Skip to main content

Full text of "Opere volgari"

See other formats


! 


^r#«j^    c^-^-  'M* 


DPERE    VOLGARI 
DI  M.  JACOPO 

ANAZZARO 

:avaliere  napoletano 

Alla  fua  vera  Lezione  reflituìte, 
rviSE     IN     DUE      ToMr. 

TOMO    PRIMO. 


IN  VENEZIA, 

M  D  C  C  X  L  L 

Prcffo  Giuseppe  Bortoli. 

Zon  Licenza  de'  Superiori ,  9  Vrivilegio. 


L     O 

T AMP ATORE 

A    CHI    LEGGE. 


Lia  epica   e  lirica   poefla 
fuccede  ora  la  paftorale  ; 
che   degna    era   ancor  dì 
precedere  ,  fìccome  quel- 
la ,  che  a  giudicio  dì  M. 
de  Fontenelle    é  di  tutte 
pia  antica   .  Ma  ella  fcguendo  pure 
fempliciifimo   fuo   coftume  ,  e  lieta 
;lla  fua  forte ,  fi  contenta  di  andarne 
paro,  o  di  venir  dietro  :  e  fpera  che 
CuoSanazz ARO  farà  accoltodi  buoQ 
rado,  come  il  Petrarca  ,  1'  Ario- 
TO,  il  Berni,  da  noi  fin  qui  dati  in 
iCC.  E  in  vero  lìcconie  ne' quadri  non 
len  dilettano  i  palagi  di  magnifica  ed 
fquifita  architettura  ,  che  i  monti ,  le 
;Uc  ,  le  campagne  5  egli  armenti;  co- 
i  ne'  verfi  non  pur  fono    piacevo!  co- 
\  ad  udire  le  Mufc ,  dirò  così ,  citta- 
inefche  e  fignorili  ,  ma    le  runiche  e 
•àftordli,  Ch<?  ie  il  Petrarca  e  i'  Ario- 


VI 

fto  con  ingegno  divino han  fattosi,  ( 
1'  Italiana  favella  non    invidiale  il 
rico  poema  e  l'eroico  alla  Greca  e    i 
Ja  Latina -j  il  felicfflìmo  ed  ameniiTi  i 
ianazzaro  ha  procurato  altresì,  che  3 
ruftici    carmi    non    le    manCdiTe    il  \\ 
Teocrito  e  lì  fiio  Virgilio.   Né  perei 
egli  vivendo    non  udiva    dì    buona  '' i 
glia  i  lodatori  della  fua  Arcadia  ,  p  ì 
ciò  fìa  alcuno  ,  che  dì  sì  naturale  d  ! 
cezza  e  Icegiiidria    non  fenta   dilette^ 
mera  viglia  .  Perciocché  fi  fa  egli ,  e  | 
neppure    a  Virgilio   piacque    affatto  : 
fua  Eneide  :  e  il  Sanazzaro    fu    cer  ^ 
mente  nelle  fue    cofe    e  nelle  altrui 
giudicio  oltre  modo  fevero;  onde  il  1  j 
amico  Mar ul lo  con  giocofo  e  a(raig<' 
tile  epigramma  tentò  alcun  poco  tVi  ri  - 
dolcirlo  .  Pertanto  fra  gì'  Italiani  ha 
primo  grido  in  cotal  genere  ;  ed  a'  fi  « 
tempi  neli'x^ccadea-jia  di  Napoli,  e 
noflri  ancora  per    tutta  Italia  ,  e  nt  i 
Arcadia  (ìngolarmente  di  Roma  ha   j 
trovato   di    feliciflìmì    imitatori.  Ai  i 
degna  cofa  è  da  credere  ,  che  rifvegl  ì 
ti  abbia  eziandio  alla    poefia   paftor.  { 
gP  ingegni  Francefi ,  allora  quando  i 
tempi  calamirofi  con  efempio  dì  rara 
de  feguì  in  Francia  il  re  Federigo   f 
Mecenate:  dove  vivendo  fino  allam< 
te  di  lui,  e  tuttavia  coltivando   i  f i  i 
l^ud; ,  ha  tratti  dalle  tenebre  alcuni  a  i 
tichi  manofcrittì  ,  e  fi  fé  udire   e  a 
mirare  da' letterati  della  nazione.  Qui 

di 


1  ( 


Vir 

:  ufdta  in  luce  1'^  Arcadia  ,  ne  reflò 
efo  il  vivace  genio  Francefe  ,  e  da 
iovanni  Martin  fu  tradotta  in  quella 
[jigua.  Né  guari  andò,  che  fi  udirono 
n  fioritifllmo  ftile  i  paftori  inferiti  da 
!.  Urfé  nella  fuaAftrea*,  e  s'ammirò 

rena  felice  di  M.  Onorato  Racan  ; 
tla  poi  forfè  con  V  amenifllme  eglo- 
le  fue  M.  Segrais  ;  e  finalmente  a'no- 

i  giorni  ofcurò  la  lor  fama  M.  de 
Dntenellecon  aurea  e  ammirabile  fera- 
icità .  Il  qua!  per  vero  quanto  egli  è 
)lce  ne'  fuoi  verfi  ,  acre  é  altrettanto 
:'  fuoi  giudicj  y  accufando  del  pari  di 
olato  paftorale  decoro  e  Greci  e  La- 
iiì  5  e  Italiani  eFrancefi.  Benché  nep- 
ire  a  lui  la  perdona  in  una  fua  dilTer- 
zione  fopra  1'  Egloghe  M.  Fragukr . 
la  ciò  fi  vedranno  ì  letterati:  che  ad 
1  librajo  non  più  convienfi  d'  erudi- 
one,  fé  non  quanto  o  dalla  ftorìalet- 
raria  può  raccor  da  fé  fieflb  ,  o  dal 
fcorfo  d'uomini  dotti  fuoi  colorirli  d* 
la  cotale  tintura  ,  per  far  poi  fcelta 
i  buoni  autori ,  e  commendare  mode- 
amente  a  chi  legge  la  fua  induftrià  e 
itica.  Ora  tornando  al  Sanazzaro,  gran 
igione  egli  avea  fuile  (lampe  di  una 
ittà  da  fé  onorata  con  que'  verfi ,  che 
on  meno  per  la  loro  bellezza  ,  che 
er  la  pubblica  munificenza  ,  onde  ot- 
;nne  feicento  feudi ,  fi  refer  tanto  fa- 
ìofi  .  Per  tanto  fi  è  procurato  ,  che 
uefia  nuova  edizione  delle  fue  Opere 
a    ^  Voi". 


Volgari  a  lui  foflfe  dì  alcun  onore  ,  i 
altrui  d'  utile  e  di  diletto  :  della  qua 
però  qualunque  farà  il  pregio ,  tutto 
vuol  riconofcere  dalla  bellìOlnìa  edizic 
Cominiana  ,  che  è  la  più  efatta  e  o  j 
piofa ,  mercé  i'  affirtenza  dèi  dottififiri 
Signori  Volpi;  da'  quali  fu  reflituita  ' 
Arcadia  alla  fua  v^ra  lezione ,  e  aggiui  ' 
te  furono  molte  opportune  annotazio. 
a  quelle  del  Porcacchi,  del  Sanfovinc 
del  MaiTartngo  ,  e  a  quelle  di  certo  Ai 
tore  moderno  alla  Vita  fcritt^  dal  Crifpc 
le    quali    fono   diftinte    con    quefti   f 
gai  *  e  „  ;  perché   non  fiano  ufurpai 
in  alcun  tempo  da  que'  plagiarii  ,  ci 
fan  veflirfì  delle  altrui  penne  con  an: 
mirabil  felicicà.  Accogli  dunque  o  co 
tefe  Lettore,   con  benigno  fentimento 
buon  volere   di  chi    ti   viene    porgend 
di  mano  in  mano  i  migliori  poeti  Ita 
liani. 


BISTRI- 


)  I  S  T  R  I  B  U  Z  I  O  N  £ 
DELLE     OPERE. 

TOMO    PRIMO. 

!cune  onorevoli  Tertimonianze  dì  ce- 
lebri Letterati  intorno  alla  Perfona  , 
ed  agli  Scritti  del  Sanazzaro  fcelte  tra  1* 
infinfce,  che  fé  ne  potrebbero  addurre. 

.*  Arcadia  alla  fua  vera  Lezione  re- 
(lituita  . 

cn lenze  ,  e  Provcrbj  ufati  dal  Sanaz- 
zaro. 

)ercrizioni  dì  dìverfe  cofe  ufate  dai 
Sanazzaro  . 

)ichiarazione  fommaria  di  tutte  le  vo- 
ci Latine  ,  e  d'  altre  co(e  che  fono 
in  quefl'  Opera  dell'  Arca.lia,  di  M, 
Francelco  Sanfovino. 

^uova  fcelta  di  Voci  ofTervate  nell'Ar- 
cadia . 

\nnorazioni  di  Tommafo  Porcacchia  di 
Francefco  Sanfovino  ,  e  di  Giovam- 
batiita  MafTarengo. 

3iunta  dei  Sia,??,.  Volpi  d'  alcune  poche 
Annotazióni  fopra  1'  Arcadia. 

Alcune  importanti  correzioni ,  ed  offer- 
vazioni  dei  Sigg.  Volpi  intorno  alle 
Note  del  Porcacchi  ,edel  Maflfarengo. 

Tavola  delle  Rime  fdrucciole  ufate  dal 
Sanazzaro  nell'  Arcadia  ;  fatta  dal 
Sigg,  Volpi . 

a    S  TO- 


TOMO    SECONDO. 

Dedicatoria  di  M.  Jacopo  Sanazzaro  al 
la  Oneftiflìma,  e  Nobiliflima  Donn 
Caffandra  Marchefa. 

Lettera  di  M.  Francefco  Sanfovino  ali  i 
Magnifica  e  Valorofa  Madonna  Za 
barella  Zabarella  . 

Difcorfo  del  Sanfovino. 

Brevi  Annotazioni  ,  o  piuttoflo  Argo 
menci  della  Prima,  e  Seconda  Parte 
delle  Rime  di  M.  Jacopo  Sanazzarc 
fatte  da  M.  Francefco  Sanfovino  . 

Le  Rime  di  M.  Jacopo  Sanazzaro .  , 

Verfione  Latina  di  alcune  cofe  del  Sa- 
nazzaro . 

Traduzioni  di  dieci  Epigrammi  Latin; 
del  Sanazzaro  in  Lingua  Tofcana  . 

Tavola  di  tutte  le  Rime  del  Sanazzaro. 

Alcune  Lettere  di  M.  Jacopo  Sanazza- 
ro tratte  da  varie  antiche  Raccolte , 

Bafili!  Zanchi  Bergomatis  Naenia  in 
Adium  Sincerum  Sannazarium  . 

Vita  di  M.  Jacopo  Sanazzaro  defcritta 
da  Gio/ambatiftaCrirpo  da  Gallipoli . . 

Annotazioni  d'  un  certo  Autore  moder- 
no 5  alla  Vita . 

Correzioni ,  ed  aggiunte  dd  Sigg,  Vol- 
pi alla  Vita,  edalle  Annotazioni  deir 
Autore  moderno. 


AtCU- 


xt 

ALCUNE  ONOREVOLI 

r  E  S  T  I  M  O  N  I  A  N  Z  E 

DI  CELEBRI   LETTERATI 
'  Ini  or /IO  alla  Psrfona  ,  ed  agli  Scritti 

DEL    SANAZZARO 

Scelte  tra  1'  infinite  che  fé  ne  po- 
trebbero addurre . 

Pontaai  EpifioU  ,  qua  de  veterum  librii  jtu 
dìcat  ,  pr  AÓium  Sinccrum  inventis  , 
Hanc  ne  fine  dolore  legar  y  (  dic«  il  Sum- 
monzio  infine  di  tutte  1*  Òpere  del  Pon» 
tane)  tfliimam  y  Le^or -^  fciat  ,  pgfi  innu^ 
merabilct  aliar  ,  qttas  tum  puhlidf  ,  tum 
privati  f  de  rehui  y  immortali  tate  dignuf  vif 
èlle  ohm  divi  ai  tur  firipferat , 

Pontanus  Sincero  animi  firmitatem  D» 

^^Uae  ad  Pudericum  fcripfifti  ,  ea  me 
^^  mirificum  in  modum  deledarunt  . 
5unt  enim  pl^na  pietatis  tuse  erga  vetu- 
ilitem  acdii;>entia£.  Quo  circa  vel  aveii- 
riffime  exfpcdo  videre  Ovidianos  illos  pi- 
fciculos  in  Euxino  lufitantes,  Maeotideque 
in  palude  .  Quod  vero  ad  venationem  at- 
tinet  5  vifus  elì  mihi  vates  ille  Icpidus  > 
numcrofus ,  &  cultus.  Deque  eo.  Crede 
memini  ,  fic  ab  Appollinare  mentio  iti 
Hendecaryllabis  .  Rutiiiani  illi  verficuli 
a    6  eno- 


xTi       T  E  S  T  I  M  O  N  J. 

enodesfunt  &  nitidi,  cukus  veroipfe  pere- 
gri:ms  >  potius  quam  urbanus  ,  ne  dicam 
arcenitus  .  Sed  de  his  omnibus  cujus  erit 
judicium  re^lius  ,  aut  probatius  quamtuum? 
Ego,  ut  dixi ,  mirifice  exfpeda  Ovidianos 
illos  iKuircm  ì  nobis  incognitos ,  praefertim 
fub  Quadragefimale jejunium  .  Tu  vale,  <3c 
in  irto  voluntario  exfilio,  feu  potius  pere- 
grinationej  dignam  nobilitate  tua  fortitu- 
dinem  retine»  Neapoli  Idibus  Februariis  . 
MCCCCCIII. 

Il  Cariteo  nelURime  fogl.  D  pag.  iiiii. 

t^è  mancheranno  ifJgfgni 

Imitator    di   /jue'Jh'  altro  Virgilio 

(  cioè  deiT?ontano  ) 
N.ti.  fegno  che  t^  afpetta  fempr»  e  hfa/na 
Sanazzar  ,  Vardo ,  Ahi  Ho  , 
Summo»iio  ,  di  arimho  ,  e  laurea  degni  , 
Faran  cantando  eterna  la  tua  fama , 

fogl.  E  p*g.  vii. 

Forfè  di  Cariteo 

Vivrebbe  il  nome  allor  non  men  preclare 

Che  quel  del  Sanazzaro . 

fogl.  F  pag.  vii. 

D*  Ahi  Ho  non  dimando  ^  o  di  Sincero; 
Che  r  uno  e  /'  altro  è  [alvo  ,  eterno  ,  e  vìvo  : 
Com''  io  fon  per  amor  di  vita  privo  , 


fogl. 


TESTIMONJ.      XIII 

fogl.  G  pag.  vii. 

aniort ,  nel  facro  fonte  di'  Aganippi 
Un  Poeta  vedrai  fublìm/  e  raro 
Di  lauro  ornar  le  cbicmt  , 
Dalle  Mufe  chiamato  tn  vario  n'Affi  ; 
Or  Azio  >  ed  or  Sincero  ,  or  Sanazzaro  : 
A  lui  la  fronte  in.  lina  ,   e  digli  ,  €om9 
Vivend''  io  afcofo  in  quejìa  forte  umile  , 
JDi  contentarmi  imparo  , 
Che  non  ognuno  arriva  ali*  alto  fiilg  , 

Il  Canteo   nelle  Rime  fogl.  L   pag.  vi. 

Obve  me^io  or  fon  io  ,  fafre  Sirene , 
Con  voi  ,  voltffe  il  citi  vi  fujfi  intero  ^ 
'Ed  udijft  il  cantar  del  mio  Sincero 
"ìiel  M-ergillino  fuo  dolce  Ippocrefte  » 

^e  lice  comparar  co  fé    terrene 

Alh  divine  ;  io  riveder  vi  fpero 

Col  cor  tranquillo  ,  e  fuor  d"*  atro  penfier$^ 

Qual  rivide  Platon  le  dotte  Atene  . 

fogl.  R.  pag.  vili.  ^ 

Dipinto  io  fia  neW*  oprt  eterne  e  belle 
Del  mìo  bel  Sanazzar  ,  vero  Sincero  ; 
eh'*  allora  io  giungerò  fin  alle  fiali*  * 

fogl.  S  pag.  i. 

-0  quando  fia  quel  di  ,  Mufe  benig*ii ,  ^ 

Cèe^n  lamia  patria  prima  io  vi  conduca^ 

In  quelle  alte  magio»  di  gloria   digne  ? 

Là  cottvien  che  '/  mio  nome  fplenda  e   luca  ; 

'Rimembrando  /*   onor  eh*   al  cielo  ejìolle 

Il  mio  hi  Saoazzar  maefiro  e  duca  ^ 

a    7  ^"^ 


XIV       TESTIMONI. 
In  fine  delle  Rime. 

Quefto  cantava  ai  lauri  ,  alP  aure  tfi'tve  , 
Tra  '/  mìo  Summofìyo  ,   Pardo  ,  e  G alati 0 
Anime  eternamente  al  mondo    dive\ 

Quando  di  quel  liquor  Partenopeo 
Sincero  *ni  pafcea  dolce  cantando^ 
Con  le  Caritè  ,  ond^  io  fui  Cariteo  . 

JM.  Niccoli  Lihnrnio   nelle   S civette  >  a  car. 

te   i2.   dopo  d*  aver  parlato  di  Dante  ,  e 

del  Petrarca  ,  'indi  dil  Tibaldeo  , 

Sopraggiunfeno  da  poi  quegli  altri  doi  for-  - 
biti  componitori  ,  MefFer  J scopo  Sanarla- 
ro ,  e  Mefler  Pietro  Bembo  ;  l'uno  e  Pal- 
tro  de'  quai  emmi  paruto  alluminatore  di 
loquela  volgare;  fanza  minuta  cognizione 
della  quale  ,  glie  forzo  che  la  dimeilica 
parlatura  vada  zoppando  cerne  dilomba- 
ti .  Vediamo  adunque  quefti  due  con  di- 
verfo  ftile  ,  e  diverfa  materia  meritare 
di  Lauro  ghirlande  verdiifime  ;  perciò  che 
il  Bembo  è  terfo  ,  ed  erudito  ,  lo  San^naro 
limato,  e  candido,  II  Bembo  iftretto  ,  ed 
in  fentenze  acuto  >  lo  ^ana^iaro  più  luci- 
do ,  e  negli  affetti  fuoi  più  dimoftrevole  ; 
quefto  con  dolcezza  )  ed  allettamento  del  di- 
re foprano  ,  quello  con  mifura  ,  e  più  dili- 
genza luculento  .  La  virtù  (  acciò  così 
èica  )  Sanaiia»'i/7na  ^  in  vertìo  i  e  in  prgfa 
dimoftra  figure  di  vivace  poetria,  e  1'  in- 
duftriaBembiana  fu  per  fottili  arringhi  ran- 
nata ,  con  felicità  fiorifce .  Finalmente  ne- 
gli Afolani  par  che  vi  fi  veggia  non  foche 
di  vera  eleganza  >  e  grande  artificio;  ncll» 

Ar- 


T  E  S  T  I  M  O  N  J.  XV 
rcadia  luce,  nitidezza»  e  naturalità  mag- 
iore  .  In  modo  che  la  lite  ancora  fta  fotto  M 
iudicea  decidere,  degli  duo  quale  più  ca- 
imente  piaciuto  fia  ai  numi  della  Pieria 
>ivinitate.  ec. 

^aefio   "Liburnlo  /'  impaccio  in  mette  ccfe  ^ 
ma  con   poca  felicità  ,    ejfendo  egli  ferirla^ 
rt  affai  goffo  ,  e  ridicolo ,   Il  tcftìfnonio  fuù 
fi  è  qui  pojfto  ,  per    Io  paragone    ch^  egli  fa 
tra  V  Sanazzaro  e  V  Bembo  ^ 


Sonetto  del  Marchefe  del  Vado  in  lode 

I    del  Poema  de  Partu  Virginìs  àt\   Sanai^- 

laro  .  (la  nel  Vocabolario  di  Fabri- 

cio  Luna  ,  ftampato  in  Napoli  del 

1536.  in  4.  dopo  la  letterali. 

frpcfl^  hai  fine  alle  [pettate  rime 
Con  fiile  ornato^   e  pari  al  grand'*   Omero  ^ 
Cantando  di  colei  il  Parto  aliterò 
Che  in  del  riluce  in  fede  alta  ^  e  fublime  • 

'^  giuntfi  fei  nelle  beate  citne 
Del  glorioso  lucido  ^^ntrfpero, 
Ccn  P  ifgegno  ntofìfando  al  mondo  il  vero 
Dell*  alto  Dio  ,  che  V  ben   eterno  imprime  , 

' 0  piff   (he  gli  altri  tne  ne  glorio  t  vanto 
Di   veder  giunt"*  al  fift  fi  della  imprefa 
Per  la  tua   man  y  che  lamia  patria  oni.ra  » 

f  pur  lodar  vorrei  il  divi»  Canio  , 
1.0  fin  leggiadro  ;   ma  la  voglia  acce  fa 
Hafievi ,  fé  non  può  /*  alma  cP  adora , 


P/V  tr§ 


XVI        T  E  S  T  I  M  O  N  J . 

Pietro  Semho  in  una   Lettera  a  M    Pietro 

Lo*neUino  da  C^fnpo  ,  a  Napo/i  .  in  data 

de*  iS.   Dicembre  1517.  ed  è  l* ultima 

delubro  y,  del  Volume  IH, 

C^rifìTimo  m*  è  ftato  quello  che  mi  feri 
vece  del  Signor  Jacopo  S'anaiiaro  :  e  piace  < 
mi  incredibilmente  che  SSig.  ftia  megli<  1 
di  quello  che  s'  era  detto  qui  .  S'  egli  v  ' 
ha  detto  che  tra  noi  è  una  grande  benivo  < 
lenza  ;  egli  v'  ha  detto  il  vero .  Che  io  l  ' 
amo  quanto  altro  uomo  alcuno  che  oggid 
viva  ;  ed  onoro  fopra  quanti  vivono  . 

Lo  ftejfo  in  u»a  Lettera  a  M.   Lodovico  Bec 

catello,   a  Padova  ,' in  data   de"*   2.   di 

Gennajo  .   15^0.  e  (i  trovi  nel  lib.-j. 

del  Voi.  IH,  a  car,   i6o.  dell' 

Edi\,  di  Guaita  Scoio  . 

Ho  avuto  la  voftra  buona  mano  >  come 
dite,  nelle  Rim?  del  Sananaro  mandate- 
mi ,  caro  il  mio  M.  Lodovico  ;  e  ve  ne  rin- 
grazio .  Vi  manderei  alcuno  de'  miei  So 
netti,  cornami  chiedete ,  fé  non  fofle  che 
elTi  farebbono  picciolo  e  vii  cambio  a  tan 
ti  onorati  e  Sonetti  e  Canzona  j  che  man- 
date m'avete. 


n  mt. 


TESTIMONI.       XVII 

^nedefìtno  in  una  Lettera  a  MaJ.  Veronica 
Qimbara,  in  data  de'*  16.  dt  Giugno 
1531.  di  Padova .  fia  nella  I, 
parte  dd  Voi.  ly.  a  e,  ^i. 

loi  potete  vedere  come  io  fon  diJigen- 
che  allavoftra  cortefe  e  dolce  lettera  > 
la  quale  erano  i  due  Sonetti  vodri  (*  ) 
:i  perla  morte  del  >5'/j«/a^^/^^(?,  io  ora  ri- 
ndo  .  Ma  che  ne  poflo  io  perciò?  Ra- 
,  o  non  mai  ho  agevolezza  di  portatori  . 
:ra  che  io  (lato  fono  in  Vinegia  parte  di 
;fto    tempo  affai    cccupato  e  impedito  . 
me  che  fia  >  o  io  non  poflb  con  voi  pec- 
e  :    da  cui  ho  libertà  di  potere  ciò  che 
voglio:  ovoi  melo  perdonerete  volen- 
?ri  per  la  voftra  natia  dolcezza.  Quanto 
Sonetti:  efli  mi  fono  parutibelIifTìmi   T 
0  e  l' altro  .  Sono  puri  ;  fono  vaghi  e  affe- 
jnati  e  onorati  infinitamente.  Io  di  loro 
i  rallegro  con  voi  ;  e  ben  facéfte  a  man- 
rglial  Sig.  IMuffetola .  Peravventura  non 
raveràla  buona  anima  àé.  Sanaii^ro  ^lÌcvl- 
»  di  veruno  altro  così  bello,  come  quefti 
no.  De'  quali  ficuramente  non  faprei  di- 
quale pi  ij  leggiadro fia  :  fé  nonchequel- 
,  che  incomincia  :  ^^  a  quella  ,  mi  pren- 
;  più  1*  animo  .    Siate  ringraziata   dello 
'erglimi  mandati  . 


*)  /  due  Sonetti  di  Veronica  Gamhara  fatti  in 
morte  del  Pgeta  furono  da  mi  fnora  inz/t- 
no  arcati  . 


XVIII      TESTIMONI. 

Mo»fig»or  Paolo  Gtovio  io  una  hf itera  a 

M,  Girolamo  Si  (tnnapeci  -i  e  fi  fi  ente  a 

carte  9,  dflle  Lettere   Volgari  del 

Giovìo  ftampate  l*  an-10   1560. 

in  Fenex^ia  dai  Seffa  . 

Reda  a  rifpondere  a  quello  ,   di  che   i 
mi  rido  t  che  voi  mi  tafl'ate  d'  avere  qua 
violata  i*  amicizia  >   in  dire  che  'i  Sana-, 
Zaro  era  parco  ,    e  amaro  ceiifore  qua nd 
giudicava  1'  Opere  d'  altri.  A  quefto  pri 
mo  dico  5   che  io  tengo  d'  averlo  lodato  j 
poi  che  io  io  dipingo  di  quello  feverogii  i 
dicio  ,  come  era  ?  e  ne  faveva  profelììone  , 
E  (e  credete  altrimenti  di  quello   che  erj 
in  effetto ,  come  dico  io,  moilratccon  tar  ^ 
tavoftra  famigliarità  di  non  avergli  toccat  1 
il  polfo  sì  bene ,  come  ho  fatto  io  in  no  1 
molte  volte,  che  ho  praticato  con  effo  .  Vi 
fodire  ch'io  ne  feci  viva anotomia con  pia 
cer  di  lui ,  e  f o  quello  che  rifpofe  alle  cu 
riofe  mie  dimande ,  quando  io  ricercava  chi 
voleffe  dire  il  parer  fuo  di  quello  che  giù 
dicava  delle  (*)  cofe  del  Poliziano  Latin; 
e  volgari.  Cosìd'  Ermolao,  delSabellico 
e  di  molti  altri  morti  .  Non  mi  diife  egl 
del  fuo  tanto  amato  Bembo  ,  eh'  ci   vor 
rebbe  che   mai  non   avelTe  dato    fuora  gì 
Afolani?  e  che  laGramatica  (  cioè  le  Pro 
(e  )  gli  pareva  fcrupolofa ,  afpra,  ed  affet- 
tata, e  non  fimlle  alla  delicatura  dell'in- 
gegno del  Bembo  tanto  divino  ne' Sonetti, 
iC  Stanze,  e  ne'vèrfi  Latini  tanto  odorato 
«  candido  ?  Non  ardiva  egli  di  dire  e  a  me  1 

e  ad 

^*)Vedi  iì  Sdoppi 9  n$*  Paradojfi  a  e,  34.  ^j. 


TESTIMONI-       XIX 

ad  altri  con  vive  ragioni,  che  nel  gran 

jntano  fi  potevano  tagliare  molte  cofe,  e 

olte  inferire,  e  molte  sfrondare»  e  tra- 

3rire  ?  dico  ne'verfi.  Ancora  ne' Dialo- 

lidcevail  parer  fuo  con  quella  riverenza 

leio  faccio,  quando  io  parlo  deli' Iftoria 

'  bello  TSLeapoIltano  .  Di  quefti  tali,  e  del- 

Ariofto^  e  del  Vida,  e  di  molti  altri  vivi 

Ì^A  gionò  più  volte  con  me  :  e  liberamente  mi 

«^liTequello  che  egli  defiderava  neli'Iftoria 

^  ia  i  la  quale  a  beli' agio  aveva,  come  fa- 

?rij  Jte,  Ietta  ,  e  riletta  .  Io  non  vi  dico  quello 

le  diceva  dello  Abate  Anifìo  ,  dello  An- 

;iij  ariano  )  del  Brittonio,  del  Filocalo,  del 

Ivano,  edello  Archipoeta,  perchè  quelli 

li  non  fanno  al  propofito  nD(ìroi  perchè 

Io  gli  metteva  in  un'  altra  botola  di  poeti, 

non  nella  prima  ;  nella  quale  meritamente 

ireva  che  voleiTeftar  folo;  come  volle  fta- 

ì  il  Poncano  nella  fepoltura .  Ma  chi  meglio 

Ji\  Sig.Giovan  Antonio  Mufetola,  uomo 
isìgenerofo  e  chiaro  ingegno,  fa  la  na- 
ira  del  fevero  giudicio  del  Sana^^aroy  il 
iù  delle  volte  accompagnato   col  r»a  ,  e 
M  fi  nel  lodare  ancorai' ottime  cofe-**  Mi 
cordo  in  Ifchia  ,  che  leggendo  fua  Signoria 
Dialogo  noftro,  nel  quale  introduco  eflTo 
roprio  ,  che  parla  àsì  Sa Kaziaro  y  e  paren- 
ogli  ,  che  io  mi  falli  con  giocondiflìme  ti- 
ate  affai  diffuioin  lodarlo ,  difle  la  Sig.Mar- 
hefa  di  Pcftara  •  Non  diie  ,  5"/^.  Mufetola  , 
h^  ti    fia  kJatc  ajfai  ,  perchè  dtce   Bui J^ [far 
larchefe  ,  co  et  «*/?  fi  contenterebbe  dì  sì  po^ 
0,  quando  vedr^  tutto  il  Dialogo  ^  Allora  un 
rah  letterato  ,  il  quale  v'  era  prefente  , 
1  nome  del  quale  potrete  faper  dall'uno  e 
4IÌ' altra;  foggiunfe:  Egli  è  pure  una  ^jan 

fofa 


XX         TESTIMONI. 

cofa  che  quefl"*  uomo  voglia  ejfire  celebrata  ali 
infinito  ,  ed  efj'o  è  così  fcarfo  9  difficiU  in  lo 
dare  P  Òpere  d"*  altri  ,  che  jempre  mescola  ai 
quinto  di  f eie  di  riprenfìone  col  mele  delle Icd* 
narrindo  vai)   efenipj  ,  ne'  quali    fi  vede 
elprefla  la  troppo  fevera  ufanza  in  giudica 
re. 'Il  che  ioattribuifco  a  fomma  dottrina 
e  a  ringoiar  gravità  d*  ingegno  ,  al  qual 
non  piacevano  le  cofe  mediocri  ,  come  a 
Gravina  5  e  fi  dilettava    d'  ammonire    gì 
amici»  ed  indirizzargli  al  buon  cammino 
e  non  gli  voleva  imbarcare  fenza  bifcotto  , 
e  mandargli  a  perdere  negli  fcogli  ,  com 
quell'  altro.  Per  quefto  tenne  nelle  man: 
il  Tuo  divino  Parto  della  Vergine  circa  vent 
anni  >  acciocché  di  giorno  in    giorno  cre-< 
fcendo  più  il  giudicio  ,  potcfle  rifecare  ^\ 
riformare  tutto  quello  che  non  gli  piciceva  \ 
Né  io  attribuifcoquefto  a  milignica,  o  a<  j 
invidia  5  ovvero  a  fuperbia  ,  come  voi  forf(  • 
prepofteramente  interpretafte  ,    ma    a  un,  i 
ingenua  libertà  di  dotto  e  nobiì  Cavaliere  , 
come  era  .  Ed  io  in  tutte  le  mie  Opre  rh(< 
celebrato  per  tale  >  ed  i  benigni  pofteri  1< . 
vedranno.  Ditemi  un  poco,  per  quefia  fin 
golar  virtù  non  ne  divenne  ricco  ,  famofo 
ed  immortale  Antippo  Gramatico  Siracu- 
fano  ?  ec. 

■Baullui  Jovfuf  in  Elogio  Antoni»  Tibaldei  . 

Sed  tantam  mox  (  Tibaldei  )  famam  fé* 
liciori  òrti  fidere  Bembus ,  de  Sincerus  aeter- 
KÌs(Errft/'t:/i-)carmi-nibusopprenerunt.Agno- 
vip  ille  tanto  perilridus  fulgore  ,  ingeni, 
fui  fortunam ,  atque  ideo  ad  Latina  carmi- 
na le  convertit . 

Ago- 


TESTIMONI.       XXI 

Agoftino  Bevazzano  nelle  Cofc 
Volgari,  al  fogl.  G  ii. 

»/«/  che  7  fecslfea  giojafo  ,  alttro  \ 

Più  d^  cgn^  altro  fiUct  marmo  io  premi  : 

copo  Sanazzaro  Azzio  Sincero, 

Def  portico  nome  onor  faprtmo  , 

/  quanti  fcrtffer  fol  cantando  il  vero 

La  Grecia  vinfe ,  s  la  citth  di  Remo  ; 

ra'  mortali  refi  andò  ultima  f^g»o 

Dell'  arte ,  dsllo  fiil§  ,  e  diU^  ingegno  . 

M.  Niccolh  IFrauco  verfo  il  fine  del  /»# 

Dialogo  intitolato  il  Petrarchifta  > 

fingendo  che  il  Petrarca  fcrivejft 

una  lettera  al  Boccaccio  in 

lode  di  Kapolf  , 

Sommi  non  fenri  dolcczsa  d*  animo  di- 
ttato nell'  amenità  della  boHinìuia  Mer- 
jliina  ,  le  cui  ooibre  beate  con  h  divini- 
i  del  luogo  5  eh' ivi  ha  confecrato  il  Cie- 
)  ,  m'  han  dato  certilìimo  augurio  ,  ch« 
elle  fue  piaggie  un  giorno  dee  canta- 
3  un  Cigno  tanto  candido  e  fincero ,  che, 
guifadi  pura  colomba,  fpiegando  T  ali  al 
ielo,  farà  udire  al  mondo  voci  di  sì  fatta 
rmonia ,  che  veramente  vere  cornici  par- 
.inno  quegli  che  a  lui  pareggiar  fi  vorranno. 
Talché  la  fempiterna  Sirena,  che  alla  fua 
atria  diede  il  nome ,  mercè  del  fuo  canto  , 
ara  più  nota. 


Bcras- 


XXII      TESTIMONI. 

Berardino  Rora  nella  fua  prima 
Egloga  Pefcatoria . 

Leggiadre  tlinfe  cb*  al  bel  [affo  intorno 
Scbiryindo  ognor  di  Mergillina  andate  , 
tlinfa  pia  d*  altre  affai  felici  e  liete  \ 
Jslinfe  per  cui  fen  va  fuperba  adorno 
Il  nojlro  mir  ,  eh"*  a  viva  gloria  aliate  j 
"Poi  che  udito  cantar  si  dolce  avete 
Licoae   *  ,  H  primo  p'-egio^  e  V  prirno  vant 
Di   quanti  pefcétor  l*  onda   pia  p*eiia  ; 
Voi  già  ,  che  del  piìt  baffo  umido  fondo 
Ufcijie  fuor  ben  mìHe  volse  al  canto  y 
Tratte  da  meraviglia  ^  «•  da  dolcena  , 
per  afciugar  al  fJ  /'  or  crefpo  e  biondo', 
(^talor  fovra  «7  bel  colle  egli  cantando 
OuitJva  P  onda  pia  turbata  e  fra  , 
Qttafi  dil  m^r  Latin  quarta  Sirena; 
A  me ,  cbe  /*  olm^  fue  ne  vo  cercando 
Spinto  da  voglia  pellegrina  altera  ; 
Moftrate  ève  le  ferba  ancor  /*  arena  ;  ec. 

*Cioè  iìSanaiiaro , 

Idem  de  Mergillììia^/^^//.  Carm.  Latin, 
pag.  40. 

Quicumque  Aonio  perquirìf  vertice  Mufaf  , 
Qu^re  alio:  bine  abeunt ,  bffpitium  ejì  aliud* 

Mergillina  tenet  felici  litore  :   tu  fi 

Quarìs  f  eas  ,  montem  defere  ^  li  tur  adi  , 


Ber- 


TESTIMONI,     xxiii 

Bernardino  Tomltano  nel  fine  d'  un  So- 
netto per  la  morte  del  Card.  Bem- 
bo ;  porto  a  e.  107.  de*  Fiori  di 
Rime  raccolti  dai  Rufcelli . 

4iìuta  il  g'an  Trifone^  e  qui  Ha  cn^fta 
Ccp  ia  ,  tra  quei  pih  pggi  »   e  pih  grajiti  y 
SaJol'to^  e  '/?  divino  almo  Sincero. 

L*  illuuriiljmo  Signor  Mario  Colonna 
nelle  Pocfie  Tofcane,  a  e.   So. 

"ftf  quti  che  luce  ali*  età  nojha  diero  , 
E  qual  Sirene  del  Tirreno  mare  , 
Crescer  in  pregio  le  {alfe  onde  fero 
Sodvi  a  par  delle  Calìalie  ^  e  chiame  y 
L*  un  fu  che  V  Parto  yirginal  altero  9 
E  Dio  y  che  *fi  fragil  carne  in  terra  appare  > 
Celebra'^  e  l*  altro  delle  ft  e  He  *  moti  , 
Tuo  prtgi'o  y  Urania ,  /  dg^iuoi  Jìudj  ignoti. 

Laura  Terracina  nella  I.  Parte  delle 
Rime  ,  a  carte  24. 

[0  per  tr.e  bramerei  per  lodar   -voi 
Divenir  Dante  y  il  Bembo  ^  oil  Sanazzarc 

Lodovico  Paterno  nelle  Nuove  Fiamme 
delTediziondel  ELovillio,ac.  199. 

0  lungo  il  mar  cP  inonda  Mergillina  9 
Là^vefe  Sanazzaro  alle  Camene 
Lafciar  i  monti  con  la  fua  divina 
Voce  ,  e  paghe  abitar  P  umid^  arene  : 
Erger  gli  amici  al  eie!  con  la   Latina 
Tromba  maggior  ,  0  con  le  Tofche  avene  : 
E  far   in  riva  ufcir  le  {acre  Ninfe 
Dfp^  imi  [cogli  ,  #  delle  [alfe  linfe  . 

Lo 


XXIV      TESTIMONI. 

Lo  ftedb  nel  Nuovo  Petrarca  > 
a  carte  404« 

Qui  tiacque  deW  'Ebrea  Vergtnt  il  Partgy        j 
Azzio,  fte^  tuoi  purghiti  t  (acri  iacbiojifix  \ 
Qui  tonvitrt  tanta  fede  egnor  ft  moftri 
AlP  Oriente  ^  al  M^nogiorno  ,  a/l*  Arto, 

S^i  nacque  il  ftton  per   tutta  Arcadia  (parto', 
E    '/  primo  grido  de"*  marini  mofifi  : 
Qui  nacquer  gli  amjrofi  fofpir   vofiri  , 
Che  fveffo  <?'  fniei  penjier  dono  e  comparti  , 

Felice  fante  y  avventurefa  piaggia  y 

Scogli  pieni  d*  amore  ,  acque  tranquille  ) 
Valle  chiara  e  gtnsil ,  beate  arene  l 

ZI  bel  ridutto  ,  ove  par  fempre  infttlle 

Lo  del  d'augni  gran  dono  ,  e^n  guardia  Gaggia  j 
Del  Tirreno  inchinate  alme  Sirene . 

M.  AntonfranceCco  Rainieri  GeatiIuona« 
Milanefe,  nelle  Rime  ftampate  in  Ve- 
nezia dal  Giolito  in  12,  1*  anno  1554.  a 
carte  ha*  nella  Pompa  Seconda  >  nelK^ 
quale  induce  fra  gli  altri  celebri  Poeti  il 
Sanaiiaro ,  che  prefenta  ad  una  Dama  Mi- 
lanefe una  Sirena  d'oro  con  quelli  verfi  : 

^on  delle  micidiali  empie  Sif-ene  , 

C^.-?  /  naviganti   intenerian  col  conto  , 
Indi    occidean  :   ma   delP  amate  e  piene 
Z)'  ogni  piet^  ,  di  cui  Napcli  ha   V  vants  ; 
Qj^eJ}'*  una  a  voi  con  luci  alme  e  (erene  , 
£  'n  chioma  e  fquame  d^  oro  adorna  tan'o  ; 
Dono  ;  e  convienfi  a  voi  Donna  gradita  ; 
Se  già  non  date  altrui  morte  ,  mi   vita  , 


Lo 


t  E  S  T  I  M  O  N  J .      XXV 

Lo  ftcfTo  nelle  Rime  5  dell'  ediz.  di 
Bologna ,  a  carte  So. 

To  fono  Apollo  3  e  qmflo  quinci  è  'Dante , 
Che  canti  Beatrice  .  Ecco  il  Petrarca , 
Ch'arce  di  Laura,  Ecco  il  Boccaccio  amante^ 
Ecco  il  Bembo  d^  onor  P  anima  e  arca  : 
1/  Sanazzaro  è  quel  tutto  elegante , 

Giovan  Girolamo  de'Roffi  nelle 
Rime  j  a  carte  82. 

Z^tne  </*  alta  eloquenxtk  )  ^«v'  divina 
A  vai  pari  non  ehbtr  quei  che  cajfi 
Di  vita  fon  :  con  ptsro  ,  e  dotto  incbioflr^ 
^uel  cortefe  Signore  a  cui  t"*  inchina 
fiapol  gentil  y  e  '»   Panfilippo  fi^ffi  y 
Canterà  si  ,  che  del  bel  nome  voftro 
Ne  gira  chiaro  il  fofco  fecol  noftro  •  cc 


Girolamo  Rufcelli  nella   fua    Lettera   al  Si^^ 

Aurelio  Porcelaga  ,  con  cui  gli  dedica  i 

Fiori  delle  Rime   de^  Poett    III  pi 

f celti  da  lui,  al  foglio  *  ì\],  a  tergo. 

Il  chepofTono  agevolmente  conofcer  co- 
loro che,  avendo  arte,  e  giudicio  da  po- 
ter conofcere  interamente  i  gradi  e  i  luo- 
ghi di  perfezione  nella  invenzione  ,  nella 
difpofizione  ,  nello ftile,  e  in  tutte  l'altre 
parti  della  elocuzione  ,  aleranno  confide- 
rati  quei  componimenti  del  Bc-mbo  ,  del 
Guidiccioni  ,  del  Sana^aro  ,  del  Moiza  % 
della  Pefcara,  e  di  certi  altri  alquanto  ad- 
dietro,  editanti  altri  pji  più  vicini  ano* 

e  u< 


XXVI      T  F.  S  T  I  M  O  N  J . 

e  di  quefti  lleflì  tempi»  veramente  illudri 
veramente  rari  ,  e  veramente   miracolofi; 
che  fi  fono  venuti  facendo  fentire  di  mane 
in  mano  • 

Lo  fteffQ  nei  Rttrta'h  ,  al  Capir.  11^,  in   («. 

tratta  de""  Ver  fi  Sdruccioli  . 

vtrfo  il  fine  . 

Hanno  poi  a'cempl  noftri  alcuni  fvegliatif 
fimi  ingegni  toltofi  imprefa  di  far  compo 
nimenti  tutti  interi  di  verfi  fdruccioli  >  fic 
cornee  nella  leggiadriflima  Arcadia  del  5"* 
fia\'{aro\  Opera  che  per  certo  io  foglio  din 
elTer  cosi  vaga,  e  cosi  eccellente  nell'ef 
fer  fuo  ,  come  qualfivoglia  componimenti 
che  una  lingua  nobile  pofTa  ricevere  ;  f< 
non  che  ò  (lata  fin  qui  ,  non  fo  per  qua 
fato  5  oper  cui  colpa  ,  mandata  attorno  tan 
to  trasformata  da  quel  la  che  1' Autori-  fcrif 
fé,  che  fi  veggia  tutta  piena  di  enormifllm 
errori  nella  lingua,  e  in  più  altre  cofe  .  A 
che  io  ho  procurato  di  rimediare,  con  opera 
che  fra  pochiflìmi  giorni  ella  fi  dia  fuori  ne 
modo  che  io  Phoiitornata  con  quegli  efem 
plari ,  e  con  quelle  ragioni ,  che  nel  fuo  prin- 
cipio potrà  vederfi 


fi t  infine  dvlla  fuddetta  fua    Kaccoìta  di  Ri. 
me ,  aiftgL  PP,  iij,  a  ttrgo , 


il  Ca- 


TESriMONJ.     xxvfi 

Il  Cavalier  Marino  nella  Galleria . 

Jacopo  Sanazzaro. 

W  al  fuon  deìU  Sincera  avena 
angtar  Febo  col  mare  il  (acro  fonte  y 

le  Mu[e  calar  dal  verd^  monte 
'/  M^rgelltna  alla  diletta  arena  . 

dolce  ,  0  terfa ,  o  pniiofa  vena 
^on  /•'  udì  mai  fra  le  pia  chiare  y  e  conte  , 
^ate  Ulijfe  le  av^ia  P  orecchie  pronte^ 
?  Cantava  sì  ben  la  m'ta  Sirena  , 
f  con  /*  armonia  y  che  tanto  piacque- y 
ajior  ToCcano  ,  e  pefcator  Latino  y 
'i  Sebeto  ,  e  d*  Alfeo  le  rive  e  /'  acque  • 
giunto  al  Virgin  il  Parto  Divino  i 
'snth^l  plettro  col  fiato  y   e  tacque  ,  e  giacque 
i  Jìile  e  d*  urna  al  gran  Maron  vicino , 

cafiut  Crofipput ,  feu  Gafpar  Scioppiuf  ,  in 
tradoxff  Literariit ,  pag.  ^3.  fcrihnsju-^ 
Ho  C  a  fari  CapaCfO  NeapoUtano  . 

xemplo  fit  ve!  civis  tuus  nobllilTimus 
ta^ariuf  y  qui  quidem  omnium  nationurn 
reftu  Latine  fcribendi  palmam  ita  fibi 
licavic ,  ut  nullo  genere  vel  Tibullo ,  vel 
3ertioinferiorcenfeatur,  unoqueomnes 
hoc  Bembi  Cardinalis  elogium,quocl  cuin 
i  vos  eflem  Maufolaeo  ejus  infcriptum  mi- 
lonftrabas  y  in  euna  confentiant  : 
^a  facro  cinerì  flore f  :  hic  ille  Maroni 
incerus  Mu[a  p^oximur  ,  ut  tumulo,  Hic 
en  prae  {e  AngJam  Baffumy  a  patria  P<?- 
«'  nomine  notiorem,  nonaliterqiiamQ 
ultiraae  notae  Grammatifta  forct,  son- 
nere  &  verfibus  infe^ari  aufus  eft  >  qi*od|S 

e  IV» 


txviii      TESTIMONJ. 
eum  fermcnis  puritr,té  minime  fibi  paretn 
fé  rcde  judicaret.Etfi  enim  ille  quoque  "< 
fus  fci  ipfit  Latinos,qui  vetudati  fé  pofTint 
rerc»  nihìl  tacien  a:i  Sannr.iarìum  .  Hai  i 
tamen  alia,  quorum  caufa  non  Saftn<i\a 
modo,  fedquotquot  ^tasilla,  dodarum  I 
minum  minime  fteri]is,habuit,quctqutfe3 
de  ad  hanc  ufque  diem  Europa  tulit ,  eun  j 
colere  &  admirari  m'?rico  poterant . 

\fe^ì  ancora  i  Teftimonj  di  molti  uon  i 
dotti ,  premeffì  alle  Opere  Latine  del  S^t  - 
^tf'-o  dell' Edizion  Ceminiana  :  come  pui  i 
Cartel  vetro  nella  Poetica  ,  a  carte  21.  2: 
5J4.  deìPediz  di  Bafilea.  Il  Varchi  neirE"  1 
lano  in  più  luoghi^  e  così  il  Mazzoni  in  ra  : 
altri  del'a  Tua  Difefa  di  Dante. II  Fornari 
praTAriofto  nella  Parte  I.acarteyyl 
Toppi  nella  Biblioteca  Napoletana  5  a  ca  à 
34.11  Capacio  nelle  Storie  Napo!etane,a  e  i 
te  576.  e  fegg. e  negli  Elogi ,  Porteli    il 
378,11  Nifieli  ne'Proginnafmi.in  più  i- 
IlMoreri ,  ed  il  Baile  ne' loro  Gran  -Ji. 
Tizx)  .  Il  Pope- BJount  nella  Cenfura  de' 
Celebri  Autori .  Il  Mufcetola  nel  Gibii 
to.  Il  Gaddi  nella  Corona  Poetica,  a  e? 
11.  Il  Gravina  ne  Uà  Ragion  Poetica,  a  t . 
te  I  Ti.  212,  Il  Crefcimbeni ,  a  carte  5.6  \ 
dell'ediz.  ultima  delle  Bellezze  della  V< 
Poefia  :  nell'Arcadia,  a  carte  ^4.  :  nelii5 
ria,  pag.  IC9.  218.  iiz,  :  ne'  Coment 
Voi  L  pag.  32. 13^21^.  ;^28.  389.  Voi. 
Parte  li.  pag.  ?9?.  Voi.  V.  pag.  ^?.  Ili 
iìernegli  Elog)  Parte  I.  L'Autor  Frane 
del  Lucien  enheW  bumeur  Tom.  II.  pag. 3 
einfiaiti  altri  d'ogni  nazione, 

PEOIE 


PROEMIO 
DELL'   ARCADIA 


D    I 


M, 


ACOPO  SANA22ARO. 

ARGOMENTO. 

lofira  quanto  pia  diletto  alcuni  volte  arrechi 
aìVuùmo  una  ccfa  rci^a  ,  naturalmente  fattay 
cb;  una  pulita  ^  e  fabbricata  con  artificio^ 

Ogliono  il  più  delle  volte 
gli  alti  e  fpaziofi  alberi  ne- 
gli orridi  monti  dalla  natura 
produtti  ,  più  che  le  coltiva- 

Ite  piante  ,  da  dotte  mani 
efpurgate  negli  adorni  giar- 
dini ,  a*  riguardanti  aggra- 
are  ;  e  molto  niù  per  li  foli  bofchi  i  ialvatì- 
hi  uccelli  r.)vra  i  verdi  rami  cantando,  3 
hi  gli  afcoJta  piacere  ,  che  per  le  piene  cit- 
adidentro  levezzofe  ed  ornate  gabbie  non 
^idcciono  gli  ammaeftrati  .  Per  la  qual  cofj 
incora  (ficcome  ioftimo)  addiviene,  che 
e  filveftre  canzoni  vergate  nelle  ruvide  cor- 
^cÓQ^  de' faggj  dilettino  non  meno  a  chi  le 
e^ge,  che  li  colti  verfi  fcritti  nelle  rafe 
Tf/w^  I,  A         carte 


4  ARCADIA 

carte  JcglI  indorati  libri  ;  e  le  incerate  Ce- 
ne de'  paftori  porgano  per  le  fiorite  valli  £< 
fé  più  piacevole  fuono  ,  che  li  terfi  e  preg 
ti  bofli  de'  mufici  per  le  pompofe  camere  n 
fanno.  E  chi  dubitai  che  piiì  non  fia  a 
umane  menti  aggradevole  una  fontana  ,  e 
naturalmente  efca  dalle  vive  pietre,  atte 
lìiata  di  verdi  erbette  ,  che  tutte  le  altre 
arte  fatte  di  bianchi  flTimi  marmi  ,rifplende 
ti  per  molto  oro?  Certo  che  io  creda,  ni 
no.  Dunque  in  ciò  fidandomi  >  potrò  ben 
fraquefte  deferte  piagge  ,  agli  afcoltantij 
fceri  j  ed  a  quei  pochi  paftori  che  vi  farann 
raccontare  le   rozze  Egloghe   da   natura 
•vena  ufcite  ;  così  di  ornamento  ignude  efpi  \ 
anendole,  comefotto  le  dilettevoli  ombn  I 
al  mormorio  de'liquidiffi  mi  fonti ,  da'Pafto  ^ 
di  Arcadia  le  udii  cantare:  alle  qua'i  ne  | 
una  volta ,  ma  mille  i  montani  Iddìi  da  do  [ 
cezza  vinti  predarono  intente  orecchie  »   i 
!e tenere  Ninfe,  dimenticate  diperfeguii  < 
i  vaghi  animali ,  lafciarono  le  faretre  eg 
archi  a  pie  degli  alti  pini  di  Menalo  e  ( 
Liceo  .  Onde  io  (  fé  licito  mi  folle  )  più  n 
terrei  a  gloria  di  porre  la  mia  bocca  alla  um 
le  fiflula  diCoridone,  datagli  per  addietr 
daDameta  in  caro  dono  ,  che  alla  fonor 
(tibia  di  Pallade,  per  Ja  quale  il  male  infi 
perbito Satiro  provocò  Apollo  allifuoi  dar 
«li.  Che  certo  egli  è  migliore  il  poco  tei 
reno  ben  coltivare  ,  che  'i  molto    lalciar 
per  mal  governo  miferaracnte  irabofchire 


A  R- 


DEL   SANAZZARO.        3 

ARGOMENTO. 

'ferite  il  ftto  Jflla  cima  del  monte  Varte^ 
fth  ,  e  di  quali  alberi  jia  adorna  ,  e  chi 
quivi  follia  ridurf  \  dove  Con  bella  manie^ 
ra  introduce  due  pafiori  ,  ricè  Selvaggio  , 
rìre  (iinta  ccn  E''gaJìo  )  '"/  quale  era  dolen^ 
te  per  le  fue  pa(ftoni  amo'cfe , 

PROSA    PRIMA. 

*>  Face  nella  fommità  di  Partenìo  non  iimì- 
jr  le  monte  della  paftorale  Arcadia  undi- 
:tevole  piano  ,  di  ampiezza  non  molto  fpa- 
ofo;  perocché  il  fico  del  luogo  noi  con- 
nte;  ma  di  minuta  e  verdilìjma  erbetta  sì 
pieno  ,  die  ,  le  le  lafcive  pecorelle  con 
i  avidi  morfi  non  vi  pafcefTero ,  vi  fi  po- 
ebbe  d'  ogni  'tempo  ritrovare  verdura  • 
ve  (  fé  io  non  m' inganno)  fcn  forfè  dodi- 
0  quindici  alberi  di  tanto  ftrana  ed  eccef- 
a  bellezza»  che  chiunque  li  vedefTe  ,  siu- 
cherebbe  che  la  maeftra  natura  vi  fi  fotTe 
■n  fommo  diietto  ftudiata  informarli.  Li 
lali  alquanto  didanti  ,  ed  in  ordine  non  ar- 
ri ci  ofo  di  fpofti  1  con  la  loro  rarità  la  natu* 
'e  bellezza  del  lucgo  oltra  mifura  anno- 
lifcono  .  Quivi  fenza  nodo  veruno  fi  vede 
diritti  (lìmo  abete  >  nato  a  foftenere  i  peri-» 
)U  del  mare;  e  con  più  aperti  ramila  re- 
ifta  quercia,  e  Paltò  fraflmo,  e  Io  ame- 
fljmo  platano  vi  fi  difendono  con  le  loro 
nbre  j  non  picciola  parte  del  bello,  e  co- 
ofo  prato  occupando;  ed  ewl  con  più  bre- 
J  Ì:onda  1'  albero  di  che  Ercole  coronare 
Ibtea  >  nel  cui  pedale  Icmifere  figliuole 
A     2  di 


4    ,  ARCADIA 

eli  Climene  furono  trasformate  :  ed  in 

de'  lati  fi  fcerne  il  noderofo   caftagno  j 

fronzuto  boffo  -,  e  con  puntate  foglie  lo  ecc 

fo  pino  carico  di  duri Ifi mi  frutti  ;  nell'ali 

l'omb'-ofo  faggio ,  la  incorruttibile  tiglia  j 

'1  fragile  tamarifco  ,  infiemc  con  la  orieni 

le  palma»  dolce  ed  onorato  premio  de' vi 

citori ,  Ma  fra  tutti  rei  mezzo,  pre^To 

chiaro  fonte,  forge  verfo  il  cielo  un  drit 

cipreflb  >  veraciflìmo  imitatore   delle  al 

mete,  nel  quale  non  che Cipariffo  ,  ma  ( 

dir  convienfi  )  elfo  Apollo  non  fi  fdegnere 

be  e(Tcre  trasfigurato  >  Né  fono  le  dette  pia 

te  sì  difcortefi ,  che  del  tutto  con  le  loro  oi 

bre  vietino  i  raggi  del  fole  entrare  nel  d 

Icttofo  bofchetto,  anzi  per  diverfe  parti 

graziofamente  li  ricevono  j  che  rara  èque 

Ja  erbetta»  che  da  quelli)  non  prenda  gra 

di/Iìma  recreazione  ;  e  come  che  da  og 

Itempo  piacevole  danza  vi  fia  ,  nella  fiori 

primavera  più  che  in  tutto  il  reftante  ani 

piacevoli  (Ti  ini  vi  fi  ritruova  .  In  quello  co 

fatto  luogo  fogliono  fovente  i  paÀori  con 

Joro  greggi  dalli  vicini  monti  convenire 

e  quivi  in  diverie»  e  non  leggiere  pruo\ 

cfcrcitarfi:   ficcome  in  lanciare  il  grave  p^ 

Jo  ,  in  trarre  con  gli  archi  al  berfaglio  ,  e 

in  addellrard  nei  lievi  falri ,  e  nelle  for 

lotte,  piciie  di  radicane  infidie,  e  '1  pi 

delle  volte  in  canr^ife^  ed  in  fonare  le  fan: 

pogne  a  pruova  1' un  dell'altro  ,  non  fenz 

pregio  e  loie  del  vincitore  .  Ma  emendo  un 

iìata  tra  l'r.'tre  quafi  tutti   i  convicini  paftc 

ri  con  le  foro  maridre quivi  ragunati ,  e  eia 

fcuno  varie  m:ìniere  cercando  di  iollazzare 

fi  davH  maravigliijfa  feO^  ;  Ergalo  folo  ,  fen 

^a  alcuna  cofa  dire  o  fare  >  a  pie  d'un' albe 


DEL   SANAZ2ARO.        5 

j  dimenticato  di  fc,  e  de'fuoi  greggi  già- 
/a  ,  non  altrimenti  che  fé  uaa  pietra  o  un 
meo  (lato  foflTe  ,  quantunque  per  addietro 
eflTe  oltra  gli  altri  partorì  tflere  dilette- 
le e  graziofo  :  del  cui  mifero  (lato  SeU 
ggio  moffo  acompaflione,  ncr  dargli al- 
1  conforto,  così  amichevolmente  ad  alta 
ce  cantando  gì* incominciò  a  parlare. 

EGLOGA     PRIMA, 

Selvaggio,  ed  Ergafto. 

