETTERA  DEL  V,  MICHEL  ANGELO  DA  REGGIO 
LETTOR  CAPPUCCINO 

Rispondo  alla  geatilissima  e  a  me  carissima  lettera, 
di  cui  V.  S.  Illustrissima  con  sì  bel  cuore  mi  ha  favo- 
rito, essendomi  stato  un  bel  conforto,    giunto  appena 
in  patria,  trovar  grazie  così  distinte,  per  le  quali  sem- 
pre più  obbligato  me  le  protesto.  Mi  sono  molto  bene 
avveduto  ch'ella  cogli  amici  e  padroni  tutti  hanno  pre- 
gato per  me,  perchè  ho  avuto  un  viaggio  felicissimo, 
a  riserba  di  una  stanchezza  incomparabile  da  sì  lungo 
viaggio.  A  i8  giugno  giunsi  in  Modena,  dove  fui  a  ri- 
verire il  sig.  marchese  Orsi  e  '1  sig.  Muratori ,   i  quali 
unitamente  le  rendono  i  più  cordiali  saluti,  avendo  gra- 
dito quest'atto  al   più  alto  segno ^  e  si  è  fatta  lunga  e 
degna  rammentazione  delle    sue   rare   virtù   e  del    suo 
alto  merito,  e  delle  finezze  meco  praticate.  Lodo  senza 
fine  di  sentire  il  buon  esito  del  di  lei  scorbuto,  e  della 
felicissima  cura  che  si  fa  al  gentilissimo  e  amabilissimo 
P.  D.  Roberto  Sostegni,  a  cui,  come  presso  degli  altri 
amici  a  lei  ben  noti,  è  pregata  di  portare  i  miei  più 
ossequiosi  e  candidi  rispetti.  Il  Signore  prosperi  V.  S.  Il- 
lustrissima, e  tutta  la  sua  carissima  famiglia^  e  mi  ral- 
legro che  la  signora  D.  Luisa  sia  andata  a  godere  della 
buon'aria^  ma  vi  vada  ancor  ella,  secondo  mi  promi- 
se, e  mi  riverisca  tutti  di  sua  casa  dal    primo    all'ul- 
timo, perchè  tutti  e   singoli    porto  nel    cuore.    Sentirò 
con  particolar  piacimento  continue  nuove  di  lei,  e  del 
libro  suo  che  si   dee   stampare   in  Venezia,   che   esito 
abbia  avuto.  La   famosa   Raccolta  del    sig.    Cranio    de 
Iosa  di  Potenza  stampata  dal  Muzj  (secondo   che  egli 
bugiardamente  asseriva)  per  ora  non  si  è  ancor  veduta, 
e  ne  dovea  trovare  a  centinaja  le  copie  e  in  Roma  e 
in  Livorno:    oh  quante  bugie    mi  ha    vendute    cotesto 
buon  signore!    tante    che  vi    vuol    mettere  la    carestia: 


SCRITTI    SCIENTIFICI  I^^ 

gli  farò  però  tra  non  molto  penetrare  i  miei  senti- 
menti di  amorevol  doglianza,  perchè  si  sia  preso  scherzo 
di  me ,  credendomi  o  sì  credulo  o  si  sempUce ,  che  non 
avessi  divisato  da  principio  il  suo  doppio  procedere: 
buon  per  noi  che  ha  trovato  in  V.  S.  Illustrissima  il 
rovescio  della  medaglia,  come  dir  si  suole,  e  mi  ha 
favorito  con  gentilezza  e  sincerità  da  suo  pari.  Accludo 
Ja  presente  al  M.  R.  P.  Guardiano  de' Cappuccini ,  per 
mezzo  di  cui  perverrà  alle  di  lei  mani^  e  per  non  abu- 
sarmi della  sua  sofferenza  le  rinnovo  il  mio  rispetto  e 
la  mia  servitù,  protestandomi  sempre  senza  fine,  ec.^ 


LETTERA  DEL  P.  TOMMASO  MARIA  ALFANI 

y 

Napoli,  17  giugno   1734. 

All'Illustrissimo  signor  D.  Giambattista  Vico  fa  os- 
sequiosa riverenza  Fr.  Tommaso  Maria  Alfani,  e  gli  fa 
sapere  che  per  le  sue  crude  indisposizioni,  che  da  molto 
tempo  a  piacer  di  Dio  lo  travagliano,  non  gli  è  stato 
fatto  di  poter  leggere  l'aurea  e  ben  scienziata  opera 
de'  cinque  libri  della  Scienza  Nuova  prima  di  alcuni 
giorni^  che  con  ansia  somma  l'ha  domandata  al  si- 
gnor D.  Paolo  Emilio  Marocco  gentiluomo  di  CajazzOj 
di  assai  gusto  purgato  e  suo  buon  amico,  da  cui  l'ha 
avuta  con  molte  postille  in  margine  fatte  fare  dallo 
stesso  sig.  D.  Giambattista  al  fratello  di  esso  D.  Paolo 
Emilio,  D.  Giulio  Cesare.  Ha  letto-,  riletto  e  per  la  terza 
volta  tornato  a  leggere  la  spiegazione  della  ben  ideata 
dipintura  o  sia  Tavola,  a  similitudine  di  quella  di  Ce- 
bete,  dov'è  l'idea  tutta  dell'Opera^  e  siccome  sorti  ad 
Alfonso  I  nostro  re,  che  colla  lettura  di  Tito  Livio 
sollevandosi  il  di  lui  animo,  e  riscaldatoglisi  il  sangue 
rappigliato,  e  mettendosi  in  moto  giusto  ed  eguale^ 
fece  che  cessasse  quasi  di  subito  una  fiera  febbre  che 
cruccìavalo,  la  quale,  secondo  il  Silvio,  non  da  altro 
che  dal  rappigliarsi  il  sangue  sortisce,  e  in  questo  modo 
non  poco  altri  malori  son  cagionati  y   cosi   ^gU   è  ad- 

Vico,  Opuscoli,  la 


178  PARTE    I. 

divenuto  a  Fr.  To4iimaso  Maria,  il  quale  in  leggendo 
cose  cosi  riposte,  così  varie  e  così  ben  trattate,  per- 
chè nascono  con  tutto  il  geometrico  metodo  le  une 
dalle  altre,  e  si  inanellano  in  modo  che  formano  una 
bella  catena,  nel  tempo  che  le  leggeva  niun  dolore 
per  lo  miserevole  suo  corpo  sentiva^  e  poscia  gli  si 
sono  gli  spiriti  così  ravvivati,  che  senz'apportargli  in- 
comodo il  suo  grave  malore  è  quasi  ito  via,  ha  po- 
tuto seguitare  felicemente  la  lettura  delle  Annotazioni 
alla  Tavola  Cronologica,  colle  quali  si  è  chiarificato  e 
tratto  fuori  da  maggiori  dubbi  che  in  Cronologia  egli 
avesse,  de'  quali  né  il  Petavio,  nò  il  Labbé,  né  lo  Scali- 
gero, uè  l'Usserio  l'avevano  appieno  soddisfatto,  quanto 
ora  si  vede  dal  sig.  D.  Giambattista  ammaestrato:  per- 
chè dovendo  la  Cronologia  servir  di  base  alla  Storia 
e  di  piede,  se  ella  non  è  stabile  e  ferma,  di  facile 
faralla  crollare:  ed  egli  è  assai  verissimo  ancora,  che 
non  distinguendosi  bene  i  tempi,  e  con  essi  i  costu- 
mi, è  agevole  a  fare  idee  ingannevoli,  e  che  mettano 
in  confusione  le  cose  tutte ,  come ,  a  cagion  di  esem- 
pio, di  essere  stati  i  Persiani  vinti  sotto  Alessandro 
simili  a'  vincitori  sotto  Ciro  ^  che  la  Grecia  fosse  stata 
tanto  libera  nel  tempo  di  Filippo  quanto  in  quello  di 
Temistocle^  che  il  popolo  romano  fosse  si  fiero  sotto 
gl'imperatori  che  sotto  i  consoli^  e  simili  cose,  che 
per  l'oscurità  cagionata  dalla  secchezza  della  Crono- 
logia, e  molto  più  dalla  poca  avvertenza  di  chi  l'ha 
trattata,  fanno  la  Storia  intralciata  di  molto,  che  non 
poco  danno  ne  può  avvenire,  essendo  nella  Storia  la 
Politica  in  buona  parte  fondata. 

Come  ha  sommamente  goduto  nel  leggere  questo 
poco,  e  se  n' è  in  molto  approfittato^  cosi  fermamente 
si  assicura  e  promette  di  godere  e  maggiormente  ap- 
profittarsi nel  leggere  il  restante  dell'Opera,  nella  qua- 
le, per  quello  che  va  scorgendo,  vengono  con  tutta 
distinzione  e  chiarezza  appianate  le  cose  che  dotta- 
mente sono  toccate  nel  libro  non  meno  dotto  De  Con^ 
stantia  Philologiae^  e  la  Mitologia  e  la  Filologia  ne 
vengono  assai  rischiarate,  togliendosi  loro  quelle  fan* 


SCRITTI    SCIENTIFICI  I79 

tastiche  ed  insulse  interpretazioni  che  i  Mitologi  e  i 
Filologi  sinora  hanno  fatto  secondo  il  capriccio ,  o , 
per  meglio  dire,  il  ghiribizzo  loro  dettava. 

E  perchè  non  altro  egli  può,  non  lascerà  di  pre- 
gare il  sommo  Iddio  acciocché  si  compiaccia  donare 
al  sig.  D.  Giambattista  vita  lunga  e  sana  e  felice,  per- 
chè possa  da  di  in  dì  colla  feconda  sua  mente  ren- 
dere chiara  ed  illustre  la  nostra  Italia  a  benefìzio  della 
scienziata  Repubblica  ,  e  consolazione  sempre  più  de' 
suoi  buoni  amici ,  servitori  e  discepoli ,  tra  quali  egli 
è  uno  che  con  tutta  divozione  gli  bacia  le  mani. 

DEL    MEDESIMO 

Napoli)  23  luglio  1739. 

Air  Illustrissimo  sig.  Giambattista  Vico  fa  ossequiosa 
riverenza  Fr.  Tommaso  M.  Alfani,  e  presentandogli  i 
saluti  del  sig.  Marchese  di  Salcito,  il  quale  con  ispe- 
cialità  in  una  lettera  di  quest'ordinario  glie  l'impone, 
gli  manda  aucora  da  sua  parte  il  qui  acchiuso  Sonetto 
da  lui  fatto  per  volerlo  fare  stampare  all'ultimo  delle 
sue  Poesie,  che  ora  dal  detto  Marchese  si  stampano, 
acciocché  il  signor  D.  Giambattista  ci  faccia  la  sua  ap- 
provazione, avendolo  prima  col  fino  suo  giudizio  esa- 
minato. Fra  Tommaso  poi  ha  già  letto  per  la  terza 
volta  la  Nuova  Scienza^  ed  in  parola  di  verità.  Iddio 
n'è  testimonio,  gli  dice  che  si  vede  uomo  nuovo,  di- 
spiacendogli solamente  che  non  ha  l'antica  forza  e  vi- 
gore, e  non  è  fornito  di  quell'ingegno,  acciocché,  più 
se  ne  potesse  approfittare.  oitiwp 

Egli  dà  fuori  le  Poesie  del  Marchese,  e  vi  fa^  uìi^ 
lettera  a'  lettori  per  vendicare  la  poesia  cotanto  da  al- 
cuni malmenata^  ed  in  questa  si  serve  delle  espressioni 
del  sig.  D.  Giambattista  sempre  che  gli  sono  in  accon- 
cio, e  non  poche  volte.  La  priega  però  chiarirlo  come 
s'intende  ciò  che  nella  pag.  869  della  Nuova  Scienza 
sta  scritto,  che  i  Poeti  non  siano  Metafisici,  o  secondo 


l80  PARTE    I.    SCRITTI    SCIENTIFICI 

l'espressione  che  vi  è:   «  essere  impossibil  cosa  che  al- 

it  cuno  sia  Poeta  o  Metafisico  egualmente  sublime  »  (i): 
e  questo  perchè  egli  parlando  nella  detta  lettera  a'  let- 
tori intorno  al  furor  poetico,  lo  stabilisce  non  essere 
altro  che  un  pensare  metafisicando  sopra  di  qualche 
oggetto,  per  formarne  poi  le  immagini  verisimili,  le 
quali  fanno  il  bello  poetico.  Ma  di  questo  aspetta  me- 
glio esserne  ammaestrato  dal  signor  D.  Giambattista,  a 
cui  riverentemente  bacia  la  mano  da  suo  buono  ed  af- 
feziona tissimo  servitore. 


LETTERA  DEL  CARDINALE  TROIANO  ACQUAVIVA 

Roma,  3i  dicembre  1743. 

Qualunque  dimostrazione  io  mi  possa  fare  verso  V. 
S.  Illustrissima,  non  giungerà  certamente  a  quanto  il 
suo  merito  e  '1  suo  profondo  sapere  richiede.  Ella  si  è 
resa  colle  sue  virtuose  fatiche  nella  letteraria  repub- 
blica cosi  ragguardevole ,  che  si  può  certamente  a  buona 
equità  gloriarsi  di  essere  fra  i  primi  annoverato.  Spero 
intanto  aver  la  consolazione  di  poterle  dimostrare  il 
desiderio  che  ho  di  servirla  in  tutte  le  opportunità.  E 
rendendole  ben  distinte  grazie  dell'augurio  di  felicità 
cortesemente  avanzatomi,  le  riauguro  da  Dio,  da  cui 
ogni  nostro  bene  come  da  vera  sorgente  deriva,  la  pie- 
nezza delle  celesti  benedizioni^  e  con  la  dovutissima 
stima  immutabilmente  mi  confermo,  ee. 

t-f^  a  RxiiC*l  M:^ihu'.  l  mh  iìom 

"(i)  Nella  terza  edizione  della  Scienza  Nuova  il  Vico  scioglieva 
questo  dubbio,  alle  parole:  essere  impossibil  cosa  che  alcuno 
sia  poeta  o  metajisico  egualmente  sublime  y  soggiungendo  :  ;?er- 
chè  la  metafisica  astrae  la  mente  da'  sensi,  la  facoltà  poetica 
deve  immergere  tutta  la  mente  ne' sensi:  la  metafisica  s' innalza 
sopra  agli  universali y  la  facoltà  poetica  deve  profondarsi  den» 
tro  i  particolari. 


'.»»tr,   :i.\\,m 


PARTE     II. 


ORAZIONI  ED   ISCRIZIONI 


ORAZIONI    ED    ISCRIZIONI 


O  R AT  I  O 

PRO  AUSPICATISSIWO  IN  HISPANIAM  REDITU 
FRANCISCI    BENAVIDII    S.   STEPHANI    COMlflS 
*  ATQUE  ìN  regno  ìNEAP.  PRO  REGE 

(1696) 

Si,  Excellentissime  Princeps,  prò  tuis  summis, 
praeclaris  atque  immortalibus  beneficiis  in  no- 
strani Givitatem  perpetuae  utilitatis  caussa  colla- 
tis  gratiaSj  ut  officii  ratio  postulata  omnium  ordi- 
num  nomine  agere  velimus,  veremur  ne  tuoruia 
erga  nos  meritorum  copiae  nostra  inopia  dicendi, 
amplitudini  orationis  exilitas,  immortalitali  per- 
quam  breves  nobis  ad  id  munus  persolvendum 
angustiae  temporis  circumscriptae  non  parva,  immo 
maxima  ex  parte  sint  detractura.  Etenira  quae  tanta 
potest  usquam  existere  ubertas  ingenii,  quae  tam 
incredibilis,  ac  adeo  rara  divinitas,  ut  universa 
tua,  quibus  nos  ornatos  voluisti,  promerita  si  mi- 
nus  verbis,  queat  mente  saltem,  et  cogitatione 
coniplecti?  Quandoquidem  ante  tua,  seu  potius. 
nostra  felicissima  tempora  obvenerunt  certe  nobis 
clarissimi  atque  ornatissimi  Viri,  qui  in  hoc  Re- 
gno gubernando  potentissimi  nostri  Hispaniarura 
Regis  vices  ita  in  aliquo  Regiarum  virtutum  ge- 
nere praeclari  gesserunt,  ut  apud  nos  honestis- 
sima  sui  Vicarii  Principatus  monumenta  relique- 
rint.  At  si  eos  omnes  Tecum  conferamus,  si  omnia 
temporis  anteacti  discrimina  cum  bis  comparemus, 
in  quibus  Givitas  nostra  undequaque  periculi,  ti- 


l84  PARTE    H. 

moris  atque  sollicitudinis  piena  dudum  versala 
estj  ac  ab  iisdem  a  Te  singulari  studio,  atque 
opera,  summa  prudentia  atque  auctoritate  libe- 
rata 5  Tu  prae  ceteris  omnibus  nostrae  Patriae  Co- 
lumen,  Tu  nostrorum  Civium  Servator  nobis  om- 
nibus videris  diviuitus  obtigisse.  Qui,  cum  in  Eu- 
ropa universa  omnia  gravissimo  truculentissimoque 
bello  perculsa  ac  prostrata  jacerent,  pacem,  otium, 
tranquillitatem  in  hoc  Regno,  atque  in  hac  UrJ^e, 
Regni  arce,  fovisti,  qui  crudelissima  funestissima- 
que  peste  intra  hosmetipsos  Regni  terminos  advec- 
ta,  ac  jam  saevire  coeptante,  aéris  salubritatem 
coelique  clementiam  urbibus  morbo  affectis  resti- 
tuisti, urbibus  a  morbo  immunibus  conservasti. 
Qui,  cum  omnia  de  meliore  nota  bonarum  artium, 
ac  utilium  scientiarum  studia  tam  misere,  tamque 
foede  jacerent,  ut  de  nominis  gloria,  cui  apud 
quamlubet  exteram  doctissimam  nationem  compa- 
randae  innumeri  nostrum  toto  pectore,  omni  stu- 
dio incumbebant,  jam  liaec  Urbs  non  sine  quere- 
lae  admixtis  lacrimis  desperaretj  optimo  litterarum 
generi  favisti,  egregiae  civium  laudi  consuluisti, 
summae  nostrae  Civitatis  amplitudini  providisti. 
Itaque  Majores  omnes,  qui  summum  istum  hono- 
ris gradum  summa  etiam  cum  laude  obtinuerunt, 
ea  nobis  praestiterunt  officia,  quae  Principes,  quam- 
vis  ad  id  rara  atque  insigni  virtute  opus  habeant, 
tandem  aliquando  tamen  praestare  possunt:  cu- 
jusmodi  ea  fuere:  facinorosae  ac  infestissimae  exu- 
lum  turmae  agros  depopulantes,  per  publicas  vias 
grassantes,  pagos  minoresve  urbes  vastantes  extir- 
patae  omnino  ac  deletae:  Annonam  porro  omnium 
exculentorum  poculentorumqueub  errimam  sartam 
tectamque  servane:  Judices  denique  ac  Magistra- 
tus  integrae  probità tis  ac  fidei,  summae  doctri- 
nae    ac    diligentiae,   Guriae  Foroque   praeponere. 


ORAZIONI    ED    ISCRIZIONI  l85 

Quae  quidem  optima  prioruQi  Principum  mimerà 
vel  singula  quippe  singulos  ad  summum  atque  am- 
plissimum    laudis    honorisque  gradum    extulerunt.  v 

Tu  vero  praeter  haec  omnia  officia,  ea  in  nos  edam 
beneficia   contulisti,    quae  Principes,  nonnisi  Di- 
vina quadam  virtute  praediti,    atque  adeo    supra 
oplimorum  Principum  conditionem  evecti  conferre 
subditis  possnnt.  Quibus  prò  tantis  rebus  nullum 
luculentius  honoris  insigne ,  nullum  grati  animi  mo- 
numentum  perennius  Tibi  dicare  possumus,  quam 
ipsorummet  tuorum  beneficiorum  memoriam  sem- 
piternam.  Itaque  nostra  perpetua  recordatione,  no- 
stris  sermonibus  per  omne  aevum  posteris  nostris 
quasi  per  manus  tradendis  excolemus  haec,  quae  de 
Te  modo  proponimus:  Fortissimum  ac  Sapientis- 
simum  Principem  Franciscum  Benavidium  ob  Gi- 
ves  Neapolitanos  tum  a  periculosissimo  bello,  tum 
a  funestissima  peste  servatos,  atque,  ob  praecla- 
rissimum  bonarum  litterarum  patrocinium  suscep- 
tum,  Patriae  Patrem  meritissimum  extitisse.  Modo 
a  Te  maximopere  prò  tua  eximia   erga   nos  mu- 
nificentia  etiam    atque  etiam  rogamus,  precamur- 
que,  ut  tuorum  afìfectuum  moderatio  cedat  prae- 
clarorum  facinorum  amplitudini j   et  lubeat  nobis 
Tecum  singula  haec  divina  beneficia  tum  ad  grati 
nostri,  cum  ad  tui  magni  animi  laetitiam  excitan- 
dam  recensere.  Quamobrem  a  primo,   et  quidem 
maximo,  quo  nostra   Givitas  a  bello   servata  est, 
exordiamur.  Semper  arbitrati  sumus,  Princeps  Ex- 
cellentissime,  illud  ad  Imperia  administranda  ve- 
hementissime  pertinere,  quam  nimirum  famae  opi- 
nionem  subditi  ac  exteri,   amici  atque    hostes  de 
Principe  habeant:  eosque  in  rerum  summis  regeii- 
dis,  ceteris  praestare,    qui    auctoritate    plurimum 
possunt.  Idque  nobis  tuo  exemplo  mirum  in  mo- 
dum  est  conlirtuatum^   qui  gravissima  fullus   vir- 


l86  PARTE    II. 

tutis  Opinione  ad  Regiiorum  regimen  iis  semper 
temporibus  delectus  ac  missus  es,  quae  Principem 
siipra  omne  cogitaiidi  genus  in  laboribus  indu- 
strium,  fortem  in  periculis,  cautum  in  consulen- 
dOj  in  agendo  expertum  desiderarent.  Testis  est 
Sardinia,  quae  a  maximis  civilis  belli  periculis  tua 
virtute,  Consilio  atque  opera  est  niirifice  liberata. 
Testis  est  Sicilia,  quae,  cura  adhuc  tetri,  foedi 
execrabibsque  Mamertinensiuni  belli  reliquiis  vexa- 
retur,  tuo  adventu,  praesentià  tua  tranquillisirao 
ocio  est  restituta.  Testis  est  Neapolitanum  Re- 
gnum^  at  quantae  auctoritatis  tuae  testis  est!  Bel- 
lum  supra  hominum  meraoriam  acerbissimum  glo- 
riam  nominis  Hispani,  innumera  Sociorum  Prin- 
cipum  Imperia,  sexcentarum  Rerumpublicarum  sa- 
lutem,  fortunas  denique  totius  Europae  in  discrimen 
vocavit:  prò  quo  vel  propugnando,  vel  oppugnando 
nulla  est  nostri  Orbis  Terrarum  gens,  nullus  po- 
pulus,  nulla  natio,  quae  in  arma  non  ruat.  A 
Gallis  hostibus  sunt  quaraplures  Africae  Reges, 
est  et  potentissimus  totius  Asiae,  reliquae  Afri- 
cae, ac  magna  ex  parte  Europae  Tjrannus ,  Tur- 
carum  Imperator.  Pro  nostris  Hispanis  stat  Angliae 
Rex,  stat  Batavorum  Respublica,  stat  AUobrogum 
Dux,  stant  plures  Summi  Germanici  Imperii  Prin- 
cipes.  Hinc  in  Belgio,  ac  Germania  bellum,  bel- 
lum  in  Hispania  et  Gallia,  in  Italia  denique  bel- 
lum totis  viribus,  toto  conatu  committitur.  Itaque 
nulla  in  Europa  regio  est,  quam  bellum  non  cor- 
rumpat,  non  perdat,  et  quasi  fiamma  non  urat: 
undique  damna,  undique  calamitates,  undique  exi- 
tia;  nihilque  tam  grave,  tam  durum,  tam  acerbum 
quod  non  haec  florentissima  Orbis  Terrarum  pars 
terra  marique  perpetiatur.  At  quis  unquam  ad  no- 
stri Regni  oras  sttepitus  armorum  advenit?  quae- 
nam  hostilis  tuba  ad  arma  ciere  viros  audita  est? 


ORAZIO»!    ED    ISCRIZIONI  I87 

qiiodnam  explicatum  signum  visum  est  procinctuin 
armorum  innuere?  Appulit  quidera  ad  nostras  Qia- 
ritimas  oras  munitissima  Gallorum  classis,  inimo 
etiam  in  interiori  pene  mari,  et  plures  dies,  et 
e  regione  hujus  Urbis  est  immorata:  at  quomodo 
appulit?  quomodo  immorata  est?  non  aliter  quip- 
pe,  ac  si  amicissimorum  sociorum  tutamen  esset 
ac  propugnaculum.  Tantane,  Deus  immortalis,  est 
apud  hostes  de  Te  opinio,  ut  adversum  eos  vel 
sola  auetoritas  tua  filmissimi  certissimique  no- 
strum praesidii  loco  sit,  et  habeatur?  Magna  sunt 
haec  tuae  auctoritatis,  lubeat  proferre,  miracula* 
at  quanto  illa  providentiae  majora!  Cura  enim  Re- 
gium  iErarium  esset  pene  exhaustum,  publica  ve- 
ctigalia  prope  essent  absorpta ,  maxima  a  Te  sub- 
sidia  ad  maximum  bellum,  cujusmodi  erat  Alpi- 
num,  mirifice  missa  sunt,  ut  arma,  armorumque 
incommoda  omniiio  procul  a  nobis,  nostrisque 
finibus  distineres.  An  ideo  Givitas  nostra  in  ali- 
quas  rerum  diffìcultates  conjecta  est?  an  in  an- 
gustias  Regnum  redactum?  Nil  istorum  minus. 
Immo,  incolumi  sueta  rerum  ubertate  atque  abun- 
dantiàj  nobis  nova  vitae  commoda,  quae  qui- 
dera tantum  in  se  continent  utilitatis,  quantum 
fortasse  nulla  res  praeterea,  tua  singularis  atque 
eximia  providentia  attulit.  Etenim,  cum  nostratis 
peouniae  conditio  eo  falsatorum  fraude  devenis- 
set,  ut  jam  nulla  fere  esset  perpetua  aestimatio, 
quam  eidem  Principes  maximis  permutationum  dif- 
ficultatibus  obvenientes,  publica  auctoritate  dede- 
runt;  jam  una,  et  quidem  potissima  ex  iis  rebus 
deficiebat,  quae  Reipublicae  tum  domi,  tum  fo- 
ris  firmissimi  sunt,  certissimique  nervi  ac  lacerti. 
Tentavit  quidem,  ut  sua  stet  cuique  laus,  Excel- 
lentissimus  Vir  Gasparus  Haro-Gusmanus  novis 
falsificata  difficiliorìbus  typis  tanto  Givitatis,  pri- 


/ 


l88  PARIE    Ili 

vatorumque  incommodo  occurrere;  verum  argenti 
tlifficultate  exitum  res  non  liabuit.  Sed  quod  Vir 
auctoritate  clarissiinus ,  dum  pax  omnia  teneret, 
absolvere  haud  potuit,  Tu,  maximo  bello  pre- 
mente, ut  illud  a  nobis  arceres,  ad  finem  oppido 
perduxisti.  Et  haec  tamen,  quae  de  aliis  summis 
Viris  tanquam  maxime  rara  et  egregia  auctorita- 
tis,  ac  providentiae  facìnora  dicerentur,  vulgaria 
suntj  ac  minora  tuae  virtutis  exempla.  lUud  enim, 
illud  tuae  incredibilis  ac  omnino  heroicae  forti- 
tudinis  specimen  j  cui  nulla  par  oratio  inveniri 
usquam  potest,  non  sine  maxima  admiratione  at- 
que  summo  animi  stupore  in  medium  proferamus» 
Clarissimus  atque  Amplìssimus  Magister  Militum 
Didacus  Benavidius,  cujus  ut  laudes  brevi  atque 
eleganti  verborum  ambitu  colligamuSj  Filius  Te 
Patre  dignus;  ea  aetate,  quae  vulgo  est  judicii , 
prudentiae  gravita tisque  vel  omnino  expers  vel 
plurimum  inops ,  jamjam  omnibus  Imperatoriis 
virtutibus  animum  mentemque  ornans;  maximum- 
que  Hispanorum  nomini,  ac  Regiae  Benavidiorum 
Genti  decus  ornamentumque  promittens,  a  Te, 
credite  Posteri,  a  Te,  inquimus,  prò  Hispanici 
Imperii,  atque  ita  etiam  prò  publica  nostrum  om- 
nium salute  Gallorum  hostium  furori  in  Alpina  illa 
nobis  semper  detestanda  caede  devotus  est.  Et  de- 
vo visse  parum  adhuc  Tibi  visura  est,  ut  satis  Regi, 
satisque  Regnis  faceres,  iiisi  etiam  incredibili  animi 
fortitudine  devovisses.  Tenemus  namque,  nec  erit 
unquam,  ut  ejus  oblivisci  possimus;  tenemus  il- 
lam  aeternitati  monumentorum  dicandam  oratio- 
nem,  qua  potius,  quam  Te  ipsum,  alios  de  im- 
matura, ac  satis  superque  acerba  lectissimi  Filii 
tui  morte  raoerentes  solari  solitus  es:  Te  tunc 
dqmum  Clarissimum  Filium  vitae,  atque  aeterni- 
tati dedisse,  cum  prò  suo  Rege,   ejusque   Regnis 


I 


ORAZIONI    ED    ISCRIZIONI  189 

tuendis  clarissimam  mortem  obiret.  O  Virum  In- 
ter Heroas  accensendum!  O  Patrem  aeterna  lau- 
datorum  virorum  laude  dignissimum!  O  Principem 
siipra  omnes  Patriae  Patres  de  Republica  meri- 
tumj  qui  totj  tantis  ac  tam  praeclaris  virtutibus 
pacem  a  ceteris  Europae  Urbibus,  Regnisque  aut 
iugatam,  aut  ejectam  intra  hujus  Urbis  moenia, 
intra  hujus  Regni  terminos  asservasti.  Ecquod 
inajus  atque  optabilius  beneficium  ipse  Deus  Op- 
timns  Maximus  hominibus,  dum  terras  colunt, 
conferre  potest^  quam  pacem*,  qua  non  modo  ea 
quae  aliquo  sensu  sunt  praedita,  sed  etiam  tecta 
atque  agri  laetari  videntur?  Quid  dulcius,  atque 
gratius,  quam  otium,  quod  ita  jucundum  est,  ut 
fortissimus  quisque  vir  maximos  labores  suscipien- 
dos  putet,  ut  aliquando  in  eo  vitam  degere  pos- 
sit?  Quid  denique  e  Republica  magis  aptum  et 
commodum,  quam  tranquillitas,  ad  quam  tutan- 
dam  omnes  Principum  curae,  omnes  Optimatum 
operae ,  omnia  populorum  studia  sunt  ordina- 
ta? Veruni  ad  aliud  majus,  diviniusque  benefi- 
cium, nimirum  illud  quo  nos  a  pestilentia  libe- 
ratos  voluisti,  deveniamus.  At  quod  tam  grave 
ac  ornatura  oratioiiis  genus  invenitur,  quod,  ut 
par  est,  tantum  tuae  virtutis  munus  verbis  com- 
plecti  possit?  Quandoquidem  adhuc  recens  apud 
nos  est  funestissima  memoria  crudelissimae  illius 
cladis,  quae  quadraginta  abbine  annis  hòc  Re- 
gniim,  atque  liane  Urbem  hominum  florentissi- 
mam  hominibus  pene  hausit.  Vel  ipsi  enim  bisce 
oculis  non  sine  amarissimis  lacrimis  vidimus,  vel 
a  majoribus  natu  non  sine  maximo  animi  dolore 
accepimus,  pestiferam  illam  tabem  tam  misere  hoc 
Regnum,  hanc  Urbem  afFecisse,  ut  ubique  loco^ 
rum  languentes  aegri  jacerent,  quos,  omni  coni- 
riiunis   remedii  ac  peculiaris   auxilii  copia  despo 


IQO  PARTE    li. 

rata,  anxii  malorum  comites  angor,  moeror  ac 
gemitus  afHigebaiit.  Vidisses  hic  exanimos  pueros 
supra  exanimata  parentam  cadavera  jacerej  ibi  su- 
per natorum  corporibus  parentes  agere  animas  j 
aliosj  qui  morbi  mortisque  metu  vel  etiam  suos 
visere  fugiebant,  in  ipsa  fuga  morbum  mortem- 
que  offendere;  alios,  qui  magis  pii  aegris  praesto 
erant,  in  adhibenda  ipsa  medeiae  aut  auxilii  opera 
occumbere.  Ita  crudelissima  pestilentia  omnia  lo- 
ca, ac  tecta,  complens,  nullo  corpora  humandi  ri- 
tu,  nulla  caerimonià  servala,  innumera  funeribus 
funera  cumulabat.  Quamobrem,  cura  haec  tanta 
Urbium  clades,  hoc  populorum  exitium  tam  acer- 
bum,  haec  humano  generi  adeo  infensa  pernicies 
aliquas  Apuliae  Provinciae  Urbes  sex  abbine  annis 
afficeret,  omnium  nostrum  animi  jacebant,  con- 
sistebat  mens  nulla,  omnes  summo  timore,  atque 
acerba  soUicitudine  vexabamur,  ne  miserrima  at- 
que amarissima  prioris  pestilenliae  exempla  reno- 
vata  videremus.  Ncque  in  Te  ipso,  sit  pace  tua  di- 
ctum,  aliquam  praesidii  aut  salutis  spera  coUocaba- 
mus.  In  ea  namque  eraraus  opinione,  humanam 
Prudentiam  humana  dumtaxat  negotia  regere  posse 
ita,  ut,  quae  extra  bumanarura  rerum  cursum  nobis 
e  sententia  acciderent,  ea  felicitatis  potius  eventa, 
quam  virtutis  facinora  arbitrareraur.  At,  Te  auctore, 
experti  suraus,  posse  tandera  aliquando  Pruden- 
tiam eo-  divinitatis  accedere,  ut  elementis  etiam 
ac  naturae  inìperaret.  Etenim  ea  argumenta  sum- 
mis  vigiliis  et  curis,  incredibili  diligentia  atque 
opera  adbibuisti,  ut  effrenatum  ac  praecipitem  luis 
furorem  non  intra  illam  Provinciam  dumtaxat,  sed 
intra  illius  Provinciae  certas  Urbes  contineres,  ac 
brevi  tempore  omnino  etiara  extingueres.  Itaque, 
ut  primo  amplissimo  beneficio  in  nos  collato  tecta, 
bona  ac  fortunasj  ita  et  hoc  aeque  maximo  con- 


ORAZIONI    ED    ISCRIZIONI  19I 

juges,  parentes  ac  liberos  retinemus,  ut  ilio  Ur- 
bem,  ita  et  hoc  vitam:  cognoscamus  nunc  vero, 
quomodo  alio  prioribus  non  minore  norainis  fa- 
niain  retineamus.  Ncque  parva,  ncque  parvi  pen- 
denda,  absil  tamen  rebus  dicendis  jactatio,  sunt 
ornamenta ,  et  habentur,  quac  nostrani  inter  cete- 
ras  Orbis  Terra  rum  Urbes  praeclaram  ac  nobilem 
faciunt.  Primum  namque  a  natura  ea  cadi  clemen- 
tia  donata  est,  ut  prae  omnibus  reiiquis  haec  ora, 
haec  regio  felicis  Gampaniae  nomen  omnium  ferme 
consensu  obtinuerit:  ea  soli  ubertate  locuples  fa- 
cta,  ut  a  fertilitate  agrorum,  et  a  varietà  te  fru- 
ctuum  Poètarum  fabulis  Ipcum  faciens,  Bacchi  et 
Pomonae  certamen  sit  appellata:  ea  denique  situs 
amoenitate  praedita ,  ut  nostrae  villae  a  curae 
moerorisque  cessatione  graeca  nomina  fecerint.  Ve- 
rum  has  omnes  oraissas  facimus  laudes,  una  cum 
iis  quas  eventu  felicissime  adepta  est;  quarum 
quippe  illa  non  ultima,  adeo  antiquos  Fundato- 
res  habuisse,  ut  Historicis  ad  fabulas  confugere 
opus  fuerit,  eamque  a  Sirene  fundatam  fuisse  nar- 
rare. Mittimus  descriptionem  aedificìorum,  et  pul- 
critudinem;  mittimus  incredibilem  incolarum  ac- 
colarumque  numerum.  Quid  illa  vero  necessaria 
ac  aeterna  in  virtute  posita  et  locata  ornamenta, 
quibus  Givitatem  aliquam  spoliare,  immo  minima 
ex  parte  minuere  scelus  est,  a  quo  nulla  sunt  sce- 
lera,  quae  absint?  etenim  iis  nudata  Respublica, 
non  modo  nuUius  nominis,  nuUius  famae  omnino 
ingloria  vivit;  sed  et  vivit  orani  dedecore,  omni 
turpitudine,  omni  infamia  notata.  Quid,  inquimiis, 
erga  Deum  Religio,  erga  Principem  Fides,  erga 
Virtutes,  sive  mentis  eae  sint,  sive  animi,  studiura 
et  amor?  Anne  aliqua  Givitas  ita  de  Religione  me- 
rita est,  ut  eidem  nostra  cedere  debeat?  An  usquani 
terra  rum,  ut  hic,  tara  rara,  tamquo  mira  erga  Re- 


193  PAllTE    IK 

ligionem  liberal  ita  tìs  ac  munificentiae  exempla  vi- 
suntur?  Ubi  enim  tot  extant  ob  venusta tem  atque 
elegantiam  admiratione  dignissima  Tempia?  Ubi 
par  copia  caelati  argenti,  atque  auri  sacrorum  usui 
destinata?  Ubi  Deo  Divisque  tot  gemmarum  ac 
vestium  oblata  pretiosissima  munera?  Quae  omnia 
sunt  nostri  summe  religiosi  animi  luculentissima 
firmissimaque  argumenta.  Nihil  insuper  est,  ut  in 
re  maxime  perspicua  et  aperta  immoremur,  atque 
recenseamus  innumeras  familias,  genti  nobilitate 
sive  pace,  si  ve  bello  parta  clarissimas,  quae  no- 
strorum  Civium  erga  nostros  Principes  integram 
ac  praeclaram  fidem  luculenter  confirmant.  At  bo- 
narum  litterarum  studia  quanta  in  hac  Urbe  omni 
memoria  floruerunt?  Quandoquidem  vetustissimum 
id  est  nostrae  Givitatis  decus,  non  mediocri  aut 
vulgari,  sed  optimo  atque  exìmio  quoque  artium 
scientiarumque  genere  omni  tempore  praestare  ac 
excellere.  Etenim  ipsis  Athenis  florentibus  pruden- 
tissimi  ac  sapientissimi  Gives  Romani  nostram  Ur- 
bem  Athenas  Italicas  arbitrati,  huc  nobiles  Ado- 
lescentes  optimis  literis  instituendos  mittere  con- 
suescebant.  Ejusmodi  studia  semper  nobis  usui, 
semper  delectationi  fuere:  ab  iis  nostrae  Givitatis 
laus  excelso  illustrique  loco  semper  posita  est:  per 
ea  amplissimum  honoris  locum  apud  reliquas  sem- 
per est  consecuta:  iis  denique  debet,  quam  sibi 
antiquam  atque  aeternam  famae  gloriam  compa- 
ra vit.  Verum  quae  ex  bisce  studiis  comparata  glo- 
ria nostram  Gi  vita  tem  in  praesentia  ornaret?  qui 
honor  nostros  Gives  tueretur?  quae  laus  nostra 
nomina  efTerret?  quae  delectatio  animos  nostros 
afficeret?  qui  denique  usus  nobis  omnibus  esset, 
nisi  scientissimus  atque  acerrimi  Vir  Princeps  ju- 
dicii  nos  in  ter  quasi  e  caelo  divinitus  descendis- 
set,  et  praeseiitissitouiii,  bi^jusmodi  studiorum  pa- 


ORAZIONI    ED    ISCRIZIONI  IqS 

trocinum  suscepisset?  Quid  nos  igitur  non  hoc 
potissimiirn  inter  tua  maxima  beneficia  accepta 
referimus;  cum  haec  vera  atque  immortalia  no- 
strae  Civitatis  ornamenta  optimorum  studiorum 
ope  acquisita,  nostrae  Givitati,  Te  Patrono,  sint 
conserviita?  Tu  enim  bonas  literas  ad  Te,  utpote 
ad  suum  praesidium  confugientes,  amplexibus  ex- 
cepisti;  Tu  summa  auctoritate  in  tuo  sinu  fo visti  5 
Tudoctissimo  judicio  in  Republica  confirmasti.  Ete- 
nim  in  hujusmodi  studiis  honestandis  adeo  explo- 
ratum  est,  Te  nullum  beneficii  genus  praetermi- 
sisse,  ut  praeclarissimos  eodem  studiorum  genere 
viros  maximis  honoribus  gerendis  proponeres.  Et 
dubita  tur  adhuc,  eos,  qui  rebuspublicis  praesunt, 
optimo  quoque  Scientiarum  genere  apprime  imbu- 
tos  ac  eruditos  esse  oporterej  cum  nonnisi  doc- 
tissimus  ac  eruditissimus  Princeps  bonas  litteras 
summa  cum  earum  laude  intra  hanc  Uibem  tueri 
poterat,  et  nostrorum  Civium  famam,  nomen  et 
gloriam  apud  exteros  populos  conservare?  Itaque, 
si  Fundatores  hujus  Civitatis  carissimos  habere  de- 
bemus,  quod  moenia  nostrae  Urbis  sub  clemen- 
tissimo  Gaelo,  in  uberrimo  solo,  amoenissimo  situ 
fundarunt:  si  majores  nostros  summo  honore  pro- 
sequimur,  quod  pulcherrimis  aedificiis,  amplissi- 
mis  aedibus,  magnificentissimis  templis  nostram 
Urbem  ornatam  fecerunt:  si  erga  parentes  magna 
afficimur  reverentià,  quod  ab  iis  nobis  vita,  pa- 
trimonium,  Civitas  tradita  est:  si  nostros  prae- 
ceptores  veneramur,  quod  eorum  doctrinà  animos 
optimis  moribus  institutos,  mentes  interìoribus  lit- 
teris  eruditas  habemus:  qui  amor,  qui  honor,  quae 
reverentià,  qui  cultus  Tibi,  Excellentissime  Prin- 
ceps, praestandi,  qui,  cum  a  maximo  bello  hanc 
Civitatem  libcrares,  tecta  urbis,  bona,  fortunas, 
salutem  omnium  ferro  et  fiamma  tutatus  es:  cum 

Vico,    Ofm^coli.  ^'^ 


ig4  PARTE    II. 

cum  a  iiobis  telerrimam  pestilentiam  arceres,  coii- 
jugesj  parentes,  liberos,  vitam  omnibus  conserva- 
sti: cum  denique  optima  litterarum  studia  secun- 
daresj  cunctis  nostrum  nomenj  famam,  gloriam 
reddidisti?  Quare,  cum  fundatoribus  multa,  majo- 
libus  magna j  innumerabilia  parentibus,  maxima 
praeceploribus  nostris  debeamus ,  omnia  modo 
Tibi  profitemur,  quod  quae  antea  singula  ab  illis 
obtinuimus  beneficia,  universa,  tua  scientia,  vir- 
tute,  auctoritate  retinuimus.  O  quam  olim  nobis 
infensa ,  tam  nunc  jucunda  nostrae  Urbis  pericula, 
a  quibus  tanto  Numine  liberati,  incredibili  qua- 
dam  ac  pene  divina  laetitia,  voluptateque  frui- 
mur!  Etenim  optimarum  litterarum  studia  nobis 
semper  clarissima  visa  sunt;  haec  tamen  confir- 
mata illustriora  videntur,  quam  si  pene  obscurata 
non  essent.  Dulce  est  parentes  babere,  uxores  du- 
cere, filios  suscipere;  at  non  tanta  voluptate  isti 
nobis  acquiruntur,  quam,  quum  acquisiti  ac  prope 
deperditi  restituuntur:  magnam>  res  familiaris  sua 
cuique  delectationem  afìfert;  incredibilem  publica 
bona  laetitiam  continente  maximam  ipsa  Patria  ca- 
ritatem  voluptatemque  praesefert:  at  haec  quanta 
sint,  nunc  tandem  nos  nostrique  omnes  experti 
sumus:  cum  ea  sit  humanorum  bonorum  condi- 
tio,  ut  magis  aliqua  offensione  interrupta,  quam 
aequabili  perpetuaque  fortuna  percepta  delectent. 
Nec  certe  minorem  delectationis ,  laetitiae  ac  vo- 
luptatis  fructum  tanta  nostrae  Urbis  discrimina  tuae 
praestanti  virtuti  attulerunt.  Quo  namque  modo, 
nisi  illa  fuissent,  tam  clara  auctoritas,  providentia 
tam  mira,  tam  incredibilis  animi  fortitudo,  pru- 
dentia  tam  eximia,  doctrina  tam  singularis  maxi- 
mum quaeque  sui  specimen  dare  poluisset?  quo- 
modo  omnis  tua  virtus  virtutis  voluptatem  cepisset, 
quae  in  ipsa  virlute  exercenda  est  collocata?  Ve- 


ORAZIONI    ED    ISCRIZIONI  1(^5 

rum  lantis  virtutibus  tanta  beneficia  in  nos  omnes 
collata  quibus  officiis  remunerabimur?  quando  pa-  . 
rem  gratiam  referemus?  non  est,  ingenue  fateamur, 
non  est,  ut  haec  consequi,  imrao  sperare  possi- 
mus:  quando  eà  nos  meritorum  copia  devinxisti, 
ut  non  modo  nullae  ad  referendas,  immo  ne  ad 
agendas  quidem  prò  iis  omnibus  Tibi  gratias  vi- 
res  nobis  aliquae  suppetant.  Itaque  nullus  nostro 
erga  Te  grato  animo  reliquus  fit  locus,  nisi,  quod 
nostra  nostrorumque  omnium  posterorum  memo- 
ria celeberrima  tuorum  beneficiorum  fama  aletur, 
crescet,  atque  per  omne  aevum  inveterascet.  Nec 
erit  usquam,  quod  nostros  nostrorumque  animos 
frangere  aut  debilitare  unquam  possit;  cum  liane 
ipsam  Urbem  tuorum  beneficiorum  testem  apertis- 
simam  esse  videamus;  quae  si  loqui  posset,  non 
in  aliam,  quam  in  hanc  de  tua  divina  munificen- 
tia  orationem  prorumperet:  Tua  virtute  haec  moe- 
nia,  haec  tecta  mihi  consistunt:  tua  munera  sunt 
aedium  pulchritudo,  regionum  forma,  Templorum 
magnificentia:  tua  dona  incolarum  copia,  ci vium 
humanitas  ac  doctrina,  Regni  dignitas  et  maje- 
stas.  Quare  dum  haec  omnia  mihi  maxima  orna- 
menta constabunt,  constabunt  simul  tuae  maximae 
erga  me  munificentiae  certissima  monumenta.  Cum 
igitur  hanc  Urbem,  hoc  Regnum  ita  egregie,  ho- 
norifice  rexeris,  ut  tuus  Vicarius  Principatus  nil 
aliud  fuerit,  nisi  constans  ac  perpetua  nostrae  sa- 
lutis,  fortunae  ac  famae  defensioj  modo  Tecum 
precibus  quam  diligentissime  agimus,  ut  omnia  be- 
neficia, quae  apud  nos  collocasti,  apud  nostrum 
Potentissimum  Regem  conservata  esse  velis:  et 
(quod  minime  fieri  posse  arbitrabamur)  ad  tua 
maxima  in  nos  omnes  merita  maximus  omnium 
hoc  facto  cumulus  accedat. 


O  R AT  I  O 

IN    FUNERE    CATHARINAE    ARAGONIAE 
SEGORBIENSIUm    DUCIS    £C. 

(1697) 

Luctuosa  quidem  atque  omni  tristitia  gravis 
dicendi  occasio;  acerbus  sane  atque  omni  moe- 
rore  plenus  offici i  locus  is  est,  quem  hodie  no- 
bis  in  amplissimae  ac  praeclarissimae  Catharinae 
Aragoniae  funere,  extrema  fata  parum  admodum 
nobis  aequa  obtulerunt  :  quarum  rerum  altera , 
quae  in  actae  vitae  laudatione  posila  est,  prae 
Jaudum  amplitudine,  quae  longe  lateque  se  pan- 
dunt,  ac  caelum  ferme  glorialione  contingunt,  ma- 
ximis  difficultalibus  impeditur:  altera,  quae  est  in 
niortis  collacrjmatione  locata,  prae  acerbitate  vul- 
neris,  quod  in  animis  uniuscujusque  nostrum  in- 
fligit,  cuncta  consolationum  genera  respuit:  atque 
cum  haec,  tum  alia  ita  inter  sese  ultro  citroque 
adversantur  ac  pugnant,  ut  altera  res  alteram  non 
modo  non  excipere,  sed  omnino  etiam  excludere 
ac  prohibere  videatur.  Etenim  qui  fieri  potest, 
ut  illius  Principis  laudationi  commode  sit  usquam 
locus,  cujus  obitus  innumera  et  quidem  floren- 
tissima  oppida,  quamplures  urbes  pacis,  ac  mi- 
litiae  studiis  nobiles  ac  praeclaras,  non  paucas 
provincias  majorum  gloria,  legibus  atque  insti- 
tutis  insignes,  quae  omnes  ejusdem  ditione  tene- 
bantur,  ita  moleste  et  graviter  angìt,  ut  nemo 
unquam  ex  ulla  calamitate  tristitiae  plus  bauserit 
ac  doloris?  Quaenam  oratio  illius  Magnatis  acta 
gestaque  undequaque  virtute  summa,  ac  eximia 
dignitate  pienissima  apte  exornare  ac  decenter  po- 
test, cujus  mors  ampiissimum  Hispanorum  Pro- 
cernm  ordinem  tanti  moeroris  acerbitatisque  com- 


PARTE    H.    ORAZIONI    ED    ISCRIZIONI  I97 

plevit,  ut  ii  omne  decus  ac  oriiamentum  Ordinis 
sui  penitus  amisisse  videantur?  Quodnam  denique 
ingeniuin  in  illius  Matronae  laudibus  ita,   ut  ae- 
quum  est,  detineatur^  cujus  interitu  celeberrima, 
ac  Imperio    Reipublicaeque    opibus    potentissima 
Hispania,  immo  ipsa  Hispanici  Imperii  majestas, 
molestiae  plurimum  ac  doloris   suscepisse  intelli- 
gitur,  quod  tantam  antiquae  virtutis  Matrem  ami- 
serit,  quae  Filium  omnium  maxime  de  Republica 
meritum  Reipublicae  dederil?   Quin    etiam  aegri- 
tudinis,  qua  afficitur  Hispania,  arx  et  caput  Im- 
perii, socia  fidissima  sunt  quotquot  reliqua  Regna 
Regi  Hispanorum  maximo  subjiciuntur;  quae  omnia 
vim  doloris  minime  sustinent,   quod   Illa  e  vi  vis 
excesserit  officiorum,  beneficiorumque  Mater  om- 
nium optima,  quae    magnas  ingentesque  opes  et 
copias  in  eo  quam  maxime  voluit  esse  positas  et 
locatas,  ut  vel  tenuiorum  egestatem  levarci,  vel 
lionestiorum  confirmaret  virtutem;  summam  vero 
existimationem ,  summamque  auctoritatem  in  eo, 
ut  apud  potentissimum  Regem,   ac   amplissimum 
Regis  Senatum,  bonorum  omnium  fidissimam  cli- 
entelam  ac  firmissimum  patrocinium  usquequaque 
susciperet.  At  nullum  ex  bis  omnibus  Regnura  est, 
quod  aeque,   ac  nostrum,    aflficiat  dolor  et  fran- 
gat;    quandoquidem,  praeter    has    omnes  justissi- 
inas  de  Gatbarinae  Aragoniae  morte  dolendi  caus- 
sas,   nobis   insuper  est  clarissimus  atque  amplis- 
simus  Ludovicus  a  Gerda  Gaeli-Metinensium  Dux, 
et  Vicarius  liujus  Regni  Princeps,  maximum  do- 
loris incitamentum.    Quis    enim    aequo  animo  fe- 
rat,  optimum  Principem,    cujus   omnia  studia  in 
publica  nostrum  omnium  felicitate  tuenda,  augen- 
daque  sita  sunt,   in  liane  summam  doloris  acer- 
bità tem  conjectum  esse  prae  tantae  Ma  tris  fune- 
re, quod  est  subjectis  populis  luctuosuin,  Primo- 


198  PARTE    II. 

rum  ordini  triste,  Hispanico  Imperio  molestum, 
RegniSj  quibus  continetur,  acerbum,  ac  denique 
bonis  omnibus  grave?  atque  ipsum  in  casu  tam 
adverso  eo  eliam  solamine,  quamvis  miserrimo  ^ 
nostrum  caussa  destitulum  manere,  quod,  ut  hoc 
Regnum  imperio  tamdiu  a  nobis  exoptato  rege- 
ret,  ipsi  non  licuerit  Parenti  optimae  animam  a- 
genti  praesto  esse:  ut  et  illa  inter  dulcissimi  nati 
amplexus  mortem  obiret,  et  hic  praesens  Matri 
amabilissimae  officia  suprema  persolveret.  Tanto 
nos  itaque  premente  ac  undique  obruente  dolo- 
re, quid  est  ipsius  vitam  cum  heroica  ferme  vir- 
lute  actam  laudibus  exornare,  quam  memorare 
caussas  tristissimi  nostri  atque  amarissimi  luctus, 
atque  adeo  crudum  vulnus,  quod  medentium  ma- 
nus  reformidat  ac  refugit,  a  penitioribus  fibris 
tractare?  quaenam  proinde  nostrae  partes  erunt? 
equidem  quod  ad  me  attinet,  quo  me  vertam  ne- 
scio  :  an  tanta  jactura  nobis  erit  assiduis  dumta- 
xat,  nec  unquam  defecturis  lacrymis  persequenda? 
ita  sane  opinarer,  nisi  postularet  officium  supra 
lacrymas  et  complorationes,  supra  ejulationes  et 
planctus,  aliam,  qua  apte  et  decenter  de  tanto 
casu  queramur,  inveniendam  esse  rationem.  Scio 
equidem  maximorum  etiam  imperiorum  jacturam 
bisce  modis  defleri  solitam  esse 5  verum  id  non 
sat  est,  ut  illa,  quae  supra  omne  imperium  animo 

Eraestabat,  digne  coUacrymetur.  Sit  itaque,  sit  no- 
is  proposi  tu  m  lugendi  exemplum  ipse  amplissi- 
mus  ac  praeclarissimus  fìlius:  et  quemadmodum 
is,  ut  regio  spiritu  lugeret  hoc  funus,  ita  splen- 
dide ac  magnifice  instrui  jussit ,  ut  omnem  admi- 
rationem  habere  videatur;  ita  nos,  ut  viriliter  lu- 
gearaus,  juvat  acerbam  adhuc  refricare  plagamj 
et  qua  datur  ingenio  perquam  tenui  ac  imbecilli , 
dolore  etiam  exanimato   et   afflicto,  facultate  di- 


ORAZIONI    ED    ISCRIZIONI  I99 

ceiidi;  juvat,  inquam,  nostri  acerbissimi  doioris 
propiios  ac  ingenuos  fontes  accedere ,  ac  in  ipsius 
velati  adyta  penetrare;  ita  ut  eo  tota  Oratio  no- 
stra contineatur,  quae  vobis  exponat  Catbarinam 
Aragoniain  laetitiae  omnium  uatam,  ei  vitae  cuin 
dolore  omnium  raptam  esse,  quam  ut  esset  op- 
tata, suis  comraodis  mirifìce  ornavit  Fortuna  ;  ut 
optatior  esset,  Natura  suis  ornamentis  insigniter 
auxit;  ut  optatissima,  suis  bonis  Virtus  egregie 
cumulavit:  quae  tria  dum  expono,  peto  a  vobis, 
Auditores  optimi,  ut  quanto  hanc  ornatissimam 
Principem  merito  jure  lugetis,  tanta  me  de  ipsa 
verba  facientem  aequitale  attendatis.  —  Si  illa  qui- 
dem  semper  bonis  omnibus  de  cujusque  obitu  ho- 
nestissima  moerendi  ratio  visa  est,  iccirco  alicujus 
mortera  lugere,  quod  eundem  orbatum  vitae  com- 
modis  arbitramur ,  ardentissiraas  certe  dolorura 
faces  anirais  uniuscujusque  vestrùm  admotas  esse 
necesse  est,  quod  spectatissima  Gatbarina  Arago- 
nia  ea  excesserit  vita,  quae  etsi  in  una  virtute, 
quod  est  summum,  omnis  posita  esset,  erat  in- 
super cunctis  omnibus  Fortunae  ac  Naturae  bo- 
nis, quibus  cunctarum  virtutum  exercitatio  om- 
nisque  usus  continetur,  usquequaque  referta.  Nc- 
que vobis  audiri  existimo  illos  vitae  officiis  in- 
stituendae  praeceptores ,  qui  sola  virtute  contenti 
cuncta  reliqua  non  modo  superbi  despiciunt,  sed 
etiam  omnino  invidi  damnant:  quandoquidem ,  ut 
peculiari  Legi  quae  nobiscum  nata  est,  et  Ratio 
appellatur,  ii  homines  adversantur,  qui  extra  vir* 
lutem,  ad  quam  vel  unice,  vel  praecipue  nati 
sunt,  rationem  optatae  vitae  requirunt,  ita  uni- 
versae  Legi  ac  aeternae,  quae  summà  prudentià 
sapientiàque  hanc  rerum  universitateui  conditam 
esse  jussit,  aperte  resistere  videntur,  qui  bona 
omnia  aliis,  quam  animi  imperio  subiecta,  ad  op- 


200  PARTE    U. 

tatam  vitaai  minime  pertinere  conteiidunt.  Et  sane 
qui  prudeiitiae  usus  sine  rebus  haberi  potest?  quae 
liberalitatis  ac  magnificentiae  exercitatio  sine  opi- 
bus  copiisque?  qui  fructus  fidei  et  comitatis  absque 
amicitiis?  quae  sine  jurisdictione  justitiae  utilitas? 
quae  sine  imperio  clementiae  voluptas?  quae  hu- 
manitatis  laus,  nisi  sit  cum  summo  dignitatis  ho- 
norisque  gradu  connexa?  quae  denique  praeclara 
pudicitiae  commendatio,  nisi  sit  cum  formae  ve- 
nustate  conjuncta?  Quare  antiquam  hac  in  re  bene 
sciteque  praecipientem  Philosophiam  audiamusj 
quae  et  ipsa  omnis  optatam  vitam  in  una  virtute 
positam  sentitj  sed  optatissimam  illara  existimat, 
cui  praeterea  externa  ad  virtutis  usum  idonea  bona 
adjungantur.  Et  quidem  profecto  ne  inclitae  et 
caelestes  virtutes  in  alto  atque  excelso  nostrae 
Heroinae  animo  inerti  otio  fruerentur;  sed,  ut 
fervidae  erant  et  igneae,  ita  etiam  operosae  sum- 
mam  ac  incredibilem  exercendorum  officiorum  ca- 
perent  voluptatem;  divino  quodam  Consilio  factum 
est,  ut  Fortuna,  ac  Natura,  cunctarum  rerum  ex- 
ternarum  dominae,  omnia  illi  atque  maxima  bo- 
na, cunctarumque  virtutum  usui  destinata  suppe- 
terent.  Atque  inter  innumera  et  maxima  commoda, 
quibus  Fortuna  hujus  Principis  vitam  ornavit,  ut 
primum,  ita  summum  habendum  censeo  illud, 
quod  ut  ingenio  ad  praeclarissimas  virtutes  facto 
nasceretur,  Ea  nata  sit  in  Hispania,  regione  Or- 
bis  terrarum  immortali  maximarum  virtutum  glo- 
ria commendata 5  ac,  ut  iisdem  facile  imbueretur, 
eos  inter  adolesceret,  qui  ad  summam  Religionem 
in  Deum,  ac  in  amicos  fidem ,  ad  prudentiam 
et  aequitatem  eximiam,  ad  miram  animi  magni- 
tudinem  ac  liboralitatem,  moribus  ac  exemplis 
(  quae  semper  ad  efformandos  animos  habuerunt 
pluriraum  ponderis  ac  momenti)    tacite  Eara  es- 


ORAZIONI    ED    ISCRIZIONI  201 

sent  hortaturi.  Neqiie  loci  praestantia,  ubi  Ea  nata 
estj  hoc  dumtaxat  attuili  comraodum  ,  sed  aliud 
aeque  magnum  praetereaj    ut    nimirum  Ei,  quae 
officiosissima    ac  beneficentissima  futura  erat,  lo- 
cus  officia  peragendi,    atque   beneficia  collocandi 
esset  etiam  amplissimus.  Ncque  tanto  ingenio  ac 
facultati  bene  de  aliis  merendi    uUus    erat  aptior 
locusj   quam    Hispania,    ubi   iUius    officiis    bene- 
ficiisque  Majestas  Imperii  Orbis  terrarum  maximi 
tribueret   amplitudinem ,    ac   innumera   hominum 
60  vel   ad    petendos  honores,    vel   ad   jus   suum 
experiundum  ab  utroque  terrarum  Orbe  confluen- 
lium  multitudoj  perennitatem.  Veruni  multo  prae- 
clariora  ad  comparandas  virtutes   adjumenta ,   ac 
multo    digniora    earumdem    exercendarum    com- 
moda Eidem  summa  generis  dignitas  attulit.  Sem- 
per  enim  majorum  virtute  clarorum  imaginibus  ad 
virtutem  in  posteris  excitandam,  maximam  vim  ta- 
cite inesse  putavi:   ad  ardua  quaeque  ac  praeclara 
multo  veliementius  commovere   domestica ,  quam 
externa    recte   factorum   exempla.  Quam   proinde 
egregie,  si  ita  se  res  habet,  in  generoso  Gathari- 
nae  animo  cuncta  regiarum  virtutum  semina  prae- 
clarissimos  ejus  Majores  excitasse    putandum  est, 
qui  ex  amplissima  Aragoniorum  gente  Reges  virtute 
praestantissimi  prodiere  :  et  quam  insigniter  ejus- 
modi  seminum   fructus  adolescere    curavisse,  qui 
ejusdem  praeclarissimi  extiterunt  Parentes  maximi, 
vir  Princeps  consilii,  Ludovigus  Aragonius,  et  spe- 
ctatissimae   virtutis  Matrona  Mariana  Sandovalia, 
qui  tum   dictis    tum   factis  illam    omni    regiarum 
virtutum  genere  mirifice  insti tuerunt?  His  aucto- 
ribus,  prudentia  summa,  justitia  eximia,  inaudita 
animi   raoderatio;    incredibilis    fortitudo   in    illius 
animo   ita    inter   sese    socia tae   sunt    atque    com- 
plcxae,  ut  Eandcm  quo  vis  niaximo  dominatu  di* 


202  PARTE    11, 

giiissimarn  t'eceriiit.  At  haec  cadem  Regìi  generis 
dignitas  quot  insuper,  quaiitisque  commodis  has 
ipsas  regias  virtutes  instruxit!  Gontulit  enim  prae- 
terea  magnas  ingentesque  opes  et  copias,  amplas 
tura  agris  uberrimas,  tura  hominibus  florentissimas 
ditioneSj  summos  dignitatis  atque  honoris  gradus, 
Regias  sanguinis  necessitudines,  ac,  ut  reliqua  missa 
faciamusj  cum  summis  totius  ferme  Europae  Prin- 
cipibus  lectissimas  amicitias.  Annon  maximae,  ac 
satis  superque  affluentes  eae  habendae  sunt  facul- 
tatesj  quae  innumeris  beneficiisj  hospitibus  atque 
operibus  splendide  ac  magnifice  collocandis,  exci- 
piendis  ac  faciundis  brevi  anuorum  curriculo  (eheu 
tantum  fatis  certum  fuit  illam  terris  ©stendere) 
sexies  decies  centena  millia  aureorum  nummuni 
suppeditarunt?  Annon  Segorbiensium,  Emporien- 
sium,  et  Castellanorum,  ut  de  reliquis  taceani, 
amplissimae  sunt  ditiones  habendae,  quibus  so- 
lis  freta  spectatissiraa  Joanna  Folchia  fortissimi 
ac  sapientissimi  Alphonsi  Aragonum  ac  SiciUen- 
sium  Regis  uxor,  ad  regiam  fortunam  instructa 
et  parata  fuit  ?  Annon  summus  honoris  gradus 
censendus  est,  inter  principes  amplissimi  Hispa- 
niae  Magnatum  Ordinis  conscriptam  nasci?  Ho- 
nos  quippe  omnium  eorum,  qui  distribui  possunt 
a  Regum  maximo,  maximus:  utpote  quo  nonnisi 
donentur  ii  principes  viri ,  qui  et  regio ,  aut  certe 
summo  loco  nati  sunt,  et  maxime  egregia  pace 
belloque  parta  gloria  praestantissimi  claruerunt. 
Regias  vero  necessitudines  quid  ego  commemo- 
rem,  quarum,  ut  luculentissiriium,  ita  omni  digni- 
tate  plenissimum  testimonium  dicunt  amplissima 
Regna,  quae  ab  Aragonia  in  Augustissimam  Au- 
striacam  gentem  sanguinis  jure  transmissa  sunt? 
De  rehquis,  temporis  angustiae,  et  majora  rerum 
alia  rum  argumenta  me  verba   facere   minime  pa- 


QRAZIONl    ED    ISCRIZIONI  2o3 

tiuntur.  Sed  honos  tamen- postulai,    res  ipsa  fla- 
gitat,  consensus  vester    cupit,    me  illam  comme- 
inorarcj  qiiatn  cum  praeclarissimaj  atque  omnibus 
fortunaej   virtutis  ac  gloriae  rebus  ornatissima  Ger- 
diorum  Familia  ipsamet  Gatbarina  Aragonia  gra- 
vissimo   ac   spectatissiuio  Viro   omnium  virtutum 
Principi  Joanni  Francisco  a  Cerda   nuptui  collo- 
cata concilia vit,  quae  tanta  opum  affluentia,  tanta 
rerum  gestarum  gloria,    tanta    maximorum  Impe- 
riorum  majestate  praefulget,  ut  quodvis  ei  novum 
adquiratur  imperium,  nullum  proinde  novum  de- 
cus  aut   ornamentum    accedat.  Non    est   tandem, 
ut   lectissimas  amicitias  cum  summis    totius  fere 
Europae  Principibus    testatas   faciamus:   quando- 
quidem  ejus    rei    ipsimet  omnes,    cum    prò   illius 
morte  tantum  sollicitudinis  ac  doloris  sustineant, 
quantum  ferri   vix  possit;    ipsimet,   inquam,  sunt 
ejus  rei  apertissimi    testes.  Sed  quid    ego   singula 
Fortunae  bona  atque  commoda,  quibus  Ipsa  un- 
dequaque  affluebat,  consectoret  colligo;  quasi  vero 
ea  oratione  complecti,  aut  memoria  consequi  pos- 
sim?  Tanta  in  ipsa  augenda   posuit   studia  obse- 
quens  illius    felicitati  Fortuna:  a  qua    tamen  Na- 
tura se  vinci  non  passa  est,  quae  non  minoribus 
aeque   eximiis  bonis,   quae   corporis   sunt,   et   di- 
cuntur,  eandem  voluit  ad  virtutes  ornatam  acce- 
dere. Nec  frustra  homines  opinione  Sapientium  du- 
cti,  Naturam  mentibus  cadesti  specie  praestantibus 
digna  corporum  domicilia  metari  credunt,  ut  oris 
forma,  decusque  membrorum  in  promptu  posita, 
occultam   ac   latentem    animi   pulchritudinem    re- 
praesentarent.  Sed   quam    praeclare   hunc-  Natura 
fìnem  in  Gatliarina  Aragonia,  nec  ad  aliorum  exem- 
plum  est  assecuta!  Vos  quaeso  obtestorque,  qui- 
bus Eam  adspectandi,  ac  alloquendi  sors  contigit, 
dicite  etiam,  ut  in  illa  procerilas  corporis,  honos 


204  PARTE    n. 

capitis,  forma  oris  eximia  non  solum  venustatem, 
sed  dignitatem  praeterea  eliam  praeseferrent:  di- 
cite,  ut  aperta  virtutum  signa  vidistis,  in  fronte 
gravitatisj  lenìtatis  in  oculis,  in  rubore  verecun- 
diae,  in  toto  vultu  modestiae,  atque  in  integro 
corporis  habitu  sibi  undique  apto,  certae  animi 
cum  se  ipso  convenientiae,  ut  piane  in  ambiguo  es- 
set  positura,  utrum  illam  magis  vestris  mentibus 
virtuSj  an  obtutibus  pulchritudo  insinuaret:  dicite, 
quum  illa  inter  octo  amplissimas  Filias  eximia 
aeque  vìrtute  ac  forma  praestantes  versabatur,  ut 
Eam  oris  majestas  Principem  prodidit,  forma  vero 
Matrem  celavit:  dicite  tandem  quantas  Illius  pul- 
chritudini  charites  addiderunt  actionis  venustas, 
gravi tas  incessus,  lenitas  ac  lepos  sermonis^  et 
quantum  in  iisdem  positura  esset  usquequaque  de- 
corura;  ut  apertissiraa  proinde  significatio  fleret, 
magnara  in  illius  animo  adesse  constantiam.  Haec 
dicite,  et  quam  gratas  ex  tara  pulchro  corpore  ve- 
nisse virtutes,  et  pudicìtiam  praecipue,  nos  sinite, 
ut  aequum  est,  cogitare:  atque  una  siraul  Eam 
collacryraare,  in  qua  suis  quaeque  bonis  ornanda 
Fortuna,  et  Natura  adeo  certarunt  egregie,  ut  illa 
ei  dederit  Principem  nasci,  haec  faciem  Principe 
dignam*  illa  generis  dignitatem,  haec  oris;  illa 
opes  et  copias,  haec  dives  ingenium;  illa  cuncta 
virtutura  adjuraenta,  haec  aniraura  ad  oranes  vir- 
tutes natura.  Sed  jam  tandem  ad  praestantissimas 
Ipsius  laudes,  quae  tantum  in  excelsiori  ac  illu- 
striori  loco,  quam  hactenus  enarratae,  sitae  sunt, 
quantum  animi  virtutes,  Fortunae  ac  Nalurae  bona 
honore  ac  dignitate  praecellunt,  accedaraus.  At 
hic  nolite  expectare,  me  singula  Ejus  officia  a  vir- 
tutibus  derivata  in  unum  veluti  sinum  coUigere: 
etenim  in  iis  haereret  oratio;  ita  multa  sunt,  et 
magna,  ut  me  potius  dies,  vox,  latera^  quam  re- 


ORAZIONI    ED    ISCRIZIONI  2o5 

rum  argunienta  defìcerent.  Veruntamen,  ut  omnia 
Ejusdem  praeclarissima  facinora  brevi  comprehen- 
dam,  faciam  quod  solent,  qui  totius  Caeli,  Solis, 
LunaequCj  erronum  ac  inerrantium  siderum  aspec- 
tus  in  parvis  globis  effictos  concludunt:  in  brevi 
verborum  gyro  cunctas  ipsarum  virtutum  imagi- 
neSj  quam  simplicissime  describi  possunt,  amplec- 
tar.  Sed  quam  ego  sponsionem  imprudens  feci! 
Quasi  vero  Catharinae  Aragoniae  virtutes  ejusmodi 
sintj  ut  illarum  efìfigies  pictura  verborum  ac  lu- 
mine  sententiarum  exprimi  ullo  modo  possint:  cura 
potius  tanta  praestent  excelsitate,  ut  quemadmo- 
dum  humanam  Naturam  superante  ita  omnem  hu- 
manum  captum  excedant.  Nam,  ut  ab  illa,  quae 
litterarum  dux  estj  exordiamurj  si  humana  Pru- 
denlia  summa  esse  dicitur  et  habetur,  quae  aciem 
mentis  acuit,  ut  res  futuras  provideat,  bonas  in- 
ter  ac  malas  delectum  habeatj  de  bis,  quo  pacto 
fugiendae  sint,  illìs,  quo  adsequendae,  sedulo  con- 
sulat:  atqucj  dum  hujusmodi  adhibet  mens  Con- 
silia, animum  ita  regit  praeterea,  ut  omnem  expel- 
lat  metum,  omnemve  contineat  cupiditatem,  ne 
caeco  hujus  vel  illius  ductu  in  errores  labatur  ele- 
ctio:  si  baec,  inquam,  humana  Prudentia  summa 
dicitur  et  habetur 5  quonamEjus,  quam  lugemus, 
Prudentiam  donabimus  nomine?  quodnam  de  ea 
proponemus  exemplum?  quae  futuras  res  veluti 
praesentes^  ac  tamquam  oculis  cerneret,  ita  animo 
et  cogitatione  percipiebat,  easque  adeo  exploratas, 
adeo  compertas,  adeo  perspicuas,  ut  lUius  conjec- 
turae  prope  oracula  viderentur  :  quae  sine  ullo 
delectu  in  optimum  quodque  vi  quadam  ab  optima 
mente  illala  ferebatur:  quae  Consilia  ita  in  promplu 
posita  habebat,  ut  facta,  cum  ab  iisdem  tempore 
secerni  non  possent,  Ipsius  felicitati  tribuerentur, 
quae,  re  quidem  vera,  Ipsiusmet  virtuti  accepta  fé- 


306  PAIITK    II. 

renda  erant:  quae  denique  deliberans  non  opus 
Iiabuit  expellere  metum,  ullam  continere  cupidi- 
tà tenij  utpote  in  cujus  animo  non  metus  erat,  sed 
diligens  cautio  ejusj  quod  vel  nequioribus  turpe 
videri  posset;  non  cupiditas,  sed  summum  desi- 
derium  ejus,  quod  Vel  nequissirnis  probari  debe- 
ret  honestuin.  Magna  de  Prudentia  audivistis:  sed 
de  Justitia  audietis  majora.  Haec  narnque  illa  prae- 
stanlissima  virlus  est,  fons  et  origo  omnis  cora- 
mendationis  et  famae,  sine  qua  nihil  esse  potest 
illustre,  nihil  praeclarum,  nihil  denique  laude  di- 
gnuni:  haec  est  quae  docet  aequitate  non  violare 
homines,  verecundia  non  offendere:  haec  aequa- 
bihtate  et  fide  suam  cuique  Iribuens  dignitatem, 
societatem  humanam  munifice  ac  aeque  tuetur: 
haec  cuni  in  sella  curuli  sedet,  Justitia  5  cum  sa- 
cris  et  caeremoniis  vacat,  Religio;  cum  Reipubli- 
cae  navat  operam,  Pietas;  cum  parentibus  obse- 
quitur,  Reverentia;  cum  amicos  colit,  Observan- 
tia;  cum  reliquos  homines  etiam  incognitos  dihgit, 
pieno  suavitatis  nomine  Humanitas  appellatur.  At 
quam  eximias  et  incredibiles  ex  unaquaque  harum 
virtutum  laudes  Catharina  Aragonia  adepta  est,  et 
quam  supra  humani  ingenii  captum  praestantes! 
Verumtamen,  ne  longior  producatur  oratio,  earum 
unam  aut  alteram  prosequar;  ac  proinde  reliquas, 
quantae  eae  sint,  vestris  ingeniis  conjecturaeque 
committam.  Et  quidem  illas,  quae  Principe  cum 
primis  dignae  judicantur,  Religìonem  in  Deum  Op- 
timum Maximum,  et  Pietatem  in  Rerapublicam  se- 
ligere  lubeat.  Sed  vereor,  ne  sententiae,  ac  no- 
mina, quae  sunt  ad  has  virtutes  perspicue  expri- 
mendas  excogitata,  minus  expresse  res  in  praesentia 
describant.  Etenim  honesta  de  Dei  Optimi  Maximi 
iiumine  et  mente  opinio,  pia  caeremonìarum  et 
sacrorum  cura  testata,   iila    virtus  describi  solet, 


ORZIONI    ED    ISCRIZIONI  20^ 

quae  in  Deum  Religio  vocitatur.  At  virtus  quae- 
dam  Religione  major  dicenda  est,  qua  Catharina 
Deum  ex  inlimo  sensu  et  ita  singulariler  clilige- 
batj  ut  cuncta  aetate  nullum  transegerit  diem^  quo 
Deum  caste  non  adierit,  sanate  non  adorarit^  nul- 
lam  vero  susceperit  rem,  in  qua  Deum  ducem  non 
sit  secula  :  adeo  certam  animo  de  summa  Dei  bo- 
nitate  fidem  concepii ^  ut  nullum  incoeptum  recte 
suscipi  pularet,  nisi  Deo  prius  rea  voti  fieretj 
nullum  recle  absolutum,  nisi  volo  ante  concepto 
absolverelur:  tanta  in  Deo  colendo  studia  posuit, 
ut  arisj  simulacris,  donariis  Divum  tempia  splen- 
dide ac  magnifice  augenda  curaverit:  quamobrem 
liaud  minus  Dei  cultum  ornatiorem  sua  largitale 
fecitj  quam  fecerit  suae  venerationis  exemplo  san- 
ctiorem.  Quid  vero  illud,  quod  nobis  reliquit  prae- 
clarissimum  anliquae  pietatis  in  eo  posilum  mo- 
numentum,  quod  amabilissimum  Filium  Filiasque 
jucundissimas  Deiparae  Imrnaculato  Gonceplui  a 
prima  cujusque  aetate  devovit:  atque  illas  regalis 
ornalus  vice,  ac  nitentis  purpurae  locOj  quae  te- 
nella  Principum  membra  decebant,  sub  aspero 
vestitu,  virginum  more  eo  Numini  sacratarum,  inte- 
gram  infantiam  degere  voluit?  est  ne  aliud  pieta- 
tis aeque  laude  dignius^  aeque  dignitate  praestan- 
tius  arguraentum?  Haud  sane  videtur;  et  tamen 
adest:  adest  Illius  mirifica  in  egenos.  Dei  Optimi 
Maximi  studio,  largitas:  adest  in  levanda  tenuio- 
rum  inopia,  diligentissima  cura:  adest  incredibilis 
afflictis  pauperum  rebus  opem  ferendi  sollicitudo. 
Inde  est,  cur  gaudeat  se  omnibus  copiis  abun- 
dare:  inde  habet,  quod  laetetur  cunctarum  rerum 
uberlate  florere;  ut  ad  quamplurimos  fieri  posset, 
qui  rerum  angustiis  premerentur,  maximi  suae  li- 
beralità lis  fructus  promanarent.  Hic  omnia  Illius 
studia  sita  sunt:  paupcres   quaeril,   egenos  vesti- 


ao8  PARTE   II. 

gat,  tenuissimos  consectatur:  non  rogata  fert  opem, 
sed  rogat  ferre:  non  explicatis  afflictarum  rerum 
caussisj  sed  quaesito  potius  bene  de  aliis  merendi 
colore,  beneficia  conferì:  nulla  res  impedimento 
est  Illius  beneficentiacj  nullum  temporis  momen- 
lum  Illius  interpellat  liberalità tem,  nullus  locus 
largitatem  excludit.  Atque  hac  in  parte  orationis, 
in  eam  legem,  quam  principio  mihi  de  virtutibus 
dicturo  statui,  invitus  committoj  cum  unum  ali- 
quod  Illius  incredibilis  munificentiae  facinus  me- 
morare ejus  virtutis  magnitudo  me  cogat.  Cum 
forte  quadanij  ut  ibi  moris  est,  certa  officii  ratio 
suasissetj  ut  regio  et  quam  splendidissimo  Eam 
Principem  deceret,  ornatu  concinnata  domo  pro- 
diret,  ab  Eadem  egenus  per  Deum  obsecrans  sti- 
pem  rogavit,  quae,  cum  numera  tu  prompta  non 
csset,  Ipsa  minime  ferens,  quod  vel  hic  unus  in 
omni  vita  non  esset  benefaciendi  locus,  miro  le- 
vandae  egestatis  amore  ducta,  maximam  pretio- 
sissimi  muliebris  mundi  partem,  quinquies  supra 
-vicies  millies  aureorum  nummum  aestimatam,  sti- 
pis  nomine  illi  eroga vit.  O  viri  disertorum  optimi, 
optimorum  disertissimi,  laudate  etiam  atque  etiam 
hoc  egregium  virtutis  facinus;  ac  si  illud  singuli 
ab  cunclis  suis  partibus  commendare  haud  pos- 
sitis,  laudet  hic  eximiam  animi  magnitudinem,  ille 
incredibilem  erga  Deum  amorem,  alius  admirabi- 
lem  externorum  honorum  despicientiam,  alius  sin- 
gularem  humanitatis  adjuvandae  voluntatem;  atque 
ita  omnes  aeternis  laudibus  tanti  facinoris  exor- 
nate memoriam.  Et  nos  ad  ejusdem  summam  erga 
Rempubhcam  pietatem  gradum  faciamus.  Cari  qui- 
dem  profecto  habentur  amici,  egregie  cari  paren- 
tes,  conjuges  parentibus  cariores,  liberi  cunctorum 
carissimi:  sed  omnes  omnium  caritates  complexa 
est  una  ipsius  caritas  in  Rempublicam,  quae  tanta 


ORAZIONI    ED    ISCRIZIONI  aOC) 

et  adeo  mirifica  fuit,  ut  aegro  animo  ferret  (si 
tamen  aeger  dicendus  est  Cathaiinae  Aragoniae 
aniauis  tanta  virtute  formatus:  sed  quando  ejus- 
dem  novis  maximisque  rebus  deficiunt  nomina, 
dica m US  licet)  ut  aegro  animo  ferret  se  sic  na- 
tam  esse,  ut  sexus  conditione  praepedita  bene  quid 
de  Republica  mereri  non  posset.  O  miram  erga 
publicam  rem  pietatem,  qua  non  animadvertit  se 
de  ea  satis  superque  meritam  esse,  cum  Eidem 
amplissimum  ac  praeclarissimum  dederit  Filium, 
qui  periculosissimis  praefecturis  fortissime  gestis, 
gravissimis  legationibus  magnificentissime  expedi- 
tisj  summo  Imperatoris  munere,  quod  in  hoc  Re- 
gno summa  cum  laude  gerit,  splendorem  ac  decus 
Im perii  omnium  maximi  conservarit  et  auxerit! 
At  non  Ei  sat  est  dedisse  unum.  0  magis  miram 
erga  publicam  rem  pietatem,  cui  non  sat  est  de- 
disse unum 5  cum  tamen  iccirco  tantam  habeat  ad- 
mirationem,  quod  unum  dederit:  si  namque  plures 
dedissetj  non  aeque  tanta  admiratione  digna  vi- 
deretur!  Unus  enim  ipsi  erat  ornatissimus  Filius, 
quo  solo  omne  decus  nominis  ac  omnis  gloria 
praeclarissimae  Gerdiorum  familiae  fulciretur:  et 
tamen  passa  est,  quid  inquam  passa  est?  lubens 
consensit,  ut  munus  in  primis  periculosum  et  an- 
ceps  primum  inter  publica  obiret,  et  Neapolita- 
norum  classi  praefìceretur.  Unus  Ipsi  erat  amabi- 
lissimus  Filius,  cujus  jucundissimà  praesentià  sic 
oblectabatur,  ut  ejus  jucunditatis  fructui  nulla  vo- 
luptas  conferri  posset:  et  tamen,  quia  hunc  desi- 
derabat  Italia  vel  amplissimum  Legatum,  vel  sum- 
mum  Imperatorem,  tam  aequo  animo  tulit  hujus, 
Reipublicae  caussa,  adeo  longinquam  ac  diuturnam 
absentiam,  ut  fato  praeventa  praeclaram  historiam 
rerum  ab  optimo  Filio  optime  gestarum,  ipso  nar- 
rante, minime   audire  potuerit.  At  Rempublicam 

Vjlo,  Opuscoli.  i4 


aio  PAIlTE    li. 

nullis  mentis  a  propria  virlule  profectis  ornatam 
putat.  O  iuaxiii»e  iniram  erga  publicam  rem  pie- 
tatem ,  cui  non  videtur  Imperli  Majestas  propriis 
virtutibus  non  modo  cumulata,  quod  est  maxi- 
mum, non  modo  aucta,  quod  magnum,  sed  ne 
ornata  quidem,  quod  aequum;  cum  ad  eam  non 
modo  honestate  ornandam,  non  modo  dignitate 
augendam,  sed  etiam  gloria  cumulandam  omnia 
studia,  omnia  prorsus  officia  collocarit!  Ecquid 
enim  sunt  innumera  illa,  et  quidem  maxima,  quae 
usquequaque  obivit,  beneficentiae  munera,  nisi  cu- 
niulatae  Imperii  gloriae  luculentissima  monumenta; 
cum  ad  ea  susci pienda  hac  laudabili  opinione  po- 
tissimum  duceretur,  qua  existimabat,  quaecunque 
officia,  ut  sua  cuique  dìgnitas  tribueretur,  pere- 
gisset,  ea  ad  Imj^erii  decus  summopere  pertinere? 
0  saluberrimam  Hispaniae  Rei  universae  opinio- 
nem,  quae  in  huju»  animum  induxisti,  ut  cuncto- 
rum  ferme  omnium ,  qui  Matritum  ab  diversis  di- 
tionibus  Regi  subjectis  ye\  meritos  honores  peti- 
tum,  vel  juris  sui  experiundi  caussa  confluerent, 
se  Patronam  praestaret.  At  quam  quantamque  Pa- 
tronam}  cum  de  hoc  ejus  patrocinio,  etsi  plurima 
bona,  atque  ea  quidem  plurimi  boni  narrent,  nun- 
quam  tamen  se  satis  narrasse  dicant.  Nec  quippe 
sibi  satis  dixisse  videntur,  ut  hoc  eximium  pa- 
trocinium  non  implorata,  sed  nitro  suscipiebat; 
ncque  id  quorundam  dumtaxat,sed  omnium;  nec 
cum  aliquo  personarum  discrimine,  sed  uno  offi- 
ciorum  servato  delectu:  cum  aeque  bonam  apud 
Eam  gratiam  mererentur  et  qui  summo  et  qui 
infimo  loco  nati  essent,  et  qui  commendatione  vi- 
rorum  principum,  et  qui  sola  illius  fide  freti  ad 
Eandem  accederent:  dum  tamen  aequa  esset  sui 
patrocinii  exorandi  in  aequi  tate  posila  ratio.  Ne- 
que  etiam  se  satis  dixisse  putant,  quod  ad  bosco 


ORAZIONI    ED    ISCRIZIONI  211 

omnes  suis  beneficiis  honestandos  sola  honestate 
impellereUir;  quodque,  si  haec  adesset,  nulluni 
officii  genus  oniitteret,  sive  in  ipsa  re,  si  ve  in 
honore  verborura  positura  esset,  quod  ad  eorun- 
dem  commodum,  vel  araplitudinem  pertineret.  Nec 
denique  se  satis  dixisse  intelligunt,  ut  in  unoquo- 
que  officio  suscipiendo  nulla  exceptione  aut  labo- 
ris,  aut  occupationis,  aut  temporis  uteretur;  ac 
in  eodem  deinde  persequendo  omnem  operam,  cu- 
ram  ac  diligentiam  adhiberet;  ac  eo  tandem  abso- 
luto,  nullas  omnino  pateretur  sibi  beneficii  nomine 
gratias  agi  ;  dictitansj  quae  aliis  mera  beneficentiae 
munera  viderentur,  ea  sibi  esse  absolutissimas  justi- 
tiaepartes.AudivimuSjinquiuntjipsi  audivimus  illam 
saepissime  dicentem,  secum  praeclare  cum  felici- 
tate actum  esse,  quod  suus  vir  amplissimus  primo 
Imperii  honore  post  Regem  donatus  esset;  ut  nul- 
lum,  quamvis  maximum  officii  genus  esset  aut  stu- 
dii ,  nulla  res,  etsi  supra  modum  ardua,  quae  vel 
ad  utilitatem  vel  dignitatem  omnium  sibi  veUiti 
clientelae  jure  devinctorum  spectaret,  quam  non 
aggredi,  non  persequi,  non  denique  perficere  co- 
naretur.  Vidimus,  ajunt,  ipsi  vidimus  illam  per 
Divum  tempia  saepissime  concursantem,  amplissi- 
mos  Senatores  nunc  summa  aequitate  rogantem, 
nunc  mira  animi  fortitudine  expostulantem,  ut  jus 
unicuique  suorum,  ut  ita  dicam,  clientum  prò  di- 
gnità te  tribuerent.  Quid  itaque  interest,  quod  ma- 
ximis  exercitibus  fortissime  non  impera vit,  cum 
tanta  animi  fortitudine  praestiterit,  ut  imperarent 
fortissimi  Imperatores?  Quid,  quod  in  amplissimis 
RegnisRegis  vices  justissime  non  gessit,  cum  tanta 
justitia  curaverit,  ut  iis  justissimi  viri  Principes 
praeficerentur?  Quid,  quod  suo  exemplo  neque  in 
acie,  ncque  in  foro  erexerit  aut  militum,  aut  jus- 
dicentium   animos   ad  praeclara    sive    fortitudini» 


213  PARTE    II. 

sive  justitiae  facìnoraj  cum  haec  ipsa  munera  egre- 
gie impleverit  oi'ficiisj  quibus  perfecit,  ut  hi  ora- 
nes  mentis  praemiisj  quae  virtutum  incitamenta 
sunt  maxima,  donarentur?  Non  erat  sane,  non 
crat  virtus  Catharinae  Aragoniae  liujusmodi,  ut 
intra  certos  fines  unius  ditionis  Imperio  subjectae 
exercerelur.  Digna  quippe  fuit,  ut  ad  caput  ipsius 
Imperii,  Orbis  terrarum  amplissimi,  versaretur  su- 
blimisj  ut  inde  tranquillitatem,  veluti  vitam,  in 
cuncta  reliqua  Regna,  maxima  hujus  Reipublicae 
membra,  diffunderet.  Quanta  ergo?  non  queo,  Au- 
ditores,  staiuere,  nec  volo  dicere:  tristitiam  uni- 
versi Imperii  tanta  Patrona  orbati  malo  vobis  si- 
lentio  conjiciendam  relinquere,  quam  oratione  im- 
minutam  explicare.  Jam  cognovistis,  credo  equidem, 
Catharinam  Aragoniam  tanta  cumulalam  justitià, 
ut  non  sibi,  sed  Deo  ac  egenisj  non  suis,  sed 
Reipublicae  ac  bonis  omnibus  nata  videretur.  Ita- 
que  bonorum  omnium,  quibus  erat  a  prospera  fio- 
renti que  fortuna  non  ad  aliorum  exemplum  exag- 
gerata,  quam  sibi  partem  reliquam  fecisse  putatis? 
Aut  nullam,  aut  pene  nullam,  vos  mihi  videor 
audire  responsuros.  O  factum  benel  quod  in  no- 
stra Heroina  virtutes  ita  inter  sese  copulatae  sunt 
et  connexae,  ut  alia  ab  alia  separari  non  possiti 
quandoquidem  suramae  illius  justitiae  aeque  summa 
animi  moderatio  se  addiderit  comitem.  Atque  liane 
quidem  eo  majorem  in  ipsa  suspiciemus,  quo  ma- 
jora  Naturae  bona  ac  ornamenta  Fortunae  ad- 
rairati  sumus.  Quo  enim  in  excelsiorem  se  tollit 
locum  felicitas,  eo  in  altiorem  pervenit  apicem 
hujus  virtutis  laus;  cum  ejus  hoc  sit,  ut  diffìcil- 
limum,  ita  praestantissimum  munus,  ut  obsequenti 
fehcitati  modum  adhibeat.  Et  sane,  ut  id  praestet, 
in  eo  totae  ferme  occupantur  ancillantes  illi  vir- 
tutes,  ut  Temperantia  superbiam  et  iramanitatein 


ORAZIONI    ED    ISCRIZIONI  21  ù 

arceat,  atque  facilitateli!  Gletnentiamque  contineat: 
Modestia  arrogantiam  libidinemque  prohibeat,  at- 
que  Goniitatem  et  Piidiciliam   complectalur.    Ali 
expectatisj  ut  ego  ab  unaquaque  harum  virtutuin 
laudibus  eam  exornem,    quam  amissam   collacry- 
mamur?  Nolite,   vos    quaeso    oblestorque,   nolite 
tantum  rneis    humeris    iuipar   onus   imponere,  ac 
patiamini  ipsas  res  potius  omni  verborum  ac  sen- 
tentiarum  ornatu  nudatas  accipere.  Accipiatis  ita- 
que.    Haec  illius   Teraperautia  fuit,    ut  non    recti 
animi  impetus  rationi  moderatrici  non  modo  non 
reluctantes    obedirent,   sed    lubentissimi   obseque- 
rentur.  Haec  vero  Facilitas,  ut  ipsa   amplitudine, 
quam  summo  dignitatis  gradu  retinebat,  quae  sti- 
mulos  invidiae  praecipue  admovet,  hominum  studia 
ad  sui  benevolentiam  alliceret  et  excitaret.  Clemen- 
tia  ejusmodi,  ut  si  forte  civium  tranquillitatem,  iion- 
nisi  poenis  in  facinorosos  irrogatis  conservare  pos- 
set,   Ei  Principem   natam   esse    displiceret.  Haec 
Modestia,  ut  quae  faceret,  quaeque  diceret,  omnia 
ordine,    modo    ac  specie   quadam  liberali  faceret 
diceretque,  quibus  gravitatem  cum  humanitate  con- 
junctam  retineret.   Haec   vero  Gomitas,  ut  homi- 
nes  Eam  duntaxat  vidisse   et    compellasse,  sum- 
mum  operae  pretium  facerent.    Pudicitia  denique 
ejusmodi:  sic  virgo  vitam  degit,  ut  nunquam  nup- 
tui  se  collocatum  iri  putaret;  sic  nupta,  ut  scra- 
per morum  virginem  decentium  memor  essetj  sic 
amplissimo  viro  orbata,  ut  conjugalis  vitae  nun- 
quam meminisset.  Atque  aliud  agens  in  illam  ora- 
tionis  partem  incidi,  ubi  eram  de   alia  illius  vir- 
tute  principe  tractaturus:    nimirum  de  incredibili 
animi  Fortitudine,  qua  mortem  eorum,  quos  unice 
diligebat,  reliquosque  huinanae  vitae  casus  magno 
erectoque  animo  toleravit  ac  lulit.  JNeque  conspi- 
ratio  consensusque  virtutuin,   quibus   erat  us(|ue- 


