Full text of "Opere;"
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OPERE
DI
GIAMBATTISTA VICO
ORDINATE ED ILLUSTRATE
COLLI ANALISI STORICA DELLA MENTE DI VICO
IN RELAZIONE ALLA SCIENZi^ DELLA CIVILTÀ
DA
GIUSEPPE FERRARI
VOL. VI.
^C)
OPUSCOLI
DI
GIAMBATTISTA VIGO
NUOVAMENTE PUBBLICATI
CON ALCUm SCRITTI INEDITI
DA ■ V- : :u ■ ,
GIUSEPPE FERRARI
MILANO
DALLA SOCIETÀ TIPOGRAFICA DE' CLASSICI ITALIANI
MDCCCXXXVI
JUN2 8 iyo
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LA SORTE DI VICO
JLia gloria è il tributo €on cui la specie umana pre-
mia i lavori dei sommi :, V ammirazione è il contras-
segno che distingue la scoperta, è come la moneta
d'ogni valore intellettuale: scuotere le idee dominan-
ti, destare l'entusiasmo di una nazione, vincere le
opposizioni dell'errore, comunicare un movimento che
si propaga nelle istituzioni sociali , nelle tradizioni
alla posterità, non è un semplice piacere dell'orgoglio:
l'uomo che alla fine di una vita laboriosa non trova
che il sarcasmo dei dotti, o la profonda incuria de'
contemporanei, può credere di aver esistito inutilmen-
te, di aver prodigato il suo pensiero in un' aberra-
zione mentale. — Tale fu la sorte del pensatore più
grande della Storia moderna. Vico era figlio di un li-
brajo miserabile, per lungo tempo fu pedagogo in una
provincia del Cilento , a trent' anni fu nominato ad
una cattedra di rettorica , dove rimase per mezzo se-
colo, giudicato né superiore né inferiore al suo posto.
Quando diede alle stampe i primi suoi scritti scientifici ,
fu considerato come un dotto volgare , e probabilmente
la contegnosa opposizione del Giornale de* Letterati lo
disanimò dal pubblicare la continuazione del libro sul-
l'antichissima Sapienza degli Italiani^ fu creduto te-
merario quando annunciò il suo Diritto Universale, e
alla pubblicazione del primo libro si pensò che non a-
vrebbe continuato (i). La prima Scienza Nuova ^ scritta
(i) Vedi tomo I delle Opere latine ^ pag.ug, e qui a
pag. aO.
VI PROEMIO
mentre egli aveva già trent* anni di relazioni lettera- |
rie, fu ricusata da' libra j^ il cardinale Corsini che ne
accettava la dedica, non volle fornirgli le spese della
stampa 5 Vico fu costretto a mutilare il suo lavoro, a
comprimerlo sotto di un nuovo metodo per restringerlo
a pochi fogli , e vendè un anello per sostenere le spese
delP edizione (i). I Letterati di Napoli sparlarono alta-
mente della Scienza JVuoua y il Giornale di Lipsia ne
diede conto in poche righe sprezzanti, come di un'o-
pera serbile accolta col tedio dagli Italiani^ era dedi-
cata alle università, e la disprezzarono anche i profes*
sori di quella a cui egli apparteneva. Sfuggo tutti i luoghi
celebri (egli scriveva ad un suo amico) per non ah-
hatteimi in coloro acquali io Uho mandata: e se per
necessità egli addivenga , di sfuggita li saluto, nel
quale atto non dandomi essi neppure un riscontro di
averla ricevuta ^ mi confermano V opinione che io rab-
bia mandata al deserto. Poco diverso fu P accogli-
mento della seconda Scienza Nuova: né in Napoli né
altrove trovò tipografo che volesse stamparla a pro-
prie spese ^ fu nuovamente forzato dalla sua mala for-
tuna a serrare in pochi fogli le sue scoperte per po-
terle trasmettere ai posteri colla stampa: nuovamente
dedicò l'opera al Corsini che era stato elevato al soglio
pontificio^ ed anche questa volta Sua Santità si limitò
a fargli partecipare la sua soddisfazione da un car-
dinale (2).
Il presente volume è una raccolta di documenti che
ci fa conoscere il doloroso dibattimento tra la volontà
di un uomo e la forza di un secolo: quelli che cercano
(i^ Vedi Prima Scienza JSuova^ Vita di G. B. Vico, p. 438
e qui a pag. 166.
(2) Vita di G. B. Vico, op. cit. p. 466 e qui a p. i€6.
dell' editore vii
ie rivelazioni del genio nelle opere degli uomini gran-
di, possono ometterne la lettura^ desso serve a scan-
dagliare nella intimità della vita privata la destina-
zione della grandezza ignorata : scorrendo le poesie, le
orazioni , le adulazioni , le servilità di cui ridonda
questo volume, si scorge quanto pesasse sul genio di
Vico l' ignoranza generale. Quando egli scrisse la sua
Vita, fu preoccupato dal meschino artifizio di scher-
mirsi dal disprezzo generale colle lodi di alcuni pochi ^
ma nelle confessioni che gli sfuggono nelle sue cor-
rispondenze , nell' amarezza che s' intravede in alcuno
sue poesie, nell'argomento istesso de' suoi lavori let-
terarj si vedono le esitazioni , i dolori , i tentativi , gli
sforzi di un uomo che senza trovare un seguace ha
consacrata la vita ad annunziare la più grande delle
innovazioni, il movimento del mondo civile.
Non v' ha cura , non mezzo che Vico abbia rispar-
miato per acquistarsi un mecenate , un proselito per
diffondere le sue idee : esemplari delle sue opere am-
piamente prodigati ai professori, alle biblioteche, alle
università, ai dotti, agli stranieri^ dediche umiHate ai
grandi colle frasi più servili ; lezioni lette alle adu-
nanze più solenni dell'università: — - i suoi doni erano
ringraziati, le dediche accettate, le sue dottrine erano
ignorale o derise. Le lodi e le protezioni sono spesso
un tacito commercio che giova alle celebrità effìmere
e che nascono col bisogno d'illudere qualche migliajo
di lettori. Non passava matrimonio o morte di un
grande o di un illustre, che Vico non meditasse qual-
che adulazione in versi o in prosa: nell' orazione in
morte di A. Cimìni e della Contessa d'Aspremont lo-
dava gli avi , i discendenti , i collaterali , gli amici , i
dotti che frequentavano le loro adunanze: nella sola
Giunone in danza profonde cncomj a circa quaranta
vili PROEMIO
mediocrità letterarie: all'arrivo , alla partenza de' Vi-
ceré d'ogni merito", d'ogni nazione, creava nuovi eroi^
pochi sono i dotti di cui le prose o i versi di Vico
non contengano qualche studiata allusione-, si diceva
per celia che Vico voleva dare l'immortalità a tutti: —
i pochi che ricambiarono le lodi ricevute , sono quelli
che meglio mostrarono di non averlo inteso. I primi
studj di Vico erano stati rivolti alla poesia ed, all' e-
loquenza ^ i suoi versi sono meschinamente prosaici ,
le prose grettamente ampollose^ noi conosciamo que-
ste produzioni , perchè degli uomini grandi si conoscono
anche i difetti: i contemporanei di Vico leggevano i
suoi versi, lodavano le sue prose, e furono inesorabili
nella noncuranza delle sue opere scientifiche. Solla , il
suo cordiale amico, il suo biografo, gli scrive candi-
damente che stima più l'orazione in morte di Angiola
Cimini , che non tutte le altre sue opere , non esclusa
la Scienza Nuova , quando scrisse la Vita di Caraffa
fu lautamente compensato , mentre la Scienza Nuova
non trovò né libraj nò protettori -, le sue produ-
zioni letterarie venivano stampate con lusso , poi ri-
stampate nelle Raccolte , mentre nessun suo scritto
scientifico ebbe l'onore d'una ristampa: senza le sue
bassezze, i suoi versi, le sue orazioni, la sua cattedra
di rettorica egli sarebbe morto di fame, e certamente
quando a settant' anni fu nominato regio istoriografo,
si pensò a premiare 1' adulatore dei potenti, non l'au-
tore della Scienza Nuova.
Non si possono tacciare di soverchia frivolezza i con-
temporanei di Vico: nell'università di Napoli fiorivano
valenti professori ^ la giurisprudenza , la filosofia for-
mavano la riputazione di Gregorio Calopreso, Costan-
tino Grimaldi , Carlo Majello , Troisi , De Gennaro j
Nicolò Cirillo, Elia Astorino, Paolo Boria, di Fardella.
dell' editore IX
Catalano, Spada, Semicola e di molti altri. Il genio allora
non era un titolo di proscrizione: d'Argento, Giusti-
niani, Egizio, Gimma, d'oscuri natali, senza fortune, in
breve tempo salivano ai primi onori, alle prime cariche
dello Stato. Gravina, appena pubblicata l'opera sull'Ori-
gine del Diritto, veniva chiamato ad insegnar legge a
Roma-, gli erano offerte cattedre dagli accademici di Lip-
sia , da Vittorio Amedeo di Savoja ^ il Fardella aveva
insegnato filosofia a Modena, a Padova, a Venezia , e
di ritorno dalla Spagna il suo merito gli aveva frut-
tato due mila filippi di pensione. Elia Astorino, prima
perseguitato dall' ignoranza , destava 1' ammirazione a
Venezia, a Marburgo, a Groninga, a Rena, a Cosenza^
il Capasso, Domenico De Angelis, Carlo Majello, Spada,
Marchese, Porzio, Serao, e cento altri contemporanei di
Vico trovavano ammiratori , erano insigniti di onori ,
arricchiti di pensioni: — il solo Vico sollecitava inu-
tilmente la carica di segretario della città e una cat-
tedra di Diritto^ — ogni giorno egli vedeva innalzarsi
i suoi coetanei tra le aristocrazie del merito nei tribu-
nali , nelle università , nel mondo letterario, nelle corti ,
e rimaneva nella classe de' pedagoghi^ — ogni giorno
invecchiava diventando l'inferiore de' suoi colleghi, re-
stava maestro di rettorica, pagato come un bidello del-
l'università^ — dopo la profetica visione della Scienza
Nuova^ quelli stessi che erano nati mentre egli scriveva
il Libro metafisico, N. Alfani, Rapolla, Carlo Gagliardi,
Pasquale Cirillo lo sorpassavano nelle cariche superiori
dell'università^ — la sua vita attraversò tre generazio-
ni , e tutte lo lasciarono educatore di fanciulli ^ già
adulto egli vide succedersi dodici viceré, sei pontefici^
tre volte mutarsi la fortuna del regno or sotto la Spa-
gna, or sotto l'Austria, ora indipendente:, ma nessun
rivolgimento valse a sollevarlo dalla sua miseria.
X PROKMIO
Sembra che ^ii da giovane nel castello di Vatolla Vico
intravedesse la sua triste destinazione ^ colla coscienza
del genio egli esclamava : nella misera vita che meno io
sono solo e abbandonato, e la mia sventura sprezza
ogni conforto ( i ) : reduce in Napoli egli , secondo le
sue parole, non solo vive da straniero nella sua pa-
tria y ma anche da sconosciuto , e invidia la ventura
de* tanti giovani ammessi a conversare coi sommi (2).
Quest' anima elevata poteva allora rassegnarsi a sof-
frire in silenzio una superiorità ignorata^ ma quando
ebbe sorpassato d' un secolo e Cujacio e Grozio e
Cartesio che segnavano gli ultimi confini della scienza
contemporanea ^ quando scoperta una scienza nella
storia si trovò ancora ignorato nella folla delle ac-
cademie , allora cominciò a cercare una spiegazione
alla propria oscurità : si ricordano di me , egli dice ,
fin dalla prima giovinezza e debolezze ed errori , e
queste reminiscenze diventano criterj eterni per giu-
dicare di tutto il bello e compito che per avventura
altri faccia poi — e soggiunge l'amara riflessione —
io non ho né ricchezze, né dignità, e sì mi mancano
due potenti mezzi da conciliarsi la stima della molti"
tudine (3). Ma questa spiegazione non vale ^ P indif-
ferenza de' suol conoscenti era comune ad un' intera
nazione ^ si accorge che scrittori poveri erano saliti
a riputazioni europee , che giovani screditati pote-
vano aspirare alla celebrità letteraria ^ e allora cerca
alla scienza la soluzione del problema : la corrotta
moda delle lettere, egli dice , ha fatto la mia avversa
fortuna. — La Scienza Nuova è uscita in un^ età
(i) Pag. 345 e se^.
{1) Vita, op. cit. pag. 59*2.
(5) V. qui a pag. 21 e seg.
XI
in cuiy con l'espressione di Tacito , oue riflette sopra
i suoi tempi somigliantissimi a questi nostri y COR--
RUM PERE ET CORRUMPI SAECULUM VOCATUR^ 6 per-
ciò come libro che disgusta o disagia i molti , non
può conseguire l'applauso universale. La riforma di
Cartesio ha intorpidito gli ingegni ^ colle critiche ha
distratto le menti negli studj aridi delle matematiche^
colla pretesa di un certo impossibile ha reso inetti gli
ingegni ai verisimili della vita politica e delle scienze
civili^ ha gettato il disprezzo sullo studio delle lingue,
della storia j del diritto: quindi la Nuova Scienza sul
corso delle nazioni , perchè tratta di materie i di cui
studj si condannano dal metodo di Cartesio ^ contro
ogni regola di buon' arte critica ^ senza farne verun
esame, senza applicarvi punto di attenzione con un
giudizio superbo, che è quel che non rende ragione del
perchè così giudica, la condannano dicendo che non
s'intenda (i). — E cercava d'invocare l'autorità de'
più accreditati contro la corrente del secolo -^ afferrava
le testimonianze più fuggitive per darvi la pubblicità
della stampa. Fa compassione la gratitudine con cui
quest'uomo oppresso ricorda una stretta di mano del-
l'Aulisio, l'abbraccio di un avvocato, il colloquio di
un frate Teatino^ egli pubblica nelle sue orazioni che
la Cantelmi Stuarta gli fece una visita, che la Cimini
ascoltava i suoi discorsi sulla Scienza Nuova. Ledere
gli aveva dato nella sua Biblioteca alcune di quelle
vaghe lodi, senza convinzione di cui il secreto forma
l'onniscienza de' nostri giornalisti ^ egli ne menò vanto
fin che visse, le commentò nella prima Scienza Nuova ^
le citò in altri lavori , e nella sua Vita lo ringrazia di
avergli data V immortalità. Quelle lettere con cui i
(i) V. qui a pag. I e seg., u e seg., 02 e seg.
XII PROEMIO
dotti lo ringraziavano del dono de' suoi libri \ quelle
lodi insignificanti che P urbanità o la politica o l' i-
gnoranza de' letterati non lascia mancare alle più me-
diocri capacità , sono da lui mostrate nelle adunan-
ze spedite ai corrispondenti , pubblicate colle stam-
pe (i). — Verso la fine però della vita si accorgeva che
gli uomini letterati danno privatamente assai pia van-
taggiosi giudizj delle opere altrui^ di quello farebbero
se ne avessero pubblicamente a far le censure. Doveva
pur avvertire che nel commercio delle lodi accademi-
che se Agnello lodava il suo Diritto Universale, baciava
tre volte un viglietto scritto dal Giacchi (2) -, che Nicolò
Concina lodava la Scienza Nuova j ma poneva Doria a
livello di Vico: doveva pur disgustarsi anche di Giac-
chi , di Solla e di altri amici che apprezzavano egual-
mente e la Scienza Nuova e la Vita di Caraffa e le
sue Canzoni. Sulla fine de' suoi giorni parve procla-
mare egli stesso il suo isolamento, appellarsi alla po-
sterità, sperare a' suoi libri una generazione più illu-
minata: quanta forza d'animo in questo duello di un
uomo contro tutti gli altri ! Ma il dubbio venne a scuo-
tere il suo genio anche nell'ultimo asilo della coscienza :
la corruzione Cartesiana era cresciuta non come le ef-
fimere apparizioni della moda, ma come il movimento
irresistibile di un'epoca*, alla riforma di Cartesio succe-
deva la scuola di Locke , più splendida nelle fisiche ,
più attraente, perchè armata di passioni popolari, più
terribile nella sua critica, perchè assaliva le istituzioni
sociali. Vico , già oppresso dalla riforma Cartesiana ,
vive abbastanza per ravvisare tutti i sintomi che pre-
sagiscono l' era degli Enciclopedisti *, egli riponeva l' u-
(i) Pag. 20, 21, 27.
(2) Pag. 27, 35.
DEIL' EDITORE XIII
inanità nelle idee di Platone , e la filosofia di Lo-
cke degradava il pensiero fino alla sensazione^ la sto-
ria già trascurata da Cartesio era il campo della sua
grandezza , e vedeva diffondersi quelP epicureismo es-
senzialmente antistorico , perchè aveva ricevuto la mis*
sione di demolire^ egli fondava la civilizzazione sulla
religione e sulP autorità de' principi , e vedeva sorgere
quel secolo di incredulità e di derisione , che comin-
ciò colle orgie di un Reggente, e finì col supplizio di
un Re. Il genio di Vico fu confuso dal corso parados-
sale di una civilizzazione che doveva progredire colle
rovine: scandagliando l'avvenire colla sua meditazione
Romana , non pensò che alla somiglianza de' suoi tempi
con quelli di Tacito, invece di attendere alla reden-
zione de' popoli : oppresso dall' opposizione universale
e dal fato di Roma, forse ha esitato tra il sospetto di
un decadimento universale e il sospetto di follia nelle
proprie meditazioni ; forse fu assalito da quelle dubi-
tazioni crudeli che spesso afflissero gli uomini fatali
fche si sono consacrati alla causa delP umanità, che ar-
restarono nelP indecisione molti genj progressivi , che
trovansi simboleggiate nelle religioni orientali , e che
dovrà sempre soffrire ogni mente privilegiata in una
società dove il male è in natura , il bene è un' arte ,
il progresso è una lotta. — La disgrazia mi persegui^
terà anche dopo la morte : ecco P ultimo lamento di"
Vico , P ultima voce involata alle sue pareti domesti-
che, che giunge a noi ad un secolo di distanza, e che
risuona tristamente, come il gemito uscito da una tomba.
Gli ultimi giorni di Vico furono infelicissimi : vide
crescere P indigenza domestica ^ fu afflitto profonda-
mente dalle infermità di una figlia , dal disonore di
un figlio^ gli mancarono le forze per camminare, perde
quasi interamente la memoria. — La mente che aveva
XIV PROEMIO
evocate le leggi, le religioni, i governi dell'antichità per
ricostruire idealmente il dramma della civilizzazione,
era ebete ^ — il fondatore di una scienza sterminata,
come le speranze dell'uomo, era ebete ^ — passava le
intere giornate seduto in un angolo della casa taciturno ,
non salutava gli amici , appena riconosceva i figli. Noi
che abbiamo passato per tanti disinganni , che per pro-
gredire abbiamo camminato sulle rovine di ciò che fu
sacro per tanti secoli^ noi che spieghiamo il patriottismo
colle leggi del mercato , V entusiasmo colle leggi della
pazzia , noi alla vista di quelP uomo pallido , silenzio-
so, immobile, distrutto dalle malattie, dai dispiaceri,
dalla meditazione, ci saremmo prostrati in un senti-
mento d' irresistibile ammirazione. Ma chi sa se V ab-
bate Genovesi si sarà ricordato del suo maestro di ret-
torica, se il Boria si sarà risovvenuto del suo assiduo
cliente? Quelli che rimasero indifferenti all'apparizione
della Scienza Nuo{>a^ non potevano certo sospettare che
queir ebete doveva passare all' ammirazione dei poste-
ri , ecclissare le più grandi celebrità del secolo xviii. —
Ricuperò l'uso dei sensi pochi giorni prima di mori-
re, la gioja fu grande nella sua famiglia^ ma egli non
potè che ^aggiungere l' ultima amarezza a quelle che
aveva rattristato il corso della sua vita. I suoi fune-
rali si celebrarono senza pompa, nel trasporto del ca-
davere furono interrotte le cerimonie d' uso , la sua
tomba rimase per mezzo secolo senza un epitafio che
la indicasse
fj L'oscurità di Vico non può essere un fatto mera-
mente casuale: un secolo e una nazione non sono gra-
tuitamente ostili, nò gratuitamente favorevoli: l'oscu-
rità di Vico adunque è un problema istorico che in-
volge nella sua soluzione i destini della scienza da lui
DELL* EDITORE XY
proposta: questo problema è uno di quelli che pos-
sono essere sciolti facilmente, ma che sono il corolla-
rio di un' intera scienza^ chi lo ricusa, ignora la scien-
za^ chi l'accetta e vi sorpassa leggermente, tratta un
miracolo come un accidente.
Queste idee forse daranno un senso agli scritti per la
maggior parte insignificanti che abbiamo raccolti in que-
sto volume. Le poesie furono già pubblicate per educare
il gusto, le orazioni per dare de^ modelli di eloquenza ,
la corrispondenza epistolare per mostrare come Vico
fosse applaudito: noi presentiamo le poesie e le ora-
zioni come una dolorosa necessità che gli fu imposta di
rifugiarsi nella sua professione di retore ^ presentiamo la
corrispondenza come una formale dimostrazione della
sua oscurità. Si tolgano i complimenti d' uso, si leg-
gano i rifiuti dati da Esperti, Vitry, Corsini* si os-
servi il tono abitualmente rassegnato, invariabilmente
umile delle sue lettere^ si confronti la sua corrispon-
denza con quella di Magliabechi , chiamato un nuovo
Messia, colle lodi date al Mazzocchi proclamato totiiis
Europeae literariae miraculum^ col rispetto mostrato al
Serao eletto arbitro in una contesa dei Medici di Pa-
rigi ^ e per non parlare che de' pari di Vico , si con-
fronti tutta la sua vita con quella di Cartesio , di Leib-
nitz e di cento altri festeggiati dai principi illustri
nelle stesse sventure, e si vedrà quanto triste fosse
l'isolamento di Vico, quanto grande fosse la barriera
invisibile che l' incomunicabilità delle sue idee pose
fra la sua mente e i suoi contemporanei.
Il volume è ordinato nelle tre parti degli Scritti scien-
tifici y delle Orazioni ed Iscrizioni e delle Poesie. Nella
disposizione della prima parte fu da' noi leggiermente
alterato l'ordine cronologico, per seguire la logica con-
nessione delle idee : per tal modo col sacrifizio di qual-
XVI PROEMIO dell' EDITORE
che data posposta si troveranno raccolte le idee di Vico
come in altrettanti gruppi, secondo che riguardano o
il suo secolo — o la poesia — o la morale e la filo-
sofia — o semplici curiosità letterarie.
Prima di finire dobbiamo attestare la nostra ricono-
scenza al eh. sig. marchese Cari' Antonio di Villarosa
per avere in qualche modo collaborato con noi a ren-
dere veramente completa quest'edizione. Grazie al soc-
corso di questo diligentissimo raccoglitore degli scritti
di Vico noi siamo i primi a pubblicarne le Poesie la-
tine, le Iscrizioni (tranne le prime cinque a pag. 822
e seg. e le due a pag. 327-828 ) e qualche prosa. Nes-
suno prima d'ora ha mai indicata l'esistenza di questi
scritti 5 de' quali alcuni sono inediti , altri erano smar-
riti in collezioni affatto dimenticate: abbiamo creduto
nostro dovere di pubblicarli in un'edizione, lo scopo
di cui è di dare una raccolta completa delle opere
di Vico , e i dati per lo studio istorico della sua mente.
PARTE I.
SCRITTI SCIENTIFICI
Vico, Opuscoli,
IDEE SU I CONTEMPORANEI DI G. B. VIGO
LETTERA ALL^ ABATE GIUSEPPE LUIGI ESPERTI
PRELATO DOMESTICO ALLA CORTE DI ROMA 0)
R,
Napoli, 1726.
.endo a V. S. Illustrissima cumulatamente i lieti
augurj che volentieri prendo dalla di lei verso me
singolare benivoglienza: e nell'atto stesso che gliele
rendo j glie ne rimango infinitamente obbligato.
Siccome infiniti obblighi le professo altresì del-
l'ufizio passato col signor Cardinale d' intorno al-
l'onesta utilità^ la quale io credeva avermi offerto
la fortuna nella discoverta delle origini eroiche delle
due Case di Francia e d'Austria: ma poiché non
sembra all'È. S. convenirgli, io tanto debbo sti-
mare. Però mi perdoni qui la molta affezione che
V. S. Illustrissima ha per li miei vantaggi, se in
ciò non ascolto il di lei consiglio. Perchè stime-
rei meritare, se non biasimo, almeno poco gra-
dimento appo i signori cardinali Cienfuegos e Po-
(i) Col nuovi prlncipj della Scienza Nuova il Vico aveva
assegnato l'antichità di quattro mila anni alla sovranità delle
Case d'Austria e di Francia {Scienza Nuova Prima y lib. Ili,
pag. 243-245): credeva che questo sogno gli dovesse procac-
ciare un'onesta utilità: l'Esperti ne lo disingannò, gli fece
intendere che l'Opera non era applaudita: in questa lettera
il Vico si rassegna alla sua sorte, e spiega che 1 tempi di
Gassendi, di Descartes e di Locke non possono essere quelli
della Scienza Nuova. — Fu nel 1792 che l'avvocato France-
sco Saverlo Esperti diede alla luce questi pensieri di Vico, che
sessantasei anni prima saranno stati compatiti dal Prelato ro-
mano, a cui erano diretti.
4 PARTE I.
lignac, se inviassi loro gli esemplari delF opera co-
tanto tardi j e di carta ordinaria , perchè de' fini
se n'è stampata una sola dozzina, e non più 3 e
presentarli senza altra mallevadoria che della sua
fama^ che 5 come lo stesso signor cardinale Cor-
sini diceva con essolei, non aveva incontrato ap-
plauso appresso taluni 5 i quali devono essere i
piùj tra per le ragioni le quali ella^ per favorir-
mi, gli addusse, ed esso signor Cardinale con la
sua solita generosità si degnò di riceverle, e per
queste altre che io ora le arrecherò.
11 libro è uscito in una età in cui, con l'espres-
sione di Tacito, ove riflette sopra i suoi tempi
somigliantissimi a questi nostri, corrumpere et cor-
riunpi seciilum vocatur; e perciò, come libro che
o disgusta 0 disagia i molti, non può conseguire
l'applauso universale. Perchè egli è lavorato sul-
ridea della Provvidenza, si adopera per la giu-
stizia del genere umano, e richiama le nazioni a
' severità. Ma oggi il mondo o fluttua ed ondeggia
tra le tempeste mosse a' costumi umani dal Caso
di Epicuro, o è inchiodato e fìsso alla Necessità
del Cartesio : e così o abbandonatosi alla cieca
Fortuna, o lasciandosi strascinare dalla sorda Ne-
cessità, poco, se non pur nulla, si cura, con gli
sforzi invitti di una Eiezion ragionevole di rego-
lare l'una, o di schivare, ed ove non possa, al-
meno di temprar l'altra. Perciò non piacciono li-
bri che quei i quali, come le vesti, si lavorino
sulla moda: ma questo spiega l'uomo socievole
sopra le sue eterne proprietà. Gli scrittori che
amano vivi udire gridarsi i loro nomi, e con una
gloria tempestiva accoppiar l'utile, e far guadagno
de' libri, indrizzano le penne al gusto del secolo,
perchè piiì speditamente vofìno a seconda del
tempo. Ed in vero sarebbe materia degna di tutta
SCRITTI SCIENTIFICI 5
l'applicazione degl'ingegni ben .informati de' par-
ticolari nella repubblica delle lettere, di scrivere
sulle occulte o straniere cagioni della fortuna de
libri. Il Gassendi ritruovò il mondo tutto marcio
in amori di Romanzi , e illanguidito in braccio di
una troppo compiacente Morale 5 e vivo udì da
per tutto celebrarsi il suo nome di ristoratore
della buona Filosofia, perchè di un sistema che
fa criterio del vero il senso, di cui a ciascuno
piace il suo, e pone nel piacere del corpo, per-
chè non vi è altro per Epicuro che Vano e Cor-
po, l'umana felicità. In odio della Probabile s'ir-
rigidisce in Francia la cristiana Morale, e dal vi-
cino Settentrione, e gran parte deìla Germania ,
lo spirito interno di ciascheduno si fa divina re-
gola delle cose che si deon credere. Vede il Car-
tesio il tempo di far uso de' suoi meravigliosi ta-
lenti, e de' lunghi e profondi suoi studj , e lavora
una Metafisica in ossequio della Necessità , e sta-
bilisce per regola del vero l'idea venutaci da Dio,
senza mai definirla : onde tra essi Cartesiani me-
desimi sovente avviene che una stessa idea per
uno sarà chiara e distinta, oscura e confusa per
l'altro. E sì egli salì vivente in fama di Filosofo
celebratissimo in questo secolo dilicato e vistoso,
nel quale dalli più con poco studio e co' soH na-
turali talenti si vuole comparir dotti, e fanno la
loro capacità regola de' libri* onde stimano buoni
i soli spiegati e facili, di cui si possa per passa-
tempo ragionare con le dame; al contrario quelli
che richiedono nel leggitore molta e varia erudi-
zione, e l'obbligano al tormento del molto riflet-
tere e combinare, condannano col solo dire che
non s'intendono. L'Inghilterra incerta nelle reli-
gioni, ed in un secolo quanto severo nel dettar
massime, tanto dissoluto nel praticarle, a tempi
<oo 1U1 ^ib
6 PARTE I.
proprj da fuori il Locke, il quale si studia sta-
bilire la metafisica della Moda, e vuole sposare
Epicuro con la Platonica. Tra' letterati la maggior
parte di tal fatta che non amano fissarsi nella
lettura di libri di meditazione, com' ella a mio prò
disse col signor Cardinale, e quindi Filologi che
non si dilettano che di Dizionarj e Ristretti, quanti
pochi deono esser coloro a cui piaccia quest' o-
pera, la cui materia, come dice il signore abbate
Odazj per favorirmi , è una vasta disamina delle
cose, la pruova è un pensar forte, per profon-
darvi e comprenderle! Ma consolo le mie lunghe
ed aspre fatiche sofferte in mezzo alle tempeste
ddla contraria fortuna , e tra le secche della mia
povera numerosa fan»iglia, che l'opera sia pia-
ciuta al sapientissimo signor cardinale Corsini, e
che stia al coverto della di lui potente protezio-
ne. Quindi sono io molto obbligato al signor abbate
Odazj per l'interesse che ne dimostra, come a
quei molti sani uomini, che egli le disse, sen-
tirne bene.
D'intorno agli esemplari ch'ella mi avvisa che
io mandassi a' signori cardinali Davia e Pjco, du-
bito mandarU e tardi, e di carta ordinaria 3 però
se ella comanda cosi, al suo cenno tosto gli avvie-
rò. Godo che il signor conte di Porcia resterà
contento della vita letteraria del signor Cirillo. Per
quella del signor Doria, il signor D. Marcello Fi-
lomarino vi si adopererà con tutta efficacia^ il
quale la riverisce divotamente, ed umilia i suoi
rispetti a S. E. Corsini, a cui riverentemente ri-
sponde, dispiacere ad esso in sommo grado di dif-
ferire la sua venuta costà, per la quale sta pren-
dendo tutti i mezzi che vi necessitano, affine di
ossequiare l'È. S. di presenza, com'è suo debi-
to: ed io piegandola dell'onore de' suoi coman-
di, mi confermo, ec.
SCRITTI SCIENTIFICI
LETTERA DEL P. ED. DE VITRY
DELLA COMPAGNIA DI GESÙ
Roma, 5 gennajo 1726.
Je suis bien fàché, Monsieur, de n'avoir pu réussir
dans la première affaire, que vous m'avez fait l'hou-
neur de me recommander en faveur de ce boa Reli-
gieux Conventuel, qui me parait avoir de l'esprit et
du mérite. Mais il a eu un grand nombre de concur-
rens qui ont été plus heureux. Je vous prie, Monsieur,
d'étre persuade que j'ai fait de mon coté tout ce qui
m'a été possible pour le servir à votre considération;
mais il n'a pu avoir que 5y points , et le dernier qui
a été admis en a eu 67. J'espère étre plus heureux
une autre fois, et vous me ferez justice de compter
toujours sur ma bonne volonté.
M. PAbbé Esperti m'a fait la grace de me donner
votre dernier ouvrage, dont je vous suis infiniment
obligé. Le dessein m'en a paru fort beau, et mele d'une
érudition profonde et solide. Il est bien de l'acheter
pour Phonneur de notre sainte religion , que vous
acheviez tout l'édifice dont vous avez donne un si beau
lau, et que vous fassiez voir que les vrais principes
u droit ne se trouvent que dans la vraie Église.
Gomme je suis en correspondance avec nos Pères de
Paris qui travaillent aux Mémoires de Trévoux, vous
me feriez bien du plaisir, Monsieur, de ra'instruire de
tout ce qui se passe dans vos quartiers et raéme en Si-
cile par rapport à la bonne littérature , et les auteurs
des nouveaux livres qui s'impriment , et ce sera encore
une plus grande faveur si vous voulez bien y joindre
vos reflexions. J'ai Phonneur d'étre avec beaucoup de
considération et de respect, ec.
l
8 PARTE I.
RISPOSTA AL P. ED. DE VITRY
DELLA COMPAGNIA DI GESÙ
Napoli, 20 gennajo 1726.
Sono infinitamente obbligato a V. Riv. della
buona opinione che ella ha dell'opera da me in-
viatale ultimamente data alla luce.
D'intorno a ciò che ella mi comanda di noti-
zie letterarie di qui e di Sicilia, con miei giudizj^
{)er ragguagliarne li vostri R. P. di Trévoux, da'
etterati di quell'Isola qui non si ha affatto con-
tezz' alcuna: di questa città io posso darle questa
novella, che da' savj uomini qui si vive persuaso
che se la Provvidenza Divina per una dell' infinite
sue occulte e ad ogni umano scorgimento nasco-
ste vie non l'invigorisce e rinfranca, sia già verso
il suo fine la repubblica delle lettere. Perchè in
vero è da far orrore a chiunque vi rifletta, che
di questa famosa guerra fatta per la successione
di Spagna, di cui dopo la seconda cartaginese,
non che quella di Cesare con Pompeo, e di Ales-
sandro con Dario, non s'è fatta altra maggiore
nel mondo, se non pure questa della stessa car-
taginese è maggiore, non si è ritrovato alcun So-
vrano a cui cadesse in mente di farla conservare
all'eternità da qualche penna eccellente in lingua
latina, onde si sperasse durare la lunghezza de'
tempi colla lingua della religione e delle leggi ro-
mane comune a tutta l' Europa : lo che dà pur
troppo evidentemente ad intendere che oggi i prin-
cipi nemmeno dal proprio interesse della loro glo-
ria si muovono più a conservare, non che a pro-
muovere le lettere. Ne viene anche ciò confermato
col fatto funesto a tutta la repubblica letteraria ;
SCRITTI SCIENTIFICI Q
che nella Grecia di questo nostro mondo presente
(dico la vostra Francia) la celebre libreria del
cardinal de Rohan non ha ritrovato compratore
che intera la conservasse j ed ha dovuto vendersi
per essere lasciata a merendanti olandesi, e quindi
se ne fossero sparsi gl'indici perle nazioni. Dipoi
per tutte le spezie delle scienze gl'ingegni d'Eu-
ropa sono già esausti 3 gli studj severi delle due
lingue greca e latina si consumarono così dagli
scrittori del Cinque, come da' critici del Seicen-
to. Un ragionevol riposo della Chiesa Cattolica
sopra l'antichità e perpetuità, che piij che le al-
tre vanta la version vulgata della Bibbia, ha fatto
che la gloria delle lingue orientali fosse de' Pro-
testanti. Delle Teologie la Polemica riposa, la Dom-
matica è stabilita. I Filosofi hanno intorpiditi gl'in-
gegni col Metodo di Cartesio j per lo qual solo
paghi della lor chiara e distinta percezione, in
quella essi senza spesa 0 fatica ritrovano pronte
ed aperte tutte le librerie. Onde le Fisiche non
più si pongono al cimento, per vedere se reggono
sotto l'esperienze: le Morali non più si coltiva-
no, sulla massima che la sola comandataci dal
Vangelo sia necessaria: le Politiche molto meno,
approvandosi dappertutto che bastino una felice '
capacità per comprender gli affari, ed una destra
presenza di spirito per maneggiarli con vantag-
gio. Libri di Giurisprudenza romana colta si fan
vedere piccioli e radi dalla sola Olanda. La Me-
dicina , entrata nello scetticismo, si sta anche sul-
l'epoca dello scrivere. Certamente il fato della sa-
pienza greca andò a terminare in Metafisiche
niente utili, se non pur dannose alla civiltà ; ed
in Matematiche tutte occupate in considerare le
grandezze, che non sopportano riga e compi>sso,
le quali non hanno niun uso per le Meccaniche,
IO PARTE I#
nelle quali due sorti di studj sembra che oggi
vada a spirare la più del suo giusto punto raffi-
nata letteratura presente. Per tutte le quali parti
dello scibile noverate, si vede apertamente la ne-
cessità che hanno gli uomini di lettere di oggidì
< d'assecondare il genio del secolo vago più di rac-
contare in somma ciò che altri seppero, che pro-
fondarvisi per passar più oltre. Quindi essi de-
vono lavorare o Dizionarj , o Biblioteche , o Ri-
stretti, appunto come gli ultimi letterati della Gre-
cia furono gli Suidi, cioè gli stessi che i Greci,
gli Offmanni, Moreri, Baili, i Fozii colle lore Bi-
blioteche, gli Stobei colle loro Selve, ed altri molti
colle loro Ecloghe, che a livello rispondono a'
ristretti de' nostri tempi. E in difetto anche di
questi siffatti autori, per non languire le stampe-^
rie, si sono ingegnate di allettar il gusto delicato
e nauseante del secolo , ristampando libri con un
sommo lusso di rami, con le più vaghe delizie
de' bulini , e con pompa sfoggiantissima di figu-
re: talché si fatte ristampe sembrano somiglian-
tissime alle salse, pur oggi introdotte, che allora
si condiscono più saporose, ove sulle portate de-
vonsi bandire le carni e i pesci più trapassati.
Qui in Napoli non sono stamperie di questo fon-
do, ne artefici di questa perfezione; e quantunque
vi si abbondi di acuti ingegni e di severo giudi-
zio che potrebbero lavorar opere tutte nuove e
tutte proprie, sono però i nobili addormentati
da' piaceri della vita allegra* que' d'inferior for-
tuna sono tratti dalla necessità o di disperdersi
nella folla del nostro Foro , o per menar più tran-
quillamente la vita, esercitarsi in occupazioni, che
se non glie ne dissipano, certamente pur troppo
glie ne infievoliscono la natura. Non devo per tanto
io tralasciare di darle questa notizia letteraria,
SCRITTI SCIENTIFICI I I
ma pur poco lieta per gli avanzi di esse lettere.
Questi RR. PP. deir Oratorio con animo veramente
regale e pieno di pietà inverso di questa patria
han comperata la celebre libreria del cbiarissimo
Giuseppe Valletta per quattordici mila scudi , la
quale trent'anni addietro valeva ben trentamila :
ma io che sono stato adoperato ad estimarla, ho
dovuto tener conto de' libri, quanto essi vagliono
in piazza , nella quale i greci e i latini , anche
delle più belle e più corrette edizioni primiere,
sono scaduti più della metà del lor prezzo , e il
di lei maggior corpo sono siffatti libri greci e
latini. :yj
Mi perdoni V. R. se ho ecceduti i giusti ter-
mini della lettera con alquanto di confidenza; per-
chè ho dovuto approvarle ciò che altra volta le
feci intendere dal signor abate Esperti, che in
ciò ella mi aveva comandato, se non disperava
affatto , diffidava certamente di poterla servire. Ora
pregandola in altre cose, dov'ella mi conosca abile
di onorarmi de' suoi comandi , umilissimamente
riverendola mi rassegno, ec.
LETTERA AL SIG. D. FRANCESCO S0LL4
Napoli, 19. gennajo 1759.
La vostra luminosa maniera di pensare, genti-
lissimo signor D. Francesco , in verità mi sor-
prende, e '1 saper generoso (che se generoso non
è, egli non è vero sapere) m'innalza sopra di
me medesimo; e con una civiltà socratica m'ad-
dottrina e mi emenda. Voi mi fate accorto d'a-
ver io nell' Orazione di Angiola Cimini marche-
sana della Petrella toccato quel segno, al quale
credeva d'essermi soltanto sforzato d'indirizzare
12 PARTE I.
lo stile; e mi scovrite la scienza dì ciò che io
per un certo senso, diritto per avventura, fatto
irli aveva : in cotal guisa m' illuminate. Di poi
stimate da più si fatta Orazioncina, che non
sono le altre opere del mio debole ingegno ,
anco la Scienza Nuova; di che io aveva certa-
mente opinione affatto contraria. Ma se cotal com-
ponimento fosse stato egli dettato da una vera
Eloquenza, la ragione senza dubbio starebbe dalla
parte del vostro giudizio : perchè la vera Elo-
quenza è la sapienza che parla 5 e la sapienza è
r aggregato di tutte le virtù e della mente e del
cuore; onde naturalmente escono da sé stesse e
le più belle e le più grandi virtù della lingua: le
quali tre spezie di virtù compiono il vero uomo,
che tutto è mente illuminata, cuor diritto, e lin-
gua fedele interprete d' amendue. Ed in vero in-
numerabili sono stati gli scienziati uomini autori
di grandissime discoverte : ma due soli al mondo
furono i perfetti oratori, Demostene e Cicerone;
. con la cui eloquenza visse , e que|li morti morì
la libertà di Atene la più ingentilita e più dotta,
e di Roma la più luminosa e più grande citta del
mondo: così voi mi emendate. Desiderate quinci
sapere , come cotale Orazione è stata ricevuta dal
comune de' Letterati Napoletani, e se n'abbiano
sparlato^ come han fatto d'altre Opere mie, e
sopra tutte della Scienza Nuova. Io in verità non
so darvene contezza alcuna , perchè non ho cu-
rato di saper ciò ch'essi n'abbiano detto. So bene
che 'l comune degli uomini è lutto memoria e fan-
tasia ; e perciò hanno sparlato tanto della Nuova
Scienza , perehè quella rovescia loro tutto ciò
eh' essi con errore si ricordavano , e si avevano
immaginato de' principi di tutta la divina ed
umana erudizione: pochissimi sono mente la qual
SCRITTI SCIENTIFICI l3
bisogna j come di Architetto '(giova qui avvalermi
di mi grave giudizio comunicatomi dal signor Prin-
cipe della Scalea, fatto da esso in rileggendo la
Rettorica di Aristotele) , per giudicare de' lavori
deir Eloquenza; la quale fa uso con dignità di
tutte le parti del sapere umano e divino; e da
un punto, come di prospettiva, ne dee vedere e
tra esso loro e nel tutto la convenevolezza che
fa tutto il bello dell'Eloquenza, che si chiama de-
coro. Oltracciò io non mi son punto curato in-
formarmene, perchè vìvo già persuaso che ne do-
vessero giudicare come di una opericciuola fatta
per passatempo. Perchè la più parte de' Dotti di
oggidì fervono in studj che soli reputan severi e
gravi, e di Metodi e Critiche; ma Metodi che dis-
perdon affatto l'intendimento, di cui proprio è di
veder il tutto di ciascheduna cosa , e di vederlo
tutto insieme, che tanto propriamente sona Intel-
ligere, ed allora veramente usiam Y intelletto , che
le nostre menti in questo corpo morale ci può
render in un certo modo della spezie, della qual
sono le separate, che con peso di parola si chia-
man intelligenze; e per vederne il tutto debbe con-
siderarla per tutti i rapporti ch'ella può mai avere
con altre cose dell' Universo , e tra quella che
vuole perfettamente intendere, e cose affatto di-
sparate e lontanissime, rinovarvi all'istante alcuna
comunità di ragione, nel che consiste tutta la virtù
dell'ingegno, che è l'unico padre di tutte le in-
venzioni : la qual sorta di percepire ecci assicu-
rata dall'Arte Topica, che da presenti Loici, come
inutile, oggi si disapprova: la quale sola ne può
soccorrere negli affari ferventi , che non danno
tempo al consiglio; e come il percepire è prima
del giudicare, così essa percezione puonne ap-
parecchiare al giudizio una critica , quanto più
ìif PARTE I.
accertata, tanto più utile alla scienza per le spe-
rienze in natura , e per li nuovi ritrovati delle
arti; utile alla prudenza per ben formare le con-
getture delle cose , o fatte per giustamente giu-
dicarle j o da farsi per utilmente condurle; utile
all' Eloquenza per la pienezza delle pruove e per
lo piacere delle acutezze. E finché tutti i Dotti
ebbero gP intelletti scerai di cotesta quarta ope-
razione, che dicon Metodo, han fruttato il tutto
che abbiamo e di maraviglioso e di grande in
questa nostra coltissima umanità ; ma dappoiché
Sì è in ciò da cotali Filosofi supplita la mente
umana , ella é sterilita e sfruttata , né ha ritro-
vato alcuna cosa piiì di rimarco. Delle Critiche,
altra è metafisica , che va finalmente a termi-
nare donde incomincian ad insegnarsi, cioè nello
scetticismo, che nelle menti giovanili, quando più
tempestano , ed hanno P animo , come di mollis-
sima cera , per ricever altamente le impressioni
de' vizj, stordisce, e la sola sapienza stando so-
pra un piede, li può risolvere. Il senso comune,
del quale avevano incominciato ad imbeversi, con
l' educazion iconomica , e doveva loro fermarsi
dalla sapienza riposta , del quale non ha la sa-
pienza volgare regola più certa per la prudenza
civile, la quale allora ci assiste quando operiamo
conforme operano tutti gli uomini di senso di-
ritto. Ma lo scetticismo mettendo in dubbio la
verità, la qual unisce gli uomini, li dispone ad
ogni motivo di proprio piacere e di propria uti-
lità, che sieguano il senso propio: e si dalle co-
munanze civili li richiama allo stato della solitu-
dine , non già degli animali mansueti che hanno
pur talento di unitamente vivere ne' greggi e ne-
gli armenti , ma di fieri ed immani che vivono
tutti divisi e soh nelle ior tane e covili : e la sa-
SCRITTI SCIENTIFICI IO
pienza riposta degli addottrinati , che dovrebbe
reggere la volgare de' popoli , le dà le più forti
spinte a precipitarsi ed a perdersi. L' altra Cri-
tica è l'erudita, che di nulla serve a far sa-
pienti coloro che la coltivano. Ma quelF anahsi
veramente divina de' pensieri umani , la quale
sceverando tutti quelli che non hanno naturai
seguito tra di loro , per angusto sentiero scor-
gendoci di uno in uno , ci guida sottilmente fil
filo entro i ciechi laberinti del cuor dell' uomo ,
che ne può dare, non già gl'indovinelli degli Al-
gerbisti , ma la certezza , quanto è lecito umana-
mente, del cuor dell'uomo, senza la quale ne la
Politica può maneggiarlo , né l' Eloquenza può
trionfarne ; e quella Critica la quale da ciò che
in ogni circostanza è posto l'uomo, giudica che
cosa egli in conformità di quella debba operare,
che è una critica sapientissima dell'arbitrio uma-
no, il qual è per sua natura incertissimo, e per-
ciò sommamente necessaria agli uomini di Stato,
entrambe oltre a quello delle morali Filosofie ,
delle quah unicamente s' inlesero i Greci per lo
infinito studio de' poeti, degli storici, degli ora-
tori, e delle lingue greca e latina che abbisognan
per ben intenderli, si sono affatto abbandonate;
e si son abbandonate principalmente per l' auto-
rità di Renato delle Carte nel suo Metodo, ed in
grazia del suo Metodo, perocché voglia per tutto
il suo Metodo. Ond' egh si ha fatto un gran se-
guito per quella debolezza della nostra natura
umana, che 'n brevissimo tempo e con pochis-
sima fatica vorrebbe saper di tutto : che è la ca-
gione perché oggi non si lavoran altri libri che
di nuovi Metodi e di Compendj 5 perchè la deli-
catezza de' sensi, che è fastidiosissima in questo
secolo , essendosi tragcltata alle menti , i nuovi
l6 PARTE I.
libri non per altro si commendano che per la
facilità ] la quale così fiacca ed avvelena gì' in-
gegni , siccoaie la difficoltà gP invigorisce ed av-
viva. Però pubblica testimonianza è che metodi
cosi fatti , trasportati dalle Matematiche all' altre
scienze, di nulla abbiano giovato gl'ingegni a di-
lettarsi dell' ordine , che da essi si è fatto pas-
saggio (chi r crederebbe ? ) a scriversi Dizionarj
di Scienze ; e ciò che recar debbe più maravi-
glia , delle stesse Matematiche , de' quaU non vi
ha maniera più fatta a caso , né più scioperata
di apprendere. Così egli è addivenuto che si con-
danna lo studio della lingua greca e latina 3 onde
sono da per tutto inutili i prezzi degU scrittori
in entrambe le lingue proprie , e si sono sfor-
matamente alterati quelli de' traduttori : e pure
si fatto studio ci può unicamente informare della
maniera di pensare saggia e grande de' Romani,
ed esatta e delicata de' Greci: delle quali e l'una
e l' altra bisognerebbe agli uomini d' alto affare ,
che debbono trattare di cose grandi co' Grandi,
e con altezza d' animo mostrar loro di sottiUs-
simo filo la verità con aspetto di compiacenza :
perchè le lingue sono , per dir cosi , il veicolo
onde si trasfonde , in chi le appara , lo spirito
delle nazioni : si condanna lo studio che assolu-
tamente bisogna per l'intelligenza del Diritto Ro-
mano Latino , che molto riceve di lume dall' O-
rientale de' Greci, col quale si giudicano le cause
in tutti i tribunali di Europa: si condanna lo stu-
dio della lingua della nostra religione, con cui
parlò la Chiesa Greca, e parla tuttavia la Latina;
e precisamente è necessario per le controversie
che debbono nascere con le novità che posson
sorgere nella Chiesa : si condanna la lezione de-
gli oratori , i quali soli ci possono insegnare il
SCRITTI SCIENTIFICI l'J
tuono con cui la sapienza favella : si condanna
quello degli storici j i quali soli si possono spe-
rare veraci consiglieri de' principi senza timore
e senz'adulazione: si condanna finalmente quello
de' poeti , col falso pretesto che dican favole j
nulla riflettendosi che le ottime favole sono verità
che più si appressano al vero ideale, o sia vero
eterno di Dio, ond'è incomparabilmente più certo
della verità degli storici, la quale somministrano
sovente loro il capriccio, la necessità, la fortuna:
ma il capitano, che finge, per cagion d'esemplo,
Torquato Tasso nel suo Goffredo, è qual dee es-
ser il capitano di tutti i tempi , di tutte le na-
zioni : e tali sono tutti i personaggi poetici per
tutte le differenze che ne possono mai dare sesso,
età, temperamento, costume, nazione, repubbli-
ca , grado , condizione , fortuna j altro non sono
che proprietà eterne degli animi umani ragionate
da' politici , iconoraici e morali Filosofi , e da'
poeti portate in ritratti. All'incontro, come se i
giovani dalle Accademie dovesser uscire nel mondo
degli uomini , il qual fossesi composto di linee ,
di numeri e di spezie algebraiche, empiono loro
il capo de' magnifici vocaboli di dimostrazioni ,
di evidenze , di verità dimostrate, e condannano
il verisimile , che è il vero per lo più , che ne
dà quella regola di giudicare, che è un gran mo-
tivo di vero ciò che sembra vero a tutti, o alla
maggior parte degli uomini 5 di che non hanno
più sicura i Politici in prender i loro consigfi ,
né i capitani in guidare le loro imprese , né gli
oratori in condurre le loro cause , né i giudici
in giudicarle, né i medici in curare i malori de'
corpi , né i morali teologi in curar quelli delle
coscienze; e finalmente la regola sopra la quale
tutto il mondo si acquieta e riposa in tutte le
Vico, Opuscoli, 2
l8 PARTE I.
liti e controversie j in tutti i consigli e provve-
dimenti , in tutte r elezioni , che tutte si deter-
minano con, tutti o con la maggior parte de'
^ voti. E la ragione di tutto ciò che ho scritto ,
è che dappertutto celebrandosi il criterio della
verità del medesimo Renato , che è la chiara e
distinta percezione , il quale non definito è più
incerto di quel di Epicuro , che il senso evidente
di ciascheduno j il qual ogni passione ci fa pa-
rer evidente, conduce di leggieri allo scetticismo;
il quale, sconoscendo le verità nate dentro di
noi medesimi, poco, anzi niun conto tiene di
quelle che si deono raccogliere dal di fuori, che
bisognano ritrovarsi con la Topica, per fermare
il verisimile, il senso comune e l'autorità del.j
genere umano; e perciò si disapprovano gli studjf
' . > che a ciò bisognano, che son quelli degli ora-
tori, degli storici e de' poeti ^ e delle lingue nelle
quali essi parlarono. Con questo spirito la mag-
' gior parte de' Dotti a compiacenza danno i giu-
dizj delle opere di lettere, facendone regola la
■ loro capacità, e la loro capacità giustificando a'
medesimi la propria lor passione. Cosi in questi
' ' stessi tempi che da essi si coltivano Metafisiche,
Metodi e Critiche , un' opera meditata con una
Metafisica innalzata a contemplare la mente del
genere umano, e quindi Iddio per l'attributo della
provvedenza, per lo quale attributo Iddio è con-
templato da tutto il genere umano; esaminata con
una critica che si fa sopra essi autori delle na-
zioni, la qual unicamente ci può accertare di ciò
che ne dissero gli scrittori, i quah dopo la scorsa
almeno d'un dieci secoli vi cominciarono a pro-|
venire; e condotta con un metodo addentrato
nella generazione de' costumi umani, che ad ogni
tratto ne dà importantissime discoverte ; essi ,
I
SCRITTI SCIENTIFICI ig
perchè vi sì tratta di materie i cui studj si con-
dannano dal Metodo di Renato , contro ogni re-
gola di buon' arte critica, senza farne verun esa-
me , senza applicarvi punto di attenzione , con
un giudizio superbo j che è quel che non rende
, ragione del perchè così giudica , la condannano
I dicenda che non s' intenda : e con costanza ve-
ramente di Filosofi, coloro i quaU chiamano que-
sto secolo beato, perocché si goda la hbertà di
conoscere i Socrati ed i Fiatoni per lo amore
della ragione e del vero , fanno plausibile il lor
giudizio appresso il volgo ignorante, che, peroc-
ché le volgari tradizioni degli antichi sono state
ricevute come articoli di Fede da tutti i Dotti
di tutti i tempi, si debba sopra di esse alla cieca
serbare tutta la venerazione dell'Antichità. Quindi
potete intendere, signor D. Francesco, se io debba
estimare cotesta vostra solitudine per una grande
celebrità; e se la Nuova Scienza abbia degno
luogo nel vostro nulla, che voi dite per una mo-
destia, nata da una somma grandezza di animo,
che avendo sgombro la vostra gran mente di
tutto ciò che vi ricordavate, e vi avevate imma-
ginato de' Principi dell'Umanità, vi avete lasciato
tutto solo il vostro alto intendimento a spaziare
nella sua vasta comprensione, per ricevervi la
Scienza Nuova: ond'ella entra nel numero di que'
dottissimi, che sempre furono pochi, che sosten-
gono in questo paese ed all'opera il credito, ed
all'autore oppresso dalla fortuna difendono e la pa-
tria e la vita e la libertà : e vi bacio caramente
le mani.
20 PARTE I.
LETTERA AL P.BERNARDO MARIA GIACCHI CAPPUCCINO (i)
Napoli, i4 luglio 1720.
Se vi fusse questa legge, che le opere lettera-
rie si dovessero a que' ciotti uomini solo regala-
re, che abbiano come renderne il contraccambio,
se ne riporterebbero giudizj più equi, ed ogni uno
si studierebbe più di far che di dire, per rendersi
veramente degno di doni sì fatti: come degnis-
sima è V. P. Re<rerendissima, che di tempo in tempo
ne fa godere le opere ammirabili del suo divinis-
simo ingegno. Le mando un mezzo foglio di carta,
che ha fatto nell'una e nell'altra parte de' gran
movimenti in questa città. Ha trovato favore appo
dottissimi uomini, perchè i potenti sempre furono
generosi, come i poveri sempre invidi. Io mi sono
sforzato lavorare un sistema della Civiltà, delle
Repubbliche , delle Leggi , della Poesia , dell' Isto-
ria, e, in una parola, di tutta l'Umanità; e in
conseguenza di una Filologia ragionata, e di tutte
ciò che fin da' primi Greci ci è pervenuto così e
vano o incerto o assurdo, come vi fossero stati
tempi che gli uomini o parlassero senza idee, e
per non esser intesi, o per cianciare da senno
io ne rendo ragioni tali e sì fatte, che con quelle
altre innumerabifi convenendo, vi riposa soprs
soddisfatta la mente: fin tanto che o non mai s;
arrechi un sistema migUore, o non vogliamo per-
(1) Questo Cappuccino fu predicatore assai riputato; quas
esattamente coetaneo di Vico, nacque nel 1672 e mori nel 1^44
mentre nelle esequie di Vico s'interrompevano le cerimonie
d'uso, nell' istess'anno a questo frate celebravansi splendid
funerali a spese degli amici; i primi letterati De Gennaro
Mazzocchi, Sergio* 'e G. De Angeli ne recitavano le lodi.
SCRITTI SCIENTIFICI 21
seguitare a pensare di si fatte cose così sconcia-
mente, come si è fatto per lo passato. Frattanto
temo del vostro giudizio raffinato cotanto nella
buona Critica, e perciò cotanto raffinato perchè
arricchito prima di una sceltissima Topica; e temo
che non mi trovate in fallo o nelle posizioni , o
nelle conseguenze : che se io ne riporto favore-
vole giudizio, che altro vado cercando, che pia-
cere ad un uom dotto che è in ammirazion de'
dottissimi? Ed a V. P. Reverendissima fo divotis-
sima riverenza (i).
AL MEDESIMO
Napoli, li ottobre 1720.
Non attribuisca, V. P. Reverendissima, a poca
attenzion mia, perchè dopo ben molti giorni io
risponda alla vostra pregiatissima lettera, perchè
io l'ho riputata tanto superiore al mio merito,
che ho stimato ben fatto portarvene almeno le
lodi, delle quali piià lodati uomini l'avessero prima
adornata. Io per mio sommo pregio l'ho letta, e
molti miei signori ed amici, ammiratori insieme
dell'altissimo valor vostro, tra' quaU il sig. D.Fran-
cesco Ventura, il sig. D. Muzio di Majo e 'l si-
gnor D. Agnello Spagnuolo, che vi mandano mille
riverenti saluti, ne hanno sommamente lodata la
proprietà del giudizio (se pur l'opra mia fosse
tale, quale voi con quella vostra solita maniera
grande l'avete appresa), e ne hanno ammirato il
sublime torno di concepire, dal quale esce, come
(1) La risposta del P. Giacchi fu riportata in seguito al
Diritto Universale (p. 4^2), dove si possono leggere anche
le lodi d'uso con cui Giacchi ringraziava Vico di avergli spe-
dilo il libro II De Constantia Jurisprudentis ( pag. 4*3).
22 PARTE I.
da sèj il gran parlare con la rara nota di una
eroica naturalezza. Onde il signor D. Marcello Fi-
lomarino, che va in ricerca di lettere d'ottima
idea, me ne ha richiesto un esemplare. Per la
città se ne parla, come si suole di ciò che di-
cono uomini di grandissima autorità^ ed amici ne
vorrebbero copia, affine di opporla all'altrui mal-
dicenza: ma non ho voluto darla, perchè non
amo innalzarla come bandiera di una inutil guerra
con uomini de' quali più tosto si dee avere pietà,
e se si vuole giudicar dritto, e anzi loro da farsi
ragione. Imperocché io ho scritto a voi uomini
di altissimo rango, per riceverne censure, oppo-
sizioni ed emende*, conforme in fatti sommamente
mi pregio che il sig. Anton Maria Salvini , per
confessione di tutta Europa un de' primi Lette-
rati d'Italia, abbia degnalo di sue particolari dif-
ficoltà ristesso saggio che ne diedi, e che sol-
tanto aveva veduto. Per costoro ho scritto affine
di ricredergli da un numero presso che infinito
di errori in tutta la distesa de' Principj della pro-
fana erudizione. Ma son cittadino, e molto per
miei bisogni conversevole: si ricordan di me, fin
dalla mia prima giovinezza, e debolezze ed erro-
ri 5 i quali come gravemente avvertiamo in altrui,
così altamente ci rimangon fissi nella memoria,
e per la nostra corrotta natura diventano criterj
eterni da giudicare di tutto il bello e compito
che per avventura altri faccia di poi. Io non ho
ricchezze, ne dignità, e sì mi mancano due po-
tenti mezzi da conciUarsi la stima della moltitu-
dine. Talché costoro o nulla curano di leggere
quest'opera (i), e così il travaglio che dovreb-
(i) Parla dell'opera che ha per titolo: De Universi Juris
principio et fine uno.
scrìtti scientifici 23
bero durare in meditarla, si fa loro innanzi in
comparsa di uno schivo disdegno di farle onore;
O se pure la leggono , perchè non le precede la
stima, non le prestano l'attenzione dovuta; e si
non comprendendola tutta insieme, gli si presen-
tano a brani tante novità tutte difformi dalle loro
E reconcepite opinioni, che veramente fan loro sem-
iante di mostri. Onde i Dotti cattivi, che amano
più l'erudizione che la verità, perchè questa li
dislingue, quella gli accomuna con tutti, prendono
volentieri occasione col colore di patrocinare l'au-
torità de' passati, tanto plausibile, quanto è gran-
dissima quella di tutti i tempi; mi concitan con-
tro degli odj mortali, perchè le lodi, di che i
veri savj, come voi siete, per vostra bontà me
ne date, li ritengono a cagionarmi disprezzo. Ed
in effetto le prime voci che in Napoli ho sentito
contro di me da coloro che han voluto troppo
in fretta accusarmi dal medesimo saggio che ne
avea dato, erano tinte di una simulata pietà, che
nel fondo nasconde una crudel voglia di oppri-
mermi con quelle arti con le quali sempre han
soluto gli ostinati delle antiche o piuttosto loro
opinioni rovinare coloro che hanno fatto nuove
discoverte nel mondo de' Letterati. Però il grande
Iddio ha permesso per sua infinita bontà che la
religione istessa mi servisse di scudo , e che un
Padre Giacchi , primo lume del più severo e più
santo Ordine de' Religiosi, desse tal giudizio per
bontà sua delle mie debolezze. Vedete, Rever. Pa-
dre, quanto mi onora, quanto mi rinfranca, quanto
mi sostiene e difende la vostra pregiatissima let-
tera : il sommo Iddio ve '1 riponga con secondare
tutti i vostri voti, che non possono essere che
di vera felicità, poiché sono i Voti di Savio: e
2^ PARTE I.
pregandovi che seguitiate ad amarmi, e proteg-
germi, come mi amate e mi proteggete, vi fo
umilissima riverenza.
AL MEDESIMO
Napoli, 4 febbrajo 1721.
Con tutto il rispetto dovuto al vostro alto e
raro valore. Reverendissimo Padre, vi mando que-
sta Raccolta di varj Componimenti, nella quale
leggerà un mio (i), che in lavorando io mi pro-
posi V. P. Reverendissima, come quella che, de'
viventi che io conosca, sa pensar grande, affine
che avvalorasse i miei sforzi; ne ho tenuto il raf-
finatissimo giudizio, per emendarne T ardire; mi
ho lusingato di una qualche vostra pregevolissima
lode, per consolarne il travaglio. Sicché se con-
tiene alcuna cosa di buono, ella così certamente
è vostra, come i difetti son miei. Il riceva dun-
que come suo, in quanto è lavoro di mente; come
mio, in quanto è un picciol dono che vi fa l'a-
nimo in segno della grandissima stima che io fo
del vostro singolarissimo merito: e pregandola a
conservarmi nella sua memoria , parte della più
bell'anima di che Iddio adorni oggi la nostra na-
zione, vi fo divotamente umiHssima riverenza.
(i) La Giunone in Danza y stampata nella sua Raccolta per
le nozze del principe Filoraarino, si troverà opportunamente
collocala tra le Poesie nella Parte III di questo volume.
SCRITTI SCIENTIFICI 2$
RISPOSTA DEL P. BERNARDO MARIA GIACCHI
Arienzo, i marzo 1721.
Il quasi nlun commercio che oggimai ho io col se-
colo, mio gentilissimo signor Giambattista, come mi
ha fatto il ritardamento delle grazie vostre, così ca-
giona quello del mio rispondervi. Or a farlo con l'in-
genuità che co' valentuomini dell'indole vostra usar si
dee, sul primo ricevere della vostra pregiatissima Rac-
colta, non senza qualche ribrezzo mi son messo io
a leggerne i Componimenti, timoroso che, per aggfi-
rarsi al torno di argomento non maschio, non avesse
a risentirsene la severità troppo gelosa del mio Insti-
tuto: ma ben tosto ài mio scrupoloso timore è succe-
duto il ragionevol contento di vedere con tanta onestà
e decoro trattata una passione alla nostra inferma na-
tura anche troppo pericolosa, che su trasportata l'a-
nima dall'altezza de' sentimenti, e dalla signoria del-
l'espressioni, perde di vista affatto ciò che è terra e
fango. La più parte di questa lode deesi a V. S. mio
signore per la scelta non meno da voi fatta di Muse
così savie e pudiche, che per essersi infra di esse se-
gnalata a maraviglia la vostra nel rischiarare con tanta
grazia e bellezza il bujo più folto della poetica Teo-
logia^ innestando così a soggetto ameno cotanto e fe-
stevole, con magistero degno di voi, il serio e '1 grave
della più riposta erudizione. Que' virtuosi signori, i cui
nomi a rendere, com'è dovere, immortali, celebraste
voi per la lingua di un Nume , sapran fare al valor
vostro quella giustizia che ogni amatore delle buone
lettere dee interessarsi a farvi per fomentare in voi
quel sublime felicissimo genio , onde ricevon novello
pregio e splendore le lettere e i letterati. Del rima-
nente io , che sono obbligato a V. S. assai più che non
sa tollerare la mia picciolezza, vi userò giustizia e gra-
titudine col pregarvi da quel Signore, che vi ha data
26 PARTE I.
anima cosi nobile, a riempiervela di quei doni onde
divien l'uomo santo, non meno che savio. E qui col
solito profondissimo rispetto mi dico, ec.
LETTERA AL P. BERNARDO MARIA GIACCHI
Napoli, 9 settembre 1721.
Mando tutto altiero (i), e poco msn che bal-
danzoso a V. P. Reverendissima il secondo libro,
perchè sopra degli altri, onde si pregia, il mando
ornato del vostro gravissimo giudizio, col quale
ella parlò di tutta l'opera come già compiuta so-
pra tutto il suo disegno; perchè con quel suo al-
tissimo intendimento già avvisava ne' principj del
primo, come ne' semi i frutti, contenersi i corol-
larj di questo secondo. Gl'ingegni corti o limitati
ne dubitavano, e la più parte tenevan per certis-
simo che io a mezzo il corso mancassi. Spero in
Dio (e ne avrò di questa sua divina grazia mani-
festissimo segno del vostro temuto giudizio) di
aver io complito ed al mio debito ed alla vostra
mallevadoria; con la quale ella assicurò il pubblico
de' Letterati, con avvalorar me a soddisfare al mio
debito. Io tanto ansioso ne attendo i riscontri ,
quanto bramoso vivo dell'onore de' suoi pregiati
comandi. Mi rassegno, ec.
(i) Il libro qui mentovato è quello intitolato De Constan-
tia JurisprudentiSy stampato dal Mosca nel 1721.
SCRITTI SCIEIfTlFICI
AL MEDESIMO
^7
(
Napoli, 27 ottobre 1721,
Quinci può V. P. Reverendissima facilmente co-
noscere quanto sia grande l'autorità che nella re-
pubblica de' Letterati ella bassi meritamente acqui-
, stato 5 che non sono mancati di alcuni a' quali la
mia opera dispiace, che son iti dicendo, il Pa-
dre Giacchi mal soffrire che io mi fussi onorato
col pubblico del suo giudizio , che per sommo
onor mio con la sua prima lettera ne avea dato.
Ma quanto sono perversi i pensieri degli stolti!
nello stesso tempo che essi fan sì gran conto di
una sola vostra testimonianza, vi appiccano una
di voi indegnissima taccia di simulato, e che non
sia ella quel P. Bernardo Maria ornato a meravi-
glia dì una santa spartana gravità, con la quale
tal si porterebbe se vivesse tutto solo nel mondo,
quale pur si porta pieno di splendore in mezzo
alla pubblica luce di rigidissimi Religiosi e di gra-
vissimi Letterati. Ma la virtù, per lo sentiero che
indispensabilmente un solo le apre la verità, tien
si dritto in mezzo agli errori dell'ignoranza e le
traversie del vizio, che in brieve spazio aggiunge
tutti i lontani , e corre la sterminata lunghezza del-
l'avvenire: ond'è che i cuori de' sapienti son cre-
duti indovini, e che essi abbian forza e potere
sopra le stelle. V. P. Reverendissima, come se le
fosse giunta all'orecchio questa falsa voce, con
quanta grandezza d'animo, con altrettanta genti-
lezza d'espressione ha pubblicato al mondo la sua
buona grazia di ciò che io, non per presunzione
ò congettura, ma perchè conosceva il vostro petto
veracissimo e la vostra anima generosa, come per
28 PARTE I.
espressa ordinazion vostra aveva già fatto, ador-
nandomi con tutta la letteratura alla vostra prima
onorevolissima lettera. Ora scenda ella con l'alta
sua mente nel profondo dell'animo mio, e veda
quanto sono umili le grazie che sopra la prima
io le conservo per la seconda vostra risposta. Io
per mio sommo pregio ne ho dato copie agli altri
Signori approvatori dell'opera mia, i quali l'hanno
letta con istima, e piacere egualmente sommi, e
sopra tutti il sig. D. Agnello Spagnuolo, che umilis-
simamente vi saluta; il quale bene tre volte attentis-
simamente la rilesse, e finalmente con un bacio,
che con singoiar rispetto v'impresse, proruppe in
queste parole: Lettera degna di esser trascelta tra
i più colti scrittori del cinquecento, la quale non
che 'l vestito e 'l corpo, ha tutta F anima del fa-
vellar grande toscano. — Io invero , se fosse ad
altrui toccata la sorte di tanto onore che V. P.
Reverendissima ha fatto a me, direi che la vostra
lettera può servire di regola e di norma a chiun-
que vuole imparare tutte ad un tempo due diffi-
cilissime cose, cioè uscire da vecchi errori, e ap-
prendere verità non più udite : che gh faccia me-
stieri o di una prudente opinione di credito in-
verso di chi l'insegna, come la si acquistarono
tutti gli altri Filosofi , che insegnando pubbhca-
niente, tratto tratto andarono salendo in grido di
valenti maestri , e si stabilirono le loro nuove dot-
trine; o di vestire un temperano scetticismo, col
quale vadano a leggere, o per meglio dire, a me-
ditare attentamente libri di nuove scoverte, con
animo risoluto e fermo di niegar tutto che non
gli costringa la forza di una invitta evidenza a ri-
ceverlo; come troppo accortamente volle che seco
si usasse da' leggitori della sua Metafisica Renato
delle Carte, il quale per questa unica altra strada
SCRITTI SCIENTIFICI 2g
provvide poter fondare una Filosofia tutta nuova
da' suoi riposti ritiri, senza pubblicamente profes-
sarla nell'Accadefnie. E quindi è incomparabile la
delicatezza dell' apparecchio col quale presentate
magnificamente la lode a' signori Letterati che han
degnato per loro bontk lodare l' opera mia , e del-
l'alta comprensione delle loro menti, e della li-
bera signoria sopra le passioni villane: tal mera-
vigliosa destrezza vi fu dettata, cred'io, dalla vo-
stra eroica modestia, essendo ella uno di loro.
Ma intorno a ciò eh' ella dice , dover io quinci
contentarmi dell' approvazion di que' pochi a quali
stea bene tal vostra loda, i quali sono pochissi-
mi, egli non me '1 detta la moderazion dell'animo,
ma una certa superba necessità, nella quale io vo-
lontariamente entrai quando nella mia vita lette-
raria mi proposi una volta unicamente piacere ad
uomini in grado eccellente dotti, e per valor sin-
golari, tra' quali ella come un primo personaggio mi
è sempre stata fissa dinanzi gli occhi della mente
in tutta la maestà, la quale spiega in porgendo le
sue divinissime dicerie. E concedendo a voi la
rara grandezza di animo, con la quale della vo-
stra coscienza di aver ben oprato fate immortai
teatro alla vostra virtù, so che per la bassezza
del mio spirito mi vo cercando di fuori , rendo
infinite grazie al sommo Iddio, dator d'ogni be-
ne, perchè non restassi abbattuto e vinto da que-
sto ultimo colpo di rea fortuna, che avessi re-
cato disgusto a coloro a' quali mi son sempre -stu-
diato unicamente piacere ; onde ora i rabbiosi
morsi, co' quali mi lacera la maliziosa ignoranza,
consolo , gustando il soavissimo frutto di aver
contentato voi soli, com'egli è una copia di let-
tere, perchè finora non ho mandato fuora ad al-
tri i miei Ubri , una del signor Biagio Garofalo ^
3o PARTE I.
Faltra del P. Tommaso Minorelli (i), nomi ch'ella
ben sa assai distinti in Italia per la lor grande
letteratura, le quali ora le invio, perchè ella goda
sentirsi alla sua censura far eco uomini di tal ran-
go : e con ogni ossequio baciandole la riveritissima
mano, mi confermo quale mi glorio essere, ec.
AL MEDESIMO
Napoli, 3 giugno 1724.
Prendo invero un grande ardimento d'inviare
a V. P. Reverendissima questa mia Orazione tes-
suta in itaHana favella (2)', ma che aveva io a fare,
se me ne faceva forza una certa giustizia? poi-
ché se questa contiene alcuna particella di buo-
no, tutta è dovuta a voi, che siete la norma
somma e sovrana dell'eloquenza de' nostri tempi,
la quale io unicamente mi ho proposta in medi-
tando questa diceria, e come se l'avessi a por-
gere alla vostra presenza: onde se tra l'ombre
de' suoi difetti risalta alcun buon lume, egH vien
da voi come di riflesso, e torna a voi medesimo
di riverbero. Ella non voleva affatto venirvi in-
nanzi; ma finalmente ve r ho indotta, persuaden-
dogliele si dalla necessità fattami dal comando
che io n'ebbi di vestirla in questo idioma, e che
voi, tra '1 brieve spazio che la degnerete leggere,
scendereste da quella rara sublimità delle vostre
maravigliose divine idee, e la guardereste col solo
aspetto dell'umano vostro gentilissimo animo, col
quale l'avesse da scusare e da compatire. Avrei
(i) Le lettere di costoro stanno in fine al Diriiio Universale,
voi. II delle Opere latine.
(2) Parla dell'Orazione in morte di Anna Maria Asperraont
contessa d'Althann, edita Tanno 1724.
SCRITTI SCIENTIFICI 3l
forse fatto meglio non inviarlavi: raa ho temuto
che '1 sommo amor vostro verso di me non l'a-
vesse attribuito più tosto ad atto di poca atten-
zione, che di modestia. Però, siami io pure sfac-
ciato, giugnendo questa da voi, vi dirà esser lei
un segno manifesto che io non ambisco altro al
mondo che di piacere a voi, a cui facendo umi-
lissima riverenza, mi rassegno qual per mio sommo
pregio appo tutti mi professo , ec.
Di Vostra Paternità Reverendissima, ec. , a cui
rispettosamente soggiungo di avermi presa con
lei sola la licenza di aggiungere all' Orazione un
tratto che per certi riguardi ho temuto di esporlo
al pubblico.
RISPOSTA DEL P. BERNARDO MARIA GIACCHI
Arienzo, i5 luglio 1724*
Il crudo spettacolo di morte che per lungo spazio
ho io qui avuto su gli occhi in un nostro Religioso
fratello, che finalmente è passato dal tempo all'eter-
nità,, mi ha riempiuto per modo l'animo, che non mi
ha permesso di prima rendere a V. S. mio signore
3uelle grazie che ora vi rendo moltissime dell' Orazione
i cui vi siete degnato di farmi il pregiatissimo dono.
Io l'ho letta non una, ma ben tre e quattro volte,
e sempre con quel piacere che ad animo ingenuo e
sincero recar suole il maschio e verace bello di una
eloquenza grande e signorevole: mi piace di credere
che un pari affetto avrà cagionato in tutti coloro che
sono giudici competenti di simiglianti difficilissimi la-
vori, e che perciò ve ne abbian data quella lode alla
quale voi generosamente sovrastate per la secura co-
scienza di meritarla lungamente maggiore. Cosi aveste
voi, signor mio, più spesse le occasioni di esercitare
in opere si fatte il vostro conosciuto valore , come non
I
32 PARTE I.
avrebbe la italiana favella in questa parte, che a lei
manca, di che invidiare alla latina: ma l'infelicità del
nostro secolo tradisce P adempimento di un desiderio
che se non ispunta in cuore a molti, la è colpa o
della negligenza o della malizia. Godete voi, signor
mio, di voi stesso, e di quei doni ond'è ricca la vo-
stra grande anima, e facciamci a sperare dalla Prov-
videnza ciò che a torto ci vien dinegato dagli uomini
poco o nulla estimatori della virtù, quando che spo-
sata nOn sia ad una splendida fortuna. Del rimanente
continovatemi , vi priego , la vostra buona grazia , e
datemi il come giustamente godere del per me troppo
onorevol titolo di vostro, ec.
LETTERA AL P. BERNARDO MARIA GIACCHI
Napoli, 25 novembre 1725.
Accompagnata dal sommo amore che le porto,
e da tutta la riverenza ch'ella merita, mando a
V. P. Reverendissima la consaputa opera. In co-
testo eremo ella goderà tanta pubblica luce, quanto
ne potrebbe nella più celebre delle Università del-
l'Europa, alle quali è indirizzata (i). In questa città
si io fo conto di averla mandata al diserto, e
sfuggo tutti i luoghi celebri, per non abbattermi
in coloro a' quali l'ho io mandata; e se per ne-
cessità egli addivenga, di sfuggita li saluto: nel
quale atto non dandomi essi né pure un riscon-
tro dì averla ricevuta, mi confermano l'opinione
che io l'abbia mandata al diserto. Io poi devo
tutte le altre mie deboli opere d'ingegno a me
medesimo; perchè le ho lavorate per mie utilità
propostemi, affine di meritare alcun luogo deco-
roso nella mia città: ma poiché questa Univer-
(r) L'opera qui mentovata è la Prima Scienza Nuova.
SCRITTI SCIENTIFICI 33
sita me ne ha riputato immeritevole j io certa-
mente debbo questa sola opera tutta a questa Uni-
versità; la quale non avendomi voluto occupato
a trattar paragrafi, mi ha dato Tagio di medi-
tarla. Posso io avergliene più grado di questo?
che mi spiace non potergliene professare altrove,
che in cotesta vostra solitudine, dove gridando
dico che vorrei non avere lavorate tutte le altre
mie deboli opere d'ingegno, e che restasse di me
questa sola; perchè le altre erano state lavorate
per avere io alcuna cattedra prima in questa Uni-
versità; ed ella, giudicandomene indegno, mi ha
in un tacito modo comandato che io travagliassi
questa, alla quale dovevano menarmi tutte le al-
tre opere innanzi della mia vita. Sia per sempre
lodata la Provvidenza, che quando agl'infermi oc-
chi mortali sembra ella tutta severa giustizia, al-
lora più che mai è impiegata in una somma be-
nignità! Perchè da questa opera io mi sento aver
vestito un nuovo uomo, e provo rintuzzati quegli
stimoli di più lamentarmi della mia avversa for-
tuna, e di più inveire contro alla corrotta moda
delle lettere, che mi ha fatto tal avversa fortuna:
perchè questa moda, questa fortuna mi hanno av-
valorato e assistito a lavorare quest'opera. Anzi
(non sarà per avventura egli vero, ma mi piace-
rebbe che fosse vero) quest'opera mi ha infor-
mato di uno certo spirito eroico, per lo quale
non più mi perturba alcun timore della morte,
e sperimento l'animo non più curante di parlare
.^egli emoli. Finalmente mi ha fermalo, come so-
pra un'alta adamantina rocca, il giudizio di Dio,
il quale fa giustizia alle opere d'ingegno con la
stima de' saggi, i quali sempre e da per tutto
iPurono pochissimi : non già uomini recitatori de'
libri altrui, che marciscono le notti nella venere
Vico, Opuscoli, 3
34 PARTE I. ■
é 'I vinOj o in infeste meditazioni sono agitati,
come con insidiare alla verità ed alla virtii deb-
bano covrire le scempiezze o le ribalderie com-
messe nel dì passato , per seguitar di parere e
dotti e buoni nel giorno appresso: non finalmente
infingardi, che stando tutti sicuri all'ombra della
loro negligenza, anzi scorrendo sconosciuti nella
densa notte de' loro nomi van latrocinando Fonor^
dovuto al merito degli uomini valorosi j ed ardi-i
scono in ogni modo di scannare il di loro cre-
dito; ma tra le tenebre delia loro nera passion
dell'invidia avventano e profondano nelle propie
loro viscere gli avvelenatissimi colpi: ma sapientil
sono uomini di altissimo intendimento, di erudi-
zione tutta propia, generosi e magnanimi, che
non altro studiano che conferire opere immortali
nel comune delle lettere, tra' quali o il primo o
tra' primi è V. P. Reverendissima, la quale ora io
divotamente priego ad accogliere con la solita vo-
stra altezza d'animo, come ha sempre fatto degli |
altri, questo mio ultimo e più di tutti tenero par- 1
to, il quale con la buona vostra grazia sarà più
agiato tra le vostre rozzissime lane, che tra le
porpore e i dilicati bissi de' grandi : e facen-
dole umilissime riverenze mi confermo, ec.
RISPOSTA DEL P. BERNARDO MARIA GIACCHI
Arienzo, 20 dicembre 1725. vi
Egli é già passato il mese, Riv. sig. Giambattista,
da che per la via di Caserta e da mano assai gentile
vennemi reso il vostro libro del Dritto Naturale delle
Genti : ma a tutt' altri che a voi saprebbe recar me-
raviglia il mio sì lungo differire a darvene convenevol
riscontro: voi che ben sapete le grandissime cose che
SCRITTI SCIENTIFICI 35
nella di lui brieve mole si contengono , e quanto di
attenzione e di studio si richiegga a giustamente com-
prenderle, mi stimerete presto, anzi che no, nell'usarvi
si difficile ufizio. Quante voi, signor mio, avete date
opere alla luce, tutte fuor di dubbio son degne di
voi^ ma questa a me pare che sia Io specchio il più
fedele dell'ampiezza, della fecondità e della fermezza
della mente, dell'ingegno e del giudizio vostro. Egli
è il vero che in un secolo sì snervato e molle ezian-
dio nelle lettere, qual è il nostro, non incontran for-
tuna libri sì rigidi e severi^ ma tanto bene non saran
pochi quelli che avidi della vera gloria vi terran dietro
a qualunque fatica nel sublime cammino^ ed avvisati
col gire innanzi a qual alta eroica meta voi gli scor-
gete, sian finalmente per rendervi la lode che deesi
ad uomo scopritor felice di un mondo nuovo nella
scienza più necessaria e più utile all'umanità. Feliciti
il Signore Iddio, prima cagione di ogni nostro bene,
e questo mio giusto pensiero , e quante ho in petto te-
nerissime passioni per ogni qualunque vostro cristiano e
civile vantaggio , dappoiché a mille titoli io pur sono, ec.
LETTERA AL P. BERNARDO MARIA GIACCHI ^ g|
Napoli, 4 dicembre lyag.
Come per lo eterno obbligo di giustizia che io
tengo con V. P. Reverendissima le mando questo
libricciuolo (i); così per l'onore ch'ella generosa-
mente mi compartisce della sua confidenza le scrivo
ciò che non ho potuto confidare alle stampe. Il
volume degli Atti di Lipsia dell'anno 17:27, ov'è
stampata una Novella letteraria della noslva Scienza
Nuova, era venuto qua in Napoli Cm dal princi-
pio del caduto anno 1728; e si teneva sotto chiave
(i) yici Vindiciae sive Notae in Ada ErudUorum Lipsieri'
sia mensis augusti A. MDCCXXyiL
36 PARTE I.
dairAutore, che l'aveva quinci scritta a' signori
Eruditi Lipsiesi, ed accortamente dissimulavasi da
altri pochi che n'erano consapevoH con esso Au-
tore; né è mancato uno di essi, il quale pratica
spesso in mia casa la sera, di costituirmene reo
della scienza che di tempo in tempo me ne dava
contezza, ma sempre incerta, varia, indistinta e
confusa, per la quale non mai me ne venne ta-
lento d' informarmi del vero. Quando finalmente
nel passato mese di agosto tal volume comparve
qui pubblicamente in piazza de' Librai, insieme
con tutto il corpo, venuto a questo mercadante
di libri Niccolò Rispolo ; onde da molti curiosi
cotal Novella fu letta; la qua! essendo stata per 1
mia buona sorte riferita al P. D. Roberto Sostegni, ^
egli con quella solita sua gran circospezione mi
accertò che i signori Giornalisti di Lipsia parla-
vano di quell'opera, ma che all'orecchio non glie
n'era giunta altra accusa che gloriosa per me,
che r avessi io lavorata conforme al genio della
Chiesa Romana. Quindi invogliatomi di rincontrar-
la, perchè l'osservai contenere tredici proposi-
zioni dentro altrettanti versi, delle quali una vera
mi reca una somma gloria, l'altre dodici son tutte
false, e che non mi toccano punto, io avrei cer-
tamente risparmiato di rispondervi; ma perchè si
aveva a divolgare l'Autore, come se n'avanzò tut-
tavia il rumore qui in Napoli, acciocché non si
potesse nemmeno per ombra sospettare che l'an-
dassi io diffamando, e che volessi vederlo punito
di quelle gravissime pene e spirituali e temporali
che glie n'aspetterebbono, io presi a scrivervi |
queste Note, con tal condotta, che vi fo neces- 1
saria comparsa di non saperlo chi sia, per tre
fini tutti da conseguirli , io da' medesimi Giorna-
listi, appo i quaU esso non si può a verun patta
SCRITTI SCIENTIFICI 3^
nascondere: il primo, che io ho tutto P affare con
essi, con costui nulla*, il secondo, ch'essi stessi
puniscano questo erapio con farlo cadere dal loro
concetto di esser costui loro buon amico, e nello
stesso loro concetto il cuoprano tutto d'ignomi-
nia e d'infamia, e nel medesimo tempo per la
loro propria imprudenza e temerità ne restino essi
carichi di vergogna e di pentimento, d'aver essi
ciecamente confidato la loro stima e '1 loro cre-
dito ad uno vilissimo traditore della patria, della
nazione e della religione sua propria j e l'ultimo,
e più rilevante di tutti , eh' essi non sieguano per
l'avvenire a credere di questa pietosissima città,
che voglia dissimulare un cotanto scellerato cit-
tadino che quindi ha attentato di aprire con essi
un commerzio pubblico di eresia. Questo è quello
di che doveva io ragguagharla; del rimanente le
parlerà essa scrittura, la quale, affidato nella di
lei alta generosità, avviso che leggerà con buon
occhio, come sempre ha soluto tutte le altre de-
boli opere del mio afflittissimo ingegno: e facen-
dole umiHssima riverenza mi confesso, ec.
VIGLIETTO AL MEDESIMO
(Senza data)
Per accertare V. P. Reverendissima quanto mi
sia dilettato de' vostri elogi, ho voluto seco ga-
reggiare in qualche formola *, perchè i disegni sono
sì belli, che non si possono migliorare. Sarà sua
gentilezza se vorrà di alcuna di quelle varietà ser-
virsi, e mia /sarà la gloria di avervi solamente
ubbidito: e con tutto l'ossequio resto rassegnan-
domi, ec.
^1!
IDEE SULLA POESIA
A GHERARDO DEGLI ANGIOLI
SOPRA L' INDOLE DELLA VERA POESIA J
Napoli, 25 dicembre 1725.
Ho ricevuto alquanti Sonetti ed un Capitolo,
composti da V. S. in cotesta sua patria , e vi ho
scorto un molto maggiore ingrandimento di stile
sopra il primiero, con cui ella due mesi fa era
partita da Napoli; talché mi han dato forte mo-
tivo di osservarli con l' aspetto de' Principj della
Poesia da noi ultimamente scoverti col lume della
Scienza Nuova dintorno alla Natura delle Na-
zioni: perchè le selve ed i boschi ^ che non so-
gliono fare gentili gli animi, né punto raffinare
gl'ingegni (né certamente vedo altra cagione), han
fatto cotesto vostro tanto sensibile, quanto repen-
tino miglioramento. Primieramente ella é venuta
a tempi troppo assottigliati da' metodi analitici,
troppo irrigiditi dalla severità de' criterj, e si di
una filosofìa che professa ammortire tutte le fa-
coltà dell'animo, che le provengono dal corpo, e
sopra tutte quella d'immaginare, che oggi si de-
testa, come madre di tutti gli errori umani; ed,
in una parola, ella è venuta a' tempi di una sa*
pienza che assidera tutto il generoso della miglior
poesia : la quale non sa spiegarsi che per traspor*
ti; fa sua regola il giudizio de' sensi; ed imita e
pigne al vivo le cose, i costumi, gli affetti con
PARTE I. SCRITTI SCIENTIFICI 3g
un fortemente immaginarli , e quindi vivamente
sentirli. Ma a' ragionamenti filosofici di tali mate-
rie, ella, come spesso ho avvertito, soltanto colla
sua mente si affaccia, come per vederle in piazza
o in teatro, non per riceverle dentro a dileguarvi
la fantasia, disperdervi la memoria e rintuzzarvi
lo ingegno, il quale senza contrasto è 'l padre di
tutte l'invenzioni: onde è quello che merita tutta
la meraviglia de' dotti j perchè tutte ne' tempi bar-
bari nacquero le piiì grandi e le più utili inven-
zioni, come la bussola e la nave a sole vele, che
entrambe han fruttato lo scuoprimento dell'Indie,
e '1 dimostrato compimento della Geografia 5 il lam-
bicco che ha cagionato colla Spargirica tanti avan-
zamenti alla Medicina; la circolazione del sangue
che ha fatto cambiare di sentimenti alla Fisica
del corpo animato, e voltar faccia all'Anatomia j
la polvere e lo schioppo che han portato una
nuova Arte bellica- la stampa e la carta che han
riparato alla difficoltà delle ricerche ed alle per-
dite de' manoscritti*, la cupola sopra quattro punti
da altrettanti archi sospesa, che ha fatto stupire
l'Architettura degli Antichi, ed ha dato motivo a
scienza nuova di Meccanica; e sullo spirare della
barbarie il cannocchiale, che ha prodotto nuovi
sistemi di Astronomia. Dipoi ella è venuta in età
della qui tra noi rifiorente toscana Poesia: ma un
tanto beneficio deve ella al tempo da cui è stata ,
senza guida altrui, menata a leggere Dante, Pe-
trarca, Guidiccioni, Casa, Bembo, Ariosto ed al-
tri poeti eroici del cinquecento; poiché sopra tutti,
non per altrui avviso fattone accorto, ma per lo
vostro senso poetico , vi compiacete di Dante ,
contro il corso naturale de' giovani, i quali, per
lo bel sangue che ride loro nelle vene, si dilet-
tano di fiori, d'acconcezze, d'amenità; e voi con
4o' PARTE I.
un gusto austero innanzi gli anni gustate di quel
divino poeta che alle fantasie delicate di oggidì
sembra incolto e ruvido anzi che noj ed agU orec-
chi ammorbiditi da musiche effemminate suona
una soventi fiate insoave e bene spesso ancora
dispiacente armonia. Cotesto le fu dato dal me-
lanconico umore di che ella abbonda : onde nelle
conversazioni nostre, anche araenissime, voi dal
piacere degli esterni solete ritrarvì a quello del
vostro senso interiore : e quantunque dalla vostra
tenera età siate versato ben dieci anni nel lume
di questa grande, bella e gentil città dell' ItaHa;
pure perchè siete nato a pensar poetico, rado e
poco parlate con favella volgare, e ancora vi com-
parite poco addestrato alla puHtezza del nostro
sermon civile. Or è ben fatto che sappiate cosa
fece gran poeta Dante, di cui voi cotanto vi di-
lettate per un certo naturai senso , onde egli vi
fa poeta, che lavorate di getto, non per riflessione
forse men propria, onde egli vi facesse un imita-
tore meschino. Egli nacque Dante in seno alla
fiera e feroce barbarie d'Italia, la quale non fu
maggiore che da quattro secoli innanzi, cioè ix,
X ed XI, e nel xu, di mezzo ad essa, Firenze in-
crudelì con le fazioni dei Bianchi e Neri, che poi
arsero tutta Italia, propagate in quelle de' Guelfi
e de' Gibellini: per le quali gli uomini dovevano
menar la vita nelle selve, o nella città come sel-
ve 5 nulla e poco tra loro, o non altrimenti che
per le streme necessità della vita comunicando;
nel quale stato dovendosi penuriare di una somma
povertà di parlari, tra per la confusione di tante
lingue, quanto furono le nazioni che dal Setten-
trione eranvi scese ad innondarla , quasi ritornata
in Italia quella della gran torre di Babilonia , i La-
tini da' barbari, i barbari da' Latini non inten-
SCRITTI SCIKNTJFICI 4^
dendosi 5 e per la vita selvaggia e sola menata
nella crudel meditazione di inestinguibili odj che
si lasciarono lunga eia in retaggio a' vegnenti, do-
vette tra gl'Italiani ritornare la Hngua muta, che
noi dimostrammo delle prime nazioni gentili, con
cui i loro autori , innanzi di truovarsi le lingue ar-
ticolate, dovettero spiegarsi a guisa di mutoli, per
atti o corpi aventino naturali rapporti all'idee,
che allora dovevano essere sensibilissime , delle
cose che volevan essi significare*, le quali espres-
sioni vestite appresso di parole vocali debbono
aver fatta tutta l'evidenza della favella poetica: il
quale stato di cose dovette più che altrove du-
rare in Firenze , per lo bollore turbolento di quel-
l' acerrima nazione*, come per ben dugento anni
appresso, fino che fu tranquillata col principato,
durò il maroso di quella repubblica tempestosis-
sima. Ma la Provvidenza, perchè non si estermi-
nasse affatto il genere umano, rimenandovi i tempi
divini del primo mondo delle nazioni, dispose che
almeno la religione con la Hngua della Chiesa la-
tina (lo stesso per le stesse cagioni provvide al-
l'Oriente con la greca) tenesse gli uomini dell'Oc-
cidente in società: onde coloro soH che se n'in-
tendevano, cioè i sacerdoti, erano i sapienti: di
che quanto poco avvertite, tanto gravi ripruove
sono queste tre: I. Che da questi tempi i regni
cristiani in mezzo al pili cieco furore delle armi
si fermarono sopra ordini di ecclesiastici; onde
quanti erano vescovi, tanti erano i consiglieri de'
re; e ne restò che per tutta la Cristianità , ed in
Francia più che altrove, gli ecclesiastici andarono
a formare il primo ordine degli Stati. II. Che di
tempi sì miserevoli non ci sono giunte memorie
che scritte in latin corrotto da uomini religiosi ,
0 monaci o cherici. III. Che i primi scrittori de*
4» PARTE I.
novelli idiomi volgari furono i Rimatori proven-
zali, siciliani e fiorentini; e la loro volgare dagli
Spagnuoli si dice tuttavia lingua di Romanzo, appo
i quali i primi poeti furono Romanzieri, appunto
come per le stesse precorrenti cagioni noi nella
Scienza Nuova dimostrammo Omero, come egli
è il primo certo autor greco che ci è pervenuto,
così è senza contrasto il principe e padre di tutti
i poeti che fiorirono appresso ne' tempi addottri-
nati di Grecia, che gli tengon dietro, ma per as-
sai lungo spazio lontani. La qual origine di poe-
sia può ogni uno che se ne diletti sentire, non che
riflettere, esser vera in sé stessa; che in questa
stessa copia di lingua volgare, nella quale siamo
nati, egli subito che col verso o con la rima avrà
messa la mente in ceppi ed in difficoltà di spie-
garsi, senza intenderlo, è portato a parlar poeti-
co, e non mai piiì prorompe nel meraviglioso, se
non quando egli è piii angustiato da sì fatta dif-
ficoltà. Per cotal povertà di volgar favella Dante
a spiegare la sua Commedia dovette raccogliere
una lingua di tutti i popoU delf Italia, come, per-
chè venuto in tempi somigfianti , Omero avea rac-
colta la sua da tutti quelli di Grecia; onde poi
ogni uno ne' di lui poemi ravvisando i suoi parlari
natii, tutte le città greche contesero che Omero
fosse suo cittadino. Così Dante fornito di poetici
favellari impiegò il colerico ingegno nella sua Com-
media; nel cui Inferno spiegò tutto il grande della
sua fantasia, in narrando ire implacabili, delle quali
una, e non piià, fu quella di Achille, ed in mem-
brando quantità di spietatissimi tormenti: come
appunto nella fierezza di Grecia barbara Omero
descrisse tante varie atroci forme di fierissime
morti, avvenute ne' combattimenti de' Trojani co'
Greci, che rendono inimitabile la sua Iliade: ed
SCRITTI SCIENTIFICI 4^
entrambi di tanta atrocità risparsero le loro fa-
vole, che in questa nostra umanità fanno compas-
sione, ed allora cagionavan piacere negli uditori}
come oggi gli Inglesi poco ammolliti dalla delica-
tezza del secolo non si dilettano di tragedie che
non abbiano dell'atroce: appunto quale il primo
gusto del teatro greco ancor fiero fu certamente
delle nefarie cene di Tieste, e dell'empie stragi
fatte da Medea di fratelli e figliuoli. Ma nel Pur-
gatorio, dove si soffrono tormentosissime pene
con inalterabile pazienza; nel Paradiso, ove si
gode infinita gioja con una somma pace dell'ani-
mo, quanto in questa mansuetudine e pace di co-
stumi umani non lo è, tanto a que' tempi impa-
zienti di offesa o di dolore era meravigliosissimo
Dante: appunto come, per lo concorso delle stesse
cagioni, l'Odissea, ove si celebra l'eroica pazienza
di Ulisse, è appresa ora minore dell'Iliade, la
quale a' tempi barbari di Omero , simiglianti a
quelli che poi seguirono di Dante, dovette recare
altissima meraviglia. Per ciò che si è detto, ella
non già mi sembra esser imitatore di Dante, per-
chè certamente, quando ella compone, non pensa
ad imitar Dante, ma con tal melancolico ingegno,
tal severo costume, tal incelta di poetici favellari ,
è un giovinetto di natura poetica de' tempi di
Dante. Quindi nascono coteste tre vostre poetiche
proprietà: I. Che cotal vostra fantasia vi porta ad
entrare nelle cose stesse che volete voi dire, ed
in quella le vedete si risentite e vive, che non vi
permettono di riflettervi; ma vi fanno forza a sen-
tirle, e sentirle con cotesto vostro senso di gio-
ventù, il quale, come l'avverte Orazio nell'Arte,
è di sua natura sublime: di più con senso di nulla
infievolito dalle presenti filosofie, di nulla ammol-
lito da^ piaceri effemminati, e perciò senso robusto;
44 PARTE I.
e finalmente per le ombre della vostra malinco-
nia, come all'ombra degli oggetti sembrano mag-
giori del vero, con senso anche grande j il quale
perciò si dee per natura portar dietro l'espres-
sione con grandezza, veemenza, sublimità. IL Che
i vostri sono sentimenti veri poetici, perchè sono
spiegati per sensi, non intesi per riflessione^ le
quali due sorti di poeti Terenzio ci divisò nel
suo Cherea, giovinetto violentissimo, il quale della
schiava, di cui esso, in vedendola passare per
istrada, si era ferventissimamente innamorato, dice
al suo amico Antifone:
. , . Quid ego ejus Ubi nane faciem praedicent aut laudetn , jintipho /
Cum ipsum me noris y quam elegans formarum spectator siem ?
(ecco i poeti che cantano le bellezze e le virtù
delle loro donne per riflessione, che sono Filosofi
che ragionano in versi o in rime di amore) 5 e
chiude tutte le somme e sovrane lodi della sua
bella schiava con questo senso poetico in questo
motto spiegato con poetica brevità: In hac com-
motus sum, con cui lascia da raccogliere al ra-
ziocinio che la schiava sia più bella e leggiadra
di quante belle e leggiadre donne e donne Ate-
niesi abbia giammai veduto , osservato e scorto
un giudice di buon gusto delle bellezze. III. E fi-
nalmente, perchè i vostri componimenti sono pro-
prj di subietti di cui parlate; perchè non gli an-
date a ritrovare nell'idee de' Filosofi per cui i su-
bietti tali dovrebbono essere, onde le false lodi
sono veri rimproveri di ciò che loro manca; ma
gì' incontrate nell'idee de' poeti, come in quelle
de' pittori, le quali sono le stesse, e non differi-
scono tra loro che per le parole e i colori: e si
elleno sono idee delle quali essi subietti parteci-.
pano qualche cosa; onde con merito li compite,
contornandoli sopra esse idee: appunto come i
SCRITTI SCIENTIFICI 4^
divini pittori compiscono sopra certi loro modelli
ideali gli uomini o le donne, che essi in tele ri-
traggono; talché i ritratti in una mighor aria rap-
presentino gli originali, che tu puoi dire che è
quello o quella.
Per tutto ciò io me ne congratulo con esso lei,
e con la nostra nazione, a cui ella farà molta glo-
ria. Le porto mille saluti che le manda il dolcis-
simo ornamento degli amici P. D. Roberto Soste-
gni: e le bacio caramente le mani. ':^'m$b
^tì
GIUDIZIO SOPRA DANTE
(Dopo il 1732)
La Commedia di Dante Alighieri ella è da leg-
gersi per tre riguardi: e d'istoria de' tempi bar-
Bari dell'Italia, e di fonte di bellissimi parlari to-
scani , e di esemplo di sublime poesia. Per ciò
che si attiene al primo, egli sta cosi dalla natura
ordinato e disposto , che per una certa uniformità
di corso che fa la mente comune delle nazioni sul
cominciare ad ingentilirsi la lor barbarie, la qual
è per naturai costume aperta e veritiera, perchè
manca di riflessione, la quale applicando a male,
è l'unica madre della menzogna, i poeti vi can-
tino istorie vere. Così nella Nuova Scienza d!in^
torno alla Natura delle Nazioni abbiamo, Omero
essere il primo storico della Gentilità, lo che più
si conferma nelle Annotazioni da noi scritte a quel- i
l'opera, nelle quali l'abbiam trovato affatto altro
da queir Omero il qual finora è stato da tutto il
mondo creduto 5 e certamente il primo storico de'
Romani a noi conosciuto fu Ennio, che cantò le
guerre cartaginesi: agli stessi esempli il primo o
tra' primi degl' istorici italiani egli si fu il nostro
Dante. Ciò ch'egli nella sua Commedia mescolò
di poeta, è che narra i trapassati secondo i me-
riti di ciascuno allogati o nell' Inferno o nel Pur-
gatorio o nel Paradiso; e quivi, qual poeta deb-
be, sic veris falsa remiscet , per essere un Omero
od un Ennio convenevole alla nostra cristiana re-
ligione, la qual c'insegna i premj e i castighi delle
nostre buone o cattive operazioni essere, più che
i temporali, gli eterni. Talché le allegorie di tal
poema non sono piiì di quelle riflessioni che dee
PARTE I. SCRITTI SCIENTIFICI 4t
far da se stesso un leggitore d' istoria , di Irarvi
profitto dagli altrui esempli. Il secondo riguardo
per lo quale Dante è da leggersi , è eh' egli è un
puro e largo fonte di bellissimi favellari toscani:
nella qual cosa non è ancor soddisfatto di un
profittevol commento , per quello stesso che di-
cesi volgarmente che Dante v' abbia raccolto i par-
lari di tutti i dialetti d'Italia : la qual falsa opi-
nione non ha potuto che indi provenire, perchè
al cinquecento , che dotti uomini si diedero a col-
tivare la toscana favella che si era in Firenze par-
lata al trecento j che fu il secolo d'oro di cotal
lingua, osservando essi un gran numero di par-
lari in Dante, de' quali non avevano affatto rin-
contri da altri toscani scrittori; ed altronde rico-
noscendone per fortuna molti ancor vivere per le
bocche di altri popoh dell'Italia, credettero che
Dante l'avesse indi raccolti e nella sua Commedia
portati : che è lo stesso fato appunto che avvenne
ad Omero, il quale quasi tutti i popoli della Gre-
cia vollero che fusse lor cittadino, perchè ciascun
popolo ne' di lui poemi ravvisava i suoi natii an-
cor viventi parlari. Ma sì fatta opinione ella è falsa,
per due ragioni gravissime: la prima, perchè do-
veva pure in quei tempi Firenze avere la maggior
parte de' parlari comuni con tutte le altre città
dell'Italia, altrimenti l'itaHana favella non sarebbe
stata comune anco alla fiorentina ; la seconda è
che in que' secoli infelici non ritrovandosi scrit-
tori in volgari idiomi per le altre città dell'Italia,
come in effetto non ce ne sono pervenuti , non
bastava la vita di Dante per apprender le hngue
volgari da tanti popoli, onde nel comporre la sua
Commedia avesse avuto poi pronta la copia di
quei parlari che a lui facevano d' uopo per ispie-
48 PARTE I.
garsì. Onde sarebbe mestieri agli Accademici della
Crusca che mandassero per l' Italia un catalogo di
sì fatte voci e parlari , e dagli ordini bassi delle
città, che meglio de' nobili e degli uomini di cor-
te, e molto più da' contadini che megUo de' più
bassi ordini delle città conservano i costumi ed
i Hnguaggi antichi, ed indi informarsi quanti e
quali ne usassero, e in che significazione l'usas-
sero, per averne essi la vera intelligenza. Il terzo
riguardo perchè è Dante da leggersi, è per con-
templarvi un raro esemplo di un subHme poeta.
Ma questa è la natura della sublime poesia, ch'ella
non si fa apprender per alcun' arte. Omero è il
più sublime poeta di quanti mai appresso gli son
venuti; né ebbe alcun Longino innanzi che gli
avesse dato precetti di poetica sublimità. E gli
stessi principaU fonti che ne dimostra Longino,
non si possono gustare se non se da coloro a'
quali è stato conceduto e dato in sorte dal cielo.
Sono essi lì più sacri e U più profondi non più
che due: primo, altezza di animo, che non curi
altro che gloria ed immortalità, onde disprezzi e
tenga a vile tutte quelle cose che ammiransi da-
gli uomini avari, ambiziosi, molli, dehcati e di
femmineschi costumi; secondo, animo informato
di virtù pubbliche e grandi, e sopra tutte di ma-
gnanimità e di giustizia, come senz' alcun' arte, ed
in forza della sublime educazione de' fanciulli or-
dinata loro da Licurgo, gU Spartani, i quah per
legge eran proibiti saper di lettera, davano tutto
giorno e volgarmente in espressioni cotanto su-
bHmi e grandi , che ne farebbono pregio i più
chiari poeti eroici e tragici darne di poche simi-
glianti ne' loro poemi. Ma quello che è più pro-
prio della sublimità di Dante, egli fu la sorte di
SCRITTI SCIENTIFICI 49
nascer grande ingegno nel tempo della spirante
barbarie d'Italia; perchè gl'ingegni umani sono a
guisa de' terreni, i quali per lunghi secoli incolti,
se finalmente una volta riduconsi alla coltura ,
danno sul bel principio frutti e nella perfezione
e nella grandezza e nella copia meravigliosi; ma
stanchi di essere tuttavia più e più coltivati , li
danno pochi , sciapiti e piccoli. Che è la cagione
perchè nel finire de' tempi barbari provennero un
Dante nella sublime, un Petrarca nella delicata
poesia , un Boccaccio nella leggiadra e graziosa
prosa; esempli tutti e tre incomparabili, che si
debbono in ogni conto seguire, ma non si pos-
sono a patto alcuno raggiungere; ma de' tempi
nostri coltissimi si lavorano delle belle opere d'in-
gegno, nelle quali altri possono ergersi in ispe-
ranza, non che di raggiungerli, di avanzarh. A
tutto ciò, cred'io, avendo avuto riguardo N. N.
ha scritto le presenti Annotazioni alla Commedia
di Dante, nelle quali con quel difìicil nesso di chia-
rezza e di brevità fa verisimile la storia delle co-
se, o fatti, o persone che vi si mentovano dal poe-
ta; spiega con ragionevolezza i di lui sentimenti,
onde si può venire in cognizione della bellezza o
leggiadrìa, dell'ornamento o dell' altezza de' di lui
parlari; che è la maniera più efficace per conse-
guire la lingua de' buoni scrittori, con entrare nello
spirito di ciò che han sentito, e che essi han vo-
luto dire; onde nel cinquecento per tal via riu-
scirono tanti chiarissimi scrittori latini ed in prosa
ed in verso, innanzi di celebrarsi i Calepini e
tanti altri Dizionarj: tralascia ogni morale e molto
più altra scienziata allegoria: non vi si pone in
cattedra a spiegare l'Arte poetica; ma tutto si ado-
pera che la gioventù il legga con quel piacere che
Vico, Opuscoli. 4
5o PARTE I. SCRITTI SCIENTIFICI
gustano le menti umane , ove senza pericolo di
nausearsi apparano molto in breve da^ lunghi com-
menti, ne' quali i commentatori a disagio sogliono
ridurre tutto ciò eh' essi commentano. Perciò le
stimo utilissime in questa età particolarmente, nella
quale si vuol sapere il proprio delle cose con net-
tezza e facilità.
PREFAZIONE
ALLE RIME SCELTE DI GHERARDO DE ANGELIS
STAMPATE CON LA DATA DI FIRENZE I73o.
r
G. B. VICO AL LEGGITORE
Il signor De Angelis quattro suoi Canzonieri,
che a lui giovinetto avevano conciliato la stima
de' dotti uomini, ha in buona parte soppressi,
ed in poca rimastavi ha migliorati e contornati
ad una forma più luminosa. Lo che certamente,
o cortese leggitore, dovratti recar meraviglia, che
non essendo in lui ancora, non diciam raffred-
dato, ma intiepidito l'arder dell'invenzione, e in-
venzion giovanile, il qual fervendo rappresenta le
opere troppo conformi all'idee, dalla qual confor-
mazione, e non altronde, nasce il compiacimen-
to; egli con senil maturezza di senno abbia po-
tuto sconoscere tali suoi nobili parti d'ingegno
di fresco nati, i quali naturalmente non si scono-
scono che per lunga età dagli autori già fatti vec-
chi. Ma cesserai di maravigliartene, se sarai per-
suaso dell'altezza dell'animo, che è'I fomento onde
s'accende l'estro che debbe infiammare lo stil su-
blime, con la quale l'autore, disprezzando tutto
ciò che suol ammirare il volgo, e'n conseguenza
ogni dottrina o vana o falsa che si appaga sul-
l'ammirazione del volgo, le lodi di essi Dotti egli
non ha per meta, ma per incentivi e sproni al
corso che tiene verso la vera gloria. Maraviglia
bensì dovrà cagionarti che egli ha ciò fatto, ove
abbia avuto alcun brieve tempo di rallentar l'a-
nimo dagli sludj severi e gravi o della scienza in
Divinità, o da' lavori delle sacre Orazioni, le quaH
52 PARTE I.
ora da lui recitandosi, tanta lode gli acquistano
appresso i saccenti , quanta glien' aveano recato le
poesie. Perchè le cose della nostra Teologia, che
superano ogni senso ed ogni immaginazione, di
troppo spossano la poetica facultà, la quale al-
lora è più grande ove più vivamente sente ed im-
magina; ed appo i Greci e i Latini furono così
stabilmente divisi e fermi e religiosamente osser-
vati i confini dell' Eloquenza e della Poesia , che
non vi ha pur uno eh' avessevi scritto ed Orazioni
e Poemi 3 e di Cicerone, che volle osarlo, vennero
in tanto discredito, che francamentts da Giovenale
sono motteggiati, ridenda Poemata. C'd^ion di ciò
ella fu, perchè vivendo esse lingue, e regnando
le medesime in repubbliche popolari, e perchè la
lingua de' poeti dovendo esser diversa dalle vol-
gari de' popoli, onde Giceron disse Poetae aliena,
o, come meglio altri leggono, alia lingua loquun-
tur'y per quella eterna proprietà uscente dalla na-
tura di essa poesia, ritruovata nella Scienza Nuo-
va^ ch'ella fu un parlar naturale de' popoH eroici,
i quaU fiorirono innanzi di formarsi le lingue vol-
gari j perciò gli oratori si guardarono a tutto po-
tere di comporre in versi, per timore che nelle
dicerie non cadesse loro inavvedutamente di bocca
alcuna espressione la quale, perchè non volgare,
offendesse il popolo, che voleva ben essere infor-
mato delle cause le quali si trattavano, e de' mo-
tivi onde doveva più in una che in altra forma
comandarle: per la cui contraria ragione i poeti
erano naturalmente vietati di esercitare l'Arte ora-
toria. Ma , quantunque ora nell' Itaha non vi sia
tal timore , perchè la Hngua della prosa oggi è una
lingua comune de' soli Dotti, o gli Stati vi sono
quasi tutti monarchici , ove non ha molto che far
l'eloquenza, per ciò che ne avvisa l'Autore del dia-
SCRITTI SCIENTIFICI 53
logo De Caussis corruptae eloquentìae , sia egli
Quintiliano o Tacito 3 pur dura tal distinzion di
confini, che tra tutti appena due vi han lavorato
Orazioni e Poesie egualmente grandi , Giovanni
Casa e Giulio Camillo Delminio. Cotal riflessione
li può dare certo argomento, o leggitore, che 'l
nostro valoroso giovane abbia a riuscire anche un
grande predicatore. Ciò finora si è detto per quello
riguarda l'ingegno, la facoltà e 'l giudizio dell' Au-
tore^ mi rimane poco a dire per approvartene il
costume. Egli aveva ciò fatto per tranquillare la
coscienza delle sue cognizioni, e veder privata-
mente tutti i suoi componimenti vestiti d' un co-
lor più conforme di stile. Ma gli amici, i quali
sopra il di lui animo naturalmente gentile ed os-
sequioso posson molto e per amicizia e per au-
torità, co' conforti e co' prieghi l'hanno spinto,
che lasciasse di nuovo uscirH per le stampe. Non
è perciò che contengano cose le quali sconvengano
al suo presente più degno stato; e pochissimi com-
ponimenti^ fatti da lui nella più fervida etade, pur
da sensi onestissimi sono avvivati. Vivi felice. ;j>
.fliiijap
•i'.J
i^tHI^
il DISCORSO
ir.