!.  I  %  Rs-^do  mio  ^  perchè  foli ngo  y  e  tacita 
JLj  Ptnftr  ti  vfggÌ9hi  mècche  mal  fi  la fcì  arti 
Le  puore/le  andare  a  lor  ben  placito  % 

Vedi  quelle  ibe'*l  rio  varcando  paffano  y 

Vedi  que''duo  tn-.nton^chv^  nfumt  corrono^     5 
•  Cerne  in  un  tempo  per  urtar  s'^ahbajfano  • 

Vedi  cP  al  vincitor  tutte  fcccorrono  ^ 
E  vjnn:gli  ^a  tergo  ,  «>*/  vitto  [cacciano^ 
E  con  femb fanti  (e bivi  Qgn*or  Vabborrono, 

"E  fai  ben  turche  ilupi{anc6r  che  tacciano)  \q 
Fanle granprede^e  i  can dormendo ftannofi^ 
Pfrb  che  i  lor  pa fior  non  vi  t''impacciano* 

Già  per  li  bofchi  i  vaghi  uccelli  fannofi 
1  dolci  nidi  ,  e  d"*  ahi  monti  cafcano 
he  nevi  ,  che  pel  fol  tutte  diffannof  ,      15 

E  par  che  i  fieri  per  le  valli   na frane  , 
Ed  ogni  ramo  abbia  le  foglie  tenace  , 
E  /  puri  agnelli  per  /•  erbttte  pafcano  . 

L*  arco  ri  figlia  il  fanciullin  di  yence  ^ 
Che  di  ferir  non  è  inai  fianco^  oja'^io      2q 
Di  far  delle  m'dcl'e  afida  cenere  . 

Vrogne  ritorna  a   noi  per  tanto  fpa\io 
Con  la  [or  e  Ila  fua  dolce  Cecropia 
^  Umetttarf  delP  antico  /ìra\io . 

%  A     ì        A  d'/. 


6  ARCADIA  É 

J.  ^tre  il  vtro  oggi  è  tanta  V  inopta  ^ 
DepaftùTycbe  Cantando  all' btnbfa {«ggiant^ 
Qhe  par  che  Jìiamo  in  S citiamo  in  Etiopia* 

Or  poi  che  o  nulli  ^  o  pochi  ti  pareggian9 
A  cantar  ve^ji  sì  leggiadri  ,  efrottole^ 
Deh  C'inta  amai  ^  chi  parche    i  tempi  \ 
chieggiano  .  2 

'Er%*Selvaggio  mio  ^  per  que fi  e  ofcurt  grattili 
Tilom'ena  ,   m  Progne  vi  fi  vedono  : 
Ma  mefte  firtgi  ,  ed  importune  nottole  , 

primavera  ,  e  fuoi  dì  per  me  non  f ledono  , 
"ÌSie  truovo  erbfyO  fioretti ^  che  mi gioveno^  ^ 
Ma  pilo  pruni  yefifdhiy  cbe'^l  cor  ledono^ 

X^ubi  mai  da   quefi"*  aria  non  fi  moveno  , 
E  seggio  i  quando  i  dì  fon  chiari  e  tepidi^ 
ti  etti  di  verno  ,  che  tonando  pioveno  , 

Pertica  il  mondale  nm  penfar  ch'aie  trepidi^  ^ 
Ma  attendo  fua  ruina  ,  e  già  confiderò^ 
Che*l  cor  /''adempia  di  penjigr  più  lepidi, 

Caggian  baleni ,  e  tuon  quanti  ne  videro 
1  fier  g  io  unti  in  Fleg  ra  ;  e  poi  fommergafi 
La  terra  e  V  del  ^  eh"*  io  già  per  me  i 
de  fiderò  .  ^ 

Come  vuoi  che  V  profirato  mio  cor  ergafi 
A  pon.'r  cura  in  gregge  umile  e  povero  y 
Ch'iofpei'O  cbefraU'pi  anxj  difpergafi  ? 

ISJon  trucvo  tr.y  gli  ajfanni  altro  ricovero  , 
Che  di  fé  dermi  fola  a  ptè  d*  un*  acero^     ^{ 
D'*un faggi 9 yd^ un'* abete y  over  d^unfovcro. 

Che  pensando  a  cslei  ^  che  ^l cor  m'*ha  lacero 
Divento  un  ghiacciole  di  nuìTaltra  cufomiy 
tlè  fiento  il  duci y  ond'*io  *ni  ft^uggo^e  rmceri 
%z\,Ver  maravigli  a  spi  h  e  Pun  [affo  induromi^  5 
Vedendoti  parlar  sì  malinconico  ; 
B  ^n  dimandarti  alquanto  rajjicttromi  . 

Qual''è  colei  ,  e"*  ha  "^l  petto  tanto  erronico^ 
Che  t*  ha  fatto  cangiar  ViltOy  e  cofiume  ? 

Dim- 


DEL  SANAZZARO.        7 

t)lmmtlyclft  con  altrui  mai  no^  e  emoni  e  0,^0 
g.MenamJo  um  f^iorno  gli  agni  preffo  unfiumg^ 
Vidi  un  bel  lumt  in  me^io  di  queW  ondt^ 
Chi  ctn  due  biondi  trecce  ali* or  mi  firinfty 
E  mi  dipinft  un  volto  in  me^io  V  core^ 
Che  di  colore  avanx^a  latte  ,  e  rofe  :       6% 
poi  fi  nafcofe  in  modo  dentro  l^alma  ^ 
Che  d'' altra  [alma  non  m\tggrava  il  pefo. 
Cesi  fui  i>refo^  ond^'bo  trJ giogo  al collo^ 
eh  il  pruovj^e  fello  piò  ch'*uom  mai  di  carne \ 
Tal  che  a  pelarne  è  vinta  ogni  alta  Jlima-io 
lo  vidi  p^ima  l'uno  ,  e  poi  l*ahr'*occòio  ; 
Fintai  ginocchio  al\a1a  al  parer  mio  ^ 
-,  In  meno  V  rio  fi  flava  al  caldo  cielo  : 
Lavava  un  v^lo  tn  voce  aita  cantando , 
Oimè^cbe  quando  ella  mi  vide^  in  fretta  7  5 
La  can;[onetta  fua  fpei:(^ando  ,  tacque  : 
JE  mi  difpiacque  ,  che  per  pia  mie^ajfanni 
Si  fcimfei  panni  ,  e  tana  fi  cover  fé  : 
Voi  fi  (cmmtfrfe  ivi  entro  infino  al  cinto  j 
Tal  che  per  vinto  io  caddi  in  terra  fmortcZo 
E  per  conforto  darmi  e^!a  già  corfg  , 
£  mi  [occo^fe  s  sì  piangendo  a  gridi  ^ 
CP  alli  fuoijiridi  cor  fero   i  pa fiori  ^ 
CP  eran  di  fuori  intorno  alle  contrade: 
E  per  pleiade  ritentar   militarti  ,  Sj 

Ma  i  fpirti  (parti  al  fin  mi  ritornar  0  , 
E  fen  riparo  alla  dubbi o{a  vita  . 
Ella  pentita,,  poi  cP  io  mi  rlfcojji  ^ 
All'*  or  tcrnojft  indietro^e^l  cor  pia  m^arfei 
Sol  per  mofirarfe  in  unpietofa  e  fella  .     90 
La  pa  fi  or  e  Ila  mia  fpierata  9  rigida  , 

Che  notte  e  giorno  al  mio  focccrfo  cbiamcla^ 
E  fta  fuperba  ,  e  piò  che  ghiaccio  frigi da'^ 
Ben  fanno  quefti  bofcbi  quant*  io  amela  , 
S'annoio  fiumi y  monti ^  fiere ^  ed  uomini ■i    95 
CPogn' or  piangendo  efnfpirando  bramala, 
A     4  S'^^^o 


'm 


8  ARCADIA^ 

Sa  Ih    quante  fiate  il  di  la  mmtni 

Jl g^'egge  mio  ,  che gih  tutt^ore  afcoltamì] 
0  e  y  egli  in  fé  Iva  pafca^o  in  mandra  romim 

"Ecco  rimbomba  ,  e  fpejfo  indietro  voltami  iO( 
he  voci  ,  che  si  dolci  in  aria  fonano  ) 
'E  mW*  orecchie  il  bel  nomi  rifoltami  , 

S^efi^  alberi  di  lei  fempre  ragionano  , 
E  nelle  (cor\e  fcritta  la  dimoftrano  y 
Ch^aplagerfpeffoyeda  calar  mi  f prona nQ'.l<>\ 

Per  hi  li  turi  y  egli  arieti  giojìrano  , 

ARGOMENTO. 

Racconta  gli  fpajjì  cP  ebbero  per  la  firada  i 
paftori  tornando  alle  lor  capanne  :  e  che  , 
poi  andando  egli  con  le  fue  pecorelle  un  gior- 
«tf,  pf  fifggirg  il  Caldo  ,  incontrò  Monta, 
fio  paftore  ,  che  cercava  fimilmente  il  fre- 
fco  ;  al  quale  fece  offerta  d^  un  bel  bafione* 
pregandolo  che  canta ffg  .  Montano  comincia- 
to il  canto  ^  vide  Uranio  dormire  \  e  defia- 
toloy  con  lui  cantò  /'  amor  di  due  pajìorel- 
le  ,  che  ne*  cuo'i  //'  amendue  loro  facevamo 
acerbi  e  diverfi  effetti . 

PROSA    SECONDA. 

STa/a  ciafcun  di  noi  non  men  pietofo  ,  che 
attonito  ad  afcoltare  lecompa(Tìonevoii 
parole  diErgaftoj  il  quale  qu?intunq«e  con 
la  fioca  voce,  e  i  miferabili  accenti  a  fofpi- 
rare  più  volte  ne  moveile  ;  nondimeno  ta- 
cendo, folocol  vifo  pallido  e  magro,  con 
glirabbuffati  capelli)  egli  occhi  lividi  per 
Jo  foverchio  piangere  ,  ne  avrebbe  potuto 
porgere  di  grandidìma  amaritudine  cagione. 
Ma  poi  che  egli  fr  tacque^  le  rifonanii 
^        felve 


DEL   SANAZZARO.       9 

;lve  parimente  fi  acquetarono;  non  fu  ai- 
uno  della  paftorale  turba  a  cui  baftafle  il 
uore  di  partirfi  quindi  per  ritornare  ai  la- 
:Jati  giuochi,  ne  che  cu  rade  di  fornirci 
ominciati  piaceri  :    anzi  ogni  uiìo  era  si 
intoda  compaffione,  che  come  meglio  po- 
eva  o  fapcva  ,  s'  ingegnava  di  confortar- 
3,  ammonirlo,  e  riprenderlo  del  fuo  er- 
ore  j  infegnandogli  di  molti  rimedj,  affai 
iù  leggieri  a  dirli  ,   che   a    metterli    in 
perazione  .  Indi  veggendo  ,  che '1  fole  era 
•er  dechinarfi  verfo  l'Occidente  5  e  che  i 
aftidiofi  grilli  incominciavano   a    ftridere 
er  le  fefliire  della  terra,  fentendofi  di  vi- 
ino  le  tenebre  della  notte;  noi  non  fop- 
)ortando  che  *1  mifero  Ergafto  quivi  fola 
imantde  ,  quafi  a  forza  alzatolo  da  fede- 
e  ,  cominciammo  con  lento  paflo  a  move- 
•e  foavemente   i    manfueti  greggi  verfo  le 
nnndre  ufate  5  e  per  raen  fentire  la  noja 
iella  petrcfa  via,  ciafcuno  nel  mezzo  dcl- 
andare  ,  fonando  a   vicenda  la  fua  fun- 
logna,  fi  sforzava  di  dire  alcuna  nuova  can- 
zonetta ,  chi  racconfolando  i  cani ,  chichia- 
■n.indo  le  pecorelle  per  nome,  alcuno  la- 
■nentandofi  delia  fua  paftorella  ,   ed  altro 
rullicamente    vantandofi    della  fua  :    fenza 
:he  molti  fcherzando  con  bofthereccie  aftu- 
?ie ,  di  pafìo  in  pafTo  fi  andavano  motteg- 
Mando  ,  infino   che  alle  paoliarerchc  cafe 
fummo  arrivati.  Ma  palìando  in  cotal  gui- 
fa  più  è  più  giorni,  avvenne  che  un  mat- 
tino fra  gli  altri  ,    avendo  io  (  ficcome  è 
coiìume  de' paftori  )  pafciute  le  mie  peco- 
reileper  le  rugiadofe  erbette,  e  parendo- 
mi ornai  per  lo  fopravvegnente  caldo  ora 
di  menarle  alle  piacevoli  ombre j  ove  col 
A    5  fre- 


IO  ARCADIA, 

frefco  fiato  de' venticelli  potelìì  me  e  lor 
infieme  ricreare;  mi  pofi  in  cammino  ver 
fo  una  Valle  ombrofa  »    e  piacevole  %  eh 
men  di  un  mezzo  mìglio  vicina  ftava  >  d 
palTo  in  paflb  guidando  con  i'  ufata  verg 
i  vagabondi  greggi  ,  che  s'^  imbofcavano 
Né  guari  era  ancora  dal  primo    luogo  di 
Jungato  j    quando  per  avventura  trovai  ii 
-via  un  paftore  >  che  Montano  avea  nome 
il   quale  fimilmente  cercava  di  fuggire  i 
faftidiofo  caldo j  ed  avendoli  fatto  un  cap 
pello  di  verdi  frondi  j  che  dai  fole  il  di- 
fendeHe  ,  fi  menava  la  fua  mmdra  dinan- 
zi ,   sì  dolcemente  fonando  la  fua  fampo- 
gna }  che  parea  che  le  felvepiùche  l'ufa-- 
to  ne  godelTero  .    A  cui  io  vago  di  cotai 
fuono  ,  con  voce  affai  umana  difli  :  Ami- 
co ,  fé  le  benivole  Ninfe  predino  intente 
orecchie  al  tuo  cantare  ;  e  i  dannofi  lupi 
TiOn  pedano  predare  nei  tuoi  agnelli  ,  ma 
quelli  intatti,  e  di  bianchiiìime  lane  cover- 
li  )  ti  rendano  graziofo  guadagno  ,  fa  che 
io  alquanto  goda  del  tuo  cantare  ,  fé  non 
ti  è  noja  ;  che   la  via  e '1  caldo  ne  parrà 
minore  :  ed  acciocché  tu  non  creda  che  le 
tue  fatiche  fi  fpargano  al  vento»  io  ho  un 
badone  di  noderofo  mirto  ,  le  cuiedremi- 
tà  fon  tutte  ornate  di  forbito  piombo  ,    e 
nella  fua  cima  è  intagliata  per  man  di  Ca- 
riteo  bifolco  »  venuto  dalla  fruttifera  Ifpa- 
gna  ,   una  teda    di  ariete  con  le  corna  sì 
KiaedrevoI mente  lavorate  ,  che  Toribio  , 
padore  oltra  gli  altri  ricchidlmo,  mi  vol- 
fe  per  quello  dare  un  cane  animofo  (Iran- 
golatore  di  lupi  ;  né  per  lufinghe  o  patti 
che  mi  offeride  j  il  potéo  egli  da  me  giam- 
mai impetrare  .   Or  quefto  (  fc  tu  vorrai 


DEL   SANAZZARO.       xt 

antare  )  iìa  tutto  tuo  .  Allora  Montano 
enza  altri  preghi  afpettare ,  così  piacevol- 
nente  andando  incominciò. 

EGLOGA    SECONDA. 

Montano ,  ed  Uranio  • 

^^On-'T Te/te  ali*  omh*'a  dagli  ameni  fagg)  ^ 
X   Pafciute  pecorelle  ,  ornai  che  V  folt 
Sul  mewo  giorno  tndriwa  i  caldi  raggj  • 

Ivi  udirete  P  alte  mie  parole 

Lodar  gli  occhi  fereni  -i  e  trecce  bionde^  5 
Le  mani  t  e  le  bellei':;^e  al  mondo  fole. 

Mentre  il  mio  Canto  ,  e  1  mormorar  delPortde 
i'  accorderanno  ,  e  voi  di  pajfo  inpajfo  10 
Ite  pafcendo  fiori  ,  erbette  ,  e  fronde  . 

Io  veg^o  un''  uom  ,  fé  non  è  fierpo  ,  0  fajfo  J 
E  gii  è  pur  uom  ,  che  dorme  in  quella  valÌ9 
Vifìefo  in  terra  ,  faticofo  e  lajj'o  , 

Ai  panni ,  alla  fl.t tura  ,  edalle  Spalle  9 

?  Ed  a  quel  can  ,  che  è  bianco  )  e'*par  che  fi^ 
Uranio  ,  fé  V  giudicio  mìo  non  falle  ,  1 5 

Eg'i  è  Uranio  ,  il  qual  tanta  armonia 
Hi  mila  lira  ,  ed  un  dir  sì  leggiadro  y 
Che  ben  s*  agguaglia  alla  famppgna  mia ^ 

Fuggite  il  Ladro  ,  0  pecore  ,  *  pafiori  . 

eh*  egli  è  di  fuori  il  lupo  pi  in  d'^inganniy  23 
£  mille  dìm^^i  fa  per  le  contrade  , 
Pjii  fon  due  ftrade  \   or  via  veloci  e  pronti 
Ver  meno  i  monti ^che^lcammin  vi  fquadfo^ 
Cacciate  il  ladro ^  il  qual  jempre  s''a;  piatta 
In  quefìa  fratta  è'n  quella ^e  mai  no  dorme ^X^ 
Seguendo  V  orme  delU  greggi  nojìri  . 
Nejfun  fi  mofifi  paventofo  al  bofco  ; 
C b^io  ben  conofco  i  lupi.amdiamo^andtama  j 
Che  s*  un  fol  ramo  mi  trarre  da  preffo 
A     6  Ntf 


12  ARCADIA 

2VZé/  fari  frejfo  ritornare  a  dietro  .       ^g 
Chi  fi  a  (  /'  impetra  dalle  tnìe  venture  , 
Qh"*  ogqi  fìcure  vi  conduca  al  varco) 
Piif  di  me  (carco}  o  pe.ofil'c  ardite^ 
Andate  unite  ^  al   vojìf'o  ufato  modo  , 
Che  {  fé  H  ver  odo  )  il  lupo  è  qui  vicino  \   35 
Cb^  ejìo  mattino  udti  romvri  flran' , 
Ite  j  miei  cani  ,  ite  ,  Melampo  y  ed  AJro  j 
CaiCiate  il  ladro  con  audaci  gridi. 

JSlejfun  (i  fidi   ne  II*  a  fi  ut  e   infidi  e 

De"*  fai  fi  lupi  y  che  gli  armenti  furano  ^  40 
E  ciò   n*  avviene  per  le  nofire  invidie  ^ 

Alcun  fagfj  paficr  h  mandre   murano 
Con  alti  legni,  e  tutte  h  circondano  ^ 
Che  nel  latrar  de*  can  non  fi  afficurano  , 

Così  per  ben  guardar  fi  mpre  n*  abbondano  45 
In  httCye'^n  lane^e  d^o^ni  tempo  atdmtntanOy 
Quado  f  bcfchif-n  verdi ^e  qucìdo  ffrindano, 

2iè  mai  per  neve  ilMar^o  fi  fgcmtntano  ; 
J\V  perdon  c/ipra  p-rcbè  fuor  la  Ufcino; 
Qcs)  pa^  che  I-fati  al  bfn  ccnfentano  ,      50 

-4'  loro  agnelli  già  non  ncce  il  fafcino  , 
O  che  fi/rn  erbe  ,  0  incanti  che  pofJ'i^dano\ 
£  i  nofiri  lol fiatar  par  che  !*afnbajcino  . 

Ai  greggi  di  cofior  lupi  non  predano  \ 

fiffe  temon  de"*  ri  ce  hi '.cr  che  vuol  dire  ,   ^^ 
CP  a  rjojì't  mandre  per  vfan^a  ledano  ? 

Qià  femo  giunti  al  luogo  ove  il  defire 
Par  chi  mi  fprcne  ,  fi  tire  , 
Per  dar  principio  agli  amoro^  lai  ,      60 

Uranio-,  nvn  dormir^  dr fiati  ornai  ^ 
lAifero  ^  a  che  ti  fiat  ? 
iZoiì  ne  meni  il  dì  ^  cerne  la  notte} 
Ur.  Mentano  ,  /  mi  dormiva  in  quelle  grotte\ 
E*n  fu  la  mexi^^a  notte 
Quefìi  can  mi  dejlaf  baiando  <:ilhpo  .      ^5 

0/7»/'  i^gridatìdQ^  al  hp9  ,  «llupQ  ;  al  lupo  , 

Vafiir 


DEL  SA  NI  AZZARO.     i^ 

Vafìor ,  correte  al  lupo  , 

Vilt  non  ihftn'it  ^er  fin  che  vidi  il giotm. 
E  ^l g''egie  numerai  di  corno  in  corno  : 

Indi  fo:to  q'^ifl^  O'-no  7O 

Mi  vinf'il  fonno^ond'or  tu  nt^hti  ritr^ttj^ 
[or\ Vuoi  c^sntar  meco} or  incom'tncia  affatto. 
r.  Io  canteri  con  pitto 

Di  rifpondere  a  quel  che  dir  ti  fento . 
lon.  Or  qual canteri  io^'cbe  n''ho  ben  cento\     75 

Qutll.i  d^l  fier  tormento? 

0  quella  che  comincia  :   A  ima  mia  bella? 

Diri  que  II'  altra  forfè  :   Ahi  cruda  ilella  ? 
r.  Deh  per  mio  amor  dì  quella 

Ch^a  meizo  dì  ì  ahr^jer  cantafii  in  vllla.%0 
lon.  Per  pianto  la  mia  carne  fi  diflillà^ 

Siccome  al  [ci  la   neve  . 

O  com^  al  vento  fi  disfà  la  nebbia  ; 

Ni  fo  che  fjr  mi  debbia  . 

Or  penfateal  mio  mal ,  qual ejfer  deve  .    85 
\(.0r  penfatt  al  mio  mal  ^  qual  effer  deve '^ 

Che  come  cera  al  foco , 

O  come  foco  in  acqtta  m't  disfécclo  \ 

Jslè  ce'co  vfcìr  dal  laccio  , 
'  Sì  rn^t  dolce  il  tormento^e*l  pianger  gioco,  go 
-ion.  Sì  m'^è  dolce  il  tormento^  e'^l  '/ranger  gioco  j 

QP  io  canto  ,  fuono  ,  e  ballo  , 

£■  cantando  ,  e  ballando ,  al  fuon  languì fco  , 

f  f^guo  un  bafilìjco  : 

Coti  vuol  rr.ia  ventura y  ovver  mhfrJh  ,   95 
Jr.  Cofì  vuol  mìa  ventura  ,  owsr  mio  fallo  , 

Che  vo  Cempre  cogliendo 

Di  piaggia  in  piag<i^ia  fiorì ^t  frefche  tthttte^ 

Trecciando  ghirlandette  ; 

E  Cerco  un  tigre  umiliar  piangendo.  lOO 
VTon .  FUlìda  mia  ,  pia  che  i  Uguflrì  bianca  , 

Pìh  vrtniajia  che  U prato  n  me^o  Aprile  , 

fi^ft'gace  che  cerva  ^ 


14  ARCADIA 

Ed  a  me  pih  proterva  , 
Ch^a  "pan  nort  fu  coki  che  vinta  t  fianca.  IO  \ 
Divenng  canna  tremula  e  fotti  le  } 
Ver  guiderdon  delle  gravose  fonte  9 
De/j [parai  al  vento   le  dorate  chiome. 

Ur.  Tirrena  mìa ,  il  cui  colore  agguaglia 

Le  Mattutine  refe  ,  e   V  puro  latte '^  ik 

Più  veloce  che  damma  , 

Dolce  del  mio  cor  fiamma  , 

P/zV  cruda  di  colei  che  fé  in  Teffaglia 

Il  primo  alloro  di  fue  membra  attratte  ; 

Sol  per  rimedio  del  ferito  core  11; 

Volgi  a  me  gli  occhi  ,  ove  s'*annida  Amore  , 

Mon.  Vafior  ,  chefete  intorno  al  cantar  n«(ìro^ 
5"'  alcun  di  voi  ricerca  foco  ^  od  efca 
Per  riscaldar  la  m andrà  , 
Venga  a  me  faìamandra  ^  12( 

¥  elice  infietne  ,  e  miferabìl  mofiro  \ 
In  cui  convìen^ch''ogn'*or  P  incendio  crefca 
Dal  dì  eh"*  io  vidi  l*  amorofo  [guardo  ; 
Ove  ancor  ripenfando  agghiaccio^ed ardo  . 

Vr,Pafiory  che  per  fuggire  ti  caldo  efiivo  ,    125 
A 11^  ombra  defiate  per  coflume 
Alcun  rivo  corrente , 
Venite  a  me  dolente  \ 
Che  d^  ogni  gioja  ,  e  di  [peran^a  privo 
\Per  gli  occhi  [pa'go  un  dol ore fo fiume      1 50 
Dal  dì  cP  io  vidi  quella  bianca  mano 
CPogni  aliro  amor  dal  cor  mi  fé  lontano  . 

Mon.  Seco  la  notte  ,  e  ^l  ciel tutto  x*  imbruna^ 
E  gli  alti  montile  contrade  adombrano'^ 
Le  felle  n*  accompngnano  eia  luna.    i?y 
E  le  mie  pefrelle  il  hofco  [gombrano 
Infieme  radunato  ,  che  ben  [anno 
Il  tempore  Por  a  che  la  mandra  ingombrano, 
A ndinmo  appreffo  noi\cP  elle fen  vanno  ) 
Uranio  mìo\e  gii  i  compagni  afpettanoy  1 40 

Efor^ 


DELSANAZZARO.      15 

E  fo'fe  temon  di  [uccejfo  danno . 

r.  Montano^  i  miei  ectnpagni  non  fofpettano 
Dei  tardar  mio-^cPio  vo  e he^l gregge  pafcai 
Kè  credocbe  di  tne  penjier  fi  mettano  . 

1  ho  del  pane  ,  e  pia  cofe  altre  in  tafca  ;   145 
Se  vuoi  ftar  meco^  non  mi  vedrai  movere 
Mentre  farà   del  vino  in  quejìa  fiafca  : 

P  //  potrebbe  ben  tonare^  e  piovere. 

ARGOMENTO. 

^  giorno  feflivo  jacrato  alla  Dea  de^  p.zfìori  ^ 
dice  ,  che  (iafcuno  con  diverji  modi  (i  sfor.. 
tJì  d^  onorar  quella  fejìa  :  nella  quale  andati 
al  tempio  ,  vide  ahune  belle  pitture  ;  ed  en^ 
Irati  duniro  ,  //  facendole  fece  dopo  il  fa- 
crijìcio  orazione  alla  Dea  .  Quindi  pajjatt 
in  una  pianura  ,  dove  erano  alcune  pnjìo- 
rellt  ,  introduce  Gali\io  a  lodare  il  giorni 
che  nacque  la  fua  Amaranta  . 

PROSA    TERZA. 


là  fi  tacevano  i  due  padori  dal  can- 
J"  tare  efpedici  ;  quando  tutti  da  fede- 
e  leviti,  lafciando  Uranio  quivi  con  due 
ompagnij  ne  ponemmo  a  feguitare  le  pe- 
creile  ,  che  di  gran  pezza  avanti  fotto  la 
uardia  de'  fedeliflìmi  cani  fi  erano  avvia- 
e;  e  nonolìante»  che  i  fronzuti  fambuchi 
overti  di  tìori  odoriferi  T  ampia  ftrada 
uaù  tutta  occupafTero ,  il  lume  della  lur-a 
ra  sì  chiaro  ,  che  non  altrimenti  che  fé 
iorno  flato  fofTe ,  ne  moftrava  il  cammi- 
10  :  e  così  paflo  paHo  feguitandole  »  anda- 
amo  per  Io  filenzio  della  ferena  notte  ra- 
;i'jnando  delle  canzoni  cantate  ,  e  com- 

men- 


t«  ARCADIA 

mendando  maraviglioramente    il   novo  co 
minciare   di  Montano  ,  ma    molto    più  i 
pronto  e  ficuro  rifpondere   di  Uranio  ,  a 
quale  niente  il  Tonno  (  quantunque    appe 
na  fvegliato  a  cantare  incominciane)  del 
Je  merite  lode  fcemare  potuto  avea.   Per 
che  ciafcuno    ringraziava    li  benigni  Dii 
che  a  tanto  diletto  ne  aveano  si  impenfa 
tamence  guidati   :  e  volta  avveniva  ,  ch« 
mentre  noi  per  via  andavamo  così  parlan 
do  ,  i  fiochi  fagiani    per  le  loro    magion 
cantavano  ,  e  ne  faccano  fovente  ,  per  udir 
li  >  lafciare  interrotti    i  ragionamenti  ;  1. 
quali  alTai  più  dolci  a  tal  maniera  ne  parea- 
no?  che  fé  fenza  sì  piacevole  impaccio  gli, 
aveffìmoper  ordine  continuati.  Concotali 
piaceri  adunque  ne  riconducemmo  alle  no- 
ftre  capanne  :  ove  con  ruftiche  vivande  aven- 
do prima  cacciata  la  £ime  >  ne  ponemmo  to- 
vra  l'ufata  paglia  a  dormire  >  con  fommode- 
Tiderio  atpetcando  il  novogiorno,  nel  quale 
folennemf-nte  celebrar  fi  dovea  la  lieta  fella 
di  Pales  veneranda  Dea  de' pallori  >  per  re- 
verenza della  quale  »  sì  tcfto  come  il  fole  ap- 
parve in  Oriente  ,  e  i  vaghi  uccelli  fovra  li 
verdi   rami  cantarono  ,  dando  fegno  della 
vicina  luce  %   ciafcuno  parimente  levatofi 
cominciò  adornare  la  (ni  mandra  dirami 
v^rdiifimi  di  quercie  e  di  corbezzoli  j  ponen- 
do in  fu  la  porta  una  lunga  corona  di  frondi  e 
dì  fiori  di  gineflre  ,  e  d*aitri ,  e  poi  con  fuma 
di  puro  folfo  andò  divotamente  attorniando 
i  faturi  greggi    i  e  purgandoli  con  pietofi 
preghi,  che  neffun  male  lor  p:  te  iFv-  noce- 
re  >  né  dannificare  .  Per  'a  qual  cofa  cia- 
(cuQì  c,t pan  ta  fi  udì  rifonare  di  diverfi  idru- 
. menti  :  o^ni  flradd,  ogni  borgo,  ogni  tri- 
vio 


DEL  SANAZZARO.      17  . 

0  fi  vide  feminatodi  verdi  mirti  .  Tutti 
animali  egualmente  per  la  Tanta  fefta  co- 

bbero  defiato  ripoio  .  I  vomeri  ,  i  raftri  , 
zappe,  gli  aratri,  ei  gioghi  fimilmente 
nati  di  ferti  di  novelli  fiori  modrarono  fe- 
10  di  piacevole  ozio.  Né  fu  alcuno  degli 
atori  ,   che  per  quel  giorno  piiniaffe   di 
operare  efercizio  ,  né  lavoro  alcuno  j  mi 
tti  licci  con    dilettevoli  giuochi  Intorno 
;l'  inghirlandati  buoi  per  li  pieni  prefepj 
ntaronoamorofe  canzoni.  Oltra  di  ciò  li 
igabondl  fanciulli  di  padb  in  pafìo  1  con 
icmplicecte  verginelle  li  videro  per  le 
)ntrade  efercitnre  puerili  giuochi»  infe- 
10 di  comune  letizia.  Ma  per  poter  modi- 
atamenre  oifrire  i  voti  fatti  nelle  neceffità 
iflate  fo/ra  i  fumanti  altari  ,  tutti  infieme 
i  compagnia  ne  andammo  al  fanto  tempio: 

1  quale  pernon  molti  gradi  poggiati ,  ve- 
emmoin  fu  la  porta  dipinte  alcune  felve> 

colli  belliflimi,  ecopiofi  di  alberi  fron- 
uti ,  e  di  mille  varietà  dì  fiori ,  tra  i  quali  fi 
edeano  molti  armenti ,  che  andavano  pa- 
rendo 1  e  rp:'2;iaDdofi  per  li  verdi  prati ,  con 
Offe  dieci  cani  d'intorno,  che  li  guarda- 
ano;  le  pcd.ite  dei  quali  in  fu  la  polvere 
■aturalillìme  fi  difcernevnno  .  De'  partorì 
icuni  mungevano  >  alcuni  tondevano  la- 
te ,  altri  fonavano  fampogne,  e  tali  vi  era- 
io  ,  che  pareva  5  che  cantando  fi  ingegnaf- 
ero  di  accordarfi  col  fuonodi  quelle.  Ma 
juel  che  più  intentamente  mi  piacque  di 
nirare,  erano  certe  Ninfe  ignude  5  le  quali 
lietro  un  tronco  di  cafiagno  (lavano  quafi 
mezze  nafccfe  ,  ridendo  di  un  montone  , 
:he  per  intendere  a  rodere  una  ghirlanda 
di  quercia,  che  dinanzi  agli  occhi  gli  pen- 

dea» 


i8  ARCADIA 

dea }  non  fi  ricordava  di  pafcere  le  erbe 
che  d' intorno  gli  (lavano  ,  In  quefto  veniva 
no  quattro  Satiri  con  le  corna  in  tefta  ,  « 
^iedi  caprini  >    per  una  macchia  di  lenti- 
ichi  pian  piano  per  prenderle  dopo  lefpal 
le:  di  che  elle  avvedendofi  ;  fi  mettevam 
in  fuga  per  lo  folto  bofìco ,  non  fchivand( 
né  pruni,  nècofa  che  lor  poteffe  nocere 
delle  quali  una  ,  più  che  le  altre  preda  • 
era  poggiata fovra  un  carpino,  e  quindi  eoe 
uno  ramo  lungo  in  mano  fi  difendea  :  le  altri 
fi  erano  per  paura  gittate  dentro  un  fiume: 
e  per  quello  fuggivano  notando  j  e  le  chia- 
re onde  poco  ,  o  niente  lor  nafcondevano 
delle  bianche  carni  .  Ma  poi  che  fi  vedevano 
campate  dal  pericolo,  ftavanoafTife dall'al- 
tra ripa  affannate  e  anelanti  >  afciugandofi  i 
bagnati  capelli  ,  e  quindi  con   gefti  e  con 
parole  pareva  ,  che  increpare  volefiero  co- 
loro che  giungere  non  le  avevano  potuto. 
Ed  in  un  de'  lati  vi  era  Apollo  biondifii- 
mo  )  il  quale  appoggiato  ad  un  baftone  di  fal- 
vatica  oliva    guardava  gli  armenti  di  Ad- 
meto alla  riva  d'un  fiume  :  e  per  attenta- 
mente mirare  due  forti  tori  ,   che  con  le 
corna  fi  urtavano  ,  non  fi  avvedea  del  faga» 
ce  Mercurio  ,   che  in    abito^  paftorale  con 
una  pelle  di  capra  appiccata  focto  al  finifiro 
omero  gli  furava  le  vacche  .    Ed  in  quel 
medefimo  Jpazio  ftava^  Batto  palefatoredel 
furto  trasformato  in  fallo  ,  tenendo  il  di- 
to diftefo  in  gefto  di  dimofirante .  E  poco 
più  baffo  fi  vedeva  pur  Mercurio,  che  fe- 
dendo ad  una  gran  pietra  con  gonfiate  guan- 
cie  fonava  una  fampogna  ,  e  con  gli  occhi  tor- 
ti mirava  una  bianca  vitella  ,  che  vicina  gli 
ilava»  e  con  ogniaftuzia  fi  ingegnava  di  in- 

gaa- 


DEL  SANAZZARO.      i^ 

unnarc  lo  occhiuto  Argo-  Dall'altra  parte 
iaccva  a  pie  d' im  aitiifiiiio  cerro  iiii  pa- 
ore  acldormentato  io  mezzo  delle  Tue  ca- 
re >  ed  un  cane  gli  ftava  odorando  la  ta- 
ra, che  lotto  latelìa  tenea  ,  il  quale  (  pe- 
jcchè  la  luna  con  lieto  occhio  il  mirava) 
imai,  che  Endimione  foile  .  Appreflo  di 
oftui  era  Paris,  che  conia  falce  avcaco- 
linciato  a  (crivere  E^ov^alla  corteccia  di 
n*  olmo,  e  per  giudicatele  ignude  Dee» 
he  dinanzi  gli  ftavano  ,  nonlaavea  potuto 
ncoradel  tutto  fornire.  Ma  quel  che  non 
:ien  Cottile  a  penfare  ,  che  dilettevole  ave- 
ere  ,  era  lo  accorgimento  del  difcreto  pinto- 
e ,  il  quale  avendo  fìtta  Giunone  ,  e  Miner- 
a  di  tanto  eftrema  bellezza  ,  che  ad  avanzar- 
.e  farebbe  ftato  impoflìbile  ,  e  diffidandofi  di 
are  Venere  sì  bella»  come  bifognava  ladi- 
)infe  volta  di  fpalle  >  fcufando  il  difetto  eoa 
a  aftuzia  :  e  molte  altre  cofe  leggiadre,  e 
jelliflime  a  riguardare  (delle  quali  io  ora 
nal  mi  ricordo)  vi  vidi  per  diverfi  luoghi 
dipinte.  Ma  entratti  nel  tempio,  e  all'al- 
tare pervenuti,  ove  la  immagine  della  fan- 
ta  Dea  fi  vedea  ,  trovammo  un  facerdotedi 
bianca  vefta  veftito  ,  e  coronato  di  verdi 
fronde  (  ficcome  in  sì  lieto  giorno  »  ed  in 
sì  folcane  ufficio  fi  richiedeva  )  il  quale  al- 
le divine  cerimonie  con  filenzio  mirabilif- 
iiraone  afpettava  ;  né  piiì  torto  ne  vide  in- 
torno al  facrificioragunati,  che  con  le  pro- 
prie mani  uccife  una  bianca  agna,  e  le  in- 
teriori di  quella  divotamente  per  vittima 
orterie  nei  facrati  fochi  con  odoriferi  in- 
cenfi  ,  e  rami  di  cadi  ulivi,  e  di  teda  ,  e 
di  crepitanti  lauri,  infieme  con  erba  Sabi- 
na, e  poi  fpargendo  un  vafo  di  tepido  lat- 

t« 


ID  ARCADIA 

t«  inginocchiato  ,  e  con  le  braccia  didefc 
verfo  l'Oriente  così  cominciò.  O  reveren- 
da Dea  ,  la  cui  maravigliofa  potenzia  più 
volte  nei  noftri  biiogni  fi  è  dimoftrata  j 
porgi  pietofe  orecchie  ai  preghi  divotiifi- 
mi  della  circunftante  turba  »  la  quale  ti 
chiede  umilmente  perdono  dei  Tuo  fallo  > 
fé  non  fapendo  aveffe  feduto  ,  o  pafciuto 
fotto  alcuno  albero  che  facrato  fofle  ;  o  fé 
entrando  per  li  inviolabili  bofchi  aveiTe 
con  la  fua  venuta  turbate  le  fante  Driade, 
e  i  femicapri  Dii  dai  follazzi  loro  i  e  fé 
per  neceflìtà  di  erbe  aveilc  con  l*  impor- 
tuna fìlce  fpogliate  le  facre  felve  de*  ra- 
mi ombrofi  ,  per  fovvenire  alle  famulente 
pecorelle,  ovvero  fé  quelle  per  ignoranza 
avellerò  violate  le  erbe  de'  quieti  fepol- 
cri  ,  o  turbati  con  li  piedi  i  vivi  fonti  , 
corrompendo  delle  acque  la  folita chiarez- 
za.  Tu  5  Dea  pjetofillima  >  appaga  per  lo- 
ro le  Deità  offefe,  dilungando  Tempre  mor- 
bi ed  infirmità  dai  femplici  greggi,  e  dai 
maeftri  di  quelli,  né  confentire  ,  che  gli 
occhi  nodri  non  degni  veggiano  mai  per 
Je  felve  le  vendicatrice  Ninfe,  né  la  ignu- 
da Diana  bagnarfi  perle  fredde  acque,  né 
di  mezzo  giorno  il  filveftre  Fauno,  quan- 
do da  ciccia  tornando  (lanco  ,  irato  fotto 
ardente  fole  trafcorre  per  lì  lati  campi .  Di- 
fcnccia  dalle  nollre  mandre  ogni  m3gica  be- 
ftemmia  ,  e  ogni  incanto  ,  che  nocevole  (la  . 
Guarda  i  teneri  agnelli  dal  fifcinode'mal- 
Vàg]  occhi  degli  invidiofi  ;  conferva  la  fol- 
licita  turba  degli  animoficani,  ficuriffimo 
iulTìdio,  ed  aita  delle  timide  pecore;  ac- 
ciocché il  numero  delle  noftre  torme  per 
fl^iluoa  ftagiv-ne  fi  fcenie>  né  fi  truove  mi- 
nore 


DEL   SANA2ZAR0.      ix 

ore  la  feraal  titornare,  che'l  mattino  all' 
fcire  :  né  mai  alcun  de'  noftri  partorì  fi 
«ggia  pungendo  riportarne  ali* albergo  la 
inguinofa  pelle  appena  tolta  al  rapace  lu- 
o  .  3ia  lontana  da  noi  la  iniqua  fame  ,  e 
rrapre  erbe,  e  frondi ,  ed  acque chiariffi- 
ìe  da  bere  ,  e  da  lavarle  ne  foverchino  ; 

d'ogni  tempo  fi  veggiano  di  latte,  e  di 
role  abbondevoli ,  e  di  bianche  e  mollif- 
me  lane  copioie»  onde  i  paftori  ricevano 
jn  gran  letizia  dilettevole  guadagno  .  E 
uefto  quattro  volte  detto,  ed  altre  tante 
er  noi  tacitamente  mormorato  j  ciafcun  per 
urgarfi  lavatofi  con  acqua  di  vivo  fiume  le 
lani ,  indi  di  paglia  accefi  grandinimi  fo« 
hip  fovra  a  quelli  cominciammo  tutti  per 
rdine  deftrilTìmamente  a  fallare ,  per  efpia* 
e  le  colpe  commelTe  nei  tempi  paÓ'atì .  Mi 
orti  i  divoti  preghi  >  e  i  folenni  facrific; 
niti ,  ufcimmo  per  un'altra  porta  aduna 
ella  pianura  coverta  di  pr.ìtelli  delicat- 
iflìmi  ,  li  quali  (  ficcome  io  (limo  )  noa 
rano  flati  giammai  pafciuti  né  da  pecore, 
è  da  capre  j  né  da  altri  piedi  calcati ,  che 
i  Ninfe:  né  credo  ancoraché  le  fufurran- 
i  api  vi  fodero  andate  a  guftare  i  teneri 
ori,  che  vi  erano;  sì  belli  ,  e  sì  intatti 

dimoftravano.  Per  mezzo  dei  quali  tro- 
ammo  molte  p.iiloielle  leggiadriflìme  ,  che 
i  paflo  in  palTo  fi  andavano  facendo  nove 
hirlandette ,  e  quelle  in  mille  Hrane  ma- 
cere ponendofi  fovra  li  biondi  capelli,  fi 
forzava  ciafcuna  con  maefirevole  arre  di  fu- 
•erare  le  dote  della  natura  .  Fra  le  quali 
jalizio  vcg^endo  forfè  quella  che  più  ama- 
'a ,  fenza  edere  da  alcuno  di  noi  pregato  > 
lopo  alquanti  fofpiri  ardentiffirai  ,  fonan- 
do^ 


1%  ARCADIA 

dogli  il  fuo  Eugenio  la  fampogna  »  così  fo;  < 
vemente  cominciò  a  cantare j  tacendoci; 
fcuno  • 

EGLOGA    TERZA. 

Galizio  folo. 

SO  tra  ufja  vtrde  riva 
Di  chiare  e  lucid"*  ondi 

In  un  bei  bofco  di  fioretti  adcrn9  ^ 

yidi  di  bianca  oliva 

Ornato  ,  e  d"*  altre  fronde 

Un  paJJor,  che  ^nfu  /*  alb^ì  a  pìS  d^un'^orno 

Cantava  il  ter^e  giorno 

Dtl  rne[e  innanzi  Ap'ih  ^ 

A  cui  li  vaghi  uccelli 

Di  fcvra  gli  arbofcelli  i 

Con  voce  rifpondean  dolcf  9  gttttile  : 

I,d  ei  rivolto  al  fole , 

Dicea  quefle  parole  : 
^pri  /'  ufcio  per  tempo  « 

Leggiadro  almo  pnjiore  ,  l 

E  fa  vermìglio  il  del  col  chiaro  raggio  : 

Moftrane  innanzi   tempo 

Con  naturai  colore^ 

Un  bel  fioriti  e  dilettofo  Maggio: 

Tien  pia  alto  il  viaggio  y  2( 

Accicccbè  tua  forgila 

Vìa  che  /*  ufito  dorma  : 

E  poi  per  la  foa  orma 

Se  ne  venga  pian  pian  ciafcunajìella  ; 

Che  ^  fé  ben  ti  rammenti  ,  i 

Quardafii  i  bianchi  armenti  , 
Valli  vicine  ,  e  rupi  9 

aprejft ,  alni  ,  ed  abeti  , 

^9f^et0  oftffkii^ìlt  mithffe  rime; 

E  n9n 


DEL   SANA22AR0.     i^ 

E    non  ternari  de*  lupi  20 

Gli  agntlli  manfufti  : 

Ha  terni  al  mondo  a  quillt  nfi^n^i  prime  • 

Fi  ori  Jean  per  le  cime 

1  eerri  in  bianche  rofe  j 

I?  per  le  [pine  dure  jj 

Pendam  P  uve  mature  : 

Sudin  di  mei  le  quercie  alte  e  HoJcfe  j 

E  le  fintane  intatte 

Cofran  di  puro  latte, 
'^afran  erbette  ,  e  fiori  ,  40 

È  li  fieri  animali 

L^fcin  le  lor  a  [previe  ,  tf  /  petti  crudi  : 

Vengan  li  vaghi  Amori 

Seni  a  fiammelle  ,  0  fi r  ali 

Schermando  infieme  pargoletti  e  ignudi  :  45 

Voi  con  tutti  lor  fiudj 

Canti n  le  bianche    "Ninfe  j 

E  con  abiti  (Irani 

Salti»  Fauni  ,  /  Silvani  ; 

Ridan  li  prati  ^  e  le  correnti  Unfe  :     50 

E  non  fi  vedan  oggi 

KtiVoli  intorno  ai  poggj , 
H  quejìo  dì  giocondo 

J^acque  /'  alm^ì  heltade  ) 

E  le  virtuti  racquiftaro  albergo'^  55 

Prr  quffto  il  cieco  mondo 

Conobbe  caftitade  , 

ha  qual  tant^  anni  avcM gittata  a  tffgo  ; 

Per  quejìo  io  ferivo  ,  e  vergo 

1  fnV  *f*  <^g"*  bcfco'i  €0 

Tal  eh"  emai  non  i  pianta 

Che  non  chiami  Amaranta; 

Quella  eh'*  addolcir  bafia  ogni  mìo  tofco  : 

Quella  per  evi  fofpi^O  y 

Per  cui  piango  ,   e  m*  adiri  •  ^5 

Ufifff  per  Melfi  minti 

Art" 


14  ARCADIA 

Atìdran  le  fiere  errando  , 

H  gli  ahi  pini  ar/itt  ptìngenti  foglie  : 

Mentre  li  vivi  fonti 

Cer^eran  fìiorrnoranda 

iVf //'  alto  tna^  ,  che  con  amo*  li  acccgUo 

Mentre  fra  [petne  ,  e  deglie 

Vivran  gli  amanti  in  terra  , 

Sempre  fia  noto  il  notm  , 

Le  man  ^  gli  occhi  ^  e  le  chiome 

Dì  quella  che  mi  fa  sì  lunga  guerra  ; 

Per  evi  quef  afpra  amara 

Vita  m*  è  dolce  e  cara  . 
^er  corte  fa  ,   Canyon ,  tu  pregherai 

Quel  dì  faufto  ^  ed  ameno  , 

Che  fa  fempre  fere  no  , 

ARGOMENTO. 

C^«  bella  defcri^ion  poetica  dipigne  le  helle 
della  Ninfa  Amaranta  ,  e  '/  ftllano  fuo 
contemplarla  ;  e  facendo  Elpino ,  e  Log 
frcpor  premj  per  dare  a  chi  vince  cant 
do  j  gì"*  induce  per  giù  die  io  di  Selvaggi 
cantare  j  e  riceverne  in  premio  la  ghrit 

PROSA    Q^U  A  R  T  A. 

Piacque  maravlglìofamcate  a  ciafcutK 
cantare  diGalizio:  ma  per  diverfe  r 
niere  .  Alcuni  lodarono  la  giovenil  voce  F 
na  di  armonìa  ineftimabile,  altri  il  m< 
foavifTimoj  e  dolce  ^  atto  ad  irretire  q 
iuaqu-  animo  Cuto  fofìTe  più  ad  amore 
belio  :  molti  commendarono  le  rime  li 
giadrcj  e  tra  ruftici  paftori  nonufitate 
di  quelli  ancora  vi  furono  che  con  più  a 
f^irazioiie  eftolferQ  Ja  acutifììma  f^gac 

de 


DEL  SANAZZARO.      25  ^ 
l  Tuo  avvedimento  ;  il  quale  coftrettodi 
minare  il  mefe  a*  greggi  ed  a*  pallori  dan- 
io  (  ficcome  faggio  evitator  del  finiftro 
gurio  in  sì  lieto  giorno)  difleil  m(iitt' 
»li  Aprii»  .  Ma  io  che  non  men  de  fide - 
lo  di  (a pere  chi  quella  Am;ìranta  fi  fof- 
,  che  di  afcoltare  la  amorofa  canzone  era 
go  ,  le  orecchie  alle  par)le  de. lo  inna- 
)rato  paftore,  e  gli  occhi  ai  volti  delle 
Ile  gio  anette  teneva  intentiffimimente 
mati ,  (limando  per  li  movimenti  di  ca- 
che dal  fuo  amante    cantare   (i  udiva  > 
rerla  fenza  dubitazione  alcuna  compren- 
re  ;  e  con  accorto  iguardo  or  queda  or  quel- 
riguardando,  ne  vidi  una  che  tra  lebel- 
beliiflìm-i  giudicai',  li  cui  capelli  erano 
un  fottiliflimo  velo  coverti,  di  fotto  al 
ale  due  occhi  vaghi ,  e  lucidiiìimi  <cin- 
lavano  >  nun  altrimenti  che  le  chiare  llel- 
logliono  nel  fereno  e  limpido  cielo  fiam- 
magiare;  e  U  vilo  alquanto  d'\Ù  lunghet- 
che  tondo  9  di  bella  forma  ,  con  bian- 
Siza  nonfpiacevole  5  ma  temperata,  qua- 
si bruno  dechinando,  e  daun  \ermigiio 
^raziofo  colore  accompagnato  riempieva 
vaghezza  gli  occhi  che  '1  miravano  :  le 
)bra  eriaotali  che  lema'rturine  rofc  avan- 
zano ;  fra  le  quali  ogni  volta  che  parlava 
Lorrideva,  mo<trava  aicuna  ^artede*dea- 
)  di  tanto  ftrina  e  m-ravigliofa  leggia- 
ia>  che  a  mun'  ilrra  cofa  c'ie  ad  orien- 
i    perle   gli  avrei  fapui^o    a(T()mig!iare  : 
indi  alla  mirmorea  »  e  delicata  gola  di- 
mderdo  ,  vidi  nel  tenero  petto  le  piccio- 
e  giovenili  mammella?  »  eh'  a  guifa  di 
e   rotondi    pomi    la  fottilidima  vede  iti 
ìli  pingevauo,  per  mezzo  delle  quali  fidi- 
Tumt  I,  B  fcer- 


16  ARCADIA 

fcernevauna  v  ietta  bel  li  (Ti  m.i,  ed  olerà  ni 
do  piacevole  a  riguardare,  laqualperocc 
nelle  fecrete  parti  fi  terminava ,  di  a  quel 
con  pili  efficacia  pcufarc  mi  fu  cagione  : 
ella  delicatiffima  >  e  di  gentile  e  rilevata  (1 
tura,  andava  perii  belli  prati  con  labia 
ca  mano  cogliendo  i  teneri  fiori.  De'qt 
li  avendo  già  il  grembo  ripieno  i  non  piut 
ilo  ebbe  dal  cantante  giovane  udito  Am 
ranta  nominare  j  che  abbandonando  le  rr 
oie'Ifeno,  e  quafi  eilendo  a  fé  medelif 
ufcita  di  mente  »  ferza  awederfcne  eli 
tutti  le  caddero ,  feminando  la  terra  di  fc 
fé  venti  varietà  di  colori.  Diche  poiqu 
riprcfa  accorgendofi   ,   divenne  non  aiti 
menti  vermiglia  nel  vifoche  fuole  tal  v» 
Ca  il  rubicondo  afpetto  della  incantata  lun 
ovvero  nello  ufcire  del  fole  la  purpurea  A 
fora  moftrarfi  a*  riguardanti  »  Onde  eli. 
non  per  bifogno,  credo  >  che  a  ciò  la  (Iri 
gefTc  ,  ma  forfè  peniandodi  meglio  oafcc 
dere  la  foprav  venuta  rolTeaza,  che  dado 
nefca  vergognale  procedea>  fibafiò  intt 
fa  da  capo  a  coglierli ,  quafi  comedi  alt 
lion  lecaleflTe,  fceglìendo  i  fiori  bianchi 
1  fangui^ni  ,  e  i  perfi  da  i  violati .  Da  ' 
qiial  cola  io  >   che  intento  e  follicitilTir  ^ 
vi  mirava  ,  prefj  qmCi  per  fermo  argomc  ' 
to$  colei  dovere  e^ere  la  paftorella  (^'' ^ 
(otto  confufo  nome  cantare  udiva:  rri 
dopo  breve  intervallo  di  tempo,  fìtt: 
raccolti  fiori  una  femplicetta  corona ,  v 
fcoiòtralebellecom;\igne  ;  le  quali  i\ui 
mente  ,  avendo  fpogliato  T  onore  ai  pr  i 
ti  ♦  e  quello  a  fé  pollo  >  altere  con  T 
pafìTo  procedevano  ,  ficcome  Najade  ,  : 
paeftace  foffero;  e  conia  diverfità de' pc 

tamjn- 


DEL  SAN  AZZAR  O.     27 
ìiCnti  oltra  mifura  le  natura!)  bellezze^- 
rncavano  .    Alcune  portavano  ghirlande 
Iiguftri    con  fiori  gialli  e  tali  vermigli 
erpodi  :   altre  aveano  mefcolati  i  gigli 
nchi  e  i  porporini    con  alquante   frondi 
'difrirnc*  di  aranci  per  mezzo:  quellaan- 
.'a  (iellati  di  rofe  ,  quelP  altra  biancheg- 
iva  di  gclfoniicii  ;  tal  che  ogn'  una  per 
,  e  tutte  inlìeme  più  a  divini  fpirti  che 
umane  creature alTomigliavano  :  perche 
»lti  con  niar.iviglia  diccano  :  O  f  rtuna- 
il  pfiiTeditore  di  cotali  bellezze  !  Ma  veg- 
ido  elle  il  (o'edi  molto  alzato,  e  'J  cai- 
grandidìmofoppravvenirc  ,  verfo  una  frc- 
.  Valle  piacevolmente  infieme  fchcrza^do 
motteggiandofi  drizzarono    i  paffi  loro  • 
la  quale  in  brcvidimo  fpazio  pervenute  , 
,tivi  i  vivi  fonti  sì  chiari  che  di  pu- 
crilìallo  pareano,  cominciarono  coti 
,^e  ide  aciae  a  riaircfcarfi  1  beili  volti, 
noi  mìv^rirevole  arte  rilucenti  :  e  riti- 
eù  lefchiette  maniche  infino  al  cubito.» 
ilravano  ignude  le  caud idi fTì me  braccia» 
quali  no j  poca  bellezza  alle  tenere  e  de- 
ate  mani  roDra!t?giungevano  •  ?er  laqiial 
a  no»  più  divenuti  volontcfroft  di  vccior- 
,  fenza  molte  indugiare  1  pr'.fi'o  allungo 
e  elle  rtavano,  ne  avvicinammo,  e  qui - 
3  pie  di  un*  altilTìma  elcina  ne  ponem- 
>  fenza  ordine  alcuno  a  fede''e  •  Ove  co- 
cche molti  vi  fofTero  e  in  cetere,  ed  in 
Tipopne  efpertilììmi  >  nondimcnoalla  pia 
rte  di  noi  piacque  di  volere  udire  Logi- 
y  ed  Elpino  a  pruova  cantare  ;  paftori 
Ili  della  pcrfoiia ,  e  di  età  giovanidìmi  : 
pino  di  capre  >  Logico  di  lanate  pecore 
ardatorc;  ambiduo  co' capelli  biondi  più 
B    z  che 


58  ARCADIA 

eh:  le  mature  fpiche  ;  ambiduo  di  Arcadia 
ed  egualmente  a  cantare  ,  ed  a  rifpond» 
re  apparecchiati.  Mi  volendo  Logico  ne 
fenzd  presalo  contt'ndcre,  depofe  una  biai 
ca  pcx«>ra  con  due  agnelli   ,  dicendo  :  I 
quefti  furiai  il  facrificio  alle  Nnfc  ,    fé 
vittoria  del  cantare  tìa  tua  :  ma  Te  quel 
li  benigni  faci  a  me  concederanno»  il  ti 
domeftico  cervo  per  meritodella  guadjgn 
ta  palmi  rni  donerai.  Il  miodomeftico  ce 
V09  rifpole  KIpino  »  dal  giorno  che  prin 
alla  littante  midre  il  tolfi  infino  a  qu^^f 
tempo  lo  ho  fempre  per  lamia  Tirrena  r 
ferbato  >   e  t>er  amor  di  lei  con  folliciti 
dine  grandilTima  in  continue  delicatezze  ni 
drito  ;   pettinandolo  fovente  per  li  puri  fo, 
ti,  ed  ornandogli  le  ramofe  corna  con  fc 
ti  difrelche  rofe ,  e  di  fiori:  ond'  egli  a' 
vezz  ito  di  mangiare  alla  noftra  tavola  » 
va  il  J^iorno    a  fuo  diporto  vagabondo  e 
rando  perle  felve  »  e  poi  quando  tempog 
pare  (  quantunque  tardi  fia  )  fé  ne  rito 
na  ali?,  ufata  cafa  ,  ove  trovando  me,  ci 
folliciti'ììmo  Io  afpetto,  non  fi  può  ved 
fazio  di^  lufingarmi  *  fallando ,  e  ficendor  ' 
mille  «iu  'chi  d'  intorno.  Ma  quel  che   i 
Jui  più  che  altro  mi  aggrada  è  che  conof  1 
ed  ami  fopr:it  >tte  le  cwfe  1:^  Tua  donna» 
pa^^itntiilhno  fofìiene    di  farfi  porre  il  e  i 
pedro ,  e  d;  slTei  e  t<  eco  dalle  fue  mani  ;  a  j 
zi  di  fua  vc'ortta  le  para  il  m.^nfueto  ce  j 
io  al  giogo ,  e  tal  fiata  gli  «meri  all'  ir  ] 
bado,  econtent'>di  <  ffj^re  civalcato  di  le 
la  porta  uraUflìmo  Der  li  lati  campi  fé  « 
^a  lefione,  o  pur  tim-.-re  di  pericolo  nlc  ' 
no:  e  q  ^el  monilethe  o.:igIi  vedi  di   ' 
l'ine  conchiglie  con  quel  dente  di  cin 


DEL  SANAZZ  ARO.     29 

che  a  guifa  di  una  bianca  luna  dinan*- 
1  petto  gli  pende  ,  ella  per  mio  amo- 
:Iielpofe,  td  in  mio  nome  gliel  fa  por- 
.  Dunque  quefto  non  vi  porrò  io;   ma 
IO  pegnof.irà  t.ìle  5  chetuflcdo,  quando 
♦dfii,  il  giudicherai  nonché  baftevo!e> 
maggiore  d.  1  tuo.  Primieramente  io  ti  di- 
io  un  capro ,  vario  di  nelo)  di  corpo  gran- 
barbuto ,  armato  di  quattro  corna  5  ed 
o  di  vincere  fnefìifìTiiìie  volte  nell'  ur- 
;  il  quaie  fenza  paftore  bafterebbe  folo 
^nducerc*  un-im.ndra^  quantunque gran- 
.ofle  :  oitra  di  ciò  un  nappo  nuovo  di  fag* 
con  du.'  orecchie  belliliime  del  mede- 
)  legno,  il  quale  da  inj'egnofo  artefice 
rato  tiene  nel  Tuo  mezzo  dipintoilru- 
,ndo  Pri,po  ,  che  (IrettilTimtmente  ab- 
cÌ3  una  Ninfa  ,  ed  a  mal  grado  di  lei 
'uol  baciare:  onde  quella  d'iraaccefa, 
eido  il  voltò  indietro  ,  con  tutte  fue 
:e  intende  a  fvilupparfi  da  lui  1  e  conia 
ìCà  mino  gli  fquarcia  il  nafo ,  con  inai- 
gli pela  la  folta  barba  ;  e  fonovi  intor- 
a  coloro  tre  fanciulli  ignudi  ,  e  pieni 
'ivacJtà  mir:ibile  5  de*  quali  1*  uno  eoa 
0  il  fuo  podere  d  sforzi  di  torre  a  Pria- 
la  falce  di  mino»  aprendogli  puerilmen- 
id  uno  ad  uno    le  runiche    dita  ;  P  al- 
con  riibbioli  denti  mordendogli  la  irfuta 
ìba  ,    fa  fegnale  al  compagno  ,  che  gli 
.?3  aita;  il  qjiile  intento  a  fare  una  fua 
-iola  gabbia  di  paglia  e  di  giunchi,  for- 
icr  rinchiudervi  i  cantanti  grilli  ,  non 
ìove  dal  fuo  lavoro  per  ajutarlo  5  diche 
ihidin'»(o  Iddio  poco  curandofi  ,    pili  (i 
ringe  fece  la  bella  Ninfi,  difpofto  total- 
.)te  di  menare  a  fine  il  Tuo  proponimea- 
B     3  to: 


30  ARCADIA 

to  :  ed  è  quelto  mio  vafo  di  fiiori  circor 
dato  d'ogn' intorno  d*  una  ghirlanda  di  vei 
de  pimpinella  >  legata  con  un  brieve  cfc 
contiene  quefte  parole  : 

Da  tal  radice  nafct 
Chi  del  mio  trml  ft  pafct , 
E  gìuroti  per  le  Deità  deMacri  fonti  ci 
giamaiai  le  mie  labbra  noi  tocfcarono ,  n^ 
iempre  l'ho  guardato  nettiflimo  n-^lla  m 
taica  dall'  ora  che  per  una  capra  >  e  due  grai 
dì  fifcelle  di  premuto  latte  iicompcr:ii< 
un  navigante  ,  che  nei  noftri  bofcbi  vcut 
da  lontani  paefi  .   Allor  Selvaggio,  che 
ciò  giudice  era  ftato  eletto  ,  non  volle  ,  e) 
pegni  fi  pon;;(ìero  ,  dicendo,  che  aliai  f 
rebbs  fé  *i  vincitore  n'avefle  la  lode,  e 
-vinto  la  vergogna  :  e  così  detto  fé  ceni 
ad  Ofelia  >  che  fonafle  la  fanìpogna  ,   e 
mandando  a  Logifto ,  checorainciaire,  e 
Elpino,  che  alternando  a  vicenda,  rifpo 
delle;  per  la  qual  cofa  appena  il  fuo.io 
(entito  ,    che  Logifto  con   cotali  parole 
leguitò. 