2l4  PARTI-.    II. 

quaque  referta^  patiebatur,  qiiae  secundis  rebus  a 
voluptatej  caeca  virtutis  inimica,  vieta  non  est, 
eam  adversis  a  dolore,  hoste  ejiisdem  apertissimo, 
frangi  debere:  immo  desiderabat  potius  ut  summa 
ejus  esset  in  omni  vita  aequabilitas,  idem  semper 
esset  vultus,  eadem  frons  semper  esset.  Atque  id 
quidem  sane  nostra  Heroina  incredibili  cum  ad- 
miratione  optimorum  praestitit  ac  perfecit:  quan- 
doquidem  tantam  animo  extruxit  altitudinem,  ex- 
cellentiamque  virtutis,  ut  ibi,  tanquam  in  specula 
excubans,  omnia  humana  perspiceret  sic,  ut  ei 
nihil  improvisum  accidere  posset.  Et  ut  praeclara 
tantae  virtutis  pericula  faceret,  Fortuna  ac  Na- 
tura, quae  magnam  in  ulramque  partem  vim  ha- 
bent,  eo  simul  etiam  conspirarunt:  etenim  quem- 
admodum  illam  tot  secundis  rebus  insigniter  exor- 
narunt,  ut  ex  iis  innumeras  et  maximas  caperet 
jucunditates  officiorum,  quamobrem  esset  apprime 
felix,  ita  eandem  adeo  afflictis  fortunis  percul- 
serunt,  ut  proinde  pieno  miserationis  vocabulo 
orbata  dici  deberet:  orbata,  nimirum,  parentibus 
amantissimis,  orbata  amabilissimo  viro,  quos  ut 
oculos  suos  amabat,  ipsis  oculis  octo  ante  mortem 
annos  orbata.  Orbata  parentibus,  raaximis  gra- 
vissimisque  rebus  spectatissirais,  sed  in  primis  pro- 
batis,  quod  effigiem  virtutis  ac  probitatis  suae  tan- 
tam Filiara  reliquerint:  orbata  viro  dulcissimo,  qui 
cum  ea  amore  summo  summaque  fide  certavit:  or- 
bata oculis,  quos  tanta  humilitate  in  Deum,  tanta 
comitale  in  supplices,  tanta  miseratione  in  pau- 
peres  dirigebat  Sed  hae  acerbae  orbitates  ab  ipsa 
mira  fortitudine  cum  animi  laetitia  compensantur, 
quam  capit  ex  memoria,  quod  Parentibus  amplis- 
simis  omnem  honorem,  venerationem  ac  reveren- 
tiam,  quam  sunt  meriti,  praestitit:  quod  praeclaris- 
simum  virnm,  ut  erat  propter  innumeras  suavitates 


ORAZIONI    ED    ISCRIZIONI  2  1  f) 


ingenii  ac  virtuiis,  singulari  amore  dignos,  ama- 
vit:  quod  oculis  nunquam  accepit  levitatum  ima- 
gines,  at  semper  sirnulacra  virtutum.  Quiii  etìam 
nunc  tandem  ait  sibi  datum  esse  vera  humanae 
naturae  munera  obire,  nimirum  animo  cernere, 
ratiónem  ratione  viderCj  et  sic  intueri  virtutem, 
et  contemplari  Deum:  cum  in  homine  summa  ora- 
nis  sit  animi,  in  animo  rationis,  in  ratione  altis- 
simum  et  maxime  excellentem  teneat  locum  vir- 
tus,  quae  sola  hominem  ad  Deum  propius  visen- 
dum  manuducit.  Tantos  illi  res  adversae  animos 
addiderunt,  ut  bisce  dimicationibus  cum  adverso 
casu  virtute  factis,  veluti  umbratiles  agens  pugnas, 
sese  pararet  in  extremo  vitae  discrimine  morti  ad- 
ventanti  vel  obviam,  si  opus  esset,  procedere.  At 
mors,  eheu  miserum!  in  medio  cursu  jam  adve- 
nit.  Date  hic,  date,  lacrymae,  dictis  locum,  ac 
sinite  me  cum  aliqua  specie  fortitudinis  narrare 
mirum  ac  incredibile,  quod  ipsa  dedit  heroicae 
virtutis  specimen,  dum  illam  viriliter  excipit,  duin 
illam  fortiter  oppetit:  sinite  me  narrare,  quo  pacto, 
dum  tot  fortunae  bonis,  tantis  naturae  ornamentis, 
ac  tam  jucundis  virtutis  officiis  acerbissime  rapitur, 
omnes  excelsas  atque  invictas  fortitudinis  comites 
in  alto  atque  erecto  animo  excitat;  ita  ut  humana- 
rum  rerum  despicientià  omnia,  et  maxima  bona, 
quibus  vitam  habet,  sic  ut  nihil  supra,  confertam, 
regio  spiritu  omnino  contemnat.  Gonstantia  vero  ae- 
quabilem  vitae  ratiónem  ad  supremum  usque  spiri- 
tum  cum  gravitate  retineat:  Patientia,  ut  acerbissi- 
mos  dissolutionis  naturae  dolores  alacriter  perpetia- 
tur:  ac  animi  denique  Magnitudo  lantani  appetat 
rem,  quanta  ea  est,  non  hominum,  sed  Hcroum  more 
mortem  obire.  Et  quidem  sane  eo  magis  admira- 
tione  dignam  illius  bonorum  despicientià m  crede- 
tis,  quo  majora  ejusdem  vitae  commoda  memoria 


HlG  PARTE    II. 

repetatis.  Etenim  si  jucunda  vita  est,  quae  inler 
homines  antiquae  virtutis  degitur,  et  in  publica 
amplissimarum  urbium  luce  versatur^  jucundissima 
liujus  vita  eratj  quae  inter  Hispanos^  homines  exi- 
miis  ornatos  virtù tibus,  et  in  arce  Imperii  Orbis 
terrarum  amplissimi  agebatur.  Si  accepta  ejus  vita 
estj  qui  splendorem  ac  dignitatem  gentis  poste- 
ritati  mandare  possitj  acceptissima  hujus  vita  erat, 
qua  deficiente  Principatus  Aragoniae  Familiae  im- 
mortali gloria  j  virtute  summa,  et  antiqua  Regno- 
rum  majestate  praeclarissimae  deficiebat.  Si  grata 
vita  est  referta  iis  Forlunae  bonis,  quae  ad  ho- 
nestatem  sint  satisj  gratissima  hujus  vita  erat,  quae 
tantis  affluebat  opibus  copiisque,  ut  ad  regium 
splendorem  j  magnificentiam,  liberalitatem  ac  be- 
neficentiam  Rege  dignas  satis  superque  haberen- 
tur.  Si  optata  vita  est  honesto  dignitatis  gradu  co- 
honestata,  optatissima  hujus  vita  erat  honoribus 
in  Republica  omnium  ampUssima  amplissimis  cu- 
mulata. Magnas  suavitates  praesefert  vita  dulci  ma- 
tris  donata  nomine;  at  maximas  vita  hujus,  quam 
reverebantur  Matrem  unus  Heros,  octo  Heroinae. 
Dulcis  vita  estj  quae  diligitur  propter  multas  sua- 
vitates ingenii;  at  dulcissima  vita  hujus,  quae  pro- 
pter innumeras  praeterea  jucunditates  officiorum 
bonis  omnibus  cara  erat.  Gara  vita  est,  quae  lauda- 
tur  a  bonis;  at  carissima  hujus,  de  qua  consen- 
tiens  laus  optimorum,  et  incorrupta  vox  optime 
judicantium  de  excellenti  virtute  eo  magis  et  ma- 
gis  crescebal,  quo  longius  ejus  aetas  producere- 
tur.  Ecquis  forti  animo  praeditus,  cum  Ei  tot 
tantaeque  vitae  jucunditates,  suavitates,  caritates 
ob  oculos  ponerentur,  mortis  metu  non  frange- 
retur?  Et  tamen  nostra  Heroina  existimat,  ani- 
mi esse  non  sibi  sufficientis  optare  pubUcam  lu- 
ceni,    inanis   gloriae  cupidi   studere   famihae   pe- 


ORAZIONI    ED    ISCRIZIONI  21  7 

rennitati.  nimiuni  angusti  aestiaiare  opes  et  co- 
pias,  popul.'irem  auiain  sectantis  magnifacere  lio- 
iiores,  foeminati  iiomen  matris  curare,  ac  deni- 
que  non  ad  virtutem  facti  aucupari  laudes  et  glo- 
riarli. Et  quemadmodum  hac  mira  despicientia 
haec  omnia  sprevit  optata  bona,  ita  aeque  mira 
animi  magnitudine  res  semper  longe  optatissimas, 
nempe  virtutes  appetivit:  et  sicuti  in  rebus  agen- 
dis  summam  semper  Prudentiam  amavit;  sicuti 
in  jure  cuique  tribuendo,  si  ve  id  deberetur  Deo 
Optimo  Maximo  ac  Religioni ,  sive  summo  Regi 
ac  Reipublicae,  sive  Familiae,  ac  illius  Principi, 
sive  amicisj  sive  subjectis,  sive  denique  bonis  om- 
nibus, semper  eximiam  justitiam  dilexit  ;  sicuti 
inter  opes  et  copias,  inter  summos  dignitatis  et 
honoris  gradus,  inter  maximas  sui  admirationes 
et  laudes  semper  maximam  animi  moderationeni 
exoptavit-  ita  inter  acerbissimos  dolores,  inter 
terrores  molestissimos,  inter  suprema  vitae  mala 
heroicam  virtutem  explicavit.  An  liane  heroicam 
virtutem,  ad  quam  erigit  Catharinam  animi  Ma- 
gnitudo, invitat  etiam  Constantia,  quae  ob  hujus 
oculos  ponit  virtutes  omnes,  quibus  semper  ani- 
mum  exornavit,  atque  hanc  confirmat,  ut  ratio- 
nem  vitae  cum  illis  actae  retineat;  viribus  auget, 
ut  cum  illis  tandem  etiam  absolvat.  O  praeclara 
Constantiae  munia!  At  o  praeclariora  Patientiae! 
Haec  namque  ut  illa  acerbissimos  dolores  prae 
dissolutione  animi  cadesti  specie  praediti,  et  cor- 
poris  decora  dignitate  undique  ornati ,  quae  tam 
jucundo ,  dulci  ac  suavi  erant  inter  sese  nexu 
conjuncta ,  alto  et  erecto  animo  perpetiatur,  Eam 
avocat  a  cogitandis  mortis  molcsliis,  et  revocat 
ad  comtemplandas  voluptates  officiorum  5  ut  so- 
lamcn  ex  bis  jucundis  recordationibus  capiat,  quam 
caste  et  sanctc  Deum  Optimum  Maximum  coluc- 


2l8  PARTE    II. 

ritj  quanta  fide  ei  vola  voveritj  quanta  pietate 
Filios  Divorum  Regiiiae  dedicarit,  quanto  wStudio^ 
cura  et  sollicitudine  egenorum  inopiam  Dei  caussa 
levaverit;  ut  dulci  se  memoria  reficiat  summorurn 
in  Rempublicam  meritorum^  et  maximorum  bene- 
fìcioruraj  quae  in  bonos  omnes  Reipublicae  caussa 
contulerit;  ut  sibi  grato  essel  solamini  meminis- 
sCj  quam  temperate^  humaniter  et  clementer,  quara 
modeste,  comiter^  ac  pudice  degerit  vitam ,  et  in 
maximo  omnium  dolore  hoc  aeque  maximo  sola- 
tio fruatuPj  quod  Ei  affert  praeclara  recte  facto- 
rum  conscientia.  Ita  Gatharina  Aragonia,  Princeps 
nniversis  Fortunae  bonis  ornata,  cunctis  Natura  e 
suavitatibus  aucta ,  omnibus  Virtutis  laudibus  cu- 
mulata ex  hominum  vita  heroum  more  demigrat^ 
cui  nunc  Dolor  Orbis  et  Amor  parentant.  O  ple- 
nissimum  acerbitatis  officinm,  quod  omnes  mentis 
partes  exagitasj  divexas,  afficis  ac  perturbasi  O 
quam  innumeras  imagines  doloris  tristi tiaeque  ple- 
nissimasj  quo  me  acie  vel  oculorum,  vel  mentis 
vertamj  intueor  et  contemplor  !  Fortissimus  Fi- 
lius  moestissimo  silentio,  quod  lacrjmas  et  que- 
relasi quas  excitat  in  animo  pietas,  vel  fortiter 
omnino  jugulat,  vel  saltem  graviler  opprimit,  Pa- 
rentem  amabilissimam  luget.  Ornatissimae  Filiae , 
quemadmodum  inundantia  flumina  tandem  undas 
limOj  ita  lacrymas  uberrime  efFusas  stupore  de- 
iiique  supprimuntj  et  constanti  frontis  contractio- 
ne,  firma  dejectione  oculorum,  languida  mem- 
brorum  solutione  niliil  vivum  praeseterunt.  Ita  ob 
oculos  mihi  versantur  Matrem  optatissimam  de- 
plorare. Sanctissimae  Matronae  regios  ac  nitentes 
corporis  ornntus  deponunt;  ac  aliae  ploratu  tem- 
perare vixj  ac  ne  vix  quidem  possunt,  aliae  pe- 
ctora  decora  bumi  defixa  tenent;  omnes  nonnisi 
lacrymis;  nonnisi  squalore,  nonnisi  vèste  sordida 


ORAZIONI    ED    ISCRIZIONI  219 

delectantur.  Ita  eas  videre  videor  maximum  sr.iuii 
deciis  lugere.  Gravissimi  viri  Principes  odio  pu- 
blicam  lucem  habent ,  et  hominum  adspectus  re- 
fugiunt;  ac  illi  dolorem  faciunt  ipsa  solitudine 
acerbiorem,  alii  illuni  in  amicorum  sinum  exone- 
rantes ,  ampliorem  consuetudine  faciunt.  Ita  spe- 
ciem  babere  sentio,  eos  vel  amara  solitudine,  vel 
consuetudine  misera  de  ornamento  sui  ordinis  raa- 
ximo  amisso  queri  ac  lamentari.  Boni  omnes,  qui 
ab  ea  sunt  in  universo  Imperio  vel  cobonestati 
officiis,  vel  fama  ofHcioruni  ad  iUius  benevolen- 
tiam  excitati  dolore  anguntur,  confìciuntur  tristi- 
tia,  solicitudine  perturbantur.  Sed  dolorem,  tri- 
stitiam,  solicitudinem ,  quam  prae  tantae  Principis 
obitu  Res  Hispana  conceperit,  quis  est,  qui  cogi- 
ta tione,  ne  dicam  verbis  complecti  possit?  Eheu 
si  ipsa  Respublica,  ac  otunia,  quibus  continetur. 
Regna  personas  indui  possent,  ea  hic  videretis, 
ante  banc  funeralem  struem  in  sordibus  ac  raoe- 
rore  jacere  :  si  possint  collacrymari ,  hoc  ipsum 
pavimentum,  ubi  consistitis,  videretis  eorura  la- 
crymis  madidum;  si  suspirare  iis  datura  esset, 
huncmet  ipsum  aèrem,  quem  bibitis,  igne  aestu- 
antem  hauriretis:  si  denique  iis  querendi  potestas 
fieret,  hoc  Templum,  hoc  tectum,  hos  parietes, 
hos  singulos  audiretis  eorum  querelis  undique 
resonantes.  Eone,  Fortuna,  illam  tot  eximiis  com- 
modis  prospera  ornasti,  ut  iisdem  tam  cito  or- 
batam  acerbiori  luctu  deploraremus?  Eone,  Na- 
tura, illam  tot  egregiis  ornamentis  benigna  auxi- 
sti,  ut  iis  praematurius  nudatam  funestioribus  votis 
prosequeremur  ?  Eone  illam  tot  praeclaris  bonis, 
Virtus  pulcherrima,  cumulasti,  ut,  cura  in  illius 
vita  te  nobis  totam  ostenderes,  nos  quam  mae- 
stissimos  porro  relinquercs?  0  Catharina  Arago- 
nia,  unicus  nostrum  omnium  dolor,  quam  nuper 


3  20  PARTE    II. 

decora  et  ornata  crat  aetas  nostra,  Te  sospite; 
nunc  sine  Te  quam  squalida  ac  dernissal  quam 
iiuper  secura  erat  cujusque  egestas ,  quod  suas 
angustias  maneret,  Te  opera  ferente,  levamen; 
sine  Te  in  quanta  nunc  versatur  sollicitudine  ! 
quam  nuper  certa  erat  cujusque  bonitas ,  quod 
sua  promerita  praemium,  Te  patrona,  maneret, 
sine  Te  quanta  nunc  cura  vexatur.  At  ille  angor, 
ille  moeror,  illa  aegritudo,  quam  sustinet  piissi- 
mus  Filius,  quod  Tibi  non  potuerit  postremum 
vale  dicere,  non  potuerit  oculos  premere,  non 
potuerit  funus  producere,  nos  non  habet  auctores. 
Nos  Tibi,  Princeps  optime,  nos  Tibi  (  fatemur 
enim)  impedimento  fuimus,  ne  haec  officia  pie- 
tatis  praesens  illi  persolveres.  Nostra  felicitas  tuam 
auxit  in  casu  tam  adverso  calamitatem.  Nobis  igi- 
tur,  o  acerbissima  mors,  nobis  est  cura  primis  de 
tua  summa  acerbitate  tecum  expostulandum.  Itane 
Natum  amabilissinmm  Parenti  restituis,  itane  Pa- 
rentem  amantissimam  Nato?  Quid  de  illa  buie  re- 
fers?  eheu,  gelidam  cinerem!  Quid  de  hoc  illi? 
At  o  nostrae  nimium  humi  defìxae  mentes,  quae 
sensibus  non  modo  oppressae,  sed  pene  obrutae 
ad  Gaelum  contemplandum  revocari  vix  possunt! 
O  si  supera  et  caelestia  ita  mentis  acie,  ut  hac 
oculorum  suspiceremus,  ipsam,  cui  nunc  dolemus 
tam  acerbe,  quaiii  nunc  lugemus  tam  misere,  ip- 
sam ,  inquam,  Gatharinam  Aragoniam,  nobis,  non 
Jiunc  acerbissimum  dolorem  abstergere  ac  lenire 
tantum,  sed  etiam  in  majorem  animi  jucundita- 
tem,  quam,  quae  ejus  obitu  nobis  adempta  est, 
hac  oratione  commutare  audiremus:  Quid,  viri 
piissimi,  in  meo  funere  lugetis?  Quid,  viri  piis- 
simi,  lacrymatis?  Dolor  iste  non  quidem  certe  ve- 
strùm  caussa,  vos  angit;  quod  solum  pessimos 
juvat,  qui  tantum  se  ipsos  amantj  sed  angit  vos 


ORAZIONI    ED    ISCRIZIONI  2121 

caussà  nieà,  quod  decet  optimos.  Si  itaque  me 
Fortunae  bonis  orbatam  lugetis,  suspicite  baec 
aurea  tecta,  hanc  aeternam  Gaeli  sereni  talera,  bunc 
inaccessum  a  piceni  supra  imbres  nimbosque,  supra 
procellas  ac  tnrbines,  supra  tempestates  omnes, 
quae  in  vos  passim  furunt,  positum  et  locatumj 
et  quam  firma  et  quam  summa  sint  bona,  quibus 
in  Deo  Optimo  Maximo  fruar,  perpendite.  Si  me 
Naturae  ornamentis  nudatam  deploratis,  suspicite 
baec  aeterna  lumina,  quae  tantam  mundo  pulchri- 
tudinem  addunt:  et  quam  eximia  sim  cognoscatis, 
suspicite  baec  Tempia,  ubi  omnia  vestra  exaudiri 
vota  exoptatisj  et  quam  amplissima  patrocinia  apud 
Deum  Optimum  Maximum  suscipiam,  consideretis. 
Statuite  proinde,  statuite  tandem  modum  luctui, 
finem  dolori:  et  siquidem  mea  de  morte  adeo  do- 
luistis  acerbe  ilio  potissimum  pieno  bonestatis  ar- 
gumento  ducti,  quod  maximis  vitae  commodis  me 
orbatam  existimastis;  nunc  vos  tandem  decet,  ut 
hac  longe  et  bonestiori  et  sapientiori  ratione  ani- 
mos  ad  bilaritatem  laelitiamque  revocetis,  quod  ipsa 
omnium  prorsus  vitae  bonorum  optatissimum  finem 
morte  adepta  sim  et  consecuta,  immortalitatem  sci- 
licet,  summa  pace  refertam ,  et  constantissima  feli- 
citate cumulatam. 

CATHARINAE   ARAGONIAE 

PRINCIPI  INCOMPARABILI 

DOLOR  ET  AMOR 

HOC  MONVMENTVM 

PIENTISSIMI  POSVERE 

evi  .        r 

TVTELAE  NOMINE  CEDVNT 

ILLIVS 

ET  RECTE  ET  BENEFACTA 

CVSTODIAE  SVNT  APPOSITAE 

REGIAE  VIRTVTES  CVNCTAE 

ROSAS 

QVOTANNIS  MITTIT 

ETERNA  NOMINIS  FAMA 


O  R  A  T  I  O 

PRO  FELICI  AD  NEAPOLITANUM  SOLIUM  ADITU  PHILIPPl  V 
HISPANIARUM  NOVISQUE  ORBIS  MONARCHAE 

(  1 702  ) 

Si  universum  hominum  genus  certo  immuta- 
bilique  melioris  naturae  foedere  dominantia  rebus 
prò  earum  dignità  te  vocabula  consignasset,  ita  in- 
solens,  atque  hactenus  inaudituni  de  Te,  Philip- 
pe,  laudationis  genus  cuncti  homines  tua  vi  diser- 
tim  funderent;  uti  nova  atque  inusitata  ex  Te 
laudura  argumenta  promanant.  Tanta  enim  abs 
Te  in  utroque  terrarum  orbe  late  patenti  Impe- 
rio, et  majestate  tui  generis  parta  est  salus,  et 
eximia  tui  spectabilitate  corj)oris,  animique  prae- 
stantia  tanta  felicitas  comparata*,  ut  isthaec  ipsa 
digne  narrasse,  citra  cujusque  eloquentissimi  exem- 
pla  cumulasse  laudibus  putaretur.  At  vero  ad  has 
verborum  anguslias,  quibus  sponte  naturae  prae 
tua  magnitudine  laboramus,  illud  praeterea  urget 
incommodum,  quod  quas  laudis  signifìcationes  lin- 
gua omnium,  quotquot  unquara  floruerunt,  regna- 
trix  et  domina  exquisierit,  ac  merito  vix  suffice- 
rent  tuo*,  eas  in  suis  Principibus  exornandis  Ro- 
manorum  ignoratio,  vel  obsequium  ferme  omnes 
exhauserit.  Siquidem  ab  iis  alius  terrarum  rector 
est  dictus,  cui,  immenso  Oceani  tractu  intentato, 
alter  oibis  imperio  moderandus  restabat:  alius  na- 
tionum  praesidium  et  columen,  quas  vix  dimidiato 
Sol  lustrabat  curriculoj  quasi  vero  nullis  aliis  gen- 
tibus  aliucens  facem,  reliquum  sui  orbis  spatium 
esset  irrito  decursurus:  alium  generis  humani  di- 
xere  delicias;  quo  sane  plurimae  ingentesque  natio- 
nes  oblectarentur,  sed  intra  certos  terminos  metu, 
an  invidia?  conclusae.  Te  vero,  Rex  Potentissime, 


PARTE  II.  ORAZIONI  ED  ISCRIZIONI  223 

quibus  vocabulis  designabimus,  nedum  laudibus  ef- 
feremuSj  qui  gentes  vi  innumerabiles^  locis  infiiii- 
tasj  dubio  Hispanìci  dominalus  subsidio^  omnium 
rerum  festinantes  ac  trepidasj  hoc  ipso,  quod  tuas 
esse  voluerisy  sospitasti:  tuoque  unius  nutu  tantum 
imperium  constitit,  quod  non  montibus,  non  ripis, 
non  litoribus  terminatur,  sed  fines,  quatenus  per 
rerum  naturani  licet,  porrigat  exlendatque:  etquos 
populosj  ut  respexisti,  incolumes  feceras^  modo, 
iis  dum  Te  praebes  conspiciendum,  beatos  facis. 
Quas  igitur  dignas  grates  Tibi  habeamus  oportet, 
Kex  Diligentissime  Populorum,  qui  post  rerum  ca- 
put Hispaniam,  primum  omnium  hoc  Regnum,  hanc 
Urbem  tua  augustissima  praesentià  recreasti?  Om- 
nes  sane  omnium  ordinum  cives  in  laetitiam,  hila- 
ritatemque  diffusi  eas  Tibi  habent  Maximo  Prin- 
cipi maximasj  infini tis  virtutibus  ornato,  innume- 
ras;  aeternis  beneficiis  affluenti ,  immortales.  Ita 
sentiunt  vulgus:  ita  prudentes  intelhgunt.  Sed  il- 
los  infantia  praepedit;  hos  modestia  attinet;  me 
mei  muneris  officium  impelliti  ut  dicam.  Tuae 
modo  erit  clementiae  ex  summo  Majestatis  cul- 
mine in  haec  ima  descendere:  et  illum,  spero ,  hu- 
manitatis  capies  fructum,  ut  noveris,  quantum  su- 
per fastigium  humanarum  laudum  emineas.  Au- 
gustiora  Christi  Triumphalis  sacra  celebrabamus, 
quum  Regiae  classis  Cajetam  appulsae  jucundis- 
simo  excepto  nuncio,  extemplo  feUx  omen  acce- 
pimus,  Te  per  dies  omnium  festivissimos  ad  hujus 
Regni  appulisse  oras;  qui  Tecum  omnia  ad  nos 
prospera  feliciaque  conveheres.  Ibi  qui  priores 
eam  exceperunt  famam,  e  vestigio  undique  per 
Urbem  alacres  erumpentis  jucunditatis  quaerere 
socios:  et  universi  sibi  ultro  citroque  plaudentes 
tantam  novam  rem  gratulali.  Laetabantur  juvenes, 
se  jam  illuni  visuros  diem,  quem  narrando  demi- 


22^  PARTE   II. 

rentur  minores:  gaudebant  senes,  se  tanto  bono  su- 
perstitesj  cui  longa  majorum  series  praerepta  es- 
set.  Adversis  acti^  prosperisque  florentes  in  spem 
erecti,  illi  malorum  fìnem,  hi  meliorum  exordia 
quam  mox  expectabant.  Quae  tum  vota  concepta 
Divis,  uti  nimbi,  et  mens  illa  motimm  terrae  po- 
tens  tandem  aliquando  in  nostra  Campania  desae- 
virent:  neu  innocentissimae  regioni  injustam  apud 
Te  conflarent  invidiam.  Tu  aeternorum  luminum 
rector,  nostras  omnium  curatissimas  audisti  pre- 
ces,  ut  anni  tempora  jamdudum  promiscua  con- 
stantius  aequabiliusque  moderares;  quo  nostrae 
orae  Genius  suo  se  ostentarci  Regi  laeta  veris  fa- 
eie,  nempe  sua.  Hos  de  Te  sermones  cuncti  ci- 
ves  in  multam  illam  noctem  conserebant:  haec 
sensa  per  quietem,  si  quae  uUum  inter  tam  fla- 
grantia  desideria  amplexa  est,  agitabant.  At  ubi 
posterà  luce  Te  Baiis  constitisse,  et  tonantia  et 
percussa  aera  renunciarunt,  Civitas  universa  ita 
immodico  tuae  propinquitatis  gaudio  elata  est,  ut 
ipsa  laetitia  per  fora  discurrere,  tecta  subire  vi- 
derctur.  Et  in  ancipiti,  qua  Urbem  adires,  alii 
compiere  litora,  alii  vias  occupare;  pars  summa 
tectorum,  quamplurimi  collium  speculas  superare, 
qui  eniinus  cominus  Te  conspicerent.  Non  imbe- 
ciilitas  aetatis  quemquam,  non  valetudinis  fasti- 
dium,  non  denique  sexus  pudor  attinuit,  quomi- 
nus  oculos  augusto  Tui  expleret,  insolitoque  spec- 
taoulo.  Pueri  enim  suum  delicium,  suum  robur 
juvenes,  suum  senes  levamen,  aegri  siiam  salutem 
visere  cupiebant.  Gumque  morae  impotentes,  uni- 
versi ejusmodi  desideriis  aestuantes,  odiosura  ces- 
sare tempus  incusamus,  quod  pigrum  Tui  visendi 
velocissimum  desiderium  effecerat;  vix  tandem  ad 
Pausilypum  promontorium  conspecta  classi ,  quam 
laetae  illae  voces,  et  quam  alacri  spiritu  ad  cae- 


ORAZIONI    ED    ISCRIZIONI  225 

lum  usque  sublatae:  En  Sol  Regum  ab  occiduis 
iindis  nobis  exoritur!  Alque  interea  rerum  duai 
Mergellinae ,  Olympiaeque  praeterlegeres  orarn, 
sensim  nostri  Grateris  undae  liquìdiores  fiebant, 
amoeniora  litora,  ridentiores  colles:  Sol  ipse  illu- 
strior:  augustior  hujus  Urbis  fieri  flicies  visa  est. 
At  ubi  in  hanc  terram  egressus  es.  Deus  immor- 
talisi ut  aquae  abyssus,  seu  ignis,  seu  quod  ma- 
gis  naturae  lubet,  et  Pbilosophis  ignoratur ,  ab  imis 
terrae  visceribus  tua  sensit  jucunda  pondera j  et 
formidandam  vim  illam,  qua  immota  movet,  in- 
concussa quatit,  Tibi  refraenavit  ac  pressit.  At 
enim  ubi  primum  de  Regiis  aedibus  frequentis- 
simo populo  visurum,  visendumque  Te  praebuistij 
inter  laeta  omina^  quibus  omnia  personabant,  qua- 
lem  in  fabulis  per  macliinam  Deum  aliquem^  ta- 
lem  Te  ad  nos  de  caelo  descendisse  spectavimus. 
Et  sane,  uti  usuvenit,  ut  raajorem  longinquitas 
conciliet  Principibus  reverentiam  Majestatis,  ma- 
xima erat  de  Te,  Philippe,  nostra  omnium  opi- 
nio,  quum  abs  Te  immodestum  terrarum  spatium 
dissiti  agilabamus.  Te  namque  observabamus  In- 
clyti  Galliarum  Delphini  natum,  cui  et  inter  quae- 
sitissima  Minervae  studia  agitanti,  praestantiora 
hujus  tempestatis  ingenia  florueruntj  et  discrimi- 
nosissimas  subeunti  Martis  aerumnas  quisque  for- 
tissimus  vel  hostium  extimuit.  Te  Ludovici  Ma- 
gni magnum  excolebamus  Nepotem,  hoc  est,  ab 
eo  Galliarum  Rege  progenitum,  qui  teterrimas  Re- 
gni seditiones  oppressiti  qui  ab  novis  religionibus 
sacra  patria  vindicavit:  qui  in  Pannoniam,  Lusi- 
taniam,  Belgas,  Sequanos,  Mediterranei  niaris  in- 
sulas.  Africani,  Americani  legionibus,  classibusve 
missis,  decimiìm  aut  plus  eo  imperator  suo  par- 
tim  dnctu,  partim  auspiciis  maxima  bella  confe- 
cit:  qui  Iinperii  Gallicani  fines  quoquo  versus  pro- 

Vico,    OiHiscoli.  |5 


526  PARTE    II. 

tulit,  amplìavit:  qui  inter  arma,  finitimis  pacatìs, 
oinnes  bonas  pacis  artes  fovit,  nutrivit  et  aluit: 
auctoritate  apud  hostes  gravissima,  fide  in  socios 
singiilari  Regnum  oblinet,  regniam  normamque  re- 
liquorum:  qui  denique  incredibili  prudentia,  ac 
pene  divina  omnium  Regum  sanctiora  Consilia  per- 
means,  uti  natura  universarum  rerum  virtutes,  ita 
is  omnium  Principum  mentes  in  se  unus  comple- 
ctitur.  Te  denique  ejus  Monarchiae  Regem  vene- 
rabamur,  cujus  fines,  si  quis  oculis  vellet  descri- 
bere,  universam  aetatem  percurrens,  ante  vitam 
absolveretj  quando  Te  Regnatorem  Europa,  Asia 
pium,  munitum  Africa,  opulentum  America  veue- 
ratur:  et  rerum  natura  ipsa  Mediterraneum  Ocea- 
numque  in  brevissimum  fretum  Tibi  ad  Gades  ex- 
tenuavit;  ut  inde  terras  omnes,  et  universa  Orbis 
terrarum  interna  externaque  maria  ex  arbitrio  mo- 
derares.  Tot  tantasque  Maximi  Regis  et  ab  stirpe, 
et  ab  Regno  laudes,  omnes  augustissima  Tui  prae- 
sentia  superavit  ac  vicit.  Nec  vero  ei  majestatem 
conciliasti  ingenti  classe;  nam  paucae  bue  nostrae 
triremes  advexerant:  non  illustri  pompa  et  trium- 
pbali  in  Urbem  ingressu;  nam  pene  privatus  su- 
bieras:  non  paludamento,  aut  corona  conspicuus; 
siquidem  modestissimo  ornatu  lamquam  non  re- 
gnaturus,  sed  rusticaturus  adveneras.  Et  tamen  ubi 
Te  ad  regiarum  aedium  menianum,  mox  ad  so- 
larium inter  plures  aulae  proceres  promiscuum  in- 
finita illa  uìultitudo  conspexerat;  ut  filii  occulta 
et  insita  necessitudinis  vi  ignotos  parentes,  ita 
Majestatis  virtute  suum  Te  Regem  agnoverat.  Et 
adeo  Tui  ab  Gallia  praemissae  icones  nequicquani 
ad  agnitionem  juverunt,  ut  illieo  culparemus  aucto- 
res,  qui  cum  maxime  augustissiraam  Tui  speciem 
referre  conati  sunt,  nec  eximiam  oris  bonestatem, 
nec  caelestes  vullùs  virtutes  quicquam  ad  Tui  imi- 


ORAZIONI    ED    ISCrxlZIONI  227 

tamentum  expresserint.  Tarn  laeta  enitn  serenìtas 
frontem  explicat,  tara  suavis  in  oculis  caeli  color 
viget,  et  in  colore  caelestis  vis  luminis  eminet, 
tara  gratus  candor  oris,  quem  roseus  pudor  sub- 
inde tingitj  taro  jucunda  lotius  habitus  incessusque 
cura  decora  gravitas  temperata,  tara  veneranda  un- 
dique  ex  Te  Majestas  emicuit,  ut  si  vetustus  mos 
vigeretj  ut  formosissimus  quisque  deduceretur  ad 
Regnunij  Te  jam  maximum  Regem  oculis  legisse- 
mus.  Et  vero  si  nobis  qua  Majestate  poiles,  mi- 
nor apparuisses,  non  Te  in  imperio,  sed  in  Te 
Imperium  suspiceremus:  et  cogitandi  ordo,  et  na- 
tura has  primum  de  Te  notiones  in  cujusque  animo 
explicuisset:  O  sorte  nascendi  felix,  quem  jus  re- 
gnorum  et  fas  gentium  ad  tantam  evexerint  Mo- 
narchiam!  Sed  nihil  sane  horum:  quin,  Te  con- 
specto,  inter  plausus  illae  voces  impetu  proruperunt: 
O  digne,  cui  tot  regna  subjaceant!  O  merite,  cui 
Sol  nunquam  occidat!  O  par,  qui  tantum  mode- 
reris  Imperium!  Quid  ego  referam,  ut  Tibi  de  navi 
egredienti  laeta  occurrerit  Nobilitas  et  Senatus?  ut 
alacres  ad  officium  Magistratus  convenerint?  et  a 
Te  ad  manus  adorationem  incredibili  admissi  cle- 
mentia,  qua  capti  admiratione  discesserint?  inde 
satis  alii  vixisse,  Te  viso}  alii  tandiu  porro  viven- 
dum  esse  praedicabant,  quoad  tuis  divinis  vulti- 
bus  explerentur.  Ita  et  eo  die,  et  aliis  quacumque 
progressus  es,  frequentes  confertique  undique  ad 
Te  concurrere,  Tibi  obversarì,  Te  subsequi,  co- 
mitari,  praevertere:  nec  quicquam  aliud  per  lios 
dies,  quam  Te  unum  spectare  possunt.  An  non 
quemque  nostrum  hoc  mortali  corpore  gravem  is 
nunc  erga  Te  regit  amor,  quo  caelum  regitur?  qui 
nihil  aliud  exoptamus,  nec  alium  nostrorum  finem 
honorum  credimus,  quam  Te  intueri,  tuis  dele- 
clari  vultibus,  in  Te  nostras   omniuuj    felicitates, 


328  PARTE    II. 

Te  in  noslris  publìce  privatiraque  bonìs  contem- 
plari. Ita  quicquid  nobis  obversatur,  regium  vide- 
tur;  regium,  quicquid  sentimus.  Adeo  nos  supra 
nos  metipsos  tuo  ad  nos  adventu  evexisti,  ut  jam 
alio  obtutu  Urbis  intueamur  magnificentiam,  alio 
soli  ubertatem,  caelique  risum,  alio  populi  frequen- 
liam,  nobilitatisque  amplitudinen.  Et  cura  primis 
quam  splendidiora  iilustrioraque  tuorum  monu- 
menta majorum,Te  visente,  visa  sunt?  Certe  Ca- 
roli I  aliorumque  Andegavensium  Regum  tua  prae- 
sentià  allevatae  sunt  tumuli  pondere  religiosae  re- 
liquiae.  O  qui  fuerit  ille  regiorum  cinerum  sensus? 
quae  tacita  magnos  manes  gaudia  pertentarint,  cum 
longis  seculorum  post  decurrentibus  orbibus,  ex 
sua  stirpe  augustissimum  germen  exortum  sit,  quod 
lantani  rerum  summam  adeptus  est,  ut  ejus  di- 
tionis  id  Regnum  particula  videretur,  in  quo  ii 
summis  potentes  opibus  poUentesque  regnarunt. 
Quid  igitur  est,  quod  Tibi  a  nostris,  supra  solita 
boni  civis  officia,  hanc  miram  benevolentiam,  in- 
credibile boc  studium,  liane  intensissimam  pieta- 
tem  conciliavit?  num  Tua  Majestas?  at  meram  tre- 
niimus:  an  nostra  amoris  abundantia?  at  tuum  est 
infra  meritum:  an  fortuna?  at  ea  in  animos  tam 
late  diffusum  et  aequabile  imperium  non  obtinet. 
O  viri  sapientes,  qui  id  maximopere  exoptabatis 
in  vita,  ut  amabilissimam  virtutis  imaginem  bo- 
niines  oculis  suìs  videre  possente  o  quam  vellem, 
hic  praesentes  Inter  nos  ageretis;  nam  de  pulcher- 
rimo  nostri  Principis  corpore  pulchriores,  quam 
dici,  aut  fingi  possunt,  niiraremini  provenire  vir- 
lules;  quin  si  natura  modo  dissimularetur,  certe 
virtutem  ipsam  tali  corporis  babitu  putaretis  in- 
dutam ,  qualem,  ut  nostra  fert  religio,  ex  aetbere 
purissimo  caeli  mentes,  ubi  lubet,  sibi  conformant 
'et  aptant.  Nam  et  ab  decoro  bonestae  fiiciei  vul- 


ORAZIONI    ED    ISCRIZIONI  2'ÌJ 

tu,  concinnoqiie  civilium  uiembromm  commeiisu 
formam  supra  quam  feminae,  ah  artnurn  nervo- 
rumque  firruitate  vim  supra  quam  homiiiisj  ab  prae- 
claris  regiorum  officiorum  exemplis  virtutem  supra 
quam  viri  suspiceretis:  O  rerum  omnium  auctor, 
et  efformatrix  natura!  quam  bene  per  te  factum, 
provìsumque  fuit,  ut  qui  novum  rerum  ordinem 
in  terris  erat  explicaturus,  eum  ad  talera  animi  cor* 
porisque  formam  effingeres,  ut  oculorum  sensui  ob» 
viam  faceret  imaginem  speciemque  virtutis,  qua 
homines  excitati,  capti,  infiammati,  non  vi,  sed 
sponte  sua  ad  optìma  vitae  instituta  revocarentur. 
Jam  video  Te,  Augustissime  Rex,  intelligere,  in 
quo  verser  loco  mihi  difficili,  Tibi  gravi,  hoc  est, 
de  Tuis  virtutibus  me  esse  dicturum.  Sed  quam- 
vis  hic  tua  erubescat  modestia,  ea  adeo  non  me 
ab  incoepto  deterret,  quin  impellit,  ut  istinc  ala- 
cer  prima  sumam  exordia.  Nam  sive  virtus  sit, 
sive  virtutis  color,  certe  pudor  praeclarissimum 
est  tuae  divinae  indolis  specimen,  ceterarumque 
tuarum  virtutum  maximum  documentum.  Ecquis 
sane  temperet  laudibus,  cum  cujus  legibus  innu- 
meri populi  ac  gentes  parent,  qui  supra  leges  emi- 
net,  cui  quicquid  placet,  ahit  in  jussa  legum;  eum 
viderit  vel  ad  importunas  supplicum  preces,  vel 
ad  opportunas  Procerum  suggestiones  erubuisse? 
An  quis  Te  major  adest,  cujus  Te  pudeat?  Certe 
majorem  Te  videt  Sol  nenìinem.  Cujus  igitur  pu- 
det?  Tui  ipsius.  0  robustissimum  argumentum:  Te 
illum  esse,  qui  id  solus  agas,  quod  ageres  corani 
sole!  Sed  cujus  rei  pudet,  ubi  nullum  abs  Te  pec- 
catum?  irritum  Tui  pudorem  putare  nefas.  Igitur 
lam  perfecte  vitam  instituisti,  ut  ab  ea  errasse  le^ 
gum  dominus  intelligas,  ubi  nos  legum  servitia  ni- 
hil  declinalum  putamus.  Ecquibus  humanae  virtu- 
tis exemplis  tuas  illustraverimus  laudes,  cum  viri 


aSo  PARTE  ir. 

virtule  gravissimi  eoruni  sibi  deiit  veiiiarn,  in  qiii- 
bus  Tute  tibi  non  parcas?  Enimvero  frustra  cona- 
rriur  humanis  Te  ìaudibus  exornare,  qui  unum  Te 
majorem,  vitae  exemplum  proposuisti,  Deum.  Idr 
que  adeo  tua  caelestis  erga  eum  pietas  confirmat, 
ut  statini  atque  ad  nos  perveneras,  luculentissi- 
mum  et  primum  virtutis  documentum  edideris: 
quum  non  longa  navigationis  incommoda,  non 
nova  urbis  facies,  non  frequentia  nobilitatis  officia 
Te  quicquam  morata  sunt,  quin  recta  in  regiuni 
Sacellum,  ac  pene  solus  concederes,  et  Deo  Opt. 
Max.  prò  secundo  appulsu  vota  singularl  exsolve- 
res  castitate.  Quantam  porro  Tui  adtnirationem  in 
animis  omnium  excitastij  et  quam  impensa  studia 
quolidie  in  Te  advertis,  ubi  Deum  adis,  et  Sa- 
cris  ades:  quae  dum  fiunt,  ad  Cbristianae  humi- 
litatis  exeinplar  compositus  ac  venerabundus,  non 
in  terrena,  ut  magnifica,  ut  cospicua  aciem  diri- 
gis  oculorum,  sed  unum  Deum  contemplaris:  non 
alia  dicis,  quam  bona  verba.  Itaque  gravius  per 
Te,  quam  per  Sacerdotum  quemlibet,  vel  Ponti- 
ficum,  Deum  edocti  sumus:  cum  a  Te  Regum  ma- 
ximo  tanta  cultum  religione  videamus.  Unde  enim 
id  emanatj  nisi  quia  proxime  Deo  accedis,  optime 
noscis,  et  quantum  noscis,  tantum  etiam  venera- 
ris?  O  pietas  aeternis  ìaudibus  decoranda,  quot  ex 
te  aliae,  quantaeque  nostri  Principis  virtutes  ve- 
lati rivi  ex  sacro  fontis  capite  derivantur!  bine  illa 
incredibilis  ternperantia,  clementia  admirabilis,  prae- 
dicanda  facilitas,  invicta  animi  celsitas,  justitia  sin- 
gularis.  Nonne  dignum  immortali  gloria  deputemus, 
quem  prò  Italiae  salute  ac  tranquillitate  suo  ductu 
imperioque  decertaturum,  connubii  adhuc  fumantes 
laedae,  aetate  florentem,  Ludovicae  Mariae  novae 
nuptae  amantissimum,  a  praeclarissimo  incoepto 
attinere  nequiverant?  Quanta  istic  claret  tua  Rei- 


ORAZIONI    ED    ISCRIZIONI  23l 

publicae  diligeiiLia,  Philippe,  qui  prius  pace  Re- 
gnum,  deinde  sobole  Regiarn  fandare  studeas?  quod 
animi  in  cupiditates  imperium  euiinet?  Id  certe  ra- 
tionis  regnum  homines  agitarent,  nisi  earn  vitium 
labefactasset  orìginis  ;  et  tnm  liberis  darent  operam, 
cum  sit  opus.  Sed  ncque  id  unum  est  tuae  incre- 
dibilis  temperantiae,  ncque  primum  exemplum.  Nam 
quolidie  tuis  adsumus  prandiis,  tuasque  spectamus 
coenas,  unde  quis  enarret ,  quam  bona  virtutis  fruge 
expleti  discedimus?  non  enim  longa  ferculorum 
pompa,  non  raachinosae  epularum  struices  in  ocu- 
lorum  fastum  ornantur*  non  fracta  symphonia  per- 
sonat  j  non  parasitorum  scommata,  non  scurra- 
rum  dicacitates  aures  irritant;  sed  regia  ciborum 
frugalitas  ditat  mensas,  modestum  silentium  exhi- 
larat:  ncque  discinctus,  aut  solcatus  accumbis,  sed 
juxta  ac  in  aciem  descensurus.  Tu  Tibi  structor. 
Tu  Tibi  carptor  non  in  multum  dici  noctisve  Te 
invilas,  sed  per  brevissimum  tempotis  spatium  in- 
nutriris:  aurei  seculi  prandia!  o  lieroicorum  tera- 
porum  coenae!  in  quibus  non  quam  multum  vo- 
luptati,  sed  quam  parura  naturae  satis  sit,  satisfiat: 
et  Inter  regias,  nedum  liberales  mensas  victus  ma- 
gis  capiatur,  quam  cibus.  Nam  i!le  Bacchi  modus 
quam  adrairandus?  quem  puri  fontis  latices ,  ac  ne 
hi  quidem  ipsi  refrigerati  (moribus  alioqui  proba- 
tae  deliciae)  perdunt  magis  quam  temperanti  Vos 
huc,  vos,  Viri  Sapientes,  accerso  :  suntne  vestrae 
coenae  cum  bis  regiis  comparandae,  ubi  non  ar- 
gutulis  verborum  tricis,  sed  miris  rerum  exemplis 
vitae  moderationem  Potentissimus  Regnator  edo- 
ceat?  Et  tamen  quid  majus  instat,  quod  Te  ad 
mensam  exhibet  huraana  specie  augustiorem,  cum 
qui  ad  id  virtutis  spectaculum  frequentissimi  fere 
semper  conveniunt,  ita  eorura  oblecteris  corona; 
ora   et  vultus   tanta  oculorum   diligentia  et  sedu- 


232  PAIITE    II. 

litate  intuearis;  et  in  eo  sensu  nisi  Lotus ,  ila  certe 
plurimus  occuperis,  ut  nihil  animi  tui  possit  su- 
perare gustatum.  O  Principem  modestissimura,  qui 
epulas  non  sumptuositate,  sed  Tui  publicitate  ma- 
gnificentissimas  exhibes!  O  vita  scilicet  Regia,  quae 
in  conspectu  agitur  populorum!  Itaque  Tua  victus 
temperantià  haud  minorem  spectavimus  somni,  le- 
ctique  modestiam.  Te  namque  vidimus  (futura  aetas 
crede  narrata,  nani  vidimus)  meridiantera  quiete 
magis,  quam  sopore;  cubantem  sopore  magis, 
quam  somno  capi.  Numne  id  efHcìt  moderatio  ci- 
borum?  Sed  nec  venatio  (quam  belli  effigiem  saepe 
ludis  proximiis  Imperator)  labore,  aut  lassitudine 
somnum  Tibi  quicquam  graviorem  accersit.  Quid 
igitur  est,  nisi  ignea  et  vivax  vis  animi,  ocii  im- 
potens,  et  ignara  desidiae?  Sed  an  aulaea  distin- 
cta  gemmis,  pegmata  in  admirationem  extructa, 
aurea  fulcra  in  leones  aut  aquilas  conformata ,  pul- 
vinaria  ex  peregrinarum  avium  infarcita  pennis,  et 
quae  alia  naturae  infirmitates  fecere  delicias,  Tibi 
lectum  instruunt  et  adornant?  0  in  summa  pote- 
state  rerum  admirabileni  rerum  modum!  Cui  Pe- 
ruanum  Mexicanumque  Regnum  infinitam  auri  ar- 
gentìque  vim  conflat  ac  ferit^  cui  Gangeticus  sinus 
uniones  ac  gemmas  profert;  cui  innumerae  manus 
artes  in  tot  regnis  late  florent  ac  vigent;  ejus  quasi 
caelibis  lectulum  modestissimo  cultu  stratum  vidi- 
mus mirabundi.  Sed  tantae  tamque  mirae  mode- 
stiae  quantae  item  et  quam  rarae  addunt  se  co- 
mites  facilitas  et  cleraentia!  quando  et  illustri  et 
obscuro  loco  nati  promiscui  ad  Te  adeunt:  pre- 
ces  fundunt  permixti:  indiscreti  tuam  potenteni 
adorant  manum:  nec  tenuiores  proceribus  fortu- 
nam  invident;  nec  proceres  tenuioribus  impertitum 
dedignantur  honorem:  ita  omnes  incredibili  tua  ex- 
ples  benignitale,  Cuique  ad  Te  penetrare  licet,  dum 


ORAZIONI    ED    ISCRIZIONF  233 

velit:  omnes  tua  clemenlia  adniiltit:  Tua  innocenlis 
securitas  submovet  neminern.  Non  adeunti  dedu- 
ctor  quaerendus  est:  non  commendator  precanli: 
non  deprecanti  patronus.  Quamobrem  Aula  ad  Tui 
exemplum  in  summani  humanitatem  conformata, 
facilis,  ita  universis  patet,  ut  Tibi,  O  Rex  clemen- 
tissime,  qui  talem  in  Regno  patriae  curae  simili- 
tudinem  refers,  ut  merito  Nationum  Parentem  ap- 
pellare Te  liceat.  Atqui  tuam  istam  tantam  man- 
suetudinem,  ut  rara,  ut  praeclara  invicta  animi  et 
ardua  celsìtas  excipit,  qua  cuncta  sublimia  supe- 
ras,  omnia  excedis  excelsa!  Quid?  tuus  ille  mos 
gravissimus,  ut  nihil  mireris  Iiumana;  annon  id  est 
expressissiraum  vultus  Sapientiae  lineamentum?  O 
quam  admirabilis  in  Te  est  nexus  et  catena  vir- 
tutum!  Nihil  magnum,  nihil  novum,  nihil  insigne 
Te  percellit,  quod  cuncta  sublimi  animo  magni- 
ficentiora  praeveneris.  Sed  nec  ea,  quae  prò  tua 
non  sunt  dignitate,  forte  fastidia,  aut  despicis: 
quin  prò  tuae  magnitudinis  modo,  quae  Te  non 
digna  sunt,  soles  tua  dignatione  dignare.  Quid  si 
quod  amplissimum  es  adeptus  Imperium,  infra  Te 
putes?  Nam  quid  aliud  sibi  volunt  illa  maris,  quae 
subis  pericula?  illa  navigationis,  quae  perfers  in- 
commoda?  durum  vitae,  quod  instituis,  genus  in 
castris?  Certe  non  aliud  evincunt,  quam  quod  non 
tam  pulchrum  Tibi  sit,  in  Imperio  vivere,  quam 
prò  Imperii  salute  pati:  et  summae  rerum  prae- 
esse,  humanumj  perturbationum  regnum  agitare, 
divinum  putes.  Sed  quis  par  est,  ut  prò  merito 
dicat,  quanta  insit  in  tuis  rescriptis  justitia?  in 
consiliis  prudentia?  in  sermone  gravitas,  et  quod 
magis  est,  in  ipso  aetatis  flore  consummatissi- 
ma?  O  quam  falsos  experti  sumus  Philosophos, 
qui  in  juventa  solam  virtutis  indolem  laudari  posse 
existimarunl!  Hominibus  quidera   vulgo   sera  vir- 


234  PARTE    II. 

tus  venit,  ut  quibus  ex  graviore  luto  natura  finxit 
vehicula  virtutìs  praecordia:  Tibi  vero,  qui  ab  caelo 
ducis  originem,  ex  purissimo  mobilissimoque  ae- 
there  conforma vit:  ita  ut  non  tam  annos  praecoci 
sapientia  praevertas,  quam  maturam  virtutem  velo- 
cissimo comiteris  ingenio.  O  rerum  gestarum  scrip- 
tores,  quae  vobis  praeclara  et  ampia  pacis  bellique 
argumenta  Pbilippus  processu  aetatis  praebebit, 
quem  tot  laudes  ab  viris  virtute  summis  afTecta- 
tissimae,  ultro  vixdum  piene  pubereui  anteveniunt! 
Hac  igitur  corona  virtutum  gemmis  conserta  cae- 
lestibusj  hoc  syrmate  honestatis,  divini  solis  picto 
coloribus,  priusquam  regalibus  ornatura  insignibus. 
Te  nobis  conspicuum  demonstrasti  :  an  id  ut  osten- 
dereSj  Te  maximo  Imperio  fuisse  dignum,  ante- 
quam  imperares?  Nostra  aetate  minores  ex  hoc 
inteUigite,  posteri,  quantum  inter  Philippum  et 
Carolum  V  aliosque  nostros  optimos  Principes  in- 
terfuerit:  siquidem  ii  Urbem  NeapoHm  non  prius 
ingressi  sunt,  nisi  instructa  majestate  venerandi, 
ut  Principis  reHgio  suis  adderet  virtutibus  decus: 
Hic  privatim  adit,  ut  suis  hominis  virtutibus,  Prin- 
cipis augeat  dignitatem.  Ecquis  sane  referat  he- 
sternae  dici  candorem,  lumen,  laetitiam,  qua  regali 
per  Urbem  pompa  Rex  Augustissimus  equitasti? 
Praeteream  aulaea  auro  sericoque  contexta  ubique 
praetenta:  sileam  temporarios  arcus  prò  Guriis  ma- 
gnificenter  extructos:  taceam  titulos  ingeniosissime 
Tibi  inscriptos:  missos  faciam  equos  indole  tum 
maxime  generosa  ditissime  phaleratos:  confertas 
puerorum  et  splendide  instructas  farailias,  militum 
acies,  quacunque  processurus  eras,  extenuatas.  Quis 
enumeret  Proceres,  eorumque  ornatus  ac  magni- 
ficentiae  modum  describat?  quot  cives  ex  Regni 
municipiis,  ac  praefecturis  confluerint?  quot  viri 
Principes,   ac  Legati   ab  Italia    convenerint?  qui 


SCRITTI    SCIENTIFICI  235 

amplissimi  Romani  Principis  Senatores  candenti 
ostro  nitentns  coierint?  lionestissimas  matronas 
gemmis  auroque  graves,  Magistralus,  Pontifices, 
Sacerdotes  quis  unquam  recenseat?  Et  in  tanta 
hominum  copia,  virorum  lamine,  rerum  splendo- 
re, in  viis,  de  aedium  fenestris,  de  tectorum  fa- 
stìgiis,  Tu  omnibus  unus  totum  raagnificentiae  spe- 
ctaculum  in  ea  pompa  exhibebas:  et  quacuraque 
procedebas,  ita  omnium  in  Te  unum  advertebas 
obtulus ,  ut  dicere  non  dubitem ,  eo  die  Te  suis 
oculis  Italiam  gestavisse.  Quae  tum  omina  Tibi 
Pio  Felici  Augusto  concepta!  Quae  vota  Tibi  ho- 
stes  debellaturo  nuncupata!  Quas  in  laudes,  quo- 
que impetu  laetitia  simulationis  ignara  prorupit! 
ut  illam  tralatitiam  Regum  Decus ^  illam  celebrem 
Incrementum  Regnorum,  usitatam  illam  Catholi- 
cae  Religionis  Praesidium,  crebrara  illam  et  ma- 
xime usurpa tam  Universa  Hilaritas  ex  tuis  mis- 
silibus  desumptam  audiveris.  ■ 

Atque  ulinam  Deus  fecisset  immortalis,  ut  mihi 
hic  tanta  vis  dicendi  suppeteret,  tam  uberes  elo- 
quentiae  fonles  erumperent,  tanta  copia  supera- 
ret,  ut  quot  quaiitisque  beneficiis  hanc  Givitatem, 
hoc  Regnum  ornaris,  auxeris,  cumularis  vel  pres- 
sissimo  stylo  complecti  possem!  Qui  principio  ad- 
veniens  illa  Patriciorum  ordini  praeter  spem,  prae- 
ter  fidem  benefacta  promulgasti,  ut  Neapolitani 
D.  Johannis  Equites  Neapolitanae  classi  Duces,  ac 
Praefecti  imponerentur:  etGadibus,  Hispaniarum 
claustris,  vir  bine  Patricius  praeesset  ex  ordine. 
Mox  ut  siguificares,  quanti  Nobilitatis  faceres  fi- 
dem, Neapolitanam  equitum  dudum  scriptam  le- 
gionem  ilio  incredibili  benefìcio  decorasti,  ut  et 
iis  Praetorii  custodiam  concrederes,  et  ipsis  tur- 
niarum  Ducibus  Praefecti  optionem  remitteres.  Hinc 
quo  rusticae  plebes  et  multitudo  urbana,  qui  Te 


2  36  PARTE    II. 

maximum  colimi,  Optimum  etiam  sentirent,  uno 
edictOj  plebi,  populoque  Neapolitano  diuiidium, 
quod  prò  frumento  penditur,  vectigal  remittis:  et 
ùniversitates  Civium  tributorum  reas,  novis  prò- 
positis  tabulis,  ingenti  aere  per  totum  Regnura 
universas  absolvis.  Nec  tua  beneficentia  terris  tan- 
tummodo  terminatur,  quin  in  Gaelum  etiairi  ca- 
put inferii,  qui  Divo  Januario,  nostro  majorum 
gentium  Indigeti  universae  Hispaniensis  Monarchiae 
tutelam  permittis,  ac  patrocinium:  et  mira  rerum 
conversione  beneficii  collationem,  in  opis  implo- 
rationem  commutas.  At  enim  quae  Tua  benignitas 
non  fìnitur  loco,  ea  nec  tempore  coèrcetur  :  qui 
noxios  criminum  labe  lustras,  et  innocentiae  re- 
stituis:  obaeratis  solvendi  diem  amplias,  et  eo- 
rum  inlegras  fìdem:  cuncta  legum  beneficia  a  de- 
cessoribus  collata  Regibus  sanctissìme  rata  jubes: 
et  universa  ab  hoc  Regno  constituto  aliorum  be- 
nefacta  Tu  una  liberalitate  complexus  es.  Itaque 
in  nos  tuis  beneficiis  exornandis  ipsam  Regni 
majestatem,  si  fas  est  dicere,  profundere  videaris: 
nam  ut  fortunae  adversis  occurras,  leges  relaxas: 
ut  conscientiae  labes  deleas ,  fasces  dissolvis  :  ut 
laetiorem  agrorum  facias  cultura,  Fiscum  demi- 
nuis:  ut  domi  abunde  sint  necessaria  vitae,  mi- 
litare aerarium  attenuas:  ut  foris  ad  virtutem  mi- 
lites  excitentur,  iis  Te  ipsum  donas.  Itaque  omnia 
Te  Optimo  piena.  Terrae  defatigatae  jam,  alleva- 
tis  tributis,  ab  aratro  quiescunt:  et  boves  per  prata 
palare  sejugos,  et  sponte  telluris  luxuriare  segetes 
sub  umbra  spectat  desidiosus  agricola.  In  tenui 
cujusque  lare,  relaxalà  annona,  pueri  circum  pa- 
rentes  cariores  dant  jocos,  laetaeque  Gereris  dona 
ludunt.  Tuo  beneficio  divincti  noxii,  innocentio- 
rem  induunt  mentem  :  aere  diruti ,  luxum  exuunt , 
et  desidiam:  rnilites  Tui  custodia  superbiunt:  pa- 


ORAZIONI    ED    ISCRIZIONI  287 

galli  tua  magnìfìcentià  rem  cumulant:  sacra  tua 
religione  gaudenti  Tui  laetitià  profana  gestiunt: 
privatae  res  tua  praesentià  instauranlur  :  tua  au- 
ctoritate  publicae  confirmantur.  Ecquà  unquam  via 
tuam  in  uos  beneficentiam  occludis?  Tuo  augusto 
spectaculo  oculos  recreas:  tuis  laudibus  aures  per- 
mulces  :  tua  bilaritate  corpora  reficis:  tuis  exem- 
plis  ad  virtutes  excitas  animos.  Majestatem  bue 
intulistij  et  Urb.s  augustior  facta  est:  bumanitatem, 
clementianij  probitatem  ad  nos  importasti,  et  Gi- 
vilas  beatior  evasit:  delectatus  es  indole  civium, 
generosior  prodlit:  Neapolim  Te  dignam  putasti, 
et  in  Regiam  Orbis  terrarum  abiit  celeberrimam. 
Qua  igitur  digna  ratione  tam  expositae,  tara 
obviae,  tam  bonorificae  beneficentiae,  quantum  est 
raeritorum  momentum,  tantum  possimus  agere  gra- 
tiarum?  Certe  in  eo  Te  fastigio,  Philippe,  Deus 
Opt.  Max.  collocavit,  ut  referre  grates ,  si  fieri 
posset,  id  ipsum  superbum  sit  et  ingralum.  Sane 
id  est  tuae  liberalitatis  pretium ,  ut  cum  in  quos 
eam  conferas,  semper  apud  eosdem  solida  inte- 
graque  sit  gratia,  eam  Tibi  agere  juxta  sit,  ac 
debere.  Igitur  quando  gratiis  referendis  opes,  agen- 
dis  verba  non  suppetunt,  sallem  tantae  beneficio- 
rum  moli  par  esset  nobis  vastitas  animorum,  ut 
possemus  nabendo  concipere.  Nibilo  tamen  minus 
si  non  ut  decet,  at  uti  licet,  si  non  ex  merito 
dignas,  at  prò  officio  veras  agimus  grates  vobis, 
sanctissimae  leges,  quae  Hispanìcum  ita  fundastis 
Imperium,  ut  Regnorum  successionem  natura  di- 
rigeretis:  grates  Tibi,  recepta  Cacio  mens,  Ca- 
role II,  qui  tuo  supremo  elogio  quem  regnorum 
jura  ad  successionem  vocabant,  eum  tua  designa- 
tione  accersisti:  grates  tuae  foecunditati,  jam  in- 
ter  sydera  allecta  Maria  Anna  Christina,  quae  et 
Hispanico  et  Gallico  Imperio  Regni    subsidia  pa- 


a38  PARTE    II. 

rasti:  grates,  Tibi,  Ludovice  Magne,  qui  Pliilippum 
agnoscere  snccessionem  voliieris,  ilio  universo  ler- 
rarum  Orbi  salutari  jussu,  quo  indoies  visus  es 
commutasse  virtutum:  et  cum  maximam  Borbonio 
Domino  Monarchiam  quaesivisti,  tum  maximum  de- 
disti  moderationis  exemplum  :  grates  denique  Ti- 
bi,  Regum  dator,  Deus  Opt.  Max.,  qui  ita  Regno- 
rum  vices  ab  anteacta  temporum  aeternitate  regis 
ac  temperas,  ut  hodie  per  Te  Philippus  regnaret. 
Dedisti  Regem,  regno,  omnium  salus,  conserva: 
parasti  Regnum  Regi  5  fortuna  bellorum,  aspira: 
maximum  Imperium  servasti,  Optimum  Regem  le- 
gisti; aeternitatis  Parens,  aeterna. 

''■■  I. 

f-'V  PHILIPPO  V 

rh^iiHISPANIARVM  REGI  OPTIMO  AG  POTENTISSIMO 
Pf>tir,^  ;fff|5         ET  ELISABETHAE  FARNESIAE 

FELICI  FOEGVNDITATE  REGINAE 
QVOD 
T.r.     .  TRES  FILIOS  MARES  EDIDERINT 

QVO  REGIA  BORBONIORViM  DOMVS 
PLVRIBVS  FVNDAMENTIS  INSISTERET 
ET  ITALIA  lAM  VNVM  HABET 
...    ,  .    .g^^QLVM  NEAPOLIS  ET  SICILIAE  REGEM 
<virmm   v*v  >      POPVLORVM  DELICIVM 
ET  PHILIPPVM  ALTERVM 
PROMPTIS  GENTIVM  OBSEQVIIS  lAM  MOX  EXPEGTAT 
ITALIA,  GALLIA,  HISPANIA 
CONGEPTIS 
^QVAESITISSLMAS  GRATES  VNA  FORMVLA  VERBIS  AGVJNT 


■  .•  I  ì    ;  1  ■ 


ì 


ORAZIONI    ED    ISCRIZIONI 


IL 


PHILIPPO  BORBONIO 

REGIO  PRINCIPI 

QVOD 

LAETIS  OMINIBVS 

EX  LVDOVICO  ISABELLA 

GALLIARVM  REGIS  PRIMVM  NATA  FILU 

REGIAM  PVELLAM  SVSCEPERIT 

ET  AVGVSTA  SOBOLE  PARARI  COEPTA 

SIRI  POSTERISQVE  SVIS 

SIT  ITALIAE  PRINCIPATVM  AVSPICATVRVS 


339 


III. 


MAGNVM  AVGE  ANIMVM 

ET  MAIORES  SPIRITVS  LNDVE 

PHILIPPE  BORBONIDE 

QVOD 

REGIAE  PVELLAE  EX  TE  RECENS  NATAE 

CVM  SVIS  QVAEQVE  PROPRIIS  MVNERIBVS  ADFVERINT 

IVNO 

REGNA  ET  PROVINGIAS 

MINERVA 

SAPIENTIAM 

VENVS 

CHARITES 

PROFERENTES 

VT  FORTVNA  ET  VIRTVS 

MAIESTAS  ET  AMOR 

COMITES  EI  ANCILLARENTVR  IN  VITA 


•^, 


DELLE 

CENE    SONTUOSE   DE'  ROMANI 

LEZIONE  ytCCADEMICA 

RECITATA    AVANTI    IL    DUCA    DI    MEDINA-CELI 
VICERÉ     DEL     REGNO     DI     NAPOLI 

La  più  splendida  e  luminosa  lode,  Eccel- 
lentissimo Principe,  che  io  della  grandezza  ro- 
mana abbia  letto  giammai,  se  non  vado  errato, 
mi  sembra  quella  che  proprio  fosse  della  maestà 
di  Roma  aver  in  sua  ragion  la  fortuna,  e  come 
più  le  fosse  in  grado  a'  popoli  e  nazioni  donarla. 
Ma  di  questo  elogio,  che  alla  Romana  Repubblica 
nel  suo  più  alto  stato  Sallustio  scrisse,  altro  e 
più  grande  e  più  magnifico  estimo  doversele  da- 
re, dopo  che  la  città  lume  del  mondo  dello  in 
tutto  fu  spenta,  che  la  grandezza  romana  della 
sua  total  rovina  fece  più  fortunata,  lecito  mi  sia 
dire,  la  sua  fortuna.  E  di  vero  alla  fortuna  di 
Roma  distrutta  attribuire  oggi  si  dee  che  V.  E. 
sia  tanto  vaga  d'esserne  ragguagliata  quanto  altri 
mai,  e  dare  al  grande  imperio  seggio  assai  più 
glorioso  de'  Sette  Colli,  nella  vostra  alta  mente. 
Adunque  non  vi  rechi  meraviglia.  Eccellentissimo 
Signore  (se  pur  cosa  alcuna  meraviglia  vi  reca), 
che  dopo  averne  ascoltate  le  imprese  de'  principi 
più  famose,  oggi  che  per  vostra  pregiatissima  gra- 
zia a  me  tocca,  in  questo  luogo  onorato  e  rive- 
rito tanto,  la  prima  fiata  di  dire,  abbiami  scelto 
tessere  una  diceria  delle  Cene  sontuose  de'  Ro- 
mani. È  l'argomento  per  sé  ameno,  ma  però  molto 
inferiore  di  voi,  e  per  conseguenza,  dove  abbiate 
dalla  sua  propria  altezza    ad  inchinare  la  vostra 


PAUTE  II.  ORAZIOI^I  ED   ISCRIZIONI  2^1 

divina  mente j  con  tutto  ciò  io  spero  che  le  gio- 
condità delle  cose  che  aranno  a  dirsi,  manter- 
ranno pur  piacevolmente  per  brieve  tempo  i  vo- 
stri sublimi  pensieri  fuor  di  lor  stato. 

10  estimo  che  la  ragion  delle  Cene  sia  egli  com- 
piutamente descritta  ed  ispiegata,  se  a  questi  quat- 
tro capi  la  ridurremo:  tempo:  luogo:  apparecchio: 
ed  ordine  di  cenare. 

L'ora  destinata  alla  cena  era  la  nona  romana, 
quando  F  amorosa  stella  di  Venere  avendo  di  già 
sommerso  nel  mar  d'Atlante  il  Sole,  spiega  i  suoi 
chiari  e  ridenti  raggi  sopra  il  nostro  orizzonte, 
ora  degnamente  scelta  a  ciò  fare;  perchè,  affatto 
sciolti  da  ogni  altra  cura,  i  corpi  e  gli  animi  rin- 
francassero dalle  fatiche  e  sollecitudini  che  por- 
tan  seco  gli  affari  del  giorno.  E  quantunque  appo 
alcuni  latini  scrittori  facciasi  menzione  de'  pran- 
zi, eh' è  cibo  che  a  mezzogiorno  si  prende,  certa 
cosa  egli  è  che  non  furon  essi  da' più  antichi  co- 
nosciuti, che  non  solevano  se  non  una  sola  volta 
il  giorno  cibarsi.  E  con  tutto  che  fossersi  ne' 
tempi  vicini  al  principato  i  pranzi  di  già  intro- 
dotti, non  eran  essi  però  se  non  molto  moderati. 
Imperciocché  pranzavano  soli  (  lo  che  non  mai 
usavan  di  fare  nelle  cene);  e  T inverno,  come  Gelso 
avvisa,  mangiava!!  qualche  cosarella  senza  carne 
o  bevanda;  l'està  però,  per  lo  lungo  tratto  del 
giorno ,  un  po'  di  carne  talora  e  qualche  bevanda 
eran  usi  di  prendere. 

11  luogo  eletto  per  le  cene  era  il  più  alto  delle 
case,  che  indi  era  detto  cenacolo.  Gli  uomini  però 
che  di  ricchezze  e  di  splendore  abbondavano , 
avevano  essi  in  una  sola  casa  di  più  cenacoli, 
imperciocché  Cicerone  e  Pompeo  presi  un  giorno 
da  vaghezza  di  sapore  all'improvviso,  come  gior- 
nalmente si  trattasse  nel  cenare  Lucullo,  abbat- 
te 


242  PARTE    II. 

tendosi  in  lui  per  avventura  sulla  piazza,  il  sa- 
lutano e  gli  addinianflano  la  cena,  e  sì  dicono: 
Però  vedij  Lucullo,  di  non  mandar  messaggiero 
innanzi,  perciocché  non  ci  piace  che  per  noi  spesa 
alcuna  si  faccia.  —  Lucullo  facendo  sembiante  di 
ricusare,  priegava  i  due  grandi  amici  che  si  con- 
tentassero il  giorno  appresso  venir  seco  a  cena- 
re; e  come  quello  che  nort  potette  impetrarlo, 
soggiunse:  Almeno  lecito  mi  sia  dire  ad  uno  schia- 
vo, in  qual  cenacolo  dobbiamo  cenare  sta  sera; 
—  e  fattagli  di  ciò  licenza.  Va,  disse  ad  uno, 
e  dì  che  io  voglio  cenare  in  Apollo:  — »  ed  in- 
contanente li  menò  a  casa,  dove  ritrovarono  con 
lor  meraviglia  un  apparecchio  sopra  ogni  lor  cre- 
denza lauto  e  reale*  non  sapendo  essi  che  Lu- 
cullo, uomo  di  erudito  lusso,  avea  più  cenacoli 
in  certi  nomi  distinti,  che  proferitone  uno,  il 
dispensiere  ed  il  cuoco  sapessono  che  è  quanto 
facesse  di  mestieri  alla  cena;  e  la  somma  a  quel 
di  Apollo  tassata  era  cinque  mila  ducati. 

Contenevasi  il  cenacolo  in  più  parti;  cioè  cu- 
cina j  dispensa,  vivajo,  peschiera,  libreria.  Ma  che 
hanno  a  fare  i  libri  co'  bicchieri?  Il  dirò.  Aveano 
in  costume  gli  Antichi  di  proporre  dopo  cena, 
e  talor  tra  '1  cenare,  alcuna  dilettevole  quistione 
])er  cibar  tutto  l'uomo,  cioè  il  corpo  coi  man- 
giari ,  r  animo  con  le  cognizioni;  laonde  per  rin- 
contrare alcuna  autorità  confacente  a  solvere  i 
dubbj  tra  '1  discorrer  nati,  facea  di  mestieri  aver 
pronta  la  copia  de'  libri  presso  a  quel  della  ce- 
na: in  altra  stanza  a  rimpetto  a  quella  del  ce- 
nare, come  ritraggo  da  Seneca,  si  spiegava  il  ri- 
posto delle  mense,  delle  credenze,  de'  vasi  e  de' 
fercoli,  che  leggiadramente  in  lingua  itahana  ap- 
pellaron  Trionfi.  Poco  magnifiche  riputavansi  dal 
romano  lusso  le  tavole  di  oro  non  che  di  argen- 


ORAZIONI    ED    ISCRIZIONI  2^3 

to;  perchè  se  alcun  perdere  le  volesse  in  un  trat- 
to, non  le  potea  ,  poiché  pur  preziosi  ne  rima- 
nevan  gh  avanzi  j  onde  a'  tempi  di  Nerone  fin 
dall'Oceano  Indiano  si  portarono  le  corteccie  delle 
testudini ,  delle  quali  in  sottihssime  foglie  segate 
ne  ricovrivano  non  solle  mense,  ma  le  credenze 
e  i  letti  da  cena;  e,  come  Seneca  accenna,  gli 
artefici  le  medicavano  in  guisa,  che  perdendo  il 
lor  proprio,  acquistassero  il  color  del  legno  che 
ricoprivano,  e  farlo,  come  oggi  la  vernice  chine- 
se,  nitido  e  risplendente.  Materia  pregiata  fu  an- 
cor l'avorio  ;  ma  sopra  tutto  preziosissima  egli  fu 
la  radice  del  cedro,  di  cui  tanto  salse  il  valore, 
che  adeguava  quel  dell'oro  e  delle  perle;  e  de- 
cantate son  quelle  due  mense,  delle  quah  una  ne 
comperò  Cicerone  a  prezzo  che,  come  dice  Se- 
neca, assorbiva  il  patrimonio  d'un  senatore  ro- 
mano, cioè  venticinque  mila  scudi;  e  l'altra  da 
Asinio  Gallo  altrettanto:  onde,  poiché  fu  cotanto 
ammirata  la  radice  di  questo  arbore,  che  la  na- 
tura a'  soli  tempi  della  romana  sontuosità  stimò 
degna  produrre,  mi  par  bello  (se  non  mi  dilet- 
tano le  mie  cose)  narrarne  in  brieve  la  storia. 
Nasceva,  come  Phnio  e  Teofrasto  scrivono,  sopra 
altissimi  e  freddi  monti  della  Mauritania,  e  parti- 
colarmente sopra  l'Atlante  :  egli  era  altissimo  e 
dritto  molto;  ne' rami,  nel  tronco  e  nelle  sempre 
verdi  fronde  somigliante  al  cipresso;  però  que- 
ste eran  coperte  da  una  molto  sottil  lanugine, 
della  quale,  adoperatavi  l'arte,  si  potevano,  come 
dalla  seta,  fare  le  vesti;  le  frutta  simili  ad  un 
granello  di  orzo,  che  prese  anzi  cena  preserva- 
vano dall'  ubbriachezza.  Della  radice  dunque  di 
( juest'  arbore  in  sottihssime  foglie  segata ,  come 
oggi  di  quelle  della  noce  e  dell'olivo,  ne  copri- 
van  le  mense;  il  color  di  esse  era  oscuro  nel  mi- 


^44  PARTE    U. 

dolio  e  mischio  nella  corteccia  ;  la  vena  crespa 
assai  j  die  o  con  un  lungo  tratto  imitava  la  pelle 
della  tigre ,  o  rotando  rassembrava  quella  della 
pantera,  o  ondeggiando  formava  la  coda  del  pa- 
vone (che  erano  le  più  belle),  o  finalmente  ser- 
pendo,  inchiodandovi  di  parte  in  parte  chiodi 
di  color  mischio  fatti  della  stessa  corteccia,  raf- 
figuravano la  lampreda.  Il  pregio  di  queste  mense 
nasceva  non  solo  per  esser  quelle  vistose  e  va- 
ghe, ma  eziandio  incorruttibih  ;  onde  ne  facevano 
anco  i  libri,  o  almeno  delFolio  di  essa  gli  unge- 
vano per  serbarli  eternamente  dal  tarlo  delle  ti- 
gnuole.  Or,  d'onde  uscì  ritornandola  diceria,  la 
forma  delle  mense  fu  quadrata,  appresso  ritonda, 
finalmente  a'  tempi  di  Vespasiano  lunata  ;  le  so- 
stenevano piedi  per  lo  più  d'  avorio ,  rappresen- 
tanti o  pardo  o  bone,  ed  abbisognava  che  nel 
riposto  ve  ne  avessero  di  queste  mense  almen  tre  5 
perchè  nel  finir  l' anticena  ,  la  prima  e  seconda 
tavola,  queste  si  toglievano  via,  e  succedevan  del- 
l'altre. Di  sì  fatte  materie  erano  gli  abaci,  o  le 
credenze.  Geta  figliuol  di  Severo  dispose  la  cre- 
denza per  gli  abaci  di  sorte  che  sotto  ciascheduna 
lettera  si  contenessero  le  vivande ,  i  nomi  delle 
quali  da  quella  lettera  cominciasseroj  come  sotto 
la  lettera  P  il  pollo,  il  pesce,  la  pernice,  il  pa- 
vone, il  porchetto,  il  prosciutto*,  e'I  deficato  vec- 
chio di  Petronio  ne  avea  disposto  una  così,  che 
rappresentava  il  zodiaco  e  le  dolci  case  del  So- 
le, e  (guatate  gola  ingegnosa!)  dentro  ciascuna 
di  queste  case  un  convenevol  cibo  si  riponesse. 
Ma  vegnendo  finalmente  a'  vasi,  il  vetro  suggel- 
lato e  '1  cristallo  impunto  di  Apulejo  imitavano 
i  nostrali  di  Boemia;  e  furono  i  vasi  di  cotal  ma- 
teria formati  tanto  in  pregio  appo  gli  Antichi, 
che  Nerone,  ricevuto  avviso   delle   sue   disperate 


ORAZIONI    ED    ISCRIZIONI  ^^.{^ 

cosc'j  in   quella    somma    rabbia ,   gittando  a  terra 
ruppe  due  bicchieri  ch'egli  sommamente  cari  te- 
nea,  dov'erano  intagliati  i  versi  d'Omero;  riflet- 
tendo in  ciò  Phnio  ch'egli  stimò   per  questa  via 
punire  il  suo  secolo  j  che  nìun  altro  ivi  bever  po- 
tesse: e  qui  non  so  se  si  debbia  riputare  di  Pe- 
tronio Arbitro j  o  piuttosto   di  Giovanni  Sarisbu- 
riesCj  quel  che   racconta  Trimalchione    del  vetro 
pieghevole j  e  che  resistesse    a'  colpi  di  martello, 
così  temprato  sotto  Tiberio  j  il  quale    avesse  per 
ciò  comandato  decollarsi  l'artefice,  e  darsi  il  gua- 
sto alla  sua  bottega,  acciocché  il  pregio   dell'ar- 
gento e  dell'oro  non  s'avvilisse.  Che  io  credo  per 
me,  la  scomunica  del  S.  Padre  appo  Graziano  ben 
istare  in  dosso  di  cotesti  Alchimisti   che    si  per- 
suadono poter  i  metaUi  per  artifìcio  umano  can- 
giar  natura.    Nobil   materia    de'  vasi    somministrò 
l'incendio  di  Corinto,  che  fondendo  argento,  oro  ed 
altri  metalli  insieme,  il  caso  tanto  ben   gli    con- 
fuse ,  che  delle  miserie  de'  Greci  ne  fecero  le  de- 
lizie romane.  La  Parthia  apprestava  loro  la  murra, 
pietra  vermiglia,  meravigliosamente  odorosa;  man- 
dava il  mar  di  Settentrione  l'ambra,  la  quale  imi- 
tavano anco    gli    orefici,    col   fonder   nell'argento 
una  quinta  porzion  d'oro;  avvegnaché  ci  ricrede- 
rebbono  i  Lombardi,  se  volessimo  darci  a  credere 
che  i  pioppi   del  Po   stillassero   ambra.  Solevano 
poi   distinguere  e  tempestare  i  vasi  di   preziosis- 
sime gemme,  come  appo   noi  le  sacre   pissidi,  o 
farli  lavorare  di  bassorilievo,  tra  quali  furon  ce- 
lebri molto  quelli  di  Mentore.  Le  forme   de'  vasi 
da  bere   eran   varie;   larghe   e   profonde   eran   le 
trulle;  a  guisa  di  nave  i  cimbj  e  gli  scifi;  a  cam- 
panello i  ciborj;  i  nestorei  di    due   fondi;  larghe 
e  piane  le  patere;    con   qualche  differenza  i  car- 
chesii;  ed  oltre  a  questi  i  calici,  le  pissidi,  le  la- 


a/jG  p  ART  li:   II. 

gene,  i  cantari ,  le  ampolle,  ed  altri  inliiiitij  de' 
quali  il  dottissimo  Baifio  un  intiero  libro  coiupose. 
I  piatti  di  varie  forme  j  come  oggi,  e  fra  le  altre 
capaci  di  portar  sulle  mense  intieri  i  cinghiali,  i 
porci,  i  vitelli. 

Ora  entriam  finalmente  nel  luogo  da  cenare, 
detto,  dal  numero  ordinario  di  tre  letti,  tricli- 
nio :  era  la  struttura  di  esso  a  volta ,  e  quello  del 
gran  palagio  di  Nerone  di  tavole  versatili,  sopra 
le  quali  eran  ancora  menati  i  condotti,  acciocché 
rivoltandosi  quelle,  ed  aprendosi  questi,  rovescias- 
sero sopra  le  mense  fiori,  e  nelle  vivande  odorati 
unguenti,  la  copia  de' quali  faceva  fra  le  altre  cose 
sontuoso  il  convito;  di  che  eran  sì  vaghi  i  Roma- 
ni, che  ne  ungevano  la  fronte,  i  piedi,  i  capelli, 
e  li  mescolavano  nel  vino  e  nel  brodo,  e  talo- 
ra, per  sentirne  il  grato  odore  da  per  tutto,  ne 
ponevano,  in  vece  dell'olio  comunale,  nelle  lu- 
cerne e  lampane,  che  di  metallo  per  lo  più  co- 
rintiaco fatte,  ed  in  guise  oltre  modo  ingegnose 
dalle  volte  del  triclinio  pendevano.  Lo  spazzo  era 
coverto  o  di  minio,  o,  come  quel  di  Metello  appo 
Sallustio,  di  cruogo.  In  mezzo  al  triclinio  erano 
adunque  allogati  tre  letti  spiumacciati,  o  con  arazzi 
o  con  porpore  risplendenti.  Ciascheduno  di  questi 
letti  era  di  tre  persone  agiatamente  capace.  Onde 
comunalmente  dicesi  che  in  un  convito  non  deono 
esser  meno  del  numero  delle  Grazie,  ne  più  di 
quello  delle  Muse.  Giacevano  essi  convitati,  pie- 
gando la  parte  superiore  del  corpo  sopra  il  go- 
mito sinistro,  con  la  parte  inferiore  distesa  e  gia- 
cente sul  letto,  ed  appoggiando  un  po' su  i  cuscini 
le  spalle;  il  capo  leggiermente  erto  tenevano  di  ma- 
niera, che  essendo  più  in  un  letto  coricati,  il  primo 
veniva  a  giacere  a  capo  del  letto,  e  i  pie  di  esso 
si  stendevano  d  etro  le  spalle  del  secondo;  il  se- 


ORAZIONI    F.D    ISCRIZIONI  ^4^ 

concio  tenea  le  coppa  volta  al  bellico  del  primo, 
e  i  pie  dietro  le  spaile  del  terzo,  come  da  un 
marmo  padovano  il  ci  fa  vedere  Geronimo  Mer- 
curiale. De' letti,  quel  che  era  a  sinistra  era  il  som- 
mo, quello  a  destra  l'infimo;  e  ciò  richiedeva  la 
ragion  del  giacere,  imperciocché  si  coricavano  so- 
pra il  lato  sinistro,  acciò  potessero  aver  libera  e 
pronta  la  destra  mano  a  cibarsi.  Il  medesimo  or- 
dine che  de'  letti,  era  de'  convitati;  perchè  il  sommo 
hiogo  era  quello  che  non  avea  altri  a  pie;  mezzo 
chi  avea  uno  sul  capo,  altro  a  pie.  Di  questi  tre 
letti,  il  sommo  e '1  mezzo  era  de' convitati,  l'in- 
fimo del  signor  di  casa  con  la  moglie  e  figliuoli; 
il  più  onorato  luogo  era  il  mezzo  del  letto  di 
mezzo.  Ma  se  mai  giacevano  nello  stibadio,  che 
era  un  letto  a  figura  di  un  mezzo  cerchio,  al  qual 
conveniva  la  mensa  lunata,  come  a  tre  letti  qua- 
drata o  ritonda,  il  primo  luogo  e  più  onorato 
era  il  primo  del  corno  sinistro;  di  che  veggasi  in 
fine  la  Tavola. 

La  comodità  che  arrecava  il  cenare  in  cotal 
guisa,  egli  era  che  finita  la  cena,  o  intermessa, 
potevano  agiatamente,  piegando  la  spina,  cori- 
carsi tutti,  o  a  chi  più  era  a  grado,  sedere  al- 
l'usanza turchesca.  Laonde  si  vtde  quanto  scon- 
ciamente i  pittori  dipingono  Cristo  con  gli  Apostoli 
assisi  alla  sacra  Gena,  e  S.  Giovanni  dormir  presso 
lui  sulla  mensa,  contro  ciò  che  dice  il  Vangelo, 
che  dormiva  sul  petto  di  Cristo;  e  cadono  in  sì 
fatto  errore  per  non  sapere  essi  1'  uso  del  cenare 
Asiano.  Eravi  altresì  nel  triclinio  il  pulpito  de' 
musici,  avvegnaché  nelle  solenni  cene  non  face- 
vano cosa  alcuna  che  non  fosse  da  armonioso  con- 
cento accompagnata.  Con  la  sinfonia  si  portavano 
e  rimoveano  le  mense;  ballando  al  suono  porta- 
vano i  servi  i  trionfi.  Gli   schiavi    dai    bicchieri, 


248  PARTE    II. 

temprando  qualche  inno  in  lode  di  Bacco,  davan 
a  bere.  Il  trinciante  in  atto  di  schermire ,  a  certi 
sonori  intervalli  or  di  punta  or  di  taglio,  dava  i 
suoi  colpi;  il  divisore  trescando  al  suono  ripartiva 
i  piatti:  sì  fatta  musica,  come  adoperata  in  cose 
giocose,  dovea  esser  la  frigia,  cioè  di  voci  e  d'i- 
stromenli  acuti,  e  di  tempi  brevi  e  rithmi  o  te- 
nori allegri,  come  di  triple  cromatiche;  onde  sì 
sovente  appo  Petronio  si  odono  acidi  suoni  e  canti 
che  noi  volgarmente  diressimo  di  Soprani.  Ma  pro- 
prj  delle  cene  sembra  egli  che  stati  fossono  gli 
organi  idraulici,  ovvero  istromenti  a  suon  d'ac- 
qua, che  i  sonatori  di  essi,  chiamati  Idrauli,  o 
con  mano  o  con  pie,  come  avvisa  Marziano  Cap- 
pella nelle  nozze  di  Psiche  ed  Amore,  rendevano 
il  suono  ora  delle  sampogne,  or  del  susurro  de' 
venti,  or  del  mormorio  de' fiumi,  or  finalmente  del 
canto  degli  augelletti.  In  fine,  come  lasciò  scritto 
Filon  Giudeo  rapportato  da  Pier  Ciacconio,  vi 
eran  presti,  vistosi  e  leggiadri  schiavi,  de' quali  i 
più  estimati  eran  gU  Alessandrini,  come  quelU  che 
erano  ancora  i  più  motteggevoli ,  i  quali  d'inanel- 
late chiome  adorni  e  di  bianche  tuniche  vestiti, 
secondo  le  varie  età,  eran  distinti  agli  ufficj:  i  fan- 
ciulli più  piccoli  a  ministrare  il  vino;  i  più  grandi 
a  dar  acqua  alle  mani;  i  garzonetti  di  primo  pelo 
a  portar  le  vivande. 

Ed  avendo  finor  favellato  del  tempo  e  del  luogo 
delle  cene,  quasi  altro  facendo,  abbiamo  anco  del- 
l'apparecchio di  esse  ragionato;  onde  altro  non 
ci  rimane  che  dell'  ordine.  Passavan  i  Piomani  dal 
bagno  alla  cena,  ove  mutate  le  toghe  in  vesti  ce- 
natone, e  le  scarpe  in  pianelli,  che  si  lascia van 
cader  da' piedi  in  coricandosi,  per  non  isporcar 
j  letti,  assistendo,  o  seduto  a' pie  di  ciascun  di 
essi  uno  schiavo  a  tal  ufficio   destinato,   che  di- 


ORAZIONI    ED    ISCRIZIONI  2^C) 

cevan  indi  schiavo  per  li  piedi.  Innanzi  però  di 
coricarsi  j  per  dargli  il  più  onorato  luogo  ^  caccia- 
vano a  sorte  il  re  del  convito,  il  quale  dovesse 
comandare  che  cibi  e  con  che  ordine  si  doves- 
ser  portare  a  mensa,  che  perciò  glie  se  ne  dava 
una  nota;  e  soprattutto  quanto  vino  e  in  quante 
volte  bere  dovesse  ciascuno  de' convitati,  onde 
anco  re  del  vino  appellavasi.  Eletto  il  re  del  con- 
vito, e  coricatosi,  immantinente  gli  era  porta  ac- 
qua a  mano,  e  lavati  anco  i  piedi,  gli  erano  ap- 
prestate corone  di  fiori,  le  quali  strettamente  si 
stringevan  essi  sul  capo  per  rimedio  contro  la  cra- 
pola.  Imperciocché  per  lo  troppo  cibo  o  vino  im- 
messo nel  ventricolo  si  vengono  i  nervicciuoli  di 
quello  a  distendersi;  e  perchè  tutti  i  nervi  pren- 
don  principio  per  la  nuca  delcapo,  come  tanti 
rivoletti  per  un  canale  da  un  fonte,  vengono  in 
conseguenza  a  distendersi  anco  i  nervi  del  capo, 
onde  fassi  la  crapola,  eh' è  un  dolor  di  capo  ca- 
gionato dal  mangiare  e  ber  troppo;  anzi  per  istor- 
cersi  talora  diversamente  i  nervi  ottici  si  replicano 
gli  oggetti,  e  par  di  vedere  due  lucerne  per  unaj 
ed  alla  fine  aprendosi  sconciamente  le  piegature 
del  cerebro,  che  sono  come  piccioli  foderini  ove 
si  fa  conserva  delle  imagini  che  abbiamo  delle  co- 
nosciute cose,  e  ravvolgendosi  queste  temeraria- 
mente innanzi  al  pensiero,  fanno  Tubbriachezza: 
adunque  col  tenere  stretto  il  capo  non  di  leggieri 
si  comunica  fin  al  cerebro  quel  distendimento 
di  nervi;  appunto  come  premendo  il  dito  un  ta- 
sto, impedisce  alla  corda  comunicare  di  là  dal 
dito  l'impresso  moto.  Ma  ritorniamo  in  istrada 
per  seguitare  il  cammino  eh'  è  presto  al  fine. 