PER UN' ANNUALE APERTURA DELL ACCADEMIA
ISTITUITA DA D. NICCOLÒ SALERNI
(1736)
vuesto nome Accademia , che abbiamo preso
da' Greci per significare un comune d'uomini let-
terati uniti insieme affin di esercitare gl'ingegni
in lavori di erudizione e dottrina, egli sembra che
con più proprietà di origine non si convenga ad
altra che a questa nobilissima ragunanza. Imper-
ciocché le altre o sono state istituite per recitarvi
discorsi d'intorno a' singolari problemi appesi al-
l' arguta bilancia di contrapposti , o per disami-
narvi particolari argomenti o di Hngue o di espe-
rienze. Ma l'Accademia fondata da Socrate era un
luogo dov'egU con eleganza, con copia, con or-
namenti ragionava di tutte le parti dell'umano e
divin sapere: siccome in questa è ordinato che
gU Accademici con colte, abbondanti ed ornate
dissertazioni vadano scorrendo tutto l'ampio campo
della sapienza. Talché quest'Accademia può dirsi
quella dove Socrate ragionava. Un tale ordina-
mento reca primieramente quella grandissima uti-
lità, che quantunque i gentih spiriti i quali vi si
radunano, essi o per diletto ovvero per profes-
sione sieno applicati ad un particolare studio di
lettere; però in sì fatti congressi vengonsi col
tempo a fornire di tutte le cognizioni che fan bi-
sogno ad un sapiente compiuto. Di poi, ciò che
importa assaissimo, vi si ricompongono col loro
naturai legame il cuore e la lingua, che Socrate,
Pien di Filosofia la lingua e '1 petto,
teneva strettamente congiunti insieme : perchè
PARTE I. SCRITTI SCIENTIFICI 55
fuori della di lui scuola si fece quel violento di-
vorzio che i Sofisti esercitarono una vana arte di
favellare, e i Filosofi una secca ed inornata ma-
niera d'intendere. Però gli altri greci Filosofanti,
come di una nazione quanto mai dire o imma-
ginar sì possa delicata e gentile, scrissero in una
lingua la quale, come un sottilissimo puro velo
di molle cera, si stendeva sulle forme astratte de*
pensieri che concepivano: e quantunque ne' loro
filosofici ragionamenti avessero rinunciato all' or-
namento e alla copia, però conservarono l'ele-
ganza. Ma ritornandosi a coltivare le Filosofie in
mezzo alla più robusta barbarie, dandovi comin-
ciamento Averroe col commentare le opere di A-
ristotile, vi s'introdussero una sorta di parlari
ciechi affatto di lume, non che privi di ogni soa-
vità di colore, una maniera sazievole di ragiona-
re, perchè sempre l'istessa della forma sillogisti-
ca, e un portamento neghittosissimo, dando i nu-
meri tutto l'ordine a' loro discorsi con quelli
praemitto primo, praemitto secando; objicies pri-
mo, objicies secundo. Tanto che, se io non vado
errato, porto opinione che ne' nostri tempi l'elo-
quenza non sia rimessa nel lustro de' Latini e de'
Greci, quando le scienze vi han fatto progressi
uguaH, e forse anche maggiori, egli addivenga
perchè le scienze s'insegnano nude affatto d'ogni
fregio dell'eloquenza. E con tutto ciie la Carte-
siana Filosofia abbia emendato l' error dell' ordi-
ne, in che peccavano gli Scolastici, riponendo
tutta la forza delle sue pruove nel metodo geo-
metrico; però egli è cosi sottile e stirato, che se
per mala sorte si spezza in non avvertire ad una
proposizione, è negato affatto a chi ode d'inten-
der nulla del tutto che si ragiona. Ma dall'Acca*
demia di Platone, che avea udito per ben otto
56 PARTE I.
anni, uscì Demostene, ed uscinne armato del suo
invitto entimema, ch'egli formava con un assai
ben regolato disordine, andando fuori nella causa
in lontanissime cose, delle quali temprava i ful-
mini de' suoi argomenti, i quali, cadendo, tanto
più sbalordivano gli uditori, quanto da essolui
erano stati più divertiti. E dalla stessa Accademia
Cicerone professa essersi arricchito della felice sua
copia, che a guisa di gran torrente d'inverno
sbocca dalle rive, allaga le campagne, rovina balze
e pendici, e rotolando pesanti sassi ed annose
quèrce, trionfante di tutto ciò che fecegli resi-
stenza si ritorna al proprio letto della sua causa.
Ne a difesa del nostro poco spirito, per questo
istesso che affettiamo d'essere tutto spirito, giova
punto risponder quello, che Demostene e Cicerone
regnarono in repubbliche popolari, nelle quali, al
dir di Tacito, vanno del pari l'eloquenza e la li-
bertà. Perchè quella eloquenza che aveva Cicerone
usato nella libertà, poscia adoperò appresso Ce-
sare, fatto signore di Roma, a prò di Quinto Li-
garioj nella qual causa gli tolse dalle mani asso-
luto quel reo che '1 Dittatore in entrando nel Con-
siglio si era apertamente professato di condan-
nare, dicendo quelle parole: nunquam hoclie tam
bene dixerit Cicero , quìn Ligarius e nostris ma-
nibus effugiat^A nel secolo decimosesto, nel quale
si celebrò una sapienza ben parlante , così Giulio
Camillo Delminio fece venire le lagrime su gli oc-
chi di Francesco I re di Francia con l'Orazione
che gH disse per la liberazione di suo fratello j
come Monsignor Gio. della Casa commosse l'im-
perator Carlo V con quella dettagU per la resti-
tuzion di Piacenza. E pure l'Orazione a prò di
Ligario è la più gloriosa di tutte le altre di Ci-
cerone, nella quale egli trionfò con la lingua di
SCRITTI SCIENTIFICI 5n
chi con le armi avea trionfato del mondo: e delle
altre due, recitata l'ima ad un grandissimo re,
l'altra ad un chiarissimo imperadore, quella è una
regina, e questa l'imperatrice delle Orazioni to-
scane. Or per raccogliere il detto in breve, voi,
signori, con maestrevole accorgimento adoperate
di praticare quel precetto di Orazio che ristretto
in tre versi contiene tutta l'arte cosi in prosa,
come in versi di ben parlare:
Scribendi ree te ^ sapere est et princìpium et fons :
perchè non vi è eloquenza senza verità e digni-
tà, delle quali due parti componesi la sapienza.
Id tibi Socratìcae potenmt estendere chartae:
cioè gli studj della Morale, che principalmente
informano il sapere dell'uomo, nella quale più che
nelle altre parti della Filosofia Socrate fu divina-
mente applicato; onde di lui fu detto: Moralem
Phìlosophiam Socrates de coelo revocavit.
Verbaque provisam rem non invita sequentur,
per lo naturai legame onde noi dicemmo essere
stretti insieme la hngua e '1 cuore 3 perocché ad
ogni idea sta naturalmente la sua propria voce
attaccata; onde l'eloquenza non è altro che la sa-
pienza che parla.
Sono scorsi ormai ben tre anni che questa no-
bile Accademia, in questo riguardevol luogo dal
gentilissimo signor D. Niccolò Salerni onorevol-
mente accolta, fu istituita, e con lo stesso fervore
col quale ha incominciato felicemente prosiegue,
contro il maligno corso della stolta fortuna, la
quale le belle imprese attraversa, e soventi fiate
ne' primi lor generosi sforzi invidiosa opprime. Or
in quest'anno la vostra generosità sopra ogni mio
58 PARTE I. SCRITTI SCIENTIFICI
merito mi ha voluto ed ordinato custode e col-
lega del signor di Ganosa, nobilissimo fregio di
cui questo comune si adorna , avendovi creato
censore il signor D. Paolo Doria, mente di rari
e sublimi lumi , e per le molte opere di Filoso-
fìa e di Matematica celebratissimo tra' dotti di
questa età; e per colmarmi di sommo e sovrano
onore, mi ha comandato che io vi facessi l'an-
niversaria apertura.
Laonde, raccolte tutte le mie potenze in un pen-
siero di altissima riverenza, dettandomi la formola
il gran Padre Agostino, sotto la cui protezione
quest'Accademia sta rassegnata, concepisco questo
voto con queste solenni e consegrate parole: Odi,
umilmente ti priego, odi, non favolosa Minerva,
Sapienza eterna, generata dal divin capo del vero
Giove, l'onnipotente tuo padre, oggi in tua lode,
in tuo onore, in tua gloria si riapre questo quarto
anno accademico, lo che sia a perfezione di que-
sti ben nati ingegni; poiché la sapienza è la per-
fezionatrice dell' uomo nel suo proprio esser d'uo-
mo, eh' è mente e lingua.
NOTE
ALL' ARTE POETICA DI ORAZIO
( Dopo il 1 780 )
xi umano capiti cervicem pictor equìnam
lungere si velit, et varias inducere plumas,
Undique collatis membris, ut turpiter atrum
Desinat in piscem mulier formosa superne;
Spectatum admissi, risum teneatis, amici?
Credite, Pisones, isti tabulae fore librum
Persimilem, cuius, velut aegri somnia, vanae
Fingentur species: ut nec pes, nec caput uni
Reddatur formae. Pictoribus atque poetis
Quidlibet audendi semper fuit aequa potestas.
Scimus, et hanc veniam petimusque damusque vicissim:
Sed non ut placìdis coeant iramitia; non ut
Serpentes avibus geminentur, tigribus agni.
o?
DE UNITA.TE POEMATIS
1 Humano capiti') Monstrosum poema est, cuius partes in unam
certam formam non congruunt: uti naturalia monstra sunt,
quorum corpora ex aliis, diversisque ab eorum natura par-
tibus coaluere.
Ib. Pictor) Recte Poeta poesim picturae comparai : namque pie-
tura mutum poema, poema loquens piclura dici solet: et sane
is optimus poeta est, qui sensilibus imaginibus res exponit,
ut lectorum oculis, non intellectu , percipiantur.
3 Undiifue collatis membris) Ingeniose fingit hoc monstrum ex
omnium animantium partibus , quae coelo, terra marique gi-
gnuntur : eaque ad duo somma genera revocai; rationis nempe
expers et particeps.
Ib. Atrum) Sordidum , sozzo: nam sordes nigrum colorem of-
fundunt.
8 Uni reddatur format") His verbis stat praeceptum de unitale
poematis.
9 Pictoribus atque poetis) Id obiicitur inde, quod Poeta poesim
cum pictura comparaverat.
i3 Geminentur) Eleganfcr dictum a partubus geminis.
Ib. Tigribus agni) Atqui sunt pìctores qui eiusmodi raonstrosas
imagines elcganter depingunl , quae a nostris dicuntur pittut'c
di rabesco. Sed cum his componi possunt poetae, qui id agunt,
ut risum moveant, cxcìtantquc tragoedias, quae in comoedias
abeunt; uti ex lalinis Petronius Arbiter in Satyrica , quod sane
quoddam poematis genus est, et ex Italis Alexander Tasso-
nius in poematc ìnscrìpto La Secchia Rapita,
7 y
60 PARTE I.
Inceptis gravibus plerumque et magna professis,
i5 Purpureus, late qui splendeat, unus et alter
Adsuitur pannus^ quum lucus et ara Dianae,
Et properantis aquae per amoenos ambitus agros;
Aut flumen Rhenum, aut pluvìus describitur arcus.
Sed nunc non erat bis locus. Et fortasse cupressum
20 Scis simulare: quid hoc, si fractis enatat exspes
Navibus, aere dato, qui pingitur? amphora coepit
Institui^ currente rota, cur urceus exit?
Denique, sit quod vis simplex dumtaxat et unum.
Maxima pars vatum, pater, et iuvenes patre digni,
25 Decipimur specie recti: brevis esse labore,
Obscurus fio: sectantem levia nervi
Detìciunt, animique: professus grandia turgetj
Serpit humi tutus nimium timidusque procellae.
Qui variare cupit rem prodigialiter unam,
i4 Inceptis grai^ibus) Apponit monstrosorum poemalum exempla.
16 Pannus) Cura eius generis purpurea chlamyde rex Armeniae
Tyridates Romae theatrum in sole ingrcssus, omnium specta-
torum oculos in se convertii , quibus candens fiamma prodi-
re, incedere ac sedere visus est.
18 Flumen Bhenum^ Parvus in Italia fluvius amoenissimus, non
qui Germaniam a Gallia dividit, quem in Annalibus descri-
bit sublimìs Tacitus.
20 Scis simulare cupressum") Satis scita emphasi cupressum dicit,
qua nihìl facilius pingi potest.
21 Aere dato qui pingitur) Ut tabella in aede Neptuni suspensa ,
voti reus voti solutus sit.
23 Denique sii) Haec est complexio praecepti de unitale poematis.
DE ARTIS NECESSITATE
' 24 Maxima pars ifatum) Natura quidem cuiusque facultatis pars
potissima est, sed incerta. Quare acuti homines caussas in-
vestigarunt, ex quibus natura aut recte aut prave fecisset: et
ita artes inveneruntj quarum praeceptis arlifices in suis ope-
^ ribus efficiendis recta sequantur, prava declinent.
26 Leuia) Elegantias verborum.
Ib. Nen^i de/iciunt animique) Robur sententiarum. Vitium formae
temperatae.
27 Professus grandia turget) Idque est vitium formae sublimis. «
28 Serpit humi") Vilescit,
Ib. Tutus nimium timidusque procellae) Et id vitium est formae
tennis.
29 Jiem (cariare) Poema ornare dictum a veste varia.
Ih. Prodigialiter) Miris fabulis.
SCRITTI SCIENTIFICI 6i)
Delphinum silvìs appingit, fluctìbus aprum.
In vitium ducit culpae fuga, si caret arte.
iEmilium circa ludum faber, unus et ungues
Exprimet, et molles imitabitur aere capillos:
Infelix operis summa^ quia ponere totum
Nesciet. Hunc ego me, si quid componere curem,
Non magis esse velim, quam naso vivere pravo,
Spectandum nigris oculis, nigroque capillo.
Sunaite maleriam vestris, qui scribitis, aequam
Viribus: et versate diu quid ferre recusent,
Quid valeant humeri. Cui lecta potenter erit ras,
Nec facundia deseret hunc, nec lucidus ordo. > *f
3o Delphinum) Quod non nisi in universali diluvio eveniretj atque
ìd tamen ipsum in omnium urbium , gentium , animantium
submersione notare, ut ne dicam ridicali, certe pusilli in-
genii nota esset.
32 Ludum') Gladiatorium , unde Italis venit giuocare dì scherma.
34 Ponere') Componere : namque ex aere roembratim funduntur
corporis partes, deinde ferruminantur. Atque heic recurrit
superius praeceptum de unitate poematis. At Zeuxis Helenam
Croloniatibus pìnxìt corapositam ex duodecim puellarum sin-
gulis membris, quibus praestabant egregiis, et in unaquaque
cetera non erant ad idem pulchritudinis instar: idque divinus
pictor ex arte praestitit, qua genus pulchrae feminarum for-
mae quodammodo factum mente conceperat, in quod illae
duodecim puellarum pulcherriraae partes muliebre corpus unum
ex natura quidem , sed supra naturam pulchrum expromerent;
ad quod illae natura pulchrae collatae , non vere pulchrae
spectarentur. Ex quibus dictis hoc sane mirum confici potest,
falsum poeticum esse quoddam verura metaphysicum , seu, ut
nunc loquuntur, d''idea, cum quo vera physica collata, falsa
esse videantur.
DE FACULTATE POETICA
38 Sumite materiam) In primis poetara delìgere poematis genus
oportet, cuius habeat facultatem.
39 Et versate diu ) Baiulorum exemplo , qui prius explorant one-
ra , quibus ferendis pares suas sentiaut vires.
40 Potenter) Cuius habeat facultatem, quae priscis dicebaturya-
culitas, unde porro dieta Jhcilitas,
4 1 Facundia ) Quae ab ipsa nascitur facultate. Ea enim virtus ora-
tionis est, qua quae dicuntur non ab auctore, sed ultro, sive
ex se ipsis, atque adeo natura prodirc videantur: unde Ho-
meri poemata et picturae Nicomachi a Grecis auTOOPTara di-
cebanturj uti Ludovici Ariosti poema et Francisci Guicciar-
dini historiac apud nos Italos dici possent.
Ib. Lucidus ordo) Nam quae natura fiunt, ea ex aetcrno rerum
ordine nascuutur. Facundia autcm et lucidus ordo, quae heic
dicit Horatius, ab Itali» verlerentur naturalezza e proprietà»
62 PARTE i.f*r!r f^
Ordinis haec vìrtus erit, et venus, haud ego fallor,
Ut iam nunc dìcat, iam nunc debentia dici
Pleraque differat, et praesens in tempus omittat.
45 Hoc amet, hoc sperriat proraissi carminis auctor,
In verbis etiam tenuis, cautusque serendis:
Dixeris egregie, notum si callida verbuna
Reddiderit iunctura novum. Si forte Decesse est,
Indiciis raonstrare recentibus abdita rerum:
DE ORDINE FINGENDORUM
42 Ordinis haec uirtus erit^ et venus) Quia ordo pulchritudinetn
rerum gignit; cum ut heic inferius Poeta dicit:
SÌDguIa quaequ« locum teneant sortita deccnter.
43 Ut iam nunc dicat) Ad id servandum praeceplum tenenda
quaedam de rebus humanis analysis idearura; quae omnia ab
re qua de agitur, aliena dividat; atque ea ipsa quae rei in-
sunt propria alia in alia protinus inferi; eaque ratione quod
dicitur, ita suo tempore locoque prodit, ut e re natura esse
videatur: queraadmodum in natura rerum quaeque forma,
omnia sibi extranea ab se amovet, et cuiusque semen ab
stirpe per suum truncum, ramum, ramale, stelum , prius flo-
rem, deinde fructum educit. Ad hoc exemplum quae ordine
dicuntur, natura dici videntur. Hmc mira illa in oratione vir-
tus latet , quae auditorem detinet , nec lectorem sinit librum ,
nisi perlectum relinquere: quia hac quam dicimus idearum
analysim, prima quodammodo se aperiunt, ut mox pariant
quae sequuntur. Hinc illa eximia dictorum laus, ut alii quam-
vis acuti, si aetatem cogitent, magis proprie dicere non pos-
sint : qua ex caussa, nec aliunde praeclara sapientum dieta
celebrantur.
^6 In verbis etiam) Id fortasse polissimum movit Horatium ad
hunc scribendum de Arte Poetica librum 5 quod ipsius detra-
ctores dicerent eum Lyrica vocibus, phrasibusque e graeca
in latinam linguam versis composuisse ; namque in Satyris
Epistolisque et hoc ipso de Arte libro purus putus vulgaris
latinus est.
Ib. Tennis) Non parcus, ut vulgo interpretanturj namque id prae-
cipitur paulo inferius in verbis , dabiturque licentia sumpta
pudenter , sed tenuis heic significai , quod nos diceremus con
dilicatezza*
47 Egregie) Appositissima voce dictum : nam ut egregium est e-
gregie deleclum , ita locutio poetica e vulgari supra vulgarera
linguam assurgi! ; quam praecipue conflant verba de medio
lecta^ quae dicit Cicero, quibus in primis hoc ipsum numero
fit : quod Horatius dicit egregie dicere,
Ib. Callida) Nempc tenuis et cauta, quod superius dixit.
49 Abdita rerum) Aniìni sententias, quae latine manifestari non
possunt.
SCRITTI SCIENTIFICI 63
Fingere cinctutls non exaudita Celhegis.
Continget: dabiturque licentia sumpta pudenter:
Et nova fictaque nuper habebunt verba fìdem, si
Gracco fonte cadant, parce detorta. Quid autem
Caecilio Plautoque dabit Romanus, adeniptura
Vii*gilio, Varioque? Ego cur, acquirere pauca
Sì possum, invidcor, quum lingua Catonis, et Ennì
Sermonem patri um ditaverit, et nova rerum
Nomina protulerit? Licuit, semperque licebit,
Signatum praesente nota producere nomen.
Ut silvae foliìs pronos mutantur in annos^
Prima cadunt^ ita verborum vetus interit aetas;
Et iuvenum ritu florent modo nata, virentque.
Debemur morti nos, nostraque; sive receptus
Terrà Neptunus, classes Aquilonibus arcet,
Regis opus^ «terilisque diu palus, aptaque remis,
Vicinas urbes alit, et grave sentit aratrum;
Seu cursum mutavit iniquum frugibus amnis,
Doctus iter melius. Mortalia facta peribunt;
Nedum sermonum stet honos, et gratia vivax.
Multa renascentur, quae iam ceciderej cadenlque,
Quae nunc sunt in honore vocabula, si volet usus,
5o Cìnctutis) Quum antiquos dicit, antiquo vocabulo perbelle uti-
tur: cinctutus enim antiquitus dicebatur prò cincto^ et cincti
prò militibus, qui ut plurimum rudes sunt; unde discinctus
prò militia exauctoratus : quare non existimem heic ab Ho-
ralio intelligi Marcum Gethegum , quem Cicero in Bruto inter
priscos oratores enumerai.
Ib. Exaudita) Intellecta.
5i Pudenter") Parce,
53 Cadant) Exeant, terminentur: nam exitus ut reram, ita ver-
borum dicuntur casus.
55 Varioque) Eximio poetae tragico, qui Orestem tragoediam
scripserat, qua Latini Graecis non invidebant; ad quem Vir-
gilius et Horatius ipse sua deferebant emendanda poemata :
et heroica poesi quoque excelluisse , ipsique Virgilio praesti-
tisse dal coniicienaum idemmet Horatius in Oda ad Àgrippam:
Scriberis Vario forlis, et hostium
Victor .....
69 Nota) Et sane verba sunt notae rerum: unde notatio dicitur
in Topica, locus quod ab ipsa vi verbi argumentum suppe-
ditat. Sunt item monetae quibus homines animorum commer-
cia agitant, iisque monetis sapientes aureis , qui paucis verbis
multa signiGcant; elegantes argcnteis, qui verborum numero
numerum rerum cxacquant; vulgarcs et rudes aereis quam-
plurimis verbis pauca dicunt.
64 > PARTE I.
Quem penes arbitrlum est, et iiis, et norma loquendi.
Res gestae regumque, ducumque, et tristia bella
Quo scribi possent numero, monstravit Homerus.
Versibus impariter iunctis querimonia primum^
Post etiam inclusa est voti sententia compos.
DE CARMINUW GENERIBUS
73 jRes gestae) Heic Horatius praecipua carminum genera exequi-
tur, et quod materiam poeticam excipit.
74 Numero) Versu nempe hexametro, qui et amplitudine et gra-
vitate celerà versuum genera exsuperat. Quanqtiara enira iam-
bicus tetrameter, sive octonarius tantis quantis hexameter,
temporibus meliatur; tamen iambus a brevi incipit, qui rhyth-
mura celerem gignit, at spondeus sive dactylus incipit a pro-
ducta, qui numerum gravem efficiunt^ ut idem Horatius heic
in jérte iambum pedem citum, spondeos stabiles dicit.
Ib. Homerus) Fallitur heic Horatius; namque ante Homerum quam-
plurimos poetas heroicos Cicero affirmat in Bruto, et Eusebius
in Praeparatìone Et^angelica nominatim enumerat Philemonem,
Tharayridam, Demodocum, Aristeum, aliosque. Certe ante he-
roicos narrantur poetae theologi , qui hexaraetris versibus ce-
cinere; uti Orpheus, Amphion, Linus, Museus, Hesiodus, eos-
que hexametris versibus suam Theologiam concepisse testantur
Orphica; quae carmina quanquam subditiva a Criticis habean-
tur, tamen qui ea confinxit, hexametris consignavit ut vera
vulgo probaret, quod poetae theologi eo carminis genere usi
fuerint. Procul dubio Hesiodi Theogonia hexametris est mo-
dulata. In Noi^a Scientia ejus rei principium et caussae expo-
nuntur, in qua demonstralur primos gentium populos natura
extitisse poetas: unde omnes profanae historiae fabulosa ha-
( bent principia, gentiumque origines a Diis aut heroibus re-
vocai: eosque ipsos naturaliter heroicà lingua et hexametro
Carmine, quod omnium antiquissiraum est, et heroicura dici-
tur, quia heroum tempore celebratum, locutos esse. Id gra-
viter evincit antiquissima illa Graecorum traditi© , quae narrat
ipsos a Pythone misere infestatos, opera ApoUinis implorasse
primo heroico versu , quem fudere spondaicum ,
«&> Tratav tw Tratav iw Tratav,
quum Pythone occiso, quum Apollini victori acclamarent, prae
exsultante laetitia dactylicum protulere m in 00 duplicato, et
dipthongo Trae diviso in syllabas duas: cuius traditionis haec
mansere vestigia, ut versus hexameter a Pythone occiso Py-
thius diceretur; et omnibus sedibus, praeterquam ultima, dac-
tylo cederei. Ex quibus disserlatis communis illa Grammati-
corum opinio convellitur, uno ore affirmantium, linguam
poeticam fuisse prorsa oratione posteriorem.
75 Versibus impariter iunctis) Hexametro nempe et pentametro.
SCRITTI SCIENTIFICI 65)
^uis tamen exiguos elegos emiserit auctor,
Grammatici certant, et adhuc sub indice lis est.
Archilochum proprio rabies armavit lambo.
Hunc socci cepere pedem, grandesque cothurni,
Alternis aptum sermonibus, et populares
Vincentem strepitus, et natum rebus agendis.
Musa dedit ndibus divos, puerosque Deorum,
Et pugilem victorem, et equum cerlamine primum,
Et ìuvenum curas, et libera vina referre.
77 Exiguos elegos') Tenues, huraìles, qui sui dtssimiles brevissimo
verborura ambitu currunt, ut hexameter breve orationis mem-
bruin contineat, pentameter in duo breviora incisa fundatur :
quae omnia sane decent duos pusilli animi affectus, tristitiam
laetitìamque.
79 Rabies) Nam pes iambus a brevi incipit, in longura desinit;
qui motus est naturae contrarius, et irae proprius, quae ini-
lio concitata, in fine languescit.
80 Hunc socci cepere pedenì) Comoedia.
Ib. Grandesque cothurni^ Tiagoedia. Sed tragoedia longe prior co-
moedia nata est: et quidem iambus tragico poemati convenit,
quod populorum iram in tyrannos ciere debet. Sed quonam
pacto deinde iambus in comoediam traduclus est quae exhibet
amores, anioenitates et risus? Ex Noi^ae Scientiae Principiis
solvitur haec difficultas, quod cum tragoedia inventa est, quod
longe post epopoeiam evcnit, Graeci populi iambico carmina
naluraliter loquebanturj deinde ex vana exempli observatione
in comoediam intrusum est, quura iam Graeci prorsa oratione
uterentur.
8i Alternis aptum sermonibus) Ut prorsa oratione scribentibus ul-
tro iambi passim exciderent.
Ib. Populares i^incentem strepitus) Etenim natura comparatum, ut
qui cantant, vocera extollant, Sed cum tragoedia orta est, in
quoque parvo theatro populus erat numerabilis, ut inferius
idem Horatius obscrvat, ut hislrionibus clamore opus non es-
set, quo a spectatoribus exaudircntur.
82 Natum rebus agendis) Aptum actui fabularum 5 quod confirmat
supcrius a nobis dictum, graecos populos primumjcarmine he-
roico, deinde iambico, tandem prorsa oratione loquutos esse.
83 Musa dedit Jìdibus) Tandem provcnit poesis melica, quae ly-
rica poemata ex cboreis iambisque ut plurimum concinnantur :
chorcus namque est naturae conveniens, ut qui a producta
incipit in correptam desinit, uti naturalitor niotus principio
tardior, in fine velocior est: et ita hoc gcnus poesows tem-
Eeratum, quod laudat Dcos, heroas , ludorum victores, puel-
18, quae in deliciis habentur et vitia, ex acribus iambis et
lenibus trochaeis commistum est.
Vico, Opuscoli,
66 , PARTE |?Tia;;
Descriptas servare vices, operumque colores,
Cur ego si nequeo, ignoroque, poeta salutor?
dir nescire, pudens prave, quam discere malo?
Versibus exponi tragicis res comica non vult:
90 Indignatur item privatis ac prope socco
Dignis carminibus narrari coena Thyestae.
Singula quaeque locum teneant sortita decenter.
Interdum tamen et vocem comoedia tollit,
Iratusque Chremes tumido delitigat ore:
95 Et tragicns plerumque dolet sermone pedestri
Telephus et Peleus, cum pauper et exsul uterque
Proiicit ampullas, et sesquipedalia verba,
Sì curat cor spectantis tetigisse querela.
Non satis est pulchra esse poemata: dulcia sunto
100 Et quocumque volent, animum auditoris agunto.
Ut ridentibus arrident, ita flentibus adsint
Humani vultus: si vis me fiere, dolendum est
Primum ipsi tibi: tunc tua me iufortunia laedent,
DE DECORO POETICO
86 Descriptas servare i^ices) Heic generatim de poetico decoro prae-
ceptuni proponit; qiiod in poemate sive epico, sive dra-
niatico teneri oportet, ut ])oeta servet vices; seu partes, quas
sui pocmatis personis semel adscripsit.
Ib. Operumque colores) Poematum mendacia : ut Plautus obtinere
colorcm, dixit, mendacium excogitare, quod ab omni ejus
parte prò vero probes.
DE DECORO STYLI POETICI
89 Versibus exponi tragicis) Hinc incipit particulatim decori prae-
cepta Iradere, et primum quidem de decoro styli poetici; quod
quanquam in argumentis de comoedia et tragoedia proponat,
sunt tamen epopoeiae quoque etiam communia.
94 Tumido) Quia ira affectus est naturae sublirais; unde Homerus
in Iliade iram Achillis canit.
95 Sermone pedestri) Quia infirmi animi est dolore percelli.
96 Cum pauper") Legerem cur pauper^ qua unius literulae corrcc-
tione, et acutior est senLenlia, et latina oratio rectior.
98 Querela) Ex superiori emendatione heic legendum querela?
99 Pulchra) Quae tantummodo delectant ingenium, quum iis ac-
clamatur euge, belle ^ sophos^ quod sane fit, quum animus
ociatur, nec ullo affectus motu cietur.
Ib, Dulcia) Quae suaviter afficiant animos.
102 Si uis me Jlere) Maximi momenti de eloquentia praeceptum,
ut oralores ex. gr. in medias reornra miserias phantasià con-
iiciantur, ut vere misera eorum oratio audilores ad misera-
tioneni commoveat.
SCRITTI SCIENTIFICI 67
Telephe, vel Peleu; male si mandata loqueris,
o5 Aut dormitabo, aut ridebo. Tristia moestum
Vultum verba decent; iratum, piena minarum;
Ludentem, lasciva 5 severum, seria dictu.
Format enim natura prius nos intiis ad omnem
, Forlunarum habitum : iuvat, aut impellit ad iram ,
1:10 Aut ad humum moerore gravi deducit, et angitj
' Post effert animi motus interprete lingua.
Sì dicentis erunt fortunis absona dieta,
Romani tollent equites peditesque cachinnum.
Intererit multum, Davusne loquatur, an heros;
ii5 Maturusne senex, an adhuc fiorente inventa
Fervidus^ et matrona parens, an sedala nutrix*
Mercatorne vagus; cultorne virentis agelli:
Colchus an Assyrius^ Thebis nutritus, an Argis.
Aut famam sequere, aut sibi convenientia finge,
120 Scriptor. Honoratum si forte reponis Achillem ,
Impiger, iracundus, inexorabilis, acer,
lura neget sibi nata, nihil non arroget armis:
io4 Mandata") Parles libi attributas, vices tibi adsciiptas.
loS Aut dormitabo j aut ridebo) Nullurn evidentius est argumentum,
poetarti vel oratorem nihil dicere, quando, dum dicit, audi-
tores aliud agunt, quia tunc illorum animos non alloquitur.
109 Impellit ad iram) Affectum sublimem, ut superius diximus.
iio Moerore grawi deducit) Quo dicuntur afflicti, abbattuti.
114 Intererit multum) Heic agit de personarum decoro a conditio-
ne, aetate, fortuna, vitae institulo, natione et moribus civitatis.
DE DELIGENDO TRAGOEDIAE SUBIECTO
119 Aut J'amam sequere) Heic ad decorura apposite dat praecepta
de deligendis tragoediarum argomentis: ubi famam ^ intelligit
historiara poeticani.
lao Honoratum) Cui ab love Troianorum Graecorumque res mode-
rante honor est restitutus, quem Agamemnon laeserat, quum ci
Briseidera abduxerat: qua in re totura Iliadis poema occupalur.
122 Nihil non arroget armis) Quos Achilli mores Homerus attribuii.
Atque hic est Achilles, cuius virtutera maximus poetaruin Grae-
ciae populis imitandam proponit, quemquo perpetuo irrepre-
hensilis adiuncto cohonestat. Quod sane omnes philosophos et
philologos solicilat et contor<[uet; nec ullis quantumvis Socra-
ticis allegoriis, quibus eminet Plato et Plnfaichus, ii hoc nodo
se expediuntj quia qualis ab Homerp canitur, talis ab rudi
Graecorum vulgo tempore, quo nulli adhuc crant philosophi,
Achilles accipitur. Sod in Notm Scientia demonslratur, Home-
rum graecis populis ferocibus adhuc cccinisse Achillis gesta,
quae recurrente barbarie gontcs suspexere, et sunt admiratae,
quac dicebantur, Bravure di Duellanti,
68 PARTE I.
Sit Medea ferox invictaque; flebilis Ino^
Perfidus Ixion*, Io vaga; tristis Orestes.
ici5 Si quid inexpertura scenae commiltis, et audes
Personam formare novam, servetur ad imum
Qualis ab incepto processerit, et sibi constet.
Difficile est proprie communia dicere: tuque
Rectius lliacum carmen diducìs in actus,
i3o Quam si proferres ignota indictaque primus.
128 Difficile est proprie communia dicere') Hoc in loco omnes in
terpretes sunt misere hallucinati : dicit enim Horatius difficile
esse ex gencribus philosophicis confingere genera poetica, sive
personas ideales tragoediarum. Sed haec difficultas obtinet in
tragoediis, et in comoedia nova Graeci id ipsura et facile et
feliciter praestitere, cuius personas nonnisi ex generibus phi-
losophicis fingere ius fuit. Id sane turbat quidquid hactenus
de pocseos origine scriptum diclumque sit. Nam philosophia,
arlibusque poetica et critica inventis, nullus poeta heroicus
Horaero extitit, nedum maior, vel par; sed vel praeslantis-
simi ei sunt longo intervallo secundi. Haec quaestio ex Nouae
Scientiae Principiis dissolvitur, qua demonstratur primos grae-
carum ut et aliarum gentiura fundatores natura fuisse poetasj
qui cum praeinsigni rudilate philosophorum genera intelli-
gere non possent , et ad scienlias, quae sine eiusmodi gene-
ribus non Constant, iter intendere primulum conarentur, quae-
dani sibi illustria exempla fìnxere, ad quae tanquam genera
ipsi omnia cuique generi pertinentia affiugebant, et sane quae-
que luculenlissima, quae pene brutas ipsorum raentes excitare
et in se convertere possent, ut omnia fortia facta Achilli,
Ulyxi omnia sedula Consilia: quae ab universa natione con-
ficta ob id erant maxime sensui communi convenientia; in
quo praeter cetera poeticum decorum spectatur. Haec duo
poetica historiae subiecta Homerus sumpsit, alterum Iliadis,
alterum Odysseae. Hinc illud est, quod Aristoteles in Jrte
Poetica mendacia poetica ab uno Homero scite commenta
dixitj id numero ipsum, quod Horatius heic dicit, ex Ho-
mero argumenta tragoediarum sumenda esse: quia Homerus
tempore heroico floruit, quo naturaliter ab Graecis ejusmodì
characlcfes iieroici exprimebantur. At vero cura a Socratis
temporibus Graecia ad excultissiroam humanitatem pervenis-
set, ex generibus, quae philosophi de humanis moribus in-
tellexerant, unde morum characteres postea Theophrastus per
genera philosophica scripsit; novae comoediae genera poeti-
ca, sive characteres, sive personae facile a Monandro eius
principe conficta sunt, quae in theatro vulgus vitae officia
docerent, quod ut genera metaphysica difficile percipit, ita
facile illnsfribns movctur cxcmplis.
{■ SCRITTI SCIENTlFJCi 6g
^ Publlca niateries privati iiiris erit, si
Non circa vilem patulumque moraberis orbem.
Nec verbum verbo curabis reddere fidus
Interpres: nec desilies imitator in arctum;
35 Unde pedem proferre pudor vetet, aut operis lex.
Nec sic incipies, ut scriptor Cyciicus olim:
Fortunam Priami cantabo, et nobile bellum.
Quid dignum tanto feret hic promissor hiatu?
Parturient montes, nascetur ridiculus mus.
4o Quanto recti us hic, qui nil molitur ineptel
Die mihi Musa virum, captae post tempora Troiae,
Qui mores hominum multorum vidit, et urbes.
i3i Publìca materies) Hic locus ab inlerpretibus adhiic intcllectus
non est, quod eruilitissimus Andreas Dacier in suis ad hunc
locum notis agnoscit. Dicit enim Horatius quod publìca ma'
teries, hoc est fabula homerica.
Ih. Prillati iuris erit) Fiet fabula propria.
Ib. Sì non circa t^ìlem patulumque moraberis orbem") Ubi interpre-
tes prorsus nugantur, quum orbem vilem patulumque exponunt
longa episodia. Sed episodia, quod longa, non idcirco sunt
vilia, uti ex. gr. illa Torquati Tassi duo de hortorum Arrai-
dae deliciis, et Pastoris ad Erminiam sermo de rusticae vitae
felicitate; quorum prius ornatae, alteruui tennis nolae est;
utrumque sane longum, neutrura tamen vile quis dixerit. Sed
orbe vili patuloque intelligit Horatius paraphrases : uti quidam
otiosae plebeculae in latum orbem coactae nostros italos poe-
tas cantando legunt, et quamque stropham vulgaribus verbis
ac sentenliis exponunt: a quo orbe^ qui Graecis xux^oc dici-
tur, circumforaneus poeta ab Horatio panilo inferius scriptor
Cyciicus prò vili appellatur. Igitur Horatii sententia est, si
nec fueris Homeri paraphrastes.
i33 Nec verbum verbo curabis reddere fìdus Interpres) Si nec fue-
ris Homeri ex graeca in latinam linguam traductor.
i34 J^'^c desilies imitator) Si ncque fueris servilis Homeri imitator:
quae tria cum declinaveris, circa eandem fabulam fies Homeri
aemulator, si curos tragicam pcrsonam ab Homero desum-
ptam, ex iis ipsis moribus quos Homerus illi attribuit, alia
nova conformia dicere, et agere commenlus sis; eaque ratione
novae fabulae auctor, et, ut uno verbo dicam, poeta existes.
DE PROPOSITIONE POEMATIS HEROICI
i36 Nec sic incipies) Heic digreditur Horatius ab instituto argu-
mento de fabularum decoro, et de poemalis heroici propo-
sitione praeceptum tradit, et Odysseae exemplum apponit.
iSg Ridiculus mus) Numero ipso vilem sentcntiam èxprimit.
l4i ^irum) Qui LalinisGraecorum heroem signifìcat; sic Virgilius:
Arma virumque cano ...
z
rO PARTE hTtr»:.-
fon ftimum ex fulgore, sed ex fumo dare lucem
Cogitai, ut speciosa dehinc miracula proinat,
1/^5 Antiphaten, Scyllamque, et cum Cyclope Charibdin.
Nec reditum Diomedis ab interitu Meleagri, ^
Nec gemino bellum Troianura orditur ab ovo. i^ÉM
Semper ad eventum festinat: et in medias res ^
Non secLis ac notas, auditorem rapit; et quae
i5o Desperat tractata nitescere posse, relinquit.
Atque ita mentitur, sic veris falsa remiscel,
Primo ne medium, medio ne discrepet imum.
Tu quid ego, et populus mecum desideret, audi.
Si plausoris eges aulaea manentis, et usque
i55 Sessuri, donec cantor, F'os plaudite ^ dicat,
JEtatis cuiusque notandi sunt tibi mores;
Mobilibusque decor uaturis dandus, et annis.
Reddere qui voces iam scit puer, et pede certo
Signat humum, gestii paribus colludere, et iram
143 Non fumum ex fulgore^ Ut palearum fiamma, quae illlco ac
brevi collucens, mox in longura desinit fumura.
Ib. Ex fumo dare lucem') Ut robora, quae principio diu fumantia,
tandem accensa edunt candentem ignem , ac diuturnum : illi
sunt libri qui superficiariam , hi vero qui profundam doctri-
tiam continent: illi semel ledi te explent; quo magis hos le-
gas, magis proficias.
i44 Speciosa) Quae multum habent speciei, seu raritatis.
DE HEROICI POEMATIS ORDINE
146 Nec reditum Diomedis^ Pergit Horatius digredì ab argumento
de fabularum decoro, et de heroici poematis ordine hoc tra-
dii praeceptum, ut eius media in prircipio, initia in medio
narrantur. Sic Homerus bellum troianum ab nono eius anno,
Virgilius fundationem romanae gentis a tempestate qua yEneas
Carthaginem delatus est, Torquatus Tassus liierosolymorum
liberationem a sexto anno, quo bellum in Asiam Ghristianis
illatum erat, sua poemata incipiunt.
i49 Et quae Desperat tractata nitescere posse ^ relinquit) Id prae-
ceptum religiose Tassus servavit, qui suos heroas nunquam
prandentes, nunquam coenantes inducit.
i5i Veris) Nimirum iis quae natura fiunt.
Ib. Falsa.) Nempe miracula.
DE CUIUSQUE AETATIS DECORO
i53 Tu quid ego) Redit Poeta ad proposilura supra argumentum
de fabularum decoro, et singillatim exequitur mores cuiusque
aetatis , quod generatim antea proposuerat eo loco maturusne
senex.
X
SCRITTI SCIENTIFICI -J I
iGo Colligit, ac ponit temere, et mutatur in horas.
Imberbis iuvenis, tandem custode remoto,
Gaudet equis canibusqiie, et aprici graraine campi ^
Cereus in vitium flecti, nioniloribus asper^
Ulilium tardus provisor, prodigus aeris;
iGS Sublimis, cupidiisque, et amata relinquere pernix.
Conversis studiis, aetas animusque virilis
Quaerit opes et amicitias, inservit honori,
Commisisse cavet, quod mox mutare laboret.
Multa senem circumveniunt incommoda* vel, quod
170 Quaerit, et inrentis miser abstinet, ac timet uti;
Vel quod res omnes timide gelideque ministrat,
Dilator, spe longus, iners, avidusque futuri,
Difficilis, querulus, laudator temporis acti
Se puero, castigator censorque minorum.
175 Multa ferunt anni venientes commoda secum,
MultcT recedentes adimunt. Ne forte senile*
Mandentur iuveni partes, pueroque viriles,
Semper in adiunctis, aevoque morabimur aptis.
Aut agitur res in scenis, aut acta refertur:
180 Segnius irritant animos demissa per aurem,
Quam quae sunt oculis subiecta fìdelibus, et quae
Ipse sibi tradit spectator. Non tamen intus
Digua geri, promes in scenam; multaque toUes
Ex oculis, quae mox narret facundia praesens.
i85 Ne pueros coram populo Medea trucidet^
Aut humana palam coquat exta nefarius Atreus;
Aut in avem Progne vertatur, Cadmus in anguèm.
Quodcumque ostendis mihi sic, incredulus odi.
Neve minor, neu sit quinto productior actu
190 Fabula, quae posci vult, et spedata reponi:
iGf) Sublimi'') Gloriae appetcns.
ifiy Opes) Polentiam.
168 Commisisse capei) Quod virum fortem decet.
178 Aptis) Quia qnisque vel e vulgo notat, se non dicUiiura ,
facturumve, quoa suae aetati Poeta appingit.
PRAECEPTA QUAEDAM GENERALIA DE POESl DRAMATICA
184 Facundia praesens) Nuncii, qui evidenti narratioue rem ocu-
lis spectatorum subiiciat.
189 Actu) Haec sunt dramatis partes, quae in scholis dicuntur
quantitativae ; nam quae appellantur tormales, sunt tres, Pro-
tasis, quae fabulam conslituitj Epitasis , quae iuvolvit; Cata-
strophe., quae dissolvit.
l
12 '- PARTE fP^'''-
lec Deus intersìt, nisi dignus vindice nodus
Incideiit: nec quarta loqui persona laboret.
Acloris partes chorus officiumque virile
Defendat: neu quid medios intercinat actus,
, 195 Quod non proposito conducat, et haereat apte.
Ille bonis faveatque, et consilietur amicis,
Et regat iratos, et amet peccare timentes:
Ille dapes laudet mensae brevis: ille salubrem
lustitiam, legesque, et apertis otia portis ;
aoo Ille tegat commissa^ Deosque precetur, et oret
Ut redeat miseris, abeat fortuna superbis.
Tibia non, ut mine, orichalco vincta, tubaeque
JEmula; sed tenuis, simplexque foramine pauco
Adspirare, et adesse choris erat utilis, atque
2o5 Nondum spissa nimis compiere sedilia flatu^
Quo sane populus numerabilis, utpote parvuSj
Et frugi, castusque verecundusque coibat.
Postquam coepit agros extendere victor, et urbem
Latior amplecti murus , vinoque diurno
310 Placari genius festis impune diebus,
Accessit numerisque modisque licentia maior.
Indoctus quid enim saperet, liberque laborum,
Rusticus urbano confusus, turpis honesto?
Sic priscae motumque et luxuriem addidit arti
, 2i5 Tibicen, traxitque vagus per pulpita veslem:
Sic etiam fìdibus voces crevere severis^
Et tulit eloquium insolitum facundia praeceps:
191 Dignus vindice nodus ^ Tnnc reciirritur ad machinam , quum
fabula miraculose involuta est.
193 OJflciumque virile) Fungalnr officio boni viri.
2o3 JSrnula) Quae eadem recurrente rerum civilium serie, rediit,
quae dicitur Oboe.
2o5 Flatu) En cur supra dicebamus, iambum non idcirco drama-
tis in principium accommodatum, ut vincerei strepitus po-
pulares.
207 Castusque") Castitate , qua Cicero in Legibus ait Deos caste a-
deunto: nana ludi, in quibus agebantur coraoediae, edebantur
in honorem Deorum, quibus sacrificaturos prius lavari opor-
teb at.
Sii Numerisque modisque licentia maior) Ex eodem recursu caus-
sarum musica nostri temporis metris utitur brevioribus, et
Jevioribus rhythmis.
2i4 Motumque et luxuriem) Id ipsum numero, quod nunc faciunt
le correntine francesi,
2i5 F'agus) Errans, uti nunc spectatur gallica saltatio.
in/
SCRITTI SCIENTIFICI ^3
Uliliumque sagax rerum , et divina futuri
Sortilegis non discrepuit sententia Delphis. *^*^
120 Carmine qui tragico vilem certavit ob hircum,
Mox etiam agrestes Satyros nudavit, et asper
Incolumi gravitate, iocum tentavit, eo quod
Illecebris erat, et grata novilate morandus
Spectator, functusque sacris, et potus et exlex.
laS Verum ita risores, ita commendare dicaces
Conveniet Satyros, ita vertere seria ludo; '''''' ^
Ne quicumque Deus, quicumque adhibebitur heros,
Regali conspectus in auro nuper et ostro,
Migret in obscuras humili sermone tabernas:
a3o Aut, dum vitat humum, nubes et inania captet.
EfFutire leves indigna tragoedia versus,
Ut festis matrona moveri iussa diebus,
lutererit Satyris paullum pudibunda protervis.
219 Delphis) Quia musica principio ad canendas Deorum laudes
inventa est, et nunc sane surnmi pontificis oraculum consoli
oporterel, ut cantui Gregoriano, quo in iacris utimur, ad-
misceretur cantus qui dìciiur Jiguratus,
DE TRAGOEDIAE ORIGINE *">
220 Carmine qui tragico') Heic Poeta incipit verba facere de tra-
goedia, de cuius historia quaedam ex antiquis traditionibus
satis obscura et confusa tradii ; quae ex Novae Scientiae Prin-
cipiis illustrata, ac distincla priraum dramaticae personae in-
ventum, et veram etymi rationem , qua tragoedia dieta est,
evidenter demonstrant. Caper enim Graecis rpcc/og dicitur,
unde Tragoedia appellata: sed non iccirco, quod hircus victo-
ribus eius certaminis vili praemio daretur, quod Horatius
ipse heic miratur ; sed quia prima dramatica persona haec
Satyri inventa est, quam naturae conveniens fuit, ut rustici
homines, inter quos primos poetica historia dramaticum poema
ortum narrat, caprinis pellibus pedes , crura et coxas tege-
rent, pectora et ora vini faecibus ungerent, et cornibus de-
nique frontes armarent: coque pacto prima theatri persona
extitit.
225 rerum ita risores) Huiusmodi dramatum nullum ex antiqui-
tate exemplum ad nos perlatum , sed ex hoc Horatii loco
audacter definire licet , satyram fuissc drama quo et tragi-
cae et comicae personae in scenam prodibant : qua simili-
tudine Latini» satyra fuit cdulium in quo diversa ciborum
genera confundebantur : unde postea lex per satyram dieta,
quae plura ac diversa rerum capita complectebatur<
74 PARTE |^M>'>p
Non ego inornata et doininantia nomina solum,
a35 Verbaque, Pisones, Satyrorum scriptor amabo:
Nec sic enitar tragico difFerre colori ,
Ut nihil intersit, Davusne loquatur, et audax
Pythias, emuncto lucrata Simone talentum,
An custos famulusque Dei Silenus alumni.
240 Ex noto fictiim Carmen sequar, ut sibi quivis
Speret idem; sudet multum frustraque laboret,
Ausus idem. Tantum series iuncturaque poUetl
Tantum de medio sumptis accedit honoris!
Silvis deducti caveant, me judice, Fauni,
245 Ne velut innati triviis, ac pene forenses,
Aut nimium teneris iuvenentur versibus umquam,
Aut immunda crepent, ignominiosaque dieta.
OfTenduntur enim quibus est equus, et pater, et res;
Nec, si quid fricti ciceris probat et nucis emptor,
25o iEquis accipiunt animis, donantve corona.
Syllaba longa brevi subiecta vocatur lambus,
234 Non ego inornata} Agii de stylo satyrico.
Jb. Domìnantia) Quae item dicuntur verba nativa; quae ad id
ipsuin significandum nata sunt , quod animo praeconceperis ,
et in 60 cxpìicando dominantur: quo verboriim genere Ho-
ratius in Satyrarum libris summa cum laude usus est.
236 Tragico difjerre colori') Non a tragica inagniloquentia, ut in-
terpretes vulgo interpretantur, sed a satyrica puritate et ele-
gantia, quia prima tragoedia, ut supra diximus, hoc genus
satyrae fuit: quod est idem numero ipsum quod pauUo supe-
rius Poeta dixit :
Ne quicumqu<' Deus , qutcumque adhibeliilur heros ,
Regali conspeclus in auro nuper et ostro,
Migret io obscuras humili sermone tabernas.
240 Ex noto fìctum Carmen sequar} Non heic agit Horatius de ar-
gumento satyrae deligendo, sed de satyrici styli difficultate:
ubi detractoribus suis respondet, qui ipsius satyras contem-
nebant a locutionis facilitate.
245 Innati triviis) Qui Romae in conducta quidem domo nati sunt.
Ib. Pene forenses} Del uil mercato.
246 Nimium teneris iuvenentur uersibus) Nempe lascivis.
247 Immunda} Sordida.
IIj. Ignominiosaque dieta} Quae alterius famam laeduut.
348 Pater} Hoc est patricii.
Ib. Et res} Intelligit Senatores, qui censu, non genere, in ordine
censebantur.
DE METRIS DRAMATUML
-x^w Syllaba loiiga brevi subiecta i^ocatur ìambus} Heic agit Horatius
de tuetris draraatum propriis.
i-S ì-
I SCRITTI SCIENTIFICI ^5
Pes citus: unde etiam trimetris accrescere iussit
Nomen iarabeis, quum senos redderet ictus ^
I Priraus ad extremum similis sibi : non ila pridem,
55 Tardior ut paullo graviorque veniret ad aures.
Spondeos stabiles in iura paterna recepii
Commodus et patiens: non ut de sede secunda
Cederet, aut quarta socialiter. Hic et in Acci
Nobilibus trimetris apparet rarus, et Ennì.
60 In scenam missos magno cum pondera versus,
Aut operae celeris nimium curaque carentis,
Aut ignoratae premit artis crimine turpi.
Non quivis -videt immodulata poemata index*
Et data Romanis venia est indigna poetis.
.^S Idcircone vager, scribamque licenter? An omnes
Visuros peccata putem mea, tutus, et intra
Spem veniae cautus? Vitavi denique culpam,
Non laudem merui. Vos exemplaria Graeca
Nocturna versate manu, versate diurna.
870 At vestri proavi Plautinos et numeros et
Laudavere sales: nimium patienter utrumque^
Ne dicam stulte, mirati: si modo ego et vos
Scimus inurbanum lepido seponere dicto^
Legitimumque sonum digitis callemus, et aure.
262 Pes citus) Ut in praesenti musica nota brevis in systematis prin-
cipio praeposita productae celerem rhythraum significai.
Ih. Trimetris) In graeca musica dicuntur dipodiae-j ut quaeque
dipodia duobus pedibns metiietur.
253 Senos ictus) Tempore, quod nostri temporis Musici dicunt tempo
a cappella, quod est omnium celerrimum.
258 ^ut quarta) Nam in sexta nunquam cessit spondeo, quod ar-
gumento est principio iambicum natura esse ex solis iambis
compositum; uti in versu hexametro, quia initio spondaicus
natus est, ut in Noua Scientia demonstratur, nunquam ulti-
mum pedem dactylo cedit.
260 In scenam missos magno cum pondere uersus) Supple esse ^
alque haec infinita oratio heic vicem recti obtinet, quod re-
git verbura premit: ex quo sermonis genere est, si dicas
hoc facere turpe est.
2O5 An omnes) Quia non omnes visuros putem.
278 Inurbanum) Scurrile.
27/1 Digitis callemus, et aure) Ut in poesi italica nedum digitis
numerando versuura syllalìas, sed aure legitimum eorum so-
num callemus: et in latina quoque poesi callereraus, si tem-
pora syllabarum non arte, uti nunc mortuà lingua, sed na-
tura, uti ea vivente a pueris diaceremus.
^^ PARTE l/
275 Ignotum tragicae genus invenisse Camenae
Dicitur, et plaustris vexisse poemata Thespis,
Quae canerent agerentque peruncti faecibus ora.
Post hunc personae pallaeque repertor honestae
^schylus et modicis instrarit pulpita tignis,
280 Et docuit magnumque loqui, nitique cothurno.
Successit vetus his comoedia, non sine multa
DE DRAMATICAE POESEOS HISTORIA
275 Ignotum tragicae genus) Hinc Horatium doctrinara de satyra,
sive de autiquissima tragoedia incipere oportuit.
376 Plaustris") Vindemiae tempore, quibus uvas ad torcularia et
lacus ferebant: quorum antiquissimum vestigium in nostra
Campania permansit, ubi vinitores dicuntur vulgo Cornuti',
et impune liabent honestos viros foeminasque procacibus die-
tis impetendi licentiam.
377 Peruncti faecibus ora) Quare Satyri pectore et ore rubicundi
fingunturj ubi ridere licet mythologos , qui in errorem in-
ducti, quod vox Trav totum vel universum significat, in Dei
Panis fabulam eruditam mythologiam obtrudunt, quod pedes,
crura, coxae caprinae terram sylvosam , pectus et os rubicun-
dum elementum ignis, cornua solem lunamque significent.
Sed heic illa haud spernenda oritur difficultas: Qui tragoe-
dia, quae poslea in eam sublimitatem evecta est, ut Plato cara
epopoeia grandiorem exislimet, his rndissimis principiis orta
est} et Homerus Eupoli multo prior incoraparabilis heroicus
poeta repente extitit? Haec difficultas ex Novae Scientiae Prin-
cipiis facile solvitur^ quibus demonstratur Homerum in tertia
heroicorum poetarum aetate provenisse, et heroicam poesim
non minus rudem, quam heic dramatica narratur, primulum
ortam esse: quod graviter confirmatur tum eo quod de car-
minis heroici origine superius dictum est, quae primorum ho-
minum infantiam apertissime probat: tum ipsis antiquissimis
fabulis, quae satis inconditae ineptaeque ad nos usque per-
venerunt; ut illa primae aetatis poeticae, utpote quae rem
statim post diluvium traditj Deucalio et Pyrrha conjugcs su-
per Parnassi montis jugo ante Deae Themidis templum lapi-
' des ante pedes positos post terga reiiciunt, et bomines na-
scuntur; et illa mediae aetatis poeticae, Cadmus serpentem
occidit, eius serit dentes, lapidom in medium iacit, ex sulcis
homines armati cooriuntur; secumque ipsis confligunt, et Cad-
mus in serpentem convertitur : quae fabula ex nostrae mytho-
logiae historicae principiis poeticam quingentorura ferme anno-
rum historiam complectitur.
2S0 Et docuit magnumque loqui) Id haud vere dicit Horatius} nam
magnum loqui iam ante docuerat Homerus.
SCRITTI SCIENTIFICI 'JJ
Laude; sed in vitiura lìbertas excìdit, et vim -
])ignam lege regi: lex est accepta, chorusque
Tiirpiter obticuit, sublato iure nocendi.
i5 Nil intenlatum nostri liquere poetae :
Nec minimum raeruere decus vestigia Graeca
Ausi deserere, et celebrare domestica facta,
Vel qui praetextas, vel qui docuere togatas.
Nec virtute foret clarisve polentius armis,
^ Quam lingun, Latium, si non ofFenderet unum-
Quemque poetarura limae labor et mora. Vos, o ,>>jj {<^
Pompilius sanguis, Carmen reprehendite, quod non .,7'
Multa dies et multa litura coercuit, atque
Perfectum decies non castigavit ad unguem. >,,,;
Ingenium misera quia fortunatius arte ;;> '
fA l
282 Laude) Quia famosos horoines publica reprehensione dignos fa-
bulis traducebat, ut eo metu civitatis proceres aites excolcrent.
Ib. In %'itium libertas excìdit) Ut perderei viros optiraos; uti Ari-
stophanes Nebularum fabula perdidit sanctissitnurn Socratem.
283 Chorusque turpiter obticuit) Quia antiqua comoedia argumenta
sibi sumebat summates riros, qui in ore omni populo erant. At
comoedia nova, cuius princeps Menander hi'
personas 6ngit. Quare ad illud Simonis in Andria^
Meam gnatum rumor est amare,
t)avus mutiens subdit:
Id populus curai scilicef.
288 Praetextas) Quae respondebant Graecorum tragoediis; in iis
namque personae nobiles, quae praetextas gerebant, induce-
bantur.
Jb. Togatas) Quae graecas comoe^ias referebant: toga enira Ro-
mani vulgo utebantur, quare gens togata; uli palliata a pal-
liis, quae gerebant, Graecorum natio dieta est.
291 Mora) Fastidium, ut in emendandis poeraatis morosi, fasti-
diosi essent.
294 Decies) Id ipsum posterius dicit, ut poemata nonum premantur
in annum,
DE FACULTATIS POETICAE INSTRUWENTIS
295 Ingenium misera Jbrtunatius arte) In omni facultate id verum
est, sed in poetica omnium maxime: nam in quavis facultate
nalurae vitium labore improbo sive obstinato suppleveris : quod
in poetica omnino negatur. Ratio aulera eius est, quia poesis
sola natura extilit; cum ante poesim nullae artes inventae es-
sent, quando omnes artes ex poesi natae sunt, ut in Novae
Scientiae Principiis demonstraìur. Quare Homerus ante Omnes
philosophos, artcsque poeticas et criticas, summus poctarum
poeta cxtitit; quem posteris sequi datura, acraulari, nedum
superare negatum est.
j8 PARTE I.
Credit, et excludit sanos Helicone poetas
Democritus, bona pars non ungues ponere curat,
Non barbara; secreta petit loca, balnea vital.
Nanciscetur enim pretium, nomenque poetae,
3oo Si tribus Anticyris caput insanabile numquam
Tonsori Licino commiserit. O ego laevus,
Qui purgor bilem sub verni temporis borami
Non alius faceret meliora poemata: verum
Nil tanti est. Ergo fungar vice cotis, acutura
3o5 Reddere quae ferrum valet, exsors ipsa secandi.
Munus et officium, nil scribens ipse, docebo:
, Unde parentur opes, quid alat, formelque poetam^
Quid deceat, quid non; quo virtus, quo ferat error.
Scribendi recte, sapere est et principium et fons:
3 IO Rem tibi Socra ticae poterunt ostendere chartae;
Verbaque provisam rem non invita sequentur.
Qui didicit, patriae quid debeat,, et quid amicis;
Quo sit amore parens, quo frater amandus, et hospes;
Quod sit conscripti, quod iudicis officium; quae
3i5 Partes in bellum missi ducis: ille profecto
Reddere personae scit convenientia cuique.
Respicere esemplar vitae morumque iubebo
Doctum imitatorem, et vivas bine ducere voces.
Inlerdum speciosa locis, morataque recte
3^0 Fabula nulìius veneris, sine pondere et arte,
396 Excludit sanos Helicone poetasi Quia prima poesie, nerape
theologica, ex quodam divino furore nata est, quo poetae teo-
logi primi gentium fundatores correpti Deos inler se versar!
sibi videre videbanturi quod aperte docetur Novae Scientiae
Principiis. Quare poesis hanc liabet suae originis proprieta-
tem, ut natura plurimum conslet.
309 Scribendi recte, sapere est et principium et fons) Id alterum nunc
poeticae facultatis praecipuum instrumentum, phtlosophia: quia
fabulae nunc sunt genera poetica ex generibus philosophorum
consita, ut supra diximus.
317 Respicere exemplar vitae") Hoc est intueri vitara humanam in
sua idea optima: quod non alibi discitnr, nisi in evolvendis
lis qui de moribus ac vitae officiis scripserunt.
\
3i8 Doctum imitatorem) Qui non alterius artificis opera, sed ipsam
veram naturam sibi iraitandam proponit: ut tres pictores prin-
cipes in suo certo pingendi genere, Bonarrota in sublimi, Ur-
binas in tenui, Titianus in temperato excelluerunt.
Ib. Et viifas hinc ducere uoces) Id ipsum est quod superius dixi-
mus, falsum poeticum esse verum metaphysicura, sive in idea
optima, ad quod vera physica comparata falsa esse compe-
riuntur.
SCRITTI SCIENTIFICI ng^
Valdius oblectat populum, meliusque moratur,
Quain \ersus inopes rerum ^ nugaeque canorae.
Graiis ingenium, Graiis dedit ore rotundo
Musa loqui, praeter laudem, nullius avaris.
ì5 Romani pueri longis rationibus assem
Discunt in partes centum diducere: dicat
Fiiius Albini, si de quincunce remota est
Uncia, quid superai? Poteras dixisse, triens, Eu!
Rem poteris servare luam: redit uncta: quid fit?
Jo Semis. At haec animos aerugo et cura peculi '> oi}Ì,
Quum semel imbuerit, speramus carmina fìng^i '
Posse, linenda cedro, et levi servanda cupresso?
Aut prodesse volunt aut deleclare poetae:
Aut simul et iucunda et idonea dicere vitae.
35 Quidquid praecipies, esto brevis, ut cito dieta
Percipiant animi dociles, teneantque fideles:
Omne supervacuura pieno de pectore manat.
Ficta voluptatis caussa sint proxima veris:
Ne quodcumque velit, poscat sibi fabula credi:
4© Neu pransae lamiae vivum puerum extrahat alvo.
Centuriae seniorum agitant expertia frugis:
Gelsi praetereuut austera poemata Rhamnes.
Omne tulit punctum qui miscuit utile dolci,
Lectorem delectando, pariterque monendo.
45 Hic meret aera liber Sosiis* lue et mare Iransit,
Et longum noto scriptori prorogai aevum.
Sunt delieta tamen, quibus iguovisse velimusj
Nam ncque chorda sonum reddit, quem vult manus et mens,
Poscentique gravem persaepe remittit acutum;
5o Nec semper Feriet, quodcumque miriabitur, arcus.
DE FINE POESEWS
333 Àut prodesse uoliint) Finis pocscws, quum primum orta est, fuit
utilitas, qua gentes fundatae sunt, ut paullo inf'erius dicetur,
deinde alter successit, delectatio. Sed pocsis reipublicae utilis
nulla, iiisi quae media delectatione utilitatem sibi praecipuum
(inem proponat.
340 Neu pransae lamiae) Materia poeseus maxime propria est non
impossibile, sed credibile, ut supra diximus : sed gentes omnia
de Diis credidcre, prac«terquara ut raortuos in vitam revocare
pOSSCQt.
DE CRITICA POETICA
347 Sunt delieta tamen') Heic iacipit Horatius tradere praecepta de
critica poetica.
^ PARTE I.
Verum ubi plura nltent in cannine, non ego paucis
• OfFendar maculis, quas aut incuria fudit,
Aut humana parum cavit natura: quid ergo est?
Ut scriptor si peccat idem librarius usque,
355 Quamvis est monitus, venia caret^ et citharoedus
Ridetur, chorda qui scraper oberrat eadem:
Sic mihi, qui multum cessat, fìt Choerilus ille,
Quem bis terve bonum cum risu miror, et idem
Indignor: quandoque bonus dormilat Homerus,
36o Verum operi longo fas est obrepere soranum.
Ut pictura, poesis^ erit quae, si propius stes,
Te capiat magisj et quaedam^ si longius adstes:
Haec amat obscurum^ volet haec sub luce videri,
ludicis argutum quae non formidat acumen:
365 Haec placuit semel, haec decies repetita placebit.
O maior iuvenum! quamvis et voce paterna
Fingeris ad rectum, et per te sapis; hoc tibi dictum
Tolle memor: certis medium et tolerabile rebus
Recte concedi. Consultus iuris et actor
Syo Caussarum mediocris abest virtute diserti
Messalae* nec scit, quantum Cascellius AuUis:
'Sed tamen in prelio est. Mediocribus esse poetis,
Non homines, non Dt, non concessere columnae.
Ut, gratas inter mensas symphonia discors,
375 Et crassum ungucntum, et Sardo cum melle papaver
OfFendunt^ poterat duci quia coena sine istis*
Sic, animis natum inventumque poema iuvandis,
Si paullum summo decessit, vergit ad imum.
Ludere qui nescit, campestribus abstinet armìsj
38o Indoctusque piiae, discive, trochive quiescitj
Ne spissae risum tollant impune coronae.
Qui nescit, versus tamen audet fingerei Quidni?
Liber et ingenuus, praesertim census equestrem
Summam nummorum, vitioque remotus ab omnil
385 Tu nihii invita dices, faciesve Minerva:
Id tibi iudicium est, ea meus. Si quid tamen olim
Scripseris, in Melii descendat iudicis aures.
Et patris, et nostras^ nonumque prematur in annum,
36i «Si propius stes, Te capiat magis) Sic poema notae lenuis.
362 jEt quaedqm, sì longius adstes) Sic poema notae grandis.
364 argutum') Solers, quod et facile et cito advertit.
3^7 luuandis) Delectandis, ut iuvat spectare: è bello star a t^edere,
388 Nonumque prematur in annum) Quod superius dixit, decies
castigavit ad wiguem.
SCRITTI SCIENTIFICI
Membranis intus positis. Delere licebit
^ Quod non edideris; nescit vox missa reverti.
Silvestres homines sacer interpresque Deorutn
Caedibus, et victu foedo deterruit Orpheus^
Dictiis ob hoc lenire tigres, rabidosqiie leones :
Dictus et Amphion, Thebanae conditor urbis,
)5 Saxa movere sono testudinis, et prece blanda
Ducere quo vellct. Fuit baec sapientia quondam,
Publica privatis secernere, sacra profanisi
Concubitu prohibere vago, dare iura maritis*
Oppida moliri, leges incidere Ugno:
30 Sic honor et nomen divinis vatibus atque
Carminibus venit. Post hos insignis Homerus,
Tyrtaeusque mares animos in Martia beila
Versibus exacuit; dictae per carmina sortes,
Et vitae monstrata via est^ et gratia regum
33 Pieriis tentata modis; ludusque repertus,
Et longorum operum finis: ne forte pudori
Sii tibi Musa lyrae sollers, et cantor Apollo.
Natura fìeret laudabile carmen, an arte,
Quaesitum est: ego nec studium sine divite vena,
IO Nec rude quid possit video ingenium: alterius sic
Altera poscit opem res, et coniurat amica.
8i
II
DE POETICIS LAUDIBUS
391 Sihestres homines') Gravissima omnium et maxima poetices laus,
quod ea humanam societatera fundavit: cum omnes gentium
populi ab aliquo Deo vel heroe suas origines repetant.
Ib. Sacer) Sacerdos, quia primi gentium sacerdotes fucrunt poetae.
Ib. Interpresque Deorum) Qui Graecis dicilur |UV(TT>2?j unde pri-
ma gentium raysteria fuere fabulae poelarum, et prima theo-,
logia mystica fuit, quam professi sunt poetae thcologi.
393 Orpheus) Atqui Orpheus venit nongentis annis post graecam
nationem inceptam fundari.
394 Àmphion) At Ampliion floruit trecenlis annis post Thebas a
Cadmo conditas. His diflìcultalibus in Noua Scientia fit satis.
396 Fuit haec sapientia quondam) Prima sapientia vulgaris fuit poe-
tica. Quare ab historia poetica sunt repetendae origines rerum
publicarum, Icgum, omniumque artium ac scientiarum, quae
iiumanitatem perfecere. Quod in Nowae Scientiae secundae edi-
lionis lil)ro II pracstilum est: qui libcr est huius loci Hora-
liaui quidam pcrpetuus commcntarius.
ITERUIVI DE POETiCES INSTRUMENTIS
408 Natura fìeret laudabile Carmen, an arte) Rcdit ad instrumenta
facultatis poeticac, de quibus dictum est ^upra.
Vico , Opuscoli, 6
Stì PARTE I.
Qui studet oplatam cursii contingere metam
Multa tulit fecitque puer, sudavit et alsit,
Abstinuit venere et vino. Qui Pythia cantal
4i5 Tibicen, didicit prius, exlimuitque magistrum.
Nunc satis est dixisse: ego mira poemata pango:
Occupet extremum scabies^ mihi turpe relinqui est,
Et, quod non didici, sane nescire fateri.
Ut praeco ad inerces turbam qui cogit emendas,
420 Adsentatores iubet ad lucrum ire poeta,
Dives agris, dives positis in foenore nummis.
Si vero est, unctum qui recte ponere possit,
Et spoudere levi prò paupeve, et eripere atris
Litibus implicitum : mirabor, si sciet inter-
4^5 Noscere mendacem, verumque, beatus, amicum.
Tu, seu donaris, seu quid donare voles cui,
Nolito ad versus tibi factos ducere plenum
Laetitae^ clamabil enim . Pulchre! Bene! Recte!
Pallescet super bis 5 etiam stiliabit amicis
430 Ex oculis rorem: saliet, tundet pede terram.
Ut, qui conducti plorant in funere, dicunt,
Et faciunt prope plura dolentibus ex animo: sic
Derisor vero plus laudatore movetur.
Reges dicuntur, multis urgere culullis,
435 Et torquere mero, quem prospexisse laborant,
An sit amicilia dignus: si carmina condes,
Nunquam le fallant animi sub vulpe latentes.
Quinlilio si quid recitares, Corrige, sodes, *
Hoc, aiebat, et hoc: melius te posse negares
44^ Bis terque expertum frustra. Delere iubebat,
Et male loruatos incudi reddere versus.
Sì defendere delictum, quam vertere, raalles,
Nullum ultra verbum aut operam sumebal inanem,
Quin sine rivali teque et tua solus amares.
445 Vir bonus et prudens versus reprehendet inertes^
DE STUDIO POETICES
/^^ù Qui studet oplatam) Hoc praeceptum in poetica, oratoria et qua-
vis alia faoultate servandum, ut flagrantissimo studio excolatur.
DE CENSORE DELIGENDO
419 Ut praeco") Dat praeceptum de deligendo censore.
DE CENSORIS OFFICIO
438 Quìntìlio si quid recitares) Hcic censoiis iiiunus exctjuilur.
SCRITTI SCIENTIFICI 83
Culpabit duroSj incomptis adlÌDet atrum
Transverso calamo sigiium; ambitiosa recidet
Ornamenta, parum claris lucem dare coget:
Arguet ambigue dictumj mutauda notabìt:
)o Fiat Aristarchus^ nec dicel, Cur ego amicum
Ofl'endam in nugis? Hae nugae seria ducent
In mala derisum semel exceptnmque sinistre.
Ut, mala qiiem scabies, aut morbus regius urget,
Aut fanaticus error, et iracunda Diana,
'5 Vesanum tetigisse timent fugiuntque poetam^
Qui sapiunt: agitant pueri, incautique sequuntur.
Hic, dum sublimis versus ructatur, et errat,
Si, veluti merulis intentus decidit auceps
In puteum foveamve, licet, Succurrite^ longum
3o Clamet, io cives! non sit qui tollere curet^
Si curet quis opem ferre, et demittere funem ,
Qui scis, an prudens huc se deiecerit, atque
Servari nolit? dicam, Siculique poetae
Narrabo interitum. Deus im mortai is haberi
55 Dum cupit Empedocies, ardentem frigidus ^tnam
Insiluit. Sit ius, liceatque perire poetis.
Invitum qui servat, idem facit occidenti.
Nec semel hoc fecit: nec, si retractus eritj iam
Fiet homo, et ponet famosae mortis amorem. '
70 Nec satis apparet, cur versus factitet: utrum .
Minxerit in patrios cineres, an triste bidental ^
Moverit incestus. Certe furit, ac, velut ursus
Obiectos caveae valuit si frangere clathros,
Indoctum doctumque fugat recitator acerbus.
75 Quem vero arripuit, tenet occiditque legende,
Non missura cutem, nisi piena cruoris, hirudo.
>v>Y>'iW> ^^^'!!' »J ^'vvt
f3 ' roj^yrrr^,?. lirr:^;;
IDEE SULLA MORALE E SULLA FILOSOFIA
O R A T I O
HABITA XV KAL. N O V E M B R 1 S ANNO MDCC
CUJUS ARGUMENTUM
nOSTEM HOSTI INFENSJOREM INFESTIOREMQVB
QVy4M STULTVM SIBI ESSE NEMINEM
Illustrissimo ac generosissimo Domino
Marcello Philomarino e Turrensium ducibus
J, B. A Vico S. P. D.
i^ì quìhiis me .amplìssima Domits tua ^ Nobilissime Ado'
lesccns y Marcelle Philomarìne ^ complectìtur y Immani tatem
bem'gniialemque considero^ tantas profccto ac tam muni-
jìcas video, uty quàmquam omnem aetatem ejus commodis
inservi re m f vix tamen^ quanta isthinc sum assecutus ^ me-
reri possem. Sed si meam cum a fortuna occlusami tum
a natura negatam alicujus magni ac praeclari operis vim
ac facultatem a^nosco ^ nihil quicquam majus hoc tenui
munere ti hi unquam ad animi grati argumentum dicare
posse videor. Ea est Oratio de taetris foedisque stultitiae
malis, Quamnam in Domum ea facilius admiltatur^ quam
iuam? cujus famìliaris laus est doctissimos ac sapientìs-
simos Reipuhlicae viros edere? cui nam quam tibi, qui
ex amplissimis Fratribus germanis tuis id vilae genus a
puero instituis y ut ad magni illius A scarni Philomarini S. R.
E. Cardinalisy et Neapolitanorum Ponteficis ^ Propatrui tuiy
exemplar te totum conformes? Indoles id promiitit, spes
fovety institutio sedulo curai. Tanta enim cura et diligen-
tia lectissima-y atque omnium virlutum genere laudatissima
Foemina Camilla Philomarina Mater tua te tuosque fra-
tres educai y ut non majore posset Cornelia Gracchoruni
PARTE I. SCRITTI SCIENTIFICI 85
vialcr: tanta sedulìtate assìduitatvque eruditissimus aeque
oc optìmus vìr Josephus Scoppa te docet ^ ut ìmpuhes adhuc
fquod tccuni saepe ex animo gratular : auuni ejus forte
absentìSf aut morbo impediti subeo vìcesj Poetas HistO'-
ricosque latinos jam ferme omnes praelegeris ; et imprimis
Plautum, Terentiumque latinae veneris et eleganliae pa^
rentes quam familiarissinios ìiabeas ^ et mine Cora. Taciti
succiplenam brevitateni degustes. Itaque tua aetate praeter-
gressa eruditione , tuisque suavissimis moribus, et maxime
ista tua modestia vere ingenua ac liberali omnes allicis ,
omnes capis, omnium studia ^ nedum adolescentum y quos
aetas potius ^ quam consilium conciliat ^ scd gravissimo rum
aetate y virlute ac sapientia virorum studia in te conifertis,
Quare hoc unum de te votum conci pere licet y ut, qua in»
stituistiy pergas ^ quo brevi Te virum in Chris tiano terra-»
rum Orbe praeclarissimum videamus. Habes igitur, cur in
tiiam amplissimam Domum , Tibique inscriptam liane Ora»
tionem induxi: tuae modo fldei est . eani foris quoque sa-
pientissimo tuo Pliilomarino nomine protutari. Macte virtù-
tCy j4dolescens Generosissime, et omnem humanam aetalem
vale. Dat, Neap. hai. decembris An. MDCcynr.
O RA T I O
(Desunl nonnulla )
Cum haec ita sint, et tamen humanam natu-
ram in nobis absurdam, minimeque sibi aptam,
immo piane a semetipsa abhorrentem sentiamus;
bine factum est, ut veteres si ve Vates illi sint,
sive in sacris, initiisque tradendis divinae mentis
interpretesj quum nos ob aliqua scelera in vita
superiore a nobis in nos admissa poenarum caussa
luendarum natos esse dixerunt; aliquid veri dixisse
videantur. Enimvero poena, et quidem omnium
acerbissima poena est, vita, quam stulti degunt.
Nec vero eam pendunt ob illa, quae Tbeologi
Poetae comminiscuntur delieta; quae cum non-
dum essemus, haudquaquam admiltere pol^jrucaus:
^ PARTE I.
sed quia in aeternam illam facimus legem, qua
Deus Optimus Maximus hanc totius Mundi Civi-
tatem fundavit: ut omnia, si se et universi Rempu-
blicam saivara velint, reliqua creata suam cujusque
naturam, homo vero sapientiam ducem sequalur.
Ejus legis tot sunt digito omnìpolenti praescripta
capita, quot sunt rerum cv7ici.t et potestates. Sed
illud quod ad rem nostram facit de homine con-
ceptum recitemus. Homo mortali corpore^ aeterno
animo esto: ad duas res, verum et honestum,
sii^e adeo mihi uni nascìtor: mens verum fai-
sumque cognoscito : sensus menti ne imponunto:
ratio vitae auspicium^ ductum imperiumque ha-
beto: cupidi tates rationi ancillantor: ne m^ns de
rebus ex opinione, sed sui conscia judicato : neve
animus ex libidine ^ sed ratione bonum amplec^
titor: honis animi artibus aeternam sibi nominis
claritudinem parato : virtute et constantia huma^
nam felicitatem indipiscitor. Si quis stultus sive
per luxum^ sive perignaviam, sive adeo per im-
prudentiam secus faxit^ perduellionis reus sibi
ipse bellum indicito. Lex igitur, quam Deus hu-
mano generi sanxit, sapientia est. Si sapientiae stu-
diis animum adjungamus, naturam sequimur: sin
ab ea ad stultitiam traducamur, a nostra decli-
namus natura, et in eam facimus legem, cujus
sanctio tam exprompta et parata ostentai suppli-
cia, ut repraesentatn poena sit ipsa fraus: et ne
quam carnifex moram faciat, qui damnatis com-
pedes, manicas, bojasque constringat*, in crucia-
tum agat, uncoque trahat; eam a semetipsis poe-
nam tanta diritate exigunt, ac duricie, ut hodierno
die vobis proponere audeam : Hostem hosti infen-
siorem infestioremque^ quam stultum sibi essene-
minem. A vobis modo, lectissimi Adolescentes, qui
beata indole a stultitia aversi ad sapientiae studia
SCRITTI SCIENTIFICI 8^
aiiimos appulistis: a vobis, qui sapientiam pro-
fitemini, vos quitlem officiisj Amplissimi Patres,
vos autem institutionibus, doctissimi Antecesso-
res, etiam atque etiani rogo, quaesoque, ut aequas
mihi praebere ac paratas aures ne recusetis, unice
operam daluro, ut quidquid toedii huic Oratioiii
verba et stylus attulerit, id ipsum gravitate re-
rum et temporis brevitate leniatur.
Et quidem possem ex omni temporuni memo-
ria alroces foedasque hostium clades repetere, sed
quaenam sunt reruni gestarum historiae, qui anna-
les, qui commeiìtarii, in quibus non ejusuiodi multa
dictu gravia^ perpessu aspera legentibus passim pro-
stent? Ne igitur in auctoribus recitandis sim multus,
vos, quaeso, trucem ipsamac terribilem praeliorura
imaginem animo conformate. Ubi imperatores utrin-
que e castris eductis et in acie instructis copiis
pugnae signum dederunt; et confestim sublato
utrinque clamore, feroces viri concurrunt, et com-
missum proelium ineuntj quae tum infensa infe-
staque in cujusque petetore odia excitantur? quam
inexorabiles irae effervescunt? quam infractus au-
daciae cornes furor mentej occaecat? quam impo-
tens occidionis libido animos occupat? Onnies tru-
ci atque efferato vultu sibi ultro citroque minan-
tur excidium: quisque ardentibus oculis paLentem
in hoste vulneri quaerit locum; pugnaci petit ma-
nu; infesto transigit ferro. Si alteri repulsi referunt
pedem, alteri insistunt: si hi ordinem obtineant,
illi impetum fliciunt; utra turbata acie, altera in-
gruit. Ubi stataria rem gerunt pugna stantes, et
conferti vir virum neci dedit: ubi circumducto
agmine praeliantur, praetereundo mutuas sibi dant
clades: aliis occumbentibus alii ex integro pugnani
ineunt: si qui labore et vulneribus fessi cedunt, re-
centes et integri restituunt praelium. Nihil slu*-
88 PARTE I.
dentj nisi caedein Tacere: iiiliil affectantj nisi stra-
ges edere: id unum gestiuntj afferre clades. In
vulneribns, in occidionibus loti sunt. At ubi Vi-
ctoria parta est, ibi non sine ingenti horrore, luc-
tuque maximo videre est, ex victis alios trepi-
doSj aut dissipatos fugam efFunderCj et in ter tu-
giendum misere trucidari: alios, qui in vestigio ca-
dere maluerunt, in caesorum strages congestos,
ut quem cuique sors aut virtus conjunxerat, pe-
ditesj equilesque, victores, et victos animi fero-
ciam, quam baberent in vita, in vultu retinentes
jacere. Videres alios in pulvere tabido spiritum
intercludere: alios ex strage media nudantes cer-
vicem jugulumque victoribus, eosque obsecrantes,
ut reliquum sibi sanguineni hauriant. At vero hi
vel effera ulciscendae injuriae libidine in eos af-
flictos insultare, et objectare probra, vel cupidi-
tate legendi spolia transilire: ac, ne quid sit in
mora, aliis poplites, brachia aliis decidunt, alios
medios diffindunt, quo ocjus eos minitantibus ar-
mis vestibusque despolient. Ncque enim Victoria
praeliorum exitu terminatur: nam mox ad agro-
rum vasti tatem, urbiumque direptiones divertunt.
Et o quam foeda tetraque lieic sese ofFert imago
latitantium, extrahentium, fugentium, assequentium,
observantium, irrumpentium; trucium inter pavi-
dos, ferorum inter miseros, et ex alienis laetorum
malis! Omnia, quocumque oculos animumque con-
vertas, infensa, hostilia omnia: morbo afiecti, con-
fecti senio, honestae matronae, generosae virgines,
pueri liberales in angiportubus, in conclavibus, in
intimis aedium penetralibus, in parentum com-
plexu, ante focos, ante aras, omni humanitate
abacta, omni admissa fandi nefandique licentia,
vita privantur, spoliantur fortunis, bonis omni-
bus exuuntur. Maxima quidem videntur et acer-
SCRITTI SCIENTIFICI 89
bissima tlaninuj mala et exitia, quae bella dare
et afferre solent, ita ut quivis forti robustoque
animo praeditus, corum vel sola imagiiie luctu
liorroreque refugiat. Sed si cui, omni erroris ne-
bulà dissipata, clarior veritatis Phoebus afTulgeat,
et has cum iis componat cladibus, quas sibi dat
stuUus secum ipse belligeransj si uUam sensus lia-
beat partem, haec longe majora esse fateatur. Ete-
nim quae vulnera infligere solent bostes, ea saepe
et majore quidem animi sensu a cbirurgis excipi-
mus; quas li inferunt mortes, eas^ nisi vetarent
id leges, saepe in mala spe positi bomines nitro
sibi consciscerent. Urbe spoliant? at facinorosi
scientes prudentesque solum vertunt. Fortunis pri-
vant? at ganeones nepotesque per luxum eas, et
libidinem prodigunt. Libertatem adimunL? at sunt
perditi bomines, qui ad prelìum partiendum se
venundari patiuntur. Gontra vero (attendite, Au-
ditores, res magna est: attendite, res vestra est)
contra, inquam, stultus sibi bellum infert, non ar-
mis, quibus punctim aut caesim ferit, sed per sum-
mum cruciatum distrabitur. Ea vi superatur, qua
vehementior nulla: ea spoliatur urbe, quae una
est: iis privatur fortunis, quas vel Reges expe-
tunt: in eum conjicitur carcerem, quo nihil acrius,
nibil tenebricosius: in ejus redigitur servitutem,
cujus omnium saevissimum est imperium. An pu-
tatis, me inopinata magnifice loqui? non ita est,
ita me Deus amet, non ita est: vera loquor et
quorum, si quis beic stultus adesset, quod band
puto, si is modo secum babitet, de se conjectu-
ram facere posset. Stultorum arma sunt ettVenes
animi afiectus: vis, qua superantur, conscientia;
urbs, qua spoliantur, Mundus; fortunae, quibus
exuuntur, bumana felicitasi career, quo truduntur,
corpus 5 domina, cujus iiuperio subjiciuntur, For-
gO PARTE I.
tuna. Haec igitur siiigula, duiii aliquanto araplius
persequar, quaeso vos, Auditores, benigne, idest
vestro de more audiatis. Et principio quidem atten-
dile, quos acerrimos ad versus semet hostes, et
quain perniciosis araiis instruat stultus. In ea animi
parte, quae rationis est expers (comparatione Phi-
ìonis ad hanc rem apposita utar), duo sunt veluti
equi, irascens unus^ alter concupiscens: ille mas,
haec foemina: ille gestiens animosus, impotensj
hic fractus, languidus, deses; ilio animus in ar-
dua atrociaqne, hoc vero in prodi via et amoena
fertur. Ex his duobus equis non secus ac ilio Tro-
janorum equo quot inclusi sese exerunt hostes!
Etenim ubi semel prava cupiditas alicujus appa-
rentis boni aniraum stulti incessit, ibi tum omnium
perturbationum fons et origo existit amor: si bo-
num quam longissime absit, desiderium nascituri
si consequi possit, spes erigitur: si praesens sit,
exoritur gaudium: si ita summum reputatur, ut
in eo non nisi unus excellere possit, zelotypia
et aemutatio praesto est: si ejus copiam alius ha-
beat, nos inopia laboremus, invidia cietur. At ubi
ejusmodi fluxi et fucati boni compotes fati su-
raus, et, detractà persona, res manet, quia quod
prius bonum videbatur, mox sub specie boni la-
tens retegit malumj statini odium amori contra-
rium succenturiabitur : ac si malum longe absit,
fiet ut abominatio et fuga expediatur: si prae-
sens nos premat, tristitia erumpat et dolor. At-
que heic confestim cupiditati irascibilis appetitus
opportunam fert opem. Etenim ad malum depel-
lendum excitat iram: quod si vincere posse pu-
tet, armat audaciam: si de Victoria desperet, ite-
rum cupiditas ingruit; et si malum mediocre sit,
taedium, si summum, ad stultum debellandum,
stuporem etiam educit. Ducunl agmen appetitus
I
SCRITTI SCIENTIFICI ^P
et fuga; mediani tenet aciem gaudium, est in sub-
sidiis dolor. His hostibus stulti animus impetitus
astat, timetj gaudet doletqiie. Sed quia arte vi-
tae sapientiam non calici , fluxa vota, timores ir-*'
riti, mala mentis gaudia; soli dolores. Si quidem
optant Adolescentes unguenta , coroUaSj convivia:
sed in his subest animis aliquid, quod lotam po-
stea rationem vitae conturbat. Optant Juvenes glo-
riam, sed quae exquisita et affectata Varrones Gan-
nensi clade deturpet. Optant viri potentiam, sed
quae virtute non moderata trahit unco Sejanos.
Optant senes divitias, sed quae mentis non partae
Crassos pessundant. Optant decrepiti longaevam
vitam, ut senii incommoda sentiant, et suorum
funera videant. Timent quidem insipientes, sed
quae nihilo metuenda magis sunt, quam quae pueri
in tenebris pavere solent: et vertunt terga, queni-
admodum liostes, quos actu pecorum pulvis su-
blatus exuit castris. Quamobrem eos, scita transla-
tione, majusculos pueros Senecav ocat: quibus post
juventam, canosque, non pueritia, sed quod gra-
vius est, puerilitas manet. Timent enim, ne quid
sibi detrahatur honoris; qui re ipsa in honoran-
tibus est: timent, ne quid patrimonii atteratur;
quod revera est in bonis Fortunae : timent, ne
supremum properet fatum ; quod , si sanguinis
guttula in sinistro cordis ventriculo subsistat, im-
minet repentinum. Gaudia vero stultorum (sitameli
gaudia appellanda sint, et non potius integratio-
nes doloris) quam perfunctoria! quae non perpe-
tua hilaritas, sed subita dift'usio consequitur. Ete-
nim ea animi pars, quae ratione praedita est, et
stultis, ut ila dicam , pene nomine relieta, su-
spicit quandoque Archimedem inter Syracusarum
direptionem in erudito pulvcre geometricarum apo-
dixium suavitale occupatum teneri: admiratur Sci-
9^ PARTE Vrr^'^*?-
pionempost Carthaginenieversam prò ingrata Roma
libentissime Linterni villulam commutare, et per
summam animi tranquillitatem inter Literas abdi-
tum, et sua ipsius virtute iuvolutum, vel sapien-
tiae studiis, vel memoria rerum praeclarissime a
se gestarum delectari. Adeo enira gratiosa est vir-
tus, ut insitum etiam sit improbis, probare me-
liora. Sed quid tum? gravissimum illud sentiunt
malum, quod stultis Poeta grandiloquo ore im-
precatur :
Virliitem ut videant, intabescantque relieta.
Quandoquidem ratio a virtutis pulchritudine ,
ad quam nata est, commota arripit affectuum, et
perturbationis habenas. Sed nequicquam: etenim
aut a refractariis equis instar Homerici Hectoris
raptatur, aut, quoniam nescit fines,
Quos ultra citraque nequit consistere rectum,
vel vehemens, dum aliqua devitat vitia, currit in
contraria; vel a seipsa dissidens, laudat virtutes,
vitiis obsequitur. Et ne timidus audiat, audacium
fert praemia, injurias et contumelias: ne audax,
omnia tuta timet: ne avarus habeatur, rem om-
nem prodigit: ne prodigus, a congesta pecunia
tanquam a Sacro abstinet, et suum genium de-
fraudat. Itaque in omni vita, vel cupiditatibus tre-
pidat, vel voluptatibus insanit, vel curis aerumnis-
que conficitur. His suppositis flammis, bis admotis
arietibus, pluteisque stulti animus oppugnatur. Qua
vi expugnatur tandem? qua nemo se protegere po-
testi vitae inter vitia traductae conscientià. Haec
diras, haec intemperias ciet, quae stultum tenent
et agitant. Lubet eos oculis videre jactatos? Spec-
iale : stulti vita semper ingrata, semper trepida est;
semper is sibi dissidet, secumque pugnai: semper
SCRITTI SCIENTIFICI 93
fastidio sui laboratj suique taedet, ac poenitet.
Nunquam ei velie ac iiolle decretum est: variat
quotidie jiidicium, vertitque in contraria: sua de-
spicitj aliena miratur^ et ut Plautini Alcerimarchi^
i
. .'. ubi est, ibi non est; ubi non est, ibi est animus:
semper apud se caussam dicit, et se condemnat :
semper foris est 5 nunquam secum habitat: nova
commutans loca, nova obiens munia, novam vitae
rationem instituens, novas spes etiam in exitu
inchoansj semper se fugit. Tabbus stulli oppugnati
armis j tanta vi debellali quam amplissima et pul-
cberrima privantur urbe? Ea nimirum, quam non
aratro designati ambiunt muri ; sed Jlammantia
coeli moenia circumdant: quae non mutabili lege
fundata est, sed aeterno regitur jure: in qua non
municipale sacrum, sed coelum , sydereum Dei
Opt. Max. templum reseratur: cujus Theatrum,
terrae patent; Thermae maria; stadia solis viae.
Ejus urbis civitas nonnisi Deo , sapientibusque
communis est: quando ejus juris communionem
non principali beneficio, non liberis, non nave,
non mibtià homines, sed sapientià consequuntur.
Etenim (attendile per vestram fidem ) jus, quo
haec maxima Civitas fundata est, divina ratio est
loti Mundo et partibus ejus inserta, quae omnia
permeans Mundum continet et tuetur. Haec in
Deo est, et Sapientià divina dicitur; a solo sa-
piente cognoscitur, et sapientià humana appella-
tur. Quis igitur non, quod olim Mutius, Cwis Ro-
manus sum, sed, quod multo est grandius, ma-
gnificentiusque. Mundi ci vis sum, potest dicere,
nisi solus sapiens, qui de rebus superis, inferis-
que, divinis, humanis, universis vera cogitare et
disserere sciat? Quis nisi sapiens, prò tantae Gi-
vilatis cive se probare potest, qui Naturae et
94 PARTE f.
universi Legem novit ac servai? quae res ejus
Reipublicae jura Deo, hotninibusque communicat?
Perfecta ratio, qua Deus cuncta operaturj sapiens
cuncta intelligit. Quae res honiinum curn Deo ne-
cessitudines conciliat? Veritas, quae ab unis sa-
pientibus sese vestigari sinit: et, ut graecum notat
nomen, circa Deum versatur. Quae res homines
Dei similes facit? Virtus, qua freti Stoici nimis
superbe de sapiente, nimis abjecte de Deo dis-
serentes illud 7:apadc-rcu statuunt, quod vere in
narjo'j.cycv abit: quod eadem res sapientem efìSciat,
quae Deum, nempe virtus, nulla re praeterea, nisi
immortali tate, quae nihil ad bene vivendum per-
tinet, cedens caelestibus. Dicamus id magis sic,
et verius graviusque: una re nos Deus sui simi-
les reddit: virtute, qua nedum humanae, sed cura
caelestibus etiam aeteruae nos corapotes facit fe-
licitatis. Magna stulti Givitate privantur: magnis
item necesse est, ut spolientur opibus ac fortu-
nis. Quibus, rogabitis? Felicitale. Nam omnibus
quidem hominibus natura insitum est, ut beatam
expetant vitam. At vero stulti, dum illam petunt,
fugiunt: quandoquidem cum beatae vitae surama
sit vera bilaritas, solida tranquillitas, inconcussa
securitas; ii solicitudinum caussas colligunt, et
per insidiosum iter longius ab eo, quod petunt,
semper abscedunt: et in Labyrintbo properantiura
instar, sua ipsorum velocitate se implicant. Quid
ita? quia eos deficit perfecta virtus; hoc est ae-
qualitas ac tenor vitae per omnia sibi constans:
quod fieri nullo pacto potest, nisi rerum scien-
tià prudentiàque contingat. Etenira humanae vi-
tae propositum, et appetendorum ultimum, quo
potiti nihil ultra petimus, vel egemus, et quo uno,
utpote ad id natus animus, consummatur, est certa
scire, recta operari, atque ilio contemplari, hoc
SCRITTI SCIENTIFICI 9^)
imitali Deum. Ubi semel inter haec studia sapiens
versatuFj eo gaudio ejus vita perfunditur, cujus
iiidivisae sunt comites, conscientiae tranquillitas ,
innocentiaeque securitas. Scientia enim praestat,
ut sapiens animum deducat a corpore, et multum
cum meliore ao divina parte versetur; et cum
hac querula ac fragili, quantum necesse est. Ita-
que rerum vestigans caussas, mente Deum adit;
et bis cogitationibus oblectatur et pascitur. Recta
vitae institutione agnoscit in nobis esse appetitio-
nem et fugam, virtutem et vitia: extra nos cor-
pus, opesj gloriam : agnoscit, quae in nobis sunt,
natura sua libera et propria esse: extra autem
posila serva et alieni juris. Quamobrem ita se
conformat, ut quidquid ex Dei constitutione nos
pati necesse sit, id magno animo excipiatur. Ad
hoc sacramentum se adactum intelligit; ferre mor-
talia, nec perturbari bis, quae vilare, nostrae po-
testà tis non est. Itaque ab celsa mentis veluti arce
orane Fortunae regnum despectat, et veluti sum-
musOljmpi vertex humanorum casuum ventos nu-
besque superai. Tot tantisque stultus spoliatus
fortunis, liberiate etiam, justi jure belli, privatur;
liberiate, inquam, quae non vindictà, aut pileo
donari solet a dominis, sed quam praestat sua
manumissione sapientia. Hic in arctum iruditur
carcerem asservandus multis, spissìsque tenebris
circumtextum, et borroribus undique circumfusum.
Nulla ibi rimula hiat, per quam lucis radius pe-
netrare possit. Nullus ei verus Triumvir praeestj
nullus fidus ad ostia custos, qui extrinsecus aliata
ex bona referat fide. Credo equidem , vos jamdu-
dum tenere, quae dicam. Tenebricosus career est
corpus: Triumviri, opinio, falsitas, error: Gusto-
des, sensus: qui in pueris acerrimi, in senibus
hebetes, et in omni vita pravis affectionibus cor-
\
96 ^ PARTE K''»T'»^.
ruptissimi. Qiiivis nervorum morbus, quodlibet
organorura vitiutn, quicumque appetilus, intem-
perantia eos corrumpit et labofactat. Quid? di-
versae corporurn compagesj quarti diversa, immo
contraria ingenia induunt? Amor vero quam miris
modis vim imagines conformandi distorquet? quam
miris odium depravat? Qui amant, dominarum
vitia, tanquam virtutes exosculantur: qui oderint,
^tanquam vitia, virtutes abhorrent. Hinc illi opi-
nionum, quibus jactantur, fluctus; illi studiorum,
quibus submerguntur, Euripij illi errorum sco-
puli, in quos impingunt. Gumque nesciant, quam
alti rebus termini baereant^ et quid fieri possit,
quid secus, ignorent: atque adeo non habeant
gubernaculum vitae sapientiam, sed fortunae corn-
mittant: a qua dum sacerrimis habentur modis,
iilas voces per summum animi dolorem emittunt:
non putabam : spes me frustra habuit : hoc mihi
restare nesciebam. O quam vere cor, et pupula
sapientum, o quam vere, Plato dixisti: omnium
ferocissimum animai esse hominem stultum! Nam
quae major ferocia, quam ad versus semetipsum
tam infandum bellum indicere? in horas a sua
ipsius conscientia sub jugum per summam turpi-
tudinem agi ? in tam amplissima urbe nullum ca-
put habere? fortunis privari, quae unae propriae
sunt? carcere tam duro asservari, quem non po-
test infringere? a saevissima Domina non perfu-
gere ad aram Sapientiae? Eja agamus hoc tandem:
et nosmetipsos respiciamus^ nos nostri misereatj
et sanctum nobiscum ipsis paciscamur foedus. En
-Foeciales ad id feriendum parati: heic adsunt,
ut nobis verbis praeeant: sequamur igitur. Et illi
pareamus Naturae legi, quae jubet, ut quisque
sibi constet. Facilis est, nam ingenita: benigna,
quia Natura ...
SCRITTI SCIENTIFICI
LETTERA DEL DUCA DI LAURENZANO
97
Pedimonte, i4 febbrajo 1784.
Essendo terminato di stamparsi un mio libro sopra
il buon uso delle umane passioni, che per mio trat-
tenimento mi posi in animo di scrivere (i), ho sti-
mato di non potergli dare spaccio più onorevole, che
mandarne le copie nelle mani de' letterati uomini della
nostra patria: non già perchè io intenda di mettere
sotto i di loro occhi cosa di molto pregio, ma affin-
chè riceva presso di loro quel lume e schiarimento che
da sé stesso non potrebbe conseguire. Per lo cui effet-
to, ed in significazione della singolare stima che io
sempre mi ho coltivato nell'animo della persona di
V. S., glie ne fo giungere dieci di esse copie, una per
lei, e air altre nove la priego di far ottenere la me-
desima sorte in dispensandole alletterati suoi amici per
testimonianza della mia attenzione, che sempre mai
avrò per li meriti di ciascheduno, e spezialmente per
quello di V. S. a cui mi esprimo, ec.
AL DUCA DI LAURENZANO
Napoli, I marzo 1734»
Rendo infinite grazie a V. E. del preziosissimo
dono eh' ella ha degnato farmi della Signoril Mo-
rale che ha scritto a' signori suoi Nipoti, il quale
mi è giunto adorno di tre onorevoli circostanze,
e d'essere accompagnata da vostro gentilissimo fo-
glio, e d'avermi fatto rendere l'un e l'altro per le
pregiate mani del signor Abate Giovo, e di avervi
(i) Parla de' suol Jiuertimenii intorno alle passioni dell* a»
ninio^ pubblicali Panno 1733.
Vico, Ofju^culi. 7
98 " PARTE I.
uniti nove altri esemplari de' quali io mi fossi ono-
rato co' miei signori ed amici. In leggere il tito-
lo j mi si è rappresentato l'eroico romano costu-
me j col quale i zìi educavano i lor nipoti, di che
è quel motto di Giovenale, quuni sapimus pa-
truosj mi venne innanzi Cicerone, il qual ricco
di matura sapienza così riposta di gran filosofo,
come civile di gran politico, scrisse gli aurei li-
bri degli Ufficj al suo unico diletto figliuolo. In ad-
dentrarmi nell'Opera ho ammiratola vostra eru-
dizione e dottrina tanto delle antiche quanto delle
moderne Filosofie, e i varj nuovi subhmi lumi de'
quali e quelle e queste illustrate. Pone l'È. V. la
virtù nella moderazione delle passioni, ed in ciò
ho scorto che non l'irrigidisce con gli Stoici che
ne facciano disperare le pratiche, né la rilascia
con Epicuro che ne apra un vii mercato a chiun-
que ne vogha a suo capriccio le opinioni: ma la
sente con Platone, dalla cui Accademia quanti
scolari, tanti uscirono famosi capitani e politici; la
sente con Aristotile che seppe formare un grande
Alessandro. E mi ha confermato in ciò, che io
sempre ho osservato vero, che quando scrivono
uomini i quali o per signoria o per cariche hanno
gran parie nelle repubbhche, sempre danno opere
sostenute dalla rehgione e dalla pietà. Né in vero
libri perniziosi agli Stati sono usciti, che da au-
tori o della vii feccia de' popoli , o malcontenti
de' loro stati. Lo stile poi, il quale dipigne al vivo
la natura degli scrittori con una splendida frase,
dappertutto spira una nobiltà generosa, qual é pro-
pria della vostra grandezza; onde aveva la ragione
il dottissimo cardinale Sforza Pallavicino, che ove
lodar voleva alcuno scrittore dallo stile ( di cui
scrisse un hbro piccolo di mole, ma di gran pe-
so), diceva: scrive da signore. Perchè certamente
SCRITTI SCIENTIFICI gg
se si faccia il calcolo de' libri di conto che han
sofferto la lunghezza de' tempi j si troverà che le
tre parti sono stati scritti da uomini nati nobiH,
appena la quarta da nati bassi. Finalmente nelle
vostre luminose Canzoni mescolate d' un' aggrade-
vole gravità, nelle quali uscite talvolta secondo
il proposito delle materie che ragionate, mi è pa-
ruto di leggere nella nostra favella Boezio , il Pla-
ton cristiano, che sovente raddolcisce la conso-
lazione della Filosofia co' dolcemente istruttivi versi
che vi tramezza. Felici gli Eccellentissimi vostri
Nipoti , i quali son formati ad una signorile virtù
con la voce e con l'esemplo di V. E. dottissimo
e virtuosissimo principe I Laonde mi rallegro con
la nostra patria, che nella degnissima vostra per-
sona vede un gran raggio di quella luce della quale
rifulse ne' beatissimi tempi degl'incliti, in parte vo-
stri, re Alfonso e Ferdinando d'Aragona, quando
quasi quanti erano grandi signori del Reame di
Napoh, tanti erano gran letterati, tra'quah un Dio-
mede Carafa conte di Maddaloni in bel latino scrisse
dell'Educazione de' fìghuoli de' sovrani principi: mi
rallegro con la nostra età, che personaggio di tanto
alto stato sostenga la cadente riputazion delle let-
tere, che altrimenti anderebbe a rovinare con la
moda, la quale V. E. in questi stessi hbri con-
danna j e consolo finalmente la mia ostinata av-
versa fortuna, che senza alcun mio merito per
vostra generosità mi vegga di tanto dall' E. V.
onorato, a cui rassegnando tutto il mio ossequio,
mi confermo, ec.
100 PARTE I.
AL SIGNOK D. NICCOLO GIOVO
(.Senza data)
Rendo infinite grazie a V. S. lUuslrissima del
prezioso dono che mi ba mandato della Signoril
Morale che T Eccellentissimo signor Duca di Lan-
renzano ha dato alle stampe, scritta a' di lui si-
gnori Nipoti, il quale mi è giunto adorno di tre
bellissime circostanze: una di essere accompagnato
da un di lui gentilissimo foglio; l'altra di avervi
uniti dodici altri esemplari, de' quali io facessi
dono a' degni miei signori ed amici; la terza ed
ultima di essermi pervenuti per mezzo vostro con
altra vostra pregevolissima lettera. Io ne ho pro-
fessato al signor Duca i dovuti obblighi con una
mia a lui indiritta , nella quale, perdi' egli come
saggio e grave non ama lode se non quella che
risuoni lontana dalle sue orecchie, gli ho con po-
che e generali parole dilicatamente lodato tal sua
bell'Opera. Talché mi rimane ora con V. S. Il-
lustrissima tutta la libertà di dirne con chiarezza
i miei sentimenti.
E questa è una delle due grandi utilità che
ForgogHo, il quale è proprietà de'nobih, arreca
per la gloria delle nazioni, che quello come gli
avvalora a fare delle imprese magnanime nelle
guerre, così ov'essì sieno ben avviati per la strada
del sapere, li mena a scrivere opere distinte in
materia di lettere. Cospirano a ciò quelle due al-
tre ragioni: una che i nobiH, come osservano i
soli sommi re nella maniera del vivere, così guar-
dano i soli principi de' dotti in quello ancor dello
scrivere; e l'altra è, perchè stimano di dar essi
lustro alla letteratura, e perciò non scrivon opere
SCniTTI SCIENTIFICI lOl
per raccogliere gli applausi del basso volgo, molto
meno per fine di vii guadagno; per le quali ra-
gioni tutte datemi gli scrittori nobili dotti, che
le lor opere non possono essere ch'eccellenti.
Mi rallegro con la nostra età, che un signore
di cotanto alto stato rinno velli gli studj d' intorno
all'uomo, il quale contemplato per tutti gli aspetti
della vita morale, famigliare e civile, fa la mate-
ria perpetua della sapienza greca più sana e ro-
busta, e della romana, quando questa si diede a
studiare e scrivere sulla greca, e di quella d'I-
talia nel cinquecento, nel qual secolo tutta fer-
vette in ricoltivare tal sapienza romana e greca:
onde in tali tempi tutte e tre queste nazioni sfol-
gorarono di sublimi Filosofi, Poeti, Storici ed Ora-
tori; i quali studj oggi si sono affatto abbando-
nati, perchè il genio del secolo si disgusta di rin-
contrarsi nelle idee ottime della vita: onde si è
dato tutto a coltivare studj che più dilettino le
menti, che perfezionino gli animi, e che quanto
facilmente rendon paghi gli studiosi entro le so-
litudini, tanto li rendono insoavi nella conver-
sazione civile.
LETTERA DI M. MUZIO GAETA ARCIVESCOVO DI BARI
Bari, 24 agosto 1737.
Avendo avuto per le mani, ha gran tempo, una
certa mia fantasia che molto abbraccia, vorrei final-
mente vedere per via di un occhio più sottile, quanto
ella stringa e quanto vaglia ^ e dopo molti pensieri , ho
deliberato di ricorrere a V. S. Illust. , come quella che
so che non solo sa l'Istoria, ma ha la scienza delle
cose^ e di questa condizione dev'essere il giudice mio,
se la cosa che ho pensata è di questa qualità , e di
modo che dà nel troppo, perche cerca ristringere le
I02 '* PARTE I.
molte verità, anzi tutte, in una sola e semplicis-
sima verità che di tutte è principio. Il materiale Pho
preso da due gran maestri , siccome è S. Agostino e
Cicerone^ se dal primo ho ricavato la dottrina delle
cose, dal secondo la dottrina delle parole per com-
porre uno stile anche metafisico, siccome è quello dì
Cicerone , e uno stile insomma che abbracciasse la
maestà latina, e l'amenità e semplicità toscana o ita-
liana. Per ora non vorrei dirle plìi , per non dirle
troppo, e per avere il gran piacere e vantaggio di
sperimentare s'ella indovina i miei pensieri, per ac-
certarmi se io gli ho spiegati abbastanza. Pregherò
dunque solo la gran perizia e bontà di V. S. Illustris-
sima a prendersi questa gran briga per favorirmi con
suo comodo, ed a scusarmi insieme se io, per la prima
volta che la prego, la preghi d'impicci^ ma tanto sarà
maggiore il suo favore e '1 mio obbligo, e questo sarà
massimo quanto piìi ella magistralmente deciderà la
lite del sì e no, che nel capo mi tenzona, perchè il
soggetto è strano , P oggetto è vastissimo , e '1 genere
della scrittura è novissimo: tutte cose che han fatto
girar il capo ad altre teste della mia per il vario sen-
timento del senso comune. Or io mi metto in buone
mani, giacch'ella nella nostra stagione ha tentate gran
cose che saran semi di moltissime e importantissime
cose^ sicché a lei son ben note le vie non calcate da
altri. La prego insomma e la riprego a leggere e ri-
legger tutto, prima scorrendo, poi esaminando e poi
censurando ogni cosa in generale, e in particolare della
mia piccola Opera che le mando con questa, che va
a lei come va il discepolo a scuola del suo maestro.
Raffermando a V. S. Illustrissima tuttavia l'antica stima
che sempre ho fatta del suo gran merito e gran sa-
pere, non farò altro ora che accertarla del grande ob-
bligo che mi rimarrà di soddisfare al particolar favore
del dottissimo e sincerisslrao suo giudizio , che io con
desiderio attendo*, e così resto con molta osservanza
e volontà di servirla, dichiarandomi, ec. (i).
(i) Si è perduta la risposta di Vico a questa prima lettera
del Gaeta.
I
SCRITTI SCIENTIFICI Io3
DEL MEDESIMO
Bari, 28 settembre 1737.
Lette le stimatissime lettere di V. S. Illustrissima , e
vedendole piene e traboccanti di sapere e di bontà, mi
sono insieme consolato e confuso ^ tuttavia lodando e
ammirando la sua gran mente e la sua gran cortesia,
per aver così sollecitamente Ietta e compresa la mia
Opera ^ la quale, se ben picciola di mole, contiene molte
delle più universali e prime verità che richieggono tempo
e riflessione particolare per formarne il retto giudizio
che assai vantaggioso ne dà, e che fa pigliar animo
alla mia ragione che stava nel gran dubbio di unirsi
alla mia fantasia, che confesso schiettamente si lusin-
gava di aver conseguito il gran fine a cui ella si è ci-
mentata , col disegno di mettere in piìi chiarezza , col
motivo della chiara virtù del gran Papa Benedetto XIII,
le verità prime e più principali, dalle quali nascono
tutte V altre verità. E promettendomi V. S. Illustrissima
di voler con più agio esaminarne tutto meglio, consi-
derandola assai occupata per me in questo esame, pen-
sai di non aggiungere nuove brighe a questa briga,
col ringraziarla prontamente con altre mie lettere, per
farlo meglio e in miglior modo e più pienamente in
tempo a lei più sbrigato^ pregandola prima a compa-
tirmene, mi permetta ella che oramai almcn le dica
che intendo di farlo con quella maggiore vivezza che
conviene al suo gran merito e cortesia, e al mio gran
debito che anderà crescendo con lei , giacché mi fa-
vorisce e mi dovrà favorir tuttavia per far uscir alla
luce (col divin favore) quest'Opera con più splendi-
dezza e lustro, che certamente le darà la sua mente
e '1 suo nome chiarissimo ^ verso il quale mi cresce il
gran conto che sempre ne ho fatto, quando rifletto
d' aver ella in poche ore comprese quelle cose per le
quali a me sono bisognati più anni^ avendo fino ella
pescato il mio disegno di cercar d'imitare Io stile de-
I04 PATITE I.
gli antichi Filosofi, e specialmente Platonici, dietro alla
scorta di o. Agostino e di Cicerone. Starò dunque at-
tendendo con molto desiderio, ma con tutto il comodo
di V. S. Illustrissima, il suo intero giudizio, e molto più
la sua dotta censura^ la quale tanto più desidero li-
bera e liberale, quanto più ho buona ragione di cre-
dere che in questa maniera la mia scrittura possa ri-
purgarsi da quei difetti che sempre scorrono e nella
sentenza e nella elocuzione, e specialmente nelle cose
metafisiche ed astratte^ nelle quali non è cosi agevole
usar chiarezza che principalmente richieggono, e net-
tezza e bellezza di dire^ tanto più che la mia Opera
abbraccia (vorrei dire) tutti i generi del dire , e molto
più del didascalico ed anche critico^ essendo ella in-
sieme e lode e difesa della virtù eroica di Benedetto ,
e come un sistema insomma di tutte le verità scienti-
fiche e rivelate: e finalmente per adempir la promessa
d'esser breve, riconfessando in questo modo, e come
col silenzio, a V. S. Illustrissima i miei doveri strettis-
simi , la riprego semprepiù a comandarmi , nell' atto
che raffermo al suo chiarissimo merito la mia migliore
osservanza^ e cosi divotamente mi rassegno, ec.
RISPOSTA A MONSIGNOR MUZIO GAETA
Ho meditato la maravigliosa Opera di V. S. Il-
lustrissima 5 e con mio sommo piacere e profitto
vi ho scorto ch'ella vi dà una perfetta idea del
cristiano eroismo, che è tanto dire quanto una
cristiana Moral dimostrata, della quale e per l'in-
certezza della materia e per la difficoltà del la-
voro , come le scrissi nella prima mia lettera , il
cardinale Sforza Pallavicino non ne diede che un
embrione nel suo trattato Del Bene; il Padre
Malebrance nelle sue quantunque al suo argomento
più adatte e però poche Meditazioni Metafisiche
pur v'inciampò^ Ludovico Muratori ultimamente
SCRITTI SCIENTIFICI lò5
nella sua Filosofia Morale non \i è punto più
riuscito* ed or vi aggiungo che '1 Pascale e 'l Ni-
colio ne han professato quasi l'impossibilità di
riuscirvi con gli stessi titoli delle loro divine ope-
re, quello di Pensieri e questo di Saggi della Mo-
rale. Ma ella dalle grandi, varie, molti plici e nu-
merose virtù del sommo pontefice Benedetto XIII
s'innalza a' principj metafisici, cioè sublimi ed uni-
versali della virtù cristiana 5 e con un metodo sor-
prendente ponendo per primo principio del suo
sistema che le divine verità rivelate che insegna
la nostra cristiana Religione non solo non pu-
gnano con le divine verità naturali che insegna la
Metafisica, che era sol tanto di che erano contenti
finora i Teologi, ma che quelle dimostrano e più
confermano questa j entra con animo ed ingegno
egualmente grande nella difficilissima questione
delle origini delle Idee, di cui vi ha un hbric-
ciuolo intitolato Historia de Ideis, che si con-
duce fin da' primi tempi della greca Filosofia fino
a' nostri ultimi, ne' quali ne hanno tanto conteso
prima Arnaldo e Malebrance, ed ultimamente li
due più grandi ingegni dell' età nostra il Leibni-
zio e 'l Neutone; e con un'altezza d'animo incom-
parabile, propria della vostra nascita e della vo-
stra pietà, stabilisce come prima pianta e fonda-
mento dello stupendo edifizio , che dall' eterno
decreto dell' unione ipostatica della natura umana
e divina nella persona del Verbo che avevasi da
incarnare, venne alle nienti così angeliche come
umane l' origine dell' idee. Quindi discende a ra-
gionare de' principj così delle menti, come de'
corpi; e per quanto s'appartiene ai corpi, ella
disapprovando tutte le Fisiche per ipotesi, con
una splendida e luminosa maniera ragiona de'
principj metafisici delle naturali cose, seguitando
I06 P\RiE 1.