EGLOGA     QUARTA. 

Logifto  5  ed  Elpino  « 

"Log.f^^'  ©«('/  udire  i  miei  ffpìri  in  rime 
V^  Donne  mie  ca-'-e.^  e  Pangofciofo  pian 
Jì,  quanti  najjl  tra  h  notte  e  V  giorno 
Spargendo   iudatffovo  per  tar.ti   c^*mpi  , 
Legga  ps"  quejle  guercie  ,  e  per  li  [affi  , 
Che  n*è gih  piena  ornai  ciaf- una  valle  . 

lEÀp.Va/ìori  ,  uccel  ^  né  fiera  alberga  in  valle 
Che  non  conofca  il  fuon  de  Ih  mìe  rime 
Né  fpelu/1'.a  e  caverna  ^  fra  gli  fajjì  ^ 

Chi 


-J 


DEL   SANAZZARO.       ?f 

Cbf  non  rimbombi  al  mio  continuo  pianto\\% 
hiifior^  né  erbata  nafce  in  qutjii  campi ^ 
Cb'*  io  non  la  calchi  mille  volte  il  giorno  . 

l,Laffo  j  ch^  te  nonfo  hnP  orm  nèU giorno^ 
Cbtfuirincbiufo  in  qucfta  alpcftra  vali*: 
J<lé  mi  ricordo  mai  correr  per  campi     \  j 
Libero  e  fciolto  :   ma  piangendo  in  rime 
Sempre  in  fiamme  [on  vi(foi  e  col  mio  piant$ 
Ho  pur  moffo  a  pietà  gli  alberi  e  i  fajji  , 

"3. Monti  j  felve  ,  fontana  ,  piagge  ^^  f^ffi 
Vo  e  ere  and"*  io  ,  {e  pur  potejji  un  giorno  20 
In  parte  rallentar  /'  acerbo  pianto , 
Ma  ben  veggio  or  ,  cbe  felo  in  una  valli 
Trevo  riposo  alle  mie  fi  anche  rime  ^ 
Cbe  mormorando  van  per  mille  campi  , 

g.Titre  flvcfire  che  per  lati  campi  25 

pagando  errate ,  e  per  acuti  jajfi , 
U  di  fi  e  mai  sì  dolor  cf e  rime  ? 
Direi  per  Dio  .  Vdifte  in  alcun  giorno 
O  pur  in  quefla  ,  cwer'*  in  altra  valli 
Con  sì  caldi  fofpir  si  lungo  pianto  ?      go 

p  Ben  mille  nòtti  ho  già  paffate  in  pianto  j 
Tal  che  quaji  paludi  ho  fatto  i  carnai  * 
M  fin  m*  ajfiji  in  una  verde  valle  , 
"Ed  una  voce  udii  per  mex.\p  i  (ajft 
Dirmi'.  Elpino>  ors'apprefia  un  lieto 
giorno  j  ^  35 

Che  tifarà  cantar  più  dolci  rime. 

^g.O  fortunato ,  cbe  con  altre  rime 
Riconfolar  potrai  la  doglia  e  *l  piantò! 
Maioìajfo  pur  vo  dì  giorno  ingiornp 
Nojando  ilciely*ion  che  le  felve  e  i  campi',  40 
Talcb^io  credo  che  Perbene  i  fonti ye  *  faffiy 
Ed  ogni  uccel  ne  pianga  in  ogni  valle, 

Ip. Deh  fé  ciò  fojfe^or  qual  mai  piaggialo  valle 
Udrebbe  tante  0  sì  foavi  rime  ? 
Certoio  farei  falf are  i  bofc hi  y  tifafh  45 
B    4  Sic^ 


^1  ARCADIA 

Siceom*  un  tempo  Orfeo  col  dolcf  pianto 
Alìor  fi  fentirebhofi  per  li  campi 
Tortorelle  ,  e  (oìotnbe  in  ogni  giorno  . 

"Log,  Allora  io  cheggìo  che  Rovente  H  giorno 
J/  mio  fepolc^o  onori  in  quefta  valle  \      5( 
£"  le  ghirlande  colte  a     verdi  campi  , 
Al  cener  muto  dia  con  le   tue  rime  , 
Dicendo  .   Alma  infelice  ,  che  di  pianto 
Vivelh  un  tempcor  pofa  in  quefti  (  flì. 

TcAp.Logìfto  ,  cdanlo  ì  fiumi  »  odanlo  i  f-ffi  ^    5 
eh"*  un  lieto  ,  faujìo  ^  /ivventurfo  giorno 
5'  apparecchia  a  volarti  in  rifo  ilphìmo  : 
Sf  pur  r  erbe  eh'*  io  ed  fi  alia  mia  valle 
Non  m'^in^^innafo  ^  f  V  inc/tntate  rime  , 
Che  di  biade  pia  volte  hanpriv'^  i  campi.  6 

I-.Og.L*'  f gaudi  p-fri  andranper prchi  e  ?mpiy 
E  7  mar  fia  duro  ,  e  liquefatti  i  f/ijji  y 
Et'gaPo   vincerà  Titiro  in  time^ 
La  notte  vedtÀ  "^Ifol ,  le  felle  il  giorno  , 
Vria  che  gli  abeti,  e  ì  faggj  d^efli  valle   6 
Od  in  d  ilU  mìa  bocca   altro  che  pianto  . 

Elp.i'^  mai  nom  fi  nudrt  d^ira  ^  g  di  pi anto  y 
^Ufll^unfu^/o  :  e  voi  ^  fapete  ,  0  camoi  : 
Ma  pur  f per /indo  ufcir  deirajpra  valle 
Ricbiui'a   intorno  d^alti  ,  e  vìvt  fajji^   -j 
E  rip^-Kfando  *»/  ben  che  avrò  (f-ael giorno  , 
Can^o  con  la  mia  canna  or  ver  fi  ^  0*  rime  . 

'LogtAllor  le  rime  mie  fien  fenXa  pianto 

Che  '/  giorno  non  dia  lu:e  ai  lieti  campì ^ 
E  i  f^jfi  te  man  l'  aura  in  chiù  fa  valU  ,  7 


c^oafo 


A  R- 


DEL  SANAZZARO.     ?^ 

ARGOMENT     Ò . 

op0  diicfft  giuochi  e  fprìjft  freft  ^a^  paflori 
per  la  ftrada  ,  per  conjìglio  di  Oùico  y  vec- 
chio e  favio  )  /j  riducono  tutti  intorno  a'U 
fepo/tu^a  del  pafto'e  Attdrogeo  ,  le  cui  lodi 
((fendo  prima  in  bel  parlamento  recif^te  da 
un  vacctiro  y  fono  poi  in  una  bella  caKX,on» 
dgìcenunte  raccolte  dal  paftore  Ergafto  . 

PROSA    Q^U  I  N  T  A  . 

IJRa  già  per  Io  tramontare  del  fole  tut- 
— i  to  l'Occidente  fparfo  di  mille  varie- 
i  di  nuvoli;  quali  violati  9  quali  cerulei  > 
cuni  languigni  ;  altri  tra  giallo  e  nero, 
tali  si  rilucenti   per  la  riperculTione  de* 
igS.lj  che  di  forbito  ,  e  finiflìmo  oro  pa- 
ano  ;  per  cheeflendofi  le  pr,ftorelIe  di  pa- 
conientimento  levate  da  federe  intorno 
Ila  chiara  fontana  ,    i  duo  amanti  pofero 
ne  alle  loro  canzoni:  le  quali  ficcome  con 
laravigliofo  fiienzio  erano  Itate  da  tutti  udì- 
2>  cosi  con  grandinimi  ammirazione  furo- 
o  da  ciafcuno  egualmente  commendate,  e 
naflimamente  da  Selvaggio  ,  il  quale  non 
apendo  difcernerequ ile  foffe  (lato  più  prof- 
mo  alla  vittoria,  am' oduo  giudicò  degni 
i  fomma  lode.  Al  cui  giudicio  tutti  con- 
eniimmo  di  comune  pirere  ;  e  f.-n za  poter* 
i  più  commendare  che  commendati  negli 
vertimo,  parendo  a  ciafcuno  tempo  di  dc- 
ere  ornai  ritornare  verfo  la  nodra  villa  9 
:on  pafTb  lentiflimo,  molto  degli  avuti  pia- 
eri  ragionando,  in  c:ìmmino  ne  mettem- 
uo  .  li  quale  avvegnaché  per  la  afprezza 
B    5  deir 


54.  ARCADIA 

dell'incolto  paefe  più  montu9Ìb  »  che  pi 
no  fofTe  5  nondimeno  tutti  boicherecci  d 
letti  ,  che  per  fimili  luoghi  da  feftevole 
e  lieta  compagnia  prender  fi   puotcno ,  i 
idiede>  ed  animiniPirò  quella  fera.  E  pr 
ipieramente  avendofi  nel  mezzo  deli' and 
re  ciafcuno  trovata  la  fua  piaftrella  j  tirar  « 
mo  ad  un   certo  fegno  ;   al  quale  chi  p 
fi  avvicinava,  era»  ficcome  vincitore»  p. 
alquanto  fpazio  portato  in  fu  le   fpalle   t 
colui  che  perdea  ;  a  cui  tutti  eoa  lieti  gr 
di  andammo  applaudendo  d'interno,  e  i 
cettdo  maravigliofa  fefta  ,  ficcome  a  tal  giui 
co  fi  richiedea  .  Indi  di  quefto  lafciandt  ^ 
ne,  prendemmo  chi  gli  archi,  e  chi  le  fior 
de  5  e  con  quelle  di  pafio  in  paflb  fcoppiai  ' 
de,  e  traendo  pietre ,  nedipx)rtammo;  p( 
lio  che  con  ogni  arte  ed  ingegno  i  colpi 
un  dell*  altro  fi  sforzafle  di  fuperarc  .  M 
difcefi  nel  piano,  e  i  faflofi  monti  dopol  i 
fpalle  lafciati ,  come  a  ciafcuno  parve,  n( 
velli  piaceri  a  prendere  rincominciammo 
ora  provandone  a  falcare,  ora  a  dardeggia 
le  con  li  paftorali  baioni  ,  edora  leggieri 
fimi   a  correre  per  le  fpiegate  campagne 
«ve  qu^.Iunque  per  velocità  primo  la  dife 
gnata  meta  toccava  ,  era  di  {rondi  di  pà. 
lidi  ulivi  onorevolmente  a  fuon  di  fampc 
gna  coronato  per  guiderdone.  Oltradici 
;(  ficcome  tra  bofchi  fpefiTe  volte  addiviene 
movendofi  d'  una  parte  volpi  ,  d* altra  ca 
vriuoli  faltando  ,  e  quelli  in  qua  e  in  là  ce 
noftri  cani  feguendo,  ne  tr.jfiulIammo  infi 
«0  che  agliufati  alberghi  da*  compagni  eh 
alia  lieta  cena  n*  afpettavano,  fummo  rice 
vuti  :  ove  dopo  molto  giuocare  ,   effend 
gran  pezza  della  notte  paflutai  quafi  ftan 

chi 


DEL  SANAZZARO.      ?5 
hi  dì  piacere >  concedemmo  alle  efercit.i- 
e   membra  ripofo  .  Né  più  tofto  la  bella 
\urora  cacciò  le  notturne  (Ielle,  e  '1  cri- 
ato  gallo  col  Tuo  canto  falutò  il  vicino  gior- 

0  5  fignitìcando  V  ora  che  gli  accoppiati 
uoi  fogliono  alla  fatica ufata  ritornare, eh* 
n  de'  pallori  prima  di  tutti  levatofi  andò 

01  rauco  corno  tutta  la  brigata  deftando; 
I  fuono  del  quale  ciafcuno  lafciandoil  pi- 
;ro  Ietto  ,  fi  apparecchiò  con  la  biancheg- 
iiante  Alba  alli  novi  piaceri  ,  e  cacciati 
lalle  mandre  li  volonterofi  greggi  5  e  po- 
tine con  efll  in  via;  liqualidi  padoin  paf- 
o  con  le  loro  campane  per  le  tacite  fel^e 
ifvegliavnno  i  fonnacchiofi  uccelli  ;  anda- 
amo  penfori  immaginando  ove  con  diletto 
li  ciafcuno  avefìTirao  comodamente  potuto 
uttoil  giorno  pafcere  ,  e  dimorare  .  Emen- 
re  così  dubitofi  andavamo,  chi  proponen- 
io  un  luogo,  e  clii  un'  altro  ,  Opico  ,  il 
luale  era  più  che  gii  altri  vecchio,  e  mol- 
o  (limato  fra  paftori ,  did'e:  Se  voi  vorre- 
e  eh*  io  voftra  guida  fia ,  io  vi  menerò  in 
^arte  affai  vicina  di  qui  ,  e  certo  al  mio 
larere  non  poco  dilettofa;  della  quale  non 
joflo  non  ricordarmi  a  tutte  ore  ,  peroc- 
:hè  quali  tutta  la  mia  giovanezza  in  quel- 
a  tra  fuoni ,  e  canti  felicilTimamente  paf- 
'ai  :  e  già  i  faffi  che  vi  fono  mi  conofcono  9 
»  fono  ben  infegnati  di  rifpondere  agli  ac- 
:enti  delle  voci  mie:  ove,  ficcome  io  (li- 
no ,  troveremo  molti  alberi ,  nei  quali  io 
in  tempo,  quando  il  faneue  mi  era  più  cai- 
io,  con  la  mia  falce  fcrilTi  il  nome  di  quel- 
la che  fovra  tutti  li  greggi  amai;  e  credo 
?ià  che  ora  le  lettere  infieme  con  gli  al- 
^ri  fjano  crefciute  ;  onde  prego  gli  Dii , 

B    6  che 


?6  ARCADIA 

clie  Tempre  le  confervino  in  efaltazìone)  e 
fama  eterna  di  lei.   A  tutti  egualmente  par- 
ve di  feguitare  il  coniglio  diOpico,  e  ac 
un  punto  al  fuo  volere  rilpondemmo  edere 
appirecchiati   •    Né  guari  oltra  a  duomilis 
pafTì  andati  fummo,  che  al  capo  d  un  fiu- 
me chiamato    Erimanto   pervenimmo  :    il 
quale  da  pie  d*  un  monte  per  una  rottura 
di  pietra  viva  con  un  romore  grandiffinio  ; 
e  fpaventevole  »  e  con  certi  bollori  di  bian- 
che rchaime  fi  caccia  fore  nel  piano  ,  e  pei 
quello  trafcorrendo  ,  col  fuo  mormorio  va 
fatjgando  le  vicine  Tel  ve  :  la  qual  cofa  di 
lontano  a  chi  folo  vi  andaiìe  ,  porgerebbe 
di  prima  intrata  paura  ineftimabile  ;  e  cer- 
to   non    fenza   cagione  ;    concioffiacofachè 
per  comune  opinione  de' circunftanti  popo- 
li fi  tiene  quail  per  certo  »  che  in  quel  luo- 
go abitino  le  Ninfe  delpaefe»  le  quali  per 
porre  fpavento  agli  animi  di  coloro  che  ap- 
proiìimare  vi  fi    voJeflero  ,    facciano    quel 
luono  così  Arano  ad  udire  .  Noi ,  perchè  dan- 
do a  tale  ftrepito  nonavriamo  potuto  né  di 
parlare  »    né  di  cantare  prendere  diletto, 
cominciammo  pian  piano  a  poggiare  il  non 
afpro  rnonte  ,  nel  quale  erano  forfè  mille  tra 
ciprefìii  5  e  pini  sì  grandi ,  e  sì  fpaziofi  ,  che 
ognun  per  fé  avrebbe  quìfi  badato  ad  ombrare 
una  felva  :  e  poi  che  fummo  alla  più  alta  par* 
te  di  quello  <trrivati  ,  ed'endo  il  fole  di  po- 
co alzato,  ne  ponemmo   confufamente  fo- 
vra  la  verde  erba  a  f-dere  :  ma  le  pecore  > 
e  le  capre  )  che  più  di  pafcere,  che  di  ri- 
pof^rfi  erano  vaghe,  cominciarono  ad  an- 
darfi  appicciando  per  luoghi  inaccedìblli  , 
ed  ardui  del  falvatico  monte  5  quale  pafcen- 
do  un  rubo  ,  quale  un'  arbofcello  che  ali* 

ora 


DEL  SANAZZARO.  37 
i  tenero  fpuntava  dalla  terra  ;  alcuna  fi 
:ava  per  prendere  un  ramo  di  filce  ;  al- 
I  andava  rodendo  le  tenere  cime  di  quer- 
lolci  e  di  cerretti  ;  molte  bevendo  per 
chiare  fontane,  lì  rallegrivanodi  veder- 
fpccchiate  dentro  di  quelle:  in  maniera 
e,  chiedi  lontana  vedute  le  avefi'ej  av- 
jbe  di  leggiero  potuto  credere  che  pen- 
derò per  Jefcoverte  ripe.  Le  quali  cofe 
;ntre  noi  taciti  con  attento  occhio  mi- 
vamo  >  non  ricordandone  di  cantare»  né 
altra  cola  ,  ne  parve  fubJtamente  da  lun- 
udire  unluono  comedi  piva,  e  di  nac- 
ri  ,  mefcolato  con  molti  gridi  ,  e  voci 
:iflime  di  pallori  ;  per  che  alzatine  da  fe- 
re, rattilfimi  verfo  quella  parte  del  mon- 
onde  il  romore  fi  fentiva  ne  drizzammo  , 
tanto  per  lo  inviluppato  bofco  andammo  j 
le  a  quella  pervenimmo.  Ove  trovati  da 
eci  vaccari  che  intorno  al  venerando  fé- 
'Icrodel  pallore  A ndrof^eo  in  cerchìodan- 
vano ,  a  guifa  che  fogliono  fovente  i  la- 
ivi  Satiri  per  le  felve  la  mezza  notte  fai- 
re,  afpettando  che  da  i  vicini  fiumi  efra- 
\ì  le  amate  Ninfe,  ne  ponemmo  con  loro 
fieme  a  celebrare  il  mefto  cff.cio  .  De' 
tali  un  più  che  gli  altri  degno  ftava  in  mez- 
)  del  ballo  prefToalP  altofepolcro  in  uno 
tare  nuovamente  fitto  di  verdi  erbe  :  e 
4Ìvi  ,  fecondo  lo  antico  codume  ,  fpargen- 
3  duo  vafi  di  novo  latte,  duo  di  facro  fan- 
xe  y  e  duo  di  fumolo,  e  nobiliflìmo  vino, 
copia  abbondevole  di  teneri ifmii  fiori  di 
verfi  colori:  ed  accordandofi  con  loave> 
pietofo  modo  al  fuono  della  fampogna  1 
de' naccari ,  cantava  diftefamente  le  Iodi 
si  fepolto  paftgre  :  Godi  ,  godi  ,  Andro- 
geo  , 


5»  ARCADIA 

geo  i  e  fé  dopo  la  moi  te  alle  quiete  aniit  \ 
è  concedo  il  fentire,  afcolta  le  parole  ne  > 
ftrej  e  i  folenni  onori,  i  quali  ora  i  tu<  < 
bifolchi  ti  rendono  ,    ovunque  feJicemeni  ì 
dimori,  benigno  prendi,  ed  accetta  .  Ce. 
toio  credo  che  Ja  tua  graziofa  anima  vac  i 
ora  a  torno  a  quefte  Tel  ve  volando  f>e  vcd: 
e  fenta   puntalmente   ciò  che  per  noiog;  , 
in  fua  ricordazione  fi   fa  fovra  la  nova  f 
pultura  ,    La  qual  cofa  fé  è  pur  vera  ,  <  « 
come  può  egli  edere,  che  a  tanto  chiam 
re  non  ne  rifponda  ?  Deh  tu  folevi  col  do 
ce  fuono  della  tua  fampogna  tutto  il  noftj  ' 
Lofco  di  dilettevole  armonìa  far  lieto  ;  conn 
ora  in  picciol  luogo  rinchiufo ,  tra  freddi  fai  -I 
fei  corretto  di  giacere  in  eterno  filenzio  ' 
Tu  con  le  tue  parole  dolciflimc  fempre  raj 
pacificavi  le  queftioni  de'  litiganti  paftori 
come  ora  gli  hai,  partendoti»  lafciati  dubbi<  < 
fiefconteoti  olerà  modo?  O  nobile  padre 
macnro  di  tutto  il  noftro  ftuolo,  ove  pa 
a  te  il  troveremo  ?  i  cui  ammitftram^nti  f 
guirtmonoi?  fotto  quale  difciplina  viven 
mo  ormai  ficuri  ?  Certo,  io  non  fo  chi  r 
fia  per  Io  innanzi  fidata  guida  nei  dubbie 
cafi .  O  difcrcto  pallore,  qumdo  ornai  pi 
le  noftre  felve  ti  vedranno  ?  quinao  per  quc 
Ai  monti  fia  mii  amata  lagiuftizia»  ladrii 
tezzadel  vivere,  e  la  riverenza  degli  Dii 
le  quali  cofe  tutte  si  nobilmente  focto  le  tu 
ali  fiorivano  ^  per  maniera,  che  forfè  m 
in  neiVun  tempo  il  reverendo  Termino  ft 
gnò  più  egualmente  gli  ambigui  campi  eh 
nel  tuo  .  Oimè  chi  nei  noftri  bofchi  om; 
canterà  le  Ninfe  ?   chi  ne  darà  più  nell 
noftre  ayverfità  fedel  configlio ,  e  nelle  m{ 
jftizie  piacevole  conforto  e  diletto  j   con: 

tu 


DEL  SANAZZARO.  39 
I  facevi  cantando  foyente  per  le  rive  de' 
)rrenti  fiumi  dolciflimi  veril  ?  Oimè  che 
)pena  i  noftri  armenti  l'anno  fenza  la  tua 
mpogna  pafcere  per  li  verdi  prati  j  li  quali 
entre  viverti  folevano  si  dolcemente  al  Tuo- 
)  di  quella  ruminare  r  erbe  fotto  le  pia- 
ivoli  ombre  delie  frefche  elcine  .  Oiraè 
)e  nel  tuo  dipartire  fi  partirono  infieme 
)n  teco  da  quefti  campi  tutti  i  noftri  Dii: 
quante  volte  dopo  abbiamo  fatto  pruova, 
i  feminare  il  candido  frumento,  tante  in 
ree  di  quello  avemo  ricalco  lo  infelice  Io- 
io  con  le  fterili  avene  per  li  fconfolati 
»lchi  ;  ed  in  luogo  di  viole ,  e  d*  altri  fio- 

foDo  ufciti  pruni  con  {pine  acutiifime  e 
;leoofe  per  le  nollre  campagne  .  Per  la 
lilcofa,  paftori,  gittate  erbe  e  fronde  per 
.Tra,  e  di  ombrofi  rami  coprite,  i  frefchi 
nti  ;  perocché  cosi  vuole  che  in  fuoono- 
:  ù  faccia  il  noftro  Androgeo  -  O  felice  An- 
"ogeo,  addio  eternamente  ,  ad-dia-  Ecco  che 

paftorale  Apollo  tutto  forili vo  ne  viene  al 
;o  fepolcro  per  adornarti  con  le  fue  odorate 
>rone  ;  e  i  Fauni  fimilmente  con  le  inghir- 
ndate  corna,  e  carichi  di  filveftri  doni,  quel 
le  ciafcun  può  ti  portano  i  de*  campi  le 
)iche  ,  degli  arbufti  i  racemi  con  tutti  i 
impini,  e  di  ogni  albero  maturi  frutti  :  ai 
ividia  dei  quali  le  convicine  Ninfe,  date 
3r  addietro  tanto  amate  e  riverite ,  ven- 
>no  ora  tutte  con  canedri  bianchiflìmi  , 
leni  di  fiori  e  di  pomi  odoriferi  arender- 

i  ricevuti  onori  :  e  quel  che  maggiore 
,  e  del  quale  più  eterno  dono  alle  fepol- 
ì  ceneri  dare  non  fi  può,  le  Mufeti  de- 
ano verfi  ,  verfi  ti  donano  le  Mufe,  e  noi 
3n  le  nollre  fampogne  ti  cantiamo ,  e  can- 

te- 


40  ARCADIA 

teremo  Tempre,  mentre  gli  armenti  pafce 
ranno  per  quefti  bofchi  :  e  quelli  pini  ,  < 
cjuefti  Cerri ,  e  quefti  pbtani  ,  che  d'intor 
no  ti  ftanno  mentre  il  mondo  farà  ,  fufur- 
reranno  il  nome  tm  :  e  i  tori  patimenti 
con  tutte  ie  paef^ne  torme  in  ogni  llagionc 
avranno  riverenza  alla  tua  ombra  >  e  cor 
alte  voci  mugf^iendo  ti  chiameianno  per  It 
rifpondenti  felve  ',  tal  che  da  ora  innanz 
farai  Tempre  nel  num.^ro  de*  noftri  Dii  ;  t 
fìccome  a  Bacco  ,  ed  alla  Cinta  Cerere'»  cos 
ancora  a'  cuoi  altari  i  debiti  {'icrificj  >  f( 
fìrà  freddo  ,  farcmoal  fuoco  ;  fé  caldo  ,  alh 
frefche  ombre:  e  prima  i  velenolì  t^llifu 
deranno  mele  dolctfliimo,  e  i  dolci  iìari  i 
faranno  amaro  ;  prima  d'  inverno  fi  mie 
teranno  le  biade;  e  diesiate  coglieremo h 
nere  olive,  che  mai  per  quelle  contrade  f: 
taccia  la  fama  tua  .  Quelle  parole  finite 
fubitamente  prele  a  fon  ire  una  foavecor- 
namufa  ,  che  dopo  le  fpalle  gli  p?ndc'a  i 
alla  melodia  della  quile  Erp,aQo  ,  qua  fi  con 
le  lacrime  in  gli  occhi»  cosi  aperie  le  lab- 
bra a  cantare  .> 


EGLOGA    Q^U  1  N  T  A. 

Ergafto  fovra  la  fepultura. 


A 


Lma  beata  ,  e  bella  , 
Che  da^  legami  fciolta 
JSJuda  falijìi  nP  fupernt  ch:§Jìri  » 
Ove  con  la  tua  fieli  a 
Ti  godi  infieme  accolta  \  % 

E  lieta  ivi ,  frherrtendo  i  penper  tioflri  , 
Ql^aft  un  bel  (ol  ti   moflri 
Tra  li  piò  fbiari  fpìrti  ^ 

E  e» 


DELSANAZZARO.     41 
E  co  i  tijlig)  f^»ti 

Calih*  ie  flelle  efantt -^  IO 

B  l'a  puff  fontane  ,   e  [acri  mirti 
Paffi   CfUfìi  grefgi  \ 
E  i  tuoi  rari  piflori  indi  correggi  , 
4.!tri  monti ,  altri  piijni  , 
.  Aitrt   bofc betti  ,  e  ^fvi  15 

Ved*  fi  fi  cielo  ^  t  pia  m  tei  li  fiori; 
Altri  patini  ,  e  Silvani 
Per   lucghi  dot  ri  rftìvf 
Seguir  le  Ni*  fé  if^  ptà  felici  amori  . 
Tal  fra  (on  vi    cd^^i  lO 

Doli  e  tant^indo  tj'l*  cmh^a 
T^a  Dofni ,  e  MeVbto 
Siede  il  noftro  Andro^eo\ 
E  di  rara  deice\-{ì  il  ci*!o  ingombra  ^ 
Terrrprando  gli  elementi  25 

Cel  fuifi  de*  novi  i»'* (itati  accenti  , 
Quale  la   vite  ali*  cimo  ^ 

Ed  a^Ji  a'fnenri  il  tcro  , 

E  i*  ondi^%ianti  biade  a"*  lì rJ  campì y 

T'jh  la  floria  ,  /  V  colma  20 

T citte  d^l  nojlro  core  . 

Ahi  cruda  m^rte  ,  e  (bi  fi:  che  ne  fc ampi  , 

Se  con  tue  fiamme   avvampi 

he  [iti  elevate  cime} 

Chi  vedrà  mai  nel  m.ndo  35 

Va  fior  tanto  giocondo  , 

Che  cantando  fra  noi  sì  Jolci  rime 

Sparga  il  bcyo  di  fronde  , 

E  di  bei  rami  induca  ombra (u  l*  onde  ? 
Pianfer  le  fante  Dive  4O 

La  tua  fpietata  morte  \ 

1  fiumi  il  fanno  >  e  le  fpehncbsy  e  i  fitggj  : 
Vianfer  le  verdi  rive , 

L'  erbe  pallide^  e  fm^ite  ; 

E  'l  fol  t)i?i  QÌcrni  non  tnfi'lfuoi  raggj  :  45 

Uff 


4«  ARCADIA 

Ne  gU  animai  felvaggj 

Vfcifo  in  alcun  prato  : 

N^greg^gi  andar  per  mmtt  ^ 

Kè  guftaro  erbe  ,  o  fonti  : 

Tanto  dùlfe  aciafiunT  acerbo  faU\ 

Tal  che  al  chiamo ^    ed  al  fofcj 

Androgèo  j  A  nix o^èo  fonava  il  hfo  , 
Dunque  frefche  corone 

Alla  tua  facrs  tomba 

E  voti  di  bifdcbi  cgno^  vedrai '^  < 

Tal  che  in  ogn'  fiagicne  , 

f)uafi  nova  col.mha  , 

Vef  bocche  de^  pafi.r  volando  andrai  j 

2V^   verrà  tempo  tnai 

Qhe  V  tuo  bel  nome  efìingus ,  « 

Menare  ferpsnti  in  dumi 

Saranno  ,  e  ptfri  in  fami  . 

Kè  fol  vivrai  nella  mia  fianca  lingt4a  , 

Ma  per  pafior  diverfi 

In  mille  altre  fampogne  ,  i  mille  verp ,  ( 
Se  fpirto  alcun  d*  amor  vìve  fra  voi  , 

Querele  fiondo  fé  e  folte  , 

Fate  ombra  alle  qui  et  f  offa  ftpoltt. 


A  R- 


DEL  SANAZZARO»      4? 
ARGOMENTO. 

anfo  Ciìfitto  fra  li  lieta  brigata  dt*  P''}]}»- 
'i  ,  è  invìt/jto  Ofiro  vecchio  a  cantarg  \  il 
quale  fecondo  /'  ufo  de"*  vecchi  ,  lodando  il 
pajfjto  ,  ebiéfmando  P avvenire  ,  canta  con 
Serrano  , 

PROSA     SESTA. 

^Entre  Ergafto  cantò  la  pictofa  canzo- 
VX  ne»  Fronimofovra  tutti  i  partorì  in- 
gnofinìnio  la  fcrifle  in  una  verde  cortec- 
a  di  faggio;  e  quella  di  molte  ghirlande 
veflita  appiccò   ad  un'  albero    che  fovra 

bijnca  fepoltura  ftendeva  i  rarfli  fuoi  . 
;r  la  qual  cofa  cfTendo  1'  ora  del  defina- 

quafi  paflTata  ,  n'andammo  preflb  d*una 
!Ìara  f'Utana  che  da  piò  d'un'altilTiinQ  pi- 
3  fi  movca  ,  cquivi  ordinatamenrecomin- 
àrom.>  a  mangiare  le  carni  de*  lacrificati 
itelli ,  e  latte  in  più  maniere,  ecaftagne 
»olliflime,  e  di  quei  frutti  che  la  ftagione 
Dncedeva  ;  non  però  fenza  vini  gencrofif- 
mi,  e  per  molta  vecchiezza  odoriferi  ,  ed 
pportatori  di  letizia  nei  m^ili  cuori  :  ma 
oi  che  con  T  abbondevole  divcrfiù  de*  ci- 
i  avemmo  fedata  la  fame  ,  chi  fi  diede  a 
antarei  chi  a  narrare  favole,*  alcuni  agiuo- 
are  ,  molti  foprav  vinti  dal  fon  no  fi  addor- 
airono  .  Finalmente  io  (  al  quale  e  per 
a  allontananza  delia  cava  patria  ,  e  per  ai- 
ri giufti  accidenti,  ogni  allegrezza  era  ca- 
gione d'infinito  dolore  )  mi  era  gittato  a 
)!è  d' un'albero  ,  dolorofo  e  fcontentiflimo 
}kra  modo ,  quando  vidi  difcuilo  da  noi  for^ 

fé 


44  ARCADIA' 

fé  :ìA  un  tratto  di  petra  venire  con   frei 
tolofi  paffj  un   pìftore  nelT  arpetto  giovf 
nidi  no  ,   avvolto  in  un  mantarro  di   qut 
colore  che  fogliono  cflt^re  le  gru:';  aliin 
ftro  lato  del  quale  ;.>erti^ea  una  bella   tafc 
d'  un  picciolo  cuojo   di  ab)rtivo   vitello 
e    fopra    le   lunghe  chiom?  ,   le  quili     ' 
che  *1    giallo  •  della  rofa   biondiUlme     • 
le  fpal'c  gli  ricadevano  ,  aveva  uno  it^ui  . 
cappello,  fatto  (  ficcome  poi  mi  avvidi)  ci 
pelle  di  lupo,  e  nella  d. /Ira  mano  u-i  bel  ■ 
lifiimo  baftone  ,  eoa  U  punta  guarnita  d  i 
novo  rame  :  ma  di  che  legno  egli  era  ,  co  n 
prendere  nan  potei;  conciolliacorirhè  ied, 
corniolo  rtato  fofle ,  ai  nodi  eguali  T  tvrc  : 
potuto  conofcere;  fc  di  trafTino,  od»  h^i 
io  ,  il  cofore  me  lo  avrebbe  m 'nìfe.lato  :  e»  : 
egli  veniva  tale,  che  verrciiiimimente  pa 
reva  il   Trojano  Paris  ,    qamdo  nelle  alt 
felve  tra  (empiici  armenti,  in  qacl'a  prì 
ma  rulìicita  dimorava  con  la  Tua  Nmf» ,  co 
renando  foventei  vincitori  montoni .  Il  qua 
Je  poi  che  in  brieve  fp/izio  prefio  a  me 
ove  alcuni  giuncavano  al  bei  faglio  )  fugiun 
to  ,  domandò  a  quei  bifolchi  ,    fé  u'ia  fuc 
vacca  di  pei  bianco  con  la  fronte  nera  ve- 
duti avellerò  :  la  quale  altre  volte  fu  .agen- 
do era  avvezzata  di  mefcolarfi  f'-a   li  lorc 
tori  .  A  cui  piacevolmente  furifpfto,  che 
non  gli  fofle  noja  tanto  induggiaiTi  con  ef- 
fe noi  ,   che  '1  meridiano  caldo  fopravve- 
niffe  ;    conciciTìacofachè  in    fu  quelT  otta 
avean  per  coftume  gli  armenti  di  venirfe- 
ne  tutti  a  rummare  le  mattutine  eròe  all' 
ombra  de'  frefchi  alberi  :  e  quefto  non  ba- 
dando ,  vi  mandarono  un  loro  famigliare, 
ii  quale  (  perocché  pclofo  molto  5  e  rudi» 

cilTi- 


« 


DEL  SAN  AZZA  RO  .    4!r 

lìmo  uomo  era)  Urfacchio  per  tutta  Ar- 
dia  era  chiamato  ;  che  coftui  l.i  dovefle 

ouel  mezzo  andare  per  osni  luo^o  cer- 
ndo ,  e  quella  trovata  conducere  ove  noi 
iv.imo  .  Allora  Carino (  che  così  avca  no- 
i  celili  che  li  bianca  vacca  Tmarriti  avea) 
pofe  a  (edere  fovra  un  tronco  di  faggio  » 
e  dirimpetto  ne  llava;  e  dopo  molti  ra- 
Doameiiti  ,  al  noftro  Opico  voltatoli  «  il 
ego  am  chev'olmente  ,  che  dovede  can- 
re  ;  il  quals  cosi  mezzo  forridendorifpo- 

:  i  igliuol  mio,  tutte  le  terrene  cofe ,  e 
animo  ancora,  quantunque  celefte  fia  ,  ne 
rtano  leco  gli  anni,  e  la  divoratrice  età  . 

mi  ricorda  molte  volte  ,  Gnciullo  j  da 
.e  il  Iole  uTciva  infmo  che  fi  coricava  > 
ntare  fenza  punto  ftancarmi  mai  i  ed  ora 
i  iono  ufciti  di  m:nte  tnnci  verfi  ;  anzi 
'ggio,  che  la  voce  tuttavia  mi  vien  man- 
.  do ,  perocché  i  lupi  rrima  mi  videro  ,  eh* 

di  loro  accorto  mi  f*  (fi  :  ma  poflo  che  i 
pi  di  quella  privato  non  mi  aveff'ero  ,  il 
pò  cautoi  e'I  raffreddato  (angue  non  co- 
anda  eh'  io  adopri  ciò  che  a'  giovani  (1 
)partiene  ;  e  già  gran  tempo  è  che  la  mia 
mrogna  pende  ài  filveilre  Fauno-  Nien- 
dimenoqui  foro  molti  che  faprebbono  rì- 
toidere  a  qualunque  pa(lore  piìi  di  canta- 
*  fi  vanta  :  li  quali  potranno  a  pienr  in 
ò  che  a  me  domandate  foddisfarvi  .  Ma 
3me  che  degli  aitri  mi  taccia  ,  li  quali  feti 
Itti  nobiH(T;mi  ,  e  di  Rrande  f.ipere  ;  qui 

il  lu.firo  Stirano,  che  veramente  fé  Ti- 
ro ,  o  Mcliheo  lo  udì  (fero  ,  non  pvitreb- 
3no  fommamente  non  commendarlo  ;  il 
ua'e  e  oer  vofiro  ,  f^ó  anco  per  noftro  amo- 
2,  fé  grave  al  prcfente  non  gli  fia ,  caa* 


46  ARCADIA 

terà  5  e  daranne  piacere  .  Allora  Serra 
rendendo  ad  Opico  le  debite  grazie,  gli 
fpofe  :  Quantunque  il  più  iaiìmj  e'I  me:  i 
eloquente  di  tutta  quefta  fcliicra  meritarne  , 
te  dir  mi  polla;  nondimeno  pc;r  non  u fa  i 
officio  di  nomo  ingrato  a  chi  (  perd,  ni:  ■■ 
egli)  centra  ogni  dovere  di  tanto  onore  i 
reputò  degno  ,  io  mi  sforzerò  ,  in  quan  ; 
per  me  lì  potrà  ,  di  obbedirlo  .  E  perei  i 
la  vacca  da  Carino  fmarrita    mi  fa  ora  i 
membrare  di  cofa   che  poco    mi  aggrada 
di  quella  intendo  cantare;  e  voi  »  Opic< 
per  voftra  umanità  lafciando  la  vecchiezz;  i 
eie  fcufe  da  parte?  ie  quali,  al  mio  par 
re  »  foi)  più  foverchie  che  necedarie  ;  i 
rifpoiiderete  :  e  cominciò  . 

EGLOGA    SESTA. 

Serrano  y  ed  Opico  . 

%CTr,  f^j^tunque/ìptcó  mio^fii  vtd.  hio^e  tari, 
V^  Vi  ftnno^e  dt  pelier^cbin  te  fi  c9Van 
X)ifh  pf^gi  or  m!cn^€  predi  il  mio  ramma^ìc 
^fì  mufjdo  ^^gi  gli  amili  non  jì  trovano  ; 
ha  fedi'  è  morta  y  e  regnano  U  "^nviàit  * 
H  i  mai  coj'iumi  ognsr  pi^t  fi  rinnovano  . 
"Regnan  le  voglia  pr-jve  ,   e  le  perfidie 

Per  la  roba  mal  nata  ,  che  gli  jìi mula  , 
Tal  che  ^l  figliffoh  al  padre  par  che  tnfìdit 
Tal  ride  del  wiù  ben  ,   che  V  rifo  jttnula  :      i 
Tal  piange  del  mìo  mal  y  che  poi  mi  laCtra 
Dietro  le  [palle  co  fi  acuta  li  mula  . 
Op.  L'  invidia  ,  figliuol  mio  ,  fc  fìejfa  macera , 
E  (i  dilegua  come  agnel  pe^  fafcìno  ^ 
Che  non  gli  giova  embra  di  pinolo  d'acera.i 
^^rtj/pur  diri  ^  coi ì  gli  Dii  mi  lafcino 


DEL  SAN  AZZAR  O.      47 

Vtdtr  ^endftt/J  di  '-hi  tanto r.jf ondami  ^ 
Vrinta  iht  i  mietitof  le  biade  ^ijf lincino  \ 

"E^tf  /'  ira  sfgar  ib^  al  con  ibbon'Umi  : 
CvfVl  veggi  a  cader  d'»n  olmo^tf  ffangafì^to 
Taì  .Pio  di  gÌ9J.j^  e  di  pÌ9t<i  cortff>ndnmt  , 

Tu  fai  la  via  che  ptr  U  piogge  affairigafi  ; 
Ivi  f*  afi  cfe   quando  a  e  afa   andavamo 
Qufly  che  tal  viva  ^  d.  lui  (ìeffo  piahgafi » 

Ktjjun  vi  riguaraò  ^  perchè  cantavatn'".   25 
Mia  innanzi  cena  tenne  un  pajiof  fubito 
Al  ncjìro  albergo  ,  quando  al  foco  Jìaiamo  j 

.E  difjt  a  me  \  Serrcn  y  vedi  ,  i^'  io  dubito  j 
Cbe  tue  capre  fia  n  tolte  :  ond'/o  pur  correre 
fiin  cuddt  />,  cPanrof  mi  del'  il  cubito  .  ^o 

Deh f''  qui  fifff  alcuno  acuì   yicu*rere 
Per  giujliiia potejfi  :  er  che  giufiii^ia  ? 
Sol  Diofel  veda  ,  eòe  ne  può  fcf  correre  , 

•Due  caiPe  y  e  du»  capretti  per  mali^'a 
Quel  ladre  tradltar  dal  gregge  tolfemi  \    35 
S  i  l-fncrcggfa  rimondo  /'  avarizia  . 

1$  gli.'l  direi  j  ma  chi  mei  di Jf e  volfemi 
Legar  pe^  giuramento  ,   0 ad'*  effe"  mutolo 
Ctvtitmf»*  ,   e  penfa  tu  fé  quejìo  dolfemi  , 

Del  furto  p  tanto  „   ^oi  cP  ebbe  avutolo  ,      40 
Che  fputando  tre   vclte  fu  invlfibtìe 
Agli  cechi  ncfl'i  i   ond^  io  fagpo  rìputole  . 

Chf  fel  tedea  y  di  cerio  tra  impojfìkile 
Vfcir  vivo  da  cani  irati  ,  e  calidi  • 
Ove  non  vai  che  I*  vcm  r> i brami  e  fbì'e  .  4  S 

Erbe  ^  e  pietre  tnofhofe  ,  e  fughi  pali  di  , 
Offa   di  morti  ,  e  di  fetìolcri  polvere  y 
Magtii  verfi  affai  p  jfenti  ^  e  validi 

■portata  indijfo  y   che    Ifncean  nfoìvere 

In  ventosi»  acqua^in picei ol ru^'OsO  feìice'^iO 
Tanto  f  fjuh  per  arte  il  mondo  irvolvere  . 

^.Quefì^  è  Proìio  ,  che  di  ciprejfn  in  elice  y 
E  di  (irpfftte  in  tigre  trasformava^  ^ 

E  feam. 


4?  ARCADIA 

E  feaji  or  bov:'^  or  capra  or  fiume yCr  f  Uà 
Serr.O/'  vedi^Opico  tnio^fe  ^l  Movdsa^gravafi 
Di  male  ift  peggio  ;  e  d-tti  pur  cornpi/jng 
'Pensando  al  tempo  buon^^ihe  ognor  depfav 
Op.J^'/7«^'  io  r.ppena  tnc.minciava  a  tanggr. 
Da  terra  i  p'itni  rami  ,  eà  addeftfavai 
Con  Va(ìnel  portando  i!  g^  a  no  a  frangere 

Il  viccbio  padri  mio  ^  cbt  tanto  amnvami 
^        Scventt  air  omb^'a  degli  ovachi  (uberi 
Con  amiche  parole  a  fé  (hìrjmav^mt  '^ 

E  ,  come  fajji  a  quei  che  fono  impuberi  , 
H grrgge  m^  infognava  di  conducere  , 
E   di  t  far  le   lane,  e  mufiger  ^U  uberi 

Tal  volta   nel  parlar  fokva  ìnduceré 
I  Stampi  antichi^  quando  i  buoi  par/avam 
Qhe  H  del  pia  gra^^ie  allor folca  produca 

Allora  i  fommi  Dii  non  fi  (degnavano 
Menar  le  pecorelle  in  felva  a  pafce*e  \ 
E  ,  com^  or  noi  facemo  ,  ejji  cantavano 

'Non  (il  atea  P  un^  uom  vef  /*  alrro  i'afcere  : 
1  cafnpi  eran  comuni  -,  e  f  n\a  termini 
E  copia  i  frutti  fioi  fempre  fea  nafc^re  , 

Z^on  era  fèrro  ,  il  qual  par  cb"*  o^gi  te  f  min. 
L^  umana  vita  \  e  non  eran  t-?f '*''^  j 
O nd"" avv' e n eh* ogni  q^u-rra ^f  mal (i germi 

Non  fi  vedean  quefìe  rabbiofrf  t'nfanie  , 
Le  genti  litigar  non  li  fentivano\ 
Per  eh  '  convien  che  V  mondo  or  fi  dilani 

I  vec  hj  quando  al  fin  pia  non  ufcivano 
Pfr  bofcb?,o  fi  prendran  la  morte  intrepii 
O  con  era*  incantate  ingiovanivano , 

22onfofchi  0  fr-ddì  ,  ma  lucenti  e  tepidi 
Er, tuo  i  giorni  \  e  rtoH  s"*  udivaH  ulule  ^ 
M<?    vnghi  uccelli   dilettoji  e  lepidi  , 

Xéa  re  ra  ,  ch"  dal  fondo  par  che  pvluU 
Atr-  aconiti  ,  e  piante  .ifpre  ,  e  mortiferi 
QaU^i/ggi avviff  (he  t,taf:U  pia^a^ed mule 

Era 


DEL  S  A  N  A  Z  Z  A  R  O  .      49 

Era  aJ/er  piena  d^  erbe  f/tlutifere  j 
E  di  b/iljamo 'i  e  ''ncenfo  Ucrim^vole  ^ 
Di  mirre  preiicf/  ed  odorifere  . 

CiafiUn  mangiava  alP  ombra  dilettevole 
Or  Uttey9gbiande^ed  or  ginepri^e  morole.9% 
0  dolce  tempo  ,  0  vita  [ollaii'<vole  \ 

Ventando  all'*  cprg  Ur  ^  non  folo  onerate 
Cov  le  parole  y  ancor  con  la  memoria 
Chinato  a  terra  come  fante  adorole  . 

Qv  è  ^l  valere^  ov"*  ^  P  antica  gloria?      fcO 
V*  jcftor  quelle  genti?    oìmè  fon  cenere  y 
Delle   quai  grida   ogn'^  fam.fa  ijìoria  , 

1  lieti  amanti  y  e  li  fanciulle  tenere 
Givnn  di  prato  in  prato  rammentandoli 
Il  foco  ,  g  Inarco  delfigliuol  di  yemre  .  105 

Non  era  gelofia  ^  ma  follai\ando(ì 

Movean  $   dolci  balli  a  fucn  di  e  etera  , 
E    '/»  g^*f^  ^*  colombi  ognor  baciandoji , 

O  pura  fede  ,  0  dolce  ùfan{a   vetera  l 

Or  conofco  ben  io^cbe'^l  mondo  in(ì abile    1  io 
Tanto  peggiora  più  ,   quanto  più  invtera  . 

7al  che  ogni  volta  ,  0  tì'olce  amico  amabile  , 
Cb"*  io  vi  fipenjo  ,  fento  il  cor  dividere 
Di  piaga  avvelenata  ,  ed  incurabile  . 
ìTt»Deb^  per  Dio  y  non  mei  dir  ^  deb  non  mi 
uccidere  ,  115 

Che  s^io  mofiraljl  quel  c^bo  dentro  P anima  , 
Tarei  con  le  (uè  felve  i  monti  (ìridere  . 

Tacer  vorrei  ,  ma  il  gran  doU*"  w'  inanima 
Ch'aio  tei  pur  dea  ,  or  fai  tu  quel  Lacinia  ? 
Oimi^cPa  mminarlo  il  cor  fi  tfanim^,    1 20 

J^el  che  la  notte  veglia  ,  e  '/  ^allicinio 
Gli  è  primo  jjnno^e  rutti  Carco  il  chiamano^ 
Perocché  vive  fol  di  latrocinio  . 
)p,Ob  ob^quel  Cacco.  0  quanti  Cacchi  bramano 
Ver  quefto  bofco'anco''chè  i  faggi  dicanOyXlS 
Che  per  unfalfo  mille  buon  t"*  infamano  . 
Tf/w,  I.  C  Serr. 


Il 

50  ARCADIA      ^  ' 

Serr.  J^''»»''  fi*li^  altrui  fangu«  fi  nutricano  '. 
l 'Ijocbe^lpruvvo^ecol  mio  danno  intena 
Tal  che  i  miei  cani  indarno  /*  affati can  . 
Op'^d  io  per  quel  i he  veggio  acor  ccfnpredoh. 
Che  fon  pur  vecchio^  ed  ho  curvati  gli  on  \ 
in  C(,mprnr\enno^  e  pur  ancor  ncn  vendoh 

O  quanti  intorno  a   quefie  ftlve   nomerì 
l^afiori  in  vifla  buon  ,  che  tutti  furano 
'Raf^ri ^yippe -ifampcgne ^aratri ^e  vomeri\  \ 

D*  oltraggio  ,   0  di  vergogna  oggi  non  curai  i 
Quefii  corr.pagni  del  rapace  graccuìo  \ 
In  sì  malvagia  vita  i  cuori  indurano  9 

VurcPabbian  le  man  piene  ali* altrui  faccu,  ( 

ARGOMENTO. 

Demandato  il  Sanax^aro  da  Carino  pajìore  de 
ejfere  fuo  ,  rifponde  ,  e  tratta  in  parte  d 
lafua  nobiltà  e  cafata:  t  poi  nel  re  fio  fi  di 
fonde  in  raccontare  il  fuo  amore  ^  e  ine 
modo  per  la  crudeltà  dilla  fua  donna  egli 
gioventù  fi  trovaffe  fuor  dì  Napoli  , 

PROSA    SETTIMA. 