La  cena  era  divisa  in  tre  parti,  la  prima  delle 
quali  si  diceva  anticena ,  o  del  mulso;  impercioc- 
ché,   venendo  essi  assetati  dal  bagno,   per  estia- 


25o  PARTE    II. 

guer  tosto  la  sete  gli  si  apprestava  il  mulso,  o 
di  già  fatto  j  o  partitamente  vin  vecchio  e  gene- 
roso e  mele  d'Atene,  acciocché  sei  temprassero  a 
posta  loro.  Dopo  il  mulso  seguivano  varie  sorte 
di  frutta  di  mare,  di  funghi  e  di  uccelli,  come 
nella  cena  data  da  Metello  pontefice  osserva  Ma- 
crohio.  La  seconda  parte,  la  quale,  perchè  era  la 
principale,  cena  appellavasi,  faceva  smaltimento 
delle  carni  più  rare  e  di  pesci  più  ricercati  5  e  qui 
è  non  so  se  mi  dica  bello  o  brutto  il  vedere  con 
quanto  studio  s' affrettasser  i  Romani  gire  incontro 
alla  lor  rovina,  e  come  il  lusso,  portato  in  trionfo 
dall'Asia,  trionfò  de'  trionfanti.  Vitellio  (narra  Sve- 
tonio)  fece  un  piatto  estimato  due  mila  e  cinque- 
cento ducati,  nel  quale  mescolò  fegati  di  scari, 
pesce  del  mar  Garpatio,  che  sol  di  tutti  rumina 
il  cibo,  cervelli  di  fagiani  e  pavoni,  lingue  di  pap- 
pagalli, interiora  di  murene  pescate  fin  nello  stretto 
di  Zibalterra:  così  pregiavano  i  cibi  non  dal  gu- 
sto, ma  dal  valore;  e  stravaganti  in  vero  furono 
le  pazzie  che  facessero  nelle  trigfie:  il  ghiotto  Ot- 
tavio ne  comperò  una  mandata  a  vendere  da  Ti- 
berio nella  piazza  cento  cinquanta  scudi;  Asinio 
Celere  un'altra  dugento;  talché  non  dee  sembrare 
meraviglia  se  quel  leccone  d'Apicio  avesse  nella 
cucina  due  milioni  e  mezzo  scialacquato.  Or  si 
portavano  i  trionfi  in  tavola  rappresentanti  me- 
ravigliose figure  o  di  uomini  o  di  bestie  così  in- 
gegnosamente costrutte,  che  gettate  in  mezzo  al 
convito,  il  re  ne  cacciava  una  figura  o  angolare 
o  ritonda  o  altra  che  più  a  grado  gli  fosse,  per 
prender  indi  argomento  di  ammonire  i  convitati 
della  brevità  della  vita,  perché  attendessero  a  bere 
e  darsi  buon  tempo.  Vedete  quanto  può  la  forza 
del  rozzo  o  mal  uso,  che  quella  morte,  il  di  cui 
pensiero  porge  a  noi   argomenti  a   ben   fare,  fo- 


ORAZIONI    ED    ISCRIZIONI  ^5 1 

mentava  gli  stolti  Gentili  a  più  compiacere  alla 
gola.  Intorno  al  bere  facevan  le  lor  delizie  i  Ro- 
mani nell'acqua  cotta  annevata,  e  nervini  vecchij 
l'acqua  cotta  annevata  fu  ritrovato  di  Nerone,  il 
quale  facea  al  fuoco  dileguare  le  nevi,  e  poi  co- 
larle ed  assottigliarle  per  cole  o  sacchi,  e  quinci 
Fannevava  di  bel  nuovo  con  metterci  dentro  globi 

0  pezzi  di  ghiaccio:  e  certamente  questa  è  più 
saporosa  dell'acqua  viva  annevata;  imperciocché 
la  neve  probabil  cosa  egli  è  che  e'  si  facci  da  sali 
nitri  che  scorrendo  per  l'aria,  come  quelh  che 
sono  di  figura  angolare,  si  frappongono  facilmente 
tra  gli  angoli  che  lasciano  i  globicelli  dell'acqua, 
e  così  vengono  ad  essere  quasi  glutine  o  colla  di 
essi,  e  per  conseguenza  incepparli.  Questi  sali  adun- 
que fan  che  la  neve  dileguala  sia  più  saporosa  del- 

1  acqua  viva,  e  molto  più  il  fanno,  quando  gli 
angoli  sono  in  qualche  parte  ottusi  per  lo  moto 
impressovi  dal  riscaldamento;  imperciocché  rin- 
tuzzati non  squarciano  i  pori  del  palato,  né  pun- 
gono così  le  fibre  de' nervi,  come  fanno  quando 
son  troppo  acuti,  onde  avvien  quell'ardore  di 
bocca  e  quel  dolor  di  capo  che  sentesi  dal  man- 
giar molta  neve;  e  dolcemente  solleticando  i  va- 
lichi dell'  organo  del  gusto ,  cagionano  il  sapo- 
re ,  che  non  cagionerebbono  se  fossero  affatto 
di  figura  ritonda,  come  quelli  della  pura  acqua; 
perchè  rinvenendo  della  stessa  figura  i  pori  del 
sensorio  tessuti,  vi  si  fan  dentro  senza  farvi  im- 
pressione alcuna.  Come  vadasi  la  bisogna,  che  gli 
Antichi  così  facilmente  conservassero  per  cento  e 
più  anni  il  vino,  io  son  d'opinione  che  se  ne  deb- 
bia cagione  il  vaso  impeciato,  e'I  molto  fumo  che 
si  facea,  dove  essi  lo  riponevano.  Mi  conferma  a 
ciò  dire  quello  che  nelle  pestilenze  si  osserva,  che 
gli  uomini  sogliono  usar  vesti  di  pece  per  preser- 


252  PAUTE    rr,    ORAZIONI    ED    ISCRIZIONI 

vaisene;  eli' è  tanto  tlirCj  quanto  per  impedire  che 
nelle  vene  non  s' intrometta  aria  che  possa  cagio- 
nar quella  febbre^  che  per  Tommaso  Villis  non 
èj  come  le  altre  tutte,  che  una  fermentazione  del 
sangue j  a  quella  del  vin  somigHante;  e  che'l  fumo 
poi  faccia  del  vino  quel  che  delle  carni;  alle  quali 
per  impedirsi  la  fermentazione  e  seccarle  bens^ 
le  sogliono  appendere  ne' cammini.  Le  leggi  del 
bere  erano ,  che  nel  principio  bever  dovessero  ne' 
vasi  piccoli,  cioè  in  quelli  di  quattro  once  roma- 
ne, che  sarebbono  i  bicchieri  nostri  comunali* 
verso  il  fin  poi  della  cena  in  quella  di  una  hb- 
bra,  o  poco  meno,  che  è  presso  a  tre  bicchieri 
nostrali;  poiché  in  quelli  di  due  once  gli  amma- 
lati solo  bevevano:  bere  ogni  qualunque  volta  si 
nominassero  Dii,  amici,  innamorate,  o'I  principe, 
con  quella  formola  di  far  brindisi:  Buon  prò  a  me: 
Buon  prò  a  voi:  Buon  prò  ad  Augusto;  —  e  ta- 
lora tante  volte  bere  quante  eran  le  lettere  del- 
l'innamorata o  del  principe  nominato.  Ed  a  chi 
ricusava  fare,  il  re  dicea:  O  bevi,  o  vattene.  — • 
Onde  si  introdusse  quello  sconcio  e  stomachevol 
uso  di  recere  ne'  conviti.  Consecravan  la  prinia  be- 
vuta a  Giove  conservatore,  come  dice  Ateneo , 
o  al  buon  Genio;  siccome  a  Mercurio  il  primo, 
piatto  delle  carni.  Appresso  la  cena  alla  fine  suc- 
cedevano le  seconde  mense,  ch'erano  delle  frutta 
e  delle  cose  ammelate;  perocché  non  avevano  essi 
l'uso  del  zucchero;  dei  quali  doni  anco  n'empi- 
vano i  convitati  le  proprie  tovaglie,  e  gli  si  por- 
tavano alle  lor  case;  ed  in  dipartirsi  si  dicevano 
l'uno  l'altro  Buon  prò,  ed  al  signor  di  casa  augu- 
ravano buona  mente  dal  cielo. 


ELOGIO 

DI   VIRGINIA  PIGNATELLI  BONITO 
DUCHESSA    DELU  ISOLA 

(1720) 

Virginia  Pignatelli  napolitana,  di  Gio.  Battista 
e  di  Lucrezia  pur  Pignutelli,  nell'anno  i656  nac- 
que nella  famiglia  de' Principi  di  Strongoli,  uno 
de' molti  rami  di  quel  gran  ceppo  che  diffonde  la 
sua  chiarezza  fin  nell'Americaj  per  l'ampia  e  ricca 
signoria  del  Vaglio,  retaggio  che  in  questa  casa, 
per  lato  materno,  pervenne  dal  gran  Cortese  con- 
quistatore del  nuovo  Mondo.  Giunta  appena  agli 
anni  dell'umano  discernimento,  tu  commessa  al- 
l'educazione di  Suor  Caterina  Pignatelli  sua  zia 
nel  monistero  detto  di  Regina  Caeli  dell'ordine 
di  S.  Agostino:  e  quivi  fu  nell'arti  della  pietà  e 
del  signoril  costume  diligentemente  educata.  To- 
sto, nella  prima  età  di  marito,  fu  data  in  moglie 
a  D.  Giulio  Cesare  Bonito  duca  dell'Isola  e  con- 
sigliere del  Re  nel  Consiglio  detto  di  S.  Chiara: 
al  quale  con  felice  fecondità,  e  molto  più  con  sag- 
gia educazione,  diede  ed  adornò  di  nobili  virtudi 
ben  otto  figliuoH,  cinque  maschi  e  tre  femine;  in 
ciascuno  de'  quali  ella  seppe  inspirare  una  singo- 
iar gentilezza ,  talché  questa  virtù  sembra  loro  fa- 
migliare. Le  fighuole  vivono  ne'  chiostri  a  Dio  con- 
segrate:  il  Duca  è  il  sostegno  oggi  della  scuola 
cavalleresca:  Fra  Filippo  ha  applicato  l'animo  agli 
studj,  così  ameni  della  toscana  poesia,  come  se- 
veri della  Filosofìa  e  delle  Ma  tema  ti  che  5  e  ne  col- 
tiva stretta  amicizia  con  D.  Alessandro  Riccardi, 
avvocato  del  Consiglio  d'Italia  in  Vienna,  e  con 
Agostino  Ariani,  primario  professore  di  Matema- 
tiche nella  Regia  Università  di  Napoli.  Due  altri 


254  Parte  m. 

figliuoli,  cioè  Don  Luca  e  Don  Lodovico,  vestito 
r abito  Cassinense,  sopra  l'età  in  quella  Religione 
fioriscono  per  le  dottrine  migliori  della  Filosofia, 
della  Teologia,  de' Canoni  e  dell'  Eloquenza:  frutti 
della  buona  cultura  della  saggia  madre,  che  ve- 
dova gli  educò  con  quell'arte  la  qual  sola  pro- 
duce alle  famiglie  felicità.  Nella  conversazione  ci- 
vile dilettavasi  di  uomini  i  quali  ad  una  grande 
letteratura  unissero  altrettanta  morale  virtù:  onde 
ella  fu  stimata  degna  di  essere  annoverata  alla  no- 
stra adunanza  di  Arcadia  col  nome  di  Atalanta 
Poliade.  Tra  costoro  fu  egli  il  più  frequente  il 
Padre  Don  Benedetto  Laudati,  Abate  della  Con- 
gregazione Cassinense,  uomo  per  dottrina  e  bontà 
di  vita  chiarissimo,  e  *1  Padre  Tommaso  Pagani, 
ornamento  de*  Padri  dell'Oratorio,  da' quali  volle 
anco  avere  gli  ultimi  ricordi  dell'immortalità,  nel 
passaggio  ch'ella  vi  fece  in  età  di  settantaquattro 
anni  a  dì  ^4  febbrajo  Fanno  1720.  La  singoiar 
pietà  de'  figUuoli  le  fecero  celebrare  sul  cadavero 
nn  magnificentissimo  funerale  nella  chiesa  de'PP. 
Girolamini,  ove  lasciar  volle  la  sua  spoglia  mor- 
tale: la  qual  pompa  servi  di  stimolo  agli  spetta- 
tori, che  in  gran  numero  vi  convennero,  di  ram- 
mentare con  più  vivezza  di  dolore  le  grandi  virtù, 
delle  quali  ella  aveva  adorna  tutta  la  vita:  ne  men 
sensibile  riuscì  una  tal  perdita  alla  mentovata  ra- 
gunanza  degli  Arcadi  5  del  cui  cordoglio  entrando 
noi  a  parte,  abbiam  qui  procurato  di  dargli  qual- 
che sfogo  col  mettere  alla  pubblica  vista  la  se- 
guente inscrizione  sepolcrale: 


ORAZIONI    ED    ISCRIZIONI  ^55 

ALLA 

SAGGIA  E  VALOROSA  DONNA 

ATALANTA    POLIADE 

DI  ANTICO  SANGVE 

E  PER  PREGI  DI  DARDO  E  DI  SAMPOGNA  NOBILISSIMO 

NATA 

CHE  A  LEI  MENTRE  VISSE 

LA  RIVERENZA  E  L^  ONORE 

DI  TVTTI  COLORO  CHE  LA  CONOBBERO 

TESSERONO 

DI  RARE  LODI  CORONA  IMMORTALE 

LAVFILO  TERIO 

CON  QVESTA  TESTIMONIANZA 

DEL  COMVN  DOLORE  DI  ARCADIA 

SOPRA  L'ONORATA  VRNA 

CON  MENTE  CHINA  E  CASTA  MANO 

SOSPENDE 


ORAZIONE 

IN  MORTE  DI  ANNA  MAKIA  ASPEHMONT 
CONTESSA  D'ALTHANN 

Quel  divino  consiglio  eterno,  il  quale  per  vie 
ad  ogni  quantunque  de'  mortali  acuto  intendimento 
chiuse  e  nascoste,  dall'infinito  lor  principio  le 
umane  faccende  di  tutti  i  tempi,  così  menome 
delle  piccole  famigliuole,  come  grandissime  diri- 
nomati  imperj,  con  egual  cura  e  diligenza  a' suoi 
imperscrutabili  fini  suavemente  guida  e  conduce; 
dentro  quella  stessa  indissolubil  catena  di  cagioni 
e  di  effetti,  con  la  quale  i  luminosi  fati  dell'Ec- 
cellentissima Casa  Althann  annodò  ancora  i  nostri 
bassi  destini;  co' suoi  liberi  decreti  dispose  che 
noi,  i  quali  innanzi  al  corso  di  presso  a  sei  lu- 
stri per  le  nostre  non  meno  deboli  d' ingegno  che 
di  arte  povere  forze  con  una  orazione  in  di  lei 
morte  ornammo  la  vita  di  Catarina  d'Aragona  du- 
chessa di  Medinaceli,  madre  del  Viceré  di  que' 
tempi,  menassimo  tant' oltre  l'età  in  grado  di  re- 
gio lettor  d'Eloquenza,  che  nella  morte  di  Anna 
Maria  Aspermont,  incomparabile  contessa  d'Aire 
thann ,  madre  dell'  Eminentissimo  Michel  Federico 
Cardinale  d' Althann,  il  quale  di  presente  in  nome 
del  nostro  Augustissimo  Re  siede  al  governo  di 
questo  Regno,  ora  tessiamo  la  diceria  funerale.  Ma 
il  sommo  e  sovrano  pregio  di  stima  onde  sotto 
i  governi  assoluti  la  facondia  unquemai  adornar 
.si  possa,  a  chiunque  vogha  dall'onesto  e  dal  vero 
estimar  le  cose,  egli  dee  questo  certamente  sem- 
brare, che  quegli  uffizj  che,  vivendo  la  libertà  o 
di  Atene  maestra,  o  di  Roma  signora  del  mondo, 
essi  figUuoH  adempievano;  i  quali  ne' supremi  onori 


PARTE    II.    ORAZIONI    ED    ISCRIZIONI  25'J 

de'  padH  per  isplendore  di  gravi  affari  di  pace  o 
di  grand' imprese  di  guerra  ia  immortai  fama  sa- 
liti, essi,  per  dichiararsi  eredi  delia  lor  gloria,  e 
porsene  in  possesso  del  rispetto  comune  e  della 
pubblica  affezione,  le  loro  virtù  e  gesta  con  belle 
ed  ornale  orazioni  nelle  popolari  adunanze  spo- 
nevanoj  quelle  stesse  parti  ora  da' Principi  ad  uo- 
mini valenti  in  ben  parlare  sieno  commesse,  sì 
che  costoro  prendano  a  trattare  la  causa  della 
pietà,  delle  lagrime  e  del  dolore  de' Grandi.  Quindi 
di  leggieri  s'avrisa  la  molta  difficoltà  di  adornare 
con  egual  compiacimento  e  degli  uditori  e  de' 
congiunti  una  tal  sorta  di  argomenti,  perchè  o 
nelle  freddure  delle  adulazioni  non  si  precipiti, 
o  non  si  rimanga  molto  di  sotto  al  merito  de' 
.subbielti  lodati:  il  qual  temperamento  era  facile 
a  tenersi  tra  gli  istituti  ateniesi  o  romani j  poiché 
nelle  lodi  familiari  la  modestia  regolava  i  dici- 
tori, sì  che  non  facessero  ne  torto  al  merito  de' 
defunti  con  dirne  meno,  né  oltraggio  alla  Hbertà 
delle  ascoltanti  corone  con  dirne  più,  ma  soltanto 
uguagliassero  i  lodevoli  fatti  con  giustizia  di  con- 
cetti e  con  dignità  di  parole.  Ben  questa  gran 
Principessa  ne  libera  dal  secondo  timore  j  perché 
tanta  luce  di  vera  lode  in  lei,  vivendo,  rifulse, 
così  comune  delle  due  gran  Case,  tanto  Asper- 
mont  onde  uscì  donzella,  quanto  Althann  dove 
entro  sposa,  come  propria  di  valorosa  donna  e  ma- 
dre d'eroi,  che  di  sé  lasciò  forte  dubbio  se  ella 
fosse  salita  su  i  modelli  più  perfetti  dell'eroine, 
o  pur  quelli  fossero  in  lei  discesi,  per  formarne 
un  naturale  ritratto.  Però  questo  istesso  timore, 
c|uinci  schivato,  ci  fa  quindi  temer  l'altro  oppo- 
sto, che  per  quanto  si  erga,  non  che  la  nostra 
per  natura  e  per  fortuna  umile  e  bassa,  ma  ogni 
generosa  e  felice  facoltà  di  ben  porgere,  non  ne 

Vico,    O/hucoU.  17 


258  PARTfi    II. 

può  giammai  tanto  dire,  che  non  isformatamente 
più  lasci  ad  intendere  delle  sue  lodi.  Qui  sì  che 
noi  desideraremmo  la  moderazione  d'alcun  de' 
suoi  chiari  e  riputati  figliuoli,  il  quale,  su  l'esem- 
plo della  di  lei  sapienza  e  virtù  formato,  ne  da- 
rebbe l'idee  giuste  dell'esemplare,  e  ne  vestirebbe 
d'un  costante  dolore,  e  quale  ad  eroi  conviensi, 
per  la  sua  amarissima  perdita,  acciocché  questa 
nostra  orazion  fosse  di  pungente  stimolo  agli  udi- 
tori di  alto  grado  per  imitare,  a  quei  di  bassa 
sorte  per  ammirare  la  virtù  intiera.  Adunque,  poi- 
ché ci  è  niegato  per  li  nostri  corti  talenti  spie- 
garvi in  maestà  tutti  i  rari  e  chiari  pregi  che  '1 
corpo,  la  mente  e '1  cuore  di  questa  gran  Donna 
a  maraviglia  adornarono,  mi  studierò  almeno  far- 
la vi  vedere  in  profilo;  attenendomi  a  quella  lode 
che  quantunque  propria  del  gesso,  però  come  seme 
i  frutti,  così  contiene  i  maggiori  beni  delle  repub- 
bliche e  degli  Stati,  qual  ella  è  di  virtuosamente 
educar  le  famiglie;  e  vi  esporrò  in  comparsa, 
come  di  fuga,  Anna  Maria  Aspermont  Althann  fe- 
conda, saggia  e  felice  madre  di  chiarissimi  eroi. 

E  sul  principio  la  chiarezza  del  sangue  onde 
Anna  Maria  era  uscita,  il  qual  da  Fiandra,  qual 
da  sacro  fonte,  attraversando  Germania,  andò  a 
porre  altro  capo  in  Boemia,  è  tanto  illustre  e 
cosi  conta  ad  ognuno,  che  la  famiglia  Aspermon- 
te,  semplice  e  schietta,  senza  fregi  ed  ornamenti, 
si  fa  distinguere  tra  le  prime  nobih  Case  di  Eu- 
ropa: e  poi  sono  in  grado  tanto  eminente  le  lodi 
proprie  di  questa  gran  Donna,  che  a  chi  è  vago 
di  ammirarla  per  le  sue  personali  virtù,  tal  sa- 
rebbe trattenerlo  in  contemplare  l'antichità  e  splen- 
dore della  di  lei  nobilissima  origine,  come  ad  uomo 
che  mentre  ami  dilettarsi  di  mirare  una  statua  nella 
quale  l'arte  maestra,  emendati  i  difetti  della  na- 


ORAZIONI    ED    ISCRIZIONI  aSc) 

natura  volgare,  la  insegnasse  a  meglio  formare  i 
suoi  parti,  altri  il  divertisse  ad  osservare  l'oro 
saldo  Unissimo,  del  quale  il  meravigliosamente  di- 
segnato getto  si  rilevò.  E  poiché  m'avveggio  che 
i  vostri  desiderj  anelano  a  veder  costei,  quale  la 
fama  da  per  tutto  gridoUa,  per  educazion  di  fi- 
gliuoh  inclita  e  rara  Donna  del  nostro  mondo, 
io  mi  asterrò  ancora  lodar  di  lei  le  singolari  doti, 
delle  quali  ornolla  una  largamente  benigna  natu- 
ra, perchè  in  mezzo  quinci  a  quattro  generosi 
fratelli  e  quindi  otto  sorelle  gentih,  come  in  mezzo 
a  tante  mattutine  e  tenerelle  rose  ed  altrettanti  fre- 
schi e  rigoghosi  gigli  ella  tenesse  il  pregio  di  più 
bel  fiore  j  tra  per  bellezza  che  vestiva  il  delicato 
corpo,  e  per  grazie  che  animavano  la  bellezza,  e 
per  ingegno  che  vive,  per  memoria  che  pronte 
e  per  avvedimento  che  accorte,  discrete  e  con- 
venienti facean  le  grazie:  le  quali  cose  tutte  son 
volgarmente  credute  far  bella  e  leggiadra  la  virtù 
agli  occhi  del  corpo;  ma  perchè  dell'occhio  della 
mente  il  proprio  sole  è  la  verità,  la  propria  luce 
è  l'onestà,  il  proprio  giorno  è  la  saviezza;  nel 
qual  giorno,  nel  qual  sole,  nella  qual  luce  gU  spi- 
riti vedono  sopra  le  sue  eterne  idee  la  guida  e  l'ac- 
cordamento de'  colori  immortali  che  fanno  il  bello 
della  virtù;  tanto  egli  sarebbe  sporvi  questi  pregi 
caduchi,  tutti  divisi  e  soli  dal  valor  vero,  quanto 
che  io  o  sciocco  o  importuno  vi  dassi  a  vedere 
ameni  siti  di  luoghi  e  deliziose  praterie  al  bujo 
di  tenebrosissima  notte.  Altri  poi  logorino  il  tempo 
delle  dicerie  in  adornar  di  lodi  l' educazichi  de' 
subbietti  lodevoli,  de' quali  per  avventura  stata 
ella  sia  o  privata  la  virlù,  o'I  merito  mediocre; 
('  trattenghino  gli  uditori  su  gli  abbozzi,  perchè 
dalle  imperfezioni  essi  traggan  diletto  di  vederli 
sopra  i  loro  disegni  a  compimento  condotti.  01- 


26o  PARTE    II. 

treclìè  e^Vì  sarebbe  qui  certamente  abusare  della 
vostra  aspettazione,  dimorando  io  nelle  lodi  del- 
l'educazione d'Anna  Maria  fanciulla j  le  quali  sono 
in  buona  e  gran  parte  di  altrui,  cioè  lodi  de' suoi 
parenti,  ove  l'argomento  proprio  a  esporsi  or  da 
noi  è  l'educazione  di  Anna  Maria  fatta  madre; 
la  quale  per  pietà  e  religione,  per  diligenza  ed 
industria,  per  moderazione  e  giustizia,  per  for- 
tezza e  sapienza,  e  finalmente  sopra  tutto  per  una 
costanza  invitta  incontro  il  genio  del  secolo,  cbe 
sembra  non  d'altro  dilettarsi  che  di  corrompere 
e  d'esser  corrotte  le  buone  e  belle  indoli  della 
gioventù,  ella  è  a  maraviglia  ricca  di  lodi  non 
solo  proprie  di  lei,  ma  all'atto  nel  mondo  singo- 
lari. Ma  quantunque  di  nulla  ornate,  pur  confe- 
riscano al  nostro  argomento  l'antica  chiarezza  del- 
l'origine, per  quanto  la  virtù  nobile  per  li  lunghi 
continovati  esercizj  di  tanti  avoli  fatta  abito  e 
quasi  natura  della  famiglia,  la  facesse  da  molti 
Principi  ambire  madre  di  generosissima  prole;  la 
bellezza  del  corpo  e 'l  sano  vigor  dell'età,  che 
co'  buoni  sughi  le  rilevava  e  ritondava  le  bianche 
e  delicate  membra,  e  col  buono  spiritoso  sangue 
le  innaffiava  la  vera  soavità  del  colore,  la  facesse 
sospirar  madre  di  bellissima  prole;  e  finalmente 
le  certe  speranze  fiorite  di  una  pia,  saggia  e  dol- 
cemente austera  educazione  gliene  facesse  deside- 
rare il  frutto  d' una  valorosissima  prole.  E  noi  ol- 
trepassando tutto  il  tempo  ch'era  già  scorso  fin 
dal  dì  ben  avventuroso  che  la  contessa  Anna  Ma- 
ria uscita  dal  nobilissimo  coro  delle  damigelle  del- 
l'Augustissima Imperatrice  Eleonora ,  e  menata 
in  moglie  dall'  Eccellentissimo  Michele  Wenceslao 
conte  d'Allhann,  consigliere  intimo  di  S.  M.  C.  e 
chiarissimo  per  isperimentato  vaior  di  consiglio 
nelle  cariche  di  ambasciadore  alle  Maestà  di  Po- 


OKAZiONI    FD    rSCRIZIONI  26 1 

Ionia  e  di  Svezia;,  e  di  tnnto  marito  a  capo  d'anni 
con  felice  fecondità  fatta  madre  con  d'intorno  una 
ben  numerosa  famiglia  di  sedici  figliuoli  tra  ma- 
schi e  femmine j  onde  poi  queste  per  parentadi, 
quelli  per  comandi  d'armi  e  per  impieghi  di  let- 
tere o  innestarono  o  fruttarono  al  nobilissimo  nome 
Althann  titoli  eccellentissimi  di  cariche.  Tosoni 
d'orOj  Altezze  ed  Eminenze;  in  mezzo  a  cotanto 
illustre  spessa  corona  si  vide  e  udissi  o  ripartir 
loro  massime  ed  esempli  di  eroica  virtù  vsecondo 
la  differenza  de'  sessi ,  o  confondergliele  per  la  na- 
tura ad  entrambi  i  sessi  comune.  Ella  primiera- 
mente loro  sovente  diceva  che  ogni  qualunque  ob- 
bhgo  di  cristiana  pieth ,  quantunque  menomo , 
debba  di  gran  lunga  anteporsi  ai  doveri  più  se- 
riosi della  civiltà;  e  gravemente  appruovava  loro 
il  detto  coi  fatti j  poiché  ella,  finché  visse,  non  in- 
tralasciò giammai  le  stabilite  ore,  altre  destinate 
a  porger  prieghi  al  nostro  sommo  Signore  Iddio, 
altre  nella  lezione  di  vite  di  Santi,  a! tre  nella  me- 
ditazione delle  cose  sublimi  ed  eterne,  e  partico- 
larmente nella  vita  di  Gesù  Cristo  ad  imitar  propo- 
sta dal  pio  gran  Cancellier  di  Parigi:  ben  avvisata 
la  saggia  Donna  che  la  vita  di  quel  Dio-Uomo,  la 
quale  senza  forza  d'armi,  senza  arguzie  di  filosofi, 
con  la  degna  sublimità  de' dogmi  d'intorno  alle 
cose  divine,  e  con  la  somma  equità  de'  precetti 
d'intorno  le  cose  umane,  insinuò  la  religion  cri- 
stiana dentro  le  due  nazioni,  una  la  più  dotta, 
l'altra  la  più  potente  di  tutti  i  tempi  a  noi  co- 
nosciuti; tra' Greci,  dico,  e  Romani;  l'imitazion 
di  quella  stessa  insegnata  efficacemente  nelle  fa- 
miglie può  e  deve  unicamente  conservare  le  cri- 
stiane repubbliche  che  sono  sopra  la  cristiana  re- 
ligione fondate;  massima  in  vero,  se  per  tutte  lo 
cristiane  genti  utilissima,  per  li  regni  e  Stati  ere- 


262  PAiiTK    II. 

(iitarj  JeirAugustissima  Casa  d'Austria,  non  che 
utile,  affatto  necessaria,  i  quali  sono  gli  argini 
della  Cristianità,  dove  l'Ottomana  Potenza  rompa 
l'orgoglio  di  stendere  la  tirannide  dell'Alcorano 
più  oltre  nelle  parti  dell'  Occidente.  Era  ella  gran- 
demente innamorata  dell'ordine,  sovente  quel  sa- 
cro motto  ripetendo,  che  le  cose  ordinate  sono 
da  Dioj  il  quale,  perchè  ordine  eterno,  è  l'infi- 
nita bellezza  5  la  quale  per  intendere  della  mente 
a  somiglianza  di  quella  del  corpo,  ella  ivi  spicca 
e  risalta,  ove  le  membra  sono  bene  allogate  ne' 
luoghi  loro,  e  con  giusta  simmetria  ben  si  corri- 
spondon  tra  se,  e  ben  s'intendono  tutte  insieme 
nel  tutto.  Talché  la  principal  sua  cura  era  che 
nella  sua  corte  tutti  si  contenessero  dentro  i  loro 
doveri,  i  figliuoli  e  le  figliuole  serbassero  tra  sé 
que'  rispetti  che  da  essi  a  vicenda  richiedevano 
ed  il  sesso,  e  in  ciascun  sesso  l'età.  Diceva  pur 
con  l'Apostolo,  che  essa  doveva  essere  riscatta- 
trice  del  tempo,  il  quale,  prezioso  più  che  l'oro 
e  le  gemme,  si  vendeva  da  altri  a  vilissirao  prezzo 
di  ozio,  il  quale  perchè  non  fa  nulla,  vai  quanto 
il  nulla.  Onde  quanto  parca  nel  vitto,  tanto  fru- 
gale del  sonno,  così  tardi  si  rendeva  al  riposo 
del  letto,  come  di  buon  mattino  si  levava  per 
esercitare  men  osservati  i  rigori  della  pietà,  men- 
tre la  sua  prole  e  la  sua  corte  dormivano,  per- 
chè quindi  col  suo  esemplo  o  tardi  li  lasciasse- 
ro, o  presti  si  ricevessero  a' travagli  del  giorno 5 
i  figliuoli  ad  apprendere  le  arti  nobih,  le  figli- 
uole i  gentili  donneschi  lavori  5  alle  quali  ella  con 
le  sue  damigelle  sedendo  in  mezzo,  consolava  la 
pena  dell'imparare  o  co'  forti  o  co'  saggi  (e  gli 
uni  e  gli  altri  luminosi)  racconti  di  detti  o  fatti 
di  valorosissime  donne.  Ma  io  deggio  inoltrarmi  in 
parte  della  sua    grande    ed    ammirabil    virtù,  co- 


ORAZIONI    ED    ISCRIZIONI  ^63 

tanto  in  alto  sopra  i  miei  pensieri  riposta,  che 
io  dispero  affatto  poterla  aggiugnere,  avendo  io 
a  ragionare  di  una  pratica  di  morale,  su  la  quale 
ella  formò  tutta  la  sua  vita  di  valoros'ssima  ma- 
drej  che  coloro  i  quali  insegnan  costumi,  diceva 
ella,  debbiano  mostrar  con  la  mano  ciò  che  inse- 
gnano con  la  lingua.  Vengano  ora  a  petto  di  que- 
sta filosofia  i  Savj  di  Grecia,  i  quali  o  dentro  i 
deliziosi  orticelli  degli  Epicuri ,  o  per  le  spaziose 
e  magnifiche  logge  de*  Zenoni  dipinte  da'  divini 
pennelli,  o  per  li  lunghi  e  verdeggianti  viali  delle 
Accademie  piantati  di  vaghi  ed  ombrosi  platani, 
e  provveduti  a  dovizia  di  tutti  i  comodi  umani, 
ne  nauseati  né  afflitti  o  da  mogli  che  infantano, 
o  da  fighuoli  che  ne'  morbi  languiscono,  con  tu- 
mor  di  parole  o  con  arguzie  d'argomenti  ragio- 
nano dell'imperio  della  virtù  sopra  il  pazzo  regno 
della  fortuna;  a  cui,  per  giugnere,  insegnano  o 
pratiche  di  vita  impossibili  alla  condizione  umana, 
e  con  gli  Stoici  disumanarsi  e  non  sentir  passione 
alcuna;  o  pericolose  con  gli  Epicurei,  da  sette  di 
filosofi  a  divenire  brutte  mandre  di  porci,  rego- 
lando i  doveri  della  vita  col  piacere  de' sensi;  o 
dar  leggi  e  fondar  repubbliche  nel  riposo  ed  al- 
l'ombra, che  non  ebbero  altrove  luogo  che  nelle 
menti  degli  Eruditi;  vengano  ora  ad  udire:  che 
dissi,  udire?  vengan  pur  a  vedere  questa  gran  ma- 
dre insegnare  egualmente  i  suoi  figliuoli  d'en- 
trambi i  sessi,  che  avvertissero  e  riflettessero  nelle 
pratiche  della  vita  civile  eh'  ella  menava  (ed  aveva 
ben  onde)  fosse  osservata  non  solamente  da'  suoi 
figliuoli,  ma  ammirata  ed  imitata  dalle  sue  pari. 
Rigorosa  e  severa  circa  le  leggi  de'  Cesari  sopra 
di  se;  benigna  e  clemente  circa  le  leggi  sue  so- 
pra de' suoi  vassalli,  ripartiva  verso  i  superiori  un 
generoso  rispetto,  verso  gli  eguali  una  signoril  li- 


264  Parte  ii. 

bertà^  ed  un  contegno  cortese  verso  i  soggetti: 
attenta  a'  complimenti  dettati  da  ragione  di  uma- 
nità, non  da  capriccio  di  alcun  piacere:  efBcace 
nelle  protezioni  del  merito  virtuoso j  non  o  di 
brutta  utilità,  o  d'indegnità,  dilettevole:  forte  in 
difendere  dall'altrui  strapotenza  gii) oppressi,  la 
cui  giustizia  facea  suo  punto,  non  già'l  suo  punto 
la  lor  giustizia:  raccolta  ne' pensieri,  circospetta 
nelle  parole,  moderata  nell'azioni,  vergognosa  in 
udire  le  lodi  sue,  increscevole  d'intrattenersi  alle 
detrazioni  di  altrui,  delicatissima  nell' emendare  i 
difetti  de' suoi,  e  sempre  facendo  sembiante  o  di 
compatire  o  di  scusare,  o  di  fare  ogni  altra  cosa 
fuor  che  riprendere:  semplice  negli  abiti,  parti- 
colarmente vedova*  liberale,  non  prodiga j  dicendo 
spesso,  buttarsi  bruttamente  ciò  che  possa  esser 
buono  ad  altr'uso:  la  qual  parsimonia  le  nudriva 
la  facoltà  d'essere,  quanto  tarda  e  considerata 
nelle  promesse,  tanto  esatta  e  religiosa  in  adem- 
pierle; dicendo  pure,  doversi  necessariamente  una 
delle  due  praticar  nella  vita,  o  attendere,  o  non 
promettere;  e  di  essere  altresì  cotanto  liberale, 
quanto  la  fu,  co' bisognosi ,  come  orfane,  pupilli, 
vedove,  e  soprattutto  co'  poveri  che  languiscon 
nelle  prigioni.  Tanto  la  contessa  Anna  Maria  era 
osservante  de'  doveri  più  commendati  in  un  certo 
modo,  che  comandati  dalla  giustizia  distributiva, 
la  qual  pur  confina  con  la  generosità  e  con  la 
grandezza  dell'animo;  or  degli  obblighi  senza  in- 
dulgenzaf alcuna  ingiunti  dalla  commutativa,  come 
ella  fosse  stata  severa  esattrice  con  seco  stessa, 
quanto  egli  resta  ad  immaginare!  Ella  non  altro 
imprimeva,  non  altro  iscolpiva  negli  animi  teneri 
de' suoi  parti,  che  quella  massima  di  vita  socie- 
vole, sparsa  del  pili  vivo  lume  della  naturale  ra- 
gione: Ciò  che  non  vuoi  per   te,    non  devi   fare 


ORAZIONI    ED    ISCRIZrONl  ^65 

ad  altrui.  —  Ma  perchè  io  non  sembri  riprendere 
i  costumi  de' Grandi  j  quando  sono  le  mie  parti 
lodarne  solamente  la  rara  virtù^  ridirò,  quali  ap- 
puntino ci  sono  state  dalla  fama  rapportate  di 
Praga  le  sue  parole^  quando  non  con  aria  di  se- 
vera censura,  ma  deplorando  il  dissoluto  lusso  del 
secolo j  dicera  alle  volte:  Con  qual  coscienza  vanno 
a  dormire,  o  si  appressano  ansanti  Sagramenti  que- 
gli annegati  ne' debiti,  che  essi  han  contratti  per 
ispese  non  necessarie  di  greggi  di  cavalli  e  di  cor- 
tigiani, di  livree  e  di  cocchi  carichi  d'oro,  di 
pranzi  e  cene  prodigaìissime,  che  potendo  non 
pagano,  non  potendo  scherniscono?  ma  non  in- 
gannano Iddio!  —  Sopra  sì  robuste  massime  esem- 
pli cotanto  risentiti  dovevano  essere  come  sopra 
incavature  eterne  altissimi  impronti,  onde  gli  animi 
teneri  de'  garzonetti  Althanni  da  Anna  Maria  loro 
a  maraviglia  forte  e  saggia  madre  s'informassero 
delle  civili:  vediamo  or  come  dalla  medesima  si 
composero  alle  virtiì  militari.  Ella  la  saggia  madre 
sopra  i  pranzi  e  le  cene,  quando  le  fantasie  de' 
generosi  giovinetti  erano  irrorate  da  novelli  spi- 
riti, e  per  ciò  più  facili  ad  accendersi  di  gloria 
alle  immagini  delle  battaglie,  delle  rotte,  delle  vit- 
torie 5  perchè  gli  esempli  domestici  muovono  più 
che  gli  strani,  e  le  Case  Aspermont  ed  Althann  ne 
avevano  entrambe  di  grande  rinomea  doviziosis- 
sima copia;  ella  raccontava  loro  le  chiare  imprese 
de  lor  maggiori ,  e  gli  accendeva  per  la  dura  e 
travagliosa  strada  di  Marte  ad  imitarle,  a  gareg- 
giarle, a  superarle.  Adunque  egli  fu  sempre  vero 
che  le  nazioni  le  quali  osservano  santamente  den- 
tro la  religione  e  le  leggi,  risplendon  fuori  in  guerra 
con  le  vittorie  dell'armi;  e  dove  in  casa  ben  s'in- 
segnano con  la  familiare  disciplina  le  civili  virtù, 
ivi  le  repubbliche  e  gli  Stati   (ìoriscon  di    fortia-- 


HSG  PVRTE    II. 

simi  e  sa{3Ìeiitissimi  cittadini.  La  virtuosa  educa- 
zione delia  contessa  Anna  Maria  contribuì  di  va- 
lorosissimi personaggi  all' Imperio  di  Germania,  che 
co' loro  consigli  e  pericoli  servissero  alla  fortuna 
ed  alla  gloria  di  ben  tre  Cesari,  di  Leopoldo,  di 
Giuseppe  e  di  Carlo,  in  tanti  gravissimi  affari  di 
pace  e  di  guerra,  se  mai  altre  volle  dubbj,  aspri 
e  ritrosi,  più  di  tutti  certamente  nella  guerra  della 
successione  della  Monarchia  Spagnuola.  La  quale 
per  matrimonj  e  retaggi,  e  per  la  felice  audacia 
de'  Colombi,  uscita  da'  suoi  confini  oltre  mare  e 
i  Pirenei,  in  una  insolita  forma  per  tutti  i  secoli 
scorsi  innanzi  non  mai  veduta;  ne' quali  gl'imperj 
si  distesero  sempre  per  continovi  di  confine  in 
confine  e  non  interrotti  progressi ,  ella  per  salti 
si  sparse  in  tanti  rearai  e  provincie  d' isole  e  con- 
tinenti di  Europa,  con  fortezze  nell'Africa,  con 
ragioni  nell'Asia  ed  oltra  l'Oceano,  creduto  prima 
il  termine  eterno  posto  dalla  natura  all'  auibizione 
delle  conquiste,  poi  dalla  Spagnuola  fortuna  fi- 
nalmente rotto  e  varcato,  in  una  immensa  parte 
d'America,  ed  un  gran  numero  d'isole  dell'In- 
die nell'Oriente;  talché  diede  apparenti  motivi  a 
taluni  ingegni  di  dotti  uomini  d'adularla  eguale 
all'Imperio  Romano  nel  maggior  di  lui  splendore 
e  grandezza  sotto  gli  Augusti.  Ma  per  la  sua 
novella  ed  in  tante,  sì  grandi  e  sì  lontane  pro- 
vincie distratta  forma,  dovutasi  governare  con 
nuove  massime,  e  per  una  necessaria  dissimula- 
zion  de' Monarchi  che  amaron  meglio  reggerla  dal 
gabinetto,  divenuta  in  fatti  governo  di  Grandi, 
andò  a  dividere  tra  essi  gl'inesausti  tesori  che  co- 
lavano nel  suo  erario;  e  servendo  a  tanta  loro 
grandezza  crudeli  destini  che  falciarono  sempre  i 
bei  rampolli  del  ceppo  regnante,  il  vasto  Impe- 
rio presso  a  ccncinquaiit'  anni  tramandato  di  solo 


ORAZIONI    ED    ISCRIZIONI  367 

in  soloj  venne  finalmente  nella  morte  di  Carlo  li 
a  restare  senza  re  e  senza  forze;  nel  tempo  istesso 
che  la  Francia  confinante  alla  Spagna  e  alla  Fian- 
dra e  imminente  all'Italia,  per  li  felici  progressi 
della  sua  armata  fortuna,  a  cui  se  non  ispianava, 
almeno  non  barrava  il  violento  rapido  corso  la 
libertà  degli  altri  Stati  d'Europa,  indifferente  spet- 
tatrice delle  conquiste  che  per  lo  corso  di  cin- 
quanta e  pia  anni  di  guerra  ella  avea  riportato 
dagli  Spagnuoli,  e  ne  aveva  quasi  della  terza  parte 
accresciuto  il  fiorentissimo  suo  reame.  Onde  Lo- 
dovico XIV,  pieno  di  sì  lunga  e  grande  feUcità, 
finalmente,  per  portare  il  nome  Borbone  sopra  il 
trono  di  Spagna,  non  per  ingrandir  più  la  Francia 
sopra  le  membra  sparte  della  Monarchia  Spagnuola 
divisa,  mandò  il  duca  d'Angiò  Filippo,  secondo- 
genito suo  nipote,  a  porsi  in  possesso  de'  Regni 
nella  lor  capitale.  Quindi  temendo  l'Inghilterra 
alla  sua  libeità  di  religione  ed  al  suo  arbitrio  delle 
paci  e  delle  guerre  d'Europa,  a  cui  spesso  mo- 
strava Lodovico  dal  suo  vicino  Calès  Giacomo  fi- 
gliuolo del  di  lei  re,  nudrito  co' dogmi  di  Roma 
ne' sensi  della  pietà,  e  tra  gli  esempli  di  Versa- 
glia  circa  le  massime  del  governo;  e  disperando 
per  r  avvenire  così  nell'Oceano  i  preziosi  traffichi 
delle  Spagne  e  dell'Indie  con  gli  Spagnuoli,  come 
della  libertà  del  Mediterraneo  per  li  porti  di  Mes- 
sina e  di  Magone  aperti  a' soli  Galli  ed  Ispani, 
sedendo  Filippo  alle  fauci  di  tutto  il  mare  Interno 
su  lo  stretto  di  Gibilterra;  Portogallo,  mortai  ne- 
mico delle  Gastiglie,  temendo  il  gran  torrente  delle 
forze  francesi,  che  ridondato  da' Pirenei,  attraver- 
sando la  Spagna  amica,  li  veniva  sopra  a  portarlo 
o  a  sommergersi  nell'Oceano,  o  con  gran  pena  a 
salvarsi  dal  naufragio  nel  suo  Brasile;  temendo 
Olanda  alla  sua  libertà,   alla    quale  si  era  felice- 


268  PARTE    II. 

mente  condotta  col  sottrarsi  alla  Spagna  per  \c 
occulte  forze  della  Francia  vicina; 'la  Savojaj  la 
quale  era  cresciuta  tra  F eterne  gare  di  queste  due 
Potenze  per  lo  Stato  di  Milano,  che  la  costituiva 
con  vantaggio  posta  in  mezzo  a  due  perpetui  ne- 
mici; temendo  alla  sua  sovranità,  e  per  essa  alla 
libertà  delF Italia,  la  quale  aveva  riposato  presso 
a  dugento  anni  alla  sacra  e  veneranda  ombra  del 
Capo  della  Chiesa,  il  quale  in  Roma  si  riverisce 
e  teme  Padre  de'  principi  cristiani;  e  finalmente 
la  Germania  non  mai  avvezza  ubbidire  ad  imperj 
stranieri,  anche  de' fasci  e  delle  toghe  romane,  a 
cui  servirono  tutle  le  nazioni;  e  gelosa  serbare  tra 
FAlpi  e'I  Reno  l'augusto  nome  de' Cesari,  e  l'u- 
nico alto  dritto  di  ergere  gli  Stati  in  reami,  ed 
in  sovranità  assolute  le  signorie:  queste  Potenze 
tutte,  altre  dopo  altre,  s'unirono  in  lega  di  guerra 
e  presero  a  parteggiare  la  causa  del  nome  Au- 
striaco, ed  a  portare  Carlo  arciduca  d'Austria  alla 
Monarchia,  e'I  riconobbero  Re  di  Spagna.  Onde 
si  accese  ed  arse  da  per  tutto  la  memorevol  guer- 
ra, che  per  apparecchi  di  eserciti  terrestri  e  di  ar- 
mate navali,  per  arti  di  guerreggiare  ad  entrambe 
le  parti  ben  conosciute  ed  a  vicenda  lungo  tempo 
sperimentate  altresì;  per  macchine  guerreggiatrici 
che  co  '1  fragore  e  co'  danni  avanzano  di  spavento 
i  fulmini  di  esso  Giove,  non  che  le  alepoli  o  sieno 
l'espugnatrici  delle  città  de'Demetrj;  per  istrata- 
gemmi  di  condotte;  per  disperata  virtù  di  batta- 
ghe  e  di  assedj;  per  istrepiti  di  vittorie,  delle 
quali  eran  trofei  le  conquiste  d'intieri  regni  e  pro- 
vincie;  per  moltiplicità  e  distanza  di  luoghi  ove 
fu  fatta,  in  Italia,  al  Reno,  nelle  viscere  di  Ger- 
mania, in  Fiandra,  nelle  falde  di  là  de'  Pirenei, 
nel  cuor  di  Spagna  e  fin  nell'ultimo  Portogallo; 
ed  in  ciascuna  di   queste  parti    con    tante   forze, 


ORAZIONI    ED    ISCRIZIONI  269 

ohe  ivi  sembrava  essersi  gittate  sopra  tutta  la 
mole  della  gran  guerra  j  si  che  ella  in  ogni  sua 
parte  arebbe  occupata  la  curiosità  di  tutte  le 
nazioni;  per  varietà  di  fortuna  in  tutte  queste  parti 
costante  in  ciò,  che  fossero  presso  ad  esser  vinti 
color  che  vinsero;  per  furore  di  genj  divisi  tra  le 
due  parti  che  pareggiavano  gli  odj  delle  guerre 
civih;  e  finalnjente  per  eventi  cotanto  diversi  o 
contrarj  alfespettazion  de' consigli^  che  non  al- 
trove ci  fu  con  più  gravi  argomenti  appruovato, 
che  la  Provvidenza  Divina,  anche  per  li  trasporti 
de  Sovrani,  essa  è  quella  che  regola  con  giustizia 
le  faccende  degli  uomini;  questa  guerra  per  tutto 
ciò  non  è  punto  da  conferirsi  a  quella  cFAlessan- 
dro  con  Dario,  il  quale  con  tre  falangi  Macedo- 
niche in  due  conflitti  e  non  piiì  centra  genti  de- 
licate, molli  ed  avvezze  a  vincer  fuggendo,  ebbe 
la  felicità  d'impadronirsi  della  Monarchia  Persiana: 
nemmeno  da  compararsi  a  quella  di  Cesare  e  di 
Pompeo,  nelle  cui  parti  si  divise  tutto  il  Mondo 
Romano;  nella  quale  la  disperazione  di  ferocissimi 
occidentali  ubbidiente  accomandi  di  Cesare,  e '1 
lusso,  il  fasto  e  la  dehcatezza  d'Itaha,  di  Grecia, 
d'Asia  contumace  alle  savie  condotte  del  gran  Pom- 
peo, ne' campi  di  Farsaglia  diffinirono  a  favor  di 
Cesare  la  contesa  del  Principato  del  genere  uma- 
no: ma  ella  è  unicamente  da  porsi  a  petto  della 
seconda  Punica  guerra,  fatta  nel  secolo  della  Ro- 
mana virtù  più  robusta,  e  dall'acutezza  Africana 
più  prosperosa;  di  cui  appresso  furono  quasi  trionfi 
la  Macedonia,  la  Grecia,  l'Asia,  il  Ponto,  l'Arme- 
nia, la  Siria,  l'Egitto,  che  furono  acquisti  d'Ales- 
sandro; e  vinta  in  Cartagine  l'Africa,  e  quindi  le 
Spagne,  le  Gallie  e  la  Bretagna,  essendo  mancata 
alla  Romana  virtù  la  cote  Cartaginese,  nò  restando 
a  Roma  altro  fuori  che   vincere  e  debellare,  ella 


270  PARTE    I 


con  le  civili  guerre  vinse  dentro  la  sua  libertà,  e 
sotto  Cesare  trionfo  di  sé  stessa.  Poiché  in  questa 
guerra  si  vide  la  maravigliosa  inaspettata  discesa 
dalle  Alpi  in  Italia  di  un  altro  Annibale,  ma  che 
guerreggiava  con  la  fortuna  dell' Imperio  Romano. 
E  dove  nella  seconda  Cartaginese  terminarono  le 
sconfitte  Romane,  indi  quasi  principiò  questa  guer- 
ra: ed  in  Hochstad  dopo  lungo  girar  de'  secoli  ri- 
tornò la  gran  giornata  di  Canne;  ove  i  primi  im- 
peti francesi,  ne'  quali  i  Galli  ion  più  che  uomini, 
sostenendo  Eugenio  fin  tanto  che  con  l'ali  della  vi- 
toria  il  Marlborough  volò  in  Donawert  a  rinforzar 
la  battaglia;  e  quattordici    mila  Francesi    dopo  i 
primi  conflitti  meno  che  donne,  buttando  a  terra 
le  armi,  lo  stesso  giorno  vide  nel  mattino  la  Ger- 
mania  presso  che  soggiogata  far   la   sera    tremar 
la  Francia,  come  già  vinta.  Pur  non  usata  la  for- 
tuna della  vittoria,  e  come  non  da  Canne  a  Roma, 
così  non  si  corse  da  Hochstadt  con  T  armi  vittoriose 
a  Parigi.  Ne'Tallardi  i  Varroni  risursero,  che  dopo 
così  gran    rotta  non  disperarono    della    salute    di 
Francia.  Ne  mancarono  i  Siiaci  re  di  Numidia  ne' 
Duchi  Bavari,  che  caduti  nella  soHta  infelicità  delle 
Francesi  allianze,  il  giorno  avanti  potentissimi  So- 
vrani di  Germania,  il  giorno    appresso  ne  parti- 
ron  raminghi.  La  tempesta  di  Ticino  e  di  Trebbia 
tuonò  contra  i  Francesi  a  Tellemont  nella  Fian- 
dra; nella  quale,   come  quella    che  fu  all'Europa 
presso  a  dugento  anni  perpetuo  teatro  di  Marte, 
tutte  le  città  sono  fortissime  piazze,  ed  ognuna, 
materia  stata  innanzi  di  aspre  e  lunghe  guerre  ed 
assedj,  poi  tutte  in  una  giornata  all'Austriache  vit- 
toriose insegne  spalancarono  le   porte.  Il  turbine 
di  Trasimeno  contra  i  medesimi  scaricossi  in  Tu- 
rino,  dove,  come   di  un  gran   corpo   moribondo 
la  spirante  vita  tutta  nel  cuor   si   raccoglie,  così 


ORAZIONI    ED    ISCRIZIONI  2^1 

la  libeilà  dell  Italia  tutta  in  quella  città  si  ristrin- 
se; e  facendo  ivi  difesa  Wirrigo  di  Daun,  e  pòrti 
nel  maggior  uopo  i  soccorsi  da  Eugenio  alla  sua 
Savojaj  furono  rotti  in  una  giornata  sessanta  mila 
Francesi;  i  quali  non  ritruovando  ricovero  nelle 
piazze  del  Pieiiìonte,  dianzi  smantellate  dalle  lor 
iiianij  quelli  che  tesiè  erano  stati  più  fissi  e  duri 
che  i  ghiacci  dell'Alpi  in  mezzo  al  verno  in  espu- 
gnar le  Verue;  di  là  dall'Alpi,  come  a' Soli  estivi 
le  lor  nevi  si  dileguarono  in  torrenti,  e  dovettero 
abbandonare  a  Carlo  l'Italia.  Ammirò  Tetà  nostra 
da  Germania  usciti  altri  Scipioni  negli  Starember- 
ghi,  i  quali  portarono  nella  Spagna  la  guerra  in 
casa  a  nemici,  per  indi  liberarne  le  altre  parti  af- 
flitte di  Europa:  ma  a  FiHppo  intieramente  rotto 
in  Ispagna,  e  ricoverato  in  Francia,  difendendo 
la  sede  de' Regni  la  soliludino  e'I  guasto,  se  egli 
non  potè  ivi  finirla  guerra  col  conservare  il  grande 
acquisto,  quale  per  gli  aii:pj  e  dalla  natura  arsi 
persiani  confini,  salvò  la  sacra  persona  di  Carlo 
con  la  gloriosa  ritirata  che  dalle  piii  infeste  vi- 
scere della  Persia  con  altrettante  poche  truppe 
fatta  avevano  i  Senofonli.  E  la  Spagna,  la  qual 
pensava  di  udire  i  danni  della  guerra  dalle  lon- 
tane Provincie,  vide  spesso  le  notti  crudelmente 
emular  la  luce  del  giorno  con  gl'incendj  de' suoi 
paesi;  vide  la  sua  Monarchia  divisa,  la  qual  avea 
creduto  con  l'appoggiarsi  alla  Francia  mantenere 
unita  per  l'avvenire,  come  si  era  mantenuta  per 
lo  innanzi  col  comun  sostegno  delle  forze  dell'Eu- 
ropa contra  la  Francia;  vide  depressi  i  suoi  Gran- 
di, che  si  eran  lusingati  di  piiì  ingrandire,  fatta 
loro  eterna  amica  l' emola  eterna  della  loro  gran- 
dezza. Ma  la  Francia  pur  ebbe  ne'  Vandorai  i  suoi 
Fabj,  che  ovunque  amministraron  la  guerra,  in 
Italia,  in  Fiandra,   in  Ispagna,  le   sostennero  lo 


2']2  PARTE    II. 

stalo  pericolante;  ne'Villarsi  ebbe  i  suoi  Marcelli, 
che  in  Fiandra  mostrarono  al  mondo  potersi  pur 
una  volta  vincere  l'Annibale  Italiano.  Né  finalmente 
son  pur  mancanti  in  questa  quelli  che  si  rispar- 
miarono nella  seconda  guerra  Cartaginese  gravis- 
simi danni j  e  tardi  e  difficili  a  ripararsi  di  risuo- 
nanti rotte  navali:  e  quelle  vele  di  Francia  che 
altieri  avevan  solcati  i  golfi  del  Mediterraneo,  e 
gonfie  di  spavento  avevan  portati  gF  incendj  allq 
Genove  ed  agli  Algeri;  nelle  acque  di  Malaga  rotte 
dall'armata  degl' Inghilesi  e  Olandesi,  come  vaste 
sparte  membra,  squarciate  e  gravi  d'acqua  e  di 
sangue,  fiirono  dall'onde  rivomitate  ai  Hdi  della 
Spagna  e  dell'Africa.  Però  quelle  stesse  isole  Sar- 
degna, Baleari  e  Sicilia,  che  diedero  i  primi  fo- 
menti alle  guerre  Cartaginesi ,  sono  state  l' ultima 
materia  di  questa;  la  Sicilia  di  un'altra  in  terra 
crudelissima  ed  in  mare  dispendiosissima  guerra, 
il  qual  Regno  pur  cadde  in  seno  alla  fortuna  di 
Carlo;  e'I  porto  Magone,  come  Gibilterra,  da- 
gV  Inghilesi  possentemente  afforzato,  sembra  con 
le  sue  contumaci  superbe  moli  aspettar  feroce  ed 
altiero  altre  tempeste  di  armi.  In  questo  gran  moto 
del  mondo  scosso,  le  Cristiane  Potenze  quanto 
stanche,  tanto  non  erano  ancor  satolle  di  dan- 
neggiarsi ben  venti  anni  di  sì  aspra  crudele  ro- 
vinosissima guerra,  che  pur  tanta  fu  la  durata 
della  seconda  Cartaginese.  Ma  in  questa  né  mancò 
pure  una  sirail  sorte:  perchè  l'Inghilterra,  sti- 
mando essersi  assicurata  bastevolmente  della  li- 
bertà del  Mediterraneo  con  Gibilterra  e  col  porto 
Magone,  l'una  e  l'altro  in  sua  forza;  e  su  la  ri- 
soluzione che  'l  porto  di  Messina  con  la  Sicilia 
restasse  in  potere  di  emolo  eterno  di  Francia;  di 
più  l'Olanda  esser  pure  bastevolmente  coverta  da- 
gV  impeti  francesi   con  la  barriera    che   appellano 


ORAZIONI    ED    ISCRIZIONI  2^3 

della  Fiandra  Spagnuola,  in  potere  di  Austriaci 
più  di  prima  vicini;  e  finalmente  alla  Gasa  d'Au- 
stria essersi  perpetuato  l'imperio  nella  persona  di 
Carlo,  con  due  grandi  aggiunte  e  di  Fiandra  e 
d'Italia;  e  per  tutto  ciò  sembrandole  essersi  il  suo 
equilibrio  degli  Stati  restituito  all'Europa,  ed  es- 
sere già  essa  sicura  della  servitù  fuori,  ritornò  den- 
tro al  suo  naturale  turbolento  con  le  sue  fazioni; 
delle  quali  quella  de'  Regj  persuase  ad  Anna  re- 
gina, che  con  più  deprimer  la  Francia,  la  qual 
proteggeva  la  causa  del  soglio  Stuardo,  insolenti- 
rebbe certamente  la  fazion  della  libertà;  e  so- 
pra gli  altri  suoi  scellerati  esempli  aggiugnerebbe 
pur  questo,  di  trascinare  dal  trono  al  ceppo  anco 
lei:  così  quella  che  stata  era  la  più  potente  al- 
leata, ed  aveva  per  venti  anni  in  Germania,  in 
Ispagna,  in  Italia  versati  i  Tamigi  dell'oro,  fu 
la  prima  a  disunirsi  dalla  lega  delia  guerra,  onde 
l'altre  Potenze  vennero  tratte  al  congresso  della 
pace.  Ma  perchè  il  comun  timore  della  libertà 
dell'Europa,  che  facilmente  Farebbe  accordate, 
egli  frattanto  per  la  morte  di  Lodovico  XIV  ces- 
sò; in  suo  luogo  succedettero  tante  speranze  di- 
verse di  particolari  utilità,  che  urtandosi  le  une 
con  l'altre,  davano  forte  a  temere  che  non  di  una 
sola  grande  la  qual  aveva  loro  inaridite  le  sostanze 
pubbliche  degli  erarj,  si  destassero  tante  guerre 
minute,  che  come  tanti  piccioli  incendj  avessero 
finalmente  ad  incenerirla.  Frattanto  muore  Cle- 
mente XI  sommo  pontefice,  e  manca  il  Padre 
comune  de' principi  cristiani,  che  ammonendo, 
esortando,  riprendendo,  frapponendosi  agevolava 
la  quiete  universale  del  Cristianesimo.  Quindi  si 
temè  altro  fiero  torbido  nembo,  per  più  secoli 
non  mai  veduto  infuriare  nella  Cristianità,  che 
quelle  ire  onde  ancor  bollivano  i  petti  de'  Sovra- 
Vico,  Opuscoli.  18 


274       .        /  PARTE    II. 

ni,  e  con  fa  guerra  si  erano  più  sfogate  che  sod- 
disfatte, non  andassero  a  prorompere  in  uno  sci- 
sma 5  in  quel  medesimo  tempo  de' nostri  ragione- 
voli sommi  timori,  i  quali  una  fama  atroce  face- 
vane  crescere  in  ispaventi,  che'l  gran  Tiranno 
de'  Turchi  dall'  invano  per  le  sue  armi  investito  e 
battuto  Corfù,  ricevutosi  con  una  grande  armata 
navale,  quanto  intiera  di  legni,  altrettanto  carica 
di  vergogna,  e  nell'ultima  guerra  d'Ungheria  in 
due  giornate  con  due  gran  rotte  riportata  la  per- 
dita di  due  vaste  provincie,  di  Belgrado  e  di  Te- 
miswar;  fremendo  si  pentiva  non  aver  esso  nella 
guerra  della  Monarchia  Spagnuola  seguito  gli  esem- 
ph  de'  suoi  maggiori ,  e  non  essersi  approfittato 
delle  discordie  de'  principi  cristiani;  i  quali  han 
sempre  soluto  unire  in  leghe  con  la  loro  paterna 
autorità  i  soli  Sommi  Pontefici  Romani  regnanti 
in  Italia;  nella  quale  per  brieve  tratto  di  mare 
esposta  a' Turchi,  e  debole  e  divisa,  essi  con 
la  santa  Religione  fanno  argine  alle  innondazioni 
dell'armi  ottomane,  diroccatrici  de' sacri  templi^ 
incendiatrici  de' casti  altari,  profanatrici  de' no- 
stri santissimi  Sacramenti.  Fra  tanti  sofferti  dan- 
ni, tante  presenti  difficoltà,  tanti  imminenti  pe- 
ricoli, viveva  ansiosa  la  Cristianità,  e  tiruorosa 
anelava  di  vedere  nella  sede  di  Pietro  riassiso 
il  suo  Capo.  Quando  Michel  Federico  Eminen- 
tìssimo  cardinale  d'Althann  con  la  sua  sapien- 
za, fortezza  e  zelo  di  Dio  e  di  Cesare  tanto  si 
adoperò  che,  disponendo  così  le  cose  della  sua 
Sposa  la  Divina  particolar  Provvidenza,  in  pic- 
ciol  tempo  con  gloria  della  Chiesa  di  Dio  e  di 
Cesare  primo  principe  cristiano,  Innocenzo  XIII 
fu  acclamato  pontefice.  Consola  gli  aspri  tuoi  ma- 
lori, gran  principessa,  con  queste  novelle  sì  ben 
corrispontlenti  alla  tua  pia,  forte  e  saggia  educa- 


ORAZIONI    KD    ISCRlZIOrci  3^5 

zion  de'  figliuoli;  e  perdona,  se  tanto  tempo  ti  ab- 
biam  perduta  di  vista,  abbagliati  dal  fulgor  della 
gloria  che  diffonde  la  sacra  porpora  del  degnis- 
simo tuo  Figliuolo;  la  qual  risplende  per  ciò  d'as- 
sai più  viva  luce,  ed  in  giorno  vie  più  luminoso, 
che  le  porpore  nelle  quali  chiusi  i  Tigrani  re  d'Ar- 
menia, con  diletto  di  Roma  spettatrice  e  con  in- 
vidia de'Tiberj,  entrando  in  teatro ,  sembrarono 
vestiti  di  un  manto  di  candentissimo  fuoco,  che, 
qual  favoleggiano  i  poeti,  dal  Sole  avesse  furato 
Prometeo.  La  nostra  in  vero  fu  colpa,  ma  colpa 
umana,  che  ammiriamo  i  robusti  e  vasti  pini,  e'I 
diletto  degli  occhi  toglie  alla  mente  il  piacere  d'una 
maravigha  più  grande,  che  a'  loro  piccioli  semi, 
ne'  quali  erano  disegnati  la  loro  vastità  e  robur 
stezza,  in  buona  parte  si  debba;  appunto  come 
nelle  lodi  della  tua  educazione  contiensi  tanta  glo- 
ria di  gesta  del  tuo  fighuol  Cardinale:  se  non  più 
tosto  così  lungo  divagamento  egli  è  stato  un  se- 
guir l'ordine  della  Provvidenza  Divina;  la  quale 
per  tanti,  si  grandi  e  così  varj  avvenimenti  di  me- 
morevolissime  guerre  ad  occhi  veggenti  ci  ha  di- 
mostrato come  ella,  disponendo  la  splendidissima 
serie  de'  Fati  Althanni,  conduceva  a  suoi  eterni 
consigli  le  cose  della  sua  dilettissima  Chiesa.  Ma, 
poiché  fu  luminoso  il  trasporto,  più  ci  affidiamo 
nella  tua  mansuetudine  che  ci  perdoni  colpevoli, 
che  nella  nostra  ragione  onde  ci  abbi  per  dritto 
ad  assolvere.  Poiché  la  viva  norma,  la  viva  legge 
della  greca  eloquenza,  nella  diceria  della  Corona, 
la  quale  è  la  corona  di  tutte  le  dicerie,  con  ma- 
ravigliosa  arte  si  dimentica  affatto  la  difesa  de' 
rei ,  e  tutto  divaga  nella  rammentazione  de'  pro- 
prj  suoi  rilevantissimi  servigj  fatti  alla  patria  ;  ma 
la  rammentazione  de'  suoi  servigj  fatti  alla  patria 
è  l'unica  potente  ragione  la  quale  assolve  i  suoi 


:ì'j6  parte  li. 

rei.  L* esorbitanti  circostanze  che  la  guerra  della 
Spagnuola  Monarchia  né  narrò,  per  farci  conce- 
pire la  sua  grandezza j  sono  state  come  ombre, 
sopra  le  quali  spiegasse  gl'immortali  suoi  lumi  la 
gloria  dell  Eminentissimo  Cardinale  d'Althann:  il 
quale  col  suo  ardentìssimo  fuoco  di  carità,  ser- 
vendo air esaltazion  della  Chiesa,  egli  fece  pronto 
riparo  alla  salvezza  di  tutta  la  Cristianità;  e  tal 
grandissima  opera  di  questi  è  '1  frutto  maggiore 
della  tua  pia,  forte  e  saggia  educazion  de'  figliuoli. 
Onde  tra  le  valorose  moderne  donne  tu  ben  puoi 
gir  altiera  sopra  l'  antica  madre  Spartana,  che  al- 
l'altra  Ateniese,  la  qual  le  mostrava  i  ricami  fi- 
nissimi lavorati  con  le  sue  raaai,  tu  all'incontro, 
additando  i  tuoi  fighuoH,  de'  quaU  ora  sopravvi- 
vono Michel  Wenceslao,  consighere  attuale  intimo 
di  Stato  di  Cesare,  e  Michel  Ferdinando  suo  ge- 
neral di  battaglia,  e  tra  essi  il  gran  Michel  Fe- 
derico, puoi  ben  rispondere:  Ed  io  ho  fatti  que- 
sti lavori  a  gloria  di  Dio  e  di  Cesare;  come  quella, 
mostrando  quattro  belli  e  feroci  giovani,  disse:  Ed 
io  ho  fatto  questi  quattro  lavori  per  la  libertà 
dell'imperio  di  Sparta,  a  cui  con  la  vittoria  Pe- 
loponnesiaca Atene  delicata  sottomise  la  libertà 
del  suo  imperio.  —  Ma  tu,  della  Spartana  di 
gran  lunga  donna  maggiore,  nemmeno  di  tanta 
giusta  gloria  ti  vanti,  perchè  la  temi  di  troppo 
brieve  confine  discosta  dall'umana  superbia;  e  bra- 
mosa solamente  di  quella  gloria  che  sempre  va 
in  compagnia  dell'umiltà  dello  spirito,  tra  i  fieri 
cruciati  dell' artritide  tormentosa,  tra' quali  fosti 
sovente  con  ammirazion  de'  circostanti  osserva- 
ta, con  eroica  fortezza  strozzare  in  petto  anche 
i  gemiti;  con  edificazione  delle  tue  più  confi- 
denti, pur  spesse  fiate  sotto  la  ferocia  de'  suoi 
spasimi   fosti   udita    dire   con   l'Africano   Dottore 


ORAZIONI    ED    ISCRIZIONI  277 

quelle  piene  d' amor  celeste  forti  parole  :  Co'  tuoi 
dolori,  o  mio  Gesù,  qui  sega,  qui  brucia,  tu  qui 
perdona.  —  Tra  questi  di  vera  eroica  cristiana 
costanza  santi  esercizj,  Anna  Maria  Aspermont, 
vp.lorosissima  contessa  d'Altliann,  ricevuta  prima 
r assoluzione  Apostolica,  che  ella  aveva  da  Cle- 
mente XI  sommo  pontefice  domandata,  nell'ora 
nona  del  giorno  tredici  dicembre  Fanno  mille 
settecenventitrè,  nel  settantesimo  oUavo  della  sua 
età,  rendette  la  grand' anima  a  Dio,  dentro  T  ot- 
tava della  Immacolata  Goncezion  della  Vergine, 
la  qual  chiamava  la  festa  sua  ;  e  con  Y  abito  della 
di  lei  Religione,  nella  pur  di  lei  chiesa  volle  es- 
sere in  Praga  seppellita.  Non  è  tanta  perdita  de- 
gna di  lagrime  femminesche,  che  appena  cadute 
s'inaridiscono,  né  di  sospiri  violenti,  e  perchè 
violenti,  per  poco  durano,  l'une  e  gh  altri,  tur- 
bini di  fantasie  commosse  dagli  austri  di  popolare 
eloquenza;  la  quale  ha  un  regno  perciò  poco  du- 
revole, perchè  tirannico  sopra  gli  animi,  che  sul 
bollore  delle  dicerie  con  la  perturbazione  li  tra- 
scina a  dehberare.  Tal  vita  merita  contemplazion 
di  filosofi;  tal  morte  merita  eterne  congratulazio- 
ni, che  dappertutto,  o  beata  lei!  o  lei  beata!  le 
acclamino.  Tu  di  lei  figliuolo  Eroe,  Eminentissirao 
Michel  Federico,  che  ne  governi,  ci  comandi  che 
la  piagniamo,  la  desideriamo  all' eroica  ;  che '1  vero 
piagnerla  è  rifletter  nella  sua  vita,  il  vero  conso- 
larci della  sua  morte  è  l'ammirare,  il  dilettarci, 
l'imitare  le  sue  virtudi  immortafi. 


ORAZIONE 

IN    MORTK    DI    ANGIOLA    GIMINI 
MARCHESANA  DELLA  PETRELLA 

(1727) 

Se  tra  le  laudevoli  eroiche  usanze  romane  fu 
quella  fuor  di  dubbio  lodevolissima,  che  i  defunti 
i  quah  o  per  luminose  arti  di  pace,  o  per  fatti 
egregi  di  guerra,  si  erano,  vivendo,  segnalati  e 
distinti,  eghno  in  loro  morte  da' più  stretti  con- 
giunti, come  da'  figliuoli  i  padri,  le  mogli  da'  ma- 
riti, i  fratelli  da' fratelli  con  ischiette  e  gravi  di- 
cerie fossero  pubblicamente  lodati,  acciocché  non 
solamente  le  proprie  familiari  lodi  a  quel  popolo 
immortale  con  modesta  verità  si  sponessero,  ma 
ancora,  se  stati  ve  ne  fossero,  che  pur  esservi 
stati  vi  abbisognava,  non  andassero  elleno  sce- 
vere  ed  immuni  dagli  occulti  difetti:  oggi  nella 
morte  della  virtuosa  e  saggia  donna,  Angiola  Gi- 
mini.  Marchesana  della  Petrella,  tale  accorgimento 
in  noi,  scrivendo  questa,  destano  la  schiettezza, 
la  gravità  e  la  moderazione  degli  attenenti  che  le 
sopravvivonoj  i  quali  forse  anche  tutti  taciti  e 
soli,  in  leggendola,  grandemente  offenderebbe  ogni 
leggieri  eccesso  in  che  o  l'alta  stima  di  lei  vi- 
vente, o  il  gran  dolore  della  sua  immatura  ed 
acerba  morte  trasportato  ne  avesse.  Ma  quest'i- 
stesso  rispetto  alla  modestia  di  persone  cotanto 
ben  costumate  ci  rende  dall'altro  canto  troppo 
difficile  la  condotta  del  lagrimevol  funesto  argo- 
mento: perocché,  per  non  gravare  di  ben  nato 
rossore  i  loro  gentilissimi  animi,  dovremmo  noi 
in  buona  e  gran  parte  del  merito  scemare  le  lodi 
della  valorosa  Donna  che  si  compiagne.  Laonde 
qui  ci  farebbe  mestieri  della  maniera  ateniese  di 


PARTE    II.    ORAZIONI    ED    ISCRIZIONI  2^9 

di  ben  parlare ,  penetrevole  e  dilicata,  propria  da 
lodare  di  presenza  anche  gli  stessi  Flosofi:  però 
un  tanto  e  sì  raro  pregio  di  ben  porgere  la  na- 
tura delle  nazioni  concedè  unicamente  a'  valentuo- 
mini di  quel  popolo  che'n  valore  d'umano  inge- 
gno lasciossi  per  lunghi  spazi  dietro  quanti  altri 
mai  fino  alla  presente  età  si  condussero  da  quel 
tempo  che  fu  il  giusto  punto  della  sua  virtù  in- 
gentilita j  quando,  fiorendovi  i  Socrati  con  le  Aspa- 
sie,  fu  la  città  del  raffinato  buon  gusto  in  tutte 
le  cose  che  possono  mai  toccare  i  sensi,  inten- 
der la  mente,  spiegar  la  lingua 5  e'ii  tutte,  sem- 
pre il  severo  della  virtù  con  la  soavità  della  ma- 
niera temprando,  soddisfaceva  il  cuore  che  quel 
popolo  umanissimo  serbava  in  petto  della  sua  Mi- 
nerva, la  qual  fu  da' saggi  poeti  intesa  nelle  loro 
favole  la  Sapienza,  ovvero  il  buon  gusto  di  Giove. 
Nulla  però  di  manco,  ciò  che  dall'indole  comune 
della  nostra  favella,  nonché  da' nostri  particolari 
talenti  e  proprj  studj  ci  vien  negato,  egli  ci  è  per 
nostra  miserevole  buona  ventura  somministrato  e 
porto  dal  subbietto  medesimo:  conciossiacosaché 
dobbiamo  dimostrare  una  Donna  la  quale  a  tutti 
i  saggi  uomini  che  ebbero  la  sorte  di  conoscerla 
e  riverirla,  fece  intendere  i  tempi  più  colti  della 
gentilissima  Atene;  siccome  quella  che  fu  loro  il 
grande  esemplo  della  rara  difficil  tempra  onde  si 
mesce  e  confonde  il  soave  austero  della  virtù:  che 
sarà  l'argomento,  non  già  eletto  da  noi  per  se- 
gno dove,  in  forza  di  riflessione  propria  di  animi 
riposati  e  tranquilli,  volessimo  con  arte  od  inge- 
gno indirizzare  le  sue  lodi;  ma  è  la  fiaccola  e  '1 
lume  che'n  questa  nostra  densa  notte  di  passio- 
ne, in  ogni  parte  che  essi  si  rivolgano,  raddrizza 
a  sé,  come  a  centro  di  luce,  tutti  i  nostri  della 
sua  nobil  vita  già  informati  pensieri.  Ella  di  Giù- 


aSo  PARTE    II. 

seppe  Cimino j  Avvocato  Fiscale  del  Real  patri- 
trimonioj  e  di  Anna  d'Arieta  Crespo^  saggia  e  ge- 
nerosa donna,  di  nobile  origine  Castigliana,  nacque 
Angiola  in  mezzo  a  numerosa  quinci  di  cinque  gen- 
tilissimi fratelli,  e  quindi  di  quattro  gaje  e  leggia- 
dre sorelle  lieta  festevol  corona:  e  fu  l'ultimo  pe- 
gno che  della  prima  amicizia,  e  perciò  la  più  fida 
di  quante  mai  dappoi  si  contrassero  nel  mondo, 
l'amor  conjugale  dà  a  coloro  che  l' onorano  e  ri- 
veriscono: e  cominciò  ella  a  veder  la  luce  del 
giorno  e  a  bere  l'aure  vitali  in  una  casa  che  tutta 
rifulgeva  di  pietà  e  di  religione,  e  spirava  da 
ogni  parte  soavi  e  grate  virtù  civili;  perocché  ella 
nelle  faccende  dello  spirito  regolata  era  dal  Pa- 
dre Antonio  Torres,  celebre  sacerdote,  sapiente, 
il  quale  molto  meglio  che  Platone  la  pagana,  in- 
segnava la  cristiana  virtù,  non  iscompagnata  da 
una  santa  civiltà  e  da  una  coslumatissima  genti- 
lezza. Laonde,  perchè  la  pietà  verso  Dio  e  la  re- 
ligione è  la  principale  di  tutte  le  idee  che  nascono 
con  esso  noi ,  siccome  ella  perciò  è  la  base  e  '1 
fondamento  di  tutte  le  altre  morali  e  civili  virtù; 
così,  per  alto  consigHo  della  Provvedenza  Divina, 
prima  di  tutt' altre,  nelle  menti  tenere  de' fanciulh 
ed  incapaci  di  raziocinj,  con  esempH,  i  quali  si- 
gnoreggiano sopra  il  comun  senso,  ella  ecci  de- 
stata dalla  iconomica  disciplina,  per  la  quale  nella 
luce  del  divin  culto  cominciata  a  spiegarsi  la  nostra 
mente  umana,  migUore  si  renda,  docile  e  ben  dispo- 
sta ad  acquistare  dappoi  tutti  gli  altri ,  come  secon- 
di, così  minori  abiti  virtuosi:  per  tutto  ciò  senza 
dubbio  la  cristiana  morale,  che'l  Padre  Torres  sag- 
giamente temprar  sapeva  con  le  più  amene  e  dolci 
maniere  di  una  civiltà  virtuosa,  trasse  le  prime 
linee,  sulle  quali  tal  si  abbozzò  Angiola,  qual  poi 
si  compiè  nell'idea  testé  da  noi  proposta  per  ra- 


ORAZIONI    ED    ISCRIZIONI  38 1 

gionarne.  A  misura  dalla  grande  disposizione  al 
ben  essere,  che  è  vivere  con  virtù,  vero  essere 
dell'uomo,  di  che  ella  ritrovò  il  grande  agio  in 
provenendo  da  tali  genitori,  in  tal  casa,  la  gra- 
ziosa Natura  la  vi  mandò  doviziosamente  adorna 
di  tutti  i  doni  che  sono  in  sua  signoria,  cioè  o 
che  appartengono  al  corpo,  o  che  si  tragittano 
alla  mente  dal  corpo  3  ed  arricchilla  di  acuto 
ingegno,  che  sopra  tutto  curavano  e  più  che 
ogni  altro  pregio  dell'  uomo  amavano  gli  Ate- 
niesi, che  furono  gF  ingegnosissimi  di  tutte  le  na- 
zioni, fin  da'  loro  tempi  eroici  narrando,  esser 
natio  della  loro  terra  Attica  Dedalo,  che  è'I  ca- 
rattere poetico  dello 'ngegno  :  e  ragionevolmente, 
perchè  lo 'ngegno  è'I  sale  dello 'ntendimento,  che 
condisce  di  giocondissimo  sapore  i  concetti,  i  quali 
poi ,  in  profferendosi ,  nudriscono  di  inaspettato  di- 
letto gli  animi  di  coloro  che  gli  odono;  ed  è  la 
grazia  e  bellezza  de'  ragionari  che  sorprende  di 
repentina  gioja  le  menti  al  suo  balenare  delle  acu- 
tezze: fornilla  di  maschia  fantasia,  perocché  della 
debole  il  femminil  sesso  pur  troppo  abbonda;  e 
accompagnolla  di  una  fedele  e  pronta  memoria; 
le  quali  poi,  seguendo  le  inchinazioni  dello 'nge- 
gno, le  agevolarono  il  cammino  agli  studj,  questa 
della  Storia  e  quella  della  Poesia  :  la  provvide 
sopra  tutto  di  un  signorevole  rossore,  il  quale, 
con  renderla  soggetta  alla  ragione,  anche  dentro 
i  suoi  più  riposti  pensieri  la  fece  signora  vera- 
mente di  sé  medesima,  una  in  lei  gentil  gravità 
producendo,  per  la  quale  si  guardò  a, tutto  po- 
tere di  fare  o  dir  cosa  di  che  poscia  a  vergo- 
gnare si  avesse:  donde  a  suo  tempo  vennele  il 
talento  delle  filosofie,  non  già  per  garrire  di  quello 
che  è  negato  all'uom  di  sapere,  ma  per  intendere 
il  vero  e '1  degno  delle  cose  che  dee  uomo  in  vita 


282  PAIITE    II.  . 

Operare:  dal  quale  studio  in  lei  provenne  com- 
piuta la  degnità  o  sia  il  decoro  de'  saggi  detti  e 
delle  circonspette  azioni,  dappertutto  sparse  di 
convenevolezza j  la  quale  si  appella  onestà,  ed  è 
in  fatti  la  bellezza  della  vitaj  la  quale,  se,  come 
la  caduca  e  frale,  si  potesse  co'  corporali  occhi 
vedere,  ne  viverebbero  si  ferventemente  gli  uo- 
mini accesi,  che  rei  non  sarebbono  affatto  nel 
mondo.  Ma  perchè,  siccome  alla  munificenza  bi- 
sogna delle  ricchezze  grandi  per  distinguersi  dalla 
liberalità,  che  è  contenta  di  moderate  fortune 5 
cosi  all'onestà,  per  essere  in  grado  di  maggior 
perfezione  esercitata,  fa  mestieri  di  non  volgare 
bellezza.  La  Natura  vestilla  di  vago  e  dilicato 
corpo,  nel  quale  tutte  le  gentili  ben  formate  mem- 
bra ,  e  tra  essoloro  e  nel  tutto  insieme,  con  le 
giuste  loro  corrispondenti  misure  ben  s'intende- 
vano ,  che  facevano  quella  unità  in  che  bellezza 
consiste 5  la  quale  è  in  una  ragione  sì  fastidiosa 
e  schiva,  che,  per  ogni  qualunque  menoma  spro- 
porzione o  difetto,  ella  a  se  medesima  incresce 
e  dispiace;  rimirandosi  in  quella  idea  che  impos- 
sibil  cosa  è  esserci  venuta  in  mente  per  li  sensi 
mortali,  i  quali,  quanto  s'intendono  di  tutt' altre 
cose  de' corpi,  tanto  san  nulla  affatto  delle  certe 
misure  e  proporzioni  de'  corpi:  onde  forse  perciò 
i  valenti  dipintori,  che  sanno  l'ideai  bellezza  in 
tele  ritrarre,  hanno  il  titolo  di  divini.  E  la  mae- 
stra d(41e  sensibili  forme,  benigna,  di  quella  bel- 
lezza appunto  vestirla  si  studiò,  che  nelle  ate- 
niesi donne  si  commendava,  non  atante  e  robu- 
sta, quale  si  conviene  alle  foresozze,  ma  dilicata 
e  gentile*,  tinta  di  un  vermiglio,  in  atto  di  spa- 
rire, e  di  venir  meno;  che  è  la  soavità  del  co- 
lore, che  Aristotile  diffinisce  per  compimento  della 
bellezza:  oltre  a  ciò  dielle  una  spedita  agihtà  d'a- 


ORAZIONI    ED    ISCRIZIONI  283 

zione,  una  vivace  grazia  di  volto,  ed  un  leggia- 
dro contegno  di  portamento;  che  sono  tutti  e  tre 
raggi  di  quella  luce,  al  cui  buon  lume  spiegan- 
dosi il  bello,  sempre  è  altro,  sempre  è  nuovo, 
non  mai  l'usato,  non  mai  lo  stesso:  e  finalmente 
formila  di  dolcissima  grata  voce,  che  indicava  le 
ben  regolate  misure  del  bellissimo  corpo  dond'  ella 
usciva:  le  quali  corporali  doti,  mentre  il  rigoglioso 
virginal  vigore  avvivavate,  le  fecero  il  pregio  di 
entrare  nel  numero  che,  come  pure  i  Filosofanti 
avvertiscono ,  è  in  sua  ragione  ben  raro,  delle  più 
belle  e  leggiadre  nobiU  donzelle  che  rallegrassero 
questa  grande,  luminosa  e  gentil  città  dell' Itaha: 
ma  poiché  furono  infievolite  e  spossate  da'  soprav- 
vegnenti  gravi  malori  di  corpo,  i  quali  più  le  si 
accrebbero  con  gli  studj  e  sopra  tutto  dalla  me- 
ditazione delle  cose  eterne  dell'altra  vita,  dege- 
nerarono in  una  bellezza  languente,  che  cotanto 
gli  Ateniesi  pregiavano;  la  quale  in  lei  sembrando 
non  altronde  vivere  che  col  vigore  dello  spirito, 
che  ella  sempremai  ebbe  vigorosissimo,  arrecò 
quella  importante  utihtà  che  sopra  le  languidezze 
del  bello  e  gentil  corpo ,  siccome  amabihssime 
ombre,  più  si  distinguesse  e  risaltasse  dal  di  lei 
animo  il  vivo  lume  della  virtù.  Ma  per  la  co- 
mune infelice  nostra  umana  condizione,  la  quale 
a  quella  stessa  gran  fabbra  de' nostri  corpi,  a  cui 
quanto  essa  facilita,  tanto  costa  la  fehcità  de' suoi 
lavorj,  pure  impedisce  e  contrasta  che  ella  formi 
giammai  uomo  o  donna  in  sua  ragione  compiuti 
e  perfetti;  ella  non  potò  a  sì  bella  armonia  di 
fattezze  librare  una  corrispondente  giusta  tempe- 
ratura di  umori;  perchè  certamente,  mettendo  in 
questi  loro  amare  tossicose  radici  le  umane  pas- 
sioni, con  grave  oltraggio  della  libertà,  sopra  cui 
ella  non  ha  ragione   alcuna,    arebbe  in  un  certo 


284  '^'  PARTE    II. 

modo  a  tal  Donna  fatta  necessaria  la  virtù  uraana^ 
che  altro  non  è  che  delle  nostre  umane  passioni 
giusta  tempra  e  misura.  Con  tutto  ciò,  poiché  la 
grande  Architetta ,  interessata  di  sì  vago  gentil 
suo  lavoro,  doveva  vi  pure  in  una  sua  qualche 
parte  peccare,  peccò  in  quella,  onde  la  sua  bel- 
r opera,  perchè  destasse  maggior  maraviglia,  fosse 
"più  del  dovere,  come  i  pittori  dicono,  caricata; 
e  nel  di  lei  nobil  sangue  rovesciò  con  troppo 
piena  mano  la  collera;  non  quella  già  quasi  sem- 
pre temeraria  e  soventi  fiate  anche  fiera,  qual  è 
a  tutto  il  femminil  sesso  comune,  ma  ragionevole 
e  generosa  e  quale  appunto  a  donna  di  eroica 
virtij  convenivasi.  Questa  collera  fu  quella  che 
ad  Angiola  fece  amabihssimi  nella  sua  piiì  tenera 
età  i  fanciulleschi  difetti:  questa  apprestò  a  lei 
la  materia  sopra  cui  poscia  esercitò  la  virtù  più 
subUme  nella  sua  giovanezza,  che  tanto,  o,  per 
me' dire,  assai  men  di  tanto  durò  la  sua  vita: 
nella  quale  età  la  collera  naturalmente  ci  si  fa 
sentire  più  contumace,  indocile  ed  orgogliosa.  Im- 
perciocché de' liquidi  che  alla  vita  degli  animali 
tutti  e  sì  degli  uomini  fan  mestieri,  niuno,  fuor- 
ché l'eccedente  collera,  serve  di  cote  alla  virtù, 
a  cui  facciano  corte  la  radità,  l'eminenza,  la  ma- 
raviglia :  perchè  ove  abbondi  quella  che  i  Medici 
chiamano  linfa,  ella,  come  sciapita  e  pigra,  fa  gli 
uomini  per  natura  pazienti  e  flemmatici;  ove  troppo 
il  vivo  sangue  rigogli  e  rida,  l'allegrezza,  la  quale 
non  sa  altro  che  dipignere  belle  speranze  e  lusin- 
ghe, non  che  gli  obbietti  di  dubbio  evento,  an- 
che i  tristi  e  funesti  facci  comparire  con  lieti  aspet- 
ti; ove  soverchi  quel  sugo  lento  e  tenace  che  fa 
gU  uomini  mafinconici  (lasciando  qui  noi  a'  Medici 
combattere  per  la  voce),  egli  ne  fa  gli  animi  nelle 
traversie  della  vita  e  trattenuti  e  gravi:  ma  la  col- 


ORAZIONI    ED    ISCIUZIONI  285 

leva  strabocchevole  essendo  tal  solfo  del  sangue, 
qiialor  si  accenda,  un  fuoco  urentissimo  de' corpi 
animati,  siccome  i  morbi  che  ella  cagiona  loro, 
sono  tutti  acuti,  precipitosi,  mortali j  così  le  per- 
turbazioni che  muove  agli  animi,  sono  sfrenate, 
cieche,  violentissime:  onde  siccome  Ceho  Aure- 
liano disse  de' morbi  acuti,  che  li  mandavano  i 
Dei  e  solo  li  curavano  i  Dei  5  così  per  guarire 
un'acuta  passione  di  collera  vi  abbisogna  una  virtù 
più  che  umana,  che  con  alta  sapienza  di  senti- 
mento ed  altrettanta  dignità  di  parole  i  greci  poeti 
dissero  eroica.  Questa  collera  è,  che  negli  animi 
generosi  co' suoi  bollori  turbando  e  dall'imo  con- 
fondendo ogni  mal  nata  riflession  della  mente,  da 
cui  nasce  la  razza  vile  della  fraude,  dello  'ngan- 
no,  della  menzogna,  fa  ella  gli  eroi  aperti,  veri- 
tieri e  fidi;  e  sì  interessandoli  della  verità,  gli  arma 
forti  campioni  della  ragione  incontro  ai  torti  ed 
all'offese.  Fin  dalla  sua  più  tenera  età  questa  no- 
bil  Fanciulla  diede  pur  troppo  gravi  segni  di  tal 
collera  eroica;  la  quale,  ove  mai  non  era  ella  com- 
piaciuta di  un  qualche  suo  fanciullesco  talento,  si 
crucciava  a  tal  segno,  che  gittatasi  lunga  a  terra, 
tutta  vi  si  afQiggeva,  fino  a  percuotersi  sul  duro 
pavimento  il  tenero  capo:  né  è  pur  questa  col- 
lera punto  donnesca;  perchè  ove  a  lei  sembrava 
aver  ricevuto  alcun  oltraggio  da' suoi  germani,  e 
per  desiderio  di  vendetta  portavane  l'accusa  a' 
comuni  genitori;  ed  ove  questi,  per  soddisfarla, 
avevano  dato  all'oltraggiante  il  meritato  castigo, 
ella,  piena  allora  di  gentile  pietà,  tutta  si  ram- 
maricava ed  attrista  vasi,  incolpando  se  stessa  del 
suo  trasporto,  e  amava  meglio  aver  essa  pagato 
il  fio  della  colpa  di  altrui.  Questo  e  un  saggio  cer- 
tamente di  eroica  virtù,  di  quella  spezie  onde  la- 
sciarono di  sé  tanto  mondano  romore  i  Cesari  e 


2S6  PARTE    ir. 

