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^r#«j^ c^-^- 'M*
DPERE VOLGARI
DI M. JACOPO
ANAZZARO
:avaliere napoletano
Alla fua vera Lezione reflituìte,
rviSE IN DUE ToMr.
TOMO PRIMO.
IN VENEZIA,
M D C C X L L
Prcffo Giuseppe Bortoli.
Zon Licenza de' Superiori , 9 Vrivilegio.
L O
T AMP ATORE
A CHI LEGGE.
Lia epica e lirica poefla
fuccede ora la paftorale ;
che degna era ancor dì
precedere , fìccome quel-
la , che a giudicio dì M.
de Fontenelle é di tutte
pia antica . Ma ella fcguendo pure
fempliciifimo fuo coftume , e lieta
;lla fua forte , fi contenta di andarne
paro, o di venir dietro : e fpera che
CuoSanazz ARO farà accoltodi buoQ
rado, come il Petrarca , 1' Ario-
TO, il Berni, da noi fin qui dati in
iCC. E in vero lìcconie ne' quadri non
len dilettano i palagi di magnifica ed
fquifita architettura , che i monti , le
;Uc , le campagne 5 egli armenti; co-
i ne' verfi non pur fono piacevo! co-
\ ad udire le Mufc , dirò così , citta-
inefche e fignorili , ma le runiche e
•àftordli, Ch<? ie il Petrarca e i' Ario-
VI
fto con ingegno divino han fattosi, (
1' Italiana favella non invidiale il
rico poema e l'eroico alla Greca e i
Ja Latina -j il felicfflìmo ed ameniiTi i
ianazzaro ha procurato altresì, che 3
ruftici carmi non le manCdiTe il \\
Teocrito e lì fiio Virgilio. Né perei
egli vivendo non udiva dì buona '' i
glia i lodatori della fua Arcadia , p ì
ciò fìa alcuno , che dì sì naturale d !
cezza e Icegiiidria non fenta dilette^
mera viglia . Perciocché fi fa egli , e |
neppure a Virgilio piacque affatto :
fua Eneide : e il Sanazzaro fu cer ^
mente nelle fue cofe e nelle altrui
giudicio oltre modo fevero; onde il 1 j
amico Mar ul lo con giocofo e a(raig<'
tile epigramma tentò alcun poco tVi ri -
dolcirlo . Pertanto fra gì' Italiani ha
primo grido in cotal genere ; ed a' fi «
tempi neli'x^ccadea-jia di Napoli, e
noflri ancora per tutta Italia , e nt i
Arcadia (ìngolarmente di Roma ha j
trovato di feliciflìmì imitatori. Ai i
degna cofa è da credere , che rifvegl ì
ti abbia eziandio alla poefia paftor. {
gP ingegni Francefi , allora quando i
tempi calamirofi con efempio dì rara
de feguì in Francia il re Federigo f
Mecenate: dove vivendo fino allam<
te di lui, e tuttavia coltivando i f i i
l^ud; , ha tratti dalle tenebre alcuni a i
tichi manofcrittì , e fi fé udire e a
mirare da' letterati della nazione. Qui
di
1 (
Vir
: ufdta in luce 1'^ Arcadia , ne reflò
efo il vivace genio Francefe , e da
iovanni Martin fu tradotta in quella
[jigua. Né guari andò, che fi udirono
n fioritifllmo ftile i paftori inferiti da
!. Urfé nella fuaAftrea*, e s'ammirò
rena felice di M. Onorato Racan ;
tla poi forfè con V amenifllme eglo-
le fue M. Segrais ; e finalmente a'no-
i giorni ofcurò la lor fama M. de
Dntenellecon aurea e ammirabile fera-
icità . Il qua! per vero quanto egli è
)lce ne' fuoi verfi , acre é altrettanto
:' fuoi giudicj y accufando del pari di
olato paftorale decoro e Greci e La-
iiì 5 e Italiani eFrancefi. Benché nep-
ire a lui la perdona in una fua dilTer-
zione fopra 1' Egloghe M. Fragukr .
la ciò fi vedranno ì letterati: che ad
1 librajo non più convienfi d' erudi-
one, fé non quanto o dalla ftorìalet-
raria può raccor da fé fieflb , o dal
fcorfo d'uomini dotti fuoi colorirli d*
la cotale tintura , per far poi fcelta
i buoni autori , e commendare mode-
amente a chi legge la fua induftrià e
itica. Ora tornando al Sanazzaro, gran
igione egli avea fuile (lampe di una
ittà da fé onorata con que' verfi , che
on meno per la loro bellezza , che
er la pubblica munificenza , onde ot-
;nne feicento feudi , fi refer tanto fa-
ìofi . Per tanto fi è procurato , che
uefia nuova edizione delle fue Opere
a ^ Voi".
Volgari a lui foflfe dì alcun onore , i
altrui d' utile e di diletto : della qua
però qualunque farà il pregio , tutto
vuol riconofcere dalla bellìOlnìa edizic
Cominiana , che è la più efatta e o j
piofa , mercé i' affirtenza dèi dottififiri
Signori Volpi; da' quali fu reflituita '
Arcadia alla fua v^ra lezione , e aggiui '
te furono molte opportune annotazio.
a quelle del Porcacchi, del Sanfovinc
del MaiTartngo , e a quelle di certo Ai
tore moderno alla Vita fcritt^ dal Crifpc
le quali fono diftinte con quefti f
gai * e „ ; perché non fiano ufurpai
in alcun tempo da que' plagiarii , ci
fan veflirfì delle altrui penne con an:
mirabil felicicà. Accogli dunque o co
tefe Lettore, con benigno fentimento
buon volere di chi ti viene porgend
di mano in mano i migliori poeti Ita
liani.
BISTRI-
) I S T R I B U Z I O N £
DELLE OPERE.
TOMO PRIMO.
!cune onorevoli Tertimonianze dì ce-
lebri Letterati intorno alla Perfona ,
ed agli Scritti del Sanazzaro fcelte tra 1*
infinfce, che fé ne potrebbero addurre.
.* Arcadia alla fua vera Lezione re-
(lituita .
cn lenze , e Provcrbj ufati dal Sanaz-
zaro.
)ercrizioni dì dìverfe cofe ufate dai
Sanazzaro .
)ichiarazione fommaria di tutte le vo-
ci Latine , e d' altre co(e che fono
in quefl' Opera dell' Arca.lia, di M,
Francelco Sanfovino.
^uova fcelta di Voci ofTervate nell'Ar-
cadia .
\nnorazioni di Tommafo Porcacchia di
Francefco Sanfovino , e di Giovam-
batiita MafTarengo.
3iunta dei Sia,??,. Volpi d' alcune poche
Annotazióni fopra 1' Arcadia.
Alcune importanti correzioni , ed offer-
vazioni dei Sigg. Volpi intorno alle
Note del Porcacchi ,edel Maflfarengo.
Tavola delle Rime fdrucciole ufate dal
Sanazzaro nell' Arcadia ; fatta dal
Sigg, Volpi .
a S TO-
TOMO SECONDO.
Dedicatoria di M. Jacopo Sanazzaro al
la Oneftiflìma, e Nobiliflima Donn
Caffandra Marchefa.
Lettera di M. Francefco Sanfovino ali i
Magnifica e Valorofa Madonna Za
barella Zabarella .
Difcorfo del Sanfovino.
Brevi Annotazioni , o piuttoflo Argo
menci della Prima, e Seconda Parte
delle Rime di M. Jacopo Sanazzarc
fatte da M. Francefco Sanfovino .
Le Rime di M. Jacopo Sanazzaro . ,
Verfione Latina di alcune cofe del Sa-
nazzaro .
Traduzioni di dieci Epigrammi Latin;
del Sanazzaro in Lingua Tofcana .
Tavola di tutte le Rime del Sanazzaro.
Alcune Lettere di M. Jacopo Sanazza-
ro tratte da varie antiche Raccolte ,
Bafili! Zanchi Bergomatis Naenia in
Adium Sincerum Sannazarium .
Vita di M. Jacopo Sanazzaro defcritta
da Gio/ambatiftaCrirpo da Gallipoli . .
Annotazioni d' un certo Autore moder-
no 5 alla Vita .
Correzioni , ed aggiunte dd Sigg, Vol-
pi alla Vita, edalle Annotazioni deir
Autore moderno.
AtCU-
xt
ALCUNE ONOREVOLI
r E S T I M O N I A N Z E
DI CELEBRI LETTERATI
' Ini or /IO alla Psrfona , ed agli Scritti
DEL SANAZZARO
Scelte tra 1' infinite che fé ne po-
trebbero addurre .
Pontaai EpifioU , qua de veterum librii jtu
dìcat , pr AÓium Sinccrum inventis ,
Hanc ne fine dolore legar y ( dic« il Sum-
monzio infine di tutte 1* Òpere del Pon»
tane) tfliimam y Le^or -^ fciat , pgfi innu^
merabilct aliar , qttas tum puhlidf , tum
privati f de rehui y immortali tate dignuf vif
èlle ohm divi ai tur firipferat ,
Pontanus Sincero animi firmitatem D»
^^Uae ad Pudericum fcripfifti , ea me
^^ mirificum in modum deledarunt .
5unt enim pl^na pietatis tuse erga vetu-
ilitem acdii;>entia£. Quo circa vel aveii-
riffime exfpcdo videre Ovidianos illos pi-
fciculos in Euxino lufitantes, Maeotideque
in palude . Quod vero ad venationem at-
tinet 5 vifus elì mihi vates ille Icpidus >
numcrofus , & cultus. Deque eo. Crede
memini , fic ab Appollinare mentio iti
Hendecaryllabis . Rutiiiani illi verficuli
a 6 eno-
xTi T E S T I M O N J.
enodesfunt & nitidi, cukus veroipfe pere-
gri:ms > potius quam urbanus , ne dicam
arcenitus . Sed de his omnibus cujus erit
judicium re^lius , aut probatius quamtuum?
Ego, ut dixi , mirifice exfpeda Ovidianos
illos iKuircm ì nobis incognitos , praefertim
fub Quadragefimale jejunium . Tu vale, <3c
in irto voluntario exfilio, feu potius pere-
grinationej dignam nobilitate tua fortitu-
dinem retine» Neapoli Idibus Februariis .
MCCCCCIII.
Il Cariteo nelURime fogl. D pag. iiiii.
t^è mancheranno ifJgfgni
Imitator di /jue'Jh' altro Virgilio
( cioè deiT?ontano )
N.ti. fegno che t^ afpetta fempr» e hfa/na
Sanazzar , Vardo , Ahi Ho ,
Summo»iio , di arimho , e laurea degni ,
Faran cantando eterna la tua fama ,
fogl. E p*g. vii.
Forfè di Cariteo
Vivrebbe il nome allor non men preclare
Che quel del Sanazzaro .
fogl. F pag. vii.
D* Ahi Ho non dimando ^ o di Sincero;
Che r uno e /' altro è [alvo , eterno , e vìvo :
Com'' io fon per amor di vita privo ,
fogl.
TESTIMONJ. XIII
fogl. G pag. vii.
aniort , nel facro fonte di' Aganippi
Un Poeta vedrai fublìm/ e raro
Di lauro ornar le cbicmt ,
Dalle Mufe chiamato tn vario n'Affi ;
Or Azio > ed or Sincero , or Sanazzaro :
A lui la fronte in. lina , e digli , €om9
Vivend'' io afcofo in quejìa forte umile ,
JDi contentarmi imparo ,
Che non ognuno arriva ali* alto fiilg ,
Il Canteo nelle Rime fogl. L pag. vi.
Obve me^io or fon io , fafre Sirene ,
Con voi , voltffe il citi vi fujfi intero ^
'Ed udijft il cantar del mio Sincero
"ìiel M-ergillino fuo dolce Ippocrefte »
^e lice comparar co fé terrene
Alh divine ; io riveder vi fpero
Col cor tranquillo , e fuor d"* atro penfier$^
Qual rivide Platon le dotte Atene .
fogl. R. pag. vili. ^
Dipinto io fia neW* oprt eterne e belle
Del mìo bel Sanazzar , vero Sincero ;
eh'* allora io giungerò fin alle fiali* *
fogl. S pag. i.
-0 quando fia quel di , Mufe benig*ii , ^
Cèe^n lamia patria prima io vi conduca^
In quelle alte magio» di gloria digne ?
Là cottvien che '/ mio nome fplenda e luca ;
'Rimembrando /* onor eh* al cielo ejìolle
Il mio hi Saoazzar maefiro e duca ^
a 7 ^"^
XIV TESTIMONI.
In fine delle Rime.
Quefto cantava ai lauri , alP aure tfi'tve ,
Tra '/ mìo Summofìyo , Pardo , e G alati 0
Anime eternamente al mondo dive\
Quando di quel liquor Partenopeo
Sincero *ni pafcea dolce cantando^
Con le Caritè , ond^ io fui Cariteo .
JM. Niccoli Lihnrnio nelle S civette > a car.
te i2. dopo d* aver parlato di Dante , e
del Petrarca , 'indi dil Tibaldeo ,
Sopraggiunfeno da poi quegli altri doi for- -
biti componitori , MefFer J scopo Sanarla-
ro , e Mefler Pietro Bembo ; l'uno e Pal-
tro de' quai emmi paruto alluminatore di
loquela volgare; fanza minuta cognizione
della quale , glie forzo che la dimeilica
parlatura vada zoppando cerne dilomba-
ti . Vediamo adunque quefti due con di-
verfo ftile , e diverfa materia meritare
di Lauro ghirlande verdiifime ; perciò che
il Bembo è terfo , ed erudito , lo San^naro
limato, e candido, II Bembo iftretto , ed
in fentenze acuto > lo ^ana^iaro più luci-
do , e negli affetti fuoi più dimoftrevole ;
quefto con dolcezza ) ed allettamento del di-
re foprano , quello con mifura , e più dili-
genza luculento . La virtù ( acciò così
èica ) Sanaiia»'i/7na ^ in vertìo i e in prgfa
dimoftra figure di vivace poetria, e 1' in-
duftriaBembiana fu per fottili arringhi ran-
nata , con felicità fiorifce . Finalmente ne-
gli Afolani par che vi fi veggia non foche
di vera eleganza > e grande artificio; ncll»
Ar-
T E S T I M O N J. XV
rcadia luce, nitidezza» e naturalità mag-
iore . In modo che la lite ancora fta fotto M
iudicea decidere, degli duo quale più ca-
imente piaciuto fia ai numi della Pieria
>ivinitate. ec.
^aefio "Liburnlo /' impaccio in mette ccfe ^
ma con poca felicità , ejfendo egli ferirla^
rt affai goffo , e ridicolo , Il tcftìfnonio fuù
fi è qui pojfto , per Io paragone ch^ egli fa
tra V Sanazzaro e V Bembo ^
Sonetto del Marchefe del Vado in lode
I del Poema de Partu Virginìs àt\ Sanai^-
laro . (la nel Vocabolario di Fabri-
cio Luna , ftampato in Napoli del
1536. in 4. dopo la letterali.
frpcfl^ hai fine alle [pettate rime
Con fiile ornato^ e pari al grand'* Omero ^
Cantando di colei il Parto aliterò
Che in del riluce in fede alta ^ e fublime •
'^ giuntfi fei nelle beate citne
Del glorioso lucido ^^ntrfpero,
Ccn P ifgegno ntofìfando al mondo il vero
Dell* alto Dio , che V ben eterno imprime ,
' 0 piff (he gli altri tne ne glorio t vanto
Di veder giunt"* al fift fi della imprefa
Per la tua man y che lamia patria oni.ra »
f pur lodar vorrei il divi» Canio ,
1.0 fin leggiadro ; ma la voglia acce fa
Hafievi , fé non può /* alma cP adora ,
P/V tr§
XVI T E S T I M O N J .
Pietro Semho in una Lettera a M Pietro
Lo*neUino da C^fnpo , a Napo/i . in data
de* iS. Dicembre 1517. ed è l* ultima
delubro y, del Volume IH,
C^rifìTimo m* è ftato quello che mi feri
vece del Signor Jacopo S'anaiiaro : e piace <
mi incredibilmente che SSig. ftia megli< 1
di quello che s' era detto qui . S' egli v '
ha detto che tra noi è una grande benivo <
lenza ; egli v' ha detto il vero . Che io l '
amo quanto altro uomo alcuno che oggid
viva ; ed onoro fopra quanti vivono .
Lo ftejfo in u»a Lettera a M. Lodovico Bec
catello, a Padova ,' in data de"* 2. di
Gennajo . 15^0. e (i trovi nel lib.-j.
del Voi. IH, a car, i6o. dell'
Edi\, di Guaita Scoio .
Ho avuto la voftra buona mano > come
dite, nelle Rim? del Sananaro mandate-
mi , caro il mio M. Lodovico ; e ve ne rin-
grazio . Vi manderei alcuno de' miei So
netti, cornami chiedete , fé non fofle che
elTi farebbono picciolo e vii cambio a tan
ti onorati e Sonetti e Canzona j che man-
date m'avete.
n mt.
TESTIMONI. XVII
^nedefìtno in una Lettera a MaJ. Veronica
Qimbara, in data de'* 16. dt Giugno
1531. di Padova . fia nella I,
parte dd Voi. ly. a e, ^i.
loi potete vedere come io fon diJigen-
che allavoftra cortefe e dolce lettera >
la quale erano i due Sonetti vodri (* )
:i perla morte del >5'/j«/a^^/^^(?, io ora ri-
ndo . Ma che ne poflo io perciò? Ra-
, o non mai ho agevolezza di portatori .
:ra che io (lato fono in Vinegia parte di
;fto tempo affai cccupato e impedito .
me che fia > o io non poflb con voi pec-
e : da cui ho libertà di potere ciò che
voglio: ovoi melo perdonerete volen-
?ri per la voftra natia dolcezza. Quanto
Sonetti: efli mi fono parutibelIifTìmi T
0 e l' altro . Sono puri ; fono vaghi e affe-
jnati e onorati infinitamente. Io di loro
i rallegro con voi ; e ben facéfte a man-
rglial Sig. IMuffetola . Peravventura non
raveràla buona anima àé. Sanaii^ro ^lÌcvl-
» di veruno altro così bello, come quefti
no. De' quali ficuramente non faprei di-
quale pi ij leggiadro fia : fé nonchequel-
, che incomincia : ^^ a quella , mi pren-
; più 1* animo . Siate ringraziata dello
'erglimi mandati .
*) / due Sonetti di Veronica Gamhara fatti in
morte del Pgeta furono da mi fnora inz/t-
no arcati .
XVIII TESTIMONI.
Mo»fig»or Paolo Gtovio io una hf itera a
M, Girolamo Si (tnnapeci -i e fi fi ente a
carte 9, dflle Lettere Volgari del
Giovìo ftampate l* an-10 1560.
in Fenex^ia dai Seffa .
Reda a rifpondere a quello , di che i
mi rido t che voi mi tafl'ate d' avere qua
violata i* amicizia > in dire che 'i Sana-,
Zaro era parco , e amaro ceiifore qua nd
giudicava 1' Opere d' altri. A quefto pri
mo dico 5 che io tengo d' averlo lodato j
poi che io io dipingo di quello feverogii i
dicio , come era ? e ne faveva profelììone ,
E (e credete altrimenti di quello che erj
in effetto , come dico io, moilratccon tar ^
tavoftra famigliarità di non avergli toccat 1
il polfo sì bene , come ho fatto io in no 1
molte volte, che ho praticato con effo . Vi
fodire ch'io ne feci viva anotomia con pia
cer di lui , e f o quello che rifpofe alle cu
riofe mie dimande , quando io ricercava chi
voleffe dire il parer fuo di quello che giù
dicava delle (*) cofe del Poliziano Latin;
e volgari. Cosìd' Ermolao, delSabellico
e di molti altri morti . Non mi diife egl
del fuo tanto amato Bembo , eh' ci vor
rebbe che mai non avelTe dato fuora gì
Afolani? e che laGramatica ( cioè le Pro
(e ) gli pareva fcrupolofa , afpra, ed affet-
tata, e non fimlle alla delicatura dell'in-
gegno del Bembo tanto divino ne' Sonetti,
iC Stanze, e ne'vèrfi Latini tanto odorato
« candido ? Non ardiva egli di dire e a me 1
e ad
^*)Vedi iì Sdoppi 9 n$* Paradojfi a e, 34. ^j.
TESTIMONI- XIX
ad altri con vive ragioni, che nel gran
jntano fi potevano tagliare molte cofe, e
olte inferire, e molte sfrondare» e tra-
3rire ? dico ne'verfi. Ancora ne' Dialo-
lidcevail parer fuo con quella riverenza
leio faccio, quando io parlo deli' Iftoria
' bello TSLeapoIltano . Di quefti tali, e del-
Ariofto^ e del Vida, e di molti altri vivi
Ì^A gionò più volte con me : e liberamente mi
«^liTequello che egli defiderava neli'Iftoria
^ ia i la quale a beli' agio aveva, come fa-
?rij Jte, Ietta , e riletta . Io non vi dico quello
le diceva dello Abate Anifìo , dello An-
;iij ariano ) del Brittonio, del Filocalo, del
Ivano, edello Archipoeta, perchè quelli
li non fanno al propofito nD(ìroi perchè
Io gli metteva in un' altra botola di poeti,
non nella prima ; nella quale meritamente
ireva che voleiTeftar folo; come volle fta-
ì il Poncano nella fepoltura . Ma chi meglio
Ji\ Sig.Giovan Antonio Mufetola, uomo
isìgenerofo e chiaro ingegno, fa la na-
ira del fevero giudicio del Sana^^aroy il
iù delle volte accompagnato col r»a , e
M fi nel lodare ancorai' ottime cofe-** Mi
cordo in Ifchia , che leggendo fua Signoria
Dialogo noftro, nel quale introduco eflTo
roprio , che parla àsì Sa Kaziaro y e paren-
ogli , che io mi falli con giocondiflìme ti-
ate affai diffuioin lodarlo , difle la Sig.Mar-
hefa di Pcftara • Non diie , 5"/^. Mufetola ,
h^ ti fia kJatc ajfai , perchè dtce Bui J^ [far
larchefe , co et «*/? fi contenterebbe dì sì po^
0, quando vedr^ tutto il Dialogo ^ Allora un
rah letterato , il quale v' era prefente ,
1 nome del quale potrete faper dall'uno e
4IÌ' altra; foggiunfe: Egli è pure una ^jan
fofa
XX TESTIMONI.
cofa che quefl"* uomo voglia ejfire celebrata ali
infinito , ed efj'o è così fcarfo 9 difficiU in lo
dare P Òpere d"* altri , che jempre mescola ai
quinto di f eie di riprenfìone col mele delle Icd*
narrindo vai) efenipj , ne' quali fi vede
elprefla la troppo fevera ufanza in giudica
re. 'Il che ioattribuifco a fomma dottrina
e a ringoiar gravità d* ingegno , al qual
non piacevano le cofe mediocri , come a
Gravina 5 e fi dilettava d' ammonire gì
amici» ed indirizzargli al buon cammino
e non gli voleva imbarcare fenza bifcotto ,
e mandargli a perdere negli fcogli , com
quell' altro. Per quefto tenne nelle man:
il Tuo divino Parto della Vergine circa vent
anni > acciocché di giorno in giorno cre-<
fcendo più il giudicio , potcfle rifecare ^\
riformare tutto quello che non gli piciceva \
Né io attribuifcoquefto a milignica, o a< j
invidia 5 ovvero a fuperbia , come voi forf( •
prepofteramente interpretafte , ma a un, i
ingenua libertà di dotto e nobiì Cavaliere ,
come era . Ed io in tutte le mie Opre rh(<
celebrato per tale > ed i benigni pofteri 1< .
vedranno. Ditemi un poco, per quefia fin
golar virtù non ne divenne ricco , famofo
ed immortale Antippo Gramatico Siracu-
fano ? ec.
■Baullui Jovfuf in Elogio Antoni» Tibaldei .
Sed tantam mox ( Tibaldei ) famam fé*
liciori òrti fidere Bembus , de Sincerus aeter-
KÌs(Errft/'t:/i-)carmi-nibusopprenerunt.Agno-
vip ille tanto perilridus fulgore , ingeni,
fui fortunam , atque ideo ad Latina carmi-
na le convertit .
Ago-
TESTIMONI. XXI
Agoftino Bevazzano nelle Cofc
Volgari, al fogl. G ii.
»/«/ che 7 fecslfea giojafo , alttro \
Più d^ cgn^ altro fiUct marmo io premi :
copo Sanazzaro Azzio Sincero,
Def portico nome onor faprtmo ,
/ quanti fcrtffer fol cantando il vero
La Grecia vinfe , s la citth di Remo ;
ra' mortali refi andò ultima f^g»o
Dell' arte , dsllo fiil§ , e diU^ ingegno .
M. Niccolh IFrauco verfo il fine del /»#
Dialogo intitolato il Petrarchifta >
fingendo che il Petrarca fcrivejft
una lettera al Boccaccio in
lode di Kapolf ,
Sommi non fenri dolcczsa d* animo di-
ttato nell' amenità della boHinìuia Mer-
jliina , le cui ooibre beate con h divini-
i del luogo 5 eh' ivi ha confecrato il Cie-
) , m' han dato certilìimo augurio , ch«
elle fue piaggie un giorno dee canta-
3 un Cigno tanto candido e fincero , che,
guifadi pura colomba, fpiegando T ali al
ielo, farà udire al mondo voci di sì fatta
rmonia , che veramente vere cornici par-
.inno quegli che a lui pareggiar fi vorranno.
Talché la fempiterna Sirena, che alla fua
atria diede il nome , mercè del fuo canto ,
ara più nota.
Bcras-
XXII TESTIMONI.
Berardino Rora nella fua prima
Egloga Pefcatoria .
Leggiadre tlinfe cb* al bel [affo intorno
Scbiryindo ognor di Mergillina andate ,
tlinfa pia d* altre affai felici e liete \
Jslinfe per cui fen va fuperba adorno
Il nojlro mir , eh"* a viva gloria aliate j
"Poi che udito cantar si dolce avete
Licoae * , H primo p'-egio^ e V prirno vant
Di quanti pefcétor l* onda pia p*eiia ;
Voi già , che del piìt baffo umido fondo
Ufcijie fuor ben mìHe volse al canto y
Tratte da meraviglia ^ «• da dolcena ,
per afciugar al fJ /' or crefpo e biondo',
(^talor fovra «7 bel colle egli cantando
OuitJva P onda pia turbata e fra ,
Qttafi dil m^r Latin quarta Sirena;
A me , cbe /* olm^ fue ne vo cercando
Spinto da voglia pellegrina altera ;
Moftrate ève le ferba ancor /* arena ; ec.
*Cioè iìSanaiiaro ,
Idem de Mergillììia^/^^//. Carm. Latin,
pag. 40.
Quicumque Aonio perquirìf vertice Mufaf ,
Qu^re alio: bine abeunt , bffpitium ejì aliud*
Mergillina tenet felici litore : tu fi
Quarìs f eas , montem defere ^ li tur adi ,
Ber-
TESTIMONI, xxiii
Bernardino Tomltano nel fine d' un So-
netto per la morte del Card. Bem-
bo ; porto a e. 107. de* Fiori di
Rime raccolti dai Rufcelli .
4iìuta il g'an Trifone^ e qui Ha cn^fta
Ccp ia , tra quei pih pggi » e pih grajiti y
SaJol'to^ e '/? divino almo Sincero.
L* illuuriiljmo Signor Mario Colonna
nelle Pocfie Tofcane, a e. So.
"ftf quti che luce ali* età nojha diero ,
E qual Sirene del Tirreno mare ,
Crescer in pregio le {alfe onde fero
Sodvi a par delle Calìalie ^ e chiame y
L* un fu che V Parto yirginal altero 9
E Dio y che *fi fragil carne in terra appare >
Celebra'^ e l* altro delle ft e He * moti ,
Tuo prtgi'o y Urania , / dg^iuoi Jìudj ignoti.
Laura Terracina nella I. Parte delle
Rime , a carte 24.
[0 per tr.e bramerei per lodar -voi
Divenir Dante y il Bembo ^ oil Sanazzarc
Lodovico Paterno nelle Nuove Fiamme
delTediziondel ELovillio,ac. 199.
0 lungo il mar cP inonda Mergillina 9
Là^vefe Sanazzaro alle Camene
Lafciar i monti con la fua divina
Voce , e paghe abitar P umid^ arene :
Erger gli amici al eie! con la Latina
Tromba maggior , 0 con le Tofche avene :
E far in riva ufcir le {acre Ninfe
Dfp^ imi [cogli , # delle [alfe linfe .
Lo
XXIV TESTIMONI.
Lo ftedb nel Nuovo Petrarca >
a carte 404«
Qui tiacque deW 'Ebrea Vergtnt il Partgy j
Azzio, fte^ tuoi purghiti t (acri iacbiojifix \
Qui tonvitrt tanta fede egnor ft moftri
AlP Oriente ^ al M^nogiorno , a/l* Arto,
S^i nacque il ftton per tutta Arcadia (parto',
E '/ primo grido de"* marini mofifi :
Qui nacquer gli amjrofi fofpir vofiri ,
Che fveffo <?' fniei penjier dono e comparti ,
Felice fante y avventurefa piaggia y
Scogli pieni d* amore , acque tranquille )
Valle chiara e gtnsil , beate arene l
ZI bel ridutto , ove par fempre infttlle
Lo del d'augni gran dono , e^n guardia Gaggia j
Del Tirreno inchinate alme Sirene .
M. AntonfranceCco Rainieri GeatiIuona«
Milanefe, nelle Rime ftampate in Ve-
nezia dal Giolito in 12, 1* anno 1554. a
carte ha* nella Pompa Seconda > nelK^
quale induce fra gli altri celebri Poeti il
Sanaiiaro , che prefenta ad una Dama Mi-
lanefe una Sirena d'oro con quelli verfi :
^on delle micidiali empie Sif-ene ,
C^.-? / naviganti intenerian col conto ,
Indi occidean : ma delP amate e piene
Z)' ogni piet^ , di cui Napcli ha V vants ;
Qj^eJ}'* una a voi con luci alme e (erene ,
£ 'n chioma e fquame d^ oro adorna tan'o ;
Dono ; e convienfi a voi Donna gradita ;
Se già non date altrui morte , mi vita ,
Lo
t E S T I M O N J . XXV
Lo ftcfTo nelle Rime 5 dell' ediz. di
Bologna , a carte So.
To fono Apollo 3 e qmflo quinci è 'Dante ,
Che canti Beatrice . Ecco il Petrarca ,
Ch'arce di Laura, Ecco il Boccaccio amante^
Ecco il Bembo d^ onor P anima e arca :
1/ Sanazzaro è quel tutto elegante ,
Giovan Girolamo de'Roffi nelle
Rime j a carte 82.
Z^tne </* alta eloquenxtk ) ^«v' divina
A vai pari non ehbtr quei che cajfi
Di vita fon : con ptsro , e dotto incbioflr^
^uel cortefe Signore a cui t"* inchina
fiapol gentil y e '» Panfilippo fi^ffi y
Canterà si , che del bel nome voftro
Ne gira chiaro il fofco fecol noftro • cc
Girolamo Rufcelli nella fua Lettera al Si^^
Aurelio Porcelaga , con cui gli dedica i
Fiori delle Rime de^ Poett III pi
f celti da lui, al foglio * ì\], a tergo.
Il chepofTono agevolmente conofcer co-
loro che, avendo arte, e giudicio da po-
ter conofcere interamente i gradi e i luo-
ghi di perfezione nella invenzione , nella
difpofizione , nello ftile, e in tutte l'altre
parti della elocuzione , aleranno confide-
rati quei componimenti del Bc-mbo , del
Guidiccioni , del Sana^aro , del Moiza %
della Pefcara, e di certi altri alquanto ad-
dietro, editanti altri pji più vicini ano*
e u<
XXVI T F. S T I M O N J .
e di quefti lleflì tempi» veramente illudri
veramente rari , e veramente miracolofi;
che fi fono venuti facendo fentire di mane
in mano •
Lo fteffQ nei Rttrta'h , al Capir. 11^, in («.
tratta de"" Ver fi Sdruccioli .
vtrfo il fine .
Hanno poi a'cempl noftri alcuni fvegliatif
fimi ingegni toltofi imprefa di far compo
nimenti tutti interi di verfi fdruccioli > fic
cornee nella leggiadriflima Arcadia del 5"*
fia\'{aro\ Opera che per certo io foglio din
elTer cosi vaga, e cosi eccellente nell'ef
fer fuo , come qualfivoglia componimenti
che una lingua nobile pofTa ricevere ; f<
non che ò (lata fin qui , non fo per qua
fato 5 oper cui colpa , mandata attorno tan
to trasformata da quel la che 1' Autori- fcrif
fé, che fi veggia tutta piena di enormifllm
errori nella lingua, e in più altre cofe . A
che io ho procurato di rimediare, con opera
che fra pochiflìmi giorni ella fi dia fuori ne
modo che io Phoiitornata con quegli efem
plari , e con quelle ragioni , che nel fuo prin-
cipio potrà vederfi
fi t infine dvlla fuddetta fua Kaccoìta di Ri.
me , aiftgL PP, iij, a ttrgo ,
il Ca-
TESriMONJ. xxvfi
Il Cavalier Marino nella Galleria .
Jacopo Sanazzaro.
W al fuon deìU Sincera avena
angtar Febo col mare il (acro fonte y
le Mu[e calar dal verd^ monte
'/ M^rgelltna alla diletta arena .
dolce , 0 terfa , o pniiofa vena
^on /•' udì mai fra le pia chiare y e conte ,
^ate Ulijfe le av^ia P orecchie pronte^
? Cantava sì ben la m'ta Sirena ,
f con /* armonia y che tanto piacque- y
ajior ToCcano , e pefcator Latino y
'i Sebeto , e d* Alfeo le rive e /' acque •
giunto al Virgin il Parto Divino i
'snth^l plettro col fiato y e tacque , e giacque
i Jìile e d* urna al gran Maron vicino ,
cafiut Crofipput , feu Gafpar Scioppiuf , in
tradoxff Literariit , pag. ^3. fcrihnsju-^
Ho C a fari CapaCfO NeapoUtano .
xemplo fit ve! civis tuus nobllilTimus
ta^ariuf y qui quidem omnium nationurn
reftu Latine fcribendi palmam ita fibi
licavic , ut nullo genere vel Tibullo , vel
3ertioinferiorcenfeatur, unoqueomnes
hoc Bembi Cardinalis elogium,quocl cuin
i vos eflem Maufolaeo ejus infcriptum mi-
lonftrabas y in euna confentiant :
^a facro cinerì flore f : hic ille Maroni
incerus Mu[a p^oximur , ut tumulo, Hic
en prae {e AngJam Baffumy a patria P<?-
«' nomine notiorem, nonaliterqiiamQ
ultiraae notae Grammatifta forct, son-
nere & verfibus infe^ari aufus eft > qi*od|S
e IV»
txviii TESTIMONJ.
eum fermcnis puritr,té minime fibi paretn
fé rcde judicaret.Etfi enim ille quoque "<
fus fci ipfit Latinos,qui vetudati fé pofTint
rerc» nihìl tacien a:i Sannr.iarìum . Hai i
tamen alia, quorum caufa non Saftn<i\a
modo, fedquotquot ^tasilla, dodarum I
minum minime fteri]is,habuit,quctqutfe3
de ad hanc ufque diem Europa tulit , eun j
colere & admirari m'?rico poterant .
\fe^ì ancora i Teftimonj di molti uon i
dotti , premeffì alle Opere Latine del S^t -
^tf'-o dell' Edizion Ceminiana : come pui i
Cartel vetro nella Poetica , a carte 21. 2:
5J4. deìPediz di Bafilea. Il Varchi neirE" 1
lano in più luoghi^ e così il Mazzoni in ra :
altri del'a Tua Difefa di Dante. II Fornari
praTAriofto nella Parte I.acarteyyl
Toppi nella Biblioteca Napoletana 5 a ca à
34.11 Capacio nelle Storie Napo!etane,a e i
te 576. e fegg. e negli Elogi , Porteli il
378,11 Nifieli ne'Proginnafmi.in più i-
IlMoreri , ed il Baile ne' loro Gran -Ji.
Tizx) . Il Pope- BJount nella Cenfura de'
Celebri Autori . Il Mufcetola nel Gibii
to. Il Gaddi nella Corona Poetica, a e?
11. Il Gravina ne Uà Ragion Poetica, a t .
te I Ti. 212, Il Crefcimbeni , a carte 5.6 \
dell'ediz. ultima delle Bellezze della V<
Poefia : nell'Arcadia, a carte ^4. : nelii5
ria, pag. IC9. 218. iiz, : ne' Coment
Voi L pag. 32. 13^21^. ;^28. 389. Voi.
Parte li. pag. ?9?. Voi. V. pag. ^?. Ili
iìernegli Elog) Parte I. L'Autor Frane
del Lucien enheW bumeur Tom. II. pag. 3
einfiaiti altri d'ogni nazione,
PEOIE
PROEMIO
DELL' ARCADIA
D I
M,
ACOPO SANA22ARO.
ARGOMENTO.
lofira quanto pia diletto alcuni volte arrechi
aìVuùmo una ccfa rci^a , naturalmente fattay
cb; una pulita ^ e fabbricata con artificio^
Ogliono il più delle volte
gli alti e fpaziofi alberi ne-
gli orridi monti dalla natura
produtti , più che le coltiva-
Ite piante , da dotte mani
efpurgate negli adorni giar-
dini , a* riguardanti aggra-
are ; e molto niù per li foli bofchi i ialvatì-
hi uccelli r.)vra i verdi rami cantando, 3
hi gli afcoJta piacere , che per le piene cit-
adidentro levezzofe ed ornate gabbie non
^idcciono gli ammaeftrati . Per la qual cofj
incora (ficcome ioftimo) addiviene, che
e filveftre canzoni vergate nelle ruvide cor-
^cÓQ^ de' faggj dilettino non meno a chi le
e^ge, che li colti verfi fcritti nelle rafe
Tf/w^ I, A carte
4 ARCADIA
carte JcglI indorati libri ; e le incerate Ce-
ne de' paftori porgano per le fiorite valli £<
fé più piacevole fuono , che li terfi e preg
ti bofli de' mufici per le pompofe camere n
fanno. E chi dubitai che piiì non fia a
umane menti aggradevole una fontana , e
naturalmente efca dalle vive pietre, atte
lìiata di verdi erbette , che tutte le altre
arte fatte di bianchi flTimi marmi ,rifplende
ti per molto oro? Certo che io creda, ni
no. Dunque in ciò fidandomi > potrò ben
fraquefte deferte piagge , agli afcoltantij
fceri j ed a quei pochi paftori che vi farann
raccontare le rozze Egloghe da natura
•vena ufcite ; così di ornamento ignude efpi \
anendole, comefotto le dilettevoli ombn I
al mormorio de'liquidiffi mi fonti , da'Pafto ^
di Arcadia le udii cantare: alle qua'i ne |
una volta , ma mille i montani Iddìi da do [
cezza vinti predarono intente orecchie » i
!e tenere Ninfe, dimenticate diperfeguii <
i vaghi animali , lafciarono le faretre eg
archi a pie degli alti pini di Menalo e (
Liceo . Onde io ( fé licito mi folle ) più n
terrei a gloria di porre la mia bocca alla um
le fiflula diCoridone, datagli per addietr
daDameta in caro dono , che alla fonor
(tibia di Pallade, per Ja quale il male infi
perbito Satiro provocò Apollo allifuoi dar
«li. Che certo egli è migliore il poco tei
reno ben coltivare , che 'i molto lalciar
per mal governo miferaracnte irabofchire
A R-
DEL SANAZZARO. 3
ARGOMENTO.
'ferite il ftto Jflla cima del monte Varte^
fth , e di quali alberi jia adorna , e chi
quivi follia ridurf \ dove Con bella manie^
ra introduce due pafiori , ricè Selvaggio ,
rìre (iinta ccn E''gaJìo ) '"/ quale era dolen^
te per le fue pa(ftoni amo'cfe ,
PROSA PRIMA.
*> Face nella fommità di Partenìo non iimì-
jr le monte della paftorale Arcadia undi-
:tevole piano , di ampiezza non molto fpa-
ofo; perocché il fico del luogo noi con-
nte; ma di minuta e verdilìjma erbetta sì
pieno , die , le le lafcive pecorelle con
i avidi morfi non vi pafcefTero , vi fi po-
ebbe d' ogni 'tempo ritrovare verdura •
ve ( fé io non m' inganno) fcn forfè dodi-
0 quindici alberi di tanto ftrana ed eccef-
a bellezza» che chiunque li vedefTe , siu-
cherebbe che la maeftra natura vi fi fotTe
■n fommo diietto ftudiata informarli. Li
lali alquanto didanti , ed in ordine non ar-
ri ci ofo di fpofti 1 con la loro rarità la natu*
'e bellezza del lucgo oltra mifura anno-
lifcono . Quivi fenza nodo veruno fi vede
diritti (lìmo abete > nato a foftenere i peri-»
)U del mare; e con più aperti ramila re-
ifta quercia, e Paltò fraflmo, e Io ame-
fljmo platano vi fi difendono con le loro
nbre j non picciola parte del bello, e co-
ofo prato occupando; ed ewl con più bre-
J Ì:onda 1' albero di che Ercole coronare
Ibtea > nel cui pedale Icmifere figliuole
A 2 di
4 , ARCADIA
eli Climene furono trasformate : ed in
de' lati fi fcerne il noderofo caftagno j
fronzuto boffo -, e con puntate foglie lo ecc
fo pino carico di duri Ifi mi frutti ; nell'ali
l'omb'-ofo faggio , la incorruttibile tiglia j
'1 fragile tamarifco , infiemc con la orieni
le palma» dolce ed onorato premio de' vi
citori , Ma fra tutti rei mezzo, pre^To
chiaro fonte, forge verfo il cielo un drit
cipreflb > veraciflìmo imitatore delle al
mete, nel quale non che Cipariffo , ma (
dir convienfi ) elfo Apollo non fi fdegnere
be e(Tcre trasfigurato > Né fono le dette pia
te sì difcortefi , che del tutto con le loro oi
bre vietino i raggi del fole entrare nel d
Icttofo bofchetto, anzi per diverfe parti
graziofamente li ricevono j che rara èque
Ja erbetta» che da quelli) non prenda gra
di/Iìma recreazione ; e come che da og
Itempo piacevole danza vi fia , nella fiori
primavera più che in tutto il reftante ani
piacevoli (Ti ini vi fi ritruova . In quello co
fatto luogo fogliono fovente i paÀori con
Joro greggi dalli vicini monti convenire
e quivi in diverie» e non leggiere pruo\
cfcrcitarfi: ficcome in lanciare il grave p^
Jo , in trarre con gli archi al berfaglio , e
in addellrard nei lievi falri , e nelle for
lotte, piciie di radicane infidie, e '1 pi
delle volte in canr^ife^ ed in fonare le fan:
pogne a pruova 1' un dell'altro , non fenz
pregio e loie del vincitore . Ma emendo un
iìata tra l'r.'tre quafi tutti i convicini paftc
ri con le foro maridre quivi ragunati , e eia
fcuno varie m:ìniere cercando di iollazzare
fi davH maravigliijfa feO^ ; Ergalo folo , fen
^a alcuna cofa dire o fare > a pie d'un' albe
DEL SANAZ2ARO. 5
j dimenticato di fc, e de'fuoi greggi già-
/a , non altrimenti che fé uaa pietra o un
meo (lato foflTe , quantunque per addietro
eflTe oltra gli altri partorì tflere dilette-
le e graziofo : del cui mifero (lato SeU
ggio moffo acompaflione, ncr dargli al-
1 conforto, così amichevolmente ad alta
ce cantando gì* incominciò a parlare.
EGLOGA PRIMA,
Selvaggio, ed Ergafto.
!. I % Rs-^do mio ^ perchè foli ngo y e tacita
JLj Ptnftr ti vfggÌ9hi mècche mal fi la fcì arti
Le puore/le andare a lor ben placito %
Vedi quelle ibe'*l rio varcando paffano y
Vedi que''duo tn-.nton^chv^ nfumt corrono^ 5
• Cerne in un tempo per urtar s'^ahbajfano •
Vedi cP al vincitor tutte fcccorrono ^
E vjnn:gli ^a tergo , «>*/ vitto [cacciano^
E con femb fanti (e bivi Qgn*or Vabborrono,
"E fai ben turche ilupi{anc6r che tacciano) \q
Fanle granprede^e i can dormendo ftannofi^
Pfrb che i lor pa fior non vi t''impacciano*
Già per li bofchi i vaghi uccelli fannofi
1 dolci nidi , e d"* ahi monti cafcano
he nevi , che pel fol tutte diffannof , 15
E par che i fieri per le valli na frane ,
Ed ogni ramo abbia le foglie tenace ,
E / puri agnelli per /• erbttte pafcano .
L* arco ri figlia il fanciullin di yence ^
Che di ferir non è inai fianco^ oja'^io 2q
Di far delle m'dcl'e afida cenere .
Vrogne ritorna a noi per tanto fpa\io
Con la [or e Ila fua dolce Cecropia
^ Umetttarf delP antico /ìra\io .
% A ì A d'/.
6 ARCADIA É
J. ^tre il vtro oggi è tanta V inopta ^
DepaftùTycbe Cantando all' btnbfa {«ggiant^
Qhe par che Jìiamo in S citiamo in Etiopia*
Or poi che o nulli ^ o pochi ti pareggian9
A cantar ve^ji sì leggiadri , efrottole^
Deh C'inta amai ^ chi parche i tempi \
chieggiano . 2
'Er%*Selvaggio mio ^ per que fi e ofcurt grattili
Tilom'ena , m Progne vi fi vedono :
Ma mefte firtgi , ed importune nottole ,
primavera , e fuoi dì per me non f ledono ,
"ÌSie truovo erbfyO fioretti ^ che mi gioveno^ ^
Ma pilo pruni yefifdhiy cbe'^l cor ledono^
X^ubi mai da quefi"* aria non fi moveno ,
E seggio i quando i dì fon chiari e tepidi^
ti etti di verno , che tonando pioveno ,
Pertica il mondale nm penfar ch'aie trepidi^ ^
Ma attendo fua ruina , e già confiderò^
Che*l cor /''adempia di penjigr più lepidi,
Caggian baleni , e tuon quanti ne videro
1 fier g io unti in Fleg ra ; e poi fommergafi
La terra e V del ^ eh"* io già per me i
de fiderò . ^
Come vuoi che V profirato mio cor ergafi
A pon.'r cura in gregge umile e povero y
Ch'iofpei'O cbefraU'pi anxj difpergafi ?
ISJon trucvo tr.y gli ajfanni altro ricovero ,
Che di fé dermi fola a ptè d* un* acero^ ^{
D'*un faggi 9 yd^ un'* abete y over d^unfovcro.
Che pensando a cslei ^ che ^l cor m'*ha lacero
Divento un ghiacciole di nuìTaltra cufomiy
tlè fiento il duci y ond'*io *ni ft^uggo^e rmceri
%z\,Ver maravigli a spi h e Pun [affo induromi^ 5
Vedendoti parlar sì malinconico ;
B ^n dimandarti alquanto rajjicttromi .
Qual''è colei , e"* ha "^l petto tanto erronico^
Che t* ha fatto cangiar ViltOy e cofiume ?
Dim-
DEL SANAZZARO. 7
t)lmmtlyclft con altrui mai no^ e emoni e 0,^0
g.MenamJo um f^iorno gli agni preffo unfiumg^
Vidi un bel lumt in me^io di queW ondt^
Chi ctn due biondi trecce ali* or mi firinfty
E mi dipinft un volto in me^io V core^
Che di colore avanx^a latte , e rofe : 6%
poi fi nafcofe in modo dentro l^alma ^
Che d'' altra [alma non m\tggrava il pefo.
Cesi fui i>refo^ ond^'bo trJ giogo al collo^
eh il pruovj^e fello piò ch'*uom mai di carne \
Tal che a pelarne è vinta ogni alta Jlima-io
lo vidi p^ima l'uno , e poi l*ahr'*occòio ;
Fintai ginocchio al\a1a al parer mio ^
-, In meno V rio fi flava al caldo cielo :
Lavava un v^lo tn voce aita cantando ,
Oimè^cbe quando ella mi vide^ in fretta 7 5
La can;[onetta fua fpei:(^ando , tacque :
JE mi difpiacque , che per pia mie^ajfanni
Si fcimfei panni , e tana fi cover fé :
Voi fi (cmmtfrfe ivi entro infino al cinto j
Tal che per vinto io caddi in terra fmortcZo
E per conforto darmi e^!a già corfg ,
£ mi [occo^fe s sì piangendo a gridi ^
CP alli fuoijiridi cor fero i pa fiori ^
CP eran di fuori intorno alle contrade:
E per pleiade ritentar militarti , Sj
Ma i fpirti (parti al fin mi ritornar 0 ,
E fen riparo alla dubbi o{a vita .
Ella pentita,, poi cP io mi rlfcojji ^
All'* or tcrnojft indietro^e^l cor pia m^arfei
Sol per mofirarfe in unpietofa e fella . 90
La pa fi or e Ila mia fpierata 9 rigida ,
Che notte e giorno al mio focccrfo cbiamcla^
E fta fuperba , e piò che ghiaccio frigi da'^
Ben fanno quefti bofcbi quant* io amela ,
S'annoio fiumi y monti ^ fiere ^ ed uomini ■i 95
CPogn' or piangendo efnfpirando bramala,
A 4 S'^^^o
'm
8 ARCADIA^
Sa Ih quante fiate il di la mmtni
Jl g^'egge mio , che gih tutt^ore afcoltamì]
0 e y egli in fé Iva pafca^o in mandra romim
"Ecco rimbomba , e fpejfo indietro voltami iO(
he voci , che si dolci in aria fonano )
'E mW* orecchie il bel nomi rifoltami ,
S^efi^ alberi di lei fempre ragionano ,
E nelle (cor\e fcritta la dimoftrano y
Ch^aplagerfpeffoyeda calar mi f prona nQ'.l<>\
Per hi li turi y egli arieti giojìrano ,
ARGOMENTO.
Racconta gli fpajjì cP ebbero per la firada i
paftori tornando alle lor capanne : e che ,
poi andando egli con le fue pecorelle un gior-
«tf, pf fifggirg il Caldo , incontrò Monta,
fio paftore , che cercava fimilmente il fre-
fco ; al quale fece offerta d^ un bel bafione*
pregandolo che canta ffg . Montano comincia-
to il canto ^ vide Uranio dormire \ e defia-
toloy con lui cantò /' amor di due pajìorel-
le , che ne* cuo'i //' amendue loro facevamo
acerbi e diverfi effetti .
PROSA SECONDA.
STa/a ciafcun di noi non men pietofo , che
attonito ad afcoltare lecompa(Tìonevoii
parole diErgaftoj il quale qu?intunq«e con
la fioca voce, e i miferabili accenti a fofpi-
rare più volte ne moveile ; nondimeno ta-
cendo, folocol vifo pallido e magro, con
glirabbuffati capelli) egli occhi lividi per
Jo foverchio piangere , ne avrebbe potuto
porgere di grandidìma amaritudine cagione.
Ma poi che egli fr tacque^ le rifonanii
^ felve
DEL SANAZZARO. 9
;lve parimente fi acquetarono; non fu ai-
uno della paftorale turba a cui baftafle il
uore di partirfi quindi per ritornare ai la-
:Jati giuochi, ne che cu rade di fornirci
ominciati piaceri : anzi ogni uiìo era si
intoda compaffione, che come meglio po-
eva o fapcva , s' ingegnava di confortar-
3, ammonirlo, e riprenderlo del fuo er-
ore j infegnandogli di molti rimedj, affai
iù leggieri a dirli , che a metterli in
perazione . Indi veggendo , che '1 fole era
•er dechinarfi verfo l'Occidente 5 e che i
aftidiofi grilli incominciavano a ftridere
er le fefliire della terra, fentendofi di vi-
ino le tenebre della notte; noi non fop-
)ortando che *1 mifero Ergafto quivi fola
imantde , quafi a forza alzatolo da fede-
e , cominciammo con lento paflo a move-
•e foavemente i manfueti greggi verfo le
nnndre ufate 5 e per raen fentire la noja
iella petrcfa via, ciafcuno nel mezzo dcl-
andare , fonando a vicenda la fua fun-
logna, fi sforzava di dire alcuna nuova can-
zonetta , chi racconfolando i cani , chichia-
■n.indo le pecorelle per nome, alcuno la-
■nentandofi delia fua paftorella , ed altro
rullicamente vantandofi della fua : fenza
:he molti fcherzando con bofthereccie aftu-
?ie , di pafìo in pafTo fi andavano motteg-
Mando , infino che alle paoliarerchc cafe
fummo arrivati. Ma palìando in cotal gui-
fa più è più giorni, avvenne che un mat-
tino fra gli altri , avendo io ( ficcome è
coiìume de' paftori ) pafciute le mie peco-
reileper le rugiadofe erbette, e parendo-
mi ornai per lo fopravvegnente caldo ora
di menarle alle piacevoli ombre j ove col
A 5 fre-
IO ARCADIA,
frefco fiato de' venticelli potelìì me e lor
infieme ricreare; mi pofi in cammino ver
fo una Valle ombrofa » e piacevole % eh
men di un mezzo mìglio vicina ftava > d
palTo in paflb guidando con i' ufata verg
i vagabondi greggi , che s'^ imbofcavano
Né guari era ancora dal primo luogo di
Jungato j quando per avventura trovai ii
-via un paftore > che Montano avea nome
il quale fimilmente cercava di fuggire i
faftidiofo caldo j ed avendoli fatto un cap
pello di verdi frondi j che dai fole il di-
fendeHe , fi menava la fua mmdra dinan-
zi , sì dolcemente fonando la fua fampo-
gna } che parea che le felvepiùche l'ufa--
to ne godelTero . A cui io vago di cotai
fuono , con voce affai umana difli : Ami-
co , fé le benivole Ninfe predino intente
orecchie al tuo cantare ; e i dannofi lupi
TiOn pedano predare nei tuoi agnelli , ma
quelli intatti, e di bianchiiìime lane cover-
li ) ti rendano graziofo guadagno , fa che
io alquanto goda del tuo cantare , fé non
ti è noja ; che la via e '1 caldo ne parrà
minore : ed acciocché tu non creda che le
tue fatiche fi fpargano al vento» io ho un
badone di noderofo mirto , le cuiedremi-
tà fon tutte ornate di forbito piombo , e
nella fua cima è intagliata per man di Ca-
riteo bifolco » venuto dalla fruttifera Ifpa-
gna , una teda di ariete con le corna sì
KiaedrevoI mente lavorate , che Toribio ,
padore oltra gli altri ricchidlmo, mi vol-
fe per quello dare un cane animofo (Iran-
golatore di lupi ; né per lufinghe o patti
che mi offeride j il potéo egli da me giam-
mai impetrare . Or quefto ( fc tu vorrai
DEL SANAZZARO. xt
antare ) iìa tutto tuo . Allora Montano
enza altri preghi afpettare , così piacevol-
nente andando incominciò.
EGLOGA SECONDA.
Montano , ed Uranio •
^^On-'T Te/te ali* omh*'a dagli ameni fagg) ^
X Pafciute pecorelle , ornai che V folt
Sul mewo giorno tndriwa i caldi raggj •
Ivi udirete P alte mie parole
Lodar gli occhi fereni -i e trecce bionde^ 5
Le mani t e le bellei':;^e al mondo fole.
Mentre il mio Canto , e 1 mormorar delPortde
i' accorderanno , e voi di pajfo inpajfo 10
Ite pafcendo fiori , erbette , e fronde .
Io veg^o un'' uom , fé non è fierpo , 0 fajfo J
E gii è pur uom , che dorme in quella valÌ9
Vifìefo in terra , faticofo e lajj'o ,
Ai panni , alla fl.t tura , edalle Spalle 9
? Ed a quel can , che è bianco ) e'*par che fi^
Uranio , fé V giudicio mìo non falle , 1 5
Eg'i è Uranio , il qual tanta armonia
Hi mila lira , ed un dir sì leggiadro y
Che ben s* agguaglia alla famppgna mia ^
Fuggite il Ladro , 0 pecore , * pafiori .
eh* egli è di fuori il lupo pi in d'^inganniy 23
£ mille dìm^^i fa per le contrade ,
Pjii fon due ftrade \ or via veloci e pronti
Ver meno i monti ^che^lcammin vi fquadfo^
Cacciate il ladro ^ il qual jempre s''a; piatta
In quefìa fratta è'n quella ^e mai no dorme ^X^
Seguendo V orme delU greggi nojìri .
Nejfun fi mofifi paventofo al bofco ;
C b^io ben conofco i lupi.amdiamo^andtama j
Che s* un fol ramo mi trarre da preffo
A 6 Ntf
12 ARCADIA
2VZé/ fari frejfo ritornare a dietro . ^g
Chi fi a ( /' impetra dalle tnìe venture ,
Qh"* ogqi fìcure vi conduca al varco)
Piif di me (carco} o pe.ofil'c ardite^
Andate unite ^ al vojìf'o ufato modo ,
Che { fé H ver odo ) il lupo è qui vicino \ 35
Cb^ ejìo mattino udti romvri flran' ,
Ite j miei cani , ite , Melampo y ed AJro j
CaiCiate il ladro con audaci gridi.
JSlejfun (i fidi ne II* a fi ut e infidi e
De"* fai fi lupi y che gli armenti furano ^ 40
E ciò n* avviene per le nofire invidie ^
Alcun fagfj paficr h mandre murano
Con alti legni, e tutte h circondano ^
Che nel latrar de* can non fi afficurano ,
Così per ben guardar fi mpre n* abbondano 45
In httCye'^n lane^e d^o^ni tempo atdmtntanOy
Quado f bcfchif-n verdi ^e qucìdo ffrindano,
2iè mai per neve ilMar^o fi fgcmtntano ;
J\V perdon c/ipra p-rcbè fuor la Ufcino;
Qcs) pa^ che I-fati al bfn ccnfentano , 50
-4' loro agnelli già non ncce il fafcino ,
O che fi/rn erbe , 0 incanti che pofJ'i^dano\
£ i nofiri lol fiatar par che !*afnbajcino .
Ai greggi di cofior lupi non predano \
fiffe temon de"* ri ce hi '.cr che vuol dire , ^^
CP a rjojì't mandre per vfan^a ledano ?
Qià femo giunti al luogo ove il defire
Par chi mi fprcne , fi tire ,
Per dar principio agli amoro^ lai , 60
Uranio-, nvn dormir^ dr fiati ornai ^
lAifero ^ a che ti fiat ?
iZoiì ne meni il dì ^ cerne la notte}
Ur. Mentano , / mi dormiva in quelle grotte\
E*n fu la mexi^^a notte
Quefìi can mi dejlaf baiando <:ilhpo . ^5
0/7»/' i^gridatìdQ^ al hp9 , «llupQ ; al lupo ,
Vafiir
DEL SA NI AZZARO. i^
Vafìor , correte al lupo ,
Vilt non ihftn'it ^er fin che vidi il giotm.
E ^l g''egie numerai di corno in corno :
Indi fo:to q'^ifl^ O'-no 7O
Mi vinf'il fonno^ond'or tu nt^hti ritr^ttj^
[or\ Vuoi c^sntar meco} or incom'tncia affatto.
r. Io canteri con pitto
Di rifpondere a quel che dir ti fento .
lon. Or qual canteri io^'cbe n''ho ben cento\ 75
Qutll.i d^l fier tormento?
0 quella che comincia : A ima mia bella?
Diri que II' altra forfè : Ahi cruda ilella ?
r. Deh per mio amor dì quella
Ch^a meizo dì ì ahr^jer cantafii in vllla.%0
lon. Per pianto la mia carne fi diflillà^
Siccome al [ci la neve .
O com^ al vento fi disfà la nebbia ;
Ni fo che fjr mi debbia .
Or penfateal mio mal , qual ejfer deve . 85
\(.0r penfatt al mio mal ^ qual effer deve '^
Che come cera al foco ,
O come foco in acqtta m't disfécclo \
Jslè ce'co vfcìr dal laccio ,
' Sì rn^t dolce il tormento^e*l pianger gioco, go
-ion. Sì m'^è dolce il tormento^ e'^l '/ranger gioco j
QP io canto , fuono , e ballo ,
£■ cantando , e ballando , al fuon languì fco ,
f f^guo un bafilìjco :
Coti vuol rr.ia ventura y ovver mhfrJh , 95
Jr. Cofì vuol mìa ventura , owsr mio fallo ,
Che vo Cempre cogliendo
Di piaggia in piag<i^ia fiorì ^t frefche tthttte^
Trecciando ghirlandette ;
E Cerco un tigre umiliar piangendo. lOO
VTon . FUlìda mia , pia che i Uguflrì bianca ,
Pìh vrtniajia che U prato n me^o Aprile ,
fi^ft'gace che cerva ^
14 ARCADIA
Ed a me pih proterva ,
Ch^a "pan nort fu coki che vinta t fianca. IO \
Divenng canna tremula e fotti le }
Ver guiderdon delle gravose fonte 9
De/j [parai al vento le dorate chiome.
Ur. Tirrena mìa , il cui colore agguaglia
Le Mattutine refe , e V puro latte '^ ik
Più veloce che damma ,
Dolce del mio cor fiamma ,
P/zV cruda di colei che fé in Teffaglia
Il primo alloro di fue membra attratte ;
Sol per rimedio del ferito core 11;
Volgi a me gli occhi , ove s'*annida Amore ,
Mon. Vafior , chefete intorno al cantar n«(ìro^
5"' alcun di voi ricerca foco ^ od efca
Per riscaldar la m andrà ,
Venga a me faìamandra ^ 12(
¥ elice infietne , e miferabìl mofiro \
In cui convìen^ch''ogn'*or P incendio crefca
Dal dì eh"* io vidi l* amorofo [guardo ;
Ove ancor ripenfando agghiaccio^ed ardo .
Vr,Pafiory che per fuggire ti caldo efiivo , 125
A 11^ ombra defiate per coflume
Alcun rivo corrente ,
Venite a me dolente \
Che d^ ogni gioja , e di [peran^a privo
\Per gli occhi [pa'go un dol ore fo fiume 1 50
Dal dì cP io vidi quella bianca mano
CPogni aliro amor dal cor mi fé lontano .
Mon. Seco la notte , e ^l ciel tutto x* imbruna^
E gli alti montile contrade adombrano'^
Le felle n* accompngnano eia luna. i?y
E le mie pefrelle il hofco [gombrano
Infieme radunato , che ben [anno
Il tempore Por a che la mandra ingombrano,
A ndinmo appreffo noi\cP elle fen vanno )
Uranio mìo\e gii i compagni afpettanoy 1 40
Efor^
DELSANAZZARO. 15
E fo'fe temon di [uccejfo danno .
r. Montano^ i miei ectnpagni non fofpettano
Dei tardar mio-^cPio vo e he^l gregge pafcai
Kè credocbe di tne penjier fi mettano .
1 ho del pane , e pia cofe altre in tafca ; 145
Se vuoi ftar meco^ non mi vedrai movere
Mentre farà del vino in quejìa fiafca :
P // potrebbe ben tonare^ e piovere.
ARGOMENTO.
^ giorno feflivo jacrato alla Dea de^ p.zfìori ^
dice , che (iafcuno con diverji modi (i sfor..
tJì d^ onorar quella fejìa : nella quale andati
al tempio , vide ahune belle pitture ; ed en^
Irati duniro , // facendole fece dopo il fa-
crijìcio orazione alla Dea . Quindi pajjatt
in una pianura , dove erano alcune pnjìo-
rellt , introduce Gali\io a lodare il giorni
che nacque la fua Amaranta .
PROSA TERZA.
là fi tacevano i due padori dal can-
J" tare efpedici ; quando tutti da fede-
e leviti, lafciando Uranio quivi con due
ompagnij ne ponemmo a feguitare le pe-
creile , che di gran pezza avanti fotto la
uardia de' fedeliflìmi cani fi erano avvia-
e; e nonolìante» che i fronzuti fambuchi
overti di tìori odoriferi T ampia ftrada
uaù tutta occupafTero , il lume della lur-a
ra sì chiaro , che non altrimenti che fé
iorno flato fofTe , ne moftrava il cammi-
10 : e così paflo paHo feguitandole » anda-
amo per Io filenzio della ferena notte ra-
;i'jnando delle canzoni cantate , e com-
men-
t« ARCADIA
mendando maraviglioramente il novo co
minciare di Montano , ma molto più i
pronto e ficuro rifpondere di Uranio , a
quale niente il Tonno ( quantunque appe
na fvegliato a cantare incominciane) del
Je merite lode fcemare potuto avea. Per
che ciafcuno ringraziava li benigni Dii
che a tanto diletto ne aveano si impenfa
tamence guidati : e volta avveniva , ch«
mentre noi per via andavamo così parlan
do , i fiochi fagiani per le loro magion
cantavano , e ne faccano fovente , per udir
li > lafciare interrotti i ragionamenti ; 1.
quali alTai più dolci a tal maniera ne parea-
no? che fé fenza sì piacevole impaccio gli,
aveffìmoper ordine continuati. Concotali
piaceri adunque ne riconducemmo alle no-
ftre capanne : ove con ruftiche vivande aven-
do prima cacciata la £ime > ne ponemmo to-
vra l'ufata paglia a dormire > con fommode-
Tiderio atpetcando il novogiorno, nel quale
folennemf-nte celebrar fi dovea la lieta fella
di Pales veneranda Dea de' pallori > per re-
verenza della quale » sì tcfto come il fole ap-
parve in Oriente , e i vaghi uccelli fovra li
verdi rami cantarono , dando fegno della
vicina luce % ciafcuno parimente levatofi
cominciò adornare la (ni mandra dirami
v^rdiifimi di quercie e di corbezzoli j ponen-
do in fu la porta una lunga corona di frondi e
dì fiori di gineflre , e d*aitri , e poi con fuma
di puro folfo andò divotamente attorniando
i faturi greggi i e purgandoli con pietofi
preghi, che neffun male lor p: te iFv- noce-
re > né dannificare . Per 'a qual cofa cia-
(cuQì c,t pan ta fi udì rifonare di diverfi idru-
. menti : o^ni flradd, ogni borgo, ogni tri-
vio
DEL SANAZZARO. 17 .
0 fi vide feminatodi verdi mirti . Tutti
animali egualmente per la Tanta fefta co-
bbero defiato ripoio . I vomeri , i raftri ,
zappe, gli aratri, ei gioghi fimilmente
nati di ferti di novelli fiori modrarono fe-
10 di piacevole ozio. Né fu alcuno degli
atori , che per quel giorno piiniaffe di
operare efercizio , né lavoro alcuno j mi
tti licci con dilettevoli giuochi Intorno
;l' inghirlandati buoi per li pieni prefepj
ntaronoamorofe canzoni. Oltra di ciò li
igabondl fanciulli di padb in pafìo 1 con
icmplicecte verginelle li videro per le
)ntrade efercitnre puerili giuochi» infe-
10 di comune letizia. Ma per poter modi-
atamenre oifrire i voti fatti nelle neceffità
iflate fo/ra i fumanti altari , tutti infieme
i compagnia ne andammo al fanto tempio:
1 quale pernon molti gradi poggiati , ve-
emmoin fu la porta dipinte alcune felve>
colli belliflimi, ecopiofi di alberi fron-
uti , e di mille varietà dì fiori , tra i quali fi
edeano molti armenti , che andavano pa-
rendo 1 e rp:'2;iaDdofi per li verdi prati , con
Offe dieci cani d'intorno, che li guarda-
ano; le pcd.ite dei quali in fu la polvere
■aturalillìme fi difcernevnno . De' partorì
icuni mungevano > alcuni tondevano la-
te , altri fonavano fampogne, e tali vi era-
io , che pareva 5 che cantando fi ingegnaf-
ero di accordarfi col fuonodi quelle. Ma
juel che più intentamente mi piacque di
nirare, erano certe Ninfe ignude 5 le quali
lietro un tronco di cafiagno (lavano quafi
mezze nafccfe , ridendo di un montone ,
:he per intendere a rodere una ghirlanda
di quercia, che dinanzi agli occhi gli pen-
dea»
i8 ARCADIA
dea } non fi ricordava di pafcere le erbe
che d' intorno gli (lavano , In quefto veniva
no quattro Satiri con le corna in tefta , «
^iedi caprini > per una macchia di lenti-
ichi pian piano per prenderle dopo lefpal
le: di che elle avvedendofi ; fi mettevam
in fuga per lo folto bofìco , non fchivand(
né pruni, nècofa che lor poteffe nocere
delle quali una , più che le altre preda •
era poggiata fovra un carpino, e quindi eoe
uno ramo lungo in mano fi difendea : le altri
fi erano per paura gittate dentro un fiume:
e per quello fuggivano notando j e le chia-
re onde poco , o niente lor nafcondevano
delle bianche carni . Ma poi che fi vedevano
campate dal pericolo, ftavanoafTife dall'al-
tra ripa affannate e anelanti > afciugandofi i
bagnati capelli , e quindi con gefti e con
parole pareva , che increpare volefiero co-
loro che giungere non le avevano potuto.
Ed in un de' lati vi era Apollo biondifii-
mo ) il quale appoggiato ad un baftone di fal-
vatica oliva guardava gli armenti di Ad-
meto alla riva d'un fiume : e per attenta-
mente mirare due forti tori , che con le
corna fi urtavano , non fi avvedea del faga»
ce Mercurio , che in abito^ paftorale con
una pelle di capra appiccata focto al finifiro
omero gli furava le vacche . Ed in quel
medefimo Jpazio ftava^ Batto palefatoredel
furto trasformato in fallo , tenendo il di-
to diftefo in gefto di dimofirante . E poco
più baffo fi vedeva pur Mercurio, che fe-
dendo ad una gran pietra con gonfiate guan-
cie fonava una fampogna , e con gli occhi tor-
ti mirava una bianca vitella , che vicina gli
ilava» e con ogniaftuzia fi ingegnava di in-
gaa-
DEL SANAZZARO. i^
unnarc lo occhiuto Argo- Dall'altra parte
iaccva a pie d' im aitiifiiiio cerro iiii pa-
ore acldormentato io mezzo delle Tue ca-
re > ed un cane gli ftava odorando la ta-
ra, che lotto latelìa tenea , il quale ( pe-
jcchè la luna con lieto occhio il mirava)
imai, che Endimione foile . Appreflo di
oftui era Paris, che conia falce avcaco-
linciato a (crivere E^ov^alla corteccia di
n* olmo, e per giudicatele ignude Dee»
he dinanzi gli ftavano , nonlaavea potuto
ncoradel tutto fornire. Ma quel che non
:ien Cottile a penfare , che dilettevole ave-
ere , era lo accorgimento del difcreto pinto-
e , il quale avendo fìtta Giunone , e Miner-
a di tanto eftrema bellezza , che ad avanzar-
.e farebbe ftato impoflìbile , e diffidandofi di
are Venere sì bella» come bifognava ladi-
)infe volta di fpalle > fcufando il difetto eoa
a aftuzia : e molte altre cofe leggiadre, e
jelliflime a riguardare (delle quali io ora
nal mi ricordo) vi vidi per diverfi luoghi
dipinte. Ma entratti nel tempio, e all'al-
tare pervenuti, ove la immagine della fan-
ta Dea fi vedea , trovammo un facerdotedi
bianca vefta veftito , e coronato di verdi
fronde ( ficcome in sì lieto giorno » ed in
sì folcane ufficio fi richiedeva ) il quale al-
le divine cerimonie con filenzio mirabilif-
iiraone afpettava ; né piiì torto ne vide in-
torno al facrificioragunati, che con le pro-
prie mani uccife una bianca agna, e le in-
teriori di quella divotamente per vittima
orterie nei facrati fochi con odoriferi in-
cenfi , e rami di cadi ulivi, e di teda , e
di crepitanti lauri, infieme con erba Sabi-
na, e poi fpargendo un vafo di tepido lat-
t«
ID ARCADIA
t« inginocchiato , e con le braccia didefc
verfo l'Oriente così cominciò. O reveren-
da Dea , la cui maravigliofa potenzia più
volte nei noftri biiogni fi è dimoftrata j
porgi pietofe orecchie ai preghi divotiifi-
mi della circunftante turba » la quale ti
chiede umilmente perdono dei Tuo fallo >
fé non fapendo aveffe feduto , o pafciuto
fotto alcuno albero che facrato fofle ; o fé
entrando per li inviolabili bofchi aveiTe
con la fua venuta turbate le fante Driade,
e i femicapri Dii dai follazzi loro i e fé
per neceflìtà di erbe aveilc con l* impor-
tuna fìlce fpogliate le facre felve de* ra-
mi ombrofi , per fovvenire alle famulente
pecorelle, ovvero fé quelle per ignoranza
avellerò violate le erbe de' quieti fepol-
cri , o turbati con li piedi i vivi fonti ,
corrompendo delle acque la folita chiarez-
za. Tu 5 Dea pjetofillima > appaga per lo-
ro le Deità offefe, dilungando Tempre mor-
bi ed infirmità dai femplici greggi, e dai
maeftri di quelli, né confentire , che gli
occhi nodri non degni veggiano mai per
Je felve le vendicatrice Ninfe, né la ignu-
da Diana bagnarfi perle fredde acque, né
di mezzo giorno il filveftre Fauno, quan-
do da ciccia tornando (lanco , irato fotto
ardente fole trafcorre per lì lati campi . Di-
fcnccia dalle nollre mandre ogni m3gica be-
ftemmia , e ogni incanto , che nocevole (la .
Guarda i teneri agnelli dal fifcinode'mal-
Vàg] occhi degli invidiofi ; conferva la fol-
licita turba degli animoficani, ficuriffimo
iulTìdio, ed aita delle timide pecore; ac-
ciocché il numero delle noftre torme per
fl^iluoa ftagiv-ne fi fcenie> né fi truove mi-
nore
DEL SANA2ZAR0. ix
ore la feraal titornare, che'l mattino all'
fcire : né mai alcun de' noftri partorì fi
«ggia pungendo riportarne ali* albergo la
inguinofa pelle appena tolta al rapace lu-
o . 3ia lontana da noi la iniqua fame , e
rrapre erbe, e frondi , ed acque chiariffi-
ìe da bere , e da lavarle ne foverchino ;
d'ogni tempo fi veggiano di latte, e di
role abbondevoli , e di bianche e mollif-
me lane copioie» onde i paftori ricevano
jn gran letizia dilettevole guadagno . E
uefto quattro volte detto, ed altre tante
er noi tacitamente mormorato j ciafcun per
urgarfi lavatofi con acqua di vivo fiume le
lani , indi di paglia accefi grandinimi fo«
hip fovra a quelli cominciammo tutti per
rdine deftrilTìmamente a fallare , per efpia*
e le colpe commelTe nei tempi paÓ'atì . Mi
orti i divoti preghi > e i folenni facrific;
niti , ufcimmo per un'altra porta aduna
ella pianura coverta di pr.ìtelli delicat-
iflìmi , li quali ( ficcome io (limo ) noa
rano flati giammai pafciuti né da pecore,
è da capre j né da altri piedi calcati , che
i Ninfe: né credo ancoraché le fufurran-
i api vi fodero andate a guftare i teneri
ori, che vi erano; sì belli , e sì intatti
dimoftravano. Per mezzo dei quali tro-
ammo molte p.iiloielle leggiadriflìme , che
i paflo in palTo fi andavano facendo nove
hirlandette , e quelle in mille Hrane ma-
cere ponendofi fovra li biondi capelli, fi
forzava ciafcuna con maefirevole arre di fu-
•erare le dote della natura . Fra le quali
jalizio vcg^endo forfè quella che più ama-
'a , fenza edere da alcuno di noi pregato >
lopo alquanti fofpiri ardentiffirai , fonan-
do^
1% ARCADIA
dogli il fuo Eugenio la fampogna » così fo; <
vemente cominciò a cantare j tacendoci;
fcuno •
EGLOGA TERZA.
Galizio folo.
SO tra ufja vtrde riva
Di chiare e lucid"* ondi
In un bei bofco di fioretti adcrn9 ^
yidi di bianca oliva
Ornato , e d"* altre fronde
Un paJJor, che ^nfu /* alb^ì a pìS d^un'^orno
Cantava il ter^e giorno
Dtl rne[e innanzi Ap'ih ^
A cui li vaghi uccelli
Di fcvra gli arbofcelli i
Con voce rifpondean dolcf 9 gttttile :
I,d ei rivolto al fole ,
Dicea quefle parole :
^pri /' ufcio per tempo «
Leggiadro almo pnjiore , l
E fa vermìglio il del col chiaro raggio :
Moftrane innanzi tempo
Con naturai colore^
Un bel fioriti e dilettofo Maggio:
Tien pia alto il viaggio y 2(
Accicccbè tua forgila
Vìa che /* ufito dorma :
E poi per la foa orma
Se ne venga pian pian ciafcunajìella ;
Che ^ fé ben ti rammenti , i
Quardafii i bianchi armenti ,
Valli vicine , e rupi 9
aprejft , alni , ed abeti ,
^9f^et0 oftffkii^ìlt mithffe rime;
E n9n
DEL SANA22AR0. i^
E non ternari de* lupi 20
Gli agntlli manfufti :
Ha terni al mondo a quillt nfi^n^i prime •
Fi ori Jean per le cime
1 eerri in bianche rofe j
I? per le [pine dure jj
Pendam P uve mature :
Sudin di mei le quercie alte e HoJcfe j
E le fintane intatte
Cofran di puro latte,
'^afran erbette , e fiori , 40
È li fieri animali
L^fcin le lor a [previe , tf / petti crudi :
Vengan li vaghi Amori
Seni a fiammelle , 0 fi r ali
Schermando infieme pargoletti e ignudi : 45
Voi con tutti lor fiudj
Canti n le bianche "Ninfe j
E con abiti (Irani
Salti» Fauni , / Silvani ;
Ridan li prati ^ e le correnti Unfe : 50
E non fi vedan oggi
KtiVoli intorno ai poggj ,
H quejìo dì giocondo
J^acque /' alm^ì heltade )
E le virtuti racquiftaro albergo'^ 55
Prr quffto il cieco mondo
Conobbe caftitade ,
ha qual tant^ anni avcM gittata a tffgo ;
Per quejìo io ferivo , e vergo
1 fnV *f* <^g"* bcfco'i €0
Tal eh" emai non i pianta
Che non chiami Amaranta;
Quella eh'* addolcir bafia ogni mìo tofco :
Quella per evi fofpi^O y
Per cui piango , e m* adiri • ^5
Ufifff per Melfi minti
Art"
14 ARCADIA
Atìdran le fiere errando ,
H gli ahi pini ar/itt ptìngenti foglie :
Mentre li vivi fonti
Cer^eran fìiorrnoranda
iVf //' alto tna^ , che con amo* li acccgUo
Mentre fra [petne , e deglie
Vivran gli amanti in terra ,
Sempre fia noto il notm ,
Le man ^ gli occhi ^ e le chiome
Dì quella che mi fa sì lunga guerra ;
Per evi quef afpra amara
Vita m* è dolce e cara .
^er corte fa , Canyon , tu pregherai
Quel dì faufto ^ ed ameno ,
Che fa fempre fere no ,
ARGOMENTO.
C^« bella defcri^ion poetica dipigne le helle
della Ninfa Amaranta , e '/ ftllano fuo
contemplarla ; e facendo Elpino , e Log
frcpor premj per dare a chi vince cant
do j gì"* induce per giù die io di Selvaggi
cantare j e riceverne in premio la ghrit
PROSA Q^U A R T A.
Piacque maravlglìofamcate a ciafcutK
cantare diGalizio: ma per diverfe r
niere . Alcuni lodarono la giovenil voce F
na di armonìa ineftimabile, altri il m<
foavifTimoj e dolce ^ atto ad irretire q
iuaqu- animo Cuto fofìTe più ad amore
belio : molti commendarono le rime li
giadrcj e tra ruftici paftori nonufitate
di quelli ancora vi furono che con più a
f^irazioiie eftolferQ Ja acutifììma f^gac
de
DEL SANAZZARO. 25 ^
l Tuo avvedimento ; il quale coftrettodi
minare il mefe a* greggi ed a* pallori dan-
io ( ficcome faggio evitator del finiftro
gurio in sì lieto giorno) difleil m(iitt'
»li Aprii» . Ma io che non men de fide -
lo di (a pere chi quella Am;ìranta fi fof-
, che di afcoltare la amorofa canzone era
go , le orecchie alle par)le de. lo inna-
)rato paftore, e gli occhi ai volti delle
Ile gio anette teneva intentiffimimente
mati , (limando per li movimenti di ca-
che dal fuo amante cantare (i udiva >
rerla fenza dubitazione alcuna compren-
re ; e con accorto iguardo or queda or quel-
riguardando, ne vidi una che tra lebel-
beliiflìm-i giudicai', li cui capelli erano
un fottiliflimo velo coverti, di fotto al
ale due occhi vaghi , e lucidiiìimi <cin-
lavano > nun altrimenti che le chiare llel-
logliono nel fereno e limpido cielo fiam-
magiare; e U vilo alquanto d'\Ù lunghet-
che tondo 9 di bella forma , con bian-
Siza nonfpiacevole 5 ma temperata, qua-
si bruno dechinando, e daun \ermigiio
^raziofo colore accompagnato riempieva
vaghezza gli occhi che '1 miravano : le
)bra eriaotali che lema'rturine rofc avan-
zano ; fra le quali ogni volta che parlava
Lorrideva, mo<trava aicuna ^artede*dea-
) di tanto ftrina e m-ravigliofa leggia-
ia> che a mun' ilrra cofa c'ie ad orien-
i perle gli avrei fapui^o a(T()mig!iare :
indi alla mirmorea » e delicata gola di-
mderdo , vidi nel tenero petto le piccio-
e giovenili mammella? » eh' a guifa di
e rotondi pomi la fottilidima vede iti
ìli pingevauo, per mezzo delle quali fidi-
Tumt I, B fcer-
16 ARCADIA
fcernevauna v ietta bel li (Ti m.i, ed olerà ni
do piacevole a riguardare, laqualperocc
nelle fecrete parti fi terminava , di a quel
con pili efficacia pcufarc mi fu cagione :
ella delicatiffima > e di gentile e rilevata (1
tura, andava perii belli prati con labia
ca mano cogliendo i teneri fiori. De'qt
li avendo già il grembo ripieno i non piut
ilo ebbe dal cantante giovane udito Am
ranta nominare j che abbandonando le rr
oie'Ifeno, e quafi eilendo a fé medelif
ufcita di mente » ferza awederfcne eli
tutti le caddero , feminando la terra di fc
fé venti varietà di colori. Diche poiqu
riprcfa accorgendofi , divenne non aiti
menti vermiglia nel vifoche fuole tal v»
Ca il rubicondo afpetto della incantata lun
ovvero nello ufcire del fole la purpurea A
fora moftrarfi a* riguardanti » Onde eli.
non per bifogno, credo > che a ciò la (Iri
gefTc , ma forfè peniandodi meglio oafcc
dere la foprav venuta rolTeaza, che dado
nefca vergognale procedea> fibafiò intt
fa da capo a coglierli , quafi comedi alt
lion lecaleflTe, fceglìendo i fiori bianchi
1 fangui^ni , e i perfi da i violati . Da '
qiial cola io > che intento e follicitilTir ^
vi mirava , prefj qmCi per fermo argomc '
to$ colei dovere e^ere la paftorella (^'' ^
(otto confufo nome cantare udiva: rri
dopo breve intervallo di tempo, fìtt:
raccolti fiori una femplicetta corona , v
fcoiòtralebellecom;\igne ; le quali i\ui
mente , avendo fpogliato T onore ai pr i
ti ♦ e quello a fé pollo > altere con T
pafìTo procedevano , ficcome Najade , :
paeftace foffero; e conia diverfità de' pc
tamjn-
DEL SAN AZZAR O. 27
ìiCnti oltra mifura le natura!) bellezze^-
rncavano . Alcune portavano ghirlande
Iiguftri con fiori gialli e tali vermigli
erpodi : altre aveano mefcolati i gigli
nchi e i porporini con alquante frondi
'difrirnc* di aranci per mezzo: quellaan-
.'a (iellati di rofe , quelP altra biancheg-
iva di gclfoniicii ; tal che ogn' una per
, e tutte inlìeme più a divini fpirti che
umane creature alTomigliavano : perche
»lti con niar.iviglia diccano : O f rtuna-
il pfiiTeditore di cotali bellezze ! Ma veg-
ido elle il (o'edi molto alzato, e 'J cai-
grandidìmofoppravvenirc , verfo una frc-
. Valle piacevolmente infieme fchcrza^do
motteggiandofi drizzarono i paffi loro •
la quale in brcvidimo fpazio pervenute ,
,tivi i vivi fonti sì chiari che di pu-
crilìallo pareano, cominciarono coti
,^e ide aciae a riaircfcarfi 1 beili volti,
noi mìv^rirevole arte rilucenti : e riti-
eù lefchiette maniche infino al cubito.»
ilravano ignude le caud idi fTì me braccia»
quali no j poca bellezza alle tenere e de-
ate mani roDra!t?giungevano • ?er laqiial
a no» più divenuti volontcfroft di vccior-
, fenza molte indugiare 1 pr'.fi'o allungo
e elle rtavano, ne avvicinammo, e qui -
3 pie di un* altilTìma elcina ne ponem-
> fenza ordine alcuno a fede''e • Ove co-
cche molti vi fofTero e in cetere, ed in
Tipopne efpertilììmi > nondimcnoalla pia
rte di noi piacque di volere udire Logi-
y ed Elpino a pruova cantare ; paftori
Ili della pcrfoiia , e di età giovanidìmi :
pino di capre > Logico di lanate pecore
ardatorc; ambiduo co' capelli biondi più
B z che
58 ARCADIA
eh: le mature fpiche ; ambiduo di Arcadia
ed egualmente a cantare , ed a rifpond»
re apparecchiati. Mi volendo Logico ne
fenzd presalo contt'ndcre, depofe una biai
ca pcx«>ra con due agnelli , dicendo : I
quefti furiai il facrificio alle Nnfc , fé
vittoria del cantare tìa tua : ma Te quel
li benigni faci a me concederanno» il ti
domeftico cervo per meritodella guadjgn
ta palmi rni donerai. Il miodomeftico ce
V09 rifpole KIpino » dal giorno che prin
alla littante midre il tolfi infino a qu^^f
tempo lo ho fempre per lamia Tirrena r
ferbato > e t>er amor di lei con folliciti
dine grandilTima in continue delicatezze ni
drito ; pettinandolo fovente per li puri fo,
ti, ed ornandogli le ramofe corna con fc
ti difrelche rofe , e di fiori: ond' egli a'
vezz ito di mangiare alla noftra tavola »
va il J^iorno a fuo diporto vagabondo e
rando perle felve » e poi quando tempog
pare ( quantunque tardi fia ) fé ne rito
na ali?, ufata cafa , ove trovando me, ci
folliciti'ììmo Io afpetto, non fi può ved
fazio di^ lufingarmi * fallando , e ficendor '
mille «iu 'chi d' intorno. Ma quel che i
Jui più che altro mi aggrada è che conof 1
ed ami fopr:it >tte le cwfe 1:^ Tua donna»
pa^^itntiilhno fofìiene di farfi porre il e i
pedro , e d; slTei e t< eco dalle fue mani ; a j
zi di fua vc'ortta le para il m.^nfueto ce j
io al giogo , e tal fiata gli «meri all' ir ]
bado, econtent'>di < ffj^re civalcato di le
la porta uraUflìmo Der li lati campi fé «
^a lefione, o pur tim-.-re di pericolo nlc '
no: e q ^el monilethe o.:igIi vedi di '
l'ine conchiglie con quel dente di cin
DEL SANAZZ ARO. 29
che a guifa di una bianca luna dinan*-
1 petto gli pende , ella per mio amo-
:Iielpofe, td in mio nome gliel fa por-
. Dunque quefto non vi porrò io; ma
IO pegnof.irà t.ìle 5 chetuflcdo, quando
♦dfii, il giudicherai nonché baftevo!e>
maggiore d. 1 tuo. Primieramente io ti di-
io un capro , vario di nelo) di corpo gran-
barbuto , armato di quattro corna 5 ed
o di vincere fnefìifìTiiìie volte nell' ur-
; il quaie fenza paftore bafterebbe folo
^nducerc* un-im.ndra^ quantunque gran-
.ofle : oitra di ciò un nappo nuovo di fag*
con du.' orecchie belliliime del mede-
) legno, il quale da inj'egnofo artefice
rato tiene nel Tuo mezzo dipintoilru-
,ndo Pri,po , che (IrettilTimtmente ab-
cÌ3 una Ninfa , ed a mal grado di lei
'uol baciare: onde quella d'iraaccefa,
eido il voltò indietro , con tutte fue
:e intende a fvilupparfi da lui 1 e conia
ìCà mino gli fquarcia il nafo , con inai-
gli pela la folta barba ; e fonovi intor-
a coloro tre fanciulli ignudi , e pieni
'ivacJtà mir:ibile 5 de* quali 1* uno eoa
0 il fuo podere d sforzi di torre a Pria-
la falce di mino» aprendogli puerilmen-
id uno ad uno le runiche dita ; P al-
con riibbioli denti mordendogli la irfuta
ìba , fa fegnale al compagno , che gli
.?3 aita; il qjiile intento a fare una fua
-iola gabbia di paglia e di giunchi, for-
icr rinchiudervi i cantanti grilli , non
ìove dal fuo lavoro per ajutarlo 5 diche
ihidin'»(o Iddio poco curandofi , pili (i
ringe fece la bella Ninfi, difpofto total-
.)te di menare a fine il Tuo proponimea-
B 3 to:
30 ARCADIA
to : ed è quelto mio vafo di fiiori circor
dato d'ogn' intorno d* una ghirlanda di vei
de pimpinella > legata con un brieve cfc
contiene quefte parole :
Da tal radice nafct
Chi del mio trml ft pafct ,
E gìuroti per le Deità deMacri fonti ci
giamaiai le mie labbra noi tocfcarono , n^
iempre l'ho guardato nettiflimo n-^lla m
taica dall' ora che per una capra > e due grai
dì fifcelle di premuto latte iicompcr:ii<
un navigante , che nei noftri bofcbi vcut
da lontani paefi . Allor Selvaggio, che
ciò giudice era ftato eletto , non volle , e)
pegni fi pon;;(ìero , dicendo, che aliai f
rebbs fé *i vincitore n'avefle la lode, e
-vinto la vergogna : e così detto fé ceni
ad Ofelia > che fonafle la fanìpogna , e
mandando a Logifto , checorainciaire, e
Elpino, che alternando a vicenda, rifpo
delle; per la qual cofa appena il fuo.io
(entito , che Logifto con cotali parole
leguitò.
EGLOGA QUARTA.
Logifto 5 ed Elpino «
"Log.f^^' ©«('/ udire i miei ffpìri in rime
V^ Donne mie ca-'-e.^ e Pangofciofo pian
Jì, quanti najjl tra h notte e V giorno
Spargendo iudatffovo per tar.ti c^*mpi ,
Legga ps" quejle guercie , e per li [affi ,
Che n*è gih piena ornai ciaf- una valle .
lEÀp.Va/ìori , uccel ^ né fiera alberga in valle
Che non conofca il fuon de Ih mìe rime
Né fpelu/1'.a e caverna ^ fra gli fajjì ^
Chi
-J
DEL SANAZZARO. ?f
Cbf non rimbombi al mio continuo pianto\\%
hiifior^ né erbata nafce in qutjii campi ^
Cb'* io non la calchi mille volte il giorno .
l,Laffo j ch^ te nonfo hnP orm nèU giorno^
Cbtfuirincbiufo in qucfta alpcftra vali*:
J<lé mi ricordo mai correr per campi \ j
Libero e fciolto : ma piangendo in rime
Sempre in fiamme [on vi(foi e col mio piant$
Ho pur moffo a pietà gli alberi e i fajji ,
"3. Monti j felve , fontana , piagge ^^ f^ffi
Vo e ere and"* io , {e pur potejji un giorno 20
In parte rallentar /' acerbo pianto ,
Ma ben veggio or , cbe felo in una valli
Trevo riposo alle mie fi anche rime ^
Cbe mormorando van per mille campi ,
g.Titre flvcfire che per lati campi 25
pagando errate , e per acuti jajfi ,
U di fi e mai sì dolor cf e rime ?
Direi per Dio . Vdifte in alcun giorno
O pur in quefla , cwer'* in altra valli
Con sì caldi fofpir si lungo pianto ? go
p Ben mille nòtti ho già paffate in pianto j
Tal che quaji paludi ho fatto i carnai *
M fin m* ajfiji in una verde valle ,
"Ed una voce udii per mex.\p i (ajft
Dirmi'. Elpino> ors'apprefia un lieto
giorno j ^ 35
Che tifarà cantar più dolci rime.
^g.O fortunato , cbe con altre rime
Riconfolar potrai la doglia e *l piantò!
Maioìajfo pur vo dì giorno ingiornp
Nojando ilciely*ion che le felve e i campi', 40
Talcb^io credo che Perbene i fonti ye * faffiy
Ed ogni uccel ne pianga in ogni valle,
Ip. Deh fé ciò fojfe^or qual mai piaggialo valle
Udrebbe tante 0 sì foavi rime ?
Certoio farei falf are i bofc hi y tifafh 45
B 4 Sic^
^1 ARCADIA
Siceom* un tempo Orfeo col dolcf pianto
Alìor fi fentirebhofi per li campi
Tortorelle , e (oìotnbe in ogni giorno .
"Log, Allora io cheggìo che Rovente H giorno
J/ mio fepolc^o onori in quefta valle \ 5(
£" le ghirlande colte a verdi campi ,
Al cener muto dia con le tue rime ,
Dicendo . Alma infelice , che di pianto
Vivelh un tempcor pofa in quefti ( flì.
TcAp.Logìfto , cdanlo ì fiumi » odanlo i f-ffi ^ 5
eh"* un lieto , faujìo ^ /ivventurfo giorno
5' apparecchia a volarti in rifo ilphìmo :
Sf pur r erbe eh'* io ed fi alia mia valle
Non m'^in^^innafo ^ f V inc/tntate rime ,
Che di biade pia volte hanpriv'^ i campi. 6
I-.Og.L*' f gaudi p-fri andranper prchi e ?mpiy
E 7 mar fia duro , e liquefatti i f/ijji y
Et'gaPo vincerà Titiro in time^
La notte vedtÀ "^Ifol , le felle il giorno ,
Vria che gli abeti, e ì faggj d^efli valle 6
Od in d ilU mìa bocca altro che pianto .
Elp.i'^ mai nom fi nudrt d^ira ^ g di pi anto y
^Ufll^unfu^/o : e voi ^ fapete , 0 camoi :
Ma pur f per /indo ufcir deirajpra valle
Ricbiui'a intorno d^alti , e vìvt fajji^ -j
E rip^-Kfando *»/ ben che avrò (f-ael giorno ,
Can^o con la mia canna or ver fi ^ 0* rime .
'LogtAllor le rime mie fien fenXa pianto
Che '/ giorno non dia lu:e ai lieti campì ^
E i f^jfi te man l' aura in chiù fa valU , 7
c^oafo
A R-
DEL SANAZZARO. ?^
ARGOMENT Ò .
op0 diicfft giuochi e fprìjft freft ^a^ paflori
per la ftrada , per conjìglio di Oùico y vec-
chio e favio ) /j riducono tutti intorno a'U
fepo/tu^a del pafto'e Attdrogeo , le cui lodi
((fendo prima in bel parlamento recif^te da
un vacctiro y fono poi in una bella caKX,on»
dgìcenunte raccolte dal paftore Ergafto .
PROSA Q^U I N T A .
IJRa già per Io tramontare del fole tut-
— i to l'Occidente fparfo di mille varie-
i di nuvoli; quali violati 9 quali cerulei >
cuni languigni ; altri tra giallo e nero,
tali si rilucenti per la riperculTione de*
igS.lj che di forbito , e finiflìmo oro pa-
ano ; per cheeflendofi le pr,ftorelIe di pa-
conientimento levate da federe intorno
Ila chiara fontana , i duo amanti pofero
ne alle loro canzoni: le quali ficcome con
laravigliofo fiienzio erano Itate da tutti udì-
2> cosi con grandinimi ammirazione furo-
o da ciafcuno egualmente commendate, e
naflimamente da Selvaggio , il quale non
apendo difcernerequ ile foffe (lato più prof-
mo alla vittoria, am' oduo giudicò degni
i fomma lode. Al cui giudicio tutti con-
eniimmo di comune pirere ; e f.-n za poter*
i più commendare che commendati negli
vertimo, parendo a ciafcuno tempo di dc-
ere ornai ritornare verfo la nodra villa 9
:on pafTb lentiflimo, molto degli avuti pia-
eri ragionando, in c:ìmmino ne mettem-
uo . li quale avvegnaché per la afprezza
B 5 deir
54. ARCADIA
dell'incolto paefe più montu9Ìb » che pi
no fofTe 5 nondimeno tutti boicherecci d
letti , che per fimili luoghi da feftevole
e lieta compagnia prender fi puotcno , i
idiede> ed animiniPirò quella fera. E pr
ipieramente avendofi nel mezzo deli' and
re ciafcuno trovata la fua piaftrella j tirar «
mo ad un certo fegno ; al quale chi p
fi avvicinava, era» ficcome vincitore» p.
alquanto fpazio portato in fu le fpalle t
colui che perdea ; a cui tutti eoa lieti gr
di andammo applaudendo d'interno, e i
cettdo maravigliofa fefta , ficcome a tal giui
co fi richiedea . Indi di quefto lafciandt ^
ne, prendemmo chi gli archi, e chi le fior
de 5 e con quelle di pafio in paflb fcoppiai '
de, e traendo pietre , nedipx)rtammo; p(
lio che con ogni arte ed ingegno i colpi
un dell* altro fi sforzafle di fuperarc . M
difcefi nel piano, e i faflofi monti dopol i
fpalle lafciati , come a ciafcuno parve, n(
velli piaceri a prendere rincominciammo
ora provandone a falcare, ora a dardeggia
le con li paftorali baioni , edora leggieri
fimi a correre per le fpiegate campagne
«ve qu^.Iunque per velocità primo la dife
gnata meta toccava , era di {rondi di pà.
lidi ulivi onorevolmente a fuon di fampc
gna coronato per guiderdone. Oltradici
;( ficcome tra bofchi fpefiTe volte addiviene
movendofi d' una parte volpi , d* altra ca
vriuoli faltando , e quelli in qua e in là ce
noftri cani feguendo, ne tr.jfiulIammo infi
«0 che agliufati alberghi da* compagni eh
alia lieta cena n* afpettavano, fummo rice
vuti : ove dopo molto giuocare , effend
gran pezza della notte paflutai quafi ftan
chi
DEL SANAZZARO. ?5
hi dì piacere > concedemmo alle efercit.i-
e membra ripofo . Né più tofto la bella
\urora cacciò le notturne (Ielle, e '1 cri-
ato gallo col Tuo canto falutò il vicino gior-
0 5 fignitìcando V ora che gli accoppiati
uoi fogliono alla fatica ufata ritornare, eh*
n de' pallori prima di tutti levatofi andò
01 rauco corno tutta la brigata deftando;
I fuono del quale ciafcuno lafciandoil pi-
;ro Ietto , fi apparecchiò con la biancheg-
iiante Alba alli novi piaceri , e cacciati
lalle mandre li volonterofi greggi 5 e po-
tine con efll in via; liqualidi padoin paf-
o con le loro campane per le tacite fel^e
ifvegliavnno i fonnacchiofi uccelli ; anda-
amo penfori immaginando ove con diletto
li ciafcuno avefìTirao comodamente potuto
uttoil giorno pafcere , e dimorare . Emen-
re così dubitofi andavamo, chi proponen-
io un luogo, e clii un' altro , Opico , il
luale era più che gii altri vecchio, e mol-
o (limato fra paftori , did'e: Se voi vorre-
e eh* io voftra guida fia , io vi menerò in
^arte affai vicina di qui , e certo al mio
larere non poco dilettofa; della quale non
joflo non ricordarmi a tutte ore , peroc-
:hè quali tutta la mia giovanezza in quel-
a tra fuoni , e canti felicilTimamente paf-
'ai : e già i faffi che vi fono mi conofcono 9
» fono ben infegnati di rifpondere agli ac-
:enti delle voci mie: ove, ficcome io (li-
no , troveremo molti alberi , nei quali io
in tempo, quando il faneue mi era più cai-
io, con la mia falce fcrilTi il nome di quel-
la che fovra tutti li greggi amai; e credo
?ià che ora le lettere infieme con gli al-
^ri fjano crefciute ; onde prego gli Dii ,
B 6 che
?6 ARCADIA
clie Tempre le confervino in efaltazìone) e
fama eterna di lei. A tutti egualmente par-
ve di feguitare il coniglio diOpico, e ac
un punto al fuo volere rilpondemmo edere
appirecchiati • Né guari oltra a duomilis
pafTì andati fummo, che al capo d un fiu-
me chiamato Erimanto pervenimmo : il
quale da pie d* un monte per una rottura
di pietra viva con un romore grandiffinio ;
e fpaventevole » e con certi bollori di bian-
che rchaime fi caccia fore nel piano , e pei
quello trafcorrendo , col fuo mormorio va
fatjgando le vicine Tel ve : la qual cofa di
lontano a chi folo vi andaiìe , porgerebbe
di prima intrata paura ineftimabile ; e cer-
to non fenza cagione ; concioffiacofachè
per comune opinione de' circunftanti popo-
li fi tiene quail per certo » che in quel luo-
go abitino le Ninfe delpaefe» le quali per
porre fpavento agli animi di coloro che ap-
proiìimare vi fi voJeflero , facciano quel
luono così Arano ad udire . Noi , perchè dan-
do a tale ftrepito nonavriamo potuto né di
parlare » né di cantare prendere diletto,
cominciammo pian piano a poggiare il non
afpro rnonte , nel quale erano forfè mille tra
ciprefìii 5 e pini sì grandi , e sì fpaziofi , che
ognun per fé avrebbe quìfi badato ad ombrare
una felva : e poi che fummo alla più alta par*
te di quello <trrivati , ed'endo il fole di po-
co alzato, ne ponemmo confufamente fo-
vra la verde erba a f-dere : ma le pecore >
e le capre ) che più di pafcere, che di ri-
pof^rfi erano vaghe, cominciarono ad an-
darfi appicciando per luoghi inaccedìblli ,
ed ardui del falvatico monte 5 quale pafcen-
do un rubo , quale un' arbofcello che ali*
ora
DEL SANAZZARO. 37
i tenero fpuntava dalla terra ; alcuna fi
:ava per prendere un ramo di filce ; al-
I andava rodendo le tenere cime di quer-
lolci e di cerretti ; molte bevendo per
chiare fontane, lì rallegrivanodi veder-
fpccchiate dentro di quelle: in maniera
e, chiedi lontana vedute le avefi'ej av-
jbe di leggiero potuto credere che pen-
derò per Jefcoverte ripe. Le quali cofe
;ntre noi taciti con attento occhio mi-
vamo > non ricordandone di cantare» né
altra cola , ne parve fubJtamente da lun-
udire unluono comedi piva, e di nac-
ri , mefcolato con molti gridi , e voci
:iflime di pallori ; per che alzatine da fe-
re, rattilfimi verfo quella parte del mon-
onde il romore fi fentiva ne drizzammo ,
tanto per lo inviluppato bofco andammo j
le a quella pervenimmo. Ove trovati da
eci vaccari che intorno al venerando fé-
'Icrodel pallore A ndrof^eo in cerchìodan-
vano , a guifa che fogliono fovente i la-
ivi Satiri per le felve la mezza notte fai-
re, afpettando che da i vicini fiumi efra-
\ì le amate Ninfe, ne ponemmo con loro
fieme a celebrare il mefto cff.cio . De'
tali un più che gli altri degno ftava in mez-
) del ballo prefToalP altofepolcro in uno
tare nuovamente fitto di verdi erbe : e
4Ìvi , fecondo lo antico codume , fpargen-
3 duo vafi di novo latte, duo di facro fan-
xe y e duo di fumolo, e nobiliflìmo vino,
copia abbondevole di teneri ifmii fiori di
verfi colori: ed accordandofi con loave>
pietofo modo al fuono della fampogna 1
de' naccari , cantava diftefamente le Iodi
si fepolto paftgre : Godi , godi , Andro-
geo ,
5» ARCADIA
geo i e fé dopo la moi te alle quiete aniit \
è concedo il fentire, afcolta le parole ne >
ftrej e i folenni onori, i quali ora i tu< <
bifolchi ti rendono , ovunque feJicemeni ì
dimori, benigno prendi, ed accetta . Ce.
toio credo che Ja tua graziofa anima vac i
ora a torno a quefte Tel ve volando f>e vcd:
e fenta puntalmente ciò che per noiog; ,
in fua ricordazione fi fa fovra la nova f
pultura , La qual cofa fé è pur vera , < «
come può egli edere, che a tanto chiam
re non ne rifponda ? Deh tu folevi col do
ce fuono della tua fampogna tutto il noftj '
Lofco di dilettevole armonìa far lieto ; conn
ora in picciol luogo rinchiufo , tra freddi fai -I
fei corretto di giacere in eterno filenzio '
Tu con le tue parole dolciflimc fempre raj
pacificavi le queftioni de' litiganti paftori
come ora gli hai, partendoti» lafciati dubbi< <
fiefconteoti olerà modo? O nobile padre
macnro di tutto il noftro ftuolo, ove pa
a te il troveremo ? i cui ammitftram^nti f
guirtmonoi? fotto quale difciplina viven
mo ormai ficuri ? Certo, io non fo chi r
fia per Io innanzi fidata guida nei dubbie
cafi . O difcrcto pallore, qumdo ornai pi
le noftre felve ti vedranno ? quinao per quc
Ai monti fia mii amata lagiuftizia» ladrii
tezzadel vivere, e la riverenza degli Dii
le quali cofe tutte si nobilmente focto le tu
ali fiorivano ^ per maniera, che forfè m
in neiVun tempo il reverendo Termino ft
gnò più egualmente gli ambigui campi eh
nel tuo . Oimè chi nei noftri bofchi om;
canterà le Ninfe ? chi ne darà più nell
noftre ayverfità fedel configlio , e nelle m{
jftizie piacevole conforto e diletto j con:
tu
DEL SANAZZARO. 39
I facevi cantando foyente per le rive de'
)rrenti fiumi dolciflimi veril ? Oimè che
)pena i noftri armenti l'anno fenza la tua
mpogna pafcere per li verdi prati j li quali
entre viverti folevano si dolcemente al Tuo-
) di quella ruminare r erbe fotto le pia-
ivoli ombre delie frefche elcine . Oiraè
)e nel tuo dipartire fi partirono infieme
)n teco da quefti campi tutti i noftri Dii:
quante volte dopo abbiamo fatto pruova,
i feminare il candido frumento, tante in
ree di quello avemo ricalco lo infelice Io-
io con le fterili avene per li fconfolati
»lchi ; ed in luogo di viole , e d* altri fio-
foDo ufciti pruni con {pine acutiifime e
;leoofe per le nollre campagne . Per la
lilcofa, paftori, gittate erbe e fronde per
.Tra, e di ombrofi rami coprite, i frefchi
nti ; perocché cosi vuole che in fuoono-
: ù faccia il noftro Androgeo - O felice An-
"ogeo, addio eternamente , ad-dia- Ecco che
paftorale Apollo tutto forili vo ne viene al
;o fepolcro per adornarti con le fue odorate
>rone ; e i Fauni fimilmente con le inghir-
ndate corna, e carichi di filveftri doni, quel
le ciafcun può ti portano i de* campi le
)iche , degli arbufti i racemi con tutti i
impini, e di ogni albero maturi frutti : ai
ividia dei quali le convicine Ninfe, date
3r addietro tanto amate e riverite , ven-
>no ora tutte con canedri bianchiflìmi ,
leni di fiori e di pomi odoriferi arender-
i ricevuti onori : e quel che maggiore
, e del quale più eterno dono alle fepol-
ì ceneri dare non fi può, le Mufeti de-
ano verfi , verfi ti donano le Mufe, e noi
3n le nollre fampogne ti cantiamo , e can-
te-
40 ARCADIA
teremo Tempre, mentre gli armenti pafce
ranno per quefti bofchi : e quelli pini , <
cjuefti Cerri , e quefti pbtani , che d'intor
no ti ftanno mentre il mondo farà , fufur-
reranno il nome tm : e i tori patimenti
con tutte ie paef^ne torme in ogni llagionc
avranno riverenza alla tua ombra > e cor
alte voci mugf^iendo ti chiameianno per It
rifpondenti felve ', tal che da ora innanz
farai Tempre nel num.^ro de* noftri Dii ; t
fìccome a Bacco , ed alla Cinta Cerere'» cos
ancora a' cuoi altari i debiti {'icrificj > f(
fìrà freddo , farcmoal fuoco ; fé caldo , alh
frefche ombre: e prima i velenolì t^llifu
deranno mele dolctfliimo, e i dolci iìari i
faranno amaro ; prima d' inverno fi mie
teranno le biade; e diesiate coglieremo h
nere olive, che mai per quelle contrade f:
taccia la fama tua . Quelle parole finite
fubitamente prele a fon ire una foavecor-
namufa , che dopo le fpalle gli p?ndc'a i
alla melodia della quile Erp,aQo , qua fi con
le lacrime in gli occhi» cosi aperie le lab-
bra a cantare .>
EGLOGA Q^U 1 N T A.
Ergafto fovra la fepultura.
A
Lma beata , e bella ,
Che da^ legami fciolta
JSJuda falijìi nP fupernt ch:§Jìri »
Ove con la tua fieli a
Ti godi infieme accolta \ %
E lieta ivi , frherrtendo i penper tioflri ,
Ql^aft un bel (ol ti moflri
Tra li piò fbiari fpìrti ^
E e»
DELSANAZZARO. 41
E co i tijlig) f^»ti
Calih* ie flelle efantt -^ IO
B l'a puff fontane , e [acri mirti
Paffi CfUfìi grefgi \
E i tuoi rari piflori indi correggi ,
4.!tri monti , altri piijni ,
. Aitrt bofc betti , e ^fvi 15
Ved* fi fi cielo ^ t pia m tei li fiori;
Altri patini , e Silvani
Per lucghi dot ri rftìvf
Seguir le Ni* fé if^ ptà felici amori .
Tal fra (on vi cd^^i lO
Doli e tant^indo tj'l* cmh^a
T^a Dofni , e MeVbto
Siede il noftro Andro^eo\
E di rara deice\-{ì il ci*!o ingombra ^
Terrrprando gli elementi 25
Cel fuifi de* novi i»'* (itati accenti ,
Quale la vite ali* cimo ^
Ed a^Ji a'fnenri il tcro ,
E i* ondi^%ianti biade a"* lì rJ campì y
T'jh la floria , / V colma 20
T citte d^l nojlro core .
Ahi cruda m^rte , e (bi fi: che ne fc ampi ,
Se con tue fiamme avvampi
he [iti elevate cime}
Chi vedrà mai nel m.ndo 35
Va fior tanto giocondo ,
Che cantando fra noi sì Jolci rime
Sparga il bcyo di fronde ,
E di bei rami induca ombra (u l* onde ?
Pianfer le fante Dive 4O
La tua fpietata morte \
1 fiumi il fanno > e le fpehncbsy e i fitggj :
Vianfer le verdi rive ,
L' erbe pallide^ e fm^ite ;
E 'l fol t)i?i QÌcrni non tnfi'lfuoi raggj : 45
Uff
4« ARCADIA
Ne gU animai felvaggj
Vfcifo in alcun prato :
N^greg^gi andar per mmtt ^
Kè guftaro erbe , o fonti :
Tanto dùlfe aciafiunT acerbo faU\
Tal che al chiamo ^ ed al fofcj
Androgèo j A nix o^èo fonava il hfo ,
Dunque frefche corone
Alla tua facrs tomba
E voti di bifdcbi cgno^ vedrai '^ <
Tal che in ogn' fiagicne ,
f)uafi nova col.mha ,
Vef bocche de^ pafi.r volando andrai j
2V^ verrà tempo tnai
Qhe V tuo bel nome efìingus , «
Menare ferpsnti in dumi
Saranno , e ptfri in fami .
Kè fol vivrai nella mia fianca lingt4a ,
Ma per pafior diverfi
In mille altre fampogne , i mille verp , (
Se fpirto alcun d* amor vìve fra voi ,
Querele fiondo fé e folte ,
Fate ombra alle qui et f offa ftpoltt.
A R-
DEL SANAZZARO» 4?
ARGOMENTO.
anfo Ciìfitto fra li lieta brigata dt* P''}]}»-
'i , è invìt/jto Ofiro vecchio a cantarg \ il
quale fecondo /' ufo de"* vecchi , lodando il
pajfjto , ebiéfmando P avvenire , canta con
Serrano ,
PROSA SESTA.
^Entre Ergafto cantò la pictofa canzo-
VX ne» Fronimofovra tutti i partorì in-
gnofinìnio la fcrifle in una verde cortec-
a di faggio; e quella di molte ghirlande
veflita appiccò ad un' albero che fovra
bijnca fepoltura ftendeva i rarfli fuoi .
;r la qual cofa cfTendo 1' ora del defina-
quafi paflTata , n'andammo preflb d*una
!Ìara f'Utana che da piò d'un'altilTiinQ pi-
3 fi movca , cquivi ordinatamenrecomin-
àrom.> a mangiare le carni de* lacrificati
itelli , e latte in più maniere, ecaftagne
»olliflime, e di quei frutti che la ftagione
Dncedeva ; non però fenza vini gencrofif-
mi, e per molta vecchiezza odoriferi , ed
pportatori di letizia nei m^ili cuori : ma
oi che con T abbondevole divcrfiù de* ci-
i avemmo fedata la fame , chi fi diede a
antarei chi a narrare favole,* alcuni agiuo-
are , molti foprav vinti dal fon no fi addor-
airono . Finalmente io ( al quale e per
a allontananza delia cava patria , e per ai-
ri giufti accidenti, ogni allegrezza era ca-
gione d'infinito dolore ) mi era gittato a
)!è d' un'albero , dolorofo e fcontentiflimo
}kra modo , quando vidi difcuilo da noi for^
fé
44 ARCADIA'
fé :ìA un tratto di petra venire con frei
tolofi paffj un pìftore nelT arpetto giovf
nidi no , avvolto in un mantarro di qut
colore che fogliono cflt^re le gru:'; aliin
ftro lato del quale ;.>erti^ea una bella tafc
d' un picciolo cuojo di ab)rtivo vitello
e fopra le lunghe chiom? , le quili '
che *1 giallo • della rofa biondiUlme •
le fpal'c gli ricadevano , aveva uno it^ui .
cappello, fatto ( ficcome poi mi avvidi) ci
pelle di lupo, e nella d. /Ira mano u-i bel ■
lifiimo baftone , eoa U punta guarnita d i
novo rame : ma di che legno egli era , co n
prendere nan potei; conciolliacorirhè ied,
corniolo rtato fofle , ai nodi eguali T tvrc :
potuto conofcere; fc di trafTino, od» h^i
io , il cofore me lo avrebbe m 'nìfe.lato : e» :
egli veniva tale, che verrciiiimimente pa
reva il Trojano Paris , qamdo nelle alt
felve tra (empiici armenti, in qacl'a prì
ma rulìicita dimorava con la Tua Nmf» , co
renando foventei vincitori montoni . Il qua
Je poi che in brieve fp/izio prefio a me
ove alcuni giuncavano al bei faglio ) fugiun
to , domandò a quei bifolchi , fé u'ia fuc
vacca di pei bianco con la fronte nera ve-
duti avellerò : la quale altre volte fu .agen-
do era avvezzata di mefcolarfi f'-a li lorc
tori . A cui piacevolmente furifpfto, che
non gli fofle noja tanto induggiaiTi con ef-
fe noi , che '1 meridiano caldo fopravve-
niffe ; conciciTìacofachè in fu quelT otta
avean per coftume gli armenti di venirfe-
ne tutti a rummare le mattutine eròe all'
ombra de' frefchi alberi : e quefto non ba-
dando , vi mandarono un loro famigliare,
ii quale ( perocché pclofo molto 5 e rudi»
cilTi-
«
DEL SAN AZZA RO . 4!r
lìmo uomo era) Urfacchio per tutta Ar-
dia era chiamato ; che coftui l.i dovefle
ouel mezzo andare per osni luo^o cer-
ndo , e quella trovata conducere ove noi
iv.imo . Allora Carino ( che così avca no-
i celili che li bianca vacca Tmarriti avea)
pofe a (edere fovra un tronco di faggio »
e dirimpetto ne llava; e dopo molti ra-
Doameiiti , al noftro Opico voltatoli « il
ego am chev'olmente , che dovede can-
re ; il quals cosi mezzo forridendorifpo-
: i igliuol mio, tutte le terrene cofe , e
animo ancora, quantunque celefte fia , ne
rtano leco gli anni, e la divoratrice età .
mi ricorda molte volte , Gnciullo j da
.e il Iole uTciva infmo che fi coricava >
ntare fenza punto ftancarmi mai i ed ora
i iono ufciti di m:nte tnnci verfi ; anzi
'ggio, che la voce tuttavia mi vien man-
. do , perocché i lupi rrima mi videro , eh*
di loro accorto mi f* (fi : ma poflo che i
pi di quella privato non mi aveff'ero , il
pò cautoi e'I raffreddato (angue non co-
anda eh' io adopri ciò che a' giovani (1
)partiene ; e già gran tempo è che la mia
mrogna pende ài filveilre Fauno- Nien-
dimenoqui foro molti che faprebbono rì-
toidere a qualunque pa(lore piìi di canta-
* fi vanta : li quali potranno a pienr in
ò che a me domandate foddisfarvi . Ma
3me che degli aitri mi taccia , li quali feti
Itti nobiH(T;mi , e di Rrande f.ipere ; qui
il lu.firo Stirano, che veramente fé Ti-
ro , o Mcliheo lo udì (fero , non pvitreb-
3no fommamente non commendarlo ; il
ua'e e oer vofiro , f^ó anco per noftro amo-
2, fé grave al prcfente non gli fia , caa*
46 ARCADIA
terà 5 e daranne piacere . Allora Serra
rendendo ad Opico le debite grazie, gli
fpofe : Quantunque il più iaiìmj e'I me: i
eloquente di tutta quefta fcliicra meritarne ,
te dir mi polla; nondimeno pc;r non u fa i
officio di nomo ingrato a chi ( perd, ni: ■■
egli) centra ogni dovere di tanto onore i
reputò degno , io mi sforzerò , in quan ;
per me lì potrà , di obbedirlo . E perei i
la vacca da Carino fmarrita mi fa ora i
membrare di cofa che poco mi aggrada
di quella intendo cantare; e voi » Opic<
per voftra umanità lafciando la vecchiezz; i
eie fcufe da parte? ie quali, al mio par
re » foi) più foverchie che necedarie ; i
rifpoiiderete : e cominciò .
EGLOGA SESTA.
Serrano y ed Opico .
%CTr, f^j^tunque/ìptcó mio^fii vtd. hio^e tari,
V^ Vi ftnno^e dt pelier^cbin te fi c9Van
X)ifh pf^gi or m!cn^€ predi il mio ramma^ìc
^fì mufjdo ^^gi gli amili non jì trovano ;
ha fedi' è morta y e regnano U "^nviàit *
H i mai coj'iumi ognsr pi^t fi rinnovano .
"Regnan le voglia pr-jve , e le perfidie
Per la roba mal nata , che gli jìi mula ,
Tal che ^l figliffoh al padre par che tnfìdit
Tal ride del wiù ben , che V rifo jttnula : i
Tal piange del mìo mal y che poi mi laCtra
Dietro le [palle co fi acuta li mula .
Op. L' invidia , figliuol mio , fc fìejfa macera ,
E (i dilegua come agnel pe^ fafcìno ^
Che non gli giova embra di pinolo d'acera.i
^^rtj/pur diri ^ coi ì gli Dii mi lafcino
DEL SAN AZZAR O. 47
Vtdtr ^endftt/J di '-hi tanto r.jf ondami ^
Vrinta iht i mietitof le biade ^ijf lincino \
"E^tf /' ira sfgar ib^ al con ibbon'Umi :
CvfVl veggi a cader d'»n olmo^tf ffangafì^to
Taì .Pio di gÌ9J.j^ e di pÌ9t<i cortff>ndnmt ,
Tu fai la via che ptr U piogge affairigafi ;
Ivi f* afi cfe quando a e afa andavamo
Qufly che tal viva ^ d. lui (ìeffo piahgafi »
Ktjjun vi riguaraò ^ perchè cantavatn'". 25
Mia innanzi cena tenne un pajiof fubito
Al ncjìro albergo , quando al foco Jìaiamo j
.E difjt a me \ Serrcn y vedi , i^' io dubito j
Cbe tue capre fia n tolte : ond'/o pur correre
fiin cuddt />, cPanrof mi del' il cubito . ^o
Deh f'' qui fifff alcuno acuì yicu*rere
Per giujliiia potejfi : er che giufiii^ia ?
Sol Diofel veda , eòe ne può fcf correre ,
•Due caiPe y e du» capretti per mali^'a
Quel ladre tradltar dal gregge tolfemi \ 35
S i l-fncrcggfa rimondo /' avarizia .
1$ gli.'l direi j ma chi mei di Jf e volfemi
Legar pe^ giuramento , 0 ad'* effe" mutolo
Ctvtitmf»* , e penfa tu fé quejìo dolfemi ,
Del furto p tanto „ ^oi cP ebbe avutolo , 40
Che fputando tre vclte fu invlfibtìe
Agli cechi ncfl'i i ond^ io fagpo rìputole .
Chf fel tedea y di cerio tra impojfìkile
Vfcir vivo da cani irati , e calidi •
Ove non vai che I* vcm r> i brami e fbì'e . 4 S
Erbe ^ e pietre tnofhofe , e fughi pali di ,
Offa di morti , e di fetìolcri polvere y
Magtii verfi affai p jfenti ^ e validi
■portata indijfo y che Ifncean nfoìvere
In ventosi» acqua^in picei ol ru^'OsO feìice'^iO
Tanto f fjuh per arte il mondo irvolvere .
^.Quefì^ è Proìio , che di ciprejfn in elice y
E di (irpfftte in tigre trasformava^ ^
E feam.
4? ARCADIA
E feaji or bov:'^ or capra or fiume yCr f Uà
Serr.O/' vedi^Opico tnio^fe ^l Movdsa^gravafi
Di male ift peggio ; e d-tti pur cornpi/jng
'Pensando al tempo buon^^ihe ognor depfav
Op.J^'/7«^' io r.ppena tnc.minciava a tanggr.
Da terra i p'itni rami , eà addeftfavai
Con Va(ìnel portando i! g^ a no a frangere
Il viccbio padri mio ^ cbt tanto amnvami
^ Scventt air omb^'a degli ovachi (uberi
Con amiche parole a fé (hìrjmav^mt '^
E , come fajji a quei che fono impuberi ,
H grrgge m^ infognava di conducere ,
E di t far le lane, e mufiger ^U uberi
Tal volta nel parlar fokva ìnduceré
I Stampi antichi^ quando i buoi par/avam
Qhe H del pia gra^^ie allor folca produca
Allora i fommi Dii non fi (degnavano
Menar le pecorelle in felva a pafce*e \
E , com^ or noi facemo , ejji cantavano
'Non (il atea P un^ uom vef /* alrro i'afcere :
1 cafnpi eran comuni -, e f n\a termini
E copia i frutti fioi fempre fea nafc^re ,
Z^on era fèrro , il qual par cb"* o^gi te f min.
L^ umana vita \ e non eran t-?f '*''^ j
O nd"" avv' e n eh* ogni q^u-rra ^f mal (i germi
Non fi vedean quefìe rabbiofrf t'nfanie ,
Le genti litigar non li fentivano\
Per eh ' convien che V mondo or fi dilani
I vec hj quando al fin pia non ufcivano
Pfr bofcb?,o fi prendran la morte intrepii
O con era* incantate ingiovanivano ,
22onfofchi 0 fr-ddì , ma lucenti e tepidi
Er, tuo i giorni \ e rtoH s"* udivaH ulule ^
M<? vnghi uccelli dilettoji e lepidi ,
Xéa re ra , ch" dal fondo par che pvluU
Atr- aconiti , e piante .ifpre , e mortiferi
QaU^i/ggi avviff (he t,taf:U pia^a^ed mule
Era
DEL S A N A Z Z A R O . 49
Era aJ/er piena d^ erbe f/tlutifere j
E di b/iljamo 'i e ''ncenfo Ucrim^vole ^
Di mirre preiicf/ ed odorifere .
CiafiUn mangiava alP ombra dilettevole
Or Uttey9gbiande^ed or ginepri^e morole.9%
0 dolce tempo , 0 vita [ollaii'<vole \
Ventando all'* cprg Ur ^ non folo onerate
Cov le parole y ancor con la memoria
Chinato a terra come fante adorole .
Qv è ^l valere^ ov"* ^ P antica gloria? fcO
V* jcftor quelle genti? oìmè fon cenere y
Delle quai grida ogn'^ fam.fa ijìoria ,
1 lieti amanti y e li fanciulle tenere
Givnn di prato in prato rammentandoli
Il foco , g Inarco delfigliuol di yemre . 105
Non era gelofia ^ ma follai\ando(ì
Movean $ dolci balli a fucn di e etera ,
E '/» g^*f^ ^* colombi ognor baciandoji ,
O pura fede , 0 dolce ùfan{a vetera l
Or conofco ben io^cbe'^l mondo in(ì abile 1 io
Tanto peggiora più , quanto più invtera .
7al che ogni volta , 0 tì'olce amico amabile ,
Cb"* io vi fipenjo , fento il cor dividere
Di piaga avvelenata , ed incurabile .
ìTt»Deb^ per Dio y non mei dir ^ deb non mi
uccidere , 115
Che s^io mofiraljl quel c^bo dentro P anima ,
Tarei con le (uè felve i monti (ìridere .
Tacer vorrei , ma il gran doU*" w' inanima
Ch'aio tei pur dea , or fai tu quel Lacinia ?
Oimi^cPa mminarlo il cor fi tfanim^, 1 20
J^el che la notte veglia , e '/ ^allicinio
Gli è primo jjnno^e rutti Carco il chiamano^
Perocché vive fol di latrocinio .
)p,Ob ob^quel Cacco. 0 quanti Cacchi bramano
Ver quefto bofco'anco''chè i faggi dicanOyXlS
Che per unfalfo mille buon t"* infamano .
Tf/w, I. C Serr.
Il
50 ARCADIA ^ '
Serr. J^''»»'' fi*li^ altrui fangu« fi nutricano '.
l 'Ijocbe^lpruvvo^ecol mio danno intena
Tal che i miei cani indarno /* affati can .
Op'^d io per quel i he veggio acor ccfnpredoh.
Che fon pur vecchio^ ed ho curvati gli on \
in C(,mprnr\enno^ e pur ancor ncn vendoh
O quanti intorno a quefie ftlve nomerì
l^afiori in vifla buon , che tutti furano
'Raf^ri ^yippe -ifampcgne ^aratri ^e vomeri\ \
D* oltraggio , 0 di vergogna oggi non curai i
Quefii corr.pagni del rapace graccuìo \
In sì malvagia vita i cuori indurano 9
VurcPabbian le man piene ali* altrui faccu, (
ARGOMENTO.
Demandato il Sanax^aro da Carino pajìore de
ejfere fuo , rifponde , e tratta in parte d
lafua nobiltà e cafata: t poi nel re fio fi di
fonde in raccontare il fuo amore ^ e ine
modo per la crudeltà dilla fua donna egli
gioventù fi trovaffe fuor dì Napoli ,
PROSA SETTIMA.
VEnuto epico alla fine del fuo cantare
non fenza gran diletto da tutta la br
gataafcoltato ; Carino piacevolmente a n:
voltatofi, mi domandò, chi, e d'onde ;
era, e per quii cagione in Arcadia dime
rava ; al quale io dopo un gran fofpiro
quafi da neceflìtà coQrecto , così rifpofi
Non porto , graziofo paftore , fenza no;
grandiffima ricordarmi de* paflTati tempi
li quali avvegnaché per me poco lieti dir
poffano, nientedimeno avendoli a racconta
re ora che in maggiore moledia mi trovo
mi faranno accrefcimento di pena» e quai
uno
DELSANAZZAR.O. 5^
o inacerbire di dolore alla mal faldatsi
iga ; che naturalmente rifugge di farfi
eflb toccare ; ma perchè Io sfogare con pa-
'e ai miferi fuole alle volte edere allevia-
into di pefo, il dirò pure. Napoli ( fic-
me ciafcuno di voi molte volte può avere
Jto) è nella più fruttifera, e diletcevo-
parte d* Italia > al lito del mare poila y
mofa e nobiliflima città, e di arme e di
tcere felice, forfè quanto alcun' altra che
mondo ne fia : la quale da' popoli di Cai-
dia venuti, fovra le vetufte ceneri della
rena Parcenope edificata) prefe ed anco-
a ritiene il venerando nome della fepoU
ì giovane . In quella dunque nacqui io ,
ve non òà ofcuro Gngue > ma ( fé dirlo non
ìi fi difconviene) fecondo che per le più
el( bri parti di efla città le infegne de' miei
redeceflbri chiaramente dimoftrano ; da an-
ichililmj , e generofa profa.oia difcefo , era
ra gii altri mici coetanei giovani forfè noni
1 minimo riputato : e lo avolo del miopa-
ire dalla Cifalpina Gallia , benché, fé a*
jrincipj fi riguarda , dalla eftrema Ifpagna
jrendcndo origine ( nei quali duo luoghi an-
:or oggi le relique della mia famiglia fio-
riicono ) fu oltra alla nobiltà de' maggiori
per fuoi propj gefti notabiliflimo . Il quale
capo di molta gente con la laudevole im-
prefa del Tei^zoC irlo nell' Aufonico regno
venendo, mericò per fua virtù di pofTede-
re la antica SinvefìTa con gran parte de' cam-
pi Falerni, e i monti M.tlfici , infiemecoti
la picciola terra foviapofta al liro ove il
tmbolento Volturno prorompe nel mare ;
eLinterno, benché folitario , nientedime-
no famofo per la memoria delle facratece-
C 2 neri
51 ^ ARCADIA
neri del divino Africano; fenza che ne
fei tile Lucania avea fotro onorato titolo m
te terre , ecaftella; delle quali folo avrei
potuto , fecondo che alla fua condizioni
richiedeva) vivere abbondanciflìmamtnt
Maia fortuna vja più liberale in donar
che follicitain confervarele mondane pi
fperità , volle che in difcorfo di temp(
m;)rto il re Carlo j e 'i fuo legittimo fu
cefiore Lanzi iao , rimaneflcil vedovo reg
in man di femmina . La qui le dalla n i
turale inconftanza, e mobilita di animoi \
citata > figli altri fuoi pefiinii fatciqusftoa,
giunfe, che coloro i quali erano (lati ed
padre, e dal fratello con fomrao onore nic -
gnificati , ella ellerminando , ed umiliane
annulJò, e quafi ad eAremi perdizione r;
condufle . OJtradi ciò quante > e quali fol
fero le necefiìtadi , e gli infortunj chei
avolo e 'I padre mio fofferfero , lungo fa
rebbc a raccontare. Vengo a me adunque
il qu.ìle , in quelli eftremi anni che lare
coleoda memoria del vittoriofo re Alfon
fo di Aragona paflò dalle cofe mortali a piì
tranquilli fecolii fotto infelice prodigiod
comete , di terremoto, di peftilenzia, d.
fanguinofe battaglie nato, ed in povertà;
ovvero ( fecondo i favj ) in modefta for-
tuna nudrito (* ficcome la mia (Iella e i fa-
ti vollero ) appena avea otto anni forniti ^
che le forze di amore a fentire incomin-
ciai » e de-lla vaghezza di una picclola fan-
ciulla , ma bella, e leggiadra più che altra
che vedere mi parere giammai , e da alto
fangue difcefa, innamorato, con più dili-
genzia che ai puerili anni non fi conviene*
<|ucftofBÌo d^ùd^vÌQ teneva occulto . Per U
quii
DEL SANAZZARO. 5?
al cofa colei} fenza punto di ciò avvedef'»
fanciuliefcamente meco giuocando , di
jrnoin giorno, di ora in ora più con le
3 ecceflive bellezze le mie tenere mi-
lle accendeva ; in tanto che , con gli
ni crelcendo lo amore , in più adulta età 9
alli caldi defii più inclinata pervenim-
1. Né per tutto ciò la folitaconverfazio-
ceflando^ anzi quella ognor più dome-
camente riflringendofi , mi era di mag-
ore noji cigione . Perchè parendomi l*
nore, la benivolenza, eT affezione gran*
(lima da lei portatami non cfTere a quel
ic che io avrei defiderato ; e conofcenr
) me avere altro nel petto , che di fuo-
moftrare non mi bifognava ; né avendo
ico''a ardire di difropririinele in cofa al-
jna 9 per non perdere in un punto quel
"ie in molti anni mi parea avere con indù-
riofa. fatica racquiltato ; in sì fiera malin-
:nia e dolore intrai , che'I confueto cibo
*ì Tonno perdendone j più ad ombra di mor-
i y che ad uom vivo afTomigliava . Della
uà l cola molte voltedalei domandatoqual
!-iflé la cagione » altro che un fotpiro ar-
'jntjfTimo in rifpofta non le rendea • Equan-
unque nel lettìcciuolo della mia cameret-
a molte cofe nella memoria mi proponef-
. di dirle, nientedimenoquìndo in fui pre-
enza era, impallidiva, tremava, e dive-
liva mutolo ; in maniera che a molti forfè
he ciò vedeano , diedi cagione di fofpet-
are. Ma ella, oche per innata bontà noti
e ne avvedefl'e giammai , o che folle di
.1 freddo petto, che amore non potede ri-
revere , o forfè (quel che più credibile è)
:he foffe sì favia) che migliore di me fel
G 3 fa^ '
54 ARCADIA
fapelTe nafcond^re , ia atei ed in parole fo
vra di ciò fempliciilìma mi fi moftrava . Pe :
la qual cofa io né di amarla mi fapea di
ftraere > né dimorare in sì mifera vita m
giovava. Dunque per ultimo rimedio , ci
pili non ft.ire in vita deliberai: e penfan
do meco de! modo» varie > e ftrane condì
zioni di morte andai efaminando : e vera-
mente o c^n laccio > ocon veleno, owert
con la tagliente fpada avrei finiti li mie:
tritìi giorni ) fé la dolente anima da noe
fo che viltà fovraprefa non forte divenuta
timida di quel che più defiderava . Tal che ;
rivolto il fiero proponimento in piùrego-'
lato configlio , prefi per partito di abban-
donare Napoli i eie paterne cafe , creden-
do forfè di lafciare amore e i penfieri in-
fieme con quelle; ma, laffo) che molto al-
trimenti eh' io non avvifava ) mi avvenne i
perocché fé allora j veggendo, e parlando
fovente a colei eh' io tanto amo , mi ri-
putava infelice, fol penfandoche la cagio-
ne del mio penare a lei non era nota ; ora
mi poiTo giuftamente fovra ogni altro chia-
mare infelicifiìmo , trovandomi per tanta
diftanza di paefe aH'ente da lei , e forfè i^eiì'
za fperanza di rivederla giammai , né di
udirne novella che per me falutifera fia:
minimamente ricordandomi in quefta fer-
vida adolefcenza de' piaceri della delizio-
fa patria, tra quefte folitudini di Arcadia,
ove ( con voftra pace il dirò ) non che i
giovani nelle nobili città nudriti , ma ap-
pena mi fi lafcia credere che le falvatiche
beftie vi posano con diletto dimorare : e
fé a me non foffe altra tribulazione , che
r aufietà della mente , la quale me conti-
nua-
DEL SANAZ2AR.0, 55 ^
lUamente tiene rof^efoa diverfe cofe , per
o fervente dcfio eh* io ho di rivederla ;
!on poteadolami né- notte né giorno 5 qua*
e fia fata riformire nella memoria ; fi fa-
ebbe ella grandi (lima . Io non veggio oè
nonte , né felva alcuna» che tuttavia non
mi perlujda di doveclavi ritrovare ; quan*
runaue a penfarlo mi paja impolTìbile . Niu«
'Da nera , né uccello , né ramo vi Tento mo«
vere , ch'io non mi giri paventofo per mi-
rare le foU'e deflain quefte parti venuta ad
intender.- la miferd vita ch*io foftegnopcr
lei : fimi Unente niun* altra cofa veder vi
pòrto, che primi non mi fia cagione di ri-
membrarmi con piÌ4 fervore efoliicitudino
di lei: e mi pare, che le concave grotte >
i fonti, le valli, i monti, con tutte le fel-
ve la chiamino) e gli alti arbufti rifonlno
fcmpre il nome di lei. Tra i quali alcuna
volta trovandomi io, e mirando i fronzuti
olmi circondati dalle pampinofe viti , mi
corre amaramente' nell* animo con angofcia
incomparabile, quanto fia lo ftato mio dif-
forme da quello degl* infenfati alberi , i
quali dalle care viti amati dimorano con-
tinuamente con quelle in graziofi abbrac-
ciari : ed io per t.into fpazio di cielo, per
tanta longinquità di terra , per tanti feni
di mare, dal mio defio dilungato, in con-
tinuo dolore , e lacrime mi confumo . O
quante volte e* mi ricorda , eh:- , veden-
do per li foli bolchi gli afièttuofi colombi
con f ;ave mjrniorlo baciarfi , e poi andare
defiderofi cercando lo amato nido, quafi da
irfvidia vinto ne pianfi , cotali paroledicen-
do : O felici voi , ai quali fenza fofpetto
alcuno di gelofia è conceflTo dormire , e veg-
C 4 ghia-»
5(5 ARCADIA ^ I
ghiare con ficura^ pace/ lungo fia il vodro
dilecto y lunghi llano i voftri amori : ac-
ciocché io falò di dolore fpettacolo poiTa
a' viventi rimnnere . Egli interviene anco-
ra rpeffe fiate, che guard:indo io ( fi eco me
per ufanza ho prdo in quelle voftve (elve)
i vagabondi armenti ^ veggio tra i fertili
campi alcu'i toro magriflìmo appena con le
deboli oda icftenere la feccapelie, il qua-
le veramente fenza fatica e dolore inelH-
ir.abile non pofl'o mirare) penf^ndo > un me*
defimo amore efìere a me ed a lui cagio-
re di penola vita. O'tra a quelle cofe mi
fovviene che fuggendo talora io Ó:ìÌ con-
forzio de' paftori , per poter meglio nelle
folitudini penfare a* miei mali, ho veduto
Ja innamorata vaccarella andarefola perle
alte felve rauggiendo , e cercando il gio-
vane giovenco , e noi ftanea gittarfi alla
riva di alcyn fiume , dimenticata di pafce-
re , e di dar luogo alle tenebre della ofcu-
ra. notte: la qual cofa quanto fiaa me , che
fimile vita foPregno j nojofa a riguardare,
colui folamente fel può penfare che lo ha
pruovato, o pruova . Egli mi viene una tri-
(lezza di mente incurabile , con una com-
paHìcne grandilììma di me ftefl'o , mofla dal-
le intime midolle, la quale non mi lafcia
pelo veruno nella perfona che non mi fi
arricci : e per le raffreddate efiremità mi
il muove un fudoreangofciofo , con un pal-
pitare di cuore sì forte , che veramente,
s' io noi defideraffr , temerei che la dolen-
te anima fé ne volefTe di fuori ufcire . Ma
che più mi prolungo io in raccontar quel-
lo che a ciafcuno può effere manifefto ? Io
con mi fento giammai da alcun di voi no-
mi-
DEL SANAZZ A RO. 51
binare Sanaxiaro (quantunque cognome a*
liei predeceflori onorevole (lato (ia ) che ,
icordandomi da lei edere ftato per addie-
ro chiamato Sìncero , non^ mi fia cagions
i loCpirare : né odo mai Tuono di lampo*
;na alcuna, né voce di qualunque paftore,
he gli occhi miei non verfinò amare la-
rime ; tornandomi alla memoria i lieti ceni-
ci , nei quali io le mie rime e i verfi ai-
ora fatti cantando y mi udia da lei fom-
iiamente commendare : e per non andare
jgai mia pena puntai mente raccontando %
oiuna cofa m' aggrada , nulla fefta ^ né giua-
xo mi può non dico accrefcere di letizia <
ma fcemaredelle miferie ; alle quali io pre-
go qualunque Iddio elaudifce le voci de'do-
loroii , che o con preda morte , o con prò-
fpero fucccdimento ponga fine. Rifpofc al-
lora Carino al mio lungo parlare : Gravi
fono i tuoi dolori , Sincero mio , e vera-
mente da non fenza compaflìone grandif-
fima afcoltarfi : ma dimmi, fé gli Di i nel-
le braccia ti rechino della defiata donna »
quali furon quelle rime , che non molto
tempo e' ti udii cantare nella pura notte?
delle quali fé le parole non mi folTero ufci-
te di mente j del modo mi ricorderei : e
io in guidardone ti donerò quefta fampo-
gna di fambuco, la quale io con le mie ma-
ni colfi tra monti afpriiTimi , e dalle no-
flre ville lontani; ove non credo, che vo-
ce giammai pervenifle dimìttutino gallo»
che di fuono privata l'avefTe; con la qua-
le fpero che (fé dalli fati non ti é tolto)
con più alto ftile canterai gli amori di Fau-
ni e di Ninfe nel futuro: e ficcomeinfino
qui i principi della tuiadolefcenza hai tra*
C 5 fem-
5« ARCADIA
femplici , e bofchereccj canti di partorì In-
fruttuofamente difpefi , così per lo innaa-
zi la felice gìovenezza tra fonore trombe
di poeti chiaritimi del tuo fecolo non fen-
za fperanza di eterna fama trapafl'erai ; e
quefto detto fi tacque ; ed io 1' ufata lira
fonanda così cominciai . ,
EGLOGA SETTIMA.