VEnuto  epico  alla  fine  del  fuo  cantare 
non  fenza  gran  diletto  da  tutta  la  br 
gataafcoltato  ;  Carino  piacevolmente  a  n: 
voltatofi,  mi  domandò,  chi,  e  d'onde  ; 
era,  e  per  quii  cagione  in  Arcadia  dime 
rava  ;  al  quale  io  dopo  un  gran  fofpiro 
quafi  da  neceflìtà  coQrecto  ,  così  rifpofi 
Non  porto  ,  graziofo  paftore  ,  fenza  no; 
grandiffima  ricordarmi  de*  paflTati  tempi 
li  quali  avvegnaché  per  me  poco  lieti  dir 
poffano,  nientedimeno  avendoli  a  racconta 
re  ora  che  in  maggiore  moledia  mi  trovo 
mi  faranno  accrefcimento  di  pena»  e  quai 

uno 


DELSANAZZAR.O.     5^ 
o  inacerbire  di  dolore  alla  mal  faldatsi 
iga  ;    che  naturalmente   rifugge  di  farfi 
eflb  toccare  ;  ma  perchè  Io  sfogare  con  pa- 
'e  ai  miferi  fuole alle  volte  edere  allevia- 
into  di  pefo,  il  dirò  pure.  Napoli  (  fic- 
me  ciafcuno  di  voi  molte  volte  può  avere 
Jto)  è  nella  più  fruttifera,  e  diletcevo- 
parte  d*  Italia  >  al  lito  del  mare  poila  y 
mofa  e  nobiliflima  città,  e  di  arme  e  di 
tcere  felice,  forfè  quanto  alcun'  altra  che 
mondo  ne  fia  :  la  quale  da'  popoli  di  Cai- 
dia  venuti,  fovra  le  vetufte  ceneri  della 
rena  Parcenope  edificata)  prefe  ed  anco- 
a  ritiene  il  venerando  nome  della  fepoU 
ì  giovane  .  In  quella  dunque  nacqui  io  , 
ve  non  òà  ofcuro  Gngue  >  ma  (  fé  dirlo  non 
ìi    fi  difconviene)  fecondo  che  per  le  più 
el(  bri  parti  di  efla  città  le  infegne  de'  miei 
redeceflbri  chiaramente dimoftrano  ;  da  an- 
ichililmj  ,  e  generofa  profa.oia  difcefo  ,  era 
ra  gii  altri  mici  coetanei  giovani  forfè  noni 
1  minimo  riputato  :  e  lo  avolo  del  miopa- 
ire  dalla  Cifalpina  Gallia  ,  benché,  fé  a* 
jrincipj  fi  riguarda  ,  dalla  eftrema   Ifpagna 
jrendcndo  origine  (  nei  quali  duo  luoghi  an- 
:or  oggi  le  relique  della  mia  famiglia  fio- 
riicono  )  fu  oltra  alla  nobiltà  de'  maggiori 
per  fuoi  propj  gefti  notabiliflimo .  Il  quale 
capo  di  molta  gente  con  la  laudevole  im- 
prefa  del  Tei^zoC  irlo  nell'  Aufonico  regno 
venendo,  mericò  per  fua  virtù  di  pofTede- 
re  la  antica  SinvefìTa  con  gran  parte  de'  cam- 
pi Falerni,  e  i  monti  M.tlfici ,  infiemecoti 
la  picciola   terra  foviapofta   al   liro  ove  il 
tmbolento  Volturno    prorompe  nel  mare  ; 
eLinterno,  benché  folitario  ,  nientedime- 
no famofo  per  la  memoria  delle  facratece- 
C    2  neri 


51      ^        ARCADIA 
neri  del  divino  Africano;  fenza  che  ne 
fei  tile  Lucania  avea  fotro  onorato  titolo  m 
te  terre  ,  ecaftella;  delle  quali  folo  avrei 
potuto  ,  fecondo  che  alla  fua  condizioni 
richiedeva)  vivere  abbondanciflìmamtnt 
Maia  fortuna  vja  più  liberale  in  donar 
che  follicitain  confervarele  mondane  pi 
fperità  ,  volle  che  in  difcorfo  di  temp( 
m;)rto    il  re  Carlo  j  e 'i  fuo  legittimo  fu 
cefiore  Lanzi iao  ,  rimaneflcil  vedovo  reg 
in  man    di  femmina  .    La  qui  le  dalla  n  i 
turale  inconftanza,  e  mobilita  di  animoi  \ 
citata  >  figli  altri  fuoi  pefiinii  fatciqusftoa, 
giunfe,  che  coloro  i  quali  erano  (lati  ed 
padre,  e  dal  fratello  con  fomrao  onore  nic - 
gnificati  ,  ella  ellerminando  ,  ed  umiliane 
annulJò,  e  quafi  ad  eAremi  perdizione  r; 
condufle  .  OJtradi  ciò  quante  >  e  quali  fol 
fero  le  necefiìtadi  ,  e  gli  infortunj  chei 
avolo  e  'I  padre  mio  fofferfero ,  lungo  fa 
rebbc  a  raccontare.  Vengo  a  me  adunque 
il  qu.ìle ,  in  quelli  eftremi  anni  che  lare 
coleoda  memoria  del  vittoriofo  re  Alfon 
fo  di  Aragona  paflò  dalle  cofe  mortali  a  piì 
tranquilli  fecolii  fotto  infelice  prodigiod 
comete  ,   di  terremoto,  di  peftilenzia,  d. 
fanguinofe  battaglie  nato,  ed  in  povertà; 
ovvero  (  fecondo  i  favj  )  in    modefta  for- 
tuna nudrito  (*  ficcome  la  mia  (Iella  e  i  fa- 
ti vollero  )  appena  avea  otto  anni  forniti  ^ 
che  le   forze  di  amore  a  fentire  incomin- 
ciai »  e  de-lla  vaghezza  di  una  picclola  fan- 
ciulla ,  ma  bella,  e  leggiadra  più  che  altra 
che  vedere  mi  parere  giammai ,  e  da  alto 
fangue  difcefa,  innamorato,  con  più  dili- 
genzia  che  ai  puerili  anni  non  fi  conviene* 
<|ucftofBÌo  d^ùd^vÌQ  teneva  occulto  .  Per  U 

quii 


DEL   SANAZZARO.      5? 

al  cofa  colei}  fenza  punto  di  ciò  avvedef'» 
fanciuliefcamente  meco  giuocando  ,  di 
jrnoin  giorno,  di  ora  in  ora  più  con  le 
3  ecceflive   bellezze  le   mie  tenere    mi- 
lle accendeva  ;    in  tanto  che  ,    con  gli 
ni  crelcendo  lo  amore  ,  in  più  adulta  età  9 
alli  caldi  defii  più  inclinata  pervenim- 
1.  Né  per  tutto  ciò  la  folitaconverfazio- 
ceflando^  anzi  quella  ognor  più  dome- 
camente  riflringendofi  ,  mi  era  di   mag- 
ore  noji  cigione  .  Perchè   parendomi  l* 
nore,  la  benivolenza,  eT  affezione  gran* 
(lima  da  lei  portatami  non  cfTere  a  quel 
ic  che  io  avrei  defiderato  ;  e  conofcenr 
)  me  avere  altro  nel  petto  ,  che  di  fuo- 
moftrare  non  mi  bifognava   ;  né  avendo 
ico''a  ardire  di  difropririinele  in  cofa  al- 
jna  9    per  non  perdere   in  un  punto  quel 
"ie  in  molti  anni  mi  parea  avere  con  indù- 
riofa.  fatica  racquiltato  ;  in  sì  fiera  malin- 
:nia  e  dolore  intrai ,  che'I  confueto  cibo 
*ì  Tonno  perdendone  j  più  ad  ombra  di  mor- 
i  y  che  ad  uom  vivo  afTomigliava  .  Della 
uà l  cola  molte  voltedalei  domandatoqual 
!-iflé  la  cagione  »  altro  che  un  fotpiro  ar- 
'jntjfTimo  in  rifpofta  non  le  rendea  •  Equan- 
unque  nel  lettìcciuolo  della  mia  cameret- 
a  molte  cofe  nella  memoria  mi  proponef- 
.  di  dirle,  nientedimenoquìndo  in  fui  pre- 
enza  era,  impallidiva,  tremava,  e  dive- 
liva  mutolo  ;  in  maniera  che  a  molti  forfè 
he  ciò  vedeano  ,  diedi  cagione  di  fofpet- 
are.  Ma  ella,  oche  per  innata  bontà  noti 
e  ne  avvedefl'e  giammai  ,   o   che  folle  di 
.1  freddo  petto,  che  amore  non  potede ri- 
revere ,  o  forfè  (quel  che  più  credibile  è) 
:he  foffe  sì  favia)  che  migliore  di  me  fel 
G    3  fa^  ' 


54  ARCADIA 

fapelTe  nafcond^re  ,  ia  atei  ed  in  parole  fo 
vra  di  ciò  fempliciilìma  mi  fi  moftrava  .  Pe  : 
la  qual  cofa  io  né  di  amarla  mi  fapea  di 
ftraere  >  né  dimorare  in  sì  mifera  vita  m 
giovava.  Dunque  per  ultimo  rimedio  ,  ci 
pili  non  ft.ire  in  vita  deliberai:  e  penfan 
do  meco  de!  modo»  varie  >  e  ftrane condì 
zioni  di  morte  andai  efaminando  :  e  vera- 
mente o  c^n  laccio  >  ocon  veleno,  owert 
con  la  tagliente  fpada   avrei  finiti   li  mie: 
tritìi  giorni  )  fé  la  dolente  anima  da  noe 
fo  che  viltà  fovraprefa  non  forte   divenuta 
timida  di  quel  che  più  defiderava  .  Tal  che  ; 
rivolto  il  fiero   proponimento  in  piùrego-' 
lato  configlio  ,  prefi  per  partito  di  abban- 
donare Napoli  i  eie  paterne  cafe ,  creden- 
do forfè  di  lafciare  amore  e  i  penfieri  in- 
fieme  con  quelle;  ma,  laffo)  che  molto  al- 
trimenti eh' io  non  avvifava  )  mi  avvenne  i 
perocché  fé  allora  j  veggendo,  e  parlando 
fovente  a  colei  eh'  io  tanto  amo  ,  mi  ri- 
putava infelice,  fol  penfandoche  la  cagio- 
ne del  mio  penare  a  lei  non  era  nota  ;  ora 
mi  poiTo  giuftamente  fovra  ogni  altro  chia- 
mare infelicifiìmo  ,    trovandomi  per  tanta 
diftanza  di  paefe  aH'ente  da  lei ,  e  forfè  i^eiì' 
za  fperanza  di  rivederla   giammai  ,   né  di 
udirne  novella  che  per  me  falutifera  fia: 
minimamente  ricordandomi   in  quefta  fer- 
vida adolefcenza  de'  piaceri  della  delizio- 
fa  patria,  tra  quefte  folitudini  di  Arcadia, 
ove  (  con  voftra  pace   il  dirò  )  non  che  i 
giovani  nelle  nobili  città  nudriti  ,  ma  ap- 
pena mi  fi  lafcia  credere  che  le  falvatiche 
beftie  vi  posano  con  diletto  dimorare  :  e 
fé  a  me  non  foffe  altra  tribulazione  ,  che 
r  aufietà  della  mente ,  la  quale  me  conti- 
nua- 


DEL  SANAZ2AR.0,      55   ^ 

lUamente  tiene  rof^efoa  diverfe  cofe  ,  per 
o  fervente  dcfio  eh*  io  ho  di  rivederla  ; 
!on  poteadolami  né- notte  né  giorno  5  qua* 
e  fia  fata  riformire  nella  memoria  ;  fi  fa- 
ebbe  ella  grandi  (lima  .  Io  non  veggio  oè 
nonte ,  né  felva  alcuna»  che  tuttavia  non 
mi  perlujda  di  doveclavi  ritrovare  ;  quan* 
runaue  a  penfarlo  mi  paja  impolTìbile  .  Niu« 
'Da  nera  ,  né  uccello  ,  né  ramo  vi  Tento  mo« 
vere  ,  ch'io  non  mi  giri  paventofo  per  mi- 
rare le  foU'e  deflain  quefte  parti  venuta  ad 
intender.-  la  miferd  vita  ch*io  foftegnopcr 
lei  :  fimi  Unente  niun*  altra  cofa  veder  vi 
pòrto,  che  primi  non  mi  fia  cagione  di  ri- 
membrarmi con  piÌ4  fervore  efoliicitudino 
di  lei:  e  mi  pare,  che  le  concave  grotte > 
i  fonti,  le  valli,  i  monti,  con  tutte  le  fel- 
ve  la  chiamino)  e  gli  alti  arbufti  rifonlno 
fcmpre  il  nome  di  lei.  Tra  i  quali  alcuna 
volta  trovandomi  io,  e  mirando  i  fronzuti 
olmi  circondati  dalle  pampinofe  viti  ,  mi 
corre  amaramente'  nell*  animo  con  angofcia 
incomparabile,  quanto  fia  lo  ftato  mio  dif- 
forme da  quello  degl*  infenfati  alberi  ,  i 
quali  dalle  care  viti  amati  dimorano  con- 
tinuamente con  quelle  in  graziofi  abbrac- 
ciari  :  ed  io  per  t.into  fpazio  di  cielo,  per 
tanta  longinquità  di  terra  ,  per  tanti  feni 
di  mare,  dal  mio  defio dilungato,  in  con- 
tinuo dolore  ,  e  lacrime  mi  confumo  .  O 
quante  volte  e*  mi  ricorda  ,  eh:-  ,  veden- 
do per  li  foli  bolchi  gli  afièttuofi  colombi 
con  f  ;ave  mjrniorlo  baciarfi  ,  e  poi  andare 
defiderofi  cercando  lo  amato  nido,  quafi  da 
irfvidia  vinto  ne  pianfi  ,  cotali  paroledicen- 
do  :  O  felici  voi  ,  ai  quali  fenza  fofpetto 
alcuno  di  gelofia  è  conceflTo  dormire ,  e  veg- 
C    4  ghia-» 


5(5  ARCADIA         ^  I 

ghiare  con  ficura^  pace/  lungo  fia  il  vodro 
dilecto  y  lunghi  llano  i  voftri  amori  :  ac- 
ciocché io  falò  di  dolore  fpettacolo  poiTa 
a'  viventi  rimnnere  .  Egli  interviene  anco- 
ra rpeffe  fiate,  che  guard:indo  io  (  fi  eco  me 
per  ufanza  ho  prdo  in  quelle  voftve  (elve) 
i  vagabondi  armenti  ^  veggio  tra  i  fertili 
campi  alcu'i  toro  magriflìmo  appena  con  le 
deboli  oda  icftenere  la  feccapelie,  il  qua- 
le veramente  fenza  fatica  e  dolore  inelH- 
ir.abile  non  pofl'o  mirare)  penf^ndo  >  un  me* 
defimo  amore  efìere  a  me  ed  a  lui  cagio- 
re  di  penola  vita.  O'tra  a  quelle  cofe  mi 
fovviene  che  fuggendo  talora  io  Ó:ìÌ  con- 
forzio  de'  paftori  ,  per  poter  meglio  nelle 
folitudini  penfare  a*  miei  mali,  ho  veduto 
Ja  innamorata  vaccarella  andarefola  perle 
alte  felve  rauggiendo  ,  e  cercando  il  gio- 
vane giovenco  ,  e  noi  ftanea  gittarfi  alla 
riva  di  alcyn  fiume  ,  dimenticata  di  pafce- 
re  ,  e  di  dar  luogo  alle  tenebre  della  ofcu- 
ra.  notte:  la  qual  cofa  quanto  fiaa  me  ,  che 
fimile  vita  foPregno  j  nojofa  a  riguardare, 
colui  folamente  fel  può  penfare  che  lo  ha 
pruovato,  o  pruova  .  Egli  mi  viene  una  tri- 
(lezza  di  mente  incurabile  ,  con  una  com- 
paHìcne  grandilììma  di  me  ftefl'o  ,  mofla  dal- 
le intime  midolle,  la  quale  non  mi  lafcia 
pelo  veruno  nella  perfona  che  non  mi  fi 
arricci  :  e  per  le  raffreddate  efiremità  mi 
il  muove  un  fudoreangofciofo  ,  con  un  pal- 
pitare di  cuore  sì  forte  ,  che  veramente, 
s' io  noi  defideraffr ,  temerei  che  la  dolen- 
te anima  fé  ne  volefTe  di  fuori  ufcire .  Ma 
che  più  mi  prolungo  io  in  raccontar  quel- 
lo che  a  ciafcuno  può  effere  manifefto  ?  Io 
con  mi  fento  giammai  da  alcun  di  voi  no- 
mi- 


DEL   SANAZZ  A  RO.      51 
binare  Sanaxiaro  (quantunque  cognome  a* 
liei   predeceflori  onorevole  (lato  (ia  )  che  , 
icordandomi  da  lei  edere  ftato  per  addie- 
ro  chiamato  Sìncero  ,  non^  mi  fia  cagions 
i  loCpirare  :  né  odo  mai  Tuono  di  lampo* 
;na  alcuna,  né  voce  di  qualunque  paftore, 
he  gli  occhi  miei  non  verfinò  amare  la- 
rime  ;  tornandomi  alla  memoria  i  lieti  ceni- 
ci ,  nei  quali  io  le  mie  rime  e  i  verfi  ai- 
ora  fatti  cantando  y   mi  udia  da  lei  fom- 
iiamente  commendare  :  e  per  non  andare 
jgai  mia  pena  puntai  mente  raccontando  % 
oiuna  cofa  m' aggrada  ,  nulla  fefta  ^  né  giua- 
xo  mi  può  non  dico  accrefcere  di  letizia  < 
ma  fcemaredelle  miferie  ;  alle  quali  io  pre- 
go qualunque  Iddio  elaudifce  le  voci  de'do- 
loroii ,  che  o  con  preda  morte  ,  o  con  prò- 
fpero  fucccdimento  ponga  fine.  Rifpofc al- 
lora Carino  al  mio  lungo  parlare  :    Gravi 
fono  i  tuoi  dolori  ,  Sincero  mio  ,  e  vera- 
mente da   non  fenza  compaflìone  grandif- 
fima  afcoltarfi  :  ma  dimmi,  fé  gli  Di i  nel- 
le braccia  ti  rechino  della  defiata  donna  » 
quali  furon  quelle  rime   ,   che    non  molto 
tempo  e'  ti  udii  cantare  nella  pura  notte? 
delle  quali  fé  le  parole  non  mi  folTero  ufci- 
te  di  mente  j  del  modo  mi  ricorderei  :  e 
io  in  guidardone  ti  donerò  quefta    fampo- 
gna  di  fambuco,  la  quale  io  con  le  mie  ma- 
ni colfi  tra  monti  afpriiTimi  ,   e  dalle  no- 
flre  ville  lontani;  ove  non  credo,  che  vo- 
ce giammai  pervenifle  dimìttutino  gallo» 
che  di  fuono  privata  l'avefTe;  con  la  qua- 
le fpero  che  (fé  dalli  fati  non  ti  é  tolto) 
con  più  alto  ftile  canterai  gli  amori  di  Fau- 
ni e  di  Ninfe  nel  futuro:  e  ficcomeinfino 
qui  i  principi  della  tuiadolefcenza  hai  tra* 
C    5  fem- 


5«  ARCADIA 

femplici ,  e  bofchereccj  canti  di  partorì  In- 
fruttuofamente  difpefi ,  così  per  lo  innaa- 
zi  la  felice  gìovenezza  tra  fonore  trombe 
di  poeti  chiaritimi  del  tuo  fecolo  non  fen- 
za  fperanza  di  eterna  fama  trapafl'erai  ;  e 
quefto  detto  fi  tacque  ;  ed  io  1'  ufata  lira 
fonanda  così  cominciai .  , 

EGLOGA    SETTIMA. 

Sìncero  folo* 

COvte  notturno  uccel  nemico  al  fole  , 
L^ffo  vo  io  per  luoghi  ofcuri  e  fofcht  , 
Mentre  frego  il  di  chiaro  in  fu  la  terra  : 
poi  quando  al  mondo  fopravvien  la  fera  , 
Non  ccm*oltri  animai  m'^acquvta  il  forino  y  f 
Mtf  alhr  mi  de  fio  a  pian9,er  per  U  piagge. 

Se  mai  quefi"* cechi  tra  bofcheitt  e  piagge 
Ove  non  fplenda  con  fuoi  raggj  il  (ole  , 
Stanchi  di  lacrimar  mi  chtude  il  fonno  y 
Vi  fon  crude  ,  ed  error  vani  ,  e  forchi   lO 
M^attrijìan  sì  ^ch^  io  già  pavento  ^  a  fera 
Ver  tema  di  dormir  gittarmi  in  terra  , 

O  madre  uni  ver  fai  benigna  terra  , 

Tia  mai  cìPio  poji  in  qualche  verdi  piagge^ 
Tal  che  m^addorma  in  qwlU  ultima  fera^\% 
JE  non  mi  defti  mai  per  fin  che  V  fole 
Vegna  a  mofi'ar  fua  luce  agli  occhi  fofchiy 
JE  mi  rifvegli  da  sì  lungo  fonno  } 

Dal  dì  che  gli  occhi  miei  shandiro  il  fonno  9 
E^l  letticciuol  lafciai  per  farmi  intetra^lO 
I  dì  feren  mi  fur  tcrhidi   e  ffchi  5 
Campi  di  (ìecchi  le  fiorite  piagge  ; 
Taly  che  quando  a'^ mortali  aggiorna  ilfoUy 
A  me  fi  ofcura  in  ten  brofa  fera . 

Madama  {fua  mercé)  pur  una  fera        25 

QÌQ» 


DEL  SANAZZARO.      50 

GfOfofa  y  e  bella  ^ijftii  m*  apparve  in  fonno  > 
H  raileg^h  il  trito  co"  ;  fccorn*  il  fole 
Suol  dopo  pioggia  difgrombrar  la  terra  J 
Dicendo  a  ^«-jVien, cogli  alle  mie  piagge 
Qualche  fiorecto,e  lafcia  gli  airi  forchi.30 

Fuggite  ornai  j  penjìer  no/o/i ,  e  fofcbi 
Che  fatto  avete  a  rrte  fi  lunga  (era\ 
C b^  io  vo  ceriar  le  aprii  hty  e  Itete  piagge  ^ 
Vrendendo  in  ju  l  erbette  un  d.  Ice  fonno  / 
Percbè  fo  ben  cFuom  mai  f zitto  di  terra  ^$ 
Pfà  f/lice  di  me  non  vide  il  fole  , 

Car,\on  ,  di  fera  in  Oriente  il  fole 

Vedrat ,  e  me  fotterra  ai  regni  fofcbi  9 
Prima  che  *n  quefte  piagge  io  vfenda  fonnO  « 

ARGOMENTO. 

Carino^  parlando  con  Sìncero  ^  è  confortandole 
a  bene  fperare  nel  fuo  efilio  ,  e  nella  lon^ 
tanan^a  dalla  fua  donna  ,  racconta  i  fuoi 
amori  con  una  t^infa  ;  e  in  quefìa  narra-m 
^icne  defrive  molti  fpajji  d^  uccellare  y  cbà 
fcgìtono  pigliarli  alle  ville  j  follaiievoH  ve^ 
ratntnte  ^  e  di  molto  gufio\  come  bene  f  pi*^ 
ancora  comprendere  dalie  fé  giornate  de"*  pia* 
ari  della  villa  j  de  fritte  nella  fua  Agri^ 
coltura  dal  mio  rari  (fimo  in  quella  prof Jji^;n0 
Signore  Agojlino  Callo  gentiluomo  Brefciano  • 

PROSA    OTTAVA. 

Appena  era  io  alle  ultime  note  del  mìe* 
cantare  pervenuto,  quando  con  alle- 
gra voce  Carino  ver  me» efc limando»  Ral- 
legrati, mi  difle  ,  Napolitano  paftore,  eia 
torbidezza  dell'animo,  quanto  puoi»  da  te 
difcacciaj  raflfcrenando  ornai  la  malinconU 

C    6  ca 


€o  ARCADIA 

ca  fronte:  che  veramente  ed  alla  dolce  pa 
tria  ,  ed  alla  donna  che  più  che  quella  de 
fideri ,  in  breviffimo  tempo  ritornerai  :  i 
*i  manifefto  e  lieto  fegnale  che  gli  Dii  t 
inoftrano  »  non  m'  inganna  .  E  come  pm 
egli  edere  ?  rifpori  io  .  Ora  baft-rammi  tan- 
to il  vivere  ch'io  la  riveagia-*'  Certo  sì 
diiTe  egli  ,  e  degli  augurii  ,  e  delle  prò- 
mede  degli  Dii  non  fi  deve  alcuno  fcon- 
fortare  giammai:  perocché  certi  flime  ed  in- 
fallibili tutte  fono;  adunque  confortati >  e 
prendi  fperanza  di  futura  letizia:  che  cer- 
to io  fpero  che '1  tao  fperarenon  fia  vano. 
IvJon  vedi  tu»  il  noftro  Urfacchio  tutto  fe- 
divo da  m;\n  deftra  venirne  con  la  ritrova- 
ta giovenca»  rallegrando  le  propinque  fel- 
ve  col  fuono  della  foave  fampogna  ?  per 
ìa  qual  cofa  (  fé  luogo  alcuno  hanno  in  te 
i  preghi  miei  )  io  ti  prego  ,  e  ,  quanto  pof- 
fo  )  ti  ricordo  ,  che  di  te  fteflb  pietà  ti 
flringa  :  ed  alle  amare  lacrime  ponghi  fi- 
n:e  ;  perocché  (  coni*  è  il  proverbio)  né  di 
lacrime  Amore,  né  di  rivi  i  prati ,  né  ca- 
pre di  fronde,  né  api  di  novelli  Hori  fi  vi- 
dero fazie  giammai:  e  per  porgerti  nelle 
afflizioni  migliore  fperanza  >  ti  fo  certo  , 
che  io  (  il  quale  fé  ora  non  del  tutto  lie- 
to,  almeno  in  parte  fcarico  delle  amaritu- 
dini dir  mi  polTo  )  fui  in  fimile  5  e  forfè 
(dal  volontario  efilio  in  fuori;  il  quale  ora 
sì  Meramente  ti  preme  ;  )  in  più  dolorofo 
cafoche  tu  non  fei ,  né  iofti  giammai  :  con- 
cioiTij»Ci  frjchè  ru  mai  non  ti  metterti  in  pe- 
riglio di  perdere  quello  che  forfè  con  fa- 
tica ti  pareva  avere  racquillato ,  come  fe- 
•ci  io  5  che  in  un  punto  ogni  mio  bene  ,  ogni 
m\à  fperanza  >    ogni  mia  felicità  commiti 

in 


DEL   SA  MAZZA  RO.     61 
mano  delia  cieca  fortuna)  e  quelli  Tubi* 
nente  perdei  .  Ni  dubito  punto  che  ilc- 
:iic  allora  gli  perdei»  così  gli  avrei  an- 
cora in  eterno  perduti ,  fé  difperato  mi  ^o(^ 
a  dell'  abbondevole  grazia  degli  Dii  ,  co- 
me tu  faccfti .  Era  io  adunque  (  benché  fi.a 
ancora  »    e  farò  mentre  lo  fpirto   reggerà 
quelle  membra  )  infino  dalla  mia  fanciul- 
lezza accefo  ardentilfimamente  dell'amore 
i  d'una»  che  al  mio  giudicio  coiv  le  fue  bel- 
lezze non  che  l'altre  padorelled' Arcadia  , 
I  ma  di  gran  lunga  avanza  le  fante  Dee  i  la 
le  perocché  dai  teneri  anni  a'fervigjdi 
na  difpoftij  ed  io  fimil mente  nei  bofchi 
I  D'ito  e  nodrito  era;  volentieri  con  meco, 
ed    io  con  lei  per  le  felve  infieme  ne  di- 
mefìicammo  >    e  (  fecondo  che  vollero  gli 
Dii  )  tanto  ne  trovammo  nei  colìumi  con- 
formi ,  che  uno  amore  ,  ed  una  tenerezza 
sì  grande  ne  nacque  fra  noi  ,  che  mai  né 
l'uno  né  l'altro  conofceva  piacere,  né  di- 
letto ,  fé  non  tanto  quanto  inQeme  erava- 
mo. Noi  parimente  nei  bofchi  di  opportu- 
ni iflrumenti    armati    alla  dilettofa  caccia 
andavamo:  né  mai  dalli  cercati  luoghi  ca- 
richi di  preda  tornavanTo  ,  che  prima  che 
quella  tra  noi  divifa  fofle»  gli  altari  della 
fanta  Dea  non    aveflimo   con    debiti  onori 
vifitati  5  ed  accumulati  di  larghi  doni  »  of« 
ferendole  ora  la  fiera  teda  ^tì  fetofo  cin- 
ghiale ,  ed  ora  le  arboree  corna  del  viva- 
ce cervo  ,    lovra  gli  aiti  pini  appiccando- 
le .  Ma  come  che  di  ogni  caccia  prcndef- 
fimofommamente  piacere,  quella dellifem- 
plici ,  ed  innocenti  uccelli  oltraatutte  ne 
dilettava:  perocché  con  più  follazzo  ,  e  con 
affai  meno  fati(^i  che  nefìuna  dell*  altre  , 

fi  pò- 


62  ARCADIA 

fi  potea  continuare  .  Noi  alcuna  volta  In  Cu 
fare  del  giorno  >  quando  appena  fparitc  1 
ftelle,  per  lo  vicino  fole  vedevam^l'Orietì 
te  tra  vermigli  nuvolctti  rofleggiare  ,  n 
andavamo  in  qualche  valle  h^ntana  dal  cori 
verfare  delle  genti ,  e  quivi  fra  duoaltiflìmi 
e  dritti  alberi  tendevamo  la  ampia  rete 
la  quale  fottiliiTima  tanto,  che  appena  tra 
Je  ffondi  fcernere  fi  potea  )  aragne  per  no- 
me chiamavamo  5  e  quefta  ben  maeftrevol- 
mente  (  cjmefi  bifogna  )  ordinata  i  ne  mo- 
veamo  dalle  remote  parti  del  bofco  j  fa- 
cendo con  le  mani  romorifpaventevoli ,  C 
con  bartoni  ,  e  con  pietre  di  paffoin  paiTo 
battendo  le  macchie  verfo  quella  parte  ove 
la  rete  rtava ,  i  tordi,  lemerule»  e  gli  al- 
tri uccelli  fgridiVamo  :  li  quali  dinanzi  a 
noi  pauroli  fuggendo  ,  difavvedutamente  da- 
vano il  petto  negli  tefi  inganni ,  ed  in  quel- 
li iiviluppati ,  quafi  in  più  facculi ,  diver- 
(àmente  pendevano.  Ma  al  fine  veggendo 
la  preda  eflere  baftevole  ,  allentavamo  ap- 
poco appoco  i  capi  delle  maeftre  funi,  quel- 
li calando  :  ove  quali  trovati  piangere ,  qua- 
li femivivi  giacere,  irt  tanta  copia  ne  ab- 
bondavano, che  molte  volte  fjftiditi  di  uc- 
ciderli ,  e  non  avendo  luogo  ove  tanti  ne 
porre,  confuf^mente  con  Je  mal  piegate  re- 
ti ne  li  portavamo  infino  agli  ufati  alber- 
ghi.  Aitra  fiata  quando  nel  fruttifero  au* 
tunno  le  folte  caterve  di  (lorni  volando  id 
drappello  raccolte  fi  mofìrano  a'  riguar- 
danti quafi  una  rotonda  palla  nell* aria  ,  ne 
ingegnavamo  di  avereduoo  trédi  quelli  (  la 
qual  cofa  di  leggiero  fi  potea  tf ovafe  )  ai 
piedi  dei  cfuali  un  Cano  ^ì  fpaghetto  fotti- 
lifl&mo  unto  éiì  indiflbluSile  vifco  legava- 
mo ^ 


DEL  SANAZZARO.      6^ 

no  ,  lungo  tanto  quanto  ciafcuno  il  Tuo 
3otea  portare  y  e  quindi  come  la  velante 
chiera  verfo  noi  (i  approflimava  ,  cosi  li 
afciavamo  in  loro  libertà  andare:  li  quali 
fubitamente  a'  compagni  fuggendo  ,  e  ira 
quelli  (  ficcome  é  lor  natura)  mefcolando- 
ó  ,  conveniva  ,  che  a  forza  con  io  invifea- 
to  canape  una  gran  parte  della  riftretta  mol- 
titudine ne  tiraffero  feco .  Per  la  qual  co- 
fa  i  miferi  ,  fentendofi  a  baiTo  tirare  ,  ed 
ignorando  la  cagione  che  il  volare  loro  im- 
pediva ,  gridavano  forti (lìmainente  ,  em- 
piendo r  aria  di  dolorofe  voci  :  e  di  pailo 
in  paflo  per  le  late  campagne  ne  gii  vedea- 
tno  dinanzi  a*  piedi  cadere:  onde  rara  era 
quella  volta  che  con  li  facchi  colmi  di  cac- 
cia non  ne  tornaflimo  alle  nodrecafe.  Ri- 
cordami avere  ancora  non  poche  volte  rifo 
de*  cafi  della  male  augurata  cornice  ;  ed 
udite  come  .  Ogni  fiata  che  tra  le  mani 
(  ficcome  fpeflo  addiviene)  alcuna  di  quel- 
le ne  capitava)  noi  fubitamente  n'andava- 
mo in  qualche  aperta  pianura,  e  quivi  per 
le  eftreme  punte  delie  ali  la  legavamo  re- 
fupina  in  terra  >  n^  più  ne  meno  come  fé 
i  corfi  delle  ftelle  ave  (Te  avuto  a  contem- 
plare :  la  quale  non  prima  fi  fentiva  cosi 
legata  r  che  con  (tridenti  voci  gridava,  e 
palpitava  sì  forte  ,  che  tutte  le  con  vicine 
cornici  faceva  intorno  a  le  radunare:  del- 
le quali  alcuna  forfè  più  de*  mali  della  com- 
pagna pietofa,  che  de' fuoi avveduta?  fi  la- 
nciava alle  volte  di  botto  in  quella  parte 
calare  per  ajcrtarla ,  e  fpeffb  per  ben  fare 
ricevea  mal  guiderdone  ;  concioffiacoiachè 
non  sì  tofto  vi  era  giunta  ,  che  da  quella 
che  '1  foccorfo  affettava  (  ficcome  da  de- 


«4  ARCADIA 

fiderofa  di  fcampare  )  fubito  con  le  unch 
nute  unghie  abbracciata  >  e  riftretta  non  tof- 
fé  i  per  maniera  che  forfè  volentieri  avrebbe 
voluto  >  fé  potuto  avelTe ,  fvilupparfi  da'  fuoi 
artigli;  m,i  ciò  era  niente  ;  perocché  quella 
Ja  fi  ftringeva  ,  e  riteneva  sì  f  )rte  >  che  non 
la  lafciava  punto  da  fé  partire;  onde  avretli 
in  quel  punto  veduto  nafcere  una  nova  pu- 
gna; quefta  cercando  di  fuggire,  quella  di  aju- 
tarfi  ;  l^una»  e  T  altra  egualmente  più  della 
propria  ,  che  dell'  altrui  falure  follicita  » 
procacciarfi  il  fuo  fcampo.  Perla  qual  cofj 
noi  ,  che  in  occulta  parte  dimoravamo,  do- 
po lunga  feda  fovra  di  ciò  prefa ,  vi  anda- 
vamo afpiccarle,  e,  racquetato alquanto  il 
romore  ,  ne  riponevamo  ali*  ufato  luogo, 
-da  capo  attendendo  che  alcuna  altra  venif- 
fe  con  fimile  attos  raddoppiarne  Io  avuto 
piacere  .  Or  che  vi  dirò  io  della  c^uta  grue  ? 
certo  non  le  valeva,  tenendo  in  pugno  la 
pietra  ,  farfi  le  notturne  efcubie  ;  peroc- 
ché dji  noftri  aflalti  non  vivei  ancora  di 
mezzo  giorno  ficura  -  Ed  al  bianco  cigno 
che  giovava  abitare  nelle  umide  acque  per 
guardarfi  dal  foco,  temendo  del cafo  di  Fe- 
tonte »  fé  in  n>czzo  di  quelle  non  fi  pocea 
egli  dalle  noftre  infidie  guardare  ?  E  tu  mi- 
fera,  e  cittivella  perdice  ,  a  che  fchi favi 
gli  alti  tetti,  penfando  al  fiero  avvenimen- 
todell'  antica  caduta,  fé  nella  piana  terra 
quando  più  licura  ftare  ti  credevi ,  nelli  no- 
flri  lacciuoli  incappavi  ?  Chi  crederebbe 
poffibile,  chelafagaceoca  ,  foU'cita  paleTa- 
trice  delle  notturne  frode  ,  noi  lapeva  afe 
medcfima  le  noftre  infidie  palefare  ?  Simil- 
mente de'  fa^iiani  ,  delle  tortore  ,  delle 
colombe,  delle  fluviali  anitre,  e  degli  al- 
tri 


DEL  SAN  AZZA  RO.     (Ts 
Ti  uccellivi  dico»  Niuno  ne  tu  m.ii  di  tarr- 
3  aftuziadal'a  natura  dotato,  il  quale  da* 
ollri  ingegni  guardandoci ,  fi  potclle  lunga 
ibertà  promettere  .  Ed  acciocché  io  ogni 
articella  non  vada  raccontando  ,  dico  adun- 
[ue  ,  che  venendo,  come  udito  avete»  di 
empo  in  tempo  più  cefcendo  la  età  ,  la 
unga  ,  e  continua  ufanza  fi  converti  in  tan-- 
o,  e  sì  fiero  amore,  e!  e  mai  pace  non  fen- 
iva  ,  fé  non  quinto  di  cortei  penfava  ;  e 
lon  avendo  ,  ficcome  tu  poco  innanzi  dice- 
ti,  ardire  di  difcoprirmcle  incofa  alcuna» 
rra  divenuto  in  vifta  tale  >  che  non  che  gli 
litri  partorì  ne  parlavano  ,  ma  ella  ^  che  » 
ii  ciò  nulla  fapendo  ,    di  buon  zelo  atfet- 
:uo(ìfiìmamente  mi  amava  ,  con  dolore,  e 
pietà  inertimabile  ne  rtava  maravigliata;  e 
tjon  una  volta  5  ma  millecon  inftanzia  gran- 
diflìma  pregandomi,  che  '1  chiufo  cuore  le 
palclafii  ,    e   '1  nome   di  coki  che  di  ciò 
mi  era  cagione,  le  Lccrtì  chiaro-   To ,  che 
del  non  potermi  Icoprire  intollerabile  nojji 
portava  nelT  animo,  quafi  con  le  lacrime 
in  fu  gli  occhi  le  rifpondea,  alla  mia  lin- 
gua non  eflere  licito  di  nominare  colei  cui 
io  per  mia  celerte  deità  adorava  ;    ma  che 
dipinta  ia  fua  beli* filma  >  e  divina  immagi- 
ne, qumdocomodo  fiato  mi  forte  ,  leavrei 
dimcfirafa  .  Ed  avendola  con  cotali  parole 
moki,  e  molti  giorni  tenuta  ,  avvenne  una 
volta  che    dopo  molto  uccellare  ,   eflendo 
io  ed  ella  folctti  ,  e  dagli  altri  paftori  ri- 
moti ,  in  una   valle  ombrofa  ,  tra  il  canto 
di  forfè    cento  varietà  di  belli  uccelli  ,    i 
quali  di    loro  accenti  facevano   tutto  quel 
lyogo  riforare  ;    quelle  medc^mc  note  le 
felve  iterando  cheefiì  esprimevano;  ne  po« 

neiu 


66  A'R  e  A  D  I  A 

nemmo  atnbeduo  a  federe  alia  margine  d 
un  frefco  9  e  limpidiflìmo  fonte  che  in  quel- 
la forgca  :  il  quale  né  da  uccriio  ,  né  da 
fiera  turbato  sì  bella  ia  fm  chiarezza  nei  fal- 
vatico  luogo  confervava  >  che  non  altrimen- 
ti t  che  fé  di  purifìimocriftallo  ftato  fo(^s i 
i  fecreti  del  translucido  fondo  manifcfta- 
va  ;  e  d'  intorno  a  quello  non  fi  vedea  di 
paftori ,  né  di  capre  pedata  alcuna  ;  percioc- 
chèarrrienci  giammai  non  vifoleano  per  ri- 
verenza delle  Ninfe  accodare  :  né  vi  era 
quel  giorno  ramo,  né  fronda  veruna  cadu- 
ta da'  fovraftanti  alberi  :  ma  quietiflìmo 
fenza  mormorio  >  o  rivoluzione  di  brutez- 
za  alcuna,  difcorrendo  per  lo  erbofo  pae- 
f e  ,  andava  si  pi  mamente  ,  che  appena  avre- 
fti  credu  o  ,  che  fi  moveffe.  Ove  poi  che 
alquanto  avemmo  refrigerato  il  caldo;  ella 
con  novi  preghi  mi  ricominciò  da  capo  a 
(Iringere  ,  e  fconglurare  per  lo  amore  che 
io  le  portava  ,  che  la  promcfla  effigie  le 
m  ftralTì  ;  a?giungendoa  quello  col  tedi  mo- 
nio  degli  Dii  mille  giuramenti  ,  che  mai 
ad  alcuno  ,  fé  non  quanto  a  me  piacele» 
noi  ridirebbe*:  alla  quale  io  daabbondantif- 
fime  lacrime  fovraggiunto  >  non  già  con  la 
folita  voce  j  ma  tremante  e  fommefTa  ri- 
fpofi  »  che  nella  bel  la  fontana  la  vedreb- 
be :  la  quale  (  ficconie  quella  che.defide- 
rava  molto  di  vederla  )  femplicemente  fenza 
più  avanti  penfare,  bafìTandogli  occhi  nel- 
le quiete  acque  ,  vide  fé  lleda  in  quelle 
dipinta.  Per  la  qual  cofa  (fé  io  mal  noi 
mi  ricordo)  ella  fi  fmarrì  fubitOi  e  fcolo- 
rifli  nel  vifo  per  maniera  >  che  quafi  a  ca- 
der tramortita  fu  vicina;  e  fenza  cofa  al- 
cuna dire  0  fare  ,  con  turbato  vifo  da  me 

fi  par- 


dei:  SANAZZAPvO.      (>7 

partì  .  Ora  quale  mi  dovefTì  io  in  quel 
unto  rimanere  9  vedendomi  da  quella  con 
ra  e  con  cruccio  lafciare  ,  la  quale  poco 
vanti  blanda  »  amiciflìma  j  e  èiì  mie  pia- 
fae  pietofa  ,  quafi  per  compadione  pian- 
;erc  veduta  avea  ,  ciafcuno  ,  fenza  che  io 
1  racconti  >  Tel  può  coiifiderare  .  Io  per 
!ne  9  non  fo  fé  morto  in  quel  punto  o  vi- 
^o  mi  foflì  ,  né  chi  a  cafa  me  ne  portaf- 
e  ;  ma  tanto  vi  dico  ,  che  quattro  foli  > 
:d  altrettante  lune  ,  il  mio  corpo  né  da 
:ibo  ,  ne  d.i  Tonno  fu  riconfortato  :  e  le 
mie  vacche  digiune  non  ufcirono  dalla  chiu- 
(a  mandraj  ne  gasarono  maifapore  di  er- 
ba ,  né  liquore  di  fiume  alcuno  ;  onde  i 
miferi  vitelli  fugando  le  fecche  poppe  del- 
le affamate  madri,  e  non  trovandovi  l'ufa- 
■to  latte  ,  dolorofi  appo  quelle  riempivano 
le  circondanti  felve  di  lamentevoli  muf^gi- 
ti:  della  qu;tl  cofa  io  poco  curandomi  ,  git- 
tate nella  piana  terra,  ad  altro  non  inten- 
deva ,  che  a  piangere  h  tal  che  neduno  , 
che  veduto  mi  aveffe  nei  tempi  della  mia 
tranquillità,  mi  avrebbe  per  Carino  rìco- 
nofcmto  .  Venivano  i  bifolchi ,  venivano  i 
partori  di  pecore  ,  e  di  capre  infieme  con 
li  paefani  delle  vicine  ville,  credendo  me 
edere  ufcito  del  fenno  (  come  già  era  )  e 
tutti  con  pietà  grandidima  dimmdavano 
quii  foffe  la  cagione  del  mio  dolore  ;  ai 
qu-ili  io  niuna  nfpofta  facea  ;  ma  al  mio  la- 
crimare intendendo  ,  così  con  lamentofa 
voce  dicea  :  Voi  ,  Arcadi  ,  canterete  nei 
voftri  monti  la  miam  rte:  Arcadi,  foli  di 
cantare  efperti ,  voi  la  mia  morte  nei  vo- 
ftri monti  canterete  .  O  quanto  allora  le 
mie  offa  quietamente  ripofcranno ,  fé  la  vo- 

ara 


«g  ARCADIA 

fìra  fampogna  a  coloro  che  dopo  me  na 
fceranno  ,  dirà  gli  amori  ,  e  i  cafi  miei 
Finalmente  alla  quinta  not:e  defiderofool 
tra  modo  di  morire  »  ufcendo  f.jora  delU 
fconfolato  albergo  »  non  andai  alla  odiofi 
fo  nana  »  cagione  infeliciflìma  de' miei  ma- 
li ;  mi  errando  per  bofchi  fcnza  ieatiero; 
e  per  monti  arpriffimi ,  e  ardui,  ove  i  pie- 
di »  e  la  fortuna  mi  menavano;  a  gran  fa- 
tica mi  riconduci  in  una  ripa  altiflimai  pen- 
dente fovra  al  mare  j  onde  i  pefcacori  fo- 
gliono  di  lungi  fcoprlre  i  notanti  pefci  . 
E  quivi  prima  che  '1  fole  ufcirte  >  a  pie 
di  una  bella  quercia  <  ove  altra  volta  mi 
ricordai  eifermi  nei  feno  di  lei  ripofato  » 
mi  pofi  a  federe ,  né  più  né  meno  ,  come 
fé  quefta  (lata  fofle  medicina  del  mio  fu- 
rore; e  dopo  molto  fofpir,Ke(  a  guifa  che 
fuole  il  candido  cigno  prefago  della  fua  mor- 
te cantare  gli  efequiali  verfi  )  così  dirot- 
tamente piangendo  incominciai.  O  crude- 
liflima  5  e  fiera  più  che  le  truculente  ar- 
fe ,  più  dura. che  le  annofe  quercie  >  eda* 
miei  preghi  più  forda  che  gì'infani  mor- 
morii dell'  enfiato  mare  »  ecco  che  vinci 
già)  ecco  eh'  io  muojo  :  contentati  ,  che 
più  non  avrai  di  vedermi  faftidio  .  Ma  cer- 
to io  fpcro  che  'I  tuo  cuore  >  il  quale  la 
mia  lieta  fortuna  non  ha  potuto  muovere  > 
la  mi  fera  il  piegherà;  e  tardi  divenuta  ple- 
tofa  >  farai  coibetta  a  forza  di  biafmare  la 
tua  durezza  ;  defiderando  almeno  morto  di 
veder  colui  a  cui  vivo  non  hai  voluto  di 
una  fola  parola  piacere  .  Oìmè ,  e  come  può 
edere  che  'i  lungo  amore,  ilqualeun  ten> 
pò  fon  certo  mi  portafti  ,  fia  ora  in  tutto 
da  te  fuggito?  Deh  non  ti  tornino  a  men- 
te 


DEL   SAN  AZZA  RO.       6g 
e  1   dolci  giuochi   della  noftra  puerizia  ? 
iuando  inlìemc  andavamo  per  le  felveco- 
liendo  le  rubiconde  fragole  i  e  dagli  alti 
'aggi  le    Taporofe  ghiande,  e  le  tenere  ca- 
bgne  dalle  pungenti  fcorze?  Scici  dimen- 
Icata  tu  de' primi  gigli  i  e  deUe  prime  ro- 
e,  le  quìli  io  Tempre  djlie  cercate  cam- 
>.ìgne  ti    portava  ?    tal  che  appena  'e  api 
iveano  guftato  ancorai  fiori  %  quando  tu  per 
ne  andavi  ornata  di  mille  corone.  Ludo, 
luante  fiate  allora  mi  giurarti  per  gli  alti 
3.i  >  che  quando  fenza  me  dimoravi,  i  fio- 
i  non  ti  olivano,  e  i  fonti  non  ti  rende- 
/ano  il  folito  fapore?  Ahi  doloroia  la  vita 
lìia  I  e  che  parlo  io  ?  e  chi  mi  afcolta  aU 
:r<>,  che  la  rifonante   Ecco?  la  qu.ile  ere- 
dentea' miei  mali  (  ficcome  quella  che  al- 
:ra  volta  provati  gli  ha  )  mi  rifponde  pietc- 
a  ì  mormorando  al  luono  degli  accenti  miei  : 
Tia  non  fo  pure  ove  nafcofa  fi  ftia  ,  che  non 
/iene  ella  ora  ad  accompagnarfi  meco?  O 
Iddìi  del  cielo,  e  cella  terra  >    e  qualun- 
que  altri   avete   cura  de'  miferi   amanti  , 
porgete  vi  prego  pietofe  orecchie   al  mio 
lamentare  >   e  le  dolenti  voci  che  la  tor- 
mentata   anima    manda   fuori ,  afcoltate   . 
O  Najadi,  abit.itrici  de*  correnti  fiumi:  o 
Napee>  graziolilTima  turba  de*  ripolìi  luo- 
ghi ,    e  de'  liquidi  fonti   ,  alzate  alquinto 
le  bionde  tede  dalle  chiare  onde  >  e  pren- 
dete le  ultime  (Irida  anzi  eh'  io  muoia  :  e 
voi  ;  o  belliifime  Ore?di   ,  le  quali  ignude 
folete  per  le  aite  ripe  cacciando  andare   \ 
ilafciate  ora  il  dominio  de^li  alti  monti,  e 
Venite  al  mifeio   ;   che  fon   certo  vi  por- 
gerà pietà  qu  ilo  che  alla  mia  cruda  don* 
na  porge  diletto  :  ufcite  da*  voftri  alberi  > 

opiti^ 


70  ARCADIA 

o  pietofe  Amadriadi ,  fol licite  confervatri 
ci  di  quelli  ,  e  parate  un  poco  m:nte  a  , 
fiero  fupplicio  >  che  le  mie  mani  teftè  m  - 
apparecchiano:  e  voi ,  o  Driadi  j  formofil 
fime  donzelle  delle  alte  felve,  le  quilino  « 
una  volta  ,  ma  mille,  hanno  i  noftri  pa 
(lori  a  prima  fera  vedute  in  cerchio  dan 
zara  all'ombra  delle  fredde  noci  con  li  ca 
pelli  biondiflìmi  ,  e  lunghi,  pendenti  die 
tro  le  bianche  fpalle  ,  fate  vi  prego  (  H 
non  fiete  infieme  con  la  mia  poco  ftabil( 
fortuna  mutate  )  che  la  mia  morte  fra  que 
(le  ombre  non  fi  taccia  ;  ma  Tempre  fi  eden  ■ 
da  pili  di  giorno  in  giorno  nelli  futuri  fé- 
coli;  acciocché  quel  tempo  il  quale  dallf 
vita  fi  manca  ,  alla  fama  fi  fupplifca  .  C 
lupi  ,  o  orfi  ,  e  qu.ilunque  animali  per  U 
orrende  fpelunche  vi  nafcondete ,  rimanete- 
vi addio  :  ecco  che  più  non  vedrete  quel  vo- 
ftro  bifolco  ,  che  per  li  monti  j  e  per  li  bofchi 
folca  cantare.  Addio,  rive:  addio,  piag- 
ge verdiffime  ,  e  fiumi  ;  vivete  fenza  me 
lungo  tempo  ;  e  mentre  mormorando  per 
le  pecrofe  valli  correrete  nell'a  to  mare, 
abbiate  fé mp re  nella  memoria  il  voftroCa- 
rino,  il  quale  qui  le  Tue  vacche  pa fce va  : 
il  quale  qui  i  Tuoi  tori  coronava  :  il  quale 
qui  con  la  fampogna  gli  armenti ,  mentre 
beveano  ,  folea  dilettare.  E  quelle  parole 
dicendo,  mi  era  alzato  già  per  gittarmi  dall' 
alta  ripa  :  quando  fubitamente  dal  deftro 
lato  mi  vidi  duo  bianchi  colombi  venire  $ 
<%  con  lieto  volo  appo,5giarfi  alla  fronzuta 
quercia  ,  che  di  fovra  mi  (lava  ,  porgendofi 
in  breve  fpazio  con  aifetruofi  mormorii  mil- 
le bacj  dolciffimi.  Dai  quali  io  (  ficcome 
da  profpero  augurio  )  prendendo  fperanza 

di 


DEL  SANAZZARO;^  7f 
futuro  bene  ,  cominciai  con  più  faldo 
mfiglio  a  colpire  me  fteffbdel  folle  pro- 
)nimento  che  feguire  voluto  avea  ,  cioè 
cacciare  con  cruda  morte  reparabile  amo- 
J.  Ne  guari  in  quefto  penfiero  (iato era» 
le  io  mi  fentii  (  e  non  focome  )  fovrag- 
luntoda  quella  che  di  tuttociò  mi  era  ca- 
•one  :  la  quale  (  ficcome  tenera  della  mia 
Iute  )  appieno  ogni  cofa  da  occulto  luo- 

0  veduto  >  ed  udito  avea^  .    E  non  altri- 
lenti ,  che  farebbe  pietofa  madre  nei  ca- 
de!   fuo  unico  figliuolo  ,   amorofamente 

iangendo,  e  con  dolci  parole  ed  accoglien- 
e  oneftiflìme  riconfortandomi  »  Teppe  si  ben 
ire,  che  da  difperazione  ,  e  da  morte  nel- 

1  Vita,  e  nello  flato  che  voi  mi  xeéetQ  y 
ni  rico;.dulìe.  Dunque  che  diienio  noi  del- 
a  ammirabile  potenzia  degli  Dii  >  fé  non 
he  allora  in  più  tranquillo  porto  ne  gui- 
Uno  ,  che  con  più  turbata  tempefta  mo- 
trano  di  minacciarne  ?  Per  la  qual  cofa  > 
incero  mio,  (  fé  a*  raccontati  cafi  porgi 
redenza  alcuna,  ?  Tei  uomo ,  comeiocre- 
o  )  ti  devrefti  ornai  riconfortare  ,^  come 
li  altri  fanno  ,  e  fperare  nelle  awerfirà  fer- 

namente,  di  potere  ancora  con  1*  aita  de- 
li Dii  venire  in  più  lietoftato;  che  certo 
lon  può  edere,  che  fra  tanti  nuvoli  alcuna 
.'olta  non  paja  il  fole;  e  (come  tu  dei  fa- 
lere )  le  cofe  defiate  quanto  con  più  affan- 
do fi  acquiftano  >  tanto  con  più  diletto  > 
quando  fi  pofledono  ,  fogliono  eifer  care 
itenute.  E  così  detro  ,  perchè  tardi  gli  (1 
faceva  ,  dopo  il  lungo  parlare  ,  poftafi  la 
fui  vacca  dinanzi ,  e  dicendo  Addio  ,  da  noi 
fi  partì  :  né  pria  fi  fu  coftui  accommiatato 
da  noi  >  che  vedemmo  ad  un  punto  tutci 

in- 


?a  ARCADIA 

infieme  da  lungi  tra  quercia  j  e  quercia»  i 
vra  un  picciolo  atuielio  venire  un  uomo 
rabbuffato)  enei  gefti  doloroio,  che  di    ; 
ne  fé  forte  maravigliare;  il  quale  poi  ci - 
da  noi  fcoftandofi ,  per  un  fentiero  che  al 
città  conducea  fi  fa  indrizzato  ^  fenza  dui 
bio  alcuno  couoicenimo  eiTcre  T  innamon 
to  Clonico  ,    paftore  olerà  gli  altri  dotti 
fimo,  e  nella  mufica  efperto  .Per  la  qu; 
cofa  Eugenio,  che  fuo  amiciflìmo era  ( fu 
come  colui,  che  tutte  le  fue  amorofs  pai 
(ioni  fapea  )  f^ìttogliil  incontro  al  la  via  ,  ce 
sì  ,  udendo  ciafcuno  »  gli  incominciò  a  dire 

EGLOGA    OTTAVA. 

Eugenio  )  e  Clonico  • 

Èug./^^^^  ///ff/  con  fronte  gfangat^  e  prilli  da 
\J  Su  ì^aftntlh  or  vaine  ,  e  fnaVtnconico 
Con  cbfQffìg  irfuìeyf  (oh  la  barba  fi{uallida\ 

Qualunque  uom  ti  vtdejfe  andar  sì  erronico 
Di  dui'l  sì  i  arco  in  tanta  amaritudine  ,     \ 
Certo  dirutle  ,  Quelli  non  par  Clonico.' 

Fo'^e  che  pir  fu^gtr  la  Solitudine 

Or  cerchi  h  cittadi ,  ove  Antsr  gemina 
Suoi  firat  temprati  nella  calda  incudine  . 

T^ell^  onde  folca  ,  e  mll^  arene  femìn»  ,        lO 
E  "^Ivago  vento  [pera  in  rete  accogliere  , 
Obi \':e  fperan\e  fonda  in  cor  di  f emina  , 
^^i^Engenio  ,  x'  io  potrl  mai  V alma  fciogUere  , 
O  rftlhntar  del  laccio  iniquo  ,  ed  orrido  , 
Tal  ch^io  pojfa  dal  giogo  il  collo  e/logli  ere\  i  5 

Selva  alcun*  non  fia  ,  né  campo  fiorido 
Senx_a^l  mio  canto^tal  che  Fauni ^e  Driadi 
Diran.  che  viva  ancor  Dameta^e  Cori  do  . 

he.  Hajadì ,  tlapee ,  ed  Amadrìadi  , 


DEL   SAN  AZZARO.       75 

E  i  Satiri  ^   t  i  Silvani  dejierann.fi  %rj 

Pt^me  dal  lungi  fonno -,  e  leTrfpiadi , 

E  pei  per  matto  in  giro   prtnderanno/t 
Dijcinti  i^  efcal^i  fevra  /'  erbe  tentre^ 
E  mille  canzonette  iti  udiranno/! . 

E  '*lfi€r  fanciullo  y   e  la  fpietataVenere        25 
yinti  di  doglia  fi  daranno  il  btaf,mo% 
E  non  potrà»  goder  della  mia  cenere  . 

Lajfo  ,  che  *n  ab  penfando  ogn*  orafpafìfne  : 
SarÀ  mai  dì  ,  eh"*  io  pojfa  dir  fra^ liberi  , 
Mercè   del    Ciel  )   dal  gran   periglio 
evafimo?  50 

lllg. Di  fiate  fecibi  pria  mirti  ,   e  giuniheri  , 
E  i  fior  Vtdrl  di  verno  al  ghiaccio  porgere  , 
Che  tu  mai  impetri  quel  che  in  van  deliberi. 

Se  Amore  i  cieco  ,  non  può  il  vere  Scorgere  : 
Chi  prede  il  cieco  in  guida^mal  configliajì:i$ 
Se  ignudo\uom  che  non  ha^come  puh  porgere'^ 

Quefia   vita  mortale  al  dì  fornigliaji ^ 
llqualy  poi  che  fi  vede  giunto  al  termine  j 
Pien  di  fc  or  no  alP  occafa  ri  nver  miglia  fi  , 

Coti  quande  vecchia  \ia  avvien  che  termine  40 
1  mal  fpefi  anni  ,  che  sì  ratti  volano  , 
ì^e^gogna^e  duol  convien^cPal  cor  fi germine, 

A  che  le  menti  cieche  (i  confolano  , 

Se  ne  fri  affanni  un  fumo  al  fin  diventano  , 
E  P  ore  ladre  i  nofifi  beni  involano  ?        4^ 

Dtinque  é  ben  tempo  (mai  y  che  fi  rifentano 
Gli  fpirti  tuoi  fepolti  an^i  P  efequie  , 
Nilfango'^onde  convien  ch'hai  fin  fi  pentano  ♦ 

E  P  a  te  JìeJJo  non  dai  qualche  requie  , 

Che  (pene  aràn  gli  /ira/epe  fe^cor  mi  fero  50 
tion  puh  gioir y  ragion  è  ben  che  arrequie  . 

£)uante  fiate  del  tuo  error  ferrifero 

I  monti ye  i fiumi I  e  fe^l  tuo  duci  c^mpunfelf^ 
Quei  corfer  per  pietà  ,  quejìi  /*  ajjifero  . 
^1,0  felici  ccler  (if  amor  congiunftli        55 


74  ARCADIA 

In  vita  ,  e  "*»  morte  in  un  voler  n«n  varh  ^ 

I^è  invidia y  o  gelofìa  giammai  dìjgtunfeli  t 
Sovra  un  grand*  cimo  je'fera  ^  e  folitario 

Due  tortorelle  vidi  il  nido  farnofi: 

Ed  a  njcfolo  è  il  Ciel  tanto  contrario .      5c 
Quand*  io  le  vidi  ci  wè  sì  amiche  fi  arno  fi  ^ 

Se  respirai  non  fo  ,  tna  il  duol  sì  avvinferni . 

C Pappe f!^  in  terra  i pi^ pote.'jn fermar». fi , 
J)irollo  0  taccio  ?  intanto  il  dnol  fofpinfemi  , 

C  Pi  e  fui  per  appiccarmi  foir  a  unplatanOyè^ 

Ed  Ifi  innanzi  agli  cechi  Ami-r  dipinjemi  , 
Eug.^  quanti  e'^rc  gli  amanti  orbi  hon  guatano, 

Col  de  fio  del  morir  la  vita  ^^re^ano  ; 

Tato  a  ciafcvn  le  fue  ficiocchewe  aggratam 
T.  pria  mutano  il  pel ,  poi  che  r''avv?x'^/jno^   7C 

Che  mutin  voolia  ;  tal  che  un  dJce  ridere  y 
Ed  un  bel  guardo  pìà  che  U  gregge  apprexiano, 
Talor  per  ira  cfdegno  volno  incidere 

Lo  fame  che  le  Parche  al  fufo  avvolgono  ; 

E   con  amor  da  fé  Palme  devidere  .      75 
Braman  tornare  addietro  ,  e  non  fi  volgono  ; 

Uè  per  foco  ardcn^nè  per  gielo  agghiacciano] 

Ma  fenia  alcun  dolor  fef^pre  fi  dclgotto  . 
Cercan  fuggire  Amore^  e  pur  lo  abbracciano  ; 
Se  quejta  è  vitato  morteci 0  non  coprendola ^ìc 

Che  chìaman  libertade^  e  pia  s"* allicciano. , 
CLPur  mi  fi  para  la  fpietata  Amendola 

Dinanzi  a^JÌ  occhile  par  cPal  vento  m^tvaji 

ha  trifia  Tilli  efanimata  ,  e  pendola  , 
Se  fpirto  al  mondo  di  pietà  ritrovafi ,      85 

"Per  Dio  qMifalfna  Uhtrar  concentrimi  , 

Qbe  miglior  vita  del  morir  non  provafì  . 
0  terra,  tu  che  puoi  ^  te'-ra  ,  ccnttntamt  ^ 

Tranghiotti  il  tri  fio  corpo  in  le  tue  V'fcere  , 

S/  che  utm  mai  non  ne  trove  erma  ,  ni 
fentami ,  9C 

^  folgori .  the  fati  il  dei  tremifcere  ^ 


DEL  SAN  AZZA  RO.      yy 

Venite  a  q'tfl  che  nd alta  voce  chiamavi  , 
H  vuol ,  [e  pub  ,  di  di  fa  mar  e  addii  cere  , 

Correte  ,   o fiere  ,  <j  quel  che  tanto  bramavi  , 
E  voi  ,  paftor ,  y  angete  il  trijìo  e  fido     95 
Dt  quel  the  ton  (uà  morte  tutti  infétmavi  . 