gli  Alessandri,  che  ammendavano  gli  eccessi  delle 
loro  collere^  questi  infin  con  dirotti  pianti,  e  que- 
gli con  una  rara  maravigliosa  clemenza.  Adunque 
questa  collera  eroica  fu  la  cagione  che  la  da  noi 
compianta  Donna,  quantunque  per  l'alto  ingegno 
e  grave  discernimento  di  che  era  ricca  quanto  al- 
tre mai,  intendesse  essere  con  merito  bella;  però 
nulla  curonne  il  pregio:  perchè  l'altezza  dell'a- 
nimo virile  facevale  guardare  la  femminile  bellez- 
za, per  se  sola,  come  un  regno  servile  e  debile, 
il  qual  certamente  in  sua  propria  ragione  caduca 
e  frale  non  può  comandare  sul  cuor  dell'uomo, 
senza  un  qualche,  comechè  lontano,  riflesso  di 
una  fragil  suggezione:  questa  fu  la  cagione  altresì 
che  ella  agli  studj  donneschi,  come  di  ricamare, 
di  canto  e  ballo,  attendesse  sol  tanto,  che  classe 
saggi  di  molto  valervi;  del  rimanente  riponeva 
tutta  la  sua  vaghezza  e  piacere  in  leggere  gravi 
scrittori.  Ma  qui  in  picciol  giro  ci  si  apre  un  largo 
campo  di  combattere,  con  la  vita  di  una  gentil 
femmina  giovauetta,  tutta  la  crespa  e  grave  vec- 
chia pagana  Filosofia,  ove  ella  ripone  la  virtù  nel- 
l'azione, e  non,  come  ne  insegna  molto  meglio 
la  Filosofia  cristiana,  nel  patimento,  che  è  la  vit- 
toria maggiore  che  uora  forte  riportar  possa  del 
più  strapotente  nemico,  qual  è  quella  di  vincere 
se  medesimo.  Imperciocché  egli  impossibil  cosa  è 
che  quelle  repubbliche  ove  da'  cittadini  per  abiti 
comandati  da  sapienti  ordini  e  buone  leggi  fosse 
seriosamente  praticata  questa  vera  eroica  virtù  de- 
gli Uhssi,  o  vogliam  dir  del  soffrire;  elleno  non 
sarebbono  e  dentro  beatissime  nella  pace,  e  fuori 
a'  nemici  terribili  nelle  guerre.  Lo  ci  appruova  con 
la  sua  natia  gravità  la  Spartana;  la  quale,  per- 
ciocché esigeva  da' suoi  un'aspra,  dura  ed  invitta 
pazienza  con  la  giovanile  educazione,  la  qual  di- 


ORAZlOlxr   ED   iscRizrowi  nS^j 

(  ó\si  (la  Licurgo  sapientemente  ordinata,  ella  poi 
armava  in  guerra  tanti  eroi  che  con  le  forti  e  ma- 
gnanime imprese  mostrarono  a  pruova  essere  di- 
scesi da  Ercole  uccisor  di  tiranni  ed  estirpatore 
de'  mostri  ;  sicché  ogni  Spartano  valse  e  fu  nove- 
rato le  intere  bande  de'  Persiani.  Né  in  vero  i  Ro^ 
manij  che  megHo  assai  sentirono  la  virtù ^  di  quello 
che  gh  Ateniesi  ne  ragionarono,  arebbon  eglino  vinti 
gU  Annibah  ambiziosi,  i  Persei  avari,  gli  Antiochi 
dilicati,  se  non  se  prima  essi  ne'  Curj  ne'  Fabbrizj, 
ne' Regoli  avessero  vinti  e  superati  dentro  gli  animi 
loro  con  l'astinenza,  con  la  povertà  e 'nfine  con 
aspri  e  crudeli  martori  la  dilicatezza,  l'avarizia, 
l'ambizione.  Incominciò  costei  da  tenera  fanciulla 
a  combattere  questo  rabbioso  fiero  nemico,  e  a 
domarlo  in  uso  della  virtù;  perocché,  avendo  ella 
lo  stomaco  di  una  stravagante  ferocia  o  risenti- 
mento, perchè,  peccando  pur  troppo  nella  collera 
il  suo  temperamento,  doveva  ben  anche  in  lei 
essere  di  tal  indole  indomita  ed  orgogliosa  quella 
parte  delle  nostre  viscere  dove  essa  collera  fa  le 
principali  sue  funzioni;  onde  gli  autori  del  greco 
favellare,  che  fu  la  lingua  de' Filosofanti,  con  voce 
eroica  e  presso  che  naturale  chiamarono  stomaco 
l'iracondia;  quindi  come  di  si  fatto  morbo  am- 
malata, non  potendo  indursi  in  sua  casa  a  patto 
veruno  né  pur  a  gustar  alcune  vivande,  quantunque 
dilicate  e  laute,  che  non  l'annojassero,  i  genitori 
ne  commisero  la  guarigione  alla  maestra  delle  fan- 
ciulle; la  qual  per  ciò  o  a  desinare  o  a  cena  po- 
nendole non  altro  innanzi  che  alcuna  delle  -mal 
viste  vivande,  la  Fanciulla,  triste  ed  in  grave 
mestizia  rassegnata  e  composta,  non  di  altro  che 
di  abbondanti  lagrime  si  nudriva;  disposta  di  mo- 
rire della  fame  più  tosto,  che  di  leggiermente  as- 
saggiarle. Così  ella,  quantun(|ue  con  vano  effetto 


388  PARTE    II, 

di  ammendare  sì  fatto  vezzo,  che  cagionolle  poi 
gravissimi  malori  e  finalmente  la  morte,  comin- 
ciò con  penitenze  sì  gravi  a  rompere  l'orgoglio 
di  questo  fiero  lione  che  pascono  dentro  i  loro 
petti  i  collerici;  e  molto  più  il  fiaccò  e  vinse  con 
gh  studj  delle  lettere,  e  sopra  tutto  con  gli  eser- 
cizj  della  cristiana  pietà;  co'  quali  a  tal  segno  ad- 
dimesticoUo,  che  divenuta  donna,  chiunque  non 
l'avesse  innanzi  mai  conosciuta,  se  non  fosse  egli 
stato  sperto  filosofo  de'  caratteri  degli  umani  co- 
stumi, il  quale  da' di  lei  agifi  e  presti  movimenti 
del  corpo,  e  dallo  svelto  e  spedito  portamento, 
avvertito  avesse  un  certo  spirito  e  fuoco  che  ac- 
cusava la  sua  vera  naturalezza;  esso  da  lei  se- 
dente, agli  atti  riposati  e  piani,  a' soavi  giri  de- 
gli occhi  sempre  sereni,  alle  piacevolissime  e  non 
mai  in  suono  alterate,  non  mai  in  tempo  affret- 
tate parole,  ed  a'  sensi  alteratamente  umili  e  pieni 
di  signorile  mansuetudine,  Farebbe  certamente  cre- 
duta flemmatica  anzi  che  no.  Ora  essendo  la  mente 
umana  la  pura  luce  dell'anima,  la  quale  non  si 
lascia  vagheggiare  da  occhio  mortale,  se  non  se 
quando  ella  rifulge  dal  corpo,  che  è  l'ombra  so- 
pra la  quale  il  di  lei  immortai  lume  si  spiega, 
la  bellezza  dello  spirito  d'Angiola,  che  dal  fuoco 
della  di  lei  collera  era  soavemente  avvivata,  per 
gli  atti,  guardi,  portamento  e  parole,  da  così  bel- 
lo, gentile,  gajo  e  leggiadro  corpo,  di  che  im- 
menso piacere  e  gioja  colmasse  gli  animi  di  co- 
loro che  nel  ridente  fiore  della  età  sua  l'udivano 
e  la  miravano;  qui,  non  che  l'espressione,  abban- 
donandoci ogni  forza  d'immaginarlo,  come  cosa 
sopra  il  mortai  corso  delle  sensibili  forme  altis- 
simamente allogata,  noi  alle  sole,  né  pur  volgari, 
ma  più  sollevate  menti  ora  il  lasciamo  ad  inten- 
dere;  e  sol  tanto   ci  si   permetta   di  raccorlo  in 


ORAZIONI    ED    ISCRIZIONI  ^89 

picciola  parte  per  qualche  effetto;  siccome  quello 
che,  educandosi  ella  nel  monistero  detto  della 
Concezione  delle  nobili  donzelle  spagnuole,  delle 
quali  nella  presenza  dello  spirito,  nell'acutezza  de' 
motti,  e  per  lasciar  di  dire  le  grazie  sempre  ac- 
corte degli  atti  e  le  vaghezze  sempre  leggiadre  del 
portamento,  nel  pregio  del  molto  ed  insiem  presta- 
mente comprendere,  non  vi  hanno  altre  nel  mondo 
delle  presenti  nazioni  che  dell'antiche  ci  possano 

()iù  al  vivo  le  Ateniesi  donne  assembrare;  ella  era 
a  viva  festa  e  'l  comun  piacer  e  sollazzo  di  tutte, 
a  tal  segno  che  col  suo  conversarvi  ella  maravi- 
gliosamente ristorava  da' gravi  molesti  malori  e 
rinfrancava  le'nferme;  quell'antica  medicina,  ma 
in  più  maravigliosa  guisa  tra  esso  lor  richiamando, 
che  con  la  soave  armonia,  non  già  del  canto  e 
del  suono,  ma  con  quella  di  cui  solo  Pittagora 
al  mondo  s'intese,  di  un  vivacissimo  spirito  a 
bello  e  leggiadro  corpo  dolcemente  accordato,  do- 
mava la  ferocia  de' morbi,  ne  sopiva  le  molestie, 
ne  raddolciva  i  dolori.  Quindi  recar  non  dee  ma- 
raviglia, se  ella  sopra  tutti  gli  altri  fighuoli  e  fi- 
gliuole era  tutto  l'amore,  tutto  il  diletto,  tutta 
la  dolce  cura  di  Giuseppe  suo  padre.  Vero  egli 
è  per  natura  che  gli  ultimi  parti  soglionci  esser 
più  cari,  per  questi  due  occulti  sensi  di  umanità; 
tra  perchè  essi  sono  lì  più  innocenti,  e  per  con- 
seguenza che  ci  hanno  recato  maggior  piacere, 
meno  disgusti;  e  perchè  essi  han  bisogno  di  più 
lunga  difesa,  la  quale  i  padri  credono,  per  la  loro 
avanzata  età,  poter  a  quelli  al  maggior  uopo  man- 
care. Ma  cotal  padre  aveva  egli  avuto  in  grazia 
dal  Cii^lo  una  ben  nata  numerosa  famiglia  di  fi- 
gliuoli e  di  figliuole,  tutti  di  docilissima  indole 
alle  più  belle  virtù,  sì  della  mente  come  dell'a- 
nimo; e  tutti  di  un  padre  e  di   un   tanto  padre 

Vico,    OjHiiCuli.  19 


2C)0  PARTE    II. 

osservantissimi  5  che'l  temevano  e  riverivano ,  qua! 
vivo  esemplo  di  pietà  e  di  giustizia;  siccome  quello 
che  ben  quarantadue  anni  patrocinò  la  ragione 
del  Real  patrimonio  con  prò  del  Re  egualmente 
e  buona  contentezza  de' sudditi;  col  quale  rispetto 
dovuto  osservandolo,  tutti  vivevano  applicati  a 
lodevolissimi  studj.  Onde  Francesco  primogenito, 
ca vallerò  dell'ordine  di  Calatrava,  già  era  for- 
nito di  tutte  le  buone  lettere  che  abbisognano 
alla  Giurisprudenza  migliore;  comechè  poi,  lo 
strepito  del  Foro  mal  sopportando,  tutto  siesi 
dato  a  coltivare  una  vita  privata,  la  quale  non 
in  altro  esercita  che  nelli  più  esatti  doveri  della 
cristiana  pietà:  Niccolò,  le  paterne  vestigia  se- 
guendo, si  acquistava  molto  nome  di  prudente  e 
giusto  uditore  nelle  Regie  Udienze  delle  nostre 
Provincie,  nel  qual  maestrato  egli  molto  giovane  si 
morì:  Urbano  ed  Antonio  vivevano  tutti  infiam- 
mati dell'amore  delle  divine  cristiane  cose;  come 
al  presente  adornano,  entrambi  padri,  la  vene- 
randa Congregazione  dell'Oratorio:  e  finalmente 
Ottavio,  vago  di  acquistarsi  onore  per  Taltra  via 
da  quella  delle  Leggi,  inchinava  al  duro  e  fati- 
coso mestiero  dell'  armi  ;  il  qual  cammino  appresso 
non  senza  laude  di  prode  ha  egli  tenuto,  dappoi- 
ché con  altri  NobiH  secondogeniti  e  Signori  Na- 
poletani fu  ascritto  tra'  soldati  delle  guardie  di  Fi- 
lippo V  re  delle  Spagne.  Né  punto  di  meno  lau- 
devoli  studj  e  talenti  rispettavano  un  tanto  pa- 
dre quattro  costumatissime  donzelle  figliuole,  delle 
quali,  oltre  a  Teresa  che  fu  data  a  marito  in  casa 
Marifeola,  nobile  Nolana,  ove  ritrovò  tra  le  im- 
magini dell'avole  le  Pignatelli,  le  Ventimiglia,  le 
Dentici,  le  Caraffe,  le  restanti  tre  han  dedicato 
co'  castissimi  corpi  le  purissime  loro  menti  a  Gesù 
Cristo,  sposo  divino    delle  a  sé  consegrate    don- 


ORAZIONI    ED    ISCRlZlOPfl  ^91 

zellej  M;ìi'ia  nel  ruonistero  delle  Nobili  Spaglino- 
le, detto  della  Concezione j  e  Catarina  e  Giulia 
in  altro  di  Nobili  Napoletane,  appellato  il  Gesù 
(Ielle  Monacbe.  Oltre  a  ciò,  se  egli  pure  naturai 
cosa  è  che  i  suoceri ,  perchè  non  possono  con  oc- 
chio bieco  guardarle,  quali  emole  forse  della  loro 
potenza,  come  fanno  le  suocerCj  mirano  assai  ben 
Yolenlieri  e  con  grado  le  nuore,  come  gioja  e 
contento  de' loro  fighuoh,  a' quali  desiderano  essi 
padri  ogni  bene;  egli  n'era  il  Giuseppe  pur  fe- 
licemente provveduto  di  belle,  virtuose  e  pie, 
come  di  Faustina  Marifeola  che  fu  la  prima,  e  dì 
Margherita  di  Afflitto,  nobil  donna  della  città  di 
Amalfi,  la  qual  è  ora  di  Francesco  seconda  mo- 
ghe;  e  di  Giuseppa  Ciavarri-Eguya ,  di  famiglia 
nobile  Castigliana,  figliuola  del  Regio  Consighero 
Pierantonio,  che  fu  un  de' primi  lumi  del  Sacro 
Consiglio  Napoletano.  E  finalmente  quando  gli 
avoli  sogliono  intenerire  nell'amore  de  lor  nipo- 
ti, o  forse  perchè  quelli  sono  loro  giocondi  te- 
stimonj  della  molta  passata  età,  o  perchè  sono 
propaggini  piiì  fresche  della  lor  vita;  egli  ne  aveva 
pure  innanzi  ben  folta  vezzosa  schiera;  tra' quali 
di  Francesco  già  un  altro  Giuseppe  fioriva  di  belle 
speranze,  siccome  ora  ne  ha  già  incominciato  a 
dare  corrispondenti  frutta  di  lettere  e  di  virtù;  e 
gli  scherzava  intorno  leggiadra  e  gaja  fanciulla, 
Saveria,  nella  bell'alba  della  sua  rara  bellezza  ed 
incomparabil  modestia,  di  cui  ora  spiega,  don- 
zella, il  fresco  ridente  giorno  della  prima  sua  gio- 
vanezza. Ed  in  una  sì  numerosa  e  di  tante  varie 
belle  virtù  e  pregi  ornata  nobil  famiglia,  in  petto 
di  sì  saggio,  pio,  felice  avolo,  suocero  e  padre, 
l'Angiola  principalmente  signoreggiava:  ella  era  l'u- 
nico alleggiamento  delle  di  lui  infaticabili  pubbli- 


aga,  parte  ii. 

che  fatiche;  eHa  il  dolce  ristoro  de' languori  della 
sua  lunga  cadente  età 5  ella  il  sollazzo  della  grave 
naturalmente  trista  vecchiezza.  Né  punto  meno 
dolcemente  ella  regnava  sull'animo  di  Anna  sua 
madre,  saggia  e  di  alto  cuore  quanto  altra  donna 
fu  mai;  la  quale  pur  sapeva  ben  partire  giusta- 
mente gli  affetti  fra  tanti  meriti  di  figliuoli,  nuore 
e  nipoti  inverso  esso  lei,  di  stima,  ubbidienza  e 
pietà  che  tutti  le  professavano,  come  professano 
tuttavia;  e  nulla  però  di  manco  ella  avevasi  eletto 
Angiola  per  norma  de'  suoi  pensieri  e  piacere  delle 
sue  voglie.  Questa  è  delle  molte,  nella  Donna  che 
ragioniamo,  una  grave  ripruova  di  ciò  che  Seneca 
a  Lucilio  scrisse  una  volta,  che  da  Socrate  i  suoi 
discepoli  più  ritrassero  di  profitto  con  l'esemplo 
della  vita,  che  da'  ragionari  intorno  a  virtù.  Questa 
valorosa  Donzella  in  tanta  famigliar  grazia  ed  onore 
regnava,  senza  invidia  alcuna  de'  suoi,  anzi  in  ma- 
niera che  tutti  i  suoi  di  cotesto  suo  privato  regno 
gioivano;  che  è  quello  insegnamento  di  vita  ci- 
vile tanto  difficile  a  praticarsi,  che  uomo  oltre- 
passando, non  che  gli  uguali,  anche  i  maggiori, 
egli  non  solo  sappia  schifare  la  invidia,  ma  an- 
che conservarsi  gli  amici.  Laonde,  quantunque  noi 
ne  abbiamo  ammirato  la  pratica,  pure  ne  dispe- 
riamo l'espressione  della  maniera,  per  far  inten- 
dere la  tolleranza,  l'agevolezza,  la  modestia  della 
gran  Donna;  in  sofferire  il  debole  di  ciascuno;  di 
esser  sempre  uniformata  agli  altrui  voleri,  e  di 
secondar  sempre  le  loro  voghe;  di  non  mai  an- 
teporsi a  ninno;  che  sono  le  potenti  arti  che, 
quanto  la  propria,  tanto  rendono  aggradevole  la 
lode  di  altrui;  e  sbarbata  la  venenosa  cicuta  della 
invidia,  la  qual  sempre  le  nasce  da  presso,  per 
aduggiarla  ed  ispegnerla,   fanno   Heta    crescere  e 


ORAZIONI    ED    ISCRIZIONI  393 

felicemente  germogliare  a'  viventi  la  gloria  (i).  E  pur 
tutto  ciò  che  abbiam  detto  è  molto  poco  a  petto 
della  sapienza  con  la  quale  ella  si  disponeva  gli 
uni  inverso  degli  altri,  che  ben  anche  tutti  insie- 
memente  tra  esso  loro  in  uno  stesso  piacer  con- 
venissero. Qui  in  vero,  quantunque  noi  ne  fus- 
simo  di  ben  alto  forniti,  pur  ci  abbandonerebbe 
lo  intendimento  per  concepire  che,  abbenchè  tra 
numerosi  congiunti  tutti  ben  costumati,  non  po- 
tesse intervenire  discordia  di  volontadi,  perchè 
la  virtù  è  quella  che  unisce  i  voleri  umani;  però, 
come  di  diversi  volti  e  naturalezze,  così  certa- 
mente di  varie  inchinazioni  e  talenti;  ella  niente- 
meno sapeva  talmente  unirli  tutti  in  un  gusto, 
che  quando  ella  dimorava  sola  nel  suo,  gli  altri 
si  trattenevano  tutti  soli  e  divisi  negli  apparta- 
menti loro:  ma  ove  ella  compariva,  tutti  ad  es- 
solei  si  univano,  per  insieme  vivere  e  conversare. 

(1)  L'Autore  dell' Ornzlone  emenda  il  detto,  e  cancellando 
la  voce  gloria^  siegue  a  ragionar  della  lode,  d'intorno  alla  quale 
chiude  il  periodo  cosi:  jfanla  a'  viventi  lieta*  e  Jelicemente 
crescere  e  germogliare.  E  certamente  il  Comico,  descrivendo 
un  carattere  d'idea,  quale  fu  in  fatti  questa  valorosissima  Don- 
na, dice: 

Sic  vita  erat:  facile  onineis  perferre  ac  pali; 
Cum  quihiis  erat  cumque  una  ^  iis  Sese  dedere  f 
Eortitn  oh.icqui  studiis ,  adversus  neniini  ; 
Namque  praeponens  se  aliis  :  ita  facillime 
Sine  invidia   laudem  invenies 

Perchè  la  gloria,  la  quale  proviene  unicamente  da  ciò,  che 
rari  uomini  o  con  saggi  consigli  o  con  valorosi  fatti  o  con  nuovi 
utilissimi  ritrovati  d'ingegno  giovino  a' popoli  ed  alle  nazioni, 
e  molto  più  a  tutto  il  genere  umano,  non  può  per  la  nostra 
corrotta  natura  andar  libera  dall'invidia;  né  qu.-ìlunque  man- 
suetudine può  punto  giovar  loro  di  schifarla,  siccome  l'incom- 
parabile modestia  di  Socrate,  con  tutta  la  di  lui  studiata  iro- 
nia, con  la  quale  professò  sempre  di  non  sapere,  e  di  voler 
esser  addottrinato  dagl'ignoranti,  potè  punto  operare  che  gl'in- 
vidiosi della  di  lui  gloria  rifinissero  di  attraversarlo,  finché  noi 
videro  ingiustamente  condannalo  a  prendersi  la  cicala  (Nota 
di  Fico).  f.;:^^ 


294  PAH  TE    II. 

Questo  era  il  fruito  che  uomini  dotti  e  gravi,  iu- 
fìno  di  esemplari  religiose  famiglie,  dallo  andarla 
a  vedere  ed  udire  ritraevrdio;  che  era  di  meditare 
nella  di  lei  maniera  di  vivere,  per  formare  sul  di 
lei  esemplo  la  vera  idea  della  cristiana,  tanto  van- 
taggiosa sulla  pagana  virtù;  che  ciò  che  Seneca 
diceva  di  Socrate,  il  gran  padre  delle  Filosofiche 
Sette,  e  che  predicossi  aver  chiamato  dal  cielo 
in  terra  la  Filosofia  de' costumi,  essi  in  una  gen- 
til giovanetta  donna  ammiravano.  Questo  maravi- 
glioso  di  belle  doti  di  corpo  e  di  virtuosi  abiti  d'a- 
nimo per  mano  di  benigna  natura  e  di  saggio 
studio  tessuto  gruppo,  onde  Angiola  era  altresì 
r  amabilissimo  nodo  di  tal  numerosa  nobil  fami- 
glia, egU  nell'eterna  incomprensibil  serie  delle  ca- 
gioni fu,  per  così  dire,  l'anello  onde  la  Provve- 
denza  strinse  il  legame  delle  di  lei  nozze,  e  dentro 
cui  legò  il  brieve  corso  della  rimanente  sua  vita. 
Imperciocché  il  di  lei  affezionatissimo  padre,  per 
goderla  sempre  a  se  dappresso,  volle  orrevolmente 
qui  in  NapoH  maritarla;  ed  adornatala  di  tai  no- 
bih  parentadi,  quali  teste  dicemmo,  oltre  alla  no- 
bile origine  propria  che  da  questa  città  la  sua 
casa  traeva,  la  quale  a  mezzo  il  corso  del  cin- 
quecento vi  godeva  il  grado  della  nobiltà  nella 
Piazza  detta  di  Portanuova,  e  più  di  cento  anni 
fa  i  suoi  avoli,  nobili  Tarantini,  in  questo  Sacro 
Gonsigho  avevano  domandato  ragione  d'esservi 
restituiti  e  rimessi;  collocolla  in  moglie  a  Berar- 
dino  Caputo  marchese  della  Petrella,  nella  cui 
casa,  chiara  per  antichi  titoli  di  signoria,  Nobili 
Napoletane  erano  già  use  di  entrare  a  sposa  me- 
nale. Ma  né  i  di  lei  genitori  né  gli  altri  stretti 
congiunti  potendo  pur  un  giorno  vivere  divisi  e 
scompagnati  da  lei,  ella  finalmente  si  riportò  ad 
abitare  nelle  paterne  case;  e  vissevi,  finche  visse. 


ORAZiONI    ED    ISCRIZIOI^I  29Ì 

con  tanto  piacere  e  grado  del  suo  già  signore  e 
marito,  che  '1  vi  conciliò  con  tutti  i  suoi  attenenti 
in  una  ben  corrispondente  officiosa  amistà»*,  talché 
egli  sembrava  di  quella  casa  uno  per  istreltissimo 
vincolo  di  sangue,  non  già  per  nozze,  congiunto. 
Da*  indi  in  poi  ella  si  diede  con  più  fervore  allo 
studio  delle  lettere,  ed  applicò  piii  seriosamente 
alla  Storia 5  la  quale  per  meglio  apprendere,  volle 
sapere  la  Cronologia  e  la  Geografia;  ed  oltre  alle 
di  già  lette  più  luminose  de'  nostri  tempi,  dopo 
la  Storia  Sacra,  si  dilettò,  sopra  tutt' al  tre,  della 
Romana,  particolarmente  su  Tito  Livio:  il  qual 
gusto  appruovava  la  sua  alta  indole,  che  non  si 
soddisfaceva  che  del  sublime,  del  maraviglioso, 
del  grande.  S'innoltrò  negli  studj  della  Poesia, 
avendolavi  già  innanzi  indiritta  per  la  buona  strada  V 
del  comporre  in  versi  due  suoi  fratelli*,  Francesco, 
di  cui  giovanetto  pur  va  sulle  stampe  alcuna  leg- 
giadra colta  Canzone,  ed  Antonio,  il  quale  ora 
nella  di  lei  morte  ha  alcune  Ottave  composto, 
che  l'appruovano  in  sì  fatti  studj  e  con  felice  na- 
turalezza e  con  buona  arte  e  con  fino  giudizio 
esser  lungo  tempo  e  di  già  molto  versato.  Ma  la 
propria  indole  di  essolei  fermolla  a  dilettarsi  con 
merito,  sopra  tutt' altri,  di  Petrarca  e  di  Gasa,  i 
quali  due  gran  lumi  de'  toscani  poeti  amendue  cor- 
rispondevano al  soave  austero  del  suo  costume: 
perocché  il  Petrarca  dappertutto  scorre  soavissimo 
attico  mele  di  gentilissimi  dilicati  sentimenti  amo- 
rosi, sempre  tinti  di  ben  nato  rossore,  sempre 
condotti  da  un  nobil  contegno,  sempre  porti  con 
una  signorile  onestà;  e '1  Gasa  sorprende  con  ia 
sublimità  dell'espressione,  con  la  grandezza  del 
numero  e  con  la  severa  e  grave  inarcatura  dello 
stile:  sopra  i  quali  modelli  formossi  ella  una  ma- 
niera propria  di  comporre,  quanto  ne' sensi  mol- 


2g6  PARTE    II. 

le,  tenera  e  dilicata,  altrettanto  colta  ed  esatta? 
onde  sopra  un  grave  giudizio  facevavi  comparire 
una  schietta  facilità  ed  una  somma  naturalezza; 
laonde  j  quantunque  ella  rado  componesse  ^  im per- 
tanto i  di  lei  componimenti  sembravano  usciti  da 
mano,  la  quale  non  in  altro  che  in  poetici  lavori 
fervesse.  Ma  finalmente  riflettendo  ella  questi  es- 
sere studj  di  fantasia,  la  quale,  raccolti  da' sensi, 
compone  ed  ingrandisce  all'  eccesso  i  più  sensibili 
effetti  delle  naturali  apparenze,  e  ne  fa  immagini 
luminose  per  abbacinare  ad  un  tratto  co' loro  lampi 
le  menti,  e  quindi  accendere  gli  affetti  umani  en- 
tro lo  strepito  ed  i  tuoni  delle  sue  meraviglie* 
non  già  essere  condotte  da  investigare  col  razio- 
cinio esse  cagioni,  le  quali,  soddisfacendo  la  me- 
ravìglia, rendano  con  la  scienza  schiarito  lo 'nten- 
dimento,  e  quindi  con  l'eterno  puro  lume  del  Vero 
spieghino  sul  cuore  umano  il  tranquillo  sereno  della 
virtù;  diessi  ella  perciò  agli  studj  della  Loica  che 
scorge  e  guida  l'umano  raziocinio,  e  della  Fisica 
che'nvestiga  le  cagioni  delle  naturali  cose:  le  quali 
ella  apprese  da  Ferdinando  d'Ambrogio,  pubblico 
lettore  di  Civil  Ragione  in  questa  Università,  con 
l'occasione  che  egh  insegnava  Giurisprudenza  al 
Giuseppe  di  lei  nipote:  come  appresso,  con  l'op- 
portunità di  quasi  ogni  sera  con  altri  letterati  uo- 
mini riverirla ,  ella  da  Paolo  d'Oria,  per  gU  errori 
che  questo  chiaro  Filosofo  allora  scriveva  ritmo  vare 
in  quella  di  Renato  delle  Carte,  con  tale  accorgi- 
mento fu  introdotta  nella  Metafisica  del  divino  Pla- 
tone; ed  ultimamente,  qualunque  elle  sieno  le  nostre 
cose,  si  compiacque  udir  da  noi  usciti  dalla  Metafi- 
sica di  Platone  i  Principj  delFUmanità  delle  Nazio- 
ni. Da  tutti  i  quali  studj  ella  infiammata  dell' ineffa- 
bil  piacere  di  che  la  mente  pasceva  in  contem- 
plando i  principj    di   tutte  le  varie   innumerabili 


ORAZIONI    ED    ISCRIZIONI  ^97 

diverse  forme  che  adornano  questo  Universo,  così 
naturale,  come  civilej  e  come  da  quelli,  qual  da 
lor  coniun  centro  allontanandosi,  vengono  vie  più 
le  une  dalle  altre  fra  esso  loro  a  distinguersi  j  e 
per  contrario  ad  essi  principj  ritornando,  col  più 
e  più  appressarsi  vi  si  confondono  e  si  disper- 
dono: e  sopra  queste  immense  ombre  e  que'  ter- 
minati lumi  r  occhio  della  mente ,  per  quanto  è 
lecito  in  questa  spoglia  mortale  ,  dilettando  del- 
l' ineffabil  luce  di  Dioj  per  sì  potenti  alte  medi- 
tazioni, ed  altronde  i  malori  del  suo  dilicato  corpo 
miserevolmente  aggravando,  abbandonossi  per  tutto 
ciò  ad  un  tale  increscimento  e  noja  de'  sensi,  che 
non  solamente  da  indi  in  poi  non  ne  curò  alcu- 
no, ma  ne  abborri  a  tal  segno  ogni  più  squisito 
e  ricercato  piacere,  che  con  aspetto  di  compati- 
mento guardava  le  altrui  sollecitudini  ed  ansietadi 
per  procurarglisi j  ed  appresso  njirava,  comedo- 
lori,  l'altrui  stanchezza  e  sazietà  di  esserne  sod- 
?  disfatti.  Allo  'ncontro  dalla  sua  più  tenera  età  ri- 
truovandovisi  ben  disposta,  dopo  quello  che  ella 
gustava  dagli  esercizj  della  cristiana  pietà,  ristrinse 
tutto  il  suo  diletto  in  godere  la  sera  della  con- 
versazione di  dotti  insieme  e  gravi  uoiiiini  lette- 
rati, e  di  pascer  l'animo  in  ragionando  con  esso 
loro.  Quivi  era  lo  ammirare  il  di  lei  sublime  in- 
gegno, il  fino  accorgimento,  il  senno  maturo,  la 
•  gentil  gravità,  la  signorile  modestia,  ed  altre  mille 
virtù  di  mente  e  di  cuore,  che  tutte  unite  insieme 
rendevano  la  gran  Donna  degna  dell'ammirazione 
€  dell'ossequio  di  tutti.  Sul  cadere  del  giorno  si 
ragunavano  per  lo  più  nella  di  lei  casa  or  gli  uni 
or  gli  altri  de' letterati  uomini  amici,  ed  ordina- 
riamente tutti  per  udir  cose  onde  soddisfacessero 
l'animo  di  quel  ben  nato  desiderio  di  sempre  più 
profittare  ;   che    è   la    disposizione    in   che  deono 


298  '  '^  •  PARTE    II. 

Stare  per  massima  gli  addottrinati ,  perchè  i  rozzi 
principianti  vi  stanno  dentro  naturalmente;  ac- 
ciocché si  ritruovino  essi  ben  disposti  ad  appren- 
dere ed  assentire  al  vero,  loro  dimostro  da  altrui 
ne'  letterarj  ragionamenti:  i  quaH  ivi  da  lontane 
e  di  nulla  proposte  cose ,  per  lo  più ,  in  forza 
della  loro  serie  medesima  l' una  dall'altra  nascen- 
do, menavano  or  uni  or  altri  di  essi  a  fermarsi 
sopra  un  qualche  argomento;  talché  sembravano 
vivi  esempli  de'  dialoghi  :  la  qual  maniera  d' in- 
segnare ^  come  non  eletta,  così  nieute  impegnata, 
usarono  ragionando  li  piiì  avveduti  Filosofanti, 
per  dimostrarsi  tutti  disposti  ed  apparecchiati  a 
ricevere  la  verità  indi ,  e  per  là ,  donde  e  per 
dove  ella  volesse  uscire,  a  farsi  conoscere.  Così 
nati  e  messi  in  mezzo  della  conversazione  i  ra- 
gionamenti, ella  spesso  si  frapponeva;  e  con  una 
ironia  Socratica ,  che  la  sua  stessa  moderazione 
naturalmente  insegnato  le  aveva,  facendo  sempre 
sembiante  o  d'ignorare  o  di  dubitare,  affine  di 
essere  addottrinata ,  proponeva  le  sue  dimande  , 
che  ?n  fatto  erano  gravissimi  insegnamenti  :  ed 
ove  erano  innoltrate  le  dispute  e  ferme  in  op- 
poste parti,  ella  quasi  sempre  determinavasi  ali;» 
più  ragionevole  ;  non  senza  però  adornare  della 
dovuta  lode  l'altra  parte  o  per  lo  'ngegno  o  per 
l'erudizione;  che  è  appunto  il  diritto  che  i  giu- 
sti Critici  debbon  fare  alle  opere  di  lettere,  di 
riprenderle  ove  essi  vi  avran  notato  i  difetti,  ma 
insiememente  di.  lodarle  per  ciò  che  esse  conten- 
gono di  pregevole.  Se  mai  si  recitavano  compo- 
nimenti intorno  a  Scienze,  ovvero  fussero  lavori 
di  Eloquenza  o  di  Poesia ,  ella  al  dirsi  le  cose 
degne  di  applauso ,  applaudivate  o  con  un  leg- 
giadro movimento  del  dilicato  corpo ,  il  casto 
petto   sporgendo  in  atto    come   di  chi   incornili- 


ORAZIONI    ED    ISCRIZIONI  299 

eia  a  levarsi  da  sedere;  o  con  un  soave  giro  de' 
suoi  bellissimi  occhi  inverso  il  cielo;  i  quali  erano 
impeti  del  nobilissimo  spirito ,  che  a  tali  cose 
dette  sembrava  j  per  la  gran  gioja,  sollevarla  so- 
pra di  se  medesima  :  a'  quali  atti  i  riguardanti 
ammiravano  in  lei  e  l'acutezza  dello  'ngegno  e  la 
gravità  del  giudizio,  e  sopra  tutto  la  somma  mo- 
destia, con  la  quale  si  guardava  di  parere  inten- 
dente col  non  professando  d' intendere ,  ovvero 
di  sembrar  saggia  col  non  diffinitivamente  ap- 
pruovare.  Alcune  volte,  a  certe  nate  occasioni  e 
proprie ,  tutta  la  nobil  brigata  adunavasi  da  es- 
solei,  per  menare  più  solennemente  una  qualche 
erudita  sera;  e  tra  varj  ragionari,  usciti  per  lo 
più  da  esse  congiunture  de'  componimenti  già  re- 
citati ,  tramestandovi  le  oggi  usate  lautezze  e  de- 
lizie de'  passatempi  festevoh;  uomini  che  avevano 
dilicatissimo  sapore  de'  migliori  costumi  umani , 
affermavano,  simiglianti  civili  intrattenimenti  po- 
tersi unicamente  assimigliare  alle  Notti  Attiche 
degli  Antichi.  Così  quasi  ogni  sera  ella  si  forniva 
di  nobih  materie  da  meditare  il  rimanente  della 
notte,  che  volentieri  sogliono  al  sonno  torre  le 
anime  veramente  belle,  e  le  quali  godono  di  ri- 
mirare sé  medesime  in  conversando  tutte  sole  con 
esso  seco;  e  di  riflettervi  altresì  tutto  il  seguente 
giorno,  che  ella  era  usa  fino  alla  sera  menare  se- 
creta e  sola  nelle  sue  stanze  ;  che  è  quella  so- 
litudine nella  quale  vivendo  Scipione  Affricano, 
diceva  alla  sua  maniera  sempre  grande  e  magna- 
nima ,  che  allora  più  che  mai  viveva  accompa- 
gnato quando  egli  era  tutto  solo.  Perocché  il  vi- 
vere di  meditazione  scevra  e  pura  di  passioni , 
che  allora  senza  la  compagnia  tumultuosa  e  grave 
del  corpo  vive  veramente  l'uom  solo,  egli  entro 
questa  spoglia  mortale  sembra  una  spezie  di  vita 


300  PAllTE    II. 

in  un  certo  modo  divina;  la  quale  non  ha  punto 
bisogno  de'  sensi  che  ce  ne  ragguaglino  o  con 
false  o  con  tristi  o  con  funeste  novelle  :  quando 
tutto  il  tempo  che  questi  sono  sopiti  nel  sonno, 
o  pure  desti ,  non  si  rovesciano  ne'  loro  arden- 
temente bramati  piaceri,  o  ben  anche  tutti  den- 
tro vi  si  deliziano ,  tutto  si  novera  ad  inganno , 
dolore  e  morte.  Ma  la  vita  che  mena  il  Saggio 
nella  contemplazione  del  vero  astratto,  è  sempre 
ad  essolui  intima  ,  sicché  non  gli  fa  uopo  assi- 
curarsene al  di  fuoii,  e  in  conseguenza  ha  la  si- 
curezza di  non  mai  perderla,  perche  è  medesimata 
con  la  sua  anima;  è  sempre  presta  e  presente, 
che  gU  dimostra  il  suo  essere  fìsso  nell  Eternità 
che  tutti  i  tempi  misura,  e  spaziante  nello 'nfinito 
che  tutte  le  finite  cose  coniprende:  e  sì  il  colma 
di  una  eterna  immensa  gioja,  non  in  certi  luoghi 
invidiosamente  racchiusa,  ne  in  certi  tempi  ava- 
ramente ristretta;  ma  che  senza  uggia  di  emula- 
zione, senza  tema  di  scemamento ,  per  ciò  uni- 
camente in  essolui  accrescere  si  potrebbe,  se  ella 
fosse  tuttavia  a  più  e  più  umane  menti  comuni- 
cata e  diffusa.  Con  tal  cuore,  con  tal  mente,  con 
tal  corpo ,  atti  e  favella ,  quanta  soavità  per  sì 
fatta  vita  ella  dasse ,  somighante  a  quella  aveva 
dovuto  dare  una  bella,  leggiadra,  virtuosa  Aspa- 
sia alla  sua  gentihssima  Atene,  da  cui  lo  stesso 
Socrate  mandava  i  suoi  giovani  ad  udire  ragio- 
nar di  virtù;  siccome  è  pur  giunta  infino  a  noi 
sulle  carte,  avere  una  volta  al  saggio  educatore 
de' grandi  Monarchi,  Senofonte,  ed  alla  sua  mo- 
glie ragionato  de'  virtuosi  iconomici  doveri,  per 
menare  i  maritati  la  vita  con  contentezza;  egli, 
lasciando  i  molti  che  qui  arrecar  si  potrebbono, 
da  questi  due  soli  esempli  sarà  lecito  intendersi. 
Paolo  di  Sangro  principe  di  Sansevero,  quanto  per 


ORAZIONI    ED    ISCRIZIONI  3oi 

jsplendore  di  alto  stato,  altrettanto  per  le  proprie 
signorili  virtù  chiarissimo .  destato  dalle  laudi  del 
di  lei  valore,  volle  andarla  a  riverire:  e  quello  il 
quale  nella  sua  gioventù  avevasi  degnamente  tra- 
scelto per  allo  subbietto  delle  sue  nobili  poesie 
la  magnanima  donna.  Aurora,  dell'inclito  sangue 
Sanseverino,  duchessa  di  Laurenzano ,  nella  sua 
più  avanzata  età ,  per  avere  una  ed  altra  volta 
veduta  la  Marchesana  della  Petrella,  e  ragiona- 
tovi, fella  donna  de' suoi  savj  pensieri,  ed  a  lei 
indirizzava  i  suoi  Morali  Capitoli ,  pieni  di  ma- 
schia cristiana  sapienza  5  ed  Ippolita  Cantelmi- 
Stuarta  principessa  della  Roccella,  donna  che  con 
la  maestà  che  le  corona  la  fronte ,  coli'  augusto 
aspetto  e  colle  sovrane  maniere ,  congiunte  alla 
singolare  altezza  dell'  animo ,  alla  grandezza  de' 
suoi  pensieri  ed  allo  splendore  delle  sue  azioni , 
non  che  tra  le  nazioni  ingentilite,  tra'  Barbari  stessi 
dell'Affrica  o  della  Zembla  non  potrebbe  dissimu- 
lare e  nascondere  d'  essere  degno  generoso  ram- 
pollo del  ceppo  Reale  di  Scozia  5  per  una  volta 
sola  che  nella  nostra  casa  conobbela,  ne  concepì 
tanta  ammirazione  ed  amore,  che  sulla  più  cruda 
acerbezza  della  ferita  onde  la  Donna  forte  fa  gra- 
vemente trafitta  per  la  fresca  funesta  inaspettata 
novella  del  morto  principe  Vincenzo  Caraffa  suo 
marito,  nel  cui  recente  amarissimo  lutto  il  di  lei 
quantunque  alto  e  gran  cuore,  qual  vivo  vasello 
di  oro  purissimo,  era  di  tanto  dolore  ricolmo  e 
pieno,  che  altro  per  altra  cagione  in  niun  modo 
infondervisi  poteva  5  pure  sì  grave  percossele  quello 
per  la  morte  della  nostra  Marchesana  ,  che  qual 
corpo  duro  dentro  gittatovi,  gliele  fece  ridondare 
in  due  sublimi  Sonetti  ;  da'  quali  apertamente  si 
scorge  esser  vero  quello  che,  per  co'nporrc  su- 
blime,   bisogna   vestire  le  passioni  de' (jiandij  1 


3aa  PAATE  II. 

quali  natij  nudriti  e  tutta  l'età  versati  in  gran- 
(lezze,  formano  naturalmente  grandi  e  magnifiche 
idee:  alla  quale  grande  forluna  se  per  avventu- 
ra, come  in  questa  Real  Donna,  fior  d'ingegno 
e  buon  lume  d'  arte ,  si  uniscano ,  allora  le  loro 
fantasie  con  quel  raro  nesto  di  subUmità  e  natu- 
ralezza i  concetti  dell'  animo  maravigliosamente 
ritraggono.  E  questi  due  esempli ,  che  mentovam- 
mo,  sono  due  gravi  pruove  altresì  del  giusto,  onde 
si  compensa  ed  agguaglia  lo  svantaggio  che  la  lo- 
de, la  quale  accompagna  la  privala  virtù,  riporta 
dalla  gloria  che  corteggia  la  virtù  pubblica  :  che 
questa  per  ampj  spazi  di  terre  e  mari  tra  popoli 
e  nazioni  si  propaga  e  difibnde,  e  sì  ingrandendo 
è  romoreggiata  dal  vulgo,  il  quale  per  sua  natu- 
ralezza stupido  e  stordito  non  si  risente  che  scosso 
e  destato  a'  colpi  e  grandi  e  forti  di  maraviglia  5 
talché,  se  egli  non  è  di  lontano,  quasi  da  mac- 
chine ,  commosso ,  come  quelle  della  guerra  che 
in  distanza  rovinano  le  città,  esso  non  innalza  le 
grida  che  debbon  fare  la  gloria  3  la  quale,  perchè 
è  un  giudizio  della  moltitudine  cieca,  precipitosa, 
leggera  ,  soventi  fiate  addiviene  che  un  pubblico 
applauso  sia  egli  fatto  ad  un  vizio  strepitoso,  ag- 
gradevole agli  stolti,  de'  quali  si  compone  la  mol- 
titudine. Ma  la  virtù  privata ,  perchè  s' insinua 
senza  strepito  ed  opera  senza  romore,  ella,  come 
le  miniate  minutissime  dipinture,  non  si  lascia  os- 
servare se  non  molto  dappresso ,  e  non  da  altri 
che  da  occhi  di  acutissima  veduta  e  di  finissimo 
scorgimento ,  a'  quali  solamente ,  come  quella  di 
Angiola  al  Sangro  ed  alla  Stuarta,  scuopre  le  sue 
bellezze  ;  onde  sicura  d'  ogni  inganno  che  possa 
cagionare  la  lunga  distanza,  e  Hbera  d'ogni  errore 
che  nascer  possa  da'  tumultuosi  giudizj ,  riporta 
r  intera  e  verace  e  per  questo  istesso  non  volgar 


ORAZIONI    ED    ISCRIZIONI  3o3 

lode.  Con  situiglianti  conversazioni  e  con  gli  an- 
zidetti letterari  divertimenti  la  Marchesana  ingan- 
nava rincrescevo!  cammino  della  debil  sua  vita. 
Imperciocché  per  un  certo  naturai  corso  di  cose, 
le  più  volte  sperimentato  sì  fatto,  le  donne  for- 
nite d'intendimento,  al  femminil  sesso  molto  su- 
periore 5  sono  meno  atte  alla  generazione  ;  forse 
perchè  questa  richiegga  in  esse  una  somma  mol- 
lezza di  tessiture ,  onde  le  loro  viscere  riescano 
cedevoli  allo  'ngrossare  de*  feti,  e  molto  più  al  par- 
torirli ,  per  lo  qual  ministero  della  Provvedenza 
sono  esse  fatte:  onde  elleno  in  ciò  che  si  appar- 
tiene al  godimento  de'  sensi  sono  fino  alla  ma- 
raviglia avvisate;  nella  forza  dello  immaginare  ro- 
buste, ed  intorno  alle  delizie  e  dihcatezze  di  gran 
lunga  più  degli  uomini  schive  e  fastose  :  perchè 
gli  obbietti  sensibili  nelle  pliche  del  loro  celabro 
altamente,  come  in  hquida  cera,  profondandosi, 
vengono  esse  a  sentire  assai  distinto  ciò  che  piace 
o  disgusta  5  ed  al  contrario,  per  lo  esercizio  della 
fortezza  ,  virtù  propia  dell'  uomo ,  abbisognando 
una  forza  contraria  della  riflessione  che  tenga  tesi 
gli  spiriti  animali  incontro  a'  piaceri  della  vita,  e 
li  domi  inverso  fatiche,  dolori  e  morte;  per  tutto 
ciò  ,  se  non  andiamo  errati ,  la  collera  virile  di 
che  ella  abbondava,  depredando  l' umidore  che  fa- 
cevale  mestieri  per  nudrire  i  feti  già  fatti  grandi, 
fece  per  mala  sorte  che  tutti  nel  sesto  mese,  fu- 
nesto da'  Medici  giudicato,  ella  dicesse  gH  aborti. 
Per  lo  primo  de'  quali  di  mahgna  febbre  inferma- 
ta, quantunque  per  miracolo  riavuta  ne  fusse,  pure 
contrasscne  gravi  abiti  di  malori  di  corpo,  e  fra 
gli  altri  una  spasimosa  strabocchevole  emorragia, 
la  quale  le  illanguidi  sì  miserevolmente  lo  stoma- 
co, che  per  lungo  tempo  non  ritenne  mai  cibo; 
onde,  per  mantenersi  in  vita,  dovendo  all'indole 


3o4  PARTE    il. 

naturalmente  baldanzosa  e  superba  di  tal  viscere 
soddisfare  con  cibi  poco  sani  che  egli  appetiva, 
Tenne  ad  ingenerare  sughi  viziosi  ;  e  sì  infermossi 
la  terza  volta  della  sua  infelice  fecondità;  nella 
quale,  presaga  del  suo  fine,  con  le  più  confidenti 
amiche  diceva  essere  già  venuto  il  suo  fato.  Cosi 
nel  correre  del  vensettesimo  anno  della  sua  età, 
nell'ottavo  giorno  dopo  Tabortimento,  disperata 
da'  Medici,  sul  prendere  i  santi  ultimi  Sagramen- 
ti,  proferì  sensi  e  fece  atti  ricolmi  di  tanta  ras- 
segnazione al  divin  volere,  di  tanta  compunzio- 
ne, onde,  più  che  dal  mortifero  male,  era  trafitta 
dal  dolore  delle  sue  colpe;  e  di  tanta  altezza  di 
animo  inverso  quelle  dell'Eternità,  e  sopra  le  mi- 
serevoli caduche  cose  mortali,  ch'empiè  di  edi- 
ficazione santissimi  sacerdoti,  i  quali  eran  ivi  pre- 
senti. Indi  in  poi  con  maravigliosa  costanza,  e 
qual  si  conveniva  incontro  all'ultima  necessità, 
non  più  si  udì  lagnare,  ne  prima  dentro  l'arsura 
della  febbre  che  le  divorava  le  vene,  né  dopo 
nella  sazievolezza  dell'  acque  che  'n  isformata  co- 
pia r  era  data  a  bere  per  disperato  rimedio  :  e 
dell'arsure  e  delle  noje  faceva  divotissime  prof- 
ferte a  Dio;  bramava  più  patire  per  Dio,  né  altro 
amava  udir  parlare  che  di  Dio.  Con  gara  vera- 
mente eroica  ed  ella  volle  essere  confortata  dai 
due  suoi  più  cari  fratelh  i  Padri  Urbano  ed  An- 
tonio; e  questi,  affogando  nel  fondo  del  lor  cuore 
il  cordoglio  di  vederla  ben  venti  giorni  languire 
tra  le  angosce  della  morte,  l'assistevano,  come  a 
donna  la  quale  non  avessero  essi  innanzi  cono- 
sciuta giammai.  In  fatti  la  Filosofia  solamente  può 
con  la  sua  riflession  pura  farleci  intendere;  ma 
la  Religione  unicamente  è  queila  che  per  un  af- 
fetto efficace  alle  cose  eterne,  il  quale  ne  assordi 
ogni  senso  delle  mortali ,  può  dare  ad  effetto  le  so- 


ORAZIONI    ED    ISCRIZIONI  3o5 

vrnmane,  e  a  queste  simìglianti  eroiche  azioni.  Ove 
i  Padri j  suoi  carissimi  fratelli,  per  poco  tempo 
mancavano^  voleva  che  le  si  leggessero  libri  che 
confortano  a  ben  morire:  diede  poscia  in  deUrioj 
ne  fu  intesa  che  delirare  pie  orazioni:  fu  oppressa 
alquanti  dì  dal  letargo;  e  la  macchina  ben  av- 
vezza non  articolava  che  i  santissimi  nomi  di  Gesù 
e  di  Maria.  A  questo  terribile  ultimo  cimento  di 
cristiana  virtù  le  valse  l'abito  con  lunghi  e  spessi 
atti  acquistato,  i  quali  ella  usato  aveva  della  più 
esemplare  pietà:  come,  per  dirne  uno  ed  altro, 
essendosi  una  sua  damigella  di  mahgna  febbre  am- 
malata, ben  venti  giorni  continovi  che  quella  corse 
pericolo  della  vita,  ella  non  mai  partissi  da  una 
sponda  del  di  lei  letto;  ne  giorno  e  notte  ad  al- 
tro intese,  che  a  servirla  ed  a  contentarla:  come 
le  Quaresime  a  tutte  le  damigelle  e  fantesche  di 
casa,  in  ciascun  giorno  propio,  recitava  e  spie- 
gava il  Quaresimale  del  gran  Padre  Segneri.  A 
questo  cimento  le  valsero  le  massime  acquistate 
con  gli  studj  riverenti  e  sommessi  alla  Religione, 
e  sopra  tutti  della  Platonica  Metafisica;  la  quale 
aveva  acceso  i  giovanetti  Cleombroti  a  prevenire, 
precipitandosi  in  mare,  la  morte,  per  lo  desiderio 
onde  il  Platonico  Fedone  aveah  infiammati  della 
immortahta  che  godono  le  anime  umane  nell'al- 
tra vita  ,  in  fruire  d' una  Infinita  Mente  che  tutto 
vede  e  provede;  quando  il  cieco  Gaso  del  diHcato 
Epicuro  al  terribil  cospetto  della  morte  sbalor- 
disce gli  animi  con  lo  stupore,  che  è  una  morte 
di  tutti  i  sensi ,  raccapricciati  ed  intirizziti  tutti 
nel  solo  senso  di  morte;  e '1  cieco  Fato  del  su- 
perbo Zenone,  sul  presentarsi  dell'ultima  necessi- 
tà ,  a'  dolori  di  morte  raddoppia  ne'  disperati  gli 
spasimi  del  proprio  cruccio,  e  i  tormenti  del  marcio 
loro  dispetto.  Questi  abiti  virtuosi  e  queste  mas- 

Vico ,  Opuscoli.  ao 


3o6  PARTE  II.    ORAZIONI    ED    ISCRIZIONI 

sime  la  disposero  finalmenlej  che  bruciatale,  come 
carbone  acceso,  la  lingua,  né  potendo  più  arti- 
colar voce,  fisse  in  un  Crocefisso  i  suoi  castissimi 
occhi,  che  sembravano  languire  di  celeste  ardore 
di  carità;  né  mai  indi  in  poi  dipartilH,  finché  soa- 
vemente li  chiuse  all'eterna  pace. —  Letterati  ami- 
ci, che  con  uguale  ossequio  la  onoraste  e  la  riveri- 
ste, e,  se  ella  pur  mai  questa  nostra  orazione 
verrà  tra  vostre  mani;  pii  congiunti  che  con  uguale 
affetto  l'amaste  e  F aveste  cara;  e  sopra  tutt' altri, 
tu  d'alto  senno  e  gran  cuore,  generosa  madre, 
che  godesti  sempre  averla  al  tuo  lato,  e  della  di 
lei  purissima  vita  i  tuoi  benevoli  sguardi  conti- 
novamente  pascesti;  finché  ella  sotto  i  tuoi  for- 
temente pietosi  occhi  l' anima  soavissima ,  e  delle 
laudi,  delle  quah  una  picciohssima  parte  con  que- 
sta semplice  e  rozza  diceria  dimostro  abbiamo, 
tutta  adorna  e  rifiilgente  spirò;  non  siete  voi  tali 
che  ora  vi  debba  accendere  la  fantasia  con  le  sue 
fiaccole  la  volgare  eloquenza,  a  sciorvi  in  lagrime, 
le  quah,  dagli  occhi  in  cadendo,  dileguansi.  Noi 
non  dipignemmo  Angiola  Gimini,  Marchesana  della 
Petrella,  acciocché  la  ci  immaginassimo;  ma  la  ra- 
gionammo, acciocché  la 'ntendessimo.  Laonde  con 
nostro  profitto  e  sua  gloria  l' ufizio  dovuto  da  noi 
e  meritato  da  lei  debba  essere  che  nel  più  su- 
blime e  puro  del  nostro  intendimento,  e  si  nella 
parte  eterna  di  noi  viva  la  saggia  e  forte  Don- 
na, che  tutte  le  belle  doti  del  corpo,  tutti  i  rari 
pregi  della  mente  facendo  con  civiltà  e  gentilezza 
servire  alla  pietà  che  le  regnava  nell'animo,  ci 
lasciò  il  grande  esemplo  da  meditare  la  rara  dif- 
ficil  tempra  onde  si  mesce  e  confonde  il  soave 
austero  della  virtù. 


CAROLO    BORBONIO 

UTRIUSQUE  SIC.  REG. 

REGIA    MEAPOLITANA    ACADEMU 

(1735) 

In  communi  omnium  Ordinum  laetitia,  Te,  Rex 
incljte,  Tuo  summo  armoium  ductu,  imperioque 
Regnum  Neapolitanum  reciperassej  publicoque  ejus 
bono  spectatissimam  prudenliam  et  incorruptam. 
integrilatem  ad  ipsius  regimen  Tecum  comites  ad- 
duxissej  etj  quod  unum  ad  ejusdem  felicitatem 
restabat,  cunctis  secundantibus  auspiciis,  Neapo- 
lis  Regem  appellatum  esse,  plaudentium;  Regia  Stu- 
diorum  Universitas  ad  Tuos  pedes  in  obsequium 
provoluta  peculiare  suum  gaudium  protestatur. 
Quod  Princeps  ex  potentissimis  Orbis  terrarum 
Regibus  ortusj  tenera  adhuc  aetate  ab  amantissi- 
morum  Parentum  complexu  ipsius  gloriae  manu 
divulsus,  ab  ultima  usque  Hispania  longissima  sub 
armis  itinera,  periculosissimas  Hiberno  mari  navi- 
galioneSj  nivosa  asperaque  agmina,  Deo  auspice, 
emensus,  nunc  Rex  pius,  Felix,  victor  faustis 
populorum  ac  gentium  acclamationibus  saluteris, 
Equidem  Divinae  bonitati  id  in  primis  acceptum 
reiero,  quod  tandiu  vitam  perduxi,  ut  qui  tribus 
et  triginta  praeteritis  annis  Pbilippo  V  Hispania- 
rum  Regi  Parenti  tuo  pientissimo,  quum  hanc  Ur- 
bem,  hoc  Regnum  sua  praesentià  exhilaratum  ve- 
nit,  hujus  Universitatis  nomine  Panegyricam  Ora- 
tionem  inscrìpseram  ;  nunc  ejusdem  Academiae 
verbis  cum  Regia  Majestate  tua  hoc  humillimum 
gratulationis  offieium  peragam.  Ea  nunc,  Rex  cle- 
mentissime,  Te  orat  et  obsecrat,  ut  ipsam  magno, 
quo  ex  magnis  natus  es,  animo  in  Tuam  fidem 
et  clìentelam  recipias;  de  quo  amplissimo  benefi- 
cio et  ipsa  Tibi  aget  gratias  immortales,  et  est 
^eus  Optimus  Maximus  optimas  maximas  relaturus. 


CAROLO    BORBONIO 

?  UTRIUSQUE  SICILIAE  REG.  CO 

(1735) 

Etsi  inclytis  magnarum  gentium  ac  nationum 
Regibus  nihil,  nisi  amplum  splendidumque  dono 
ofFerri  darique  oporteat;  tamen  quando  Summae 
in  terris  Potestates  Deum  Opt.  Max.  referunt,  qui 
thure  in  suaveolentem  nidorem  abituro ,  et  te- 
nuibus  florum  corollis  honorari  non  aspernatur; 
hac  fiducia  fretus  hos  de  Pbysica  Medicina ,  quos 
lucubravi  libros,  Tibi  Rex  Celsissime,  inscribere 
ac  dicare  constitui.  Leges  enim  in  suis  definitio- 
lìibus  habent,  jura  esse  individua,  et  quanto  in 
maximis,  tanta  in  minimis  aestimanda.  Levidense 
quidem  hoc  munus,  sed  Tibi  debitum  tamen:  qui 
ubi  primum  hoc  Regnum  a  Germanorum  armis 
pacasti,  ad  Hteras  suo  nitori  restituendas  animum 
adjecistij  et  Regia  liberalitate  in  eas  collata  jNea- 
politanam  Academiam  din  a  prae^idiariis  militibus 
occupatam,  qua  solita  scholarum  parte  celebraba- 
tur,  sarctam  tectamque  et  novo  opere  expolitam 
esse  imperasti.  Qua  quidem  in  re  cuivis  gravi  ar- 
gumento  probas.  Te  Ludovici  Magni  Proavi  tui 
praeclarissimis  exemplis  insistere;  qui  inter  multa, 
varia  et  ingentia  quae  gessit  bella,  Gallicanura 
Regnum  tamquam  inconcussa  pace  ac  tranquillis- 
simo ocio  ageret,  excultissimis  Minervae  studiis, 
illustravit.  Non  est  sane  ncque  mei  imbecillis  in- 
génii,  ncque  intra  brevis  epistolae  angustos  can- 
cellos  in  tuas  Regias  Laudes  excurrcre,  quae  diser- 
tis  Oratoribus  patentissimum  sublimis  eloquentiae 

^*;(i)  Dedicaioria  dell'opera  inedita  (e  forse  smarritasi)  che 
avea  per  tiloit)  :  De  jEtjuilibrio  corf/oris  animando.  V.  la  prc- 
i'aijouG  dì  questo  ^olume. 


PARTE    II.    ORAZIONI    ED    ISCRIZIONI  SoQ 

canipum  aperiunt.  Oris  iiempe,  totius  corporis  di- 
gnitaSj  et  cum  quadam  ferme  codesti  vultus  sere- 
nità te  at  temperata  majestas;  singularis  in  Deum 
pietas,  mira  in  subiectos  clementiaj  in  obeundis 
belli  laboribus  tenerae  adhuc  aetatis  singularis  ala- 
critas  et  constantia;  in  agitandis  pacis  consiliis 
rara  Principis  adolescentis  attentio;  gravitas  et 
prudentia;  haud  est  quicquam  in  juvenis  Regis 
aula,  quod  non  sit  intemeratum  sanctumque.  Heic 
id  tantum  de  Te  dicere  mihi  fas  sit,  si  Rex  for- 
tissimus  ac  sapientissimus  Philippus  pater  tuus  in 
Tuae  Regiae  indolis  experimentum,  praesens  Tibi 
praesenti  haec  Regna  permisisset  administranda, 
pientissimi  Parentis  pudore  nihilo  justius,  nihilo 
suavius  regeres,  quam  nunc  Rex  ab  eo  creatus  et 
immenso  terrarum  tractu  dissitus  regis.  Ut  igitur 
a  magnis  summà  Fortuna  ortus,  ad  magna  felici 
natura  factus  in  hac  magna  nobis  virtute  praestas, 
ita  venerabundus  rogo  quaesoque  hanc  -opellam, 
quam  prò  tenui  mea  publicae  felicitatis  virili  parte 
mei  erga  Te  obsequii  do  testem,  magno  animo 
excipias. 


O  R  A  T  I  O 

IN 

CAROLI    ET    MARIAE    AMALIAE 

VTRIUSQ.  SICIL.  B. 

N  U  P  T  I  I  S 

('738) 

Si  unquam  Divina  Providentia  ex  omnibus  re- 
bus humanis,  quas  aeterno  Consilio  regit  ac  tem- 
peratj  Conjugia  potissimum  certo  suo  unius  nu- 
mine  moderari  ab  Humanitate  usque  condita  miris 
rerum  argumentis  ostendit;  nunc  profeoto,  quum 
Augustas  Caroli  Borbonii,  Regis  optimi ,  Mariae- 
que  Amaliae  Walburgae,  Regiae  Puellae  lectissi- 
mae,  Nuptias  conciliavit,  omnium  maxime  praestitit. 
Ingens  enim  bellum  de  Polonorum  Rege  creando 
ab  bine  quinquennium  exarsit;  quod  ab  Occiden- 
talis  Oceani  littoribus  ad  Sarmatas  usque  et  Scy- 
tbasj  terrarum  Orbem  concussitj  cum  prò  Stanislao 
Leszinskio,  Ludovici  XV  socero,  ad  id  Regnum 
reducendo  Gallia,  Hispania,  bellicosior  Italia  ni- 
terentur;  Carolus  autem  Austrius,  Romanorum  Im- 
pera tor,  universum  ferme  Germanici  Imperii  cor- 
pus, Polonia  in  partes  divisa,  Moscboviaque  Fri- 
dericum  Augustum,  Saxonum  Ducem,  Imperiique 
Novemvirumj  mortui  Regis  filium  ad  id  summum 
fastigium  evehi  oportere  contenderet.  Triplex  belli 
moles;  una  ad  Rhenum,  alia  in  Mediolanensis  di- 
tionis  finibusj  postrema  ad  Dantiscum  gravissime 
incubuit:  quarum  unaquaeque  ad  se  cunctarum 
gentium  oculos  animosque  advertisset;  nam  et 
cruentissima  praelia  commissa,  et  invictarum  ur- 
bium  arciumqup  expugnationes  editae,  et  constan- 
lissimarum  in  fide  civilatum  deditiones  expressae: 
quumque  amplissima  caussa  esset  omnino  indivi- 
dua, et  nationum,  quae  bine  atque  bine  in  arma 
concurrerant,  ferme  integrae  vires,  ita  ut  omnes 


PARTE    II.    ORAZIONI    ED     ISCRIZIONI  3ll 

constans  njetus  incesserit,  ne  id  bellum,  si  diutius 
traheretur,  genus  humanum  exhauriret;  praeter 
omnium  opinionem  pacis  foedus  in  has  praecipuas 
Icges  sancitum  est,  ut  Fridericus  Augustus  JPolo- 
norum  Regno  praeesset,  Leszinskius  Lotharingiae 
Dux  viveret  Inter  ejus  belli. appendices  et  illa  exti- 
tit  quoque  mira,  quod,  dum  in  Insubria  a  Gallis 
Sabaudisque  contra  Germanos  acerrime  pugnaba- 
tiir,  Carolus  Borbonius,  Hispani  exercitus  Impe- 
rator,  vix  pubes  tactus,  in  hac  reliqua  Italiae  parte, 
Iiisulaque  Sicilia,  tanquam  belli  fulmen  emicuit  de- 
tonuitque,  et  aequo  copiarum  numero  cum  hosti- 
bus  pugnam  ad  Bituntum  conseruitj  deque  iis  per- 
raram  in  historiarum  monumentis  victoriam  repor- 
tavitj  qua  octo  millium  Germanorum  exercitus  ad 
unum  usque  fusi  captique,  et  quadrigenti  omnino 
Hispani  milites  desiderati.  Sed  enim  illud  omnium 
vota,  nedum  spes  superavit,  quod  Borbonius  Prin- 
ceps  paucis  ante  diebus  Neapolim  urbem  ingres- 
sus,  dum  Capuae  et  Cajetae,  firmissimis  Neapo- 
litani  Regni  claustris ,  hostes  et  numero  et  robore 
haud  sane  spernendi  praesiderent,  eorumque  exer- 
citus Calabriae  Apuliaeque  campos  libere  persul- 
taret,  is  a  diligeiitissimo  Parente  Pbilippo  V  Hi- 
spaniarum  Rege  certus  propriusque  Rex  Neapolis 
Siciliaeque  appellatur,  et  haec  duo  opulentissima 
Regna  ab  Hispana  Monarchia,  quacum  ab  Ferdi- 
nando usque  Catholico  coaluerant,  abstracta  sunt. 
Interea,  dum  adolescens  Princeps,  utroque  Regno 
per  summam  gloriam  pacato,  ad  justam  legitimam- 
que  virorum  aetatem  ferme  provectus,  Reginae 
uxori,  quae  hanc  felicitatem  subjectis  populis  Re- 
gia sobole  perennaret,  jungendus  erat,  alii  alias 
ei  Conjuges  Rcginas  opinionibus  destinabant,  nemo 
omnium  sane  unus  Mariam  Amaliam  Walburgam, 
Polonorum  Regis  filiam,  coniicere,  quam  ei  fortis- 


Sia  PARTE    II. 

simus  ac  sapientissimus  Rex  Philippus  Pater  de- 
spondit.  Haec  tam  rara,  tam  mira  tamque  ino- 
pinata,  quae  in  hoc  Regium  Nuptiarum  opus,  ve- 
luti  praeeuntes  caussae,  tam  commode  apteque 
congruerant,  quum  ea  persuasio  cunctarum  gen- 
tiura  animis  insideat,  Divinum  Numen  peculiari 
cura  Regum  rebus  adesse,  satis  graviter  adfirmant, 
hoc  Augustum  Conjugium  a  Deo  Opt.  Max.  esse 
curatissima  industria  comparatum,  primum,  quod 
hoc  Regale  par  Gonjugum  summis  laudibus  ex 
aequo  sibi  utrinque  respondentibus  ornatissimum 
Divina  Bonitas  terris  monstrare  vohierit:  deinde, 
quod  (si  hebeti  hominum  menti  divina  Consilia 
in  sacris  aeternae  lucis  penetralibus  abdita  scru- 
tari  quandoque  datur)  laetissima  hinc  omina  ca- 
pimus,  iEternam  Providentiam  has  Regias  Nup- 
tias  bene  fauste  feliciterque  adornasse,  ut  Socer 
Generque  inclyti,  alter  terra,  marique  alter  bar- 
baro Mahometanorum  Domino  ingentes  clades  in- 
ferrent,  et  Carolus  Borbonius  Hierosolyma  puro 
ac  pio  bello  repeteret,  et  ejus  Regni  uti  Rex  jure 
praescribitur,  ita  possessione  compos  fiat:  circa 
quae  duo  summa  capita,  veluti  polos,  nostrae 
Orationis  orbis  circumagetur:  id  vero  cujusvis  fa- 
cile videre  datur,  quum  in  numeroso  ovium  ae- 
quae  aetatis,  ejusdemque  coloris  grege,  quarum, 
ut  pastor  aliquam  distinguat,  ipse  eam  certa  nota 
insignire  debet,  lactentes  hoedi  suam  quisque  ma- 
trem  agnoscunt.  Haec  autem  sensilium  formarum 
similitudo  in  hominum  genere  tam  rara  est,  ut 
fratres  gemini,  quos  vel  longa  et  multa  cum  iis 
vitae  consuetudine  quis  internoscere  vix  possit, 
in  suis  familiarum  deliciis  a  summis  Proceribus 
habeantur;  et  tamen  haec  tanta  ac  tam  rara  cor- 
porum  similitudo  diversa  eorum  ingenia,  studia, 
mores  edere  comperitur.  Has  inexhaustas  Naturae 


ORAZIONI    ED    ISCRIZIONI  3l3 

opes  Deus  Opt.  Max.  Natiirae  doìninus,  archite- 
ctus  et  arbiter,  sua  Divina  Unitale  vicit  ac  su- 
peravi!, quum  Regias  Caroli  et  Amaliae  Nuptias 
ab  omnium  temporum  principio,  iEternitate  decre- 
vit.  Decrevit  namque  generis  amplitudine  pares, 
conjugali  aetate  pares,  praestantia  corporis  ani- 
mique  virtutibus  pares.  Et  vero  utriusque  Regii 
Conjugis  genus  tanta  luce  juxta  incljtum,  tanto- 
que  splendore  est  aeque  circumfusumj  ut,  utrum 
altero  sit  praeclarius,  nequeas  definire.  Gens  enim 
Borbonia  a  Carolo  Magno  ducere  originem  me- 
moratur,  qui  Romanum  Occidentis  Imperium  a 
barbaris  gentibus  jamdiu  excisum  restituita  coque 
egregio  et  immortali  facinore  temporum  doctri- 
nae  post  Cyrum,  Alexandrum,  Julium  Caesarem 
aliud  grande  Historiae  momentum  adjunxit,  unde 
Orbis  terrarum  res  gestae  per  longissima  mille 
ferme  annorum  spatia  ad  hanc  nostram  usque  ae- 
tatem  procurrunt.  Amaliae  autem  Majores  Roma- 
nos  fasces,  qui  gentes  omnes  devictas  perdomi- 
tasque  terrebant,  intra  fines  suos  nunquam  vide- 
runt:  nam  sub  Trajano,  postremo  Imperatorum, 
qui  Romani  Imperii  fines  protulerant,  Germania, 
quanquam  ducentos  et  decem  annos  Romanis  ar- 
mis  tentata,  in  ea  tamen  sui  parte,  quae  gignit 
Saxones,  ut  eam  Oraculum  Historicorum  describit, 
adhuc  integra  perdurabat.  At  hercule  (liceat  heic 
pauca  tenui  ter  dicere,  ut  magna  atque  magnifica 
Saxoniae  Ducum  gloria  luculentissima  intelligatur) 
at  hercule,  inquam,  gravissimum  argumentum,  Sa- 
xones fuisse  antiquos  Cimbros  docet,  quod  Saxo- 
nica  lingua  Gimbricae  quam  simillima  esse  obser* 
vetur  ;  et  Cimbri  praeclaris  Geographis  Theutones 
dicantur,  a  quibus  nomen  in  universam  Germa- 
norum  gentem  difFusum  est;  atqui  omnium  gentium 
mores  probant,  populos  principes  nationibus  no- 


óif[  PARTE    II. 

mina  propagare,  et  observare  licet  priiicipes  gen- 
tiuiii  urbes,  uti  Saxonum  Regia,  in  Terrarum  me- 
clitulliis  sitas  esse.  Theutonicae  autem  linguae  tanta 
antiquitas  praedicatur,  ut,  qiiuni  ejus  auctorTheu- 
tonis  Mercuriman  appelletur,  Gentiles  scrìptores 
patrio  studio  commoti,  Mercurium  Trismegistura, 
qui  iEgyptiam  gentem ,  omnium  antiquissimam, 
condidit,  Gothum  fuisse  commemorent.  Sed  id  ip- 
sum  multo  gravius  veriusque  firmassent,  quod,  cum 
Trismegistus  iEgyptià  lingua  Theut  dictus  sit,  et 
Germanica  omnes  verborum  radices  unisyllabas  ha- 
beat,  Theut  Germanicam  linguam  fundasse,  id- 
que  verbum  a  confusione  linguarum  Babylonica, 
et  primaeva  generis  humani  post  Diluvium  disper- 
sione et  Germanis  et  iEgyptiis,  idem  omnino  pro- 
venire confecissent.  Hanc  Saxoniae  Ducum  cura 
ipsis  primis  gentibus  domi  occoeptam ,  et  ad  no- 
stra usque  tempora  perpetuo  servatam  liberta- 
tem  cum  Romano  Occidentis  Imperio  per  Caro- 
lum  Magnum  restituto  si  quis  confenit,  et  aequa 
lance  utrufflique  primae  originis  decus  expendat; 
ab  utra  major  dependeat  gloria,  is  procul  omni 
dubio  non  liquere  pronunciaverit.  Hanc  aequam 
originis  amplitudinem  quam  belle  conjugalis  aeta- 
tis  aequalitas  excipit!  Namque  Amalia  nunc  pri- 
mulum  viripotens  facta,  et  Garolus  virilibus  an- 
nis  proximus  nuptias  Romano  more  contraxerunt. 
Gens  enim  Orbis  terrarum  domina  caeteras  om- 
nes armis  vicit,  quia  omnes  civili  sapientia  supe- 
ravit;  cujus  institutiones,  non  in  Philosophorum 
scholis,  sed  domi  a  familiari  prudenti  a  tradeban- 
tur.  Quum  enim  ex  familiis  civitates  coortae  sint, 
ex  familiis  recte  insti tutis  Respublicas  recte  or- 
dinatas  provenire  necesse  est.  Inter  caeteros  autem 
domi  probatos  mores  is  erat  a  Majoribus  sancte 
tradituSjUt  tenerae  adolescentulae  uxores,  et  quam- 


ORAZIONI    ED    ISCRIZIONI  3l5 

prìmum  sumpta  virili  toga  mariti,  principio  matri- 
tnonium  necessariuni  Naturae  propagandae  mini- 
sterium  putarent,  veneremque  sentirent  magis, 
quam  intelligerent;  qua  una  re  nullas  amoris  ex 
opinione  delicias,  quae  vigentiorem  vitae  partem 
transversum  agunt,  nequiter  concupiscerent:  dein- 
de, ut  quam  perfectos  conciperent  foetus,  uti  no- 
vellae  pìantae  fructuum  primitias  jucundissimas 
visu,  gustatu  suavissimas,  reddunt.  Regale  vero 
par  Conjugum  praestanti  corpore  quam  spectan- 
di!  Amalia  enim  forma  honestà  ac  liberali  non 
quotidianas  modo  vincit,  sed  ipsas  luculentas  exsu- 
perat;  quae,  ubi  in  frequentissimis  hominum  cele- 
brità tibus  prodeunt,  omnium  in  se  obtutus  defi- 
gunt,  ita  ac  si  alias  formosas  feminas,  quae  eodem 
forte  conveniunt,  nox  obscura  contegeret:  vultu 
praedita  tam  modesto,  tam  venustx),  ut  verecun- 
dae  Charites  ipsius  faciem  semper  aliam  atque 
aliam  pulcberrimam  fingant:  sed  et  in  facie  vul- 
tuque,  et  in  slatu  et  in  incessu  splendor  quidam 
regius  eminet,  quo,  sine  regio  cultu,  sine  regio 
comitato,  in  solis  locis  sola^  vel  agricolis,  vel  a 
pastcribus,  qui  formarum  nullum  babere  solent 
arbitrium,  agnosceretur  Regina.  Sed  quando  viri 
uxoresque  sunt  generis  Immani  dementa,  bene 
sane  discordia  mire  concorde  tenella  Amalia  Ca- 
rolo juncta  est,  qui  a  puero  corporis  robur  prae- 
clara  exercitatione  fìrmavit;  quum  ab  amantissi- 
morum  Parentum  complexu  gloriae  manu  divul- 
sus,  ab  ultima  Hispania  impedi tissimos  Pyrenaeos 
saltus  nivosasque  Alpes  transcendit,  periculosissi- 
mam  Hiberno  mari  navigationein  perpessus,  tan- 
dem sub  armis  asperos  praeruptosque  Appeninos 
media  liyeme  superavit;  et  progressus,  quantum 
relìqua  Italia  porrigitur,  in  ultimam  ferme  Sici- 
liani, Panormum  contenditi  ut  ibi   victor  Regio 


3l6  PARTE    II. 

insigni  rite  solemniterque  redimiretur:  quam  lau- 
deili,  ut  Regina  Uxor  cum  Regio  Viro  aequam 
quodarnmodo  liaberet,  Summum  Numen  quoque 
providit:  nam  ferme  puella  e  Parentum  diligentis- 
simorum  sinu^  ut  heroico  ritu  nubentes,  grata  ju- 
cundaque  vi  abrepta  e  patriis  penatibus,  non  ge- 
statoria sella,  ut  plures  sponsae  Reginae  ad  viros 
vectae;  sed  cisio  equisque  per  certa  longissimi 
itineris  spatia  dispositis  mille  et  ducenta  passuum 
millia  per  ingentes  silvas,  saltus,  montes,  fiumi- 
iiaque  intra  mensem  ferme  unum  emensa j  con- 
tento cursu  ad  nuptialem ,  thalamura  delata  est. 
Ncque  vero  a  corporis  robore  in  Carolo ,  quae  in 
feminis  pulchritudo  dici  tur  et  laudatur,  dignitas, 
proprium  virorum  decus  sejungitur.  Is  enim,  ubi 
equitans  in  amabilem  ferociam  componitur,  di- 
gnus  armorum  Imperator  conspicitur;  quum  in  re- 
gia sella  praesidens  desideria  civium  audit,  Rex 
ad  regnum,  nedum  natusj  factus  videturj  quando 
stans  in  regali  solio  Proceres  ad  manus  adoratio- 
nem  admittit,  vivum  in  terris  Dei  siraulacrum 
refert.  Iliud  postremo  mirandum  maxime,  quod 
haec  duo  castissima  corpora  Divina  Providentia 
Cajetae  conjungi  voluit,  ut  quod  in  totius  Medi- 
terranei maris  ora  omnium  fìrmissimum  situm  op- 
pidum  Garolus  victricibus  armis  recepit,  ibi  prima 
Veneris  sacra  perageret,  et  inter  suae  militaris  vir- 
tutis  obversantes  imagines  bellatricem  fingeret  so- 
bolem.  Demum  qui  Regii  Gonjuges  praestanti  cor- 
poris forma  pariter  praediti,  quantum  egregiis  animi 
virtù tibus  similes!  Atque  hoc  loci  innumeras  prae- 
termitto ,  easque  dumtaxat  operae  pretium  exequi 
arbitror,  quibus  viri  feminarum  laudes  tam  raro 
assequuntur,  ut  muliebris  sexus  propriae  vulgo 
esse  dicantur,  religio,  pudicitia,  misericordia.  Et 
sane   quidem  Caroli   eximia  in  Deum  Opt.  Max. 


ORAZIONI    ED    ISCRIZIONI  817 

pietas  est  piane  admirandaj  qui  in  humano  Re- 
gum  fastu  humanisque  deliciis  divinam  ferme  vi- 
tam  agere  visus  est.  Hinc  illa  ipsius  pudicitia  omni 
laude  ac  praedica tiene  dignissimaj  qua  in  Juvenis 
atque  adeo  innupti  Principis,  et  a  Parentum  ore 
per  immensum  terrarum  Orbera  divisi ,  aula  nihil, 
nisi  castunij  purum,  sanctum  intemeratumque  ver- 
satum  esse  memoretur.  Quin,  quo  cives  laxandi 
animi  gratia  solutiores  conveniunt,  in  theatro,  quod 
omnium  Europae  magnifìcentissimum  extrui  jussit, 
theatralem  plausum  aiioqui,  nedum  permissam, 
sed  expetitam  licentiam  sua  severa  praesentia  co- 
ercet,  ac  spectatoribus  silentium,  Philosophorum 
Scholis  dignum,  indicit.  De  tertia  ex  modo  nu- 
meratis  virtutibus  superest  ut  dicamus:  quod  quae 
in  aliis  Principibus  summis  clementia  commenda- 
tur  ^  ea  in  nostro  misericordia  est:  siquidem  me- 
ntis ad  caelum  laudibus  effertur  illa  Imperatoris 
Romani  vox,  quum  primam  sentenliara,  qua  reum 
supremo  supplicio  affici  oportere  Judices  pronun- 
ciarentj  subscribere  debuit,  literas  didicisse  se  poe- 
nitere  adfirmavit:  at  Garolus,  si  quando  quid  ejus 
simile  a  Magistratibus  imperare  rogatur,  sedulo 
eorum  ad  se  accessum  declinat;  ubi  antera  id  fa- 
cere  a  sua  ipsius  dignità  te  prohibeatur,  ad  Proce- 
res,  qui  forte  adsuntj  obtutus  veluti  rogabundos 
convertitj  tacitusque  significata  uti  decretam  dam- 
nato  poenam  deprecentur.  Satis,  ni  fallor,  sim- 
plici  nudoque  dictionis  genere  est  hactenus  de- 
monstratum,  Deum  Opt.  Max.  uni  utriusque  Regii 
Conjugis  fato  imperasse,  ut  iis  amplissima  origo, 
praestantissima  forma,  praeclarissima  virtus  pa- 
res  omnino  contingerentj  qui  Regios  Liberos  ori- 
gine generosissimos,  forma  amabilissimos,  virtute 
optimos  gigneront  pcrpetuac  Neapolitanac  Gentis 
felicitali.  Et  sane  bas  Regias  Nuptias  Summus  re» 


3l8  PARTE    II. 

rum  Regnator  bonas,    faustas,    felices  praesentis- 
simo  Numine  adprobat.  Tellus  enim  et  in  jacen- 
tibus  campis  et  in  naontanis  hoc  ipso  Nuptiarum 
tempore  messem  abundantissimam  tulit:  tetra  bo- 
\um  lues  ad  duos  perpetuos  annos  longe  lateque 
grassata,  quum  Regina  iter  bue  institueret,  tunc 
tandem  desaeviit:  ipsum  anni  tempus  commodum 
ei    benignumque   se   praebuit;   quae   a   rigentibus 
Germaniae  oris  sub  hoc  aestuosiori  caelo,  non  sine 
aliquo  salutis  discrimine,  tenella  et  longo  itinere 
lassata  erat  prima    aeslate    commigraturaj    crebri 
Junio  mense  demissi  imbres  ad  venienti  supremiim 
ver   quodammodo   prorogarunt:  Divus  Januarius, 
praecipuus  hujus  Urbis  Regnique  Patronus,  cujus 
honori    Rex    insigni    pietate  miHtarem   Procerum 
Principumque  Virorum  Ordinem  instituit,  suo  mire 
liquescente  cruore,  quod  optabatur,  hoc  superiore 
mense  Majo,   felicitatis    signum  ostendit.  Quibus 
laetissimis  ominibus  augemus  animos,  nec  promi- 
scua, et,  ut  ita  dicam,  tralatitia  Regnorum  bona 
ex  bis  Regiis  Nuptiis  certo  speramus,  sed  ut  earura 
caussae,  quas  principio  exposuimus,   sunt,  quam 
quae  maxime,  miraej  Gonjugum   laudes   aliis  pa- 
res  perquam  raro  contingunt*,  ita  gloriam  inde  ori- 
turam  singularem  fore  confìdimus;   quod  alterum 
dicendorum  caput  initio   proposuimus.  Jam  enim 
ex  rerum  gestarum  monumentis  compertum  explo- 
ratumque  habemus,  Polonorum  Reges  magno  Tur- 
carum  Domino,  communi  Christiani  nominis  hosti 
terrestribus  copiis  non   modo   fortissime  obstare, 
sed  saepe  etiam  infestissime  officere.  Quid  autem 
Neapolitanus  Rex  classibus  in  eum  possit,  Roge- 
rius,   nostrorum  Regum  Primus,  gravissimum  lu- 
culentissimumque  dedit  exemplumj  qui  maritimo 
bello  in  Asiam  trajecto,  praeclarissimas  Graéciae 
urbes  expugna vit,  et  ex  ipsa  Gonstantinopolì ,  ejus^ 


ORAZIONI    ED    ISCRIZIONI  SlQ 

que  Imperiali  Praetorio  opimas  praedas  avexitj 
universoque  Orienti  tantum  terrorem  incussit,  ut 
Babjlone  usque  ejus  Incubator  ipsius  amicitiam 
per  Legatos  oratum  miserit:  quae  gloria  ab  Indis 
Octavio  Augusto  Caesari,  cura  Romanum  Impe- 
rium  longinquo  arane  Euphrate  clausisset,  iisque 
esset  ferrae  conlerrainus,  fbrtasse  minor  continge- 
rat;  complures  Saracenorura  in  Africae  ora  sitas 
urbes  cepit,  earuraque  Regi  tributum  iraposuit. 
Consecuti  porro  Reges,  Northmanpi  a  Suevis, 
deinde  Suevi  ab  Andecavis,  tura  Andecavi  ab  Ara- 
goniis,  rursuraque  Aragonii  ab  Andecavis  infestati, 
imperium  in  Asiara  Africamque  proferre  et  con- 
stabilire nequiverunt.  At  enim  Carolus,  Hispanià 
Galliàque  adgnatisj  et  non  solum  Germania,  Po- 
lonia quoque  adfine,  inferendi  in  Asiara  belli  secu- 
rara  facultatera  hoc  Augusto  Matrimonio  nancisci- 
tur.  Insula  Sicilia  ei  paret;  Neapolitanum  Regnum 
ab  tribus  lateribus  raari,  ut  peninsula,  alluitur; 
qui  urbium  regionuraque  situs  eos  civiles  raores 
indigenas  induunt,  ut  nautica  et  navali  artibus 
praestent:  etenira  ab  ultimis  usque  generis  huraani 
temporibus  id  ipsum  gentium  raores  confirmant: 
Tyrii,  antiquissirai  populorum  Tyro  Insula  Colo- 
nia» per  universum  ferrae  Mediterraneura  mare, 
et  ultra  Herculis  Coluranas  in  Oceanura  Gades  de- 
duxere:  ea  gloria  deinde  ad  Rhodios  transiitj  quo- 
rum de  maritimis  coraraerciis  leges  Roraanura  Ira- 
periura,  dura  universo  terraruin  Orbi  dorainabatur, 
agnovit:  Batavia  Britanniaque  totius  Interni  Ex- 
lernique  raaris  potentes  nostris  temporibus  cele- 
brantur.  Neapolitanus  antera  ager  materiara  ingen- 
tium  aedificandarum  instruendarumque  classium 
gignitj  gens  vero  audacissiraos  nautas  educitj  por- 
lus  in  utroque  ejus  littore  bonignissimi  et  capa- 
cissimi, Misencnsis  in  Infero,  Bruudusinus  in  Su- 


3Ì20  PARTE    li. 

pero  mari  patent;  quibus  Italia  ad  futuram  Imperi^ 
Romani  magni tudinem  Straboni  nata  esse  visa  est; 
ut  eorum  altero  in  Africam,  altero  in  Orientem 
ingentes  exercitus  brevissimo  cursu  traiiceret.  Ne- 
que  illud  obturbat^  quod  ita  sit  moribus  compa- 
ratum,  ut  ubi  plurimum  naturae,  ibi  mininum  sit 
industriae;  et  magna  Regni  Neapolitani  opulentia 
segniores  incolas  faciat:  namque  ei  rei  jam  Garo- 
lus  sapientissime  providet,  certo  prudentum  viro- 
rum  Consilio  constituto,  qui  de  externis  et  po- 
lissimum  marltimis  commerciis  leges  concipiant; 
jamque  aliunde  effusa  in  bonas  Litteras  liberali- 
tate  et  munificentia,  qua  et  Regias  Scholas  mili- 
tum  castris  foede  poUutas  pristino  nitori  ac  san- 
ctitati  restituita  et  in  Professorum  album  eum, 
qui  Nauticam  doceretj  adscripsit,  ingenia  ad  eas 
excolendas  benignissime  fovet:  ex  quibus  olim  alius 
gentilis  noster  Torquatus  Tassus  existat,  qui  Hie- 
rosolyma  a  Carolo  Borbonio  reciperata  cecinerit. 
Et  quidem  bis  Regiis  Nuptiis  liane  egregiam  prae- 
cipuamque  gloriam  Neapoli  perrarum  Urbium  fa- 
tum  promittit,  quo  nata  est,  ut  ab  heroicis  usque 
temporibus  semper  magis  magisque  splendore  et 
amplitudine  cresceret,  quae  et  mira  situs  amoe- 
nitatCj  et  summa  clementia  caeli,  et  rara  ubertate 
soli,  et  enormi  populi  frequentia,  et  ingenti  Pro- 
cerum  numero  maximi  Regis  certa  propriaque  sede 
ab  omnibus,  qui  eam  visunt,  dignissima  judicatur. 
Id  ipsum  ingens  laetitia,  qua  Populus  Neapolita- 
nus  [bis  Regiis  Nuptiis  perfunditur,  palam  pro- 
bavit,  quum  Amaliam  Carolus  Cajetà  Neapolira 
duxit,  quo  veluti  super  ipsius  plaudentis  populi 
humeris  Novus  Maritus  cum  Nova  Nupta  relatus 
est,  quod  jam  persentiscerent  cives,  eum  Liberis 
dare  operam ,  qui  indigenae  ipsorum  Reges  futuri 
esset.  His  ipsis  igitur  Regiis  Nuptiis   plebeii  sen- 


ORAZIONI    ED    ISCRIZIONI  321 

tiunt  Nationum,  quae  propriis  Principibus  parent, 
felici tatem;  nam  immensis  sumptibus  in  nuptialetn 
apparatum,  festas  pompas,  ludos,  spectacula  raa- 
guificenlissime  factis  locupletati  annonam  a  bovutn 
lethali  lue,  ii>festissÌQiaque  hyeme  vexatam  non 
senserunt;  honestiores  autem  liane  ipsam  civilis 
status  beatitudinem  gravius  advertunt^  cum  in  hac 
urbe  quamplurimos  maximorum  Regum ,  incly- 
tarumque  Rerumpublicarum  Legatos ,  innumeros 
adveiiarura  Principes  viros  splendidissimo  comi- 
tatù,  quibus  nostri  Proceres  magnificentiam  non 
invidentj  versari  vident;  quum  Regium  Praeto- 
rium,  ceterumque  Aulae  cultura  in  opum  osten- 
tationem  instructum  vident;  quum  Regiam  ceteris 
Europae  luculentissimis  splendidissimisque  parem 
fundatam  vident.  De  bis  tot,  tantis  tamque  exop- 
tatis  bonis,  quibus  per  augustissimas  Caroli  Bor- 
bonii  Mariaeque  Araaliae  Walburgae  Nuptias  frui- 
mur,  et  quibus  longe  majora  certo  speramusj  utri 
tandem  nos  babere  meritas  gratias  oporteatj  Eli- 
sabetbae  ne  Farnesiae,  quae  regia  dote  Italiam 
Philippo  aperuit,  et  felici  foecunditate  Carolum, 
fìlium  deditj  an  Pbilippo,  qui  eum  ipsum  proprium 
nobis  Regem  dedit,  suoque  inclyti  Principis  exem- 
plo  eductum  Regem  optimum  dedit,  eique  Ama- 
liam,  Regiarum  Virginum  lectissimam  uxorem,  for- 
tissimo Consilio  j  sapientissimoque  concilia vit,  res 
piane  in  incerto  est.  Habeamus  igitur  utrique  innu- 
tneras,  maximas,  immortales;  ac  Deo  Opt.  Max. 
casti  nuncupatas  fqndamus  precesj  ut  praesentia 
bona  servetj  sperata  prestet,  et  ita  hanc  Regio- 
rum  Conjugum  cum  nostra,  nedum  raistam,  con- 
Ibsam  felicitatcm  aeternet. 


Vico  ,   Opuscoli. 


322  PARTE    II. 

Iscrizioni  per  le  Nozze  di  Carlo  Borbone  Re  delle 
Due  Sicilie  con  Maria  Amalia  FTalburga^  stam- 
pate nella  Raccolta  de^  Componimenti  fatti  da* 
RR,  Professori  dell*  Università  degli  Studj  di 
Napoli.  Ivi 9  presso  Felice  Mosca,  1738,^-4.° 

I. 

POST 

PVBLICOS  LVDOS 

FESTAS  POMPAS 

SPEGTACVLA  . 

QVIBVS  OMNIA  CIVIVM  PLAVSIBVS  PERSTREPEBANT 

MVSAE 

QVAE  SACRA  AMANT  SILENTIA 

ET  SEDATIS  GAVDIIS  DELECTANTVR 

NVNC  PRIMVM 

AVSPICATISSIMAS 

CAROLI  REGIS  ET  REGINAE  AMALIAE 

NVPTIAS 

COMMODVM  TEMPVS 

NACTAE 

CONGELEBRANT 

IL 

HAEG  REGIA  ACADEMIA 

DIVTVRNO  CASTRORVM  VSV 

CORRVPTA 

ET  MVNIFICENTIA  SAPIENTIAQVE 

INCLYTI  REGIS  CAROLI  BORBONII  i 

SARGTA  TECTA 

ET  VTILIORIBVS  LEGIBVS 

ORDINATA 

NVNC 

AVGVSTAS 

IPSIVS  CVM  EGREGIA  REGINA  AMALIA 

INITAS  NVPTIAS 

NON  SOLVM  COMMVNI  CIVIVM  OBSEQVIO 

CELEBRAT 

SED  CERTO  GRATI  ANIMI  OFFICIO 

LAVDIBVS  EXORNAT 


ORÀZIOirl    ED   ISCRIZIONI  3^3 

ni. 