Pitagoraj Platone^ Aristotile, quali sono da Pro-
clo gran filosofo platonico dimostrati in un libro
fatto radoj tradotto da Francesco Patrizio col ti-
tolo De principiis Phjsicae Aristotelis geometrice
ckmonstratis ; la qual dottrina da alcun tempo in
qua o si riveriva come una divinità occulta, o si
riferiva come una riposta erudizione, o si deri-
deva come una vanità. Ma V. S. Illustriss. non usa
il metodo matematico, il quale, ove non sono fi-
gure di linee o numeri, o non porta necessità,
spesso in vece di dimostrar il vero, può dar ap-
parenza di dimostrazione al falso, come con lo
stesso metodo geometrico Benedetto Spinoza im-
pone a' cervelli deboli una Metafisica dimostrata
che porta all'Ateismo. Nemmeno vi adoperate le
dimostrazioni geometriche o aritmetiche per so-
miglianze, come i Filosofi hanno finora usato di
fare; ma con istupore di chi vi leggerà fate scen-
dere i vostri principj metafisici a dimostrare egual-
mente così le perfezioni de' corpi, de' quali prima
proprietà è la grandezza, come quella degli ani-
mi, di cui la maggior proprietà è la virtii. E qui
mostrate la vostra aria grande e di Teologo e di
Filosofo e di Oratore, ove si sarebbe ogni altro
perduto; che avendo questo santissimo Pontefice
avuto alcuna fiata de' grandi trasporti che agli
occhi volgari forse han potuto sembrare grandi
difetti; ella perle di esso lui eccellenti, copióse,
varie, diverse instancabili virtiì avendolo riposto
dentro l'ordine universale, nel quale versan gli
eroi, fa vedere questa essere proprietà di eroi-
smo, per quel principio che stabilite, che la virtù
eroica è dentro l'ordine universale, a cui servono
talvolta i particolari disordini. E questo è quanto
ho potuto io scorgere del vostro gran pensiero,
eh' ella mi comanda che io indovinassi se egli vi
SCRITTI SCIENTIFICI IO7
sia riuscito. Se non ho dato al segno, incolpatene
non la mia diligenza ed attenzione in meditare
la vostra divina Opera j ma la mia poca sagaci tà
ed acutezza di penetrarla. La maniera del dire è
piena di luce, ed è sostenuta da una fiducia ge-
nerosa, e da miL asseverazione magnanima; lo che
assolutamente forma un certo dir da signore ; la
copia de' sentimenti è affollata ; le parole tutte si-
gnoreggiano sulle vostre nuove, rare e subhmi
idee, talché lo stile si conduce con una maestosa
sempHcità, quale debbe esser d'un pur parlante
Filosofo. Vi si leggono, è vero, spesso le agno-
minazioni e bisquitti ; ma sono essi spontanei ,
non ricercati, e vogHono non tanto dileticare gli
orecchi, quanto più illuminare le menti de' leggi-
tori. Io mi rallegro con la nostra patria, e con
la nostra lingua itahana, che mercè vostra parla
in un non finora udito e quasi suono superiore
all' umano. Se ella vuole da me le dica alcuna
cosa che non mi piaccia, egli è soltanto il tito-
lo, che desidererei breve e schietlo, come hanno
usato far tutti i gravi scrittori, e che restasse cir-
coscritto così: Orazione di Benedetto XIII, nella
cui \>ita si scuopre Videa del cristiano eroismo.
LETTERA DI M. MUZIO GAETA
Bari, 5 ottobre 1737. ,j^
Non men le seconde che le prime lettere di V. S.
Illustrissima mi accertano tuttavia della somma sua dot-
trina e bontà : onde io semprepiù ne rimango non men
contento che ammirato e confuso, ed animato a cre-
dere che 'l mio disegno mi sia riuscito in buona par-
te, e direi forse anche in tutto, s'ella si fosse com-
piaciuta avvertirmi meglio di molte cose che si dovreb-
I08 ^'^'*'' PARTE I.
bero o emendare o migliorare^ non potendo io si age-
volmente credere che tanto riuscito mi fosse quello che
non è riuscito a tanti spiriti grandi, di dar fuori si
nette e si purgate le loro scritture , che prima di me-
ritare la luce delle stampe non comparissero bisognose
de' buoni lumi de' bravi e dotti amici ^ i quali, e per
la maggior dottrina e per la minor passione, ben si
possono accorger meglio di quanto abbonda o manca
l'Opera: dove io riduco il buono e 'i reo di tutte le
cose umane. Insomma avrei voluto che V". S. Illustris-
sima m'avesse parlato pili chiaro, giacch'ella m"* ha
compreso abbastanza in cosa che racchiude in poco
grandi cose , e più cose di quelle che esprimono le
parole ^ che io ho studiato di renderle tutte cose , per
dire con brevità e con abbondanza^ da che è venuta
la folla de' concetti, i quali, se ben si riflette, tutti
servono al gran disegno, non solo della parte dottri-
nale, ma anche lodativa^ giacche per ben lodar la virtìi
non basta virtù chiamarla, ma per virtù dimostrarla
nella sua essenza e nelle sue proprietà essenziali^ tanto
più che nel caso mio la lode del mio Eroe particolare
mi dovea fare strada alla dimostrazione della virtù eroica
in generale , anzi di qualsivoglia perfezione creata , per
poi collazionar tutto coli' archetipo Eroe, e principio
universale perfettivo così dell'ordine naturale, come
dell'ordine soprannaturale^ cimentandomi fino ad ad-
ditarlo e dimostrarlo nelle menti cosi angeliche, come
umane, nell'innata nozione ch'esse hanno del circolo,
ove sta il principale intento dell'Opera^ e intento tanto
nuovo, che in ninno autore antico o moderno che sia,
e che io sappia, se ne trova traccia o segnale^ siccome
non si trova in S. Agostino, le di cui Opere metafi-
siche io paragono alla Natura, nella quale, siccome
sono tutti i semi delle cose naturali, cosi in esse Opere
si trovano sparse e come principiate tutte le verità^ dalle
quali per altro ho ricavato i migliori lumi^ ciò che
fa il materiale del mio disegno , che posso dir tutto
mio per la forma, e tutto di S. Agostino per la ma-
teria, tramischiata delle migliori notizie della Mistica
SCRITTI SCIENTIFICI IO9
Teologia e della moderna Metafisica : siccome posso dire
dello stile, che nel materiale sìa tutto di Cicerone e dei
primi autori toscani^ e per quel che riguarda al for-
male, sia tutto mio, tirando io a fare e a stabilire non
meno un nuovo sistema, che un nuovo stile, per pur-
gare le verità e i parlari da cento e mille e infinite
superfluità, e vorrei dir torcimenti, che non nascono
dalla felicità e perfezione della natura e dell'arte, ma
si bene dal disordine e dalla corruzione d'entrambe,
ciò che mi ha portato la meditazione di più anni-, giac-
ché, a dir il vero, la consaputa Orazione, od Opera
che vogliam dire, se ben prenda la sua epoca dalla
morte di Benedetto XIII, pure ella nasce da un'ope-
retta metafisica che io cominciai tra i monti, e avea
per le mani tuttavia^ alla qual Opera pensava di dar
questo titolo: Idea e sistema generale delle naturali
e suprannaturali inerita ^ dove io dall'ordine e disor-
dine dell'uomo cerco di ricavarle tutte, per tutte fi-
nalmente dimostrarle in Gesù Cristo, che fa il princi-
pio universale di questo sistema, che ci abbozza la
ragione universale e ci ritocca la Fede: e questa è
insomma l'idea della mia Orazione ed Opera ^ nella
quale perciò m'è convenuto accennare assai le tracce
dell'ordine e del disordine dell'uomo, anche col ri-
flesso che mal si possa dimostrare o lodare in tutto la
virtù, se non si confronta col vizio, nella guisa che
fa Plinio nel suo gran Panegirico a Trajano. Da que-
sta economia mi è nata ancora l'opportunità, anzi la
necessità di dimostrare in maniera assai nuova e con-
cludente che, secondo il principio assegnato e l'ordine
posto, dovette nella gran Madre di Gesù Cristo esser
tutto l'ordine della Natura e della Grazia, senza che
vi potesse esser disordine mai, e credo che mi sia riu-
scito assai* rischiarando meglio la ragione universale,
che si regge da se per via del circolo circoscritto al
circolo primo ed uno, che si fa l'idea di Gesù Cristo^
mettendo cosi in chiaro un'altra verità, che questi e
simiglianti caratteri e figure di linee e numeri non son
mica già segni capricciosi e fantastici, ma si cai^atteri
1 IO " "PARTE 1. ' ' f 4>
e belle idee effettive e reali di quelle Nature che ci
producono queste idee^ cosa mai toccata da altri, i
quali perciò han fatto o mal uso, o non il miglior uso
di simlglianti caratteri-, de' quali peraltro si son valuti,
assai meglio degli antichi , i moderni Metafisici , ai quali
è riuscito bene, in buona parte, e meglio al Malebran-
che , di mettere in chiaro certe verità per via de' ma-
tematici argomenti e proposizioni geometriche. Or tante
cose della mia Opera, ristrette, si può dire, in pochi
fogli, dai quali io ne potrei far nascer volumi, m'haa
resa l'impresa più difficile di quel che io pensava, e
specialmente per darle la miglior chiarezza, che tutta
viene finalmente dal miglior ordine e metodo^ valen-
domi perciò a tale oggetto del Sintetico e Analitico,
per dar prima un'idea generale del mio Eroe e della
virtù eroica, per farne poi l'Analisi, e compirne me-
glio la Sintesi coli' idea generallssìma del principio ar-
chetipo più dimostrato: sicché, ciò ben compreso, si
può meglio scorgere che il filo di quanto io dico non
è mai rotto da quelle cose che alla prima sembrano
digressioni, e fino, per quel che io suppongo, non s'in-
terrompe dalle critiche che di mano in mano si van fa-
cendo del senso comune e della moderna usanza, e fin
anche da certi ornamenti oratorj, che servendo al fine
particolare di rendere il parlare ornato e grave e grande,
non trascurano mai di servire al fine primario, che è quello
di mettere in chiaro la perfezione e l'imperfezione delle
cose umane, che viene dall'ordine e disordine rispettivo :
e camminando io per una via così difficile, ci entrai fran-
camente , perchè credea che non fosse tanto disastro-
sa^ ma poi nel corso mi ha spaventato più volte, sic-
come avviene a chi entra in mare per far gran viag-
gio quando il mare è tranquillo, che tanto è lontano
dal temerlo, quanto più lo stima spasso e sollazzo^
ma poi, trovandosi in alto mare, e '1 mare imperver-
sando, lo teme tanto, quanto si teme la morte. Ma
mi accorgo oramai d'essermi troppo disteso, e perciò
più d' un poco abusato della sua bontà , alla quale
semprepiù rendo grazie infinite per le simiglianti che
SCRITTI SCIENTIFICI III
mi ha dispensale^ e tanto meno io finirò di ringra-
ziarla, quanto meno ella non finirà d'istruirmi inge-
nerale ed in particolare, come scrive in una sua let-
tera monsignor della Casa al suo gran Pier Vettori,
mandandogli a rivedere una sua Oda , e dicendogli
ch'egli non avea fretta nelle sue cose, piacendogli di
farle e rifarle , per farle meglio ^ e particolarmente vor-
rei che mi palesasse candidamente il suo dottissimo
genio, per sapere s'ella stimasse meglio di togliere dal
mio stile, come io già pensava di fare, di passo in
passo alquante delle assillabazioni e alliterazioni , ch'ella
chiama frequenti, ma spontanee e non ricercate^ per
cui io ho impiegata non poca fatica e diligenza, ac-
ciocché comparissero più naturali e necessarie che ar-
tificiali, per dare al mio stile una certa novità e nu-
mero nuovo, che rendesse il parlare più grato e gran-
de^ sapendo io benissimo che Cicerone le usa, ma più
di rado, ma più frequentemente S. Agostino^ il carat-
tere de' quali m'è piaciuto imitare in molte cose, e
specialmente nel dir dotto e metafisico e magistrale,
donde viene quella fiducia generosa e asseveranza ma-
gnanima^ e finalmente un certo dir da signore, com'ella
dice non men vivamente che graziosamente e gentil-
mente di me^ che ho sempre ammirato in Cicerone
questo pregio singolarissimo, da tanti spiriti grandi in
ciò o non imitato perchè non ammirato, ovvero am-
mirato , come cosa assai difficile ad imitarsi dalla sola
arte* siccome era riuscito all'assai felice arte e natura
di Cicerone il maravigliosamente imitare in questo pre-
gio Platone ed Aristotele e Demostene, suoi maestri^
e finalmente riusci a S. Agostino d'imitare la fiducia e
asseveranza magnanima, e da gran maestro, di Cice-
rone ^ e io dico che tra' Toscani non poco ci sia riu-
scito monsignor della Casa, il quale tanto più ne me-
rita la lode, quanto il genere delle sue scritture non
porta dottrina e profondità di sentenza^ e finalmente
ognuno abbonda nel senso suo: e perciò io lasciai la
mia scrittura, come si vede, persuadendomi che certe
caricature o affettature sian necessarie a quelli che
112 PAllTE I.
teiitan di fare cose nuove , senza delle quali sembra
si dia finalmente alPistesso e all'ordinario. E per fi-
nii'la, prego e rlprego V. S. Illustrissima a parlarmi più
chiaro, giacche in questo particolare non mi torna
niun conto eh' ella mi sia tanto discreta e gentile , che
tra tante cose che rai potrebbe dire per migliorare
notabilmente questa mia cosa, e tra tante sì belle e
sì abbondanti e si generose lodi che per troppo fa-
vorirmi mi dà , non mi dia altro lume e insegnamento
che intorno al Titolo ch'ella vorrebbe più ristretto,
e che io son per far prontamente, sempre ch'ella non
approvi il motivo che mi mosse a farlo nella forma
che ho fatto, per fare che alla prima il lettore avesse
innanzi come una face per entrar nell' Opera con mi-
glior lume , e per non crederla un puro panegirico ,
quando insomma è un sistema. Anche su questo par-
ticolare starò aspettando gli ulteriori insegnamenti di
V. S. Illustrissima, alla quale non so dir quanto devo,
e quanto io desideri di servirla e di soddisfarle tanti
debiti meglio che non fo ora col raffermarle la somma
stima e osservanza migliore^ e pregandola a compatire
ancora questa mia dettatura in fretta , con tutto il
mio animo e rispetto a V. S. Illustrissima mi esibisco e
rassegno , dichiarandomi , ec.
LETTERA A M. MUZIO GAETA
(Senza data)
Godo infinitamente intendere dalla in sommo
grado egualmente gentile ed istruttiva risposta di
V. S. Illustrissima che io abbia abbastanza com-
preso il nuovo, raro, sublime disegno da essolei con-
dotto nella Orazione funerale del sommo pontefice
Benedetto XIII; perocché egli mi ha fatto dilettare
del mio scorgimento in intendere profondissime
opere e di gran peso. Ma il voler ella che io vi
scoprissi errori e vi notassi difetti ^ ciò proviene
SCRITTI SCIENTIFICI ll3
da due cagioni: una del grande animo vostro, che
mi slima da tanto, quanto io non sotìo; F altra!
della vostra gran mente, del qual genere gli Au-
tori architettonici sempre hanno idee più perfette
delle medesime loro quantunque bellissime opere.
Ne ve ne faccia punto dubitar quello che gli uo-
mini letterati dieno privatamente assai più van^
taggiosi giudizj delle opere altrui, di quello fareb-
bono se ve ne avessero pubblicamente a far le
censure: perchè io così la sento di cotale Orazion
vostra, come ne ho scritto, che mi recherei a
somma gloria che tal mio giudizio fosse dato pub-
blicamente alle stampe. Oltreché come poteva io
non solo non approvare tutto, lo che ivi da V. S.
Illustrissima sta divinamente pensato, ma anche
non dilettarmene, avendovi ella meditato in una
guisa maravigliosa un compiuto sistema di Meta-
fisica, d'ini orno al quale io, molti anni fa, aveva
intesi tutti i miei debolissimi sforzi, e ne diedi
fuori un libro ch'era il primo di un'opera con
questo titolo: De Àntìquissima Italorum Sapien-
tia ex linguae latinae ori^inibus emenda; del qua-
le, come di tutte le altre mie, a riserva solo della
Scienza Nuova si trova l' originale. Ivi io trava-
gliava di dimostrare che l'uomo è Dio nel Mondo
delle grandezze astratte, e Dio è Geometra nel
Mondo delle concrete j che è tanto dire quanto
nel Mondo della natura e de' corpi. Poiché la
niente umana principia la Geometria dal punto,
che é cosa, che non ha parti, e 'n conseguenza
è infinito; onde é quello che egregiamente Gali-
leo dice che quando siamo ridotti a punti, si.
perde ogni maggioranza, ogni minoranza, ogni
egualità; il perché i circoli concentrici e i lati de'
quadrati con le diagonali si segano ne' medesimi
punti: e come comincia dall'infinito, così all'in-
Vico , Opuscoli. 8
1 l4 PARTE I.
finito si porta con quel postulato, che sia lecito
di menare in infinito una linea: dentro di sé con-
tiene gli elementi della grandezza astratta conti-
nua, che sono le proposizioni dimostrate di co-
tale scienza: ne dispone essa le guise, e dispo-
nendole le conosce, e conoscendole fa il^ vero
geometrico; tantoché non sol ne* problemi, anco
ne* teoremi nel Geometra, come in Dio, lo stesso
è il conoscere e *1 fare; per lo che non si contro-
verte in Matematica pura; perchè colui col quale
ragionate, in udendovi ragionare, fa quello stesso
vero che fate voi. Indi poscia discendo ad esa-
minare la certezza e la verità delle scienze subal-
terne, per quanto più o meno partecipano di tali
princìpj di Metafisica : lo che V. S. Illustrissima
con una maniera non mai più intesa insegna che
le figure matematiche, sieno figure di linee o pure
di numeri, non sono mica già segni capricciosi e
fantastici, ma sì caratteri e belle idee effettive e
reali di quelle nature che ci producono queste
idee; ed io il dissi con meno di efficacia e di
lume, ch'ella si serve delle linee e de* numeri
non per somiglianza, come han fatto tutti i Fi-
losofi; e fa discendere i suoi principj metafisici
egualmente a dimostrare così le perfezioni de' cor-
pi, come quelle degli animi; dissi tutti i Filosofi;
V. S. Illustrissima ne eccettua i moderni, e più
degli altri Malebrance: ma egli il Malebrance con-
fessa e professa la dura necessità che naturalmente
il preme di spiegare le cose delle menti per rap-
porto a quelle de' corpi , lo che sembra confirmare
generalmente il mio detto. Ella usa prima sintesi
per fare l' idea general del suo Eroe, e poi l' analisi
per rincontrare tutti gli eroi nell'idea generalis-
sima del principio archetipo più dimostrato. Que-
lito sì gran mpmento di cosa della vostra Opera
SCRITTI SCIENTIFICI Il5
io confesso che perdei di veduta, e non iscorsi un
grande argomento di vostra somma e sovrana lo-
de, che ha ella trasportato alle cose morali e me-
tafisiche il maraviglioso Organo di Bacone da Ve-
rulamio, che ha dato cotante discoperte in Fisica
e in Medicina, con usar l'induzione, perchè con
essa si facci incetta di particolari, come storie
naturali, osservazioni ed esperienze per via della
sintesi, onde si formino poi i princìpj generali da
rincontrarli per tutta l'estensione de' loro generi.
Ho r ardir di affermare che le vostre sono digres-
sioni; ch'ella niega di esserlo, ma sono digres-
sioni Demosteniche; nel qual maraviglioso disor-
dine consistono i terribili suoi entimemi , che finge
uscir dal proposito, e tutto trattava in lontanis-
sime parli, dove trova argomenti che con una
felice speditezza d'ingegno al suo proposito fa-
talmente attaccati i suoi fulmini fa cadere sugU
già divertiti uditori, tanto più terribili, quanto
men preveduti. L'Opera poi da V. S. Illustrissima
meditata già innanzi col titolo Idea, a sistema
generale della naturale e soprannaturale verità anzi
trasfusa che trasportata in cotesta Orazione, la
rende più maravigliosa, perchè si unisce la sa-
pienza con l'eloquenza, che fu la favella filoso-
fica ben parlante formata nella scuola di Socrate,
con cui parlarono tutti gli Accademici antichi Gre-
ci, tra' Latini Cicerone, e tra gl'Itahani niun al-
tro innanzi di V. S. Illustrissima. D'intorno all'arV
gutezze delle voci ch'ella frequenta, già ne la ri-
mordeva la molta copia: ond' ella potrà lasciarvi
le più necessarie che sieno insieme le più n^lMr^
rali. Sto fermo ( priego a perdonarmi di questa
libertà che mi prendo per vostra gloria) e mi per-
doni eh' ella concepisca il titolo semplice e brieve ,
e per ciò che gUe ne ho scritto, e perchè la novi-
I l6 PARTE I.
tà^ i^rvastità e la difficoltà della proposizione o
sbigottirà o alienerà il leggitore: mi piacerebbe sì,
che ove disse si scuopre V idea, si dica si dimo-
stra Videa, che farebbe un senso doppio assai
acconcio, per essere T Orazione in genere dimo-
strativo, e perchè vi si dimostrano i principj della
Yostra dottrina. Le rendo grazie infinite del gentil
dono di che V. S. Illustrissima senz' alcun mio me-
rito si è degnata onorarmi per mezzo del molto
Reverendo P Gaeta degnissimo fratello vostro.
LETTERA DI M. MUZIO GAETA
Bari, 26 ottobre 1737.
<jt^Le lettere di V. S. Illustrissima, non meno che la sua
gran dottrina sono insomma come i gran fiumi che
quanto più scorrono, tanto per via più s'ingrossano
é si spandono, e bagnano e fecondano e rallegrano più
le campagne e le terre: siccome io sperimento dalla
terza sua lettera, colla quale maggiormente m'illumina
e mi obbliga e mi consola, per cui si accresce il mio
debito e '1 mio profitto. Io dunque di tutto la ringra-
zio sempre più, e al suo gran giudizio mi rimetto e
acquieto, da una cosa in fuori, perchè fa la somma
delle mie cose il pregio della mia Opera ^ come è la
cosa di passar ella risolutamente per digressioni o per
appicchi quello che fa l'ordine e come l'ossa e i nervi
della mia scrittura^ la qual comincia dall'uomo e pro-
cede coli' uomo, e termina finalmente nell'uomo: giac-
ché comincia dal mio uomo eroico particolare, pro-
cede coli' uomo eroico in generale, e fa il gran punto
nell'uomo eroico archetipo^ e tutto quanto quivi si ra-
giona j e quanto qua e là si dimostra, tutto va quivi
e si raggira generalmente e circolarmente intorno al
grand' uomo, come intorno al centro suo. Ma perchè
si tratta di cotesto grand' uomo interiore e mistico as-
sali, non è sempre facile di dimostrarne facilmente e
SCRITTr SCIKNTTFFCl II -J
chiaramente il forte ed il filo^ tanto più quando questi
parlari, e come le ossa e i nervi di quest'uomo in-
teriore, si van tratto tratto rivestendo di parole e d'im-
magini e di fatti particolari , come ricoprendone tutto
lo scheletro di cartilagini e di carne e di membrane
e di pelle; le quali cose ci nascondono l'esatto ordine
e diramazione delle nostre ossa e de' nostri nervi. On-
d'io per far palese quanto poteva il mio ordine, non
solo mi son valuto del bell'ordine della sintesi ed ana-
lisi , che le accennai , ma ancora mi son presa la grossa
briga di ripeterlo a rovescio, per via de' tre moti, cioè
retto, obliquo e circolare, assegnati alle menti umane
ed angeliche dal gran Platonico e teologo Areopagita,
insegnando egli che le menti umane vanno col moto
retto dalle cose particolari alle universali , e da queste
obliquamente tornano a quelle^ e finalmente perfezio-
nati questi due moti, che fanno tutto il camminò della
meditazione, le menti nostre, se non si van elle baloc-
cando tra via al moto circolare, come nella quiete, si
formano:^ e questo solo è il moto delle menti angeli-
che^ le quali non hanno perciò bisogno di meditare,
se tutto insìem elle contemplano le verità une e prime
nel centro delle loro idee universali. Or io cominciando
dalla mia sintesi meno universale, siccome è l'univer-
sale dell'uomo mio, vado poi a farne l'analisi più ge-
nerale, qual dee esser l'analisi dell'eroismo, che più
si accosta alla semplicità e unità dell'uomo archetipo.
E questo moto si può chiamare il moto retto ^ dal qual
moto io procedo per i gradi suoi al moto pblìquo, di-
scendendo via via gradatamente da Gesù Cristo alla di
lui divina Madre, che fa la prima immagine della per-
fezione del divino Figliuolo. Ed ecco che né pur que-
sta è digressione, ma necessaria progressione^ siccome
è quella di passar da lei alle perfezioni degli ordini
angelici, e da questi all'uomo eroico, e da questo a
i più e manco eroi, per comprovare tuttavia che l'uomo
mio tra questi solennissimi uomini fosse stato uno de'
più solenni e singolari^ e finalmente, per dimostrare
tutto l'ordine intero, discendo a tutti i grandi degli
Il8 n PARTE 1.
esseri, e fino all'infimo, siccome è la ragione delle cose
insensate: e cotesto mi pare un bell'ordine di ragio-
nare, ed ogni arte, se cotesto è il grand' ordine del
favore della Natura e della Grazia^ il cui ordine quanto
è più perfetto, tanto è più ascoso: onde la Natura e la
Grazia quanto meno serbano il loro ordine ordinario,
tanto più sono nell'atto del grand'ordine^ e così si vuole
intendere quel detto per l'antichità già fatto volgare , che
tanto bene è ordine il non servar l'ordine, cioè l'or-
dine comunale: e queste e simiglianti cose le noto di
passo in passo, per far meno inciampare e smarrir tra
via il mio lettore, e per non farlo fermar tutto nelle
cose particolari, nelle quali non bisogna arrestarsi, ma
solo appoggiarsi per procedere innanzi con maggior
lena e noja minore alle nozioni generali, secondo l'in-
segnamento che spesso ripete S. Agostino nelle sue cose
metafisiche : siccome fa per altro il buon Geometra che
cerca sempre le nude essenze^ e quindi le spoglia sem-
pre fino delle lor proprietà essenziali, non che acci-
dentali^ e quindi è che suppone egli il punto senza
alcuna dimensione^ e in simigliante modo considera la
linea retta di ogni larghezza scevra, e la dimensione
della larghezza senza la profondità^ e in questa ma-
niera viene meglio' ad intendere l'essenza della trina
dimensione del corpo. E così e non altrimente bisogna
esaminar la ragion dell'ordine della mia scrittura, sem-
pre astraendo dalle cose particolari dell'uomo eroico
particolare, per esaminarne meglio come Io scheletro
e i nervi, dove è posta l'economia dell'ordine di quanto
si ragiona^ e in questo modo il pratico Notomista non
sbaglia intorno all'ordine e alla commessura delle umane
ossa e nervi, non ostante che li vegga nel corpo vi-
vente coperti di carne e di pelle. Ma io già confesso
che nelle cose astratte e dello spirito non sia tanto fa-
cile non ismarrirsi nell'ordine, ed anche a spiriti gran-
di^ sicché non è gran fatto che in un'opera di simil
fatta non se ne rintracci tutto l'ordine alla prima, ed
anche dopo molte e molte ricerche; e questa difficoltà
maggiormente si sperimenta quanto n'è maggiore Pam-
SCRITTI SCIENTIFICI I m
plczza e '1 numero delle cose ^ giacché io dico che se
all'Autore è bisognato gran tempo e grande medita-
zione per pensarle, disporle e spiegarle, certo che mag-
gior tempo e pensiero si ricerca per capirne con chia-
rezza il magistero e '1 mistero. E di questa gran ra-
gione e profondità sono tutte l'opere eruditissime ed
elevatissime di V. S. Illustrissima, le quali, non ho ri-
paro di confessare, ho sempre più ammirate che in-
tese , facendo buon uso della regola magistrale di S. Ago-
stino^ il quale parlando principalmente della profondità
delle divine Scritture, e proporzionalmente dell'opera
de' grandi ingegni , insegna egli che bisogna , quando
non si comprendono alcune cose, confessare che non
s'intendano, e non già, perchè non sì capiscono , cen-
surarle o notarle d'incoerenza o d'errore, procurando
sempre di meglio studiarle, per meglio capirle. Ed io
per ispiegare con un esempio volgare la confusione che
genera l'abbondanza delle cose, soglio valermi di ciò
che mi accade nel vedere e rivedere tante volte la
gran Basilica di S. Pietro, che piìi e più cercandone
e ricercandone, sempre più e più mi parca di ritro-
varci cose nuove e migliori^ e '1 medesimo sperimento
quando rileggo alla scordata l'istessa mia Opera di cui
ragiono: né io me ne maraviglio quando rifletto a
quanto ci è dentro^ tanto che non mi par vero che
ci sia tutto; giacché avendola rifatta ben nove volte,
dopo averla già fatta alla prima, certo che per conto
fatto a mio diletto vi ho aggiunte per ogni volta più
di mille cose o parole. E da ciò viene, come sempre
ho pensato, che certe opere che son così più stagio-
nate, si leggano e si rileggano sempre con diletto e
con profitto, perchè par che vi si ritrovi sempre e vi
s'impari qualche cosa di più^ e questa novità ne fa ii
diletto: sicché quello che ne fa sazietà per un verso,
ne fa gola per l'altro^ la qual gola ritorna dopo che
se n'é digerita la sazietà, come tornando sempre la
mente satolla dalla svogliatura alla voglia, e per lo
contrario. Ma non è già che io cred^ che l' Opera mia
sia delle sì fatte, se dico solo che ho procurato di farla
130 PARTE I.
con questo gran disegno, non ostante che Io fossi certo
che mi sarebbe fallito in ciò^ siccome è accaduto ai
più, e per cui non è poco che V. S. Illustrissima ne
parli bene: dico bene, perchè tanto mi basta, perchè
il più del bene eh' ella ne dice , non mi tocca se non
per gentilezza^ diche io sempre più ne la ringrazio,
e glie ne prometto una gran memoria. Al qual debito
aggiungo l'altro del gentilissimo gradimento che mi pa-
lesa ella della picciola gratitudine che le ho mostrata,
più per confessarle che per soddisfarle le mie partite ,
che terrò sempre accese per esser sempre suo buon
debitore, e per sempre ricordarle di comandarmi, e
per tuttavia riprotestare a V. S. Illustrissima in quanto
conto io abbia i suoi favori e i suoi meriti^ e intanto
con piena osservanza tutto me l'esibisco riprotestan-
domi, ec.
DEL MEDESIMO
Bari, i5 novembre lyBS.
Ricevo in luogo di caro dono e d'amore e di favor
singolare non meno le obbligantissime lettere di V. S.
Illustrissima, che la cortesia, che con pieno gradimento
ho ricevuta, d'una copia di cotesta Reale Accademia,
celebrata nelle grandi nozze de' nostri Serenissimi Re-
gnanti, che il Signor sempre feliciti (i). Me ne corre
dunque il debito di pienamente e distintamente ringra-
ziamela*, siccome avrò primo anche il bel motivo di
altamente lodare e ammirare il grand' ingegno ed arte
di si dotti ed esperti Accademici^ tra' quali ella, senza
controversia , ha sempre avuto il primo luogo e '1 primo
vanto, che semprepiù le conviene, e se lo guadagna
maggiore coi nuovi testimonj ch'ella ne dà a dispetto
dell'età e della sanità aggravata e malmenata dalla
(i) Si possono vedere nella seconda e terza parte di questo
volume le iscrizioni e le poesie fatte da Vico per celebrare le
nozze reali di Carlo UE con Amalia Walsburg.
SCRITTI SCIENTIFICI 121
sua contrarla fortuna. Ma solo il Savio sa superare il
Fato colla virtù dell'animo, che si confà con ogni
cnso e vicenda delle cose umane: ed accrescendosi in
me 1' obbligo di servirla , ne raddoppio a V. S. Illustris-
sima le mie istanze, per riceverne da lei le opportu-
nità più confacenti al suo genio e al suo gran meri-
to: al quale tutta raffermo la grande stima che io ne
faccio^ e cosi particolarmente e cordialmente mi di-
chiaro j ec.
r
A D. TOMMASO ROSSI ABATE INFULATO DEL COLLEGIO
DI S. GIORGIO DELLA MONTAGiNA
Napoli, 7 noaggio 1735.
Ho letto con sommo mio piacere, perchè con
altrettanto profitto, la vostra maravigliosa Dispu-
tazioiie dell'Animo Umano, nella quale vigorosa-
mente sciogliete gli argomenti di Tito Lucrezio
Caro contro la di lui Immortalità (i). Dappertutto
vi ho ammirato la bella luce, il vivo splendore e
la grande feracità della vostra sublimissima divina
mente; e, per dirla in un motto, vi ho scorto il
vero Metafisico, che quanto dite, quanto ragio-
nate, tutto il traete fuori da' tesori della vostra
altissima Idea; e senza dirlo con parole, dimo-
strate di fatto la debolezza di Renato delle Car-
te, che in sei brievi Meditazioni metafisiche, per
ispiegarsi, vi adopera cento simiglianze e compa-
razioni prese da cose al di fuori di essa mente;
(1) Parla dell'opera coltitelo VelV Animo delVuomoy dispii-
tazione unica, nella quale si sciolgono principalmente gli argo-
menti di Tito Lucrezio Caro intorno all'immortalità: fu pub-
blicala del 1736 in Napoli colla falsa data di Venezia; nella
prefazione il Rossi prometteva di dar fuori un' altra disputa
su la mente eterna regolatrice del mondo, dimoslraudone la
realità, e combattendo il sistema di Spinosa.
122 PARTE I.
quando ò j3roprietà della mente umana di pren-
dere da sé le comparazioni e le somiglianze^ ovun-
que ella non può altrimenti spiegare le cose delle
quali non sa la loro propria natura: convincete
la corpulenza del Padre Malebrance, che aperta-
mente professa non potersi spiegare le cose della
mente che per rapporti ^ i quali si prendon dal
corpo 5 perchè voi con una maniera veramente
divina, e 'n conseguenza propria di questa scien-
za, al lume delle cose dello spirito rischiarate
quelle del corpo, e dallo splendore dell'Idea il-
lustrate Toscurezza della materia. Che debbo io
dire della vostra generosità con cui combattete
Epicuro, di cui non solo non dissimulate o al-
meno infievohte gU argomenti, ma gì' invigorite
ed esaltate con nuove vostre interpretazioni che
gli Epicurei tutti non seppero intendere j e con
animo pugnace così gli andate ad incontrare, per-
chè quindi si scorga il vigore con cui l'incontrate,
il combattete, il mandate a terra? Che poi di quel
torrente d'eloquenza divina, con la quale vi avete
fatto una spezie di favellare tutta vostra propria,
perchè propria di cotal scienza? Della bellezza e
leggiadria de' trasporti, che usate tutti opposti,
come debbono essere, a quelli che usa l'eloquenza
umana, perchè questa debbe fare dello spirito cor-
po, e voi in certo modo fate del corpo spirito?
Voi siete degno, signor D. Tommaso, non già
di Montefuscolo , ma della piiì famosa Università
dell'Europa. Laonde perchè la vostra modestia,
eguale alla vostra gran dottrina e virtù, ve ne
fa contento, almeno giovate il Mondo di cotesta
sapientissima scrittura 5 la quale l'assicuro che re-
cherà gloria, non che a Napoli, all'Italia tutta con
merito grandissimo inverso della pietà, che si ri-
fonda in utihtà di tutte le repiibbhche, e mollo
pili cristiane 5 e vi fo divota riverenza.
SCniTTI SCIENTIFICI 1^3
RISPOSTA DELL'ABATE ROSS[
Sangiorgio, 12 febbrajo 1737.
Colla onorevolissima raccomandazione che V. S. Il-
lustrissima ha fatta al pubblico del mio libro , ho spe-
rato che quella mia per altro sprezzevole Opera po-
tesse passare il mare e i monti. Onde, siccome il si-
gnor D. Giuseppe Mattioli a mie preghiere ne ha già
sparsi molti per Napoli, presentandola a molti lette-
rati di coicsta città ^ così col favor vostro ardisco di
dire che vorrei che si facessero capitar fuori ancora:
poiché ben so quanto per tutto sia riputato il vostro
giudizio , e riputato il nome vostro. Assicuro V. S. Il-
lustrissima che io, più per accertarmi da ogni parte
e con ciò ad accendermi vie più a terminare il se-
condo libro che ivi prometto , che per ambizione fo
questa preghiera colla presente mia supplichevole let-
tera. A questo fine questo Ecclesiastico mio famigliare
ha tutta la facoltà di disponere e la prontezza di ub-
bidire a V. S. Illustrissima. Priego il Signore a donarle
lunga vita, e priego V. S. Illustrissima ad onorarmi al-
l'incontro con suoi comandi^ e con divozione di cuore
le bacio riverentemente le mani, ec.
DE MENTE hTrOICA
O RAT I O
H AB ITA IN R. NEAPOLITANA ACADEMIA
XIII KAL. NOV. MDCCXXXII
EXGELLENTISSBIO PRINCIPI VIRO
COM. ALOY. THOMAE DE HARRAGH
NEAPOLITANI REGNI
PRO REGE
MODERATORI
\^GILANTISSIMO INTEGERRIMO OPTIMO
QVI
QVATVOR GENEROSISSIMOS FILIOS
AD EGREGIAS PACIS BELLIQVE ARTES
MAIORVM ET SVO IN PRIMIS HEROIGO FINXIT EXEMPLO
HANG ORATIONEM
QVAE
STVDIOSAM LITERARVM IVVENTVTEM
MANVDVGIT
AD HEROICAM SAPIENTIAM
COMPARANDAM PRAECEPTIS
REGIA ACADEMIA NEAPOLITANA
OB PLVRIMA AB EO ET MAXIMA
BENEFICIA SIBI COLLATA
OBSEQVENTIS ET GRATI ANIMI
TESTEM D.
Ex Doctrina de Moribas.
Juvenes gloria, viri i>olentià ,
sencs utilitate ducuntur.
Quum in hac Regia Academia utilissimum insti-
tutum quotannis literarum studia solerani ad vos,
optimae spei Adolescentes, Oratione habita, rite
et ordine auspicandi satis diu siluisset; et huic
nuper creato 111. Praefecto, viro usquequaque do-
ctissimOj et m vestra Re Literaria augenda, quam
qui maxime j effuso, id de more hac stata recur-
rente die in primis usurpari placuerit: me sane,
qui tres supra triginta perpetuos annos eloquen-
tiae Professoris munere in hac ipsa fungor, et se-
veris meditationibus literariis sum pene absumtus,
novum aliquod ad vos afferre argumentum omnino
decet, non sententiarum calamistris, verborumque
cincinnis juveniliter exornatum, sed quam maxime
fieri potest, et ipsarum rerum pondere grave et
vestro uberrimo fructu refertum. Quod, quia suapte
natura est amplitudinis, splendoris sublimitatisque
plenissimum, in eo dissertando,
fungar vice cotis, acutum
Recidere quae fenum valel, exsors ipsa secandi; .^
et quia vos tantis promissis exciti in causa, in
qua vestra res agitur, jam ad attente ac benigne
audiendum parati estis, in primo ingressu hujus
Orationis id dabo. In literarum studia, Adolescen-
tes ingenui, incumbendum vobis est, haud sane
ob fines, quibus, facile a vili vulgo sordìdoque
vincamini, ut ob parandas divitias; nec quibus a
niilitibus aulicisque longe superemini, ut caussa
honorum et potenliae^ ncque adeo quibus ducun-
tur philosophi, ipsius nempe Sapientiae desiderio,
quo capti plerique omnes in umbra abditi omnein
126 PARTE I.
aetatem degunt, ut otiosi sua animi Iraiiquillitate
perfruantur. Aliquid est a vobis expectandum longe
praestantius. Sed quid isthuc? mirabundus aliquis
vestrum inquiet: a iiobis h'urnana conditione ma-
jora petis? Isthuc numero ipsum; sed ita majora,
ut sint tamen vestrae naturae convenientia. A vo-
bis, inquam, est expectandum, ut literarum stu-
diis operam detis, qua vestram Mentem explicetis
Heroicamj et Sapientiam ad Generis Humani fe-
licitatem instituatis: quo Consilio nedum divitiae
opesque, vobis eas aspernantibus, affluentj sed
ipsi honores et potentia, vos nìhil tale curantes,
ultro ambibiint. Neque enim sine verbi delectu et
pondere dixi, ut literarum studiis Mentem Heroi-
cam explicetis. Nam si Heroés a Poétis seu dicti,
seu fleti sunt, qui divinum jactabant
humana certe Mens sine crani fabularum com-
mento divinam habet originem; cui tantum deest,
ut doctrina et erudi tione explicetur. Videte^ quan-
tum a vobis humana conditione majora peto, ut
postuiem a vobis divinam prope vestrarum men-
tium celebrari naturami Heros enim Philosophis de-
finitur, qui sublimia appetit: sublimia autem iisdem
ipsis sunthaec optima maxima rsupraNaturam Deus;
in Natura haec spectabilium rerum Uni versitasj in
qua neque quid majus est, quam Hominum Ge-
nus, neque quid proinde melius, quam Generis
Humani felicitasi ad quam unam uni unice inten-
dunt Heroés; qui fama meritorum in Genus Hu-
manum maxime pervagatà, qua per populos et
nationes perstrepente voce Cicero eleganter Glo-
riam describit, nominis sibi pariunt immortalita-
tem. Itaque vestra vobis studia principio ad Deum
Opt Max. sunt dirigenda; deinde prae Dei gloria,
SCRITTI SCIENTIFICI 12^
qui nobis in universum Genus Humanum diligen-
tiam jubetj ad Generis Huniani felicitatem. Quum
haec igitur proposi ta exposita ita sint, eja agite,
Adolescentes ad optima maxima nati, et Mente
Heroica ad liane Studiorum Universitatem animos
Deo plenos appellite, ac proinde cunctis terrenis
affectibus defaecatos ac purosj et cum ingenti ve-
stro profectu experi minor divinum verum illud:
Initium Sapientìae est timor Domini: Mens enim,
quae divinis rebus suapte natura infinitis aeter-
nisque oblectatur, non potest non agitare subli-
mia, non condri grandia, non efficere egregia:
quare illa est persuasio minime temeraria, viros
pietate insignes, ubi literis applicuerunt, non sine
certa divina ope, ut Gaesarem Baronium Gardi-
nalenij aliosque quammultos cum mole, tum in-
genio et doctrina admiranda opera lucubrasse.
Dum vero istbinc Mente Heroica Sapientiam e
primo limine saluta tis, magno animo con tempie-
mini, quae heic vobis ob oculos sunt exposita.
Qui gravissimi viri praeclaris distincti insignibus
heic ab dextera consident, est Publica Eruditio,
quam Augustus Gaesar, Garolus VI Austrius, Rex
Hispaniarum vobis erudiendis heic habet instru-
ctam : ut quales virtute ad Imperii Romani Regno-
rumque tutelam fortissimos belli duces per cam-
pos et acies sibi paravit; tales sapientia ex vobis
in hac umbra comparet ad eorumdem beatitudi-
nem: quo vos invitat et compluribus in vos le-
gum irrogatis beneficiis, et praeclaris honoribus
buie Palatinae Militiae vestrà potissimum caussà
collatis, studiosa literarum Juventus, o spes al-
tera Reipublicae, o altera praecìpua Summi Prin-
cipis cura: cui administrans qui prò Rege hoc
Regnum summa virtute et sapientia feliciter mo-
deratur, Excell. Gomes Aloysius Thomas de Har-
128 PARTE I.
radi ita hanc Studiorum Universitatem enixe fo-
vetj eique ila prolixe favet^ ut quod antea saeculo
contingebat, is triuQi annorum spatio quinque ex
hoc Goiisessu Caesari commendarit Antecessores,
quos Regios Episcopos designavit. Quantum auteni
in his ipsis sit doctrinae instar, etiam atque etiam
cogitate: omnium aetatum, omniumque doctarum
gentium principes in quaque scientia Scriptores
quemque horum ex sua cujusque facultatis vi mente
condere, ut vobis non solum promptos habeant,
et ad manum paratos, sed, ubi usus opusve iis
videatUFj ab sese praeterea explicatosj emendatos
et auctos: cui facultati quisque suae proluserunt
periculosis solemnium Praelectionum intra brevis-
simns temporis angustias factis experimentisj qui-
bus spedati in hunc Antecessorum Ordinem lecti
sunt. Hinc intelligite, quo honore, quantaqueVe-
neratione vos eos prosequi oporteat: quod ab eo-
rum laeva tot amplissimi Senatores adsideantj qua
loci dignitate profitentur, se suam buie Publicae
Eruditioni accepto referre sapientiam, qua prae-
clarissimos in Republica honores adepti sunt. Qui-
bus argumentis plenissimis dignitatis magnum exci-
tate animum- et magnanimitatis pulcherrimam il-
lam notam ostendite, vos dociles, obsequentes et
gratos ab his doctissimis Antecessoribus castigari,
docerij corrigi; quod hi in haCj non solum Ita-
liae, sed totius ferme Europae splendidissima Urbe,
vestram conditionem velint quam ornatissimam: et
nunc patria pietate heic se vobis praebent, ut vos
omnibus et cyclicis et acroamaticisj quae usquam
celebrantur, disciplinis instituant: namque id est,
quod haec vox Studiorum Unwersitas pollicetur.
Et quidem certe ab his Doctoribus scientiae vo-
bis omnes sunt perdiscendae. Elenim manca et de-
bilis institutio literaria illa est in unam, tertam ac
SCRITTI SCIENTIFICI 12g
peculiarem dìsciplinam tota mole incumbentium :
scientiae iiamque eadem natura suiit, qua virtutes;
de quibus Socrates, qui in placitis habebat, ipsas
virtutes nihil allud esse quam scientias, omnino
negabatj uspiam unam esse veram, nisi ibidem
ceterae omnes adessent. Quid? conlraxistis fron-
tem? an hoc dicto vestra ingenia deterrui? Inju-
riam sane facitis divinae vestrarum mentium ori-
gini. Ne supina vota concipiatis, ut dormientibus
vobis in sinum de coelo cadat Sapientia^ ejus ef-
ficaci desiderio commovearaini, improbo invicto-
que labore facite vestri pericula, quid possitis; co-
naminor, quantum possitis: vestras in omnes par-
tes versate vires: vestras mentes excuti te 5 et in-
calescite Ì)eOj quo pieni eslis: coque Consilio^ quod
poétis natura evenit, vobis ipsis mirantibus, di-
vina edideritis vestra ingeniorum miracula. Haec,
quae dissero^ Literati Itali momentoso ilio j et ad
rem, qua de agimus, apposito verbo graviter lu-
culenterque confirmant, quo quamque Studiorura
Universitatem Sapientiam appellant. Sapientia Pia-
toni difinitur Hominis interioris purgatrix, sanatrix,
consùmmatrix: interior autem Homo mens et ani-
mus est; utraque pars originis vitio corruptissima:
mens ad verum factajfalsis opinionibus et erroribus
aestuans; animus natus ad virtutem, pravis affecti-
bus et vitiis excruciatus. Igitur hoc est hujus Pu-
blicae Eruditionis propositum, ad quod oculos coi**
limetis oportet; vos huc mente animoque aegrotos
convenisse ob vestrae melioris naturae medelara,
sai u tem j perfectionem. Ncque enim haec^ quae dico,
stultus aliquis derisor subsannet: namque eorum,
quae dico, eruditos omnes mihi habeo auctores
ilio a corporibus ad animos sapienter translato
vocabulo, quo studiorum Universitates Publica
appellant Gymnasia'. quod, quia Antiquis nosoco-
V^ico , Opuscoli, t)
l3o PARTE r.
mia erant incognita, uti gyninasticà, quae in ther-
ruis exercebatuFj corpoiuin, ita Studiorura Univer-
sitatibus vires reficiuntur, firmantur, augentur ani-
morum. Haec si cogitaveritis, ingens illiid e vestris
studiis emolumentum percipietis, yos Rei Litera-
riae dare operam, qua velitis, non videri, sed esse
doctosj qiiod a Sapientia desideretis curari, sanari,
perfici; nani de omnibus aliis sive Naturae, sive
Fortunae bonis bomines sat babent videri; de una
salute omnes sese esse revera sanos exoptant. Hoc
fine, qui sapientiae proprius est, vobis semel pro-
posito, jam illi longe minores vestris animis ex-
cidant necesse est, divitiae nempe et honores;
et opibus aucti, honoribus cumulati, non de-
stiteritis fieri usque et usque doctioresj omnis
fraus a vestris mentibus aberit, vanitas omnis et
impostura, quod non cupiatis videri, sed deside-
retis esse doctissimi: vos nec ulla afficiet in alios,
neque adeo aliorum in vos perstringet invidia; qua
utuntur, qua laeduntur opum avidi, honorum am-
bitiosi: et quae inter illos invidia est, inter vos fiet
generosa aemula tio; quod id omnibus citra invi-
dentiam commune bonum, ut sunt omnia divina,
quia infinita, desideretis vestram mentium, ac pro-
inde animorum a corporis contagione secretam
cpLct^etcr/jra. Nam quod curta contenti Hterarum
suppellectile, non solum ineptam, perversam quo-
que etiam accusant liane in Studiorum Universi-
tatibus docendi rationemj ubi nedum alii alia, sive
adeo eadem, alio tamen argumento, aliave me-
thodo, sed saepe prorsus contraria doceant. Incom-
moda sane ratio j fatemur quidem: namque optima
perpetuo uniformis optanda esset: sed quando ea
per rerum naturam ab tribus bis pulcherrimis ne-
cessitatibus pernegatur, novis Inventis, no vis de-
tectis Veris, novis castigatioribus Curisj haec, quae
SCRITTI SCIEI^TIFICI l3l
ab istis accusa tur, docendi ratio optima est; et ob
tres has vicissim, quas affert haud spernendas uti-
lilates: principio ne quis vestrum in ullius magi-
stri verba sacramento adigatur; quod plerumque
fit in Scholasticorum disciplinis: deinde ne ullo
literarum saeculo abripiatur, ut in privatis Gym-
nasiis; cujus fluxa studia ut cooriuntur, sic occi-
dunt, et repente adulta, repente consenescuntj at
literariae operae, quae immortalia opera efficiant,
iEternitati locandae sunt: postremo, quod ad no-
strum argumentum in primis attinet, ut pernosca-
tis, ecquid boni aliae aliis disciplinis commodent,
nam quaeque aliquid in se boni habet, ecquid om-
nes in ipsam Sapientiae Integrae summam confe-
rant* ad quam capessendam, liberales Adolescen-
tes, vos serio seduloque et monco et exhortor.
Hac igitur potissima de caussa audite omnes di-
sciplinarum Doctores, eo tamen, quod diximus, prò*
prio Sapientiae proposito, ut eorum doctrinae cu-
renl , saii,ent, perficiant omnes vestrarum mentium
aninioruujque facultates. Et Metaphysica intellec-
tum a sensuum carcere, Logica rationem a falsis
opinionibus, Etilica voluntatem a pravis affectibus
liberet: Rhetorica, ne lingua mentem, neve mens
caussam aut prodat, aut deserat: Poetica, ut ef-
frenes pbantasiae aestus temperet: Geometria in-
genii errores contineat: Pbysica vero stupore vos
excitet, quo defixit cum suis Natura miraculis. At
enim non hi sunt amplissimi bonorum fines, qui«4
bus Sapientia beaturj proponite vobis, et expe-
ctale longe splendidiores. Studiis namque Lingua-
rum, quas nostra Christiana Religio colit ut suas,
cum praeclarissimis historiae universae populis ser-
mones serite*, omnium antiquissimà cum Hebraeis;
ouuiium elegantissima cum Graecis, omnium maje-
statis pienissima cumLatinis: quumque linguaesint
l33 PARTE I,
ferme naturalia inomm vehicula, OrientalibuSj quae
adLinguae Sanctae captum sunt necessariaCjUt ante
omnes Chaldaica, vos in urbe omnium maxima,
Babylone Assyrii raagnificentià, Athenis Graeci At-
tica vitae elegantià, Romae Latini animi altitudine
ìmbuant. Lectione historiarum maximis Orbis ter-
rarum Imperiis, quae unquam floruerunt, animis
praesentes adesle: et ad civilem prudentiam exem-
plis fìrmandam, expendite origines, incrementa,
status, devolutiones et interitus populorum ac gen-
tium^ et ut rebus humanis flagitiosa Fortuna su-
perbe dominatur; ac super Fortuna ut Sapientia
lìrmum ac stabile regnum obtinet. At hercule illa
Poètarum, cum ineffabili, quia hominis maxime
propria, voluptate, qui suapte natura fertur ad
uniforme^ personarum in omni vitae genere si ve
moralis, sive familiaris, sive civilis ad ideam
optimam, atque ob id ipsum verissimam gra-
phyce descriptos observate cbaracteres; ad quos
vulgaris tìaturae homines collati , quia vita non
Constant, ubi non Constant, ipsi potius falsi
esse videantur: eaque ratione in praestantium Fa-
bulis Poètarum Humanam Naturam, vel in sua
ipsius turpitudine pulcberrimam, quia sibi sem-
per convenientem, sui semper similem, in omni
sui parte decoram divina quadam mente con-
templemini: uti Deus Opt. Max. Naturae Uni-
versae sive errantia monstra , sive malignas pestes
in aeterno suae Providentiae Ordine et bona et
pulchra intuetur. Qui praestantes Poètas, ingenti
voluptate perfusi, aeque tanta admiratione correpti
legite sublimes Oratores, qui mira arte ad corrup-
tam bumanam naturam accommodata^ animos quan-
tumvis obfìrmatos, affectibus qui a corpore com-
moventur, in prorsus contraria volentes contor-
quent: quod unus praeterea praestat Opt. Max.
SCRITTI SCIENTIFICI l33
DeuSj at per suas in immensutn adversas victri-
cium auxiliorum divinas vias, quibus hominuni
quantumlibet affectibus terrae defìxas mentes cae-
lesti voluptate ad se trahit. Ad haec humana ac-
cedant illa sublimia Naturae. Geographià magni
itineris duce, cum Sole universam terram, et Ocea-
num ambite. Astronomiae observationibus Plane-
tarum peragrate orbes, coecas ac sinuosas Gome-
tarum explorate vias. Cosmographia vos sistat ad
.... flammaotìa moenia Mundi.
Tandem vos Metapbysica Natiiram supergressa in
beatissiraos interminatosque ^Eternitatis campos
educat; ubi in Divinis Ideis, quantum menti fi-
nitae fas est, et innumeras hactenus creatas vi-
dete formas, et quae deinceps creari possunt, si,
uti re ipsa non est, Mundus essent aeternus. Ita
omnes humanarum, naturalium aeternarumque re-
rum tres Mundos permeate: et doctrina alque eru-
ditione divinam ferme vestrarum mentium celebrate
Naturam. Namque liae sublimes meditationes certo
sperare jubent, foie, uti tam altos erectosque fin-
gatis animosj ut omnes divitias et opes^ omnes
honores et potentiam quam profundissime infra
vos posita despiciatis. Jam vero de Scriptorum
delectu, quo ad Integram Sapientiam auditione
acquirendam sequamini, sat vobis sapientes hujus
Regiae Academiae Ordinatores suis legibus provi-
derunt, juxta illud Quintiliani monitum, in di-
sciplinis optimos esse deligendos; ut de Theolo-
gia divinum utriusque Instrumenti Godicem, quem
Ecclesia Gatholica rite ac recte interpretatur j ejus-
que ab Apostolicis usque temporibus perpetua Tra-
ditio solidis Historiae Ecclesiasticac monumentis
graviter fideliterque custoditi de Jurisprudentia
Gorpus Juris Justinianeiy Antiquitutum Romano-
l34 PAIITK I.
rum locupletissimum testeriij elegantiaruiii Latinac
Linguae conditissimam penum, et sanctius leguiii
humanarum aerarium : de Medicina in primis Hip-
pocratei^i, qui immortale elogium meritus est, nec
iallit quenquam, nec ab ullo unquam falsus est: de
Philosophia Universa Aristotelem, aliosque prae-
stantis famae Philosopbosj ubi is deficiat: de cae-
teris disciplinis ejusdem amplissimi census abos.
Ad hos omnis memoriae Scriptores principes porro
legendos hi Antecessores doctissimi Gommentariis
suis, tanquam digitum intendentes vos dimittent
instructos ratibnibus, ex quibus ii optimi in sua
quisque doctrina extitere. Quod Commentariorum
genus non solem vos illexerit, ut a vestris studio-
rum incunabubs diurna nocturnaque manu verse-
tis optimosj sed illa investigatione caussarum, ex
quibus ii extitere optimi, vos praeterea excitave-
ritj ut ideam perfectiorem finga tisj ad quam ipsi
doctrinarum principes compositi de exemplaribus
fient exemplaj ita ut super eorum archetypis eos
aemulari, et superare quoque etiam possitis: qua
rationCj nec certe aUa scientiae artesve emendan-
tur, augentur, perficiuntur. Ncque enim venia di-
gni suntj qui in mediocribus, ne dicam, imae no-
tae Scriptoribus legendis omnem literariam vitam
contriverint; quos iis haec Pubbca Eruditio suis
legibus academicis haud sane commendavit. Totum
autem audiendi tempus nihil abud agite, quam con-
ferre quae didiceritis; ut quaeque inter se constent,
et cuncta in quavis scientia consentiant: ad quod
faciendum ipsa hunianae mentis natura vos duxe-
ritj quae uniformi, convenienti, decoro summo-
pere delectatur^ ut Latini sapienti vocabulo Scien-
tiam appellasse videantur ab eadem, unde dicitur
Scitus, origine, quod idem ac pulcher significat:
quia, cum pulcluitudo sit membrorum inter se,
SCRITTI SCIENTIFICI I 35
omnìuraque in aliquo praestaiiti corpore justus
commcnsus; scientia nihil aliud existimari debet,
quam mentis humanae pulchritudo : qua homines
semel capti formas corporum vai maxime lucu-
lentas ne advertunt quidem; tantum abest, ut iis
commoveantur. Isto conferendi firmato habitu, vo-
bis parabitis facultatem scientias ipsas inter se con-
ferendi, quacj tanquam caelestia membra divinum
Sapientiae Integrae, ut ita dicam, corpus compo-
nunt. Quumque Ratio Humana Pythagorae sit haec
ipsissima rerum spiritualium coilatio, quam sive
explicat, sive involvit exemplis numerorum 5 eo
pacto Rationem Humanam Universam perficietis
ad purissimae et candentissimae lucis instar^ quae
quocumque mentis oculos convertalis, suos diri-
git radios; ita ut omne, quod dicunt scibile, om-
nesque ejus partes quam bellissime sibi convenire ^
responderCj constare j tanquam in uno aliquo pun-
cto, in unaquaque vestra cogitatione conspiciatis:
quod est absolutissimum Integri Sapientis exem-
plar. Ad quamnam autem disciplinam egregie prae-
ter caeteras animum applicetis (namque, ut sitis
Reipublicae utiles, aliquam unam in ea profiteri
vos, oportet)j ipse vos vester Genius edocebit
voluptate, qua in illa praeter caeteras ediscenda
perfundi sentietis: eo namque criterio natura uti-
tur, quae vobis in id a Summo Numine tutor da-
tus est, ut sciatisj ibi volentem lubentemque ve-
stram esse Minervam. Quod consilium cum sit
natura tutissimum; mihi tamen, qui vos ad optima
maxima hortor, haud splendidissimum esse vide-
tur. Saepe enim in homine optimarum maxima-
rumque rerum facultates insunt ita abditae et con-
sopitae, ut vix ac ne vix quidem ab earum com-
pote sentiantur. Cimo Atbeniensis, est vulgalissima
historia, homo sane plumbeus) adolescentulam ef-
l36 PAUTE I.
flictim deperibatj quumque haec ei joco^ tanquam
rem illius natura negatam dixisset, se eum, cum
mililum centuno factus esset, amaturumj homo
militiae nomen dedit, et in belli ducem praecla-
rissimum abiit. Socrates ingenio ad flagitia impense
proclivi natus erat; sed divino quodam conatu ad
Sapientiae studium conversus , primus Philoso-
phiam de Goelo revocasse dictus est, et omnium
Philosophorum Parens appellatus. Cum quibus ve-
terum recentia componamus exempla praestantium
virorum, qui mira sua sibi ignota ingenia aliena
sapientià experti sunt. Julius Mazzarinius Cardi-
nalis de se forensem operam, gregarium militem,
privatae fortunae aulicum praebuerat: at per alias
ex aliis civdium agendarum rerum occasiones na-
tas^ et ab amplissimis viris imprudenti objectas
sapientissimus vir politicus factus est; qui apud
Ludovicum XIV Galliae Regem particeps secre-
torum, perraro magnae fortunae exemplo in longa
potentia obiit. Franciscus Guicciardinius in Ro-
mano foro Jurisprudentiam profitebatur, at a sum-
mis suis temporis Pontificibus ingratiis, atque adeo
invitus compluribus Pontificiae ditionis Urbibus
Praefectus impositus, cum per occasionem Gallici
belli, quo Garolus Vili Italiam omnem concusse-
ratj complura cum Gallis gravissima e bello nata
negocia Summorum Pontificum mandatis transe-
gisset; ea de causa ad res Italiae sui temporis
scribendas animum adjunxit; et Italicae Linguae
Historicus omnium facile princeps extitit. Quapro-
pter quoquoversus mentis oculis circumspicite; quo-
quoversus ingenia circumagite; abditas et abstru-
sas vestras facultates scrutaminor, ut vestrum igno-
J;um forsan splendidioris naturae genium agnosca-
tis. Ita Universo Scientiarum Orbe circumacto,
quam potìssimum delegistis, eam altiore, quam
SCRITTI SCIENTIFICI iS-J
ipsi viri dodi faciunt, animo profìteamini: non
tantum (paucis exemplis totum genus complectar)
Medicinam ut bene morbos curetisj Jurispruden-
tiam, ut sapienter de jure respondeatis ; Theolo-
giam, ut divinarum rerum rectam doctrinam cu-
stodiatis: sed quo ingenti animo sublimique arte
vobis auditio lectioque praeiverint, eopse animo,
eapse arte sequatur necesse est lucubralio. Ea
namque Scriptorum principum perpetua sic au-
diendo, sic legendo firmata consuetudo egregiae
naturae sponte vos duxerit, ut eos ipsos in lu-
cubrando judices vobis semper praesentes adhi-
beatis: et illud a vobis metipsis identidem scisci-
teminij Medici (propositis exemplis insistam), quid,
si haec, quae meditor scriboque, ipse audiret Hip-
pocrates? Jurisconsulti illud, quid, si haec audi-
ret Cujacius? Illud Theologi, quid, si haec Mel-
chior Canus audiret? Nam qui Scriptores, qui
temporum vetustatem pertulere, sibi censores pro-
posuit, non potest opera lucubrare, quae non re-
iiqua posteritas admiretur. Grandibus bis gradi-
bus, quibus in via Sapientiae grassemini, facile
vobis erit ulterius progredi, ut non unus aliquis
vestrum dixerit
A via Pieridum peragro loca:
et ab ahis praestantissimis ingenio et doctrina vi-
ris aut ardua frustra tentata perficiatis, aut hacte-
nus intentata conemini: vos. Medici (propositis
exemphs rem peragam), historiis, observationibus-
que medicis undique collatis , alios aphorismos de-
cernere; quae duum millium, et plus eo, annorum
gloria adhuc apud unum perstat Hippocratem : Ju-
risconsulti, nominum Juris definitionibus, qua scien-
lia ^milius Papinìanus Jurisconsultorum princeps
habitus est, et Jacobus Cujacius, vel maxime fio-
l38 PARTE I.
rente Eruditomni Juris Interpretum saeculo sese
supra oinnes efFerebat, universani Jurisprudentiam
per coroUaria complecti: quod praestantissimuai
opus ut aetatCj ita Juris sapientià grandis Anto-
nius Faber in sua Jiirisprudentia Papinianea ag-
gressus est 5 at sive in progressu difficultate deter-
ritusj sive morte occupatus, non absolvit: Theo-
logij Philosopbiae Moralis super Cbristìanae Do-
ctrinae principiis systema conderej quod Sfortia
Pallavicinius Cardinalis magnanimo ausu tentavit ;
de eadem re Paschalius sapientissima quidem co-
gnitu, sed sparsa edidit; Malebrancbius in ipso
conatu defecit. Legite magni Verulamii aureum de
Augmentis Scientiarum , et, si nonnulla excipias,
semper suspiciendum et ob oculos babendum li-
brum; et considerate, quantum Scientlarum Or-
bis restet adhuc corrigendum, supplendum, dete-
gendum! Neque vero vos incautos iste sive invidus,
sive ignavus circumveniat rumor; hoc beatissimo
saeculo, quae in Re Literaria effecta dari unquam
potuerant, jam omnia absoluta, consumata, per-
ìecta esse, ut in ea nihil ultra desiderandum su-
persit. Falsus rumor est, qui a pusilli animi Lite-
ratis differtur. Mundus enim juvenescit adhuc: nam
septingentis non ultra ab bine annis, quorum ta-
men quadringentos Barbaries percurrit, quot nova
Inventa? quot novae Artes, quot novae Scientiae
excogitatae? Acus Nautica, Navis sohs instructa
velis, Tubus Opticus, Turricelli Machina, Machina
Pneumatica Bojlis, Sanguinis Circulatio, Micro-
scopium, Tubus Arabum stillatorius, Arabicae Nu-
merorum formae, Informia magnitudinum genera,
Pulvis pyrius, Tormentum bellicum glandignivo-
mum, Tbolus templorum, Typi Hterarii, Gharta
iintea, Horologium: singula quaeque optima ma-
xima, et omnia Antiquis prorsus incognita. Unde
SCRITTI SCIENTIFICI I 3^
ortae nova Navalis et Nautica, quibus, novus ter-
rarum Orbis detectus, et Geograpbia miruQi quan-
tum aclaucta! nova Astronomiae observata* novae
temporum rationes, nova mundana, nova Mecha-
nicaCj nova Physicaej nova Medicinae sistemata,
nova Anatome, nova Spargirica, Galeno tantopere
desiderata; nova Geometriae methodus, et Arithme-
tica facta longe expeditior, nova Bellica, nova Ar-
chitectura, tanta librorum facilitas, quae vilescit,
tanta copia, quae fatiscat. Quoniodo tam repente
Humani Ingenii natura efibeta est, ut alia inventu
aeque egregia sint desperanda? Ne despondeatis
animum, generosi Auditores; innuniera restant ad-
irne, et forsan bis, quae numera vimus, majora,
meliora. In magno enim Naturae sinu, in ma-
gno Artium emporio ingentia Humano Generi pro-
fulura bona in medio posita sunt, quae bacte-
nus jacent neglecta, quia hactenus ad ea Mens
Heroica animum non advertit. Magnus Alexan-
der in iEgyptum delatus uno suo magno ocu-
lorum obtutu Islbmum vidit, qui Erytbraeum a
mari Mediterraneo dividit, et qua Nilus in Medi-
terraneum effluit, et Africa Asiaque continentur;
et dignum reputavit, ubi suo nomine urbem fun-
daret Alexandriam, quae statim et Africae et Asiae
et Europae, totius Mediterranei maris et Oceani,
Indiarumque commerciis celebratissima fuit. Subli-
mis GaHlaeus Venerem corniculatam observavit,
et de Mundano Systeraate admiranda detexit. Ob-
servavit ingens Gbartesius lapidis a funda jacti rao-
tum ; et novum systema pbysicum est meditatus.
Christophorus Columbus ventum ab Occidentali
Oceano in os sibi adspirantem sensit; et eo Ari-
stotelis argumento, ventos a terra gigni, alias ul-
tra Oceanum esse terras conjecit, et novum terra-
rum Orbem detexit. Magnus Hugo Grotius^ unum
l40 PARTE I. SCRITTI SCIENTIFICI
illud Li vii dictum, sunt quaedam pacis et belli
jura, graviter advertit; ac de Iure Belli et Pacis
admirabiles libros ediditj a quibus si aliqua ex-
punxeris, iiicoraparabiles non immerito dixeris.
Quibus illustribus argumentis, quibus exemplis am-
plissimis, Adolescentes ad optirna maxima nati.
Mente Heroica, ac proinde magno animo Liteia-
rum studiis incumbite; Integram Sapientiam ex-
colite, Rationem Humanam Universam perficite :
divinam fere vestrarum mentium celebrate natu-
ram: aestuate Deo, quo pieni estis: sublimi spi-
ritu audite, legite, lucubrate: herculeas subite ae-
rumnas; quibus exantlatis, ab vero Jove Opt. Max.
vestrum divinum genus optimo jure probetis: at-
que adeo vos Heroas asserite , aliis Genus Huma-
num ingentibus commodis ditaturi. Quae amplis-
sima in Universam Humanam Società tem merita
facili negocio et divitiae et opes et honores et
potentia in hac vestra Republica consequentur:
quae tamen si cessaverint, non manebitis: et cum
Seneca aequo animo, hoc- est, non elato, si ad-
venerint, excipietis; nec demisso, si abierint, re-
signabitis stultae furentique Fortunae: et contenti
eritis eo divino et immortali beneficio, quod Deus
Opt. Max., qui nobis, ut principio diximus, in
Universum Genus Humanum diligentiam jubet,
vestrum aliquos praecipuos delegisset, per quos
suam in Terris gloriam explicarit.
IDEE DIVERSE E CURIOSITÀ LETTERARIE
EPISTOLA DEDICATORIA
PREMESSA ALLA SlFlLIDE DI GIROLAMO FbaCASTORO, TRA~
DOTTA DA Pietro Belli , al sic. Ernesto de' conti
DI Harràch uditore della sacra Ruota Romana, —
N AVOLI ^ lySi (i).
Napoli, 19 ottobre i^Si.
Perchè, come i libri di ogni più sublime scien-
za, così quelli di Medicina da chiarissimi autori
furono scritti a' potentissimi re, o altre persone
grandi (come Asclepiade, sommo filosofante, me-
dico ed oratore, scrisse i suoi a Mitridate re di
Ponto, e '1 famoso Collegio de' Medici di Salerno
scrisse il celebre libro intitolato la Scuola Saler^
nitana a Roberto re d'Inghilterra) sopra questi
esempH, e qui ora quello più potente di entram-
bi, dell' incomparabil latin poeta e famoso medico
de' suoi tempi Girolamo Fracastoro che indirizzò
la sua maravigliosa Sifilide a monsignor Pietro
Bembo ampHssimo cardinale, io ora prendo P ar-
dire di presentare umilmente all'È. V. Reverendis-
sima questa traduzione, la quale ne ha fatto, nella
nostra volgar lingua 5 la quale, quanto per se stessa
non lo è, tanto per lo merito del celebratissimo
(i) Quantunque la presente Dedica si vegga impressa col
nome del traduttore del poema Pietro Belli, pure da uno squar-
cio dì essa da me ritrovato fra le carie del Vico deducesi es-
serne costui stato l'autore. Ed oltre a ciò dallo stile e dalle cose
rlje contiene, tutte uniformi ai pensieri del Vico, chiaramente
si scor«je averla egli distesa iuteramentc (Nota di C. A» FU'
laro sa). • '•-' 1 ;
ì^2 PARTE I.
Autore e di essa opera originale^ reputo degna eli
portare in fronte il vostro nome chiarissimo; anzi
stimo far cosa che , se lo stesso Fracastoro vivesse
a dì nostri, avrebbe esso lui fatto, messe in con-
tesa, o sia contrapposto la nobiltà, l'età, l'eru-
dizione di entrambi. Pietro Bembo, gentiluomo
veneziano, la qual è nobiltà di signori in una
Repubblica aristocratica la più riputata del mon-
do; ella nata da una delle più nobiH e splendide
case della Germania , la quale non accolse mai
dentro il suo seno toghe e fasci romani, le quali
comandarono a tutto il Mondo: quegli vecchio fu
creato cardinale di Santa Chiesa; voi in troppo
giovanile età fatto Auditore della Sagra Ruota Ro-
mana, prossimo scaglione all'amplissima dignità
del Cardinalato: quegli ornato di amene lettere
latine e toscane, così di prosa come di verso,
onde fu uno de' maggiori lumi de' Letterati del
cinquecento; voi di più ricco di scienze riposte
e sublimi, per le quali già siete in ammirazione
alla Repubblica de' Letterati. Imperciocché ella
insieme con l'eccellentissimo signor conte Ferdi-
nando, tanto ne' grandi talenti e studj generosi,
quanto per lo nobihssimo sangue germano fra-
tello vostro, per molti anni in Roma con la di-
rezione del dottissimo Abate Don Celestino Ga-
liani, ora ben degno arcivescovo di Taranto, e
dell'eruditissimo signor canonico Marci, assai ben
costumato ajo vostro, è stata istruita, dopo le
cognizioni delle lingue, delle leggi civih e delle
Storie profane, a meravigha bene nelle Matema-
tiche, nelle Filosofie, nelle Storie Ecclesiastiche
e ne' sagri Canoni, e sopra tu It' altre nell'ampia
scienza sublime del Diritto Naturale delle Genti,
la quale tutte quasi le dianzi noverate discipline,
come propria suppellettile^ debbono fornire ed
SCRITTI SCIENTIFICI l43
adornare. Studio degno della vostra anima gran-
de, l'erudizione del Diritto, che fu detto Fas
Deorum^ le cui leggi sono acclamate Leges ge-
neris humani, Leges aeternae, Foedera huinanae
societatis: Diritto col quale i vincitori regolano il
cieco furore delle armi e la sfrenata insolenza delle
vittorie, e i vinti ne consolano i danni delle guerre
e la suggezione delle conquiste; il cui prudente
si può degnamente dire Giureconsulto del genere
umano; la cui professione porta di seguito neces-
sariamente la gloria, perchè ha per fine la con-
servazione dell'umana società, la qual è tutta l'oc-
cupazion della gloria: Giurisprudenza incompara-
bilmente più degna sopra quella delle leggi o di
Atene o di Sparta o di Roma, le tre più lumi-
nose città che fiorirono nella scorsa di tutti i
tempi, e nella distesa di tutte le nazioni; i Di-
ritti delle quali furono piccole particelle di questo
Diritto universale ed eterno: sapienza degna del
popolo romano, della cui grandezza non vide il
sole maggior al Mondo; come senza punto di adu-
lazione Virgilio concede a' Greci tutte le belle arti
dell'ingegno; concede le scienze riposte; concede
la gloria del bel parlare: ma riserba la sapienza
di tal Diritto a' Romani:
Excudent alii spirantia mollius aera:
Credo equidem: vìvos ducent de marmore vultus:
Orabiint caussas rnelius; Coelique meatus
Describent radio ^ et surgentia sidera dicent:
Tu regere imperio populos , Romane, memento,
(Hae libi erunt artes) pacique imponere morem;
Parcere subjectis et debellare superbos.
Perchè questa scienza è propria delle sovrane
Potenze; e perciò dalla romana sapientemente pra-
ticata, fece tutta la romana grandezza: ma non è
l44 PARTE I.
ella professata pubblicamente sotto le monarchie;
perchè i monarchi la racchiudono dentro i lor ga-
binetti: non nelle repubbhche aristocraticlie; per-
chè sol importa saperla ai loro senati regnanti ,
de' quali l'anima, con cui reggono e vivono, è il
segreto di Stato. E perciò il grande Ugone Grozio
ne incominciò prima di ogni altro a trattare, e
per la sua inarrivabile erudizione e dottrina, che
vi abbisognavano, ne divenne principe in tale sorta
di studj; perchè era cittadino di una repubblica
libera popolare, nella quale per civil natura co-
tale scienza debbe a tutti essere pubblica; ove ogni
cittadino dee esser ben informato di tal Diritto,
per comandare giustamente o guerre, o paci, o
allianze, o altra delle parti che ne compiono l'in-
tiero subbietto: che è la cagione perla quale ne
sono erette le pubbliche cattedre in Olanda, e
nelle città libere di Germania, e non nelle altre
nazioni di Europa, ove da per tutto si legge di
Giurisprudenza privata ; perchè gì' imperadori ro-
mani ne chiusero nel Corpo delle romane leggi
solamente quelle che trattano della privata ragio-
ne, e le menome della pubblica, che parlano de
Jure Fisci, e degli ordini civih, e de' corpi delle
Arti e Collegi : onde ninno di tutti gì' interpreti
così antichi come moderni applicarono l' animo a
ragionarne. Per tutto ciò l'È. V. Reverendissima
coir eccellentissimo vostro signor fratello, indiriz-
zando entrambi i vostri magnanimi studj al glo-
rioso fine di servire in questa parte alla gloria
del nostro Augustissimo Impera dorè, a cui par-
ticolarmente per la giustizia dell' armi s' inchina
riverente tutta l'Europa, e l'Asia timorosa si umi-
lia; si determinarono di fare un letterario viaggio,
per conoscere gli uomini valorosi in sapere, e par-
SCRITTI SCIENTIFICI 1^5
ticolarraente di tal Diritto: nello che seguiste Te-
semplo del saggio Ulisse,
Qui mores hominum mullorum vidit et urbes;
facendo uso per la sapienza de' fatali errori e delle
fatali tempeste del mare, che sono i bollori e i
trasporti della gioventù, la qual è più tempestosa
nella condizione de' Grandi: schivando le Gahpsi,
le Girci, le Sirene, che sono i piaceri de' sensi,
troppo esposti alla fortuna de' Sovrani: superando
le rabbie funeste di Scilla e Gariddi, che sono le
violente passioni de' giovani, e più de' giovani
nati Grandi : accortamente schernendo la fierezza
ed immanità de' PoHfemi, che sono la ferocia e
l'orgoglio, i quaU sono vizj dei Grandi. Gosi for-
niti di varia e profonda letteratura, la qual ren-
dete più ammirabile col sublime ingegno di che
siete a dovizia da una benigna particolar natura
dotati; con una vivace presenza di spirito che vi
dà la vostra naturai signoria; con una compren-
sione che vi ha fatto la vostra grandezza ; con
un purgato giudizio, coltivato da una severissima
critica; con una somma chiarezza di mente, pro-
venutavi dalla potenza, nella quale siete nati e
cresciuti; della quale è propia la facilità che vi
ha prodotto una signoril eloquenza, con cui spo-
nete in una naturale, facile e spiegata comparsa
le più astruse ed aspre materie, delle quali im-
prendete a ragionare; le quali virtù della mente
rendete amabili e care con la singolare soavità
de' costumi, i quali a meraviglia temperate di
gentilezza e di gravità: con augusti auspicj par-
tiste per lo vostro letterario viaggio da Roma; e
giunti qui in Napoh, vi concihaste la venerazione
di tutti i dotti uomini, co' quali entraste in let-
terarj ragionamenti; de' qu ah sopra tu tt' altri nio-^
Vico, Opuscoli. 10
l46 PARTE I.
straste di dilettarvi di quelli che si facessero d'in-
torno a materie di Diritto naturale delle nazioni:
con l'occasione d'uno de' quali essendosene TE.
V. Reverendissima ricordata, ella al lettore di Elo-
quenza di questi Regj Studj, signor Giambattista
YicOj che è il primo il quale in Italia n'ha scrit-
to j gentilmente disse di averne in Roma veduto
un di lui libro che ne trattava; e sì gli diede
l'ardire di presentarglielo il giorno appresso, ed
ella con grandezza d'animo gradinne il presente,
ed onoronne FAutore. Quindi per lo rimanente
d'ItaHa e per Oltramonti destaste di voi l'am-
mirazione negli animi de' più grandi letterati di
Europa, come del signor Abate Longuerue, il
quale per l'ammirabile sublimità del sapere vien
riputato il Socrate della Francia; del signor Fon-
tenelle, gran filosofo e matematico, ond'è ripu-
tato uno de' maggiori ornamenti delfAccademia
Real di Parigi; de' due rari ingegni de' quali va
adorna e superba la celebratissima Accademia di
Lejden, vogHo dire del signor Gravesande e del
signor VitriariOj il primo assai eccellente nelle
scienze fisiche e matematiche, l'altro nella cono-
scenza universale delle leggi e della storia ; ap-
prendendo da quello, come da vivo e pieno fon-
te , le sperienze d' intorno alla Naturale Scienza ,
e da questo il Diritto della Natura e delle Gen-
ti, al qual solo fine imprendeste si lodevole e
lungo cammino. Formovvi a cotesta subhrae, e,
per parlare con dignità, eroica idea di sapienza
la vostra splendidissima prosapia , nella quale ,
come ruscelli in fiume, è derivato il sangue di
tante Case sovrane della Germania; e come aure
feconde vi cospirarono a crescere, germogliare e
produrre le celesti frutta dell'umano e divin sa-
pere i vostri gloriosi Maggiori, per imprese di
SCRITTI SCIENTIFICI 1^7
guerra e per arti di pace chiarissimi. E perchè
fora ben lungo, e materia più ampia che da chiu-
dersi dentro i brieri confini di una lettera, ripe-
tergli da* loro primi antichissimi tempi; e perchè
ad imitare vagliono più efficacemente i vicini, e
più di tutti i presenti; cotesti furono un Eminen-
tissimo, e per dottrina e per alti maneggi sapien-
tissimo cardinal Ernesto Adolfo d'Harrach arci-
vescovo di Praga, vescovo di Trento, il quale
incaricato degU affari deirimperadore intervenne
al conclave di Clemente X; un signor conte Fer-
dinando Bonaventura d'Harrach vostro avolo, mag-
giordomo maggiore e primo ministro dell' impe-
rador Leopoldo di gloriosa memoria: i vostri va-
lorosi zii monsignor di Harrach arcivescovo di
Salzburgo, passato a miglior vita, e '1 signor conte
feld maresciallo Gio. Giuseppe conte di Harrach;
invitandovi a generosa gara il signor conte Fe-
derico primogenito fratello vostro, inviato per lo
Regno di Boemia alla Dieta di Ratisbona, am-
basciatore alla Corte di Torino, ed or incaricato
delli più importanti affari di S. C. C. Maestà alle
Corti dell'Imperio; come anche il signor conte
Vencislao di Harrach Gran Croce della Rehgione
Gerosolimitana, ed in acerba, quantunque assai
di senno matura etade, glorioso Generale delle
galee di Malta, e per essa Rehgione ambasciatore
al Re di Portogallo, ed a questo nostro eccellen-
tissimo signor Viceré vostro padre, ed ora co-
lonnello nel reggimento del signor Conte mare-
sciallo vostro zio. Ma più d'ogni altro sopra co-
testa grande idea vi ha formato col vivo esemplo
della sua incomparabil virtù e sapienza l'eccel-
lentissimo signor conte di Harrach, odierno vi-
ceré di questo grande Reame, vostro padre de-
gnissimo; il quale gloriosamente ostinato del solo
l48 PARTE I. SCRITTI SCIENTIFICI
giusto e diritto^ gloriosamente appassionato del
solo merito, ha promosso sapientissimi giurecon-
sulti a regi maestrati, dottissimi e santissimi preti
e Regolari, e tra questi con raro esemplo dentro
un anno e poco più cinque regj lettori di questa
Università a regj vescovadi: e con una sollecita
vigilanza sopra degli «^ordini , con una osservanza
religiosissima inverso le leggi, con una pazienza
indefessa e singolare benignità nelle udienze, con
una instancabile industria, sopraffino scorgimento
e ammirabil prudenza nel comandare gli affari ,
con una venerabile gravità nelle risposte, con una
sempre a sé simile e con tutte l'altre corrispon-
dente costanza nelle azioni, ne fa godere la pub-
blica sicurezza, non che ne' luoghi celebri, nelle
pia diserte campagne, l'abbondanza nelle piazze^
la giustizia de' tribunali, e la ci vii felicità dap-
pertutto. Onde pubblico voto è di tutti che '1
nostro Augustissimo Imperadore Re delle Spagne
lo vi mantenga al governo di questo Regno, fin-
che egli vive, e che viva gli anni di Nestore. E
ben tutto ciò che , con addolorare la vostra mo-
destia, ho di voi detto, e molto anco di più che
noi ne abbiam detto di meno ; Sua G. G. M. ha
contestato, con aver nominato l'È. V. Reverendis-
sima all'Auditorato della Sacra Ruota Romana j e
ne fa sperare in brieve lo stesso dell'eccellentis-
simo sig. conte Ferdinando , formato con essolei
allo stesso torno così della dottrina, come della
virtù. Si compiaccia adunque l'È. V. Reverendis-
sima per tutti questi argomenti di gradire con la
grandezza dell' animo propia del vostro alto stato
e sapienza questo piccol dono, che riverentemente
l'offero in testimone del moltissimo che con tutti
i giusti estimatori delle cose io professo della stima
che si debbe al merito vostro immortale.
PREFAZIONE
PREMESSA ALLA TRADVZWffE DELLA SiFIUDE DI FracA-
STORO FATTA DA PlETRO BeLLI , IMPRESSA Iti NaPOH
NEL lySi.
Il signor D. Pietro Belli nato da una delle più
nobili famiglie che illustrano la città di Lecce, la
quale dopo Napoli, capitale di questo Regno, e
per magnificenza di edificj e per frequenza di abi-
tatori e per isplendore di civili costumi e per ric-
chezza di marittimi traffichi è la più riputata;
adorno di buone cognizioni di Filosofia , assai ben
inteso di Hngua latina, e nella toscana versatis-
simo, ha tradotto la Sifilide di Girolamo Fraca-
storo, la quale ora o per elezione o per fortuna
hai tu ora, discreto leggitore, preso tra le mani.
Mi piace di ragguagfiarti così della cagione la
quale l'ha mosso a far questa traduzione, come
del consiglio che ha seguitato in condurla. La
principal cagione, la quale l'ha indotto a farla, è
stata per profittare nella toscana poesia) la qual
facoltà non può con più utll esercizio acquistar-
si, che col traducendo gareggiare i poeti migliori
della lingua latina, tanto naturalmente eroica, su-
bhme e grande, quanto è tenera, gentile e deli-
licata volgarmente la greca; perchè, così facendo,
le nobili maniere del concepire poetico restano
più altamente impresse nella fantasia col tratte-
nervisi molto sopra, e col procurare di renderle
nella nostra favella con uguale splendore, orna-
mento e bellezza: ond' è avvenuto che li più va-
lorosi toscani poeti del cinquecento sono stati an-
che chiari poeti latini, come lo furono Giovanni
Casa, Pietro Bembo, Giacomo Sannazzaro, ed
altri. In sì fatto studio egli , com' era diritto e
IvSo PARTE f.
ragione j ha ammirato il conte dell'Anguillara in
quella dell'Eneide di Virgilio, ed in quella della
Tebaide di Stazio l'Eminentissimo cardinal Ben-
tivoglio, sommo e sovrano ornamento a' dì nostri
della letteratura italiana in pregio di poesia, quanto
lo fu in quello della prosa T altro cardinal Benti-
TOglio, scrittore delle Guerre di Fiandra. Con as-
sai diritto giudizio quella del Marchetti non gli è
paruta di tanto, a cagion che Tito Lucrezio Caro
tenne uno stile di sermon volgare latino, dello
che meritò pur una somma lode d' aver portato
nella lingua latina, ed in versi di più un' affatto
nuova materia greca : ma a riserva delle poetiche
introduzioni a' suoi libri, e d'una od altra digres-
sione, come quella nella nota delicata inimitabile
descrizione della tenera giovenca che ha perduta
la madre, e quella nella nota grande incompara-
bile ove descrive la pestilenza di Atene; del ri-
manente tratta le materie fisiche con uno stile
niente diverso da quello con cui si sarebbon in-
segnate in una scuola latina di Filosofia naturale.
Onde s' intenda, quanto taluno, non che degli stili
poetici latini, sia affatto ignorante di essa lingua
medesima ; il quale ragguaglia coloro che non
hanno veduto l' opera che 'I Padre Quinzj della
Compagnia di Gesù abbia scritto i suoi nobilis-
simi Libri de' Bagni alla maniera di Lucrezio ;
quando ad esso chiarissimo Autore apertamente
professa di averli lavorati sull'esempio della Geor-
gica di Virgilio, ove tratta poeticamente di essa
arte villereccia, e l'opera stessa ad ogni scolaretto
che ha nella scuola della Grammatica Virgilio spie-
gato, manifestamente il dimostra. Perciò il nostro
avvedutissimo Traduttore si ha eletto più degli
altri questo celebratissimo poeta, il quale sol di
tanto ha da ceder alli più celebrati Latini, nel
SCRITTI SCIENTIFlCr l5l
tempo j ma per questo istesso egli non dee loro
ceder punto in valore, anzi, mi fo lecita dirlo,
li supera 5 perchè quelli avevano scritto quando
essa lingua vivente fioriva, e questi scrisse quando
per lungo tratto di secoli era già morta, e scrisse
poeticamente d'una materia allatto nuova, non
che a Latini, a medesimi tempi suoi: e tutto ciò
il signor Belli ha egli fatto per avvezzare l'inge-
gno con simigliante esercizio non solo a parlare
poeticamente di ciò che deve, perocché quel poeta
che parla di ciò che vuole, egli è il triviale pit-
tor di Orazio, il quale
Scit simulare cupressum;
ma anche per accostumarlo al più difficile, per-
chè più grande lavoro della poesia, il qual è, con
la novità della materia strascinarsi dietro, come
necessaria, la novità della locuzione, e con en-
trambe destare la maravigha , la qual sola passione
del cuore umano è quella che col silenzio acclama
allo stil subhme. Però egli sembra eh' essa materia
non abbia dell' eroico^ ma a chiunque leggermente
vi rifletta sopra e combini , si fa manifesto eh' ella
lo ha pur benissimo. Perchè la Medicina negli an-
tichissimi tempi fu professione di eroi 5 onde tan-
t' erbe ne serbano ancora i nomi fin al dì d'oggi:
Medea co' suoi rimedj rinnovella il suo vecchio
padre Esone: la moglie di Tono re di Egitto ad
Elena regala il nepente: e di esser lo Dio della Me-
dicina fa vanto esso Apollo, il quale nella Scienza
Nuos>a si è ritrovato Dio della luce civile, o sia
della Nobiltà j ed a tempi barbari ricorsi ella fu
solamente praticata da' grandi signori, de' quali
insigne è Giovanni signor di Procida , che fu l au-
tore del Vespro Siciliano, e ne serba oggi ancor
il nome il suo empiastro; come altri medicamenti
l52 PARTE I.
pur gli serbano di Re e di Grandi, quali sono il
Mitridatico, F unguento della Contessa, ed oggi ,
è celebratissimo purgante la polve del conte Pal-
ma; il qual costume eroico veggiamo rimasto tra
potenti signori, i quali si gloriano di graziosa-
mente dispensare chi uno, chi altro efficace spe-
cifico per li malori che travagliano la salute de-
gli uomini: e li Re d'Inghilterra si pregiano di
esser principi della Real Società Anghca, la quale
per lo più si compone di Medici, i quali in quel
Reame son nobilissimi; e la Casa de' Gran Du-
chi di Toscana fra le altre pone in magnificenza
nella sua fonderia. Il vero è eh' essa materia è
trattata con principj i quali ora non soddisfano
al buon gusto del fisicare presente; perchè l'Au-
tore siegue la vanità dell'Astrologia, e spiega le
ragioni naturaU di cotal morbo per qualità; ma
nientemeno vi sfolgora di tempo in tempo alcuni
grandi lumi di Fisica e di Medicina. Oltreché que-
sti hbri sono necessarissimi d'esser rapportati in
tutte le hngue viventi, almeno per la storia na-
turale d' un tanto malore, che ha dato il guasto
ad una gran parte, ed ha gravemente infievolito
l' altra di quasi tutto il genere umano. Ciò sia
detto d' intorno all' elezione di tal fatica , che ha
fatto con saggio avvedimento il nostro nobil Tra-
duttore di tal poeta : ora mi rimane poc' altro a
dire della condotta che vi ha tenuto. Egli si è
ristretto tra gli autori principi della toscana fa-
vella, particolarmente poeti, per apparecchiare alle
idee poetiche latine la materia più pura , e l' im-
pronto migliore che posson unquemai avere le
voci e le frasi nostre poetiche italiane. Quindi
nel tradurre questi aurei libri ha avuto due cose
principalmente dinanzi agli occhi, la verità de'
sentimenti per esser fedele , e la degnità dell' e-
SCRITTI SCIENTIFICI 1 53
spressioni per esser esatto traduttore, E per l* in-
teresse della verità^ d'intorno alle voci delParte,
le quali non si sanno che da' maestri delle arti,
egli particolarmente nella Botanica , come la pru-
denza il richiedeva, si è consigliato con saccenti
espertissimi professori. Per la degnità poi si è a
tutto potere studiato dentro i medesimi tratti la-
tini di dir in volgare ne più ne meno né altri-
menti, per isperimentare quanto possa la nostra
rendere del nerbo e vigore che ha la poetica la-
tina favella: e per ciò fare ha usato, ove la biso-
gna il richiedeva, alcune maniere antiche, le quali
anco senza cotal necessità, a tempo e luogo ado-
perate, fanno grave e veneranda essa poetica lo-
cuzione. Prendi adunque, o discreto leggitore, a
leggere questa lodevolissima traduzione con animo
di compiacertene 5 il qual animo certamente non
puoi tu avere, se non la prendi a leggere almeno
con una indifferente curiosità di veder ciò che di-
ca; e ti priego a giudicarne su questa riflessione,
che del tuo giudizio ha a giudicare il comune de'
Dotti: e non vogho, ne debbo, né '1 voglio, per-
chè non debbo estimarti che tu non sappia di-
scernere i confini eterni delle cose, le quali tra
loro a morte combattono, e che si abbia teco a
ponere in consulta la necessità, se tu ami meglio
d' approvarti appo gf indifferenti per giudice di
cuor diritto ed equanimo, o di accusarti per un
invidioso livido e dimagrato. Vivi felice, che i
Filosofi diffiniscono: Con salute e con sapienza.
l54 PAH TE I.
LETTERA DEL P. NICOLO CONCINA [i
Venezia, 27 giugno i-j^i.
Egli non è possibile che io faccia comprendere a
V. S. Illustrissima la straordinaria compiacenza risve-
gliatasi nell'animo mio in reggendomi onorato da una
sua lettera, senza che io prima con qualche mia gliene
abbia dato motivo. Le posso però bensì dire con one-
sta cristiana e religiosa sincerità , che di niun altro let-
terato del mondo tutto mi potevano riuscire più gra-
devoli le lettere, che quelle di V. S. Illustrissima, perchè
di ninno io porto maggiore stima che di lei, mentre
giudico le opere sue per le più ragionate di quante mai
ne abbia lette. V. S. da per tutto getta principi fon-
damentali ed inconcussi e di una fecondità meraviglio-
sissima^ l'erudizione che tocca ed accenna, ella è ira-
mensa^ ma l'uso e '1 raziocinio che sopra ne forma, dee
sorprendere gl'ingegni più sublimi e più illuminati. Tutte
le parti della Filosofia più scelta, la Teologia sacra e
cristiana , la Giurisprudenza naturale e positiva , la Geo-
metria nel suo metodo, la Storia e la Filologìa più re-
condita, e le combinazioni più ingegnose di tutte coteste
disciphne risplendono di una maniera incomprensibile
nelle due opere, che come due tesori della miniera
inesausta e profondissima del di lei ingegno io con-
servo. Bisogna però che io confessi ciò che Socrate
disse dell'opera di Eraclito: niagnam indo lem spirant ^
quae intellexi^ puto idem fuere ^ quae non intellexi.
Ferum (non già Delio) /^/co ipso notatore et expli-
calore opus habent. E le giuro che niente più io bra-
merei che di esserle vicino per poter essere istruito ed
illuminato sopra di molte cose che non arrivo ad in-
tendere per debolezza del mio ingegno, e per mancanza
di que' requisiti accennati da V. S. sul fine dell'idea
premessa alla sua Scienza Nuova. Attenderò frattanto
con impazienza le annotazioni che si è compiaciuta
V. S. di porre sul margine di quella copia regalata a
SCRITTI SCIENTJFtC[ l55
mio fratello : per lo che glie ne rendo infinite grazie ,
siccome per gli altri favori al medesimo impartiti, e
per gli onori da lui costì riportati singolarmente per
le dimostrazioni e sentimenti di V. S. Illustrissima* ma
molto pili me le protesto obbligato, e col più vivo del
mio cuore la ringrazio per i due opuscoli che si de-
gna di mandarmi in dono per la bontà che nutre verso
di me, e per l'aggradimento della stima ed ossequio che
professo al suo rarissimo merito. Se poi V. S. avesse
dato alla luce altre opere che non si ritrovassero, la
supplico di darmene contezza per mìa regola. La rin-
grazio nuovamente pel favorevole giudizio di cui onora
la mia Orazione^ e che io stimo sopra quello di ogni
altro. Ma per mio lume mi premerebbe fortemente di
essere avvisato con piena confidenza da V. S. di tutto
ciò che per entro ci ha scoperto di difettoso , che cer-
tamente sarà ben molto. Le giuro che riceverò tutto
con intera docilità e con piena soddisfazione. Venera-
tissimo ed amatissimo signor Vico , mi permetta di sfo-
gare seco lei il mio cuore. Io peno ed affanno per non
essere in libertà, ed in istato di portarmi costà, e di-
morare lungo tempo con esso lei , affine di approfittare
delle sue sublimi e peregrine cognizioni. Piaccia almeno
all'Altissimo Dio di aprirmi la strada per fare una volta
una scappata, e seco lei trattenermi per qualche mese,
e con alcun altro di cotesti signori! Io credo essere stato
un tratto particolare della divina Provvidenza, che i
già quattro anni, quando fui costì per pochi giorni,
non avessi la bella sorte di abboccarmi con V. S. Il-
lustrissima, perché forse non mi sarei più partito da
Napoli, e con ciò mi sarei opposto alle disposizioni
della medesima Provvidenza. Non resta però che io
sempre non me ne risenta, e meco medesimo non mi
lagni di aver perduta una sì bella occasione di cono-
scere una mente delle più rare che siano al mondo:
non esagero, non adulo; parlo sfccome sento nell'a-
nimo mio. Ma molto più però mi dolgo e mi lamento
che '1 merito suo non venga riconosciuto e premiato
da chi il potrebbe e dovrebbe. Io non finirci mai di
|56 PARTE I.
parlare di V, S.j e parlerei senza ordine, perchè pe-
netrato dal suo merito, in cui io uoq ci veggo lìmiti,
né la mia per altro giusta passione mi permette di pen-
sare ordinatamente, trattandosi di farne uno sfogo in
brieve foglio che per la prima volta le umilio. Io l'ab-
braccio strettamente, e col cuore sulle labbra le stampo
un bacio in fronte, senza pregiudizio però del sommo
rispetto che le porto, e per cui fo mia gloria essere
riconosciuto, ec.
LETTERA DEL P. DANIELE CONCINA
Venezia, ii dicembre 1734.
Dopo tanto tempo da che non ho avuto V onore di
riverire V. S. Illustrissima, vengo finalmente a rasse-
gnarle la mia antica servitù. Aspetto la occasione di
trasmetterle un libretto di mio fratello, nel quale fa
giustizia alla sua «ingoiare ed incomparabile virtù, ri-
ponendo il suo nome glorioso tra i pochi sapienti veri
della nostra Italia nelle filosofiche scienze (i). Con que-
sta occasione io sono a supplicarla del suo patrocinio
presso codesto signor Reggente Ventura in un inte-
resse del signor Abate Aloisi, il quale essendo parti-
colare mio amico , bramerei che fusse assistito dalla
sua valida protezione. Le porgo pertanto le mie più
fervorose suppliche, acciocché voglia interessarsi a fa-
vore di questo degno Letterato. Sono sicuro che non
mancherà di favorirmi, e perciò non voglio dilungarle
il tedio.
Volentieri sentirò qualche cosa della sua sanità , e se
(1) La seguente Nota è scritta di propria mano del Vico
nella lettera autografa del P. Concina. •« Il P. Niccolò Conci-
u na , lettor primario di Metafìsica in Padova , mi fa que-
tt st' onore da me non meritato in un Progetto latino dato
« Tanno iy'56 fuori in istampa d'un Sistema di Diritto Natu-
($ rale delle Genti, il quale fu da me donato a Monsignor C«p-
<i pellano maggiore. »>
SCRITTI SCIENTIFICI iS^
r umor nerveo scorre bene. Frattanto io le auguro ogni
felicità, e la prego a favorirmi di qualche suo coman-
do^ e rassegnando a Y. S. Illustrissima la mia servitù
mi raffermo, ec.
LETTERA DEL P. NICCOLO CONCINA
Venezia, i settembre i^SG.
Se in Napoli ci fosse il bel costume, che è qui in
Venezia, di esser mandati dalli maestri di Posta alcuni
uomini per la città e per le contrade, che si segnano
nelle soprascritte delle lettere a portar queste alle case
medesime di quelli ai quali sono indirizzate, non cosi
facilmente si smarrirebbero con pregiudizio della pun-
tualità di coloro che costà scrivono^ siccome mi av-
veggo essere accaduto a me in riguardo a V. S. Illu-
strissima, e del signor Giuseppe Cirillo, dai quali con
ultime loro intendo non aver ricevuto le mie risposte
a due antecedenti, di che grandemente me ne ramma-
rico. Voglio sperare che questa volta avrò miglior for-
tuna dell'altre. Rendo infinite grazie a V. S. Illustris-
sima della cognizione recatami intorno alle rarissime
qualità del P. Maestro Gaspari*, io non mancherò di
pubblicarle con ogni premura, producendo l'autorità
di V. S. che deve prevalere ad ogni altra. Si accerti
che userò qualunque diligenza per porre in alto cre-
dito il soggetto raccomandato, siccome appunto in que-
sto stesso ordinario scrivo al signor Cirillo. Qui, oltre
le testimonianze del valore de' concorrenti alle cattedre,
ci vogliono ancora degli officj di persone autorevoli,
non però di gente privata, come sono dame e cavalie-
ri. Io mi stimerei fortunatissimo se mi riuscisse di vedere
in questa nostra Università un Teologo che merita la
stima di un signor Vico , la cui mente io soglio chia-
mare eroica, e di cui sinceramente mi contenterei di
essere scolare, anzi che professore in Padova, o in
qualunque altra Università. Oh quanto mai io sospiro
di conoscerla a faccia a faccia, e di trattarla almeno
i58 PAiiTii: I.
per qualche breve tempo, il che spero Iddio mi fai a
la grazia di conseguire, conservando e lei e me in vita
sino a che torni a fare un altro viaggio a cotesta ame-
nissima e letteratissima Partenopei Sicché ella si fac-
cia coraggio e si governi, ed io non mancherò di pre-
gare il Signore che la conservi, e rinvigorisca per suo
e mio e comune vantaggio del Mondo letterato. Mi ri-
verisca quel suo figliuolo, che intendo essere di una
grande espettazione, per cui sento un ardentissimo
amore e gli bramo ogni miglior fortuna.
Molto e moltissimo mi consolo che '1 mio mezzo ab-
bozzo del Gius Naturale e delle Genti sia stato gra-
dito da V. S. Illustrissima, il cui divino ingegno non
posso finire di ammirare. Le rendo poi infinite grazie
dell'onore che mi vuol fare nella sua Scienza Nuova ^
che dice di avere notabilmente accresciuta ed illustrata,
la quale starò attendendo con impazienza. Oh quanti
fecondissimi e sublimissimi lumi vi sono per entro ! Cosi
avessi io talento da farne uso, e di comprendere il
fondo ed il mirabile artificio che parmi alquanto di
ravvisare. In breve spero di dare alle stampe una pic-
cola Dissertazione, in cui credo di rigorosamente di-
mostrare non essere io uscito fuori della giurisdizione
metafisica in trattando del Gius Naturale , siccome qui
si è andato spargendo da gente che non intende la na-
tura di si fatta scienza. Seguita la stampa ne invierò
una copia a V. S. di cui aspetterò il giudizio. Ne fac-
cio uso in questa della di lei autorità, e pongo in vi-
sta il giudizio fatto dal signor Clerico del libro De
Universi Juris uno principio , ec. In una mia anzi in
due lezioni fatte in questa Università mi è caduto in
acconcio di porre in vista la bellissima ed eruditissima
opinione di V. S., che le leggi delle XII Tavole non
sieno state altrimenti prese da' Greci, il che mi ha ec-
citato contro il furore di qualcuno di questi nostri pro-
fessori di Giurisprudenza civile^ ma che io raoltd non
stimo, perchè non sono scientifici né molto eruditi di
fondo. Bramerei però qualche nuovo lume da V. S. se
pur vi fosse , e particolai-raente per screditare il rac-
scrìtti scientifici iSq
conto ^i Tito Livio e di Dionigi Alicarnasseo ^ in par-
ticolare desidero sapere il luogo preciso in cui Livio
dice di principiar a narrare la vera Storia Romana solp
dalla seconda Guerra Punica , siccome V. S. riferi-
sce, senza acceunare il luogo dello Storico. Ora non
posso scrivere di vantaggio^ mi riserbo ad altro rin-
contro. Fra tanto sono e sarò sempre con tutto l'os-
sequio, ec. •
RISPOSTA DI VICO
Napoli, i6 settembre 1736.
Io e '1 signor Cirillo dobbiamo certaaiente do-
lerci dell'ordine delle Poste meno ben posto qui
che tra voi, il quale ed a noi ha ritardato il
piacere di ricevere le vostre giocondissime lette-
re, ed a V. P. Reverendissima ha accresciuto il
travaglio di duplicarle. Il P. Maestro Gaspari V è
infinitamente obbligato cosi della somma beoignità
con la quale ella ha ricevuto nella sua protezione
la sua domanda alla cattedra, come degli utili av-
visi gli dà, per farla efficace; i quali mentre li
porrà in uso, io non resto di caldamente prie-
garla a continuar di proteggerlo. Io sempre più
e pili son confuso dell'alta stima ch'ella fa di
me, la quale io confesso affatto non meritare. Le
rendo infinite grazie tanto degli autorevoli con-
forti onde io sostenga la mia natura e fortuna di
già cadenti, e de' prieghi eh' ella porge a Dio per
me, che si degni di conservarmi, quanto del gen-
til desiderio di riportarsi un giorno qui in Napoli,
e darmi la bella sorte di veder io di persona un
mio sì dotto e si generoso maestro. La lode del
profitto che Gennaro mio figliuolo, che umilmente
v'inchina, fa negli studj migliori, la quale scrive
l60 PAKTE I.
esserle con piacere giunta all' orecchia , e F amore
che gentilmente perciò gli portate, gli sono forti
stimoli a più vigorosameute correre la strada della
virtù. Monsignor Galiano, prefetto de' nostri Stu-
dj, chiarissimo letterato d'Italia, nel vostro prò- j
getto del Dritto Naturale vi ha osservato lumi di \
severa e colta dottrina: ma vedete quanto i dotti
giudicano diverso a tutto cielo dagli ignoranti; più
di una volta riflettendovi sopra , mi disse che con
quello voi fate saggio ai lettori che vogliono ador-
nare le loro Università, dover essi promuover le
scienze che vi professano, e far loro far degli avan-
zi, com' ella in cotal maniera fa della Metafisica.
Sto attendendo con ansietà la risposta che voi
date a costoro, i quali di cotesto bel merito vi
riprendono. A' sostenitori della favola delle XII
Tavole venute di Grecia sarà facilmente infrenato
il furore con solamente replicar loro che rovescino
i principi della Scienza Nuova, e ne incolpino
il metodo con cui sta condotta: perchè il risen-
tirsi delle sorprendenti conchiusioni è di cervelli
ottusi che sentono il grosso delle cose, e deboli
per tenere la continua fatica del metodo geome-
trico; col quale innumerevoli verità escono me-
ravighose in Matematica, le quali pur sono per
quella via dimostrate. D' intorno ad altri luoghi
che V. P. Reverendissima mi comanda di sugge-
rirle valevoli a più screditare Livio e Dionisio
circa la favola delle leggi delle XII Tavole ve-
nute di Grecia, se ne sono arrecati molti nel ma-
noscritto che aspetta la terza impressione: ma mi
piace di scrivergliene uno che mi è venuto in-
nanzi nel tempo istesso che ho ricevuto la vo-
stra lettera, il quale io stimo gravissimo; mentre
rileggendo per mio profitto Polibio ^ autore che
SCRITTI SCIENTIFICI f6i
senza contrasto più seppe di Politica, che Livio
e Dionisio, e fiorì dugento anni più vicino a' De-
cemviri, che Dionisio e Livio, egh nel hb. VI al
iium. IV e molt* appresso, dell'edizione di Giacomo
Gronovio, a pie fermo si pone a contemplare la
costituzione delle RepubbHche libere più famose
de' tempi suoi : ed osserva la Romana esser di-
versa da quella di Atene e di Sparta, e più che
di Sparta esserlo da quella di Atene, dalla quale
più che da Sparta i Pareggiatori del Gius Attico
col Romano vogliono esser venute in Roma le
leggi per ordinarvi la libertà: ma osserva al con-
trario somigliantissime tra loro la Romana e la
Cartaginese, la quale ninno mai si è sognato es-
sere stata ordinata hbera con le leggi di Gre-
cia. Ed uno scrittore sapientissimo di Repubbli-
che non fa sopra ciò questa cotanto naturale e
cotanto ovvia riflessione, e non ne investiga la
cagion della differenza, le Repubbliche Romana
ed Atene se diverse, ordinate con le medesime
leggi, e Repubbliche Romana e Cartaginese si-
mili, ordinate con leggi diverse? Laonde per as-
solverlo di un'oscitanza si dissoluta, è necessaria
cosa a dirsi che nelf età di Polibio non era an-
cor nata in Roma cotesta favola delle leggi greche
venutevi ad ordinare il governo libero. Il luogo
finalmente di Livio eh' ella da me desidera, egli
è uno de' molti che nella terza edizione sarà il-
lustrato. Diciamo che Livio nel principio della
seconda (cartaginese professa di scrivere la Storia
Romana con più certezza, perchè dandole un par-
ticolare proemio, professa, bellum maxime me-
morabile omnium, quae unquam gesta sunt, me
ò'cripturum : e in conseguenza per tanta incompa-
rabil grandezza ne debbon essere più certe le me-
Vico , Ofm.u'oU. 1 1
iGa PARTE I. SCRITTI SCIENTIFICI
morie che dell'altre cose romane innanzi minori:
e pure professa di non saperne tre grandissime j
circostanze: I. i consoli sotto i quali Annibale da
Spagna prese la volta d'Italia 5 II. per quali Alpi
vi scese; III. con quanto esercito, di che trova
negli Annali un infinito divario. E qui fo fine,
facendole umihssima riverenza.
•9m al yJji)3 u
GIUDIZIO
INTOBJ»0 ALLA GRAMMATICA DI AnTONIO d'A RONNB
La Metafisica è una scienza la quale ha per og-
getto la mente umana. Onci' ella si stende a tutto
ciò che può giammai pensar F uomo. Quindi ella
scende ad illuminare tutte le arti e le scienze che
compiono il subbietto dell' umana sapienza. Le
prime tra queste sono la Grammatica e la Logi-
ca: l'una che dà le regole del parlar dritto, l'al-
tra del parlar vero. E perchè per ordine di na-
tura dee precedere il parlar vero al parlar dritto 5
perciò con generoso sforzo Giulio Cesare della
Scala, seguitato poi da tutti i migUori Gramma-
tici che gh vennero dietro, si diede a ragionare
delle cagioni della lingua latina co' principj di Lo-
gica. Ma in ciò venne fallito il gran disegno, con
attaccarsi a' principj di Logica che ne pensò un
particolare uomo Filosofo, cioè colla Logica di
Aristotele, i cui principj essendo troppo univer-
saH, non riescono a spiegare i quasi infiniti par-
ticolari che per natura vengono innanzi a chiun-
que vuol ragionare di una Hngua. Onde Francesco
Sanzio, che con magnanimo ardire gli tenne die-
tro nella sua Minen^a, sì sforza colla sua famosa
Ellissi di spiegare gì' innumerabili particolari che
osserva nella lingua latina; e con infelice succes-
so, per salvare gfi universali principj della Logica
di Aristotele, riesce sforzato e importuno in una
quasi innumerabile copia di parlari latini, dei quali
crede supplire i leggiadri ed eleganti difetti che
la hngua latina usa nello spiegarsi. Ma il quanto
acuto tanto avveduto Autore di questa novella
Grammatica ha ridotto tutte le maniere di penr
i64 PARTE !..
8are^ che nascer mai possono in mente uninna
intorno la Sostanza, e le innumerabili varie di^
verse modificazioni di essa, a certi principj me-
tafisici così utili e comodi, che si ritrovano av-
verati in tutto ciò che la Grammatica latina pro-
pone nelle sue regole e nelle sue eccezioni. Il
frutto di una sì fatta Grammatica è grandissimo,
perchè il fanciullo, senz' avvedersene, viene infor-
mato di una Metafisica, per dir così, pratica, con
cui rende ragione di tutte le maniere del suo pen-
sare; appunto come colla Geometria i giovani, pur
senz' avvedersene, apprendono un abito di pensar
ordinatamente. Per tutto ciò, secondo il mio de-
bole e corto giudizio, stimo questa Grammatica
degna della pubblica luce , siccome quella che
porta seco una discoverta di grandissimi lumi alla
repubblica delle lettere.
SCRITTI SCIENTIFICI l65
GOMITI ANTONIO COPPOLik
/. B, Ficus s. d.
Duo mihi videntur dubietatum genera, Amice
I suavissime, et alterum ex ingeiiii acumiiie, alterum
f ex rerum ignoratione proficiscì. At vereor ne tua
^ percontatio de Biscardiani Responsi epigraphe in
nac postrema Y.cLzzyoptcL contineatur. Eius enira li-
bri epigramma ita conceptum est: Epistola prò
u4ugustissimo Philippo Hispaniarum Rege, in qua
et jus ei assertuin, et omnia confutantur, quae
prò Investitura Regni Neap. ab Austriacis af-
feruntur: in quo sane sì pars illa orationis et jus
ei assertum vulgari ellipsi verbi est suppleatur;;
in Latio prorsus peregrinari videtur, qui ex iis ver-
bis hanc non assequatur sententiam: quod eà epi-
stola et jus in Hispaniensem Monarcbiam Philippo
asseritur, et omnia confutantur ec. quae ab Au-
striacis afferuntur : coque raagis quod Epistola
panilo ante dicitur prò Philippo scripta. Quam-
ombrem tantum abest, ut quid absurdi in eo ti-
tulo subsit, ut qui ejus vicii Biscardura insimulare
Telit, ipse mihi mentis omnino absurdae videatur.
At si dixeris lìbrorum propositiones quam maxime
perspicuas esse oportere, ne lector offendat in ipso
limine: in re atque natura recte dixeris, ut in pro-
posilo nullus dixeris. Nam ejusmodi ellipsis adeo
irequen^ apud probatos scriptores est usus, ut ubi-
que prostet. Atque in ejus rei argumento cuni
mihi literae tuae dalae sunt, tum ego initium li-
bri XXI Historiae Livianae animi caussa legcbam ,
et numero Hannibahs iconem, ejusque primam ex-
peditionem ubi auctor scribit: Cibi potionisquc
desiderio naturali non \>oluptatc modus finita^-.
l66 PAKTF. !.
supple erat; quam mox, id quod rebus gerendis
superesset quieti datum^ supple erat; et e vesti-
gio: eaque neque molli strato, neque silentio ac-
cersitay supple erat; et paucis interiectis: P^ere
primo in J^accaeos permotum^ supple est. Atque
haec intra uiiius pagellae ambitum apud scripto-
rem qui neque j ut Tacitus, loquitur praefinito,
neque caesim uti Sallustiusj sed qui scriptionis ge-
nere excellit maxime perspicuo et affluenti. Pro-
inde desinas nodum in scirpo quaerere, ut aiunt:
et Te digna, et magis ex usu disputanda porro
proponas. Vale, multumque vale; et qua plurima
salute ego Te, Tu meo nomine praeclarissimos Vi-
ros Patrem Avulumque tuum impertias. — Neap.
Ili kal. septembris cidiocciii. — ' Amo Te pluri-
mum de optimis pomis et afFatim ad me missis.
LETTERA DEL CARDINALE LORENZO CORSINI
Roma, 20 luglio 1726.
Nella visita che io feci ultimamente della mia Dio-
cesi di Frascati, mi occorse di metter mano a molte
esorbitanti spese, per le quali ho fin dovuto restrin-
gere alcune altre che qua prima io soleva usare con
qualche larghezza. Su questo confìdenzial motivo, che
apro alla buona estimativa di V. S., mi riprometto il
di lei cortese compatimento, se non ho modo, come
per altro bramerei, di secondare la sua istanza. Gra-
dirò bensì ch'ella me ne porga l'adeguato compenso
coir impiegarmi in altre occasioni di suo vantaggio^ e
le auguro per fine ogni maggior prosperità (i).