Sìncero folo*
COvte notturno uccel nemico al fole ,
L^ffo vo io per luoghi ofcuri e fofcht ,
Mentre frego il di chiaro in fu la terra :
poi quando al mondo fopravvien la fera ,
Non ccm*oltri animai m'^acquvta il forino y f
Mtf alhr mi de fio a pian9,er per U piagge.
Se mai quefi"* cechi tra bofcheitt e piagge
Ove non fplenda con fuoi raggj il (ole ,
Stanchi di lacrimar mi chtude il fonno y
Vi fon crude , ed error vani , e forchi lO
M^attrijìan sì ^ch^ io già pavento ^ a fera
Ver tema di dormir gittarmi in terra ,
O madre uni ver fai benigna terra ,
Tia mai cìPio poji in qualche verdi piagge^
Tal che m^addorma in qwlU ultima fera^\%
JE non mi defti mai per fin che V fole
Vegna a mofi'ar fua luce agli occhi fofchiy
JE mi rifvegli da sì lungo fonno }
Dal dì che gli occhi miei shandiro il fonno 9
E^l letticciuol lafciai per farmi intetra^lO
I dì feren mi fur tcrhidi e ffchi 5
Campi di (ìecchi le fiorite piagge ;
Taly che quando a'^ mortali aggiorna ilfoUy
A me fi ofcura in ten brofa fera .
Madama {fua mercé) pur una fera 25
QÌQ»
DEL SANAZZARO. 50
GfOfofa y e bella ^ijftii m* apparve in fonno >
H raileg^h il trito co" ; fccorn* il fole
Suol dopo pioggia difgrombrar la terra J
Dicendo a ^«-jVien, cogli alle mie piagge
Qualche fiorecto,e lafcia gli airi forchi.30
Fuggite ornai j penjìer no/o/i , e fofcbi
Che fatto avete a rrte fi lunga (era\
C b^ io vo ceriar le aprii hty e Itete piagge ^
Vrendendo in ju l erbette un d. Ice fonno /
Percbè fo ben cFuom mai f zitto di terra ^$
Pfà f/lice di me non vide il fole ,
Car,\on , di fera in Oriente il fole
Vedrat , e me fotterra ai regni fofcbi 9
Prima che *n quefte piagge io vfenda fonnO «
ARGOMENTO.
Carino^ parlando con Sìncero ^ è confortandole
a bene fperare nel fuo efilio , e nella lon^
tanan^a dalla fua donna , racconta i fuoi
amori con una t^infa ; e in quefìa narra-m
^icne defrive molti fpajji d^ uccellare y cbà
fcgìtono pigliarli alle ville j follaiievoH ve^
ratntnte ^ e di molto gufio\ come bene f pi*^
ancora comprendere dalie fé giornate de"* pia*
ari della villa j de fritte nella fua Agri^
coltura dal mio rari (fimo in quella prof Jji^;n0
Signore Agojlino Callo gentiluomo Brefciano •
PROSA OTTAVA.
Appena era io alle ultime note del mìe*
cantare pervenuto, quando con alle-
gra voce Carino ver me» efc limando» Ral-
legrati, mi difle , Napolitano paftore, eia
torbidezza dell'animo, quanto puoi» da te
difcacciaj raflfcrenando ornai la malinconU
C 6 ca
€o ARCADIA
ca fronte: che veramente ed alla dolce pa
tria , ed alla donna che più che quella de
fideri , in breviffimo tempo ritornerai : i
*i manifefto e lieto fegnale che gli Dii t
inoftrano » non m' inganna . E come pm
egli edere ? rifpori io . Ora baft-rammi tan-
to il vivere ch'io la riveagia-*' Certo sì
diiTe egli , e degli augurii , e delle prò-
mede degli Dii non fi deve alcuno fcon-
fortare giammai: perocché certi flime ed in-
fallibili tutte fono; adunque confortati > e
prendi fperanza di futura letizia: che cer-
to io fpero che '1 tao fperarenon fia vano.
IvJon vedi tu» il noftro Urfacchio tutto fe-
divo da m;\n deftra venirne con la ritrova-
ta giovenca» rallegrando le propinque fel-
ve col fuono della foave fampogna ? per
ìa qual cofa ( fé luogo alcuno hanno in te
i preghi miei ) io ti prego , e , quanto pof-
fo ) ti ricordo , che di te fteflb pietà ti
flringa : ed alle amare lacrime ponghi fi-
n:e ; perocché ( coni* è il proverbio) né di
lacrime Amore, né di rivi i prati , né ca-
pre di fronde, né api di novelli Hori fi vi-
dero fazie giammai: e per porgerti nelle
afflizioni migliore fperanza > ti fo certo ,
che io ( il quale fé ora non del tutto lie-
to, almeno in parte fcarico delle amaritu-
dini dir mi polTo ) fui in fimile 5 e forfè
(dal volontario efilio in fuori; il quale ora
sì Meramente ti preme ; ) in più dolorofo
cafoche tu non fei , né iofti giammai : con-
cioiTij»Ci frjchè ru mai non ti metterti in pe-
riglio di perdere quello che forfè con fa-
tica ti pareva avere racquillato , come fe-
•ci io 5 che in un punto ogni mio bene , ogni
m\à fperanza > ogni mia felicità commiti
in
DEL SA MAZZA RO. 61
mano delia cieca fortuna) e quelli Tubi*
nente perdei . Ni dubito punto che ilc-
:iic allora gli perdei» così gli avrei an-
cora in eterno perduti , fé difperato mi ^o(^
a dell' abbondevole grazia degli Dii , co-
me tu faccfti . Era io adunque ( benché fi.a
ancora » e farò mentre lo fpirto reggerà
quelle membra ) infino dalla mia fanciul-
lezza accefo ardentilfimamente dell'amore
i d'una» che al mio giudicio coiv le fue bel-
lezze non che l'altre padorelled' Arcadia ,
I ma di gran lunga avanza le fante Dee i la
le perocché dai teneri anni a'fervigjdi
na difpoftij ed io fimil mente nei bofchi
I D'ito e nodrito era; volentieri con meco,
ed io con lei per le felve infieme ne di-
mefìicammo > e ( fecondo che vollero gli
Dii ) tanto ne trovammo nei colìumi con-
formi , che uno amore , ed una tenerezza
sì grande ne nacque fra noi , che mai né
l'uno né l'altro conofceva piacere, né di-
letto , fé non tanto quanto inQeme erava-
mo. Noi parimente nei bofchi di opportu-
ni iflrumenti armati alla dilettofa caccia
andavamo: né mai dalli cercati luoghi ca-
richi di preda tornavanTo , che prima che
quella tra noi divifa fofle» gli altari della
fanta Dea non aveflimo con debiti onori
vifitati 5 ed accumulati di larghi doni » of«
ferendole ora la fiera teda ^tì fetofo cin-
ghiale , ed ora le arboree corna del viva-
ce cervo , lovra gli aiti pini appiccando-
le . Ma come che di ogni caccia prcndef-
fimofommamente piacere, quella dellifem-
plici , ed innocenti uccelli oltraatutte ne
dilettava: perocché con più follazzo , e con
affai meno fati(^i che nefìuna dell* altre ,
fi pò-
62 ARCADIA
fi potea continuare . Noi alcuna volta In Cu
fare del giorno > quando appena fparitc 1
ftelle, per lo vicino fole vedevam^l'Orietì
te tra vermigli nuvolctti rofleggiare , n
andavamo in qualche valle h^ntana dal cori
verfare delle genti , e quivi fra duoaltiflìmi
e dritti alberi tendevamo la ampia rete
la quale fottiliiTima tanto, che appena tra
Je ffondi fcernere fi potea ) aragne per no-
me chiamavamo 5 e quefta ben maeftrevol-
mente ( cjmefi bifogna ) ordinata i ne mo-
veamo dalle remote parti del bofco j fa-
cendo con le mani romorifpaventevoli , C
con bartoni , e con pietre di paffoin paiTo
battendo le macchie verfo quella parte ove
la rete rtava , i tordi, lemerule» e gli al-
tri uccelli fgridiVamo : li quali dinanzi a
noi pauroli fuggendo , difavvedutamente da-
vano il petto negli tefi inganni , ed in quel-
li iiviluppati , quafi in più facculi , diver-
(àmente pendevano. Ma al fine veggendo
la preda eflere baftevole , allentavamo ap-
poco appoco i capi delle maeftre funi, quel-
li calando : ove quali trovati piangere , qua-
li femivivi giacere, irt tanta copia ne ab-
bondavano, che molte volte fjftiditi di uc-
ciderli , e non avendo luogo ove tanti ne
porre, confuf^mente con Je mal piegate re-
ti ne li portavamo infino agli ufati alber-
ghi. Aitra fiata quando nel fruttifero au*
tunno le folte caterve di (lorni volando id
drappello raccolte fi mofìrano a' riguar-
danti quafi una rotonda palla nell* aria , ne
ingegnavamo di avereduoo trédi quelli ( la
qual cofa di leggiero fi potea tf ovafe ) ai
piedi dei cfuali un Cano ^ì fpaghetto fotti-
lifl&mo unto éiì indiflbluSile vifco legava-
mo ^
DEL SANAZZARO. 6^
no , lungo tanto quanto ciafcuno il Tuo
3otea portare y e quindi come la velante
chiera verfo noi (i approflimava , cosi li
afciavamo in loro libertà andare: li quali
fubitamente a' compagni fuggendo , e ira
quelli ( ficcome é lor natura) mefcolando-
ó , conveniva , che a forza con io invifea-
to canape una gran parte della riftretta mol-
titudine ne tiraffero feco . Per la qual co-
fa i miferi , fentendofi a baiTo tirare , ed
ignorando la cagione che il volare loro im-
pediva , gridavano forti (lìmainente , em-
piendo r aria di dolorofe voci : e di pailo
in paflo per le late campagne ne gii vedea-
tno dinanzi a* piedi cadere: onde rara era
quella volta che con li facchi colmi di cac-
cia non ne tornaflimo alle nodrecafe. Ri-
cordami avere ancora non poche volte rifo
de* cafi della male augurata cornice ; ed
udite come . Ogni fiata che tra le mani
( ficcome fpeflo addiviene) alcuna di quel-
le ne capitava) noi fubitamente n'andava-
mo in qualche aperta pianura, e quivi per
le eftreme punte delie ali la legavamo re-
fupina in terra > n^ più ne meno come fé
i corfi delle ftelle ave (Te avuto a contem-
plare : la quale non prima fi fentiva cosi
legata r che con (tridenti voci gridava, e
palpitava sì forte , che tutte le con vicine
cornici faceva intorno a le radunare: del-
le quali alcuna forfè più de* mali della com-
pagna pietofa, che de' fuoi avveduta? fi la-
nciava alle volte di botto in quella parte
calare per ajcrtarla , e fpeffb per ben fare
ricevea mal guiderdone ; concioffiacoiachè
non sì tofto vi era giunta , che da quella
che '1 foccorfo affettava ( ficcome da de-
«4 ARCADIA
fiderofa di fcampare ) fubito con le unch
nute unghie abbracciata > e riftretta non tof-
fé i per maniera che forfè volentieri avrebbe
voluto > fé potuto avelTe , fvilupparfi da' fuoi
artigli; m,i ciò era niente ; perocché quella
Ja fi ftringeva , e riteneva sì f )rte > che non
la lafciava punto da fé partire; onde avretli
in quel punto veduto nafcere una nova pu-
gna; quefta cercando di fuggire, quella di aju-
tarfi ; l^una» e T altra egualmente più della
propria , che dell' altrui falure follicita »
procacciarfi il fuo fcampo. Perla qual cofj
noi , che in occulta parte dimoravamo, do-
po lunga feda fovra di ciò prefa , vi anda-
vamo afpiccarle, e, racquetato alquanto il
romore , ne riponevamo ali* ufato luogo,
-da capo attendendo che alcuna altra venif-
fe con fimile attos raddoppiarne Io avuto
piacere . Or che vi dirò io della c^uta grue ?
certo non le valeva, tenendo in pugno la
pietra , farfi le notturne efcubie ; peroc-
ché dji noftri aflalti non vivei ancora di
mezzo giorno ficura - Ed al bianco cigno
che giovava abitare nelle umide acque per
guardarfi dal foco, temendo del cafo di Fe-
tonte » fé in n>czzo di quelle non fi pocea
egli dalle noftre infidie guardare ? E tu mi-
fera, e cittivella perdice , a che fchi favi
gli alti tetti, penfando al fiero avvenimen-
todell' antica caduta, fé nella piana terra
quando più licura ftare ti credevi , nelli no-
flri lacciuoli incappavi ? Chi crederebbe
poffibile, chelafagaceoca , foU'cita paleTa-
trice delle notturne frode , noi lapeva afe
medcfima le noftre infidie palefare ? Simil-
mente de' fa^iiani , delle tortore , delle
colombe, delle fluviali anitre, e degli al-
tri
DEL SAN AZZA RO. (Ts
Ti uccellivi dico» Niuno ne tu m.ii di tarr-
3 aftuziadal'a natura dotato, il quale da*
ollri ingegni guardandoci , fi potclle lunga
ibertà promettere . Ed acciocché io ogni
articella non vada raccontando , dico adun-
[ue , che venendo, come udito avete» di
empo in tempo più cefcendo la età , la
unga , e continua ufanza fi converti in tan--
o, e sì fiero amore, e! e mai pace non fen-
iva , fé non quinto di cortei penfava ; e
lon avendo , ficcome tu poco innanzi dice-
ti, ardire di difcoprirmcle incofa alcuna»
rra divenuto in vifta tale > che non che gli
litri partorì ne parlavano , ma ella ^ che »
ii ciò nulla fapendo , di buon zelo atfet-
:uo(ìfiìmamente mi amava , con dolore, e
pietà inertimabile ne rtava maravigliata; e
tjon una volta 5 ma millecon inftanzia gran-
diflìma pregandomi, che '1 chiufo cuore le
palclafii , e '1 nome di coki che di ciò
mi era cagione, le Lccrtì chiaro- To , che
del non potermi Icoprire intollerabile nojji
portava nelT animo, quafi con le lacrime
in fu gli occhi le rifpondea, alla mia lin-
gua non eflere licito di nominare colei cui
io per mia celerte deità adorava ; ma che
dipinta ia fua beli* filma > e divina immagi-
ne, qumdocomodo fiato mi forte , leavrei
dimcfirafa . Ed avendola con cotali parole
moki, e molti giorni tenuta , avvenne una
volta che dopo molto uccellare , eflendo
io ed ella folctti , e dagli altri paftori ri-
moti , in una valle ombrofa , tra il canto
di forfè cento varietà di belli uccelli , i
quali di loro accenti facevano tutto quel
lyogo riforare ; quelle medc^mc note le
felve iterando cheefiì esprimevano; ne po«
neiu
66 A'R e A D I A
nemmo atnbeduo a federe alia margine d
un frefco 9 e limpidiflìmo fonte che in quel-
la forgca : il quale né da uccriio , né da
fiera turbato sì bella ia fm chiarezza nei fal-
vatico luogo confervava > che non altrimen-
ti t che fé di purifìimocriftallo ftato fo(^s i
i fecreti del translucido fondo manifcfta-
va ; e d' intorno a quello non fi vedea di
paftori , né di capre pedata alcuna ; percioc-
chèarrrienci giammai non vifoleano per ri-
verenza delle Ninfe accodare : né vi era
quel giorno ramo, né fronda veruna cadu-
ta da' fovraftanti alberi : ma quietiflìmo
fenza mormorio > o rivoluzione di brutez-
za alcuna, difcorrendo per lo erbofo pae-
f e , andava si pi mamente , che appena avre-
fti credu o , che fi moveffe. Ove poi che
alquanto avemmo refrigerato il caldo; ella
con novi preghi mi ricominciò da capo a
(Iringere , e fconglurare per lo amore che
io le portava , che la promcfla effigie le
m ftralTì ; a?giungendoa quello col tedi mo-
nio degli Dii mille giuramenti , che mai
ad alcuno , fé non quanto a me piacele»
noi ridirebbe*: alla quale io daabbondantif-
fime lacrime fovraggiunto > non già con la
folita voce j ma tremante e fommefTa ri-
fpofi » che nella bel la fontana la vedreb-
be : la quale ( ficconie quella che.defide-
rava molto di vederla ) femplicemente fenza
più avanti penfare, bafìTandogli occhi nel-
le quiete acque , vide fé lleda in quelle
dipinta. Per la qual cofa (fé io mal noi
mi ricordo) ella fi fmarrì fubitOi e fcolo-
rifli nel vifo per maniera > che quafi a ca-
der tramortita fu vicina; e fenza cofa al-
cuna dire 0 fare , con turbato vifo da me
fi par-
dei: SANAZZAPvO. (>7
partì . Ora quale mi dovefTì io in quel
unto rimanere 9 vedendomi da quella con
ra e con cruccio lafciare , la quale poco
vanti blanda » amiciflìma j e èiì mie pia-
fae pietofa , quafi per compadione pian-
;erc veduta avea , ciafcuno , fenza che io
1 racconti > Tel può coiifiderare . Io per
!ne 9 non fo fé morto in quel punto o vi-
^o mi foflì , né chi a cafa me ne portaf-
e ; ma tanto vi dico , che quattro foli >
:d altrettante lune , il mio corpo né da
:ibo , ne d.i Tonno fu riconfortato : e le
mie vacche digiune non ufcirono dalla chiu-
(a mandraj ne gasarono maifapore di er-
ba , né liquore di fiume alcuno ; onde i
miferi vitelli fugando le fecche poppe del-
le affamate madri, e non trovandovi l'ufa-
■to latte , dolorofi appo quelle riempivano
le circondanti felve di lamentevoli muf^gi-
ti: della qu;tl cofa io poco curandomi , git-
tate nella piana terra, ad altro non inten-
deva , che a piangere h tal che neduno ,
che veduto mi aveffe nei tempi della mia
tranquillità, mi avrebbe per Carino rìco-
nofcmto . Venivano i bifolchi , venivano i
partori di pecore , e di capre infieme con
li paefani delle vicine ville, credendo me
edere ufcito del fenno ( come già era ) e
tutti con pietà grandidima dimmdavano
quii foffe la cagione del mio dolore ; ai
qu-ili io niuna nfpofta facea ; ma al mio la-
crimare intendendo , così con lamentofa
voce dicea : Voi , Arcadi , canterete nei
voftri monti la miam rte: Arcadi, foli di
cantare efperti , voi la mia morte nei vo-
ftri monti canterete . O quanto allora le
mie offa quietamente ripofcranno , fé la vo-
ara
«g ARCADIA
fìra fampogna a coloro che dopo me na
fceranno , dirà gli amori , e i cafi miei
Finalmente alla quinta not:e defiderofool
tra modo di morire » ufcendo f.jora delU
fconfolato albergo » non andai alla odiofi
fo nana » cagione infeliciflìma de' miei ma-
li ; mi errando per bofchi fcnza ieatiero;
e per monti arpriffimi , e ardui, ove i pie-
di » e la fortuna mi menavano; a gran fa-
tica mi riconduci in una ripa altiflimai pen-
dente fovra al mare j onde i pefcacori fo-
gliono di lungi fcoprlre i notanti pefci .
E quivi prima che '1 fole ufcirte > a pie
di una bella quercia < ove altra volta mi
ricordai eifermi nei feno di lei ripofato »
mi pofi a federe , né più né meno , come
fé quefta (lata fofle medicina del mio fu-
rore; e dopo molto fofpir,Ke( a guifa che
fuole il candido cigno prefago della fua mor-
te cantare gli efequiali verfi ) così dirot-
tamente piangendo incominciai. O crude-
liflima 5 e fiera più che le truculente ar-
fe , più dura. che le annofe quercie > eda*
miei preghi più forda che gì'infani mor-
morii dell' enfiato mare » ecco che vinci
già) ecco eh' io muojo : contentati , che
più non avrai di vedermi faftidio . Ma cer-
to io fpcro che 'I tuo cuore > il quale la
mia lieta fortuna non ha potuto muovere >
la mi fera il piegherà; e tardi divenuta ple-
tofa > farai coibetta a forza di biafmare la
tua durezza ; defiderando almeno morto di
veder colui a cui vivo non hai voluto di
una fola parola piacere . Oìmè , e come può
edere che 'i lungo amore, ilqualeun ten>
pò fon certo mi portafti , fia ora in tutto
da te fuggito? Deh non ti tornino a men-
te
DEL SAN AZZA RO. 6g
e 1 dolci giuochi della noftra puerizia ?
iuando inlìemc andavamo per le felveco-
liendo le rubiconde fragole i e dagli alti
'aggi le Taporofe ghiande, e le tenere ca-
bgne dalle pungenti fcorze? Scici dimen-
Icata tu de' primi gigli i e deUe prime ro-
e, le quìli io Tempre djlie cercate cam-
>.ìgne ti portava ? tal che appena 'e api
iveano guftato ancorai fiori % quando tu per
ne andavi ornata di mille corone. Ludo,
luante fiate allora mi giurarti per gli alti
3.i > che quando fenza me dimoravi, i fio-
i non ti olivano, e i fonti non ti rende-
/ano il folito fapore? Ahi doloroia la vita
lìia I e che parlo io ? e chi mi afcolta aU
:r<>, che la rifonante Ecco? la qu.ile ere-
dentea' miei mali ( ficcome quella che al-
:ra volta provati gli ha ) mi rifponde pietc-
a ì mormorando al luono degli accenti miei :
Tia non fo pure ove nafcofa fi ftia , che non
/iene ella ora ad accompagnarfi meco? O
Iddìi del cielo, e cella terra > e qualun-
que altri avete cura de' miferi amanti ,
porgete vi prego pietofe orecchie al mio
lamentare > e le dolenti voci che la tor-
mentata anima manda fuori , afcoltate .
O Najadi, abit.itrici de* correnti fiumi: o
Napee> graziolilTima turba de* ripolìi luo-
ghi , e de' liquidi fonti , alzate alquinto
le bionde tede dalle chiare onde > e pren-
dete le ultime (Irida anzi eh' io muoia : e
voi ; o belliifime Ore?di , le quali ignude
folete per le aite ripe cacciando andare \
ilafciate ora il dominio de^li alti monti, e
Venite al mifeio ; che fon certo vi por-
gerà pietà qu ilo che alla mia cruda don*
na porge diletto : ufcite da* voftri alberi >
opiti^
70 ARCADIA
o pietofe Amadriadi , fol licite confervatri
ci di quelli , e parate un poco m:nte a ,
fiero fupplicio > che le mie mani teftè m -
apparecchiano: e voi , o Driadi j formofil
fime donzelle delle alte felve, le quilino «
una volta , ma mille, hanno i noftri pa
(lori a prima fera vedute in cerchio dan
zara all'ombra delle fredde noci con li ca
pelli biondiflìmi , e lunghi, pendenti die
tro le bianche fpalle , fate vi prego ( H
non fiete infieme con la mia poco ftabil(
fortuna mutate ) che la mia morte fra que
(le ombre non fi taccia ; ma Tempre fi eden ■
da pili di giorno in giorno nelli futuri fé-
coli; acciocché quel tempo il quale dallf
vita fi manca , alla fama fi fupplifca . C
lupi , o orfi , e qu.ilunque animali per U
orrende fpelunche vi nafcondete , rimanete-
vi addio : ecco che più non vedrete quel vo-
ftro bifolco , che per li monti j e per li bofchi
folca cantare. Addio, rive: addio, piag-
ge verdiffime , e fiumi ; vivete fenza me
lungo tempo ; e mentre mormorando per
le pecrofe valli correrete nell'a to mare,
abbiate fé mp re nella memoria il voftroCa-
rino, il quale qui le Tue vacche pa fce va :
il quale qui i Tuoi tori coronava : il quale
qui con la fampogna gli armenti , mentre
beveano , folea dilettare. E quelle parole
dicendo, mi era alzato già per gittarmi dall'
alta ripa : quando fubitamente dal deftro
lato mi vidi duo bianchi colombi venire $
<% con lieto volo appo,5giarfi alla fronzuta
quercia , che di fovra mi (lava , porgendofi
in breve fpazio con aifetruofi mormorii mil-
le bacj dolciffimi. Dai quali io ( ficcome
da profpero augurio ) prendendo fperanza
di
DEL SANAZZARO;^ 7f
futuro bene , cominciai con più faldo
mfiglio a colpire me fteffbdel folle pro-
)nimento che feguire voluto avea , cioè
cacciare con cruda morte reparabile amo-
J. Ne guari in quefto penfiero (iato era»
le io mi fentii ( e non focome ) fovrag-
luntoda quella che di tuttociò mi era ca-
•one : la quale ( ficcome tenera della mia
Iute ) appieno ogni cofa da occulto luo-
0 veduto > ed udito avea^ . E non altri-
lenti , che farebbe pietofa madre nei ca-
de! fuo unico figliuolo , amorofamente
iangendo, e con dolci parole ed accoglien-
e oneftiflìme riconfortandomi » Teppe si ben
ire, che da difperazione , e da morte nel-
1 Vita, e nello flato che voi mi xeéetQ y
ni rico;.dulìe. Dunque che diienio noi del-
a ammirabile potenzia degli Dii > fé non
he allora in più tranquillo porto ne gui-
Uno , che con più turbata tempefta mo-
trano di minacciarne ? Per la qual cofa >
incero mio, ( fé a* raccontati cafi porgi
redenza alcuna, ? Tei uomo , comeiocre-
o ) ti devrefti ornai riconfortare ,^ come
li altri fanno , e fperare nelle awerfirà fer-
namente, di potere ancora con 1* aita de-
li Dii venire in più lietoftato; che certo
lon può edere, che fra tanti nuvoli alcuna
.'olta non paja il fole; e (come tu dei fa-
lere ) le cofe defiate quanto con più affan-
do fi acquiftano > tanto con più diletto >
quando fi pofledono , fogliono eifer care
itenute. E così detro , perchè tardi gli (1
faceva , dopo il lungo parlare , poftafi la
fui vacca dinanzi , e dicendo Addio , da noi
fi partì : né pria fi fu coftui accommiatato
da noi > che vedemmo ad un punto tutci
in-
?a ARCADIA
infieme da lungi tra quercia j e quercia» i
vra un picciolo atuielio venire un uomo
rabbuffato) enei gefti doloroio, che di ;
ne fé forte maravigliare; il quale poi ci -
da noi fcoftandofi , per un fentiero che al
città conducea fi fa indrizzato ^ fenza dui
bio alcuno couoicenimo eiTcre T innamon
to Clonico , paftore olerà gli altri dotti
fimo, e nella mufica efperto .Per la qu;
cofa Eugenio, che fuo amiciflìmo era ( fu
come colui, che tutte le fue amorofs pai
(ioni fapea ) f^ìttogliil incontro al la via , ce
sì , udendo ciafcuno » gli incominciò a dire
EGLOGA OTTAVA.
Eugenio ) e Clonico •
Èug./^^^^ ///ff/ con fronte gfangat^ e prilli da
\J Su ì^aftntlh or vaine , e fnaVtnconico
Con cbfQffìg irfuìeyf (oh la barba fi{uallida\
Qualunque uom ti vtdejfe andar sì erronico
Di dui'l sì i arco in tanta amaritudine , \
Certo dirutle , Quelli non par Clonico.'
Fo'^e che pir fu^gtr la Solitudine
Or cerchi h cittadi , ove Antsr gemina
Suoi firat temprati nella calda incudine .
T^ell^ onde folca , e mll^ arene femìn» , lO
E "^Ivago vento [pera in rete accogliere ,
Obi \':e fperan\e fonda in cor di f emina ,
^^i^Engenio , x' io potrl mai V alma fciogUere ,
O rftlhntar del laccio iniquo , ed orrido ,
Tal ch^io pojfa dal giogo il collo e/logli ere\ i 5
Selva alcun* non fia , né campo fiorido
Senx_a^l mio canto^tal che Fauni ^e Driadi
Diran. che viva ancor Dameta^e Cori do .
he. Hajadì , tlapee , ed Amadrìadi ,
DEL SAN AZZARO. 75
E i Satiri ^ t i Silvani dejierann.fi %rj
Pt^me dal lungi fonno -, e leTrfpiadi ,
E pei per matto in giro prtnderanno/t
Dijcinti i^ efcal^i fevra /' erbe tentre^
E mille canzonette iti udiranno/! .
E '*lfi€r fanciullo y e la fpietataVenere 25
yinti di doglia fi daranno il btaf,mo%
E non potrà» goder della mia cenere .
Lajfo , che *n ab penfando ogn* orafpafìfne :
SarÀ mai dì , eh"* io pojfa dir fra^ liberi ,
Mercè del Ciel ) dal gran periglio
evafimo? 50
lllg. Di fiate fecibi pria mirti , e giuniheri ,
E i fior Vtdrl di verno al ghiaccio porgere ,
Che tu mai impetri quel che in van deliberi.
Se Amore i cieco , non può il vere Scorgere :
Chi prede il cieco in guida^mal configliajì:i$
Se ignudo\uom che non ha^come puh porgere'^
Quefia vita mortale al dì fornigliaji ^
llqualy poi che fi vede giunto al termine j
Pien di fc or no alP occafa ri nver miglia fi ,
Coti quande vecchia \ia avvien che termine 40
1 mal fpefi anni , che sì ratti volano ,
ì^e^gogna^e duol convien^cPal cor fi germine,
A che le menti cieche (i confolano ,
Se ne fri affanni un fumo al fin diventano ,
E P ore ladre i nofifi beni involano ? 4^
Dtinque é ben tempo (mai y che fi rifentano
Gli fpirti tuoi fepolti an^i P efequie ,
Nilfango'^onde convien ch'hai fin fi pentano ♦
E P a te JìeJJo non dai qualche requie ,
Che (pene aràn gli /ira/epe fe^cor mi fero 50
tion puh gioir y ragion è ben che arrequie .
£)uante fiate del tuo error ferrifero
I monti ye i fiumi I e fe^l tuo duci c^mpunfelf^
Quei corfer per pietà , quejìi /* ajjifero .
^1,0 felici ccler (if amor congiunftli 55
74 ARCADIA
In vita , e "*» morte in un voler n«n varh ^
I^è invidia y o gelofìa giammai dìjgtunfeli t
Sovra un grand* cimo je'fera ^ e folitario
Due tortorelle vidi il nido farnofi:
Ed a njcfolo è il Ciel tanto contrario . 5c
Quand* io le vidi ci wè sì amiche fi arno fi ^
Se respirai non fo , tna il duol sì avvinferni .
C Pappe f!^ in terra i pi^ pote.'jn fermar». fi ,
J)irollo 0 taccio ? intanto il dnol fofpinfemi ,
C Pi e fui per appiccarmi foir a unplatanOyè^
Ed Ifi innanzi agli cechi Ami-r dipinjemi ,
Eug.^ quanti e'^rc gli amanti orbi hon guatano,
Col de fio del morir la vita ^^re^ano ;
Tato a ciafcvn le fue ficiocchewe aggratam
T. pria mutano il pel , poi che r''avv?x'^/jno^ 7C
Che mutin voolia ; tal che un dJce ridere y
Ed un bel guardo pìà che U gregge apprexiano,
Talor per ira cfdegno volno incidere
Lo fame che le Parche al fufo avvolgono ;
E con amor da fé Palme devidere . 75
Braman tornare addietro , e non fi volgono ;
Uè per foco ardcn^nè per gielo agghiacciano]
Ma fenia alcun dolor fef^pre fi dclgotto .
Cercan fuggire Amore^ e pur lo abbracciano ;
Se quejta è vitato morteci 0 non coprendola ^ìc
Che chìaman libertade^ e pia s"* allicciano. ,
CLPur mi fi para la fpietata Amendola
Dinanzi a^JÌ occhile par cPal vento m^tvaji
ha trifia Tilli efanimata , e pendola ,
Se fpirto al mondo di pietà ritrovafi , 85
"Per Dio qMifalfna Uhtrar concentrimi ,
Qbe miglior vita del morir non provafì .
0 terra, tu che puoi ^ te'-ra , ccnttntamt ^
Tranghiotti il tri fio corpo in le tue V'fcere ,
S/ che utm mai non ne trove erma , ni
fentami , 9C
^ folgori . the fati il dei tremifcere ^
DEL SAN AZZA RO. yy
Venite a q'tfl che nd alta voce chiamavi ,
H vuol , [e pub , di di fa mar e addii cere ,
Correte , o fiere , <j quel che tanto bramavi ,
E voi , paftor , y angete il trijìo e fido 95
Dt quel the ton (uà morte tutti infétmavi .
Voi-iifiretf in m- il pieiofo ojficìo ,
JE fra ciprejji rni farete un tumulo y
che (ìa n^l m^ndo di mia mote indie io .
Allor le rtmecb^ a mal grado accumulo lOO
Farete meco in tenere ri\i.ìvere -^
Ornando di ghirlande il m-jjìo cumulo ,
Allor vi dtgfitrete i pajji volvere ^
Cantando al mio fepoLro , a!l:>r di retemi :
Per troppo amar altrui, fei ombra j e
polvere. 105
E forfè alcuna Volta mofirer etemi
Aqtella cruda eh or rn''incende^e firuggemiy
E*ndarno al fc do fujjo chiam etemi .
Ug.Un*orfo in mt^ic Pitlma^ un leon ^uggemi^
Clomco miofuntendo il tt*o ramm rtco^ IIO
Che quaft d'*cgnt verta il fangie fuggemi.
E /' to le leggi al tuo fignor pr. varico ,
Vrendt fi conligUo del tu fido Eugenio y
Che vivrai lieto , «• di tal pfo fc irtco ,
Ama il giocondo Apollo y e^l facro Genio^ II5
Ed odta quel crudel < he fi ti (ìra^^a ,
eh"* i danno in gioven'h vergogna al f^nio»
Allora il ncfiro Pan colmo di g'a\ia ,
Coni*. lima Pale aumenterà ''l tuo numero^
Talché la mente tua n*- fa ben fa^ia . i20
E non ti fdegne'ai pcrtaf^ fu l* un/ero
La Cara \appa , e pianterai la n puta y
L' tìf^mrago , l'^aneto , e *l6rl cucumero .
JE '/ ttmpo fol in cih difponi e deruta '^
Che non r^acqui/fa libe'tà per piangeremo
E tanto è mtfer l*uom , quant^ei fi reputa,
E poi cc/nincierai col raflro afrangtre
D z La
76 ARCADIA
l^a dura terra , e fterperai la lappola )
Chi le crefcenti biade fuol tant^ anger e .
le con le rete uccello , e con la trappola , i ^o
per non marcir neir olio , e tendo infidie
Alla mal nata volpe , e fpeffo incappola .
Cesi fi fcaccia amor j coiì le invidie
De* paflor mgbittofi fi poftergano ;
Cosi fi [pregia il mondo , e fue perfidie . 135
Cosi convien , cP al tuttofi difpergano
L' amorcfe fperan\e , ardite , ed avide ,
Che nelle menti fimplicette albergano ,
Or penfa alquanto alla tue capre gravide y
Che per tema de'^lupi^ che le ajjaltano , 1 4C
Fuggon da* cani pia che cervi pavide ^
Vedi le valli , 9 i campi che fi fmaltano
Di color mille ; e con la piva ^ e*l crotalo
Intorno ai fonti i pajìor lieti [aitano .
Vidi il Monton di Fri[o\ efegna e notalo , 145
C Ionico dolce ; e non ti vinca il tedio 5
Che*n pochi di convienycheU[olpercotalo .
Caccia i penfier , che l' hangih pò fio affedio ,
E che ti fan di e notte andar f anta fiico ^
Che al mondo mal non è [en\a rimedio^ 1 55
% pria cb^ io parlo , le parole mafiico .
^^^
A a-
DEL SANAZZARO: 77
ARGOMENTO.
etto coperta di voler m^nar Clanico j pajloft
innamorato , al facerdot* di Pan , per tra-
var rimidio ali* amofofe pajftoni di luì ^ in-
duce il vecchio Opico a ragionar delle va-
ne pojfan^e della magia , Indi andati al
facerdotff mentre cP ti fi apparecchiava a
ragionare , con bella maniera fa contrafiar
fra loro cantando due paflori ,* acciocché
tnen nojofo abbia a parere il lungo ragiona'*
tnent9 dei prudente facerdote .
PROSA NONA.
H^rOn fi fentivano più perlibofchi le ci-
IN cale cantare, ma folamente in vece
ji quelle , i notturni grilli fuccedendo fi
acevano udire per Je fofche campagne; e
!Ìà ogni uccello fi era per le fovravvegnen-
i tenebre raccolto nel Tuo albergo, fuora
:hc i vefpertilli, i quali allora deftati ufci"
^ano dalle uiate caverne , rallegrandofi di
/olare , per V amica ofcurità della notte ;
juando ad un tempo il cantare di Eugenio
:bbe il Tuo fine ; e i noftri greggi difcefi
lalle alte montagne (i ragunarono al luo-
io ove la Rampogna fonava. Per che con
e (Ielle in cielo tutti infieme partendone
lalla via ove cantato fi era , e menando
bionico con e fio noi, ne riducemmo in un
/alloncello aflai vicino ; ove allora ( che
rftate era) le vacche de' paefani bifolchi le
■>\\x delle notti albergavano: ma al tempo
^elIe guazzofe pioggie tutte le acque che
da' vicini monti difcendono, vi fi fogliono
D % ra-
7« ARCADIA
ragunare ' il quale d*ogni intorno circon»
dat n.ituralmente di nuerciuole , cerrctti j
luberi , lentiichi > faligartri, edialtrenia-
nieie di Llvatichiarbofcelli , era sì da ogni
parte richiufo, che da nelTuno altro luogo
che d.il proprio varco vi fi potea pafiare ;
tal che per le folte ombre de' fronzuti ra-
nìi , non che allora ( che notte era ) ma ap-
pena quando il fole foQe ftato più alto, fé
ne farebbe potuto vedere il cielo- Ove al-
quanto difcorto dalle vacche , in un Iato
della picciola va'le le noftre pecore 5 e le
capre rcftringenimo, come fapemmo divi-
fare il meglio . E perchè gli ufati focili
per cafo portati non aveamo, Ergafto j il
quale era più che gli altri efperto ^ ebbe
fubitamence ricorfo a quello che la como-
dità gli offeriva; e prefo un legno di edera j
ed un di alloro, e quelli infieme per buo-
no fpazio fregando , cacciò del foco ; dal
quale poi che ebbe per diverfi luoghi ac-
cefe di molte fiiccole, chi fi diede a mun-
gere 9 chi a racconciare la guafta fampo-
gna j chi a falciare la non fiagna fiafca , e
chi a fare un mefiiero , e chi un' altro , in-
fino che la defiata cena fi apparecchiale ;
la quale poi che con alTaidikttodi tutti fu
compita, cafcuno, perchè molta parte del-
la notte pafiata era , fi aodò a dormire .
Ma venuto il chiaro giorno » ei raggj del
iole apparendo nelle fommità di alti mon-
ti j non emendo ancora le lucide gotte del-
la frefca brina rifeccate nelle tenere erbe,
cacciammo dal chiufo vallone li noftri gr^ g-
gi , e gli armenti a pafcere nelle verdi cam-
pagne . E drizzatine per un fuor di ilra-
da al cammino dei monte Menalo» che non
gua-
DEL SANAZZARO. 79
jMari lontano ne ftava , con proponìmen-
o di vjùcare il reverendo tempio di Pan,
jrefeutillimo Iddio del falvatico paefe , il
nifero Clonico fi volle accommiatare da
ioi . Il quale dimandato, qual fede la ca-
lione che sì prello a partirli il coftringef-
e, rjfpcfe : che per fornire quello che U
)recedente fera gli era ftato da noi impe-
jito , andar voleva ; cicè per trovare a*
uoi mali rimedio con opra di una famofa
ecchia, fagacilfìma maeftra di magici ar-
itici : alla quale, fecondo che egli per fa-v
na avea molte volte udito dire, Diana in
ogno dimoftrò tutte le erbe delia mjgica
rircc» e di Medea: e con la forza di quel-
e foleva nelle più ofcure notti andare per
*aria volando coverta di bianche piume»
n forma di notturna ftrega : e con fuoi in-,
.antamenti inviluppare il cielo di ofcurì
luvoli , ed a fua porta ritornarlo nella pri-
Hna chiarezza: e fermando i fiumi, rivol-
ere le correnti acque ai fonti loro: dotta
ovra ogni altra di attraere dal cielo le of-
ufcate ftelle , tutte ftilLinti di vivo fan-
;ue : e di imporre con fue parole legge
il corfo della incantata luna: e di convo«
rare di mezzo giorno nel mondo la notte»
I li notturni Iddii dalla infernale confu-
sone : e con lungo mjrmorio rompendo U
lura tcrrra, richiamare le anime degli atv
ichi avoli dalli deferti fepoicri : fenza che%
oglicndo il veleno delle innamorate cavai-
e> il fangue della vipera > il cercbro dei
abbiofi orfi , e i peli della eftrema coda
lei lupo, con altre radici di erbe , e fu-
',hi potentiflìmi , fiipeva fare molte altre
x)fe raaraviglio&flime > ed incredibili a rac-
D 4 eoa-
io ^A R e A D I A
contare. A cui il noftro OpicodlfTe: Ben
credo, figliuol mio, che gli Dii , de' qua-
li tu fei diveto , ti abbiano oggi qui gui-
dato per farti a' tuoi affanni trovar rime-
dio : e tale rimedio, ch'io fpero , che (Te
a mie parole prederai fede) nefirai lieto
mentre vivrai . Ed a cui ne potrefti gir tu»
che più conforto porgere ti potcfre , che
al noftro Enarcto? il quale lopra gli altri
paftori dottiflimo , abbandonati i fuoi ar-
menti , dimora nei facrificj di Pan noftro
Jddio: a cui la maggior parte delle cofe e
divine y ed umane è manifefta ; la terra»
il cielo, il mare , lo infatigabile fole, la -
crefcente luna , tutte le (Ielle , di che il cie-
lo fi adorna , Pliadi , laJi , e '1 veleno del
fiero Orione , T Orfa maggiore, e mino-
re j e così per confeguente i tempi dell'
arare, del mietere, di piantare le viti, e
gli ulivi , di innellare gli alberi, verten-
dogli di addottive frondi : fimilmente di
governare le mellifère api , e riftorarle nel
mondo , fé ed in te fodero , col putrefatto
fangue degli affogati vitelli . Oltra di ciò
(quel che più maravigliofo è adire, ed a
crederfi ) dormendo egli in mezzo delle
fue vacche nella ofcura notte , duo dra-
goni gli leccarono le orecchie : onde egli
fubitamente per paura deftatofi , intefe pref-
fo all' alba chiaramente tutti i linguaggi
degli uccelli. E fra gli altri udì un luici-
gniuolo , che cantando , o pili tofto pian-
gendo fovra i rami d'un folto corbezzolo,
fi lamentava del fuo amore , dimandando
alle circondanti felve aita: a cui un paf-
fero all' incontro rifpondea , in Leucadia
eflere una alta ripa > che chi da quella nel
ma-
DKL SANAZZARO. ^r
nire faltafle , farebbe fenza lefione fuor
pena: al quale foggiunfe una lodola, di-
)do : in una terra di Grecia ( delia qui-
c io ora non fo il nome ) eHereil fontedi
3upidine ; del quale chiunque beve , depo-
le fubicainente ogni fuo amore» acuiildol-
:e lufcignuolo foavenìente piangendo > e
amentandofi rifpondeva , nelle acque noti
iflere virtù alcuna : in quefto veniva una
lera merla • un frifone , ed un lucarino^
ì riprendendolo della Tua fcioccbezza > che
lei facri fonti non credeva j celeiU poten»
zie fodero infufe ; cominciarono araccon»
;argli le virtù di tutti i fiumi , fonti > e fta-
^ni del mondo; de' quali egli a pieno tut-
:i i nomi, e le nature, e i paefi dove na-
fcono, e dove corrono mi feppe dire, che
non ve ne lafciò un folo » sì bene gli te-
neva nella memoria riporti . Significommi
ancora per nome alcuni uccelli , del fan-
gue dei quali mefcolato , e confufo infie-
rae 9 fi genera un ferpe mirabilifìimo ; la
cui natura è tale che qualunque uomo di
mingiarlo fi arrifchia , non è sì ftrano par-
lare di uccelli che egli a pieno non lo in-
tenda. Similmente midiflTenonfo che ani-
male , del fangue del quale chi bevefle un
poco j e trovaflefi in fui fare del giorno
fovra alcun monte > ove molte erbe fof-
fero, potrebbe pienamente intendere quel-
le parlare » e manifeftare le fue nature :
quando tutte piene di rugiada aprendou
ai primi raggi del forgente fole , ringrazia-
no il cielo delle infufe grazie che in fé
pofledono ; le quali veramente fon tante )
e tali che beati i paftori che quelle fapef-
f«ro • £ fé U memoria non m' inganna >
D s mi
ti ARCADIA
mi dilTe ancora > che in un paefe molto tìrs^
no, e lontano di qui, ove nafcon le gen«»
ti tucte nere, come matura oliva ^ e cor*
reA^i sibalTo il fole, che fi potrebbe di leg*-
giero , fé non cuocere > con la mano toc-
care 5 fi trova una erba- che in qualunque
fiume, o Iago gitt.ita folle, il farebbe fu-
bitimente feccare; e quante chiufure toc*
calfe, tutte fenza refiftenza aprire/ ed al-
tra, la quale chi feco portale, in qualun*
tque parte del mondo pervenide , abbonde-
rebbe di tu' te le cofe , né fentireble fa-
me , fete , né penuria alcuna . Né celò
egli a me , né , io ancora celerò a voi [a
fìrana potenza della fpinofa erige , notidì-
ma erb;ì nei nollri liti ; la radice della qua-
le riprefentaalle volte fimilitudine del fef-
fo virile , o femmineo ( benché di raro fi
trovi } ma Te per fòrte ad alcuno quella-
del fuo fedo pervenide nelle mani» fareb-
be fenzì dubbio in amore fortunatiffimo i»
Appredb a quella foggiunfela fclìgiofa vct'»
bena , grat^dìmo facrificio agli antichi ali-
tar! ; del fugo della quale qualunque fi un-
ged'e , impetrerebbe da ciafcuno quanto di
dimandare g'ii aggradade? pur che al tem-
po di coglierla fode accorto . Ma che vo^
ào aff.iticandomi in dirvi quede cofe ? già
il lucgo ov - e^Ii dimora, ne è vicino; e
faravvi concedo udirlo da lui a pieno rac-
contare . Deh non , dide Clanico ; io e
tutti codoro defiamo piià tofto così cammi-
nando , per alleggerirne la fatica , udir-
lo da te: acciocché poiquando ne fia lici-
to Vendere quello tuo finto padore , pili in
reyerenzì Io abbiamo, e quafi a terreno Iddio
gli rendiamo i debiti onori delle nodre feU
ve-.
DEL SANAZZARO. S^
e. Allora il vecchio Opico , tornando al
lalciato ordine difl'e, fé avere ancora udi-
to dal medefimo Enareto alcuni incanti da
relìftere alle marine temperati , ai tuoni,
a!!e nevi, alle pioggie , alle grandini, edl
alli furiofi impeti dellidifcordevoli venti w
Oltra di ciò dille avergli veduto tranghiot-
tire un caldo cuore e palpitante di una cie-
ca talpa; ponendofi fovra lalingua unooc-
chio di Indiana tertudine nella quintadeci-
ma luna; e tutte le future cofe indovinare.
ApprefTo feguitò , avergli ancora veduta
una pietra di criQallina fpecie, trovata nel
picciolo ventre d*un bianco gallo 5 laqun'c
chi feco nelle FortL paleltre percalle , fa-
rebbe ]ndubitat3mencecontra ogniavverfa-
rio vincitore* Poi raccontò, avernegli ve-
duta un' altra fimilead u:iiana lingua» ma
maggiore, la quale non come 1' altre na-
fci in terra» ma nella mancante luna cade
cai ciclo , ed è non poco utile alli vene-
rei lenocinli: altra contri al freddo : al-
tra contra le perverfe e^'dfcinazioni diin-
vidiofi occhi . Né tacqu. quella la quale
inlicme legata con una certa erba > e coti
alquante altre parolr* , <hijnque indodb la
portaHei potrebbe a fua roda andare inyi-
iibile per(ì :ni parte , e fì'e quanto i^li pia*
cefl'e » fenza r^iura di edere impeditoda ai-
tano: e quello dtftto , feguitò, d'uà dento
tolto di bocca alla dcftra parte di un cer-
to animale chiamato > fé io mal non mi
ricerdo , fena : jl qmj dente è di tanto vigo-
re , che qualunque cacciatore (el legale al
braccio, non tirerebbe mai colpo in vano:
e non parteiidofi da queflo animale, diiTe*
che chi fatto al piede ne portafle la lin-
D 6 gua )
«4 ARCADIA
gua , non farebbe mai abbaiato da' cani:
chi i peli del mufo conia pelle delle ofce-
ne parti nel finiilro braccio legata portaf-
fe, a qualunque paftorella gli occhi volgef-
fe > fi farebbe fubico a mal grado di lei fé*
guitare . E lafciando quefto» dimoftrò, che
chifovrala finiftra mammella di alcuna don-
ni ponede un cuore di notturno gufo 5 le
farebbe tutti i fecreti in fogno parlando ma-
il ifeft are . Così di una cofa in un* altra (ai-
tando , prima a pie dell' alto monte giun-
gemmo s che di averne dopo le fpalle la-
fciato il piano ne fo/Timo avveduti . Ove
poi che arrivati fummo , celTando Opico
dal fuo ragionare ( ficcome la fortuna voi-
le ) trovammo il fanto vecchio» che a pie
di uno albero fi ripofava; il quale come da
preflb ne vide 5 fubitamente levatofi per
lalutarne , ali* incontro ne venne; degno
veramente di molta riverenza nella rugofa
fronte, con la barba e i capelli lunghi , e
bianchiffimi più che la lana delle Tarenti-
jie jjecore i e nel!' una delle mani avea di
ginepro un baftone belliflìmo , quanto alcu-
no mai ne vederli a paftore ; con la punta
ritorta un poco, dalla quale ufciva un lu-
po 5 che ne portava uno agnello 5 fatto di
tanto arteficio :, che gli avrefii i cani irri-
tati appreflb : il quale ad Opico prima» do-
po a tutti noi , fatte onorevoli accoglienze»
ne invitò all' ombra a federe. Ove aper-
to un facchetto » che egli di pelle di ca-
vriuolo portava maculofa» efparfa di bian-
co, ne trafle con altre cofe una fiafca de-
Jicatimmadi tamarifco , e volle che in ono-
re del comune Iddio beveffmio tutti: e do-
po breve definare , ad Opico vokatofi , il
di-
DEL SANAZZARO. fls
limando di quello chea fi re cosi di fchie-
a andaflìmo: il quale prendendo lo ìnna-
tiorato Clonico per miino , cosi rirpofe :
-a tu3 virtù fovra le altre fingularifiima ,
la eftrema neceflìtà di quefto mifcro pa-
tere , nà coflrinfe a venire in quede fel-
e , Enareto mio ; il quale cltra al dovu-
o ordine amindo , e noniapendo a le me-
cfimo fopraftarc , fi confuma sì forte, ce-
ne al foco la molle cera : per la qua! co-
a non cerchiamo noi a tal bifogno i rilpon-
i dei tuo, e noftro Iddio, i quali egli più
:he altro Oracolo veriflimi rende nella pu-
a notte a' pallori in quelli nìonti ; ma fo-
amente dimandiamo la tua aita , cheinun
:unto ad amore togliendolo» alle defidero-
e felve, ed a tutti noi il ritorni : colqua-
e confefl'crerao , tulte le giocondità perdu-
e cderne per te infieme reftituite: ed ac-
:iocché chi egli è j occulto nontifiaj m !-
e pecore di bianca lana pafce per queffe
nontagne> nòdi fiate, né di verno mai gli
nanca novo latte: del fuo cantarenon di-
ro altro; perocché quando d' amore libe-
rato lo avrai, il potrai a tua pofta udire,
\[ fiati 5 fon certo, gratiiiimo . 11 vecchie»
iacerdote, ( parlando Opico ) riguardava il
)arbuto paftore , e modo a pietà della fui
Pallidezza , fi apparecchiava di rifponde-
'e : quando alle orecchie dalle proiTìmane
elvc un dolci (lìmo fuono con foave voce
ic pervenne : ed a quella rivolti da tra-
i/erfo, vedemmo in una picciola acquetta a
)iè d* un falce federe un folo caprajo , che
onando dilettava la fua mandra . Evedu-
:o, fubitamente a trovarlo andammo: ma
:olui , il quale Elenco avea nome » comi
ne
«« ARCADIA
re vide verfo il limpido fiumicello appref-
ùrcj fubitamente nafcondendo la Tua lira»
•quafi per ifdegno turbato fi tacque . Perla
qual cofa il noftro Ofelia oifero da tanta f;il-
vatichezza > ficcome colui che piacevolif-
fimo era e graziofo, a* preghi de' paftori ,
fi argomentò con ingiuriofe parole dover-
lo provocare a cantare : e così con un rifo
Schernevole beffandolo 5 con quefti verfi il
codrlnfe a rifpondere»
EGLOGA NONA»
Ofelia j Elenco, e Montano.
^^^Ì.X^^lmmi ^caprar novello , e non t'^tt'afcefe ,
JL^ Quejìa Tuag'-fggia^cfj'è coiato Jìraniay
Chi te la die sì follemente a pascere ?
HXtn.Dimmì ^ bifolco antico ^^ e quale inf a ni a
Ti rifcfpinfe afpe^^ar Parco a C Ionico ^ j
Ponendo fra"* pefìor tarata lìx^ania ?
'O^qÌ.F or je fr* ali or ,, ri»* io vidi malimon'CO
Selvaq^qìo adar pei' U fampcgna^e i naccari^
Che fV involaci tu , perzerfo efronico .
Elen-M/» con Uranio a te myn valfer badati , io
* Che m^la l ngua non /' avejfe a hdere \
Turafli il capro , e* ti conobbe ai ^accari ,
Ofel.v4.'?^/ g/r>/ vin^t , ed ei noi volea cedere
Al cantar mio^ (ihernenio il buon giudicìo
If'Ergaflo^che mi orno ài minile d^edert.\%
■Eìen.C anta fido tu ^Ivinc^fli} or con Galicio
Monudì io già la tua fampop^na ft-idtre ,
Come a^n^'l cP i menato al fjcrifcio ?
^Olaì.Cantratno a provale hfcia a pa'-te il riderei
Fon quelli lira tua fatta di giu^i,ioh \ 20
Montanpùtr^ n-Jìre quelli on decidere .
^ìeti. Fon gufila vacca , (hefovente Muggiola .
DEL SAhJAZZARO. tf
^cco una pelle , r due cerbiatti mafccli
Pafii di tifHO ^ e d* acetofa hggJola ,
<0 fé 1. /'**'» r"*" laiira^ ed io porr}) duo vafcoli 25
Di fag^o ^ ove potrai le caprt mungere -^
Che qurfii arm.nti a mia matngft/t pafco/f ,
Ele'V Scuje non mi faprai colante aggiungere ,
Ch'aio nun li ffopra-.ór ecco il nojìro Eugcftiox
Far non potrai si y eh* io non l"* abbia ^
puTigere , , . . . .2®
Q£q\.1o vo Mcntan , ch^ è più vicino al fento j
Che quefto Tuopaflor par troppo igncbi le ,
ti.è crtdo eh* abbÌ3 sì fuhlime ir^genio .
Elen./'V/w/?^ a!i'*omba^Munra,che Paura mobile
Ti fr»me frale fronde ■^e'ifiumf mormora ^5;
ZV? età il n^fìro cantar , qual*è plUf nobile . ^
Okì.Vifnne^ Montan^ mentre le n.jìre tormora
"Rumina^n /' erbe^ e i cac<iator /* imbofcano 5
Mo tirando ai cani le latebre ^ e V or mar a .
Ì^Qrì'Qcttate^a f cicce he i moti ornai conof'-ano. 4O
Quarti 0 *l fecol perduto invoi rinnova ft ;
Cantitffin che i campi firinfofcano .
OÌÌQÌ.Monran , co/fui che meco acantar provafi ^
Guarda le capre d* un j ajì; r erra :ic^ .
Mifera mtndra^ ch<'*n taf gvìda trcv^ftl 45
iA^nCorbo maltagioyurfacchioafptOyf falvalice^
Cote/In lingua vele ne fa mardiU ,
Che trasportar (i fa dal cor fanatico,
0ic\-yt-ffera felva , che coi g'idi affordila :
Fuggito è dal rcmjre Apollo^ e Delia, 50
Getta la lira ornai ^ch e indarno accordila ,
hXaVi.Oggi qui non fi canta y an^i f prelia^\
Ceffate ornai per Dio^ ceffate alg»afiPo :
Comincia^ 'Elenco-i e tu rifpondìy Oflìà .
Elen. La fanta Pale ittent^i ode il miacaettCy 55
E di bei rami li mìe chiome adorna ,
Che neffuri altro fé ne puh d.ir vanto ,
^fel.f */ femicapro Pan aha le corna
Ali»
ss A R C A D I A
Alla fampogna mìa fonora , t bella ^
E corre^ e [alta , e fugge ^ e poi ritorna . 6o
VAQtì.Quaniio talora alla fingi on novella
Mug»o le capre mie , mifiberne 9 e rìde
ha mia joave , e dolce pafiorella .
Olt\.Tirrena mia col fofpìrar m uccide ,
Qjjando par (he ver me con gli occhi dìca\S^
Chi dai mio fido amante or mi divide ?
Eie nl7« bel colombo in una quercia antica
Vidi annidar poc^ an^i ; il qual riferbo
Per la crudele ^ ed afpra mia nemica,
Ofel Ed io nel hofco un bel giovenco aderb 0 7ò
P^r la mia donna ; // qual fra tutti i tari
Incede con le corna alto e fu per bo .
^\cn. Frefche ghirlande di novelli fiori
I vo/iri altari y 0 [acre Islinfe ^ avranno ^
Se pietose farete a"* nofiri amiri. 75
Ofel.E/Wj Priapo^ al rinnovar delP anno y
Onorato farai di caldo latte ,
Se porrai fine al mio amo' ofo affanno*
Elen . Quella che 'j» mille fehe^ e '« mille fratte
Seguir mi face Amor ^ foche fi dole ^ 80
Benché mi fugga ognor^ benché f appi citte ,
O^QÌ.Ed Amaranta mia mi firinge , e vole
C^' io pur le canti all'ufcio , e mi rifponde
Con le fue dolci angeliche parole ,
"EÌSÙ^Fillida ognor mi chiamale poi f^afconde^^
E getta un pomj^ e ridcy e vuol già ch^ io
La veggia biancheggiar tra verdi fronde ,
Ol<i\.An'{i Filli da mia m'^afpetta al rio ,
E poi m"* accoglie sì foave mente ,
Ch'aio pongo il g^egg^'^e me Jìeffo in obblie. 90
Elen.I/ bofco ombreggia ; e fé ""Imhfol preferite
Non vi fojfe or , vedrefit in nova foggia
Secchi i fioretti ^ eie fontane spente ,
Olel.Ignudo) il monte , e più non vi fi poggia ;
Mafe*lmio fol vi appare yanC9r ve dr olio 95
D'er,
DEL SAN AZZA RO. Jp
D» trbeiti rivejìirjì in lieta picpgra .
^Elen O r^/f^ Venatrtce , o biondo ApoUo ,
Fate cP io vinca qtiefto alpeftro Caeco ^
Per la faretra chf vi pende al cello .
Dfcl. E tuy Minerva , / tu^ cehfte Bacco , lOO
Per P alma vite , e per ie fante olive ,
Paté cF io pereti la fua lira al face 9 .
iElen.O /* io vedejft un fiume in quefte rivt
Correr di latte ; dolce il mio lavoro
Infaf [etKpre fi felle ti ir ombre efti%e ! 105
Dfèl.O/ir quefe tue corna fu jfer d'' oro ,
E ciafcun pelo molle e ricca feta ,
Quanto t'* avrei piò caro , 0 hi anco toro /
Eien.O quanre volte vien gioicfa , e lieta ,
E ftajji meco in me^Xo ai grtogi mìei 1 1 o
Quella che mi dii in forte il mio pianeta \
Dfel.O quar fofpir verme move colei
eh io fola adorai 0 venti ^ alcuna parte
Portatene ali* orecchie degli Dei .
lEIcil'il ^t la mano^ a te l* i ngegno , e ^arte^ l j ^
A te la lingua ferva , 0 chiara ijioria ;
Gi^ farai letta in più di mille carte .
^itl.Omai ti pregiai , ornai i: efalta^ e gloria y
Ch^ancor dofo millanti 'in vìva fama^
Eterna fia dt te qua già memoria , 120
^^l^n- Qtj^funque per amor fofpir a , e brama ,
Leggendo i tronebi ove fgnata Jìai 9
Beata lei , dtrà , che '1 ciel tant'ama.
0ic\ 'Beata te ^ che rinnovrir vedrai
I)cpo la morte il tuo bel nome in terra) 1 25
E dalle (the al ciel volando andrai .
"^Xttì. Fauno ride di te daW alta {erra:
Taci ^ bifolco'^ che y t'* io dritto ejlimo ^
ha capra col leon non può far guerra ,
<OÌc\.Corri , cicala y in quel palufire limo , i JO
E r appella a cantar di rana in rana ,
Che fralafcbiera farai forfè il primo.
Elea*
90 ARCADIA
Tl\^[\. Dimmi , qualfera è sì di mente umana^
Che i'inginucbia al raggio della luna^
E per pwgarft (c: nde alla fontana ? \\\
0[e\- Dimmi , quaT è /' uccello il qual raguna
1 legni in la fua mete , e pei i"* accende ,
E vive al mondo /-?«^o pare alcuna ?
ÌAoXi-yial fa chi contra al del pugnalo contende
Tempo è già da por fine a vojire liti \ 14C
Che ^Ifaverpajìoral più non fi flr'nde .
Taci , copp/« gentil^ eie ben graditi
Son loflri accenti in ciafcun facro hofco :
Ma temo y che da Pan non fian^ uditi ,
Ecco , al mover de"* rami ti rìconcfco j 1 4;
Che to'^na aWomhra pien d'orgogi-ìo^e d^iret
Col f:afo adunco afflando am -ro tcfco ,
M* quel facondo Apollo il qurJ v* afpira y
Abbia fol la vittoria / e tu ^ bifolco 9
"Prendi i tuo^ t^J^h* tu^ captar ^ la lira; 1 5C
Che V citi V* accrefca , c^me irbetta in folco •
\
A R.
DEL SANAZZARO. 91
ARGOMENTO.
Difcfswe $1 hofcù , ia fp^Ionca , e P fffig'f ^i
Pan Dio de* pafiori ceri U leggi a loropff^
feriste , e par/ando biella fampogna d' ejfo ,
accenna il e e ritenuto della Bucolica dì Vir~,
gtlio. Indi fa ragionare al fatetdote Erta-
reto della for^a d:gP incanti , per fanar h
piaga tì moro fa delP iauatnoratù Ciani cui *
poi racconta quanto ben tonjideì'ata , ed
adorna foffe la fepcltura di Majjtlia , f/tam
drt d^ Erga fio .
PROSA DECIMA.
LE i'elve , che al cantar de' duo partorì 9
(mentre quello durato era ) aveano
lolciflimamente rimbombato > fi tacevano
.ià quafi contente , acquetandcfi alla fen-
euzia di Montano; il quale ad Apollo (fic-
ome ad aguzzacore de' peregrini ingegni )
onando io onore, e la ghirlanda della vit-
eria , avea adambiduoi Tuoi pegni rendu-
i . Per la qual cola noi lafciando l' erbofa
iva , lieti cominciammo per la falda del
nonte a poggiare, tuttavia ridendo , e ra-
.ionando delle contenzioni udite : fenza ef-
ere oltra a duo tratti di Honda andati > co-
ninciammo appoco appoco da lunge a Tco-
)nre il reverendo, cìacrobofco; nel qua-
e mai nò eoa ferro, né con fcure alcuna
i ofava entrare ; ma con religione gran-
iillima per paura de'vendicatori Dii fra'pae-
ani popoli fi conservava inviolato per mol-
i anni; e ( fé degno èdi crederfi )un tem-
10 qu:;ndo il mondo non. era sì colmo di
vizjj
91 ARCADIA
vlzj , tutti i pini che vi erano, parlavano
con argute note 5 rifpondendo alle amoro-
fe canzoni de* paftori . Al quale con lenti
paffì dal Tanto facerdote guidati ( ficcome
egli volle) in un picciolo fonticellodi vi-
va acqua, che nella entrata di quello for-
gea 5 ne lavammo le mani ; conciolTiacofa-
chè con peccati andare in cotal luogo non
era da religione concedo. Indi adorato pri-
ma il Tanto Pan, dopo li non conoTciuti Dii
( Te alcuno ve ne era che per non moftrar-
fi agli occhi noftri nel latebroToboTco Ti na-
fcondefle ) paflammo col deftro piede avan-
ti, in Tegno di Telice augurio : ciaTcuno taci-
tamente in Te pregandoli, gli TolTero Tem-
pre propizj cosi in quel punto, come nel-
le occorrenti necelTità Tuture : ed entrati
nel Tanto pineto, trovammo Tetto una pen-
dente ripa Tra ruinati Talli una Tpelunca vec-
chiilìma , e grande ; non lo fé naturalmen-
te , o Teda manuale artificio cavata nel du-
ro monte : e dentro di quella , del medeTi-
mo TalTo un bello altare, Tormato da rufti-
che mani di paftori : Tovra al quale Ti ve-
deva di legno la grande effigie del Talva-
tico Iddio appoggiata ad un lungo baione
di una intera oliva ; e Tovra la teda avea
due corna drittiiìime, ed elevate verfo il
cielo , con la Taccia rubiconda come ma-
tura Tragola: le gambe e i piedi irTuti , né
d* altra Torma, che Tono quelli delle capre ;
il Tuo manto era di una pelle grandiflìma ,
(iellata di bianche macchie. Dall' un lato,
e dall' altro del vecchio altare pendevano
due grandi tavole di faggio, Tcritte di ru-
fticane lettere: le quali Tuccedìvamente di
tempo in tempo per molci anni conTerva-
te
DEL SANAZZARÒ. 9?
hi pafTati paOori , contenevano in fé le
che leggi , e gli ammaedramenti del-
la partorale vira : dalle quali tutto quello
che fra le felve oggi fi adopra , ebbe prima
origine . Neil' una eran notati tutti i dì
dell' anno , e i varj mutamenti delle rta-
gioni , e la inequaiità della notte , e del
giorno 9 infieme con la oflervazione delle
ore 1 non poco neceffaria a* viventi , e li
non falii pronoftici delle temperati : e quan-
do il fole col fuo nafcimento denunzia fe-
renità , e quando pioggia» e quando venti ,
e quando grandini; e quali giorni fon del-
la luna fortunati , e quali infelici alle opre
de' mortali: e che ciafcuno in ciafcuna ora
dovefle fuggire , o feguitare > per non of-
feiidere le oiìervabili volontà degli Dii ,
Ndir altra fi leggeva quale dovefle edere
la bella forma della vacca , e del toro: e
le età idonee al generare j ed al parto-
rire : e le ftagioni , e i tempi atti a ca-
Hrare i vitelli , per poterli poi nel giogo
ufare alle robufte opre della agricoltura :
fjmilmente come la ferocità de' montoni
forando loro il corno preflo V orecchia fi
poHa mitigare; e come legandogli il deftro
tcfticolo I genera femmine ; e '1 finiftro «
mafcoli : ed in che modo gli agnelli vengano
bianchi , o di altri colori variati : e qml
rimedio fia alle folitarie pecore che per, o
fpavento de' tuoni non fi abortifcano : ed
oltre a quello , che governo fi convenga
alle barbute capre: e quali , e di che for-
ma > e di che etade? ed in che tempo del-
l' anno, ed in che paefe quelle fiano più
fruttifere : e come i loro anni fi poflano
ai fegni delle noderof^ corna chiarainentar
94 ARCADIA,
conofcere: appreHb, vi erano fcritte tutt
Je medicine appertinenti a* morbi ^ tant
de* greggi, quanto de' cani, e de* partorì
Dinanzi alla fpelunca porge 'a ombra u
pino alciffnno, e fpaziofo , ad un ramo d(
quale una grande e bella fampogna pen
deva j fatta di fette voci , egualmente e
fotto e di fopra congiunta con bianca ce
ra ; la cui fimile forfè mai non fu vedi
ta a paftore in alcuna felva : dcllaqualedi
mandando noi qual folle (lato lo autore ( per ^
che da divine mani comporta t ed incera «
ta la giudicavamo ) il favio facerdote cc_;
sì ne rifpofe : Querta canna fu quella eh j
•] ùnto Iddio che voi ora vedete, fi tre '
vò nelle mani quando per querte felve d \
amore fpronato feguitò la bella Siringa ?
ove ( poi che per la fubita trasformazio <
ne di lei fi videfcher iito) fofpirando egl
fovente per rimembranza delle antichi
fiamme, i fofpiri fi convertirono in dolce
fuono ; e cosi folo in quefta fola grotta ai
iìfo, prefTo alle pafcenti capre, comincic
a ccngiungere con nova cera fette canne
1' ordine delle quali veniva fucceflivamen .
te mancando , in guifa che rtanno i die
nelle noftre mani; ficcome ora ineffame
defima vedere potete: con la qual poi grar
tempo pianfe in querti monti le fue {ven-
ture . Indi pervenne ( e non fo come ]
nelle mani d* un paftore Siracufano ; i
quale prim> che alcuno altro ebbe ardire
di fonarla fenza paura di Pan , o d' al-
tro Iddio ) fovra le chiare onde della com-
patriota Aretufa; ed è fama che , mentre
cortui cantava, i circonrtanti pini moven-
éo le loro fomniità gli rifpondeano ■ e le
fo-
DEL SANAZZARO . 95
farefliere querele dimenticate della pro-
pria lalvatichezza abbandonavamo i nativi
monti per udirlo , porgendo fovente pia-
cevoli ombre alle afcoltanti pecorelle : né
era Ninfa alcuna » rè Fjuno in quelle fel-
^e , che di attrecciare ghirlande non fi af-
':ì(1's^ per ornargli di frefchi fiori i gio-
ii capelli . 11 quale poi da invidiofa
norte fovraggiunto fé di quella T ulti-
no dono al iVlantoano Titiro, e così col
mancante fpirto porgendogliela gli difie :
Tu larai era di quefta il fecondo figno-
re ; con la quale potrai a tua polla ricon-
iliare li difcordevoli tauri, rendendo gra-
iofiflìmo fuonoalli (alvatichi Iddii . Per la
piai cofa Titiro lieto di tanto onore, con
uella medefima farapogna dilettandofi , in-
egnò primieramente le felve di rifonare
1 nome della form-jfa Amarillida ; e poi
pprcflo lo ardere del ruftico Coridoie per
\lefll ; e la emula contenzione di Da-
neta , e di Menalca ; e la dolciflima mu-
a. di Damone , e diAlfefibeo, ficendofo-
ente per maraviglia dim nticare le vac-
he di p.fcere, eie ftupef.itte fiere ferma-
e fra paftori , e i velocifilmi fiumi arrefta-
e dai corfi loro , poco curando di rei Je-
e al mare il folito tributo : aggiungendo
qucfto la morte di Dafni , la ca-'Zone
i Sileno , e '1 fiero amore di Gali o , con
Itre cofe , iì cbe le felve credo ancora fi
icordino, e ricorderanno mentre nel mon-
0 faranno paftori. Ma avendo coftuld.illa
atura lo ingegno a più alte cofe difpofto >
non contcntandofi di sì umile fuono , vi
angiò quella canna che voi ora vi vedete
iù grolla , e più che le altre nova , per
PO-
96 ARCADIA
poter meglio cantare le cofe maggiori ,
lare le felve degne degli altifìTimi Confo
di Roma : il quale poi che » abbandonai
le capre , fi diede ad ammaeftrare i ruft
chi coltivatori della terra; forfè con ifpi
ranza di cantare appreffa con più fono;
tromba le arme del Trojano Enea ; T aj
piccò quivi , ove ora la vedete » in ono:
di quefto Iddio , che nel cantare gli av(
predato favore : apprefToal quale non vci
ne mai alcuno in quefte felve, che quel
fonare potuto avelTe compitamente : pof
che molti da volonterofo ardire fprona
tentato lo abbiano pii^ volte, e tentino tu
tavia . Ma, perchè il giorno tutto fra qu
fti ragionamenti non trapaffi , tornando om
a quello per che venuti fiete , dico, l'op;
e '1 flìper mio cosi a tutti voftri bifogni
come a quefto un folo , eUere fempre n(
nien difpofto « che apparecchiato : e co
ciofliìacofachè ora per lo fcemo della corn
ta luna il tempo molto atto non fia» ud
rete nondimeno del luogo, e del modo ci
a tenere avremo, alquanto ragionare. Ei
principalmente» innamorato paftore, a e *
il fatto più tocca , porgi intenti vamen
le orecchie alle mie parole . Non mol
Junge di qui , fra deferti monti giace ui
profondiffima valle, cinta d* ogni intorr \
dì folinghe felve, e rifonanti di non udi i
falvatichezza 5 si bella , sì maravigliofa
e ftrana» che di primo afpettofpaventa C( (
inufitato terrore gli animi di coloro ci \
vi entrano : i quali poi che in quella p< I
alquanto fpazio ralficurati fi fono , non {
pofiono faziare di contemplarla ; ove p( \
ap folo luo^o j e quello ftrectiliimo, ed afprc |
r
DEL SANAZZ ARO. 57
fi conviene pafTare ; e quanto più bado fi
fcende, tanto vi fi trovala via più ampia ?
e la luce diventa minore *. concioniacofa-
chè dalia fua fommità infine alla più in-
fima parte è di opache ombre di giovani
alberi quafi tutta occupata : ma poi che al
fondo di quella fi perviene , una grotta
ofcurifllma , e grande vi fi vede inconta-
nente aprire di fotto ai piedi : nella quafe
arrivando , d fentono fubito ftrepiti orri-
biliflìmi , fatti divinamente in quel luogo
da non veduti fpirti , come fé mille mila
naccheri vi fi fonaflero . E quivi dentro iti
quella ofcurità nafce un terribililiimo fiu-
me , e per breve fpazio contraftando nella
gran voragine , e non potTendo di fuora
ufcire , il moftra folamente al mondo , ed
in quel medefimo luogo fi fommerge : e
così nafcofo per occulta via corre nei ma-
re, né di lui più fi fa novella alcuna lo-
vra della terra: luogo veramente facro, e
degno ( ficcomc è ) di effere fempre abi-
tato dagli Dii . Niuna cofa non venerabi*
le o fanta vi Ci può giudicare , con tanta
majelU , e riverenza fi offre agli occhi de"
riguardanti . Or quivi come la candida lu-
na con ritonda faccia apparirà a' mortali
fovra l* univerfa terra, ti menerò io pri-
mieramente a purgarti ( fé di venirvi ti
darà il cuore ) e bagnato che ti avrò no-
ve volte in quelle acque , farò di terra »
e di erbe un novo altare , ed in quello cir-
condato di tre veli di diverfi colori, rac-
cenderò la cada verbena, e mafchjincen-
fi , con altre erbe non diveite' dalle radi-
ci, ma fecate con acuta falce al lume deìU
npva luna : dopo fpargerò per tutto quel
Jftffo I. E luo-
9S ARCADIA
luogo acque tolte da tre f ntane , e faro!
ti poi difcinto, e fcalzo d'un piede, fett
volte attorniare il fanto altare: dinanzi;
quale io con la manca mano tenendo pt
le corna una nera agna , e con la deftì
io acuto coltello , chiamerò ad alta v<
ce trecento nomi dì non conofciuti Dii
e con quelli la reverenda Notte accomp.
gnata dalle Tue tenebre , e le tacite fte
Je confapevoli delle occulte cofe: clamo
tiforme Luna potente nel cielo , e neg
ofcuri abiflì , e la chiara faccia dei So
circondata di ardenti raggj : la qu:ile cor
tinuemente difcorrendo intorno al moi
do, vede fenza impedimento veruno tutt
le opere de' mortali. ApprefTo convochei
quanti Dii abitano nelT a to cielo , nel
ampia terra , e nell' ondofo mare : e
grandiffimo Oceano padre univerialedi tu
te le cofe, e le vergini Ninfe generate e
lui ; cento che ne vanno per le felve ,
cento che guardano i liquidi fiumi : ed o
tra a quefti, Fauni , Lari , Silvani , e S
tiri 5 con tutta lafrondofa fchiera de'Sem
dei 5 e'I fommo aere, e '1 duriffimo afpei
to della bruta terra, gli danti laghi ,i co
renti fiumi, e i forgenti fonti: né lafci<
rò gli ofcuri regni delli fotterranei Dii
ma convocando la tergemina Ecate , vi ai
giungerò il profondo Caos , il grandilTìnr
Èrebo, e le infernali Eumenidi abitatri.
delle Stigie acque, e fé alcuna altra De
tà è la giù che con degno fupplicio pun
fca le fcelerate colpe degli uomini ; ci
fiano tutte prefenti al miofacrificio : e e*
sì dicendo 5 prenderò un vafo di genero
■VÌno> e verferollo nella fronte della dai
na-
DEL SANA ZZ ARO. $^
Data pecora , e clirvelI.*>ioo!e d.i mezzo le
corna la fofca lina» la gicccrò uri foco -^er
P'imi libamenti * dop.i aprend- e ii gola
col desinato e Itello, riceverò in uni pa-
tera il caldo f»ngLie, e quello con gii eftre-
mi labb'i guft^to vf-rferò tucco in una fof-
fa fatti dinanzi all' altare, con oglio , e
latte infieme; acciocché ne goda la madre
terra : e preparato che ti avrò in cotal mo.-
do 1 fovra la pelle di quella ti firòdiften-
dere i e di faigue di nottola ti ungerò gli
occhi con tutto jI vifo ; che le tenebre del-
la .'Otte al Vedere non ti offendano , mi
come chiaro giorno ti tnanif.lHno tutte le
cole : ed acciocché le ftr^ne , e divi rfif-
finie figure de' convocaci DjÌ nontifpaven-
tino , ti porrò in dofTo una lingua » uno
occhio» ed una fpoglia di Libiano ferpen-
te, con la delira parte del cuore d' un leo-
ne inveterato, e feccoall* onbra folamen-
te della piena luna. Appreflo a quefto co-
manderò ai pefci , alle ferpi , alle fiere »
ed agli uccelli ( dai quali quando mi piace
intendo e le proprietà delle cofe , e gli
occulti fecreri degli Dii ) che vengano tut-
ti a me di prefente, fenza fire dimora al-
.cuna . Per la quìi cofa , q.elli folamente
ritenendo meco che meftiero mi Tiranno , gli
altri rimanderò via nelle loro m.igioni ; ed
aperta la mia tafca , ne trarrò ve eni pocen-
tifiimi , coi quali a mia poft , d glio io tra-
sformarmi in lupo, e , lafciando i panni
appiccati ad alcuna quercia , m fcolarmi fra
gli altri nelle deferte Tel ve ; non già per
predare, come molti fanno, ma per inten-
dere i loro fecreti , e gl'inianni che fi ap-
parecchiano a' paftori di fare : i quali pptran-
E » no
loo ARCADIA
no ancora al tuo bifogno comodamente fef-
vire; e fé ufcireda amore totalmente vor-
rai, con acqua luftrale > e benedetta ti in-
naffierò tutto , ruffumicandoti con vergine
folfo , conilopo, e con la carta ruta; dap-
poi ti fpargerò fovraal capo della polvere
ove mula, o altro fterile animale involu-
tato fi fia,; e fciogliendoti un per uno tut-»
ti i nodi che indodo avrai , ti farò pren-
dere la cenere dal facro altare, ed a due ma-
ni per fovra'l capo gettarlati dopo lefpal-
le nel corrente fiume, fenza voltare più gli
occhi indietro : il quile fubitamente con le
fue acque ne porterà il tuo amore nell'al-
tomare, lafciandoloai delfini, edalle no-
tanti balene . Ma fé pii\ tofto la tua ne-»
mica ad amarti di coftringere tieni in defio >
farò venire, erbe da tutta Arcadia, e fu-
go di nero aconito, e lapicciola carne ra-
pita dal fronte del nafcente cavallo prin>a
che la madre di inghiottirla fi apparecchiaf-
f e . E fra quelle cofe ( ficcome io ti infe-
gnerò ) legherai una immagine di cera iti
tre nodi, con tre laccj di tre colori, e tre
volte con quella in mano attorniando lo al-
tare, altrettante le pungerai il cuore eoa
punta di omicida fpada, tacitamente dicen*»
do quelle parole :
Co/ei pungo , ed a Jl fingo
Che nel mio cor dipingo .
Appreffo avrai alcuna parte del lembo del-
la fua gonna, e piegandola appoco appoco >
e così piegata fotterrandola nella cavata
jerra , dirai :
Tutte m'te pene e doglie
^iibludo iti quefie [pò gli e .
Da
DEL SANAZZARO. loi
Da poi ardendo un ramo di verde lauro >
fotOgiungeral:
Così JiriJa nel foco
Chi '/ mio mal prence in gioco *
Indi prendendo io una bianca colomba^ e
tu tirandole una per una le penne, egit-
tandole nelle fiamme, feguiterai :
Di chi il mio bene ba in pojfa
Sptrgo le carni e P cjja .
Al fine, poi che 1* avrai tutta fpogliata ♦
lafciandola fola andare , farai così T ulti-
mo incanto :
Ri minti y iniqua e cruda ^
£)' cgni fperan^a ignuda .
Ed ogni fiita che le dette cofe farai , fpu-
terai tre volte; perocché dell' impari nu-
mero godono i magici Dii ; ne dubito pun-
to , che faranno di tanta efficacia quefte pa-
role, che fenza repugnanz.i alcuna fare, la
vedrai a te venire, non altrimenti che le
furiofe cavalle nelle ripe dello eftrerao Oc-
cidente fogliano i genitabiii fiati di Zefli-
roafpettare; equefto ti affermo per la Dei-
tà di quefia feha , e per la potenzia di quel-
lo Iddio il quale ora prcfente ftdudone 9
afcolta il mio ragionare : e cosi detto , po-
fe filenzio alle fue parole. Le quali quin-
to diletto porgeflero aci:ifcuno, non è da
dimandare : ma parendone finalmente ora
dì ritornare alle lafciate mandre (benché
il fole fjlTe ancora molto alto) dopo mol-
te grazie con parole reiidutegli , ne licen-
ziammo da lui , e per una via più breve
portine a fccndere il monte , andavamo con
non poca ammirazione commendando lo udi-
to pallore; tanto chequafi al piano difce-
C, edendo il caldo grande» e veggendone
E 3 un
lòi A R C A D I A
u^ bofchetto freico davanci , deliberammo
di volere udire alcuno della brigata canta-
re . Per la qual cofa Opico a Selvaggio il
cercone impofe , d.indogli per foggetto che
Jodaffe li nobile fecolo il quale di tanti e
tali pailori fi vedeva copioiamente dotato ;
coriciofolTecofache in noflra età ne era con-
cedo vedere , ed udire paftori Crtnt.ire fra
gli armenti, che dopo mille anni farebbono
cfefiati frale felve : e flando coftui già per
cominciare, rivoIfe( non fo come) gli oc-
chi in un picciolo colle, che da mandeltra
gli ftava , e vide 1* alto fepolcro ove le
reverende oda di Mailìlia li ripofano con
eterna quiete ; Madilia madre di Ergifto ,
la quale fu , mentre vilTe , da' paftori quafi
divina Sibilla riputata- Onde drizzatofi in
piedi difTe : Andiamocela» partorii che fé
dopo le efequie le felici anime curano delle
mondane cofe , la noftra Mailìlia ne avrà
grazia nel cielo del nodro cantarci la qua-
le sì dolcemente foleva un tempo tra noi
le contenzioni decidere > dando niodefta-
menteai vinti animo» e commendando con
maravigliofe ledei vincitori. A tutti par-
ve ragionevole quello che Selvaggio dilfe ;
e con efpediti palli , T un dopo 1' altro ,
molto con parole racconfolando il piangen-
te Ergafto , vi andammo . Ove giunti 9
avemmo tanto da contemplare > e da pa-
fcere gli occhi » quanto da' paftori in alcu-
na felva fiaveiTe giammai; ed udite come.
Era la bella piramide in picciolo piano fo-
vra una bada montagnetta polla fra due fon-
tane di acque chlaridlme e dolci , con la
punta elevata verfo il cielo , in forma di
un dritto e folto e i predo ; perle cui lato-
ra
DELSANAZZARO. 105
rn( le qinli quattro erano ). fi potevano ve-
.' molte iftorie di (ì^ure bellifiìme ; le
iella mede 11 ma, eATendo già viva» ave-
\fà in onore de'fuoi antichi avoli iatte di-
pingere; e quanti partorì nella fua profa-
3Ìa erano in alcun tempo flati famofi e chia-
ri per li bofchi , con tutto il nuraero de*
poHeduti armenti : e d* intorno a quella
porgevano con fuoi rami ombra alberi gio-
vaniiiìmi e frefchi > non ancora crefciuti
a pare altezza della bianca cima > peroc-
ché di poco tempo avanti vi erano dal pie-
tofo Ergarto itati piantati . Per compaiììo-
ne del quale -. molti paftori ancora aveva-
no il luogo circondato di alte fiepi » noni
di pruni , o di rubi , m» di ginepri j di
rofe» e di gelfomini , e formatovi con le
zappe un leggio paftorale ; e di padb in
palTo alquante torri di rofmarino , e di
mirti, incedute con mirabiliflimo artificio.
Incontro alle quali con gonfiate vele veni-
va una nave , fatta follmente di vimini «
e di fronde di viva ederi , sì naturalmen-
te, che avrefli detto: Qj^ejìa folca il tran"
quillo mare ; per le farte della quale ora
nel timone , ed ora nell' alta gabbia an-
davano cantanti uccelli , vagandofi in fi-
militudine di efpertie deflrifljmi navigan-
ti . Così ancora per mezzo degli alberi >
e delle fiepi li vedevano fiere bellillime ,
e fnelle, allegramente faltare e fcherzire
con varj giuochi , bagnandofi per le fred-
de acque; credo forfè per dare diletto alle
piacevoli Ninfe guardiane del luogo, edel-
ie fepolte ceneri. A quefte bellezze fé ne
^eva una noi meno da commendare;
ilfivoglia delle altre ; concioflìacofa-.
E 4 che
ICA ARCADIA
c^è tutta la terra fi potea vedere coverta
éi fiori , anzi di terrene /Ielle , e di tanti
colori dipinta > quanti nella pompofa coda
del fuperbo pavone, o nel celeftiale arco)
*juando a* mortali dinunzia pioggia 5 Tene
vedono variare . (Juivi gigU , quivi ligu-
ftri , quivi viole tinte di anr^orofa pallidez-
za , ed in gran copia i fonnacchiofi papa-
veri con le inchinate tefte > e le rubicon-
de fpighe dell* immortale amaranto, gra-
2Ìorinìme corone neii' orrido verno. Final-
rcenie quanti finciu'li ) e magnanimi Re
furono nel primo tempo pianti dagli anti-
chi padori , tutti fi vedevano quivi trasfor-
mati fiorire, ferrando ancora gli avuti no-
mi i Adone, Iacinto, Ajace,, e 'i giovane
Croco, con V amata donzella: e fra que-
fìi il vano Narcifo fi poteva ancora-com-
prendere che contemplale fopra quelle ac-
fjue la dannofa bellezza che di farlo par-
tire dai vivi gli fu cagione. Le quali co-
fe poi che di una in una avemmo fra noi
maravigliofamente commendate ; e letto
rella bella fepoltura il degno Epitafio > e
fovra quella offerte di molte corone , ne
ponemmo infieme con Ergafto in letti di
filti lentifchi djftefi a giacere ; ove mol-
ti olmi, molte querele , e molti allori (i-
bilando con le tremule frondi , ne fi mo-
veano per fovra al capo; ai quali aggiun-
gendofi ancora il mormorare delle roche
onde ( le quali fuggendo velocifllme per le
verdi erbe, andavano a cercare il piano)
rendevano infieme piacevoli (Ti m.o fuono ad
udire . E per gli ombrofi rami le argute
cicale cantando fi affaticavano fotto al gran
caldo; la mefta Filomena da lunge tra fol-
ti fpi-
DEL SANAZZARO. loj
ti fplneti lì lamentava ; cantavano le me-
role , le upupe , e Je calandre ; piangeva
la folltaria tortora per le alte ripe : le folli-
cite api con foave fufurro volavano intor-
no ai fonti: ogni cola redoliva della ferti-
le eftate : redolivano i pomi per terra fpar-
fi; de' quali tutto il fuolo dinanzi a* piedi»
e per ogni Idto ne vedevamo in abbondan-
za coverto : fovra ai quali i bafli alberi coi
gravofi rami (lavano si inchinati, chequafi
vinti dal maturo pefo, parea che fpezzare
il voleflero. Onde Selvaggio ( a cui fovra
la importa materia il cantare toccava) fa-
cendo con gli occhi fegnale aFronimoche
gli rilpondelTe , ruppe finalmente il filenzio
in quille voci .
EGLOGA DECIMA.
Selvaggio, e Fronimo.
Sel'Ì^JO/tfonyFronfmo mio^Jel tutto mutole j
JL^ Com''uom crede Je [elve\an\ì ridonano
Tal , che quafi aW antiche egual reputole .
Vx, Selvaggio , oggi i paftor più non ragionano
Dell alme Mufe^e pia non pregian naccari^^
Vtrchè per ben cantar non fi coronano .
E sì del fango ognun /' a[conJe i laccar i j
Che tal piò pute , eh"* ehuli , ed abrotano 3
r par chi odore pia (he ambrofia^e baccari ,
Ond^ io temo , gli Dì i non fi fife etano lO
Dal fonno^e con vendetta ai biconi inj^gnino^
Sic(omei falli de"* mtlvagj notano,
JE s"* una vJta avven che fi difdtgnino y
Nonfia mai poi balen y né tempo pluvio y
Che di tornar al ben pur non s^ingegnino. i y
$^\,Amico , io fui tra Baje , e ''l granVefuvio y
E 5 N*/
ic6 ARCADIA
Nel liitd pi^no ove cai mar congìunge^i
Il bri Stheto accolto in picei ol fiuvio.
Amor , cb^ mai dal co*- m io non dìfgiunge^ ,
Mi fé cercare un tern;,o ftrane pumora , 2o
Ove l alma yen^ando anco' compungefi ,
E /' io P^jfai per pruni , oriti be , e dumo* a ,
he g mbe U fanno \ e fé timor mi pufe^-o
Crudi orfi , dure genti , afpre cojiumo'a .
Al fin le dubb'- forti mi rìfpufero : 25
Cerca l'i ha Citrade ove i C Icidici
Sopr4 il vecchio fepo'crofi coi'u'ero»
jQueflo non intes'' lo » ma quei fa'idtci
Pajìor md fer poi ihìaro y • tHel mofìra'ond
Tal^ cPto gli vidi nel mìo ben verìdici . 3O
Indi incartt/:r li luna m* ìnf gnarono ,
E (ih che tn arte maga al tempo nobile-
Alplìbto ^ e Mtri fi vantarono.
JSJi na^ce erbetta ri filtejìra , ignobile ^
Che '/» ,iuelU dotti f?lv€ non Conofcafi , ^5
"E quile (Iella è f.ff't , e quaPè mobile .
.^uivi la fera , poi ibe "l c-el rìnfofcaft ,
Certa Parte Febea dn la Palladia ^
Che mn e h"* altri , ma fauno a udir rìm^
bop a fi ,
Ma a guifj d* un bel fol fra tutti radia 40
Caraciiol , che *n fonar jampcgne-^ 0 celere
Non tr^verebb^' il pari in tutta Arcadia^
Sojlui non imparò potare , 0 mietere ,
^ Ma Curar greggi dalla infetta fibbia ^
E paffìon fanar maligne ) e ve ter e . ^^
Jl qual un dì per iifcgar la rabbia^
Così prefe a cantar fotta un bdl f^'ajjino^
lo fife elle temendo ) egli una gabb 'a .
"Provveda il Cìel^ (he qui v?r noi non ^^■'3 (fino
Malvagie lingue , e le benigne fa^ora 50*
Fra quefii armanti refpirar mi lajfino
Itttte j vacfarelU , in quelle prativa j
DEL SANAZZARO. 107
Acci oc e bè quando i h efebi y e i monti ìm*
bruttano y
a 3 [cuna a cafr ne ritorne fatarci ,
Quinti greggi ed armenti oimì digiunano ^ 5 5
Per non trovar pajìura ,* e delle pompane
Si van fitédrendo che per terra adunano .'
L,affo , (h"* appena di milPuna campane ;
E cia\\un vive in tante e lire ma inopia ,
Cbe''l cor per doglia fofpirindo avvcipane.69
Ringra^ttf dunque il del qualunque ha copia
W* alcun fui bene in quefia vii miferia ;
Che ciafcun caccia dalla tnandra propia .
I bifolchi y e i p a fi or lafcian"^ Efperta y
Le felve afare ^ e le fontane amabili \ 65
C he ''l duro tempo glie ne dh materia^
Erran per alpe inco'te ^ inabitabili ,
Per non veder oppreffo il lor peculio '
Da ginti ftrane ^ inique y ineforabili ,
Le qua* per povertà d^ cgni altro edulio y 70
Ncn giA per aurea età ^ghiande pafc evano
Per le lor grotte dalPÀgoUo al Giulio,
yivon di preda qui , come foie v. ino
Far quei primi pafìor nei becchi Etrttrii :
Deh (h"* or mn mi fovvien qua/ nome
avevano I 75
So len che /' un da piò felici augurii
Fu vinto , e morto , or mi ricorda , Remo^
In fu /' edificar de* lor tuguri* ,
l,ajfo ^ che'*n un memento io fudo ye tremOy
E veramente tsmo d^ altro male \ 80
Che fi de"* aver del fah in queflo fiato ;
PerehèU commdailfatOy e la fortuna.
No» Vedete U luna inccHjf'ita?
La fera ftella armata d* Orione}
Mutata è laflagione , e V tempo è duro : 8 j
E gì A r* attujfa Arturo in me\\o laonde ,
E ^Ifùl^eh^a mi s^afcondcyba i raggj fpenti\
E 6 E va»
io8 A R C A D I A
E va» per /' aria i vinti wo^tntranJb \
J^i fo pur cerne ^ o quando tome efiate ,
E le nubi [peliate fan g'^an fuotti , 90
Tanti baleni e tuoni han /* aria involta ,
Qh"^ totemoun^ahra volta , // mondo pera •
0 dolce primavera ^ 0 fior novelli ,
O aure ) 0 arbofcelli , 0 frtfche erbette ,
O piagge benedette ^ 0 colli , 0 monti , 95
0 valli , 0 fiumi , 0 fonti , 0 verdi rive ,
"Palme , lauri , ed olive , edere , e mirti ;
O glori ofi flirti degli bofcli ,
O Ecco , 0 antri fofchi , 0 chiare Unfe ^
O faretrate Ninfe , 0 agrefli Pam , i OO
0 Satiri , e Silvani -^ 0 Fauni , e Driadi y
Jslajadi , ed Amadrìadi , 0 Semidee ,
0 rea di , e Kapee , or /;^rr fole .
Secche fon le viole in ogni piaggia :
Ogni fiera felvaggia , (7^«i uccelletto 105
Ci"^ vi f^ombrava il petto , or z»/ f />« fw^//^ .
J" V mifero Sileno vecch>arello
"Hon treva V afindlo ov* ei cavalca .
Dafni , M<?p/c> , tf Menale a , o'imè fon morti ,
Priapo è fuor degli orti fenia falce , HO
Ne gi'ieproj ne falce è che V ricopra .
Vertunn$ non /' adopra in trasformarfe .
Pomona ha rotte , ^ /p<«f/<r /s? /»? piante i
2iè vuol che le man fante petin legni .
J tu , Ptf/^ , // (degni per P oltraggio ,115
Che di Aprii , «^ di Maggio hai facrifìcio :
Ma i"' un commette il vi^io , e tu noi reggi >
Che coìpa n"* hanno * greggi de^ vicini}
Che fatto gli alti piai , e i dritti abeti
Si fiavan manfueti a prenda r fé fi a i2©
Per la verde forerà , a fuon d^ avena \
Quaido pe* nofira pena il cieco errore
intrh nel fiero core al neghittofo,
E gìÀ Pan furìofo c^n la fanna
SpeZ-
DELSANAZZAR.O, lo^
Spexi^ /' amata cann-j'^and'^or piangendo 115
Se fifjjo riprtndendo , Amor Iv finga ,
Chi della fua Siringa fi ricorda .
Le faette , la corda , /' arco , e '/ dardo ,
C/»' f^»»» animai fea lardo ^ ornai Diana
Di (pregia , tf la fontana ove il p'otervo i 30
Atteon divenne cervo \ e per campagne
Lajfa le f(4e compagne fen^a guida ;
Cotanto fi diffida om.ii del mondo ^
C he vede ognor al fondo gir le felle ,
Marfia fn^a pelle ha guafio il hùjfo ^ I^y
Per cui laca*ne^ e T ojfo o" porta ignuda.
Minerva il fero feudo i 'ata vibra ,
Apollo inTauro ^ 0 in Libra non alberga y
M<f con /* tifata verga al fiume Anfrifo
Si fla dolente ajffo in una pietra j 14O
E tien la fua faretra [otto ai piedi :
Ab* Giove , e tu tei vedi ? t non ha lira
Da p' anger ^ ma fofpira y e brama il giorno
Che V m)ndo intorno intorno (i disfaccia ,
E prenda un* altra faccia pia Itggiadra . 145
Bacco con la fua fquadra fen^a tir fi
Vede incontro venir fi il fiero Marte
Armato , è '« ogni parte farji ftradi
Con la cruenta fpada : ahi vita trifia l
Non è (hi gli refifia : ahi fato acerbo \ 130
Abi del crudo , efupe^bol ecco che ^Imare
Si comincia a turbare , e ^ntorno ai liti
Stan tutti sbigottiti i DH delP acquea
Perchè a Nettuno piacque efilio darli ^
E col tridente urtarli in fu la guancia , I55
La donna , 9 la bilancia è gita al cielo .
Gran cofe in picciol velo oggi riftringo :
lo neW* aria dipingo ^ e tal fi fende ,
Che fo'fe non intende il mio dir fofco\
Dcrmafi fuor del bofco : or quando mai 160
AV penfar tanti guai beftcmmit antiche ?
Gli
rro ARCADIA
GU uccelli j e le formiche fi ricolg9ns
De"* mfiri campi il dt fiato triticoj
Cefi gli Dii la lihétà ne tolgono .
Tal che affai meglio nel paefe Scitico 16$
Vivon color [otto Boote , ed Elice ;
Hencbè con cibi alpefiri ) e v'nforhitico .
Già mi rimembra , che da cima un"* elice
La finifi 'a cornice ^ oims , predi ffeU\
Che^l petto mi (i fé qujji una [elice . 1 70
JL^lffo i che la temen\a al mio cor fiffelo ^
Pensando al mal che avvenne , e none dubbi»
Che la Sibilla nelle foglie fcrijfelo .
Un^crfa , un tigre ban fatto il fie^ connubbio'.
Deb perchè non trocate^o V arche rigìde^x'j^
Mia tela breve ci dì fpi etato (ubbia ?
P a lì or , la noce , che con l* ombre frigide
Noce alle biade ^or ch'^è ben tempoy truncbef^
Pria i he per anni il [angue fi rinfrigide .
2ion a[pettate che la terra ingiunchefi 180
Di male piante , e non tardate a [veliere^
Fin che ogii ferro poi per for:^a aduncbefi^
Tagliata tojìo le radice alV tUert ;
Cbe[e cai tempo ^ ecolpoder s"* aggravano ,
Non l,][cit ranno i pini in alto eccellere, 1 85
Così cantava ^ e i bo[chi'^f intonavano
Con n t?^ quai non [0 i''un tempo in Menai o^
In Parnafo , 0 in Eurota j' a[ccltavano .
JE , [e ncn fo([e che ^Ifuo gregge ajfrenalo ,
E tienlo a fof^a neiP ingrata patria ^ 19O
Che a mofte defìar fpelfo rimenalo ^
Verrebbe a noi ^ lafciando r idolatria .^
E gli ombrati coturni al gaaiìo [/colo ,
Fuor già d^ ogni natia cariti) patria..
.Ed è [ol di virtà si chiaro fpecolo y 195
Che adorna il mondo col [uo dritto vivere'^
Degno affai pia ch'aio col mio dir non recohj,
.Mcata terra che V produjfe a fcrivere ,
E i
DEL S AN AZZARO. itr
f / ^of'( hi ai quai fi fP'JJ'- è dato intendere
Rime y a (hi ^l del non potè iljìn preferi,
vere \ 'ICO
Ma P empie (ielle ne vorrei riprender» ,
AV Ciro te gtA fé Ci'- pai-l'jr mio crucctoh'^
S) r iìtof^r dal liei la notle pendere ^
Che fperafiJo adir più , viili le lucciole «
ARGOMENTO-
Spende alcune por oh in hdnr M apolì ftia pa»
''fa -^ e p i , a rm^ta^i n di Virgilio nel
nto deli Eneida , fa ihe Er<!iufi.j propo-
ne premj a chi in on r dt MiiJUa ripor^
Sera vittoria de"* giuc. hi cb"* ejji fanno ^
PROSA UNDECIMA.
SE le lunghe rime di Fronimo , ediSel-
vng.'.io porfero univerlalnaente diletto a
ci.ilcuno della nortrj brigata , non è da di-
mandare . A me Veramente, oltra al pia-
cere gr.indiirimj , co.nmo'fero per for-
za le lacrima > vedendo sì bea ragionare
dell' ameniflìmo (ito òA mio paefe , Che
già mentre quelli ve» fi durarono , mi pa-
rca fermamente' effere nelbelloe lieto pia-
no che colui dicea ; e vedere il placidif-
fimo S-rbeto , anzi il mio Napolitano Te-
vere , in diverfi canali difcorrere per la
erbofa camiagnai e poi tutto inlieme rac-
colto pjflare foavemeate fotto le volte d*
un picciolo ponticello, e fenzi ftreplto al-
cuno congiungerG c> 1 mire. Né mi fu pic-
ciola cj^ionc di f cofi folpiri lo intender
nominare Baj'e , e Vefuvio ; ricordando^
jni de' dilecci preti in cotali luoghi ; coi
quali
ìli ARCADIA
quìli ancora mi tornaro alla memoria f f^oa-
viflìmi bagni, i maravigliofi e grandi edi-
ficj , i piacevoli laghi, ie dilettofc e bel-
le jtolette , i fulfurei monti, e conia ca-
vata grotta, la felice coiliera diPaufilipo,
abitata di ville ameniflime , e Coavemente
percofla dalle falate onde: ed apprelTo» a
quefto , il fruttifero monte fovrarofto alla
città, ed a ms non poco graziofo , per me-
moria degli cdoriferi rofeti della bella An«
tiniana, celebratiflima Ninfa del mio gran
Fontano. A quefta cogitazione ancora fi ag-
giunfe il ricordarmi delle magnificeozie
della mia nobile , e genercfiflima patria;
la quale di tefori abbondevole, e di ricco»
ed onorato popolo copiofa , oltra al gran-
de circuito delle belle mura, contiene in
fé il mirabiliflTimo porto , univerfale alber-
go di tutto il mondo ^ e con quefto le al-
te torri , i ricchi templi , i fuperbi pa-
lazzi ,i grandi, ed onorati feggj de' noftri
p.itrizj, e le ftrade piene di donne bellif-
fime , e di leggiadri , e riguardevoli gio-
vani. Che dirò io de' giuochi, delle felle»
del fovente armeggiare, di tante arti, di
tanti ftudj , di tanti laudevoli efercizj ^
che veramente non che una città, miqual-
fivoglia provincia , qualfivoglia opulentif-
fimo regno ne farebbe affai convenevol-
mente adornato; e fopra tutto mi piacque
udirla commendare de* ftudj della eloquen-
za j e della divina altezza della poefia ; e
tra le altre cofe , delle merite lode del
mio virruofiflìmo Caracciolo, non picciola
gloria delle volgari Mufe; la canzone del
quale e fé per lo coverto parlare fu poco
da noi intefa j non rimafe però che con
at-
DEL SAN AZZA RO. ny
attenzione grandilììma non folVe da ciafcu»
no afcoltata, altro che (e forfè da Ergaftd :
il quale mentre quel cantare durò, in una
fina , e lunga cogitazione vidi profonda-
mente occupato> con gli occhi fempre fer-
mati in quel fepolcro fenza moverli pun-
to , né battere palpebra mai , a modo di
pcrfona alienata : ed alle volte mandando
fuori alcune rare lacrime > e con le lab-
bra non fo che fra fé (leffo tacitamente fum-
morm arando . Ma finito il cantare > e da
diverfi in diverfi modi interpretato , per-
chè la notte fi appreilava , e le ftelle comin-
ciavano ad apparere nel cielo > Ergafto
quifi da lungo fonno fvegliato , fi drizzò
in piedi, e con pietofoafpetto ver noi vol-
gcndofi dilTe : Cari paftori ( ficcome io fti-
mo ) non fenza volontà degli Dii la for-
tuna a quefto tempo ne ha qui guidati ; con-
cioflìacofachè 'i giorno il quale per me fa-
rà fcmpre acerbo, e femprecon debite la-
crime onorato, è finalmente a noi con op-
portuno pafìTo venuto : e compiefi dimane
Io infelice anno che con vodro comune lut-
to , e dolore univerfale di tutte le circon-
danti felve , le oda della voftra Maflilia
furono confecrate alla terra . Per la qual
cofa sì torto come il fole , fornita queQa
notte , averà con la fua luce cacciate le
tenebre, e gli animali ufciranno a pafce-
j*c per le fclve, voi fimilmente convocan-
do gli altri paftori , verrete qui a celebrar
meco i c^ebiti offic) 5 ei folenni giuochi in
memoria di lei , fecondo Ja noftra ufanza •
Oveciafcuno della fua vittoria averà da me
quel dono che dalle mie fjcultà fi puote
efp:ttarc . E così detto > volendo Opico
eoa
114 ARCADIA
con lui rimanere j perchè vecchio era non,
gli fu permeffo : ma datigli alquanti gio-
vani in Tua conr^agnia , la maggior parte
^ì noi quella notte fi reftò con Ergafto a
vegghiare ; per la qual cofa efìTendo per tut-
to ofcuratOj accendtjmmo di mjlce fiacco-
le incorno alla fepoltura , e fovra la cima
di quella ne ponemmo una grandiifimn ; la
quale forfè da lunge a* riguardanti fi dimo-
fJrava quafi una chiara luna in mezzo di
molte ftelle . Così tutta quella notte tra-
fochi feoza dormire, con foivi, e lamen-
tevoli fuoni fi pa^ò : nella quale gli uccel-
li ancora quifi ftudiofi di fuperarne , fi
sforzavano per tutti^ ^li alberi di quel luo-
go a cantare ; e i filveftri animali depoiia
la folita paura ( come fé dimefticati fofTe-
ro) incorno alla tomba giacendo, par^ache
con piacere maravigiiofo ne afcoltafìTero .
E già in qu-fio Ja vermiglia Aurora a'zan-
dofi fovra la terra , fi^^nificava a* mortali
la venuta del fole i quando di lontano a
fuon di fampogna fentimmo la brigata ve-
nire, e dopo alquanto fpizio rifchiarandofi,
tuttavia il cielo , gli cominciammo a fco-
prire nel piano ; li quali tutti in fchiera
venendo vediti , e coverti di frondi , con
rami lunghifìimi in mano, parevaJio da lun-
gi a vedere non uomini che veniffero , mi
una verde felva , che -tutta infieme con gli
alberi fi movefl'e ver noi. Alla finegiunti
fovra al colle ove noi dimoravamo, Erga-
lo ponendofi in tefta una corona di bian-
cheggianti ulivi, adorò prima il forgente
Sole: dopo alla bella fepoltura voltatofi con
pietofa voce ( afcoltando ciafcuno ) cosi dif-
Je 1 Materne ceneri ^ e voi caftiUìnie , e
leve-
DEL SAN AZZ A R.O. 115
wverende ofìa , fé la inimica fortunali pò-'
teie mi ha toito di farvi qui un fepolcro
eguale a quelli m>nti, e circondarlo tutto
di ombrofc felve, con cento altari d' in-
torno > e fovra a quelli ci:jfcun mattino
cento vittime offrirvi ; non mi putra ella
togliere, che con (incera volontà , ed in-
violabile amore qu ili pochi fìcr ficj non
vi renda , e con la memoria > e con le opre «
quanto le forze fiftendono, non vi onori:
e cosi dicendo, fé le far.te (-blazioni , ba-
ciando religiofam-.nte la fepoltura . Intorno
alla quale i paftori ancora collocarcno i
grandi rami che in mano teneano : e chia-
mando tutti ad alca voce la divina anima ,
ferono rimilmenlei loro doni: chi unoagnel-
ilo , chi uno favo di mele > chi latte , chi
vino, e m.olti vi offerfero incenfo con mir-
ra , ed altre erbe odorifere. Allora Erga-
f^o , fornito que(ìo , propofe i premj a co-
loro che correre voleflero, e facendofi ve-
nire un bello, e grande ariete, le culla-
ne eran bianchillime , e lunghe tanto die
cju.ifi 1 piedi gli toccavano , difTe ; Queflo
farà di colui a cui nel correre la fua ve-
locita, e la fortuna concederanno il primo
onore. Al fecondo é apparecchiata una no-
va > e bella fifcina » convenevole Inftru-
mento al fordido Btcco . £ M terzo rimar-
rà contento di quello dardo di ginepro > il
quale ornato di sì bel ferro , potrà e per
dardo fervire , e per paftorale baftone - A
quelle parole fi ferono avanti Ofelia , e Ci-
rino giovani leggcrilTìml , ed ufati di giun-
gere i cervi per le felve : e dopo quello >
Logillo, eGalizioj e '1 figliuolo di Opico ,
chiamato Partenopeo) con EIpino> e Ser-
ra-
t(6 A R C A D r A^
T^no, ed altri lor compagni più giovani ,
e di minore e^Hma: e ciafcuno poftofi al do-
vuto ordine, non fu sì tofto datoilfegno,
che ad un tempo tutti cominciarono a fen-
dere i pali) per la verde campagna con tan-.
to impeto , che veramente faecte > o fol-
gori avrefti detto che ftati fodero : e te-
nendo fempre gli occhi fermi ove arrivare
intendeano , fi sforzava ciafcuno di avan-
zare i compagni . Ma Carino con miravi-
gliofa leggerezza era già avanti a tutti : ap-
prefl'o al quale ( ma di buona pezza ) fe-
guiva Logifto, e dopo Ofelia: alle cui fpal-
Je era si vicino Galizio» che quafi col fia-
to il collo gli riscaldava > e i piedi in
quelle medefime pedate poneva : e, fé pili
lungo fpazio a correre avuto avellerò , lo
fi arebbe fenza dubbio lafciatodopolefpal-
le : e già vincitore Carino poco avea a cor-
rere , che la difegnata meta toccata avreb-
be , quando ( non fo come ) gli venne fal-
lito un piede ; o fterpo , o pietrai o altro
che fé ne fofl'e cagione ; e fenza potere
punto aitarfij cadde fubitamente col petto,
e col volto interra: il quale, o per invi-
dia, non volendo che Logirto la palmi gua-
dagnafìe > o che da vero levar fi volefl'e :
non fo in che modo, nell* alzarfi gli op-
p:>fe davanti una gamba , e con la furia
msdefima che colui portava , il fé pari-
mente a fé v^icino cadere . Caduto Logi-
ùo , cominciò Ofelia con maggiore ftudio
a sforzare i paflì per lo libero campo ve-
dendofi già efiTere primo: a cui il gridare
de' paftorij e'] plaufo grandifìfìmo aggiun-
gevano animo alla vittoria ; tal che arri-
vando finalmente al desinato luogo, otten-
ne
DEL SANAZZARO. 1T7
ne ( ficcomc dcfiderava) h prima palmt;
e Galizio che più che gli altri apprelTo
gli era, ebbe il fecondo pregio; e '1 terzo
Partenopeo. Qui con gridi , e romori co-
minciò Logico a lamentarfi della frode di
Carino ) il quale opponendogli il piede 5
gli avea tolto il primo onore 5 e con in-
fanzia grandiflìma il dimandava. Ofelia iti
contrario diceva edere fuo , e con ambe
le mani fi renca per le corna il guadagna-
to ariete. Le volontà de' partorì in diver-
fe parti inclinavano : quando Partenopeo
figliuolo di Opico forridendo difTe: E fé a
Logido date il primo dono , a me che fo-
no ora il terzo, quale darete? a cui Erga-
lo con lieto volto rifpofe : Piaccvoliflìmi
giovani, i premj che già avuti avete, vo-
liri faranno ; a me fia licito aver pietà del-
r amico; e così dicendo , donò a Logifto
una bella pecora con duo agnelli. II che
vedendo Carino, ad Ergafto voltofi , difle :
Se tanta pietà hai degli amici caduti , chi
più dì me merita eifer premiato ? che fen-
za dubbio farei ftato il primo , fé la me-
defima forte che nocque a Logifto , non
foITe a me ftata contraria : e dicendo que-
lle parole, moftrava il petto ? la faccia, e
la bocca tutta piena di polvere ; per mo-
do che movendo rifo a' partorì, Ergaftofe
venire un bel cane bianco , e tenendolo
per le orecchie , dille: Prendi quefto cane f
il cui nome è Afttrhn , nato d* un mede-
fimo padre con quel mio antico Petulco,
il quale fovra tutti i cani fedeliflìmo , ed
amorevole j meritò per la fua immatura
morte crtere da me pianto, e femprecon
(bfpiro ardentiflìmo nomioato. Acquetati»
.1,8 ARCADIA
• era il remore, e '1 dire de' nadorl , quan-
do Ergafto cacciò fuori uà bel palo 'gran-
de, e lu g'S e ponderolo per molto ferro ,
e difì'e : Per du> anai -non -ìVa mrrt'erodi
andjre alla città né per Zipp-.*. né per oa-
Je , oè per vojn.ri co'ui che in trar que-
flo f:irà vincitore: che *1 medeilno p.^,'0 ^li
farà e fitica > e premio . A quelle par;)le
Monttiio ed Ele.'co i con Eu^-'enio , ed
Uii.iCcho fi levjroiìo in piedi: e pafTando
avanti, e puft fiad ordine * co ninciò Elen-
co ad dlzarr di terra il palo : e pui che
fra fé molto bene efaminaco ebbe il pefo di
quello > con tutte Tue forze fi mife a trar-
lo , né però molto d^ fé il potèo dilunga-
re. Il qual colpo fu fuhito fegnatodaUr-
facchio ; ma credendofi forfè , che in ciò
folo le tarze bacare gli dovedero , benché
molto vi fi sfoizafle, il traffe per forma»
che fé tutti nd re i paftori : e quafi da-
vanti ai piedi fel fé cadere. II terzo che
'J tirò fu Eugenio, il quale di buono fpa-
2Ìo pafsò i due precedenti : ma Montano,
a cui r ultimo tratto toccava , fattofi un
poco avanti, fi bafsò interrai e prima che
il palo prendefìTt; , due o tre volte dime*
nò la mano per quella polvere : dopo pre-
folo , ed aggiungendo alquanto di dertrez-*
za , alla forza 5 avanzò di tanto tutti gli
altri , quanto due volte quello era lungo :
a cui tutti i paftori applaufono , con am-
mirazione lodando il bel tratto che fatto
avea . Per la quìi cofa Montano prefofi il
palo fi ritornò a federe : ed Ergafto fé co-
minciare il terzo giuoco: il quale fu di tal
forte . Egli di fua mano con unde'noftri
baftoni fé in terra unafoiTa picciola tanto,
quaa-
DEL SANAZZARO. 119
quanto foLmierte con un pie vi fi potefTe
fermare un pallore , e P nitro tenere alza-
to , cr>me vedemo fpefle volte fare ni le grue .
Incontro al quale un per uno fimilmcnte
con un pie foio aveano da venire gli altri
p^fioti , e f-if prova di levarlo da qu Ila
folTa , e porvifi lui. Il perdere tanto dell'
una parte, quinto dell' altra era, toccare
con quel pie che forpefo tenevano, perqual-
fivoglia cTccidente, in terra. Ove fi vide-
ro di molti belli, e ridicoli tratti, ora ef-
fendone cacciato uno , ed ora un' altro •
Finalmente toccando ad Urfacchio di guar-
dare il luogo» e venendogli un P'i^o^^ "''ol-
to lungo davanti , fentendofi egli ancora
fcornato del ridere de' pafiori , e cercando
di emendare quel fallo eli nel trarre del
palo commefTo avei , cominciò a fervirfi
delle afluzie ; e baffando in un punto il
capo con gnndiflima preftezza , il pofe tra
le ct Tcie di colui che per attaccarfi con
luì gli fi era appreffato ; e fenza fargli pi-
gliar fi >to, fcl gettò con le gambe in aere
per dietro le fpalle, e sì lungo come era,
il diftcfe in quella polvere . La maravigliai
le rifa , e i gridi de' pafiori furono gran-
di . Di che Urfacchio prendendo animo
diffe: Non polT'ono tutti gli uomini tutte
le cofe fapere ; fé in una ho fallato, nell*
altra mi b.fta avere ricovrato lo onore : a
cui Frgafto ridendo, affermò che dicea be-
ne ; e cavandofi dal lato una falce delica-
ti (lima col manico di bodo , non ancora
adoprata in alcuno efcrcizio , glie la diede,
e fubito ordinò i premj a coloro che lot-
tare voIefTero ; offrendo di dare al vinci-
tore un bel vafo di legno di acero , ore
per
140 ARCADIA
per mano del Padoano Mantegna j artefi-
ce fovra tutti gli altri accorto 5 ed inge-
gnofifllmo , eran dipinte molte cofe •• ma
tra l'altre una Ninfa ignuda j con tutti i
membri bellidìmi, dai piedi in fuori, che
erano come quelli delle capre ; la qudle
fovra un gonfi.ito otre fedendo > lattava un
picciolo Satirello : e con tanta tenerezza
il mirava, che parea che di amore , e di
carità tutta fi (IruggefTe : e '1 fanciullo nell'
lina mammella poppava , nell' altra tenea
diftefa la tenera mano, e con l'occhio la
il guardava, qu»fi t-mendo, che tolta non
gli fode . Pv)Codifcofto da coftoro fi vedear
due fanciulli pur nudi , i quali avendoli
pofli due volti orrib li di mafcherc caccia-
vano per le bocche di quelli le picciule
mani , per porre fpavento a duo altri che
davanti lojo (lavano; de' quali l'uno fug-
gendo fi volgea indietro, e per paura gri-
dava ; l'altro caduco già in terra piange-
va 5 e non pofiendofi altrimenti aitare
ilcndeva la mano per graffiarlo . Ma d
fuori del vafo correva attorno attorno un^
vite carica di mature uve, e nell' un de
capì di quella un ferpe fi avvolgeva con
la coda : e con la bocca aperta venendo?
trovare il Jabbro del vafo, formava un bel
Jiffimo, e ftrano manico da tenerlo . In-
citò molto gli animi de' circondanti a do
vere lottare la bellezza diqueftovafo: m:
pure dettero a vedere quello che i mag-
giori, e piij reputati facelìero. Perla qua
jcofa Uranio, veg,J?endo che neduno ancon
{i movea , fi levò fubito in piedi ; e fpo- ;
^iiatofi il manto cominciò a mcllrarc le
late Tpalle . locs^ntroalqu^eaniniofameu-
DEL SANAZZARO. xix
te ufcì Selvaggio, paftore noti (Timo j e mol-
to ftimato fra lefelve. La efpettazionede'
circondanti era grande , vedendo duo tali
pallori ufcire nel campo. Finalmente T un
verfo 1' altro approflìmatofi , poi che per
buono fpazio riguardati fi ebbero dal capo
infmo ai piedi , in un impeto furiofamen-
te fi rìftrinfero con Je forti braccia ; e cia-
fcuno deliberato di non cedere, parevano
a vedere duo rabbiofi orfi , o duo forti to-
ri, che in quei piano combattefTero . E già
per ogni membro ad ambiduo correva il
fudore , e le vene delle braccia , e delle
gambe fi moftravano maggiori , e rubicon-
de per molto fangue ; tanto ciafcuno per
la vittoria fi affaticava . Ma non poffendo-
fi in ultimo né gittare, né dal luogo mo-
vere ; e dubitando Uranio che a coloro i
quali intorno davano , non rincrcfceffe lo
afpettarc, diflfe : Fortiffimo, ed animofif-
(ìmo Selvaggio, il tardare (come tu vedi )
è noj'fo : o tu alza me d/ terra , o io ai-
zero te ; e del redo lafciamo la cura agli
Dii ; e così dicendo il fofpefe da terra. Ma
Selvaggio non dimenticato delle fue adu-
zie 1 gli diede col tallone dietro alla giun-
tura delle ginocchia una gran botta i per
modo che facendogli per forza piegare le
gambe, il fé cadere fupino, ed eglifenza
potere aitarfi gli cadde di fopra • Allora
tutti i padon maravigliati gridarono Do-
po quedo, toccando la fua vicenda a Sel-
vaggio di dovere alzare Uranio , il prefe
con ambedue le braccia per mezzo ; ma per
Jo gran pcfo , e per la fatica avuta , non
pofTendolo fodenere , fu bifogno ( quan-
tunque molto vi d iforzade) che ambiguo
' Tm9 I, F co*
11% ARCADIA
cosi giunti cadcnero in quella polvere •
All'ultimo alzatifi con malo aoimo fì ap-
parecchiavano alla terza lotta . Ma Ergafto
non volle che le ire più avanti procedef-
fero > ed amichevolmente chiamatili dilTe
loro : Le voftre forze non fon ora da confu-
marfiquiper si picciolo guiderdone; egua-
le è di ambiduo la vittoria , ed eguali doni
prenderete} e cosi dicendo i all*unodiede
il bel vafo , all' altro una cetera nova »
parimente di fotto , e di fopra lavorata i
e di dolciilìmo fuono : la quale egli molto
cara tenea per mitigamento* e conforto del
fuo dolore. Avevano per avventura la pre-
cedente notte i compagni di Ergafto den-
tro la mandra prefo un lupo ; e per una
feda il tenean così vivo legato ad un di
quegli alberi: di quefto pensò Ergafto do-
ver far in quel giorno lo ultimo giuoco ;
ed a Clonico voltandoti, il quale per niu*
na cofa ancora levatoti era da federe , gli
ditie: £ tu lafcerai oggi cosi inonoratala
tua MafTilia» che in fua memoria non ab-
bi di tea moftrare prova alcuna? Prendi»
animofo giovane > la tua fionda 5 e fa co-
nofcere agli altri che tu ancora ami Erga-
(lo; e quello dicendo, a lui, ed agli altri
motirò il legato lupo , e difle : Chi per di-
fenderti dalle pioggie dei guazzofo verno
dcfidera un cuculio, o tabarro di pelle di
hipo , adeffo con la fua fionda in quelber-
faglio fsl può guadagnare . Allora Ciò-
nico 5 e Partenopeo , e Montano , poco
avanti vincitore nel palo » con Fronimo co-
minciarono a fcingerti le fionde r^ed a fcop-
piare forti Ili mamen te con quelle ; e poi
Ricuce fra loro le forti) ufel prima quella
di
DEL SANAZZARO. 125
lii Montano , i' altra cipprenTo fu di Fro-
nimo , la terza di Clonico , la quarta di
Partenopeo . Montano adunque lieto ponen-
ido una viva felce nella rete della Tua fion-
da t e con tutta fua forza rotandolafi in-
torno al capo -> la lafciò andare ; la quale
furiofamcnte ftridendo , pervenne a dirit-
tura ove mandata era ; e forfè a Montano
avrebbe fovra al palo portata la feconda
vittoria» fé nonché il lupo impaurito per
Io romore , tirandofi indietro fi m offe dal
luogo ove (lava 9 e la pietra pafsò via •
Appreffo a coftui tirò Fronimo ; e benché
indrizzaffe bene il colpo verfo la tefta del
lupo , non ebbe ventura in toccarla j ma
viciniffìmo andandole > diede in quell' al-
bero, e levogli un pezzo della fcorza ; e
*1 lupo tutto atterrito , fé movendofi gran-
diflfimo ftrepito. In quefto parve a Cloni-
co di dovere afpettare che 'l lupo fi fer-
maffe; e poi si torto come quieto il vide»
liberò la pietra; la quale drittiflìma verfo
quello andando > diede In la corda con che
all'albero legato ftava, e fu cagione che il
lupo facendo maggiore sforzo, quella rom-
peffc . E i paftori tutti gridarono , creden-
do che al lupo dato aveffe. Ma quello fen-
tendofi fcioito , fubito incominciò a fug-
gire; per la qual cofa Partenopeo , che te-
nca già la fionda in pofta per tirare 1 ve-
dendolo traverfare per falvarfi in un bo«
fco, che dalla man finiftra gli (lava , invo-
cò in fua aita i paftorali Dii : e fortiffima-
mente lafciando andare il faflo , volle la
fua torte > che al lupo, il quale con ogni
fua forza intendeva a cori^re , feri nella
(empia fotto la maoci orecchia > e fenza
F t far.
114 ARCADIA
farlo piifilo movere, il fefubito morto ca-
dere. Onde ciafcuno di maraviglia rimafe
attonito ; e ad una voce tutto lo fpetta-
colo chiamò vincitore Partenopeo ; e ad
Opico volgendofi ( che già per la nova al-
legrezza piangea ) fi congratulavano , fa-
cendo maravigliofa feda . Ed Ergafto al-
lora lieto , factofi incontro a Partenopeo >
lo abbracciò, e poi coronandolo d'una bel-
la ghirlanda di fronde di baccari , gli die-
de per pregio un bel cavriuolo , crefciuto
in mezzo delle pecore, ed ufato di fcher-
zare tra i cani , e di urtare coi montoni >
manfuetiflìmo j e caro a tutti i pallori .