AVGVSTIS  AVSPIGIIS  COMITANTIBVS 

INGREDERE  VRBEM 

MARIA  AMALIA  VALBVRGA 

FLOS  LECTISSIME  REGINARVM 

ET  NOVA  NVPTA 

CAROLI  REGIS  NOVI  MARITI 

FELICITATEM 

EGREGIA  NATVRA  SVMMA  FORTVNA  INGLYTAQVE  VIRTVTE 

PARTAM 

evi  TV  VNA  DEESSE  VIDEBARIS 

OMNINO  PERFICE 

ET  LAETA  FOECVNDITATE 

ABVNDE  CVMVLA 

NAMQVE  ITA  FVTVRVM 

AB  HIS  TIRI  ADYTIS 

MVSARVM  NVMEN  APOLLO  CANIT 

IV. 

QVOD 

CAROLVS   REX  OPTIMVS 

HAS  SCHOLAS  PVBLIGAS 

IN  CASTRORVM  VSVM  DEFORM ATAS 

SAPIENTIAE  STVDIIS  NITIDIVS  REGOLI 

IVSSERIT 

TIBI 

AMALIA  REGINA 

VXOR  TALI  VIRO  DIGNISSIMA 

SVPRA  OMNIVM  GIVIVM  COMMVNE 

CERTO  QVOQVE  GRATI  ANIMI  OFFICIO 

FELIGISSIMVM  ADVENTVM 

AGADEMIA 

GRATVLATVR 


324  PARTE  II.    OJjlAZiONI    ED    ISCRIZIONI 


DIVO  lANV ARIO 

OMNIVM  CAELITVM  QVIBVS  PATRIA  TVTELA  EST  PERMISSA 

PRAECIPVO 

DICATVM  HVNG  FESTVM  DIEM 

MONTANAE  CVRIAE  PATRICII 

SEMPER  ALIAS  CASTO 

NVNG  VERO  ETIAM  LAETO  IVGVNDOQVE  ANIMO 

CELEBRANT 

QVVM  CAROLVS  BORBONIVS 

PRINCEPS  OPTIMVS  PIENTISSIMVS 

CVM  MARIA  AMALIA  VALBVRGA 

REGIA  VIRGINE  PRAESTANTISSIMA      ^ 

INCLYTAS  NVPTIAS  ADORNAT 

ET  SVO  IPSIVS  REGE  REFLORESCENS  NEAPOLIS 

ENIXE  PRECATVR 

VT  II  LONGA  FILIORVM  NEPOTVMQVE  SOBOLE  AVCTI 

HANC  SVMMAM  REGNI  NEAP.  FELIGITATEM  PERENNENT 


i 


ORATIUNCULAE 

PRO  ADSEQUENDA  LAUREA  IN  UTROQUE  JURE 
I. 

Quantae  dignationis  hicj  qui  nunc  mihi  meis- 
que  optatissimus  dies  illuxit^  reputaverim,  bine 
quaeso.  Perillustr.  Provice  Magne  Cancellarie,  et 
amplissimi  hujus  GoUegii  Sapientissimi  Patres,  co~ 
gnoscite,  quod  omnes  perpetui  Legalis  Quinquen- 
nii  vigilias  ac  labores  hoc  semper  die  solatus 
sum,  coque  ad  sudandum  in  Legum  disciplina, 
algendumque  confirmatus,  ea  spe  fretus  fore,  uti 
mihi  experimentis  in  utroque  jure  de  more  factis, 
in  Jurisconsultorum  Album  vestris  sententiis  coop- 
taretis;  in  quo  numero  et  ornatissimum  caussarum 
Patroni  munus  obirem,  et  quandoque  ad  Rempu- 
bUcam  in  partibus,  quas  Justinianus  studiosae  Le- 
gum juventuti  mandandas  proponit  administran- 
dam,  accederem.  Sed  nunc  vestra  dignilas  omnem 
meam  ingenii  fiduciam,  omne  in  jure  perdiscendo 
exactam  industriam,  omnem  ante  adhibitam  diU- 
gentiam  terret,  ut  merito  meo  id  amplissimum  vo- 
bis  munus  petenti  sufFragemini.  Quare  vos  oro 
atque  obsecro,  ut  bona  cum  venia  haec  mea  ten- 
tamenta  audiatis,  ut  prò  benignitate  vestra  me 
Jurisconsultum  esse  veUtis.  Igitur  D.  O.  M.  pre- 
catus  interpretandos  utrosque  textus  suscipio,  qui 
beri  mihi  sortito  obvenerunt;  et  prius  in  Jure  Pon- 
tificio Gap.  etc. 

G  lìATIytRV  M  ACTIO 

Tantis  prò  mentis  dignas  si  pendere  grates 
Impar  ego;  superi  praemia  digna  ferant. 


3^6  PARTE    IL 

II. 

Inter  raulta  vitae  ulilia  a  sapientibus  dieta  il- 
lud  sane  verissinium  fertur,  praemium  virtutis  cal- 
car. Namque  Jurisconsulti  Laurea,  quae  a  vobis, 
Amplissimi  Patres,  emeri tis  in  Jurisprudentiae  pale- 
stra defèrtur,  ea  omnes  mihi  laboreS;  omnes  vigilias 
in  ea  perdiscenda  perferre  est  graviter  cohortata; 
ut  alacri  animo  cum  in  scholasticis  auditionibus, 
lum  in  domesticis  meditationibus  perpetuum  legiti- 
ma  studii  quinquennium  aestates  aestuarer,  hyemes 
rursum  algerem.  Est  iste  nunc,  ut  pulcherrimae 
spei  plenus  tentamina ,  quae  mihi  hesterna  die  sor- 
tito facienda  obvenerunt,  Divino  Numine  auspice, 
aggrediar:  eaque  vos  oro  atque  obsecro  ut  prò 
vestra  humanitate  equi  bonique  faciatisj  vestrisque 
sententiis  mihi  publicum  Jurisconsulti  munus  ex 
auctoritate  obeundum  permittatis. 

GRATIA  RU  M    A  CTIO 

^ternùm  vestii  in  me  stabit  gratia  facti, 

Quamqiie  animo  nequeat  perdere  tempus  edax. 

ni. 

Vere  sane  et  sapienter  illud  a  Poeta  dictum: 
Honor  alit  artes;  namque  hic  mihi  optatissimus 
petitionis  dies,  quo  cum  in  vestra,  Patres  Con- 
scripti,  amplissima  comitia  prodiissem,  hinc  a  vo- 
bis  honestissimo  Jurisconsulti  munere  auctus,  in 
Forum  deducerer,  omnes  meos  in  perdiscenda  Ju- 
risprudentia  labores,  omnesque  vigilias  sustenta- 
vit,  ac  legitimi  studii  quinque  perpetuos  annos 
et  aestivos  recrea vit  sudores,  et  hybernos  algores 
fovit.  Quapropter,  divina  implorata  ope,  ad  tenta- 


ORAZIONI    ED    ISCRIZIONI  '02'J 

mina  de  more  in  utroque  jure  facienda  alacer  ac- 
cingor  vestra  benignitate  fretus,  ut  ea  aequo  animo 
accipiatis,  vestrisque  suffragiis  me  in  Jurisconsul- 
torum  album  conscribi  velitis  jubeatis.  Et  primum 
Jus  Gaesareum  mihi  hesterna  die  forte  oblatum 
aggredior  in  lege,  etc. 

Primo  periculo  facto  ad  Jus  Pontificium  traii- 
seo  in  Gap.  etc. 

GRATIN  RV  M    ACTIO 

Pectore  sat  memori  vestri  in  me  gratia  facli 
Stabit,  et  hanc  mentem  tempora  nulla  ferent. 


Né  funerali  del  sig.  Duca  D.  Gaetano  Argento , 
Reggente  della  Real  Cancelleria ,  Presidente  del 
S.  R,  C,  e  gran  Viceprotonotario  del  regno  di 
Napoli  (i). 

I. 

GENVS  DICENDI  EX  GENERE  CAVSSAS 

IN  NEAPOLITANVM 

PRIMVS  INTVLIT 

VTI  CICERO 

IN  ROMANVM  FORVM 

SE  PRIMVM  IMPORTASSE  GLORIATVR 

TANTO  PRAESTANTIVS  EO 

QVO  CAVSSAE  ORNANTVR  IN  SPECIE 

QVANTVM  SCIENTIA  PRAESTET  ARTI 


(i)  Queste  iscrizioni  furono  poste  nella  chiesa  di  S.  Gio- 
vanni a  Carbonara^  e  stampate  nella  Raccolta  fatta  per  tale 
occasione  in  Napoli  presso  F.  Mosca  l'anno  lySi. 


328  PARTE    H. 

IL 

INCENDII  INSTAR 

SVO  IPSIVS  AVCTV  PLVRA  DEPASCENTIS 

CAVSSAS  ORAVIT 

TANTO  INGENII  AGVMINE 

TANTA  IVRIS  ERVDITIONE  DOCTRINA  ET  SOLERTIA 

VT  QVAE  DISTRACTA  EXTRARIA  ALIENA  VIDEBANTVR 

CONIVNCTA  INTIMA  PROPIAQVE  PROBARET 

VNDE 

RARA  ILLA  ET  PRAECLARA 

ORATIONIS  COPIA  AFFLVEBAT 

VT  QVAE  IN  CAVSSIS  IPSE  NON  VIDERIT 

IN  IMMENSO  IVRIS  OCEANO 

NEQVE  EXTARE  NEQVE  ADEO  ESSE  DIGERETVR 

Iscrizione  fatta  per  un  arco  da  erigersi  al  se- 
renissimo Infante  di  Spagna  Don  Carlo,  al- 
lorché dagV Inglesi  fu  trasportato  in  Italia, 

CAROLO  PARMAE  ET  PLACENTIAE  DVCI 

OB  NOMEN  BORBONIVM 

SVPRA  GALLICI  SVAM  SIBI  ADGNATAM 

COGNATA  HISPANICI  AVSTRIORVM  REGNI  MAIESTATE 

AVCTVM 

FARNESII  SANGVINIS  IVRE  IN  ITALIAM 

PROLATVM 

CVM  ITALORVM  OMNIVM 

GERMANIAE  GALLIAE  HISPANIAEQVE 

CONSENTIENTIBVS  STVDIIS 

>  .  ANGLI  CVMVLATIS  QVOQVE  SVIS 

HVNC  ARCVM  PP. 

ANNO  CIDIDCCXXXII 


ORAZIONI    ED    ISCRIZIONI  829 

Per  la  riattazione  della  fabbrica  de'  RR.  Studj 
di  Napoli,  resa  quartiere  di  soldati, 

PVBLICVM  MVSAEVM 

HAC  MAXIMA  VRBE  MAGNI  REGIS  SEDE  DIGNISSIMVM 

PRO  CASTRIS 

DIV  IN  SQ  VALORE  ET  SOR  DIB  VS  HABITVM 

CAROLVS  BORBONIVS 

REX  VTRIVSQVE  SICILIAE   DVX  PARMAE  PLAGENTIAEQVE 

AG  MAGNVS  HETRVRIAE  PRINCEPS 

CAELESTINO  GALIANO 

ARCHIEP.  THESSAL.  A  REGIS  SACELLO  ET  CONSILIO 

STVDIORVMQVE  PRAEFECTO 

CVRANTE 

PRISTINO  NITORI  EX  PARTE  RESTITVIT 

FECITQVE  SPEM  ATQVE  ADEO  FIDVCIAM 

MAGNIFICENTISSIMO  OPERE  PERFECTO 

PACIS  ARTES 

IPSIVS  AVSPICIIS 

HEIC  FAVSTE  FELICITERQVE  PROFECTVRAS 

Iscrizione  sepolcrale  per  Jacopo  Stuardo, 
duca  di  Bermch, 

lACOBI STVARTI 

BARCOVICENSIVM  DVCIS 

lACOBI  II  BRITANNIAE  REGIS  FILII 

MAXIMORVM  GALLIAE  EXERCITWM 

IN  INGENTIBVS  EVROPAE  BELLIS  LEGATI 

RES  PRAECLARE  GESTAS 

ET  IMPERATORIVM  MORTIS  GENVS 

HISTORIAE  NARRANT 

CINERES 

HIC  LAPIS  CONDIT 

lACOBVS  STVARTVS 

DVX  LEVIANORVM 

PARENTI  OPTIMO 

FILIVS  MOERENTISSIMVS 

P. 

ANNO  CIDD.  ce.  XXXIV 


33o  PARTE    II. 

Iscrizioni  pe'  funerali  del  duca  Jacopo  Stuardo , 
figlio  del  precedente. 


lACOBVS  STVARTVS 

PRLVIVLVM  PVBESGENS 

SVB  PRAECLARISSIMO  ARMORVM  IMPERATORE 

lACOBO  BARCOVIGENSIVM  DVGE  PARENTE  SVO 

MILITIAE  TYROCINIVM 

IN  GALLIA  INIIT 
ET  IN  PRIMIS  ORDINIBVS 
REI  MILITARIS  SCIENTIAM 
/     "^        ,  IN  GALLIA  IN  IIISPANIA  AD  RHENVM 

^  1  VNDEVIGESIMVM  AGENS  AETATIS  ANNVM 

PARENDO  IMPERANDOQVE  PERDIDICIT 


n. 

ADGNATI  REGIS  IN  SVA  REGNA  RESTITVENDI  PIETATE 

ET  ROMANA  SAGRA  IN   BRITANNIAM   REVERENDI   STVDIO 

AD  NAVALEM  EXPEDITIONEM  IN  SCOTIAM  PRAEFECTVS 

MVLTA  QVIDEM  VIRTVTIS  FAGINORA  EDIDIT 

QVAM  INVIDA  FORTVNA  DESTITVIT 

NAMQVE  OGEANO  HOSTILITER  SAEVIENTE 

.  NAVES  PARTIM  SVBMERSAE  PARTIM  FRAGTAE 

ET  PER  LONGINQVA  LITTORA  LONGE  LATEQVE  DISIEGTAE 

QVAMOBREM  STVARTVS 

E  PROXIMA  GALLIA  BRITANNIS  INVISVS 

AD  PHILIPPVM  V  HISPANIARVM  REGEM  ADIIT  MILITATVM 

evi  VT  CVM  DIGNITATE  OPERAM  DARET 

INCLYTVS  PARENS 

PRIMI  HISPANIAE  MAGNATVM  ORDINIS  LOCO 

•    ET  DITIONVM  QVIBVS  IN  HISPANIA  DOMINABAT  IVRE 

CESSIT 


ORAZIONI    ED    ISCRIZIONI  33 1 

m. 

PHILIPPVS 

REGIVM  STVARTI  GENVS  EGREGIAMQVE  VIRTVTEM 

SPECTANS 

PRAECLARIS  HONORIBVS  ORNAVI! 

MAGNIS  ARMORVM  IMPERIIS  PRAEPOSVIT 

MILITARI  AVREI  VELLERIS  TORQVE  INSIGNIVI! 

ET  FOEMINAE  PRIMARIAE  EI  NVPTVM  DATAE  OPIBVS  AVXIT 

CVMQVE  VIRVM 

ET  MILITARI  VIRTVTE 

ET  SENATORIA  SAPIENTIA 

AEQVE  PRAESTANTEM 

ANIMADVERTERET 

AMPLISSIMA  AD  MOSCORVM  IMPERATRICEM  LEGATIONE  . 

HONESTAVIT 

IV. 

IN  MOSCHIGA  LEGATIONE 

STVARTVS 

EIVS  FERME  IMMENSI  IMPERII       > 

STATVM  RELIGIONEM  LEGES  xMORES  PACIS  BELLIQVE 

ARTES  COMMERCIA 

CONTEMPLATVS 

EA  DE  RE  LIBROS  HISPANICA  LINGVA  AD  LIBEROS  MISIT 

TANTA  SAPIENTIA  LVCVBRATOS 

VT  EORVM  LATINA  VERSIONE  EDITA 

AVGTOR 

INTER  RERVMPVBLICARVM  SCRIPTORES  VTILISSIMVS 

HABERETVR 

ET  SANE  QVI  VIRI  DOCTI  ID  OPVS  FORI'E  LEGERVNT 

INGENTI  DESIDERIO  DEFLAGRANT 

VT  EIVS  COMMENTARII 

QVIBVS  IPSIVS  VITA  NARRATVR 

PVBLICI  IVRIS  FIERENT 

EXEMPLAR 

SENATORIS  DVCISQVE  MAXIMl 


332  PARTE    II. 

V. 

CREDAt  POSTERITAS 

NAMQVE  AETAS  NOSTRA  VIDIT 

STVARTVM 

AD  MOSCHOS  LEGATVJVI 

PATRIAE  RELIGIONIS  DILIGENTIA 

DIVINAS  ROMANORVM  GAERIMONIAS 

PALAM  CELEBRARI  CVRASSE 

PONTIFICEMQVE  ROMA  IN  EVM  ORBEM  MITTI 

QVI  PONTIFICIIS  SACRIS  OPERARETVR 

ET  INNVMEROS  QVI  DEGEBANT  CATHOLICOS 

STIPE  LARGITER  EROGATA  SVSTENTASSE 

QVAE  SANE  SVNT 

NON  PROFANI  VIRI 

SED  CASTISSIMI  SAGERDOTIS 

OFFICIA 

VI. 

STVARTI 
MANIBVS 
NEAPOLITANOS  IN  PRIMIS 
-  PACEM  AETERNAM 

OPTARE  IVS  FASQVE  EST 

QVI 

MOSCHICA  BENE  GESTA  LEGATIONE 

VNDE  DVPLICI  MILITARI  TORQVE  AB  IMPERATRICE  DONATVS 

DISCESSIT 

VIENNAE  AGENS 

PHILIPPO    REGI 

OPIMAM  PARMAE  PL AGENTI AEQ VE  SVCGESSIONEM 

FOEDERE  IGTO  RETVLIT  RATAM 

VNDE  POSTEA 

REBVS  IPSIS  DICTANTIBVS 

AD  NOS  PROPRIVM  CERTVMQVE  REGNVM 

CAROLVS  BORBONIVS 

OPTIMVS  PRINGEPS  DEDVCTVS  EST 


ORAZIONI    ED    ISCRIZIONI  333 

VII. 

INTEGERRIMVS  VERI  CVLTOR 

ET  GENTIVM  IVRIS  SERVANTISSIMVS 

TANTA  IN  LEGATIONIBVS  CLARVIT  AVCTORITATE 

VT  CVM  DE  POLONORVM  REGE  CREANDO 

CAROLVM  AVSTRIVM  IMP.  ET  MOSGHORVM  IMPERATRICEM 

INTER 

AC  HISPANIABVM  GALLIARVMQVE  ET  SARDINIAE  REGES 

CAVSSA  PRIVS  QVAM  ARMIS  DISCEPTARETVR 

CAESAREI 

IN  CLARIGATIONE  LITERARIIS  TYPIS  EDITA 

STVARTVM 

FACTI  IVRISQVE  SVI 

DARENT  TESTEM  ADIGERENT  ARBITRVM 

Vffl. 

INDE 

ITALICO  BELLO  EXORTO 

STVARTVS 

CAROLO  BORBONIO 

NEAPOLIS  AC  SICILIAE  REGNA  RECIPERANTI 

PLVRIMVS  ADFVIT 

ET  IN  EXPVGNANDA  CAIETA 

OMNIVM  IN  MEDITERRANEI  ORIS  OPPIDO  MAXIME  INVICTO 

QVAM  MVLTA  CONSILII  ET  OPERAE 

CONTVLIT 


334  PARTE    If. 

IX. 

QVIA  MILITARE  NOMEN  GRAVE  INTER  OCIOSOS 

ET  LITERARVM  ERVDITIO  A  MVSIS  ODIOSA 

IN  AEQVALIVM  COETV 

SEDVLO  SE  OGGVLTABAT 

NEC  QVICQVAM  NISI  IN  MEDIO  POSITVM  LOQVEBATVR 

ET  QVIA  VVLGVS  MAGNOS  VIROS  REE VS  EXTRANOS  POSITIS 

AESTIMAT 

CVLTV  MODICO  AGEBAT 

VT  CVM  SAPIENTES  EIVS  MAGNITVQINEM  INTELLIGERENT 

X. 

SED  A  PHILIPPO  AD  NOSTRVM  REGEM  LEGATVS 

VNDEQVINQVAGESIMO  VITAE  ANNO  SVPREMVM  OBIIT 

IVCVNDA  RERVM  IMMORTALIVM  EXPEGTATIONE 

ITA  PERFVSVS 

VT  CHRISTIANVS  S0CRATE5  MORI  VIDERETVR 

ET  IN  SVPREMIS  TABB. 

TAM   SALVTARIA    MONITA 

FILIIS  SVA  IPSIVS  MANV  PERSCRIPSIT 

VT  TANTA  SAPIENTIA  REFERTA 

SENECA 

IN  BALNEO  CRVOREM  EFFVNDENS 

SVIS  AVDITORIBVS  HAVT  SANE  DICTASSET 

ACERBVM  SANE  FVNVS 

.  SI  VITAE  ANNÒS  NVMERAS 

SI  VIRTVTES  EXPENDAS 
EHEV  QVAM  ACERBISSIMVM 


ORAZIONI    ED    ISCRIZIONI  335 

Per  V edificazione  del  Ponte  presso  Ravenna,  e 
per  la  costruzione  d'altre  opere  suijiumi  Ronco 
e  Montone  :,  i  quali  per  V  innalzamento  de'  loro 
alvei  minacciavano  di  rovina  quella  città:  per 
le  quali  opere  Clemente  XII  avea  mandate 
ingenti  somme  al  Cardinale  Giulio  Alberoni 
Legato  Pontificio. 

CLEMENTIS  XII  PONT.  MAX.  AVSPIGIIS 

QVEM  VIATOR  PONTEM  SVPERAS  MIRAE  MOLIS 

IN  ALVEO  QVO  VITIS  PEDEGISQVE  FLVMINA 

AB  VRBE  RAVENNA  PROCVL  AVERTERÉNTVR 

QVORVM  INVNDATIONI   INTERIAGEBAT  OBNOXIA 

A  N.  MAFFAEO  CARD.  FLAMINI AE  LEGATO 

TRIBVS  ANTE  ANNIS  DVGI  COEPTO 

IVLIVS  CARD.  ALBERONIVS  LEGATVS  RAVENNATVM 

SVPER  AMPLIS  PRAEALTISQVE  ARCVBVS  SVSPENDIT 

NE  KING  A  FLVVIORVM  ALLWIONIBVS 
NEVE  KING  AB  HYBERNI  MARIS  AESTVANTIS  ARENA 

FACILE  OBSTRVERENTVR 

EXTREMIS  MAIORI  OPERIS  FIRMITVDINI  SOLIDATIS 

QVI  AQVIS  FORTE  EXVNDANTIORIBVS  ETIAM  PATEFIERENT 

ET  LATERIBVS  COMMVNITIS 

QVIBVS  AB  INFERIS  ALVEI  AD  IPSIVS  SVPEROS  AGGERES 

BINAE  VTRINQVE  ADSTRVCTAE  SCALAE 

QVA  VIAE  GOMPENDIVM  FAGTVRVS  COMMEATVS 

BINISQ.  PONTIFICIIS  STEMMATIS  IN  IPSO  PRIMO  ET  VLTIMO 

EXTANTIBVS 

VBI  TAM  SALVTARE  TANTI  VINDICIS  SVI  NVMEN 

TE  GRATA  CIVITAS  MONET 

PARTIM  EX  ISTRIO  MARMORE 

PARTIM  ^ 

EX  RESOLVTA  ANTIQVAE  LATERICIAE  ARCIS  MATERIA 
evi  DE  INTEGRO  FINGENDAEAN.VIX  Vili  SVFFEGISSENT 
VNO  INCHOAVIT  ABSOLVIT  ANNO  CIDIDCGXXXVI 


336  paute  ii. 

In  morte  del  Cardinale  Innico  Caracciolo 
vescovo  di  Aver  sa. 

INNICO  CARACCIOLO 

S.  R.  E.  CARD.  EPISCOPO  AVERSANO 

QVI 

GENERIS  CLARITVDINEM 

ET  AMPLISSIMI  ORDINIS  DIGNITATEM 

ORNAVIT  ET  AVXIT 

MIRO  CONTEMPTV  SVI 

SVMMAQVE  VITAE  SANCTIMONIA 

ET  QVOD  GAPVT  EST  RARA  IN  PAVPERES  LARGITATE 

OMNES  OPTIMAE  ECCLESIAE  REDITVS 

PRIVATVMQVE  PATRIMONIVM 

EROGAVIT 

OBIIT  ANNO 

MARTINVS  INNICVS  CARACCIOLVS 

E  MAXTINENSIVM  DVCIBVS 

EIVS  FRATRIS  NEPOS 

PIETATIS  ERGO  P. 


ORAZIONI   ED    ISCRIZIONI  Un 


In  morte  del  principe  Francesco  Caracciolo, 

FRANCISCVS  CARACGIOLVS 

VLLENSIVM  PRINCEPS 

VNICVM  SVAE  FAMILIAE  COLVMEN 

IN  MATRIMONIVM  DVCTA 

CONSTANTIA  HELIONORA  IVDICOEA 

IVVENACIENSIVM  DVCE  HISPANIARVMQVE  MAGNATE 

COGNATA  SVA 

IPSA  QVOQVE  SVAE  GENTIS  VLTIMA 

ATQVE  EX  E  A  VNO  ITEM  SVSCEPTO  FILIO 

EOQVE  PVERO  E  VIVIS  EREPTO 

VIGENS  ANNIS 

INFELICI  ORBITATE 

DOMVS  SVAE  FATA  CLAVSIT 

VIRO  MERITISSIMO 

MOERENTISSIMA  VXOR  P. 

ANNO  CIOIDCCXXXVII 

In  morte  di  Francesco  Boncore  medico  di  Fi- 
lippo V  e  di  Carlo  II  re  delle  Due  Sicilie, 

PHARMACOPOLARVM 

BVSTVARIA   TERRA 

SANCTE  LVSTRATA 

FRANCISCO    BONCORE 

PHILIPPI  V  HISPANIARVM  REGIS 

MEDICO  CLINICO 

CAROLI  BORBONII  REGIS  VTRIVSQVE  SICILIAE 

ARCHIATRO 

ET  IN  REGNO  NEAPOLITANO 

MEDICAMENTARIIS  VNIVERSIS 

/  PRAEFECTO 

AVCTORE 

AC  OPERIS  CVRATORIBVS 

REI  PHARMACEVTICAE  OCTOVIRIS 

CORPORATORVM  COLLATO  AERE 

ANNO  CIDIDCCXXXIIX 

Vico,  Opuscoli,  ^  aa 


338  PARTE   li. 

Iscrizione  pel  nuovo  palazzo  innalzato 
da  Luigi  Molinelli 

IN  HAC  VIA 

SVB  PRISCIS  NEAPOLITANIS  REGIBVS  AVGVSTA 

IN  QVA  IVXTA  REGIVM  PRAETORIVM  SITA 

EQVESTRES  LVDI  EDEBANTVR 

ET  CAROLVS  V  IMPERATOR 

HVC  DELATVS  AB  HISPANIA  PERSONATVS  OBEQVITAVIT 

ALOYSIVS  MOLINELLIVS 

REIP.  GENVENSIS  AD  CAROLVM  BORBONIVM 

NEAP.  ET  SICIL.  REGEM 

ABLEGATVS 

HAS  AEDES 

CLARAE  BOMBACIAE  VXORIS  DOTALE  PRAEDIVM 

ABSVRDAS  SQVALENTESQVE 

PRO  ANTIQVA  LOCI  AMPLITVDINE 

A  FVNDAMENTIS  HAC  ELEGANTIA  ET  NITORE 

EXCITAVIT 

-~  ANNO  CIDDCCXL 


J 


ORAZIONI  E©  iscniziONi  33g 

In  morte  del  marchese  Orazio  Rocca  y  senatore 
nel  Sacro  Consiglio  di  S.  Chiara. 

HORATIO  ROCCA  MARCH. 

VNI  EX  QVATVOR  S.  C.  IVDICVM  DECVRIIS  PRAEFECTO 

ET  IN  SANCTAE  CLARAE  CONSILIO  SENATORI 

VIRO 

IVRIS  SCIENTIA  PRAESTANTISSIMO 

ET  FORENSI  ELOQVENTIA  DISERTISSIMO 

IN  QVO  IN  OMNI  RE  SEV  PRIVATA  SEV  PVBLICA 

VNVS  DOMINABATVR 

ANIMVS  RECTI  TENAX  ET  VERI  CVLTOR 

ITA  VT  OMNEM  VITAM  EMENSVS 

IN  CAVSSIS  PRIMORVM  GIVITATIS  ORANDIS 

ET  IN  SVMMIS  MAGISTRATIBVS  OBEVNDIS 

AD  HAEC  VIVENS  PRISCA  MORVM  SEVERITATE 

PROPE  EGENTEM  OBSCVRAMQVE  FAMILIAM  RELINQVERET     ^ 

QVARE  CAROLVS  REX  NEAPOLIS  ET  SICILIAE 

TALIA  GIVIS  IN  REMP.  MERITA  EXPENDENS 

AD  EVM  MORTI  PROXIMVM 

'  CODICILLOS  MISIT 

IN  QVIBVS  FRANGISCVM  F. 

evi  lAMLEGITIMAAETAS  AD  CAPESSENDOS  HONORES  ERAT 

MAGNAE  CVRIAE  VICARIAE  IVDICEM  DESIGNAVIT 

ET  PATERNVM  MARCHIONATVS  DECVS  SVBSTITVIT 

PARENTI  OPTIMO 

HANC  HONESTAM  MEMORIAM 

FIUI  PIENTISSIMl  P.  P. 


34o  PARTE    II. 

Per  la  costruzione  di  un  tempio  interinale 
fatta  dai  Nobili  del  Seggio  di  Montagna, 

HOC  TEMPORARIVM  TEMPLVM 

VBI 

STATA  RECVRRENTE  DIE 

AVGVSTA  MEMORIA  RECOLITVR 

QVVM 

DIVI  lANVARII  MARTYRIS 

t»ONTIFICIS  BENEVENTANI  POPVLARIS  SVI 

MIRIFIGENTISSIMVS  CRVOR 

A  NEAPOLITANIS  SACERDOTIBVS 

FESTA  FRONDE  REDIMITIS 

PVTEOLIS  IN  HANG  VRBEM  TRANSLATVS  EST 

CVRIAE  MONTANAE  PATRICII 

EXCITARI  IVSSERVNT 

é 

J^er  la  ricostruzìvne  dell*  edicola  e  del  sepolcro 

di  Fuhio  Tisbia  Patrizio  Melfitano. 

HOC  SACELLVM 
:,  ATQVE  HEIG  ISIDEM  SEPVLGHRVM 

FVLVIVS  TISBIA  PATRIGIVS  MELPHITANVS  I.  C. 

SIRI  SVISQVE  POSTERIS  FVNDAVIT 

ET  IPSIVS  FAMILIA  EXHAVSTA 

j  AD  THERESIAM  DE  ANGONA 

^  LEGE  REDIERVNT 

CVIVS  FF. 

lOSEPHVS  Et  PASGHALIS  MARGIANI 

INDIGENAE  NEAPOLITANI  ANTIQVISSIMI 

EXCOLVERVNT  ET  EXORNARVNT 


ORAZIOISI    ED    ISCRIZIONI  34 1 

Iscrizioni  pc*  funerali  di  Baldassare  Cutaneo. 

I. 

Sulla  porta  della  chiesa  ài  di  fuori. 

BALTHASARIS  GATANEI 

SANGTONICANDRENSIVM  PRINGIPIS 

PARENTALIA 

AMPLISSIMI  VIRI 

MANES 

PII  QVI  ADESTIS  PIATE  CIVES 

II. 

Sulla  slessa  porta  al  di  dentro. 

BALTHASAR  CATANEVS 

GENVAE  MAIORIBVS  DOMI  FORISQVE  CLARISSIMIS  ORTVS 

AG  NEAP.  IN  GAPVANAM  PATRIGIORVM  GVRIAM  ADLECT. 

GVM  PRIMARIIS  NEAPOLITANIS  FAMILIIS 

CONNVBIVM  VLTRO  GITROQVE  AGITAVIT 

IN  SVMMVM  NVMEN  PIETATE 

IN  PRINGIPES  OBSEQVIO 

IN  AEQVALES  OFFIGIIS 

IN  MINORES  BENEFIGENTIA 

LAVDATISSIMVS 

QVAMQVAM  AD  SENIVM  VSQVE  AETATEM  PERDVXERIT 

OMNIBVS  TAMEN 

AMARISSIMVM  SVI  DESIDERIVM  DELIQVIT 

III. 

Nelle  pareti  della  chiesa  dirimpetto  ai  lati  del  Mausoleo^ 

BALTHASAR  GATANEVS 

VNETOGTOGINTA  VITAE  ANNOS  PEREGIT 

ABSOLVITQVE   NVMEROS 

QVOS  HOMINVM  GENERI 

ET  BONA  NATVRA  PRAEFINIT*'  ^^'  '       ' 

ET  SAPIENS  CVRATVRA  PRODVCJT 


342  PARTE  li.    ORAZIONI    ED    ISCRIZIONI 

IV. 

DIVTIVS  VERO  CATANEVS  SANE  VIXISSET 
NI  VIVIDVM  ACTVOSVMQVE  INGENIVM 

VITAE  CITASSET  FINEM 

SED  HINC  ET  ILLA  VIRI  LAVS  EXISTIT 

IN  MAGNIS  OPIBVS  SVMMAQVE  FORTVNAE  INDVLGENTIA 

OGIVM  FELICITATIS  COMITEM 

FORTI  SEMPER  ANIMO  ESSE  AVERSATVM 


PVLGHERRIMAE  VIRORVM  QVI  VITA  CONCEDVNT  LAVDES 

ET  VIVA  QVODAMMODO  ELOGIA 

SVNT  SVPERSTITES  QVOS  FORTITER  SAPIENTERQVE 

EDVXERE 

QVALIS  PATERFAMILIAS  BALTHASAR  CATANEVS  FVERIT 

TALIS  FILIVS  TALIS  NEPOS  TESTANTVR 

ILLE  DVX  TERMOLENSIVM 

VRBIS  PRAEFECTVRAM 

COMI  SAPIENTIA  AC  LENI  VIRTVTE  GERIT 

HIC  ANVERSAE  COM. 

NONDVM  VIRILI  AETATE 

OMNIBVS 

VIRI  OPTIMI 

FIDyCIAM  NEDVM  SPEM  OPTIMAM  MAXIMAM  FACIT 

VI. 

LVGVBRIS  LAVDATIO 

PRONIS  OMNIVM  AVRIBVS  EXGIPI  SOLET 

CVM  QVI  NATVRAE  CONCESSIT 

IS   QVALIS   CATANEVS   IN   VITA 

IVVERIT  MVLTOS 

.      LAESERIT  NEMINEM 

HOC  MONVMENTVM  SANE  PERENNIVS 

•  IN  IMMORTALIBVS  HOMINVM  PECTORIBVS  EXGITATVR 

QVAM  QVAE  PERITVRO  TANDEM  MARMORE  AVT  AERE 

FINGVNTVR 


PARTE    III. 


POESIE 


POESIE 


Affetti  di  un  malinconico. 
CANZONE  (I) 


Ljasso,  vi  prego,  acerbi  miei  martiri, 
À  unirvi  insìem  ne  la  memoria  oscura; 
Se  cortesi  mai  siete  in  dar  tormento: 
Poiché  son  tanti,  che  lo  mio  cor  dura, 
Di  mille  vostre  offese  i  varj  giri, 
Ch'io  non  ben  vi  conosco,  e  pur  vi  sento: 
Tal  che  di  rimembrar  meco  pavento 
Le  mie  sciagure.  Or  voi,* sospiri  accesi, 
Ite  a  troncarmi  i  pianti  in  mezzo  al  varco 
Del  ciglio  d'umor  carco: 
E  voi,  da  miei  sospir  miei  pianti  offesi, 
Tornando  in  giù,  di  lor  vi  vendicate 
Con  sommergerli  dentro  al  mesto  core: 
A  cui  per  le  vostr'onte  ornai  si  toglia. 
Che  possa  la  sua  cruda  amara  doglia 
Sfogar;  poiché  così  agio  non  fate, 
Ch'uscendo  fuor  con  voi  il  mio  dolore, 
Lasci  l'albergo  d'ogni  nostro  affetto: 
Perch'io,  finché  m'ha  morto,  in  mezzo  al  petto 
Serbarlo  vo',  se  mai  quel  che  m'avviva 
Potrà  menarmi  del  mio  corso  a  riva. 

Poiché  cadente  omai  é  il  ferreo  mondo, 
E  son  già  pronte  le  sciagure  estreme, 
Di  pari  con  le  colpe  i  nostri  mali 
Congiunti  vanno  strettamente  insieme^ 
E  crebber  con  l'età,  che  sotto  il  pondo 
Di  nuovi  morbi  i  gravi  corpi  e  frali 
Gemono  smorti,  ed  a  la  tomba  l'ali 

(i)  Questa  Canzone  fu  data  dal  Vico  alle  stampe  ncIPanno  1693  con  la|[data 
di  Veneaia.  Fu  dedicata  al  marchesa  di  Vatolla  D.  Domenico  Rocca ^  nella  rasa 
del  quale  al  Cilento  erasi  il  Vico  trattenuto  parecchi  anni  «  coro^  egli  stesso  die» 
nella  «uà  vita. 


346  PATRE    III. 

Il  viver  nostro  ha  più  preste  e  spedite; 
E  son  sempre  feconde  le  sventure 
Di  sì  fatte  sciagure 

Non  più  per  nova  o  antica  fama  udite  ^ 
E  dal  pensiero  uman  tanto  lontane, 
Che  crederle  men  sa  chi  più  le  prova: 
Talché  sembra  che  in  ciel  più  non  risplenda 
Benigno  lume,  onde  quaggiù  discenda 
Un'alma  lieta.  Or  chi  cotanto  strane 
Guise  di  mali  intende  mai  per  prova, 
Se  potesse  mirar  qual  è  il  dolore 
Che  prova  in  sen  l'addolorato  core, 
Al  suo,  che  chiama  or  grave  ed  or  crudele, 
Grazie  sol  renderia,  non  che  querele» 
Di  qualunque  animai,  quando  primiero 
A  Time  soglie  del  suo  viver  giunge. 
Lo  infocato  vigor,  onde  ha  la  vita. 
Con  dolci  nodi  amici  e'  si  congiunge 
A  la  sua  salma;  e  un  caso  avverso  e  fero, 
O  sia  virtude  avara  in  darmi  vita, 
O  natura  dal  suo  corso  smarrita. 
Di  duo  avversar)  me  lasso  compose: 
11  mio  mortale  infermo,  afflitto  e  stanco. 
Che  omai  par  venir  manco, 
Strazia  Palma  con  pene  aspre,  nojose; 
E'I  mio  miglior,  che  d'egre  cure  abbonda, 
Affligge  il  corpo  con  dolor  molesti; 
E  mentre,  oimè?  con  pensier  molto  e  spesso 
M'interno  a  sentir  me  contro  me  stesso, 
Membro  non  ho,  eh' a  l'anima  i^isponda; 
Poiché  non  ho  virtù  che  i  sensi  desti. 
Se  non  se  in  quanto  mi  si  fan  sentire 
Gli  acerbi,  effetti  de'  lor  sdegni  ed  ire. 
In  si  misero  »tato  e  sì  doglioso 
Va,  spera,  se  tu  puoi,  qualche  riposo. 
Ma  il  piacer  fero  di  dolermi  sempre 

Par  che  minori  in  parte  il  mio  cordoglio, 
Se  del  mio  stato  a  lamentar  mi  mena: 
Ond'io  eh' a  più  e  a  più  dolor  m'invoglio, 
Farò  cantando  con  suavi  tempre 
"       Che  pel  contrario  suo  poggi  mia  pena. 
Vita  sovra '1  mortai  corso  serena. 
Moderati  piacer,  delizie  oneste. 
Tesori  per  valor  vero  acquistati. 


POESIE  347 

Onori  meritnti, 

Mente  tranquilla  in  abito  celeste; 
E  perchè  il  duolo  mio  vieppiù  si  avanzi. 
Tal  che  null'altro  mai  fia  che  l'agguagli, 
Amor,  di  cui  è  sol  amor  mercede, 
E  vicende  gentil  di  fé  con  fede, 
Venite  al  tristo  pensier  mio  dinanzi, 
Ch'e'  vi  farà  sembrar  pene  e  travagli 
A  questo  cor ,  perchè  di  duol  trabocchi  : 
Siccome  rossa  gemma  avanti  gli  occhi 
Posta  talora,  egli  addivien  che  facci 
Rassembrar  sangue  il  latte ,  e  fiamme  i  ghiacci. 

Ditemi,  Stelle,  or  voi,  se  mai  potete 

Che  un  qualche  favor  vostro  un  dì  disveli, 

Ite,  e  ven  prego  a  ritrovarlo  omai 

Entro  quei  moti  da'  benigni  cieli, 

Che  ìnfluiscon  qua  giù  gioje  più  liete: 

Solo  ben  io  da  me  so  che  non  mai 

Bevvi  respir,  che  non  traessi  guai. 

Deh  perchè  da  la  vita  altra  beata 

Stanco  da  tante  alte  sciagure,  e  rotto, 

Misero  !  fui  condotto 

A  la  presente  amara  e  disperata? 

Poiché  se  mai  a' giorni,  a' mesi,,  agli  anni 

C'ho  spesi  nel  dolor,  io  son  rivolto. 

Veggio  esser  nato  per  mia  cruda  sorte 

Solo  a  pene,  sospir,  lagrime  e  morte. 

E  così  crudi  scempj  e  acerbi  affanni 

Non  m'hanno  in  quel  che  io  era  ancor  disciolto? 

Ah  che  daranno  tempo  al  dolor  rio 

Che  sludii  meglio  il  precipizio  mio: 

Se  non  è  forse  che  la  morte  avara 

Tema  col  mio  morir  farsi  più  amara. 

Mi  venne  sol  da  luminosa  parte 
Del  cielo  una  vaghezza  di  destare 
A'  pie  de'  faggi  e  poi  de'  lauri  a  l' ombra 
La  bella  luce  che  fa  l'alme  chiare; 
Ch'a  la  povera  mia  si  spense  in  parte. 
Quando  s'indossò  il  velo  onde  s'adombra: 
Talché  d'alto  stupor  fìnur  ingombra 
Parca  a  sé  stessa  dir:  Lassa  ch'i' sono! 
Ohimè,  eh' è  tal  desio  travaglio,  come 
Debbami  dar  il  nome^ 
Ma  sempre  il  chiamerò  pena  e  non  dono. 


348  PARTE    ni. 

Se  affligge  più  chi  più  conosce  il  male. 
O  in  ver  beati  voi,  Ninfe,  Pastori, 
Cui  sa  ignoranza  cagionar  contenti; 
Ch'obliati  sudor,  fatiche  e  stenti 
Acquetar  vi  sapete  a  un  dono  frale 

0  di  poma  o  di  latte  ovver  di  fiori; 
Ed  al  caldo  ed  al  gel  diletto  e  gioco 
Vi  reca  l'ombra  fresca  e '1  sacro  foco; 
Né  l'alta  gioja  a  voi  sembra  che  piaccia. 
Che  rozzo  amore  o  faticosa  caccia. 

Ma  qual  piacere  io  seguo,  afQitto  e  lasso, 
Fra  tanti  strazj  abbandonato  e  solo  • 
Ne  la  misera  mia  vita  che  meno? 
Che  fatto  son  nojoso  incarco  al  suolo. 
Anche  infecondo,  dove  il  tronco  e'I  sasso, 
Come  in  suo  centro,  hanno  quiete:  almeno 
Il  mio  piacer  e' fosse  il  venir  meno; 
Ma  lo  disdisse  il  Cielo.  Or,  se  mi  serbo 
Sempre  a  novi  sospiri  e  a'  pianti  novi , 
Piovi  miserie,  piovi 

Sovra '1  mio  capo  il  viver  mio  si  acerbo; 
E  non  si  voglia  mostrar  meco  avaro 
D'altri  scempj  piti  infesti  e  più  nemici; 
Che  sol  fierezza  e  non  pietà  la  stimo: 
Se  non  è  forse  invidia  chi  io  sia  il  primo 
Tra  spirti  afflìtti,  e  che  mi  renda  chiaro 
Esempio  di  dolore  agl'infelici. 
Ma  per  le  pene  mie  io  giuro  a  queste 
Aspre  selve,  solinghe,  orride  e  meste. 
Che  non  mai  turberà,  mentre  respiro, 

1  lor  alti  silenzj  un  mio  sospiro.  — 
Canzon,  sola  rimanti  a  pianger  meco. 

Dove  serbo  il  dolor;  né  fra  la  gente 
D'ir  chiedendo  pietate  abbi  vaghezza; 
Che  l'alto  mio  martir  conforti  sprezza: 
Ma,  se  doglia  compianta  e' men  si  sente, 
Sdegna  eh' ancor  tu  resti  a  pianger  seco 
L'afflitto  cor,  che  disperato  vole 
Che  l'aspre  pene  sue  si  sentan  sole. 


POESIE  349 

In  morte  del  signor  conte  D.  Antonio  Caraffa, 
Generale  delle  armi  Imperiali. 

CANZONE  (I) 

O  del  petto  dell' uom  vane  e  fallaci 
Speranze  e  cure,  che  fra  via  sovente 
Son  dal  Cielo  interrotte!  Ecco^  ohiuiè  lasso!' 
Del  Capitan  ch'a  la  divota  gente 
Facea  difese  incontra  i  fieri  Traci, 
Poco  cener  chiudendo  in  pìcciol  sasso 
Quella  che  sempre  mena  dritto  il  passo, 
In  sua  ragion  sì  rea,  sì  trista  in  volto, 
Qual  dinanzi  '1  pensier  or  veder  parmi; 
Del  mestiero  de  Tarmi 

L'onor  più  grande,  il  più  bel  pregio  ha  tolto: 
Ond' oscurato  il  ciel  da  l'alta  parte. 
Co  i  venti,  a' quai  l'annoso  pin  s'atterra, 
Nevò  quaggiuso  d'ognintorno^  e  donde 
S'abbassa,  svegliand'ire  in  mezzo  l'onde, 
Pianse  con  tuoni  e  piogge  il  nostro  Marte  ^ 
E  de  l'acque  la  mente  di  sotterra 
Col  gran  tridente  a  tai  scosse  la  terra. 
Che  del  mondo  parca  lo  spirto  stanco, 
Che'l  desta  e  nutre,  ornai  venisse  manco. 

Ben  è  ragion  che'l  corpo  aspro,  mortale. 
Ch'ogni  più  bel  sperar  n'ha'n  cor  trafitto, 
Pianga  Occidente,  e '1  di  lui  capo  Roma. 
Quando  udirem  più  l'Ottoman  sconfitto? 
Quando  vedrem  che  stenda  la  grand' ale 
L'augello  imperiti  su  l'Asia  doma? 
Chi  fia  d'eterno  allór  cinto  la  chioma, 
Ch'a  la  gran  tomba?  Ma  li  chiari  acquisti 
Troppo  alla  fine,  lasso  me!  sospiro, 
Quando  temer  già  miro 


(1)  Avca  il  Vico  mollo  affetto  per  la  famiglia  del  duca  di  Traìetto,  avendo 
istituito  nelle  umane  lettere  il  primogenito  di  lai  casa  D.  Adriano  Cararfa,  che 
fu  molto  grato  6no  alla  vecchiezza  a  tal  suo  dotto  precettore.  Avvenuta  la  morto 
del  Generale  delle  armi  Austriache  Antonio  Caraffa,  volle  il  Vico  esternare  il 
suo  dolore  con  la  presenti:  Canzone,  che  diede  alle  stampo  nel  i6p3  in<8  con 
la  itala  di  Venezia,  numerandosi  fra  gli  Accademici  Uniti  di  Napoli  col  titolo 
di  Uaccotlo  ,  e  che  dtdicò  a  D.  Tommaso  d'^Aquino  principe  di  Ferolcto. 


35o  PARTE    IH. 

he  perdite  i  Cristian  paurosi  e  tristi. 
Tra  le  sue  glorie  e  i  nostri  pianti  amari 
Che  far  degg'io,  chi  mi  consiglia  e  come? 
Anzi  qual ,  non  che  '1  mio  pur  troppo  umile, 
E  da  duol  rotto,  alto  e  spedito  stile 
Unqua  giunger  potrà  suoi  pregi  rari? 
Ma  del  dolor  sotto  le  gravi  some 
Non  mi  curo  incontrar,  purché '1  suo  nome 
Per  me  laudando  in  rime  non  si  taccia 
De  l'arte  pria  che  del  dover  la  taccia. 
D'armi  gran  padre,  almo  Sebeto  mio. 
Torbido  Tonde  sì  per  fama  chiare, 
E  senza  onor  le  dolci  rive  amene. 
Ti  stai  raccolto  infra  tue  doglie  amare  ; 
Ne  acquisti  fé  col  pianto  al  dolor  rio. 
Ma  più  ch'ai  Tebro  e  a  l'Istro  a  te  s'attiene. 
Aperte  omai  del  lagrimar  le  vene, 
L'onor  di  nostra  patria,  anzi  del  mondo 
Pianger  per  sempre  a  pie  della  sua  santa. 
Regale,  immortai  pianta. 
Che  da  diviso  suol  nel  tuo  fecondo 
I         Traspiantò  il  Cielo;  e  la  virtute  antica 
Alto  senno  e  valor  v'innestò  poi: 
Ed  indi  'n  vece  di  terrestri  umori, 
Fatica  l'inaffiò  co' suoi  sudori. 
Cui  fecondando  al  fin  con  aura  amica 
Alta  fortuna,  fruttò  poscia  a  no: 
Tanti  e  sì  chiari,  illustri,  invitti  eroi; 
Tra'  quali  ultimo  è  vero  a  le  memorie 
Antonio  sì,  ma  ben  primo  a  le  glorie. 
Quanto  dobbiamo  al  sommo  Ente  Divino 
Che  di  quaggiù  tempra  le  cose  e  regge, 
E  i  secoli  e  l'età  tiene  'n  ^a  forza; 
Ch'ai  maggior  uopo  de  la  nostra  legge. 
Quand'era  spento  il  gran  nome  latino, 
Dal  Ciel,  che'nforma  in  noi  valor  e  forza, 
A  prendere  mandò  terrena  scorza 
De  la  più  chiara  stella  il  maggior  lume. 
Or  chi  fìa,  di  lui  senza,  il  gran  periglio 
Membrando,  non  dal  ciglio 
Versi  di  pianto  amaramente  un  fiume? 
E  dica  a  voi,  che  di  gramigna  il  crine 
Poveramente  ornando,  e  'l  valor  vostro 
Pel  giogo  tolto  a  la  città,  che '1  pose 


POESIE  35 1 

Poi  senza  meta  a  l'universe  cose; 

Vostre  bell'opre  feste  senza  fine 

Degne  di  marmi  e  d'opere  d'inchiostro: 

S'unqua  foste  voi  nati  al  secol  nostro, 

Nascer  giammai  non  potevate  in  vero 

A  destino  più  grande  e  più  guerriero. 
Ma  perchè  ad  ismarrir  la  dritta  via 

Uopo  non  v'ha  di  luminoso  raggio, 

E  l'andar  giuso  agevole  si  mostra. 

Spediti  al  mal  oprar  facciam  viaggio 

Solo  col  tener  dietro  a  l'ombra  ria, 

Che'n  guardia  tien  l'umida  prigion  nostra. 

Qual  chiaro  eroe,  da  la  stellata  chiostra 

Di  bel  nuovo  disceso,  indrizzò  mai 

Il  miglior  vostro  al  poggio  faticoso, 

U' siedi  or  glorioso, 

O  bel  segno  di  tutti  i  nostri  lai? 

Che  fin  d'allor  eh' un  braccio  era  tua  sede, 

11  tuo  vagir  sol  potea  far  sereno 

O  suon  di  tromba,  o  di  destrier  nitrito; 

E  ad  elmi  e  scudi  da  le  fasce  uscito 

Accomandavi  '1  teneretto  piede. 

Di  lai  cure  indi  avesti '1  petto  pieno; 

Trattar  la  spada  o  maneggiar  il  freno:  _ 

Giovane  poi  con  atterrar  le  belve 

Adattarti  a  pugnar  entro  le  selve. 
Alma  città  a  cui  dal  Ciel  fu  dato 

Senza  mele  lo'mpero,  onde  col  Sole 

Stendesti  '1  braccio  in  queste  parti  e  'n  quelle  ; 

L'ombra  or  di  cui  e  le  reliquie  sole 

Destar  sanno  valor  di  mezzo  il  prato 

In  chi  le  mira:  le  virtù  più  belle. 

Che  in  tanti  duci,  anzi 'n  cotante  stelle, 

Ch'ornaro  il  ciel  de  le  tue  glorie,  e  in  tanti 

Tuoi  chiari  esempi  di  valor  più  raro 

Sparte  si  ritrovaro, 

Quel  che  il  petto  or  ne  fa  bagnar  di  pianti,    ' 

Tutte  leggendo,  ne  informò  so  solo: 

Talché  colei,  che  del  fral  senso  i  danni 

Ristora  in  noi,  de  l'uom  propria  maestra  ^ 

Che  spesso  avanza  ogni  più  forte  destra, 

Così  lo  strusse  a  glorioso  volo; 

Ch'i  suoi  spirti  guerrier  spiegando  i  vanni 

ispediti  assai  più  de' suoi  fresch'anni, 


352  PARTE    III. 

Tra  fortuna  e  viriti  nacquer  contese, 
Chi  piti  giovasse  alle  sue  chiare  imprese. 
E  tu,  gran  Donna,  che  gli  umani  petti, 

^^  Ove  t'aggrada  più,  dietro  ti  meni 

,  Con  lacci  d'or  a  le  tue  labbra  avvìnti; 

Che  desti  duol  ne' placidi  e  sereni, 
E  in  questi  poi  svegli  contrarj  affetti  ; 
Quanti 'n  tua  scorta,  anche  nel  cor  ben  cinti 
Di  duro  smalto,  furo  in  pace  vinti 
Dal  Duce  mio?  ma  tra  suoi  tanti  pregi      • 
Abbia  la  doglia  mia  pur  tanto  loco, 
Quanto  sospiri  un  poco; 
Ed  altri,  che  di  lei  tal  s'orni  e  fregi. 
Ch'abbia  sua  vera  imago  in  bocca  espressa^ 
Ond'infra  Alene  e  Arpin  vadasi  chiara 
La  patria  nostra,  e  sol  potrà  ridire 
Quanto  al  Polacco  quei  seppe  mai  dire, 
Che'l  mosse  a  liberar  Vienna  oppressa: 
Qual,  mentre  aita  a  noi  cotanto  cara 
N'attende,  il  vede,  oh  vista  a  Traci  amara! 
Con  coraggio  venir  de  l'oste  a  fronte, 
E  con  grand' armi  a  vendicarci  l'onte. 
Or  chi  m'apre  dal  duolo  il  chiuso  ingegno. 
Sì  ch'agguagli  il  pensier  la  grand' impresa, 
Alto  subbietto  a  chi  di  Muse  ha  cura? 
Santa  virtù,  di  cui  quell'alma  accesa 
Oprò  l'atto  d'eterna  gloria  degno, 
Vagliami  tua  ragion,  talché  sicura 
D'obblio  sen  vada  ad  ogni  età  futura. 
Non  vide  il  Sol,  da  che  il  Fattor  sovrano 
Da  prima  il  mosse  de  la  terra  intorno, 
Fuor  di  quel  chiaro  giorno 

!  Più  saggio  di  consiglio  e  prò'  di  mano. 

I  Tanto  per  Cristo  di  pugnare  ha  sete, 

I  Che  non  posa  pensier,  spirto  non  langue 

J  In  petto,  in  braccio;  talché  nulla  luce 

Scernerlo  può,  se  sia  soldato  o  duce: 
Finché  colse  a  la  Fé  le  palme  liete 
Sul  campo  dove  restò  l'Asia  esangue. 

1  E  pur  tant'era  pio,  da  poco  sangue 

D'alcun  de'  suoi,  che  morto  in  guerra  giacque, 
La  vittoria  macchiata  a  lui  dispiacque. 
Ma  più  gli  omei  non  può  chiudere  il  seno. 
Ohimè,  eh' è  morto  il  Duce,  a  la  cui  morte 


POESIE  353 

Pietà,  senno,  valor  morirò  uniti! 
Degna  d'anaari  pianti  ahi  nostra  sorte 
Da  non  venir  a  pensier  nostri  meno. 
Chi  fìa,  lasso!  chi  fìa  che  piti  n^ additi 
A  le  vittorie  i  bei  sentier  smarriti. 
Se  di  nostr'arme  il  lume  oggi  è  mest' ombra? 
Ohimè,  lasso!  ohimè,  tristo!  ohimè,  dolente! 
Ma  nostra  cieca  mente, 
Che  di  bassi  pensier  sempre  ne  ingombra 
11  senso  fral,  né  sa  levarsi  al  cielo! 
O  del  divino  Amor  cura  e  diletto, 
Anima  grande,  omai  da  quella  spera. 
Ch'ai  tuo  ritorno  si  fé' più  sincera, 
Pon  mente  al  nostro  addolorato  zelo: 
E  se  portasti 'n  ciel  teco  f  affetto. 
Onde  quaggiuso  avesti  caldo  il  petto. 
Tu  l'Austria  scorgi  incontra  i  fier  nemici 
Ad  imprese  più  grandi  e  più  felici.  — 
Canzon,  per  far  a  le  sacr'ossa  onore, 
A  la  tomba  che  chiude  il  cener  santo, 
Vanne  carca  di  pianto; 
E  in  nome  del  tuo  lasso,  egro  Signore 
Pria  le  inchina,  e  poi  dille,  s'è' pur  lece: 
Un  cor  umil,  d' immortai  fior  invece. 
De' quai  lo  impoverirò  i  suoi  martiri. 
Per  me  vi  sparge  intorno  alti  sospiri. 


In  lode  di  Massimiliano  Emmanuele  duca  di  Baviera. 
CANZONE  I.   0) 

Qual  nuovo  lume  col  divin  suo  raggio 
D'almo  splendor  la  mente  orna  e  rischiara, 
E  di  gran  cose  i  miei  pensieri  informa? 
Onde  mi  viene  omai  luce  sì  chiara. 
Che  m'apre  ad  alta  impresa  il  gran  viaggio, 
A  cui  muover  da  me  non  posso  un'orma? 
Chi  mai  con  luminosa  altera  norma. 
L'ombre  scuotendo  allo  mio  ingegno  intorno, 
M' indrizza  ad  opre  un  dì  forse  pregiate? 


(l")  Queste  tre  Cantoni  furono  date  alle  stampe  in  Napoli  dalPAulore  nel  i^>94, 
i-/|i  con  hella  edizione;  indi  riprudulle  in  Roma  fra  le  llimu  degli  Arcadi  illustri. 


/' 


V»co,  Opuscoli,  a3 


354  PARTE    III. 

Lume  di  nostra  etale, 
Che  d'ogni  alta  virtù  riluci  adorno, 
Signor,  che  reggi  alla  Baviera  il  freno. 
Le  meraviglie,  ch'io  provando  ammiro. 
Sono  del  valor  vostro  effetti  usati; 
Talché  i  pregi  in  altrui  vie  più  lodati 
Le  minor  laudi  vostre  avvien  che  sieno: 
Se  quell'ampio  splendor,  che  in  me  rimiro. 
Breve  barlume  è  sol,  che  diffondete 
Di  quella  luce  onde  sì  ricco  siete. 
Che  dunque  dietro  a  voi  mie  lodi  alzassi. 
Ardir  non  è;  poich'egli  osar  non  vuole. 
Né  può  cotanto,  e  né,  potendo  il  deve: 
Ma  son  quasi  cristallo  opposto  al  sole. 
Ove  si  rompa  il  raggio,  e  non  trapassi. 
Che  là  rimanda  il  lume  onde  il  riceve. 
Fugga  or  da  me  cura  nojosa  e  greve, 
Che'l  Veglio,  che  giammai  non  stanca  l'ale, 
Mio  nome  alfin  d'oscuro  obblio  non  copra; 
Se  m'avvalora  all'opra 
Chi  puote  in  sua  virtù  farmi  immortale: 
Che  son  di  tanta  gloria  e  d'onor  degni 
Fuor  d'uman  corso  i  minor  pregi  suoi. 
Che  di  lor  chi  può  mai  ritrarre  in  carte 
Alle  future  età  picciola  parte. 
Fa  più  di  quel  che  i  più  spediti  ingegni 
Fero,  lodando  i  più  nomati  eroi: 
Or  di  quest'alta  speme  il  bel  pensiero 
A  ragionar  di  voi  mi  mena  altero. 
Ma  di  tante  virtù,  di  quante  io  posso 
Col  debil  guardo  sostener  la  luce, 
Quai  fien  mezze  a  narrare  e  quai  fien  prime? 
Tal  dubbio  in  forse  ogni  consiglio  adduce; 
E  la  copia  del  dir,  ch'io  pur  mi  addosso. 
Sul  bel  principio  fa  mancar  mie  rime: 
Or  quai  convien  che  della  fin  si  estime? 
Pur  seguendo  il  desio  che  mi  fa  strada, 
Vo'  con  lo  stile  a  mio  potere  alzarmi. 
Prima  gloria  dell'armi. 
Onoro  ih  voi  quella  temuta  spada, 
A  cui  lati  si  stan  senno  e  valore, 
Ov'è  la  maestà  nell'else  assisa, 
E  dalla  punta  sua  dipende  il  fato. 
Quella  spada  onor'io,  a  cui  vien  dato 


POESIE  355 

Dalla  Terra  e  dal  Cielo  ogn'alto  onore 
Sovra  qualunque  più  onorata  guisa; 
Se  non  che  de'  suoi  pregi  or  non  rimbomba 
Di  Smirna  e  Manto  assai  più  chiara  tromba. 

E  ben  eran  ornai  di  nobil  carme 
Infin  d'allor  le  vostre  gesta  degne. 
Che  sotto  il  grave  acciajo  il  capei  biondo 
Primier  premeste  entro  le  chiare  insigne 
Di  quel  gran  padre  vostro,  in  pregio  d'arme 
Primo  a  tutt' altri,  ed  or  a  voi  secondo:    ' 
Indi  non  mai  sperò  cotanto  il  mondo, 
Che  non  restasse  dietro  a  vostre  imprese 
Ogni  qualunque  suo  desir  più  egregio: 
Allor  nel  vostro  regio 
Animo  il  Dio  combattitor  discese; 
Dove  poi  la  ragion,  l'ire  spirando. 
Quel  valor  sovraumano  in  voi  produsse. 
Che  conoscer  non  fa  rischi  e  terrori: 
Quinci  dell'armi  in  su'  più  fieri  ardori 
Quanto  fu  vago  mai  di  gir  pugnando 
Là  sempre  ove  maggior  periglio  fusse. 
Tu,  vera  gloria,  testimon  di  lui 
In  mille  chiari  fatti,  il  narra  a  nui. 

Narra  pur  anco  a  noi,  come  dell'arti 
Di  sovran  duce  egli  arricchì  l'ingegno. 
Non  con  gli  altrui,  ma  co' suoi  sommi  imperi: 
E  in  conquistar  città,  provincia  o  regno, 
Come  deggia  adempir  l'alte  sue  parti, 
Ei  l'apparò  da' suoi  trionfi  alteri. 
O  nati  al  buon  destino  almi  guerrieri. 
Che  fate  appo  lui  chiari  i  pregi  vostri. 
Che  de' consigli  suoi  va  sì  potente! 
Qual  di  noi  presta  mente 
Tanto  vigore  in  una  a  sensi  nostri 
Porge  giammai,  quanto  il  suo  seno  a  tante 
Armate  schiere,  ed  infra  lor  diverse 
E  d'abiti  e  d'ingegni  e  di  linguaggi? 
E  quando  di  pensier  più  accorti  e  saggi 
Videsi  un  duce  mai  fra  tutte  quante 
Le  chiare  armi  Latine  e  Greche  o  Perse? 
Cotanto  quel  di  voi  senno  canuto 
Ha  visto  di  lontano  e  provveduto! 

Quindi  è  che  degne  sol  de' vostri  impieghi 
Son  le  più  dunbic  imprese  e  le  più  grandi 


356  PARTE  IH. 

S'ove  il  poter  ostil  siasi  dimostro, 

Tal  ch'ogni  uman  consiglio  a  terra  mandi. 

Ed  ogni  mortai  forza  o  rompa  o  pieghi, 

Ivi  il  senno  adoprate,  e'i  valor  vostro. 

DehI  prestate  credenza  al  serraon  nostro. 

Non  nati  ancor,  che  di  sua  altiera  invitta 

Virtù  narra  pur  poco:  e  a  chi  noi  crede, 

Allor  fanne  tu  fede, 

In  virtù  di  sua  mano,  Asia  sconfitta, 

O  possanza  d'Europa,  o  forte  mano. 

Infra  tanti  furor  d'arme  infedeli 

Te  non  essendo,  or  chi  di  noi  saria? 

Che  se '1  pensiero  indietro  là  m'invia. 

Rimembrando  m'ingombra  un  timor  vano 

Di  veder  da  per  tutto  empie  e  crudeli 

Stragi  di  noi,  e  fumar  d'ogni  loco 

In  un  orribil  misto  il  sangue  e  '1  foco. 

Già  parmi  di  veder  madri  piangenti 
Co' figli  pargoletti  uccisi  in  seno, 
Ch'empian  di  tristo  orrore  il  petto  mio; 
E  le  sacre  donzelle  udir  non  meno 
Sospirar  vergognose,  egre  e  dolenti 
Il  fior  dell'onestà  donato  a  Dio. 
E  già  mi  sembra  al  furor  empio  e  rio 
Altro  scampo,  che'l  Cielo,  a  noi  non  resti; 
Onde  la  vita  in  me  medesmo  abborro. 
Però  dove  trascorro, 
Si  vaneggiando  con  pensier  funesti, 
E  non  più  tosto  mi  rallegro  omai 
Con  meco  stesso,  sol  però  ch'io  veggia 
Un'età  eh' un  Signor  si  grande  onora? 
O  benedetta  mille  volte  l'ora 
Che  tanto  in  alto  i  miei  pensieri  alzai, 
Onde  conviene  che  altro  ben  non  chieggia! 
/         Se  tal  senno  al  valor  è  in  voi  congiunto. 

Che  '1  gran  pregio  dell'armi  al  sommo  è  giunto. 

Canzon,  tu  più  m'infiammi,  anzi  che  acqueti 
Nel  bel  novo  desio  che  a  dir  m'accende 
Della  più  altera  e  chiara  gloria  nostra: 
^       Però  rimanti,  prego,  entro  la  chiostra 
De' pensier  miei  di  te  giojosi  e  lieti, 
^  Finché  la  man  l'usato  stil  riprende: 

Poiché  d'aver  compagne  hai  vera  brama 

,    A  gir  colà  dove  il  dover  ti  chiama. 


POESIE  357 


CANZONE  IL 

Alto  Signor,  pih  di  fallace  il  nome 

Non  merta  il  mondo  ora  che  a  voi  s* inchina, 

Poiché  ben  ha  donde  inchinar  vi  deggia; 

Se  adorna  la  di  voi  parte  divina, 

A  cui  le  membra  son  vesti,  non  some. 

Valor,  che  nullo  uman  pensier  pareggia; 

Io  dico  quel  valor  che  signoreggia 

Con  dolce  impero  i  vostri  piani  affetti. 

Per  più  illustrar  nell'armi  il  secol  nostro  : 

Valor  uguale  al  vostro 

Non  chiuser  mai  de'  prischi  duci  i  petti , 

Quand'eran  l'alme  al  ben  oprare  accese, 

E  segna van  nel  colle,  onde  a  virtute 

Si  poggia,  piti  spess'orme  umane  piante. 

Quindi  è  che  le  lor  opre  oneste  e  sante. 

Che  ben  eran  da  noi  fin  ora  intese 

Con  meraviglia  sì,  ma  non  credute. 

Oggi,  mercè,  di  voi,  ciascun  le  crede, 

E  da'  vostri  costumi  acquistan  fede. 

Ma  se  r acquistan  si,  ch'ai  paragone 
Della  di  voi  virtù  mancan  di  pregio, 
Chi  le  vostr'opre  crederà  dappoi? 
io  spero  allor,  quando  sia  al  Fato  in  pregio, 
Che  la  terra  già  vinta  al  ciel  vi  done. 
Per  accrescer  chiarezza  a'  lumi  suoi  j 
Che  a  quelli  che  verran  dopo  di  noi 
Una  stella  assai  più  chiara  del  giorno 
Teslimon  sia  delle  vostr'opre  degne: 
Che  donde  l'alte  insegne 
Portaste  a  far  passaggio,  anzi  soggiorno. 
Non  pur  non  ricever  oltraggi  ed  onte. 
Ma  liete  s'allegrar  le  messi  e  i  prati 
Della  lor  non  più  vista  alma  innocenza. 
Chi,  fuor  che  voi,  frenò  l'empia  licenza 
Dell'armi  al  mal  oprar  spedite  e  pronte: 
Poiché  mal  può  frenar  popoli  armati 
Duce  che  i  suoi  desir  non  anco  affrena, 
E  col  suo  esempio  altri  a  ben  far  non  mena. 

Dond'  é  che  poi  molte  f/ate  e  molte 
Ad  imprese  da  voi  tutte  lontane 


358  PARTE    III. 

Giugneste  pria  che  n'arrivasse  il  grido? 
Onde  a  sì  nove  meraviglie  e  strane 
Il  Reno  e  l'Istro  attoniti  più  volte 
L'onde  al  corso  fermaro.  O  tu  che  nido 
Fai  nel  suo  regio  petto,  albergo  fido 
Dell'altre  tutte,  alta  virtù  che  prendi 
In  mezzo  le  fatiche  i  tuoi  riposi, 
Di  sì  meravigliosi 
Effetti  la  cagion  ornai  ne  rendi  : 
Tu  sola  air  affannose  opre  di  Marte 
Talmente  agevolasti  il  mio  Signore, 
Che  di  folgor  dell'arme  oggi  ha  la  loda: 
Kè  giammai  col  valor  bellica  froda 
Venne  dell'alte  sue  vittorie  a  parte; 
Che  non  ha  maggior  palma  il  vincitore 
Di  quella,  in  cui  gli  animi  ancor  de'  vinti 
Son  dalla  sua  virtù  presi  ed  avvinti. 
Or  se  nell'atto  della  fera  pugna, 

Perocché  in  voi  il  fìer  nemico  ammira 
L'alto  invitto  valor,  forz'è  che  v'ami; 
Qual  è  a  pensar,  quando  gli  sdegni  e  l'ire 
Omai  sgombrò  dal  petto,  ivi  raggiugna 
La  virtù  ch'ai  perdon  poi  vi  richiami? 
Egli  è  colui  sol  degno  ond'uom  si  chiami. 
Che  all'inimico  umile  e  lagrimoso 
Dimostra  il  volto  di  pietà  dipinto: 
Ma  consolare  il  vinto, 
E  di  saggio  lodarlo  e  valoroso. 
La  perdita  recando  a  rio  destino; 

,    •        Duce  che  sappia  oprar  sì  nobil  atto, 

Rassembrar  non  può  mai  terrena  cosa; 
Ma  che  in  sembianza  umana  in  lui  stia  ascosa 
Un'alta  mente  di  valor  divino. 
Donde  il  sommo  Fattor  abbia  ritratto 
Tutti  color  che  furo  a'  prischi  tempi 
Di  creata  clemenza  alteri  esempi. 
Di  voi  che  dunque  immaginar  degg'io. 
Se  tal  godete  oprar  atti  sì  degni. 
Che  vi  dorrebbe  il  non  poterli  usare? 
Se  'l  pregio  in  me  di  tutt'  i  chiari  ingegni 
Fosse,  pur  mancherebbe  il  pensier  mio, 
In  capir  di  bontà  forme  sì  rare, 
O  chiara  idea  dell'anime  più  chiare, 
Valoroso  Signore,  entro  il  cui  seno, 


POESIE  359 

Come  in  suo  trono,  è  la   virtù  seduta: 
Se  fosse  conosciuta 
La  sana  gioja  di  che '1  cor  va  pieno, 
Allor  quand'ella  è  da  voi  posta  in  uso. 
Saria  del  inondo  ornai  l'error  sbandito. 
Che  mena  V  uom  dietro  al   piacer  fugace. 
Quindi  non  pago  sol  d'usare  in  pace 
Le  virtù  regie,  onde  cotanto  in  suso 
Siete  sull'erto  dell' onor  salito. 
Ardeste  ancor  de'  lor  più  caldi  amori 
Fra  i  disagi  dell'armi  e  fra  i  terrori. 

Però  se  a  quei  che  fece  in  guerra  chiari 
Sol  un  nobil  desio  di  eterne  glorie, 
Furon  eretti  altari  e  dati  incensi; 
A  voi  colmo  di  tante  alte  vittorie. 
Sol  per  usar  vincendo  atti  si  rari. 
Deh  qual  onor  per  debito  conviensi? 
Premio  ben  poco  a'  merli   vostri  immensi 
Egli  è  di  tiionfali    alte  ghirlande. 
Che  la  Gloria  vi  cinga  il  crine  augusto. 
Ah  che  lo  Ciel,  eh' è  giusto. 
Non  seppe  destinar  premio  più  grande 
Alla  virtù,  che  la  virtude  istessa: 
Perocch'ella  di  sé  cotanto  è  paga. 
Che  ciò  che  non  è  lei,  sdegna  e  non  cura. 
Quindi  '1  Saggio  il  destino  o  la  natura 
Ringrazia,   perchè  l'abbia  in  cor  impressa 
La  copia  degli  affetti  errante  e  vaga: 
Perchè  sull'ombre  lor  spiega  la  luce 
Ragion,  dond'ei  simile  a  Dio  riluce. 

Quest'è  dunque  il  trionfo  alto,  immortale. 
Che  per  quanto  lo  stil  s'innalzi  a  volo, 
Manca  vie  più,  se 'n  lui  vie  più  m'interno: 
Oh  bel  trionfo,  di  cui  degno  è  solo 
Che  sia  l'animo  vostro  alto,  regale 
Espettator,  e  Campidoglio  eterno? 
Trionfo  u'  de' pensier  siede  al  governo 
Prudenza,  a  cui  l'avvenir  mul  si   puote 
Celar,  più  che  non  soffre  umana  usanza: 
Fortezza  e  Temperanza 
Belle  quant'  altre  mai  reggon  le  rote 
Ch'air  alma  e  l'ira  ed  il  desio  formare  : 
E  'n  cima  al  carro  in  maestate  è  assisa 
La  regina  Virtù  e  la  Virtù  intera: 


36o  PARTE    III. 

D'affetti  vinti  una  ben  folta  schiera, 
Che  torre  il  regno  alla  Ragion  tentare. 
Fra  dolci  lacci  al  fin  segue  conquisa; 
E  di  palme  immortai  va  TOnor  vero 
Colmo,  adornando  il  gran  trionfo  altero.  — 
Canzon,  tal  mi  son  io  qual  mal  accorto 
Nocchier  che  a  vasto  mar  le  vele  crede, 
E  spera  esser  col  sole  all'altra  riva; 
Quand'ecco  il  giorno  a  nuova  gente  arriva. 
Ed  ei  trovarsi  in  alto  mar  si  è  accorto. 
Tal  che  cima  di  monte  ancor  non  vede. 
Riman  però,  mentre  più  fogli  io  vergo, 
Coir  altra  insieme  entro  il  medesmo  albergo. 


CANZONE  III. 

Poiché  l'umil,  devota,  accesa  voglia 

Di  bel  nuovo  mi  mena,  acciocch'io  dica 

Maggior  cosa  di  voi,  Real  Signore; 

Prego  la  mente  dell' obblio  nemica. 

Perch'io  al  fin  giunga,  ove'l  desio  m'invoglia. 

Che  raddoppi  al  bisogno  il  mio  valore: 

Se  lo  stil,  che  già  mosse  a  farvi  onore, 

Tanta  di  voi  di  chiari  pregi  illustri 

Tien  copia,  che  mancar  non  mai  potrebbe. 

E  chi  tacer  saprebbe 

Rimembrando  per  cento  e  mille  lustri 

Sudar  tra  1'  arme  Imperadori  e  Regi , 

Per  voi  ri  por  tra  le  corone  e  gli  ostri 

Su  quella  somma  altezza  in  cui  sedete: 

E  l'altra  stirpe  oltrapassar  le  mete 

Negli  onor  tutti  imperiali  e  regi. 

Tanto  che  spiacque  agli  stess' avi  vostri. 

Non  essendo  di  lor  chi  mai  pensasse 

Ch'altro  loco  di  gloria  a  voi  restasse. 

O  grand' alme  sì  amiche  al  Cielo  e  care, 
Ch'  or  tenete  tra'  bei  splendori  eterni 
Le  sue  parti  più  alte  e  più  serene. 
Se  giungon  mai  ne'  regni  almi  superni 
Del  gran  Nipote  l'opre  degne  e  rare 
A  recar  nuove  gioje  al  vostro  bene; 
Or  d'allegrarvi  in  Dio  più  vi  conviene. 
Poiché  sol  fu  quell'alta  gloria  vostra 


POESIE  36i 

Una  bell'alba  del  mio  chiaro  sole: 
Che  in  sì  gravi  parole 
Non  può  mai  risonar  la  lingua  nostra, 
Che  dica  in  quanta  maestate  altera 
Fu  dall'invitta  sua  virtute  alzato 
Sovr'ogni  suo  più  eccelso  onore  antico; 
Che  intenta  or  pende  dal  suo  cenno  amico 
Di  Principi  Sovrani  un'alta  schiera. 
Che  sol  confida  in  suo  valor  provato. 
Sicura  che  da' regni  unqua  non  cada. 
Poich'affidò  gli  scettri  alla  sua  spada. 

E  quel  Re  formidabile  che  regna 

Entro  l'Alpi,  Garonna  e  l'onde  salse. 

Che  il  giogo  ornai  credeasi  al  mondo  imporre 

(Incontro  il  suo  poder  cotanto  valse 

11  nome  sol  ch'oggi  a  lodar  m'insegna!) 

Ch'or  a  pie  della  pace  umjl  ricorre. 

O  nome  glorioso!  E  chi  raccorre 

Può  tutt'i  pregi  tuoi  sì  chiari  in  guisa, 

Ch'ognor  ne  parla,  e  sempre  il  più  ne  tace 

Quella  Donna  loquace 

Che  a  mezzo  il  cielo  in  alta  rocca  assisa 

De' rumor  di  qua  giù  si  nutre  e  cresce. 

Voce  formando,  che  se  vie  più  gridi, 

Divien  men  roca,  e  in  chiaro  suon  più  sale? 

Indi  accoglie  ogni  nome  alto,  immortale, 

A  cui  vaghezza  e  meraviglia  mesce; 

E  per  tutt'i  rimoti  e  strani  lidi. 

Risuonando  tra  noi,   chiaro  il  riporta 

Fin  dall'una  del  Sole  all'altra  porta? 

Alto  desio,  tu  sì  m'infiammi  il  petto. 

Ch'io  ben  m'av veggio  omai  che  là  mi  meni, 

Ov'è  forza  atterrarsi  il  pensier  mio: 

Onde  di  riverenza  e  timor  pieni 

Treman  lo  stil,  la  mano  e  l'intelletto. 

Ch'io,  te  seguendo  tanto  in  su  gl'invio: 

E  potrebbe  sdegnarsi  il  Ciel,  perch'io 

Col  tenebroso  debil  guardo  interno 

Voglia  spiar  lei  più  riposte  cose 

Di  Colui  che  dispose 

Delle  basse  cagion  l'ordine  eterno, 

E  formata  di  ben  saldi  diamanti  ' 

Stende  di  lor  lunghissima  catena, 

Colla  qual  cinge  e  tiene  avvinto  il  mondo. 


y 


362  PARTE    IH. 

E  mosso  ili  sua  ragion  cupo  e  profondo 
Inverso  noi  da  mille  etati  innanti, 
Per  orror  cosi  densi  il  passo  mena. 
Che  chi  pon  cura  di  non  girgli  incontra. 
Quando  crede  fuggirlo,  ailor  l'incontra. 

Ma  se  alla  vostra  altissima  fortuna, 
Felicissimo  Duce,  io  mi  rivolgo. 
Sembra  ch'ai  fato  il  valor  vostro  imperì  : 
Onde  SI  forte  dubbio  io  tra  me  volgo 
(Tante  grazie  sul  brando  il  Ciel  vi  aduna!), 
Se  sien  maggior  in  voi  l'opre  o  i  pensieri; 
Ch'ogni  grand' alma  di  desir  più  alteri 
Won  può  giammai  desiderar  cotanto. 
Quanto  otteneste  voi  da'  Cieli  amici. 
Faccian  pur  i  nemici 

Schermo  che  in  sicurezza  abbia  ogni  vanto 
Di  montagne  aspre  e  d'alti  spaziosi 
Rapidi  fiumi,  o  pur  d'orrido  cielo; 
Che  ad  un  sol  cenno  vostro  obbedienti 
Vedransi  e  la  natura  e  gli  elementi. 
Agevolarsi  i  monti  faticosi , 
Seccarsi  l'onde  e  dileguarsi  il  gielo; 
Talché  non  sia  per  voi  tempo  distinto 
Tra  il  venir,  il  veder  e  l'aver  vinto. 
E  svegli  pur  risse,  tumulti  e  guerre 
Tra  Regnanti  Cristian  l'Invidia  amara. 
Che  sempre  mai  colla  Fortuna  giostra 
Per  fare  (e  questa  sola  è  la  piti  avara 
Voglia  di  lei)  che  tra  confin  si  serre 
D'Europa  almea  l'alta  fortuna  vostra. 
Che,  come  allor  che  dall'eterea  chiostra 
Quando  il  gran  Giove  vie  piti  d'ira  avvampi, 
,  Tuona  qua  giuso,  il  suo  fulmine  ardente 

-.    Suole  recar  sovente 

Belle  speranze  agli  assetali  campi, 
E  alle  torri  superbe  alti  timori; 
Cosi  recherà  pur  la  vostra  spada 
Un'alma  pace  al  buon  popol  di  Cristo, 

^    E  per  lo  santo  glorioso  acquisto 
Porterà  all'Asia  guerra,  ire  e  furori, 
U'  con  navi  o  cavalli  ornai  sen  vada. 
Già  parmi,  e  d'ascoltar  la  lieta  voce 
Che  sovra  la  gran  Tomba  alzi  la  Croce. 

Rallegratevi  dunque  or  con  voi  stessi , 


POESIE  363 

Tu  famoso  dell'armi  alto  mestiero, 
Che  per  suo  senno  è  tua  ragion  compita; 
E  tu,  bella  Virtute,  che  a  sì  altero 
Campione  hai  gli  onor  tuoi  tutti  commessi. 
Né  in  questa  età  più  vai  sola  e  smarrita  : 
E  colmo  ancor  di  gioja  alma  infinita 
Vadasi  il  mondo ,  che  la  gloria  immensa 
Del  suo  gran  nome  riverente  onora  ; 
E  volga  lieto  ancora 
Il  Ciel  che  i  favor  suoi  largo  dispensa 
A  chi  mai  sempre  al  ben  li  pone  in  uso  : 
E  sovra  lutti  omai  convien  che  goda 
Lo  stil  che  '1  valor  suo  mi  pose  in  mano. 
Ed  oh  bel  pregio  mio  sommo  e  sovrano, 
S'alzato  ei  siasi  mai  cotanto  in  suso 
Che  pur  si  fosse  di  sua  eterna  loda 
Sol  indrizzato,  non  che  giunto  al  segno, 
Che  non  fora  del  mio  sfile  più  degno  I  — 
Canzone,  andrai  coll'altre  a  veder  quella, 
Cui  pensier  non  imita,  alma  persona 
Ch'ingombro  ha  di  sua  gloria  il  mondo  intero; 
E  giunto  al  suo  cospetto  umile  altero, 
Dirai  divota  in  atto  ed  in  favella: 
Se  ciascun  detto  nostro  una  corona 
Fusse  immortai,  pur  all' onor  dovuto 
A  voi.  Signor,  saria  picciol  tributo. 


LETTERA  DELV  ELETTOR  DI  BAVIERA 

Brusselles,  a  5  giugno  1694. 

Signor  Giovan  Battista  de  Vico.  —  NelV  erudite  sue  composi- 
zioni scorgo  la  sua  virtù,  e  *l  suo  studio  ben  disposto  alle  mie 
lodi.  Ringraziandola  pero  affettuosamente,  l'assicuro  che  le  di- 
mostrerò  nelle  occasioni  la  mia  ben  inclinata  volontà}  e  le  de- 
sidero  dal  Signore  ogni  bene. 


«^*- 


364  PARTE    III.' 


Versi  di  Gio.  Battista  Vico  stampati  nella  Raccolta  de'  Componi- 
menti recitati  in  un"*  Accademia  tenuta  ai  4  novembre  1696  nel 
R.  Palagio  per  la  ricuperata  salute  di  Carlo  II  re  di  Spagna  e 
di  Napoli. 

Festa  dies  oritur,  discurrant  undique  laeti 
Cives,  et  centutn  ludos  centumque  choreas 
Concelebrent ,  dulci  modulantes  carmina  voce: 
Ac  pietate  gravis  vittatus  quisque  sacerdos 
Thuricremas  caste  donis  Divùm  oppleat  aras; 
Quas  mixtos  senibus  pueros  matresque  nurusque 
Tangere  nunc  juvat ,  et  Dis  grates  solvere  dignas. 
Nam  summà  Divùm  cura  Regnator  Iberus 
Praesenti  ereptus  leto  jam  vescitur  aura. 
Invida  mors  etenim,  quae  si  quicquam  utile  terris 
Forte  videt  laetis,  duro  rapit  effera  fato^ 
In  Carolum,  Austriadum  decus,  aegre  lumina  figens, 
Ut  felix  faustumque  fide  ac  pietate  tuetur 
Imperium,  quod  Avùm  virtus  aequavit  Olympoj 
Letiferam  ac  tetram  febrim  diro  evocat  Orco. 
Nec  mora,  febris  adest,  Regis  flammamque  cruori 
Conjicit,  ardentes  figens  sub  pectore  taedas  : 
Mox  comites  subeunt,  infensus  et  anxius  angor, 
Sicca  et  anhela  sitis,  pallor  raaciesque  suprema: 
Tandem  (horret  meminisse  animus,  pavidusque  refugit) 
Tandem,  omni  abjecta  vitalis  Apolìinis  arte, 
NuUam  nostra  salus  jam  quid  sperare  salutem. 
Quae  lacrymae  tunc,  qui  gemitus,  qui  luctus  ubique? 
Non  opis  est  nostrae  perstringere  tanta  relatu. 
Nulla  quidem  tellus  tum  fudit  semine  flores, 
Nullus  honos  silvis,  nullus  squalentibus  agris; 
Inque  caput  fontis  rivusque  amnisque  redibant. 
Nec  face  sol  rosea  nigras  disperserat  umbras; 
Omnia  moerorem  ostentabant,  omnia  luctum. 
Tum  Tagus  e  mediis  pallens  caput  extulit  undis, 
Tristis  ubi  tollit  glaucos  ad  sidera  vultus, 
Immolus  paulum  aspexit,  tandemque  dolorem 
Sic  aperit,  rumpitque  has  imo  pectore  voces: 
Ecquae  tandem  adeo  casus  mens  gnara  futuri 
Infelix  potuit  tantum  sperare  timorem  ? 
Nam  quid  tam  durum  est,  plenumque  horrore  minaci, 
Quodque  ego  non  tutus  timeam,  praesensque  pavescam?  ^ 
Justitia  ac  pietas  ac  omnis  Regia  virtus 


POESIE  365 

Quo  fugient,  Carolimi  si  stat  jam  linquere  terras? 

Nune  tandem  jus  omne  hominum,  fas  omne  Deorum 

Rumpetur,  fugiet  pudor,  et  scelus  irruet  omne. 

Jam  video,  heu  nimium  infelix  !  horrentia  Martis 

Arma,  quibus  regna  infense  terràque  marique 

Omnia  jam  vastat  late,  infelicia  Regna, 

Quae  longe  nostris  natura  dissita  ab  oris, 

Stricta  simul  nostris  leges  junxere,  animique. 

Vos  inter  certe  gestii  plaususque  jocusque, 

Ignara,  exitiis  quantis  vos  Fata  reservant. 

Dum  Tagus  has  mixtas  lacrymis  trahit  ore  querelas, 

Extemplo  Phoebus  pallentes  discutit  umbras, 

Plus  nimìo  darà  collustrans  lampade  terras  ^ 

Gemmantemque  colore  comam  silva  explicat  omuis^ 

Atque  novos  tellus  profert  per  gramina  flores^ 

Illimes  vitreique  magis  de  fontibus  amnes 

Mollia  prata  inter  manant^  ac  gestit  ubique 

Laetitia  et  plausus,  tum  certa  salutis  imago. 

Et  certe  nec  vana  fides  (haec  omnia  pandunt 

Fata),  pii  rebus  quam  servavere  secundis. 

Nam  Pater  omnipotens,  qui  res  hominumque  Deùmque 

Temperat  imperio,  propius  miserescere  nostras 

Diguatus,  tandem  placidam  dulcemque  quietem 

De  cacio  misit^  quae  jam  vitalibus  auris 

Devehitur  praeceps,  jucunde  Regia  membra 

Irrigat ,  ad  sensum  ac  motum  mox  excitat  artus , 

Confirmatque  vigor  vitam  illam,  quae  unica  sospes       • 

A  nobis  potuit  tantos  avertere  casus. 

Eja  igitur,  Cives,  immensa  haec  munera  Caeli 

Laudibus  aeternis  laeti  exornate  canendo^ 

Et  dias  cuncti  grates  ad  sidera  tollant. 


366  PARTE   III. 


Per  le  Nozze  di  D. Giambattista  Pisacane,  duca  di  S.  Giovanni, 
Reggente  del  CoHateral  Consiglio,  e  D.  Teresa  Gurgo  deMuchi 
di  Castelmenardo. 

SONETTO  0) 

Questa  di  gemme  e  d'or  ricca  donzella, 
Quant'è  di  grazie  e  di  bellezze  ornata, 
Cui  nova  d'alte  donne  e  non  più  usata 
Pompa  ora  guida  in  vista  altera  e  bella, 

Non  senza  divin  Nume  e  provid'ella 

D'Eroe  ben  saggio  e  forte  e  giusto  è  nata. 
La  cui  chiara  memoria  ed  onorata 
Paventa  ancor  la  turba  ingiusta  e  fella. 

Or  è  menata  Sposa  in  lieti  auspici 

Pur  ad  Eroe  che  sempre  in  lance  eguale 
Pesa  le  sante  leggi  al  dubbio  Foro. 

Che  non  dunque  auguriamo  i  di  felici 
De  la  lor  prole,  e,  rispiegando  l'ale. 
Che  la  Vergin  ritorni  e '1  secol  d'oro! 

Nelle  Nozze  di  Vincenzio  Caraffa,  duca  di  Bruzzano, 
ed  Ippolita  Gantelma. 

CANZONE  0) 

D'ammaranti  immortali  omai  la  fronte, 
Santo  Imeneo,  circonda 
In  questo  lieto  e  fortunato  giorno. 
Che  di  nuovi  fior  s'orna  il  piano  e'I  monte, 
E  del  Sebeto  l'onda 

Nuova  chiarezza  acquista,  e  'l  cielo  adorno 
Di  nuova  luce  splende,  e  d'ognintorno. 
Vagando  in  dolci  errori, 
Scherzan  Grazie  ed  Amori; 
E  la  gentil  Sirena, 

Sèmpre  d'alme  gentil  feconda  madre, 
,  D'amore  ingombra  e  piena. 

Tutta  in  belle  d'amor  voglie  leggiadre 


(i)  Fu  pubblicato  nella  Raccolta  di  Poesie  data  alle  stampe  in  quest'occasione, 
(i)  Trovasi  questa  Canzone  io  lode  del  Duca  di  Bruzzano  nella  Collezione  delle 
Rim«  dc^  Poeti  Napoletani  fatta  da   Giovanni  Acampora. 


POESIE  367 

Si  desta,  e  sembra  il  bel  tempo  giocondo 

Dell'oro  torni  e  rinnovelli  il  mondo. 
In  questo  lieto  di,  regal  Donzella, 

Fra  noi  dal  ciel  discesa, 

Sposa  in  tai  forme  a  regal  Sposo  è  scorta, 

Che  non  portossi  Citerea  più  bella 

Già  nell'alta  contesa 

Della  beltà  con  le  altre  Dive  insorta. 

Vieni,  santo  Imeneo,  deh  vieni,  e  porta 

Di  lume  eterno  e  chiaro,  f 

D'ardòr  celeste  e  raro 

Si  l'aurea  face  ardente, 

Che  d'amor  desti  ogni  piti  nobil  brama: 

Odi  come  sovente 

L'alto  Sposo  il  tuo,  nome  invoca  e  chiama,  ^^ 

Chiama  il  tuo  nome,  ond' egli  attende  aita 

Di  far  ben  lieta  l'amorosa  vita. 
E  già  Espero  il  ciel  orna  e  rischiara 

Con  sua  benigna  luce  •} 

Che  '1  mondo  empie  di  gioja  e  di  diletto.         ^ 

Stuol  d'alte  donne  in  nuova  guisa  e  rara 

Già  la  Sposa  conduce 

Timida  e  vergognosa  al  sacro  letto. 