(i) Dietro di una tal lettera sono scritte di carattere di
Vico le seguenti parole. « Lettera di S. E. Corsini, che non
u ha taccila di sonirninistrare la spesa della stampa dell' O-
« pera precedente alla Scienza Nuova, onde fui messo in ne-
u (essila di pen;syr a questa dalla mia povertà, che restrinse
SCRITTI SCIENTIFICI 167
DEL MEDESIMO
Roma, 8 dicembre i^^S,
Con quel gradimento che può V. S. creder maggiore
ho ricevuto gli esemplari ch'ella gentilmente ha voluto
inviarmi ào* Principi della Nuoi^a Scienza intorno alla
natura delle nazioni da lei ultimamente dati alla luce:
opera al certo che per antica dignità di lingua e per
solidezza di dottrina basta a far conoscere che vive an-
che oggi negl'Italiani spiriti, non meno la nativa par-
ticolarissima attitudine alla buona eloquenza, che il ro-
busto felice ardimento a nuove produzioni nelle più
diffìcili discipline. Io però nelPistesso tempo che seco
me ne congratulo, e con cotesta sua ornatissima pa-
tria, posso ancora assicurarla che io già l'ho incomin-
ciata a leggere con quella attenzione e diletto che me-
rita la gravità istessa dell'argomento, ed il credito del
riguardevole autore: verso cui l'affezione già in me
nata da preventiva stima, ha preso anche nuovo augu-
mento per la legge di gratitudine, dacché egli, non
contento d'indirizzare a me la dedica dell'opera di
tanta fama , ha voluto anche mostrarmisi cortese nella
largita del dono di essi esemplari. Da questi senti-
menti può V. S. ben ravvisare la qualità della grata
mia riconoscenza, e ripromettersene altresì i propor-
zionati effetti, ove mi somministri ella, come desidero,
le convenevoli aperture da impiegarmi in cose di suo
servigio^ e le auguro intanto ogni maggior felicità.
u il mio spirilo a stamparne quel libricciuolo, traendomì un
tt anello che avea, ov'era un diamante di cinque grani dì
tt purissima acqua ^ col cui prezzo potei pagarne la stampa, e
u la legatura degli esemplari del libro» il quale perchè me '1
« trovava promesso a divulgarlo, dedicai ad esso signor Cat-
« dioale. »
i68
PARTE I.
AL CARDINAL LORENZO CORSINI
Napoli, i5 dicembre i^aS.
Con ruminazione più ossequiosa m'inchino a
professare a V. E. gl'infiniti obblighi per l'altezza
dell' animo onde ha essa degnato con sensi sì ge-
nerosi e proprj della vostra grandezza ricevere la
mia Opera e me nella vostra potente protezione:
talché benedico ben venticinque anni da me spesi
nella meditazione di siffatto argomento j ed in
mezzo le avversità della mia fortuna ^ e le remore
che mi facevano gli esempli infelici degl'ingegni
che han tentato delle nuove e gravi discoverte ,
abbia io menato tant' oltre la vita, che portassi
a compimento questo lavoro, che mi ha prodotto
il merito, o, per meglio dire, la buona ventura
di compiacersene un Principe di santa Chiesa di
tanta sapienza, di quanta la fama da per tutto
con immortali laudi la celebra. Con l' istessa umiltà
di spirito supplico V. E. a seguitare di proleggermi
e continovarmi l'onore, onde mi pregio, profon-
damente inchinandola, di rassegnarmi per sem-
pre, ec.
AL MEDESIMO
Nafpoli, 36 dicembre i^jaS.
11 chiaro e distinto onore di cui TE. V. beni-
gnamente si è degnata colmarmi, essendosi com-
piaciuta di gradire con una generosità propria
della vostra grandezza un mio umile ed ossequioso
desiderio di consagrare sotto l' alto e potente vo-
stro patrocinio un debol parto del mio scarso in-
gegno, che sia per uscire alla luce, acciocché quel
SCRITTI SCIENTIFICI 169
«redito ehe F opera in sé stessa non ha per il
poco pregio dell'autore, possa sicuramente con-
seguirlo col portare nella sua fronte lo splendore
del luminosissimo nome vostro , mi dà ora lo spi-
rito di non perdere un'onorevole occasione di
dare a V. E. una piena testimonianza del mio animo
umile e riverente, di annunziarle propizio questo
giorno tanto per noi segnalato e memorabile , au-
gurandoglielo con que' più fervidi voli che l* animo
mio può concepire, continuato da una lunghis-
sima serie d'anni per la felicità della cristiana
Repubblica; sperando che l'È. V. con quell' istessa
grandezza d' animo colla quale anticipatamente si
è compiaciuta della mia tenue ossequiosa offerta,
voglia gradire questi miei sinceri sentimenti, men-
tre io profondamente inchinandola mi rassegno
umilmente per sempre, ec.
LETTERA DEL CARDINALE LORENZO CORSINI
Roma, 19 gennajo 1751G.
Non s'inganna punto V. S. nel credermi disposto con
tutto l'animo a promuover sempre le maggiori conve-
nienze della di lei persona e casa^ e può ella esser an-
che persuasa che io proverei sommo piacere di corri-
spondere cogli effetti stessi a questa sua giusta opinione.
Ma nel particolare per altro del far conseguire qualche
benefizio a cotesto suo signor Figliuolo , io v' incontro
delle difficoltà pur troppo contrarie al suo ed al mio
desiderio^ imperciocché, oltre all'età assai tenera di
esso Figliuolo, che può fare non piccolo ostacolo, vi ò
da considerare ancora che si trovano in oggi nel Pa-
lazzo Apostolico tante persone di Regno, che non si
tosto vaca qualche cosa, che già prima assai della va-
canza scntesi la provista. Deve V. S. nondimeno esser
certa che dove a me se ne presenti qualche buona apcr-
ino PARTE 1.
tura, non mancherò di averne ogni più sollecito ed
affettuoso pensiere: e le auguro intanto dal Signore co-
AL CARDINAL LORENZO CORSINI
Napoli, 20 febbrajo i'j'ìG,
Rendo a V. E. le più umili grazie che io so e
posso della benigna efficace volontà che ha di
consolare me e questa mia povera casa con un
qualche beneficio , onde possa elencarsi un mio
figliuolo e vostro servo , per nome Gennaro: ma
l'alta idea che si ha da per tutto della rara ge-
nerosità che cotanto la distingue tra' Principi,
deve rendermi persuaso che il differimento del-
l'effetto egli nasca dall'impossibile. Mitigo però la
mia avversa fortuna fi-attanto con la speranza,
anzi fiducia di vivere sotto la vostra potente pro-
tezione, e per di lei somma pietà di esser tenuto
presente alla sua pregiatissima grazia. E col più
umile rispetto inchinandola, profondamente mi
rassegno per sempre, ec.
A MONSIGNOR GIOVANNI BARBA
IN RISPOSTA all'opera DAL MEDESIMO INVIATOGLI
SUL METODO DELLE LINGUE
STAMPATO IN ROMA NEL lyS^
Napoli, 27 agosto i^SS.
Io rendo grandi grazie a V. S. Illustrissima della
vantaggiosa opinione che ha del mio poco merito,
maggiori del gentil ufizio passato meco di congra-
tulazione per l'onore che mi ha S. M. compartito
SCRITTI SCIENTIFICI I «J I
(li SUO Storiografo, grandissime per lo prezioso
dono da lei fattomi del primo libro d'intorno al-
l'Arte e al Metodo delle Lingue; nel quale pro-
pone la magnanima impresa di dare una certa
scienza di parlare colto non che emendato in
tutte le lingue più riputate morte e viventi; e
ne ragiona gli apparecchi con uno stile dotto,
erudito e saggio, pieno d'ornamento e splendore.
Io mi rallegro con la nostra comune patria d'aver
dato un ingegno sì vasto che abbia preso a trat-
tare così grande argomento che, riputato per sua
natura infinito, ha spaventato i dotti ad appli-
carvi F attenzione. Confido nella di lei gravità,
che la porterà gloriosamente a fine negU altri due
che promette, ed io sto ansiosamente attendendo;
e facendole ossequiosa riverenza mi confermo, ec.
A GIUSEPPE PASQUAL CIRILLO
(1738)
Voi, per quel singolare amore che mi portate,
vi siete jeri compiaciuto di comunicarmi privata-
mente la bellissima Orazione che vi è stato ordi-
nato di recitare nella nostra Università, ove sarà
una pubblica rimostranza d' ossequio nell'occasione
che 'l nostro Re si è impalmato alla Principessa
Real di Polonia. L'argomento sono Nozze Reali,
e li Re sono la cosa più sublime che ammirano
e venerano le nazioni sopra la terra; e le nozze
altronde sono l'azione più gaja ed ornata che ce-
lebrano gli uomini nella vita. Voi con saggio tem-
peramento avete concepita e tessuta la vostra pre-
gevolissima Diceria di concetti grandi insieme,
ameni, robusti e teneri, gravi e leggiadri; e l'a-
vete vestita d' una locuzione scelta raa non ricer-
1^2 »ARTE I.
eata, naturale ma nobile^ dotta ma che non sa
nulla affatto di scuola, e sembra nata in una bel-
lissima Corte. Io mi rallegro con esso voi di co-
testo bel parto del rostro pronto e purgato in-
gegno; e ve ne auguro molta lode, e molto più
da coloro i quali son usi di gustare la grandezza
della romana e la delicatezza altresì della greca ^
delle quali avete fatto un bel misto nella nostra
italiana favella 5 ed umilmente vi riverisco (i).
FRANCISCO SERAO
VIR. CLARIS. PUBLICO MEDICINìE PROFESSORI
/. B, Ficus S. P. D.
Liberant fidem suam qui ad solvendum aliquo
juris vinculo sunt obligati; at Tu, Vir clarissime,
prò tua singulari benignitate erga me mihi misisti
quae de Phalangio Apulo hactenus edideras. Ea
tuae feracissimae menti, et mira doctrinae et eru-
ditionis suppellectile abunde instructae panca vi-
dentur, et plura mittere voluisses si per aliena ne-
(1) Si 11 Vico che G. P. Cirillo appartenevano all'Accademia
di D. Nicola Salerni: narra il Giustiniani che « una volta es-
f» sendosi tenuta quest'Accademia in casa di D. Isabella Masilli
« duchessa di Marigliano, parlò il Cirillo delle maschere da
*t commedia e tragedia che usavano gli antichi, ed essendo
« voce che il dottissimo G. B. Vico avesse di molto criticato
« un tal suo ragionamento. Saputosi ciò da esso Vico, scrisse
€( una lettera al Cirillo in data de' 3o agosto lySS, colla quale
« gli palesò il dispiacere di una così falsa voce, ed avvisollo
« che egli altro non disse che poteansi aggiungere tre cose che
« forse a cagione di brevità egli tralasciate avea , cioè i.° in-
«I torno alla prima maschera cìie dovette trovarsi nel mondo
« e sostenere che fosse quella di satiro; 2." sull'etimologia della
« voce persona} 5." intorno alla difficoltà d'intendere, come^
M nelle favole drammatiche greche e latine gl'istrioni diceansi
ù cambiar sembiante quando che recilavan mascherati, w Giusi,
voi. I, pag. i54i
$CK1TT1 SClliNTIFlCl 1^3
ììtSL quibus distrahi, ac distineri vis, Tacere li-
lisset. Sed isthaec magis laus, quam excusatio
ibenda est. "Ea enitn egregi! operis partìcula tanto
igenio, tantoqiie judicio est pertractata , ut qui Te
rgnorant, in nulla alia re occupatum putaverint.
At enini videris aut tuòs divinos mentis partus
nedum contemnere, graviter sane odisse, aut me
nullum omnino doctorum hominum sensum ha-
bere, qui postulas, ut pulclierrimum nitidissimum-
que opus emendationum notis deturpem. Neque
quod in hac iniqua re tibi non obsequor, idcirco
de animo in Te meo quicquam dubites: et istam
suspicionem differas tantisper quaeso, dum Rep,
Literariae universae censuram de edita Disserta-
tione, ut confido honorificentissimam referas. Dul-
ciariorum suave munus mihi pergratum fuit, tum
ipso mancipio, tum a tali Viro ad me missum:
et quod dulcia Medici dicant vilescere, id pace
dicam tua magis argute, quam acute a Te dictum
interpretor, scilicet ut luae amabilissimae Disser-
tationi injurius irascerer. Igitur quam vere et se-
vere Pbalangi Apuli naluralem historiam scribis,
tuum ipsius animum consule, et certe scias quam
in tuto tua doctissimi viri fama sita sit. Vale pe-
ritissima Sopbiae Medulla.
^4 PARTfi I.
Iscrizione con la quale ii Vico accompagnava
^ un esemplare dell' Opera De Universo Iure man^
dato in dono al principe Eugenio di Savoja,
I SANE CODEX
OMINE FELICISSIMO LVCVBRATVS
QVI
OMNIVM QVOTQVOT FVERVNT QVOT SVNT ERVNTQVE
MAXIMVM BELLI IMPERATOREM
evi PAR KM
NEC SAPIENTIA VNQVAM GENERE IPSO DESCRIPSIT
NEC MVSAE VNQVAM LAVDARVNT SATIS
MVSARVM SAPIENTIAEQVE OPERA VERSANTEM
QVVM A BELLIGIS GVRIS OCIARI LICET
DE IMO IPSIVS REGIAE BIBLIOTHECAE LOCO
FORTVNATVS VIDEBIS
SI IS TE CONSPEXERIT FORTVNATIOR
SI IN MANVS SVMPSERIT FORTVNATISSIMVS
AT lìERCVLE SI QVANDOQVE LEGERIT
PARIES IMMORTALITATEM AVCTORI
RISPOSTA
Vienna, 29 agosto 172.4.
Siccome il signor Abate Garofalo ha, in conformità
di quanto lo incaricai, passati presso di lei in mio nome
gli uftìcj di ringraziamento per l' Opera virtuosa di cui
ha voluto favorirmi la cortesia sua ^ cosi con la presente
le ne confermo l'obbligo che mi corre seco, e ne la
ringrazio nuovamente anche per le espressioni partico-
lari che leggo nella lettera sua in data de' 25 scaduto.
E qui desiderando aperture di potermi impiegare nelle
di lei occorrenze, le bramo frattanto ogni più compito
bene, e sono con parzialità, ec.
SCRITTI SCIENTIFICI 1^5
LETTERA DI GIO. ARTICO CONTE DI PORCIA
Porcia, a aprile 1728.
Il merito sommo di V. S. Illustrissima, più che i miei
buoni uffìzj, ha contribuito a conciliare a lei l'ami-
cizia e la stima del P. Lodoli e del signor Abate Conti.
Questi due soggetti dottissimi si pregiano al pari di me
d'essere entrati in possesso del di lei amore, e si fanno
gloria di promuovere la fama della di lei virtìi, e '1
divulgamento delle di lei produzioni di spirito, che
tanto onorano la Filosofia italiana. Farò intanto sapere
al P. Lodoli le difficoltà addotte a V. S. Illustrissima
da cotesto signor Residente Veneziano intorno al rica-
pito delle di lei note ai Principj della Nuova Scienza,
e son certo ch'egli si studierà la maniera di trovarvi
il compenso, perchè giungano a noi sicure le note
accennate. Sino a che arrivino queste non si perderà
tempo nel far pubblicare la storia della di lei vita e
studj , perchè questa serva di norma a chi vorrà aju-
tarci a proseguire quest' Opera , che, se l' amor de' miei
pensamenti e trovati non m'inganna, vuol riuscire di
profitto e di gloria alle lettere italiane. Alla storia stessa
farò aggiungere le correzioni, le quali V. S. Illustrissima
mi propone nella sua gentilissima lettera de' 1 o del ca-
duto marzo , siccome pure le protestazioni che la di
lei modestia m' insinua. Io spero che ogni cosa riuscirà
a di lei maggior gloria, e soddisfazione a me, che de-
sidero ardentissimamente promosso e divulgato il di lei
merito e nome, e desidero pure qualche suo comando,
in eseguendo il quale possa far conoscere che vera-
mente sono con tutta la stima, ec.
1^6 PARTK
LETTERA DEL V, MICHEL ANGELO DA REGGIO
LETTOR CAPPUCCINO
Rispondo alla geatilissima e a me carissima lettera,
di cui V. S. Illustrissima con sì bel cuore mi ha favo-
rito, essendomi stato un bel conforto, giunto appena
in patria, trovar grazie così distinte, per le quali sem-
pre più obbligato me le protesto. Mi sono molto bene
avveduto ch'ella cogli amici e padroni tutti hanno pre-
gato per me, perchè ho avuto un viaggio felicissimo,
a riserba di una stanchezza incomparabile da sì lungo
viaggio. A i8 giugno giunsi in Modena, dove fui a ri-
verire il sig. marchese Orsi e '1 sig. Muratori , i quali
unitamente le rendono i più cordiali saluti, avendo gra-
dito quest'atto al più alto segno ^ e si è fatta lunga e
degna rammentazione delle sue rare virtù e del suo
alto merito, e delle finezze meco praticate. Lodo senza
fine di sentire il buon esito del di lei scorbuto, e della
felicissima cura che si fa al gentilissimo e amabilissimo
P. D. Roberto Sostegni, a cui, come presso degli altri
amici a lei ben noti, è pregata di portare i miei più
ossequiosi e candidi rispetti. Il Signore prosperi V. S. Il-
lustrissima, e tutta la sua carissima famiglia^ e mi ral-
legro che la signora D. Luisa sia andata a godere della
buon'aria^ ma vi vada ancor ella, secondo mi promi-
se, e mi riverisca tutti di sua casa dal primo all'ul-
timo, perchè tutti e singoli porto nel cuore. Sentirò
con particolar piacimento continue nuove di lei, e del
libro suo che si dee stampare in Venezia, che esito
abbia avuto. La famosa Raccolta del sig. Cranio de
Iosa di Potenza stampata dal Muzj (secondo che egli
bugiardamente asseriva) per ora non si è ancor veduta,
e ne dovea trovare a centinaja le copie e in Roma e
in Livorno: oh quante bugie mi ha vendute cotesto
buon signore! tante che vi vuol mettere la carestia:
SCRITTI SCIENTIFICI I^^
gli farò però tra non molto penetrare i miei senti-
menti di amorevol doglianza, perchè si sia preso scherzo
di me , credendomi o sì credulo o si sempUce , che non
avessi divisato da principio il suo doppio procedere:
buon per noi che ha trovato in V. S. Illustrissima il
rovescio della medaglia, come dir si suole, e mi ha
favorito con gentilezza e sincerità da suo pari. Accludo
Ja presente al M. R. P. Guardiano de' Cappuccini , per
mezzo di cui perverrà alle di lei mani^ e per non abu-
sarmi della sua sofferenza le rinnovo il mio rispetto e
la mia servitù, protestandomi sempre senza fine, ec.^
LETTERA DEL P. TOMMASO MARIA ALFANI
y
Napoli, 17 giugno 1734.
All'Illustrissimo signor D. Giambattista Vico fa os-
sequiosa riverenza Fr. Tommaso Maria Alfani, e gli fa
sapere che per le sue crude indisposizioni, che da molto
tempo a piacer di Dio lo travagliano, non gli è stato
fatto di poter leggere l'aurea e ben scienziata opera
de' cinque libri della Scienza Nuova prima di alcuni
giorni^ che con ansia somma l'ha domandata al si-
gnor D. Paolo Emilio Marocco gentiluomo di CajazzOj
di assai gusto purgato e suo buon amico, da cui l'ha
avuta con molte postille in margine fatte fare dallo
stesso sig. D. Giambattista al fratello di esso D. Paolo
Emilio, D. Giulio Cesare. Ha letto-, riletto e per la terza
volta tornato a leggere la spiegazione della ben ideata
dipintura o sia Tavola, a similitudine di quella di Ce-
bete, dov'è l'idea tutta dell'Opera^ e siccome sorti ad
Alfonso I nostro re, che colla lettura di Tito Livio
sollevandosi il di lui animo, e riscaldatoglisi il sangue
rappigliato, e mettendosi in moto giusto ed eguale^
fece che cessasse quasi di subito una fiera febbre che
cruccìavalo, la quale, secondo il Silvio, non da altro
che dal rappigliarsi il sangue sortisce, e in questo modo
non poco altri malori son cagionati y cosi ^gU è ad-
Vico, Opuscoli, la
178 PARTE I.
divenuto a Fr. To4iimaso Maria, il quale in leggendo
cose cosi riposte, così varie e così ben trattate, per-
chè nascono con tutto il geometrico metodo le une
dalle altre, e si inanellano in modo che formano una
bella catena, nel tempo che le leggeva niun dolore
per lo miserevole suo corpo sentiva^ e poscia gli si
sono gli spiriti così ravvivati, che senz'apportargli in-
comodo il suo grave malore è quasi ito via, ha po-
tuto seguitare felicemente la lettura delle Annotazioni
alla Tavola Cronologica, colle quali si è chiarificato e
tratto fuori da maggiori dubbi che in Cronologia egli
avesse, de' quali né il Petavio, nò il Labbé, né lo Scali-
gero, uè l'Usserio l'avevano appieno soddisfatto, quanto
ora si vede dal sig. D. Giambattista ammaestrato: per-
chè dovendo la Cronologia servir di base alla Storia
e di piede, se ella non è stabile e ferma, di facile
faralla crollare: ed egli è assai verissimo ancora, che
non distinguendosi bene i tempi, e con essi i costu-
mi, è agevole a fare idee ingannevoli, e che mettano
in confusione le cose tutte , come , a cagion di esem-
pio, di essere stati i Persiani vinti sotto Alessandro
simili a' vincitori sotto Ciro ^ che la Grecia fosse stata
tanto libera nel tempo di Filippo quanto in quello di
Temistocle^ che il popolo romano fosse si fiero sotto
gl'imperatori che sotto i consoli^ e simili cose, che
per l'oscurità cagionata dalla secchezza della Crono-
logia, e molto più dalla poca avvertenza di chi l'ha
trattata, fanno la Storia intralciata di molto, che non
poco danno ne può avvenire, essendo nella Storia la
Politica in buona parte fondata.
Come ha sommamente goduto nel leggere questo
poco, e se n' è in molto approfittato^ cosi fermamente
si assicura e promette di godere e maggiormente ap-
profittarsi nel leggere il restante dell'Opera, nella qua-
le, per quello che va scorgendo, vengono con tutta
distinzione e chiarezza appianate le cose che dotta-
mente sono toccate nel libro non meno dotto De Con^
stantia Philologiae^ e la Mitologia e la Filologia ne
vengono assai rischiarate, togliendosi loro quelle fan*
SCRITTI SCIENTIFICI I79
tastiche ed insulse interpretazioni che i Mitologi e i
Filologi sinora hanno fatto secondo il capriccio , o ,
per meglio dire, il ghiribizzo loro dettava.
E perchè non altro egli può, non lascerà di pre-
gare il sommo Iddio acciocché si compiaccia donare
al sig. D. Giambattista vita lunga e sana e felice, per-
chè possa da di in dì colla feconda sua mente ren-
dere chiara ed illustre la nostra Italia a benefìzio della
scienziata Repubblica , e consolazione sempre più de'
suoi buoni amici , servitori e discepoli , tra quali egli
è uno che con tutta divozione gli bacia le mani.
DEL MEDESIMO
Napoli) 23 luglio 1739.
Air Illustrissimo sig. Giambattista Vico fa ossequiosa
riverenza Fr. Tommaso M. Alfani, e presentandogli i
saluti del sig. Marchese di Salcito, il quale con ispe-
cialità in una lettera di quest'ordinario glie l'impone,
gli manda aucora da sua parte il qui acchiuso Sonetto
da lui fatto per volerlo fare stampare all'ultimo delle
sue Poesie, che ora dal detto Marchese si stampano,
acciocché il signor D. Giambattista ci faccia la sua ap-
provazione, avendolo prima col fino suo giudizio esa-
minato. Fra Tommaso poi ha già letto per la terza
volta la Nuova Scienza^ ed in parola di verità. Iddio
n'è testimonio, gli dice che si vede uomo nuovo, di-
spiacendogli solamente che non ha l'antica forza e vi-
gore, e non è fornito di quell'ingegno, acciocché, più
se ne potesse approfittare. oitiwp
Egli dà fuori le Poesie del Marchese, e vi fa^ uìi^
lettera a' lettori per vendicare la poesia cotanto da al-
cuni malmenata^ ed in questa si serve delle espressioni
del sig. D. Giambattista sempre che gli sono in accon-
cio, e non poche volte. La priega però chiarirlo come
s'intende ciò che nella pag. 869 della Nuova Scienza
sta scritto, che i Poeti non siano Metafisici, o secondo
l80 PARTE I. SCRITTI SCIENTIFICI
l'espressione che vi è: « essere impossibil cosa che al-
it cuno sia Poeta o Metafisico egualmente sublime » (i):
e questo perchè egli parlando nella detta lettera a' let-
tori intorno al furor poetico, lo stabilisce non essere
altro che un pensare metafisicando sopra di qualche
oggetto, per formarne poi le immagini verisimili, le
quali fanno il bello poetico. Ma di questo aspetta me-
glio esserne ammaestrato dal signor D. Giambattista, a
cui riverentemente bacia la mano da suo buono ed af-
feziona tissimo servitore.
LETTERA DEL CARDINALE TROIANO ACQUAVIVA
Roma, 3i dicembre 1743.
Qualunque dimostrazione io mi possa fare verso V.
S. Illustrissima, non giungerà certamente a quanto il
suo merito e '1 suo profondo sapere richiede. Ella si è
resa colle sue virtuose fatiche nella letteraria repub-
blica cosi ragguardevole , che si può certamente a buona
equità gloriarsi di essere fra i primi annoverato. Spero
intanto aver la consolazione di poterle dimostrare il
desiderio che ho di servirla in tutte le opportunità. E
rendendole ben distinte grazie dell'augurio di felicità
cortesemente avanzatomi, le riauguro da Dio, da cui
ogni nostro bene come da vera sorgente deriva, la pie-
nezza delle celesti benedizioni^ e con la dovutissima
stima immutabilmente mi confermo, ee.
t-f^ a RxiiC*l M:^ihu'. l mh iìom
"(i) Nella terza edizione della Scienza Nuova il Vico scioglieva
questo dubbio, alle parole: essere impossibil cosa che alcuno
sia poeta o metajisico egualmente sublime y soggiungendo : ;?er-
chè la metafisica astrae la mente da' sensi, la facoltà poetica
deve immergere tutta la mente ne' sensi: la metafisica s' innalza
sopra agli universali y la facoltà poetica deve profondarsi den»
tro i particolari.
'.»»tr, :i.\\,m
PARTE II.
ORAZIONI ED ISCRIZIONI
ORAZIONI ED ISCRIZIONI
O R AT I O
PRO AUSPICATISSIWO IN HISPANIAM REDITU
FRANCISCI BENAVIDII S. STEPHANI COMlflS
* ATQUE ìN regno ìNEAP. PRO REGE
(1696)
Si, Excellentissime Princeps, prò tuis summis,
praeclaris atque immortalibus beneficiis in no-
strani Givitatem perpetuae utilitatis caussa colla-
tis gratiaSj ut officii ratio postulata omnium ordi-
num nomine agere velimus, veremur ne tuoruia
erga nos meritorum copiae nostra inopia dicendi,
amplitudini orationis exilitas, immortalitali per-
quam breves nobis ad id munus persolvendum
angustiae temporis circumscriptae non parva, immo
maxima ex parte sint detractura. Etenira quae tanta
potest usquam existere ubertas ingenii, quae tam
incredibilis, ac adeo rara divinitas, ut universa
tua, quibus nos ornatos voluisti, promerita si mi-
nus verbis, queat mente saltem, et cogitatione
coniplecti? Quandoquidem ante tua, seu potius.
nostra felicissima tempora obvenerunt certe nobis
clarissimi atque ornatissimi Viri, qui in hoc Re-
gno gubernando potentissimi nostri Hispaniarura
Regis vices ita in aliquo Regiarum virtutum ge-
nere praeclari gesserunt, ut apud nos honestis-
sima sui Vicarii Principatus monumenta relique-
rint. At si eos omnes Tecum conferamus, si omnia
temporis anteacti discrimina cum bis comparemus,
in quibus Givitas nostra undequaque periculi, ti-
l84 PARTE H.
moris atque sollicitudinis piena dudum versala
estj ac ab iisdem a Te singulari studio, atque
opera, summa prudentia atque auctoritate libe-
rata 5 Tu prae ceteris omnibus nostrae Patriae Co-
lumen, Tu nostrorum Civium Servator nobis om-
nibus videris diviuitus obtigisse. Qui, cum in Eu-
ropa universa omnia gravissimo truculentissimoque
bello perculsa ac prostrata jacerent, pacem, otium,
tranquillitatem in hoc Regno, atque in hac UrJ^e,
Regni arce, fovisti, qui crudelissima funestissima-
que peste intra hosmetipsos Regni terminos advec-
ta, ac jam saevire coeptante, aéris salubritatem
coelique clementiam urbibus morbo affectis resti-
tuisti, urbibus a morbo immunibus conservasti.
Qui, cum omnia de meliore nota bonarum artium,
ac utilium scientiarum studia tam misere, tamque
foede jacerent, ut de nominis gloria, cui apud
quamlubet exteram doctissimam nationem compa-
randae innumeri nostrum toto pectore, omni stu-
dio incumbebant, jam liaec Urbs non sine quere-
lae admixtis lacrimis desperaretj optimo litterarum
generi favisti, egregiae civium laudi consuluisti,
summae nostrae Civitatis amplitudini providisti.
Itaque Majores omnes, qui summum istum hono-
ris gradum summa etiam cum laude obtinuerunt,
ea nobis praestiterunt officia, quae Principes, quam-
vis ad id rara atque insigni virtute opus habeant,
tandem aliquando tamen praestare possunt: cu-
jusmodi ea fuere: facinorosae ac infestissimae exu-
lum turmae agros depopulantes, per publicas vias
grassantes, pagos minoresve urbes vastantes extir-
patae omnino ac deletae: Annonam porro omnium
exculentorum poculentorumqueub errimam sartam
tectamque servane: Judices denique ac Magistra-
tus integrae probità tis ac fidei, summae doctri-
nae ac diligentiae, Guriae Foroque praeponere.
ORAZIONI ED ISCRIZIONI l85
Quae quidem optima prioruQi Principum mimerà
vel singula quippe singulos ad summum atque am-
plissimum laudis honorisque gradum extulerunt. v
Tu vero praeter haec omnia officia, ea in nos edam
beneficia contulisti, quae Principes, nonnisi Di-
vina quadam virtute praediti, atque adeo supra
oplimorum Principum conditionem evecti conferre
subditis possnnt. Quibus prò tantis rebus nullum
luculentius honoris insigne , nullum grati animi mo-
numentum perennius Tibi dicare possumus, quam
ipsorummet tuorum beneficiorum memoriam sem-
piternam. Itaque nostra perpetua recordatione, no-
stris sermonibus per omne aevum posteris nostris
quasi per manus tradendis excolemus haec, quae de
Te modo proponimus: Fortissimum ac Sapientis-
simum Principem Franciscum Benavidium ob Gi-
ves Neapolitanos tum a periculosissimo bello, tum
a funestissima peste servatos, atque, ob praecla-
rissimum bonarum litterarum patrocinium suscep-
tum, Patriae Patrem meritissimum extitisse. Modo
a Te maximopere prò tua eximia erga nos mu-
nificentia etiam atque etiam rogamus, precamur-
que, ut tuorum afìfectuum moderatio cedat prae-
clarorum facinorum amplitudini j et lubeat nobis
Tecum singula haec divina beneficia tum ad grati
nostri, cum ad tui magni animi laetitiam excitan-
dam recensere. Quamobrem a primo, et quidem
maximo, quo nostra Givitas a bello servata est,
exordiamur. Semper arbitrati sumus, Princeps Ex-
cellentissime, illud ad Imperia administranda ve-
hementissime pertinere, quam nimirum famae opi-
nionem subditi ac exteri, amici atque hostes de
Principe habeant: eosque in rerum summis regeii-
dis, ceteris praestare, qui auctoritate plurimum
possunt. Idque nobis tuo exemplo mirum in mo-
dum est conlirtuatum^ qui gravissima fullus vir-
l86 PARTE II.
tutis Opinione ad Regiiorum regimen iis semper
temporibus delectus ac missus es, quae Principem
siipra omne cogitaiidi genus in laboribus indu-
strium, fortem in periculis, cautum in consulen-
dOj in agendo expertum desiderarent. Testis est
Sardinia, quae a maximis civilis belli periculis tua
virtute, Consilio atque opera est niirifice liberata.
Testis est Sicilia, quae, cura adhuc tetri, foedi
execrabibsque Mamertinensiuni belli reliquiis vexa-
retur, tuo adventu, praesentià tua tranquillisirao
ocio est restituta. Testis est Neapolitanum Re-
gnum^ at quantae auctoritatis tuae testis est! Bel-
lum supra hominum meraoriam acerbissimum glo-
riam nominis Hispani, innumera Sociorum Prin-
cipum Imperia, sexcentarum Rerumpublicarum sa-
lutem, fortunas denique totius Europae in discrimen
vocavit: prò quo vel propugnando, vel oppugnando
nulla est nostri Orbis Terrarum gens, nullus po-
pulus, nulla natio, quae in arma non ruat. A
Gallis hostibus sunt quaraplures Africae Reges,
est et potentissimus totius Asiae, reliquae Afri-
cae, ac magna ex parte Europae Tjrannus , Tur-
carum Imperator. Pro nostris Hispanis stat Angliae
Rex, stat Batavorum Respublica, stat AUobrogum
Dux, stant plures Summi Germanici Imperii Prin-
cipes. Hinc in Belgio, ac Germania bellum, bel-
lum in Hispania et Gallia, in Italia denique bel-
lum totis viribus, toto conatu committitur. Itaque
nulla in Europa regio est, quam bellum non cor-
rumpat, non perdat, et quasi fiamma non urat:
undique damna, undique calamitates, undique exi-
tia; nihilque tam grave, tam durum, tam acerbum
quod non haec florentissima Orbis Terrarum pars
terra marique perpetiatur. At quis unquam ad no-
stri Regni oras sttepitus armorum advenit? quae-
nam hostilis tuba ad arma ciere viros audita est?
ORAZIO»! ED ISCRIZIONI I87
qiiodnam explicatum signum visum est procinctuin
armorum innuere? Appulit quidera ad nostras Qia-
ritimas oras munitissima Gallorum classis, inimo
etiam in interiori pene mari, et plures dies, et
e regione hujus Urbis est immorata: at quomodo
appulit? quomodo immorata est? non aliter quip-
pe, ac si amicissimorum sociorum tutamen esset
ac propugnaculum. Tantane, Deus immortalis, est
apud hostes de Te opinio, ut adversum eos vel
sola auetoritas tua filmissimi certissimique no-
strum praesidii loco sit, et habeatur? Magna sunt
haec tuae auctoritatis, lubeat proferre, miracula*
at quanto illa providentiae majora! Cura enim Re-
gium iErarium esset pene exhaustum, publica ve-
ctigalia prope essent absorpta , maxima a Te sub-
sidia ad maximum bellum, cujusmodi erat Alpi-
num, mirifice missa sunt, ut arma, armorumque
incommoda omniiio procul a nobis, nostrisque
finibus distineres. An ideo Givitas nostra in ali-
quas rerum diffìcultates conjecta est? an in an-
gustias Regnum redactum? Nil istorum minus.
Immo, incolumi sueta rerum ubertate atque abun-
dantiàj nobis nova vitae commoda, quae qui-
dera tantum in se continent utilitatis, quantum
fortasse nulla res praeterea, tua singularis atque
eximia providentia attulit. Etenim, cum nostratis
peouniae conditio eo falsatorum fraude devenis-
set, ut jam nulla fere esset perpetua aestimatio,
quam eidem Principes maximis permutationum dif-
ficultatibus obvenientes, publica auctoritate dede-
runt; jam una, et quidem potissima ex iis rebus
deficiebat, quae Reipublicae tum domi, tum fo-
ris firmissimi sunt, certissimique nervi ac lacerti.
Tentavit quidem, ut sua stet cuique laus, Excel-
lentissimus Vir Gasparus Haro-Gusmanus novis
falsificata difficiliorìbus typis tanto Givitatis, pri-
/
l88 PARIE Ili
vatorumque incommodo occurrere; verum argenti
tlifficultate exitum res non liabuit. Sed quod Vir
auctoritate clarissiinus , dum pax omnia teneret,
absolvere haud potuit, Tu, maximo bello pre-
mente, ut illud a nobis arceres, ad finem oppido
perduxisti. Et haec tamen, quae de aliis summis
Viris tanquam maxime rara et egregia auctorita-
tis, ac providentiae facìnora dicerentur, vulgaria
suntj ac minora tuae virtutis exempla. lUud enim,
illud tuae incredibilis ac omnino heroicae forti-
tudinis specimen j cui nulla par oratio inveniri
usquam potest, non sine maxima admiratione at-
que summo animi stupore in medium proferamus»
Clarissimus atque Amplìssimus Magister Militum
Didacus Benavidius, cujus ut laudes brevi atque
eleganti verborum ambitu colligamuSj Filius Te
Patre dignus; ea aetate, quae vulgo est judicii ,
prudentiae gravita tisque vel omnino expers vel
plurimum inops , jamjam omnibus Imperatoriis
virtutibus animum mentemque ornans; maximum-
que Hispanorum nomini, ac Regiae Benavidiorum
Genti decus ornamentumque promittens, a Te,
credite Posteri, a Te, inquimus, prò Hispanici
Imperii, atque ita etiam prò publica nostrum om-
nium salute Gallorum hostium furori in Alpina illa
nobis semper detestanda caede devotus est. Et de-
vo visse parum adhuc Tibi visura est, ut satis Regi,
satisque Regnis faceres, iiisi etiam incredibili animi
fortitudine devovisses. Tenemus namque, nec erit
unquam, ut ejus oblivisci possimus; tenemus il-
lam aeternitati monumentorum dicandam oratio-
nem, qua potius, quam Te ipsum, alios de im-
matura, ac satis superque acerba lectissimi Filii
tui morte raoerentes solari solitus es: Te tunc
dqmum Clarissimum Filium vitae, atque aeterni-
tati dedisse, cum prò suo Rege, ejusque Regnis
I
ORAZIONI ED ISCRIZIONI 189
tuendis clarissimam mortem obiret. O Virum In-
ter Heroas accensendum! O Patrem aeterna lau-
datorum virorum laude dignissimum! O Principem
siipra omnes Patriae Patres de Republica meri-
tumj qui totj tantis ac tam praeclaris virtutibus
pacem a ceteris Europae Urbibus, Regnisque aut
iugatam, aut ejectam intra hujus Urbis moenia,
intra hujus Regni terminos asservasti. Ecquod
inajus atque optabilius beneficium ipse Deus Op-
timns Maximus hominibus, dum terras colunt,
conferre potest^ quam pacem*, qua non modo ea
quae aliquo sensu sunt praedita, sed etiam tecta
atque agri laetari videntur? Quid dulcius, atque
gratius, quam otium, quod ita jucundum est, ut
fortissimus quisque vir maximos labores suscipien-
dos putet, ut aliquando in eo vitam degere pos-
sit? Quid denique e Republica magis aptum et
commodum, quam tranquillitas, ad quam tutan-
dam omnes Principum curae, omnes Optimatum
operae , omnia populorum studia sunt ordina-
ta? Veruni ad aliud majus, diviniusque benefi-
cium, nimirum illud quo nos a pestilentia libe-
ratos voluisti, deveniamus. At quod tam grave
ac ornatura oratioiiis genus invenitur, quod, ut
par est, tantum tuae virtutis munus verbis com-
plecti possit? Quandoquidem adhuc recens apud
nos est funestissima memoria crudelissimae illius
cladis, quae quadraginta abbine annis hòc Re-
gniim, atque liane Urbem hominum florentissi-
mam hominibus pene hausit. Vel ipsi enim bisce
oculis non sine amarissimis lacrimis vidimus, vel
a majoribus natu non sine maximo animi dolore
accepimus, pestiferam illam tabem tam misere hoc
Regnum, hanc Urbem afFecisse, ut ubique loco^
rum languentes aegri jacerent, quos, omni coni-
riiunis remedii ac peculiaris auxilii copia despo
IQO PARTE li.
rata, anxii malorum comites angor, moeror ac
gemitus afHigebaiit. Vidisses hic exanimos pueros
supra exanimata parentam cadavera jacerej ibi su-
per natorum corporibus parentes agere animas j
aliosj qui morbi mortisque metu vel etiam suos
visere fugiebant, in ipsa fuga morbum mortem-
que offendere; alios, qui magis pii aegris praesto
erant, in adhibenda ipsa medeiae aut auxilii opera
occumbere. Ita crudelissima pestilentia omnia lo-
ca, ac tecta, complens, nullo corpora humandi ri-
tu, nulla caerimonià servala, innumera funeribus
funera cumulabat. Quamobrem, cura haec tanta
Urbium clades, hoc populorum exitium tam acer-
bum, haec humano generi adeo infensa pernicies
aliquas Apuliae Provinciae Urbes sex abbine annis
afficeret, omnium nostrum animi jacebant, con-
sistebat mens nulla, omnes summo timore, atque
acerba soUicitudine vexabamur, ne miserrima at-
que amarissima prioris pestilenliae exempla reno-
vata videremus. Ncque in Te ipso, sit pace tua di-
ctum, aliquam praesidii aut salutis spera coUocaba-
mus. In ea namque eraraus opinione, humanam
Prudentiam humana dumtaxat negotia regere posse
ita, ut, quae extra bumanarura rerum cursum nobis
e sententia acciderent, ea felicitatis potius eventa,
quam virtutis facinora arbitrareraur. At, Te auctore,
experti suraus, posse tandera aliquando Pruden-
tiam eo- divinitatis accedere, ut elementis etiam
ac naturae inìperaret. Etenim ea argumenta sum-
mis vigiliis et curis, incredibili diligentia atque
opera adbibuisti, ut effrenatum ac praecipitem luis
furorem non intra illam Provinciam dumtaxat, sed
intra illius Provinciae certas Urbes contineres, ac
brevi tempore omnino etiara extingueres. Itaque,
ut primo amplissimo beneficio in nos collato tecta,
bona ac fortunasj ita et hoc aeque maximo con-
ORAZIONI ED ISCRIZIONI 19I
juges, parentes ac liberos retinemus, ut ilio Ur-
bem, ita et hoc vitam: cognoscamus nunc vero,
quomodo alio prioribus non minore norainis fa-
niain retineamus. Ncque parva, ncque parvi pen-
denda, absil tamen rebus dicendis jactatio, sunt
ornamenta , et habentur, quac nostrani inter cete-
ras Orbis Terra rum Urbes praeclaram ac nobilem
faciunt. Primum namque a natura ea cadi clemen-
tia donata est, ut prae omnibus reiiquis haec ora,
haec regio felicis Gampaniae nomen omnium ferme
consensu obtinuerit: ea soli ubertate locuples fa-
cta, ut a fertilitate agrorum, et a varietà te fru-
ctuum Poètarum fabulis Ipcum faciens, Bacchi et
Pomonae certamen sit appellata: ea denique situs
amoenitate praedita , ut nostrae villae a curae
moerorisque cessatione graeca nomina fecerint. Ve-
rum has omnes oraissas facimus laudes, una cum
iis quas eventu felicissime adepta est; quarum
quippe illa non ultima, adeo antiquos Fundato-
res habuisse, ut Historicis ad fabulas confugere
opus fuerit, eamque a Sirene fundatam fuisse nar-
rare. Mittimus descriptionem aedificìorum, et pul-
critudinem; mittimus incredibilem incolarum ac-
colarumque numerum. Quid illa vero necessaria
ac aeterna in virtute posita et locata ornamenta,
quibus Givitatem aliquam spoliare, immo minima
ex parte minuere scelus est, a quo nulla sunt sce-
lera, quae absint? etenim iis nudata Respublica,
non modo nuUius nominis, nuUius famae omnino
ingloria vivit; sed et vivit orani dedecore, omni
turpitudine, omni infamia notata. Quid, inquimiis,
erga Deum Religio, erga Principem Fides, erga
Virtutes, sive mentis eae sint, sive animi, studiura
et amor? Anne aliqua Givitas ita de Religione me-
rita est, ut eidem nostra cedere debeat? An usquani
terra rum, ut hic, tara rara, tamquo mira erga Re-
193 PAllTE IK
ligionem liberal ita tìs ac munificentiae exempla vi-
suntur? Ubi enim tot extant ob venusta tem atque
elegantiam admiratione dignissima Tempia? Ubi
par copia caelati argenti, atque auri sacrorum usui
destinata? Ubi Deo Divisque tot gemmarum ac
vestium oblata pretiosissima munera? Quae omnia
sunt nostri summe religiosi animi luculentissima
firmissimaque argumenta. Nihil insuper est, ut in
re maxime perspicua et aperta immoremur, atque
recenseamus innumeras familias, genti nobilitate
sive pace, si ve bello parta clarissimas, quae no-
strorum Civium erga nostros Principes integram
ac praeclaram fidem luculenter confirmant. At bo-
narum litterarum studia quanta in hac Urbe omni
memoria floruerunt? Quandoquidem vetustissimum
id est nostrae Givitatis decus, non mediocri aut
vulgari, sed optimo atque exìmio quoque artium
scientiarumque genere omni tempore praestare ac
excellere. Etenim ipsis Athenis florentibus pruden-
tissimi ac sapientissimi Gives Romani nostram Ur-
bem Athenas Italicas arbitrati, huc nobiles Ado-
lescentes optimis literis instituendos mittere con-
suescebant. Ejusmodi studia semper nobis usui,
semper delectationi fuere: ab iis nostrae Givitatis
laus excelso illustrique loco semper posita est: per
ea amplissimum honoris locum apud reliquas sem-
per est consecuta: iis denique debet, quam sibi
antiquam atque aeternam famae gloriam compa-
ra vit. Verum quae ex bisce studiis comparata glo-
ria nostram Gi vita tem in praesentia ornaret? qui
honor nostros Gives tueretur? quae laus nostra
nomina efTerret? quae delectatio animos nostros
afficeret? qui denique usus nobis omnibus esset,
nisi scientissimus atque acerrimi Vir Princeps ju-
dicii nos in ter quasi e caelo divinitus descendis-
set, et praeseiitissitouiii, bi^jusmodi studiorum pa-
ORAZIONI ED ISCRIZIONI IqS
trocinum suscepisset? Quid nos igitur non hoc
potissimiirn inter tua maxima beneficia accepta
referimus; cum haec vera atque immortalia no-
strae Civitatis ornamenta optimorum studiorum
ope acquisita, nostrae Givitati, Te Patrono, sint
conserviita? Tu enim bonas literas ad Te, utpote
ad suum praesidium confugientes, amplexibus ex-
cepisti; Tu summa auctoritate in tuo sinu fo visti 5
Tudoctissimo judicio in Republica confirmasti. Ete-
nim in hujusmodi studiis honestandis adeo explo-
ratum est, Te nullum beneficii genus praetermi-
sisse, ut praeclarissimos eodem studiorum genere
viros maximis honoribus gerendis proponeres. Et
dubita tur adhuc, eos, qui rebuspublicis praesunt,
optimo quoque Scientiarum genere apprime imbu-
tos ac eruditos esse oporterej cum nonnisi doc-
tissimus ac eruditissimus Princeps bonas litteras
summa cum earum laude intra hanc Uibem tueri
poterat, et nostrorum Civium famam, nomen et
gloriam apud exteros populos conservare? Itaque,
si Fundatores hujus Civitatis carissimos habere de-
bemus, quod moenia nostrae Urbis sub clemen-
tissimo Gaelo, in uberrimo solo, amoenissimo situ
fundarunt: si majores nostros summo honore pro-
sequimur, quod pulcherrimis aedificiis, amplissi-
mis aedibus, magnificentissimis templis nostram
Urbem ornatam fecerunt: si erga parentes magna
afficimur reverentià, quod ab iis nobis vita, pa-
trimonium, Civitas tradita est: si nostros prae-
ceptores veneramur, quod eorum doctrinà animos
optimis moribus institutos, mentes interìoribus lit-
teris eruditas habemus: qui amor, qui honor, quae
reverentià, qui cultus Tibi, Excellentissime Prin-
ceps, praestandi, qui, cum a maximo bello hanc
Civitatem libcrares, tecta urbis, bona, fortunas,
salutem omnium ferro et fiamma tutatus es: cum
Vico, Ofm^coli. ^'^
ig4 PARTE II.
cum a iiobis telerrimam pestilentiam arceres, coii-
jugesj parentes, liberos, vitam omnibus conserva-
sti: cum denique optima litterarum studia secun-
daresj cunctis nostrum nomenj famam, gloriam
reddidisti? Quare, cum fundatoribus multa, majo-
libus magna j innumerabilia parentibus, maxima
praeceploribus nostris debeamus , omnia modo
Tibi profitemur, quod quae antea singula ab illis
obtinuimus beneficia, universa, tua scientia, vir-
tute, auctoritate retinuimus. O quam olim nobis
infensa , tam nunc jucunda nostrae Urbis pericula,
a quibus tanto Numine liberati, incredibili qua-
dam ac pene divina laetitia, voluptateque frui-
mur! Etenim optimarum litterarum studia nobis
semper clarissima visa sunt; haec tamen confir-
mata illustriora videntur, quam si pene obscurata
non essent. Dulce est parentes babere, uxores du-
cere, filios suscipere; at non tanta voluptate isti
nobis acquiruntur, quam, quum acquisiti ac prope
deperditi restituuntur: magnam> res familiaris sua
cuique delectationem afìfert; incredibilem publica
bona laetitiam continente maximam ipsa Patria ca-
ritatem voluptatemque praesefert: at haec quanta
sint, nunc tandem nos nostrique omnes experti
sumus: cum ea sit humanorum bonorum condi-
tio, ut magis aliqua offensione interrupta, quam
aequabili perpetuaque fortuna percepta delectent.
Nec certe minorem delectationis , laetitiae ac vo-
luptatis fructum tanta nostrae Urbis discrimina tuae
praestanti virtuti attulerunt. Quo namque modo,
nisi illa fuissent, tam clara auctoritas, providentia
tam mira, tam incredibilis animi fortitudo, pru-
dentia tam eximia, doctrina tam singularis maxi-
mum quaeque sui specimen dare poluisset? quo-
modo omnis tua virtus virtutis voluptatem cepisset,
quae in ipsa virlute exercenda est collocata? Ve-
ORAZIONI ED ISCRIZIONI 1(^5
rum lantis virtutibus tanta beneficia in nos omnes
collata quibus officiis remunerabimur? quando pa- .
rem gratiam referemus? non est, ingenue fateamur,
non est, ut haec consequi, imrao sperare possi-
mus: quando eà nos meritorum copia devinxisti,
ut non modo nullae ad referendas, immo ne ad
agendas quidem prò iis omnibus Tibi gratias vi-
res nobis aliquae suppetant. Itaque nullus nostro
erga Te grato animo reliquus fit locus, nisi, quod
nostra nostrorumque omnium posterorum memo-
ria celeberrima tuorum beneficiorum fama aletur,
crescet, atque per omne aevum inveterascet. Nec
erit usquam, quod nostros nostrorumque animos
frangere aut debilitare unquam possit; cum liane
ipsam Urbem tuorum beneficiorum testem apertis-
simam esse videamus; quae si loqui posset, non
in aliam, quam in hanc de tua divina munificen-
tia orationem prorumperet: Tua virtute haec moe-
nia, haec tecta mihi consistunt: tua munera sunt
aedium pulchritudo, regionum forma, Templorum
magnificentia: tua dona incolarum copia, ci vium
humanitas ac doctrina, Regni dignitas et maje-
stas. Quare dum haec omnia mihi maxima orna-
menta constabunt, constabunt simul tuae maximae
erga me munificentiae certissima monumenta. Cum
igitur hanc Urbem, hoc Regnum ita egregie, ho-
norifice rexeris, ut tuus Vicarius Principatus nil
aliud fuerit, nisi constans ac perpetua nostrae sa-
lutis, fortunae ac famae defensioj modo Tecum
precibus quam diligentissime agimus, ut omnia be-
neficia, quae apud nos collocasti, apud nostrum
Potentissimum Regem conservata esse velis: et
(quod minime fieri posse arbitrabamur) ad tua
maxima in nos omnes merita maximus omnium
hoc facto cumulus accedat.
O R AT I O
IN FUNERE CATHARINAE ARAGONIAE
SEGORBIENSIUm DUCIS £C.
(1697)
Luctuosa quidem atque omni tristitia gravis
dicendi occasio; acerbus sane atque omni moe-
rore plenus offici i locus is est, quem hodie no-
bis in amplissimae ac praeclarissimae Catharinae
Aragoniae funere, extrema fata parum admodum
nobis aequa obtulerunt : quarum rerum altera ,
quae in actae vitae laudatione posila est, prae
Jaudum amplitudine, quae longe lateque se pan-
dunt, ac caelum ferme glorialione contingunt, ma-
ximis difficultalibus impeditur: altera, quae est in
niortis collacrjmatione locata, prae acerbitate vul-
neris, quod in animis uniuscujusque nostrum in-
fligit, cuncta consolationum genera respuit: atque
cum haec, tum alia ita inter sese ultro citroque
adversantur ac pugnant, ut altera res alteram non
modo non excipere, sed omnino etiam excludere
ac prohibere videatur. Etenim qui fieri potest,
ut illius Principis laudationi commode sit usquam
locus, cujus obitus innumera et quidem floren-
tissima oppida, quamplures urbes pacis, ac mi-
litiae studiis nobiles ac praeclaras, non paucas
provincias majorum gloria, legibus atque insti-
tutis insignes, quae omnes ejusdem ditione tene-
bantur, ita moleste et graviter angìt, ut nemo
unquam ex ulla calamitate tristitiae plus bauserit
ac doloris? Quaenam oratio illius Magnatis acta
gestaque undequaque virtute summa, ac eximia
dignitate pienissima apte exornare ac decenter po-
test, cujus mors ampiissimum Hispanorum Pro-
cernm ordinem tanti moeroris acerbitatisque com-
PARTE H. ORAZIONI ED ISCRIZIONI I97
plevit, ut ii omne decus ac oriiamentum Ordinis
sui penitus amisisse videantur? Quodnam denique
ingeniuin in illius Matronae laudibus ita, ut ae-
quum est, detineatur^ cujus interitu celeberrima,
ac Imperio Reipublicaeque opibus potentissima
Hispania, immo ipsa Hispanici Imperii majestas,
molestiae plurimum ac doloris suscepisse intelli-
gitur, quod tantam antiquae virtutis Matrem ami-
serit, quae Filium omnium maxime de Republica
meritum Reipublicae dederil? Quin etiam aegri-
tudinis, qua afficitur Hispania, arx et caput Im-
perii, socia fidissima sunt quotquot reliqua Regna
Regi Hispanorum maximo subjiciuntur; quae omnia
vim doloris minime sustinent, quod Illa e vi vis
excesserit officiorum, beneficiorumque Mater om-
nium optima, quae magnas ingentesque opes et
copias in eo quam maxime voluit esse positas et
locatas, ut vel tenuiorum egestatem levarci, vel
lionestiorum confirmaret virtutem; summam vero
existimationem , summamque auctoritatem in eo,
ut apud potentissimum Regem, ac amplissimum
Regis Senatum, bonorum omnium fidissimam cli-
entelam ac firmissimum patrocinium usquequaque
susciperet. At nullum ex bis omnibus Regnura est,
quod aeque, ac nostrum, aflficiat dolor et fran-
gat; quandoquidem, praeter has omnes justissi-
inas de Gatbarinae Aragoniae morte dolendi caus-
sas, nobis insuper est clarissimus atque amplis-
simus Ludovicus a Gerda Gaeli-Metinensium Dux,
et Vicarius liujus Regni Princeps, maximum do-
loris incitamentum. Quis enim aequo animo fe-
rat, optimum Principem, cujus omnia studia in
publica nostrum omnium felicitate tuenda, augen-
daque sita sunt, in liane summam doloris acer-
bità tem conjectum esse prae tantae Ma tris fune-
re, quod est subjectis populis luctuosuin, Primo-
198 PARTE II.
rum ordini triste, Hispanico Imperio molestum,
RegniSj quibus continetur, acerbum, ac denique
bonis omnibus grave? atque ipsum in casu tam
adverso eo eliam solamine, quamvis miserrimo ^
nostrum caussa destitulum manere, quod, ut hoc
Regnum imperio tamdiu a nobis exoptato rege-
ret, ipsi non licuerit Parenti optimae animam a-
genti praesto esse: ut et illa inter dulcissimi nati
amplexus mortem obiret, et hic praesens Matri
amabilissimae officia suprema persolveret. Tanto
nos itaque premente ac undique obruente dolo-
re, quid est ipsius vitam cum heroica ferme vir-
lute actam laudibus exornare, quam memorare
caussas tristissimi nostri atque amarissimi luctus,
atque adeo crudum vulnus, quod medentium ma-
nus reformidat ac refugit, a penitioribus fibris
tractare? quaenam proinde nostrae partes erunt?
equidem quod ad me attinet, quo me vertam ne-
scio : an tanta jactura nobis erit assiduis dumta-
xat, nec unquam defecturis lacrymis persequenda?
ita sane opinarer, nisi postularet officium supra
lacrymas et complorationes, supra ejulationes et
planctus, aliam, qua apte et decenter de tanto
casu queramur, inveniendam esse rationem. Scio
equidem maximorum etiam imperiorum jacturam
bisce modis defleri solitam esse 5 verum id non
sat est, ut illa, quae supra omne imperium animo
Eraestabat, digne coUacrymetur. Sit itaque, sit no-
is proposi tu m lugendi exemplum ipse amplissi-
mus ac praeclarissimus fìlius: et quemadmodum
is, ut regio spiritu lugeret hoc funus, ita splen-
dide ac magnifice instrui jussit , ut omnem admi-
rationem habere videatur; ita nos, ut viriliter lu-
gearaus, juvat acerbam adhuc refricare plagamj
et qua datur ingenio perquam tenui ac imbecilli ,
dolore etiam exanimato et afflicto, facultate di-
ORAZIONI ED ISCRIZIONI I99
ceiidi; juvat, inquam, nostri acerbissimi doioris
propiios ac ingenuos fontes accedere , ac in ipsius
velati adyta penetrare; ita ut eo tota Oratio no-
stra contineatur, quae vobis exponat Catbarinam
Aragoniain laetitiae omnium uatam, ei vitae cuin
dolore omnium raptam esse, quam ut esset op-
tata, suis comraodis mirifìce ornavit Fortuna ; ut
optatior esset, Natura suis ornamentis insigniter
auxit; ut optatissima, suis bonis Virtus egregie
cumulavit: quae tria dum expono, peto a vobis,
Auditores optimi, ut quanto hanc ornatissimam
Principem merito jure lugetis, tanta me de ipsa
verba facientem aequitale attendatis. — Si illa qui-
dem semper bonis omnibus de cujusque obitu ho-
nestissima moerendi ratio visa est, iccirco alicujus
mortera lugere, quod eundem orbatum vitae com-
modis arbitramur , ardentissiraas certe dolorura
faces anirais uniuscujusque vestrùm admotas esse
necesse est, quod spectatissima Gatbarina Arago-
nia ea excesserit vita, quae etsi in una virtute,
quod est summum, omnis posita esset, erat in-
super cunctis omnibus Fortunae ac Naturae bo-
nis, quibus cunctarum virtutum exercitatio om-
nisque usus continetur, usquequaque referta. Nc-
que vobis audiri existimo illos vitae officiis in-
stituendae praeceptores , qui sola virtute contenti
cuncta reliqua non modo superbi despiciunt, sed
etiam omnino invidi damnant: quandoquidem , ut
peculiari Legi quae nobiscum nata est, et Ratio
appellatur, ii homines adversantur, qui extra vir*
lutem, ad quam vel unice, vel praecipue nati
sunt, rationem optatae vitae requirunt, ita uni-
versae Legi ac aeternae, quae summà prudentià
sapientiàque hanc rerum universitateui conditam
esse jussit, aperte resistere videntur, qui bona
omnia aliis, quam animi imperio subiecta, ad op-
200 PARTE U.
tatam vitaai minime pertinere conteiidunt. Et sane
qui prudeiitiae usus sine rebus haberi potest? quae
liberalitatis ac magnificentiae exercitatio sine opi-
bus copiisque? qui fructus fidei et comitatis absque
amicitiis? quae sine jurisdictione justitiae utilitas?
quae sine imperio clementiae voluptas? quae hu-
manitatis laus, nisi sit cum summo dignitatis ho-
norisque gradu connexa? quae denique praeclara
pudicitiae commendatio, nisi sit cum formae ve-
nustate conjuncta? Quare antiquam hac in re bene
sciteque praecipientem Philosophiam audiamusj
quae et ipsa omnis optatam vitam in una virtute
positam sentitj sed optatissimam illara existimat,
cui praeterea externa ad virtutis usum idonea bona
adjungantur. Et quidem profecto ne inclitae et
caelestes virtutes in alto atque excelso nostrae
Heroinae animo inerti otio fruerentur; sed, ut
fervidae erant et igneae, ita etiam operosae sum-
mam ac incredibilem exercendorum officiorum ca-
perent voluptatem; divino quodam Consilio factum
est, ut Fortuna, ac Natura, cunctarum rerum ex-
ternarum dominae, omnia illi atque maxima bo-
na, cunctarumque virtutum usui destinata suppe-
terent. Atque inter innumera et maxima commoda,
quibus Fortuna hujus Principis vitam ornavit, ut
primum, ita summum habendum censeo illud,
quod ut ingenio ad praeclarissimas virtutes facto
nasceretur, Ea nata sit in Hispania, regione Or-
bis terrarum immortali maximarum virtutum glo-
ria commendata 5 ac, ut iisdem facile imbueretur,
eos inter adolesceret, qui ad summam Religionem
in Deum, ac in amicos fidem , ad prudentiam
et aequitatem eximiam, ad miram animi magni-
tudinem ac liboralitatem, moribus ac exemplis
( quae semper ad efformandos animos habuerunt
pluriraum ponderis ac momenti) tacite Eara es-
ORAZIONI ED ISCRIZIONI 201
sent hortaturi. Neqiie loci praestantia, ubi Ea nata
estj hoc dumtaxat attuili comraodum , sed aliud
aeque magnum praetereaj ut nimirum Ei, quae
officiosissima ac beneficentissima futura erat, lo-
cus officia peragendi, atque beneficia collocandi
esset etiam amplissimus. Ncque tanto ingenio ac
facultati bene de aliis merendi uUus erat aptior
locusj quam Hispania, ubi iUius officiis bene-
ficiisque Majestas Imperii Orbis terrarum maximi
tribueret amplitudinem , ac innumera hominum
60 vel ad petendos honores, vel ad jus suum
experiundum ab utroque terrarum Orbe confluen-
lium multitudoj perennitatem. Veruni multo prae-
clariora ad comparandas virtutes adjumenta , ac
multo digniora earumdem exercendarum com-
moda Eidem summa generis dignitas attulit. Sem-
per enim majorum virtute clarorum imaginibus ad
virtutem in posteris excitandam, maximam vim ta-
cite inesse putavi: ad ardua quaeque ac praeclara
multo veliementius commovere domestica , quam
externa recte factorum exempla. Quam proinde
egregie, si ita se res habet, in generoso Gathari-
nae animo cuncta regiarum virtutum semina prae-
clarissimos ejus Majores excitasse putandum est,
qui ex amplissima Aragoniorum gente Reges virtute
praestantissimi prodiere : et quam insigniter ejus-
modi seminum fructus adolescere curavisse, qui
ejusdem praeclarissimi extiterunt Parentes maximi,
vir Princeps consilii, Ludovigus Aragonius, et spe-
ctatissimae virtutis Matrona Mariana Sandovalia,
qui tum dictis tum factis illam omni regiarum
virtutum genere mirifice insti tuerunt? His aucto-
ribus, prudentia summa, justitia eximia, inaudita
animi raoderatio; incredibilis fortitudo in illius
animo ita inter sese socia tae sunt atque com-
plcxae, ut Eandcm quo vis niaximo dominatu di*
202 PARTE 11,
giiissimarn t'eceriiit. At haec cadem Regìi generis
dignitas quot insuper, quaiitisque commodis has
ipsas regias virtutes instruxit! Gontulit enim prae-
terea magnas ingentesque opes et copias, amplas
tura agris uberrimas, tura hominibus florentissimas
ditioneSj summos dignitatis atque honoris gradus,
Regias sanguinis necessitudines, ac, ut reliqua missa
faciamusj cum summis totius ferme Europae Prin-
cipibus lectissimas amicitias. Annon maximae, ac
satis superque affluentes eae habendae sunt facul-
tatesj quae innumeris beneficiisj hospitibus atque
operibus splendide ac magnifice collocandis, exci-
piendis ac faciundis brevi anuorum curriculo (eheu
tantum fatis certum fuit illam terris ©stendere)
sexies decies centena millia aureorum nummuni
suppeditarunt? Annon Segorbiensium, Emporien-
sium, et Castellanorum, ut de reliquis taceani,
amplissimae sunt ditiones habendae, quibus so-
lis freta spectatissiraa Joanna Folchia fortissimi
ac sapientissimi Alphonsi Aragonum ac SiciUen-
sium Regis uxor, ad regiam fortunam instructa
et parata fuit ? Annon summus honoris gradus
censendus est, inter principes amplissimi Hispa-
niae Magnatum Ordinis conscriptam nasci? Ho-
nos quippe omnium eorum, qui distribui possunt
a Regum maximo, maximus: utpote quo nonnisi
donentur ii principes viri , qui et regio , aut certe
summo loco nati sunt, et maxime egregia pace
belloque parta gloria praestantissimi claruerunt.
Regias vero necessitudines quid ego commemo-
rem, quarum, ut luculentissiriium, ita omni digni-
tate plenissimum testimonium dicunt amplissima
Regna, quae ab Aragonia in Augustissimam Au-
striacam gentem sanguinis jure transmissa sunt?
De rehquis, temporis angustiae, et majora rerum
alia rum argumenta me verba facere minime pa-
QRAZIONl ED ISCRIZIONI 2o3
tiuntur. Sed honos tamen- postulai, res ipsa fla-
gitat, consensus vester cupit, me illam comme-
inorarcj qiiatn cum praeclarissimaj atque omnibus
fortunaej virtutis ac gloriae rebus ornatissima Ger-
diorum Familia ipsamet Gatbarina Aragonia gra-
vissimo ac spectatissiuio Viro omnium virtutum
Principi Joanni Francisco a Cerda nuptui collo-
cata concilia vit, quae tanta opum affluentia, tanta
rerum gestarum gloria, tanta maximorum Impe-
riorum majestate praefulget, ut quodvis ei novum
adquiratur imperium, nullum proinde novum de-
cus aut ornamentum accedat. Non est tandem,
ut lectissimas amicitias cum summis totius fere
Europae Principibus testatas faciamus: quando-
quidem ejus rei ipsimet omnes, cum prò illius
morte tantum sollicitudinis ac doloris sustineant,
quantum ferri vix possit; ipsimet, inquam, sunt
ejus rei apertissimi testes. Sed quid ego singula
Fortunae bona atque commoda, quibus Ipsa un-
dequaque affluebat, consectoret colligo; quasi vero
ea oratione complecti, aut memoria consequi pos-
sim? Tanta in ipsa augenda posuit studia obse-
quens illius felicitati Fortuna: a qua tamen Na-
tura se vinci non passa est, quae non minoribus
aeque eximiis bonis, quae corporis sunt, et di-
cuntur, eandem voluit ad virtutes ornatam acce-
dere. Nec frustra homines opinione Sapientium du-
cti, Naturam mentibus cadesti specie praestantibus
digna corporum domicilia metari credunt, ut oris
forma, decusque membrorum in promptu posita,
occultam ac latentem animi pulchritudinem re-
praesentarent. Sed quam praeclare hunc- Natura
fìnem in Gatliarina Aragonia, nec ad aliorum exem-
plum est assecuta! Vos quaeso obtestorque, qui-
bus Eam adspectandi, ac alloquendi sors contigit,
dicite etiam, ut in illa procerilas corporis, honos
204 PARTE n.
capitis, forma oris eximia non solum venustatem,
sed dignitatem praeterea eliam praeseferrent: di-
cite, ut aperta virtutum signa vidistis, in fronte
gravitatisj lenìtatis in oculis, in rubore verecun-
diae, in toto vultu modestiae, atque in integro
corporis habitu sibi undique apto, certae animi
cum se ipso convenientiae, ut piane in ambiguo es-
set positura, utrum illam magis vestris mentibus
virtuSj an obtutibus pulchritudo insinuaret: dicite,
quum illa inter octo amplissimas Filias eximia
aeque vìrtute ac forma praestantes versabatur, ut
Eam oris majestas Principem prodidit, forma vero
Matrem celavit: dicite tandem quantas Illius pul-
chritudini charites addiderunt actionis venustas,
gravi tas incessus, lenitas ac lepos sermonis^ et
quantum in iisdem positura esset usquequaque de-
corura; ut apertissiraa proinde significatio fleret,
magnara in illius animo adesse constantiam. Haec
dicite, et quam gratas ex tara pulchro corpore ve-
nisse virtutes, et pudicìtiam praecipue, nos sinite,
ut aequum est, cogitare: atque una siraul Eam
collacryraare, in qua suis quaeque bonis ornanda
Fortuna, et Natura adeo certarunt egregie, ut illa
ei dederit Principem nasci, haec faciem Principe
dignam* illa generis dignitatem, haec oris; illa
opes et copias, haec dives ingenium; illa cuncta
virtutura adjuraenta, haec aniraura ad oranes vir-
tutes natura. Sed jam tandem ad praestantissimas
Ipsius laudes, quae tantum in excelsiori ac illu-
striori loco, quam hactenus enarratae, sitae sunt,
quantum animi virtutes, Fortunae ac Nalurae bona
honore ac dignitate praecellunt, accedaraus. At
hic nolite expectare, me singula Ejus officia a vir-
tutibus derivata in unum veluti sinum coUigere:
etenim in iis haereret oratio; ita multa sunt, et
magna, ut me potius dies, vox, latera^ quam re-
ORAZIONI ED ISCRIZIONI 2o5
rum argunienta defìcerent. Veruntamen, ut omnia
Ejusdem praeclarissima facinora brevi comprehen-
dam, faciam quod solent, qui totius Caeli, Solis,
LunaequCj erronum ac inerrantium siderum aspec-
tus in parvis globis effictos concludunt: in brevi
verborum gyro cunctas ipsarum virtutum imagi-
neSj quam simplicissime describi possunt, amplec-
tar. Sed quam ego sponsionem imprudens feci!
Quasi vero Catharinae Aragoniae virtutes ejusmodi
sintj ut illarum efìfigies pictura verborum ac lu-
mine sententiarum exprimi ullo modo possint: cura
potius tanta praestent excelsitate, ut quemadmo-
dum humanam Naturam superante ita omnem hu-
manum captum excedant. Nam, ut ab illa, quae
litterarum dux estj exordiamurj si humana Pru-
denlia summa esse dicitur et habetur, quae aciem
mentis acuit, ut res futuras provideat, bonas in-
ter ac malas delectum habeatj de bis, quo pacto
fugiendae sint, illìs, quo adsequendae, sedulo con-
sulat: atqucj dum hujusmodi adhibet mens Con-
silia, animum ita regit praeterea, ut omnem expel-
lat metum, omnemve contineat cupiditatem, ne
caeco hujus vel illius ductu in errores labatur ele-
ctio: si baec, inquam, humana Prudentia summa
dicitur et habetur 5 quonamEjus, quam lugemus,
Prudentiam donabimus nomine? quodnam de ea
proponemus exemplum? quae futuras res veluti
praesentes^ ac tamquam oculis cerneret, ita animo
et cogitatione percipiebat, easque adeo exploratas,
adeo compertas, adeo perspicuas, ut lUius conjec-
turae prope oracula viderentur : quae sine ullo
delectu in optimum quodque vi quadam ab optima
mente illala ferebatur: quae Consilia ita in promplu
posita habebat, ut facta, cum ab iisdem tempore
secerni non possent, Ipsius felicitati tribuerentur,
quae, re quidem vera, Ipsiusmet virtuti accepta fé-
306 PAIITK II.
renda erant: quae denique deliberans non opus
Iiabuit expellere metum, ullam continere cupidi-
tà tenij utpote in cujus animo non metus erat, sed
diligens cautio ejusj quod vel nequioribus turpe
videri posset; non cupiditas, sed summum desi-
derium ejus, quod Vel nequissirnis probari debe-
ret honestuin. Magna de Prudentia audivistis: sed
de Justitia audietis majora. Haec narnque illa prae-
stanlissima virlus est, fons et origo omnis cora-
mendationis et famae, sine qua nihil esse potest
illustre, nihil praeclarum, nihil denique laude di-
gnuni: haec est quae docet aequitate non violare
homines, verecundia non offendere: haec aequa-
bihtate et fide suam cuique Iribuens dignitatem,
societatem humanam munifice ac aeque tuetur:
haec cuni in sella curuli sedet, Justitia 5 cum sa-
cris et caeremoniis vacat, Religio; cum Reipubli-
cae navat operam, Pietas; cum parentibus obse-
quitur, Reverentia; cum amicos colit, Observan-
tia; cum reliquos homines etiam incognitos dihgit,
pieno suavitatis nomine Humanitas appellatur. At
quam eximias et incredibiles ex unaquaque harum
virtutum laudes Catharina Aragonia adepta est, et
quam supra humani ingenii captum praestantes!
Verumtamen, ne longior producatur oratio, earum
unam aut alteram prosequar; ac proinde reliquas,
quantae eae sint, vestris ingeniis conjecturaeque
committam. Et quidem illas, quae Principe cum
primis dignae judicantur, Religìonem in Deum Op-
timum Maximum, et Pietatem in Rerapublicam se-
ligere lubeat. Sed vereor, ne sententiae, ac no-
mina, quae sunt ad has virtutes perspicue expri-
mendas excogitata, minus expresse res in praesentia
describant. Etenim honesta de Dei Optimi Maximi
iiumine et mente opinio, pia caeremonìarum et
sacrorum cura testata, iila virtus describi solet,
ORZIONI ED ISCRIZIONI 20^
quae in Deum Religio vocitatur. At virtus quae-
dam Religione major dicenda est, qua Catharina
Deum ex inlimo sensu et ita singulariler clilige-
batj ut cuncta aetate nullum transegerit diem^ quo
Deum caste non adierit, sanate non adorarit^ nul-
lam vero susceperit rem, in qua Deum ducem non
sit secula : adeo certam animo de summa Dei bo-
nitate fidem concepii ^ ut nullum incoeptum recte
suscipi pularet, nisi Deo prius rea voti fieretj
nullum recle absolutum, nisi volo ante concepto
absolverelur: tanta in Deo colendo studia posuit,
ut arisj simulacris, donariis Divum tempia splen-
dide ac magnifice augenda curaverit: quamobrem
liaud minus Dei cultum ornatiorem sua largitale
fecitj quam fecerit suae venerationis exemplo san-
ctiorem. Quid vero illud, quod nobis reliquit prae-
clarissimum anliquae pietatis in eo posilum mo-
numentum, quod amabilissimum Filium Filiasque
jucundissimas Deiparae Imrnaculato Gonceplui a
prima cujusque aetate devovit: atque illas regalis
ornalus vice, ac nitentis purpurae locOj quae te-
nella Principum membra decebant, sub aspero
vestitu, virginum more eo Numini sacratarum, inte-
gram infantiam degere voluit? est ne aliud pieta-
tis aeque laude dignius^ aeque dignitate praestan-
tius arguraentum? Haud sane videtur; et tamen
adest: adest Illius mirifica in egenos. Dei Optimi
Maximi studio, largitas: adest in levanda tenuio-
rum inopia, diligentissima cura: adest incredibilis
afflictis pauperum rebus opem ferendi sollicitudo.
Inde est, cur gaudeat se omnibus copiis abun-
dare: inde habet, quod laetetur cunctarum rerum
uberlate florere; ut ad quamplurimos fieri posset,
qui rerum angustiis premerentur, maximi suae li-
beralità lis fructus promanarent. Hic omnia Illius
studia sita sunt: paupcres quaeril, egenos vesti-
ao8 PARTE II.
gat, tenuissimos consectatur: non rogata fert opem,
sed rogat ferre: non explicatis afflictarum rerum
caussisj sed quaesito potius bene de aliis merendi
colore, beneficia conferì: nulla res impedimento
est Illius beneficentiacj nullum temporis momen-
lum Illius interpellat liberalità tem, nullus locus
largitatem excludit. Atque hac in parte orationis,
in eam legem, quam principio mihi de virtutibus
dicturo statui, invitus committoj cum unum ali-
quod Illius incredibilis munificentiae facinus me-
morare ejus virtutis magnitudo me cogat. Cum
forte quadanij ut ibi moris est, certa officii ratio
suasissetj ut regio et quam splendidissimo Eam
Principem deceret, ornatu concinnata domo pro-
diret, ab Eadem egenus per Deum obsecrans sti-
pem rogavit, quae, cum numera tu prompta non
csset, Ipsa minime ferens, quod vel hic unus in
omni vita non esset benefaciendi locus, miro le-
vandae egestatis amore ducta, maximam pretio-
sissimi muliebris mundi partem, quinquies supra
-vicies millies aureorum nummum aestimatam, sti-
pis nomine illi eroga vit. O viri disertorum optimi,
optimorum disertissimi, laudate etiam atque etiam
hoc egregium virtutis facinus; ac si illud singuli
ab cunclis suis partibus commendare haud pos-
sitis, laudet hic eximiam animi magnitudinem, ille
incredibilem erga Deum amorem, alius admirabi-
lem externorum honorum despicientiam, alius sin-
gularem humanitatis adjuvandae voluntatem; atque
ita omnes aeternis laudibus tanti facinoris exor-
nate memoriam. Et nos ad ejusdem summam erga
Rempubhcam pietatem gradum faciamus. Cari qui-
dem profecto habentur amici, egregie cari paren-
tes, conjuges parentibus cariores, liberi cunctorum
carissimi: sed omnes omnium caritates complexa
est una ipsius caritas in Rempublicam, quae tanta
ORAZIONI ED ISCRIZIONI aOC)
et adeo mirifica fuit, ut aegro animo ferret (si
tamen aeger dicendus est Cathaiinae Aragoniae
aniauis tanta virtute formatus: sed quando ejus-
dem novis maximisque rebus deficiunt nomina,
dica m US licet) ut aegro animo ferret se sic na-
tam esse, ut sexus conditione praepedita bene quid
de Republica mereri non posset. O miram erga
publicam rem pietatem, qua non animadvertit se
de ea satis superque meritam esse, cum Eidem
amplissimum ac praeclarissimum dederit Filium,
qui periculosissimis praefecturis fortissime gestis,
gravissimis legationibus magnificentissime expedi-
tisj summo Imperatoris munere, quod in hoc Re-
gno summa cum laude gerit, splendorem ac decus
Im perii omnium maximi conservarit et auxerit!
At non Ei sat est dedisse unum. 0 magis miram
erga publicam rem pietatem, cui non sat est de-
disse unum 5 cum tamen iccirco tantam habeat ad-
mirationem, quod unum dederit: si namque plures
dedissetj non aeque tanta admiratione digna vi-
deretur! Unus enim ipsi erat ornatissimus Filius,
quo solo omne decus nominis ac omnis gloria
praeclarissimae Gerdiorum familiae fulciretur: et
tamen passa est, quid inquam passa est? lubens
consensit, ut munus in primis periculosum et an-
ceps primum inter publica obiret, et Neapolita-
norum classi praefìceretur. Unus Ipsi erat amabi-
lissimus Filius, cujus jucundissimà praesentià sic
oblectabatur, ut ejus jucunditatis fructui nulla vo-
luptas conferri posset: et tamen, quia hunc desi-
derabat Italia vel amplissimum Legatum, vel sum-
mum Imperatorem, tam aequo animo tulit hujus,
Reipublicae caussa, adeo longinquam ac diuturnam
absentiam, ut fato praeventa praeclaram historiam
rerum ab optimo Filio optime gestarum, ipso nar-
rante, minime audire potuerit. At Rempublicam
Vjlo, Opuscoli. i4
aio PAIlTE li.
nullis mentis a propria virlule profectis ornatam
putat. O iuaxiii»e iniram erga publicam rem pie-
tatem , cui non videtur Imperli Majestas propriis
virtutibus non modo cumulata, quod est maxi-
mum, non modo aucta, quod magnum, sed ne
ornata quidem, quod aequum; cum ad eam non
modo honestate ornandam, non modo dignitate
augendam, sed etiam gloria cumulandam omnia
studia, omnia prorsus officia collocarit! Ecquid
enim sunt innumera illa, et quidem maxima, quae
usquequaque obivit, beneficentiae munera, nisi cu-
niulatae Imperii gloriae luculentissima monumenta;
cum ad ea susci pienda hac laudabili opinione po-
tissimum duceretur, qua existimabat, quaecunque
officia, ut sua cuique dìgnitas tribueretur, pere-
gisset, ea ad Imj^erii decus summopere pertinere?
0 saluberrimam Hispaniae Rei universae opinio-
nem, quae in huju» animum induxisti, ut cuncto-
rum ferme omnium , qui Matritum ab diversis di-
tionibus Regi subjectis ye\ meritos honores peti-
tum, vel juris sui experiundi caussa confluerent,
se Patronam praestaret. At quam quantamque Pa-
tronam} cum de hoc ejus patrocinio, etsi plurima
bona, atque ea quidem plurimi boni narrent, nun-
quam tamen se satis narrasse dicant. Nec quippe
sibi satis dixisse videntur, ut hoc eximium pa-
trocinium non implorata, sed nitro suscipiebat;
ncque id quorundam dumtaxat,sed omnium; nec
cum aliquo personarum discrimine, sed uno offi-
ciorum servato delectu: cum aeque bonam apud
Eam gratiam mererentur et qui summo et qui
infimo loco nati essent, et qui commendatione vi-
rorum principum, et qui sola illius fide freti ad
Eandem accederent: dum tamen aequa esset sui
patrocinii exorandi in aequi tate posila ratio. Ne-
que etiam se satis dixisse putant, quod ad bosco
ORAZIONI ED ISCRIZIONI 211
omnes suis beneficiis honestandos sola honestate
impellereUir; quodque, si haec adesset, nulluni
officii genus oniitteret, sive in ipsa re, si ve in
honore verborura positura esset, quod ad eorun-
dem commodum, vel araplitudinem pertineret. Nec
denique se satis dixisse intelligunt, ut in unoquo-
que officio suscipiendo nulla exceptione aut labo-
ris, aut occupationis, aut temporis uteretur; ac
in eodem deinde persequendo omnem operam, cu-
ram ac diligentiam adhiberet; ac eo tandem abso-
luto, nullas omnino pateretur sibi beneficii nomine
gratias agi ; dictitansj quae aliis mera beneficentiae
munera viderentur, ea sibi esse absolutissimas justi-
tiaepartes.AudivimuSjinquiuntjipsi audivimus illam
saepissime dicentem, secum praeclare cum felici-
tate actum esse, quod suus vir amplissimus primo
Imperii honore post Regem donatus esset; ut nul-
lum, quamvis maximum officii genus esset aut stu-
dii , nulla res, etsi supra modum ardua, quae vel
ad utilitatem vel dignitatem omnium sibi veUiti
clientelae jure devinctorum spectaret, quam non
aggredi, non persequi, non denique perficere co-
naretur. Vidimus, ajunt, ipsi vidimus illam per
Divum tempia saepissime concursantem, amplissi-
mos Senatores nunc summa aequitate rogantem,
nunc mira animi fortitudine expostulantem, ut jus
unicuique suorum, ut ita dicam, clientum prò di-
gnità te tribuerent. Quid itaque interest, quod ma-
ximis exercitibus fortissime non impera vit, cum
tanta animi fortitudine praestiterit, ut imperarent
fortissimi Imperatores? Quid, quod in amplissimis
RegnisRegis vices justissime non gessit, cum tanta
justitia curaverit, ut iis justissimi viri Principes
praeficerentur? Quid, quod suo exemplo neque in
acie, ncque in foro erexerit aut militum, aut jus-
dicentium animos ad praeclara sive fortitudini»
213 PARTE II.
sive justitiae facìnoraj cum haec ipsa munera egre-
gie impleverit oi'ficiisj quibus perfecit, ut hi ora-
nes mentis praemiisj quae virtutum incitamenta
sunt maxima, donarentur? Non erat sane, non
crat virtus Catharinae Aragoniae liujusmodi, ut
intra certos fines unius ditionis Imperio subjectae
exercerelur. Digna quippe fuit, ut ad caput ipsius
Imperii, Orbis terrarum amplissimi, versaretur su-
blimisj ut inde tranquillitatem, veluti vitam, in
cuncta reliqua Regna, maxima hujus Reipublicae
membra, diffunderet. Quanta ergo? non queo, Au-
ditores, staiuere, nec volo dicere: tristitiam uni-
versi Imperii tanta Patrona orbati malo vobis si-
lentio conjiciendam relinquere, quam oratione im-
minutam explicare. Jam cognovistis, credo equidem,
Catharinam Aragoniam tanta cumulalam justitià,
ut non sibi, sed Deo ac egenisj non suis, sed
Reipublicae ac bonis omnibus nata videretur. Ita-
que bonorum omnium, quibus erat a prospera fio-
renti que fortuna non ad aliorum exemplum exag-
gerata, quam sibi partem reliquam fecisse putatis?
Aut nullam, aut pene nullam, vos mihi videor
audire responsuros. O factum benel quod in no-
stra Heroina virtutes ita inter sese copulatae sunt
et connexae, ut alia ab alia separari non possiti
quandoquidem suramae illius justitiae aeque summa
animi moderatio se addiderit comitem. Atque liane
quidem eo majorem in ipsa suspiciemus, quo ma-
jora Naturae bona ac ornamenta Fortunae ad-
rairati sumus. Quo enim in excelsiorem se tollit
locum felicitas, eo in altiorem pervenit apicem
hujus virtutis laus; cum ejus hoc sit, ut diffìcil-
limum, ita praestantissimum munus, ut obsequenti
fehcitati modum adhibeat. Et sane, ut id praestet,
in eo totae ferme occupantur ancillantes illi vir-
tutes, ut Temperantia superbiam et iramanitatein
ORAZIONI ED ISCRIZIONI 21 ù
arceat, atque facilitateli! Gletnentiamque contineat:
Modestia arrogantiam libidinemque prohibeat, at-
que Goniitatem et Piidiciliam complectalur. Ali
expectatisj ut ego ab unaquaque harum virtutuin
laudibus eam exornem, quam amissam collacry-
mamur? Nolite, vos quaeso oblestorque, nolite
tantum rneis humeris iuipar onus imponere, ac
patiamini ipsas res potius omni verborum ac sen-
tentiarum ornatu nudatas accipere. Accipiatis ita-
que. Haec illius Teraperautia fuit, ut non recti
animi impetus rationi moderatrici non modo non
reluctantes obedirent, sed lubentissimi obseque-
rentur. Haec vero Facilitas, ut ipsa amplitudine,
quam summo dignitatis gradu retinebat, quae sti-
mulos invidiae praecipue admovet, hominum studia
ad sui benevolentiam alliceret et excitaret. Clemen-
tia ejusmodi, ut si forte civium tranquillitatem, iion-
nisi poenis in facinorosos irrogatis conservare pos-
set, Ei Principem natam esse displiceret. Haec
Modestia, ut quae faceret, quaeque diceret, omnia
ordine, modo ac specie quadam liberali faceret
diceretque, quibus gravitatem cum humanitate con-
junctam retineret. Haec vero Gomitas, ut homi-
nes Eam duntaxat vidisse et compellasse, sum-
mum operae pretium facerent. Pudicitia denique
ejusmodi: sic virgo vitam degit, ut nunquam nup-
tui se collocatum iri putaret; sic nupta, ut scra-
per morum virginem decentium memor essetj sic
amplissimo viro orbata, ut conjugalis vitae nun-
quam meminisset. Atque aliud agens in illam ora-
tionis partem incidi, ubi eram de alia illius vir-
tute principe tractaturus: nimirum de incredibili
animi Fortitudine, qua mortem eorum, quos unice
diligebat, reliquosque huinanae vitae casus magno
erectoque animo toleravit ac lulit. JNeque conspi-
ratio consensusque virtutuin, quibus erat us(|ue-
2l4 PARTI-. II.
quaque referta^ patiebatur, qiiae secundis rebus a
voluptatej caeca virtutis inimica, vieta non est,
eam adversis a dolore, hoste ejiisdem apertissimo,
frangi debere: immo desiderabat potius ut summa
ejus esset in omni vita aequabilitas, idem semper
esset vultus, eadem frons semper esset. Atque id
quidem sane nostra Heroina incredibili cum ad-
miratione optimorum praestitit ac perfecit: quan-
doquidem tantam animo extruxit altitudinem, ex-
cellentiamque virtutis, ut ibi, tanquam in specula
excubans, omnia humana perspiceret sic, ut ei
nihil improvisum accidere posset. Et ut praeclara
tantae virtutis pericula faceret, Fortuna ac Na-
tura, quae magnam in ulramque partem vim ha-
bent, eo simul etiam conspirarunt: etenim quem-
admodum illam tot secundis rebus insigniter exor-
narunt, ut ex iis innumeras et maximas caperet
jucunditates officiorum, quamobrem esset apprime
felix, ita eandem adeo afflictis fortunis percul-
serunt, ut proinde pieno miserationis vocabulo
orbata dici deberet: orbata, nimirum, parentibus
amantissimis, orbata amabilissimo viro, quos ut
oculos suos amabat, ipsis oculis octo ante mortem
annos orbata. Orbata parentibus, raaximis gra-
vissimisque rebus spectatissirais, sed in primis pro-
batis, quod effigiem virtutis ac probitatis suae tan-
tam Filiara reliquerint: orbata viro dulcissimo, qui
cum ea amore summo summaque fide certavit: or-
bata oculis, quos tanta humilitate in Deum, tanta
comitale in supplices, tanta miseratione in pau-
peres dirigebat Sed hae acerbae orbitates ab ipsa
mira fortitudine cum animi laetitia compensantur,
quam capit ex memoria, quod Parentibus amplis-
simis omnem honorem, venerationem ac reveren-
tiam, quam sunt meriti, praestitit: quod praeclaris-
simum virnm, ut erat propter innumeras suavitates
ORAZIONI ED ISCRIZIONI 2 1 f)
ingenii ac virtuiis, singulari amore dignos, ama-
vit: quod oculis nunquam accepit levitatum ima-
gines, at semper sirnulacra virtutum. Quiii etìam
nunc tandem ait sibi datum esse vera humanae
naturae munera obire, nimirum animo cernere,
ratiónem ratione viderCj et sic intueri virtutem,
et contemplari Deum: cum in homine summa ora-
nis sit animi, in animo rationis, in ratione altis-
simum et maxime excellentem teneat locum vir-
tus, quae sola hominem ad Deum propius visen-
dum manuducit. Tantos illi res adversae animos
addiderunt, ut bisce dimicationibus cum adverso
casu virtute factis, veluti umbratiles agens pugnas,
sese pararet in extremo vitae discrimine morti ad-
ventanti vel obviam, si opus esset, procedere. At
mors, eheu miserum! in medio cursu jam adve-
nit. Date hic, date, lacrymae, dictis locum, ac
sinite me cum aliqua specie fortitudinis narrare
mirum ac incredibile, quod ipsa dedit heroicae
virtutis specimen, dum illam viriliter excipit, duin
illam fortiter oppetit: sinite me narrare, quo pacto,
dum tot fortunae bonis, tantis naturae ornamentis,
ac tam jucundis virtutis officiis acerbissime rapitur,
omnes excelsas atque invictas fortitudinis comites
in alto atque erecto animo excitat; ita ut humana-
rum rerum despicientià omnia, et maxima bona,
quibus vitam habet, sic ut nihil supra, confertam,
regio spiritu omnino contemnat. Gonstantia vero ae-
quabilem vitae ratiónem ad supremum usque spiri-
tum cum gravitate retineat: Patientia, ut acerbissi-
mos dissolutionis naturae dolores alacriter perpetia-
tur: ac animi denique Magnitudo lantani appetat
rem, quanta ea est, non hominum, sed Hcroum more
mortem obire. Et quidem sane eo magis admira-
tione dignam illius bonorum despicientià m crede-
tis, quo majora ejusdem vitae commoda memoria
HlG PARTE II.
repetatis. Etenim si jucunda vita est, quae inler
homines antiquae virtutis degitur, et in publica
amplissimarum urbium luce versatur^ jucundissima
liujus vita eratj quae inter Hispanos^ homines exi-
miis ornatos virtù tibus, et in arce Imperii Orbis
terrarum amplissimi agebatur. Si accepta ejus vita
estj qui splendorem ac dignitatem gentis poste-
ritati mandare possitj acceptissima hujus vita erat,
qua deficiente Principatus Aragoniae Familiae im-
mortali gloria j virtute summa, et antiqua Regno-
rum majestate praeclarissimae deficiebat. Si grata
vita est referta iis Forlunae bonis, quae ad ho-
nestatem sint satisj gratissima hujus vita erat, quae
tantis affluebat opibus copiisque, ut ad regium
splendorem j magnificentiam, liberalitatem ac be-
neficentiam Rege dignas satis superque haberen-
tur. Si optata vita est honesto dignitatis gradu co-
honestata, optatissima hujus vita erat honoribus
in Republica omnium ampUssima amplissimis cu-
mulata. Magnas suavitates praesefert vita dulci ma-
tris donata nomine; at maximas vita hujus, quam
reverebantur Matrem unus Heros, octo Heroinae.
Dulcis vita estj quae diligitur propter multas sua-
vitates ingenii; at dulcissima vita hujus, quae pro-
pter innumeras praeterea jucunditates officiorum
bonis omnibus cara erat. Gara vita est, quae lauda-
tur a bonis; at carissima hujus, de qua consen-
tiens laus optimorum, et incorrupta vox optime
judicantium de excellenti virtute eo magis et ma-
gis crescebal, quo longius ejus aetas producere-
tur. Ecquis forti animo praeditus, cum Ei tot
tantaeque vitae jucunditates, suavitates, caritates
ob oculos ponerentur, mortis metu non frange-
retur? Et tamen nostra Heroina existimat, ani-
mi esse non sibi sufficientis optare pubUcam lu-
ceni, inanis gloriae cupidi studere famihae pe-
ORAZIONI ED ISCRIZIONI 21 7
rennitati. nimiuni angusti aestiaiare opes et co-
pias, popul.'irem auiain sectantis magnifacere lio-
iiores, foeminati iiomen matris curare, ac deni-
que non ad virtutem facti aucupari laudes et glo-
riarli. Et quemadmodum hac mira despicientia
haec omnia sprevit optata bona, ita aeque mira
animi magnitudine res semper longe optatissimas,
nempe virtutes appetivit: et sicuti in rebus agen-
dis summam semper Prudentiam amavit; sicuti
in jure cuique tribuendo, si ve id deberetur Deo
Optimo Maximo ac Religioni , sive summo Regi
ac Reipublicae, sive Familiae, ac illius Principi,
sive amicisj sive subjectis, sive denique bonis om-
nibus, semper eximiam justitiam dilexit ; sicuti
inter opes et copias, inter summos dignitatis et
honoris gradus, inter maximas sui admirationes
et laudes semper maximam animi moderationeni
exoptavit- ita inter acerbissimos dolores, inter
terrores molestissimos, inter suprema vitae mala
heroicam virtutem explicavit. An liane heroicam
virtutem, ad quam erigit Catharinam animi Ma-
gnitudo, invitat etiam Constantia, quae ob hujus
oculos ponit virtutes omnes, quibus semper ani-
mum exornavit, atque hanc confirmat, ut ratio-
nem vitae cum illis actae retineat; viribus auget,
ut cum illis tandem etiam absolvat. O praeclara
Constantiae munia! At o praeclariora Patientiae!
Haec namque ut illa acerbissimos dolores prae
dissolutione animi cadesti specie praediti, et cor-
poris decora dignitate undique ornati , quae tam
jucundo , dulci ac suavi erant inter sese nexu
conjuncta , alto et erecto animo perpetiatur, Eam
avocat a cogitandis mortis molcsliis, et revocat
ad comtemplandas voluptates officiorum 5 ut so-
lamcn ex bis jucundis recordationibus capiat, quam
caste et sanctc Deum Optimum Maximum coluc-
2l8 PARTE II.
ritj quanta fide ei vola voveritj quanta pietate
Filios Divorum Regiiiae dedicarit, quanto wStudio^
cura et sollicitudine egenorum inopiam Dei caussa
levaverit; ut dulci se memoria reficiat summorurn
in Rempublicam meritorum^ et maximorum bene-
fìcioruraj quae in bonos omnes Reipublicae caussa
contulerit; ut sibi grato essel solamini meminis-
sCj quam temperate^ humaniter et clementer, quara
modeste, comiter^ ac pudice degerit vitam , et in
maximo omnium dolore hoc aeque maximo sola-
tio fruatuPj quod Ei affert praeclara recte facto-
rum conscientia. Ita Gatharina Aragonia, Princeps
nniversis Fortunae bonis ornata, cunctis Natura e
suavitatibus aucta , omnibus Virtutis laudibus cu-
mulata ex hominum vita heroum more demigrat^
cui nunc Dolor Orbis et Amor parentant. O ple-
nissimum acerbitatis officinm, quod omnes mentis
partes exagitasj divexas, afficis ac perturbasi O
quam innumeras imagines doloris tristi tiaeque ple-
nissimasj quo me acie vel oculorum, vel mentis
vertamj intueor et contemplor ! Fortissimus Fi-
lius moestissimo silentio, quod lacrjmas et que-
relasi quas excitat in animo pietas, vel fortiter
omnino jugulat, vel saltem graviler opprimit, Pa-
rentem amabilissimam luget. Ornatissimae Filiae ,
quemadmodum inundantia flumina tandem undas
limOj ita lacrymas uberrime efFusas stupore de-
iiique supprimuntj et constanti frontis contractio-
ne, firma dejectione oculorum, languida mem-
brorum solutione niliil vivum praeseterunt. Ita ob
oculos mihi versantur Matrem optatissimam de-
plorare. Sanctissimae Matronae regios ac nitentes
corporis ornntus deponunt; ac aliae ploratu tem-
perare vixj ac ne vix quidem possunt, aliae pe-
ctora decora bumi defixa tenent; omnes nonnisi
lacrymis; nonnisi squalore, nonnisi vèste sordida
ORAZIONI ED ISCRIZIONI 219
delectantur. Ita eas videre videor maximum sr.iuii
deciis lugere. Gravissimi viri Principes odio pu-
blicam lucem habent , et hominum adspectus re-
fugiunt; ac illi dolorem faciunt ipsa solitudine
acerbiorem, alii illuni in amicorum sinum exone-
rantes , ampliorem consuetudine faciunt. Ita spe-
ciem babere sentio, eos vel amara solitudine, vel
consuetudine misera de ornamento sui ordinis raa-
ximo amisso queri ac lamentari. Boni omnes, qui
ab ea sunt in universo Imperio vel cobonestati
officiis, vel fama ofHcioruni ad iUius benevolen-
tiam excitati dolore anguntur, confìciuntur tristi-
tia, solicitudine perturbantur. Sed dolorem, tri-
stitiam, solicitudinem , quam prae tantae Principis
obitu Res Hispana conceperit, quis est, qui cogi-
ta tione, ne dicam verbis complecti possit? Eheu
si ipsa Respublica, ac otunia, quibus continetur.
Regna personas indui possent, ea hic videretis,
ante banc funeralem struem in sordibus ac raoe-
rore jacere : si possint collacrymari , hoc ipsum
pavimentum, ubi consistitis, videretis eorura la-
crymis madidum; si suspirare iis datura esset,
huncmet ipsum aèrem, quem bibitis, igne aestu-
antem hauriretis: si denique iis querendi potestas
fieret, hoc Templum, hoc tectum, hos parietes,
hos singulos audiretis eorum querelis undique
resonantes. Eone, Fortuna, illam tot eximiis com-
modis prospera ornasti, ut iisdem tam cito or-
batam acerbiori luctu deploraremus? Eone, Na-
tura, illam tot egregiis ornamentis benigna auxi-
sti, ut iis praematurius nudatam funestioribus votis
prosequeremur ? Eone illam tot praeclaris bonis,
Virtus pulcherrima, cumulasti, ut, cura in illius
vita te nobis totam ostenderes, nos quam mae-
stissimos porro relinquercs? 0 Catharina Arago-
nia, unicus nostrum omnium dolor, quam nuper
3 20 PARTE II.
decora et ornata crat aetas nostra, Te sospite;
nunc sine Te quam squalida ac dernissal quam
iiuper secura erat cujusque egestas , quod suas
angustias maneret, Te opera ferente, levamen;
sine Te in quanta nunc versatur sollicitudine !
quam nuper certa erat cujusque bonitas , quod
sua promerita praemium, Te patrona, maneret,
sine Te quanta nunc cura vexatur. At ille angor,
ille moeror, illa aegritudo, quam sustinet piissi-
mus Filius, quod Tibi non potuerit postremum
vale dicere, non potuerit oculos premere, non
potuerit funus producere, nos non habet auctores.
Nos Tibi, Princeps optime, nos Tibi ( fatemur
enim) impedimento fuimus, ne haec officia pie-
tatis praesens illi persolveres. Nostra felicitas tuam
auxit in casu tam adverso calamitatem. Nobis igi-
tur, o acerbissima mors, nobis est cura primis de
tua summa acerbitate tecum expostulandum. Itane
Natum amabilissinmm Parenti restituis, itane Pa-
rentem amantissimam Nato? Quid de illa buie re-
fers? eheu, gelidam cinerem! Quid de hoc illi?
At o nostrae nimium humi defìxae mentes, quae
sensibus non modo oppressae, sed pene obrutae
ad Gaelum contemplandum revocari vix possunt!
O si supera et caelestia ita mentis acie, ut hac
oculorum suspiceremus, ipsam, cui nunc dolemus
tam acerbe, quaiii nunc lugemus tam misere, ip-
sam , inquam, Gatharinam Aragoniam, nobis, non
Jiunc acerbissimum dolorem abstergere ac lenire
tantum, sed etiam in majorem animi jucundita-
tem, quam, quae ejus obitu nobis adempta est,
hac oratione commutare audiremus: Quid, viri
piissimi, in meo funere lugetis? Quid, viri piis-
simi, lacrymatis? Dolor iste non quidem certe ve-
strùm caussa, vos angit; quod solum pessimos
juvat, qui tantum se ipsos amantj sed angit vos
ORAZIONI ED ISCRIZIONI 2121
caussà nieà, quod decet optimos. Si itaque me
Fortunae bonis orbatam lugetis, suspicite baec
aurea tecta, hanc aeternam Gaeli sereni talera, bunc
inaccessum a piceni supra imbres nimbosque, supra
procellas ac tnrbines, supra tempestates omnes,
quae in vos passim furunt, positum et locatumj
et quam firma et quam summa sint bona, quibus
in Deo Optimo Maximo fruar, perpendite. Si me
Naturae ornamentis nudatam deploratis, suspicite
baec aeterna lumina, quae tantam mundo pulchri-
tudinem addunt: et quam eximia sim cognoscatis,
suspicite baec Tempia, ubi omnia vestra exaudiri
vota exoptatisj et quam amplissima patrocinia apud
Deum Optimum Maximum suscipiam, consideretis.
Statuite proinde, statuite tandem modum luctui,
finem dolori: et siquidem mea de morte adeo do-
luistis acerbe ilio potissimum pieno bonestatis ar-
gumento ducti, quod maximis vitae commodis me
orbatam existimastis; nunc vos tandem decet, ut
hac longe et bonestiori et sapientiori ratione ani-
mos ad bilaritatem laelitiamque revocetis, quod ipsa
omnium prorsus vitae bonorum optatissimum finem
morte adepta sim et consecuta, immortalitatem sci-
licet, summa pace refertam , et constantissima feli-
citate cumulatam.
CATHARINAE ARAGONIAE
PRINCIPI INCOMPARABILI
DOLOR ET AMOR
HOC MONVMENTVM
PIENTISSIMI POSVERE
evi . r
TVTELAE NOMINE CEDVNT
ILLIVS
ET RECTE ET BENEFACTA
CVSTODIAE SVNT APPOSITAE
REGIAE VIRTVTES CVNCTAE
ROSAS
QVOTANNIS MITTIT
ETERNA NOMINIS FAMA
O R A T I O
PRO FELICI AD NEAPOLITANUM SOLIUM ADITU PHILIPPl V
HISPANIARUM NOVISQUE ORBIS MONARCHAE
( 1 702 )
Si universum hominum genus certo immuta-
bilique melioris naturae foedere dominantia rebus
prò earum dignità te vocabula consignasset, ita in-
solens, atque hactenus inaudituni de Te, Philip-
pe, laudationis genus cuncti homines tua vi diser-
tim funderent; uti nova atque inusitata ex Te
laudura argumenta promanant. Tanta enim abs
Te in utroque terrarum orbe late patenti Impe-
rio, et majestate tui generis parta est salus, et
eximia tui spectabilitate corj)oris, animique prae-
stantia tanta felicitas comparata*, ut isthaec ipsa
digne narrasse, citra cujusque eloquentissimi exem-
pla cumulasse laudibus putaretur. At vero ad has
verborum anguslias, quibus sponte naturae prae
tua magnitudine laboramus, illud praeterea urget
incommodum, quod quas laudis signifìcationes lin-
gua omnium, quotquot unquara floruerunt, regna-
trix et domina exquisierit, ac merito vix suffice-
rent tuo*, eas in suis Principibus exornandis Ro-
manorum ignoratio, vel obsequium ferme omnes
exhauserit. Siquidem ab iis alius terrarum rector
est dictus, cui, immenso Oceani tractu intentato,
alter oibis imperio moderandus restabat: alius na-
tionum praesidium et columen, quas vix dimidiato
Sol lustrabat curriculoj quasi vero nullis aliis gen-
tibus aliucens facem, reliquum sui orbis spatium
esset irrito decursurus: alium generis humani di-
xere delicias; quo sane plurimae ingentesque natio-
nes oblectarentur, sed intra certos terminos metu,
an invidia? conclusae. Te vero, Rex Potentissime,
PARTE II. ORAZIONI ED ISCRIZIONI 223
quibus vocabulis designabimus, nedum laudibus ef-
feremuSj qui gentes vi innumerabiles^ locis infiiii-
tasj dubio Hispanìci dominalus subsidio^ omnium
rerum festinantes ac trepidasj hoc ipso, quod tuas
esse voluerisy sospitasti: tuoque unius nutu tantum
imperium constitit, quod non montibus, non ripis,
non litoribus terminatur, sed fines, quatenus per
rerum naturani licet, porrigat exlendatque: etquos
populosj ut respexisti, incolumes feceras^ modo,
iis dum Te praebes conspiciendum, beatos facis.
Quas igitur dignas grates Tibi habeamus oportet,
Kex Diligentissime Populorum, qui post rerum ca-
put Hispaniam, primum omnium hoc Regnum, hanc
Urbem tua augustissima praesentià recreasti? Om-
nes sane omnium ordinum cives in laetitiam, hila-
ritatemque diffusi eas Tibi habent Maximo Prin-
cipi maximasj infini tis virtutibus ornato, innume-
ras; aeternis beneficiis affluenti , immortales. Ita
sentiunt vulgus: ita prudentes intelhgunt. Sed il-
los infantia praepedit; hos modestia attinet; me
mei muneris officium impelliti ut dicam. Tuae
modo erit clementiae ex summo Majestatis cul-
mine in haec ima descendere: et illum, spero , hu-
manitatis capies fructum, ut noveris, quantum su-
per fastigium humanarum laudum emineas. Au-
gustiora Christi Triumphalis sacra celebrabamus,
quum Regiae classis Cajetam appulsae jucundis-
simo excepto nuncio, extemplo feUx omen acce-
pimus, Te per dies omnium festivissimos ad hujus
Regni appulisse oras; qui Tecum omnia ad nos
prospera feliciaque conveheres. Ibi qui priores
eam exceperunt famam, e vestigio undique per
Urbem alacres erumpentis jucunditatis quaerere
socios: et universi sibi ultro citroque plaudentes
tantam novam rem gratulali. Laetabantur juvenes,
se jam illuni visuros diem, quem narrando demi-
22^ PARTE II.
rentur minores: gaudebant senes, se tanto bono su-
perstitesj cui longa majorum series praerepta es-
set. Adversis acti^ prosperisque florentes in spem
erecti, illi malorum fìnem, hi meliorum exordia
quam mox expectabant. Quae tum vota concepta
Divis, uti nimbi, et mens illa motimm terrae po-
tens tandem aliquando in nostra Campania desae-
virent: neu innocentissimae regioni injustam apud
Te conflarent invidiam. Tu aeternorum luminum
rector, nostras omnium curatissimas audisti pre-
ces, ut anni tempora jamdudum promiscua con-
stantius aequabiliusque moderares; quo nostrae
orae Genius suo se ostentarci Regi laeta veris fa-
eie, nempe sua. Hos de Te sermones cuncti ci-
ves in multam illam noctem conserebant: haec
sensa per quietem, si quae uUum inter tam fla-
grantia desideria amplexa est, agitabant. At ubi
posterà luce Te Baiis constitisse, et tonantia et
percussa aera renunciarunt, Civitas universa ita
immodico tuae propinquitatis gaudio elata est, ut
ipsa laetitia per fora discurrere, tecta subire vi-
derctur. Et in ancipiti, qua Urbem adires, alii
compiere litora, alii vias occupare; pars summa
tectorum, quamplurimi collium speculas superare,
qui eniinus cominus Te conspicerent. Non imbe-
ciilitas aetatis quemquam, non valetudinis fasti-
dium, non denique sexus pudor attinuit, quomi-
nus oculos augusto Tui expleret, insolitoque spec-
taoulo. Pueri enim suum delicium, suum robur
juvenes, suum senes levamen, aegri siiam salutem
visere cupiebant. Gumque morae impotentes, uni-
versi ejusmodi desideriis aestuantes, odiosura ces-
sare tempus incusamus, quod pigrum Tui visendi
velocissimum desiderium effecerat; vix tandem ad
Pausilypum promontorium conspecta classi , quam
laetae illae voces, et quam alacri spiritu ad cae-
ORAZIONI ED ISCRIZIONI 225
lum usque sublatae: En Sol Regum ab occiduis
iindis nobis exoritur! Alque interea rerum duai
Mergellinae , Olympiaeque praeterlegeres orarn,
sensim nostri Grateris undae liquìdiores fiebant,
amoeniora litora, ridentiores colles: Sol ipse illu-
strior: augustior hujus Urbis fieri flicies visa est.
At ubi in hanc terram egressus es. Deus immor-
talisi ut aquae abyssus, seu ignis, seu quod ma-
gis naturae lubet, et Pbilosophis ignoratur , ab imis
terrae visceribus tua sensit jucunda pondera j et
formidandam vim illam, qua immota movet, in-
concussa quatit, Tibi refraenavit ac pressit. At
enim ubi primum de Regiis aedibus frequentis-
simo populo visurum, visendumque Te praebuistij
inter laeta omina^ quibus omnia personabant, qua-
lem in fabulis per macliinam Deum aliquem^ ta-
lem Te ad nos de caelo descendisse spectavimus.
Et sane, uti usuvenit, ut raajorem longinquitas
conciliet Principibus reverentiam Majestatis, ma-
xima erat de Te, Philippe, nostra omnium opi-
nio, quum abs Te immodestum terrarum spatium
dissiti agilabamus. Te namque observabamus In-
clyti Galliarum Delphini natum, cui et inter quae-
sitissima Minervae studia agitanti, praestantiora
hujus tempestatis ingenia florueruntj et discrimi-
nosissimas subeunti Martis aerumnas quisque for-
tissimus vel hostium extimuit. Te Ludovici Ma-
gni magnum excolebamus Nepotem, hoc est, ab
eo Galliarum Rege progenitum, qui teterrimas Re-
gni seditiones oppressiti qui ab novis religionibus
sacra patria vindicavit: qui in Pannoniam, Lusi-
taniam, Belgas, Sequanos, Mediterranei niaris in-
sulas. Africani, Americani legionibus, classibusve
missis, decimiìm aut plus eo imperator suo par-
tim dnctu, partim auspiciis maxima bella confe-
cit: qui Iinperii Gallicani fines quoquo versus pro-
Vico, OiHiscoli. |5
526 PARTE II.
tulit, amplìavit: qui inter arma, finitimis pacatìs,
oinnes bonas pacis artes fovit, nutrivit et aluit:
auctoritate apud hostes gravissima, fide in socios
singiilari Regnum oblinet, regniam normamque re-
liquorum: qui denique incredibili prudentia, ac
pene divina omnium Regum sanctiora Consilia per-
means, uti natura universarum rerum virtutes, ita
is omnium Principum mentes in se unus comple-
ctitur. Te denique ejus Monarchiae Regem vene-
rabamur, cujus fines, si quis oculis vellet descri-
bere, universam aetatem percurrens, ante vitam
absolveretj quando Te Regnatorem Europa, Asia
pium, munitum Africa, opulentum America veue-
ratur: et rerum natura ipsa Mediterraneum Ocea-
numque in brevissimum fretum Tibi ad Gades ex-
tenuavit; ut inde terras omnes, et universa Orbis
terrarum interna externaque maria ex arbitrio mo-
derares. Tot tantasque Maximi Regis et ab stirpe,
et ab Regno laudes, omnes augustissima Tui prae-
sentia superavit ac vicit. Nec vero ei majestatem
conciliasti ingenti classe; nam paucae bue nostrae
triremes advexerant: non illustri pompa et trium-
pbali in Urbem ingressu; nam pene privatus su-
bieras: non paludamento, aut corona conspicuus;
siquidem modestissimo ornatu lamquam non re-
gnaturus, sed rusticaturus adveneras. Et tamen ubi
Te ad regiarum aedium menianum, mox ad so-
larium inter plures aulae proceres promiscuum in-
finita illa uìultitudo conspexerat; ut filii occulta
et insita necessitudinis vi ignotos parentes, ita
Majestatis virtute suum Te Regem agnoverat. Et
adeo Tui ab Gallia praemissae icones nequicquani
ad agnitionem juverunt, ut illieo culparemus aucto-
res, qui cum maxime augustissiraam Tui speciem
referre conati sunt, nec eximiam oris bonestatem,
nec caelestes vullùs virtutes quicquam ad Tui imi-
ORAZIONI ED ISCrxlZIONI 227
tamentum expresserint. Tarn laeta enitn serenìtas
frontem explicat, tara suavis in oculis caeli color
viget, et in colore caelestis vis luminis eminet,
tara gratus candor oris, quem roseus pudor sub-
inde tingitj taro jucunda lotius habitus incessusque
cura decora gravitas temperata, tara veneranda un-
dique ex Te Majestas emicuit, ut si vetustus mos
vigeretj ut formosissimus quisque deduceretur ad
Regnunij Te jam maximum Regem oculis legisse-
mus. Et vero si nobis qua Majestate poiles, mi-
nor apparuisses, non Te in imperio, sed in Te
Imperium suspiceremus: et cogitandi ordo, et na-
tura has primum de Te notiones in cujusque animo
explicuisset: O sorte nascendi felix, quem jus re-
gnorum et fas gentium ad tantam evexerint Mo-
narchiam! Sed nihil sane horum: quin, Te con-
specto, inter plausus illae voces impetu proruperunt:
O digne, cui tot regna subjaceant! O merite, cui
Sol nunquam occidat! O par, qui tantum mode-
reris Imperium! Quid ego referam, ut Tibi de navi
egredienti laeta occurrerit Nobilitas et Senatus? ut
alacres ad officium Magistratus convenerint? et a
Te ad manus adorationem incredibili admissi cle-
mentia, qua capti admiratione discesserint? inde
satis alii vixisse, Te viso} alii tandiu porro viven-
dum esse praedicabant, quoad tuis divinis vulti-
bus explerentur. Ita et eo die, et aliis quacumque
progressus es, frequentes confertique undique ad
Te concurrere, Tibi obversarì, Te subsequi, co-
mitari, praevertere: nec quicquam aliud per lios
dies, quam Te unum spectare possunt. An non
quemque nostrum hoc mortali corpore gravem is
nunc erga Te regit amor, quo caelum regitur? qui
nihil aliud exoptamus, nec alium nostrorum finem
honorum credimus, quam Te intueri, tuis dele-
clari vultibus, in Te nostras omniuuj felicitates,
328 PARTE II.
Te in noslris publìce privatiraque bonìs contem-
plari. Ita quicquid nobis obversatur, regium vide-
tur; regium, quicquid sentimus. Adeo nos supra
nos metipsos tuo ad nos adventu evexisti, ut jam
alio obtutu Urbis intueamur magnificentiam, alio
soli ubertatem, caelique risum, alio populi frequen-
liam, nobilitatisque amplitudinen. Et cura primis
quam splendidiora iilustrioraque tuorum monu-
menta majorum,Te visente, visa sunt? Certe Ca-
roli I aliorumque Andegavensium Regum tua prae-
sentià allevatae sunt tumuli pondere religiosae re-
liquiae. O qui fuerit ille regiorum cinerum sensus?
quae tacita magnos manes gaudia pertentarint, cum
longis seculorum post decurrentibus orbibus, ex
sua stirpe augustissimum germen exortum sit, quod
lantani rerum summam adeptus est, ut ejus di-
tionis id Regnum particula videretur, in quo ii
summis potentes opibus poUentesque regnarunt.