Appreffo a Partenopeo, Clonico, che rot-
to avea il legame del lupo, ebbe il fecon-
do dono ; il quale fu una gabbia nova , e
bella fatta in forma di torre, con una pi-
ca^ loquaciiTima dentro , ammaeftrata di
chiamare per nome, e di falutare i pafto-
ri; per modo che chi veduta non la avef-
fe, udendola folamente parlare ) fi avreb-
be per fermo tenuto, che quella uomo fof-
fé • Il terzo premio fu dato a Proni mo ,
che con la pietra feri nelT albero prefìTo
alla teda del lupo ; il quale fu una tafca
da tenere il pane , lavorata di lana mol-
lififima, edi diverfì colori : dopo dei quali
toccava a Montano l' ultimo pregio , quan-
tunque al tirare ftatofofl'e il primo. A cui
Ergafto piacevolmente» e quafi mezzo for-
ridendo difle : Troppo farebbe oggi flata
grande la tua ventura > Montano , fé co-
si nella fionda foflì dato felice, come nel
palo forti : e così dicendo, fi levòdal col-
lo una bella fampogna di canna fatta fo*
l^mcpte di due voci ; ma di graodiffima
'• ar-
DEL SANAZ,ZARO. 125
armonia nel fonare , e glie la diede r il
quale lietamente prendendola 5 il ringraziò-
Ma torniti i doni , rimafe ad Ergafto un
delicati (Timo baftone di pero falvatico, tut-
to pieno di intagli , e di varj colori di
cera per mezzo : e nella Tua fommità in-
vertito d' un nero corno di bufalo sì lu-
cente» che veramente avrefti detto che di
vetro ftato fode . Or quefto badane Erga-
fto il donò ad Opico , dicendogli: E tu an-
cora ti ricorderai di Malfilia , e per fuo
amore prenderai quello dono: per lo quale
non ti farà mefticro lottare , né correre »
Jiè fare altra prova : affai per te ha oggi
fatto il tuo Partenopeo, il quale nel cor-
rere fu de* primi, e nel trirre della fion-
da, fenza controverfia è ftato il primo: a
cui Opico allegro rendendo le debite gra*
zie , così rifpofc : I privilegi della vec-
chiezza j figliuol mio , fon sì grandi , che
o vogliamo , o non vogliamo , fiamo co-
ftretti di obbedirli . O quanto ben fra gli
altri mi avreffi in quefto giorno veduta
adoperare) fé io foftì di quella età» e for-
za » che io era quando nel fepolcro di quel
gran paftore Panormita furono pofti i pre-
mj { ficcome tu oggi faceOi ) ove neffuno ,
né paefano, né foreftiero* fi poffette a me
agguagliare. Ivi vinfi Crifaldo figliuolo di
Tirreno nelle lotte: e nel faltare paflai di
gran lunga il famofo Silvio : così ancora nel
correre mi lalciai dietro Idalogo, ed Ame-
rò , i quali eran fratelli , e di velocita e
fcicltezza di piedi avanzavano tutti gli al-
tri padori : folamente nel faettare fui fupe-
rato da un paftore che avea nome Tirli :
e quefto fu per cagione che colui avendo
F 3 uno
116 ARCADIA
«no arco fortiflGmo con le punte guarnite
di corno di capra y potea con piò ficurtà
tirarlo, che non faceva io, il quale di fé m-
plice tafTo avendolo y dubitava di fpez-
zarlo: e così mi vinfe . Allora era io fra*
padori, allora era fra* giovani conofciuto;
ora fovra di me il tempo ufa le fue ragio-
ni : voi dunque » a cui la età il permet-
te, vi efercitate nelle prove giovanili : a
me e gli anni, e la natura impongono al-
tre leggi . Ma tu ( acciocché quefta fefta
da ogni parte compita fia ) prendi la fo-
nora fampogna^ fìgìiuol mio , e fa checo-
iei che fi allegrò d* averti dato al mon»
do , fi rallegri oggi di udirti cantare : e
dal cielo con lieta fronte miri ed afcol-
ti il fuo facerdote celebrare per le felve
Ja fua memoria . Parve ad Ergafto sì giu-
fto quello che Opico dicca 9 che fenza far-
gli altra rifpofta , prefe di man di Monta*
no la fampogna che poco avanti donata
gli avea r e quella per buono fpazio con
pietofo modo fonata , vedendo , ciafcuno
con attenzione, e filenzio afpettare , non
fenza alcun fofpiro mandò fuora quefte
parole .
EGLOGA UNDECIMA.
Ergafto folo.
Poi cbt ^l foave JilU ^ t ^ì dolce canta
Sperar non lìce pia ptr quejìo bofco ,
Ricominciate , 0 Mufe , il vcfiro pianto .
Piangi j colle [aerato , opaco y e fofco ;
E voi y cave fpelunche , egrette ofcure y 5
Ululando venite a pianger nofco .
Pian^
DEL SANAZ2AR0. 117
Tiattgeti , faggj , e quercie /tlptfire , e dure;
E piangendo narrate n q"efi$ fjjfi
Le rofli't laitimo[* afi-re venture.
Lacrimate voi ^ fi'mi^ tgnudi e Cajji io
D' $gm doì ciytx e voi , fontane , e rivi y
Fermatf il corfo ^ e ritenete i pajji ^
E tu y (he f'a le Ohe cr rutta vìvi ,
Ecco m-fla^ pijpìfidi aile paiole ^
E quant"" io parlo ^ perii trcn hi ferivi % 15
"Piangete , valli abbandonate e fole ,*
E tu , terra , dipingi nel tuo manto
I gigli cfmi^ e nere le vi file.
La dotta Egeria , e la Tebana Manto
Con fubito furor Morte «' ha tolta . 29
Ricowinciate y Mufe ^ il vojfro pianto.
E fé tu , riva , udifli aleuna volta
Urbani affetti , or prego , cb^ accompagni
La dolente fampogna a pianger volta,
O erbe , ofior , eh"* un tempo eccelfi e magni ^5
Re fofte al mondo , ed or per afpra forte
Giacete per li fiumi , e per li fiagni ,
Venite tutti meco a pregar Morte ,
Che y Je ejfer pul , firn [e a le mie doglie 9
E le rincrefca il mio gridar lì forte , JO
Piangi j J acinto, le tue belle fpoglie ^
E raddoppiando le querele antiche 9
Deferivi ì miei dolori in le tue foglie •
E voi y liti bfatt , e piagge apriche^
Ricordate a Narcijfo il fuo dolore ; 35
Se giammai fofie di miei preghi amiche .
"Ntn verdeggi per campi erba , «^ fiore :
N^ fi (cerna pia in rofa , 0 in amaranto
Quel bel vivo leggiadro almo colore .
Lajfó , chi puh fperar pia gloria ó vanto ? 49
Morta i la fé ^ morto i "^l giudi ciò fido .
Ricominciate y Mafe ^ il voftro pianto,
E mentre fefpirando indarno io grido >
F 4 yo'i
ii8 ARCADIA
yof y uccelletti innamorati y e gai y
XJfcite y prego ^ daW^ amato nido . 45
0 Filomena , che gli antichi guai
Rinnovi ogni anno , e con foavi accenti
Da [e he , e da fpeluncbe udir ti fai j
"E fé tr4 , Pregne, è ver ^ e b^ or ti lamenti ^
2^t c$nla forma ti fur tolti i [enfi ^ 50
Ma del tuo fallo ancor ti lagni e penti *
La f tate , prego, i voftri gridi intenfi y
lE fin ch^ io nel mio dir diventi roco^
Nejfuna del fuo mal ragioni , 0 penfi .
Ahi y ai/i y feccanle [pine y e poi eh un poca 55
Scn fiate a ricovrar P antica for-^a ,
CiafcuHt torna y e nafce al proprio loco:
Ma n»i poi (ha una volta ilCiel ne ffiof^ay
Vento y ne fol y «# P*<>gg*^ ) ^ prim^vfa
Balìa a tornarne in la terrena fcer^a . 60
E '/ fol fuggendo ancor da mane a [era ,
N^ mena i giorni 5 ^ '/ viver nofl'o infiemi *
"Ed ei rit{,rna pur come prìm^ era ,
Felice Orfeo y cP innanzi P ore efinme y
Ver ricevraf cdei che pianfe tanto , 65
Sicuro andò dove pia andar fi teme .
Vinfe Megera , vinfe Radamanto :
A pietà mojfe il Re del crudo regno •
Ricominciate , Mufe , iJ vofiro pianto .
Or perchè , laffo , al [mn del curvo legno 70
Temprar non lice a me fi m fie note ;
C^* impetri grafia del mio caro pegno?
E fé le rime mie non fon fi note ,
Cerne quelle d' Orfeo , pur la pietà de
Dovrebbe farle in del dclci y e devele ' 75
Ma fé fcbernendo nofira uwanitade y
S e hi f affé ella il venir 'y farei ben lieto
Di trovar all'* ufcir chiufe le fìrade .
O defir vano , 0 mio flato inquieto l
lE [0 pur y che con erba y ocon incanto So
Mutar
DEL SANAZZARO. 125
Mutar non pojjo /' immo^fnl decreti ,
'Btn pub quel nitido t.f io d" eltfanto
Riandarmi in fogno il volto ^ g la favella .
Rtiominciate y Mufe y il vofiro pianto ,
Ma ri fiorar non pi-b , ni darmi quella Z^
Chi cieco mi /afe io fé n^a il ft40 lume ^
Kè torre al del sì pellegrina Jìella .
Ma tu , ten nato avventurofo Fiume ,
Convoca le tue Ninft al facro fondo ,
£ rinnova lituo antico almo cojìume ^ 90
Tu la bella Sirena in lutto il mondo
Facefti nota con sì altera tomba :
Quel fu yp'imo dolor , que/i'' è V fecondo .
Ta che (o(ìei ritrove un"* altra tromba ^
Che di lei eante ; acciocché / cda femprt 95
// nome che da fé Jltjfo rimbomba .
E y ff pe^ P'<^^^'<* *"''* non fi difiempre
Il tuo bel corf'o , aita in qual he partt
Il rollo Jìil ; ficchi pietade il tempre .
2i*n che fìa degno da notar fi in carte ; lOO
Ma che fol refii qui tra quefti faggi y
Cesi colmo d* amor y privo d* ogn* arte.
Acciocché in quefti tronchi afpri g fehaggj
Legga» gli altri paftor che qui verranno ,
1 bei coftumi ^ egli atti onefti e jaggj . 105
E poi ere fendo ognor pia d"* anno in anno y
Memcria fa di lei fra felve , e monti
Mentre erbe in terra ^ e (ielle in e' el faranno ,
Titre , uccelli , fpelunche , alberi , e fonti ,
Vomì ni j e Dei quel nome eccelfoe fanto x lO
Efalteran con vtrfi alteri e conti .
E perchi al fine aliar convìemmi alquanto ^
Lanciando ti paftcral ruv'do ftile ;
Ricominciate , Mufe , il vofiro pianto .
ì^on fa per me piitfuono ofcuro , e vile , 115
Ma chia'o^ e bello ^ eh* dal del P intenda
Duoli* altera ben nata alma gentile .
F 5 Ella
150 ^ ARCADIA
Ella coi faggj fuoi fin qui fi ftendn \
"Ella aita mi porga , e mer,tre io pa^lo ,
Spejfo a vedermi per pitta difcetida , no
JB Je U fuo flato è tal , che a dimoftrarlo
ha lingua manche^ a fé ftejfa mi p»/V,*
E m^infrgne la vìa d^ in cane ornarlo,
iM<ar tempo ancùf verr^ ^ che V alme Muft
Saranno in pregiale quefle nebbie^ed ombre n j
Dagli occhi de'* mo>'t,n fien tutte efclufe ,
Allor pur converrà , ch^ ognuno jgombre
Da fé quefli pfnfier terreni , e lofchi ,
E di fald* fpfran^e il cor /' ingombre ,
Ove foj (he parranno incolti e f afe hi i^O
I verfi mìei \ ma fpero che lodati
Saran pur da'* paftori in quefit bofchi •
J£ molti che oggi qui non fon pregiati
Vedranno allor di fior vermìgli , e gialli
Defcritti i nomi l or per mezio i prati » i^$
E le fontane , e i fiumi per lì valli
Mormorando dir^^n qvel tP ora io canto y
Con "flucent* , e liquidi criftalli .
E gli alberi eh"* or qui confacro , e pianto ,
Rijf: nde'anno al vento fibilando . 14Q
Venete fine ^ 0 Mufe <, al voftro pianto»
Fortunati i p/^fior che defiando
Di venir in tal grado ^ han pofte /' ale\
Benché noflro non fia fapere il quando ,
jhda tu pia cb^ altra ^ bella ^ ed immortale 145
A n'orna , ch^ dal del forfè m* afe otti ,
E mi dimofl*'i al tuo bel coro eguale \
Impetra a quefli lawi ombrofi e folti
Grafia ^ che con lor fempre -ve ^ di fronde
Pojfan qui ricoprirne ambo fepolti . 150
Ed a! foave faon di lucide onde
II cantar degli uccelli ancor fi agoiunga ;
Acciocché il luogo d^ ogni grafìa abbonde .
Cve ) fé V viver mio pur fi prolunga
Tan^
I
DEL SANAZZARO. tJi
Tanto ibe^ coni io bramo , o^nar ti pojfa , j 5^
E da tal vogliati del non Mt di [giunga \
Spiro , che Sovra te non avrà pojfa
Quel duro ttgrno ineccitabil fonno
D'* averti (b ufa in tosi poca fojfa :
Se tanto i verfi miei premetter ponno . i€o
ARGOMENTO.
Con un fógno par ihe accenni le (uè paffioni
a meo fé , e V dolor che prendeva del fuo e fi»
Ho . intanto gli pare , da una Hinfa effer
condotto fotta terra '^ dove finge d* aver ve»
duto alcuni fiumi de"* più famofi , ed alcU"
ne maratiglìe cbe fon nel Regno di Napo^
li : dalle quali pfende occafione d^ ejfer ri»
condotto col favor div-no da* pa fi d"* Ar»
cadta alla diletta patria , e di dar fine a
qu'f^ opera .
PROSA DUODECIMA.
LA nova armonìa, i foavi accenti , le
pietofe parole, ed in ultimo la bella
ed aniroofa promefla di Ergafto , teneva-
no già ( tacendo lui ) ammirati e fofpefi
gli animi degli afcoltanti ; qu-^ndo tra le
fommita de* monti il fole b<lTando i ru-
bicondi raggi verfo l'Occidente, nefeco-
nofcere, l'ora t^tr tarda, e da dovere av-
vicinarne verfo le lafciate mandre • Per
la quii cofa Opico» noftro capo , inpièle-
vatofi , e verfo Ersafto con piacevole vol-
to giratofi , gli difTe : AfTai per oggi ono-
rata hai la tua Maflilia: in^egneraiti per
lo avvenire, quel che nel fine del tuo can-
tare con affettuofa volontà le prometti 9
F 6 con
t?* ARCADIA
con ferma e ftudiofa perlevcranza aderti-
pirle . E cosi detto , baciando la fepoltu-
ra» ed invitando noia fare il fimile , fi po-
fe in via ; appreflb al quale 1* un dopo l'
altro prendendo congedo j li indrizzò cia-
fcuno verfo la fua capanna ; beata ripu-
tando MafTilia fovra ogni altra , per ave-
re di fé alle {cìve laìciato un si bel pe-
gno. Ma venuta la ofcura notte pìetofa del-
le mondane fatiche a dar ripofo agli ani-
mali i le quiete felve tacevano ; non fi fen-
tivano più voci di cani, nédi fiere, nèdi
uccelli ; le foglie fovra gli alberi non fi
moveano 5 non fpirava vento alcuno; fola-
mente nel cielo in quel filenzio fi potea ve-
dere alcuna fte/la o fcintillare, o cadere ;
quando io ( non fo fé per le cofe vedute il
giorno j o che che fé ne foflTe cagione )
dopo molti penfieri fovraprefo da grave fon-
ilo varie paifioni , e dolori Tenti va nelT
animo; perocché mi pareva, fcacciatoda'
bofchi e da' pifiori , trovarmi in una foli-
tudine da me mai più. non veduta, tra de-
ferte fepolture, fenza vedere uomo che io
conofcefiì; onde io volendo per paura gri-
dare > la voce mi veniva meno , né per
molto che io mi sforzafìTi di fuggire, pof-
fea eftendere i paiTi ; ma debole , e vinto
mi rimaneva in mezzo di quelle . Poi pare-
va che ftando ad afcoltare una Sirena, la
quale fovra uio fcogl-o amaramente pian-
gevi, una onda grande del mare mi attuf-
faflTe 5 e mi porgeflTe tinta fatica nel refpi-
rare , ch^ di poco mancava ch'io non mo-
riflfì . Ultimamente un'albero belliifimodi
arancio, e da me molto coltivato, mi pa-
rea trovare tronco dalle radici con le fron-
di,
DEL SANAZZARO. 1^3
di $ e i tìori , e i frutti Tparfi per terra : e
dimandando io > chi ciò fatto avelfe ; da
alcune Ninfe che quivi piangevano mi era
rifpofto : le inique Parche eoa Je violen-
te fcure averlo tagliato . Della qual cofa
dolendomi io forte > e dicendo fovra lo ama-
to troncone : Ovf Junque mi ripcferl io ?
fotty qual ombra ornai canterò i miei verjif.
mi era dall' un de' canti moftrato un ne-
ro e funebre ciprelTo , fenza altra rifpofta
avere alle mie parole. In quefto tanta no-
ja ed angofcia mi foprabbondava , che non
polTendo il fonno foffrirla^ fu forza che (i
rompere. Onde, come che mo'to mi pia-
celfe non eiTer coiì la cofa come fognato
avea, pur nondimeno la paura, e'I fofpet-
to del veduto fogno mi riraafe nel cuore
per forma che tutto bagnato di lacrime »
non poflTendo più dormire , fui coftretto
per minor mia pena a levarmi , e , ben-
ché ancora notte fode , ufcire per le fo-
fche campagne . Cosi di paflb in paflb , non
fapendo io fteflo ove andare mi dovefli ,
guidandomi la fortuna, pervenni finalmen-
te alla falda di un monte , onde un gran
fiume fi movea con un ruggito e mormorio
mirabile , maifimamente in quella ora che
altro romore non fi fcntiva ; e ftando qui
per buono fpazio, l' Aurora già incomin-
ciava a rolTeggiare nel cielo, rifvegliando
univerfalmente i mortali alle opre loro : la
quale per m^ umilmente adorata, e prega-
ta , volelTe profperare i miei fogni , par-
ve che poco afcoltaife , e mcn curaiTe le
parole mie ; ma dal vicino fiume , fenza
avvedermi io come, in un punto mi fi of-
fcrfe avanti una giovane donzella neli'afpet-
to
ì?4. ARCADIA
to belliffima, e nei gefti e nell'andare ve-
ramente divina; la cui vefte eradi un drap-
po fottiliffìmoj e si rilucente che (fé ncn
che morbido il vedea ) avrei per certo det-
to che di criftallo fofìTe; con una nova rav-
volgitura di capelli, fovra i quali una ver-
de ghirlanda portava» ed in mano un vafel
di marmo bianchifìfimo . Cortei venendo ver
me, e dicendomi : Seguitai p^ffi miei , (h"*
io fon "Ninfa di qui' fio luogo ; tanto di ve-
nerazione j e di paura mi porfe infieme ,
che attonito fenza rifponderle , e non fa-
pendo io (ìeiTo difcernere s' io pur veg-
ghiaffi , o veramente ancora dormirti , mi
pofi a feguitarla; e giunto con lei fopraal
fiume , vidi fubitamente le acque dall' un
Iato e dall* altro riftringerfi e darle luogo
per mezzo ; cofa veramente ftrana a vede-
re, orrenda a penfare , moftrofa , e forfè
incredibile ad udire . Dubitava io andarle
apprerto, e già mi era per paura fermato
in lu la riva : ma ella piacevolmente dan-
domi animo mi prefe per mano, e con forn-
irla amorevolezza guidandomi, mi conduf-
fe dentro al fiume : ove fenza bignarmi
piede leguendola, mi vedeva tutto circon-
dato dalle acque, non altrimenti che fé an-
dando per una ftretta valle , mi vedclfi fo-
praftare due erti argini, o due barte mon-
tagnette. Venimmo finalmente in la grot-
ta onde quella acqua tutta ufciva : e da
quella poi in un* altra, le cui volte ( fic-
come mi parve di comprendere) eran tut-
te fatte di fcabrofe pomici i tra le quali in
tnoh'i luoghi fi vedevano pendere ftille di
congelato criftallo , e d* intorno alle mu-
ra per ornamento porte alcune marine con-
chi-
DEL S AN AZZARO. i^s .
chìglie; c'iTuolo per terra tutto covertoci
i minuta e rpefìTi verdura , con bellif-
V- feggj da ogni parte , e colonne di
tr jnslucido vetro che (oftenevano il non
alco tetto; e quivi dentro fovra verdi tap-
peti trovammo alcune Ninfe forelle di lei ,
che con bianchi , e fottilifìTimi cribri cer-
nivano oro, feparandolo dalie minute are-
ne : altre filando il riducevano in mollif-
fimo (lame i e quello con fete di diverfi co-
Jori intefTevano in una tela di maraviglio-
fo artificio : ma a me » per lo argomento
che in fé conteneva, augurio infeliciffimo
di future lacrime . Concioflìacofachè nel
miointrare, trovai per forte che tra li mol-
ti ricami i tenevano allora in mano i mi-
lerabili cafi della deplorata Euridice; fic-
come nel bianco piede punta dal velenofo
afride fu corretta di efalare la bella anima }
e come pi per ricovrarla difcefe alTInfer-
no , e ricovrata la perde la feconda volta
Io imemorato marito . Ahi laffo » e quali
percoli e , vedendo io qucfto , mi fentì nell*
animo , ricordandomi de' pafTiti fo^^ni ; e
non fo qual cofa il cuore mi prcfigiva , che ,
benché io non volei^i > mi trovava gli oc-
chi bagnati di lacrime: e quanto vedeva,
interpietava in finiftro fenfo . Ma la Nin-
fa che mi guidava « forfè pietofa di me y
togliendomi quindi, mi fé paHare più ol-
tre in un luogo più ampio, e più fpaziofo,
ove molti laghi fi vedevano, molte (catu-
rigini, molte fpeluncheche rifondevano ac-
que : dalle quali i fiumi che fovra la ter-
ra corrono, prendono le loro origini . O
mirabile artificio del grande Iddio! la ter-
ra, che io penfava che fofife foda, richiu-
de
136 ARCADIA
Je nel fuo ventre tane concavità! Allora
incominciai io a non maravigliarmi de* fiu-
mi, come avederotmt.i abbondanza, e co-
me con indeficiente liquore feibaOTeroetei-
ni i cord loro . Cosi pacando avanti tut-
to ftupefatto e ftordìto dal gran romore
delle acque andava mirandomi intorno, e
non fenza qualche paura i confiderando la
qualità del luogo ove io mi trovava . Di
che la mia Ninfa accorgendofi , Lafcia > mi
difTe , cotefti penfieri , ed ogni timore da
te difcaccia» che non fenza volontà del Cie-
lo fai oraquefto cammino. I fiumi chetan-
te fiate uditi hai nominare» voglio che ora
veda da che principio nafcano . Quello che
corre sì lontano dì qui è jì freddo Tanai :
quell'altro è il gran Danubbio : queftoèil
famofo Meandro : quello altro è il vec-
chio Peneo : vedi Caidro : vedi Acheloo : ve-
di il beato Eurota , a cui tante volte fu lecito
afcoltare il cantante Apollo. E perchè fo
che tu defidcri vedere i tuoi , i quali per av-
ventura ti fon più vicini che tu non avviil ,
fappi che quello a cui tutti gli altri fanno
canto onore, è il trionfale Tevere, il quale
non come gli altri è coronato di falci, odi
canne, ma diverdifiìmi lauri, per le con-
tinue vittorie de' fuoi figliuoli : gli altri
duo che più propinqui gli ftanno , fono
Liri, e VuKurno , i quali per li fertili re-
gni de' tuoi antichi avoli felicemente di-
fcorrono . Quelle parole nell' animo mio
dcftaro un sì fatto defiderio , che non pof-
fendopiù tenere il filenzio , così dilli*. O
fidata mia fcorta 5 o bellillìma Ninfa > (o
fra tanti e sì gran fiumi il mìo picciolo
Sebeto può avere nome alcuno 9 io ti pre-
go
DEL SANAZZARO. 1^7
go che tu mei moftri . Ben lo vedrai tUj
dide ella > quando gli farai più vicino ,
che adeHo per la fua bafiezza non potre-
fti; e volendo non (o che altra cofa dire,
fi tacque V Per tutto ciò i pafli noftri noa
fi allentarono > ma continuando il cammi-
no , andavamo per quel gran vacuo : il
quale alcuna volta fi riftringea in anguftif-
fime vie: alcuna altra fi dilfondea in aper-
te e larghe pianure ; e dove monti j e do-
ve valli trovavamo , non altrimenti che
qui fovra la terra edere vedemo . Mara-
vigliereftiti tu j dide la Ninfa , fé io ti di-
ce di , che fovra la teda tua ora da il ma-
re ? e che per qui lo innamorato Alfeo ,
fenza mefcolarfi con quello , per occulta
via ne va a trovare i (oavi ^abbracciamenti
della Siciliana Aretufa ? Cosi dicendo co-
minciammo da lunge a fcoprire un grari
foco , ed a fentire un puzzo di folfo . Di
che vedendo ella che io dava maravigliato,
mi dide : Le pene de'fulminati Giganti , che
vollero adalire il cielo , fon di quefto ca-
gione, i quali oppredi da gravidìme mon-
tagne fpirano ancora il celede foco con
che furono confumati : onde avviene, che
ficcome in altre parti le caverne abbonda-
no di liquide acque, inquede ardono fem-
pre di vive fiamme : e fé non che io te-
mo che forfè troppo fpavento prenderedi ,
io ti farei vedere il fuperbo Encelado 9
didefo fotto la gran Trinacria » eruttar fo-
co per le rotture di Mongibello ; e fimil-
mente l* ardente fucina di Vulcano , ove
Ji ignudi Ciclopi fovra le fonanti ancudi-'
ni battono i tuoni a Giove , ed appredb
poi lotto la famofa Enaria , la quale voi
raor-
n8 ARCADIA
mortali chiamate Ifcbia ^ ti migrerei il iu-
riofo T;reo , dal quale le eftuanti acque
di Baja > e i voftri monti del folfo pren-
dono il !or calore : cosi ancora fotto il
gran Vefevo ti farei fentire li fpavente-
voli muggiti del Gigante Alcioneo , ben-
ché quelli > credo , li fentirai quando ne
avvicineremo al tuo Sebeto . Tempo ben
fu che con lor danno tutti i finitimi lifen-
tirono , quando con tempeftofe fiamme ,
e con cenere coperfe i circondanti paefi )
ficcome ancora i ìaWì liquefatti ed arfi te-
ftificano chiaramente a chi li vede ; fotto
ai quali chi farà mai che creda che e po-
poli, e ville, e città nobiliffime fiano fe-
polte ? come veramente vi fono » non fo-
lo quelle che dalle arfe pomici > e dalla
ruina del monte furon coperte, ma quefta
che d' innanzi ne vedemo, la quale fenza
alcun dubbio celebre città un tempo nei tuoi
paefi chiamata Pompei , ed irrigata dalle on-
de del freddiflìmo Sarno » fu perfubito ter-
remoto inghiottita dalla terra 5 mancan-
dole, credo, fotto ai piedi il firmamento
ove fondata era . Strana per certo ed or-
renda maniera di morte, le genti vive ve-
derfi in un punto torre dal numero de* vi-
vi ! fé non che finalmente fempre fi arriva
ad un termino, ne piià in là che alla mor-
te 0 puote andare. E già in quefte parole
eramo ben preff'o alla città eh' elladicea,
della quale e le torri, e le cafe , e i tea-
tri , e 1 templi fi poteano quafi integri di-
fcernere. Maravigliaimi io del noftro ve-
loce andare, che in si breve fpazio di tem-
po poteflimo da Arcadia infino qui efiTere
arrivati : ma fi potea chiaramente conofcc-
re
DEL SANAZZARO. 13^
re che da potenzia maggiore che umana
eravamo fofpinti > così appoco appoco co-
minciammo a vedere le picciole onde di
Sebeto : di che vedendo la N:nra che io
mi allegrava > mando fuore un gran foipi-
ro» e tutta pietofa ver me volgendofi , mi
dide r Of»af per te puoi andare \ e Così detto,
dilparve, né più fi motìrò agli occhi miei .
Rimafi io in quella folitudine tutto paurofo e
trillo ) e vedendomi fenza la mia fcorta »
appena arei avuto animo di movere un paffo ,
fé non che dinanzi agli occhi mi vedea io
amato fiumicello. Al quale dopo breve fpa-
2Ìo appreflTatomi , andava defiderofocon gli
occhi cercando j fé veder poteflì il prin-
cipio onde quella acqua fv movea , perchè
òì paflTo in pafTo il fuo corfo pareva che ve-
ni (le crefcendo , ed acquiftando tuttavia
maggior forza . Cosj per occulto canale in-
drizzatomi y tanto in qua ed in là andai ,
che finalmente arrivato ad una grotta ca-
vata nell' afpro tufo > trovai in terra fe-
dere il venerando Iddio > co\ finiftro fian-
co appoggiato fovra un vafo di pietra che
verfava acqua : la quale egli in affai gran
copia facea maggiore con quella che dal
volto , da' capelli > e da* peli della umi-
da barba piovendogli continuamente vi ag-
giungeva . I fuoi veOimenti a vedere pa-
revano di un verde limo: in la deftra ma-
no teneva una tenera canna > ed in teda una
corona inteifuta d giunchi e di altre erbe
provvenute dalle medefime acque: ed' in-
torno a lui con dif fato mormorio le {ut
Ninfe ftivano tutte rangendo , e fenza or-
dine o dignità alcun., gittata* per terra non
alzavano i mefti volti . Mifcrando fpetta»
colo
»4o ARCADIA
colo ( ved^'ndo io quefto ) fi ofFerfe agli
occhi miei, e già fra me cominciai aco-
nofcere per qual cagione innanzi tempo la
mia guida abbandonato mi avea : ma tro-
vandomi ivi condotto) ne confidandomi di
tornare più indietro, fenza altro configlio
prendere, tutto dolorofo e pien di fofpet-
to mi inclinai a baciar prima la terra , e
poi cominciai quefte parole : O liquidiUì-
mo fiume, o Re del mio paefe , o piace-
vole e graziofo Sebeto , che con le tue
chiare e freddiflìme acque irrighi la mia
bella patria, Dio ti efalti ; Dio vi efalti >
o Ninfe, genercfa progenie del voftro pa*
dre ; fidte , prego, propizie al mio venire >
e benigne ed umane tra le voftre felve mi
ricevete : bafti fin qui alla mia dura for-
tuna avermi per diverfi cafi menato : or-
mai o riconciliata, o fazia delle mie fati-
che deponga le arme . Non avea ancora io
fornito il mio dire, quando da quella me-
da fchieradue Ninfe fi moiTero, e con la-
crimofi volti ver me venerdo , mi pofero
mezzo tra loro. Delle quali una alquanto
più che 1' altra col vifo levato prenden-
domi per mano , mi menò verfo la ufci-
ta ove quella picciola acqua in due parti
fi divide ; V una efiondendofi per le cam-
pagne» l* altra per occulta via andandone
a' comodi , ed ornamenti della città , E
quivi fermatafi mi moftrò il cammino, fi-
gnificandomi , ia mio arbitrio eflere omai
io ufcire . Poi per manifeftarmi chi eflTe
folTero, mi dilTe : Quefta ( la qual tu ora
da nubilofa caligine oppreUo pare che non
riconofchi ) è la bella Ninfa che bagnalo
amato nido della tua fingolare Fenice ) il
cui
DEL SANAZZARO. i^i
cui liquore tante volte infino al colmo dalle
tue lacrime fu aumentato . Me , che ora
ti parlo , troverai ben torto fotro le pen-
dici del monte ove ella fi pofa . E '1 dire
di quelle parole, e 'l convertirfi in acqua >
e 1' avviarfi per la coverta via fu una me-
defìma cofa . Lett re, io ti giuro fé quel-
la Deità che infin qui di fcriver queftomi
ha predato grazia , conceda ( qualunque el-
li fi (iano ) immortalità agli ferirti miei 5
che io mi trovai in tal punto sì defidero-
fo di morire , che di qualfivoglia maniera
di morte mi farei contentato : ed eftendo
a me medefimo venuto in odio , maledirti
1' ora che d* Arcadia partito mi e^ra ; e
qualche volta intrai in fperanza , che quel-
lo che io vedeva , ed udiv3 , fofle pur fo-
gno ; malììmamente non fapendo fra me
(leflTo ftimare , quanto (lato foffe lo fpazio
eh' io fotterra dimorato era . Cosi tra penfie-
ri , dolore , e confuf o^e , tutto hifTv e rot-
to , e già fuora ài me , mj ccnduflTj alla
defignata fontana , la quale sì tofto come
mi fonti venire» comincò forte a bollire»
ed a gorgogliare più che il folito , quafi
dir mi volede '■ Io fon (olei cui tu poro //r-
ftan^i vedefti . Per Ja qual cofa girandomi
io dalla dertra mano , vidi e riconobbi il
già detto colle famofo molto per la bel-
lezza dell* alto tugurio che in efTo fi ve-
de, denominato da quel gran bifolco Afri-
cano rettore di tanti armenti , il quale a'
fuoi tempi , qu'ifi un' altro Anfione col
fuono della foave cornamufa , edificò le
eterne mura della divina cittade ; e vo-
lendo io più oltre andare, trovai per for-
te a pie delia non alca falita Barcinio , 0
Suna<«.,-
144 ARCADIA
Summonzlo, paftorifra le noftre Ceìvs no-
tiffimi , i quali con le loro gregale al te-
pido fole ( perocché vento Ucea ) fi erano
ritirati, e ( per quanto dai gefticompren-
dere il potea ) moftravano di voler canta-
re . Onde io , benché con le orecchie pie-
ne venilfi de' canti di Arcadia , pur per
udire quelli del mio paefe , e vedere in
quanto loro fi avvicinaflero , non mi, parve
difdic^vole il fermarmi ^ ed a tanto altro
tempo per me sì malamente difpefo j que-
fto breve fpazio, quefta picciola dimoran-
2a ancora aggiungere . Così non molto di-
fcofto da loro , fovra la verde erba mi poli
a giacere : alla quii cofa mi porfe ancor
animo il vedere , che da e Vi conofciuto
non era : Tanto il cangiato abito , e '1 fo-
verchio dolore miaveano in non malto lun-
go tempo trasfigurato . Ma rivolgendomi
ora per la memoria il loro cantare, e con
quali accenti! cafi del milero Melifeode-
plor «fiero, mi piace fommamante con at-
tenzione averli uditi; non già per confe-
rirli con quelli che? di la afcoltai , neper
porre qus^fte canzoni con quelle ; ma per
allegrarmi del mio cielp, che non del tut-
to vacue abbia voluto lalciare le Tue fel-
ye ; le quali in ogni tempo nobilifiìmi pa-
llori han da fé produtti ; e dagli altri paefi
cor- amorevoli accoglienze » e materno amo*
re a (^ tirati . Onde mi fi fa leggiero il
credere , clie di vero in alcun tempo le
Sirene viabitafl'ero , e con la dolcezza del
cantare detinéflero quegli che per la lor
•via fi andavano . Ma tornando ornai ai no-
ilri pallori , poi che Barcinio per buono
irazio aliai dólcemente fonata ebbe la fua
DEL SANAZZARO. uj
fampogna , cominciò così a dire col vifo
rivolto verio il compagno, il quale fimil-
meote aflìfo in una pietra > flava per ri-
fpondergli attentiUimo .
EGLOGA DUODECIMA.
Barcinio) Summonzio 9 e Melifeo.
BàVC'/^Ui canti MtUfeo ^ qui proprio ajjìfimt
\J^ Quattd^ ti fcriffe in quel faggio :
Vidi io mifero,
Vidi Filli morire ) cnon uccìfimi •
Sum.O ptttÀ grande l e quali D ti permifero
A Melifeo venir fato tant* afpero ? 5
Perche di vita pria non lo divifero ?
Bare J^fyJ* è f^l U cagione ond* io mi ef^fpero
Incontra' l Cielo.anx' nti indrago ^e invipero^
E via piò dentro al cor erti induro ^e inafpero\
Penfando a quel che feri ffe inungiunipero: io
Filli , mi tuo morir , morendo lavimi :
O dolor fommo , a cui nuli"* altro fquipgro \
Sìxm.Quffta pianta vo'rei ib/i tu mofirajjimi ,
Per poter a mìa pofia in quella piangerg j
Forfè a dir le mie pene cggi incita ffimi , \ 5
EàTC.MUle ne fon chequi vedere ^ e tangere
A tua pojìa potrai \ cerca in quel nefpilo ,
Ma defiro nel toccar ^guarda noi frangere ,
SuW. Quel hi ondo e ri ne ^ 0 pilli yor non increfpiU
Conio tue manine di ghirlande in/iofilo\ io
Ma del mia lacrimar lo inerbi , e inetfpilo .
Bàie, Volgi tnqua gli occhi ^ e mira in fu quel
corilc :
Filli ydeh non fuggir ych* io ftguo\afpettami ^
"Portane il cor ^ che qui lafciando accorilo .
S\XXn.Dir non potrti^quanto Pudir dil<tta$ni\ 25
Ma corca ben , fé v* i pur altro arbufcolo ;
144 ARCADIA
Quantunque il mìo h fogno a /trovi af'
frettami .
Bare- Una tabella pofe per munufcolo
In fu quel p'nije vuoi vederla , or* albati ,
Ch'aio ti tirrh fu l^unOy e l'altro mufcolo . 50
Ma per miglior falirvi , prima fcali/iti ,
E depon qui la pera^ il mantOy tfV bacolo y
E con unfaltopot ti apprendi^ e sballati .
SuCH'Qui^'i fi v^de ben feni* altro cfiacoh ,
Filli ^ quefi'' alto pino io ti facrifico ; J5
Qui Diana ti la fé i a P arco ^ t'^l jacolo .
Quello è /* aitar che in tua memoria edifico \
Quefl'^è V tempio onoratole quefio è il tumuli
In ch'io piangendo il tuo bel nome amplifico*
Qui fempre ti fari di fiori un cumulo .• 40
Ma tu , fé ^l piò bel luogo il del desinati ,
"Non difpre^iar ciò cP in tua gloria ac~
cumulo ,
Ver noi p'àjpejfo ornai lieta avvicinati ;
E vedrai jcritto unverfo in fu lo fi i pi te :
Arbor di Filli io fatiipaftore, inclinati. 45
Bare Or che dirai , quand"* et gitrh precipite
Quella f^mpogna fua dolce ed amabiU \
E per f rirfi prefe il frro ancipite ?
N.on gian con un fyon l'Alfio , e mijerabile ,
Filli , Filli , gridando tutti i calami ? 50
Qhe pur parve ad udir cofa mirabile .
SwVaOr non fi moffe da'* fuperni talami
Filli a tal fuon^cy'io già tutto commovomi '
Tanta p' età il tuo dir nei petto e f alami .
Barc.T^arf *, m^nt^e fra me ripenfo , e provomi 5 5
Se queW altre fue rime or mi ricordano :
Delle quali il principio fol ritrovomi ,
BviTCi.Tanto i miei fenfi al tuo parlar i'ingordanoy
Che temprar non U fo . comincia\ aiutati j
Ci^f ai primi Viffi ^Of gli altri /' ac-.
fordafto . 60
Bare*
DEL SA NAZZARO. 14$
"BztC.Cbf farat ^ Mtlifeoì morte refutati ^
Poi chi Fi ili t^ba pofio in dogli a ^e lacrime ;
N_è pia , come folea , lieta (aiutati .
Dunque , amici paftor , ciafcun confacrime
y^rfìfol Ji dolor y lamenti y e ri ti mi \ 6y
E chi altro non puh , meco collacrime .
A pianger cpl fuo pianto ognuno incitimi y
Ognun la pena f uà meco comumcbc.
BerubPl mio duol da (e dì e notte invitimi ,
Scriffi i miei verft in fu le poma puniche ; 70
E ratto diventar forba y e corbe^X^H l.
Si fon le forti mie moflrofe y ed uniche •
E fé per inneftar li incido , 0 foer^iuli ,
Mandan [ago di fuor si tinto e livido ,
Che moftran ben^ che nel mìo amaro avm
veiioli : 75
Le rofe non ban pia quel (olor vìvido \
Poi che '/ mio fol nafcofe i raggi , lucidi ;
Dai quai per tanto fpa\'0 oggi mi divido ,
Mcjìranji l* erbe , e ifior languidi e mucidi :
I pifci per ti fiumi infermi ^ efontici: 80
E gli animai nei bofcbi inCilti e fucidi .
Vegna Vefevo , e i fuoi dolor raccontici \
Vedrem fé le fue viti fi lambrufcano ,
£" fé fon li fuoi frutti amari y e pontici .
Vedrem poi che di nubi cgnio^ lì cffvfcam Z%
Le fpalle fue col P uno , e P altro vertice :
Forfè pur novi incendj in lui corufcano .
Ma chi verruche de^ tuoi danni accertice ^
Mergillina gentil , che sì ti inceneri ,
E i lauri tuoi fon fece he ye nude pertice ? 90
Antiniana ^ e tu perche degeneri }
Perchè rufcbi pungenti in te diventano
S^ei mirti chefurgiA sì mcUi e teneri ?
Dimmi y Ni fida mia ; così non fentano
Le rive tue giammai crucciata Dori da , 95
Né Paufilippo in te venir fonfentano\
Tmt I, Q Kon
145 A R e A D r A
No/t ti vtd^ io poc^ anii trbofa , * fiorila ^
Abitata da lepri y e da cuniculi ?
2^en ti veggi"* or pia eh* altra incolta f
ed ori da ?
]^on veggio i tuoi f eceffi , e i diverticuli i OO
Tutti cangiati \ e freddi quelli f copuli
Dove temprava Amor fuo^ ardenti fpiculi ?
Spanti pafior , Sebet$ , e quanti populi
Morir vedrai di quei cPinte s'annidano ^
pria che la riva tua f'inolmi^o impopuli? 105
Laffoy già ti onorava il glande 'Erìdano •
E^lTebro al nctne tuo lieto incèinavafi :
Or le tue Ninfe a pena in te fi fidano •
Morta è colei cP al tuo bel fonte ornavafi y
"E prepone a il tuo fondo a tutti i fpecoli: i lO
Onde tua fama al del volando al^avafi ,
Or vedrai ben pajfar ft agio ni ) e f ecoli ;
E cangiar rafiri , fiive , aratri , e capoli
"Pria che mai sì bel volto in te fi [pe e oli ,
Dunque ^miftfy perchè non rompile fcapoli 1 1 5
Tutte /* onde in un punto , ed inabiliti 5
Poi che Napoli tua non è pia Napoli ?
S^efto dolore , oimè , pur non predijjìti
.Q^elgiornOyO patria mia yCp allegro ed ilare
Tante lode cantando in carta fcrijjiti .11©
Or vo che ^Ifenta pur Vulturno , e S ilare ,
CP oggi farà fornita la mia fabula ;
Ne Cùfa verrà mai che V cor mi e filare ;
Ne vedr'b mai per bofchi (affo , 0 tabula ,
CP io non vi feriva Filli > acciocché pian-
gane ^^$
Qualunque altro pafior vi pafce , ofiabula .
JE fé avverrà^ cP alcun che \appe , e mangine ,
Da qualche fratta iv io languì fca^afcoltemìy
Dolente , e flupefatto al fin rimangane .
ì/ia pur convien^che a voi fpejfo rivoltemi y i ;o
Luoghi un tempo al mio cerfoavi , e lepidi ^
Voi
DEL SANAZZARO. 147,
Pei che non trovo ove piangendo cccohetm •
0 Cuma , e Baja , 0 fonti ameni , e tepidi ,
Or non fi a maiy che alcun vi lodilo Kornìni ,
Cbe'^l mio cor di dolor non fudi^e trepidi.i ^ 5
E poi che Morte vuol che vita abbomìni ,
j^uaji vacca che piange la fya vitula ,
Andro nojando il ciglila ferrategli uomini ,
"Mon vedrò mai Lucrino ^ Averno , oTritula ,
Cbe £0 fofpir no corra a quella af co dita 14O
Falle che dal mìo fogno ancor t^intitula .
To'fe qualche beli* orma ivi recondita
Lafciar quei fanti p<V , quando fermar ofi
Al fuon della mia voce afpra , ed incondita •
E forfè ifior cbe lieti allor mojìraroji , 145
Faran gir $ miei fenji enfiati e tumidi
DelP alta vifion cb^ ivi fognar oji ,
Ma come vtdrl voi , ardenti , e fumi di
Monti dove Vulcan bollendo infolfafi ,
Cbe gli occhi miei non fian bagnati ed umi^
di} 153
"Perocché , ove queìV acqua irata ingclfafi ,
Ove pia ratta al del la gran voragine ,
E pittg'ave P odor ridonda , ed o^fafi'^
Veder mi par la mia celefie immagine
Seder fi^e co diletto in quel g'an fremito 155
Tener ^orecchie intente alle mie pagine .
0 hffo , 0 dì miti volti in pianto , e gemito !
Dove viva la am ti , morta fcfpirola ;
jE" per queir or me aro" m^ìndri^io e infemrto.
Il giorno folf-a me contemplo , e mirala , i 6o
E la notte la chiamo a gridi altìjftmi j
Talché [ovante in fin qua gh ritirala ^
Sovente il dardo ond'^iofiejfo trafijfimi ,
Mi moftrainfcgno entro i begli oefbi^ f
diami :
Ecco il rimedio de' tuoi pianti afprir-
Hmi. id^
G X £ men^
148 ARCADIA
E mentre Jìar con hi piangendo ìicemì ,
Avrei poter di far pietofo «»' afpide :
Si cocenti fcfpir dal petto elicemi ,
N^ gW/i» ehhe giammai terra Arimafpide
Si crudo y oimè^ cP al dipartirfìfuhitOy 1 70
tion dejiajje un cor di dura j afpide ,
Ondato rimango in fui finifirc cubito ,
Mirandole parmi un fol che flenda^e rutile^
E cai verfo lei g-idar non duhitg \
Qual tauro infelva con le coma mutile , 175
E quale arbujlo jen^a vite , 0 pampino ,
Tal jono io fenia te , manco e disutile .
%\yXCi>^Vftfì^^ ^(f^*" P«^ > che dentro un cor fi
fl ampi no
Si fiffe pajfion di cofa mobile ,
E del foco giàfpento i [enfi -^ vvamptno?i 80
^^al fiera sì crudele qual faffo immtbile
Tremar non fi fentijje entro le vìfcere
Al miferahil fuon del canto nobile ?
Barc.E^'' parr^ che *l citi teglia dehifcere ^
Se fent ra i lame ntar quella fua t ita ra ^ 185
E che pietà ti roda , amor ti [vincere :
'La qual mentre pur Filli alterna , ed itera ;
E Filli i [affi ^ i pin Filli rifpondonoy
Ogni altra melodia dal cor mi oblitera ,
Sum.O'' dimmi y a tanto umor che gli occhi fon-^
donoy 190
^fl« vide mover mai h avaro carcere
Di quelle inique Dee che la nafcondono ?
"BdiYcO Atropo crudel y potefti pa'cere
A Filli mia j gridava , 0 Cloto , 0 Lacbefi ,
Deh confentite om^i cPiomi dt [career e. \g%
Sum»Moran gli armenti , e per le fe/ve vachefi;
In arber fronda , /;; terra erba mnpulule \
Poi che ) pur ver y cheH fieroCiel nonpla^
chefi ,
"BaXQ.yedreJìi intorno a ìnifiar cigni , ed ulule ,
I
DEL SANAZZARO. 149
jQuani^o avvi e n , cjl^e talor con la fila /§»
dcla 200
Si lagne \ t quflla a luì rifponda , idulult .
Qwtr quando in fu /' alba efclama^ e modola :
Iterato fol , per cui ti affretti a nafcere ?
Tua luce a me (he valy /' io pia non godala ?
"Ritorai tu , percb^ io ritorne a papere 205
Gli armenti in quejie [elve ? 0 ptrcbè firug^
gami ?
O perchè pia ver te mi pojfa i^afcere ?
Se '/ fai , eh* al tuo venir la notte fuggami ^
Sappi che gli oc{lftufati in piantole tenebre^
Non vo che V raggio tuo rifcbiare y 0 fug'
gami , 210
Ovunque miro , par che V del fi ottenebre 5
Che quel mio fol che P altro mondo allumina
JE* or cagion eh"* io tnai non mi àijienehre ,
Qualbove ali* ombra , che fi pofa , e rumina ,
Mi flava un tempo , ed or lajfo abbando^
nomi , 215
Qual vite che per pai non fi Jl.'ìtumina .
Talor mentre fra me piango , e ragìonomi ^
Sento la lira dir con voci querule :
Di lauro, o Melifeo^più non coronoml .
Talor veggio venir fri foni , e merule 210
Ad un mio rofcigniuol , che /ìride y e vocifa:
Voi nieco,o mirti,e voi piagete,o ferule.
Talo^ d* un* alla rupe il co'bo c'ocita'.
Abforbere a tal duolo il mar devrebbefi»
Ifchia y Capri , Ateneo , Mifeno 9 e
Procita . 2*5
L,» tortorella eh* al tuo grembo crebbefi y
Pei mi fi mojìra , o Pilli , fopra un*alvanù
Secco; eh* in verde già non poferebbefi ;
E dice : Ecco che i monti già fi incalvano}
O vacche, ceco le nevi , e i tempi nu-
bilii *5o
G 5 Qual*
150 ^ ARCADIA
Quarombrejoqua'difefe ornai vi fai vano?
Chi fia che udendo cil mai rida ^ o giubili }
E* par che i tori a me fnu^aendo dicano .
Tu fei che con fofpir queft'aria annubili.
S\xlXi,Ccftgran ragion h genti s^ affaticano 135
Ver veder Melifeo poiché i fuoi cantici
Son tai , i he ancor nei fajft amor nutricano ,
'BàVcBfinfai tu.faggioyche coi rami ammantici ,
Quante fiate aifuoi fofpir movendoti ,
Ti parve di fentir fjfioni^o mantici . 24O
0 Melifeo ^ la notte e^l giorno intendoti ^
E sì fijjì mi flan gli accenti , e i fibili
Nel petto ^ che tacendo ancor comprendati ,
^\xm.T)eh fé ti cai di me , Bar cimo , feribili ,
A talché poi mirando in quefli corrici^ 143;
L^ un* arbor per piet^ con P altro a/Jtbili ,
Fa , che del vento il mormorar confortici :
Ta che fi fpandan le parole e i numeri ;
Tal che ne foni ancor Rejìna , e Vortici ,
"BaVC.Un lauro gli vid^io portar fu gli umsri^t^qj
E dir-.Col bel fepohro^o lauro^ abbracciati ^
Mentr* io femino qui menta ^ e cucumert ^
llCìelo^o D'va mia^ non vuol eh"* io tacciati J
An\i perché ognor più ti onori , e celebre ,
Dal fondo del mio cor mai non difcac
ciati, 255
tìnde con quefio mìo dir non incelebre ,
S^io vivo , ancor farh tra quejfi ru/ìici
La fepoltwa tua fimcfa , e celebre .
E" da'* monti Tcfcani y e da* Ligujìict
l^erranpafiori a venerar quefi^ar/gulo ; 260
Sol per cagion che alcuna volta fufiici •
E leggeran nel bel (affo quadrangulo
Il titol che a tutt* ore il cor /»' infrigida ,
Ver cui tanto dolor nel petto firangulo .
QUELLA CHE A MELISEO SI' AL-
TERA 5 E RIGIDA
SI
DEL SA NAZZ ARO. iji
SI MOSTRO' SEMPRE; OR MAN^
SUETA, ED UiMILE
SI STA SEPOLTA IN QUESTA PIE-
TRA FRIGIDA.
Sum.i"^ qutftt rime troppo dir prefumih ^
Baffi ni 0 mio , tra qutfìe kajfe pergole \
Ben veggio che col fìéto urt gierrta allu»
m'tle » 27O
^3XcSummon\io , io per li tronchi ferivo #
vergole ;
r perche la lor fama pi Ut dilatefi^
Per longinqui paeji ancor difpergole •
Tal che fari che'^lgran Tejino , ed Atefi ^
Udendo Melìfeo , per modo il cantino ,275
Chi Filli i/fenta, ed a fé flejfa aggratefi »
E che i pajlor di Mincio poi gli piantina
Un bel lauro in memoria del fuofcrivere \
Ancorché del g^an Ti tiro fi vantino ,
Sum.Degnofu Mflifeo di fempre vi v tre 280
Con la fua Fillio e ftarfi in pace amandola ;
ìiia chi puh le fue Ifggi al Ciel preftrivere}
SìTC.^olea fp^Jfo per qui venir chiamandola i
Or davanti un^ altare in fu quel culmine
C e n incenfififìa f mpre adorandola . 2 2^
Sam.Dehfocio mio,fe'l del giammai non fulmine
Ove tu pafca , e mai per vento ^ 0 grandine
La capannuola tua non fi di (culmi ne 5
Qui fovra Pe^ha frefca il manto fpandine <^
E poi corri a chiamarloinfu quel limite\igo
Ter fé impetri che ^iQiel la g''a^ia mandine.
Bare. P//5r tcfio ( fé vorrai che ^l finga ed imite )
Potrh cantar ^ che farlo qui difcéndere
^'W"' "*" ^ i ^ome tu forfè ejìimite ,
S jm '^tf vorrei pur la viva voce intendere , 295
Per notar de* fuoi gefti ogni particola ;
Onde si io pecco in cil , non mi riprendere «
Bare, P (uggiamo or fu ver quella face a edicola ;
G 4 C/#
: 15* ARCADIA
Che del bel colle ^ e del forgente pafiim
Et fola è ti Sacerdote , ed et l^agricola . ^po
Ma prega tu che i venti non tei guaftino ,
CP io ti fari fermar dietro a quei frutici ^
Pur che a fai ir fin fu P ore nehaftino ^
Sum Vorofo io , fé tu y Fortuna , ajutici y.
Una a gnu dare a te delle mie pecore , 305
IJna alla Titnpejìà , che ^Iciel non mutici .
N<fn fonfentir , 0 Ciel ^ cPio mora indecore^
Che fui penfando udir quel fuo dolce organo 3
Var che mi fpolp* 9 fnerve , e mi dirjecore .
Bare. Or va ; che i fati a buon cammin ne
fi organo ; 31O
"Non femi or tu fonar la dolce fiftuìa ?
Fermati ematiche i can non fé ne accorgano*
Mel.I^woi capelli y 0 Filli y in una cijìuìa
Serbati legno , e fpejfo quand* io volgoli ,
1/ cor mi pajfa una pungente arijìula . 315
Speffo gH lego , efpfjfo , cim^ , difciolgol* ^
E lafcio fopfa lor quefti occhi piovere j
Poi confojpir gli ùfciugOy e'^nfieme accolgali ,
Sajfe fon quefìe rime , e fili , e povere ;
Ma fé ^! pianger y in Cielo ha qualche me-
rito , 320
Dovrebbe tanta fé Morte commovere ,
Ifi piango , 0 Filli y il tuo fpie tato inferito ;
E^l mondo del mio mal tutto rinverdeji :
"Deh penfa y prego y al bel viver preterito \
Se mlpaffar di Lete amor non per de fi , gì 5
feiv^
AL-
DEL SANAZZARO. 15J
ALLA SAMPOGNA.
E Geo che qui fi compìeno le tue fatiche 9
o ruftica , e bofchereccia fampogna,
degna per la tua baflezza di non da pm
coleo ì ma da più fortunato paftore eh' io
non folo , cfìTer fonata . Tu alla mia boc-
ca j ed alle mie mani fei non molto tem-
po ftata piacevole efercizio, ed ora ( poi-
ché così i fati vogliono) imporrai a quelle
con lungo filenzio forfè eterna quiete . Coo-
cioflìacofachè a me conviene > prima che
con efperte dita fappia mifuratamente la
tua armonìa efprimere > per malvagio ac-
cidente dalle mie labbra difgiungerti : e
(quali che elle fi fiano) palefare le indot-
te note, atte più ad appagare femplici pe-
corelle per lefelve, che fitudiofi popoli per
le cittadi : facendo ficcome colui che óf-
fefoda notturni furti ne* fuoi giardini , co-
glie conifdegnofa mano i non maturi frut-
ti dai carichi rami ; o come il duro arato-
re > il quale dagli alti alberi innanzi tem-
po con tutti i nidi fi affretta a prendere i
non pennuti uccelli > per tema che da fer-
pi , o da paftori non gli fiano preoccupati .
Per la qual cofa io ti prego, e quanto pof-
fo ti ammonifco, che della tua falvatichez-
za contentandoti > tra quefte folitudini ti
rimar>ghi . A te non fi appertiene andar
cercandogli alti palagj de' principi, né le
fuperbe piazze delle popolofe cittadi ; per
avere i fonanti plaufi , gli adombrati favo-
ri, ole ventofe glorie, vaniflìme iufinghe ,
fclfi allettamenti, flolte, ed aperte adula-
zioni dell'infido volgo. Il tuo umile fuo-
G 5 no
Ì54 ARCADIA
ìio mal fi fentirebbe tra quello delle fpa*
ventevoli buccine j o delle reali trombe*
AlTai ti fia qui tra quefti monti efTere da
qualunche bocca di pallori gonfiata ; infe-
gnando le rifpondenti felve di rifonare il
nome della tua donna; e di piagnere ama-
ramente con teco il duro, ed inopinato ca-
fo della fua immatura morte ; cagione ef-
iìcacilììma delle mie eterne lacrime , e del-
la dolorofa, ed inconfolabile vita ch'io fo-
ftegno ; fé pur fi può dir che viva, chi nel
profondo delle miferie è feppellito . Dun-
que, fventurata , piagni ; che ne hai ben
ragione. Piagni, mifera vedova; piagni^
infelice , e denigrata fampogna , priva di
quella cofa cbe più. cara dal cielo tenevi;
uè reftar mai di piagnere , e di lagnarti
delle tue crudeliflime difventute, mentre
di te rimanga calamo in quefte felve ; man-
dando fempre di fuori quelle voci che al tuo
mifero , e lacrimevole ftato fon più con^
formi . E fé mai paftore alcuno per for-
te in cofe liete adoprar ti voleffe , fagli
prima intendere , che tu non fai fé non
piagnere , e lamentarti ; e poi con efpe*-
rienzia, e veraciflìmi effetti effer cosigli
climoftra , rendendo continuamente al fuo
foffiare mefto , e lamentevole fuono ; per
forma che temendo egli di conrriftare le
fue fede , fia coftretto aDontanartifi dalla
bocca > e lafciarti con la tua pace ftare
appiccata in quefto albero, ove io ora eoa
fofpiri , e lacrime abbondanti iTì me ti con-
facro , in memoria di quella che di ave-
re infin qui fcritto mi è (lata potente ca-
gione j per Ja cui repentina morte , la ma-
teria or in tutto -è mancata a me di feri-
Ycrej
DEL SA NAZZ ARO. 155
Tere , ed a te di Tonare . Le noftre Ma-
fé fono eftinte : fecchi fono i noftri lauri:
Tuinato è il nodro Parnalo : le felve fon
tutte mutole: le valli > e i monti perdo-
nila fon divenuti fordi : non fi trovano più
Ninfe ^ o Satiri per li bofchi : i paftori
han perduto il cantare : i greggi , e gli
armenti appena pafcono per li prati, e coi
lutulenti piedi per ifdegno conturbano i
liquidi fonti ; né fi degnano ( vedeudofi
mancare il^ latte ) di nudrire più i parti
loro . Le fiere fimilmente abbandonano le
wfate caverne: gli uccelli fuggono dai dol-
ci nidi. I duri, ed infenfati alberi innan-
zi alla debita maturezza gettano i lor frut-
ti per terra , e i teneri fiori per le me-
ile campagne tutti comunemente ammar-
cifcono . Le mifere api dentro ai loro fa-
vi hfciano imperfetto perire lo incomin-
ciato mele: ogni cofa fi perde; ognifpe-
xanza è mancata} ogni confolazione è mor-
ta . Non ti rimane altro ornai , fampogna
mia , fé non dolerti , e notte , e giorno
con ofiinata perferveranza attnftarti . At-
triftati adunque , dolorofifiìma ; e quanto
più puoi , dell' avara morte , del Tordo
cielo > delle crude (ielle , e de' tuoi fati
iniquilTìmi ti limenta. E fé tra q uè f^ ra-
mi il vento per avventura movendoti , ti
-donafle fpirito, non far mn altro che gri-
'dare , mentre quel fiato ti bafta . Né ti cu-
rare , fé alcuno ufato forfè di udire più
•cfquifiti fuoni , con ifchifo gufto fcherniflTc
la tua baflezza 1 o ti chiamale rozza» Che
'Veramente ( fé ben penfi ) quella è la tua
•propria j e principalifiìmalode; purché da'
iofchi> e da' luoghi a te convenienti '^nn
G 6 ti di-
156 ARCADIA
ti diparta . Ove ancora fo che non min-
cheran di quelli che con acuto giudicio
efaminando Je tue parole , dicano , te iti
qualche luogo non bene aver fervate le
leggi de' pallori ; né convenirfi ad alcuno
pafiTir più avanti che a lui fi appertiene •
A quefti ( confefTando ingenuamente la
tua colpa) voglio che rifpondi : Niuno ara-
tore trovarfi mai sì efperto nel far de* fol-
chi , che fempre prometter fi poffa (enza
deviare > di menarli tutti dritti. Benché a
te non picciola fcufa fia , lo edere in que-
llo fecole (lata prima a rifvegliare le ad-
dormentate felve, ed a moftrare a' pafto-
Ti di cantare le già dimenticate canzoni .
Tanto più che colui il quale ti compofe
di quefte canne » quando in Arcadia ven-
ne , non come ruftico paftore , ma come
coltiniino giovane benché fconofciuto 5 e
peregrino di amore y vi fi conduce . Sen-
za che in altri tempi fono già fiati partorì
si audaci, che infine alle orecchie de'Ro-
jnani Configli han fofpinto il loro ftile :
fotto l' ombra de* quali potrai tu » fampo-
gna mia, molto ben coprirti, e difendere
animofamente la tua ragione. Ma fé forfè
per t rte alcun' altro ti verrà avanti di più
benigna natura , il quale con pietà afcol-
tandoti, mandi faori qualche amica lacri-
mecta , po«-gi fubitamente per lui efficaci
preghi a Dio , che nella fua felicità con-
fervandolo » da quefte noftre miferie lo al*
lontani . Che veramente chi delle altrui
avverfità fi uuole , di fé medefin^o fi ri-
corda . Ma quefti , io dubito , faranno ra-
ri , e qu tfi bianche cornici , trovandofi in
affai maggior numero copiofa la turba de'
de-
DEL SANAZZARO. 157
detrattori . Incontra ai quali io non Co
peniare quili altre arme dar mi ti poiTa j
fé non pregarti caramente che quanto più
puoi rendendoti umile, aToftenere con pa-
zienza Je lor percoiTe ti difponghi • Ben-
ché mi pareefìTer certo 5 che tal fatica a te
non fia necefTaria , fé tu tra le felve ( fic-
come ioti impongo) fecretamente , e fen-
23 pompe ftar ti vorrai . Conciofìiacof .che
chi non (ale, non teme di cadere ; e chi
cade nel piano ( il che rare volte addi-
viene ) con picciolo aiuto della propria
mano fenza danno fi rileva. Onde per co fa
vera > ed indubitata tenerti puoi, che chi
più di nafcofo , e più lontano d;'.lla molti-
tudine vive j miglior vive . E colui tra
mortali fi può con più verità chiamar bea-
to, che fenza invidia delle altrui grandez-
ze , con modedo animo della fua fortuna
fi contenta .
Il Fm dffll* Arcadia.
»EN^
SENTENZE, E PROVERBJ
USATI VAL
SANAZZARO.
la fin 3sl "Proemio^ Certo egli è miglioT«
il poco terreno ben coltivare , che '1 mol-
to lafciare per mal governo miferamen-
te imbofchire .
^fo{a 6. a /. 45. Tutte le terrene cofe, e
P animo ancora, quantunque celeftefia^
ne portano feco gli anni , e la divora-
trice età.
^Egloga 6.»^^. 4. Nel mondo oggi gli amici non
fi trovano ; E quel chefegue .
I»/.i>. 13. L'invidia, figliuoi mio, fefteffa
macera ,
E fi dilegua come agnel per fafcino.
Jz'/.i'.iio.Or conofco ben io, che"'l mondo
in (labi le
Tanto peggiora più , quanto pi^
invetera.
Iw.i'.i25. ancorché i faggj dicano >
Che per un falfo mille buon s' in-
famano .
Trofa 7. f, 51. Lo sfogare con parole ai mi-
feri fuole alle volte edere alleviamento
di pefo.
■P''ofa S. r.'6o. Degli augurli , e delle promef-
le degli Dii non fi deve alcuno fconforta-
re giammai : perocché certifilme ed infal-
-libili tutte fono .
Ivi . Né di lacrime Amore ^ né di rivi i
pra-
SENTENZE, E PROVERBJ . 159
l)rati , né capre di fronde, né api di no»
velli fiori fi videro fazie giammai.
Ivi . r. 71. Gli Dii allora in più tranquil-
lo porto ne guidano , che con più tur-
bata tempefta rnoftrano di minacciarne.
Ivi , Non può edere j che fra tanti nuvo-
li alcuna volta non paja il fole.
Ivi, Le cofe delìate quanto con più affla-
no fi acquiftano, tanto con più diletto >
quando fi pofTedonoj fogliono efler care
tenute . ^
^gioga 8.p»io. Nell^ onde folca , € nelP are-
ne fé mina ,
E '1 vago vento fpera in rete ac-»
cogliere ì
Chi fue fperanze fonda in cor dì
femina .
2»/. p, 34. Se Amore è cieco , non può il
vero fcorgere:
Chi prende il cieco in guida > mal
configliafi :
Se ignudo; uom che non ha» co-
me può porgere ? ^
'Quefta vita mortale al dì fomigliafi ;
Il qual , poi che fi vede giunto al
termine ,
Pien di fcorno al occafo tinver-
migliafi-
1p». 1^.70. E pria mutano il pel > poi cnc
s'avvezzano.
Che mutin voglia .
IW. P.87. Ch;i miglior vita del morir non
provai! .
Jw,p.ii5. Che non s' acquìfta libertà per
piangere: ^
E tanto è mifer l' uom quaot e
fi reputa.
Ivi.,
160 SENTENZE, E PROVERBJ.
Ivi. f.ijo. Che al mondo mal non è fen-
za rimedio .
Egloga g,v.\2g. La capra col Icon non può
far guerra •
Ivi. v„i^g. Mal fa chi contra al Ciel pu-
gna, o contende .
Profa t\»c,iig. Non poiTono tutti gli uomi-
ni tutte le cofe fapere.
Ivi. a e, 12$. I privilegi della vecchiezza
fono si grandi , che o vogliamo , o non
vogliamo, fiamo corretti di obbedirli .
Tghga 12, V. a 82. Ma chi può le fue leggi
al Ciel prefcrivere?
Alla S a mpogrta .Ci ;i6. Chi delle altrui av-
verfitd fi duole , di fc medefimo fi ri-
corda .
Ivi. e. 157. Chi non fale > non teme di ca-
dere ; e chi cade nel piano (il che ra-
re volte addiviene ) con picciolo ajuto
della propria mano fenza danno fi ri-
leva.
Ivi . Chi più di nafcofo , e più lontano
dalla moltituHine vive , miglior vive •
E colui tra mortali fi può con più ve-
rità chiamar beato 5 che fenza invidia
delle altrui grandezze , con modeftoaiii-
mo della fua fortuna fi contenta*
DE-
descrizion'i
DI DIVERSE COSE
USATE DAL
SANAZZAPvO»
Di Vrtmavera . neW* i^g^oga i. ».i2.
Già perlibofchi i vaghi uccelli fannod
I dolci nidi, e d' alti monti cafcano
Le nevi, che pel fol tutte disfannofi.
Vidi ciZ che feguf .
Di fera . Profa 2. a caf. 9.
Il fole era perdechinarfi verfo I' Occiden-
te , e i faftidiofi grilli incominciavano a
ftridere per le fefl'ure della terra, fen-
tendofi di vicino le tenebre della notte.
Deir Autunno , e ài Primavera . Egloga 2,v.4y,
Quando i bofcbi fon verdije quado sfrondano*
'Di fera . iti . verf. 133.
Ecco la notte, e*! ciel tutto s* imbruna ^
E gli alti monti le contrade adombrano.
Di giorno, ProfaT,. e, 16.
Come il fole apparve in Oriente , e i va-
ghi uccelli fovra li verdi rami Cantara-
no, dando fegno della vicina luce.
Di bella donna . Prcfa ^. e, 25-,
Li cui Cvipelli erano da un fottilififimo ve-
lo coverti , di fotto al quale due occhi
vaghi , e lucidiflimi fcintillavano , non
altrimenti che le chiare ftelle fogliono
nel fereno e limpido cielo fiammeggia-
re . E quel che feguita ,
Di giorno, profa 8. a r. 6i.
'Quando appena fparitc le ftelle> per lavi*
Di
ì€2 DESCRIZIONI,
cino fole vedevamo l'Oriente tra vermi-
gli nuvoletti rofleggiare .
Di fonte , ivi a e. 66.
Alla margine d'un frefco» e limpidilTimo
fonte? il quale né da uccello) né da fie-
ra turbato sì bella la Tua chiarezza nel
falvatico luogo confervava j che non al-
trimenti che fé di puriffìmo criftallo fta-
to fofTe , i fecreti del translucido fondo
manifeftava. Vedi di che fegue .
Di Primavera , Egloga 8. ». 142.
Vedi le valli, e i campi che fi fmaltano
Di color mille.
Di fera . Prcfa 9. a c.-j-j. in principio •
Non fi fentivano più per li bofchi le ci;
cale cantare , ma follmente in vece di
quelle j i notturni grilli fuccedeado fi
facevano udire.
DelP Aurora . ivi ac,^^.
I raggj del fole apparendo nelle fommltà
di alti monti 5 non eflendo ancora le lu-
cide gotte della frefca brina rifeccate
nelle tenere erbe •
Di fera . Egloga io. v. 55.
Acciocché quando i bofchi e i monti im-
brunano .
Di giorno . prcfa 11. a e. 1 14.
E già la vermiglia Aurora alzandofi fovra
la terra, fignificava ammortali la v,enu-
ta del fole .
Di fera . Vrofa 12. a e, 151,
Quindo tra le fommità de*monti il folebaf-
fando i rubicondi raggj verfo V Occidente*
DelP Alba , ivi a e, i 55,
L' Aurora già incominciava a rofleggiare
nel cielo, rifvegliando univerfalmente i
mortali alle opr« loro»
DI-
DICHIARAZIONE
SOMMARIA
Di tutte le- voci Latine , e d' altre cofc
che fono in queft' Opera dell' Arcadia ,
DI M. FRANCESCO SANSOVINO.
A Sortivo , voce latina : vale il medefi-
mo che (conciatura , per metafora
dalla donna gravida > che difperdendo >
partorifce fuori di tempo , e quel parto
fi chiama aborto .
Abrotano y indefincnza di rìfcuotano ^ nome
di erba di calda virtù. Dice Diofcoride
nel 5. e. 6. eh* egli è buono agli fpafimati»
a' veleni , ed al tremore delle febbri .
Abfcrberr y voce latina: forbire , inghiotti-
re, come fa il mire quando nel maggior
colmo della tempefta inghiottircele navi,
cioè abjorbe.
Acero ^ nome d'albero nobile : ilfuolegnoè
perfettiflimo per opere di mano fottili , e
dopo il cedro ottiene il primo luogo .
Aconito , erba velenofa , la quale fi trova di
tre fpezie • Vedi Diofcoride nel quarto li-
bro cap. 80.
Adiii\'ctre , dal verbo difctrt , che fignifica
imparare •
AdJorma y addormenti, dorìr^a . Addormire è
il fuo infinito . Ma il fuo diritto e regolato
è addormtntare , e addormentato .
'Admeto , fu Re 5, di TeiTaglia j, del quale
Apollo guardava gli armenti •
Adro^ nomej proprio di cane : da atro vo-
ce
164 GLOSA D'ALCUNE VOCI
ce latina , che fignifìca nero > ofcuro )
e fofco.
Adulta , voce latina s formata da adolefcere ,
chefignificacrefcere, ÀdXvQvhoadeho . E
colui è adulto eh' è crefciuto : dalla qual
voce fi deriva queft' altra , adolefctnte ,
cioè giovanetto, che è ufcito fuori della
fanciullezza •
Affafciare , far un fafcio di ogni cofa: ab'
bracciar tutto infieme ^ dàfafeiare .
Afflare^ voce latina: fcffiare, fpirare j da
flare , verbo latino •
Aggratano , cioè aggradano , ma in vece della
D per rifpetco della cadenza il Poeta mife
la T ; cofa ufata dagli Scrittori , ficcome
il Petrarca difleanco def^itto y iptx difpa^
to , avendo neceflìcà di ciò fare per la
rima .
Alni , alno , albero fenza frutto ) e fenza fé -
me: nafce fu le rive de' fiumi ; leforelle
di Fetonte fi convertirono in queft*albero -
Alternare y cantare a v'ic^nòa , erifpondere
or l'uno 5 ori' altro fcambievolm-nte.
Amadriadi , Ninfe de' bofchi : in greco vuol
dire alberi: e però le Driadi , eie Ama-
driadi fi chiamano quelle Deità che abita-
no tra le felve .
Afnhafciare , è propriamente anguftiare , e
afFannarfi . É' anco 1* afma > la qual na-
fce per troppo abbondanza di fiato j fio-
come avviene a coloro che corrono in fret-
ta > e che poi fermandofi non poffono rac-
cogliere il fiato, onde Dante:
E pe'b leva fu ^ vinci /' amba [ci a
Con P animo the vince ogni battaglia ,
Amendola , nome di Ninfa ♦ ma per avven-
tura fìnto» ficcomefono tutti gli altri di
que-
DELL'ARCADIA. i6s
quefto volume : o piuttofto è albero . Leg-
gi le Annotazioni .
Ampiare^ allargare, accrefcere » far largo.
Ancipite y voce latina: tagliente, arrotato.
Amlare ^ quel che i Tofcani dicono anfore ^
ma per traslazione vale il mcdefimo che
afpirarc a qualche cofa > ovver defidera-
re ardentemente.
^/»^^^rd',affliggere,anguftiarejriangere, doler-
fi, rammaricarfi triftnmente con l'animo.
Anguhy cantone, parte non retta di luo-
go, e di meno eccellenza che lo sferi-
co nella Geometria; però G dice veritay
nonbabet angnlos ^ cioè é chiara» epura»
fenza imperfezione.
Antinians^ nMne proprio di luogo, ma re-
rò fotto Voce di Ninfa: così detto dal Sa-
nazzaro fecondo P ufo di quei temni .
Appiattare^ voce Tofcana: afcondere , ce-
lare . Il Petrarca :
E lei nonftringi che t^ appiatta ^ sfugge ,
Dcinte :
In quel che t"* appiatti mi (er li denti ,
Aragne : in quefto luogo s* intende la ragnaj
cheèforta di rete fotti liUìma fatta di fe-
ta j ovver di filo , con la quale fi pren-
dono gli uccelli chiamati tordi: percioc-
ch' ella fi appiatta tra gli alberi, e fi di-
ce andare a ragn^ . Egli è in proverbio :
Egli badato nella ragna '^ cioè egli è capi-
tato male .
Afbvjii , cioè arboreto , luogo ove fono ar-
bori, eviti, mifchiatedi maniera, che
eflendo grate alla veduta, fono anco di-
lettevoli per l'ombra che eflì rendono i
come fono per efempio i bofchetti in al-
cuni luoghi fatti a mano.
4**
i66 GLOSA D' ALCUNE VOCI
Argo y avca cento occhi, e fu pollo da Giu-
none a guardia di Io tramutata in vacca»
acciocché Giove non la riducete di nuo-
vo in forma umana . Ma Mercurio in-
gannando Argo r uccife ; e Giunone
adornò la coda de^ Tuoi pavoni con gli oc-
chi d' Argo . Vedi le Trasformazioni d*
Ovvidio .
Arìdo ^ vai il medefimo che fecco ^ o ve-
ramente cofa che non abbia fugo alcu-
no , e che fia Aerile . II Petrarca :
Che gentil pianta in arido terrtno ec»
Affjiula , fpina , aculeo , o pungolo , dsL
arifta , che fignifica la fpiga del fru-
mento j il quale ha certi fottiliflìmi fili
che pungono acerbamente. Significa adun-
que arifiula , voce diminutiva , coja pun-
gente .
Arrequiare , voce formata da requie ; ripo-
fare > quietare ,
Artigli y ungioni de^ piedi degli uccelli ra-
paci 1 come fono i falconi , 1' aquile »
gli aftori , e fimili altri animali . Un-
ghioni propriamente fon quelli degli ani-
mali terrellri : ed artigli per metafora
fignificano i legami d' amore : Il Pe-
trarca :
Tanto provato avea il tuo fiero artiglio,
Afparago , fparagi y dichiamo noi» huoni a/la
bocca e cotti , I Veronefi che fon per-
fetti , fi mangiano crudi » ed hanno fa-
pore di fava frefca . Diofcoride nel 2.
lib. e. 14. racconta molte virtù dello
afparago : vedi quivi .
Atterrito^ cioè fpaurito , fpaventato dal ter-
rore, dalla tema.
Attr^fciare , ridurre in treccia o fiori , o
rami
DELL'ARCADIA. 167
rami d'arbori» e far coronette di ginc-
ftre j e d'altri fiori .
Avena , finiigliante all' orzo , forca di biada .
B
BAccari ^ in definenza di naceari . Nome
di erba > la cui radice è odorifera mol-
to, quafi cerne cinnamomo: fimiglia ai-
la ellera con la foglia ; ma è più tonda >
e più morbida .
Hacolo , voce latina : baftone , bacchetta 9
baftoncello .
Bajnre , ma il dritto è ahbajare , latrare ; ed
è proprio de' cani eh' abbaiano : come fnug-
gire de' tori , e belare delle pecore > ed
annitrire òc:^ cavalli .
Barcinio y nome proprio di paftore, ma fin-
to dal Sanazzaro; e fu uomo letterato da
Napoli .
Batto ^ paftore che fu convcrtito infafìToda
Mercurio, per averlo ingannato . Vedi
Ovvidio, e .-' Annotazioni.
BerfagJio , Ycrfaglio , Alcuni lo feri vono coti
la t ; ed è quel fegno al quale i faetta-
tori tirano per far pruovadel loro valo-
re . Latinamente fi dice fccpttr . Dante :
Che drii'^h r arco tuo a tal bfrfaglio .
E fi fuol dire: E gli è fatto ber faglio a tut^
ti i tclpi àella fortuna .
Bifolco^ vale il medefimo che aratore; la-
tinamente bubuhur ^^2l\\?ì voce ber . Il Pe-
trarca :
N^ pajior f^ apprefaran ^ né bifoìcii ,
Blandire^ voce latina : accarezzare piace-
volmente: e blonda^ cofa piacevole.
Bucina^ cioè tromba: vogliono alcuni ch«
fi gai-.
j^t GLOSA D'ALCUNE VOCI
lignifichi il corno , alcuni altri la piva for-
dioa ) o cornamufa che fi dica > nondi-
meno egli è difegnatoin quello luogo per
iilrumenco nobile da fonare •
CAracchlo ^ famiglia onoratiiTima in Na-
poli, dalla quale fono ufciti Cardina-
li > e Capitani di molto valore . In que-
fìo luogo il Sanazzaro loda Trìjìano , di
cui ho detto al fuo luogo ; o forfè £'p/-
curo Caraccich y eh' a' fuoi tempi fu leg-
giadro , e culto Poeta , e fcrifle un' ope-
ra chiamata la Cecarla ,
Carpino y dice Palladio in quel dell* agricol-
tura , ch'egli è Tultim' albero tra tutti
gii altri .
Cerri , nome d^ albero .
Certare , voce latina: vale il medefimoche
combattere , o contendere infieme : e da
quefto fi dice certami .
Coetanei , cioè d* una età medefima : ficcome
compatrioti ^ cioè d' una msdefima patria •
Collacfimarg , cioè//»»^ lacrimari , pianger >
e lagrimar con qualcun' altro in com-
pagnia .
Ccmonico » in quefto luogo pef ^ j non per » j
per rifpetto del 'a rima , eh' è errenico : ma
comunico è il fuo dritto : e fignifica parti-
cipare > ed accomunare .
Compiangere , piangere infieme j come colla^
crimare y lagrimar in compagnia . Si nota
che quefta voce è ufata dagli antichi pro-
fatari Tofcani , e Provenzali , ancora eh*
ella fia tutta della lingua latina .
Congedo ^ vocc Spagauola > e ricordata dal
Boc-
DELL'ARCADIA. 169
Boccaccio nella fua Amorofa Vifione :
fignitìca licenzia . Il Bembo nelle Stan-
ze :
Duftqui 9 Vùflrs bontà , che f»mpre i
mcha ,
Danti a gii Oratori ornai congedo ,
Connubbio , fignifica il matrimonio : e gli an-
tichi ufavano quefta voce tra le perfone
libere : ma tra' fervi dicevano contuber^
fio , o tal' altra voce .
Ccnforte^ vai partecipe, compagno. Voce
latina fonfon ; e conforte dichiamo la mo-
glie ) cioè compagna . Bembo :
Rendimi , r» ejfer puh , libera e fciolta
L* erranti mia conforte ^
C^rbe;ilo/i , in definenza di fcave^ioH ^ o
avveiioli , E' il corbezzolo quell' albe-
ro che i Latini chiamano arbuttit : e fa
i frutti tondi , rolli , e punteggiati ,
fimili alle fragole ; e fi chiamano <"«''-
bexxole ,
Corticc y fcorza degli arbori, ne' quali Ipa-
ftori intagliano , cosi per favore 5 i ru-
bici nomi delle loro paftorelle j coti
punta di coltello» o d'altro. La prima
invenzione di (crivere in tavole d' albe-
ro nacque da loro .
Cetufcano , rifplendono come fa il ba-
leno .
Covati , è proprio della gallina quando
copre l' uova per far i pulcini . Pe-
trarca :
TJ-ido di tradimenti , in cui fi cova
Quanto mal per lo mondo oggi fi fpande ,
Crepitare y fcoppiarcj crepar come fa la fo-
Tom9 I. H glia
,70 GLOS A JD» ALCUNE VOCI
glia del latiro , quando fi mette fui fuoco ,.
Cribro^ crivello da vagliar il frumento; che-
fi cW\2Lm2i vaglio in Toicana . II Petrarca :
Vort^ tial fiume al tempio acqua col cribro ^
Crccitare i è proprio il verfo della voce del-
la gallina che chioccia. Il medeamo fan-
no alcuni altri uccellacci , corr* è il cor-
vo , ch'annunzia la pioggia col e ocitare ..
Crotalo , nome d* iftromento mufico ufato
anticamente dagli Egizzj nel facrificare j.
come fi vede nella tavola di bronzo di
Monf. Torquato Bembo . Alcuni dicono
cK' egli è un* anello grande di bronzo »
dal quale, percotendofi con verga di fer-
ro , efce un tintinno ed «n* armonìa mol-
to dolce , in compagnia però della fiftula .
Cruente y da cruore ^ eh' è il fangue : figni-^
fica [angui nolente ,
Cubito , gomito del braccio : dal qual s' ha
fatto la mifura del cubito : come 1' Ar-
ca di Noè era alta tanti cubiti»
Curvati , cioè inchinati > piegati a terra •
DAmma^ per doppiai, è la capra fai va-
tica : fimile allacavriuola : alcuni l^i
chiamano daino , Petrarca :
JE* non fi vide tnai cervo , ni damma ,
Ma con una rrt fola ? oltra ch'è errore , vai
anco quel che noi dichiamo la favorita ^
ìa (ignora ^ la innamorata , la dama ,
Debìfcere , aprir grandemente per ogni ver-
fo, come fa il cielo quando balena , che
par che fi voglia a un certo modo aprire.
Delia ^ uno de' nomi della Luna, percioc-
Ch*clla fi chiama Lucina , Diana , Latona ^
1
DELL* ARCADIA. ijr
Tthe»^ Prof/rpina , Ecaìe ,.e tali altri «,
Dante :
Onde ft Parco il Sole ^ e Delia il cinto ^
cioè la Luna .
Depravaj'fy guaftafi , corrompefi , fi fa cattivo ^
Vilanì*^ da dilaniare^ ftracciare>fmembr:.re*
Dif culmini „ da difculminare „ levar il coU
mo della cafa > o della capanna .
Difjicore ; jecur , fignifica la corata : da que-*
fto nome fi forma il verbo ditjtcorare , cioè
cavar fuori la corata, oli fegato.
Dijìraere , condurre in divcrfe parti 9 di*
videre , menare.
Divellere , f piantare , difradìcare y cavar per
forza fuori della terra erba, o albero che
fia ben radicato .
Diverticoli , dal verbo vertere : nafcondlmeti-^
ti , luoghi d'i nafcondigli : così di fatti >
come di parole : perciocché favellando
l*uomo accorto che non vuol elTer , co-
me fi dice i^acchiappato 5 ufa parole j e
tratti che fi poffbno chiamar diverticoli,
Drimdi , Ninfe delle felve : da dryt voce
greca » che vale il medefimo che '»/^^''<? .
Dumi , {pini , e tal volta luoghi fpinofi %
invogli di fpini , ed* altri rami de' fof-
fati . Noi dichiamo macchie in Tofcana ;
cie[e in Lombardia .
E Bull ^^ pianta», che produce le pomef-»
le come il fambuco . Diofcoride ne trat-«
ta nel lib. 4. cap. 175.
Eccitare^ far animo, deftare , inanimare,,
Mm % nome di Ninfa . Ed é quel rifonamcn-"
' to della voce che riflettendo ne' luoghi
Hi ca^
172 GLOSA D' ALCUNE VOCI
cavernofi rifponde a chi chiama . Ovvìdio
fcrive ch'ella s'innamorò diNarcifo) e
non efTendo all'incontro prezzata da lui>
piangendo lungamente , fi converti in faf-
fo. Vedi le Trasformazioni.
'Edicola , da <ede£ voce latina : cafìetta, o
chiefetta picciola.
Edulio , companatico : cioè tutto quel che
fi mangia in tavola , cavandone il pane.
^licere , eftrarre , cavar fuori .
Enareto i ncme di paftore : maperòdi fcrit-
tore Napolitano 3 amico delSanazzaroiti
que' tempi.
'Enotie^ nome di Ninfa . Coftel fu amata da
Paris allora ch'egli era paftore- E per-
ciocché ella fi mantenne fempre * ver-
gine > amandola Apollo , la fece medi-
ca > e le moftrò la virtù di tutte l'erbe.
Erg^fiy alzifi j da erigere y che vai drizzar-
fi , levarfi in pie; e per metafora» alzar-
fi a volo , farfi grande , e famofo .
Trimanto , nome di fiume in Arcadia • Na-
fce da un monte parimente detto Eri-
manto , famofo per le pruove d' Ercole :
perch'egli vi prefe vivo il cinghiale, e
lo portò al Re Eurifteo .
Errofìicoy ch'erra, che falla, o veramente
eh' è ftolto .
Eruttare , mandar fuori con impeto : a gui-
fa del monte Etna, che manda fuori lo
iìamme e la cenere con furore.
Efanimare^ cavar fuori l'anima.
Efcuhit^ Te guardie che fi fanno la notte al-
le for-
'^ Non perche fi mantemjfe fempfe vergine s
ma a fili perchè lafcicjfi torre il figr ver*
ginah da ^uel Nume ,
I
DELL' AR.CADIA. ^ 175
le fortezze» agli armenti, alle città. Le
fentinelle dicono i foldati .
Ifi/are , letifichi , allegri ; „ da tfUrare „ ,
Ej^l'o, fine, morte, e (ito,
Éfpurgare , da purgare verbo , purgar con fa-
crificj i luoghi, oleperfone nonpie , ma
profane .
EJiolf^ro , innalzarono 0 con fatti , o con pa-
role.
Etruria , la Tofcana : 'Etrurii , i Tofcani .
Evadere y chefignifica fuggire > fcapolare >
falvarfi dal pericolo .
Evafìmo , dal verbo latino „ evadere ,, . fcam-
pammo .
Evitare , fchifare , fcapolare ; di chi fugge «.
FAmulentt y affamate, che hanno fanie-^
^ Fanatico y pazzo, o veramente pieno di
furore, in quella maniera de' facerdoti
antichi, quando davano i refponfi jfigni-
fica anco il facerdote eh' è propofto al
tempio , che latinamente fi chiama/^'^ww.
Fafcino y in definenza di lafcino y è qualità
dMncantamento , per lo qual fi leva ali*
uomo lacognizion delle cofe : onde fat-
to flupido non fa s'egli è vivo; e fi nuo-
ce con incanto così fatto alle pecore . L*
iftelTo dichiamo delle donne che guafta-
no i fanciulli col guardo. Ma il fuo pro-
prio è delle pecore. Il fuo verbo è Z^-
fcinore .
Fatidico y colui che predice le cofe future :
qu:ifi fecretariodegl' Iddii, de'qualicgU
fappia il volere ; ode! fato, onÒQ fluidi ^
^^iCioè ,)Chidice>jladifpofizion del/'^'«?»
H ? Fia^
„Ì74 GLOSA D'ALCUNE VOGì
jFtafca ^ di legno, odi vetro, o d'altra co-
fa ; bottaccio , o tazza ove i paftori ) e i
contadini portano il vino } e fé I' attac-
cano alla cintura.
Thco^ raucojche ha la voce impedita j che
non può liberamente favellare, come co-
loro che fono infreddati.
Tifa Ile , vafi fatti di vimini , o giunclii , ne^
quali fi rapprende il formaggio, quando
fi fa ) ovver vi fi porta dentro •
-Fiumora^ i Tofcani di (fero , ìatora^ prato^
ra , corpora , arcora , o^tora , luogora , hof-
gora , graderà ne' nomi neutri ; ma ne'
mafchili non diedero tale finimento.
Fluviali , cofe di fiume : come pefci > faffi )
ed altro.
Fragola y forta di frutto che nafce fui mar-
gine delle foffe dell'acqua che fono pet
lungo i prati : fon dolci alla bocca > ro-
tonde , e rofTe come fcarlatto .
frangere , rompere , fpezzare .^
Tratta , inviluppo di arbofcelli } come fo-
no fpini, eviti; alberi, che noi li chia-
miamo in Tofcana macchie : i Lombardi
dicono ciefe .
Ti'igi^a, voce latina: fredda.
Trifone , forta d' uccello , com' è il tordo
di grandezza .
Ffornba , ^ fionda . Fronda non fi difle giam-
mai da alcuno che fia flato fcrittor rego-
lato . I Latini òiCQViO funda , Ed èquel-
l'iftromento di fun?> odi corda col qua-
le fi traggono i falTi , e col quale Davide
Re uccife Golia .
«Stf/-
DELL' ARCADIA. 17 j
<i
GAÌÌia Cifaìptfta y quella parte d' Italia
che fi chiama oggi Ja Lombarda .
Gemina , doppia, raddoppia : da geminare^
eh' è addoppiare.
Ghirlanda , corona di fiori , ovver d'altra co-
fa che fia vaga j e di colore : voce Pro-
venzale . Alcuni feri vonog'>/««^<» 5 qua*
fi giranda^ perchè quella fi aggira intor-
no intorno .
Giuggiola , frutto , ed albero che i Lombar-
di chiamano zipola,
G rottele . grotta , caverna ; gfottola ^ caver-
na picciola , epcrrifpetto della rima del-
lo fdrucciolo.
J Acolo , legno j pietra , o qualunque altra
cofa che Ci polTa trar con mano . Ma in
quefto luogo fignifica quel dardo di legno
che portano i paftori ,
Jade j fono le fette ftelle cht fi trovano nel-
le corna 9 e nella teda del Tauro fegno
celefte : le quali quando nafcono , o man-
cano , fanno nafcer la pioggia .
V> la favola è nota. Vedi le Trasforma-
zioni d' Ovvidio , e le Annotazioni fo-
rra P Arcadia .
Ignorare, non fapere > dal verbo latino ignoro,
ìlart , allegro, lieto , giojofo j contento-
Irnliafìo y la baftina , o il bafto che fi pone
air afmo , o alla cavalla , o cavallo .
,, anaotaiione pellfgrina , „
Jmp.polare^ vale appoggiar la vite , od al-
H 4 tro>
jye GLOSA D' ALCUNE VOCI
tro , air albero chiamato p<?pp^ , o pioppo ,
Vedi iì 2, Indi e f .
Impuberi ^ giovanetti di prima età» come i
putti di quattro o cinque anni . ,> fino agli
anni quattordici i fanciulli fi dicono «/»-
pubiri . j,
Incalvano , fi fanno calvi , per metafora >
cioè fi feccano gli alberi cadendole fo-
glie» che fono cornei peli all'uomo.
Incappola , ,, la incappo j da incappare „ co-
gliere: ^i^/<»;'p<?r^ dicono i Lombardi; pren-
der chi non fi guarda ; ,< ovvero prendere
con rete . >? Dice lo %p^%v\\xo\o accapparf ,
Incedere j camminar fuperbamente j andar
piano.
Increpare i riprendere j gridare, ammonire .
Indecore^ fuor di decoro , fenza gravità >
cofa non convenevole . Vedi ili, Ind.
Indeficiente y cofa che non manca mai.
Indragare , voce formata da quefto nome dra-
go : vale adirarli , ftizzarfi velenofamente
per collera, come fanno i draghi .
Ineccitabile , cofa che non fi può deftare , o
folle vare .
Inopia^ lacaredia» la povertà.
Infemito , feguo le veftigie , o veramente
vado mettendo il feme per metafora, co-
me colui che lemina • „ quejie fon baje , ,,
Intetìto^ la morte, il fine, l'eftremo delle cofe.
Invetera^ invecchiai dalla vocQvetuì,
Invoìutato 5 rivoltato per lo fango .
Irafcere , adirarfi , lafciarfi tralportar dal-
ia collera-
Irretire^ prender con carezze : dalla voce
rete , per metafora degli uccelli che fi
prendono con reti .
Irritare j attizzare > (lizzare > fiuzzicare .
DELL' ARCADIA. 177
Irfutfj , vale il medelimo che orrida > afpra >
pelofa : onde pelle irfutaj cuoj irfuti .
Iieray replica > torna di nuovo a cominciare .
L Aegro y fquarcio, ftraccio» rompo.
Lambrt'fcano ^ quel che i Lombardi di-
cono brtifcare* ^ cioè tor via dalle viti i
l'armenti vecchj ; quel che i Tofcani di-
cono , potage .
LappcU , alcune cofe che ftanno fra' frumen-
ti , che s' appiccano altrui j e tengono
della fpecic del cardo *
Latebrt^ luoghi da nafconderfi , occulti e
celati,) nafcondigli • ,)
Lati , cioè larghi , ampj , fpaziofi .
Latrare^ gridare, abbaiare come fanno i cani •
Ledere , offendere > ingiuriar con parole»
o con fatti .
Lenocinli , carezze > blandimenti > moine »
allettamenti .
Lepidi i piacevoli, felìevoll , giocondi.
Lihamenti ^ tutto quello che fi guftava ne*
facrificj che fi facevano dagliantichi agi'
Iddii.
Liguftri , fiori bianchi , piccioli , e di mol-
to odore. Virgilio nella 2. Egloga :
Alba liguftra cadunt .
Litn'ttt ^ fegno prefifl'o, termine, confine.
Lìmo ^ fango , fporchezza ? loto .
Li mula ^ limapicciola ; diminutivo da ^''W'*»
H 5 Lin^
* Ffffima fpiegaiione : le viti fi lambrufcano
altro non vuol dire , fé non che in vece di
produrre uve di buon (opere producono uve
(alvatifbe , ebe \d^m)iX\x^QÌi^ fi chiamano .
»y2 GL05 A D'ALCUNE VOCfl
Linfe , acque chiare di fontane .
Loglio y forta d'erba la qual fi dice anco t*?-
Zanta , Virgilio nella 5. "Egloga.
Infelix ìoUumfii flerìUs dominantur avena.
Lue ari no ^ lugarino. uccelli che fono ufati
a tenerfi per le gabbie .
Luggiola^ nome di erba acetofa .
Luftrah y tutto quello che fi appartiene a
facrificio che fi fa a certi tempi . Un/«-
ftro appreffo gli antichi era lo fpazio di
cinque anni .
Luftrare , fignifica anco purgare.
Lutulento , fangofo > limacciofo , formato
dalla voce luto ,
MAcchie y dumi che ftanno per le ville
fopra i foflati , compofti di fpini , di
vitalbe, e di cotali altre frafche .
Macera , affligge la carne con gli (lenti j
o col digiuno ; onde fi divien magro.
Magione , ftanze , abitacolo , cafaj voce Fran-
cefe : ,> la mai fon ,, .
Manganare , fi àìcQ fnangano 1' iftromerito
col quale fi calcano le tele quando fon
tinte, per farle divenir iuftre .
Mantarro , voce Napolitana . Tabarro , e
vefiimento da pallóri . A Fiorenza Io chia-
mano fjltambarfo .
Mantegna . Andrea Mantegna fu famofo pit-
tore a' fuoi tempi 3 e diligente molto ,
del quale si veggono in molti luoghi bel-
le , e vaghe pitture : ma non però da
comparare a quelle di Raffaello da Ur-
bino, di Michelangelo, e di Tiziano.
Métntici , i folli o degli organi , o de'
:fab-
DELL' ARCADIA. 179
fabbri . II Petrarca nel Sonetto CV.
Co' mantici , col fuoco , e conglì [pcccbj .
Majfftlia , nome proprio di Ninfa , ancor che
fia proprio luogo a Napoli .
JAeUmp»^ nome proprio di un cane ricor-
dato da Ovvidio nel 3. delle Trasfor-
mazioni .
Mergellinay la Villa del Sana7zaro : luogo
poco lungi da Napoli , nel quale era
una bella torre .
J\I///f mila ^ cioè mille volte mille .
Morigerare , coftumare , coftumatamente pro-
cedere , o con giudici© reggerfi , e go-
vernarfi .
Motteggiare » burlare ) piacevolmente par-
lando , pungere , e fcherzare amiche-
volmente .
ìAunufculó , un prefente , un dono picciolo •
Mutilare , troncare , fcavezzare , tagliare-
:n
NAccafi f iftrumentl muficalldl bronsrot
Najadi , Ninfe de* fiumi .
Napee , Ninfe de' fonti ; ficcome le Dria-
di fono degli alberi.
Nappo, vafo odi legno, od' oro, o di ter-
ra , odi qualunque altra materia .
"Neputa , erba chiamata da' Greci Cai ami n*
to : utile allo (lomaco , e provocativa de-
l' orina.
Nifi^a y nome proprio di Ninfa > e di luogo .
H. 6 Obli-
/
%to GLOSA D'ALCUNE VOCI
OB/ltera y dimentica) cancella > pone in
obblìo.
Olfafi , o/facere è proprio il fiutare, ol'an-
nafare che fanno gli animali T un con l'
altro > cornei cani. 0//vj/ , cioè s'annafa .
0/irf , faper di buono , o di cattivo .
Oreade , Ninfe de' monti , perchè oroi in
greco vuol dir monte .
Orione <i (iella maligna pofta dinanzi al Tau-
ro : nel fuo tempo nafce la vernata , e
conturba il mare , e la terra • li Petrarca :
£^ Orione armato
Spelea a^ trìfti nocchi $r governi e [arte .
Orno ^ albero chiamato altramente «^''«(^//o .
0/V^«^, parti, o parole vergognofe ed inonefte.
Ottenebre^ OiFuiche» ofcure .
P/lgtna , carta , e per traslazione le fcrit-
ture degli uomini dotti.
Tahs , Dea de' pallori , e de' pafcoli . Vo-
gliono alcuni eh' ella fia la Dea Veda > ed
alcuni altri la madre degl' Iddii .
Taleftra , luogo ove s efercitava anticamen-
te la gioventù : e fi prende per T efer-
cizio ) come giuocare alla palla, faltare,
correre, trarre il palo , e tali altre cofe.
Delle paleftre , vedi Vitruvio .
Palpitare , muoverfi , e battere j come fa
un cuore alterato .
Pampini y le frondi delle viti quando fono
fretche attaccate a' farmenti •
Pan , è Dio de' pallori ^ e fi forma a forni-
glian-
DELL' ARCADIA. iSi
glìanza della Natura • Egli ha le corna
fimilia' raggi del iole, e della luna. L3
fua faccia rolTeggia a imitazion dell* aere.
Ha una llella nel petto. Dal mezzo in
giù è ifpido. Si crede che fode figliuolo
di Demogorgone > che compofe la filhi-
la di fette canne. Gli Arcadi adorava-
no qucfto Dio.
Tanormita. Antonio Panormita fu fecreta-
rio del Redi Napoli , uomo di gran lette-
re in quei tempi , ed amato molto dal
Sanazzaro .
Faretre y voce latina : perdonare.
"Parche y le Dee che fono prepofte alla vita
ed alla morte degli uomini .
Farity detta Alelfandro, figliuolo di Pria-
mo i il quale fece il giudicio del pomo tra
le tre Dee; favola noti fli ma .
Parrenofei il „ primo j» nome della città di
Napoli > e nome di colei che 1* edificò .
Patera , una forta di tazza da bere , con la
quale anco fi facrificava > porgendo agi*
Iddii latte, ovinoj fecondo a chi fi fa-
crificava .
Pavide^ timide, paurofe , paventofe ,
Peculio , beftiame , o veramente facultà .
Piaflrella y quel fado , o quel pezzo di pie-
tra che fi trae da coloro che camminar»-
do giuocano a chi giunge più vicino al
fegno da loro desinato.
Phjadi y ftelle che formano il Tauro dal ca-
po in fuori. Sono anco chiamate F»''g'/'Vj
e Gallinelle dal volgo . Quando è T equi-
nozio , nafcono la mattina . Dimoftrano
nafcendo che fi può navigar ficuramente .
Puntano. Giovanni Fontano fu poeta illu-
Are . Fu Napolitano, e di molta dottri-
na .
VSi GLOSA p» ALCUNE VOCI
na . Ellendogli tolto il luogo del fecre-
tarlato del Re, gli fuccelTe il Sanazzaro.
Tentici , mordenti , che pizzicano come le
forbole j mangiandone .
Poterlo^ dal vixho potare: che fignificabru-
fcar leviti, e gli alberi.
Vrccipere , comandare aflolutamente .
Vrelii, le guerre, i combattimenti, la pugna •
■Trojiergano , diftendono , vincono , atterra-
no* ■), dovea dìrlPoftergano , e così dar-
5, gli altra fpiegazione . Vedi il noftro
„ Indice. „
Protrato ,y diftefo in terra , pofto a giacere .
^Prarti , i rami di quelle ("pine che nafcono
iopra le folle j e ne' prati . fpini .
Q
Ueruh j lamentevoli y e dolenti
R
R Abbuffato y fcaplgliato , tutto fottofopra .
Ra cernì ^ rami d'alberi , o d'altro» ^
'Recejpy luoghi piacevoli, ed ombrofi da ri-
tirare.
Ptf//(7W/7/, ritornare in pianto ,oin piacere.
Kicovero , cioè rimedio , in quefto luogo .
Riedono ^ ritornano i tempi ,o altro .
^igi//a , aCpra, dura , alpeftre .
Ri folta mi , fi feri ve rifuhami ; ma per la ca-
denza fi muta in queftala" nella o.^
aitimi . ritmi è il proprio , ma licenziofa-
raente vi s' ha interpofto la i dopo la?»
per far il verfo . Verfi , ovvero con fo-
nanze : onde i volgari chiamano ^'*^' •
"DELL' AkCADIA. hÌ^
^om'.nì . rumini , ficcome anco rifoltamì , per
far la cadenza : ed è quel biafciar che
fanno gli animali quando hanno mangiato.
Ruggito y la voce de' leoni quando gridano,
o di qualunque altro fiero animale.
Butilt , da rutiUre , che fignifica rifplen-
c^ere, come fa l'armatura ripercoflk dal
ole.
^S
'^^AccuU , facchi , o tafca > o facchetti , (JV-
i3 ver carneri .
Satina . le fannt fono i denti del porco cin-
ghiale > o del porco falvatico, o di qua-
lunque altro animale che gli abbia fuor
della bocca. Scrivono alcuni xanne ,
Saturo y fazio, pafciuto a baftanza , fatollo-o
Scinff , difcinfe 9 dislegò ; il contrario di
finje ,
StJare y acquietare , pacificare ; parimente
alTettare le cofe .
Wlf cf yfilix y pÌQtra dura ; onde il Petrar-
ca nel Son. CLXIV.
MeJufa , quando in ftlct trasformoìh-»
Senio y da ftnfx , vecchio . la vecchia/a .
Serti y ghirlande.
Sgomentare^ aver paura , sbigottirfi .
SéàiUrf^fi^cWiareyofuhiare „ dicono i Lom-
bardi,, cotne fuol fare la ferpe.
Sentici y morbi che noccino a tutto il cor-
po ; malattie dannofe .
Sorbitilo y eh' è cofa afpra , com3 il fugo del-
la forbola .
S Otero y fuber . fugbtro dicono i Tofcani quel
legno leggiero che emette nelle pianel-
le
1^4 GLOSA D'ALCUNE VOCI
le delle donne, il quale è fpugnofo» Lo
chiamò anco (uberi .
Staiumina y ioftenta con pali » e corali al-
tre cofe da foftcnerviti, alberi, e cofi;
da villa : quafi travamenti > o armamen-
ti da contadini .
Sufumtgj , inccnfi , ed altri odori che fi ado-
prano ne' facrificj.
Svi [cere . fvifcerare è cavar le vìfcere , cioè
le budelle.
Sufttrro , il mormorio delle api j delle mo-
fche, e d'altri animali così fatti . Si pren-
deva anco il fufurro per qualità d' incan-
to che fi faccia così fotto voce > mor-
morando pian piano •
TAlamoy camera, o altro luogo da abi-
tare .
Tallone y oiTo del pie eh' efce in fuori . I
L imbardi dicono cavicchie , ocaeccèie ,
Tanpjre y toccar con la mano, ocon altro.
Tf/y^ , ora . voce Tofcana ufata dal Boc-
caccio .
Torme ^ iquadre , mandre di beftlaml .
Tremtfcere , tremare o di paura , o di freddo .
Trepidare , temere , aver oaura •
Trinacrìa , l'ifola di Sicilia , così detta da
tre promontori, cioè Pachino, Lilibeoj
e Peloro .
Triti 0^ grano; e fi prende anca per l'al-
tre biade.
Trìvio y luogo di tre vie : quadrivio Ai quat-
tro vie. talora fi prende perla piazza ove
s' aduna la gente.
Tr/-
DELL' ARCADIA. xSy
T»/<; , qualità di piecra che fi trova a
Roma in abbondanza j ma è moJto te-
nera.
TumoUy fcpolcro, monumento per morti.
%.^
UBtrl y le mamme, ole tette delle ca-
pre , delle vacche , e d* ogni altro
animale .
Vgrtitey la fommltà , la cima del capo : e
fi dice vertice y dovei dir vortice ,, quel
contorcimento che fa l'acqua correndo ,
I poli dei cielo fon parimente chiama-
ti vertici ,
yefpertillf , pipiftrelli , nottole ; né uccello,
nò animai di terra .
yettra y vecch a , antica.
Ulula y nome d' uccello » come della upu-
pa. )) Alocc9 propri.imente . „
Ululare , è il pianto ed il gemito , quafi
urlare ,
Uncinute , da uncino , con le fgrifFe fat-
te come gli uncini, che fono ftorti io
dentro •
Voeitare y chiamar conia voce: vociferare,
cioè gridare.
Z«r.
«86 GLOSA D'ALCUNE VÓCI «e.
■^^ Accori , gli fchizzl del fango che van-
•ìLj no fu le vedi nel tempo del verno : e
talora \accari fi prende per travagli > o
garbugli che l'uQmo ha.
Ziixania , erbaccia che Jiafce tra il £ru-
'Xnento .
NUO-
»^7
KUOVA SCELTA DI VOCI
OSSERVATE NELL' ARCADIA
DEL SANA22ARO,
^ra le quali ft Hi rtplicano akune già rac*
•colte dal Sanf ovino , o per ejfere fiate d»
'tjfo male addotte , e male ^piegate , o per
mccennarne la mancanza nel Focabolario del-
la Grufa . Il fegno * fignìfica che la voce ,
C quel particolar fignificato di effa , manca
nel fuddetto Vocabolario de'* Sigg. Accade^
mici della Crupa : la f dinota le voci of-
fervate da chi fece 1* Ortografia moderna
Italiana te, ftampata nei Seminario di Pa-
dova, r anno ijii.ia 4. e le lettere V.
il S. mandano il lettore ella precedente Di-
ebiaraiione delle Voci dell' Arcadia , fatta
'dal Sanfovirti ,
ABbajato , -per quello centra cui abbaiano
i cani . Pr. 9. e. 84- *
Abbracciare , per abbracciamento . Pr.7.c. 55.
Abortirli , fconciarfi . Pr. lO. e. 9j. ♦
Abforbere . afToibìre • Egl- 12. v. 224. V. US,
Acera ^ acero , forta d' albero. Lat. acer ,
Egl. 6. V. 15.*
Addifcere , per imparare ; alla foggia de*
Latini. Egl. 8. \,9i.*V.il5.
Aderbare, palcere con erba . Egl. 9. v. 70.*
Aduncarfi . divenir torto , adunco. Egl. lO.
V. 182.*
Afangtrfi^ divenir fangofo -Egl. 6. v. 22.
Affacciare . far-fafcio • Egl. 6. v. 1 8. Nel Vo-
'Cabolario della Crufca manca quefto ver-
bo^
ì88 NUOVA SCELTA DI VOCI
bo; bensì v'è Affascinare collo ftelTo G-
giiificato di far fafcio ; il che pare ma-
nifefto errore, mentre Affafcinarevoxtì.
piuttofto dire , nuocere col farcino , o
malìa .
i Affi[*ro . fermaronfi guardando attenta-
mente . terminazione irregolare dal ^^t'
ho^iffifare , il cui tempo paiTato perfetto re-
golarmente fi offxfarortQ , Lat. intenth ocu/h
intueri . Boi. S. V. 54.
Afflare . foffiare , fpirare . Egl.9. v. 147'
'*-\y.iis.
Aggytarfi , piacere a fé fteflo , o rallegrarli
feco medefimo . Egl. 12. v. 176. *
Agricola, agricoltore. Egl. 12. v. 300-
-^ggt'liatore . che aguzza . Pr. lo.c. 91- * t
Allontanania , lontananza. Pr. 6. e. 4?. *
Allumare, illuminare. Egl. 12. v. 270
Alluminare. ìo^^i^Q ch^allum^tre , Egl. i*.
V. 2 12.
Alpe , nel numero del più , Egl. lO. v. 66.
Altro che fé . le non f e • Pr. 1 1 . e» 1 1 g.
Ahano . forta d* albero. Egl. ii, v. 227. *
Amhafciarfì . affannarfi in refpirando . Egl- 2
V. 5^. *y.ilS.
Ambi duo . Pr.i i. e- 122. ed altrove. *
Amandola^ per P arbore, del mandorlo, ir
cui fu convertita Filli regina di Tracia
Egl 8. V. 82. y.iìS.
Ammarc^re . divenir marcio. AllaSamp.c
155. *
Ancipite f-rro . fpada da due tagli . Egl. 12
V.48 *K-/V5'.
Ancudine. LaZ. incur . Pr. i2.c. 1^7.
Annobilire nobilitare . Pr- i- e. ?. * t
Annubilare , annuvolare. Egl- 12- v. 2^4. *
Apparire, apparire. Pr. u.c. 113.
Apper»
DELL» ARCADLA . igj
Apptrtefttn . appartenere -Alla Samp. e.
Apptrtimnte . che appartiene . Pr. io. e. 94.
Appicciarfi , attaccarfi . Lat. iriharere . Pr.
5- c 36.
AppUufono .^ per applaudirono. Pr. u.c. ii8«
Arbono . Lat. arborsut . Pr. 8. c- 61. * f
Arbufcfilo. arbofcello. EgL 12. v. 26. * t
Ariete , per montone . Egl. 1. v. ultimo, e
Pr. 1 1 . e. 1 1 5 . *
Mifiula, picciola arifta , o punt-a . Egl- 12*
Arrequiarey per acquetarfi . Egl. 8. v- 51.^
F.ilS,
Afcondito . nafcofto . Egl. i». v. 140. *
Afpero , per afpro . Egl. 12. v. 4.
AJfibiUre , fifchiare apprelTo . Egl. 12, v,
246.*
Attrtcciare , intrecciare. Lat. intexgrfy i»»
nt^ert. Pr. 10. e- 95- * t VMS.
B
B Affari y baccherà, forta d* erba . Egl.
9.V. io.*F. //J.
Bacalo , baftoue . Egl. 12. v. 511.*!^. US»
Benho/o. benevolo . Pr. i. e. iP.
Beve, bue. Egl. ii. v. 214. *
Bruta terra, cioè flupicia 5 immobile; epi-
teto datole prima da Orazio nella Ode ^4-
del lib.i.
^0 bruta tillut , 6f vaga fiumina , &c.
Pr. 10. e. 98. *
Buccina . tromba militare • Alla Samp- Q%
354. ^.'V^.
€al^
f90 NUOVA SCELTA DI VOCI
G
CAlamo . canna . Egl. 12, v. 50.
Capannuola . picciola capanna • EgU
, 12. V. 288. *
Capale y per manico. Egl. la. v. 113. *
Cernirt , cernere j feparare ; Lat- ftcernere^
Pf. 1 2. e. 135-
Cef fitto . picciolo Cerro. Pr. 5. e. ?7. e
Pr. 9.C. 7?.*
Ctrtare , contendere» Egl. 10. v. 38.*
Chiufura . ferratura . Pr. 9. e 82.
Cìrcunflantf . Pr. 3. e- 20. ed altrove .
C//?r//Ài. cefteIJa. Egl. 12. v. ii?. *
Citara , cetra. Egl. 12. V. 185.*
QtUacrifnarg . piagnere infieme • Egl. 12. v«
68. ♦tr./V.S'.
Compieno, compifcono. AlIaSamp.c. 153.
Connubbio^ matrimonio. Egl. io. v. 174. *
Conto* cogui^'o, noto, manifefto. Egl, ir,
V. 111.
Convicino . circonvicino • Lat, finitìmus <
Pr. 5. e. 39-
Corido y perCoridone. Egl. 8. v- 18,
Cori/o* forta d'albero. Egl- 12. v. 22. *
Corufcare . rifplendere . Egl. 12. v. %7* *
V. il S,
Coftumora , per codumi . Egl. 10. v. 24.
Crepitante. Pr. jc. 19. *t ^. »/J. nel verb<a
Crepitare,
Crijiato, chchacrcfta- Pr. 5. e. 35.*
^rodtare . far la voce del corbo . Egl. i». Vm
zz,.*V.ilS.
Cruento, infanguinato . Egl. io. v. 149* *
Cvfullo . cappuccio » Pr, 11, e- 122, ♦!
DELL» ARCADIA. igt
CtKutrero . cocomero < Egl. 8. v. i2j. e Egfa
12. V. 252. *
Culmìnt . cima ► Egl. 12. v. 284. *
Cuniculo . coniglio. Egl. u. v. 98. *t
DAnnificart, danneggiare. Lat. ledere ^
Pr. 5.C.16.
Dardeggiar^ . tirar dardi . jacu/ari . Pr.5. e- 34..
Vecbirtarjt , Pr.2. C. 9. *
Dehi^ctre , aprirfi , fendere > fpalancarfi ^
Egl. ii.v. i84.»K.i75.
Denigrato, ofcurato . Alla Samp. e. 154,
Defgnato . difegnato . Pr. 12. e. 141. *
Df/iarc y per deftarono . Pr. 12. e. 1^6.
Dctintrt, ritenere. Pr. 12. e. 142. * legged
negli antichi tefti del noftro Autore.
Dì ifitto . di Tubito . Jfatim . Pr. 8. e. 6j.
Dilaniare j per isbranare . Egl. 6, v. 8i. "^
F. // 5*.
Oimcrania , dimora . Pr. 12. e. 142.
Oifcarferare . cavar di prigione . Egl. 12»
V. 195. *
Difcorfo . corfo . Pr. 7. e. 52. *
Oil'cvlmiftare . levar la cima . Egl. 12, v*
28^. » VHS.
Oifjecorarfi, fentirfi trarre il fegato. Egl*
12. V. 209. * V. US, Quefta voce è da la-
fciarfi affatto al Sanazzaro , non effenda
nè Latina , né Italiana > e perciò infeli*
cernente comporta»
Difpefo. fpefo. Pr.7. e. 5 8. e Pr.ii.c. 142. *
'^ijìinehrare , cacciar le tenebre . Egl. i2o
[k
V. 213 •
Oifventura , difavventufa • Alla Samp. c«
192 NUOVA SCELTA DI VOCI
Viverticulo, luogo fuor di (Irada . Egl. ii»
y._ 100.* V.ilS.
Divido, colla f-econda breve . in rima- Egl.
II. V. 78.
Dnttezia , per ottim.i regola . Pr. 5. e. 38.*
Dubito]o . dubbiofo . Pr. 5. e- 35.
Bumora , per dumi , pruni , Lat. dumus
Egl. IO. V. 21.
£
1
ECctìlera . fopravanzire . Egl. io. v. 185.*
Edìcola , picciolo tempio . Lat. adicu^
la . Egl. II. V.298. * F.i/S.
E dulia ^ cibo» vivanda. Egl. io. v. 70. *
K il S.
E ffafci nazione ( non aff'afcirsaiione ) . malia »
incantefimo. Pr. 9. e- 8^.*
Effondere . Spander fuori . Pr. u.c. 140. * t
Elcina . V. Elice . Pr. 4. e. 27. *
Elifanto^ per avorio. Egl. 11. v. 82. *
Elice . elee albero . i^ex . Egl.^. v. 52. *
'Eguipero^ in vece ò."* e qui pero ^ perla rima.
Egl. 12. V. 12.
£/•>> . forca d' erba fpinofa . Pr. 9. e. 82. *
'Erratico . vagabondo . Egl. 9- v. 44*
EfantMare . difanimare . exanìmare, Egl.^i
V.120. * iV'ilS,
Efafperarji , per adira rfi fortemente . Egl<
II. V. 7. *
Efcuèie . veglia . Pr. 8. e. 64. * f T. «7^.
£ /> , in vece di benché , Lat. ^f/^. Pr. ir.
e. 112. *
EJìcio . ( colla ^ ne'tefti antichi ) . ruina
éftrema . exìtium , Egl. 8. v. 95. *
afflar <:r e , rallegrare. Egl, ii.v. i2^*r.
.il S»
DELL' ARCADIA. 19;
"Efili , tenue. EgL 12. v. ^19. *
Efpettare , afpettare • Pr. 11. e. 113. *
E [piare . purgare. Pr. 3. e. 21.
'Eiìima, dima» riputazione. Pr. ir.c.n6. *
E fio , coli' / ftretta 9 per quejìo . Egl. 2.
V. 36.
TJiogìiere , innalzare . Egl. S. v. 15. *
EfioUere . follevare , innalzare . Pr. 4. e»
24.
E (Usanti, che bolle. Pr. 12. e. i?8.* f
Ttrurii ^ per Etrufchi . Egl. io. v. 79. * ^*
il S.
Evafimo^ da evadere, fcampare . EgL 8« V.
30. * V. il 5.
tvitatore . che fchiva . Pr. 4.0.25*
FAhula , per favola . Egl. 12. v. 122.
Famulrnto , ne' tedi antichi ( non /#-
tnulente . ) affamato . Pr. 3. e. 20. *
Farnofi , per farfì , in grazia della rima
fdrucciola . Quefta figura che frappone
una fillaba tra le voci, dicefi da' Greci
Epentheftt , contraria alla Sincope , che
leva di mezzo alcuna cofa. Egl. 8. v. 59.
Faticcfo , per affaticato . Egl. 2. v. 12. * ^
Fatidico, indovino . Egl. io. v. 28. *^. 'VX,
Fatora , per fati. E^^l. lO. v. 50.
Fèltce, felce» erba nota, h^t.fii**' Egl,
6. V.50.*
F emina y con femplice<w in grazia della ri-
ma . Egl- 8. V. 12.
Fefmarnofi , in VCCC dì fermarfi , Egl. S. Y»
6j. Vedi farnofi,
Ferono y per fecero, Pr. II.C.I15'
Ff^féla . fpecie d'erba • Egl. 12. v. 222.
X0m I. I Fini'
194 NUOVA SCELTA DI VOCI
Tinitimo^ confinante* Pr. li. e 158. *t
Jìrmamenio , per fondamento . Pr. 12, e.
158. *
Tifcina, cesella. Pf. n- e. ii5-,*t T. Z/^".
alta voce Tifcella , che è lo fteflo .
lifiula , ftrumento da fiato per fuonare .
flauto. Egl. II. V. 311.*
Piumosa , per fiumi . Egl. io. v. 20. F. ti $,
T/uviOy per fiume- Egl. io. v. 15. *
Fcn/itre\ perifpargere . Egl. 12. v. 190. *
Formofiffimo . belUflìmo . Pr. 8. e. 70. * t
Frifone . lort;i d' uccello . Pr. 9 e. 81, eEgh
II. V 220. * t ^- il S,
Jrcnte , in genere mafcolìno . Pr. io. e.
100. ^
Trtttice . arbufto. Egl. 12. v. 302.
tumido . fumofo 5 che manda fumo . Bgl- U.
V. 148.*
Juor diflrada . detto a gulfa di nome • iemì^
ta y tramer , Pr.9'C. 78.*
Glfiitabile. generativo. Pr. io- e. loi. * t
Ginepro, per io frutto di tal arbore»
Egl. 6. v-95- *
Giuggiola , per 1* albero che tal frutto produ-
ce . Egl.9. v.io.*r. /Vi'.
Giulio, per Luglio mefe. Egl. io. v. 71. *
Giunibero» ginepro. Egl. 8. v. 31.*
Giunlpero » ginepro. Egl. 12. v. io. *
Gotta , per goccia . Pr. 9. e. 7^. *
Gracculo , fortad' uccello rapacilTimo. Egl
6. v. 1^7-*
erottole , per grotte* Egl. i. v. 31. * V,il
Guardato* cuftodito- Pr, 4. c- 50.
Quaiiofo » pien d'acqua. Pr. 9'C.77*
DELL'ARCADIA. 195
1
J Àccio . dardo . Egl. 12. v. ^6. * V.HS,
J afpiìie , diafpro • Egl. n. v. 71.
Id Utfia , colla penulrima breve , in gra-
zia della rima. Egh 10. v. 192.
J en^ . lortj d'animai lalvatico ■ Pr. 9. e 8v
llart , lieto, allegro. Egl. ii. v. 119 *t
V.ilS,
Imbafio . \}^^Q . Lìt. cìiteìla ^ arum , Pr. 4*
ìmiie ^ colla faconda fi 1 Liba breve. Egl. 12.
V. 292.
Impopularfi . rlempìerfi di pioppi alberi •
Egl II V. 105 * f vc-di la ftrana iacerpre-
tazionc del Siniovino .
Zmpubere . K^l. 6. v. O4. * ^^ US,
Jnaùijfar/i , pr fondarfi . Fg' I2, v. ii5. *
I«rf<^/r^/f*. efjcerbare. tx.fpirmrt, Pr. 7 e 51.
Inafperwfi , ioafprfre. Egl "12. V. 8. *
Incalvarfi . divenir cai vo ; e per metafora 1
fpogiiarlì di iVondi . Ei^I. 12. v, 229. *
V tlS
Inffitf . aniarejcamminarc. Egl. 9. v. 72. *
F. i/ S.
Irti -.l. ère , non fam fo • Egl it v 256.*
Inctfi9rarft ridurfi in cenere . E[^^,I. 12. v.
89 * in lign neut pafl
Incefpjre^ per coprir e n cefpi Eg'.i*. v.21 *
Incitnjjtmì y p^r iftciterfftim't . Egl 12 v. ly.
Inclina fi . abbaHarù per riverenza Egl 12.
V A^. *
Jn^tndito . rozzo , confufo . Egl. 12. v. 144. *
Incudine . Egl. 8, v 9. * V n mudine .
Indec9'e . fenza onore. Egl. 12, v. lo-j. *
r. il S.
I 1 Inde-
^96 NUOv^A SCELTA DI VOCI
Indeficiente , <fhe non manca mai. Pr. ii,
e. 1^6.* V.il S.
Indragarfi, iftizzire a guifa di drago. Egl.
12. V. 8.» l^.il S.
Ineccitabile . che non fi può eccitare , fcuo-
tere, o fvegliare . Egl. ii. v. 158. * i V.
US,
Inecclijfato * eccIi(Tato. Egl. io- v. 83. * t
Inerbare, coprir d'erba. Egl. 12. v. 21.
InfatigabUe , infaticabile. Pr.9. c.8o.*
Infrigidare , raffreddare. Egl, 12. v. 263.
Jngenio . ingegno , Egl. 9. v. 33. *
Ingiuncar fi , coprirfi di giunchi . Egl. ic»
V. 180.
Ingordarfi , divenir avido. Egl. i2.v. 58. *
Inoltnarfi , riempierfi d* olmi. Egl. 11. v.
Ì05. *t
Inonofato . fenza onore . Pr. 11. e- 122. *
Jfìfegnato^ per dotto j ed ammaeftrato. Pr.
5. e 35.
Infegnh h fehe . cioè ammoefirl . Pr. io. e.
95- . ,.
Infemitarfi , awiarfi . Lat, femìtamingredi ,
Egl. 12. V. 159. */^. 'V5'.
Infclfarfi , riempierfi di folfo . Egl, 12, v.
149. *
Integro . intero . Pr. 12. e. 138.
Intentivamente . attentamente . Pr. io.c.96-
Interiori , interiora . Lat- Exta . Pr.j.c- 19.
Intersto» morte. Egl. 12. v. 322.*/^. //J,
Intitula . intitola ; per la rima . Egl, 12.
V. 141.
Intrata . entrata . Lut. ìntroìtuf , Pr. 5. e.
36. *
Invefiire , per veftire . Pr. 6. e 43. *
J/tveterare f per invecchiarfi . Egl. 6. V. III. *
y,iis.
"DELL' ARCADIA . ^ 107
ìrtvlpetarit . incrudelire a guifa di vipera*
Egh 12. V. 8.
Invìfeato. impaniato. Pr. P. c.6^.
Invclutato . ravvolto . Pr. io. e. 100. * f T.
US, n^IIa vecchia edizione leggefi invo^
lutrato ; il che £iciimence farà errore.
Irafarg . Egl.6. V. 72. e 9- V. l. e I2.v. 207. ■"
LAcrtfffeioIe incertfo y dilTe il Sanazz. cioè
che difilla dall' albero , quafi lagri-
mando , Fgl- 6. v. 91. *
Lambrufcarft , detto delle viti . divenir lam-
brufche , infalvatichire . Egl. 12.V. 83.*
V. il S.
Laftsì9, per coperto di lana. Pr. 4. e. 27.*
Lattbfojfa , pieno di nafcondigli . Pr. 10. e.
92. ^t
Latora . Iati , fianchi . Pr. io. e. 102,
Lttiecinto . ruffianefimo . Pr. 9. e. 8^. * t ^-
il S,
Lipido . giocondo j piacevole . Egl. 12. v.
131. e in altri luoghi . *
Libamifito . il libare ne' facrificii . Pr. io.
e 99.*t V.il S,
LimuU . Egl. 6. V. 12. * r. US,
Liquidijfimo . par detto per limpUijJimo , al-
la maniera de' Latini . Pr. 12. e. 140. * t
Liquido y per limpido. Alla Samp. e 155.
ed altrove.
Loniinquità . dirtanza . Pr. 7.0. 55.* f
Loftginquo. lontano . Egl. 12. v. 27^.
Lufarino, forta d' uccelletto. Pr. 9. e Si,
*V.il5,
Luggio/o . lugfiolo, lugliatico, chenafce il
mefe di Luglio. Egl.9. v. 24.*
I 5 L«.
19? NUOVA SCELTA DI VOCI
Luna ^ p^r flotte, maaicra poetica. Pf . S,
e. 67.*
Liffic-ìiuolc » ro''gnu lo . Pf. 9. e. Si. * -
Lujì aie ^-qwi , cioè purgativa . Pr. io. e.
ICO. * t ^'^^S.
Lutuìfuto , tangofo. Alla Samp. e- ijj. *t
F. il S,
M
MAciih[o , afperfo di miccFie. Pr. 9, Co.
84. *
ìiUntarpo , Torta eli vedi mento iuftico . Pr.
6. e. 44* "(V.ilS.
Maltclo . mifcolino , mafchio . Egl. 9. v.
Majfilta , il Sjnazziro volle intendere iua
madre 5 che avea nome Mafella .. Pr. 11,
e. 115. ^. // S.
Mellifero . che produce melle . Pr. 9. e- 80.
* t
Merola , merlo uccello. Pr. io. e 105. *
Meridiana . add. di mezzodì . fmriJianuf ,
Pr. 6. e. 44.
Merito , per meritato . Pr. 5. e. 16. e Pr. lu
e. 112.*
Merula . V. fmroìa , Pr. 8. C. 62. e Egl U.
V. 110. *
Mex.V> , add. pofto in mezzo . medius , Pr.
12. e. 140. * . .
Mii^licre . avverbio in vece di wfg//o . me*
iiuf In fine del Pr. emio. e Pr. ;• e. 53»
e Egl. 12. V. 31. e alla S.imp. e. 157.
Mille mila . Pr. io e* 97- *
Mo . ora . nunc . Pr. 3. e 17.
3Ao'i ita . mobilitaf . Pr. 7. e- 52»
Modolare . mcduUri . Egl. I2. v. 202. *
Me/-
DELL' ARCADIA. 199
Mollijjlmo ^ per delicatiflìrao Pr. 12. e 124.
Molttformf . che fi dimoftra lutto diverll
aipetti . Pr. io. e- 98.* t
Mor.la . mora frutto • Egl 6. v. 95. *
Mofirofo. moftruofo . Egl. 6. v. 46. e Pr. 11 e.
1^4.
MuciJff. muffo, ammuffito. Egl. 12. v. 79-^
Mugq,iola y per mugghia \ perdette ingrazia
della rima > n^a dal verbo muggiolare ,
che non fi trova. Egl.9 v.12.*
Munufculo. picciol dono . Egi. 12, v. 28. * f
V. il S.
Muts/o , mozzo. Egl. 12. V. 175. *
N
NAc(aro . nacchera > (Irumento fancIuU
lefco da^^fuono • Egl. 9. v. 8. *
tiaeche'^o , io ^ciTo che naccaro , Pr. ic.C.
97. * V^dS.
Neputa ^ nepitella erba. L.àt>»epfta , Egl»
S.v. 121. ♦ V,i/S.
Ntfpilo, nefpolo albero. Egl. 11, v. 17. *
Nom.ri , per fìumifi , in grazia della ri-
(3? ma. Egl. 6.v. 133.
Ncfco . con efTo noi • Lat. nobifcum • EgL
II. V. 6.
Notare , andar a nuoto > nuotare. Pr, 3. e.
18. ed altrove .
Kubilo . Lat. nulilar. Egl. 12. v. 230.
OBhed'irli , per obbedir Uro , Pr. II. C- 1 2 5.
Obliterare, cancellare. Egl. 12. v. 189.
I 4 0<r.
100 NUOVA SCELTA DI VOCI
Occoltemi y per cccultemi y in grazia della ri-
ma . Egl. 12. V. I7t,
Ogifo . i Fiorentini dicono olio . Pr. io. c.99.
Olfare , odorare. h?it» (/Ifacere , Egl. 12. v.
15^.» V.ii$.
Ombrato, coperto d' ombra j fofco. Egl. io.
V.I9^
Opulentijpmo , ricchiffimo. Pr. u.c. 112.
. Orida , con r femplice y in grazia della rima .
Egl. 12. V. 99.
Ormar a ^ per orme. Egl. 9. v. 59.
Ottenebrare . coprir di tenebre- Egl, ile V.
211. r. iìS^
PAgina . carta, facciata di carta . Egl. 12.
V. i5<5.*^./;j.
Fagliarefco . di paglia . Lat- paleatuf . Pr.
2.c.9.*t
Paìefatore, che palefa . Pr. 3. e. 18. * f
Vahfatrice . Pr. 8. e. 64. * t
Valido y con /femplice j per la rima. Egl.
- 6. V. 46.
PampaH^ . pampano , foglia di vite . Egl.
re. V.56. *K. r/y.
Pampifiofo , Pien di pampani . Pr. 7. e 55.
JParar mente ^ per attendere, badare. Pr,
S.C. 70. *
Parerey per apparire, venir fuori. Pr. 8. e. 71.
Pafcente . che pafce . Pr . io. e» 94. *
Pafiìtio . terra lavorata . Egl. ii. v. 299,
Pa/ìo , par pafciuto • Egl- 9. v. 24. *
Pe-a y coli* e largo , per tafca paftorale .
Egl. Il, V. 52. *
Pfirfeguire . perfeguitare . Lat. infeSìari .
Proem. e. a.
Ptr-
DELL* ARCADIA. 20/ ^
Pfftice j invece di pertiche > per la rimai
Egl. 12. V. 90.
Viita y per affanno, pena- coli' acuto fulla
feconda fi 1 1 aba . Egl. 12. v. 4.
V intere , pittore- Pr. g. e* 19
Vluvio . piovofo . Egl. IO. V. 14. *
Vedere , per potere 5 potenza . Pr. 4. e 29«
Vonticoy perafpro, d'auftero fapore • Egl.
I2> V. S4.
Fopolofo . pieno di popolo . Lat. frequent .
AllaSamp. e. i57«
Tfipula, popolo 5 in grazia della rima. Egl.
12. V. Io^
To(fea, per poteva. Pr.ii. e. 132.
P offendo^ per potendo. Pr. 12. e. I3J.
Pcjftte, per potè. Pr. u.c. 125.
Tojfergare , gettarfi dietro le fpal le . Egl. 9,
V. 1^4. il Sanfovino malamente lefìTep/'tf-
ft ergano.
Potéo^ per potè. Pr. II. e- II?.
Trafora y per prati . Egl. io. v. 52,
Preiipfte . precipitofo . praceps. Egl. 12. V.45.
Preliare ^ per guerreggiare . Egl. 9. v. 52. *
Prefentifpmo , per favorevoliflimo , o per
molto potente, ed efficace. Pr. 9. e. 79.
Tfojjimarto, vicino, proffìmo. Pr. 9. e- 85.
PuhU y con una fola/, per la rima. Egl. 6.
V. 88. e 12. V. 197.
puniche poma , cioè granati .Egl. 12. v. 70.*
Punta hnt nte . minutamente. fgUlatim • Pr.
5. e. ^8.
Puottnoy perpofTono. Pr. 5. e. ?4-
PvffOy per pofero> in grazia della rima»
Egl. IO. V, 13.
I 5 S^ua^
2f.i NUOVA SCELTA DI VOCE
QXJadr:7rtg' Io , qu.dnngolo, che ha quat-
tro r:ìrtoni . Egl. ii. v. 262. *
^alufjque animali , Pr. 8. e. 70.
R
RAdìafe . rifplendere . Egl. io. v. 40.
Rallegrarfì ^ per allegrare di nuovo •
Pr. u.c. 126. *
lR.avvrigitura , 'L.zxt. involmrum . Pr. 12 e. 1^4.
Receffo . luogo oa.fcofto . Egl. 12- v. 100.
* y. il s.
"RecoUndo . cfe^no d' eHepe rammemorato .
Pr. 7.C. 51. *t
Recidere, r^mmémprare • Egl. io- v. 197.*
Reccfid^to . fecreco . "Egl. 12. v. 142. *
Redolire , avere o render odore . Pr. io. e-
105 * t
Repar.ibile . che fi può riftorare . Vv* 8. e.
71- *
Reft'ingere y per radunare . Pr. 9- e 78. *
Refupifio che giace in fui le reni coMa pancia
allMnfu. Pr.S.c 6g. ♦
Rifrggif's , per ifchivare , aver ribrezzo .
Pr. 7.c^ 51' *
Rimito^ per lontano, o fegregato. Pr. S.
e (55.
Rinfofcarft, divenir fofco . Egl. 9. v. 42.