Voi-iifiretf  in  m-   il  pieiofo   ojficìo  , 
JE  fra  ciprejji  rni farete  un  tumulo  y 
che  (ìa  n^l  m^ndo  di  mia  mote  indie  io  . 

Allor  le  rtmecb^  a  mal  grado  accumulo      lOO 
Farete  meco  in  tenere  ri\i.ìvere -^ 
Ornando  di  ghirlande  il  m-jjìo  cumulo  , 

Allor  vi  dtgfitrete  i  pajji  volvere  ^ 

Cantando  al  mio  fepoLro  ,  a!l:>r  di  retemi  : 

Per  troppo  amar  altrui,  fei  ombra j  e 
polvere.  105 

E  forfè  alcuna   Volta  mofirer etemi 

Aqtella  cruda  eh  or  rn''incende^e  firuggemiy 
E*ndarno  al fc  do  fujjo  chiam    etemi  . 

Ug.Un*orfo  in  mt^ic  Pitlma^  un  leon  ^uggemi^ 
Clomco  miofuntendo  il  tt*o  ramm  rtco^  IIO 
Che  quaft  d'*cgnt  verta  il  fangie  fuggemi. 

E  /'  to  le  leggi  al  tuo   fignor  pr.  varico  , 
Vrendt  fi conligUo  del  tu  fido  Eugenio  y 
Che  vivrai  lieto  ,   «•  di  tal  pfo  fc  irtco  , 

Ama  il  giocondo  Apollo  y  e^l  facro  Genio^   II5 
Ed  odta  quel  crudel  <  he  fi  ti  (ìra^^a  , 
eh"*  i  danno  in  gioven'h  vergogna  al  f^nio» 

Allora   il  ncfiro   Pan  colmo  di  g'a\ia  , 
Coni*. lima  Pale  aumenterà  ''l  tuo  numero^ 
Talché  la  mente  tua  n*-  fa  ben  fa^ia  .     i20 

E   non  ti  fdegne'ai  pcrtaf^  fu  l*  un/ero 
La  Cara   \appa  ,  e  pianterai  la    n  puta y 
L'  tìf^mrago  ,   l'^aneto  ,  e  *l6rl  cucumero  . 

JE '/  ttmpo  fol  in  cih  difponi  e  deruta '^ 
Che  non  r^acqui/fa  libe'tà  per  piangeremo 
E  tanto  è  mtfer  l*uom  ,  quant^ei  fi  reputa, 

E  poi  cc/nincierai  col  raflro  afrangtre 

D     z  La 


76  ARCADIA 

l^a  dura  terra  ,  e  fterperai  la  lappola  ) 
Chi  le  crefcenti  biade  fuol  tant^  anger  e  . 

le  con  le  rete  uccello  ,  e  con  la  trappola  ,      i  ^o 
per  non  marcir  neir  olio  ,  e  tendo  infidie 
Alla  mal  nata  volpe  ,  e  fpeffo  incappola  . 

Cesi  fi  fcaccia  amor  j  coiì  le  invidie 
De*  paflor  mgbittofi  fi  poftergano  ; 
Cosi  fi  [pregia  il  mondo  ,  e  fue  perfidie  .    135 

Cosi  convien  ,  cP  al  tuttofi  difpergano 
L' amorcfe  fperan\e ,  ardite  ,  ed  avide  , 
Che  nelle  menti  fimplicette  albergano  , 

Or  penfa  alquanto  alla  tue  capre  gravide  y 
Che  per  tema  de'^lupi^  che  le  ajjaltano  ,  1 4C 
Fuggon  da*  cani  pia  che  cervi  pavide  ^ 

Vedi  le  valli  ,  9  i  campi  che  fi  fmaltano 
Di  color  mille  ;  e  con  la  piva  ^  e*l  crotalo 
Intorno  ai  fonti  i  pajìor  lieti  [aitano  . 

Vidi  il  Monton  di  Fri[o\  efegna  e  notalo  ,  145 
C Ionico  dolce  ;  e  non  ti  vinca  il  tedio  5 
Che*n  pochi  di  convienycheU[olpercotalo  . 

Caccia  i  penfier  ,  che  l'  hangih  pò  fio  affedio , 
E  che  ti  fan  di  e  notte  andar  f anta fiico  ^ 
Che  al  mondo  mal  non  è  [en\a  rimedio^  1 55 

%  pria  cb^  io  parlo ,  le  parole  mafiico  . 


^^^ 


A  a- 


DEL  SANAZZARO:      77 

ARGOMENTO. 

etto  coperta  di  voler  m^nar  Clanico  j  pajloft 
innamorato  ,  al  facerdot*  di  Pan  ,  per  tra- 
var  rimidio  ali*  amofofe  pajftoni  di  luì  ^  in- 
duce il  vecchio  Opico  a  ragionar  delle  va- 
ne  pojfan^e  della  magia  ,  Indi  andati  al 
facerdotff  mentre  cP  ti  fi  apparecchiava  a 
ragionare  ,  con  bella  maniera  fa  contrafiar 
fra  loro  cantando  due  paflori  ,*  acciocché 
tnen  nojofo  abbia  a  parere  il  lungo  ragiona'* 
tnent9  dei  prudente  facerdote  . 

PROSA    NONA. 

H^rOn  fi  fentivano  più  perlibofchi  le  ci- 
IN  cale  cantare,  ma  folamente  in  vece 
ji  quelle  ,  i  notturni  grilli  fuccedendo  fi 
acevano  udire  per  Je  fofche  campagne;  e 
!Ìà  ogni  uccello  fi  era  per  le  fovravvegnen- 
i  tenebre  raccolto  nel  Tuo  albergo,  fuora 
:hc  i  vefpertilli,  i  quali  allora  deftati  ufci" 
^ano  dalle  uiate  caverne  ,  rallegrandofi  di 
/olare  ,  per  V  amica  ofcurità  della  notte  ; 
juando  ad  un  tempo  il  cantare  di  Eugenio 
:bbe  il  Tuo  fine  ;  e  i  noftri  greggi  difcefi 
lalle  alte  montagne  (i  ragunarono  al  luo- 
io  ove  la  Rampogna  fonava.  Per  che  con 
e  (Ielle  in  cielo  tutti  infieme  partendone 
lalla  via  ove  cantato  fi  era  ,  e  menando 
bionico  con  e  fio  noi,  ne  riducemmo  in  un 
/alloncello  aflai  vicino  ;  ove  allora  (  che 
rftate  era)  le  vacche  de' paefani  bifolchi  le 
■>\\x  delle  notti  albergavano:  ma  al  tempo 
^elIe  guazzofe  pioggie  tutte  le  acque  che 
da'  vicini  monti  difcendono,  vi  fi  fogliono 
D    %  ra- 


7«  ARCADIA 

ragunare  '  il  quale  d*ogni  intorno  circon» 
dat  n.ituralmente  di  nuerciuole  ,  cerrctti  j 
luberi  ,  lentiichi  >  faligartri,  edialtrenia- 
nieie  di  Llvatichiarbofcelli ,  era  sì  da  ogni 
parte  richiufo,  che  da  nelTuno  altro  luogo 
che  d.il  proprio  varco  vi  fi  potea  pafiare  ; 
tal  che  per  le  folte  ombre  de' fronzuti  ra- 
nìi ,  non  che  allora  (  che  notte  era  )  ma  ap- 
pena quando  il  fole  foQe  ftato  più  alto,  fé 
ne  farebbe  potuto  vedere  il  cielo-  Ove  al- 
quanto difcorto  dalle  vacche  ,  in  un  Iato 
della  picciola  va'le  le  noftre  pecore  5  e  le 
capre  rcftringenimo,  come  fapemmo  divi- 
fare  il  meglio  .  E  perchè  gli  ufati  focili 
per  cafo  portati  non  aveamo,  Ergafto  j  il 
quale  era  più  che  gli  altri  efperto  ^  ebbe 
fubitamence  ricorfo  a  quello  che  la  como- 
dità gli  offeriva;  e  prefo  un  legno  di  edera  j 
ed  un  di  alloro,  e  quelli  infieme  per  buo- 
no fpazio  fregando  ,  cacciò  del  foco  ;  dal 
quale  poi  che  ebbe  per  diverfi  luoghi  ac- 
cefe  di  molte  fiiccole,  chi  fi  diede  a  mun- 
gere 9  chi  a  racconciare  la  guafta  fampo- 
gna  j  chi  a  falciare  la  non  fiagna  fiafca  ,  e 
chi  a  fare  un  mefiiero  ,  e  chi  un' altro  ,  in- 
fino che  la  defiata  cena  fi  apparecchiale  ; 
la  quale  poi  che  con  alTaidikttodi  tutti  fu 
compita,  cafcuno,  perchè  molta  parte  del- 
la notte  pafiata  era  ,  fi  aodò  a  dormire  . 
Ma  venuto  il  chiaro  giorno  »  ei  raggj  del 
iole  apparendo  nelle  fommità  di  alti  mon- 
ti j  non  emendo  ancora  le  lucide  gotte  del- 
la frefca  brina  rifeccate  nelle  tenere  erbe, 
cacciammo  dal  chiufo  vallone  li  noftri  gr^  g- 
gi  ,  e  gli  armenti  a  pafcere  nelle  verdi  cam- 
pagne .  E  drizzatine  per  un  fuor  di  ilra- 
da  al  cammino  dei  monte  Menalo»  che  non 

gua- 


DEL  SANAZZARO.      79 
jMari  lontano  ne  ftava  ,  con  proponìmen- 
o  di  vjùcare  il  reverendo  tempio  di  Pan, 
jrefeutillimo  Iddio  del  falvatico  paefe  ,  il 
nifero  Clonico  fi    volle   accommiatare  da 
ioi .   Il  quale  dimandato,  qual  fede  la  ca- 
lione  che  sì  prello  a  partirli  il  coftringef- 
e,  rjfpcfe  :  che  per  fornire  quello  che  U 
)recedente  fera  gli  era  ftato  da  noi  impe- 
jito  ,   andar  voleva  ;  cicè  per  trovare  a* 
uoi  mali  rimedio  con  opra  di  una  famofa 
ecchia,  fagacilfìma  maeftra  di  magici  ar- 
itici  :  alla  quale,  fecondo  che  egli  per  fa-v 
na  avea  molte  volte  udito  dire,  Diana  in 
ogno  dimoftrò  tutte  le  erbe  delia  mjgica 
rircc»  e  di  Medea:  e  con  la  forza  di  quel- 
e  foleva  nelle  più  ofcure  notti  andare  per 
*aria  volando  coverta  di  bianche  piume» 
n  forma  di  notturna  ftrega  :  e  con  fuoi  in-, 
.antamenti    inviluppare    il  cielo  di  ofcurì 
luvoli ,  ed  a  fua  porta  ritornarlo  nella  pri- 
Hna  chiarezza:  e  fermando  i  fiumi,  rivol- 
ere le  correnti  acque  ai  fonti  loro:  dotta 
ovra  ogni  altra  di  attraere  dal  cielo  le  of- 
ufcate  ftelle  ,   tutte  ftilLinti  di  vivo  fan- 
;ue  :   e  di    imporre  con  fue  parole  legge 
il  corfo  della  incantata  luna:  e  di  convo« 
rare  di  mezzo  giorno  nel  mondo  la  notte» 
I  li    notturni  Iddii  dalla  infernale  confu- 
sone :  e  con  lungo  mjrmorio  rompendo  U 
lura  tcrrra,  richiamare  le  anime  degli  atv 
ichi  avoli  dalli  deferti  fepoicri  :  fenza  che% 
oglicndo  il  veleno  delle  innamorate  cavai- 
e>  il  fangue  della  vipera  >  il  cercbro  dei 
abbiofi  orfi  ,  e  i  peli  della  eftrema  coda 
lei  lupo,  con  altre  radici  di  erbe  ,  e  fu- 
',hi  potentiflìmi  ,   fiipeva  fare  molte  altre 
x)fe  raaraviglio&flime  >  ed  incredibili  a  rac- 
D    4  eoa- 


io  ^A  R  e  A  D  I  A 

contare.  A  cui  il  noftro  OpicodlfTe:  Ben 
credo,  figliuol  mio,  che  gli  Dii ,  de' qua- 
li tu  fei  diveto  ,  ti  abbiano  oggi  qui  gui- 
dato per  farti  a'  tuoi  affanni  trovar  rime- 
dio :  e  tale  rimedio,  ch'io  fpero ,  che  (Te 
a  mie  parole  prederai  fede)  nefirai  lieto 
mentre  vivrai .  Ed  a  cui  ne  potrefti  gir  tu» 
che  più  conforto  porgere  ti  potcfre  ,  che 
al  noftro  Enarcto?  il  quale  lopra  gli  altri 
paftori  dottiflimo  ,  abbandonati  i  fuoi  ar- 
menti ,  dimora  nei  facrificj  di  Pan  noftro 
Jddio:  a  cui  la  maggior  parte  delle  cofe  e 
divine  y  ed  umane  è  manifefta  ;  la  terra» 
il  cielo,  il  mare  ,  lo  infatigabile  fole,  la - 
crefcente  luna  ,  tutte  le  (Ielle  ,  di  che  il  cie- 
lo fi  adorna  ,  Pliadi ,  laJi ,  e  '1  veleno  del 
fiero  Orione  ,  T  Orfa  maggiore,  e  mino- 
re j  e  così  per  confeguente  i  tempi  dell' 
arare,  del  mietere,  di  piantare  le  viti,  e 
gli  ulivi  ,  di  innellare  gli  alberi,  verten- 
dogli di  addottive  frondi  :  fimilmente  di 
governare  le  mellifère  api ,  e  riftorarle  nel 
mondo  ,  fé  ed  in  te  fodero  ,  col  putrefatto 
fangue  degli  affogati  vitelli .  Oltra  di  ciò 
(quel  che  più  maravigliofo  è  adire,  ed  a 
crederfi  )  dormendo  egli  in  mezzo  delle 
fue  vacche  nella  ofcura  notte  ,  duo  dra- 
goni gli  leccarono  le  orecchie  :  onde  egli 
fubitamente  per  paura  deftatofi ,  intefe  pref- 
fo  all'  alba  chiaramente  tutti  i  linguaggi 
degli  uccelli.  E  fra  gli  altri  udì  un  luici- 
gniuolo  ,  che  cantando  ,  o  pili  tofto  pian- 
gendo fovra  i  rami  d'un  folto  corbezzolo, 
fi  lamentava  del  fuo  amore  ,  dimandando 
alle  circondanti  felve  aita:  a  cui  un  paf- 
fero  all'  incontro  rifpondea  ,  in  Leucadia 
eflere  una  alta  ripa  >  che  chi  da  quella  nel 

ma- 


DKL  SANAZZARO.      ^r 

nire  faltafle  ,   farebbe  fenza  lefione   fuor 
pena:  al  quale  foggiunfe  una  lodola,  di- 
)do  :  in  una  terra  di  Grecia  (  delia  qui- 
c  io  ora  non  fo  il  nome  )  eHereil  fontedi 
3upidine  ;  del  quale  chiunque  beve  ,  depo- 
le  fubicainente  ogni  fuo amore»  acuiildol- 
:e  lufcignuolo  foavenìente   piangendo  >  e 
amentandofi  rifpondeva  ,  nelle  acque  noti 
iflere  virtù  alcuna  :  in  quefto  veniva  una 
lera  merla  •  un  frifone  ,  ed  un  lucarino^ 
ì  riprendendolo  della  Tua  fcioccbezza  >  che 
lei  facri  fonti  non  credeva  j  celeiU  poten» 
zie  fodero  infufe  ;  cominciarono  araccon» 
;argli  le  virtù  di  tutti  i  fiumi ,  fonti  >  e  fta- 
^ni  del  mondo;  de' quali  egli  a  pieno tut- 
:i  i  nomi,  e  le  nature,  e  i  paefi  dove  na- 
fcono,  e  dove  corrono  mi  feppe  dire,  che 
non  ve  ne  lafciò  un  folo  »  sì  bene  gli  te- 
neva nella  memoria  riporti  .  Significommi 
ancora  per  nome  alcuni  uccelli  ,   del  fan- 
gue  dei  quali  mefcolato  ,    e  confufo  infie- 
rae  9  fi  genera  un  ferpe  mirabilifìimo  ;  la 
cui  natura  è  tale    che  qualunque  uomo  di 
mingiarlo  fi  arrifchia  ,  non  è  sì  ftrano  par- 
lare di  uccelli  che  egli  a  pieno  non  lo  in- 
tenda.  Similmente  midiflTenonfo  che  ani- 
male ,  del  fangue  del  quale  chi  bevefle  un 
poco  j   e   trovaflefi  in  fui  fare   del  giorno 
fovra  alcun  monte  >   ove    molte  erbe  fof- 
fero,  potrebbe  pienamente  intendere  quel- 
le parlare  »   e  manifeftare  le   fue  nature  : 
quando  tutte   piene   di    rugiada   aprendou 
ai  primi  raggi  del  forgente  fole  ,  ringrazia- 
no il   cielo  delle    infufe  grazie  che  in    fé 
pofledono  ;  le  quali  veramente  fon  tante  ) 
e  tali  che  beati  i  paftori  che  quelle  fapef- 
f«ro  •  £  fé  U  memoria  non  m'  inganna  > 

D     s  mi 


ti  ARCADIA 

mi  dilTe  ancora  >  che  in  un  paefe  molto  tìrs^ 
no,  e  lontano  di  qui,  ove  nafcon  le  gen«» 
ti  tucte  nere,  come  matura  oliva  ^  e  cor* 
reA^i  sibalTo  il  fole,  che  fi  potrebbe  di  leg*- 
giero ,  fé  non  cuocere  >  con  la  mano  toc- 
care 5  fi  trova  una  erba-  che  in  qualunque 
fiume,  o  Iago  gitt.ita  folle,  il  farebbe  fu- 
bitimente  feccare;  e  quante  chiufure  toc* 
calfe,  tutte  fenza  refiftenza  aprire/  ed  al- 
tra,  la  quale  chi  feco  portale,  in  qualun* 
tque  parte  del  mondo  pervenide ,  abbonde- 
rebbe di  tu' te  le  cofe  ,  né  fentireble  fa- 
me ,  fete  ,  né  penuria  alcuna  .  Né  celò 
egli  a  me ,  né  ,  io  ancora  celerò  a  voi  [a 
fìrana  potenza  della  fpinofa  erige  ,  notidì- 
ma  erb;ì  nei  nollri  liti  ;  la  radice  della  qua- 
le riprefentaalle  volte  fimilitudine  del  fef- 
fo  virile  ,  o  femmineo  (  benché  di  raro  fi 
trovi  }  ma  Te  per  fòrte  ad  alcuno  quella- 
del  fuo  fedo  pervenide  nelle  mani»  fareb- 
be fenzì  dubbio  in  amore  fortunatiffimo  i» 
Appredb  a  quella  foggiunfela  fclìgiofa  vct'» 
bena  ,  grat^dìmo  facrificio  agli  antichi  ali- 
tar! ;  del  fugo  della  quale  qualunque  fi  un- 
ged'e ,  impetrerebbe  da  ciafcuno  quanto  di 
dimandare  g'ii  aggradade?  pur  che  al  tem- 
po di  coglierla  fode  accorto  .  Ma  che  vo^ 
ào  aff.iticandomi  in  dirvi  quede  cofe  ?  già 
il  lucgo  ov -  e^Ii  dimora,  ne  è  vicino;  e 
faravvi  concedo  udirlo  da  lui  a  pieno  rac- 
contare .  Deh  non  ,  dide  Clanico  ;  io  e 
tutti  codoro  defiamo  piià  tofto  così  cammi- 
nando ,  per  alleggerirne  la  fatica  ,  udir- 
lo da  te:  acciocché  poiquando  ne  fia  lici- 
to Vendere  quello  tuo  finto  padore ,  pili  in 
reyerenzì  Io  abbiamo,  e  quafi  a  terreno  Iddio 
gli  rendiamo  i  debiti  onori  delle  nodre  feU 

ve-. 


DEL  SANAZZARO.  S^ 
e.  Allora  il  vecchio  Opico  ,  tornando  al 
lalciato  ordine  difl'e,  fé  avere  ancora  udi- 
to dal  medefimo  Enareto  alcuni  incanti  da 
relìftere  alle  marine  temperati ,  ai  tuoni, 
a!!e  nevi,  alle  pioggie  ,  alle  grandini,  edl 
alli  furiofi  impeti  dellidifcordevoli  venti  w 
Oltra  di  ciò  dille  avergli  veduto  tranghiot- 
tire  un  caldo  cuore  e  palpitante  di  una  cie- 
ca talpa;  ponendofi  fovra  lalingua  unooc- 
chio  di  Indiana  tertudine  nella  quintadeci- 
ma luna;  e  tutte  le  future  cofe  indovinare. 
ApprefTo  feguitò  ,  avergli  ancora  veduta 
una  pietra  di  criQallina  fpecie,  trovata  nel 
picciolo  ventre  d*un  bianco  gallo  5  laqun'c 
chi  feco  nelle  FortL  paleltre  percalle  ,  fa- 
rebbe ]ndubitat3mencecontra  ogniavverfa- 
rio  vincitore*  Poi  raccontò,  avernegli  ve- 
duta un'  altra  fimilead  u:iiana  lingua»  ma 
maggiore,  la  quale  non  come  1'  altre  na- 
fci  in  terra»  ma  nella  mancante  luna  cade 
cai  ciclo  ,  ed  è  non  poco  utile  alli  vene- 
rei lenocinli:  altra  contri  al  freddo  :  al- 
tra contra  le  perverfe  e^'dfcinazioni  diin- 
vidiofi  occhi  .  Né  tacqu.  quella  la  quale 
inlicme  legata  con  una  certa  erba  >  e  coti 
alquante  altre  parolr*  ,  <hijnque  indodb  la 
portaHei  potrebbe  a  fua  roda  andare  inyi- 
iibile  per(ì  :ni  parte  ,  e  fì'e  quanto  i^li  pia* 
cefl'e  »  fenza  r^iura  di  edere  impeditoda  ai- 
tano: e  quello  dtftto  ,  feguitò,  d'uà  dento 
tolto  di  bocca  alla  dcftra  parte  di  un  cer- 
to animale  chiamato  >  fé  io  mal  non  mi 
ricerdo ,  fena  :  jl  qmj  dente  è  di  tanto  vigo- 
re ,  che  qualunque  cacciatore  (el  legale  al 
braccio,  non  tirerebbe  mai  colpo  in  vano: 
e  non  parteiidofi  da  queflo  animale,  diiTe* 
che  chi  fatto  al  piede  ne  portafle  la  lin- 
D    6  gua  ) 


«4  ARCADIA 

gua  ,  non  farebbe  mai  abbaiato  da'  cani: 
chi  i  peli  del  mufo  conia  pelle  delle  ofce- 
ne  parti  nel  finiilro  braccio  legata  portaf- 
fe,  a  qualunque  paftorella  gli  occhi  volgef- 
fe  >  fi  farebbe  fubico  a  mal  grado  di  lei  fé* 
guitare  .  E  lafciando  quefto»  dimoftrò,  che 
chifovrala  finiftra  mammella  di  alcuna  don- 
ni ponede  un  cuore  di  notturno  gufo  5  le 
farebbe  tutti  i  fecreti  in  fogno  parlando  ma- 
il ifeft  are  .  Così  di  una  cofa  in  un*  altra  (ai- 
tando ,  prima  a  pie  dell'  alto  monte  giun- 
gemmo s  che  di  averne  dopo  le  fpalle  la- 
fciato  il  piano  ne  fo/Timo  avveduti  .  Ove 
poi  che  arrivati  fummo  ,  celTando  Opico 
dal  fuo  ragionare  (  ficcome  la  fortuna  voi- 
le )  trovammo  il  fanto  vecchio»  che  a  pie 
di  uno  albero  fi  ripofava;  il  quale  come  da 
preflb  ne  vide  5  fubitamente  levatofi  per 
lalutarne  ,  ali*  incontro  ne  venne;  degno 
veramente  di  molta  riverenza  nella  rugofa 
fronte,  con  la  barba  e  i  capelli  lunghi  ,  e 
bianchiffimi  più  che  la  lana  delle  Tarenti- 
jie  jjecore  i  e  nel!'  una  delle  mani  avea  di 
ginepro  un  baftone  belliflìmo ,  quanto  alcu- 
no mai  ne  vederli  a  paftore  ;  con  la  punta 
ritorta  un  poco,  dalla  quale  ufciva  un  lu- 
po 5  che  ne  portava  uno  agnello  5  fatto  di 
tanto  arteficio  :,  che  gli  avrefii  i  cani  irri- 
tati appreflb  :  il  quale  ad  Opico  prima»  do- 
po a  tutti  noi ,  fatte  onorevoli  accoglienze» 
ne  invitò  all'  ombra  a  federe.  Ove  aper- 
to un  facchetto  »  che  egli  di  pelle  di  ca- 
vriuolo portava  maculofa»  efparfa  di  bian- 
co, ne  trafle  con  altre  cofe  una  fiafca  de- 
Jicatimmadi  tamarifco  ,  e  volle  che  in  ono- 
re del  comune  Iddio  beveffmio  tutti:  e  do- 
po breve  definare  ,  ad  Opico  vokatofi  ,  il 

di- 


DEL  SANAZZARO.     fls 

limando  di  quello  chea  fi  re  cosi  di  fchie- 
a  andaflìmo:  il  quale  prendendo  lo  ìnna- 
tiorato  Clonico  per  miino  ,  cosi  rirpofe  : 
-a  tu3  virtù  fovra  le  altre  fingularifiima  , 
la  eftrema  neceflìtà  di  quefto  mifcro  pa- 
tere ,  nà  coflrinfe  a  venire  in  quede  fel- 
e  ,  Enareto  mio  ;  il  quale  cltra  al  dovu- 
o  ordine  amindo  ,  e  noniapendo  a  le  me- 
cfimo  fopraftarc ,  fi  confuma  sì  forte,  ce- 
ne al  foco  la  molle  cera  :  per  la  qua!  co- 
a  non  cerchiamo  noi  a  tal  bifogno  i  rilpon- 
i  dei  tuo,  e  noftro  Iddio,  i  quali  egli  più 
:he  altro  Oracolo  veriflimi  rende  nella  pu- 
a  notte  a'  pallori  in  quelli  nìonti  ;  ma  fo- 
amente  dimandiamo  la  tua  aita  ,  cheinun 
:unto  ad  amore  togliendolo»  alle  defidero- 
e  felve,  ed  a  tutti  noi  il  ritorni  :  colqua- 
e  confefl'crerao  ,  tulte  le  giocondità  perdu- 
e  cderne  per  te  infieme  reftituite:  ed  ac- 
:iocché  chi  egli  è  j  occulto  nontifiaj  m  !- 
e  pecore  di  bianca  lana  pafce  per  queffe 
nontagne>  nòdi  fiate,  né  di  verno  mai  gli 
nanca  novo  latte:  del  fuo  cantarenon  di- 
ro altro;  perocché  quando  d'  amore  libe- 
rato lo  avrai,  il  potrai  a  tua  pofta udire, 
\[  fiati  5  fon  certo,  gratiiiimo  .  11  vecchie» 
iacerdote,  (  parlando  Opico  )  riguardava  il 
)arbuto  paftore  ,  e  modo  a  pietà  della  fui 
Pallidezza  ,  fi  apparecchiava  di  rifponde- 
'e  :  quando  alle  orecchie  dalle  proiTìmane 
elvc  un  dolci  (lìmo  fuono  con  foave  voce 
ic  pervenne  :  ed  a  quella  rivolti  da  tra- 
i/erfo,  vedemmo  in  una  picciola  acquetta  a 
)iè  d*  un  falce  federe  un  folo  caprajo ,  che 
onando  dilettava  la  fua  mandra  .  Evedu- 
:o,  fubitamente  a  trovarlo  andammo:  ma 
:olui ,  il  quale  Elenco  avea  nome  »  comi 

ne 


««  ARCADIA 

re  vide  verfo  il  limpido  fiumicello  appref- 
ùrcj  fubitamente  nafcondendo  la  Tua  lira» 
•quafi  per  ifdegno  turbato  fi  tacque .  Perla 
qual  cofa  il  noftro  Ofelia  oifero  da  tanta  f;il- 
vatichezza  >  ficcome  colui  che  piacevolif- 
fimo  era  e  graziofo,  a*  preghi  de' paftori , 
fi  argomentò  con  ingiuriofe  parole  dover- 
lo provocare  a  cantare  :  e  così  con  un  rifo 
Schernevole  beffandolo  5  con  quefti  verfi  il 
codrlnfe  a  rifpondere» 

EGLOGA    NONA» 

Ofelia  j  Elenco,  e  Montano. 

^^^Ì.X^^lmmi ^caprar  novello , e  non  t'^tt'afcefe  , 
JL^  Quejìa  Tuag'-fggia^cfj'è coiato Jìraniay 
Chi  te  la  die  sì  follemente  a  pascere  ? 

HXtn.Dimmì  ^   bifolco  antico  ^^   e  quale  inf a  ni  a 
Ti  rifcfpinfe  afpe^^ar  Parco  a  C Ionico  ^     j 
Ponendo  fra"*  pefìor  tarata  lìx^ania  ? 

'O^qÌ.F  or je  fr*  ali  or  ,,  ri»*  io  vidi  malimon'CO 

Selvaq^qìo  adar  pei'  U  fampcgna^e  i  naccari^ 
Che  fV  involaci  tu  ,  perzerfo  efronico  . 

Elen-M/»  con  Uranio  a  te  myn  valfer  badati  ,  io 
*        Che  m^la  l  ngua  non  /'  avejfe  a  hdere  \ 
Turafli  il  capro  ,  e*  ti  conobbe  ai  ^accari  , 

Ofel.v4.'?^/  g/r>/  vin^t  ,  ed  ei  noi  volea  cedere 

Al  cantar  mio^  (ihernenio  il  buon  giudicìo 
If'Ergaflo^che mi  orno  ài  minile  d^edert.\% 

■Eìen.C  anta  fido  tu  ^Ivinc^fli}  or  con  Galicio 
Monudì  io  già  la  tua  fampop^na  ft-idtre  , 
Come  a^n^'l  cP  i  menato  al  fjcrifcio  ? 

^Olaì.Cantratno  a  provale  hfcia  a  pa'-te  il  riderei 
Fon  quelli  lira  tua  fatta  di  giu^i,ioh  \  20 
Montanpùtr^  n-Jìre  quelli on  decidere  . 

^ìeti.  Fon  gufila  vacca  ,  (hefovente  Muggiola  . 


DEL  SAhJAZZARO.      tf 

^cco  una  pelle  ,  r  due  cerbiatti  mafccli 
Pafii  di  tifHO  ^  e  d*  acetofa  hggJola  , 
<0 fé  1. /'**'»  r"*"  laiira^  ed  io  porr})  duo  vafcoli  25 
Di  fag^o  ^  ove  potrai  le  caprt  mungere  -^ 
Che  qurfii  arm.nti  a  mia  matngft/t  pafco/f  , 

Ele'V  Scuje  non  mi  faprai  colante  aggiungere  , 
Ch'aio  nun  li  ffopra-.ór  ecco  il  nojìro  Eugcftiox 
Far  non  potrai  si  y  eh*  io  non  l"*  abbia  ^ 
puTigere ,  ,      .     .  .  .2® 

Q£q\.1o  vo  Mcntan  ,  ch^  è  più  vicino  al fento  j 
Che  quefto  Tuopaflor  par  troppo  igncbi le  , 
ti.è  crtdo  eh*  abbÌ3   sì  fuhlime    ir^genio  . 

Elen./'V/w/?^  a!i'*omba^Munra,che  Paura  mobile 
Ti  fr»me  frale  fronde  ■^e'ifiumf  mormora  ^5; 
ZV?  età  il  n^fìro  cantar  ,   qual*è  plUf  nobile  .    ^ 

Okì.Vifnne^  Montan^  mentre  le  n.jìre  tormora 
"Rumina^n  /'  erbe^  e  i  cac<iator  /*  imbofcano  5 
Mo  tirando  ai  cani  le  latebre  ^   e  V  or  mar  a  . 

Ì^Qrì'Qcttate^a  f  cicce  he  i  moti  ornai  conof'-ano.  4O 
Quarti  0  *l  fecol  perduto  invoi  rinnova ft  ; 
Cantitffin  che  i  campi  firinfofcano  . 

OÌÌQÌ.Monran  ,  co/fui  che  meco  acantar  provafi  ^ 
Guarda  le  capre  d*  un  j  ajì; r  erra :ic^ . 
Mifera  mtndra^  ch<'*n  taf  gvìda  trcv^ftl  45 

iA^nCorbo  maltagioyurfacchioafptOyf  falvalice^ 
Cote/In  lingua   vele  ne  fa  mardiU  , 
Che   trasportar  (i  fa  dal  cor  fanatico, 

0ic\-yt-ffera  felva  ,  che  coi g'idi  affordila  : 

Fuggito  è  dal  rcmjre  Apollo^  e  Delia,     50 
Getta  la  lira  ornai ^ch e  indarno  accordila  , 

hXaVi.Oggi  qui  non  fi  canta  y  an^i  f  prelia^\ 
Ceffate  ornai  per  Dio^  ceffate  alg»afiPo  : 
Comincia^  'Elenco-i  e  tu  rifpondìy  Oflìà  . 

Elen.  La  fanta  Pale  ittent^i  ode  il  miacaettCy  55 
E  di  bei  rami  li  mìe  chiome  adorna  , 
Che  neffuri  altro  fé  ne  puh  d.ir  vanto  , 

^fel.f  */  femicapro  Pan  aha  le  corna 

Ali» 


ss  A  R  C  A  D  I  A 

Alla  fampogna  mìa  fonora  ,  t  bella  ^ 

E  corre^  e  [alta  ,  e  fugge  ^  e  poi  ritorna  .  6o 

VAQtì.Quaniio  talora  alla  fingi on  novella 

Mug»o  le  capre  mie  ,  mifiberne  9  e  rìde 
ha  mia  joave  ,  e  dolce  pafiorella  . 

Olt\.Tirrena  mia  col  fofpìrar   m    uccide  , 

Qjjando  par  (he  ver  me  con  gli  occhi  dìca\S^ 
Chi  dai  mio  fido  amante  or  mi  divide  ? 

Eie nl7«  bel  colombo  in  una  quercia  antica 
Vidi  annidar  poc^  an^i  ;    il qual  riferbo 
Per  la  crudele  ^  ed  afpra  mia  nemica, 

Ofel  Ed  io  nel  hofco  un  bel  giovenco  aderb 0      7ò 
P^r  la  mia  donna  ;  //  qual  fra  tutti  i  tari 
Incede  con  le  corna  alto   e  fu  per  bo  . 

^\cn. Frefche ghirlande  di  novelli  fiori 

I  vo/iri  altari  y  0 [acre  Islinfe  ^  avranno  ^ 
Se  pietose  farete  a"*  nofiri  amiri.  75 

Ofel.E/Wj  Priapo^  al  rinnovar  delP  anno  y 
Onorato  farai  di  caldo  latte  , 
Se  porrai  fine  al  mio  amo' ofo  affanno* 

Elen .  Quella  che  'j»  mille  fehe^  e  '«  mille  fratte 
Seguir  mi  face  Amor  ^  foche  fi  dole  ^     80 
Benché  mi  fugga  ognor^  benché  f appi  citte , 

O^QÌ.Ed  Amaranta  mia  mi  firinge  ,  e  vole 

C^'  io  pur  le  canti  all'ufcio  ,  e  mi  rifponde 
Con  le  fue  dolci  angeliche  parole  , 

"EÌSÙ^Fillida  ognor  mi  chiamale  poi  f^afconde^^ 
E  getta  un  pomj^  e  ridcy  e  vuol  già  ch^  io 
La  veggia  biancheggiar  tra  verdi  fronde  , 

Ol<i\.An'{i  Filli  da  mia  m'^afpetta  al  rio  , 
E  poi  m"*  accoglie  sì  foave mente  , 
Ch'aio  pongo  il g^egg^'^e  me  Jìeffo  in  obblie.  90 

Elen.I/  bofco  ombreggia  ;  e  fé  ""Imhfol  preferite 
Non  vi  fojfe  or  ,  vedrefit  in  nova  foggia 
Secchi  i  fioretti  ^  eie  fontane  spente  , 

Olel.Ignudo)  il  monte  ,  e  più  non  vi  fi  poggia  ; 
Mafe*lmio  fol  vi  appare yanC9r  ve dr olio  95 

D'er, 


DEL   SAN  AZZA  RO.     Jp 

D»  trbeiti  rivejìirjì  in  lieta  picpgra  . 

^Elen  O  r^/f^  Venatrtce  ,   o  biondo  ApoUo  , 

Fate  cP  io  vinca  qtiefto  alpeftro  Caeco  ^ 
Per  la  faretra  chf  vi  pende  al  cello  . 

Dfcl.  E  tuy  Minerva  ,  /  tu^  cehfte  Bacco  ,   lOO 
Per  P  alma  vite  ,  e  per  ie  fante  olive  , 
Paté  cF  io  pereti  la  fua  lira  al  face  9  . 

iElen.O  /*  io  vedejft  un  fiume  in  quefte  rivt 
Correr  di  latte  ;  dolce  il  mio  lavoro 
Infaf  [etKpre  fi  felle  ti  ir  ombre  efti%e  !   105 

Dfèl.O/ir  quefe  tue  corna  fu jfer  d''  oro  , 
E  ciafcun  pelo  molle  e  ricca  feta  , 
Quanto  t'*  avrei  piò  caro  ,    0  hi  anco  toro  / 

Eien.O  quanre  volte  vien  gioicfa  ,   e  lieta  , 

E  ftajji  meco  in  me^Xo  ai  grtogi  mìei      1 1 o 
Quella  che  mi  dii  in  forte  il  mio  pianeta  \ 

Dfel.O  quar  fofpir  verme  move  colei 

eh  io  fola  adorai   0  venti  ^  alcuna  parte 
Portatene  ali*  orecchie  degli  Dei  . 

lEIcil'il  ^t  la  mano^  a  te  l*  i ngegno  ,  e  ^arte^  l  j  ^ 
A  te  la  lingua  ferva  ,   0  chiara  ijioria  ; 
Gi^  farai  letta  in  più  di  mille  carte  . 

^itl.Omai  ti  pregiai  ,  ornai  i:  efalta^  e  gloria y 
Ch^ancor  dofo  millanti  'in  vìva  fama^ 
Eterna  fia  dt  te  qua  già  memoria  ,      120 

^^l^n-  Qtj^funque  per  amor  fofpir  a  ,  e  brama  , 
Leggendo  i  tronebi  ove  fgnata  Jìai  9 
Beata  lei  ,  dtrà  ,  che  '1  ciel  tant'ama. 

0ic\ 'Beata   te  ^  che  rinnovrir   vedrai 

I)cpo  la  morte  il  tuo  bel  nome  in  terra)   1 25 
E  dalle  (the  al  ciel  volando  andrai  . 

"^Xttì. Fauno  ride  di  te  daW  alta  {erra: 

Taci  ^  bifolco'^  che  y  t'*  io  dritto  ejlimo  ^ 
ha  capra  col  leon  non  può  far  guerra  , 

<OÌc\.Corri  ,  cicala y  in  quel palufire  limo  ,      i  JO 
E  r appella  a  cantar  di  rana  in  rana  , 
Che  fralafcbiera  farai  forfè  il  primo. 

Elea* 


90  ARCADIA 

Tl\^[\. Dimmi  ,  qualfera  è  sì  di  mente  umana^ 
Che  i'inginucbia  al  raggio  della  luna^ 
E  per  pwgarft  (c:  nde  alla  fontana  ?     \\\ 
0[e\- Dimmi  ,  quaT  è  /'  uccello  il  qual  raguna 
1  legni  in  la  fua  mete  ,  e  pei  i"* accende  , 
E  vive  al  mondo  /-?«^o  pare  alcuna  ? 
ÌAoXi-yial  fa  chi  contra  al  del  pugnalo  contende 
Tempo  è  già  da  por  fine  a  vojire  liti  \   14C 
Che  ^Ifaverpajìoral  più  non  fi  flr'nde  . 

Taci  ,  copp/«  gentil^  eie  ben  graditi 
Son  loflri  accenti  in  ciafcun  facro  hofco  : 
Ma  temo  y  che  da  Pan  non  fian^  uditi , 

Ecco  ,  al  mover  de"*  rami  ti  rìconcfco  j  1 4; 
Che  to'^na  aWomhra  pien  d'orgogi-ìo^e  d^iret 
Col  f:afo  adunco  afflando  am  -ro  tcfco  , 

M*  quel  facondo  Apollo  il  qurJ  v*  afpira  y 
Abbia  fol  la  vittoria  /   e  tu  ^  bifolco  9 
"Prendi  i  tuo^  t^J^h*  tu^  captar ^  la  lira;  1 5C 

Che  V  citi  V*  accrefca  ,  c^me  irbetta  in  folco  • 


\ 


A  R. 


DEL  SANAZZARO.     91 

ARGOMENTO. 

Difcfswe  $1  hofcù ,  ia  fp^Ionca  ,  e  P  fffig'f  ^i 
Pan  Dio  de*  pafiori  ceri  U  leggi  a  loropff^ 
feriste  ,  e  par/ando  biella  fampogna  d'  ejfo  , 
accenna  il  e  e  ritenuto  della  Bucolica  dì  Vir~, 
gtlio.  Indi  fa  ragionare  al  fatetdote  Erta- 
reto  della  for^a  d:gP  incanti  ,  per  fanar  h 
piaga  tì  moro  fa  delP  iauatnoratù  Ciani  cui  * 
poi  racconta  quanto  ben  tonjideì'ata  ,  ed 
adorna  foffe  la  fepcltura  di  Majjtlia  ,  f/tam 
drt  d^  Erga  fio  . 

PROSA     DECIMA. 

LE  i'elve  ,  che  al  cantar  de'  duo  partorì  9 
(mentre  quello  durato  era  )  aveano 
lolciflimamente  rimbombato  >  fi  tacevano 
.ià  quafi  contente  ,  acquetandcfi  alla  fen- 
euzia di  Montano;  il  quale  ad  Apollo  (fic- 
ome  ad  aguzzacore  de'  peregrini  ingegni  ) 
onando  io  onore,  e  la  ghirlanda  della  vit- 
eria ,  avea  adambiduoi  Tuoi  pegni  rendu- 
i .  Per  la  qual  cola  noi  lafciando  l'  erbofa 
iva  ,  lieti  cominciammo  per  la  falda  del 
nonte  a  poggiare,  tuttavia  ridendo  ,  e  ra- 
.ionando  delle  contenzioni  udite  :  fenza  ef- 
ere  oltra  a  duo  tratti  di  Honda  andati  >  co- 
ninciammo  appoco  appoco  da  lunge  a  Tco- 
)nre  il  reverendo,  cìacrobofco;  nel  qua- 
e  mai  nò  eoa  ferro,  né  con  fcure  alcuna 
i  ofava  entrare  ;  ma  con  religione  gran- 
iillima  per  paura  de'vendicatori  Dii  fra'pae- 
ani  popoli  fi  conservava  inviolato  per  mol- 
i  anni;  e  (  fé  degno  èdi  crederfi  )un  tem- 
10  qu:;ndo  il  mondo  non.  era  sì  colmo  di 

vizjj 


91  ARCADIA 

vlzj ,  tutti  i  pini  che  vi  erano,  parlavano 
con  argute  note  5  rifpondendo  alle  amoro- 
fe  canzoni  de*  paftori  .  Al  quale  con  lenti 
paffì  dal  Tanto  facerdote  guidati  (  ficcome 
egli  volle)  in  un  picciolo  fonticellodi  vi- 
va acqua,  che  nella  entrata  di  quello  for- 
gea  5  ne  lavammo  le  mani  ;  conciolTiacofa- 
chè  con  peccati  andare  in  cotal  luogo  non 
era  da  religione  concedo.  Indi  adorato  pri- 
ma il  Tanto  Pan,  dopo  li  non  conoTciuti  Dii 
(  Te  alcuno  ve  ne  era  che  per  non  moftrar- 
fi  agli  occhi  noftri  nel  latebroToboTco  Ti  na- 
fcondefle  )  paflammo  col  deftro  piede  avan- 
ti,  in  Tegno  di  Telice augurio  :  ciaTcuno  taci- 
tamente in  Te  pregandoli,  gli  TolTero Tem- 
pre propizj  cosi  in  quel  punto,  come  nel- 
le occorrenti  necelTità  Tuture  :  ed  entrati 
nel  Tanto  pineto,  trovammo  Tetto  una  pen- 
dente ripa  Tra  ruinati  Talli  una  Tpelunca  vec- 
chiilìma  ,  e  grande  ;  non  lo  fé  naturalmen- 
te ,  o  Teda  manuale  artificio  cavata  nel  du- 
ro monte  :  e  dentro  di  quella ,  del  medeTi- 
mo  TalTo  un  bello  altare,  Tormato  da  rufti- 
che  mani  di  paftori  :  Tovra  al  quale  Ti  ve- 
deva di  legno  la  grande  effigie  del  Talva- 
tico  Iddio  appoggiata  ad  un  lungo  baione 
di  una  intera  oliva  ;  e  Tovra  la  teda  avea 
due  corna  drittiiìime,  ed  elevate  verfo  il 
cielo  ,  con  la  Taccia  rubiconda  come  ma- 
tura Tragola:  le  gambe  e  i  piedi  irTuti ,  né 
d*  altra  Torma,  che  Tono  quelli  delle  capre  ; 
il  Tuo  manto  era  di  una  pelle  grandiflìma , 
(iellata  di  bianche  macchie.  Dall' un  lato, 
e  dall'  altro  del  vecchio  altare  pendevano 
due  grandi  tavole  di  faggio,  Tcritte  di  ru- 
fticane  lettere:  le  quali  Tuccedìvamente  di 
tempo  in  tempo  per  molci  anni  conTerva- 

te 


DEL  SANAZZARÒ.  9? 
hi  pafTati  paOori ,  contenevano  in  fé  le 
che  leggi  ,  e  gli  ammaedramenti  del- 
la partorale  vira  :  dalle  quali  tutto  quello 
che  fra  le  felve  oggi  fi  adopra  ,  ebbe  prima 
origine  .  Neil'  una  eran  notati  tutti  i  dì 
dell'  anno  ,  e  i  varj  mutamenti  delle  rta- 
gioni  ,  e  la  inequaiità  della  notte  ,  e  del 
giorno  9  infieme  con  la  oflervazione  delle 
ore  1  non  poco  neceffaria  a*  viventi  ,  e  li 
non  falii  pronoftici  delle  temperati  :  e  quan- 
do il  fole  col  fuo  nafcimento  denunzia  fe- 
renità  ,  e  quando  pioggia»  e  quando  venti , 
e  quando  grandini;  e  quali  giorni  fon  del- 
la luna  fortunati ,  e  quali  infelici  alle  opre 
de'  mortali:  e  che  ciafcuno  in  ciafcuna  ora 
dovefle  fuggire  ,  o  feguitare  >  per  non  of- 
feiidere  le  oiìervabili  volontà  degli  Dii  , 
Ndir  altra  fi  leggeva  quale  dovefle  edere 
la  bella  forma  della  vacca  ,  e  del  toro:  e 
le  età  idonee  al  generare  j  ed  al  parto- 
rire :  e  le  ftagioni  ,  e  i  tempi  atti  a  ca- 
Hrare  i  vitelli  ,  per  poterli  poi  nel  giogo 
ufare  alle  robufte  opre  della  agricoltura  : 
fjmilmente  come  la  ferocità  de'  montoni 
forando  loro  il  corno  preflo  V  orecchia  fi 
poHa  mitigare;  e  come  legandogli  il  deftro 
tcfticolo  I  genera  femmine  ;  e  '1  finiftro  « 
mafcoli  :  ed  in  che  modo  gli  agnelli  vengano 
bianchi  ,  o  di  altri  colori  variati  :  e  qml 
rimedio  fia  alle  folitarie  pecore  che  per,  o 
fpavento  de'  tuoni  non  fi  abortifcano  :  ed 
oltre  a  quello  ,  che  governo  fi  convenga 
alle  barbute  capre:  e  quali  ,  e  di  che  for- 
ma >  e  di  che  etade?  ed  in  che  tempo  del- 
l' anno,  ed  in  che  paefe  quelle  fiano  più 
fruttifere  :  e  come  i  loro  anni  fi  poflano 
ai  fegni  delle  noderof^  corna  chiarainentar 


94  ARCADIA, 

conofcere:  appreHb,  vi  erano  fcritte  tutt 
Je  medicine  appertinenti  a*  morbi  ^   tant 
de*  greggi,  quanto  de' cani,  e  de*  partorì 
Dinanzi  alla    fpelunca    porge 'a   ombra  u 
pino  alciffnno,  e  fpaziofo  ,  ad  un  ramo  d( 
quale    una  grande  e  bella  fampogna  pen 
deva  j  fatta  di  fette  voci  ,  egualmente  e 
fotto  e  di  fopra  congiunta  con  bianca  ce 
ra  ;  la  cui  fimile  forfè  mai  non   fu   vedi 
ta  a  paftore  in  alcuna  felva  :  dcllaqualedi 
mandando  noi  qual  folle  (lato  lo  autore  (  per  ^ 
che  da  divine  mani  comporta  t  ed  incera  « 
ta  la  giudicavamo  )  il  favio  facerdote  cc_; 
sì  ne  rifpofe  :  Querta  canna  fu  quella  eh  j 
•]  ùnto  Iddio  che  voi  ora  vedete,  fi  tre  ' 
vò  nelle  mani  quando  per  querte  felve  d  \ 
amore  fpronato  feguitò   la  bella  Siringa   ? 
ove  (  poi  che  per  la  fubita    trasformazio  < 
ne  di  lei  fi  videfcher  iito)  fofpirando  egl 
fovente   per    rimembranza    delle    antichi 
fiamme,  i  fofpiri  fi  convertirono  in  dolce 
fuono  ;  e  cosi  folo  in  quefta  fola  grotta  ai 
iìfo,  prefTo  alle  pafcenti  capre,  comincic 
a  ccngiungere  con  nova  cera  fette  canne 
1'  ordine  delle  quali  veniva  fucceflivamen  . 
te  mancando  ,    in    guifa  che  rtanno  i  die 
nelle  noftre  mani;  ficcome  ora  ineffame 
defima  vedere  potete:  con  la  qual  poi  grar 
tempo  pianfe  in  querti  monti   le  fue  {ven- 
ture .    Indi    pervenne  (  e  non    fo  come  ] 
nelle    mani    d*  un  paftore  Siracufano  ;    i 
quale  prim>  che  alcuno  altro   ebbe   ardire 
di  fonarla   fenza   paura  di  Pan  ,    o  d'  al- 
tro Iddio  )  fovra  le  chiare  onde  della  com- 
patriota Aretufa;  ed  è  fama  che  ,  mentre 
cortui  cantava,  i  circonrtanti  pini  moven- 
éo  le  loro  fomniità  gli  rifpondeano  ■  e  le 

fo- 


DEL  SANAZZARO  .    95 

farefliere   querele  dimenticate   della   pro- 
pria  lalvatichezza  abbandonavamo  i  nativi 
monti   per   udirlo  ,   porgendo  fovente  pia- 
cevoli ombre  alle  afcoltanti  pecorelle  :  né 
era  Ninfa  alcuna  »  rè  Fjuno  in  quelle  fel- 
^e ,  che  di  attrecciare  ghirlande  non  fi  af- 
':ì(1's^  per  ornargli  di  frefchi  fiori  i  gio- 
ii capelli  .    11  quale  poi   da  invidiofa 
norte    fovraggiunto   fé   di   quella  T  ulti- 
no  dono  al    iVlantoano  Titiro,  e  così    col 
mancante  fpirto  porgendogliela   gli  difie  : 
Tu  larai    era   di  quefta    il    fecondo  figno- 
re  ;  con  la  quale  potrai  a  tua  polla  ricon- 
iliare  li  difcordevoli  tauri,  rendendo  gra- 
iofiflìmo  fuonoalli  (alvatichi  Iddii  .  Per  la 
piai  cofa  Titiro  lieto  di  tanto  onore,  con 
uella  medefima  farapogna  dilettandofi  ,  in- 
egnò  primieramente    le  felve   di  rifonare 
1  nome  della  form-jfa  Amarillida  ;    e  poi 
pprcflo  lo  ardere  del  ruftico  Coridoie  per 
\lefll  ;    e  la    emula    contenzione   di   Da- 
neta  ,  e  di  Menalca  ;  e  la  dolciflima  mu- 
a.  di  Damone  ,  e  diAlfefibeo,  ficendofo- 
ente  per  maraviglia  dim  nticare  le  vac- 
he  di  p.fcere,  eie  ftupef.itte  fiere  ferma- 
e  fra  paftori ,  e  i  velocifilmi  fiumi  arrefta- 
e  dai  corfi  loro  ,  poco  curando  di  rei  Je- 
e  al  mare  il  folito  tributo  :  aggiungendo 
qucfto  la  morte    di    Dafni  ,    la  ca-'Zone 
i  Sileno  ,  e  '1  fiero  amore  di  Gali  o ,  con 
Itre  cofe ,  iì  cbe  le  felve  credo  ancora  fi 
icordino,  e  ricorderanno  mentre  nel  mon- 
0  faranno  paftori.  Ma  avendo  coftuld.illa 
atura  lo  ingegno  a  più  alte  cofe  difpofto  > 
non  contcntandofi  di  sì  umile  fuono ,  vi 
angiò  quella  canna  che  voi  ora  vi  vedete 
iù  grolla  ,  e  più  che  le  altre  nova  ,  per 

PO- 


96  ARCADIA 

poter  meglio  cantare  le  cofe  maggiori  , 
lare  le  felve  degne  degli  altifìTimi  Confo 
di  Roma  :  il  quale  poi  che  »  abbandonai 
le  capre  ,  fi  diede  ad  ammaeftrare  i  ruft 
chi  coltivatori  della  terra;  forfè  con  ifpi 
ranza  di  cantare   appreffa  con    più  fono; 
tromba  le  arme  del  Trojano  Enea  ;  T  aj 
piccò  quivi ,  ove  ora  la  vedete  »  in  ono: 
di  quefto  Iddio  ,   che  nel  cantare  gli  av( 
predato  favore  :  apprefToal  quale  non  vci 
ne  mai  alcuno  in  quefte  felve,  che  quel 
fonare  potuto  avelTe  compitamente  :   pof 
che  molti    da   volonterofo   ardire   fprona 
tentato  lo  abbiano  pii^  volte,  e  tentino  tu 
tavia  .  Ma,  perchè  il  giorno  tutto  fra  qu 
fti  ragionamenti  non  trapaffi ,  tornando  om 
a  quello  per  che  venuti  fiete  ,  dico,  l'op; 
e  '1   flìper   mio  cosi  a  tutti  voftri  bifogni 
come  a  quefto  un  folo  ,  eUere  fempre  n( 
nien  difpofto  «    che  apparecchiato  :  e  co 
ciofliìacofachè  ora  per  lo  fcemo  della  corn 
ta  luna  il   tempo  molto  atto  non  fia»  ud 
rete  nondimeno  del  luogo,  e  del  modo  ci 
a  tenere  avremo,  alquanto  ragionare.  Ei 
principalmente»  innamorato  paftore,  a  e  * 
il  fatto  più  tocca  ,    porgi  intenti vamen 
le  orecchie  alle  mie  parole  .    Non    mol 
Junge  di  qui  ,  fra  deferti  monti  giace  ui 
profondiffima  valle,  cinta  d*  ogni  intorr  \ 
dì  folinghe  felve,  e  rifonanti  di  non  udi  i 
falvatichezza  5  si  bella  ,   sì  maravigliofa 
e  ftrana»  che  di  primo  afpettofpaventa  C(  ( 
inufitato   terrore    gli   animi  di  coloro  ci  \ 
vi  entrano  :  i  quali  poi  che  in  quella  p<  I 
alquanto  fpazio  ralficurati  fi  fono  ,    non   { 
pofiono  faziare  di  contemplarla  ;   ove  p(  \ 
ap  folo  luo^o  j  e  quello  ftrectiliimo,  ed  afprc  | 


r 

DEL   SANAZZ  ARO.       57 

fi  conviene  pafTare  ;  e  quanto  più  bado  fi 
fcende,  tanto  vi  fi  trovala  via  più  ampia  ? 
e  la  luce  diventa  minore  *.  concioniacofa- 
chè  dalia  fua  fommità  infine  alla  più  in- 
fima parte  è  di  opache  ombre  di  giovani 
alberi  quafi  tutta  occupata  :  ma  poi  che  al 
fondo  di  quella  fi  perviene  ,  una  grotta 
ofcurifllma  ,  e  grande  vi  fi  vede  inconta- 
nente aprire  di  fotto  ai  piedi  :  nella  quafe 
arrivando  ,  d  fentono  fubito  ftrepiti  orri- 
biliflìmi  ,  fatti  divinamente  in  quel  luogo 
da  non  veduti  fpirti  ,  come  fé  mille  mila 
naccheri  vi  fi  fonaflero  .  E  quivi  dentro  iti 
quella  ofcurità  nafce  un  terribililiimo  fiu- 
me ,  e  per  breve  fpazio  contraftando  nella 
gran  voragine  ,  e  non  potTendo  di  fuora 
ufcire  ,  il  moftra  folamente  al  mondo  ,  ed 
in  quel  medefimo  luogo  fi  fommerge  :  e 
così  nafcofo  per  occulta  via  corre  nei  ma- 
re, né  di  lui  più  fi  fa  novella  alcuna  lo- 
vra  della  terra:  luogo  veramente  facro,  e 
degno  (  ficcomc  è  )  di  effere  fempre  abi- 
tato dagli  Dii  .  Niuna  cofa  non  venerabi* 
le  o  fanta  vi  Ci  può  giudicare  ,  con  tanta 
majelU  ,  e  riverenza  fi  offre  agli  occhi  de" 
riguardanti  .  Or  quivi  come  la  candida  lu- 
na con  ritonda  faccia  apparirà  a'  mortali 
fovra  l*  univerfa  terra,  ti  menerò  io  pri- 
mieramente a  purgarti  (  fé  di  venirvi  ti 
darà  il  cuore  )  e  bagnato  che  ti  avrò  no- 
ve volte  in  quelle  acque  ,  farò  di  terra  » 
e  di  erbe  un  novo  altare  ,  ed  in  quello  cir- 
condato di  tre  veli  di  diverfi  colori,  rac- 
cenderò la  cada  verbena,  e  mafchjincen- 
fi ,  con  altre  erbe  non  diveite'  dalle  radi- 
ci, ma  fecate  con  acuta  falce  al  lume  deìU 
npva  luna  :  dopo  fpargerò  per  tutto  quel 
Jftffo  I.  E  luo- 


9S  ARCADIA 

luogo  acque  tolte  da  tre  f  ntane ,  e  faro! 
ti  poi  difcinto,  e  fcalzo  d'un  piede,  fett 
volte  attorniare  il  fanto  altare:  dinanzi; 
quale  io  con  la  manca  mano  tenendo  pt 
le  corna  una  nera  agna  ,  e  con  la  deftì 
io  acuto  coltello  ,  chiamerò  ad  alta  v< 
ce  trecento  nomi  dì  non  conofciuti  Dii 
e  con  quelli  la  reverenda  Notte  accomp. 
gnata  dalle  Tue  tenebre  ,  e  le  tacite  fte 
Je  confapevoli  delle  occulte cofe:  clamo 
tiforme  Luna  potente  nel  cielo  ,  e  neg 
ofcuri  abiflì  ,  e  la  chiara  faccia  dei  So 
circondata  di  ardenti  raggj  :  la  qu:ile  cor 
tinuemente  difcorrendo  intorno  al  moi 
do,  vede  fenza  impedimento  veruno  tutt 
le  opere  de' mortali.  ApprefTo  convochei 
quanti  Dii  abitano  nelT  a  to  cielo  ,  nel 
ampia  terra  ,  e  nell'  ondofo  mare  :  e 
grandiffimo  Oceano  padre  univerialedi  tu 
te  le  cofe,  e  le  vergini  Ninfe  generate  e 
lui  ;  cento  che  ne  vanno  per  le  felve  , 
cento  che  guardano  i  liquidi  fiumi  :  ed  o 
tra  a  quefti,  Fauni ,  Lari  ,  Silvani  ,  e  S 
tiri  5  con  tutta  lafrondofa  fchiera  de'Sem 
dei  5  e'I  fommo  aere,  e '1  duriffimo  afpei 
to  della  bruta  terra,  gli  danti  laghi  ,i  co 
renti  fiumi,  e  i  forgenti  fonti:  né  lafci< 
rò  gli  ofcuri  regni  delli  fotterranei  Dii 
ma  convocando  la  tergemina  Ecate  ,  vi  ai 
giungerò  il  profondo  Caos  ,  il  grandilTìnr 
Èrebo,  e  le  infernali  Eumenidi  abitatri. 
delle  Stigie  acque,  e  fé  alcuna  altra  De 
tà  è  la  giù  che  con  degno  fupplicio  pun 
fca  le  fcelerate  colpe  degli  uomini  ;  ci 
fiano  tutte  prefenti  al  miofacrificio  :  e  e* 
sì  dicendo  5  prenderò  un  vafo  di  genero 
■VÌno>  e  verferollo  nella  fronte  della  dai 

na- 


DEL  SANA  ZZ  ARO.  $^ 
Data  pecora  ,  e  clirvelI.*>ioo!e  d.i  mezzo  le 
corna  la  fofca  lina»  la  gicccrò  uri  foco -^er 
P'imi  libamenti  *  dop.i  aprend- e  ii  gola 
col  desinato  e  Itello,  riceverò  in  uni  pa- 
tera il  caldo  f»ngLie,  e  quello  con  gii  eftre- 
mi  labb'i  guft^to  vf-rferò  tucco  in  una  fof- 
fa  fatti  dinanzi  all'  altare,  con  oglio  ,  e 
latte  infieme;  acciocché  ne  goda  la  madre 
terra  :  e  preparato  che  ti  avrò  in  cotal  mo.- 
do  1  fovra  la  pelle  di  quella  ti  firòdiften- 
dere  i  e  di  faigue  di  nottola  ti  ungerò  gli 
occhi  con  tutto  jI  vifo  ;  che  le  tenebre  del- 
la .'Otte  al  Vedere  non  ti  offendano  ,  mi 
come  chiaro  giorno  ti  tnanif.lHno  tutte  le 
cole  :  ed  acciocché  le  ftr^ne  ,  e  divi  rfif- 
finie  figure  de' convocaci  DjÌ  nontifpaven- 
tino  ,  ti  porrò  in  dofTo  una  lingua  »  uno 
occhio»  ed  una  fpoglia  di  Libiano  ferpen- 
te,  con  la  delira  parte  del  cuore  d' un  leo- 
ne inveterato,  e  feccoall*  onbra  folamen- 
te  della  piena  luna.  Appreflo  a  quefto  co- 
manderò ai  pefci  ,  alle  ferpi  ,  alle  fiere  » 
ed  agli  uccelli  (  dai  quali  quando  mi  piace 
intendo  e  le  proprietà  delle  cofe  ,  e  gli 
occulti  fecreri  degli  Dii  )  che  vengano  tut- 
ti a  me  di  prefente,  fenza  fire  dimora  al- 
.cuna  .  Per  la  quìi  cofa  ,  q.elli  folamente 
ritenendo  meco  che  meftiero  mi  Tiranno  ,  gli 
altri  rimanderò  via  nelle  loro  m.igioni  ;  ed 
aperta  la  mia  tafca  ,  ne  trarrò  ve  eni  pocen- 
tifiimi ,  coi  quali  a  mia  poft  ,  d  glio  io  tra- 
sformarmi in  lupo,  e  ,  lafciando  i  panni 
appiccati  ad  alcuna  quercia  ,  m  fcolarmi  fra 
gli  altri  nelle  deferte  Tel  ve  ;  non  già  per 
predare,  come  molti  fanno,  ma  per  inten- 
dere i  loro  fecreti  ,  e  gl'inianni  che  fi  ap- 
parecchiano a'  paftori  di  fare  :  i  quali  pptran- 
E     »  no 


loo  ARCADIA 

no  ancora  al  tuo  bifogno  comodamente  fef- 
vire;  e  fé  ufcireda  amore  totalmente  vor- 
rai,  con  acqua  luftrale  >  e  benedetta  ti  in- 
naffierò  tutto  ,  ruffumicandoti  con  vergine 
folfo  ,  conilopo,  e  con  la  carta  ruta;  dap- 
poi ti  fpargerò  fovraal  capo  della  polvere 
ove  mula,  o  altro  fterile  animale  involu- 
tato  fi  fia,;  e  fciogliendoti  un  per  uno  tut-» 
ti  i  nodi  che  indodo  avrai  ,  ti  farò  pren- 
dere la  cenere  dal  facro  altare,  ed  a  due  ma- 
ni per  fovra'l  capo  gettarlati  dopo  lefpal- 
le  nel  corrente  fiume,  fenza  voltare  più  gli 
occhi  indietro  :  il  quile  fubitamente  con  le 
fue  acque  ne  porterà  il  tuo  amore  nell'al- 
tomare, lafciandoloai  delfini,  edalle  no- 
tanti balene  .  Ma  fé  pii\  tofto  la  tua  ne-» 
mica  ad  amarti  di  coftringere  tieni  in  defio  > 
farò  venire,  erbe  da  tutta  Arcadia,  e  fu- 
go di  nero  aconito,  e  lapicciola  carne  ra- 
pita dal  fronte  del  nafcente  cavallo  prin>a 
che  la  madre  di  inghiottirla  fi  apparecchiaf- 
f e .  E  fra  quelle  cofe  (  ficcome  io  ti  infe- 
gnerò  )  legherai  una  immagine  di  cera  iti 
tre  nodi,  con  tre  laccj  di  tre  colori,  e  tre 
volte  con  quella  in  mano  attorniando  lo  al- 
tare, altrettante  le  pungerai  il  cuore  eoa 
punta  di  omicida  fpada,  tacitamente  dicen*» 
do  quelle  parole  : 

Co/ei  pungo  ,  ed  a Jl fingo 
Che  nel  mio  cor  dipingo  . 