Quid igitur est, quod Tibi a nostris, supra solita
boni civis officia, hanc miram benevolentiam, in-
credibile boc studium, liane intensissimam pieta-
tem conciliavit? num Tua Majestas? at meram tre-
niimus: an nostra amoris abundantia? at tuum est
infra meritum: an fortuna? at ea in animos tam
late diffusum et aequabile imperium non obtinet.
O viri sapientes, qui id maximopere exoptabatis
in vita, ut amabilissimam virtutis imaginem bo-
niines oculis suìs videre possente o quam vellem,
hic praesentes Inter nos ageretis; nam de pulcher-
rimo nostri Principis corpore pulchriores, quam
dici, aut fingi possunt, niiraremini provenire vir-
lules; quin si natura modo dissimularetur, certe
virtutem ipsam tali corporis babitu putaretis in-
dutam , qualem, ut nostra fert religio, ex aetbere
purissimo caeli mentes, ubi lubet, sibi conformant
'et aptant. Nam et ab decoro bonestae fiiciei vul-
ORAZIONI ED ISCRIZIONI 2'ÌJ
tu, concinnoqiie civilium uiembromm commeiisu
formam supra quam feminae, ah artnurn nervo-
rumque firruitate vim supra quam homiiiisj ab prae-
claris regiorum officiorum exemplis virtutem supra
quam viri suspiceretis: O rerum omnium auctor,
et efformatrix natura! quam bene per te factum,
provìsumque fuit, ut qui novum rerum ordinem
in terris erat explicaturus, eum ad talera animi cor*
porisque formam effingeres, ut oculorum sensui ob»
viam faceret imaginem speciemque virtutis, qua
homines excitati, capti, infiammati, non vi, sed
sponte sua ad optìma vitae instituta revocarentur.
Jam video Te, Augustissime Rex, intelligere, in
quo verser loco mihi difficili, Tibi gravi, hoc est,
de Tuis virtutibus me esse dicturum. Sed quam-
vis hic tua erubescat modestia, ea adeo non me
ab incoepto deterret, quin impellit, ut istinc ala-
cer prima sumam exordia. Nam sive virtus sit,
sive virtutis color, certe pudor praeclarissimum
est tuae divinae indolis specimen, ceterarumque
tuarum virtutum maximum documentum. Ecquis
sane temperet laudibus, cum cujus legibus innu-
meri populi ac gentes parent, qui supra leges emi-
net, cui quicquid placet, ahit in jussa legum; eum
viderit vel ad importunas supplicum preces, vel
ad opportunas Procerum suggestiones erubuisse?
An quis Te major adest, cujus Te pudeat? Certe
majorem Te videt Sol nenìinem. Cujus igitur pu-
det? Tui ipsius. 0 robustissimum argumentum: Te
illum esse, qui id solus agas, quod ageres corani
sole! Sed cujus rei pudet, ubi nullum abs Te pec-
catum? irritum Tui pudorem putare nefas. Igitur
lam perfecte vitam instituisti, ut ab ea errasse le^
gum dominus intelligas, ubi nos legum servitia ni-
hil declinalum putamus. Ecquibus humanae virtu-
tis exemplis tuas illustraverimus laudes, cum viri
aSo PARTE ir.
virtule gravissimi eoruni sibi deiit veiiiarn, in qiii-
bus Tute tibi non parcas? Enimvero frustra cona-
rriur humanis Te ìaudibus exornare, qui unum Te
majorem, vitae exemplum proposuisti, Deum. Idr
que adeo tua caelestis erga eum pietas confirmat,
ut statini atque ad nos perveneras, luculentissi-
mum et primum virtutis documentum edideris:
quum non longa navigationis incommoda, non
nova urbis facies, non frequentia nobilitatis officia
Te quicquam morata sunt, quin recta in regiuni
Sacellum, ac pene solus concederes, et Deo Opt.
Max. prò secundo appulsu vota singularl exsolve-
res castitate. Quantam porro Tui adtnirationem in
animis omnium excitastij et quam impensa studia
quolidie in Te advertis, ubi Deum adis, et Sa-
cris ades: quae dum fiunt, ad Cbristianae humi-
litatis exeinplar compositus ac venerabundus, non
in terrena, ut magnifica, ut cospicua aciem diri-
gis oculorum, sed unum Deum contemplaris: non
alia dicis, quam bona verba. Itaque gravius per
Te, quam per Sacerdotum quemlibet, vel Ponti-
ficum, Deum edocti sumus: cum a Te Regum ma-
ximo tanta cultum religione videamus. Unde enim
id emanatj nisi quia proxime Deo accedis, optime
noscis, et quantum noscis, tantum etiam venera-
ris? O pietas aeternis ìaudibus decoranda, quot ex
te aliae, quantaeque nostri Principis virtutes ve-
lati rivi ex sacro fontis capite derivantur! bine illa
incredibilis ternperantia, clementia admirabilis, prae-
dicanda facilitas, invicta animi celsitas, justitia sin-
gularis. Nonne dignum immortali gloria deputemus,
quem prò Italiae salute ac tranquillitate suo ductu
imperioque decertaturum, connubii adhuc fumantes
laedae, aetate florentem, Ludovicae Mariae novae
nuptae amantissimum, a praeclarissimo incoepto
attinere nequiverant? Quanta istic claret tua Rei-
ORAZIONI ED ISCRIZIONI 23l
publicae diligeiiLia, Philippe, qui prius pace Re-
gnum, deinde sobole Regiarn fandare studeas? quod
animi in cupiditates imperium euiinet? Id certe ra-
tionis regnum homines agitarent, nisi earn vitium
labefactasset orìginis ; et tnm liberis darent operam,
cum sit opus. Sed ncque id unum est tuae incre-
dibilis temperantiae, ncque primum exemplum. Nam
quolidie tuis adsumus prandiis, tuasque spectamus
coenas, unde quis enarret , quam bona virtutis fruge
expleti discedimus? non enim longa ferculorum
pompa, non raachinosae epularum struices in ocu-
lorum fastum ornantur* non fracta symphonia per-
sonat j non parasitorum scommata, non scurra-
rum dicacitates aures irritant; sed regia ciborum
frugalitas ditat mensas, modestum silentium exhi-
larat: ncque discinctus, aut solcatus accumbis, sed
juxta ac in aciem descensurus. Tu Tibi structor.
Tu Tibi carptor non in multum dici noctisve Te
invilas, sed per brevissimum tempotis spatium in-
nutriris: aurei seculi prandia! o lieroicorum tera-
porum coenae! in quibus non quam multum vo-
luptati, sed quam parura naturae satis sit, satisfiat:
et Inter regias, nedum liberales mensas victus ma-
gis capiatur, quam cibus. Nam i!le Bacchi modus
quam adrairandus? quem puri fontis latices , ac ne
hi quidem ipsi refrigerati (moribus alioqui proba-
tae deliciae) perdunt magis quam temperanti Vos
huc, vos, Viri Sapientes, accerso : suntne vestrae
coenae cum bis regiis comparandae, ubi non ar-
gutulis verborum tricis, sed miris rerum exemplis
vitae moderationem Potentissimus Regnator edo-
ceat? Et tamen quid majus instat, quod Te ad
mensam exhibet huraana specie augustiorem, cum
qui ad id virtutis spectaculum frequentissimi fere
semper conveniunt, ita eorura oblecteris corona;
ora et vultus tanta oculorum diligentia et sedu-
232 PAIITE II.
litate intuearis; et in eo sensu nisi Lotus , ila certe
plurimus occuperis, ut nihil animi tui possit su-
perare gustatum. O Principem modestissimura, qui
epulas non sumptuositate, sed Tui publicitate ma-
gnificentissimas exhibes! O vita scilicet Regia, quae
in conspectu agitur populorum! Itaque Tua victus
temperantià haud minorem spectavimus somni, le-
ctique modestiam. Te namque vidimus (futura aetas
crede narrata, nani vidimus) meridiantera quiete
magis, quam sopore; cubantem sopore magis,
quam somno capi. Numne id efHcìt moderatio ci-
borum? Sed nec venatio (quam belli effigiem saepe
ludis proximiis Imperator) labore, aut lassitudine
somnum Tibi quicquam graviorem accersit. Quid
igitur est, nisi ignea et vivax vis animi, ocii im-
potens, et ignara desidiae? Sed an aulaea distin-
cta gemmis, pegmata in admirationem extructa,
aurea fulcra in leones aut aquilas conformata , pul-
vinaria ex peregrinarum avium infarcita pennis, et
quae alia naturae infirmitates fecere delicias, Tibi
lectum instruunt et adornant? 0 in summa pote-
state rerum admirabileni rerum modum! Cui Pe-
ruanum Mexicanumque Regnum infinitam auri ar-
gentìque vim conflat ac ferit^ cui Gangeticus sinus
uniones ac gemmas profert; cui innumerae manus
artes in tot regnis late florent ac vigent; ejus quasi
caelibis lectulum modestissimo cultu stratum vidi-
mus mirabundi. Sed tantae tamque mirae mode-
stiae quantae item et quam rarae addunt se co-
mites facilitas et cleraentia! quando et illustri et
obscuro loco nati promiscui ad Te adeunt: pre-
ces fundunt permixti: indiscreti tuam potenteni
adorant manum: nec tenuiores proceribus fortu-
nam invident; nec proceres tenuioribus impertitum
dedignantur honorem: ita omnes incredibili tua ex-
ples benignitale, Cuique ad Te penetrare licet, dum
ORAZIONI ED ISCRIZIONF 233
velit: omnes tua clemenlia adniiltit: Tua innocenlis
securitas submovet neminern. Non adeunti dedu-
ctor quaerendus est: non commendator precanli:
non deprecanti patronus. Quamobrem Aula ad Tui
exemplum in summani humanitatem conformata,
facilis, ita universis patet, ut Tibi, O Rex clemen-
tissime, qui talem in Regno patriae curae simili-
tudinem refers, ut merito Nationum Parentem ap-
pellare Te liceat. Atqui tuam istam tantam man-
suetudinem, ut rara, ut praeclara invicta animi et
ardua celsìtas excipit, qua cuncta sublimia supe-
ras, omnia excedis excelsa! Quid? tuus ille mos
gravissimus, ut nihil mireris Iiumana; annon id est
expressissiraum vultus Sapientiae lineamentum? O
quam admirabilis in Te est nexus et catena vir-
tutum! Nihil magnum, nihil novum, nihil insigne
Te percellit, quod cuncta sublimi animo magni-
ficentiora praeveneris. Sed nec ea, quae prò tua
non sunt dignitate, forte fastidia, aut despicis:
quin prò tuae magnitudinis modo, quae Te non
digna sunt, soles tua dignatione dignare. Quid si
quod amplissimum es adeptus Imperium, infra Te
putes? Nam quid aliud sibi volunt illa maris, quae
subis pericula? illa navigationis, quae perfers in-
commoda? durum vitae, quod instituis, genus in
castris? Certe non aliud evincunt, quam quod non
tam pulchrum Tibi sit, in Imperio vivere, quam
prò Imperii salute pati: et summae rerum prae-
esse, humanumj perturbationum regnum agitare,
divinum putes. Sed quis par est, ut prò merito
dicat, quanta insit in tuis rescriptis justitia? in
consiliis prudentia? in sermone gravitas, et quod
magis est, in ipso aetatis flore consummatissi-
ma? O quam falsos experti sumus Philosophos,
qui in juventa solam virtutis indolem laudari posse
existimarunl! Hominibus quidera vulgo sera vir-
234 PARTE II.
tus venit, ut quibus ex graviore luto natura finxit
vehicula virtutìs praecordia: Tibi vero, qui ab caelo
ducis originem, ex purissimo mobilissimoque ae-
there conforma vit: ita ut non tam annos praecoci
sapientia praevertas, quam maturam virtutem velo-
cissimo comiteris ingenio. O rerum gestarum scrip-
tores, quae vobis praeclara et ampia pacis bellique
argumenta Pbilippus processu aetatis praebebit,
quem tot laudes ab viris virtute summis afTecta-
tissimae, ultro vixdum piene pubereui anteveniunt!
Hac igitur corona virtutum gemmis conserta cae-
lestibusj hoc syrmate honestatis, divini solis picto
coloribus, priusquam regalibus ornatura insignibus.
Te nobis conspicuum demonstrasti : an id ut osten-
dereSj Te maximo Imperio fuisse dignum, ante-
quam imperares? Nostra aetate minores ex hoc
inteUigite, posteri, quantum inter Philippum et
Carolum V aliosque nostros optimos Principes in-
terfuerit: siquidem ii Urbem NeapoHm non prius
ingressi sunt, nisi instructa majestate venerandi,
ut Principis reHgio suis adderet virtutibus decus:
Hic privatim adit, ut suis hominis virtutibus, Prin-
cipis augeat dignitatem. Ecquis sane referat he-
sternae dici candorem, lumen, laetitiam, qua regali
per Urbem pompa Rex Augustissimus equitasti?
Praeteream aulaea auro sericoque contexta ubique
praetenta: sileam temporarios arcus prò Guriis ma-
gnificenter extructos: taceam titulos ingeniosissime
Tibi inscriptos: missos faciam equos indole tum
maxime generosa ditissime phaleratos: confertas
puerorum et splendide instructas farailias, militum
acies, quacunque processurus eras, extenuatas. Quis
enumeret Proceres, eorumque ornatus ac magni-
ficentiae modum describat? quot cives ex Regni
municipiis, ac praefecturis confluerint? quot viri
Principes, ac Legati ab Italia convenerint? qui
SCRITTI SCIENTIFICI 235
amplissimi Romani Principis Senatores candenti
ostro nitentns coierint? lionestissimas matronas
gemmis auroque graves, Magistralus, Pontifices,
Sacerdotes quis unquam recenseat? Et in tanta
hominum copia, virorum lamine, rerum splendo-
re, in viis, de aedium fenestris, de tectorum fa-
stìgiis, Tu omnibus unus totum raagnificentiae spe-
ctaculum in ea pompa exhibebas: et quacuraque
procedebas, ita omnium in Te unum advertebas
obtulus , ut dicere non dubitem , eo die Te suis
oculis Italiam gestavisse. Quae tum omina Tibi
Pio Felici Augusto concepta! Quae vota Tibi ho-
stes debellaturo nuncupata! Quas in laudes, quo-
que impetu laetitia simulationis ignara prorupit!
ut illam tralatitiam Regum Decus ^ illam celebrem
Incrementum Regnorum, usitatam illam Catholi-
cae Religionis Praesidium, crebrara illam et ma-
xime usurpa tam Universa Hilaritas ex tuis mis-
silibus desumptam audiveris. ■
Atque ulinam Deus fecisset immortalis, ut mihi
hic tanta vis dicendi suppeteret, tam uberes elo-
quentiae fonles erumperent, tanta copia supera-
ret, ut quot quaiitisque beneficiis hanc Givitatem,
hoc Regnum ornaris, auxeris, cumularis vel pres-
sissimo stylo complecti possem! Qui principio ad-
veniens illa Patriciorum ordini praeter spem, prae-
ter fidem benefacta promulgasti, ut Neapolitani
D. Johannis Equites Neapolitanae classi Duces, ac
Praefecti imponerentur: etGadibus, Hispaniarum
claustris, vir bine Patricius praeesset ex ordine.
Mox ut siguificares, quanti Nobilitatis faceres fi-
dem, Neapolitanam equitum dudum scriptam le-
gionem ilio incredibili benefìcio decorasti, ut et
iis Praetorii custodiam concrederes, et ipsis tur-
niarum Ducibus Praefecti optionem remitteres. Hinc
quo rusticae plebes et multitudo urbana, qui Te
2 36 PARTE II.
maximum colimi, Optimum etiam sentirent, uno
edictOj plebi, populoque Neapolitano diuiidium,
quod prò frumento penditur, vectigal remittis: et
ùniversitates Civium tributorum reas, novis prò-
positis tabulis, ingenti aere per totum Regnura
universas absolvis. Nec tua beneficentia terris tan-
tummodo terminatur, quin in Gaelum etiairi ca-
put inferii, qui Divo Januario, nostro majorum
gentium Indigeti universae Hispaniensis Monarchiae
tutelam permittis, ac patrocinium: et mira rerum
conversione beneficii collationem, in opis implo-
rationem commutas. At enim quae Tua benignitas
non fìnitur loco, ea nec tempore coèrcetur : qui
noxios criminum labe lustras, et innocentiae re-
stituis: obaeratis solvendi diem amplias, et eo-
rum inlegras fìdem: cuncta legum beneficia a de-
cessoribus collata Regibus sanctissìme rata jubes:
et universa ab hoc Regno constituto aliorum be-
nefacta Tu una liberalitate complexus es. Itaque
in nos tuis beneficiis exornandis ipsam Regni
majestatem, si fas est dicere, profundere videaris:
nam ut fortunae adversis occurras, leges relaxas:
ut conscientiae labes deleas , fasces dissolvis : ut
laetiorem agrorum facias cultura, Fiscum demi-
nuis: ut domi abunde sint necessaria vitae, mi-
litare aerarium attenuas: ut foris ad virtutem mi-
lites excitentur, iis Te ipsum donas. Itaque omnia
Te Optimo piena. Terrae defatigatae jam, alleva-
tis tributis, ab aratro quiescunt: et boves per prata
palare sejugos, et sponte telluris luxuriare segetes
sub umbra spectat desidiosus agricola. In tenui
cujusque lare, relaxalà annona, pueri circum pa-
rentes cariores dant jocos, laetaeque Gereris dona
ludunt. Tuo beneficio divincti noxii, innocentio-
rem induunt mentem : aere diruti , luxum exuunt ,
et desidiam: rnilites Tui custodia superbiunt: pa-
ORAZIONI ED ISCRIZIONI 287
galli tua magnìfìcentià rem cumulant: sacra tua
religione gaudenti Tui laetitià profana gestiunt:
privatae res tua praesentià instauranlur : tua au-
ctoritate publicae confirmantur. Ecquà unquam via
tuam in uos beneficentiam occludis? Tuo augusto
spectaculo oculos recreas: tuis laudibus aures per-
mulces : tua bilaritate corpora reficis: tuis exem-
plis ad virtutes excitas animos. Majestatem bue
intulistij et Urb.s augustior facta est: bumanitatem,
clementianij probitatem ad nos importasti, et Gi-
vilas beatior evasit: delectatus es indole civium,
generosior prodlit: Neapolim Te dignam putasti,
et in Regiam Orbis terrarum abiit celeberrimam.
Qua igitur digna ratione tam expositae, tara
obviae, tam bonorificae beneficentiae, quantum est
raeritorum momentum, tantum possimus agere gra-
tiarum? Certe in eo Te fastigio, Philippe, Deus
Opt. Max. collocavit, ut referre grates , si fieri
posset, id ipsum superbum sit et ingralum. Sane
id est tuae liberalitatis pretium , ut cum in quos
eam conferas, semper apud eosdem solida inte-
graque sit gratia, eam Tibi agere juxta sit, ac
debere. Igitur quando gratiis referendis opes, agen-
dis verba non suppetunt, sallem tantae beneficio-
rum moli par esset nobis vastitas animorum, ut
possemus nabendo concipere. Nibilo tamen minus
si non ut decet, at uti licet, si non ex merito
dignas, at prò officio veras agimus grates vobis,
sanctissimae leges, quae Hispanìcum ita fundastis
Imperium, ut Regnorum successionem natura di-
rigeretis: grates Tibi, recepta Cacio mens, Ca-
role II, qui tuo supremo elogio quem regnorum
jura ad successionem vocabant, eum tua designa-
tione accersisti: grates tuae foecunditati, jam in-
ter sydera allecta Maria Anna Christina, quae et
Hispanico et Gallico Imperio Regni subsidia pa-
a38 PARTE II.
rasti: grates, Tibi, Ludovice Magne, qui Pliilippum
agnoscere snccessionem voliieris, ilio universo ler-
rarum Orbi salutari jussu, quo indoies visus es
commutasse virtutum: et cum maximam Borbonio
Domino Monarchiam quaesivisti, tum maximum de-
disti moderationis exemplum : grates denique Ti-
bi, Regum dator, Deus Opt. Max., qui ita Regno-
rum vices ab anteacta temporum aeternitate regis
ac temperas, ut hodie per Te Philippus regnaret.
Dedisti Regem, regno, omnium salus, conserva:
parasti Regnum Regi 5 fortuna bellorum, aspira:
maximum Imperium servasti, Optimum Regem le-
gisti; aeternitatis Parens, aeterna.
''■■ I.
f-'V PHILIPPO V
rh^iiHISPANIARVM REGI OPTIMO AG POTENTISSIMO
Pf>tir,^ ;fff|5 ET ELISABETHAE FARNESIAE
FELICI FOEGVNDITATE REGINAE
QVOD
T.r. . TRES FILIOS MARES EDIDERINT
QVO REGIA BORBONIORViM DOMVS
PLVRIBVS FVNDAMENTIS INSISTERET
ET ITALIA lAM VNVM HABET
... , . .g^^QLVM NEAPOLIS ET SICILIAE REGEM
<virmm v*v > POPVLORVM DELICIVM
ET PHILIPPVM ALTERVM
PROMPTIS GENTIVM OBSEQVIIS lAM MOX EXPEGTAT
ITALIA, GALLIA, HISPANIA
CONGEPTIS
^QVAESITISSLMAS GRATES VNA FORMVLA VERBIS AGVJNT
■ .• I ì ; 1 ■
ì
ORAZIONI ED ISCRIZIONI
IL
PHILIPPO BORBONIO
REGIO PRINCIPI
QVOD
LAETIS OMINIBVS
EX LVDOVICO ISABELLA
GALLIARVM REGIS PRIMVM NATA FILU
REGIAM PVELLAM SVSCEPERIT
ET AVGVSTA SOBOLE PARARI COEPTA
SIRI POSTERISQVE SVIS
SIT ITALIAE PRINCIPATVM AVSPICATVRVS
339
III.
MAGNVM AVGE ANIMVM
ET MAIORES SPIRITVS LNDVE
PHILIPPE BORBONIDE
QVOD
REGIAE PVELLAE EX TE RECENS NATAE
CVM SVIS QVAEQVE PROPRIIS MVNERIBVS ADFVERINT
IVNO
REGNA ET PROVINGIAS
MINERVA
SAPIENTIAM
VENVS
CHARITES
PROFERENTES
VT FORTVNA ET VIRTVS
MAIESTAS ET AMOR
COMITES EI ANCILLARENTVR IN VITA
•^,
DELLE
CENE SONTUOSE DE' ROMANI
LEZIONE ytCCADEMICA
RECITATA AVANTI IL DUCA DI MEDINA-CELI
VICERÉ DEL REGNO DI NAPOLI
La più splendida e luminosa lode, Eccel-
lentissimo Principe, che io della grandezza ro-
mana abbia letto giammai, se non vado errato,
mi sembra quella che proprio fosse della maestà
di Roma aver in sua ragion la fortuna, e come
più le fosse in grado a' popoli e nazioni donarla.
Ma di questo elogio, che alla Romana Repubblica
nel suo più alto stato Sallustio scrisse, altro e
più grande e più magnifico estimo doversele da-
re, dopo che la città lume del mondo dello in
tutto fu spenta, che la grandezza romana della
sua total rovina fece più fortunata, lecito mi sia
dire, la sua fortuna. E di vero alla fortuna di
Roma distrutta attribuire oggi si dee che V. E.
sia tanto vaga d'esserne ragguagliata quanto altri
mai, e dare al grande imperio seggio assai più
glorioso de' Sette Colli, nella vostra alta mente.
Adunque non vi rechi meraviglia. Eccellentissimo
Signore (se pur cosa alcuna meraviglia vi reca),
che dopo averne ascoltate le imprese de' principi
più famose, oggi che per vostra pregiatissima gra-
zia a me tocca, in questo luogo onorato e rive-
rito tanto, la prima fiata di dire, abbiami scelto
tessere una diceria delle Cene sontuose de' Ro-
mani. È l'argomento per sé ameno, ma però molto
inferiore di voi, e per conseguenza, dove abbiate
dalla sua propria altezza ad inchinare la vostra
PAUTE II. ORAZIOI^I ED ISCRIZIONI 2^1
divina mente j con tutto ciò io spero che le gio-
condità delle cose che aranno a dirsi, manter-
ranno pur piacevolmente per brieve tempo i vo-
stri sublimi pensieri fuor di lor stato.
10 estimo che la ragion delle Cene sia egli com-
piutamente descritta ed ispiegata, se a questi quat-
tro capi la ridurremo: tempo: luogo: apparecchio:
ed ordine di cenare.
L'ora destinata alla cena era la nona romana,
quando F amorosa stella di Venere avendo di già
sommerso nel mar d'Atlante il Sole, spiega i suoi
chiari e ridenti raggi sopra il nostro orizzonte,
ora degnamente scelta a ciò fare; perchè, affatto
sciolti da ogni altra cura, i corpi e gli animi rin-
francassero dalle fatiche e sollecitudini che por-
tan seco gli affari del giorno. E quantunque appo
alcuni latini scrittori facciasi menzione de' pran-
zi, eh' è cibo che a mezzogiorno si prende, certa
cosa egli è che non furon essi da' più antichi co-
nosciuti, che non solevano se non una sola volta
il giorno cibarsi. E con tutto che fossersi ne'
tempi vicini al principato i pranzi di già intro-
dotti, non eran essi però se non molto moderati.
Imperciocché pranzavano soli ( lo che non mai
usavan di fare nelle cene); e T inverno, come Gelso
avvisa, mangiava!! qualche cosarella senza carne
o bevanda; l'està però, per lo lungo tratto del
giorno , un po' di carne talora e qualche bevanda
eran usi di prendere.
11 luogo eletto per le cene era il più alto delle
case, che indi era detto cenacolo. Gli uomini però
che di ricchezze e di splendore abbondavano ,
avevano essi in una sola casa di più cenacoli,
imperciocché Cicerone e Pompeo presi un giorno
da vaghezza di sapore all'improvviso, come gior-
nalmente si trattasse nel cenare Lucullo, abbat-
te
242 PARTE II.
tendosi in lui per avventura sulla piazza, il sa-
lutano e gli addinianflano la cena, e sì dicono:
Però vedij Lucullo, di non mandar messaggiero
innanzi, perciocché non ci piace che per noi spesa
alcuna si faccia. — Lucullo facendo sembiante di
ricusare, priegava i due grandi amici che si con-
tentassero il giorno appresso venir seco a cena-
re; e come quello che nort potette impetrarlo,
soggiunse: Almeno lecito mi sia dire ad uno schia-
vo, in qual cenacolo dobbiamo cenare sta sera;
— e fattagli di ciò licenza. Va, disse ad uno,
e dì che io voglio cenare in Apollo: — » ed in-
contanente li menò a casa, dove ritrovarono con
lor meraviglia un apparecchio sopra ogni lor cre-
denza lauto e reale* non sapendo essi che Lu-
cullo, uomo di erudito lusso, avea più cenacoli
in certi nomi distinti, che proferitone uno, il
dispensiere ed il cuoco sapessono che è quanto
facesse di mestieri alla cena; e la somma a quel
di Apollo tassata era cinque mila ducati.
Contenevasi il cenacolo in più parti; cioè cu-
cina j dispensa, vivajo, peschiera, libreria. Ma che
hanno a fare i libri co' bicchieri? Il dirò. Aveano
in costume gli Antichi di proporre dopo cena,
e talor tra '1 cenare, alcuna dilettevole quistione
])er cibar tutto l'uomo, cioè il corpo coi man-
giari , r animo con le cognizioni; laonde per rin-
contrare alcuna autorità confacente a solvere i
dubbj tra '1 discorrer nati, facea di mestieri aver
pronta la copia de' libri presso a quel della ce-
na: in altra stanza a rimpetto a quella del ce-
nare, come ritraggo da Seneca, si spiegava il ri-
posto delle mense, delle credenze, de' vasi e de'
fercoli, che leggiadramente in lingua itahana ap-
pellaron Trionfi. Poco magnifiche riputavansi dal
romano lusso le tavole di oro non che di argen-
ORAZIONI ED ISCRIZIONI 2^3
to; perchè se alcun perdere le volesse in un trat-
to, non le potea , poiché pur preziosi ne rima-
nevan gh avanzi j onde a' tempi di Nerone fin
dall'Oceano Indiano si portarono le corteccie delle
testudini , delle quali in sottihssime foglie segate
ne ricovrivano non solle mense, ma le credenze
e i letti da cena; e, come Seneca accenna, gli
artefici le medicavano in guisa, che perdendo il
lor proprio, acquistassero il color del legno che
ricoprivano, e farlo, come oggi la vernice chine-
se, nitido e risplendente. Materia pregiata fu an-
cor l'avorio ; ma sopra tutto preziosissima egli fu
la radice del cedro, di cui tanto salse il valore,
che adeguava quel dell'oro e delle perle; e de-
cantate son quelle due mense, delle quah una ne
comperò Cicerone a prezzo che, come dice Se-
neca, assorbiva il patrimonio d'un senatore ro-
mano, cioè venticinque mila scudi; e l'altra da
Asinio Gallo altrettanto: onde, poiché fu cotanto
ammirata la radice di questo arbore, che la na-
tura a' soli tempi della romana sontuosità stimò
degna produrre, mi par bello (se non mi dilet-
tano le mie cose) narrarne in brieve la storia.
Nasceva, come Phnio e Teofrasto scrivono, sopra
altissimi e freddi monti della Mauritania, e parti-
colarmente sopra l'Atlante : egli era altissimo e
dritto molto; ne' rami, nel tronco e nelle sempre
verdi fronde somigliante al cipresso; però que-
ste eran coperte da una molto sottil lanugine,
della quale, adoperatavi l'arte, si potevano, come
dalla seta, fare le vesti; le frutta simili ad un
granello di orzo, che prese anzi cena preserva-
vano dall' ubbriachezza. Della radice dunque di
( juest' arbore in sottihssime foglie segata , come
oggi di quelle della noce e dell'olivo, ne copri-
van le mense; il color di esse era oscuro nel mi-
^44 PARTE U.
dolio e mischio nella corteccia ; la vena crespa
assai j die o con un lungo tratto imitava la pelle
della tigre , o rotando rassembrava quella della
pantera, o ondeggiando formava la coda del pa-
vone (che erano le più belle), o finalmente ser-
pendo, inchiodandovi di parte in parte chiodi
di color mischio fatti della stessa corteccia, raf-
figuravano la lampreda. Il pregio di queste mense
nasceva non solo per esser quelle vistose e va-
ghe, ma eziandio incorruttibih ; onde ne facevano
anco i libri, o almeno delFolio di essa gli unge-
vano per serbarli eternamente dal tarlo delle ti-
gnuole. Or, d'onde uscì ritornandola diceria, la
forma delle mense fu quadrata, appresso ritonda,
finalmente a' tempi di Vespasiano lunata ; le so-
stenevano piedi per lo più d' avorio , rappresen-
tanti o pardo o bone, ed abbisognava che nel
riposto ve ne avessero di queste mense almen tre 5
perchè nel finir l' anticena , la prima e seconda
tavola, queste si toglievano via, e succedevan del-
l'altre. Di sì fatte materie erano gli abaci, o le
credenze. Geta figliuol di Severo dispose la cre-
denza per gli abaci di sorte che sotto ciascheduna
lettera si contenessero le vivande , i nomi delle
quali da quella lettera cominciasseroj come sotto
la lettera P il pollo, il pesce, la pernice, il pa-
vone, il porchetto, il prosciutto*, e'I deficato vec-
chio di Petronio ne avea disposto una così, che
rappresentava il zodiaco e le dolci case del So-
le, e (guatate gola ingegnosa!) dentro ciascuna
di queste case un convenevol cibo si riponesse.
Ma vegnendo finalmente a' vasi, il vetro suggel-
lato e '1 cristallo impunto di Apulejo imitavano
i nostrali di Boemia; e furono i vasi di cotal ma-
teria formati tanto in pregio appo gli Antichi,
che Nerone, ricevuto avviso delle sue disperate
ORAZIONI ED ISCRIZIONI ^^.{^
cosc'j in quella somma rabbia , gittando a terra
ruppe due bicchieri ch'egli sommamente cari te-
nea, dov'erano intagliati i versi d'Omero; riflet-
tendo in ciò Phnio ch'egli stimò per questa via
punire il suo secolo j che nìun altro ivi bever po-
tesse: e qui non so se si debbia riputare di Pe-
tronio Arbitro j o piuttosto di Giovanni Sarisbu-
riesCj quel che racconta Trimalchione del vetro
pieghevole j e che resistesse a' colpi di martello,
così temprato sotto Tiberio j il quale avesse per
ciò comandato decollarsi l'artefice, e darsi il gua-
sto alla sua bottega, acciocché il pregio dell'ar-
gento e dell'oro non s'avvilisse. Che io credo per
me, la scomunica del S. Padre appo Graziano ben
istare in dosso di cotesti Alchimisti che si per-
suadono poter i metaUi per artifìcio umano can-
giar natura. Nobil materia de' vasi somministrò
l'incendio di Corinto, che fondendo argento, oro ed
altri metalli insieme, il caso tanto ben gli con-
fuse , che delle miserie de' Greci ne fecero le de-
lizie romane. La Parthia apprestava loro la murra,
pietra vermiglia, meravigliosamente odorosa; man-
dava il mar di Settentrione l'ambra, la quale imi-
tavano anco gli orefici, col fonder nell'argento
una quinta porzion d'oro; avvegnaché ci ricrede-
rebbono i Lombardi, se volessimo darci a credere
che i pioppi del Po stillassero ambra. Solevano
poi distinguere e tempestare i vasi di preziosis-
sime gemme, come appo noi le sacre pissidi, o
farli lavorare di bassorilievo, tra quali furon ce-
lebri molto quelli di Mentore. Le forme de' vasi
da bere eran varie; larghe e profonde eran le
trulle; a guisa di nave i cimbj e gli scifi; a cam-
panello i ciborj; i nestorei di due fondi; larghe
e piane le patere; con qualche differenza i car-
chesii; ed oltre a questi i calici, le pissidi, le la-
a/jG p ART li: II.
gene, i cantari , le ampolle, ed altri inliiiitij de'
quali il dottissimo Baifio un intiero libro coiupose.
I piatti di varie forme j come oggi, e fra le altre
capaci di portar sulle mense intieri i cinghiali, i
porci, i vitelli.
Ora entriam finalmente nel luogo da cenare,
detto, dal numero ordinario di tre letti, tricli-
nio : era la struttura di esso a volta , e quello del
gran palagio di Nerone di tavole versatili, sopra
le quali eran ancora menati i condotti, acciocché
rivoltandosi quelle, ed aprendosi questi, rovescias-
sero sopra le mense fiori, e nelle vivande odorati
unguenti, la copia de' quali faceva fra le altre cose
sontuoso il convito; di che eran sì vaghi i Roma-
ni, che ne ungevano la fronte, i piedi, i capelli,
e li mescolavano nel vino e nel brodo, e talo-
ra, per sentirne il grato odore da per tutto, ne
ponevano, in vece dell'olio comunale, nelle lu-
cerne e lampane, che di metallo per lo più co-
rintiaco fatte, ed in guise oltre modo ingegnose
dalle volte del triclinio pendevano. Lo spazzo era
coverto o di minio, o, come quel di Metello appo
Sallustio, di cruogo. In mezzo al triclinio erano
adunque allogati tre letti spiumacciati, o con arazzi
o con porpore risplendenti. Ciascheduno di questi
letti era di tre persone agiatamente capace. Onde
comunalmente dicesi che in un convito non deono
esser meno del numero delle Grazie, ne più di
quello delle Muse. Giacevano essi convitati, pie-
gando la parte superiore del corpo sopra il go-
mito sinistro, con la parte inferiore distesa e gia-
cente sul letto, ed appoggiando un po' su i cuscini
le spalle; il capo leggiermente erto tenevano di ma-
niera, che essendo più in un letto coricati, il primo
veniva a giacere a capo del letto, e i pie di esso
si stendevano d etro le spalle del secondo; il se-
ORAZIONI F.D ISCRIZIONI ^4^
concio tenea le coppa volta al bellico del primo,
e i pie dietro le spaile del terzo, come da un
marmo padovano il ci fa vedere Geronimo Mer-
curiale. De' letti, quel che era a sinistra era il som-
mo, quello a destra l'infimo; e ciò richiedeva la
ragion del giacere, imperciocché si coricavano so-
pra il lato sinistro, acciò potessero aver libera e
pronta la destra mano a cibarsi. Il medesimo or-
dine che de' letti, era de' convitati; perchè il sommo
hiogo era quello che non avea altri a pie; mezzo
chi avea uno sul capo, altro a pie. Di questi tre
letti, il sommo e '1 mezzo era de' convitati, l'in-
fimo del signor di casa con la moglie e figliuoli;
il più onorato luogo era il mezzo del letto di
mezzo. Ma se mai giacevano nello stibadio, che
era un letto a figura di un mezzo cerchio, al qual
conveniva la mensa lunata, come a tre letti qua-
drata o ritonda, il primo luogo e più onorato
era il primo del corno sinistro; di che veggasi in
fine la Tavola.
La comodità che arrecava il cenare in cotal
guisa, egli era che finita la cena, o intermessa,
potevano agiatamente, piegando la spina, cori-
carsi tutti, o a chi più era a grado, sedere al-
l'usanza turchesca. Laonde si vtde quanto scon-
ciamente i pittori dipingono Cristo con gli Apostoli
assisi alla sacra Gena, e S. Giovanni dormir presso
lui sulla mensa, contro ciò che dice il Vangelo,
che dormiva sul petto di Cristo; e cadono in sì
fatto errore per non sapere essi 1' uso del cenare
Asiano. Eravi altresì nel triclinio il pulpito de'
musici, avvegnaché nelle solenni cene non face-
vano cosa alcuna che non fosse da armonioso con-
cento accompagnata. Con la sinfonia si portavano
e rimoveano le mense; ballando al suono porta-
vano i servi i trionfi. Gli schiavi dai bicchieri,
248 PARTE II.
temprando qualche inno in lode di Bacco, davan
a bere. Il trinciante in atto di schermire , a certi
sonori intervalli or di punta or di taglio, dava i
suoi colpi; il divisore trescando al suono ripartiva
i piatti: sì fatta musica, come adoperata in cose
giocose, dovea esser la frigia, cioè di voci e d'i-
stromenli acuti, e di tempi brevi e rithmi o te-
nori allegri, come di triple cromatiche; onde sì
sovente appo Petronio si odono acidi suoni e canti
che noi volgarmente diressimo di Soprani. Ma pro-
prj delle cene sembra egli che stati fossono gli
organi idraulici, ovvero istromenti a suon d'ac-
qua, che i sonatori di essi, chiamati Idrauli, o
con mano o con pie, come avvisa Marziano Cap-
pella nelle nozze di Psiche ed Amore, rendevano
il suono ora delle sampogne, or del susurro de'
venti, or del mormorio de' fiumi, or finalmente del
canto degli augelletti. In fine, come lasciò scritto
Filon Giudeo rapportato da Pier Ciacconio, vi
eran presti, vistosi e leggiadri schiavi, de' quali i
più estimati eran gU Alessandrini, come quelU che
erano ancora i più motteggevoli , i quali d'inanel-
late chiome adorni e di bianche tuniche vestiti,
secondo le varie età, eran distinti agli ufficj: i fan-
ciulli più piccoli a ministrare il vino; i più grandi
a dar acqua alle mani; i garzonetti di primo pelo
a portar le vivande.
Ed avendo finor favellato del tempo e del luogo
delle cene, quasi altro facendo, abbiamo anco del-
l'apparecchio di esse ragionato; onde altro non
ci rimane che dell' ordine. Passavan i Piomani dal
bagno alla cena, ove mutate le toghe in vesti ce-
natone, e le scarpe in pianelli, che si lascia van
cader da' piedi in coricandosi, per non isporcar
j letti, assistendo, o seduto a' pie di ciascun di
essi uno schiavo a tal ufficio destinato, che di-
ORAZIONI ED ISCRIZIONI 2^C)
cevan indi schiavo per li piedi. Innanzi però di
coricarsi j per dargli il più onorato luogo ^ caccia-
vano a sorte il re del convito, il quale dovesse
comandare che cibi e con che ordine si doves-
ser portare a mensa, che perciò glie se ne dava
una nota; e soprattutto quanto vino e in quante
volte bere dovesse ciascuno de' convitati, onde
anco re del vino appellavasi. Eletto il re del con-
vito, e coricatosi, immantinente gli era porta ac-
qua a mano, e lavati anco i piedi, gli erano ap-
prestate corone di fiori, le quali strettamente si
stringevan essi sul capo per rimedio contro la cra-
pola. Imperciocché per lo troppo cibo o vino im-
messo nel ventricolo si vengono i nervicciuoli di
quello a distendersi; e perchè tutti i nervi pren-
don principio per la nuca delcapo, come tanti
rivoletti per un canale da un fonte, vengono in
conseguenza a distendersi anco i nervi del capo,
onde fassi la crapola, eh' è un dolor di capo ca-
gionato dal mangiare e ber troppo; anzi per istor-
cersi talora diversamente i nervi ottici si replicano
gli oggetti, e par di vedere due lucerne per unaj
ed alla fine aprendosi sconciamente le piegature
del cerebro, che sono come piccioli foderini ove
si fa conserva delle imagini che abbiamo delle co-
nosciute cose, e ravvolgendosi queste temeraria-
mente innanzi al pensiero, fanno Tubbriachezza:
adunque col tenere stretto il capo non di leggieri
si comunica fin al cerebro quel distendimento
di nervi; appunto come premendo il dito un ta-
sto, impedisce alla corda comunicare di là dal
dito l'impresso moto. Ma ritorniamo in istrada
per seguitare il cammino eh' è presto al fine.
La cena era divisa in tre parti, la prima delle
quali si diceva anticena , o del mulso; impercioc-
ché, venendo essi assetati dal bagno, per estia-
25o PARTE II.
guer tosto la sete gli si apprestava il mulso, o
di già fatto j o partitamente vin vecchio e gene-
roso e mele d'Atene, acciocché sei temprassero a
posta loro. Dopo il mulso seguivano varie sorte
di frutta di mare, di funghi e di uccelli, come
nella cena data da Metello pontefice osserva Ma-
crohio. La seconda parte, la quale, perchè era la
principale, cena appellavasi, faceva smaltimento
delle carni più rare e di pesci più ricercati 5 e qui
è non so se mi dica bello o brutto il vedere con
quanto studio s' affrettasser i Romani gire incontro
alla lor rovina, e come il lusso, portato in trionfo
dall'Asia, trionfò de' trionfanti. Vitellio (narra Sve-
tonio) fece un piatto estimato due mila e cinque-
cento ducati, nel quale mescolò fegati di scari,
pesce del mar Garpatio, che sol di tutti rumina
il cibo, cervelli di fagiani e pavoni, lingue di pap-
pagalli, interiora di murene pescate fin nello stretto
di Zibalterra: così pregiavano i cibi non dal gu-
sto, ma dal valore; e stravaganti in vero furono
le pazzie che facessero nelle trigfie: il ghiotto Ot-
tavio ne comperò una mandata a vendere da Ti-
berio nella piazza cento cinquanta scudi; Asinio
Celere un'altra dugento; talché non dee sembrare
meraviglia se quel leccone d'Apicio avesse nella
cucina due milioni e mezzo scialacquato. Or si
portavano i trionfi in tavola rappresentanti me-
ravigliose figure o di uomini o di bestie così in-
gegnosamente costrutte, che gettate in mezzo al
convito, il re ne cacciava una figura o angolare
o ritonda o altra che più a grado gli fosse, per
prender indi argomento di ammonire i convitati
della brevità della vita, perché attendessero a bere
e darsi buon tempo. Vedete quanto può la forza
del rozzo o mal uso, che quella morte, il di cui
pensiero porge a noi argomenti a ben fare, fo-
ORAZIONI ED ISCRIZIONI ^5 1
mentava gli stolti Gentili a più compiacere alla
gola. Intorno al bere facevan le lor delizie i Ro-
mani nell'acqua cotta annevata, e nervini vecchij
l'acqua cotta annevata fu ritrovato di Nerone, il
quale facea al fuoco dileguare le nevi, e poi co-
larle ed assottigliarle per cole o sacchi, e quinci
Fannevava di bel nuovo con metterci dentro globi
0 pezzi di ghiaccio: e certamente questa è più
saporosa dell'acqua viva annevata; imperciocché
la neve probabil cosa egli è che e' si facci da sali
nitri che scorrendo per l'aria, come quelh che
sono di figura angolare, si frappongono facilmente
tra gli angoli che lasciano i globicelli dell'acqua,
e così vengono ad essere quasi glutine o colla di
essi, e per conseguenza incepparli. Questi sali adun-
que fan che la neve dileguala sia più saporosa del-
1 acqua viva, e molto più il fanno, quando gli
angoli sono in qualche parte ottusi per lo moto
impressovi dal riscaldamento; imperciocché rin-
tuzzati non squarciano i pori del palato, né pun-
gono così le fibre de' nervi, come fanno quando
son troppo acuti, onde avvien quell'ardore di
bocca e quel dolor di capo che sentesi dal man-
giar molta neve; e dolcemente solleticando i va-
lichi dell' organo del gusto , cagionano il sapo-
re , che non cagionerebbono se fossero affatto
di figura ritonda, come quelli della pura acqua;
perchè rinvenendo della stessa figura i pori del
sensorio tessuti, vi si fan dentro senza farvi im-
pressione alcuna. Come vadasi la bisogna, che gli
Antichi così facilmente conservassero per cento e
più anni il vino, io son d'opinione che se ne deb-
bia cagione il vaso impeciato, e'I molto fumo che
si facea, dove essi lo riponevano. Mi conferma a
ciò dire quello che nelle pestilenze si osserva, che
gli uomini sogliono usar vesti di pece per preser-
252 PAUTE rr, ORAZIONI ED ISCRIZIONI
vaisene; eli' è tanto tlirCj quanto per impedire che
nelle vene non s' intrometta aria che possa cagio-
nar quella febbre^ che per Tommaso Villis non
èj come le altre tutte, che una fermentazione del
sangue j a quella del vin somigHante; e che'l fumo
poi faccia del vino quel che delle carni; alle quali
per impedirsi la fermentazione e seccarle bens^
le sogliono appendere ne' cammini. Le leggi del
bere erano , che nel principio bever dovessero ne'
vasi piccoli, cioè in quelli di quattro once roma-
ne, che sarebbono i bicchieri nostri comunali*
verso il fin poi della cena in quella di una hb-
bra, o poco meno, che è presso a tre bicchieri
nostrali; poiché in quelli di due once gli amma-
lati solo bevevano: bere ogni qualunque volta si
nominassero Dii, amici, innamorate, o'I principe,
con quella formola di far brindisi: Buon prò a me:
Buon prò a voi: Buon prò ad Augusto; — e ta-
lora tante volte bere quante eran le lettere del-
l'innamorata o del principe nominato. Ed a chi
ricusava fare, il re dicea: O bevi, o vattene. — •
Onde si introdusse quello sconcio e stomachevol
uso di recere ne' conviti. Consecravan la prinia be-
vuta a Giove conservatore, come dice Ateneo ,
o al buon Genio; siccome a Mercurio il primo,
piatto delle carni. Appresso la cena alla fine suc-
cedevano le seconde mense, ch'erano delle frutta
e delle cose ammelate; perocché non avevano essi
l'uso del zucchero; dei quali doni anco n'empi-
vano i convitati le proprie tovaglie, e gli si por-
tavano alle lor case; ed in dipartirsi si dicevano
l'uno l'altro Buon prò, ed al signor di casa augu-
ravano buona mente dal cielo.
ELOGIO
DI VIRGINIA PIGNATELLI BONITO
DUCHESSA DELU ISOLA
(1720)
Virginia Pignatelli napolitana, di Gio. Battista
e di Lucrezia pur Pignutelli, nell'anno i656 nac-
que nella famiglia de' Principi di Strongoli, uno
de' molti rami di quel gran ceppo che diffonde la
sua chiarezza fin nell'Americaj per l'ampia e ricca
signoria del Vaglio, retaggio che in questa casa,
per lato materno, pervenne dal gran Cortese con-
quistatore del nuovo Mondo. Giunta appena agli
anni dell'umano discernimento, tu commessa al-
l'educazione di Suor Caterina Pignatelli sua zia
nel monistero detto di Regina Caeli dell'ordine
di S. Agostino: e quivi fu nell'arti della pietà e
del signoril costume diligentemente educata. To-
sto, nella prima età di marito, fu data in moglie
a D. Giulio Cesare Bonito duca dell'Isola e con-
sigliere del Re nel Consiglio detto di S. Chiara:
al quale con felice fecondità, e molto più con sag-
gia educazione, diede ed adornò di nobili virtudi
ben otto figliuoH, cinque maschi e tre femine; in
ciascuno de' quali ella seppe inspirare una singo-
iar gentilezza , talché questa virtù sembra loro fa-
migliare. Le fighuole vivono ne' chiostri a Dio con-
segrate: il Duca è il sostegno oggi della scuola
cavalleresca: Fra Filippo ha applicato l'animo agli
studj, così ameni della toscana poesia, come se-
veri della Filosofìa e delle Ma tema ti che 5 e ne col-
tiva stretta amicizia con D. Alessandro Riccardi,
avvocato del Consiglio d'Italia in Vienna, e con
Agostino Ariani, primario professore di Matema-
tiche nella Regia Università di Napoli. Due altri
254 Parte m.
figliuoli, cioè Don Luca e Don Lodovico, vestito
r abito Cassinense, sopra l'età in quella Religione
fioriscono per le dottrine migliori della Filosofia,
della Teologia, de' Canoni e dell' Eloquenza: frutti
della buona cultura della saggia madre, che ve-
dova gli educò con quell'arte la qual sola pro-
duce alle famiglie felicità. Nella conversazione ci-
vile dilettavasi di uomini i quali ad una grande
letteratura unissero altrettanta morale virtù: onde
ella fu stimata degna di essere annoverata alla no-
stra adunanza di Arcadia col nome di Atalanta
Poliade. Tra costoro fu egli il più frequente il
Padre Don Benedetto Laudati, Abate della Con-
gregazione Cassinense, uomo per dottrina e bontà
di vita chiarissimo, e *1 Padre Tommaso Pagani,
ornamento de* Padri dell'Oratorio, da' quali volle
anco avere gli ultimi ricordi dell'immortalità, nel
passaggio ch'ella vi fece in età di settantaquattro
anni a dì ^4 febbrajo Fanno 1720. La singoiar
pietà de' figUuoli le fecero celebrare sul cadavero
nn magnificentissimo funerale nella chiesa de'PP.
Girolamini, ove lasciar volle la sua spoglia mor-
tale: la qual pompa servi di stimolo agli spetta-
tori, che in gran numero vi convennero, di ram-
mentare con più vivezza di dolore le grandi virtù,
delle quali ella aveva adorna tutta la vita: ne men
sensibile riuscì una tal perdita alla mentovata ra-
gunanza degli Arcadi 5 del cui cordoglio entrando
noi a parte, abbiam qui procurato di dargli qual-
che sfogo col mettere alla pubblica vista la se-
guente inscrizione sepolcrale:
ORAZIONI ED ISCRIZIONI ^55
ALLA
SAGGIA E VALOROSA DONNA
ATALANTA POLIADE
DI ANTICO SANGVE
E PER PREGI DI DARDO E DI SAMPOGNA NOBILISSIMO
NATA
CHE A LEI MENTRE VISSE
LA RIVERENZA E L^ ONORE
DI TVTTI COLORO CHE LA CONOBBERO
TESSERONO
DI RARE LODI CORONA IMMORTALE
LAVFILO TERIO
CON QVESTA TESTIMONIANZA
DEL COMVN DOLORE DI ARCADIA
SOPRA L'ONORATA VRNA
CON MENTE CHINA E CASTA MANO
SOSPENDE
ORAZIONE
IN MORTE DI ANNA MAKIA ASPEHMONT
CONTESSA D'ALTHANN
Quel divino consiglio eterno, il quale per vie
ad ogni quantunque de' mortali acuto intendimento
chiuse e nascoste, dall'infinito lor principio le
umane faccende di tutti i tempi, così menome
delle piccole famigliuole, come grandissime diri-
nomati imperj, con egual cura e diligenza a' suoi
imperscrutabili fini suavemente guida e conduce;
dentro quella stessa indissolubil catena di cagioni
e di effetti, con la quale i luminosi fati dell'Ec-
cellentissima Casa Althann annodò ancora i nostri
bassi destini; co' suoi liberi decreti dispose che
noi, i quali innanzi al corso di presso a sei lu-
stri per le nostre non meno deboli d' ingegno che
di arte povere forze con una orazione in di lei
morte ornammo la vita di Catarina d'Aragona du-
chessa di Medinaceli, madre del Viceré di que'
tempi, menassimo tant' oltre l'età in grado di re-
gio lettor d'Eloquenza, che nella morte di Anna
Maria Aspermont, incomparabile contessa d'Aire
thann , madre dell' Eminentissimo Michel Federico
Cardinale d' Althann, il quale di presente in nome
del nostro Augustissimo Re siede al governo di
questo Regno, ora tessiamo la diceria funerale. Ma
il sommo e sovrano pregio di stima onde sotto
i governi assoluti la facondia unquemai adornar
.si possa, a chiunque vogha dall'onesto e dal vero
estimar le cose, egli dee questo certamente sem-
brare, che quegli uffizj che, vivendo la libertà o
di Atene maestra, o di Roma signora del mondo,
essi figUuoH adempievano; i quali ne' supremi onori
PARTE II. ORAZIONI ED ISCRIZIONI 25'J
de' padH per isplendore di gravi affari di pace o
di grand' imprese di guerra ia immortai fama sa-
liti, essi, per dichiararsi eredi delia lor gloria, e
porsene in possesso del rispetto comune e della
pubblica affezione, le loro virtù e gesta con belle
ed ornale orazioni nelle popolari adunanze spo-
nevanoj quelle stesse parti ora da' Principi ad uo-
mini valenti in ben parlare sieno commesse, sì
che costoro prendano a trattare la causa della
pietà, delle lagrime e del dolore de' Grandi. Quindi
di leggieri s'avrisa la molta difficoltà di adornare
con egual compiacimento e degli uditori e de'
congiunti una tal sorta di argomenti, perchè o
nelle freddure delle adulazioni non si precipiti,
o non si rimanga molto di sotto al merito de'
.subbielti lodati: il qual temperamento era facile
a tenersi tra gli istituti ateniesi o romani j poiché
nelle lodi familiari la modestia regolava i dici-
tori, sì che non facessero ne torto al merito de'
defunti con dirne meno, né oltraggio alla Hbertà
delle ascoltanti corone con dirne più, ma soltanto
uguagliassero i lodevoli fatti con giustizia di con-
cetti e con dignità di parole. Ben questa gran
Principessa ne libera dal secondo timore j perché
tanta luce di vera lode in lei, vivendo, rifulse,
così comune delle due gran Case, tanto Asper-
mont onde uscì donzella, quanto Althann dove
entro sposa, come propria di valorosa donna e ma-
dre d'eroi, che di sé lasciò forte dubbio se ella
fosse salita su i modelli più perfetti dell'eroine,
o pur quelli fossero in lei discesi, per formarne
un naturale ritratto. Però questo istesso timore,
c|uinci schivato, ci fa quindi temer l'altro oppo-
sto, che per quanto si erga, non che la nostra
per natura e per fortuna umile e bassa, ma ogni
generosa e felice facoltà di ben porgere, non ne
Vico, O/hucoU. 17
258 PARTfi II.
può giammai tanto dire, che non isformatamente
più lasci ad intendere delle sue lodi. Qui sì che
noi desideraremmo la moderazione d'alcun de'
suoi chiari e riputati figliuoli, il quale, su l'esem-
plo della di lei sapienza e virtù formato, ne da-
rebbe l'idee giuste dell'esemplare, e ne vestirebbe
d'un costante dolore, e quale ad eroi conviensi,
per la sua amarissima perdita, acciocché questa
nostra orazion fosse di pungente stimolo agli udi-
tori di alto grado per imitare, a quei di bassa
sorte per ammirare la virtù intiera. Adunque, poi-
ché ci è niegato per li nostri corti talenti spie-
garvi in maestà tutti i rari e chiari pregi che '1
corpo, la mente e '1 cuore di questa gran Donna
a maraviglia adornarono, mi studierò almeno far-
la vi vedere in profilo; attenendomi a quella lode
che quantunque propria del gesso, però come seme
i frutti, così contiene i maggiori beni delle repub-
bliche e degli Stati, qual ella è di virtuosamente
educar le famiglie; e vi esporrò in comparsa,
come di fuga, Anna Maria Aspermont Althann fe-
conda, saggia e felice madre di chiarissimi eroi.
E sul principio la chiarezza del sangue onde
Anna Maria era uscita, il qual da Fiandra, qual
da sacro fonte, attraversando Germania, andò a
porre altro capo in Boemia, è tanto illustre e
cosi conta ad ognuno, che la famiglia Aspermon-
te, semplice e schietta, senza fregi ed ornamenti,
si fa distinguere tra le prime nobih Case di Eu-
ropa: e poi sono in grado tanto eminente le lodi
proprie di questa gran Donna, che a chi è vago
di ammirarla per le sue personali virtù, tal sa-
rebbe trattenerlo in contemplare l'antichità e splen-
dore della di lei nobilissima origine, come ad uomo
che mentre ami dilettarsi di mirare una statua nella
quale l'arte maestra, emendati i difetti della na-
ORAZIONI ED ISCRIZIONI aSc)
natura volgare, la insegnasse a meglio formare i
suoi parti, altri il divertisse ad osservare l'oro
saldo Unissimo, del quale il meravigliosamente di-
segnato getto si rilevò. E poiché m'avveggio che
i vostri desiderj anelano a veder costei, quale la
fama da per tutto gridoUa, per educazion di fi-
gliuoh inclita e rara Donna del nostro mondo,
io mi asterrò ancora lodar di lei le singolari doti,
delle quali ornolla una largamente benigna natu-
ra, perchè in mezzo quinci a quattro generosi
fratelli e quindi otto sorelle gentih, come in mezzo
a tante mattutine e tenerelle rose ed altrettanti fre-
schi e rigoghosi gigli ella tenesse il pregio di più
bel fiore j tra per bellezza che vestiva il delicato
corpo, e per grazie che animavano la bellezza, e
per ingegno che vive, per memoria che pronte
e per avvedimento che accorte, discrete e con-
venienti facean le grazie: le quali cose tutte son
volgarmente credute far bella e leggiadra la virtù
agli occhi del corpo; ma perchè dell'occhio della
mente il proprio sole è la verità, la propria luce
è l'onestà, il proprio giorno è la saviezza; nel
qual giorno, nel qual sole, nella qual luce gU spi-
riti vedono sopra le sue eterne idee la guida e l'ac-
cordamento de' colori immortali che fanno il bello
della virtù; tanto egli sarebbe sporvi questi pregi
caduchi, tutti divisi e soli dal valor vero, quanto
che io o sciocco o importuno vi dassi a vedere
ameni siti di luoghi e deliziose praterie al bujo
di tenebrosissima notte. Altri poi logorino il tempo
delle dicerie in adornar di lodi l' educazichi de'
subbietti lodevoli, de' quali per avventura stata
ella sia o privata la virlù, o'I merito mediocre;
(' trattenghino gli uditori su gli abbozzi, perchè
dalle imperfezioni essi traggan diletto di vederli
sopra i loro disegni a compimento condotti. 01-
26o PARTE II.
treclìè e^Vì sarebbe qui certamente abusare della
vostra aspettazione, dimorando io nelle lodi del-
l'educazione d'Anna Maria fanciulla j le quali sono
in buona e gran parte di altrui, cioè lodi de' suoi
parenti, ove l'argomento proprio a esporsi or da
noi è l'educazione di Anna Maria fatta madre;
la quale per pietà e religione, per diligenza ed
industria, per moderazione e giustizia, per for-
tezza e sapienza, e finalmente sopra tutto per una
costanza invitta incontro il genio del secolo, cbe
sembra non d'altro dilettarsi che di corrompere
e d'esser corrotte le buone e belle indoli della
gioventù, ella è a maraviglia ricca di lodi non
solo proprie di lei, ma all'atto nel mondo singo-
lari. Ma quantunque di nulla ornate, pur confe-
riscano al nostro argomento l'antica chiarezza del-
l'origine, per quanto la virtù nobile per li lunghi
continovati esercizj di tanti avoli fatta abito e
quasi natura della famiglia, la facesse da molti
Principi ambire madre di generosissima prole; la
bellezza del corpo e 'l sano vigor dell'età, che
co' buoni sughi le rilevava e ritondava le bianche
e delicate membra, e col buono spiritoso sangue
le innaffiava la vera soavità del colore, la facesse
sospirar madre di bellissima prole; e finalmente
le certe speranze fiorite di una pia, saggia e dol-
cemente austera educazione gliene facesse deside-
rare il frutto d' una valorosissima prole. E noi ol-
trepassando tutto il tempo ch'era già scorso fin
dal dì ben avventuroso che la contessa Anna Ma-
ria uscita dal nobilissimo coro delle damigelle del-
l'Augustissima Imperatrice Eleonora , e menata
in moglie dall' Eccellentissimo Michele Wenceslao
conte d'Allhann, consigliere intimo di S. M. C. e
chiarissimo per isperimentato vaior di consiglio
nelle cariche di ambasciadore alle Maestà di Po-
OKAZiONI FD rSCRIZIONI 26 1
Ionia e di Svezia;, e di tnnto marito a capo d'anni
con felice fecondità fatta madre con d'intorno una
ben numerosa famiglia di sedici figliuoli tra ma-
schi e femmine j onde poi queste per parentadi,
quelli per comandi d'armi e per impieghi di let-
tere o innestarono o fruttarono al nobilissimo nome
Althann titoli eccellentissimi di cariche. Tosoni
d'orOj Altezze ed Eminenze; in mezzo a cotanto
illustre spessa corona si vide e udissi o ripartir
loro massime ed esempli di eroica virtù vsecondo
la differenza de' sessi , o confondergliele per la na-
tura ad entrambi i sessi comune. Ella primiera-
mente loro sovente diceva che ogni qualunque ob-
bhgo di cristiana pieth , quantunque menomo ,
debba di gran lunga anteporsi ai doveri più se-
riosi della civiltà; e gravemente appruovava loro
il detto coi fatti j poiché ella, finché visse, non in-
tralasciò giammai le stabilite ore, altre destinate
a porger prieghi al nostro sommo Signore Iddio,
altre nella lezione di vite di Santi, a! tre nella me-
ditazione delle cose sublimi ed eterne, e partico-
larmente nella vita di Gesù Cristo ad imitar propo-
sta dal pio gran Cancellier di Parigi: ben avvisata
la saggia Donna che la vita di quel Dio-Uomo, la
quale senza forza d'armi, senza arguzie di filosofi,
con la degna sublimità de' dogmi d'intorno alle
cose divine, e con la somma equità de' precetti
d'intorno le cose umane, insinuò la religion cri-
stiana dentro le due nazioni, una la più dotta,
l'altra la più potente di tutti i tempi a noi co-
nosciuti; tra' Greci, dico, e Romani; l'imitazion
di quella stessa insegnata efficacemente nelle fa-
miglie può e deve unicamente conservare le cri-
stiane repubbliche che sono sopra la cristiana re-
ligione fondate; massima in vero, se per tutte lo
cristiane genti utilissima, per li regni e Stati ere-
262 PAiiTK II.
(iitarj JeirAugustissima Casa d'Austria, non che
utile, affatto necessaria, i quali sono gli argini
della Cristianità, dove l'Ottomana Potenza rompa
l'orgoglio di stendere la tirannide dell'Alcorano
più oltre nelle parti dell' Occidente. Era ella gran-
demente innamorata dell'ordine, sovente quel sa-
cro motto ripetendo, che le cose ordinate sono
da Dioj il quale, perchè ordine eterno, è l'infi-
nita bellezza 5 la quale per intendere della mente
a somiglianza di quella del corpo, ella ivi spicca
e risalta, ove le membra sono bene allogate ne'
luoghi loro, e con giusta simmetria ben si corri-
spondon tra se, e ben s'intendono tutte insieme
nel tutto. Talché la principal sua cura era che
nella sua corte tutti si contenessero dentro i loro
doveri, i figliuoli e le figliuole serbassero tra sé
que' rispetti che da essi a vicenda richiedevano
ed il sesso, e in ciascun sesso l'età. Diceva pur
con l'Apostolo, che essa doveva essere riscatta-
trice del tempo, il quale, prezioso più che l'oro
e le gemme, si vendeva da altri a vilissirao prezzo
di ozio, il quale perchè non fa nulla, vai quanto
il nulla. Onde quanto parca nel vitto, tanto fru-
gale del sonno, così tardi si rendeva al riposo
del letto, come di buon mattino si levava per
esercitare men osservati i rigori della pietà, men-
tre la sua prole e la sua corte dormivano, per-
chè quindi col suo esemplo o tardi li lasciasse-
ro, o presti si ricevessero a' travagli del giorno 5
i figliuoli ad apprendere le arti nobih, le figli-
uole i gentili donneschi lavori 5 alle quali ella con
le sue damigelle sedendo in mezzo, consolava la
pena dell'imparare o co' forti o co' saggi (e gli
uni e gli altri luminosi) racconti di detti o fatti
di valorosissime donne. Ma io deggio inoltrarmi in
parte della sua grande ed ammirabil virtù, co-
ORAZIONI ED ISCRIZIONI ^63
tanto in alto sopra i miei pensieri riposta, che
io dispero affatto poterla aggiugnere, avendo io
a ragionare di una pratica di morale, su la quale
ella formò tutta la sua vita di valoros'ssima ma-
drej che coloro i quali insegnan costumi, diceva
ella, debbiano mostrar con la mano ciò che inse-
gnano con la lingua. Vengano ora a petto di que-
sta filosofia i Savj di Grecia, i quali o dentro i
deliziosi orticelli degli Epicuri , o per le spaziose
e magnifiche logge de* Zenoni dipinte da' divini
pennelli, o per li lunghi e verdeggianti viali delle
Accademie piantati di vaghi ed ombrosi platani,
e provveduti a dovizia di tutti i comodi umani,
ne nauseati né afflitti o da mogli che infantano,
o da fighuoli che ne' morbi languiscono, con tu-
mor di parole o con arguzie d'argomenti ragio-
nano dell'imperio della virtù sopra il pazzo regno
della fortuna; a cui, per giugnere, insegnano o
pratiche di vita impossibili alla condizione umana,
e con gli Stoici disumanarsi e non sentir passione
alcuna; o pericolose con gli Epicurei, da sette di
filosofi a divenire brutte mandre di porci, rego-
lando i doveri della vita col piacere de' sensi; o
dar leggi e fondar repubbliche nel riposo ed al-
l'ombra, che non ebbero altrove luogo che nelle
menti degli Eruditi; vengano ora ad udire: che
dissi, udire? vengan pur a vedere questa gran ma-
dre insegnare egualmente i suoi figliuoli d'en-
trambi i sessi, che avvertissero e riflettessero nelle
pratiche della vita civile eh' ella menava (ed aveva
ben onde) fosse osservata non solamente da' suoi
figliuoli, ma ammirata ed imitata dalle sue pari.
Rigorosa e severa circa le leggi de' Cesari sopra
di se; benigna e clemente circa le leggi sue so-
pra de' suoi vassalli, ripartiva verso i superiori un
generoso rispetto, verso gli eguali una signoril li-
264 Parte ii.
bertà^ ed un contegno cortese verso i soggetti:
attenta a' complimenti dettati da ragione di uma-
nità, non da capriccio di alcun piacere: efBcace
nelle protezioni del merito virtuoso j non o di
brutta utilità, o d'indegnità, dilettevole: forte in
difendere dall'altrui strapotenza gii) oppressi, la
cui giustizia facea suo punto, non già'l suo punto
la lor giustizia: raccolta ne' pensieri, circospetta
nelle parole, moderata nell'azioni, vergognosa in
udire le lodi sue, increscevole d'intrattenersi alle
detrazioni di altrui, delicatissima nell' emendare i
difetti de' suoi, e sempre facendo sembiante o di
compatire o di scusare, o di fare ogni altra cosa
fuor che riprendere: semplice negli abiti, parti-
colarmente vedova* liberale, non prodiga j dicendo
spesso, buttarsi bruttamente ciò che possa esser
buono ad altr'uso: la qual parsimonia le nudriva
la facoltà d'essere, quanto tarda e considerata
nelle promesse, tanto esatta e religiosa in adem-
pierle; dicendo pure, doversi necessariamente una
delle due praticar nella vita, o attendere, o non
promettere; e di essere altresì cotanto liberale,
quanto la fu, co' bisognosi , come orfane, pupilli,
vedove, e soprattutto co' poveri che languiscon
nelle prigioni. Tanto la contessa Anna Maria era
osservante de' doveri più commendati in un certo
modo, che comandati dalla giustizia distributiva,
la qual pur confina con la generosità e con la
grandezza dell'animo; or degli obblighi senza in-
dulgenzaf alcuna ingiunti dalla commutativa, come
ella fosse stata severa esattrice con seco stessa,
quanto egli resta ad immaginare! Ella non altro
imprimeva, non altro iscolpiva negli animi teneri
de' suoi parti, che quella massima di vita socie-
vole, sparsa del pili vivo lume della naturale ra-
gione: Ciò che non vuoi per te, non devi fare
ORAZIONI ED ISCRIZrONl ^65
ad altrui. — Ma perchè io non sembri riprendere
i costumi de' Grandi j quando sono le mie parti
lodarne solamente la rara virtù^ ridirò, quali ap-
puntino ci sono state dalla fama rapportate di
Praga le sue parole^ quando non con aria di se-
vera censura, ma deplorando il dissoluto lusso del
secolo j dicera alle volte: Con qual coscienza vanno
a dormire, o si appressano ansanti Sagramenti que-
gli annegati ne' debiti, che essi han contratti per
ispese non necessarie di greggi di cavalli e di cor-
tigiani, di livree e di cocchi carichi d'oro, di
pranzi e cene prodigaìissime, che potendo non
pagano, non potendo scherniscono? ma non in-
gannano Iddio! — Sopra sì robuste massime esem-
pli cotanto risentiti dovevano essere come sopra
incavature eterne altissimi impronti, onde gli animi
teneri de' garzonetti Althanni da Anna Maria loro
a maraviglia forte e saggia madre s'informassero
delle civili: vediamo or come dalla medesima si
composero alle virtiì militari. Ella la saggia madre
sopra i pranzi e le cene, quando le fantasie de'
generosi giovinetti erano irrorate da novelli spi-
riti, e per ciò più facili ad accendersi di gloria
alle immagini delle battaglie, delle rotte, delle vit-
torie 5 perchè gli esempli domestici muovono più
che gli strani, e le Case Aspermont ed Althann ne
avevano entrambe di grande rinomea doviziosis-
sima copia; ella raccontava loro le chiare imprese
de lor maggiori , e gli accendeva per la dura e
travagliosa strada di Marte ad imitarle, a gareg-
giarle, a superarle. Adunque egli fu sempre vero
che le nazioni le quali osservano santamente den-
tro la religione e le leggi, risplendon fuori in guerra
con le vittorie dell'armi; e dove in casa ben s'in-
segnano con la familiare disciplina le civili virtù,
ivi le repubbliche e gli Stati (ìoriscon di fortia--
HSG PVRTE II.
simi e sa{3Ìeiitissimi cittadini. La virtuosa educa-
zione delia contessa Anna Maria contribuì di va-
lorosissimi personaggi all' Imperio di Germania, che
co' loro consigli e pericoli servissero alla fortuna
ed alla gloria di ben tre Cesari, di Leopoldo, di
Giuseppe e di Carlo, in tanti gravissimi affari di
pace e di guerra, se mai altre volle dubbj, aspri
e ritrosi, più di tutti certamente nella guerra della
successione della Monarchia Spagnuola. La quale
per matrimonj e retaggi, e per la felice audacia
de' Colombi, uscita da' suoi confini oltre mare e
i Pirenei, in una insolita forma per tutti i secoli
scorsi innanzi non mai veduta; ne' quali gl'imperj
si distesero sempre per continovi di confine in
confine e non interrotti progressi , ella per salti
si sparse in tanti rearai e provincie d' isole e con-
tinenti di Europa, con fortezze nell'Africa, con
ragioni nell'Asia ed oltra l'Oceano, creduto prima
il termine eterno posto dalla natura all' auibizione
delle conquiste, poi dalla Spagnuola fortuna fi-
nalmente rotto e varcato, in una immensa parte
d'America, ed un gran numero d'isole dell'In-
die nell'Oriente; talché diede apparenti motivi a
taluni ingegni di dotti uomini d'adularla eguale
all'Imperio Romano nel maggior di lui splendore
e grandezza sotto gli Augusti. Ma per la sua
novella ed in tante, sì grandi e sì lontane pro-
vincie distratta forma, dovutasi governare con
nuove massime, e per una necessaria dissimula-
zion de' Monarchi che amaron meglio reggerla dal
gabinetto, divenuta in fatti governo di Grandi,
andò a dividere tra essi gl'inesausti tesori che co-
lavano nel suo erario; e servendo a tanta loro
grandezza crudeli destini che falciarono sempre i
bei rampolli del ceppo regnante, il vasto Impe-
rio presso a ccncinquaiit' anni tramandato di solo
ORAZIONI ED ISCRIZIONI 367
in soloj venne finalmente nella morte di Carlo li
a restare senza re e senza forze; nel tempo istesso
che la Francia confinante alla Spagna e alla Fian-
dra e imminente all'Italia, per li felici progressi
della sua armata fortuna, a cui se non ispianava,
almeno non barrava il violento rapido corso la
libertà degli altri Stati d'Europa, indifferente spet-
tatrice delle conquiste che per lo corso di cin-
quanta e pia anni di guerra ella avea riportato
dagli Spagnuoli, e ne aveva quasi della terza parte
accresciuto il fiorentissimo suo reame. Onde Lo-
dovico XIV, pieno di sì lunga e grande feUcità,
finalmente, per portare il nome Borbone sopra il
trono di Spagna, non per ingrandir più la Francia
sopra le membra sparte della Monarchia Spagnuola
divisa, mandò il duca d'Angiò Filippo, secondo-
genito suo nipote, a porsi in possesso de' Regni
nella lor capitale. Quindi temendo l'Inghilterra
alla sua libeità di religione ed al suo arbitrio delle
paci e delle guerre d'Europa, a cui spesso mo-
strava Lodovico dal suo vicino Calès Giacomo fi-
gliuolo del di lei re, nudrito co' dogmi di Roma
ne' sensi della pietà, e tra gli esempli di Versa-
glia circa le massime del governo; e disperando
per r avvenire così nell'Oceano i preziosi traffichi
delle Spagne e dell'Indie con gli Spagnuoli, come
della libertà del Mediterraneo per li porti di Mes-
sina e di Magone aperti a' soli Galli ed Ispani,
sedendo Filippo alle fauci di tutto il mare Interno
su lo stretto di Gibilterra; Portogallo, mortai ne-
mico delle Gastiglie, temendo il gran torrente delle
forze francesi, che ridondato da' Pirenei, attraver-
sando la Spagna amica, li veniva sopra a portarlo
o a sommergersi nell'Oceano, o con gran pena a
salvarsi dal naufragio nel suo Brasile; temendo
Olanda alla sua libertà, alla quale si era felice-
268 PARTE II.
mente condotta col sottrarsi alla Spagna per \c
occulte forze della Francia vicina; 'la Savojaj la
quale era cresciuta tra F eterne gare di queste due
Potenze per lo Stato di Milano, che la costituiva
con vantaggio posta in mezzo a due perpetui ne-
mici; temendo alla sua sovranità, e per essa alla
libertà delF Italia, la quale aveva riposato presso
a dugento anni alla sacra e veneranda ombra del
Capo della Chiesa, il quale in Roma si riverisce
e teme Padre de' principi cristiani; e finalmente
la Germania non mai avvezza ubbidire ad imperj
stranieri, anche de' fasci e delle toghe romane, a
cui servirono tutle le nazioni; e gelosa serbare tra
FAlpi e'I Reno l'augusto nome de' Cesari, e l'u-
nico alto dritto di ergere gli Stati in reami, ed
in sovranità assolute le signorie: queste Potenze
tutte, altre dopo altre, s'unirono in lega di guerra
e presero a parteggiare la causa del nome Au-
striaco, ed a portare Carlo arciduca d'Austria alla
Monarchia, e'I riconobbero Re di Spagna. Onde
si accese ed arse da per tutto la memorevol guer-
ra, che per apparecchi di eserciti terrestri e di ar-
mate navali, per arti di guerreggiare ad entrambe
le parti ben conosciute ed a vicenda lungo tempo
sperimentate altresì; per macchine guerreggiatrici
che co '1 fragore e co' danni avanzano di spavento
i fulmini di esso Giove, non che le alepoli o sieno
l'espugnatrici delle città de'Demetrj; per istrata-
gemmi di condotte; per disperata virtù di batta-
ghe e di assedj; per istrepiti di vittorie, delle
quali eran trofei le conquiste d'intieri regni e pro-
vincie; per moltiplicità e distanza di luoghi ove
fu fatta, in Italia, al Reno, nelle viscere di Ger-
mania, in Fiandra, nelle falde di là de' Pirenei,
nel cuor di Spagna e fin nell'ultimo Portogallo;
ed in ciascuna di queste parti con tante forze,
ORAZIONI ED ISCRIZIONI 269
ohe ivi sembrava essersi gittate sopra tutta la
mole della gran guerra j si che ella in ogni sua
parte arebbe occupata la curiosità di tutte le
nazioni; per varietà di fortuna in tutte queste parti
costante in ciò, che fossero presso ad esser vinti
color che vinsero; per furore di genj divisi tra le
due parti che pareggiavano gli odj delle guerre
civih; e finalnjente per eventi cotanto diversi o
contrarj alfespettazion de' consigli^ che non al-
trove ci fu con più gravi argomenti appruovato,
che la Provvidenza Divina, anche per li trasporti
de Sovrani, essa è quella che regola con giustizia
le faccende degli uomini; questa guerra per tutto
ciò non è punto da conferirsi a quella cFAlessan-
dro con Dario, il quale con tre falangi Macedo-
niche in due conflitti e non piiì centra genti de-
licate, molli ed avvezze a vincer fuggendo, ebbe
la felicità d'impadronirsi della Monarchia Persiana:
nemmeno da compararsi a quella di Cesare e di
Pompeo, nelle cui parti si divise tutto il Mondo
Romano; nella quale la disperazione di ferocissimi
occidentali ubbidiente accomandi di Cesare, e '1
lusso, il fasto e la dehcatezza d'Itaha, di Grecia,
d'Asia contumace alle savie condotte del gran Pom-
peo, ne' campi di Farsaglia diffinirono a favor di
Cesare la contesa del Principato del genere uma-
no: ma ella è unicamente da porsi a petto della
seconda Punica guerra, fatta nel secolo della Ro-
mana virtù più robusta, e dall'acutezza Africana
più prosperosa; di cui appresso furono quasi trionfi
la Macedonia, la Grecia, l'Asia, il Ponto, l'Arme-
nia, la Siria, l'Egitto, che furono acquisti d'Ales-
sandro; e vinta in Cartagine l'Africa, e quindi le
Spagne, le Gallie e la Bretagna, essendo mancata
alla Romana virtù la cote Cartaginese, nò restando
a Roma altro fuori che vincere e debellare, ella
270 PARTE I
con le civili guerre vinse dentro la sua libertà, e
sotto Cesare trionfo di sé stessa. Poiché in questa
guerra si vide la maravigliosa inaspettata discesa
dalle Alpi in Italia di un altro Annibale, ma che
guerreggiava con la fortuna dell' Imperio Romano.
E dove nella seconda Cartaginese terminarono le
sconfitte Romane, indi quasi principiò questa guer-
ra: ed in Hochstad dopo lungo girar de' secoli ri-
tornò la gran giornata di Canne; ove i primi im-
peti francesi, ne' quali i Galli ion più che uomini,
sostenendo Eugenio fin tanto che con l'ali della vi-
toria il Marlborough volò in Donawert a rinforzar
la battaglia; e quattordici mila Francesi dopo i
primi conflitti meno che donne, buttando a terra
le armi, lo stesso giorno vide nel mattino la Ger-
mania presso che soggiogata far la sera tremar
la Francia, come già vinta. Pur non usata la for-
tuna della vittoria, e come non da Canne a Roma,
così non si corse da Hochstadt con T armi vittoriose
a Parigi. Ne'Tallardi i Varroni risursero, che dopo
così gran rotta non disperarono della salute di
Francia. Ne mancarono i Siiaci re di Numidia ne'
Duchi Bavari, che caduti nella soHta infelicità delle
Francesi allianze, il giorno avanti potentissimi So-
vrani di Germania, il giorno appresso ne parti-
ron raminghi. La tempesta di Ticino e di Trebbia
tuonò contra i Francesi a Tellemont nella Fian-
dra; nella quale, come quella che fu all'Europa
presso a dugento anni perpetuo teatro di Marte,
tutte le città sono fortissime piazze, ed ognuna,
materia stata innanzi di aspre e lunghe guerre ed
assedj, poi tutte in una giornata all'Austriache vit-
toriose insegne spalancarono le porte. Il turbine
di Trasimeno contra i medesimi scaricossi in Tu-
rino, dove, come di un gran corpo moribondo
la spirante vita tutta nel cuor si raccoglie, così
ORAZIONI ED ISCRIZIONI 2^1
la libeilà dell Italia tutta in quella città si ristrin-
se; e facendo ivi difesa Wirrigo di Daun, e pòrti
nel maggior uopo i soccorsi da Eugenio alla sua
Savojaj furono rotti in una giornata sessanta mila
Francesi; i quali non ritruovando ricovero nelle
piazze del Pieiiìonte, dianzi smantellate dalle lor
iiianij quelli che tesiè erano stati più fissi e duri
che i ghiacci dell'Alpi in mezzo al verno in espu-
gnar le Verue; di là dall'Alpi, come a' Soli estivi
le lor nevi si dileguarono in torrenti, e dovettero
abbandonare a Carlo l'Italia. Ammirò Tetà nostra
da Germania usciti altri Scipioni negli Starember-
ghi, i quali portarono nella Spagna la guerra in
casa a nemici, per indi liberarne le altre parti af-
flitte di Europa: ma a FiHppo intieramente rotto
in Ispagna, e ricoverato in Francia, difendendo
la sede de' Regni la soliludino e'I guasto, se egli
non potè ivi finirla guerra col conservare il grande
acquisto, quale per gli aii:pj e dalla natura arsi
persiani confini, salvò la sacra persona di Carlo
con la gloriosa ritirata che dalle piii infeste vi-
scere della Persia con altrettante poche truppe
fatta avevano i Senofonli. E la Spagna, la qual
pensava di udire i danni della guerra dalle lon-
tane Provincie, vide spesso le notti crudelmente
emular la luce del giorno con gl'incendj de' suoi
paesi; vide la sua Monarchia divisa, la qual avea
creduto con l'appoggiarsi alla Francia mantenere
unita per l'avvenire, come si era mantenuta per
lo innanzi col comun sostegno delle forze dell'Eu-
ropa contra la Francia; vide depressi i suoi Gran-
di, che si eran lusingati di piiì ingrandire, fatta
loro eterna amica l' emola eterna della loro gran-
dezza. Ma la Francia pur ebbe ne' Vandorai i suoi
Fabj, che ovunque amministraron la guerra, in
Italia, in Fiandra, in Ispagna, le sostennero lo
2']2 PARTE II.
stalo pericolante; ne'Villarsi ebbe i suoi Marcelli,
che in Fiandra mostrarono al mondo potersi pur
una volta vincere l'Annibale Italiano. Né finalmente
son pur mancanti in questa quelli che si rispar-
miarono nella seconda guerra Cartaginese gravis-
simi danni j e tardi e difficili a ripararsi di risuo-
nanti rotte navali: e quelle vele di Francia che
altieri avevan solcati i golfi del Mediterraneo, e
gonfie di spavento avevan portati gF incendj allq
Genove ed agli Algeri; nelle acque di Malaga rotte
dall'armata degl' Inghilesi e Olandesi, come vaste
sparte membra, squarciate e gravi d'acqua e di
sangue, fiirono dall'onde rivomitate ai Hdi della
Spagna e dell'Africa. Però quelle stesse isole Sar-
degna, Baleari e Sicilia, che diedero i primi fo-
menti alle guerre Cartaginesi , sono state l' ultima
materia di questa; la Sicilia di un'altra in terra
crudelissima ed in mare dispendiosissima guerra,
il qual Regno pur cadde in seno alla fortuna di
Carlo; e'I porto Magone, come Gibilterra, da-
gV Inghilesi possentemente afforzato, sembra con
le sue contumaci superbe moli aspettar feroce ed
altiero altre tempeste di armi. In questo gran moto
del mondo scosso, le Cristiane Potenze quanto
stanche, tanto non erano ancor satolle di dan-
neggiarsi ben venti anni di sì aspra crudele ro-
vinosissima guerra, che pur tanta fu la durata
della seconda Cartaginese. Ma in questa né mancò
pure una sirail sorte: perchè l'Inghilterra, sti-
mando essersi assicurata bastevolmente della li-
bertà del Mediterraneo con Gibilterra e col porto
Magone, l'una e l'altro in sua forza; e su la ri-
soluzione che 'l porto di Messina con la Sicilia
restasse in potere di emolo eterno di Francia; di
più l'Olanda esser pure bastevolmente coverta da-
gV impeti francesi con la barriera che appellano
ORAZIONI ED ISCRIZIONI 2^3
della Fiandra Spagnuola, in potere di Austriaci
più di prima vicini; e finalmente alla Gasa d'Au-
stria essersi perpetuato l'imperio nella persona di
Carlo, con due grandi aggiunte e di Fiandra e
d'Italia; e per tutto ciò sembrandole essersi il suo
equilibrio degli Stati restituito all'Europa, ed es-
sere già essa sicura della servitù fuori, ritornò den-
tro al suo naturale turbolento con le sue fazioni;
delle quali quella de' Regj persuase ad Anna re-
gina, che con più deprimer la Francia, la qual
proteggeva la causa del soglio Stuardo, insolenti-
rebbe certamente la fazion della libertà; e so-
pra gli altri suoi scellerati esempli aggiugnerebbe
pur questo, di trascinare dal trono al ceppo anco
lei: così quella che stata era la più potente al-
leata, ed aveva per venti anni in Germania, in
Ispagna, in Italia versati i Tamigi dell'oro, fu
la prima a disunirsi dalla lega delia guerra, onde
l'altre Potenze vennero tratte al congresso della
pace. Ma perchè il comun timore della libertà
dell'Europa, che facilmente Farebbe accordate,
egli frattanto per la morte di Lodovico XIV ces-
sò; in suo luogo succedettero tante speranze di-
verse di particolari utilità, che urtandosi le une
con l'altre, davano forte a temere che non di una
sola grande la qual aveva loro inaridite le sostanze
pubbliche degli erarj, si destassero tante guerre
minute, che come tanti piccioli incendj avessero
finalmente ad incenerirla. Frattanto muore Cle-
mente XI sommo pontefice, e manca il Padre
comune de' principi cristiani, che ammonendo,
esortando, riprendendo, frapponendosi agevolava
la quiete universale del Cristianesimo. Quindi si
temè altro fiero torbido nembo, per più secoli
non mai veduto infuriare nella Cristianità, che
quelle ire onde ancor bollivano i petti de' Sovra-
Vico, Opuscoli. 18
274 . / PARTE II.
ni, e con fa guerra si erano più sfogate che sod-
disfatte, non andassero a prorompere in uno sci-
sma 5 in quel medesimo tempo de' nostri ragione-
voli sommi timori, i quali una fama atroce face-
vane crescere in ispaventi, che'l gran Tiranno
de' Turchi dall' invano per le sue armi investito e
battuto Corfù, ricevutosi con una grande armata
navale, quanto intiera di legni, altrettanto carica
di vergogna, e nell'ultima guerra d'Ungheria in
due giornate con due gran rotte riportata la per-
dita di due vaste provincie, di Belgrado e di Te-
miswar; fremendo si pentiva non aver esso nella
guerra della Monarchia Spagnuola seguito gli esem-
ph de' suoi maggiori , e non essersi approfittato
delle discordie de' principi cristiani; i quali han
sempre soluto unire in leghe con la loro paterna
autorità i soli Sommi Pontefici Romani regnanti
in Italia; nella quale per brieve tratto di mare
esposta a' Turchi, e debole e divisa, essi con
la santa Religione fanno argine alle innondazioni
dell'armi ottomane, diroccatrici de' sacri templi^
incendiatrici de' casti altari, profanatrici de' no-
stri santissimi Sacramenti. Fra tanti sofferti dan-
ni, tante presenti difficoltà, tanti imminenti pe-
ricoli, viveva ansiosa la Cristianità, e tiruorosa
anelava di vedere nella sede di Pietro riassiso
il suo Capo. Quando Michel Federico Eminen-
tìssimo cardinale d'Althann con la sua sapien-
za, fortezza e zelo di Dio e di Cesare tanto si
adoperò che, disponendo così le cose della sua
Sposa la Divina particolar Provvidenza, in pic-
ciol tempo con gloria della Chiesa di Dio e di
Cesare primo principe cristiano, Innocenzo XIII
fu acclamato pontefice. Consola gli aspri tuoi ma-
lori, gran principessa, con queste novelle sì ben
corrispontlenti alla tua pia, forte e saggia educa-
ORAZIONI KD ISCRlZIOrci 3^5
zion de' figliuoli; e perdona, se tanto tempo ti ab-
biam perduta di vista, abbagliati dal fulgor della
gloria che diffonde la sacra porpora del degnis-
simo tuo Figliuolo; la qual risplende per ciò d'as-
sai più viva luce, ed in giorno vie più luminoso,
che le porpore nelle quali chiusi i Tigrani re d'Ar-
menia, con diletto di Roma spettatrice e con in-
vidia de'Tiberj, entrando in teatro , sembrarono
vestiti di un manto di candentissimo fuoco, che,
qual favoleggiano i poeti, dal Sole avesse furato
Prometeo. La nostra in vero fu colpa, ma colpa
umana, che ammiriamo i robusti e vasti pini, e'I
diletto degli occhi toglie alla mente il piacere d'una
maravigha più grande, che a' loro piccioli semi,
ne' quali erano disegnati la loro vastità e robur
stezza, in buona parte si debba; appunto come
nelle lodi della tua educazione contiensi tanta glo-
ria di gesta del tuo fighuol Cardinale: se non più
tosto così lungo divagamento egli è stato un se-
guir l'ordine della Provvidenza Divina; la quale
per tanti, si grandi e così varj avvenimenti di me-
morevolissime guerre ad occhi veggenti ci ha di-
mostrato come ella, disponendo la splendidissima
serie de' Fati Althanni, conduceva a suoi eterni
consigli le cose della sua dilettissima Chiesa. Ma,
poiché fu luminoso il trasporto, più ci affidiamo
nella tua mansuetudine che ci perdoni colpevoli,
che nella nostra ragione onde ci abbi per dritto
ad assolvere. Poiché la viva norma, la viva legge
della greca eloquenza, nella diceria della Corona,
la quale è la corona di tutte le dicerie, con ma-
ravigliosa arte si dimentica affatto la difesa de'
rei , e tutto divaga nella rammentazione de' pro-
prj suoi rilevantissimi servigj fatti alla patria ; ma
la rammentazione de' suoi servigj fatti alla patria
è l'unica potente ragione la quale assolve i suoi
:ì'j6 parte li.
rei. L* esorbitanti circostanze che la guerra della
Spagnuola Monarchia né narrò, per farci conce-
pire la sua grandezza j sono state come ombre,
sopra le quali spiegasse gl'immortali suoi lumi la
gloria dell Eminentissimo Cardinale d'Althann: il
quale col suo ardentìssimo fuoco di carità, ser-
vendo air esaltazion della Chiesa, egli fece pronto
riparo alla salvezza di tutta la Cristianità; e tal
grandissima opera di questi è '1 frutto maggiore
della tua pia, forte e saggia educazion de' figliuoli.
Onde tra le valorose moderne donne tu ben puoi
gir altiera sopra l' antica madre Spartana, che al-
l'altra Ateniese, la qual le mostrava i ricami fi-
nissimi lavorati con le sue raaai, tu all'incontro,
additando i tuoi fighuoH, de' quaU ora sopravvi-
vono Michel Wenceslao, consighere attuale intimo
di Stato di Cesare, e Michel Ferdinando suo ge-
neral di battaglia, e tra essi il gran Michel Fe-
derico, puoi ben rispondere: Ed io ho fatti que-
sti lavori a gloria di Dio e di Cesare; come quella,
mostrando quattro belli e feroci giovani, disse: Ed
io ho fatto questi quattro lavori per la libertà
dell'imperio di Sparta, a cui con la vittoria Pe-
loponnesiaca Atene delicata sottomise la libertà
del suo imperio. — Ma tu, della Spartana di
gran lunga donna maggiore, nemmeno di tanta
giusta gloria ti vanti, perchè la temi di troppo
brieve confine discosta dall'umana superbia; e bra-
mosa solamente di quella gloria che sempre va
in compagnia dell'umiltà dello spirito, tra i fieri
cruciati dell' artritide tormentosa, tra' quali fosti
sovente con ammirazion de' circostanti osserva-
ta, con eroica fortezza strozzare in petto anche
i gemiti; con edificazione delle tue più confi-
denti, pur spesse fiate sotto la ferocia de' suoi
spasimi fosti udita dire con l'Africano Dottore
ORAZIONI ED ISCRIZIONI 277
quelle piene d' amor celeste forti parole : Co' tuoi
dolori, o mio Gesù, qui sega, qui brucia, tu qui
perdona. — Tra questi di vera eroica cristiana
costanza santi esercizj, Anna Maria Aspermont,
vp.lorosissima contessa d'Altliann, ricevuta prima
r assoluzione Apostolica, che ella aveva da Cle-
mente XI sommo pontefice domandata, nell'ora
nona del giorno tredici dicembre Fanno mille
settecenventitrè, nel settantesimo oUavo della sua
età, rendette la grand' anima a Dio, dentro T ot-
tava della Immacolata Goncezion della Vergine,
la qual chiamava la festa sua ; e con Y abito della
di lei Religione, nella pur di lei chiesa volle es-
sere in Praga seppellita. Non è tanta perdita de-
gna di lagrime femminesche, che appena cadute
s'inaridiscono, né di sospiri violenti, e perchè
violenti, per poco durano, l'une e gh altri, tur-
bini di fantasie commosse dagli austri di popolare
eloquenza; la quale ha un regno perciò poco du-
revole, perchè tirannico sopra gli animi, che sul
bollore delle dicerie con la perturbazione li tra-
scina a dehberare. Tal vita merita contemplazion
di filosofi; tal morte merita eterne congratulazio-
ni, che dappertutto, o beata lei! o lei beata! le
acclamino. Tu di lei figliuolo Eroe, Eminentissirao
Michel Federico, che ne governi, ci comandi che
la piagniamo, la desideriamo all' eroica ; che '1 vero
piagnerla è rifletter nella sua vita, il vero conso-
larci della sua morte è l'ammirare, il dilettarci,
l'imitare le sue virtudi immortafi.
ORAZIONE
IN MORTK DI ANGIOLA GIMINI
MARCHESANA DELLA PETRELLA
(1727)
Se tra le laudevoli eroiche usanze romane fu
quella fuor di dubbio lodevolissima, che i defunti
i quah o per luminose arti di pace, o per fatti
egregi di guerra, si erano, vivendo, segnalati e
distinti, eghno in loro morte da' più stretti con-
giunti, come da' figliuoli i padri, le mogli da' ma-
riti, i fratelli da' fratelli con ischiette e gravi di-
cerie fossero pubblicamente lodati, acciocché non
solamente le proprie familiari lodi a quel popolo
immortale con modesta verità si sponessero, ma
ancora, se stati ve ne fossero, che pur esservi
stati vi abbisognava, non andassero elleno sce-
vere ed immuni dagli occulti difetti: oggi nella
morte della virtuosa e saggia donna, Angiola Gi-
mini. Marchesana della Petrella, tale accorgimento
in noi, scrivendo questa, destano la schiettezza,
la gravità e la moderazione degli attenenti che le
sopravvivonoj i quali forse anche tutti taciti e
soli, in leggendola, grandemente offenderebbe ogni
leggieri eccesso in che o l'alta stima di lei vi-
vente, o il gran dolore della sua immatura ed
acerba morte trasportato ne avesse. Ma quest'i-
stesso rispetto alla modestia di persone cotanto
ben costumate ci rende dall'altro canto troppo
difficile la condotta del lagrimevol funesto argo-
mento: perocché, per non gravare di ben nato
rossore i loro gentilissimi animi, dovremmo noi
in buona e gran parte del merito scemare le lodi
della valorosa Donna che si compiagne. Laonde
qui ci farebbe mestieri della maniera ateniese di
PARTE II. ORAZIONI ED ISCRIZIONI 2^9
di ben parlare , penetrevole e dilicata, propria da
lodare di presenza anche gli stessi Flosofi: però
un tanto e sì raro pregio di ben porgere la na-
tura delle nazioni concedè unicamente a' valentuo-
mini di quel popolo che'n valore d'umano inge-
gno lasciossi per lunghi spazi dietro quanti altri
mai fino alla presente età si condussero da quel
tempo che fu il giusto punto della sua virtù in-
gentilita j quando, fiorendovi i Socrati con le Aspa-
sie, fu la città del raffinato buon gusto in tutte
le cose che possono mai toccare i sensi, inten-
der la mente, spiegar la lingua 5 e'ii tutte, sem-
pre il severo della virtù con la soavità della ma-
niera temprando, soddisfaceva il cuore che quel
popolo umanissimo serbava in petto della sua Mi-
nerva, la qual fu da' saggi poeti intesa nelle loro
favole la Sapienza, ovvero il buon gusto di Giove.
Nulla però di manco, ciò che dall'indole comune
della nostra favella, nonché da' nostri particolari
talenti e proprj studj ci vien negato, egli ci è per
nostra miserevole buona ventura somministrato e
porto dal subbietto medesimo: conciossiacosaché
dobbiamo dimostrare una Donna la quale a tutti
i saggi uomini che ebbero la sorte di conoscerla
e riverirla, fece intendere i tempi più colti della
gentilissima Atene; siccome quella che fu loro il
grande esemplo della rara difficil tempra onde si
mesce e confonde il soave austero della virtù: che
sarà l'argomento, non già eletto da noi per se-
gno dove, in forza di riflessione propria di animi
riposati e tranquilli, volessimo con arte od inge-
gno indirizzare le sue lodi; ma è la fiaccola e '1
lume che'n questa nostra densa notte di passio-
ne, in ogni parte che essi si rivolgano, raddrizza
a sé, come a centro di luce, tutti i nostri della
sua nobil vita già informati pensieri. Ella di Giù-
aSo PARTE II.
seppe Cimino j Avvocato Fiscale del Real patri-
trimonioj e di Anna d'Arieta Crespo^ saggia e ge-
nerosa donna, di nobile origine Castigliana, nacque
Angiola in mezzo a numerosa quinci di cinque gen-
tilissimi fratelli, e quindi di quattro gaje e leggia-
dre sorelle lieta festevol corona: e fu l'ultimo pe-
gno che della prima amicizia, e perciò la più fida
di quante mai dappoi si contrassero nel mondo,
l'amor conjugale dà a coloro che l' onorano e ri-
veriscono: e cominciò ella a veder la luce del
giorno e a bere l'aure vitali in una casa che tutta
rifulgeva di pietà e di religione, e spirava da
ogni parte soavi e grate virtù civili; perocché ella
nelle faccende dello spirito regolata era dal Pa-
dre Antonio Torres, celebre sacerdote, sapiente,
il quale molto meglio che Platone la pagana, in-
segnava la cristiana virtù, non iscompagnata da
una santa civiltà e da una coslumatissima genti-
lezza. Laonde, perchè la pietà verso Dio e la re-
ligione è la principale di tutte le idee che nascono
con esso noi , siccome ella perciò è la base e '1
fondamento di tutte le altre morali e civili virtù;
così, per alto consigHo della Provvedenza Divina,
prima di tutt' altre, nelle menti tenere de' fanciulh
ed incapaci di raziocinj, con esempH, i quali si-
gnoreggiano sopra il comun senso, ella ecci de-
stata dalla iconomica disciplina, per la quale nella
luce del divin culto cominciata a spiegarsi la nostra
mente umana, migUore si renda, docile e ben dispo-
sta ad acquistare dappoi tutti gli altri , come secon-
di, così minori abiti virtuosi: per tutto ciò senza
dubbio la cristiana morale, che'l Padre Torres sag-
giamente temprar sapeva con le più amene e dolci
maniere di una civiltà virtuosa, trasse le prime
linee, sulle quali tal si abbozzò Angiola, qual poi
si compiè nell'idea testé da noi proposta per ra-
ORAZIONI ED ISCRIZIONI 38 1
gionarne. A misura dalla grande disposizione al
ben essere, che è vivere con virtù, vero essere
dell'uomo, di che ella ritrovò il grande agio in
provenendo da tali genitori, in tal casa, la gra-
ziosa Natura la vi mandò doviziosamente adorna
di tutti i doni che sono in sua signoria, cioè o
che appartengono al corpo, o che si tragittano
alla mente dal corpo 3 ed arricchilla di acuto
ingegno, che sopra tutto curavano e più che
ogni altro pregio dell' uomo amavano gli Ate-
niesi, che furono gF ingegnosissimi di tutte le na-
zioni, fin da' loro tempi eroici narrando, esser
natio della loro terra Attica Dedalo, che è'I ca-
rattere poetico dello 'ngegno : e ragionevolmente,
perchè lo 'ngegno è'I sale dello 'ntendimento, che
condisce di giocondissimo sapore i concetti, i quali
poi , in profferendosi , nudriscono di inaspettato di-
letto gli animi di coloro che gli odono; ed è la
grazia e bellezza de' ragionari che sorprende di
repentina gioja le menti al suo balenare delle acu-
tezze: fornilla di maschia fantasia, perocché della
debole il femminil sesso pur troppo abbonda; e
accompagnolla di una fedele e pronta memoria;
le quali poi, seguendo le inchinazioni dello 'nge-
gno, le agevolarono il cammino agli studj, questa
della Storia e quella della Poesia : la provvide
sopra tutto di un signorevole rossore, il quale,
con renderla soggetta alla ragione, anche dentro
i suoi più riposti pensieri la fece signora vera-
mente di sé medesima, una in lei gentil gravità
producendo, per la quale si guardò a, tutto po-
tere di fare o dir cosa di che poscia a vergo-
gnare si avesse: donde a suo tempo vennele il
talento delle filosofie, non già per garrire di quello
che è negato all'uom di sapere, ma per intendere
il vero e '1 degno delle cose che dee uomo in vita
282 PAIITE II. .
Operare: dal quale studio in lei provenne com-
piuta la degnità o sia il decoro de' saggi detti e
delle circonspette azioni, dappertutto sparse di
convenevolezza j la quale si appella onestà, ed è
in fatti la bellezza della vitaj la quale, se, come
la caduca e frale, si potesse co' corporali occhi
vedere, ne viverebbero si ferventemente gli uo-
mini accesi, che rei non sarebbono affatto nel
mondo. Ma perchè, siccome alla munificenza bi-
sogna delle ricchezze grandi per distinguersi dalla
liberalità, che è contenta di moderate fortune 5
cosi all'onestà, per essere in grado di maggior
perfezione esercitata, fa mestieri di non volgare
bellezza. La Natura vestilla di vago e dilicato
corpo, nel quale tutte le gentili ben formate mem-
bra , e tra essoloro e nel tutto insieme, con le
giuste loro corrispondenti misure ben s'intende-
vano , che facevano quella unità in che bellezza
consiste 5 la quale è in una ragione sì fastidiosa
e schiva, che, per ogni qualunque menoma spro-
porzione o difetto, ella a se medesima incresce
e dispiace; rimirandosi in quella idea che impos-
sibil cosa è esserci venuta in mente per li sensi
mortali, i quali, quanto s'intendono di tutt' altre
cose de' corpi, tanto san nulla affatto delle certe
misure e proporzioni de' corpi: onde forse perciò
i valenti dipintori, che sanno l'ideai bellezza in
tele ritrarre, hanno il titolo di divini. E la mae-
stra d(41e sensibili forme, benigna, di quella bel-
lezza appunto vestirla si studiò, che nelle ate-
niesi donne si commendava, non atante e robu-
sta, quale si conviene alle foresozze, ma dilicata
e gentile*, tinta di un vermiglio, in atto di spa-
rire, e di venir meno; che è la soavità del co-
lore, che Aristotile diffinisce per compimento della
bellezza: oltre a ciò dielle una spedita agihtà d'a-
ORAZIONI ED ISCRIZIONI 283
zione, una vivace grazia di volto, ed un leggia-
dro contegno di portamento; che sono tutti e tre
raggi di quella luce, al cui buon lume spiegan-
dosi il bello, sempre è altro, sempre è nuovo,
non mai l'usato, non mai lo stesso: e finalmente
formila di dolcissima grata voce, che indicava le
ben regolate misure del bellissimo corpo dond' ella
usciva: le quali corporali doti, mentre il rigoglioso
virginal vigore avvivavate, le fecero il pregio di
entrare nel numero che, come pure i Filosofanti
avvertiscono , è in sua ragione ben raro, delle più
belle e leggiadre nobiU donzelle che rallegrassero
questa grande, luminosa e gentil città dell' Itaha:
ma poiché furono infievolite e spossate da' soprav-
vegnenti gravi malori di corpo, i quali più le si
accrebbero con gli studj e sopra tutto dalla me-
ditazione delle cose eterne dell'altra vita, dege-
nerarono in una bellezza languente, che cotanto
gli Ateniesi pregiavano; la quale in lei sembrando
non altronde vivere che col vigore dello spirito,
che ella sempremai ebbe vigorosissimo, arrecò
quella importante utihtà che sopra le languidezze
del bello e gentil corpo , siccome amabihssime
ombre, più si distinguesse e risaltasse dal di lei
animo il vivo lume della virtù. Ma per la co-
mune infelice nostra umana condizione, la quale
a quella stessa gran fabbra de' nostri corpi, a cui
quanto essa facilita, tanto costa la fehcità de' suoi
lavorj, pure impedisce e contrasta che ella formi
giammai uomo o donna in sua ragione compiuti
e perfetti; ella non potò a sì bella armonia di
fattezze librare una corrispondente giusta tempe-
ratura di umori; perchè certamente, mettendo in
questi loro amare tossicose radici le umane pas-
sioni, con grave oltraggio della libertà, sopra cui
ella non ha ragione alcuna, arebbe in un certo
284 '^' PARTE II.
modo a tal Donna fatta necessaria la virtù uraana^
che altro non è che delle nostre umane passioni
giusta tempra e misura. Con tutto ciò, poiché la
grande Architetta , interessata di sì vago gentil
suo lavoro, doveva vi pure in una sua qualche
parte peccare, peccò in quella, onde la sua bel-
r opera, perchè destasse maggior maraviglia, fosse
"più del dovere, come i pittori dicono, caricata;
e nel di lei nobil sangue rovesciò con troppo
piena mano la collera; non quella già quasi sem-
pre temeraria e soventi fiate anche fiera, qual è
a tutto il femminil sesso comune, ma ragionevole
e generosa e quale appunto a donna di eroica
virtij convenivasi. Questa collera fu quella che
ad Angiola fece amabihssimi nella sua piiì tenera
età i fanciulleschi difetti: questa apprestò a lei
la materia sopra cui poscia esercitò la virtù più
subUme nella sua giovanezza, che tanto, o, per
me' dire, assai men di tanto durò la sua vita:
nella quale età la collera naturalmente ci si fa
sentire più contumace, indocile ed orgogliosa. Im-
perciocché de' liquidi che alla vita degli animali
tutti e sì degli uomini fan mestieri, niuno, fuor-
ché l'eccedente collera, serve di cote alla virtù,
a cui facciano corte la radità, l'eminenza, la ma-
raviglia : perchè ove abbondi quella che i Medici
chiamano linfa, ella, come sciapita e pigra, fa gli
uomini per natura pazienti e flemmatici; ove troppo
il vivo sangue rigogli e rida, l'allegrezza, la quale
non sa altro che dipignere belle speranze e lusin-
ghe, non che gli obbietti di dubbio evento, an-
che i tristi e funesti facci comparire con lieti aspet-
ti; ove soverchi quel sugo lento e tenace che fa
gU uomini mafinconici (lasciando qui noi a' Medici
combattere per la voce), egli ne fa gli animi nelle
traversie della vita e trattenuti e gravi: ma la col-
ORAZIONI ED ISCIUZIONI 285
leva strabocchevole essendo tal solfo del sangue,
qiialor si accenda, un fuoco urentissimo de' corpi
animati, siccome i morbi che ella cagiona loro,
sono tutti acuti, precipitosi, mortali j così le per-
turbazioni che muove agli animi, sono sfrenate,
cieche, violentissime: onde siccome Ceho Aure-
liano disse de' morbi acuti, che li mandavano i
Dei e solo li curavano i Dei 5 così per guarire
un'acuta passione di collera vi abbisogna una virtù
più che umana, che con alta sapienza di senti-
mento ed altrettanta dignità di parole i greci poeti
dissero eroica. Questa collera è, che negli animi
generosi co' suoi bollori turbando e dall'imo con-
fondendo ogni mal nata riflession della mente, da
cui nasce la razza vile della fraude, dello 'ngan-
no, della menzogna, fa ella gli eroi aperti, veri-
tieri e fidi; e sì interessandoli della verità, gli arma
forti campioni della ragione incontro ai torti ed
all'offese. Fin dalla sua più tenera età questa no-
bil Fanciulla diede pur troppo gravi segni di tal
collera eroica; la quale, ove mai non era ella com-
piaciuta di un qualche suo fanciullesco talento, si
crucciava a tal segno, che gittatasi lunga a terra,
tutta vi si afQiggeva, fino a percuotersi sul duro
pavimento il tenero capo: né è pur questa col-
lera punto donnesca; perchè ove a lei sembrava
aver ricevuto alcun oltraggio da' suoi germani, e
per desiderio di vendetta portavane l'accusa a'
comuni genitori; ed ove questi, per soddisfarla,
avevano dato all'oltraggiante il meritato castigo,
ella, piena allora di gentile pietà, tutta si ram-
maricava ed attrista vasi, incolpando se stessa del
suo trasporto, e amava meglio aver essa pagato
il fio della colpa di altrui. Questo e un saggio cer-
tamente di eroica virtù, di quella spezie onde la-
sciarono di sé tanto mondano romore i Cesari e
2S6 PARTE ir.
gli Alessandri, che ammendavano gli eccessi delle
loro collere^ questi infin con dirotti pianti, e que-
gli con una rara maravigliosa clemenza. Adunque
questa collera eroica fu la cagione che la da noi
compianta Donna, quantunque per l'alto ingegno
e grave discernimento di che era ricca quanto al-
tre mai, intendesse essere con merito bella; però
nulla curonne il pregio: perchè l'altezza dell'a-
nimo virile facevale guardare la femminile bellez-
za, per se sola, come un regno servile e debile,
il qual certamente in sua propria ragione caduca
e frale non può comandare sul cuor dell'uomo,
senza un qualche, comechè lontano, riflesso di
una fragil suggezione: questa fu la cagione altresì
che ella agli studj donneschi, come di ricamare,
di canto e ballo, attendesse sol tanto, che classe
saggi di molto valervi; del rimanente riponeva
tutta la sua vaghezza e piacere in leggere gravi
scrittori. Ma qui in picciol giro ci si apre un largo
campo di combattere, con la vita di una gentil
femmina giovauetta, tutta la crespa e grave vec-
chia pagana Filosofia, ove ella ripone la virtù nel-
l'azione, e non, come ne insegna molto meglio
la Filosofia cristiana, nel patimento, che è la vit-
toria maggiore che uora forte riportar possa del
più strapotente nemico, qual è quella di vincere
se medesimo. Imperciocché egli impossibil cosa è
che quelle repubbliche ove da' cittadini per abiti
comandati da sapienti ordini e buone leggi fosse
seriosamente praticata questa vera eroica virtù de-
gli Uhssi, o vogliam dir del soffrire; elleno non
sarebbono e dentro beatissime nella pace, e fuori
a' nemici terribili nelle guerre. Lo ci appruova con
la sua natia gravità la Spartana; la quale, per-
ciocché esigeva da' suoi un'aspra, dura ed invitta
pazienza con la giovanile educazione, la qual di-
ORAZlOlxr ED iscRizrowi nS^j
( ó\si (la Licurgo sapientemente ordinata, ella poi
armava in guerra tanti eroi che con le forti e ma-
gnanime imprese mostrarono a pruova essere di-
scesi da Ercole uccisor di tiranni ed estirpatore
de' mostri ; sicché ogni Spartano valse e fu nove-
rato le intere bande de' Persiani. Né in vero i Ro^
manij che megHo assai sentirono la virtù ^ di quello
che gh Ateniesi ne ragionarono, arebbon eglino vinti
gU Annibah ambiziosi, i Persei avari, gli Antiochi
dilicati, se non se prima essi ne' Curj ne' Fabbrizj,
ne' Regoli avessero vinti e superati dentro gli animi
loro con l'astinenza, con la povertà e 'nfine con
aspri e crudeli martori la dilicatezza, l'avarizia,
l'ambizione. Incominciò costei da tenera fanciulla
a combattere questo rabbioso fiero nemico, e a
domarlo in uso della virtù; perocché, avendo ella
lo stomaco di una stravagante ferocia o risenti-
mento, perchè, peccando pur troppo nella collera
il suo temperamento, doveva ben anche in lei
essere di tal indole indomita ed orgogliosa quella
parte delle nostre viscere dove essa collera fa le
principali sue funzioni; onde gli autori del greco
favellare, che fu la lingua de' Filosofanti, con voce
eroica e presso che naturale chiamarono stomaco
l'iracondia; quindi come di si fatto morbo am-
malata, non potendo indursi in sua casa a patto
veruno né pur a gustar alcune vivande, quantunque
dilicate e laute, che non l'annojassero, i genitori
ne commisero la guarigione alla maestra delle fan-
ciulle; la qual per ciò o a desinare o a cena po-
nendole non altro innanzi che alcuna delle -mal
viste vivande, la Fanciulla, triste ed in grave
mestizia rassegnata e composta, non di altro che
di abbondanti lagrime si nudriva; disposta di mo-
rire della fame più tosto, che di leggiermente as-
saggiarle. Così ella, quantun(|ue con vano effetto
388 PARTE II,
di ammendare sì fatto vezzo, che cagionolle poi
gravissimi malori e finalmente la morte, comin-
ciò con penitenze sì gravi a rompere l'orgoglio
di questo fiero lione che pascono dentro i loro
petti i collerici; e molto più il fiaccò e vinse con
gh studj delle lettere, e sopra tutto con gli eser-
cizj della cristiana pietà; co' quali a tal segno ad-
dimesticoUo, che divenuta donna, chiunque non
l'avesse innanzi mai conosciuta, se non fosse egli
stato sperto filosofo de' caratteri degli umani co-
stumi, il quale da' di lei agifi e presti movimenti
del corpo, e dallo svelto e spedito portamento,
avvertito avesse un certo spirito e fuoco che ac-
cusava la sua vera naturalezza; esso da lei se-
dente, agli atti riposati e piani, a' soavi giri de-
gli occhi sempre sereni, alle piacevolissime e non
mai in suono alterate, non mai in tempo affret-
tate parole, ed a' sensi alteratamente umili e pieni
di signorile mansuetudine, Farebbe certamente cre-
duta flemmatica anzi che no. Ora essendo la mente
umana la pura luce dell'anima, la quale non si
lascia vagheggiare da occhio mortale, se non se
quando ella rifulge dal corpo, che è l'ombra so-
pra la quale il di lei immortai lume si spiega,
la bellezza dello spirito d'Angiola, che dal fuoco
della di lei collera era soavemente avvivata, per
gli atti, guardi, portamento e parole, da così bel-
lo, gentile, gajo e leggiadro corpo, di che im-
menso piacere e gioja colmasse gli animi di co-
loro che nel ridente fiore della età sua l'udivano
e la miravano; qui, non che l'espressione, abban-
donandoci ogni forza d'immaginarlo, come cosa
sopra il mortai corso delle sensibili forme altis-
simamente allogata, noi alle sole, né pur volgari,
ma più sollevate menti ora il lasciamo ad inten-
dere; e sol tanto ci si permetta di raccorlo in
ORAZIONI ED ISCRIZIONI ^89
picciola parte per qualche effetto; siccome quello
che, educandosi ella nel monistero detto della
Concezione delle nobili donzelle spagnuole, delle
quali nella presenza dello spirito, nell'acutezza de'
motti, e per lasciar di dire le grazie sempre ac-
corte degli atti e le vaghezze sempre leggiadre del
portamento, nel pregio del molto ed insiem presta-
mente comprendere, non vi hanno altre nel mondo
delle presenti nazioni che dell'antiche ci possano
()iù al vivo le Ateniesi donne assembrare; ella era
a viva festa e 'l comun piacer e sollazzo di tutte,
a tal segno che col suo conversarvi ella maravi-
gliosamente ristorava da' gravi molesti malori e
rinfrancava le'nferme; quell'antica medicina, ma
in più maravigliosa guisa tra esso lor richiamando,
che con la soave armonia, non già del canto e
del suono, ma con quella di cui solo Pittagora
al mondo s'intese, di un vivacissimo spirito a
bello e leggiadro corpo dolcemente accordato, do-
mava la ferocia de' morbi, ne sopiva le molestie,
ne raddolciva i dolori. Quindi recar non dee ma-
raviglia, se ella sopra tutti gli altri fighuoli e fi-
gliuole era tutto l'amore, tutto il diletto, tutta
la dolce cura di Giuseppe suo padre. Vero egli
è per natura che gli ultimi parti soglionci esser
più cari, per questi due occulti sensi di umanità;
tra perchè essi sono lì più innocenti, e per con-
seguenza che ci hanno recato maggior piacere,
meno disgusti; e perchè essi han bisogno di più
lunga difesa, la quale i padri credono, per la loro
avanzata età, poter a quelli al maggior uopo man-
care. Ma cotal padre aveva egli avuto in grazia
dal Cii^lo una ben nata numerosa famiglia di fi-
gliuoli e di figliuole, tutti di docilissima indole
alle più belle virtù, sì della mente come dell'a-
nimo; e tutti di un padre e di un tanto padre
Vico, OjHiiCuli. 19
2C)0 PARTE II.
osservantissimi 5 che'l temevano e riverivano , qua!
vivo esemplo di pietà e di giustizia; siccome quello
che ben quarantadue anni patrocinò la ragione
del Real patrimonio con prò del Re egualmente
e buona contentezza de' sudditi; col quale rispetto
dovuto osservandolo, tutti vivevano applicati a
lodevolissimi studj. Onde Francesco primogenito,
ca vallerò dell'ordine di Calatrava, già era for-
nito di tutte le buone lettere che abbisognano
alla Giurisprudenza migliore; comechè poi, lo
strepito del Foro mal sopportando, tutto siesi
dato a coltivare una vita privata, la quale non
in altro esercita che nelli più esatti doveri della
cristiana pietà: Niccolò, le paterne vestigia se-
guendo, si acquistava molto nome di prudente e
giusto uditore nelle Regie Udienze delle nostre
Provincie, nel qual maestrato egli molto giovane si
morì: Urbano ed Antonio vivevano tutti infiam-
mati dell'amore delle divine cristiane cose; come
al presente adornano, entrambi padri, la vene-
randa Congregazione dell'Oratorio: e finalmente
Ottavio, vago di acquistarsi onore per Taltra via
da quella delle Leggi, inchinava al duro e fati-
coso mestiero dell' armi ; il qual cammino appresso
non senza laude di prode ha egli tenuto, dappoi-
ché con altri NobiH secondogeniti e Signori Na-
poletani fu ascritto tra' soldati delle guardie di Fi-
lippo V re delle Spagne. Né punto di meno lau-
devoli studj e talenti rispettavano un tanto pa-
dre quattro costumatissime donzelle figliuole, delle
quali, oltre a Teresa che fu data a marito in casa
Marifeola, nobile Nolana, ove ritrovò tra le im-
magini dell'avole le Pignatelli, le Ventimiglia, le
Dentici, le Caraffe, le restanti tre han dedicato
co' castissimi corpi le purissime loro menti a Gesù
Cristo, sposo divino delle a sé consegrate don-
ORAZIONI ED ISCRlZlOPfl ^91
zellej M;ìi'ia nel ruonistero delle Nobili Spaglino-
le, detto della Concezione j e Catarina e Giulia
in altro di Nobili Napoletane, appellato il Gesù
(Ielle Monacbe. Oltre a ciò, se egli pure naturai
cosa è che i suoceri , perchè non possono con oc-
chio bieco guardarle, quali emole forse della loro
potenza, come fanno le suocerCj mirano assai ben
Yolenlieri e con grado le nuore, come gioja e
contento de' loro fighuoh, a' quali desiderano essi
padri ogni bene; egli n'era il Giuseppe pur fe-
licemente provveduto di belle, virtuose e pie,
come di Faustina Marifeola che fu la prima, e dì
Margherita di Afflitto, nobil donna della città di
Amalfi, la qual è ora di Francesco seconda mo-
ghe; e di Giuseppa Ciavarri-Eguya , di famiglia
nobile Castigliana, figliuola del Regio Consighero
Pierantonio, che fu un de' primi lumi del Sacro
Consiglio Napoletano. E finalmente quando gli
avoli sogliono intenerire nell'amore de lor nipo-
ti, o forse perchè quelli sono loro giocondi te-
stimonj della molta passata età, o perchè sono
propaggini piiì fresche della lor vita; egli ne aveva
pure innanzi ben folta vezzosa schiera; tra' quali
di Francesco già un altro Giuseppe fioriva di belle
speranze, siccome ora ne ha già incominciato a
dare corrispondenti frutta di lettere e di virtù; e
gli scherzava intorno leggiadra e gaja fanciulla,
Saveria, nella bell'alba della sua rara bellezza ed
incomparabil modestia, di cui ora spiega, don-
zella, il fresco ridente giorno della prima sua gio-
vanezza. Ed in una sì numerosa e di tante varie
belle virtù e pregi ornata nobil famiglia, in petto
di sì saggio, pio, felice avolo, suocero e padre,
l'Angiola principalmente signoreggiava: ella era l'u-
nico alleggiamento delle di lui infaticabili pubbli-
aga, parte ii.
che fatiche; eHa il dolce ristoro de' languori della
sua lunga cadente età 5 ella il sollazzo della grave
naturalmente trista vecchiezza. Né punto meno
dolcemente ella regnava sull'animo di Anna sua
madre, saggia e di alto cuore quanto altra donna
fu mai; la quale pur sapeva ben partire giusta-
mente gli affetti fra tanti meriti di figliuoli, nuore
e nipoti inverso esso lei, di stima, ubbidienza e
pietà che tutti le professavano, come professano
tuttavia; e nulla però di manco ella avevasi eletto
Angiola per norma de' suoi pensieri e piacere delle
sue voglie. Questa è delle molte, nella Donna che
ragioniamo, una grave ripruova di ciò che Seneca
a Lucilio scrisse una volta, che da Socrate i suoi
discepoli più ritrassero di profitto con l'esemplo
della vita, che da' ragionari intorno a virtù. Questa
valorosa Donzella in tanta famigliar grazia ed onore
regnava, senza invidia alcuna de' suoi, anzi in ma-
niera che tutti i suoi di cotesto suo privato regno
gioivano; che è quello insegnamento di vita ci-
vile tanto difficile a praticarsi, che uomo oltre-
passando, non che gli uguali, anche i maggiori,
egli non solo sappia schifare la invidia, ma an-
che conservarsi gli amici. Laonde, quantunque noi
ne abbiamo ammirato la pratica, pure ne dispe-
riamo l'espressione della maniera, per far inten-
dere la tolleranza, l'agevolezza, la modestia della
gran Donna; in sofferire il debole di ciascuno; di
esser sempre uniformata agli altrui voleri, e di
secondar sempre le loro voghe; di non mai an-
teporsi a ninno; che sono le potenti arti che,
quanto la propria, tanto rendono aggradevole la
lode di altrui; e sbarbata la venenosa cicuta della
invidia, la qual sempre le nasce da presso, per
aduggiarla ed ispegnerla, fanno Heta crescere e
ORAZIONI ED ISCRIZIONI 393
felicemente germogliare a' viventi la gloria (i). E pur
tutto ciò che abbiam detto è molto poco a petto
della sapienza con la quale ella si disponeva gli
uni inverso degli altri, che ben anche tutti insie-
memente tra esso loro in uno stesso piacer con-
venissero. Qui in vero, quantunque noi ne fus-
simo di ben alto forniti, pur ci abbandonerebbe
lo intendimento per concepire che, abbenchè tra
numerosi congiunti tutti ben costumati, non po-
tesse intervenire discordia di volontadi, perchè
la virtù è quella che unisce i voleri umani; però,
come di diversi volti e naturalezze, così certa-
mente di varie inchinazioni e talenti; ella niente-
meno sapeva talmente unirli tutti in un gusto,
che quando ella dimorava sola nel suo, gli altri
si trattenevano tutti soli e divisi negli apparta-
menti loro: ma ove ella compariva, tutti ad es-
solei si univano, per insieme vivere e conversare.