Rtrìfrigidare . rafFreddire. Egl- io v. I79«*
Rir.ionare . rimbombar forte . Egl. io, v. i86,r
Rfftifdirfi . ter n:ir verde. Égi. 12. v. 52?.
Rinvtrmigliarfi. tornar vermiglio . Egl* 8,
v. 39. *
^ifoltami , per rifultami . Egl. i. v. 102.
rifui'
DELL' ARCADIA. 2O3
rifuUarg y per falcare. * ^. 'V S>
Rifpcnfo . rilporta. Pr, 9- e- 85.
Rifpujtro , per rifpofero > in grazia della
rima. Egl. io. v. 25.
Rtjìorare y per ripiodure j rinnovare. Pr. 9.
e. So.
Rofcigniuclo . Egl, II. V. 221, *
Rofet'j , luogo pieno di rofaj . Pr. 11. t.ui,
Rufco , erba pungente j che anche pugnttopa
vien detta. Egl. 12. v. 92,
SAligaftro . falcio , forta d* albero . Lat.
j)ìlix ■ Pr. 9. e. 78. non (ali gare y come
lesgifi nelle corrotte edizioni dell'Arcadia»
Sapemmo y dsi fo . Pr.9.c. 78,
Sarcro . fatoliO. Egl. io. v. 54. *
ScapoLire , per menar via con empito . Egl.
12. V. 115. *
Sciolteiia . leggerezza > deftrezza • Pr. ii«
e. I»5- *t
S copulo, fcoglio . Egl. 12. V. loi. * •[•
Scnbilì . fcrivili, per la rima. Egl- 12- v. 244.
Scura . fcure , mannaja . Lac. jecurts , Pr.
I2.C.I?3-
Secare, fegare^ tagliare» Pr. io. 0.97-
Semi capro . L.:ìZ, fer»icaper . Pr.3. c.20. e Egl#
9.V 57.*t
S ertimi . fentirai • Ep,I. n. v. 1 8 5. Cosi il Pe-
trarca 1 Son. I 3S. f rcmpe ojni afp'o fcnglio «
S^f'-a ^ per luogo ftretfto . Egl. 9- v. ly,.^
Sfciart y per levar la forza j indebolire*
E:ì1. ii.v. 58 "
Sfiondare , per isfrondarfi 1 perder le foglie*
Egl. 2. v. 47. •
Sibilo, fifchio , Egl. 12. V. 142.
I a Si'
^4 NUOVA SCELTA DI VOCI
Sedo, compagno. Egl. 12. v. 2S6.
Soffione, foffietto , ftrumento da foffiar nel
fuoco. Egl. 12. V. 240.
Sole 5 per giorno . maniera poetica , tolta
in preftito da' Latini , quattro fcW , fd
altrettante lune . Pr. 8. e. 67, *
Solo . per folitario . Proem. e. i. e Pr. 7. e-
56. Egl. II. V, 16.
Sontf'co, per cagionevole , infermiccio . Egl.
li. V. 80. Vedi gli Spofitori di Tibullo,
fopraquel pafTo dell' Elegia VIIL del pri-
mo libro : non i/li fonti ca caujfa ejì . *
Sorba, par detto per forbe y frutti . Egl. 12.
V. 71.
Sorbitilo vÌH9 . fatto di forbe . EgL io. v.
itj,*V.ilS,
Sorgente^, per erto . Egl. 12. v. 299. *
Soverchiare^ per fovrabbondare • Pr. 3. e. 21, ♦
Svicolar li , per ifoecchiarfi . Egl. 12. v. 114. *
Specolo . fpccchio . Egl. io. v. 195. e 12.
V. no.
Spettacolo y per gli fpettatori . Pr. 11. e. 124. *
Spiculo y faetta , e punta della faetta. Egl,
12. V. 102.* f
Spiegato , per largo , e fgombrato d' intoppi .
Pr. 5.C. 34.*
Stabulare . tenere dalla . Egl. 12. v. 126.
*r. t
Stagno . turato , ben cbiufo . Si dice in Lom-
bardia degli ordigni di legno fatti per
racchiuder liquori : oppure faldato collo
ftagno . Pr. 9. e- 78. *
Starnvjf , in vece di jlarfi . Egl. 8. V. 61. V.
far no fi .
Statuminare , fermare . ftabilire . detto del-
la vite . Egl. 12. V. 216. * V' US,
Stipite i furto, dell' albero. Egl. 12. v. 44'
Stù
DFLL' ARCADIA. 205
Stiva, manico dell' aratro . Egl. 12. v. ir j.
Strangolatore , Lat. flrangulator . Pr. 2, e.
IC. * t
Strangolare , per chiuder forzatamente . Egl.
I . V. 264..*
Sttbbio. ftru mento da te (Ti tori , a cai s' avvol-
ge la tela già telìuta . Egl. io. v. 176.
St/ùfro, per iovero albero . Egl. 6. v. 62.*
SucceJim^nto , Lat sventur . Pr. 7.C. 57.
Summortnorart bafTamente mormorare . Lat.
muffar t , Pr. il. e. Ii^. * t
TAbuIa , tavola. Egl. 12. v. 124- *
Talamo y per camera» alla foggia de*
Latini . non per letto nuziale . Egl. 12.
V. 51. * VJIS. e t
TempejìÀ , per la Dea che manda le tem-
pere. Egl. 12. V. 306. *
Ttrgemirto . triplice 3 chc ha tre poteftà .
' Pr. IO. e. 98.* t
Termino, termine. Pr. 12. e. 138. *
Tefìudine. teftuggine- Pr. 9- e- t^.*
Torrnofa , per torme . Egl. 9. V. 37. K ifS. al-
la voce Torme.
Tornare , per tornarono . Pr. ir. e- 112.
TramlttciJo . trafparentc . Pr. 8. e- 66- e Pi".
12. e. 135. . ,
Tremifcere . alla maniera de*Latini • pQttrgm
mare. Egl. 8. v. gì-* ^- '^ •^•
Tremule . che trema fovente . Pr. io. ۥ
104. -^t .,,.
Triùco, frumento. Egl. io. v. 163. * F.»* J.
Truculento, truce, fiero. Pr. 8.c. 68.*
Truncbef , per tronchcfi , in rima . EgL
^c6 NUOVA SCELTA Di VOCt ec-
Tumido . enfiare » gonfio • Egl. n. v. 146. *
Turr.uh, fepolcro. Egl- 11. v. 38.* V, US»
V Acare , ftare in ozio. Egl. 12. v. 19^^
Valloncelh . picciola valle . Pr. 9. e*
7.7-
Fafcoh , picciolo vafo . Egl. 9. v. 7-5. *
Venatrhe , cacciatrice . Egl. 9. V. 97. * f
Fefpertillo , nottola . Pr. 9. C. 77- * t T. // S.
Vetero , vecchio . Egl. 6. v. 109. *
Vietta , picciola ftrada , o via. Pr. 4. c.i6.
Vitto ^ per vinto. Egl. i.v. 8.
F»/w/« . vitella. Egl. li. V. ny.*
yivit/o colore , contrario di pnorto . Egl. 12.
v. 76.*
Uk/a , alocco. Egl. 6. Y. 86. e Egl. u.v.
109. * ^. i/y.
Vhlare . urlare. Egl. 6. v. 90. e Egl. 12. v.
201.* y. US.
Vmero, omero, fpalla • Egl. 8. v. iii.e 12.
V. Z50. *
Vocitare , alzar le voci* Egl. ii. v. 221. * ^.
*'/ S.
Voi no ^ per vogliono. Figura detta da Gre-
ci Syftrcpe , che leva di mezzo una filla-
ba. Egl- 8. V. 7^
Volta , ufurpato avverbialmente > per quaU
cbf volia . Pr. 5.C16. *
XJrfaccbio , orfo picciolo' Egl.9'V.46**
Actberù . zacchera , fchizzo di fango .
Egl.9.Y. i2.*^.r/5'.
ANNOTAZIONI
DI TOMMASO PORCACCHI ,
DI FRANCESCO SANSOVINO,
EDI
GIOVAMBATTISTA MASS ARENGO
SOPRA L» ARCADIA DI M.
JACOPO SANAZZAPxO
Col rifcontroJl buone ed antiche edizioni
molto più corrètte del iolito .
tC9
ANNOTAZIONI
D I
TOMMASO PORCACCHI
SOPRA L' ARCADIA
DEL SANAZZARO.
PROEMIO.
Car. 1' T) OJi di mufici ) Pone figurata-
lin. 4. r^ mente il bofl'o , del quale ii
MlJ fanno 1 flauti da Tuonare, per
gì* iftelTì riauti , a imitazione di Seneca
y4^. r. 548.
Tibi multi fora tibia buxo Solenne canit ,
e ciò per variar vagamente in quefto nome >
come di fotte ha fatto in quello Proemio >
dicendo: umile fijìula di Coridane ^ q fonerà
tibia di Palladi,
PROSA PRIMA.
Car. 3. 1.26. Il drittijfimo abete y rtatoec. )
Chiama V abete nato a jlftenere i pericoli dJ
mare , forfè in quei fignitìcato che Stazio nel
lib. 6. della Teb.ùdc Io ch\2imò audace \ per-
ciocché di quello legno fé ne fanno le navi ,
le quali s' efpongono a* pericoli del mare ;
con quefto verfo :
Hinc audax ahies , <if odo'a in vulneri pinus ,
Ed è queft* albero drittilfimo ( come qui
dice) ebellilfimo fra tutti gli altri, con Iq
foglie aguifa di pettine > ch'ei non perde
mai
2T0 ANNOTAZIONI
mai. Quando in traverfo è pollo a foftene-
re unpefo, non fi rompe finché non è rofo
da* tarli. Nafce ne* monti, ed è adopera-
to, come s* è detto, per far navil); onde
fpe^To ufano i poeti di metter l' abete per
la »ave\ e perfr.r travi, e per infiniti fér-
vigj a beneficio dell'uomo . I Tuoi rami Tem-
pre Vanno in alto-, e non mai s* abbaffa-
no . Se a quclV albero fi taglia la punta
de* rami , muore ; ma fé fé gli troncano
tutti i rami , non muore : o fé fé ne ta-
gliano alcuni 5 ilreftovive. Quello che na-
fce in Arcadia è peggior degli altri che
nnfcono altrove ; perciocché immarcifce
facilmente . L' ombra dell' abete fempre
è nociva .
Car. g. I. 17. "Larobufla quercta^ e /* alta
fraffìft'ì , e lo ameniffimo platano ) La quer-
cia è c\ùàm:iZ\robufia per la durezza eftre-
ma del fuo legno fortidìmo , a imitazione
di Virgilio , che nel terzo della Georgi-
ca V. 352. ditfe :
-- -- antiquo rohore qaertur
Ingenti! tendat ramos ,
Edi qui forfè è derivata quella parola an-
tica in latino querquerutn , che fignificava
grave > e grande. Ed è la quercia albero
che fa ghiande , delle quali dicono che fi
cibarono gli anùvhi avanti che fonerò tro-
vate le biade ; onde però è tenuta fra le
piante felici . Ama adai i monti , e non
così facilmente s'invecchia» o s' empie di
tarli. E' facrata a Giove, per tcftimonio
di molti poeti , ed in particolar d'.'Ovvi-
dionelfettimo delle Trasformazioni :
Sacra Jjii quercut de fumine Dodenaa ..
e nel primo, ed altrove .
Il
DEL POtlCACCHI
II fr;flinoè chiamato aiiodt'<V
(fucfto luogo 5 perciocché veramente è fem-
pre trJe , ce eguale j e con le foglie pie-
ne di penra : e molto è nobilitato per la
lancia d* Achille . Ama i monti acquofi y
ed è obledientillìmo a tutti i magifterj ;
ma a ^lar lance è miglior del nocciuolo ,
più ''.ggicT del corniolo, e più tenero del
forbo. Ovvidio nel decimo la chiama uti»
le alle lance .
Fr dryli fr,-gi}ts ^ <Ì:S fr.ixiruivtllh hcfth,
D.ìir ombra di queft* albero lempre fuggo-
no i ferp' , in modo che fé dentro a uti
cerchio ferrato da fcglie di fraiTino > Ca
porto il fuoco , ed un ferpc ; il ferpe per
non dare nel frafimo , più torto fi getta
nel fuoco.
Il pljtano con ragione è chiamato ame^
nijjlma , confiderato c^e quefto albero non.
fi pianta per altro, che per avere ombra»
fpargendo egli largamente i fuoi romi , e
per altro ertendo rtcrile ; e per querto ri-
fpetto dagli antichi era bagnato e nodrito
fin col vino : il che òìtÒQ cagione a' poe-
ti di chiamarlo geniale. Marco Tullio nel
fecondo dell* Oratore fa teftimcnio , che
queft' albero fparge i rami per fare grata
ombra a' luoghi : e predo gì' Irtorici natu-
rali fi trova j che Licinio Muziano , il
quale fu tre volte Confolo, e Gajo Impe-
radore più volte banchettarono a più perfo-
ne forto 1' ombra del platano. Né a queft'
albero è attribuita altra lode maggiore che
quefta, cioè che di ftate con la fua foltez-
za non fi lafci penetrar da* raggi del fole »
e di verno si; fé già non volerti mo dir co*
poeti , che l* aver Giove ufato con Eu*
ropa.
ÌT4 ANNòTAZTòMT
ropa Cotto un platano, fia la miglior pjo-
ria che Te gli pofla attribuire; come fcri-
ve anco Teofrafto nel primo delle Piante
al cap. 15.
Car. ^. 1. ?6. L* albero di che Ercole coro^
ftare fi folta ^ ) Quefto albero è l' oppio j o
pioppo, o albera che venga chiamato, nel
quale fi trasformarono le figliuole di Cli-
mene » e forelle di Fetonte fopra la riva
del Pò, dopo che lungamente ebbero pian-
to il fratello caduto in quel fiume, permi-
le aver retto il carro del Sole fuo padre;
ed è facrato ad Ercole, a cui è carifTimo ,
come dice Virgilio nella Bucolica Egl.
7. v. 61.
PopuluF AlcUa gratijjìma ,
Perciocché egli fole va Tempre andar coro-
nato delle frondi di quefto albero . E* di
tronco lungo, e diritto , e di tenera e leg-
gieri fcorza , ed appetifce molto le rive de*
fiumi: di che Virgilio Egl. 7. v. 66. diffe:
Populuf in jluviis , ahiei in tnontibus alih .
Il fuo piede è piccolo , e trema facilmen-
te i non fa ombra alcuna co* fuoi rami >
e le fue foglie tremano femore con qual-
che Crepito . Mette a buon' ora , ma non
produce frutto , né feme ; ed è molto ami-
co delle viti.
Car. 4. 1. 2 II toderofo cafiagno , il fronzuto
hojfo , e con puntate foglie lo eccelfo pino cari^
co di durtjfìm': frutti ; ) L* albero d: 1 ca-
fiagno è pieno di fpeffì nodi , duri , e dif-
ficili a eder tagliati , come che nel rima-
nente non (ia così duro . Dura aflai , ed
ama il terreno fac b, ed arenofi , emaf-
fimimente il fabbioii' umido. De' fruttidi
queil' albero, perchè nafcono anco per lor
me*
DEL PORCACCHI. 215
medefimi , vogliono molti che fi pafcefìi'e-
ro gli antichi , e non di ghiande ; percioc-
ché le caftagne fono di fermiifimo nodri-
mento.
Il boflo è fronzuto, e in quefto confifte
la bellezza Tua » cioè nella Tpeflezza delle
fue frondi. E' uno di quegli alberi che fo--
no accomodati ali' arte topiaria , o a far-
ne ornamenti a* giardini : perciocché s*
accomoda in qualunque maniera vuole
l' artefice . Sempre è verde , e fempre fi
può toiare . Il fuo legno è tanto duro >
che non fente mai tarli ; è tanto grave ,
che nell'acqua va al fondo, ed amai mon-
ti j come che anco al piano alligni bene •
E* molto lodato per quella fua bella pal-
lidezza ; onde però fé ne fanno ( come
iho detto ) flauti j pettini , e b..lTo]etti
da riporre unguenti , ed altre cole mol-
to vaghe .
11 pino ha le foglie puntate j ed a gui-
fa di capelli 9 che non caggiono mai ; ed
è di legno nimico de' tarli , e della vec-
chiezza . La fua ombra fa morir tutte
le piante che le fon fotto : e fé alcuno
gli taglia la cima» non fa mai frutto; ma
però non muore . Chi io taglia una vol-
ta, non rimette più ; e perciò fcrive Ero-
doto , che Crcfo minacciava d' eftirpare i
Lampafceni 5 a gyifa di pini . I Tuoi frutti
lon duriflimi , e da guardarfi , come difle
Marziale lib. ig-Ep- 25. che non diano al-
trui nella tefta :
Poma [umuf Qyheles , procul bine difeedf ,
tiator ,
Ke e a dal in mi [e rum nojìra ruifta caput ,
E ovvidio n«l io, v, lOj,
- bif'*
^14 ANNOTAZIONI
-. -- hirfuTaque vert ce ^>tnus\
Grata Deum rnatrl .
alla quale autorità par che alluda in que-
fto luogo il Sanazzaro , dicendo; (cn pan-
tate foglie lo eccelfo pino .
Car, 4. 1. 5. Ucffìbrofe faggio ^ la incorrtit^
tlbile tiglta 5 e "*/ fragile tamartfco , interne
ctn la orientale palma , dolce ed onorato pre-
mio de'* vincitori . } Fa la ftate il faggio le
fue foglie tanto Tpefle , che i r iggi del fo-
le non hanno forza di penefar'e : e però
lo chiama ombroso. Le fue foglie fonofot-
tili e leggieri, e prelliliin^o imbianc:ano .
Di fopra generanauna pìcciolac eco a ver-
de , e puntita . Fa le ghiande dolciflime ,
e tali y che gli uomini di Scio durtrono
lungamente con erte in uno a(Teiio ferra-
ti . La corteccia di queft' albero è in f^ran-
d* ufo preflo i contadini : ma il 1 gno è
grandemente onorato ne' vafi . Manio Cu-
rio giuro non aver dalla preda tolto alcu-
na cofa 9 fuor che una tazza di fa:-:gio per
far facrificio. E' utile a far cade , e fca-
tole , perchè agevolmente fi torce.
La tiglia non crefce molto, e non fèn
te mai corruzione di forte alcuna ; e pe
rò qui è chiamata incorruttibile . Ama
monti , ed il fuo legno è duro , nodofo ,
che roffeggia » ed odora . Fra la fcorza e
il legno fono alcune camicie, con più car-
tilagini^ le quali fi chiamano anco tiglie ,
fr s'adoprano a lega'-e .
Il tamarifco da Teofrafto è po(ìo nel
numero degli alberi infolici- Chiama egli
infelici , e dannati per religione quelli che
2^9» fi feminano , o non fanno fru^tj . Queft'
albero è umile > e di rami quafi come il
ro-
i
DEL PORCACCHI. 215
Tofmarinoj con foglia (Irette, carnofe , ^
ccnie pennate. Non fa alcun frutto, e di
legno è fragile, come qui dice l'Autore,
e per ie notlre parti trovafi in ogni luogo
eder tale . Quefto dico , perciocché Teo-
frafto nel 5. libro al cap. 6. fcrive ? che in
Arabia ncIPifola di Tilo il legno del ta-
marifco non è) come prelTo noi, fragile;
ttìà duro , e forte , come è quello dell* elee ,
lO d'altra materia forte ccnfimile a quella.
Della palma orientale, i^o/^e , r// onora-
19 premio tit'* vincitori ^ non dirò per ora al-
tro , che quanto bafti al. a dichiarazion di
quello luogo : poiché troppo lungamente
bifognerebbe , eh* io mi eftendedi , fé volef-
ii dirne quanto fé ne trova preflo Arifto-
tile, Teofrafto , Diofcoride , Plinio , ed
infiniti altri . Nomina qui dunque la X>a\'
m^ orientale ^ ccme più nobile dell' altre,
e però fogglunfe 1 eh' ella, come più de-
gna, era onorato premio de^ vincitori . Per-
chè r orientale fia più degna dell' altre,
rredo io che nafcri, perciocché l'altre non
i:anno i frutti della qualità che quella. Nel-
1* Europa fono fterili . Ne' luoghi marit-
:imi di Spagna fanno però frojtto , ma acer-
bo, e fpiacevole . In Africa lo fanno dol-
ce : ma fvanifce torto • Le orientali fono
ì\ tanto valore , che de' flutti d' efi'e ne
cavano il vino, ed alcune genti il pane •
La ragione perchè la palma fi dia per pre-
mio a' vincitori, è, per tcftimonio d' Ari-
ìotile , di Plutarco , e^ di Gelilo , percioc-
ché , fé fopra il legno di quefto albero (i
mettono pefi gravi , che lo carichino ia
modo che non pcfTa foftenergli , ijud^ le-*
, kno mai non fi piega in, giù , ma fempiO^
il»^ s' in^
2,6 ANONTAZTONI
s"* innalza in fu con tra il pefo , ed a quel
modo s' inarca: volendo per quefto allude-
re alla natura del vincitore , che ancora
e^li fia Tempre andato ardito, ef'ortecon-
tra tutti gl'imminenti pericoli.
Car. 4. 1. 9. Un dritto ciprejfo , veraetf-
fimo imitatore cc. ) Il cipreffb è a noi tan-
to noto albero , per la quantità che fé ne
vede predo le chiefe, porte maflìmamente
fuor delle terre, o città , che tutti loco-
liofcono . E* chiamato imitatore veraciffimo
delle alte mete ; perciocché da Teofrafto quelV
albero è porto fra quelli che fono più atti
a crefcere in lunghezza . Soleva dagli an-
tichi elTer porto a' mortorj , per erter pian-
ta funebre: onde Virgilio ( Eneid. 6. v.ii 6)
la chiamò /^m/^, cioè mortifera-
— — ^ feralis ante cuprejfof .
E per tertimonio di Plinio è facratoa Plu-
tone. In quert* albero fu convertito Cipa-
rifTo 5 figliuolo di Telefo , che fu bel 1 irti mo
giovanetto neli' ifola Cea, amato da Apol-
lo . Aveva quefto giovane ammazzato uti
fuo cervo » che gli era molto caro : onde
per dolore non volendo più vivere > fu mu-
tato in querto lugubre albero, che dal fuo
nome fu detto Ciparrjfo , e poi Cipreffo . E
però dice quii* Autore, che quella pianta
nella fommità di Partenio era così bella »
che in erta >ìon che Ciparijfo , ma ejfo ApeU
h jion fi farebbe fdegnato trasfigurarfi .
EGLOGA PRIMA.
Car. 5. 1. 23, ^ih per li bofcbi i vaghi uc»
celli fannofi
X dolci nidi j r </' alti monti caCcano
U
DEL PORCACCHT. lx^
Le nevi ^ che pel [ci tutte disfannofi ,
e quel che iegue . )
Qiii è da^ avvertire con quanta vaghezza
quedo fioritiilìmo Scrittore abbia poetica-
mente defcritto la Primavera a iraitazion
d'Orazio nelT Ode 4. del lib. i.
Sohitur acris hitms ^ grata vicf verif ^ &
Favoni ^
Trahuntqae ficca s nìctchttìds carìnat :
Ac neque jam ftabulit gaftdet pecus , 6CCm
Ma quella del Sanazz.ìro in bocca d' un pa-
Gore è detta con infinita leggiadria poeti-
ca? a chi minLtamente la confiderà a par-
te per parte. E' anco molto vaga, e in al-
cune cofe a quelli limile quella dell* Ario-
ilo nel Canto 12. alla ftan. 72.
Or cominciando i trepidi rufcelli
A fciorrif il fredda ghiaccio in tepid^ onde f
E i prati di nove erbe , e gli arbufcelli
A rivejìirfi di tenera fronde ^
Car. 7. 1. I. V fogne ritorna a noi per tan»
to [palio
Co*t la forelJa fua dolce Cecropia
A lamentar^ delP antico fira^io . )
Quella è la favola di Progne figliuola di
Pandione Re degli Atenieli , e moglie di
Te reo Re di Tracia. Coftei dopo ch'ebbs
partorito al marito un fanciullo s chiama-
to Iti ^ pregò i! marito, che folTe conten-
to di condurle Filomena fua forella da Ate-
ne , eh' ella moriva di voglia di vederla.
Andò Tereo ; e conducendo la cognata 9
per cammino la violò per forza. Di poi $
acciocché ella non raccontalTe qucHa fcel-
leraggine a Progne , le tngliò la lingua >
e la ferrò come in prigione, dando ad in-
tendere alla moglie che ella fi era morta
Imo I. K per
iif ANNOTA ZIONI
per faftidio del mare . Filomena avendo a
iioja la prigione , con V aco diligentifTi-
fnamcnte ricamò tutta quefta iftoria in un
drappo di finìfllma tela ; e per una came-
riera di nafcofto lo mandò alla forella . Pro-
gne intefo il fatto, diflìmulò il dolore~fino
alle fefte di Bacco; e dipoi veftita, agui-
fa di facrificante> di pelli , col tirfo cavò
la forella di prigione, e menatala pur tra-
veftita a modo luoal palazzo, cacciata dal-
le furie 5 ammazzò il figliuolo Iti 9 e lo
diede a mangiare al padre . Di poi pre-
fentatagli la tefta , Tereo andò per ucci-
der la moglie : ma ella fuggendo, fu per
compaiijone dagli Dei mutata in rondi-
ne : Filomena in lufignuolo; ch'ancornoa
cefiTa mai col fuo dolcifTimo canto di pian-
ger 1' ingiuria : Iti in fagiano : e Tereo
in bubbola , che da' Latini è detta impupa'
perciocché) quafi ancor cerchi il figliuolo,
cfprimeconla voceil fuo ccrdoglio, dicen-
do : ^cir nrcù , che vuol dir dove dove . Tut-
ta quefta favola di Progne , e Filomena
tocca in quefto luogo V Autore; e perO-
tropios* ha da ii tendere Filomena Atenic-
fe : perchè CecropU , o Cecropidi erano det-
ti gli Ateniefi da Cecrope : ma tre ternari!
più a baffo per fuo vero nome la chiama
Filomena ,
Gar. 6. 1.9. Ma mefte flrjgi ^ ) Le ftrigi
fono uccelli n(*tturni , e importuni , cosi
detti ddllo fl'ider^ ; che da Ovvidio con
quefti verfi ( 131 ) nel 6. libro de' Farti
fon deferirti in quefta gulfa:
Sum aviaa vohc^cs ; no^n quié Vhineia menftf
Guttu* a frtìudohant \ fed genus inde trahunt^
Qrandf caput ^Jìantes ofult , rojira apta rapina •
Cam
DEL PORCACCHl. ti?
Camtits pennh , unguibut bamus inefi .
^H-oSìe vcl int , puerofqtig petunt nutrie h egentef^
Et viti'ìftt cunts Cf ora rapta fu-r &c.
Eft ìl'-ii il rigibus nomifi : [ed n^mintf bujuF
Cauffa , qt4od horrenda jìridere noSle fole fi f ,
Da qu^fti mil'-detci uccelli ( Plinio ftima per
favola, ch'cffi vadano alle culle a fucchiare
il fangue de' bambini ) è derivato il nome
di Jìrtga a quelle donne malefiche che con le
lor vanità tanno proLlfione di fafcinare > e
guadare i bimbini .
Car. 6.1.21. Ifier giganti in F/egra ; ) Fle-
gra è una valle di Tellagli i preiro )a città di
Pallcne : dove i Giganti, che furono figli-
uoli del la Terra, cài fmifurata grandezza
e fortezza, fi dice che vollervo cacciare gli
Dei dal Cielo , e di quivi Topr ip fero un
monte all'altro per arrivare ai Cielo : per
lo che Giove ritiratofi nelP alta rocca, con
le facete li comincio a percuotere, di ma-
niera che tutti mirirono. "Le quiH.faette
perché fog'liono cnereaccoin.^ng^i.ttefempre
daMampi , e dd* tuoni, pero dice in que-
ft; luogo C'iggtan haLnì ^ e tuon quanti ne
videro Ijìcft ^ gtnti in Fhg^a .
Car. 7. 1. 15. Lavava un veto) A imitazion
di quel del Pct;arca nella Canzonetta, che
•comincia :
Nov al fuo amante p'h Diana piacque y
dove dice :
Pojla a bagnare un ìeggiadretto xelo •
PROSA SECONDA.
Car. 9. I. 9. Molti rimed) ., a jf ai pia leggieri
sdirli^ ci e a metterli in 'feraiione. ) Parla
fecondo icoftumi ordinar) degli uomini: i
K 2 qua-
220 ANNOTAZIONI
quali fempre agli ammalati perfuadonoquei
rimedi che s' hanno da ufare ; infegnano quel
che s' ha da fuggire; e tal voltagli ripren-
dono che per ben loro non vogliono obbedire'
a chi bene gli ammonifce : alT incontro poii
quando efTì fono ammalati , non fi ricordano
più di quegli ottimi documenti , ma hanno
bifogno d'altri ammonitori, e riprenfori ,
Perciocché ildefiderio è certa infermità d'
animo j che come cieco o non difcerne > o fé
fcerne, non può feguir quellecofe che fon
necefl'arie alla falute. Onde quel Fedria Te-
renziano bene in cervello, econofcendoil
male, metteva le man nel fuoco , e vivendo
e vedendo andava a morire : ed Orazio fegue
lecofe che fi dovevan fuggirete fugge quel-
le che fi dovevano feguitare. L'avaro alcu-
ne volte vede quanto fia moftruofa l'ambizio-
ne . All' incontro l' ambiziofo conofce l' in-
fermità dell'avaro. L'uno configlia bens
nel male dell' altro , ed amendue fono infer-
mi . E* fimile quello luogo dell' Auto/-e a
quella fentenzia di Terenzio : Facile o^^fjes
cum vaìemus , reSia ccnjilia agrotìì damus •
T« fi bic fir y alitar fentiar : la quale pare j
che fia nata dall' oracolo di Talcte é/ofo-
fò 3 come fcrive Laerzio . Perciocché do»
mandato, qual cofa foflTe difficili flì ma; ri-
fpofe: Concfcer fé ficffo : qual fjciliflìnia ;
rifpofe : Dar ccnfgUo ad altri ,
Car. 9. 1. II. Ci>e V fclg era per dechinar-
fi verfo /' Occidente ^ € che ì fafiìdioft grilli
incominciavano cc. ) Defcrive fecondo ii fuo
folito la fera > o il principio della notte : la
qual defcrizionc in alcune parti potrebbe pa-
rere imitata da Virgilio, e da altri poeti ;
ma perchè nel!' altre poi q lontanilfima ^
pe^
DEL PORCAGCHI. 221
però io non adduco le autorità latine al-
tramente.
Car IO. 1. 17. Amico 1^ fek benivoìe Tsltnfe
ec.) Ancora nelle bocche degli umili , e roz-
zi paftori danno bene i colori rettoricii che
la natura per fé ftefla e' infegna ufare . Veg-
gonfi quefte poche parole dette a Montano
tutte piene d' artificio , come ben fanno
coloro e' hanno cognizione dell* arte \ il qua-
le io non difcopro , perefler come chiaro ed
apparente a tutti.
EGLOGA SECONDA.
Car. 14. 1. 1. Ch"* a Pan non fa colei che vin*
ta e fianca
"Divenne canna trt mula e Rottile \ )
Intendi Siringa Ninfa d'Arcadia; la quale
(come fingono i Poeti) cflendo amata dallo
Dio Pan, né volendo acconfentirgli, fi mi-
fe a fuggire , e Pan a fegui tarla i finché ef-
lendoftanca» e giunta a un fiume 5 di là dal
quale non poteva paflare , fi voltò agli Dei ,
pregandogli che di lei aveifero compaflio-
nej onde efTì la convertirono in canna : del-
la qual poi formò Pan la fua fampogna .
Car. 14. 1.10. Viti cruda di calci eh? fé in
Teffaglia
Il primo alloro dì fue membra attratte \ )
Qiiefta è la favola di Dafne , e d' Apollo : la
qual fuccelTe in quefta guifa . A ndava fuper-
bo Apollo per la morte del fcrpente Pitone ;
ed avendo per ventura veduto Cupido con l*
arco econ le freccie j cominciò a dirgli vil-
lania ; poich' aveva ardimento un vii fan-
ciullo d'ufar quelle medefime armi eh' egli
conerà quel fiero fcrpente ufate avea • Cupi-
K 3 do
121 ANNOTAZIONI
do^'icgoato, gli rifnofe chetofto l'avrebbe
fatto oen'ire deMifua luperbia : e volando
fopr.T N monte Ptrnafo , mife m-ìno a due
faette ; ''una eh' jvea la punta d*oro ^ch' in-
duce amore; e inalerà di piombo, ch'induce
odio . Ora < bbatte dofi a pafìflìr Dafne Ninfa
figliuola del fiume Penco, e fanciulladima-
ravi"Jiof^ belle ZZ.1 . dove era Apollo , Cupi-
do fri fdbito Anello con la fietta d* oro,
eia Ninfa con ^ujIIi di piombo: talché i*
imo^mava* e * altra odiava; equantopiii
quegli eradi lei innamorato, canto piiì el-
la accrciceva l'odio centra lui . Finalmente
non avendo mai potuto con parole lufinghe-
voli piei?arla, fi mife a feguitarla . Dafne
sbigottita fi diede a fuggire ,ed Apollo a cor-
rerle di^itro Finalmente fentendo ella l'ali-
to di lui» che già cominciava a raggiunger-
la, dirizzati gli occhi all'acque del fiume
paterno, dove ella era in Teflaglia già cor-
rendo giunta , pregò il padre , come Dio del
fiume, che leavefTe compalTìone della fua
virginità. Né appena ebbe fornito di pre-
gare » che fu convertita in alloro, ritirandoli
a poco a poco le giunture in fotti le fcorza ,
i capelli in frondi . le braccia in rami, i
piedi in radici , e '1 vi^fo nella cima deli'
albero; acuirimafe la fua prima vivacità e
verdezza .
Car. 14- 1. 3c. Ecco la notte y e'^lchl tutt^
x' imbruna , *
E gli alti tnontì le contrade adombrano ; /
Defcrive il principio della notte con la foli-
ta vaghezza di concetti paftorali, imitando
in alcune parti Virgilio : perciocché non
è men bello il dir che g/' alti monti adom.
hrano le contrade y di quel che in quei r^eca
è ii
DEL PORC^ÌCCHI. 125
è II dir che dagli alti monti caggiono le mag-
giori ombre :
Majorefque cadunt altìs de montìbus umbra ,
( Egl.i.v.84.)
E per ventura all' intelletto d'alcuni potreb-
be parer pm bella quella del Sanazzaro che
quella di Virgilio.
PROSA TERZA.
Car. 16. I. 22. Fi/ìa di Paìes veneranda
D*a de"* pa fiori ^ ) Quefta feda era chiamata
Fallita y che li celebrava a' 2i. d'Aprile/
nel qual giorno Romulo fo .dò Roma ; ed
era fatta o per cacciar da' beftiami l'infer-
mità, come fi vede che U Sanazzaro tocca
in quefta Profa ; o per rifpetto delpartod'
edi : ed erano iftituiti quarti PaUlJ in onor
della Dea Pale, Dea de' partorì : la quale
alcuni tengono che forte Verta , ed alcuni
Ja madre degli Dei .
Car. 1 6. !. 24. Cerne il fole apparve in Orien*
tiy e i vaghi uccelli ec. ) Defcrive 1' appa-
rir del giorno; ed in quertadeicrizione ve-
dt Ti e' ha ioiirato diligentemente il nortro
Boccaccio in alcuni luoghi del fuo Deca-
merone. Gli alberi che fi nominano poi in
querta Profa > da ma non fono ora altramen-
te notati; perchè mi rert.no da dire altre
cofe per dichiarazion delle favole che vi
fono inferte .
Car. 18. 1. 25. Gujrdava gli armenti di
Admeto alla riva d"* un fiume : e per attenta'-^
msnie ec. ) La cagione per la quale ApoU
lo rterte a guardare gli armenti di Adme-
to alla riva del fiume Anfrifo , vien raccon-
tata in quefto modo. Efculapio fìgliuol d*
K 4 A poi-
224 ANNOTAZIONI
Apollo aveva imparato da Chirone I* arte
della medicina: di poi avuto da Palladeil
fangue ch'era ufcito delle vene della Gor-
gone , col mezzo di quefto refe la faoità a
molti . Perciocché era di quefta qualità , che
quel fjngue ch'era ufcito delle vene del Ia-
to dritto, da lui era adoperato in falute ;
e quel ch'era ufcito di quelle dei lato man-
cino) in danno degli uomini . Anzi fi di (Te
una fovola di piti 9 che con eflb aveva ri-
iufcitato alcuni morti . Per la qua! cofa Gio-
ve , acciocch'ei non fofle adorato per Dio»
facendo operazioni da Dio , lo percofle di
faecta, e fece morire . Di che fieramente
fdegnato Apollo, ammazzò tutti i Ciclopi
ch'avevano fabbricato quella faetta . Gio-
ve montato per ciò in collera, volle cac-
ciare Apollo all' inferno: ma a* preghi di
iatona fi placò , e contentoffi di bandirlo
del Cielo, con patto che per prezzo andaf-
fe a fervire a qualche uomo . Per lo che
Apollo andò a fervire al Re Admeto di Tcf-
faglia, e pofefi per guardiano degli armen-
ti » Ora mentre eh' egli attendeva a guar-
dare, Mercurio afiutifiìmo, trasformato in
paftore , andò a rubargli alcune vacche , i'Qn-
za. eifer veduto da alcuno, fuorché da Bat-
to pafiore; al quale donò un vitello, perchè
jion Io rivelafle : a cui il paftore moftrando
col dito un fa (To, dille: Lo iiirà prima quel
fajfo , che io. Indi a un poco Mercurio tra-
sformato in Apollo, domandò a Batto > fé
avefiTe veduto le fue vacche , promettendo
c'o largliene una . Batto vedendofi raddoppiar
Ja mercede, rivelò il furto al ladro fte(To.
Per Io che Mercurio Io convertì in quel faf-
foch'eìcol dito gli avea molìrato, E tut*
ta
DEL POR CACCHI, iis
ta qusfti tavola dice , ed intende in qucfto
luogo il Sanazzaro .
Car. 18.]. -^i. Mercurio , tbtfedtnJo aduna
gran pietra ec.) Giove aveva tolto l'onore a
Io figliuola dMnaco ; e fopraggiunto da Giu-
none , per tema di non edere fcoperto , con-
vertì la fanciulla in vacca. Giunone , (o"
fpettando quel ch'era, gli chiefe la vacca
in dono, e la diede a guardare ad Argo, eh'
aveva cento occhi ; de' quali Tempre due per
lo meno vegghiavano . Giove comandò a
Mercurio che rubafìTea quel paftore occhia-
tola vacca : ondecgVif de ndo ad una gran pie»
tra con gonfiate guance fi mife a fuonareuna
fampogna : per la dolcezza del qual Tuono ad-
dormentato Argo , Mercurio gli tagliò la
tefia ) e tolfe la guardata vacca .
Car. 19. 1. 7. Endirnione ) Fu Endimione
un billiflìmo giovanetto, amato dalla Luna ;
ed avendo ella per lui impetrato dal padre
Giove grazia di quel eh' ei defiderafie; En-
dimione chiefe di dormire in perpetuo, per
avere a perfeverare immortale , e fenza vec-
chiezza . Così fi addormentò fopra il mon«
te Latmio in Caria .
Car. 19. 1. 8. Varify che con la falce avea
tominciatoafcrtvere Enone) Mentre che Pa-
ris figliuolo del Re Priamo di Troja abitò
nella fel va Idea , amò grandemente Enonc >
una delle Ninfe Idee, e figliuola del fiume
j,Cebrene,, Pandafo, cheda Apollo pe-r prc-
mlodella verginità toltale 5 ebbe notizia Sii
tutte l'erbe , e 1' arte del medicare . Come
poi Paris fi fu innamorato diElcna» abban-
donò C(^ftci . Ora il giuJicioche Paris diede
fu 1 che, contendendo Giunone n Pallnde,
c Venere avanti a Giove d'una palla d'oro
K 5 che
126 ANNOTAZIONI
che s'aveva a dare alla più bella , Giove le
mandò nella felva Idea a Paris che le giudi-
cafìTe . Egli , fattole fpogliar tutte tre nude ,
fentenziò in favor di Venere.
Car. 19.1. 19. La dipi n fé volta Ji fpalle ^ )
Allude, per quel eh' io credo, in quefto luo-
go il Sanazzaro alla pittura d'Ifigenia, di-
pinta da Timante per dovere edere facrifica-
ta : perciocché avendo egli dipinto tutte le
perfone che l'erano intorno , mede, ed ad-
dolorate ; e mafllmamente il zio di lei , in
guifa eh' aveva confumato ogni immagine di
doli;re e di affanno; coperfe finalmente il
vifo al padre d'efìia , acciocché da chi vede-
va la pittura foife comprefo il dolore eh' egli
col pennello non aveva potuto efprimer tan-
to che baQafl'e , fcufando ( come qui dice ) '/
difetto con r ajìu\ia ,
EGLOGA TERZA.
Car. 24. 1. 7,» Mentre per quefìi monti
Anàrart le fiere errando ,
JB gli altri pini arhn pungenti foglie ;
Mentre li vivi fonti
Correran mormorando
NelPalto mar , che con amc li accoglie : ec.)
Quefta è defcrizion poetica d' un lungo tem-
po, nel quale fignifichiamo ch'abbia ad ef-
fere alcuna cofa : il che none fenza grazia,
e lode di chi l'ufa. Virgilio nell' Egloga
quinta v. 76.
Dum juga montis aper , fiuvìot dum ptfcii
amabit ,
Dumque thymo pafcentur aper , dum rote (i*
cnda y dee*
Ovvidio neli. libro dell'Elegie.
DELPORCACCHI. iii
Vitet M doni de f^ Ttntdos dumjìabit , ^ Ide^
Dum rapidaf Simois in mare volvef a-
quai y dee,
con quel che fegue*
PROSA (QUARTA.
Car, 2 6. I. g6. Najade i o Napee flate fof^
fero; ) Credette la vanareligion degli an-
tichi, chead ognicofaj per minima che fof-
fe 5 fopraftefle alcuna parcicolar Deità : e
però Efiodo iafciò fcritto , che in tutto il
mondo erano ftati adorati trentamila Dei .
Inquefto propofito fcrive Plinio nel libro 12.
le (eguenti parole: -<4'»\' r^of crediamo che i SU'
vani , i Fnuni , ed altre [orte di Dei jìano fia-
te attribuite così alle felve , cerne al Cielo le Dei-
tà [uè . Né folamente affegnavano gli anti-
chi Dei mafchj, ma ancor le Dee femmine;
come le Njjadi , eh' eran Ninfe ch'abitavan
ne' fiumi; leNapee, ne' fonti; le Driadi»
ne'bofchi ; 1* Amadriadi, negli alberi; P
Oreadi , ne' monti ; e l'innide , ne' prati •
11 Poliziano \-\q\ Ruftico v. ^^^.
Uda choros agitai Nat! , dscurrit Oreat
Monte fuo , Hquuntfacìles juga celfa Napad ;
JVVf latitat ^ub fronde Dryat .
Car. 17. 1. II. Ma veggendo elle il fole di
molto aliato , e l caldo grandijftmo fopravvenire^ )
Defcrive il mezzo giorno , imitando, per
quel eh' io credo , il Marullofuo coetaneo:
Et jam Ir.mpade torrida
Fulgebat medio fi pater athere .
Car. 27. 1. 56. Ehi no di capfe , Logifio.
di lanate pecore guar datore \ ) Leggafi l' Eglog*
7. di Virgilio , dal qual luogo il Sanazzaro ha»
prefo quello paflo : ( v, 3. ) •*
K 6 Ihyf^
ii8 ANNOTAZIONI
Thyrfis cv/r , Corydon dijientas ìaBe ca»
fella s ;
Afnbo fiorente^ atatlhttf ^ Arcade^ ambo )
Et cantare parer , Ò" refpondere parati . i
EGLOGA QUARTA.
Car. 32. 1. 1. Siccotn'* un tempo Orfeo col del-
ce pianto: ) Orfeo figliuolo di Calliope Nin-
fa, amando fieramente Euridice, dopo eh*
ella fu morta , fcefe , confidato nella dolcez-
za eh' egli ufava Tuonando la lira , all' Infer-
no: dove riebbe Euridice , con patto che nel
ritorno non ù voltafle indietro . Ma avendo
rotto il patto per troppa vaghezza di veder-
Ja , gli fu ritolta, e più non potè riaverla.
Di che addolorato, non voile mai vedere al;
tre donne, onde da elle fu morto. Coftui
tuonando nelle feive , e piangendo la fua Eu-
ridice , faceva movere gli alberi > ch'anda-
vano ad afcoltarlo .
Car. 52. \.i6. Li ignudi pepi andran per ftC"
chi campi ,
E V mar fi a duro ^ e liquefatti i fajjì , )
l'argomento cavato dall' imponibile: di
che prefTo tutti i poeti n' abbondano molti
efemp), ch'io giudico foverchio addurre.
Leggi al fin della feguente Profa .
PROSA Q^U I N T A.
Car. 55. 1. 2. ISlè pia te/io la Iella Aurora
faccio eC') Defcrive con mirabil vaghezza
«l nafcimento del giorno; ed ioquefta de-
fcrizione nuòdirfi , ch'egli eccellentiffima-
mente fifiafervito de'juoghi di molti Poe-
ti : perciocché quando dice : La bella Auro^
'4
DEL PORCAGCHI. 229
fa cacciò le notturne ftelle , può aver tolto qtre-
fto luogo dal ^.dell'Eaeida di Virgilio v.521,
— — rubtfcebat fìellis Aurora fugatis ,
o dal i. delle Trasformazioni d' Ovvid.
— -- fulget tenebriì Aurora fugatis ,
odal 4. del medefimo :
-- — ne diurna Aurora re moverai ignef .
odal 15. del medeiìmo :
— -- fidereos Aurora fugaverat tgnes .
Ma dove dice : e^lcrfjìato g^llocol fuo canto
f aiutò il vicino giorno , avendo con quefta
circofcrizion del gallo rifguirdo alla baflez-
za del foggetto di che tratta > imita j per
quel ch'io poffb credere , Ovvidio nel 1.
dell'Elegie, in quefto verfo :
Inque fuur/t miferof excitat ales ofus ,
benché troppo lontana da quefto verfo d*
Ovvidio può parer la circofcrizion del Sa-
nazzaro ; la qual forfè imita meglio quel
che difle Virgilio nel fuo ingcgnofiflìmo
Morato v. s.
T-xcubitorque diem Cantu pfadixerat ales ,
Car. Z5'^- ?0' -^^^^ ^^« infognati di rifponde-
re agli accenti delU voci mie'.) Virgilio nell'
Egloga prima v. 5. difle , cheTitiro infe-
gnava allefclve, che ri fuo n afferò il nome
della fuaAmarilli:
Fermofam refonare doces AfnarylHda plvas ,
e nella quinta v. 63. difle, che le balze > e
gli arbufcelli rifuonavano :
-- — ipfce jam carmina ruper ^
Ipfa fonant arbujia .
L'altre parole poiché feguoco nell'Arca-
dia, cioè: e credo già che ora le lettere injie-'
me con gli alberi fiano crejcittte ^ fono medefl-
mamente imitate dall* ultima Egloga di
Virgilio V, 53»
tyo ANNOTAZIONI
»_ ._ tenerifque meos i nei dir e amor a
Arhoribus : crefcevt fila : crefcetif ) amore f »
Car. 37. I. 8. Che p'^ndeffero per le fcovef-
te ripe , } Melibeo prefTo Virgilio neli'
Egloga prima, dice alle Tue capre quafi il
medefimo v. 77.
D'if»o[a pendere proci// de rupe videbo .
Ed Ovvidio parlando delle camozze t
.- alta de rupe pende nt Caprirupa .
j, Ovvidio ciò non diffe mai . ,)
Car- 37. 1. 30- Spargendo duo vaft di novolat*
te ) duo di (acro [angue , e duo di fumofo , ec» )
Virgilio nel quinto dell* Eneida v.77*
Hic duo rite mero libane carchefia Baccboj
Fundit burnì , duo la èie novo j duo [angui-
ne [acro ^
Vurpurecfque jacit flore! .
e nell'Egloga quinta v. 67.
Pocula bina novo [pumantia laSie ,
Car. 3 8. I.31. Il reverendoTermino) Pref-
To gli antichi Termino era riputato Dio; e
limavano eflì che i confini de' campi toflero
fotto Ja tutela diluir onde era ferhpre ado-
rato allo fcoperto: perciocché per cofa em-
pia avevano il credere » che lo Dio Termi-
no abitafTe fotto alcun tetto . Quefto Dio è
quegli , come fi legge in Varrone , e ia
Gellio per via d' enigma j che non volle ce-
dere né anche a Giove.
Car. 39. 1.12. Lo infelice loglio con le ftei
rili avene) Segue Plinio nel lib. 18. a c^"?*
17. il quale dice, che il loglio, i triboli
i cardi , e le lappole , non meno che i pruni
hanno da efler connumerati più torto pei
maledizione delle biade, che per pefte pro-
dotta dalla terra . Ed è quefto luogo del
Sanazzaro tolto dall' Egloga 5'di Virg. v.56.
Gran-
DEL PORCACCHI. i^t
Grandia fape qui tur mandavi mar hurdea
fuIciS y
Infelix iolium , ^ fiifiUs nafcuntur avena ,
Fro molli viola , prò purpureo narcijfo
Carduus , ^ fpinis [urgit paliurut acuti f .
E quel chefegue più a baffo nel Sanazzaro:
Vafìcri , gittate erbe effonde per terra , è pu-
le Colt j dal medefiino luogo di Virgilio :
Spargile bumum foltis , inducite fontibus
umbra f ,
V a flore f.
In fomraa fino al fine del parlamento di que-
llo paftore (cpra \à fepoltura d' Adrogeo,
la maggior parte delle parole fon tolte dal-
lo fleflo luogo di Virgilio , come ben può
comprendere chi vuol paragonarle .
Car. 40. 1. 1 1. Se [ara fredda , faremo al fo"
(o\ fé caldo y alle frefcbe ombrg : ) Virgilio
nel luogo citato v. 70» ^
Ante focum ^ fi frigur ertt ; fi tneffli , in
umb'-a ,
E da quella medefima Egloga fon derivati
i luoghi tolti dair impofilbile , di quefto
Autore» fé ben con diverfi mezzi .
PROSA SESTA.
Car. 44. 1. 19. Il Trojano Paris ^ quando
ce. ) Fu Paris figliuolo di Priamo Re di Tro-
ja > ed eflendo per comandamento del padre %
tofto che fu nato , portato al bofco , fu fai va-
io , enodrito dai pallore degli armenti del
Re> come figliuolo . Egli crefciuto s' inna-
morò d* Enone Ninfa > e fino a tanto che non
andò a rapire Elena > P ebbe in fommo pre-
gio : e di cortei intende quii' Autore • Leg-
gi di fopra a c« 225»
Car.
l^^ AN NO t AZIONI
Car. 45. !. 20. I Ifip' prima mi vìJero ^ )
Queftoè detto coatra quei che fon fiochi > e
però ha detto: la voce tuttavia mi vien man-
cando \ ocontra coloro a' quali in un fubito
fia la voce ftara levata : ed è tratto dall' Egl.
Monadi Virgilio v. 5^.
-- '- vox qt4oque McBftm
] am fugitipfa : li'pi Mcerim vigere priore s ,
Servio avvifa , efTere opinion de* fifici eccel-
lenti che il lupo abbia quella proprietà , cioè
che fc 1* uomo è prima veduto da eflo , perde
k voce . Né mancano filofofi i quali fi sforza-
no di render la ragione di quefta cofa . K' fi-
milniente imitato ciò da Teocrito nell* Idil-
lio 6, il qual dice : Tu non potrai parlare ^ per^
che hai V duto il lupo i dove è da notare , che
Teocrito mutò quefta fentenzia ; negando
che colui pofìTa parlare per aver veduto il lu-
po, enon per efiTerda eflToftato veduto .
EGLOGA SESTA.
Car. 46. I. ^i, L* fKviìiia ^ figìfuol mio ^
fé Jìeffa macera ,) Scrivono i fnvj , che ficco-
me il ferro è con fumato dalla ruggine, co-
sì Tinvidiofo è lacerato dall* infermità fu3
propria : perciocché egli "on meno di tor-
mento ha per la f-^licità altrui» che per le
fciaf^ure fue . Di qui ben diffe A gide figliuo-
lo d* Archidamo, quando ebbe fentito ch'al-
cuni gli avevanoinvidia * E Jft dunque avran-
no doppio dolere \ come quelli che e per le infeli"
cita loro , e p?r left-licit/ì mte , e de"* miei ami-
£i faranno to-memati » ed è tratto quefto luo-
go del S.inazzaro da m'>Ite autorità di dotti e
Greci , e Latini , e poeti , e filofofi , ed ora-
toiì , ed iflorici > che troppo lungo farebbe
re-
DEL PORCACCHI. i^?
reglftrarle tutte . Leggafi Platone nel fin.dcl-
1' Apol. AriOot. nel 2. dell' Etica acap. 7.
Demoftene a Leptine j centra Ariflog. e neE-
r Epift. Menandro, Euripide, Plutarco,
ed infiniti altri ; per tacer de' Latini Virgi-
lio in quel Tuo bcllifllmo Epigramma del li-
vore . Ovvid. nel 2. delle Trasfor. Stazio nel
2. della Teb. Silio Italico nel 1. 11. e 17. del-
]^ Guerra Punica . Lucano , con tanti altri .
jyia Orazio refprefl'e meglio di tutti > Epift.
lib. i.Ep. 2. V. 60.
Inviàuf aìterius tnacrtfcit rebut tpìmts :
Invidia Stculi non inventre tyranni
M^jtu tcrmintum »
Car.47. 1. 56. Quef è Prothy (bt di cU
prejjo in elice y
' E di ftrpente in tigre tra (formava fi ,
Efeaft or bove , or capra ^ or fiume , or felice , )
Virgilio nel 4. della Georgica j con quefti
verfi ( ^87. ) deferiva Proteo :
j iji in Carpatolo Neptuni gurgite vatey
CartéUut Proteuf .
e quel che fegue . Ed è da notare che Proteo
fu figliuolo dell' Oceano e di Tctij e fu Dio
marino, porto (per quel che fivoleggiano i
poeti ) a guardia de' moilri marini. Era gran-
difiimo indovino 5 e fi trasformava in qual fi
voleffe forma > come qui dice il Sanazzaro .
La qual trasformazione, ferire Diodoro, ef^
fer favoleggiata da' poeti, per rifpetto de*
Re d' Egitto ; i quali avevano ufanza di por-
tare in capo la parte dinanzi d'un leone, o
d'un toro, od' un dragone per infcgna del
principato; e talora un'albero , alcuna vol-
ta fuoco, e bene fpeflb unguenti odoriferi.
Le quali cofe fervivanoo per ornamento , e
decoro del capo , o per metter qualche (lupo-
re
iH^ ANNOTAZIONI
re e iuperftizlone a' riguardanti . Onde fu
dato luogo alla fivola > che Proteo foiìe foli-
to trasforinarfi in tutte quelle cofe che por-
tava incapo.
Car.49. 1.35,--* tutti Cacco il chiamano ,)
Cacce fu figliuolo di Vulcano, e co*fuoi la-
dronecci» ed afTììfìiinamenti infeftò tutta la
Campagna di Roma j di maniera che una not-
te ebbe ardimento di rubare alcune vacche
ad Ercole, eh' era tornato di Spagna , ed ave-
va uccifo Gerione, tirandole per la coda al-
la fua grotta, mentre eh' efl'o Ercole allog-
giava col Re Evandro . Li mattina levatofi
Ercole, e trovandofi meno le vacche, non
fapendo ove avellerò potuto fcampare, per
ventura giunfe a quefta grotta: ma vedendo
le pedate al contrario , cioè che modravano
d'elTereufcite , e non entrate nella grotta,
fé ne partì con l'altre Tue vacche . Intanto
mugghiando quelle di dentro per defiderio
di quelle di fuora , Ercole udito il mugghio ,
conobbe la triftizia di Cacco j e prefa \à maz-
za , andò in furia contra lui , Cacco fidatoli
del fito della grotta, ferrò la porta con un
granfaflo, edentro vi fi nafcofe . Ciò ve-
duto Ercole , andò in cima del monte , ed ii
ultimo gettata in terra la pietra che ferra-
va la grotta , fenza paura alcuna vi {"aitò
dentro , e (Irangolò Cacco, ritogliendogli
le lue vacche . Dicono alcuni , che quello
alTalTino gettava fuoco per bocca ; il che è
ftato prefo da qucdo , ch'egli col fuoco da-
va il guafto alle campagne j e concludono,
eh' eflTo fu un fervidore (^qÌ Re Evandro ,
che col ferro e col fuoco faceffe quanto mal
poteva per quei contorni . Leggi Servio Co-
pra r ottavo deli' Eneide di Virgilio
„ Ov-
DEL PORC ACCHI. ^is,
)9 Ovvidio Del primo de' Farti . Properzio
,) nel 4. libro dell* Elegie . T. Livio nel x»
5, libro àoWt ftorie ► >,
PROSA SETTIMA.
Car. SI. 1. II. Da popoli Ji C alci dia venti-
ti y fcvra le vetufti ceneri della Sirena Parteno-
fé ) Deferiva 1* origine della città di Napoli
fuj Patria, dicendo che fu edificata da' po-
poli di Calcidia > che vennero fopra l'anti-
che ceneri dì Partenope Sirena . Sopra che è
dafapeifi, die le Sirene, fecondo le favole
de' Poeti , furoiitre, Partenope, Ligia, e
Leucofia ; efuron figliuole del fiume Ache-
loo e della Ninfa Calliope. Furono moftri
marini , e dal mezzo in fu avevano fembian-
za di donne, e dal mezzo ingiù fornivano
in coda *di pefce. Quede abitando nel lito
di Sicilia , con la dolcezza àtì canto loro al-
lettavano di tal forta i naviganti > che an-
dando verfo loro per udirle, urtavano negli
fcogli, e facevano naufragio. Pacando di
làUlilife, egli turò a fé, ed a' compagni gli
orecchi con la cera, e non volle fentire il
canto di erte . Per lo che le Sirene vedendo-
fi fchernite > per l'impazienza del dolore iì
gettarono in mare . Furono elle poi portate
chi qua, echi là: ma Partenope fu portata
là dove poi fu edificata ia città di Naj?òli ,
che dal nome della Sirena fu pri ma chiamata
Pa»tenope : e coloro che 1' edificarono furo-
no iCalcidici, che fono quei di Negropon-
te . Avvenne poi y eh' effcndo queffa città
minata da' Cumani, cadde fopra loro gran-
dif-
* Non in ctda di pefce , ma in gambe d^ uccelli ,
1,^6 ANNOTAZIONI
difitma pefte : onde per configlio dell' ora-
colo d' Apollo, tornarono a riedificHrIa piti
fplendidamentedi prima, evi trasferirono
gran parte de' loro cittadini ; ed , a differen-
za della città vecchia, la chiamarono N^'^p''- '
/// , che vuol dire nuova città , Sono alcuni
i quali tengono , che anco la prima volta fof-
fenuefta città edificata da'Cumani, e non
da'Calcidici ; onde pare che qui l'Autore
abbia errato. A che fi rifponde» che anco
iCumani tramerò origine da' Calcidici, co-
me teftifica Dionigi Alicarnaffto nell'otta- -
vo , L'vio pur nell'ottavo, e Strabene con
molti altri : V autorità de' quali io non addu-
co per non eiì'er necefl'aria , efolo mibafta
averla accennata .
Car. 51. 1. 56. E Lifiterno^ henchè foltta^
rio , nientedtmino fam.fo per la memoria delle
[aerate ceneri del d'Vtno Africano \ ) Scrive
Strabene nel lib. 5. che dopo SinvefTì è il ca-,
dello Linterno > dove è il fepolcro di Scipio-*
ne cognominato Africano: il quale in quer
luogo menò i giorni della vita fua , lafcìan-
doi negozj della repubblica 5 e fuggendo l*
invidia de' maligni : ed il medtfimo fi cava
da Seneca nel principio dell* Ep. 77. e da Va-
lerio Mallimo al cap. dell' Ingratitudine .
QLiefto ho detto 5 perchè alcuni tengono che
Ja fv^poltura di Scipione folle fuor della por-
ta Capcnadi Roma .* i! che non ha puntodel
credibile. Fu qucflo luogo 5 ch'oggi fi chia-
ma Torre dtlla Pat-ìa , eletto da Scipione
Africano per fua perpetua abitazione; per
fusigir l'invidia. Podio, e le cattive lìngue
de' milvagj u)mini di R.oma > dopo ch'egli
ebbe liberato non pur quella città, ma tutta
Italia da' Cartagiaefi , avendofi acquifiato
tan-
DEL PORCACCHI. 237
tantn gloria , e tanta immortalità per le £i-
molilììme fueimprefe» ed avendo ampliato
l'Imperio Romano , con aggiungerli h» Spa-
gna, ePAfiica: cfu bendep.no , che in ri-
compenfa di tanti benefici così grande uomo
ricevefl'eda' Tuoi cittadini tanta ingratitudi-
ne » acciocché colui chedal mondo non ave-
va potuto elTer vinto, né anco fofl'e dall'
invidia fuperato : poiché egli con animo ge-
nerofo piiì tcdo fi elefTe la vita folitaria , e
quieta, che la frequente, e rumultucfa . E'
pollo Linterno , eh* oggi non ha altro che una
torre con un' oreria , ed alquante capannuc*
ce da pefcatori , fra il Volturno e Cuma >
preiTo il mare .
EGLOGA SETTIMA.
Car. 5?. I. IO. Cime notturno uccel nemi-
co al fole y
Lnffo vo io ptf lurgbi cfcuri e fvfchi , )
B'oflervazione di tutti i buoni intendenti
deir arte poetica , che le Sortine , nel nume-
ro delle quali èia prefente Egloga, folTero
trovate per Io più per defcriverc alcuno fla-
to della noftra vita foggetto alle pacioni
umane 1 ed agli accidenti della fortuna : il
che molto bene fi può oiTervare da quelle che
fcrid'e il Petrarca ; a imltazion del quale può
dirfi, che '1 Sanazzaro, diligentiiììmo mae-
Arodi qued' arte, componeflb la prefente >
e con elTa defcrivefl'e il mifero flato , ed efi-»
lio fuo . E' ben vero , clie anco fi può in una
Seftinadefcrivercosì la vita beata e tranquil-
la , come la penofa ed afflitta , ed altra ma^
t<?ria appreffb . Defcrivefi poi la Seftina eoa
aljv'gorie, con metafore) ccon alcurccoa-
VQ'»
«58 ANNOTAZIONI
irenienti comparazioni , come fi vede nel
Petrarca in quella :
Alla dolce ùmbra delle belle f rondi ,
Ed in quelle:
Chi è firmato di menar ft4a vita .
A*ixi f^ dì creata era alma in parte*
h"* aere gravato^ e V importuna nebbia .
Non ha tanti animali il mar fra P onde ,
E così fi vede avere offervato il Sanazzarc
inquefta. E perchè I' ultime voci de' verfi
della Semina hanno a eiTer più torto nomi j
che verbi; più torto foftantivi , che agget-
tivi i e più torto di due fi i labe, che di più,
ed' avvertire, chefeil Sanazzaro ha porto
in querta la ^àvoìsifofcbi per ultimi voce , eh'
è aggettiva, non l'ha fitto fenza artifìcio.
imitando il Petrarca j il quale in quella che
comincia :
Mia benigna fortuna y e^l viver lieto ;
pofe la parola lieto y eh' è aggiunto: ed in
quella di Dante :
Al poco giorno , ed al gran cerchio d'^ombra^
trovali la parola v^rde aggiuntivo , die. ndo
foglia verde , legno verde . Tuttavia è fano
configlio ortervar quei che più fi vede ufa-
to da' buoni, e che a' più eccellenti Scrit-
tori è piaciuto ; ma però non farà cafo
di religion violata, fé tal volta alcun bello
ingegno vorrà nelle fue Sertine ufar così far-
ti aggiunti ^ con l'autorità di querti primi
lumi della lingua nortra , e delle pocfie com-
porte in ert'a.
PRO -'SA OTTAVA.
Car. (50 ]. 2^. AV y// lacrime Amcr^ ^ ni di
s^wiipr.atì^ ne capre di fronde y né api di no*
DEL PORCACCHI. 259
Villi fiori ji videro faye giammai: ) E' tolto
dall* Egloga decima di Virgilio , dove ù. leg-
gono qiiefti verfi : ( 29. )
Nec lacrytnit cudelis Amor , nec grami"
r.a rivif ,
ÌSlec (ytifo faturantur apef , nec fronde
captila .
Car. 64. 1.1^. Al bianco cigno eòe giovava
abitare mlìe timid* acque per guardar fi dal fo»
co y temendo del cafo di fetonte y ec. ) Toc-
ca la notiflTima favola di Fetonte > che' io ho
accennata nelle Annotazioni foprala Profa
prima: perciocché ardendo il cielo , per ri-
fpctto che Fetonte non guidava bene il carro
d' Apollo Tuo padre , Giove lo faettò , e fe-
ce cadere nel fiume del Po ; dove con le fo-
relle di lui , che poi fi convertirono in oppj >
venne anco Cigno Re de' Liguri , che amava
Fetonte; il quale piangendo , fu convertito
rei l' uccello del fuo nome , che Tempre abi-
ta intorno all' acque . Leggi in quefte a car.
212,
Car. 64. 1. 27. E tu y tnifera ^ 0 cattivella
ferdice , a (he (chi favi gli ulti tetti , pert'
[andò te ) Favoleggia Ovvidio , che Pcrdi-
ce f un nipote di Dedalo, il quale avendo
prima trovato la ft ga , dal zio fu per invidia
precipitato giù da un* alta torre , e per com-
paflionedegli Dei fu convertito ncll' uccel
di quefto nome , che fino ad oggi ricordan-
dofi di quella rovina, non vola mai in alto >
ma fa il nido in terra • Di queftu uccel lo fcri-
vono Ariftotile nel nono libro degli animali %
e Plutarco in quel libro eh' ei fece \qf'ali ani ^
mnli fano piò prudenti y i terreni ^ oi marini'^
un' aHuzia degna di non effer taciuta , fé ben
000 è a propofito per quefloluo|;.o , Dicono
ewi>
^40 ANNOTAZIONI
eflij che fé alcuno uccellando, s'abbatte a tro-
var il nido de'perniconij o ftarnotti,la ftariia,
o perdice madre, ii getta a' piedi dell' uc-
cellatore? quaù per lafciarfi pigliare: ma
però , acciocché mentre egli attende a lei , i
togliuoli pofranoficuram^ntefcampar via. U
che fatto , ella fimilmente vola via ^ enonfi
lafcia pigliare .
Gir. 67. 1. 15. Venivano Ih'i falchi , venivatso
ipaflori iii pecore , e ^i capre . ) Virgilio nell'
Egl. IO. V. 19.
Fertit & upilio : tardi venere buhuìci .
Car. 6S. i. 19. Il candido cigno p^rf^go della
fua morte cantare gli efequialì verji ) Che il ci-
gno dolcemente canti alla fua morte , è tan-
to noto e celebrato da tutti > come da pochi è
creduto 5 mairim:imente perchè da niuno è
flato fentito : cade Luciano nega d' aver
mai veduto in Pò alcun cigno, avendo per
quel fiume navigato. Eliano nel libro della
Batura degli animali dice, chei cigni non
cantano, fé non quando foffiaii vento Zef-
fir^ , o Favonio . Pare che quefto luogo del
Sanazzaro fia imitato da quello di Marziale
nel lib. n- Ep. 77.
Dukia defgSla modulatur carmina lingua
Cantator cycmis funeri f ipfe fui .
Né mancano filofofi i quali fi sforzano d* ad-
dur la cagione di quefta cofa ^ affermando che
ciò procede, perrifpetto che il cigno ha il
collo lungo e ftretto , e che con fatica gli fpi-
riti fanno pruova d' ufcirne fuora . Alcuni
tengono che il cigno conofca la fua morte,
perchè le penne che ha fopra la teda , a poco
a poco gli penetrino il cervello 5 ed a quel
fiiodo fi fenta avvicinar 1' ora del mori-
£S ; benché non mancano di quelli i quali
del
DEL PORCACCHI. 241
del tutto negano quefta cofa > come ridico^
la , e vana .
EGLOGA OTTAVA.
Car. 72. 1 . 25. Ni^P ondefoha , e fielP anrte
l'emina ,
E V vago vinto (pera in rete accogliere^
Qbi fue fperan'i^e fonda in cor di f. mina , )
Ancorché iofappia di certo la mente dell*
Autore non effer di volere in queflo luogo
dar nota d' incoftanzia , e d' inftabilità a tut-
to il nobil felTo femminile 5 di cui non fi pof-
fono mai abbadanza defcrivere le lodi ; non-
dimeno , per notare alcuna cofa in conformi-
tà di quanto èquifcritto, dirò ere per giu-
dicio mio il Sanazzaro tafla in quefto ternario
Ja femmina in uno de* due modi ; cioè «oche
'1 cuor d'efla è rutto pieno di tutti ivizj, in
maniera cheniuno fé ne può fidar punto ; o
che Ga leggiero , t^itr rifpetto della legge-
lezza d'eflo non vi s'abbia da poter mettere
fperanza . Se vuole inferire, che '1 cuor del-
la femmina fia tutto pieno di tutti i vizj , po-
trò dir che ciò fia imitato da quel fentenzio-
f o , ma per altro troppo empio, e mendace
Epigramma diFaufto, eh' è tale:
CunRa (uh ajìrige'o regnantia crimina cah
Kt4trit in tfternof femina nata doìos .
Pejfima re: uxor : poterit tamen utiUt effe
Si b^evitir tnoritns del tihi quidquid babet,
Atft quot voiucrts infunt , quot litore concha^
Tot mala , tot fraudef mens muliebnr
babet .
Ma fé vuol taffare , come io ftimo 1 di legge-
rezza il cuor della donna , poiché lo parago-
la air acqua, all'arena) ed al vento; dirò
Tcmt I, L che
241 ANNOTAZIONI
che fia imitato dal libro i.di Properzio Eleg.
19. V. 62,
— -. nulla Jiu f emina pondus hahet .
odal 4. dell' Eneide di Virgilio v. 569.
— -- varhm & mutabih femper
Temina .
Car. 75. J. 17. Chi prende il Cieco in guì.
èia , /w^/ confili a fi : ) E* tolto dal Sacro Evan-
gelio, nel qual fi dice, che Te un cieco gui-
da l'altro, amendue caggiono nella fofTa ;
ed Orazio Ep. 17. 1. 1. difTe :
~~ ut fi Ccecut iter mcnflrare velit ,
e predo Ariftofane nella Commedia del Plt**
to y Carion fervo fi fdegna coutra il padro-
ne, eh' egli vedendo lume» vada dietro a
Pluto cieco. All' incontro fi legge in M.
Tullio nell'ultimo libro de' Fini , cheCajo
Drufoeccellencifilmo dottor di leggi 5 efien-
do cieco degli occhi corporali, con quelli
dell'animo infegnavala via agli altri di ben
governarfi : il chefimilmente ho notato ne*
miei Paralleli , d' Appio Claudio , ediGio-
vanni Zifca Boemo .
Car. 7^. I. 19. Qaefla vita fnortaU al dì fo^
tnìgliaft\ ) Tutti quelli tre terzetti fono fen-
tenziofi , e detti perdifcorrer fopra la bre-
vità della vita delTuomo: la quale per il
vero è cosi breve, che non pure è affbmi-
gliataa un giorno, a un giuoco di dadi , a
un fiore , ed a una gocciola d' acqua : ma a
un'ombra , e per dir di più , al fegno d' un'
ombra . E potrebbe quefio I uogo per ventura
parere imitato „ dalla Satira 9. diGiove-
5, naie v. 126. ,>
— — Feftinat enìm decurrere velox
F/cfculuf angufia mi fera qui brevi (fima vit^
P9r^
DEL PORCACCHI. i4y
Portio : Jum bibimut , Jum fgrfa , ungtteHm
ta , puellas
Pcfcimuf , cheph non intelleSla feneSlur .
fé non che molto più fimile mi pare a quef
detto di quel favio Greco, di cui fi legge
predo Plutarco , che diceva in quella guii'a t
Vita firn Uh ift carceri uttiur dici , ^ totum
vita fpatif/m uni diti aguale propemodum di-^
xtrif/f , per quem intuiti lucem , pojieris deiii"
de vitam tradimuj .
Car. 75. l.ult. 0 felici color che amor cotim
gìunfeli ) E' imitato da Orazio nelT Ode i J.
del libro i- v. 17.
Felicef ter & ampUuf
Qtios irrupta tenet copula: nee inaila
Divulfar querimoniif y
Suprema citiut folvet amor die .
Car. 73. 1. 17. Ed Ifi innanzi agli 0C(hi
Amor dipinftmi , ) Dall' immagine d*Ifi , rap-
prefentataglifi avanti agli occhi , argomen-
ta edergli venuto voglia d* appiccarfi per
la gola. Perciocché I fi fu un belliflìmogio-
^ane ^ che s' innamorò fieridimamente d*
Anaffarete crudeliflìma fanciulla : la qua-
le non volendo vederlo mai > 1' induffeatal
difperazione « che per 1' impazienza dell*
amore , col laccio s' impiccò da ie fteflo .
Leggi quefta favola nel libro i4. delle Tras-
formazioni d' Ovvidio . Di'qucfto fanciul-
lo dille il Petrarca nel Gap. t- del Tr. d'
Amore :
Ivi queli^ altro al mal fuo ti veloce
Jfi y cb"* amando altrui y in odio /' ebbe,
Car. 74. 1. 19. Lo fiam* che le Parcit
al fufo avvolgono \ ) Fingono i Poetiche le
Parche fon tre forelle , figliuole di Demo-
jorgone j 0 j fecondo Marco Tullio , d' Ere-
L 2 bo
244 ANNOTAZIONI
bo e della Notte: le quali filano la vita a gli
uomini j come di (le Dante:
Ma perchè lei che M e ftotte fila )
Islcn ^li avea tratta ancora la conocchia y
Che Cleto impone a ciafcun che compila,
E 1' Ariorto nel Canto 34. alla ftanz. 89.
he vecchie fon le Vatche , che con tali
Stami fila» le vite a voi mortali .
c r ufficio loro è contenuto in quefto bel ver-
fo; »j par bello al Porcacchi . „
Clùtho colum bajulnt ^ Lachefis trahlt y
Atropa occat .
Cefellio Vindice prefloGell. nel 5. lib- cap.
16. le chiama con altri nomi, cioè Nona y
Decvma , e Morta : e cita quefto verfo di
Livio antichìflimo Poeta :
Quando dief adveniet y quem profata Morm
Seneca le chiama Fatt : e fon tenute jneiora-
bili, cioè che non fi muovono per preghiere
d* alcuno , di maniera che quando efTe hanno
a tagliare il filo della vita dell' uomo, ne-
cefìTariamente conviene che colui muoja, non
volendo mutare , o prolungar quel punto »
Onde in quefto propofito difl'e egli nelT Ere.
Fur, V.189.
Nulli /ujfo cejfart licet :
• Nulli fcriptum proferre diem ,
Apuleio fcrived'efl'einqueftafentenza : Le
tre parche fono i tre Fati , che s* accorda^
m co^ tre tempi . Quello che n4 fufo ^ av-
volto , fignifica il paffato : quel che x' avvolge
nelle dita , fignifica il prefente : e quel che
non è ancor tratto dalla conocchia 5 fignifica il
futuro ,
Car. 74, 1. 27, Pur mi fi para la fpl etata
Amendola
Di'
DEL PORCACCHI. 245
Dinanzi agli occhi , e par cb^ al vento mOm
Vrtfi La trifta F'ili )
Fu quella Filli figliuola di Licurgo Re di
Tracia» la quale ricevè in caia, e nel Tuo
letto Demofoonte figliuol di Tefeo > che tor-
nava dalla guerra di Troja . Coftui partendo-
fi per andare ad acconciar le fue cole j le die-
de la fede di torla per moglie : ma non tor-
nando al tem:^o promedo, ella vinta dal do-
lore , credendoli abbandonata, da fé ftetTa
s'appiccò per la gola, e fu convertita nell*
albero dell'amandola) 0 mandorlo , chequi
chiama Amendola .
C.^r. 76. 1. 18. Vedi il Mofitondi Trtfo\ )
Frifo fu fisi molo d' A Cimante , e di Nefcle :
il quale non potendo fopportar la mala vita
datagli dalla matrigna , conia forella chia-
mata Elle fé ne fugp.ì : ed avuto dal padre un
mintone, eh* aveva il vello, 0 la lana d*
oro , vi montò a cavallo : ma volendo pailare
limare, Elle cadde nelT acqua, es' anne-
gò : onde quel mare fu chiamato E//f/p(?/;r<?.
Friio giunfe a falvamento in Coleo ai Re
Età, dove facrificòaGiove, oa Mercurio
il montone 5 ed attaccò la pelle nel tempio-
Dicono che gli Dei tanto ebbero accetto quei
lacrificio, che pofero quel Montone in cic-
lo, e lo fecero uno de' fegni del Zodiaco.
Ori é da notare, che dove qui il Sanazzaro
dice : V^dt il Monton di Frifo , volle accen-
nare la ftagion della primavera , che fi avvi-
cinava ; quifi volelTe dire, cheficcome gli
alberi deponevano lo fquallore , e comincia-
vano a riverdire, così colui deponefie ildo-
lorchefentiva , e prendendo fperanza fi ri-
confortad'e . U fole entrain quello fegnod*
Ariete il mefedi Marzo, quando appunto
L j co min»
^46 ANNOTAZIONI
comincia la primavera ; ed è dedotta q uè fla
favola dalla natura dei montone a quella
del fole : attefo che la natura del monto-
ne è di giacere il verno fui lato manco ;
e così il fole il verno va al fmiiìro emi-
fpero, e la ftatealdeftro. Di quefto anima-
le parlò TAriofto nel Canto II. alla ftanza
S2. in quefto modo :
Ma poi che '/ Sol ftell* animai difcreto
Che porto Frifo , illumino la [pera .
J-»eggi le mie dichiarazioni fopra quel la^go .
PROSA NONA.
Car. 77. 1. 21. Per P amica ofcurìth della
notte '^ ) Nel principio di quefta Profa è da
metter gran curaalTornata difcrizion della
fera , che '1 Sanazzaro fa , fenza ufcir mai
de* termini deli' umiltà paftorale : e in tutta
quefta Profa > e maftìmamente nel ragiona*
mento àt\ vecchio Opico » avvertifcaft
quanto vagamente ragioni delle vanità ma-
giche 9 imprefle nelle menti de' troppo
creduli paftori : e con quatito giudici© al-
cuna volta finga che Svecchio mal fi ricor-
di nel nome d' alcuni animali incogniti ;
quanto ben circollcriva gli Etiopi , rhiaman-
dogli gemi nere più che matura oliva , per-
chè colui non (i ricordava del nome ; ed altri
avvertimenti sì fatti ; ne' quali tutti è arte 9
e giadicio grande . Nel refto poi faccio av-
vertiti i lettori , eh' io potrei in quefta Pro-
fa dir molte cofe più che non dirò, perti-
nenti ali' imitazione: ma per efl'er di due
otre parole ciafcuno di quefti luoghi imita-
ti , però io lo pallerò con filenzio . Que-
fte prefcnti parole j eh' io qui fopra ho no-
tato i
DEL PORCACCHI. 247
tato ) fono eftratte dal 2. deli' Eneida di Vir-
gilio, V.25S. dove dice:
-- — tacitd ptr amica plentia ÌUMéf ,
Car. 7S. 1. 30. / '^ggj ^^i fole apparendo
tielU fo*nmità di siti menù , non ^jfendo an^
arale lucide gotte della frefca brina rifecca^
te nelle tenere e^be , ) Defcrive l' Aurora » o
il principio del giorno» imitando forfè Ov-
yidio nel 4. librodelle Trasformazioni v. 81.
in alcuna parte di quefta defcrizione :
Pcftira noSìurnof Aurora removerat 'gnefy
Solq'ie pruin^faf radiis ftccaverat berbat ,
ancorché fi vede la defcrizione del Sanaz-
zarodiverfa da quella d*Ovvidio; poiché i*
uno dice , che le lucide gotte della frefca bri^
na non erano ben rifgccate ; e T altro dice >
che il fole l' aveva del tucto rifeccate .
Car. 79. I. 14. Della magica Circe ^ e di
"Medea : ) Circe fu figliuola del Sole e di
Perfe Ninfa ; e venne ad abitare in Italia nel-
rifobdalei detta C#>/-^ii , che poi diventò
terra ferma , e chiamafi oggi Monte t'ircello .
Cortei, per quanto dicono i poeti, conver-
tiva gli uomini in varie fiere per forza d'
arte magica; fecondo che fi vide ne' com-
pagni di Ulille ; i quali poi da lui furono con
I* arte infegnatagli da Mercurio ritornati
nella forma di prima . Leggi Omero nel 10.
delPOdiaea.
Medea fu figliuola d' Età Rede'Colchi-,
e fu maga eccellentiffima ,comc quella 9 che
per amor di Giafone feppeco'fuoi incanta-
menti addormentare il ferpente che fempre
ve.^ghiava a guardia del vello d'oro» che
Giafone andò a rubare. Di lei fi leggono
pfcfloi Tragici molte vanità. Degl'incan-
tamenti poi che qui fon podi parte è ftata ca-
L 4 vaca
44» ;ANN0T AZIONI
vata dairEglogaS.di Virgilio, alla quale
rimetto i lettori] e parte da quei verll d'
Ovvid. ( Am, l. ^. El. 7. v. 31. ) che efpri-
mono la forza dell' arte magica :
Carmine lue fa Ceres fieri l§m van*fcit in
herham \
Dificiunt Ufi Carmine fontis aqua .
Ilicibus glande! , cantataque vìtibuf uva
Dscidit ; Sif nullo poma movente ffwnt ,
Car. 80. 1. 21. Similmente di governare le
mellif^re api , e rifiorarle ce. ) Qui fi potreb-
bono dir molte cofe j ch'io per brevità !a-
fcio ; ma rimetto il lettore curiofo al 4. li-
bro della Georgica di Virgilio.
Car. 85. 1. 21. Mille pecore di bianca lana
pifce ec. ) A imitazion di Virgilio, che il
medefimDdice nell' Eglog. 2. v. 21.
Mille m?(£ Siculi s errant inmonùhui agna ,
Lac mi hi non a fiat e novum , nonfrig$re defit^
Canto -i qua [olìtus , &:c.
EGLOGA NONA.
Car. 86. 1. 1 5. Dimmi , caprar noiello , ec- )
Quefta Egloga tutta è fatta a imitazion del-
la ?. della Bucalica di Virgilio , nella quale
contendono Menalca e Dameta : e i luoghi
imitati dal Sanazzaro facilmente pofTono ef-
fer comprefi da coloro che P una > e l'altra
fi pigliano aiTunto di leggere , fenza eh* io vi
confumi tempo.
Car. 90. 1. I. Dimmi , qual fera è sì dì
mente umana ,
Qhe x' inginocchia al raggio della luna ^
E per purgarfi fcende alla fontana ? )
Non celTandj punto d'imitar Virgilio nei
luogo detto 3 fa che i due paftori in concor-
ren-
DEL PORCACCHI.^ 249
renza propongono dubbi l* uno ali* altro 9
fenza farli rifol vere . Onde Elenco doman-
da qual fia quel!* animale che tanto s'av-
vicini d'intelletto all'uomo, che vedendo
la luna» s' inginocchi» e fcenda alla fonta-
na per purgarfi . E quello animale deve in-
tenderfi elTer l'elefante; della natura del
quale fi leggono cofe maravigliofe : ma fra
l'altre dicono 1 per dichiarazion di quello
luogo, che nelle campagne di Mauritania a
un certo fiume che il chiama Amilo , qui n do
la luna è nuova > fcendono le mandre degli
elefanti, equivifolennemente purificando-
fi , fi fpruzzano d' acqua : e poi facendo ri',
verenziaalla luna 1 fé ne ritornano nelle (qU
ve . Leggi Filoftrato nella vita di Apollonio
Tianeo, Ariftotile nelT 8. degli Animali»
Strabone nel 1 6. Plinio nell' 8. Pierio Vale-
riano ne' fuoi Jeroglifici , Tommafo Lopez
nella fua Navigazione , Lodovico Bartema
nel fuo Itinerario , e Giovanni Leoni nella
parte 9 della fua Irtoria .
Car. 90. 1. 4. Dimmi , quaV è V uccello il
qual raguna
I legni in la fua morte , f poi j' accende ^
E vive al mondo (enxa pare alcuna ? )
Intendi l'uccello della f(rnice; l'iftoria del-
ia quale è tanto nota che non ha bifognodi
maggior copia di parole . Plinio nel cap. 2.
del lib. lo.fcrive, ch'ella vive ^60. anni;
e che poi fi fa un nido di cafiia » e d' incenfo )
e lo riempie d' odori , e poi vi muore fopra ;
e che delle oiTa , e delle midolle fue nafce
un vermicello» che poi diventa il medefi-
rao uccello della fenice . Lsrsgi Filofirato
nel 3. lib. della vita d' Apollonio, ed Elia-
Bo; e de* più moderni Poggio Fiorentino
L 5 nel
250 ANNOTAZIONI
jiei Viaggio di Niccolò de' Conti) il qual
confermi» non efier punto favola quel che
della fenice fi fcrive .
PROSA DECIMA.
Car.91. I.13. he fe/ve i che al cantar </#*
^vo pafto^'t , ec) In quefta Profa X. fono mol-
te parole imitate da Virgilio , e da altri , che
per efìTer poche per ciafcun luogo , io non le
Tegiftrerò tutte: e fra l'altre poflTono efler
«quelle forfè tolte da quel che dice Egl. lo.v. 8.
re[pcndent omnia filva ,
o più abballo , quando fcrive , che « pìnt che
•vi tratto^ parlavaKo\ il che può efler del ms-
defimo , che fcrifle Egl. 8. v. 22.
— — ptncfg'ie J eque mi f .
oqumdo parla dell' immagine di Pan , dove
-dicech'avea la faccia rubiconda come matura
fragola^ a fimilitudine del medefimo 5 che
iafciòfcrìttodi quefto Dio nell'Egl. io.v.27.
Sanguinei f ebuli baccis m^moque rubentem ,
Car. 94, 1. 17. "Oa amore fpronato feguitb la
^ella Siringa :) Leggi quanto ho fcritto nelle
-Annotazioni fopra 1' B.g\. 2. di quefto Auto-
«•e a e. 221.
Car. 94. 1.2^. Ccfnìncil a congiungere con
ftova cera fette canne y ) Virgilio neli'Egl.
■a. V. 32. dice :
Pan primis calamoi cera canjungere pìuris
Injìituìt .
Car. 94. 1. :? !. ideile mani d* un paflere S*-
^acufano\ ) Virgilio neli'Egl. 6. fcrive di
quefto dicitor Siracufanp:
Prima Syracofio dignata e fi ludere ver fu ,
Nofira ftec erubuit filvas babitare Tbalia .
Per quefto paftor Siracufano intendi Teo-
cri-
DEL PORCACCHI. 151
crito, giocoiidilfimo dicitor delle cofe pa-
florali in vcrii Greci . Coftui fu figliuolo di
Pradagora > o ( come vogliono alcuni ) di
Simmaco* e di Filine: e fcrifTe gT Idillj in
genere bucolico e paftorale .
Car. 95.1. 10. Al Mantoano Titiro y ) In-
tendi Virgilio , che cantò fotto nome di Ti-
tiro pallore : e dice , eh* egli fu H fecondo fi-
^«err di quella fampognaj per non difcordar
dall' ideilo Virgilio, il quale dilTe ( coaie ho
notato qui fopra ) che la Mufa prima aveva
cantato col verfo Siracufano , e poi col fuo .
Car. 95. 1. iS. Infegrib primieramente le(«U
te di ri fonar e ilncme della f or mofa Amari Ili ^
da '^ con quel che fegue molte righe appref-
fo. ) Quelli fono gli argomeoti delle dieci
Egloghe della Bucolica di Virgilio: e il Sa^
nazzaro in quello luogo ha ufato le parole
dello (lelTo Virgilio al principio di ciafcuaa
Egloga : le quali ognuno per fé può vedere .
Car. 96. I. i. Le felve degne degli aUiJjimi
Confc/' ) Con artificiofa invenzione loda Vir-
gilio , dando fempre in quflla confiderazio-
ne, eh' è di far parlare a* pallori: e però
dice, che da lui folle mutata una canna al-
la fampogna di Pan , e in vece di quella
vene folTe aggiunta una più grolla ; volen-
do inferire» ch'egli più altamente aveva
fuonato, che Teocrito; il quale, contento
di cantar le cofe paftorali , aveva lafciato
campo a Virgilio di ammae^^are , abbandona^'
t* ( come qui dice ) le capre ^ i rujìici colti-
vatori della terra ; intendendo per quelle pa-
role la Georgica ; ed apprejfo con pia fonora
L 6 trom^
♦ Altri Simichide : forfè così chiamaVKffi (§
Jiejf9 Tfgfritfi ^ dal ttafo finiOt
f.^2 ANNOTAZIONI
trofnba Cantare le armi àelTrojnno Enea , co-
me fece nell* Eneida . Le parole poi che qui
fopra fon porte ^ fono dell' Egl, 4. d' elfo
Virgilio :
.> _- pive fint Confale digna .
Car. 97. 1. 36. Circondato di tre veli di
diterp colori , raccender}) la cajìa verbena ^ )
Virgilio neir Egl. 8*^h' è quella degl'in-
canti ) V. 64.
-- '- molli cinge hac altaria v'ttta :
Vtrhenafque adole pingui r , & mafcula tura ,
e più giù V. 7^.
Terna tibi h<ec pritnuM triplici diverfa colore
Licia circumdo y terque hac altaria circum
E^giem duco ,
Della verbena cafta , e perchè foffe adopera-
ta ne* facrificj dagli antichi, io non parlerò
in quefto luogo» avendo ancora adir molte
altre cofc • Da' Greci ella era chiamata J^-
rabotane , folo perchè era adoperata a molti
facrificj . Leggi Plinio nel lib. 25. al cap. 9»
e Donato fopra l'Andria di Terenzio .
Car. 98. I. 6. Chtatnerl ad alla voce tre-
cento nomi di non conosciuti Dii \ ec. ) Imi-
tato dal 4- dell' Eneida di Virgilio; benché
forfè più propriamente 1' ha imitato nelle pa-
role più di fotto : convocando la tergtmina
lEcate , .... il profondo Caor , ec Virgilio
ivi. V. 510.
Tercentum tonai ore Deos ^ Erebumque ,
Cbacfque ,
Terge mi namqui Hccaten , tria virginia ora
Diana .
Car. 9S 1. 19. E '/ grandiffimo Oceano padre
mtiverfale di tutte le cofe , ) E' tolto da Virgi-
lio , che dìde nel 4. della Georg. V. 382.
Oceanumque patrtm r trum ,
B qui 3
DEL PORCACCHI. 25?
E qui, fé il luo,",o me lo comportale, po-
trebbe dirfi per qual cagione Omero , e gli
altri abbiano chiamato 1* Oceano patere iie/U
fcff : ma lo riferboad altra occalione .
Car. 59. 1. 31. Coi quali a mia pojìa fo-
glio io trasformarmi in lupo > ) Virgilio nel-
la Farmaccutria V. 97.
Hit ego f^pe lupum fieri , ^if /^ fondere fdvh ,
Car. ICO. 1. 19. ha pìccìola carne .rapita
dal fronte del najcente (avallo) Omndo Vir-
gilio induce nel 4. dell' Eneida la Reina Di-
doneavolcr fare i facrificj , dicequefti ver-
fi ) da' quali il Sanazzaro ha tolto le prefenti
parole : ( v, 511. )
Sp.irfirat éf laticer fmu/at or fonti f Aveffii i
FaliibuT & mejfa ad lunam quaruntur aènis
Puhentei berha , nigri cam laiìe veneni :
Quaritur Ì2 nafcentit equi de fonte fevoì-
fuf , Et matri prareptu! amor .
Quando poi il Sanazzaro fa dire al facerdote
Ennreto i verfi magici , ha imitato 1' Egloga
degl'incanti di Virgilio, fecondo e' ha an-
co fatto di fopra j e più abbaflb in molti
altri luoghi .
Car. 1 01. 1.16. Deir impari numero godono*
magici Di i ; ) Ha aggiunto il Sanazzaro la
parola magici agli Dei; cofa che non fece
Virgilio , che dide Egl. 8. v. 75.
— — numero Deuf impare gaudet .
Edèdafapere» che la vana fuperftizion de-
gli antichi credette , che '1 numero caffo, o
difpari forte molto più efficace ad ogni cofa >
che il pari : il che Plinio ftima intenderli ne'
giorni delle febbri : e ciò fi può molto bene
oflervare da quel che fcrive Ateneo nel
libro ic del modo di compartire il vino nel
bere> dicendo che od debbano bere cinque
bic-
,^54 . ANNOTAZIONI
bicchieri, o tré $ o non mai quattro ; volen-
do concluder, che*! numero caffo deve eiTe-
re avuto piìj in odervanza . Mi fra tutti il
numero del tre prelìb gli antichi era tenuto
perafTolutifììmo e fjcro , volendo che quan-
to fod'e niii il ito detto tre volte , tutto foffe
avuto per efficacinimo : e perciò folevano
ufarJo ne' mifterj magici , come s* è veduto
perii verfi di Virgilio nella Farmiceutria »
e come è anco preffo Teocrito in quei verfi
del m.defimo titolo che in latino fuonanoia
quefto modo :
Ter libo , ter ^ hac pronuntto tnyjìica verha ,
Soleva anco ofrervarfi quarto numero nelle
cerimonie funerali : cade fi legge * :
— — & fuprernum ter voce ciemus ,
anzi tanto d* efficacia aveva > che fparfamcn-
tepreflo i poeti, e gli oratori fi leggono que-
Ite, efimili parole: T^e volte [celhrato y tri
volte efetr abile , tre volte beato , tre volte gran»
Mjfimo , tre volte infelice . „ ufo anche de'
Francefi . „
Car. Ì04. 1. 7. Quivi viole tinte di amorosa
pila Jena , ) Quefto è detto forfè con qualche
allusone a quel chedifle Orazio neU* Ode
IO. del lib. 3.
— — nec tinSluf viola pallor amantium .
^ Car. 1 04 .1.16. Adone , j acinto , Ajace , e V
giovane Crcco , ec. ) Perchè a baftanza mi par
d' avere fcritto fopra quefta Profa , però ve-
nendo a propofitoil ragionar delle favole di
queftiqui nominati più abbafìTa nel P Egloga
Ji. ne rimetto il lettore a quel luogo .
EGLO.
■* Se allude al paffo di Virgilio , ^ncid. >
V. 68. dice cosi :
— - & magna fupreraum voce ciemn* .
DEL PORCACCHI. 255
EGLOGA DECIMA.
C3r.iC5-Li9. Nonforfy Tronìmo mìo ^ dtl
tutto mutoU y
Cani* uom crede , le felve ; )
Secondo che puòcomprenderfi dalla feguen»
te Profa , piglia il Sanazzaro a lodare in que-
fta Egbga la Tua patria Nipoli > e '1 Carac-
ciolo, ch'egli non chiama pernome t ben-
ch' io penfo che fia il Signor Triftano Carac-
ciolo , molto (limato al fuo tempo da* dotti ;
eh* è quegli a cui il Fontano inviò i Tuoi libri
de V rudenti a y infiemecon Francefco Pude-
rico: e quefto principio non è forfè detto
fenza imitare in qualche parte Virgilio > che
dinenell'Egl. IO. V. 8.
tioncanimui futdii : r e(y onde nt omnia (tìva ♦
Car. 106. 1. IO. CtTca lealtà Cittadt ove i
Calcidici
Sopra il vecchio Sepolcro ec. )
Perquefta città intendi Napoli: di che ve-
di quanto n' ho fcritto fopra la Profa 7. che
può lervire per dichiarazion di quello luogo .
Car. 107. 1, 23. Far quei primi pajìor nei bo»
fcbi Etrurii: ) Intendi per quelli primi pa-
llori Romulo, e Remo: de' quali uno, che
fu Remo da pìàfeìid augurjfu vinto: percioc-
ché avendo elfi edificato Roma, e contra-
ftandoqual di loro le dovcfle imporre il no-
me , vennero a quello accordo , che chi avef-
fepiù felice augurio, dovelìe denominarla
a modo fuo. Per Io che Remo vide prima
fei avo'.toj , e Romulo poco dopo ne vide
dodici, tal eh' effendo più felice l'augu-
rio di quello ch« di quello? toccò a Romu-
lo a
256 ANNOTAZIONI
Io a dare il nome alla citta , eh' ci ciil.i^
mò Roma .
Car. io8. 1. 20. E ^l mi fero Sììtm vtcchlarelh
Non trova /' afìnello )
Sileno fu balio, e pedante di Bacco > che
Tempre usò di cavalcare un'afino; e fu il
buffone , o foggetto di tutti! poeti per dir
buffonerie . Scrive Arato 1 che per amor
di Bacco Tuo figlioccio, fu poi trasferito in
cielo fra le (Ielle.
Car. 109. 1. 6. -. — ove il protervo
Atteoti divenne cervo ; )
Atteone fu figl uol d* Arifteo , e fu cac-
ciatore . Coftui s' abbattè un giorno a ve-
der Diana nella fonte Gargafia tutta nu-
da, che fi lavava; onde eilafdegnata, gli
buttò di quelì' acqui addoffo , e lo conver-
tì in cervo, che da*fuai cani poi fu divo»
rato .
Car. 109. 1. ir, Uarfia [en^a pelìeba gua»
fio il bcjfo ,
Ter cui la carne , e P cjfo or porta ignudo . )
5, Beffo dee leggerfi , non do]fo , come ma-
„ lamente leffeil Porcacchia la cui Anno-
j, tazioneperòfi porrà qui fotco per non de-
5, fraudarne i lettori . Vuol intender in que-
5, fto luogo il Sanazziro ciò che intefe nel
5, Proemio a e. 2. dicendo, ìterfie pregiati
,, bojfi de^ mufìci ^ cioè il fiauto ^ o la tibia ^
„ dicuidiffe un Doco più abbailo , alluden-
,> do 3 qu^fto fteffo argomento • fono>'a tibia
„ di Palude ^ per la quale ti male irìfuperbito
„ Satiro (cioè il fuddetto M:ufKi ) provoco
5 5 Apollo alli fu oi danni . Che il bcjfo fi a fi pi-
» gliato da' poeti peihfibiay okra'l tedi-
» moniodi Seneca addotto dal Porcacchia
i> c. 2C9,fi poiTono aggiugaere quefti altri,
„ forte
DEL POROiCCHI. 257
,5 forle di non minore autorità . Ovvidio nel
5, 14. delle Trasf. v, 537.
,, --Óf inflati complevit murmure èuxi ,
5, Valerio Fiacco neli' Argonautica Iib. r.
„ V. 319.
j, Obruat Idaam quantum tuba Martia huxum*
5, Stazio nel lib. 7. della Tebaide v. 170,
jj ^ «7^ infpirata rotavi
j, Buxa .
j) e nel lib- 8. v. 222.
j, Et mcderata fonum vario fpìramrne baxuf •
i) e Claudiano nel 3. lib. de Raptu Prcfefpinég
„ V. 130.
3) Si ì'uxcf injJare vtUm , ferah gemlfcunt ,
Car. 1C9. I, 1 1. Marfia fenx,a pelU ha gua -
Jìo il dojfo , )
Di Marfia dovea io ragionare di fopra al fine
del Proemio ,dovc 1' Autor dice , che»/w/«-
le infuperbito S^2tiro provoco Apollo alìi fuoì dan->
niì ma per eiTermi inavvedutamente pa^Tata
qu'jlla occafione , dico che Marfia Satiro
avendo trovato il piffero che Minerva aveva
gettato via > e perfeverando in Tuonarlo , gli
parve d' eiler diventato così dotto nella mu-
fica ,ch' ebbe animo di teneri! da più d'Apol-
lo, e di sfidarlo. Furono eletti per giudici
Minerva , e Mida Re di „ Frigia ,, . La
Dea perii dritto giudicò a favor d' Apollo ,
e Mida a compiacenza in favor di Marfia.
Per Io che Apollo fece a Mida nafcer gli
orecchi d' afino , ed a Marfia, fcorticando^
lo , traile d* addoHo la pelle .
Car. ICQ. 1. ^2 La donna , e la bilancia è
gita al eitlo. ) Vuole inferire che in terra non
épiù Giuftizia, dicendo ch'ella è tornata
con le fue bilance in cielo . Fu qucfta do^na 5
chiamata Aftrta ^ e fu figliuola d'Aftrco e
de IP
15? ANNOTAZIONI
deli' Aurora > o(come vogliono alcuni) di
Giove e di Temide. Cortei fingono i poeti ,
che venne in terra fin nella prima età dell'
oro: ma che poi offera dalle fcelleraggini de-
gli uomini , fé ne tornò in cielo .
Car. no. 1. 7. Già mi rimsmhra ^ che da
cima un* elice
ha fini fi -a cornice , oimè , predicelo \ )
E* tolto dall' Egl. i.di Virgilio v. 18.
( S^pefiniftra Cava pradixit ab ilice e orni x . )
Car. 110. 1. 12, Chd la Sibilla nelle foglie
feritelo, ) . . .
Furono in quei primi fecoli alcune fanciulle
le quali dotate di fpirito prof tico indovina-
vano le cofe avvenire : e quefte furon chia-
mate Sibille. In tutto furono dieci i delle
quili poflono vederfi inomi in Lattanzio Fir-
miano > infieme con le lor profezie . Il Poli-
ziano nella fua Nutricia ne racconta alcune
altre di nome. Ora dice Virgilio, che la Si-
billa Cumana fcriveierifpofte domandatele,
fopra foglie di lauro : ie quali diftende in
mezzo a cento porte i e per ogni picciolo aere
che v' entri dentro, le foglie vanno in ma-
Iora,c tornanfene i configlianti fenza rifpofta.
Car. no. 1. 16. Vajhr ^ la noce y che con l'*
otnhre frigide
'N.oce alle biade , ec. )
Imita forfè Ovvidio in quei verfi ne' quali
introduce l'albero della noce a dolerfi che
fcrmpre è percofìlo dal popolo che paffa ^ nel-
la Noce V. 61. cosi :
— .- qu^niam fata ladere dicor ,
Imus in exiremQ margine fundus habet ,
PRO.
DEL PORCA CCHl. 259
PROSA UNDECIMA.
Car. 115. I. 20. // giorno iì quale per me fa •
r^ fempre acerbo^ e femp^e con debite lacrime
finorato y ec. ) Siccome Ergafto alla lepoltura
della madre Malìilia rapprefenta Enea a quel-
la del padre Anchife; così le parole di que-
fìo reno imitate da quelle che Virgilio fa di-
re a lui nel 5. V. 46.
Annuut exacìis ccmpìetur merìfibuf orbif ,
Ex quo relliijuias divinique cffa parenti^
Condiditnus terra ^weejì/tfque facravitnus aras»
J^mque dief ("nifallor J adtjì ^ quem fem»
per acerbum ,
Semper bonoratum Cpc Di vduifiu J habebo ,
c piÌ4 abbaflb il Sanazzarodice 5 che ciafruno
eiella fua vittoria averà il dono y a imita-
2Ìon medcfimamente di Virgilio ;
-_ -- meritaifue exfpeSìenf premia palma ,
( lib. 5. V. 70. )
e cosi in molti altri luoghi , dove più , e do-
ve meno vedefi efTere imitato Virgilio, fe-
condo eh' egli imitò Omero nel lib- 23. dell'
Iliade.
Car. 116. I. 5. Ncft fu sì topo datoilfegno ,
the ad un tempo tutti cominciarono a ftende-.
fé i pajft per la verde campagna ce. ) Così Vir-
gilio nel luogo citato , v. 3 1 5. introducendo
i giovani a correre :
locum capiurtt i figncque repente
Conripiunt [patia audito Jimenque relinquunt^
Eff^ufi n'mbo fmtles : (irnul ultima jignant ,
Così èda cd'ereolTervata la caduta di Cari-
no , e 1' invidia di lui verfo Logifto in far-
lo cadere ; la palma guadagnata da Ofelia»
fidagli altri; il romor che Logiflo perciò ne
fece i
^60 ^ ANNOTAZIONI
fece ; e in fomma tutto quefto fpettacoio ef-
fer tolto da lui . Perciocché quivi Nilo cor-
rendo avanti a tutti, cadde in terra : dove
non dimenticato dell* amor fuo verfo Eu«
rialo, eh* era il terzo a correre) s* oppole
a Salio, ch'era il fecondo, e lo fece cade-
re : ondeEurìalo confeguì il premio . Si la-
mentò Silio del torto fategli da Nifo , e non-
dimeno il giudicio (lette faldo, e i giovani
da Enea tutti furono premiati, comequefti
da Ergafto . Chi paragonerà quefti due luo-
ghi infieme , vedrà, il Sanazzaro averdili-
gentifìTimamente imitato Virgilio. E* da leg-
ger fimilmente Stazio nel luogo che dirò po-
co appredo : dove canta un belliflimo coa-
trafto di carrette, e vi fon molti luoghi fi-
miliaquefti. Il giuoco poi del lanciar del
palo, che '1 Sjnazzaro induce 5 è a fimiiitu-
dinedi qu-'llo de*cefti di Virgilio; fé non
che il Sanazzaro fi vai delle parole di lui an-
cor nel giuoco delle braccia, ch'ei h fire
a' pallori, e noi è in Virgilio, fenoncom-
prefo in quello de* ecidi . Stazio nel 6. della
Tebaide v. 646. fra diverfi giuochi mette il
giuoco del difco, al quale èfimil quello.
Car.123.1.3. Ponendo una vìva felce mila
rete della fua fionda , ec. ) Perchè il Sanaz-
zaro feri ve va di cofe paftorali , e molto più
proprio è de' pallori tirar con la frombola , o
fcaglia > che d' arco ; però dove Virgilio in-
troduce i giovani a tirar con le frecce a una
colomba legata ali* albero d' una nave; (il
che però è imitato da Diete Candiotto, il
quale l'crive nel 3. aver ciò fatto i Greci ne'
giuochi intorno a Troja) il Sanazzaro mette
i pallori che tirano di frombola a un lupo le-
gato ad un palo; n^lche i m^defimi effètti
DEL PORCACCHT, i6i
fanno qaefti che quelli . Di quefti Fronimo
colfe nel palo \ e di quelli il figliuolo d' Irta-
coterì con la freccia fuir albero: qui Cloni-
co diede nella corda, che fi ruppe , e fé fug-
gire il lupo; e quivi MneOeo ruppe i lega-
mi della colomba) che volò via: Parteno-
peo » invocati in [uà aita i paftorali Dii ^
iCon la pietra /«f^ ftelU tempia [etto la manta
orecchia , ed ucci fé il lupo : ed Eurizio ,
chiamindo a' fuoi voti il fratello , con la
freccia ferì per aria la colomba > e la fece
morta cadere a terra .
Car. 125.1. 19. 1 privilfgj della vecchi e\X^ 5
ce.) La rifpofta che fa il vecchio Opico a Er-
gaftojè in alcuna parte fimile a quella che fa j
prefìTo Virgilio > Entello ad Acefte . Qui
Opico fi Icufa per la vecchiezza , e poi rac-
conta le fue pruove fatte in gioventù ; e qui-
vi Acefte fa il mcdefimo; dell* En. lib. $►
V. 395.
.- — geltdui tardante fenella
S angui s bebet , frigentque effata in corpi}-
rt viret ;
e poi fi gloria» in fua gioventù d' aver coti
agevolezza maneggiato quei gravi certi :
(ivi V. 414. )
-- — hir ego faetuj ;
Dum melior vires [angui f dahat , &c»
EGLOGA UNDECIMA.
Car. 127. 1. 13. La dotta Egeria i e la Te-
batta Manto )
Paragona MalVilia alla dotta Egeria , ed alla
Tebana Manto. Egeria fu una Ninfa, eoa
la quile dicono, che Numa Pompilio, fe-
condo Re de' Rcmini ,di notte ficongiugne"
va;
262 ANNOTAZIONI
Ta ; e con lei ragionando , imparava da c((a.
le leggi divine) con le quali frenava la fe-
rocità del popolo Romano . Dicono , eh*
egli fusi caro a quefta Ninfa , che dopo U
morte di lui ella per foverchio piagnere fi
convertì in un fonte di lagrime nella felva
della Valle Aricina . Di lei Icrive Ovvidio
nel 15. delle Trasf. v. 550.
Mota forar Phcebi gelidum de corpore fontem
Fecit y <^ aterna f artt4f tenuavit inundas ,
^d il Petrarca nel Gap. 2. del Tr. d* Am.
Vidi il pianto d^ Egeria ,
Manto fu figliuola di Tirefia Tebano , e fa
indovina . Coftei , efTendo Tebe ridotta in
fervitù , dopo molto aggirar per varj paefi ,
venne in Italia, dove di Tiberino , Dio del
Tevere, partorì Ocjio , eh' edificò Mantova.
Virgilio nel 10. v. ipg.
I//e etiam patri if agmen ci et Ocnuf ab oris )
Fatidica Mantus Èf Tufci filittf amnis :
Qui muro£ y matrifquededittibi^ Marttua^
nomen .
e Dante facendo parlare a Virgilio, diffe :
Manto fu che cercò per terre wolte ;
Pofcia fi pcfe là dove nacqui io ,
Car. 127 A' ig- 0 erh y ofiory c/j'* un tempo
ecce! fi e magni
Refojìe al mondo y ed or pef afpra forte
Giacete per li fiumi ^ e per li fi agni ^ )
Di fopra nelle Annotazioni alla Profa io- a e.
254. io ho citato quefto luogo : nel quale mi
fon rifervato a trattar delle favole che quivi
fono , e qui in parte fon tocche , o accenna-
te . Le parole di quel luogo fon quefte* F/-
nahnente qtMntì fanciulli , e magnanimi Re fu^
^^no nel primo tempo pianti dagli antichi pafto»
*' ^ iutti fi vsdi'jano quivi tra if ormali fiorire-;^
fer^
DEL PORC ACCHI. 26^
fefvando ancora gli avuti nomi ; Adone ) Ja-m
cinto ) Ajace , e l giovane Croco , con P ama-,
ta dcnieiU : e fra quifti it vano N^rcifo ec.
Adone) fu figliuolo di Cinara edlMirrn»
e fu giovane belliiiimo . Di lui s' innamorò
Venere ardentHrimamente ; perciocché 9
elTendo ella abbracciata con Cupido fuo fi-
gliuolo, per ventura da una faettadi lui fu
punta nel petto , e vedendo Adone > di lui s*
accefe. Ma edendo il giovane ftato ammaz-
zato da un cinghiale. Venere , dopo che lun-
gamente l' ebbe pianto j Io mutò in fiore co-
si chiamato .
J acinto i Ajace) Owidio nel lib. 13- delle
Metamorfofi co : quc-fti verfi abbraccia la fa-
vola di tutti due quefti giovani, Jacinto , ed
Ajace : ( 394.)
-- •- rubefaSìaque f angui ne teliti f
Vurpureum viridi genuit de Cafpìte fiorem \
Qut pnut Otbaliofuerat de vulnere natuf .
Li i era cctnmunii tnediis tueroque ^ viroque
Infi ripta e fi folti s : hae ncmìntf , illa querela ,
In che ha da fa per fi 5 che Jacinto fu un fan-
ciullo molto bello , amato da Apollo» ed ef-
fendoper difgrazia ftato ammazzato nel lan-
ciar d* un difco , fu mutato nel fi> re chiama-
to dal fuo nome:il quale è dipinto di certe ve-
ne nere , che difcorrono in guifa , che forma-
no le due lettere Greche «, e i *, la qual co-
fa diede a'poeti doppia cagione di favoleggia-
I re . Alcuni dicono , eh»; quelT A i fofle in fe-
gnodellequereled' Apollo; ed altri, che fi-
I griifichi Ajace j e però dice Ovvidio ne' verfi
di fopra :
— — bac nomini F , illa querelle .
Ajace Telamonio fu quegli che per dolore
(U aver perduto in contr^fto con UlHcel*
2 64 , ANNOTAZIONI
armi di Achille , fi ammazzò da fé (leffb ; e
del uio fangue nacque quello fiore vcen le let-
tere e' ho detto .
Croco ^ con P amaia donzella \^ Croco amò
così fieramente la fanciulla Smilace , che per
1* impazienza d' amore fu convertito nel fiore
del zafferano j fecondo che racconta Ovvidio
nel 4. delle fue Trasformazioni .
lì v<ino Narcifo ) Narcifo è chiamato vano^
per rifpetto che s' innamorò di fé fteffb . Fu
egli figliuolo del fiume Cefifo e di Liriope
Ninfa; ed avendo fudato nel cacciare? e du-
rato gran fatica , fi ridud'e ad una fonte per
bere , dove chinando la tefta nell'acque , vi-
de 1' effigie del belliiTìmo volto fuo; e innamo-
n-ìtofi di fé fteffo , al fine per palone fi con-
fumò , e fi converti in fiore del fuo nome .
Car. 128. 1. 21. Filici Orfeo ^ cP innaniU^
ore eflreme )
Ver ricovrir e elei eie pianfe tanto. ^
Sicuro fìftiì'h dove pth and-zf f terne . )
Quefta favoli ò dcfcritca nel la ff guente Pro-
fa alla 5. Ann-tazionr, deve dice: Euri^
dice nel bianco piede puma d^l velenoso afpim
de fu coflretta di efalare L: bella animi .
PROSA DUODECIMA.
Car. 132. 1.9. Ma zr»(.Ta la cfcura netto
pìetofa delle mondane fatiche t e. ) Qucda de-
fcrizione della notte è cacata dal 4. dell*
Eneida di Virgilio, dove fi leggono quelli
X^erfi : ( 522. )
Nox erat ; & placidum carpebant fejfa
foporem
Cori or a per ferrar , ftlvaque & fava qui era nt
j/^(iuora : cf^m midig volvuntur fiderà Upfu |
Cum
DEL PORCACCHI. 165
C'.im tacet cmnif ag«r : pecudtt , pi^aqui
volttcrtf ,
j^iaqut lacut lati liquIJoJ , quaqut afptra
iiurnis
Rura tenent y femno pofita fuh ncHe ftlentt
htnibant curas , (3 corda oblila lahcrvm .
Car. 135. 1.19. U Aurora già incominciava
a remeggi ere ntl cielo ^ rifvegliandoumver(aU
mente i mir tali alle opre loro : ) Defcrive fe-
condo il fiio coftume il tiifcimento del gior-
no , non lenza forfè qualche imitazione di
quel luogodi Virgilio nell* u v. 182.
Aurora inte'ea miferis mortalibuf almafrt
Bxtulerat lucim , referent opera atqae Uborer»
Car. 1^5. I. 17. Euridice ; ficsome nel hìan^
€4 piede punta dal velemfo afpide ec. ) Di
fopraair Annotazione 5. dell* Egl. 11. ho ci-
tato quefto luogo ; per dichiarazion del quale
ha òà faperfi , che Euridice edendo amati
ardentemente da Arifteo , un giorno eh' egli
fi mife a feguirla , da lui fuggendo quanto
più potè velocemente , fu punta in un piedi
un* afpide velenofo> che nell'erba erana-
fcodoi di maniera che ne reftò morta ..Or-
feo , che fimilmente l'amava congranfer-
vore » confidato nella dolcezzt della fua li-
ra» eh* egli con gran melodia finava» {cq(o
all' Inferno per riaverla: dove placati gli
Dei infernali » la riebbe » con patto eh' ei
non doveiTe voltatfi a guardarla . tinche noii
fede fuora . Mi non oflervando il patto , eli
fu ritolta, e più non potè riaverla. Vir-
gilio nel 4. delia Georgica.
Car. 136. 1. II. Non ffn^a volontà delCft"
lo) Allude forfè a quel di Virgilio» ^». !•
». 777-
.--« non bttc fii$f numi ne dìvutn ,
Tm9 /, M e do.
166 ANNOTAZIONI
e dove più abbado dice : il beato Eurota ^ a
<-«»ec. par eh* abbia imitato quell'altro luo-
go dello (IclTo Virgilio nell' Egl. 6. v. 82.
Gfftfiia qua , Vbcsbo quCftdam meditante ^
beatvt Audi'tt Eurotaf .
11 che tuttavia ricordo a' belli ingegni j per-
chè fi veggia con quanta leggiadria , e va-
ghezza foglioDo i buoni autori elTere imita-
ti : equeftì luoghi con infiniti altri fopra il
SanazzaiOj oltra che io nio'to tempo a die-
tro per mio fpa fio ho con diligenza offerva'
ti 5 nondimeno ho veduto diligentiflimamen-
teeflcre ftati notati dal virtuofiifimo , e ca-
riflìmo amico mìo M- AntonioB^ fra de' Ne-
grini , in un fuo efemplare > tutto di fu:i ma-
no fe^.nato, ed adorno ; come fon foliti di
fare i giudiciofi oiTervatori delia lingua iirai-
11 a lui .
Car. 1^7.1.15. Lo innamorato Alfeo ^ (en*
Xa mescolar fi con quello <^ ec. ) Fu Aretula fi-
gliuola di Nereo e di Doride j Ninfa di Dia-
na; e tornando un giorno da cacciare , fi ba-
gnò per rinfrefcarfi nell' acque del fiume Al-
feo , che corre per Arcadia . Il Dio di quel
fiume, chiamato pure ^/T-^t?) vedutala nuda 1
e bella, fé ne invaghì torte , e corfe per ab-
bracciarla : ma ella fchifandolo^ come ca-
fta 5 fi mife a fuggire , finché , fudando for-
te, fi convertì in un fonte . Per Io che Dia-
na mofla a compafiion di lei , le aperfe la
terra , dove entrò l' acqua , e fotto terra cor-
fe fino in Sicilia , fenza punto mefcclarfi col
mare . Non reftò per qucfio Alfeo di feguir-
Ja, ma, ridottofi in fiume» le tenne dietro
iìnoin Sicilia .
Car, 1:^7.1.21. Le pene de'* fulminati Gi"
ffinti ^ (he vollero ajfalire il cielo ^ ) I Giga li-
ti fu-
DEL PORCAGCHI. U^
ti furono figliuoli della Terra; per la qual
cofa da Lucano furono chiamati Terrigtni nel
verfosió. del lib. ^.
Aut }it{rrigtn£ tentarent a/ira Gigante^ ,
e perchè erano d'immenfa poffanza j ma di
molto maggiore arroganza , ebbero animo di
voler rapire il cielo agli Dei ; e così fopra-
ponendoi monti Punoair altro 5 gli mifero
in Canto fpavento, eh' eflì tutti fceferodat
ciclo in terra , e fi nafcofero in diverfe par-
ti , tnsformati in varie forme : e però dif-
fe Ovvidio:
Ermffurnqui ima dt fede Typbcea terra
QaHiihut feciffe mutum j cuni^ìofque dtdijfe
Terga fuga . V. g2i. del 5. delle Trasf*
Ma Giove ritiratoli fopra l'alta rocca del
cielo» gli fuimmò tutti» e fece cader cia-
fcuno fotto quel monte eh' elio portava per
efpugnare il cielo; come qui fotto il Sanaz-
zaro foggiungne > e come ti può vedere nel
ib. 12. di Silio Italico, e in Ovvidio, ed al-
trove . Lc^gi quanto io di ciò ho fcritto, e
fecondo la favola > e fecondo 1' allegoria fo-
pra il Canto 1 6. del Furiofo .
Car. i;8. 1. 21. Cbtamata Pompei , ed ir»
rigata dalle onde del freddiamo 5 amo , ) La
città di Pompei non era molto lontana dal
monte V^efevo, e fu così nominata, fecon-
doSolino, dalla pcwp^ con la quale Ercole
quivi aveva di Spagna condotto i buoi . E
quefta rovina, della quale qui tratta il Sa-
nazzaro ^ fuccelTe ne' tempi di Nerone , co-
me fi può vedere in Cornelio Tacito nel lib.
1 5. delie fue iftorie . La menzione che fa poi
poco avanti queftc parole il Sanazzaro dell*
incendio, che con tefnpeftofe fiamme , e con
fttttre (epe' [e i firfon/ìantipae/i^ Ò tutta ifto-
M 2 ria :
i6S ANNOTAZIONI
ria : perciocché fcrive Suetonio nella vita di
Tito, chea* tempi di quello [mperadore ac
caderono alcune fciagure molto da nnofe > fra
le quali fu l' incendio del monte Vefevo, o
di Somma in Campagna . La defcrizione poi
di quedo incendio fi legge molto curiofamen-
teprelTo Dione lilorico ; e per efller da lui
elegantemente defcritta con molta copia di
parole > merita d' effer veduta da ogni cu-
riofo . Un' altro incendio ufcì di quello mon-
te medefimo a tempo di Papa Benedetto IX.
e di Corrado Imperadore Panno 1306. e i*
eccellentiflimo Dottore M. Simone Porzio
Napolitano fcrilTe una fua molto dotta Epi-»
llola latina^* inctndio agyi Puteclani , fuc-
ceflo (fé mal non mi ricordo) l'anno 1552,
Si deve ancora vedere quello bello Epigram-
ina di Marziale fopra di ciò ; eh' è nel lib, 4.
Epigr.44.
Hic fjì pampìneis viridh modo Vej'vius urnbfhi
Prijffrat bic ma di do f nchilh uva lacus ,
Hac juga , quam Nyfne coìhi , p/»/ Bacchus
arnavit :
Hoc nuptr Satyri monte dedtre choros .
fìac f/emrif (c'Us ^ hacedamone grattar illi \
Hic locus Htrcuìeo nomine clarus erat .
QunBa )actm flammh , ^ trifii mtrj'a fa*
villa :
TSLtc- Supiri velUnt hoc li cui jf e ftbi ,
Ora perchè fopra la decima Profa di quello
Autore, dove il facerdoce Enareto , dando
pella forza deli' arte magica , infegna all'in-
namorato paftore il modo che terrà per gua-
rirlo ) ho da dir quello che per inavvertenza
quivi mi dimenticai , dicoche ilSanazzaro
in quel luogo ha parlato come poeta , per noa
^ircodarfi dalla credenza de' pallori ) i quali
fono
DEL PORC ACCHI. 269
fono creduli della magìa . Quefìa > per quan-
to io trovo fcrittoj è di due forte. La prima
è fcellcmtifììma , e piena di ruperftiziofe va-
nità, e d'incantamenti 5 abborrita da tutti
i fedeli Crifliani : e viene per rivelazione,
o più follo per vifion fantafìica , e vana de*
demoni , che dj'Greci é detta Tbeurgìa : al-
la quale tutte le leggi fono contrarie; ed
ognuno r ahborrifce , come quella che non
mortra Te non cofe .apparenti , e fenza fonda*^
mento, oftabilirà alcuna. L'altra magia è
naturale , riverita da ognuno , come cofa
più atta di tutte l'altre , e di più diletto agli
fìudiffi : equerta altro non è che certa con-
fumitacognizion del le cofe naturali , ed una
perfetta filofofia . Dove poi il Sjn izzaro ha
fatto dire a quel facrrdote , che pii^lierà er^
hQftcatif eon acuta falc* , ha a^ uto minor con-
ilderazionc di quclch'ebbr Virgilio nel 4.
dell' Eneida, il quale non diffc/^/^'r acuta ^
ma f^lci di brorj7o , in quei verfi : ( v. yi 3 .)
TaL'ibtts & fnijf^ ad lunam qaaruntur aenis
VÙhift'ts brrhde .
Il che , oltrachè è tratto dalla tragedia Me-
dea di Sofocle; il qual fi che feghi Terbe ve-
lenofee malefiche , tenendo il vifo volto in-
dietro , perché '1 maligno odor non la offen-
defìTe , con la falce di bronzo ; è anco tratto
dalla difcir^lina deijli antichi facrificj , ne*
quali ufavano le cofe di bronzo: e maffima-
mcnte in quelli ne'quali o volevano male-
dire, o mitigare, o finalmente cacciar mi-
li . Leggi Macrobio nel 5. de* Saturnali al
cap. 19.
M 3 EGLO.
«70 ANNOT. DEL PORCAGCHI.
EGLOGA DUODECIMA.
Tutta quefta Egloga è divinamente tra-
dotta dal Meli feo di M.Giovanni Pontano
dove elTo piagne la morte della fua moglie.
Però, fenzacheio mi prenda cura d'anno-
tarvi alcuna cofa fopra , è da veder quivi . Ci
farebbono da avvertir molte cofe intorno al-
la lingua > e particolarmente agli Affi/Ti : ma
ciò fi potrà veder nella mia Aggiunta alla
Fabbrica del mondo dell' Alunno •
Fine delle annotazioni di
Tommafo Porcacchia
I
ANNO.
^71
ANNOTAZIONI
D I
FRANCESCO SANSOVINO
SOPRA V ARCADIA
DEL SANAZZARO.
DafU quali e per non rtcar tedio a* lettm ^
i per non gettare inutilmente la fatica e la
carta ^ fi fono hvati i luoghi del tutto fi-
fnili a quei del Por cacchi , come pure le au-
torità degli Scrittori foverchio replicate ; r/-
mettendofi però da per tutto i lettori alle pre-
cedenti Annotazioni del fuddetto Porcacchia
PROEMIO
Car. i.^JT^Regiati hojft ) Prende la mate-
lin. 3. Y^ ria per la forma; cioè il le-
jL gno col quale fi fanno i pif-
feri i o i flauti , per li flauti medefimi . Co-
sì il Petrar.Son. 214.
Se non y come a morir le hifognajfe Verro
cioè pugnale, o coltello, otali altre armi
Vedi a e. 209.
lì contrappone alla voce P''^^»'»?» qued' altra
umile y e tibia zfiftula , per la fi;^urazìone j la
quale dà rilievo ai concetti de' poeti , nella
maniera che fa l'ombra alle figure de' pitto-
ri . Così il Petrarca nel Sonetto 219.
O noflra vita , r^' è sì bella in vlfla ;
Cam* perde agevolmente in un mattino
M 4 Qa^i
'i.^1 ANNOTAZIONI
jÓ«^/ ch(t *« TnoW* anni a gran pena ì*
acqwfta /
Car 2. 1.2?. Dì Menalo e di Liceo . )
Sono monti dell' Arcadia. Onde Virgilio
nel I. della Georgica v. i6.
Ip^e nemus Hquens patrìum faltufque Lyca!
pan cvhm cuflof y tua fi uhi Mee naia cura,
e fono confacrìti al Dio Pane. Enel monte
Liceo era un tempio dedicato a Fauno ^'V^r-
n; y cioè con due corna» Ovvidio riel 2. de'
Farti V. 414.
TaunuT in Arcaica tempia Lyceus hahet .
c fi chiama Liceo da' lupi, de' quali quel
monte era copiofo ; perchè nella lingua Gre-
ci lycos fignifica/«P^ •
Car. 2. 1. 26. Fiftula di Qorid$ne ^ ) Nome
di paftore » figurato per la perfona di Virgi-
lio nella Bucolica ; nel principio dell'Egloga
2. ove dice:
Formsfutnpajìcr Corydon ardehat Ahxim »
Car. 2. 1.17. Dameta . ) E' parimente pa-
llore nell* Egloga v di Virgilio .
Car. 2. I.2S. Tibia di Pallade ^ ) iftru-
mento mufico fatto di canna. Dice Plinio
nel lib. 16. e. 56. Tenia harundoefl ubi ali s ca-
lami y quam auleticon dicebant . ed Orazio
nell' Arte Poet. v. 202.
Tibia non , ut nunc , o^ickaìco vinSi.t tuba*
que ^muìa , ec.
Car. 2. 1. 28. li male infuperbito Satiro )
Marfia ài Frigia , ec. Vedi le Trasf. d' Ov-
Yìdio 3 ed a e. 257*
PRO-
DFL S ANSO VINO. %n
PROSA PRIMA.
Car. 5. 1 9. Partenio ) Mjnte in Arcadia »
così detto, perciocché le vergini vi folcva-
no fpeflo l'acri ficare alla Dea Venere . Si
chiamava anco Partenio un fiume della Pafla-
gonia i ed è cosi detta un' erbi dedicata a
Minerva .
Car. 5. 1.10. Vaftorah Arcadia ) Di que-
fta Arcadia fi può vedere quanto ne ferivo
nell* aggiunta fitta al Giovio nella vita
del Poeta .
Car.g. 1.30. 1/ Jirhtijfimo abeti) Elegge
dodici, o quindici forte d'alberi eccellenti
fra tutti gli altri per apparenza , e per ufo a*
bifogni umani ; e dà a tutti loro l'epiteto del-
la propria qualità, e natura ; de' quali non
occorre in qusfto luogo di ragionare a quale
opera eiìi fono buoni , che ciò fi contiene iti
Diofcoride, in Crefcenzio, ed in altri ; fo-
lamente diremo alcuna ifioria favolofadi al"
cuno di loro.
Car. 3. 1.72. Rohiifla quercia ^ ) Altri la
chiamano annofa . Vedi a e. ^lO- Fu con-
facrata a Giove dagli antichi, che ne* pri-
mi tempi fi mantennero del fuo frutto ; con-
cioflìachèaGiovefta il nutrire gli uomini da
lui prodotti al mondo , e governargli. Per
quefto coronavano le (latue di Giove di
quercia : quafi che ciò f jfle iegno di yita data
di Giove a* mortali • Di qui era che i Roma-
ni divano la corona di quercia a chi avcflfe in
guerr.» difefod^ morte un cittadino ; volen-
do da- e a colui che fu cjgionc altrui di vive-
re » 1* infegna della vita . E però i Celti ,
in cambio della immagine, eftatuadiGio-
M ; ve^
274 ANNOTAZIONI
Ve , mettevano utia alcilììma quercia j e quel -
Ja adoravano 5 come riferifce Aieflandro de-
gli AJelTandri . Dicono i poeti , che dopo la
contefa fra Giove, e Giunone, pacato che
fu il diluvio, il primo albero che TpuntaHe
fuori , fu la quercia ; onde arrecò ammortali,
come dice Efi odo, doppio giovamento» per-
chè da' rami ne raccolfero le ghiande , onde
«fTì prima vivevano ; e del tronco fé ne fe-
cero tetti ) e coperti .
Car ^. 1. 54. Amfnìjjlmo platano ) Scrive
lEliano, chea Serfe piacque tanto T ombra
del platano, che, trovandofiin Lidia con
Sroffb efercito , per cammino fi fermò tutt'
«n giorno , con gran difconcio di tante gen-
ti, pergoder l'ombra d'un platano . Si leg-
ge che in Candiafu un platano, che ftava
fempre verde , fatto il quale dicono che Gio-
"ve giacque con Europa . Virgilio , nel zÀ
della Georg, v. 70. lo chiama A'"'^*' • f
Et fiefiUs platani malof gcjfere valenth ,
Car. ^, 1.3(5. L^ albero di chi Erede qc. )
Vedi a car. aiz. Ercole ne andava coro-
!nato per qucfta cagione , che , andando
ali' Inferno per trarne Cerbero , fi avvolfe al
capo alcuni rami di pioppo , le foglie del qua-
le , dove toccarono la carne tutta fudata , di-
vennero bianche, e di fopra fcure, ed affu-
anicate : e cosi volle che foffcro fempre ; e
quell' albero gli fu caro , perchè gli difefe il
capo dal fummo infernale . Ma gli efpofitori
delle favole dicono , che Ercole è fignifica-
toper il tempo; «che gli antichi lo corona-
"Vano di pioppo ^ perchè quello albero moftra
le due parti del tempo con due colori : col
bianco fignifica il di: con l'altro, cheèfo»
ico > figaifìca la notte • Dicono che è albero
in-
DEL SANSOVINO. 27?
infernale, perchè fu creduto, cha nafceiTc
la prima volta fu le ripe d* Acheronte- di
qui era che le miniftre di Bacco fé ne corona-
vano: perchè tennero Bacco parimente per
Dio dell' Inferno. Quando Fetonte cadde
nel Pò, come fcriveOwidio nel 2. le fue
forelle, figliuole di Olimene, fi trasforma-
rono ne* predetti alberi per Io dolore .
Car. 4. 1.3 Lo tcetlfo pina ) Virg. nell*
Egl. 7. y. 65. gli dà titolo di bellilfimo :
Fr/ixinur in jihii puh b erri m,j , pìnu^ fft
hortir , V. ac. 214.
ConftantinoCefare dice , che il pino fu già
una fanciulla amata da Pan » e da Borea, e
eh' ella voleva meglio a Pan , che a Borea :
onde Borea fdegnato , fonandola in alcuni
faflì 5 le tolfe la vita ; di che la Terra aven-
done compaflìone , la trasformò in pino. Il
pino è notatodagli antichi per la fraude ,
perchè per l'altezza, e verdezza è bel Io a
vedere ,ma dannofoachi (\ ri pof^ all'ombra
fua ; perchè i frutti cadendo o ammazzano, o
danneggiano leperfonej cosi fa la fraude.
V. acar. 21?,
Car. 4. 1. 5. V cmhrofo faggio , ) Cosi Vir-
gilio nel Culice V. 1 39.
IJmbrofifique manent fagus , ederaqU9 ligantef
hrachia .
Cornelio Alefìandrofcrive, che emendo af-
fediato il cartello di Chio, quei di dentro fi
mir.tjnnero con le ghiande del f^g^io-
Car. 4. l. 6. Tammarijco , ) Virgulto >
chi tmato anco da' latini myica . Vedi Plinio
nel Iib. 24. e. 9*
Car. 4. 1.7. Palma ^) Gli antichi figura-
vano per la Vittoria una giovinetta co . l'ali ,
e le mettevano io mano un ramo di lauro >
M 6 che
116 ANNOTAZIONI
cììJ fta Tempre verde 5 ed un ramo di palma >
sì perchè la memoria del vincitore vive Tem-
pre verde , come fa il legno della palma ,e
sì perchè la palma, perpefochefe le ponga
di fopra , non cede , ma Tempre va ali* in Tu 9
come Ta la Vittoria.
Car. 4. 1.10. Cip^effo , } Dicono le favo-
le j che Ciparifìfo, figliuolo di TeleTo , fu
grandemente amato da Apollo: ed avendo
trafcuratameflte ammazzato un Tuo cervo,
che gli era affai caro, non volendo effopiù
vivere per dolore , fu trasTormato in queft'
albero. H'ilcipreffo riputato albero lugu-
bre, perchè gli antichi TuTavano ne' mor-
tori .Vedi a e. 216. Onde Ovvidio nel 3. de*
Trilli Eleg. 1^. v. 21.
Funerh ara m'tbi ferali cìn^a cuprejfo .
e Petronio nel Satirico v. 75.
Gaudent ferali circum tamulata cuprejfu .