Appreffo  avrai  alcuna  parte  del  lembo  del- 
la fua  gonna,  e  piegandola  appoco  appoco  > 
e  così  piegata  fotterrandola  nella  cavata 
jerra ,  dirai  : 

Tutte  m'te  pene  e  doglie 

^iibludo  iti  quefie  [pò  gli  e  . 

Da 


DEL   SANAZZARO.   loi 

Da  poi  ardendo  un  ramo  di  verde  lauro  > 
fotOgiungeral: 

Così  JiriJa  nel  foco 

Chi  '/  mio  mal  prence  in  gioco  * 
Indi  prendendo  io  una  bianca  colomba^    e 
tu  tirandole  una  per  una  le  penne,  egit- 
tandole  nelle  fiamme,  feguiterai  : 

Di  chi  il  mio  bene  ba   in  pojfa 

Sptrgo  le  carni  e  P  cjja  . 
Al  fine,  poi  che  1*  avrai  tutta  fpogliata  ♦ 
lafciandola  fola  andare  ,  farai  così  T  ulti- 
mo incanto  : 

Ri  minti  y  iniqua  e  cruda  ^ 

£)'  cgni  fperan^a   ignuda  . 

Ed  ogni  fiita  che  le  dette  cofe  farai ,  fpu- 
terai  tre  volte;  perocché  dell'  impari  nu- 
mero godono  i  magici  Dii  ;  ne  dubito  pun- 
to ,  che  faranno  di  tanta  efficacia  quefte  pa- 
role, che  fenza  repugnanz.i alcuna  fare,  la 
vedrai  a  te  venire,  non  altrimenti  che  le 
furiofe  cavalle  nelle  ripe  dello  eftrerao  Oc- 
cidente fogliano  i  genitabiii  fiati  di  Zefli- 
roafpettare;  equefto  ti  affermo  per  la  Dei- 
tà di  quefia  feha  ,  e  per  la  potenzia  di  quel- 
lo Iddio  il  quale  ora  prcfente  ftdudone  9 
afcolta  il  mio  ragionare  :  e  cosi  detto  ,  po- 
fe  filenzio  alle  fue  parole.  Le  quali  quin- 
to diletto  porgeflero  aci:ifcuno,  non  è  da 
dimandare  :  ma  parendone  finalmente  ora 
dì  ritornare  alle  lafciate  mandre  (benché 
il  fole  fjlTe  ancora  molto  alto)  dopo  mol- 
te grazie  con  parole  reiidutegli  ,  ne  licen- 
ziammo da  lui  ,  e  per  una  via  più  breve 
portine  a  fccndere  il  monte  ,  andavamo  con 
non  poca  ammirazione  commendando  lo  udi- 
to pallore;  tanto  chequafi  al  piano  difce- 
C,  edendo  il  caldo  grande»  e  veggendone 

E     3  un 


lòi  A  R  C  A  D  I  A 

u^  bofchetto  freico  davanci  ,  deliberammo 
di  volere  udire  alcuno  della  brigata  canta- 
re .  Per  la  qual  cofa  Opico  a  Selvaggio  il 
cercone  impofe  ,  d.indogli  per  foggetto  che 
Jodaffe  li  nobile  fecolo  il  quale  di  tanti  e 
tali  pailori  fi  vedeva  copioiamente  dotato  ; 
coriciofolTecofache  in  noflra  età  ne  era  con- 
cedo vedere  ,  ed  udire  paftori  Crtnt.ire  fra 
gli  armenti,  che  dopo  mille  anni  farebbono 
cfefiati  frale  felve  :  e  flando  coftui  già  per 
cominciare,  rivoIfe(  non  fo  come)  gli  oc- 
chi in  un  picciolo  colle,  che  da  mandeltra 
gli  ftava  ,  e  vide  1*  alto  fepolcro  ove  le 
reverende  oda  di  Mailìlia  li  ripofano  con 
eterna  quiete  ;  Madilia  madre  di  Ergifto  , 
la  quale  fu  ,  mentre  vilTe  ,  da'  paftori  quafi 
divina  Sibilla  riputata-  Onde  drizzatofi  in 
piedi  difTe  :  Andiamocela»  partorii  che  fé 
dopo  le  efequie  le  felici  anime  curano  delle 
mondane  cofe  ,  la  noftra  Mailìlia  ne  avrà 
grazia  nel  cielo  del  nodro  cantarci  la  qua- 
le sì  dolcemente  foleva  un  tempo  tra  noi 
le  contenzioni  decidere  >  dando  niodefta- 
menteai  vinti  animo»  e  commendando  con 
maravigliofe  ledei  vincitori.  A  tutti  par- 
ve ragionevole  quello  che  Selvaggio  dilfe  ; 
e  con  efpediti  palli  ,  T  un  dopo  1'  altro  , 
molto  con  parole  racconfolando  il  piangen- 
te Ergafto  ,  vi  andammo  .  Ove  giunti  9 
avemmo  tanto  da  contemplare  >  e  da  pa- 
fcere  gli  occhi  »  quanto  da'  paftori  in  alcu- 
na felva  fiaveiTe  giammai;  ed  udite  come. 
Era  la  bella  piramide  in  picciolo  piano  fo- 
vra  una  bada  montagnetta  polla  fra  due  fon- 
tane di  acque  chlaridlme  e  dolci  ,  con  la 
punta  elevata  verfo  il  cielo  ,  in  forma  di 
un  dritto  e  folto  e i predo  ;  perle  cui  lato- 

ra 


DELSANAZZARO.    105 

rn(  le  qinli  quattro  erano  ). fi  potevano  ve- 
.'  molte  iftorie  di   (ì^ure  bellifiìme  ;  le 
iella  mede  11  ma,  eATendo  già  viva»  ave- 
\fà  in  onore  de'fuoi  antichi  avoli  iatte  di- 
pingere; e  quanti  partorì  nella  fua  profa- 
3Ìa  erano  in  alcun  tempo  flati  famofi  e  chia- 
ri per  li  bofchi  ,  con  tutto  il  nuraero  de* 
poHeduti  armenti  :    e  d*    intorno  a  quella 
porgevano  con  fuoi  rami  ombra  alberi  gio- 
vaniiiìmi  e  frefchi  >    non  ancora   crefciuti 
a  pare  altezza  della  bianca  cima  >    peroc- 
ché di  poco  tempo  avanti  vi  erano  dal  pie- 
tofo  Ergarto  itati  piantati  .  Per  compaiììo- 
ne  del  quale  -.  molti  paftori  ancora  aveva- 
no il  luogo  circondato  di  alte  fiepi  »   noni 
di  pruni  ,  o  di  rubi  ,    m»  di  ginepri  j  di 
rofe»  e  di  gelfomini  ,  e  formatovi  con  le 
zappe    un  leggio  paftorale  ;   e  di    padb  in 
palTo   alquante    torri  di    rofmarino  ,   e  di 
mirti,  incedute  con  mirabiliflimo  artificio. 
Incontro  alle  quali  con  gonfiate  vele  veni- 
va una  nave  ,  fatta  follmente  di  vimini  « 
e  di  fronde  di  viva  ederi  ,  sì  naturalmen- 
te, che  avrefli  detto:   Qj^ejìa  folca  il  tran" 
quillo  mare  ;    per  le  farte   della  quale  ora 
nel  timone  ,    ed  ora  nell'  alta  gabbia  an- 
davano cantanti  uccelli  ,    vagandofi  in  fi- 
militudine  di  efpertie  deflrifljmi  navigan- 
ti .  Così  ancora  per  mezzo  degli  alberi  > 
e  delle  fiepi  li  vedevano  fiere  bellillime  , 
e  fnelle,  allegramente  faltare  e  fcherzire 
con  varj  giuochi  ,  bagnandofi  per  le  fred- 
de acque;  credo  forfè  per  dare  diletto  alle 
piacevoli  Ninfe  guardiane  del  luogo,  edel- 
ie  fepolte  ceneri.  A  quefte  bellezze  fé  ne 
^eva  una  noi  meno  da  commendare; 
ilfivoglia  delle  altre  ;  concioflìacofa-. 
E    4  che 


ICA  ARCADIA 

c^è  tutta  la  terra  fi  potea  vedere  coverta 
éi  fiori ,  anzi  di  terrene  /Ielle  ,  e  di  tanti 
colori  dipinta  >  quanti  nella  pompofa  coda 
del  fuperbo  pavone,  o  nel  celeftiale  arco) 
*juando  a*  mortali  dinunzia  pioggia  5  Tene 
vedono  variare  .  (Juivi  gigU  ,  quivi  ligu- 
ftri ,  quivi  viole  tinte  di  anr^orofa  pallidez- 
za ,  ed  in  gran  copia  i  fonnacchiofi  papa- 
veri con  le  inchinate  tefte  >  e  le  rubicon- 
de fpighe  dell*  immortale  amaranto,  gra- 
2Ìorinìme  corone  neii'  orrido  verno.  Final- 
rcenie  quanti  finciu'li  )  e  magnanimi  Re 
furono  nel  primo  tempo  pianti  dagli  anti- 
chi padori ,  tutti  fi  vedevano  quivi  trasfor- 
mati fiorire,  ferrando  ancora  gli  avuti  no- 
mi i  Adone,  Iacinto,  Ajace,,  e  'i  giovane 
Croco,  con  V  amata  donzella:  e  fra  que- 
fìi  il  vano  Narcifo  fi  poteva  ancora-com- 
prendere  che  contemplale  fopra  quelle  ac- 
fjue  la  dannofa  bellezza  che  di  farlo  par- 
tire dai  vivi  gli  fu  cagione.  Le  quali  co- 
fe  poi  che  di  una  in  una  avemmo  fra  noi 
maravigliofamente  commendate  ;  e  letto 
rella  bella  fepoltura  il  degno  Epitafio  >  e 
fovra  quella  offerte  di  molte  corone  ,  ne 
ponemmo  infieme  con  Ergafto  in  letti  di 
filti  lentifchi  djftefi  a  giacere  ;  ove  mol- 
ti olmi,  molte  querele  ,  e  molti  allori  (i- 
bilando  con  le  tremule  frondi  ,  ne  fi  mo- 
veano  per  fovra  al  capo;  ai  quali  aggiun- 
gendofi  ancora  il  mormorare  delle  roche 
onde  (  le  quali  fuggendo  velocifllme  per  le 
verdi  erbe,  andavano  a  cercare  il  piano) 
rendevano  infieme  piacevoli  (Ti  m.o  fuono  ad 
udire  .  E  per  gli  ombrofi  rami  le  argute 
cicale  cantando  fi  affaticavano  fotto  al  gran 
caldo;  la  mefta  Filomena  da  lunge  tra  fol- 
ti fpi- 


DEL  SANAZZARO.  loj 
ti  fplneti  lì  lamentava  ;  cantavano  le  me- 
role  ,  le  upupe  ,  e  Je  calandre  ;  piangeva 
la  folltaria  tortora  per  le  alte  ripe  :  le  folli- 
cite  api  con  foave  fufurro  volavano  intor- 
no ai  fonti:  ogni  cola  redoliva  della  ferti- 
le eftate  :  redolivano  i  pomi  per  terra  fpar- 
fi;  de' quali  tutto  il  fuolo  dinanzi  a*  piedi» 
e  per  ogni  Idto  ne  vedevamo  in  abbondan- 
za coverto  :  fovra  ai  quali  i  bafli  alberi  coi 
gravofi  rami  (lavano  si  inchinati,  chequafi 
vinti  dal  maturo  pefo,  parea  che  fpezzare 
il  voleflero.  Onde  Selvaggio  (  a  cui  fovra 
la  importa  materia  il  cantare  toccava)  fa- 
cendo con  gli  occhi  fegnale  aFronimoche 
gli  rilpondelTe  ,  ruppe  finalmente  il  filenzio 
in  quille  voci . 

EGLOGA    DECIMA. 

Selvaggio,  e  Fronimo. 

Sel'Ì^JO/tfonyFronfmo  mio^Jel  tutto  mutole  j 
JL^    Com''uom  crede  Je  [elve\an\ì  ridonano 
Tal ,  che  quafi  aW  antiche  egual  reputole  . 
Vx, Selvaggio  ,   oggi  i  paftor  più  non  ragionano 
Dell  alme  Mufe^e  pia  non  pregian  naccari^^ 
Vtrchè  per  ben  cantar  non  fi  coronano . 
E  sì  del  fango  ognun  /'  a[conJe  i  laccar i  j 
Che  tal  piò  pute  ,  eh"*  ehuli  ,  ed  abrotano  3 
r  par  chi  odore  pia  (he  ambrofia^e  baccari  , 
Ond^  io  temo  ,  gli  Dì  i  non  fi  fife  etano     lO 
Dal fonno^e  con  vendetta  ai  biconi  inj^gnino^ 
Sic(omei  falli  de"*  mtlvagj  notano, 
JE   s"*  una  vJta  avven  che  fi  difdtgnino  y 
Nonfia  mai  poi  balen  y  né  tempo  pluvio  y 
Che  di  tornar  al  ben  pur  non  s^ingegnino.  i  y 
$^\,Amico  ,  io  fui  tra  Baje  ,  e  ''l granVefuvio  y 
E    5  N*/ 


ic6  ARCADIA 

Nel  liitd  pi^no  ove  cai  mar  congìunge^i 
Il  bri  Stheto  accolto   in  picei ol  fiuvio. 

Amor  ,  cb^  mai  dal  co*-  m  io  non  dìfgiunge^  , 
Mi  fé  cercare  un  tern;,o  ftrane  pumora  ,      2o 
Ove  l  alma  yen^ando  anco' compungefi  , 

E  /'  io  P^jfai  per  pruni  ,   oriti  be  ,  e  dumo* a  , 
he  g  mbe  U  fanno  \  e  fé   timor  mi  pufe^-o 
Crudi  orfi  ,  dure  genti  ,  afpre  cojiumo'a  . 

Al  fin  le  dubb'-  forti  mi   rìfpufero  :  25 

Cerca  l'i  ha  Citrade  ove  i  C  Icidici 
Sopr4  il  vecchio  fepo'crofi  coi'u'ero» 

jQueflo  non  intes''  lo  »  ma  quei  fa'idtci 
Pajìor  md  fer  poi  ihìaro  y  •  tHel  mofìra'ond 
Tal^  cPto  gli  vidi  nel  mìo  ben  verìdici  .    3O 

Indi  incartt/:r  li  luna   m*  ìnf  gnarono  , 
E  (ih  che  tn  arte  maga  al  tempo  nobile- 
Alplìbto  ^  e   Mtri  fi  vantarono. 

JSJi   na^ce  erbetta   ri  filtejìra  ,  ignobile  ^ 
Che  '/»  ,iuelU  dotti  f?lv€  non  Conofcafi  ,      ^5 
"E  quile  (Iella  è  f.ff't  ,  e  quaPè  mobile  . 

.^uivi  la  fera  ,  poi  ibe  "l  c-el  rìnfofcaft  , 
Certa  Parte    Febea   dn  la    Palladia  ^ 
Che  mn  e  h"*  altri  ,  ma  fauno  a  udir  rìm^ 
bop  a  fi  , 

Ma  a  guifj  d*  un  bel  fol  fra  tutti  radia  40 
Caraciiol  ,  che  *n  fonar  jampcgne-^  0 celere 
Non  tr^verebb^'  il  pari  in  tutta  Arcadia^ 

Sojlui  non  imparò  potare  ,  0  mietere  , 
^    Ma  Curar  greggi  dalla  infetta  fibbia ^ 
E  paffìon  fanar  maligne  )  e  ve  ter  e  .       ^^ 

Jl  qual  un  dì  per  iifcgar  la   rabbia^ 
Così  prefe  a  cantar  fotta  un  bdl f^'ajjino^ 
lo  fife  elle  temendo  )  egli  una  gabb  'a  . 

"Provveda  il  Cìel^  (he  qui  v?r  noi  non  ^^■'3 (fino 
Malvagie  lingue  ,  e  le  benigne  fa^ora   50* 
Fra  quefii  armanti  refpirar  mi  lajfino 

Itttte  j  vacfarelU ,  in  quelle  prativa  j 


DEL   SANAZZARO.    107 
Acci  oc  e  bè  quando  i  h  efebi  y  e  i  monti  ìm* 

bruttano  y 
a 3 [cuna  a  cafr  ne  ritorne  fatarci  , 

Quinti  greggi  ed  armenti  oimì  digiunano ^   5 5 
Per  non  trovar  pajìura  ,*  e  delle  pompane 
Si  van  fitédrendo  che  per  terra  adunano  .' 

L,affo  ,  (h"*  appena  di  milPuna  campane  ; 
E  cia\\un  vive  in  tante  e  lire  ma  inopia  , 
Cbe''l  cor  per  doglia  fofpirindo  avvcipane.69 

Ringra^ttf  dunque  il  del  qualunque  ha  copia 
W*  alcun  fui  bene  in  quefia  vii miferia  ; 
Che  ciafcun  caccia  dalla  tnandra  propia  . 

I  bifolchi  y   e   i  p  a  fi  or  lafcian"^  Efperta  y 
Le  felve  afare  ^   e  le  fontane  amabili  \      65 
C  he ''l  duro  tempo  glie  ne  dh  materia^ 

Erran  per  alpe  inco'te  ^  inabitabili  , 
Per  non  veder  oppreffo  il  lor  peculio  ' 
Da  ginti  ftrane  ^  inique  y  ineforabili  , 

Le  qua*  per  povertà  d^  cgni  altro  edulio  y  70 
Ncn giA  per  aurea  età  ^ghiande pafc evano 
Per  le  lor  grotte  dalPÀgoUo  al  Giulio, 

yivon  di  preda  qui  ,  come  foie v. ino 

Far  quei  primi pafìor  nei  becchi  Etrttrii  : 
Deh  (h"*  or    mn   mi  fovvien    qua/  nome 
avevano  I  75 

So  len  che  /'  un  da  piò  felici  augurii 
Fu  vinto  ,  e  morto  ,  or  mi  ricorda  ,  Remo^ 
In  fu  /'  edificar  de*  lor  tuguri*  , 

l,ajfo  ^  che'*n  un  memento  io  fudo  ye  tremOy 
E   veramente  tsmo  d^  altro  male  \  80 

Che  fi  de"*  aver  del  fah  in  queflo  fiato  ; 
PerehèU  commdailfatOy  e  la  fortuna. 
No»   Vedete  U   luna   inccHjf'ita? 
La  fera  ftella  armata  d*   Orione} 
Mutata  è  laflagione  ,  e  V  tempo  è  duro  :   8  j 
E  gì  A  r*  attujfa  Arturo  in  me\\o  laonde  , 
E  ^Ifùl^eh^a  mi  s^afcondcyba  i  raggj  fpenti\ 
E     6  E  va» 


io8  A  R  C  A  D  I  A 

E  va»  per  /'  aria  i  vinti  wo^tntranJb  \ 
J^i  fo  pur  cerne  ^  o  quando  tome  efiate  , 
E   le  nubi  [peliate  fan  g'^an  fuotti  ,  90 

Tanti  baleni  e  tuoni  han  /*  aria  involta , 
Qh"^  totemoun^ahra  volta  ,  //  mondo  pera  • 
0  dolce  primavera  ^   0  fior  novelli  , 
O  aure  )  0  arbofcelli  ,  0  frtfche  erbette  , 
O  piagge  benedette  ^  0  colli  ,  0  monti  ,     95 
0  valli  ,  0  fiumi ,   0  fonti  ,  0  verdi  rive  , 
"Palme  ,  lauri  ,  ed  olive  ,  edere  ,  e  mirti  ; 
O  glori ofi  flirti  degli  bofcli  , 
O  Ecco  ,  0  antri  fofchi  ,  0  chiare  Unfe  ^ 
O  faretrate  Ninfe  ,  0  agrefli    Pam  ,      i  OO 
0  Satiri  ,  e  Silvani  -^  0  Fauni  ,  e  Driadi  y 
Jslajadi  ,  ed  Amadrìadi ,  0  Semidee  , 
0  rea  di  ,  e  Kapee  ,  or  /;^rr  fole  . 
Secche  fon  le  viole  in  ogni  piaggia  : 
Ogni  fiera  felvaggia  ,  (7^«i  uccelletto  105 

Ci"^  vi  f^ombrava  il  petto  ,  or  z»/  f />«  fw^//^  . 
J"  V  mifero  Sileno  vecch>arello 
"Hon  treva  V  afindlo  ov*  ei  cavalca  . 
Dafni  ,  M<?p/c> ,  tf  Menale  a  ,  o'imè  fon  morti  , 
Priapo  è  fuor  degli  orti  fenia  falce  ,        HO 
Ne  gi'ieproj  ne  falce  è  che  V  ricopra  . 
Vertunn$  non  /'  adopra  in  trasformarfe  . 
Pomona  ha  rotte  ,  ^  /p<«f/<r  /s?  /»?  piante  i 
2iè  vuol  che  le  man  fante  petin  legni  . 
J   tu  ,    Ptf/^  ,  //  (degni  per  P  oltraggio  ,115 
Che  di  Aprii ,  «^  di    Maggio  hai  facrifìcio  : 
Ma  i"'  un  commette  il  vi^io  ,  e  tu  noi  reggi  > 
Che  coìpa  n"*  hanno  *  greggi  de^  vicini} 
Che  fatto  gli  alti  piai  ,  e  i  dritti  abeti 
Si  fiavan  manfueti  a  prenda  r  fé  fi  a  i2© 

Per  la  verde  forerà  ,  a  fuon  d^  avena  \ 
Quaido  pe*  nofira  pena  il  cieco  errore 
intrh  nel  fiero  core  al  neghittofo, 
E  gìÀ  Pan  furìofo  c^n  la  fanna 

SpeZ- 


DELSANAZZAR.O,     lo^ 

Spexi^  /'  amata  cann-j'^and'^or  piangendo   115 
Se  fifjjo  riprtndendo   ,   Amor  Iv finga  , 
Chi  della  fua   Siringa  fi  ricorda  . 
Le  faette  ,  la  corda  ,  /'  arco  ,  e  '/  dardo  , 
C/»'  f^»»»  animai  fea  lardo  ^  ornai  Diana 
Di  (pregia  ,  tf  la  fontana  ove  il  p'otervo    i  30 
Atteon  divenne  cervo  \   e  per  campagne 
Lajfa   le  f(4e  compagne  fen^a  guida  ; 
Cotanto  fi  diffida  om.ii  del  mondo  ^ 
C he  vede  ognor   al  fondo  gir  le  felle  , 
Marfia  fn^a  pelle  ha  guafio  il  hùjfo  ^      I^y 
Per  cui  laca*ne^  e  T  ojfo  o"  porta    ignuda. 
Minerva  il  fero  feudo  i  'ata   vibra  , 
Apollo  inTauro  ^  0  in  Libra  non  alberga  y 
M<f  con  /*  tifata  verga  al  fiume  Anfrifo 
Si  fla  dolente  ajffo  in  una  pietra  j  14O 

E    tien  la  fua  faretra  [otto  ai  piedi  : 
Ab*  Giove  ,  e  tu  tei  vedi  ?  t  non  ha  lira 
Da  p' anger  ^  ma  fofpira  y  e  brama  il  giorno 
Che  V  m)ndo  intorno  intorno  (i  disfaccia  , 
E  prenda  un*  altra  faccia  pia  Itggiadra  .    145 
Bacco  con  la  fua  fquadra  fen^a  tir  fi 
Vede  incontro  venir  fi  il  fiero  Marte 
Armato  ,  è  '«  ogni  parte  farji  ftradi 
Con  la  cruenta  fpada  :  ahi  vita  trifia  l 
Non  è  (hi  gli  refifia  :  ahi  fato  acerbo  \      130 
Abi  del  crudo  ,  efupe^bol  ecco  che  ^Imare 
Si  comincia  a   turbare  ,  e   ^ntorno  ai  liti 
Stan  tutti  sbigottiti  i  DH  delP  acquea 
Perchè  a   Nettuno  piacque  efilio  darli  ^ 
E  col  tridente  urtarli  in  fu  la  guancia  ,     I55 
La  donna  ,  9  la  bilancia  è  gita  al  cielo  . 
Gran  cofe  in  picciol  velo  oggi  riftringo  : 
lo  neW*  aria  dipingo  ^  e  tal  fi  fende , 
Che  fo'fe  non  intende  il  mio  dir  fofco\ 
Dcrmafi  fuor  del  bofco  :   or  quando  mai   160 
AV  penfar  tanti  guai  beftcmmit  antiche  ? 

Gli 


rro  ARCADIA 

GU  uccelli  j  e  le  formiche  fi  ricolg9ns 
De"*  mfiri  campi  il  dt fiato  triticoj 
Cefi  gli   Dii  la  lihétà  ne  tolgono  . 

Tal  che  affai  meglio  nel  paefe   Scitico      16$ 
Vivon  color  [otto  Boote  ,  ed  Elice  ; 
Hencbè  con  cibi  alpefiri  )  e  v'nforhitico  . 

Già  mi  rimembra  ,  che  da  cima  un"*  elice 
La  finifi 'a  cornice  ^  oims  ,  predi ffeU\ 
Che^l  petto  mi  (i  fé  qujji  una  [elice .   1 70 

JL^lffo  i  che  la   temen\a  al  mio  cor  fiffelo  ^ 
Pensando  al  mal  che  avvenne ,  e  none  dubbi» 
Che  la  Sibilla  nelle  foglie  fcrijfelo  . 

Un^crfa  ,  un  tigre  ban  fatto  il  fie^  connubbio'. 
Deb  perchè  non  trocate^o  V arche  rigìde^x'j^ 
Mia  tela  breve  ci  dì fpi etato  (ubbia  ? 

P  a  lì  or  ,  la  noce  ,  che  con  l*  ombre  frigide 
Noce  alle  biade ^or  ch'^è  ben  tempoy  truncbef^ 
Pria  i  he  per  anni  il  [angue  fi  rinfrigide  . 

2ion  a[pettate  che  la  terra  ingiunchefi  180 
Di  male  piante  ,  e  non  tardate  a  [veliere^ 
Fin  che  ogii  ferro  poi  per  for:^a  aduncbefi^ 

Tagliata  tojìo  le  radice  alV  tUert  ; 

Cbe[e  cai  tempo  ^  ecolpoder  s"* aggravano  , 
Non  l,][cit  ranno  i  pini  in  alto  eccellere,  1 85 

Così  cantava  ^  e  i  bo[chi'^f intonavano 

Con  n  t?^  quai  non [0  i''un  tempo  in  Menai o^ 
In  Parnafo  ,   0  in  Eurota  j'  a[ccltavano  . 

JE  ,  [e  ncn  fo([e  che  ^Ifuo  gregge  ajfrenalo  , 
E  tienlo  a  fof^a   neiP  ingrata  patria  ^   19O 
Che  a  mofte  defìar  fpelfo  rimenalo  ^ 

Verrebbe  a  noi  ^  lafciando  r  idolatria  .^ 
E  gli  ombrati  coturni  al  gaaiìo  [/colo  , 
Fuor  già  d^  ogni  natia   cariti)  patria.. 

.Ed  è  [ol  di  virtà  si  chiaro  fpecolo  y       195 
Che  adorna  il  mondo  col [uo  dritto  vivere'^ 
Degno  affai  pia  ch'aio  col  mio  dir  non  recohj, 
.Mcata  terra  che  V  produjfe  a  fcrivere  , 

E  i 


DEL   S  AN  AZZARO.    itr 

f  /  ^of'(  hi  ai  quai  fi  fP'JJ'-  è  dato  intendere 
Rime  y  a  (hi  ^l del  non  potè  iljìn preferi, 
vere  \  'ICO 

Ma  P  empie  (ielle  ne  vorrei  riprender»  , 
AV  Ciro  te gtA  fé  Ci'-  pai-l'jr  mio  crucctoh'^ 
S)  r  iìtof^r  dal  liei  la  notle  pendere  ^ 

Che  fperafiJo  adir  più  ,  viili  le  lucciole  « 

ARGOMENTO- 

Spende  alcune  por  oh  in  hdnr  M  apolì  ftia  pa» 
''fa  -^  e  p  i    ,    a   rm^ta^i  n  di   Virgilio  nel 
nto  deli    Eneida  ,  fa  ihe  Er<!iufi.j  propo- 
ne premj  a   chi  in  on  r  dt     MiiJUa  ripor^ 
Sera   vittoria  de"*  giuc.  hi  cb"*  ejji  fanno  ^ 

PROSA     UNDECIMA. 

SE  le  lunghe  rime  di  Fronimo ,  ediSel- 
vng.'.io  porfero  univerlalnaente  diletto  a 
ci.ilcuno  della  nortrj  brigata ,  non  è  da  di- 
mandare .   A   me  Veramente,  oltra  al  pia- 
cere   gr.indiirimj  ,    co.nmo'fero    per    for- 
za le   lacrima  >  vedendo  sì  bea  ragionare 
dell'  ameniflìmo  (ito  òA    mio  paefe  ,  Che 
già  mentre  quelli   ve» fi  durarono  ,  mi  pa- 
rca fermamente'  effere  nelbelloe  lieto  pia- 
no che  colui  dicea  ;  e  vedere  il  placidif- 
fimo  S-rbeto  ,  anzi  il  mio  Napolitano  Te- 
vere ,    in  diverfi    canali  difcorrere  per  la 
erbofa  camiagnai  e  poi  tutto  inlieme  rac- 
colto pjflare  foavemeate  fotto  le  volte  d* 
un  picciolo  ponticello,  e  fenzi  ftreplto  al- 
cuno congiungerG  c>  1  mire.  Né  mi  fu  pic- 
ciola  cj^ionc  di    f  cofi  folpiri  lo  intender 
nominare  Baj'e  ,   e  Vefuvio  ;    ricordando^ 
jni  de'  dilecci  preti  in  cotali  luoghi  ;   coi 

quali 


ìli  ARCADIA 

quìli  ancora  mi  tornaro  alla  memoria  f  f^oa- 
viflìmi  bagni,  i  maravigliofi  e  grandi  edi- 
ficj ,  i  piacevoli  laghi,  ie  dilettofc  e  bel- 
le jtolette ,  i  fulfurei  monti,  e  conia  ca- 
vata grotta,  la  felice coiliera  diPaufilipo, 
abitata  di  ville  ameniflime ,  e  Coavemente 
percofla  dalle  falate  onde:  ed  apprelTo»  a 
quefto  ,  il  fruttifero  monte  fovrarofto  alla 
città,  ed  a  ms  non  poco  graziofo ,  per  me- 
moria degli  cdoriferi  rofeti  della  bella  An« 
tiniana,  celebratiflima  Ninfa  del  mio  gran 
Fontano.  A  quefta  cogitazione  ancora  fi  ag- 
giunfe  il  ricordarmi  delle  magnificeozie 
della  mia  nobile  ,  e  genercfiflima  patria; 
la  quale  di  tefori  abbondevole,  e  di  ricco» 
ed  onorato  popolo  copiofa  ,  oltra  al  gran- 
de circuito  delle  belle  mura,  contiene  in 
fé  il  mirabiliflTimo  porto  ,  univerfale  alber- 
go di  tutto  il  mondo  ^  e  con  quefto  le  al- 
te torri  ,  i  ricchi  templi  ,  i  fuperbi  pa- 
lazzi ,i  grandi,  ed  onorati  feggj  de' noftri 
p.itrizj,  e  le  ftrade  piene  di  donne  bellif- 
fime  ,  e  di  leggiadri  ,  e  riguardevoli  gio- 
vani.  Che  dirò  io  de' giuochi,  delle  felle» 
del  fovente  armeggiare,  di  tante  arti,  di 
tanti  ftudj  ,  di  tanti  laudevoli  efercizj  ^ 
che  veramente  non  che  una  città,  miqual- 
fivoglia  provincia  ,  qualfivoglia  opulentif- 
fimo  regno  ne  farebbe  affai  convenevol- 
mente adornato;  e  fopra  tutto  mi  piacque 
udirla  commendare  de*  ftudj  della  eloquen- 
za j  e  della  divina  altezza  della  poefia  ;  e 
tra  le  altre  cofe  ,  delle  merite  lode  del 
mio  virruofiflìmo  Caracciolo,  non  picciola 
gloria  delle  volgari  Mufe;  la  canzone  del 
quale  e  fé  per  lo  coverto  parlare  fu  poco 
da  noi  intefa  j   non  rimafe  però  che  con 

at- 


DEL  SAN  AZZA  RO.   ny 
attenzione  grandilììma  non  folVe  da  ciafcu» 
no  afcoltata,  altro  che  (e  forfè  da  Ergaftd  : 
il  quale  mentre  quel  cantare  durò,  in  una 
fina  ,    e    lunga  cogitazione  vidi  profonda- 
mente occupato>  con  gli  occhi  fempre  fer- 
mati in  quel  fepolcro  fenza  moverli  pun- 
to ,  né  battere  palpebra  mai  ,  a  modo  di 
pcrfona  alienata  :  ed  alle  volte  mandando 
fuori  alcune  rare  lacrime  >   e  con  le  lab- 
bra non  fo  che  fra  fé  (leffo  tacitamente  fum- 
morm  arando  .  Ma  finito  il  cantare  >  e  da 
diverfi  in  diverfi  modi  interpretato  ,  per- 
chè la  notte  fi  appreilava  ,  e  le  ftelle  comin- 
ciavano  ad    apparere    nel  cielo  >    Ergafto 
quifi  da  lungo  fonno  fvegliato  ,    fi  drizzò 
in  piedi,  e  con  pietofoafpetto  ver  noi  vol- 
gcndofi  dilTe  :  Cari  paftori  (  ficcome  io  fti- 
mo  )  non  fenza  volontà  degli  Dii   la  for- 
tuna a  quefto  tempo  ne  ha  qui  guidati  ;  con- 
cioflìacofachè  'i  giorno  il  quale  per  me  fa- 
rà fcmpre  acerbo,  e  femprecon  debite  la- 
crime onorato,  è  finalmente  a  noi  con  op- 
portuno pafìTo  venuto  :  e  compiefi  dimane 
Io  infelice  anno  che  con  vodro  comune  lut- 
to ,  e  dolore  univerfale  di  tutte  le  circon- 
danti felve  ,    le  oda  della  voftra    Maflilia 
furono  confecrate  alla  terra  .  Per  la  qual 
cofa  sì  torto  come  il  fole  ,    fornita  queQa 
notte  ,   averà  con    la  fua  luce  cacciate  le 
tenebre,  e  gli  animali  ufciranno  a  pafce- 
j*c  per  le  fclve,   voi  fimilmente  convocan- 
do gli  altri  paftori  ,  verrete  qui  a  celebrar 
meco   i  c^ebiti  offic)  5  ei  folenni  giuochi  in 
memoria  di  lei  ,  fecondo  Ja  noftra  ufanza  • 
Oveciafcuno  della  fua  vittoria  averà  da  me 
quel   dono  che   dalle    mie   fjcultà  fi  puote 
efp:ttarc  .    E  così  detto  >  volendo  Opico 

eoa 


114  ARCADIA 

con  lui  rimanere  j  perchè  vecchio  era  non, 
gli  fu  permeffo  :    ma  datigli  alquanti  gio- 
vani in  Tua  conr^agnia  ,  la  maggior  parte 
^ì  noi    quella  notte  fi  reftò  con  Ergafto  a 
vegghiare  ;  per  la  qual  cofa  efìTendo  per  tut- 
to ofcuratOj  accendtjmmo  di  mjlce  fiacco- 
le incorno  alla  fepoltura  ,  e  fovra  la  cima 
di  quella  ne  ponemmo  una  grandiifimn  ;  la 
quale  forfè  da  lunge  a*  riguardanti  fi  dimo- 
fJrava   quafi   una    chiara  luna  in  mezzo  di 
molte  ftelle  .    Così  tutta  quella  notte  tra- 
fochi  feoza  dormire,  con  foivi,  e  lamen- 
tevoli fuoni  fi  pa^ò  :  nella  quale  gli  uccel- 
li ancora  quifi    ftudiofi    di  fuperarne  ,    fi 
sforzavano  per  tutti^  ^li  alberi  di  quel  luo- 
go a  cantare  ;  e  i  filveftri  animali  depoiia 
la  folita  paura  (  come  fé  dimefticati  fofTe- 
ro)  incorno  alla  tomba  giacendo,  par^ache 
con  piacere  maravigiiofo  ne   afcoltafìTero . 
E  già  in  qu-fio  Ja  vermiglia  Aurora  a'zan- 
dofi   fovra  la  terra  ,  fi^^nificava  a*  mortali 
la  venuta  del   fole  i    quando    di  lontano  a 
fuon  di  fampogna  fentimmo  la  brigata  ve- 
nire, e  dopo  alquanto  fpizio  rifchiarandofi, 
tuttavia  il  cielo  ,  gli  cominciammo  a  fco- 
prire  nel  piano  ;    li  quali  tutti  in  fchiera 
venendo  vediti  ,  e  coverti  di  frondi  ,  con 
rami  lunghifìimi  in  mano,  parevaJio da  lun- 
gi a  vedere  non  uomini  che  veniffero ,  mi 
una  verde  felva  ,  che -tutta  infieme  con  gli 
alberi  fi  movefl'e  ver  noi.  Alla  finegiunti 
fovra  al  colle  ove  noi  dimoravamo,  Erga- 
lo ponendofi  in  tefta  una  corona  di  bian- 
cheggianti ulivi,  adorò  prima  il  forgente 
Sole:  dopo  alla  bella  fepoltura  voltatofi  con 
pietofa  voce  (  afcoltando  ciafcuno  )  cosi  dif- 
Je  1  Materne  ceneri  ^  e  voi  caftiUìnie  ,   e 

leve- 


DEL  SAN  AZZ  A  R.O.  115 
wverende  ofìa ,  fé  la  inimica  fortunali  pò-' 
teie  mi  ha  toito  di  farvi  qui  un  fepolcro 
eguale  a  quelli  m>nti,  e  circondarlo  tutto 
di  ombrofc  felve,  con  cento  altari  d'  in- 
torno >  e  fovra  a  quelli  ci:jfcun  mattino 
cento  vittime  offrirvi  ;  non  mi  putra  ella 
togliere,  che  con  (incera  volontà  ,  ed  in- 
violabile amore  qu  ili  pochi  fìcr  ficj  non 
vi  renda  ,  e  con  la  memoria  >  e  con  le  opre  « 
quanto  le  forze  fiftendono,  non  vi  onori: 
e  cosi  dicendo,  fé  le  far.te  (-blazioni  ,  ba- 
ciando religiofam-.nte  la  fepoltura  .  Intorno 
alla  quale  i  paftori  ancora  collocarcno  i 
grandi  rami  che  in  mano  teneano  :  e  chia- 
mando tutti  ad  alca  voce  la  divina  anima , 
ferono  rimilmenlei  loro  doni:  chi  unoagnel- 
ilo ,  chi  uno  favo  di  mele  >  chi  latte  ,  chi 
vino,  e  m.olti  vi  offerfero incenfo con  mir- 
ra ,  ed  altre  erbe  odorifere.  Allora  Erga- 
f^o ,  fornito  que(ìo  ,  propofe  i  premj  a  co- 
loro che  correre  voleflero,  e  facendofi  ve- 
nire un  bello,  e  grande  ariete,  le  culla- 
ne eran  bianchillime  ,  e  lunghe  tanto  die 
cju.ifi  1  piedi  gli  toccavano  ,  difTe  ;  Queflo 
farà  di  colui  a  cui  nel  correre  la  fua  ve- 
locita, e  la  fortuna  concederanno  il  primo 
onore.  Al  fecondo  é  apparecchiata  una  no- 
va >  e  bella  fifcina  »  convenevole  Inftru- 
mento  al  fordido  Btcco  .  £  M  terzo  rimar- 
rà contento  di  quello  dardo  di  ginepro  >  il 
quale  ornato  di  sì  bel  ferro  ,  potrà  e  per 
dardo  fervire ,  e  per  paftorale  baftone  -  A 
quelle  parole  fi  ferono  avanti  Ofelia  ,  e  Ci- 
rino giovani  leggcrilTìml ,  ed  ufati  di  giun- 
gere i  cervi  per  le  felve  :  e  dopo  quello  > 
Logillo,  eGalizioj  e '1  figliuolo  di  Opico  , 
chiamato  Partenopeo)  con  EIpino>  e  Ser- 
ra- 


t(6  A  R  C  A  D  r  A^ 

T^no,  ed  altri  lor  compagni  più  giovani  , 
e  di  minore  e^Hma:  e  ciafcuno  poftofi  al  do- 
vuto ordine,  non  fu  sì  tofto  datoilfegno, 
che  ad  un  tempo  tutti  cominciarono  a  fen- 
dere i  pali)  per  la  verde  campagna  con  tan-. 
to  impeto  ,  che  veramente  faecte  >  o  fol- 
gori avrefti  detto  che  ftati  fodero  :  e  te- 
nendo fempre  gli  occhi  fermi  ove  arrivare 
intendeano  ,  fi  sforzava  ciafcuno  di  avan- 
zare i  compagni .  Ma  Carino  con  miravi- 
gliofa  leggerezza  era  già  avanti  a  tutti  :  ap- 
prefl'o  al  quale  (  ma  di  buona  pezza  )  fe- 
guiva  Logifto,  e  dopo  Ofelia:  alle  cui  fpal- 
Je  era  si  vicino  Galizio»  che  quafi  col  fia- 
to il  collo  gli  riscaldava  >  e  i  piedi  in 
quelle  medefime  pedate  poneva  :  e,  fé  pili 
lungo  fpazio  a  correre  avuto  avellerò  ,  lo 
fi  arebbe  fenza  dubbio  lafciatodopolefpal- 
le  :  e  già  vincitore  Carino  poco  avea  a  cor- 
rere ,  che  la  difegnata  meta  toccata  avreb- 
be ,  quando  (  non  fo  come  )  gli  venne  fal- 
lito un  piede  ;  o  fterpo  ,  o  pietrai  o  altro 
che  fé  ne  fofl'e  cagione  ;  e  fenza  potere 
punto  aitarfij  cadde  fubitamente  col  petto, 
e  col  volto  interra:  il  quale,  o  per  invi- 
dia, non  volendo  che  Logirto  la  palmi  gua- 
dagnafìe  >  o  che  da  vero  levar  fi  volefl'e  : 
non  fo  in  che  modo,  nell*  alzarfi  gli  op- 
p:>fe  davanti  una  gamba  ,  e  con  la  furia 
msdefima  che  colui  portava  ,  il  fé  pari- 
mente a  fé  v^icino  cadere  .  Caduto  Logi- 
ùo  ,  cominciò  Ofelia  con  maggiore  ftudio 
a  sforzare  i  paflì  per  lo  libero  campo  ve- 
dendofi  già  efiTere  primo:  a  cui  il  gridare 
de'  paftorij  e']  plaufo  grandifìfìmo  aggiun- 
gevano animo  alla  vittoria  ;  tal  che  arri- 
vando finalmente  al  desinato  luogo,  otten- 
ne 


DEL  SANAZZARO.  1T7 
ne  (  ficcomc  dcfiderava)  h  prima  palmt; 
e  Galizio  che  più  che  gli  altri  apprelTo 
gli  era,  ebbe  il  fecondo  pregio;  e  '1  terzo 
Partenopeo.  Qui  con  gridi  ,  e  romori  co- 
minciò Logico  a  lamentarfi  della  frode  di 
Carino  )  il  quale  opponendogli  il  piede  5 
gli  avea  tolto  il  primo  onore  5  e  con  in- 
fanzia grandiflìma  il  dimandava.  Ofelia  iti 
contrario  diceva  edere  fuo  ,  e  con  ambe 
le  mani  fi  renca  per  le  corna  il  guadagna- 
to ariete.  Le  volontà  de'  partorì  in  diver- 
fe  parti  inclinavano  :  quando  Partenopeo 
figliuolo  di  Opico  forridendo  difTe:  E  fé  a 
Logido  date  il  primo  dono ,  a  me  che  fo- 
no ora  il  terzo,  quale  darete?  a  cui  Erga- 
lo con  lieto  volto  rifpofe  :  Piaccvoliflìmi 
giovani,  i  premj  che  già  avuti  avete,  vo- 
liri  faranno  ;  a  me  fia  licito  aver  pietà  del- 
r amico;  e  così  dicendo  ,  donò  a  Logifto 
una  bella  pecora  con  duo  agnelli.  II  che 
vedendo  Carino,  ad  Ergafto  voltofi ,  difle  : 
Se  tanta  pietà  hai  degli  amici  caduti  ,  chi 
più  dì  me  merita  eifer  premiato  ?  che  fen- 
za  dubbio  farei  ftato  il  primo  ,  fé  la  me- 
defima  forte  che  nocque  a  Logifto  ,  non 
foITe  a  me  ftata  contraria  :  e  dicendo  que- 
lle parole,  moftrava  il  petto  ?  la  faccia,  e 
la  bocca  tutta  piena  di  polvere  ;  per  mo- 
do che  movendo  rifo  a'  partorì,  Ergaftofe 
venire  un  bel  cane  bianco  ,  e  tenendolo 
per  le  orecchie  ,  dille:  Prendi  quefto  cane  f 
il  cui  nome  è  Afttrhn  ,  nato  d*  un  mede- 
fimo  padre  con  quel  mio  antico  Petulco, 
il  quale  fovra  tutti  i  cani  fedeliflìmo  ,  ed 
amorevole  j  meritò  per  la  fua  immatura 
morte  crtere  da  me  pianto,  e  femprecon 
(bfpiro  ardentiflìmo  nomioato.  Acquetati» 


.1,8  ARCADIA 

•  era  il  remore,  e '1  dire  de'  nadorl ,  quan- 
do Ergafto  cacciò  fuori  uà  bel  palo  'gran- 
de, e  lu  g'S  e  ponderolo  per  molto  ferro  , 
e  difì'e  :  Per  du>  anai  -non  -ìVa  mrrt'erodi 
andjre  alla  città  né  per  Zipp-.*.  né  per  oa- 
Je  ,  oè  per  vojn.ri  co'ui  che  in  trar  que- 
flo  f:irà  vincitore:  che  *1  medeilno  p.^,'0  ^li 
farà  e  fitica  >  e  premio  .  A  quelle  par;)le 
Monttiio  ed  Ele.'co  i  con  Eu^-'enio  ,  ed 
Uii.iCcho  fi  levjroiìo  in  piedi:  e  pafTando 
avanti,  e  puft  fiad  ordine  *  co  ninciò  Elen- 
co ad  dlzarr  di  terra  il  palo  :  e  pui  che 
fra  fé  molto  bene  efaminaco  ebbe  il  pefo  di 
quello  >  con  tutte  Tue  forze  fi  mife  a  trar- 
lo ,  né  però  molto  d^  fé  il  potèo  dilunga- 
re.  Il  qual  colpo  fu  fuhito  fegnatodaUr- 
facchio  ;  ma  credendofi  forfè  ,  che  in  ciò 
folo  le  tarze  bacare  gli  dovedero ,  benché 
molto  vi  fi  sfoizafle,  il  traffe  per  forma» 
che  fé  tutti  nd  re  i  paftori  :  e  quafi  da- 
vanti ai  piedi  fel  fé  cadere.  II  terzo  che 
'J  tirò  fu  Eugenio,  il  quale  di  buono  fpa- 
2Ìo  pafsò  i  due  precedenti  :  ma  Montano, 
a  cui  r  ultimo  tratto  toccava  ,  fattofi  un 
poco  avanti,  fi  bafsò  interrai  e  prima  che 
il  palo  prendefìTt;  ,  due  o  tre  volte  dime* 
nò  la  mano  per  quella  polvere  :  dopo  pre- 
folo  ,  ed  aggiungendo  alquanto  di  dertrez-* 
za  ,  alla  forza  5  avanzò  di  tanto  tutti  gli 
altri ,  quanto  due  volte  quello  era  lungo  : 
a  cui  tutti  i  paftori  applaufono  ,  con  am- 
mirazione lodando  il  bel  tratto  che  fatto 
avea  .  Per  la  quìi  cofa  Montano  prefofi  il 
palo  fi  ritornò  a  federe  :  ed  Ergafto  fé  co- 
minciare il  terzo  giuoco:  il  quale  fu  di  tal 
forte  .  Egli  di  fua  mano  con  unde'noftri 
baftoni  fé  in  terra  unafoiTa  picciola tanto, 

quaa- 


DEL  SANAZZARO.     119 

quanto  foLmierte  con  un   pie  vi  fi  potefTe 
fermare  un  pallore  ,  e   P  nitro  tenere  alza- 
to ,  cr>me  vedemo  fpefle  volte  fare  ni  le  grue . 
Incontro  al  quale  un   per    uno    fimilmcnte 
con  un  pie  foio  aveano  da  venire  gli  altri 
p^fioti  ,    e  f-if  prova  di    levarlo  da  qu  Ila 
folTa  ,  e  porvifi  lui.  Il  perdere  tanto  dell' 
una  parte,  quinto  dell'  altra  era,  toccare 
con  quel  pie  che  forpefo  tenevano,  perqual- 
fivoglia  cTccidente,  in  terra.  Ove  fi  vide- 
ro di  molti  belli,  e  ridicoli  tratti,  ora  ef- 
fendone  cacciato    uno  ,   ed  ora  un'  altro  • 
Finalmente  toccando  ad  Urfacchio  di  guar- 
dare il  luogo»   e  venendogli  un  P'i^o^^  "''ol- 
to  lungo  davanti  ,    fentendofi    egli  ancora 
fcornato  del  ridere  de' pafiori  ,  e  cercando 
di  emendare  quel  fallo  eli     nel  trarre  del 
palo  commefTo  avei   ,  cominciò   a  fervirfi 
delle  afluzie  ;    e  baffando    in    un  punto  il 
capo  con  gnndiflima  preftezza ,  il  pofe  tra 
le  ct  Tcie    di  colui  che    per  attaccarfi    con 
luì  gli  fi  era  appreffato  ;  e  fenza  fargli  pi- 
gliar fi  >to,  fcl  gettò  con  le  gambe  in  aere 
per  dietro  le  fpalle,  e  sì  lungo  come  era, 
il  diftcfe  in  quella  polvere  .  La  maravigliai 
le  rifa  ,  e  i  gridi  de'  pafiori  furono  gran- 
di .  Di  che    Urfacchio    prendendo    animo 
diffe:  Non  polT'ono  tutti  gli  uomini  tutte 
le  cofe  fapere  ;  fé  in  una  ho  fallato,  nell* 
altra  mi  b.fta  avere  ricovrato  lo  onore  :  a 
cui  Frgafto  ridendo,  affermò  che  dicea  be- 
ne ;  e  cavandofi  dal  lato  una  falce  delica- 
ti (lima  col    manico   di  bodo  ,  non    ancora 
adoprata  in  alcuno  efcrcizio  ,  glie  la  diede, 
e  fubito  ordinò  i  premj  a  coloro   che  lot- 
tare voIefTero  ;  offrendo  di  dare  al  vinci- 
tore un  bel  vafo  di  legno   di  acero  ,  ore 

per 


140  ARCADIA 

per  mano  del  Padoano  Mantegna  j  artefi- 
ce fovra  tutti  gli  altri  accorto  5  ed  inge- 
gnofifllmo  ,  eran  dipinte  molte  cofe  ••  ma 
tra  l'altre  una  Ninfa  ignuda  j  con  tutti  i 
membri  bellidìmi,  dai  piedi  in  fuori,  che 
erano  come  quelli    delle    capre  ;  la  qudle 
fovra  un  gonfi.ito  otre  fedendo  >  lattava  un 
picciolo  Satirello  :  e  con  tanta    tenerezza 
il  mirava,  che  parea  che  di  amore  ,  e  di 
carità  tutta  fi  (IruggefTe  :  e '1  fanciullo  nell' 
lina  mammella  poppava  ,  nell'  altra  tenea 
diftefa  la  tenera  mano,  e  con  l'occhio  la 
il  guardava,  qu»fi  t-mendo,  che  tolta  non 
gli  fode  .  Pv)Codifcofto  da  coftoro  fi  vedear 
due  fanciulli    pur    nudi  ,  i  quali    avendoli 
pofli  due  volti  orrib  li  di  mafcherc  caccia- 
vano per  le    bocche  di   quelli    le  picciule 
mani ,  per  porre  fpavento  a  duo  altri  che 
davanti  lojo  (lavano;  de'  quali  l'uno  fug- 
gendo fi  volgea  indietro,  e  per  paura  gri- 
dava ;  l'altro  caduco  già  in  terra  piange- 
va  5  e  non    pofiendofi    altrimenti  aitare 
ilcndeva    la  mano    per    graffiarlo  .  Ma    d 
fuori  del  vafo  correva  attorno  attorno  un^ 
vite  carica  di  mature  uve,  e  nell'  un  de 
capì  di  quella  un    ferpe  fi  avvolgeva    con 
la  coda  :  e  con   la  bocca  aperta  venendo? 
trovare  il  Jabbro  del  vafo,  formava  un  bel 
Jiffimo,  e  ftrano  manico  da  tenerlo  .    In- 
citò molto  gli  animi  de'  circondanti  a  do 
vere  lottare  la  bellezza  diqueftovafo:  m: 
pure  dettero  a  vedere  quello  che  i    mag- 
giori, e  piij  reputati  facelìero.  Perla  qua 
jcofa  Uranio,  veg,J?endo  che  neduno  ancon 
{i   movea  ,  fi  levò  fubito  in  piedi  ;  e  fpo-  ; 
^iiatofi  il  manto   cominciò   a  mcllrarc   le 
late  Tpalle .  locs^ntroalqu^eaniniofameu- 