(1) L'Autore dell' Ornzlone emenda il detto, e cancellando
la voce gloria^ siegue a ragionar della lode, d'intorno alla quale
chiude il periodo cosi: jfanla a' viventi lieta* e Jelicemente
crescere e germogliare. E certamente il Comico, descrivendo
un carattere d'idea, quale fu in fatti questa valorosissima Don-
na, dice:
Sic vita erat: facile onineis perferre ac pali;
Cum quihiis erat cumque una ^ iis Sese dedere f
Eortitn oh.icqui studiis , adversus neniini ;
Namque praeponens se aliis : ita facillime
Sine invidia laudem invenies
Perchè la gloria, la quale proviene unicamente da ciò, che
rari uomini o con saggi consigli o con valorosi fatti o con nuovi
utilissimi ritrovati d'ingegno giovino a' popoli ed alle nazioni,
e molto più a tutto il genere umano, non può per la nostra
corrotta natura andar libera dall'invidia; né qu.-ìlunque man-
suetudine può punto giovar loro di schifarla, siccome l'incom-
parabile modestia di Socrate, con tutta la di lui studiata iro-
nia, con la quale professò sempre di non sapere, e di voler
esser addottrinato dagl'ignoranti, potè punto operare che gl'in-
vidiosi della di lui gloria rifinissero di attraversarlo, finché noi
videro ingiustamente condannalo a prendersi la cicala (Nota
di Fico). f.;:^^
294 PAH TE II.
Questo era il fruito che uomini dotti e gravi, iu-
fìno di esemplari religiose famiglie, dallo andarla
a vedere ed udire ritraevrdio; che era di meditare
nella di lei maniera di vivere, per formare sul di
lei esemplo la vera idea della cristiana, tanto van-
taggiosa sulla pagana virtù; che ciò che Seneca
diceva di Socrate, il gran padre delle Filosofiche
Sette, e che predicossi aver chiamato dal cielo
in terra la Filosofia de' costumi, essi in una gen-
til giovanetta donna ammiravano. Questo maravi-
glioso di belle doti di corpo e di virtuosi abiti d'a-
nimo per mano di benigna natura e di saggio
studio tessuto gruppo, onde Angiola era altresì
r amabilissimo nodo di tal numerosa nobil fami-
glia, egU nell'eterna incomprensibil serie delle ca-
gioni fu, per così dire, l'anello onde la Provve-
denza strinse il legame delle di lei nozze, e dentro
cui legò il brieve corso della rimanente sua vita.
Imperciocché il di lei affezionatissimo padre, per
goderla sempre a se dappresso, volle orrevolmente
qui in NapoH maritarla; ed adornatala di tai no-
bih parentadi, quali teste dicemmo, oltre alla no-
bile origine propria che da questa città la sua
casa traeva, la quale a mezzo il corso del cin-
quecento vi godeva il grado della nobiltà nella
Piazza detta di Portanuova, e più di cento anni
fa i suoi avoli, nobili Tarantini, in questo Sacro
Gonsigho avevano domandato ragione d'esservi
restituiti e rimessi; collocolla in moglie a Berar-
dino Caputo marchese della Petrella, nella cui
casa, chiara per antichi titoli di signoria, Nobili
Napoletane erano già use di entrare a sposa me-
nale. Ma né i di lei genitori né gli altri stretti
congiunti potendo pur un giorno vivere divisi e
scompagnati da lei, ella finalmente si riportò ad
abitare nelle paterne case; e vissevi, finche visse.
ORAZiONI ED ISCRIZIOI^I 29Ì
con tanto piacere e grado del suo già signore e
marito, che '1 vi conciliò con tutti i suoi attenenti
in una ben corrispondente officiosa amistà»*, talché
egli sembrava di quella casa uno per istreltissimo
vincolo di sangue, non già per nozze, congiunto.
Da* indi in poi ella si diede con più fervore allo
studio delle lettere, ed applicò piii seriosamente
alla Storia 5 la quale per meglio apprendere, volle
sapere la Cronologia e la Geografia; ed oltre alle
di già lette più luminose de' nostri tempi, dopo
la Storia Sacra, si dilettò, sopra tutt' al tre, della
Romana, particolarmente su Tito Livio: il qual
gusto appruovava la sua alta indole, che non si
soddisfaceva che del sublime, del maraviglioso,
del grande. S'innoltrò negli studj della Poesia,
avendolavi già innanzi indiritta per la buona strada V
del comporre in versi due suoi fratelli*, Francesco,
di cui giovanetto pur va sulle stampe alcuna leg-
giadra colta Canzone, ed Antonio, il quale ora
nella di lei morte ha alcune Ottave composto,
che l'appruovano in sì fatti studj e con felice na-
turalezza e con buona arte e con fino giudizio
esser lungo tempo e di già molto versato. Ma la
propria indole di essolei fermolla a dilettarsi con
merito, sopra tutt' altri, di Petrarca e di Gasa, i
quali due gran lumi de' toscani poeti amendue cor-
rispondevano al soave austero del suo costume:
perocché il Petrarca dappertutto scorre soavissimo
attico mele di gentilissimi dilicati sentimenti amo-
rosi, sempre tinti di ben nato rossore, sempre
condotti da un nobil contegno, sempre porti con
una signorile onestà; e '1 Gasa sorprende con ia
sublimità dell'espressione, con la grandezza del
numero e con la severa e grave inarcatura dello
stile: sopra i quali modelli formossi ella una ma-
niera propria di comporre, quanto ne' sensi mol-
2g6 PARTE II.
le, tenera e dilicata, altrettanto colta ed esatta?
onde sopra un grave giudizio facevavi comparire
una schietta facilità ed una somma naturalezza;
laonde j quantunque ella rado componesse ^ im per-
tanto i di lei componimenti sembravano usciti da
mano, la quale non in altro che in poetici lavori
fervesse. Ma finalmente riflettendo ella questi es-
sere studj di fantasia, la quale, raccolti da' sensi,
compone ed ingrandisce all' eccesso i più sensibili
effetti delle naturali apparenze, e ne fa immagini
luminose per abbacinare ad un tratto co' loro lampi
le menti, e quindi accendere gli affetti umani en-
tro lo strepito ed i tuoni delle sue meraviglie*
non già essere condotte da investigare col razio-
cinio esse cagioni, le quali, soddisfacendo la me-
ravìglia, rendano con la scienza schiarito lo 'nten-
dimento, e quindi con l'eterno puro lume del Vero
spieghino sul cuore umano il tranquillo sereno della
virtù; diessi ella perciò agli studj della Loica che
scorge e guida l'umano raziocinio, e della Fisica
che'nvestiga le cagioni delle naturali cose: le quali
ella apprese da Ferdinando d'Ambrogio, pubblico
lettore di Civil Ragione in questa Università, con
l'occasione che egh insegnava Giurisprudenza al
Giuseppe di lei nipote: come appresso, con l'op-
portunità di quasi ogni sera con altri letterati uo-
mini riverirla , ella da Paolo d'Oria, per gU errori
che questo chiaro Filosofo allora scriveva ritmo vare
in quella di Renato delle Carte, con tale accorgi-
mento fu introdotta nella Metafisica del divino Pla-
tone; ed ultimamente, qualunque elle sieno le nostre
cose, si compiacque udir da noi usciti dalla Metafi-
sica di Platone i Principj delFUmanità delle Nazio-
ni. Da tutti i quali studj ella infiammata dell' ineffa-
bil piacere di che la mente pasceva in contem-
plando i principj di tutte le varie innumerabili
ORAZIONI ED ISCRIZIONI ^97
diverse forme che adornano questo Universo, così
naturale, come civilej e come da quelli, qual da
lor coniun centro allontanandosi, vengono vie più
le une dalle altre fra esso loro a distinguersi j e
per contrario ad essi principj ritornando, col più
e più appressarsi vi si confondono e si disper-
dono: e sopra queste immense ombre e que' ter-
minati lumi r occhio della mente , per quanto è
lecito in questa spoglia mortale , dilettando del-
l' ineffabil luce di Dioj per sì potenti alte medi-
tazioni, ed altronde i malori del suo dilicato corpo
miserevolmente aggravando, abbandonossi per tutto
ciò ad un tale increscimento e noja de' sensi, che
non solamente da indi in poi non ne curò alcu-
no, ma ne abborri a tal segno ogni più squisito
e ricercato piacere, che con aspetto di compati-
mento guardava le altrui sollecitudini ed ansietadi
per procurarglisi j ed appresso njirava, comedo-
lori, l'altrui stanchezza e sazietà di esserne sod-
? disfatti. Allo 'ncontro dalla sua più tenera età ri-
truovandovisi ben disposta, dopo quello che ella
gustava dagli esercizj della cristiana pietà, ristrinse
tutto il suo diletto in godere la sera della con-
versazione di dotti insieme e gravi uoiiiini lette-
rati, e di pascer l'animo in ragionando con esso
loro. Quivi era lo ammirare il di lei sublime in-
gegno, il fino accorgimento, il senno maturo, la
• gentil gravità, la signorile modestia, ed altre mille
virtù di mente e di cuore, che tutte unite insieme
rendevano la gran Donna degna dell'ammirazione
€ dell'ossequio di tutti. Sul cadere del giorno si
ragunavano per lo più nella di lei casa or gli uni
or gli altri de' letterati uomini amici, ed ordina-
riamente tutti per udir cose onde soddisfacessero
l'animo di quel ben nato desiderio di sempre più
profittare ; che è la disposizione in che deono
298 ' '^ • PARTE II.
Stare per massima gli addottrinati , perchè i rozzi
principianti vi stanno dentro naturalmente; ac-
ciocché si ritruovino essi ben disposti ad appren-
dere ed assentire al vero, loro dimostro da altrui
ne' letterarj ragionamenti: i quaH ivi da lontane
e di nulla proposte cose , per lo più , in forza
della loro serie medesima l' una dall'altra nascen-
do, menavano or uni or altri di essi a fermarsi
sopra un qualche argomento; talché sembravano
vivi esempli de' dialoghi : la qual maniera d' in-
segnare ^ come non eletta, così nieute impegnata,
usarono ragionando li piiì avveduti Filosofanti,
per dimostrarsi tutti disposti ed apparecchiati a
ricevere la verità indi , e per là , donde e per
dove ella volesse uscire, a farsi conoscere. Così
nati e messi in mezzo della conversazione i ra-
gionamenti, ella spesso si frapponeva; e con una
ironia Socratica , che la sua stessa moderazione
naturalmente insegnato le aveva, facendo sempre
sembiante o d'ignorare o di dubitare, affine di
essere addottrinata , proponeva le sue dimande ,
che ?n fatto erano gravissimi insegnamenti : ed
ove erano innoltrate le dispute e ferme in op-
poste parti, ella quasi sempre determinavasi ali;»
più ragionevole ; non senza però adornare della
dovuta lode l'altra parte o per lo 'ngegno o per
l'erudizione; che è appunto il diritto che i giu-
sti Critici debbon fare alle opere di lettere, di
riprenderle ove essi vi avran notato i difetti, ma
insiememente di. lodarle per ciò che esse conten-
gono di pregevole. Se mai si recitavano compo-
nimenti intorno a Scienze, ovvero fussero lavori
di Eloquenza o di Poesia , ella al dirsi le cose
degne di applauso , applaudivate o con un leg-
giadro movimento del dilicato corpo , il casto
petto sporgendo in atto come di chi incornili-
ORAZIONI ED ISCRIZIONI 299
eia a levarsi da sedere; o con un soave giro de'
suoi bellissimi occhi inverso il cielo; i quali erano
impeti del nobilissimo spirito , che a tali cose
dette sembrava j per la gran gioja, sollevarla so-
pra di se medesima : a' quali atti i riguardanti
ammiravano in lei e l'acutezza dello 'ngegno e la
gravità del giudizio, e sopra tutto la somma mo-
destia, con la quale si guardava di parere inten-
dente col non professando d' intendere , ovvero
di sembrar saggia col non diffinitivamente ap-
pruovare. Alcune volte, a certe nate occasioni e
proprie , tutta la nobil brigata adunavasi da es-
solei, per menare più solennemente una qualche
erudita sera; e tra varj ragionari, usciti per lo
più da esse congiunture de' componimenti già re-
citati , tramestandovi le oggi usate lautezze e de-
lizie de' passatempi festevoh; uomini che avevano
dilicatissimo sapore de' migliori costumi umani ,
affermavano, simiglianti civili intrattenimenti po-
tersi unicamente assimigliare alle Notti Attiche
degli Antichi. Così quasi ogni sera ella si forniva
di nobih materie da meditare il rimanente della
notte, che volentieri sogliono al sonno torre le
anime veramente belle, e le quali godono di ri-
mirare sé medesime in conversando tutte sole con
esso seco; e di riflettervi altresì tutto il seguente
giorno, che ella era usa fino alla sera menare se-
creta e sola nelle sue stanze ; che è quella so-
litudine nella quale vivendo Scipione Affricano,
diceva alla sua maniera sempre grande e magna-
nima , che allora più che mai viveva accompa-
gnato quando egli era tutto solo. Perocché il vi-
vere di meditazione scevra e pura di passioni ,
che allora senza la compagnia tumultuosa e grave
del corpo vive veramente l'uom solo, egli entro
questa spoglia mortale sembra una spezie di vita
300 PAllTE II.
in un certo modo divina; la quale non ha punto
bisogno de' sensi che ce ne ragguaglino o con
false o con tristi o con funeste novelle : quando
tutto il tempo che questi sono sopiti nel sonno,
o pure desti , non si rovesciano ne' loro arden-
temente bramati piaceri, o ben anche tutti den-
tro vi si deliziano , tutto si novera ad inganno ,
dolore e morte. Ma la vita che mena il Saggio
nella contemplazione del vero astratto, è sempre
ad essolui intima , sicché non gli fa uopo assi-
curarsene al di fuoii, e in conseguenza ha la si-
curezza di non mai perderla, perche è medesimata
con la sua anima; è sempre presta e presente,
che gU dimostra il suo essere fìsso nell Eternità
che tutti i tempi misura, e spaziante nello 'nfinito
che tutte le finite cose coniprende: e sì il colma
di una eterna immensa gioja, non in certi luoghi
invidiosamente racchiusa, ne in certi tempi ava-
ramente ristretta; ma che senza uggia di emula-
zione, senza tema di scemamento , per ciò uni-
camente in essolui accrescere si potrebbe, se ella
fosse tuttavia a più e più umane menti comuni-
cata e diffusa. Con tal cuore, con tal mente, con
tal corpo , atti e favella , quanta soavità per sì
fatta vita ella dasse , somighante a quella aveva
dovuto dare una bella, leggiadra, virtuosa Aspa-
sia alla sua gentihssima Atene, da cui lo stesso
Socrate mandava i suoi giovani ad udire ragio-
nar di virtù; siccome è pur giunta infino a noi
sulle carte, avere una volta al saggio educatore
de' grandi Monarchi, Senofonte, ed alla sua mo-
glie ragionato de' virtuosi iconomici doveri, per
menare i maritati la vita con contentezza; egli,
lasciando i molti che qui arrecar si potrebbono,
da questi due soli esempli sarà lecito intendersi.
Paolo di Sangro principe di Sansevero, quanto per
ORAZIONI ED ISCRIZIONI 3oi
jsplendore di alto stato, altrettanto per le proprie
signorili virtù chiarissimo . destato dalle laudi del
di lei valore, volle andarla a riverire: e quello il
quale nella sua gioventù avevasi degnamente tra-
scelto per allo subbietto delle sue nobili poesie
la magnanima donna. Aurora, dell'inclito sangue
Sanseverino, duchessa di Laurenzano , nella sua
più avanzata età , per avere una ed altra volta
veduta la Marchesana della Petrella, e ragiona-
tovi, fella donna de' suoi savj pensieri, ed a lei
indirizzava i suoi Morali Capitoli , pieni di ma-
schia cristiana sapienza 5 ed Ippolita Cantelmi-
Stuarta principessa della Roccella, donna che con
la maestà che le corona la fronte , coli' augusto
aspetto e colle sovrane maniere , congiunte alla
singolare altezza dell' animo , alla grandezza de'
suoi pensieri ed allo splendore delle sue azioni ,
non che tra le nazioni ingentilite, tra' Barbari stessi
dell'Affrica o della Zembla non potrebbe dissimu-
lare e nascondere d' essere degno generoso ram-
pollo del ceppo Reale di Scozia 5 per una volta
sola che nella nostra casa conobbela, ne concepì
tanta ammirazione ed amore, che sulla più cruda
acerbezza della ferita onde la Donna forte fa gra-
vemente trafitta per la fresca funesta inaspettata
novella del morto principe Vincenzo Caraffa suo
marito, nel cui recente amarissimo lutto il di lei
quantunque alto e gran cuore, qual vivo vasello
di oro purissimo, era di tanto dolore ricolmo e
pieno, che altro per altra cagione in niun modo
infondervisi poteva 5 pure sì grave percossele quello
per la morte della nostra Marchesana , che qual
corpo duro dentro gittatovi, gliele fece ridondare
in due sublimi Sonetti ; da' quali apertamente si
scorge esser vero quello che, per co'nporrc su-
blime, bisogna vestire le passioni de' (jiandij 1
3aa PAATE II.
quali natij nudriti e tutta l'età versati in gran-
(lezze, formano naturalmente grandi e magnifiche
idee: alla quale grande forluna se per avventu-
ra, come in questa Real Donna, fior d'ingegno
e buon lume d' arte , si uniscano , allora le loro
fantasie con quel raro nesto di subUmità e natu-
ralezza i concetti dell' animo maravigliosamente
ritraggono. E questi due esempli , che mentovam-
mo, sono due gravi pruove altresì del giusto, onde
si compensa ed agguaglia lo svantaggio che la lo-
de, la quale accompagna la privala virtù, riporta
dalla gloria che corteggia la virtù pubblica : che
questa per ampj spazi di terre e mari tra popoli
e nazioni si propaga e difibnde, e sì ingrandendo
è romoreggiata dal vulgo, il quale per sua natu-
ralezza stupido e stordito non si risente che scosso
e destato a' colpi e grandi e forti di maraviglia 5
talché, se egli non è di lontano, quasi da mac-
chine , commosso , come quelle della guerra che
in distanza rovinano le città, esso non innalza le
grida che debbon fare la gloria 3 la quale, perchè
è un giudizio della moltitudine cieca, precipitosa,
leggera , soventi fiate addiviene che un pubblico
applauso sia egli fatto ad un vizio strepitoso, ag-
gradevole agli stolti, de' quali si compone la mol-
titudine. Ma la virtù privata , perchè s' insinua
senza strepito ed opera senza romore, ella, come
le miniate minutissime dipinture, non si lascia os-
servare se non molto dappresso , e non da altri
che da occhi di acutissima veduta e di finissimo
scorgimento , a' quali solamente , come quella di
Angiola al Sangro ed alla Stuarta, scuopre le sue
bellezze ; onde sicura d' ogni inganno che possa
cagionare la lunga distanza, e Hbera d'ogni errore
che nascer possa da' tumultuosi giudizj , riporta
r intera e verace e per questo istesso non volgar
ORAZIONI ED ISCRIZIONI 3o3
lode. Con situiglianti conversazioni e con gli an-
zidetti letterari divertimenti la Marchesana ingan-
nava rincrescevo! cammino della debil sua vita.
Imperciocché per un certo naturai corso di cose,
le più volte sperimentato sì fatto, le donne for-
nite d'intendimento, al femminil sesso molto su-
periore 5 sono meno atte alla generazione ; forse
perchè questa richiegga in esse una somma mol-
lezza di tessiture , onde le loro viscere riescano
cedevoli allo 'ngrossare de* feti, e molto più al par-
torirli , per lo qual ministero della Provvedenza
sono esse fatte: onde elleno in ciò che si appar-
tiene al godimento de' sensi sono fino alla ma-
raviglia avvisate; nella forza dello immaginare ro-
buste, ed intorno alle delizie e dihcatezze di gran
lunga più degli uomini schive e fastose : perchè
gli obbietti sensibili nelle pliche del loro celabro
altamente, come in hquida cera, profondandosi,
vengono esse a sentire assai distinto ciò che piace
o disgusta 5 ed al contrario, per lo esercizio della
fortezza , virtù propia dell' uomo , abbisognando
una forza contraria della riflessione che tenga tesi
gli spiriti animali incontro a' piaceri della vita, e
li domi inverso fatiche, dolori e morte; per tutto
ciò , se non andiamo errati , la collera virile di
che ella abbondava, depredando l' umidore che fa-
cevale mestieri per nudrire i feti già fatti grandi,
fece per mala sorte che tutti nel sesto mese, fu-
nesto da' Medici giudicato, ella dicesse gH aborti.
Per lo primo de' quali di mahgna febbre inferma-
ta, quantunque per miracolo riavuta ne fusse, pure
contrasscne gravi abiti di malori di corpo, e fra
gli altri una spasimosa strabocchevole emorragia,
la quale le illanguidi sì miserevolmente lo stoma-
co, che per lungo tempo non ritenne mai cibo;
onde, per mantenersi in vita, dovendo all'indole
3o4 PARTE il.
naturalmente baldanzosa e superba di tal viscere
soddisfare con cibi poco sani che egli appetiva,
Tenne ad ingenerare sughi viziosi ; e sì infermossi
la terza volta della sua infelice fecondità; nella
quale, presaga del suo fine, con le più confidenti
amiche diceva essere già venuto il suo fato. Cosi
nel correre del vensettesimo anno della sua età,
nell'ottavo giorno dopo Tabortimento, disperata
da' Medici, sul prendere i santi ultimi Sagramen-
ti, proferì sensi e fece atti ricolmi di tanta ras-
segnazione al divin volere, di tanta compunzio-
ne, onde, più che dal mortifero male, era trafitta
dal dolore delle sue colpe; e di tanta altezza di
animo inverso quelle dell'Eternità, e sopra le mi-
serevoli caduche cose mortali, ch'empiè di edi-
ficazione santissimi sacerdoti, i quali eran ivi pre-
senti. Indi in poi con maravigliosa costanza, e
qual si conveniva incontro all'ultima necessità,
non più si udì lagnare, ne prima dentro l'arsura
della febbre che le divorava le vene, né dopo
nella sazievolezza dell' acque che 'n isformata co-
pia r era data a bere per disperato rimedio : e
dell'arsure e delle noje faceva divotissime prof-
ferte a Dio; bramava più patire per Dio, né altro
amava udir parlare che di Dio. Con gara vera-
mente eroica ed ella volle essere confortata dai
due suoi più cari fratelh i Padri Urbano ed An-
tonio; e questi, affogando nel fondo del lor cuore
il cordoglio di vederla ben venti giorni languire
tra le angosce della morte, l'assistevano, come a
donna la quale non avessero essi innanzi cono-
sciuta giammai. In fatti la Filosofia solamente può
con la sua riflession pura farleci intendere; ma
la Religione unicamente è queila che per un af-
fetto efficace alle cose eterne, il quale ne assordi
ogni senso delle mortali , può dare ad effetto le so-
ORAZIONI ED ISCRIZIONI 3o5
vrnmane, e a queste simìglianti eroiche azioni. Ove
i Padri j suoi carissimi fratelli, per poco tempo
mancavano^ voleva che le si leggessero libri che
confortano a ben morire: diede poscia in deUrioj
ne fu intesa che delirare pie orazioni: fu oppressa
alquanti dì dal letargo; e la macchina ben av-
vezza non articolava che i santissimi nomi di Gesù
e di Maria. A questo terribile ultimo cimento di
cristiana virtù le valse l'abito con lunghi e spessi
atti acquistato, i quali ella usato aveva della più
esemplare pietà: come, per dirne uno ed altro,
essendosi una sua damigella di mahgna febbre am-
malata, ben venti giorni continovi che quella corse
pericolo della vita, ella non mai partissi da una
sponda del di lei letto; ne giorno e notte ad al-
tro intese, che a servirla ed a contentarla: come
le Quaresime a tutte le damigelle e fantesche di
casa, in ciascun giorno propio, recitava e spie-
gava il Quaresimale del gran Padre Segneri. A
questo cimento le valsero le massime acquistate
con gli studj riverenti e sommessi alla Religione,
e sopra tutti della Platonica Metafisica; la quale
aveva acceso i giovanetti Cleombroti a prevenire,
precipitandosi in mare, la morte, per lo desiderio
onde il Platonico Fedone aveah infiammati della
immortahta che godono le anime umane nell'al-
tra vita , in fruire d' una Infinita Mente che tutto
vede e provede; quando il cieco Gaso del diHcato
Epicuro al terribil cospetto della morte sbalor-
disce gli animi con lo stupore, che è una morte
di tutti i sensi , raccapricciati ed intirizziti tutti
nel solo senso di morte; e '1 cieco Fato del su-
perbo Zenone, sul presentarsi dell'ultima necessi-
tà , a' dolori di morte raddoppia ne' disperati gli
spasimi del proprio cruccio, e i tormenti del marcio
loro dispetto. Questi abiti virtuosi e queste mas-
Vico , Opuscoli. ao
3o6 PARTE II. ORAZIONI ED ISCRIZIONI
sime la disposero finalmenlej che bruciatale, come
carbone acceso, la lingua, né potendo più arti-
colar voce, fisse in un Crocefisso i suoi castissimi
occhi, che sembravano languire di celeste ardore
di carità; né mai indi in poi dipartilH, finché soa-
vemente li chiuse all'eterna pace. — Letterati ami-
ci, che con uguale ossequio la onoraste e la riveri-
ste, e, se ella pur mai questa nostra orazione
verrà tra vostre mani; pii congiunti che con uguale
affetto l'amaste e F aveste cara; e sopra tutt' altri,
tu d'alto senno e gran cuore, generosa madre,
che godesti sempre averla al tuo lato, e della di
lei purissima vita i tuoi benevoli sguardi conti-
novamente pascesti; finché ella sotto i tuoi for-
temente pietosi occhi l' anima soavissima , e delle
laudi, delle quah una picciohssima parte con que-
sta semplice e rozza diceria dimostro abbiamo,
tutta adorna e rifiilgente spirò; non siete voi tali
che ora vi debba accendere la fantasia con le sue
fiaccole la volgare eloquenza, a sciorvi in lagrime,
le quah, dagli occhi in cadendo, dileguansi. Noi
non dipignemmo Angiola Gimini, Marchesana della
Petrella, acciocché la ci immaginassimo; ma la ra-
gionammo, acciocché la 'ntendessimo. Laonde con
nostro profitto e sua gloria l' ufizio dovuto da noi
e meritato da lei debba essere che nel più su-
blime e puro del nostro intendimento, e si nella
parte eterna di noi viva la saggia e forte Don-
na, che tutte le belle doti del corpo, tutti i rari
pregi della mente facendo con civiltà e gentilezza
servire alla pietà che le regnava nell'animo, ci
lasciò il grande esemplo da meditare la rara dif-
ficil tempra onde si mesce e confonde il soave
austero della virtù.
CAROLO BORBONIO
UTRIUSQUE SIC. REG.
REGIA MEAPOLITANA ACADEMU
(1735)
In communi omnium Ordinum laetitia, Te, Rex
incljte, Tuo summo armoium ductu, imperioque
Regnum Neapolitanum reciperassej publicoque ejus
bono spectatissimam prudenliam et incorruptam.
integrilatem ad ipsius regimen Tecum comites ad-
duxissej etj quod unum ad ejusdem felicitatem
restabat, cunctis secundantibus auspiciis, Neapo-
lis Regem appellatum esse, plaudentium; Regia Stu-
diorum Universitas ad Tuos pedes in obsequium
provoluta peculiare suum gaudium protestatur.
Quod Princeps ex potentissimis Orbis terrarum
Regibus ortusj tenera adhuc aetate ab amantissi-
morum Parentum complexu ipsius gloriae manu
divulsus, ab ultima usque Hispania longissima sub
armis itinera, periculosissimas Hiberno mari navi-
galioneSj nivosa asperaque agmina, Deo auspice,
emensus, nunc Rex pius, Felix, victor faustis
populorum ac gentium acclamationibus saluteris,
Equidem Divinae bonitati id in primis acceptum
reiero, quod tandiu vitam perduxi, ut qui tribus
et triginta praeteritis annis Pbilippo V Hispania-
rum Regi Parenti tuo pientissimo, quum hanc Ur-
bem, hoc Regnum sua praesentià exhilaratum ve-
nit, hujus Universitatis nomine Panegyricam Ora-
tionem inscrìpseram ; nunc ejusdem Academiae
verbis cum Regia Majestate tua hoc humillimum
gratulationis offieium peragam. Ea nunc, Rex cle-
mentissime, Te orat et obsecrat, ut ipsam magno,
quo ex magnis natus es, animo in Tuam fidem
et clìentelam recipias; de quo amplissimo benefi-
cio et ipsa Tibi aget gratias immortales, et est
^eus Optimus Maximus optimas maximas relaturus.
CAROLO BORBONIO
? UTRIUSQUE SICILIAE REG. CO
(1735)
Etsi inclytis magnarum gentium ac nationum
Regibus nihil, nisi amplum splendidumque dono
ofFerri darique oporteat; tamen quando Summae
in terris Potestates Deum Opt. Max. referunt, qui
thure in suaveolentem nidorem abituro , et te-
nuibus florum corollis honorari non aspernatur;
hac fiducia fretus hos de Pbysica Medicina , quos
lucubravi libros, Tibi Rex Celsissime, inscribere
ac dicare constitui. Leges enim in suis definitio-
lìibus habent, jura esse individua, et quanto in
maximis, tanta in minimis aestimanda. Levidense
quidem hoc munus, sed Tibi debitum tamen: qui
ubi primum hoc Regnum a Germanorum armis
pacasti, ad Hteras suo nitori restituendas animum
adjecistij et Regia liberalitate in eas collata jNea-
politanam Academiam din a prae^idiariis militibus
occupatam, qua solita scholarum parte celebraba-
tur, sarctam tectamque et novo opere expolitam
esse imperasti. Qua quidem in re cuivis gravi ar-
gumento probas. Te Ludovici Magni Proavi tui
praeclarissimis exemplis insistere; qui inter multa,
varia et ingentia quae gessit bella, Gallicanura
Regnum tamquam inconcussa pace ac tranquillis-
simo ocio ageret, excultissimis Minervae studiis,
illustravit. Non est sane ncque mei imbecillis in-
génii, ncque intra brevis epistolae angustos can-
cellos in tuas Regias Laudes excurrcre, quae diser-
tis Oratoribus patentissimum sublimis eloquentiae
^*;(i) Dedicaioria dell'opera inedita (e forse smarritasi) che
avea per tiloit) : De jEtjuilibrio corf/oris animando. V. la prc-
i'aijouG dì questo ^olume.
PARTE II. ORAZIONI ED ISCRIZIONI SoQ
canipum aperiunt. Oris iiempe, totius corporis di-
gnitaSj et cum quadam ferme codesti vultus sere-
nità te at temperata majestas; singularis in Deum
pietas, mira in subiectos clementiaj in obeundis
belli laboribus tenerae adhuc aetatis singularis ala-
critas et constantia; in agitandis pacis consiliis
rara Principis adolescentis attentio; gravitas et
prudentia; haud est quicquam in juvenis Regis
aula, quod non sit intemeratum sanctumque. Heic
id tantum de Te dicere mihi fas sit, si Rex for-
tissimus ac sapientissimus Philippus pater tuus in
Tuae Regiae indolis experimentum, praesens Tibi
praesenti haec Regna permisisset administranda,
pientissimi Parentis pudore nihilo justius, nihilo
suavius regeres, quam nunc Rex ab eo creatus et
immenso terrarum tractu dissitus regis. Ut igitur
a magnis summà Fortuna ortus, ad magna felici
natura factus in hac magna nobis virtute praestas,
ita venerabundus rogo quaesoque hanc -opellam,
quam prò tenui mea publicae felicitatis virili parte
mei erga Te obsequii do testem, magno animo
excipias.
O R A T I O
IN
CAROLI ET MARIAE AMALIAE
VTRIUSQ. SICIL. B.
N U P T I I S
('738)
Si unquam Divina Providentia ex omnibus re-
bus humanis, quas aeterno Consilio regit ac tem-
peratj Conjugia potissimum certo suo unius nu-
mine moderari ab Humanitate usque condita miris
rerum argumentis ostendit; nunc profeoto, quum
Augustas Caroli Borbonii, Regis optimi , Mariae-
que Amaliae Walburgae, Regiae Puellae lectissi-
mae, Nuptias conciliavit, omnium maxime praestitit.
Ingens enim bellum de Polonorum Rege creando
ab bine quinquennium exarsit; quod ab Occiden-
talis Oceani littoribus ad Sarmatas usque et Scy-
tbasj terrarum Orbem concussitj cum prò Stanislao
Leszinskio, Ludovici XV socero, ad id Regnum
reducendo Gallia, Hispania, bellicosior Italia ni-
terentur; Carolus autem Austrius, Romanorum Im-
pera tor, universum ferme Germanici Imperii cor-
pus, Polonia in partes divisa, Moscboviaque Fri-
dericum Augustum, Saxonum Ducem, Imperiique
Novemvirumj mortui Regis filium ad id summum
fastigium evehi oportere contenderet. Triplex belli
moles; una ad Rhenum, alia in Mediolanensis di-
tionis finibusj postrema ad Dantiscum gravissime
incubuit: quarum unaquaeque ad se cunctarum
gentium oculos animosque advertisset; nam et
cruentissima praelia commissa, et invictarum ur-
bium arciumqup expugnationes editae, et constan-
lissimarum in fide civilatum deditiones expressae:
quumque amplissima caussa esset omnino indivi-
dua, et nationum, quae bine atque bine in arma
concurrerant, ferme integrae vires, ita ut omnes
PARTE II. ORAZIONI ED ISCRIZIONI 3ll
constans njetus incesserit, ne id bellum, si diutius
traheretur, genus humanum exhauriret; praeter
omnium opinionem pacis foedus in has praecipuas
Icges sancitum est, ut Fridericus Augustus JPolo-
norum Regno praeesset, Leszinskius Lotharingiae
Dux viveret Inter ejus belli. appendices et illa exti-
tit quoque mira, quod, dum in Insubria a Gallis
Sabaudisque contra Germanos acerrime pugnaba-
tiir, Carolus Borbonius, Hispani exercitus Impe-
rator, vix pubes tactus, in hac reliqua Italiae parte,
Iiisulaque Sicilia, tanquam belli fulmen emicuit de-
tonuitque, et aequo copiarum numero cum hosti-
bus pugnam ad Bituntum conseruitj deque iis per-
raram in historiarum monumentis victoriam repor-
tavitj qua octo millium Germanorum exercitus ad
unum usque fusi captique, et quadrigenti omnino
Hispani milites desiderati. Sed enim illud omnium
vota, nedum spes superavit, quod Borbonius Prin-
ceps paucis ante diebus Neapolim urbem ingres-
sus, dum Capuae et Cajetae, firmissimis Neapo-
litani Regni claustris , hostes et numero et robore
haud sane spernendi praesiderent, eorumque exer-
citus Calabriae Apuliaeque campos libere persul-
taret, is a diligeiitissimo Parente Pbilippo V Hi-
spaniarum Rege certus propriusque Rex Neapolis
Siciliaeque appellatur, et haec duo opulentissima
Regna ab Hispana Monarchia, quacum ab Ferdi-
nando usque Catholico coaluerant, abstracta sunt.
Interea, dum adolescens Princeps, utroque Regno
per summam gloriam pacato, ad justam legitimam-
que virorum aetatem ferme provectus, Reginae
uxori, quae hanc felicitatem subjectis populis Re-
gia sobole perennaret, jungendus erat, alii alias
ei Conjuges Rcginas opinionibus destinabant, nemo
omnium sane unus Mariam Amaliam Walburgam,
Polonorum Regis filiam, coniicere, quam ei fortis-
Sia PARTE II.
simus ac sapientissimus Rex Philippus Pater de-
spondit. Haec tam rara, tam mira tamque ino-
pinata, quae in hoc Regium Nuptiarum opus, ve-
luti praeeuntes caussae, tam commode apteque
congruerant, quum ea persuasio cunctarum gen-
tiura animis insideat, Divinum Numen peculiari
cura Regum rebus adesse, satis graviter adfirmant,
hoc Augustum Conjugium a Deo Opt. Max. esse
curatissima industria comparatum, primum, quod
hoc Regale par Gonjugum summis laudibus ex
aequo sibi utrinque respondentibus ornatissimum
Divina Bonitas terris monstrare vohierit: deinde,
quod (si hebeti hominum menti divina Consilia
in sacris aeternae lucis penetralibus abdita scru-
tari quandoque datur) laetissima hinc omina ca-
pimus, iEternam Providentiam has Regias Nup-
tias bene fauste feliciterque adornasse, ut Socer
Generque inclyti, alter terra, marique alter bar-
baro Mahometanorum Domino ingentes clades in-
ferrent, et Carolus Borbonius Hierosolyma puro
ac pio bello repeteret, et ejus Regni uti Rex jure
praescribitur, ita possessione compos fiat: circa
quae duo summa capita, veluti polos, nostrae
Orationis orbis circumagetur: id vero cujusvis fa-
cile videre datur, quum in numeroso ovium ae-
quae aetatis, ejusdemque coloris grege, quarum,
ut pastor aliquam distinguat, ipse eam certa nota
insignire debet, lactentes hoedi suam quisque ma-
trem agnoscunt. Haec autem sensilium formarum
similitudo in hominum genere tam rara est, ut
fratres gemini, quos vel longa et multa cum iis
vitae consuetudine quis internoscere vix possit,
in suis familiarum deliciis a summis Proceribus
habeantur; et tamen haec tanta ac tam rara cor-
porum similitudo diversa eorum ingenia, studia,
mores edere comperitur. Has inexhaustas Naturae
ORAZIONI ED ISCRIZIONI 3l3
opes Deus Opt. Max. Natiirae doìninus, archite-
ctus et arbiter, sua Divina Unitale vicit ac su-
peravi!, quum Regias Caroli et Amaliae Nuptias
ab omnium temporum principio, iEternitate decre-
vit. Decrevit namque generis amplitudine pares,
conjugali aetate pares, praestantia corporis ani-
mique virtutibus pares. Et vero utriusque Regii
Conjugis genus tanta luce juxta incljtum, tanto-
que splendore est aeque circumfusumj ut, utrum
altero sit praeclarius, nequeas definire. Gens enim
Borbonia a Carolo Magno ducere originem me-
moratur, qui Romanum Occidentis Imperium a
barbaris gentibus jamdiu excisum restituita coque
egregio et immortali facinore temporum doctri-
nae post Cyrum, Alexandrum, Julium Caesarem
aliud grande Historiae momentum adjunxit, unde
Orbis terrarum res gestae per longissima mille
ferme annorum spatia ad hanc nostram usque ae-
tatem procurrunt. Amaliae autem Majores Roma-
nos fasces, qui gentes omnes devictas perdomi-
tasque terrebant, intra fines suos nunquam vide-
runt: nam sub Trajano, postremo Imperatorum,
qui Romani Imperii fines protulerant, Germania,
quanquam ducentos et decem annos Romanis ar-
mis tentata, in ea tamen sui parte, quae gignit
Saxones, ut eam Oraculum Historicorum describit,
adhuc integra perdurabat. At hercule (liceat heic
pauca tenui ter dicere, ut magna atque magnifica
Saxoniae Ducum gloria luculentissima intelligatur)
at hercule, inquam, gravissimum argumentum, Sa-
xones fuisse antiquos Cimbros docet, quod Saxo-
nica lingua Gimbricae quam simillima esse obser*
vetur ; et Cimbri praeclaris Geographis Theutones
dicantur, a quibus nomen in universam Germa-
norum gentem difFusum est; atqui omnium gentium
mores probant, populos principes nationibus no-
óif[ PARTE II.
mina propagare, et observare licet priiicipes gen-
tiuiii urbes, uti Saxonum Regia, in Terrarum me-
clitulliis sitas esse. Theutonicae autem linguae tanta
antiquitas praedicatur, ut, qiiuni ejus auctorTheu-
tonis Mercuriman appelletur, Gentiles scrìptores
patrio studio commoti, Mercurium Trismegistura,
qui iEgyptiam gentem , omnium antiquissimam,
condidit, Gothum fuisse commemorent. Sed id ip-
sum multo gravius veriusque firmassent, quod, cum
Trismegistus iEgyptià lingua Theut dictus sit, et
Germanica omnes verborum radices unisyllabas ha-
beat, Theut Germanicam linguam fundasse, id-
que verbum a confusione linguarum Babylonica,
et primaeva generis humani post Diluvium disper-
sione et Germanis et iEgyptiis, idem omnino pro-
venire confecissent. Hanc Saxoniae Ducum cura
ipsis primis gentibus domi occoeptam , et ad no-
stra usque tempora perpetuo servatam liberta-
tem cum Romano Occidentis Imperio per Caro-
lum Magnum restituto si quis confenit, et aequa
lance utrufflique primae originis decus expendat;
ab utra major dependeat gloria, is procul omni
dubio non liquere pronunciaverit. Hanc aequam
originis amplitudinem quam belle conjugalis aeta-
tis aequalitas excipit! Namque Amalia nunc pri-
mulum viripotens facta, et Garolus virilibus an-
nis proximus nuptias Romano more contraxerunt.
Gens enim Orbis terrarum domina caeteras om-
nes armis vicit, quia omnes civili sapientia supe-
ravit; cujus institutiones, non in Philosophorum
scholis, sed domi a familiari prudenti a tradeban-
tur. Quum enim ex familiis civitates coortae sint,
ex familiis recte insti tutis Respublicas recte or-
dinatas provenire necesse est. Inter caeteros autem
domi probatos mores is erat a Majoribus sancte
tradituSjUt tenerae adolescentulae uxores, et quam-
ORAZIONI ED ISCRIZIONI 3l5
prìmum sumpta virili toga mariti, principio matri-
tnonium necessariuni Naturae propagandae mini-
sterium putarent, veneremque sentirent magis,
quam intelligerent; qua una re nullas amoris ex
opinione delicias, quae vigentiorem vitae partem
transversum agunt, nequiter concupiscerent: dein-
de, ut quam perfectos conciperent foetus, uti no-
vellae pìantae fructuum primitias jucundissimas
visu, gustatu suavissimas, reddunt. Regale vero
par Conjugum praestanti corpore quam spectan-
di! Amalia enim forma honestà ac liberali non
quotidianas modo vincit, sed ipsas luculentas exsu-
perat; quae, ubi in frequentissimis hominum cele-
brità tibus prodeunt, omnium in se obtutus defi-
gunt, ita ac si alias formosas feminas, quae eodem
forte conveniunt, nox obscura contegeret: vultu
praedita tam modesto, tam venustx), ut verecun-
dae Charites ipsius faciem semper aliam atque
aliam pulcberrimam fingant: sed et in facie vul-
tuque, et in slatu et in incessu splendor quidam
regius eminet, quo, sine regio cultu, sine regio
comitato, in solis locis sola^ vel agricolis, vel a
pastcribus, qui formarum nullum babere solent
arbitrium, agnosceretur Regina. Sed quando viri
uxoresque sunt generis Immani dementa, bene
sane discordia mire concorde tenella Amalia Ca-
rolo juncta est, qui a puero corporis robur prae-
clara exercitatione fìrmavit; quum ab amantissi-
morum Parentum complexu gloriae manu divul-
sus, ab ultima Hispania impedi tissimos Pyrenaeos
saltus nivosasque Alpes transcendit, periculosissi-
mam Hiberno mari navigationein perpessus, tan-
dem sub armis asperos praeruptosque Appeninos
media liyeme superavit; et progressus, quantum
relìqua Italia porrigitur, in ultimam ferme Sici-
liani, Panormum contenditi ut ibi victor Regio
3l6 PARTE II.
insigni rite solemniterque redimiretur: quam lau-
deili, ut Regina Uxor cum Regio Viro aequam
quodarnmodo liaberet, Summum Numen quoque
providit: nam ferme puella e Parentum diligentis-
simorum sinu^ ut heroico ritu nubentes, grata ju-
cundaque vi abrepta e patriis penatibus, non ge-
statoria sella, ut plures sponsae Reginae ad viros
vectae; sed cisio equisque per certa longissimi
itineris spatia dispositis mille et ducenta passuum
millia per ingentes silvas, saltus, montes, fiumi-
iiaque intra mensem ferme unum emensa j con-
tento cursu ad nuptialem , thalamura delata est.
Ncque vero a corporis robore in Carolo , quae in
feminis pulchritudo dici tur et laudatur, dignitas,
proprium virorum decus sejungitur. Is enim, ubi
equitans in amabilem ferociam componitur, di-
gnus armorum Imperator conspicitur; quum in re-
gia sella praesidens desideria civium audit, Rex
ad regnum, nedum natusj factus videturj quando
stans in regali solio Proceres ad manus adoratio-
nem admittit, vivum in terris Dei siraulacrum
refert. Iliud postremo mirandum maxime, quod
haec duo castissima corpora Divina Providentia
Cajetae conjungi voluit, ut quod in totius Medi-
terranei maris ora omnium fìrmissimum situm op-
pidum Garolus victricibus armis recepit, ibi prima
Veneris sacra perageret, et inter suae militaris vir-
tutis obversantes imagines bellatricem fingeret so-
bolem. Demum qui Regii Gonjuges praestanti cor-
poris forma pariter praediti, quantum egregiis animi
virtù tibus similes! Atque hoc loci innumeras prae-
termitto , easque dumtaxat operae pretium exequi
arbitror, quibus viri feminarum laudes tam raro
assequuntur, ut muliebris sexus propriae vulgo
esse dicantur, religio, pudicitia, misericordia. Et
sane quidem Caroli eximia in Deum Opt. Max.
ORAZIONI ED ISCRIZIONI 817
pietas est piane admirandaj qui in humano Re-
gum fastu humanisque deliciis divinam ferme vi-
tam agere visus est. Hinc illa ipsius pudicitia omni
laude ac praedica tiene dignissimaj qua in Juvenis
atque adeo innupti Principis, et a Parentum ore
per immensum terrarum Orbera divisi , aula nihil,
nisi castunij purum, sanctum intemeratumque ver-
satum esse memoretur. Quin, quo cives laxandi
animi gratia solutiores conveniunt, in theatro, quod
omnium Europae magnifìcentissimum extrui jussit,
theatralem plausum aiioqui, nedum permissam,
sed expetitam licentiam sua severa praesentia co-
ercet, ac spectatoribus silentium, Philosophorum
Scholis dignum, indicit. De tertia ex modo nu-
meratis virtutibus superest ut dicamus: quod quae
in aliis Principibus summis clementia commenda-
tur ^ ea in nostro misericordia est: siquidem me-
ntis ad caelum laudibus effertur illa Imperatoris
Romani vox, quum primam sentenliara, qua reum
supremo supplicio affici oportere Judices pronun-
ciarentj subscribere debuit, literas didicisse se poe-
nitere adfirmavit: at Garolus, si quando quid ejus
simile a Magistratibus imperare rogatur, sedulo
eorum ad se accessum declinat; ubi antera id fa-
cere a sua ipsius dignità te prohibeatur, ad Proce-
res, qui forte adsuntj obtutus veluti rogabundos
convertitj tacitusque significata uti decretam dam-
nato poenam deprecentur. Satis, ni fallor, sim-
plici nudoque dictionis genere est hactenus de-
monstratum, Deum Opt. Max. uni utriusque Regii
Conjugis fato imperasse, ut iis amplissima origo,
praestantissima forma, praeclarissima virtus pa-
res omnino contingerentj qui Regios Liberos ori-
gine generosissimos, forma amabilissimos, virtute
optimos gigneront pcrpetuac Neapolitanac Gentis
felicitali. Et sane bas Regias Nuptias Summus re»
3l8 PARTE II.
rum Regnator bonas, faustas, felices praesentis-
simo Numine adprobat. Tellus enim et in jacen-
tibus campis et in naontanis hoc ipso Nuptiarum
tempore messem abundantissimam tulit: tetra bo-
\um lues ad duos perpetuos annos longe lateque
grassata, quum Regina iter bue institueret, tunc
tandem desaeviit: ipsum anni tempus commodum
ei benignumque se praebuit; quae a rigentibus
Germaniae oris sub hoc aestuosiori caelo, non sine
aliquo salutis discrimine, tenella et longo itinere
lassata erat prima aeslate commigraturaj crebri
Junio mense demissi imbres ad venienti supremiim
ver quodammodo prorogarunt: Divus Januarius,
praecipuus hujus Urbis Regnique Patronus, cujus
honori Rex insigni pietate miHtarem Procerum
Principumque Virorum Ordinem instituit, suo mire
liquescente cruore, quod optabatur, hoc superiore
mense Majo, felicitatis signum ostendit. Quibus
laetissimis ominibus augemus animos, nec promi-
scua, et, ut ita dicam, tralatitia Regnorum bona
ex bis Regiis Nuptiis certo speramus, sed ut earura
caussae, quas principio exposuimus, sunt, quam
quae maxime, miraej Gonjugum laudes aliis pa-
res perquam raro contingunt*, ita gloriam inde ori-
turam singularem fore confìdimus; quod alterum
dicendorum caput initio proposuimus. Jam enim
ex rerum gestarum monumentis compertum explo-
ratumque habemus, Polonorum Reges magno Tur-
carum Domino, communi Christiani nominis hosti
terrestribus copiis non modo fortissime obstare,
sed saepe etiam infestissime officere. Quid autem
Neapolitanus Rex classibus in eum possit, Roge-
rius, nostrorum Regum Primus, gravissimum lu-
culentissimumque dedit exemplumj qui maritimo
bello in Asiam trajecto, praeclarissimas Graéciae
urbes expugna vit, et ex ipsa Gonstantinopolì , ejus^
ORAZIONI ED ISCRIZIONI SlQ
que Imperiali Praetorio opimas praedas avexitj
universoque Orienti tantum terrorem incussit, ut
Babjlone usque ejus Incubator ipsius amicitiam
per Legatos oratum miserit: quae gloria ab Indis
Octavio Augusto Caesari, cura Romanum Impe-
rium longinquo arane Euphrate clausisset, iisque
esset ferrae conlerrainus, fbrtasse minor continge-
rat; complures Saracenorura in Africae ora sitas
urbes cepit, earuraque Regi tributum iraposuit.
Consecuti porro Reges, Northmanpi a Suevis,
deinde Suevi ab Andecavis, tura Andecavi ab Ara-
goniis, rursuraque Aragonii ab Andecavis infestati,
imperium in Asiara Africamque proferre et con-
stabilire nequiverunt. At enim Carolus, Hispanià
Galliàque adgnatisj et non solum Germania, Po-
lonia quoque adfine, inferendi in Asiara belli secu-
rara facultatera hoc Augusto Matrimonio nancisci-
tur. Insula Sicilia ei paret; Neapolitanum Regnum
ab tribus lateribus raari, ut peninsula, alluitur;
qui urbium regionuraque situs eos civiles raores
indigenas induunt, ut nautica et navali artibus
praestent: etenira ab ultimis usque generis huraani
temporibus id ipsum gentium raores confirmant:
Tyrii, antiquissirai populorum Tyro Insula Colo-
nia» per universum ferrae Mediterraneura mare,
et ultra Herculis Coluranas in Oceanura Gades de-
duxere: ea gloria deinde ad Rhodios transiitj quo-
rum de maritimis coraraerciis leges Roraanura Ira-
periura, dura universo terraruin Orbi dorainabatur,
agnovit: Batavia Britanniaque totius Interni Ex-
lernique raaris potentes nostris temporibus cele-
brantur. Neapolitanus antera ager materiara ingen-
tium aedificandarum instruendarumque classium
gignitj gens vero audacissiraos nautas educitj por-
lus in utroque ejus littore bonignissimi et capa-
cissimi, Misencnsis in Infero, Bruudusinus in Su-
3Ì20 PARTE li.
pero mari patent; quibus Italia ad futuram Imperi^
Romani magni tudinem Straboni nata esse visa est;
ut eorum altero in Africam, altero in Orientem
ingentes exercitus brevissimo cursu traiiceret. Ne-
que illud obturbat^ quod ita sit moribus compa-
ratum, ut ubi plurimum naturae, ibi mininum sit
industriae; et magna Regni Neapolitani opulentia
segniores incolas faciat: namque ei rei jam Garo-
lus sapientissime providet, certo prudentum viro-
rum Consilio constituto, qui de externis et po-
lissimum marltimis commerciis leges concipiant;
jamque aliunde effusa in bonas Litteras liberali-
tate et munificentia, qua et Regias Scholas mili-
tum castris foede poUutas pristino nitori ac san-
ctitati restituita et in Professorum album eum,
qui Nauticam doceretj adscripsit, ingenia ad eas
excolendas benignissime fovet: ex quibus olim alius
gentilis noster Torquatus Tassus existat, qui Hie-
rosolyma a Carolo Borbonio reciperata cecinerit.
Et quidem bis Regiis Nuptiis liane egregiam prae-
cipuamque gloriam Neapoli perrarum Urbium fa-
tum promittit, quo nata est, ut ab heroicis usque
temporibus semper magis magisque splendore et
amplitudine cresceret, quae et mira situs amoe-
nitatCj et summa clementia caeli, et rara ubertate
soli, et enormi populi frequentia, et ingenti Pro-
cerum numero maximi Regis certa propriaque sede
ab omnibus, qui eam visunt, dignissima judicatur.
Id ipsum ingens laetitia, qua Populus Neapolita-
nus [bis Regiis Nuptiis perfunditur, palam pro-
bavit, quum Amaliam Carolus Cajetà Neapolira
duxit, quo veluti super ipsius plaudentis populi
humeris Novus Maritus cum Nova Nupta relatus
est, quod jam persentiscerent cives, eum Liberis
dare operam , qui indigenae ipsorum Reges futuri
esset. His ipsis igitur Regiis Nuptiis plebeii sen-
ORAZIONI ED ISCRIZIONI 321
tiunt Nationum, quae propriis Principibus parent,
felici tatem; nam immensis sumptibus in nuptialetn
apparatum, festas pompas, ludos, spectacula raa-
guificenlissime factis locupletati annonam a bovutn
lethali lue, ii>festissÌQiaque hyeme vexatam non
senserunt; honestiores autem liane ipsam civilis
status beatitudinem gravius advertunt^ cum in hac
urbe quamplurimos maximorum Regum , incly-
tarumque Rerumpublicarum Legatos , innumeros
adveiiarura Principes viros splendidissimo comi-
tatù, quibus nostri Proceres magnificentiam non
invidentj versari vident; quum Regium Praeto-
rium, ceterumque Aulae cultura in opum osten-
tationem instructum vident; quum Regiam ceteris
Europae luculentissimis splendidissimisque parem
fundatam vident. De bis tot, tantis tamque exop-
tatis bonis, quibus per augustissimas Caroli Bor-
bonii Mariaeque Araaliae Walburgae Nuptias frui-
mur, et quibus longe majora certo speramusj utri
tandem nos babere meritas gratias oporteatj Eli-
sabetbae ne Farnesiae, quae regia dote Italiam
Philippo aperuit, et felici foecunditate Carolum,
fìlium deditj an Pbilippo, qui eum ipsum proprium
nobis Regem dedit, suoque inclyti Principis exem-
plo eductum Regem optimum dedit, eique Ama-
liam, Regiarum Virginum lectissimam uxorem, for-
tissimo Consilio j sapientissimoque concilia vit, res
piane in incerto est. Habeamus igitur utrique innu-
tneras, maximas, immortales; ac Deo Opt. Max.
casti nuncupatas fqndamus precesj ut praesentia
bona servetj sperata prestet, et ita hanc Regio-
rum Conjugum cum nostra, nedum raistam, con-
Ibsam felicitatcm aeternet.
Vico , Opuscoli.
322 PARTE II.
Iscrizioni per le Nozze di Carlo Borbone Re delle
Due Sicilie con Maria Amalia FTalburga^ stam-
pate nella Raccolta de^ Componimenti fatti da*
RR, Professori dell* Università degli Studj di
Napoli. Ivi 9 presso Felice Mosca, 1738,^-4.°
I.
POST
PVBLICOS LVDOS
FESTAS POMPAS
SPEGTACVLA .
QVIBVS OMNIA CIVIVM PLAVSIBVS PERSTREPEBANT
MVSAE
QVAE SACRA AMANT SILENTIA
ET SEDATIS GAVDIIS DELECTANTVR
NVNC PRIMVM
AVSPICATISSIMAS
CAROLI REGIS ET REGINAE AMALIAE
NVPTIAS
COMMODVM TEMPVS
NACTAE
CONGELEBRANT
IL
HAEG REGIA ACADEMIA
DIVTVRNO CASTRORVM VSV
CORRVPTA
ET MVNIFICENTIA SAPIENTIAQVE
INCLYTI REGIS CAROLI BORBONII i
SARGTA TECTA
ET VTILIORIBVS LEGIBVS
ORDINATA
NVNC
AVGVSTAS
IPSIVS CVM EGREGIA REGINA AMALIA
INITAS NVPTIAS
NON SOLVM COMMVNI CIVIVM OBSEQVIO
CELEBRAT
SED CERTO GRATI ANIMI OFFICIO
LAVDIBVS EXORNAT
ORÀZIOirl ED ISCRIZIONI 3^3
ni.
AVGVSTIS AVSPIGIIS COMITANTIBVS
INGREDERE VRBEM
MARIA AMALIA VALBVRGA
FLOS LECTISSIME REGINARVM
ET NOVA NVPTA
CAROLI REGIS NOVI MARITI
FELICITATEM
EGREGIA NATVRA SVMMA FORTVNA INGLYTAQVE VIRTVTE
PARTAM
evi TV VNA DEESSE VIDEBARIS
OMNINO PERFICE
ET LAETA FOECVNDITATE
ABVNDE CVMVLA
NAMQVE ITA FVTVRVM
AB HIS TIRI ADYTIS
MVSARVM NVMEN APOLLO CANIT
IV.
QVOD
CAROLVS REX OPTIMVS
HAS SCHOLAS PVBLIGAS
IN CASTRORVM VSVM DEFORM ATAS
SAPIENTIAE STVDIIS NITIDIVS REGOLI
IVSSERIT
TIBI
AMALIA REGINA
VXOR TALI VIRO DIGNISSIMA
SVPRA OMNIVM GIVIVM COMMVNE
CERTO QVOQVE GRATI ANIMI OFFICIO
FELIGISSIMVM ADVENTVM
AGADEMIA
GRATVLATVR
324 PARTE II. OJjlAZiONI ED ISCRIZIONI
DIVO lANV ARIO
OMNIVM CAELITVM QVIBVS PATRIA TVTELA EST PERMISSA
PRAECIPVO
DICATVM HVNG FESTVM DIEM
MONTANAE CVRIAE PATRICII
SEMPER ALIAS CASTO
NVNG VERO ETIAM LAETO IVGVNDOQVE ANIMO
CELEBRANT
QVVM CAROLVS BORBONIVS
PRINCEPS OPTIMVS PIENTISSIMVS
CVM MARIA AMALIA VALBVRGA
REGIA VIRGINE PRAESTANTISSIMA ^
INCLYTAS NVPTIAS ADORNAT
ET SVO IPSIVS REGE REFLORESCENS NEAPOLIS
ENIXE PRECATVR
VT II LONGA FILIORVM NEPOTVMQVE SOBOLE AVCTI
HANC SVMMAM REGNI NEAP. FELIGITATEM PERENNENT
i
ORATIUNCULAE
PRO ADSEQUENDA LAUREA IN UTROQUE JURE
I.
Quantae dignationis hicj qui nunc mihi meis-
que optatissimus dies illuxit^ reputaverim, bine
quaeso. Perillustr. Provice Magne Cancellarie, et
amplissimi hujus GoUegii Sapientissimi Patres, co~
gnoscite, quod omnes perpetui Legalis Quinquen-
nii vigilias ac labores hoc semper die solatus
sum, coque ad sudandum in Legum disciplina,
algendumque confirmatus, ea spe fretus fore, uti
mihi experimentis in utroque jure de more factis,
in Jurisconsultorum Album vestris sententiis coop-
taretis; in quo numero et ornatissimum caussarum
Patroni munus obirem, et quandoque ad Rempu-
bUcam in partibus, quas Justinianus studiosae Le-
gum juventuti mandandas proponit administran-
dam, accederem. Sed nunc vestra dignilas omnem
meam ingenii fiduciam, omne in jure perdiscendo
exactam industriam, omnem ante adhibitam diU-
gentiam terret, ut merito meo id amplissimum vo-
bis munus petenti sufFragemini. Quare vos oro
atque obsecro, ut bona cum venia haec mea ten-
tamenta audiatis, ut prò benignitate vestra me
Jurisconsultum esse veUtis. Igitur D. O. M. pre-
catus interpretandos utrosque textus suscipio, qui
beri mihi sortito obvenerunt; et prius in Jure Pon-
tificio Gap. etc.
G lìATIytRV M ACTIO
Tantis prò mentis dignas si pendere grates
Impar ego; superi praemia digna ferant.
3^6 PARTE IL
II.
Inter raulta vitae ulilia a sapientibus dieta il-
lud sane verissinium fertur, praemium virtutis cal-
car. Namque Jurisconsulti Laurea, quae a vobis,
Amplissimi Patres, emeri tis in Jurisprudentiae pale-
stra defèrtur, ea omnes mihi laboreS; omnes vigilias
in ea perdiscenda perferre est graviter cohortata;
ut alacri animo cum in scholasticis auditionibus,
lum in domesticis meditationibus perpetuum legiti-
ma studii quinquennium aestates aestuarer, hyemes
rursum algerem. Est iste nunc, ut pulcherrimae
spei plenus tentamina , quae mihi hesterna die sor-
tito facienda obvenerunt, Divino Numine auspice,
aggrediar: eaque vos oro atque obsecro ut prò
vestra humanitate equi bonique faciatisj vestrisque
sententiis mihi publicum Jurisconsulti munus ex
auctoritate obeundum permittatis.
GRATIA RU M A CTIO
^ternùm vestii in me stabit gratia facti,
Quamqiie animo nequeat perdere tempus edax.
ni.
Vere sane et sapienter illud a Poeta dictum:
Honor alit artes; namque hic mihi optatissimus
petitionis dies, quo cum in vestra, Patres Con-
scripti, amplissima comitia prodiissem, hinc a vo-
bis honestissimo Jurisconsulti munere auctus, in
Forum deducerer, omnes meos in perdiscenda Ju-
risprudentia labores, omnesque vigilias sustenta-
vit, ac legitimi studii quinque perpetuos annos
et aestivos recrea vit sudores, et hybernos algores
fovit. Quapropter, divina implorata ope, ad tenta-
ORAZIONI ED ISCRIZIONI '02'J
mina de more in utroque jure facienda alacer ac-
cingor vestra benignitate fretus, ut ea aequo animo
accipiatis, vestrisque suffragiis me in Jurisconsul-
torum album conscribi velitis jubeatis. Et primum
Jus Gaesareum mihi hesterna die forte oblatum
aggredior in lege, etc.
Primo periculo facto ad Jus Pontificium traii-
seo in Gap. etc.
GRATIN RV M ACTIO
Pectore sat memori vestri in me gratia facli
Stabit, et hanc mentem tempora nulla ferent.
Né funerali del sig. Duca D. Gaetano Argento ,
Reggente della Real Cancelleria , Presidente del
S. R, C, e gran Viceprotonotario del regno di
Napoli (i).
I.
GENVS DICENDI EX GENERE CAVSSAS
IN NEAPOLITANVM
PRIMVS INTVLIT
VTI CICERO
IN ROMANVM FORVM
SE PRIMVM IMPORTASSE GLORIATVR
TANTO PRAESTANTIVS EO
QVO CAVSSAE ORNANTVR IN SPECIE
QVANTVM SCIENTIA PRAESTET ARTI
(i) Queste iscrizioni furono poste nella chiesa di S. Gio-
vanni a Carbonara^ e stampate nella Raccolta fatta per tale
occasione in Napoli presso F. Mosca l'anno lySi.
328 PARTE H.
IL
INCENDII INSTAR
SVO IPSIVS AVCTV PLVRA DEPASCENTIS
CAVSSAS ORAVIT
TANTO INGENII AGVMINE
TANTA IVRIS ERVDITIONE DOCTRINA ET SOLERTIA
VT QVAE DISTRACTA EXTRARIA ALIENA VIDEBANTVR
CONIVNCTA INTIMA PROPIAQVE PROBARET
VNDE
RARA ILLA ET PRAECLARA
ORATIONIS COPIA AFFLVEBAT
VT QVAE IN CAVSSIS IPSE NON VIDERIT
IN IMMENSO IVRIS OCEANO
NEQVE EXTARE NEQVE ADEO ESSE DIGERETVR
Iscrizione fatta per un arco da erigersi al se-
renissimo Infante di Spagna Don Carlo, al-
lorché dagV Inglesi fu trasportato in Italia,
CAROLO PARMAE ET PLACENTIAE DVCI
OB NOMEN BORBONIVM
SVPRA GALLICI SVAM SIBI ADGNATAM
COGNATA HISPANICI AVSTRIORVM REGNI MAIESTATE
AVCTVM
FARNESII SANGVINIS IVRE IN ITALIAM
PROLATVM
CVM ITALORVM OMNIVM
GERMANIAE GALLIAE HISPANIAEQVE
CONSENTIENTIBVS STVDIIS
> . ANGLI CVMVLATIS QVOQVE SVIS
HVNC ARCVM PP.
ANNO CIDIDCCXXXII
ORAZIONI ED ISCRIZIONI 829
Per la riattazione della fabbrica de' RR. Studj
di Napoli, resa quartiere di soldati,
PVBLICVM MVSAEVM
HAC MAXIMA VRBE MAGNI REGIS SEDE DIGNISSIMVM
PRO CASTRIS
DIV IN SQ VALORE ET SOR DIB VS HABITVM
CAROLVS BORBONIVS
REX VTRIVSQVE SICILIAE DVX PARMAE PLAGENTIAEQVE
AG MAGNVS HETRVRIAE PRINCEPS
CAELESTINO GALIANO
ARCHIEP. THESSAL. A REGIS SACELLO ET CONSILIO
STVDIORVMQVE PRAEFECTO
CVRANTE
PRISTINO NITORI EX PARTE RESTITVIT
FECITQVE SPEM ATQVE ADEO FIDVCIAM
MAGNIFICENTISSIMO OPERE PERFECTO
PACIS ARTES
IPSIVS AVSPICIIS
HEIC FAVSTE FELICITERQVE PROFECTVRAS
Iscrizione sepolcrale per Jacopo Stuardo,
duca di Bermch,
lACOBI STVARTI
BARCOVICENSIVM DVCIS
lACOBI II BRITANNIAE REGIS FILII
MAXIMORVM GALLIAE EXERCITWM
IN INGENTIBVS EVROPAE BELLIS LEGATI
RES PRAECLARE GESTAS
ET IMPERATORIVM MORTIS GENVS
HISTORIAE NARRANT
CINERES
HIC LAPIS CONDIT
lACOBVS STVARTVS
DVX LEVIANORVM
PARENTI OPTIMO
FILIVS MOERENTISSIMVS
P.
ANNO CIDD. ce. XXXIV
33o PARTE II.
Iscrizioni pe' funerali del duca Jacopo Stuardo ,
figlio del precedente.
lACOBVS STVARTVS
PRLVIVLVM PVBESGENS
SVB PRAECLARISSIMO ARMORVM IMPERATORE
lACOBO BARCOVIGENSIVM DVGE PARENTE SVO
MILITIAE TYROCINIVM
IN GALLIA INIIT
ET IN PRIMIS ORDINIBVS
REI MILITARIS SCIENTIAM
/ "^ , IN GALLIA IN IIISPANIA AD RHENVM
^ 1 VNDEVIGESIMVM AGENS AETATIS ANNVM
PARENDO IMPERANDOQVE PERDIDICIT
n.
ADGNATI REGIS IN SVA REGNA RESTITVENDI PIETATE
ET ROMANA SAGRA IN BRITANNIAM REVERENDI STVDIO
AD NAVALEM EXPEDITIONEM IN SCOTIAM PRAEFECTVS
MVLTA QVIDEM VIRTVTIS FAGINORA EDIDIT
QVAM INVIDA FORTVNA DESTITVIT
NAMQVE OGEANO HOSTILITER SAEVIENTE
. NAVES PARTIM SVBMERSAE PARTIM FRAGTAE
ET PER LONGINQVA LITTORA LONGE LATEQVE DISIEGTAE
QVAMOBREM STVARTVS
E PROXIMA GALLIA BRITANNIS INVISVS
AD PHILIPPVM V HISPANIARVM REGEM ADIIT MILITATVM
evi VT CVM DIGNITATE OPERAM DARET
INCLYTVS PARENS
PRIMI HISPANIAE MAGNATVM ORDINIS LOCO
• ET DITIONVM QVIBVS IN HISPANIA DOMINABAT IVRE
CESSIT
ORAZIONI ED ISCRIZIONI 33 1
m.
PHILIPPVS
REGIVM STVARTI GENVS EGREGIAMQVE VIRTVTEM
SPECTANS
PRAECLARIS HONORIBVS ORNAVI!
MAGNIS ARMORVM IMPERIIS PRAEPOSVIT
MILITARI AVREI VELLERIS TORQVE INSIGNIVI!
ET FOEMINAE PRIMARIAE EI NVPTVM DATAE OPIBVS AVXIT
CVMQVE VIRVM
ET MILITARI VIRTVTE
ET SENATORIA SAPIENTIA
AEQVE PRAESTANTEM
ANIMADVERTERET
AMPLISSIMA AD MOSCORVM IMPERATRICEM LEGATIONE .
HONESTAVIT
IV.
IN MOSCHIGA LEGATIONE
STVARTVS
EIVS FERME IMMENSI IMPERII >
STATVM RELIGIONEM LEGES xMORES PACIS BELLIQVE
ARTES COMMERCIA
CONTEMPLATVS
EA DE RE LIBROS HISPANICA LINGVA AD LIBEROS MISIT
TANTA SAPIENTIA LVCVBRATOS
VT EORVM LATINA VERSIONE EDITA
AVGTOR
INTER RERVMPVBLICARVM SCRIPTORES VTILISSIMVS
HABERETVR
ET SANE QVI VIRI DOCTI ID OPVS FORI'E LEGERVNT
INGENTI DESIDERIO DEFLAGRANT
VT EIVS COMMENTARII
QVIBVS IPSIVS VITA NARRATVR
PVBLICI IVRIS FIERENT
EXEMPLAR
SENATORIS DVCISQVE MAXIMl
332 PARTE II.
V.
CREDAt POSTERITAS
NAMQVE AETAS NOSTRA VIDIT
STVARTVM
AD MOSCHOS LEGATVJVI
PATRIAE RELIGIONIS DILIGENTIA
DIVINAS ROMANORVM GAERIMONIAS
PALAM CELEBRARI CVRASSE
PONTIFICEMQVE ROMA IN EVM ORBEM MITTI
QVI PONTIFICIIS SACRIS OPERARETVR
ET INNVMEROS QVI DEGEBANT CATHOLICOS
STIPE LARGITER EROGATA SVSTENTASSE
QVAE SANE SVNT
NON PROFANI VIRI
SED CASTISSIMI SAGERDOTIS
OFFICIA
VI.
STVARTI
MANIBVS
NEAPOLITANOS IN PRIMIS
- PACEM AETERNAM
OPTARE IVS FASQVE EST
QVI
MOSCHICA BENE GESTA LEGATIONE
VNDE DVPLICI MILITARI TORQVE AB IMPERATRICE DONATVS
DISCESSIT
VIENNAE AGENS
PHILIPPO REGI
OPIMAM PARMAE PL AGENTI AEQ VE SVCGESSIONEM
FOEDERE IGTO RETVLIT RATAM
VNDE POSTEA
REBVS IPSIS DICTANTIBVS
AD NOS PROPRIVM CERTVMQVE REGNVM
CAROLVS BORBONIVS
OPTIMVS PRINGEPS DEDVCTVS EST
ORAZIONI ED ISCRIZIONI 333
VII.
INTEGERRIMVS VERI CVLTOR
ET GENTIVM IVRIS SERVANTISSIMVS
TANTA IN LEGATIONIBVS CLARVIT AVCTORITATE
VT CVM DE POLONORVM REGE CREANDO
CAROLVM AVSTRIVM IMP. ET MOSGHORVM IMPERATRICEM
INTER
AC HISPANIABVM GALLIARVMQVE ET SARDINIAE REGES
CAVSSA PRIVS QVAM ARMIS DISCEPTARETVR
CAESAREI
IN CLARIGATIONE LITERARIIS TYPIS EDITA
STVARTVM
FACTI IVRISQVE SVI
DARENT TESTEM ADIGERENT ARBITRVM
Vffl.
INDE
ITALICO BELLO EXORTO
STVARTVS
CAROLO BORBONIO
NEAPOLIS AC SICILIAE REGNA RECIPERANTI
PLVRIMVS ADFVIT
ET IN EXPVGNANDA CAIETA
OMNIVM IN MEDITERRANEI ORIS OPPIDO MAXIME INVICTO
QVAM MVLTA CONSILII ET OPERAE
CONTVLIT
334 PARTE If.
IX.
QVIA MILITARE NOMEN GRAVE INTER OCIOSOS
ET LITERARVM ERVDITIO A MVSIS ODIOSA
IN AEQVALIVM COETV
SEDVLO SE OGGVLTABAT
NEC QVICQVAM NISI IN MEDIO POSITVM LOQVEBATVR
ET QVIA VVLGVS MAGNOS VIROS REE VS EXTRANOS POSITIS
AESTIMAT
CVLTV MODICO AGEBAT
VT CVM SAPIENTES EIVS MAGNITVQINEM INTELLIGERENT
X.
SED A PHILIPPO AD NOSTRVM REGEM LEGATVS
VNDEQVINQVAGESIMO VITAE ANNO SVPREMVM OBIIT
IVCVNDA RERVM IMMORTALIVM EXPEGTATIONE
ITA PERFVSVS
VT CHRISTIANVS S0CRATE5 MORI VIDERETVR
ET IN SVPREMIS TABB.
TAM SALVTARIA MONITA
FILIIS SVA IPSIVS MANV PERSCRIPSIT
VT TANTA SAPIENTIA REFERTA
SENECA
IN BALNEO CRVOREM EFFVNDENS
SVIS AVDITORIBVS HAVT SANE DICTASSET
ACERBVM SANE FVNVS
. SI VITAE ANNÒS NVMERAS
SI VIRTVTES EXPENDAS
EHEV QVAM ACERBISSIMVM
ORAZIONI ED ISCRIZIONI 335
Per V edificazione del Ponte presso Ravenna, e
per la costruzione d'altre opere suijiumi Ronco
e Montone :, i quali per V innalzamento de' loro
alvei minacciavano di rovina quella città: per
le quali opere Clemente XII avea mandate
ingenti somme al Cardinale Giulio Alberoni
Legato Pontificio.
CLEMENTIS XII PONT. MAX. AVSPIGIIS
QVEM VIATOR PONTEM SVPERAS MIRAE MOLIS
IN ALVEO QVO VITIS PEDEGISQVE FLVMINA
AB VRBE RAVENNA PROCVL AVERTERÉNTVR
QVORVM INVNDATIONI INTERIAGEBAT OBNOXIA
A N. MAFFAEO CARD. FLAMINI AE LEGATO
TRIBVS ANTE ANNIS DVGI COEPTO
IVLIVS CARD. ALBERONIVS LEGATVS RAVENNATVM
SVPER AMPLIS PRAEALTISQVE ARCVBVS SVSPENDIT
NE KING A FLVVIORVM ALLWIONIBVS
NEVE KING AB HYBERNI MARIS AESTVANTIS ARENA
FACILE OBSTRVERENTVR
EXTREMIS MAIORI OPERIS FIRMITVDINI SOLIDATIS
QVI AQVIS FORTE EXVNDANTIORIBVS ETIAM PATEFIERENT
ET LATERIBVS COMMVNITIS
QVIBVS AB INFERIS ALVEI AD IPSIVS SVPEROS AGGERES
BINAE VTRINQVE ADSTRVCTAE SCALAE
QVA VIAE GOMPENDIVM FAGTVRVS COMMEATVS
BINISQ. PONTIFICIIS STEMMATIS IN IPSO PRIMO ET VLTIMO
EXTANTIBVS
VBI TAM SALVTARE TANTI VINDICIS SVI NVMEN
TE GRATA CIVITAS MONET
PARTIM EX ISTRIO MARMORE
PARTIM ^
EX RESOLVTA ANTIQVAE LATERICIAE ARCIS MATERIA
evi DE INTEGRO FINGENDAEAN.VIX Vili SVFFEGISSENT
VNO INCHOAVIT ABSOLVIT ANNO CIDIDCGXXXVI
336 paute ii.
In morte del Cardinale Innico Caracciolo
vescovo di Aver sa.
INNICO CARACCIOLO
S. R. E. CARD. EPISCOPO AVERSANO
QVI
GENERIS CLARITVDINEM
ET AMPLISSIMI ORDINIS DIGNITATEM
ORNAVIT ET AVXIT
MIRO CONTEMPTV SVI
SVMMAQVE VITAE SANCTIMONIA
ET QVOD GAPVT EST RARA IN PAVPERES LARGITATE
OMNES OPTIMAE ECCLESIAE REDITVS
PRIVATVMQVE PATRIMONIVM
EROGAVIT
OBIIT ANNO
MARTINVS INNICVS CARACCIOLVS
E MAXTINENSIVM DVCIBVS
EIVS FRATRIS NEPOS
PIETATIS ERGO P.
ORAZIONI ED ISCRIZIONI Un
In morte del principe Francesco Caracciolo,
FRANCISCVS CARACGIOLVS
VLLENSIVM PRINCEPS
VNICVM SVAE FAMILIAE COLVMEN
IN MATRIMONIVM DVCTA
CONSTANTIA HELIONORA IVDICOEA
IVVENACIENSIVM DVCE HISPANIARVMQVE MAGNATE
COGNATA SVA
IPSA QVOQVE SVAE GENTIS VLTIMA
ATQVE EX E A VNO ITEM SVSCEPTO FILIO
EOQVE PVERO E VIVIS EREPTO
VIGENS ANNIS
INFELICI ORBITATE
DOMVS SVAE FATA CLAVSIT
VIRO MERITISSIMO
MOERENTISSIMA VXOR P.
ANNO CIOIDCCXXXVII
In morte di Francesco Boncore medico di Fi-
lippo V e di Carlo II re delle Due Sicilie,
PHARMACOPOLARVM
BVSTVARIA TERRA
SANCTE LVSTRATA
FRANCISCO BONCORE
PHILIPPI V HISPANIARVM REGIS
MEDICO CLINICO
CAROLI BORBONII REGIS VTRIVSQVE SICILIAE
ARCHIATRO
ET IN REGNO NEAPOLITANO
MEDICAMENTARIIS VNIVERSIS
/ PRAEFECTO
AVCTORE
AC OPERIS CVRATORIBVS
REI PHARMACEVTICAE OCTOVIRIS
CORPORATORVM COLLATO AERE
ANNO CIDIDCCXXXIIX
Vico, Opuscoli, ^ aa
338 PARTE li.
Iscrizione pel nuovo palazzo innalzato
da Luigi Molinelli
IN HAC VIA
SVB PRISCIS NEAPOLITANIS REGIBVS AVGVSTA
IN QVA IVXTA REGIVM PRAETORIVM SITA
EQVESTRES LVDI EDEBANTVR
ET CAROLVS V IMPERATOR
HVC DELATVS AB HISPANIA PERSONATVS OBEQVITAVIT
ALOYSIVS MOLINELLIVS
REIP. GENVENSIS AD CAROLVM BORBONIVM
NEAP. ET SICIL. REGEM
ABLEGATVS
HAS AEDES
CLARAE BOMBACIAE VXORIS DOTALE PRAEDIVM
ABSVRDAS SQVALENTESQVE
PRO ANTIQVA LOCI AMPLITVDINE
A FVNDAMENTIS HAC ELEGANTIA ET NITORE
EXCITAVIT
-~ ANNO CIDDCCXL
J
ORAZIONI E© iscniziONi 33g
In morte del marchese Orazio Rocca y senatore
nel Sacro Consiglio di S. Chiara.
HORATIO ROCCA MARCH.
VNI EX QVATVOR S. C. IVDICVM DECVRIIS PRAEFECTO
ET IN SANCTAE CLARAE CONSILIO SENATORI
VIRO
IVRIS SCIENTIA PRAESTANTISSIMO
ET FORENSI ELOQVENTIA DISERTISSIMO
IN QVO IN OMNI RE SEV PRIVATA SEV PVBLICA
VNVS DOMINABATVR
ANIMVS RECTI TENAX ET VERI CVLTOR
ITA VT OMNEM VITAM EMENSVS
IN CAVSSIS PRIMORVM GIVITATIS ORANDIS
ET IN SVMMIS MAGISTRATIBVS OBEVNDIS
AD HAEC VIVENS PRISCA MORVM SEVERITATE
PROPE EGENTEM OBSCVRAMQVE FAMILIAM RELINQVERET ^
QVARE CAROLVS REX NEAPOLIS ET SICILIAE
TALIA GIVIS IN REMP. MERITA EXPENDENS
AD EVM MORTI PROXIMVM
' CODICILLOS MISIT
IN QVIBVS FRANGISCVM F.
evi lAMLEGITIMAAETAS AD CAPESSENDOS HONORES ERAT
MAGNAE CVRIAE VICARIAE IVDICEM DESIGNAVIT
ET PATERNVM MARCHIONATVS DECVS SVBSTITVIT
PARENTI OPTIMO
HANC HONESTAM MEMORIAM
FIUI PIENTISSIMl P. P.
34o PARTE II.
Per la costruzione di un tempio interinale
fatta dai Nobili del Seggio di Montagna,
HOC TEMPORARIVM TEMPLVM
VBI
STATA RECVRRENTE DIE
AVGVSTA MEMORIA RECOLITVR
QVVM
DIVI lANVARII MARTYRIS
t»ONTIFICIS BENEVENTANI POPVLARIS SVI
MIRIFIGENTISSIMVS CRVOR
A NEAPOLITANIS SACERDOTIBVS
FESTA FRONDE REDIMITIS
PVTEOLIS IN HANG VRBEM TRANSLATVS EST
CVRIAE MONTANAE PATRICII
EXCITARI IVSSERVNT
é
J^er la ricostruzìvne dell* edicola e del sepolcro
di Fuhio Tisbia Patrizio Melfitano.
HOC SACELLVM
:, ATQVE HEIG ISIDEM SEPVLGHRVM
FVLVIVS TISBIA PATRIGIVS MELPHITANVS I. C.
SIRI SVISQVE POSTERIS FVNDAVIT
ET IPSIVS FAMILIA EXHAVSTA
j AD THERESIAM DE ANGONA
^ LEGE REDIERVNT
CVIVS FF.
lOSEPHVS Et PASGHALIS MARGIANI
INDIGENAE NEAPOLITANI ANTIQVISSIMI
EXCOLVERVNT ET EXORNARVNT
ORAZIOISI ED ISCRIZIONI 34 1
Iscrizioni pc* funerali di Baldassare Cutaneo.
I.
Sulla porta della chiesa ài di fuori.
BALTHASARIS GATANEI
SANGTONICANDRENSIVM PRINGIPIS
PARENTALIA
AMPLISSIMI VIRI
MANES
PII QVI ADESTIS PIATE CIVES
II.
Sulla slessa porta al di dentro.
BALTHASAR CATANEVS
GENVAE MAIORIBVS DOMI FORISQVE CLARISSIMIS ORTVS
AG NEAP. IN GAPVANAM PATRIGIORVM GVRIAM ADLECT.
GVM PRIMARIIS NEAPOLITANIS FAMILIIS
CONNVBIVM VLTRO GITROQVE AGITAVIT
IN SVMMVM NVMEN PIETATE
IN PRINGIPES OBSEQVIO
IN AEQVALES OFFIGIIS
IN MINORES BENEFIGENTIA
LAVDATISSIMVS
QVAMQVAM AD SENIVM VSQVE AETATEM PERDVXERIT
OMNIBVS TAMEN
AMARISSIMVM SVI DESIDERIVM DELIQVIT
III.
Nelle pareti della chiesa dirimpetto ai lati del Mausoleo^
BALTHASAR GATANEVS
VNETOGTOGINTA VITAE ANNOS PEREGIT
ABSOLVITQVE NVMEROS
QVOS HOMINVM GENERI
ET BONA NATVRA PRAEFINIT*' ^^' ' '
ET SAPIENS CVRATVRA PRODVCJT
342 PARTE li. ORAZIONI ED ISCRIZIONI
IV.
DIVTIVS VERO CATANEVS SANE VIXISSET
NI VIVIDVM ACTVOSVMQVE INGENIVM
VITAE CITASSET FINEM
SED HINC ET ILLA VIRI LAVS EXISTIT
IN MAGNIS OPIBVS SVMMAQVE FORTVNAE INDVLGENTIA
OGIVM FELICITATIS COMITEM
FORTI SEMPER ANIMO ESSE AVERSATVM
PVLGHERRIMAE VIRORVM QVI VITA CONCEDVNT LAVDES
ET VIVA QVODAMMODO ELOGIA
SVNT SVPERSTITES QVOS FORTITER SAPIENTERQVE
EDVXERE
QVALIS PATERFAMILIAS BALTHASAR CATANEVS FVERIT
TALIS FILIVS TALIS NEPOS TESTANTVR
ILLE DVX TERMOLENSIVM
VRBIS PRAEFECTVRAM
COMI SAPIENTIA AC LENI VIRTVTE GERIT
HIC ANVERSAE COM.
NONDVM VIRILI AETATE
OMNIBVS
VIRI OPTIMI
FIDyCIAM NEDVM SPEM OPTIMAM MAXIMAM FACIT
VI.
LVGVBRIS LAVDATIO
PRONIS OMNIVM AVRIBVS EXGIPI SOLET
CVM QVI NATVRAE CONCESSIT
IS QVALIS CATANEVS IN VITA
IVVERIT MVLTOS
. LAESERIT NEMINEM
HOC MONVMENTVM SANE PERENNIVS
• IN IMMORTALIBVS HOMINVM PECTORIBVS EXGITATVR
QVAM QVAE PERITVRO TANDEM MARMORE AVT AERE
FINGVNTVR
PARTE III.
POESIE
POESIE
Affetti di un malinconico.
CANZONE (I)
Ljasso, vi prego, acerbi miei martiri,
À unirvi insìem ne la memoria oscura;
Se cortesi mai siete in dar tormento:
Poiché son tanti, che lo mio cor dura,
Di mille vostre offese i varj giri,
Ch'io non ben vi conosco, e pur vi sento:
Tal che di rimembrar meco pavento
Le mie sciagure. Or voi,* sospiri accesi,
Ite a troncarmi i pianti in mezzo al varco
Del ciglio d'umor carco:
E voi, da miei sospir miei pianti offesi,
Tornando in giù, di lor vi vendicate
Con sommergerli dentro al mesto core:
A cui per le vostr'onte ornai si toglia.
Che possa la sua cruda amara doglia
Sfogar; poiché così agio non fate,
Ch'uscendo fuor con voi il mio dolore,
Lasci l'albergo d'ogni nostro affetto:
Perch'io, finché m'ha morto, in mezzo al petto
Serbarlo vo', se mai quel che m'avviva
Potrà menarmi del mio corso a riva.
Poiché cadente omai é il ferreo mondo,
E son già pronte le sciagure estreme,
Di pari con le colpe i nostri mali
Congiunti vanno strettamente insieme^
E crebber con l'età, che sotto il pondo
Di nuovi morbi i gravi corpi e frali
Gemono smorti, ed a la tomba l'ali
(i) Questa Canzone fu data dal Vico alle stampe ncIPanno 1693 con la|[data
di Veneaia. Fu dedicata al marchesa di Vatolla D. Domenico Rocca ^ nella rasa
del quale al Cilento erasi il Vico trattenuto parecchi anni « coro^ egli stesso die»
nella «uà vita.
346 PATRE III.
Il viver nostro ha più preste e spedite;
E son sempre feconde le sventure
Di sì fatte sciagure
Non più per nova o antica fama udite ^
E dal pensiero uman tanto lontane,
Che crederle men sa chi più le prova:
Talché sembra che in ciel più non risplenda
Benigno lume, onde quaggiù discenda
Un'alma lieta. Or chi cotanto strane
Guise di mali intende mai per prova,
Se potesse mirar qual è il dolore
Che prova in sen l'addolorato core,
Al suo, che chiama or grave ed or crudele,
Grazie sol renderia, non che querele»
Di qualunque animai, quando primiero
A Time soglie del suo viver giunge.
Lo infocato vigor, onde ha la vita.
Con dolci nodi amici e' si congiunge
A la sua salma; e un caso avverso e fero,
O sia virtude avara in darmi vita,
O natura dal suo corso smarrita.
Di duo avversar) me lasso compose:
11 mio mortale infermo, afflitto e stanco.
Che omai par venir manco,
Strazia Palma con pene aspre, nojose;
E'I mio miglior, che d'egre cure abbonda,
Affligge il corpo con dolor molesti;
E mentre, oimè? con pensier molto e spesso
M'interno a sentir me contro me stesso,
Membro non ho, eh' a l'anima i^isponda;
Poiché non ho virtù che i sensi desti.
Se non se in quanto mi si fan sentire
Gli acerbi, effetti de' lor sdegni ed ire.
In si misero »tato e sì doglioso
Va, spera, se tu puoi, qualche riposo.
Ma il piacer fero di dolermi sempre
Par che minori in parte il mio cordoglio,
Se del mio stato a lamentar mi mena:
Ond'io eh' a più e a più dolor m'invoglio,
Farò cantando con suavi tempre
" Che pel contrario suo poggi mia pena.
Vita sovra '1 mortai corso serena.
Moderati piacer, delizie oneste.
Tesori per valor vero acquistati.
POESIE 347
Onori meritnti,
Mente tranquilla in abito celeste;
E perchè il duolo mio vieppiù si avanzi.
Tal che null'altro mai fia che l'agguagli,
Amor, di cui è sol amor mercede,
E vicende gentil di fé con fede,
Venite al tristo pensier mio dinanzi,
Ch'e' vi farà sembrar pene e travagli
A questo cor , perchè di duol trabocchi :
Siccome rossa gemma avanti gli occhi
Posta talora, egli addivien che facci
Rassembrar sangue il latte , e fiamme i ghiacci.
Ditemi, Stelle, or voi, se mai potete
Che un qualche favor vostro un dì disveli,
Ite, e ven prego a ritrovarlo omai
Entro quei moti da' benigni cieli,
Che ìnfluiscon qua giù gioje più liete:
Solo ben io da me so che non mai
Bevvi respir, che non traessi guai.
Deh perchè da la vita altra beata
Stanco da tante alte sciagure, e rotto,
Misero ! fui condotto
A la presente amara e disperata?
Poiché se mai a' giorni, a' mesi,, agli anni
C'ho spesi nel dolor, io son rivolto.
Veggio esser nato per mia cruda sorte
Solo a pene, sospir, lagrime e morte.
E così crudi scempj e acerbi affanni
Non m'hanno in quel che io era ancor disciolto?
Ah che daranno tempo al dolor rio
Che sludii meglio il precipizio mio:
Se non è forse che la morte avara
Tema col mio morir farsi più amara.
Mi venne sol da luminosa parte
Del cielo una vaghezza di destare
A' pie de' faggi e poi de' lauri a l' ombra
La bella luce che fa l'alme chiare;
Ch'a la povera mia si spense in parte.
Quando s'indossò il velo onde s'adombra:
Talché d'alto stupor fìnur ingombra
Parca a sé stessa dir: Lassa ch'i' sono!
Ohimè, eh' è tal desio travaglio, come
Debbami dar il nome^
Ma sempre il chiamerò pena e non dono.
348 PARTE ni.
Se affligge più chi più conosce il male.
O in ver beati voi, Ninfe, Pastori,
Cui sa ignoranza cagionar contenti;
Ch'obliati sudor, fatiche e stenti
Acquetar vi sapete a un dono frale
0 di poma o di latte ovver di fiori;
Ed al caldo ed al gel diletto e gioco
Vi reca l'ombra fresca e '1 sacro foco;
Né l'alta gioja a voi sembra che piaccia.
Che rozzo amore o faticosa caccia.
Ma qual piacere io seguo, afQitto e lasso,
Fra tanti strazj abbandonato e solo •
Ne la misera mia vita che meno?
Che fatto son nojoso incarco al suolo.
Anche infecondo, dove il tronco e'I sasso,
Come in suo centro, hanno quiete: almeno
Il mio piacer e' fosse il venir meno;
Ma lo disdisse il Cielo. Or, se mi serbo
Sempre a novi sospiri e a' pianti novi ,
Piovi miserie, piovi
Sovra '1 mio capo il viver mio si acerbo;
E non si voglia mostrar meco avaro
D'altri scempj piti infesti e più nemici;
Che sol fierezza e non pietà la stimo:
Se non è forse invidia chi io sia il primo
Tra spirti afflìtti, e che mi renda chiaro
Esempio di dolore agl'infelici.
Ma per le pene mie io giuro a queste
Aspre selve, solinghe, orride e meste.
Che non mai turberà, mentre respiro,
1 lor alti silenzj un mio sospiro. —
Canzon, sola rimanti a pianger meco.
Dove serbo il dolor; né fra la gente
D'ir chiedendo pietate abbi vaghezza;
Che l'alto mio martir conforti sprezza:
Ma, se doglia compianta e' men si sente,
Sdegna eh' ancor tu resti a pianger seco
L'afflitto cor, che disperato vole
Che l'aspre pene sue si sentan sole.
POESIE 349
In morte del signor conte D. Antonio Caraffa,
Generale delle armi Imperiali.
CANZONE (I)
O del petto dell' uom vane e fallaci
Speranze e cure, che fra via sovente
Son dal Cielo interrotte! Ecco^ ohiuiè lasso!'
Del Capitan ch'a la divota gente
Facea difese incontra i fieri Traci,
Poco cener chiudendo in pìcciol sasso
Quella che sempre mena dritto il passo,
In sua ragion sì rea, sì trista in volto,
Qual dinanzi '1 pensier or veder parmi;
Del mestiero de Tarmi
L'onor più grande, il più bel pregio ha tolto:
Ond' oscurato il ciel da l'alta parte.
Co i venti, a' quai l'annoso pin s'atterra,
Nevò quaggiuso d'ognintorno^ e donde
S'abbassa, svegliand'ire in mezzo l'onde,
Pianse con tuoni e piogge il nostro Marte ^
E de l'acque la mente di sotterra
Col gran tridente a tai scosse la terra.
Che del mondo parca lo spirto stanco,
Che'l desta e nutre, ornai venisse manco.
Ben è ragion che'l corpo aspro, mortale.
Ch'ogni più bel sperar n'ha'n cor trafitto,
Pianga Occidente, e '1 di lui capo Roma.
Quando udirem più l'Ottoman sconfitto?
Quando vedrem che stenda la grand' ale
L'augello imperiti su l'Asia doma?
Chi fia d'eterno allór cinto la chioma,
Ch'a la gran tomba? Ma li chiari acquisti
Troppo alla fine, lasso me! sospiro,
Quando temer già miro
(1) Avca il Vico mollo affetto per la famiglia del duca di Traìetto, avendo
istituito nelle umane lettere il primogenito di lai casa D. Adriano Cararfa, che
fu molto grato 6no alla vecchiezza a tal suo dotto precettore. Avvenuta la morto
del Generale delle armi Austriache Antonio Caraffa, volle il Vico esternare il
suo dolore con la presenti: Canzone, che diede alle stampo nel i6p3 in<8 con
la itala di Venezia, numerandosi fra gli Accademici Uniti di Napoli col titolo
di Uaccotlo , e che dtdicò a D. Tommaso d'^Aquino principe di Ferolcto.
35o PARTE IH.
he perdite i Cristian paurosi e tristi.
Tra le sue glorie e i nostri pianti amari
Che far degg'io, chi mi consiglia e come?
Anzi qual , non che '1 mio pur troppo umile,
E da duol rotto, alto e spedito stile
Unqua giunger potrà suoi pregi rari?
Ma del dolor sotto le gravi some
Non mi curo incontrar, purché '1 suo nome
Per me laudando in rime non si taccia
De l'arte pria che del dover la taccia.
D'armi gran padre, almo Sebeto mio.
Torbido Tonde sì per fama chiare,
E senza onor le dolci rive amene.
Ti stai raccolto infra tue doglie amare ;
Ne acquisti fé col pianto al dolor rio.
Ma più ch'ai Tebro e a l'Istro a te s'attiene.
Aperte omai del lagrimar le vene,
L'onor di nostra patria, anzi del mondo
Pianger per sempre a pie della sua santa.
Regale, immortai pianta.
Che da diviso suol nel tuo fecondo
I Traspiantò il Cielo; e la virtute antica
Alto senno e valor v'innestò poi:
Ed indi 'n vece di terrestri umori,
Fatica l'inaffiò co' suoi sudori.
Cui fecondando al fin con aura amica
Alta fortuna, fruttò poscia a no:
Tanti e sì chiari, illustri, invitti eroi;
Tra' quali ultimo è vero a le memorie
Antonio sì, ma ben primo a le glorie.
Quanto dobbiamo al sommo Ente Divino
Che di quaggiù tempra le cose e regge,
E i secoli e l'età tiene 'n ^a forza;
Ch'ai maggior uopo de la nostra legge.
Quand'era spento il gran nome latino,
Dal Ciel, che'nforma in noi valor e forza,
A prendere mandò terrena scorza
De la più chiara stella il maggior lume.
Or chi fìa, di lui senza, il gran periglio
Membrando, non dal ciglio
Versi di pianto amaramente un fiume?
E dica a voi, che di gramigna il crine
Poveramente ornando, e 'l valor vostro
Pel giogo tolto a la città, che '1 pose
POESIE 35 1
Poi senza meta a l'universe cose;
Vostre bell'opre feste senza fine
Degne di marmi e d'opere d'inchiostro:
S'unqua foste voi nati al secol nostro,
Nascer giammai non potevate in vero
A destino più grande e più guerriero.
Ma perchè ad ismarrir la dritta via
Uopo non v'ha di luminoso raggio,
E l'andar giuso agevole si mostra.
Spediti al mal oprar facciam viaggio
Solo col tener dietro a l'ombra ria,
Che'n guardia tien l'umida prigion nostra.
Qual chiaro eroe, da la stellata chiostra
Di bel nuovo disceso, indrizzò mai
Il miglior vostro al poggio faticoso,
U' siedi or glorioso,
O bel segno di tutti i nostri lai?
Che fin d'allor eh' un braccio era tua sede,
11 tuo vagir sol potea far sereno
O suon di tromba, o di destrier nitrito;
E ad elmi e scudi da le fasce uscito
Accomandavi '1 teneretto piede.
Di lai cure indi avesti '1 petto pieno;
Trattar la spada o maneggiar il freno: _
Giovane poi con atterrar le belve
Adattarti a pugnar entro le selve.
Alma città a cui dal Ciel fu dato
Senza mele lo'mpero, onde col Sole
Stendesti '1 braccio in queste parti e 'n quelle ;
L'ombra or di cui e le reliquie sole
Destar sanno valor di mezzo il prato
In chi le mira: le virtù più belle.
Che in tanti duci, anzi 'n cotante stelle,
Ch'ornaro il ciel de le tue glorie, e in tanti
Tuoi chiari esempi di valor più raro
Sparte si ritrovaro,
Quel che il petto or ne fa bagnar di pianti, '
Tutte leggendo, ne informò so solo:
Talché colei, che del fral senso i danni
Ristora in noi, de l'uom propria maestra ^
Che spesso avanza ogni più forte destra,
Così lo strusse a glorioso volo;
Ch'i suoi spirti guerrier spiegando i vanni
ispediti assai più de' suoi fresch'anni,
352 PARTE III.
Tra fortuna e viriti nacquer contese,
Chi piti giovasse alle sue chiare imprese.
E tu, gran Donna, che gli umani petti,
^^ Ove t'aggrada più, dietro ti meni
, Con lacci d'or a le tue labbra avvìnti;
Che desti duol ne' placidi e sereni,
E in questi poi svegli contrarj affetti ;
Quanti 'n tua scorta, anche nel cor ben cinti
Di duro smalto, furo in pace vinti
Dal Duce mio? ma tra suoi tanti pregi •
Abbia la doglia mia pur tanto loco,
Quanto sospiri un poco;
Ed altri, che di lei tal s'orni e fregi.
Ch'abbia sua vera imago in bocca espressa^
Ond'infra Alene e Arpin vadasi chiara
La patria nostra, e sol potrà ridire
Quanto al Polacco quei seppe mai dire,
Che'l mosse a liberar Vienna oppressa:
Qual, mentre aita a noi cotanto cara
N'attende, il vede, oh vista a Traci amara!
Con coraggio venir de l'oste a fronte,
E con grand' armi a vendicarci l'onte.
Or chi m'apre dal duolo il chiuso ingegno.
Sì ch'agguagli il pensier la grand' impresa,
Alto subbietto a chi di Muse ha cura?
Santa virtù, di cui quell'alma accesa
Oprò l'atto d'eterna gloria degno,
Vagliami tua ragion, talché sicura
D'obblio sen vada ad ogni età futura.
Non vide il Sol, da che il Fattor sovrano
Da prima il mosse de la terra intorno,
Fuor di quel chiaro giorno
! Più saggio di consiglio e prò' di mano.
I Tanto per Cristo di pugnare ha sete,
I Che non posa pensier, spirto non langue
J In petto, in braccio; talché nulla luce
Scernerlo può, se sia soldato o duce:
Finché colse a la Fé le palme liete
Sul campo dove restò l'Asia esangue.
1 E pur tant'era pio, da poco sangue
D'alcun de' suoi, che morto in guerra giacque,
La vittoria macchiata a lui dispiacque.
Ma più gli omei non può chiudere il seno.
Ohimè, eh' è morto il Duce, a la cui morte
POESIE 353
Pietà, senno, valor morirò uniti!
Degna d'anaari pianti ahi nostra sorte
Da non venir a pensier nostri meno.
Chi fìa, lasso! chi fìa che piti n^ additi
A le vittorie i bei sentier smarriti.
Se di nostr'arme il lume oggi è mest' ombra?
Ohimè, lasso! ohimè, tristo! ohimè, dolente!
Ma nostra cieca mente,
Che di bassi pensier sempre ne ingombra
11 senso fral, né sa levarsi al cielo!
O del divino Amor cura e diletto,
Anima grande, omai da quella spera.
Ch'ai tuo ritorno si fé' più sincera,
Pon mente al nostro addolorato zelo:
E se portasti 'n ciel teco f affetto.
Onde quaggiuso avesti caldo il petto.
Tu l'Austria scorgi incontra i fier nemici
Ad imprese più grandi e più felici. —
Canzon, per far a le sacr'ossa onore,
A la tomba che chiude il cener santo,
Vanne carca di pianto;
E in nome del tuo lasso, egro Signore
Pria le inchina, e poi dille, s'è' pur lece:
Un cor umil, d' immortai fior invece.
De' quai lo impoverirò i suoi martiri.
Per me vi sparge intorno alti sospiri.
In lode di Massimiliano Emmanuele duca di Baviera.
CANZONE I. 0)
Qual nuovo lume col divin suo raggio
D'almo splendor la mente orna e rischiara,
E di gran cose i miei pensieri informa?
Onde mi viene omai luce sì chiara.
Che m'apre ad alta impresa il gran viaggio,
A cui muover da me non posso un'orma?
Chi mai con luminosa altera norma.
L'ombre scuotendo allo mio ingegno intorno,
M' indrizza ad opre un dì forse pregiate?
(l") Queste tre Cantoni furono date alle stampe in Napoli dalPAulore nel i^>94,
i-/|i con hella edizione; indi riprudulle in Roma fra le llimu degli Arcadi illustri.
/'
V»co, Opuscoli, a3
354 PARTE III.
Lume di nostra etale,
Che d'ogni alta virtù riluci adorno,
Signor, che reggi alla Baviera il freno.
Le meraviglie, ch'io provando ammiro.
Sono del valor vostro effetti usati;
Talché i pregi in altrui vie più lodati
Le minor laudi vostre avvien che sieno:
Se quell'ampio splendor, che in me rimiro.
Breve barlume è sol, che diffondete
Di quella luce onde sì ricco siete.
Che dunque dietro a voi mie lodi alzassi.
Ardir non è; poich'egli osar non vuole.
Né può cotanto, e né, potendo il deve:
Ma son quasi cristallo opposto al sole.
Ove si rompa il raggio, e non trapassi.
Che là rimanda il lume onde il riceve.
Fugga or da me cura nojosa e greve,
Che'l Veglio, che giammai non stanca l'ale,
Mio nome alfin d'oscuro obblio non copra;
Se m'avvalora all'opra
Chi puote in sua virtù farmi immortale:
Che son di tanta gloria e d'onor degni
Fuor d'uman corso i minor pregi suoi.
Che di lor chi può mai ritrarre in carte
Alle future età picciola parte.
Fa più di quel che i più spediti ingegni
Fero, lodando i più nomati eroi:
Or di quest'alta speme il bel pensiero
A ragionar di voi mi mena altero.
Ma di tante virtù, di quante io posso
Col debil guardo sostener la luce,
Quai fien mezze a narrare e quai fien prime?
Tal dubbio in forse ogni consiglio adduce;
E la copia del dir, ch'io pur mi addosso.
Sul bel principio fa mancar mie rime:
Or quai convien che della fin si estime?
Pur seguendo il desio che mi fa strada,
Vo' con lo stile a mio potere alzarmi.
Prima gloria dell'armi.
Onoro ih voi quella temuta spada,
A cui lati si stan senno e valore,
Ov'è la maestà nell'else assisa,
E dalla punta sua dipende il fato.
Quella spada onor'io, a cui vien dato
POESIE 355
Dalla Terra e dal Cielo ogn'alto onore
Sovra qualunque più onorata guisa;
Se non che de' suoi pregi or non rimbomba
Di Smirna e Manto assai più chiara tromba.
E ben eran ornai di nobil carme
Infin d'allor le vostre gesta degne.
Che sotto il grave acciajo il capei biondo
Primier premeste entro le chiare insigne
Di quel gran padre vostro, in pregio d'arme
Primo a tutt' altri, ed or a voi secondo: '
Indi non mai sperò cotanto il mondo,
Che non restasse dietro a vostre imprese
Ogni qualunque suo desir più egregio:
Allor nel vostro regio
Animo il Dio combattitor discese;
Dove poi la ragion, l'ire spirando.
Quel valor sovraumano in voi produsse.
Che conoscer non fa rischi e terrori:
Quinci dell'armi in su' più fieri ardori
Quanto fu vago mai di gir pugnando
Là sempre ove maggior periglio fusse.
Tu, vera gloria, testimon di lui
In mille chiari fatti, il narra a nui.
Narra pur anco a noi, come dell'arti
Di sovran duce egli arricchì l'ingegno.
Non con gli altrui, ma co' suoi sommi imperi:
E in conquistar città, provincia o regno,
Come deggia adempir l'alte sue parti,
Ei l'apparò da' suoi trionfi alteri.
O nati al buon destino almi guerrieri.
Che fate appo lui chiari i pregi vostri.
Che de' consigli suoi va sì potente!
Qual di noi presta mente
Tanto vigore in una a sensi nostri
Porge giammai, quanto il suo seno a tante
Armate schiere, ed infra lor diverse
E d'abiti e d'ingegni e di linguaggi?
E quando di pensier più accorti e saggi
Videsi un duce mai fra tutte quante
Le chiare armi Latine e Greche o Perse?
Cotanto quel di voi senno canuto
Ha visto di lontano e provveduto!
Quindi è che degne sol de' vostri impieghi
Son le più dunbic imprese e le più grandi
356 PARTE IH.
S'ove il poter ostil siasi dimostro,
Tal ch'ogni uman consiglio a terra mandi.