«dera albero conTacrato a Plutone , Dio del-
l'Inferno, per quella ragione, che tagliato
una volta non rinafce più, Ticcome l'uomo
jiìorto una volta non rioafce più . Dice Var-
Tonc, che mentre s'ardevano i corpi ^orti>
fi circondava il Tuoco di rami di cipreffo , ac-
ciocché il graveodore della carne abbrucia-
ta no 1 ofFendeffe i circondanti .
EGLOGA PRIMA.
Car. s. 1.25. Gi^per lihfcèi ecìDekrì'
ve la primavera dagli effetti degli uccelli , e
della rJéve, V.ac.2i6.
Car. 5. J. 35. Pregne ) Vedi la favola ia
Ovvialo nel 6. delle TrasTorm ed a e. 217»
Car, 5. ]. ^6. Cecropia ) Cioè Filomena
Atcniefe. V. a car.iiS. Più Totto dice : ,
DKL SANSOVINO. ^^^
Selvaggio mìo , per quejie ofiure grotto'0
FUomtna , né Prpgnf vi fi vedono .
Car. 6. 1. 10. Strigi ^)\^^ jirigt iouQ uc-
celli notturni , e faftidioil, perchè ftridoao.
Lucano nel 6. v. 689.
S^od trtpiduf bubo , quod ftrìx mòìurna
queruntur ,
C Sereno dcir ediz. Comini.in.i a e 100.
Prattrea fi forte ppemit Jìrix atra puellof
Virùfa immulgtni exerti s ubera labri s ,
Vedi a car. ii8. Plinio nel 11. lib. cap.
39. dice : Fabulojum enitn arbitror de firigim
bttt , ubera eas infarttium ìabrit immulgere\
£jife in maledifiir jam antiquit firigtm £0i2m
venir ; fed qua jit aviurn , anfìare non arhlm
tr$r. Da queftochiamiamoy?''^^^^ quelle don-
ne le quali fanno arte di guadare i bambini ,
e che il voJgo dice che fi convcrrono in gat-
te ; delle quali largamente favella il Conte
Gio: Francesco Pico nel fuo libro intitolato
Striga, Stazio le fa nate nell'Inferno, di-
cendo :
Mofiro crudtl ^ che, nel baffo Acheronte
Fu conceputo > e tra le Furie nato ,
lE.d ha di donna petto , collo , e fronte ^
Da firidevde ferpe fepafato ,
Qual par , (he dalU cima t aì^i 9 * montf
Nel capo ^ e nella faccia pa piegato.
Va guefta pejìe , e la notte fi pafce
Ve'* fanciulli che trova in culla , e '« fafce ,
Gli antichi dilTero , che dalle Arpie nacque-
ro iejiregbe , e le chiamarono anco Lamie , le
quali Filoftrato nella Vita d* Apolloniodi-
ce , che fono fpiriti malvagi 1 libidinoft j ed
avidi delle umane carni .
Car. 6. 1. 21, Jn Flegra ; ) Flegra è no-
me d* una città della Macedonia > ed* una
vai-
27S ANNOTAZIONI
valicali* intorno della città, fecondo Pli-
nio nel lib- 4- cap. io. dove i Giganti moffe-
ro guerra a Giove .
PROSA SECONDA.
Car. 9. 1. 9, Mohi rìmedj , ) V. a c 219.
Car. 10.1.22. Fa cheto alquanto ec ) A
imitazione di Teocrito :
Si autem cantaverh ,
Vt olitn Lihyco cum C bromi canta jìi coti"
tendens ,
Capram tibi daho gemtlUparam ad ter muh
gendum ,
Car. 10. 1. 29. C^W»v<? ) Era coftui un' ore-
fice di molta eccellenza ; il quale venuto a
Napoli di Spagna, fu molto amico dei Sa-
nazzaro .
9) Che il CariteofolTe un'orefice, a noi non
9, è noto fé non per la prefente teilimonian-
,, za del Sanfovjno : Oppiamo bensì che il
3, Cariteo fu un' uomomolto letterato della
), famofa Accademia del Fontano , e ami-
5, ciflìmodel nolìro Poeta , il quale lo no-
5, mina nella Elegia XI. del libro 1. fra gli
)) altri fuoi dottj amici, così:
„ J^^f'n & rite fuor Genio C bari tea f honoref
5, Vrabeat ^ ^ fefias concin/ìt ante dapes »
3, enei libro primo degli Epigrammi feri-
5) ve i'undecimo De partu TSLi[<ea ^ Cbari.
3, tei conjugif , Di quefto Cariteo fi trov^
„ preiTo di noi un gìufto volume di Rime noe
9, difpregevoli Campato in Napoli per Sigi-
„ fmondo Mayr P anno M.D. IX. in 4^
j» coli' afliftenza di Pietro Summonzio} per
i> la nobiltà del cui animo , e per lo cui
j^ grande amore verfo gli amici videro la
DEL SANSOVINO. 279
5) luce delle llampe Opere llimatifTime di
)> varj infigni letterati della fuddecta Ac-
3, cademÌ3> a cui anch' egli era aggregarci
>, come quel le dello ftelTo Fontano, delSa-
}) nazzaro ec- per la qual pietà vien merita-
j> mente lodato dal Sanazzaro in quel bel-
), Jiflìmo Epigramma £>* Summontti phtau ,
-»> eh' è il 9. del libro 2.
» Excitat objlrifias tumuli r Summontìus Vm-r
„ bras ;
j, Impleat ut'fanFid munus ami citiate.*
» Il degno coftume del qual gentiluomo 9
), non per amicizia , che non fi dà co' mor-
ii ti, ma per ia venerazione e Aima che pro-
>) fediamo a' famcfi uomini , noi fratelli
s) Vo'^i ci abbiamo propofto ad imitare .
}, Del Cariteo fi legge altresì uà' Epigram-
„ ma Latino fcritto al Sanazzaro, checo-
5> mincia :
9, Hot lihrot Juvertalis , atque Perfii .
„ e trovai ac. ij7- dell'Opere Latine del
», Sanazzaro dell' edizion Cominiana. Può
„ effere nondimeno che il Cariteo orefice
„ fofle un'akro diverfo dal defcritto finora ,
5, o fé pur fu quello fteflb, lavorafle per di-
), letto, 0 per altro fine, di quella profef-
,, (ione 5 congiugnendo con raro , ma non
5, unico, efempio l' efercizio della mano a
), quei della mente 5 e dell'intelletto. ,>
EGLOGA SECONDA.
Car. 13. 1.28. E fegm unhaftìifcox ) Per-
chè col guardo uccide j ficcome la donna
amata, con gli occhi infiammando il cuore ,
mena l' amante a mifero ftato . E' il bafilifco
fpeciedi fcrpente , che abita nelle folitudi-
ni
«o ANNOTAZIONI
Il "deli* Africa , come dire Plinio 'nel llb. S.
cap. 2i.Ha gli occhi rofli , ed è di colore
che pende ai nero. Scaccia da fé tutti gli
altri lerpcnti col fifchio, onde Lucaiio nel*
9. V. 724. I
SthiUque eff<indens cunSlas terrenità pefles ,
Att*e vfftfna nocenf i late filfì fubm'svst otrtm
Vulgui ^ ^ in VMCua r fgtjatba fili fcuf arena ,-
Car. 1^.1.54, Tigre ) Di fopra àì^^thaJ]
(ilìfco , per variar la elocuzione ; compa-
razione prefa da crudeliflìmo animale . II
Petrarca nel Son. i> 9.
Qvefìa umil fera > un cor Ai tigre , 0 d"* orfa %\
Car. i^. 1.55. Filidatnia ^ ) Nome uiato
da Virgilio per paftorella nella 7. e io. Eglo-
ga . Favella anco il poeta diquefta Fillide
nelle fue Pifcatorie .
Car. 14. 1.2. A Pan nonfacohi) CioèSi-
ringa Ninfa feguitata da Pan, e convertita
dagli Dei in canna. Vedi le Trasform. d'
Ovv'idio. ed a e. 2ii. 2
Car. 14. 1. 10. C^lei (befe in Teffaglia »
Cioè Dafne re::;uitada Apollo, econvertitai
in lau.o. Vedi le Trasfbrnìaz. di Oirvidiol
nel iJb. I. ed a e- 221.
Car. 14. 1. 17. Salamandra , ) Di fopra
dide tigre sWtì donna, per crudele, e fred-
da : ora in queftj luo^o chiama (q fa/^f»an'
dra , Queft' animale fi dice, che vìve nel
fuoco, però Io chiama mofiro '^ così il Pe-
trarca nella Canz 55.
Stranio cibo , e mtmhil (aUmandra \
Cjr. 14, 1. 30, Ecco la notte ; ) Vedi a
C. 122.
PRO'
DEL SANZOVINO. itt
PROSA TERZA.
Car. 16. 1. 23. Paìif veneranda Dea ) Fu
quefta prcflo agli antichi Dea de' paftori , le
cui fede iì chiamavano Palilia , o Parilia dal
partorire, perche fi credeva, ch'ellaavef-
fecura al partorir de' beftiami • V. a e 222.
Car. iS. l.ig. Admeto) Vedi ac.22j. e 224.
Car. 18. 1. 21. Sagace Mercurio^ ) Vedi
a e. 215.
Car. 19. 1.7, EnditnicKe ) V. a c. 225.
Cir. 19. I. 8. Pafif, ) V. a e. 225.
Car. 18. 1. IO Ver gif4dìeare h ignude Dee , )
Venne contefa tra Giunone , Pallade > e
Venere dinanzi a Giove di una palla , o po-
mo d* oro, che fi aveva a dare alia più bella ;
e no:i potendo Giove rifolverfi a far giudicio
traqaefteDec, per dìverfi rifpetti , le rimi-
v^e al giudicio di Paris : il quale fattele fpo-
gliareignude, diede la fentenzia in favor
di Venere . Ónde ne nacque lo fdegno di
Giunone, e di Pallade conerà Trojani . V»
a e. 225.
EGLOGA TERZA.
Car. 11. 1.^^ Che ^ fé ben ti rammenti^ )
Perciocché Apollo fu pallore , e governò
gli armenti di Admeto Re . Vedi fopra nel-
la Profa j.ac 224.
Car. 2^. 1. 2c. Salttn Fauni , e Stivarti \ )
Dei de* campi, e delle fclve , i quali mori-
vano dopo un lungo tempo . Ovvidio nelle
Trasform. lib. i. v. ipi.
Sunt mìhi Semidei , [unt rujlica numina
i8ì ANNOTAZIONI
Faunique , Satyrique , ^ monticoia Silvani .
Dicono, che nacquero da Fauno» figliuo-
lo di Pico, padre del Re Latino.
Car. 2j. 1. 37, Mtntn per quefti monti )
Vedi a e. «6,
PROSA QUARTA.
Car. 15. 1. 6. Amaranta ) Tratto dal nome
d* un' fiore chiamato ^'w<»''/»«;fl dalla immor-
talità , perchè dicono 9 che non marcifce
mai. Vedi Plinio, lib. 21. cap. 8.
Car. 16. 1. 56. tiajadt ^ oMapee ) Vedi
a e. 127- e la Profa 8. a e 60. dove il Sanazza-
xo dichiara quefta materia .
Car. 27. 1. 36. Logifio , ^^ Elpim ) V. a e.
227. e da Virgilio tolto da Teocrito nel^.
Idillio:
Erat au'em hic quidam ipforum
Sarhatus^ , hìc femibarbatur ; ad fontem
autem
Qutmdam ambo fedente: , ec.
e perchè inferifceche efli cantavano bene,
perchè erano d'Arcadia, vedi Celio Rodi-
gino nel lib. 9. alcap. 9- dove ragiona della
perizia che avevano gli Arcadi nella mufica •
Car. 28. l.io. Il mio domefiicocervo)T\xttSL
quefta parte è imitata dalla ?• Egloga di Vir-
gilio , ma molto più dall'Idillio i. di Teo-
crito , il qua' comincia :
Jucundum quid fafurruf , |
Car. 30. 1.7. E giurot'tec. ) Cosi Teocrito?
Xieque quid ad labrum mt attingit , fed
adb'jc jacet intaSittm ,
EGLO-
DEL SANSOVINO. 283
EGLOGA QUARTA.
Car. 50. 1. 26. Ciè/ vuol te. ) Quefta è Se-
fìina doppia» bellifllma , vaga > e piena di
molti affetti amorofi 5 e non punto inferio-
re aqualfivcglia di quelle del Petrarca.
Car. 31. 1. I, Siccom^un tempo Orfeo) Ve-
di le Trasformaz. d'Ovvidio, ed a e 228.
Car. jr. 1. ly. Canto ecn la mia canna ^ )
Ora fiftula, ora fampogna , attribuendo la
V cce di cantare al fuono ; e ciò poeticamen-
te ad imitazione di Teocrito , e di Virgilio •
PROSA Q^U I N T A.
' Car. 55. I. 55. r Cftdo lih che ora ec» )
Tolto da CalfurnioncU' Egl. i. v. 24.
— -- tu poter alto
Corti ce Jefcrtptof citiuf percurrere ver fu s ,
Car. g6. 1. 7. Erima/tto ) Fiume famofo
dell* Arcadia? nominato da Virgilio > e da
diverfi altri poeti .
Car. 37. 1. 8. Che pendefjero per le [coverte
ripe . ) V. a e 230.
Car. ?7 1. 31. Duo va fi ) V. a e. 230.
Car. 39. 1 12. Infelice loglio ) V.acigo.
Car. 39.1. 17. PaJIori ^ gittate erbe ) V. a
C. 2?i.
Car. 40. 1. 13. 5*^ farà freddo ^ ) V. a Ci
23».
EGLOGA (i,U I N T A.
Car. 4t. 1. ^i. E P ondeggianti biade) Co-
sì il Poliziano nelle Stanze :
Veiler con^r msntony vacche mugghiare ^
E le
iÌA ANN0TA5:T0NI
E le biade ond:ogìar , come fa il t»are ,
Car.4i.l.^2. Piaf^fer le fante Dive) So-
no le Mu(e chianiite Div? , e Dee da' poe-
ti ; così il B^mbo nel I. Sonetto :
Dive ^ per cui i ap^e "Elicona , t ferra \
Vfe far alla mo^te illujìr. inginni .
C:ir.42. l.S. D-.mque frefche corone) Ufo
de* Greci 5 il coronar lefepoiture di fiori;
è feguitato poi da' Romani , Vedi Plinio
alcap. 5. del libro 2t.
PROSA SESTA.
Car. 44. 1. 19' ìlTrojano Paris ,) Si chia-
mò anco Ali^ffjftJro , Coflui rapì Elena . V.
a e 22^. e z3i.
Gar. 45, 1.20. I li*pi prima mi videro^ )
E* cofa vulgati , che l'uomo prima veduto
dal lupo perde la voce. Però Opico in que-
llo luogo, vedendoli mancar la voce peri'
età, dice d'egire il.ito veduto dal lupo )
quafi burlando, e fchetzando in quefta vol-
gare opinione. V. a e. 252,
EGLOGA SESTA.
Car. 46. 1- 54' -L* invìdia , figUuol mio , )
V, a e 2JZ.
Gar.47. \'^S' JQi^'ft' è Protìo, ) Fu da-
gli antichi tenuto Dio marino. Era indovi-
no , e fi trasformava in tutte le forme eh' cf-
fo voleva . Dice Virgilio nel 4. della Geor-
gica V. 392
.- — novit tiam^ue omnia vatts ,
Qua ftnt ^ qua fuerint , qua tnox ventura
l'ah. ntur ,
Quippf ita 'Nsptuno vifum eft: immanta cujuf
Ar^
DEL S ANSOVr NO. 1^5
Armenia , ^ turptr pafdt (ub gurgìte pho*
Dicono, che s* innamorò di Pomona ; ed
i Litini Io chiamano ^«rtunno ^ Otiàz Pro-
perzio Elcg. 2. dei hb 4- v, 10.
Vertumnfif vtrfo dUof «h amrti Deus »
a cui (1 conlacravano le prime biade che na-
fcevano .
Car.49. 1.5?. £" tutti Cacca il chiamano , )
Fu ladro famofo in Campagna di Roma , il
quale colle a'cune vacche ad Ercole, che»
avendo vinto Gerione in I(pagna^ sacrari-
dotto nel Lizio > ed alloogiava col Re Evan-
dro . Vedi la fua iftoria nel primo libro di Ti-
to Livio : e Virgilio nelT 8. dell* Eneida j
dove ne favella a lungo . V. a e. i34«
PROSA SETTIMA.
Ccir. 51. I. II. D/C^IcfMa ) Vedi a e. 235*
Car.51. 1. 23. Ctjalpina Gallia^ )0uclla re-
gione che é chiamata Lombardia dà^Lcngobar^
ài ^ che la tennero iungo tempo.
Car. 51. 1. go. Avfonico regno) Altre vol-
te Aufonia era parte d* Italia , dove ora e Be-
nevento , eTerracina ; ora s* intende per
tutta Italia ; ma qui (Ignifica il regno di Na-
poli, affalicogiàdaCarloIU. Vedi il Com-
pendio del Collenuzio delle cofe di Napoli j
e la S:oria d* Angelo di Coftanzo •
Car. 51. 1.31. La antica Sinvtjfa ) E'^UC"
fta città in Campania , fra terra » abbon-
dante di vino ; oggi fi chiama Sijfa , ed ha
tìtolo di Ducato ; ed era del Cardinale d*
Urbino .
Car. 51.1. 5^. Linttrnoy )V. ac. 236,
Car* 53. I. z, L»c^nia ) Provincia tra U
486 ANNOTAZtONt
Calabria > e la Puglia : oggi fi chiama ì^Prift'
(Spato ,
Car. 51.1.10. Rifnanejfe it vedovo regno! ft
man di femmina . ) A Ladislao Redi Na-
poli fuccefle la Reina Giovanna , Ja quale j
datafi a vica lalciva j e difonefta 5 com.^ han-
no fcritto alcuni , fu cagione, che il regno
patifle molti mali » e che alla fine Alfonfo d'
Aragona l* occupaiTe ; e che quegli umori
perveniiTero quafi fino a* tempi noftri , fu-
fcitati per quelle pretenfioni da Carlo V.
Imperadore , e da Francefco I. Re di
Francia .
Car. 52. 1. 2^. Alfonfo di Aragona ) Fu que-
AoRe l'anno 1410. uomo di molto valore ;
il quale > avendo aflaltata la Corfica con una
alTaj giolfa armata > fu dalla Reina Giovan-
na , eh' era (lata privata del feudo di quel re-
gno da Papa Martino V. in luogo della quale
egli ne aveva invertito Luigi III. Duca d'
Angiò ) adottato per figliuolo : onde venuto
a Napoli, fece tanto ne* tempi che fioriro-
no Braccio 5 e Sforza, ch'effo occupò tutto
il regno, e lafciolloa' fuoi difccndenti . fino
che vennero i moti di Carlo VIIL Re di
Francia , per li quali fi travagliò lungamen-
te r Italia in grandi/Tìma guerra.
Car. 55» !♦ 18. Per non perdere ) Luogo
tolto dal Petrarca nel Son. 229.
O nofira vita , cb"* è f* bella in vi fi a ;
Com* perde agevolmente in un mattino
Quel che *« moh^ anni a gran pena r^acquijìa \
5) La ftelTa citazione è a c. 271.
Car. 57 1. 4. C^/i7OTtffi>Sincero5 ) Cogno-
me del Sanazzaro ; e lacagioneper la quale
così fichiamaiTe» ènotiflima in quello luo-
go^ Onde ilGiovio neir Elogio > dove fa-
vela
DEL SANSOVINO. 287
'ella del Sanazzaro, facilmente erra j dati-
Ione la cagione ad altro .
Car. 58. I. 2. Coti pef to innani't ) Mo-
flraqui che le Tue fatiche paftorali furono da
ui fcritte nella patrii , ed accenna j che
Mella fua giovanezza fa'ebbe famofo tra gli
liltri poeti per lo poema de Pa^tu Firginir 9
oer le Tgìcghe , e per altri Tuoi dottiffimi > ed
ìCutilTimi vetfi.
EGLOGA SETTIMA.
Car. 58. 1. 24- Tal che m* addormn ) A
imitazione di quei del Petrarca Carz. j.
Con lei fofs'' io da chi fi parte il fole -^ CC'
Car. 48. 1^4- Campi di fleccbi) Così il
Petrarca nel Sonetto iqo
E duro campo di battaglia il letto ,
PROSA OTTAVA.
Car. 60. 1. 22. iVV di lacrime ec. V. a
c. 259»
Car. 6^. 1. 19. Male augurata cornice ; )
Orazio la chiama annofa „ ncIl*Odei7« del
„ lib. 5. ^
jj — — aqua nifi fallii augfif
,, Annofa corni x , ,)
perciocché fi dice che vive molte età ; e
Virgilio ,) nel i. della Georg, v. 388. }|
la chiama improba :
yy Tum e or nix piena pfuviam vocat improba
„ voce . „ V. a e. 258.
Car. 64. 1. 23. Bianco cigno ) Fu Cigno
Re de' Liguri > il quale amando fomma-
mente Fetonte, vedendolo caduto dal car*
fo del Sole nel Pò , pianfe tanto la fu»
mor-»
in ANNOTAZIONI
morte, che fi convertì nell' uccello detto
cigno : il 4uale fé ne ila per ji fiumi ,cant.in-
do dolcemente quando fi muore ; quantunque
fia creduto più CjIIo favola, che altramen-
te. V. a e. 2^9.
Car. 64. 1. 28. Perdsce^ ) Dice Ovvidio ,
che fu nipote di Dedalo, e che avendo tro-
vato il corapalìb ^» e la Tega , Dedalo per
invidia lo gittò giù d' una torre : onde i Dai
nioflì a compaffione lo trasformarono nella
pernice. Di qui é , chequell* animale noa
vola alto, ricordandoli dei pericolo. V". a
e. 139-
Gir. 67. I. IJ. lenivano i bifolchi y ec )
Virgilio nella io. Egl. v. 19.
y*rii( i^ upflio : tardi venete btthulci :
Uvtduf btbema vsnit de glande Menahaf .
V. a e. 140.
e Teocrito 1
yenefuftt bubulciy pajìofef, cabrarti verter unt,
Omnes interrogabant , quod pateritur maltsm ,
Car. 67. 1. 3^. l^oi y Arcadi y ) Di Virgi-
lio nella IO. Egl. V. il,
.^ .- cantahith y Arcadts y tnquH y
yiùtiùhui base vt(iris \ foli earttare periti
Arca des . 0 mihi tum quam molliter ejfa quie-
[cane , ec.
Car. 62. 1. 19. Candido cigno ) V. a e. 259.
Car. 69. 1. 16. R' fonante Ècco ? ) Ovvidio
nel 3. delle Trasformazioni dice » che fìi
Ninfa, ed eff^^ndo innamorata di Narcifo ,
bellilfimo giovane, ma crudele , per lo do-
lore divenne pietra, né rimafe altro di lei
che la voce > laqual fi fente quando l'uo-
mo in qualche luogo concavo grida , o favel-
la • Vedi il decto ^ libro, e la Dichiara*
sòjoae Sommaria dcHg H^ì^q Sanfovino .
DEL SANSOVINO. igc,
EGLOGA OTTAVA.
Car. 73- 1. 2. TtfpìaM . ) Terpia fu già una
terra nella Beozia , vicina al monte Pernafo
però fi difTero le MufeTWp/W/, ovvero le
Kinfe abitatrici di quei luoghi .
Car. 75. ì.i^.DiftatteC') Di fopra nell*
Egl. 4'C- 32-difle:
Li ignudi ptjci andran per feschi campi ^
E V mar fi a duro , 9 liquefali ti i fajfi .
nota la variazione .
Car. 7^. 1. 16. St Amorgè ciecoy ) Quafi imi-
tato da quello del Petrarca nel Sonetto 102,
J' Amor non S ; ibe dunque è quel e b"* i fcnto ?
Car. 73. 1. 19. Quefia vita mortale .) V. g q,
242. ,, Quintiliano nella 4- Declamazione t
t, dell' edizione Burmanniana a car. 92. ]. 5.
,„ Si cunSia gaudia noftra , // voluptates , é?
„ quacumque ex b/ic univerfitate mundi velfo^
,,, licitant adfpeSiu ^ velblandiuntur ufu ^ di^
,j ligenter excutiaf , tota vita bominis unur
^ eji dies „ E Virgii- nel io. dell' En. v. 4fi7-
Stai fua cuìque dÌ9s . hnve CT inreparabi-
le tempuf
Omnibuf efl vita.
Ed il Petrarca nel Trionfo del Tempo:
Cbe più d^ un giorno è la vita mortale^
Nubi lo , brtve , freddo , e pien di noia ;
Cbe puh bella parer , ma nulla vale ?
Car. 7^. I. 23. / mal (psfi anni ^ ) Accen-
na quel del Petrarca nel Son. 251.
La vita fugge , e non f' arrejìa un* ora ;
E la morte vien dietro a gran giornate*
? nel Trionfo della Divinità:
E veggio andar ^ an^i volar il temp9^
<.? nel Trionfg dgj Jempo :
Tm9 X, Jj Qbe
190 ANNOTAZIONI
Che vola» /* ore , / gicr/t* , e gli anni , e ì fmf% ,
V. a e. 242.
Car. 7;. 1. 27. H ^ «""^ ^'«^''^ ) Accenna
quelle d' Orazio nel 2. dell' Epift.ep.2. v.55.
Singula de nohis anni pradantur eunte f .
Car. 7^. 1. 27. O felici color) V. a. e. 24?.
Car. 74. 1.1 1. Ed Jfiinnanii te.) Vedi a
e. *43»
Car. 74. 1.15. E pria mutano il pel y ) Co-
sì il Petrarca nel Son. 97»
Fero è V proverbio , <-^' <»//r/ cangia il pelo
An^i che *l vexio .
Car. 74. 1. 19. Lo ftame chele Va''che)So'm
no treforelle, figliuole dell' Èrebo e della
Notte. Fingono ì Poet i ) chedi queftei'una
fili , che l' altra tenga la rocca , e che la ter-
za tagli il filo . Significando per quefto, che
Ja noftra vita non è altro che un fi'o , e che
agevolmente fi rompe , per la fua debolezza •
Onde è fcritto:
Clotìo colttm bajulat , tacbeft trahit ,
Atropo! occat .
5> QLiefto verfo, acui dà il Porcacchi titolo
5, di bello, contiene in fé due groflì errori
5, di Prolodia, facendofi breve la feconda
5, fillaba della voce CUtho , che di natura
5, fua è lunga 5 mentre in lingua Greca feri-
ni vefi coll'omega , così) YjK(ù^(à \ e abbre^
5, viandofi pure la prima fillaba in bajuUtm
5, che tuttavìa è lunga . Di più, ci fono du^
5, improprietà di parlare ; non diccndofi
3, trahere colum , ma pinttolìo tr/jhere fila ,
ny ovvero carpere coluw , Occa^e poi prefo in
» fignificato di tagliare, o recidere > è una
5> eleganza moftruofi . Può effere nondiirie-
5) no, che il Porcacchi l'abbia lodato pei*
j) Ironia. V. a e. 244.5,
" "'■ Car.
DEL SANSOVlNO. 29^
Car. 74. 1. 27. Pf^f rnippara ) V. a C. 245'»
Car. 75. 1. 7. E fra ciprejfi ) Perciocché
era albero prefTo agli antichi infernale , e che
s'ufava n«' funerali > iìccome fi di (le nella
primi Profa al la dizione C/pr^/a , V. ac^jS.
e 176.
Car. 75. 1. 25. E ^Ifaero Genio , ) Diceva-
no gli antichi , ch'era i! Diodella natura »
e del piacere s come farebbe giorno geniale ,
cioè lieto 5 e dolce. Onde Giovenale nel!»
Sat. 4. del lib. 1. v. 66.
— — Genialir agatur
JJìe dief,
E Virgilio nel i. della Georg, v. joi,
Invitat Gen'/ilif b'ems .
E dicevano efTr, indulgere genio ^ cioè dare
opera al diletto; onde Perfio nella Sat. 5*
V. 151.
Indulge Genio : C/trpamur Julia,
e noi ufianio dire : Vogdofeguire il mio genio y
cioè la natura mia , e fi mili .
Car. 76. 1. . 8. l^editlMcntondi Frifo ; ) V.
«C. 245.
PROSA NONA.
Car. 78. 1 . 30 E / raggj .'/ti fole ) V.3 C. 1 47-
Car. 79 1. 15. Circe j e di MeJ^a : ) Vedi
Dvvidio nelle Trasf. „ Valer. Fiacco ncll*
Argonautica, ed a e 247.
Car. 80. I. 16. Plf^di , I^dr . ) ., V'-ii la
9) Dichiaraz. Somnaria dello ft fl ' Smfo-
)) vino alle voci mcdefime. Cosi con poca
9) fatica fi fctnrio ^1) uommi molto onore»
99 replicando del continuo ciò che da loro, o
•» da altri è flato decco . „
Car. 80, 1.17, Oritne , ) Vedi la Dichiara-
N 2 zio-
t92 ANNOTAZIONI
alone Tuddetta . Virgilio nel i. dell' Eneida
V. 535.
Cumfuhito aJfurgettf fluSlu nimbcfui Orio fi ec
La favola di colhii iì racconta diverfamente;
ma la comune è ) che eflendo Giove > Mer-
curio, e Nettuno in viaggio, giunfèro una
fera a cafa d' un certo Ireo , il quale avendo
conofciuti qucfti per Dei , facrificò loro un
bue ; onde aftretto a chieder grazia j e di-
cendo che vorrebbe un figliuolo, ancoraché
ia moglie fofle morta , e che leavefle pro-
tpeflodi non maritarfi più j gli Dii tolta la
pelle del facrificato bue , vi pifciarono den-
tro , e comandarono a Ireo , che la fotterraC-
fe , e dopo nove mefi fcopriflTe la pelle . il che
fatto , Ireo trovò che era nato quefto Orione ,
così detto dall' <"•'«'» • Coftui datofi alle cac-
cie, ed accoftatofi a Diana» divenuto info-
lente , edifprezzando i celefti Dii, la ter-
ra partorì uno fcorpione , il quale ammazzò
Orione ; onde Diana mofla a dolore della fua
morte , lo mife in cielo vicino al Tauro .
Car. 85. Lai. MUl* ptcort) V. a e. 248.
EGLOGA NONA.
Car. 86. L 1^. Dimmi . capraf novello y )
Imitata dalla ?. di Virgilio , il qual Virgilio
tolfe la fua dalla 4. di Teocrito .
Die mihi , DamcBta , cajum pecus ? an
Melibcei ? ec.
Car. 90. 1. I. Dimmi y qual fera ) V-a C.248,
Car. 90. 1. 4. Dimmi , quaf è P uccello ) V,
a.p249.
PRO-
DEL SAN SOVINO. 19?
PROSA DECIMA.
Gar. 91.1.13. Le fehe , ) Non mi emen-
derò in modrare i luoghi di Virgilio tolci
dal Sanazzaro » e porti in quefta Pro fa , per-
chè» oltreché è cofa lunga , non toma anco
a molto profitto. Toccherò adunque alcuna
favola j perchè i lettori poflano intendere
il tutto.
Gar. 94. 1, ji. Vaflon 5iract*{ano\ ) V. a
c. 250.
Car. 95. 1. IO. Al "Manteano Titiro , ) In-
tende qui Virgilio , il quale imitò Teocrito
in quelle paftorali. Vedi a e 251.
Car. 96. J. 4. Rufticbi coltivatori ) Dice
chedopo la Bucolica, Virgilio infegnò nella
Georgica la ncateria della agricoltura . V. a
e. 251.
Car. 9^. 1» 6. Co,t piif fonerà) Perchè dop>o
la Georgica, cantò con ifttle eroico le cote
di P^nea in 12. libri . V. ivi*
Car. 98. 1.2^. Lari , ) Sono Dei familia-
ri, edomeftici, dagli antichi àQtùLarer .
Car. 9^5. 1. 29. Ecate ^ ) La Luna . V, la
Dichiaraz. Scmm. ed a e 252 .
Car. 104. 1.16. Adone , Jacìnto , ) Adone
bellilfimo giovane, fommamente amato da
Venere, e morto da un porco falvatico, fu
da lei convertito in un fiore chiamato Ado^
ne, Jacinto fu fommamente amato da ApoU
line, e da lui mutato nel fiore chiamatoy^-
einto j poiché fu morto nel lanciar d' un di-
fco 1 che era giuoco di quei tempi , come og-
gi forfè il lanciar del palo. Ovvidionel 15.
delle Trasforro. dice di Jacinto , e d' Ajace %
N i che
/294 ANNOTAZIONI
che s' amm.zzò per V arme date ad UlifTe , e
non a lui , in queda maniera :
Cerni' ha cnì parlato^ al^a la mano ^
E poi la tfa a fé con ogni fof\a y
E quel petto ferisce ^
E più giù :
Quel fior leggiadro in cui cangiojjt il figlia
Gi^ d^ Affidante ^ di quel [angue nfcto^
'E y dal coìof in fuor , fimìh al giglio
Le vaghe fcglie in un momento aprh .
Fcrmanji ancor nel bel color vermiglio
JLe note che v* imp'ejfe il biondo Dio :
E moflrh il novo fior dtfcritto ( come
i' altro ) il duo) di Jacinto , e il cofìut
nome, V. a e. 254. e 265.
dar. 104. 1. 17- Croco , ) V. a e 264.
Car. 104. I. 18. Narcifc) Fr^*? s'innamo-
rò dì Narcifo, onde efTendo efìTo fchivo di
Jei, per Tua pena» vedendofi in una fonta-
na, fi innamorò di fé medefimoj e con tan-
to ardore , che alla fine non potendo più fop-
portare > fi convertì nel fiore che fi chiama
Narcifo, V. a c- 264. ed a e 288.
EGLOGA DECIMA.
Car. 106. 1. IO. Cerca P alta Cittade )V.
a e. 255.
Car. 106. 1.17. Alfepbeoy ) Nome di pafiore
famofo 5 ricordato da Virgilio nella 5. Eglo-
ga . 5, ed anche nella 8. V
Car.ic6.1.2 5. Caraccioly) Vedi la Dichiar.
Somm. ed a e. 255.
Car.107. 1.27. Remo y Fratello di Romo-
lo , il qual vide folamente fisi avoltoj) e Ro-
molo dodici ; per Io che toccò a Romolo l'
cdificazion* di Roma, le cui mura avendo
Re-
DEL SAKSOVINO. 29T
cerno pafl'ate per ilcherno , fu morto da Ro-
molo . V. a e. 155»
Car.107. I. 36- Arturo ) E' (Iella di Boote
dopo la codadeir Orfa maggiore ; e quando
quefta fteila nal'ce ^ e fi pofa , partorifce
le tempere. Virgilio nel i. della Georgi-
ca V. 67.
At fi non fuerit telluT fecunda 5 [ub ipfum
AfSlurum tenui fat erit fufptniitre fulco ^
Car. ì ci A.20' EU mfftroSi/eno)Y. a e. 255.
Car.108. 1. 15. Vertunno non s^ aJopra qc. )
Fu tenuto Dio da' Romani , e prepofto a'
frutti degli alberi , ed a ciò che nafce nell*
autunno . Il qua! prende nuove forme . Ve-
di quanto s' è detto di coftui in Berofo 9 »> au-
tore fuppofto da Annio da Viterbo. „
Car. 1C9. I.ii. Marfiafenia ptllr)V, ac«
156- e 272.
Car.109. 1. 52. La donna y V. ac.257.
Car, 110. It 7. Già mi rimembra j ) V. 3
C. 238.
PROSA UNDECIMA.
Car. 110. I. I. Padoano Mantegna y ) An-
drea Mantegna fu pittore a' tempi de' noftri
padri, e di gran credito in Italia > e molto
diligente nella pittura • A Mantova fono
molte opere di Tua mino . Vedi la Dichiar,
Somm. alla voce Mantegna .
EGLOGA UNDECIMA.
Car. 127. 1' ij. La dotta Egeria y ) Fu co-
rtei Ninfa, con la qual Numa Pompilio Re
de' Romani fingeva di aver commercio; 9
N 4 die*
tgS A r; N O T A Z I O N I
diede le leggi al popolo 5 quafiche egli h
avefTe da lei . V. a e» 261.
„ E' curiofo r oiTervare che tanto il Porcac-
3, chijquanto il Sanfovino in quefto luogo ci-
j, tanoil verfo del 2.Cap.deI Tr.d'Aniore
^> del Petrarca) intero, ma con due erro
5, ri 9 cosi :
3, VeJi il pianto d* Egeria in vect dì* offa .
5, fenza alcuna diftinzione ; quafi che le pa-
5, roX^invece 4^ offa appartenefTero ad Ege-
3, ria, e non a quel che fegue.* dovendofi
;}> legger cosi :
'ì% Vidimi pianto d^ Egeria ^ f^n vece d^ cffi
3, Scilla indurar fi in petra afpra ed alpefira ,
5y Qhe del mar Sidliam infamia f offe ,
3, Da ciò fi raccoglie l'utilità di ben punta-
9> rei libri, circoftanza di cui va adorno il
3, tedo del Petrarca Cominiano , poco fa
9, pubblicato . 5,
Car. 1I7. 1. 13. E la Tebana Manto ) V.
a e. 262.
Car. 127.1,15. Vtangi 5 Jaclnto , ) V. a
c. 154* e 263.
Car. 127. I. 29. Ricordate a Karciffo ) V. a
c» 264. edac. 29^.
P R O S A D U O D E C I ìM A .
Car. 1 J5. 1.17. 'Euridice^ V. a e. 265.
Car. 136. I.i2. Nonfertia volontà del CÌ9'
h) V. ac. 265. 6 2 66.
Car. 137. 1. ly-. Aìfeo , ) V. a e. 266.
Car. 141. 1. 50. ^//(? tagurio ) Linterno,.
d'ove il gran b^fclco Africana ^ cioè Scipio-
ne ) u ritirò , abbandonando Roma j come
ingrata al fuo valore , col quale era flato rn.
Hre
DEL SA NSOVINO. sor.
UrtJi tanti armenti y c'ioz ài tanti efercici •
Vediacar. 236.6 z^-j.
Car. 141. 1. ult. Barcinio , e Sutnmonyo , )
Pietro Summonzio , e Barcinio furono gen-
tiluomini Napolitani , di molte lettere , e
fpecialmente il Summonzio 5 ed araiciffimi
de! Sanazzaro .
>, Non fi accorda molto il Sanfovino in que-
5, Ito luogo intorno alla perfona dei Sura-
9> monziocoU' Anonimo che fa le note alla
a, Vita del Sanazzaro fcritta dal Crifpo, e
5, riftanipata in Napoli l'anno 1720. il quale
j5 lo chiama ivi a e. xxii. eruditijjìmo ftam'jam
B5 tort , cP tra delP Accadtmia , ed il Mam
e, nu\iodi Napgli ^ Vedi a e. 278. 6*79.
Fine delle AnnotaTiìom dì
Francefco Sanfovino.
N j ANNO.
ANNOTAZIONI
D I
GIOVAMBATISTA
MASSARENGO
SOPRA L* ARCADIA
DEL SANAZZARO.
A' LETTORI.
L* ARC ADI A dì M. Jacopo Saftn-
laro ( non [oh Arcadia , perchè le fu
co fi dato nome dalì* Autore , tna Ar»
stadia , perchè fomiglia proprio un"* Arcadia d^
infinito piacere a chi confiderà per menti /*
altera de"* concetti ^ per valli le profonde fé n^
-1en\e , per pianure le belle defcri^ioni , per al-
beri i dilettevoli periodi , per foglie le fcelte
•parole , per frutti le curiifijftme favole , per
fiori i vaghi ornamenti , ed arteficj poetici ,
fer fonti gli occulti fecreti di filosofia , e per
diverfith d* animali le varie anioni , e ricrea^
elioni de"* pajìori ) benché d^ improvvìforoxia
fi dìmoflri , a guifa nondimeno dell'* antico Si-
leno , rinchiude cofe di tutta perfezione ^ ed
so per me , ftudiofi Lettori , non si tofto j per
foddis fazione dì chi me ne pregava molto ^ in"
cominciai ad ojfervar quefio divino Autore ,
«ff etnimo dì toccar leigier mente qualche nota^
bil
ttl l.icgo ; a gutfa Ji quei peregrini che arrim
vati in nuovo paefe , notano le (o(e pitif fegna-
late \ che y fcoperta gran moltitudine di cofe ^
una pia delP altra degna di conjidera'iiont , r^-
fiai per maraviglia in tutto confufo \ non fa»
pendo con che ragione pia quejlo the quello pajfo
ijfgfvare y (on detrimento degli altri mi: le ^ fé
]a fiuto gli avijfi , Laonde , vome avvìi ne a
colui il quah entrato in un* ampio giardino di
cento varietà di fiori ^ per ornar (i de^ pia bel-
li^ poiché un tempo è flato dubbiofo quali [ce"
gliere , veggendoli tutti d^ egual vaghe^ia ,
indifllntamente qua e fatanti ne piglia^ quan-
ti ne può capire , con animo di ritornare agli
altri • così accaduto è a rn4 y che non pofen»
do ora , per la iflart^a digli fiampatori , ab^
tracciar tutte le cofe notate , fon coftretto fa-
re un picciol fafcio di quefìe poche , afoettan-
do altra pili opportuna ocCafiom Ji toccar le aU
tre pia diftefamente ; fé pur conofcerl cheque-
fte non vi fianoa fedivo '^ come ben nella beni'
gnità voftra mi confido , Vivete felici ,
N « PRO-
geo ANNOTAZIONI
PROEMIO.
Car. 1, ^^Ogliofio ec, )BeIIiffimo artificio
Jin. 9, ^\ fi fcorge qui nel 1* Autore , per
acquiftar tacitamente grazia
all' Opera s ed a le flefTo la benevolenza de'
Lettori : mentre con varj efempj va mo-
ilrando) gradirfi bene fpeÓTo viapiùlecofe
dalla femplice natura prodotte » che dalla in-
duftriofa arte fabbricate . E però fu tolto di
pefo quefto principio da Pietro Ronfardo ec-
cellente poeta Francefe , nel Proemio della
i\x2iRecùnue ^ e da lui divinamente in quella
lingua fpiegato .
Car. 1. 1. IO. Xp^t'V) Perchè fono incol-
ti , cioè non efpurgati di rami , come negli
adorni giardini dice di fotto ritrovarfi .
Car. I. L 15. Aggradare ; ) Se le cole na-
turali più dilettino , che le artificiali ; e fé
l'arte refti vinta dalla natura» fu antichiffi-
TTia queftione » ed in tutte le pili fiorite Ac-
cademie lungamente difputata ; né pur an-
cora decìfa . Io per me fento con la più co-
mune opinione , che refti l' arte molto fupe-
TÌore alla natura ; e per non far ora catalogo
di tutte le ragioni che fi poilono addurre 1
parmi quefta fola baftare : perchè l'arte ab-
braccia non fol quello che dalla natura viene
operato» imitando lei totalmente, ma^fer-
vendofi delle proprie cofe di lei , fa opere al -
le quali non può giugnere la fagacilTìma natu-
ra : come appunto con molti efempj mi da-
rebbe il cuore di provare . E fé bene l' Auto-
re qui pruova il contrario , cioè » che dilet-
tino le naturali più , che leartificiofe ,' l'ha
fatto 5 perchè tornava comodo all' Opera
fua>
DEL MASSARENGO. 301
fu.i 1 chep-u del naturale» che dell* artifi-
cirTo dimoftra ( quantunque maravigliolb ar-
tificio fotte fempJicevefte naturale conten-
ga ) né più bella introduzione poteva ritro-
vare , e che di tutto punto quadraiTe come
quefta , che forfè il contrario anch' egli fen-
tiva neiranimo; così fece il Taegio nelle
fuc Lettere di varj foggetti j doveconfimi*
le argomento prova nella prima lettera ) la
Villa efTer più dilettevole della Cictà, per
efortar l'amico ai piaceri della Villa : altro-
ve poi tutto 1' oppofito , altrui fcrivendo ^
dimoftra. Servendofi forfè di quella famofa
fentenza» che S/ipientit eft fiutare conflium
in Meìius , (if tempori infervire ,
Gar. 1. I. 20. G/i ammaejirati . ) Quali
uccelli fi poffano ammaedrare 5 riferifce Pli-
nio nel lib. IO. cap. 41. e 45- e fono il pappa-
gallo» il corvo, la pica j il tordo, ilraeru-
lo, il lucarino il cardellino , il verdone»
il paHerofoIitarioì ed altri, che nel citato
luogo legger fi ponno .
Car. 1. \,zi*Silveftre canieni) Avverta-^
noi Lettori che Cannone Ci piglia in due ma-
niere: in fpecie , ed in genere. Il genere
abbraccia tutte le forte di Cantilene Liri-
che , come Sonetti» Sedine, Ballate, Ma-
drigali, ed altre; onde evenuto il titolo di
Canzoniere a quei libri che tutte quefte forte
di Poefie Liriche contengono. In fpecie fi-
gnifica quel componimento Melico che Can^^
?««#da tutti fi chiama ; il quale fatto di più
franze fotto una medefima teftura , ha poi
nel fine una picciola ftanza detta Riprefa , o
più torto Cimmiato . Ma qui V Autore a mio
giudicio nò l'una, né 1' altra fignificazione
intende i ediftijnoio, efler p^fta queàa vo-
ce
?or ANNOTAZIONI
cedi Ca;tionia\V oppofitodi quello che di
focto foggiugne /» ^ohi verfi : perchè ve^fo
propriamente lignifica quel numero di parole
con arte ì e lonorità tciTuto ; così Cagione s*
intenderanno quei verfucci rudici j con po-
co artificio da rozza vena ufeiti ; e però mol-
to giudiciof«mente diede a quella l' Autore
epiteto àìfilvvjife , ed a quelli di colti ,
Car. I. 1. z2. Vergate nelle ruvide cortec*
eie de* faggj ) Con ragione ha detto ruvi»
àe , per far intendere > che anticamente
fcrivevano fopra due fcorze d' alberi , cioè
fopra la corteccia di fuori , la quale è ruvi-
da 5 e di quella intende qui ilSanazzaro, e
fopra una feconda fcorza , che immediata-
mente (la fotto a quefta» la quale è fotciliflì-
ma . Onde è poi venuto , che i Libri fi chia-
mano Codtces ^ perchè di quefta cartilagine
il facevano; ed uno pur ancora Te ne ferba
nella Libreria Fiorentina . Non refterò pe-
rò di dire, che nella prima fcorza fi feri-
veva in due maniere» o col taglio» o con lo
ftile : col taglio, nella parte efteriore ; e
quefto chiamavano ignare , o intagliare nelle
frogie ; come in molti luoghi si di quello , co-
me d' altri poeti fi può ©(Tervare : con lo ftile
poi, nella parte interioi e , verfoil tronco;
equeilofidiceva/f''/i'^r^ : della qual ultima
maniera intende qui l'Autore. Ma e nell*
una , e nell'altra fcorza volendo fcrivere con
lodile, era neceflario che frefca, e verde
folTe. Ó."3ttro fcorze ritrovo dagli antichi
ufateperifcrivere; dell'abete, della pece,
della figlia , e del faggio ; la qual fcrive
Plinio nel lib. 16. cap. 9. incerti facrificj ef-
fereftatareligiofa .
Car. 1,1. ult. Nflltraft carte) Intendi le
pel*
DEL MASSARENGO. 30?
pelli di Capretto, le quali dopo le fcorze de*
gli alberi , e dopo le tavole incerate 5 furo-
no ritrovate per ifcri vere, ma prima fi pur-
gavano, iì radevano j e con la pomice fi pu-
livano .
Car. 1. I. I. Le incerate canne ) Fu qtie-
fta la fampogna ritrovata dal Dio Pan , di cui
parla Virgil. nelP Egl. 2. v. 52.
Pan prirmif calamo: ce fa conjungere plurit
Infiituit ,
E nella Egloga 3. v. 25.
— — aut umqt4am tibi fijìula cera ,
Jun^a futi ?
E qui pur è da notare > come fia eccellente
il Sanazzaro in quefti contrapporli j dando a'
paftori la canna , la quale dalla natura è fat-
ta cava di dentro, quafiapofta per ricevere
il fiato; a cui fimilitudine poi Parte ha for-
mato i flauti , gli organi , i pifferi , ed altri :
ed ai mufici afl'egnando i flauti di boffo , fat-
ti con grand* arte; concioffiachè la natura
fa il boffo , non vacuo, come la canna , ma
tuttofodo, a guifadicorno , e pur l'arte a
forma di canna lo riduce . Ma certo fé le can-
ne d' Arcadia fofTero ftate fimili alle India-
ne , non avrebbe quel Dio ritrovata la fam-
pogna . Sono in India le canne di tanta grol-
fezza, cheun'uomonon lepuòflringere ; e
di tanta altezza , che da un nodo ali* altro fi
fa un naviglio capace di tre uomini comoda-
mente; né altri navigli s' ufayano già inquei
paefi . Peròfcrive Diodoro Siculo nel 5. del-
la fua iftoria , la maggior potenza di Staura-
bate, Re delle Indie , eflere ftata in navigli
di canne; poiché con quattro mila di quefti
egli vinfe la Regina Semiramis . Nafcono le
più grolTc intorno al fiume Accfmoi ma tut-
ti i
^504 ANNOTAZIONI
ti i fiumi , e luoghi paluQri ie producono
grofTidìme .
Car. 2. 1. ^. Che li ter fi e pregiati beffi, de^
Tnufici ) La materia per la forma poda , è
molto famigliare a' poeti j per la vaghezza
che apporta allo (li le: come benidìmo con
cfcmpj dimo/lrano il Porcacchi > e il Sanfo-
vino : né io tacerò un folo efempio del Ri-
nieri nel fuo Sonetto 20. che comincia :
Orfo , del tnio cammin fid/>ta [corta y
E del mio cavo pin porto ficuro .
dove pofe quel dotto uomo il {>r«o in doppia
Allegoria > cioè per la lira , intendendo egli
de* fuoi verfi ; e la lira per navg ; così figni-
ficòil pino, nave, e lira. ^
Car. 2. ], IO. Certo 9 che io creda ^ niuno^ ^
Anzi , fé non tutti ^ la maggior parte dubi4
tano; che fé ciò non fofTe , non s'ingegne4
rebbono di ornar con l' arte le naturali fonta-|
ne 5 per aver diletto maggiore. Ben è vero"
( per allegare una ragione contra me fteffo )
che quanto più T arte fi avvicina alla natu-
ra j di moxlo che inganni quafi la propria na-
tura 5 tanto è piik lodevole, onde fi mettono
alle fontane artificiofe le conchiglie» le oftri-
che , le lumache, l'alga» il capilvcnere,
ed altre erbe acquatiche, per coprir l'arte
confembianzadi naturalezza. Di qui fi co-
nofce ( direbbono i naturalifti ) che l'arte ri-
ceve la perfezione dalla natura; ma rifpon-
do , che fé la natura dà perfezione all'arte
( il che però non concedo afToIutamente ) 1'
arte ancora la rozza natura riforma ; perchè
Io ilare in purir naturalibut poco diletto reca ;
eccome che poco gradifca la femplice natura
l'uomo, che fempre a maggior perfezione
afpira, s'è ingegnato di ufar l'arte per ab-
bel-
DEL MASSARFNGO. .-cjy
hel'irla , come n' avemo V eiempio neifa
Pfofa 5. car. ii.f rforiava ciafcuna ec. e neN
]a Profa 4. car. 16. conia dìvtrft^ di'* portai
menù ec.
Car. 2. I. \\,Dunqnt in ci}> fidandomi ^ ec)
Si diede il Sanazzaro a quefta maniera di fcr i-
vere padorale , perchè a quello fi fentiva da
una certa naturalezza inclinato, e da quefbo
più Corto che da altri Tuoi Poemi , fperò Tem-
pre di acquiftarfi nome, né ciò fia detto 3
vento; che pureglifteflb in più guife ne lo
fcrifle. fi può cavare dalle Tue Elegie in va»
X) luoghi, e maffirae nella prima del 1. libra,
aLucioCraftb :
At tnibi pagante dìFiant ftlve/lria Muftg
Carmina , qua tenui gutture cantai Amof ,
e più fstco 9 feguicando per molti ver fi ,
pur dice :
Hoc vitagtnus , hoc jìudium miei fata mim,
nifirant \
Hi ne opto cintret nomen bnhere meor ,
e nella Elegia feguente , fcrittaa Giovanni
Pardi Spagnuolo :
At nos per filvaf , & fordida rwa ^ Capelli,?
Verfamuf : quando PhyUi> amare jubet ,
ed in cento altri luoghi , che per brevità tra-
lafcio . Balla, chela quefto egli è riufcito
conforme al fuo defiderio , eOendo giunto a
fegno tale , che altri giammai non i' ha arri-
vato , con che fu'-erato .
Car. 2. 1. 12. A^li afcohanti alberi , ) Ren-
de vaghezza tanta Tattribuire operazioni ani^
mate a quelle piante, che i poeti non fé ne
poObno aftenere , né folo le fanno afcolrare %
come qui , marifuonare ancora. Ecco nel-
la Profa 2. car. 8. Ma poi che egli fi tacque , eh
ri foranti [elve parimente fi acquetarono »
E nel-
206 ANNOTAZIONI
E nella Profa lo.car. 91. Le felve ^ che at
canta* dt^ duo paftori avear.o dulcijftmam.mt
rimbombato ,
E nella Egloga 10. car. no.
Cosi cantava j e $ bofcbi rintonavano .
E nella Profa 5. car. 40- le fa fufurrare . Q^^-
Jìi pini y ec* fufurreranno il nome tuo , Neil'
Egloga ji-car. 130. fibilare :
Rìfponderanno al vento fiht landò ,
Nella Profa 12. e. 132. Le quiete fé he ta.
e e va no .
Neil' Egloga i. car. 8. ragionare :
Queft^ alberi dì lei fempre ragionano ,
E fé ragionano» poflbno anco rifpondere 1
come nella Profa lO. car.gi.Tutti i pini che
vi erano , parlavano con argute note y rifpon-
dendo alle amorcfe can^orii da* pafiori ,
E car. (54. 1 circonjìanti pini movendo le lorù
fommìtà gli rifpondeano ,
Che più? nell* Egloga 3. car. 23. non fi legge?
Tal che ornai non è pianta
Che non chiami Amaranta.
Dunque puote pregarle poco di fopra a c. 21,
Va'li vicine , e rupi ,
Cipffjji , alni , ed abeti .
Porgete orecchie alle mie bajfe rime .
E neli' Egloga 10. car. 105. dice :
Non fon 5 Fronhno mio y del tutto mutole
Com* Uim crede , le felve .
ma meglio più baflo car. 106. chiamale dotte :
Che '« quelle dotte fe've non conofcap ,
Non darei fine, che inHniti fono gli efempj
di quefto . né folo negli alberi , ma ne' falli
ancora • Profa 5- car. 3 5. E già i fafft che vi fono
mi conoscono , e fono ben infegfrati di rifpondere
agli accenti delle voci mie. E Virgilio nella
Egloga 5. V. 63.
ipfa
I
DtL MA SS ARENGO. 507
.- -. ipfée j-^m tarmina rup-.Sy
Ipfa fcnant arbofia ,
Car. 2. I. 14. Raccontari le roxi^ Egloghe
ec.) Pare da quefte parole , che laintenzio-
re principale dell'Autore fia ftata di feri -
vere Egloghe folamente , e eh' egli poi Je
abbia di Picfe frammezzate» per eontinuar-
Je r una alP altra con qualche ordine ; come
pur da Severino Boezio nella fua Confolazio-
ne Filofofica , e da altri ofl'ervato ù vede : e
tanto più quedo fidimoftra> perelTer quaiì
tutte r Egloghe di Virgilio qui tra la Profa j
e la Rima riportate . Intorno a quefto ave-
rei a difcorrere lungamente, ma la brevità
di quelle oflTervazioni non lo comporta ; e ri-
chiederebbe queflo argomento folo un lungo
difcorfo, per non dir trattato. Dirò fola-
mente j eh' io fono (lato gran tempo in pen-
Cero, ch'ella piùtodo Ccmmedia^ che al-
trimenti, dovelTe intitolarfi . E' ben ve-
ro, che di prima vifta mi fi opponevano al-
cuni dubbj , per li quali non mi pareva di po-
terla chiamar Cc»?/wr////« ; efonoquefti .
Primo, perchè è favola Monodica , dove
J* Autore narra tutte le azioni : e le Cginrae-
die efl'er debbono Drammatiche .
Secondo, perchè contiene più di cinque
parti , fuori dell' ufo Comico .
Terzo, perchè la favola Comica deve cf-
fer di fua natura ridicola : e tale non è 1*
Arcadia .
Quarto , perchè non è recitata in palco •
Quinto, perchè è fatta di prò fé e verfi ,
centra le regole; e di verfi che da' Comici
non s' ufano .
Serto , ed ultimo , perché egli defcrive la
fua propria vita 1 e tccea il proprio fuo nome
nel-
96S ANMOTAZtONT
nella Profa 7. il che non coftumafi di fare
nella Commedia .
Qiiefte fonde ragioni in parte $ che mi
proibivano il nominarla Commedia ; trala-
fciando lecofe del maravigliofo , degli Epi-
fodj , ed altre difficoltà , che non fono da ri-
folverfi così in piedi . Ma pure per foftenta-
re quefta opinione, ch'ella fia Commedia,
andava brevemente fra raeftefTo rifponden-
doa tutti gli obbietti in tal modo . E quanto
alla prima oppofizione 5 eh' ella non fia favo-
la Drammatica > ma Monodica ( fupponendo
che favola fia) rifpondeva in due maniere.
Primo, negando, eh' ella fofle Monodica
femplice ; conciofriachè quafr tutte le Eglo-
ghe fono Drammatiche ; e che più torto era
mifta del Drammatico , e Monodico . Dram-
matica nella maggior parte delle Egloghe,
dove non folamente non parla folo il Poeta ,
ma due , e talora tre paftori fon neceil'arj per
recitarle : Monodica nelte rimanenti , ed in
tutte le Profe .
Secondo, io rifpondeva , la Poefia Dram-
matica c/Tere di due forte : V una che molte
perfone richiede ; e quefta diralTì Dramma^
tica pura: i*altra ha una fola perfona , che
narra tutto ; e quefta dovrà dirli DrammatU
(a raciontativa ,
Ora quando anco fi diceffe , che 1* Arcadia
forte Monodica , non percià fi nega, chs
Drammatica non fia '• e fé pur ad alcun paref-
f e 1 che il Poeta abbia voluto efTer Monodi-
co , mentre dice : Potrlbeniofra quefte dejtrm
te piagge agli afcohantì alberi^ ed a quei p^»
chi paftofi che vi faranno , raccontare le ro^-
q^e Egloghe da naturale vena ufcite ; dalle qua-
li parole fi concfce, eh' egli folo vuoi reci-
ta-
DEL MASSARENGO, jof
tv^re ; non per quefto fi toglie che non .fia
Commedia ; perchè fi ie^^ge nella Vita di
Platone, icritta da Laerzio > che la Trage-
dia » innanzi r età di Tefpi poeta > fu Mo-
nodica , e recitata in ifcena da un Colo : e
Plutarco nella Vita di Solone racconta , che
quel lavio uomo afcoltò nel teatro il fopra-
tocco Tefpi che recitava le favole fue da fé
flcflo , ficccme era cofiume di quel tempo,
e come appunto fece il Sanazzaro, che agli
alberi 5 ed a* pafiori raccontò le cofe d'Ar-
cadia. Ma che dubbio di quefto; fc durò fi-
no al tempo di Nerone Imperadore : e fino a'
tempi nofiri fi n citano Commedie da un fo-
lo , con voce , abiti j e faccie differenti ?
JVIa quante volte fi introduceva nelle Com-
medie una perlona fola a favellare ? n' abbia-
mo 1' efempio ncll* AleflTandra di Licofro-
ne » dove introdotto viene un fervo folo %
che racconta tutto il fatto ; e ne rende il dot-
to Porfirione teftimonio ne' Comentarj fopra
Orazio, ove dice, che Bacchilidecompofe
una Tragedia Monodica, fimìle a quella di
Licofrone : e quello che delle Tragedie fi di-
ce , fu comune alle Commedie ancora, co-
me afferma Suida . Adunque non è dubbio al-
cuno , che quanto a quefto capo non fi poffa
chiamar Co fnr/je^i a '^ e tanto più, perchè la
Commedia confifte odi Cantici (oli; che fo-
no quelle fcene nelle quali un folo ragiona; o
di Diverbi foli , dove parlano più perfone ;
o degli uni e deglialtri è mifta . L'Arcadia
è miftadeir uno, e dell' altro: adunque fa-
rà Commedia . E bafti quefto in rifpofta del-
la prima obbiezione .
Si oppone nel fecondo capo ) ch'ella con-
tiene più di cinque parti , Veramente quefta
èdii-
5io ANNOTAZIONI
è difficile oppofizione da rifolvere ; tanto
più che fcrive Orazio nella Poetica v. 180.
"Neve minor , quinto neti pt produclior /iSìu
Fabula , quie pofci vult , (^ fpeSiata reponi .
Però rifpondo > che non fi ofierva neceflaria-
mente quefta regola: il che fapendo il no-
ilroSanazzaro , potè anch* egli divider li
fua Arcadia in più di cinque parti, ajutato
dalTefempio di Dante } chela fuadivifefo-
lamente in tre. Se a quello fu lecito cader
nel meno , contra il precetto di Orazio , non
deve efler riprcfo ilnoftro Poeta, che nel
più fi fia diftefo .
La terza oppofizi one è , che manca del ri-
dicolo , parte elTenziale della Commedia ,
anzi propria differenza di lei , con la quale
fldiftingue dalla Tragedia, fecondo Anfto-
tile nella Poetica, e Platone nel 10. della
Repubblica . A quefto rifpondo in due modi .
Primo, il ridicolo non edere (lato tanto
necelTario 1 che non fi poteflTe tralafciare :
ma, cheeffendo introdotto per grand? ri-
creazione degli fpettatori , anco fenza il ri-
dicolo, cioè fenza le buffonerie > poteri] re-
care agli afcoltìnti grandiffima ricreazio-
ne ; e tale è P Arcadia .
Secondo, e meglio, rifpondo, cìi?ficco-
me due forte di facezie, o motti fi ritrova-
no , Punooneftoj gentile, e piacevole , f
altro fallace, vile, e buffonefcoi e pur P
uno eP altr^ hanno del ridicolo; così due
forte di Commedie fi fono ritrovate : una e*
ha il ridicolo onefto5 con non poco grave
mifto ; e quefla fi chiama Commedia d^ Ijlrif.
«» , da Cicerone nel 2. de O^at. nominati
Etologi : 1' altra fpecie ha dei ridicolo , vile 5
«cdifonello, introducendo ruffiani > e buffo-
ni j
DEL MASSARENGO. ^f
ni , folo per far ridere ; equefta Commedia
dì Mimi Q. dice ) de* quali parlò Ovvidio 2-
Trijì.v.s\5'
S fri bere fifaf efi imitante i tur pia Mi mot ,
Fatta queda di vifione , chi non vede, T Ar-
cadia aver il Tuo ridicolo della prima fpecie ?
e 'I Sanazzaro , fprczzando di farfi Mimo , ef-
ferfi moftrato vero Comico? Non hanm)del
ridicolo le contefe paftorali , i giuochi di
Maflilia , le favole dipinteal tempio di Pa-
le , i varj modi d* incappare gli uccelli 5 ed
altri pafli di (Jueft' Opera eh* io taccio ? dun-
que anco per quefto farà Commedia .
Era la quarta oppcCzione , che 1' Arcadia
non vien recitata in palco; la quale facilmen-
te fi diftrugge con quefta rifpoHa , che il rap-
prefentare in fcena le favole Comiche non è
delia Commedia effenziaie: ma bafta folo ,
che fi reciti a qualche perfona . Sì prova nel-
la Commedia di Dante, la quale non vien
recitata in ifcena; ed in altri efempj , che»
come manifefti , tralafcio ; ma mi giova 5
per più Ccura rifpcfìa , dimoftrar che V Ar-
cadia fia quafi in palco recitata dal Poeta ; e
che il teatro fiano le deferte piagge, afcol-
tanti gli alberi , ed i paftori : e però difle 1*
Autore: Votrlbeniofra quefte deferte paggi
agli afcohanti aìbiri ^ ed a quei poebi pafioti
(he vi faranno^ raccontate ec.
Al quinto luo^o mi fi opponeva ; 1* Ar-
cadia efler fatta di profa, e verfi , cofa non
ufata da' Comici ; e di verfi poi i quali non
fervono alle Commedie . Un fol colpo fa due
ferite , poiché un folo obbietto abbraccia due
:oppofizioni: ma rifpondo a un capo; che»
quando anco il Sanazzaro avelTe fatto cofa da
.altri non ulata , non folo non de^eeilcrri-
pie-
3i2 ANNOTAZrONI
prefo, ma più torto grandemente lodato j
eh' egli abbia con nuovo modo di diletto for-
mata la Commedia . Non concedo però , che
ciò far non fi paiTa ; anzi parmi di poter mo-
ftrare, eh' altri abbiano pur e verfi , e prole
mifchiate nelle Commedie loro . Concioflìa-
chè bene fpeffb accade., nelle Commedie in
profa raccontar Sonetti, Stanze, Madriga-
li, Ballate )_ o Canzonette; e quelle o fatte
da chi le recita, o narrate , come da altri udi-
te , e compofte . Non vengo agli efempj,
perchè chi ha letto le Commedie del Para-
bofco , del Pino , del Dolce , del Ruzante,
e d'altri , non ha bifogno di pruove . Cosi
dunque ha fatto il Sanazzaro , teflendo la Tua
Commedia di profe , ed a luogo a luogo rife-
rendo le Canzoni fue , o d' altri paftori . Al-
l'altro capo , che i verfi non abbiano che fare
con la Commedia , fi rifponde , non aver
ufato il Sanazzaro forta alcuna di verfi che da
altri Comici non fia pure (lata ufata . Quan-
te Paftorali fono fatte di terzetti ? leggali
Ja Marzia per una . Quante hanno per en-
tro fparfe le Canzoni ? V A minta del Taflo,
il Partor Fido , ed altre ne fanno kdc . Quan-
te ne fono mifte di Madrigali ? la Cecaria , e
'1 medefimo Paftor Fidoil dimoftrano . Del
verfofdrucciolo non parlo, perchè efTendo
egli vero imitatore del Jambo j nel quale
fcrivevanoi Latini Comici, più opportuno
verfo non poteva ritrovare 5 onde fi vede,
Cae da tanti, e tanti pofcia è ftatafeguita
quefta fua invenzione del verfo fdruccioJo %
perchè nelle Commedie non fi trova il pia
opportuno .
Finalmente mi fi opponeva, che il Poeta
&ÌTÌ ve la propria fua vita j ^d il fuo proprio
DEL MASSARENGO. 315
nome di Sincero tocca. A quefto rifpondo,
nelle Commedie antiche non folo edere fla-
to in ufo di prendere i nomi veri , ma anco-
ra fi cercava d'imitare più che poflìbii foflTe
quelle perfone ch'avevano tai nomi ; come
riferifceSuida , e lo conferma il Glofatored*
Ariftofanenelle Nfbbie . Né folo nelle anti-
che » ma nelle nuove ancora; onde abbiamo
in Menandro , e in Terenzio il nome di Gna^
torte , vero nome d' un parafito j come dimo-
flra Ateneo, cosìfuufatoii nome di Taide ^
e di Safo , e d' altri . Però diciamo i che fé
bene fi debbono fingere i nomi nelle Comme-
die > non è proibito però il prendere i veri;
e quefto ha del ragionevole; perchè il vcri-
firaile poetico acquifta credito maggiore . A
quello rifpondo , non effer difdicevole , che
il Sanazzaro parli di fé ftelTo , e narri la fua
vita, perchè ciafcuno può raccontare da fé
fteffb quello che altre volte gli è accaduto .
Cosi Boezio nella lua Confolaiione \m\t?i^&
medefimo , e le fue padioni , e San Gregorio
Nizianzeno fcrive la fua propria vita . Ma
che non fia cofa nuova il trattare in una
Commediala vita d'uno, ola fua, m-iflime
fotto diverfità di perfone , come qui il Sanaz-
zaro, lo moftra AuloGellio con l'efempio
d' Aleliìo Tuzio pi-eta , il quale una Comme-
dia fcrifl'e intitolata L<? l^itìì di "Pitagora : ed
Ateneo nel lib. iz.riferifce molti verfi di
MaC'ne Comico , ne' quali defcrive quel
poeta La vita di Manìa meretrice , e la de-
fcrive in modo , che ben chiaro fi conofce ,
quella Commedia effere ftata recitata in pal-
co da un folo iftrione. Dunque non impedi-
fce che non fia Commedia , T aver il Poeta
nella Profa 7. deli' Arcadia tocco parte del-
Tomo I, O la fua
314 ANNOTAZIONI
lafua vita tanzi aggiungo, non folofcoprlr-
fi là perfona del Poeta nel nome di Sincero ,
ma tutta quella Opera eflercome una nar-
razione della Tua vita. Di modo chefottoii
nomediquefto, e quel paftore tratta tutti i
fuoi cafi amorofi ; ora la rigidezza dell' ama-
ta , ora la piacevolezza , ora i dolci contra'H
ch'egli aveva con gli amici poeti del fuo
tempo ) fcrivendofi l'un l' altro i loro amo-
ri ; ora biafimando i vizj di quella età in cui
viveano , ed altri fimili accidenti ; come po-
trei beniflimo provare a parte per parte» Te
la lunghezza non mei vietafl'e . Ma ora che
abbiamo levate tutte le difficoltà oppofte >
un'altra d'improvvifo mi s' aggiugne 5 ed
è 1 eh' ella non abbia nodo che fi fciolga • Ma
che pili bel nodo di quello delh Pr. n. fcioU
to dalla Ninfa di quel paefed' Arcadia ? do-
vefifcorge, in che modo d'Arcadia (ìa ri-
tornato a Napoli in così breve tempo : ove
fpiegò tutte le cofe vedute j e udite in Ar-
cadia. Quello è il nodo della favola fcioìto'^
quelloè il maravigliofoj del quale mi ferbo
a fcrivere con più tempo , Raccogliendo
adunque tutto il detto finora , parmi con ra-
gione poterfi , anzi doverfi chiamar Cow«?^-
<//<? quffto Poema » e non altrimenti . Egli è
Poema Drammatico j divifo in più atti, ri-
cicolo , recitato in teatro campeftre > in ver-
fi da Comici , fotto finti nomi , e ( per ag-
gìugnere di più altre quilità della Comme-
dia) contiene fatti di perfone popolari % odi
ftato mezzano : m-ilra il vivere morale , ed
i vizj riprende fotto runiche genti : nel prin-
cipio ha del difperato , odeì travagliofo, nei
nifjzzo trova rimedio a* travagli , e nel fine
iQKifce iietameats : loftiieèbaffo, e con-
DEL MASSART^NGO. ^j
forme alle perfone che ragionano: oltre al
corpo della Commedia j ha il fuo proemio,
e la Tua licenza ; finalmente è contenuta fot-
te un nome fole d' Arcadia . Chi negherà chfl
non fia Commedia ?
Car. 2. 1.20. Freftarono intente crecchie ^
ec. ) Bella maniera di far attento, moftran-
do di raccontar cofe , con gran dolcezza fino
dagli fteffi Dcji fentite : chi non le udirebbe
attentamente? Altroartificio usò iperboli-
camente Virgilio nell' Egloga 8.
PaftùTum Mufam Dantonif & Alphefihóti 9
Tmmemor berharum qua e fi mirata jave ne a
C ertami fy quorum ftupefa^ a cartnìne lynceT j
Et mutata fuof requie'unt flufn'tna curfus ,
Car. 2. 1. 22. Vaghi animali ^ ec. ) Vaga-
bondi, ed erranti, non vaghi di bellezza:
cosi il Petrarca nella Canz.
Kleì dolce tempo ec.
"Ed in un cervo folitario , e vago
Di felva in felva ratto mi trasformo .
benché fi potrebbe anco riferire all'uno j e
all'altro» cioè alla vaghezza, ed ali* erro-
re, come il Petrarca nel Son.
Fago atJ«o licito , che cantando vai ,
enei Trionfo d* Amore, cap. 2.
Carmen re ^ e Pico y un già de^ noflfi regi ^
Or vago augtUo ,
Così P innamorato H chiama »/ vago , perchè
avendoralì Amore, ^ fempre vago, e. fa
gli amanti vaghi . Il Petrarca nella Seftina :
Non ha tanti animili ec
Deh or /off"* io col vago de Ha Luna
Addormentato ,
Ovvero fi dice »<7^o l'amante, perchè fem-
predefidera l'amata , e nel defiderio varia»
^d è vagabondo , £ di ^ui chiamò l'Autore la
O z fu*
3i6 ANNOTAZIONI
tua àonnz ^efio Profa 7. car. 55. Per tanti fé-
ni di mare , dal mio de fio dilungato . Onde fé
fi mette vago per ^/^^y/c/i? , è perchè il defio mai
non ifta fermo , ma Tempre è inquieto 5 fino
che appagato fia j e fé allora non vaga , è
perchè finifce» efTendo adempito , d'efler
defio. Laonde feropre va vagando , mentra
chi V adempia , cerca . Tal fi dipinge il
Poeta, mentre priega Montano che canti :
Profa 2. car. io. A evi io vngo di cotal fuono ^
fon voce ajfai umana difjì ; ec. E nella Profa
5. car. 36. Ma le pecore , e le capre , che pia di
pafcere , che di ripofarfi erano vaghe , ec per-
ciò hanno i poeti chiamato ildefio l'-^^o , li
Petrarca nel Sonetto.
Amor mi [prona ec«
Onde V vago defir perde la traccia «
E nel Sonetto .
Voglia mi fp-ona : e e.
DelP un vago defio /* altro riforge ,
Si mette anco vago in vece di fplendente j ed
in vece di amorofo > e pien di vaghezza : ufa-
ti nell' uno e nelP altro modo dal Petrarca •
Del primo, nel Sonetto.
Erano i capei d"* ero ec.
E V vago lum3 oltra misura ardea ,
Del fecondo , nel Sonetto :
Grafie cP a pochi eC.
X.' andar celefìe --^ é" '/ vago fpirto addente «
Car. t, I. 2^. Di Menalo e di Liceo . )
Monti d' Arcadia piià famofi , come nelle fe-
guentiProfe, ed Egloghe moftreremo. Ha
però l'Arcadia altri monti aflai , cerne Apol-
lonio , Cillene, Erimanto , Partenio , ed
altri , clTendo il fuo fito di natura montuofif-
fimo ed alpeftre , come quella che antica-
l^j^nt^ fu fempre poco abitata j fé non da rii*
di'
DEL MASSARENGO. ?i7
Hicane genti j e però diceva il Poeta nella
ProTa 7. car. 54. Tra quejìe fo^itudini Ji Arc/i"
dia , ovt ( con vojira pace ti dirh ) non che
i giovani nelle nobili città nudritti , ma appe^
na mi fi lafcia credere che le falvatiche biftie
vi pojfano con diletto diriiQra'e : ec«
Car. 2.1. 2*^. Di Coridone , ) Per Coridone
intende qui V'irgilio, come intefe anco nell*
Egloga 4 PJfcatoria V. 69.
Tum cartit ^ ut Ccrydona [acro Melifausifi
antro
Viderit y i^ c^lamcs labri r admoverit audax •
e quel eh-' fegue : benché il medcfimo inten-
defTe fotto nome di Titiro nella Profa io.
car. ^5. Fé di quella l* ultimo dono al Man--
tonno Titiro , ec* Ora la diverfità di quefti
due nomi fi accorda in tal modo , che Titiro
fia il più ufnto con cui fi nominalle Virgilio ,
ma ora Coridone , ora altro paftore fi fingeva
nelle altre Egloghe,' fotto quai finti nomi
fcriveva le Tue pafiìoni amorofe > ficcome ad
imitazione di lui poflìamo dire del noftroSa-
nazzaro ; il cui piiì celebre , e più ufato no-
me era Sincero : ma pur ora fotto nome d'
Ergafio, o d* altro paftore cantava le fue
amorofe venture, odifavventure . Per Da-
mata intende il Paftor Siracufano , del quale
ragiona più chiaramente nella detta Profa
IO. car. 94.695. e di cui Virgilio intefe nell'
Egloga 6. dicendo .
Prima Syaco/ìo dignata eji ludere verfu .
Car. 2. 1. 18. Il male inptperbito Satiro
ce» ) Intende qui Marfia , del quale più a lun-
go diremo al fuo luogo, fopra ilpaHodell*
Egloea IO. car. 109.
Marfia fen^a pel'e ha gunflo il dojfo .
„ Leggi hojfo^ e V. a e. 256. , 5
O 5 Chi
?i8 A NNOTAZIONI
Chi fiano queiti Satiri; fé fi ritrovino» o
nò) etuttil^ loro ifloria , più baflb note-
rò con miglior occarione.
Car. 2. l. 30. Che ctrto egli è migliore il
peCù terreno ben coltivare , ec. ) Ben egli col-
tivò tanto quefta picciola Arcadia, che ne
acquiftò nome immortale, non facendo co-
me quei poetiche più verfi compongono di
Caffio Parmigiano, ma il tempo, e l*ob-
hììo tutti poi fé gli portano .
PROSA PRIMA.
Car. 5. 1.9. Giace ml/a fermiti ec»)MoU
to giudjciofanicnte formò il Sanazzaro que-
fta fua narrazione dal luogo *, poiché all' Ope-
ra ftefTadato avevail titolo dal luogo : c^e
fé da nome di perfona , od' altro 1' avefie
formato , da quello anco ( per conformarfi a*
precetti de'buoni autori) averebbe dato prin-
cipio alla narrazione.
Car. 3. I. IO. De/Ja pa fi orale Arcadia^ )
L* Arcadia è paefe nella Grecia , detta par-
te dell* Acaja Mediterranea , nel mezzo
della Morea , e di tanti monti ripiena , che
76. ne fcrive Plinio al lib. 4. cap- 6. però ivi
tutti gli abitatori fono pallori . Prima fi
chiamava Pela[gia^ ma pofcia da Arcade fi-
gliuol di Giove , e di CalIifto^^^i3^*^ncmi-
jnata negli anni del Mondo (come fcrive Eu-
sebio) ^708. Aveva quefta regione al tempo
di Plinio 32. città: oggi è molto più fpopola-
ta . Abbonda di cinghiali, ed' afini tanto
grandi, che fono entrati in proverbio, l^i
fu molto celebre Giove detto Lifa»ia , il cui
tempio era fabbricato in Olimpia città famo-
fadi quel paefe, avanti il quale ^ava un bo^.
fc^
DFL MASSARENGO. 3^9
(co di olivi falvatichi , che mai non ritaglia-
va) fé non in occaficne di coronare i vinci-
tori ne' giuochi Olimpici) da loroin folea-
nltà di quello Giove inftituiti • Ebbe due uo-
mini di grande ingegno , Prometeo , ed
Atlante . Quefti fu il primo che parlafìe
tra' Greci di Aerologia» avendo trovato il
corfo delle ftelle : e perciò fu detto che por-
tafle il Cielo • Quegli riduffe gli uomini roz-
zi a buoni cofìumi , e fu il primo che ritro-
vafle l'arte ftatuaria . fabbricava uomini di
cretL^^ e con certa arce gli faceva ^muovere
con fiato, quafi ^vivi foÀTero : e fu iip:imo
che dalla felce Icuotefl'e il fuoco, onde fu
detto aver rub.ito il fuoco alla sfera del fole 9
m^flìme perchè anch' egli era iutendentilTi-
mo dell' Aerologia . Un'altra Arcadia fi leg-
ge in Plinio lib. gì. cap. 4. citcàdiCandia :
Ja quale 1 copiofa di fontane , elTendo diftrut-
ta , fi feccò, e di nuovo fabbricata > ritornò
a fcaturire .
Car. 5. J. 25, S^ivì fe»ia nod$ i^runoil
^rittijfimo ahete ^ nato a foftenere i pe\ coli del
tnare'i ec. ) Senza nodo è 1' abete da\ mezzo
in giù , ma^ vcrfo la cima nodofo , <* duro :
così Ovvidio nel io. delle Trasforrr^ 'ioni
V. 94. la chiamò :
Emdifque ab'tef , ec.
Lo chiama dr a tijpmo , perchè fé ne fanno i
drittiflimi alberi, e le antenne alle navi,
ovvero drittijftmo , cioè altilTimo , e lunghif-
fimo ; come in altri autori fi trova ufurpata
quefta voce ; peròil MantoanodifFe :
Hic p^occra abiti , ec
Che fignifica alto e dritto ; ma più alta è la
femmina del mafchioiper teilimoniodi Pli-
nio, edendofene in Cipro trovati d'altezza
O 4 di
^20 ^ ANNOTAZIONI
di no.piedijc di grofTezzaquantopofTono ab-
bracciar tre uomini . In Germania fono tan-
to groflì , che i corfari , d' un folo abete fedo
nel mezzo per il lungo, e cavato dentro fi
fervono per vafcelloa navigare, capace di
50. uomini; e perciò dilTeil Sanazzaroch'
egli era nato a foftenere i pericoli del mare )
come anche Claudiano :
Apta fretif abhf , ec.
Ha le foglie in forma di pettini, e che mai
non cadono '. non fa frutto : tagliato nella
cima , fifecca ; ma tagliato fotto i rami,
vive, ed ò d* ombra alquanto dannofa . Fu
chiamato albero audace , come ^i vede prelffo
Stazio nel Jib- 6. della Teb. però Virgilio
fcrive , che il Cavallo Troiano era d' abete ,
perchè jinchiufenel ventre traditori, nei
quali regna audacia , dicendo nel 2. dell*
JEneida v. 16.
— _- feSlaque intextint ahiete coftat .
el* Ari ofto nel canto 4. ftan.u- fa che Brada-
jnante leghi Brunello ad un abete più tcfto ,
che ad alfra fortadi albero, perchè Brunel-
lo era ladro , e traditore .
Can.5. 1.27. Con pia aperti rami ) Q^ie-
ilod.'ice, perchè l'abete ha i rami tanto den-
iì , che non poflono dilla pioggia efFer pene-
trati, maiTiraeeflendo aguifa di cipreflo in
piramide raccolti . onde fi conofce malamen-
te eiTere ftato detto da Quinziano :
Caditur atque abief proni s umbra he erti s ^
JVIa la quercia gli rifponde affai . Onde Ov vi*
dio nel I. delle Trasform. v. ic6. le diede l'
aggiunto di patuìa\
Et qua deàderant patuìa J ovis arbore glandet.
Ed il Mantoano di ramofa :
l^udaque ramosa tendehant hrachia qmrcuf ,
Car.
DEL MASSARENGO. ^u
Car.^.l.iS. Rohufìa quercia^) Codro poeta 1
ValtdtJm manibuf dum fcindere quifcum ,
La quercia è albero facrato a Giove per teiti-
monio di Ovvidio nel 7. delle Trasformazio*
ni V. 613.
Sacra Jovi qutrcus di ftf>7Ìnt Dodon^eo ,
E di Ciaudiano :
Qutr(us amica Jovi ^ ec.
non Iole perchè fa ghiande più grofle di tutte
l' altre > e di molta dolcezza , ma perchè noa
vien tocca dal fulmine . E leggefi nelle an-
tiche favole, che fcegliendofi ciafcun Dio
un' albero in protezione ; Giove la quercia 1
Febo il lauro, Venere il mirto? Pallade T
olivo, Ercole il pioppo, Fiutone il cipreffbj
ed altri altre piante eleflero . Ha però na-
turale inimicizia con r olivo y e con la noce ,
e fa funghi lodatiflìmi intorno alle radici >
chein L'>mbardia ^^j/^'» fi chiamano, e ben-
ché ami il monte» feri ve nondimeno Plinio
iib. 16. cap. I. in Germania nafcere fu la ri-
va de' fiumi , dove tanto avidamente fi abbar-
bicano, che fé per avventura fono dalla cor-
rente acqua fpiantate , tirano feco tanta grati
mafladi terra con le ampie radici loro , che
per lo fiume ritte, in guifa d'altiflìme na-
vi , buona pezza camminano a feconda 5 e fé
la notte cogliono qualche inavveduto vafcei-
Jo , il gettano in mille pezzi con le forti ra-
dici : né di ciò alcun fi faccia maraviglia ,
perchè fcrive di queft' albero Virgilio nel 4*
dell' tneidav. 44-.
!;/« bar et fc optili f : if , quantum vtrtice
ad auras
jìì,t boriai , tantum fa die t in T art ara tendi t.
Delle foglie di queft' albero fi coronavano!
liberatori de' cittadini.
O 5 Car.
^21 ANNOTAZIONI
Ccir. 3. 1. 28. L' alto fr/7/Jino , ) Virgilio
nell' II. dell' Eneida v. 155.
— ferro fonat alta bipenni Fraxinuf .
5, mai migliori tcfti leggono iSia ^ non nL
,, ta . ,, Ed Orazio lib. 3. Od. 25.
Procera f manibu! vertere fraxinof »
Ma fé bene è ftato chiamato ahoy fé ne tro-
va però una fpecie bafla > e nodofa > con fo-
glieaffai più fofche dellauro , la quale non
è buona per afte »come il fraftìno grande fen-
za nodi . Non fiorifce il frnflino fino che non
fon nati i ferpenti : iquJi tnnto l'odiano,
che più torto entreriano nel fuoco , che ap-
pena toccar la fua ombra , non che le foglie ;
CperòdilTe il Ma>icoano :
Hic Ir ice a pinguef y o^icfa cdubris
Fraxinuf .
Le foglie fono mortifere vi' cavalli : ma a'
buoi 5 e alle capte non nuocono : e fattone
fucco da bere, è rimedio coi^tra ferpenti.
Scrive Plinio, nel monte Ida i fraflini effer
di tanta bellezza , e perfezione , che - fcor-
zati, fembrano cedri, crd ingannano bene fpef-
io i compratori . Di quefto fu la lancia d'
Achille, che f rendo piaghe, le fanava an-
cora . Plinio lib. 1 6. cap. 15.6 Dante :
Così s od* io ibe fo!eva la latici a
D* Achille ^ e del fuo padre e jfer cagione
Prima di tr'tfìa , e poi di buona m/inda ,
a cui forfè allude il Petrarca nel Son.
I begli occhi ond* i fui percojfo in guifa ,
eh"* e i.'jedefnti porian f^ìldar la piaga .
Car. ?. 1, 28. Lo amenìjp.mo platano ) ^o-
l*> per i* ombra , ma' per altro fterile , e però
(imbolo degli oziofi. Virgilio nel i» della
Cie<jrg. V. 7c.
Ei ftiriieì platani maks ^ejftre vaUntis ^
JEdec-
DKL MASS ARENGO. ?i?,
"E detto p'at.j no i perchè ha i rami, eie to-
glie 1 pule , da tx^t-Jj, che p'-ino) ela'goia
Greco fignitìca . Era tanto in prezzo per la
fua graziola ombra , che in alcuni luoghi vi
craconllituitauna gabella a chi volea goder-
la. Sotto quello particolarmente fi ritirava*
noadifpucar lefcienze: onde diHe Cicero-
ne nel I. dell* Oratore: N^f^ me b<£c tua
platanusaii/nontih , ec e Plitoiie l' amò tin-
to , che a cj^ueir ombra fola volle che i fuoi
Platonici li ritiranfero a platonizar». . Fu
chiamato ^^m'rf/^ da Faufto Andreìino poeta :
Explicat hic frondtf piatami f geniali s
cpacat .
perchè fotto 'a fja pianta Ci facevano i con-
viti . Laojide uGvano di tarlo crefrere j in-
naffiandolo Col vino. Scrive Plinio lib, ii»
cap. I. in Licia elTerne rtato uno 5 cavo nel
tronco in trmi di cap.ini^a , il cui vacuo era
di S I . piedi ; tutto dentro veftito di pomici «
e pur verdeggiante ancora : tì?A qual luogo
Licinio Muzjano, tre voice Confolo» rice-
vè a cena, e a dormire mo'to comodamente
diciocto imici • Odiano qued* albsi ò i Fran-
zefi, comefcriveilRueiiio ; per la qual co-
fa in Francia rochiflimi fé ne veggono , né
da quelli popoli fi fa il nomr, e la natur.ì fja •
Perchè abbiamo detto efi'er fimbolo degli
oziofi , era molto nto a cant=>re gli amori , i
quali per lo più nafcono , e fi nucrifconodel-
l'ozio. O fé pur là fi trattavmocoft'di fcien-
ze, quafi che ivi fi fìrmaHe una fcuola di
lettere , ben fi conveniva , perchè ^x^^''
fignifica Olio,
Car. 5. |. Ji. Con pia brtvt f 'Onde) Rìfpet-
toal platano > che ijrghinìma latien?.
Car. 3. 1. 32, V alhtro di (he ìirccU e" )
O 6 Cii-j
)24 , ANNOTAZIONI
Circofcrizione del pioppo, di cui Virgllia
tìclV Egl. 7 V. 6i.
Pcpulur Alcida gratijjima ,
Quefto in molti luoghi d' Italia fi chiama ^i'
hfro , e fi legge nell* Arioftocan. i. ftan2a25.
Cofi un gran ramo d"* albero rimondo .
e forie potrebbe dirfi , che qui non fode cir-
cofcrizione > come abbiamo detto , ma chia-
mafìe il Sanazzaro ancora il pioppo con il ce-
lebre nome di albero. Nel Regno di Napoli
fi dice cbiuppo da' Cavajuoli , della qual voce
fi fervono poi nel Carnovale i faceti a far con
le mar^here rider le genti , contraffacendo i
Bergamafchi j o i detti Cavajuoli. inTri-
vigiana '^'«/p^»^ il nominano. Di quefìo Er-
cole fi coronava • e però ftimavano , che a lui
forte con fecrato, come ben ne recita la fa-
vola il'Porcacchi fopra quefto luogo . Ma
pofeegli malamente 1' oppio per io pioppo ^
forfè ingannato dalla fimilitudine della vo-
ce 5 emoftrò di non fapere , che l'oppio è
albero dal pioppo differente, éicì cuifucchio
a fa bevanda per far dormire j e dormendo
morire, a chi non puote digerirlo. Scrive
ilmedefimo, e prima di lui Plinio, cheque-
il' albero non fa ombra : il che tutto difdice
a quello ch'oggi fi ferva j di piantarne nelle
flrade ruftiche per om-bre'jgiarle» ed è con-
trario parimente alla intenzione del Sanaz-
zaro , il quale va defcrivrndo il fito con que-
fte piante , per moftrarlo ameno per lagra-
tiffima ombra loro, ma s* egli non faceffe
ombra, a che detto avrebbe Virgilio nel ic
dell' Eneida v. 190.
V optile a f inter frondis ^ umbramque forO"
rum ec.
e nel 2. della Georgica v- 66.
DEL MASSARENGO. ^25
Fr^xinuf y Hiirculeaqut arbos umbrofa cq'P"
na y ec.
ed il Fontano :
Ahaque prstexit vi fi de s ti hi pcpn/nf vmhraf ,
Car. 5.1. ult. Nel cui pcdalg le mi fere fi-
gliuole di Clintfnf te- ) CJimene fu figliuola
dfclP Oceano, mìtitnta nel Sole» del quale
ebbe Fetonte 5 Fetufa , Lainpetufa, e Ja-
pezia ; a'tii dicono 5 Fetufa 5 Lampezia,
ed Egla . Le quali piangendo in riva al Pò
Ja morte del fratello > furono cangiate in
pioppo , com2 fcrive Virgilio nel fuddetto
verfo :
Popuhaf Inter frondìt , ec»
benché il medefimo da fé ftefTodiverfo nel-
V Egloga 6 V. 62. in alni , detti altrimenti
finixv , le (limi trasformate :
Tum Pbaetbontiadaf mufco circumdat amara
Corticis , atque f*lo prorerar eript alnos ,
Sì avvertifce però, che il Snoazzaro ha detto»
le figliuole di Climene 5 e non le figliuole del
Sole loro padre , perchè il Sole ebbe altre fi-
gliuole da altre Ninfe , come Dirce , Circe >
Oeta , Pafifae, Egina, ed altre.
Car. 4. 1. 2, Ncderofo cajlagno , ) Scrive
Plinio nel lib.;;. cap. 20. Quefto albero ama
terreni arenofi , leggieri , ed umidi , ma
aflai il tufo , benché fia in fito ombrofo j Set-
tentrionale» e freddo : ricufa per Io contra-
rio ogni forta di terreno graflo , e fruttife-
ro . Si femina il fuo frutto in folle picciole ,
a cinque a cinque per fofla » e fi propagina >
nudandolo intorno alla radice, ediftcnden-
dfo tutto il tronco in terra » perchè , dalla ci-
ma rigettando » s' abbarbica a ufanza di vite )
onde più piinte a un tempo fé ne fanno ; ma
trapiantate io altro luogo fi feccano ; però è
4we-
r-5 ANNOTAZIONI
meglio feminarle : ed èbuoniflimoi far pali
per le viti , sì perchè dura graa tempo > sì
anco perchè è più forte i ed ia pochi ariai
crefce ; il frutto è di grandiflimo nutrimei-
to , del qual foìo vivono la miggior parte de'
montani, confervandolo tutto l'anno dalla
putrefazione con mefcolarlo tra' garigli di
Doce mondati..
Car. 4J.?. Ilffoniutoboffoy ) Fronzuto»
perchè non fi trova albero più fpeOTodi foglie
di lui . Il Pontino :
IrjJue <i? inter.tum buxo frondente gnterunì.
Per Io che fé ne filino bellilTiin:' topie » e fie-
pi nei giardini ; e perchè fiano più folte , fi
tofano . Ha le foglie crcfpe ; onde da' Posti
glivien dato l'aggiunto di crejpato ^ e (re»
fiatù ; né mii gli cadono : per un t^m^:i
mantengono il co'or verJe j poi diven^:',ono
gialle» e rendo o tanto grave odure , che
in alcuni luoghi h^nno infettato 1* aere. Il
fuo legno non invecchia mai , non intarla»
non iiU agìlla» e per vento che foffj > non
faftropito di foglie, onde vien detto albero
di fileniio , come per contrario fu detto gar*
rulo il pino „ da Nemefiano nell* Egl. i.
)> V. 30.
j> — — ftd j nobh ne vento garrula pinuf
j> Obfirepat y has uhnot potiuf fagofve peta-
ma piuttofto devrebbe dirfi albero canopo ,
facendofene flauti foaviffìmi . L' amano i
tornitori , per far palle , vafi , bolToletti ,
pettini, ed altri diverfi idrumenti . L' Ai-
ciato ne' fuoi Emblemi l' aflTomìglia agli
amanti: perchè il vero amante verdeggia
fempve ppr il caler vivace d'amore , che
lo mantiene fempre pallido , conforme a
quel
DEL MASSARENGO. ^17
quel detto ; Omnit amam paHidur ; e nel
pulare? e nella voce, e nel canto fi fcuo-
predolciflimo» eroaviflimo, come i flauti
fono di qiK fi' albero fatti: di cui difTe T Au-
tore nel Procni. car. 2. Li ttrft e pregiati
kojft ^f* muftì i , I verfi dell' Alciato fono :
Perpetua viri /ti i , frifpot/ae cacumi ne buxur ,
Vnde tfl éiifp^ribtdf fijì'xla fatìa modis ,
Dtliciif apta e fi , temris ^ am.natihus arbo^,
P/jJ/or imfi illi : pallet ^ omnìr amant ,
Daquefto illimarono alcuni» eH'ere il me-
defimo che il mirto, facratoa Venere , det-
to da' volgari martello ^ e meglio monella,
o morfina ; ma s* ingannano grandemente »
non fapendo la d; finzione tra 1' una pi.inta ,
e l* altra : leggano Plinio, e conofceranno
il loro errore . Bea è vero che , in manca-
mento di morfina 5 fi fervono le donne del
boiTo indorato , con lettere fcritte fu le fo-
glie, o cuori, o altre invenzioni, per mo-
ftrare rarnmirtellato cuore : ma non fegue ,
che perciò fia il mirto quello . Dal nome di
quello albero, ch'ivi era in copia, e detto
Bujfeto un camello fui Parmigiano, famofo
per la Dieta in quel luogo fatta tra '1 Papa >
r Imperadore, e il Re di Francia.
Car. 4. 1. ^. Con puntate fcglie h ecceìjo
pino ec ) Benidìmodefcrive il pino : elio ha
le foglie fi mi li a' capegli , e puntate , le qua-
li mai non gli cadono. Della cui natura ft
fcrive , che ncn fiorifce , ma Tempre fa frut-
ti ; e tre frutti gli aifegna Plinio , i quali na»
fcono l'uno dopo l'altro, di modo che fem-
pre ha frutti . L' ombra fua è pcricolofa , ed
alle erbe nociva , nonio fé per natura della
pianta , o perché , cadendo i frutti , le pe-
iìano . ma fo bene > e^Ter cofa da pazzo il dor-
mi-
?18 ANNOTAZIONI
mire allafua ombra, per il pericolo de' c.t^
denti frutti , dalle cui inavvedute percofle
talora èfeguita la morte* Ma tornando al
pino 9 tagliandoli la cima ( come anco la
palma) non £i frutti : ma, tagliato nel tron-
co > non pullula-, anzi del tutto muore, on-
^e è nato proverbio, che fi dice : Dijirug
gere ima famiglia comi il pìno\ cioè ruinar-
Ja sì, che più non ne nafca germj. E' f a •
ciliflimo a fvellerfi o per vento 5 o per for-
za che gli fi faccia > perchè non profonda
con le radici, mafta nella terra fuperficia-
le, e di ciò uioftra Suida Tefempio d* un
poeta Greco nel fuo Vocabolario, che in
volgare cosìfuona: Egli fa ejìirpato aguìfa
V/ pino , e gittate in mare, a che medefi-
mamente fi deve credere che rirairafle Vir-
gilio nel 5. dell' Eneida v. 448.
Concidit : ut quondam cava corjcidit aut
Erymantbo ,
Aut Ida in m<igna radi cibiti eruta pinus .
La quale verità fu beniffimo confermata da
alcuni Epigrammi di Zelote poeta Greco,
i quali nel 1. libro dell'Antologia fi leg-
gono: e fono citati n.!?. libro della difefa
di Dante cap. 8. per ifcoprire un' errore
deir Ariofto nel can.2.1. flanzaió il qua-
le difle del pino quel che Virgilio detto ave-
va della quercia : che tanto è radicata fotto,
quinto s'alza e. n rami fopra la terra:
ATe- fia sì duro incentro Borea il pino
Che rinnovare ha pia di cento chiome )
Che y quanto apparfuor dello fcogUo alpina ^
Tanto fotterra ha le radici , ec.
e Virgilio nel 4. deli' Eneida v. 442.
Ac velut anncfo valid&mcum rohore quercum
Alpini Borea num hin( , nuncflatibus illinf
Erue^
DEL MASSARENGO. 5^9
'Ertierg inttr f< cenante itfiridor\ ^ alte
Confttrnunt terrnm concaio Ji'tpite f''ond€S \
Ipfa baret [copuli i : C? , quantum tertice ad
aurat
j^iberiat^ tantum radice in Tartara tendit ,
Da che fi vede, non aver letto forfè T A«
riufto Teofrafto nel 3. della Natura delle
Piante; dove dice , che il pino, ed il ci-
preflo hanno le radici fuperficiali , e nel 3.
delle Cagioni delle Piante, ove replica il
niedefimo j foggiugnendo 5 che perciò noti
n deve in alcun modo innaffiue intorno alle
radici ; parole molto bene fpiegate ivi dal-
lo Scaligero. Ma lafciamo quefta digreflio-
ne . Ha proprietà il legno del pino , che non
vien confuniato dalle tignuole , e Te fia fepoU
to fotto terra jpofcia allagato , diverrà Tem-
pre più duro , fenza putrefarfi giammai : ma>
fé fi lafcia fopra terra , una piccioli pioggia
il corrompe. Veni^^mo alle favole . Della
confecrazione del pino ritrovo diverfe opi-
nioni fra gli fcrittori . Alcuni difTero , eh*
egli era confecrato alla Dea degl'inganni,
dagli antichi chiamata Lavtma ^ equefio,
perchè nafce in luoghi chiufi , e riporti . Al-
tri lo confecrarono a Pane, conforme alla fa-
vola raccontata inquefto luogo dal Sanfovino;
eperòdiife Properzio nel iib i.EIeg.iS.v.ic.
Faguf , & Arcadia pinut amica Deo .
td il Sanazzaro nella Profa io. car. 92. fa di-
nanzi alla fpelonca del Dio Pane un bofco di
pini, tra'quali uno era altiffimo , e fpazio-
f o , da cui pendeva la fampugna , dice egli
più baffo, car. 94. Dinanii alla fptlunca por ^
gfta cmbra un p'm altijp.mo > t f!^X.ìcfo , ad
vn ramo dtl qualt una grande e htlla fampo-
gna pendeva , Altri(equefia è la piiì comu-
ne )
3^0 ANNOTAZIONI
ne ) io (linurono facro a Cibcle , midre degli
Djì . CosidKTe ella appreflb Virgilio nel 9.
deii'Eneidav. 85.
Pinea fìlva mihi , multof Jilefla per annof .
ed Ovvid. nel lib. 10. delle Trasf. v. 103.
.. — birfutaque vertice pinuT j
Grata Deum matrì ,
e la cagione di quarta confecrazione è 5 per
efler in quello trasformato Ati , da lei ama-
ti fli ma ; di cui fcriveOvvidio nel io. la fa-
vola in tal modo. Innamoratafi Cibeied' Ati
Frigio, giovanebelliffimo, oprò tanto, che
1' ebbe a' fuoi piaceri , e godutolo , fi fece
promettere di non congiugnerfi mai con a^
tra donna. Mi divenuta fieramente accefa
delle bellezze di lui Sangarida Ninfa , feppe
sì ben fare con doni , e preghiere , che di lui
faziò le amorofe fue voglie ; onde la Dea ac-
cortafi della rotta fede , per opera di Mege-
ra lo mife in tanto furore, chetagliatiS i
membri genitali , d'un monte fi precipitò.
Ma rincrefcendole in quel punto Ja merce
dell' amato giovane , per aria il fortenne con
i capelli , ed unite le gambe in un fol tron-
co , l'allungò con radici fino a terra; e de*
capelli f.'ce le verdi foglie, per Jequaìié
flato detto da' Latini capìlUta pinu^ , e da
Ovvidio hirfuta . Dal nome poi della D a fi
chiamò Cyhehia , e Be^etyntbiaca . A Itri di-
cono, cheCibele avea fatto quello giovane
fuo facerdote , con patto che fervaffe cafticà
perpetua; ma avendo violatala carità con
quella Sangarida , fcrive Catullo , che bev-
ve l'acqua del fiume Gallo di Frigia, per
la quale entrato in furore gli pareva , che le
cafe , i templi , le città , e le piante gli rui-
nalTero fopra . cosi afcefo fopra un monte,
ed
DEL^MAS^ARENCxO. rt
ed ivi callratoU , in precipizio riiinofómenrc
fi diede . Altri dicono , che la Dea ftcfla per
geiofu gli Cigliò i genitali , a ufanza di j-?ai-
li ; onde poi Galli furono detti i Tuoi facerdo-
ti . Per queda amputazione dunque de' geni-
tali la pianta uon produce intorno alla radi-
ce prole alcuna : di modo che tagliato lui,
non è Iperanza d'averne la fpecie , fé non
fi ritorna a feminare; ilchediede occafione
all' Alciatodi pigliarlo per (imbolo di quel-
li che muojono lenza figliuoli :
At picea i emittat nulkf que^Jìirpeftolomsy
IHiuf ejì index qui ftm prole perit ,
E' (lato il pino molto atto ai canti de' parto-
ri , fino a tanto » che ì' hanno fatto parlare s
erifponderealle foavi note. Virgilio nelP
Egloga 8. V. 22.
Manalus argutumque nemuf , ptncfque lo-
quentis Semper hahit .
ed un altro lochiamo kquace \ ed il Sanaz-
zaro nella Profa io. car. 91. Quando il mondt
non era sì colmo di vi^j , tutti i pini che vi
trafjo , parlavano con argute note , risponden-
do alli amorofe cnni&ni de'^ pafiori . e più baf-
fo Car. 94. «"^ ^ fama che , mentre ccfiui can-
tava ^ i cirronftanù pini movendo le loro jcm-
mità gli rifpondeatto . ed in altri luoghi , eh*
io taccio per brevità , parendomi per ora
detto a baftanza del pino .
Or. 4 1. 5. L^emùrofo faggio y ) Virgilio
nel Culice v. 139.
Ufnhrof^qae manent fagu: , ec.
ed il Petrarca :
Tum frondofa ingent ramìt alti ffima fagu f »
Del faggio abbinmo fcritto nel Proem car.
^c2. fopra quelle parole: Vergate nelle ru-
vide urttecii de* faggj j e ne diremo nella
Pr.4.
^3z ANNOTAZIONI
Pr. 4. car. 19. U» nappo nuovo di faggio ec.
Solo qui avviferò , efler òtito faggio oiiro loù
^Àyw , cioè a eomtdendo ; perchè fopra tut-
te le ghiande la fua è dolcillìmn a mangiarfi ;
e però grata a' topi , ghiri, taflì , e tordi.
Data a' porci fa loro !a carne più facile a cuo-
cerfi, più molle , e più fana allo ftom^co.
Con le ghiande di figp.iofi fervaronodaiTaf-
fedio le geuti di Chic, come feri ve Plinio
lib. 16. cap.5- del qual cibofolo vivevano an-
co gli uomini dell' età dell'oro , come accen-
na il Sanazzaro nell' Egloga 10. car. 107-
Lf qua* per povertà d^ ogni altro «dulio ,
'bion già per aurea ttà ^ ghiande pafcevam
Ver h Ur grotte daW Agoflo al GiuUo ,
e perchè Giove è quegli che ci pafce , e nu-
tre,, al dir de'poeti „gli avevano i Roma-
ni confecrato un bofco tutto di faggj , dal
quale egli era detto Giove F^ge//<3/^ . II fuo
legno èutilea farfaette , come anco il mir-
to, di cui diffe Virgilio nel t. della Georg.
V. 446.
At fnyrtui validi f h.jfiilibur , ec.
Quefta voce dì faggio , come òeW* abete , ci-
preffo , ptno , e d' altri , apprello Latini (i pi-
glia in felTo di femmina, e da.' Tofcani fi
fcrive in fedo di mafchio ; con tutto ciò ieg-
gefi negli Afolani del Bembo :
Faggio , del mio piacer * compagna eterna ,
ApprelToaGiulio Cammillo il faggio figni-
fìca la fapienza 1 come il lauro l'eloqucn-^a .
Car. 4. 1, 5. La in-orruttihih figlia , ) I.,a
tigliaè albero non molto grande , notiflima
a* Francefi per farne feudi alla guerra bifo-
gnofi .
* j, Compagna qt** femhra detto per compa-
gnia. „
DEL MASSARENGO. 555
gnofi , Ha foglie, e frutti fimili all' edera;
come fcrive Plinio lib. 16. cap- 14- è di due
lorte , mafcljio, e femmina. Il mafchio è
odorifero , nodofo 9 e rofTeggiante con la
xorza alquanto grolTa , ed infleflibile : la
fen. mina è più grofla del mafchio, e di le-
gno bianco: fa fiore, e frutto, il quale non
è toccato da alcuno animale: non fi corrom-
36 ; e perciò la chiama incorruttibiU : ama i
Tionti , ed ècaldiflima ; perciò fcrive Giu-
io Capitolino , che Antonino Pio, effendo
ranto vecchio, che reggere non fi poteva,
maffìmechedi pofitura lungo, fi fafciava il
>etto dentro aflì picciole , e fottili di tiglia •
ìcriveil Porcacchiqui , che la tiglia ha le-
^noduro, contr' a quello che fcrive Plinio»
gli altri autori, però il fuo errore è ms-
ifeftatoda Ovvidionel io. delle Trasforra.
v. 92.
"Nec tiliae molle t , ec.
^a la tiglia fra la fcorza^ ed il legno certe
membrane fottili , delle quali fi fmno lega-
rli, dette tigli e ^ ma una fottililTima fra I'
iltre chiamata //-r<», della quale fi ferviva-
\o gli antichi Tofcani , per far naftri , o
ìocchi alle corone, ederacofadi gran pre-
gio, però didc Orazio nell' Oda ultima del
lib. 1.
Difplicent ftexa phììyra corona ,
Car. 4. 1. 6. E ^l fragile t amari fco , ) Ov-
vìdionel %- df A'te Amandi v.691.
tiec Jenfa foliis buxi , fragile fque myric^ ,
Quanto fi fia abbagliato il Potcacchi anco
n quello luogo, ciafcu.i fel veda . Scrive
3gli , il tamarifcodi cui parla ilSanazzaro»
ilT^r albero infe'ice > perché non fi femina>
aè fa frucco: efler umile, e di rami quaù
cu-
2^4, ANNOTAZIONI
com3 il rofmarino: confermando la Tua oj>i^
«ione per la paroìafragUe , porta a differenza
d' un' altro tamarifco ♦ chenafcein Ar:>bia,
duro , e forte . Né fi avvede egli , che , in-
tendendo di qu: (lo, fi fare tre errori al Sa-
nazzarodi non poca importanza. Uno ^ che,
cfTendo la fua intenzione ( com^ abbinma
un'altra volta mortrato ) di defcrivere uti
luogo del iziofi (limo , ed atto a' piaceri, fa-
rebbe vizio grande il mettervi alberi infe-
lici, come dice egli eflere il tamarifco . L'
altro , che ^ facendo quefta defcrizione d'
alberi per moilrar con loro P amenità del-
l'omSra, alla quale vuole introdurre i pa-
llori cantanti 1 annoverale fra quelli un'al-
bero che non fa ombra , per la faa baflezza^
Il terzo, che, intendendo il Sanazzarodel
tamarifco frutice , male avrebbe fatto a met-
terlo fotto nome d'albero, accompagnan-
dolocol pino, faggio, tiglia, e palma, che
alberi fono . A quefti tre errori fé avefTc
il Porcacchi attefo, certo avrebbe un'al-
tro tamarifco defcritto. Per ifcoprir dun-
que l'intenzione delT Autore, e P errore
di M. Tommafo , diciamo con Plinio nel lib.
15. cap.2i. il tamarifco, effer di due forte,
un falvatico ,<letto^r^/j' , e da' Latini con vo-
ce greca fnyricey il quale fi chiama infelice^
perchè non fi femina , ne fa frutto, ed è di
grandezza del rofmarino. L'altro èdomeftice
detto veramente ^'«w^''''* in Latino, ed ét^-
fnarìct y o tamarisco in Italiano : il quale fa
un frutto di legno, maggior della galla; e
nafce alto al pari degli altri , facendo con /e
•fue fpefie fogliette graziofa ombra ; e di que-
llo intende il Sanazzaro : I' unoel' altro è
lÉilejnofra^il^j di fogli? ftrette? carnofe,
DEL MASSARENGO. 3^
celie mai non gli cadono: ma quello filve-
flrc è in ufo fole per fare fcope ; di quefto do-
mellicc fi fanno nappi , tazze» corone di de-
voziv^ne j ed altre cofe, ed è utiliflìino cen-
tra la milza : però in quelle tazze fi dà a bere
a chi patifce quel male .
Car. 4. 1. 6. L* cricntale palma y ) Dice
criititale y non perchè non ne fii altrove,
ma perchè abbonda molto in quelle parti , e
l'ufanoaflaifTimo, facendone vino , ed alcu-
ni pane; di modo che l'ifteflo fruito iolo gli
mantiene, appreftando loro pane e vino, e
cibo agli animali quadrupedi . Scrive Plinio
nel 1. 15. e. 4» eiTerdi due forte ( come mol-
te altre piante fono) m.ifchio , e femmina :
ed amai fi canto ardentemente fra loro , eh'
una non può (lare fenzal' altra, e fé non
fono tanto vicine che o con li rami fi tocchi-
no , o fotfi.ìndo i venti , ne vada l' odore dell'
una fopra l'altra : fé fi pianta una fola fpe-
cie, farà femprefterile fino eh' abbia la com-
pagna : e fé, mentre fruttano, fi taglia il
mafchio , o la femmina > 1' altra fubito fi
fd fterile j fimbolo vero del matrimonio . pe-
ro fcrive AriHotile , che congiugnendo i
femi dell'una edell' altra, quando fi femi-
nano» fanno un fol tronco, il qual è ma-
fchio , e femmina : così erefcendo , fono
profperiflìme , e co' rami I' una V altra s' ab-
bracciano in forma di catene , o teffute reti .
Scrive Achille Tazio cofe di maraviglia dell'
amore, e libidine di quefte due piante , nel
file del primo libro- Ama (dice egli) '/
$/f ripèto tanto la femmina ) chf , fé fi [emina
(do , 0 tanto lontan$ , che mn nt pojfa jen^
tir /' o^orf , fi fecca , Laonde gli agricoltori
(h ^anno la ftat natura , afctndtndo in ««
luo^
336 ANNOTAZIONI
tucgo etninente , ojfcrvano in qual parti fi pie.
gbi {^perchè fempreji vo/ge verfo l"* amata fé m-
mina ) e csncfciuto il male , gli fanno un ri.
mtdìo tale ^ che ^ pigliato un rnmj di quel in
femmina , gliele piantano nel bel me^io de
rami , o in un fejfo nel tronco : per la qua.
congiunzione fi vede palesemente , movtrfi quel-
la pianta per allegrerà , e ri crear fi talmen
te , che ritorna verde y e fa frutto . Lungc
farebbe dir tutto quello che della palma f
fcrivej attefochè ve ne fono di 49* forte
come teftilìca Plinio; ma diremo folo di quel-
la più nobile > e cbe è più conofciuta da tat-
ti } della quale credo che intendefTequi il no-
ftro Sanazzaro . Sifemina piantando quells.
dura midolla 5 o anima che (la nel fuo frutte
dattilo : nà fola fi pianta , perchè non nafce-
rebbe , o nata farebbe di poca vita ; ma due :
o quattro infieme . il terreno deve elTerca-
Jido , arcnofo, e prefTo 1* acque , perchè ere
fca generofamc^nte . Fa i rami folaraentc
nella cima » e gli fpande a guifa ài dita , for-
mando una mano aperta » onde è detta palma
cht mano (igtiifica » ed il frutto dattilo , voc€
Greca,che dito in Latino s'interpetra.Le fue
foglie fono fimili a tagliente fpada > ma feOe
da un lato ) che pajonoduej fempre verdi j
e che mai non le cadono» ancorché fi fec-
chi . II mafchio fiorifce ne* rami :' la femmi-
na > fenzafiorffe, germina a modo di fpina
ila centoanni a far frutti ; però dicefi in pro-
verbio: Chi la pianta y non n? gujìa , Ha il
frutto non tra le foglie , ma fragrami, dol-
ce 5 carnofo» ed utiliflimo a diverfe infer-
mità . Delle fue foglie fi fanno ceftelle , ve-
^i ( quale fu quella di S. Paolo primo Erimi-
|:.a) funi , fedie > ftuojei e le^anfi con effe le j
viti
DEL MASSARENGO. 3^7
viti a' pali in paefi dove n' hanno copia . Ul-
timamente r albero fa fcala a feftefTo, per
falirvi fopra j con certe fogliette , di cui è
comporto tutto il Tuo tronco , il quale non ha
fcorza ) né midolla .
Car. 4 1. 7. DoUe td onorato premio de*
vincitori , ) Ritrovo, la palma effere ftatat
fimbolo di pila cofe, come diverfi anco u'
hanno fcritto ; di guerra , di fortezza 5 di
libine , deir anno , e della vittoria . Di
guerra e di fortezza, perchè ficcome è pro-
prio della palma nel pefo levarfi in alto, cosi
è proprio della guerra , nelle ferite, e pref-
fure invigorirfi ; e della fortezza, il dura-
re nelle awerfità, vincendo con la coftan-
za, come vince la palma, levando in alto
ogni pefo che le fia attaccato . A quefto pro-
pofito fece un dottilììmo Emblema TAIciato :
fiititur in ponduf palma , & confurgìt i/t
altum j
Quo magit & premitur y hoc magt tolìlt
onus ,
Fert & odorata t helìarta duìcia glande s ,
Queit menfas interprimui hab'tur bonjf .
I , puer , Cir reptans ramìs has coll'ge ; mentir
Qui ccnjìant'f erit , pramia digna feret ,
Aveva finto queiringegnofiflìmo uomo una
palma co* frutti maturi > alli cui rami efTen-
dofi appigliato un fanciullo per coglierli ,
effa levatolo in aria , il teneva fofpefo , coti
gran pericolo di vita , fovra un fiume. Di
libidine , per 1* amor grande che è tra il ma-
fchio, e la femmina, e peri libidinofi con-
giugnimenti e' hanno infiemeco'rami , pili
che la vite con 1' olmo, o altri alberi; e
perciò fu prefoanco per T amor coniugale.
Dell* anno fu geroglifico, perchè ogni nuo-
lomQ I, P va
3^8 ANNOTAZIONI
va luna feun ramo> e quando ha dodici ra-
ini , è finito l'anno ; onde in alcuni paefida*
rami della palma fi contavaiìo i mefi , egli
anni . Di vittoria era fimbolo , perchè vive
feniprcj come la palma» che fopra tutti gli
altri alberi vive; onde fu detta iterna\ e
perchè non cede la vittoria a chi cerca di op-
primerla j come non cede la palma al pelo;
ciò lafciòfcritto Plutarco 5 eloriferifce Au-
lo Gelilo nel lib. 3. cap. 6. onde fu detta vin^
citrice ^ trionfale-^ e da Virgil. nel 3. della
Georg. V. 49. Olimpiaca , da' giuochi Olim-
pici, ne' quali, invece dell'antico olivo,
fi usò di dare a' vincitori in premio di lor va-
lore ; come ne fa fede qui il Sanazzaro ; anzi
i trionfatori portavano in trionfo una verte
di palma , che palmata fi diceva, e palma
fignifica la vittoria ftenfa , come 1* ufurpò il
Sanazzaro nella Profa ii- car. 117. Ottefine
{ ficcome defidsrava ) la prima palma, e Vir-
gilio nel 3. della Georg, v. 12.
Vfimui Idumaas referam tibi , Mantua j
Palmas ,
Dipingevafi pure la Vittoria ancora ( come
la dipinfe Claudiano nelle lodi di Stilicene )
donna » con 1* ali forate , e con la palma ver-
de . Difle il Sanazzaro ^<?/r/, perchè la Vit-
toria fa piacevoli tutte le fatiche , dilettevo-
li tutti gli affanni, e delle ferite leva il do-
lore, eia memoria. Onorato y perchè quel-
la gli reca eterno grido, fama, ed onore;
onde diffe 1' Arioftonel Can. 15. danza u
Tu il vincer (empre mai laudabil co[a .
Car.4. 1. 8. Ma fra tutti nel meno y ) Col-
loca nel più degno luogo di tutti quelli alberi
il ciprefìTo , perchè in Arcadia era ài molt^
ftÀAia ; onde n* abbondavano tutti i promoii^
cor; ;
DEL MASSARENGO. 3^9
Torj; ed in particolare , del munte Cillene
fi legge, dell' Erimanto, e del Liceo; pe-
rò è verifimile 1 che nel monte Partenio,
ove era quello deliziolo luogo 1* averterò
piantato jiel bel mezzo, quafiche gli altri
intorno toflero a faa difefa , ed onore .
Car. 4. 1. 8. Prtffo UH chiaro fonte ^ ) Io
non focon qua! ragione prcfl'oun fonte de-
feriva il ciprenTol* Autore, fé il ciprelTo di
fua natura odia l'acque, come dice Plinio
lib. f6.cap. 18. Io per me non ho fin' ora che
mi ioddisfaccia rifpofta alcuna .
Car. 4. 1.9- Un dritto cìprejfo ,) Drlttif-
fimo nafce ilcipreflo; del quale fcrive Pli-
nio nel lib 16. cap. J^. efìer albero venu-
to di Candia; nel qu.jl paefe n;<fce tanto co-
piofamente , che non fi muove terreno ( fé
non vi fi emifia altro ) che Tubilo non vi na-
fca il ci/refTo ; e ne Teminano i hofchi , quili
c\ì\2im^no ^oti JelU figliuole ^ e mpori\ tanto
èil^ruadagno che ne riportano. Njfce con
gran difficoltà, e perciò dur:i anco lungamen-
te fenza rcderfi , ed inv< e chr-irTi : per lo che
fé ne fanno ca (Tette per coniervar le cofc pe-
ricolofe di tignuole. E'm.ifchio, ef-mmi-
na> ma la femmina fterile , ed il m.tfchio tan-
to copiofo di frutti, che tre volte l'anno fé
ne coglie ; il Gennajo ,il M.tggio, ed il Set-
tembre . Fa bacche rofì'eg^ianti , e nere;
ha foglie anicrt-e , di acuto odore ; è d'ombra
poco grata; odia l'acqua, il letame, l'ef-
fer potato, ed il terreno modo alle radici .
Tagliato non rinafce , eccetto in Ifchia ; e
però fu pianta facrata a Plutone Dio dell*
Inferno , nel quale chi entra non può riufci-
Tc . Quindi infilice fi chiamava , come tutte
l'alcre pÌ4tice facre agi' Infernali Dii ; che>
P % eia-
340 ANNOTAZIONI
erano quelle che i frutti , o bacche negre fa-
cevano ; era anco detta /«'«^/^^ > come la pi-
gna , ed il taflo , perchè ne coprivano le por-
te delle cafe ove era un morto ; e ne circon-
davano i roghi , non folo per la rimembran-
za de* morti, ma infieme perchè men gra-
ve fofle r odor de' cadaveri arfi . Virgilio,
Ovvidio , Plinio > Catone» ed altri fcritco-
ri ne fanno fede : ed il Sanazzaro nell' Eglo-
ga?, car. 75.
F fra ciprejji mi farete un tumuU .
Maunacofa mi fovviene? che 1' Alciato,
uomo dotti ifi mo > l'afìbmiglia ne' fuoi Em-
blemi alle cofe belle > ma di niuno utile ;
mentre dice:
Pulchra coma e fi , puhhro digeflaque ordU
ne frondei ;
Sed fruSiur nulìos hac coma pulchra gerii ,
quafi che il ciprelTo non faccia frutti ; e pu-
re atteftano Virgilio , Plinio, ed altri auto-
ri, che egli fa il frutto fimi le ai conio. Vir-
gilio nel 3 . dell' En. v. 680.
Aeriàg quercur , aut conifera cyparifft ,
Forfè intefel' Alciato del cipreffb femmi-
na , il quale % come detto abbiamo , non frut-
ta ; e non del mafchio , del quale iotefe Vir-
gilio ; e così fi conciliano i due luoghi con-
trari. Quelli che del fignificato delle erbe
ragionano, pigliano ìIcipreiTo per fimbolo
di doppio, o finto amore, cioè di uno che
il pie tenga in piiì fcarpe .
Car. 4. I, 10. Veracìjfwio imitatore delle
alte mete ^ ) Le mete erano i termini che
fi prefcrivevano a' curfori o a piedi, o a
cavallo , o fu le carrette ; le quali erano
fatte in forma di piramidi ; e tali anco era-
fio i coa.iiai i^ campi > 0 de' dominj ; or^
T>V.L ^T A SS ARENGO. 34»
fjcendo il ciprcflb i iuoi rami in guifa Hi
piramiàe , ha ddto occafione al Poeta di
chiamarlo veracijfimo imitatore dtlU alte fntm
te ; come anco alP Alciato di dire ne' fuoi
Emblemi :
Indicai (ffigtif meta , nomenque cuprejji ,
TreSÌ.jndof pari/i condttione fuof .
alludendo al nome di ciprejfo ^ che in Gre-
co vien detto da ^.u^iv iroipitsovi ) cioè ab
aqualiter pa*iendo , nerchè fa i rami egua-
li . Mete anco da quefta forma furono dette
quelle mafie piramidali di fieno > quali ne*
campi finno gli agricoltori dopo averlo fat-
to feccare al fole > da loro chiamate mara'
gnu ole .
Car. 4. 1. 11. Nel quale non (he Cipariffoy )
La favola di quefta metamorfofi è raccontata
daOvvidio nel io. in tal modo : FuciprefTo
belliffimo giovane di Cea , figliuolo di Tele-
io y e molto amrjto da Apollo : avendo coftui
perfue delizie un belliflìmo cervo , per ma-
la ventura un giorno 1' uccife contra ogni fuo
penlìero; che> mentre in vano avea mirato
con Parco ad uno uccello , la Getta cadendo
a piombo , il colte di ferita mortale. Della
cui morte addolorato Cipreflo , pregò gli
Dtiy che ficelfero eterno ii fuo pianto, e
fubito fu convertito in cir^fefTo , che Tempre
lagrima odorata pec* fuori del tronco • Ser-
vio riferilce quella favola alquanto diverfa >
dicendo « che fu amato da Silvano 1 Dio del-
le lelvc, e che inavvedutamente colendogli
da lui uccifa quefta fui cerva , fi diede in pre-
da tanto al dolore, che di pietà Silvano»
perchv.^ non morilTe , il converfe in un verde
a'berodel medefimo nome , che pur lagrima
ancora. Ma la prima favola è più famofa .
P 3 Car,
•j4i ANNOTAZIONI
Car.4. 1.13. Ne fono le dette piante ti dU
f torte ft^ ec. ) L* ombra piace a tutti, ma noa
tanto? che per Jadenfirà degli alberi fiaim-
. penetrabile : così AchilleTazio neli. iib.
circa il principio dice t Qvarum r^mì y atque
f rendei mutuo com>ìexu ita ftfe ntSìeb/int , ut
teSli fifom fortiftés pf ifjìarefìt : vtnhram qu'ine-^
tiam fui/ f^'ondfhuf pi^cr rtjtnxerat eo artifim.
fio j ut Las aliquct radii fcl-s modica pra^
tum iluftrarent^ cc. ed il m'defimo nel fine
pjr del detto 1. Iib. defcrivendo un giar«^
dine dice : Terra autem , quam- fuperìmpfn-
dtntes fronde s opacuba*,t ^ modo hic y modoil-
ììc illfiftrabattir ^ dum eaipfee fronde s ^ vento
ìmpulfa n varìantibut fo-'ìr radii s adttum pra-
btrent^ ec. Dove fi vede j che per non far
r ombra tanto fpefla ? vuol che il fole P al-
lumi per il moro delle foglie. Il Sanazzaro
ancora nel principio della Pr, ^.car, 15. dif-
fé : H non ofìante , che i fronzuti fnmhuchi
coverti di fiori odoriferi V ampia firada qunji
tutta occupaffero « il lume della luna era sì
tbiaro , che non altrimenti che fé giorno (iato
foffe^ ne mofirava il (ammìno ^ Il contrario
fece l*Ariofto nelcan. i. ftan. 37. dove fa
V ombra d* un cefpuglio tale $ che il fole:
non la penetrava :
'E la foglia c(>ì rami in modo è mifta ,
Che V foLnon v^ entra j non the minor vi fi a ^
Benché fi potrebbe rifpondere» effer detto
quefto non alToIutamente , ma con figura >
per moftrare una gran denfirà: pur mi pia-
ce > che fia detto con verità , e non finta-
mente > perquefta ragione: che avendo ivi
a dormire Angelica , era bene, che il luo-
go folTe tanto chiufo , e coperto , che né fo-
le > né vento j né pioggia potefle farle dan*
no '
DEL MASSARENGO. 345
no: attefo che ama il fonno le tenebre > ed
odia la luce . A che ebbs rifguardo anco
il noftro Sanazzaro nella Pfofa 9. car. 7S,
quando defcrivendo l'ombra d'una valle $
ove erano per dormir la notte vegnente »
dille : Tai che per le foltt ombre dt^ fr^n^u-
ti rami y non chi al/ora ( che notte era ) mjg
appena quando il fole fcjfe flato piò alto , fé
ne farebbe potuto vtdere il etelo : ma negli al-
tri luoghi per dove avevano a camminare
di giorno, o a cantare 1 giuocare > e fare
altri efercizj, per non dormire , fa che vi (I
vegga lume» e v'entri il fole,
Car. 4. 1. 15. Quivi in dive r fé ^ e * leggi e-
re pruove efercitarji : ftccome in lanciare il *
palo , ) Dice leggiere , perchè più deprez-
za, che forza, vi bifogna; e però difle nel-
la Profa II. car. 118. che Urfacchio non
puote lanciar molto il palo : Credendoli form
fé , che in cih folo le for-^e haflare gli dovef^
fero: il che non fece Montano, il quale po-
co più bafìTo , ivi: Aggiungendo alquanto di
defire\ia alla for\a , avan-^ò • di tanto tutti
gli altri , quanto due volte quello era lungo ,
Vedi tutti i giuochi pofti qui dal Sanazzaro
nella Profa 5. car. 34» e nella Profa n. alla fé-
poltura di Mafiilia.
Car, 4. 1, 18- Htllt fo^ti lotte , piene di ru-^
P 4 ftica^
* Se il Maff arengo aveffe letto ^ come nelle a »•
ti che e migliori E dizioni fi legge : non leg-
giere pruove, avrebbe rifparmiata quejla art"
rtct anione : ma egli avvedutofi delia contram
ritta ibe appariva in leg^frfi dopo leggie-
re^ ci^ chef*guey r/c^' in lanciare il grave
palo, lafcih fuori nelt* addurre quejio luog9
dell'* Arcadia la V9(t grave .
344 . AKNOTAZIOxNt
ficane injidie , ) UxQt forti , perché in quel -
Je fi prova la robuilezza del corpo . E le infi.
die fo o > come quella d' Urfacchio nella
Pro fa II. car 119. Cotnincil a fervi r fi dtUe
afiu^it ; t buffando in un punto il capo ce» e
più bafTo quel la di Selvaggio ufata con Ura-
nio nella lotta 5 car. 121. Ma Selvaggio mn
dirrnmicato dell* [uè afiu\ie , gli ditde col talh"
r,e dietro alla giuntura ec
Car. 4. 1.30. In cantare ^ ed in fonare U
fampcgne a pruova ) L'cfenipiodi quefto ab-
biamo neir Egloga 9* car. 86.
Dimmi y captar novello^ ec.
Car. 4.1. 3?. Ciafcuno varie maniere cer»
iando di fol'aiiare y fi dava maraviglicfa fe-
fia ; Erga fio fio , ec. ) Introduce Tempre Ér-
^ailo a ftar penfofo > mentre gli altri follaz-
zano , non per falvatichezza, mi talora per
paflione amorofa» come qui : il che fi cava
(dalie parole eh' ei dice di Te fteflb nell' Eglo-
ga I. car. 6.
Che penfando a echi che ^l cor m^ ha lacero^
Divenuto un ghiaccio ■i ec.
€ taleeraanco Sincero nella Profa 7. in mol-
ti luoghi , ma fpccialmente a car. 57. Niuna
ccfa m"* aggrada , nulla fefta , né gioco mi può
non dico accrefcere di Iettata ^ ma fcemare deU
le m'ferie ; ec. Talora per doglia della madre
perduta, il che lo coihinge anco a lagrima*
re : come nella Profa 5. car. 40. Alia melo-
ili a della quale Erga fio , qua fi con le lacrima
fu gii occhi y cosi aperfe le labbra a cantare,
e nella Profa II. car. 112. e 113. Non rima.
fé peri che con attenzione gr andt jfma non fo[-
fe da ciafcuno afoUata , altro che fé frfe da
Ergaflo : il quale mentre quel cantare duri ,
in una fjfa^ e lunga cogitaci ont vidi profn^
DEL MASSARENGa.^ ?4?
damente occtpato . e poco fotco fcrìve del
medeiìmo : Ed aìU volte mandando fuori al*
(unt rart lacrime , ec.
Car. 4.1. :?6, Ergafto folo^ ) Ama il mi-
fero amante le folitudini , per meglio isfo-
gare il Tuo dolore; però dice nell' Egloga w
car. 6.
Non truovo tra gli ùjfanr,i altro ricovero 9
Che di federmi fola a p'V d^ un^ acero ^
D^ un faggio y d^ un* abete , ovver d"* un
[«vero .
e nella Profa 6. car. 4^, Mi era gittate a pie
d* vn"* albero , dolore fo e fcontenttjjimo iltra
modo : e nella Profa 7. car. 56. Fuggendo ta^
lora io dal conjorxio de'^paficri , per poter tne-^
gUo nelle folitudini pensare a"* miei mali , ec.
e Carino nel'a Profa 8. car. 68. Errando per
l)(fcbi jertia fentitro , e per menti afprijjìmi ^
t ardui , ec. e non foiamente era folo col cor-»
pò, ma con l'animo, e penfiero j peròfie-
gue {Dimenticato di fé y )e nella Profa 11.
car. \i^. A modo di perfona alienata : ec.
Car. 5. 1. I. Dimenticato di fé , e //#' fuo£
greggi ) Quindi è che lo riprefe Selvaggio
neir Egloga i. car* 5.
-- -. oimè , cb€ mal fi la f ciano
he pecorelle andar a hr ben placito .
ed a quefto rifpore Ergafto car. 6.
Come vuoi che '/ projìrato mio cor ergafi
A p>ner cura in gregge umile e povero ^
Cb"* io fpero che fra"* lupi an^i difpergafi ?
e Carino nella Profa 8. car. 67. Della qualco»
fa io poco curandomi , ec.
Car. 5. l. 5, Del cui mi fero flato Selvag-
gfo mojfo a compattine y ) Officio in vero di
buon amico l*avcr pietà delie miferie altrui 9
comerallegrarfi nelle contentezze : tale era
P 5 l'ama-
946 ANNOTAZIONI
1* amata di Carino nella Prcfa 8. car. 67. La
quale poco avanti blanda , amic'jjlrna ^ e di
Piti piaghe psetcfa , qua(i per compa^one pian-
gere veduta alea : e Selvaggio neli' Egloga
j, car. 6.
Per maraviglia ^ pia C:b^ un fajfo indurofnt ,
(£i quefto diremo nell'Egl. 12. car. 144. fo-
pra quelle parole :
— -- cP io giti tutto commovo mi \
Tanta pietà il tuo dir nel petto e [alami .
Car. 5. 1. 6. Ver dargli alcun conforto y )
l>Joii folo amichevolmente con^figliandolo 9
o facendogli fperar bene del Tuo amore > ma
per dargli conforto , cioè alleviamento al
dolore : il che fi fa operando che sfoghi l'ap-
pafllonato cuore con difcorfo • Cofa che mol-
to volentieri fanno tutti quelli chel' animo
tengono di gravi penfieri oppredo, paren-
do loro di alleggerirli alquanto , mentre pof-
ibno con gli amici palefare i fuoi affanni . E
fé bene ricufava Sincero di far quello nella
Profa 7. car. 50. Avendoli a raccontare ora che
in maggi'^.re moleftia mi trovo ^ mi faranno ac-
fref imento di pena , e qua fi uno inacerbire di
dolore alla mal f/tldata piaga ; che naturai-
imente rifugge di far fi fpeffo toccare ; fi rifol-
Te però di raccontarli, perchè /<? sfogare con
'parole ai miseri fuole alle volte ejfere allevia-
mento di pefo ; e di (Te V Autor noftro nel
Sonetto :
L^^jfo y quahr fra vaghe ec.