DEL   SANAZZARO.     xix 

te  ufcì  Selvaggio,  paftore  noti  (Timo  j  e  mol- 
to ftimato  fra  lefelve.  La  efpettazionede' 
circondanti  era  grande  ,  vedendo  duo  tali 
pallori  ufcire  nel  campo.  Finalmente  T  un 
verfo  1'  altro  approflìmatofi  ,  poi  che  per 
buono  fpazio  riguardati  fi  ebbero  dal  capo 
infmo  ai  piedi  ,  in  un  impeto  furiofamen- 
te  fi  rìftrinfero  con  Je  forti  braccia  ;  e  cia- 
fcuno  deliberato  di  non  cedere,  parevano 
a  vedere  duo  rabbiofi  orfi ,  o  duo  forti  to- 
ri,  che  in  quei  piano  combattefTero  .  E  già 
per  ogni  membro  ad  ambiduo  correva  il 
fudore  ,  e  le  vene  delle  braccia  ,  e  delle 
gambe  fi  moftravano  maggiori ,  e  rubicon- 
de per  molto  fangue  ;  tanto  ciafcuno  per 
la  vittoria  fi  affaticava .  Ma  non  poffendo- 
fi  in  ultimo  né  gittare,  né  dal  luogo  mo- 
vere ;  e  dubitando  Uranio  che  a  coloro  i 
quali  intorno  davano  ,  non  rincrcfceffe  lo 
afpettarc,  diflfe  :  Fortiffimo,  ed  animofif- 
(ìmo  Selvaggio,  il  tardare  (come  tu  vedi  ) 
è  noj'fo  :  o  tu  alza  me  d/  terra  ,  o  io  ai- 
zero  te  ;  e  del  redo  lafciamo  la  cura  agli 
Dii  ;  e  così  dicendo  il  fofpefe  da  terra.  Ma 
Selvaggio  non  dimenticato  delle  fue  adu- 
zie  1  gli  diede  col  tallone  dietro  alla  giun- 
tura delle  ginocchia  una  gran  botta  i  per 
modo  che  facendogli  per  forza  piegare  le 
gambe,  il  fé  cadere  fupino,  ed  eglifenza 
potere  aitarfi  gli  cadde  di  fopra  •  Allora 
tutti  i  padon  maravigliati  gridarono  Do- 
po quedo,  toccando  la  fua  vicenda  a  Sel- 
vaggio di  dovere  alzare  Uranio  ,  il  prefe 
con  ambedue  le  braccia  per  mezzo  ;  ma  per 
Jo  gran  pcfo ,  e  per  la  fatica  avuta  ,  non 
pofTendolo  fodenere  ,  fu  bifogno  (  quan- 
tunque molto  vi  d  iforzade)  che  ambiguo 
'     Tm9  I,  F  co* 


11%  ARCADIA 

cosi   giunti  cadcnero  in  quella  polvere  • 
All'ultimo  alzatifi  con  malo  aoimo  fì  ap- 
parecchiavano alla  terza  lotta  .  Ma  Ergafto 
non  volle  che  le  ire  più  avanti  procedef- 
fero  >  ed  amichevolmente  chiamatili  dilTe 
loro  :  Le  voftre  forze  non  fon  ora  da  confu- 
marfiquiper  si  picciolo  guiderdone;  egua- 
le è  di  ambiduo  la  vittoria  ,  ed  eguali  doni 
prenderete}  e  cosi  dicendo i  all*unodiede 
il  bel  vafo  ,   all'  altro  una  cetera   nova  » 
parimente  di  fotto  ,   e  di  fopra  lavorata  i 
e  di  dolciilìmo  fuono  :  la  quale  egli  molto 
cara  tenea  per  mitigamento*  e  conforto  del 
fuo dolore.  Avevano  per  avventura  la  pre- 
cedente notte  i  compagni  di  Ergafto  den- 
tro la   mandra  prefo  un  lupo  ;   e  per  una 
feda  il    tenean  così  vivo   legato  ad  un  di 
quegli  alberi:  di  quefto  pensò  Ergafto do- 
ver far  in  quel    giorno  lo  ultimo  giuoco  ; 
ed  a  Clonico  voltandoti,  il  quale  per  niu* 
na  cofa  ancora  levatoti  era  da  federe ,  gli 
ditie:  £  tu  lafcerai  oggi  cosi  inonoratala 
tua  MafTilia»  che  in  fua  memoria  non  ab- 
bi di  tea  moftrare  prova  alcuna?  Prendi» 
animofo  giovane  >  la  tua  fionda  5  e  fa  co- 
nofcere  agli  altri  che  tu  ancora  ami  Erga- 
(lo;  e  quello  dicendo,  a  lui,  ed  agli  altri 
motirò  il  legato  lupo ,  e  difle  :  Chi  per  di- 
fenderti dalle  pioggie  dei  guazzofo  verno 
dcfidera  un  cuculio,  o  tabarro  di  pelle  di 
hipo  ,  adeffo  con  la  fua  fionda  in  quelber- 
faglio  fsl  può    guadagnare  .  Allora  Ciò- 
nico  5  e  Partenopeo  ,  e  Montano  ,   poco 
avanti  vincitore  nel  palo  »  con  Fronimo  co- 
minciarono a  fcingerti  le  fionde  r^ed  a  fcop- 
piare  forti  Ili  mamen  te   con   quelle  ;   e  poi 
Ricuce  fra  loro  le  forti)  ufel  prima  quella 

di 


DEL  SANAZZARO.  125 
lii  Montano  ,  i'  altra  cipprenTo  fu  di  Fro- 
nimo  ,  la  terza  di  Clonico  ,  la  quarta  di 
Partenopeo  .  Montano  adunque  lieto  ponen- 
ido  una  viva  felce  nella  rete  della  Tua  fion- 
da t  e  con  tutta  fua  forza  rotandolafi  in- 
torno al  capo  ->  la  lafciò  andare  ;  la  quale 
furiofamcnte  ftridendo  ,  pervenne  a  dirit- 
tura ove  mandata  era  ;  e  forfè  a  Montano 
avrebbe  fovra  al  palo  portata  la  feconda 
vittoria»  fé  nonché  il  lupo  impaurito  per 
Io  romore ,  tirandofi  indietro  fi  m offe  dal 
luogo  ove  (lava  9  e  la  pietra  pafsò  via  • 
Appreffo  a  coftui  tirò  Fronimo  ;  e  benché 
indrizzaffe  bene  il  colpo  verfo  la  tefta  del 
lupo  ,  non  ebbe  ventura  in  toccarla  j  ma 
viciniffìmo  andandole  >  diede  in  quell'  al- 
bero,  e  levogli  un  pezzo  della  fcorza  ;  e 
*1  lupo  tutto  atterrito ,  fé  movendofi  gran- 
diflfimo  ftrepito.  In  quefto  parve  a  Cloni- 
co  di  dovere  afpettare  che  'l  lupo  fi  fer- 
maffe;  e  poi  si  torto  come  quieto  il  vide» 
liberò  la  pietra;  la  quale  drittiflìma  verfo 
quello  andando  >  diede  In  la  corda  con  che 
all'albero  legato  ftava,  e  fu  cagione  che  il 
lupo  facendo  maggiore  sforzo,  quella  rom- 
peffc  .  E  i  paftori  tutti  gridarono ,  creden- 
do che  al  lupo  dato  aveffe.  Ma  quello  fen- 
tendofi  fcioito  ,  fubito  incominciò  a  fug- 
gire; per  la  qual  cofa  Partenopeo ,  che  te- 
nca  già  la  fionda  in  pofta  per  tirare  1  ve- 
dendolo traverfare  per  falvarfi  in  un  bo« 
fco,  che  dalla  man  finiftra  gli  (lava ,  invo- 
cò in  fua  aita  i  paftorali  Dii  :  e  fortiffima- 
mente  lafciando  andare  il  faflo  ,  volle  la 
fua  torte >  che  al  lupo,  il  quale  con  ogni 
fua  forza  intendeva  a  cori^re  ,  feri  nella 
(empia  fotto  la  maoci  orecchia  >  e  fenza 
F    t  far. 


114  ARCADIA 

farlo  piifilo  movere,  il  fefubito  morto  ca- 
dere. Onde  ciafcuno  di  maraviglia  rimafe 
attonito  ;    e  ad  una  voce   tutto  lo  fpetta- 
colo  chiamò    vincitore   Partenopeo  ;   e  ad 
Opico  volgendofi  (  che  già  per  la  nova  al- 
legrezza piangea  )  fi  congratulavano  ,    fa- 
cendo maravigliofa  feda  .    Ed  Ergafto  al- 
lora lieto ,  factofi  incontro  a  Partenopeo  > 
lo  abbracciò,  e  poi  coronandolo  d'una  bel- 
la ghirlanda  di  fronde  di  baccari  ,  gli  die- 
de per  pregio  un  bel  cavriuolo ,  crefciuto 
in  mezzo  delle  pecore,  ed  ufato  di  fcher- 
zare  tra  i  cani ,  e  di  urtare  coi  montoni  > 
manfuetiflìmo  j    e  caro  a  tutti  i    pallori  . 
Appreffo  a  Partenopeo,  Clonico,  che  rot- 
to avea  il  legame  del  lupo,  ebbe  il  fecon- 
do dono  ;  il  quale  fu  una  gabbia  nova  ,  e 
bella  fatta  in  forma  di  torre,  con  una  pi- 
ca^ loquaciiTima    dentro  ,   ammaeftrata    di 
chiamare  per  nome,  e  di  falutare  i  pafto- 
ri;  per  modo  che  chi  veduta  non  la  avef- 
fe,  udendola  folamente  parlare  )  fi  avreb- 
be per  fermo  tenuto,  che  quella  uomo  fof- 
fé  •  Il   terzo  premio  fu  dato  a  Proni mo  , 
che  con  la    pietra   feri  nelT  albero   prefìTo 
alla  teda  del  lupo  ;    il  quale  fu  una  tafca 
da  tenere  il  pane  ,   lavorata  di  lana  mol- 
lififima,  edi  diverfì  colori  :  dopo  dei  quali 
toccava  a  Montano  l' ultimo  pregio  ,  quan- 
tunque al  tirare  ftatofofl'e  il  primo.   A  cui 
Ergafto  piacevolmente»  e  quafi  mezzo  for- 
ridendo  difle  :    Troppo  farebbe  oggi    flata 
grande  la  tua  ventura  >  Montano  ,  fé  co- 
si nella  fionda  foflì  dato  felice,  come  nel 
palo  forti  :  e  così  dicendo,  fi  levòdal  col- 
lo una    bella  fampogna    di  canna  fatta  fo* 
l^mcpte  di  due  voci  ;  ma  di  graodiffima 
'•  ar- 


DEL  SANAZ,ZARO.    125 
armonia  nel  fonare  ,   e  glie  la  diede  r   il 
quale  lietamente  prendendola  5  il  ringraziò- 
Ma  torniti  i  doni  ,    rimafe  ad  Ergafto  un 
delicati  (Timo  baftone  di  pero  falvatico,  tut- 
to pieno  di  intagli  ,    e  di    varj   colori  di 
cera  per  mezzo  :  e  nella  Tua  fommità  in- 
vertito d'  un    nero   corno  di  bufalo  sì  lu- 
cente» che  veramente  avrefti  detto  che  di 
vetro  ftato  fode .  Or  quefto  badane  Erga- 
fto il  donò  ad  Opico  ,  dicendogli:  E  tu  an- 
cora ti  ricorderai  di  Malfilia  ,    e  per  fuo 
amore  prenderai  quello  dono:  per  lo  quale 
non  ti  farà  mefticro  lottare  ,  né  correre  » 
Jiè  fare  altra  prova  :    affai  per  te  ha  oggi 
fatto  il  tuo  Partenopeo,  il  quale  nel  cor- 
rere fu  de*  primi,  e  nel  trirre  della  fion- 
da, fenza  controverfia  è  ftato  il  primo:  a 
cui  Opico  allegro  rendendo  le  debite  gra* 
zie  ,   così  rifpofc  :    I  privilegi  della  vec- 
chiezza j  figliuol  mio  ,  fon  sì  grandi ,  che 
o  vogliamo  ,  o  non   vogliamo  ,  fiamo  co- 
ftretti  di  obbedirli  .  O  quanto  ben  fra  gli 
altri    mi    avreffi    in  quefto  giorno  veduta 
adoperare)  fé  io  foftì  di  quella  età»  e  for- 
za »  che  io  era  quando  nel  fepolcro  di  quel 
gran  paftore  Panormita  furono  pofti  i  pre- 
mj  {  ficcome  tu  oggi  faceOi  )  ove  neffuno , 
né  paefano,  né  foreftiero*  fi  poffette  a  me 
agguagliare.   Ivi  vinfi  Crifaldo  figliuolo  di 
Tirreno  nelle  lotte:  e  nel  faltare  paflai  di 
gran  lunga  il  famofo  Silvio  :  così  ancora  nel 
correre  mi  lalciai dietro  Idalogo,  ed  Ame- 
rò ,  i  quali  eran  fratelli  ,  e  di  velocita  e 
fcicltezza  di  piedi  avanzavano  tutti  gli  al- 
tri padori  :  folamente  nel  faettare  fui  fupe- 
rato  da  un  paftore  che  avea  nome  Tirli  : 
e  quefto  fu  per  cagione  che  colui  avendo 
F     3  uno 


116  ARCADIA 

«no  arco  fortiflGmo  con  le  punte  guarnite 
di  corno  di  capra  y  potea  con  piò  ficurtà 
tirarlo,  che  non  faceva  io,  il  quale  di  fé  m- 
plice  tafTo  avendolo  y  dubitava  di  fpez- 
zarlo:  e  così  mi  vinfe  .  Allora  era  io  fra* 
padori,  allora  era  fra*  giovani  conofciuto; 
ora  fovra  di  me  il  tempo  ufa  le  fue  ragio- 
ni :  voi  dunque  »  a  cui  la  età  il  permet- 
te, vi  efercitate  nelle  prove  giovanili  :  a 
me  e  gli  anni,  e  la  natura  impongono  al- 
tre leggi  .  Ma  tu  (  acciocché  quefta  fefta 
da  ogni  parte  compita  fia  )  prendi  la  fo- 
nora  fampogna^  fìgìiuol  mio ,  e  fa  checo- 
iei  che  fi  allegrò  d*  averti  dato  al  mon» 
do  ,  fi  rallegri  oggi  di  udirti  cantare  :  e 
dal  cielo  con  lieta  fronte  miri  ed  afcol- 
ti  il  fuo  facerdote  celebrare  per  le  felve 
Ja  fua  memoria  .  Parve  ad  Ergafto  sì  giu- 
fto  quello  che  Opico  dicca  9  che  fenza  far- 
gli altra  rifpofta ,  prefe  di  man  di  Monta* 
no  la  fampogna  che  poco  avanti  donata 
gli  avea  r  e  quella  per  buono  fpazio  con 
pietofo  modo  fonata  ,  vedendo  ,  ciafcuno 
con  attenzione,  e  filenzio  afpettare  ,  non 
fenza  alcun  fofpiro  mandò  fuora  quefte 
parole . 

EGLOGA    UNDECIMA. 

Ergafto  folo. 

Poi  cbt  ^l  foave  JilU  ^  t  ^ì  dolce  canta 
Sperar  non  lìce  pia  ptr  quejìo  bofco  , 
Ricominciate  ,  0  Mufe  ,  il  vcfiro  pianto  . 
Piangi  j  colle  [aerato  ,  opaco  y  e  fofco  ; 

E  voi  y  cave  fpelunche  ,  egrette  ofcure  y     5 
Ululando  venite  a  pianger  nofco  . 

Pian^ 


DEL    SANAZ2AR0.     117 

Tiattgeti  ,  faggj  ,  e  quercie  /tlptfire  ,  e  dure; 
E  piangendo  narrate  n  q"efi$  fjjfi 
Le  rofli't  laitimo[* afi-re  venture. 

Lacrimate  voi  ^  fi'mi^  tgnudi  e  Cajji  io 

D'  $gm  doì  ciytx  e  voi  ,  fontane  ,  e  rivi  y 
Fermatf   il  corfo  ^  e  ritenete   i  pajji  ^ 

E  tu  y  (he  f'a  le  Ohe  cr rutta  vìvi  , 
Ecco  m-fla^  pijpìfidi  aile  paiole  ^ 
E  quant""  io  parlo  ^  perii  trcn  hi  ferivi  %  15 

"Piangete  ,   valli  abbandonate  e  fole  ,* 
E  tu  ,  terra  ,  dipingi  nel  tuo  manto 
I  gigli  cfmi^  e  nere  le  vi  file. 

La  dotta   Egeria  ,  e  la  Tebana   Manto 

Con  fubito  furor  Morte  «'  ha  tolta  .  29 

Ricowinciate  y  Mufe  ^  il  vojfro  pianto. 

E  fé   tu  ,  riva  ,  udifli  aleuna  volta 

Urbani  affetti  ,  or  prego  ,  cb^  accompagni 
La  dolente  fampogna  a  pianger  volta, 

O  erbe  ,  ofior  ,  eh"*  un  tempo  eccelfi  e  magni     ^5 
Re  fofte  al  mondo  ,  ed  or  per  afpra  forte 
Giacete  per  li  fiumi  ,  e  per  li  fiagni  , 

Venite  tutti  meco  a  pregar   Morte  , 

Che  y  Je  ejfer  pul  ,  firn  [e  a  le  mie  doglie  9 

E  le  rincrefca  il  mio  gridar  lì  forte  ,  JO 

Piangi  j  J  acinto,  le  tue  belle  fpoglie  ^ 
E  raddoppiando  le  querele  antiche  9 
Deferivi  ì  miei  dolori  in  le  tue  foglie  • 

E  voi  y  liti  bfatt ,  e  piagge   apriche^ 

Ricordate  a  Narcijfo  il  fuo  dolore  ;  35 

Se  giammai  fofie  di  miei  preghi  amiche . 

"Ntn  verdeggi  per  campi  erba  ,  «^  fiore  : 
N^  fi  (cerna  pia  in  rofa  ,   0  in  amaranto 
Quel  bel  vivo  leggiadro  almo  colore  . 

Lajfó  ,  chi  puh  fperar  pia  gloria  ó  vanto  ?        49 
Morta  i  la  fé  ^  morto  i  "^l  giudi  ciò  fido  . 
Ricominciate  y  Mafe  ^  il  voftro  pianto, 
E  mentre  fefpirando  indarno  io  grido  > 

F  4        yo'i 


ii8  ARCADIA 

yof  y  uccelletti  innamorati  y  e  gai  y 
XJfcite  y  prego  ^  daW^  amato  nido  .  45 

0   Filomena  ,  che  gli  antichi  guai 

Rinnovi  ogni  anno  ,  e  con  foavi  accenti 
Da  [e he  ,  e  da  fpeluncbe  udir  ti  fai  j 

"E  fé  tr4  ,   Pregne,  è  ver  ^  e b^  or  ti  lamenti ^ 
2^t  c$nla  forma  ti  fur  tolti  i  [enfi  ^       50 
Ma  del  tuo  fallo  ancor  ti  lagni  e  penti  * 

La f  tate  ,  prego,  i  voftri  gridi  intenfi  y 
lE  fin  ch^  io  nel  mio    dir  diventi  roco^ 
Nejfuna  del  fuo  mal  ragioni  ,  0  penfi  . 

Ahi  y  ai/i  y  feccanle  [pine  y  e  poi  eh  un  poca  55 
Scn  fiate  a  ricovrar  P  antica  for-^a  , 
CiafcuHt  torna  y  e  nafce  al  proprio    loco: 

Ma  n»i  poi  (ha  una  volta  ilCiel  ne  ffiof^ay 
Vento  y  ne  fol  y  «#  P*<>gg*^  )  ^  prim^vfa 
Balìa  a  tornarne  in  la   terrena  fcer^a  .   60 

E  '/  fol  fuggendo  ancor  da  mane  a  [era  , 
N^  mena  i  giorni  5  ^  '/  viver  nofl'o  infiemi  * 
"Ed  ei  rit{,rna  pur  come  prìm^  era  , 

Felice  Orfeo  y  cP  innanzi  P  ore  efinme  y 
Ver  ricevraf  cdei  che  pianfe  tanto  ,  65 

Sicuro  andò  dove  pia  andar  fi  teme  . 

Vinfe  Megera  ,  vinfe  Radamanto  : 

A  pietà  mojfe  il  Re  del  crudo  regno  • 
Ricominciate  ,  Mufe  ,  iJ  vofiro  pianto  . 

Or  perchè  ,  laffo ,  al [mn  del  curvo  legno     70 
Temprar  non  lice  a  me  fi  m  fie  note  ; 
C^*  impetri  grafia  del  mio  caro  pegno? 

E  fé  le  rime  mie  non  fon  fi  note , 
Cerne  quelle  d'  Orfeo ,  pur  la  pietà  de 
Dovrebbe  farle  in  del  dclci  y  e  devele  '     75 

Ma  fé  fcbernendo  nofira  uwanitade  y 
S  e  hi f affé  ella  il  venir 'y  farei  ben  lieto 
Di  trovar  all'*  ufcir  chiufe  le  fìrade . 

O  defir  vano  ,  0  mio  flato  inquieto  l 

lE  [0  pur  y  che  con  erba  y  ocon  incanto      So 

Mutar 


DEL   SANAZZARO.     125 

Mutar  non  pojjo  /'  immo^fnl  decreti  , 
'Btn  pub  quel  nitido  t.f  io  d"  eltfanto 

Riandarmi  in  fogno  il  volto  ^  g  la  favella  . 
Rtiominciate  y   Mufe  y  il  vofiro  pianto  , 
Ma  ri  fiorar  non  pi-b  ,  ni  darmi   quella  Z^ 

Chi  cieco  mi  /afe  io  fé  n^a  il  ft40  lume  ^ 
Kè  torre  al  del  sì  pellegrina  Jìella  . 
Ma   tu  ,  ten  nato  avventurofo  Fiume  , 
Convoca  le  tue  Ninft  al  facro  fondo  , 
£  rinnova  lituo  antico  almo  cojìume  ^      90 
Tu  la  bella  Sirena   in  lutto  il  mondo 
Facefti  nota  con  sì  altera  tomba  : 
Quel  fu  yp'imo  dolor  ,  que/i''  è  V  fecondo  . 
Ta  che  (o(ìei  ritrove  un"*  altra  tromba  ^ 

Che  di  lei  eante  ;  acciocché  /  cda  femprt  95 
//  nome  che  da  fé  Jltjfo  rimbomba . 
E  y  ff  pe^  P'<^^^'<*  *"''*  non  fi  difiempre 
Il  tuo    bel  corf'o ,  aita  in  qual  he  partt 
Il  rollo  Jìil  ;  ficchi  pietade  il  tempre  . 
2i*n  che  fìa  degno  da  notar  fi  in  carte  ;     lOO 
Ma  che  fol  refii  qui  tra  quefti  faggi  y 
Cesi  colmo  d*  amor  y  privo  d*  ogn*  arte. 
Acciocché  in  quefti  tronchi  afpri  g  fehaggj 
Legga»  gli  altri  paftor  che  qui  verranno  , 
1  bei coftumi  ^  egli  atti  onefti  e  jaggj  .    105 
E  poi  ere  fendo  ognor  pia  d"*  anno  in  anno  y 
Memcria  fa  di  lei  fra  felve  ,  e  monti 
Mentre  erbe  in  terra  ^  e  (ielle  in  e' el  faranno  , 
Titre  ,  uccelli  ,  fpelunche  ,  alberi  ,  e  fonti  , 
Vomì  ni  j  e  Dei  quel  nome  eccelfoe  fanto      x  lO 
Efalteran  con  vtrfi  alteri  e  conti  . 
E  perchi  al  fine  aliar  convìemmi  alquanto  ^ 
Lanciando  ti  paftcral  ruv'do  ftile  ; 
Ricominciate  ,   Mufe ,   il  vofiro  pianto  . 
ì^on  fa  per  me  piitfuono  ofcuro  ,  e  vile  ,      115 
Ma  chia'o^  e  bello  ^  eh*  dal  del  P  intenda 
Duoli*  altera  ben  nata  alma  gentile  . 

F     5  Ella 


150  ^         ARCADIA 

Ella  coi  faggj  fuoi  fin  qui  fi  ftendn   \ 
"Ella  aita  mi  porga  ,  e  mer,tre  io  pa^lo  , 
Spejfo    a  vedermi  per  pitta  difcetida  ,      no 

JB  Je   U  fuo  flato  è  tal ,  che  a  dimoftrarlo 
ha  lingua  manche^  a  fé  ftejfa  mi  p»/V,* 
E  m^infrgne  la  vìa  d^  in  cane  ornarlo, 

iM<ar  tempo  ancùf  verr^  ^  che  V  alme  Muft 
Saranno  in  pregiale  quefle  nebbie^ed  ombre  n  j 
Dagli  occhi  de'*  mo>'t,n  fien  tutte  efclufe  , 

Allor  pur  converrà  ,  ch^  ognuno  jgombre 
Da  fé  quefli  pfnfier  terreni  ,  e  lofchi  , 
E   di  fald*  fpfran^e  il  cor  /'   ingombre  , 

Ove  foj   (he  parranno  incolti  e  f afe  hi  i^O 

I  verfi  mìei  \  ma  fpero  che  lodati 
Saran   pur  da'*  paftori   in  quefit  bofchi  • 

J£  molti  che  oggi  qui    non  fon  pregiati 

Vedranno  allor  di  fior   vermìgli  ,  e  gialli 
Defcritti  i  nomi  l or  per  mezio  i  prati  »   i^$ 

E  le  fontane  ,  e   i  fiumi  per  lì  valli 

Mormorando  dir^^n  qvel  tP   ora  io  canto  y 
Con  "flucent*  ,   e  liquidi  criftalli  . 

E  gli  alberi  eh"*  or   qui  confacro  ,  e  pianto  , 
Rijf:  nde'anno  al  vento  fibilando  .  14Q 

Venete   fine  ^  0  Mufe  <,  al  voftro  pianto» 

Fortunati  i  p/^fior  che  defiando 

Di  venir  in  tal  grado  ^  han  pofte  /'  ale\ 
Benché  noflro  non  fia  fapere   il  quando  , 

jhda  tu  pia  cb^  altra  ^  bella  ^  ed  immortale   145 
A  n'orna  ,  ch^  dal  del  forfè  m*    afe  otti  , 
E   mi  dimofl*'i  al  tuo  bel  coro    eguale  \ 

Impetra  a  quefli  lawi  ombrofi  e  folti 

Grafia  ^  che  con  lor  fempre  -ve ^ di  fronde 
Pojfan  qui  ricoprirne  ambo  fepolti  .  150 

Ed  a!  foave  faon  di  lucide   onde 

II  cantar  degli  uccelli  ancor  fi  agoiunga  ; 
Acciocché  il  luogo  d^  ogni  grafìa  abbonde  . 

Cve  )  fé  V  viver  mio  pur  fi  prolunga 

Tan^ 


I 


DEL  SANAZZARO.     tJi 
Tanto  ibe^  coni  io  bramo  ,  o^nar  ti  pojfa  ,  j  5^ 
E  da  tal  vogliati  del  non  Mt  di  [giunga  \ 

Spiro  ,  che  Sovra  te  non  avrà  pojfa 
Quel  duro  ttgrno  ineccitabil  fonno 
D'*  averti  (b  ufa  in  tosi  poca  fojfa  : 

Se  tanto  i  verfi  miei  premetter  ponno  .       i€o 

ARGOMENTO. 

Con  un  fógno  par  ihe  accenni  le  (uè  paffioni 
a  meo  fé  ,  e  V  dolor  che  prendeva  del  fuo  e  fi» 
Ho  .  intanto  gli  pare  ,  da  una  Hinfa  effer 
condotto  fotta  terra '^  dove  finge  d*  aver  ve» 
duto  alcuni  fiumi  de"*  più  famofi  ,  ed  alcU" 
ne  maratiglìe  cbe  fon  nel  Regno  di  Napo^ 
li  :  dalle  quali  pfende  occafione  d^  ejfer  ri» 
condotto  col  favor  div-no  da*  pa  fi  d"*  Ar» 
cadta  alla  diletta  patria  ,  e  di  dar  fine  a 
qu'f^  opera  . 

PROSA     DUODECIMA. 

LA  nova  armonìa,  i  foavi  accenti  ,  le 
pietofe  parole,  ed  in  ultimo  la  bella 
ed  aniroofa  promefla  di  Ergafto  ,  teneva- 
no già  (  tacendo  lui  )  ammirati  e  fofpefi 
gli  animi  degli  afcoltanti  ;  qu-^ndo  tra  le 
fommita  de*  monti  il  fole  b<lTando  i  ru- 
bicondi raggi  verfo  l'Occidente,  nefeco- 
nofcere,  l'ora  t^tr  tarda,  e  da  dovere  av- 
vicinarne verfo  le  lafciate  mandre  •  Per 
la  quii  cofa  Opico»  noftro  capo  ,  inpièle- 
vatofi  ,  e  verfo  Ersafto  con  piacevole  vol- 
to giratofi  ,  gli  difTe  :  AfTai  per  oggi  ono- 
rata hai  la  tua  Maflilia:  in^egneraiti  per 
lo  avvenire,  quel  che  nel  fine  del  tuo  can- 
tare con  affettuofa  volontà  le  prometti  9 
F    6  con 


t?*  ARCADIA 

con  ferma  e  ftudiofa  perlevcranza  aderti- 
pirle .  E  cosi  detto  ,  baciando  la  fepoltu- 
ra»  ed  invitando  noia  fare  il  fimile  ,  fi  po- 
fe  in  via  ;  appreflb  al  quale  1*  un  dopo  l' 
altro  prendendo  congedo  j  li  indrizzò  cia- 
fcuno  verfo  la  fua  capanna  ;  beata  ripu- 
tando MafTilia  fovra  ogni  altra  ,  per  ave- 
re di  fé  alle  {cìve  laìciato  un  si  bel  pe- 
gno. Ma  venuta  la  ofcura  notte  pìetofa del- 
le mondane  fatiche  a  dar  ripofo  agli  ani- 
mali i  le  quiete  felve  tacevano  ;  non  fi  fen- 
tivano  più  voci  di  cani,  nédi  fiere,  nèdi 
uccelli  ;  le  foglie  fovra  gli  alberi  non  fi 
moveano  5  non  fpirava  vento  alcuno;  fola- 
mente  nel  cielo  in  quel  filenzio  fi  potea  ve- 
dere alcuna  fte/la  o  fcintillare,  o  cadere  ; 
quando  io  (  non  fo  fé  per  le  cofe  vedute  il 
giorno  j  o  che  che  fé  ne  foflTe  cagione  ) 
dopo  molti  penfieri  fovraprefo  da  grave  fon- 
ilo varie  paifioni  ,  e  dolori  Tenti  va  nelT 
animo;  perocché  mi  pareva,  fcacciatoda' 
bofchi  e  da'  pifiori ,  trovarmi  in  una  foli- 
tudine  da  me  mai  più.  non  veduta,  tra  de- 
ferte fepolture,  fenza  vedere  uomo  che  io 
conofcefiì;  onde  io  volendo  per  paura  gri- 
dare >  la  voce  mi  veniva  meno  ,  né  per 
molto  che  io  mi  sforzafìTi  di  fuggire,  pof- 
fea  eftendere  i  paiTi  ;  ma  debole  ,  e  vinto 
mi  rimaneva  in  mezzo  di  quelle  .  Poi  pare- 
va che  ftando  ad  afcoltare  una  Sirena,  la 
quale  fovra  uio  fcogl-o  amaramente  pian- 
gevi, una  onda  grande  del  mare  mi  attuf- 
faflTe  5  e  mi  porgeflTe  tinta  fatica  nel  refpi- 
rare  ,  ch^  di  poco  mancava  ch'io  non  mo- 
riflfì  .  Ultimamente  un'albero  belliifimodi 
arancio,  e  da  me  molto  coltivato,  mi  pa- 
rea  trovare  tronco  dalle  radici  con  le  fron- 

di, 


DEL  SANAZZARO.  1^3 
di  $  e  i  tìori ,  e  i  frutti  Tparfi  per  terra  :  e 
dimandando  io  >  chi  ciò  fatto  avelfe  ;  da 
alcune  Ninfe  che  quivi  piangevano  mi  era 
rifpofto  :  le  inique  Parche  eoa  Je  violen- 
te fcure  averlo  tagliato  .  Della  qual  cofa 
dolendomi  io  forte  >  e  dicendo  fovra  lo  ama- 
to troncone  :  Ovf  Junque  mi  ripcferl  io  ? 
fotty  qual  ombra  ornai  canterò  i  miei  verjif. 
mi  era  dall'  un  de'  canti  moftrato  un  ne- 
ro e  funebre  ciprelTo  ,  fenza  altra  rifpofta 
avere  alle  mie  parole.  In  quefto  tanta  no- 
ja  ed  angofcia  mi  foprabbondava ,  che  non 
polTendo  il  fonno  foffrirla^  fu  forza  che  (i 
rompere.  Onde,  come  che  mo'to  mi  pia- 
celfe  non  eiTer  coiì  la  cofa  come  fognato 
avea,  pur  nondimeno  la  paura,  e'I  fofpet- 
to  del  veduto  fogno  mi  riraafe  nel  cuore 
per  forma  che  tutto  bagnato  di  lacrime  » 
non  poflTendo  più  dormire  ,  fui  coftretto 
per  minor  mia  pena  a  levarmi  ,  e  ,  ben- 
ché ancora  notte  fode  ,  ufcire  per  le  fo- 
fche  campagne  .  Cosi  di  paflb  in  paflb  ,  non 
fapendo  io  fteflo  ove  andare  mi  dovefli  , 
guidandomi  la  fortuna,  pervenni  finalmen- 
te alla  falda  di  un  monte  ,  onde  un  gran 
fiume  fi  movea  con  un  ruggito  e  mormorio 
mirabile  ,  maifimamente  in  quella  ora  che 
altro  romore  non  fi  fcntiva  ;  e  ftando  qui 
per  buono  fpazio,  l'  Aurora  già  incomin- 
ciava a  rolTeggiare  nel  cielo,  rifvegliando 
univerfalmente  i  mortali  alle  opre  loro  :  la 
quale  per  m^  umilmente  adorata,  e  prega- 
ta ,  volelTe  profperare  i  miei  fogni  ,  par- 
ve che  poco  afcoltaife  ,  e  mcn  curaiTe  le 
parole  mie  ;  ma  dal  vicino  fiume  ,  fenza 
avvedermi  io  come,  in  un  punto  mi  fi  of- 
fcrfe  avanti  una  giovane  donzella  neli'afpet- 

to 


ì?4.  ARCADIA 

to  belliffima,  e  nei  gefti  e  nell'andare  ve- 
ramente divina;  la  cui  vefte  eradi  un  drap- 
po fottiliffìmoj  e  si  rilucente  che  (fé  ncn 
che  morbido  il  vedea  )  avrei  per  certo  det- 
to che  di  criftallo  fofìTe;  con  una  nova  rav- 
volgitura  di  capelli,  fovra  i  quali  una  ver- 
de ghirlanda  portava»  ed  in  mano  un  vafel 
di  marmo  bianchifìfimo  .  Cortei  venendo  ver 
me,  e  dicendomi  :  Seguitai  p^ffi  miei  ,  (h"* 
io  fon  "Ninfa  di  qui' fio  luogo  ;  tanto  di  ve- 
nerazione j  e  di  paura  mi  porfe  infieme  , 
che  attonito  fenza  rifponderle  ,  e  non  fa- 
pendo  io  (ìeiTo  difcernere  s'  io  pur  veg- 
ghiaffi  ,  o  veramente  ancora  dormirti  ,  mi 
pofi  a  feguitarla;  e  giunto  con  lei  fopraal 
fiume  ,  vidi  fubitamente  le  acque  dall'  un 
Iato  e  dall*  altro  riftringerfi  e  darle  luogo 
per  mezzo  ;  cofa  veramente  ftrana  a  vede- 
re, orrenda  a  penfare  ,  moftrofa  ,  e  forfè 
incredibile  ad  udire  .  Dubitava  io  andarle 
apprerto,  e  già  mi  era  per  paura  fermato 
in  lu  la  riva  :  ma  ella  piacevolmente  dan- 
domi animo  mi  prefe  per  mano,  e  con  forn- 
irla amorevolezza  guidandomi,  mi  conduf- 
fe  dentro  al  fiume  :  ove  fenza  bignarmi 
piede  leguendola,  mi  vedeva  tutto  circon- 
dato dalle  acque,  non  altrimenti  che  fé  an- 
dando per  una  ftretta  valle  ,  mi  vedclfi  fo- 
praftare  due  erti  argini,  o  due  barte  mon- 
tagnette.  Venimmo  finalmente  in  la  grot- 
ta onde  quella  acqua  tutta  ufciva  :  e  da 
quella  poi  in  un*  altra,  le  cui  volte  (  fic- 
come  mi  parve  di  comprendere)  eran  tut- 
te fatte  di  fcabrofe  pomici  i  tra  le  quali  in 
tnoh'i  luoghi  fi  vedevano  pendere  ftille  di 
congelato  criftallo ,  e  d*  intorno  alle  mu- 
ra per  ornamento  porte  alcune  marine  con- 

chi- 


DEL   S  AN  AZZARO.     i^s  . 

chìglie;  c'iTuolo  per  terra  tutto  covertoci 
i  minuta  e  rpefìTi  verdura  ,  con  bellif- 
V-  feggj  da  ogni  parte  ,  e  colonne  di 
tr  jnslucido  vetro  che  (oftenevano  il  non 
alco  tetto;  e  quivi  dentro  fovra  verdi  tap- 
peti  trovammo  alcune  Ninfe  forelle  di  lei , 
che  con  bianchi  ,  e  fottilifìTimi  cribri  cer- 
nivano oro,  feparandolo  dalie  minute  are- 
ne :  altre  filando  il  riducevano  in  mollif- 
fimo  (lame  i  e  quello  con  fete  di  diverfi  co- 
Jori  intefTevano  in  una  tela  di  maraviglio- 
fo  artificio  :  ma  a  me  »  per  lo  argomento 
che  in  fé  conteneva,  augurio  infeliciffimo 
di  future  lacrime  .  Concioflìacofachè  nel 
miointrare,  trovai  per  forte  che  tra  li  mol- 
ti ricami  i  tenevano  allora  in  mano  i  mi- 
lerabili  cafi  della  deplorata  Euridice;  fic- 
come  nel  bianco  piede  punta  dal  velenofo 
afride  fu  corretta  di  efalare  la  bella  anima  } 
e  come  pi  per  ricovrarla  difcefe  alTInfer- 
no  ,  e  ricovrata  la  perde  la  feconda  volta 
Io  imemorato  marito  .  Ahi  laffo  »  e  quali 
percoli  e  ,  vedendo  io  qucfto  ,  mi  fentì  nell* 
animo  ,  ricordandomi  de'  pafTiti  fo^^ni  ;  e 
non  fo  qual  cofa  il  cuore  mi  prcfigiva  ,  che  , 
benché  io  non  volei^i  >  mi  trovava  gli  oc- 
chi bagnati  di  lacrime:  e  quanto  vedeva, 
interpietava  in  finiftro  fenfo  .  Ma  la  Nin- 
fa che  mi  guidava  «  forfè  pietofa  di  me  y 
togliendomi  quindi,  mi  fé  paHare  più  ol- 
tre in  un  luogo  più  ampio,  e  più  fpaziofo, 
ove  molti  laghi  fi  vedevano,  molte  (catu- 
rigini,  molte  fpeluncheche  rifondevano  ac- 
que :  dalle  quali  i  fiumi  che  fovra  la  ter- 
ra corrono,  prendono  le  loro  origini  .  O 
mirabile  artificio  del  grande  Iddio!  la  ter- 
ra, che  io  penfava  che  fofife  foda,  richiu- 
de 


136  ARCADIA 

Je  nel  fuo  ventre  tane  concavità!  Allora 
incominciai  io  a  non  maravigliarmi  de*  fiu- 
mi,  come  avederotmt.i  abbondanza,  e  co- 
me con  indeficiente  liquore  feibaOTeroetei- 
ni  i  cord  loro  .  Cosi  pacando  avanti  tut- 
to ftupefatto  e  ftordìto  dal  gran  romore 
delle  acque  andava  mirandomi  intorno,  e 
non  fenza  qualche  paura  i  confiderando  la 
qualità  del  luogo  ove  io  mi  trovava  .  Di 
che  la  mia  Ninfa  accorgendofi  ,  Lafcia  >  mi 
difTe  ,  cotefti  penfieri  ,  ed  ogni  timore  da 
te  difcaccia»  che  non  fenza  volontà  del  Cie- 
lo fai  oraquefto  cammino.  I  fiumi  chetan- 
te fiate  uditi  hai  nominare»  voglio  che  ora 
veda  da  che  principio  nafcano .  Quello  che 
corre  sì  lontano  dì  qui  è  jì  freddo  Tanai  : 
quell'altro  è  il  gran  Danubbio  :  queftoèil 
famofo  Meandro  :  quello  altro  è  il  vec- 
chio Peneo  :  vedi  Caidro  :  vedi  Acheloo  :  ve- 
di il  beato  Eurota  ,  a  cui  tante  volte  fu  lecito 
afcoltare  il  cantante  Apollo.  E  perchè  fo 
che  tu  defidcri  vedere  i  tuoi ,  i  quali  per  av- 
ventura ti  fon  più  vicini  che  tu  non  avviil , 
fappi  che  quello  a  cui  tutti  gli  altri  fanno 
canto  onore,  è  il  trionfale  Tevere,  il  quale 
non  come  gli  altri  è  coronato  di  falci,  odi 
canne,  ma  diverdifiìmi  lauri,  per  le  con- 
tinue vittorie  de'  fuoi  figliuoli  :  gli  altri 
duo  che  più  propinqui  gli  ftanno  ,  fono 
Liri,  e  VuKurno  ,  i  quali  per  li  fertili  re- 
gni de'  tuoi  antichi  avoli  felicemente  di- 
fcorrono  .  Quelle  parole  nell'  animo  mio 
dcftaro  un  sì  fatto  defiderio  ,  che  non  pof- 
fendopiù  tenere  il  filenzio  ,  così  dilli*.  O 
fidata  mia  fcorta  5  o  bellillìma  Ninfa  >  (o 
fra  tanti  e  sì  gran  fiumi  il  mìo  picciolo 
Sebeto  può  avere  nome  alcuno  9  io  ti  pre- 
go 


DEL  SANAZZARO.  1^7 
go  che  tu  mei  moftri  .  Ben  lo  vedrai  tUj 
dide  ella  >  quando  gli  farai  più  vicino  , 
che  adeHo  per  la  fua  bafiezza  non  potre- 
fti;  e  volendo  non  (o  che  altra  cofa  dire, 
fi  tacque  V  Per  tutto  ciò  i  pafli  noftri  noa 
fi  allentarono  >  ma  continuando  il  cammi- 
no ,  andavamo  per  quel  gran  vacuo  :  il 
quale  alcuna  volta  fi  riftringea  in  anguftif- 
fime  vie:  alcuna  altra  fi  dilfondea  in  aper- 
te e  larghe  pianure  ;  e  dove  monti  j  e  do- 
ve valli  trovavamo  ,  non  altrimenti  che 
qui  fovra  la  terra  edere  vedemo  .  Mara- 
vigliereftiti  tu  j  dide  la  Ninfa  ,  fé  io  ti  di- 
ce di ,  che  fovra  la  teda  tua  ora  da  il  ma- 
re ?  e  che  per  qui  lo  innamorato  Alfeo  , 
fenza  mefcolarfi  con  quello  ,  per  occulta 
via  ne  va  a  trovare  i  (oavi ^abbracciamenti 
della  Siciliana  Aretufa  ?  Cosi  dicendo  co- 
minciammo da  lunge  a  fcoprire  un  grari 
foco  ,  ed  a  fentire  un  puzzo  di  folfo  .  Di 
che  vedendo  ella  che  io  dava  maravigliato, 
mi  dide  :  Le  pene  de'fulminati  Giganti  ,  che 
vollero  adalire  il  cielo  ,  fon  di  quefto  ca- 
gione,  i  quali  oppredi  da  gravidìme  mon- 
tagne fpirano  ancora  il  celede  foco  con 
che  furono  confumati  :  onde  avviene,  che 
ficcome  in  altre  parti  le  caverne  abbonda- 
no di  liquide  acque,  inquede  ardono  fem- 
pre  di  vive  fiamme  :  e  fé  non  che  io  te- 
mo che  forfè  troppo  fpavento  prenderedi  , 
io  ti  farei  vedere  il  fuperbo  Encelado  9 
didefo  fotto  la  gran  Trinacria  »  eruttar  fo- 
co per  le  rotture  di  Mongibello  ;  e  fimil- 
mente  l*  ardente  fucina  di  Vulcano  ,  ove 
Ji  ignudi  Ciclopi  fovra  le  fonanti  ancudi-' 
ni  battono  i  tuoni  a  Giove  ,  ed  appredb 
poi  lotto  la  famofa  Enaria  ,   la  quale  voi 

raor- 


n8  ARCADIA 

mortali  chiamate  Ifcbia ^  ti  migrerei  il  iu- 
riofo  T;reo  ,  dal  quale  le  eftuanti  acque 
di  Baja  >  e  i  voftri  monti  del  folfo  pren- 
dono il  !or  calore  :  cosi  ancora  fotto  il 
gran  Vefevo  ti  farei  fentire  li  fpavente- 
voli  muggiti  del  Gigante  Alcioneo  ,  ben- 
ché quelli  >  credo  ,  li  fentirai  quando  ne 
avvicineremo  al  tuo  Sebeto  .  Tempo  ben 
fu  che  con  lor  danno  tutti  i  finitimi  lifen- 
tirono  ,  quando  con  tempeftofe  fiamme  , 
e  con  cenere  coperfe  i  circondanti  paefi  ) 
ficcome  ancora  i  ìaWì  liquefatti  ed  arfi  te- 
ftificano  chiaramente  a  chi  li  vede  ;  fotto 
ai  quali  chi  farà  mai  che  creda  che  e  po- 
poli,  e  ville,  e  città  nobiliffime  fiano  fe- 
polte  ?  come  veramente  vi  fono  »  non  fo- 
lo  quelle  che  dalle  arfe  pomici  >  e  dalla 
ruina  del  monte  furon  coperte,  ma  quefta 
che  d'  innanzi  ne  vedemo,  la  quale  fenza 
alcun  dubbio  celebre  città  un  tempo  nei  tuoi 
paefi  chiamata  Pompei  ,  ed  irrigata  dalle  on- 
de del  freddiflìmo  Sarno  »  fu  perfubito  ter- 
remoto inghiottita  dalla  terra  5  mancan- 
dole, credo,  fotto  ai  piedi  il  firmamento 
ove  fondata  era  .  Strana  per  certo  ed  or- 
renda maniera  di  morte,  le  genti  vive  ve- 
derfi  in  un  punto  torre  dal  numero  de*  vi- 
vi !  fé  non  che  finalmente  fempre  fi  arriva 
ad  un  termino,  ne  piià  in  là  che  alla  mor- 
te 0  puote  andare.  E  già  in  quefte  parole 
eramo  ben  preff'o  alla  città  eh'  elladicea, 
della  quale  e  le  torri,  e  le  cafe ,  e  i  tea- 
tri ,  e  1  templi  fi  poteano  quafi  integri  di- 
fcernere.  Maravigliaimi  io  del  noftro  ve- 
loce andare,  che  in  si  breve  fpazio  di  tem- 
po poteflimo  da  Arcadia  infino  qui  efiTere 
arrivati  :  ma  fi  potea  chiaramente  conofcc- 

re 


DEL  SANAZZARO.      13^ 
re  che  da  potenzia   maggiore    che    umana 
eravamo  fofpinti  >  così  appoco  appoco  co- 
minciammo   a    vedere  le  picciole  onde  di 
Sebeto  :    di  che    vedendo  la  N:nra  che  io 
mi  allegrava  >  mando  fuore  un  gran  foipi- 
ro»  e  tutta  pietofa  ver  me  volgendofi ,  mi 
dide  r  Of»af  per  te  puoi  andare  \  e  Così  detto, 
dilparve,  né  più  fi  motìrò  agli  occhi  miei . 
Rimafi  io  in  quella  folitudine  tutto  paurofo  e 
trillo  )  e  vedendomi  fenza  la  mia  fcorta  » 
appena  arei  avuto  animo  di  movere  un  paffo  , 
fé  non  che  dinanzi  agli  occhi  mi  vedea  io 
amato  fiumicello.  Al  quale  dopo  breve  fpa- 
2Ìo  appreflTatomi  ,  andava  defiderofocon  gli 
occhi  cercando  j   fé  veder  poteflì  il  prin- 
cipio onde  quella  acqua  fv  movea  ,  perchè 
òì  paflTo  in  pafTo  il  fuo  corfo  pareva  che  ve- 
ni (le  crefcendo  ,   ed   acquiftando  tuttavia 
maggior  forza  .  Cosj  per  occulto  canale  in- 
drizzatomi y  tanto  in  qua  ed  in  là  andai  , 
che  finalmente  arrivato    ad  una  grotta  ca- 
vata nell'  afpro  tufo  >    trovai  in  terra  fe- 
dere il  venerando  Iddio  >  co\  finiftro  fian- 
co appoggiato  fovra  un  vafo  di  pietra  che 
verfava  acqua  :  la  quale  egli  in  affai  gran 
copia  facea    maggiore  con    quella  che   dal 
volto  ,  da'  capelli  >  e  da*  peli  della  umi- 
da barba  piovendogli  continuamente  vi  ag- 
giungeva .  I  fuoi  veOimenti  a  vedere  pa- 
revano di  un  verde  limo:  in  la  deftra  ma- 
no teneva  una  tenera  canna  >  ed  in  teda  una 
corona  inteifuta  d   giunchi  e  di  altre  erbe 
provvenute  dalle  medefime  acque:  ed'  in- 
torno a  lui   con  dif  fato  mormorio  le  {ut 
Ninfe  ftivano  tutte  rangendo  ,  e  fenza  or- 
dine o  dignità  alcun.,  gittata*  per  terra  non 
alzavano  i  mefti  volti  .  Mifcrando  fpetta» 

colo 


»4o  ARCADIA 

colo  (   ved^'ndo  io   quefto  )  fi    ofFerfe  agli 
occhi  miei,  e  già  fra  me  cominciai  aco- 
nofcere  per  qual  cagione  innanzi  tempo  la 
mia  guida  abbandonato  mi  avea  :    ma  tro- 
vandomi ivi  condotto)  ne  confidandomi  di 
tornare  più  indietro,  fenza  altro  configlio 
prendere,  tutto  dolorofo  e  pien  di  fofpet- 
to  mi  inclinai  a  baciar  prima  la  terra  ,  e 
poi  cominciai  quefte  parole  :    O  liquidiUì- 
mo  fiume,  o  Re  del  mio  paefe ,  o  piace- 
vole e    graziofo  Sebeto  ,   che  con    le  tue 
chiare  e   freddiflìme  acque   irrighi  la  mia 
bella  patria,  Dio  ti  efalti  ;  Dio  vi  efalti  > 
o  Ninfe,  genercfa  progenie  del  voftro  pa* 
dre  ;  fidte  ,  prego,  propizie  al  mio  venire  > 
e  benigne  ed  umane  tra  le  voftre  felve  mi 
ricevete  :    bafti  fin  qui  alla  mia  dura  for- 
tuna avermi  per  diverfi  cafi  menato  :  or- 
mai o  riconciliata,  o  fazia  delle  mie  fati- 
che deponga  le  arme  .  Non  avea  ancora  io 
fornito  il  mio  dire,  quando  da  quella  me- 
da fchieradue  Ninfe  fi  moiTero,  e  con  la- 
crimofi  volti  ver  me  venerdo  ,  mi  pofero 
mezzo  tra  loro.  Delle  quali  una  alquanto 
più  che  1'   altra  col   vifo  levato  prenden- 
domi per  mano  ,    mi  menò  verfo  la  ufci- 
ta  ove  quella  picciola   acqua  in  due  parti 
fi  divide  ;  V  una  efiondendofi  per  le  cam- 
pagne» l*  altra  per  occulta  via  andandone 
a'  comodi  ,   ed  ornamenti  della  città  ,  E 
quivi  fermatafi  mi  moftrò  il  cammino,  fi- 
gnificandomi  ,  ia  mio  arbitrio  eflere  omai 
io  ufcire  .    Poi  per   manifeftarmi   chi  eflTe 
folTero,  mi  dilTe  :  Quefta  (  la  qual  tu  ora 
da  nubilofa  caligine  oppreUo  pare  che  non 
riconofchi  )  è  la  bella  Ninfa  che  bagnalo 
amato  nido  della  tua  fingolare  Fenice  )  il 

cui 


DEL  SANAZZARO.  i^i 
cui  liquore  tante  volte  infino  al  colmo  dalle 
tue  lacrime  fu  aumentato  .  Me  ,  che  ora 
ti  parlo  ,  troverai  ben  torto  fotro  le  pen- 
dici del  monte  ove  ella  fi  pofa  .  E  '1  dire 
di  quelle  parole,  e 'l  convertirfi  in  acqua  > 
e  1'  avviarfi  per  la  coverta  via  fu  una  me- 
defìma  cofa .  Lett  re,  io  ti  giuro  fé  quel- 
la Deità  che  infin  qui  di  fcriver  queftomi 
ha  predato  grazia  ,  conceda  (  qualunque  el- 
li  fi  (iano  )  immortalità  agli  ferirti  miei  5 
che  io  mi  trovai  in  tal  punto  sì  defidero- 
fo  di  morire  ,  che  di  qualfivoglia  maniera 
di  morte  mi  farei  contentato  :  ed  eftendo 
a  me  medefimo  venuto  in  odio  ,  maledirti 
1'  ora  che  d*  Arcadia  partito  mi  e^ra  ;  e 
qualche  volta  intrai  in  fperanza  ,  che  quel- 
lo che  io  vedeva  ,  ed  udiv3  ,  fofle  pur  fo- 
gno ;  malììmamente  non  fapendo  fra  me 
(leflTo  ftimare  ,  quanto  (lato  foffe  lo  fpazio 
eh'  io  fotterra  dimorato  era  .  Cosi  tra  penfie- 
ri ,  dolore  ,  e  confuf  o^e  ,  tutto  hifTv  e  rot- 
to ,  e  già  fuora  ài  me  ,  mj  ccnduflTj  alla 
defignata  fontana  ,  la  quale  sì  tofto  come 
mi  fonti  venire»  comincò  forte  a  bollire» 
ed  a  gorgogliare  più  che  il  folito  ,  quafi 
dir  mi  volede  '■  Io  fon  (olei  cui  tu  poro  //r- 
ftan^i  vedefti  .  Per  Ja  qual  cofa  girandomi 
io  dalla  dertra  mano  ,  vidi  e  riconobbi  il 
già  detto  colle  famofo  molto  per  la  bel- 
lezza dell*  alto  tugurio  che  in  efTo  fi  ve- 
de,  denominato  da  quel  gran  bifolco  Afri- 
cano rettore  di  tanti  armenti  ,  il  quale  a' 
fuoi  tempi  ,  qu'ifi  un'  altro  Anfione  col 
fuono  della  foave  cornamufa  ,  edificò  le 
eterne  mura  della  divina  cittade  ;  e  vo- 
lendo io  più  oltre  andare,  trovai  per  for- 
te a  pie  delia  non  alca  falita  Barcinio  ,  0 

Suna<«.,- 


144  ARCADIA 

Summonzlo,  paftorifra  le  noftre  Ceìvs  no- 
tiffimi ,  i  quali  con  le  loro  gregale  al  te- 
pido fole  (  perocché  vento  Ucea  )  fi  erano 
ritirati,  e  (  per  quanto  dai  gefticompren- 
dere  il  potea  )  moftravano  di  voler  canta- 
re .  Onde  io ,  benché  con  le  orecchie  pie- 
ne venilfi  de'  canti   di  Arcadia  ,    pur  per 
udire  quelli   del  mio  paefe  ,   e  vedere  in 
quanto  loro  fi  avvicinaflero ,  non  mi, parve 
difdic^vole  il  fermarmi  ^  ed  a  tanto  altro 
tempo  per  me  sì  malamente  difpefo  j  que- 
fto  breve  fpazio,  quefta  picciola  dimoran- 
2a  ancora  aggiungere  .  Così  non  molto  di- 
fcofto  da  loro ,  fovra  la  verde  erba  mi  poli 
a  giacere  :  alla  quii  cofa  mi   porfe  ancor 
animo  il  vedere  ,  che   da  e  Vi    conofciuto 
non  era  :  Tanto  il  cangiato  abito  ,  e  '1  fo- 
verchio  dolore  miaveano  in  non  malto  lun- 
go tempo  trasfigurato  .    Ma  rivolgendomi 
ora  per  la  memoria  il  loro  cantare,  e  con 
quali  accenti!  cafi  del  milero  Melifeode- 
plor «fiero,  mi  piace  fommamante  con  at- 
tenzione averli  uditi;   non  già   per  confe- 
rirli con  quelli  che?  di  la  afcoltai ,  neper 
porre  qus^fte  canzoni  con  quelle  ;   ma  per 
allegrarmi  del  mio  cielp,  che  non  del  tut- 
to vacue  abbia  voluto  lalciare   le   Tue  fel- 
ye  ;  le  quali  in  ogni  tempo  nobilifiìmi  pa- 
llori han  da  fé  produtti  ;  e  dagli  altri  paefi 
cor-  amorevoli  accoglienze  »  e  materno  amo* 
re  a  (^  tirati  .  Onde  mi  fi  fa  leggiero  il 
credere  ,    clie  di  vero  in  alcun  tempo  le 
Sirene  viabitafl'ero ,  e  con  la  dolcezza  del 
cantare  detinéflero   quegli  che    per  la  lor 
•via  fi  andavano  .  Ma  tornando  ornai  ai  no- 
ilri  pallori  ,    poi  che   Barcinio   per  buono 
irazio  aliai  dólcemente  fonata  ebbe  la  fua 


DEL  SANAZZARO.     uj 

fampogna  ,  cominciò  così  a  dire  col  vifo 
rivolto  verio  il  compagno,  il  quale  fimil- 
meote  aflìfo  in  una  pietra  >  flava  per  ri- 
fpondergli  attentiUimo . 