11  buon  Apollo  omai  vi  scaldi  il  petto, 

Donzelle  altiere,  umili, 

Garzon  vaghi  e  gentili: 

E  a  vicendevol  canto 

(Che  tai  dolci  vicende  aman  le  Muse) 

Vi  desti  il  furor  santo 

Di  che  spirando  ha  pur  le  menti  infuse: 

E  l'alma  notte  in  dolci  rime  ornate 

Riverite  cantando,  ed  onorate. 
Espero,  e  qual  giammai  tra  lumi  erranti 

Di  te  splende  nel  cielo, 

E  più  crudo  e  più  fiero  e  più  spietato? 

Che  non  curando  d'alta  Sposa  i  pianti, 

Di  cui  bagna  per  zelo 

Il  casto  sen,  come  rugiada  il  prato, 

Della  sua  cara  madre  al  grembo  amato 

Come  rapirla  puoi, 

E  darla  in  preda  poi 

All'amatore  acceso, 

E  pronto  a  far  di  lei  mille  vendette? 

Come  colui  ch'offeso 


I 


368  PARTE    IH. 

In  sua  virtìi  dì  mille  auree  saette, 
-    Or  fia  ch'egli  di  lei  punir  s'ingegni 

Mille  schivi,  leggiadri  atti  e  disdegni? 
Espero,  o  lume  onde  s'accende  Amore, 

È  qual  splendor  superno 

Di  te  più  lieto  e  più  benigno  splende? 

Poich'ogni  nebbia,  ogni  ombra,  ogni  altro  orrore 

L'almo  tuo  raggio  eterno 

Sgombra  dal  mondo,  e  'n  lieto  ardor  l'accende. 
•    -     Raggio  eh' a  ben  oprar  gli  animi  incende, 

E  ne  ristora  i  danni 

Che  n'arrecano  gli  anni, 

Neil' ardor  tuo  s'infiamma 

Pur  tutto  ciò  ch'uman  pensier  capisce, 
*'  E  qual  favilla  in  fiamma 

Risplende  ed  arde,  e  nell' ardor  gioisce: 

E  chi  del  sorger  tuo  sembra  dolerse, 

Pur  voti  a  te  secretamente  offerse. 
Come  di  chiare,  fresche  e  limpid'onde 

In  chiuse  parti  e  sole 

Di  sacra  selva  a  una  fontana  viva 

S'inchinan  riverenti  in  su  le  sponde 
^  E  ligustri  e  viole 

Mosse  dall'aura  fresca  e  fuggitiva 5 

Giovani  amanti  dall'erbosa  riva 

Mentre  si  stanno  al  rezzo, 

Vi  si  specchiano  in  mezzo, 

E  perde  sì  bei  pregi. 

Se  la  chiarezza  sua  vìen  mai  turbata: 

Così  gli  altieri  fregi. 

Onde  sen  già  la  Verginella  ornata, 

Perde,  poiché '1  candor  tolto  le  fue, 

Che  facean  belle  le  bellezze  sue. 
Come  fra  sterpi  e  prun  vedova  vite 

Nata  in  non  colto  piano 

Giace  squallida,  umile,  infruttuosa,  * 

E  sovente  le  braccia  egre  e  smarrite 

Innalzar  tenta  in  vano, 

Ma  ratto  mesta  al  suol  le  'nchina  e  posa  ; 

Però,  se  all'olmo  amica  man  la  sposa. 

Al  cielo  s'erge,  e  dona 

Frutti  a  Bacco  e  Pomona: 

Così  sua  vita  mena 

La  Verginella  ritrosetta  e  sola, 


POESIE  369 

Che  poi  lieta  e  serena 

Su  le  cime  d'onor  s'erge  e  sorvola: 

E  dando  figli  al  mondo  in  valor  chiari, 

Sente  i  premj  d'Amor  quanto  sien  cari. 
Dunque  già  si  diparte  e  si  divide 

Alma  vergine  Dea 

Dall'  altre  care  sue  vergini  ancelle. 

Chi  per  valor,  chi  per  beltà  si  vide, 

Che  sì  tra  noi  splendea, 

Come  tu  in  ciel  fra  le  minori  stelle  ? 

Non  vide  il  Sol  più  cai'e  forme,  belle 

Di  grazia  e  leggiadria,  ' 

Di  beltà  e  cortesia. 

Deh  come,  o  Sposo  altiero, 

Cotanto  sovr'ogni  altro  al  Ciel  piacesti. 

Che  questa  d'alto  impero 

Donzella  in  maritai  nodo  strìngesti! 

O  bel  nodo  alla  terra  e  al  Ciel  gradilo, 

Da  fé  verace  e  sommo  amore  ordito! 
Dunque,  o  alma  Giunone,  alla  sua  schiera 

(Gloria  al  tuo  regno  nuova) 

Il  ben  chiaro  amador  pur  già  s'unio, 

Che  con  gli  atti  gentili  e  mente  altiera, 

Col  senno  e  valor  prova 

L'antico  regal  sangue  ond'egli  uscio ^ 

Senno  e  valor  che  vincerà  l'obblio: 

Mente  ed  atti  ben  degni  \ 

D'alto  stil,  d'alti  ingegni. 

Oh  quanto  i  ciel  ti  ornaro 

Di  grazie,  alta  Donzella  e  generosa, 

Che  lieti  t'accoppiaro 

Ad  amante  si  degno  altiera  sposa! 

O  bella  coppia  che  s'adorna  e  fregia 
Di  regal  sangue  e  di  virtute  egregia! 

Epigramma  per  le  Nozze   di   D.  Tommaso   di  Aquino, 
marchese  di  Francolise ,  e  D.  Lucrezia  del  Verme. 

Vermiades  Virgo  regnum  temnebat  Amoris^ 

Eiusdem  dias  temnit  Aquinus  opes. 
Indignatus  Amor  graviter  sua  vincula  nectit; 

Et  captis  ridens  talia  voce  refert; 
Posthac,  dum  vobis  sic  junctis  vita  manebit, 

Temnite,  si  liceat,  Hegnaque  nostra  et  opei. 

Vico,  Opuscoli.  a4 


370 


PARTE    III. 


Carme  per  le  Nozze  di  D.Nicola  Loffredo,  conte  di  Potenza, 
e  D.  Ginevra  Grillo  de'  marchesi  di  Cbiarafonte. 

.     O  sacrisprocLil  esto  ab  bis,  profani, 
Sì  quis  non  amat,  bis  sacris  abestoj 
Qui  tristi  quoque  vivis  orbitate. 
Sacro  absistito,  caereraoniisque, 
Linguis,  et  bona  verba,  iam  favete, 
Uxoresque  virique,  quisquis  audit 
Matris  dulcia  nomina,  atque  patris. 
Sacerdos  Genius,  sed  haud  is  ortus 
De  vulgo  Geniorunn  adornai  alma 
Sacra  almae  Veneri,  pudico  Amori, 
lyiacta  es  tu,  Venus  abna,  cincta  caesto 
Qua  ridente,  venusta  cuucta  rident  ; 
Macie  es  tuque,  Amor,  aurea  sagittà 
Qua  pungente,  venusta  cuncta  flagrant: 
His  amplexibus  esto  uterque  macte, 
Queis  non  sunt  hederae  tenaciores  : 
Hoc  cerlamine  macte  suaviorum , 
,  Queis  non  libem  ego  suaviora  mella. 
Matronae,  ilicet^  en  peracta  sacra: 
JVIater  jam  nova  nupta  facta  Grilla^ 
Lofi'ridus  pater  est  novus  maritus. 


blpi^ramma  in  lode  del  P.  Gio.  Grisostomo  da  Bologna ,  Cap|)uc- 
rino,  pel  suo  corso  quaresimale  fatto  nel  Duomo  di  Napoli  nel- 
l'anno  1713. 

Mens  facta  ad  verum,  cui  plenum  pectus  honestì, 
Puris  in  verbis  et  grave  pondus  inest: 

Cui  vultu  et  cultu  constai  rigidissima  virtus, 
Cor  certe  eloquitur,  vel  libi  lingua  sapit. 


Per  le  Nozze  del  sig.  D.  Gaetau»  Argento,  presidente  del  S.  C, 
con  la  signora  D.  Gostanza  Merella  de'  marchesi  di  Calitri. 

Argenti,  columen  sacri  Senatus, 
Lumen  jam  Celebris  fori  decusque, 
Si  unquam  quis  fuit  omnium  peritus 


POESIE  371 

Nati  non  modo  couditìque  juris, 
Sed  Suadae  penitissima  medulla 
Voce  et  Consilio  potens  ubique , 
Res  nostras,  bone,  singulas  tueri , 
Res  nostras,  bone,  publicas  juvarej 
Virtute  ut  pater  omnium  voceris: 
Natura  pater  et  modo  esse  spondei! 
Sancte  hoc  concipimus  pieque  votum  :  ^ 

Virtute  ut  pater  omnium  vocaris. 
Natura  pater  estò  sic  tuorum. 


Epigramma  per  le  Nozze  di  D.  Antonio  Caracciolo, 
marchese  della  Torcila,  con  D.  Marianna  Serra. 

Res,  virtus,  formae  et  generis  splendorque  decusque 
Cuncla  adsunt  juveni,   qui  tamen  aeger  habet. 

Res,  virtus,  formae  et  generis  splendorque  decusque 
Cuncta  puellae  adsunt,  vivit  at  aegra  taraen. 

Junge,  Hymenaee  Hymen,  quaeso,  citus  haec  bona  summa; 
Junge,  Hymenaee  Hymen,  quaeso,  et  utrumque  bea. 


Distico  a  D.  Placido  Antonio  de**  Longobardi. 

Musa  tibi  adspirat,  Vates,  arguta,  jocisque 
Carmina  perfundit  bellula,  candidula. 


ALV  ILI,  ED  Eòe,  D.  LIVIA  SPINOLA 

PRINCIPESSA  DI  SULMONA  E  DI  ROSSANO  (l) 

Napoli,  I  agosto  17 19. 

io  e  egli  è  veroy  come  verissima  cosa  è,  che  il  consenti' 
mento  delle  nazioni  tutte y  o  almeno  delle  piii  umane  e  piii 
colte  che  abitano  il  gran  giro  di  questa  terra  y  è  una  certis- 
sima testimonianza  la  quale  più  co'  costumi  e  co'Jatti^  che 
con  lingua  e  parole  fanno  esse  del  divino  volere^  e  se  fin 
da  que'  tempi  che  gli  uomini  cominciarono  a  ben  usare  la 
lor  propria  natura,  e  da  feri,  selvaticiri  e  rozzi,  mansueti, 
socievoli  e  civili  si  f crono  ^  nessuna  opera  della  vita  umana 
tanto  con  cerimonie  e  solennità  celebrarono,  quanto  le  noz- 
ze: apertissima  pruova  ella  è  che  in  quelle  una  certa  nasco- 
sta Divinità  hanno  riconosciuto.  E  ben  sì  fatta  religione  da 
tutti  i  popoli  e  per  tutti  i  tempi  costantemente  osservata  ciò 
significare,  i  sapienti  uomini  nelle  loro  divine  speculazioni 
per  quella  ragione  dimostrano  ^  perchè  le  generazioni  delle 
cose  tutte  lavorandosi  sopra  il  vero  disegno  di  un  pensiero 
infinito,  onde  il  sommo  Facitore  di  un  eterno  amor  si  com- 
piace, quando  gli  uomini,  che  sono  la  piii  nobil  natura  di 
quante  mai  qua  giù  dal  seno  del  Divino  Jmor  sono  uscite, 
per  propagare  essi  la  loro  spezie  y  sottomettono  V  amorosa  pas- 
sione alle  leggi,  che  essendo  una  ragion  comandata,  son  pur 
dono  di  Dio  j  i  popoli  e  le  nazioni  tutte,  quantunque  con  varj 
e  diversi  riti,  però  con  una  mente  istessa  di  culto  e  di  rive- 
renza gV  impalmamentl  di  quelli  con  le  lor  donne  onorano 
come  santissima  cosa.  Quindi  avviene,  clic  ove  i  nuovi  sposi 
o  per  isplendor  di  natali,  o  per  bellezza  di  corpo ,  o  per  virtìi 
d'animo  la  comune  condizione  oltrepassano,  come  di  pre- 
scelli  nella  loro  spezie,  e  per  conseguente  piii  meritévoli  di 
conservarla  nella  loro  posterità,  le  nozze  di  quelli  di  mag- 
gior onor  degne  comunemente  son  riputate.  Laonde  nel  ben 
lieto  giorno  che  Teresa  Borghese  de'  principi  di  Sulmona  e 
di  Rossano,  valorosissima  figliuola  di  V.E.,  fu  menata  ben 
lieta  sposa  a  pur  ben  lieto  sposo  Adriano  conte  Caraffa,  duca 
di  Traietto  ,  per  tutti  i  poc'anzi  mentovati  pregi  donzella  e 
garzone  mollo  chiari  della  chiarissima  Italia^  Ictteratissimi 
uomini  di  questa  città,  i  quali,  ove  da'  severi  studj  vien  loro 
permesso  j  gli  ameni  delle  sacre  Muse  con  somma  lode  col- 
tivano, lo  tre  e  quattro  volle  felice  accoppiamento  hanno  con 
assai  ben  colti  versi  e  con  purgate  rime  in  tutte  e  tre  le  lin- 


{i")  Dedica  fhl fa  Raccolta  di  componimenti  faUa  da  Gio,  Battista  Vico  per 
le  nozze  di  D,  Adriano  Carata  duca  di  Traietto.,  e  D.  Teresa  Borghese  de^ 
principi  di  SulmenUf  stampata  in  Napoli  presso  Felice  Mosca  l'anno  «Jig,  i/i-/(« 


PARTE    III.    POESIE  SyS 

gue  delV  eloquenza  onorato.  Ma  le  lodi  che  sono  state  da 
quelli  leggiadramente  intessute  alla  chiarezza  ed  allo  splen- 
don:  delle  famiglie  y  onde  gli  Eccellentissimi  Sposi  della  più. 
candida  luce^  della  quale  e  la  Romana  e  la  Napoletana  No- 
biltà risplendcy  riccamente  al  mondo  vestiti  uscirono^  sono 
dovute  alle  virtii  de'  maggiori ^  i  quali  nelle  arti  della  pace 
e  della  guerra  cotanto  si  segnalarono  f  ed  in  gradi  sì  emi- 
nenti di  umani  e  divini  onori  salirono ^  che  come  gli  alti 
monti  spargono  lunghissime  V  ombre y  così  essi  negli  anni  lon- 
tani de'  posteri  propagano  il  lume  degl'immortali  lor  nomi. 
Le  proprie  poi  di  esso  signor  Duca  non  meno  rare  che  chiare 
lodiy  come  quelle  in  un  grande  acquisto  di  alte  e  riposte 
scienze  y  una  grande  riverenza  del  sentimento  comune y  in 
somme  fortune  somma  moderazione  di  animo  y  pietà  singola- 
re y  liberalità  verso  il  merito  y  giustizia  co'  soggetti  benigna ^ 
rigorosa  con  seco  stesso^  quelle  in  vero y  come  da  industriosa 
cultura  y  massimamente  in  terren  felice  le  squisite  frutta y  così 
in  esso  lui  dall'  Eccellentissima  Chiara  Gesualduy  avoluy  e  da- 
gli amorevolissimi  zii,  l'Eccellentissimo  Principe  Francesco , 
e  Giovanni  e  Domenico  Tomacelli-Cibo^  provengono  :  da'  quali 
orbo  de'  parenti  fin  da'  teneri  anni  è  stato  nelle  arti  di  una 
veramente  signorile  umanità  con  saggia  e  diligentissima  cura 
educato.  Ma  poiché  con  sommo  studio  di  tali  congiunti  il 
ben  avventuroso  marito  ha  tutte  queste  alte  virtù  impiegate 
in  ben  amare  e  riverire  la  sua  sceltissima  Donna  y  ne  sono 
a  quella  le  lodi  in  u?i  certo  modo  dovute:  e  son  dovute  tra 
per  la  rara  bellezza  ^  e  molto  più  per  gli  angelici  costumi  che 
sopra  ogni  umano  corso  l'adornano:  le  quali  lodi  spezial- 
mente dehbonsi  all'È.  V.y  che  per  fama  di  somma  bellezza 
e  di  altera  onestade  chiara  y  quanto  altre  mai  belle  e  saggie 
principesse  d^ Italia  y  siete  stata  la  bella  e  saggia  forma  sulla 
quale  per  forza  e  di  natura  e  di  esempio  la  vostra  gran  Te» 
resa  e  belle  e  saggia  felicemente  formossi.  Talché  le  lodi  di 
entrambe  le  nobilissime  case  dando  chiarezza  alle  proprie  de* 
valorosissimi  Sposi y  e  le  proprie  di  ciascheduno  di  essiy  come 
di  rivo  in  fiume  y  e  di  fiume  in  marcy  a  V.  E.  tutte  ritornane 
do^  per  dritto  e  ragione  io  che,  per  li  molti  e  grandi  bene- 
fici ^"  ^^'^^  signor  Duca  ricevuti y  songli  obbligato  di  singo- 
lare osservanza  y  avendone  i  componimenti  raccolti  y  con  pro- 
fonda riverenza  alV  E.  V.  li  consacro.  Ora  V altezza  dell'animo 
vostro  pari  a  quella  del  vostro  grado,  nella  picciolezza  del 
dono  che  io  le  fo  per  mia  parte,  d' essermi  adoperalo  in  rac- 
corliy  degni  riguardare  il  grande  ossequio  con  che  umilmente 
gliele  presento^  inchinandomi ^  ec. 


374 


PARTE    in 


Per  le  Nozze  di  D.  Adriano  Caraffa,  duca  di  Traietlo, 
e  D.  Teresa  Borghese  de'  principi  di  Sulmona. 


Virtute  altera 

Per  due  chiar'Alme, 
Riportar  palme 
Di  gloria  vera 
Carche,  e  d'onore 
Volea  d'Amore. 

E  di  sua  mano 
Per  l'alta  impresa 
Formò  Teresa, 
Formò  Adriano^ 
E  gli  armò  il  petto 
Del  suo  diletto. 

Poi  con  consiglio, 
Che  valor  parte, 
Vallo  a   sfidare 
Al  gran  periglio, 
In  vario  suolo 
Da  sola  a  solo. 

E  (sì  le  piacque) 
Pria  appo  '1  Sebeto , 
Che  va  più  lieto  ^ 
D'onor  che  d'acque, 
Provocar  l'osa 
Sì  baldanzosa: 

Tu  che  ti  vanti 
'  Sopra  di  Marte 
E  d'armi  sparte 
E  teli  infranti^ 
E  e' hai  sconfitto 
Con  l'arco  invitto^ 

Non  abbi  a  vile 
Far  forze  rade 
Ne  la  cittade 
Detta  Gentile, 
E  in  rive  amene 
Pur  di  Sirene. 


Perchè  ben  chiaro 

A  la  tenzone 

T'offro  un  Garzone, 

Qual  l'educaro 

Fin  da  le  cune 

Regìe  Fortune: 
E  mercè  mia 

In  suo  cuor  prezza 

Sol  gentilezza 

Sol  cortesia* 

E  sposti  ha  gli  anni 

Verdi  a'  tuoi  danni.  - 
Punto  da  detti 

Chi  punge  e  fere, 

Saette  fiere 

Ed  archi  eletti 

Prende  ed  adopra 

Per  la  grand' opra. 
Spesso  l'assale. 

Pili  dardi  avventa. 

Più  volte  tenta: 

Ma  nulla  vale; 

Ch'ogni  sua  possa 

Virtude  spossa. 
Onde  qual  vinto 

Così  '1  rampogna  : 

Se  'n  vano  agogna 

Già  nel  procinto 

Con  viril  core 

Il  tuo  valore; 
Virtù  t'appella 

Di  vergogn' ebro , 

Là  dove  il  Tebro 

Per  gran  Donzella 

Va  assai  più  tronfo, 

Che  di  trionfo. 


In  lei  natura 

Grazie  e  bellezze, 
Agi  e  grandezze, 
Regal  ventura 
Doni  ambe  rari 
Versaro  al  pari.  — 

Qui  sì  che  '1  Nume 
Di  vii  ripreso, 
Da  sdegno  acceso 
Oltre  il  costume, 
Quasi  tutto  arse 
Di  vendicarse. 

Ma  non  più  vinse 
Per  mille  assalti 
I  duri  smalli. 
Onde  il  cor  cinse 
La  sdegnosetta. 
La  ritroselta. 

Da  lenti  gli  archi, 
Da  ottusi  i  dardi, 
E  da  infingardi 
Del  fianco  incarchi 
A  tali  offese. 
Amor  riprese. 

Ma  vede  al  fine 
Che  benché  elette 
Scoccò  saette 
Di  tempre  fine, 
Pesi  ineguali 
Ebber  gli  strali. 


POESIE 

Onde  due  tratte 
D'egual  momenti 
Qnadrella  ardenti, 
Pur  d'oro  fatte, 
Il  cor  gP  infiamma 
Di  pari  fiamma. 

E  virtù  poi, 

Che  già  la  gloria 
De  la  vittoria 
Canta  tra'  suoi 
Saggi,  e  la  fama 
Cosi  richiama: 

Tu,  che  me  ingiusto 
Dio  de'  martiri 
E  de'  desiri 
Di  terren  gusto 
M'accusav'ieri 
Tra'  tuoi  severi  • 

Vieni  a  vedere 
De'  tuoi  Campioni 
Or  le  tenzoni 
In  guise  altere; 
E  da  me  impara 
Virtù  più  rara: 

Virtù  che  '1  mondo 
Quanto  mai  orna 
A  lei  ritorna 
Lieto  e  giocondo. 
E  qui  le  chiare 
Finir  lor 


375 


Che  virtù  prende 
D'Amor  la  face^ 
Da  Virtù  pace 
Amore  apprende, 
O  saggio  Amore! 
Gentil  valore  1 


gar 


,s  ■^^' 


376  PARTE    III. 


Per  la  stessa  occasione. 
SONETTO 

Risposta  ad  uà  altro  di  Giacinto  di  Cristofar*. 

Raro  Giacinto,  che  la  nostra  etate 
Ben  ricca  rendi  con  tue  dotte  carte, 
Onde  infin  de  le  stelle  in  ciel  cosparte 
Son  le  misure  tue  tanto  onorate; 

Pur  troppo  scelte  lodi  e  assai  pregiate 
A.  l'incolto  mio  stil  da  le  son  sparte; 
Che  sol  degne  di  lor  picciola  parte 
L'opre  mie  fóran  sopra '1  cielo  alzate. 

Dunque  è  ragion  ch'or  Adrian  sia  giunto 
A  generosa  inclita  Donna  e  degna 
Di  riporgli  i  suoi  chiari  Eroi  già  spenti; 

Perchè  sua  prole  agli  anni  tardi  e  lenti 

Mostri  i  maggior,  com'uom  ch'oprando  insegna 
Qual  di  gloria  toccar  tropp'alto  punto. 

Per  Fistessa  occasione. 
SONETTO 

AIP Eccellentiisimo  signor  D.  Marcantonio  Borghese, 
principe  di  Sulmona  e  di  Rossano,  ec. 

Grande  di  tue  grandezze  è  ben  la  Fama, 
E  molto  è  de  la  fama  il  ver  maggiore; 
E'I  ver  tu  vinci,  almo  Latin  Signore, 
Che  suo  pregio  l'Italia  onora  e  chiama. 

Se  tua  magnificenza  a  noi  richiama 
Il  prisco  de' Romani  alto  splendore, 
Quando  felicità  pari  al  valore 
Godea  lieti,  e  poter  pari  a  la  brama, 

D'Augusto  a  i  tempi;  e  pure  il  grande  Augusto 
Solo  il  Genio  di  Roma  usò  feHce, 
Che  troppo  avversi  ebbe  i  privati  lari. 

Ma  tu  di  prole  d'ambi  sessi  onusto 

E  bella  e  saggia,  odi  or  chi  canta  e  dice 
D'una  tua  Figlia  Sposa  i  fregi  rari. 


POESIE  377 

Per  ristessa  occasione. 
SONETTO 

AIPEmiDeotissimo  sig.  Cardinale  LorenKO  Casoni. 

Signor,  pregio  sovran  del  secol  nostro, 

Nato,  anzi  fatto  a  qualunque  opra  egregia , 
Che  col  sommo  valore  ornate  rostro, 
Di  cui  Virtù  spesso  s'adorna  e  fregia; 

Che  infiamma  i  comun  voti  il  merto  vostro, 
Su  l'alta  Sede  onde  s'onora  e  pregia 
Italia,  e  a  cui  ogni  gran  scettro  è  prostro. 
Vedervi  un  d\  ne  la  sacrata  Regia: 

Poiché  voi  de'  due  chiari  augusti  petti 
Il  nodo  ornaste  maritale,  e  poi 
Il  consacraste  con  solenne  rito; 

Quai  gloriosi  e  memorandi  effetti 

Al  maggior  uopo  e'  produrrà  tra  noi 
Da  man  si  saggia  il  bel  lavoro  orditoi 

Per  ristessa  occasione. 
SONETTO 

Risposta  di  Vico  ad  un  Sonetto  di  Sebastiano  Alipio. 

Ne  la  superba  un  tempo,  or  bassa,  umile 
Selva  scern'io  più  cetre  d'oro  appese;; 
E  n'odo  risonare  in  dolce  stile 
Rade  e  per  fiamme  in  gentil  core  accese: 

Ma  per  gloria  che  sol  non  abbia  a  vile 
Degli  anni  le  lunghissime  distese, 
Se  m^i  loro  spirasse  aura  simile, 
Osar  tutte  potriano  eterne  imprese: 

E  d'Ippocrene  in  su 'l  bel  margo  o  riva 
Il  nodo,  eh' a  Giunon  Giove  congiugne, 
Celebrar  con  sublime  e  chiaro  canto: 

Però  i  pensìer  tu  hai  vòlti  a  miglior  vanto 
D'alto  sapere,  ove  ben  tardi  uom  giugne, 
E  te  sì  tosto  io  già  ne  veggio  a  riva, 


378  PARTE    HI. 

/ 
Per  ristessa  occasione. 

,  ^  SONETTO 

Di  Matteo  Egizio  a  Giambattista  Vico. 

Vico ,  che  con  lo  sdì  saggio  ed  adorno  ^ 
Onde  il  Lazio  risorge  al  prisco  onore  ^ 
Del  gran   Caraffa  al  chiaro  ^  alto  valore 
Ergeste  un  tempio ^  de  la  morte  a  scorno  j 

Poiché  riedon  sovente  a  far  soggiorno 
Con  voi  Febo  benigno  e  V alme  Suore; 
Del  vostro  canto  eterna  gloria  Amore 
Del  pari  attende  in  così  lieto  giorno. 

Mai  più  degno  Nipote  a  Eroe  famoso 

Non  vide  il  Sole  ^  e  non  mai  sposa  eletta 
Più  degna  a  ravvivar  pubblica  spene: 

Ne  ad  altra  lira  celebrar  conviene 
La  Regia  Coppia  e  la  virtìi  perfetta y 
Cui  da  lunge  io  contemplo  e  pili  non  oso. 

Risposta  di  G.  B.  Vico. 
SONETTO 

Gentil  Egizi,  del  cui  nome  adorno 
'  Da  ben  lungi  al  Sebeto  è  fatto  onore, 

Se  avessi  del  tuo  stil  V  alto  valore , 
Opra  certo  farei  del  Tempo  a  scorno. 

E  quale  il  mio  non  è,  seren  soggiorno 
E  tranquillo  aman  Febo  e  Palme  Suore: 
Tra  cure  infeste  al  bel  di  gloria  amore 
Chi  giammai  visse  oltre  la  vita  un  giorno? 

Quanto  sopra  il  mio  dir  PEroe  famoso 
S'ergeo!  ne  da  me  fu  materia  eletta. 
Che  vinceva  il  desio,  non  che  la  spene. 

Come  a  me  dunque  celebrar  conviene 
Di  vìrtude  e  splendor  Coppia  perfetta, 
Quando  tu  stesso  dici:  Io  pur  non  l'oso? 


m'' 


POESIE  3^9 

Per  ristessa  occasione.  —  Risposta  di  Vico  ad  una  Elegia 
di  Nicolò  Capasso ,  R.  professor  primario  di  Leggi. 

Capassi,  socìùm  meorum  ocellus, 

Tu  emunctus,  gravis,  inleger,  severus, 
Me  adscribis  bene  laudibus  faventer 
Amplis  undique  principum  virorum, 
Queis  sane  fuerit  decus  supremum, 
Ut  tu  concilies  perenne  iiomen; 
Dives  qui  omnigenae  eruditionis, 
Felix  ingenio,  rotundus  ore, 
itdstricto  es  Celebris  stylo  et  soluto. 
Acri  judicio  benignilatem 
Praevertis,  studio  probati  amici, 
Non  ille  ut  \ideare  non  amicis 
Emunctus,  gravis,  integer,  severus. 

Per  Pislessa  occasione.  —  Risposta  di  Vico  a  Nicolò  Cirillo, 
R.  professor  primario  di  Medicina. 

Cyrille,  o  prope  corculum  Minervae, 
Quod  scripsi  Patrui  fera  arma  belli. 
Vis  me  dicere  nuptias  Nepotis. 
Ipse  ut  Carafium  novum  maritum 
Ornem  versibus  arte  perpolitis! 
Uni  qui  applicitus  diuque  linguae 
Vix  gusto  venerem  integram  Latinam.  ^ 

Spectas  me  ingenio  tuo  beato^ 
Artes  qui  super  intimas  Lycei 
Mellite  sapis  Atticum  leporem. 


AL  SIG.  D.  GIULIO  CESARE  MAZZACANE 

PRINCIPE   DI   OMIGNANO 

1  ra  le  più  belle  e  più  leggiadre  costumanze  le  quali  erano 
appresso  le  due  antiche  nazioni  sopra  tutte  le  altre  piti  gentili 
ed  umane  j  io  dico  appresso  i  Greci  e  Latini  ^  mi  sembra  essere 
stata  quella  che  usatasi  nelle  nozze  ^  con  la  quale  la  novella 
sposa j  purché  vergine  Jìisse  stata  ^  era  posta  nel  letto  maritale 
col  nuovo  sposo  a  giacere;  un  coro  di  donzelle  ed  un  altro  di 
garzonetti  solevano  un  inno  in  lode  del  Dio  delle  Nozze  y  intes» 
sendovi  ancor  le  lodi  di  essi  Sposi j  or  l'uno  or  l'altro  vicen- 
devolmente cantare  j  acciocché  i  pietosi  lamenti  ed  i  paurosi  gridi 
che  sogliono  dalle  verginelle  in  quell'atto  mandarsi j  non  fuS" 
sevo  intesi  per  avventura  d' intorno  j  e  siffatto  inno  chiamavano 
essi  Epitalamio^  del  quale  oggi  non  ne  abbiamo  migliore  esem- 
*pio  di  quello  che  lascionne  il  soavissimo  de'  latini  poeti  Catul- 
lo; ad  imitazione  del  quale  ho  io  il  presente  composto  nelle  fe- 
licissime Nozze  di  V.  S.  Illustrissima  con  V  Illustrissima  mia  si- 
gnora  D.  Giulia  Rocca  ^  ed  ora  in  fede  dell'  allegrezza  ^  la  quale 
di  esse  ho  preso  ^  divotamente  gliele  presento.  E  certamente  io 
non  ho  parole  le  quali  potessero  in  piccola  parte  il  piacere  ade- 
guare ^  di  che  mi  ha  codesto  suo  pregiatissimo  matrimonio  col- 
mato j  considerando  quanto  giustamente  il  Cielo  abbia  conceduto 
a  V.  S.  Illustrissima  così  nobile  e  valorosa  Madamigella  per  isposa 
degna  del  suo  gran  merito.  Peroccìiè  se  riguardo  la  stimatissima 
persona  di  V.  S.  Illustrissima  j,  in  essa  ravviso  tutti  quei  pregi 
onde  qualunque  chiaro  signore  possa  avere  a  somma  gloria  fre- 
giarsi; cioè  antica  nobiltà  di  sangue ,  e  costumi  di  nobil  sangue 
degnissimi.  E  per  quanto  all'  antico  splendore  della  sua  discen- 
denza si  attiene  j  chi  non  sa  in  quale  onore  ed  in  quanta  ripu- 
tazione sia  riposto  ti  a  le  chiare  famiglie  di  questo  regno  l'illu- 
strissimo suo  casato?  quando  ancora  e  forestieri  scrittori  che 
presso  a  due  secoli  addietro  hanno  scritto  j  di  esso  menzione  fa- 
cendo y  con  un  antica  signoria  di  feudi  e  di  vassalli  ornato  ono- 
revolmente V  avvisano.  E  qual  più.  chiara  e  più  certa  testimo- 
nianza dell'  antico  onor  suo  vi  ha  di  quella  che  ne  fa  il  dominio 
che  V.  S.  Illustrissima  ha  di  cotesta  terra  _,  la  quale  ella  ha  ri- 
cevuto per  lungo  e  diritto  ordine  di  avi  da  quel  Lionetto  Maz' 
zacanej,  il  merito  del  quale  fu  in  tanto  pregio  dal  Principe  di 
Salerno  tenuto ,  che  lo  elesse  a  sostenere  le  sue  veci  di  portare 
il  gonfalone  in  quel  grand' atto  e  magnifico  dell'incoronazione 
dell'imperatore  Carlo  f^ in  Bologna.  Ma  lasciando  da  parte  i 
suoi  maggiori  che  ed  in  guerra  ed  In  pace  hanno  sempre  mai 
ficcrescinto   chiarezza  e  splendore   alla   sua  famiglia ,   chiunque 


PARTE    111.    POESIE  38l 

riguarda  ì  sopraumani  costumi  de*  quali  V.  S.  Illustrìssima  ha 
ricchissimo  l'animo,  certamente  estima  che  se  la  fortuna  pareg- 

fiasse  il  suo  merito ,  dovrebbe  ella  avere  di  numerosi  popoli  li- 
era  signoria.  Tal  è  la  giustizia  e  la  pietà  che  dimostra  verso 
i  soggetti;  tanta  la  gentilezza  e  la  cortesia  che  usa  co*  pari  j  e 
fmalmente  è  sijfatto  il  valore  di  che  ha  sé  medesima  ornata.  Or 
tutti  cotesti  suoi  pregi  fra  meco  considerando ,  non  posso  con- 
tenere nell'animo  l'allegrezza  che  prendo  di  vedere  V.  S.  Illu- 
strissima accoppiata  con  maritai  nodo  colV  Illustrissima  mia  si- 
gnora D.  Giulia  Rocca,  la  quale  co'  cortesi  e  gentili  costumi _, 
cogli  atti  leggiadri  ed  accorti^  e  con  le  parole  piene  di  senno  e 
di  onestà  chiaramente  dimostra  esser  vero  germoglio  di  quel  no- 
bilissimo ceppo ,  dal  quale ,  mentre  sotto  gli  Angioini  Re  verdeg- 
giava e  fioriva,  uscirono  una  Sibilla,  che  impalmandosi  al  ca- 
sato del  Balzo  de*  conti  di  Andria ,  ed  una  Beatrice,  eh'  entrata 
nel  casato  d' equino  de*  conti  di  Loreto ,  adomano  oggi  gli  al- 
beri di  quelle  chiare  famiglie  s  come  anche  di  questo  ceppo  uscì 
una  moglie  di  N.  di  Tarsia  Generale  d'armi,  signore  di  Bei- 
monte,  e  fgUuolo  di  una  Sanseverino  di  Bisignano  j  e  finalmente 
un' Elena  sposata  a  Giovanni  di  Brenna  conte  di  Lecce,  e  ni- 
pote di  Ugo  re  di  Gerusalemme  :  per  tacere  i  molti  e  ben  chiari 
signori  che  di  questa  pianta  trassero  splendidamente  V origine; 
come  egli  sarebbe  a  dire  di  pili  vicini  a  noi  un  Sigismondo  tri- 
tavo della  sua  pregiatissima  sposa,  marito  di  Polissena  Carac- 
ciolo de'  marchesi  di  Gerace,  e  dei  più.  lontani  un  Giovanni, 
un  Guidone,  un  Guglielmo,  tutti  e  tre  duchi  di  Atene;  l'ultimo 
de*  quali  a  tant' altezza  di  stato  aggiunse ,  che  meritò  per  moglie 
un*  Isabella  principessa  di  Acaia,  e  sorella  di  Carlo  II  d'An- 
gib.  Siccome  adunque  per  tutte  queste  ragioni  ho  avuto  io  ar- 
gomento di  rallegrarmi  di  coleste  sue  felicissime  Nozze,  cosi 
V.  S.  Illustrissima  abbia  occasione  di  prendere  a  grado  questa 
mia  fatica,  assieme  con  la  quale  mi  offro,  ec. 


382  PARTE    ni. 


Per  le  Nozze  di  I>.  Giulio  Cesare  Mazzacine,  principe  di  Omignano, 
e  D.  Giulia  Rocca  de**  marchesi  di  Vatoila. 

EPITALAMIO   (i) 

Già  l'amorosa  stella, 

Del  cui  lume  sereno 

Venere  ognor  la  fronte  orna  e  rischiara, 

Lieta,  ridente  e  bella 

Ha  il  cielo  ingombro  e  pieno 

Della  sua  luce  sospirata  e  cara  : 

Già  in  guisa  altera  e  rara 

Ricca,  adorna  e  fastosa  , 

S' appressa  al  sacro  letto , 

Campo  del  ver  diletto, 

L'alma  casta,  leggiadra  e  bella  Sposa. 

Dunque  in  tenero  stile 

E  in  rima  istrania  e  nova. 

Di  donzelle  e  garzon  coro  gentile 

Convien  cantando  ornai  vincer  la  prova. 

Vieni ,  santo  Imeneo  , 

Imene,  Imeneo,  vieni  Imeneo. 
O  stella  degli  amanti, 

E  qual  lume  nel  cielo 

Splende  di  te  piìi  crudo  e  più  spietato, 

Che  non  curando  i  pianti, 

Di  che  innaflìa  per  zelo 

La  madre  il  sen,  come  rugiada  il  prato, 

Dal  suo  grembo  ben  nato 

Tor  puoi  la  cara  figlia, 

A  cui  tiene  si  strette 

Le  braccia  leggiadrette , 

Che  in  atto  alta  pietà  finge  e  somiglia^ 

E  darla  in  preda  puoi 

All'Amatore  acceso, 

Che  per  temprare  i  caldi  desii  suoi , 

E  a  far  di  lei  mille  vendette  inteso? 

Vieni,  santo  Imeneo, 

Imene,  Imeneo,  vieni  Imeneo. 


(i)^Questo  Epitalamio  fu  pubblicato  la  prima  volta  in  un  Giornale  che  stara- 
pavasi  io  Napoli  col  titolo  di  Effemeridi  Letterarie. 


POESIE       ,     , .  383 

O  bel  lume  di  Amore,  :, 

E  qual  splendor  superno 

Più  benigno  di  te  sul  ciel  risplende, 

S'ogni  nebbia,  ogni  errore 

L'almo  tuo  raggio  eterno 

Sgombra  dal  mondo,  e  in  lieto  ardor  l'aceende? 

Egli  è  che  ne  difende 

Centra  l'ingiurie  e  l'onte 

Che  ne  fa  il  tempo  rio, 

E  sovra  il  cieco  oblio 

Che  fanne  arditi  e  baldi  alzar  la  fronte.  ;^  . 

Neil' ardor  tuo  s'infiamma 

Tutto  ciò  che  capisce 

Umana  mente,  e  qual  favilla  in  fiamma 

Risplende  ed  arde,  e  nell' ardor  gioisce. 

Vieni,  santo  Imeneo, 

Imene,  Imeneo,  vieni  Imeneo. 
Come  a  chiara  e  frese' onda 

In  chiuse  parti  e  sole 

Di  sacra  selva  accolta  in  fonte  vivo, 

Fanno  onor  sulle  sponde 

E  ligustri  e  viole 

Col  venticello  crespo  e  fuggitivo; 

Tutto  lieto  e  giulivo 

Stuol  di  giovani  amanti 

Mentre  si  stanno  al  rezzo, 

Vi  si  specchiano  in  mezzo, 

E  perde  poi  si  chiari  pregi  e  tanti, 

Se  viene  intorbidato 

L' onor  di  sua  chiarezza  : 

Tal  è  la  verginella  che  macchiato 

Ha  il  verginal  candor  di  sua  bellezza. 

Vieni,  santo  Imeneo, 

Imene,  Imeneo,  vieni  Imeneo. 
Come  vedova  vite 

Nata  in  non  culto  piano 

Giace  squallida,  umile,  infruttuosa, 

Che  le  braccia  smarrite 

Talor  innalza  iu  vano , 

E  tratto  mesta  al  suol  le  gilta  e  posaj 

Ma  s'ali' olmo  si  sposa, 

S'innalza  al  cielo,  e  dona 

Di  se  l'uva  gradita, 

E  dolce  e  colorila^ 


384  PAKTE   m. 

Onde  le  fanno  onor  Bacco  e  Pomona: 

Cosi  sua  vita  mena 

La  Verginella  sola; 

Ma  fatta  Donna  poi  chiara  e  serena, 

Sovr'  ogni  eccelso  onor  s' erge  e  sorvola. 

Vieni,  santo  Imeneo, 

Imene,  Imeneo ,  vieni  Imeneo. 
Dunque  già  si  divide 

Alma  vergine  Dea 

Dall'altre  dolci  tue  vergini  ancelle. 

Chi  per  valor  si  vide. 

Che  sì  tra  noi  splendea, 

Come  tu  in  ciel  fra  le  minori  stelle?  , 

Più  care  forme  e  belle 

Giammai  non  mirò  il  Sole 

Di  beltà,  cortesia, 

Di  grazia  e  leggiadria 

Al  portamento,  agli  atti,  alle  parole. 

Deh  come,  o  Sposo  altero, 

Al  Ciel  piacesti  tanto, 

Che  una  Sposa  degnissima  d'Impero 

E  per  gli  avi  e  per  sé  godessi  accanto! 

Vieni ,  santo  Imeneo  , 

Imene,  Imeneo,  vieni  Imeneo. 
Dunque  pur  già  sen  viene 

Tutto  lieto  e  ridente 

Sotto  il  tuo  giogo  d'or,  santa  Giunone, 

Con  l'alte  voglie  piene 

Di  pura  fiamma  ardente 

Il  generoso  e  nobile  Garzone  ; 

Che  scovre  al  paragone 

Le  virtù  de'  maggiori , 

Che  in  cento  e  cento  lustri 

Vissero  sempre  illustri 

In  riva  al  chiaro  Alete  almi  Signori. 
.  Deh  qual  sfera  beata 

Piove  sì  largo  nembo 

Di  grazie  in  seno  a  te.  Sposa  ben  nata, 

Onde  accogliesti  un  tanto  sposo  in  grembo? 

Vieni,  santo  Imeneo, 

Imene,  Imeneo,  vieni  Imeneo. 
Chiudete  ornai,  chiudete 

I  rivi  di  Elicona, 

O  del  canoro  Dio  sante  sorelle; 


POESIE  385 

Che  del  cantar  la  sete 

Tratto  tratto  abbandona 

Questi  cari  garzon,  care  donzelle. 

E  voi,  benigne  stelle, 

Mandate  pur,  mandate 

Dal  cielo  più  sereno  ^ 

All'alma  Sposa  in  seno 

Alme  di  tal  virtù  ricche  ed  ornate, 

Che  lo  Sposo  gentile 

Con  esempio  ben  raro 

Vada  per  lunga  età  da  Battro  a  Tile 

Del  bel  nome  di  Padre  altero  e  chiaro. 

Vieni,  santo  Imeneo, 

Imene,  Imeneo,  vieni  Imeneo. 


Per  le  Nozze  di  D.  Gio.  Battista  Filomatino,  principe  della  Rocca, 
e  D.  Maria  Vittoria  Caracciolo  de'  marchesi  di  S.  Eramo. 

GIUNONE  IN  DANZA  (i) 

Io  de  le  nozze  riverito  Nume, 

Che  le  genti  chiamaro  alma  Giunone, 


(l)  Questo  lungo  Componimento  fu  impresso  nella  Raccolta  che  per  tali  Nozze 
il  Vico  ebbe  cura  di  pubblicare  nel  1721  in  Napoli,  presso  Felic»  Mosca, 
iu-4.   Vi  si  legge  la  seguente  Dedica: 

ALLA  VIRTVOSA  DONNA 

ANNA  COPONS  (a) 

ECCELLENTISSIMA  MARCHESA  DI  SANTERAMO 

LA  QVALE 

AGLMNCLITI  FREGE 

DELL'  ANTICHISSIMO 

DA  VN  DE"»  NOVI  BARONI 

i  QVALI  QVANDO  PORTO^  CONTRO  MORI  LA  GUERRA 

IN  ISPAGNA  CAllLO  MAGNO  SEGUIRONO 

INDI  IN  CATALOGNA 

FELICEMENTE  PIANTATO 

E  DI  UOMINI  t 

PER  LE  ARTI  DELLA  PACE  E  DELLA  GVERRA 

CHIARISSIMI 

SEMPRE  FECONDO 

E  PER  DVE  TRA  GLI  ALTRI 

DELL'ORDINE  GEROSOLIMITANO 

GLORIOSI  GRAN  MAESTRI  (b) 

(a)  Questa  famiglia  fu  detta  de  Compt  net  Delfìnato  :  Pietro  Boissat  ap- 
presso il  B ossia  nel l"*  Istoria  della  Iielii;ione  di   Malta. 

(\ì)  yfrnaldo  e  Bvrtrando  :  /'  isd'sso  liossio  in  detta  Istoria  lib.  7  ,  P'tg-  *5i. 
Ut.  Di  e  lib.   Ih,  pag.  ò3o,  lei.  li. 

Vico,  Opuscoli.  a5 


386  PARTE  HI. 

Che,  perchè  sotto  il  mio  soave  giogo 
Or  due  ben  generose  alme  congiunga, 
Gentili  cavalieri  e  chiare  donne, 
Co'  prieghi  umili  di  potenti  carmi 
Invocata  qua  giù  tra  voi  discendo: 
E  perchè  sotto  il  mio  soave  giogo 
Due  alme  al  mondo  sole  or  io  congiunga, 
Menovi  meco  in  compagnia  gli  Dei, 
Che  innalzò  sovra  il  ciel  Tetade  oscura, 
Con  Giove  mio  consorte  e  lor  sovrano, 
Come  ben  si  convenne  al  secol  d'oro 
Con  semplici  pastori  e  rozze  ninfe 
In  terra  conversare  i  sommi  Dei: 
E  'n  questo  culto  di  ci  vii  costume, 
Ed  in  tanto  splendor  d'alma  cittade 
Almeno  per  ischerzo,  almen  per  gioco 
Vedersi  in  terra  i  Dei  or  non  conviene? 
Questa  augusta  magione 
E  d'oro  e  d'ostro  riccamente  ornata, 
Ove  'n  copia  le  gemme,  in  copia  i  lumi 
Vibran  si  vivi  rai, 


ILLVSTRE  CEPPO 

DONDE  ELLA  È  MERITEVOLISSIMAMENTE  VSCITA 

LE  ALTE  E  RARE 

DEL  BELLO  E  DELICATO  CORPO 

E  MOLTO  PIV'  DEL  SAGGIO  INTENDIMENTO 

E  DELL'ANIMO  GRAVEMENTE  GENTILE 

LODEVOLISSJME  DOTI 

ACCOPPIANDO 

E  PER  SE  STESSA 

DI  OGNI  RIVERENZA  E  Di  OGNI  ONORE 

DEGNISSIMA 

PERCHÈ 

MOLTO  PIVI  CHE  SE  LE  FVSSE  D1L1GENTISSIMA  MADRE 

EFFICACEMENTE  HA  GODVTO 

CHE 

L'ECCELLENTISSIMA  SIGNORA  MARIA  VITTORIA  CARACCIOLA 

DE^  MARtJHESl  DI  SANTERAMO 

ALL'ECCELLENTISSIMO  SIG.  GIAMBATTISTA  FlLOMARINO 

PRINCIPE  DELLA  ROCCA 

CON  FELICISSIME  NOZZE  IMPALMASSESI 

Q VESTA  CORONA 

DI  PELLEGRINI  INGEGNI 

DOTTI  ED  ORNATI   COMPONIMENTI 

IN  LODE  DI  SI  BEL  NODO  TESSVTl 

GIAMBATTISTA  VICO 

CON  LA  RIVERENTE  MANO 

CON  LA  QVALE  GLI  RACCOLSE 

DIVOTAMENTE 

CONSACRA 


POESIE 
Qiial  le  più  alte  e  le  più  chiare  stelle, 
Di  cui  s'ingemman  le  celesti  loggie; 
S'albergare  qua  giù  vogliono  i  Dei, 
Ov' alberghili  i  Dei  non  sembra  degna? 
E  quell'argentee  ed  ampie  mense,  dove 
L'arte  enr:ulando  il  nostro  alto  potere, 
L'Indiche  canne  e  i  favi  d'Ibla  e  I metto 
Presse  di  eletti  cibi 
In  mille  varie  delicate  forme, 
Le  quai  soavemente 
Si  dileguan  su  i  morsi, 
Si  dileguan  tra  i  sorsi, 
Non  somiglian  le  nostre  eterne,  dove 
Bevesi  ambrosia,  e  nettare  si  mangia, 
Che  quali  non  vogliam,  danno  i  sapori? 
Tutto  a  questo  sirail,  dolce  concento 
Di  voci,  canne  e  lire 
Risuonan  di  Parnaso 
Le  pendici  e  le  valli. 
Quando  cantan  le  Muse,  e  loro  in  mezzo 
Tu  tratti  l'aurea  cetra,  o  biondo  Apollo. 
Ma  questi  Regj  Sposi 
De'  rari  don  del  Cielo , 
Quanti  altri  mai,  ben  largamente  ornati. 
Di  tai  mortali  onori 
Di  gran  lunga  maggiori 
Degni  pur  son  d'un  nostro  dono  eterno, 
Onde  adoriamo  in  essi 
I  nostri  stessi  eterni  don  del  Cielo. 
I  terreni  Regnanti, 

Che  stanno  d'ogni  umana  altezza  in  cima, 
Stiman  sovente  di  salir  più  in  suso 
Scendendo  ad  onorare  i  lor  soggetti^ 
E  i  terreni  Regnanti 
Son  per  essi  soggetti  a' sonmii  Numi; 
E  perchè  sol  soggetti  a' sommi  Numi, 
Han  stabiliti  i  sommi  regni  in  terra; 
Perchè  lo  stesso  a  noi  lecer  non  debbe? 
Che.  perchè  onnipotenti 
Credettero  le  genti 

Poter  pur  ciò  che 'n  sua  ragion  vietato, 
E  fur  da  noi  sofferte; 
Che  credessero  in  tutto  a  noi  permessa, 
Purché  credesser  noi  potere  il  tutto, 


38^ 


388  PARTE    III. 

E  si  le  sciolte  fiere  genti  prime 
Apprendesser  temendo 
Dal  divino  potere 
Ogni  umano  dovere. 
Del  Garzon  dunque  valoroso  e  saggio, 
Che  coli' alte  virtudi 
Veracemente  serba  il  nome  antico, 
Che  d'Immortalità  risuona  Amante^ 
E  de  l'alta  Donzella, 
Di  cui  sovra  uman  corso 
Vien  dal  bel  corpo  la  virtù  piCi  bella, 
Ond'  è  a  la  terra  e  al  ciel  cotanto  cara, 
ì  Che  fatto  ha  sua  natura  il  nobil  nome, 

Ornai  l'inclite  nozze 
Festeggiamo  danzando,  o  sommi  Dei; 
E  chi  a  menar  la  danza  ha  ben  ragione , 
L'auspice  de  le  nozze  ella  è  Giunone. 
Esci  dunque  in  danza,  o  Giove, 
Ma  non  già  da  Giove  Massimo, 
Di  chi  appena  noi  Celesti 
Sostener  possiam  col  guardo 
11  tuo  gran  sembiante  augusto^ 
Esci  sì  da  Giove  Ottimo, 
Con  quel  tuo  volto  ridente, 
Onde  il  cielo  rassereni, 
E  rallegri  l'ampia  lierra; 
JE  dovunque  sì  rimiri 
Fondi  regni,  innalzi  imperi; 
Tal  che  '1  tuo  guardo  benigno 
Egli  è  l'essere  del  mondo. 
Deponi  il  fulmine 
Grave  e  terribile 
Anche  a' più  forti,  * 

Non  che  lo  possano 
Veder  da  presso 
Queste  che  miri, 
Queste  che  ammiri 
Tenere  donne, 
Tanto  gentili 
E  delicate. 
Ti  siegua  l'aquila 
Pur  fida  interprete 
De  la  tua  lingua; 
Con  cui  propizio 


POESIE  389 

Favelli  agli  uomini, 
E  loro  avvisi 
Palme  e  grandezze. 
Anzi  voglio,  e  non  m'è  grave, 
(Che  gelosa  io  qua  non  venni) 
Che  tu  prenda  quel  sembiante 
D' acceso  amante , 
Non  di  sterili  sorelle. 
Ma  di  quelle 
Chiare  Donne 
Che  di  te  diero  gli  Eroi: 
E  'n  sì  amabile  sembianza 
Esci  pur  meco,  o  Sovran  Giove,  in  danza. 
Il  mio  Sposo  e  Germano 

Non  già  in  terra  qui  da  voi, 

Caste  Donne,  i  chiari  Eroi 

Unqiia  adultero  furò: 
Suo  voler  sommo  e  sovrano. 

Che  spiegò  con  gli  alti  auspici, 

Tra  gli  affetti  miei  pudici 

Ei  dal  ciel  gli  Eroi  formò. 
Porgi  or  l'nna  or  l'altra  mano 

A  chi  fìnse  la  gelosa; 

E  d'Eroi  tal  generosa 

Coppia  ben  fia,  quanto  da  noi  si  può, 
E  tu  vaga,  gentil,  vezzosa  Dea, 
Alma  bellezza  de'  civili  ufHci , 
Che  son  le  Grazie  che  ti  stan  da  presso; 
E  poscia  i  dotti  'ngegni  t'appellaro 
De  le  sensibil  forme  alma  Natura 5 
E  una  mente  divina  al  fin  s'intese 
De  l'intera  bellezza  eterna  Idea; 
Per  Stige,  non  istar  punto  crucciosa, 
Perchè  tu  qui  non  empi  il  casto  ufficio , 
Qual  ti  descrisse  pure  a  nozze  grandi 
Un'  impudica  più  che  dotta  penna  : 
Che  '1  mio  (qual  dee  tra  noi  pur  regni  il  vero) 
E  sopra  '1  tuo  vie  più  solenne  e  giusto  : 
Poiché  tu  sembri  (e  sia  lecito  dirlo) 
Ch'a  letti  maritai  solo  presiedi  ' 

Le  licenze  amorose  a  far  oneste; 
Se  de  le  proli  poi  nulla  ti  curi , 
Ma  ben  le  proli  io  poi  Lucina  accoglio, 
Quest'or  mio  dritto  fìa. 


3qo  parte  ih. 

Qual  fu  tuo  dritto,  ne  la  gran  contesa 
Dal  regale  Pastor,  come  più  bella, 
Di  riportarne  il  pomo:  or  più  non  dico* 
Che  quando  del  mio  uficio  si  ragiona, 
Allor  parlar  non  lice 

D'altro,  che  di  concordia,  amore  e  pace: 
Tal  che  mi  cadde  già  da  l'alta  mente 
Il  riposto  giudizio^ 
Anzi  unirò  co'  tuoi 
Tutti  gli  sforzi  miei 
Pel  tuo  sangue  Trojano, 
E  l'Imperio  Romano 
Per  confin  l'Oceano  abbia  e  le  stelle. 
Ti  cingano 
Or  le  Grazie; 
Ti  scherzino. 
Ti  volino 

D'intorno  mille  Amori; 
E  a  le  tue  dive  bellezze 
Dà  le  forme  più  leggiadre 
Di  sorrisi,  guardi,  moti, 
Atti,  cenni  e  portamenti, 
Qualor  suoli,  quando  Giove 
Vuoisi  prendere  piacere 
Di  mirar  la  sua  bellezza. 
In  tai  guise  elette  e  rare 
Esci,  Venere,  ornai  meco  a  danzare. 
Da  questa  Dea 

Prendete  idea, 

O  Sposi  chiari, 

O  Sposi  cari: 
Che  de  la  vostra 

In  questa  chiostra 

Più  bella  prole 

Non  veda  il  Sole. 
£  a  te  di  padre, 

A  te  di  madre 

Figli  vezzosi 

Rendano  i  nomi  più  che  mei  gustosi. 
E  tu  gran  Dio  del  lume, 

Che  nel  cielo  distingui  al  mondo  l'ore, 
E  qua  giù  in  terra  sopra  il  sacro  monte 
Presso  il  castalio  fonte. 
Valor  spirando  al  tuo  virgineo  coro , 


POESIE 
Fa  i  nomi  de'  mortai  chiari  ed  eterni  : 
Memore  io  vivo  pure, 
Che  in  buona  parte  a  te  debbo  io  le  nozze, 
Si  che  in  gran  parte  a  te  debbo  il  mio  regno  j 
Che  in  quella  senza  leggi  e  senza  lingue 
Prima  infanzia  del  mondo 
La  tema,  l'ira,  il  rio  dolor,  la  gioja 
Con  la  lor  violenza 
Insegnarono  all'uom  le  prime  note 
Di  tema,  d'ira,  di  dolor,  di  gioja, 
Qual  pur  or  suole  appunto 
Da  tali  affetti  tocco  gravemente 
Il  vulgo,  qual  fanciul,  segnar  cantando: 
Inde  le  prime  cose. 
Che  destassero  più  lor  tarde  menti, 

0  le  più  necessarie  agli  usi  umani, 
Quai  barbari  fanciulli , 

Notaro  con  parole 

Di  quante  mai  poi  fur  più  corte  ed  aspre: 

Ed  in  quella  primiera  e  scarsa  e  rada, 

E,  perchè  scarsa,  rada  lor  favella 

Eran  le  lingue  dure, 

Non  mobili  e  pieghevoli,  com'era 

In  questa  tanta  copia  di  parlari , 

A.' quali   'n  mezzo  or  crescono  i  fanciulli* 

A  proferir  da  empito  portati, 

E  a  proferir  da  l'empito  impediti, 

Qual  fanno  i  blesi,  prorompean  nel  canto. 

E  perch'eran  le  voci 

Corte,  quai  fur  le  note  poi  del  canto, 

Mandavan  fuori  per  natura  versi. 

Ne  avendo  l'uso  ancor  di  ragion  pura, 

1  veementi  affetti 

Soli  potean  destar  le  menti  pigre; 

Onde  credean  che  'n  lor  pensasse  il  core. 

Ed  in  quella  che  puoi 

Dir  fanciullezza  de  l'umanitade 

Soli  i  sensi  regnando,  e,  perchè  soli, 

Ad  imprimer  robusti  • 

Ne  l'umano  pensiero 

Le  immagini  qual  mai  più  vive  e  grandi; 

E  da  la  povertà  de  le  parole 

Nata  necessità  farne  trasporti , 

Nata  necessità  farne  raggiri; 


391 


392  PARTE    in. 

O  mancando  i  raggiri  e  li  trasporti, 

Da  evidenti  cagioni  o  effetti  insigni, 

O  da  le  loro  più  cospicue  parti, 

O  d'altre  cose  più  ovvie  ed  usate 

Co' paragoni  o  simiglianze  illustri, 

O  co'  vividi  aggiunti  o  molto  noti 

S'ingegnaro  a  mostrar  le  cose  istesse 

Con  note  proprie  de  le  lor  nature^ 

Che  i  caratteri  fur  de' primi  eroi, 

Ch'erau  veri  poeti  per  natura. 

Che  lor  formò  poetica  la  mente, 

E  sì  formò  poetica  la  lingua: 

Ond'essi  ritrovar  certe  favelle, 

Che  voglion  dire  favole  minute 

Dettate  in  canto  con  misure  incerte: 

Ed  i  veri  parlari  o  lingue  vere 

Gli  uomin  dianzi  divisi  unirò  in  genti, 

E  le  genti  divise  unirò  a  Giove, 

Ond'è  il  mio  sommo  Giove  eguale  a  tutti: 

E  tal  fu  detto  favellare  eterno 

Degli  uomini ,  de'  Dei ,  de  la  Natura  • 

Onde  nefandi  son,  né  mai  pon  dirsi 

Le  madri  mogli,  ed  i  figliuoi  mariti: 

E  SI  la  forza  de'  bisogni  umani , 

E  la  necessità  scovrigli  altrui, 

E  la  gran  povertà  de  le  parole, 

E  la  virtù  del  ver  comune  a  tutti. 

Che  mostrò  l'utiltade  a  tutti  uguale, 

Destaro  unite  il  tuo  divin  furore. 

Di  che  pieni  que' primi  eroi  poeti. 

De'  quai  fero  tra  lor  le  Greche  genti 

Famosi  personaggi,  o  comum  nomi 

Celebri  Orfeo  e  Lino  ed  Anfione, 

Che  coi  lor  primi  carmi  o  prime  leggi 

Primi  sbandirò  da  le  genti  umane 

Ogni  venere  incerta  e  incestuosa: 

E  venne  in  sommo  credito  il  mio  Nume; 

Ond'io  presiedo  a  le  solenni  nozze, 

Le  quai  fero  solenni  i  divi  auspici 

Presi  del  ciel  ne  la  più  bassa  parte; 

Perchè  Giove  più  su  balena  a  l'etra, 

Fin  dove  osa  volar  l'aquila  ardita. 

E  perchè  son  le  certe  nozze,  e  giuste 

Le  prime  basi  degl'imperi  e  regni, 


POESIE  393 

Giove  egli  è  il  re  degli  uomini  e  de' Dei, 
A  cui  '1  fulmine  V  aquila  ministra , 
L'aquila  assisa  a' regj  scettri  in  terra, 
E  del  Romano  Impero 
Alto  Nume  guerriero; 
Ed  io  di  Giove  alta  sorella  e  moglie 
Sì  fastosa  passeggio  in  ciel  regina^ 
E  coi  comandi  d'aspre  e  dure  imprese, 
Quante  Alcide  seH  sa,  pruovo  gli  eroi. 
Questi  tutti  son  tuoi  gran  benefici 
De'  quali  eterne  grazie  io  ti  professo. 
Però,  canoro  Dio, 
Per  la  tua  Dafne,  volentier  sopporta 
Che  la  gran  Coppia  de'  ben  lieti  Sposi 
Non  t' invidii  Parnaso  e  '1  sacro  Coro  : 
Che  quest'alma  cittade 
Fino  da' primi  tempi  degli  eroi 
Patria  de  le  Sirene, 
Perpetuo  albergo  d'assai  nobil  ozio 
Nutrì  sempre  nel  sen  Muse  immortali; 
E  pruove  te  ne  fan  troppo  onorate 

I  Torquati,  gli  Stazj  ed  i  Maroni. 
Ma  tu  taci  modesto  or  le  tue  pompe  ^ 
Ma  io  grata,  anzi  giusta,  or  te  l'addito: 
Con  l'ombre  sue  la  notte. 

La  qual  col  nostro  qui  disceso  lume, 
Onde  tu  vai  vie  piii  degli  altri  adorno, 
Vince  qual  mai  più  luminoso  giorno. 
Colà  stretti  uniti  insieme 
Vedo  il  rigido  Capasso  (i) 
Col  mellifluo  Cirillo  (2): 
De  le  genti  egli  maggiori 
Quegli  è  il  mio  dotto  Lucina, 
Con  cui  va  fido  compagno 

II  sempre  vivo^ 
Sempre  spiegato 

Galizia  nostro  (3)  :  , 

V'ha  l'analitico 
Chiaro  Giacinto  (4); 
E  a  chi  il  cognome 


(1)  iSono  questi  tutti  i  cognomi  degli  autori  de^  Componimenti  esistenti  nella 
Raccolta:  INirola  Capasso.  (a)  Nicola  Cirillo.  (D)  Nicola  Guliiia. 

(4)  Giacinto  di  Cristofaro. 


394 


PAUTE    III. 
Provido  il  Cielo 
Diede  d'Ippolito; 
Il  cui  costume 
Al  casto  stile 
Avea  di  questi 
Serbato  il  Cielo: 
Quegli  se  rompe 
Cert' aspri  Fati, 
Sarà'l  Marcello  (i) 
D'altra  Roma. 
V'è  pur  colui 
A  cui  nascendo 
Col  caso  volle 
Scherzare  il  Fato, 
E  di  Poeta  (2) 
Diegli  il  cognome: 
Quegli  è  l'Egizio  (3) 
Ch'a  lento  pie 
E  con  pia  mano 
Cogliendo  va 
Dotte  reliquie 
D' antichità  ; 
E  a  quello  unito 
D' un  che  s'  asconde 
Agli  altri  tutti , 
Il  qual  tu  Febo 
Spesso  e  ben    vedi. 
Esce  un  bel  nome 
Che  chiaro  a  tutti 
Suona,  Manfredi  (4). 
Stavvi  il  Rossi  meditante  (5) 
Alta  Impresa  presso  Dante: 
Una  dolce  e  gloriosa 
Là  verdeggia  nobil  palma  (6)  ; 
Ivi  '1  Boncore  (7) 
Coltiva  l'erbe, 


(1)  H  «'g'  D.  Marcello  Filomarino ,  delle  amene  e  SRvere  discipline  ornati** 
timo,  nipote  di  Ascanio  Cardinale,  Arcivescovo  di  Napoli  (^JVota  delPyiutore), 
(2)  Gioachimo  Poeta  R.  professore  di  Medicina.  (3)  Matteo  Egizio.  (4)  Fran- 
cesco Manfredi.  (5)  Il  sig.  D.  Casimiro  Rossi ,  che  sta  componendo  in  terza 
rima  e  con  lo  spirito  di  Dante  un  poema  eroico  intitolato  le  Persecuzioni  de' 
Cristiani  (iVoto  delP  Autore^.  (6)  Giuseppe  di  Palma.  (j")  Francesco 
Boncore. 


POKSIK  3q!) 

Di  cui  gli  apristi 
Tu  le  virtudi; 
E  là  '1  Perotti  (i) 
Con  nobil  cura, 
E  sta  rimando 
L'egra  Natura. 
A  le  cose  alte  e  divine 
Indi  s'erge  e  spiega  il  volo 
Il  gentil  dolce  Spagnuolo  (2). 
Quei  che  'n  se  tutto  raccolto 
Entro  sua  virtude  involto , 
È  '1  buon  Sersale  (3), 
Sempre  a  se  eguale; 
E  quell'altro  egli  è  il  Salerno  (4), 
In  cui  parlano  i  pensieri. 
Quegli  è  '1  Luna,  dal  cui  frale  (5) 
Or  la  niente  batte  l'ale 
Su  del  ciel  per  1'  alte  chiostre 
A  spiar  le  stelle  nostre. 
Quello,  al  cui  destro 
Omero  aurata 
Pende  una  lira, 
Sembra  un  Romano  , 
Nobilione  (6)  : 

E  v'ha  quel  che  la  Fortuna, 
Non  già  il  merto,  il  fa  Tristano  (7). 
Ve"l  Valletta  l'onore  (8) 
Del  suo  nobil  Museo; 
Anche  '1  Cesare  ornato  (g) 
Del  bel  fiore  di  Torquato  : 
Il  leggiadro  Cestari   (io), 
11  Gennaro  festivo  (11), 
Il  Viscini  venusto  (12), 
Pur  l'adorno  Corcioni  (i3), 
11  Forlosia  dolciato  (i4) 
Di  mei  che  timo  odora: 


(l)  Gennaro  Perotti.  (2)  Agnello   Spagnuolo.  (3)  Niccolò  Sersale. 

(^)  Niccolò  Salerno.         (5)  Andrea    de    Luna  d^  Aragona.  (6)  Andrea  Nò- 

bilione.  (7)  Vincenio  Tristano.  (8)  Francesco  Valletta.  (9)  Giuseppa 
di  Cetare.  (10)  Silverio  Giuseppe  Cestari.  (ti*)  Giuseppe  Aurelio  di  Gen- 
naro,      (la)  Vinceoio  Viscini.       (i3)  Andrea  Corcioni.       (14)  Basilio  Forloiia. 


396 


PARTE    III. 
Il  Maltei  che  valore  (i) 
Sta  del  nome  maggiore  ; 
E  con  atti  modesti 
L'amabil  Vanalesti  (2); 
E  '1  de'  tuoi  sacri  studi 
Vago  Salernitano  (3)  ; 
E  '1  di  te  acceso  Puoti  (4); 
Altro  Rossi  splendente  (5) 
Quanto  l'ostro  di  Tiro. 
Ma  que'  che  lieta  accoglie 
La  Sirena  sul  lito, 
L'un  cui  par  che  '1  petto  aneli  , 
Ed  a  un  tempo  stesso  geli 
Tutto,  e  bagni  di  sudore 
Sol  la  fronte,  è  '1  Metastasio  (6), 
Pien  del  tuo  divin  furore  , 
A  cui  serve  or  senno  ed  arte: 
L'altro  è  '1  Marmi  teneruzzo  (7). 
Venuti  anche  tra  questi 
Son  da  l'Attica  Tosca 
In  bel  drappel  ristretti, 
Bei  tuoi  pregi  e  diletti, 
Cento  gentili  spirti, 
Cinti  di  lauri  e  mirti. 
E  con  questi  il  gran  Salvini  (8), 
Il  qual  presso  al  nobil  Arno 
ÌE  un'intera  e  pura  e  dotta 
Gran  Colonia  d'Atene, 
Che  comanda  a  cento  lingue, 
Ed  un  gran  piacer  dimostra 
D'ascoltar  l'origin  nostra. 
D'onorar  tanti  pregiati  ingegni 
Ch'a  nozze  tanto  illustri  or  fanno  onore, 
Mastro  divin  de  l'armonia  civile, 
Che  tu  accordasti  con  le  prime  leggi; 
E  perchè  son  le  leggi 
Mente  d'affetti  scevra 
La  qual  qui  scende  agU  uomini  dal  cielo, 
Le  leggi  poi,  stimate  don  del  cielo, 
Mastro  ti  fér  de  l'armonia  celeste^ 


(1")  Giulio  Matlei.  (a)  Marcello  Vanalesti.  (3)  Francesco  Salernitano. 
(4)  Gio.  Maria  Puoti.  (5)  Casimiro  Rossi.  (6)  Pietro  Metastasio.  (7)  Casto 
Emilio  Marmi.         (8)  Anton  Maria  Salvici. 


POESIE  3gn 

Agiati  al  seno  ornai  cotesta  cetra,       >    i  w 
C'hai  fìnor  tocco  assiso  agiata  in  grembo; 
E  col  più  vago  e  più  leggiadro  vezzo 
Esci  a  danzare,  o  dotto  Apollo,  in  mezzo. 
Tempra,  Febo,  l'aurea  lira 

A  bei  numeri  del  pie; 

Qual  s'  arretra ,  o  inoltra  o  gira , 

O  pur  salto  in  aria  die. 
Di  tua  cetra  il  dolce  suono 

L'aspre  fere  raddolcì: 

E  di  tua  bell'arte  è  dono, 

Perchè  l'uom  s'ingentilì. 
Sì  la  venere  ferina 

Da  le  terre  Orfeo  fugò: 

E  la  cetra  sua  divina 

Poscia  ornata  di  stelle  in  ciel  volò. 
Non  ti  mostrar  sì  schiva 
E  ritrosa  Diana; 
E  sì  ben  la  tua  vita, 
Vita  degna  di  Nume, 
Menar  Petade  eternamente  casta 
D'ogni  viril  contatto; 
Talché  le  sante  membra 
Ne  men  tocchi  col  guardo  uomo  giammai; 
Come  pur  d'Atteon  che  n'ebbe  ardire, 
Tu  già  facesti  aspra  vendetta  al  fonte: 
Ma  se  pur  mai  seguisse  ogni  donzella 
I  tuoi  pudici  studi, 
Non  aresti  or,  o  Dea,  chi  t'offrirebbe 
E  vittime  ed  incensi  in  su  gli  altari. 
Però  Giove,  che  '1  regno 
Sopra  '1  gener  umano  a  noi  conserva, 
Onde  '1  regno  ben  ha  sopra  di  noi , 
Egli  siegue  un  piacer  dal  tuo  tutl'  altro  ; 
Piacer  che  gli  produce 
Ne  l'ordine  de' Dei  il  nome  augusto. 
Che  '1  dal  giovar  creando  è  detto  Giove  ; 
Che  dal  profondo  nero  sen  del  Cao 
Trae  fuor  le  cose  in  questa  bella  luce 
Sotto  le  varie  lor  forme  infinite, 
De  le  quali  fornisce  e  adorna  il  mondo  : 
E  da  tale  suo  studio 

Padri  voi  Dei,  madri  noi  Dee  sìani  du»tte. 
E  quindi  avvien  che  come  Giove  abborre 


3gS  PARTE    III. 

La  rea  confusYon  de'  semi  tutti , 

Che  poi  dissero  Cao  color  che  sanno  ; 

Cosi  odia  e  detesta 

La  rea  confusion  de'  semi  umani , 

Che  prima  disser  Cao  le  rozze  genti. 

Intendi ,  intendi  pure 

L'  alte  leggi  del  Fato  : 

Tu  t'innalzasti  in  cielo, 

Perchè  Giove  con  teco  e  gli  altri  Numi 

Serbasse  in  terra  le  virtù  civili, 

Che  pón  sole  serbar  la  spezie  umana  : 

Ei  comanda  le  nozze, 

Che  madri  son  de  le  virtù  civili  ; 

Ond'io  moglie  di  Giove 

Le  fo  certe  e  solenni*, 

Venere,  dolci,  e  tu  le  fai  pudiche; 

E  'n  carmi  ne  dettò  le  leggi  Apollo: 

Onde  Imeneo  sul  Pindo  a  lui  sacrato 

Nacque  d'Urania,  che  contempla  il  cielo j 

E  l'educaro  le  sue  sacre  Muse, 

Che  cotesta ,  che  tu  pregi  cotanto, 

Eterna  castità  vantano  anch'elle. 

Deh  mira  dunque, 

Deh  mira  intorno 

Con  ciglio  grato 

Tante  matrone, 

Fide  custodi 

De  l'alto  sangue 

Di  tante  illustri 

Chiare  famiglie , 

Tra  quai  torreggia 

La  bella  Madre  (i) 

Del  vago  Sposo. 

Ne  creder  tutte 

Le  tue  seguaci 

Ch'  abbiano  in  core 

Quel  e' hanno  in  viso: 

Vener  te  '1  dica 

Quai  caldi  voti 

Pur  d'esse  alcune 

L'ofFron  secreti:    - 


0  L*)  cccell«Dlissiina  sigaora  D.  Carmela  di  Satigio  d«' duchi  di  Cacacaleada. 


POESIE  399 

Però  non  isdegnare 
Ch'eschi  meco  a  danzare. 
In  quest'aria  vergognosa 
^>ì  ti  voglio,  o  casta  Divaj 
E  mi  piaci  cosi  schiva, 
Che  mi  sembri  tu  la  sposa. 
Come  ben  la  castitade 
Fa  più  bella  la  bellezza  1 
Prende  più  che  gentilezza 
Un- amabile  onestade. 
Così  'nsegna  il  tuo  diletto 
Ad  amare  e  riverire^ 
E  COSI  convien  covrire. 
Bella  Sposa,  l'ardor  che  nulri  in  petto. 
Ma  tu  non  tutto  spieghi, 
Marte,  qui  la  tua  fronte, 
La  qual  sembra  turbar  cruccio  importuno: 
Forse  perchè  non  tosto  dopo  Giove 

10  t'inchinai,  ch'uscissi  a  danzar  meco? 
In  qwesta  diva  festa 

Celebrata  in  Italia,  ognor  feconda 
Madre  di  saggi,  prodi,  invitti  duci, 
Ne  la  città,  che  sovra  l'altre  in  grido 

11  pubblico  innalzò  Genio  guerriero^ 
Per  queste  liete  nozze 

E  d'una  nobil  Sposa 

Il  cui  gran  Genitore  (i) 

Per  raro  valor  d'armi  è  assai  ben  chiaro; 

E  d'un  Sposo  gentile, 

Il  cui  gran  Zio  (2),  che  puoi  tu  dir  gran  Padre, 

Nel  mestiere  de  l'armile  assai  ben  noto. 

Io  tutto  ciò  confesso  e  riconosco 

Essere  tutto  ciò  ben  tua  ragione, 

E  diro  molto  più,  siamo  in  tua  casa. 

Non  pertanto  io  peccai  contro  la  legge 

Che  de  la  danza  già  prescrisse  l'uso; 

Ma  sommisi  la  danza  ad  una  legge 

La  quale  m'ha  dettato  alta  ragione. 

Pria  t'accese  al  valor  alta  pietade, 


(i)  L^eceollcntissiino  sig.  D.  Marino  Caracciolo  marchese  di  S.  Eramo ,  g«- 
n»i;ile  di  battaglia  (Nota  deW autore). 

(2)  L^eccellenlissiniQ  sig.  D.  Giacomo  Fiiomarino  duca  di  PierdifumO|  n«l)« 
|»ovenlù  «apitauo  de'  cavalli  (  Nota  dell'autore  ). 


^00  PARTE    III. 

E  somma  diligenza  inverso  Giove  * 
Ond'  egli  avviene  che  d'  eterne  glorie 
Segnan  gli  annali  e  adornano  l'istorie 
Le  guerre  che  tu  imprendi  e  pure  e  pie, 
Che  cominciasti  a  far  fin  da  que'  tempi 
Che  difendevi  l'are  o  i  primi  asili 
Con  l'asta  pura,  o  scevra  ancor  di  ferro; 
E  l'asta  pura  poi  serbò  '1  Romano 
Per  premio  insigne  al  miUtar  valore: 
Ond'è  Minerva  astata 
La  mente  che  delibera  le  guerre, 
Pallade  astata  che  n'insegna  l'arti. 
Bellona  astata  al  fin,  che  l'amministra; 
E  l'aste  sole  furo  arme  d'eroi; 
E  perciò  abbiam  da  l'asta 
Tu  di  Quirino,  io  di  Quirina  il  nome, 
Che  sopra  degli  eroi  le  nozze  intesi, 
E  portava  a  la  luce  i  figli  loro. 
Quando  ancor  non  avean  le  vili  plebi 
Le  mie  nozze  tra  lor  solenni  e  giuste. 
E  ricordar  ti  dei  che  molto  innanzi 
Che  spirassi  furore,  ira  e  spavento 
Agli  schierati  eserciti  in  battaglie, 
Questa  Venere  i  tuoi  spirti  feroci 
Con  la  scuola  d'Amor  rese  gentili , 
E  la  fierezza  ti  cangiò  in  bravura  : 
Poi  t' ispirò  Dfana  i  suoi  diletti 
D'assalir  orso  o  di  ferir  cinghiale, 
Studj  ben  degni  de'  primieri  eroi , 
Che  gli  Alcidi  portar  sopra  le  stelle. 
Indi  Apollo  cantò  le  sante  leggi, 
Ond'i  tuoi  araldi  ad  alta  orrenda  voce 
Chiamando  in  testimon  il  sommo  Giove, 
Che  non  son  essi  i  primi  a  far  l'offese; 
E  se  lor  non  s'emendano  l'offese, 
Intiman  le  solenni  aspre  crudeli 
E  da  le  madri  detestate  guerre. 
Par  e' hai  posto  in  oblio 
L'antica  e  vera  origine  ch'avesti: 
Non  sei  tu,  puoi  negarlo, 
La  fortezza  di  Giove? 
Ch'esercitasti  pria  contro  te  stesso. 
Con  vincere,  e  di  por  ne  le  catene 
De  la  Ragione  invitta 


POESIE  4^1 

La  libidine  vaga;  e  d'una  donna 
Solo  contento  e  pago,  indi  apprendesti 
Domar  sotto  il  paterno  imperio  i  figli, 
Ed  a  lor  prò  domare  i  feri  mostri , 
Domare  i  tori  a  sopportare  il  giogo, 
Domar  la  terra  a  sopportar  l'aratro^ 
Poscia  le  plebi  erranti,  inerti  ed  empie, 
A  cui  apristi  gli  asili 
Ove  si  rifuggian  da  l'onte  e  i  torti 
Che  lor  faceano  i  violenti  ingiusti. 
Domasti  a  sopportar  legge  e  fatica, 
E  col  tuo  esemplo  a  riverire  i  Dei; 
E  per  la  patria  al  fine. 
Che  a  popoli  conserva 
E  moglie  e  figli  e  casa  e  campi  e  Dei, 
Con  la  guerra  domar  genti  e  cittadi? 
Dunque  tempra  l'aria  fiera 
Col  mirare  riverente 
Il  tuo  re  benigno  Giove, 
Col  mirare  innamorato 
La  tua  Venere  benigna, 
E  mesci  insieme 
L'ira  d'Achille; 
Ma  che  le  leggi 
Non  isconosca 
De  la  natura, 
Ne  arroghi  a  l'arme 
Ogni  ragione. 
Mesci  d'Enea 
L'alta  pietade; 
Ma  le  regine 
Non  abbandoni, 
E  se  ne  porti 
Col  loro  onor^ 
Anche  la  vita. 
Mesci  l'amore 
Del  grand' Orlando; 
Ma  più  temprato 
Da  la  ragione. 
Con  tai  leggi  eh'  io  ti  reco , 
Esci,  Marte,  a  danzar  meco. 
A  questa  immago  altera 
D'alta  virth  guerrera 
Nascano  i  figli  a  voi,  ben  lieti  Spost: 

VicO|  Opuscoli,  2(> 


4o2  PARTE    III. 

Talché  gP  incliti  e  gravi 
Bei  trionfi  degli  avi 
Sieno  a  petto  de  i  lor  meno  famosi  5 
E  ne  le  loro  glorie 
S'ergano  sì  l'istorie, 
Che  poema  giammai  tanto  non  osi. 
Son  tuoi  proprj  doveri 
Festeggiar  queste  Nozze, 
Merciirio  mio,  gran  messaggier  di  pace; 
Che  gentilesca  lode  è  ben  di  questi 
Filomarini  Padri 
Esser  grati  egualmente 
Al  popolo  e  a  sovrani, 
E  di  placare  i  re  coi  lor  soggetti, 
Qual  agli  uomini  tu  concili  i  Numi; 
Come  di  te  poscia  cantar  coloro 
Che  vollero  di  noi 
Far  più  alte  l'origini  e  più  auguste. 
Che  tu  qui  primo  in  terra 
'       A  le  plebi  per  tedio  sollevate 
j  Di  sempre  coltivare  i  campi  a'  Padri , 

Per  solo  sostentar  l'egra  lor  vita, 
Che  per  salvar,  pria  rifuggirò  a  Pare; 
Portasti  l'alme  leggi 
Che  Cerere  leggifera  ti  diede; 
Ch'avessero  le  plebi 
^         Il  commerzio  de' campi. 

Che  pria  occupar©  e  reser  colti  i  Padri'; 
E  questa  fosse  loro 
La  mercè  giusta  d' obbedire  a'  Padri , 
Donde  tu  avesti  di  Mercurio  il  nome. 
Indi  nate  le  guerre, 
Fosti  poi  santo  apportator  di  pace. 
Dunque  in  questa  alleanza 
Esci  ora  meco  in  danza. 
Questa  pace 
'       Con  la  face 
Tratta  Amor: 
£  gli  amanti 
Anelanti 
D'almo  ardor 
La  tua  verga 
Non  asperga 
Del  tuo,  ch'uopo  or  non  fa,  dolce  sopor 


POESIE  4o3 

La  sapieuza  di  Giove  ?f; 

D'invitar  non  ardisco^ 
Che  troppo  Gnor  pure  ne  fa  Minerva 
Con  lo  stare  a  guardar  la  danza  nostra. 
Dunque  bastar  ci  dee  che  qui  v'assista, 

0  fortunati  Sposi, 

Ed  a  pure,  sublimi  e  chiare  idee 

D'eterne  verità  v'alzi  la  mente, 

A  cui  saggi  formiate  i  vostri  figli, 

Talché  'n  senno  niuno  altro  somigli. 

Però,  benché  di  te  sol  paga,  sdegni, 

Non  che  parlar  giammai  di  tue  bell'opre, 

Per  udirle  giammai  lodar  da  altrui, 

Soffri,  Minerva,  pur  che'n  tua  presenza  , 

Tanto  io  ne  dica  sol  quant'egli 'mporla 

Ch'io  ne  adorni  il  mio  uficio  onesto  e  santo. 

Da  te  provenne  a  l'uomo 

Il  talento  divin  di  contemplare: 

E  poiché  l'ampia  terra 

Tutta  seccò  l'umore  onde  gran  tempo 

Dal  gran  diluvio  ella  restò  bagnala, 

Talché  poteo  Vulcano 

Fulmin  mandar  sopra  l'Olimpo  a  Giove, 

1  fulmin  ch'atterrar  gli  empj  Giganti ;j 
L'uom  da  quel  primo  tempo 

Ne  l'ozio,  solitudine  e,  per  somma 

Povertà  di  parlari, 

Necessario  silenzio 

Dal  fulmine  destato 

A.  contemplar  pur  finalmente  il  cielo , 

Da'  moti  insigni  degli  eterni  lumi 

Animato  il  credette,  e '1  fece  Dio; 

E  la  sua  volontà  chiamò '1  mio  Giove, 

Che  scrivesse  nel  cielo 

Col  fulmine  le  sue  temute  leggi, 

O  vero  pubblicassele  col  tuono: 

Che  scrivesse  nel  cielo 

De  l'aquila  coi  voli 

GH  adorati  comandi, 

O  li  dettasse  d'altri  augei  col  canto. 

Onde  ne  l'aurea  ctade 

Fu  detto  che  leggessero  le  genti 

L'alte  leggi  de' Fati  in  petto  a  Giove. 

E  quindi  poscia  vennero  a' poeti 


4o4  PARTE    IH. 

Quei  !or  nomi  di  vati  e  di  divini, 
Che  furo  sacri  interpreti  de' Dei; 
Quando  una  cosa  istessa 
Era  sapienza  sacerdozio  e  regno. 
E  questi  in  quel  sommo  stupor  del  mondo 
Quei  pochi  fur  ch'amò  Giove  benigno; 
Ch'o  ver  mossi  da  tema  o  da  vergogna 
De  la  vener  ferina  in  faccia  al  cielo, 
Pentiti  del  comun  brut  al  errore, 
Presa  ciascun  per  se  sola  una  donna, 
E  credendo  i  volati  degli  augelli 
Fosser  cenni  di  Giove, 
Proseguendo  dell'aquile  gli  auspici, 
In  certi  sacri  orrori 
Si  fermaro  de'  monti , 
Dove  loro  mostrò  Diana  i  fonti; 
E  quivi  con  le  lor  donne  pudiche 
Fondaro  le  famiglie,  e  poi  le  genti 
Fabbricaro  le  piccole  cittadi, 
E  con  l'aratro  disegnar  le  mura; 
-'■'     Il  concubito  vago  proibirò, 
Dier  le  leggi  a'  mariti , 
E  'ntagliaro  nel  rovere .  le  leggi  : 
E  questa  fu  prima  sapienza  in  terra, 
Otid'è  venuto  in  questo  culto  il  mondo. 
Tanta  parte.  Minerva,  hai  ne  le  nozze. 
Se  non  le  nozze  a  te  si  debbon  tutte. 
Vulcano  qui  non  danza. 

Che  ne  men  danza  in  cielo; 

Ma 'n  cambio  de  l'onor  qui  da  degnarvi, 

Doni  di  lui  più  proprj  or  v'apparecchia. 

In  Etna  ignivomo 

Sotto  la  lurida 

Fucina  altissima 

Con  Bronte  e  Sterope 

Altri  monocoli 

Or  con  le  fervide 

Braccia  roboree. 

Irsute  e  ruTÌde, 

In  torno  armonico 

I  lor  gravissimi 

Martelli  innalzano 

Su  la  ben  solida, 

E  grande  incudine; 


POESIE  ^05 

E  vi  distendono 
Le  lente  e  flessili 
Argentee  lamine; 
E  sì  ne  formano 
Gli  usberghi  lucidi, 
I  tersi  clipei, 

Le  gravi  galee;  •      ' 

E  '1  duro  calibe 
Temprato  aguzzano, 
Temprato  affilano 
In  taglientissime , 
In  pungentissime 
ÌE  spade  e  cuspidi, 
Di  che  si  vestano. 
Di  che  si  cingano: 
Le  qual  impugnino 
In  guerra  i  strenui 
Figli,  e  ne  portino 
Alte  vittorie. 
Alma  Cerere  intanto,  or  tu  cortese 
Per  cotesta  deità  che  a  me  pur  devi, 
Da  me  inchinata  or  danza  a  tante  nozze. 
Per  me  di  questa  terra 
La  già  gran  selva  antica, 
Poiché  Diana  ne  purgò  le  fiere, 
Onde  sicuro  il  suo  germano  Apollo 
In  Anfi'iso  poteo  guidar  gli  armenti  j 
Col  fuoco  che  Vulcano 
Di  dura  selce  viva 

Da  le  battute  viscere  pria  scosse,  . 

Bruciando  da  per  tutto 
Rover  gravi,  dur'elci  e  quercie  annose,   " 
Ridottovi  il  terreno  atto  all'aratro. 
Col  ferro,  che  ti  die  Marte  per  uso 
Del  grave  aratro,  poi  vi  seminaste 
La  prima  spezie  di  frumento,  il  farro; 
E  '1  farro  poi  del  vincitor  romano 
Fu  dato  in  premio  a'  forti 
Che'nsigni  Parme  oprar  ne  le  battaglie; 
Ed  i  piti  forti  de' Romani,  i  Padri, 
Che  soli  imprima  aveano  i  sacerdozj. 
Le  lor  nozze  col  farro  consacraro: 
Quindi  tu  altere  desti 
Le  tue  leggi  de^  campi, 


4o6  PARTE   in. 

E  le  tue  fur  le  prime  leggi  umane, 
Con  le  quai  si  fondar  gl'imperi  e  i  regni; 
Ch'appo  le  genti,  i  territorj  o  campi 
Sieno  in  sovrana  signoria  de' forti; 
Quei  che  men  forti  sono, 
N'abbiano  solo  li  commerzj  o  gli  usi. 
Perchè  gli  uomini  accorti, 
Che  non  potean  divisi 
Difendere  i  lor  campi 
Da  l'altrui  forza  ingiusta, 
Congiunser  tutte  le  lor  forze  in  una; 
E  sì  fondaro  in  terra  il  sommo  impero, 
Che  sommiser  le  lor  forze  privale, 
Perchè  guardasse  loro 
Colti  i  campi  e  sicuri, 
Che  guardando  sicuri,  erano  colti; 
E  tutto  ciò  per  tema  che  la  tèrra 
Non  ritornasse  a  la  grafi  selva  antica: 
Tanta  è  la  tua  possanza, 
Tanta  hai  tu  dignità  d'uscir  qui  in  danza. 
Tu  seconda 

Feconda 
;  *  I  suoi  campi 

^  '  Ch'ai  Signore 

Splendore 

Recar. 
Tu  a  lui  cara 

Prepara 

Altri  ed  ampj, 

Che  ricchezze 
•^  Grandezze 

Puoi  dar. 
Da  viltà 

Nobiltà 

Sol  tu  campi; 

Co'  tesori 

Gli  onori 

Usi  serbar. 
Ma  tu.  Saturno,  portator  degli  anni, 
Non  so  qual  mai  superstizion  ti  tiene, 
Che  par  che  ti  nascondi 
Agli  occhi  d'una  si  nobil  corona. 
Prendìam  gli  augurj  in  meglio, 
Non  quai  falso  stimò  finora  il  mondo. 


POESIE 
Cotesta  tua  gran  falce  ^ 
In  quella  età  che  tu  versavi  in  terra, 
(Forse  perch'assai  vecchio, 
Tu  vuoi  ch'io  te '1  rammenti?) 
Non  ebbe  altr'uso  che  di  mieter  biade, 
Da  le  quai  seminate  avesti  '1  nome: 
E  'n  quella  rozza  etade , 
E  'n  quella  povertà  de  le  parole 
L'uom  con  la  messe  numerava  gli  anni^ 
Onde  avvenne  che  poi 
Del  Tempo  Dio  fosti  allogato  in  cielo. 
Ne  cotest'ali  in  vero 
Ti  fur  date  perchè  tu  voli  o  fugga; 
Perchè  'n  ver  tu  non  sei  tardo  ne  presto, 
Ma  ben  misuri  i  moti  presti  o  tardi. 
Coleste  sono  insegne 
Che  ti  diero  i  patrici 
Che  trovaro  gli  auspici: 
Onde  poi  da  la  lor  propria  pietade 
Divenner  saggi,  temperati  e  forti; 
E  fur  gli  eroi  di  favole  spogliati, 
T  cui  prenci  fondar  gli  eroici  regni: 
E  sol  di  questi  poi  le  discendenze, 
Perchè  aveano  tra  lor  certe  divise 
Che  non  avean  tra  |or  l'oscure  plebi, 
Tutto  mercè  de  le  mie  certe  nozze. 
Da  l'ordin  lungo  de' lor  certi  Padri 
Sol  essi  meritar  con  vero  nome 
De  le  genti  maggior  dirsi  Patrici. 
E  noi  da  quelle  antiche  inclite  case. 
Che,  non  essendo  ancora  i  regni  in  terra, 
Diero  a  noi'l  regno  sovra  lor  nel  cielo, 
Siam  detti  Dei  de  le  maggiori  genti: 
Talché  quest'ale  son  l'istesse  appunto 
Di  cui  '1  Pegaso  il  dorso 
E  Mercurio  i  calcagni  orna  e  le  tempia: 
Perchè  i  Nobili  primi  ritrovaro 
1  seminati,  ond'hai  tu  nome  e  nume; 
I  Nobili  trovar  le  leggi  prime, 
Con  cui  Mercurio  richiamò  le  plebi; 
I  Nobili  domar  primi  il  cavallo, 
Che  lor  servi  poi 'n  guerra;  ma  assai 'imanzi 
Con  la  sua  zampa  fé  sgorgare  il  fonte, 
Presso  a  cui  si  fondar  le  prime  torre, 


407 


4o8  PARTE   IH. 