Nuovo j e frano piacer fol di doler me
Nel cor venir mi fuol > quando in altrui
Di [cerno del mio mal tanto cordoglio ,
EGLO-
DEL MASSARENGO. 54?
EGLOGA PRIMA.
Car. 5. L li. Ergafto mio ^ ptrchè folingo j
e tacito ec. ) Dovendo il Poeta noftro trat-
tare ragionamenti ruhci? e paftorali » era
necelTario , eh' egli conforme all' umile ma-
teria , ritrovafle anco verr.> umile , e bafio ;
e perchè ilverfo, quanto più corre, tanto
più vien languido, ficcomj foftenuto 5 gra-
ve diventa ; immaginoifi all' ufanza de'Gre-
ci inventori di rufticani poemi , non pur ufar
voci di niuna gravità, ma nel fine anco del
verfo, ove confile tutta la gonfiezza per la
cadenza lunga , ufar parole fdrucciole . Nel
che tanto più fi compiacque, quanto vide>
da' Latini elTere a quarto fine ftato offerva-
to di porre nel quarto , e quinto luogo de*
verfi Bucolici i Dattili: come Virgilio nel-
]' Egloga I. V. ^.
Af(// patrie finii y ^ JuUia liftqutmuJ afta ;
tiof patriam fugimuf. tu y Tityre ^ lentuf
in umbra ec.
ed in mille altri luoghi, eh* io tralafcipi
per non far cumulo d'autorità in cofa chiarif-
fima. Ora inqueftaforta di verfi Sdruccio-
li , benché primo inventore, quinto feli-
cemente componede , ognun fel vede \ che
forfè alla Tua perfezione niuno dopo lui ag-
giunfc giammai . Madi quefto affai . Quan-
to alle parole poi dette da Selvaggio, fi ve-
de 9 che volendolo confortare , uu i modi del
medico, effcndo egli il primo a interrogar-
lo del fuo male, con pigliar occafione dal-
lo ftar fuo malinconico , perchè venga a con-
feffare il fuo male : e qui potrei moftrare un
grande artificio di qucfto Poeta, ma mi ri««'
P 6 fcr-
•4^ ANNO TAZ IONI
ferbo di farJo in altre fatiche fopra quefl'
Op-n .
Car. 5. 1. 14. VeM quelli che ^Iriovafcan»
do pajfano y ) Bellidìma vaghezza rende qui
il deferì vere le diverfe azioni di quefti ani"
mali , come ben la conobbe > ed ofleivò Vir-
gilio nel Culice v. 50-
Tondentur tent^o viridantia gramìna morft4 :
Ptndida projeSlif carpuntur 6f arbuta ratnìs \
Den[aqut virgulti i avide labrt^fca petuntur ,
H<ec fttfpenfa rapi e carptnte i acumi na morfu
Vel [alici f lenta , vel qua nova na(cituf alnus ,
Htsc teneras fruii cum ferite i rimatur \ afilla
Jwminet in rivi prajìanttf itnaginis undam ,
Ma meglio fu imitato Virgilio dal ncdro
Autore nella Profa 5 car. 56. Ma le pecore^
e le capre , che più di papere , che dt ripofar-
p erano vaghe , cominciarono ad andarci ap-
picciandoper luoghi inaccejftbili , ed ardui del
falvatico monte , quale pajcendo un rubo > qua"
ie un^ arbore elio ec.
Car. 5. 1. 15. Vfài que^ duo montcn ^ ec. )
Tocca molto giudiciofamente la guerra de*
montoni nella primavera, pereflere il fole
in Ariete , nel qual tempo quefti -inimali piti
che in altro dell'anno fi rifentono.Così quan^
do il fole è in Tauro , i tori j in Caiic^o, *
granchi ; in Leone » i leoni ; in Scoi pio , gli
fcorpioni ; ed è cofa nota , come anco è noto ,
che da queda regola prefero gli antichi Filo.;
fofi coftume di formare immagini di fcor«
pioni, mentre il fole era in quel fegno, ed^
quelle valerfene con gran forza in molte oc-'
correnze; così di leone, e d'altri . Ma la gio-
irà così leggiadramente dal Poeta deferir-
la di quefti duo montoni mi dà campo a dire ,
che fé è vero, come pur veriflìmomi pare>
che
\
DEL MASSA RENGO. ?4^
c!ie dagli animili irragionevoli molte , e
molte cofe abbiano gli uomini apparate; li
può dire, che da' montoni, e da' tori che
infieme accozzano , fia inventata la gioftra :
e che faviamcnte abbia i' Anodo nel i. Can-
to , danza 62. iifata la comparazione de' leo-
ni , ed?' tori per moftrar la fierezza di duo
cavalieri combattenti :
Tion fi vjft'iO i Itoni y 0 i tori in faUo
A dar ai petto , ed accecar si crudi ,
Ccmtf quei duo guerrieri ai fiero ajfalfo ,
C meglio nella danza Teguente:
Già non fero i cavalli un correr torto ^
An^i co^^laro a guifa di montoni .
e veramente tra tutti gli animali combat-
tenti ) la giollra de' montoni edere la più
reale, non è dubbio alcuno, sì perchè vo-
gliono accozzarfi del pari , si ancora perchè
la fanno per modrar ciafcunoil Tuo valore,
non per cdjo , o rancore , come gli altri
animali ; e quell' ardore di vittoria fagli
animofii e ingegnofi nel combattere . Inol-
tre lagiodra de' montoni è veramente dnii-
le all' abbattimento delle lancie, il quale
e con la lancia, econ la perfonacompoda il
fa , fenza ifregolarfi punto con l' una e l'
altra da cavallo, dringcndo quello fempre
dentro i prcfcritti termini dello d-^ccato :
e così appunto fanno i montoni ; i quali per
grancofi n ;n uTcirebbono del campo che fi
pigliano, mentre s -izzuffino ; mt tenendo
la dura fronte drittidìma> fi;za punto ifcon-
certarlidel corpo coraggiofamente s'affron-
tano: ma gli altri animali qui, elafaltan*
do d lacerano, d afferrano con infidie; e
queda maniera ^ plij dmile al combattere di
iiocco > nella qual pugna ciafcua fi difende^
ecer-
350 ANNOTAZIONI
e cerca infieme di ferire > e però è lecito quii
e là per io campo rchermirfi , e con maeftre-
voli inganni afferrare il Tuo nemico . A che
rifguardando l' Arioso in tal cafo fièfervi-
to d'altra comparazione che di montoni ;
comed'orfi, di cani , e d'altri limili i ecco
nel Can. i. ftan. 5.
Come fcglion talor duo can mordenti ,
0 per invìdia , 0 per altro odio tnojp ,
Avvicinar ft j digrignando i denti ,
Con occhi biechi , e pia che bragia rojji ; ec.
(Imilmente ilSanazzaro nella Profa 11. car«
iir. parlando della lotta fra Uranio, e Sel-
vaggio : parevano a vedere duo rabbioji orfi ,
0 duo forti (cri y che in quel piano combattef-
fero , Cosi il Tad'o in molti luoghi della fua
Conquiftata : e V llluftriifima Sig. Curzio
Gonzaga nel fuo bellilfimo Fido Amante; ma
tutti per brevità tralafcio .
Car. 5. 1.23. Già per li bofchi i vaghi UC"
celli fannofi ec. ) Deferire la primivera da-
gli effetti) come veramente più bella per
la narrazione di diverfe cofe : e per quefto ri-
fpetto fra' poeti più comunemente fi ufa ,
tutte ledefcrizioni di tempo fare dagli ef-
fetti . Si avvertifca oltracciò il modo che
tiene Selvaggio per diftrasre Ergafto dall'
amore j con mettergli innanzi il bel tem-
po della primavera» affinechè gli rincrefca
di perderlo dietro a quelle vanità; così fa
liugenioper diftraere Clonico, nell'Eglo-
ga 8. car. 76.
Fedi le valli ^ e i campì che fi fmaltano ec«
Car, 5. I. 29. L^ arco ripiglia il fanciulli n
di Venere y ec. ) La ragione perchè defcri-
vendo il Poeta la primavera , foggiunga che
Amore ritorna ali* arco r è perchè nel tem-
po
DEL MASSARENGO. 351
pò della primavera movendofi il (angue per
la dolcezza della ftagione> fono gli uomini
più atti a innaraorarfi , come anco le piante,
gli animali bruti , e finalmente ognicofa fi
rifcnte , deftandofi alla generazione . Da che
i filofofi argomentano , in quella ftagìone ef-
fere ftato creato il mondo , e che per quello
ogni cofa ritorni al fuo principio , cioè alla
generazione» che è propria di tutte lecofe
create 5 come la creazione propria di Dio.
Ritrovando adunque il Demonio in quefta
fanguigna Cagione la materia difpofta ne*no-
ftri corpi a ricevere il fuoco della fua tenta-
zione , opera gagliardamente 3 e muove il
Teme, che in abbondanza fi genera, per le
midolle, e per le vene deftando quegli ad-
dormentati fpiriti; onde ne fegue 5 che di
leggieri 5 più che in altro tempo, c'inna-
moriamo. E però beniflìmo la Santa Chiefa
ha ordinato in quel tempo il digiuno quadra-
gcfimale , tutto a propofito per macerar la
carne ,che non fi rifenta nella libìdine .Una
dcfcrizione di primavera fimile a quefta y ol-
Te alle allegate dal Porcacchi , e Sanfovino ,
leggi nelle Ode d' Anacreonte ; edèbellif-
fi ma .
Car. 5. I. go. Chi diferir non è mai Jìanm
€0 , 0 fa^iù ) Perchè fé bene fi ceffa dall' ope-
razione, o dall'amore in atto , forfè perchè
il freddo riftagna ilfangue> ed in que' tem-
pi ognuno fi ritira , di modo che mancano
molte occafioni di lufluriare > il fomite pe-
rò con noi reftafempre , non mai fianco, 0
fazio di ferire .
Car. y. J. 31. Di far dille midolli arida
tenere, ) Ad Amore fi dava la facella , per-
chè 1* innamorato par che feropr^ arda per \t
alte-
J5i ANNOTAZIONI
alterazione del fangue, e quefta fu la pri-
ma cofa e fprefl'a dal Petrarca Z)^ retnsd, ut*,
forile, 69. i»l]a definizione d* Amore » di-
cendo : Amor eft litens ignìt ^ gratum vuìntit ,
fapidutn venenum , duhh am^ritudo , delefìfi-
bilis morhur^jacundum fvppliiium , blanda mors^
ec. Ecco di primo Jngrefl'o eh' egli tocca un
fuoco occulto , perch'egli fta n^l profondo
cuore» e nellerinchiufe midolle ardendo .
Quindi fi fentono tutto giorno gli am.uni ra-
gionar di fuoco , di face, di cenere, d'ar-
dore» di fiamma) di confumarfi , ftrugger-
fi , disfarfi , dileguarfi , incenerirfi , e tan-
te altre frafcberie , per ifcoprir l'ardore che
nelle midolle fentono . Di quefta materia
n' anderemo trattando a' fuoi luoghi , fecon-
do i' occorrenze , per non cumular ogni cofa
in un luogo : bafta chea quefto propofito fa
quello che nel fine di queft'Egloga i. car. 7,
il legge:
. e */ cor pia tn* arfe :
C neir Egloga 2. car. i^.
Siccome al fol la neve , ec«
e più bado , a car. i?.
Che corni cera al foco , ee.
ed a car. 14.
Venga a me falama^tdra ^
Felice infittile^ e m(e'^abil moflro *
In cui convien y eh'' oancr i^ incendio cfifca
Dal dì (h" io vidi ratno*i(o Sguardo \
Ove antcr ripensando agghiaccio ^ ed ardo,
e nell' Egloga 4. car. 51.
Sempre in fiamme fon vijfo ; ec.
e nella Profa 7. car. 5;. Di ora inora piàccn
h fue eccejjive belhiie le mie tenere midolle ac-
iendeva ; e CariiiO nella Profa 8. car. 52. Era
f'^ adunque , , , infing dalla mia fanciulle ria
accem
DEL MASSARENGO. ^n
ac Ctfo art/enttjjitramente dell^atnore d* una , eC»
e reli'Egl. S.car. 7^
E non pctran goJ^r della mia cenere .
e più bado car. 75.
A quella cruda cb^ cr /»' incende , / Jlrt/gm
gfmi .
Da quello ardore fi formano nel petto quei
focolì fofpiri di cui dice nella Profa 7- car.
5^. Altroché un fcfpiroardtntilfimo in rifpofta
non U rindea . E nel!' Egloga 12. car. 148,
Si cocenti fcfpir dal petto elicemi ,
c perchè Amore è fuoco , porta feco il fuo»
coy ed arde i petti di fuoco , difìTi nella
Profa 7. car. 5J. OcbefojJ'e di si freddo pet-^
SOy che amore nonpotejfe ricevere^ perché ai
freddo ghiaccio non s'appiglia il fuoco.
Car. 5. i.32. pregne ritornale. ) Per Pro-
gne intende la rondine , nella quale fu tra-
mutata . Per la forella Cecropia, intende
Filomena» forella di Progne, e trasforma-
ta in rcfìgnuolo; e fi vede» che più baffo
la chiama per nome :
Fiicmena , né Progne vi fi vedono :
ed Ergafto nell' Egloga ii. car. 12?»
O Filomena , che gli amichi ^uai
Rinnovi cgni anno ^ e con joavi accenti
Da feive ^ e da fpelunche udi- ti fai\
"E l'è tu y progne , ? ver , ch^ cr ti lamenti^
Ni con la forma tt fur t hi i ffnjit
Ma del tuo fallo ancor ti lagni e penti ;
La favola racconteremo ivi, come in piii
comodo luogo ; folo dirò , che Cecrope fu
detta anco P''tg»e da Bjtifta Pio :
Multa dcltt raptum Ctcro'Js alet Itym ,
edaquefti due uccelli fi argomenta la pri-
mavera » nei qual tempo folo comparifcono ;
e però è facto il proverbio :
554, ANNOTAZIONI
Hiì'Undo non facit vtr ,
ed Ovvìdiodiflenel fine del lib. 2.de'Faftit
Falltmur} an veris prafìuntia venh hirun-
do\ ec.
Car. 6. I. 5. A cantar ver fi li leggiadri , e
frottole , ) Notino gli ftudiofi di poefia la dif-
ferenza tra verfi ) e frottole . Verfi leggiadri
chiama il Poeta le Canzoni > come quella di
Galizio neir Egloga 3» a car. 12.
Sovra una verde riva ec.
di cui dilTe nella Profa 4» car. 24. Moki comm
mendarcno le rime leggiadre , e tra rufiici pam
fiori mn ufttate . Frottole poi erano canzonet-
te amorofe , ora bofchereccie , ora in fog-
gettodi nozze 5 ora fitte burlefcamente ; e
però il loro ftile era bado, iverfi brevi, e
fenza regola j o con poca almeno tcffuti .
Delle quali a* tempi noftri molte fi compon-
gono, alTai dilettevoli, le quali per io più
fi sforzano d' imitare le antiche canzonette a
ballo tondo .
Car. 6.1. IO. Ma mefle flrigi ^ ed ìmponu^
re nottole . ) Strige uccello grande edingor-
do, con occhi di civetta 5 roftro adunco ,
piedi uncinati, e di canute piume. Vivefo-
lo di rapina, onde ama le tenebre a ufanza
de' ladri, volando folo di notte, con rauco,
ed importuno ftridore s da c\xìjlrige vien det-
to , per teftimonio di Ovvidio nel 6. de' Fa-
tti V. 139. ove Io defcrive eccel lentemente .*
E/i illff ft rigibus ncmen : fedrtomints hujus
G auffa ^ quod horrenda ft ìdere noSìe fclent »
era uccello di cattivo augurio, e fi conofce
da Seneca nell* Ere. Fur. v. 68?.
Omenque trifie refonant infavfta Jì^igif .
perchè come feri ve Ovvidio nel detto lib- 6.
era opinione, che la nptte andane alle culle
de'
DEL MASSARF.NGO. ^55^
de' bambini per tucchiar loro il fangue y on-
de morivano :
Nc^if volani , puerofqut petunt nutrici r
igtntef)
'Et vitiant (UftÌF Càrpora rapta fuif .
Carpire 4Ìicuntur laòltntia vìfcera rojlris j
Tt plenum poti fanguint guttur habent ,
C poco più bano r
Pecora tjue exfofhent avidi s infamia ìinguif .
At puer infflix vagit ^ cptmque petit ^^
Trrrita voce (tti nutrix accurrit ahmni \
Et rigido ftSìa: inverit ungue ge/tar .
E però con uni verga di ("pino bianco le cac-
ciavano > ufando certi rimedj , fcritti pur
daOvvidioper fanare gli ftregati bambini.
Che (i ritrovi o nò quefta Torta d' uccelli >
dirlo non faprei : ma fo bene dal nome ^ e
dalle opere che di loro (ì fcrivonoj/r*-^^^ ef-
fere ftate chiamate certe brutte vecchie,dia-
boliche incantatrici 3 le quali con fattuc-
chierie vanno maleficiando i bambini ; co-
me tante , e tante ne fono ftate condennate
dalla Santiilìma Inquifizione ; e diquefteia-
tefe il Mantovano quando difTe :
-- .. tenero f ne fafcimt artus
Nfxia Jìrix ,
E Quinto Sereno dell* ed. Comin. a e. 100.
Prateria fi forte prtmit ftrix atra putlhs
yirofa immuìgenr exerti f ubera labrir .
e Francefco PicoMirandoIanoin un Dialogo
intitolato la Strega y ferivo : Tngredìebamur
ncSiu domoi inimicorum ^ 'i^ amico* um etiatn
quartdoque : referabantur nobif januàs ; dor-
fnientibufqut parentibuf arripiibatnus infante t .
quoi lum ad igntm pcfuìjfémuf , forabnmVf
acu [uh unguiculir , éT admovtbamus labra
(uSluque tantum fanguinis , quanto repleret^f
?5<5 A NN0TA2:,!0NT
bf y extrahebamuf ; baufti [aft^oirtif pars de-
glutitbatur' j pan adfervabatur in pyxide , a&
conficiiridum unguenium ^ quo tiates abìuantur
ec. quando poi volevano efler portate da
Denmnio alla Noce di Benevento» o altro-
ve . Né quefto è favola , perchè fi fono tro-
vati bambini con i diti forati > e con cicatri-
ci fotto r unghie . Ma perchè non abbiano a
gridare > feguita : Sopiunutr ita , ut non y>«-
ìiant : fed ex- erge fa lì; tnìrct edunt ejulatus ^
tsgrotantque , ^ imerdurn mornintur , e per
guadagno poi , elle fteHe in poco tempo con
rimcd) li fanano ; avendodaimedefimo De-
monio imparata 1' arte di fumarli : il che fan*
no con mille fuperftJzioni, ed incantefimi,
Nèque'ìa ècofa folamente de* noftri tempi ,
ma fino a' tempi d' O vvidio accadeva : e quel-
lo eh' efli degli uccelli ftimivano , er t opera
ò.q\ Demonio , fatta col mezzo di quelle fre-
ghe ; eS. Agoftino nel \%\\\t.deCivit. Dei ^
teftimonia , che fino a' fuoi giorni fi faceva-
no in Italia quelle ftregherie che da Apule-
jo 5 e da altri fono fcritre . Furono dette La*
mie ^ Larve y Lemt4fi\ ma fotto quelH nomi
intendevano <ìvìco\q Fantafme , le Ombre,
efimjii. Pare che Plinio ( fecondo alcuni )
neghi le rtregha nel lib. ii. cap. 39. Fabula,
[utn enitftQc, marifpondo, che intende Pli-
nio degli uccelli , non delle donne; AqWq
quali é pur vero, che in forma di gatte, d*
uccelli, e d* altri animali fono portate dal
Demonio: nonché venmente tramutino la
loro natura , mail Demonio l'i fa ftr3ve':^e-
re , per ingannarle » Siccome Amore facf-va
anco travedere il mifero Ergado, poiché le
rondinelle, ei rofi^nuoli gli parevano fri-
gia e nottole , Nottole per rondinelle » 1^
qucili
^ DEL MASSARENGO. 357
quali g^J^-'M/r, ed importune fon dette, come
le nottole (ono ; e per ^ofignuoliy?''/^»' , che
ftf/te egli chiama, come fon mefte , e pian-
gono le Filomene o vogliam più rcHo cre-
dere ^ che intendefl'e fne/ìe , cioè che appor-
tano me (lizia , eflendo di cattivo augurio;
come caUo il vino diciamo, perchè rifcal-
da chi molto ne bee . Scimarono alcuni , que-
ftc fìrigi efTer le Arpie da Virgilio , e da Sta-
zio defcritte; ma falfamente, poicfèfono
diftinte da quelle . ben è vero , che favoleg-
giano i poeti dalle Arpie elTer venute le firi-
gi : e fi cava da Ovvidio nel lib- 6. de' Fafli »
che dice V. 1^1.
Sunt avida vclucres ; non qua Vhineia tnetiftf
Cf/ttura fraudabant ; fed gtnuf inde
trabunt ,
di modo che dir poliamo ^ eneredifpec'efi-
mile , ma non V idefTa . Veniamo alle ìmp^r^
tunt hotstle , di cui la favola è tale apprefTo
Ovvidio nel i. delle Trasform. Nittimene
figliuola dtl Re Nitteo ed'Amaltea» aven-
do acutamente commefìTo incefto con il pa-
dre, poiché fu dalla luce fcoperta > fuggii*
ira diluii ch'ucciderla voleva 5 cgnefTere
da Minerva cangiata in civetta , e prefa al-
la fua cuftodia in vece delia cornice , la qua-
le era ftata cacciata , per averle riportata
una ingiuria fattale da A glauro . Da che fe-
gui poi inimicizia fra loro tanto grande , che
I' una le uova dell' altra ha Tempre procura-
to di rompere, odi rubare. E tanto pili l*
odio s* accrebbe , quanto V una ali* altra con-
traria fi conobbe : perchè la cornice è negra %
Ja civetta biancneggia tra M bigio : quella
vola di giorno, quefta ( per il rofTore del
fuo peccato) odia la luce? e vola folamea-
358 ANNOTAZIONI' ^
te di notte : quella gracchia , quefta ama il
filenzio: quella è fuggita dagli altri uccel-
li» aqueftatutci corrono; non tanto per ri-
prenderla del commelTo errore, quanto per
maraviglia e' hanno delle fue accorte manie-
re ; e per pigliar da lei configlio, la quale
tengono per lapientilTima , sì per la ccnver-
fazione che tiene con la Dea della Tapien-
2a, sì anco per altro, come leggerete. Fu
da principio dimandata la civetta dagli al-
tri uccelli , in qual modo poteflero difen-
tlerfi dagl* inganni degli uomini, erifpofe:
Con non lanciar crefcere h qutrcie , ma roder.
ìf ttntreìle ; perchè, crcCcendo , antivede-
va, dovernafceredaquelleunyifchio, che
farebbe ftato la diftruzione loro . A que-
ilo foggiunfe , Che , quando glt uomtni avef.
fero femìnato illino^ e canape ^ fubito lobec^
(ajftro ; pircbS , nafcendo , ft ne (ariano fat-
te reti , ter incappargli , E mentre diceva
queftecofe , vedendo un cacciatore con l'ar-
co , e le faette , difTe loro : Guardativi de
colui , perchè con le proprie voftre penne vi le-
verà il volo , facendovi con le alate fue frec
eie cad^f feriti a morte. Rifero gli uccell
gai delle fa vie rifpofte della civetta, ecomt
pazza la riputavano ; quafi ciò àict^^ -^ pe
fepararfi dal loro conforzio ,* ma pofcia , prò ,
vando lor malgrado la verità de' configli da i
tigli , l' ebbero fempre in venerazione , ca
jne fapientilTima : e però non sì tcfto la veg
gono 5 che volano a lei , per onorarla , •
flupirfi della fua prudenza. Maeffa, com
pietofa delle loro difavventure , fola fé n
Tola , né giammai canta , anzi ftride , e pia
gnedi non aver potuto rimediare ai loro ma
li^ Quindi fu (liiDSta facra a Minerva i per
DEL MASSARENGO. 359
thè non ha cofa più propria la fapienza della
manfuetudine .
Secondo . per dimoftrare »cheil faviocon
il fuo avvedimento conofce le cofe porte in
ofcuro j ficcome la nottola vede nelle tene-
bre ; onde fu detta da Marzian. Capp. nel
princ. del 6. 1. v. 22. ncSlivìda .
Terzo , perchè lo ftudiofo deve elTer vigi-
lante , come vigilantiflìma è la nottola ; e
crive Plinio > che portata addoifo la lecca
efta d'una nottola j fa Tuomo ftudiofo ^ e vi-
gilante infiemc .
Quarto, perchè ficcome il favio illumina
'intelletto agl'ignoranti con la fua dottrina,
:osì il fangue tratto dell' ala deftra della noc-
:ola reftituifce, ungendo gli occhi , la luce
i chi 1* ha quafi perduta . E perchè Clonico
; a cieco d'amore, e perchè veder poteffe
'ombre notturne nello incantelìmo, diife
Enareto nella Profa io. car. 99. E di [angue
?» nottola ti ti/tgtt'b gli occhi con tutto il vi-
li ; cht le tembre della notte al vedere non ti
offendano , ma come chiaro giorno ti mani"
^eftino tutte le coft ,
Quinto, perchè i favi debbono 'guardarli
lai vino , il quale offufca T intelletto , inde-
•olifc« i fenfi , toglie la memoria, ediftrae
'animo dallo (ludio; eia civetta ha quefta
troprietà , che , mangiando le uova fue , fa
diare il vino .
SeOo, ed ultimo , perchè in Atene fé ne
eggiono affai ( come per contrario in Can-
ia niuna)laqu3lcittàdi Atene era in pro-
ezione di Minerva , e dal fuo nome chiama-
a . Di qui nacque il proverbio Portar notto*
f ad Atene \ come difle l'Ariofto Canto 40»
ian, I.
Por*
?«o ANNOTAZIONI
Vortar ( cctne fi dice ) a Samo vaft ^
TSlottoIe a Atene ^ e coccodrillt a Egitto,
in fignificazionedi chi donaa un ricco» od;
chi porta cofe ove n'abbonda . Anzi l'ave
vano gli Ateniefi per imprefa del lor regie
valore» cornagli EgizjPape, i Romani 1
avoltojo , fc, Kra la nottola fra gli uccell.
inaugurati, e fi conferma nell' efempio ò\
Pirro , che , quando mofle V efpedizione
contra gii Argivi , eiTendogli volata una ci'
vetta in cima dell' afta» gli augurò (ìniftrc-
fortuna ^ come veramente gli avvenne ir
quella guerra. Ha proprietà quefto uccellc
chefe gsrrifce nella temperai dà fegnodi
ferenità ; fé nel fereno , dimoftra p;oggif
futura. Ticn particolare inimicizia con k
api s vefpe » calabroni ) f^nguifughe : pei
contrario è confderatiffimo conio fparvie-
re. Non refterò di avvertire ultimamen
te Terrore di molti inconfiderati moderni
i quali abbagliandofi nella voce di nottola u
Tofcano , e di nctìua in Latino , ia pigliano
non per la civetta (<:ome fi dee ragionevol
mente, e come T inteftro gli antichi) m.'
per il topo volatile , quafi che non fappia-
no , quefto chiamarfi da' Volgari pipìjìrelh
e da' Latini vefpe''ttlio y e per lafciar molt
efempj, un folo bafti del noftro dottiiTìm<
Sanazzaro : il quale nella Pr. 9. car. 77. fep
pe beni (limo dire: E già ogni uccelU fi eri
per U jovravvtgfitnti tenebre raccolto nel frj<
albergo ^fuora che i vefpertilli , ec» dove avreb
he più to^oàQito nettale^ quando fofTe ft.ìt(
il medefimo fignificato , che ufar parola au-
gi Latina , che Tofcana .
Car. 6. 1. 1 j. Primavera , e faci dì per tm
'0ft r/fdort(^^ ) II Petrarca nel Soletto :
DEL MASSARENGO. s6r
^yvafiiio */ pianeta ec
VrimtiVfra per me pur non i mai ,
Car. 6. J. 12. NV trttovo erb<f ^ ù fioretti ^
(he mi gitveno 'y Ma fo!o pruni ^ e Jieccbi ^^c-)
In fcmma a un' animo con fuio pare ogni co-
fa piena di cosfuiìone > al miferodi miferia,
rr. così appunto pareva all'innamorato Sin-
cero neJI' Egloga 7. car. 58,
I ai ftren f»i far tari; M f fofcbi\
Campt di fltccJjì I4 fiorìtt piagge ; eC
.ed a Melifeo , riferito da Barcinio nell'Eglo-
ga 12. car. 149*
Ovunque miro par che ^l<iel fi otten^hre ,* ec.
Car. 6. 1. 20. Caggian baleni , e tuon ec. )
Tocca in particolare di quei baleni con cui
fulminò Giove i Giganti ; non fenza caufa »
perchè furono fegnalatiflimi , e meritò per
quelli il fabbricatore Vulcano di ottener da
Giove in guiderdone la belIlfTima» e caftif-
fima Minerva per mog'if, co.i patto però
di conquiftarfela a' Tuoi deliri o con prieghi^
jo con doni, o con violenza; benché al mife-
ro amante poi tutto (ucceden.- vano .
Car. 6. 1. 28. Acero y ) A Ib^ro di grandez-
za pari alla tig'ia , nobiliflìmc) per la bellez-
za de' l-tvorien che fé ne fanno; e tiene il
primo lu">go dopo il cedro. Di quefto , ed'
altri Iceni era fatta la gran machina del ca-
vallo Trojano. Virgilio nel 2. dell' Enei-
da V. i»2.
Pr^fitpue , cum jam bic trabibur Ctntextus
acurnit
Starei equut , ec
Car. 6. i. 29. Severe , ) Queflo k albero noti
flìolco i< rande, m^ ben groffo al le volte in
dicci pit.di ; femoe verde , e che tardi
crefce . Ha prui/rietà dilfereoXi!liina dagli
Tf/w* I, Vj^ aitii
^61 ANNOTAZIONI
alrri alberi, i quali fcorzati fi feccano » e
quefti piglia maggior vigore , eflendo la cor-
teccia di lui groflìfTima. E' di legno forato,
leggiero, e che Tempre fta a nuoto; per lo
che fé ne fervono i marinari per foftentar le
ancora- ed i pefcatori le^reti nell'acque.
Se^ "inno ferragli a' vafcelli > edutiliiìì-
I riefce nelle fcarpe, e pianelle per fcr-
vare i piedi dall* umido . Ultimamente 9
non lafcia mai le foglie 3 non invecchia 5 e
:fe ghiande di poco fapore : ma poi è corno-
diftimo afar iciami per le api.
Car. 6, 1.35. Per maraviglia y pia cP un
fajfo rnJurcmiy ec. ) Nafce la maraviglia dall'
ignoranza ; perchè folo colui fi maraviglia il
jqual non intende la cagione delle cofe ronde
li fapere non è altro che conofcere le cofe per
Jefue cagioni; però con ragione fegue Sel-
vaggio :
E ^n dimandarti alquanto rajjkuromi ,
Oltre a ciò, la maraviglia faftupidi gli uo-
mini ; e l'uomo di ftupore fta immobile co-
inè faflo: onde non è maraviglia fé Selvag-
gio di maraviglia s* indura più di faffb uden-
do gl'infortunjd' Ergafto ; però attonito qvLQ"
Ho tale fi nominò dall' Autore nella Profa 2.
e. 8, Stava ciafiun di roi non men pietofo , cl^f
attonito ad afcoltare le lompaJfiontvcU parole
M Ergafto: perchè lo ftupore fa attonito ; e
feftupidi , anco attoniti faranno i LfTì . A
trove in fimile cafo iece di pietà commov-er
gli animi; vedi nell' Egloga «2. e. 144.
— — cP io già tutto commovcmi ;
Tanta pietà il tuo dir nel petto efalami ,
ina nella detta feconda Profa car. 8. abbrac-
cia 1* uno e l'altro , condire: Non men pie-
Ufi j the amnitg . nella Profa 7. car. 57,
diffe
t
DEL MASSARENGO. J6^
di (Te Cirino: Gravi fon i tuoi dolori^ Sin-
Ctro *»io , t veram-fnte da mn fen^^ cimpaf-.
ficftfgrandijfima afcoltarfi , Simile effetto in-
terviene per dolor proprio, e però diiTe il
Sanazzaro nel Sonetto .
Laffoy qualar fra vaghe ec.
Colmo <P ira , t di duol divento un [cogito .
Car. 6. 1. 36. Ql*aP è colei eh' ha ''l petto ta»-
loerrortico , )Cioèftolto» e pieno di errore >
o di leggerezza , perchè non è ftabile j ma
fempre con penfiero errante ; tale fu chiama-
to Elenco da Ofelia nell* Egloga 9* e. 86,
Che gì* involafii tu , ptrverfo erronico ,
e Clonico da Eugenio nelT Egloga 8. e. 72.
J^alunque uom ti vtdejfe andar sì erronico .
benché ivi fi potrebbe interpetrare errante^
e vagabondo^ come più latinamente diifeil
Sanazzaro nella detta Egloga 9- CàX.^-j»
Guarda le capre d^ un pafto^ erratico .
Car. 7. i. 6. Che di colore avanza latte ^ f
rofe : ) Perifrafi dell' incarnato , colore amo-
rofiflìmo, il quale di bianco e vermiglio (1
compone, cosidifle Uranio nelT Egloga 2.
car. 14. ^
Tirrena mia ^ il cui colore agguaglia
Le mattutine rofe > / */ puro latte »
ricfce tanto vagoquefto colore» e tanto ac-
crcfce la bellezza > che con va. j modi 1' han-
no circofcritto ; con liguftri e rofe > giglie
viole 5 perle e coralli , cinabro ed alabaftro »
vino e latte , ed altri eh' iotralafcio : né bel-
lezza alcuna di donna defcrivono , che di
quefto colore non facciano menzione ; co-
me a chi é pratico dt* poeti refta chiaro ; ma
quello che pofliamocol noftro divino Poeta
provare 1 non cerchiamo altronde; oltre .igU
*cfenipj citati % leggaQ la dcfcnzione d^lla
(^ i bei-
5<?4 ANNOTAZIOKI
be) !ezz3 di Amaranta neiia 5^rora4. car. 2y,
E V vpt alquanto più lunghaito che tendo ^
di bella formai , ccn btancb^wa non Ipt-^cf ve-
le y ma temperata , quafi al bruno ài'i.hìnan~
do ^ e da un vermiglio e grA\to[Q colare aCm
fC^pagnaro ec.
Car, 7. ]• 9. C9SÌ fui prtfo ) Ofìd"* ho tal gi ego
al collo , ec. ) Notino gli amanti , qunl lia io
flato loro , che a guifa di belUe li lafciano da
una vii femminuccia mieter-: il gioi o ai col-
lo . tale era V innamorata Clonico neil Egl,
8. car. 72.
Tal cF io pojfa dal gir^oiì collo t(ì^'gl''^*'e\
Car. 7. 1. ^4. E fiafuperifa , ec. S; verifica
quel d* Ovvidionel lib. I. de'F\.lh, chela
bellezza induce fafto , e gonfi?zza :
FaHur ^n^ft ^uUb^is , jtqmturque fuperbia
fcrmam . ( v. 419. )
Ca' .8- I. 9. C/&'<g: pianger fpffo i td a cantaf
tni fprofiarìo : ) Sono d' amore propriflìmi
effètti il canti.ree'1 piangere ;ep ròal poe-
ta Lirico molto convenevoli^ondt; did'e il Pe-
trarca nel 1. Sonetto:
Del vario ftileitt ih* io piango > e ragiona t
e nel 19?.
Cantai j or piarfgo\
e nel feguente :
I pian.ì \ or canto ;
ed il Bembo nel primo Sopetto :
Pianfi , e cantai h ftfa^io , # /' afpra
guerra .
ed li Taffo nel Sonetto :
Cantai gì^ lifto y e ricercai nel canto
Gloria pia cara a me y che l* ero a Mida j
Or piango *rittfio , ec. •
Degli effetti d'amore chi faperne brami,
leg§a il Convivio d \ Pkconc ; il Redigi*
ÙEL MASS ARENGO. ^65
no*lib 12 cap.:?4. -jS- 3^. IdiàJoghiHi Giù-
feppc BctufTi : eid ietterà del Muzio Giudi-
nopolitnno in rilpofta de'qusiiti tatrigli for
pra Amore. Eri m 0 penJlero» rflt'c al-
quanto più -Hiliuentc in toccare i D-\iii degni
di confiJerazione < ma dì molti cb* io n'ave-
va notati? qiicfll pochi ho ferirti 1 dubitan-»
do con Io ftampatore , che il volume non ere-
fcadi foverchio. Nelle fet^ueoti Profe, ed
Egloghe Tirò anco più breve , o^rch'^ i luo-
ghi non oiTervati in ^ucftì edizione, in al-
tra piij comodamente fi daranno in luce .
PROSA SECONDA.
Car. 8. 1. 26. Quantunqui con la ficcavo^
ce ^ ) Per amore, come era il Petrarca nel
Sonetto :
Fili voltf f^tà etti bil femhiantt ec.
Celi m* ha fatto Amor tremarti»- -y t fioC9*
e Cgnifica rauco» debile, ed impedito , co-
me il fagiano, di rui diffe l'Autore nel-
la Profa 3. car. 16, Ifiorbi ftgìani pff U loro
magioni cantava to . ed li Petrarca nel Trion-
fo d* A more > Can. I.
Ivi fra /* erbt giA Jet pianq^e* fioco ,
Car. f. 1. 19. Col vifopalìidot magro , ccn
gli rabbuff'ati capelli , r gli occbi lividi cc. )
Mifrri amanti a che fi riducono , che piti
fcmbianzadi morte, ch« di vita teiigono!
mirifi la effigie dello innamorato Clonico
Q^ l nella
* Ifi molti luoghi ; Hon gi^ nt* citati dal Maf^
fé r fugo ; »sn avendo il lib, i2. del Rodigli
no pia che capi ventuno ^ e non tfattandoji a
capi ?4. ^5. 36. d* alcun* altro fuo libro di
pmil materia ,
566 ANNOTAZIONI
nella Profa 8. car. 72. Un^ uomo s) rahhujfato ,
€ nei gtfii dolo^cfo , che di [e ne fé forte tnam
rrft)/g//tfr(?; ma meglio nell' Egloga 8. car. 72,
Ove si fol con fronte efatigue , e pallida
Su /* afiftelh $r vaine , e malincontco
Con chiome irfute , e con la barba fquaU
li da ? ^
tutto nafce perchè l'amante non vive in fé
fteflb , ma con 1* amata fempre > di modo che
fi può dire morto afe j vivo alla donna ama-
ta: onde fé ha fembianza di morte anzi che
di vita, è perchè ama di cuore; però diflc
quel Poeta :
-- pallet & ommt amans , V. a car. 327.
Car. 9. 1, 7. J' ingegnava di confortarlo y
ammonirlo y e riprenderla) Tre gradi difìin-
gue nelP ordine che tener fi dee per fare una
giovevole correzione . Primo j confortar!'
uomo con dolci parole j più tofto feguendo 1*
inclinazione dell' animo fuo 3 che difgudan-
doloi con dargli fperanza buona , e. fargli
animo . Secondo » ammonirlo , con fargli
vergogna del fuo trrcre, per la bruttezza 5
e viltà di quello; onde egli ftefTo cominci;
quafi di fuo volere , a fprezzarlo , ed abor-
rirlo . Ultimamente j avendo in tal modtJ
difpofto V animo del delinquente , riprender-
Jo afpramente 5 e metterlo in timore , o con
minaccie , ovvero augurandogli maggior ma-
ie . E quefti tre gradi parimente dalP ora-
tore ferva r fi debbono, elFendo eglino con-
formi all' ordine di natura , la quale a debile
principio foggiunge mezzo più gagliardo, e
conchiude con potenti iTimo fine.
Car. 9. 1.9. Ingegnandogli di molti rimedj ,
ec. ) Al male altrui tutti medici fiamo; al
xioftronon abbiamo rimedio : onde fi verifica
il
DEL MA SS ARENGO. ^7
il proverbio: Rurovarfi pia medici y che in»
ferm-tà . A quello propofito ferve quello che
del Gonnella fi fcrive : ilquale, dimandato
dalMirchefe Niccolò di Ferrara > Di qual
arte fojfe maggior numero in Ferrara , rifpo-
f e , de^ Medici \ e repHcando il Marchefc»
Che nh \ affli di quelli averm Ferrara fola-^
mente due , « tre al pia ; fecero buona fcom-
mefla tra loro . in pena di chi (offe ritrova-
to in bugia • Il Gonnella dunque una matti-
na per tempo poftofi alla porta del Duomo
col volto, e coii la gola tutta fafciata di pel-
le, a quinti entravano in chiefa, e gli di-
mandavano del fuo male, rifpondeva, (èe
gli delevano i denti: dove ognuno gì' infe-
gnava un rimedio ; ed egli fcriveva il nome »
e la ricetta di ciafcuno : onde andato poi a
quello modo per la città | cercando rimedj al
fuo dolore , fegnò fopra una lilla più di goc.
perfone che gli avevano infegnato medicina
al mai de' denti . Ciò fatto , andò il fegueute
giorno a palazzo j a quell'ora appunto che
il MarcHefe definava ; e quivi prefentolTi col
vifo, e con la gola tutta fafciata, fingendo
grandiiTìnio dolore . Il Marchefe non accor-
Cofi dell' aduzia, intendendo che i denti gli
dolevano, fubito dille : Gonnella , u[erai il
rimedio eh* io ti dh ^ e fubito farai fano , Tor-
nato a cafa il Gonnella , fece un ruolo, do-
ve mife tutti per ordine i rimedj, e coloro
che gliele avevano infe£;nati ; ed in capo di
lilla fcriife il Marchefe. Il terzo giorno»
come libero, efano, andòa trovare il Mar-
chefe , e gli moftrò le ricette eh' egli aveva
avute al dolor de' denti , e chiefc la fcom-
meda . Onde ritrovandofi il Marchefe pri-
mo fu la liQa, e dopo lui tanti altri gentil-
Q^ 4 uomi-
568 ANNOTAZIONI
«omini , non potendo tener le rifa , coe-
fclso d'aver perduto, e pli f«ce pagare ì»
fcommffTa . Ptf'* non effcr adunque io da
pui àe^lì altri ; feguendo V univerbi cc-
ftuaie ; con tutto che dc'rimcdj d* amor»
abbia«io trattato Ovv.dCic. P!io. P«tr. Avi-
cenna , Galeno , il D mcnichi , ed altr? co-
piofamenre : nondimeno di dirne ìp q.uJla
Juogo alcLi'^i non refterò , npprovcjci da di * tr-
fi amici miei: e fupponendo, che l'iut.r-P
mitàd' amore nafca non tani-odi infarto ani-
mo, quanto da incompofta temptrr.'.tara di
corpo, come da malinconia foverchia , oda
altro umor peccante > metterò ieprsrati rx-
medjda ufarfi nel corpo , ed altri per fervi-
2Ìo dell' animo. Al corpo dunque gioverà
primieramente 1' aftinenza per documento
di Terenzio , il qual diffe nell* Eun. Att. 4.
Se. 5. V. 6.
Stne Cerere , & Libero fri gel Venur .
e fi fa , con la dieta non folo fpegnerfi l'amo-
rofafete» ma ogni altro piacere, e diletta
jnfieme . Giova altresì l'elleboro prepara-
to , tolto per bocca ,0 poco 3 o più 1 confor-
me alla robufta complellìone dell' infermo*
Similmente il cavar fangue dalla vena fal-
vatelia della mano finiftra dopo aver fatta=
una baftevole evacuazione dei corpo. Ag-
giunge Plinio il get.arfopra l'amante pol-
vere nella qualcuna mula, o altro ilerile
anim ile rivolto fi fia j e fu ufato da Enareta
a fanar Clonico nella Profa io. e. loo- dappoi
ii fpargerb fovra al c.->po dilla polvere ov* mU"
la , 0 altro Jìtrile animale invclutato fi fia ,
Ma ( tralafciand© i molti rjmedjdi magia,
dai Demonio ritrovati) per levar la pacione
dell'animo» fia bene mutar luogo, allonta-
nan-
DEL MASSARENGO. ^6g
nandofi della perlona amata » perchè la mu-
tazione di luoRO come al corpo, così adi-
ftraerci pentìeri dell'animo >è propriiTima-
Fuggir l'ozio, perconfiglio d*Ovvid. ne'
Remd' Am. v, 159.
Otis fi tcllat , peritre Cupidinh arcuf .
E r inlegnò Eugenio a Clomco nelT Egloga
8. car. 75.
E p^i (omincitrai col rajìro a frangere
JL/a dura terra , e flerperai la lappola )
Qbe le trej'centi biade fuol tani antere .'
la con la rete uccello , e con la trappola ,
Per non marcir nelP o\io ^ e tendo infidi^
Alla mal n^ta volpe , e fptjfo incappola .
Così ji [(accia amor ; cc»
Similmente impiegarli in negozj importan-
ti j o pigliar imprffe laboriofe , e difficili :
acciò!' animv^da pili alto penderò diftratto
s'allontani dalT imm iginazione che lo tor*
menta. Schifar le cofe ch^? pofTono recar me-
moria rimorofiidolce^e piacevole dell' amato
oggetto. Conllderar bene Tpefìo, quanto fia
brurta 9 e infelice cofa 1' amor Itfcivo . Pen-
fare, che con tanti llrazj, (Wnti , dolori,
pianti, forpirì, fpefe » e difficoltà fi cerca
una breviilima dilettazioiie, cofa labile, e
che in fomma è niente , e però degna d' efìTer
<lift>rcgiata , e riputata viliflìma . Penfareai
difetti, e vizjdeli' arnita . Non filTar giam-
mai gli occhi negli occhi ambiti : perchè da
quelli fi bee tutto V amorofo veleno , e dilTc
Properzio nel l' Eieg. 12 del lib. i- v. 12.
5* nefcit , «culi fufit in amore ducts ,
fn.T più torto , fc nell' amata perfona fi ritro-
va qualche parte imperfetta, edifeCtuofa,
quella mirare , ed a quella confiderare, per
tvcr indi occafionc di prenderla a fchifo . A-
a 5 fcoU
370 A K^ N O T A Z r O N I
fcoltar que* critici che gli altrui difetti, e
mafljme delle donne biafi mando fcoprono ; o
Jegger libri che le loro bruttezze,vizj,e colpe
dimoftrano. Alcuni d' animo nobile 5 ege-
«erofo , con la fola vergogna j e roflore fi
fono liberati : accorgendofi che il fover-
chio amore gli faceva impazzire , operar co-
le indecenti 5 e come favola del volgo efTer
«Tioftrati a dito . E di piià ponendofi avanti
jgli occhi la bruttezza de' piaceri amorofi j
come privi d'utile, ripieni d'ogni perico-
lo, e difonore, e di continuo pentimento
cagione . Dicono alcuni , quello mile dover-
ci vincere non contradando, ma fuggendo;
e dicono molto bene ; per il pericolo che tie-
ne la paglia di non accenderfi , fé s' apprefla
al fuoco; ma però ritrovo io (ed altri fono
pur del mio parere) che il domefticarfi mol-
ato, e farfi famigliare dell* amata , è oppor-
jCunilTjmo rimedio i perchè ficcome il veleno
»on nuoce a chi per tempo lo fi rende fami-
gliare 5 come di Mitridate fi legge, e di al-
cuni popoli Orientali , così l'amore fattofi
^omeftico 5 non fa danno; perchè ogni gior-
«opiù fiavviiifce; la qua! viltà è contro al
mantenimento d' amore ; e la ragione è
pronta; perchè fé l'amore none altroché
iefiderio della cofa amata , mentre durerà il
<3efiderio , con iftarfi la donna lontana , e fe-
;parata dall'amante, durerà infieme l'amo-
re, e quanto pili negata gli fia , più crefcerà
al defio , e l' amore ; ma fé fi toglie con la fa-
migliarità quello dcfiderio , 1' amante per la
copia fifazia, e molte cofechs nell'amata
egli ammirava , ed adorava , metterà in non
cale ; conofcendole diverfe , e di gran lunga
inferiori a quella nobile j ed alca idea che gli
for-
DEL MASSARENGO. 571
formava A tiore, 0 più collo il fuo sfrenato
appetito :
Cbe fpeffo occhio ben [an fd veder torto ,
come aifle il Petrarca nel Sonetto :
// mal mi preme , ec.
E fi legge fcritto da un medico :
£)uifquit amat ranam , ranam putat ejjif
Diatiam ,
ma è ben vero > che , ficcome quando il fole
illufìra la terra da un lato, T altro riman
fofco, così da un lato illuftrando amore il
fenfoi relU la ragione tenebrofa . Giova ul-
timamente V impiegarfi in altro nuovo amo-
re; perchè, ficcome il fiume divifo in più
rami divicn manco, così P amor divifo in
molte perfone ralla poco efficace ; e ficcome
un veleno l* altro caccia , ed un chiodo i* al-
tro , così l'amor vecchio vien cacciato dal
nuovo: e lo diHe dopo Cic. nelle Tufc. ii
Petr. nel Gap. 1. del Trionfo d* Amore .
Dall^ un fi fciùglte , e lega all^ altro nodd \
Cotale ha quejia malizia rimedio ,
Qome d^ riffe fi trae chiodo con chiodo .
Si prova con differente , mi pur a propofico t
cfempio di Tancredi , il quale alla bella
Armida non fi moffe punto , per l' amore che
portiv^a a Clorinda; di cui fcrive il Taflb
nella fuj Conquiftata lib. 6. (lan. <,7-
M.a Centra fue iufngbe invitto almeno
Tancredi or fu^ eh"* arfe giè a dramma a
dramma ■
PeroccP altro defio gP incende il feno ^
Talché di nuovo incendio or non infiamma *
E ctme guarda /* un d"* altro veneno y
Tal antica </* a*nO' da nuova fiamma ,
Ma quanto a me lodo bene , che di quefti du«
rimedj il primo non fi adoperi , ie non da chi
Q. 6 fifett-
57'- ANNOTAZIONI
fifeote di poter refiftere ; altrimenti peri-
colofo farebbe , e di molto maggior danno:
il fecondo non fi ufi , fé non in eftrema ne-
cefTitàj cioè dopo aver provati gli altri ri-
medi > perchè fé bene fi permette un minor
male j perchè fi fugga il maggiore : come
dicono i dottori nel cap. i. io. iHjìinSi. nel
cap.yf qtdfd virìuf ^i. qua(l,i. e Bartolo nel-
la /. !• nvm. 7. C. df fftm. Tri». ^ fid. catb, e
di due mali fi dee eleggere il minore , con-
forme alla /. quoti et nihiljf, de reg. jur. e alla
Glofa nella /•/? procurat. rei. jf. de doL mal, ^
mgt. exctpt. Nondimeno non li dee fare il ma-
le , perchè ne nafca bene ; e lo dice la Glofa
nella A guì fub pr^textu , C , de Sacrofan^,
T.(cl. e nel C magna . 'N.e clerici , vel tnon. fec.
neg.feim. Né fi de€ fcoprir un' altare, per
coprirne un' altro ; fi pruova per la/- fin.pa-
ragr.(edetjiqsiif. nel fin. ed ivi Baldo al num.
12 al verfo No» debet . C. ccm. de kgétt. ed ì\
medefimo Baldo neir >4«ri^. 7\Z/y?. al num. 5.
al vcrfo In alt mentis . Cad Treb. e Bartolo
nella Lajftdtùs . al nu.4. C>qui pot. in pig.hak.
Ma per difendere anco quell'ultimo rimedio
fi potrebbe rifpondere con Baldo nella detta
l.ajftduif al n. 7. efler lecito fcoprire un'altar
maggiore j per coprirne un minore; e cosi
efier lecito prendere un nuovo amore, per
ifradicare il vecchio • Per fine darò un rime-
dio imparato dal Petrarca nel lib. Ve retnsd,
utriufq.fort^cap. 69. ove dice : Checffendo le
caufe da cui fi genera quefto velen d' amore >
fanità , bellezze , ricchezze , ozio , e gioven-
tù i gli antidoti per cacciarlo fono infermi-
tà, bruttezza, povertà, gran negozj, eJa
vecchiezza dei giovanili errori caftigatrice.
E quando niuno de' foprat occhi xiinedj non
gio^
DKL MASSARENGO- g;?
giovi , eforto ciafcuno per ultimo rimedia
far quello che e' infegna 1' A riodo dicendo :
A chi in amor /' invKcita , olt** ogni pena ,
5» convengono i ceppi , e la catena .
Car. Q. 1.9. Ajjai pia leggieri a dirli , che
a metterli in operatone . ) Forfè perchè non
fanno Io (lato di chi è caduto in tale infermi»
tà ; e diceva Sincero nella Profa 7, car. 56.
Colui folarnente fel può penfere che lo hapvuo*
vatoy 0 prtéova ; ond^èquel detto d' un' ap-
paflionato amante :
Nejjun creae il mio mal , fé non chi ^l prova $
che quando i conlìglianti fodero aggravati di
tal piaga , non faprebbono quai rimedj ufa-
re> o fapcndoli , non vorriano adoperarli 5
e di qui nafce la proibizione a' medici , cha
caduti in male pericolofo di morte non pof-
fano mcdicarfi da fé, ma fiano sforzati va-
Jerfi d* altro medico, altrimenti, moren-»
do, come uccifori di fé rtcfli condennati fo-
no. Ma pur dice Arili, nel 2. della Fifica j
tefto I. il medico poter fc fterto nisdicare »
né impedire che fia agente , e paziente nel
medefimo tempo; perchè fi fa fecundum dim
ver [a .
Car. 9. 1. 10. Per men f«ntirs la noja deU
U petrofa via , ) La mu(ica quanto giovi a
fcacciar li faftidj , e quanto alleggerifca la
fatica , fi cava da molti Icrittori che a pie-
no n' hanno trattato, madaOvvid. nelprin,
dei 4. Trlft,
Hcc ejì cur cantei ^ìnHut quoqui compede
Indocili numero cum grave molli t $pur .
e quello eh* ivi feguc per molti verfi ; ma
leggafi il nofiroSanazzaro in quefia Profa 2.
^4r. 10, Fa (kf h fi/quj^nh loda (iti tuo can.
?74 ANNOTAZIONI
tare , fé non ti è noja ; che la via evieni Jo
nt parrà minore ; tolto da Virgilio nel fine
deli' Egloga 9. ^ , . , , x
Cantante! licet ufque ( tmnu! vta Uiat )
eamus ,
Car. IO. 1. 17. Amico -i fé ìebenlvole Kift-
fé ec: ) Vago color rettorico 5^ fé bene in boc-
ca di vii pallore 1 perchè daflì anco rettori-
ca naturale , come logica > e gramatica na-
turale : fimil arte usò Carino nella Profa 7.
car. 57. Ma dimmi ^ fé gli DH nelle braccia
ti rechino della defiftta donna , ec. Così nel-
r Egl. II. car. 129. pregando di favore un fiu-
mi Ergafto:
E i fé per piaggia mai non fi dijiempre
Il tuo bel corfo y ec.
E Virg. nelì' Egl. 9- v. 30.
Sic tua Cyrneai fugiant examina taxot :
Sic cytifo pajia difientent ubera vacete \
Incipe , fi quid babet , ec.
Dove a fcopre l'artificio ufato nel fondar
preghiere . Chi defidera impetrar alcuna co-
fa 5 prima dt-e acquirtarfi benevolenza predo
Ja perfona a cui chiede : ecco b?!^ modo di far-
fi benevolo il pregato, con defiderargli be-
ne, e quel bene che più gli gradifce . Poi^
dee tentar con doni d* impetrarla ; per quel'
dettod'Ovvidiolib. 5. ^^ Art.Am v, 6^^.
Munera ( cnde mibi ) capittnt hominefque\
Deofque :
Vlaeatur donis Jupiter ipfe datit .
Ecco il Sanazzaro : Acciocché tu non creda
che le tue fatiche fi (parlano al vento , io ho
un haflone di noderoso mirto , ec«
Car. IO. 1,26. lo i^ un bafio*te di nod*rO'
(0 mirto , ec. ) Fuil biflone ritrovato da Bjc;
co ( come afferma Rabano ) acciocché gli
uo-
DEL MASS ARENGO. 57?
nomini gravi per lo vino con quello fi fofte-
nellero . Mi poi è flato ufato da* paftori ,
non tanto per appoggio di iìanchezza , per
guida delie msndrej e per faltare i (ofCi ,
quanto per efl'er arma prontifllma a difender
(e, e la greggia da ogni nemico animale.
E però lochiamo ^arJa nella Profa ii.car.
115. E V terio rimarrà contento di quejio dar ^
do di ginepro , // quali ornato di sì bel ferro ,
p»trà e pir dardo fervi re ) e per pa fioraie ba.~
ftone . E Virgilio nel Culice v. 190. fa che il
paftore fattofi un baflone del tronco d* un'
orno , ammazzi il ferpsnte che voleva ucci-
der lui :
Et vaììdum dextra truncum detraxit ah orno y
jQai e a fui foci ar et opem ^ ec»
a imitazione del quale dilTe il noflro Sanaz*
raronell'Egl. 2. car. 11.
eh' /' un fol ramo mi trarò da p'ejfo ^
Nel fari fpejfo ritornare a dietro .
Quindi è , che gran diligenza ufavanoin for-
birli, come qui ben deferire l'Autore, e
nella Profa 6. car. 44. £ nella dffira mano un
belli jfimo bafione , con la punta guarnita di no-
vararne . E nella Pr. 9. car. 84. E neW una
delle mani avea di ginepro un baftcne belli jfitnOy
quanto alcuno mai ne vedejft a pajìore \ ec
E nella Pr. 11. car. 125. Rima fé ad Erga»
fio un delicatijfimo bafione di p^ro falvatico ,
tutto pieno dì intagli . E per moftrare , che
Apollo apprcflo Admeto foffe veramente pa-
llore , fra gli altri arnefi gli diede un bafio-
ne d* oliva, nella Profa 3. car. 18. Ed irt
un de* lati vi era Apollo biondijfimo , // qaa-
le appoggiato ad un bafione di falvatica diva
ec. il quale per la fua bellezzi non riputò
egli indegno di Mercurio j in ricompenfa
del-
576 ANNOTAZIONI
della foa ve lira d;^ lui ricevuta in dono. Co-
sì a PanC) Dio de' paftori d' Arcadia , die-
de un baione , ne'la Profa io. car. 92. Sovra
al quale jì vid*vn di lez^no la grande e^ìgìe dtl
falvatfco Iddio appoggiata ad un lungo bttjìong
di una intera oliva .
Car. IO. LuIcO»- qui-fto ( je tu Virrai can-
tare ) fia ttitt» ìu§ . ) Se qui dona un bafto-
ue per premio del fuo cantare» nella Profa
7. car. 57. dona una ramr>ogna : E io in
guiderdone ti donerò quefia famptgna di faf»^
buco , ec.
EGLOGA SECONDA.
Per la varietà della teflìtura, e per la di-
verficà de* ioggc^ti , qucfta fra tutte i' Eglo»
ghe palìorali fi puòdirebeilillìma , e che ia
eHa 1* Autore fi fia molto compiaciuto . Prin-
cipia con rima di terzetto, feguita con la
rima nel mszzo òt\ verfo , ripiglia i\ terzet-
to in verfo fdrucciolo , ed a quefto foggiun-
gendonova, ma leggiadra forma di terzet-
to , con una bella , ed incantenata Canzonet-
ta ? conduerifpondenti Madrigali in fine»
la concbiude nel medefimo terzetto ; ma ta-
le , che cdel primofpondaico, e del fecon-
do dattilico ,0 fdrucciolo precedenti con fi-
de . Comincia il terzetto fpondaico : Itenf
*//' cmbra . Lrt rima pofta in mezzo del ver-
fo : Fuggite ti ladro . lì terzetto fdruccio-
lo : Ncffun fi fidi^^ Il terzetto fpezzato 5 o
rima che d\x\i più torto vogliamo: Gi^ fe^
m$ giunti al luogo . La incatenata Canzonet-
ta : Ver pianto la mia Carne , Il primo Ma-
drigale : Fillida mis . al qual rifponde : Tir-
fina mia , li f«^oodo ; V*JÌ9r , (bt feti in^
DEL MASSAHEKGO. 37^
Urn» , al qual riipondo ; Vaftop ^ ìhe ptr fug^
gire . ( benché accoppiando inlìemf quefti
quattro Madfig;?!) , come quattro ftanze 9
Céfti^netts alla T^aptlifana più tolìo la no-
ni icerci i le quàli , f«coado V ufo antiro , e
d' oggi ancora » di quDttro brevi ftanze fi fa-
civano : e tale ancora chiamerei quella pri-
ma : Per piantécc. ) La cbiufa de. l'Egloga
in terzetto miilo di fpondaico , e fdrucciolo f
ivi comincia: f^<^« /« notte ^ t ^l dtl , Ora
che tutte le parti dì queOa artificiofiiTima
E}»!oga abbiimodiftintamente moftratej giu-
do farebbe T artificio di ciaicuna dichiarare »
raa in altro piiì comodo tempo fuppliramori
guefto , ed a molti altri mancamenti .
Car. II. 1. 52. Catctatt il ladro , il qual
iitnpre /» appiatta ec. ) Da quefta natura del
Jupo , che qual ladro fi nafconde all' infidie >
per trappolar la preda , formò 1' Arioso la
fua bella comparazione , Canto4> (lanza 25.
— .. .. ,. cerne ripofia
hopo alla macchia ti capriccio atttnde *
Car. 12. I. 15. Che nel latrar de^ can non
f ajfuuram , ) La ragione di quefto è quel-
la che diffe il Poeta di fopra neli' Egloga
».car. 5.
.. .- r / Can doftnendo flanncf ,
che fé bajall'ero al lupo 1 fi potrebbono aiTicu -
rare; ovvero non s* alf'curano , perchè non
teme talora il lupo V abbajar de* cani . Due
proprietà ritrovo nel cane: 1' una , per mio
giudizio, all' altra contraria . La prima»
ch'egli è fedele verfo il padrone in guifa ,
che fi fon trovati de' cani e* hanno il loro fi-
gnore , combattendo centra gli aflalitori ,
djfefo da morte i ed oltre gli cfemp) degli
fcrittoii, ch'io potrei allegare? n'ho ve^
du-
?78 ANNOTAZIONI
data io la prova in Parma patria mia. Epe-
rògli Egizj, prima eh' apparaflero le lette-
re, ponevano il cane per la fedeltà . Il che
diede occafione a quel bel Sonetto di Giulio
Cammillo:
Il verde Egitto per la tugra arena.
Di qui Virgilio defcrivendo neli' 8. delT En.
V. 461. come Evandro levò la mattina per
tempo, dice, che V accompagnavano due
cani , a guifa di d le guardiani :
Nec non ^ gemini cufiodef limine ah alto
Vrocedunt , g'ejfumque canes ccmltantuf
berihm ,
d'autore nella Pr. II. car. 117. il quale fo^
vra tutti i (ani f edeli jfimo , ed amorevole , merim
ih per la \ua immatura morte ejfere da me pian*
to , e fempre confofpiro nrdentijjìmo nominato .
E 1' Ariofto lo chiamò /</<? compagno. Ma
della loro fedeltà molti efempj riferifce Pli-
nio lib. 8. cap. 40* dove fra gli altri racconta
d*uno5 al quale era (lato il padrone uccifoj
né fi fapeva il reo ; e per mezzo di quello ca-
ne , il quale 5 a cafo vedutolo in compagnia
di molti, lo conobbe, ed ifcopertolo con la-
trargli, e morderlo, egli, confufo, e vinto, fu
corretto a confcHare l'occulto delitto . Sono
dunque fedeli i cani a'ioro fignori : ma hanno
altra proprietà, che adulano grandemente 5
che fé bene ricevono percolTe da loro , non
reftano d' accarezzarli , e far loro vezzi , per
tenerfeli amici . Benché quello fi potrebbe
anco attribuire a grande amore che portino
al padrone ; fapendo di efler battuti da loro ,
foloper caftigo, non per odiati che fiano ;
ediquefto efempiofi valeva uà padreaper-
fuadere un figliuolo , che con buon animo ri-
cevefle le correzioni ,
Car.
DtL MASSARENGO. ?79
Car. 12. 1 . 12. A* Uro agnelli già non noce il
fafcino j ) Fafcino è certa infermità che vie-
ne agii animali > come da ftregamento : o
più torto è quel male che alcuni maligni j ed
invidiofi, c'hanno i raggi vifivì corrotti, fan-
Eoai fanciulli , ed agli agnelli , o capretti ,
Volgarmente detto fnal d'' occhio ; e tali dico-
no edere gli occhi Hi donna meftruata . Vie-
ne dal verbo ^eia-/.uiva> , che a'Latini fignifica
invideo '^ d'onde fi dice in Italia , invidiare
un bambino j cioè ammaliarlo , come fanno
talora certe brutte ftreghe : ond* efii poi fi
ftraggonoj e confumano; non potendo > per
cibo efquifito che prendano , alimentarfi ;
però dille il noQro Poeta nell*£gloga 6. e. 46.
E fi diltgua y (cmt agnel per fafcino^
c nella Profa 3. car. 20. facrificando alla Dea
Pale : Guarda i teneri agnelli ^al fafcino de*
malva gj occhi degli invidiofi \ e nella Pr. 9.
car. Zi. Altra centra le perverfe tff'afcinaiio*
ni di invidiofi occhi , e quella invidia non
folo limavano dal ritorto, e bieco fguardo
avvenire , ma dal guardar dolcemente , e
dall* augurar bene ancora ; e dicevano , che
Je foverchie lodi avevano forza d' amrnaliare
gli uomini j onde a quefto propofito Virgilio
celi' Egloga 7. v. 27. dide :
Aut fi ultra placitum laudar it , laccare
frontem
Cingile^ nevati noceat mala lingua future »
C Plinio lib« 7. cap. i. In eadem Africa fami-
li a t quafdam ejfafcinantium , Iffgontif , &
I^ymphcdorus tradunt ^ quarum laudati one in--
tereant pnbata , arefcant arborei , emoriantuf
infante! . Quindi è , che tra gli antichi alcuni
volevano che in tutte le lodi fi giungere la
parola prafifcini , tratta da quella Fefcennina
aa-
5?ó Annotazioni
arrtfca poefia ; quiTi che con auella proteftaU
fero i iautiantl , eh' cfii non lodavano per fa-
fcinare E li cagione; per la quale hanno for-
za le lodi di fafc'nazioni ^ è la dilitazione de-
gli (piriti 'he fi faquindoci fintiamo loda-
re : onde 1* anima Ti fa piii atta a ricevere no-
cumento ; e pf-rò fnudizioiamente Vir?jlio
voleva che òìif-nc/ffra fi faccfìe una corona ;
la quile erba è odorifera , e y come dice Dio-
fcoride , ha virtù di cofiringcre ; e coft«pan-
do 1 meati , impedire la dilatazione ch« dal-
la lode puònafcere; ficch<^ viene per cagio-
ne naturale a proibire la fifcin.ìzione . Altra
fafcinìzione hanno gì' lllirj > uomini che ne-^
gli occhi portano due pupille ,i quali fé fiffa-
no il guardo in alcuno, 1' alfa fci nano; e fé
fono adirati, col guardo folo i' uccidono.
Fafcino fu prefo da Orazio nell' Epod. Od. 8.
per una forca d* incantclìrao che fanno gli
uomini alle donne; quando difle :
Minufve latìgugt fafftnum}
intendendolo oer il membro virile t e dì qus-
ftoracdefirnofignificato leggefi nella Priape-
jacarm. zy.
PaJicaktrt fafcino ^tJali .
per dichiarazione di cui leggafi Cello Ro-
dig. nelle fue Antiche Lez. lib. 4. cap. 6.
Scrive Plinio nel lib. 28. cap. 4, Tafcì»o ef-
fcre fiato anco Dio , cuftode degl* Impcrado-
x\y ede' f.jnciuUi : quile onoravano apprcf-
foi Romani le vergini Vertali .
Gir. it. 1. J5. Così ne meni il di ^ come
la notte} ec. ) Proverbio che fi dice degli
oziofi > ed inutili; pi^rchè il più inutil tem-
pò della vita è quello che fi donna al fonao^
per tefiimoniodiquel faviochedifie :
Eripìmuf vitt? quidquid jomn» tradimui •
Car.
DEL MASSARFN^GO. 5S1
Car. 12. J. 35. £ '« //< /- w^^;;./ nette ef. )
Chiami w#^^.i «off^ quello che di fopra ba
detto /wrf//'»f<? :
C^* e^o tnattino udii romori Jìram ,
forfè all' ufo de* Romjoi ; del qual fi Ic^gé
apprefio dottori nella i. tnor 9 Romano .^ ff.de
ffrtit ^ che cominciava a raezra notte il fuo
g'orno; ou-lì* ufo oggidì è feguito dalla S.
Romana Chiefa : onde appunto li levano in
queir ora a lodar Dio i religiofi con la prima
ora Canonica, da loro appellata Mattutino,
Car. i2. 1. :^6. Quefii can mi dtfiar bajat$'
do al lupo . ) I cani col Tuo latrato fcoprono i
ladri; tUdro fi chiama il lupo j come di fo-
pra in rueft' Fgloga :
Itt ^ m'ei rani ^ ttt ^ Melammo , id Adro ^
•C adiate il Udrò (cn audaci gridi ,
e fé ben quello comunemente s* aferi ve a fe-
deltà , ed amore che i ortino alla roba del
patroi^e > alcuni pero 1* atcriluifconoa invi-
dia naturale chi abbiano perch* altri godano
la roba . ond'.- fi dice in proverbio limne »
fèti he non mangia iattuf^ht , non vuol ih^ aìtrf
ie goda . Mjchida'cnn clVere fcopffrto ncii
volelie , porti feco iJ pjè deliro, oT occhio
deliro d* un can nero , o ut cod:i d' una don-
nola , e gir prtrà ficuro .
Car- I?. 1. t?. Kè cerco ufcir dal lacch ^
Si m* è dice ti to*^fnento > # V p'ungeP
^•'0(0 , ce. )
Si dichiara mvghoii Poeta neU* Egloga X.
car. 74. dicendo;
Brommn tornare addietro y entnji volgono ^^
Kf pfr foco ardo» y ni ptr giel$ tiggbiaff
ciano ;
Ma ffn'{a alcun dolor fempre f dclgono •
Ctnun fuggire Amore , e pur t$ abbracciano j
e que-
^Ht ANNOTAZIONI
equefti miracoli fono ad Amore fimigliarlf-
iìmi ; come tant' altri che ad ognora fono da*
poeti celebrati .
PROSA TERZA.
Car. 16. I. II. 1 fiochi fagiani per U lùf$
magioni cantavano > ) Fiochi > perchè han-
no voce grofla > e come rauca. In que(!o
animale fu cangiato Iti, figliodi Tereo e di
Progne > il quale uccifo per verdetta 5^^ fu
dato i n cibo a Tereo Tuo padre . Si dirà la'fa-
voia quando di Progne 3 e Filomena avere-
moa trattare.
Car. 16. 1. 23. Pef reverenda della quale ^
«c. ) Ecco quanto gli antichi odervaffero le
fefte loro ; come oggidì pure le oflervano a
confufion nollra i Pagani ( ben mi pefa dir-
lo) gli Etnici > e gli Ebrei ; e noi Criftia-
ni 9 quantunque da Dio ci fia ftata comandata
quefta oflervanza j nondimeno bene fpciTo o
per avarizia , o per ingordig ia di guadagno ,
o per altra indegna cagione , ne facciamo po-
co conto: fuggendofi anco talora da alcuni
di udire quella poca Mefla . Dell' offervan-
za antica fi legge in Ovvidio lib. i.de' Fa-
lli V. 71.
Prifpffa lux orituf : lìnguifque^ animi [qui
faveti .
2^uac dicenda hono funt bona ve^ha die ,
Car. 16. 1. 29. E di corbexxf'li <, ) Quefto
è 1' albero che i Latini chiamano arbutut ; le
cui foglie fimili fono al cedro, ma piià rare
alquanto; i frutti tondi , rolli 5 e punteg-
giati, come le fragole, i quali fi chiamano
xorbexxoli , Da Plinio lib. 25. e. 8. fu detto
<ia«ft<rfruttg unedp^ perciocché per T afprez-
DEL MASSARENGO. 3«?
2a fua non fé ne può mangiar più d'uno.
Car. 16. 1. g(. Po* con fumo di puro fo'f»
ec. ) 11 Tolfo ha virttidi purgare icatti-i odo-
ri, difcacciando Taere infetto: ed è con-
trariflìmoagli Ipiriti infernali; come dalla
Pr. 10. car. ice» fi cava > ove Enareto vo-
lendo purgar Clonico dice : Con acqua lu»
fìreile ) e henediUta ti inncfjìer'b tutto ^ ft^jftt"
mirandoti convergine fcifoy ec perciò i'ufa-
vano gli antichi a purgare le loro raandre :
come anco purgavano le loro cofcienze , fal-
lando fopra il fuoco . nel fine della Pr; 5. e.
2i, Indi di pagliii accef grand'tjjìfni fochi ^ fo-
rerà a quelli cominciammo tutti per ordine de-
flrijjtmamente a faltare , per efpiare le colpe
ccmmcfft nei tempi pajfr^>ti , E quefta fuper-
ftizione dura oggi ancora apprelTo il pazzo
volgo ; ed ho veduto io fanciulli , e fanciul-
le farlo femplicemente > come fecreti da
vecchiarelTe imparati . La ragione di quefta
fuperftizione è, perché efìTcndo proprio del
fuoco di purgar tutti gli altri elementi , e ri-
durli alla fua purifllma natura , ftimano » che
purgando il corpo, ne fegua purgazione ali*
anima; acciocché anima infetta non refti in
^en purgatocorpo ; cofe però falfiflìme ; e
3Ìn fi confermano , intendendo, all'anime
Jel Purgatorio darfi il fuoco in purgazione»
;d air Inferno in paca. Veramente il fuoco
ii fua naturi ha non fo che del divino : ond*
?gli è porto fovra tutti gli elementi ; rifplen-
3e, dà lume al fole? alle ftelle, e fa mille
naravigiiofi effetti . Perquefto» e per lieo-
nodi che reca a' mortali , fu da NembrcfC
fdorato per Dio : e , dai moti 5 e mormora-
zioni di quello certe cofe future arguendo
^onde nacque U Piromanzia) fili edificò tem*
ftA. ANNOTAZIONI
pj, ordinò facerdoti , e c^mpoi'e l'orazìoaji
da recitargli in verfo .
Car. »7. J. ^o. Vtdtmmo in fu U parta di
fini» alcutu ft/we , * colli bfUìlJifni , ec ) D
qui fi fcorge j cHere rtato uio antichiflimo
come è anco moderno , il dipingere neH<
portede* tcinpj 5 o intai^iiare in marmi, .<
in altra maniera , per invitar le genti al tem
pio alme»»© col dilerto dj faper le iftorie con
tenute fotìo le pitture : ed anco perchè gì
©ziofi , che femore non vogliono orare, ab
bianoa trattenerli virtiiofament* nella con
temoluzionr de'miftcrj. Virg. nel i. deli'
Eneida v. 464. finire, che Enea, venuto ji
.Cartagine, nella porta del (empio di Giù
-none vede dipinta la guerr* d i Troja :
Sic 4Ìt , /ìt^ue an'mumt)Uìi*rapsfcit inani
e nel ó.lib-^'-ic.dinnnzi a\ tempiod'Apolline
In fo'ibus Ittum Andfogeo \ tum pender
pcenas
Cti^opida j^lft ec.
.ed Achilie T^zio nel princìpio del i.Iit
-« nel iib.5.
Car- »8, 1, 2u Apf>lìo hìondijfim» ^ ) ChÌD
mafi biondo r,er la chu rezza de ' Tuo vifo , on
•de anco da' Latini è ótitto f'>rmofus , pule ber
favur * rijit4f , q n-tiJus ^ o fia per hcipcl
li, eneociouppeil-jto intcnfuf ^ puU-hrircmu!
.aihryf-ccwuf : il che dinotano i ragsj più In
cenrid^-r oro; perchè Apollo è il mcdef:
mo che 'i Sole .
Car. '. 8. i. 13. Guardava ^li armenti di A4^
meto alla riva ^* un fiume : ) Racconta Ov»
vidiobi'niilimo la favola nel 2. delle Tras
forni, ed il Gofeliao molto leggjadrament
^a deferì ve intagliata in una tazza ; nel don*
^^i^orale che comincia :
D'i
DEL MASSAREMGO. 3S5
Dì faggio quefta t/ii^a ecio ti d^no ,
Perchè dunque fu paftoroi il Sanazzaro nel-
Prola 5« car. gg. difìie : Va fior aU Apollo \ e
e nell'Egloga j.car. is.
A^ri l'* ufcio per tempo ^
Leggiadro aitno pafiore ,
e più bafio :
Cbt y fé btn ti rétmmenti ,
Guardafii i bianchì armenti.
La cagione perchè diventale paftore èdi-
verfamente da diverfi riferita. Scrive Ov-
vidio , feguito da molti elTcre (lato , per
aver ammazzato i Ciclopi , onde , bandito
dal cielo, fu privo della deità : ed egli fi ri-
covrò inXedaglia appreffoil ReAdameto;
forfè così comandato da Giove ; per ivi guar-
dare il numerofo gregge di quel Re. Calli-
maco poeta nondimeno in un fuo Inno d'
Apolline, e Seneca nella Tragedia d* Ippo-
lito dicono, ch'egli v'andò per amore ch^
egli portava a quell'Admeto: e non curava
Je vacche , e i buoi, come qui dice il Sanaz-
zaro , e prima dilTe Ovvidio; ma guardava
cavalle da carretta : Phcehum etiarn Nomium
cogmtninamtis , ( dice Callim ico ) ex ilio tem-
pore ex quo juxin Arnpbryfétn jugalei pavìt
equas ^ itKpub'^rif amore infamm.itui Adtnett ,
La verità è però , come Icrive Teodoiizio >
che eOendo Apollo n:,to con Di ina di Giove
e Lìtona negli anni del mondo ( fecondo Eu-
febio ) 371 !. crebbe tanto profperofo , e di
valore , che in breve regnò fopra gli Arca-
di , e ritrovò loro nuove leggi : ma per 1'
afprezza di quelle eHendo cacciato dal regno,
ebbe ricorfo appreHo Admeto Re diTefla-
glia ; dal quale Admeto gii fu d.ito il reggj^
njpnto fopra alcuni popoli prefloil fiume A.,"
j9mQ I. R ix\ "
3«6 ANNOTOAZINI
frifo . Del quale dice il Poeta nell' Egloga
10. car. 109.
Apollo in Tauro , 0 in Liha non alberga y
Ma con P t^ata verga al fiume Anfrifo
Si fta dolente ajjlfo in una pietra ; ec.
Car. 18.1.24. E per attentamente mirare
due forti tori ^ ec. ) Introduce il Sanazzaro
occafione differente affalda Ovvidio perchè
aveffe agio Mercurio d'involargli le vacche»
DiceOvvidio, che invaghito del Tuo pro-
prio fuono > fi era dimenticato il gregge 5 e
che allora fi affettava la chioma; mail Sa-
nazzaro fa > ch'egli foffe intento al combat-
tere di due forti tori; onde fi vede quanto
avanzi il noffro Autore l'invenzione d' Ov-
vidio» ponendooccafione veramente da pa-
flore, e più degna di tal perfona.
Car. 18. 1. 30. Batto pa'.efatore del furto
'trasformato in fa/fo , ec. ) Quefto faff'o fu la
pietra del par^igofte , veramente palefatrice
de' furti degli orefici, quando fotto coperta
d'oro vendono argento , or-, me, o altro più
baffo metallo , che fubiro fi cor-ofce al para-
gone h falfità loro . Ma perchè il Poeta non
finifce la favola , diremo il rimanente . Apol-
lo dunque , accortofi del furto > cercò tan-
to qua 5 eia, che e il ladro, ed il furto ri-
trovò; onde» accefo alia vendetta , va per
faettare Mercurio : ma dalla collera accie-
catoj non può mirar tanto giuffo ,che locol-
j;a ; onde preparandoli a novo colpo, e fer-
ie più diritto, Mereiaio difparve . Paffa-
to quel furore , rircrnò Mercuria- , e placa*
to Apolline, gli donò la lira di feinvent^
ta> ed infiemcgl'infegnòii modo di fonaff
la. Per loqual dono poi allegro Apolline»
in fegno di gratitudine., a Mercurio donò un
bsi-
DEL MASSARENGp. 3S7 ^
bellifllmo baftone di fua mano ingegnodfll-
mamente lavorato .* e cosi fu (labilità fra lo-
ro la riconciliata amicizia •
Car. 19. 1.29. Con file niio mirabilìjjifno)
Che fi debba flar con fiienzio prefente a*
facrificj divini , ene'tempj, fi cava da Vir-
gilio nel 5. dell' Eneida V..71. dove fi fa il
folenneanniverfariod' Anchife :
Ore f avere cmnes , ^ cingile tempora ramif .
e da Ovvidio nel 2. de' Falli v. 654.
Spt^ant , ^ linguir candida turba favent ,
e l' oflervò il Taflo nel lib. 21. ftau. 84» della
Conquiftata :
Pcfcin eh* al faort delia canora voce
SiUn^ic fu da^ [acerdoti impojìo .
Car. 19.1. 5'. Eie interiori di quella divota'-
mente per vittima offerfe ) Nota n fi in quella
azione del facerdote le quattro condizioni
che fi ricercano a pregarT) io ; la divozione >
l'umiltà, iamodeftia, d'orazione.
Car.-i9. 1.35. C^fìiuliviy ) Ecco , quan-
to giudiziofamente ufa gli aggiunti ; ne'quali
veramente fi è m'jftrato miracolofo : in altri
Juoghi ha c' iamite le oììvc pallide ^ in altri
^ff y conforme all' occafione ; qui la chia-
ma r^y?^ , non folo pereirer confrcrata alla
carta Minerva > di lei inventricc ( bench' al-
tri r attribuifcono ad Anfteo ) ra^ perchè ra-
giona di fcrificj , ne'qualinonfi dee ufare
fé non cola che c^iftn , pura, e monda fia ;
cosi altrove chiamò eli incenfi c^^Jli .
Car. 19. I. ^6. Crepitanti lau'i ^) Cioè chfi
facevano firepito, come il ginepro, il ci-
preflo , e il pino fanno, quando nel fuoco
fon porti i e ciò fi conferma nella Pr. 10. car«
aoi.ove dice :
Così fìrida nel foco
Tv 2 Chi
388 ANNOTAZIONI
Chi V mio mal prende in gioco .
però inalerò fenfoufato pare da Virgilio,
quando nel 6. delTEneida v. 209. parlando
dell'aureo ramo difle :
— ,. jic Lni crepitabant hraSiga vento .
Il crepitar de' lauri era felice fegno ncTacri-
fìcj ; e perqucfto volendo deferì vere profpe-
ri Àlacri fi cj di quefti paftori , difle : dicnft^
tanti lauri,
Car. 19. 1. 36. Infieme contrai Sabina , )
L* ufo di facrificar leerbefuancichiflìmod-'
gentili ; perchè allora non fi coftuma 'ano
gl'incenfi; ma fra l' altre 1* erba Sabina , il
lauro, il cipreffo, ed altre fi mili odorifere
erano più in ufo: onde Virgilio diife dell*
erba Sabina nel Calice v. 403,
Herbique turis opefp'ifcif imitata Sabina,
ed Ovvidio meglio nel i. de' Farti v, 343.
parlando de' primi antichi Romani :
Ara dabatfumoi herbis contenta Sabinis ,
Et non exiguo lauruf adufta fono .
Si quis erat , faSìis pr/jti de fiore coroni ^
jQjtf pojfet viùlar adde'e \ dives erat,
c Properzio lib. 4. Elegi.i ^ v. s8.
Et crepat ad vettre! berha Sabina focos ,
Ha ritenutoqueft'erba il nome fino a' giorni
no/lri , che our Sabina fi eh ima ; al cipreiTo
di foglia, ed' odore fimiLflìma. L' erba è
medicinale molto , ed i I folo odore fa difper-
dere il parto alle donne \ benché altri medi-
ci 1* ufino ppr quelle che partorir non potTo-
no; avvicin.^ndpb folam^ntealla natura , o
con il fumo folo dell' erba rlfcald:ita ; perchè
ha forza ( fecondo Plinio lib. 24. cap. 11. )
di allargare tanto, che con molta facilità n'
cfca , benché morta , la creatura .
Car. 20. 1. i . Con le braccia diftefe «/*/<» ^*
DEL MASSARENGO. 389
Oriente) Lt\ maggior parte de* fac ri ficj anti-
chi lì facevano verfo Levante : come benif-
fimo oflervato fi vede dall'Autore nelTEglo-
§a 3. car. 22.
F<y et rivolto /»/ fole ,
Dicea qutfte parole .
e nella Pr. 11. car. 114. A^hrlp^ima i/forgen^
te Sole : ec. e Virgilio neii' S. lib. deh'Enei-
dav. 68.
Suroit , 6f éttberei (peSlinr or tenti a [olir
Lucina , rite cavif undam dir fiumi ne palmi r
S ti li tilt t , ac taltf effundit ad atbera voces •
E nel 11. V. 1 7?.
Illi ad furgtnum converji lumina (ohm
Danf frt4ges manibut falfar ^ eC.
t più baHo V. 176.
Efto nunc , Sol , teftir •
e mille alrri efempj n* avere! d' altri poeti
Eroici, e Lirici, ch*iotrn!^afìro per nonac-
crefcere di foverchio il volume, e perchè
ricercano molte dichiarazioni . Bada dire
che ferbò queftì medefima ufanza laChiefa
antica, ePoHcrva anco la moderna; onde
quafi tutti i tcmpj fi veggono fabbricati ver-
(b Oriente , con gli altari maggiori che rif-
guard.jno il forgente fole : e ciò d' ordine de'
(acri Co.icilj; di che ricordevole il Taflb
■nella fua Gerufalemme Conquiftata > di Ri-
naldo che fa orazione a Diodice nel lib. 21.
ilan. 96.
Al^b il penjier fovra ogni ciel (ublime .
E le luci fisi nell* Oriente ec.
EGLOGA TERZA.
Car. 22. \, 6*Sova una verde riva ) La
C.nzoe , che é la ?ii!t nobil parte delia Me -
R 3 1ÌC4
390 ANNOTAZIONI
lica poefia i fecondo i buoni autori , ha tre
parti; Principio» Narrazione, ed U fc: ta .
II Principio o contiene invocazione > o prò-
pofizione fola , o molte volte l* una e '1 altra
infieme. Così fi vede offervato dal Petrarca
in molte fue Canzoni , ma in quella partico-
Jarmentealla Beatiffima Vergine; ove pri-
ma propene :
Vergine bella , ec»
poi invocadicendo :
Ma non fo ^ncominctar fenx,a tu* aita ,
il fimi le fece nella Canzone : Italia mia ; ed'
in quell' altra : Tacer nonpojfo, Alcunevol-
te poi propone folamente , ienza invocare;
come in quella Canzone : TsLel dolce tempo ec.
Cosi il Poeta noftro in quella Canzone prima
propone: Sovra una verde riva ^ poi invoca:
Apri P ufcio per tempo . Ma nella Canzone :
Alma beata ^ e bella , invoca » e propone tut-
to a un tempo; e quafi direi meglio , edere
una propofizione fola , perché quella in voca-
zione non ferve per chiedere ajuto ,' al qual
fine però ella è inftituita ; ma folo per intro-
duzione della Canzone . Ritrovo quefta Can-
zone fimiledi teftura quali in tutto a quella
della 1. parte delle fue Rime :
Valli ripofle , e fole ^ ec.
e forfè non fenza occulta cagione , quale agli
fpeculativi lafcieremo ,
Car. 2 2, I. 19. Apri r ffcioper tempo , ec. )
Invoca il Sole, che meni lieto giorno , con-
forme al desiderio univerfale, amando cia-
fcuno i giorni folari , edabborrendo i nebu-
lofi . Sono però certi popoli d* Etiopia? i
quali maledicono con tutto T affetto il iol tì^-
fcente ; perchè col fuo troppo calore appref-
fo loro difperde ogni cufa > e però lo chiama ^
no
DEL MASS ARENGO. 391
no Apollo , chi: perdente , i'econdo Fulgenzio %
s' interpreta . Tale anco fi moftrava Meli-
feo, come canta Barcinio nell' Egloga 12.
car. 149.
Ingrato fil ^ per cai ti affaretti a nafcere}
Tua luce a tne cbt vai ^ s^ io pia non godol^ '
e quel che fegue per Tei verfi ancora .
Car. 22. 1. 26. Acciocché tua firelU) Lj
Luna intende, forella del So'e ; per efTer
nati Apollo , e Diana in un medefimo parto ,
di Latona e di Giove .
Car.zj. 1. 3. Ma torni il mondo a quelle ofan»
Reprime. ) Ali' età dell' oro ; delia qual ra-
giona nel)* Egloga 6. car. 48.
1 tempi antichi y ec.
Car. 2 j. L 6. E p/r le [pine dure ce. ) Tratto
da Virgilio nell'Egloga 4. v. 29.^
Inculrtfque rubenf pendeùit fentibur uva :
Et dura quercU! [udabunt rofcida mella ,
PROSA Q^U A R T A .
Car. 26, I. 1 1 , Afe medefitna ufcita di men'
te , (en\a avvedercene ella , tutti le caddero , )
Quello cader dt'norifu con altra maniera,
non meno di quella leggiadra > ifpiegato dal
TafTo ne! fuo Aminta , atto 2. fcena 2. v. 55.
M:» , mentre ella s'^ ornava -^ e vagheggiava^
Rivolfe gli o:cbi a cafo , e fi fu accorta ^
Ch'aie dt lei m'era accortale vergognando
Rill.jji tofto , e i fior hfciò cadere .
Cjr. 26. 1. 15. Divenne non altrimenti
verm.gìia nel vifo ec ) Q^iefto rortore nac-
que da vergogna , come più bafTo fi dichiara
il Sanjzzaro con quelle parole : For fé pen
ffjndo di meglio nafcondere la fopravvenuta rof^
fella , che da donne fa vergogna le procedea^ec^
R 4 Ma
591 ANNOTAZIONI
Ma in qual parte del vifo dia queHa ver-»
gogna, édifpareretraglifcrictori . Alcuni
Ja mettono negli occhi, per 1* acttorità del
Petrarca nel Trionfo della Caftità: il qua!
dille :
Che vergogna con man dagli occhi forba ;
c di Dante, che dilTe :
Allor con gli occhi vergogno/i^ e hajff qc.
< d^ Ariftotile nella Rettorica lib.2. e. 6. che
fcrive : Et ea qua funt ocultf expoftta ^ qua^
que in propalalo funi: unde ^iìlud prove fhium
dicunt i Pudorem in oculit ejfe^ e di Valerio
Fiacco nel lib. 2. v. 470.
Illa trsmenf , trifti-que oculoi dejeHa pudore .
Alcuni altri nella fronte: di cui dille il Pe-
trarca nella Canzone:
Una donna più bella ec.
Ratto inchinai la fronte vergognofa ,
e di qui è venuta la voce sfrontato , che figni-
^cafen^a fronte, e fen^a vergogna y e la fra-
fe Latina perfricarefrontem^ per ifcancellar-
ii la vergogna del vifo . Ed il Boccaccio dif-
ie : Con altre donne poffo andare a fronte [co-
perta : cioèfenza arrofTìr nel vifo . Altri 1*
lianno collocata nelle guance; come Plinio
il qual diffe nel lib. ii.cap, :^'j. Infra otulof
mnìa hontini tantum , quas pnfcì genaS 'vo-
cabant y XII. Tahu/artim interdi fio radi afe-
minif ras- vetantes , Pudoris hac fedes , Ibi
maxime cfisnditur rubor , ed Owidio 4. Tr//?,
Uleg. ?r V, 70.
Pu*pureuf molli fiat in ore rubof ,
ed a mio giù 'ici») quello è il più fano pare-
re ; e per rifpondere alle altre due opinioni ,
leconcilieròa qu;fta con 1' autorità d' Ari-
ftocile ne' Tuoi Problemi , ove riferifce la
cagione perchè a quelli e' hanno vergogna»
fi fdC-
DEL MASSARENGO. 355
fi facclan roli'e P orecchie , ed a quelli e'
hanno collera} lì arrolìifcan ) gli occhi : An
prspt^na quod pud or in oculii frigur quondam
adiiucit uni cum metti , atiiue ob id merito
(alor rtlinqnit cculof ? 1/ Viro demig^anf in-
de ftriuf ad Utum fui maxime capacem . EJi
atittm bujui'mjdi fumma pars aurium ; nam
Ttìiqua par eft cffea . R-trfum irati ì c al or fu f^
funditur , idiui pitijjtmum apparet in ocitlif ,
propter albicantem iliorum colorem , Che fé
nella vergogna s'abballano gli occhi , onde
vergogno/i fon detti , avviene perchè 1' uomo ,
fentendofi accefonel vjfoper vergognai con
abballare gli occhi ^ pare a lui che gli altri
noi veggano ; come i bambini , coprendoli
gii occhi , ftimino efl'er lìcuri da ogni paura :
che fé negli occhi folTe la vergogna ? eflì an-
cora diverrebbono rolli: ma ciò nega farfi T
inveftigatore di natura Ariftotiie , dicendo
che ivi più torto per timore fi genera freddo »
ii quale di fua natura induce pallidezza j non
rodezza . A quelli che nella fronte la pofe-
To, rifpondo , aver eglino figuratamente pre-
fa una parte della ficcia per 1* altra , e polla
Ja fronte 5 come più eminente luogo del vi-
fo , per le gu.ince ; perchè non vcg^hiamo ,
la fronte giammai arroflarfi per vergogna,
ma sìben per fudore : dove nella vergogna j
"bianca fi moftra ; e qui molti efempj addur
potrei, ove la fronte è pola per la ciera j
per la prefenzi , per la faccia , e per lo vifo
{utto: onde fé fi dice la ffcna fronte , è per-
ché tutto il vifo è fcreno , fé vergagnofa ,
perchè la faccia è vergognofa . E s' alcuno ha
dettola faccia ve'gognofa ^ fenzi toccar più
le guance, che altra parte > in occsfione di
vergogna fcmprcfi dee intendere detto deU
R 5 le
194 ANNOTAZIONI
le^uance, come parte maggior delvlfo, e
fede propria della vergogna. Ora, che ab-
biamo conciliati i difpareri degli autori , av-
vertano gli ftudiofi una difFcrenza fottile de'
gramaticf tra vergogna , ed eruhfcenia : di-
cenda, quefta eifere un' onefto rofìTore , che
da virtia procede » o per lode che fia data , a
per modeftia di qualche atto pubblico , o per
altra cofa leggiera: quella 5 da confufione
d'animo per vizio fcoperto nafce ; ma fi con-
fonde quefta , come tutte l'altre differenze ;
e lo dimoerà qui V Autore ; il qunl pone ver-
gogna per onello roffore . t)ifri roffore\ per-
chè da altro non fi conofce la vergogna j chs
da un roffore , il qual fi mofira nel vifo i e fé
Quinziano dilTc: ptlUJuf pudùr ^ intefe per
lo pudore, non la vergogna » mail timore»
attefo che il timore fa pallido 5 ed efangue
il vifo; ritirandofi il fangue intorno al cuore.
Car, 27. L 28. E quivi a p/V di un* altif-
fima eletta n? ponemmo (en\a ordine alcuno a
federe , ) Sedevano feniz' ordine , perché co-
sì a vea meno dell' artifici jfo, e però pi ià del
libero, ericreevolej chefeavefTero a fer-
var dignità fra loro , avrebbe alquanto dell'
odiofo , per efTer fuori del naturale; tanto
grato a' pallori : fa tufti eguali la natura»
onde tutti ftar poflono fen?;' ordine di prece-
denza. A quefto, in confermazione , allu-
de 1! Autore nella i. Pr. car. 3. quando parla
degli alberi dalla natura poili foora il monte
Partenio : In o^dins non artifìdofo difpofti ,
Così difie nella Pr. 5. car. 56. Ne ponemmo
ionfftfr. mente fovra la verde erba a federe ,
Altrimenti però di (Te nella Pr, 6.car.4?•
mentre fi cibavano r E quivi ordinatamente
(gmtnciammo a mangiare le carni de* [acri fi.
fati
DEL MASSARENGO. 39^
fati tiielii . Ma fi potrebbe rirpondere , che
quell'ordine s'intende rifpetto a'facritìcj.
Perchè nelle azioni facre , e divine r-Tvava-
no crdine ; come n' abbiamo 1' efempio nel-
Ja Pr. 5. car. ii. Sovra s quelli cominci am-^
mo tutti per ofdifte dejlrijfimamente a faltare *
cofa che non facevano fra loro : o pur fi po-
trebbe dire > che cominciafTero a mangiare
ordinatamente > cioè mangiando prima i vi-
telli che primi erano (lati facrificati , e cosi
gli altri cibi per ordine . Nella Profa ii.car,
139. moftra) che Io fiar fenz' ordine era fé*
gno di gran malinconia : D"* intorno a ìuicon
difufnto mormorio le [uè Ninfe fi ava no tutte
piangendo , e fen^a ordine 0 dignith alcuna
gittate per terra non aliavano i mefli volti .
Car. 27. 1. ult. Ambiduo co"* capelli biondi
pia che le mature [piche : ambiduo di Arca-
dia ^ ed eguaìmtnte a cantare^ ed a rifponde-^
re apparecchiati . ) Tolto da Virgilio nell*
Egloga 7. V. 4.
Ambo fiorente f atatibuf , Arca de f ambo ,
Et cantare pare; , ^ refpondere parati ,
ed imitato dal Taflb nella Ballata:
Io mi fedea tutto foletto , ec.
Ambe a cantare^ ed a rifponder pronte ^
Cerne di primave'^a i v.ighi augelli :
Ambe vidi con l» fighi aurei tai^Hi ;
Ambe f'ìavi il rijOy
Bianche e verm'gHe il vifo:
Ambe nude le braccia , ec.
Car. 29. 1. \\, Un nappo huovo di faggio
ec. ) I vafi di fjggio furono fommamente iti
pregio, comefcrivc Plinio lib. 16. cap. 3^.
onde fc ne valevano fino ne* f:Krificj ; e però
Manio Curio giurò 5 della prefaglia non aver
tolto altro che un vafo di faggio, per facri-
y R 6 fica-
^<)6 ^ ANNOTAZIONI
iìcare . Uno però le ne vede nella Profi i r.
car.i2o. fatto d' acero ; ed altri n' ho letti d*
ibifco, ed altri d' altra materia: ma miri-
fi la bella defcrizione del vafo ; nella quale s'
ingegnano molto i poeti } intagliandovi fo-
pra millecofe : così Virgilio nell* Egl. 5. v.
50. duo vafi intagliati propone a'cantanti pa-
Uori in premio , e nel s- deli' Eneida v. 535.
_. — hoc munus haheb'u ,
Crater/i impreffum fignif .
e nel 9. v. 165.
3 ini daho argento perfeSia atque afptra fi-
gnh PgcuU .
Achille Tazio nel principio del i- lib. un bel-
Jilfimo intagliato nedefcrive: ed Anacreon-
te nelle Tue Ode: il Cavalier Porro nel fine
della Tua Amaranta :
Vieni ^ cb^ al tuo venir lieto ti dono
Una gran tana di fottìi ibifco , ec-
e M Gofelino nel fine della 2. parte delle Tue
Rime defcrivendo pure un dono paftoralc :
Di faggio quejla ta\ia ecco ti dono \
Ove ^ intagliato con tnirab'tl arte , ec.
Ma ho notato , che folo i vafi da bere j o
da mangiare s'intagliavano, non gli altri:
€ quefti ufavano di donare agli amici , come
degno prefente ; e di proporli ne' premj de'
vincitori , come dell' uno e dell'altro n' ab-
biamo in Virgilio chiari efempj . Però il Sa-
nazzaro nelT Egl. 9. non intaglia i duo vafi di
faggio ) premio del cantar che vince » perchè
erano fatti per mungervi dentro capre .
Car.50. \.s. Di t/il radice nafce ec*) DÌCQ
anco il Petrarca nel Sonetto .
Mirando 7 fol de"* begli occhi CC.
Tal frutto nafce di cotal radice ,
Car, 30. 1, 7. E gwroti per le Veith de"^
fa.
DEL MASS ARENGO. ^g?
/seri fonti ) Giuramento imitato da quello
degli Dei , i quali giuravano per la Scige pa*-
Iu-'ì;, per non mentire : che mentendo poi »
rertavanocento anni privi della divinità , e
del nettare ; onde dille Virgilio nel 6. deli'
En. V. J2J.
.- .- Stygiamqu* p/j/.v^^w ,
Dì cuius jxirafe tinj'rtt <& fallere numen ,
tosi gli uomini giuravano per la Divinità de'
facri fonti > sì perchè in quelli ftimavano
Dei , e Dee llìrfi ,come nella Pr. i, car. 19.
«ianco , perchè erano alcuni fonti che fa-
cevano contra agli fpergiuri ; ne riferìfce
Solino, ed il conferma S. Agollino ^f C/v/;.
D'i , ale. 7. uno di Sardegna ^ che gli fper-
giuri accieciva. Plinio nel lib. 31. cap. 2»
narra d' un fiume di Bitinia , chiamuoO/<7-
€a ^ il quale i mentitori incende come fiam-
ma ; il medefimo feri ve Stefano àe Urb. Ut.
P. d' una fonte di Sicilia , detta Validm ; e
Filoftrato nel 2. lib. della Vita di Apollonio
Timeo > d* una fontana vicina a Tiana , cit-
tà, In quale, bevuta dagli fpergiuri , di mo-
do gli ftroppia , che da quell'acqua non fi pof-
fono pili partire .
Car. 50. l. 7. Che giammai le mìe labbra noi
Ufca'-cnó , ec.) Replicato due volte da Virgi»
Jio ncir Egl. 3. v. 43. e 47.
Nec dum illìs ìahra mdmovi , feti c$rtdita
ferv3 ,
EGLOGA QUARTA*
Car. 3t. 1. 29. O fortunato , (he c§n 4/-
tre rimi
Ri confolar potrai la doflia e '^l pianto I ) Pen-
fano alcuni mi\ configliaci amanci > col can-
to
'398 ANNOTAZIONI
to sfogare i loro amori, fpegnergli ardori j
ed acquetar le miferie ; e tale quafi fi moftra
r Autore nella Pr. 7. cjr. 51. Ma perchè lo
sfogare con paro' e ai m'tferi fuoU alle volte ef-
fei-e alleviamento lìi pefo , ec. ma altrimenti
pensò il Petrarca quando difTe nel lib. De
retnid. utrtufq, fo*t, Loquendo , canvndoque
amor alitur , accenditurque , non ex/ììngaitur ,
ttec lenituf : ut quo ^ memorai cantui ^ ^ Car»
mirti , tuorum non fomenta , fed irrìtamenta
fint vulnerum \ meglio dunque ntlla medefi-
ma Pr. 7. car. 50. difìTe l' Autore : Non pcjfo ,
gra^icfo paftore , ferina fioja grandljjima rìcor'
darmi de"* pajfati tempi '^ li q^alì avvegnaché
per me poco lieti dir fi poffano ^ nientedimeno
avendoli a raccontare ora che in maggiore mo»
lefiia mi trovo , mi faranno accrefcimsnto di
pena , e quaji uno inacerbire di dolore alla mal
faldata piaga ,• che naturalmente rifugge di
far fi fpfjfo toccare ,
Cìi''. 32, 1.14. --e P incantate rime ^
Chàdi biade p ih volte han privi i campì , )
difTe Ovvidio Amor. lib. ^. Ehg, 7, f. gì.
Carmine la fa Ceres ferii em vanefcit in
herham .
però affafcinar le biade era proibito nella
legge delle XII. Tavole : Qui fruga excan*
tajfit 5 pitnas dato , neve alienam f<getem peU
lexeris excantando . ed un' altra : Ne incanì
tanto: ne ag^um defruganto \ il che non era
altro, che incantar la terra , perchè non
produca, o, prodotta avendo la (pica , non
maturi, e maturando fiada loglio, e da al-
tre erbe nocive affogata .
PRO-
DEL MASSAR.ENGO. ^gg
PROSA QUINTA.
Car. ?5. I. 5. E U (rifiato gallo col [uo canti
Jalurò il virino giorno , ) M. Francefco Fa-
bri in un i Tua Rima Paftorale che comincia :
Ario Paftor , ec .
Co fi quando P augel nunzio del giorno ,
E pafiori , e bifoUbiin mmti , e ^n valli
Dejìaccn chiare canto alle hr opre y ec.
Perchè non lolo veggia per fé , mi rifveglia
iniieme gli altri . Rcmy Bellau > poeta Fraa-
cefe eccellente nella 2. giornata della Ber-
geria, alla prima RimadelTlnverno, che
comincia :
L' Hyvtr p^lU dt frcid ec.
Car ji tojl que l* eyfeau a la crejìe pourpret
Reviilloit du matin la lumiere doree ,
Un ehacun f* levoit , ec.
Perchè il gallo (caccia la notte , e chiama il
giorno, gli antichi ufavano di facrificarlo
alla Notte, ed in tempo di notte. Ovvidio
nel I. de' Farti v. 455.
NoSle Dea Noci: cri flatus e adì tur ahr ^
Quod tepidutn vigili provocai ore diem ,
Stimano alcuni , che a Cibele facrato folTe ,
poiché i Tuoi facerdoti Gr.lU (\ chiamavano;
ma quanto erroneamente, ciafcun fel penfi.
Era ben confecrato al Sole, perchè con lui
fi leva , e con lui fi corca ; onde i\x cliiamato
Titanìuf ahi. Il Tuo canroè grandemente
abborrito dal leone , di cui fi legge una bel-
liflinia favola appreffb Achille Tazio nel 2.
lib. ma chi non vuol che canti , gli leghi al
collo un cerchietto di vimine ; o pur cabrare
Jo faccia , che non canterà mai pili . Egli
é aoimale calidilTiino ) e però molto abile al
coi-
4C0 A N N O T A !Z T O N 1
coito : onde il Poiiz. nel Rufiw. 41 5. io chla*
mòfalafe^ perché balla un fol gallo a tren-
ta galline » cuna fol donna a trenta uomini :
Jpfe falax totarn fdcundo ffmine gentem
Implst , ec. ^
Combatce volentieri con gli altri polli; e
rimanendo vincitore , canta in vece di trom-
betta ; però vien detto ««/«^''<? delle vittorie.
E' detto anco afirologo ^ perchè conofce , e
predicele mutazioni de' tempi. Finalmen-
te fi chiàmxreligiofo , perchè canta l'ore Ca-
noniche, cioèa m-'zzi notte, nell' aurora, ec-
Car.35. 1.35. E credo già che ora le lettere
ènjìetne con gli alberi (iano cresciute ; ) Tro-
vato da' Greci poeti, da' Litini feguito, e
da' Tofcani imitato. H Tadbnelfuo A min-
ta 1 atto I. \c. I. v 217.
Lo fcriffe in mille p'ante , e con le piante
Crebbero i ver fi , e così lejfi in una ,
Virgilio nell' Egl. lO. v. 55.
-. temrifque m;oi incidere amjrer
Arboribuf' cefcent ì^la \ cej'cetif ^ am)re^ •
ed io ho veduto nel giardino d' un principe
foglie à(i\ fico Indiano crefciute con li noniii
intagliati di molce fi^^nore principali .
Car. 36. 1. 52. Ma le pecore , e le capre , chi
pia df pafcere , che di 'ipjfirfi erano vagbe^ ec
Tolto da Virgilio nel Calice; vedi alle An
notazioni fopra h ». Egloga a e. ?48.
I/edi quelle che '/ f<o varcando ec.
. Car. 37. J. 5. Di veder/i fecchiite dentro dì
quelle: ec. ) Vir.g nel Culice v. 56.
at illa
Immifift in rivi p-eftantif im^ginis undam .
•Che nell' acqui fi rapprefenti 1' immagine
com: nel vetro , fu concetto di molti poeti •"
.Virgilio nell' Egloga 2. v. 25,
tlte
DEL MASSAREKGO. 40T
jCec fum adeo infitrnit \ rtuper mt in liti*
re vidi ,
Cum p'.^fiJum venti f flaret mare ,
ad imitaziorc del qiule , il TafTo nel fuo
A minta, atto 2. leena 1. v. 35. facendo par-
lare un Satiro :
— .- .- ftofi fon io
Da di(p'tii^r , fé ben me fliffo vidi
Nfl liquido del mar , quando Pa/tr^ ieri
Té$ceano i venti ^ ed ei giaaa fen\^ onda ,
e nella 2. fcenav.61. parlando d* una Ninfa
che fi fpecchiava :
Con gli occhi al fonte confglier ricorfe ,
E fi mirh qua fi di furto .
Di quello loggetto kce Virgilio n.Diftichi 9
i q.iaJi fi leggono ne' Tuoi Opufculi , degni in
vero di così divino Poeta. Quindi è, che i
profefibri di bella poefia Tofcana hanno chia-
mate l'acque liquidi (rifialli . Di queft.i Torta
di (pecchi fi vagliono i pallori , e le Ninfe ,
chi bene , e chi male . Male fé ne fervi Nar-
cifo, a cui fu cagion di morte; ed a Carino
nella Pr. 8. car. 66^ fu cagione di perder l*
amata , per averla fatta fpccchiare in un fon- '
te: Bajfnndo gli occhi nelle quiete acque ^ vi-*
de /(p jieffa in quelle dipìnta : E leggefi di
quello fpecchiarfi un Sonetto del Varchi:
Qui fio è y Tirfi , quel fonte in cui folfa
Specchiarfi Ja mia vaga pnjiorella , ec
ecco come la, natura dallo fpecchio ha confe-
guito un dono di poter contemplar fé mede-
iJma . A quello modo diventiamo fifionomi-
Hi di noiflcifi ; perciò Platone efortò gli ub-
b'riachi , e i collerici a fpecchiarfi fpeflo , e
più quando erano in qoelia pacione > accioc-
ché > veduta la bruttezza del loro vifo , h-
fcialTero quel vizio . QucQo medefimo dir
fo«
401 ANNOTAZIONI
foleva Socrate a' Tuoi diicepoli ; perchè. Te
veduta a ve Acro nello fpecchio la lor faccia
ed'er bella, (1 vergognerebbono di far opere
brutte 3 e, vedendola brutta > vergognadofi
di accoppiare inùeme due cofe brutte, cor-
po, ed animo, fi sforzerebbono d*a)utar la
bruttezza del vifocon la bellezza dell'ani-
mo . Comeci rapprcfenti lo fpecchio le im-
magini, èftata opinione varia rra' filolofi •
Altri (limarono , che in lui fofT^ro i fimula-
cri mandati fuori da' corpi noftri : altri dif-
fero , che con la ritorta virtù vifiva fi vedo-
no in lui i corpi moftrando egli le cofe per li
raggi riflefiì ; ma quefta rifleflione fi £i dal
denfo ; e però gli fpecchj hanno il piombar
battuto di dietro ; così l' acqua > per non po-
ter trafparire efTendo troppo alta , o avendo
qualche denfità nel fondo , fa il mcdefimo
effetto . Io altrimenti (limo avvenir que-
fìo, non per eHer la materia trafparente?
©per folidezza di corpo denfo che rifletta!
raggi , come fi è detto , ma perchè la ma-
teria che fa fpecchio è foglia? terfa , puli-
ta > e lucida . Di qui vediamo ? che un mar.
mo, un legno, una tavola , un bacino di ra-
me , di (lagno, d'argento, o d'oro, ben-
ché trafparentc non fia , purché abbia la fu-
perficielifcia , e lucida, ferve in vece di
l'pecchio; e da quello fono ritrovati gli (pec^
chi d' acciaio : ma un vetro benché fiatrafpa-
rente, e chiaro» fé ha dellofcabrofo , e non
fia foglio, non rapprefenterà giammai cofa
alcuna , fé non in quslla poca parte foglia >
e pulita .
Car. 37. 1. 28, I» uno altare noovamtn^
te fatto di verdi cr'ie ; ec. ) Che quedl
fofle antica ufaaza» (ì conofce da Virgi-
lio
DEL MASSARENGO. 403-
ilo nel 12. dell' Eneida v. iiS.
Tff meJicque focos df D/V ccmmunìhur aras
G^amifteas .
C r Autor noftro nella Profa ic. car. 97. Fa^
'/ò di terra , e di trbe un nuovo altare , Vir-
gilio nel ^. dell' Eneida v. 24.
.- viridtmquf ab humo convelltrt fdvam
Cortalus- , ramif ttgtrem ut frondtniìbus aran
e nel niedefimo libro pure de' facrificj ragio-
nando che taceva Andromachc al morto Et»
tore , V. 30?.
— __ -- Maffifquf vocahat
HiSì$rtum ad tumulum : viridi qutm cefpi-m
te inantm »
"Et geminai , caujfam lacrimi s , facraverat
aras ,
ed il medefimo poeta nel Calice v.^92. quan-
do il pallore gli faceva la fepoltura :
Gramineam ut viridi fadiret de cefpìte ter^
ram ,
Car. jS. I. ^2. 1/ reverendo Termino ) Ter-
mino era il Dio de' confini , il quale da tut-
ti era inviolabilmente ofTervato ; e s' alcuno
per avventura, arando» 1* avefTe palTato , in-
correva nella pena della legge delle XII.
Tavole: Qui Termìnum exarajjit ^ ìpfur <if
hovef [acri funto . A quedo Dio erano facri
tuteli confini si delle città , come de' pri-
vati campi : ed ogni anno gli fi i'acrific^va in
quel proprio luogo del confine dalle due par-
ti confinanti i come ben deicrive quelli fa-
crificj ( che Terminali fi chiamavano ) Ovvi-
dio nel 2. de' Falli v. 64?.
Te duo dtverfa domini prò parte coronaftt'^
Binaque ferta tibi y bin^que liba ferunt ,
e quel che fiegue j ove foggiunge, che fra
tutti gli Dei j folo il Termino contrago con
Gio-
4ò4 ANNOTAZIONI
Giove; evolIeelTere adorato nel medefimo
tempio di Giove ; ma non contento di que-
fto j volle dappoi anco eflcrfopra di Giove;
per che gli fu £r»tto un tempio ieparato; e fé
Giove fi contentava di ftare in un tempio rac-
chiufo, e^li volle che il fuo foOfe di fopra
fcoperto . leggafi Ovvidio nel fopratocco luo-
go : Tito Livio nel lib. I. circa il fine : Var-
rone nel lib. i. ^e fermc»e latino: AuloGel-
Jio nel lib. 12. e. 6. il Trapezunzio nella fua
Dialettica al principio. Così dunque fu fer-
vatofempre fcoperto ; onde (limarono poi ef-
fer cofa nefanda rinchiudere i! Dio de' ter-
mini dentro il termine d'un tetto. E flato
però un tempo che non fi conofceva quedo
Termino , poiché ogni cofa era comune j co-
me difTe il noftro Poeta neirEi'Joga 6.car.48.
I campi eran comuni , e fen^a termini .
Car. 59.1.21. Ecco che il pafiofaU A'jolh y
ec. ) Perchè egli fu paftore > come nella Pr.
7, moftfò V Autore car. 1 8. e però ficcome a
paftore gli fu dedicato il verfo Bucolico .
Calf. poeta Egl. 7. v. 22,
Aut facunda Pales , aut pajio'altf Apolh ,
e Nemef. Egl. i. v. 6^, il nomìnò-rwale :
M.untra dat ^ laur^s carp^nt ^ rwa/if Ap'.llo»
e Sidonio C<»r. t^, v. 198. l'appellò bifolco ,
Jujfuf ptfeefe qui gregem efl clienti^
Am^b^yli ad fluvium Deuf huhulcus ,
e con ragione dunque difTe il Poeta nell*
Egloga ?. car. 22.
Ap'i P ufcio pef tempo )
Leggiadro alni) p^jjiore •
e con ragione anco io fa venire alla Sepol-
tura d' Androgeoin Arcadia , perchè egli fu
pallore, e Re degli Arcadi; a'quìli anco
diede leggi, onde fu detto NomioJl Poorano;
DEL MASSARENGO . 405 ^
"PhubcijHf , ^ Nernh , Lycinjui , patria
qut Ly^to ,
hp.nchè Nrf/tio i G chiama in latino pajìor e \ e
cesi per due rifpetti degnamente tu detto
Komio . Ebbe altri nomi pur daMuoghi d'
-Arcardia > onde fi conferma quefto che di-
ciamo; edide Properzio : Eleg ».Iib.:?.v.38.
Prttijnm fjì y Lyci0 zeta probantf Deo .
Car. ^9. i. 30. Fevgono ora tutte c«n ca-
mfiri biancbijfimi , ) Virg. nella 2. Egl. v 46.
_, .- __ tibi aita pienti
Ecce ferunt Kyfnpba calatòir : ec.
Car. 40. 1. 14. È prima i u/.'Kcfi taffi )
Taflo è albero detto da' Germani con Greca
voce Oolo-^ per eflcr egli ottimo a far baie-
fìre, ed archi, quali ufano oggi molto gì*
Inglefi ; ed' un' arco di tallo tocca il Snnaz-
zaro pella Pr. 11. car. 1 26. // quale di [tmpli^
ce ttijfi avendolo , ec. dove più opportuna-
mente ragioneremo un' alerà volta. E' fi-
mileall'abtrte ,0 più toftoal larice , in quan-
to s'appartiene al mantenerfi verde Tempre:
anzi a guifa di pino s'allarga nei lati* Neil'
Auftria, nell' Ungheria, e nella Dania ò
copiofo : ma quello dell'Elvezia fi tiene il
migliore . Fa quefto albero certe coccole rof-
(e , nelle quali dicono cfTer mortai veleno s
manìnse nella Spagna . D»confi però le fiere
falvatiche nutrirfi di «^|U rto frutto : ondeCe-
fare Miflimiliano fi doifc d'eflcrne ftato ci-
bato: ed il folo fumo uccide j topi . Anzi in
Arcadia egli è di tanto veleno , che fé alcu-
no ali* ombra fui dorme t 0 mangia , fubito
fi muore . D<i queft' albero vogliono che fia
nominato il tojftco , detto da' Latini toxicum ,
quafi '«x'V«w> . Scrive Plinio lib. 16. cap» lOt
che inchiodando ìsi pianu } perde \\ vekn.o ^
EGLO-
406 ANNOTAZIONI
EGLOGA QUINTA.
Car. 41. I. II. Seguir le Ninfe ittf'tà feti-
€t amori, ) Allude al l'opinione antica , che
2 piaceri , ediletti cheavevano gli uomini
av^tiinvita, gli feguiirero anco nella mor-
te; onde quegli ftefii neir al tra vita eferci-
taflero: come anco la toccò Virgilio nel :6*
dell* En.v. 613.
— — — qu£ ^ratìa currum ^
Af*norumque fuit vivif , qua Cura nitentÌF
Pafcere «quof , eademfequitw tellure repofto? -.
Androgeo nella Tua vita paftorale fi era dilet-
tato di feguire amorofamente le Ninfe, di
cantare all'ombra i fuoi amori : cosi dun-
que aveva a dilettarfi nell' altra vita> e pe-
rò dice:
Altri monti , altri piani , ec«
1* opinione però nonèCriftiana» ma Etnica
( che i femplici lettori non pigliafìTero un
granchio) e Tempre intendiamo di parlare fe-
condo l'ufo della gentilità, eccetto quando
facciamo particolar menzione della Chiefa
Santa.
Car, 41. 1 . li. H '/ ondeggianti biade a* lieti
campi y ec.) Metafora tolta dal mare, chia-
ramente efprefla dal Poliziano nelle Stanze :
Veder cozzar mofiton ^ vacche mugghiare ^
E le biade ondeggiar y come fa il mare,
.S'applica quefìa mede(ìma metafora alle in-
fegne fpiegate, come l' usò il Taffo nella
Conquiftata lib. 17. ftanza g7.
Mentre P altera infegna intorno ondeggia^
Edi qui s'è applicata a.ico alle fchiere d*
«eferciti ; di cui fi veggono molti efempj nel-
l& medefiina Gcrufalemme Conquiftata , nu
.uno
DEL MASSARENGO. 407
^tinocblaramenterpiegato nel llb.gflanza.ij-
Par che cnde^gi la tt$rba intorno ^ e frema *
e di lui prima i'.Ariofto nel Canto 16. ftan-
za 68.
ht fitra pugna un pf^zo andò di pare ,
Che vi fi difternea poco vantaggio :
J'edsaji trPuHOy or f altro ire y e tornare y
Cerne le biade al vento/in di Maggio y
Or come fopra il lite un mobil mare
Ottime y or va y ni mai tiene un viaggio,
^C dice ancora de^ capelli : come il Guidiccio-
ne nei Sonetto:
La beltà y e pura luce j ec«
C^' ond/ggiar vidi $ bei crin /«" oro al foli y
£ raddoppiar dì nova luce il giorno .
c della Vela, cd*alcre cofe , che per brevi-
tà lì laTciano .
Car. 42. 1. 7. Androgèo y Androgèo fonava it
hcfco . ) Quello raddoppiamento di parole non
pur leij^iadro , e vago rende il parlare, ma
talora lidapolfo, e vigore ; come apprcflo
Virgilio nell* Egloga 2. v, 69.
Ab Corydon , Corydon , qu^e te dementia
ctpit l
enelP Egloga 7. v. ult.
Ex ilio Corydon , Qtrydon eft tempore nobìs •
e neil* Egloga 5. v. 65.
-- .- ipfit jam carmina rupes y
Ipfa fona ni arbufla'.Deuty dtus ilte^ Mendica ,
talora fa coiitrario cJfetto , tftenuando T ora-
zione i come:
Laffo me , laffo '. e
V'angi y cor ìajfo y piangi ,
talora (la pr r fcmplice replica di quella vo-
ce, dimoilrarvlo una frequenza, e fpclTez-
za di nominarla > come qui appreHo lino*
ftio Poeta :
An*
Ao8 ANNOTAZIONI
Androgè 0 ^ And'Ogèo (ottava il bofto ,
ed apprcdo Virgilio nell* Egl. 6. v. 44.
— — ut /(fuf , Hy'a j Hyla, omne jonaret ,
fimil loco a quello dei Sanazzaro fi legge nel
Sonetto del Molza :
Pcfcia che qui la mia l^infa , ec-
ove dice :
E Pc^ia , Per;;^ia ri fonava il hofc» .
poco dilfimile da Te ftelFo fu il Poeta nell*
Egl. II. car. 148.
E Filli f f^jfii i p*» Filli rifpondono ,
come anco Giulio Cammilio nel San.
T« , che fecondo P alta Rofna , ec»
B G'berio fonar ^ Giberto i colli,
né pur fi trovano quefte parole raddoppiate 3
ma triplicate; come dal Petrarca nel lina
della Canzone:
Italia mìa ; ec«
lo vo gridando Pace , pace .^ pace .
equeftomododidiremoftraedenfafi ,e fpef
fezza, e dcfiderio grande.
Car. 42. \.i, Dunq-'e frtfche corine ec. ■
Si noti P ufo di offerir corone alle fepolture
poiché di quefto fièmoftrato oflTervantifli-
mo il Poeta noftro ; e leggea nelT Egloga .4
car. 52.
E Itt ghirlande colte a^ vt^rdi campi ,
Al centf muto dia con le tue rime .
e nella Pr 5. car. 39. Eciocbe ilpajìorale Apol-'
lotuttofejìtvo m Viene al tuo fepohra per ador
narti con le fue odorate corone \ ec-
enell'Egh^ga 8. car. 75.
Ornando di ghirlande il /neflo cumulo .
C nell.'i Pr.-'fa 10. car. 104. E fovra quella cffer
te dt molte corone . Con le corone poi offeriva
eo.d*ogni forta di fiori , fpargendoli intor
pO} e fopra la fepoltura; onde diffe nell.
DEL MASS ARENGO. 409
Pr. 7, Car. 39. Per la quaUofa , pafiori , ^rf-
tMU trbt i fronde per tirra E più abballb :
Fervono ora tutti con canefìri hiartcbi^fimi , p/>«
ni difio'i ec. ed il Bembo nell' Bpitafio ch'ei
fece alla lepoltura delT Autore :
Da [acro cimri florts : eC.
E Remigio Fiorentino nell' Epltafio del
Bembo :
E dt f rondi , i di fior Spargete un mmho
Intorno al [affo dei fnmofo Bembo .
Kè fol quello tacevano , mi vi piantavano l*
erbe , che vivi in ogni t^ mpo manteneflèro i
fiori : cosi defcrive elTer la fepoltura di Ma{^
filiail Sanazzaro nella Profa io. car. lou
A quefie beitele fé ne aggiungtva una non me-»
no da commendart ibe qualfivoglia delle ahre^
toncicjfiacofacbè tutta la terra ji potea vedere
ircvtrta di fiori ^ ec. E nell* Egl. u. car. 130.
Vedranno aliar di fior vermigli y e gialli ec
e Virgilio nel Calice fa che il paftore alla Te-
poltura del morto Culice ne pianta di mille
iorte; e quelli erano facri , come nella Pro-
fa g. car. 20. Ù legge . ^e qutUt p r ignoranti
cvejfefo violate le erbe de"* quieti fepblcri »
PROSA SESTA.
Car. 43. 1 8. M.enxre Brgafio ^ ec. ) Chc
fra"* partorì mentre lmI' canta , P altro feri-
va» o intagli le cofe cantate, come qui da
Fronimo vien f .tto » fi ccnofce dall' Egloga
1 2- car 1 5c. ove dice Summonzio :
Dthfeti caldi mr , Barcinio y feribili,
c poco più balToei pli rifponde:
Summon\io , io per li tronchi fcriv9 e vergoh i
le. nell* Egloga 1 1 . car. 127.
E quant^io parlo ^ per li tronchi ferivi *
jgmo I, S nel
41© ANNOTAZIONI
«el qual foggetto diffeil Cavaliere Bonar.
nella 3. parte delle Tue Rime, all'Egloga:
I doloro^ ae tenti , ec.
f ^// più volte fé qtiejìe querele \
Ma quefta fu di tutte /* ultirn* era :
Ed io con la mia falce a pie d"* un"* oìtm
Notai tutto il fao dtr , tutti i fuoi gejli .
Car.45 I. IO. La fcrijfe in una verde cor-
teccia di faggio \ ) Si conferma quello che
nel Proemio dicemmo, car. 302 che fci'iven-
do nel faggio , la fc^rza doveva effer verde .
Car. 4^. !• 23, Ma poi che con P ahbondevoh
dtv^rfità de"* cibi avemmo fedata la fame , ec. \
Di Virg. nel i. dell' En. v. 216.
Pojlquam excmta fames epulif j me^ftcqui
temoTte ,
eneirs- v. 184-
. Pcftquam exemta fames ^ & amor compref-
fas edendi ,
a cui allude anco quello del i. dell'Enei
da v. 713,
Voftquam prima quiet epuUs^meftfaque retncta
Car. 44. 1. ult» Il quale ( procf he pelcfo mei
tO 'i e rufiiC'JJimo ur^mo , era ) Urf-^cchic pe
lutta Arcadia era chiamato'^ ) Erafopr^nno
mato dall' oiTo , per la fua rufticbezza : per.
qucfto nome volle ufare per ingjura El.no
nell' Eg . 9. car. 87.
Corbo mahaggic ) urfacehio afpro ^ f fai
vati co .
E G L OGA SESTA.
Car. 46. !. 22, Nel mondo oggi gli amici no 1
fitrovano ; ) Ben dice il vero , che cercando
un vero amico > fi trovano tanti nemici » d
fiduUtori; conforme al detto deli' Evangc
lio;
DEL MASSARENGO. 41 X
7io .* J'nmici èominh iiomefhci ejui % Onde è
nato il proverbio che : P/i tojìo una cornac^
càia b'artiéty (hi uh* amico vero (ì troverebbe , e
diceva uno , cUe gii amici oggidì fono fimili
alle mofche, le quali fi fanno compagne del
cuoco , mentre alberga nella cucina ; ma to-
fto eh* egli non cuoce alcuna vivanda , ed ab-
bandona la cucina , efle ancora da lui fi parto-
no ; eperòdifle un poeta :
'Tempore ftlici mu/tct numerabh amicos :
Si fo^iufia perit , ««//w/ amicus erit ^
ji chediv'de occafionealT Ariofto di comin-
ciare il fuo Canto 19.
Ahun non puh faper da chi fa amato
Quando felice in fu la rota fieJe y
Vero c' hj i ter: y e i finti amici a lato %
Che moftran tutti una medefma f'de :
Se pi fi cangia in frijìc il litto fiato y
Volta la turba adulatrire il p'tdi ' ec.
« però lodevole eri Li fentCf^zj di quel favlo
che non voleva ùiCi alcu io ìHì-c • , fecon lui
non aveva prima mangiato un mogt^io di Ta-
le: de^otindo, che per lungo rempo fi do-
veva praticare, prima che f;a gli amici fi
riponefle .
Car. 46. 1 . 1 8 Tal ndt d l mio ben , cbr V
fZ/o fimula : ) E dille »' A rioilo Canto 5. ftaii-
Zà 8.
£cm /' odt ti ragionai , fi v di il -roito |
Ma dentro il petto mil giudicar pnjji ^
Car. 4*. I. :9. -- •- (he ; ot mi lacera
I Dietro le [palle e§n acuta l mula . )
JAnzi runeerr;, ed ncutjflTima fpadi , poi-
'ioo t.ilor3 le Dunrur^ Hi 'iogua»
S: f nde difTe il i'ctrarct* nel
Zap. 4. ^<;I Trionfo U' Am.
£ mi Ili altri m vidi a fui U lingua
S 2 jLo^-
412 ^ ANNOTAZIONI
Lancia , efpada fu fempre , e feudo ^eJelmo ,
e però fi vede, la lingua efière (lata fate?
dalla natura in torma di fpiedo ,o pardi (pa-
da , per moftrarci quanto fia pronta ^ ed ac
comodata al ferire; e di qui è ^ata chiama
ta vibrante , e tagliente , i quali aggiunti fonc
dì fpada propri flinii . La chiamò il Tk^o^cu
to ftrale nella Gerufal. Conquidata lib. C
flanzago.
E j quafi acuto ftrale , in lui rivolta
La Lingua ,
Ed il noftroSanazzat'onell* Egloga ?• cart«
86. dKTe :
Che mala lingua non i aveffe a ledere ,
Da qui nacque il proverbio : La lingua non
ba cjfo , e fa rompere il doffo . Ma quant< ì
danno dalla lingua sfrenata nafceflTe) il mo
(Irò San Giacomo nella fua Epiftola Canoni
ca al cap. ^. luogo degno d' effèr letto , e ri
letto da qualfi voglia , per fuggir non pur i
vizio, ma infiemei calunniatori , che di ta
vizio fi dilettano . Narra Luciano , la Calun
nia eder in tal modo (lata figurata da Apel
le; il quale da Antifilo Tuo difcepolo era (la
to calunniato apprelTo Tolomeo . Dipinf
egli un' uomo in fedia , con l' orecchie lun
g'hilTime, fimilea Mida,che d' afino le ave
va : a coftui affiftevano due donne, Igne
ranza , e Sofpizione : ed egli porgeva un
mano alla Calunnia , clie gli s' apprefentav
in beHiifimoafpetto, ma d'ira, e di rabbi
accefa fi (Irafcinava dietro un giovane eh
con le mani in alto gridava . Dinanzi ali
Calunnia andava il Livore , fratello dell'Io
vidia; il quale pallidiiTimo in vifo , un vec
chio decrepito, e da lunghiffima infermit
|:onfumato fomigliara . Dietro alla Calunni
poi
DEL MASSARENGO. 40
poi fc'guiva una donna con vefte di color fo-
fco tutta fquirciata , che con di rotti (Ti me la-
grime fi macerava j percotendofiil petto : e
per quelh voleva egli fignificare la Peniten-
za , la quile vedendo la Verità, che veniva
a fcoprirli , di roiì'ore , e vergogna fi confon-
deva . Tale adunque fu dipinta la Calunnia »
figliuola della perverfa lingua j da Apelle
eccellentifiìmo pennellatore . La qual pit-
tura, come mineriofidìma) altro luogo che
quefto, ed altro tempo più largo richiede,
per elTere dichiarata : però mi riferboa più
conìoda cccafione ; intanto potranno 1 belli
indegni affaticarvifi , perchè contiene bel-
lifTìmi fecreti di fiiofofia . Di quefto danno
di lingua temeva Virgilio nell' Égl. 7. v. 18.
-- «r vati rtoceat ma /a lingua futuro ,
Però dovrianoi maledici fare, come Euge^
nio apprcflo il noftro Autore nell' Egl. 8.
:ar. 76.
E pria cP io parlo ^ It parole mafiico ,
Perchè a tal fine appunto la lingua è ftata di
ienti dalla Natura circondata .
Car, 46. 1.31. L' imi di a , {ìgliuol mìo , (*
He fa macera , ) Di Orazio £p. 2. Ub, i. «.60.
InviJur ahe^ius macrefcit rebus opimi f .
oerchè T invidia confuma , e diftrugge ) vol-
garmente fi dice : crepar d^ invidia ; e forfè
:osj volle intendere Virgilio nelP Egloga 7.
\f. 26.
-- invidia rumhantur ut ilia Codro,
i^erl* Invidia fi dipingeva un cane con un'
<'^o in bocca : cfTcndo il cane di natura invi-
iiofoi e fi dice: ^^ cane non mangia lattu^
bf , ni vuol cb* alfi ne pigli . Ma leggia-
iramente defcriife l' invidia ,0 Pinvjdjofo ,
i^irgilio in un fuo Epigramma <// Lhore \ al
S i qua-
414 ANNOTAZIONI
quale rimetto i lettori; per efier degno di
gran coiifidcrazionc . Efiendo richiefto il
S.inazzaro alla prcfenza del Re Federico d'
Ara,i;Qna ^ che cofa fofle di giovamento agli
occhi ) rifpofe : L' invidia \ perchè , diffe ,
quefìti fa vedere altrui tu* tu le cofe e maggio-
ri y e pia piene y né miglior gìovùmsnto p jfono
AVer e gli cechi , fé non che la vijìa diventi
f'.à gagliarda , e migliore , e fubito allegò
quei verfi d' Ovvidio nel libro i. de Arte
Amandi v. 540.
pertìlior figcf ejì alienis fewper in agrir :
Vicinumque pecuf grandiur uèer hahet ,
Favoleggiano i poeti Greci , che efìendo
Momo fra gli Dei , e non facendo egli cofa
mai che bene fteffe, non mancava punto di
riprendere ciò che di buono facevano gli al-
tri: per Io che Giove faftidito dei coftui ma-
ledire» acciocché non foffe quella gran Cec-
caggine fra gli Dei , io gittò a capo chino da'
Cielo. Ma egli nulla perciò pentito del fuc
mal coli urne » conformealia perver fa fua na-
tura , cercò di generar fimili a fé.. E dopc
molto aver cercata moglie atta a compire 1:
fua rea intenzione, fi accoppiò con la Invi
dia, e tale fu il loro congiungimento^ ch(
nacquero ad un parto la Malvagi t3L, e la Ma
ledicenza ; le quali pofcia maricatcfi con 1
Odio, e col Livore » in ifpazio di tempi
produnTero tanti altri figliuoli , e nipoti > eh
fi fparfc in ogni parte della terra qacfta mal
progenie, in guifa che non vi è , non diri
regione , o città , m.-i ca(a alcuna privata ov
non fia entrata "uella pelliicnz» . Ecco , co
me dallainv.di i nati fono tutti i. mali , el
portiamo chiami re nrimo peccato del mon
do à poiché il i'erpeote mollo da invidi t de
feli-
DEL MASS ARENGO. 415
felice ftato dell'uomo, tu quello che ci fece
prevaricare; e dal! invidia di Gain nacque
la morte del fracello : la fuperbia contra
Dio, e mille altri mali.