Ed ogni mortai forza o rompa o pieghi,
Ivi il senno adoprate, e'i valor vostro.
DehI prestate credenza al serraon nostro.
Non nati ancor, che di sua altiera invitta
Virtù narra pur poco: e a chi noi crede,
Allor fanne tu fede,
In virtù di sua mano, Asia sconfitta,
O possanza d'Europa, o forte mano.
Infra tanti furor d'arme infedeli
Te non essendo, or chi di noi saria?
Che se '1 pensiero indietro là m'invia.
Rimembrando m'ingombra un timor vano
Di veder da per tutto empie e crudeli
Stragi di noi, e fumar d'ogni loco
In un orribil misto il sangue e '1 foco.
Già parmi di veder madri piangenti
Co' figli pargoletti uccisi in seno,
Ch'empian di tristo orrore il petto mio;
E le sacre donzelle udir non meno
Sospirar vergognose, egre e dolenti
Il fior dell'onestà donato a Dio.
E già mi sembra al furor empio e rio
Altro scampo, che'l Cielo, a noi non resti;
Onde la vita in me medesmo abborro.
Però dove trascorro,
Si vaneggiando con pensier funesti,
E non più tosto mi rallegro omai
Con meco stesso, sol però ch'io veggia
Un'età eh' un Signor si grande onora?
O benedetta mille volte l'ora
Che tanto in alto i miei pensieri alzai,
Onde conviene che altro ben non chieggia!
/ Se tal senno al valor è in voi congiunto.
Che '1 gran pregio dell'armi al sommo è giunto.
Canzon, tu più m'infiammi, anzi che acqueti
Nel bel novo desio che a dir m'accende
Della più altera e chiara gloria nostra:
^ Però rimanti, prego, entro la chiostra
De' pensier miei di te giojosi e lieti,
^ Finché la man l'usato stil riprende:
Poiché d'aver compagne hai vera brama
, A gir colà dove il dover ti chiama.
POESIE 357
CANZONE IL
Alto Signor, pih di fallace il nome
Non merta il mondo ora che a voi s* inchina,
Poiché ben ha donde inchinar vi deggia;
Se adorna la di voi parte divina,
A cui le membra son vesti, non some.
Valor, che nullo uman pensier pareggia;
Io dico quel valor che signoreggia
Con dolce impero i vostri piani affetti.
Per più illustrar nell'armi il secol nostro :
Valor uguale al vostro
Non chiuser mai de' prischi duci i petti ,
Quand'eran l'alme al ben oprare accese,
E segna van nel colle, onde a virtute
Si poggia, piti spess'orme umane piante.
Quindi è che le lor opre oneste e sante.
Che ben eran da noi fin ora intese
Con meraviglia sì, ma non credute.
Oggi, mercè, di voi, ciascun le crede,
E da' vostri costumi acquistan fede.
Ma se r acquistan si, ch'ai paragone
Della di voi virtù mancan di pregio,
Chi le vostr'opre crederà dappoi?
io spero allor, quando sia al Fato in pregio,
Che la terra già vinta al ciel vi done.
Per accrescer chiarezza a' lumi suoi j
Che a quelli che verran dopo di noi
Una stella assai più chiara del giorno
Teslimon sia delle vostr'opre degne:
Che donde l'alte insegne
Portaste a far passaggio, anzi soggiorno.
Non pur non ricever oltraggi ed onte.
Ma liete s'allegrar le messi e i prati
Della lor non più vista alma innocenza.
Chi, fuor che voi, frenò l'empia licenza
Dell'armi al mal oprar spedite e pronte:
Poiché mal può frenar popoli armati
Duce che i suoi desir non anco affrena,
E col suo esempio altri a ben far non mena.
Dond' é che poi molte f/ate e molte
Ad imprese da voi tutte lontane
358 PARTE III.
Giugneste pria che n'arrivasse il grido?
Onde a sì nove meraviglie e strane
Il Reno e l'Istro attoniti più volte
L'onde al corso fermaro. O tu che nido
Fai nel suo regio petto, albergo fido
Dell'altre tutte, alta virtù che prendi
In mezzo le fatiche i tuoi riposi,
Di sì meravigliosi
Effetti la cagion ornai ne rendi :
Tu sola air affannose opre di Marte
Talmente agevolasti il mio Signore,
Che di folgor dell'arme oggi ha la loda:
Kè giammai col valor bellica froda
Venne dell'alte sue vittorie a parte;
Che non ha maggior palma il vincitore
Di quella, in cui gli animi ancor de' vinti
Son dalla sua virtù presi ed avvinti.
Or se nell'atto della fera pugna,
Perocché in voi il fìer nemico ammira
L'alto invitto valor, forz'è che v'ami;
Qual è a pensar, quando gli sdegni e l'ire
Omai sgombrò dal petto, ivi raggiugna
La virtù ch'ai perdon poi vi richiami?
Egli è colui sol degno ond'uom si chiami.
Che all'inimico umile e lagrimoso
Dimostra il volto di pietà dipinto:
Ma consolare il vinto,
E di saggio lodarlo e valoroso.
La perdita recando a rio destino;
, • Duce che sappia oprar sì nobil atto,
Rassembrar non può mai terrena cosa;
Ma che in sembianza umana in lui stia ascosa
Un'alta mente di valor divino.
Donde il sommo Fattor abbia ritratto
Tutti color che furo a' prischi tempi
Di creata clemenza alteri esempi.
Di voi che dunque immaginar degg'io.
Se tal godete oprar atti sì degni.
Che vi dorrebbe il non poterli usare?
Se 'l pregio in me di tutt' i chiari ingegni
Fosse, pur mancherebbe il pensier mio,
In capir di bontà forme sì rare,
O chiara idea dell'anime più chiare,
Valoroso Signore, entro il cui seno,
POESIE 359
Come in suo trono, è la virtù seduta:
Se fosse conosciuta
La sana gioja di che '1 cor va pieno,
Allor quand'ella è da voi posta in uso.
Saria del inondo ornai l'error sbandito.
Che mena V uom dietro al piacer fugace.
Quindi non pago sol d'usare in pace
Le virtù regie, onde cotanto in suso
Siete sull'erto dell' onor salito.
Ardeste ancor de' lor più caldi amori
Fra i disagi dell'armi e fra i terrori.
Però se a quei che fece in guerra chiari
Sol un nobil desio di eterne glorie,
Furon eretti altari e dati incensi;
A voi colmo di tante alte vittorie.
Sol per usar vincendo atti si rari.
Deh qual onor per debito conviensi?
Premio ben poco a' merli vostri immensi
Egli è di tiionfali alte ghirlande.
Che la Gloria vi cinga il crine augusto.
Ah che lo Ciel, eh' è giusto.
Non seppe destinar premio più grande
Alla virtù, che la virtude istessa:
Perocch'ella di sé cotanto è paga.
Che ciò che non è lei, sdegna e non cura.
Quindi '1 Saggio il destino o la natura
Ringrazia, perchè l'abbia in cor impressa
La copia degli affetti errante e vaga:
Perchè sull'ombre lor spiega la luce
Ragion, dond'ei simile a Dio riluce.
Quest'è dunque il trionfo alto, immortale.
Che per quanto lo stil s'innalzi a volo,
Manca vie più, se 'n lui vie più m'interno:
Oh bel trionfo, di cui degno è solo
Che sia l'animo vostro alto, regale
Espettator, e Campidoglio eterno?
Trionfo u' de' pensier siede al governo
Prudenza, a cui l'avvenir mul si puote
Celar, più che non soffre umana usanza:
Fortezza e Temperanza
Belle quant' altre mai reggon le rote
Ch'air alma e l'ira ed il desio formare :
E 'n cima al carro in maestate è assisa
La regina Virtù e la Virtù intera:
36o PARTE III.
D'affetti vinti una ben folta schiera,
Che torre il regno alla Ragion tentare.
Fra dolci lacci al fin segue conquisa;
E di palme immortai va TOnor vero
Colmo, adornando il gran trionfo altero. —
Canzon, tal mi son io qual mal accorto
Nocchier che a vasto mar le vele crede,
E spera esser col sole all'altra riva;
Quand'ecco il giorno a nuova gente arriva.
Ed ei trovarsi in alto mar si è accorto.
Tal che cima di monte ancor non vede.
Riman però, mentre più fogli io vergo,
Coir altra insieme entro il medesmo albergo.
CANZONE III.
Poiché l'umil, devota, accesa voglia
Di bel nuovo mi mena, acciocch'io dica
Maggior cosa di voi, Real Signore;
Prego la mente dell' obblio nemica.
Perch'io al fin giunga, ove'l desio m'invoglia.
Che raddoppi al bisogno il mio valore:
Se lo stil, che già mosse a farvi onore,
Tanta di voi di chiari pregi illustri
Tien copia, che mancar non mai potrebbe.
E chi tacer saprebbe
Rimembrando per cento e mille lustri
Sudar tra 1' arme Imperadori e Regi ,
Per voi ri por tra le corone e gli ostri
Su quella somma altezza in cui sedete:
E l'altra stirpe oltrapassar le mete
Negli onor tutti imperiali e regi.
Tanto che spiacque agli stess' avi vostri.
Non essendo di lor chi mai pensasse
Ch'altro loco di gloria a voi restasse.
O grand' alme sì amiche al Cielo e care,
Ch' or tenete tra' bei splendori eterni
Le sue parti più alte e più serene.
Se giungon mai ne' regni almi superni
Del gran Nipote l'opre degne e rare
A recar nuove gioje al vostro bene;
Or d'allegrarvi in Dio più vi conviene.
Poiché sol fu quell'alta gloria vostra
POESIE 36i
Una bell'alba del mio chiaro sole:
Che in sì gravi parole
Non può mai risonar la lingua nostra,
Che dica in quanta maestate altera
Fu dall'invitta sua virtute alzato
Sovr'ogni suo più eccelso onore antico;
Che intenta or pende dal suo cenno amico
Di Principi Sovrani un'alta schiera.
Che sol confida in suo valor provato.
Sicura che da' regni unqua non cada.
Poich'affidò gli scettri alla sua spada.
E quel Re formidabile che regna
Entro l'Alpi, Garonna e l'onde salse.
Che il giogo ornai credeasi al mondo imporre
(Incontro il suo poder cotanto valse
11 nome sol ch'oggi a lodar m'insegna!)
Ch'or a pie della pace umjl ricorre.
O nome glorioso! E chi raccorre
Può tutt'i pregi tuoi sì chiari in guisa,
Ch'ognor ne parla, e sempre il più ne tace
Quella Donna loquace
Che a mezzo il cielo in alta rocca assisa
De' rumor di qua giù si nutre e cresce.
Voce formando, che se vie più gridi,
Divien men roca, e in chiaro suon più sale?
Indi accoglie ogni nome alto, immortale,
A cui vaghezza e meraviglia mesce;
E per tutt'i rimoti e strani lidi.
Risuonando tra noi, chiaro il riporta
Fin dall'una del Sole all'altra porta?
Alto desio, tu sì m'infiammi il petto.
Ch'io ben m'av veggio omai che là mi meni,
Ov'è forza atterrarsi il pensier mio:
Onde di riverenza e timor pieni
Treman lo stil, la mano e l'intelletto.
Ch'io, te seguendo tanto in su gl'invio:
E potrebbe sdegnarsi il Ciel, perch'io
Col tenebroso debil guardo interno
Voglia spiar lei più riposte cose
Di Colui che dispose
Delle basse cagion l'ordine eterno,
E formata di ben saldi diamanti '
Stende di lor lunghissima catena,
Colla qual cinge e tiene avvinto il mondo.
y
362 PARTE IH.
E mosso ili sua ragion cupo e profondo
Inverso noi da mille etati innanti,
Per orror cosi densi il passo mena.
Che chi pon cura di non girgli incontra.
Quando crede fuggirlo, ailor l'incontra.
Ma se alla vostra altissima fortuna,
Felicissimo Duce, io mi rivolgo.
Sembra ch'ai fato il valor vostro imperì :
Onde SI forte dubbio io tra me volgo
(Tante grazie sul brando il Ciel vi aduna!),
Se sien maggior in voi l'opre o i pensieri;
Ch'ogni grand' alma di desir più alteri
Won può giammai desiderar cotanto.
Quanto otteneste voi da' Cieli amici.
Faccian pur i nemici
Schermo che in sicurezza abbia ogni vanto
Di montagne aspre e d'alti spaziosi
Rapidi fiumi, o pur d'orrido cielo;
Che ad un sol cenno vostro obbedienti
Vedransi e la natura e gli elementi.
Agevolarsi i monti faticosi ,
Seccarsi l'onde e dileguarsi il gielo;
Talché non sia per voi tempo distinto
Tra il venir, il veder e l'aver vinto.
E svegli pur risse, tumulti e guerre
Tra Regnanti Cristian l'Invidia amara.
Che sempre mai colla Fortuna giostra
Per fare (e questa sola è la piti avara
Voglia di lei) che tra confin si serre
D'Europa almea l'alta fortuna vostra.
Che, come allor che dall'eterea chiostra
Quando il gran Giove vie piti d'ira avvampi,
, Tuona qua giuso, il suo fulmine ardente
-. Suole recar sovente
Belle speranze agli assetali campi,
E alle torri superbe alti timori;
Cosi recherà pur la vostra spada
Un'alma pace al buon popol di Cristo,
^ E per lo santo glorioso acquisto
Porterà all'Asia guerra, ire e furori,
U' con navi o cavalli ornai sen vada.
Già parmi, e d'ascoltar la lieta voce
Che sovra la gran Tomba alzi la Croce.
Rallegratevi dunque or con voi stessi ,
POESIE 363
Tu famoso dell'armi alto mestiero,
Che per suo senno è tua ragion compita;
E tu, bella Virtute, che a sì altero
Campione hai gli onor tuoi tutti commessi.
Né in questa età più vai sola e smarrita :
E colmo ancor di gioja alma infinita
Vadasi il mondo , che la gloria immensa
Del suo gran nome riverente onora ;
E volga lieto ancora
Il Ciel che i favor suoi largo dispensa
A chi mai sempre al ben li pone in uso :
E sovra lutti omai convien che goda
Lo stil che '1 valor suo mi pose in mano.
Ed oh bel pregio mio sommo e sovrano,
S'alzato ei siasi mai cotanto in suso
Che pur si fosse di sua eterna loda
Sol indrizzato, non che giunto al segno,
Che non fora del mio sfile più degno I —
Canzone, andrai coll'altre a veder quella,
Cui pensier non imita, alma persona
Ch'ingombro ha di sua gloria il mondo intero;
E giunto al suo cospetto umile altero,
Dirai divota in atto ed in favella:
Se ciascun detto nostro una corona
Fusse immortai, pur all' onor dovuto
A voi. Signor, saria picciol tributo.
LETTERA DELV ELETTOR DI BAVIERA
Brusselles, a 5 giugno 1694.
Signor Giovan Battista de Vico. — NelV erudite sue composi-
zioni scorgo la sua virtù, e *l suo studio ben disposto alle mie
lodi. Ringraziandola pero affettuosamente, l'assicuro che le di-
mostrerò nelle occasioni la mia ben inclinata volontà} e le de-
sidero dal Signore ogni bene.
«^*-
364 PARTE III.'
Versi di Gio. Battista Vico stampati nella Raccolta de' Componi-
menti recitati in un"* Accademia tenuta ai 4 novembre 1696 nel
R. Palagio per la ricuperata salute di Carlo II re di Spagna e
di Napoli.
Festa dies oritur, discurrant undique laeti
Cives, et centutn ludos centumque choreas
Concelebrent , dulci modulantes carmina voce:
Ac pietate gravis vittatus quisque sacerdos
Thuricremas caste donis Divùm oppleat aras;
Quas mixtos senibus pueros matresque nurusque
Tangere nunc juvat , et Dis grates solvere dignas.
Nam summà Divùm cura Regnator Iberus
Praesenti ereptus leto jam vescitur aura.
Invida mors etenim, quae si quicquam utile terris
Forte videt laetis, duro rapit effera fato^
In Carolum, Austriadum decus, aegre lumina figens,
Ut felix faustumque fide ac pietate tuetur
Imperium, quod Avùm virtus aequavit Olympoj
Letiferam ac tetram febrim diro evocat Orco.
Nec mora, febris adest, Regis flammamque cruori
Conjicit, ardentes figens sub pectore taedas :
Mox comites subeunt, infensus et anxius angor,
Sicca et anhela sitis, pallor raaciesque suprema:
Tandem (horret meminisse animus, pavidusque refugit)
Tandem, omni abjecta vitalis Apolìinis arte,
NuUam nostra salus jam quid sperare salutem.
Quae lacrymae tunc, qui gemitus, qui luctus ubique?
Non opis est nostrae perstringere tanta relatu.
Nulla quidem tellus tum fudit semine flores,
Nullus honos silvis, nullus squalentibus agris;
Inque caput fontis rivusque amnisque redibant.
Nec face sol rosea nigras disperserat umbras;
Omnia moerorem ostentabant, omnia luctum.
Tum Tagus e mediis pallens caput extulit undis,
Tristis ubi tollit glaucos ad sidera vultus,
Immolus paulum aspexit, tandemque dolorem
Sic aperit, rumpitque has imo pectore voces:
Ecquae tandem adeo casus mens gnara futuri
Infelix potuit tantum sperare timorem ?
Nam quid tam durum est, plenumque horrore minaci,
Quodque ego non tutus timeam, praesensque pavescam? ^
Justitia ac pietas ac omnis Regia virtus
POESIE 365
Quo fugient, Carolimi si stat jam linquere terras?
Nune tandem jus omne hominum, fas omne Deorum
Rumpetur, fugiet pudor, et scelus irruet omne.
Jam video, heu nimium infelix ! horrentia Martis
Arma, quibus regna infense terràque marique
Omnia jam vastat late, infelicia Regna,
Quae longe nostris natura dissita ab oris,
Stricta simul nostris leges junxere, animique.
Vos inter certe gestii plaususque jocusque,
Ignara, exitiis quantis vos Fata reservant.
Dum Tagus has mixtas lacrymis trahit ore querelas,
Extemplo Phoebus pallentes discutit umbras,
Plus nimìo darà collustrans lampade terras ^
Gemmantemque colore comam silva explicat omuis^
Atque novos tellus profert per gramina flores^
Illimes vitreique magis de fontibus amnes
Mollia prata inter manant^ ac gestit ubique
Laetitia et plausus, tum certa salutis imago.
Et certe nec vana fides (haec omnia pandunt
Fata), pii rebus quam servavere secundis.
Nam Pater omnipotens, qui res hominumque Deùmque
Temperat imperio, propius miserescere nostras
Diguatus, tandem placidam dulcemque quietem
De cacio misit^ quae jam vitalibus auris
Devehitur praeceps, jucunde Regia membra
Irrigat , ad sensum ac motum mox excitat artus ,
Confirmatque vigor vitam illam, quae unica sospes •
A nobis potuit tantos avertere casus.
Eja igitur, Cives, immensa haec munera Caeli
Laudibus aeternis laeti exornate canendo^
Et dias cuncti grates ad sidera tollant.
366 PARTE III.
Per le Nozze di D. Giambattista Pisacane, duca di S. Giovanni,
Reggente del CoHateral Consiglio, e D. Teresa Gurgo deMuchi
di Castelmenardo.
SONETTO 0)
Questa di gemme e d'or ricca donzella,
Quant'è di grazie e di bellezze ornata,
Cui nova d'alte donne e non più usata
Pompa ora guida in vista altera e bella,
Non senza divin Nume e provid'ella
D'Eroe ben saggio e forte e giusto è nata.
La cui chiara memoria ed onorata
Paventa ancor la turba ingiusta e fella.
Or è menata Sposa in lieti auspici
Pur ad Eroe che sempre in lance eguale
Pesa le sante leggi al dubbio Foro.
Che non dunque auguriamo i di felici
De la lor prole, e, rispiegando l'ale.
Che la Vergin ritorni e '1 secol d'oro!
Nelle Nozze di Vincenzio Caraffa, duca di Bruzzano,
ed Ippolita Gantelma.
CANZONE 0)
D'ammaranti immortali omai la fronte,
Santo Imeneo, circonda
In questo lieto e fortunato giorno.
Che di nuovi fior s'orna il piano e'I monte,
E del Sebeto l'onda
Nuova chiarezza acquista, e 'l cielo adorno
Di nuova luce splende, e d'ognintorno.
Vagando in dolci errori,
Scherzan Grazie ed Amori;
E la gentil Sirena,
Sèmpre d'alme gentil feconda madre,
, D'amore ingombra e piena.
Tutta in belle d'amor voglie leggiadre
(i) Fu pubblicato nella Raccolta di Poesie data alle stampe in quest'occasione,
(i) Trovasi questa Canzone io lode del Duca di Bruzzano nella Collezione delle
Rim« dc^ Poeti Napoletani fatta da Giovanni Acampora.
POESIE 367
Si desta, e sembra il bel tempo giocondo
Dell'oro torni e rinnovelli il mondo.
In questo lieto di, regal Donzella,
Fra noi dal ciel discesa,
Sposa in tai forme a regal Sposo è scorta,
Che non portossi Citerea più bella
Già nell'alta contesa
Della beltà con le altre Dive insorta.
Vieni, santo Imeneo, deh vieni, e porta
Di lume eterno e chiaro, f
D'ardòr celeste e raro
Si l'aurea face ardente,
Che d'amor desti ogni piti nobil brama:
Odi come sovente
L'alto Sposo il tuo, nome invoca e chiama, ^^
Chiama il tuo nome, ond' egli attende aita
Di far ben lieta l'amorosa vita.
E già Espero il ciel orna e rischiara
Con sua benigna luce •}
Che '1 mondo empie di gioja e di diletto. ^
Stuol d'alte donne in nuova guisa e rara
Già la Sposa conduce
Timida e vergognosa al sacro letto.
11 buon Apollo omai vi scaldi il petto,
Donzelle altiere, umili,
Garzon vaghi e gentili:
E a vicendevol canto
(Che tai dolci vicende aman le Muse)
Vi desti il furor santo
Di che spirando ha pur le menti infuse:
E l'alma notte in dolci rime ornate
Riverite cantando, ed onorate.
Espero, e qual giammai tra lumi erranti
Di te splende nel cielo,
E più crudo e più fiero e più spietato?
Che non curando d'alta Sposa i pianti,
Di cui bagna per zelo
Il casto sen, come rugiada il prato,
Della sua cara madre al grembo amato
Come rapirla puoi,
E darla in preda poi
All'amatore acceso,
E pronto a far di lei mille vendette?
Come colui ch'offeso
I
368 PARTE IH.
In sua virtìi dì mille auree saette,
- Or fia ch'egli di lei punir s'ingegni
Mille schivi, leggiadri atti e disdegni?
Espero, o lume onde s'accende Amore,
È qual splendor superno
Di te più lieto e più benigno splende?
Poich'ogni nebbia, ogni ombra, ogni altro orrore
L'almo tuo raggio eterno
Sgombra dal mondo, e 'n lieto ardor l'accende.
• - Raggio eh' a ben oprar gli animi incende,
E ne ristora i danni
Che n'arrecano gli anni,
Neil' ardor tuo s'infiamma
Pur tutto ciò ch'uman pensier capisce,
*' E qual favilla in fiamma
Risplende ed arde, e nell' ardor gioisce:
E chi del sorger tuo sembra dolerse,
Pur voti a te secretamente offerse.
Come di chiare, fresche e limpid'onde
In chiuse parti e sole
Di sacra selva a una fontana viva
S'inchinan riverenti in su le sponde
^ E ligustri e viole
Mosse dall'aura fresca e fuggitiva 5
Giovani amanti dall'erbosa riva
Mentre si stanno al rezzo,
Vi si specchiano in mezzo,
E perde sì bei pregi.
Se la chiarezza sua vìen mai turbata:
Così gli altieri fregi.
Onde sen già la Verginella ornata,
Perde, poiché '1 candor tolto le fue,
Che facean belle le bellezze sue.
Come fra sterpi e prun vedova vite
Nata in non colto piano
Giace squallida, umile, infruttuosa, *
E sovente le braccia egre e smarrite
Innalzar tenta in vano,
Ma ratto mesta al suol le 'nchina e posa ;
Però, se all'olmo amica man la sposa.
Al cielo s'erge, e dona
Frutti a Bacco e Pomona:
Così sua vita mena
La Verginella ritrosetta e sola,
POESIE 369
Che poi lieta e serena
Su le cime d'onor s'erge e sorvola:
E dando figli al mondo in valor chiari,
Sente i premj d'Amor quanto sien cari.
Dunque già si diparte e si divide
Alma vergine Dea
Dall' altre care sue vergini ancelle.
Chi per valor, chi per beltà si vide,
Che sì tra noi splendea,
Come tu in ciel fra le minori stelle ?
Non vide il Sol più cai'e forme, belle
Di grazia e leggiadria, '
Di beltà e cortesia.
Deh come, o Sposo altiero,
Cotanto sovr'ogni altro al Ciel piacesti.
Che questa d'alto impero
Donzella in maritai nodo strìngesti!
O bel nodo alla terra e al Ciel gradilo,
Da fé verace e sommo amore ordito!
Dunque, o alma Giunone, alla sua schiera
(Gloria al tuo regno nuova)
Il ben chiaro amador pur già s'unio,
Che con gli atti gentili e mente altiera,
Col senno e valor prova
L'antico regal sangue ond'egli uscio ^
Senno e valor che vincerà l'obblio:
Mente ed atti ben degni \
D'alto stil, d'alti ingegni.
Oh quanto i ciel ti ornaro
Di grazie, alta Donzella e generosa,
Che lieti t'accoppiaro
Ad amante si degno altiera sposa!
O bella coppia che s'adorna e fregia
Di regal sangue e di virtute egregia!
Epigramma per le Nozze di D. Tommaso di Aquino,
marchese di Francolise , e D. Lucrezia del Verme.
Vermiades Virgo regnum temnebat Amoris^
Eiusdem dias temnit Aquinus opes.
Indignatus Amor graviter sua vincula nectit;
Et captis ridens talia voce refert;
Posthac, dum vobis sic junctis vita manebit,
Temnite, si liceat, Hegnaque nostra et opei.
Vico, Opuscoli. a4
370
PARTE III.
Carme per le Nozze di D.Nicola Loffredo, conte di Potenza,
e D. Ginevra Grillo de' marchesi di Cbiarafonte.
. O sacrisprocLil esto ab bis, profani,
Sì quis non amat, bis sacris abestoj
Qui tristi quoque vivis orbitate.
Sacro absistito, caereraoniisque,
Linguis, et bona verba, iam favete,
Uxoresque virique, quisquis audit
Matris dulcia nomina, atque patris.
Sacerdos Genius, sed haud is ortus
De vulgo Geniorunn adornai alma
Sacra almae Veneri, pudico Amori,
lyiacta es tu, Venus abna, cincta caesto
Qua ridente, venusta cuucta rident ;
Macie es tuque, Amor, aurea sagittà
Qua pungente, venusta cuncta flagrant:
His amplexibus esto uterque macte,
Queis non sunt hederae tenaciores :
Hoc cerlamine macte suaviorum ,
, Queis non libem ego suaviora mella.
Matronae, ilicet^ en peracta sacra:
JVIater jam nova nupta facta Grilla^
Lofi'ridus pater est novus maritus.
blpi^ramma in lode del P. Gio. Grisostomo da Bologna , Cap|)uc-
rino, pel suo corso quaresimale fatto nel Duomo di Napoli nel-
l'anno 1713.
Mens facta ad verum, cui plenum pectus honestì,
Puris in verbis et grave pondus inest:
Cui vultu et cultu constai rigidissima virtus,
Cor certe eloquitur, vel libi lingua sapit.
Per le Nozze del sig. D. Gaetau» Argento, presidente del S. C,
con la signora D. Gostanza Merella de' marchesi di Calitri.
Argenti, columen sacri Senatus,
Lumen jam Celebris fori decusque,
Si unquam quis fuit omnium peritus
POESIE 371
Nati non modo couditìque juris,
Sed Suadae penitissima medulla
Voce et Consilio potens ubique ,
Res nostras, bone, singulas tueri ,
Res nostras, bone, publicas juvarej
Virtute ut pater omnium voceris:
Natura pater et modo esse spondei!
Sancte hoc concipimus pieque votum : ^
Virtute ut pater omnium vocaris.
Natura pater estò sic tuorum.
Epigramma per le Nozze di D. Antonio Caracciolo,
marchese della Torcila, con D. Marianna Serra.
Res, virtus, formae et generis splendorque decusque
Cuncla adsunt juveni, qui tamen aeger habet.
Res, virtus, formae et generis splendorque decusque
Cuncta puellae adsunt, vivit at aegra taraen.
Junge, Hymenaee Hymen, quaeso, citus haec bona summa;
Junge, Hymenaee Hymen, quaeso, et utrumque bea.
Distico a D. Placido Antonio de** Longobardi.
Musa tibi adspirat, Vates, arguta, jocisque
Carmina perfundit bellula, candidula.
ALV ILI, ED Eòe, D. LIVIA SPINOLA
PRINCIPESSA DI SULMONA E DI ROSSANO (l)
Napoli, I agosto 17 19.
io e egli è veroy come verissima cosa è, che il consenti'
mento delle nazioni tutte y o almeno delle piii umane e piii
colte che abitano il gran giro di questa terra y è una certis-
sima testimonianza la quale più co' costumi e co'Jatti^ che
con lingua e parole fanno esse del divino volere^ e se fin
da que' tempi che gli uomini cominciarono a ben usare la
lor propria natura, e da feri, selvaticiri e rozzi, mansueti,
socievoli e civili si f crono ^ nessuna opera della vita umana
tanto con cerimonie e solennità celebrarono, quanto le noz-
ze: apertissima pruova ella è che in quelle una certa nasco-
sta Divinità hanno riconosciuto. E ben sì fatta religione da
tutti i popoli e per tutti i tempi costantemente osservata ciò
significare, i sapienti uomini nelle loro divine speculazioni
per quella ragione dimostrano ^ perchè le generazioni delle
cose tutte lavorandosi sopra il vero disegno di un pensiero
infinito, onde il sommo Facitore di un eterno amor si com-
piace, quando gli uomini, che sono la piii nobil natura di
quante mai qua giù dal seno del Divino Jmor sono uscite,
per propagare essi la loro spezie y sottomettono V amorosa pas-
sione alle leggi, che essendo una ragion comandata, son pur
dono di Dio j i popoli e le nazioni tutte, quantunque con varj
e diversi riti, però con una mente istessa di culto e di rive-
renza gV impalmamentl di quelli con le lor donne onorano
come santissima cosa. Quindi avviene, clic ove i nuovi sposi
o per isplendor di natali, o per bellezza di corpo , o per virtìi
d'animo la comune condizione oltrepassano, come di pre-
scelli nella loro spezie, e per conseguente piii meritévoli di
conservarla nella loro posterità, le nozze di quelli di mag-
gior onor degne comunemente son riputate. Laonde nel ben
lieto giorno che Teresa Borghese de' principi di Sulmona e
di Rossano, valorosissima figliuola di V.E., fu menata ben
lieta sposa a pur ben lieto sposo Adriano conte Caraffa, duca
di Traietto , per tutti i poc'anzi mentovati pregi donzella e
garzone mollo chiari della chiarissima Italia^ Ictteratissimi
uomini di questa città, i quali, ove da' severi studj vien loro
permesso j gli ameni delle sacre Muse con somma lode col-
tivano, lo tre e quattro volle felice accoppiamento hanno con
assai ben colti versi e con purgate rime in tutte e tre le lin-
{i") Dedica fhl fa Raccolta di componimenti faUa da Gio, Battista Vico per
le nozze di D, Adriano Carata duca di Traietto., e D. Teresa Borghese de^
principi di SulmenUf stampata in Napoli presso Felice Mosca l'anno «Jig, i/i-/(«
PARTE III. POESIE SyS
gue delV eloquenza onorato. Ma le lodi che sono state da
quelli leggiadramente intessute alla chiarezza ed allo splen-
don: delle famiglie y onde gli Eccellentissimi Sposi della più.
candida luce^ della quale e la Romana e la Napoletana No-
biltà risplendcy riccamente al mondo vestiti uscirono^ sono
dovute alle virtii de' maggiori ^ i quali nelle arti della pace
e della guerra cotanto si segnalarono f ed in gradi sì emi-
nenti di umani e divini onori salirono ^ che come gli alti
monti spargono lunghissime V ombre y così essi negli anni lon-
tani de' posteri propagano il lume degl'immortali lor nomi.
Le proprie poi di esso signor Duca non meno rare che chiare
lodiy come quelle in un grande acquisto di alte e riposte
scienze y una grande riverenza del sentimento comune y in
somme fortune somma moderazione di animo y pietà singola-
re y liberalità verso il merito y giustizia co' soggetti benigna ^
rigorosa con seco stesso^ quelle in vero y come da industriosa
cultura y massimamente in terren felice le squisite frutta y così
in esso lui dall' Eccellentissima Chiara Gesualduy avoluy e da-
gli amorevolissimi zii, l'Eccellentissimo Principe Francesco ,
e Giovanni e Domenico Tomacelli-Cibo^ provengono : da' quali
orbo de' parenti fin da' teneri anni è stato nelle arti di una
veramente signorile umanità con saggia e diligentissima cura
educato. Ma poiché con sommo studio di tali congiunti il
ben avventuroso marito ha tutte queste alte virtù impiegate
in ben amare e riverire la sua sceltissima Donna y ne sono
a quella le lodi in u?i certo modo dovute: e son dovute tra
per la rara bellezza ^ e molto più per gli angelici costumi che
sopra ogni umano corso l'adornano: le quali lodi spezial-
mente dehbonsi all'È. V.y che per fama di somma bellezza
e di altera onestade chiara y quanto altre mai belle e saggie
principesse d^ Italia y siete stata la bella e saggia forma sulla
quale per forza e di natura e di esempio la vostra gran Te»
resa e belle e saggia felicemente formossi. Talché le lodi di
entrambe le nobilissime case dando chiarezza alle proprie de*
valorosissimi Sposi y e le proprie di ciascheduno di essiy come
di rivo in fiume y e di fiume in marcy a V. E. tutte ritornane
do^ per dritto e ragione io che, per li molti e grandi bene-
fici ^" ^^'^^ signor Duca ricevuti y songli obbligato di singo-
lare osservanza y avendone i componimenti raccolti y con pro-
fonda riverenza alV E. V. li consacro. Ora V altezza dell'animo
vostro pari a quella del vostro grado, nella picciolezza del
dono che io le fo per mia parte, d' essermi adoperalo in rac-
corliy degni riguardare il grande ossequio con che umilmente
gliele presento^ inchinandomi ^ ec.
374
PARTE in
Per le Nozze di D. Adriano Caraffa, duca di Traietlo,
e D. Teresa Borghese de' principi di Sulmona.
Virtute altera
Per due chiar'Alme,
Riportar palme
Di gloria vera
Carche, e d'onore
Volea d'Amore.
E di sua mano
Per l'alta impresa
Formò Teresa,
Formò Adriano^
E gli armò il petto
Del suo diletto.
Poi con consiglio,
Che valor parte,
Vallo a sfidare
Al gran periglio,
In vario suolo
Da sola a solo.
E (sì le piacque)
Pria appo '1 Sebeto ,
Che va più lieto ^
D'onor che d'acque,
Provocar l'osa
Sì baldanzosa:
Tu che ti vanti
' Sopra di Marte
E d'armi sparte
E teli infranti^
E e' hai sconfitto
Con l'arco invitto^
Non abbi a vile
Far forze rade
Ne la cittade
Detta Gentile,
E in rive amene
Pur di Sirene.
Perchè ben chiaro
A la tenzone
T'offro un Garzone,
Qual l'educaro
Fin da le cune
Regìe Fortune:
E mercè mia
In suo cuor prezza
Sol gentilezza
Sol cortesia*
E sposti ha gli anni
Verdi a' tuoi danni. -
Punto da detti
Chi punge e fere,
Saette fiere
Ed archi eletti
Prende ed adopra
Per la grand' opra.
Spesso l'assale.
Pili dardi avventa.
Più volte tenta:
Ma nulla vale;
Ch'ogni sua possa
Virtude spossa.
Onde qual vinto
Così '1 rampogna :
Se 'n vano agogna
Già nel procinto
Con viril core
Il tuo valore;
Virtù t'appella
Di vergogn' ebro ,
Là dove il Tebro
Per gran Donzella
Va assai più tronfo,
Che di trionfo.
In lei natura
Grazie e bellezze,
Agi e grandezze,
Regal ventura
Doni ambe rari
Versaro al pari. —
Qui sì che '1 Nume
Di vii ripreso,
Da sdegno acceso
Oltre il costume,
Quasi tutto arse
Di vendicarse.
Ma non più vinse
Per mille assalti
I duri smalli.
Onde il cor cinse
La sdegnosetta.
La ritroselta.
Da lenti gli archi,
Da ottusi i dardi,
E da infingardi
Del fianco incarchi
A tali offese.
Amor riprese.
Ma vede al fine
Che benché elette
Scoccò saette
Di tempre fine,
Pesi ineguali
Ebber gli strali.
POESIE
Onde due tratte
D'egual momenti
Qnadrella ardenti,
Pur d'oro fatte,
Il cor gP infiamma
Di pari fiamma.
E virtù poi,
Che già la gloria
De la vittoria
Canta tra' suoi
Saggi, e la fama
Cosi richiama:
Tu, che me ingiusto
Dio de' martiri
E de' desiri
Di terren gusto
M'accusav'ieri
Tra' tuoi severi •
Vieni a vedere
De' tuoi Campioni
Or le tenzoni
In guise altere;
E da me impara
Virtù più rara:
Virtù che '1 mondo
Quanto mai orna
A lei ritorna
Lieto e giocondo.
E qui le chiare
Finir lor
375
Che virtù prende
D'Amor la face^
Da Virtù pace
Amore apprende,
O saggio Amore!
Gentil valore 1
gar
,s ■^^'
376 PARTE III.
Per la stessa occasione.
SONETTO
Risposta ad uà altro di Giacinto di Cristofar*.
Raro Giacinto, che la nostra etate
Ben ricca rendi con tue dotte carte,
Onde infin de le stelle in ciel cosparte
Son le misure tue tanto onorate;
Pur troppo scelte lodi e assai pregiate
A. l'incolto mio stil da le son sparte;
Che sol degne di lor picciola parte
L'opre mie fóran sopra '1 cielo alzate.
Dunque è ragion ch'or Adrian sia giunto
A generosa inclita Donna e degna
Di riporgli i suoi chiari Eroi già spenti;
Perchè sua prole agli anni tardi e lenti
Mostri i maggior, com'uom ch'oprando insegna
Qual di gloria toccar tropp'alto punto.
Per Fistessa occasione.
SONETTO
AIP Eccellentiisimo signor D. Marcantonio Borghese,
principe di Sulmona e di Rossano, ec.
Grande di tue grandezze è ben la Fama,
E molto è de la fama il ver maggiore;
E'I ver tu vinci, almo Latin Signore,
Che suo pregio l'Italia onora e chiama.
Se tua magnificenza a noi richiama
Il prisco de' Romani alto splendore,
Quando felicità pari al valore
Godea lieti, e poter pari a la brama,
D'Augusto a i tempi; e pure il grande Augusto
Solo il Genio di Roma usò feHce,
Che troppo avversi ebbe i privati lari.
Ma tu di prole d'ambi sessi onusto
E bella e saggia, odi or chi canta e dice
D'una tua Figlia Sposa i fregi rari.
POESIE 377
Per ristessa occasione.
SONETTO
AIPEmiDeotissimo sig. Cardinale LorenKO Casoni.
Signor, pregio sovran del secol nostro,
Nato, anzi fatto a qualunque opra egregia ,
Che col sommo valore ornate rostro,
Di cui Virtù spesso s'adorna e fregia;
Che infiamma i comun voti il merto vostro,
Su l'alta Sede onde s'onora e pregia
Italia, e a cui ogni gran scettro è prostro.
Vedervi un d\ ne la sacrata Regia:
Poiché voi de' due chiari augusti petti
Il nodo ornaste maritale, e poi
Il consacraste con solenne rito;
Quai gloriosi e memorandi effetti
Al maggior uopo e' produrrà tra noi
Da man si saggia il bel lavoro orditoi
Per ristessa occasione.
SONETTO
Risposta di Vico ad un Sonetto di Sebastiano Alipio.
Ne la superba un tempo, or bassa, umile
Selva scern'io più cetre d'oro appese;;
E n'odo risonare in dolce stile
Rade e per fiamme in gentil core accese:
Ma per gloria che sol non abbia a vile
Degli anni le lunghissime distese,
Se m^i loro spirasse aura simile,
Osar tutte potriano eterne imprese:
E d'Ippocrene in su 'l bel margo o riva
Il nodo, eh' a Giunon Giove congiugne,
Celebrar con sublime e chiaro canto:
Però i pensìer tu hai vòlti a miglior vanto
D'alto sapere, ove ben tardi uom giugne,
E te sì tosto io già ne veggio a riva,
378 PARTE HI.
/
Per ristessa occasione.
, ^ SONETTO
Di Matteo Egizio a Giambattista Vico.
Vico , che con lo sdì saggio ed adorno ^
Onde il Lazio risorge al prisco onore ^
Del gran Caraffa al chiaro ^ alto valore
Ergeste un tempio ^ de la morte a scorno j
Poiché riedon sovente a far soggiorno
Con voi Febo benigno e V alme Suore;
Del vostro canto eterna gloria Amore
Del pari attende in così lieto giorno.
Mai più degno Nipote a Eroe famoso
Non vide il Sole ^ e non mai sposa eletta
Più degna a ravvivar pubblica spene:
Ne ad altra lira celebrar conviene
La Regia Coppia e la virtìi perfetta y
Cui da lunge io contemplo e pili non oso.
Risposta di G. B. Vico.
SONETTO
Gentil Egizi, del cui nome adorno
' Da ben lungi al Sebeto è fatto onore,
Se avessi del tuo stil V alto valore ,
Opra certo farei del Tempo a scorno.
E quale il mio non è, seren soggiorno
E tranquillo aman Febo e Palme Suore:
Tra cure infeste al bel di gloria amore
Chi giammai visse oltre la vita un giorno?
Quanto sopra il mio dir PEroe famoso
S'ergeo! ne da me fu materia eletta.
Che vinceva il desio, non che la spene.
Come a me dunque celebrar conviene
Di vìrtude e splendor Coppia perfetta,
Quando tu stesso dici: Io pur non l'oso?
m''
POESIE 3^9
Per ristessa occasione. — Risposta di Vico ad una Elegia
di Nicolò Capasso , R. professor primario di Leggi.
Capassi, socìùm meorum ocellus,
Tu emunctus, gravis, inleger, severus,
Me adscribis bene laudibus faventer
Amplis undique principum virorum,
Queis sane fuerit decus supremum,
Ut tu concilies perenne iiomen;
Dives qui omnigenae eruditionis,
Felix ingenio, rotundus ore,
itdstricto es Celebris stylo et soluto.
Acri judicio benignilatem
Praevertis, studio probati amici,
Non ille ut \ideare non amicis
Emunctus, gravis, integer, severus.
Per Pislessa occasione. — Risposta di Vico a Nicolò Cirillo,
R. professor primario di Medicina.
Cyrille, o prope corculum Minervae,
Quod scripsi Patrui fera arma belli.
Vis me dicere nuptias Nepotis.
Ipse ut Carafium novum maritum
Ornem versibus arte perpolitis!
Uni qui applicitus diuque linguae
Vix gusto venerem integram Latinam. ^
Spectas me ingenio tuo beato^
Artes qui super intimas Lycei
Mellite sapis Atticum leporem.
AL SIG. D. GIULIO CESARE MAZZACANE
PRINCIPE DI OMIGNANO
1 ra le più belle e più leggiadre costumanze le quali erano
appresso le due antiche nazioni sopra tutte le altre piti gentili
ed umane j io dico appresso i Greci e Latini ^ mi sembra essere
stata quella che usatasi nelle nozze ^ con la quale la novella
sposa j purché vergine Jìisse stata ^ era posta nel letto maritale
col nuovo sposo a giacere; un coro di donzelle ed un altro di
garzonetti solevano un inno in lode del Dio delle Nozze y intes»
sendovi ancor le lodi di essi Sposi j or l'uno or l'altro vicen-
devolmente cantare j acciocché i pietosi lamenti ed i paurosi gridi
che sogliono dalle verginelle in quell'atto mandarsi j non fuS"
sevo intesi per avventura d' intorno j e siffatto inno chiamavano
essi Epitalamio^ del quale oggi non ne abbiamo migliore esem-
*pio di quello che lascionne il soavissimo de' latini poeti Catul-
lo; ad imitazione del quale ho io il presente composto nelle fe-
licissime Nozze di V. S. Illustrissima con V Illustrissima mia si-
gnora D. Giulia Rocca ^ ed ora in fede dell' allegrezza ^ la quale
di esse ho preso ^ divotamente gliele presento. E certamente io
non ho parole le quali potessero in piccola parte il piacere ade-
guare ^ di che mi ha codesto suo pregiatissimo matrimonio col-
mato j considerando quanto giustamente il Cielo abbia conceduto
a V. S. Illustrissima così nobile e valorosa Madamigella per isposa
degna del suo gran merito. Peroccìiè se riguardo la stimatissima
persona di V. S. Illustrissima j, in essa ravviso tutti quei pregi
onde qualunque chiaro signore possa avere a somma gloria fre-
giarsi; cioè antica nobiltà di sangue , e costumi di nobil sangue
degnissimi. E per quanto all' antico splendore della sua discen-
denza si attiene j chi non sa in quale onore ed in quanta ripu-
tazione sia riposto ti a le chiare famiglie di questo regno l'illu-
strissimo suo casato? quando ancora e forestieri scrittori che
presso a due secoli addietro hanno scritto j di esso menzione fa-
cendo y con un antica signoria di feudi e di vassalli ornato ono-
revolmente V avvisano. E qual più. chiara e più certa testimo-
nianza dell' antico onor suo vi ha di quella che ne fa il dominio
che V. S. Illustrissima ha di cotesta terra _, la quale ella ha ri-
cevuto per lungo e diritto ordine di avi da quel Lionetto Maz'
zacanej, il merito del quale fu in tanto pregio dal Principe di
Salerno tenuto , che lo elesse a sostenere le sue veci di portare
il gonfalone in quel grand' atto e magnifico dell'incoronazione
dell'imperatore Carlo f^ in Bologna. Ma lasciando da parte i
suoi maggiori che ed in guerra ed In pace hanno sempre mai
ficcrescinto chiarezza e splendore alla sua famiglia , chiunque
PARTE 111. POESIE 38l
riguarda ì sopraumani costumi de* quali V. S. Illustrìssima ha
ricchissimo l'animo, certamente estima che se la fortuna pareg-
fiasse il suo merito , dovrebbe ella avere di numerosi popoli li-
era signoria. Tal è la giustizia e la pietà che dimostra verso
i soggetti; tanta la gentilezza e la cortesia che usa co* pari j e
fmalmente è sijfatto il valore di che ha sé medesima ornata. Or
tutti cotesti suoi pregi fra meco considerando , non posso con-
tenere nell'animo l'allegrezza che prendo di vedere V. S. Illu-
strissima accoppiata con maritai nodo colV Illustrissima mia si-
gnora D. Giulia Rocca, la quale co' cortesi e gentili costumi _,
cogli atti leggiadri ed accorti^ e con le parole piene di senno e
di onestà chiaramente dimostra esser vero germoglio di quel no-
bilissimo ceppo , dal quale , mentre sotto gli Angioini Re verdeg-
giava e fioriva, uscirono una Sibilla, che impalmandosi al ca-
sato del Balzo de* conti di Andria , ed una Beatrice, eh' entrata
nel casato d' equino de* conti di Loreto , adomano oggi gli al-
beri di quelle chiare famiglie s come anche di questo ceppo uscì
una moglie di N. di Tarsia Generale d'armi, signore di Bei-
monte, e fgUuolo di una Sanseverino di Bisignano j e finalmente
un' Elena sposata a Giovanni di Brenna conte di Lecce, e ni-
pote di Ugo re di Gerusalemme : per tacere i molti e ben chiari
signori che di questa pianta trassero splendidamente V origine;
come egli sarebbe a dire di pili vicini a noi un Sigismondo tri-
tavo della sua pregiatissima sposa, marito di Polissena Carac-
ciolo de' marchesi di Gerace, e dei più. lontani un Giovanni,
un Guidone, un Guglielmo, tutti e tre duchi di Atene; l'ultimo
de* quali a tant' altezza di stato aggiunse , che meritò per moglie
un* Isabella principessa di Acaia, e sorella di Carlo II d'An-
gib. Siccome adunque per tutte queste ragioni ho avuto io ar-
gomento di rallegrarmi di coleste sue felicissime Nozze, cosi
V. S. Illustrissima abbia occasione di prendere a grado questa
mia fatica, assieme con la quale mi offro, ec.
382 PARTE ni.
Per le Nozze di I>. Giulio Cesare Mazzacine, principe di Omignano,
e D. Giulia Rocca de** marchesi di Vatoila.
EPITALAMIO (i)
Già l'amorosa stella,
Del cui lume sereno
Venere ognor la fronte orna e rischiara,
Lieta, ridente e bella
Ha il cielo ingombro e pieno
Della sua luce sospirata e cara :
Già in guisa altera e rara
Ricca, adorna e fastosa ,
S' appressa al sacro letto ,
Campo del ver diletto,
L'alma casta, leggiadra e bella Sposa.
Dunque in tenero stile
E in rima istrania e nova.
Di donzelle e garzon coro gentile
Convien cantando ornai vincer la prova.
Vieni , santo Imeneo ,
Imene, Imeneo, vieni Imeneo.
O stella degli amanti,
E qual lume nel cielo
Splende di te piìi crudo e più spietato,
Che non curando i pianti,
Di che innaflìa per zelo
La madre il sen, come rugiada il prato,
Dal suo grembo ben nato
Tor puoi la cara figlia,
A cui tiene si strette
Le braccia leggiadrette ,
Che in atto alta pietà finge e somiglia^
E darla in preda puoi
All'Amatore acceso,
Che per temprare i caldi desii suoi ,
E a far di lei mille vendette inteso?
Vieni, santo Imeneo,
Imene, Imeneo, vieni Imeneo.
(i)^Questo Epitalamio fu pubblicato la prima volta in un Giornale che stara-
pavasi io Napoli col titolo di Effemeridi Letterarie.
POESIE , , . 383
O bel lume di Amore, :,
E qual splendor superno
Più benigno di te sul ciel risplende,
S'ogni nebbia, ogni errore
L'almo tuo raggio eterno
Sgombra dal mondo, e in lieto ardor l'aceende?
Egli è che ne difende
Centra l'ingiurie e l'onte
Che ne fa il tempo rio,
E sovra il cieco oblio
Che fanne arditi e baldi alzar la fronte. ;^ .
Neil' ardor tuo s'infiamma
Tutto ciò che capisce
Umana mente, e qual favilla in fiamma
Risplende ed arde, e nell' ardor gioisce.
Vieni, santo Imeneo,
Imene, Imeneo, vieni Imeneo.
Come a chiara e frese' onda
In chiuse parti e sole
Di sacra selva accolta in fonte vivo,
Fanno onor sulle sponde
E ligustri e viole
Col venticello crespo e fuggitivo;
Tutto lieto e giulivo
Stuol di giovani amanti
Mentre si stanno al rezzo,
Vi si specchiano in mezzo,
E perde poi si chiari pregi e tanti,
Se viene intorbidato
L' onor di sua chiarezza :
Tal è la verginella che macchiato
Ha il verginal candor di sua bellezza.
Vieni, santo Imeneo,
Imene, Imeneo, vieni Imeneo.
Come vedova vite
Nata in non culto piano
Giace squallida, umile, infruttuosa,
Che le braccia smarrite
Talor innalza iu vano ,
E tratto mesta al suol le gilta e posaj
Ma s'ali' olmo si sposa,
S'innalza al cielo, e dona
Di se l'uva gradita,
E dolce e colorila^
384 PAKTE m.
Onde le fanno onor Bacco e Pomona:
Cosi sua vita mena
La Verginella sola;
Ma fatta Donna poi chiara e serena,
Sovr' ogni eccelso onor s' erge e sorvola.
Vieni, santo Imeneo,
Imene, Imeneo , vieni Imeneo.
Dunque già si divide
Alma vergine Dea
Dall'altre dolci tue vergini ancelle.
Chi per valor si vide.
Che sì tra noi splendea,
Come tu in ciel fra le minori stelle? ,
Più care forme e belle
Giammai non mirò il Sole
Di beltà, cortesia,
Di grazia e leggiadria
Al portamento, agli atti, alle parole.
Deh come, o Sposo altero,
Al Ciel piacesti tanto,
Che una Sposa degnissima d'Impero
E per gli avi e per sé godessi accanto!
Vieni , santo Imeneo ,
Imene, Imeneo, vieni Imeneo.
Dunque pur già sen viene
Tutto lieto e ridente
Sotto il tuo giogo d'or, santa Giunone,
Con l'alte voglie piene
Di pura fiamma ardente
Il generoso e nobile Garzone ;
Che scovre al paragone
Le virtù de' maggiori ,
Che in cento e cento lustri
Vissero sempre illustri
In riva al chiaro Alete almi Signori.
. Deh qual sfera beata
Piove sì largo nembo
Di grazie in seno a te. Sposa ben nata,
Onde accogliesti un tanto sposo in grembo?
Vieni, santo Imeneo,
Imene, Imeneo, vieni Imeneo.
Chiudete ornai, chiudete
I rivi di Elicona,
O del canoro Dio sante sorelle;
POESIE 385
Che del cantar la sete
Tratto tratto abbandona
Questi cari garzon, care donzelle.
E voi, benigne stelle,
Mandate pur, mandate
Dal cielo più sereno ^
All'alma Sposa in seno
Alme di tal virtù ricche ed ornate,
Che lo Sposo gentile
Con esempio ben raro
Vada per lunga età da Battro a Tile
Del bel nome di Padre altero e chiaro.
Vieni, santo Imeneo,
Imene, Imeneo, vieni Imeneo.
Per le Nozze di D. Gio. Battista Filomatino, principe della Rocca,
e D. Maria Vittoria Caracciolo de' marchesi di S. Eramo.
GIUNONE IN DANZA (i)
Io de le nozze riverito Nume,
Che le genti chiamaro alma Giunone,
(l) Questo lungo Componimento fu impresso nella Raccolta che per tali Nozze
il Vico ebbe cura di pubblicare nel 1721 in Napoli, presso Felic» Mosca,
iu-4. Vi si legge la seguente Dedica:
ALLA VIRTVOSA DONNA
ANNA COPONS (a)
ECCELLENTISSIMA MARCHESA DI SANTERAMO
LA QVALE
AGLMNCLITI FREGE
DELL' ANTICHISSIMO
DA VN DE"» NOVI BARONI
i QVALI QVANDO PORTO^ CONTRO MORI LA GUERRA
IN ISPAGNA CAllLO MAGNO SEGUIRONO
INDI IN CATALOGNA
FELICEMENTE PIANTATO
E DI UOMINI t
PER LE ARTI DELLA PACE E DELLA GVERRA
CHIARISSIMI
SEMPRE FECONDO
E PER DVE TRA GLI ALTRI
DELL'ORDINE GEROSOLIMITANO
GLORIOSI GRAN MAESTRI (b)
(a) Questa famiglia fu detta de Compt net Delfìnato : Pietro Boissat ap-
presso il B ossia nel l"* Istoria della Iielii;ione di Malta.
(\ì) yfrnaldo e Bvrtrando : /' isd'sso liossio in detta Istoria lib. 7 , P'tg- *5i.
Ut. Di e lib. Ih, pag. ò3o, lei. li.
Vico, Opuscoli. a5
386 PARTE HI.
Che, perchè sotto il mio soave giogo
Or due ben generose alme congiunga,
Gentili cavalieri e chiare donne,
Co' prieghi umili di potenti carmi
Invocata qua giù tra voi discendo:
E perchè sotto il mio soave giogo
Due alme al mondo sole or io congiunga,
Menovi meco in compagnia gli Dei,
Che innalzò sovra il ciel Tetade oscura,
Con Giove mio consorte e lor sovrano,
Come ben si convenne al secol d'oro
Con semplici pastori e rozze ninfe
In terra conversare i sommi Dei:
E 'n questo culto di ci vii costume,
Ed in tanto splendor d'alma cittade
Almeno per ischerzo, almen per gioco
Vedersi in terra i Dei or non conviene?
Questa augusta magione
E d'oro e d'ostro riccamente ornata,
Ove 'n copia le gemme, in copia i lumi
Vibran si vivi rai,
ILLVSTRE CEPPO
DONDE ELLA È MERITEVOLISSIMAMENTE VSCITA
LE ALTE E RARE
DEL BELLO E DELICATO CORPO
E MOLTO PIV' DEL SAGGIO INTENDIMENTO
E DELL'ANIMO GRAVEMENTE GENTILE
LODEVOLISSJME DOTI
ACCOPPIANDO
E PER SE STESSA
DI OGNI RIVERENZA E Di OGNI ONORE
DEGNISSIMA
PERCHÈ
MOLTO PIVI CHE SE LE FVSSE D1L1GENTISSIMA MADRE
EFFICACEMENTE HA GODVTO
CHE
L'ECCELLENTISSIMA SIGNORA MARIA VITTORIA CARACCIOLA
DE^ MARtJHESl DI SANTERAMO
ALL'ECCELLENTISSIMO SIG. GIAMBATTISTA FlLOMARINO
PRINCIPE DELLA ROCCA
CON FELICISSIME NOZZE IMPALMASSESI
Q VESTA CORONA
DI PELLEGRINI INGEGNI
DOTTI ED ORNATI COMPONIMENTI
IN LODE DI SI BEL NODO TESSVTl
GIAMBATTISTA VICO
CON LA RIVERENTE MANO
CON LA QVALE GLI RACCOLSE
DIVOTAMENTE
CONSACRA
POESIE
Qiial le più alte e le più chiare stelle,
Di cui s'ingemman le celesti loggie;
S'albergare qua giù vogliono i Dei,
Ov' alberghili i Dei non sembra degna?
E quell'argentee ed ampie mense, dove
L'arte enr:ulando il nostro alto potere,
L'Indiche canne e i favi d'Ibla e I metto
Presse di eletti cibi
In mille varie delicate forme,
Le quai soavemente
Si dileguan su i morsi,
Si dileguan tra i sorsi,
Non somiglian le nostre eterne, dove
Bevesi ambrosia, e nettare si mangia,
Che quali non vogliam, danno i sapori?
Tutto a questo sirail, dolce concento
Di voci, canne e lire
Risuonan di Parnaso
Le pendici e le valli.
Quando cantan le Muse, e loro in mezzo
Tu tratti l'aurea cetra, o biondo Apollo.
Ma questi Regj Sposi
De' rari don del Cielo ,
Quanti altri mai, ben largamente ornati.
Di tai mortali onori
Di gran lunga maggiori
Degni pur son d'un nostro dono eterno,
Onde adoriamo in essi
I nostri stessi eterni don del Cielo.
I terreni Regnanti,
Che stanno d'ogni umana altezza in cima,
Stiman sovente di salir più in suso
Scendendo ad onorare i lor soggetti^
E i terreni Regnanti
Son per essi soggetti a' sonmii Numi;
E perchè sol soggetti a' sommi Numi,
Han stabiliti i sommi regni in terra;
Perchè lo stesso a noi lecer non debbe?
Che. perchè onnipotenti
Credettero le genti
Poter pur ciò che 'n sua ragion vietato,
E fur da noi sofferte;
Che credessero in tutto a noi permessa,
Purché credesser noi potere il tutto,
38^
388 PARTE III.
E si le sciolte fiere genti prime
Apprendesser temendo
Dal divino potere
Ogni umano dovere.
Del Garzon dunque valoroso e saggio,
Che coli' alte virtudi
Veracemente serba il nome antico,
Che d'Immortalità risuona Amante^
E de l'alta Donzella,
Di cui sovra uman corso
Vien dal bel corpo la virtù piCi bella,
Ond' è a la terra e al ciel cotanto cara,
ì Che fatto ha sua natura il nobil nome,
Ornai l'inclite nozze
Festeggiamo danzando, o sommi Dei;
E chi a menar la danza ha ben ragione ,
L'auspice de le nozze ella è Giunone.
Esci dunque in danza, o Giove,
Ma non già da Giove Massimo,
Di chi appena noi Celesti
Sostener possiam col guardo
11 tuo gran sembiante augusto^
Esci sì da Giove Ottimo,
Con quel tuo volto ridente,
Onde il cielo rassereni,
E rallegri l'ampia lierra;
JE dovunque sì rimiri
Fondi regni, innalzi imperi;
Tal che '1 tuo guardo benigno
Egli è l'essere del mondo.
Deponi il fulmine
Grave e terribile
Anche a' più forti, *
Non che lo possano
Veder da presso
Queste che miri,
Queste che ammiri
Tenere donne,
Tanto gentili
E delicate.
Ti siegua l'aquila
Pur fida interprete
De la tua lingua;
Con cui propizio
POESIE 389
Favelli agli uomini,
E loro avvisi
Palme e grandezze.
Anzi voglio, e non m'è grave,
(Che gelosa io qua non venni)
Che tu prenda quel sembiante
D' acceso amante ,
Non di sterili sorelle.
Ma di quelle
Chiare Donne
Che di te diero gli Eroi:
E 'n sì amabile sembianza
Esci pur meco, o Sovran Giove, in danza.
Il mio Sposo e Germano
Non già in terra qui da voi,
Caste Donne, i chiari Eroi
Unqiia adultero furò:
Suo voler sommo e sovrano.
Che spiegò con gli alti auspici,
Tra gli affetti miei pudici
Ei dal ciel gli Eroi formò.
Porgi or l'nna or l'altra mano
A chi fìnse la gelosa;
E d'Eroi tal generosa
Coppia ben fia, quanto da noi si può,
E tu vaga, gentil, vezzosa Dea,
Alma bellezza de' civili ufHci ,
Che son le Grazie che ti stan da presso;
E poscia i dotti 'ngegni t'appellaro
De le sensibil forme alma Natura 5
E una mente divina al fin s'intese
De l'intera bellezza eterna Idea;
Per Stige, non istar punto crucciosa,
Perchè tu qui non empi il casto ufficio ,
Qual ti descrisse pure a nozze grandi
Un' impudica più che dotta penna :
Che '1 mio (qual dee tra noi pur regni il vero)
E sopra '1 tuo vie più solenne e giusto :
Poiché tu sembri (e sia lecito dirlo)
Ch'a letti maritai solo presiedi '
Le licenze amorose a far oneste;
Se de le proli poi nulla ti curi ,
Ma ben le proli io poi Lucina accoglio,
Quest'or mio dritto fìa.
3qo parte ih.
Qual fu tuo dritto, ne la gran contesa
Dal regale Pastor, come più bella,
Di riportarne il pomo: or più non dico*
Che quando del mio uficio si ragiona,
Allor parlar non lice
D'altro, che di concordia, amore e pace:
Tal che mi cadde già da l'alta mente
Il riposto giudizio^
Anzi unirò co' tuoi
Tutti gli sforzi miei
Pel tuo sangue Trojano,
E l'Imperio Romano
Per confin l'Oceano abbia e le stelle.
Ti cingano
Or le Grazie;
Ti scherzino.
Ti volino
D'intorno mille Amori;
E a le tue dive bellezze
Dà le forme più leggiadre
Di sorrisi, guardi, moti,
Atti, cenni e portamenti,
Qualor suoli, quando Giove
Vuoisi prendere piacere
Di mirar la sua bellezza.
In tai guise elette e rare
Esci, Venere, ornai meco a danzare.
Da questa Dea
Prendete idea,
O Sposi chiari,
O Sposi cari:
Che de la vostra
In questa chiostra
Più bella prole
Non veda il Sole.
£ a te di padre,
A te di madre
Figli vezzosi
Rendano i nomi più che mei gustosi.
E tu gran Dio del lume,
Che nel cielo distingui al mondo l'ore,
E qua giù in terra sopra il sacro monte
Presso il castalio fonte.
Valor spirando al tuo virgineo coro ,
POESIE
Fa i nomi de' mortai chiari ed eterni :
Memore io vivo pure,
Che in buona parte a te debbo io le nozze,
Si che in gran parte a te debbo il mio regno j
Che in quella senza leggi e senza lingue
Prima infanzia del mondo
La tema, l'ira, il rio dolor, la gioja
Con la lor violenza
Insegnarono all'uom le prime note
Di tema, d'ira, di dolor, di gioja,
Qual pur or suole appunto
Da tali affetti tocco gravemente
Il vulgo, qual fanciul, segnar cantando:
Inde le prime cose.
Che destassero più lor tarde menti,
0 le più necessarie agli usi umani,
Quai barbari fanciulli ,
Notaro con parole
Di quante mai poi fur più corte ed aspre:
Ed in quella primiera e scarsa e rada,
E, perchè scarsa, rada lor favella
Eran le lingue dure,
Non mobili e pieghevoli, com'era
In questa tanta copia di parlari ,
A.' quali 'n mezzo or crescono i fanciulli*
A proferir da empito portati,
E a proferir da l'empito impediti,
Qual fanno i blesi, prorompean nel canto.
E perch'eran le voci
Corte, quai fur le note poi del canto,
Mandavan fuori per natura versi.
Ne avendo l'uso ancor di ragion pura,
1 veementi affetti
Soli potean destar le menti pigre;
Onde credean che 'n lor pensasse il core.
Ed in quella che puoi
Dir fanciullezza de l'umanitade
Soli i sensi regnando, e, perchè soli,
Ad imprimer robusti •
Ne l'umano pensiero
Le immagini qual mai più vive e grandi;
E da la povertà de le parole
Nata necessità farne trasporti ,
Nata necessità farne raggiri;
391
392 PARTE in.
O mancando i raggiri e li trasporti,
Da evidenti cagioni o effetti insigni,
O da le loro più cospicue parti,
O d'altre cose più ovvie ed usate
Co' paragoni o simiglianze illustri,
O co' vividi aggiunti o molto noti
S'ingegnaro a mostrar le cose istesse
Con note proprie de le lor nature^
Che i caratteri fur de' primi eroi,
Ch'erau veri poeti per natura.
Che lor formò poetica la mente,
E sì formò poetica la lingua:
Ond'essi ritrovar certe favelle,
Che voglion dire favole minute
Dettate in canto con misure incerte:
Ed i veri parlari o lingue vere
Gli uomin dianzi divisi unirò in genti,
E le genti divise unirò a Giove,
Ond'è il mio sommo Giove eguale a tutti:
E tal fu detto favellare eterno
Degli uomini , de' Dei , de la Natura •
Onde nefandi son, né mai pon dirsi
Le madri mogli, ed i figliuoi mariti:
E SI la forza de' bisogni umani ,
E la necessità scovrigli altrui,
E la gran povertà de le parole,
E la virtù del ver comune a tutti.
Che mostrò l'utiltade a tutti uguale,
Destaro unite il tuo divin furore.
Di che pieni que' primi eroi poeti.
De' quai fero tra lor le Greche genti
Famosi personaggi, o comum nomi
Celebri Orfeo e Lino ed Anfione,
Che coi lor primi carmi o prime leggi
Primi sbandirò da le genti umane
Ogni venere incerta e incestuosa:
E venne in sommo credito il mio Nume;
Ond'io presiedo a le solenni nozze,
Le quai fero solenni i divi auspici
Presi del ciel ne la più bassa parte;
Perchè Giove più su balena a l'etra,
Fin dove osa volar l'aquila ardita.
E perchè son le certe nozze, e giuste
Le prime basi degl'imperi e regni,
POESIE 393
Giove egli è il re degli uomini e de' Dei,
A cui '1 fulmine V aquila ministra ,
L'aquila assisa a' regj scettri in terra,
E del Romano Impero
Alto Nume guerriero;
Ed io di Giove alta sorella e moglie
Sì fastosa passeggio in ciel regina^
E coi comandi d'aspre e dure imprese,
Quante Alcide seH sa, pruovo gli eroi.
Questi tutti son tuoi gran benefici
De' quali eterne grazie io ti professo.
Però, canoro Dio,
Per la tua Dafne, volentier sopporta
Che la gran Coppia de' ben lieti Sposi
Non t' invidii Parnaso e '1 sacro Coro :
Che quest'alma cittade
Fino da' primi tempi degli eroi
Patria de le Sirene,
Perpetuo albergo d'assai nobil ozio
Nutrì sempre nel sen Muse immortali;
E pruove te ne fan troppo onorate
I Torquati, gli Stazj ed i Maroni.
Ma tu taci modesto or le tue pompe ^
Ma io grata, anzi giusta, or te l'addito:
Con l'ombre sue la notte.
La qual col nostro qui disceso lume,
Onde tu vai vie piii degli altri adorno,
Vince qual mai più luminoso giorno.
Colà stretti uniti insieme
Vedo il rigido Capasso (i)
Col mellifluo Cirillo (2):
De le genti egli maggiori
Quegli è il mio dotto Lucina,
Con cui va fido compagno
II sempre vivo^
Sempre spiegato
Galizia nostro (3) : ,
V'ha l'analitico
Chiaro Giacinto (4);
E a chi il cognome
(1) iSono questi tutti i cognomi degli autori de^ Componimenti esistenti nella
Raccolta: INirola Capasso. (a) Nicola Cirillo. (D) Nicola Guliiia.
(4) Giacinto di Cristofaro.
394
PAUTE III.
Provido il Cielo
Diede d'Ippolito;
Il cui costume
Al casto stile
Avea di questi
Serbato il Cielo:
Quegli se rompe
Cert' aspri Fati,
Sarà'l Marcello (i)
D'altra Roma.
V'è pur colui
A cui nascendo
Col caso volle
Scherzare il Fato,
E di Poeta (2)
Diegli il cognome:
Quegli è l'Egizio (3)
Ch'a lento pie
E con pia mano
Cogliendo va
Dotte reliquie
D' antichità ;
E a quello unito
D' un che s' asconde
Agli altri tutti ,
Il qual tu Febo
Spesso e ben vedi.
Esce un bel nome
Che chiaro a tutti
Suona, Manfredi (4).
Stavvi il Rossi meditante (5)
Alta Impresa presso Dante:
Una dolce e gloriosa
Là verdeggia nobil palma (6) ;
Ivi '1 Boncore (7)
Coltiva l'erbe,
(1) H «'g' D. Marcello Filomarino , delle amene e SRvere discipline ornati**
timo, nipote di Ascanio Cardinale, Arcivescovo di Napoli (^JVota delPyiutore),
(2) Gioachimo Poeta R. professore di Medicina. (3) Matteo Egizio. (4) Fran-
cesco Manfredi. (5) Il sig. D. Casimiro Rossi , che sta componendo in terza
rima e con lo spirito di Dante un poema eroico intitolato le Persecuzioni de'
Cristiani (iVoto delP Autore^. (6) Giuseppe di Palma. (j") Francesco
Boncore.
POKSIK 3q!)
Di cui gli apristi
Tu le virtudi;
E là '1 Perotti (i)
Con nobil cura,
E sta rimando
L'egra Natura.
A le cose alte e divine
Indi s'erge e spiega il volo
Il gentil dolce Spagnuolo (2).
Quei che 'n se tutto raccolto
Entro sua virtude involto ,
È '1 buon Sersale (3),
Sempre a se eguale;
E quell'altro egli è il Salerno (4),
In cui parlano i pensieri.
Quegli è '1 Luna, dal cui frale (5)
Or la niente batte l'ale
Su del ciel per 1' alte chiostre
A spiar le stelle nostre.
Quello, al cui destro
Omero aurata
Pende una lira,
Sembra un Romano ,
Nobilione (6) :
E v'ha quel che la Fortuna,
Non già il merto, il fa Tristano (7).
Ve"l Valletta l'onore (8)
Del suo nobil Museo;
Anche '1 Cesare ornato (g)
Del bel fiore di Torquato :
Il leggiadro Cestari (io),
11 Gennaro festivo (11),
Il Viscini venusto (12),
Pur l'adorno Corcioni (i3),
11 Forlosia dolciato (i4)
Di mei che timo odora:
(l) Gennaro Perotti. (2) Agnello Spagnuolo. (3) Niccolò Sersale.
(^) Niccolò Salerno. (5) Andrea de Luna d^ Aragona. (6) Andrea Nò-
bilione. (7) Vincenio Tristano. (8) Francesco Valletta. (9) Giuseppa
di Cetare. (10) Silverio Giuseppe Cestari. (ti*) Giuseppe Aurelio di Gen-
naro, (la) Vinceoio Viscini. (i3) Andrea Corcioni. (14) Basilio Forloiia.
396
PARTE III.
Il Maltei che valore (i)
Sta del nome maggiore ;
E con atti modesti
L'amabil Vanalesti (2);
E '1 de' tuoi sacri studi
Vago Salernitano (3) ;
E '1 di te acceso Puoti (4);
Altro Rossi splendente (5)
Quanto l'ostro di Tiro.
Ma que' che lieta accoglie
La Sirena sul lito,
L'un cui par che '1 petto aneli ,
Ed a un tempo stesso geli
Tutto, e bagni di sudore
Sol la fronte, è '1 Metastasio (6),
Pien del tuo divin furore ,
A cui serve or senno ed arte:
L'altro è '1 Marmi teneruzzo (7).
Venuti anche tra questi
Son da l'Attica Tosca
In bel drappel ristretti,
Bei tuoi pregi e diletti,
Cento gentili spirti,
Cinti di lauri e mirti.
E con questi il gran Salvini (8),
Il qual presso al nobil Arno
ÌE un'intera e pura e dotta
Gran Colonia d'Atene,
Che comanda a cento lingue,
Ed un gran piacer dimostra
D'ascoltar l'origin nostra.
D'onorar tanti pregiati ingegni
Ch'a nozze tanto illustri or fanno onore,
Mastro divin de l'armonia civile,
Che tu accordasti con le prime leggi;
E perchè son le leggi
Mente d'affetti scevra
La qual qui scende agU uomini dal cielo,
Le leggi poi, stimate don del cielo,
Mastro ti fér de l'armonia celeste^
(1") Giulio Matlei. (a) Marcello Vanalesti. (3) Francesco Salernitano.
(4) Gio. Maria Puoti. (5) Casimiro Rossi. (6) Pietro Metastasio. (7) Casto
Emilio Marmi. (8) Anton Maria Salvici.
POESIE 3gn
Agiati al seno ornai cotesta cetra, > i w
C'hai fìnor tocco assiso agiata in grembo;
E col più vago e più leggiadro vezzo
Esci a danzare, o dotto Apollo, in mezzo.
Tempra, Febo, l'aurea lira
A bei numeri del pie;
Qual s' arretra , o inoltra o gira ,
O pur salto in aria die.
Di tua cetra il dolce suono
L'aspre fere raddolcì:
E di tua bell'arte è dono,
Perchè l'uom s'ingentilì.
Sì la venere ferina
Da le terre Orfeo fugò:
E la cetra sua divina
Poscia ornata di stelle in ciel volò.
Non ti mostrar sì schiva
E ritrosa Diana;
E sì ben la tua vita,
Vita degna di Nume,
Menar Petade eternamente casta
D'ogni viril contatto;
Talché le sante membra
Ne men tocchi col guardo uomo giammai;
Come pur d'Atteon che n'ebbe ardire,
Tu già facesti aspra vendetta al fonte:
Ma se pur mai seguisse ogni donzella
I tuoi pudici studi,
Non aresti or, o Dea, chi t'offrirebbe
E vittime ed incensi in su gli altari.
Però Giove, che '1 regno
Sopra '1 gener umano a noi conserva,
Onde '1 regno ben ha sopra di noi ,
Egli siegue un piacer dal tuo tutl' altro ;
Piacer che gli produce
Ne l'ordine de' Dei il nome augusto.
Che '1 dal giovar creando è detto Giove ;
Che dal profondo nero sen del Cao
Trae fuor le cose in questa bella luce
Sotto le varie lor forme infinite,
De le quali fornisce e adorna il mondo :
E da tale suo studio
Padri voi Dei, madri noi Dee sìani du»tte.
E quindi avvien che come Giove abborre
3gS PARTE III.
La rea confusYon de' semi tutti ,
Che poi dissero Cao color che sanno ;
Cosi odia e detesta
La rea confusion de' semi umani ,
Che prima disser Cao le rozze genti.
Intendi , intendi pure
L' alte leggi del Fato :
Tu t'innalzasti in cielo,
Perchè Giove con teco e gli altri Numi
Serbasse in terra le virtù civili,
Che pón sole serbar la spezie umana :
Ei comanda le nozze,
Che madri son de le virtù civili ;
Ond'io moglie di Giove
Le fo certe e solenni*,
Venere, dolci, e tu le fai pudiche;
E 'n carmi ne dettò le leggi Apollo:
Onde Imeneo sul Pindo a lui sacrato
Nacque d'Urania, che contempla il cielo j
E l'educaro le sue sacre Muse,
Che cotesta , che tu pregi cotanto,
Eterna castità vantano anch'elle.
Deh mira dunque,
Deh mira intorno
Con ciglio grato
Tante matrone,
Fide custodi
De l'alto sangue
Di tante illustri
Chiare famiglie ,
Tra quai torreggia
La bella Madre (i)
Del vago Sposo.
Ne creder tutte
Le tue seguaci
Ch' abbiano in core
Quel e' hanno in viso:
Vener te '1 dica
Quai caldi voti
Pur d'esse alcune
L'ofFron secreti: -
0 L*) cccell«Dlissiina sigaora D. Carmela di Satigio d«' duchi di Cacacaleada.
POESIE 399
Però non isdegnare
Ch'eschi meco a danzare.
In quest'aria vergognosa
^>ì ti voglio, o casta Divaj
E mi piaci cosi schiva,
Che mi sembri tu la sposa.
Come ben la castitade
Fa più bella la bellezza 1
Prende più che gentilezza
Un- amabile onestade.
Così 'nsegna il tuo diletto
Ad amare e riverire^
E COSI convien covrire.
Bella Sposa, l'ardor che nulri in petto.
Ma tu non tutto spieghi,
Marte, qui la tua fronte,
La qual sembra turbar cruccio importuno:
Forse perchè non tosto dopo Giove
10 t'inchinai, ch'uscissi a danzar meco?
In qwesta diva festa
Celebrata in Italia, ognor feconda
Madre di saggi, prodi, invitti duci,
Ne la città, che sovra l'altre in grido
11 pubblico innalzò Genio guerriero^
Per queste liete nozze
E d'una nobil Sposa
Il cui gran Genitore (i)
Per raro valor d'armi è assai ben chiaro;
E d'un Sposo gentile,
Il cui gran Zio (2), che puoi tu dir gran Padre,
Nel mestiere de l'armile assai ben noto.
Io tutto ciò confesso e riconosco
Essere tutto ciò ben tua ragione,
E diro molto più, siamo in tua casa.
Non pertanto io peccai contro la legge
Che de la danza già prescrisse l'uso;
Ma sommisi la danza ad una legge
La quale m'ha dettato alta ragione.
Pria t'accese al valor alta pietade,
(i) L^eceollcntissiino sig. D. Marino Caracciolo marchese di S. Eramo , g«-
n»i;ile di battaglia (Nota deW autore).
(2) L^eccellenlissiniQ sig. D. Giacomo Fiiomarino duca di PierdifumO| n«l)«
|»ovenlù «apitauo de' cavalli ( Nota dell'autore ).
^00 PARTE III.
E somma diligenza inverso Giove *
Ond' egli avviene che d' eterne glorie
Segnan gli annali e adornano l'istorie
Le guerre che tu imprendi e pure e pie,
Che cominciasti a far fin da que' tempi
Che difendevi l'are o i primi asili
Con l'asta pura, o scevra ancor di ferro;
E l'asta pura poi serbò '1 Romano
Per premio insigne al miUtar valore:
Ond'è Minerva astata
La mente che delibera le guerre,
Pallade astata che n'insegna l'arti.
Bellona astata al fin, che l'amministra;
E l'aste sole furo arme d'eroi;
E perciò abbiam da l'asta
Tu di Quirino, io di Quirina il nome,
Che sopra degli eroi le nozze intesi,
E portava a la luce i figli loro.
Quando ancor non avean le vili plebi
Le mie nozze tra lor solenni e giuste.
E ricordar ti dei che molto innanzi
Che spirassi furore, ira e spavento
Agli schierati eserciti in battaglie,
Questa Venere i tuoi spirti feroci
Con la scuola d'Amor rese gentili ,
E la fierezza ti cangiò in bravura :
Poi t' ispirò Dfana i suoi diletti
D'assalir orso o di ferir cinghiale,
Studj ben degni de' primieri eroi ,
Che gli Alcidi portar sopra le stelle.
Indi Apollo cantò le sante leggi,
Ond'i tuoi araldi ad alta orrenda voce
Chiamando in testimon il sommo Giove,
Che non son essi i primi a far l'offese;
E se lor non s'emendano l'offese,
Intiman le solenni aspre crudeli
E da le madri detestate guerre.
Par e' hai posto in oblio
L'antica e vera origine ch'avesti:
Non sei tu, puoi negarlo,
La fortezza di Giove?
Ch'esercitasti pria contro te stesso.
Con vincere, e di por ne le catene
De la Ragione invitta
POESIE 4^1
La libidine vaga; e d'una donna
Solo contento e pago, indi apprendesti
Domar sotto il paterno imperio i figli,
Ed a lor prò domare i feri mostri ,
Domare i tori a sopportare il giogo,
Domar la terra a sopportar l'aratro^
Poscia le plebi erranti, inerti ed empie,
A cui apristi gli asili
Ove si rifuggian da l'onte e i torti
Che lor faceano i violenti ingiusti.
Domasti a sopportar legge e fatica,
E col tuo esemplo a riverire i Dei;
E per la patria al fine.
Che a popoli conserva
E moglie e figli e casa e campi e Dei,
Con la guerra domar genti e cittadi?
Dunque tempra l'aria fiera
Col mirare riverente
Il tuo re benigno Giove,
Col mirare innamorato
La tua Venere benigna,
E mesci insieme
L'ira d'Achille;
Ma che le leggi
Non isconosca
De la natura,
Ne arroghi a l'arme
Ogni ragione.
Mesci d'Enea
L'alta pietade;
Ma le regine
Non abbandoni,
E se ne porti
Col loro onor^
Anche la vita.
Mesci l'amore
Del grand' Orlando;
Ma più temprato
Da la ragione.
Con tai leggi eh' io ti reco ,
Esci, Marte, a danzar meco.
A questa immago altera
D'alta virth guerrera
Nascano i figli a voi, ben lieti Spost:
VicO| Opuscoli, 2(>
4o2 PARTE III.
Talché gP incliti e gravi
Bei trionfi degli avi
Sieno a petto de i lor meno famosi 5
E ne le loro glorie
S'ergano sì l'istorie,
Che poema giammai tanto non osi.
Son tuoi proprj doveri
Festeggiar queste Nozze,
Merciirio mio, gran messaggier di pace;
Che gentilesca lode è ben di questi
Filomarini Padri
Esser grati egualmente
Al popolo e a sovrani,
E di placare i re coi lor soggetti,
Qual agli uomini tu concili i Numi;
Come di te poscia cantar coloro
Che vollero di noi
Far più alte l'origini e più auguste.
Che tu qui primo in terra
' A le plebi per tedio sollevate
j Di sempre coltivare i campi a' Padri ,
Per solo sostentar l'egra lor vita,
Che per salvar, pria rifuggirò a Pare;
Portasti l'alme leggi
Che Cerere leggifera ti diede;
Ch'avessero le plebi
^ Il commerzio de' campi.
Che pria occupar© e reser colti i Padri';
E questa fosse loro
La mercè giusta d' obbedire a' Padri ,
Donde tu avesti di Mercurio il nome.
Indi nate le guerre,
Fosti poi santo apportator di pace.
Dunque in questa alleanza
Esci ora meco in danza.
Questa pace
' Con la face
Tratta Amor:
£ gli amanti
Anelanti
D'almo ardor
La tua verga
Non asperga
Del tuo, ch'uopo or non fa, dolce sopor
POESIE 4o3
La sapieuza di Giove ?f;
D'invitar non ardisco^
Che troppo Gnor pure ne fa Minerva
Con lo stare a guardar la danza nostra.
Dunque bastar ci dee che qui v'assista,
0 fortunati Sposi,
Ed a pure, sublimi e chiare idee
D'eterne verità v'alzi la mente,
A cui saggi formiate i vostri figli,
Talché 'n senno niuno altro somigli.
Però, benché di te sol paga, sdegni,
Non che parlar giammai di tue bell'opre,
Per udirle giammai lodar da altrui,
Soffri, Minerva, pur che'n tua presenza ,
Tanto io ne dica sol quant'egli 'mporla
Ch'io ne adorni il mio uficio onesto e santo.
Da te provenne a l'uomo
Il talento divin di contemplare:
E poiché l'ampia terra
Tutta seccò l'umore onde gran tempo
Dal gran diluvio ella restò bagnala,
Talché poteo Vulcano
Fulmin mandar sopra l'Olimpo a Giove,
1 fulmin ch'atterrar gli empj Giganti ;j
L'uom da quel primo tempo
Ne l'ozio, solitudine e, per somma
Povertà di parlari,
Necessario silenzio
Dal fulmine destato
A. contemplar pur finalmente il cielo ,
Da' moti insigni degli eterni lumi
Animato il credette, e '1 fece Dio;
E la sua volontà chiamò '1 mio Giove,
Che scrivesse nel cielo
Col fulmine le sue temute leggi,
O vero pubblicassele col tuono:
Che scrivesse nel cielo
De l'aquila coi voli
GH adorati comandi,
O li dettasse d'altri augei col canto.
Onde ne l'aurea ctade
Fu detto che leggessero le genti
L'alte leggi de' Fati in petto a Giove.
E quindi poscia vennero a' poeti
4o4 PARTE IH.
Quei !or nomi di vati e di divini,
Che furo sacri interpreti de' Dei;
Quando una cosa istessa
Era sapienza sacerdozio e regno.
E questi in quel sommo stupor del mondo
Quei pochi fur ch'amò Giove benigno;
Ch'o ver mossi da tema o da vergogna
De la vener ferina in faccia al cielo,
Pentiti del comun brut al errore,
Presa ciascun per se sola una donna,
E credendo i volati degli augelli
Fosser cenni di Giove,
Proseguendo dell'aquile gli auspici,
In certi sacri orrori
Si fermaro de' monti ,
Dove loro mostrò Diana i fonti;
E quivi con le lor donne pudiche
Fondaro le famiglie, e poi le genti
Fabbricaro le piccole cittadi,
E con l'aratro disegnar le mura;
-'■' Il concubito vago proibirò,
Dier le leggi a' mariti ,
E 'ntagliaro nel rovere . le leggi :
E questa fu prima sapienza in terra,
Otid'è venuto in questo culto il mondo.
Tanta parte. Minerva, hai ne le nozze.
Se non le nozze a te si debbon tutte.
Vulcano qui non danza.
Che ne men danza in cielo;
Ma 'n cambio de l'onor qui da degnarvi,
Doni di lui più proprj or v'apparecchia.
In Etna ignivomo
Sotto la lurida
Fucina altissima
Con Bronte e Sterope
Altri monocoli
Or con le fervide
Braccia roboree.
Irsute e ruTÌde,
In torno armonico
I lor gravissimi
Martelli innalzano
Su la ben solida,
E grande incudine;
POESIE ^05
E vi distendono
Le lente e flessili
Argentee lamine;
E sì ne formano
Gli usberghi lucidi,
I tersi clipei,
Le gravi galee; • '
E '1 duro calibe
Temprato aguzzano,
Temprato affilano
In taglientissime ,
In pungentissime
ÌE spade e cuspidi,
Di che si vestano.
Di che si cingano:
Le qual impugnino
In guerra i strenui
Figli, e ne portino
Alte vittorie.
Alma Cerere intanto, or tu cortese
Per cotesta deità che a me pur devi,
Da me inchinata or danza a tante nozze.
Per me di questa terra
La già gran selva antica,
Poiché Diana ne purgò le fiere,
Onde sicuro il suo germano Apollo
In Anfi'iso poteo guidar gli armenti j
Col fuoco che Vulcano
Di dura selce viva
Da le battute viscere pria scosse, .
Bruciando da per tutto
Rover gravi, dur'elci e quercie annose, "
Ridottovi il terreno atto all'aratro.
Col ferro, che ti die Marte per uso
Del grave aratro, poi vi seminaste
La prima spezie di frumento, il farro;
E '1 farro poi del vincitor romano
Fu dato in premio a' forti
Che'nsigni Parme oprar ne le battaglie;
Ed i piti forti de' Romani, i Padri,
Che soli imprima aveano i sacerdozj.
Le lor nozze col farro consacraro:
Quindi tu altere desti
Le tue leggi de^ campi,
4o6 PARTE in.
E le tue fur le prime leggi umane,
Con le quai si fondar gl'imperi e i regni;
Ch'appo le genti, i territorj o campi
Sieno in sovrana signoria de' forti;
Quei che men forti sono,
N'abbiano solo li commerzj o gli usi.
Perchè gli uomini accorti,
Che non potean divisi
Difendere i lor campi
Da l'altrui forza ingiusta,
Congiunser tutte le lor forze in una;
E sì fondaro in terra il sommo impero,
Che sommiser le lor forze privale,
Perchè guardasse loro
Colti i campi e sicuri,
Che guardando sicuri, erano colti;
E tutto ciò per tema che la tèrra
Non ritornasse a la grafi selva antica:
Tanta è la tua possanza,
Tanta hai tu dignità d'uscir qui in danza.
Tu seconda
Feconda
; * I suoi campi
^ ' Ch'ai Signore
Splendore
Recar.
Tu a lui cara
Prepara
Altri ed ampj,
Che ricchezze
•^ Grandezze
Puoi dar.
Da viltà
Nobiltà
Sol tu campi;
Co' tesori
Gli onori
Usi serbar.
Ma tu. Saturno, portator degli anni,
Non so qual mai superstizion ti tiene,
Che par che ti nascondi
Agli occhi d'una si nobil corona.
Prendìam gli augurj in meglio,
Non quai falso stimò finora il mondo.
POESIE
Cotesta tua gran falce ^
In quella età che tu versavi in terra,
(Forse perch'assai vecchio,
Tu vuoi ch'io te '1 rammenti?)
Non ebbe altr'uso che di mieter biade,
Da le quai seminate avesti '1 nome:
E 'n quella rozza etade ,
E 'n quella povertà de le parole
L'uom con la messe numerava gli anni^
Onde avvenne che poi
Del Tempo Dio fosti allogato in cielo.
Ne cotest'ali in vero
Ti fur date perchè tu voli o fugga;
Perchè 'n ver tu non sei tardo ne presto,
Ma ben misuri i moti presti o tardi.
Coleste sono insegne
Che ti diero i patrici
Che trovaro gli auspici:
Onde poi da la lor propria pietade
Divenner saggi, temperati e forti;
E fur gli eroi di favole spogliati,
T cui prenci fondar gli eroici regni:
E sol di questi poi le discendenze,
Perchè aveano tra lor certe divise
Che non avean tra |or l'oscure plebi,
Tutto mercè de le mie certe nozze.
Da l'ordin lungo de' lor certi Padri
Sol essi meritar con vero nome
De le genti maggior dirsi Patrici.
E noi da quelle antiche inclite case.
Che, non essendo ancora i regni in terra,
Diero a noi'l regno sovra lor nel cielo,
Siam detti Dei de le maggiori genti:
Talché quest'ale son l'istesse appunto
Di cui '1 Pegaso il dorso
E Mercurio i calcagni orna e le tempia:
Perchè i Nobili primi ritrovaro
1 seminati, ond'hai tu nome e nume;
I Nobili trovar le leggi prime,
Con cui Mercurio richiamò le plebi;
I Nobili domar primi il cavallo,
Che lor servi poi 'n guerra; ma assai 'imanzi
Con la sua zampa fé sgorgare il fonte,
Presso a cui si fondar le prime torre,
407
4o8 PARTE IH.
Ove abitare poi le sacre Muse
Che le città de le bell'arti ornaro:
Da poi ch'Apollo ritrovò la lira,
Ne la quale compose de' privati
Tutt'i dianzi divisi o nervi o forze;
Con cui dettò le prime leggi in carmi:
Però con lieti auspici,
Che voglion dire in lor vera ragione
Una lunga prosapia e assai feconda .
D'indole generosa e giusta e pia,
E ben istrutta in tutte l'arti umane,
Tu coteste grand' ali ornai ti libra,
E agile a danzar meco ti vibra.
Tu per Sposi così lieti
Tante nuove biade mieti ,
Che tua falce ottusa fia.
Ne la lor casa immortale
Di Lucina e di Giocale
Ferva pur la cura mia.
E già in aria a destra move
L 11 regale augel di Giove,
C' E 'n ciel segna una dritta e lunga via.
Non fa d'uopo che Vesta,
Tutta religiosa e diligente
Tu t'apparecchi l'ara;
E che '1 fuoco v' imponghi,
Ch'eterno serbi infìn d'allor che '1 foco
Ridusse in campi la gran selva antica;
Ne ti prepari da que' fonti l'acqua,
Presso a' quai si fondar le prime terre;
Onde con l'acqua e '1 foco
Persi le nozze poi giuste e solenni:
Sol lece a me-, che vano è '1 sacrificio,
Ch'or io, tutta composta in maestade.
Adempia qui il mio civile uficio.
Or sotto questa mia potente insegna,
Che tanti e tali ben produsse al mondo,
Per cui '1 mio nume in ciel sovrano regna J
Questo mio giogo d'or lieve e giocondo
''.,--, Piega l'alte cervici, o Coppia degna,
In presenza del ciel tutto secondo:
E voi, matrone, a lei più fide e grate,
La moglie al maritai letto menate.
POESIE 4^9
Per le Nozze di D. Antonio Pignatelli, marchese di S. Vincenzo,
e D. Anna Francesca Pinelli de"* duchi delPAcerenza.
SONETTO (1)
Quel pensiero divino, almo, immortale
Per cui del nostro vii la massa informe
Mille prende leggiadre e vaghe forme,
E di grazia e bellezza in pregio sale*
Pri'a di se fuor die, Donna Reale,
Con tanta industre cura a sé conforme, ' >
Che non pur ne mostrate a noi liev'orme,
Chiara splendendo al gran disegno eguale:
E or qual v'unio con pari studio ed arte
A Duce invitto in modo onesto e santo,
Prole per darne a se da voi simile.
Qual più sublime ingegno or può mai tanto
Levar di terra il più purgato stile
Che vi possa ritrar, gran Sposa, in carte?
In lode di S. Giacomo della Marca.
SONETTO (2)
Fu d'eroico valor ben alto segno
Di color che vestirò animo forte,
Ed incontraro aspri perigli e morte,
Per qui fondar in terra inclito regno:
Di cui prese la Gloria i nomi in pegno
Ad ogni gente di profana sorte,
Che sia chiusa del Sol tra le due porte.
Gridargli in chiaro suon d'arti d'ingegno.
Ma cadon le città, muojon gl'imperi,
E 'n terre incolte e tra paesi guasti
Son lor nomi sepolti entro l'obblio.
Più grand Eroe co' spirli umili alteri
Tu regno eterno sopra te fondasti.
Godendo or lieto eterna gloria in Dio.
(0 Fu dato alle stampe questo Sonetto nella Raccolta pulibliratti in oreasion*
di tali Nozse nelPanno lyai per cura di Giuseppe Sergio giureconsulto napole-
tano, ed autore di molte opere legali, precedendovi un Ragionamento di Gre-
gorio Grimaldi , anche giureronsiiUo nu])oletano , ed autore della 4)toria delle
Leggi o Magistrati del Regno di Napoli.
(a) Per un'' adunanza poetica tenuta nella chiesa di S. Maria la Nuora in
onor del B. allora Giacomo della Marca , e chf poi data ali* stampe nelPauno lyaS,
111 composto dal Vico il presente Sonetto.
4io
PARTE III.
In lode del Gran Maestro della Religione Gerosolimitana
Antonio Manoel de Villena, per la sua esaltazione a tal dignità.
SONETTO (I)
Del gran Buglione, e di sue invitte schiere
Che liberare in pria la sacra Tomba,
Tal ch'oggi ancor a l'Asia il cuor ne piomba,
Sue sconfitte in membrar crudeli e fere,
Chiara celebra le memorie altere
A la Greca e Latina un'egual tromba^
Ma ne' petti de'Pii aoca rimbomba
Per cotanto emular glorie primiere.
Due gran cuori tal gloria avvien che fìeda^
D'un ond'in terra e' quasi afflitto giace,
E'I tuo, signor, perchè s'estingua in mare:
O se uniscan lor forze alme si rare,
Già con navi e cavalli al fiero Trace
Vedrem ritoiv la grande ingiusta preda.
Perle Nozze di D. Lionardo Tocco , principe di Montemiletto,
e D. Camilla Clantelmo de^ duchi di Popoli.
SONETTO (2)
Qual vaga io miro, nova, altera mostra
Regger l'aurea sua face in regal viso,
Su trono d'amaranto Imene assiso,
Che di rose immortai Venere innostra?
Eroico Amor l'assiste, e ne dimostra
. » L'alto poter su la concordia e '1 riso;
E un genio v'ha da tutti altri diviso.
Che guide eterne son di vita nostra.
Virtù, non come suol, severa e grave,
' Gaja e ridente mena in bella coppia
Due chiar'Alme di lei ricolme e piene.
Ma odo risonar dolce, soave
Liete miste tra lor Muse e Sirene:
Il gran Tocco e Camilla Imene accoppia.
(i) Dato alle stampe nella Raccolta pubblicata in Napoli nel 1723 per tala
occasione.
(a) Eliste nella Raccolta falla per tali Nozac in Napoli nel 17*3.
4..
POESIE
Su r origine, progresso e caduta della Poesia italiana,
in lode di Marina della Torre marchesana di Novoli.
CANZONE (I)
11 candor luminoso
De l'alma stirpe, che di rai celesti
A le Muse vestio gli alti natali; ;
Onde s'odon chiamar figlie di Giove,
Di Giove il Re degli uomini e de' Dei ;
E là sovra le stelle
Si salutan sorelle
E da Perseo e da Bacco,
E da' Bellerofonti e dagli Àlcidi :
Ttìl fresca origin diva
Destò ne' lor ben generosi petti
Pensier tutti magnanimi e sublimi,
Schivi di laude ornar virtù volgari;
Ma celebrar sol opre e chiare e grandi
Con tai divine immagini e si vaste.
Che imitarle dispera umano stile.
Perchè applicaro ogni alto studio e cura
D' intesser i bei lor lavori eterni,
Di se formando ampia immortai corona,
Cui fa splendido centro il Dio del lume,
Che a le cose mortai numera gli anni ,
£ de' spirti immortali eterna i nomi,
Al suon dì quella lira.
Che dolce accorda in melodia celeste
I varj error de le rotanti sfere,
Ed in bell'armonia
Quant'eran prima dissonanti e feri,
Tanto poi mansueti e ben concordi
Fé' risonar gli uman costumi in terra.
Quindi gli eterni lumi,
Ove la terra è ricoverta d'ombre,
Or senza nome allumerien l'Olimpo;
Anzi l'istcsso Febo sconosciuto
Or roteria la sua gran lampa al mondo,
(i) Stampata nella Raccolta di Rime Ue^ Poeti Napolelaai di Agotllo Al-
bani, 1733.
4l2 PARTE III.
Febo, che'n forza da le saggie Muse
A i Dei dispensa e lume e vita in cielo.
Ond' infra l'alta sfera
Che pigra corre il mietitor degli anni,
Sol per rispetto e per pietà di figlio,
Ha posto il suo regal inclito seggio
Pien d'Apollinea luce il sommo Giove
^ > Per lunghi spazj sopra gli altri Dei;
Perchè primo insegnò temer gli Dei
A' feri empj Giganti*,
A quai le prime sue divine leggi
Col fulmin scrisse, e l'intimò col tuono:
Sotto lui Marte gira,
Che ne le crude guerre e sanguinose,
Dentro zuffe, terror, stragi e spaventi
La rabbia regge, e '1 rio furor de l'armi.
E presso al truce poi Vener fiammeggia
Con sua ridente, alma, serena luce;
Che co' suoi vaghi vezzi , atti leggiadri
Piegonne a gentilezze il ferreo mondo.
Mercurio tutto indi di sol vestito
Celeste araldo detta a' vincitori
Di terminar da uomini le guerre,
E conservar con giuste leggi i vinti.
La più presso di tutti a noi Diana
Gira tra l'ombre tacita e secreta,
Che con schive e sdegnose
Sue maniere ritrose
Ella pur ne destò l'amore umano,
Ch'attese a celebrar cittadi e regni;
Restando a solitudini diserte
I Pani ignudi e i Satiri sfacciati.
E nel sommo del cielo etei-no tempio.
Ch'erge le vòlte d' immortai zaffaro.
Queste pittrici Dive
Con terrene ombre e co' celesti lumi
Dipinsero i primier famosi eroi
Che del cammin del Sole oltre i confini
Portaro con le lor grand' opre eccelse
Su l'ali de la Gloria il greco nome:
Anzi sovra il sublime
CampidogUo del mondo.
Di cui son spettatori uomini e Dei,
Per mano de le Muse
I
POESIE ^l3
Le insegne de le lor stupende iniprese
In eterni trofei veggiam sospese.
Là del leon la spoglia,
Che la selva Nemea distrusse ed arse,
Tuttavia, quando là s'indossa il Sole,
Secca i torrenti e le campagne asseta.
E colà dove pende
De la Gorgone il teschio,
Col terribile aspetto e spaventoso
Tuttavia sembra d'impetrar le stelle,
Quas'indi per stupor sieno in ciel fìsse.
E là dove la nave
Che tragittò di Ponto a' greci lidi
Il vello d'or eh' a la feroce amante
Costò gran scelleraggini e vergogna.
Verso l'Eternità lenta veleggia:
Poiché gli eroi famosi, e i lor trofei
Con corso egual al Sole
Camminan stanchi una si lunga via, ^
. Che oltra il suo fin non più cammina il tempo.
Da sì sublime stato,
Che 'n lavori celesti entro le stelle
Spaziavan le lor menti divine,
Sceser quaggiù le sante suore in terra ^
Non già per consecrare ampie virtudi
Che conferirò de' gran beni al mondo ,
Ma più per condannar robusti vizj
Che strepito facean di gloria e vanto.
Ed Omero di tutti altri poeti
Per merto e per età principe e padre
Cantò con chiara alta sonora tromba
1 violati ospizj dal Trojano,
Quando armar d'ira il risentito Achille;
E di frodi infiammar le faci greche,
Ond'in cener cadeo Ilio distrutto i^
E quanto mai senno e valor fermaro
Al ben accorto e tollerante Ulisse
Gli error del mar irato, e più del mare
Le Calipsi, le Circi e le Sirene,
Per punire in un d'i ben mille offese
Fatte al suo onor da' dissoluti Proci ,
Ghiotti', infingardi, giuocalori e vani
AssediatOr de la pudica moglie.
Però le caste Dee, pudiche e sanie,
4l4 PARTE III.
Ravvolgendo in sozzure i puri spirti ,
Indebolire il generoso e maschio
Ingegno che sortir dal padre Giove.
E con mostrose maschere caprine
Salir su i plaustri ^ e quelle che mai sempre
Bevute avean le sacre linfe e pure,
Quali salian dal Hmpido Ippocrene,
Di vin bagnate con ride voi motti
Notar di vizj i re, gli eroi, gli Dei.
Indi osan comparire in su le scene,
Ed esporre i conviti empj e nefandi,
Di fatti in brani pargoletti figli,
Pòrti in vivande agr infelici padri;
Talché, per non veder le infami mense,
Ritorse in dietro il suo canjmino il Sole,
Da tai scelleratezze atre esecrande,
Benché per detestarle e farne orrore,
A le vergini Dive
Fur profanati indi i pietosi petti,
Degenerare al fine in reo costume;
E burle atroci a la virtude ordendo,
A.' santissimi Socrati tramaro
Le sempre piante ed onorate morti.
Cosi quelle che prima
Per felice natura eran portate
Cantar sole virtù divine e grandi,
* Col volger tempo e col cangiar costume
Furo per legge teatral costrette
Sotto finte persone
E con civili motti ed innocenti
De la vita insegnar privati ufizj.
E quella lira alfine,
Ond'Apollo tessè inni agli Dei ,
Che recatasi in seno il forte Achille
Cantava i fatti di più grandi eroi,
Si diede a celebrare
In Istmo ed in Elea
Il lottatore vincitor del giuoco;
O con l'ardenti rote
Chi del volante occhio
Schivò la meta, e non v'infranse l'asse,
E tali innalzò al ciel entro gli Dei. •
Ciò sol tanto restava (e pur avvenne)
' Che le caste donzelle,
POESIE ^l5
Fatte d'Amor ancelle,
Tributasser cantando
A bellezza mortale onor divini ; '
E loro rassembrasse a' Numi eguale
Chi di Lesbia contempli il divin volto;
Che d'ogni qualità mortai disciolto,
Per lui n'abbia anco a vii scettro regale,
Le loro alte, immortaU opre d'ingegno:
Ne in Pindo né in Parnaso
Ebber piìi templi e regni e proprie terre;
Ma profane e private
Andaro da per tutto egre e raminghe
L'alte figlie di Giove:
E ne le regie corti ,
A' caldi prieghi di ben vista pace,
Util vie più di gloriosa guerra.
Radi e brievi ricovri elle trovaro :
Jl perchè ne saran chiari mai sempre
E gli Augusti e gli Alfonsi ed i Leoni;
E i prenci ne vivran tutte l'etadi,
E Roveri ed Estensi e Medicei.
Or se le somme laudi, onde si ornaro
A' prischi tempi giusti i sommi Numi,
Le magnanime donne e i forti eroi,
Or son maniere di laudar volgari,
Quai maschere talor senza subbietto
Di Diane, di Veneri e di Alcidi;
Che pur di voi mi resta dir, gran Donna,
Torre d'alta onestà, d'alto savere;
Cui modestia cortese orna i costumi;
Cui gravità gentil gli atti compone;
Cui dottrina e pietà veste i pensieri,
E forma il favellar leggiadro e saggio;
Che 'n questa età di raffinati gusti ,
O gran Marina, voi ne rassembrale
Sabina donna in attiche maniere?
Queste son vostre laudi e proprie e vere.
4l6 PARTE HI.
In lode deirEminentissimo cardinale Bernardo Conti,
fratello del sommo pontefice Innocenzo XIII.
(«723)
SONETTO
Quell'immoto, divin consiglio eterno
Che le cagioni o manifeste e ascose
Stringe in catena, e le create cose
Fa tutte ancelle al suo oidin superno ^
Del gran ceppo vetusto, onde al governo
. j De la nave di Pier tanti propose,
De'quai l'alte memorie e gloriose
Di lor età non mai vedranno il verno;
Due gran Germani con tal studio ed arte
Ne diede, ornati ambi di sacro ingegno,
Che da tutt' altri li divide e parte:
Perchè Pun, che governa il Sacro Regno,
L'altro a venir de le sue cure in parte.
Non pur facesse, il ritrovasse degno.
Nelle Nozze di Massimiliano duca di Baviera
con Teresa Reale di Polonia.
- CANZONE (0
Se mai lieto seguendo il bel desio,
Ch'a farvi onor per lunga via mi mena,
Ebbi cura di voi, Muse immortali;
Poiché di grido in grido alma e serena
Fama dal Reno a rallegrare uscio
Tutte l'eterne cose e le mortali;
Narrando di due chiare Alme Reali
Gli alti Imenei, donde ben ha che attenda
11 mondo a' danni suoi certo ristoro;
Spirate al mio lavoro,-
Con destarmi virtù la qual mi accenda
Sì, ch'adombrando irì carte il ^vajx concetto,
Che move dal Real Nodo gentile,
Possa de l'opra mia tornarvi onore.
E voi ch'a' vivi rai del primo Amore
Vi riscaldate, o Sposi Augusti, il petto j
(f) Ne fu fatta dall'Autore in una bella eduionc 10-4 nel i7»3^
POESIE A in
Se r inchinarvi a picciol dono umile
Vostra maggior grandezza egli è pur mai,
Questo più da vicin mirate omai
Serto di fior ch'ora vi tesse in voto
Per mano de le Muse il cor devoto.
Che già dal fragii suo caduco velo
Peregrinando più la mente mia,
Cose vede oltre ogn'uso altere e belle:
Vede dappresso omai là, dove pria
11 primo foco ne fé' adorno il cielo,
Tornarsi '1 Sol, la Luna e l'altre stelle.
E già le sembra che si rinno velie >
La gran serie lunghissima de' tempi,
E ne rimeni l'innocente etade.
O grazie al mondo rade!
Scorge ritratta da' più vivi esempi,
Che prendon più de la divina luce,
Mandarsi a noi dal ciel novella prole
Che colmerà d'opre leggiadre il mondo.
E già sembra veder che '1 grave pondo
Del ferro, dentro a cui fero riluce
Il secolo, qual serpe incontra '1 Sole,
Si scuota, e di nuov'ór tutto s'adorni^
E a ritrovar la Vergine sen torni
L'orme sue spente già del cieco inganno,
E dar nuovo principio al maggior anno.
E per aprir l'alto consiglio eterno
A lai fati e cotanti ormai la strada,
Da cui per sì lung'uso il mondo è vólto,
A te, Real Signor, che de la spada
A ciascun duce omai prisco e moderno,
E per senno e per cor, la gloria hai tolto,
Già commise la cura, ond'ei rivolto
Per te, con oprar forza a la sua forza,
Si ravviasse a la virtude antica.
E 'n vero ogni nemica
Oste le cieche avare voglie ammorza
Ratta così , che voi , alme leggiadre ,
Che rischiarate ardenti e luminose
Quella parte del ciel ov'è più vivo.
Quando tra noi qua giù lieto e giulivo
Verrete a far di voi l'Augusto Padre ,
Ritroverete ne l'umane cose
Lievi e brev'orme sol di reo costume:
Vico, Opuscoli. 37
4l8 PARTE III.
E di virtute il già sepolto lume
Fia che incominci allor chiare e tranquille
A farne riveder le sue faville.
Quindi, Real Donzella al mondo sola,
Perchè del mondo il vostro impero degno
Sol fora di quel tuo merto sovrano,
Che su qualunque cima alta d'ingegno
Lieve cotanto ed ispedito vola,
Che aggiungerlo non può pensier umano,
A SI egregio Signor la santa mano
Non senza un alto Nume or porgi in fede
D'aver con lui la saggia mente unita:
Che tal cura gradita
Da mille etadi innanzi immobil siede
Altamente riposta in petto al Fato;
Che il mondo a far d'imroortal prole adorno
Scelse te, che immortai tutta somigli.
Or quando i cari teneretti figli
(Dolci premj d'Amor) t'avrai mirato
Pargoleggiar vezzosamente intorno,
Dando or a questi abbracci, or a quei baci,
Sarà quel dì de' piti bassi e fallaci
^ Desiri sgombro, e sol vedremo e 'n parte
Per vaghezza di fama usarsi Marte.
Ma da poi che i Reali almi Garzoni
Saran si ne le forze iti avanzando,
Che possa il ferro oprar la man guerriera,
Quanto l'esempio lor, l'armi adoprando
Per la sola virtù, fia che ne sproni
Alzar le voglie a la suprema spera!
O di gi^and'alme gloriosa schiera,
Or qui si che abbandono il valor vostro j
Né immaginar il so, quanto dovrei.
Ma pur a' detti miei
Apri attento or il petto, o Secol nostro:
Tutt' altro allor vedrai lieto e felice,
Che l'alta legge scritta in sen di Giove
Chiara si specchierà ne' nostri petti*,
E tempreranne sì gli umani affetti
Soavemente, che sol ciò che lice
Fia che ne piaccia, e ciò che piace, giove;
E un nome avranno e l'utile e l'onesto.
Ah che però m'è l'aspettar molesto,
Pensando, o bella Etate, a' tempi tuoi,
i Con gli uomini veder misti gli eroi.
POESIE /,Q
Or intendo che '1 Ciel voleasi dire
Allor che incontra la sua Fé diletta
Sostenne armarsi l'Asia in mille schiere :
Ond'ella tutta nel timor ristretta
Steasi aspettando già furori ed ire
Da tante mani ostil' crudeli e kvc:
E poi, Sposa Real, le destre altere
Del tuo gran Padre e non minor tuo Sposo
Insiem congiunse a far la pia difesa.
Né doppia fiamma accesa
Così, spirando spesso, Austro cruccioso
Strugge biade, arde selve, incende armenti,
E quanto pasce più, vie più divora.
Fin ch'ogni cosa avrà spenta e distrutta j
Come a danni del fior de l'Asia tutta
Di celeste pietà co' petti ardenti
I sovrani Guerrier mostrarsi allora;
Tanto opraro col senno e col coraggio I
All'ora il Ciel volle mostrarne un raggio
De la virtù del di lor germe espresso ,
Che fia liberator del mondo oppresso.
Quanta e qual dunque nova, altera mostra
Farà Germania allor, di glorie eterne
Atti usando sì degni e sì pregiati?
Se 'n destinar le lor grazie superne
Ristasser mai le stelle, e a voglia nostra
Ne concedesse il Ciel comporre i fati,
Fra me volgendo onor tanto laudati,
Non so se voi, del regno abitatori
Popoli fortunati, unqua potreste
Voi medesmi di queste
Fabbricarvi qua giù glorie maggiori;
Ch'i Greci pongon pur ogni pensiero '
In gir al ciel con la terrena soma,
E la terra adornar d'alte dottrine;
Sia cura de le chiare abne Latine
Oltre le vie del Sol stender l'impero;
E la rocca del mondo essersi Roma;
Altri studj sien d'altri aln)i e sovrani^
Che vostre arti saranno, o gran Germani,
A lo Scita, a l'Etiope, a l'Indo, al Mauro
Riportar le virtù d«l secol d'auro.
Però vittime, incensi e fiori offrite
Devoli a lui, ch'ai vostro onor fatale
420 PARTE III.
Or con gli onesti e santi amori attende:
Ond'egli incontro a te, Sposa Reale,
L'ali battendo de le voglie ardite.
Come fenice al Sol, tutto s'accende:
Ed entro il tuo splendor lieto s'incende
Di fiamme ond'arde in ciel la terza idea^
Se 'n mirar gli atti, il portamento e '1 viso,
Quai tutti t'han diviso
Da l'altre donne, e ti somiglian Dea,
Scorge bellezze in te, che quai per sorte
Vorrebberle i desir, tai sembran esse^
Ne inganno a bei pensier fanno i desiri:
Onde versa per te caldi sospiri
Quel valoroso pien di senno e forte
Core, quel cor che spesse volte e spesse
Fa temer l'Asia piìl che cerva o damma:
E quel cor mentre nel suo amor s'infiamma,
Perchè a vincer formoUo uso e natura,
Vincer te ancora in ben amar procura.
Deh non soffrir che cosi bella gloria,
Che a la tua gentilezza Amor destina.
Or, Donzella Real, tolta ti vegna:
Anzi a prova d'amar si pellegrina
Riporta pur leggiadra, alma vittoria
Di cui, de' vincitor riporta insegna:
E come Amor, eh' è vero Amor, t'insegna,
Ama lui sol per lui, ed in te stessa
Sol ama il tuo piacer, perch'a lui piace.
V Vien' dunque or con la face
De la fiamma ch'a Dio vie più s'appressa,
Vieni, dolce Imeneo, e i Regj Sposi
Colma di gioje in se tanto ripiene,
Che da' più bei desir non mai sien vinte 5
; Che già '1 caduto Sol ha in ciel distinte
' Co' chiari raggi al veder nostro ascosi
Le stelle più seconde e più serene.
De le sinistre e rie nulla accendendo:
Onde se 'n gi'o la terra ricovrendo
Di notte a noi tanto aspettata e cara,
Che fìa de' giorni d'or madre ben chiara. —
Canzon , se mai là su temprossi giusta
Del viver mio la legge, e se consente
Che questo incarco lo mio spirto regga
Fin che le sole prime gesta io vegga.
POESIE ^21
E le minor de la gran Prole Augusta
( Qualor in cima a la divina Mente
Pien di vera umiltade onoro e inchino),
Spero tanto sul Greco e sul Latino,
Che '1 Tosco suon di loro alto rimbombe,
Che torrà '1 pregio ad amendue le trombe.
Per le Nozze di D. Andrea Coppola, duca di Ganzano,
e D. Laura Caracciolo de"* marchesi delP Amoroso.
SONETTO (I)
Real Donzella , che '1 bel nome prende
Da l'arbor ch'ora in guise istranie e nove
Per lei più strigne Apollo e inchina Giove,
E più chiaro il suo serto incHto rende j
Or ch'Imeneo dal terzo ciel discende.