Ove  abitare  poi  le  sacre  Muse 
Che  le  città  de  le  bell'arti  ornaro: 
Da  poi  ch'Apollo  ritrovò  la  lira, 
Ne  la  quale  compose  de'  privati 
Tutt'i  dianzi  divisi  o  nervi  o  forze; 
Con  cui  dettò  le  prime  leggi  in  carmi: 
Però  con  lieti  auspici, 
Che  voglion  dire  in  lor  vera  ragione 
Una  lunga  prosapia  e  assai  feconda  . 
D'indole  generosa  e  giusta  e  pia, 
E  ben  istrutta  in  tutte  l'arti  umane, 
Tu  coteste  grand' ali  ornai  ti  libra, 
E  agile  a  danzar  meco  ti  vibra. 
Tu  per  Sposi  così  lieti 
Tante  nuove  biade  mieti , 
Che  tua  falce  ottusa  fia. 
Ne  la  lor  casa  immortale 
Di  Lucina  e  di  Giocale 
Ferva  pur  la  cura  mia. 
E  già  in  aria  a  destra  move 
L  11  regale  augel  di  Giove, 

C'  E  'n  ciel  segna  una  dritta  e  lunga  via. 

Non  fa  d'uopo  che  Vesta, 
Tutta  religiosa  e  diligente 
Tu  t'apparecchi  l'ara; 
E  che '1  fuoco  v' imponghi, 
Ch'eterno  serbi  infìn  d'allor  che '1  foco 
Ridusse  in  campi  la  gran  selva  antica; 
Ne  ti  prepari  da  que' fonti  l'acqua, 
Presso  a' quai  si  fondar  le  prime  terre; 
Onde  con  l'acqua  e '1  foco 
Persi  le  nozze  poi  giuste  e  solenni: 
Sol  lece  a  me-,  che  vano  è '1  sacrificio, 
Ch'or  io,  tutta  composta  in  maestade. 
Adempia  qui  il  mio  civile  uficio. 
Or  sotto  questa  mia  potente  insegna, 

Che  tanti  e  tali  ben  produsse  al  mondo, 
Per  cui  '1  mio  nume  in  ciel  sovrano  regna  J 
Questo  mio  giogo  d'or  lieve  e  giocondo 
''.,--,       Piega  l'alte  cervici,  o  Coppia  degna, 
In  presenza  del  ciel  tutto  secondo: 
E  voi,  matrone,  a  lei  più  fide  e  grate, 
La  moglie  al  maritai  letto  menate. 


POESIE  4^9 


Per  le  Nozze  di  D.  Antonio  Pignatelli,  marchese  di  S.  Vincenzo, 
e  D.  Anna  Francesca  Pinelli  de"*  duchi  delPAcerenza. 

SONETTO    (1) 

Quel  pensiero  divino,  almo,  immortale 
Per  cui  del  nostro  vii  la  massa  informe 
Mille  prende  leggiadre  e  vaghe  forme, 
E  di  grazia  e  bellezza  in  pregio  sale* 

Pri'a  di  se  fuor  die,  Donna  Reale, 

Con  tanta  industre  cura  a  sé  conforme,       '   > 
Che  non  pur  ne  mostrate  a  noi  liev'orme, 
Chiara  splendendo  al  gran  disegno  eguale: 

E  or  qual  v'unio  con  pari  studio  ed  arte 
A  Duce  invitto  in  modo  onesto  e  santo, 
Prole  per  darne  a  se  da  voi  simile. 

Qual  più  sublime  ingegno  or  può  mai  tanto 
Levar  di  terra  il  più  purgato  stile 
Che  vi  possa  ritrar,  gran  Sposa,  in  carte? 

In  lode  di  S.  Giacomo  della  Marca. 
SONETTO  (2) 

Fu  d'eroico  valor  ben  alto  segno 
Di  color  che  vestirò  animo  forte, 
Ed  incontraro  aspri  perigli  e  morte, 
Per  qui  fondar  in  terra  inclito  regno: 

Di  cui  prese  la  Gloria  i  nomi  in  pegno 
Ad  ogni  gente  di  profana  sorte, 
Che  sia  chiusa  del  Sol  tra  le  due  porte. 
Gridargli  in  chiaro  suon  d'arti  d'ingegno. 

Ma  cadon  le  città,  muojon  gl'imperi, 
E  'n  terre  incolte  e  tra  paesi  guasti 
Son  lor  nomi  sepolti  entro  l'obblio. 

Più  grand  Eroe  co'  spirli  umili  alteri 
Tu  regno  eterno  sopra  te  fondasti. 
Godendo  or  lieto  eterna  gloria  in  Dio. 

(0  Fu  dato  alle  stampe  questo  Sonetto  nella  Raccolta  pulibliratti  in  oreasion* 
di  tali  Nozse  nelPanno  lyai  per  cura  di  Giuseppe  Sergio  giureconsulto  napole- 
tano, ed  autore  di  molte  opere  legali,  precedendovi  un  Ragionamento  di  Gre- 
gorio Grimaldi ,  anche  giureronsiiUo  nu])oletano  ,  ed  autore  della  4)toria  delle 
Leggi  o  Magistrati  del  Regno  di  Napoli. 

(a)  Per  un'' adunanza  poetica  tenuta  nella  chiesa  di  S.  Maria  la  Nuora  in 
onor  del  B.  allora  Giacomo  della  Marca  ,  e  chf  poi  data  ali*  stampe  nelPauno  lyaS, 
111  composto  dal  Vico  il  presente  Sonetto. 


4io 


PARTE    III. 


In  lode  del  Gran  Maestro  della  Religione  Gerosolimitana 
Antonio  Manoel  de  Villena,  per  la  sua  esaltazione  a  tal  dignità. 

SONETTO  (I) 

Del  gran  Buglione,  e  di  sue  invitte  schiere 
Che  liberare  in  pria  la  sacra  Tomba, 
Tal  ch'oggi  ancor  a  l'Asia  il  cuor  ne  piomba, 
Sue  sconfitte  in  membrar  crudeli  e  fere, 

Chiara  celebra  le  memorie  altere 

A  la  Greca  e  Latina  un'egual  tromba^ 
Ma  ne' petti  de'Pii  aoca  rimbomba 
Per  cotanto  emular  glorie  primiere. 

Due  gran  cuori  tal  gloria  avvien  che  fìeda^ 
D'un  ond'in  terra  e' quasi  afflitto  giace, 
E'I  tuo,  signor,  perchè  s'estingua  in  mare: 

O  se  uniscan  lor  forze  alme  si  rare, 
Già  con  navi  e  cavalli  al  fiero  Trace 
Vedrem  ritoiv  la  grande  ingiusta  preda. 


Perle  Nozze  di  D.  Lionardo  Tocco ,  principe  di  Montemiletto, 
e  D.  Camilla  Clantelmo  de^  duchi  di  Popoli. 

SONETTO   (2) 

Qual  vaga  io  miro,  nova,  altera  mostra 
Regger  l'aurea  sua  face  in  regal  viso, 
Su  trono  d'amaranto  Imene  assiso, 
Che  di  rose  immortai  Venere  innostra? 

Eroico  Amor  l'assiste,  e  ne  dimostra 
.    »        L'alto  poter  su  la  concordia  e '1  riso; 
E  un  genio  v'ha  da  tutti  altri  diviso. 
Che  guide  eterne  son  di  vita  nostra. 

Virtù,  non  come  suol,  severa  e  grave, 
'  Gaja  e  ridente  mena  in  bella  coppia 

Due  chiar'Alme  di  lei  ricolme  e  piene. 

Ma  odo  risonar  dolce,  soave 

Liete  miste  tra  lor  Muse  e  Sirene: 

Il  gran  Tocco  e  Camilla  Imene  accoppia. 

(i)  Dato  alle  stampe  nella  Raccolta  pubblicata    in    Napoli    nel   1723  per  tala 
occasione. 

(a)  Eliste  nella  Raccolta  falla  per  tali  Nozac  in  Napoli  nel  17*3. 


4.. 


POESIE 


Su  r origine,  progresso  e  caduta  della  Poesia  italiana, 
in  lode  di  Marina  della  Torre  marchesana  di  Novoli. 

CANZONE    (I) 

11  candor  luminoso 

De  l'alma  stirpe,  che  di  rai  celesti 

A  le  Muse  vestio  gli  alti  natali;  ; 

Onde  s'odon  chiamar  figlie  di  Giove, 

Di  Giove  il  Re  degli  uomini  e  de'  Dei  ; 

E  là  sovra  le  stelle 

Si  salutan  sorelle 

E  da  Perseo  e  da  Bacco, 

E  da'  Bellerofonti  e  dagli  Àlcidi  : 

Ttìl  fresca  origin  diva 

Destò  ne'  lor  ben  generosi  petti 

Pensier  tutti  magnanimi  e  sublimi, 

Schivi  di  laude  ornar  virtù  volgari; 

Ma  celebrar  sol  opre  e  chiare  e  grandi 

Con  tai  divine  immagini  e  si  vaste. 

Che  imitarle  dispera  umano  stile. 

Perchè  applicaro  ogni  alto  studio  e  cura 
D' intesser  i  bei  lor  lavori  eterni, 
Di  se  formando  ampia  immortai  corona, 
Cui  fa  splendido  centro  il  Dio  del  lume, 
Che  a  le  cose  mortai  numera  gli  anni , 
£  de'  spirti  immortali  eterna  i  nomi, 
Al  suon  dì  quella  lira. 
Che  dolce  accorda  in  melodia  celeste 
I  varj  error  de  le  rotanti  sfere, 
Ed  in  bell'armonia 
Quant'eran  prima  dissonanti  e  feri, 
Tanto  poi  mansueti  e  ben  concordi 
Fé' risonar  gli  uman  costumi  in  terra. 

Quindi  gli  eterni  lumi, 

Ove  la  terra  è  ricoverta  d'ombre, 
Or  senza  nome  allumerien  l'Olimpo; 
Anzi  l'istcsso  Febo  sconosciuto 
Or  roteria  la  sua  gran  lampa  al  mondo, 


(i)  Stampata  nella  Raccolta    di    Rime  Ue^  Poeti  Napolelaai    di  Agotllo  Al- 
bani, 1733. 


4l2  PARTE    III. 

Febo,  che'n  forza  da  le  saggie  Muse 
A  i  Dei  dispensa  e  lume  e  vita  in  cielo. 
Ond' infra  l'alta  sfera 
Che  pigra  corre  il  mietitor  degli  anni, 
Sol  per  rispetto  e  per  pietà  di  figlio, 
Ha  posto  il  suo  regal  inclito  seggio 
Pien  d'Apollinea  luce  il  sommo  Giove 

^  >  Per  lunghi  spazj  sopra  gli  altri  Dei; 

Perchè  primo  insegnò  temer  gli  Dei 
A'  feri  empj  Giganti*, 
A  quai  le  prime  sue  divine  leggi 
Col  fulmin  scrisse,  e  l'intimò  col  tuono: 
Sotto  lui  Marte  gira, 
Che  ne  le  crude  guerre  e  sanguinose, 
Dentro  zuffe,  terror,  stragi  e  spaventi 
La  rabbia  regge,  e '1  rio  furor  de  l'armi. 
E  presso  al  truce  poi  Vener  fiammeggia 
Con  sua  ridente,  alma,  serena  luce; 
Che  co'  suoi  vaghi  vezzi ,  atti  leggiadri 
Piegonne  a  gentilezze  il  ferreo  mondo. 
Mercurio  tutto  indi  di  sol  vestito 
Celeste  araldo  detta  a'  vincitori 
Di  terminar  da  uomini  le  guerre, 
E  conservar  con  giuste  leggi  i  vinti. 
La  più  presso  di  tutti  a  noi  Diana 
Gira  tra  l'ombre  tacita  e  secreta, 
Che  con  schive  e  sdegnose 
Sue  maniere  ritrose 
Ella  pur  ne  destò  l'amore  umano, 
Ch'attese  a  celebrar  cittadi  e  regni; 
Restando  a  solitudini  diserte 
I  Pani  ignudi  e  i  Satiri  sfacciati. 
E  nel  sommo  del  cielo  etei-no  tempio. 
Ch'erge  le  vòlte  d' immortai  zaffaro. 
Queste  pittrici  Dive 
Con  terrene  ombre  e  co'  celesti  lumi 
Dipinsero  i  primier  famosi  eroi 
Che  del  cammin  del  Sole  oltre  i  confini 
Portaro  con  le  lor  grand' opre  eccelse 
Su  l'ali  de  la  Gloria  il  greco  nome: 
Anzi  sovra  il  sublime 
CampidogUo  del  mondo. 
Di  cui  son  spettatori  uomini  e  Dei, 
Per  mano  de  le  Muse 


I 


POESIE  ^l3 

Le  insegne  de  le  lor  stupende  iniprese 

In  eterni  trofei  veggiam  sospese. 

Là  del  leon  la  spoglia, 

Che  la  selva  Nemea  distrusse  ed  arse, 

Tuttavia,  quando  là  s'indossa  il  Sole, 

Secca  i  torrenti  e  le  campagne  asseta. 

E  colà  dove  pende 

De  la  Gorgone  il  teschio, 

Col  terribile  aspetto  e  spaventoso 

Tuttavia  sembra  d'impetrar  le  stelle, 

Quas'indi  per  stupor  sieno  in  ciel  fìsse. 

E  là  dove  la  nave 

Che  tragittò  di  Ponto  a'  greci  lidi 

Il  vello  d'or  eh' a  la  feroce  amante 

Costò  gran  scelleraggini  e  vergogna. 

Verso  l'Eternità  lenta  veleggia: 

Poiché  gli  eroi  famosi,  e  i  lor  trofei 

Con  corso  egual  al  Sole 

Camminan  stanchi  una  si  lunga  via,  ^ 

.    Che  oltra  il  suo  fin  non  più  cammina  il  tempo. 
Da  sì  sublime  stato, 

Che  'n  lavori  celesti  entro  le  stelle 

Spaziavan  le  lor  menti  divine, 

Sceser  quaggiù  le  sante  suore  in  terra  ^ 

Non  già  per  consecrare  ampie  virtudi 

Che  conferirò  de'  gran  beni  al  mondo , 
Ma  più  per  condannar  robusti  vizj 

Che  strepito  facean  di  gloria  e  vanto. 
Ed  Omero  di  tutti  altri  poeti 
Per  merto  e  per  età  principe  e  padre 
Cantò  con  chiara  alta  sonora  tromba 
1  violati  ospizj  dal  Trojano, 
Quando  armar  d'ira  il  risentito  Achille; 
E  di  frodi  infiammar  le  faci  greche, 
Ond'in  cener  cadeo  Ilio  distrutto  i^ 
E  quanto  mai  senno  e  valor  fermaro 
Al  ben  accorto  e  tollerante  Ulisse 
Gli  error  del  mar  irato,  e  più  del  mare 
Le  Calipsi,  le  Circi  e  le  Sirene, 
Per  punire  in  un  d'i  ben  mille  offese 
Fatte  al  suo  onor  da'  dissoluti  Proci , 
Ghiotti',  infingardi,  giuocalori  e  vani 
AssediatOr  de  la  pudica  moglie. 
Però  le  caste  Dee,  pudiche  e  sanie, 


4l4  PARTE    III. 

Ravvolgendo  in  sozzure  i  puri  spirti , 
Indebolire  il  generoso  e  maschio 
Ingegno  che  sortir  dal  padre  Giove. 
E  con  mostrose  maschere  caprine 

Salir  su  i  plaustri  ^  e  quelle  che  mai  sempre 
Bevute  avean  le  sacre  linfe  e  pure, 
Quali  salian  dal  Hmpido  Ippocrene, 
Di  vin  bagnate  con  ride  voi  motti 
Notar  di  vizj  i  re,  gli  eroi,  gli  Dei. 
Indi  osan  comparire  in  su  le  scene, 
Ed  esporre  i  conviti  empj  e  nefandi, 
Di  fatti  in  brani  pargoletti  figli, 
Pòrti  in  vivande  agr infelici  padri; 
Talché,  per  non  veder  le  infami  mense, 
Ritorse  in  dietro  il  suo  canjmino  il  Sole, 
Da  tai  scelleratezze  atre  esecrande, 
Benché  per  detestarle  e  farne  orrore, 
A  le  vergini  Dive 
Fur  profanati  indi  i  pietosi  petti, 
Degenerare  al  fine  in  reo  costume; 
E  burle  atroci  a  la  virtude  ordendo, 
A.'  santissimi  Socrati  tramaro 
Le  sempre  piante  ed  onorate  morti. 
Cosi  quelle  che  prima 

Per  felice  natura  eran  portate 
Cantar  sole  virtù  divine  e  grandi, 
*  Col  volger  tempo  e  col  cangiar  costume 

Furo  per  legge  teatral  costrette 
Sotto  finte  persone 
E  con  civili  motti  ed  innocenti 
De  la  vita  insegnar  privati  ufizj. 
E  quella  lira  alfine, 

Ond'Apollo  tessè  inni  agli  Dei , 
Che  recatasi  in  seno  il  forte  Achille 
Cantava  i  fatti  di  più  grandi  eroi, 
Si  diede  a  celebrare 
In  Istmo  ed  in  Elea 
Il  lottatore  vincitor  del  giuoco; 
O  con  l'ardenti  rote 
Chi  del  volante  occhio 
Schivò  la  meta,  e  non  v'infranse  l'asse, 
E  tali  innalzò  al  ciel  entro  gli  Dei.     • 
Ciò  sol  tanto  restava  (e  pur  avvenne) 
'  Che  le  caste  donzelle, 


POESIE  ^l5 

Fatte  d'Amor  ancelle, 
Tributasser  cantando 
A  bellezza  mortale  onor  divini  ;  ' 
E  loro  rassembrasse  a'  Numi  eguale 
Chi  di  Lesbia  contempli  il  divin  volto; 
Che  d'ogni  qualità  mortai  disciolto, 
Per  lui  n'abbia  anco  a  vii  scettro  regale, 
Le  loro  alte,  immortaU  opre  d'ingegno: 
Ne  in  Pindo  né  in  Parnaso 
Ebber  piìi  templi  e  regni  e  proprie  terre; 
Ma  profane  e  private 
Andaro  da  per  tutto  egre  e  raminghe 
L'alte  figlie  di  Giove: 
E  ne  le  regie  corti , 
A' caldi  prieghi  di  ben  vista  pace, 
Util  vie  più  di  gloriosa  guerra. 
Radi  e  brievi  ricovri  elle  trovaro  : 
Jl  perchè  ne  saran  chiari  mai  sempre 
E  gli  Augusti  e  gli  Alfonsi  ed  i  Leoni; 
E  i  prenci  ne  vivran  tutte  l'etadi, 
E  Roveri  ed  Estensi  e  Medicei. 
Or  se  le  somme  laudi,  onde  si  ornaro 
A'  prischi  tempi  giusti  i  sommi  Numi, 
Le  magnanime  donne  e  i  forti  eroi, 
Or  son  maniere  di  laudar  volgari, 
Quai  maschere  talor  senza  subbietto 
Di  Diane,  di  Veneri  e  di  Alcidi; 
Che  pur  di  voi  mi  resta  dir,  gran  Donna, 
Torre  d'alta  onestà,  d'alto  savere; 
Cui  modestia  cortese  orna  i  costumi; 
Cui  gravità  gentil  gli  atti  compone; 
Cui  dottrina  e  pietà  veste  i  pensieri, 
E  forma  il  favellar  leggiadro  e  saggio; 
Che  'n  questa  età  di  raffinati  gusti , 
O  gran  Marina,  voi  ne  rassembrale 
Sabina  donna  in  attiche  maniere? 
Queste  son  vostre  laudi  e  proprie  e  vere. 


4l6  PARTE    HI. 

In  lode  deirEminentissimo  cardinale  Bernardo  Conti, 
fratello  del  sommo  pontefice  Innocenzo  XIII. 

(«723) 

SONETTO 

Quell'immoto,  divin  consiglio  eterno 
Che  le  cagioni  o  manifeste  e  ascose 
Stringe  in  catena,  e  le  create  cose 
Fa  tutte  ancelle  al  suo  oidin  superno  ^ 

Del  gran  ceppo  vetusto,  onde  al  governo 
.  j  De  la  nave  di  Pier  tanti  propose, 

De'quai  l'alte  memorie  e  gloriose 
Di  lor  età  non  mai  vedranno  il  verno; 

Due  gran  Germani  con  tal  studio  ed  arte 
Ne  diede,  ornati  ambi  di  sacro  ingegno, 
Che  da  tutt' altri  li  divide  e  parte: 

Perchè  Pun,  che  governa  il  Sacro  Regno, 
L'altro  a  venir  de  le  sue  cure  in  parte. 
Non  pur  facesse,  il  ritrovasse  degno. 

Nelle  Nozze  di  Massimiliano  duca  di  Baviera 
con  Teresa  Reale  di  Polonia. 

-  CANZONE   (0 

Se  mai  lieto  seguendo  il  bel  desio, 

Ch'a  farvi  onor  per  lunga  via  mi  mena, 

Ebbi  cura  di  voi,  Muse  immortali; 

Poiché  di  grido  in  grido  alma  e  serena 

Fama  dal  Reno  a  rallegrare  uscio 

Tutte  l'eterne  cose  e  le  mortali; 

Narrando  di  due  chiare  Alme  Reali 

Gli  alti  Imenei,  donde  ben  ha  che  attenda 

11  mondo  a'  danni  suoi  certo  ristoro; 

Spirate  al  mio  lavoro,- 

Con  destarmi  virtù  la  qual  mi  accenda 

Sì,  ch'adombrando  irì  carte  il  ^vajx  concetto, 

Che  move  dal  Real  Nodo  gentile, 

Possa  de  l'opra  mia  tornarvi  onore. 

E  voi  ch'a'  vivi  rai  del  primo  Amore 

Vi  riscaldate,  o  Sposi  Augusti,  il  petto j 

(f)  Ne  fu  fatta  dall'Autore  in  una  bella  eduionc  10-4  nel  i7»3^ 


POESIE  A  in 

Se  r  inchinarvi  a  picciol  dono  umile 
Vostra  maggior  grandezza  egli  è  pur  mai, 
Questo  più  da  vicin  mirate  omai 
Serto  di  fior  ch'ora  vi  tesse  in  voto 
Per  mano  de  le  Muse  il  cor  devoto. 
Che  già  dal  fragii  suo  caduco  velo 
Peregrinando  più  la  mente  mia, 
Cose  vede  oltre  ogn'uso  altere  e  belle: 
Vede  dappresso  omai  là,  dove  pria 
11  primo  foco  ne  fé'  adorno  il  cielo, 
Tornarsi  '1  Sol,  la  Luna  e  l'altre  stelle. 
E  già  le  sembra  che  si  rinno velie  > 

La  gran  serie  lunghissima  de'  tempi, 
E  ne  rimeni  l'innocente  etade. 
O  grazie  al  mondo  rade! 
Scorge  ritratta  da'  più  vivi  esempi, 
Che  prendon  più  de  la  divina  luce, 
Mandarsi  a  noi  dal  ciel  novella  prole 
Che  colmerà  d'opre  leggiadre  il  mondo. 
E  già  sembra  veder  che  '1  grave  pondo 
Del  ferro,  dentro  a  cui  fero  riluce 
Il  secolo,  qual  serpe  incontra '1  Sole, 
Si  scuota,  e  di  nuov'ór  tutto  s'adorni^ 
E  a  ritrovar  la  Vergine  sen  torni 
L'orme  sue  spente  già  del  cieco  inganno, 
E  dar  nuovo  principio  al  maggior  anno. 
E  per  aprir  l'alto  consiglio  eterno 
A  lai  fati  e  cotanti  ormai  la  strada, 
Da  cui  per  sì  lung'uso  il  mondo  è  vólto, 
A  te,  Real  Signor,  che  de  la  spada 
A  ciascun  duce  omai  prisco  e  moderno, 
E  per  senno  e  per  cor,  la  gloria  hai  tolto, 
Già  commise  la  cura,  ond'ei  rivolto 
Per  te,  con  oprar  forza  a  la  sua  forza, 
Si  ravviasse  a  la  virtude  antica. 
E  'n  vero  ogni  nemica 
Oste  le  cieche  avare  voglie  ammorza 
Ratta  così ,  che  voi ,  alme  leggiadre , 
Che  rischiarate  ardenti  e  luminose 
Quella  parte  del  ciel  ov'è  più  vivo. 
Quando  tra  noi  qua  giù  lieto  e  giulivo 
Verrete  a  far  di  voi  l'Augusto  Padre , 
Ritroverete  ne  l'umane  cose 
Lievi  e  brev'orme  sol  di  reo  costume: 

Vico,   Opuscoli.  37 


4l8  PARTE    III. 

E  di  virtute  il  già  sepolto  lume 
Fia  che  incominci  allor  chiare  e  tranquille 
A  farne  riveder  le  sue  faville. 
Quindi,  Real  Donzella  al  mondo  sola, 

Perchè  del  mondo  il  vostro  impero  degno 

Sol  fora  di  quel  tuo  merto  sovrano, 

Che  su  qualunque  cima  alta  d'ingegno 

Lieve  cotanto  ed  ispedito  vola, 

Che  aggiungerlo  non  può  pensier  umano, 

A  SI  egregio  Signor  la  santa  mano 

Non  senza  un  alto  Nume  or  porgi  in  fede 

D'aver  con  lui  la  saggia  mente  unita: 

Che  tal  cura  gradita 

Da  mille  etadi  innanzi  immobil  siede 

Altamente  riposta  in  petto  al  Fato; 

Che  il  mondo  a  far  d'imroortal  prole  adorno 

Scelse  te,  che  immortai  tutta  somigli. 

Or  quando  i  cari  teneretti  figli 

(Dolci  premj  d'Amor)  t'avrai  mirato 

Pargoleggiar  vezzosamente  intorno, 

Dando  or  a  questi  abbracci,  or  a  quei  baci, 

Sarà  quel  dì  de'  piti  bassi  e  fallaci 

^  Desiri  sgombro,  e  sol  vedremo  e  'n  parte 

Per  vaghezza  di  fama  usarsi  Marte. 
Ma  da  poi  che  i  Reali  almi  Garzoni 
Saran  si  ne  le  forze  iti  avanzando, 
Che  possa  il  ferro  oprar  la  man  guerriera, 
Quanto  l'esempio  lor,  l'armi  adoprando 
Per  la  sola  virtù,  fia  che  ne  sproni 
Alzar  le  voglie  a  la  suprema  spera! 
O  di  gi^and'alme  gloriosa  schiera, 
Or  qui  si  che  abbandono  il  valor  vostro  j 
Né  immaginar  il  so,  quanto  dovrei. 
Ma  pur  a'  detti  miei 

Apri  attento  or  il  petto,  o  Secol  nostro: 
Tutt' altro  allor  vedrai  lieto  e  felice, 
Che  l'alta  legge  scritta  in  sen  di  Giove 
Chiara  si  specchierà  ne' nostri  petti*, 
E  tempreranne  sì  gli  umani  affetti 
Soavemente,  che  sol  ciò  che  lice 
Fia  che  ne  piaccia,  e  ciò  che  piace,  giove; 
E  un  nome  avranno  e  l'utile  e  l'onesto. 
Ah  che  però  m'è  l'aspettar  molesto, 
Pensando,  o  bella  Etate,  a'  tempi  tuoi, 
i  Con  gli  uomini  veder  misti  gli  eroi. 


POESIE  /,Q 

Or  intendo  che  '1  Ciel  voleasi  dire 
Allor  che  incontra  la  sua  Fé  diletta 
Sostenne  armarsi  l'Asia  in  mille  schiere  : 
Ond'ella  tutta  nel  timor  ristretta 
Steasi  aspettando  già  furori  ed  ire 
Da  tante  mani  ostil'  crudeli  e  kvc: 
E  poi,  Sposa  Real,  le  destre  altere 
Del  tuo  gran  Padre  e  non  minor  tuo  Sposo 
Insiem  congiunse  a  far  la  pia  difesa. 
Né  doppia  fiamma  accesa 
Così,  spirando  spesso,  Austro  cruccioso 
Strugge  biade,  arde  selve,  incende  armenti, 
E  quanto  pasce  più,  vie  più  divora. 
Fin  ch'ogni  cosa  avrà  spenta  e  distrutta j 
Come  a  danni  del  fior  de  l'Asia  tutta 
Di  celeste  pietà  co'  petti  ardenti 
I  sovrani  Guerrier  mostrarsi  allora; 
Tanto  opraro  col  senno  e  col  coraggio  I 
All'ora  il  Ciel  volle  mostrarne  un  raggio 
De  la  virtù  del  di  lor  germe  espresso , 
Che  fia  liberator  del  mondo  oppresso. 
Quanta  e  qual  dunque  nova,  altera  mostra 
Farà  Germania  allor,  di  glorie  eterne 
Atti  usando  sì  degni  e  sì  pregiati? 
Se  'n  destinar  le  lor  grazie  superne 
Ristasser  mai  le  stelle,  e  a  voglia  nostra 
Ne  concedesse  il  Ciel  comporre  i  fati, 
Fra  me  volgendo  onor  tanto  laudati, 
Non  so  se  voi,  del  regno  abitatori 
Popoli  fortunati,  unqua  potreste 
Voi  medesmi  di  queste 
Fabbricarvi  qua  giù  glorie  maggiori; 
Ch'i  Greci  pongon  pur  ogni  pensiero  ' 

In  gir  al  ciel  con  la  terrena  soma, 
E  la  terra  adornar  d'alte  dottrine; 
Sia  cura  de  le  chiare  abne  Latine 
Oltre  le  vie  del  Sol  stender  l'impero; 
E  la  rocca  del  mondo  essersi  Roma; 
Altri  studj  sien  d'altri  aln)i  e  sovrani^ 
Che  vostre  arti  saranno,  o  gran  Germani, 
A  lo  Scita,  a  l'Etiope,  a  l'Indo,  al  Mauro 
Riportar  le  virtù  d«l  secol  d'auro. 
Però  vittime,  incensi  e  fiori  offrite 
Devoli  a  lui,  ch'ai  vostro  onor  fatale 


420  PARTE    III. 

Or  con  gli  onesti  e  santi  amori  attende: 

Ond'egli  incontro  a  te,  Sposa  Reale, 

L'ali  battendo  de  le  voglie  ardite. 

Come  fenice  al  Sol,  tutto  s'accende: 

Ed  entro  il  tuo  splendor  lieto  s'incende 

Di  fiamme  ond'arde  in  ciel  la  terza  idea^ 

Se  'n  mirar  gli  atti,  il  portamento  e  '1  viso, 

Quai  tutti  t'han  diviso 

Da  l'altre  donne,  e  ti  somiglian  Dea, 

Scorge  bellezze  in  te,  che  quai  per  sorte 

Vorrebberle  i  desir,  tai  sembran  esse^ 

Ne  inganno  a  bei  pensier  fanno  i  desiri: 

Onde  versa  per  te  caldi  sospiri 

Quel  valoroso  pien  di  senno  e  forte 

Core,  quel  cor  che  spesse  volte  e  spesse 

Fa  temer  l'Asia  piìl  che  cerva  o  damma: 

E  quel  cor  mentre  nel  suo  amor  s'infiamma, 

Perchè  a  vincer  formoUo  uso  e  natura, 

Vincer  te  ancora  in  ben  amar  procura. 

Deh  non  soffrir  che  cosi  bella  gloria, 
Che  a  la  tua  gentilezza  Amor  destina. 
Or,  Donzella  Real,  tolta  ti  vegna: 
Anzi  a  prova  d'amar  si  pellegrina 
Riporta  pur  leggiadra,  alma  vittoria 
Di  cui,  de'  vincitor  riporta  insegna: 
E  come  Amor,  eh' è  vero  Amor,  t'insegna, 
Ama  lui  sol  per  lui,  ed  in  te  stessa 
Sol  ama  il  tuo  piacer,  perch'a  lui  piace. 

V     Vien'  dunque  or  con  la  face 

De  la  fiamma  ch'a  Dio  vie  più  s'appressa, 
Vieni,  dolce  Imeneo,  e  i  Regj  Sposi 
Colma  di  gioje  in  se  tanto  ripiene, 
Che  da'  più  bei  desir  non  mai  sien  vinte  5 

;     Che  già  '1  caduto  Sol  ha  in  ciel  distinte 
'    Co'  chiari  raggi  al  veder  nostro  ascosi 
Le  stelle  più  seconde  e  più  serene. 
De  le  sinistre  e  rie  nulla  accendendo: 
Onde  se  'n  gi'o  la  terra  ricovrendo 
Di  notte  a  noi  tanto  aspettata  e  cara, 
Che  fìa  de'  giorni  d'or  madre  ben  chiara.  — 
Canzon  ,  se  mai  là  su  temprossi  giusta 
Del  viver  mio  la  legge,  e  se  consente 
Che  questo  incarco  lo  mio  spirto  regga 
Fin  che  le  sole  prime  gesta  io  vegga. 


POESIE  ^21 

E  le  minor  de  la  gran  Prole  Augusta 
(  Qualor  in  cima  a  la  divina  Mente 
Pien  di  vera  umiltade  onoro  e  inchino), 
Spero  tanto  sul  Greco  e  sul  Latino, 
Che  '1  Tosco  suon  di  loro  alto  rimbombe, 
Che  torrà  '1  pregio  ad  amendue  le  trombe. 


Per  le  Nozze  di  D.  Andrea  Coppola,  duca  di  Ganzano, 
e  D.  Laura  Caracciolo  de"*  marchesi  delP  Amoroso. 

SONETTO  (I) 

Real  Donzella ,  che  '1  bel  nome  prende 

Da  l'arbor  ch'ora  in  guise  istranie  e  nove 
Per  lei  più  strigne  Apollo  e  inchina  Giove, 
E  più  chiaro  il  suo  serto  incHto  rende  j 

Or  ch'Imeneo  dal  terzo  ciel  discende. 
Il  Ciel,  che  gioja  e  pace  in  terra  piove, 
E  per  far  di  sua  face  altre  gran  prove, 
Per  un  pari  Garzon  l'alma  l'accende: 

L'altra  Donna  che  feo  Sorga  immortale, 
E  fiorendo  fiorì  nel  mondo  onore, 
Grazia  e  bellezza  e  la  virtù  sublime^ 

Ella  sembra  la  stessa,  o  pur  l'eguale: 
E  '1  Coro,  che  di  questa  orna  il  valore. 
Sembra  il  vate  che  quella  eternò  in  rime. 


(i)  Questo  Sonetto  ed  il  seguente  furono  scritti  dal  Vico  per  la  Raccolta 
fatta  per  tali  Nozze  nelPanno  1726  con  la  data  di  Firenze.  Nella  medesima  Rac- 
colta si  legge  il  Sonetto  di  Agnello  Spagnuolo  diretto  al  Vico  |  e  la  risposta 
del  medesimo  alle  pag.  422  e  seg. 


(|22  PARTE     III. 

Per  ristessa  occasione. 
SONETTO 

Risponde  ad  un  Sonetto  di  un  anonimo  di  Firenze ,  che  avea  lodato  il  Vico 
per  le  di  lui  scoperte  intorno  le  origini  degli  antichi  Matrimoni. 

:      A'  miei  sudori  il  Ciel  non  temprò  ingiuste 
Le  leggi,  se  tal  laude  or  ce  ne  rendi, 
Spirto  gentil  che  '1  mio  nome  raccendi 
Tra  le  deus' ombre  de  l'età  vetuste: 

Tu  e' hai  d'uom  vero  ambe  le  parti  onuste, 
Poich'i  desiri  al  Primo  Bene  accendi; 
E  i  pensier  dal  Disegno  Eterno  prendi, 
Che  rado  scende  in  nostre  menti  anguste*, 

E  tien'  del  cuor  di  Febo  ambe  le  chiavi  ; 
De'  chiari  Sposi  su  i  gran  nomi  in  carte 
Tutto  ben  puoi  versare  il  sacro  fiume: 

Lascia  pur  me  da  meste  cure  e  gravi 
Ristretto  in  me  medesmo  ire  in  disparte 
Con  fievol  canto  e  con  dimesse  piume. 

Per  V  istessa  occasione. 
SONETTO 

Di  Agnello  Spagnuulo. 

F'ico  famoso ,  il  cui  sovrano  ingegno 
Di  ricca  luce  ha  pìen  V  antico  vero  , 
Sicché  tuo  nome  ascolta  agni  emisfero^ 
E  chi  più  sa^  d'onor  tienti  pili  degno  ^ 

Tu  con  r  inclito  stil  fregio  condegno  y 
Che  del  Veglio  trionfi  alato  e  fero  ^ 
Tessi  a^  due  Sposi  il  cui  sommo  ed  intero 
Valore  illustra  il  secol  nostro  indegno: 

La  gran   Donzella^)  e  i  don  celesti  e  rari 
Canta  y  e  V  ampio  di  lei  senno  perfetto  ^ 
Che  gioir  fanne  in  sì  tranquillo  stato  ^ 

E  ^l  biondo  Eroe  eh' a  più  vetusti  e  chiari 
Già  toglie  il  grido  :  il  più  che  uman  subbietto 
A  poeta  immortai  commise  il  Fato. 


POESIK 

Bisposta    (li    Vico. 
SONETTO 


423 


Spagnuol  pregiato,  il  nostro  afflitto  ingegno 
Ch'a  spiare  si  die  l'antico  vero 
Nel  dritto  d'ogni  età,  d'ogni  emisfero, 
Che  mi  feo  di  tua  laude  ed  onor  degno* 

Già  riportato  ha  'l  bel  premio  condegno 
Contro  d'invidia  il  nero  dente  e  fero^ 
E  fatto  ha  del  lavoro  il  pregio  intero, 
Incontro  a  cui  e  l'oro  e  l'ostro  è  indegno. 

Ma  tu  co'  bei  pensier  sublimi  e  rari , 
Che  formi  su  disegno  in  ciel  perfetto, 
U' vita  meni  in  un  divino  stato, 

In  tue  rime  ben  colte  adorna  i  chiari 

Sposi,  e'I  gran  Padre;  che'.'  regal  subbietto 
Niegò  a  la  nostra  inferma  Musa  il  Fato. 

Per  le  Nozze  di  D.  Giacomo  Francesco  Milano  Franco  d^ Aragona, 
principe  di  Ardore,  e  D.  Arrighetta  Caracciolo  da'*  principi  di 
Santobuono. 

SONETTO    0) 

In  istranio  trofeo  Marte  ed  Amore 
Vezzose  faci  ergerò  ed  armi  fere. 
Lire  soavi  e  'nsiem  trombe  guerrere , 
Che  a  le  pie  madri  fan  tema  ed  orrore: 

Giace  su  queste  sparso  il  rio  furore 

Di  guerra*  e'I  vasto  di  lui  tergo  altere 
Premon  le  Grazie  amiche  e  lusingherei 
Scherzi  su'  scherzi ,  il  riso  e  '1  dolce  onore. 

In  cima  Imene  in  gravi  atti  fastosi, 
Come  trionfator  di  genti  prese, 
Va,  qual  in  Campidoglio,  a  sciorre  i  voli. 

Perchè  col  santo  amor  de'  chiari  Sposi 
Le  famose  degli  Avi  inclite  imprese 
Marte  conservi,  e  aggiunga  a' gran  Nipoti. 


(1)  Si  leggp  neilu  Hacrolu  pubblicata  iiell^aano  1795  ia  occaiione  di  tal 
trìmoiiio. 


m 


PARTE    li] 


In  lode  del  P.  Domenico  Terragni  de'  PJP.  Predicatori  per  Io  qua- 
resimale dal  medesimo  fatto  nella  chiesa  di  S.  Domenico  Mag- 
giore di  Napoli  Panno  1725. 

SONETTO  (0 

Non  udì  Atene  mai,  non  uc3i  Roma 
D'alta  eloquenza  o  fulmine  o  torrente 
Atterrare  o  innondar  Punita  gente, 
E  trarla,  u' volle,  dietro  e  vinta  e  doma: 

Come,  sacro  Orator,  la  nostra  soma 
De' rei  vizj  al  tuo  dir  cade  repente^ 
La  Fraude,  il  Lusso,  il  Fasto  e  l'Ira  ardente 
Ne  van  sommersi  infin  sopra  la  chioma. 

Tu  ministri  le  voglie,  e  co'  tuoi  pesi 
Libri  le  menti,  e  al  ciel  lor  porgi  l'ale, 
Che  trionfa  di  noi  coi  nostri  affetti. 

Si  resleran  ne'  ben  purgati  petti 

Com'in  lor  Campidoglio  almo,  immortale, 
I  tuoi  delti  in  trofei  fìssi  e  sospesi. 

Per  la  conferma  del  viceré  di  Napoli  cardinale  Michele 
Federico  d'Althann,  vescovo  di  Vaccia. 

SONETTO  (2) 

Giove  de' regni  e  Regi  almo  datore, 

I  suoi  sposa  a  i  lor  scettri  alteri  auspici, 
Che  di  Natura  ancor  l'opre  felici 
Vadan  loro  a  fruttar  gloria  ed  onore. 

Cerere  già  la  falce  all' acces' ore 
Appresta  per  li  suoi  fervidi  uffici 
Sopra  le  messi,  copiose  altrici 
Del  gran  popol  divoto  al  suo  Signore. 

Pomona,  che  qui  gode  autunno  eterno. 
Pur  ricco  spiega  il  sen  d'ampj  tesori, 
Ne  Bacco  minor  premj  a  noi  destina  : 

Tanti  che '1  Ciel  su  noi  versa  favori, 

Mentre  Augusto  ti  ferma  il  suo  governo, 
Non  è  pur  lode  tua  somma  e  divina  ? 

(1)  In  lode  del  P.  Terragni  de' Predicatori  in  Napoli  nel  1723  furono  uniti 
molti  componimenti  poetici ,  fra'  quali  leggesi  questo  Sonetto. 

(a)  Stampato  nella  Raccolta  di  Poesie  fatta  in  tale  occasione  in  Napoli  nel- 
l'anno 17*5,  fol. 


POESIE  4^^ 

Per  r  acclamazione  in  Arcadia  di  Michele  Federico  d''Àllhann  ve- 
scovo di  Vaccia,  cardinale  di  S.  Chiesa,  viceré  di  Napoli,  ec, 
col  nome  di  Teodalco  Magniario. 

SONETTO  (i) 

«  La  Fama,  che  in  tu'onor  l'ali  ora  spande 
Per  campi  e  selve  e  piani  e  valli  e  monti, 
Alto  Pastor,  da  eroi  per  fama  conti 
Disceso,  e  ricco  d'opre  alte  ammirande; 

Per  cui  la  nostra  all'altre  età  tramande 
Ampj  «udor  a  mille  dotte  fronti 
L  Versati  in  adornar  tuoi  saggi  e  pronti  i 

Consigli  e  fatti,  ond'ella  è  chiara  e  grande; 

Questa  di  Pindo  in  rima  or  corta  fronde 
Dall' arbor  che  onoraro  Apollo  e  Giove, 
Con  gioja  e  casta  man  t'offre  sincera; 

E  quella  che 'l  tuo  crine  orni  e  circonde, 
Tesse  con  altre  scelte  a  mille  prove 

«  Fregio  a  spiegar  di  virtù  salda  e  vera. 

Per  le  Nozze  di  D.  Gaetano  Buoncompagno  Ludovisi  duca  d'Arce, 
e  D.  Laura  Chigi  de'  principi  di  Famose. 

SONETTO  (2) 

Del  tronco  antico,  onde  uscì'l  buon  Pastore, 

Da  cui  felice  fu  guardato  e  retto 

Per  liete  alme  campagne  il  gregge  eletto, 

Che  sempre  udranne  un  gran  dolce  remore  J 
Ora  un  Germe  novel  caldo  d'amore 

Altra  più  uobil  Laura  al  saggio  petto 

In  santo  nodo  maritale  ha  stretto; 

E  Pane  cen  promette  il  certo  onore: 
Perch'a  due  madri  lattano  gli  agnelli 

Le  poppe  stese  del  gravante  latte, 

Quai  partorir  testé  tutte  gemelli; 
E  dansi  in  precipizio  da'  dirupi , 

Cacciati  da'  covili  e  da  le  fratte 

Le  razze  ingorde  de'  digiuni  lupi. 


(i)  Dato  alle  sUmpe  il  i^aS  nella  Raccolta  falla  ia  delta  octasioiie. 
(2)  Dato  alle  stampe  nella  Raccolta  fatta  in  N»poli  od  1726,  iii-8. 


426 


PARTE    Ul. 


In  morie  di  Angela  Ciraini  marchesana  della  Petrella  (t). 


'ape  ingegnosa, 
Dal  dì  che  nasce, 
Solo  si  pasce 
Del  timo  o  mirto, 
Ligustro  o  rosa, 
O  d'altro  fiore 
Che  sia  l'onore 
De'  verdi  prati  : 
E  a'  di  assetati 
Di  secca  estade. 
L'ali  s'indora 
De  le  rugiade 
Di  fresca  aurora. 
Fabbra  divina 
Ne  l'officina 
De  le  sincere 
Sue  bionde  cere, 
Che  poi  piti  intatte 
Del  puro  latte 
Ardono  in  lumi 
A'  sommi  Numi. 
Dentro  la  stretta 
Aurea  celletta 
Fa  il  bel  lavoro 
Del  mei  pur  d'oro. 
Ma  poi  si  scuopre 
Tutta  feroce 
Contro  chi  nuoce 
Le  sue  dolci  opre. 
O  man  profana, 
Stanne  lontana :j 
Che  s'ella  il  senta. 
Suo  ago  avventa 5 


E  non  si  cura, 
Per  viver  pura, 
Su  la  ferita 
Lasciar  la  vita. 
Donna  immortale, 
Ape  tu  sei 
Cara  agli  Dei*, 
Ma  con  altr'ale 
Ch'ergon  dal  suolo 
A  chiaro  volo 
Tuo  raro  ingegno 
Di  lauro  degno* 
E  vai  volando, 
Vai  spaziando 
Per  altri  prati, 
Sol  passeggieri 
Da  l'alme  Dive, 
Lungo  le  rive 
Mai  sempre  amene 
De  l'Ippocrene. 
Quivi  pascendo 
Gli  alti  pensieri 
De'  bei  fior  veri , 
Che  mai,  perdendo, 
Non  son  corrotti 
Da  arsure  o  notti, 
Formi  i  bei  favi 
Dolci  e  soavi, 
Onde  alimenti 
Le  pure  mentì. 
Arme  pur  hai. 
Non  per  ferire, 
Ma  riverire; 


(l)  Fu  il  Vico  molto  amico  della  marchesa  delia  Petrella  D.  Angela  Cimini, 
che  eoa  altri  letterati  visitava  frequentemente.  Accaduta  la  morte  della  mede- 
sima, compose  1' Orazion  funebre,  che  leggesi  in  questo  volume  a  pag.  278, 
che  impresse  insieme  con  la  presente  Canzone  ed  il  seguente  Sonetto  nel- 
l'elegantissima Raccolta  data  alle  stampe  in  Napoli  nel  1727,  in-4.  Il  Vico 
ebbe  cura  delP edizione ,  e  dell'invenzione  delle  vignette  e  lettere  iniziali  tutte 
adattate  al  tristo  suggetto.  Per  quei  tempi  la  stampa  di  detta  Raccolta  non  po- 
teva esser  più  nitida  ed  elegante. 


POEsit:  4^7 

Che  insegnar  sai  A  voi  nemica 

Col  dolce  austero,  Crudel  formica 

Grato  severo  La  morte  fera, 

De  le  modeste  Qual  picciol  angue 

Tue  grazie  oneste;  Atro,  letale, 

Che  austero  e  dolce  Di  sotto  l'ale 

E  pugne  e  molce.  Del  delicato 

O  in  mortai  velo  Tuo  gentil  lato, 

Ape  del  cielo!  Ti  succiò '1  sangue 

Ma  come,  o  Diol  De  la  fiorita 

Ahi  caso  rio!  Tua  verde  vita? 

Sì  di  repente  O  me  ingannato! 

Ne  la  fiorente  Tu ,  qui  lasciato 

Tua  primavera,  11  sottil  velo. 

Cangiala  in  nera  Volasti  in  cielo. 

Per  r  istessa  occasione. 
SONETTO 

Al  P.  Luigi  Roberto  Sostegni  de''  Canonici  Lateranesi. 

Tornò  al  ciel  la  gran  Donna  e  saggia  e  forte, 
Che  sol  volle  mostrarla  al  cieco  mondo, 
Mentre  dal  proprio  abisso  atro  profondo 
Crolla  tra  scosse  di  capriccio  e  sorte. 

Poiché  ha  le  somme  laudi  or  tutte  assorte 
De  l'adulare  altrui  vii  vezzo  immondo, 
Quai  via  gittate  senza  scelta  e  pondo, 
Son  di  virlute  atro  veneno  e  morte. 

Questa  di  lei  dirò  picciola  parte: 

L'aura  mancò,  che  m'innalzava  al  cielo, 
Sostegni  mio,  per  farmi  a  lei  dappresso.  ,  ? 

Giaccion  l'opre  a' ingegno  a  terra  sparte; 
D'atra  nebbia  mi  preme  il  terren  veloj 
Fatto,  non  che  ad  altr'uom,  grave  a  me  stesso. 


438 


PARTE    III. 

Risposta  di  Sostegni. 
SONETTO 

Ben  mostrassi  a  ragione  ardita  e  forte 
Costei y  quando  partì  dal  basso  mondo  y 
E  dritto  è  ben  che  al  nostro  duol  profondo 
Rìda  e  gioisca  di  sua  lieta  sorte: 

Che  non  andran  sue  magne  laudi  assorte 
Ne^  gorghi  mai  del  negro  Lete  immondo  ^ 
Come  il  leggiadro  suo  terrestre  pondo 
Andò  tra  V  unghie  de  V  avara  Morte. 

Anzi  come  la  sua  pili  nobil  parte 
Laudan  cantando  nel  superno  cielo 
Le  pure  menti  al  Somrno  Ben  dappresso^ 

Sì  fien  per  te  sue  degne  glorie  sparte 
Nel  basso  suolo,  ov'è'l  terren  suo  velo, 
O  chiaro  Vico ,  o  sol  pari  a  te  stesso: 

Per  la  stessa  occasione. 
Al  nobilissituo  giovanetto  GiovanDÌ  Locatelli. 

Jure  o  quam  merito  meo  dolori 
Luges,  ter  mihi  care  Lucatelli! 
Luges  nam  merito  omnium  dolori, 
Quorum  cor  sapit  elegans  honestura. 
Sat  dirum  facinus  dedere  Parcae^ 
Heu  Parcae  nimium  invìdae  malaeque! 
Parcae,  quae  male  lilium  Minervae 
Carpserunt  niveura  tenellulumque  ; 
Et  mei,  Phoebe,  avidae  tuum  vorarunt: 
Ciminam  egregiam  extulere  Parcae. 
Foecundo  male  corpore  aegra  nupta, 
Quam  mente  haec  fuit  at  ferax  virago! 
Hetruscae  decus  haec  erat  Poesis; 
Et  graecae  decus  haec  erat  Sophiae. 
Praestans  Faemina,  cui  piacere  avebant 
Suadae  qui  celebres  viri  meduUae! 
Diae  corcula  qui  viri  Sophiae! 
Dein,  te  sine,  cui  piacere  avebunt? 
Afflictae  Charites  jacent  sepulcro; 
Atque  inler  Charites  jacens  Minerva 


POESIE  429 

lufandum  lacrymat  ferumque  funus: 
Moestus  quisque  suae  faci  dolensque 
Exstiiictae  incubat  en  Cupido^  Apollo. 
Insuave,  illepidum  nirais  niraisque, 
Quin  factum  miserimi  satis  superque 
Musis  et  Sophiae  dedere  Parcae! 


Distico  posto  sotto  il  ritratto  di  Lucantonio  Porzio  nelP  Opera  che 
ha  per  titolo  De  Militis  in  castris  sanitate  tuenda.  Neapoli,  ex 
Typographia  Felicis  Mosca,   1728. 

Haec  tibl  ni  prodant  hominem  mortalia  memora  : 
Quis  scribat  diibites,  Portius,  an  Nomius? 


Per  le  Nozze  delle  Altezze  Serenissime  di  Antonio  Farnese, 
duca  di  Parma  e  Piacenza ,  ed  Enrichetta  d"*  Este. 

SONETTO  I.   (I) 

Di  Grecia  il  Magno  per  valor  guerriero, 
Quand'Asia  il  seppe  da  lui  vinta  e  doma, 
Senza  premj  d'Amor  posto  la  soma, 
Disperse  i  novi  acquisti  e  '1  grande  Impero. 
t^'Alessandro  Latin,  che  per  Plbero 
Su  la  Mosa  e  la  Senna  ornò  la  chioma 
D'allór  cui  par  non  vide  o  Sparta  o  Roma, 
i  Corona  ancor  l'augusto  ceppo  intero: 

I  E  svelto  or  un  da  l'altro  ìnclito  ramo 

-  Italia  attende  un  tanto  onore,  eterno 

Da  propagarsi  in  regj  fasti  al  mondo. 
Santo  Imeneo,  te  dunque  invoco  e  chiamo: 
Scendi  a  noi  pieno  d'ogni  ben  superno. 
Suo  grande  innesto  a  far  lieto  e  fecondo. 


(i)  Questi  Cumponimenti  furono  inseriti  nella  voluminosa  Raccolta  fatta  in 
Parma  nel  I7'<i8,  in-4^  per  le  Nozze  delle  Altezze  Serenissime  Antonio  Farneae, 
duca  di  Parma,  ed  Enriihetla  d'Este,  nella  quale  vi  sono  molle  belle  poesie 
italiane  e  latine  de' più  dotti  letterati  napoletani  di  quelPelà. 


43o  PARTE    III. 

iPer  Pistessa  occasione. 
SONETTO   II. 

De'  vostri  almi  laureti  i  sacri  orrori 

Spiate,  Muse,  e  tu  gran  Dio  del  canto; 
E  in  vecchi  tronchi  rileggete  quanto 
Gli  Estensi  Eroi  vi  fér  d' incisi  onori. 

Or,  discesa  da  tanti  e  tai  Maggiori 

L'inclita  Enrica,  in  nodo  onesto  e  santo 
S'unisce  al  gran  Farnese,  e  d'ogni  canto 
Imeneo  le  due  reggie  orna  di  fiori. 

Ecco  il  degno  subbietto,  ov' impieghiate 
Vostri  divini  ingegni,  e  s'oda  il  suono 
Di  non  comuni  pregi  e  laudi  vere. 

E  sembra  a  noi  tornar  la  prisca  etate, 
Che  non  ad  altri  le  vostr'opre  altere 
Ch'  al  gran  Giove  e  Giunon  sacraste  in  dono. 


Per  ristessa  occasione. 

S'alzi  Italia  in  alta  spene; 

Due  gran  cor,  che  inchine  e  lodo, 

Il  Farnese  in  santo  nodo 

A.  l'Estense  or  lega  Imene.  ^ 

E  di  voglie  alme  leggiadre,  d 

Che  son  fiamme  in  cielo  accese,  a 

Con  la  face  qui  discese. 

Stretto  a  man  con  la  sua  Madre. 
Tra  le  dotte  altre  sorelle 

Quella  è  dessa  Urania  amica; 

Ed  osserva  in  fi-onte  a  Enrica 

In  un  terzo  ciel  le  stelle. 
Anzi  un  Sol  le  osserva  in  fi'onte, 

Che  consola  le  vicine 

Vaste  fiamme,  alte  rovine 

Che  vi  fece  un  dì  Fetonte. 
Sol  che  '1  corso  unqua  non  erra 

Di  virtù  fra  mete  eterne; 

E  d'onor  fiamme  superne 

Leva  il  ciel  quinci  da  terra. 


i 


POESIE  43 1 

E  sta  in  forse  al  paragone: 

Vener  sembra  a  la  beltade; 

Ma  in  mirar  la  maestade, 

Simigliar  parie  Giunone. 
Con  lei  giunto  in  guise  nove 

Al  supremo  Antonio  in  volto 

Sfolgorar  vede  raccolto 

Altro  più  benigno  Giove. 
Sì  vedendo  in  uman  velo 

De' Celesti  i  due  gran  Numi, 

Non  distingue  il  Re  de'  fiumi 

Questo  in  terra  e  quel  del  cielo.       ^ 
Di  Ciprigna  il  sacro  cinto, 

Ove  in  bei  color  vivaci 

Risi,  scherzi,  amplessi  e  baci 

Ha  col  dardo  Amor  dipinto, 
Gli  attraversa  in  atto  fero  '  ^ 

L'omer  destro  e '1  lato  manco; 

E  di  ferro  armando  il  fianco, 

Gli  accompagna  Amor  guerriero. 
Questo  ferro  armò  la  mano 

Ne  le  Fiandre  al  gran  Farnese, 

Ch'è  gridato  per  l'imprese 

L'Alessandro  ItalYano. 
Questo  è  pur  quello  che  Ubaldo 

Ben  accorto  e  saggio  veglio 

Rugginito  entro  lo  speglio 

Fé'  vedere  al  gran  Rinaldo  : 
E  destandogli  faville 

D'altro  amor  di  lui  più  degno. 

Gli  raccese  il  vago  ingegno 

Per  la  fé  d'esser  l'Achille. 
Con  tal  ferro  in  Azzon  vide 

De' tiranni  l'uccisore, 

E  de'  mostri  estirpatore 

Contra  Italia  anco  il  suo  Alcide. 
Mille  e  più  virtù  reali 

Fanno  lor  pomposa  corte. 

Cui  nel  mezzo  regia  sorte 

Versa  doni  ampj,  immortali. 
Già  s'appressa  l'alta  Coppia 

Tutta  lieta  al  sacro  letto. 

Vero  campo  di  diletto 

A  que'  cor  che  Imene  accoppia. 


432  PARTE    III. 

Qui  '1  piacer  spiega  tesami 

D'oro,  gemme,  bisso  ed  ostro, 
E  'J  più  ricco  al  secol  nostro 
S'orna  qui  di  verdi  lauri: 

Lauri,  onor  d' imperadori , 
Lauri,  onor  di  dotti  vati: 
Son  da  Febo  consacrati 
Pur  di  Dafne  i  divi  amori. 

Già  Imeneo  la  face  scote, 
E  già  scocca  Amor  saette, 
Le  più  fine,  le  più  elette 
Che  temprar  l'eterne  rote. 

Da  la  sponda  un  Genio  augusto 
Sparge  il  letto  d'amaranti: 
Quanti  fior,  di  frutti  tanti 
Ne  promette  farlo  onusto. 

Quindi  Italia  ornai  confidi, 
In  nov' ordine  di  fati 
Ritornar  que'  Mecenati 
Alessandri,  Achilli,  Alcidi. 

Rìsudar  allor  vedrassj 

Strada  in  lingua  eterna  istorie^ 
E  'n  Po  metter  nove  glorie 
Coi  poemi  Ariosti  e  Tassi. 

Regj  Sposi,  or  fate  intanto 
Guerre  in  mezzo  a  fide  paci, 
Che  stordisce  il  suon  de' baci 
De  le  Muse  il  chiaro  canto. 


POESIE 


433 


In  morte  dì  D.  Giuseppe  Alliala  Parata  Colonna, 
principe  di  Villafranca,  ec. 

SONETTO  (0 

Morte,  o  d'invidia  vii  ministra  e  fera, 
Per  cui  fai  degli  eroi  cruda  vendetta, 
E  a'  nomi  lor  ogni  memoria  eretta 
T' adopri  pur  che  si  disperda  e  pera  : 

Ma  sono  corpi  in  cui  di  rabbia  nera 
Tu  spargi,  o  rea,  la  tua  falce  o  saetta; 
Ve'  s'unquemai  la  lorda  man  tu  metta 
Sovra  senno,  valor  e  virtù  vera? 

Tai  rari  pregi  in  mezzo  al  petto  nostro 
Al  gran  Giuseppe  in  sacro  tempio  alzaro, 
Donde  tu  star  ben  dei  lunge  e  profana. 

Qui  ritratto  in  idea  somma  e  sovrana 
Egli  vivranne  immortalmente  chiaro, 
Maggior  d'ogui  più  grande  opra  d'inchiostro. 

In  lode  del  P.  Michelangelo  da  Reggio,  cappuccino, 
sacro  oratore. 

SONETTO  L    (2) 

Alma  mia,  che  perdesti  il  bel  candore, 
Sol  intenta  del  corpo  a  i  sensi  frali, 
Deh  ti  raccogli ,  e  vedi  i  veri  mali , 
De  i  qual  ti  ha  colmo  il  tuo  fallace  errore. 

Ma  di  mirar  te  stessa  hai  sempre  orrore, 
E  de'  vani  desir  fuggi  su  l' ali  : 
Deh  t'ergi  con  le  pure  aure  immortali, 
Che  al  ciel  t'ispira  il  gran  sacr' Oratore. 

Vedi  che  immota  nel  vii  fango  giaci, 
Perchè  i  caduchi  beni  agogni  e  brami: 
Ma  ecco  chi  col  vigor  si  spinge  al  volo. 

Scuoti  quei  lacci  tristi  e  sì  tenaci, 
E  l'indurito  cor  fa  che  sol  ami 
Quel  vero  ben  ch'ei  mostra  unico  e  solo. 

(1)  Stampato  nel   1739  in  una  Raccolta  fatta  in  della  occasione. 

(2)  11  P.  Michelangelo  da  Reggio  cappuccino  venne  a  predicare  nel  Duomo 
di  Napoli  nelPanno  »7ag,  e  fu  gcneralmonle  applaudito.  Strinse  aniiti«i!«  «:»l 
Vico,  il  (juale  chlic  cura  di  racconliiTC  molli  componimenti  in  lodfl  di  tal  sa- 
cro Oratore ,  e  che  egli  dedicò  allo  stesso. 

Vico.  Opuscoli.  a8 


m 


PARTE    111. 


SONETTO  IL 


Angel  di  Dio,  che  fai  le  vaneggianti 
Già  poetiche  fole,  istorie  vere  : 
Giove  tonante  ch'empie  forze  aUere 
Atterri  in  fulminar  d'alme  giganti: 

Deucalion  divino,  oh  quali,  oh  quanti, 
E  Orfeo  disceso  a  noi  da  l'alte  spere, 
E  duri  sassi  e  stolte  immani  fere 
In  uomini  trasformi  onesti  e  santi! 

Tu  co'  tuoi  pesi  libri  il  nostro  cuore , 
E  quali  tu  ne  dai,  sentiam  gli  affetti 
Pel  vero  Ben  cui  sordo  è  '1  nostro  frale. 

Dando  allo  spirito  etereo  senso,  i  petti 
Ne  infiammi  di  celeste  e  divo  amore. 
Ov'eloquenzia  mai  tant' alto  sale! 


SONETTO  III. 

Ammirare  già  un  tempo  Atene  e  Roma 
Chiari  Orator  che  negli  umani  petti 
Macchine  opraro  di  turbati  affetti, 
Per  trionfar  dell'altrui  voglia  doma. 

Tu,  o  voli  al  ciel  con  la  terrena  soma, 
O  tra  noi  sceso  un  degli  spirti  eletti, 
Angel  di  Dio,  fai  co'  celesti  detti 
Che  la  mente  d'alloro  orni  la  chioma: 

Ed  ella  sopra  un  Campidoglio  eterno 
Si  meni  dietro  debellati  e  presi 
Ciechi  odj ,  rei  timor ,  vani  desiri  5 

Onde  i  cuor  tersi  al  puro  Amor  superno 
D'immensa  vera  immortai  gloria  accesi 
Varchin  dell'  etra  i  spaziosi  giri. 


'■h 


POESIE 


Nella  promozione  della  Santità  di  Clemente  XII 
al  sommo  ponteficato. 


435 


CANZONE  (0 

Che  insolito  in  me  sento,  e  raro  e  novo, 
;  Onde  in  quest'egro  afflitto, 

Ch'ai  fondo  mi  premea,  mortale  iucarco, 

Più  che  spedita  mai  volar  si  vide 

Aquila  altera,  o  scitica  saetta, 

Fendo  le  nubi,  e  m'ergo 

Su  le  superbe,  stolide,  feroci, 

Empie  cime  di  Pelio,  Ossa  ed  Olimpo? 

Ecco  di  sfera  in  sfera, 

Di  pianeta  in  pianeta  e  d'astro  in  astro, 

Il  piti  puro  del  ciel  squarcio  e  sorvolo. 

Deh  come  già  l'Argivo  legno  occhiuto, 
/  Perseo,  le  spoglie  del  famoso  Alcide, 

,  E  ogni  altro  che  fissò  la  greca  gloria 

A  l'etra  de' suoi  eroi,  chiaro  trofeo, 

Mi  fugge  sotto  e  cade. 

S'impicciolisce,  si  dilegua  e  sgombra! 

0  quanto  costo,  o  quanto 

Col  suo  lungo  aguzzar  l'occhio  ne' vetri, 

E  quel  che  ne  le  stelle  Urania  osserva! 

Perchè  quanto  le  fredde 

Sono  minor  de  la  gran  fascia  ardente. 

Tanto  maggior  de  la  gran  fascia  ardente 

Sparsa  vegg'io  d'inaccessibil  luce 

Zona  che  cinge  e  tiene  avvolto  il  mondo  : 

Ov'a  note  di  ben  saldo  diamante 

Alto  vi  legge  sculti  i  grand' Imperi: 

1  quai  ben  da  una  parte 
Tutti  insieme  ottenuti 

Latini  e  Greci  e  Assiri  e  Medi  e  Persi, 
Con  magnanimo  sforzo 
^  Ciascun  tenta  e  s'adopra  a  sé  di  trarre 

(1)  Per  lit  promozione  al  sommo  ponleficalo  di  Clcmuntc  XII  Corsioi ,  col 
quale  avea  tenuto  commercio  epistolare  mentre  era  cardinale,  avendogli  anche 
dedicalo  T  Opera  della  Scienza  Nuova  del  1  725 ,  compose  il  Vico  la  presento 
Cantone,   che  impresse  in  Napoli    con    mitgniflca  ediiione.    Avendo  poi  ristam- 

fiata  ed  ampliata  l'Opera  della  Sdenta  Nuova  rtcl   l'J^o  y    la  dedicò  anche  al- 
'  istesso  Sommo  Ponlefiro. 


436  PARTE    III. 

Tutto  V  orbe  de'  popoli  e  de'  regni  ^ 
Ma  da  la  parte  opposta 
Tutti  col  suo  forte  soave  cenno 
Pe' vasti  campi  de  l'immenso  abivsso 
Gli  si  strascina  dietro  il  sommo  Giove. 
Del  divin  cenno  e  nume 
A  condur  la  grand' opra 
Sono  menti  e  virtù  ministre  elette, 
A  le  quali  fremendo 
Dura  necessità  presta  ubbidisce^ 
E  con  necessitade 

Ben  cento  e  mille  Enceladi  e  Tifei 
Di  vizj  vinti,  debellati  e  domi, 
Con  cervici  di  bronzo  e  ferrei  petti, 
Con  braccia  e  piante  di  ben  duro  acciajo, 
Tra  lo  strido  e  '1  fragor  d' aspre  catene 
Gemono  in  eseguire  il  gran  comando. 
Oh  mio  pur  troppo  infermo  occhio  mortale! 
Che  là  nel  basso  mondo, 
Per  ravvisare  il  vero 
Che  nascondono  in  se  le  cose  umane. 
Tutte  scevere  e  sole 
Tu  le  scorgevi*  e  sì  scevere  e  sole 
L'umane  cose  nascondeanti  il  vero 5 
E  ti  dolca  con  grave 
Sdegno  gentil  de  la  Ragion  delusa 
Veder  misero  il  giusto,  e '1  reo  felice. 
Vedi  ora,  vedi,  come 
Quelli  che  ti  pareano  e  laidi  e  brutti, 
O  dal  Fato  scoppiati, 
Ovver  dal  caso  usciti  orrendi  mostri, 
Rapportati  tra  loro  e  ben  intesi, 
Quai  ti  presentan  ora 

'  Di  bellissimi  obbietti  eterne  forme? 

Su  la  grand'Asia  il  capo 
La  superba  Babelle  alza  e  torreggia, 
Perchè  dipoi  per  Alessandro  il  Magno 
A  la  greca  sapienza  in  Dario  inchini. 
La  perfida,  feroce,  alta  Cartago, 
Ch'ambiziosa  affetta 

Su  l'impero  del  mar  quello  del  mondo. 
Dal  fui  min  de  la  guerra  inchto  Scipio 
Veduta  appena  e  tocca, 
Consegrata  cadeo 


POESIE  ^3»^ 

A  la  virili  romana  arsa  e  distrutta. 
Di  sua  felicitade  ebbra  ed  insana, 
Donna  de  le  provincie, 
Infuria  ne'  capricci  e  ne'  piaceri 
Sfacciatamente  dissoluta  Roma^ 
Che  per  ornar  di  marmi  e  bronzi  e  d^oro, 
Parve  insultare  a  la  Natura  il  Fasto: 
Com'a  meraviglioso 
Splendid' ampio  covile 
Di  tante  crude,  immani,  orrende  fiere, 
Da  l'Aquilon  gelato 

Scendon  barbare  genti  a  darle  il  foco: 
Perchè,  quando  a  si  rei  fini  infelici 
Pur  condussero  il  mondo 
E  la  sapienza  e  la  potenza  umana, 
Contro  a  le  quai  niraiche  il  vero  Iddio 
Sostenne  la  celeste 
Con  prove  di  miracoli  e  martirj  j 
Quìtì  fermasse  il  regno 
Sua  veritade  eterna, 

La  qual  a  un  Bene  immenso  ed  immortale 
Gli  oracoli  dettasse  ai  Vercredenti. 
Questa  somma  e  sovrana 
Gloriaci  Roma,  ond'è  Italia  in  pregio, 
Che  di  questa,  di  cui  oggi  nel  mondo 
Ne' mestieri  di  Marte  e  di  Minerva 
Non  vede  il  Sol  più  valorosa  parte, 

I  primi  Regi  col  possente  Augusto 
V'adorano  divoti  il  gran  Triregno^ 
Da  minaccevol  turbo 

Di  fiera  guerra  in  punto  eh' a  lei  manca. 
Del  cattolico  gregge  il  gran  Pastore, 
Posto  in  foj'se  di  se  forte  paventa. 
Quivi  al  grand' uopo  e  al  paragon  di  tutti 
Gli  altri  almi,  incliti  Padri,  ognun  de' quali 
Fora  degno  Pastor  di  tanto  gregge, 

II  gran  Clemente  s'alza  al  sagro  soglio. 
Tanto  grand' uopo  e  paragon  fat<  prova, 
Quanta  viriti  innalzovvi  il  gran  Clemente, 


438 


PARTE    II 


In  lode  del  P.  Tolotti  de""  Chierici  Regolari,  sacr' oratore. 
SONETTO  (1) 

Lieve  Grecia  credeo  per  lungo  errore 
Che  di  Giapeto  in  prima  il  figlio  audace 
Volò  nel  cielo,  e  accese  al  Sol  la  face, 
Onde  formò  dell'  uman  loto  il  core  : 

E  ch'indi  Desir  vano  e  van  Timore 

E  l'Invidia  che  adugia,  e  Amor  che  sface, 
E  'nsieme  pazza  Gioja  e  Cura  edace 
Il  mondo  empier  di  lutto  e  di  dolore. 

Ma  tu,  chiaro  Tolotti,  al  vero  Sole 
Ergesti  dritto  il  cor,  pura  la  mente;; 
Onde  tua  lingua  è  una  celeste  fiamma 

Che  nel  suo  fango  la  sepolta  gente 
Con  sublimi,  infocate,  alme  parole 
A  divine  virtù  desta  ed  infiamma. 

In  morte  di  Anna  Maria  Caterina  Doria  moglie  di  Nicolò  Salerno. 
SONETTO  (2) 

Mio  dolente  Salerni,  hai  tu  ben  onde 
Bagni  di  largo  pianto  il  viso  e  '1  petto, 
Se  quella  a  cui  con  santo  nodo  stretto 
Lieto  vivevi,  or  freddo  marmo  asconde: 

Che  fea  ridenti  a  questo  lido  l'onde. 
Spirava  a  questi  colli  almo  diletto 
Col  parlar  saggio  e  col  leggiadro  aspetto  , 
E  'ngemmava  al  Sebeto  ambo  le  sponde. 

Poiché  tanta  tua  gioja  è  giunta  a  riva, 

Dritt'è  ch'or  tessi  a  Lei  tra  doglia  e  pianto 
Di  mirti  in  Pindo  còlti  eterno  serto. 

Che  se  l' immago  si  serbasse  viva, 
Ognun  direbbe,  il  tuo  sublime  canto 
Risonar  di  gran  lungi  infra  il  suo  merlo. 


(i)  Il  priacipe  di  Colombrano,  molto  amico  «lei  P.  ToIolU  che  predirò  ron 
gran  plauso  nell'anno  1731  nella  chiesa  di  S.  Paolo  Hi  Napoli,  richiese  coti  sua 
lettera  qualche  componimento  al  Vico,  ed  ottenutolo  lo  impresse  nella  Rac- 
colta fatta  in  lode  del  Tolotti  con  la  data  di  Firenze    i73i  ,  in-8. 

(a)  Fu  pubblicato  con  le  Rime  di  Nicolò  Salerni  ,  per  la  motte  di  sua  mo- 
glie. Napoli,   «73aj  in-8. 


POESIE  ^3g 

Endecasillabi  fra""  Componimenti  pel  cardinal  Giambattista  Salerni. 

Almae  quid  facerent,  rogo,  Sorores 
Dispersae  undique  solitariaeque, 
Artes  quae  fugitant  negociosas, 
Artes  quae  fugitant  severiores^ 
Ni  Capassius,  ipse  deque  Husis, 
Et  multum  merita  e  domo  Salernùin, 
Ostro  quod  merito  caput  decoret, 
Vestris  det  modo  versibus  canendum? 
Laetandum  est  igilur  cuique,  Amici, 
Pindi  qui  eolitis  sacrala  montis, 
Quod  vatis  stadio  excitae  Salerno 
Sebethi  celebrent  chorum  prope  undas 
Almae,  quae  facerent  nihil,  Sorores 
Dispersae  undique  solitariaeque. 

Egloga  impressa  nella  Raccolta  di  Componimenti  fatta  nelP apertura 
della  Colonia  Sebezia  per  V  arrivo  del  viceré  di  Napoli  0.  Giu- 
lio Visconti  Panno  1733. 

Meliboeus  et  Damoeta. 

Mei.  Quae  mira,  o  Damoeta?  ut  candet  lumine  coelum! 
Ut  liquidae  rident  Tyrrheni  litoris  undael 
astate  ac  media,  qua  arescunt  gramina  campis, 
Hosce  novos  flores  ut  gemmat  roscida  ripa 
Sebethi,  et  coUes  hic  vernans  ambit  amictus! 
Sponte  cavo  fusa  exundant  de  robore  mella! 
Ubera  lacte  fluunt  graviter  distenta  capellisl 

Z?^/72.  Desine  mirari,  Meliboee:  ut  nuper  in  urbem 
Caedendos  agnos  egi,  per  compita  vidi 
Laetitià  ofPusam  :  tum  caussam  sciscitor:  ajunt, 
Ipsius  ad  regimen  modo  pervenisse  beatae 
Insignem  virtute  virum,  comemque  gravemque,        i 
De  caelo  semen  qui  Divùn*  ducit  ab  alto* 
Heroum  in  raorem  divina  insignia  gestans, 
Serpens  qui  puerum  vorat.  Atqu'?  ibi  forte  sacerdos, 
Ultima  cui  aetatum  perdocte  est  nota  vetustas, 
Stemmatis  has  iufit  pietas  exponere  voces  (i). 

(1)  Per  gli  princi,>j  della  Mitologia  isterica  ritrovali  con  la  Scienza  Niiovd 
d'intorno  alla  Natura  comune  delle  Nazioni  si  dimostra,  questa  esser  uiP  isto- 
ria delle  anticliissime  genti  eroiche;  poiché  tutte  le  storie  luofane  ,  come  chiun* 
que  vi  rifletta,  facilmente  può  ravvisarlo,  hanno  favolosi  i  prìncipi  :  e  da'"  Gre- 
ci,  i  quali  per  le  cagioni  che  si  meditano  in  quelP  Opera ,  coMservarono  lo  favole 
più  di  tutte  l'altre  nazioni  del  mondo  antico,  tal  st^rpoutt!,  che  si  divorava  ^li 
uomÌQÌ,  fu  detto  Pitone,  e  ne  fu  appellale  l'ilio  Apcilo,  1!  «]uale  T  Hrrì»c  ,  ed 
era  creduto  Dio  della  ^oLiIlk. 


44o  PARTE    111. 

Tempore  quo  primo  viguerunt  aurea  saecla, 
Quum  terrae  viderunt  una  hominesque  Deosque 
Versari,  atque  vicissim  audire  et  reddere  voces^ 
Graecia  (proli  infanduml)  tetro  infestata  Bracone: 
Python  dictus  erat  late  exitiabile  monstrum. 
Ex  se  quod  natos  foede  truciterque  voraret^ 
Auxilio  sancta  imploravit  numinà  Phoebi: 
Adfuit  et  miserae  praesenti  numine  Phoebusj 
Monstrumque  afflixit  saeva  celerique  sagitta: 
Pythius  bine  Grais  et  dictus  Victor  Apollo, 
Stemmate  et  herois  prodit  caelestis  origo. 

Mel.ìd  nempe  ostendunt  oris  miracula  nostris, 

'  Quod  nostri  Bector  veniat  de  sanguine  Divùm? 

Jdcirco  alma  Ceres  tam  laetas  reddere  messes 
Dignata?  et  Pomona  refert  tot  numera  ramis? 
Et  Bacchus  viles  onerat  praedulcibus  uvis? 

Dam.Qyiìd  dubitas,  redeant  nobis  Saturnia  Begna, 
Justitia  atque  Pudor,  sanctae  Pietasque  Fidesque, 
Nos  ubi  vir  talis  laetos  tantusque  gubernet, 
Cui  divos  atavos  Saturnia  protulit  Mtas? 

Mei.  Quin  spero;  idque  jubent  et  nomina  et  omina  tanta. 

Dam.  Cras  igitur  prima  quum  Phoebus  lampade  terras 
Lustrabit,  croceum  madidumque  cubile  relinquens, 
Casti  adeamus  summi  Panis  tempia  biformis: 
lllius  ac  festa  fronde  exornabimus  aras* 
Illius  ante  aras  teneros  mactabimus  agnos. 

In  lode  di  Carlo  Borbone  Re  delle  Due  Sicilie. 

(1734) 

SONETTO  I. 

Di  sommi  Imperadori  e  Begi  augusti, 
Onde  d'incliti  fatti  e  gloriosi 
La  Senna,  il  Tago,  il  Po  corron  famosi 
Da'  più  lontani  scegli  vetusti, 

Da'  freddi  Sciti  a  i  Mauritani  adusti 

Per  chiari  pregi ,  che  non  mai  fien  rosi 

Del  Tempo  rio  da'  neri  denti  annosi 

Che  fanno  in  brani  archi,  colonne  e  busti, 

Generoso  Bampollo ,  in  sì  ridente 
De'  tuoi  verdi  anni  e  tenera  stagione 
Guidi  e  comandi  memorande  imprese. 

Che  fia  in  robusta  età,  poiché  tua  mente 
Bami  onusti  di  palme  e  di  corone 
Dal  tuo  gran  core  al  ciel  larghi  distese? 


POESIE  ^/!^  I 

SONETTO   IL   (0 

<i  Oh  qiial  te  vide  vincilor  guerriero 
Il  Sebeto,  gran  re  di  lauri  cinto! 
Vide  altr'ordin  di  Fati  in  ciel  distinto, 
Ond' ergerà  su  i  fiumi  il  capo  altero. 

Vide  in  te  da  la  Senna  e  da  l'Ibero 
Ritornar  altri  Carli  e  Magno  e  Quinto, 
Dal  Po  Alessandro,  da  cui  'n  gloria  vinto 
Fia  quel  che  sottomise  il  Perso  Impero. 

Vide  tornar  da  l'Arno  il  Tosco  Augusto, 
Il  gran  Lorenzo,  il  padre  de  le  Muse, 
Che  saliranno  liete  al  prisco  onore. 

Vide  tanto  splendor  nuovo  e  vetusto, 
Ch'alto  italico  sangue  in  te  confuse, 
«  La  patria  mia  che  ti  adorò  col  core. 

SONETTO  III. 

u  La  patria  mia,  che  t'adorò  col  core 

Al  primo  suon  del  tuo  gran  nome  augusto,  , 
Lieta  ella  disse:  Ecco  il  possente  e  giusto. 
Da  me  già  sospirato,  almo  Signore. 

Vieni  a'  trionfi  omai  germe  ed  onore 
D'eroi,  e  di  quel  tronco  alto  e  vetusto; 
Ricco  di  palme  in  ogni  tempo  e  onusto. 
Spegni  degli  empj  mostri  '1  rio  furore. 

Ed  or  che  del  sovrano  antico  pregio , 
Dopo  SI  lunga  età,  si  vede  adorna 
Tua  pietà,  sua  ventura  è  sol  tuo  merto: 

Cresci,  dice,  alle  glorie,  e  fregio  a  fregio 
Addoppi  'l  Ciel,  se  '1  Ciel  ch'ognor  più  t'orna, 

t(  Cinse  su  '1  capo  tuo  il  Real  serto. 


(i)  Stampato  nella  Raccolta  de' Componimenti  de^  Paitori  Arcadi  della  Colo- 
nia Sekeaia,  che  allora  univaii  in  Napoli,  ovo  Vico  era  nominato  Lauiìlo  Terio. 


442 


PARTE    III. 


Per  le  Nozze  di  D.Raimondo  de  Sangro,  principe  di  Sansevero , 
e  D.  Carlotta  Gactani  delPAquila  d'Aragona  de'  duchi  di  Laurenzana. 

SONETTO  (0 

Alla  Big.  D.  Guglielmina  Merocli  madre  della  Sposa. 

Alta  stirpe  d'Eroi,  onde  famoso 

Il  Baiavo  Lion  siede  sul  mare, 

Che  con  nuove  virtù  sublimi  e  rare 

Accresci  pregi  al  regal  ceppo  annoso: 
Da  tuoi  cari  complessi  a  r^gio  Sposo 

Del  sangue  che  d'Italia  illustri  e  chiare 

Ha  fatto  l'armi,  or  vedi  lungi  andare  , 

Il  tuo  vago  gentil  pegno  amoroso: 
Soffri  con  alto  cor  la  sua  partita^ 

Che  '1  Ciel  sempre  benigno ,  ora  più  lieto 

Dispensi  giuste  tai  voci  leggiadre. 
O  Giustizia  che  sei  sempre  gradita! 

Tu  togliesti  al  Sebeto  il  chiaro  Padre, 

E  la  gran  Figlia  rendi  ora  al  Sebeto. 

Per  ristessa  occasione.  ^ 
SONETTO 

A]  sig.  D.  Gaetano  Braacone. 

Ne  corone,  ne  ostro,  o  gemme  ed  auro 

Giammai  mi  ponno,  o  mio  Brancon  gentile, 

B-imenare  il  mio  già  caduto  Aprile, 

Ne  qual  serpe  di  nuovo  al  Sol  m'inauro; 

Hammi  in  Pindo  aduggiato  il  verde  lauro 
Invida  nebbia,  a  rio  tosco  simile: 
Da  la  tremante  man  cade  lo  stile, 
E  de'  pensier  si  è  chiuso  il  mio  tesauro. 

Ove  manca  natura,,  inferma  è  l'arte^ 
Perchè  l'ingegno  è  il  gran  padre  felice 
Di  bell'opre  ammirande  eccelse  e  chiare. 

A  te,  cui  Febo  ispira  e  nuove  e  rare 
Forme  di  laudi,  d'allogar  ben  lice 
La  gran  Coppia  da  tutte  altre  in  disparte. 

(i)  Furono  stampati  questi  due  Sonetti  nella  Raccolta  fatta  per  tali  Nozze  in  Na- 
poli nel  i735,in-4'  D-  Gaetano  Brancone,  a  cui  il  Vico  indirizza  i)  secondo  Sonetto, 
fu  nella  sua  prima  età  applicato  alla  Giurisprudenza,  dotato  di  sommo  ingegno  e 
probità.  Scrivea  con  molta  eleganza  in  latino  ed  italiano,  così  in  prosa  come  in 
verso.  Fu  eletto  prima  segretario  del  Corpo  della  città  di  Napoli  ,  carica  che 
allora  occupavaii  da  uomini  l'orniti  di  talento  \  indi  fu  scelto  per  segretario  della 


POESIE  "  44^ 

In  loJe  del  Sig.  D.  Domenico  Barone  di  Liveri  ' 

per  una  commedia  fatta  dallo  stesso  intitolata  La  Contessa. 

SONETTO  (0 

Di  guardar  tu  ne  dai  l'util  piacere 

De  la  vita  privata  i  varj  eventi, 

Amor,  tema,  speranze,  ire  e  contenti, 

Finte  così ,  che  sembran  cose  vere  : 
Per  cui  van  si  le  greche  Muse  altere, 

Che  ne  sdegnan  del  Lazio  anco  i  cimenti; 

Il  difficil  lavoro  innalzar  tenti, 

Onde  il  bell'Arno  miglior  iato  spere.  '^- 

Quindi  drappello  di  gentili  Spirti 

Di  riva  in  riva  al  gran  fiume  sacralo, 

Che  versa  l'acque  del  divin  furore, 
Per  somma  laude  ed  immortale  onore 

Or  al  tuo  nome  d'alto  pregio  ornato 

Ghirlande  intesse  d'odorosi  mirti. 

R.  Camera  di  S.  Chiara,  ch'era  in  quei  tempi  il  primo  tribunal  d*l  Regno, 
e  finalmente  per  la  sua  somma  integrità  ed  espertezza  dal  re  Carlo  Borbone 
▼enne  promosso  all'onorifico  impiego  di  segretario  di  Stato  degli  Affari  Eccle- 
siastici, avendo  anche  dall' istesso  Sovrano  ottenuto  il  titolo  di  Marchese. 

(i)  D.  Domenico  Barone  di  Li  veri,  patrizio  della  città  di  Nola,  fu  un  cava- 
liere ornato  di  molta  letteratura,  ed  assai  proclive  a  compor  commedie,  che 
facea  recitare  privatamente  nella  sua  casa  in  Nola.  Portatosi  colà  il  re  Carlo 
Borbone,  ebbe  l'agio  di  sentire  ivi  una  commedia  di  tale  Autore,  che  incontra 
molto  il  genio  di  quel  magnanimo  Sovrano.  Da  tale  occasione  il  Baron  di  Li- 
veri  incoraggilo,  seguitò  a  scriver  commedie  che  facea  rappresentare  nella  sua 
casa  in  Napoli,  ove  si  condusse,  e  che  venivano  applaudite.  Avendo  cominciato 
a  darne  alcune  alle  stampe  ,  e  fra  questa  quella  intitolata  La  Contessa^  gli  Ac- 
cademici detti  Oziosi^  che  univansi  nella  casa  di  D.  Nicolò  Salerno,  scrissero 
molti  componimenti  in  sua  lode  (e  fra  questi  vi  si  legge  il  Sonetto  di^l  Vico) 
che  pubblicarono  con  le  stampe  nel  17.35,  iu-8.  Ebbe  l' incarico  il  Baron  di  Li- 
veri  (che  fu  dalla  munificenza  di  Carlo  Borbone  onorato  del  titolo  di  Marchese 
e  di  annua  pensione)  di  scrivere  ogni  anno  una  commedia  ,  per  rappresentarsi 
nella  gran  sala  del  R.  Palagio  in  presenza  del  Re  e  della  famiglia  Reale.  Il 
marchese  Liveri  formò  la  numerosa  compagnia  di  Comici  a  suo  piacere,  fra  i 
quali  vi  era  un  celebre  buffo  chiamato  Cristofaro  Russo  di  professione  pittore, 
i  quali  tutti  erano  stipendiali  ,  non  escluse  le  semplici  comparse.  Tutto  il  pre- 
gio di  dette  commedie  consisteva  nel  vedersi  in  esse  espressi  al  vivo  i  più  mi- 
nuti accidenti  ihe  giurnalmeuie  accadono  nel  minuto  popolo  di  Napoli  e  de' vi- 
cini paesi.  Per  ottener  ciò,  al  che  riuscì  mirabilmente,  il  marchese  Liveri  con- 
certava le  commedie,  prima  di  farle  rappresentare,  per  un  anno  intero  ogni  sera 
in  sua  casa,  non  contentandosi  che  le  azioni  fossero  eseguile  con  qualche  m«- 
diocrilà.  L'inviluppo  di  quasi  tutte  le  commedie  dui  Livori  ù  soverchio  intral- 
ciato,  e  tutte  peccano  di  lunghezza  e  di  una  affettata  locuzione  ;  cosicché  doveano 
tediar  l'udienza,  che  dovea  trar  diletto  dalla  sola  esaltezza  dell'aiioue.  Ecco 
l'elenco  di  tutte  lo  commedie  dui  marchese  Liveri.  La  Contessa^  pubblicata 
nel  1735,  per  Mosca,  in-8  —  Il  Pnrtenio  ^  ^1^7  j  I'*""  ^lu»*'"  ,  'i»-8  —  //  ('O' 
vernalore  —  L^ Errico^  per  Riccardo,  1742  —  //  Corxih ^  i74'^i  P*""  Vocola, 
in-8  —  //  Gianfe.condo  f  1745,  per  Vocola.  in-8  —  L'^^ébate^  i7^5,  seiua 
nome  d'impressore  —  //  Cavaliere  —  Gli  Stttficnti  ^  '7^4  >  1'^*"  Simone,  iu-8 
— //  S'olitar-io  — La  Claudia  ^  '7^^»  !'♦'*'  Simone,  in-8  —'La  Sirena  ^  com- 
media  mi. 


444  PARTE    III. 

In  lode  del  P.  Giacomo  Filippo  Gatti  Agostiniano,  professore  di 
Teologia  nella  Università  di  Napoli,  per  lo  quaresimale  fatto  dal 
medesimo  Tanno  1735  nella  chiesa  dello  Spirito  Santo  di  Napoli. 

SONETTO  (1) 

Per  la  famosa  predica  della  Grazia,  replicata  a  richiesta 
di  molli  Letterati, 

Nel  più  puro  sublime  empireo  chiostro 

Divampa  in  mezzo  de'  beati  Cori 

Eterno  fonte  d'immortali  ardori, 

Che  discolora  e  gemme  ed  oro  ed  ostro: 
Indi  chiaro  da  te  ci  vien  dimostro 

Che  tra  i  nostri  a  ben  far  egri  languori 

Scende  soave  forza  entro  de'  cori , 

Tal  che  '1  divin  voler  sia  voler  nostro. 
Quindi  noi  tutti  nova  voglia  assale 

Aperto  udir  da  te  l'arcan  superno, 

Che  l'umana  ragion  umile  inchina: 
Onde  tua  voce  è  'l  Campidoglio  eterno, 
k  Ove  spiega  sue  pompe  la  divina 

Grazia  vittoriosa  *e  trionfale. 

Per  le  nozze  di  D.  Antonio  Capece  Minatolo  de' principi  di  Canosa, 
e  D.  Teresa  Filangieri  de' princìpi  di  Arianello. 

SONETTO  (2) 

Di  due  semi  del  Ciel  gentile  innesto  _, 
Ti  spiri  sempre  fresca  aurea  feconda* 
Te  irrighi  alma  rugiada  o  limpid'onda. 
Né  torbid'Austro  mai  ti  sia  molesto  : 

Lungi  da  te  si  sciolga  il  gelo  infesto, 
E  '1  bel  Sebeto  da  la  verde  sponda 
Inclini  umil  la  tua  onorata  fronda, 
E  'n  tua  custodia  Pan  stia  sempre  desto. 

Quai  da  te  spunteran  soavi  fiori 
Ne' dolci  e  cari  pargoletti  figli, 
Che  lieti  e  gai  ti  scherzeranno  intorno^ 

Che  produrran  maturi  frutti  un  giorno, 
Che  dia  la  lor  virtù  eh' a  te  somigli, 
Minutol  indi  e  Filangieri  onori. 

(1)  Fu  questo  Sonetto  iaserito  nella  voluminosa  Raccolta  di  Poesie  fatta  in 
Napoli  nel  l'j'ÒS  in  lode  di  questo  sacro  Oratore,  Silverio  Giuseppe  Cestari  ebbe 
cura  di  una  tal  Raccolta ,  nella  quale  si  leggono  le  poesie  de^  più  dotti  di  quel 
tempo. 

(a)  Stampato  nella  Raccolta  fatta  in  nome  degli  Accademici  Oziosi  di  Na- 
poli nel  1737,  in-8. 


POESIE  445 

Per  ristessa  occasione. 
SONETTO  (0 

O  al  mondo  istrania,  nova,  altera  mostrai 
Le  vaghe  chiome  inanellate  e  bionde 
Venere  enlro  i'acciar  chiude  e  nasconde, 
Cui  '1  cimiero  di  rose  infiora  e  innostra  : 

Con  spada  al  fianco,  che  se  mai  gliel  mostra, 
Il  latte  ben  d'assai  vince  e  confonde, 
Splende  sul  pomo  la  sua  stella,  donde 
Piove  piacer  quaggiù  la  terza  chiostra. 

Ella  presiede  alla  fastosa  e  lieta 

Pompa,  con  cui  la  Filangiera  Diva 
A  Minutolo  Eroe  conduce  Imene. 

Con  dolci  canti  le  gentil  Sirene 
Fan  risonare  la  Sebezia  riva, 
Quai  l'onda  ascolta  mormorando  cheta. 