Gir. 4.7. 1.2. Prima (he i rn'tetitor le htam
de affti[ino\ ) Stimino alcuni , e malamen-
te » eh;: qui il Poeta intendi di quvl io <»^^/i:«-
nare ^ di cui diflì fopra T Egl. 2. m\ il dej in-
tendere quefto aff.^fcino per fjggiur.tivo dal
verbo affafcìart , non afftjfcinare , il cui fog-
giunti vo {2irthhcaffuf:tnino ; e 1' intenzione
del Poeta è dire , che veder vorrebbe la yen-
detta de' fuoi nemici prima che i mietitori
facciano i fafci delle tagliate fpiche , cioè in-
nanzi Luglio y ovvero quanto pili prefto.
,} Vedi la nuova fcelta di voci . ^y
C-ìX. 47. l. 15. Qbf fputando tre volte fu
sttv'ifibììe ) Lo fputo non è altro che un certo
efcremcnto flemmatico, il quale , generato
nel ventricolo del fucco degli pulimenti, fa-
lcai cervello, equindi cadea bagnare la lin-
gua , e \<'. labbra, e ad inumidire il cibo.
Ha tanta forza Io fputo dell' uomo , maffime
digiuno, che fcaccia le lentiggini , ferfe ,
vajuoli» mentagra, prurito , rogna > tiro-
ni} volatiche, ed altri mali che tra pelle,
e carne vengono. Giova al mal d'occhio:
lana i morfi degli fcorpioni , ragni , rofpi >
fcaraf:iggj , e d' altri animaletti velenofi,
perciocché ritiene in fc una certa qualità
velenofj prefa parte dagli umori corrotti j e
part.' dalle immondizie che reftano tra i den-
ti : dai quali partendofi certi vapori , e fumi
verfo Icr labbra , l' infetc.mo ; e qu udì avvie-
ne, che a coloro che fono digiuni per \o piij la
bocca ,c '1 fiato put^i perché dallo ftomaco >
auàfi da un^ fungofa palude , ^i partoriO certi
S 4 V*-
4t6 ANNOTAZIONI
vapori groffi , e fvitenci > i quili conia loro
q.ialita vcleioG contaminano i tonti della
jciliva . E fé lo fputo di un'uomo fano ha
tanta f>rzì , che fana lo flupor de' membri,
ammazzi l\irgento vivo, toglie ogni for-
za alle (cine, refpi » topi, fcolopendre , e
Serpenti , anzi Cv>l folo fputa? loro addolTo fi
difcacciano ; che diramo noi dello fputo di
coloro cb.-: {0:0 leprofi , impiagati, e pieni
di mai Fr U12 fé , o d' altri mali contagiofi ?
non è dubbio che farà peftilentiflìmo , e però
daguardjrfene. Avevano mille fuperftizio-
ni gli antichi fopra lo fputo ; come che ribat-
tere le f (fcinazioni 5 ed ogni ammiliamen-
to y però fubito che avevano orinato fputava-
no: fputìvano nella deftra fcarpa prima che
l' inveftilTero ne! piede : paflando per luogo
doveavelTero inteC:>e(rer qualche pericolo ,
Xputando cacciavano ogni timore , e fi libe-
ravano dal pericolo: volendo chiedere gra-
zie agli Dei fi fputavano in feno per meglio
ottenerle ; ed il facerdote Enareto nella
Profa IO. car. loi. vuole che fputi Clonico
Jtre volte, mentre lo guarifceda amore : e
qui trg volte [gufando il ladro/« invifihile . Chi
più virtù dello fputo brama fapere legga Pli-
nio lib. 28. cap. 4»
Car. 47. 1.30. Erhe ^ t pltue m^jftrofe ^ )
L' erba , e la pietra Elitropia , le quali,
portate addcflTo, fanno invifibile , fé a Pli-
nio creder dobbiamo. Altre fono che fanno
ringiovanire ,come più bado fi legge car. 48,
O con erb* incantate ingiovanivano .
Ma pare molto difficile a capirfi come pof-
fibil fia, che un corpo collante di larghezza ,
lunghezza, e profondità, contrappofio per
oggetto di .V irta fana, cfenza alcun' altro
cor-
V£L MASSARENGO. 417
corpo tramezzo fi faccia iiivifibile , e ciò per
via di ragion naturale : quafi che T atto del
farfi invifibile da foprannaturalecagione pro-
cedi ; ma, dato che per opera di fpiriti ae-
rei invifibili agli occhi noftri fi polfa appan-
nare , e coprire il corpo che ci fta per ogget-
to libero della vifta^ come effer puòch^ non
fi vegga almeno il luogo occupato da tal cor-
po, e dal coprimento fuo? Sequefto copri-
mento fi fi d' aere moltiplicatoli , e conden-
fatoli intorno, perchè non fi vedrà quell'
aere moltiplicato , e condenfato , come chia-
ramente vediamo le nebbie, e le caligini
dell' aere > ed il luogo che occupano ? Si po-
trebbe rifpondere , le nebbie , eie caligini
efier' aere intorbidato , e fatto terreftre,
ed impuro dagl' impuri > e terredri vapori
che dalla terra efalano, e però notabilmente
fono vifibili achi le mira ; ma una moltipli-
cazione d* aere puro occulterà V oggetto,
fenza farfi defcrivere ; e quella moltiplica-
zione farfi o intorno air oggetto, o vicino
alla vifta del rimirante, o talora nelT uno , e
nell' altro luogo • Ovvero fi potrebbe rifpon-
dere , quefio occultamento di corpi farfi per
moltiplicazion d' aere fatta non folo in quan-
tità , ma in qualità ancora ; così nello fpazio
intermedio 5 come intorno ali* oggetto , e
vicino agli occhi del rimirante ; cioè che l*
aere fi faccia notabilifiìmaraente chia»'o , e
fottilifiìmo: onde fé ne venganoa difgrega-
re in largo i raggi vifivi , per non aver aere
fufficiente afoftenergli fino all' oggetto i o
pili torto, che detti raggi fé ne ofFufchino,
ed abbaglino di modo , che veder non poffìa-
mo, come apertamente proviamo , che la
chiarezza dell* aere non ci lafcia vederle
S 5 ilfHc
4ts annot az toni
{Ielle di giorno. Quelli poi che a virtù Co-
prannaturale l' attnbuifcono, ne fanno au«
tori gli Angeli j oiDcmonj: ma non fi dee
intendere che operino altrimenti che con,
mezzi naturali , in quanto alia compofizio-
ne , ed all^ ordine dell' univerfo , fecondo
S. Tommafo, eS. Agoftino nel !ib. «8. della
Città di Dio ; fé ben pajono foprannaturali a
noi , quando le cagioni , i mezzi , gP idro-
menti , e le vie ci fono occulte. Se cedui
dunque con erbe > e pietre fi faceva invifibi-
le , per virtù , o forma Ipecifica 3 che in ta-
li pietre , o erbe fulTe ; tal virtù però , o for-
ma fpecifica » come agente operava natural-
mente nelle cofeche pa di '^'a mente avevano-
ad elTer difpode alla invifibiltà .
Car. 47. 1.31. Magici ver fi affai poff enti ^
• validi ec ) Ha detto delle erbe, e delle
pietre, ora tocca delle parole, alludendoa
quel volgar detto: J« htrbis ^ verbtf ^'t:S la-
pidthus confi flit omnis virtù i '^ * ben fi vede
in quedi incintefimi , quaata fia la forza del-
ie
* Cade in acconcio in qupOo luogo la Stanz»
piacevole di Andrea Navaiero che crovad
a car. 283. dell* Edizione dj tur^e L- One-
re di quel gran letterato da noi Tanno
1718. con univerfale appraVuzione pro-
curata:
Udito ho dir che gran vir^h fi t^ova
Nelle parole , /teir erbe ^ e /tg* fsff} ,
Provato ho le parole , r nnn mi giova ^
Perduto ho le parole , il tfwpo , «• / paj^ •
Delfbe^at'* io fon di far la prova
TP un^ nfalata qvando tu ci paffì ,
Se non mi gioverà qucfta infialnta ^
Io giuro a Dio di darti una [affata ,
DEL MASSARENGO. 41^
te parole ; non perchè di natura abbiano'
forza alcuna, fé da Dio non vien dita loro
( che bene ipeffb uferanno quefti malefici pa-
rolc facratiflìme , a far cofe nefande ) ma
perchè cosi il Demonio fi obbliga con loro»
che volendo farcia tal cofa , dicanole tali
parole ; onde fé un' altro che non aveffe pat-
teggiato col Demonio, lemedefime dicefle
non avrebbe eltètto alcuno . Degli effetti di
parole fi legge nell'Ariofto Canto 2.ftanza 15.
T raffi un libro , / moflrh grande effetto ;
Che Ifggtr non finì la prima faccia ,
Ci^' vfcir fa ttn fpirt§ in forma di valUtto ,
Ed il TalTo nella Conquift. Hb. 1 5. danza 19»
Quanti morm$rò mai profani note
Teffala maga con la bocca immonda^ CC»
e nel lib. 16. danza ^.
Mormofh potentiffimc paroff •
e nella danza ix.
Spirti invocati , of non vtntte ancona ?
Fo'fe afpettate , # neo^bittoft , t Unti ,
Suon di vtci pia occulte , o pia poffenti ?
C nella danza 12. chefegue :
E fo con lingua anch'* io di fanguf lorde
Qjjfl nome ri fonar grande , o temuto
A cui ni Dite mai ritrofa , 0 forda ,
JSlè tracutato ad ubbidì" fu Pluto .
ultimamente delle parole così dide il Sanala*
raroreil' Egl.4' cp'
-. -_ -. -. e /' incantate rim» y
Che di biad' pia volte hi n privi i campi ,
Ma della Tirtù delle parole Icggad Plinio nel
lib- 18. cap. ».
Car. 47. I. ?6. Q:"fi' ' Pr»t?o , ec. )Noii
dice , che codui fode Proteo dedo ma lo nò-
min» tale ) perchè ficevacofe fimiii a quelle
ili Pxotco > quafi dir voglia un* altro Proteo?
Sé ed
410 ANNOTAZIONI
ed in quefto modo di parlare dille più baf-
fo car. 49. parlando di un' altro , con raflo-
migiiarlo a Cacco .
Ob oh y quel Cacco , 0 quanti Cactbl bra^
mano ec.
Era Proteo Diomarino, il quale perchè fi
voltava in varie forme, fu detto Vertunno
a vertendo ; di cui parla il Sanazzaro nell*
Egloga IO. car. 108.
Ver tanno non /' adopra in tratformarfe .
Coftui era indovino , ma per non indovinare
f iceva di fé mille metamorfofi , onde fpaven-
tati gli uomini da lui fuggiffero, fenza ri-
cercar più indovinazioìie . Chi però voi èva
da lui Vaticinio , bifognavache nellegafle,
perch'egli pofcia legato non poteva più tra-
sformirfi . Owidio nel i. de' Fafti v.369.
Decipiat ne te verjis tamen ille figurit ,
Im l'idi ani gtminas vìn(ula firma manu! ,
e nelle fue Metimorfofi al lib.14. defcrive
pienamente la fua favola . Cosi , dopo Ome-
ro 1 Vrigilio nei 4. della Georg, v. 387.
EJi in Carpathio Nfptuni gurgite vjtef ec-
Sivvc Proteo per fimbolo d' un' adulatore ;
il quale in mille varie forme fi muta , per
adulare il fuo fignore > né mai gli fi può trar-
re una verità di bocca, fé non con minaccie »
legandolo col timore . Si può diranco, che
a quefto moftro fomigli la donna i la quale è
di fua natura variabile , bugiarda , e con^ le
fue arti fi trasforma in cento guife , per in-
gannare or quefto, or quello; però dille il
Talfo nella Conquiftata lib. 6. ftan. 95. par-
lando dell' aftuta Armida :
Tenti elh mHI^ arti , e '// va'iafsrma 9
Qu^.fi Pnteo n vel y gli apparve avanti ,
Car. 48. ì.i, E feafi or bave ^ ce.) Feafi^
DEL MASSARENGO. 4IT
•{>arola accorciata da faceaft , ufata dal Pe-
.rarca in cinque? ofei luoghi, ma non mai
in rima .
Car. 48. 1, 7. ConP afìnel portando ti gra-
no a frange'^ , ) Come pur in Italia fi cortu-
ma . jMa in tre altri luoghi folamente ritro-
vo nominato quefto animale dall' Autore ;
nella Pr. 8. e. 71. Scvra un picciolo afindlo VS'
nire , nell'Egloga», car. 72.
Su /' a{inello or vaim , e malinconico ,
e neir Egloga 10. car. ic8.
Non trova P a fintilo cv* et c/ivalca ,
con tutto che però in Arcadia ne fia tanta
copia; cometelìifica Varrcne lib. 2. de Re
Uuft, cap. I . dove afferma , a' fuoi giorni eC-
ftrrfi venduto un' afino 60. fefterzi . Nafcono
nelle Indie con le corna : vivono go. anni ;
e morti 5 e putrefatti generano fcarafaggi .
Leggi il libro delle Nobiltà dell' Afino , e
quello che difFufamente ne feriva il Tefiori
rei la lui Offidn^ ) al tit. A ni ma li a dive' [a ,
Per quello animale ebbe Giove la vittoria
contra i Giganti , onde il ripofe in cielo fra
Je (Ielle del Granchio.
Car. 48.1. 14. Talvolta mi parlar f oh va
inducert 1 tempi antichi^ quando i buoi par-
lavano ; ) Al tempo d' Efopo ( dilTe un ro-
tondo umore. ) Al tempo che il mondo non
rra sì colmo di vizj ( dovea dir egli ) nel qua-
\v. i pini rifpondevano a' pallori , come nel-
IVofa IO. car. Qf . H (/> degno è di creder,
un tempo quando il mondo non era sì col~
di viij , tutti i pini (he vi erano , parla m
no con argute note ^ rìfpondendo alle amoro.
anioni de^p/iflori. Sogliono fpeflbi poeti
uir cofe imponìbili , per le quali non fole
non vengono riprefi > ma con eflfe aggiungo-
no
412 ANTNOTAZroNr
no mjlta vaghezza :i'componim<;nci ; e folo'
bafta eh' efli mf^defimi moftrino di conofcere-
che ciò per trafcuraggine nna dicono ^ o per-
chè non veggiano dover eflfer tenute impof-
fibili j o non vere j anzi che cosi paiano al-
tresì a loro, che lefcrivono; ma che cesi le
dicono , come per vere 1* hanno avute dalla
relazione, o fede altrui» e per certezza di
lorolK-fTì : ond&per moftrar quella conofcen-
2a ch'iodico , ne fanno accorti i lettori . L*
Ariofto nel Canto ;o. ftan. 49. volendo iper-
bolicamente dire che i tronchi delle lancie
rotte folTero afcefi fino al cielo ; e che in fe-
gno , due , o tre ne tornaflero giù accefi > (i
fcusò con dire;
Scrive Turpin ver/icf in quifio loco ,
ed Ovvidio nelle Trasform. lib. i. v, 400.
Saxa ( quif htc credat , nif fit prò tefte ve"
tufias } )
"P onere duritìem capere , fmmqug rìgorem »
ed il Petrarca nella Canzone :
'N.tl dolce temp9 ec.
Chiudi mai d* uom vero nafcer fonte}
r parìo cofe mafiffefte e conte „
e più baffo:
Vero dirò : forfè e parrà menzogna :
CP i [enti trarmi della propri 7 tt/im<3go .
Quindi fon nate quelle frafi : Ut f ma efl ^
ut fertur , ut perbibent , ft credere dignum e fi ,
ec. A quefto dunque attendendo il noftro ec-
ceilentifìTimo Poeta , quella finta bugia difTe
per altrui bocca :
Tal volta nel parlar foleva inducere»
e per maggior fede acquiftare alla iperbole >
la fa dire da un vecchio uomo, carico forte
d anni , il quale anch' egli udita l' aveva gio-
vinetto ancora dal vecchiflìmo Tuo padre , e
que*»
DEL MASSARENGO. An
tfuefto fuo padre J.Ì rireriicc come cofa an-^
ùchilTima > occorla ne' primi tempi , di mo-
do che per quefti tre gradi d'antichità) ogni
gran bugia acquifterebbe credito-. Si awcr*
tifcapcrò, le iperboli « benché fiano fopra
la verità, non eder centra la verità , come
cofa poflibile;. equcfto luo.qo del S'anazzaro
ci lerve per eiempio ; percfiè è fuori d* ogni
credenza che i buoi parlaflTero , ma non è
onera la verità: clTendo cof^ poflibile che
parlino ; per aver la bocca > la lingua , i den-
ti 5 ed altri organi alla favella neceflarj ; e Ci
legge nella S «era Scrittura dtll* afino di Ba-
laam , che per opera dell' Angelo, come
cogliono i fjcri dottori , parlò.
Car. 48. 1, 17, aUo'/i i (ommi Vii non fi
Cdegnavano ec. } N* abbiamo Tefempio in
A polline , dicuifcriveilGofelinoinunfuo
dono p-ìftorale , che comincia :
Di f«ggtù quefta ^^W^a ec-
.-.-->-. r Dio
ha vita fa/ìcral non el'he a fihivo ,
X^uefto fu ^ q'j/indo il mofido ncn era sì Col^
m» Hi vìij » didc il Sanazzaro nella Pr. 10.
ca- gr. Lì maggior parte de'^famofi Dei an-
tichi fur'^no veramente pallori, perchè in
quei pr.mi tempi attendevano alla cura de-
gli a. imali molto più che alla noftra non fi
e 0 Ulna . Intende qui il Sanazzaro dell' età
del;' oro, quindo gli Dei tutti (lavano in
teira; di cui fcriveOvvidio nel i.de'Fafti
V. 147.
Tunc e^/iregnabam^ patitntcumtifra Di9*'
rum
Fjlct , & bumanir numina mifla locif .
Ma p^^r le icelleratezze degli uomini fi ri-
ciraroQgiu cielo j «ptrò fegueivi;
41^ ANNOTAZIONI '
t<[onJum Juflitiam facìnur mortale fugarat ,
V-ittfna de Super ti illa r eli qui t bumum ,
il che parve accennale P Autore nelP Eglo-
ga IO. car. 109.
La d nna , e la bilancia è gita al cielo ,
Car, 48. 1. iS. Menar le p.'corelle in felva a
fafcere •^) L'cfempio in Apollo, e in Mer^
curio nella Pr. 3. car. iS.Edi» un de'' htì vi
era Apollo hiondijjlmo , ec. E poco pia bajfo
fi vedeva pur Mercurio , ec. e fi dee avverti-
re ; che ha detto [immi Vìi , per intendere
fòlamente i Dei del cielo ; che gli Dei terre-
fi ri , come Fauni , Satiri , Silvani; e gl'In-
fernali» come Plutone , Pfoferpinaj Net-
tunno , ed altri non fi chiamavano/oww/ . Di
queilo mi riferbo trattarne altrove > ed in al-
tro tempo .
Car. 48. 1,24. E non efan t'Tt'^»'' > ec« )
Zizzania qui fi prende ì^et (iifcordia , come
anco nella parabola dell' Evangelio , quando
il nemico umino andò a feminar zizzanie nel
campo di buon grano feminato . Quindi fi di-
ce : Metter y uà ni a in campo , fpargere , O
f^mìnar litania ; cioè £ir nafcere bisbiglio y
eccitar difcordie. così dilTe il noftro Poeta
neir Egloga 9- car. 86.
Ponendo fra'* pafto^ tanta xii^aftia}
In fenfo materiale fi mette per ogni fortadi
erbi nociva al frumento , maflìme per il
loglio .
Car. 48*1.^6. Atri aceniti i ec. ) Così 1»
cliiama nella Profa io. car.ioo. nero aconito^
Scrive Plinio al lib. 17. cap. a. elTer veneno
velociflimo , e che toccate fòlamente le pir-
ti genitali alle donne, le uccide. Si dà in
vino a chi è ftato trafitto dagli fcorploni > e
gli fcorpioni toccati da quell'erba fon fitti
im-
DEL MASSARENGO. 4«y
immobili né altro gli può liberare, che il
tatto deli* elleboro bianco . Muojono le pan-
tere toccandola : né fi fai vano fé non con dar
loro fterco umano . Ha proprietà T aconito ,
che le in corpo umano ritrova veneno, locac-
ela fenza far danno alcuno , ma fé non ritro-
va veneno, uccide; ed un cafo fimile diede
occafione d'un bel liflìmo Epigramma ad Au-
fonro , fopra una donna che, volendo ammaz-
zare il marito conTaconito* e dubitando,
che ncn folTe baftevole ad ucciderlo , vi mife
altrettanto argento vivo , e datoglielo a be-
re , non gli fece nocumento alcuno : ond' el-
la venne ingannata dai fuo maligno penfie-
ìo . La cagione , perchè velenofo , e nero fia
J' aconito , feriva Ovvidio nel 7. delle Tra-
sform. efier quefta: Che andato Ercole all'
Inferno per liberar l' anima d' Alcefte , Cer-
bero col fuo latratogli fece gran contrafto ;
perla qual cofa Ercole fdegnato, joftrafci-
nò fuori dell' Inferno; e della nera fpuma di
quello arrabbiato cane s'infettarono l'erbe
de' campi , e ne nacque qued'erba velenoiìf-
fima , oggi detta «llebero nero : dalla quale
;poi tutte!' erbe velenofe ^\ fono chiamate
aconiti .
Car. 49. !. 18. E ""nguifa di cQÌomVt ognorha*
ittandofi» Tutti i poeti , come gli abbraccia-
jjnenti dalla vite all'olmo , e dall' edera al
tronco, pigliane per fimiiitudine così ne'
baci fi compiacciono dell'efempio de' colom-
bi , i quali, come lafciviiri mi che fono , per
ia calidità loro , con gran dolcezza fi baciano
ben cento volte innanzi , e dopo il coito, e
per quefta loro amorofa natura furono facri a
Venere Dea degli amori. Quanto ai baci dif-
fc 1' Ariodo nel canto ^y ftanza 68. ^
Ma
425 ANNOTAZIONI
Ma baci che imitavan le colombe ,
ed il TaOTo nella Gerufalenotne Conquidati
iib. 13. danza 16.
Raddoppian le Colombe i baci lo'^o ,
ed il Sanazzaro in un Tuo Epigramma latina
ùdtlìnam ^ Iib, i. «. 6.
Sed totam cupio tenere Unguatn
Infertam hum'dultT meis l ihAlìs :
Hi ne ^ [ugtre \ m.rjiun ulifqu.'
Molisi adjicere\ ^ columbulorum
In mo^em y teneros in'tre lufur ^
Ac bUndum fìmul excitare murmuf .
Car. 49. I.ult. Cheperunfalfomilhbugn s*
infamano . ) Diftinguevano gli antichi la buo-
na dalla cattiva fama cosi : La buona dipin-
gevano in abito di donna alata fonante uà
corno: ma la cattiva fofiiava in corno fatto
di fcorze»
Car. 50. I. 5, -— ed Bq curviti gli emiri
In comprar (e nm ^ e pur ancor non vendolo.)
Alludea quella fentenza di Socrate fapientìf-
/ìmoil qual diffe : Hoc unum f ciò y quodnthil
[ciò, e di queir altro filofofo, il quale eden-
dò vecchio » e confumato negli ftudj di filo-
fofia , dilTe che pur allora cominciava ad
imparare »
PROSA SETTIMA,
Car» 51* L x6. ( St dirlo nonmi fi difcorr'
ifi^e y ec. ) Arroifa per modeftia , avendo a
lodar lafuacafa, per quel detto: Laur in
ere proprio fordefcit . onde Volendo ubbidire al
prececco del favio Catone:
Nec te colUudet , ne e te culff^vifis ipft .
ft parentefi con quelle parole ;p dirlo mn mi
^disconvieni ), Sapeva beaiiiimo i'Aucore»
U ve-
DEL MASSARENGO. 427
la vera lode coniìftere nella propria azio-
ne ; e non eHer lecito allargarii nelle lo-
di degli antecelVori. Ma fapeva anco , in
certi cafi concedcrfi fuor d* ognibiafimo»
come per dar notizia di noi ove la noftra pre-
fenza non Ha conofciuta ; così fu lecito ad
Enea dir predo Virgilio liU 1.. dell' En^
Sum piuf j^neas , raptor qui ex hofte Venatet
CUjfe vebo mecum ^fama fuper athera notus ^
ed al medefimo modo fu lecito qui ali* Auto-
re fpiegare gli onori degli antenati fuoi -, per
ritrovarfi egli foreftiero> ed in paefi inco-
gniti . E*^ lecito ancoralodarfi per rifponde-
re al nemico che con parole ingiuriofe sfac-
ciatamente minacci 1 o provochi i come mol-
ti belliliìmi efempj di guerrieri con>battenti
in Omero > in Virgilio , neli' A riofto , e nel
Taflb fi leggono , eh' io tralafcio per brevi-
tà ; e fimile a quefti baderà i'efempio della.
Dortra Arcadia, di Elenco > e di Ofelia coa-
tendenti nclì' Egloga 9. car. S7.
Lofant» Pale inUnta. ode il mio canto y ec
E V ff mi e a prò Part al^a le e orna ec-
nella qualcontcfa Tanno feguitando infino al
£ne . Lecito ancora farà ad un giovinetto j
fenza pregiudizio fuo y lodare gli anteceflori
fuoi; perchè i giovani , quantunque valo-
rofi s non nofl'ono eifere ancora ben conofciu-
ti ; ma m'.ftr^ndo valore, e raccontando»
chei fuoi fono (lati famofi >. è un far verlfi-
mileche anch'eflì .-.bbianoa riufcirtali; e
quello moftrò l' A riofto in perfona di Guido-
ne nel Can. 20. flan. 5.
-- -• lo credo che ciafritn di vul
Albi a della mia Jìirpe il nome in pronto tC"-
Inoltre fi permette il datfi vanto dinanzi ;k
418 ANNOTAZIONI
perlone eh' abbiano vedute prodezze confor-
mi a quelle di cui altri fi vanta , o maggiori ;
e ciò non è biafime vole ; perchè chi V ode è
teftimonio della verità: così fece Sacripan-
te eoa Angelica preiTo TAriofto nel Canto i.
ftanza 80.
So» dunque^ diffg il Saracitto ^ fono
Dunque in fi poco credito con vui , ec.
e Ruggiero nel Canto 25. danza ?l.
lo non voglio altra gente ^ altri fajjidi \
eh"* io credo baflar fola a q'je fio fatto , ec»
onde poi fegue nel fine di quella danza .
Cesi die e a ,' né dieta cofa nova
Ali* un de^ due che «* avea vifio prcva ,
A quefto modo fu lecito al vecchio Opico
vantarfi alla prefenza di quei partorì delle
onorate prove fatte da lui nella fua vigorofa
età. Pr. II. car. 125. Ove tifjfuno y né p^efa-
«j, né forefiieroylipojjette a me agguagliare . ec.
fé ben con altra ragionefi difende quel luo-
go 5 per effer lecito a' vecchj lodarfi , per
inanimire col loroefempio noialtri giova-
netti, che inefperti fiamo; e di qui è cava-
to quel detto:
A boVi ma Jori difcit arare minor ,
Fuori di quelli 3 e pochi altri cafi > non è le-
cito darfi vanto ; perciocché il lodar fé ftefl'o
par che fia un difpregio degli altri ; onde
genera difdegnoj ed è comunemente noio-
f 0 . AMindricardo farebbe dato biafmo ap-
preOTo T A riodo nel canto 14. danza 58-
Se per Jìtrpe ^ di m chi è meglio natcP
Che '/ pojfente Agrican fu il padre mio ;
Se per riaheiii'^ chi ha di me pih fiato ?
Che di d'imi ni 0 io cedo folo a Dio :
Se per valor ; credo oggi avere efpèrto ,
Cb' rjjer^ ar/jato per vahre io merto .
fé
DEL MASSARENGO. 425
le non che parla, ed il fegno Mandricardo
trapalìa per forza d'amore, a cui non 11 può
dar legge : e però dille Boezio Con[. Ph, Hb.
3» mut, 12. V. 47.
Quif Itgem dtt amanùbus ?
Major iix amcr e fi Cibi .
Car. 5Z. 1. II. Da//a naturale ifJC90anx^^
9 Mobilità di animo incitata , ec. ) Tocca il
proprio vizio delle donne, cioè l* inftabili-
tà , -effendo loro peculiare 1' effe re in ogni
cola iiicoftanci , e varie ; onde dilTe VirgiL
nel 4. deli'En. v. 569,
— — varium ^ mutabile fcm^ef
F emina ,
Ed il Petrarca nel Sonetto ».
Se 7 dol(e f^uardo ec.
Femmina è cefa mcbil p«r natura ,
C V Ariofto Canto 6. ftanza 50.
Conobbi tardi il fuo mobil ingegno ec.
Car. 52. 1. 29. ( Siccome la mia (iella e i fati
Ufolle^o) Tuffigli andanti logliono attribuire
i loro amori a deftino , oaftelia, per ifcufa-
re Ja loro cecità , cioè gli errori della propria
:orrotta volontà , con quefta coperta ; e pe-
rò dille Elenco nelP Egloga 9. car. 89.
Quella che mi die in (otte il mio pianeta \
e nel Sonetto ;
Se fama al mondo mai ec.
iifìfe:
Cajfandra , o^i il p^ov* io , che da mìa felÌ4
Tirar ver te mi fento al bel paefe »
;on ricordandofi di que' verfi del Petrarca
iella Canzone :
Lajfo me ^ cb^ i non /"^ ec.
Gi^ , /''* traforro il del di cerchio in cerchio f
J^ejfun pianeta a pianger mi condanna ,
Si mortai velo il mio vedtre appanna ,
Cht
/410 A NKOT AZIONI
Che colpa è ddlt fi tilt ,
0 delle fcfe belle?
o più tofto noa ricordandofi di le ftcflo 3 il
quale nella Canzone che conaincia :
O fra tante procelle ec
^ifTe a imitazione del Petrarca: ^
E poi fm fé c ndanna
Tsil V proprio error , ma il itelo ^ e P alti
pile.
Che fol per ttoflro ben fon chiare e belle ,
ed il mede fimo SanazzaTo nella Canz.
Ben crtdev^ ic^ eC.
J^iante fiate ^ Ujfo , ia qm fio fiato
Al fnio fie-^o defiino
Ho dato btrjfrno , ed alle crude fielle 1
Ma ibs fo-pa è del Cielo , 9 del mio fam
ma egli è pur vero clie il reale, e fchiettc
amore è per elezione, non per deftino , per-
chè procede da virtij i e non efTendo virtiì al-
tro che eiezione d^ 11' or^enziune , non pw.
elTer amore per deftino . Pende dunque que- j
fto divino motodeiranimoda fefteflo, edal'4
l'oggetto che 'l move, né altra forza vi s ""
interpone; efe vi s'jnterponefTe , niuime
rito averebbe l'aminte preffb la donna ama-
ta : e pure l'amore è di tanto merito, eh.'
fol con l' iftefTo amore fi può compenfare , ef
fendo fitta quafi inevitabil legge , comedif-
feDintenel 5. dell' Inferno •
Amor , eh'* a nullo amato amar perdona , ec
Car. 52. 1. 50. Apy^a avea etto anni for.
ritti ^ che le forile di amore a fentire incomin-
ciai ^ ) Quii maraviglia ? Te nelle fue Eie
gie Latine fi reputa f^liciifimo Poeta , (e pò
tra vivere amorofamente > com<? nella prim:
•del i.Iib, v. 27.
DEL MASSARUNGO. 43t
J^CH miti Mceonidtn , Luci , non cura
Maronem
Vi ne. re : fi fijm r.otuf amore , fnt eji ^
L^ già di fopra detto avea :
Rine opto cineres nomen babere meoT ,
1 con ferma quefto da quello che nel prin-
:ipio della 3. Eleg. del detto i. lib. fcrive :
Tu puero teneri t tgnis tnihi printus ab nnnif •
Car. 51. I. 55. Ma bella , e leggiadra pia
he altra che vedere mi pareffe giammai , )
^n dice p^|"f//V , perchè molte volte none
1 vero ; e(T'endo folito d* amore , di far pa-
er bello il brutto : onde è fatto il proverbio:
^on è bello il bello ^^ ma btllo dò che piaci ;
osidjlTe Carino nella Profa 8. car. 61. In^
no dalla mia fancitiUexia accefo ardentijjima^
lente dell'* ^.mo^e d'* una , che al mio giudizio
m le [uè beitene non che P altre pafì or elle d*
\rcidta , ma di gran lunga avania le [ante
V<r ; ec.
C»r. 5:?. 1. 16. N^ avendo ancora ardire di
[ccprirmeletc. ) Perchè fperava ar.cora qual-
he poco ; che (e fofle dito di fperanza fuo-
, avrell? Lttocom.' Tancredi cor Tama-
I Clorinda: di cui fcriveil Taflb nella Con-
ila, lib. ^. ft.in. Il,
Ella ftrmfi , e lui parlando audace
Fece in q-.tl punto '! di[t)erato amore ,
)SÌ hcsvà Cirino n ila Pr. S.csr. 6^. Non
endo , fucomi tu pot.o innanzi dicejìi , «r-
re di di[ccprirmele in co[a alcuna ,
Car 5;. 1. 18 Per non perdere in unpun»
quel che in molli anni mi parca avere con
'Jujinofa f/jtica racquijìato ; ) Simile a qucl
:i Petrarca nel Sonetto :
Rotta è /* alta CoLnna , ec«
Cifff* perde agevolmente in un mattino
Quel
4n ANNOTAZIONI
^el che *a molt;^ anni a gran pina f' ac*
quifta !
attdio che diffe un poetar
Accidit in pun^j quod nm contingit in artrt$.
El'Ariofto nel Canto i. danza 48.
E cai quel ne viene a un^ ora ^ a un punto.
Che in mille anni , 9 mai più , non è rag^
gfUf.tO .
Quindi è nato il proverbio : hiulta cadun
inter cs , ^ offam .
Car. 54. 1. II. Se la dolente anima da not
fo che vi irà fovraprefa non foffe divenuta timi
dacc.) Cofa che perlopiù agli amanti di
fperati accade . E però difle nell* Egloga 8
car. 74.
Talor per ira , e {degno volno incidere ec
■manon tantoio I*afcriverei a viltà, quant
a defiderio di non privar l' amata crudele d
<5uel contento che ha di dargli mille volte 1
ora la morte . Concetto (piegato in mill
guife da' poeti . Ben è vero , che nell'Egle
5a2. Pifcatoria del Sanazzaroquel difperat
Licone per amore volerydofi precipitar nel
acque , moftrò viltà , quando difTe v. 7:
jam faxo me ^ne ex ilio demittere in undt,
Practpitem jubet ipfe furor , Vos 0 mii
]^^mpba ,
Vos maris urtdifofli 'b^ympbte ^ pr tifiate <ù
denti
Xion duro4 ahituf ^ favafque exjìinguere flam
mai .
Ma quefto fu, perchè voleva, e difvolev
in un tempo; fé bene poi il furore lo pre
cipitò .
Car. 55.1,20. Mirando i fronzuti olmi ci ì
^«ndati dalle pampino fé viti , mi corre ec.
jàmano grandemente gU amanti quefto efea
pio
DEL MASS ARENGO. 453
pioaella vite con l'olmo , perchè è legno
di maritaggio: maritandofi la vite all'ol-
mo, come eflì bramano di maritarfi con P
amata. PeròVertunno con quello efempio
induflTe Po mona a* Tuoi piaceri , nelle Tras-
corro, d' Ovvidio lib. 14" equi Sincero ne
accrefceva il Tuo dolore j edilTaflb nella
•Canzone :
Amor , ta vedi , / non hai duolo ec.
fenevalfe. In altra occafione diverfaritro-
vo quL'fto efempio pollo dal Poeta nell' Eglo-
ga 5- car. 41.
^uah la vite alP olmo , ec.
Si marita la vite non folo ali* olmo, di cui
tante autorità n'abbiamo in Virgilio; maa'^'
pioppo ancora ; onde Ora^iio Ep.d, Ode i, '*-
9. dilTe :
Erge aut adulta vitìum propagine
Aitar mari taf popolo f .
Ma fi dee notare , che non ha volu*^ " Sanaz-
zarouiarel' efempio dcll'eder/ come de -
la vice : perchè l' edera è fol' '-^^"^?^o degli
amanti inonefti , e lafcivi ' ^ui amori lono
fenza frutti , e per Io più* ^«^^ cdjem^ rui-
na; come l'edera non /^'"."^ » f ^ ^ J^ rui-
na delle piante eh' ^«T^ccia : al contrario
.laviteuti!ilìim3m^^f«/^'^f5^P?'' '^°" ^ .*"':
;mo , e però ù fin:^'^ 9^^l' °"^^^' ^"'jP^' ' »
.cui amori al m/i"?on'o afp.rano : odique-
»ì; o«,^„..; ^k^""" '^ bellezza corporale, ma
f'\^'^f"'^'SreII' animo amando, frutti prò*
la belle2;-i„i^^i q^j^jj ^ ^ ^^^ ^^^ ^^ j^^
^"^SB'era maritarfi agli alberi , come la vi.
1^: ma ben fi dice l'edera ftrinjiere , e prc-
iere > infegnodi sfrenata libidine : inque,
ofi dimoerò giudiciofiflìmo TAriofto nel
anto 7. ftaa. 19. che volendo raoftrare i l^i.
Tcm, X, T fcivi
4H ANNOTAZIONI
fcivi abbracciamenti di Ruggiero) ed AI-
cina j di (Te :
Non così flrettamente edera preme
Pianta ovt intorno abbarbicata s"* abbia ^
Come fi firingon gli duo amanti interne .
Car. 55. \. 16. Stn\a fofpetto alcuno dì ge~
hfiaec) Dice quello l'Autore, perché U
Gclofiaj il Dubbio , ed il Timore fanno le
guardie ad Amore , come rifcrifce Giulio
Cammillo nel fuo Teatro ; il qual dice , che
il regno d* Amore fi chiama grate errore : il
palagio è di Speranza : le fcale fono le Ufan-
ze: le camere di Ozj , di Sogni , di Defiri ,
e di Perfeveranze : i fervidori , e i camerie-
n fono Canto j Rlfo> Adulazione, Grazia,
^'jerimonia : i guardiani del palagio la Ge-
*®"j:, il Dubbio, ed il Timore: i cortìgia-
"\*ii'' , come dice il Petrarca nel Gap. 4,
del Triv^fo d'Amore:
Stanco -y^p^f^ ^ g ripofato Affanno :
Ch^^J^-^ifnor , e Gloria o[cura , e nigra :
Perfida x^^lf^jg , e fido Inganno :
Sollecito Fw^^ , U.gion pigra.
Male lagelolia ^oerfezione d» amore , co-
me ad alcuni piace ^^^^ f^^anno gli aman-
ti telici fenza gelofia ,„flendo il loro amore
imperfetto ? Della ge)^3 Potrei dir più,
ma per brevità tralafcio.^j^i brama eccel-
lentemente vederla delcrn^ \pga. \\ T^fi
/o in quelle Stanze: ^ > legga li ^ al-
lo fon la Gè lo fa , cP or mi . ,
Car. 56. 1. IT. Penfandoy untnet?.*
re ejfere a me ed a lai cagione di perPof ,'
ta. ) Virgil.nelPEgl. 3. y. lor. "'"
Idem amor exit'um pecari eft pecorijque ma
oltre il danno che pativano forfe<li non eiJe
me-
DEL MASSARENGO. 4^5
inenate a' pafcoli , come quelle ài Carino
nella Prola 8. c-^.r. 67. Le mie vacche digiunt
non ttfcircng dalla chiù fa mandra y fiè gujiarom
no mai fapore di erbi , né liquore dt fiume alcuno,
Car.56. 1, 16. ifJ vedutola innamorata Vacca ^
fella ce ) Di Virg. nel!' Egl. 8. v. %^,
Talit amor Dapbnim , quali s , cum fejfa
juvencum
Ver nemora atque ahof quarendo bucula
luccs
Vroptgr aquàt rivum viridi procumhtt in ulva
"Perdita , nec [era memi ni t decedere no^i •
Car. 56. 1.12. Laqual cofa quanto fia a me »
'fbe fmile vita foftegno ^ rto/cft a riguardare ,
colui folamente fei puh Oenfare che lo ha pruova-^
toy opruova . ) Si verifica il detto di Achille
Tazio nel fine del 5. lib.d..gli Amori di Leu-
cippe , e di Ciitofonce : AlUf Dei bujut tela
ignota [uni . Solif ewm amnn ibus , praterea
nulli f y amantium vulnera innotefcunt , e pe-
rò il Petrarca nel Tuo i.Sonettorperava pietà
•folamente da chi per prova conofceva anfiore:
Ove fa chi per pruova intenda amori ,
Spi-ro trovar pietà , non che perdono ,
Car. 5 7. 1.24. Q^i alt furono quelle rime^ ec. )
"Di Virgilio neir Egl. 9. v. 44.
Quid , (^iite te pwa folum fub noSis canentem
Audieram} numtros meminiyfi verba tenerem •
EGLOGA SETTIMA.
Car. 58. 1. IO. Come ndttwMo unti fc. }
vACTomiglia fc ftelTo a quegli uccelli ch^- fug^
gono il fole, perchè quefìi hanntj fecorem-
pre cattivo aui^urio • cosi non è ( vuol dir ta-
cita mente il Pocca ) buon fcgno per me , eh'
io fuggala luce. Similmente il Tallo oeUa
T z pri-
436 ANNOTAZIONI
prima Parte delle Tue Rime al Sonetto: O
nemica d^ Amor , ec. parlando d'una \^ecch'a
ch'aveva interrotto un fuo difegno j lalgri*
da, con dire :
Deb fuggi il fole ) e cerca in chiudo loco ,
Come notturno uccel , gli orrori amici j
N^ qui timor la tua fernhian-^a apporte ,
Car. 58. 1. 32. Aggiorna il fole y ) Ufa il
verbo aggiornare in fignificazione attiva, con -
tra il parere del Petrarca , che giammai non
volle ufariofeuon perfonalmentc> ofignifi-
cato pafTivo ; nel Son.
Quando V pi/ttìeta ec.
Ma dentro j dove giammai non /' aggiorna
e nel Sonetto :
Se V fajfo ond"* è più cbiufa ec»
Degli occhi è */ duci ; che tofio che /' ag-
giorno ,
una volta però l' usò anche il Bembo in atti-
va fii^nificaz. nel Son, Sento P odor ec.
.- .- il fol che le mie notti aggiorna ,
PROSA OTTAVA.
Car. 60. I. ì4. Non vedi tu y ilnofiroUr»
facchio tutto fejìivo da man d ftra venirne con
ìa ritrovata giovenca , ec. ) E' formato quefto
augurio da Carino, perchè anch' egli nella
maggior fuadifperazione videa man deftra
due colombi ? egli fu buon* augurio; dice
dunque car. 70. in queOa medefima Profa :
Mi era aliato già per gittarmi dall'* alta ripa',
quando fubitamente daldeftrg lato mi vidi dm
hiancbi colombi venire , ec.
Car. 61. ì.io» Offerendole ora la fiera tefla
del fetofo cinghiale y ) A imitazione di Virgi*
UonelI'Egl. 7- V. 29-
Setcp
DEL MASSARENGO. 437
Sftojt caput hoc apri ^ tibi Dflia , parvur ec«
Car. 64. 1. 27. E tu mìfera , e cattivtlla per-
dict , ec. ) Perdice fu gran cacciatore : ma
liiflruriofo tanto , che volle abbracciar con la
propria madre ; onde ne nacque il prover-
bio, che per una frenata lib dine fi dice :
Ptrdicis libido y come attefta Celio nel lib.
29. cap. 26. Tralafcio per ora la favola > e le
proprietà di quefto uccello, tocche dal Por-
c.icchij ma dirò folo, quinto facilmente » e
con ragione fi fia mutato in Italia quefio no-
me di ptrdice in pernice , quafi che fiano que-
fti uccelli p^''«'V/(?yi, o per danno che recano
alle campagne , ©perchè, effendo fatte de-
licatezze de'crapulatori, fono la p^''««V^ del-
le cafe j e però appreffo gli Egizzj la pernice
ftava per geroglifico degli uomini perniciofi •
Scrive Teofrafto, le pernici di Paflagonia
aver due cuori ; il che parimente fu da Gel-
iio annotato nel lib. 16. cap. 15* In perdice
fu trasformato Talo fanciullo , come ri fé ri-
fce il Teftori nell* Officina ; benché Ovvi-
dio nell* 8. delle Trasform. dice, ch'egli
aveva nome Pendice , come fopra dicem-
mo . Della natura di quefto uccello dirò que-
llo , che da Plinio viene fcritto 5 che fé la
femmina ftarà oppoftaal mafchio , del folo
fpiraredi lui s' ingravida ; però nel tempo
del concepire fianno a bocca aperta , e del
folo fiato de'mafchi che fopra lor volano,
concepifcono , e talora anco con la voce fo-
ia: tanto fonolafcive, e calde. Fufacraa
Giove, ed aLitona :
Car. 65. 1. 18. E non una volta , ma millt
ec. ) Bellifiìmo calo d'amante ; e perciò fu
leggiadramente imitato il Sanazzjro in que-
fto luogo dair Autore della Marzia Gomme-
T 5 dia
43S ANNOTAZIONI-
dia paftorale, nell'atto i. fc. 2. in perfona
di Venele;i, e di Valerio > il quale facen-
dola mirar nel fonte, le fcopre l'immagine
ài quelìa per cui languiva .
Car. 66. 1.9. Vercioctbè armenti giammai
Mon vi (ol'.ano per rivirenia delle Ntnfe accvjìa-'
rei ) Ha riguardo a quello che dift'e nella
Pro fa 3. car. 20. 0 turbati conti piedi i vivi
fonti, ec-ed in qu-'fta medefima Profa poco
fopradiffe: U quale nS da uccello , n^ da fiera
turbato qq^
Car. 66, 1. 18. Ella ce» novi preghi ec. )
Gli accidenti che porgono fperanza , e ad
un tratto la levano > dilettano incredibil-
mente ; e però nelle Tragedie, e nelle Com-
medie le ne fanno nafcere affai 5 cosi ne*^
Poemi Eroici pofti a fuo luogo fembrano lu-
centi gemme , ma fpecialmente nelle narra-
zioni ,quando fi riduce un cafo fino alTeftre-
mo , e poi fi volta la fortuna . Un' efempio
abbiamo in quefto paftbre ; il quale non ifpe-
3rò mai tanto dei fuo amore > quanto in quefta
tella occafione > e pur fegui contrario effet-
to ; onde il medefimo poi, ridotto all' ulti-
mo per difperazione , riebbe improvvifa-
mente dolci ffi ma fperanza , cornea car. 70.
Hi era aliato già per gittarmrdall^ alta ripa :
ec. e più chiaro fi coiìofcequcfio diletto nel-
la Pr. 1 1 . ne' giuochi pofti in arbitrio di for-
tuna , ove chi più vicino era alla vittoria»
per iftrano accidente rimaneva perditore:
ed al contrario > chi più fi teneva perduto j
infperatamente confeguiva la vittoria .
Car. 67. I. IO- jQ^^attro foli , ed altrettante
lune, ) Aggiunge queft' ultimo, perchè fé
aveff? detto follmente quattro foli ^ farebbe
ftato intefo per quattro anni ; 0 fé quattro lu-
nti
DEL MASSARF.NGO. 4^9
Hf y quattro medi poiché quello in un'an-
no, equefta in un mefe forma ilfuocorfo.
Ovvidio nell* Epift. di Filli a Demofoonte $
volendo fignificare quattro mefi, dice,v. 5,
Luna quater latuir^ toro qftater orbe recrevit ,
Ma perchè il fole, e la luna , portati dalla
ot:ava sfera verfo Oriente, girano il cielo
in 24. ore , qucfta di notte , e quello di gior-
no fcoprendoù agli occhi noftri , il modo che
in quello giro folo é conforme il giro loro:
volendo l'Autor noftro deTcriver lofpazio
di quattro giorni , e quattro notti 5 be-
ne dille : Qjtattro fjli^ ed altrettante hne ,
Car. 67. 1.20. Della qual co[a io p9C0 cu»
rand.mì , ec. ) Chi è appaflìonato d* amore %
pare, che curando folo la cofa amata, lafci
ogni altro in abbandono •• come qui facea Ca-
nno , che gli armenti fu )i avea podi in non
cale . Così dell' innamorato pallore Ario
di ile il Fabbri in una fua Rima Paftorale :
Abt quante vcltf ^ ir per le piagge errand$
tur [en\a guardia le fue greggi allors
Da' benig'.i pajìor vedute ^ 9 pianiti
Spejfo la \era ancor non li fovvenne
J)i rinchiuder /* ovile ; onde ri ma fé
La notte poi preda ficura al lupo .
Così Amor cieco P aggirava ; e pjjìo
Cosi V avea di Ce medefmo in bando .
ed Erg^rto appreiìoil nollfo Sanazzaro nell*
Egloga I. car. 6.
Cent* vuoi eie V projirato mio cor ergsji
A pon." cura in g'<gf,e umile e povero ^
eh'' io fpero ibe fra' lupi an\i difpergaf ?
c r Autore della Marzia Commedia paftora-
le neil' atto i . ffcna 4. introduce Valerio in-
nam«:ato ptftore , chediife:
Capre : (he capre ? foffe' tutte prede
T A Li
440 ANNOTAZIONI
Le mie greggie de* lupi : oimè , che V duolo
jD' amor è quel cP ogni altro amore ancide ec«
Car. 67. 1. g^. Voi , Arcadi , canterete nei
voftri Monti ec. ) Tratto da Virgilio nell*
Egloga IO. V. ?i.
Trifiis at mie , Tamen cantabitis y Arca»
des , inquit ,
Montihm bac vtjirii : foli cantati periti
Arcade s ,
A cui imitazione fcrifle forfè il Poeta noftro
neli' Egl. 8. car. 75.
F'oi uferete in me il pietcfo officio .
e quel che fiegue per più verfi . e nell' Egl.
4. car. 52.
Allora io eheggio che Rovente il giorno
Il mio fepolcro onori in quefia volle ,
Car. 68. 1. 21. O crudelijfima y e fiera ec- )
Beliiffimo è il lamento che fa Sacripante dL
Angelica nel Can. i. dell'Ariofto,econ tut4
te quelle regole fatto che veramente conve-'
nìvano ; ma refta molto inferiore a quefto ài
Carino, nel qual fi vede che il Sanazzaro fi
è compiaciuto grandemente . Potrei notare
l' artificio a parte a parte ; ma fi lafcia al di-
ligente lettore , come cofa che lungo difcor-
fo richiede .
Car, 70. 1. 30. Mi era aliato gi^ per git^
tarmi daW alta ripa : ) E Virgilio nell* Eglo-
ga 8. v. 59.
Vraceps aerti Specula de montis in undas
Deferar , extremum hoc munus morientis
baheto .
Sogliono i miferi bene fpeffo bramar la mor-
te, come quella fia la fine, edilripofodi
tutti i loro affanni; e l'accennò il Sanazza-
ro nell' Egloga 8. car. 74.
fi quanti frror gli amanti orbi non guatano]
Col ^
DEL MASSARENGO. 441
Cd Jejio dtl morir la vita fpreix.^n9 •
^ però dille i I Petrarca nel Sonetto :
A pie de colli ec.
ÌAa dtl misero fiato ovt noi femo
Condotti dalla vita altra (irtna ,
Un fol conforto y t dtl la morte avet/^o .
e nel Sonetto :
Occhi miei , ofcurato ec.
ìdorte biaj'mate ; anx* laudate lui
Che Itga , e [doglie \ e^n un punto apre , e
ferra ;
E dopo V pianto fa far lieto altrui ,
COSÌ Virgilio nel 1. lib- dell' En. v. 94.
— -- O terqut quaterque beati 9
Quif ante ora patrum Troja fub mcenibus
altif
Contigit oppttere \ CC'
eClonico appaflfìonato d'amore nella prefa-
ta Egloga ». car. 74.
Cbe miglior vita del morir non provafi ,
Ma quefto per lo più avviene a'difperatt
amanti , i quali fi procacciano la morte o
coi precipizio; come qui il di foerato Cari-
no , e Licone nell'Egloga 2.Pircatoria del
Sanazzaro , v.73.
Jam faxo mg mt ex ilio demìttere in undar
Prétcipittm jubet ipfe furor .
Imitato dal Fabri in una fua Rima Paftorale
che comincia: Ario pafior , ec.
J2i*al furor mi ritiene ora , e mi vieta
Gittarmi già d^ un alta rupe in fondo
Di qucft'i valle ; e d^ una quercia antica ,
Ver più d' alto cader , faltr in cima ?
OC'I ferro; come la infelice Didoneappref-
fo Virgilio nel 4. dell' Eneicia ; ed il pa^or
Melifeo, di cui parla il noftro Poeta nsli'
Egloga 12. car. 144.
T 5 £ ;»'•
442 ANNOTAZIONI
E pef ftftrji prep il ferro ancip:t( ?
o col laccio; come Tabbandoiuta Filli da
Demofo »nte ; e Gionico paftore apprrflb il
noftro Sinizzaro nel!' Egloga 8. carte 74.
DiroUe , 0 taccio f in tanto il duoi fofpi/t'
CP <o fui per <jpp'cf/irmi fùvra un platano ,
Ed Ifi innanzi ngli occhi Amor dipìnfemì ,
Dove ù fcorge la favola d' Ifi , eh' anch' egli
per la lu) A^ufliirete fi appiccò . o col vele-
no ; o ncli* acque ; i quali partiti di morire ,
fé non tutti, parte almeno fi offerferoall*
Ajtor noft ro di fperato per amore , come^gli
racconta nella Profa 7. car. 54.
EGLOGA OTTAVA.
Car. 72. I. 25. Nell^onde folca , ec. ) Per-
chè djflfe Virgilfodell* incoftanza delle don-
ne nel I. delTEn. V. 569.
— — varium & mutabile femper
Fem'ttta .
Ed il Poliziano nelleStanze :
Segue chi fuf^e ; a chi la vuol /» afconde :
£ vanne , e vttn y come alta riva /* onde .
Di quefta materia abbiamo rocco nella Profa
7. fopraquel luogo : D mia naturale incoftan-
Z^ i e mobilità^ dì animo incitata , e ne dire-
mo nella Frola ice. 98. ivi : la multiforme
Luna .
Car. 73. 1. 16. Se Amore è cieco , non p«)j
il vero fco'gi^re : ec } Amore fi dipin.p,e cie-
co per due ragioni; P una perchè fli ciechlj
gli amanti , levando loro il lume dell' intel-
letto ; onde non conofcono i difetti che fo-^
no nella eofa amìf?. ; e di qui vediamo , eh'
uno amerà talora donna bruttilTima , e (i darà
a ere-
DEL MASSARENGO. 445 .
a credere quella edere la Dea Venere ; e M
glidiceffe: Fratello, che vuoi fare, aman-
do sì fatta beftia? e t'hai pofti gli occhiali
groffì, che fanno parere uno due ; lafciala
andare ai la malora : egli non vorrebbe afcol-
tarc . Ma poi , mancando l' amore , torto fi
fcorge r errore , e fi vede ogni mìnimo vi-
zio che nel corpo j o nell'animo fia . Per-
chè dunque V amore accieca la ragione , e
rende fimile ad una bellia T amante, difle
Euripide nella Medea v. 330. eh' egli era
eftremo male ; fentenza degna d'un'Oracolo:
4>£J" , più ' iSpoToìi ip(à7i<i cis xotìiò if fjttyoe .
L* altra ragione è, perchè i ciechi è fama
che fono più prefontuofi degli altri 5 ed A-
more fi fa cieco , perchè è prefontuofi Aimo.
Onde Platone nel Fedro finge, che Socrate,
eilendo per favellar d* amore, comedi co-
fa sficciata , fi cuopre gli occhi prima. Ed
ha qucfto rifguardò forfè Owidio (^wflr.j,
E/fg. 6. V. 59. ) quando difle , che la Nocte>
come cieca , mancava in tutto di vergogna :
iVcx , & Amor , vinumjue nìbil maderabih
fmadffit :
Illa pudori vacati Liber ^ Amorque wetu »
Perchè di notte perlopiù fi commettono i
peccati d'amore . Ed a quefio fine anco fono
ftate ritrovate lemifchere, perchè, ficco-
mc ilbu)) della notte occulta le fcellera-
tezze, così pare a' viziofi , coprendofi il vi-
fo , di poter fire ogni sfacciata cofa . Ma
ben toccò qucfta cecità d'amore 1* Ariofto
nel Can. i . ftan. 56. in tal modo , che e cic-
co , ed occhiuto infieme lo faccia:
jQuel cb* /* U'tm vedi , Amor gli fa intifbile ;
B /' invifbil fa veder Amore .
Car. 74. l. IO. Ob^ io fui per appicearmi
T 6 ^ ftìvrs
444 ANNOTAZIONE
fovra un plat/ino , ) Con ragione dunque gli
£gÌ22J ( come (crive Oro ne' Tuoi Jeroglifici)
volendo rapprefentare 1* Amore , dipinge-
vano un Laccio; per dimoftrarej chequaft
fempre a miferabile condizione ci conduce .
Di quefto abbiamo toccato nella Profa 8. ivi ;
Mi era aliato ec
Car. 74. 1. 15. f p'ia mutano il pel ^ ec» )
Proverbio antichiflTimo , tolto da quello :
LupUT pilum mutat , non mentem ,
Il lupo muta il pel , ma mn il vi\io •
però difTe il Petrarca nel Sonetto :
Dtcefett^ anni ec.
Vero è "^l proverbio ^ ch'Altri cangia il pelo
Anzi che V veno ,
E nella 3. ftanza della Canzone :
QttelP antiquo mio dolce ec-
Cbe vo cangiando V pelo ,
K^ cangiar poffo P oftinata voglia ,
Ed il Molza nel Sonetto:
Alma fenice , che dal (acro ec.
— " $"* è pur mio dejìino
CP io cangi il pelo , e ncn /* acceca voglia ,
Alle volte però e peloj e coftumi fi can-
giano : come diffc il Petrarca nel Son.
Volo con l* ali de"* penfieri ec.
Pere'' bai cefiumi variati , e ^Ipelo ,
ed alle volte il pelo cangia i coftumi . Il
medefimo Petrarca nel Sonetto:
Tempo era cmai da trovar ec.
Poco avea a ' indugiar , che gli anni , e ^Ipelo
Cangiavano i cofìumi .
dove infieme fi nota l'ufata locuzione di canm
giar pelo y per invecchiarfi .
Car. 74. 1. 17. Ed un bel guardo pia che un
%regge apprezzano- ) Solito degli amanti, è
concetto leggiadramente dal Taffo in un
fuo
DEL MASS ARENGO. ^ 445
fuo Sonetto Ipiegato i il qual comincia:
Veggio y quando tal vifia am&r impara^ ec»
E per un rijo obblio mille tormenti .
Car. 75. 1.2. E vuol ^ fé può y di diramare
aJdifcere . ) Potrà benillìmo ; perchè nel fi-
ne di queft' Egl. 8. car. 76. Il legge :
Cbe al mondo mal non è fen^a rimedio .
Car. 75. 1, 6. Voi uferete in me il pittofo
officio ,
E fra ciprejft mi farete un tumulo , )
Simil luogo nella i Elegia latina del Sanaz-
zaro ad Lucium C'ajfum ,
Inde fuper tumulumque meum , Mamfqut
jepultof
TityruF ex bedera ferta virente ferat .
Hic mthi fahabit Corydon^ ^ puh ber Alexis :
Damcetas fiores fparget utraque mar.u .
ed il medefimo nell' Eleg. ?. Ad Amica m ,
Tum cineri ^ <(2 muta perfolventjujia favilla
Mijìa darei rutili i hlia cana rcfit •
e n' abbiamo un* altro nella Pr. 8. car. 67.
Voi , Arcadi , canterete nei vojiri monti la mia
morte: ec.
Car. 75. 1.14. Ver troppo amar altrui y fei
ombra ^ e polvere . ) Ben difle a quello propo-
fito nel fine della 2. Egloga Pifcatoria il me-
defimo Sanazzaro :
Vitantur venti : pluvia vìtantur , ^ aflus :
2Q.on vitatur Amor . mecum tumaletur opofteT,
Car. 75. 1.22. E f^ io le le^gi altuojìgnor
prevarico^ ) Chiama prevaricar le leggi d*
Amore, il cacciar la malinconia ,* perchè
nella malinconia più fi mantiene Amore 9
che nell' allegrezza ; come anco il fuoco
materiale pili lì conferva vigorofo in kgna
di materia dura , ed alquanto umidetta , che
fé rara , e fecca folle i ed è vero quel detto:
In'
446 ANNOTAZIONI
Intenfiut amant rnelatubolici . Ma bello ar-
tifici.) fi fcorge nel '^oeta . Cui vuol con-
fortar alcu.io , def jv rre per principale fco-
poil contririo della cofa che affinila ; acco-
modancl» quel contrario con quel miglior
model che ricercano !e circoft.inze della fpe-
cie dei dolore che preme altrui: come cbi di
morte conforcaffe 9 abbiali per mira la vita :
chi di d inno , i* utile : chi di ricevuta ingiu-
ria la ragione : chi di dif^erazione , la (pe-
ranza , ec perchè Contraria contrari if cu-
rantur , Co quello medefimo penfiero Euge-
nio , volend ) confortare V innamoralo CÌo-
nico» e vCtJK^'do, eh' era bifogno di le-
varli prima la malinconia, gli propone il
viver lieto :
Ama il giocondo Apollo , * V (acro G»wo ,
Car. 75. 1.15. ^f^^ il po£ondo Apclh , e
^l [acro Genio ^ ) Per cacciar l'araorofa paf-
fione , eiorta Clonicoa darfì a* piaceri del
corpo ) ma ripugna a queftoconfiaiio, che la
crapula è m.idre della lufl'uria ; ficcomecoa
Taftinenza fi caftiga: onde difTe Terenzio
nell' Eun. Att. 4. ^c. 5. v. <$.
Sine Cerere , ^ Libero fnget Venm .
e fi offerva , che quarti crapuloni fono libidi-
nofiffjmi ; e n* abbiamo Tefem pio in Elioga-
baio , in Sardanapalo > e in altri . Però fi po-
trebbe per Apollo intendere la mufica , e per
il Genio, non la crapula, mail viver lie-
to ) e fenza penfieri nojofi ; perciocché a chi
attende a* penfieri allegri , e gioviali , non
fi appicca, fé non di rado, il peftiferoamo-
re; efe s'appiglia, prefto anco abbandona.
Pur mi giova credere, chela prima efpofi-
zione quadri meglio; e chea maggior di-
chiarazione del giocondo Apollo fia polio '^P-
tro
DEL MASSARENGO. 447
tro Genio ^ pigliando iiiqueito luogo Apol-
lo perii Padre Libero^ Conforme alU diftiti-
ziouedi Portìrio nel lue libro chiamato i"tf/<? ^
ove dice: Di tre qualità effer lapotcnzad'
Apollo; in cielo efier Sole ^ interra landre
hibero , e ne 11' Inferno A\iolh : e che perciò
dagli antichi al Tuo fimolacro furono tre infe-
gneconfecrnte ; la lira come a Sole; chede-<
notava r armonia celcfte / lo feudo cornea
Libero; inteio per la divinità della terra :
{« le faette 5 come a Dio deli' Inferno, e
punitore .
Car. 76. l. g. Io con la rete uccello^ e con
la trappola , ) La voce uccello ila come ver-
bo ) non come follanti vo nome , che più cor-
\tQtx.2imii\iQ augello i in ver fi di dire fi coflu-
ma ; benché il noftro Autore talora abbia
dec:o uccelli in vece òi augelli j perchè a' fuoi
tempi non era la lingnaTofcana in quella fi-
nezza eh' oggidì fi trova , mercè del Bembo )
che veiamente fé ne può chiamar riftorato-
>re ;cic bene il Bembo fu a' tempi de' Sanaz-
zaro , non era però al tempo dell' Arcadia >
da lui compoQa in giovinezza ; che quan-
do cominciò a fiorire il giovinetto M.Pie-
tro Bembo , era vecchio di molti anni il
Sanazzaro .
Car. 76. L 4. Per non marcir nelP Clio y )
Per cacciar amore > gì' infegna a non dar luo-
go aiPozio, ma fcacclarlo : onde foggiunge
poi : Così ft [ca(cia amor • ec. Qua fi abbia da
Ovvidio imparato, il qual difle ne'Rim.d*
Am. v. 1 39.
Olia fi tollas , periere Cupidình a'cus .
e dal Petrarca nel i. Cap. del Trionfo d'
Amore :
£i nacquf d^ cito , e di lafcivia umana .
onde
44^ ANNOTAZIONI
onde lì fcorgci che 1' anore fi nodrifce d*
ozio; e pure halcritto Ovvidio nel lib. i*
Am(ir. Eleg, 9. v, ult. tutto il contrario :
Qui nolet fieri de fidi 0 fu ^ , amet .
ove dice , che chi brama fcacciar da fé l*
ozio, s' innamori , perchè farà fempre in
continuo affare • Ma diciamo pure , che Ov-
vidio né a fé (lelTo , né al Petrarca lìa contra-
rio . Perchè la voce oiio , fi piglia in due ma-
niere : 1' una in fignificazione di non fare
cofa alcuna; ed in quefto fenfo dilTe Ovvi-
dio : £«» noht fieri defidiofuf ec. perchè gli
amanti in continuo affare (tanno, finché il
fuobram.Tto fine abbiano confeguito ; come
diflc D.inte :
-- _- ^ mai non pofa y
Fin che la cofa amata il fa gioire .
in quefto fignificato adunque non è vero , eh'
Amore fi nodrifcad* ozio. L'altra maniera
in cui fi piglia quefta voce > è il fare folamen-
te cofe inutili, e vane» o non buone; e fi
dichiara con un luogo di Senofonte , in quel-
le parole che lì leggono nel primo de' detti »
e de' fitti di Socrate; le cui parole fuonano
così : Quel detto di Efiodo : L'affare non è
vergogna , ma sì ben 1' ozio , dicono , che
Socrate fu folito dichiararlo ; cioè , Non che
V Poeta comand 4Jj'e che non bifognava afìe-
nerfi da ni uno ajfare ^ p^r Brutto ^ ed ingiulìc
cP egli fojfe\ ma che fojfe bene ogni cofa fa'
re per guadagno ( con le quali parole s' ac-
coita a qu-*l detto della Scrittura Sacra : Vtì~
nam Cìlidus , aut frigidaì effes ; f^^d quia te-
pi dus «s , incipiam te evomere ec. ) e pere
feguita Senofonte : E pur Socrate ^ penfandc
e b"* ogni affare foffe utile y e buono aW^uomìn,
ma V Olio nocivo , e brutto : e P operar , be-
ne :
DEL MASSARENGO. 449
fie \ ma lo Jftrfi o^iùfi) y male ; quelli chevs-
iiva f.jp qaahbe co fa buona , diceva the epe-.
'avano , e cP erano buoni operarj j ma quelli
■ he giocavano a* dadi ^ o facevano alcuna co '
''a cattiva e danne fa ^ nomava o^ioft ; t così
^a bene il dire ; Che il negozio non è vergo-
ina j ma che vergogna è ben /' o^io , Ecco
dunque, come 1* ozio fignifica tutti gli affa-
ri che non fono di utile all*uomo ; ed in que-
lo Tenti mento difTe il Petrarca j che Amore
nacque dall'ozio: ed Qvvidio , che, fcac-
riando l'ozio, lì Icacciava Amore: ed il
Sanazzaro infegna ad operare , per non mar-
cir nell' ozio, d' Amore nutrimento. Ma
Cicerone prefe o^io in buona parte , non per
attiva operazione, quando difTe» che non
ra mai occupato 9 fé non quando ftava ozio-
fo; intendendo dell' occupazione delle lec-
ere , e dell* oziofità dalle brighe di repub-
blica .
Gar, 76. I. ri. Che nelle menti ftmpUcett»
inibir ga no , ) Semplicette, cioè poco accor-
re ; e quefti tali fono che s'innamorano :
! :be fé accorti foflero , non gli vincerebbe
:osi facilmente Amore : o vinti , non fi nu-
:rirebbono in quello con tanto fperare i però
iifle il Petrarca nel Sonetto :
Era V giorno eh"* al Sol ec.
Quand^ i fui prefo , e non me ne guardai .
jd il noftro Autore nel Sonetto :
Tra freddi monti , eC.
— -- 0 givjla palma ^
Vincer uom che ft fida , lufingando I
PRO-
450 ANNOTAZIONI
PROSA NONA.
Car. 78. 1. 18. Un legno dì edera ^ ed u
di alloro , ) Lo fcrive Plinio nel lib. 16
cap. 40. Vogliono che fia detta edera ^ a.
edendo ^ perchi^ rode le pareti ; altri da ha
reo , perchè har-t parìetibut , 6r arhoribui
Sia come fi voglia, è fimbolo dell* ingrati
tudine ; come fi cava dal Poeta nell' Eglog
10. car. no.
Tagliate tofto le radici all'* ellere\ ec-
poiché non potendo per fefteffa durare fen
ka appoggio 5 appoggiatafi j fé è pianta, 1;
ftringe tanto , che la fa feccare : fé è mu
ro ) tanto il rode , che lo fa cadere . D
quella fi coronavano i poeti , perchè B icc(
fu il primo che fé ne facefle corona , sì pe
eller eglino per la facondia confecrati a Bac
co, siperdimoftrar r eternità de' verfi ; co
me fempre è verde ? edera ; e però dilTe Vir
giiionell'Egl. 7. v.25.
Pajlores , edera cre^centem ornati poetam
Arcadef ,
c pi» fotto :
-. -. ,. — haccare fronttm
Cingile , ne vati noceat mala lingua futuro
ed il Sanazzaro nelT Egloga 9. car. 86.
An^i gliel vinjf y ed et noi volea (edere
Al cantar mio , Schernendo il buon giudici
D"* Ergaflo y che mi ornò di mirti ^ ed
edere .
La ragione perchè fé ne coronafle Bacco :
nefluno la riferifce , maftimo eficrquefta:
Che eflendo facile col vino imbriacarfi , 1
edera difende la teda dalT eluco , che altre
none, fenonbalordimentodi capo per ub-
bria-
DEL MASSARENGO. 45r
riachezzì : onde coronandofene j o man-'
iando delie Tue coccole ) fi preferva dalTub-
iiachezza. Tre forte d'edera fi trovano >
;ricce da Plinio nei lib- 16. cap. IJ4.
Car. 7S. J. 22. Accefe dt mdte fiaccoU 3
e.) L3H;<ccolaera un pezzo di legno ^ ta-
li^ito , o ipaccato per lungo , ed unto d'olio >
di cera , o d' altra cofa untuofa ; e fi face-
ano ancora con canne, e con legna ; ufan-
ole per tar lume nel bujo , e ne' facrificj ,
guifa cheufiamonoi i toichj di cera ; così
iSanazzaro nella Pr. 11. car. 1 14. ivi : Ac^
endtmmo di molit fiaccole intorno alla ppo/-
ura , g fovra U cima di quella ne poner/jma
na grandijftmi ,
Car. 8c. 1. 7. Ed a cui ne potrejli gir tu |
c. ) Molto rifguardo ha qui avuto il Sanaz-
taroa farcheOpico proponga Enareto , ri-
ufando la Maga; perchè ciTendo Clonico
tomo» non conveniva da una donna confi-
;liarfi ; alla qual forf^; non avrebbe creduto >
: gì' incanti farebbono ftati vani : però mi-
;Iiore fu Enareto , perchè gli uomini fi muo-
'ono più da zelo , e piià compaiTione hanno ,
/edendo un del fuo fedo ridotto a quello
tftremo bifogno ; che per avventura le don-
le non fono tali ; cosi una donna farebbe ri-
:orfa ad una donna , come fece Didone ap-
ìrcffb Virgilio nel lib. 4. dell' En. e Brada-
nante appredo l' Ariofio nel Canto 3-
Car. 80. 1. 29. Jntefe pre/fo air alea chiara^
mente tutti i Unguaggj dtgli uccelli , ) Non
è cofa che ad altrj , oltre a Enareto > non fia
lata data ; come con un efempio bello mo-
(Ira FiloftratoelTereftato conce flo ad Apol-
lonio Tianeo » uomo di iottiliflimo ingegno ,
5 perciò di gran valore ; e Virgil. uel ;. del-
l'Eq.
4?i ANMOTAZIONI
V Eli. v.36j.l*atcribuircead E leno indovino
Ef voluùrufn linguas^ & pr^petf'r emina penna
E '1 Taflo neir Amia, atto i. fc. ^. v. 21 g.
Mopfo , r/»* intendi il parlar degli augelli
F la virtà dvlP «*he , e delle fonti .
Tale fu ancora Melampo , padre di Manto
come Stazio nella fua Tebaide riferifce . Ni
di ciò dee effer maraviglia alcuna , percht
gli antichi A uguri da molti , e molti verfi d
uccelli predicevano lecofcloro; ed oggid
fono uccellatori intendentilTimi delle voc
degli uccelli. Né voglio lafciar quello ch«
apprefTo Autore degno ò.\ fede fi legge , d
duo compagni ch'erano inunacafa, e fen
tendo uno di eflì circa i! principio della not
te alcuni topi (Iridere fra loro , intefe che s
avvifavano l'uà 1* altro a parti rfi ; poich«
ellindo rofa da loro, e dalle tignuoleun;
travv» , foftegno principale del tetto, dove,
cadere quella notte : di che ridendofi il com
pagno , né volendo fuggirfi , come itco, l'ai
tro, la notte fu fatto in una fchiacciata pe
la ruina del tetto.
Car. 81, 1. 4, Eff^fe il fonte di Cupidi
nt ; ) Quefto fonte fi ritrova prefTo a Gizico
cittàdell' Afia ) e da alcuni fi chiama font<
Ci\io ^ oCiiico, Di quefto, e d'un' altn
fimile fa menzione il TafTo nella Conquiftat;
lib.21.ftan.89. 90. 91. Un'altro fonte tutt(
contrario» chiamLito Salmace ^ fi ritrova ir
Caria , prefto la città di Alicarnaflo , de
qual chi bee , s' accende d' amor lafcivo ; <
perciò favoleggiano i poeti 5 Ermete, e Sai'
mace Ninfa per virtù di queft' acque eft'erf
talmente amati , che congiunti infiemedi-
veniiTero un corpo folo Ermafrodito . L
Ariufto nei Can. i. ftan. 78. finge , 1' uno <
l'ai-
DEL MASSARENGO. 45?
l'altro di quefti fonti emeriti Ardenna , feU
V3 nel paefe degli Svizzeri , e de Piccardi :
manrn è vero; vi fono ben acque di gran
l'a'ore per diverfe infermità , come n' atte-
la il Munrtero nella fu.ì Gofmografia .
Car. 81. 1.9. Ufta nera merla ^ ec. ) Cori
^rati ragione la chiama ntra , sì perche di fua
satura è nera , sì ancora perchè , in Arcadia
nafcendo tutte le merle bianche, moftrò ,.
:he quefta era una mer la appredo loro nota-
bile : come, al contrario, fegnalata fareb-
be npprefTo noi una bianca. Dicono alcuni ,
jlTer detta merula , quah *nera uolatif ; ma
'li riprende Quintil. nel lib. i. verfo il fine
Jel cap. 6. Scrive Plinio lib. lO.cap. 29. le
nerle di nere farfi flave, la (late cantare ^
1 verno balbutire» e circa il folftizio tacer
le! rutto .
Car. 'i\. I. II. Che nei [acri fonti non ce'
fiva y ec ) Sciocchi veramente fono coftoro
:he negano le virtù delle acque, perchè, ia
il Boccaccio fi dee credere nella fua opera
le* Fonti , al mondo fi trovano fontane che
anno effetti miracolofi ; come tanti e tan-
ib.ìgni oggidì nellMtalia, nella Francia,
iella Spagna, e nella Germania fi fa che
lanno mirabile virtù .
Car. 83. 1. 25. Altra centra U pervgrfe ef-
^afcinaiìoni di invidioft occhi ) Sono niol-
e fireghe , e rtregoni, o malefici, i quali
ol guardo folo aff^fcinanoi come molti ne
crive il Pico della Mirandola nel fuo tratta-
o dellr" Streghe. Sono anco certi uomini
letti I//»^/ , i quali, pere' hattfH> negli oc-
:hi due pupille, fé guardano fifo alcuno men-
re fono adirati , 1' ammazzano \ eifendo gli
pirici vifivi tanto puri j e fotci.'i > che^ fa-
cii^
454 ANNOTAZIONI
t:ll mente padano, e facilmente prendonol
infezioni. Quindi è» che il mil d'occhia
sì di leggieri s' appigi ia : che le donne mei
ftruaCe infettano gli fpecchi , e gli occhi a
trui col guardo folo : che gli amanti s'accer
dono al mirar delT amata ; e tanti altri m,
ravigliofi effetti , che dagli occhi fi cagion;
no . A quefta pefte delle affalcinazioni , m.
lie, incanti ,6 fatture feri ve Teofr-ifìo » cl^
1' bypericoft , da altri perciò detto fuga Da
ntonum y portato al collo giova: così l'a«
quifoglit^, come narra Plinio lib. 24. cai
1 3. SimileArircù hanno la fcilla erba j appe:
fopra la porta » la brionia feccata , e porti
ta al collo , il fiele di corvo unto con olio (
gelfomino; cquertofu rimedio della regir
Cleopatra .
Car. 85. I. TI. 1 rtfponfi iitl tuo ^ e nofl
Iddio , / qt^ali egli pia che altro Oracolo f<
rijjimi rende neUa pura notte a* paflorì in qu
Jìt minti -^ ) Di queftofoggetto difTe T Ai
tore neir E'eg. ad Jnl'.amrm M.ajum y pra
ceptorem , l*h. 2. Ehg. 7. v, 2 ? .
Nec pan Manali a reddit refpon^a f-b umbra
Islotìe Hcet paftor vìncerà libet oviì ,
EGLOGA NONA.
Gir. 87. I. 2. Vafti di timo , ) Parti , eie
pafc.uri , ove tolta gentilmente dal latine
ma come erano pafciut! di timo qucfti cei
biatti , fé in Arcadia non nafceil timo ? ce
me riferifce Plinio lib. i\- c^ìVì. io- Lifcio \
foluzìone a' beili ingegni . Se non fi rifpor
•deflc: , eh' egli abbia pofto il timo per la tin:
èra, al contrario di quello che infegna Mi
.ero nel i\xo poema deli* Erbe cap. 2^.
Si
DEL MASSARENGO. 4^5
Sii defìt ! hyvifit ^ prò Ivy hw ponere ihymbram
Prète rpiitftt mfdtii^ quin vii eji aqui duobut .
jweroch- edenHo il timodi tre f.rte , in-
:enda il Poeta d' una li qual forfè nafceva in
arcadia ; e Plinio d' un'altra .
Car. 89. I. 2. 0 cufta Viftatrice ^ ) Qafia
fi quam mtno rcgavit , Ma ccm-' cafta fu Dia-
la , fé amò Endimione ,e lo baciò mentre el
lormiva lopra Lamio , ovver Latmio , mon-
:e di Jonia , come rifcrifce Tullio ? e per te-
tlimonio di Virgilio nel ^. della Georgica
^. 391. amò , e fu amata da Pane Dio d*
Arcadia?
Muftere fc nivto hna , fi cndtrt dignum e fi ,
Fan deus Arcadia c/>ptam ti , Luna ,
In ni mora aita vocanr : nec tu afpeffjata
vccant^m .
!d il medefimo aff-'rma Nicandro poeta. An-
i come cafla , fc(pcr autoritàdi Alcmane
•octa Lirico) la Rugiada fu di lei e dell'Aere
igliuola? Ma confermiamo l'autorità di Tul-
io , e quella di Virgiliocon due Epigrammi
el noftro Sanazzaro nel lib. 1 . uno fé ne leg-
;e ( è il 18. ) Z)f Endywione y & Luna ^ iti
al modo :
Sp^everat birfutas pafcin'tm Pana capillas
Candida mtlurnii qua Dea ferfar equir .
At pcjìquam nivue eonfpex't munera Lina ,
Pofibohuit notai Endymionis cvef .
Qui ihnul a( trifìet fomno inclinirat ccellot |
Mcr bac , mon , inquit^ non mibi fcm-
nut erit .
d il medefimo nel 2. lib. Epigr, 6. De Lu»^
^ Pane :
Erudii longas Tegtaa in rupe querelar
Pan capjut forma , candida Luna , tua^
Cum^
456 ANNOTAZIONI
Cumquf levi cilamos cera conjungertt^nSdlt
V radala fffenfuf tu quoque , canna j mtoi
PROSA DECIMA.
Car. 92. I. 13. Paffammo col defiro piedi
avanti^ ) Superftizione antica i non per al
tro , fé non perchè la parte delira è mole
felice» ficcome la finillrainfeliciiTima: on
de la parola deftro lignifica favorevole , '
finiftro infelice . Virgilio neli' 8. dell' E
neid, V. 302.
Et nos , ^ tua dexter adi pedt (aera (ecundo
Quindi fu fempre più nobile riputata la aia
Bodeftra» e Dio metterà nell'eftremo Giù
dizio i buoni a manodeftra. Ma poiché e
nafce occafione di toccar qualche poco ci
quefta delira parte, diremo, che gli uccell
che negli augurj vengono da man delira , fc
no affai buoni; come oiìer vaio fi vede dal
Autore nella Pr. 8. car. 70. nella perfona d(
difperato Carino : £" quefte parole dicendo , n
tra aliato già per gittarmi dall* alta ripa: quan
do Subitamente dal deftro lato mi vidi duo biai
tbi colombi venire^ ec. e di fopra a car. 6Q. avf
va già decto il medefimo: Non vedi tu ^
ftùftro Urfacchio tutto feftivo da man defir
menirne ec. 1' uomo è più polTente nella ma
deftra, nel pie deftro, nell'occhio deftro
.e nell'orecchia deftra . Il pie deftro d' u
taflofcaccia la malinconia : il pie deftro e
un nero cane proibifce il latrare degli altri
fi cavano molte erbe con la man deftra : .'
Prelati fi bacia la man deftra : fi dà la fed
con la man deftra. Tutti gli animali can:
minano col pie deftro innanzi, emaftime
«flerva nel leone» il cui liniftro piede mi
DEL MASSARENGO , 457
flcn va innanzi al dertro . Si fanno gì* invi-
li nel bere con la man deftra ,' onde diffe Vir-»
gilio nelP 8. dell' Eneida v. 274»
Cingiti frands nomai , <Èr ^ocula porgiti
dtxtris .
'Mille cole potrei addurre sì di natura ,come
del l' arte > che più gradifcono la parte deftra
iella (ìnKlra . Non larà dunque maraviglia
Te queila fu fempre di buono augurio » e la fi-
QÌftra di cattivo, leggafi PiinioIlb«7. cap.
17. lib. 1 1. cap. 45. Ma che la finiftrafja per-
niciofifTima » fi conofce da quefto , che le co-
Te infelici (come detto abbiamo) fi chiama-
Qo finijìre: Qfiniftra cornice chiamò l'Autor
uolìronell' Egloga 10. car. ne. quella che
jgià prima aveva chiamata "ialt augurata ,
UaPr. 8. car. 6j. Quindi è venuto quel
modo di dire : Dexter adfy , cioè fii tu favorii
vote ^ f prcpi^io , Ma tralafciamo pure tan-
:i altri efempj di Cicerone, di Virgilio, di
Seneca» di Stazio, d'Ovvidio, di Lucano,
di Valerio Fiacco , d' Orazio , di Terenzio ,
t finalmente del Petrarca^a propofito di que-
^a voce deflro\ che la brevità noftra non com-
porta più lungo difcorfo.
Car. 93. 1.5. ZV*//' una eran notati tutti i
i) JelP anno , e i varj mutamenti delle fta^
lioni , e la ine qualità della notte , e del gior^
*ìo , ec ) Simili cofe cantava JopaapprelTo
Virgilio nel fine del 1. dell' Eneida v. 742.
Hic canit erranttmlunam y folifjue laèorer i
Vnde hominumgenui - ^ peeudis ^ unde iftfm
ber , ^ ignft ;
ArSlurum , pluviafquf Byadat , geminofqUf
Trionet ;
J2."id tantum Oceano properent fé tinguert
foltf
T9tn9 I. V H^ber^
45» ANNOTAZIONI
Hibtrni ) vel qua tarili s mora ncBibuf chfiet
Car. 93. 1. g6. Come i loro anni fi pclfaatì
ai fegni delie noderofe co^na chiaramente cono-
fctre: ) Così gli anni de* cervi fi conofco
no, poi eh' eflì ogni anno accrefcono lorc ^
un ramo .
Car. 94. I. 50. indi pervenne ( e non f
come ) nelle mani d^ un pajìore Siracusano
ec ) La narrazione di quefta fampogna
che di Pane venne in manod' unSiracufanc
paftore, il qualepoi la donò aTitiro , come
che forfè dalla 6. Egloga di Virgilio fia trat^
ta ) fu gentilmente imitata dal Gofelino ir»
un fuo Dono paftorale , che comincia : Bahi
jelva Partenia ] ec. dove ragionando d' un; i
lira fatta d' una tefìuggined' Arcadia, dic< ^
che da Pane fu donata a Mopfo , e che queft
poi) morendo, la donò aTirfi. Né la tra
Jafciò il Ta nb nel fuo Aminta , nell' atto 1
fcena i. v. 191. parlandodi Elpino :
Diceva egli , e diceva che gliel dtjfe
S^el grande che canti P armi ^ e gli amori ,
eh"* a lui laccio la fi fi ola morendo ,
Car. 95. I. IO, Al Mantonno Tittro , J
Intende Virgilio, che cantò fotto nome dfl
Titiro nelle Bucoliche . e pure nel Proteo
4. Egl. Pefcatoria dell'Autore, v. 69. h
intefe fotto nome di Coridone :
Tum canit , ut Corydona [acro ìdelifaut /;
antro
Viderit , (è? calamoi lahrij admoverìtaudax
Formofum quihui Ule olim cantarat Alexìn
Dixerat & mufam T>amonìs , ^ Alphefibigi
Car. 97. ]. 26. Or qui come la candidi
ìuna ec. ) Scrive Celio nel lib. 9. cap. 23
due forte di Magia ritrovarfi , Naturale
% Diabolica . La prima è della più fcelta fì
lofo^
DEL MASSARENGO. 459
cfofia naturale; la feconda infame . Quella
nveftigando lefecrete virtù delle cole na-
Lirali per via di confenfo , da' Greci cbiama-
0 (ympotb-ia , fa mirabili effetti ; e queft' ar-
e beninimola pofllede l'Angelo , come que-
lli e' ha piena cognizione delle cofe di natu-
1, In quella furono eccellenti gli Etiopi %
gl'Indi: in quella gli Egizzj , cultori de*
Demonj . Ora il Sacerdote Enareto né ufa la
>Jaturale fchietta , né la Diabolica fempli*
:e j ma con la bontà della prima coprendo U
nalizia della feconda * forma una Magia mi-
b; poiché oltre alle cofe naturali 1 fi vale
\nco della invocazione degli fpiriti . Benché
timano alcuni, l' una 1 e l'altra Magia ef-
er obbligata alle fallaci cerimonie de^ De-
nonj ; il che però a me non pare . Tutti que-
ti incanti poi imitati fono dalli Farmaceu-
ria di Virgilio» il quale da Teocrito gli
veva riportati ; ed o'tre aquefta Profa , un"*
Itra più bella imitazione di Virgilio fece il
ianazzaroheir Egloga 5. Pefcatoria , i cui
uoghi , detoni veramente di elTere raffren-
ati, perbtevicàtraUfcio.
Car. 97. 1. 32. Circondato di tre veli di di--
itr fi fulcri , ) Ufo vecchio, di circondar di
'di gli altari ; e fervato da Virgilio nell' E-
;loga 8. V. 64..
— -- molli cinge hàtc aitarla vitta .
•enchè ivi interpetrino alcuni altri gli a/tari
^erÌQ vittime y le quali di veli pure fi cir-
ondavano .
Car. 98. l. 2. Difcinto y e fcal^o d'*(mpie-
V, ) Quello fignifica deliberazione, ovve-
0 propofito fermo , e nato fubito , con furo-
e ; ciò fi conofce in Didone appreffc Virgi-
i«ael4* dell' Eneida v. 51 s.
V X Unum
460 ANNOTAZIONI
Vnum exuta pedem vi ne lì s , in ve fi e recinga
ed il noftro Sanazzaro nella Farmaceutria;
Egloga 5. Pefcatoria v. 26.
Ipfa cornai ejfufa , pedemque exuta fini ft rum
e l*Ariofto nel Canto 5. ftanza 8. ragionandc
della maga Melifla :
Difcima ^ e [calla ^ e [ciche avea le chiome
e'I Taflo nella Conquiftata lib. 16. flan. 8. d
Emirenomago ;
E [cinto , t nudo un pi è , nel cerchio accolto
Altro fignificato però diede a ciò il Sanazza-
ro nell'Egloga S.car. 7j.
Di [cinti j e [calli [atra P erbe tenere .
Car. 98.1.4. Tenendo per le corna una ne
ra agna y ec. ) Differentemente facrificava-
no a' loro Dei , come differenti erano di do-
minio, e di abitazione . Agli Dei delciek
facrificavano quadrupedi bianchi, perchè k
cofe celefti hanno del puro , candido , e bian-
co; agli Dei della terra, del mare, e dell
Inferno , quadrupedi neri , perchè le coH
terrene» acquatiche, ed infernali tengon(
dell' ofcuro, fé non fono fitte chiare dall
aere illuminato ; ma bene fpeffo agli Dei ma
rini facrificavano volatili neri , perchè 1
acqua marina è torbida, e mobile. Quind
è, che facrificandoo a morti , o di notte
oalletempeftati , ufavano pureanima'i ne-
ri. A' morti ; Virgil. nel 4. della Georg
alfine, v. 545.
Inferias Orpheì Lethda papavera enittes , ec
Tt nigram ma^ahìs ovetn , ec.
c nel 5.deirEneida v. 96. i^crificando a
morto Anchife .
— — cadit quinas de more hi denti i ^
Totque [uef y totider» nigrantir ttrgo ju
vencQs .
Di
DEL MASSAREKGO. 46f
fDl notte, e agii Dii Internali; Virgilio nel
5. dell' Enelda v. 243. ^
Quatuor hicprimum nigrantit ttrga juvencos
CortHituìt ,
? più baflb, V. 249.
- ipft atri vellerh agnam
JE.ntat matti Eumenidum magrteeque for^ri
Eftfe ffrit .
Alle temperati, alle procelle, ealletem-
pefte ; Virgilio nel ^ dell' En.v. 120.
tiigfam Hiemi ptcud^m , Zepèyris felich
b'if aìbam .
perchè i venti fono più della regione del cie-
lo , che della terra . Cosi il nolbo Enareto,
facrificandoalli non conofciuti Dii » cornea
Dii che fono ofcuri , ed alla reverenda Not-
te j facrifica una nera agna . Ma fé da alcu-
no mi venifl'e oppodo , nella Profa 3. car. 19,
non avere il Sanazzarooflervator antico ri-
to , facrificando una agna bianca a Pale j Dea
terreftre, rifpondo; fé ben era Dea fopra-
dante alle cofe runiche , era però Dea fuper-
ifla, come anco Cerere > Cibele, Temi, ed
altre .
Car. 98. J. 6. Chiamerà ad alta voce tre^
tento nomi di non conofciuti Dii \ ) Tolto da
Virgilio nel 4. dell' Eneida v. 510.
Trecentum tonat o^e dgot , ec.
il qual luogo fi dee intendere per li trecento
Giovi, adorati dalla cieca gentilità, come
fcrive Tertulliano eflere ftati numerati da
Marco Varrone ; e trentamila fcrive Ellodo
eflere ftati gli Dei , a' quali fecero (acrificio
i gentili : non farà dunque maraviglia che
n'avefleroanco trecento altri non conofciu-
ti ; e forfè erano o gli Dei Lari , o li Semi-
dei j quali per mancamento di meriti, fti*
V 3 ma*
46i ANNOTAZIONI
mavano, che non aveflero potuto fallre fìtn
al Cielo ) e che però dimoradero nella mez
za regione deli' aere . A quefti dunque por
tavano onore » fé ben non li conofcevano ; (
n' abbiamo T efempio nel principio di queO
Profa iC Car. 92. J«/// adorato prima il fant
Pan^ dopo li non ccnofctuti Dii {fé aUunov
ne era che per non tnojìrarfi agli occhi noftr
fisi latebre fo bcfco fi nafcondejfe) ec. un* altr
efempio n' abbiamo apprefTo * S. Paolo A pò
itolo, Dottor delle Genti , il quale tant
riprefe coloro eh' avevano confecrato un* al
t^rtlgrotù Deo ^ che, da quello prefa ceca
{ìone> li converti al vero ed unico Dio, d
loro veramente non conofciuto . Ma io fti
mo, quefto numero di trecento cfTer poft
indefinitamente per una numerofa moltitu
dine, così lopofeil TafTonella Conquiftat
lib. 1^ flanza 72.
Ella , moffa a quel dir , chiami trecento
Con ftra lingua Deità d* Averno .
Car. 98. I, IO. -E" la molti f or nt^ Luna
Chiama la Luna di molte form? , perchè qua(
tro volte il mefe di faccia fi cangia : onde
dice a una donna infiahile pia che la luna : e g
incoftanti fi chiamano /<^/»<»//^/, quafi fotte
podi al variar della luna , come fono tutte 1
donne ; Il Mantoano :
I Induit irtftabilis luna lux t erti a ,
Car. 98. 1. 12. La chiara faccia del Si
le la quale continuamente dijcorrem
inttrno al mondo , vede fenia impedimento v^
runo
* Dovea dire y apprejfo S. Luca negli At
Apoflolici cap, 1 7. dove racconta queflofa:
to fucceduto tra S, Paeh e gli Aunlt
mW Areopago,
DEL MASSARENGO. 4<5;
9Unù tutte le opere de"* mortali . ) Che il fole
vegga tutte le cofe , fu concetto prima d*
Omero nell' Iliade y poi di Lucrezio nel lib.
6. in terzo luogo % di Plinio nel lib. i. e. 6,
V^aclaruì , exìmiuf , omnia intuettr , omnia
etiam exaudì(ns\ finalmente di Marziano Ca-
pei la nel lib. r, Carmine 12.
l/lundanu\que oculus ^ fulgor fplendenth
O'ympi ,
onde Remigio Bellacqua ^ poeta Franzefe
eccellentiilìmo , nella 2. giornata della Ber-
geria , al lamento di Prometeo lo chiamò oc»
(bio di Dio , e del Mondo :
Il veit ce beati Soldi , /' ail de D'teu , ^
du Monde .
Car. 98. 1. 18. E V grandijpmo Oceano pa»
dre universale dì tutte le cofe , ) Detto di Vir-
gilio nel 4. della Georgica v. 382,
Oceaftvmque patrem rerum.
Fu prima opinione del principe de'Jonici Fi-
lofofi Talete Milefio , appreffo gli antichi di
molta autorità . La ragione credo fofle > per-
chè fapeva , in tutte le cofe mancando l*
umido , mancar la vita; ficcome anco fenza 1*
umore niente può nafcere , o generarfi ; e
però affermava y V Oceano eiler padre de-
gli Dei ) e di tutte le cofe , ma non da alcu-
no generato. Alla quale opinione s' accodò
Omero nella Iliade > inducendo Giunone
che dice, T Oceano» eia madre Teti efl'er
Ja nazione di tutti gli Dei . e certo chi noti
fa la forza dell' acqua» ed i benefici che da
quella nafcono, come da un Dio, legga Pli-
nio lib. ji. cap. 1. dovemoftra, quefta nu-
trire tutti gli altri elementi , e queda mede-
fima fuperarli. Fu chiamato l' Oceano N^-
reo j Netturino , e Mare . Gli diedero un car-
V 4 ro
464 ANNOTAZIONI
ro guidato dalle balene , i cui trombetti era-
no 1 Tritoni > che gli andavano innanzi ; i
fecero ricco di buoi marini > dati in guardi:
a Proteo , e gli aggiunfero un groflb ftuolo di
Ninfe per ferve .
Car. 98. 1. 19. E le vergini tZìnf e generatt
da lui ; cento che ne vanno per le felve y i
cento che guardano i liquidi fiumi : } Virgi-
lio nel 4. della Georgica v. 3S2,
— — Nymphafque forores y
Centum qua filvas , centutn qua jlumim
fervant ,
Più di cento ne potrei nominar io i ma mol-
te di quelle nomina Virgilio ad imitazione
ci' Ornerò nel 6. dell' iliade» nel 4- della
Georg. V. ^54.
-- — Milejìa veliera Nympha
Carpebant , h.yali faturo fucata colore :
Drymoque , Kantboqut , Ligeaque {, Phyl-
lodoceque ,
"Nefae , Spioque , Thaliaque , Cymodocequt .
Cydippeque , & flava Lycorias ,
e più baflb nomina Clio ) Ber ce , Efire , Opi .
Dejopea y ed Aretufa : enei 5. deli' Eneide
nomina Teti , Melite , e Panopea . cOsi il Sa-
nazzaro nella 4. Egloga Pefcatoria v.56. a
imitazione di Virgilio :
\-~ vos hanCy Panope , vof , candida Drymo^ .
Cyntothoeque , Rhoeque , Vherufaque
Dinameneque •
Altri nomi diede il TaiTo alle donzelle di
Lucia nella Conquift^ta lib. 21. ftan.29. go
benché abbia imitato Virgilio n^el fopratocGc
luogo ; nomina dunque Tirrena , Sehe\ia ^
MergeUina » Silvia , Dafne , Qkri , Alba .
Albina y Orili y Cri fella y Ni fida y e Spio , A{-
tridiverfi nomi figuro il Fontano nel Jib- 2,
di
DEL MASSARENGO. 4<^?
^t Stelli f : ma leggano i curiofi d i quella di-
verfità di nomi V Officina del Teftori al ca^.
Nympì;^ diverfe , che ivi molti altri ne ave-
ranno . Ritrovo diverfità fra' poeti ìntorao
a quefte Ninfe: perché altri le chiamano
fortlle dell^ Oceano , come di fopra abbia-
mo allegato Virgilio : Nympbafque fororet :
ti\tx\ figliuole y come Catullo C^arw/w^ 85. ad
Gellium :
"Non genìtor Nympbarumabluat Oceanur ,
s\tn ferve \ ma per accordar quella diverfità ^
mi pare» che diciamo, effer veramente fi-
gliuole dell'Oceano, fecondo Catullo, ed
aluifervirc, cornea vecchio padre, e Re
dell'acque: ed al luogo di Virgilio rifpon-
deremo, aver detto/c*?'^/-, non rifguardan-
do ali* Oceano , ma attendendo a loro ftelTe ;
furore T y cioè, eh* erano forelle fra loro > e
tutte pofcia deir Oceano figlie .
Car. 98. 1. 19. Ma convocando la tergemirta
E cote , vi aggiungerò il profondo Caos , //
grandi/Jimo Èrebo t e le infernali Eumeni di )
Virgilio nel 4- dell' En. v. 510,
Erehvmque , Cbaojque ,
Tergeminamfjue Hecaten ,
enei lib. 6. v. 247.
Voce vocant Hecaten y cahque Erehoquepo*
tentem ,
delle Eumenidi, ivi pure v. 150.
j^ntas matri Eumenìdum magnaque forori ,
'• Car. 99. 1. 1, E difvellendole da rneT.Xp
U corna la fofca lana ^ la gitterh nel foco per
primi Itbamenti : ) Virgilio nel 6. dell' Enei-
da V.245.
Et , fummat Cérpens media inter (ornua
fatar ,
Ignibus imptnit facrtr libantlna prima .
V 5 eRc-
4CS A NNOT AZIONI
e Remigio Bellacqua nella i. giornata della
Bergeria , al Difcorfo dell' Inverno Profa t*
defcrivendo una Maga facrificante per at-
traere un' innamorato : Jetti fur dei char^
boni ardarts du fouffre vi^ge , de /* byfope y
de la rue , ^ une pò ignee de ìa'tne noire ,
arracbee d^ entre Us cornei </* nne brehìs ^
fu elle vouloit facrijier,
Car. 99. 1. II. £■ di fangue di nottola ti
ungerl gli occhi ec. ) Queda unzione di fan-
gue di nottola tolto dall'ala delira ( come
nella I. Egloga dicemmo fopra quel le paro-
le ; Ma tnefle jirigi y ed importune nottole , )
ha forza di far veder nelle tenebre della not-
te ogni cofachiariflìma : così fa.Remy Bel-
leau nella citata fua Bergeria alla 2.gioTnatar,
nel Difcorfo dell' Inverno Profa i. checo-
mincia : ^uii fait , ec. Puìi fé moville les
yeux y & le vifage du fang d'* un hihou ^ a fin
que lei tenebre! de la nuìH , comme elle di-
foit y ne /' impefchaffent de voir . Quindi è >
che il Demonio fa ungere quelle fue ftreghe ,
ed incantatrici j non tanto per la trasforma-
zione , quanto perchè veder poflatso gli fpi-
riti ) e le ombre fenza timore . E apprclTo
Virgilio nel 4. della Georg, v. 415. Cirene
unge il figlio Arifteo di ambrofia» accioc-
ché atto fofTe a vedere la divinità di Proteo ,
né fi fpaventafle alle varie trasformazioni
di luì :
H^c alt , ^ Itquidum amhropa diffundit
odorem :
Quo totur» nati corpus perduxit , ec*
Car. 99. 1.15. Ed acciocché le firane , #
diverfjjìme figure de^ convocati Dii non ti
[paventino , ti porro in dojfo una lingua^ un$
itchio l fd una [paglia di Lìbiano ferpente ,
con
DEL MASS ARENGO. 457^
t(in U dcftra parte dtl cuore d* un leone in-'
viterat9 , e [ecco all'* ombra folamenti^ della
piena luna , ) E' tanto leggiadro quello Poe-
ta , che da molti e molti in mille e mille
luoghi è ftato imitato ; ma quefto paflb tra
gli altri dal prefato Remy Belleau, poeta
elegantirtìmo, è (lato tolto di pefo , epodo
nel lopratocco luogo della 2. giornata della
Bergeria . A fin aujji qu^ elle ne fé troublafty
cu trouvafi efpouvantee de la diverfitè der fi-
guref ejfranger y a P invocation des efpritf ^
fé mtt una langue y & un csil de ferpent dans
le fein , fé poudre le cerpr du cceur d^ un lyon-t
(ecbè aux rayons de la lune , fur toutes lei:
beftef fauvagts .
Car. ICO. 1.4. Suffumicandoti con vergine
(elfo , con ifcpo , e con la cafta ruta ; ) Que-
fte tre cofe appunto fono ufate nel l' incante-
fimodi Remy Belleau nella detta i.giornata:
Jette fur des e barboni afdans du fouffre vier-m
gè ^ de /* byjope , de la rue ,
Car. ICO. 1.9. Ti farò prendere la cenere
dal [acro altare ^ td a due mani per fovra '/
capo get tarlati dopo le f pai le nel corrente fiu*
me , ftnia voltare piU gli occhi indietr^f : )
Virgilio nelTEgl. 8. v. loi.
Fer cinerefy Amarylli^forat : rivoque fiutnti^
Tranfque caput jace '. ne refpexeris , ec.
Car. ICO- l 18. Fari venire erbe da tutta
Arcadia^ ) Poteva dirlo con ragione, per-
chè fra i quattro paefi citati da Plinio nel
lib. 25. caP' 8. dove nafcono erbe afl'ai, e di
ftrane forte, l'Arcadia è de' principali .
Car. lOO. l. 13. Legiferai una immagine dt
cera in tre nodi , con tre Ucej di tre colori^
9 tre volte con quella in mano attorniando h
nlUft > et* ) ECCQ Remy Belleau neli'rjlega-»
V 6 co
46S ANNOTAZIONI
to luogo; Cejìe image ejìoit efìroitttfmrtt //.
cee par le col de trois cordons dt liine , de
couliurf dijferentes'. puif tournant troif tourf
a P ertTcur du cerne , autant de fots elle pi'
quoit cefte image , avec une l angue ai gufile
j(m, cvjure , enforctlee par la pointe j la pan ,
•cu devoit eftre la cceur en cefte are ; 1' uno
e l'altro imitato da Virgilio, e prima da
Teocrito ; ma Virgilio nell* Egloga 8.
V. 7Ì-
, ^Xirfta tibi h£c primum trìplici diverga colore
\ T^ifidi cìrcutndo , terque^ hac aitarla circum
Effigtem duco .
Car« 100. 1. 29. Colei pungo , ed aflringo
Che nel mìo cor dipingo , )
E pur feiJiita nella imitazione il Poeta
.Fcanaefe -nel detto luogo:
- • 'Tout aifjfil* efpcinionne , ^ traperce le cueur
De ce cruel ingrat , qui me met en fureur :
JJ eftreignant aujft fort en /' amcureux
martyre ,
Qu* entre cef laqs courans ^ eflrains fon
cefte ciré .
Car. 100. I. 35. Tutte mie pene e doglie
Richiudo in quefte fpoglie . )
Virgilio neli' Egloga 8. v. qt.
Haf olim exuv'as mihi perfidui ille reliquit
'pignora cara fui : qua nunc ego limine ir
ipfoy
Terra ) tihi mando . debtttt bac pignori
Vapbnim .
Car. loi. 1. 5, Cofi ftrida nel foco
Chi H mio mal prende in gioco , }
Cosi Virgilio arde il ramo di lauro , e dice
nellaftefiaEgl.S.v. Sj-
Dapbnh me malut uriti ego hancin Dapi-
ttide laurum ^
DEL MASS ARENGO. a^9
•ma il Poeta Francei'e arde la refina, noa
il lauro.
Car. loi. I. 5, InJt prendenti» io unabian-
ca colomba , ) Per eiTer fac rata alla Dea de-
gli amori ; e la piglia femmina» per efler
l' incanto l'opra una donna : che fé fopra uo-
mo folle , mafchio l'averebbe prefo . E la
colomba bianca fi facrificava dalle donne che
fi ritrovavano dal marito feparate > come n'
afferma Ovvidio nel i. de' Fafti v. 451»
Ergo [api fuo conjux abdu^a marito
Uritur igniti! alba columba foci! .
Car. 1C4. 1. ^5. Le argute cicale) Fu con-
vertita in quello animale Titone 1 amato
dair Aurora , effendo giunto all'eftrema vec-
chiezza : si perchè la cicala vecchia ritorna
giovane, avendo gittata la fcorza , come i
vecchi decrepiti fanno , i quali lafciato il
canuto fapere , ritornano alla fanciuHefca
ignoranza, capeggio: sì anco perchè i vec-
chi di quella età non fono buoni ad altro che
a cicalare. Cicale fi chiamano quei che non
fanno cantare, e pur col loro nojofocanto
aflordano tutti ; però difl'e il Sauazzaro nell*
Egl. 9. car. 89.
Corri , cicala , ec
Ed alle cicale afromigliò il Taflb alcuni con-
figlieri di Ducalto > nella Conquiftata lib. 7.
ftanza3 5.
Ma pronti e fan di lingus , e di configlio ,
E cicale pareano in tronco imbrofo ,
E fé i Greci fono {^diù chhmàù loquaci y non
fu per altro , fé non perchè portavano un fe-
gno di loquacità, ch'era la cicala» ed in
particolare gli Ateniefi , come fi legge in
Suida, e in Tucidide Greci : i quali fcrivo-
no , che gli Ateniefi portavanp le cicale d*
oro
4^6 ANNOTAZIONI
oro nella piegatura del cappello ; ed a que (le
allude Virgilio nella Ciri v. ii6.
Ergo omnif caro refidebat cura captilo :
Aurea follemni comtum quoque fibula rììu
Mopfopit teseti nefiebat dente cica da ,
BelhllimiOde fcrifìTe Anacreonte fopra Li
cicala ; la quale in lingua Franzefe da Remj
Belleau è ftata gentilmente tradotta .
EGLOGA DECIMA.
Car. 107. 1. 20. Ghiande pafcettano ) Le
fcrive Plinio nel proemio del lib- 16. e nel e
5. e 6. dove afferma» dagli Spagnuoi^ elfen
fiata ufata per dopo parto . Sono molte fpeci^
di ghiande, e però fotto nome di ghiande.
vuole Ulpiano, che vengano tutti i frutti;
benché oggidì s'intenda in Tofcana folamen-
te del frutto della quercia. Ritrovo però
che la ghianda di cui intende qui il P.:>eta
era quella del faggio, come afferma Plini(
nel fopratoeco luogo ; dove aggiunge di più
eflere ftato in Roma un bofco a queftofinc
canfecrato a Giove , per Io quale era dett<
Jupitef Fagutalif:^ attefocbè a Giove fi ap-
partiene dare il cibo agli uomini , Q^^nii
Giove <\Qttoà'i\ giovare . Si conferma queftc
dalla v( ce ifteffa ài faggio , detta dal Greco
diro To-j (pdyny i che (igxìì^ca e omeder e : ov
vero dalla etimologia dìf^gg'o , quafi che fi
giovamento .
Car. 108. l. 25. Vertunno non s* adopra it
tr a sfior mar fé , ) Quefto Vertunno è il me-
defimo che Proteo , di cui diffe il Sanazzarc
nella Canzone :
O fra tante procelle ec.
Talché Prgth^ btmhè fi pofi^ 0 dorma ^
Vili
DEL MASSARENGO. «71
Viti non f cangia di fua propria forma ,
ma è da notare, che il non trasformaiTi di
Proteo è prefo qui per cattivo fegno , e nell*
allegata Cannone per buono. Era quefto Ve?-
tunno Dio dell' anno , ed in varie forme tras-
formavafi , perchè l'anno per le varie fus
ftagioni in varie guife fi muta. Amò coftui
Pomona , Dea de' frutti , e fece tanto col Tuo
trasformarfi . che n'ebbe da quella d'amor
rubella Dea il defiatoamorofo frutto ; vedi
Ovvidio nelle Trasform. lib. 14. e Proper-
zio nel lib.4. Eleg.2.
Gar. 108. 1. 26. Pcmona ha rottt , ec. )
Queda era Dea de' frutti » onde à?^ perni il
nome prefe . Aveva un giardino belliilìmo
da lei loia governato , e portava in mano la
falce da potare . Amò un tempo la vergini-
tà , finalmente» perchè era belliifima » s*
innamorò di lei Vertunno, e con arti le la
godette , eiTendofi ella altresì innamorata
di lui .
Gar, 1C9. 1. II. Marfia fen^a pelle ce. )
Quefto è '/ male ìnfvptrbito Satiro 9 di cui
intefe nel fine dei Proemio il Sanazzaro . La
favola fcrive Ovvidio nel 6. de'Fafti» enei
4. delle Trasf. Strabone nel fine del 12 . Ero-
doto nel 7. e. 26. Plinio nel lib- 5. e. 29. e
Claud. libro 2. contra Eutropio v. 256. Fu
Marfia d' Apamea , città di Frigia, detta
prima Cilene . Goftui avendo imparato la mu-
fica da Jagne j trovò a cafo in un rubo di fpi-
ne il flauto gettato via dall* inventrice Mi-
nerva ; perchè fonando ella in riva alla pa-
lude Tritone , fi vide nelT acque la deformi-
tà del vifo , mentre gonfiava le gote , in dan-
do il fiato air iftromento . Marfia dunque,
come buoa mufico ^heegli era^ datofi con
dili-
471 ANNOTAZIONI
diligenza a fonare quel flauto , riufcì tante
perfetto » che era dagli altri Satiri fuoi pari
e dalle Ninfe ammirato, correndo e quefie
e quelli con gran diletto al maeftrevole fuo
no . Laonde gonfio di tanto fuo valore j (
die vanto di fuperare Apollo nel fuono : pei
la quaicofa venuti al paragone in Aulocre
ne, elefTe Apollo Minerva per giudice, (
Marfia il fuo Re di Frigia Mida • Sonò Mar
fia il primo , e molto fu lodato da A polline
ma pregato infieme , per pietà eh' egli ave^
va di lui , e per non privare il mondo di tan
tobene, che gli volefle cedere. Ma (land<
egli via pia fuperboche mai , giurò il Di<
perlaStige, vincendolo, di fcorticarlo; <
prefo il flauto fonò tanto dolcemente , ch<
fubito Minerva gli diede il vanto , e Mid;
air incontro dichiarò Marfia vincitore . On
de fdegnato Apollo dell' ingiufta fentenzad
Mida, gli fece l'orecchia finiftra d' a fi no
ed appiccato Marfia ad un platano (che pu
ancora antichiiTimo fi vedeva al tempo di Pli
nio ) lo fcorticò vivo, e gli attaccòunaco
da di porco ; del cui fangue poi , e delle la
grime de* Satiri , delle Ninfe, de' Fauni
e degli uomini prefenti, nacque un fium
eh' oggidì ancora Marfia ù chiama- Fatt
quefto , Voleva fcorticare infieme Babi fu^
fratello, efonatoreanche lui, come ri feri
(cQ Ateneo nel lib- 14- delle Cene de'Sapien
ti r ma per intercedione di Minerva fu libe
rato: la quale attediando eh' egli era mufic
vile , e nel fuono tanto fconcio , ed infelice
cominciando male , feguendope?.gio , e fa
cendopeflìm>fine, che non meritava cadi
go : placatofi il Dio , il lafciò ftare, fprez
zandolo, con idimarloalTai punito della fu
ign»-
DEL MA SS ARENGO. 47;?
gnoranza : onde ne nacque il proverbio :
^tìcna peggio dì Babi , Un' audacia fimi le
iquelhdi Marfia fu in Tamira , mufico di
Tracia, e difcepolodi Lino ; il qualeaven-
io voluto concrallare con le Mufe j fu da Ic-
'o privato di luce . Sarà dunque Marfia firn-
30I0 di temerità : ondefefcrifi'ero , ch'egli
la fotto la difefa di Bacco > fu perchè era te-
linerario , e loquace» come i vinolenti fono»
!'e cui parole l'ono a guifa di Satiri , che qua e
!!à vanno faltellando; ma poiaUa prefenzade'
dotti, ede'faggi , Ipogliati 5 cioè fcoperta
'laioro prefiinzioi-e , tante ciance fi rifoivono
in nulla • Fu quefta favola maravigliofamen-
ce dipinta da Zeufi , ed in Roma nel tempio
•della Concordia molto diligentemente per
^ran tempo cuftoditaì per teftimoniodi Pli-
QÌo lib. 35. cap. IO. ed a' noftri tempi è (lata
eccellentemente efpreffa in una fua pittura
da Antonio da Correggio, come attefta il
Dolce nel fuo Significato deli' erbe . Ma un
dubbio mi nafce intorno a quefta favolai per-
chè tutti gli autori fcrivono, che Marfia fu
appiccato ) ed ifcorticato : di modo che fi
dee credere con ragione , che egli fé ne mo-
rilfe , fé non per altro , almeno di dolo-
re j e pure io ritrovo in Silio Italico nel lib.
8. che elfendo (lato vinto da Apollo , non fu
uccifoda lui ; ma che fé ne fuggì in Italia > e
il nome diede ai popoli M^rli della Puglia
( benché Pliniolib.7. cap. i. l'attribuifca a
Marfo, figliuolo di Circe ) per efferfi ferma-
to tra loro . ( v. 503 )
SeJ populif nimtn pofuit metuentior bcfptr ,
Cum fugtrtt Vb'ygio! trant aquora Marjfy.t
Crgnor ,
Iti vgj<,rji^//f Pbtebi fup^ratus pfSiìat Ufcn .
Al
474 ANNOTAZION!
Al qual dubbio in vero non trovo rirpoflq
che per ancora mi foddisfaccia , e però dei
dero averla da altrui. Qi^iactro altri Mari
ritrovo dasli Icrittori nominati : uno Re d
Lidi da Plinio lib. ?. e 12. due Iftorici 5 <
uno il quile fcriffe De TranquUlìtatt ; d
quali fa menzione Suida . e fcrive Szthi
* d' una città di Frigia > detta Marfia , e g
abitanti Marfinti .
Car. 110. I. 8. La fnijlra cornice^ ohm
prg^f'ffelo i ) Tenevano i gentili ^ alcuni ucce
li ellere di cattivo augurio ; come qui
cornacchia ; della quale Virgilio pur nella
Egloga V. 1 8. imitato qui dal Sanazzaro :
( S^-)e fnijìra cava pr^dixlt ab ilice co*' nix .
fu chiamita pur fmijira dal Petrarca n
Sonetto .
Kon JaW Ifpano Ibero ec-
Qual deflro , cofvo , 0 qual manta cornict
e 1' Autore nella Pr.8. car. 6^. la nomina pt
mah augurata cornice . La civetta ancora
in quefto numero , e però diffe di fopra il S
nazzaro nell' Egl. i . e. 6.
Ma mefte ftrigt , ed importune nottole ,
Di tal forta^ fono parimente il corvo, ed
barbaggianni 5 che altri chiamano allocco ,
ulula . Veggafi Plinio al lib. lO. cap. 12. o'
fpecial mente racconta , la cornice efìfer in
mica a Minerva ; perchè nel tempio di que
la ben raro fu veduta, e nella dotta A ter
non mai : onde con ragione Ovvidio nel li
2. Amor» Eleg, 6. v. 55. diffe :
Vivit
* De Urblbus edit. Tho- de Plnedo Ann
ftel. an. 1678. pag. 445. d^una citt^ di F
nicia chiamata Marfia , ' (ui abitanti fi d.
(ivano M^r fieni da un eerto Marfo .
m
DEL MASSARFNGO. 475
Vivtt & armi fera cor nix invi fa Mifie'Vif ,
mibenchv^ odiofa forte alla Dea della fapien-
za 5 racconta però il medefimo Plinio nel
lib. 1 o. cap.43» efl'erne (lata una in Romì che
parlava diftintamente . Quindi è venuto I*
ufo di dire a chi porta cattive nuove : Ecco il
i(o^vo\ e Te è donna: Ecco U cornice . Co-
sì Poilervò il Taflo nel fuoAininta, atto
3.fc. 2.V. 31. quando Nerina portò nuova
della morte di Silvia :
Dunqtie a me pur convìen ejfer fmiftra
Cornice d^ amarijf\tna novella.
Del cattivo augurio del corvo toccò il Poe-
ta nell* Egl. ii.car. 149.
Tahr d"* un* alta rupe il corto crocita ,
e nella fua Fillide 9 Egl. i. Pefcatoria :
^(id tantum irfuetus fireperet mibi co*-
vuf y ec.
Car. 110. 1.16. Vajìor ^ la noce , che co»
P cmbre frigide Noce alle biade , ec. ) Porta
dunque feco V etimologia > efTendo detta
a nocendo , perchè nuoce non folo agli altri
frutti con la fredda fua ombra , ma a fé
fterta ancora :
Chi già nornh te Noce»
Dir volle appunto nuoce»
e però diflTe il Boccaccio nel Decamercnc :
La fredda noce dante a fé medefima confuot
frutti cagione di afpre battiture ', poiché chi
vuol frutti da lei» bifogna con fafìì 1 ocot»
le^ni percuoterla • Ovvidio nel principio
della Noce .
Nux ego jun^a via , cumf\m fine crimine
vita ,
A ùopulo faxtT pratireunte petor ,
e più iegue {piegando le proprietà Tue •
Anzi chi vuol mangiarla > frangerla bilo-
gna;
475 ANNOTAZIONI
gna ; ond' è fitto il proverbio di Plauto ne
Cureulione atto i. Tei. v. 5^-
^éi e nuce nucleum effe vult j frangi t nucem
denotando, che chi vuol del benej affati
carvifi bifogna . Qiieft* albero tienfi ch<
fia molto amato dagli fpiriti maligni ; i
però famofiflfìma è la Noce di Benevento
onde il Taflo nella Conquiftata lib. 22
ftan. 22. finfe , nel bel mezzo d'un bofo
incantato efTer fondaco l* incanto l'opra unj
noce , dal Demonio trasformata in mirto :
Ei la noce troncò chi mirto parve .
PROSA UNDECIMA.
Car. in. 1. 17. Cari pafiori ec. ) Queft
fono gli anniverfarj che fa Enea al morte
padre prefTo Virgilio nel lib. 5. dell* Enei
da V. 45. dove egli, convocati i Trojani
così lor parla :
DarJanida magni , genu! alto a fanguin
divum ,
AnnuuT exaSlìs completur menfibus orbis ^
Ex quo relliquias divini que offa parenti t
Condidimus terra , mafia fque [aera vi mu
ara! ,
Jamque die! ( ni fallar ) adefl , quem fefn
per acerhum )
Semper honofatum [jìc Di vohiflit)habebo.ec
Car. 1 15. 1. 26. L? offa della vojìra Majft
Ha ) Grande artificio contiene quella parr
la j vofìra , detta da Ergafto, che beivch
fuamìdrefiaj pure gli piace chiamarla de
gli afcoltanti paftori , per difporli più facil
minte, come ad onorar cofa loro propria
quafi dicerie : Voftrafu, perchè vi amava
vo-
DEL MASSARENGO. 477
'cftraj perchè vi onorava» vi configliava)
/i faceva benefici .
Car. 114. I. ^. La maggior parte Ji noi
lutila nette fi rtfto conErgaJìo avegghiare\)
E più baflo : Cosi tutta quella notte tra fo-
hi ftnia dormire , con foavt , e lamentevoli
veni fi pafsh . Le Vigilie erano in ufo tale
inticamente , che la notte innanzi alla fo*
ennità vegghiavano uomini , e donne: ma
cerche in quelle fi facevano mille mali, fu
proibito nelle Leggi delle XII. Tavole «
;he , fé non in certi facrificj , potefTero le
;.e vegghiare : N^tìurna mulierum facri^
ne junto \ pr^eter illa qua prò populo ri-
e pint . Queft' ufo è (lato portato anco ap-
oreilo noi : e però a molti Santi fi fanno le
/igilie , perchè anco nella primiera Chie-
da vegghiavano la notte precedente alla fella
n orazione. Mj perché molti cattivi , e vi-
:iofi abufavarfi di quella occafione > commet-
cndom.llefcellcrdtezze * molto prudente-
nente ha ordinato la S. Chiefa 5 che le vigi-
ie fi facciano con digiuno » ed orazione il
iiornu a cui fegue la fefta , e che la notte fi
iorma ; e ciò bene fpiegò il faggio e reveren-
do poeta F. Batilia Mantovano :
Id qucque y nam [citu locus ejì dsgnijjlmuf ^
addam ,
Quod nofiri in templi/ atavi vigilare f ci eh a nt j
Bxftibiafque pati , fcUmnia mane \equenti
Yejìa reftpturi . morem nunc fuftuUt ataf ,
Kam quia nox [celeri folet effe accapo , ^
illud
Obfervant qui furto vohnt committere temptér^
J ejunare diem vifum tft japieutibui illam
Qua prait y ^ claufo ne fio m dormire cubili .
Car, ii4i il J. Ejfendff p:r tutto ofcttrato ^
4
478 ANNOTAZIONI
ftc<endemmo di molte fiaccole intorno alla ft-
peltura -i ) Quafi imitato da Virgilio nel i.
deir Eneidav. 716.
-- dependent lychnì laqueafibus aureif
Incenji y <l^ m^gmfiammif funalia tìncunt ,
Car.i 14. l.ult. Maternj ceneri , ec. ) Sotto
perfona di Ergafto , iftimo io che parli 1* Au-
tore , e ^QvMajJilia intenda la propria fus
niadre , il cui nome * per ancora non ho fa-
putoima in confermazione di quefto mio pen-
iiero , ben ritrovo che nel lib. 5. delle Eleg.
latine il Sanazzaro , in quella eh' egli fcrive
a Gadandra , con farle in certo modo una mi-
nuta della pallata fua vita , tocca fra Tal tre
cofe brevemente ilfoggetto dell* Arcadia j
e giunto aquefte efequie, dice: { £"/<?g. 2.
9, 39- )
Androgeumque y Opicumqut ^ & ruftica facfA
feciftuf ,
Cofnrnovì lacrìmit mox pia faxa meir ,
Dum tumulum cara <^ dum ftfti nata parenti.
Tata cano , gemitui dum , Meli[ea , tt40T
c quefto iftelTo mi fa credere parimente , ch<
la Canzone cantata pur da Ergafto neirÈgio
ga 5. fopra la fepolturadi Androgeo, fian
lugubri Nenie» cantate dal medefimoSanaz
zaro per la morte di Tuo padre .
Car. 115. l. 12. Intorno alla quale i pajhr
rincora collocarono i grandi rami ec ) Non (
quefto l* altare di erbe che ufavano gli anti-
chi»
*Ehh nome Mafella » ^ fu Salernitana , del
4a nobile ed antica famigUa Sdiito-Mango
Vedi le annotazioni delP Anonimo fopra i
principio della Vita del Sana^aro fcriPt*
^a C'tovamhattfia Crrfpt da Gallipoli , <
f^r^meffa a qufjia rioftra ^diihne •
DEL MASSARENGO. , 47^
lì, ma una fimile ufanza che praticavano
;' facrificj de' morti , coprendo la fepoltu-
difrondi, e la terra di foglie : però dille
Saiiazzaro nella Tua Fillide j Egl. i . Pefca-
ria > V. 56.
Imipiam . tu (omferas ad bujìa cupfejfuf
Sparge tnanu : (^f viridi tumulum \upirin»
tege myrto .
Car. 115. 1. 14. Chiamando tutti ad alta
ce la divina anima ^ ) Virgilio n«l ^. del-
En.al funerale di Polidoro, v. 68.
— — 'Ì3 magna fupfemttm voce ci emù f •
lei 5. air anniverfariod' Anchife > v. 9S.
-- __ animamque vocabat
Ancbifa magni , Manifque Acheronte re^
mijfof .
lei 6, airefequie diMifeno perquefto ul-
no chiamare, usò quella frafe , v.2ji.
-- — dixitque Hovijìma verba .
)iù bafìfo, pur nel 6- parlando di Deifobo
:)rto , V. 506.
-- — ^ magna Manif ter vece vocavi ,
a tutti quelli luoghi adunque fi cava V ufo
gli antichi Gentili, di chiamare ad alta
ce l'anima del morto, come qui fanno i
ftori quella di Maflìlia : e noi altri Criftia-
in vece di queft' ultimo grido , cantiamo
alta voce :
^Requiem aternam , e Keqtiiefiat ec.
Car.115. 1. 16, Fercno fmìlmente i loro do-
: ) Così fanno i Trojani alla fepolturad*
ichife , in Virgilio nel lib. 5. dell' Enei-
, V. 100.
Necnon Cf focii , qu£ (uique eft copia , lati
Dona ferunt ,
Car. 1 1 5. 1. 1 9. Allora Ergajìo , ce. ) Que-
iSiuochi , come anco l' elequie > fono imi-
tati
4«o ANNOTAZIONI
tati da Virgilio nel 5. dell' Eneida , il (\m
le altresì gli prefe da Omjro nel 25. del
Iliad. alla Sepoltura di Patroclo .
Car. I ló. 1. 14. Qj*aj* coi fiato il collo ^
rifcalJavn , e i pigili in quelle medeftme p
date poneva: ) Qucft' ultimo è di Virgilic
ma quel primo vagamente aggiuntovi dal S
nazzaro ■> per maggiormente efprimere qua
to glifofleal pelo : Virgilio nel 5. delPÉng
da V. ?a4.
— _. calamque terit jam calce Dioref ,
Incumbem hutnero : ec.
E'i Tallo nella Conquift. lib. 8. ftan. 37.
ìila Tancredi il perfegue y e già fu^dorf
La man gli flende ^ e^l pie col pi^ gli prern
Car. 1 19. 1. 28. Kon poffono tutti gli uon.
ni tutte li cofe fapere ; ) Bel detto di Virg
lio nell'Egloga 8. v. 63.
-. -- non omnia pojfumur omnet ,
Car. 122. 1. 5. Ergafto non volle che le i '
pia avanti prccedjfero y ) Virgilio nel 5- <tt
r Eneida v, 461.
Tf/w pater j^neas procedere longiui iras
Et fa vi re animi s^ En.ellum baud pajfuf acerb
Die fine a quefto giuoco Ergafto , non per 1
more che fra loro fuccedefle male alcun*
ma.perchè Capeva che farebbe andata la lot
troppo in lungo ; attefo che (come dico
i Peripatetici ) Tira èia cote della forte
za,' e lo diiTepur Virgilio nel lib. 5. de
Eneida, v.454«
Acrior adpugnam rsdit , ac vim[u[citat ir,
e nel primo , v. 150.
Jamqae faces & faxa volani ; furor art \
mi ni fl rat .
^i che fu diligente odervatore il TafTo nel
€onquift. lib, 7. ftanzà 65. 66.67. nel!' S.fta
34.
DEL MASSARENGO. 481
^4 91, enei 15. ftanza 76. Però avvifa Virgi-
lio in luo Epigramma àe Ludo ^ ne' giuochi
doverfi guirdare dall' ira, perch'ella è una
quarta Furia :
Principio Furìif ira eji tribur addita quarta,
•Car. 125.1. 3. Ponendo una viva felce ne U
fs rete dtìia fua fionda ^ ) Stimò qui il Por-
racchi , etTer molto più propria de' paftori la
Tonda , che l' arco : ma s' inganna a mio cre-
derà , perchè in mille luoghi fi trova l'arco
!B mino 3' paftori . Icgganfi le Commedie
paftorali , ed il Sanazzaro n-lla Profa i. car.
ì^. Siccome in lanciare il grave p^lo j in trarre
:on gli archi al be* faglio . nella Pfofa 5. car-
;4. prendemmo chi gli archi ^ i chi le fionde ^
i neir Egloga 9. car. 86.
Ti rifofpinféa fpfll**' Inarco a Chnìco ,
; nel la Pr. i ucar. 115. racconta Opico di ef-
ere ftato vinto da Tiriì nel hectare , fc. Ma
:he tanti efempj in cofa chiari (Ti mi ? E s'aU
un mi diceflTc, che l'arco è più da batta-
lia , e ia fionda per la caccia j gli rifpondo )
)H"er veriflìmo : anzi V uio de'.la fionda efTe-
eftato ritrovato nelle Ifole Baleari , oggi
N^ajorica , e iMinorica di Spagna, noii per
Uro che per la caccia : ove tanto cel;;brc
livenr^e, che non comportavano !e madri ,
Cuoi figli cibarfi Te non di quello che in cac-
:iando s* avevano con la fionda accifo. Lu-
:ano nel i- lib. v. 229.
-- -- Cif torto Balearif v^rberi funda
Oiyor ,
Via in guerra pure fi ufavano le fionde j Vir*
;i!io nel q. dell' Eneid.1 , v. 586.
Stridemtem fundam pojitir Me^entiuf hafliT ^
Ipfe ter adduSia circum caput egit b^l/tna .
xia ficcome la fionda, e l'arco fono p-^r U
Tomo I, X biC
ah annotazioni
battaglia^ cosi l'uno d'altra fono per I^-
caccia. Virgilio nell'i i. dell' Eneida de
fcrivendo il valorofo Metaboj e la vita d
lui , V. 578.
Tela manujafutum tenera puerìlia torjìt ^
"Et fundam tereti circutn caput egit haben^
Strymoniamquc gruem , aut album dcjed
ohrem .
Ed il TafìTo nella Conquiftata lib. 24-ftan
2a 25.619-
Quinci le fionde , le baìeftre , e gli archi
Effer tutte dovean rotate , e [carchi ,
Car. 126. 1. g. Di [emplice tajfo avendolo
dubitava di [penarlo : ec. ) Nella Profa 5
abbiamo detto a baftanza delia natura di que
(lo albero; diciamo ora del modo di farn
gli archi • Si fende il tronco in piij pali , qua
li pofcia lavorati, fé ne fanno gli archi . M
avendo egli fotto la corteccia due fcorze ; 1
una bianca» cioè quella di fuori , el'alcr
rofla, quella di dentro; non è buona a far
gliarchi l'una fenza l'altra; poiché nel!
piegatura» la bianca tiene il rilevato di fc
pra , e la roda il curvo di fotto : laonde 5 i
della rofla fola fi face (Te l'arco , fubito tei
fi romperebbe : ficcome all' oppoflo la part
bianca del legno fi lafcia piegare quanto fi ve
glia j ma non ha forza di dar l' impeto fcac
ciando la faetta . Tale dunque era 1' are
di Opico*
E'^LOGA UNDECIMA.
Car. li 6. 1. 31. Ricominciate i 0 Mufe
voftro pianto, ) Quello vien tante volte d.
Poeta in quella Egloga iterato, perchè c<
citi a maggior pietà ; e cosi fece il Cav;
lier
DEL MASSARENGO. 4S5
4cr Bonardo nell* Egloga che comincia t
I dilo'oft accenti , ec.
ve più e più volte replica il verfo :
piangete meco ^ ed allargate il pianto,
.èaqueQofine pure fu dal Cavalier Poro tra-
afciato nella fua bcHa Amaranta . Quefta
cerazioneperò alle volte iì fa per allegrezza
:Cgli Epitalami » e ne' Trionfi ; edalle vol-
te per muovere a fdegno .
Car. 117. 1. 51. N<^ fi (cerna pìh in rofa ^
in amaranto ) Amaranto, ed amaranta d
lice: quefta delTerba, e quello del fiore.
V detta amaranta^ perchè non marcifce,
nde ha 1* epiteto d' immortale ; il Sanazzaro
ellaProfa io. car, 104. Le rubiconde fpighr
ell^ immortale amaranto . Di quefta^ fi coro-
ava Imeneo, come fi cava da Catullo (Caf-^
une 59. ) in quei verfi .