Il Ciel, che gioja e pace in terra piove,
E per far di sua face altre gran prove,
Per un pari Garzon l'alma l'accende:
L'altra Donna che feo Sorga immortale,
E fiorendo fiorì nel mondo onore,
Grazia e bellezza e la virtù sublime^
Ella sembra la stessa, o pur l'eguale:
E '1 Coro, che di questa orna il valore.
Sembra il vate che quella eternò in rime.
(i) Questo Sonetto ed il seguente furono scritti dal Vico per la Raccolta
fatta per tali Nozze nelPanno 1726 con la data di Firenze. Nella medesima Rac-
colta si legge il Sonetto di Agnello Spagnuolo diretto al Vico | e la risposta
del medesimo alle pag. 422 e seg.
(|22 PARTE III.
Per ristessa occasione.
SONETTO
Risponde ad un Sonetto di un anonimo di Firenze , che avea lodato il Vico
per le di lui scoperte intorno le origini degli antichi Matrimoni.
: A' miei sudori il Ciel non temprò ingiuste
Le leggi, se tal laude or ce ne rendi,
Spirto gentil che '1 mio nome raccendi
Tra le deus' ombre de l'età vetuste:
Tu e' hai d'uom vero ambe le parti onuste,
Poich'i desiri al Primo Bene accendi;
E i pensier dal Disegno Eterno prendi,
Che rado scende in nostre menti anguste*,
E tien' del cuor di Febo ambe le chiavi ;
De' chiari Sposi su i gran nomi in carte
Tutto ben puoi versare il sacro fiume:
Lascia pur me da meste cure e gravi
Ristretto in me medesmo ire in disparte
Con fievol canto e con dimesse piume.
Per V istessa occasione.
SONETTO
Di Agnello Spagnuulo.
F'ico famoso , il cui sovrano ingegno
Di ricca luce ha pìen V antico vero ,
Sicché tuo nome ascolta agni emisfero^
E chi più sa^ d'onor tienti pili degno ^
Tu con r inclito stil fregio condegno y
Che del Veglio trionfi alato e fero ^
Tessi a^ due Sposi il cui sommo ed intero
Valore illustra il secol nostro indegno:
La gran Donzella^) e i don celesti e rari
Canta y e V ampio di lei senno perfetto ^
Che gioir fanne in sì tranquillo stato ^
E ^l biondo Eroe eh' a più vetusti e chiari
Già toglie il grido : il più che uman subbietto
A poeta immortai commise il Fato.
POESIK
Bisposta (li Vico.
SONETTO
423
Spagnuol pregiato, il nostro afflitto ingegno
Ch'a spiare si die l'antico vero
Nel dritto d'ogni età, d'ogni emisfero,
Che mi feo di tua laude ed onor degno*
Già riportato ha 'l bel premio condegno
Contro d'invidia il nero dente e fero^
E fatto ha del lavoro il pregio intero,
Incontro a cui e l'oro e l'ostro è indegno.
Ma tu co' bei pensier sublimi e rari ,
Che formi su disegno in ciel perfetto,
U' vita meni in un divino stato,
In tue rime ben colte adorna i chiari
Sposi, e'I gran Padre; che'.' regal subbietto
Niegò a la nostra inferma Musa il Fato.
Per le Nozze di D. Giacomo Francesco Milano Franco d^ Aragona,
principe di Ardore, e D. Arrighetta Caracciolo da'* principi di
Santobuono.
SONETTO 0)
In istranio trofeo Marte ed Amore
Vezzose faci ergerò ed armi fere.
Lire soavi e 'nsiem trombe guerrere ,
Che a le pie madri fan tema ed orrore:
Giace su queste sparso il rio furore
Di guerra* e'I vasto di lui tergo altere
Premon le Grazie amiche e lusingherei
Scherzi su' scherzi , il riso e '1 dolce onore.
In cima Imene in gravi atti fastosi,
Come trionfator di genti prese,
Va, qual in Campidoglio, a sciorre i voli.
Perchè col santo amor de' chiari Sposi
Le famose degli Avi inclite imprese
Marte conservi, e aggiunga a' gran Nipoti.
(1) Si leggp neilu Hacrolu pubblicata iiell^aano 1795 ia occaiione di tal
trìmoiiio.
m
PARTE li]
In lode del P. Domenico Terragni de' PJP. Predicatori per Io qua-
resimale dal medesimo fatto nella chiesa di S. Domenico Mag-
giore di Napoli Panno 1725.
SONETTO (0
Non udì Atene mai, non uc3i Roma
D'alta eloquenza o fulmine o torrente
Atterrare o innondar Punita gente,
E trarla, u' volle, dietro e vinta e doma:
Come, sacro Orator, la nostra soma
De' rei vizj al tuo dir cade repente^
La Fraude, il Lusso, il Fasto e l'Ira ardente
Ne van sommersi infin sopra la chioma.
Tu ministri le voglie, e co' tuoi pesi
Libri le menti, e al ciel lor porgi l'ale,
Che trionfa di noi coi nostri affetti.
Si resleran ne' ben purgati petti
Com'in lor Campidoglio almo, immortale,
I tuoi delti in trofei fìssi e sospesi.
Per la conferma del viceré di Napoli cardinale Michele
Federico d'Althann, vescovo di Vaccia.
SONETTO (2)
Giove de' regni e Regi almo datore,
I suoi sposa a i lor scettri alteri auspici,
Che di Natura ancor l'opre felici
Vadan loro a fruttar gloria ed onore.
Cerere già la falce all' acces' ore
Appresta per li suoi fervidi uffici
Sopra le messi, copiose altrici
Del gran popol divoto al suo Signore.
Pomona, che qui gode autunno eterno.
Pur ricco spiega il sen d'ampj tesori,
Ne Bacco minor premj a noi destina :
Tanti che '1 Ciel su noi versa favori,
Mentre Augusto ti ferma il suo governo,
Non è pur lode tua somma e divina ?
(1) In lode del P. Terragni de' Predicatori in Napoli nel 1723 furono uniti
molti componimenti poetici , fra' quali leggesi questo Sonetto.
(a) Stampato nella Raccolta di Poesie fatta in tale occasione in Napoli nel-
l'anno 17*5, fol.
POESIE 4^^
Per r acclamazione in Arcadia di Michele Federico d''Àllhann ve-
scovo di Vaccia, cardinale di S. Chiesa, viceré di Napoli, ec,
col nome di Teodalco Magniario.
SONETTO (i)
« La Fama, che in tu'onor l'ali ora spande
Per campi e selve e piani e valli e monti,
Alto Pastor, da eroi per fama conti
Disceso, e ricco d'opre alte ammirande;
Per cui la nostra all'altre età tramande
Ampj «udor a mille dotte fronti
L Versati in adornar tuoi saggi e pronti i
Consigli e fatti, ond'ella è chiara e grande;
Questa di Pindo in rima or corta fronde
Dall' arbor che onoraro Apollo e Giove,
Con gioja e casta man t'offre sincera;
E quella che 'l tuo crine orni e circonde,
Tesse con altre scelte a mille prove
« Fregio a spiegar di virtù salda e vera.
Per le Nozze di D. Gaetano Buoncompagno Ludovisi duca d'Arce,
e D. Laura Chigi de' principi di Famose.
SONETTO (2)
Del tronco antico, onde uscì'l buon Pastore,
Da cui felice fu guardato e retto
Per liete alme campagne il gregge eletto,
Che sempre udranne un gran dolce remore J
Ora un Germe novel caldo d'amore
Altra più uobil Laura al saggio petto
In santo nodo maritale ha stretto;
E Pane cen promette il certo onore:
Perch'a due madri lattano gli agnelli
Le poppe stese del gravante latte,
Quai partorir testé tutte gemelli;
E dansi in precipizio da' dirupi ,
Cacciati da' covili e da le fratte
Le razze ingorde de' digiuni lupi.
(i) Dato alle sUmpe il i^aS nella Raccolta falla ia delta octasioiie.
(2) Dato alle stampe nella Raccolta fatta in N»poli od 1726, iii-8.
426
PARTE Ul.
In morie di Angela Ciraini marchesana della Petrella (t).
'ape ingegnosa,
Dal dì che nasce,
Solo si pasce
Del timo o mirto,
Ligustro o rosa,
O d'altro fiore
Che sia l'onore
De' verdi prati :
E a' di assetati
Di secca estade.
L'ali s'indora
De le rugiade
Di fresca aurora.
Fabbra divina
Ne l'officina
De le sincere
Sue bionde cere,
Che poi piti intatte
Del puro latte
Ardono in lumi
A' sommi Numi.
Dentro la stretta
Aurea celletta
Fa il bel lavoro
Del mei pur d'oro.
Ma poi si scuopre
Tutta feroce
Contro chi nuoce
Le sue dolci opre.
O man profana,
Stanne lontana :j
Che s'ella il senta.
Suo ago avventa 5
E non si cura,
Per viver pura,
Su la ferita
Lasciar la vita.
Donna immortale,
Ape tu sei
Cara agli Dei*,
Ma con altr'ale
Ch'ergon dal suolo
A chiaro volo
Tuo raro ingegno
Di lauro degno*
E vai volando,
Vai spaziando
Per altri prati,
Sol passeggieri
Da l'alme Dive,
Lungo le rive
Mai sempre amene
De l'Ippocrene.
Quivi pascendo
Gli alti pensieri
De' bei fior veri ,
Che mai, perdendo,
Non son corrotti
Da arsure o notti,
Formi i bei favi
Dolci e soavi,
Onde alimenti
Le pure mentì.
Arme pur hai.
Non per ferire,
Ma riverire;
(l) Fu il Vico molto amico della marchesa delia Petrella D. Angela Cimini,
che eoa altri letterati visitava frequentemente. Accaduta la morte della mede-
sima, compose 1' Orazion funebre, che leggesi in questo volume a pag. 278,
che impresse insieme con la presente Canzone ed il seguente Sonetto nel-
l'elegantissima Raccolta data alle stampe in Napoli nel 1727, in-4. Il Vico
ebbe cura delP edizione , e dell'invenzione delle vignette e lettere iniziali tutte
adattate al tristo suggetto. Per quei tempi la stampa di detta Raccolta non po-
teva esser più nitida ed elegante.
POEsit: 4^7
Che insegnar sai A voi nemica
Col dolce austero, Crudel formica
Grato severo La morte fera,
De le modeste Qual picciol angue
Tue grazie oneste; Atro, letale,
Che austero e dolce Di sotto l'ale
E pugne e molce. Del delicato
O in mortai velo Tuo gentil lato,
Ape del cielo! Ti succiò '1 sangue
Ma come, o Diol De la fiorita
Ahi caso rio! Tua verde vita?
Sì di repente O me ingannato!
Ne la fiorente Tu , qui lasciato
Tua primavera, 11 sottil velo.
Cangiala in nera Volasti in cielo.
Per r istessa occasione.
SONETTO
Al P. Luigi Roberto Sostegni de'' Canonici Lateranesi.
Tornò al ciel la gran Donna e saggia e forte,
Che sol volle mostrarla al cieco mondo,
Mentre dal proprio abisso atro profondo
Crolla tra scosse di capriccio e sorte.
Poiché ha le somme laudi or tutte assorte
De l'adulare altrui vii vezzo immondo,
Quai via gittate senza scelta e pondo,
Son di virlute atro veneno e morte.
Questa di lei dirò picciola parte:
L'aura mancò, che m'innalzava al cielo,
Sostegni mio, per farmi a lei dappresso. , ?
Giaccion l'opre a' ingegno a terra sparte;
D'atra nebbia mi preme il terren veloj
Fatto, non che ad altr'uom, grave a me stesso.
438
PARTE III.
Risposta di Sostegni.
SONETTO
Ben mostrassi a ragione ardita e forte
Costei y quando partì dal basso mondo y
E dritto è ben che al nostro duol profondo
Rìda e gioisca di sua lieta sorte:
Che non andran sue magne laudi assorte
Ne^ gorghi mai del negro Lete immondo ^
Come il leggiadro suo terrestre pondo
Andò tra V unghie de V avara Morte.
Anzi come la sua pili nobil parte
Laudan cantando nel superno cielo
Le pure menti al Somrno Ben dappresso^
Sì fien per te sue degne glorie sparte
Nel basso suolo, ov'è'l terren suo velo,
O chiaro Vico , o sol pari a te stesso:
Per la stessa occasione.
Al nobilissituo giovanetto GiovanDÌ Locatelli.
Jure o quam merito meo dolori
Luges, ter mihi care Lucatelli!
Luges nam merito omnium dolori,
Quorum cor sapit elegans honestura.
Sat dirum facinus dedere Parcae^
Heu Parcae nimium invìdae malaeque!
Parcae, quae male lilium Minervae
Carpserunt niveura tenellulumque ;
Et mei, Phoebe, avidae tuum vorarunt:
Ciminam egregiam extulere Parcae.
Foecundo male corpore aegra nupta,
Quam mente haec fuit at ferax virago!
Hetruscae decus haec erat Poesis;
Et graecae decus haec erat Sophiae.
Praestans Faemina, cui piacere avebant
Suadae qui celebres viri meduUae!
Diae corcula qui viri Sophiae!
Dein, te sine, cui piacere avebunt?
Afflictae Charites jacent sepulcro;
Atque inler Charites jacens Minerva
POESIE 429
lufandum lacrymat ferumque funus:
Moestus quisque suae faci dolensque
Exstiiictae incubat en Cupido^ Apollo.
Insuave, illepidum nirais niraisque,
Quin factum miserimi satis superque
Musis et Sophiae dedere Parcae!
Distico posto sotto il ritratto di Lucantonio Porzio nelP Opera che
ha per titolo De Militis in castris sanitate tuenda. Neapoli, ex
Typographia Felicis Mosca, 1728.
Haec tibl ni prodant hominem mortalia memora :
Quis scribat diibites, Portius, an Nomius?
Per le Nozze delle Altezze Serenissime di Antonio Farnese,
duca di Parma e Piacenza , ed Enrichetta d"* Este.
SONETTO I. (I)
Di Grecia il Magno per valor guerriero,
Quand'Asia il seppe da lui vinta e doma,
Senza premj d'Amor posto la soma,
Disperse i novi acquisti e '1 grande Impero.
t^'Alessandro Latin, che per Plbero
Su la Mosa e la Senna ornò la chioma
D'allór cui par non vide o Sparta o Roma,
i Corona ancor l'augusto ceppo intero:
I E svelto or un da l'altro ìnclito ramo
- Italia attende un tanto onore, eterno
Da propagarsi in regj fasti al mondo.
Santo Imeneo, te dunque invoco e chiamo:
Scendi a noi pieno d'ogni ben superno.
Suo grande innesto a far lieto e fecondo.
(i) Questi Cumponimenti furono inseriti nella voluminosa Raccolta fatta in
Parma nel I7'<i8, in-4^ per le Nozze delle Altezze Serenissime Antonio Farneae,
duca di Parma, ed Enriihetla d'Este, nella quale vi sono molle belle poesie
italiane e latine de' più dotti letterati napoletani di quelPelà.
43o PARTE III.
iPer Pistessa occasione.
SONETTO II.
De' vostri almi laureti i sacri orrori
Spiate, Muse, e tu gran Dio del canto;
E in vecchi tronchi rileggete quanto
Gli Estensi Eroi vi fér d' incisi onori.
Or, discesa da tanti e tai Maggiori
L'inclita Enrica, in nodo onesto e santo
S'unisce al gran Farnese, e d'ogni canto
Imeneo le due reggie orna di fiori.
Ecco il degno subbietto, ov' impieghiate
Vostri divini ingegni, e s'oda il suono
Di non comuni pregi e laudi vere.
E sembra a noi tornar la prisca etate,
Che non ad altri le vostr'opre altere
Ch' al gran Giove e Giunon sacraste in dono.
Per ristessa occasione.
S'alzi Italia in alta spene;
Due gran cor, che inchine e lodo,
Il Farnese in santo nodo
A. l'Estense or lega Imene. ^
E di voglie alme leggiadre, d
Che son fiamme in cielo accese, a
Con la face qui discese.
Stretto a man con la sua Madre.
Tra le dotte altre sorelle
Quella è dessa Urania amica;
Ed osserva in fi-onte a Enrica
In un terzo ciel le stelle.
Anzi un Sol le osserva in fi'onte,
Che consola le vicine
Vaste fiamme, alte rovine
Che vi fece un dì Fetonte.
Sol che '1 corso unqua non erra
Di virtù fra mete eterne;
E d'onor fiamme superne
Leva il ciel quinci da terra.
i
POESIE 43 1
E sta in forse al paragone:
Vener sembra a la beltade;
Ma in mirar la maestade,
Simigliar parie Giunone.
Con lei giunto in guise nove
Al supremo Antonio in volto
Sfolgorar vede raccolto
Altro più benigno Giove.
Sì vedendo in uman velo
De' Celesti i due gran Numi,
Non distingue il Re de' fiumi
Questo in terra e quel del cielo. ^
Di Ciprigna il sacro cinto,
Ove in bei color vivaci
Risi, scherzi, amplessi e baci
Ha col dardo Amor dipinto,
Gli attraversa in atto fero ' ^
L'omer destro e '1 lato manco;
E di ferro armando il fianco,
Gli accompagna Amor guerriero.
Questo ferro armò la mano
Ne le Fiandre al gran Farnese,
Ch'è gridato per l'imprese
L'Alessandro ItalYano.
Questo è pur quello che Ubaldo
Ben accorto e saggio veglio
Rugginito entro lo speglio
Fé' vedere al gran Rinaldo :
E destandogli faville
D'altro amor di lui più degno.
Gli raccese il vago ingegno
Per la fé d'esser l'Achille.
Con tal ferro in Azzon vide
De' tiranni l'uccisore,
E de' mostri estirpatore
Contra Italia anco il suo Alcide.
Mille e più virtù reali
Fanno lor pomposa corte.
Cui nel mezzo regia sorte
Versa doni ampj, immortali.
Già s'appressa l'alta Coppia
Tutta lieta al sacro letto.
Vero campo di diletto
A que' cor che Imene accoppia.
432 PARTE III.
Qui '1 piacer spiega tesami
D'oro, gemme, bisso ed ostro,
E 'J più ricco al secol nostro
S'orna qui di verdi lauri:
Lauri, onor d' imperadori ,
Lauri, onor di dotti vati:
Son da Febo consacrati
Pur di Dafne i divi amori.
Già Imeneo la face scote,
E già scocca Amor saette,
Le più fine, le più elette
Che temprar l'eterne rote.
Da la sponda un Genio augusto
Sparge il letto d'amaranti:
Quanti fior, di frutti tanti
Ne promette farlo onusto.
Quindi Italia ornai confidi,
In nov' ordine di fati
Ritornar que' Mecenati
Alessandri, Achilli, Alcidi.
Rìsudar allor vedrassj
Strada in lingua eterna istorie^
E 'n Po metter nove glorie
Coi poemi Ariosti e Tassi.
Regj Sposi, or fate intanto
Guerre in mezzo a fide paci,
Che stordisce il suon de' baci
De le Muse il chiaro canto.
POESIE
433
In morte dì D. Giuseppe Alliala Parata Colonna,
principe di Villafranca, ec.
SONETTO (0
Morte, o d'invidia vii ministra e fera,
Per cui fai degli eroi cruda vendetta,
E a' nomi lor ogni memoria eretta
T' adopri pur che si disperda e pera :
Ma sono corpi in cui di rabbia nera
Tu spargi, o rea, la tua falce o saetta;
Ve' s'unquemai la lorda man tu metta
Sovra senno, valor e virtù vera?
Tai rari pregi in mezzo al petto nostro
Al gran Giuseppe in sacro tempio alzaro,
Donde tu star ben dei lunge e profana.
Qui ritratto in idea somma e sovrana
Egli vivranne immortalmente chiaro,
Maggior d'ogui più grande opra d'inchiostro.
In lode del P. Michelangelo da Reggio, cappuccino,
sacro oratore.
SONETTO L (2)
Alma mia, che perdesti il bel candore,
Sol intenta del corpo a i sensi frali,
Deh ti raccogli , e vedi i veri mali ,
De i qual ti ha colmo il tuo fallace errore.
Ma di mirar te stessa hai sempre orrore,
E de' vani desir fuggi su l' ali :
Deh t'ergi con le pure aure immortali,
Che al ciel t'ispira il gran sacr' Oratore.
Vedi che immota nel vii fango giaci,
Perchè i caduchi beni agogni e brami:
Ma ecco chi col vigor si spinge al volo.
Scuoti quei lacci tristi e sì tenaci,
E l'indurito cor fa che sol ami
Quel vero ben ch'ei mostra unico e solo.
(1) Stampato nel 1739 in una Raccolta fatta in della occasione.
(2) 11 P. Michelangelo da Reggio cappuccino venne a predicare nel Duomo
di Napoli nelPanno »7ag, e fu gcneralmonle applaudito. Strinse aniiti«i!« «:»l
Vico, il (juale chlic cura di racconliiTC molli componimenti in lodfl di tal sa-
cro Oratore , e che egli dedicò allo stesso.
Vico. Opuscoli. a8
m
PARTE 111.
SONETTO IL
Angel di Dio, che fai le vaneggianti
Già poetiche fole, istorie vere :
Giove tonante ch'empie forze aUere
Atterri in fulminar d'alme giganti:
Deucalion divino, oh quali, oh quanti,
E Orfeo disceso a noi da l'alte spere,
E duri sassi e stolte immani fere
In uomini trasformi onesti e santi!
Tu co' tuoi pesi libri il nostro cuore ,
E quali tu ne dai, sentiam gli affetti
Pel vero Ben cui sordo è '1 nostro frale.
Dando allo spirito etereo senso, i petti
Ne infiammi di celeste e divo amore.
Ov'eloquenzia mai tant' alto sale!
SONETTO III.
Ammirare già un tempo Atene e Roma
Chiari Orator che negli umani petti
Macchine opraro di turbati affetti,
Per trionfar dell'altrui voglia doma.
Tu, o voli al ciel con la terrena soma,
O tra noi sceso un degli spirti eletti,
Angel di Dio, fai co' celesti detti
Che la mente d'alloro orni la chioma:
Ed ella sopra un Campidoglio eterno
Si meni dietro debellati e presi
Ciechi odj , rei timor , vani desiri 5
Onde i cuor tersi al puro Amor superno
D'immensa vera immortai gloria accesi
Varchin dell' etra i spaziosi giri.
'■h
POESIE
Nella promozione della Santità di Clemente XII
al sommo ponteficato.
435
CANZONE (0
Che insolito in me sento, e raro e novo,
; Onde in quest'egro afflitto,
Ch'ai fondo mi premea, mortale iucarco,
Più che spedita mai volar si vide
Aquila altera, o scitica saetta,
Fendo le nubi, e m'ergo
Su le superbe, stolide, feroci,
Empie cime di Pelio, Ossa ed Olimpo?
Ecco di sfera in sfera,
Di pianeta in pianeta e d'astro in astro,
Il piti puro del ciel squarcio e sorvolo.
Deh come già l'Argivo legno occhiuto,
/ Perseo, le spoglie del famoso Alcide,
, E ogni altro che fissò la greca gloria
A l'etra de' suoi eroi, chiaro trofeo,
Mi fugge sotto e cade.
S'impicciolisce, si dilegua e sgombra!
0 quanto costo, o quanto
Col suo lungo aguzzar l'occhio ne' vetri,
E quel che ne le stelle Urania osserva!
Perchè quanto le fredde
Sono minor de la gran fascia ardente.
Tanto maggior de la gran fascia ardente
Sparsa vegg'io d'inaccessibil luce
Zona che cinge e tiene avvolto il mondo :
Ov'a note di ben saldo diamante
Alto vi legge sculti i grand' Imperi:
1 quai ben da una parte
Tutti insieme ottenuti
Latini e Greci e Assiri e Medi e Persi,
Con magnanimo sforzo
^ Ciascun tenta e s'adopra a sé di trarre
(1) Per lit promozione al sommo ponleficalo di Clcmuntc XII Corsioi , col
quale avea tenuto commercio epistolare mentre era cardinale, avendogli anche
dedicalo T Opera della Scienza Nuova del 1 725 , compose il Vico la presento
Cantone, che impresse in Napoli con mitgniflca ediiione. Avendo poi ristam-
fiata ed ampliata l'Opera della Sdenta Nuova rtcl l'J^o y la dedicò anche al-
' istesso Sommo Ponlefiro.
436 PARTE III.
Tutto V orbe de' popoli e de' regni ^
Ma da la parte opposta
Tutti col suo forte soave cenno
Pe' vasti campi de l'immenso abivsso
Gli si strascina dietro il sommo Giove.
Del divin cenno e nume
A condur la grand' opra
Sono menti e virtù ministre elette,
A le quali fremendo
Dura necessità presta ubbidisce^
E con necessitade
Ben cento e mille Enceladi e Tifei
Di vizj vinti, debellati e domi,
Con cervici di bronzo e ferrei petti,
Con braccia e piante di ben duro acciajo,
Tra lo strido e '1 fragor d' aspre catene
Gemono in eseguire il gran comando.
Oh mio pur troppo infermo occhio mortale!
Che là nel basso mondo,
Per ravvisare il vero
Che nascondono in se le cose umane.
Tutte scevere e sole
Tu le scorgevi* e sì scevere e sole
L'umane cose nascondeanti il vero 5
E ti dolca con grave
Sdegno gentil de la Ragion delusa
Veder misero il giusto, e '1 reo felice.
Vedi ora, vedi, come
Quelli che ti pareano e laidi e brutti,
O dal Fato scoppiati,
Ovver dal caso usciti orrendi mostri,
Rapportati tra loro e ben intesi,
Quai ti presentan ora
' Di bellissimi obbietti eterne forme?
Su la grand'Asia il capo
La superba Babelle alza e torreggia,
Perchè dipoi per Alessandro il Magno
A la greca sapienza in Dario inchini.
La perfida, feroce, alta Cartago,
Ch'ambiziosa affetta
Su l'impero del mar quello del mondo.
Dal fui min de la guerra inchto Scipio
Veduta appena e tocca,
Consegrata cadeo
POESIE ^3»^
A la virili romana arsa e distrutta.
Di sua felicitade ebbra ed insana,
Donna de le provincie,
Infuria ne' capricci e ne' piaceri
Sfacciatamente dissoluta Roma^
Che per ornar di marmi e bronzi e d^oro,
Parve insultare a la Natura il Fasto:
Com'a meraviglioso
Splendid' ampio covile
Di tante crude, immani, orrende fiere,
Da l'Aquilon gelato
Scendon barbare genti a darle il foco:
Perchè, quando a si rei fini infelici
Pur condussero il mondo
E la sapienza e la potenza umana,
Contro a le quai niraiche il vero Iddio
Sostenne la celeste
Con prove di miracoli e martirj j
Quìtì fermasse il regno
Sua veritade eterna,
La qual a un Bene immenso ed immortale
Gli oracoli dettasse ai Vercredenti.
Questa somma e sovrana
Gloriaci Roma, ond'è Italia in pregio,
Che di questa, di cui oggi nel mondo
Ne' mestieri di Marte e di Minerva
Non vede il Sol più valorosa parte,
I primi Regi col possente Augusto
V'adorano divoti il gran Triregno^
Da minaccevol turbo
Di fiera guerra in punto eh' a lei manca.
Del cattolico gregge il gran Pastore,
Posto in foj'se di se forte paventa.
Quivi al grand' uopo e al paragon di tutti
Gli altri almi, incliti Padri, ognun de' quali
Fora degno Pastor di tanto gregge,
II gran Clemente s'alza al sagro soglio.
Tanto grand' uopo e paragon fat< prova,
Quanta viriti innalzovvi il gran Clemente,
438
PARTE II
In lode del P. Tolotti de"" Chierici Regolari, sacr' oratore.
SONETTO (1)
Lieve Grecia credeo per lungo errore
Che di Giapeto in prima il figlio audace
Volò nel cielo, e accese al Sol la face,
Onde formò dell' uman loto il core :
E ch'indi Desir vano e van Timore
E l'Invidia che adugia, e Amor che sface,
E 'nsieme pazza Gioja e Cura edace
Il mondo empier di lutto e di dolore.
Ma tu, chiaro Tolotti, al vero Sole
Ergesti dritto il cor, pura la mente;;
Onde tua lingua è una celeste fiamma
Che nel suo fango la sepolta gente
Con sublimi, infocate, alme parole
A divine virtù desta ed infiamma.
In morte di Anna Maria Caterina Doria moglie di Nicolò Salerno.
SONETTO (2)
Mio dolente Salerni, hai tu ben onde
Bagni di largo pianto il viso e '1 petto,
Se quella a cui con santo nodo stretto
Lieto vivevi, or freddo marmo asconde:
Che fea ridenti a questo lido l'onde.
Spirava a questi colli almo diletto
Col parlar saggio e col leggiadro aspetto ,
E 'ngemmava al Sebeto ambo le sponde.
Poiché tanta tua gioja è giunta a riva,
Dritt'è ch'or tessi a Lei tra doglia e pianto
Di mirti in Pindo còlti eterno serto.
Che se l' immago si serbasse viva,
Ognun direbbe, il tuo sublime canto
Risonar di gran lungi infra il suo merlo.
(i) Il priacipe di Colombrano, molto amico «lei P. ToIolU che predirò ron
gran plauso nell'anno 1731 nella chiesa di S. Paolo Hi Napoli, richiese coti sua
lettera qualche componimento al Vico, ed ottenutolo lo impresse nella Rac-
colta fatta in lode del Tolotti con la data di Firenze i73i , in-8.
(a) Fu pubblicato con le Rime di Nicolò Salerni , per la motte di sua mo-
glie. Napoli, «73aj in-8.
POESIE ^3g
Endecasillabi fra"" Componimenti pel cardinal Giambattista Salerni.
Almae quid facerent, rogo, Sorores
Dispersae undique solitariaeque,
Artes quae fugitant negociosas,
Artes quae fugitant severiores^
Ni Capassius, ipse deque Husis,
Et multum merita e domo Salernùin,
Ostro quod merito caput decoret,
Vestris det modo versibus canendum?
Laetandum est igilur cuique, Amici,
Pindi qui eolitis sacrala montis,
Quod vatis stadio excitae Salerno
Sebethi celebrent chorum prope undas
Almae, quae facerent nihil, Sorores
Dispersae undique solitariaeque.
Egloga impressa nella Raccolta di Componimenti fatta nelP apertura
della Colonia Sebezia per V arrivo del viceré di Napoli 0. Giu-
lio Visconti Panno 1733.
Meliboeus et Damoeta.
Mei. Quae mira, o Damoeta? ut candet lumine coelum!
Ut liquidae rident Tyrrheni litoris undael
astate ac media, qua arescunt gramina campis,
Hosce novos flores ut gemmat roscida ripa
Sebethi, et coUes hic vernans ambit amictus!
Sponte cavo fusa exundant de robore mella!
Ubera lacte fluunt graviter distenta capellisl
Z?^/72. Desine mirari, Meliboee: ut nuper in urbem
Caedendos agnos egi, per compita vidi
Laetitià ofPusam : tum caussam sciscitor: ajunt,
Ipsius ad regimen modo pervenisse beatae
Insignem virtute virum, comemque gravemque, i
De caelo semen qui Divùn* ducit ab alto*
Heroum in raorem divina insignia gestans,
Serpens qui puerum vorat. Atqu'? ibi forte sacerdos,
Ultima cui aetatum perdocte est nota vetustas,
Stemmatis has iufit pietas exponere voces (i).
(1) Per gli princi,>j della Mitologia isterica ritrovali con la Scienza Niiovd
d'intorno alla Natura comune delle Nazioni si dimostra, questa esser uiP isto-
ria delle anticliissime genti eroiche; poiché tutte le storie luofane , come chiun*
que vi rifletta, facilmente può ravvisarlo, hanno favolosi i prìncipi : e da'" Gre-
ci, i quali per le cagioni che si meditano in quelP Opera , coMservarono lo favole
più di tutte l'altre nazioni del mondo antico, tal st^rpoutt!, che si divorava ^li
uomÌQÌ, fu detto Pitone, e ne fu appellale l'ilio Apcilo, 1! «]uale T Hrrì»c , ed
era creduto Dio della ^oLiIlk.
44o PARTE 111.
Tempore quo primo viguerunt aurea saecla,
Quum terrae viderunt una hominesque Deosque
Versari, atque vicissim audire et reddere voces^
Graecia (proli infanduml) tetro infestata Bracone:
Python dictus erat late exitiabile monstrum.
Ex se quod natos foede truciterque voraret^
Auxilio sancta imploravit numinà Phoebi:
Adfuit et miserae praesenti numine Phoebusj
Monstrumque afflixit saeva celerique sagitta:
Pythius bine Grais et dictus Victor Apollo,
Stemmate et herois prodit caelestis origo.
Mel.ìd nempe ostendunt oris miracula nostris,
' Quod nostri Bector veniat de sanguine Divùm?
Jdcirco alma Ceres tam laetas reddere messes
Dignata? et Pomona refert tot numera ramis?
Et Bacchus viles onerat praedulcibus uvis?
Dam.Qyiìd dubitas, redeant nobis Saturnia Begna,
Justitia atque Pudor, sanctae Pietasque Fidesque,
Nos ubi vir talis laetos tantusque gubernet,
Cui divos atavos Saturnia protulit Mtas?
Mei. Quin spero; idque jubent et nomina et omina tanta.
Dam. Cras igitur prima quum Phoebus lampade terras
Lustrabit, croceum madidumque cubile relinquens,
Casti adeamus summi Panis tempia biformis:
lllius ac festa fronde exornabimus aras*
Illius ante aras teneros mactabimus agnos.
In lode di Carlo Borbone Re delle Due Sicilie.
(1734)
SONETTO I.
Di sommi Imperadori e Begi augusti,
Onde d'incliti fatti e gloriosi
La Senna, il Tago, il Po corron famosi
Da' più lontani scegli vetusti,
Da' freddi Sciti a i Mauritani adusti
Per chiari pregi , che non mai fien rosi
Del Tempo rio da' neri denti annosi
Che fanno in brani archi, colonne e busti,
Generoso Bampollo , in sì ridente
De' tuoi verdi anni e tenera stagione
Guidi e comandi memorande imprese.
Che fia in robusta età, poiché tua mente
Bami onusti di palme e di corone
Dal tuo gran core al ciel larghi distese?
POESIE ^/!^ I
SONETTO IL (0
<i Oh qiial te vide vincilor guerriero
Il Sebeto, gran re di lauri cinto!
Vide altr'ordin di Fati in ciel distinto,
Ond' ergerà su i fiumi il capo altero.
Vide in te da la Senna e da l'Ibero
Ritornar altri Carli e Magno e Quinto,
Dal Po Alessandro, da cui 'n gloria vinto
Fia quel che sottomise il Perso Impero.
Vide tornar da l'Arno il Tosco Augusto,
Il gran Lorenzo, il padre de le Muse,
Che saliranno liete al prisco onore.
Vide tanto splendor nuovo e vetusto,
Ch'alto italico sangue in te confuse,
« La patria mia che ti adorò col core.
SONETTO III.
u La patria mia, che t'adorò col core
Al primo suon del tuo gran nome augusto, ,
Lieta ella disse: Ecco il possente e giusto.
Da me già sospirato, almo Signore.
Vieni a' trionfi omai germe ed onore
D'eroi, e di quel tronco alto e vetusto;
Ricco di palme in ogni tempo e onusto.
Spegni degli empj mostri '1 rio furore.
Ed or che del sovrano antico pregio ,
Dopo SI lunga età, si vede adorna
Tua pietà, sua ventura è sol tuo merto:
Cresci, dice, alle glorie, e fregio a fregio
Addoppi 'l Ciel, se '1 Ciel ch'ognor più t'orna,
t( Cinse su '1 capo tuo il Real serto.
(i) Stampato nella Raccolta de' Componimenti de^ Paitori Arcadi della Colo-
nia Sekeaia, che allora univaii in Napoli, ovo Vico era nominato Lauiìlo Terio.
442
PARTE III.
Per le Nozze di D.Raimondo de Sangro, principe di Sansevero ,
e D. Carlotta Gactani delPAquila d'Aragona de' duchi di Laurenzana.
SONETTO (0
Alla Big. D. Guglielmina Merocli madre della Sposa.
Alta stirpe d'Eroi, onde famoso
Il Baiavo Lion siede sul mare,
Che con nuove virtù sublimi e rare
Accresci pregi al regal ceppo annoso:
Da tuoi cari complessi a r^gio Sposo
Del sangue che d'Italia illustri e chiare
Ha fatto l'armi, or vedi lungi andare ,
Il tuo vago gentil pegno amoroso:
Soffri con alto cor la sua partita^
Che '1 Ciel sempre benigno , ora più lieto
Dispensi giuste tai voci leggiadre.
O Giustizia che sei sempre gradita!
Tu togliesti al Sebeto il chiaro Padre,
E la gran Figlia rendi ora al Sebeto.
Per ristessa occasione. ^
SONETTO
A] sig. D. Gaetano Braacone.
Ne corone, ne ostro, o gemme ed auro
Giammai mi ponno, o mio Brancon gentile,
B-imenare il mio già caduto Aprile,
Ne qual serpe di nuovo al Sol m'inauro;
Hammi in Pindo aduggiato il verde lauro
Invida nebbia, a rio tosco simile:
Da la tremante man cade lo stile,
E de' pensier si è chiuso il mio tesauro.
Ove manca natura,, inferma è l'arte^
Perchè l'ingegno è il gran padre felice
Di bell'opre ammirande eccelse e chiare.
A te, cui Febo ispira e nuove e rare
Forme di laudi, d'allogar ben lice
La gran Coppia da tutte altre in disparte.
(i) Furono stampati questi due Sonetti nella Raccolta fatta per tali Nozze in Na-
poli nel i735,in-4' D- Gaetano Brancone, a cui il Vico indirizza i) secondo Sonetto,
fu nella sua prima età applicato alla Giurisprudenza, dotato di sommo ingegno e
probità. Scrivea con molta eleganza in latino ed italiano, così in prosa come in
verso. Fu eletto prima segretario del Corpo della città di Napoli , carica che
allora occupavaii da uomini l'orniti di talento \ indi fu scelto per segretario della
POESIE " 44^
In loJe del Sig. D. Domenico Barone di Liveri '
per una commedia fatta dallo stesso intitolata La Contessa.
SONETTO (0
Di guardar tu ne dai l'util piacere
De la vita privata i varj eventi,
Amor, tema, speranze, ire e contenti,
Finte così , che sembran cose vere :
Per cui van si le greche Muse altere,
Che ne sdegnan del Lazio anco i cimenti;
Il difficil lavoro innalzar tenti,
Onde il bell'Arno miglior iato spere. '^-
Quindi drappello di gentili Spirti
Di riva in riva al gran fiume sacralo,
Che versa l'acque del divin furore,
Per somma laude ed immortale onore
Or al tuo nome d'alto pregio ornato
Ghirlande intesse d'odorosi mirti.
R. Camera di S. Chiara, ch'era in quei tempi il primo tribunal d*l Regno,
e finalmente per la sua somma integrità ed espertezza dal re Carlo Borbone
▼enne promosso all'onorifico impiego di segretario di Stato degli Affari Eccle-
siastici, avendo anche dall' istesso Sovrano ottenuto il titolo di Marchese.
(i) D. Domenico Barone di Li veri, patrizio della città di Nola, fu un cava-
liere ornato di molta letteratura, ed assai proclive a compor commedie, che
facea recitare privatamente nella sua casa in Nola. Portatosi colà il re Carlo
Borbone, ebbe l'agio di sentire ivi una commedia di tale Autore, che incontra
molto il genio di quel magnanimo Sovrano. Da tale occasione il Baron di Li-
veri incoraggilo, seguitò a scriver commedie che facea rappresentare nella sua
casa in Napoli, ove si condusse, e che venivano applaudite. Avendo cominciato
a darne alcune alle stampe , e fra questa quella intitolata La Contessa^ gli Ac-
cademici detti Oziosi^ che univansi nella casa di D. Nicolò Salerno, scrissero
molti componimenti in sua lode (e fra questi vi si legge il Sonetto di^l Vico)
che pubblicarono con le stampe nel 17.35, iu-8. Ebbe l' incarico il Baron di Li-
veri (che fu dalla munificenza di Carlo Borbone onorato del titolo di Marchese
e di annua pensione) di scrivere ogni anno una commedia , per rappresentarsi
nella gran sala del R. Palagio in presenza del Re e della famiglia Reale. Il
marchese Liveri formò la numerosa compagnia di Comici a suo piacere, fra i
quali vi era un celebre buffo chiamato Cristofaro Russo di professione pittore,
i quali tutti erano stipendiali , non escluse le semplici comparse. Tutto il pre-
gio di dette commedie consisteva nel vedersi in esse espressi al vivo i più mi-
nuti accidenti ihe giurnalmeuie accadono nel minuto popolo di Napoli e de' vi-
cini paesi. Per ottener ciò, al che riuscì mirabilmente, il marchese Liveri con-
certava le commedie, prima di farle rappresentare, per un anno intero ogni sera
in sua casa, non contentandosi che le azioni fossero eseguile con qualche m«-
diocrilà. L'inviluppo di quasi tutte le commedie dui Livori ù soverchio intral-
ciato, e tutte peccano di lunghezza e di una affettata locuzione ; cosicché doveano
tediar l'udienza, che dovea trar diletto dalla sola esaltezza dell'aiioue. Ecco
l'elenco di tutte lo commedie dui marchese Liveri. La Contessa^ pubblicata
nel 1735, per Mosca, in-8 — Il Pnrtenio ^ ^1^7 j I'*"" ^lu»*'" , 'i»-8 — // ('O'
vernalore — L^ Errico^ per Riccardo, 1742 — // Corxih ^ i74'^i P*"" Vocola,
in-8 — // Gianfe.condo f 1745, per Vocola. in-8 — L'^^ébate^ i7^5, seiua
nome d'impressore — // Cavaliere — Gli Stttficnti ^ '7^4 > 1'^*" Simone, iu-8
— // S'olitar-io — La Claudia ^ '7^^» !'♦'*' Simone, in-8 —'La Sirena ^ com-
media mi.
444 PARTE III.
In lode del P. Giacomo Filippo Gatti Agostiniano, professore di
Teologia nella Università di Napoli, per lo quaresimale fatto dal
medesimo Tanno 1735 nella chiesa dello Spirito Santo di Napoli.
SONETTO (1)
Per la famosa predica della Grazia, replicata a richiesta
di molli Letterati,
Nel più puro sublime empireo chiostro
Divampa in mezzo de' beati Cori
Eterno fonte d'immortali ardori,
Che discolora e gemme ed oro ed ostro:
Indi chiaro da te ci vien dimostro
Che tra i nostri a ben far egri languori
Scende soave forza entro de' cori ,
Tal che '1 divin voler sia voler nostro.
Quindi noi tutti nova voglia assale
Aperto udir da te l'arcan superno,
Che l'umana ragion umile inchina:
Onde tua voce è 'l Campidoglio eterno,
k Ove spiega sue pompe la divina
Grazia vittoriosa *e trionfale.
Per le nozze di D. Antonio Capece Minatolo de' principi di Canosa,
e D. Teresa Filangieri de' princìpi di Arianello.
SONETTO (2)
Di due semi del Ciel gentile innesto _,
Ti spiri sempre fresca aurea feconda*
Te irrighi alma rugiada o limpid'onda.
Né torbid'Austro mai ti sia molesto :
Lungi da te si sciolga il gelo infesto,
E '1 bel Sebeto da la verde sponda
Inclini umil la tua onorata fronda,
E 'n tua custodia Pan stia sempre desto.
Quai da te spunteran soavi fiori
Ne' dolci e cari pargoletti figli,
Che lieti e gai ti scherzeranno intorno^
Che produrran maturi frutti un giorno,
Che dia la lor virtù eh' a te somigli,
Minutol indi e Filangieri onori.
(1) Fu questo Sonetto iaserito nella voluminosa Raccolta di Poesie fatta in
Napoli nel l'j'ÒS in lode di questo sacro Oratore, Silverio Giuseppe Cestari ebbe
cura di una tal Raccolta , nella quale si leggono le poesie de^ più dotti di quel
tempo.
(a) Stampato nella Raccolta fatta in nome degli Accademici Oziosi di Na-
poli nel 1737, in-8.
POESIE 445
Per ristessa occasione.
SONETTO (0
O al mondo istrania, nova, altera mostrai
Le vaghe chiome inanellate e bionde
Venere enlro i'acciar chiude e nasconde,
Cui '1 cimiero di rose infiora e innostra :
Con spada al fianco, che se mai gliel mostra,
Il latte ben d'assai vince e confonde,
Splende sul pomo la sua stella, donde
Piove piacer quaggiù la terza chiostra.
Ella presiede alla fastosa e lieta
Pompa, con cui la Filangiera Diva
A Minutolo Eroe conduce Imene.
Con dolci canti le gentil Sirene
Fan risonare la Sebezia riva,
Quai l'onda ascolta mormorando cheta.
Loda N. Mocenigo Nobile Veneziano.
SONETTO (9)
O sovrano, real Lione alato,
Ch'un pie sull'Adria hai fermo ed altro in terra,
E '1 cui gran cuor tanto valor disserra,
Che degl'Imperj hai vinto il comun fato:
11 tuo di tanti Re almo Senato
Che ne' sacri consigli unqua non erra,
E tempra cosi saggio e pace e guerra,
C'ha in Europa l'Italia inclito Stato,
De' Mocenighi Eroi, che riportaro
Dentro l'amplissim' Ordine regnante
Mai sempre grandi e spesso i primi onori,
A Giovan colmo d'alto merto e raro,
Il qual va sempre a scelte Iodi innante,
Ha commesso i tuoi divi, ampi tesori. ^
(0 Stampato fra le Rime raccolte per tali Nokc con magnifica cdiiione e
nlrulli rli-j-li Sposi in Napoli, 1737, in-4.
(2) In ocrasion dell' ingresso alla carica di Procurator di S. Marco in Vene-
y.\.\ di Luigi Gii», IVTocriiif^o fn in della tiltìi nel 1737, iii-8 , impressa una
luitcolla di Poesie , Ira lo (juali li-gjjcsi il presente Souatto.
446 PARTE III.
In lode di D. Ferdinando Sanfelice Patrizio Napoletano per la Mac-
china volgarmente delia Fiera, da lui ideata ed eseguita nel largo
del Castello di Napoli, in occasion delle Nozze di Carlo Borbone,
re delle Due Sicilie con Maria Amalia Walburga.
SONETTO (I)
Con sue ampie alte moli e sterminate
Di palagi, obelischi e torri e tempi,
D'immense regie forze ultimi esempi
Fece Menfi stupir la prisca etate.
Tu con lodi d' ingegno al mondo or nate ,
Saggio Fernando , in breve spazio n' empi
La vasta maraviglia , e ì nostri tempi
Orni di nuove glorie alme e pregiate.
Che a un tempo ergesti 1' ammirabil opra,
Ove al bisogno ed al piacere umano
Fan di se copia la Natura e l'Arte.
Sì ben ella s' intende in ogni parte ,
Che della rara idea P onor sovrano
Non fia che '1 tempo un<^ua d' oblio ricopra.
Per le medesime Reali Nozze. <
SONETTO (2)
« Con mano al Re quelle gran vie far note
Che menano del mondo oltre le mura,
Ove l'alto confin pose Natura
Tra le cose mutabili e le immote:
Studia eroica virtù, la qual è cote
Pur a se stessa, e la cui luce pura
Ogni cosa mortai adombra e oscura,
Ove col suo divin raggio percote.
Che ei mentre acquista ampie provincie e regni,
Gh siede ella in trionfo in seno ascosa,
E d'ogni sua grandezza il fa maggiore.
Quivi trae vinti orgoglio, ire e disdegni:
Ella vede alta pace entro il gran core
« Che ne' Fati per lui unqua non posa.
(l)Fu dato alle stampe nel 1738 insieme con altri Componimenti per tal occasione.
(a) Recitato nell'Accademia de"!' InvesMganti , che univasi in casa del si-
gnor D. Slefauo de Stefano. — Eserri(ii*an.si gli Accademici in csercizj ietterarj
che avean per scopo le materie filosofiche, l'amena letteratura e la poesia. Finì
della Accademia con la morte del presidente Di Stefano.
POESIE 44?
Per le medesime Reali Nozze.
SONETTO (i)
Stese V Italia il suo famoso impero
Da i regni de l'Aurora a l'Occidente,
E vi rinchiuse anco il Numida nero*
Ma arrestò 1' armi in riva a l' Istro algente.
Ora è sorto in Italia un Rege altero,
Il cui gran ceppo su la Franca gente
Regna, e '1 gran Padre sopra il grave Ibero,
E tien tra ceppi l'Africano ardente.
E diva Sposa dal gelato polo \
Altri ajuti or gli porta in dolce teda,
Che a l'Asia fia l'altra funesta face.
O gran germe d'Enea, gli sgombra il duolo,
E con navi e cavalli al fiero Trace
Cerca ritrar la grande ingiusta preda.
Per le medesime Reali Nozze.
SONETTO (2)
Risposta ad un altro di Gioachino Poeta.
Non è già del mio ottuso e rozzo stile ,
Di mia palustre penna e oscuro inchiostro
Lodar Quella ch'onora il secol nostro,
Sopra il sesso e 1' età saggia e virile ^
E con un sol regale atto gentile
Vince di pregio e gemme ed auro ed ostro:
Ma degn' opra egli è ben del valor vostro.
Onde il Fato vi die nome simile.
Da divino furore acceso il seno
Cantate ancor, che '1 Cielo al Re Sovrano
Serbò il suo bel diletto onesto e santo:
E avvereransi i nostri augurj appieno;
Ch'indi avrà prole sì felice e tanto.
Ch'userà mente greca e cuor romano.
(i) Tratto dalla Raccolta de' Componimenti dei Fattori Arcadi della Colonia
iSiheiia, allora esistente in Napoli.
{%) Stampato nella Raccolta dc^ Componimenti fatti da^ RR. Profeisori d«11a
Univeiiitk dfgli Sludj di Napoli,
44S PARTE ni.
Per le Nozze di D. Girolamo Pignatelli, principe di Marsiconuovo ,
e D. Francesca Pignatelli de*" duchi di Monetelone.
SONETTO (I)
Somma Genio sovran d' Eroi famosi ,
Il casto Ietto da le ricche sponde ,
Ove accoglier dovrai gì' incliti Sposi ,
Spargi di trionfale augusta fronde.
Tutti indora il Sebelo i crini algosi ,
Partenope di perle ingemma l'onde,
Flora e Po mona il piano e i colli ombrosi
Par che de' doni suoi ciascuno inoude.
Però ministro eletto a la nuov' opra
Fingi forme gentili , oneste e belle ,
C hanno a produr la generosa prole :
- Guarda Venere , Giove e l' altre stelle
Che versan rade grazie e al mondo sole,
E virtù che l'obblio unqua non copra.
Per le Nozze del principe di Fraucavìlla Michele, signore della Casa
Imperiale, marchese d"" Uyra e principe di Montefia, Grande di
Spagna, con la signora Eleonora Borghese,
SONETTO (9)
O bel trionfo, a cui rado favore
Da' benigni astri suoi rovesci il Cielo ,
Che due Sposi Real con l' aureo telo
Mena conquisi nel suo regno Amore!
Siede al governo bel desio d' onore ,
Che ha sol di ben oprar fervente zelo ;
Vestito di sottil candido velo,
Tal eh' ogni suo pensier traluca fuore.
Ovunque passa il nobil carro, il suolo
S'ingemma e innostra, il Sol più chiaro splende,
E riso e gioja la dolce aura spira.
Quali famosi Eroi l' Italia attende
Da l'alta Coppia, che lodando ammira,
Ch' empian di fama 1' uno e 1' altro polo.
(OLoggesi nella Raccolta di Componimenti per le delie Nozie. Napoli, 1739,
(2) Lcggesi nella Raccolta fatta in Napoli nel 1740, iu-8 , per tali Nozze.
POESIE 44g
In morte di Orazio Pacifico.
SONETTO (!)
Febo ha smarrite le sue chiome bionde;
Languiscon de le selve i verdi onori,
Cadono secchi i rigogliosi fiori,
E inaridite l'erbe in su le sponde:
Vanno giù pe' ruscei torbide P onde ;
Ne liete muovon l'aure i lor favori:
Dorinda, Silvia, Aglaura, Egle e Licori
Giacciono meste in su le smorte fronde,
Ed a' cipressi han le sampogne appese;
Né per l'Arcadia, dove l'occhio giri,
Immagin s'offron, che di mesto duolo.
In questo d'anìaranti asperso suolo,
Che dal pian rilevato alquanto miri ,
Il buon Criteo la mortai spoglia rese.
In morte del duca di S. Filippo D. Giuseppe Brunasso.
SONETTO (2)
AI duca Lorenzo Brunasso.
A le Muse ed Astrea diletto e caro,
Gentil Lorenzo, omai lenisci il duolo
Del tuo buon Genitor e' ha posto al suolo
La spoglia , dritto fral del Tempo avaro :
Perchè lo spirto di- gran merto e raro
Per pietà de la patria alzato è a volo
Lieve e spedito a lo stellato polo,
Ov' eterno rifulge inclito e chiaro.
Questo degno di te saggio pensiero
Ti volga ad onorar la sua memoria , '
Più tosto che desiderarlo in vano.
E questo va sovra d' ogni altro altero
Pietoso affetto veramente umano ,
Lieto goder de la paterna gloria.
(i) Fu questi un letterato napoletano che menù sempre una vita privata ed
oscura, senz^aver mai occupato alcuna carica. Per la morte di lui i suoi amici
scrìssero alcuni componimenti che furono pubblicali nelPanno l?^^.
(2) Per la morte de! duca di S. Filippo D. Giuseppe Brunasso (che godìi
somma riputaiione nella citili di Napoli, anche per essersi condotto con lode
nella carica che due volte esercitò di Eletto del popolo in tempi difficili ), dopo
essersi celebralo maf;nifico funerale nella chiesa di 8. Anna du^ Lombardi , nel
quale recitò la funebre orazione il P. Giacomo Filippo Gatti Agostiniano , in-
signe oratore di quelPelk, s^ impresse una lunga Raccolta di poetici componi-
menti de^ migliori autori cosi napoletani, com^ esteri. Il medesimo P. Gal ti ebbe
cura di una tal Raccolla, che usci alla luce nel 1743, e ch« fu dedicala a 0.
Lorenzo Brunasso, figlio del defunto , giudice d«l tribunal* della Cmvmx Corte
della Vicaria.
Vico, Opuscoli. 9()
45o PARTE 111.
In Morte di Argeo V. A.
MADRIGALE
Partisti , Argeo , da noi ,
Cui fu dal Ciel concesso
Intendere il parlar de' prischi eroi ^
E dal Ciel fu permesso
Di ragionar con Pane assai dappresso.
Un colmo di dolore
Tuo compagno pastore
Socio , che lungi dietro a te veniva
Del bel Sebeto in riva ,
• All' immortai tuo merto
Di timo cólto in Attica offre un serto.
Versi in morte del giureoonsulto Dalmarso.
Heheu! Dalmarsus, summi pars magna Senatus,
Fatis concessit, gloria nostra Fori.
Qui non mutatus, non est convulsus honore;
Qualis privatus, talis in imperio.
Non alter juris custos servantior acqui ^
Non alter vitae sanctior officiis.
Novit Parlhenope, novit Trinacria, novit
Urbs, et ubi Austriadis nobilis aula nitet.
Ast ope divina qui ingentia damna rependas,
Digne nepos, Caesar, candida spes, superas.
Qui quidque egregia promittis laude refertum,
Rarus, praeclarus indole et ingenio.
Undique honesta domus virtutum spirai honesta,
Atque afflat Musas undique docta domus.
Grassare ergo, puer, qua te via ducit honorum,
Dalmarsum nobis et cito redde tuum,
POESIE 45 {
Per Monacazione.
SONETTO -. ,
Due candide Colombe a Dio dilette ,
Ricolme^ il seno di celeste ardore,
Sdegnano il giogo di terreno amore,
Che fa de' presi amabili vendette 5
E con rapido voi sole solette
Puro serbando il lor natio candore.
Che produce a beltà sovrano onore ,
Chiuse si sono in due sacre cellette.
Sì godon quivi d' un Divino Sposo
Che d' infinita gioja empie ciascuna ,
Talché tra loro gelosia non regna.
Santo Amor quivi ha i suo' bei vezzi ascoso ,
Quivi sue dolci eterne grazie aduna:
Oh quaggiù vita d'angiolette degna!
Per Monacazione.
SONETTO
La candidata avca nome Rosa.
Divina Rosa d'un eterno Aprile,
Che diffondi quaggiù celeste odore,
Serbi tra fiori il vanto e l'alto onore
E la vaghezza sola a te simile.
Già sdegnando i tuoi pregi, e avendo a vile
Spiegar tra frali pompe il tuo splendore ,
Tutta rivolta al primo sommo Amore ,
Chiusa ne vai in stretta cella umile.
Sprezzando e bissi e gemme ed ostro ed oro,
Involta dentro rozze oscure lane,
Armi di spine il tenero tuo stelo ^
E in povertà riponi il tuo tesoro;
Lungi quindi otìchi , non che man profane :
Giulia è beltà che sol vagheggia il Cielo.
452 PARTE HI.
^ Per Monacazione.
SONETTO
O leggiadra, gentil, casta Donzella,
Pur troppo ti convien nonae Benna^^
Che a lo Sposo Divin diletta e grata
Corri a goderlo entro pudica cella.
Non mai cosi cerva leggiera e snella
Per conservar la liberlade innata,
Correndo verso la sua tana amata,
Fugge la pania insidiosa e fella ^
Come del cieco guasto mondo e frale
Da lusinghieri lacci ora t' involi
In braccio a pura solitaria vita.
Quindi un'alba godrai sempre gradita,
Ne ti corromperanno i caldi Soli
In celeste giardin rosa immortale.
Per Monacazione.
SONETTO
Vaga Colomba, che con spedit'ali
Ne la leggiadra forma a l'erte cime
Di celeste virtù t' alzi sublime
U' nero turbo ad oscurar non sale ;
Sue false gioje t' offre in seno frale,
Che tu disprezzi quai caduche ed ime^
E quelle sole agogni elette e prime,
Che sole largir può Bene immortale 5
E chiusa in rozze lane e fosco velo.
Dentro romita e solitaria cella
Sdegni ricchezze e geme ed oro ed ostro j
Perchè nascosta entro sacrato chiostro
Al tuo Sposo Divin sola si bella,
E con le stelle ti vagheggi il Cielo,
I
POESIE 453
Alla signora duchessa d^Erce D. Isabella Pignone del Carretto.
SONETTO
Donna gentil, tra noi dal ciel discesa
Per innalzar al ciel nostri desiri,
E contemplar entro gli eterni giri
La bella idea d'onde voi foste presa:
Se avversa sorte al mio mal sempre intesa ^ ;
Con più venti crudel d' egri sospiri
Non agitasse in mar d'aspri martiri
Mia stanca nave, combattuta e offesa*
Da tal subbìetto qual alta immortale i
Verrebbe lode al mio non culto stile,
Cantando in parte i vostri eccelsi pregi I
Poiché manca l'ingegno a' sforzi egregi,
Resta al pensiero che v'inchini umile,
E onor vi faccia a le mie forze uguale.
In lode di O. Ferdinando Caraffa de^ princìpi di Belvedere.
SONETTO (\\
Del fier perduto mondo i primi vati,
Che col vano timor di falsi Numi
L'insegnaro civil leggi e costumi.
Teologi fur detti e celebrati.
Tu, buon Fernando, con bei carmi ornati
Di Fé nostra spiegando i veri lumi,
Non di Elicona ci fai nascer fiumi,
Ma perenni dal ciel fonti beati;
Che ben consagri al gran Chirone Ispano,
Che 'l regal giovinetto eroe Borbone
Casto formò, religioso e pio;
Il cui esemplo è a soggetti acuto sprone
Di coltivare un viver sovraumano
Per amor dell' immenso ottimo Dio.
(i) Questo Sonetto inedito del Vico fu composto in lode di D. Ferdinando
Caraffa de' principi di Belvedere) ch^ ebbe la passione di scrivere molle italiaot
Itoesie , sebbene avesse avute le Muse al nascer suo nemiche. Fra queste pul>-
)lirò un poema in versi sciolti che aveva per titolo La Santa Fede ^ e che d«>
dico al duca di IVIonleallegre D. Giuseppe Salas educatore del giovanetto re Carlo
Borbone venuto recentemente alPacquisto di questo Regno. Forse il Caraffa volea
riprodur migliorato alquanto un tal poema, e secondo anche I' uso di quei tempi
corredarlo di componimenti in sua lode.
454 PARTE in«
A\ 8ig. D. Paolo Mattia Doria*
SONETTO
Questi di chiari Cigni alti e canori
Si sublimi, soavi, almi concenti,
^ Che molcean sopra i miei sensi dolenti
De l'invida Fortuna i rei furori^
Onde il mio nome pien d'ampli splendori
Fia che rifulga a le lontane genti^
Son tronchi, che rispose, ultimi accenti
Debil eco di dentro a mesti orrori 5
Ch'or leggi, o di Sofia pregio sovrano
Doria, e col petto pien d'Urania vera
Colmato hai pur d'onor sommo e divino,
- Quando ti ergesti oltre il costume umano
Presso a Minerva, in quell'Attica sera
Che riverente or rimembrando inchino.
In lode di un Letterato suo amico.
SONETTO
Con voi m'allegro, o figlie alme di Giove,
Del tempo che magnanime e severe
Adornaste di laudi eterne vere
Solo rade virtudi eccelse e nove^
Che per uom così avvien che or si rinnova.
Che per 1' erte d' onor strade sì altere
Dietro si lascia le più elette schiere,
E '1 secolo a beli' opre invita e move.
Appo lui ogni laude eroica e prima,
Ond' immortai poema in grido sale,
Divien vostra sincera e casta istoria.
Ne '1 fingete con dir, tralcio Reale,
Ove regie virtù spiega la gloria,
' E sapienza infiora in su la cima.
^^
POESIE
in lode di nobii Donzella.
SONETTO
Un Nume io vidi in spoglia di pastore,
Che con aurea sampogna al fianco appesa
Guidava il gregge, e, per vincastro, accesa
Face portava di celeste ardore.
A tai sembianze per ben giusto errore
L'alta immago di Apollo in me fu appresa,
E d'Anfriso in Arcadia a nuova impresa
Passato, usar del suo divin furore.
Ma sono Amor, mi disse; errasti oh quanto!
Di Ricalba allo 'ngegno io diedi l'ale
A serbar l'arco al ciglio, agli opchi i dardi.
Con tal sampogna io l'accompagno il canto,
I sensi accendo a tal foco immortale,
Ch'ogni Arcade gentil per lei sempre ardi.
In lode del cardinal Borghese*
SONETTO
Pregio sommo e sovran del secol nostro,
In cui con larga man Regia Fortuna
Tutt' i favor, tutte le grazie aduna,
Che piovver sparsi dall'eterno chiostro j
Sì chiara virtù infiamma il petto vostro^
Che col vulgo non sol non v' accomuna.
Ma lieve nebbia pur niente v' imbruna ,
Sicché recate voi splendore a l'ostro.
De l'augusto sepolcro infin dal fondo
II gran cener di Paolo ecco si scuote,
Ecco si scalda, e parla in questi segni:
Entra ne' miei gran fasti, Eroe nipote,
Rinfranca il raerto, e rinnovella al mondo
L'arti di esperte mani e dotti ingegni.
455
456 - PARTE m.
Alla principessa di Stigliano,
SONETTO
Donna bella e gentil, pregio ed onore
Chiaro, immortai dell'amoroso regno,
Qual può giammai umana arte ed ingegno
Degne ordir lodi al vostro alto valore?
Poiché, se quei ch'aprite a noi di fuore,
Contemplo, sembran paragone indegno
Perle, ostro ed oro: anzi a vii pregio io tegno
(Sia con sua pace) il Sole e 'l suo splendore.
Ma i cortesi pensieri e i bei desiri.
Gli onesti, santi, angelici costumi,
Le parole di senno e grazie ornate,
Qual mai d'alto parlar ben largo fiume '
Lodar potria? Oh degna che l' etate
Io consumi per voi tutta in sospiri !
Per Nozie.
SONETTO
In coppia ricca di valor latino
Vedendo Amor, sceso dagli alti chiostri,
Una render Lucrezia a' tempi nostri
Ne' pregi ugual, ma con miglior destino^
E di Ottavio, il cui nome alzò il divino
Maron al ciel con chiare opre d' inchiostri,
L'altro serbar un gran sembiante, I vostri
Fati augusti, egli disse, onoro e inchino. —
Poi strinse fasci d'immortali allori,
Che mille in guerra e in pace Avi famosi
Co' sudor innaffiaro e co' perigli;
E li sommise a pie de' regj Sposi,
Con dir : Voi li serbate a' vostri figli ,
Perchè Roma risurga a' prischi onori.
POESIE 4?7
Risponde ad Agnello Albani.
SONÉTTO
A quello di valor allo immortale,
Ove di rado uom giunge, inclito regno,
Ed ogni cosa, fuor che gloria ^ a sdegno
Prende chi mai vi signoreggia e vale;
Tutto ciò eh' appo '1 vulgo in pregio sale,
E qual de' sensi piti gradito pegno,
E '1 bieco sguardo di ner' odio pregno
D'invidia, cui, nullo oprar ben, sol cale,
Sprezzando, t'innalzò l'ardor possente
Di grido, il qual dojlk mort'uom non tace,
E al cener freddo eternità gì' impetra.
Quindi pareggi, Alban, la prima cetra:
Ma da stolta fortuna oppresso giace
11 nostro incolto stile egro e languente.
Per Nozze. v
SONETTO
Quest'inclito regal ceppo vetusto,
Che, regnando, la prima alta radice
Gittò, dove d'Enea l'alma nudrice
Depose stanca il venerando busto;
A un ramo sol d'eccelsa gloria onusto
Di tanti, che spiegava, altri felice.
Sua virtù strinse, onde sperar ne lice
Lieti vedere il bel germoglio augusto:
E '1 genio maritai de' prischi Eroi
Serbò a lant' opra altra regal Donzella
Di Chiaromonte del gran sangue antico.
La secondate, santi Numi, or voi,
O Dea col riso di tua terza stella,
O Giuno in braccio stretta a Giove amico.
m
PARTE IH.
Per Nozze.
SONETTO
Venere, mentre a le sue Grazie unita
Sparge del Tcbro in riva allori e rose,
Tragg** ei fuor de P antiche onde famose
Il capo augusto che a onorarsi invita*
E scorge in lunga pompa alma e gradita
Alte donne latine irne fastose
A commiatar Donzella in cui compose
11 Ciel quanto mai bea l'umana vita^
Che va nel sen de la gentil Sirena
Sposa al Riario giovinello eroe,
E una gentil invidia ha del Sebeto^
E ne canta le sorti a suon di avena:
Nasceran germi di s\ nodo Heto,
Chiari da Esperia a le contrade Eoe.
Per Nozze.
SONETTO
Febo, o gran Nume del divin furore,
Ecco sei pur tornato a' primi tempi ,
Che rendevi dal fondo a' sacri tempi
Le liete sorti al conjugale Amore:
Poiché non più regal grazia o favore,
Di che pur vivon verdi i grandi esempi,
Tenti or coi carmi , onde i tuoi voti adempì *
Questo sol t' è rimaso ultimo onore.
Dunque, perchè non fia Marsia sfacciato,
Che riporti sul tuo divino canto
Indegnamente alta vittoria e palme,
Cantiam di queste due liete bell'Alme
Il bel nodo gentile, onesto e santo,
Ch' ordì milP età innanzi in cielo il Fato.
POESIE 4^9
Per la Vergine addolorata.
SONETTO (i)
Vergine Madre, sconsolata e trista,
Ch' egra languisci a pie del crudo legno
Che tien trafìtto in vergognosa vista
Chi di gloria beala ha in cielo il regno j
Di tal, ch'ora ti afFanna e ti contrista.
Fiero, crudele, aspro supplizio indegno
Cagion è la mia colpa a Perror mista
Del prim'uom che re' rio l'umano ingegno.
La mia superbia il coronò di spine:
La mia avarizia gì' inchiodò le mani:
Mie voglie impure a lui rapriro il petto.
Tu m'impetra or da lui grazie divine,
Perchè il corrotto cor mi purghi e sani,
E 'n lui sia senza fine il mio diletto.
Per r immacolato concepimento di Nostra Donna.
SONETTO (a)
Io miser uomo sospirando chiamo
Te, Vergin santa, immacolata e pura,
Insino al fin mi sii scorta sicura
Nel fido porto eh' io sospiro e bramo.
Tu sola fosti il benedetto ramo
Di quanti mai l'umana egra natura
Germogliò al mondo carchi di sciagura,
Che vi produsse il comun germe, Adamo.
L'universal naufragio tutte assorte
Avea le genti sparse per la terra,
Ch' erano nel peccato ingenerate :
Tu tra tutte le donne al mondo nate
Ottenesti da Lui, che mai non erra,
Ristoro e scampo da si trista sorte.
(i) Questo Sonetto fu dal Vico scrìtto a richiesta dal presidente Di Franco
jper una festa annuale che dal medesimo si celebrava nel giorno de^ Dolori della
Vergine nella pubblica cappella sita sotto la sua casa in Napoli nella strada
Foria.
(a) Fu recitato questo Sonetto dal Vico nelPAccaderoia che teneasi ogni anno
nel dì della Concezione della Vergine nella casa di D. Gio. Antonio Casta-
gnola, Caporuola allora del tribunale detto Sacro Consiglio.
46p PARTE IH.
In lode di S. Agostino.
SONETTO (I)
11 Duce valoroso, astuto e fero
Che di sangue e spavento in Canne armato,
DifFerì di portar l'ultimo fato
Del Roman rotto al vacillante Impero 5
E di Cartago sopra il lido altero
L'ampia reggia del mondo aria fondato,
De la sua patria alfln con ciglio irato
Vide il cener superbo afflitto e nero.
Altre maggior vittorie il Nume Eterno
A l'Africa serbò contro di Roma ,
Su le quali non vai tempo ne obblio.
Questa crebbe in immenso^ e poi fu doma
Del mio Agostino dal saper superno,
Che vi spiegò l'alma Città di Dio.
Di Gherardo de Angelis.
SONETTO
A Giambattista Vico.
Questo spirto divino y altOy immortale ^
Ch'oggi a nuovo saper n'apre la via.
Considerando l' alma fiamma mia
C'ho di spiegar pel cielo ardite Vale,
:. J^eggiol com' un cui di me forse cale
' Pili che altri creda y guanto ama e desia
Dirmi quel che io giammai dopo ne pria
Potuto avrei sentir da uom mortale.
Pero talor pensando a sua virtute^
A i saggi modiy a V anima cortese ^
Voci non trovo a celebrar sua gloria:
E benché spesso a dir di lui riprese
Alcun pensier^ piegò V ali abbattute ^
Ch'eternar deve il Ciel tanta memoria.
(0 Fu recitalo questo Sonetto nelP Accademia detta degli Oziosi che univasi
allora in Napoli in casa di D. Nicolò Salerni , e che solca tenere un'' adunansa
in ogni anno in oaor di S. Agostino protettore delPAccademia medesima.
POESIE
Risposta di G. B. Vico.
SONETTO
Queir ardente desio, alto, immortale,
Che ti mena per dura ed aspra via,
Spirto gentil, ei con la scorta mia
Pur dee tarpar le pronte e spedit' ale.
Altro è onore d' alloro , a cui non vale
Mostri incontrare in suo cammin desia ^
E armar lo dee valor, qual Ercol pria
Per fatiche maggiori ad uom mortale.
Perciò restrigni al cor la tua virtutej
Ne sperar, di vedere unqua cortese
Che al freddo cener tuo P amata gloria.
E immagini di eroi dal Ciel riprese
Sienti, non già le nostre ime abbattute,
Di cui t' arresterà 1' egra memoria.
Al medesimo.
SONETTO
Garzon sublime e pien di anima grande,
Che poche carte far questa età d'oro
Estimi, e come Circi altre, quai fóro
Sopra il vulgo mostrar forze ammirande!
Col tuon Giove forzò l' uom da le ghiande
Ad ammirare il suo divin lavoro;
Che su gì' ingegni e le vaghezze loro
Sol può chi '1 poter suo per tutto spande.
11 Divo Augusto perchè ad onorarlo
Roma ebbe l' Oceano , e '1 ciel coniìni ,
Chiaro feo da per tutto il Padovano.
Ah dir non puoi: son pronti ad esaltarlo,
Perchè l'Autor, poiché scovrì la mano,
E' si nascose a' popoli vicini.
46i
4$^ PARTE IH.
Di Roberto Luigi Sostegni Fiorentino,
Canonico Regolare Lateranese.
SONETTO
A Giambattista Vico.
Vico^ che per sermone eletto e saggio
E per V eterne carte unico e solo
Già divenisti y il di cui chiaro volo
Compiuto ha di Sapienza il gran viaggio :
Perche colma e di questo almo vantaggio^
La fera ingrata patria adoro e coloy
Benché de la tua sorte amaro duolo
M' assale j, e luogo pel gaudio non aggio.
La preziosa gemma ^ che in suo seno
Rinchiude ;f ella conosce ^ e la sua vile
Bassezza insiem per voi scorge e rimira.
Quinci perduto ha del rossore il freno ^
E come in sua città s^ odia e si ammira
Ogni savio, per te non cangia stile.
Risposta di G. B* Vico,
SONETTO
Il cieco insano vulgo estima uom saggio
Chi tra la turba sa nairar se solo;
E sé innalzando da vii stato a volo,
Corse mai di fortuna un gran viaggio.
Poiché nullo mi die di tal vantaggio,
La pietosa mia patria onoro e colo^
E traggo da mia sorte alto conduolo,
Che, perch' io giovo altrui, luogo non v' aggio.
Severa madre non vezzeggia in seno
Figlio, che ne sia poscia oscura e vile;
Ma grave in viso ancor l'ode e rimira:
Sj il mio fral messo di ragione in freno,
La Provvidenzia benedice e ammira,
Ch' or mi fa degno di vostr' alto stile.
POESIE ìf63
Del l\ Luigi Lucia da S. Angelo Minore Osservaute.
SONETTO
A Giambattista Vico. ' \
Qual per cosa immortai d'inclito vanto,
Quand' io te vidi e intesi, ebbi stupore^
E vólto a Italia, dissi: Accheta il pianto
Che sul tuo versi ognor spento valore. —
Egli il buon stil smarrito e ^l divin canto
Ch' i Latini temuti, a zel d'onore ,
Sul Tebro richiamaro, alzerà tanto,
Che avanzin pure il lor prisco chiarore.
E già 'l chiuso di gloria erto sentiero
Ch'apri, ad eccelse e degne opere , duce.
Ne lasci, a illustre esempio, opre divine.
Quindi riveggon la primiera luce
Liete le Muse, e di fulgore altero
Ne splendon pur le pure alme colline.
Risposta di G. B. Vico.
SONETTO '
Spirto gentil, chiara mia gloria e vanto,
B' invide menti vii freddo stupore ,
Che di ciò che io coltivo , e innaffio e pianto ,
Sullo spuntar aduggia ogni valore.
Né virtù di erbe o di apollineo canto
Lor vai punto a destar senso d'onore,
Che di sé spargon morte ed oblio tanto
Per oscurar P altrui lustro e chiarore.
E si smarrisca P erto aspro sentiero
De l'opre eccelse, senza scorta e duce,
Chi stampar mai vi voglia orme divine:
Ma tu con tua benigna e chiara luce
Colà mi scorgi, e splenderonne altero
Su le sacre di Pindo erme colline.
464 ' PARTE 111.
, .^ Del P. Antonio Cimint della Congregazione
de' PP. delP Oratorio di Napoli.
SONETTO
Piena di giusto sdegno al mio pensiero
Virtude appare^ e grida: Ove P insana
Gente cieca ne corre ^ e s' allontana
Dal mio ricco d'onore inclito impero?
Falsa lusinga ognor dal primo vero
Ne la discosta, e con più forte e strana
Forza la tragge^ ond' e che poi V umana
Mente del folle error batte il sentiero. —
Ma ti placa ( io le dissi ) or eh' a te mostro
Il saggio Kicoy per cui Italia è onusta
D'incliti pregi e d'alto onor sovrano:
Poiché ne schiara de l'età vetusta
Le oscure incerte cose^ e l' error vano
Sgombra del corto e fosco ingegno nostro,
disposta di G. 6. Vico.
SONETTO
Col tuo d^ogni mortai scevro pensiero,
Ch' al elei t' innalza lieve , e dall' insana
Stolta turba ti parte e t' allontana,
In cui sdegna virtude aver l'impero^
Unito al puro Primo Eterno Vero,
Né la cui luce in guisa altera e strana
Può ravvisarsi in nostra mente umana,
E qua giù scorger dritto il suo sentiero,
Ivi spaziando, fa che ti sia móstro,
Cimin laudato, onde ne vada onusta
Nostra impresa d' onor sommo e sovrano :
E dentro P ombre de P età vetusta
Incontro al cieco inganno e a P error vano
Il cammìn regga il fosco ingegno nostro.
POESIE 465
Del cavalier Francesco Cimini.
SONETTO \
Del primo Amore ^ ampio ocedn di lucc^
Ra^io d' alta vìrlh tua mente ingombra^
f^icOy sì betiy che 'n lei dilegua ogni ombra
Il divin lume^ tutto il ben if' adduce.
Ella d'error ne tragge^ ed apre e sgombra
De' prischi tempi il fosco y anzi è pur duce "^
A' torti ingegni^ a cui unqua non luce
Il ver^ ma solo il tristo inganno adombra.
Profonda verità s'innalza e cresce
Col tuo ben dotto stil^ che al del si eleva
O nel Lazio sermone o pur nel Tosco.
Te guata Invidia j ed a se stessa incresce ^
Atro spandendo e pili nocente tosco:
Ma nulla offende , e te piìi in alto leva.
Risposta di G. B. Vico.
. SONETTO
Quella pura, immortale, immensa luce,
Che 'n nostra mente d'atre nebbie ingombra,
Di terren cieco error dilegua ogni ombra,
E come in terso speglio il ver v'adduce.
Gentil Francesco, a la tua Musa sgombra
Di bassi affetti ella è '1 gran Febo, e duce.
Ch'ai mio lavor, eh' unqua per sé non luce,
Di tue laudi sovrane i lumi adombra.
Quindi in me bel desio si desta e cresce,
Perchè io giunga col merlo, ove si eleva
Tuo 'ngegno sopra il più seren ciel Tosco.
L'Invidia, a cui ogni bell'opra incresce,
Trangugerebbe il suo medcsmo tosco,
Che sopra noi le grinze creste or leva.
Vico, Opuscoli. 3o
^66 PARTE III. POESIE
Di monsignore indi cardinale Filippo Pirelli.
SONETTO (0
A Gio. Battista Vico. Idea dell'Opera del medesima
intitolata la Scienza Nuova,
Desta da Giove ^ in pria si volse a lui
V umana gente ^ e sue donne disperse
Raccolse f e di terren lieve coperse
U ossa insepolte de' parenti sui.
Quindi altri poi regnò sul capo altrui,
E per suo scampo il giogo altri sofferse ^
Quindi il nohil consorzio e le diverse
Cittadi e le provincie e i regni a nui.
E ben fur provvidenzia e voci ed opre
Del del che a nostra guida accende ed arde
I lumi onde le menti illustra e copre.
Tu sveli tutto il bel lavoro antico,
E scopri ancor l'' età future e tarde,
O saggio ed immortai divino Vico.
Risposta di (t. B, Vico.
SONETTO
Contro un meschino il Fato armossi , e 'n lui
Sue cieche rabbie in altri unqua disperse
Unio; e di venen atro il coperse
Nel corpo, e i sensi, egri suggetti sui.
Ma Provvidenza, che soggette altrui
Le sue menti non mai volle o sofferse,
Quindi il menò per vie tutte diverse
A scovrir com' ella abbia il regno in nui,
E i fin spio di sue mirabili opre
Sopra le genti, u^ tutta ferve ed arde,
Ch' entro profondi abissi asconde e copre,
E per tue laudi andrà già fatto antico,
Signor, all'altre età future e tarde
Chiaro in sua vita l'infelice Vico.
(i) Il cardinale Filippo Maria Pirelli nella sua prima dà, menlr' era ia Na-
poli, ebbe in somma stima il nostro Vico, e volle indirizzargli questo Sonetto,
col titolo : Al chiarissimo signor Giambattista f^ico signor suo e maestro, li
Vico vi rispose col Sonetto che segue. Conservò anche in Roma il cardinal Pi-
relli Pistessa stima ed amicizia per l'infelice Vico, ed accaduta la morie del
medesimo, ebbe cura di fargli ergere nel bosco Parrasio una lapide sepolcrale
rapportata nella 6ne delle Aggiunte alla Vita del nostro Autore, nominandosi
il Cardinale col nome che avea in Arcadia di Dot-albo Triasio,
FINE
i
INDICE
DE' COMPONIMENTI
CONTENUTI
NEL PRESENTE VOLUME
PARTE L
SCBITTI SCIENTIFICI
1-iettera di G. B. Vico all' ab. Giuseppe Luigi Esperti pag. 3
Lettera del P. Ed. De Vitry, Gesuita, a G. B. Vico . » n
Risposta di G. B. Vico » 8
Lettera di G. B. Vico al sig. D. Francesco Solla . . . »> n
Lettera di G. B. Vico al P. Bernardo Maria Giacchi,
cappuccino >» 20
Altra del nìedesiino >» ai
Altra del medesimo » 24
Risposta del P. B. M. Giacchi a G. B. Vico » 25
Lettera di G. B. Vico al P. B. M. Giacchi w 26
Altra del medesimo 27
Altra del medesimo » 3o
Risposta del P. B. M. Giacchi a G. B. Vico » 3i
Lettera di G. B. Vico al P. B. M. Giacchi . >» 32
Risposta del P. B. M. Giacchi a G. B. Vico n 34
Lettera di G. B. Vico al P. B. M. Giacchi » 35
Viglietto di G. B. Vico al medesimo » 37
Sopra l' indole della Vera Poesia — A Gherardo De An-
gelis » 38
Giudizio sopra Dante »> 46
Prefazione alle Rime scelte di Gherardo De Angelis . « 5i
Discorso per un'annuale apertura dell'Accademia istituita
da Nicolò Salerni » 54
Note all'Arte Poetica di Orazio n 5g
Oratio hahita XV Kal. novemhris anno MDCC, cujus
argumentum : Hostem hosti infensiorem in/estiorent'
que quam stultum sibi esse neminem h 84
Lettera del duca di Laurenzano a G. B. Vico » 97
Risposta di G. B. Vico » ivi
Lettera di G. B. Vico al sig. Nicolò Giovo »> 100
Lettera di Muzio Gaeta, arcivescovo di Bari, a G. B.
Vico » 101
46S INDICI
Lettera di Muzio Gaeta a G. B. Vico pag. io3
Risposta di G. B. Vico a Muzio Gaeta « io4
Lettera di Muzio Gaeta a G. B. Vico ,>.. . . . . .,...« 107
Lettera di G. B. Vico a Muzio Gaeta .......... j> 112
Lettera di Muzio Gaeta a G. B. Vico « 116
Altra del medesimo ^» lao
Lettera di G. B. Vico a D. Tommaso Rossi, abate in-
fulato del Collegio di S. Giorgio della Montagna . . » 121
Risposta dell'abate T. Rossi a G. B. Vico « i23
De Mente Heroica, Oratio habita in R. Neapolitana
Academia XIII Kal. novembiis MDCCXXXII ...» 124
Epistola dedicatoria premessa alla Sifilide di G. Fra-
castoro p tradotta da Pietro Belli »> i4i
Prefazione alla traduzione della Sifilide di G. Fraca-
sLoro fatta da Pietro Belli » i49
Lettera del P. Nicolò Concina a G. B. Vico »» iò\
Lettera del P. Daniele Concina a G. B. Vico « i56
Lettera del P. Nicolò Concina a G. B. Vico » iSy
Risposta di G. B. Vico " i^ìq
Giudizio intorno alia Grammatica d'Antonio d'Aronne » i63
Epistola J. B. Vici Corniti Antonio Coppola » i65
Lettera del card. Lorenzo Corsini a G. B. Vico .... « 166
Altra del medesimo « 167
Lettera di G. B. Vico al card. Lorenzo Corsini . ...» 168
Altra del medesimo » eVt
Lettera del card. Lorenzo Corsini a G. B. Vico .... » 169
Lettera di G. B. Vico al card. Lorenzo Corsini .... » 170
Lettera di G. B. Vico a M. Giovanni Barba in risposta
all'opera dal medesimo inviatagli Sul metodo delle
Lingue » ivi
Lettera di G. B. Vico a Pasqual Cirillo » 171
Epistola J, B. Vici Francisco Serao Medicinae pro-
fessori » 172
Iscrizione con la quale il Vico accompagnava un esem-
plare dell'opera De Universo Jure mandato in dono
al principe Eugenio di Savoja « 174
Risposta del principe Eugenio di Savoja a G. B. Vico » ivi
Lettera di Gio. Artico conte di Porcia a G. B. Vico . » 17$
Letlera del P. Michel Angelo da Reggio a G. B. Vico « 176
Lettera del P. Tommaso Maria Alfaui a G. B. Vico . » 177
Altra del medesimo » 179
Lettera del card. Trojano Acquaviva a G. B. Vico . . » i8o*
iNnici j{6g
PARTE IT.
ORAZIONI ED ISCRIZIONI
Oràfio prò auspicatissimo in Hispaniam reditu Pran-
cisci Benavidii in R. Neapolitano prorege .... pag. i85
Oratio in funere Catharinae Aragoniae Segorbiensium
DuciSy ec. ... ; *♦ 196
Oratio prò felici ad NeapoUtaniim solium adita Phi-
lippi V Hispaniarum novìsque Orbis Monarchae . » tiii
Delle Cene sontuose de' Romani. Lezione accademica
recitata avanti il duca di Medlna-Celi viceré del re-
gno di Napoli o 1^0
Elogio di Virginia Bonito, duchessa dell'Isola >* iS'5
Orazione in morte di Anna Maria d'Aspermont ....»* 256
Orazione in morte di Anna Cimini , marchesana della
Petrelia » 2^8
Carolo Boì^onio ulriusque Siciliae Regi — Regia Nea^
politana Jcademia » 307
Oratio in Caroli et Mariae Amaliae^ ulriusque Siciliae
Regum, Nuptiis » 5 io
Cinque Iscrizioni per le Nozze di Carlo Borbone, re
delle Due Sicilie, con Maria Amalia Walburga ...» 322
Oratiunculae prò adsequenda laurea in utroque Jure u 3^5
Due Iscrizioni ne' funerali del duca Gaetano Argento ,
Reggente della R. Cancelleria « 32^
Iscrizione per un arco da erigersi all'Infante di Spagna
D. Carlo, allorché dagl'Inglesi fu trasportato in Italia « 528
Iscrizione per la riattazione della fabbrica de' RR. Studj
di Napoli M 329
Iscrizione sepolcrale per Jacopo Stuardo, duca di Ber-
wich n hi
Dieci Iscrizioni pe' funerali pel duca Jacopo Stuardo,
figlio del precedente » 33o
Iscrizione per l'edificazione del Ponte presso Ravenna « 335
Iscrizione in morte del cardinale Innico Caracciolo . . » 336
Iscrizione in morte del principe Francesco Caracciolo >» 337
Iscrizione in morte del medico Francesco Boncore . . >» ivi
Iscrizione pel nuovo palazzo innalzalo da Luigi Moli-
nelli M 338
Iscrizione in morte del marchese Orazio Rocca .... » 539
Iscrizione per la costruzione di un tempio interinale
fatta dai Nobili del Seggio di Montagna » 34o
Iscrizione per la ricostruzione del sepolcro di Fulvio
Tisbia »» fW
Sci Iscrizioni pe' funerali di Balda.5sarc Calanco . ...» 34 1
470
INDICI
PARTE III,
POESIE
Affetti di un Malinconico. — Canzone pag. 345
In morte del sig. conte D. Antonio Caraffa , Generale
delle armi Imperiali — Canzone »> 349
In lode di Massimiliano Emmanuele duca di Baviera. —
Canzoni tre » 355
Lettera dell' Elettor di Baviera « 363
Versi latini per la ricuperata salute di Carlo II re di
Spagna e di Napoli *» 364
Per le Nozze di D. Giambattista Pisacane e D. Teresa
Gurgo — Sonetto »> 366
Nelle Nozze di Vincenzo Caraffa ed Ippolita Cantelmo —
Canzone '* ivi
Epigramma per le Nozze di D. Tommaso d'Aquino e
D. Lucrezia del Verme '» 369
Carme latino per le Nozze dì D. Nicola Loffredo e D.
Ginevra Grillo » 370
Epigramma in lode del P. Gio. Crisostomo da Bologua,
predicatore « ivi
Carme latino per le Nozze di D, Gaetano d' Argento e
D. Costanza Merelli » ivi
Epigramma per le Nozze di D. Antonio Caracciolo e
D. Marianna Serra j» 371
Distico a D. Placido Antonio de' Longobardi »> ivi
Dedica della Raccolta delle Poesie fatta per le Nozze
di D. Adriano Caraffa e D. Teresa Borghese ....»> 372
Per le Nozze suddette — Quinarj « 374
Per la stessa occasione — Sonetto »» 376
Per la stessa occasione — Sonetto » ivi
Per la stessa occasione — Sonetto « 377
Per la stessa occasione — Sonetto » ivi
Per la stessa occasione — Sonetto di Matteo Egidio a
G. B. Vico « 378
Risposta di G. B. Vico — Sonetto , » ivi
Per la stessa occasione — Versi latini di G. B. Vico
in risposta ad una Elegia di Nicolò Capasso » 379
Per l' istessa occasione «— Versi latini di G. B. Vico
in risposta a Nicolò Cirillo « ivi
Lettera di G. B. Vico al sig. D. Giulio Cesare Mazzacane»
che precede l'Epitalamio per le Nozze di lui con D.
Giulia Rocca » 38o
Giunone in danza, componimento per le Nozze di D.
G. B. Filomarino e D. Maria Vittoria Caracciolo . . »> 385
INDICI 4'^ I
Per le Nozze di D. Antonio Pignatelli e D.Ann» Fran-
cesca Pinelli — Sonetto pag. 4oq
In lode di S. Giacomo della Marca — Sonetto »> ivi
In lode del Gran Maestro della Religione Gerosoìorai-
lana Antonio Manoel de Villena, per la sua esalta-
zione a tal dignità. — Sonetto . »> 4io
Por le Nozze di D. Lionardo Tocco e f). Camilla Gan-
telino — Sonetto >» ivi
Sii r origine, progresso e caduta della Poesia italiana —
Canzone 5» ^n
In lode del cardinale Bernardo Conti. — Sonetto . . . »• 4i6
Nelle Nozze di Massimiliano duca di Baviera con Te-
resa Reale di Polonia — • Canzone #» iVc
Per le Nozze di D. Andrea Coppola, duca di Ganzano,
e D. Laura Caracciolo de' marchesi delFAmoroso —
Sonetto *• 421
Per P istessa occasione — Sonetto h 422
Per F istessa occasione — Sonetto di Agnello Spagnuolo » ivi
Risposta di Vico — Sonetto » 4^5
Per le Nozze di D, Giacomo Francesco Milano Franco
d'Aragona e D. Arrlghetta Caracciolo — Sonetto . . » ivi
In lode del P. Domenico Terragni, predicatore— So-
netto « 424
Per la conferma del viceré di Napoli cardinale Michele
Federico d'Althann — Sonetto » ivi
Per l'acclamazione in Arcadia del suddetto Cardinale —
Sonetto >» 4^5
Per le Nozze di D. Gaetano Buoncompagno Ludovisi e
D. Laura Chigi — Sonetto » ivi
In morte di Angela Cimini, marchesana della Petrella — •
Qulnarj n 426
Per la stessa occasione — Sonetto. Al P. Luigi Sostegni
canonico Lateranese >» 427
Risposta del P. Sostegni — Sonetto » 4^8
Per la stessa occasione — Carme latino » ivi
Distico posto sotto il ritratto di Lucantonio Porzio . . »• 429
Per le Nozze delle A A. SS. di Antonio Farnese, duca
di Parma e Piacenza, ed Enrichetta d'Este— Sonetto I »> ivi
Per la stessa occasione — Sonetto lì » 43o
Per la stessa occasione — Canzonetta "; ^ ivi
In morte di D. Giuseppe Alitata Paruta Colonna, prin-
cipe di Villafranca — Sonetto n 433
In lode del P. Michelangelo da Reggio, sacro oratore —
Sonetto I 0 ivi
In lode del medesimo — Sonetto II j# 434
In lode del medesimo — Sonetto III >» ivi
Nella promozione della Santità di Clemente XII al sommo
pontificato — Canzone «» 435
47^ INDICI
In lode del P. Tolotti, sacro oratore — Sonetto. . pag. 438
In morte di Anna Maria Boria, moglie di Nicolò Saler-
ni — Sonetto » >» tVt
Endecasillabi latini fra' Componimenti pel cardinal Giam-
battista Salerni ts 439
Egloga latina nell' apertura della Colonia Sebezia per
l'arrivo del viceré di Napoli D. Giuseppe Visconti . » iVt
In lode di Carlo Borbone re delle Bue Sicilie ■ — So-
netto I « 440
Sonetto II é . j> 44i
Sonetto III j • - • »> iVi
Per le Nozze di B. Raimondo di Sangro e B. Carlotta
Gaetani dell'Aquila d'Aragona — Sonetto >* 44^
Per la stessa occasione — Sonetto » tVi
In lode del sig. B. Bomeuico Barone di Liveri, per una
sua commedia — Sonetto »> 443
In lode del P.Giacomo Filippo Gatti, sacro oratore —
Sonetto M 444
Per le Nozze di B. Antonio Capece Minutolo e B. Te-
resa Filangieri — Sonetto « iui
Per l' istessa occasione — Sonetto " 445
In lode di N. Mocenigo, nobile veneziano — Sonetto . « ivi
In lode di B. Ferdinando Sanfelice, patrizio napoleta-
no, per la macchina volgarmente detta la Fiera ^ da
lui ideata ed eseguita in occasione delle Nozze di
Carlo Borbone, re delle Bue Sicilie, con Maria Anna
Walburga — Sonetto « 44^
Per le medesime Reali Nozze — Sonetto ...,...,»* ivi
Per le stesse Nozze — Sonetto » 447
Per le stesse Nozze — Sonetto »» ivi
Per le Nozze di B. Girolamo Pignatelii e B. Francesca
Pignatelli — Sonetto « 44^
Per le Nozze del principe Michele di Francavilla e la
sig. Eleonora Borghese — Sonetto « ivi
In morte di B. Orazio Pacifico — Sonetto '> 449
In morte di B» Giuseppe Brunasso, duca di S. Filippo
— Sonetto M ivi
In morte di Argeo, poeta Arcade — Madrigale . . . . » \So
Versi latini in morte del giureconsulto Balmarso . . . « ' ivi
Per Monacazione — Sonetto » \Si
Sul medesimo soggetto — Sonetto « ivi
Sul medesimo soggetto — Sonetto « 45?.
Sul medesimo soggetto — Sonetto »» ivi
Alla ducbesa B. Isabella Pignone del Carretto — Sonetto « 453
In lode, di B. Ferdinando Caraffa — Sonetto » ivi
Al sig. B. Paolo Mattia Boria — Sonetto ........" 4^4
In lode di un Letterato, amico dell'Autore — Sonetto >i ivi
In lode di nobil Bonzella — Sonetto « 455
INDICI 47^
In lode del cardinal Borghese — Sonetto ...... pag. 455
Alla principessa di Stigliano — Sonetto . >» 456
Per jNozze — Sonetto . . »j ivi
Risposta di G. B. Vico ad Agnello Albani ■— Sonetto » ^5y
Per Nozze — Sonetto »> iVi
Per Nozze — • Sonetto j> 458
Per Nozze — Sonetto m iVi
Per la Vergine addolorata — Sonetto »> 4^9
Per Pimmacolato concepimento di Nostra Donna — So-
netto i . , 19 ivi
In lode di S. Agostino — Sonetto « 46o
A G. B. Vico •— Sonetto di Gherardo De Angelis . . . >» ivi
Risposta di G. B. Vico — Sonetto » 4^1
A Gherardo De Angelis - — > Sonetto « ivi
A G. B. Vico — Sonetto di Roberto Luigi Sostegni . « 462
Risposta di G. B. Vico — Sonetto » ivi
A G. B. Vico — • Sonetto del P. Luigi Lucia da S. An-
gelo « 465
Risposta di G. B. "Vico — Sonetto * « iviì.
In lode di G. B. Vico — Sonetto del P. Antonio Ci-
inini » 464
Risposta di G. B. Vico — Sonetto >» ivi
In lode di G. B. Vico — Sonetto del cav. Francesco
Ciinini « 465
Risposta di G. B. Vico — Sonetto « ivi\
In lode di G. B. Vico — Sonetto del cardinale Filippo
Pirelli — . . » 466
Risposta di G. B. Vico — ' Sonetto >» ivi
TAVOLA ALFABETICA
DELLE POESIE ITALIANE
CONTENUTE
NELLA PARTE IH.
Le cifre indicano le carta.
A le Muse ed Astrea diletto e caro pag. 449
A' miei sudori il Giel non temprò ingiuste » 4^2
A quello di valor alto immortale » 4^7
Alta stirpe d'Eroi, onde famoso »» 442
Alma mia, che perdesti il bel candore ' " 4^5
Alto Signor, più di fallace il nome » SSj
Ammiraro già un tempo Atene e Roma » 4^4
Angel di Dio, che fai le vaneggianti »» «Vz
Ben mostrossi a ragione ardita e forte '» 4^8
Che insolito in me sento, e raro e novo »? 435
Col tuo d'ogni mortai scevro pensiero » 4^4
Con mano al Re quelle gran vie far note >* 44^
Con sue ampie alte moli e sterminate » ivi
Con voi m'allegro, o figlie alme di Giove « 454
Contro un meschino il Falò armossi, e 'n lui n 466
D'amaranti immortali omai la fronte « 366
De' vostri almi laureti i sacri orrori . ........... 43o
Del fier perduto mondo i primi vati . . ^ " 453
Del gran Buglione, e di sue invitte schiere » 4io
Del primo Amore, ampio oceàn di luce " 465
Del tronco antico, onde usci 'l buon Pastore « 4^5
Desta da Giove, in pria si volse a lui ... « 466
Di due semi del Ciel gentile innesto *» 444
Di Grecia il Magno per valor guerriero « 4^9
Di guardar tu ne dai l'util piacere « 443
Di sommi Imperadori e Regi Augusti *» 44»
Divina Rosa d'un eterno Aprile « 45i
Donna bella e gentil, pregio ed onore » 456
Donna gentil, tra noi dal ciel discesa « 453
Due candide Colombe a Dio dilette m 45i
Febo ha smarrite le sue chiome bionde » 449
Febo, o gran Nume del divin furore « 458
Fu d'eroico valor ben alto segno « 4^9
Garzon sublime e pien d'anima grande » 46i
Gentil Egizi, del cui nome adorno « 378
Già l'amorosa stella « 382
INDICI 4?^
Giove de' regni e Regi almo datore pag. 4^4
Grande di tue grandezze è ben la fama . . .-. »> 376
Il candor luminoso »» 4iJt
Il cieco insano vulgo estima uom saggio » 462
Il Duce valoroso, astuto e fero »» 460
In coppia ricca di valor latino *» 456
In istranio trofeo Marte ed Amore *» 4^3
Io delle nozze riverito Nume » 385
Io miser uomo sospirando chiamo « 459
L' ape ingegnosa » 4^6
La Fama, che in tu' onor l'ali ora spande n 425
La patria mia che t'adorò col core » 44'
Lasso, vi prego, acerbi miei martiri « 345
Lieve Grecia credeo per lungo errore « 4^8
Mio dolente Si.lerni, hai tu ben onde » ivi
Morte, o d'invidia vii ministra e fera » 433
Né corone, né ostro, o gemme ed auro « 442
Ne la superba un tempo, or bassa, umile » 5yy
Nel più puro sublime empìreo chiostro » 444
Non è già del mio ottuso e rozzo stile » 447
Non udì Atene mai, non udì Roma »> 424
O bel trionfo, a cui rado favore » 44^
O del petto dell'uom vane e fallaci » 349
O leggiadra, gentil, casta Donzella »> 452
O sovrano, ^al Lione aurato >» 445
Oh al mondi istrania, nova, altera mostpe . . . ....«• lui
Oh qual te v. e vincitor guerriero « 44i
Partisti, Argeo da noi » 45o
Piena di giusto sdegno al mio pensiero »> 4^4
Poiché l'umi'l, aevota accesa voglia j> 36o
Pregio sommo e sovran del secol nostro » 455
Qual nuovo lume col divin suo raggio . « 353
Qual per cosa immorlal d* inclito vanto » 463
Qual vaga io miro, nova, altera mostra m ^10
Quel pensiero divino, alto, immortale »> 4^9
Quell'ardente desio, almo, immortale » 46i
Quell'immoto, divin consiglio eterno » 4*6
Quella pura, immortale, immensa luce » 465
Questa di gemme e d'or ricca donzella » 366
Quest'inclito regal ceppo vetusto » 457
Questi di chiari Cigni alti e canori »» 454
Questo spirto divino, alto, immortale *» 460
Raro Giacinto, che la nostra etate »» ZyS
Real Donzella, che '1 bel nome prende *• 421
S'alzi Italia in alta speme *• ^5o
Se mai lieto seguendo il bel desio » 4»6
Signor, pregio sovran del secol nostro » 377
Sommo Genio sovran d'Eroi famosi »> 44°
476 INDICI
Spagnuol pregiato, il nostro afflitto ingegno pag. 4^5
Spirto gentil, chiara mia gloria e vanto *> 465
Stese l'Italia il suo famoso impero >» 447
Tornò al ciel la gran Donna e saggia e forte >» 427
Un Nume io vidi in spoglia di pastore » 455
Vaga Colomba, che con spedii' ali « 462
Venere, mentre a le sue Grazie unita . » 458
Vergine Madre, sconsolata e trista i . . » 459
Vico, che con lo stil saggio ed adorno i « 3^8
Vico, che per sermone eletto e saggio « 402
Vico famoso, il cui sovrano ingegno »> 422
Virtute altera « 374
INDICE GENERALE
DEI N O M Ir
Le cifre arabiche indicano le carte.
Acquavi va Traj ano,cardìnale, 1 80
Agostino (S.) 58, 108, ni, 118.
Ambrogio (cP) Ferdinando, 296.
Anfion^, 64, 81.
Angelis (de) Gherardo, 20, 38,
5i, 460.
Anguillara Gio. Andrea, i5o.
Albani Agnello, 457-
Alberoni Giulio, cardinale, 335.
Alfani (P.) Tommaso, 177, 179.
Alfonso, re d"* Aragona, 99.
Alfonso I, re di Napoli, 177.
Alipio Sebastiano, 377.
AUiata Paruta Giuseppe, 433.
Aloisi (abate), i56.
Althann (d^) Michel Federico,
cardinale, 256, 274, ^2^, ^iS.
Althann (d') conte Michele Vin-
cislao, 260.
Aquino (di) Tommaso, 369.
Aragona (d') Caterina, 196.
Archimede, 91.
Argento Gaetano, 327, 370.
Argeo, poeta Arcade, 45o.
Ariani Agostino, matematico, 253.
Ariosto Lodovico, 39, 61.
Aristofane, 77.
Aristotele, 68, 98, i34, i63, 281.
Aronne (d') Antonio, i63.
Asclepiade, 141.
Aspcrmont Anna Maria, 256.
Averroe, 55,
Bacone da Vcrulamio, ii5, i38.
Baifio Gio. Antonio, 246.
Barba (monsig.) Giovanni, 170.
Baronie, cardinale,' 137.
Bayle, IO.
Belli Pietro, \\i, 149.
Bembo Pietro, 39, 149.
Benavidcs Didaco, 188.
Benavides Francesco, i83, 188.
Benedetto XIII, pontefice, io5.
Bentivoglio Cornelio, car. i5o.
Bentivoglio Guido, cardinale, 1 5o.
Boccaccio , 49*
Boezio, 99.
Bologna (da) P. Gio. Grisosto-
mo , 370.
Bonarroti, pittore, 78.
Boncore Francesco, 337, 394.
Bonito Giulio Cesare, 253.
Borbone (di) Carlo, re delfe Due
Sicilie, 307, 3o8, 3 IO, 322,
328, 440,443, 446.
Borghese, cardinale, 455,
Borghese Eleonora, 448-
Borghese Marcantonio, 376.
Borghese Teresa, 372.
Brancone Gaetano, 44^*
Brunasso Giuseppe , 449*
Brunasso Lorenzo, 449"
Buoncompagno Gaetano, 4^5.
Cano Melchiore, 137.
Cantelmo Camilla, 4io-
Cantelmo Ippolita, 366.
Capasso Nicolò, 379, 393.
Capece Minutolo Ant. 444» 44^'
Cappella Marziano, 248.
Caputo Berardo, 294.
Caracciolo Antonio, 371.
Caracciolo Arrighetta, 4'^3.
Caracciolo Francesco, 337.
Caracciolo Innico, cardinale, 336.
Caracciolo Laura, 4*21.
Caracciolo Maria Vittoria, 385.
Caracciolo Marino, 399.
Caracciolo Martino, 336.
Caraffa Adriano, 349, ^72.
Caraffa Antonio, 349.
Caraffa Diomede, 99.
Caraffa Ferdinando, 453.
Caraffa Vincenzio, 3(>6.
Carlo II re di Spagna e di Na-
poli , 364.
47^ INDICI
Carlo Vili re di Francia, i36.
Cartesio, 3, 4» ^ì 9> '5, i8, 19,
1 2 1 , 296.
Casa (della) Giovanni, 39, 53,
>!', «49' 295.
Casoni Lorenzo, cardinale, 377.
Castagnola Gio. Antonio , 459.
Cataneo Baldassai-e, 34 1.
Cebete , 177.
Celio, 285.
Celso, 24'-
Cerda Gio. Francesco , 2o3.
Cerda Lodovico, 197.
Cesare (di) Giuseppe, SgS.
Cestari Silverio , 395.
Chigi Laura, 4^5.
Cicerone, 12, 52, 56, 62, 72,
III , 241.
Cimini Angela, 11, 278, 426.
Cimi ni (P.) Antonio , ^6^.
Cimini JFrancesco , 465.
Cimini Giuseppe, 279.
Ciraone ateniese, i35.
Cirillo Nicolò, 6, 379, 393.
Cirillo Pasquale, 171.
Clemente XI, pontefice, 273, 335,
435.
Concina (P.) Daniele, i56.
Concina (P.) Nicolò, i54, 157.
Conti Bernardo, cardinale, 4'^*
Copons Anna, 385.
Cordoni Andrea, 395.
Corsini Lorenzo, cardinale. 4>
166, 167, 168, 169, 170.
Cristofaro (di) Giacinto, 376, 393.
Cujacio, 137.
Dacier Andrea , 69.
Dalmarso, giureconsulto napole-
tano, 45o-
Dante, 39, 4o» 4^» 4^*
Delminio Giulio Camillo, 53, 56.
Demostene , 12 , 56.
Dionisio d''Alicarnasso, 161.
Doria Anna Maria Caterina, 438.
Doria Paolo, 58, ^5/^.
Egizio Matteo, 878, 394.
Epicuro, 4) 5, 98.
Esiodo, 64.
Esperti Francesco Saverio , 3.
Esperti abate Luigi, 7, n.
Este (d') Enrichetta, 429'
Eugenio (principe) diSavoja, 174,
270.
Fabro Antonio, i38.
Farnese Antonio , duca di Par-
ma, 429.
Ferdinando, re d'Aragona, 99.
Filangieri Teresa , 444 5 44^-
Filippo V, re di Spagna , 222 ,
238, 267, 33i.
Filomarino Ascanio , 84, 394»
Filomarino Camilla, 84.
F"ilomarino Giacomo , 399.
Filomarino Giambattista, 385.
Filomarino Marcello, 6, 22, 84,
394-
Filon Giudeo, 248.
Fontenelle, 146.
Forlosia Basilio, 395.
Fozio, IO.
Fracastoro , 1415 i49*
Francavilla (principe di), 44^'
Gaeta Muzio, loi, io3, io4j
107, 112, 116, 120.
Gaetani dell' Aquila d' Aragona
Carlotta, 442*
Galiani Celestino, 14*2, 329.
Galileo, ii3.
Galizia Nicola , 399.
Gassendi, 3, 5.
Gatti (P.) Giacomo Filippo, sa-
cro oratore , 444> 449*
Gennaro (de) letterato napole-
tano, 20.
Gennaro (di) Giuseppe, 395.
Giacchi Bernardo Maria, 20, 24 1
25, 26, 27, 3i, 32, 34, 35, 37.
Giovenale , 52 , 98.
Giovo Nicolò , 100.
Gravesande Guglielmo , i46.
Grillo Ginevra, 370.
Grimaldi Gregorio , 4o9*
Gronovio Giacomo, 161.
Grozio, 139, i44' ^
Guicciardini Francesco, 61. 7
Guidiccioni Giovanni, 39.
Gurgo Teresa, 366.
Haro-Gusmano Gasparo, 187.
Harrach conte Ernesto, i47'
Harrach conte Ferdinando, i47'
Harrach conte Gio. Giuseppe, i47*
Harrach ( inonsìg. )
di Salzburgo, 147.
Harrach conte Luigi, 124
Harrach conte Vincislao,
INDICI
arcivescovo Moreri
,47.
Innocenzo XHI, pontefice, 274*
Ippocrate, 134, 137.
Labbe'. 178.
Laudati Benedetto, •25/^.
Laurenzano (duca di), 97.
Leibnizio, io5.
Licurgo, 4^'
Lino, 64.
Liveri (di') Domenico, 443'
Livio , 162 , 177.
Locke, 3, (>.
Lodovico XIV, re di Francia,
•2'i5. 267.
Loffredo conte Nicola , 370.
Longino, 4^-
Longobardi ^de*) Placido Anto-
nio, 371.
Longuerue Luigi, 146.
Lucia da S. Angelo Luigi, 463.
Lucrezio, 121, i5o.
Lucullo, 241.
Luna (de) d"'Aragona Andrea, 396.
Maffei N. cardinale, 335.
Majo (di) Muzio, 21.
Malebraiice Nicola, io4, io5, 114,
122, i38.
Manfredi Francesco , 394.
Marchetti Alessandro, i5o.
Marlborough , 270.
Marmi Casto Emilio, 396.
Massimiliano Emmanuele duca di
Baviera, 353, 363, ^ì6.
Mattei Giulio, 396.
Mazzacane Giulio, 38o.
Mazzarini Giulio, cardinale, i36.
Mazzocchi, letterato napoletano,
20.
Menandro, 68 ) 77.
Mercurio Trismegisto, 3 14.
Merelli Costanza, 370.
Metastasio Pietro , 396,
Milano Franco d'^Aragona Giaco-
mo Francesco, 4^3,
Minorclli (P. ) Tommaso, 3o.
Moccnigo N. nobileveneziano,445.
Molinelli Luigi, 338.
Luigi, IO.
Muratori Lodovico,
Museo, 64.
479
04.
Newton , i o5.
Nobilione Andrea, 395,
Omero,
47 > ')0^
1 59,
ia5,
5..
Orazioj 57
Orfeo, 64, 81.
Oria (d"*) Paolo, 296.
Ottaviano Augusto, 319.
Pacifico Orazio, 449-
Pallavicino Sforza, cardinale j 98^^,
104, i38.
Palma (di) Giuseppe, 394.
Papiniano giureconsulto, 137.
Pascal, )o5, i38.
Patrizio Francesco, 106.
Perotti Gennaro, 395.
Petavio, 178.
Petrarca, 39, 49} 295.
Petronio, 246, 248.
Pignatelli Antonio, 409.
Pignatelli Francesca, 44^*
Pignatelli Girolamo, ^^8.
Pignatelli Virginia, 2^3.
Pignone del Carretto Isabella, 453,
Pinelli Anna Francesca, 409*
Pirelli Filippo, cardinale, 466.
Pisacane Giambattista, 366.
Pitagora, i35.
Platone, 67, 76, 96, 98, 129.
Plauto, 85, 93.
Plinio il panegirista, 109.
Plinio il naturalista, 243, 24^*
Plutarco, 67.
Poeta Gioaohimo, 394, 447*
Polibio, 160.
Pompeo, 241.
Porcia conte Gio. Àrtico, 175.
Porzio Lucantonio, 429.
Procida (da) Giovanni, i5i.
Proclo, filosofo platonico, 106.
Puoti Gio. Maria, 396.
Quintiliano, i33.
Quinzj (P. ) Gesuita,
i5o.
Raffaello d'Urbino, 78.
Reggio (da) Michelangelo, cap-
puccino, 176, 433.
48<
INDICI
Riccardi Alessandro, 253.
Rocca Domenico, 345.
Rocca Francesco, 339.
Rocca Giulia, 38o.
Rocca marchese Orazio, 339.
Rohan (de) cardinale, 9.
Rossi Casimiro, 394, 396.
Rossi Tommaso, 121 , i23.
Russo Cristofaro , 44^*
Salas Giuseppe , 453.
Salerni Giambattista , cardinale ,
439.
Salerni Nicolò, 67, 395, 438.
Salernitano Francesco, 396.
Sallustio, 166.
Salvini Antnnmaria, 21, 398.
Sanfelice Ferdinando, 44^*
Sangro (di) Carmela, 398.
Sangro (di) Paolo, 3oo.
Sangro (di) Raimondo, 44'^*
Sannazzaro Giacomo, 149-
Sanzio Francesco, i63.
Saresberiese Giovanni, 245.
Scalea (principe della), 12.
Scaligero, 178.
Scopa Giuseppe, 85. ^
Segneri Paolo, 3o5.
Seneca, 91, 243, 292.
Senofonte, 3oo.
Serao Francesco, medico, 172.
Sergio Giuseppe, 4o9«
Serra Marianna, 371.
Sersale Nicolò, 395.
Socrate, 54, 57, 67, 3oo.
Sostegni Roberto, 4^» 4^7? 4^^»
462.
Spagnuolo Agnello, 21, 395, 422.
Spinola Livia, 372.
Spinosa Benedetto, 106.
Stazio, i5o.
Stigliano (principessa di), 456.
Stobeo, IO.
Strabone , 32o.
Stuardo Jacopo, duca di Bervvicb,
329.
Stuardo Jacopo, figlio del pre-
cedente, 33o.
Tacito, 4? ^^} ^^» *6^'
Tasso Torquato, 17, 69, 70, 320.
Tassoni Alessandro , 59,
Teofrasto, 68, 243.
Terenzio , 44 ' ^^'
Terragni ( P. ) Domenico , 424»
Tisbia Fulvio, 340.
Tiziano , 78.
Tocco Lionardo, 4'o.
Tolotti (P.) sacro oratore, 438.
Torre (della) Marina, 41 1.
Torres (P. ) Antonio, 280.
Torricelli Evangelista, i38.
Tristano Vincenzo, 395.
Usserio, 178.
Valletta Francesco, 3q5.
Valletta Giuseppe, u.
Vanalesli Marcello, 396.
Ventura Francesco, 21.
Verme (del) Lucrezia, 369.
Vettori Pietro , in.
Vico Gennaro, 159, 169.
Villena Manoel Antonio, 4»o.
Villis Tommaso, 252.
Virgilio, 69, 70, 143, i5o.
Viscini Francesco, SgS.
Visconti Giulio, 439.
Vitry (P.) Gesuita, 7, 8.
Walburga, 3io, 322, 44^
Ai quattro Sonetti per Nozze, che qui stanno a pag. 4^7
e seg.y dovea tener dietro il seguente:
Del salito A.mor che P universo itìfornja,
Ed ogni pravo amor rattempra e calma,
Piovver due parti in voi di fiamma in forma,
E si aunidaro nel più bel dell'alma;
E mentre una nelP altra si trasforma,
I cuor giungendo, or che voi palma a palma
Strignete, un sol voler d'ambo si forma
Chi ha suo regno diviso in doppia salma.
Si vedrà '1 mondo sfolgorar da voi
Luce, fin dove il Sole a noi si fura,
E donde porta il nuovo giorno a noi :
E fia che splenda ognor più ardente e pura
Per quei che nasceranno incliti eroi
In mezzo all'ombre dell'età futura.
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Di fiera gmrra, in ponto eh' a lei manca
Del cattolico gregge il gran Pastore ,
Posta in forse , ec.
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LI. Vico, Giovanni Battista
V638 Opera
T.6
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