Loda  N.  Mocenigo  Nobile  Veneziano. 
SONETTO  (9) 

O  sovrano,  real  Lione  alato, 

Ch'un  pie  sull'Adria  hai  fermo  ed  altro  in  terra, 
E  '1  cui  gran  cuor  tanto  valor  disserra, 
Che  degl'Imperj  hai  vinto  il  comun  fato: 

11  tuo  di  tanti  Re  almo  Senato 

Che  ne' sacri  consigli  unqua  non  erra, 
E  tempra  cosi  saggio  e  pace  e  guerra, 
C'ha  in  Europa  l'Italia  inclito  Stato, 

De' Mocenighi  Eroi,  che  riportaro 
Dentro  l'amplissim' Ordine  regnante 
Mai  sempre  grandi  e  spesso  i  primi  onori, 

A  Giovan  colmo  d'alto  merto  e  raro, 
Il  qual  va  sempre  a  scelte  Iodi  innante, 
Ha  commesso  i  tuoi  divi,  ampi  tesori.  ^ 


(0  Stampato  fra  le  Rime  raccolte  per  tali  Nokc  con  magnifica  cdiiione  e 
nlrulli  rli-j-li  Sposi  in  Napoli,  1737,  in-4. 

(2)  In  ocrasion  dell'  ingresso  alla  carica  di  Procurator  di  S.  Marco  in  Vene- 
y.\.\  di  Luigi  Gii»,  IVTocriiif^o  fn  in  della  tiltìi  nel  1737,  iii-8 ,  impressa  una 
luitcolla  di  Poesie  ,  Ira  lo  (juali  li-gjjcsi  il  presente  Souatto. 


446  PARTE    III. 

In  lode  di  D.  Ferdinando  Sanfelice  Patrizio  Napoletano  per  la  Mac- 
china volgarmente  delia  Fiera,  da  lui  ideata  ed  eseguita  nel  largo 
del  Castello  di  Napoli,  in  occasion  delle  Nozze  di  Carlo  Borbone, 
re  delle  Due  Sicilie  con  Maria  Amalia  Walburga. 

SONETTO   (I) 

Con  sue  ampie  alte  moli  e  sterminate 
Di  palagi,  obelischi  e  torri  e  tempi, 
D'immense  regie  forze  ultimi  esempi 
Fece  Menfi  stupir  la  prisca  etate. 

Tu  con  lodi  d' ingegno  al  mondo  or  nate , 
Saggio  Fernando ,  in  breve  spazio  n'  empi 
La  vasta  maraviglia  ,  e  ì  nostri  tempi 
Orni  di  nuove  glorie  alme  e  pregiate. 

Che  a  un  tempo  ergesti  1' ammirabil  opra, 
Ove  al  bisogno  ed  al  piacere  umano 
Fan  di  se  copia  la  Natura  e  l'Arte. 

Sì  ben  ella  s' intende  in  ogni  parte , 
Che  della  rara  idea  P  onor  sovrano 
Non  fia  che  '1  tempo  un<^ua  d' oblio  ricopra. 

Per  le  medesime  Reali  Nozze.  < 

SONETTO  (2) 

«  Con  mano  al  Re  quelle  gran  vie  far  note 
Che  menano  del  mondo  oltre  le  mura, 
Ove  l'alto  confin  pose  Natura 
Tra  le  cose  mutabili  e  le  immote: 

Studia  eroica  virtù,  la  qual  è  cote 
Pur  a  se  stessa,  e  la  cui  luce  pura 
Ogni  cosa  mortai  adombra  e  oscura, 
Ove  col  suo  divin  raggio  percote. 

Che  ei  mentre  acquista  ampie  provincie  e  regni, 
Gh  siede  ella  in  trionfo  in  seno  ascosa, 
E  d'ogni  sua  grandezza  il  fa  maggiore. 

Quivi  trae  vinti  orgoglio,  ire  e  disdegni: 
Ella  vede  alta  pace  entro  il  gran  core 

«  Che  ne'  Fati  per  lui  unqua  non  posa. 


(l)Fu  dato  alle  stampe  nel  1738  insieme  con  altri  Componimenti  per  tal  occasione. 

(a)  Recitato  nell'Accademia  de"!'  InvesMganti ,  che  univasi  in  casa  del  si- 
gnor D.  Slefauo  de  Stefano.  —  Eserri(ii*an.si  gli  Accademici  in  csercizj  ietterarj 
che  avean  per  scopo  le  materie  filosofiche,  l'amena  letteratura  e  la  poesia.  Finì 
della  Accademia  con  la  morte  del  presidente  Di  Stefano. 


POESIE  44? 

Per  le  medesime  Reali  Nozze. 
SONETTO  (i) 

Stese  V  Italia  il  suo  famoso  impero 
Da  i  regni  de  l'Aurora  a  l'Occidente, 
E  vi  rinchiuse  anco  il  Numida  nero* 
Ma  arrestò  1'  armi  in  riva  a  l' Istro  algente. 

Ora  è  sorto  in  Italia  un  Rege  altero, 
Il  cui  gran  ceppo  su  la  Franca  gente 
Regna,  e  '1  gran  Padre  sopra  il  grave  Ibero, 
E  tien  tra  ceppi  l'Africano  ardente. 

E  diva  Sposa  dal  gelato  polo  \ 

Altri  ajuti  or  gli  porta  in  dolce  teda, 
Che  a  l'Asia  fia  l'altra  funesta  face. 

O  gran  germe  d'Enea,  gli  sgombra  il  duolo, 
E  con  navi  e  cavalli  al  fiero  Trace 
Cerca  ritrar  la  grande  ingiusta  preda. 

Per  le  medesime  Reali  Nozze. 
SONETTO  (2) 

Risposta  ad  un  altro  di  Gioachino  Poeta. 

Non  è  già  del  mio  ottuso  e  rozzo  stile , 
Di  mia  palustre  penna  e  oscuro  inchiostro 
Lodar  Quella  ch'onora  il  secol  nostro, 
Sopra  il  sesso  e  1'  età  saggia  e  virile  ^ 

E  con  un  sol  regale  atto  gentile 

Vince  di  pregio  e  gemme  ed  auro  ed  ostro: 
Ma  degn'  opra  egli  è  ben  del  valor  vostro. 
Onde  il  Fato  vi  die  nome  simile. 

Da  divino  furore  acceso  il  seno 

Cantate  ancor,  che  '1  Cielo  al  Re  Sovrano 
Serbò  il  suo  bel  diletto  onesto  e  santo: 

E  avvereransi  i  nostri  augurj  appieno; 
Ch'indi  avrà  prole  sì  felice  e  tanto. 
Ch'userà  mente  greca  e  cuor  romano. 


(i)  Tratto  dalla  Raccolta  de' Componimenti  dei  Fattori  Arcadi  della  Colonia 
iSiheiia,  allora  esistente  in  Napoli. 

{%)  Stampato  nella  Raccolta  dc^  Componimenti  fatti  da^  RR.  Profeisori  d«11a 
Univeiiitk  dfgli  Sludj  di  Napoli, 


44S  PARTE  ni. 

Per  le  Nozze  di  D.  Girolamo  Pignatelli,  principe  di  Marsiconuovo , 
e  D.  Francesca  Pignatelli  de*"  duchi  di  Monetelone. 

SONETTO    (I) 

Somma  Genio  sovran  d' Eroi  famosi , 
Il  casto  Ietto  da  le  ricche  sponde , 
Ove  accoglier  dovrai  gì'  incliti  Sposi , 
Spargi  di  trionfale  augusta  fronde. 

Tutti  indora  il  Sebelo  i  crini  algosi , 
Partenope  di  perle  ingemma  l'onde, 
Flora  e  Po  mona  il  piano  e  i  colli  ombrosi 
Par  che  de'  doni  suoi  ciascuno  inoude. 

Però  ministro  eletto  a  la  nuov'  opra 
Fingi  forme  gentili ,  oneste  e  belle , 
C  hanno  a  produr  la  generosa  prole  : 
-    Guarda  Venere  ,  Giove  e  l'  altre  stelle 

Che  versan  rade  grazie  e  al  mondo  sole, 
E  virtù  che  l'obblio  unqua  non  copra. 

Per  le  Nozze  del  principe  di  Fraucavìlla  Michele,  signore  della  Casa 
Imperiale,  marchese  d""  Uyra  e  principe  di  Montefia,  Grande  di 
Spagna,  con  la  signora  Eleonora  Borghese, 

SONETTO  (9) 

O  bel  trionfo,  a  cui  rado  favore 

Da'  benigni  astri  suoi  rovesci  il  Cielo , 
Che  due  Sposi  Real  con  l'  aureo  telo 
Mena  conquisi  nel  suo  regno  Amore! 

Siede  al  governo  bel  desio  d'  onore , 
Che  ha  sol  di  ben  oprar  fervente  zelo  ; 
Vestito  di  sottil  candido  velo, 
Tal  eh'  ogni  suo  pensier  traluca  fuore. 

Ovunque  passa  il  nobil  carro,  il  suolo 

S'ingemma  e  innostra,  il  Sol  più  chiaro  splende, 
E  riso  e  gioja  la  dolce  aura  spira. 

Quali  famosi  Eroi  l' Italia  attende 

Da  l'alta  Coppia,  che  lodando  ammira, 
Ch'  empian  di  fama  1'  uno  e  1'  altro  polo. 


(OLoggesi  nella  Raccolta  di  Componimenti  per  le  delie  Nozie.  Napoli,  1739, 
(2)  Lcggesi  nella  Raccolta  fatta  in  Napoli  nel  1740,  iu-8 ,  per  tali  Nozze. 


POESIE  44g 

In  morte  di  Orazio  Pacifico. 
SONETTO   (!) 

Febo  ha  smarrite  le  sue  chiome  bionde; 
Languiscon  de  le  selve  i  verdi  onori, 
Cadono  secchi  i  rigogliosi  fiori, 
E  inaridite  l'erbe  in  su  le  sponde: 

Vanno  giù  pe'  ruscei  torbide  P  onde  ; 
Ne  liete  muovon  l'aure  i  lor  favori: 
Dorinda,  Silvia,  Aglaura,  Egle  e  Licori 
Giacciono  meste  in  su  le  smorte  fronde, 

Ed  a'  cipressi  han  le  sampogne  appese; 
Né  per  l'Arcadia,  dove  l'occhio  giri, 
Immagin  s'offron,  che  di  mesto  duolo. 

In  questo  d'anìaranti  asperso  suolo, 
Che  dal  pian  rilevato  alquanto  miri , 
Il  buon  Criteo  la  mortai  spoglia  rese. 

In  morte  del  duca  di  S.  Filippo  D.  Giuseppe  Brunasso. 

SONETTO  (2) 

AI  duca  Lorenzo  Brunasso. 

A  le  Muse  ed  Astrea  diletto  e  caro, 

Gentil  Lorenzo,  omai  lenisci  il  duolo 

Del  tuo  buon  Genitor  e' ha  posto  al  suolo 

La  spoglia ,  dritto  fral  del  Tempo  avaro  : 
Perchè  lo  spirto  di- gran  merto  e  raro 

Per  pietà  de  la  patria  alzato  è  a  volo 

Lieve  e  spedito  a  lo  stellato  polo, 

Ov'  eterno  rifulge  inclito  e  chiaro. 
Questo  degno  di  te  saggio  pensiero 

Ti  volga  ad  onorar  la  sua  memoria ,  ' 

Più  tosto  che  desiderarlo  in  vano. 
E  questo  va  sovra  d'  ogni  altro  altero 

Pietoso  affetto  veramente  umano , 

Lieto  goder  de  la  paterna  gloria. 

(i)  Fu  questi  un  letterato  napoletano  che  menù  sempre  una  vita  privata  ed 
oscura,  senz^aver  mai  occupato  alcuna  carica.  Per  la  morte  di  lui  i  suoi  amici 
scrìssero  alcuni  componimenti  che  furono  pubblicali  nelPanno  l?^^. 

(2)  Per  la  morte  de!  duca  di  S.  Filippo  D.  Giuseppe  Brunasso  (che  godìi 
somma  riputaiione  nella  citili  di  Napoli,  anche  per  essersi  condotto  con  lode 
nella  carica  che  due  volte  esercitò  di  Eletto  del  popolo  in  tempi  difficili  ),  dopo 
essersi  celebralo  maf;nifico  funerale  nella  chiesa  di  8.  Anna  du^  Lombardi ,  nel 
quale  recitò  la  funebre  orazione  il  P.  Giacomo  Filippo  Gatti  Agostiniano  ,  in- 
signe oratore  di  quelPelk,  s^  impresse  una  lunga  Raccolta  di  poetici  componi- 
menti de^  migliori  autori  cosi  napoletani,  com^  esteri.  Il  medesimo  P.  Gal  ti  ebbe 
cura  di  una  tal  Raccolla,  che  usci  alla  luce  nel  1743,  e  ch«  fu  dedicala  a  0. 
Lorenzo  Brunasso,  figlio  del  defunto ,  giudice  d«l  tribunal*  della  Cmvmx  Corte 
della  Vicaria. 

Vico,  Opuscoli.  9() 


45o  PARTE    111. 

In  Morte  di  Argeo  V.  A. 
MADRIGALE 

Partisti ,  Argeo  ,  da  noi , 
Cui  fu  dal  Ciel  concesso 
Intendere  il  parlar  de'  prischi  eroi  ^ 
E  dal  Ciel  fu  permesso 
Di  ragionar  con  Pane  assai  dappresso. 
Un  colmo  di  dolore 
Tuo  compagno  pastore 
Socio ,  che  lungi  dietro  a  te  veniva 
Del  bel  Sebeto  in  riva , 
•     All'  immortai  tuo  merto 

Di  timo  cólto  in  Attica  offre  un  serto. 


Versi  in  morte  del  giureoonsulto  Dalmarso. 

Heheu!  Dalmarsus,  summi  pars  magna  Senatus, 

Fatis  concessit,  gloria  nostra  Fori. 
Qui  non  mutatus,  non  est  convulsus  honore; 

Qualis  privatus,  talis  in  imperio. 
Non  alter  juris  custos  servantior  acqui ^ 

Non  alter  vitae  sanctior  officiis. 
Novit  Parlhenope,  novit  Trinacria,  novit 

Urbs,  et  ubi  Austriadis  nobilis  aula  nitet. 
Ast  ope  divina  qui  ingentia  damna  rependas, 

Digne  nepos,  Caesar,  candida  spes,  superas. 
Qui  quidque  egregia  promittis  laude  refertum, 

Rarus,  praeclarus  indole  et  ingenio. 
Undique  honesta  domus  virtutum  spirai  honesta, 

Atque  afflat  Musas  undique  docta  domus. 
Grassare  ergo,  puer,  qua  te  via  ducit  honorum, 

Dalmarsum  nobis  et  cito  redde  tuum, 


POESIE  45  { 

Per  Monacazione. 
SONETTO  -.        , 

Due  candide  Colombe  a  Dio  dilette , 

Ricolme^ il  seno  di  celeste  ardore, 

Sdegnano  il  giogo  di  terreno  amore, 

Che  fa  de'  presi  amabili  vendette  5 
E  con  rapido  voi  sole  solette 

Puro  serbando  il  lor  natio  candore. 

Che  produce  a  beltà  sovrano  onore , 

Chiuse  si  sono  in  due  sacre  cellette. 
Sì  godon  quivi  d'  un  Divino  Sposo 

Che  d' infinita  gioja  empie  ciascuna , 

Talché  tra  loro  gelosia  non  regna. 
Santo  Amor  quivi  ha  i  suo'  bei  vezzi  ascoso , 

Quivi  sue  dolci  eterne  grazie  aduna: 

Oh  quaggiù  vita  d'angiolette  degna! 


Per  Monacazione. 
SONETTO 

La  candidata  avca  nome  Rosa. 

Divina  Rosa  d'un  eterno  Aprile, 
Che  diffondi  quaggiù  celeste  odore, 
Serbi  tra  fiori  il  vanto  e  l'alto  onore 
E  la  vaghezza  sola  a  te  simile. 

Già  sdegnando  i  tuoi  pregi,  e  avendo  a  vile 
Spiegar  tra  frali  pompe  il  tuo  splendore , 
Tutta  rivolta  al  primo  sommo  Amore  , 
Chiusa  ne  vai  in  stretta  cella  umile. 

Sprezzando  e  bissi  e  gemme  ed  ostro  ed  oro, 
Involta  dentro  rozze  oscure  lane, 
Armi  di  spine  il  tenero  tuo  stelo  ^ 

E  in  povertà  riponi  il  tuo  tesoro; 

Lungi  quindi  otìchi ,  non  che  man  profane  : 
Giulia  è  beltà  che  sol  vagheggia  il  Cielo. 


452  PARTE    HI. 


^  Per  Monacazione. 

SONETTO 

O  leggiadra,  gentil,  casta  Donzella, 
Pur  troppo  ti  convien  nonae  Benna^^ 
Che  a  lo  Sposo  Divin  diletta  e  grata 
Corri  a  goderlo  entro  pudica  cella. 

Non  mai  cosi  cerva  leggiera  e  snella 
Per  conservar  la  liberlade  innata, 
Correndo  verso  la  sua  tana  amata, 
Fugge  la  pania  insidiosa  e  fella  ^ 

Come  del  cieco  guasto  mondo  e  frale 
Da  lusinghieri  lacci  ora  t' involi 
In  braccio  a  pura  solitaria  vita. 

Quindi  un'alba  godrai  sempre  gradita, 
Ne  ti  corromperanno  i  caldi  Soli 
In  celeste  giardin  rosa  immortale. 


Per  Monacazione. 
SONETTO 

Vaga  Colomba,  che  con  spedit'ali 
Ne  la  leggiadra  forma  a  l'erte  cime 
Di  celeste  virtù  t'  alzi  sublime 
U'  nero  turbo  ad  oscurar  non  sale  ; 

Sue  false  gioje  t' offre  in  seno  frale, 
Che  tu  disprezzi  quai  caduche  ed  ime^ 
E  quelle  sole  agogni  elette  e  prime, 
Che  sole  largir  può  Bene  immortale  5 

E  chiusa  in  rozze  lane  e  fosco  velo. 
Dentro  romita  e  solitaria  cella 
Sdegni  ricchezze  e  geme  ed  oro  ed  ostro  j 

Perchè  nascosta  entro  sacrato  chiostro 
Al  tuo  Sposo  Divin  sola  si  bella, 
E  con  le  stelle  ti  vagheggi  il  Cielo, 


I 


POESIE  453 

Alla  signora  duchessa  d^Erce  D.  Isabella  Pignone  del  Carretto. 
SONETTO 

Donna  gentil,  tra  noi  dal  ciel  discesa 
Per  innalzar  al  ciel  nostri  desiri, 
E  contemplar  entro  gli  eterni  giri 
La  bella  idea  d'onde  voi  foste  presa: 

Se  avversa  sorte  al  mio  mal  sempre  intesa  ^  ; 

Con  più  venti  crudel  d'  egri  sospiri 
Non  agitasse  in  mar  d'aspri  martiri 
Mia  stanca  nave,  combattuta  e  offesa* 

Da  tal  subbìetto  qual  alta  immortale  i 

Verrebbe  lode  al  mio  non  culto  stile, 
Cantando  in  parte  i  vostri  eccelsi  pregi  I 

Poiché  manca  l'ingegno  a'  sforzi  egregi, 
Resta  al  pensiero  che  v'inchini  umile, 
E  onor  vi  faccia  a  le  mie  forze  uguale. 

In  lode  di  O.  Ferdinando  Caraffa  de^  princìpi  di  Belvedere. 
SONETTO  (\\ 

Del  fier  perduto  mondo  i  primi  vati, 

Che  col  vano  timor  di  falsi  Numi 

L'insegnaro  civil  leggi  e  costumi. 

Teologi  fur  detti  e  celebrati. 
Tu,  buon  Fernando,  con  bei  carmi  ornati 

Di  Fé  nostra  spiegando  i  veri  lumi, 

Non  di  Elicona  ci  fai  nascer  fiumi, 

Ma  perenni  dal  ciel  fonti  beati; 
Che  ben  consagri  al  gran  Chirone  Ispano, 

Che  'l  regal  giovinetto  eroe  Borbone 

Casto  formò,  religioso  e  pio; 
Il  cui  esemplo  è  a  soggetti  acuto  sprone 

Di  coltivare  un  viver  sovraumano 

Per  amor  dell'  immenso  ottimo  Dio. 

(i)  Questo  Sonetto  inedito  del  Vico  fu   composto  in  lode  di  D.  Ferdinando 
Caraffa  de' principi  di  Belvedere)  ch^  ebbe  la  passione  di  scrivere  molle  italiaot 

Itoesie ,  sebbene  avesse  avute  le  Muse  al  nascer  suo  nemiche.  Fra  queste  pul>- 
)lirò  un  poema  in  versi  sciolti  che  aveva  per  titolo  La  Santa  Fede  ^  e  che  d«> 
dico  al  duca  di  IVIonleallegre  D.  Giuseppe  Salas  educatore  del  giovanetto  re  Carlo 
Borbone  venuto  recentemente  alPacquisto  di  questo  Regno.  Forse  il  Caraffa  volea 
riprodur  migliorato  alquanto  un  tal  poema,  e  secondo  anche  I'  uso  di  quei  tempi 
corredarlo  di  componimenti  in  sua  lode. 


454  PARTE   in« 

A\  8ig.  D.  Paolo  Mattia  Doria* 
SONETTO 

Questi  di  chiari  Cigni  alti  e  canori 
Si  sublimi,  soavi,  almi  concenti, 
^        Che  molcean  sopra  i  miei  sensi  dolenti 
De  l'invida  Fortuna  i  rei  furori^ 

Onde  il  mio  nome  pien  d'ampli  splendori 
Fia  che  rifulga  a  le  lontane  genti^ 
Son  tronchi,  che  rispose,  ultimi  accenti 
Debil  eco  di  dentro  a  mesti  orrori  5 

Ch'or  leggi,  o  di  Sofia  pregio  sovrano 
Doria,  e  col  petto  pien  d'Urania  vera 
Colmato  hai  pur  d'onor  sommo  e  divino, 
-        Quando  ti  ergesti  oltre  il  costume  umano 
Presso  a  Minerva,  in  quell'Attica  sera 
Che  riverente  or  rimembrando  inchino. 

In  lode  di  un  Letterato  suo  amico. 
SONETTO 

Con  voi  m'allegro,  o  figlie  alme  di  Giove, 
Del  tempo  che  magnanime  e  severe 
Adornaste  di  laudi  eterne  vere 
Solo  rade  virtudi  eccelse  e  nove^ 

Che  per  uom  così  avvien  che  or  si  rinnova. 
Che  per  1'  erte  d' onor  strade  sì  altere 
Dietro  si  lascia  le  più  elette  schiere, 
E  '1  secolo  a  beli'  opre  invita  e  move. 

Appo  lui  ogni  laude  eroica  e  prima, 
Ond' immortai  poema  in  grido  sale, 
Divien  vostra  sincera  e  casta  istoria. 

Ne  '1  fingete  con  dir,  tralcio  Reale, 

Ove  regie  virtù  spiega  la  gloria, 

'         E  sapienza  infiora  in  su  la  cima. 


^^ 


POESIE 

in  lode  di  nobii  Donzella. 
SONETTO 

Un  Nume  io  vidi  in  spoglia  di  pastore, 
Che  con  aurea  sampogna  al  fianco  appesa 
Guidava  il  gregge,  e,  per  vincastro,  accesa 
Face  portava  di  celeste  ardore. 

A  tai  sembianze  per  ben  giusto  errore 
L'alta  immago  di  Apollo  in  me  fu  appresa, 
E  d'Anfriso  in  Arcadia  a  nuova  impresa 
Passato,  usar  del  suo  divin  furore. 

Ma  sono  Amor,  mi  disse;  errasti  oh  quanto! 
Di  Ricalba  allo  'ngegno  io  diedi  l'ale 
A  serbar  l'arco  al  ciglio,  agli  opchi  i  dardi. 

Con  tal  sampogna  io  l'accompagno  il  canto, 

I  sensi  accendo  a  tal  foco  immortale, 
Ch'ogni  Arcade  gentil  per  lei  sempre  ardi. 

In  lode  del  cardinal  Borghese* 
SONETTO 

Pregio  sommo  e  sovran  del  secol  nostro, 
In  cui  con  larga  man  Regia  Fortuna 
Tutt'  i  favor,  tutte  le  grazie  aduna, 
Che  piovver  sparsi  dall'eterno  chiostro j 

Sì  chiara  virtù  infiamma  il  petto  vostro^ 
Che  col  vulgo  non  sol  non  v'  accomuna. 
Ma  lieve  nebbia  pur  niente  v'  imbruna , 
Sicché  recate  voi  splendore  a  l'ostro. 

De  l'augusto  sepolcro  infin  dal  fondo 

II  gran  cener  di  Paolo  ecco  si  scuote, 
Ecco  si  scalda,  e  parla  in  questi  segni: 

Entra  ne'  miei  gran  fasti,  Eroe  nipote, 
Rinfranca  il  raerto,  e  rinnovella  al  mondo 
L'arti  di  esperte  mani  e  dotti  ingegni. 


455 


456  -  PARTE  m. 


Alla  principessa  di  Stigliano, 
SONETTO 

Donna  bella  e  gentil,  pregio  ed  onore 
Chiaro,  immortai  dell'amoroso  regno, 
Qual  può  giammai  umana  arte  ed  ingegno 
Degne  ordir  lodi  al  vostro  alto  valore? 

Poiché,  se  quei  ch'aprite  a  noi  di  fuore, 
Contemplo,  sembran  paragone  indegno 
Perle,  ostro  ed  oro:  anzi  a  vii  pregio  io  tegno 
(Sia  con  sua  pace)  il  Sole  e  'l  suo  splendore. 

Ma  i  cortesi  pensieri  e  i  bei  desiri. 
Gli  onesti,  santi,  angelici  costumi, 
Le  parole  di  senno  e  grazie  ornate, 

Qual  mai  d'alto  parlar  ben  largo  fiume  ' 
Lodar  potria?  Oh  degna  che  l' etate 
Io  consumi  per  voi  tutta  in  sospiri  ! 

Per  Nozie. 
SONETTO 

In  coppia  ricca  di  valor  latino 

Vedendo  Amor,  sceso  dagli  alti  chiostri, 

Una  render  Lucrezia  a'  tempi  nostri 

Ne'  pregi  ugual,  ma  con  miglior  destino^ 

E  di  Ottavio,  il  cui  nome  alzò  il  divino 
Maron  al  ciel  con  chiare  opre  d' inchiostri, 
L'altro  serbar  un  gran  sembiante,  I  vostri 
Fati  augusti,  egli  disse,  onoro  e  inchino.  — 

Poi  strinse  fasci  d'immortali  allori, 

Che  mille  in  guerra  e  in  pace  Avi  famosi 
Co'  sudor  innaffiaro  e  co'  perigli; 

E  li  sommise  a  pie  de' regj  Sposi, 
Con  dir  :  Voi  li  serbate  a'  vostri  figli , 
Perchè  Roma  risurga  a'  prischi  onori. 


POESIE  4?7 


Risponde  ad  Agnello  Albani. 
SONÉTTO 

A  quello  di  valor  allo  immortale, 

Ove  di  rado  uom  giunge,  inclito  regno, 
Ed  ogni  cosa,  fuor  che  gloria ^  a  sdegno 
Prende  chi  mai  vi  signoreggia  e  vale; 

Tutto  ciò  eh' appo '1  vulgo  in  pregio  sale, 
E  qual  de'  sensi  piti  gradito  pegno, 
E  '1  bieco  sguardo  di  ner'  odio  pregno 
D'invidia,  cui,  nullo  oprar  ben,  sol  cale, 

Sprezzando,  t'innalzò  l'ardor  possente 
Di  grido,  il  qual  dojlk  mort'uom  non  tace, 
E  al  cener  freddo  eternità  gì'  impetra. 

Quindi  pareggi,  Alban,  la  prima  cetra: 
Ma  da  stolta  fortuna  oppresso  giace 
11  nostro  incolto  stile  egro  e  languente. 

Per  Nozze.  v 

SONETTO 

Quest'inclito  regal  ceppo  vetusto, 
Che,  regnando,  la  prima  alta  radice 
Gittò,  dove  d'Enea  l'alma  nudrice 
Depose  stanca  il  venerando  busto; 

A  un  ramo  sol  d'eccelsa  gloria  onusto 
Di  tanti,  che  spiegava,  altri  felice. 
Sua  virtù  strinse,  onde  sperar  ne  lice 
Lieti  vedere  il  bel  germoglio  augusto: 

E  '1  genio  maritai  de'  prischi  Eroi 

Serbò  a  lant'  opra  altra  regal  Donzella 
Di  Chiaromonte  del  gran  sangue  antico. 

La  secondate,  santi  Numi,  or  voi, 
O  Dea  col  riso  di  tua  terza  stella, 
O  Giuno  in  braccio  stretta  a  Giove  amico. 


m 


PARTE    IH. 

Per  Nozze. 
SONETTO 

Venere,  mentre  a  le  sue  Grazie  unita 
Sparge  del  Tcbro  in  riva  allori  e  rose, 
Tragg**  ei  fuor  de  P  antiche  onde  famose 
Il  capo  augusto  che  a  onorarsi  invita* 

E  scorge  in  lunga  pompa  alma  e  gradita 
Alte  donne  latine  irne  fastose 
A  commiatar  Donzella  in  cui  compose 
11  Ciel  quanto  mai  bea  l'umana  vita^ 

Che  va  nel  sen  de  la  gentil  Sirena 
Sposa  al  Riario  giovinello  eroe, 
E  una  gentil  invidia  ha  del  Sebeto^ 

E  ne  canta  le  sorti  a  suon  di  avena: 
Nasceran  germi  di  s\  nodo  Heto, 
Chiari  da  Esperia  a  le  contrade  Eoe. 

Per  Nozze. 
SONETTO 

Febo,  o  gran  Nume  del  divin  furore, 
Ecco  sei  pur  tornato  a'  primi  tempi , 
Che  rendevi  dal  fondo  a'  sacri  tempi 
Le  liete  sorti  al  conjugale  Amore: 

Poiché  non  più  regal  grazia  o  favore, 
Di  che  pur  vivon  verdi  i  grandi  esempi, 
Tenti  or  coi  carmi ,  onde  i  tuoi  voti  adempì  * 
Questo  sol  t'  è  rimaso  ultimo  onore. 

Dunque,  perchè  non  fia  Marsia  sfacciato, 
Che  riporti  sul  tuo  divino  canto 
Indegnamente  alta  vittoria  e  palme, 

Cantiam  di  queste  due  liete  bell'Alme 
Il  bel  nodo  gentile,  onesto  e  santo, 
Ch'  ordì  milP  età  innanzi  in  cielo  il  Fato. 


POESIE  4^9 


Per  la  Vergine  addolorata. 
SONETTO   (i) 

Vergine  Madre,  sconsolata  e  trista, 

Ch'  egra  languisci  a  pie  del  crudo  legno 
Che  tien  trafìtto  in  vergognosa  vista 
Chi  di  gloria  beala  ha  in  cielo  il  regno  j 

Di  tal,  ch'ora  ti  afFanna  e  ti  contrista. 
Fiero,  crudele,  aspro  supplizio  indegno 
Cagion  è  la  mia  colpa  a  Perror  mista 
Del  prim'uom  che  re' rio  l'umano  ingegno. 

La  mia  superbia  il  coronò  di  spine: 
La  mia  avarizia  gì' inchiodò  le  mani: 
Mie  voglie  impure  a  lui  rapriro  il  petto. 

Tu  m'impetra  or  da  lui  grazie  divine, 
Perchè  il  corrotto  cor  mi  purghi  e  sani, 
E  'n  lui  sia  senza  fine  il  mio  diletto. 

Per  r  immacolato  concepimento  di  Nostra  Donna. 
SONETTO  (a) 

Io  miser  uomo  sospirando  chiamo 

Te,  Vergin  santa,  immacolata  e  pura, 

Insino  al  fin  mi  sii  scorta  sicura 

Nel  fido  porto  eh'  io  sospiro  e  bramo. 

Tu  sola  fosti  il  benedetto  ramo 

Di  quanti  mai  l'umana  egra  natura 
Germogliò  al  mondo  carchi  di  sciagura, 
Che  vi  produsse  il  comun  germe,  Adamo. 

L'universal  naufragio  tutte  assorte 
Avea  le  genti  sparse  per  la  terra, 
Ch'  erano  nel  peccato  ingenerate  : 

Tu  tra  tutte  le  donne  al  mondo  nate 
Ottenesti  da  Lui,  che  mai  non  erra, 
Ristoro  e  scampo  da  si  trista  sorte. 

(i)  Questo  Sonetto  fu  dal  Vico  scrìtto  a  richiesta  dal  presidente  Di  Franco 
jper  una  festa  annuale  che  dal  medesimo  si  celebrava  nel  giorno  de^  Dolori  della 
Vergine  nella  pubblica  cappella  sita  sotto  la  sua  casa  in  Napoli  nella  strada 
Foria. 

(a)  Fu  recitato  questo  Sonetto  dal  Vico  nelPAccaderoia  che  teneasi  ogni  anno 
nel  dì  della  Concezione  della  Vergine  nella  casa  di  D.  Gio.  Antonio  Casta- 
gnola,  Caporuola  allora  del  tribunale  detto  Sacro  Consiglio. 


46p  PARTE    IH. 

In  lode  di  S.  Agostino. 
SONETTO   (I) 

11  Duce  valoroso,  astuto  e  fero 

Che  di  sangue  e  spavento  in  Canne  armato, 

DifFerì  di  portar  l'ultimo  fato 

Del  Roman  rotto  al  vacillante  Impero  5 

E  di  Cartago  sopra  il  lido  altero 

L'ampia  reggia  del  mondo  aria  fondato, 
De  la  sua  patria  alfln  con  ciglio  irato 
Vide  il  cener  superbo  afflitto  e  nero. 

Altre  maggior  vittorie  il  Nume  Eterno 
A  l'Africa  serbò  contro  di  Roma , 
Su  le  quali  non  vai  tempo  ne  obblio. 

Questa  crebbe  in  immenso^  e  poi  fu  doma 
Del  mio  Agostino  dal  saper  superno, 
Che  vi  spiegò  l'alma  Città  di  Dio. 

Di  Gherardo  de  Angelis. 
SONETTO 

A  Giambattista  Vico. 

Questo  spirto  divino y  altOy  immortale  ^ 
Ch'oggi  a  nuovo  saper  n'apre  la  via. 
Considerando  l' alma  fiamma  mia 
C'ho  di  spiegar  pel  cielo  ardite  Vale, 
:.  J^eggiol  com' un  cui  di  me  forse  cale 
'      Pili  che  altri  creda  y  guanto  ama  e  desia 
Dirmi  quel  che  io  giammai  dopo  ne  pria 
Potuto  avrei  sentir  da  uom  mortale. 

Pero  talor  pensando  a  sua  virtute^ 
A  i  saggi  modiy  a  V anima  cortese  ^ 
Voci  non  trovo  a  celebrar  sua  gloria: 

E  benché  spesso  a  dir  di  lui  riprese 
Alcun  pensier^  piegò  V  ali  abbattute ^ 
Ch'eternar  deve  il  Ciel  tanta  memoria. 


(0  Fu  recitalo  questo  Sonetto  nelP Accademia  detta  degli  Oziosi  che  univasi 
allora  in  Napoli  in  casa  di  D.  Nicolò  Salerni ,  e  che  solca  tenere  un'' adunansa 
in  ogni  anno  in  oaor  di  S.  Agostino  protettore  delPAccademia  medesima. 


POESIE 

Risposta  di  G.  B.  Vico. 
SONETTO 

Queir  ardente  desio,  alto,  immortale, 
Che  ti  mena  per  dura  ed  aspra  via, 
Spirto  gentil,  ei  con  la  scorta  mia 
Pur  dee  tarpar  le  pronte  e  spedit'  ale. 

Altro  è  onore  d'  alloro ,  a  cui  non  vale 
Mostri  incontrare  in  suo  cammin  desia ^ 
E  armar  lo  dee  valor,  qual  Ercol  pria 
Per  fatiche  maggiori  ad  uom  mortale. 

Perciò  restrigni  al  cor  la  tua  virtutej 
Ne  sperar,  di  vedere  unqua  cortese 
Che  al  freddo  cener  tuo  P  amata  gloria. 

E  immagini  di  eroi  dal  Ciel  riprese 

Sienti,  non  già  le  nostre  ime  abbattute, 
Di  cui  t'  arresterà  1'  egra  memoria. 

Al  medesimo. 
SONETTO 

Garzon  sublime  e  pien  di  anima  grande, 
Che  poche  carte  far  questa  età  d'oro 
Estimi,  e  come  Circi  altre,  quai  fóro 
Sopra  il  vulgo  mostrar  forze  ammirande! 

Col  tuon  Giove  forzò  l' uom  da  le  ghiande 
Ad  ammirare  il  suo  divin  lavoro; 
Che  su  gì'  ingegni  e  le  vaghezze  loro 
Sol  può  chi  '1  poter  suo  per  tutto  spande. 

11  Divo  Augusto  perchè  ad  onorarlo 
Roma  ebbe  l' Oceano ,  e  '1  ciel  coniìni , 
Chiaro  feo  da  per  tutto  il  Padovano. 

Ah  dir  non  puoi:  son  pronti  ad  esaltarlo, 
Perchè  l'Autor,  poiché  scovrì  la  mano, 
E'  si  nascose  a'  popoli  vicini. 


46i 


4$^  PARTE    IH. 

Di  Roberto  Luigi  Sostegni  Fiorentino, 
Canonico  Regolare  Lateranese. 

SONETTO 

A  Giambattista  Vico. 

Vico^  che  per  sermone  eletto  e  saggio 
E  per  V  eterne  carte  unico  e  solo 
Già  divenisti y  il  di  cui  chiaro  volo 
Compiuto  ha  di  Sapienza  il  gran  viaggio  : 

Perche  colma  e  di  questo  almo  vantaggio^ 
La  fera  ingrata  patria  adoro  e  coloy 
Benché  de  la  tua  sorte  amaro  duolo 
M' assale j,  e  luogo  pel  gaudio  non  aggio. 

La  preziosa  gemma  ^  che  in  suo  seno 
Rinchiude  ;f  ella  conosce  ^  e  la  sua  vile 
Bassezza  insiem  per  voi  scorge  e  rimira. 

Quinci  perduto  ha  del  rossore  il  freno ^ 
E  come  in  sua  città  s^  odia  e  si  ammira 
Ogni  savio,  per  te  non  cangia  stile. 

Risposta  di  G.  B*  Vico, 
SONETTO 

Il  cieco  insano  vulgo  estima  uom  saggio 
Chi  tra  la  turba  sa  nairar  se  solo; 
E  sé  innalzando  da  vii  stato  a  volo, 
Corse  mai  di  fortuna  un  gran  viaggio. 

Poiché  nullo  mi  die  di  tal  vantaggio, 
La  pietosa  mia  patria  onoro  e  colo^ 
E  traggo  da  mia  sorte  alto  conduolo, 
Che,  perch'  io  giovo  altrui,  luogo  non  v' aggio. 

Severa  madre  non  vezzeggia  in  seno 
Figlio,  che  ne  sia  poscia  oscura  e  vile; 
Ma  grave  in  viso  ancor  l'ode  e  rimira: 

Sj  il  mio  fral  messo  di  ragione  in  freno, 
La  Provvidenzia  benedice  e  ammira, 
Ch'  or  mi  fa  degno  di  vostr'  alto  stile. 


POESIE  ìf63 

Del  l\  Luigi  Lucia  da  S.  Angelo  Minore  Osservaute. 
SONETTO 

A  Giambattista  Vico.  '        \ 

Qual  per  cosa  immortai  d'inclito  vanto, 
Quand' io  te  vidi  e  intesi,  ebbi  stupore^ 
E  vólto  a  Italia,  dissi:  Accheta  il  pianto 
Che  sul  tuo  versi  ognor  spento  valore.  — 

Egli  il  buon  stil  smarrito  e  ^l  divin  canto 
Ch'  i  Latini  temuti,  a  zel  d'onore , 
Sul  Tebro  richiamaro,  alzerà  tanto, 
Che  avanzin  pure  il  lor  prisco  chiarore. 

E  già  'l  chiuso  di  gloria  erto  sentiero 

Ch'apri,  ad  eccelse  e  degne  opere ,  duce. 
Ne  lasci,  a  illustre  esempio,  opre  divine. 

Quindi  riveggon  la  primiera  luce 
Liete  le  Muse,  e  di  fulgore  altero 
Ne  splendon  pur  le  pure  alme  colline. 

Risposta  di  G.  B.  Vico. 

SONETTO  ' 

Spirto  gentil,  chiara  mia  gloria  e  vanto, 
B'  invide  menti  vii  freddo  stupore , 
Che  di  ciò  che  io  coltivo ,  e  innaffio  e  pianto , 
Sullo  spuntar  aduggia  ogni  valore. 

Né  virtù  di  erbe  o  di  apollineo  canto 
Lor  vai  punto  a  destar  senso  d'onore, 
Che  di  sé  spargon  morte  ed  oblio  tanto 
Per  oscurar  P  altrui  lustro  e  chiarore. 

E  si  smarrisca  P  erto  aspro  sentiero 

De  l'opre  eccelse,  senza  scorta  e  duce, 
Chi  stampar  mai  vi  voglia  orme  divine: 

Ma  tu  con  tua  benigna  e  chiara  luce 
Colà  mi  scorgi,  e  splenderonne  altero 
Su  le  sacre  di  Pindo  erme  colline. 


464  '  PARTE    111. 


,  .^      Del  P.  Antonio  Cimint  della  Congregazione 
de'  PP.  delP  Oratorio  di  Napoli. 

SONETTO 

Piena  di  giusto  sdegno  al  mio  pensiero 
Virtude  appare^  e  grida:  Ove  P insana 
Gente  cieca  ne  corre  ^  e  s' allontana 
Dal  mio  ricco  d'onore  inclito  impero? 

Falsa  lusinga  ognor  dal  primo  vero 

Ne  la  discosta,  e  con  più  forte  e  strana 
Forza  la  tragge^  ond' e  che  poi  V  umana 
Mente  del  folle  error  batte  il  sentiero.  — 

Ma  ti  placa  (  io  le  dissi  )  or  eh'  a  te  mostro 
Il  saggio  Kicoy  per  cui  Italia  è  onusta 
D'incliti  pregi  e  d'alto  onor  sovrano: 

Poiché  ne  schiara  de  l'età  vetusta 
Le  oscure  incerte  cose^  e  l' error  vano 
Sgombra  del  corto  e  fosco  ingegno  nostro, 

disposta  di  G.  6.  Vico. 
SONETTO 

Col  tuo  d^ogni  mortai  scevro  pensiero, 
Ch'  al  elei  t' innalza  lieve ,  e  dall'  insana 
Stolta  turba  ti  parte  e  t'  allontana, 
In  cui  sdegna  virtude  aver  l'impero^ 

Unito  al  puro  Primo  Eterno  Vero, 
Né  la  cui  luce  in  guisa  altera  e  strana 
Può  ravvisarsi  in  nostra  mente  umana, 
E  qua  giù  scorger  dritto  il  suo  sentiero, 

Ivi  spaziando,  fa  che  ti  sia  móstro, 
Cimin  laudato,  onde  ne  vada  onusta 
Nostra  impresa  d'  onor  sommo  e  sovrano  : 

E  dentro  P  ombre  de  P  età  vetusta 

Incontro  al  cieco  inganno  e  a  P  error  vano 
Il  cammìn  regga  il  fosco  ingegno  nostro. 


POESIE  465 


Del  cavalier  Francesco  Cimini. 

SONETTO  \ 

Del  primo  Amore  ^  ampio  ocedn  di  lucc^ 
Ra^io  d' alta  vìrlh  tua  mente  ingombra^ 
f^icOy  sì  betiy  che  'n  lei  dilegua  ogni  ombra 
Il  divin  lume^  tutto  il  ben  if' adduce. 

Ella  d'error  ne  tragge^  ed  apre  e  sgombra 
De'  prischi  tempi  il  fosco y  anzi  è  pur  duce  "^ 
A'  torti  ingegni^  a  cui  unqua  non  luce 
Il  ver^  ma  solo  il  tristo  inganno  adombra. 

Profonda  verità  s'innalza  e  cresce 

Col  tuo  ben  dotto  stil^  che  al  del  si  eleva 
O  nel  Lazio  sermone  o  pur  nel  Tosco. 

Te  guata  Invidia  j  ed  a  se  stessa  incresce  ^ 
Atro  spandendo  e  pili  nocente  tosco: 
Ma  nulla  offende ,  e  te  piìi  in  alto  leva. 

Risposta  di  G.  B.  Vico. 
.      SONETTO 

Quella  pura,  immortale,  immensa  luce, 
Che  'n  nostra  mente  d'atre  nebbie  ingombra, 
Di  terren  cieco  error  dilegua  ogni  ombra, 
E  come  in  terso  speglio  il  ver  v'adduce. 

Gentil  Francesco,  a  la  tua  Musa  sgombra 
Di  bassi  affetti  ella  è  '1  gran  Febo,  e  duce. 
Ch'ai  mio  lavor,  eh' unqua  per  sé  non  luce, 
Di  tue  laudi  sovrane  i  lumi  adombra. 

Quindi  in  me  bel  desio  si  desta  e  cresce, 
Perchè  io  giunga  col  merlo,  ove  si  eleva 
Tuo  'ngegno  sopra  il  più  seren  ciel  Tosco. 

L'Invidia,  a  cui  ogni  bell'opra  incresce, 
Trangugerebbe  il  suo  medcsmo  tosco, 
Che  sopra  noi  le  grinze  creste  or  leva. 


Vico,  Opuscoli.  3o 


^66  PARTE    III.    POESIE 

Di  monsignore  indi  cardinale  Filippo  Pirelli. 
SONETTO    (0 

A  Gio.  Battista  Vico.   Idea  dell'Opera  del  medesima 
intitolata  la   Scienza  Nuova, 

Desta  da  Giove ^  in  pria  si  volse  a  lui 
V  umana  gente  ^  e  sue  donne  disperse 
Raccolse  f  e  di  terren  lieve  coperse 
U  ossa  insepolte  de'  parenti  sui. 

Quindi  altri  poi  regnò  sul  capo  altrui, 
E  per  suo  scampo  il  giogo  altri  sofferse  ^ 
Quindi  il  nohil  consorzio  e  le  diverse 
Cittadi  e  le  provincie  e  i  regni  a  nui. 

E  ben  fur  provvidenzia  e  voci  ed  opre 

Del  del  che  a  nostra  guida  accende  ed  arde 
I  lumi  onde  le  menti  illustra  e  copre. 

Tu  sveli  tutto  il  bel  lavoro  antico, 
E  scopri  ancor  l'' età  future  e  tarde, 
O  saggio  ed  immortai  divino  Vico. 

Risposta  di  (t.  B,  Vico. 
SONETTO 

Contro  un  meschino  il  Fato  armossi ,  e  'n  lui 
Sue  cieche  rabbie  in  altri  unqua  disperse 
Unio;  e  di  venen  atro  il  coperse 
Nel  corpo,  e  i  sensi,  egri  suggetti  sui. 

Ma  Provvidenza,  che  soggette  altrui 
Le  sue  menti  non  mai  volle  o  sofferse, 
Quindi  il  menò  per  vie  tutte  diverse 
A  scovrir  com'  ella  abbia  il  regno  in  nui, 

E  i  fin  spio  di  sue  mirabili  opre 

Sopra  le  genti,  u^  tutta  ferve  ed  arde, 
Ch'  entro  profondi  abissi  asconde  e  copre, 

E  per  tue  laudi  andrà  già  fatto  antico, 
Signor,  all'altre  età  future  e  tarde 
Chiaro  in  sua  vita  l'infelice  Vico. 

(i)  Il  cardinale  Filippo  Maria  Pirelli  nella  sua  prima  dà,  menlr'  era  ia  Na- 
poli, ebbe  in  somma  stima  il  nostro  Vico,  e  volle  indirizzargli  questo  Sonetto, 
col  titolo  :  Al  chiarissimo  signor  Giambattista  f^ico  signor  suo  e  maestro,  li 
Vico  vi  rispose  col  Sonetto  che  segue.  Conservò  anche  in  Roma  il  cardinal  Pi- 
relli Pistessa  stima  ed  amicizia  per  l'infelice  Vico,  ed  accaduta  la  morie  del 
medesimo,  ebbe  cura  di  fargli  ergere  nel  bosco  Parrasio  una  lapide  sepolcrale 
rapportata  nella  6ne  delle  Aggiunte  alla  Vita  del  nostro  Autore,  nominandosi 
il  Cardinale  col  nome  che  avea  in  Arcadia  di  Dot-albo  Triasio, 


FINE 


i 


INDICE 

DE'   COMPONIMENTI 

CONTENUTI 

NEL  PRESENTE  VOLUME 


PARTE     L 

SCBITTI    SCIENTIFICI 

1-iettera  di  G.  B.  Vico  all' ab.  Giuseppe  Luigi  Esperti    pag.  3 

Lettera  del  P.  Ed.  De  Vitry,  Gesuita,  a  G.  B.  Vico    .  »  n 

Risposta  di  G.  B.  Vico »  8 

Lettera  di  G.  B.  Vico  al  sig.  D.  Francesco  Solla  .  .  .  »>  n 
Lettera  di  G.  B.  Vico   al   P.  Bernardo   Maria  Giacchi, 

cappuccino >»  20 

Altra  del  nìedesiino >»  ai 

Altra  del  medesimo »  24 

Risposta  del  P.  B.  M.  Giacchi  a  G.  B.  Vico »  25 

Lettera  di  G.  B.  Vico  al  P.  B.  M.  Giacchi w  26 

Altra  del  medesimo 27 

Altra  del  medesimo »  3o 

Risposta  del  P.  B.  M.  Giacchi  a  G.  B.  Vico »  3i 

Lettera  di  G.  B.  Vico  al  P.  B.  M.  Giacchi  . >»  32 

Risposta  del  P.  B.  M.  Giacchi  a  G.  B.  Vico n  34 

Lettera  di  G.  B.  Vico  al  P.  B.  M.  Giacchi »  35 

Viglietto  di  G.  B.  Vico  al  medesimo »  37 

Sopra  l' indole  della  Vera  Poesia  —  A  Gherardo  De  An- 

gelis »  38 

Giudizio  sopra  Dante »>  46 

Prefazione  alle  Rime  scelte  di  Gherardo  De  Angelis  .  «  5i 
Discorso  per  un'annuale  apertura  dell'Accademia  istituita 

da  Nicolò  Salerni »  54 

Note  all'Arte  Poetica  di  Orazio n  5g 

Oratio  hahita  XV  Kal.  novemhris  anno  MDCC,  cujus 

argumentum  :  Hostem  hosti  infensiorem  in/estiorent' 

que  quam  stultum  sibi  esse  neminem h  84 

Lettera  del  duca  di  Laurenzano  a  G.  B.  Vico »  97 

Risposta  di  G.  B.  Vico     »  ivi 

Lettera  di  G.  B.  Vico  al  sig.  Nicolò  Giovo »>  100 

Lettera  di  Muzio  Gaeta,  arcivescovo  di  Bari,  a  G.  B. 

Vico     »  101 


46S  INDICI 

Lettera  di  Muzio  Gaeta  a  G.  B.  Vico pag.  io3 

Risposta  di  G.  B.  Vico  a  Muzio  Gaeta «  io4 

Lettera  di  Muzio  Gaeta  a  G.  B.  Vico  ,>..  .  .  .  .  .,...«  107 

Lettera  di  G.  B.  Vico  a  Muzio  Gaeta   ..........  j>  112 

Lettera  di  Muzio  Gaeta  a  G.  B.  Vico «  116 

Altra  del  medesimo ^»  lao 

Lettera  di  G.  B.  Vico  a  D.  Tommaso  Rossi,  abate  in- 

fulato  del  Collegio  di  S.  Giorgio  della  Montagna    .  .  »  121 

Risposta  dell'abate  T.  Rossi  a  G.  B.  Vico «  i23 

De  Mente  Heroica,  Oratio  habita   in   R.   Neapolitana 

Academia  XIII  Kal.  novembiis  MDCCXXXII    ...»  124 
Epistola  dedicatoria    premessa    alla    Sifilide  di  G.  Fra- 
castoro  p  tradotta  da  Pietro  Belli »>  i4i 

Prefazione   alla    traduzione    della  Sifilide   di  G.  Fraca- 

sLoro  fatta  da  Pietro  Belli »  i49 

Lettera  del  P.  Nicolò  Concina  a  G.  B.  Vico »»  iò\ 

Lettera  del  P.  Daniele  Concina  a  G.  B.  Vico     «  i56 

Lettera  del  P.  Nicolò  Concina  a  G.  B.  Vico »  iSy 

Risposta  di  G.  B.  Vico "  i^ìq 

Giudizio  intorno  alia  Grammatica  d'Antonio  d'Aronne    »  i63 

Epistola  J.  B.  Vici  Corniti  Antonio  Coppola »  i65 

Lettera  del  card.  Lorenzo  Corsini  a  G.  B.  Vico  ....  «  166 

Altra  del  medesimo «  167 

Lettera  di  G.  B.  Vico  al  card.  Lorenzo  Corsini  .  ...»  168 

Altra  del  medesimo »  eVt 

Lettera  del  card.  Lorenzo  Corsini  a  G.  B.  Vico  ....  »  169 

Lettera  di  G.  B.  Vico  al  card.  Lorenzo  Corsini  ....  »  170 
Lettera  di  G.  B.  Vico  a  M.  Giovanni  Barba  in  risposta 
all'opera   dal  medesimo   inviatagli    Sul  metodo   delle 

Lingue »  ivi 

Lettera  di  G.  B.  Vico  a  Pasqual  Cirillo »  171 

Epistola  J,   B.   Vici  Francisco    Serao   Medicinae  pro- 
fessori  »  172 

Iscrizione  con  la  quale  il  Vico  accompagnava  un  esem- 
plare dell'opera  De   Universo  Jure  mandato  in  dono 

al  principe  Eugenio  di  Savoja «  174 

Risposta  del  principe  Eugenio  di  Savoja  a  G.  B.  Vico  »  ivi 

Lettera  di  Gio.  Artico  conte  di  Porcia  a  G.  B.  Vico   .  »  17$ 

Letlera  del  P.  Michel  Angelo  da  Reggio  a  G.  B.  Vico  «  176 

Lettera  del  P.  Tommaso  Maria  Alfaui  a  G.  B.  Vico    .  »  177 

Altra  del  medesimo »  179 

Lettera  del  card.  Trojano  Acquaviva  a  G.  B.  Vico    .  .  »  i8o* 


iNnici  j{6g 


PARTE    IT. 
ORAZIONI   ED    ISCRIZIONI 

Oràfio  prò  auspicatissimo  in  Hispaniam  reditu  Pran- 

cisci  Benavidii  in  R.  Neapolitano  prorege    ....  pag.  i85 

Oratio  in  funere  Catharinae  Aragoniae  Segorbiensium 

DuciSy  ec.    ...  ; *♦  196 

Oratio  prò  felici  ad  NeapoUtaniim   solium   adita   Phi- 

lippi  V  Hispaniarum  novìsque  Orbis  Monarchae     .  »  tiii 

Delle  Cene  sontuose  de'  Romani.  Lezione  accademica 
recitata  avanti  il  duca  di  Medlna-Celi  viceré  del  re- 
gno di  Napoli o  1^0 

Elogio  di  Virginia  Bonito,  duchessa  dell'Isola >*  iS'5 

Orazione  in  morte  di  Anna  Maria  d'Aspermont    ....»*  256 

Orazione  in  morte  di   Anna  Cimini  ,  marchesana  della 

Petrelia »  2^8 

Carolo  Boì^onio  ulriusque  Siciliae  Regi  —  Regia  Nea^ 

politana  Jcademia »  307 

Oratio  in  Caroli  et  Mariae  Amaliae^  ulriusque  Siciliae 

Regum,  Nuptiis »  5  io 

Cinque   Iscrizioni   per   le  Nozze   di    Carlo  Borbone,   re 

delle  Due  Sicilie,  con  Maria  Amalia  Walburga    ...»  322 

Oratiunculae  prò  adsequenda  laurea  in  utroque  Jure    u  3^5 

Due  Iscrizioni  ne'  funerali  del   duca  Gaetano  Argento  , 

Reggente  della  R.  Cancelleria «  32^ 

Iscrizione  per  un  arco  da  erigersi  all'Infante  di  Spagna 

D.  Carlo,  allorché  dagl'Inglesi  fu  trasportato  in  Italia     «  528 

Iscrizione  per  la  riattazione  della  fabbrica  de'  RR.  Studj 

di  Napoli M  329 

Iscrizione  sepolcrale  per  Jacopo  Stuardo,  duca  di  Ber- 

wich n     hi 

Dieci  Iscrizioni   pe' funerali   pel   duca  Jacopo   Stuardo, 

figlio  del  precedente »  33o 

Iscrizione  per  l'edificazione  del  Ponte  presso  Ravenna   «  335 

Iscrizione  in  morte  del  cardinale  Innico  Caracciolo   .  .  »  336 

Iscrizione  in  morte  del  principe  Francesco  Caracciolo     >»  337 

Iscrizione  in  morte  del  medico  Francesco  Boncore    .  .  >»     ivi 

Iscrizione  pel  nuovo  palazzo  innalzalo  da  Luigi  Moli- 
nelli   M  338 

Iscrizione  in  morte  del  marchese  Orazio  Rocca    ....  »  539 

Iscrizione  per  la   costruzione   di    un   tempio   interinale 

fatta  dai  Nobili  del  Seggio  di  Montagna »  34o 

Iscrizione   per   la   ricostruzione   del  sepolcro  di  Fulvio 

Tisbia     »»     fW 

Sci  Iscrizioni  pe'  funerali  di  Balda.5sarc  Calanco  .  ...»  34 1 


470 


INDICI 

PARTE     III, 

POESIE 

Affetti  di  un  Malinconico.  —  Canzone pag.  345 

In  morte  del  sig.  conte    D.  Antonio  Caraffa  ,  Generale 

delle  armi  Imperiali  —  Canzone »>  349 

In  lode  di  Massimiliano  Emmanuele  duca  di  Baviera.  — 

Canzoni  tre »  355 

Lettera  dell' Elettor  di  Baviera     «  363 

Versi  latini  per  la  ricuperata  salute   di  Carlo  II  re   di 

Spagna  e  di  Napoli *»  364 

Per  le  Nozze  di  D.  Giambattista  Pisacane   e  D.  Teresa 

Gurgo  —  Sonetto »>  366 

Nelle  Nozze  di  Vincenzo  Caraffa  ed  Ippolita  Cantelmo  — 

Canzone '*     ivi 

Epigramma  per   le  Nozze  di  D.  Tommaso   d'Aquino   e 

D.  Lucrezia  del  Verme '»  369 

Carme  latino  per  le  Nozze  dì  D.  Nicola  Loffredo  e  D. 

Ginevra  Grillo »  370 

Epigramma  in  lode  del  P.  Gio.  Crisostomo  da  Bologua, 

predicatore «     ivi 

Carme  latino  per  le  Nozze  di  D,  Gaetano  d'  Argento  e 

D.  Costanza  Merelli     »     ivi 

Epigramma   per  le  Nozze  di  D.   Antonio   Caracciolo   e 

D.  Marianna  Serra j»  371 

Distico  a  D.  Placido  Antonio  de'  Longobardi »>     ivi 

Dedica  della  Raccolta  delle   Poesie  fatta   per  le  Nozze 

di  D.  Adriano  Caraffa  e  D.  Teresa  Borghese     ....»>  372 

Per  le  Nozze  suddette  —  Quinarj «  374 

Per  la  stessa  occasione  —  Sonetto »»  376 

Per  la  stessa  occasione  —  Sonetto »     ivi 

Per  la  stessa  occasione  —  Sonetto «  377 

Per  la  stessa  occasione —  Sonetto »     ivi 

Per  la  stessa  occasione —  Sonetto  di  Matteo   Egidio   a 

G.  B.  Vico «  378 

Risposta  di  G.  B.  Vico  —  Sonetto , »     ivi 

Per  la  stessa  occasione  —  Versi    latini    di   G.  B.  Vico 

in  risposta  ad  una  Elegia  di  Nicolò  Capasso »  379 

Per  l' istessa  occasione  «—  Versi  latini   di    G.  B.  Vico 

in  risposta  a  Nicolò  Cirillo «     ivi 

Lettera  di  G.  B.  Vico  al  sig.  D.  Giulio  Cesare  Mazzacane» 

che  precede  l'Epitalamio  per  le  Nozze  di  lui  con  D. 

Giulia  Rocca »  38o 

Giunone  in  danza,  componimento   per  le  Nozze  di  D. 

G.  B.  Filomarino  e  D.  Maria  Vittoria  Caracciolo   .  .  »>  385 


INDICI  4'^  I 

Per  le  Nozze  di  D.  Antonio  Pignatelli  e  D.Ann»  Fran- 
cesca Pinelli  —  Sonetto pag.  4oq 

In  lode  di  S.  Giacomo  della  Marca  —  Sonetto »>     ivi 

In  lode  del  Gran  Maestro  della  Religione  Gerosoìorai- 
lana  Antonio  Manoel  de  Villena,  per  la  sua  esalta- 
zione a  tal  dignità.  —  Sonetto .  »>  4io 

Por  le  Nozze  di  D.  Lionardo  Tocco  e  f).  Camilla  Gan- 

telino —  Sonetto >»     ivi 

Sii  r origine,  progresso  e  caduta  della  Poesia  italiana  — 

Canzone 5»  ^n 

In  lode  del  cardinale  Bernardo  Conti.  —  Sonetto  .  .  .  »•  4i6 
Nelle  Nozze  di  Massimiliano  duca   di  Baviera    con  Te- 
resa Reale  di  Polonia  — •  Canzone #»     iVc 

Per  le  Nozze  di  D.  Andrea  Coppola,  duca  di  Ganzano, 
e  D.  Laura  Caracciolo  de'  marchesi  delFAmoroso  — 

Sonetto *•  421 

Per  P  istessa  occasione  —  Sonetto h  422 

Per  F  istessa  occasione  —  Sonetto  di  Agnello  Spagnuolo  »     ivi 

Risposta  di  Vico  —  Sonetto »  4^5 

Per  le  Nozze  di  D,  Giacomo  Francesco  Milano  Franco 

d'Aragona  e  D.  Arrlghetta  Caracciolo —  Sonetto  .  .  »     ivi 
In  lode  del  P.  Domenico  Terragni,  predicatore—  So- 
netto     «  424 

Per  la  conferma  del  viceré  di  Napoli  cardinale  Michele 

Federico  d'Althann  —  Sonetto »     ivi 

Per  l'acclamazione  in  Arcadia  del  suddetto  Cardinale — 

Sonetto >»  4^5 

Per  le  Nozze  di  D.  Gaetano  Buoncompagno  Ludovisi  e 

D.  Laura  Chigi  —  Sonetto »     ivi 

In  morte  di  Angela  Cimini,  marchesana  della  Petrella  — • 

Qulnarj n  426 

Per  la  stessa  occasione —  Sonetto.  Al  P.  Luigi  Sostegni 

canonico  Lateranese >»  427 

Risposta  del  P.  Sostegni  —  Sonetto »  4^8 

Per  la  stessa  occasione  —  Carme  latino     »     ivi 

Distico  posto  sotto  il  ritratto  di  Lucantonio  Porzio  .  .  »•  429 
Per  le  Nozze  delle  A  A.  SS.  di  Antonio  Farnese,  duca 

di  Parma  e  Piacenza,  ed  Enrichetta  d'Este—  Sonetto  I  »>     ivi 

Per  la  stessa  occasione  —  Sonetto  lì     »  43o 

Per  la  stessa  occasione —  Canzonetta ";  ^     ivi 

In  morte  di  D.  Giuseppe  Alitata  Paruta  Colonna,  prin- 
cipe di  Villafranca  —  Sonetto n  433 

In  lode  del  P.  Michelangelo  da  Reggio,  sacro  oratore  — 

Sonetto  I     0     ivi 

In  lode  del  medesimo  —  Sonetto  II j#  434 

In  lode  del  medesimo  —  Sonetto  III >»     ivi 

Nella  promozione  della  Santità  di  Clemente  XII  al  sommo 

pontificato  —  Canzone «»  435 


47^  INDICI 

In  lode  del  P.  Tolotti,  sacro  oratore  —  Sonetto.  .    pag.  438 
In  morte  di  Anna  Maria  Boria,  moglie  di  Nicolò  Saler- 

ni  —  Sonetto     » >»    tVt 

Endecasillabi  latini  fra'  Componimenti  pel  cardinal  Giam- 
battista Salerni ts  439 

Egloga  latina    nell'  apertura    della  Colonia  Sebezia    per 

l'arrivo  del  viceré  di  Napoli  D.  Giuseppe  Visconti  .  »     iVt 
In  lode  di  Carlo  Borbone   re  delle  Bue  Sicilie  ■ —    So- 
netto I «  440 

Sonetto  II é  . j>  44i 

Sonetto  III j  •  -  • »>     iVi 

Per  le  Nozze  di  B.  Raimondo  di  Sangro  e  B.  Carlotta 

Gaetani  dell'Aquila  d'Aragona  —  Sonetto      >*  44^ 

Per  la  stessa  occasione  —  Sonetto »     tVi 

In  lode  del  sig.  B.  Bomeuico  Barone  di  Liveri,  per  una 

sua  commedia  —  Sonetto »>  443 

In  lode  del  P.Giacomo  Filippo  Gatti,  sacro  oratore  — 

Sonetto M  444 

Per  le  Nozze  di  B.  Antonio  Capece  Minutolo  e  B.  Te- 
resa Filangieri  —  Sonetto «     iui 

Per  l' istessa  occasione  —  Sonetto "  445 

In  lode  di  N.  Mocenigo,  nobile  veneziano  —  Sonetto  .  «     ivi 
In  lode  di  B.  Ferdinando  Sanfelice,   patrizio   napoleta- 
no, per  la  macchina  volgarmente  detta  la  Fiera ^   da 
lui   ideata    ed   eseguita    in   occasione   delle  Nozze    di 
Carlo  Borbone,  re  delle  Bue  Sicilie,  con  Maria  Anna 

Walburga  —  Sonetto «  44^ 

Per  le  medesime  Reali  Nozze  —  Sonetto    ...,...,»*     ivi 

Per  le  stesse  Nozze —  Sonetto »  447 

Per  le  stesse  Nozze  —  Sonetto »»     ivi 

Per  le  Nozze  di  B.  Girolamo  Pignatelii  e  B.  Francesca 

Pignatelli  —  Sonetto «  44^ 

Per  le  Nozze  del  principe  Michele  di  Francavilla  e   la 

sig.  Eleonora  Borghese —  Sonetto «     ivi 

In  morte  di  B.  Orazio  Pacifico  —  Sonetto '>  449 

In  morte  di  B»  Giuseppe  Brunasso,  duca  di  S.  Filippo 

—  Sonetto M     ivi 

In  morte  di  Argeo,  poeta  Arcade —  Madrigale    .  .  .  .  »  \So 
Versi  latini  in  morte  del  giureconsulto  Balmarso    .  .  .  «  '  ivi 

Per  Monacazione  —  Sonetto »  \Si 

Sul  medesimo  soggetto  —  Sonetto «     ivi 

Sul  medesimo  soggetto  —  Sonetto «  45?. 

Sul  medesimo  soggetto  —  Sonetto »»     ivi 

Alla  ducbesa  B.  Isabella  Pignone  del  Carretto —  Sonetto  «  453 

In  lode,  di  B.  Ferdinando  Caraffa  —  Sonetto »     ivi 

Al  sig.  B.  Paolo  Mattia  Boria  —  Sonetto    ........"  4^4 

In  lode  di  un  Letterato,  amico  dell'Autore —  Sonetto   >i     ivi 
In  lode  di  nobil  Bonzella  —  Sonetto «  455 


INDICI  47^ 

In  lode  del  cardinal  Borghese  —  Sonetto  ......   pag.  455 

Alla  principessa  di  Stigliano  —  Sonetto   . >»  456 

Per  jNozze  —  Sonetto .  .  »j     ivi 

Risposta  di  G.  B.  Vico  ad  Agnello  Albani  ■—  Sonetto    »  ^5y 

Per  Nozze  —  Sonetto »>     iVi 

Per  Nozze — •  Sonetto j>  458 

Per  Nozze  —  Sonetto m     iVi 

Per  la  Vergine  addolorata  —  Sonetto »>  4^9 

Per  Pimmacolato  concepimento  di  Nostra  Donna  —  So- 
netto  i  .  ,  19     ivi 

In  lode  di  S.  Agostino  —  Sonetto «  46o 

A  G.  B.  Vico  •—  Sonetto  di  Gherardo  De  Angelis  .  .  .  >»     ivi 

Risposta  di  G.  B.  Vico  —  Sonetto »  4^1 

A  Gherardo  De  Angelis  - — >  Sonetto «     ivi 

A  G.  B.  Vico  —  Sonetto  di  Roberto  Luigi  Sostegni    .  «  462 

Risposta  di  G.  B.  Vico  —  Sonetto »     ivi 

A  G.  B.  Vico  — •  Sonetto  del  P.  Luigi  Lucia  da  S.  An- 
gelo  «  465 

Risposta  di  G.  B.  "Vico —  Sonetto * «     iviì. 

In  lode  di  G.  B.  Vico  —  Sonetto    del  P.  Antonio  Ci- 

inini »  464 

Risposta  di  G.  B.  Vico  —  Sonetto >»     ivi 

In  lode    di  G.  B.  Vico  —  Sonetto   del  cav.   Francesco 

Ciinini     «  465 

Risposta  di  G.  B.  Vico  —  Sonetto «     ivi\ 

In  lode  di  G.  B.  Vico  —  Sonetto  del  cardinale  Filippo 

Pirelli  —  .  . »  466 

Risposta  di  G.  B.  Vico — '  Sonetto >»     ivi 


TAVOLA  ALFABETICA 
DELLE    POESIE    ITALIANE 

CONTENUTE 

NELLA    PARTE    IH. 


Le  cifre  indicano  le  carta. 

A  le  Muse  ed  Astrea  diletto  e  caro pag.  449 

A'  miei  sudori  il  Giel  non  temprò  ingiuste »  4^2 

A  quello  di  valor  alto  immortale »  4^7 

Alta  stirpe  d'Eroi,  onde  famoso »»  442 

Alma  mia,  che  perdesti  il  bel  candore ' "  4^5 

Alto  Signor,  più  di  fallace  il  nome »  SSj 

Ammiraro  già  un  tempo  Atene  e  Roma »  4^4 

Angel  di  Dio,  che  fai  le  vaneggianti »»     «Vz 

Ben  mostrossi  a  ragione  ardita  e  forte '»  4^8 

Che  insolito  in  me  sento,  e  raro  e  novo »?  435 

Col  tuo  d'ogni  mortai  scevro  pensiero »  4^4 

Con  mano  al  Re  quelle  gran  vie  far  note >*  44^ 

Con  sue  ampie  alte  moli  e  sterminate »     ivi 

Con  voi  m'allegro,  o  figlie  alme  di  Giove «  454 

Contro  un  meschino  il  Falò  armossi,  e  'n  lui n  466 

D'amaranti  immortali  omai  la  fronte «  366 

De'  vostri  almi  laureti  i  sacri  orrori   .   ...........  43o 

Del  fier  perduto  mondo  i  primi  vati    .  .  ^ "  453 

Del  gran  Buglione,  e  di  sue  invitte  schiere »  4io 

Del  primo  Amore,  ampio  oceàn  di  luce "  465 

Del  tronco  antico,  onde  usci  'l  buon  Pastore «  4^5 

Desta  da  Giove,  in  pria  si  volse  a  lui ... «  466 

Di  due  semi  del  Ciel  gentile  innesto *»  444 

Di  Grecia  il  Magno  per  valor  guerriero «  4^9 

Di  guardar  tu  ne  dai  l'util  piacere «  443 

Di  sommi  Imperadori  e  Regi  Augusti *»  44» 

Divina  Rosa  d'un  eterno  Aprile «  45i 

Donna  bella  e  gentil,  pregio  ed  onore »  456 

Donna  gentil,  tra  noi  dal  ciel  discesa «  453 

Due  candide  Colombe  a  Dio  dilette m  45i 

Febo  ha  smarrite  le  sue  chiome  bionde »  449 

Febo,  o  gran  Nume  del  divin  furore «  458 

Fu  d'eroico  valor  ben  alto  segno «  4^9 

Garzon  sublime  e  pien  d'anima  grande »  46i 

Gentil  Egizi,  del  cui  nome  adorno «  378 

Già  l'amorosa  stella «  382 


INDICI  4?^ 

Giove  de'  regni  e  Regi  almo  datore pag.  4^4 

Grande  di  tue  grandezze  è  ben  la  fama  .  .  .-. »>  376 

Il  candor  luminoso »»  4iJt 

Il  cieco  insano  vulgo  estima  uom  saggio »  462 

Il  Duce  valoroso,  astuto  e  fero »»  460 

In  coppia  ricca  di  valor  latino     *»  456 

In  istranio  trofeo  Marte  ed  Amore *»  4^3 

Io  delle  nozze  riverito  Nume »  385 

Io  miser  uomo  sospirando  chiamo «  459 

L'  ape  ingegnosa »  4^6 

La  Fama,  che  in  tu'  onor  l'ali  ora  spande n  425 

La  patria  mia  che  t'adorò  col  core »  44' 

Lasso,  vi  prego,  acerbi  miei  martiri «  345 

Lieve  Grecia  credeo  per  lungo  errore «  4^8 

Mio  dolente  Si.lerni,  hai  tu  ben  onde »     ivi 

Morte,  o  d'invidia  vii  ministra  e  fera »  433 

Né  corone,  né  ostro,  o  gemme  ed  auro «  442 

Ne  la  superba  un  tempo,  or  bassa,  umile »  5yy 

Nel  più  puro  sublime  empìreo  chiostro »  444 

Non  è  già  del  mio  ottuso  e  rozzo  stile »  447 

Non  udì  Atene  mai,  non  udì  Roma »>  424 

O  bel  trionfo,  a  cui  rado  favore »  44^ 

O  del  petto  dell'uom  vane  e  fallaci »  349 

O  leggiadra,  gentil,  casta  Donzella »>  452 

O  sovrano,     ^al  Lione  aurato >»  445 

Oh  al  mondi    istrania,  nova,  altera  mostpe   .  .  .  ....«•     lui 

Oh  qual  te  v.  e  vincitor  guerriero «  44i 

Partisti,  Argeo     da  noi »  45o 

Piena  di  giusto  sdegno  al  mio  pensiero »>  4^4 

Poiché  l'umi'l,  aevota  accesa  voglia j>  36o 

Pregio  sommo  e  sovran  del  secol  nostro     »  455 

Qual  nuovo  lume  col  divin  suo  raggio  . «  353 

Qual  per  cosa  immorlal  d*  inclito  vanto »  463 

Qual  vaga   io  miro,  nova,  altera  mostra m  ^10 

Quel  pensiero  divino,  alto,  immortale »>  4^9 

Quell'ardente  desio,  almo,  immortale »  46i 

Quell'immoto,  divin  consiglio  eterno »  4*6 

Quella  pura,  immortale,  immensa  luce »  465 

Questa  di  gemme  e  d'or  ricca  donzella »  366 

Quest'inclito  regal  ceppo  vetusto »  457 

Questi  di  chiari  Cigni  alti  e  canori »»  454 

Questo  spirto  divino,  alto,  immortale *»  460 

Raro  Giacinto,  che  la  nostra  etate »»  ZyS 

Real  Donzella,  che  '1  bel  nome  prende *•  421 

S'alzi  Italia  in  alta  speme *•  ^5o 

Se  mai  lieto  seguendo  il  bel  desio »  4»6 

Signor,  pregio  sovran  del  secol  nostro »  377 

Sommo  Genio  sovran  d'Eroi  famosi »>  44° 


476  INDICI 

Spagnuol  pregiato,  il  nostro  afflitto  ingegno pag.  4^5 

Spirto  gentil,  chiara  mia  gloria  e  vanto *>  465 

Stese  l'Italia  il  suo  famoso  impero >»  447 

Tornò  al  ciel  la  gran  Donna  e  saggia  e  forte >»  427 

Un  Nume  io  vidi  in  spoglia  di  pastore »  455 

Vaga  Colomba,  che  con  spedii' ali «  462 

Venere,  mentre  a  le  sue  Grazie  unita  . »  458 

Vergine  Madre,  sconsolata  e  trista i  .  .  »  459 

Vico,  che  con  lo  stil  saggio  ed  adorno   i «  3^8 

Vico,  che  per  sermone  eletto  e  saggio     «  402 

Vico  famoso,  il  cui  sovrano  ingegno »>  422 

Virtute  altera «  374 


INDICE    GENERALE 
DEI    N  O  M  Ir 


Le  cifre  arabiche  indicano  le  carte. 


Acquavi  va  Traj  ano,cardìnale,  1 80 
Agostino  (S.)  58,  108,  ni,  118. 
Ambrogio  (cP)  Ferdinando,  296. 
Anfion^,  64,  81. 
Angelis  (de)  Gherardo,  20,  38, 

5i,  460. 
Anguillara  Gio.  Andrea,   i5o. 
Albani  Agnello,  457- 
Alberoni  Giulio,  cardinale,  335. 
Alfani  (P.)  Tommaso,  177,  179. 
Alfonso,  re  d"* Aragona,  99. 
Alfonso  I,  re  di  Napoli,   177. 
Alipio  Sebastiano,  377. 
AUiata  Paruta  Giuseppe,  433. 
Aloisi  (abate),   i56. 
Althann   (d^)    Michel   Federico, 

cardinale,  256,  274,  ^2^,  ^iS. 
Althann  (d')  conte  Michele  Vin- 

cislao,  260. 
Aquino  (di)  Tommaso,  369. 
Aragona  (d')  Caterina,    196. 
Archimede,  91. 
Argento  Gaetano,  327,  370. 
Argeo,  poeta  Arcade,  45o. 
Ariani  Agostino,  matematico,  253. 
Ariosto  Lodovico,  39,  61. 
Aristofane,  77. 

Aristotele,  68,  98,  i34,  i63,  281. 
Aronne  (d')  Antonio,  i63. 
Asclepiade,  141. 
Aspcrmont  Anna  Maria,  256. 
Averroe,  55, 

Bacone  da  Vcrulamio,  ii5,  i38. 
Baifio  Gio.  Antonio,  246. 
Barba  (monsig.)  Giovanni,   170. 
Baronie,  cardinale,'  137. 
Bayle,   IO. 

Belli  Pietro,   \\i,   149. 
Bembo  Pietro,  39,   149. 
Benavidcs  Didaco,  188. 
Benavides  Francesco,   i83,   188. 
Benedetto  XIII,  pontefice,  io5. 


Bentivoglio  Cornelio,   car.   i5o. 

Bentivoglio  Guido,  cardinale,  1 5o. 

Boccaccio ,  49* 

Boezio,  99. 

Bologna  (da)  P.   Gio.  Grisosto- 

mo ,  370. 
Bonarroti,  pittore,  78. 
Boncore  Francesco,  337,  394. 
Bonito  Giulio  Cesare,  253. 
Borbone  (di)  Carlo,  re  delfe  Due 

Sicilie,   307,    3o8,  3 IO,  322, 

328,  440,443,  446. 

Borghese,  cardinale,  455, 
Borghese  Eleonora,  448- 
Borghese  Marcantonio,  376. 
Borghese  Teresa,  372. 
Brancone  Gaetano,  44^* 
Brunasso  Giuseppe ,  449* 
Brunasso  Lorenzo,  449" 
Buoncompagno  Gaetano,  4^5. 

Cano  Melchiore,   137. 
Cantelmo  Camilla,  4io- 
Cantelmo  Ippolita,  366. 
Capasso  Nicolò,  379,  393. 
Capece  Minutolo  Ant.  444»  44^' 
Cappella  Marziano,  248. 
Caputo  Berardo,  294. 
Caracciolo  Antonio,  371. 
Caracciolo  Arrighetta,  4'^3. 
Caracciolo  Francesco,  337. 
Caracciolo  Innico,  cardinale,  336. 
Caracciolo  Laura,  4*21. 
Caracciolo  Maria  Vittoria,  385. 
Caracciolo  Marino,  399. 
Caracciolo  Martino,  336. 
Caraffa  Adriano,  349,  ^72. 
Caraffa  Antonio,  349. 
Caraffa  Diomede,  99. 
Caraffa  Ferdinando,  453. 
Caraffa  Vincenzio,  3(>6. 
Carlo  II  re  di  Spagna  e   di  Na- 
poli ,  364. 


47^  INDICI 

Carlo  Vili  re  di  Francia,    i36. 
Cartesio,  3,  4»  ^ì  9>  '5,  i8,  19, 

1 2 1 ,  296. 
Casa  (della)  Giovanni,  39,  53, 

>!',   «49'  295. 
Casoni  Lorenzo,  cardinale,  377. 
Castagnola  Gio.  Antonio ,  459. 
Cataneo  Baldassai-e,  34 1. 
Cebete ,   177. 
Celio,  285. 
Celso,  24'- 

Cerda  Gio.  Francesco ,  2o3. 
Cerda  Lodovico,   197. 
Cesare  (di)  Giuseppe,  SgS. 
Cestari  Silverio ,  395. 
Chigi  Laura,  4^5. 
Cicerone,   12,  52,  56,  62,    72, 

III  ,  241. 
Cimini  Angela,   11,  278,  426. 
Cimi  ni  (P.)  Antonio ,  ^6^. 
Cimini  JFrancesco ,  465. 
Cimini  Giuseppe,  279. 
Ciraone  ateniese,    i35. 
Cirillo  Nicolò,  6,  379,  393. 
Cirillo  Pasquale,   171. 
Clemente  XI,  pontefice,  273,  335, 

435. 
Concina  (P.)  Daniele,  i56. 
Concina  (P.)  Nicolò,  i54,  157. 
Conti  Bernardo,  cardinale,  4'^* 
Copons  Anna,  385. 
Cordoni  Andrea,  395. 
Corsini    Lorenzo,    cardinale.    4> 

166,   167,   168,   169,   170. 
Cristofaro  (di)  Giacinto,  376,  393. 
Cujacio,   137. 

Dacier  Andrea ,  69. 
Dalmarso,  giureconsulto  napole- 
tano, 45o- 
Dante,  39,  4o»  4^»  4^* 
Delminio  Giulio  Camillo,  53,  56. 
Demostene  ,   12  ,  56. 
Dionisio  d''Alicarnasso,   161. 
Doria  Anna  Maria  Caterina,  438. 
Doria  Paolo,  58,  ^5/^. 

Egizio  Matteo,  878,  394. 
Epicuro,  4)  5,  98. 
Esiodo,  64. 

Esperti  Francesco  Saverio ,  3. 
Esperti  abate  Luigi,  7,  n. 
Este  (d')  Enrichetta,  429' 


Eugenio  (principe)  diSavoja,  174, 
270. 

Fabro  Antonio,  i38. 

Farnese  Antonio ,  duca  di  Par- 
ma, 429. 

Ferdinando,  re  d'Aragona,  99. 

Filangieri  Teresa  ,  444  5  44^- 

Filippo  V,  re  di  Spagna ,  222 , 
238,  267,  33i. 

Filomarino  Ascanio ,  84,  394» 

Filomarino  Camilla,  84. 

F"ilomarino  Giacomo ,  399. 

Filomarino  Giambattista,  385. 

Filomarino  Marcello,  6,  22,  84, 

394- 
Filon  Giudeo,  248. 
Fontenelle,   146. 
Forlosia  Basilio,  395. 
Fozio,   IO. 

Fracastoro ,   1415   i49* 
Francavilla  (principe  di),  44^' 

Gaeta  Muzio,  loi,  io3,  io4j 
107,   112,   116,   120. 

Gaetani  dell'  Aquila  d' Aragona 
Carlotta,  442* 

Galiani  Celestino,  14*2,  329. 

Galileo,   ii3. 

Galizia  Nicola ,  399. 

Gassendi,  3,  5. 

Gatti  (P.)  Giacomo  Filippo,  sa- 
cro oratore ,  444>  449* 

Gennaro  (de)  letterato  napole- 
tano, 20. 

Gennaro  (di)  Giuseppe,   395. 

Giacchi  Bernardo  Maria,  20,  24  1 
25,  26,  27,  3i,  32,  34,  35,  37. 

Giovenale  ,  52  ,  98. 

Giovo  Nicolò ,   100. 

Gravesande  Guglielmo ,    i46. 

Grillo  Ginevra,  370. 

Grimaldi  Gregorio ,  4o9* 

Gronovio  Giacomo,   161. 

Grozio,   139,   i44'  ^ 

Guicciardini  Francesco,  61.  7 

Guidiccioni  Giovanni,  39. 

Gurgo  Teresa,  366. 

Haro-Gusmano  Gasparo,  187. 
Harrach  conte  Ernesto,  i47' 
Harrach  conte  Ferdinando,  i47' 
Harrach  conte  Gio.  Giuseppe,  i47* 


Harrach    (  inonsìg.  ) 

di  Salzburgo,   147. 
Harrach  conte  Luigi,   124 
Harrach  conte  Vincislao, 


INDICI 

arcivescovo     Moreri 


,47. 


Innocenzo  XHI,  pontefice,   274* 
Ippocrate,    134,    137. 

Labbe'.    178. 

Laudati  Benedetto,  •25/^. 

Laurenzano  (duca  di),  97. 

Leibnizio,    io5. 

Licurgo,  4^' 

Lino,    64. 

Liveri  (di')   Domenico,  443' 

Livio  ,   162 ,  177. 

Locke,  3,  (>. 

Lodovico  XIV,  re  di  Francia, 
•2'i5.  267. 

Loffredo  conte  Nicola ,  370. 

Longino,  4^- 

Longobardi  ^de*)  Placido  Anto- 
nio, 371. 

Longuerue  Luigi,    146. 

Lucia  da  S.  Angelo  Luigi,  463. 

Lucrezio,   121,   i5o. 

Lucullo,  241. 

Luna  (de)  d"'Aragona  Andrea,  396. 

Maffei  N.  cardinale,  335. 

Majo  (di)  Muzio,  21. 

Malebraiice  Nicola,  io4,  io5,  114, 
122,  i38. 

Manfredi  Francesco ,  394. 

Marchetti  Alessandro,    i5o. 

Marlborough ,  270. 

Marmi  Casto   Emilio,  396. 

Massimiliano  Emmanuele  duca  di 
Baviera,  353,  363,  ^ì6. 

Mattei  Giulio,  396. 

Mazzacane  Giulio,  38o. 

Mazzarini  Giulio,  cardinale,  i36. 

Mazzocchi,  letterato  napoletano, 
20. 

Menandro,  68  )  77. 

Mercurio  Trismegisto,  3 14. 

Merelli  Costanza,  370. 

Metastasio  Pietro ,  396, 

Milano  Franco  d'^Aragona  Giaco- 
mo Francesco,  4^3, 

Minorclli  (P.  )  Tommaso,  3o. 

Moccnigo  N.  nobileveneziano,445. 

Molinelli  Luigi,  338. 


Luigi,  IO. 
Muratori  Lodovico, 
Museo,  64. 


479 


04. 


Newton ,   i  o5. 
Nobilione  Andrea,  395, 


Omero, 


47 >  ')0^ 
1  59, 


ia5, 


5.. 


Orazioj  57 

Orfeo,  64,  81. 

Oria  (d"*)  Paolo,  296. 

Ottaviano  Augusto,  319. 


Pacifico  Orazio,  449- 
Pallavicino  Sforza,  cardinale  j  98^^, 

104,   i38. 
Palma  (di)  Giuseppe,  394. 
Papiniano  giureconsulto,   137. 
Pascal,    )o5,   i38. 
Patrizio  Francesco,   106. 
Perotti  Gennaro,  395. 
Petavio,   178. 
Petrarca,  39,  49}  295. 
Petronio,  246,  248. 
Pignatelli  Antonio,  409. 
Pignatelli  Francesca,  44^* 
Pignatelli  Girolamo,  ^^8. 
Pignatelli  Virginia,  2^3. 
Pignone  del  Carretto  Isabella,  453, 
Pinelli  Anna  Francesca,  409* 
Pirelli  Filippo,  cardinale,  466. 
Pisacane  Giambattista,   366. 
Pitagora,   i35. 

Platone,  67,  76,  96,  98,    129. 
Plauto,  85,  93. 
Plinio  il  panegirista,    109. 
Plinio  il  naturalista,  243,  24^* 
Plutarco,  67. 

Poeta  Gioaohimo,  394,  447* 
Polibio,    160. 
Pompeo,  241. 

Porcia  conte  Gio.  Àrtico,   175. 
Porzio  Lucantonio,  429. 
Procida  (da)  Giovanni,    i5i. 
Proclo,  filosofo  platonico,   106. 
Puoti  Gio.  Maria,  396. 


Quintiliano,   i33. 
Quinzj  (P. )  Gesuita, 


i5o. 


Raffaello  d'Urbino,  78. 
Reggio  (da)  Michelangelo,  cap- 
puccino,  176,  433. 


48< 


INDICI 


Riccardi  Alessandro,  253. 
Rocca  Domenico,  345. 
Rocca  Francesco,  339. 
Rocca  Giulia,  38o. 
Rocca  marchese  Orazio,  339. 
Rohan  (de)  cardinale,  9. 
Rossi  Casimiro,  394,  396. 
Rossi  Tommaso,  121  ,   i23. 
Russo  Cristofaro ,  44^* 

Salas  Giuseppe ,  453. 

Salerni  Giambattista  ,   cardinale , 

439. 
Salerni  Nicolò,  67,  395,  438. 
Salernitano  Francesco,  396. 
Sallustio,   166. 

Salvini  Antnnmaria,   21,   398. 
Sanfelice  Ferdinando,  44^* 
Sangro  (di)  Carmela,  398. 
Sangro  (di)  Paolo,  3oo. 
Sangro  (di)  Raimondo,  44'^* 
Sannazzaro  Giacomo,   149- 
Sanzio  Francesco,  i63. 
Saresberiese  Giovanni,  245. 
Scalea  (principe  della),   12. 
Scaligero,   178. 
Scopa  Giuseppe,  85.  ^ 
Segneri  Paolo,  3o5. 
Seneca,  91,  243,  292. 
Senofonte,  3oo. 

Serao  Francesco,  medico,   172. 
Sergio  Giuseppe,  4o9« 
Serra  Marianna,  371. 
Sersale  Nicolò,  395. 
Socrate,  54,  57,  67,  3oo. 
Sostegni  Roberto,  4^»  4^7?  4^^» 

462. 
Spagnuolo  Agnello,  21,  395,  422. 
Spinola  Livia,  372. 
Spinosa  Benedetto,   106. 
Stazio,  i5o. 


Stigliano  (principessa  di),  456. 

Stobeo,  IO. 

Strabone ,  32o. 

Stuardo  Jacopo,  duca  di  Bervvicb, 
329. 

Stuardo  Jacopo,  figlio  del  pre- 
cedente, 33o. 


Tacito,  4?  ^^}  ^^»  *6^' 

Tasso  Torquato,  17,  69,  70,  320. 

Tassoni  Alessandro ,  59, 

Teofrasto,  68,  243. 

Terenzio  ,  44  '  ^^' 

Terragni  (  P.  )  Domenico ,  424» 

Tisbia  Fulvio,  340. 

Tiziano ,  78. 

Tocco  Lionardo,  4'o. 

Tolotti  (P.)  sacro  oratore,  438. 

Torre  (della)  Marina,  41 1. 

Torres  (P. )  Antonio,  280. 

Torricelli  Evangelista,   i38. 

Tristano  Vincenzo,  395. 

Usserio,  178. 

Valletta  Francesco,  3q5. 
Valletta  Giuseppe,  u. 
Vanalesli  Marcello,  396. 
Ventura  Francesco,  21. 
Verme  (del)  Lucrezia,  369. 
Vettori  Pietro ,  in. 
Vico  Gennaro,   159,  169. 
Villena  Manoel  Antonio,  4»o. 
Villis  Tommaso,  252. 
Virgilio,  69,  70,   143,  i5o. 
Viscini  Francesco,  SgS. 
Visconti  Giulio,  439. 
Vitry  (P.)  Gesuita,  7,  8. 

Walburga,  3io,  322,  44^ 


Ai  quattro  Sonetti  per  Nozze,  che  qui  stanno  a  pag.  4^7 
e  seg.y  dovea  tener  dietro  il  seguente: 


Del  salito  A.mor  che  P  universo  itìfornja, 
Ed  ogni  pravo  amor  rattempra  e  calma, 
Piovver  due  parti  in  voi  di  fiamma  in  forma, 
E  si  aunidaro  nel  più  bel  dell'alma; 

E  mentre  una  nelP altra  si  trasforma, 

I  cuor  giungendo,  or  che  voi  palma  a  palma 
Strignete,  un  sol  voler  d'ambo  si  forma 
Chi  ha  suo  regno  diviso  in  doppia  salma. 

Si  vedrà  '1  mondo  sfolgorar  da  voi 
Luce,  fin  dove  il  Sole  a  noi  si  fura, 
E  donde  porta  il  nuovo  giorno  a  noi  : 

E  fia  che  splenda  ognor  più  ardente  e  pura 
Per  quei  che  nasceranno  incliti  eroi 
In  mezzo  all'ombre  dell'età  futura. 


Vico,  Opuscoli,  Bi 


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occhio 

cocchio 

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^^^Om  CORREZIONI 

'^oslro  vasto 

^'/"V  .    .  Di  lui 

col.  II.  passeggien  passeggiati 

.»°^^'°«  inchino 

>?  »*."°  un  sacro 

"  .^P'^S®  ti  spinge 

«P'"t«  spirio 

^'***°  .  <:orto 

r-   f    ,•  E  quel 

ond'eltaha  ond' è  si  Italia 
3i  e  scg.  leggansi  così: 

Di  fiera  gmrra,  in  ponto  eh'  a  lei  manca 
Del  cattolico  gregge  il  gran  Pastore  , 
Posta  in  forse  ,  ec. 

n    444    »      «8    aurea  a»»É     , 


Pag. 

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LI.  Vico,  Giovanni  Battista 

V638  Opera 

T.6 


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