Cinge tempora for'tbuF
Suave olenti f amaraci ,
enchè Teocrito nell'Epitalamlo-d'EIena glt
à la corona di giacinto j o più torto di lau-
Dj come altri interpetrano . Daquefiaer-
a fu detta Amaranta la Ninfa da Galizio
antata nel Egloga 3. car. 23.
Tal che ornai non i pianta
Cbt! non chiami Amaranta .
la Ninfa da Ofelia celebrata nell'Egloga
.car. 88.
E.d Amaranta mìa mi firinge , ec.
5 più torto non vogliam dire, erter nome
norofo, che per lafcivia fi dà a tutte Io
-nate , come di querta forta fono Filli , Clo-
» ed altri; e fi cava dal variar che fa Ófe-
anel nome, perchè poco più baffo la chia*
la Ff/iida :
Anzi Fillida mia m^ afpetta al rio > ec.
X z Car.
4^4 ANNOTAZIONI
Car. 128. J «5. Ma net poi cbi una volta
Ciei ne sfo'^^a ,
Vento ^ ne fol ^ né pioggia ^ 0 primavera
Mafia a tornarne in la terrena fioria ,
Argomentano alcuni fottilmente da queft
luogo, che il Poeta nieghi la Refurrezione
e più fi confermano per le parole che nel fin
di quefta Egloga 1 1. car. i?i. dice :
Spero s che fovra te non avràpojfa
Quel duro eterno inecciiabil jonno ,
ma quanto infipidaniente , ciafcun fel m
de • Perchè vero , anzi veriflimo è , eh
né vento, né pioggia, né fole balla a refi
fcitarne ( come fi vede nelle piante, cf-
ogni anno refufcitano per li celefti influflì
da'quali vien la parte vegetativa governata
ma fole la potenza di Dio : non eifendo
anima ncftra foggctta a* "quelle cofe fottoli
rari, come l'eibe fono. E però altro ne
vuol dire , fé non chele piante, e 1' erbe
fé ben muojono , fi ravvivano però per le a
lefti influenze , mi P uomo non così ; effer
do neceffario (fé non riceve, come Laz
ro , ed altri grazia fpeziale da Dio ) ci
afpetti V Unìverfal Giudicio . Né meno
dee offendere la conferm;<zione del lor par
le, perchè intende il Poeta per quello ^W
(itahilfonno non folo la morte del corpo , n
infieme della fama, e della gloria . Voie:
do Ergafto dire , che non avrà pofla la mor
nel gloriofo nome di fua madre, d'aver
col corpo feppellito nella ftretta urna, r
eh' egli la farà immortale co' verfi fuoi. Co
forme a quefto luogo del Sanazzaro( fc' be
in diverfofoggetto) il Fiamma in un Sooc 1
rofpiritual^, che comincia ;
^ImQfpirfo divin^ ec«
U
DEL MASSARENGO. 4%$
L/f tua tfirti) paò fo/ ) no» pietra y od erba ,
LuHge dal perigli ofo efìremo vìtco
Tenermi ancor ntlls terrena ft'or^a ,
intendendo , che forza umana > o rimedio na-
:ural non vale.
Car. io8. I. ìj. In la terrena fcor^a . )
Ufa la parola /i-or ^tf metaforicamente, per
le membra y a fimilitudine del Petrarca nel
Sonetto :
N<//* €tà jua pia bella y ec,
J^afciando in terra la terrena fecr^a .
e in tre , o qu ittro altri luoghi , eh' io tra-
lafcio .
C^r. I ^o. I. 17. Vedranno allor di fior vermim.
oli , e gialli
Veftritti i nomi lor per mtx\o i prati , )
Quefto s'intende all' ufo di Napoli , e d'al-
tri luoghi d'Italia, dove s' ufa ne' giardini
feminar pctrofellino , o piantar violette in
Forma di lettere, acciocché pofcia crefciu-
:e formino in terra verdeggiante il nome
fcritto i e così deefi credere, ficcome i pa-
ìori intagliavano i nomi delle loro Ninfe ne-
i alberi , le Ninfe ancora in corrifponden-
i d'amore , i nomi degli amati padori ia
:erra piantaffero con fiori .
PROSA DUODECIMA.
Car. I 34. 1. I. H neh* andare veramente ///-
»« ; ) Dalla leggiadria del movimento del-
a perfona con( bbc anco Enea li madre Ve-
lere , apprcfl'o Virgilio nel i. dell' £ncida>
|v. 405.
Et vera inceffu patuit Dta .
; peròdifTe il Petrarca nel Sonetto :
Eram i capti d* ero ec.
X 3 Noft
4^6 ANNOTAZIONI
2ion era /' andar fuo cofa mortale.
iTìa divino, e ceìcfte 5 come l'appellò uè
Sonetto :
Gra^U epa pochi ec.
L* andar cdeftt ; e V vagofpirto ardente .
Gar^ 134. 1. 15. Giunto con lei f opra alfiu
me , vidi fuù ita mente le acque da/i* un lato
(dal? ahrorifiringerfi ^ e darle luogo per meno
ec. ) Così Virgilio nel 4. del Georgica v.?6c
quando Cirene mena Arifteo figliuolo Tetto i
fiume Peneo :
— — fitnul alta jubet difcedere late
Flumina , qua juvensf g^'effus inferret . ec
ed il fimile feguì il Tadb nella Tua Conquida
ta lib. Il danza 11.
Diffe '^e y che lor dia hco y aW acqua impofe
Ed ella tcjìo fi ritira^ e cede.
Mi prima di tutti fu miracolo fatto da Dio
per liberar col mezzo di Mosè il fuo popol
Ebreo dalle m.ìni di Faraone .
Car. 1^4 1.27. Non ah'imeuti che fé andan
do per unajìretta valle ^ mi vedejfi fopraftar
due erti argini , 0 due bajfe montagnette ,
3S Virgilio nel fopra allegato lib. 4. dell
Ceorgica, v. 360.
-. -- — -. at illum
Curvata inmontis faciem circumftetit unda
Accepitque finu vafto , m'ifitque fub amnem .
ed il TaiTo nel lib. 12. ftanza u. della Con
quiftata :
E, quinci e quindi , ^' efto monte in gulfa y
Curvata pende \ 4 *« me^o appa* divifa .
Car. 155. 1. 30. Mi fé paffare piò oltre inu
luogo pia ampio y e più {pa^iofoy ove molti U
ghi fi vedevano , ec, ) Tutto è imitato d
Virrùlio ncl4. della Georgica , ove Aride
altresì vede fotterra tutte le origini de' pi
DEL MASS ARENGO. 4S7
famofi fiumi, come qui il Sanazzaro; eTe-
gui l'imitazione ilTaiTo pur nel detto lib.
12. ftan. 12. 13. con molte feguenti .
Car. 136. I. 5. Coti pajjando avanti tutto
^upefatto e ftofdito dal gran rom$rt dtlle ac*
qut andava mirandomi intorno , # non (en\a
qualche paura , ec. ) Virgilio nel 4. della
'Georgica , v. 365.
lyaf , (i? ingenti motu flupefaBuf a quorum^
Omnia jub magna labentia fiumi na terra
Spf^abnt divrja lodi ^ ec.
ieilTdOo nella Conquift. ftanza 13. lib- il.
Stupidi rimira' gli umidi regni ,
E sbigottiti pia cbe^n campo ^ o^n guerra ^
Algranfnon di tant* acque andar [otterrà .
rende ^'eram^nte e paura » e Hupore loftre-
pitofofuono delle cadenti acque; e peròdif-
fe Enaretoa Cloniro nella Profa 10. e- 97.
( Se di venirvi ti darà il cuore ) Volendo
per gì' incanti menarlo in una profonda val-
le, ove o« terribìlijfimo fiume nafceva , 9 per
hreve Ipa^io contraftando nella gran voragine y
e non pojfendo di fuora ufcir^ ^ yif moftrava /<?-
lamente al mondo , ed in quel medejìmo luogo
fi fommergeva .
Car. 136. 1. 25. Il quale non come gli aU
tri è coronato di falci , 0 di canne , ma di ver^
' '^ mi lauri , per le continue vittorie de"* fuoi
".ioli : ) Con ragione pone il lauro per fe-
gno di vittoria, come anco era la palma ;
perchè nei trionfi Romani fi coronavano i
trionfanti di corone di lauro; ed il capita-
no che così trionfava, portava un ramo di
I?uro nelle mani, fi cava da Appiano A ief-
fandrino nel trionfo di Scipione Africano.
Scrive a quello propoiìto Suetonio nel prin-
cipio d'jlla vita di Galba , e lo conferma Pii-
X 4 nio
488 ANNOTAZIO NI
nìo nel lib. 15. cap. 30. che Livia Augu-
ra rpofatafi con 1* Imperadore Ottaviano,
eflendoufcita fuori di Roma ad un palagio
chiamato l^ejtntam ^ e dando a federe , un'
aquila che per P aere volava, lafcioile ca-
der nel grembo una gallina bianca , la qua-
le nel rofìro portava un verde ramodiiaii-
ro . Spaventata di quefta Livia , fece con di-
Jigenza allevar la gallina ; dalla quale nac-
quero poi tante altre galline, che il luogc
ove fi tenevano , era perciò chiamato /<« Cni-
Una, Fece fimilmenre piantar quel lauro
il quale venne sì bello» e si ben prcduiTe
che fu cofa maravigliofa vedere gli alber
belli che di eflTo nacquero poi, E da indi prc
fé Ottaviano per coftume, e religione (i
che fu anco da* fuoi fucceflori olTervato >
quando era per trionfere, di tagliar di quei
rami, per coronarf^ne, e per portarne ir
mano : finita poi la pompa 5 li faceva di nuo
vo piantare vicino agli altri dove erano ftat
tagliaci, e tutti crefcevano ; e di più quan-
do moriva un' Imperadore fi feccava il pian-
tone > e tutti quei rami da lui portati n
trionfo , e piantati . Di modo che efl'endi
morto Nerone, che fu l'ultimo del lignag
gio dei Cefari , tutti i lauri che fi erano pro«
dotti dal primo lauro che aveva fatto Livi;
piantare, portato dalia gallina, fi feccaro
no; efimilmente morirono tutte le gallim
che dalla prima gallina bianca erano nate .
Car, 137. 1. 54. L"* ardente fucinaci Vul
sano . ) Per dichiarazione di quefto luogi
oon voglio tralafciar quello che nota Cicer
nel 3. della Natura degli Dei e. 22. quattri
elTere flati i Vulcani . Il primo nato da Cie
io; del <^uale poi e di Minerva ufcì quel).
ApoU
DEL MASSARENGO. 4?<?
Apolliiie prorcttore di Atene. Il fecondo
nacque del Nilo , appellato dagli Egizj Op^;
e fucurtode dell* Egitto . lì terzo fu figliuo-
lo di Menalco, il quale pofìTedette le Ifole
di Sicilia nominate ^ulcanie , Il quarto di
'Giove e di Giunone ; il quale per elTer nato
brutto, così alla nìadre fpiacquCj che fu dal
padre nell* Ifoladi Lenno precipitato jonde
TÌmaff rtorpiato d'uà piede . Quefto è fabbro
degli Dei '. U le faette a Giove : prefe con
fottilinima rete Marte in adulterio con Ve-
nere, fua moglie: e vien chiamato Dio del'
fuoco i e di qaefto intende qui 1' Autore .
Car. 139. 1.2 1. Trovai in terra federe il
vtnerarttio Idiit» , ec ) Vedi (Imile deferi..
zicne dì fiume in Remy Belleau , nobile poe-
ta Franzcfe nella i. giornata della Bcrgeria,
illa Profa che comincia: Cct be^geres fin ccn^
tentet , ec. ove defcrivendo uno t^eccbio no-
tabile per vaghezza, Tadorna fa V altre
cole d'un Nettunno; e dice: Sur i^autrefa^
ce e fi un re. ber ^ ou y a un Roy affif •/» majejìè ,
muronnè d* une > ouronne de jonis mcilets mtrle':^^
Jlt grand* s , (Éf lìrget fudìUf , qui fé trcavenS
far la g' ève dt la tner , il porte la barbe Icngve ,
<.^ beriff^e da couìeur bleve . (^ ftmhle qa*
tUHi infinite de 'uiffeaux diftìlen de f«s moufia-^
*tbtt ) ailongetf , (^ ccrdonn es diffus fa L vres ;
c 1' Ecccllentr? Sionor Cavalier Batilta Gua-
rinl»^nel bellirtimo fuo Pallor Fido, attor.
fc.4.
t.d uf:ire in quel punto
Di me^^c il fiume un vf echio ignuda,, e grave y
Tutto (ìilUnt> il crin , ftillante il mento .
cil noftro Poeti nel Capitolo fatto in morte
di Pier Leone, intorno al principio» par-
lando d' Arno :
X 5 Eiì
9fo ANNOTAZIONI
Ea ecco il verde Dio del bel paefe , tc.
Di limo un manto avea fparfo di fronde
E di falci una [eh a in fu la te (la ;
Con la qual gli occhi , e H vifo ft nafconde
e Virgilio neir 8. dell' Eneida del fiume Ti
berino , v. 31..
Huic Deuf ipfe loci fiuvio Tièfinuf amcenir
Populea f inter fé ni or fé a dt olle" e frondis
Vifus , eum tenuti glauco velabat ami5lu
Qarbafus , ^ crini s umhrofa tegebat arundo
Car. 140. 1.8. yH ini linai a baciar primi
la terra ^ e poi cominciai quejìe parole : qq.
Siccome chi dalla Tua patria ad altro luogo I
parte , fuol prender commiato con parole
e con bici 5 come nella Conquift. del Tafl<
lib. 2. {iàw- 56.
E l"* immagini [ante ^ e^l facro aliare
Baciando fparge ancor lagrime amare .
e rabbirtmo ©(Ter vate nella Profa 12. alla fé
poltura dìMafliilia > car 152. E cosi detto
Baciando la fepoltura , ed invitando noi a fa
te il fimi le , fi pò fé in via : ce- cesi nell
arrivo , di lontano 5 alla prima vifta fi falu
ta con baci , e con parole . EccoVirg. ne
7^deir Eneida , v. ne.
Continuo , * Salve fati s mibi dehitaTellus
Vcfque ,
* Luogo eccellentemente imitato dal Nava
gero in que' verfi non compiti che fi tro
vano nella noflra Edizione a car. 224. fatt
da lui nel ritorno dalla Tua ambafceriad
Spagna in Italia . i quali furono con molt
leggiadria tradotti da Pietro Angelio Bar
geo , e leggonfi pureivi a car. 286.
Salve ^ cura Deum ^ Mundi fé liei or ora ^
Jgrmofa Ve neri s dulcet falvete receffuf :
Uf V9f
DEL MASSARENGÓ. a^ì
Vcfque , aif , o fidi Troja jahete Penate f 4
Htc Jumut , btec patria ejì , ec.
e il TaiTo nella Conquiftatalib. 4. in prin-
cipio .
Car. 141.1.16. Da ejji conojciuto non era :
tanto il cangiato abito , e V (overchìo dolore
fnt aveano in non molto lungo tempo trasfigurato.^
Non tantoaffligge lungo digiuno il corpo,
come breve» maintenfo dolore: perchè il
digiuno, ed altre pene corporali ( fé fono
volentieri patite) affliggono la carne fola-
mente, mai* animo ne gode; come quello
che meno viene oifufcato dalla caligine di
ben fatollo , ed agiato corpo: ma un picciol
dolore, il quale per oggetto primiero cruc-
cia l'animo, cagiona che, mentre mal fuo
grjdo l'animo patifce 9 il corpo none dalla
folita virtij animale foftentato , onde in bre-
vilTimo tempo fidiftrugge. Di qui fi vede ,
che un'infelice amante in tre giorni più fi
confuraa j che uno il quale tre mefi fi fia affa-
X 6 ticato
Vt vcf pcft tantot animi ^ mentifque lahores
jifpicio , luftroque libem ! ut munire veftro
Sdii citar toto deptllo e pecore curai !
Non aliii Cborites perfundunt candida lympbit
Compara : nonalios contexunt [erta per agror ,
O gradito dal Cielo alffio terreno ^
E tu f'ggio d* Amo'f riposo , e fido ,
Sii felice mai fempre . O come lieto
Or ti riveq^gio y e nel fiorito Jena
JVJt getto lajfo , e in te mio dolce nido
Rpofo il corpo fianco , e V alma acqueto t
J^i tejfon fiori , e qui le TSlinfe biondi
B^^art le membra nelle gelid* onde.
492 ANNOTAZIONI
tic ito col corpo : ed al contrario unocbe cor
animo contento abbia moItifTiini difa ,1 fof-
ferti j poco , o nulli fi diminuifce. Però di-
ce qui 1 Autore, che per foverchio dolore
era trasfigurato; e tale eraClonico, di cui
difTeneil'Egl.S. car. 72.
Qualunque uom ti vedere andar sì erronìa
Di duol sì carco in tanta amaritudine ,
Certo dirtbbf ^ Qnejìi non par Chnico ,
Perchè dunque molto più fi ftrugge T uomo
per fatica d'animo» che per laboriofa ope-
razione del corpo , fida maggior premio s
uno ikidiofo letterato <, che a un laboriofc
facchino; oltre a che > tantoè piùdegfial
opera, quanto più nobile è l'operante: raj
r animo è fenza paragone più nobile del cor-
po , dunque più degna è la Tua operazione;
ed in conieguenza di maggior premio me-
ritevole.
EGLOGA DUODECIMA.
Car. 143. 1. 7. Qui canti) Milijeo , ec. ]
Inquarta ultima » e però belliliìma Egloga ti
può dir veramente, che il noftro Poeta ab-
bia olTervato quel detto : Omnis laus in /"»<
canitur ; avendo conchiufa la fua Arcadi?
con si leggiadra poefia ; come quegli che ri-
teneva beniifimo a memoria lafentenza del
Petrarca nella Canzone :
AV/ dolce tempo ec.
'La vita il fin , e^l dì loda la fera ,
ma queda non farà cofa nuova a chi fa 1' arti-
ficio degli oratori, che nel fine delle lorc
orazioni ferbano i più forti argomenti ; le
amplificazioni nel fine ; e le parole più fona-
re, più piene, e più pefanti nel fi^^e de'
pcrio-
DEL MASSAI ENGO\ 49?
"periodi. Cosi negli eferciti Togliono ?e re-
troguardie eflere della più fcelta gente : nel-
le mudcbe il fine Tempre li fa più dolce , più
pieno, più dotto, più foave , e più ornato :
nelle menfc fi danno le più erquiiite vivan-
de , e i più preziofi * vini in fine: nelle
Canzoni, ne' Sonetti, ne* Madrigali , e in
altre poelie d procura che il più bello jìa nel
fine: nells; Coinmedieil più vago , ci^ è lo
fciogli mento della favola, fi riduce al fine :
nelle Tragedie , il maravigliofo nel fine.
Ecco dunque con quanta ragione abbia il Sa-
nazzaro ferbatanel fine ( b.nchè tucte fiano
a maraviglia belliirimc) la più degna Eglo-
-ga . ma feguitiamo.
Car. i4> 1- 7. Q(ff caffo Mefìpo , fjai pro-
prio ajfifimi Qc. ) La vaghezza di quella re-
petizione di Voci quanta dolcezza recchi >
non fi potrebbe dire. La quale però diverta -
mente da' poeti s^ufa- Alle volte contrap-
ponendo ; come il Petrarca nel Sonetto:
Sennuccio t vo cu:' j appi , ec.
' J^i tutta umile y t qui la vidi altera \
Or afp'a , or pi,:Ha , 9' J^fpittata , cr pia ,
talora compartendo; come il noftro Poeta in
quefto luogo; ed il Petrarca nel medefimo
Sonetto :
^ Àjfatto contrario era indi il coftttrMe degli
Eirgi ^ com* fi ojjervt ntlP Evangelio di S ,
Giovanni al cnp. z. v io. dove /' Aribitricli «
< me y dopo d* avite ajU.gpato il gtnercfo e deli .
cato vino intuì era fiata convertita P acqua
da Cri fili nelle no\xe di Cana , diffe '. Omnis
homo primum bonum vinum punit: <5c cum
inebriati fuerrnt $ tunc id quod dererius
cfl : tuaucem Icrvani bonuiQ vinum uCque
ftdhuc .
494 ANNOTAZlONt
j2«/ ^antò dolcemente ; e qui x* trjftje i
Qui fi rivolfe ; e qui rattenne il pajfo .
ma 11 dee avvertirei chequefto talora fi f
con la congiunzione , come nel fopratocc
efempio, ed alcune volte fenza j come qu
neli'efempio del Poeta noftro . Si fa queft
repetizio»e in altri modi, ma quedi i pii
vaghi fono ; gli altri lafcio per brevità .
Car. 143. 1. II. O piha glande \ ec-
Summonzio , che qui ragiona , era amico £1
migliare del Poeta , uomo dotto» echepu
fi dilettava di poefia : ma molto inclinato
piangere 1' altrui miferie , e a lodare gì
eftinti amici ; e però di lui fcrilTe il Sanazza
IO il 9- Epigramma del i. lib. in mater'ia d
quella fua pietà :
JExcitat vhJlriSiat tumuli t Summòntiuf Utn
bras ;
Impleat ut fanone munuf amicitìa ,
Utifue priuf vivof ^ fic (^ po/ì fata fodalef
Ohferv^t ; trifles & fedet ante rogùi ,
e quello eh* ivi fiegue : onde fi vede che no
fenza gran giudizio P ha introdotta in quefl
Egloga a piangere la morte di Filli . „ Ve
3> ò^i a carte 278. alcune noftre più efatt
5, notizie itttorno a quarto nobile, e dott
3, uomo . ,,
Car, 144. 1. 4. " /V vuoi vederla ^ of^ a^
i^ati .
CF io ti ter ri fu uno ^ e l^ altro mufcolo . )
L'atto che fanno quelli duo partorì , mentr
1' uno l'altro aita alla falita , èftatoda mol
ti Comici paftyrali imitato, e fra gli altr
dair Autore della Marzia Commedia nell
atto f. fcen.4.
Sali ; io ti reggerl fovra h [palle .
Sojìiemmi i pii cgn P dna ^ ci* altra mano
Car.
DEL MASS ARENGO. 49?
Car. 144.. 1. 29. -- -- cÌj^ io già tutto cor»'
movomi ; Tanta pitta ec ) F^r^ enimfit ( dif-
fe Achille Tazio nel ■^.\\h.)ut qui alitna ma^
lì audii ^ una qucdcmmodo pùtìaiur , E però
r Autor del la Marzia Commedia pafìorale y
neir atto i . {e. 4. al principio dide :
Dì nta^avigiia , e di pitta ampungcmi
Il tuo p-.rlar , mio caro antico folio ,
£ dal pettj per duel l^ alma di [giunge mi ,
rC '1 Sanazzaro Profa 2. car. 9. Àn-^i ogni uno
^fta sì vinto da ccmp^Jftone , che conte meglio
poteva 0 fapeva , /' ingegnava di confortarlo ,
e nella Profa 7- car. 37. Grati fono i tuoi do^
Uri , Sincero mie , e veramente da non fen^a
comp^Jficne grandijfima afccltarfi -^ q in queft*
Egloga 12. più ballo, car. 148.
Qu/ìl fiera si crude) t qual fajfo irnmohilf
Tremar non fi ftntijfe entro le vifcere
Al miferabil fuon del canto mbìle ?
Kè folo altri hanno ccmpaflione di noi j ma
noi ftefli del noftro male : come Sincero nel-
la Profa 7. car, 56. Egli fni viene una trifie^'
^a di mente incurabìU y con una ccmpajjione
grandiffima di me ftejfo . Per quefta compaf-
fione adunque eh' abbiamo di noi ftefli, e
che deftiamo negli altrui petti» volentieri
le lioftre difgrazie raccontiamo , ancorché
tolta ci fofle la fperanza di confeguime aju-
to, eccoPefempionell'Ariofto j Canto ijr
ftanza 5. ove difle Ifabella :
E benché ajuto poi da te non efca ,
Poco non mi parrà che te «' increfca ,
equefto deftarein altrui compaflione ci re-
ca a un certo modo compaflione : il che chia-
xatnente fpiegò il Sanazzaro nel Sonetto :
'N l^^ffo qttalor fra vaghe ec»
Nu9V9 , e ftrano piacer fj dt dghrme
Nel
49^ ANNOTAZIONI
Tiel cor vmir mi fuol quando tn altrui
Difcerno del mio mal tanto cordoglio ,
e Ufi la Prof.i 7. car. 51. Ma perchè lo sfogn
con parole a i mi feri juole alle volte e (fere ali
v'tamento di pefo . Altro efl-etto defcrive nei
Eglogi 8. carte 75,
Vri* orfo tfi meXlo /* a/ma , un leon rug^emt
Clanico mio , \entendo il tuo rammarico
Che qua (i d^ Ogni vena il [angue juggemi
^ Car. Ì48 I. 24. E Filli ifaffi ^ i pin Fi!
rifpandofto^ ) Rende gr.in compaflìone il Po(
tacon quefta iterazione in forma d'Ecce
come ben volle ofTervar'o per quefto fine
Taflb nella Conquiftata lib. t\. Itanza z6.
Rupffto /* (Tta rupf ; e l* aura ^ e P onj
RifponJean pur Rvperto ,
il medefimo li oflerva in Virgilio, ed i
Ovvidfo , ed in altri degni poeti.
Car. 148. I. ;5. Poi (he è pa ver ^ che
fie^o del non ilachefi . ) Per Cielo intend
il Fato y da Virgilio chidinato ineforabiU
crudele ^ ineluttabile: e da altri poeti irifi
ptrabile ^c^tido , inevitabile , [o^do ^ immobile
implacabile ^ atroce^ ec. perchè dicevano
i Gentili : Quello che una volta è deft
nato dal Cieio > non mucarfi gijmmai ;
però nel Petrarca fi legge : Il Ciel non vm
le \ il del nega \ al Ciel piacque \ ilCielfu'f
mi man duro \ il del volge ^ e governa • il Ci
mi defiina ■ il Ciel fo'tilh ; era ordinato i
Cielo: ed il^ nodro Sanazzaro più baflo i
quella Egloga 12. car. 151.
Ma
*U po(fono dire anche i Crìftìani in buon
Theologia y int-ndendo cil de'T ordine invA
riabile d Ila divina Provvidtn\a j non d
fato ) e degli aftri ,
DEL MASS ARENGO. 497
Ma chi pt'b le fue leggi al del pre[crive^reì
ilTe però un filofofo:
Sapienf domlnnbituf afiris ,
il Petrarca nella Canzone :
Cibiti re y f refi he , ec.
E faccia fo'ia al Cielo .
Car. 148. I. ult. Vf^rffti intorno a lui flar
igni , ed ulule y ) Di quefti difTe Virgilio
lelP Egloga 8. v. 55.
Cei'tent & tycnis ulul^e .
Car. 149. I. 3. — * quella a lai ri [penda ,
d ulule . ) Non ò proprio della lodola l*
luhre , mi ufa quella voce per modrare le
oci pietofinìme che s' udivano , come pur
lifìTe il medcfimo/nel Lamento in morte
Zbrifti , V. ^i.
Excitafqui IJtnbraf ^medias ulula ff e per urbes,
Car. 152. 1. 23. ì/la [e V pianger , i» Cieh
a qualche fntrito y ec. ) Vorrebbe 1' Auto-
e > che le lagrime avellerò forza in Cielo di
ommuovere la Morte , quafi che la Morte
tia in Cielo; il che è fa 1 fi (limo : ma fi po-
rcbbe rifpondere » eh* egli vorrebbe muo-
ere a pietà gli Dei, perchè gli Dei pofcia
novellerò la Morte : ma non fi ricorda il
*octa d*avere fcritto nella Egloga 11. car.
18.
Ma noi poi che una volta il del ne ffor:^a ^
Vento y n$ fol y r$ pioggia y o primavera
Bafìa a tornarne in la terrena fcer'^a ♦.
ii rifponde che poHono gli Dei quello che né
'eneo, né fole, né altre creature fotto il
:ielo polfono, come quelli che Hanno fopra
1 cielo . Quanto alle lagrime » fé in Cielo
iano udite, ni pondo : Altre lagrime noa
ver forza di muovere a pietà ,che quelle de'
;iulli : altrimenti le lagrime de*difperaù>
e ds'
4?S ANNOTAZIONI
e de' dannati impetrerebbono ajuto > il eh
non pofTono . così dille il Poeta :
Se le lag'itne fono uditt in Cielo .
ad imitazione del Petrarca 5 che difle uè
Sonetto:
Ite , caldi fofpìri , ec.
lE ) [e pfego mortale al Cìel s^ intende »
e nella Canzone :
Spirto gentil , che quelle ec.
JE fé cofa di qua mi Ciel fi cara »
ALLA SAMPOGNA.
Car. 155. 1. 2. Ecco che qui fi e empì e»
ec- ) Quefte ultime parole del Sanazzaro fo
no come eftreme voci di canoro cigno » che
quanto più vicino a morte fi fente , tanto pi'
foavemsnte canta; Oj per dir meglio j fo
no come le ultime raccomandazioni che i
un'amico ali' altro che fi parte, o un mo
riente padre di famiglia a' fuoi figliuoli : ne
qual punto , raccogliendo quel poco di fpiri
to che gli avanza» proferifce piìifentenz
che parole 5 perchè reftino quei ricordi im
prefli a perpetua memoria di lui j ed a finge
lar beneficio loro . Ed io per me fé averti
notare fopra quefta ultima Profa , teffere
più volume, che fopra tutto il precedeot
dell'Arcadia non ho fatto . Laonde rcfta
non poiTo di maravigliarmi , che il Porcac
chi j ed li Sanfoviao l'abbiano pallata fei
za toccarne pure una parola , fé forfè non fi
o per iftanchezza d'averfi molto attaticat
ifltorno alle dodici Egloghe j ed alle dodi
ci PrO'
DFX MASSARENGO. 400
^ofe ; ©(quello che crederei piuttofto)
che la copiofa materia gli Ipaventafle .
:. mi pefa , di avere anch' io a pacarla yJ"^-
ede ^ per non {ax crefcere il volume 3 e
non trattenere gli ftampatori , che fotte
enna mi vengono Campando : ma non la-
ro con più agio di farle fopra difcorio ,
.on conforme al gufto , e defidcrio mio»
quanto almeno comporteranno le debili
e dell' ingegno .
-ir. 151. 1. 4. T)i non da pia colto y ma
;ih fortunato faftorg cc* ) Con mirabile
:^cio (alvail Poeta il grado conveniente
. fampogna , e fugge il biafimo della pra-
riì lede.
Car. I jj. 1. 5. Da pia fortunata) Perchè
e più baffo : A me conviene , \rima che
ffperte dita [oppia mifuratarnente /a tua
mia esprimere , per mahagio accidente daU
;/> labbra di/giungerti .
Car. 153.1. I?. P^r malvagio accidente )
u la morte dell'amata donna, come fi pro-
\ a a car. 154. I. 6. E di piangere awaramen-
I e con teco il duro , ed inopinato cafo della,
ta immatura morte .
Car. 153. 1. II. Il duro aratore^ ec-) Sto
■ur penfando fé ragione mi fovviene > per-
hé il Sanazzaro abbia ufata più lodo la pa-
r ola aratore y chela voce agricoltore , o al-
ra più generale: attcf© che non parla qui
i far folchi , proprio officio dell'aratore ♦
tome più fotto fi legge; ma di pigliare i
lon pennuti uccelli fuora del nido 9 per-
hèda altri non fiano involati, il che noti
più fpetta all'aratore, che ad altra rufli-
a perfona . Ma fin ora non avendo ra-
j,;iooe che mi fcddisfiiccia > fon cofiretto
*àlpeL*
5C0 ANNOTAZIÒNt
* ai'pt-ttarla da qualche accorto , e faput
ingegno.
Car. 15^. 1. 27. Della tua [alvatich^n
contentandoii , tra quefie foUtudini ti ri man
ghi) Eforta la Sampogaa a contentarfi del
la fua forte , perchè quefta è fpecie di teli
cita, coiìie più apertamente j1 dille nel fin.
di quella Profa , quafi per ultimo , e però pii
giovevole ricordo , car. \^j. Colui tra mar
tali yf p«3 Con p'à verità chiamar beato , cb
ftn\a invidia delle altrui grande^l* > ^^^ ^^^^
defio animo della fua fortuna ji contenta .
Car. 154. 1, 4. Infognando le rifpindent
felve
* Felleil Sanaix^ro in quejio luogo tifare la voc
adoperata da Virgilio nel ^^ dalla Gì or gì e a v
511. donde i tratta la Jimilitudine :
Quali s populea maerens philomela fub umbr
Amidos queritur foetus ; q\ios duruf arato'
Obfervans nido inplumì? detraxit: ec
In quella guifa che hi voluto ambe dire not
pennuti uccelli 5 per efprimere /Mnplunai
di Virgilio . Torquato Tajfo nel libro il, dei
la Gerufal. Liberata /?. 90. fervendofi dell
Jìe(fa ftmilitudtne , dijfe villano > invece d
dire arator* :
C^me ufignuol j cuiM vUlan duro invole
Dal nido j figli non pennuti ancora.
Che poi Virgilio abbia ufata U voce arator /
lucgo d^ altra pia generale ^ cil avrà fatto
perchè gli tornava meglio in acconcio per l
Jlruttura , e per lo fuono del verfo . Tibullo pa
rimente nella Eleg.-^. del r. Ub. v. 4. vo'end
dire che Amore fé «' era andato a villeggia e
in compagni a della fua ^emeji^e che quivi ap
prendeva il parlar del contado , coiì fcnjfe :
Vcibaque aratoris radica difcit Amor»
IDEL MASS ARENGO. 50T
ffvt di rifoftarg il mma della tua d^nna ♦
' c- ) Simil frafe , come più propria , e più
ag3 , usò nellj Profa ic. car. 95. Infegnòpri.^
7ier,ì mente le felve di ri fonale il nome della
'«rmcfj Amjrtllida ,
Car. 15^. ]. ji. N/ ti curare i ec. ) Vo-
endo 1' Autore abbandonare quetìa Sam-
•ogaa j I* avvertifce come viver debba >
come ditenderfi dal giudizio degli uo-
nini ; non folo da quelli che la bartezza
uà ifdegneranno , ma infieme da chi il
roppo ardire le improvererà. I quali ri-
ordi fé (limò l'Autore, perfona di tanta
ccellenza , giovevoli alla fua Arcadia ,
•er la fimpogna intefa ; quanto neceffarj
ebbe io giudicarli a quelle poche, e roz-
e mie Annotazioni , nate da giovane» che
cr Tacerba età non può avere mituro in-
egno , né canuta efperienza ; e nutrite
n villa tra ruftiche, e bofchereccie cam-
agne ; dove , efìendo prive della nobile
onverfazione de' virtuofi , e fcienziati ,
he nelle famofe città co^iofìmenae fiori-
cono , non hanno potuto di quella fcelta
ottrinacibarfi , né di quei nobili ornamen-
veftirfi j onde fenza rodere poteiTero al-
3 prefenza de' grandi comparire ? Dovrà
unquc baftar loro, poiché in villa, e da
ncolto paftorello partorite tono , di abi-
are nel loro nativo luogo , e goderfi di
(fere da giovinetti paftori per gli erbofi
•rati > fotto le fronzute piante lette , e lo-
ate : perciocché affai onor^^te faranno, quan-
o da chi la nobile , e fonora lampogna
el Sanazzaro fonerà , fieno fenza difpia-
ereintefe, e confiderate . Se poi da qual-
'he amorevole cittidino riceveranno favo-
re)
501 ANNOT. DEL MASSAR.
re , non fi infuperbifcano , ma 5 ringfa
ziandolo del cortefe affetto » fi ricordin(
fempre della balTezza loro , e eh' egli <
meglio nella povera , e vile Tua capan
nuccia elTer padrone , che con l' efca de
gli adombrati onori , lafciarfi condurre ne
fuperbi palagj a dura> ed infelice fervitu
Lodato Dio.
Il jine delle Annoi a:(tonì
del Maffarengo^
Qtun*
Giunta dì alcune poche annotazioni
[opra L' Arcadia.
'">Ar. I. Lio. Spaiiofi alberi) EfprefTe il
.j p/jtu/uf de' Latini, Virgilio nel prin-
vo della prima Egloga :
Titye ^ tupatuldrecubansfuhtegmlne fagì ,
leiruJcimoverfo della Georgica:
Tityre ^ te patula cecini fub termine fagi ,
I tale epiteto vien replicato dal Sanazzaro
Ila Profa io. car. 94. di/t^n^^i alla fpelunca
gè va ombra un pino altìjjimo ^ ^ fpa\iofo .
.Car.2. I.i2. Agli afcoltanti alberi ^ ) Attri-
ifcono vagamente i poeti orecchie alle
ante. Virgilio nella 6. Egl. v.J*2.
Omnia qua , Pbabo quondam meditante ,
beatus
AuJiit Eurotar , jujjitque edifctre lauro f ,
II le canit,
piÌ4 chiaramente Orazio nell' oda ii. del
libro, celebrando il valore del canto d*
feo :
Blandum & auritar fidibut canori f
Ducere quercut .
nno altresì loro voce 5 e parole. Catullo
V armi ne 4. )
Ubi ifie , pojl pbafeluf , antea fuit
Cornata fdva ; nam Cyt borio in jugo
JLoquente fape jibilum edidit coma ,
Car. 2. L21. E le tenere Ninfe ^ dimen*
afe di perfeguire i vagbi animali ^ CC. ) So-
glia que' veffl d'Orazio nell' Oda I?. del
libro .
J^in & Vrometbeuf , «if Pelopir parens
Duki laborum decipitur fono :
^ec curat Orion leone f ,
Aut timidof agitare lyncaf .
Car.
504
Gar. 11. Egl.i. v. 5. LoJar gUccckì (i
reni y e trecce bionde^ ) In quefta lezione
accordano tutte 1' Edizioni dell' Arcadia
nondimeno pare che dovrebbe legge rfi.
L-odar gli occhi feren ) le trecce bionde .
e peravventura così avrà fcritto il Sanazz;
ro ; perchè quL'l t^'ecc^ fenza P artìcolo difgi
(la molto le orecchie*
Car. 25. Pr. 4. 1. 21. E V vifo alquanto p
ìutigbettg che tondo , Ji bella forma , c^
biam belila non [piacevole , ma tefnp erata
quaji al bruno decbinando , ec. ) Notò qu
fta diiferenza che pafia tra la bianchezza i
fommo grado , e la alquanto più temperate
Properzio, tra' Latini gentiliiTiino e dotti
fimo poeta» nella Elegia 25. v. 41. deli, i
bro, dando alla prima V aggiunto di p/V«.i
cioè di perfetta , e all' altra à\fofca , cioèi
<juali dìibininte al bruno ^ qqvcìì qui amti
dire il Sanazzaro; conchiudendo però ci
gli cfiFemnainati giovani e dall'una, edal
^Itra ugualmente eran prefi :
Vidiftis pieno tener em candore puellam ,
Fid'fiis i\x\co\ ducit uterque ccl.r ,
Car. 94. Pr. lO, I.4. Dinaniiallafpelun
porgeva ombra un ptno ahijjìmo ^ t fpaiii,fo ^
Il Petrarca parimente nella Canz. 30. v. 2
Ove porge ombra un pino alto ) od un colle -,
Talor m* arre fio .
e M. Tallio nel i- libro de Oratore , cap.
Nam me hac tua platanus admonuit ; qua n
minus ad upacandum bunc locum patulis tji e
fitft rmmii , quAm ilìa (ujuf umbramfecutus
AUu.
505
ìcune importanti Correzioni , ed Offerva»
zioni intorno alle Note dd Vorcacchi ,
e del Aiajfarengo.
^Ar. 2jo. Il Porcacchi facendo oflerva-
^ zione (opra quelle parole del Sanazza-
; che ptndtfftro per le fcove^te ripe \ cic.l
feguente palio > com'egli dice j d*Ovvi-
D , fenza additare alcun determinato libro|
. nd' egli fé 1* abbia prefo :
.. .. .. alta di rupe pertdent
Cafeirup^ ,
'ISanfovino pure , fegucndoil ruocodume
ripece nelle Tue Annotazioni . Ma né que-
1 parole fi trovano in verun' opera di quel
xtt2Lynècaprirupaé vocc Latina, perquan*
apparifca dagli antichi Gramatici , e dà*
'rflTici moderrn . Trovafi bensì rupicapra ^
De capra fahatica , carnowm , Vtà'\ Plinio al
». II. cap. 37. Avrà forte il Porcacchi vo-
ro allegare quel verfod'Ovvidio porto nel
brode* Rimcdjd' Amore ( n. 179. )
Eccepelunt rupet , praruptaque faxa CapelUy
j(come fuole bene fpedo avvenire a chi
n ha la pazienza di ricorrcr-e a' libri ) gli
'à fallita la memoria .
'Car. 324. Fuor d' ogni ragione vien ripre -
in quefto luogo il Porcacchi dal Mad'areii-
, come fé egliavcffe errato, afferendoa
211. Vtppio^ e ^ì pioppo cfferdue nomi d*
'albero folo . Anzi èda rinrenderfi l'in^^
urto cenfore ; chiariflimo ciTcndo per le of-
ffvazioni di molti, che in Italia col nome
cppso y di pioppo , ed* alùara viene a figni-
arò un folo genere di pianta i benché Ro-
llio Cofìaotioinel fuj Supplemento dclU 1
Tom. i. y Lir..
50<5 ALCUNE ALTRE
Lingua Latina così diftingua : Populus alba
Itali f albara : Populuf nigra , Italia ^ oppio
pioppa. E nello (leffb libro alla voce ocìr
C©si feriva : Ejus fptcief carpims , Italia op
pio > ut in Liguria ( alibi oppio » vel piopp
efi populus ) Ma di gran lunga più groflo è i
granchio prcfo dal Maflarengo, mcntr'egJ
vuol confermare la fiia diftinzione tra oppio
phppo y c tuttavia fegue ad accufare il Poi
cacchi ì cosi dicendo : E mafirl di non {ape
re ^ che /' oppio è albero dal pioppo d'jfere^
te , del cui [uicbio^ fa bevanda per far dot
mire , e dottnendo morire , chi non puote dt
gerirlo. Poteva il MalTarengo informarfid
qualfivoglia fpcziale > e avrebbe imparat
che ilfonnifero chiamato cpìo non è altri
nienti fugo deli* ^p/>/<? albero , ma è iilatt
efpre^o dal papavero nero, cosi detto dall
voce Greca oVo'é, chefignifica umore ^ ofw
fhio i che non diftilH per fé fteilb , ma ce
mezzo di taglio j o d* altra violenza . Ben
che a voler fottilmente diftinguere , chia
mafi propriamente da* Greci oV/oy , 1' umor
che diftilladal gambo tagliato del fuddett
papavero j e^vKaviov quello che fen'efpri
me a forza di torchio da* capi e dalle fogli
bollire: ma in lingua volgare con una fo)
voce viene a fignificarfi 1* una e 1* altra ma
niera di liquore . E' cofa degna di oiTerva
zione , che nel Vocabolario della Crufca no
fi trova cpio in quefto (ignificato di fonnifere
benché vi fi legga oppiare , adoppiare , op]
foporarc , e oppiato , opio foporatus j e poc
dopoj cppio y fo'ta d^ albero-^ allaqual voc
fi adduce per telìimonioil feguente yerfo'(
Luca Pulci , tratto dal J. Canto del fuo pòe
ma intitolato Ciriffo CaIvaneo>verfo il fint
Tu
ANNOtAZrONt. 507
Tu gli adìiyrtnenttr,ii (otto (jueji'* oppio,
qual poeta , benché fervafi di tal voce in
nfo metaforico , cioè pzv tenere a bada ^ o
xir.g4nnart ^ vedefi nuHadimeno > ch*egli
.\xèiQ2\V opto fonmftro ^ da lui perawentu-
, come dal Maflareng ) , creduto efl'er al-
ro > e non latte di papavero .
Car. 3-^9. Avea il Maflarengo a e. 554«
icciatod' inavveduto il Porcicchi , perchè
iminade il tamari fcoj arbore infelice '^ non
urendo a lui convenevol cofa , che il Sa-
iiziaro porto avefle alberi infelici in quel
ogoameniflìmo , e pieno di tant-' delizie >
l'egli così leggiadramente deic'-fve : ma
:)i dimenticatofi della fui ripreniìooe 9
iiiama egli ftedo il cipreffo pianta infAice ^
fufiefta ; benché fia una di quelle defcrit-
■:dal Sanazzaro nella prima ProG . Ma tut-
quefta oflerv.izioefoprn gli alberi/ /»V« ,
i infelici , qui non fa punto j propoùto ; ed
altrettanto frivola > e vana, quanto ri-
3rcata> efottile .
Car. 378. Virgilio in ^ue* due verfi :
"MiC non éf gemini cuflcd.s limine ah nlto
Pfocedunt , greffvmque cams comnantur bg^
ri lem ,
Tiitò, s'ionoi» mMngìnno, Omeiò , che
ci fecondo dell' C)jifì i v. io. pirì^ndo di
'elemaco, figliuolo d* UlifTe, cosìfcrive:
B>>' y ifjtiv « < elyo^n'r , irctheif/ji (T^ i;^i X°^^'
xioy gyyof .
tTTOVTO .
\rtdoffene al parlamento ^ imp-tgnandoun'^ afla
V ferro ^ Non già folo : ma infieme il ffgui^
avana dut cani bianchi (o pronti . ) Lottef*
Y 2 iv>
5o8 ALCUNE ALTRE
focoftume degli Eroi ci rapprefentaOme
ro anche in altri luoghi .
Car. 385. IIMaflarengo feguita 1' autori
tà di Plinio, che nel libro 2^. cap. S. chia
ma il frutto del corbezzolo ( che è 1* arhty
de' Latini ) une^o : ma è da notarfi , chi
Plinio viene in ciò riprefo dal Dalecampi<
così ; Ctìfn arbuto , qua! xó[u.oepOi (fi , Pliniu
hic mglfgenter y ut CT cap. 24. lib. 1 5. unedo
nern confundit , q^Ja fruilus ejì epìm.lidis
Quanto poi a ciò che dice qui il Suddette
Maflarengo , che queft' albero ha ì frutti ton
^* j ^^U* j ^ punteggiati , coma le fragole ;
( di modo che potrebbero ingannare colli
vaga lor vifta qualche perfona meno avvedu-
ta ; come che redine poi di fapore molto in
feriori alle fragole j eflfendo afprifTimi ) «
quali fi chiamano cofhtWoH \ troviamo chc
Luca Pulci 9 quaGal finedel fuoCirifFoCal-
v^neo, il mife in proverbio con que' verfi 3
i" moftra per lanterna men che lucciola ; ec<
E fpaccia per un dattero una fucciola ;
E penfa la c^rbe^ola per fragola, .
Car, 385. II luogo di Callimaco è tolte
dalla Edizione Greco-Latina di quel Poeta
fatta in Utrecht del 1697. con gli eruditif-
fimi , e maravigliofi Cementar] di Ezechiel-
Jo Spanen^io . L' antica traduzione di quefto
luogo, rapportata dal Maflarengo , è la fé-
guente * Phabum & pajioritìur» vocamusjatn
inde cum fub Ampbryfo jugalei pafcebat equof ,
deo fimi li s^ amore accenfut Admeti . Noti fi j
quanto fiano tra di loro differenti le tra-
duzioni.
Car. 397. Fallando il Maflarengo di cer-
ti fonti punitori degli fpergiuri , commette
tre errori . Il primo è. , che accenna una
fon-
ANNOTAZIONI. 509
. j diBitinia , da Plinio chiamata Olaca^
I un è fonte , mi fiume . Il fecondo, che
" Stefano </r UrbibuT:\\ lib. 31. cap. 2. dove
i! Autore non divide la fua Opera , eh' è
izionario Geografico y in libri , ma nel-
:tere dell' alfabeto . Quefto però farà
3 errore di penna, o una trafpofizione
) Ibmpatgre ; additandofi appunto , coli'
-lurre il lib. 31. cap. 2. il fuddetto luogo
Plinio. Il terzo fallo fi è, che chiama
f nte di Sicilia , riferita da Stefano, Pa^
'na , dovendo dire Filicine ; quando ciò
n fia colpa j o diverfa opinione d' altro
ìdiittore . Di tutto ciò abbiamo voluto av-
are i lettori , per dar loro un faggio dei-
negligenza del MafTarengo , il quale ha
ilamente allegati luoghi fenza numero di
oni Scrittori , che noi abbiamo poi rifcon-
iti con tedi emendatiflìmi , e reftituiti
ile Annotazioni del medefimo .
C ir. 407. Male fu addotto dal MaflTaren-
I' ultimo verfo della 7 Egloga Virgiliana:
Ex ilio Coryion , Cory^on eft tempore nobir ,
r vo'erlo dimoftrar fomigliante al 52. del-
5. Egloga del Sanazzaro :
Androgèo , Androgèo fonava il hof(o,
rchè in queft* ultimo altro non fi ofìerva ,
e una mera repetizione di nome ; laddove
quel di Virgilio fta riporta una grande ef-
acia» dovendofi intender così : Da indi
qua ( cioè da quel tempo che il pa(ìor Co-
Jone vinfe Tirfi in una gara di canto paio-
le ) CoridoneapprelTodi noi è veramente
)ridone , cioèquel valentuomo ch'era da
liti riputato ; chetale non farebbe fiato,
andò Tir fi fofl'e rimafo a lui fuperiore nel
ntarc . Mjnierc non difiìmili fono tutto dì
Y 5 in
.510 ALCUNE ALTRE
in bocca del volgo: Da quello cPiofcno; , i
io nenfo qutfia £»fi ^ fcambiaumi il nome , e
Car. 417. Quanto ai giulH motivi che ui
può avere di lodar fé rtelTo 1 e le cofe lu<
annoverati in quefto luogo dallo Spofitore »
da ved«r Da» tealcap. ^, del fuo Convivi
Car. 4^^. Dice il MaflTarengo, che la \
te all'olmo congiunta è fimbolodel mati
monio , e r edera abbarbicata alle piante ,
alle pareti , è eieroglificode'difoncfti co
giugnimv-nti . Dato che ciò fia j non d
nulladimeno riceverli come un canone inf
libile: mentre Antonio Ongaro , Padov
no j n-1 Tuo bellirtimo Alceo, il quale fi
pubblicato djl Cornino ìnficmc colT Ami
ta dei Tan'o , correttiffirao , At. L Se.
V. 1 3S. fi vale di tutte e due quefte finjilit
dini per V union maritale > così ;
E /* edere > e le viti
Amano gli dm'' ^ e i trombi hr mariti ,
e Giovanti^ Antonio V«lpi , l* antico , gè
tiluomo , e Vefcovo di Como , pojta elega
tiflìmo, che vifTe nel fecolo dccimofeftc
Ila voluto anch' effo ufart- le dette fimiiit
dini per ifpiegare un'amore non dirò fol
mente cafto , m « facro 5 qu «1 è appunto que
lo che palla tra un Vefcovo , e la fua Gbief.
Dice egli adunque in una fua Egloga Latin
nella quale inrrodure la Chicfa di Com
fotto mmidi Am ,^ili , a lamentarG dì Vaf,
cioè di Monfignor Bernardino della Croci
fuoVrfcQ/o, alTenreda ei per lo fpazio
cinque a;i-<i » e dimorante io Roma :
Sed tih m atirno volui conjungere vinci
Ut panef bedera pallenti , ut vttihuf ulmu
Car. 438. ,, E fé quattro lune avelie de
}) tofemplicemente il Sanazzaro, avreb
» ili-
AKN'OTAZlONt. 511 .
\nte(o q^aitro m 'fi . „ ) Com2 appunto of-
rvanogli Acc-demici della Grufca , a e.
'io. del loro accuratilTimo Tefto , che volle
unificar D.nte , quando diffe nel Canto 33.
;ir Inferno V. 25.
M' ^vea wofir^to , per lo ftio f9rame ,
pia luntgià , quand^ i' feci V tttalfonno , ec«
in una fua Canzone *•
Onde /» 1' ebbi colpe ,
P/'A /une bét volto V ^ol perdi fu (penta ,
roperzio nella Eleg. 5. del lib. 3. v. 27. dà
la Luna I* ai??,iunto di menftrua , perchè
)rma i mefi co' Tuoi periodi :
— .- .. ._ un>le coaSlis
Ccrmhui y in plenum menfl'ua hunaredit m
'i Ovvidio nella Piftola di Canace a Maca-
co V. 45. prende la decima Luna per lo dc-
imo mefe :
Jam novier erat erta ' foror pulcherrima
PMiy
Denaqut lurifera huna movsbat equos ,
Nefda , qua fateret fubitof mi hi cauffa do^
lores ,
"Et rudii ad par tu f , ^ nova mìles eram ,
finalmente i Greci chiamano il me(e fJL^y , da
'v'"'/, che Luna vuol dire.
Car. 444, Il gieroglifico dell' Amore »
;he ci dà Oro Apolline , così fuona in latino:
..aqueut amorem , ut feram quamdam , figni^
fcat . 'E perciò può ammettere diverfa fpie*
'.azione di quella del MafTarengo .
Car. 4^7. Dice il noftro Spofitore : E ft
>ene il Bembo fu a* tempi del Sana\\aro ,
'^ion era peri al tempo dell'* Arcadia , da lui
•ompofta in gi.vinena ; che quando cominci»
j fiorire il giovinetto M. Pietro Bembo , era
vecchio di mJii anni il Sananaro . Quinto
I Y 4 in
5T2 ALCUNE ALT^E
in ciò s^ inganni il Maflarengo , chiaramen
te apparifce dalle vite , e dagli fcritti d
cjueMue celebratiffimi Autori. Nacque i
Sanazzaro l'anno di noflrafalute 1458. e^
il Bembo l'anno 1470. Ecco in prireo luo
go , che tra l*età dell' uno , e dell' altr»
non correvano più che dodicianni di diva
rio. In fecondo luogo, del 1504. nel mef
di Marzo fu ftampata la prima voltaceli
città di Napoli tutta compita 1* Arcadia
mentre il Sanazzaro era in Francia col R
Federigo sbandito da' fuoi ftati ( la qua
Opera andava prima attorno manufcritta
ed imperfetta > cioè fino alla finedell' Egle
S3. X.e tale fi era pubblicata due volte in Ve
jiezia j fcnzafaputa, e poi con grandifpia»
cere dell' Autor fuo) ed il Bembo l'ann<
dietro 1505. nello fteiTo mefe , feceufciri
da* torchi d' AldoMannuaio i leggiadriflTi
ini Tuoi Afolani; per la qual cofa è chiaro
che in un tempo medefirno ambedue fioriva
joo ; e che il Bembo non fo!o era nato quand(
comparve l'Arcadia a perfezione ridotta
magia contava 34. anni. In unoerroreaf
fatto contrario a quefto del Maflarengo cad'
de 1' Anonimo che fece le Annotazioni ali;
Vita del Sanazzaro fcritta dal Crifpo, il qua
le a car. xxxii. dell' ultima edizione Napo
litana , conghiettura > che il Sanazzaro fpe
rafle il cappello Cardi nalizlo per 1* efempic
del Bembo , che a tanta dignità era flato in-
nalzato . Ma doveva avvertire, che il Sa
nazzaro mori l'anno 1530.0 5 come altri vo'
gliono ? 153*. o 1533» e che il Bembo fi
creato Cardinale l'anno 1539. come conftf
da una fui lettera, concai ringrazia Papr
Paolo III. di tal dignità conferitagli . e mo;
ri pQ-
ANNOTAZIONI. 5f5
pofcia Tanno 1547. Non poteva dunque
rvir d*e(empio al Sanazzaro per ifperare
1 porto fimile , il quale eflendo già morto,
jn potè vederlo colla porpora in dodo ,
on lafceremo di notare così di pafl'aggio ,
:>n tale occ dìone > uno sbaglio prefo dal fa-
ìoùfìimo Pitr Bai/e ì\q\ fuogran Diziona-
o Illorico Critico , il quale afTerilce , il
enibo effere (lato tatto Cardinale da Papa
mente VII.
[ Mail'arengo poco avanti » in que(!o (lef-
j iiìogo , cosìfcrive : Pfcòè a^ tempi J^ÌS^'
azzaro »on tra la lìngua Tofcanaìn quella fi.
■.Ila cb^ oggidì fi trova y ec ) Non fi valfe
ran fatto il noftrobuon Chiofatore della fe-
icità de* Tuoi tempi, avendo fcritto in ma-
niera , che bene fi pare, non aver lui porta-
0 rifpetto alcuno al le regole del la Gramati-
3 , fé pure non fi vuol dire , eh' egli atten-
o all'acquifto delle più fublimi cognizioni «
ibbia medoin non cale quefiebagatelle . Il
he , quanto fia lodevole % fel vedano i favj .
Car. 45*' E'curiofo l*oflervare » come il
Ma'Tarengo in propofito del favellar degli
Ljccelli, fenza verun preparamento, o paf-
I Taggio , racconta una novelletta di topi, quafi
L:hs i topi fodero uccelli .
Car. 454. Alle^anfi due verfi di Macro
Poeta » con fnnchezza maravigli ofa, co-
me fé fodero di queir antico Kmilio Macro>
che fcride dell' eibs, e de'ferpenti, con*-
forme al tedimonio d* Ovvldio . Non hi
^o tempo, che il CliiaiidrmoSig. Gìq-
atifia Morgagni , Pubblico primario Pro-
re di Notomia in quedo noftro Studio di
)a , eìnfieme eruditidìmoed elegantif-
j Scrittore) ? gloria gravide non folo<li
• 5M, ALCUNE ALTRE
Forlì lui patria » e di qu;fta Univerfità , rr
di tutta i' Italia» hadimoftrato diflTufameri
te in una fua lunga e dotta Lettera l'opra Se
reno Samonko , fcritta al Dottor Giovan i
hatijìa Volpi , da cui fu pubblicato quelT Ai i
torcia fine di Cornelio Celfo j chi porta e
fere r Autore Ai quel Poema trattanteiel
erbe, che va fotto nome di Macro , (sch
già dai pili eruditi non vien creduto àjtr.
menti di queir Emilio contemporaneo i
Ovvidio , ma di Scrittore fenza paragon
meno antico .
Car. 461. E trentamila fcrive Eftodo ej
fere flati gli "Dei , a quali fecero facrifido
gentili . ) Ciò fi può confermare coli* au^.ori
tà di M'iliìmo Tirio , Filofofo Platonico , i
quale nel fine della fua prima Differtazion
cos J fcrive : Sunt autem hi ( Dii ) plurimi , ÌL j
$mnis fere generi i ^ non tantum quot Baotiu
Pota effe vùluit , Nn' enim frigi nt a tan
tam Deorum mìlUa , fuprcmi illtus fiìii É
amici funt , fed innumeri : par ti m in ae!
fiellarum co^pora^ partim in lìbere Damcnuh
effentia ,
C.ir. 463. Alle tre autorità addotte da
Maflarengo per far vedere, eflTer convenien
te il dire che il Sole vede tutte le cofe,puofi
aggiugnere quella di Maflìmo Tirio dopo 1<
metà della fooraccitata Diilertazione : Dì
vinum intellcSium lum ohtutuSoUs conferamus'.
qui ftmuì toti^m terra fpatium perlujirat .
Car. 169. Dovevafi dire > che i Greci por
tavano la cicala in fegno della loro naturale
eloquenza ; e non già , edere ftati chiamati
loqu-ìci , perchè un tal fegno portaffero .
Car. 47O. ovvero dalla etimologia di
f^igih 5 quaftabtfa giovamento ) E* una rom-
pa f-
ANNOTAZIONI. jij
ifTione ,che V Autore non fi fia datodi pro-
to a compilare un' Etimologico intero fu
ilo modello . Sarebbe altra cofa , che non
o le Etimologia odi Marco Varrone , o
., iiìdoro» o del Voffioj odel Menagioj o
el Ferr.iri .
Car. 480. Quedo concetto : Qaapcolfia^
oìl collo gli rifcalJava y il Sanazzaro non 1*
ggiunfe del Tuo, ma fembra che il toglief-
e odaOvvidio, oda Stazio Papìnio . Ov-
'idionel primo delle Trasform. v. 541. par-
ando d* Apolliireche feguita Dafne >difl*e :
.. •- -_ tergoque fugaci
tmmìnet^^ crinem fpa rfum cervlcihuf afftat,
trizio Pjpinio nel 6. dcllaTeb3ide^ v.6og.
Jefcrivendo alcuni giovani che corrono a ga^
rra y cosi cantò :
Effagit hit oculoi rapida puif ocyor awa
ìdanaliut\ quemiieìnde graduprgmit borri*
dui Idas •
Irtfpiratque bumero \ fiatitqut & ptSlorìi
urnb*a
Terga premit ,
Gir. 485. Volendo il Maflarengo far pom-
pa di erudizione intorno a\V Qvhì amaranta ,
e fcrivendo colla folita fretta , incorfe in un
^roffiffimo errore . Dice esli così : Di quefia
^ coronava Imeneo , come ji cava da CatuU
h ( Carmine sQ. ) ''» quei verf :
Cinge tempora fl "ibur
Jnaudentit amaraci ( in VCCC di Suav$
9lentif )
:E non s' avvide I' uomo da bene della gran
differenzi che pafTa tra l*eibade:cacon Gr«-
co nom * Amarflco , e l' amaranta , o ama^artm
ta . Mentre la prima è un' erba di gratiflìiiio
odore» da* Latini chiamata fampfufbum ^ e
y 6 da-
?t6 ALCUNEALTftE
cìagritaliani major an^ì ^ cperfa-^ nella qaif
finirono i poeti che per compalfione degli De
fofl'e convertito Amaraco , un de' paggi d
Cinara Re di Cipro, per non poterfi gue
garzone dar pace d' avere infranto un vaio d
alabaftro ripieno di preziofo e ioavifiìmo un
gaento ; e di quefta fi coron-ava verament
Imeneo; hààovtl amaranto èpiuttodoun
fpiga di color purpureo, che fiore alcuno
e non è altrimenti odorofo . In molti luo
ghi d'Italia vien chiamato /<?''W/« re? : e ii
Padova a' tempi di Roberto Goftantini dice
YSlClgflofia .
Car. 484. Quanto inutilmente s'affatich
il MafiTarengo per difendere ìlSanazzaro in
torno alla Rifurrezione de' Morti, ognuni
che ha fior di fenno, può facilmente cono
fcere . Il Sanazzaro in tutta 1' Arcadia f
parlarci paftori alla foggia de' Gentili; cl<
avvertì beniffimo anche il Maflarengo me
defimo, il qual di{r;*a car. 406. L"* »pinhn
però non i Crìftiana ^ mi Etnica {^ (heìfem
plici "Lettoci non pigllaffe'ù «n granchio )
jempfe intendiamo di parlart [e: ondo P tff
della gentilità , eccetto quando facciamo paf-
ticolar menzione d«lla Cbiefa finta , E per
ciò doveva in quefto luogo ) fé così gli era j
grado? replicare uni tal protetta, o paflan
ad altre oflicrvazioni , fenza far motto fopn
di ciò . Molto più necefiTaria è ftata la fpiega
2Ìone che fece d' un paffo delle Api di Gio-
vanni Rucellai il dottiamo Signor Canoni-
co Giovanni Checozzi, ornamento fingola
rìflìmodi Vicenza fua illu^lre patria , libe
rando dalla taccia di mifcredente il celebra
GiovangiorgioTriflìno fuo concittadino ; (
leggcfi la fua difefa in una eruditiflìma 'et
tera
ANNOTAZIONF. J17
ira ci)* egli fcrilTe Panno 1718. al Dottor
iovann'antonio Volpi > a carte 302. del-
Coltivazìone dell* Alamanni ftanìpata da
iufeppe Cornino colla noftra' adìftenza •
Car. 4S6. A i due verfi del Taflo addotti
jUVIaffarcnsio :
Dtjfe ; e ehi lor dia loco , ^11^ acqua imp fé :
Ed ella tofto fi ritira , »' cede ;
può aggiugnere , che il Taflo imitò in
aedo luogo quel verfo d'Ovvidio nella 6.
legU del ^ Irbrodegli Amori, dove Eni-
?o fiume di Tedaglia , innamorato della
?liiffim3 Tiro , figliuola di Salmoneo, per
3terla fenza verun impedimento abbr^-
ire >
Cedere jujjit aquam : jujfa reeeffft a qua ,
! qual verfo dà una gran lode il vecchio Sca-
gero al cap. 7. del 6. libro della fui Poetica.
Car. 488» Raccontando il MafìTarengo la
.">ria di quella gallina di maravigliofa bian-
lezza j che portando in bocca un ramo dì
luro colle Tue coccole > fu lafciata cadere
lefa dd un' aquila in grembo a Livia Drufìl-
> la quale divenuta poi mogliediOttavia-
D Cefare , chiamofli Augufia ; commette
je errori. In .primo luogo dice, che Li-
ia fi fpaventò di tale avvenimento ; e Pli-
io nello ftefTo luogo citato dal noftro Spofi-
ore» dice il contrario : intrepideque miran-
te' Appreflo afferma , che il luogo dove
ivia per comando degli Arufpici fece con-
;rvare , e fecondare Ja gallina fuddetta ,
alla qual poi tante ne vennero , fi chiamaf-
• U Ì3allirta\ e pure tantoSjetonio in prin-
ipio della Vita di Galba , quanto Plinio al
bro fopraccennato, attediano cheeradet-
3 : Ad Calli naf , Da quefto ) e da molti
altr
5i8 ALCUNE ALTRE
«Uri sbagli fi conofce chiaro , cheli Mail
rengo troppo afllcuravafi della Tua mem
ria , allegando gli autori fenza rilegger
libri, e trattando così col pubblico in tro
to confidente miniera-
Car. 499. Per non trattenere gli Stamp
tori , che fatto la ptfnna mi vengono fiampa
do. Ubbidì il MalTarengo al precetto dat
da Gioachimo Porzio nella Tua Enciclop
dia al trattato d.' Ratione Studicrum , ca
^a ratione vi tare pojfis infcribendo tadiur.
ove fi legge : Die (balcograpbìs , parent fé 1
librum ti dare velie excudendum , eTiamfi
piginam quidam paraverir . Tum facile tot
volumi ni i fpeciem animo conci per e , inde fi
gulaf parteif lev'iter in Com<tdiarmn ar^
menti modum defcrihere , den'tque qmtidii
quantum illif fatit erit , abfolvefe poteri.
Quum fic inceperir altquid , perficerg debili
V Hs , noli! . Id ego in «m ni bus pene lìb
feti i ac etiam in iflo , Sed qua ratione ^ t
fra dicam , Facilhme fcribo pedetentim ^ /
quotidie typcgrapbut fuat ex'tgit cbartas . 3'
ìim fu quinquaginta edere libro! ^ quam'^ai
ne alia unum . Yc^'i \\ riminente di que
capo , e tutto il capo feguente di quel libr
elTendo molto curiofi .
Car. 501. Annotazioni , nate da giovai,
cbe per P acerba età non può avere mati
ingegno , né canuta efp^rienia , e nutrite ,
villa tra rufiifbe , 9 bofcberecce Campagna
ec. Cheli MalTarengo folTe molto giova
quando fcrìfTe quefte Annotazioni , acce
nafi ancora a carte 428. con quelle parol
Per ejfer lecito a^ veccb) lodarfi , per inat
fìfire col loro efempio noi altri giovanetti ^ (
inefperti jiamo . Djvrà dutque fu tal ri file
cf-
ANNOTAZIONI. 5^9
'ffer molto lodato il MafTarengo, nonché
1 alcuni fuoi sbagli compatito. L'averle
oi egli compofte in villa , dove per lo più
on fono pronti i libri da confultare , avrà
agiopatolemoltifllmce quafi continue fal-
j e ftorpiate citazioni degli Autori , e prin-
ipalmente de' Poeti ; dal che pcròconghiet-
jrafi, non avere il Maflarengo avuto gran
ttto cognizione della quantità de' verfi •
laravigliofo certamente nel citare a me-
loriacon efcittezzà gran quantità di Autori
'ogni forta fi è dimcftrato Girolamo Maggi
' Angiari ne* Tuoi eruditilììmi libri delle
)ampane>e delTEquuleo, comporti da eflo in
rigione> mentre era fchiavode'Turchi .
yiltri avvertimenti .
"^^Itando il MaiTarengo Tpelle volte in que-
»^ (le fue Annotazioni Achille Tazio
.utoredcgli Amori di Leucippe, ediCli-
ifonte , il battezza Tempre per Achille Sta-
io . Veramente il Chiariflìmo j anzi il mi-
acolo d'erudizione de' tempi noftri , Gio-
anni A Iberto Fabricio , nel 3. lib. della fua
fan Biblioteca Greca» a car. i05.not9 lo
eiTo sbaglio in alcuni efemplari di Suida co-
ì: In quibttfJ,jm Codi ci bus S ut Ja Statìixs a p.
fi/atar , pcflrema litUra nominis A'^tKKivi
irperam repttita : così ancora vien nomina-
) da Giofia Simlero nel fuo Compendio del-
i Biblioteca Gefneriana , e da altri. Con-
rario a quefto fi è l'errore di coloro che
dendo citare Achille Stazio, infigne lette-
ito del Secolo XVI. penfano che debba fcri-
erfi Achille Taiioy confondendo COSÌ un'an-
ico Greco Scrittore con un moderno Portu-
hefe , quale fu Io Stazio ; di cui abbiamo gli
ludici Cora^ntarj fopra il libro di Cicerone
510 ALCUNE ALTRE ANNOT.
é* F-j/tfjfopra CatuUo,e Tibullo,e fopra TA
te Poetica di Orazio , e altre ciotte fatiche i
C confervano alcuni fuoi Scritti in Ron ,
ne'la Libreria di S. Maria in Vallicella >al j
qu de laCciò in tedamento tutti i Tuoi libri
Volendo il MaiTirengo citare la Gerui
lemme del Taflb, femprc cita la Conqulftati
e non la Liberata . Varie poftono edere
ciò le cagioni ; cioè o perchè una tal Riforr
era ftata pubblicata pochi iTimo tempo a vai
che il MafìTarengo fcrivede le Tue annotazi
ni fopra V Arcadia , e perciò pare che ave
fé la grazia della novità : o perchè i eflen
forfè amico del Taffo j gli premeffe con
frequenti citazioni far acquiftare quel crec
to a quefto nuovo Poema » che prello de' p
intelligenti non potè mai ottenere : o fin;
mente per far cofa grata ad uno ftampatc
di Pavia, che ne aveainquel tempo fati
una edizione in quarto, laquale forfeav i
incontrato pochi compratori : oppure e
realmente il M affare .igo , come giovane ,
perciò non ancora di m ituro giudicio, giuc
ch^Q quefto pili eccellente del primo Poem :
Comunque ciò fia , è cofa inflilIiWle ch«
primo andò acquiftando fempre miglior ce
cetto e ftima ; di modo che fi trovò Pac
Beni , che non dubitò dì metterlo a confrc
to coli' Iliade , e coli' Eneide, edidifpu
rea chi di loro fo (Te dovuto il priniato de
Epica , e per eflo ftabilirlo , come fi ricor
fce dalla fua Opera intitolata t CcMparaiù
d'* Ornerò^ l/trgilio^ e Torquato Tnffo , ii
prefìTa in Padova fanno 1607. in 4. All'
contro il fecondo V andò femore ^\h perde
do. Vedi il Crercimbeni nf.llaScoria de
Volg.Poefia, e'I Menagio nelle Mefcolanz J
i/M di tutta k AmftfiTri^nìs
TAVOLA ^''
DELLE RIME SDRUCCIOLE
USATE
ID AL SA NA2ZARO
NELU ARCADIA.
Abbia. Egl. X.
,44.Ma curar greggi dalla infetta fcabbJa >
.6. Il qua! un di per istogar la rabbia ,
^8. lofifcelle teìTendoj egli ur-i gabbia»
Abile. Egl V I.
o.Orconofcoben io,che'l mondo in-ftabi le
z.Talcheogni volta>o dolce amico aifabilcj
4. Di piaga avvelenata , ed incurabile .
Egl. XII.
17 Quella rampogna fua dolce ed amabile ;
^9.Non gian caun fuon tridoi e miferabilc,
jr.Che pur parve ad udircofa mirabile .
Abili. Egl. X.
55. Le felve ufate > e le fontane amabilr^
57 Erran per alpe incolte , inabitabili ,
Sp.Da genti ftrane, in^ique , ineforabili .
A E u L A. EgL Xtl.
ti.Ch* oggi farà fornita la mìa fabula ;
i4Nè vedrò mai perbofchi fafTj,© tabula .
16 Quiluque altro paftor vi pafce»o ftabula»
A e e A R I . Egl. IX.
*. Selvaggio andar per la (ampogna > e i
naccari .
ic.Ma con Uranio a te non valfer baccari >
j i.Furafti il capro, ei ti conobbe ai zaccari.
Egl. X.
5. Dell'alme Mufc>e più no pregia naccar>,
7. E
'522 TAVOLA DELLE
7. E si del fingo ognun s'afconde i zacca
9.E par che odore più che abrofiaje bacc
Accia. EgL X.
144 Che'l modo intorno intorno fi disficci
145. E prenda un'altra facciapiù lef^giadr
A e e I A N o . Egl' I.
8. E vannogli da tergo, e'I vitto fcicciar
10 E fai ben tu,che i Jupi(acor che taccia
1 2. Però che i Jor piftor no vi s'impaccia
EgL VIIL
77'Nè per foco ardon , né per gìelo
ghiacciano ;
79.Cercan fuggire Amore , e pur Io
bracciano ;
Si.Che chi.ima iibertade,e piti s*allaccia i
A e e I A T I. EgL XII.
251. E dir: Col bel fepolcro, o lauro,
bracciati ,
253.11 Cielo ,0 piva mia non vuol eh
tacciati.
253 .Dal fondo òqì mio cor mai no difcacci ;
Acculo. Egl. Vi.
1 37-Qu-fti compagai del rapace gracculo
i^p.Purcb' abbian le man piene all'ali
facculo .
A e E R A . EgL VL
1 1 .Tal piage del mio mal»che poi mi ìac
1 ^.L'invidiajfigliuol miojfe ftefla micei
15. Che non gli giova obra di pino,od'ac
Acero. EgL L
50. Che di federmi ^olo a pie d'un'acero
52. Che pélàdo a colei che'I cor m'ha la( i
54 Né fento il duol , ond' io mi ftru )
e macero .
A e H E s I . EgL XIL
194. A Filli mia, gridavamo Cloto,o Lacht
i96.Mora gli armcnti>s per le feive vach
198. Pc
RIME SDRUCCIOLE. 51?
^S.Poicheèpur ver, che '1 fiero Ciel non
plachefi .
A e I T o . Egl. I.
I. Ergalo mio, perchè folingo , e tacito
^.Le pecorelle andare a lorben placito.
A e o L o. Egl. Xll.
32. E depon qui la pera.il mantoje'i bacolo;
34'Quinci fi vede ben (enz'* altro odacelo .
36.QUÌ Diana ti lafcia l'arco , e '1 jacolo •
A G R I M E . Egl. XII. (me:
61. Poi che Filli t'ha porto in doglia» e lacri-
64.Duaque,amici paftorjciafcun confacrinie
66.E chi altro non può > mecocoliacrime*
A D I A. Egl. X.
58. Certa l'arte Febea con la Palladia »
40. Ma a guifa d'un bel fol fra tutti radia
42. Non troverebbe il pari in tutta Arcadia»
A G I M E. Egl. XII.
52 Ove più rutta al ciel la gran voragine ,
54. Veder mi par la mia celefte immagine
56.Tener l 'orecchie intére alle mie pagine»
Alami. Egl. XII.
^o. Filli , Filli , gridando tutti i calami,
52. Or non fi moff'e da' fuperni talami
54. Tanta pietà il tuo dir nel petto efalami.
Alidi. Egl. VI.
44.Ufcir vivo da' cani irati , e calidi ;
46.E1 be,e pietre moftrofe, e fughi palidi,
48. Magici verfi aftai polTenti , e validi .
A L L I D A. Egl. Vili.
lOve si fol con fronte efangue , e pallida
3 Co chiome irrute^e co la barba f luallida?
A L T A N o. Egl. VIII.
140. Che per tema de'lupi,che le aflaltano,
i42.\edi le valli , e i campi che fi fmaltano
;44. Intorno ai fonti i paftor lieti falcano .
A L-
:5M TÀVOLA DELLE
A L V A N o . EgK XIL
227. Poi mi (i moftra,o Filli, fopra un'alva
lig E à'iCQ'.E eco che i tnont' giù fi incalvano
2^ I .Qu:\l'' ombre y 0 qua'*Jifefe omii v* fahanc
Alzati. E^,I. XU.
19.1 1 fu quel pinife vuoi vederla^ or alzai
31 Ma per miglior fall rvi, prima fcaizati ,
3}. E con uà (alto poi ti apprendi, e sbalza
Amano. EgU VI.
122. Gii è primo Tonno, e tutti Cacco il chi
mano , (ma
1 24.0h oh, quel Cacco. o quanti Cacchi br
126. Che per un falfo mille buon s* infamar
Amavi. Egl. Vili.
pi.Vcnite a quel che ad alta voce chiam r
94 Corretelo fiere,a quel che tanto brama'
96 Di quel che con fua morte tutti infami
A M o L A . Egl. L (mo
92. Che notte e giorno al mio foccorfo chi
P4 Bcjn fanno quefti bofchi quant' io amol
96.Ch*ogn'or piagédoe fofpirandobramo
A M P A N E . Egl. X.
56. Per non trovar pàftura;e delle pampan
5S LafìTo , ch'appena di milP una campan
6o.Che'l cor per doglia fofpirado awapar
A M P I N o . Egl. XII-
i76.Eqmlearbuftofenza vite, o pampino,
178. Dunque elTer può, che dentro un cor
ftampino
i3o E del h'co già fpeato i fenfi avv3mpia{
Ancia. Egl. X
155.EC0I tridente urtarli in fu laguincia
156 Li donna, e la bilancia è gita al cielo .
Ansine. Egl. XIL
zSt.Ovq tu pafca,e mai p^er vento,o grandi
289 Qui fovra l'erba frefca il manto fp^dir
«9i.FurfeipetricheMCiel la grazia madin
An-
RIME SDRUCCIOLE. 52^
A N D O L A . Egl XII.
i.Con la fua Filli, e (ìarfi in pace amandola;
3 Solca fpeflTo per qui venir chiamandola :
5. Con incenfi fi (la Tempre adorandola .
A N D o s I . Egl. Vi.
4.Givan di prato in prato rammentandoli
"6 Non era gè lolla , ma follazzandolì
{.E*n guifa di colombi ognor baciandofi •
A N G A N E. Egl. XII.
yCh' io non vi feriva F/7//, acciocché
piangane (gane,
^E feawerràjch'alcun che zappe, o man-
;).DoIente)eftupefatcoal tìn rimangane .
A N G A S I . Egl. VI.
j.Così'l veggia cader d'un oImo,e fragafi,
i..Tu fai la via che per le piogge affangafi:
..Quel,che tal viva, che lui dello piangafi.
A N G E R E. Egl. VI.
».Di male in peggio;e delti pur copiagere
.Quand'io appena incominciava a tagere
».Con Paiinel portando il grano a frangere.
Egl. Vili.
.Che non $' acquila libertà per piangere:
.E poi comincerai col raftro a frangere
.Che le crefcenti biade fuol tant' angere.
Egl. XII.
.Per poter a mia porta in quella piangere;
.Mille ne fon che qui vedere , e tangere
.Ma deliro n^l toccar,guarda noi fiagere»
A N G u L o . Egl. Xll.
Verran pallori a venerar queft'angulo;
.E leggcran nel bel fallo quadrangulo
..Per cui tanto dolor nel petto ftrangulo .
A N I A. Egl. IX.
•Quella tua greggia, ch*è cotanto Urania»
.Dimmi , bifolco antico , e quale infania,
■ Ponendo fra' paftor tanta zizzania ?
A N i*
526 TAVOLA DELLE
Ante. Egl. VL
77. L'umana vita ; e non eran zizzanie»
79.Non fi vedean quefte rabbiofe infanie
Xi.Percheconvienche'l modo or fi dilan
Anima. Egl. VI. (n
1 1 6.Che s'io moftrafli quel c'ho dentro Tar
ii8. Tacer vorrei, ma il gran dolor m'inanii
iio.Oimè,ch'a nominarlo il cor fi efanim:
Annosi. Egl. L
ii.Fan Jegran prede» e i can dormen
ftannofi »
ig.Già per li bofcbì i^aghi uccelli £mn
i5.Le nevi, che pel fol tutte disfannofi .
Egl. VIH.
20. E i Satiri , e i Silvani defterannofì
22.E poi per mano in giro prenderanncfi
24.E mille canzonette ivi udirannofi .
A N T I e I . Egl. XU.
256. Per veder Melifeo, poiché i Tuoi cant
238.Ben fai tu,faggio,che coi rami amanti
240. Ti parve di fentir foifioni, o mantici .
A N T I NO. Egl. XII.
275. Udendo Melifeo per modo il cantino ;
277. E che i paftordi Mincio poi gli pianti
279. Ancorché del granTjtiro fi vantino
A p o L I. Egl. XIL
1 1 3. E cangiar raftri, ftive, aratri, e capoli
1 1 5. Dunque > mifer , perché non rompi
fcapoli
117. Poi che Napoli tua non è pili Napoli ?
A p p o L A. Egl. vin.
iig.La dura terra , e fterperaì la lappola
150. Io con la rete uccello , e con la trappc
131. Alla m.il nata volpe, e fpetToincappol
A R e E R E . Egl. XIL
191. Non vide mover mai lo avaro carcen
^9^0 Atropo crudel > poterti parcere
195' Deli
RTME SDRUCCIOLE. 527
Deh confcrntlte ornai ch'io mi difcarcere»
Ari co. Egl. Vf.
.Quantunque 5 Opico mio , fii vecchio»
e carico
.Deh piangi or meco, e prendi il mio
rammarico. Egl. Vili.
.Clonico miojfentendo il tuo rammarico,
.E s* io le leggi al tuoSignor prevarico,
.Che vivrai lieto, e di tal pefo fcarico.
Ario. Egl. Vili.
.In vitaje'n morte in un voler non vario.
.Sovra un grand'olmoierfera , e folìtario
.Ed a me folo é il Cicl tanto contrario .
A R N o s I . Egl. Vili.
.Due tortorelle vidi il nido farnofi :
.Quand*io le vidi oimé sì amiche ftarnofi,
.Ch'appena in terra i pie potean fer-
marnofi .
A R o N o . Egl. X. (no
.Pdftor mal ter poi chiaro,e mei moftraro-
.Indi incantar la luna m' infegnarono ,
. Alfcfibeo, e Meri fi vantarono .
} A R o s I. Egl. xri.
.Lafciar quei Tanti pie , quando fermaroiì
r.E forfè i fior che lieti allor moftrarofi ,
'.Dell' alta vifion eh' ivi fognarofi .
A s e A N o. Egl. I.
[A dolci nidi , e d' alti monti cafcano
'.E par che i fiori per le valli nafcano ,
f.Eipuri agnelli per l'erbette pafcano .
A s e E R E . Egl. VI.
Menar le pecorelle in felva a pafcere ;
{.Non fi-^jotea l'un'uo ver l'altro irafcere:
;.E Copia i frutti fuoi fempre feanafcerc*
Egl. IX.
!. Dimmi, caprar novello,e non t'irafcere ,
ii»Chi te la di^ sì follemente a pafcere.? •
5-i« TAVOLA DELLE
Egl. XII.
203.1ngrato foI)pcr cui ti affretti a nafcei
205.Ritorni tu y perch' io ritorne a pafce
207.0 perchè piiì ver te mi pofl'a irafcere
Ascino. Egl, IL
49. Né perdoncapra perchè fuor la lafclr
51. A' loro agnelli già non noce il fafcin
53.EÌ aoftricol fiatar parche s'ambafcii
Egl. VL
14.E fi dilegua come agnel per fafcino ;
16.11 pur dirò, cosigli Dii mi lafcino
18. Prima che i mie ti cor le biade affafcin
Ascoli. Egl. I X.
25. Ecco una pelle , e due cerbiatti mafc
25. Pon pur la lira j ed io porrò duo vafc
27«Chequefti armenti a mia matrigna ]
fcoli .
A s I M o. Egl. Vili.
^6. Vinti di doglia fi daranno ii biafimo ,
iS.Laflb che*n ciò penfado ogn'ora fpafin
^O.Mtrci del del , dalgran ptriglio evafw.
A S P £ R o . Egl. XII.
5. A Meiifeo venir fato tant'afpero ?
7.Queirè fol Ja cagione ond*Jo mi efafi
9. E via piiì dentri al cor m' induro ;
inafpero ;
A -s P I D E . Egl. XII.
a 67. Avrei poter di farpi^tofoun'afpide :
169. Ne grifo ebbe giammai terra Ari fmapi
171. Non defiaile un cor di dura jafpide .
A s s A N o. Egl- 1.
z.Penfar ti veggio?oimè,che mal fi laff'a
4. Vedi quelle che*] rio varcando paffan
^.Come in un tempo per urtar s'abbafiTat
A s s 1 M I . Egl. XII.
»i. Filli, nel tuo morir, morendo Jaflìm
ji^.Quefta pianta vorrei che tu mofiraffnr
roi-
RIME SDRUCCIOLE. sig
5 Forfè a dir le mie pene oggi incitailìmi.
A s s I N o. Egl. X.
ify.Così prefe a cantar fotto un bei fraflìno »
if9.Provveda ilCiel, chequi ver noi non
paflìno
5:i.Fra quefti armenti refpirar mi laiTìno .
A s T I e o . Egl. VITI.
.9.E che ti fan di e notte andar fìntadico ;
I. E pria eh* io parlo > le parole maftico.
Astino. Egl. XII.
.>9.Che del bel colle , e del forgente palino
Ji.Ma prega tu che i renti non tei guadino i
.jg.Pur che a falir fin fu l* ore ne badino .
A T A N o . Egl. Vili. (nO|
55. Ch'io fui per appiccarmi fovra un plata-
.57. A quanti crror gli amanti orbi non gua-
tano!
59. Tanto a ciafcun le fue fciocchezze ag-
gratano.
A T E s I . Egl. XII.
7i.E perchè la lor fama più dilatefi »
74.Tal che faròche'l gran Tefino,ed Atefi 9
76Che Filli il fenta^ed a fé ftefla aggratefi -
A T I e o. Egl. IX.
44«G uarda le capre d' un paftor erratico .
46.Corbo malvagio, urfacchioafpro, efai-
vatico9
48.Che trafportar fi fa dal cor fanatico .
A TORÀ. Egl. X. ^
50. Malvagie lingue , e le benigne fatora
51. leene, vaccarelle, in quelle pratora;
j5H«Ciafcuna a cafa ne ritorne fatora .
A T R I A . Egl. X.
90. E tienlo a forza nell' ingrata patria ,
^i.Verrcbbca noi , lanciando 1* idolatria»
94.Fuor già d' ogni natia carità patria .
Toff. U Z Ava-
5^0 TAVOLA DELLE
A V A M I . Egl. VI-
59. Da terra i primi rami^ed addeftravami
61.11 vecchio padre miojcbe tato amavami
•i. Con amiche parole a fc chiamavami ;
A V A M o . Egl. VL
45 .Ivi s'afcole quando a cafa andavamo
25 .Neffun vi riguardò , perchè cantavamo
a 7. Al noftroalbcrgo,quadoal focoftavam(
A V A N o . Egl. VL
68.1 tépì antichi , quando i buoi parlavnnc
70.Allora i fommi Dii non fi fdegnavano
72.E5Com'or noi faccmo 9 efli cantavano .
Egl. X.
1 ?4'Che fé col tempojC col poder s'aggravane
I S6.C0SÌ cantava > e i bofchi rintonavano
i8?.In Parnafo 5 o in Euroca s*afcoltavano.
A V A s I. Egl. VL
53. E di ferpente in tigre trasformavafi >
Sj.Or vedi,Opico mio,feM mondo aggrava
57«Penfando al tempo buon ) che ognord(
pravafi .
Egl. XIL
icj.E'l Tebro al nome tuo lieto inchinava^
icp.Morta è colei ch'ai tuob?l fonte ornava!
III. Onde tua fama al ciel volando alzavafi .
Avide. Egl. VIIL
ig7.L*amorore (peranze, ardite, ed avide »
I g9.0r Ipcnfa alquanto alle tue capre gravid
Mi.Fuggon da' cani più che cervi pavide .
A z I A. Egl. VIIL ^
iifi.Ed odia quel crude! che sì ti ftrazia ,
118. Allora il noftro Pan colmo di grazia 5
i2c.Tal che la mente tua ne fia ben fazia •
Azio. Egl I.
^o.Che di ferir non è mai ftanco , o fazìo
22. Progne ritorna a noi per tanto fpazio
24*A lamentàrfi dell* antico fttazio .
Ei-
PJME SDRUCCIOLE. 5?t
E B B E s I. Egl XII.
\^.Ahf9*berg a tal duelo il mal d^vribbef ^
•ó.Latortorellach' al tuo grembo crebbed,
.8. Secco; eh' in verde già non pofercbbefi.
E e o L I . Egl. XII.
o.E preponea il tuo fondo a tutti i fpecoli:
2. Or vedrai ben pafTar (lagioni , e fecoli ;
4. Pria eh-! mai sì bel volto in te fi rpccoli •
E e o L o . Egl. X.
5 .E gli ombrati coftumi al gu ido fecolo >
Ed è fol di virtù si chiuro fpccolo,
7. Degno aflai più ch'io col mio dir non
recolo .
E e o R E. Egl. XII,
)5.Una agna dare a te delle mie pecore,
)7.Non cofcntirjo Cicl ch'io mora indecoref
)9.Par che mi fpolpe, rnerve,e mi disjecore.
E D A N O. Efil. IL
72.0 che fian erbe, 0 inca -tiche poffedano;
;4. Ai greggi di coftor lupi non predanoi
jfi.Ch'a noftre miadre per uran.-!a ledano?
Edere. Egl. IX.
i.Che mila lingua non t'avelTe a ledere :
^.Anzigiicl vinfi > ed ei noi volea cedere
5.D'Erg''(lr),che mi ornò di mirti>ed edere:
Edio. Egl. Vili.
.6.Clonico dolce; e non ti vinca il tedio;
48 Caccia i penfieri , che t'han gà pofto
afTed'o 9
o.Che al mondo mal non e fenza rimedio •
E D o N o . Egl. I.
:i. Filomena» né Prog ie vi fi vedono:
;4.PrimiV(.rai e Tuoi dì Der me non ricdonaj
:6.Ma folo pruni,e(lecchi,che 'I cor ledono»
E G G I A N o . Egl. I.
i6 Dc'paftor che contado all'ombra feggiano j.
4. Or poi cheo nulli, o pochi ti pareggiano
Zi 30. Deh
Sii TAVOLA DELLE
3o.Deh canta ornai i che par che i temp
chieggiano.
E G N I N o . Egl. X.
II. Dal fcfio,e co vedetta ai buoni infegnit
13. E s' una volta avvien che fi difdegninc
15. Che di tornar al ben pur non s'ingegni
E L E B R E . ^^Egl. XIL
254. Anzi perchè ognor più ti onori, e celel
256. Onde con quefto nrjiodir non incelebre
258X3 fepoltura tua famofa , e celebre.
Elia. Egl. IX.
50. Fuggito é dal roraore Apollo, e Deli i
52, Oggi qui non fi canta 5 anzi fi prelfa ;
54.Cominci.i , ElencojC tu rifpondi,OfeI
Elice. Egl. VI.
5oIn vento, in acqua,in picciol rubo,o feli
52.Queft' è Proteo , che di cipreflo in clic
54.Efeafiorhove,orcaprajorfiume,orreli(
Egl. X.
166. Vivon color fotto Boote , ed Elice;
168. Già mi rimembra , che da cima un* eli(
ijo.Che '1 petto mi fi fé quafi una felice .
E L L E R E. Egl. X.
181. Di male piante , e non tardate a fvellei
183. Tagliate tofto le radici all' ellere ;
185. Non lafceranno j pini in alto eccellere
Emina- Egl. Vili.
8. Or cerchi lecittadi, ove Amor gemi
ic.Nell* onde folca 5 e nell'arene femin
12. Chi fue fperanze fonda in cor di femir
E M I T o. Egl. XII.
i55.Sederfi e con diletto in quel gran fre
157.0 la(ro50 dì miei volti in pianto,e gemii
i59'E per quell'orme ancor m'indrizzo ei
femito •
E N A-
RIME SDRUCCIOLE. 533
E N A LO- Egl- X. ^
7 Con note quai 116 fo s'un tempo In Menalo
9.E,fe non folfe che *1 fuo gregge affrenalo>
i.Chea morte deiìar (pefTo rimenalo)
E N D E R E . Ecl. X.
).E i borchi ai'quai sì fpeffo è dato intendere
i.Ma Tempie (Ielle ne vorrei riprendere >
3. Si ratto fer dal ciel la notte fcendere ,
Egl. XII.
3. Potrò cantar ; che farlo qui difcendere
5. Io vorrei pur la viva voce intendere ,
7'Onde s'io pecco in ciòjnon mi riprendere*
E N D o L A . Egl. Vili,
e. Se qu fta è vita o morte, io no coprédolaj
z. Pur mi fi para la fpietata Amendola
4.La trifta Filliefanimata » e pendola.
E N D o L o . Egl. VI.
8.1 '1 fo che '1 pruovo , e col mio danno in-
tendolo,
0 Ed io per quel che veggio acor copredoloj
2. In comprar fennojc pur ancor no vendolo»
E N D o T I . Egl. XII.
Q.Quante fiate ai Tuoi fofpir movendoti ,
i.O Mi!ifeo, lanette e'I giorno intendoti>
].Nei pectojche tacendo ancor comprédoti.
E N E B R E . Egl. XII.
.9. Sappi che gli occhi ufati in pianto , e
tenebre ,
I. Ovunque miro,parcheMciel fi ottenebrej
g.E'or cagion ch'io mai non mi dirtenebre.
E N E R E. Egl. I.
7 Ed ogni ramo abbia le foglie tenere >
9 L'arco ripiglia il fanciullin di Venere >
■i.Di far delle midolle aridacenerc .
z i^ m.
554 TAVOLA DELLE
Egl VI.
ioiU*fon or quelle genti?oimè fon cenere
103. 1 lieti amanti , e le fanciulle tenere
105.11 foco,e P arco del figliuol di Venere .
Egl. VIIL
a3.Dircinti j e fcalzi fovra l'erbe tenere j
a 5. E '1 fier fanciullo, e la fpietata Venei 1
27. E non potran goder della mia cenere •
E N E R I. Egl. XH.
S9.Mergillina gentil i che sì ti inceneri
$1. Antiniana , e tu perchè degeneri ?
9?. Quei mirti che furg)à si molli e teneri
f-, w 1 o. Egl. VIIL
jij. Prendi il configlìodel tuo fido Eu.seni
inAma il giocondo Apollo, e'I facro Gen
ii7.Ch'è danno in gioventù, vergogna al fen
Egl. IX.
29. Ch' io non ti fcopra : or ecco il nod
Eugenio:
31.I0 vo Montan , ch*è più vicino al feni
j^.Né credo eh' bibbia si fublimc in genio .
E N T A M I . ErI. Vili.
Só.Per Dio queft* alma liberar confentami
88.0 terra tu che puoi > terra 3 contentan
.90. Sì che uom mai non ne trove orma >
Tentami .
E N T A N o. Egl. II.
46. Tn ]atte,e'n lane^e d'ogni tep ) aumérat
45^-N: mai per neve il Marzo (i fgomcntai
50. Così par che li fati al ben confutano •
Egl. VIIL
44.Se noftri affanni un fumo al fin diventar
46. Dunque? è ben tepo ornai» che fi rifenta
48. Nel fango onde couvien ch'ai fin fi pe
caHO •
£&L
RIME SDRUCCIOLE. ^35
Egl. XII.
)2. Perchè rufchi pungenti in te diventano
M- Dimmi , Nifida mia ; cosi non Tentano
)6.Nè Paufilipoin te verrirconfentano;
E p I D I . Egl. I.
jS.E veggio, quando i di fon chiari e tepidi •
^o.Perifca il mondo>e no péfar ch'io trepidi^
4i-Ghe'I cor s'adempia di penficr più lepidi.
Egl. VI.
? j. Per bofchi ,0 Ci prendea la morte intrepidi,
8 5. Non r'ofchi o freddi, ma lucenti e tepidi
89. Ma vaghi uccelli dilettofi e lepidi .
^ Egl. xn.
^i. Luoghi un tépo ai mio cor foavije lepidi .
5g O Cuma ,0 Baja , o fonti ameni,e tepidi ,
35 Che'] mio cor di dolor non fudi,e trepidi.
E p u T A. Egl. Vili.
ii.La cara zappa, e pianterai la neputa ,
14 E'I tempo fol in ciòdifponi e deputa ;
16. E tanto è mifer 1 uoni,quant'ei Q reputa.
E au I E. Egl. Vili.
47. Gli fpirti tuoi fepolti anzi l' efequie 9
49. E s* a te (leiTo non dai qualche requie j
51. Non può gioir, ragion è ben che arrequie.
E R D E s I . Egl. XII»
ij.E '] mjndodcl mio mal tutto rìnverded :
iij.Se nel paflar di Lete amor non perdefi .
Erga no. Egl. Vili.
. i4.C>e' paftor neghittofi fi poftergaiio ;
1 36.C0SÌ convien eh' a! tutto fi difpergano
138. Che nelle menti femplicette albergano .
Ergasi. Egl- I.
44-1 fier giganti in Flegra;e poi fommsrgad
4^- Come vuoi che'l protrato mio corergaft
4SGh'io fpero che fra'^ lupi anzi difpergafi ?
Z 4 £&<
136 TAVOLA DELLE
Erg ole. Egl. XIL
aGg.Barciniomio, traquefte bafie pergoh
27i.Summonzio j io per li tronchi ferivo ,
vergole ;
173. Per loogiaqui paefi ancor difpergole .
E R I A. Egl. X.
62. D'alcun Tuo bene in quefta vii miferia
^4.1 bifolchi , e i paftor lafcian* Efperia 5
66. Che '1 duro tempo glie ne dà materia •
E R 1 T o. Egl. XIL
3io.Ma fé 'i pianger in Cielo ha qualche m
rito
321. Io piango,© Filli, il tuofpietato Interitc
314. Deh penfa,pregojal bel viver preterite
E R M I N E . Egl. VIIL
38.11 qualjpoi che fi vede giuntoal termini
40.C0SJ quando vecchiezza avvien che tei
mine
42 .Vergogna» e duo! convien , ch'alcol
germi ne • I
E R M I N I . Egl. VL
74.1 campi eran comuni, e fenza termini
76.Non era ferro,iI qual par ch'oggi termit
78.0nd' avvien ch'ogni guerra > e mal
germini .
E R T I e E. Egl. XIL
Só.Le fpalle fae con l'uno e l'altro vertice
S 8 . Ma chi verrà che de'tuoi dafii accertici
90.E i lauri tuoi fon fecche,e nude pcrtice
E R u L E. Egl. XIL
2 1 8. Sento la lira dir con voci querule :
22o.Talor veggio venir frifoni , e merule
iZi.Voi meco , 0 mirti , e voi piangete , 0 ferule
Espilo. Egl. XIL
17. A tua porta potrai: cerca in quel nefpilo
19 Quel biondo crine , o Filli , or non in
crefpilo
ai. Ma
RfME SDRUCCIOLE. 557
i.Ma dtl mio lacrimarlo inerbi , eincs-
fpilo .
£ T E M I . Egl. Vili.
4. Cantando al mio fepolcro'.allor diretemi:
6.E forfè alcuna volta moftreretemi
8.E 'ndarno al fordo faflo chlameretemi .
Etera. Egì. VI.
7.Movean i dolci balli a fujn di cetera j
9.0 pura fede , o dolce ufanza vetera •'
I. Tanto peggiora più, quanto più invetera.
Etere. Egl. X-
i-i.Caraccioljche'n fonar fampogne,o cetcre
f^.Coftui non imparò potare , o mietere •
•5. E paiFion fanar maligne , e vetere .
£ T T A M I. Egl. xn.
.3. Filli deh non fuggir eh' io feguo ; arpet*^
tami ,
i5 Dir non potrei , quanto l'udir dilettami ;
•7.Quantuiiqu? il mio bifogno altrove af-
frettami .
E T T A N o . Egl. IL
p Uranio mio ; e già i compagni affettano j
i.M ontanoji miei compagni non fofpcttano
r4.Nè credo che di me penfier fi mettano .
E V A N o . Égl. X.
71 Non già per aurea età,ghiande pafcevano
7j.Vivon di preda qui , come folevano
^j.Deh ch'or non mi fovvien qual nomeave-
vauo /
E V o L E . Egl. VI.
92.Edi balfìmo, c'ncenfo Ucnmevole,
94.CÌ ìfcun mangiava all*ombra dilettevole
96.0 dolce tempo , o vita follazzevole '
E z z A N o. Egl. Vili.
óS.Coldefiodel morir la vita fprezzano;
70. E pria mutano il pel , poi che s* avvez-
zaao }
Z 5 7i.E^
518 TAVOLA DELLE
72. Ed un bel guardo più che un gregge ap
prezzano .
E z z o L I . EgL XIL
7i'E ratto diventar forba i e corbezzoli:
7^E fé per inneftar li incido > o fpezzoli ,
75«Che moftran ben , che nel mio amaro av
vezzoli .
I A D I. Egl. Vili.
i7.Sen2a'I mio cantOjtal che Fauni,c Driac
19 Le Naiadi , N.ipee , ed Amadriadi ,
21. Per me dal lungo Tonno > eleTefpiadi
Egl. X.
loiO Satiri , e Silvani , o Fauni , e Driadi
lOi.Njjadi, ed Amadriadi, oSemidee»
I B E R I . E-1. VIIL
19. Sarà mai dì, eh' io polla dir fra' liberi,
51. Di (late fecchi pria mirti , e giuniberi
33. Che tu mai impetri quel che in vaa deli
beri.
I B I L E. Egl. VI.
41. Che fnutando ere volte fu invifiblle
:43«ChefeI vedea , di certo era impofllbile
45'Ove non vai che 1* uom richiami 0 fibib
r B I L I . Egl. XH.
242. E SI filli mi ftan gli accenti » e i fibili
144. Deh fé ti cai di me, Barcinio, fcribil
246 L' un'arbor per pietà con 1* altro allibili
I e A N o . Egl. Vf.
115. Per quello bofcolancorchè i faggi dicano
I27. Quanti neir altrui fangue fi nutricano
12^. Tal che i miei cani indarno s'affaticano.
Egl. xn.
233E* par che i tori a me muggendo dicano
^35'Con gran ragion le genti s'affaticano
2i7'Sò ui}Che ancor nei falli amor nutricati
lei*
RIME SDRUCCIOLE. 539
I e E M I. Egl. xir.
MimoHra in fogno entro i begli occhi >
edicemi :
E mentre ftarcon lei piangendo licemi>
-.Si cocenti fofpirdal petto elicemi,
I e I o. Egl. Vili.
95. E voi , paftor, piangete il trifto eficio
97. Voi ulerctc in me il pietofo officio ,
99*Che fu nel mondo di mia morte indiclo •
Egl. IX.
14- AI cantar mio , fchernendo il buon giu-
dici©
16. Cantando tu 'I vincefli ? or con Gallcio
18. Come agnel eh' è menato al ficrificio?
I e o L A. Egl. XII.
'ngé.PQt notar de' Tuoi gefti ogni particola ;
^98. Poggiamo or fu ver quella facra edicola ;
joo.Ei fo!o é il facerdote , ed ei l' agricola .
I e u L I . Egl. XII.
pS.Abitatadalepri, edacuniculi?
100. Non veggio i tuoi recefli , e i diverticuli
IO Dove temprava Amor fuo'ardenti fpiculi?
I D A N o . Egl. XII.
i04.Morir vedrai di quel ch'in te s'afiidano •
ic6.Lì(ì'q y già ti onorava il grande Eridano ì
ic8.0r le tue Ninfe a pena in te fi fidano •
I D E R E. Egl. VI.
ii3.C!h'lo vi ripenfo , Cento il cor dividere
115. Deh , per Dio , non mei dir , deh non
mi uccidere;
II 7. Farei con le fue felve i monti ft ridere •
Egl. Vili.
7iChc rautia voglia ; tal che undolceri*
dere ,
73.Talor per ira o fdegno volno incidere
75. £ con amor da fé i* alma dividere .
Z 6 £gl.
540 TAVOLA DELLE
Egl. IX.
17. Non udì io già Ja tua rampogna ftridere i
IO Catiamo a provajc lafcia a parte il ridere J
ii.Montan potrà uoftrequeftion decidere. 1
I D E R o . EgL L
41.M a attendo fuaruina, e già confiderò ,
43*Caggian baleni , e tuon quanti ne viden *
45. La terra e '1 ciel, eh* io già par me il de
fiderò .
I D I e I . Egl. X.
z6, Cerca P alta cittadg ove i Calcidici
iS.Quefto non intes'io, ma quei fatidici
30. Tal j eh' io gli vidi nel mio ben veridici
I D I E. Egl. n.
SQ.Neflun fi fidi nell* afiute infidie
4i.Eciò n'avviene per le noftre invidie .
Egl. VL
5. La M^ è morta , e regnano le 'nvidic 9
7.Regnan le voglie prave > e le perfidie
9'TaI che'] fi^l uolo al padre par che infidic
Egl. Vili.
131. Per non marcir nell'ozio, e tendo Infidi
i^^.Cosi fi fcaccia amor ; cosi le invidie
i35-Cos]fi fpregiail mondo, e Tue perfidie
I F E R E. Egl. VI.
89. Atri aconiti, e piante afpre, e mortifere
pi.EraalJpr piena d' erbe falutifere >
9J.DÌ mirr'tf preziofeed odorifere .
I F I e o. Egl. XII.
35. Filli , quefi'alto pino io ti facrifico ;
?47.Quefto è l'aitar che in tua memoria edi
fico;
29 In eh* io piangendo il tuo bel nome am
plifico .
t G I D A . Egl. I.
9r.La paftorella mia fpietata e rigida ,
93.E (la fupcrba 3 e più che ghiaccio frigida
RIME SDRUCCIOLE, su
Egl. XII.
.Il titol che a tutt'ore il cor m'infrigida ,
.Quella che a meliseo sì altera ,
E RIGIDA .
r.Sl STA SEPOLTA IN aUESTA PIETRA FRI-
GIDA.
1 G I D E . Egl. X".
: Deh perchè non troncate,o Parche rigide,
.Paftor , la noce 5 che con 1* ombre frigide
(.Pria che per anni il fangue fi rinfrigide •
I e L I A s I. Egl. Vili.
5 Chi prede il cieco in guida, m ti cofigliafi:
7'Queila vita mortale al di fomigliafi ;
9 Picndi fcornoalPoccaforinvermigliafi .
I L A R E. ^ Egl. XII.
>.Quel giorno, o patria mia j eh' allegro ed
ilare
.Or vo che '1 Tenta pur Vulturno , e Silare )
3. Né cofa verrà mai che '1 cor mi ciliare ;
I M I T E. Egl. XII.
o E poi corri a chiamarlo in fu quei limite ;
i.Più collo ( fé vorrai che 'J finga ed imite )
4.Legg!er non è , come tu forfè eftimite .
I M u L A . Egl. VI.
8. Per la roba mal nata j che gli ftimula ,
o.Tal ride del mio ben > che '1 rifo fimula :
2. Dietro le fpalle con acuta limala.
I N A T I . Egl; XI I.
.1 Ma tUjfe'l pili bel luogo il Ciel deftinati,
rjVer noi più Tpeflo omai lieta avvicinati ;
fS'àrbor di Filli io fon ; pajìon , indi/tati .
I N I 0. Egl. VI.
p.Ch'io tei pur dica: or fai tu quel Lacinio ?
il. Quel che la notte veglia , e '1 gallicinio
•3 Perocché vive fol di latrocinio.
In-
542 TAVOLA DELLK
I N S E M I . Egl. Vili.
6i.Se refpirai non fcmi il duol si avvinfei i
C4.Dirono,otaccio?jntàto il duol f fpinfei i
66.Ed Ili innanzi a'^ìì occhi Anur dipinfei
I p E R o. E^i xn.
J. Incontra 'I Cielo: anzi mi indrago
invi pero,
lo.Péfandoaquel chefcrinTein ungiunipe
ii.O dolor loninio,acui null'altro equipe
I p I T E. Egl. XII.
44* E vedrai fcrittoun verfo in fu lo ftipit i
4ó.pr che dirai , quand' ei gittò precipita
48/E per ferirfi prefe il ferro ancipite ?
I R o L A. Egl. XII.
isS.Dove viva la amai , morta fofpirola ;
160 II giorno fol fra me contemplo , e miro
161 Tal che fovente in fin qua già ritirola .
I S e E R E. Egl. Vili.
Sp.Tranghiotti il trillo corpo in le tue '
fcere ,
91 O folgori , che fate il ciel tremifcere ,
93*Evuol5 fé può, di difamareaddifcere
Egl. XII.
182. Tremar non fi fentide entro le vifcere
184. E' ti parrà che '1 ciel voglia dehifcere,
186.E che pietà ti roda , amor ti fvifcerc :
I s E R o. Egl. Vili.
50 Che fpene aràn gli ftranj?e (c^ì cor mife
52.Quante fiate del tuoerror forrifero
54»Quei corfer per pietà , quefti s' alfifcro
Egl. XII.
2 Quand' d fc riffe in quel faggio . VfJi
miferé ,
4 O pietà grande/ equalìDIl pernii fero
6.Perchè di vita pria non lo divifero ?
^ isi.
RIME SDRUCCIOLE. j4j
I s I M I. Egl. XII.
.Qui cantò Melifeo , qui proprio affi fimi
.Fidi Filli morirt , e non ucalìmi ,
I s s E L o , Egl. X.
.La finiftra cornice I cime, predicelo;
Lado , che la temenza al mio cor fiflelo ,
;.Chc la Sibilla neìle foglie fcriflelo .
Issimi. Egl. XII.
E la notte la chiamo a gridi altiflìml ;
j. Sovente il dardo ond' io fteifo tratìlTìmi 9
y.Euo ilrtmtdto àe'' tuoi pianti afprijftmi ,
Issiti. Egl. Xll.
5. Tutte l'oudein un punto, ed inabiliti;
^'.Quefto dolore , oioiè , pur noa prediiliti
e. Tante lode cantando in carta rcrifliti .
I s T u L A. Egl. XII.
I .Non Tenti or tu fonar la dolce fiftula ^
}.I tuoi capelli ) o Filli, inunaci^luU
5.11 cor mi paffa una pungente ariftula •
Itera. Egl» XII.
5 Se fentrai lamentar quella fua citerà j
7. La qual mentre pur Filli alterna , ed
itera ;
'9.0gui altra melodia dal cor mi oblitera .
I T i e o . Egl. X.
f5j.De' noftri campi il defiato tritico ;
i5.Tal che aflai meglio nei paefe Scitico
67. Benché con cibi alpeflri , e vin forbitico .
Itimi. Egl. XII.
65.Verfi fol di dolor , lamenti , e ritimi ;
67. A pianger col iuo pianto ognuno incitimi,
69. Benché M mio duol da fé di e notte invi-
ami •
ItU"
544 TAVOLA DELLK
I-T U L A. Egl. XII.
i37*Qua{ì vacca che piange la Tua vitula »
i39.Njn vedrò mai Lucrino , Averno y
Tritala ,
141 .Valle che dal mio fogno ancor s' intitul
Ivano- Egl. VL
80. Le genti li igarnon fi leativano ;
b2.T vecchi quando al fin più non iifcivano
84 O con erbe incantate ingiovanivano .
I V E R E . Egl. X.
196 Che ade na il monJoeol fuo dritto viver
198 Bj Ita terra che 'i produfl's a fcrivere ,
200. Rime, achi'Iciel non potè il fin pr
feri vere '
Egl. xn.
278. Un bel lauro io memoria del fuo fcriver
aSo. Degno fu Mchfeo di fempre vivere
282. Ma chi può le fue leggi al Ciel pri
fcrivere?
I V I D o , Egl. Xll.
74.M:indan fugo di fuor sì tinto e livido ,
76 Le rofenoa han più qu^i color vivido ;
72.D4Ì qu.ii per tanto fp^zio oggi midivid(
I z I A. Egl. VI.
52. Per giuftjzia pote'Ii : or che giuflizia ?
34.Daecapie, e duo capretti per malizia
36.51 fignoreggia ai m^uJo i' avarizia .
I z I o. Egl. X.
iió.Chedi Arjtil, né di Maggio hai Gcrifizi.
ii7-iVIa s*un e- mmette il vizio,e tu noi regg
O B I L E . Egl. IX.
32..Che qucft j tuo paftor par troppo igne
bile ,
54. Vienne all'ombra, Montan cheTaui
mobile
56. Nota il noftro cantar jqual è pìh nobile
RIME SDRUCCIOLE. 545
Egl. X.
.E ciò che in arte maga a ftempo nobile
-.Né nafce erbetta sì filveftra » ignobile >
.£ quale (Iella è fifl'a , e quarè mobile .
Egl. XII.
.Sì fiflfe pallion di cofa mobile ,
.Qjal fiera sì crudcl > qunl faìTo immobile
.AI miferabil fuon del Caiuo nobile ?
O e I T A . Egj. XIF.
;. Ad un mio rofcigniuol che ftiide j e vo-
cita :
j.Talor d'un' alta rupe il corbo crocita :
\Af(hiay Capri y Atento^ M'f^no , e Procita ,
O D o L A . Egl. XII.
>.Quàdo avvienjche talor con la Tua lodola
2. Ovver quando in fu l' alba efclama e mo«
dola :
4 Tua luce a me che vai s' io piià non go-
dola.
O G L I E R E. Egl. Vili.
i.E '1 vago verno Ipera in rete accogliere ^
^Eugcniojs'io potrò mai l'alma fciogliercj
j.Tal eh* 10 poiTadal giogo il collo efto-
gliere ;
O L A N o. Egl. Vili.
i.I mal fpeli anni > che sì ratti volano >
^. A che le menti cieche fi confolano 9
j.E l'ore ladre i noftri beni involano ?
O L F A s I. Egl. XII.
9. Monti dove Vulcan bollendo infolfafi ,
i.Perocch<^, vequelTacqua irata ingolfafi>
j.E più gra ^e V odor ridonda , ed olfafi \
O L G o L I. Egl. XII.
4.Serbati tejino ^ e fpeflo quand io volgoli >
ló.Speflo gli lego,e fpeflb,oimè>dirciolgoli ;
.8. Poi con fufpir gli afciugo , e 'nfieme ac^
colgoli*
54« TAVOLA DELLE
O L G o N o. Egl. VIIL
74L0 ftame chs le Parche al fufo av\
gono;
jó.Braman tornare addietro j e non fi ^
gono ,'
78. Mi fenza alcun dolor fenaprc fi dolgo
Eil X.
162. Gli uccelli , e le formiche fi ricolgoi
164. Così gli Dii la liberta ne tolgono .
O L s E M I. Egl. VL
55 Quel ladro traditor dal greg?^ tolfer
37. 10 ^liel direi , ma chi mei di(^e v-^ìd
59.Cjnvieaiaii;e penfa tu fé qusfto dolfe
O L T A M I . E^^l. I.
98.11 ?re^ije mio, che ?ià tutt'orc afcolti
100. Fcco rim'3omba,e fpedo indietro volt
102. E nell' orecchio il bel nome nfoltam
O L T E M I . Egl- XIL
i28.Daquìlche fratta ov' io languifcaafc
temi .
1^0. Mi pur coavicn ) che a voi fpcfìTo riv
temi
ijz.Poiche non trovo ove piangendo occ
temi .
O L V E R E. Egl. VL
47.0(radi morci , e di fepolcri polvere
4 J- Porta va indolTj, che *Ì facean rifolve
51. Tato fi può per arte il moadoinvoivc
Egl. VIIL
101 . Farete meco in cenere rifolvere ;
loj. Allor VI degnerete i palfi volvere ,
10^, Per foppo amar altrui, fei §mbra .ff polve
Ombrano. Egl. IL
1 34E gì i aiti monti le contrade adombrar
i?6 E le mie pecorelle il bofco fgombraiu
1^8. li tempoe l'ora chela mandra ingo
brano •
Ome-
RIME SDRUCCIOLE. 547
Omeri. Egl. VI.
i.Che fon pur fecchioed ho curvati gli
omeri
; O quanti intorno a que^e felve nomeri
5. Rallri, zappe, (ampognev-ì natrice vomeri!
Omini. Egl. I.
5. Sannoio fiumi , monti, fiere 1 ed uomini ,
7.Sal lo quante fiate il di la nomini
9.0 ch'egli infelva pafca, o in mandra
romiui.
Egl. XII.
4.0r non fia mai , che alcun vi Iodi , 0 no-
mini 9
6 E poi che Morte vuol che vita abbomini ,
S. Andrò nojaiido il ciel> la terra > egli
uomini .
O N A N O . Egl. I.
iLe Voci , che sì dolci in aria fonano >
3 Quell'alberi di lei tempre ragionano,
5.Ch*a pianger fpeflb, ed a cantar rai fpro-
nano :
Egl. X.
i.Com' uom crede j le fel ve; anzi rifonano
4. Selvaggio, oggii paftor più non ragio-
nano
6. Perché per ben cantar non fi coronano.
Ondami. Egl. VI.
17- Veder vendetta di chi tanto attondami ,
119. t per l'ira sfogar eh* al core abbondami :
li. Tal ch'iodi gioja,e di pietà confondami.
Ondano. Egl. II.
43. Con alti legni , e tutte le circodano ,
45-Cosi per ben guardar fempre n'abbodano
^7Quando i bofchi fon verdi,e quando sfron-
dano •
0J4«
548 TAVOLA DELL7.
O N D I T A. Egl. XII.
i40.Chc con fofpir non corra a quella afe
dita
141. Forfè qualche beli' orma ivi recondit;
144. Al fuon della mia vocearpra j ed ine
d.ta .
O N D o N o. Egl. XII.
18 8. E Filli i i falli > ipin Filli rifpondor
i9o-Or dimmi» a tanto umor che gli oc
fondono,
191. Di quelle inìque Dee che la nafcondon
O N I e o . Egl. I.
56.Vedendo!:I parlar si malinconico ;
5I Qaal*é colei,ch'ha'I petto tanto erronii
6o.Dimmel, che con altrui mai noi con
nico .
Egl. Vili.
2. Su 1' afinello or vaine , e malinconico.
4. Qualunque uom ti vedefle andar si
nico
6. Certo direbbe , Pijefli mnpar Ciò*
Egl. IX.
5. Ti rifofpinfe a Ipezzar l'arco a Clonic
7.Forfe fuallor , ch'io vidi malinconi
9. Che gì' involarti tu , perverfo erronic
O N O M I . Egl. Xil.
2 15. Mi flava un tempo j ed or lanTo abba
donami .
a ! j.Talor mentre fra me piago,e ragionon:
lig.Di lauro , 0 Melifeo , più ngn coroHomi ,
O N T I e I. Egl. XII.
80.1 pefci per li fiumi infermi , e fontici :
Si.Vegna Vefevoje i fuoi dolor racconcie
S4.E fé fon li fuoi frutti amari > e pontici
Op I A
)nicc^
ileria
wico \
RIME SDRUCCIOLE. 54^
O p I A. Egl. I.
.Con la lorella Tua dolce Cecropia
• A dire il vero oggi è tanta 1* inopia
•Che par che diamo in ScitiajO in Etiopia.
.E ciafcun vìve in tantoeftrema inopia »
.Ringrazia dunque il Ciel qualunque ha
copia
.Che ciafcun caccia dalla mandra propia»
O p u L I. Egl. XII.^
.Turti cangiati ; e freddi quelli fcopuli
•Quanti pnftor, Sebeto > e quanti populi
•Pria che la riva tua s' ino!mi,o impopuli?
O R D A N o. Egl. Xn.
•.Se quell'altre fuerimeor mi ricordano ;
.Tanto i miei fcnfi al tuo parlar s' ingor-
da.:©,
'Che ai primi verfi poi gli altri s'accor-
dano.
Ordì la. Egl. IX.
'.Cotclìa lingua vclenofa mordila i
).Mitera felva , che coi gridi afTordila :
Getta la lira omaijche indarno accordila.
Organo. Egl. XII.
J.Che fol penfando udir quel fuo dolce or-
.Sano,
'.Or via ; che i fati a buon cammin ne fcor-
gano ;
[..Fermati ornai , chei cannon fé ne ac-
corgano .
O R G E R F . Egl. vili.
«.E ilìor vedrò di verno al ghiaccio fof-<
gere,
4. Se Amore è cieco , non può il vero fcor-
gere :
6 Se ignudo; uom che non ha > come può
porgere f
O R I .\ .
i30 TAVOLA DtL LE
Oria. Egl. VI.
98. Con le parole , ancor con la memoria
ico.Ov' è '1 valore , ov'è l'antica glori:
102, Delle qu3Ì grida ogni famofa iftoria .
O R I D A . Egl. XII.
95, Le rive cue giammai crucciata Dorid
97. Non ti vid' io poc' anzi erbofa , e fior
99.Non ti veggi'or più ch'altra incolto
orida ?
O R I D o. Egl. VIIL
14.0 rallentar dal laccio iniquo ^ ed orid
ló.Selva alcuna non fia , né Cimpo flari
iS.DiraniChe viva ancor D imeta. e Cori
Orilo. Eg!. XIL
20. Con Ic'tue man., né di ghirlande intìnr
22. Volgi in qua gli occhi , e mira in fu e
cerilo :
24 Portane il cor,che qui lafciando accor
O R M O R A. Egl. IX.
S5.TÌ freme fra le frond€,e'l fiume morm
37-Vienne,Montan, mentre le nodretnrm
39. Moftrando ai cani le latebre, e l' ormo
O R o L E. Egl, VL
95. Or latte, e ghiande, ed or ginepri
morole ,
97.Penfando all'opre lor , non fo!o onon
99. Chinato a terra come fante adorole .
O R R E R E. Egl. VI.
29. Che tue capre fian tutte : ond'io per e
rere
31. Deh fé qui fofìTe alcuno a cui ricorrer
^3. Sol Dio fel veda , che ne pu^ foccorre
Orr «•
RTME SDRUCCIOLE. 55t
Or r o n o . Egl. r.
Vedi que' duo monton , che *nfiem3 cor-
rono
Vedi eh' al vincitor tutte foccorrono,
E con Tembianti fchìvi ognor ]*abborrono.
O R T I e I. Egl. X!l.
'\ tal che poi mirando in quelli coreici >
Faxheciol vento il mormorar confortici:
Tal che ne foni ancor Refina , e Portici •
O s e A N o . Egl. IX.
Ruminan 1* erbe j c i cacciator s' im-
bofcano,
Cantate , acciocché monti ornai ccno-
fcano»
Cantate fin che i campì fi rinfofcano ,
O s e A s I . Egl. X.
Zhe 'n quelle dotte feU'e non t-o'-'orrifi ,
^uivi Ij fera > poi che '1 cicl rinfofcafi ,
lenon ch*iltri , m.ì Fauno a udir rim-
bofcjfi .
O S T R A N O. Egl- !•
E nelle fcorze fcritta ladimoftrano,
Per lei li tori , e gli arieti gioftrano •
O T A L o. Egl. Viri.
01 color mille ; e con U piva> e '1 crotalo
Vedi il M jnton di Frifoje fegna e notalo,
Che 'n pochi dì convieo , che 'i fol per-
cotalo .
O T A N o Egl. X.
Che tal più pute, ch'ebuli , eci abrotano t
Ond' io temo , gli Djì non fi rifcotano
Siccome i falli de' malvagi notano .
O T T o L E • Egl. I.
A cantar verfi sì leggiadri , e frottole ,
Selvaggio mio, per quefte ofcure grottolc
Ma mette (Irigi, ed importune nottole*
O V A-
SfS2 TAVOLA DELLE
O V A N o. Egl- VI.
2. Di fenno, e di pefifierjche 'n te fi co\
4-Nel mondo oggi gii amici non fi trov
6.E i mai coftumi ognor più fi rinnovai
O V A s I. EgL Vili.
8^. Dinanzi agli occhi 5 e par ch'ai v
movafi
55. Se fpirto al mondo di pietà ritrovafi
Sj.Che miglior vita del morir non prov
Egl. IX.
41. Quanto *1 fecol perduto in voi rinno^
45.Montan,coftui che mecoa cantar prò
45.Mifera mandra j che 'n t.tl guida tre
O V E NO* Fgl. L
jj.Nètruovo erbe, ©fioretti, che mi
veno ,'
37. Nubi mai da queft'aria non fi moven^
39. Notti di verno, che tonando pioven
O V E R. E. EgL II.
146. Se vuoi ftir meco > non mi vedrai me
14S.E si potrebbe ben tonare, e piover
Egl. XII.
317. E lafcio fopra lor quefti occhi piover
3i9.Bafle fon quefte rime.j efili , e povf
321. Dovrebbe tanta fé Morte commover-
O V E R o. Egl. I.
47. A poner cura in gregge umi'e e pov:
49.Non truovo tra gli affanni altro rico\
5i.D'un faggio, d'un abete, ovver <
Coverò .
O V o M I. Egl. XlL
53.Fillia tal fuon ? eh' io già tutto coir
vomì;
53.Taci , mentre fra me ripenfo , e prò'
57'Delle quali il principio folritrovomi
U
RIME SORUCCIOLS. 51?
U B B I o . Egl. X,
Peiifando al mal che atvenne ; e non è
dubbio.
Un orfa un tigre ha facto il fier con-
nubbio :
i.Mia cella breve al difpietato fubbio ?
Uberi. Egl. VI.
i.Sove; te all'ombra degli^ opachi fuberi
V E come falli a quei che fono impuberi %
E di t^'fur le lane > e munger gli ubari «
Ubili. Egl XII.
O vacche^ ecco It mvi ^ e i tempi nubili^
t.Chi fia cheudendociò mai rida>o giubili?
Tu fi che con fcfpir quefi"^ aria ^nnubiìi ^
U B I T 0 . Egl. VI.
5. Ma innanzi cena venne un p:;(Ior fabito
5.t dirte a me : Serrao, vedi,ch'io dubito,
D.Ne caddi sì) eh* ancor mi dolc il cubito.
Egl. XH.
Si crudo, oimè^ ch'ai dipartirfifubito,
^O'id'io rimango in fui (iniftro cubito
4.£ così verfo lei gridar non dubito :
U e e I o L E. Egl. X.
i.Nécuro iogià , fé col parlar mio cruc-
ciole :
4. Che fperando udir più vidi le lucciole .
U e E R E. Egl. VI.
5.11 gregge m* iotcgnaya di conducere >
7 Til volta i:el parlar loleva n d j. ere
j.Che '1 ciel pili grazie allcr folea proda-
cere.
U e I D I. f.gl XII.
7.P0Ì che 'I mio fol nafcofc i rjf gi lucidi \
9 Moftraiifi rerbc,e i fior languidi e mucidi:
i.E gli animai oei bofchi incolti e fucidi «
Tmg ì. A» Udì
554 TAVOLA DELLE
U D I N E.^ Egl^ Vili.
5 Di duo) sì carco , in tanta amaritudine
7.Forfe che P'-r fuggir la folitudine
9 Suoi (Irai temprati nella calda incudin
U G G A M I. Egl. X(I.
3o6.GIi armenti in quefte felve ? o per(
ftruggami ?
2o8.Se il fai ch'ai tuo venir la notte fuggai
210. Non vo che '1 raggio tuo rifchiare
fuggami .
u G G E M I . Egl. virr.
loy. A quella cruda eh' or m' incende e Per
gemi ,
lop.Un'orfo in mezzo T alma un leon r
gemi ,
iii.Chequafi d'ogni venailfanaue fuggcr
Uggiola. Egl IX.
lo.Pon quella lira tua fatta di giuggiola ;
22.Pon quella vacca, che fovente muggio
24Pafti di timo, ed'acetofa luggiola.
U L I o. Egl. X.
€8. Per non vederopprefTo il lor peculio
70-Le qua' per povertà d' ogni altro edui
72. Per le lor grotte dall' Agofto al Giul
U L M I N E. Egl. XII.
2S4 Or da vante un' altare in fu quel culm
i86.Deh> fociomio} fé 'J ciel giammai 1
fulmine .
i88.La capannuola tua non fi difculmine .
Ulule. Egl. VI.
86.Eranoi giorni; enons'udivan ulult
8 8, La terra, che dal fondo parchepulul.
SO.Ond' oggi avvien che ciafcun pianga :
ulule ;
Egl
RIME SDRUCCIOLE. 555
. Egl. XII.
'.In arbor fronda , in terra erba non pu'uìe;
).Vedrefti intorno a lui ftar cigni>ea ulule>
i.Si lagn'.-; e quella a lui rifponda, d ulule .
U ME R I . Egl. XII.
S.Fa che fi fpandan le parole e i numeri ;
o.Un lauro gli vid* io portar fu gli umeri s
i.Mcntr'io femino qui menta » e cucunaeri#
U M E R o. Egl. Vili.
9. Con 1' alma Pale aumenterà *1 tuo nu*
mero ;
i.Enon ti fdegnsrai portar fu Fumerò
j.L'afp.irago, l'aneto, e '1 bel cucumero.
Umidi. Egl. XII.
46.Faran gir i miei fenG enfiati e tumidi
aS. Ma come vedrò voi » ardenti, e fumidi
30. Che gli occhi miei -aon fian bagnatici
umidi.
Umile. Egl. XII.
66. Si mostrò sempre ; or mansueta ed
UMILE
68. Se quelle rime troppo dir prefumile j
i70.Be;ì v&ggiochecol fiato un giorno allu-
mile.
U M I N A. Egl. XII.
Iti i. Che quel miofol che 1* altro mondo allu-
mina
aij.Qualbove all'ombra) che fi pofa e ru-
mina,
if 5.Qual vite che per pai non fi ftatumina •
U M o R A . Egl. X.
20.MÌ fé cercare un tempo ftrane fiumora »
21. E s* io pafTai per pruni , ortiche , ed
umora»
i4.Crudi orli , dure genti > afpre coftumora*
Um u*
55(5 TAVOLA DELLE
U M u L o, EgL Vili.
98. E fra* cipre/Tì mi farete un tumulo ,
icxD.Ailor le rime eh' a mal grado accumu
102. Ornando di ghirlande il mefto cumulo
Egi. xn.
^S.Queft* è '1 tempio onorato, equefto
LU^T'ulo
4c.Qui fempre ti farò di fiori un cumulo:
42.Nondifpr zzar ciò ch'in tua gloria
CI! 'nulo .
U N A N o • Egl. X.
53. Acciocché quando i bofchi , e i mo
iiììbrunano,
55.Qu jnti greggi , ed armenti oimè dig
nano,
57. Si van nudrendoche per terra adunan
U N e H E s I . Egl. X.
i7S.Noce alle biade» or eh' è ben temp
trunchefi ,
180. Non afpettate che la terra ingiunchcfi
182. Fin che ogni ferro poi per forza adu
chefi .
Ungere. Egl. IX.
26.DÌ £iggio 5 ove potrai le capre munger.
2 8.Scufe non mi faprai cotante aggiu
gere,
30. Far non potrai sì, eh' io non t'abbia
pungere.
U N G E s I . Egl. X,
17. Nel lieto piano ove col marcongiungeì
19' Amor , che mai dal cor mio non difgiui
gefi,
2i.Ove l'almi penfandc ancor compungefi
Un I'
RIME SDRUCCIOLE. 557
Uniche. Egl. XII.
Ognun la pena fua meco comuniche :
Scriifi i miei verfi in fu ie poma puniche;
Sì fon le forti mie moilrofe ^ ed uniche .
U N s E L I. Egl. VITI.
.1 monti , e i fiumi / e fé '1 tuo duol con-
punfeli
.0 felici color che amorcongiunfeli
.Né invidia, o gelosìa giammai difgiun-
feli /
Urano. Egl. I!.
•De' fallì lupi , che gli armenti furano ;
Afcun fagg; paflor le mandre murano
•Che nel latrar de' can non fi anicurano •
Egl. VI.
Ridori in vifta buon , che tutti furano
D' oltraggio , o di vergogna oggi non
curano
In si malvagia vita i cuori indurano.
Urti. Egl. X.
.Farcjuei primi paftcr nei bofchi Etrurii;
•So bèi! che I* un da più felici augurii
In fu P edificar de* ior tugurii .
U R o M I . Egl. 1.
.Divento un ghiaccio , e di nuli' altra cu-
romi ,
•Per maraviglia, più eh' un fadb indu-
romi ,
.E *n dimandarti alquanto rafllcuromi .
U s e A N o. Egl. XII.
•Vedrem fé le fue viti fi lambrufcano ,
. Vedrem poi che di nubi ognor fi oftufcano
.Forfè pur novi incend; in lui corufcano .
Usco-
555 TAVOLA DELLE
U s e o L o. Egl. Xlf.
16. Ma cerca ben, fé v* è pur altro ai
fcolo ;
18. Una tabella pofe per muiufcolo
^o.Ch'io ri terrò fu Puno , e l'altro mufc»
Userò. Egl. X-
2^.Le gambe il fanno; e fé timor mi pu
2^. Al fin le dubbie forti mi rifpufero :
27 Sopra il vecchio fepolcro fi ccnfuftro .
U s T I c I . Egl. XIL
i57S'io vivo » ancor farò tra quefìi ruftl
259. E da' monti Tofcani, eda'Liguftici
261.S0I per cagion che alcuna volta furtic
U T A T I . ^ Egl. X(l. ^
59Che temprar non li f 0 . comincia ;
tati ;
i5 1. Che farai > Meiifeo? morte refutati
65. Né più, come folca, lieta fai utati .
Ut I c I. Egl. XIL
301. Ch'io ti farò fermar dietro a quei fri
3 04 .Voto fo io, fé tu , Fortuna 1 ajutic
3o6.Unaalla Tempellà, che '1 ciel'non
tici ,
Utile. Egl. XIL
173. Mirando, e parmi un fol che fplen
rutile,
J7 3.Qual tauro in felva con le corna mut
177 Talfonoiofenzate, nìanco e difuti
U T o L E. Egl. X.
i.Non fon, Fronimomio, del tutto
tole,
3.Tal, chi quafi all'antiche egual j
tob.
Ut
RIME SDP.UCCTOLE. 559
U T o L o. Egl. VI.
Legar per giuramento, end' efler mutolo
Del furto fi vantò , roi eh' ebbe avutolo ,
Agli occhi no(lri;ond* io faggio riputolo .
U V I o. Egl- X. ,
Non fia mai poi balen , né tempo pluvio ,
Amico , io fui tra Baje, e M gran Veiuvio,
Il bel Sebeto accolto in picciol iiuvio .
Jl jine del Tomo Primo
o
>
'C/
PQ Sannazaro, Jacopo
^633 Opere volgari
A13
17^1
t.l
PLEASE DO NOT REMOVE
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