EGLOGA    DUODECIMA. 

Barcinio)  Summonzio  9  e  Melifeo. 

BàVC'/^Ui  canti  MtUfeo  ^  qui  proprio  ajjìfimt 
\J^  Quattd^  ti  fcriffe    in  quel  faggio  : 

Vidi  io  mifero, 
Vidi  Filli  morire  )  cnon  uccìfimi  • 

Sum.O  ptttÀ grande  l  e  quali  D ti  permifero 
A  Melifeo  venir  fato  tant*  afpero  ?  5 

Perche  di  vita  pria   non  lo  divifero  ? 

Bare  J^fyJ*  è  f^l  U  cagione  ond*  io  mi  ef^fpero 
Incontra' l Cielo.anx'  nti  indrago ^e  invipero^ 
E  via  piò  dentro  al  cor  erti  induro ^e  inafpero\ 
Penfando  a  quel  che  feri ffe  inungiunipero:  io 
Filli  ,  mi  tuo  morir  ,   morendo  lavimi  : 
O  dolor  fommo  ,  a  cui  nuli"*  altro  fquipgro  \ 

Sìxm.Quffta pianta  vo'rei  ib/i  tu  mofirajjimi  , 
Per  poter  a  mìa  pofia  in  quella  piangerg  j 
Forfè  a  dir  le  mie  pene  cggi  incita ffimi  ,  \  5 

EàTC.MUle  ne  fon  chequi  vedere  ^  e  tangere 
A  tua  pojìa  potrai  \  cerca  in  quel  nefpilo  , 
Ma  defiro  nel  toccar  ^guarda  noi  frangere  , 

SuW.  Quel  hi  ondo  e  ri  ne  ^  0  pilli  yor  non  increfpiU 
Conio  tue  manine  di  ghirlande  in/iofilo\  io 
Ma  del  mia  lacrimar  lo  inerbi  ,   e  inetfpilo  . 

Bàie, Volgi  tnqua  gli  occhi  ^  e  mira  in  fu  quel 
corilc  : 
Filli  ydeh  non  fuggir  ych*  io  ftguo\afpettami  ^ 
"Portane  il  cor ^  che  qui  lafciando  accorilo  . 

S\XXn.Dir  non  potrti^quanto  Pudir  dil<tta$ni\  25 
Ma  corca  ben ,  fé  v*  i  pur  altro  arbufcolo  ; 


144  ARCADIA 

Quantunque    il  mìo    h  fogno  a /trovi    af' 
frettami  . 
Bare-  Una  tabella  pofe  per   munufcolo 

In  fu  quel  p'nije  vuoi  vederla  ,  or*  albati  , 
Ch'aio  ti  tirrh  fu  l^unOy  e  l'altro  mufcolo  .   50 
Ma  per  miglior  falirvi  ,  prima  fcali/iti  , 
E  depon  qui  la  pera^  il  mantOy  tfV  bacolo  y 
E  con  unfaltopot  ti  apprendi^  e  sballati  . 
SuCH'Qui^'i  fi  v^de  ben  feni*  altro   cfiacoh  , 
Filli  ^   quefi''  alto  pino  io  ti  facrifico  ;   J5 
Qui  Diana  ti  la  fé  i  a  P  arco  ^  t'^l  jacolo  . 
Quello  è  /*  aitar  che  in  tua  memoria  edifico  \ 
Quefl'^è  V  tempio  onoratole  quefio  è  il  tumuli 
In  ch'io  piangendo  il  tuo  bel  nome  amplifico* 
Qui  fempre  ti  fari  di  fiori  un  cumulo  .•   40 
Ma  tu  ,  fé  ^l  piò  bel  luogo  il  del  desinati  , 
"Non  difpre^iar  ciò  cP  in  tua  gloria  ac~ 
cumulo  , 
Ver  noi  p'àjpejfo  ornai  lieta  avvicinati  ; 
E   vedrai  jcritto  unverfo  in  fu  lo  fi  i pi  te  : 
Arbor  di  Filli  io  fatiipaftore, inclinati. 45 
Bare  Or  che  dirai  ,  quand"*  et  gitrh  precipite 
Quella  f^mpogna  fua  dolce  ed  amabiU  \ 
E  per  f  rirfi  prefe   il  frro  ancipite  ? 
N.on  gian  con  un  fyon  l'Alfio  ,  e  mijerabile  , 
Filli  ,  Filli  ,  gridando  tutti  i  calami  ?    50 
Qhe  pur  parve  ad  udir  cofa  mirabile  . 
SwVaOr  non  fi  moffe  da'*  fuperni   talami 

Filli  a  tal  fuon^cy'io  già  tutto  commovomi  ' 
Tanta  p' età  il  tuo  dir  nei  petto  e f alami  . 
Barc.T^arf *,  m^nt^e  fra  me  ripenfo  ,  e  provomi  5  5 
Se  queW  altre  fue   rime  or  mi  ricordano  : 
Delle  quali   il  principio  fol  ritrovomi  , 
BviTCi.Tanto  i  miei  fenfi  al  tuo  parlar  i'ingordanoy 
Che  temprar  non  U  fo  .  comincia\  aiutati  j 
Ci^f  ai    primi    Viffi  ^Of    gli  altri  /'  ac-. 
fordafto .  60 

Bare* 


DEL   SA  NAZZARO.    14$ 
"BztC.Cbf  farat  ^  Mtlifeoì  morte  refutati  ^ 

Poi  chi  Fi  ili  t^ba  pofio  in  dogli  a  ^e  lacrime  ; 
N_è  pia  ,  come  folea  ,  lieta  (aiutati . 

Dunque  ,  amici  paftor  ,  ciafcun  confacrime 
y^rfìfol  Ji  dolor  y  lamenti  y  e  ri  ti  mi  \  6y 
E  chi  altro  non  puh  ,  meco  collacrime  . 

A  pianger  cpl  fuo  pianto  ognuno  incitimi  y 
Ognun  la  pena  f uà  meco  comumcbc. 
BerubPl  mio  duol  da  (e  dì  e  notte  invitimi  , 

Scriffi  i  miei  verft  in  fu  le  poma  puniche  ;   70 
E  ratto  diventar  forba  y  e  corbe^X^H  l. 
Si  fon  le  forti  mie  moflrofe  y  ed  uniche  • 

E  fé  per  inneftar  li  incido  ,   0  foer^iuli , 
Mandan  [ago  di  fuor  si  tinto  e  livido  , 
Che  moftran  ben^  che  nel  mìo  amaro  avm 
veiioli  :  75 

Le  rofe  non  ban  pia  quel  (olor  vìvido  \ 
Poi  che  '/  mio  fol  nafcofe  i  raggi ,  lucidi  ; 
Dai  quai  per  tanto  fpa\'0  oggi  mi  divido  , 

Mcjìranji  l*  erbe  ,  e  ifior  languidi  e  mucidi  : 
I  pifci  per  ti  fiumi  infermi  ^  efontici:    80 
E  gli  animai  nei  bofcbi  inCilti  e  fucidi  . 

Vegna   Vefevo  ,  e  i  fuoi  dolor  raccontici  \ 
Vedrem  fé  le  fue  viti  fi  lambrufcano  , 
£"  fé  fon  li  fuoi  frutti  amari  y  e  pontici  . 

Vedrem  poi  che  di  nubi  cgnio^  lì  cffvfcam  Z% 
Le  fpalle  fue  col  P  uno  ,  e  P  altro  vertice  : 
Forfè  pur  novi  incendj  in  lui  corufcano  . 

Ma  chi  verruche  de^  tuoi  danni  accertice  ^ 
Mergillina  gentil ,  che   sì  ti  inceneri  , 
E  i  lauri  tuoi  fon  fece  he  ye  nude  pertice  ?  90 

Antiniana  ^  e  tu  perche  degeneri  } 

Perchè  rufcbi  pungenti  in  te  diventano 
S^ei  mirti  chefurgiA  sì  mcUi  e  teneri  ? 

Dimmi  y  Ni  fida  mia  ;  così  non  fentano 
Le  rive  tue  giammai  crucciata  Dori  da  ,  95 
Né  Paufilippo  in  te  venir  fonfentano\ 
Tmt  I,  Q  Kon 


145  A  R  e  A  D  r  A 

No/t  ti  vtd^  io  poc^  anii  trbofa  ,  *  fiorila  ^ 
Abitata  da  lepri  y  e  da  cuniculi  ? 
2^en  ti  veggi"*  or  pia  eh*  altra  incolta  f 
ed  ori  da  ? 
]^on  veggio  i  tuoi  f  eceffi ,  e  i  diverticuli    i  OO 
Tutti  cangiati  \  e  freddi  quelli  f copuli 
Dove  temprava   Amor  fuo^  ardenti  fpiculi  ? 
Spanti  pafior  ,  Sebet$ ,  e  quanti  populi 
Morir  vedrai  di  quei cPinte  s'annidano  ^ 
pria  che  la  riva  tua  f'inolmi^o  impopuli?  105 
Laffoy  già  ti  onorava  il  glande   'Erìdano  • 
E^lTebro  al  nctne  tuo  lieto  incèinavafi  : 
Or  le  tue  Ninfe  a  pena  in  te  fi  fidano  • 
Morta  è  colei  cP  al  tuo  bel  fonte  ornavafi  y 
"E  prepone  a  il  tuo  fondo  a  tutti  i  fpecoli:  i  lO 
Onde  tua  fama  al  del  volando  al^avafi , 
Or  vedrai  ben  pajfar  ft  agio  ni  )  e  f ecoli  ; 
E  cangiar  rafiri  ,  fiive  ,  aratri  ,  e  capoli 
"Pria  che  mai  sì  bel  volto  in  te  fi  [pe  e  oli  , 
Dunque ^miftfy  perchè  non  rompile  fcapoli  1 1 5 
Tutte  /*  onde  in  un  punto  ,  ed  inabiliti  5 
Poi  che  Napoli  tua  non  è  pia  Napoli  ? 
S^efto  dolore ,  oimè  ,  pur  non  predijjìti 
.Q^elgiornOyO patria  mia yCp allegro  ed  ilare 
Tante  lode  cantando  in  carta  fcrijjiti  .11© 
Or  vo  che  ^Ifenta  pur  Vulturno ,  e  S ilare  , 
CP  oggi  farà  fornita  la  mia  fabula  ; 
Ne  Cùfa  verrà  mai  che  V  cor  mi  e  filare  ; 
Ne  vedr'b  mai  per  bofchi  (affo  ,   0   tabula  , 
CP  io  non  vi  feriva  Filli  >  acciocché  pian- 
gane  ^^$ 

Qualunque  altro  pafior  vi  pafce  ,  ofiabula  . 
JE  fé  avverrà^  cP alcun  che  \appe ,  e  mangine  , 
Da  qualche  fratta  iv  io  languì fca^afcoltemìy 
Dolente  ,  e  flupefatto  al  fin  rimangane  . 
ì/ia  pur  convien^che  a  voi  fpejfo  rivoltemi y  i  ;o 
Luoghi  un  tempo  al  mio  cerfoavi ,  e  lepidi  ^ 

Voi 


DEL  SANAZZARO.     147, 

Pei  che  non  trovo  ove  piangendo  cccohetm  • 
0  Cuma  ,  e  Baja  ,  0  fonti  ameni  ,  e  tepidi  , 
Or  non  fi  a  maiy  che  alcun  vi  lodilo  Kornìni , 
Cbe'^l  mio  cor  di  dolor  non  fudi^e  trepidi.i  ^  5 
E  poi  che  Morte  vuol  che  vita  abbomìni  , 
j^uaji  vacca  che  piange  la  fya   vitula  , 
Andro  nojando  il  ciglila  ferrategli  uomini  , 
"Mon  vedrò  mai  Lucrino ^  Averno  ,  oTritula  , 
Cbe  £0  fofpir  no  corra  a  quella  af co  dita  14O 
Falle  che  dal  mìo  fogno  ancor  t^intitula  . 
To'fe  qualche  beli*  orma  ivi  recondita 
Lafciar  quei  fanti  p<V  ,   quando  fermar ofi 
Al  fuon  della  mia  voce  afpra  ,  ed  incondita  • 
E  forfè  ifior  cbe  lieti  allor  mojìraroji ,        145 
Faran  gir  $  miei  fenji  enfiati  e  tumidi 
DelP  alta  vifion  cb^  ivi  fognar oji  , 
Ma  come  vtdrl  voi ,  ardenti  ,  e  fumi  di 
Monti  dove  Vulcan  bollendo  infolfafi  , 
Cbe  gli  occhi  miei  non  fian  bagnati  ed  umi^ 
di}  153 

"Perocché  ,  ove  queìV  acqua   irata  ingclfafi  , 
Ove  pia  ratta   al  del  la  gran  voragine  , 
E  pittg'ave  P  odor  ridonda  ,  ed  o^fafi'^ 
Veder  mi  par  la  mia  celefie   immagine 
Seder fi^e  co  diletto  in  quel g'an  fremito  155 
Tener  ^orecchie  intente  alle  mie  pagine . 
0  hffo  ,   0  dì  miti  volti  in  pianto  ,   e  gemito  ! 
Dove  viva  la  am  ti  ,  morta  fcfpirola  ; 
jE"  per  queir  or  me  aro"  m^ìndri^io  e  infemrto. 
Il  giorno  folf-a  me  contemplo  ,  e  mirala  ,    i  6o 
E   la  notte  la  chiamo  a  gridi  altìjftmi  j 
Talché  [ovante  in  fin  qua  gh  ritirala  ^ 
Sovente  il  dardo  ond'^iofiejfo  trafijfimi  , 
Mi  moftrainfcgno  entro  i  begli  oefbi^  f 

diami  : 
Ecco  il  rimedio  de' tuoi  pianti  afprir- 
Hmi.  id^ 

G     X  £  men^ 


148  ARCADIA 

E  mentre  Jìar  con  hi  piangendo  ìicemì  , 
Avrei  poter  di  far  pietofo  «»'  afpide  : 
Si  cocenti  fcfpir  dal  petto  elicemi , 
N^  gW/i»  ehhe  giammai  terra  Arimafpide 
Si  crudo y  oimè^  cP  al dipartirfìfuhitOy   1 70 
tion  dejiajje  un  cor  di  dura  j afpide  , 
Ondato  rimango  in  fui  finifirc  cubito  , 

Mirandole  parmi  un  fol che  flenda^e  rutile^ 
E  cai  verfo  lei  g-idar  non  duhitg  \ 
Qual  tauro  infelva  con  le  coma  mutile  ,    175 
E   quale  arbujlo  jen^a  vite  ,  0  pampino  , 
Tal  jono  io  fenia  te  ,  manco  e  disutile  . 
%\yXCi>^Vftfì^^  ^(f^*"   P«^  >  che  dentro  un  cor  fi 
fl  ampi  no 
Si  fiffe  pajfion  di  cofa  mobile  , 
E  del  foco  giàfpento  i  [enfi  -^  vvamptno?i  80 
^^al  fiera  sì  crudele  qual  faffo  immtbile 
Tremar  non  fi  fentijje  entro  le  vìfcere 
Al  miferahil  fuon  del  canto  nobile  ? 
Barc.E^''  parr^  che  *l  citi  teglia  dehifcere  ^ 
Se  fent ra i  lame ntar  quella  fua  t ita ra  ^   185 
E    che  pietà   ti  roda ,  amor  ti  [vincere  : 
'La  qual  mentre  pur  Filli  alterna  ,  ed  itera  ; 
E   Filli  i  [affi  ^  i  pin  Filli  rifpondonoy 
Ogni  altra  melodia  dal  cor  mi  oblitera  , 
Sum.O''  dimmi  y  a  tanto  umor  che  gli  occhi  fon-^ 
donoy  190 

^fl«  vide  mover  mai  h  avaro  carcere 
Di  quelle  inique  Dee  che  la  nafcondono  ? 
"BdiYcO  Atropo  crudel  y  potefti  pa'cere 

A  Filli  mia  j  gridava  ,  0  Cloto  ,  0  Lacbefi  , 

Deh  confentite  om^i  cPiomi  dt [career e.  \g% 

Sum»Moran  gli  armenti  ,  e  per  le  fe/ve  vachefi; 

In  arber  fronda  ,  /;;  terra  erba  mnpulule  \ 

Poi  che  ) pur  ver  y  cheH fieroCiel nonpla^ 

chefi  , 

"BaXQ.yedreJìi  intorno  a  ìnifiar  cigni  ,  ed  ulule  , 


I 


DEL   SANAZZARO.     149 

jQuani^o  avvi  e  n  ,  cjl^e  talor  con  la  fila  /§» 

dcla  200 

Si  lagne  \  t  quflla  a  luì  rifponda  ,  idulult  . 

Qwtr  quando  in  fu  /'  alba  efclama^  e  modola  : 

Iterato  fol ,  per  cui  ti  affretti  a  nafcere  ? 

Tua  luce  a  me  (he  valy  /'  io  pia  non  godala  ? 

"Ritorai  tu  ,  percb^  io  ritorne  a  papere     205 

Gli  armenti  in  quejie [elve  ?  0  ptrcbè  firug^ 

gami  ? 
O  perchè  pia  ver  te  mi  pojfa  i^afcere  ? 
Se  '/  fai  ,  eh*  al  tuo  venir  la  notte  fuggami  ^ 
Sappi  che  gli  oc{lftufati  in  piantole  tenebre^ 
Non  vo  che  V  raggio  tuo  rifcbiare  y  0  fug' 
gami ,  210 

Ovunque  miro  ,  par  che  V  del  fi  ottenebre  5 
Che  quel  mio  fol  che  P  altro  mondo  allumina 
JE*  or  cagion  eh"*  io  tnai  non  mi  àijienehre  , 
Qualbove  ali*  ombra  ,  che  fi  pofa  ,   e  rumina  , 
Mi  flava  un  tempo  ,  ed  or  lajfo  abbando^ 
nomi  ,  215 

Qual  vite  che  per  pai  non  fi  Jl.'ìtumina  . 
Talor  mentre  fra  me  piango  ,  e  ragìonomi ^ 
Sento  la  lira  dir  con  voci  querule  : 
Di  lauro,  o  Melifeo^più  non  coronoml  . 
Talor  veggio  venir  fri  foni  ,  e  merule  210 

Ad  un  mio  rofcigniuol ,  che /ìride  y  e  vocifa: 
Voi  nieco,o  mirti,e  voi  piagete,o  ferule. 
Talo^  d*  un*  alla   rupe  il  co'bo  c'ocita'. 
Abforbere  a  tal  duolo  il  mar  devrebbefi» 
Ifchia  y  Capri  ,  Ateneo  ,  Mifeno  9  e 
Procita .  2*5 

L,»  tortorella  eh*  al  tuo  grembo  crebbefi y 

Pei  mi  fi  mojìra  ,  o  Pilli  ,  fopra  un*alvanù 

Secco;  eh*  in  verde  già  non  poferebbefi ; 

E  dice  :  Ecco  che  i  monti  già  fi  incalvano} 

O  vacche,  ceco  le  nevi ,  e  i  tempi  nu- 

bilii  *5o 

G    5  Qual* 


150      ^     ARCADIA 

Quarombrejoqua'difefe  ornai  vi  fai  vano? 

Chi  fia  che  udendo  cil  mai  rida  ^  o  giubili  } 
E*  par  che  i  tori  a  me  fnu^aendo  dicano  . 
Tu  fei  che  con  fofpir  queft'aria  annubili. 
S\xlXi,Ccftgran  ragion  h genti  s^ affaticano  135 
Ver  veder  Melifeo  poiché  i  fuoi  cantici 
Son  tai  ,  i  he  ancor  nei  fajft  amor  nutricano  , 
'BàVcBfinfai  tu.faggioyche  coi  rami  ammantici  , 
Quante  fiate  aifuoi  fofpir  movendoti , 
Ti  parve  di  fentir  fjfioni^o  mantici  .    24O 

0  Melifeo  ^  la  notte  e^l giorno  intendoti  ^ 
E  sì  fijjì  mi  flan  gli  accenti  ,  e  i  fibili 
Nel  petto  ^  che  tacendo  ancor  comprendati  , 
^\xm.T)eh  fé  ti  cai  di  me  ,  Bar  cimo  ,  feribili  , 
A  talché  poi  mirando  in  quefli  corrici^  143; 
L^  un*  arbor  per  piet^  con  P  altro  a/Jtbili  , 

Fa  ,  che  del  vento  il  mormorar  confortici  : 
Ta  che  fi  fpandan  le  parole  e  i  numeri  ; 
Tal  che  ne  foni  ancor  Rejìna  ,  e  Vortici  , 
"BaVC.Un  lauro  gli  vid^io  portar  fu  gli  umsri^t^qj 
E  dir-.Col  bel  fepohro^o  lauro^  abbracciati  ^ 
Mentr*  io  femino  qui  menta  ^  e  cucumert  ^ 

llCìelo^o  D'va  mia^  non  vuol  eh"*  io  tacciati  J 
An\i  perché  ognor  più  ti  onori  ,  e  celebre  , 
Dal  fondo    del  mio  cor    mai  non  difcac 
ciati,  255 

tìnde  con  quefio  mìo  dir  non  incelebre  , 
S^io  vivo  ,  ancor  farh  tra   quejfi  ru/ìici 
La  fepoltwa  tua  fimcfa  ,  e  celebre  . 

E"  da'*  monti  Tcfcani  y  e  da*  Ligujìict 

l^erranpafiori  a  venerar  quefi^ar/gulo  ;  260 
Sol  per  cagion  che  alcuna  volta  fufiici  • 

E   leggeran  nel  bel  (affo  quadrangulo 

Il  titol  che  a  tutt*  ore  il  cor  /»'  infrigida  , 
Ver    cui   tanto  dolor   nel  petto  firangulo  . 

QUELLA   CHE  A  MELISEO  SI' AL- 
TERA  5  E  RIGIDA 

SI 


DEL   SA  NAZZ  ARO.    iji 
SI  MOSTRO' SEMPRE;  OR  MAN^ 

SUETA,  ED  UiMILE 
SI  STA  SEPOLTA  IN  QUESTA  PIE- 
TRA FRIGIDA. 
Sum.i"^  qutftt  rime  troppo  dir  prefumih  ^ 

Baffi  ni  0  mio  ,  tra  qutfìe  kajfe  pergole  \ 
Ben  veggio  che  col  fìéto  urt  gierrta  allu» 
m'tle  »  27O 

^3XcSummon\io  ,   io  per  li  tronchi  ferivo  # 
vergole  ; 
r  perche  la  lor  fama  pi  Ut  dilatefi^ 
Per   longinqui  paeji  ancor  difpergole  • 
Tal  che  fari  che'^lgran  Tejino  ,  ed  Atefi ^ 
Udendo  Melìfeo  ,  per  modo  il  cantino  ,275 
Chi  Filli  i/fenta,  ed  a  fé  flejfa  aggratefi  » 
E  che  i  pajlor  di  Mincio  poi  gli    piantina 
Un  bel  lauro  in  memoria  del  fuofcrivere  \ 
Ancorché  del  g^an  Ti  tiro  fi  vantino  , 
Sum.Degnofu  Mflifeo  di  fempre  vi v tre       280 
Con  la  fua  Fillio  e  ftarfi  in  pace  amandola  ; 
ìiia  chi  puh  le  fue  Ifggi  al  Ciel  preftrivere} 
SìTC.^olea  fp^Jfo  per  qui  venir  chiamandola  i 
Or  davanti  un^  altare  in  fu  quel  culmine 
C e n  incenfififìa  f  mpre  adorandola  .       2 2^ 
Sam.Dehfocio  mio,fe'l  del  giammai  non  fulmine 
Ove  tu  pafca  ,  e  mai  per  vento  ^  0 grandine 
La  capannuola  tua  non  fi  di  (culmi  ne  5 
Qui  fovra  Pe^ha  frefca  il  manto  fpandine  <^ 
E  poi  corri  a  chiamarloinfu  quel limite\igo 
Ter  fé  impetri  che  ^iQiel  la  g''a^ia  mandine. 
Bare.  P//5r  tcfio  (  fé  vorrai  che  ^l finga  ed  imite  ) 
Potrh  cantar  ^  che  farlo  qui  difcéndere 
^'W"'  "*"  ^  i  ^ome  tu  forfè  ejìimite , 
S  jm  '^tf  vorrei  pur  la  viva  voce  intendere  ,     295 
Per  notar  de*  fuoi  gefti  ogni  particola  ; 
Onde  si  io  pecco  in  cil ,  non  mi  riprendere  « 
Bare,  P  (uggiamo  or  fu  ver  quella  face  a  edicola  ; 
G    4  C/# 


:    15*  ARCADIA 

Che  del  bel  colle  ^  e  del  forgente  pafiim 
Et  fola  è  ti  Sacerdote  ,  ed  et  l^agricola  .    ^po 
Ma  prega  tu  che  i  venti  non  tei  guaftino , 
CP io  ti  fari  fermar  dietro  a  quei  frutici  ^ 
Pur  che  a  fai  ir  fin  fu  P  ore  nehaftino  ^ 
Sum  Vorofo  io  ,  fé  tu  y  Fortuna  ,  ajutici  y. 

Una  a  gnu  dare  a  te  delle  mie  pecore  ,      305 
IJna  alla  Titnpejìà  ,  che  ^Iciel  non  mutici  . 
N<fn  fonfentir  ,   0  Ciel  ^  cPio  mora  indecore^ 
Che  fui  penfando  udir  quel fuo  dolce  organo  3 
Var  che  mi  fpolp*  9  fnerve  ,  e  mi  dirjecore  . 
Bare.  Or  va  ;  che  i  fati  a  buon  cammin    ne 
fi  organo  ;  31O 

"Non  femi  or  tu  fonar  la  dolce  fiftuìa  ? 
Fermati  ematiche  i  can  non  fé  ne  accorgano* 
Mel.I^woi   capelli  y  0  Filli  y  in  una  cijìuìa 
Serbati  legno  ,  e  fpejfo  quand*  io  volgoli  , 
1/ cor  mi  pajfa  una  pungente  arijìula  .      315 
Speffo  gH  lego  ,  efpfjfo  ,  cim^ ,  difciolgol*  ^ 
E   lafcio  fopfa  lor  quefti  occhi  piovere  j 
Poi  confojpir  gli  ùfciugOy  e'^nfieme  accolgali  , 
Sajfe  fon  quefìe  rime  ,  e  fili  ,  e  povere  ; 
Ma  fé  ^! pianger  y  in  Cielo  ha  qualche  me- 
rito ,  320 
Dovrebbe  tanta  fé  Morte  commovere , 
Ifi  piango  ,   0  Filli  y  il  tuo fpie tato  inferito  ; 
E^l  mondo  del  mio  mal  tutto  rinverdeji : 
"Deh  penfa  y  prego  y  al  bel  viver  preterito  \ 
Se  mlpaffar  di  Lete  amor  non  per  de  fi ,      gì  5 


feiv^ 


AL- 


DEL   SANAZZARO.     15J 
ALLA    SAMPOGNA. 

E  Geo  che  qui  fi  compìeno  le  tue  fatiche  9 
o  ruftica  ,  e  bofchereccia  fampogna, 
degna  per  la  tua  baflezza  di  non  da  pm 
coleo  ì  ma  da  più  fortunato  paftore  eh'  io 
non  folo  ,  cfìTer  fonata  .  Tu  alla  mia  boc- 
ca j  ed  alle  mie  mani  fei  non  molto  tem- 
po ftata  piacevole  efercizio,  ed  ora  (  poi- 
ché così  i  fati  vogliono)  imporrai  a  quelle 
con  lungo  filenzio  forfè  eterna  quiete  .  Coo- 
cioflìacofachè  a  me  conviene  >  prima  che 
con  efperte  dita  fappia  mifuratamente  la 
tua  armonìa  efprimere  >  per  malvagio  ac- 
cidente dalle  mie  labbra  difgiungerti  :  e 
(quali  che  elle  fi  fiano)  palefare  le  indot- 
te note,  atte  più  ad  appagare  femplici  pe- 
corelle per  lefelve,  che  fitudiofi  popoli  per 
le  cittadi  :  facendo  ficcome  colui  che  óf- 
fefoda  notturni  furti  ne*  fuoi  giardini ,  co- 
glie conifdegnofa  mano  i  non  maturi  frut- 
ti dai  carichi  rami  ;  o  come  il  duro  arato- 
re >  il  quale  dagli  alti  alberi  innanzi  tem- 
po con  tutti  i  nidi  fi  affretta  a  prendere  i 
non  pennuti  uccelli  >  per  tema  che  da  fer- 
pi ,  o  da  paftori  non  gli  fiano  preoccupati . 
Per  la  qual  cofa  io  ti  prego,  e  quanto  pof- 
fo  ti  ammonifco,  che  della  tua  falvatichez- 
za  contentandoti  >  tra  quefte  folitudini  ti 
rimar>ghi  .  A  te  non  fi  appertiene  andar 
cercandogli  alti  palagj  de'  principi,  né  le 
fuperbe  piazze  delle  popolofe  cittadi  ;  per 
avere  i  fonanti  plaufi  ,  gli  adombrati  favo- 
ri,  ole  ventofe  glorie,  vaniflìme  iufinghe  , 
fclfi  allettamenti,  flolte,  ed  aperte  adula- 
zioni dell'infido  volgo.  Il  tuo  umile  fuo- 
G    5  no 


Ì54  ARCADIA 

ìio  mal  fi  fentirebbe  tra  quello  delle  fpa* 
ventevoli  buccine  j  o  delle  reali  trombe* 
AlTai  ti  fia  qui  tra  quefti  monti  efTere  da 
qualunche  bocca  di  pallori  gonfiata  ;  infe- 
gnando  le  rifpondenti  felve  di  rifonare  il 
nome  della  tua  donna;  e  di  piagnere  ama- 
ramente con  teco  il  duro,  ed  inopinato  ca- 
fo  della  fua  immatura  morte  ;  cagione  ef- 
iìcacilììma  delle  mie  eterne  lacrime  ,  e  del- 
la dolorofa,  ed  inconfolabile  vita  ch'io  fo- 
ftegno  ;  fé  pur  fi  può  dir  che  viva,  chi  nel 
profondo  delle  miferie  è  feppellito  .  Dun- 
que,  fventurata  ,  piagni  ;  che  ne  hai  ben 
ragione.  Piagni,  mifera  vedova;  piagni^ 
infelice  ,  e  denigrata  fampogna  ,  priva  di 
quella  cofa  cbe  più.  cara  dal  cielo  tenevi; 
uè  reftar  mai  di  piagnere  ,  e  di  lagnarti 
delle  tue  crudeliflime  difventute,  mentre 
di  te  rimanga  calamo  in  quefte  felve  ;  man- 
dando fempre  di  fuori  quelle  voci  che  al  tuo 
mifero  ,  e  lacrimevole  ftato  fon  più  con^ 
formi  .  E  fé  mai  paftore  alcuno  per  for- 
te in  cofe  liete  adoprar  ti  voleffe  ,  fagli 
prima  intendere  ,  che  tu  non  fai  fé  non 
piagnere  ,  e  lamentarti  ;  e  poi  con  efpe*- 
rienzia,  e  veraciflìmi  effetti  effer  cosigli 
climoftra  ,  rendendo  continuamente  al  fuo 
foffiare  mefto  ,  e  lamentevole  fuono  ;  per 
forma  che  temendo  egli  di  conrriftare  le 
fue  fede  ,  fia  coftretto  aDontanartifi  dalla 
bocca  >  e  lafciarti  con  la  tua  pace  ftare 
appiccata  in  quefto  albero,  ove  io  ora  eoa 
fofpiri ,  e  lacrime  abbondanti iTì me  ti  con- 
facro  ,  in  memoria  di  quella  che  di  ave- 
re  infin  qui  fcritto  mi  è  (lata  potente  ca- 
gione j  per  Ja  cui  repentina  morte  ,  la  ma- 
teria or  in  tutto  -è  mancata  a  me  di  feri- 

Ycrej 


DEL  SA  NAZZ  ARO.  155 
Tere  ,  ed  a  te  di  Tonare  .  Le  noftre  Ma- 
fé  fono  eftinte  :  fecchi  fono  i  noftri  lauri: 
Tuinato  è  il  nodro  Parnalo  :  le  felve  fon 
tutte  mutole:  le  valli  >  e  i  monti  perdo- 
nila fon  divenuti  fordi  :  non  fi  trovano  più 
Ninfe  ^  o  Satiri  per  li  bofchi  :  i  paftori 
han  perduto  il  cantare  :  i  greggi  ,  e  gli 
armenti  appena  pafcono  per  li  prati,  e  coi 
lutulenti  piedi  per  ifdegno  conturbano  i 
liquidi  fonti  ;  né  fi  degnano  (  vedeudofi 
mancare  il^  latte  )  di  nudrire  più  i  parti 
loro .  Le  fiere  fimilmente  abbandonano  le 
wfate  caverne:  gli  uccelli  fuggono  dai  dol- 
ci nidi.  I  duri,  ed  infenfati  alberi  innan- 
zi alla  debita  maturezza  gettano  i  lor  frut- 
ti per  terra  ,  e  i  teneri  fiori  per  le  me- 
ile  campagne  tutti  comunemente  ammar- 
cifcono .  Le  mifere  api  dentro  ai  loro  fa- 
vi hfciano  imperfetto  perire  lo  incomin- 
ciato mele:  ogni  cofa  fi  perde;  ognifpe- 
xanza  è  mancata}  ogni  confolazione  è  mor- 
ta .  Non  ti  rimane  altro  ornai ,  fampogna 
mia  ,  fé  non  dolerti  ,  e  notte  ,  e  giorno 
con  ofiinata  perferveranza  attnftarti  .  At- 
triftati  adunque  ,  dolorofifiìma  ;  e  quanto 
più  puoi  ,  dell'  avara  morte  ,  del  Tordo 
cielo  >  delle  crude  (ielle  ,  e  de'  tuoi  fati 
iniquilTìmi  ti  limenta.  E  fé  tra  q uè f^  ra- 
mi il  vento  per  avventura  movendoti  ,  ti 
-donafle  fpirito,  non  far  mn  altro  che  gri- 
'dare  ,  mentre  quel  fiato  ti  bafta  .  Né  ti  cu- 
rare ,  fé  alcuno  ufato  forfè  di  udire  più 
•cfquifiti  fuoni ,  con  ifchifo  gufto  fcherniflTc 
la  tua  baflezza  1  o  ti  chiamale  rozza»  Che 
'Veramente  (  fé  ben  penfi  )  quella  è  la  tua 
•propria  j  e  principalifiìmalode;  purché  da' 
iofchi>  e  da'  luoghi  a  te  convenienti  '^nn 
G     6  ti  di- 


156  ARCADIA 

ti  diparta  .   Ove  ancora  fo  che  non  min- 
cheran    di  quelli  che   con    acuto   giudicio 
efaminando  Je  tue  parole  ,  dicano  ,   te  iti 
qualche  luogo   non    bene   aver  fervate    le 
leggi  de'  pallori  ;  né  convenirfi  ad  alcuno 
pafiTir  più  avanti  che  a  lui  fi  appertiene  • 
A    quefti  (   confefTando    ingenuamente   la 
tua  colpa)  voglio  che  rifpondi  :  Niuno  ara- 
tore trovarfi  mai  sì  efperto  nel  far  de*  fol- 
chi  ,  che  fempre  prometter  fi  poffa  (enza 
deviare  >  di  menarli  tutti  dritti.  Benché  a 
te  non  picciola  fcufa  fia ,  lo  edere  in  que- 
llo fecole  (lata  prima   a   rifvegliare  le  ad- 
dormentate felve,  ed  a  moftrare  a'  pafto- 
Ti  di  cantare  le  già  dimenticate  canzoni  . 
Tanto  più    che  colui  il    quale  ti  compofe 
di  quefte  canne  »  quando  in  Arcadia  ven- 
ne ,  non  come  ruftico  paftore  ,   ma  come 
coltiniino    giovane  benché  fconofciuto  5   e 
peregrino  di  amore  y  vi  fi  conduce  .  Sen- 
za che  in  altri  tempi  fono  già  fiati  partorì 
si  audaci,  che  infine  alle  orecchie  de'Ro- 
jnani  Configli    han  fofpinto    il  loro    ftile  : 
fotto  l'  ombra  de*  quali  potrai  tu  »  fampo- 
gna  mia,  molto  ben  coprirti,  e  difendere 
animofamente  la  tua  ragione.  Ma  fé  forfè 
per  t  rte  alcun' altro  ti  verrà  avanti  di  più 
benigna  natura  ,    il  quale  con  pietà  afcol- 
tandoti,  mandi  faori  qualche  amica  lacri- 
mecta  ,    po«-gi  fubitamente  per  lui  efficaci 
preghi  a  Dio  ,  che  nella  fua  felicità  con- 
fervandolo  »  da  quefte  noftre  miferie  lo  al* 
lontani  .    Che  veramente  chi  delle  altrui 
avverfità  fi   uuole  ,    di  fé  medefin^o  fi  ri- 
corda .   Ma  quefti  ,  io  dubito ,  faranno  ra- 
ri ,  e  qu  tfi  bianche  cornici  ,  trovandofi  in 
affai  maggior  numero  copiofa  la  turba  de' 

de- 


DEL  SANAZZARO.  157 
detrattori  .  Incontra  ai  quali  io  non  Co 
peniare  quili  altre  arme  dar  mi  ti  poiTa  j 
fé  non  pregarti  caramente  che  quanto  più 
puoi  rendendoti  umile,  aToftenere  con  pa- 
zienza Je  lor  percoiTe  ti  difponghi  •  Ben- 
ché mi  pareefìTer  certo  5  che  tal  fatica  a  te 
non  fia  necefTaria  ,  fé  tu  tra  le  felve  (  fic- 
come  ioti  impongo)  fecretamente ,  e  fen- 
23  pompe  ftar  ti  vorrai .  Conciofìiacof  .che 
chi  non  (ale,  non  teme  di  cadere  ;  e  chi 
cade  nel  piano  (  il  che  rare  volte  addi- 
viene )  con  picciolo  aiuto  della  propria 
mano  fenza  danno  fi  rileva.  Onde  per  co  fa 
vera  >  ed  indubitata  tenerti  puoi,  che  chi 
più  di  nafcofo ,  e  più  lontano  d;'.lla  molti- 
tudine vive  j  miglior  vive  .  E  colui  tra 
mortali  fi  può  con  più  verità  chiamar  bea- 
to,  che  fenza  invidia  delle  altrui  grandez- 
ze ,  con  modedo  animo  della  fua  fortuna 
fi  contenta . 


Il  Fm  dffll*  Arcadia. 


»EN^ 


SENTENZE,  E  PROVERBJ 
USATI      VAL 

SANAZZARO. 


la  fin  3sl  "Proemio^  Certo  egli  è  miglioT« 
il  poco  terreno  ben  coltivare  ,  che  '1  mol- 
to lafciare  per  mal  governo  miferamen- 
te  imbofchire . 
^fo{a  6.  a  /.  45.  Tutte  le  terrene  cofe,  e 
P  animo  ancora,  quantunque  celeftefia^ 
ne  portano  feco  gli  anni  ,  e  la  divora- 
trice età. 
^Egloga  6.»^^. 4. Nel  mondo  oggi  gli  amici  non 

fi  trovano  ;     E  quel  chefegue  . 
I»/.i>.  13.  L'invidia,  figliuoi  mio,  fefteffa 
macera  , 
E  fi  dilegua  come  agnel  per  fafcino. 
Jz'/.i'.iio.Or conofco  ben  io,  che"'l  mondo 
in  (labi  le 
Tanto  peggiora  più  ,  quanto  pi^ 
invetera. 

Iw.i'.i25. ancorché  i  faggj  dicano  > 

Che  per  un  falfo  mille  buon  s'  in- 
famano . 
Trofa  7.  f,  51.  Lo  sfogare  con  parole  ai  mi- 
feri  fuole  alle  volte  edere  alleviamento 
di  pefo. 
■P''ofa  S.  r.'6o.  Degli  augurli ,  e  delle  promef- 
le  degli  Dii  non  fi  deve  alcuno  fconforta- 
re  giammai  :  perocché  certifilme  ed  infal- 
-libili  tutte  fono  . 
Ivi  .  Né  di  lacrime  Amore  ^  né  di  rivi  i 

pra- 


SENTENZE,  E  PROVERBJ .   159 
l)rati  ,  né  capre  di  fronde,  né  api  di  no» 
velli  fiori  fi  videro  fazie  giammai. 
Ivi  .  r.  71.  Gli  Dii  allora  in  più  tranquil- 
lo porto  ne  guidano  ,  che  con  più  tur- 
bata tempefta  rnoftrano  di  minacciarne. 
Ivi  ,  Non  può  edere  j  che  fra  tanti  nuvo- 
li alcuna  volta  non  paja  il  fole. 
Ivi,  Le  cofe  delìate  quanto  con  più  affla- 
no fi  acquiftano,  tanto  con  più  diletto  > 
quando  fi  pofTedonoj  fogliono  efler  care 
tenute .  ^ 

^gioga  8.p»io.  Nell^  onde  folca ,  €  nelP are- 
ne fé  mina , 
E  '1  vago  vento  fpera  in  rete  ac-» 

cogliere  ì 
Chi  fue  fperanze  fonda  in  cor  dì 
femina . 
2»/.  p, 34.  Se  Amore   è  cieco  ,  non   può  il 
vero  fcorgere: 
Chi  prende  il  cieco  in  guida  >  mal 

configliafi  : 
Se  ignudo;  uom  che  non  ha»  co- 
me può  porgere  ?  ^ 
'Quefta  vita  mortale  al  dì  fomigliafi  ; 
Il  qual ,  poi  che  fi  vede  giunto  al 

termine , 
Pien  di  fcorno   al  occafo  tinver- 
migliafi- 
1p».  1^.70.  E  pria  mutano   il  pel  >  poi  cnc 
s'avvezzano. 
Che  mutin  voglia  . 
IW.  P.87.  Ch;i  miglior  vita  del  morir  non 

provai! . 
Jw,p.ii5.  Che  non   s'  acquìfta  libertà  per 
piangere:  ^ 

E  tanto  è  mifer  l' uom  quaot   e 
fi  reputa. 

Ivi., 


160  SENTENZE,  E  PROVERBJ. 

Ivi.  f.ijo.  Che  al  mondo  mal  non  è  fen- 
za  rimedio  . 

Egloga  g,v.\2g.  La  capra  col  Icon  non  può 
far  guerra  • 

Ivi.  v„i^g.  Mal  fa  chi  contra  al Ciel  pu- 
gna, o  contende  . 

Profa  t\»c,iig.  Non  poiTono  tutti  gli  uomi- 
ni tutte  le  cofe  fapere. 

Ivi.  a  e,  12$.  I  privilegi  della  vecchiezza 
fono  si  grandi  ,  che  o  vogliamo  ,  o  non 
vogliamo,  fiamo  corretti  di  obbedirli  . 

Tghga  12,  V.  a 82.  Ma  chi  può  le  fue  leggi 
al  Ciel  prefcrivere? 

Alla  S a mpogrta  .Ci ;i6.  Chi  delle  altrui  av- 
verfitd  fi  duole  ,  di  fc  medefimo  fi  ri- 
corda . 

Ivi.  e.  157.  Chi  non  fale  >  non  teme  di  ca- 
dere ;  e  chi  cade  nel  piano  (il  che  ra- 
re volte  addiviene  )  con  picciolo  ajuto 
della  propria  mano  fenza  danno  fi  ri- 
leva. 

Ivi  .  Chi  più  di  nafcofo  ,  e  più  lontano 
dalla  moltituHine  vive  ,  miglior  vive  • 
E  colui  tra  mortali  fi  può  con  più  ve- 
rità chiamar  beato  5  che  fenza  invidia 
delle  altrui  grandezze ,  con  modeftoaiii- 
mo  della  fua  fortuna  fi  contenta* 


DE- 


descrizion'i 

DI    DIVERSE    COSE 
USATE     DAL 

SANAZZAPvO» 

Di  Vrtmavera  .  neW*  i^g^oga  i.  ».i2. 

Già  perlibofchi  i  vaghi  uccelli  fannod 
I  dolci  nidi,  e  d' alti  monti  cafcano 
Le  nevi,  che  pel  fol  tutte  disfannofi. 
Vidi  ciZ  che  feguf  . 

Di  fera  .   Profa  2.  a  caf.  9. 
Il  fole  era  perdechinarfi  verfo  I' Occiden- 
te ,  e  i  faftidiofi  grilli  incominciavano  a 
ftridere  per  le  fefl'ure  della  terra,  fen- 
tendofi  di  vicino  le  tenebre  della  notte. 
Deir Autunno  ,  e  ài  Primavera  .  Egloga  2,v.4y, 
Quando  i  bofcbi  fon  verdije  quado  sfrondano* 

'Di  fera  .   iti  .  verf.  133. 
Ecco  la  notte,  e*!  ciel  tutto s* imbruna  ^ 
E  gli  alti  monti  le  contrade  adombrano. 
Di  giorno,   ProfaT,.  e,  16. 
Come  il  fole  apparve  in  Oriente  ,  e  i  va- 
ghi uccelli  fovra  li  verdi  rami  Cantara- 
no, dando  fegno  della  vicina  luce. 
Di  bella  donna  .    Prcfa  ^.  e,  25-, 
Li  cui  Cvipelli  erano  da  un  fottilififimo  ve- 
lo coverti  ,  di  fotto  al  quale  due  occhi 
vaghi  ,  e  lucidiflimi  fcintillavano  ,  non 
altrimenti  che  le  chiare    ftelle  fogliono 
nel  fereno  e  limpido   cielo  fiammeggia- 
re .    E  quel  che  feguita  , 

Di  giorno,    profa  8.   a  r.  6i. 

'Quando appena  fparitc  le  ftelle>  per  lavi* 

Di 


ì€2        DESCRIZIONI, 
cino  fole  vedevamo  l'Oriente  tra  vermi- 
gli nuvoletti  rofleggiare  . 

Di  fonte  ,  ivi  a  e.  66. 
Alla  margine  d'un  frefco»  e  limpidilTimo 
fonte?  il  quale  né  da  uccello)  né  da  fie- 
ra turbato  sì  bella  la   Tua  chiarezza  nel 
falvatico  luogo  confervava  j  che  non  al- 
trimenti che  fé  di  puriffìmo  criftallo  fta- 
to  fofTe ,  i  fecreti  del  translucido  fondo 
manifeftava.  Vedi  di  che  fegue  . 
Di  Primavera  ,   Egloga  8.  ».  142. 
Vedi  le  valli,  e  i  campi  che  fi  fmaltano 
Di  color  mille. 

Di  fera  .  Prcfa  9.  a  c.-j-j.  in  principio  • 
Non  fi  fentivano  più  per  li  bofchi   le  ci; 
cale  cantare  ,  ma  follmente  in  vece  di 
quelle  j  i  notturni  grilli  fuccedeado  fi 
facevano  udire. 

DelP  Aurora .  ivi  ac,^^. 
I  raggj  del  fole  apparendo    nelle  fommltà 
di  alti  monti  5  non  eflendo  ancora  le  lu- 
cide gotte    della    frefca  brina   rifeccate 
nelle  tenere  erbe  • 

Di  fera  .  Egloga   io.  v.  55. 
Acciocché  quando  i  bofchi  e  i  monti  im- 
brunano . 

Di  giorno  .    prcfa  11.  a  e.  1 14. 
E  già  la  vermiglia  Aurora  alzandofi  fovra 
la  terra,  fignificava  ammortali  la  v,enu- 
ta  del  fole  . 

Di  fera  .   Vrofa  12.  a  e,  151, 
Quindo  tra  le  fommità  de*monti  il  folebaf- 
fando  i  rubicondi  raggj  verfo  V  Occidente* 
DelP  Alba  ,   ivi  a  e,  i  55, 
L'  Aurora  già  incominciava   a  rofleggiare 
nel  cielo,  rifvegliando  univerfalmente  i 
mortali  alle  opr«  loro» 

DI- 


DICHIARAZIONE 

SOMMARIA 

Di  tutte  le- voci  Latine  ,  e  d'  altre  cofc 
che  fono  in  queft'  Opera  dell'  Arcadia , 

DI  M.  FRANCESCO  SANSOVINO. 

A  Sortivo ,  voce  latina  :  vale  il  medefi- 
mo  che  (conciatura  ,  per  metafora 
dalla  donna  gravida  >  che  difperdendo  > 
partorifce  fuori  di  tempo ,  e  quel  parto 
fi  chiama  aborto . 

Abrotano  y  indefincnza  di  rìfcuotano  ^  nome 
di  erba  di  calda  virtù.  Dice  Diofcoride 
nel  5.  e.  6.  eh*  egli  è  buono  agli  fpafimati» 
a'  veleni ,  ed  al  tremore  delle  febbri . 

Abfcrberr y  voce  latina:  forbire  ,  inghiotti- 
re, come  fa  il  mire  quando  nel  maggior 
colmo  della  tempefta  inghiottircele  navi, 
cioè  abjorbe. 

Acero  ^  nome  d'albero  nobile  :  ilfuolegnoè 
perfettiflimo  per  opere  di  mano  fottili ,  e 
dopo  il  cedro  ottiene  il  primo  luogo  . 

Aconito ,  erba  velenofa ,  la  quale  fi  trova  di 
tre  fpezie  •  Vedi  Diofcoride  nel  quarto  li- 
bro cap.  80. 

Adiii\'ctre  ,  dal  verbo  difctrt  ,  che  fignifica 
imparare  • 

AdJorma  y  addormenti,  dorìr^a  .  Addormire  è 
il  fuo  infinito  .  Ma  il  fuo  diritto  e  regolato 
è  addormtntare  ,  e  addormentato . 

'Admeto  ,  fu  Re  5,  di  TeiTaglia  j,  del  quale 
Apollo  guardava  gli  armenti  • 

Adro^  nomej  proprio  di  cane  :  da  atro  vo- 
ce 


164    GLOSA  D'ALCUNE  VOCI 

ce  latina  ,  che  fignifìca  nero  >   ofcuro  ) 

e  fofco. 

Adulta  ,  voce  latina  s  formata  da  adolefcere , 
chefignificacrefcere,  ÀdXvQvhoadeho .  E 
colui  è  adulto  eh' è  crefciuto  :  dalla  qual 
voce  fi  deriva  queft'  altra  ,  adolefctnte  , 
cioè  giovanetto,  che  è  ufcito  fuori  della 
fanciullezza  • 

Affafciare  ,  far  un  fafcio  di  ogni  cofa:  ab' 
bracciar  tutto  infieme  ^  dàfafeiare . 

Afflare^  voce  latina:  fcffiare,  fpirare  j  da 
flare  ,  verbo  latino  • 

Aggratano ,  cioè  aggradano ,  ma  in  vece  della 
D  per  rifpetco  della  cadenza  il  Poeta  mife 
la  T  ;  cofa  ufata  dagli  Scrittori ,  ficcome 
il  Petrarca  difleanco  def^itto  y  iptx  difpa^ 
to ,  avendo  neceflìcà  di  ciò  fare  per  la 
rima  . 

Alni ,  alno ,  albero  fenza  frutto  )  e  fenza  fé  - 
me:  nafce  fu  le  rive  de' fiumi  ;  leforelle 
di  Fetonte  fi  convertirono  in  queft*albero  - 

Alternare  y  cantare  a  v'ic^nòa  ,  erifpondere 
or  l'uno  5  ori'  altro  fcambievolm-nte. 

Amadriadi ,  Ninfe  de'  bofchi  :  in  greco  vuol 
dire  alberi:  e  però  le  Driadi ,  eie  Ama- 
driadi fi  chiamano  quelle  Deità  che  abita- 
no tra  le  felve  . 

Afnhafciare  ,  è  propriamente  anguftiare  ,  e 
afFannarfi  .  É'  anco  1*  afma  >  la  qual  na- 
fce per  troppo  abbondanza  di  fiato  j  fio- 
come  avviene  a  coloro  che  corrono  in  fret- 
ta >  e  che  poi  fermandofi  non  poffono  rac- 
cogliere il  fiato,  onde  Dante: 
E  pe'b  leva  fu  ^  vinci  /'  amba  [ci  a 
Con  P  animo  the  vince  ogni  battaglia  , 

Amendola  ,  nome  di  Ninfa  ♦  ma  per  avven- 
tura fìnto»  ficcomefono  tutti  gli  altri  di 

que- 


DELL'ARCADIA.  i6s 

quefto  volume  :  o  piuttofto  è  albero  .  Leg- 
gi le  Annotazioni . 

Ampiare^  allargare,  accrefcere  »  far  largo. 

Ancipite  y  voce  latina:  tagliente,  arrotato. 

Amlare  ^  quel  che  i  Tofcani  dicono  anfore  ^ 
ma  per  traslazione  vale  il  mcdefimo  che 
afpirarc  a  qualche  cofa  >  ovver  defidera- 
re  ardentemente. 

^/»^^^rd',affliggere,anguftiarejriangere,  doler- 
fi,  rammaricarfi  triftnmente  con  l'animo. 

Anguhy  cantone,  parte  non  retta  di  luo- 
go,  e  di  meno  eccellenza  che  lo  sferi- 
co nella  Geometria;  però  G  dice  veritay 
nonbabet  angnlos  ^  cioè  é  chiara»  epura» 
fenza  imperfezione. 

Antinians^  nMne  proprio  di  luogo,  ma  re- 
rò  fotto  Voce  di  Ninfa:  così  detto  dal  Sa- 
nazzaro  fecondo  P  ufo  di  quei  temni . 

Appiattare^  voce  Tofcana:  afcondere  ,  ce- 
lare .   Il  Petrarca  : 

E  lei  nonftringi  che  t^  appiatta  ^  sfugge  , 
Dcinte  : 

In  quel  che  t"*  appiatti  mi (er  li  denti  , 

Aragne  :  in  quefto  luogo  s*  intende  la  ragnaj 
cheèforta  di  rete  fotti  liUìma  fatta  di  fe- 
ta  j  ovver  di  filo  ,  con  la  quale  fi  pren- 
dono gli  uccelli  chiamati  tordi:  percioc- 
ch'  ella  fi  appiatta  tra  gli  alberi,  e  fi  di- 
ce andare  a  ragn^  .  Egli  è  in  proverbio  : 
Egli  badato  nella  ragna '^  cioè  egli  è  capi- 
tato male  . 

Afbvjii ,  cioè  arboreto  ,  luogo  ove  fono  ar- 
bori,  eviti,  mifchiatedi  maniera,  che 
eflendo  grate  alla  veduta,  fono  anco  di- 
lettevoli per  l'ombra  che  eflì  rendono  i 
come  fono  per  efempio  i  bofchetti  in  al- 
cuni luoghi  fatti  a  mano. 

4** 


i66     GLOSA  D' ALCUNE  VOCI 

Argo  y  avca  cento  occhi,  e  fu  pollo  da  Giu- 
none a  guardia  di  Io  tramutata  in  vacca» 
acciocché  Giove  non  la  riducete  di  nuo- 
vo in  forma  umana  .  Ma  Mercurio  in- 
gannando Argo  r  uccife  ;  e  Giunone 
adornò  la  coda  de^  Tuoi  pavoni  con  gli  oc- 
chi d'  Argo .  Vedi  le  Trasformazioni  d* 
Ovvidio  . 

Arìdo  ^  vai  il  medefimo  che  fecco  ^  o  ve- 
ramente cofa  che  non    abbia  fugo  alcu- 
no ,  e  che  fia  Aerile .  II  Petrarca  : 
Che  gentil  pianta  in  arido  terrtno  ec» 

Affjiula  ,  fpina  ,  aculeo  ,  o  pungolo  ,  dsL 
arifta  ,  che  fignifica  la  fpiga  del  fru- 
mento j  il  quale  ha  certi  fottiliflìmi  fili 
che  pungono  acerbamente.  Significa  adun- 
que arifiula ,  voce  diminutiva ,  coja  pun- 
gente . 

Arrequiare ,  voce  formata  da  requie  ;  ripo- 
fare  >  quietare  , 

Artigli y  ungioni  de^  piedi  degli  uccelli  ra- 
paci 1  come  fono  i  falconi  ,  1'  aquile  » 
gli  aftori  ,  e  fimili  altri  animali  .  Un- 
ghioni propriamente  fon  quelli  degli  ani- 
mali terrellri  :  ed  artigli  per  metafora 
fignificano  i  legami  d'  amore  :  Il  Pe- 
trarca : 

Tanto  provato  avea  il  tuo  fiero  artiglio, 

Afparago ,  fparagi  y  dichiamo  noi»  huoni  a/la 
bocca  e  cotti  ,  I  Veronefi  che  fon  per- 
fetti ,  fi  mangiano  crudi  »  ed  hanno  fa- 
pore  di  fava  frefca  .  Diofcoride  nel  2. 
lib.  e.  14.  racconta  molte  virtù  dello 
afparago  :  vedi  quivi . 

Atterrito^  cioè fpaurito ,  fpaventato dal  ter- 
rore, dalla  tema. 

Attr^fciare  ,  ridurre  in  treccia  o  fiori  ,  o 

rami 


DELL'ARCADIA.        167 
rami  d'arbori»  e  far  coronette  di  ginc- 
ftre  j  e  d'altri  fiori . 
Avena  ,  finiigliante  all'  orzo  ,  forca  di  biada  . 

B 

BAccari  ^  in  definenza  di  naceari  .  Nome 
di  erba  >  la  cui  radice  è  odorifera  mol- 
to, quafi  cerne  cinnamomo:  fimiglia  ai- 
la  ellera  con  la  foglia  ;  ma  è  più  tonda  > 
e  più  morbida  . 
Hacolo ,  voce  latina  :  baftone  ,  bacchetta  9 

baftoncello  . 
Bajnre  ,  ma  il  dritto  è  ahbajare ,  latrare  ;  ed 
è  proprio  de'  cani  eh'  abbaiano  :  come  fnug- 
gire  de'  tori  ,  e  belare  delle  pecore  >  ed 
annitrire  òc:^  cavalli  . 
Barcinio  y  nome  proprio  di  paftore,  ma  fin- 
to dal  Sanazzaro;  e  fu  uomo  letterato  da 
Napoli . 
Batto  ^  paftore  che  fu  convcrtito  infafìToda 
Mercurio,  per  averlo  ingannato  .  Vedi 
Ovvidio,  e  .-'  Annotazioni. 
BerfagJio ,  Ycrfaglio ,  Alcuni  lo  feri  vono  coti 
la  t  ;  ed  è  quel  fegno  al  quale  i   faetta- 
tori  tirano  per  far  pruovadel  loro  valo- 
re .  Latinamente  fi  dice  fccpttr  .   Dante  : 
Che  drii'^h  r  arco  tuo  a  tal  bfrfaglio  . 
E  fi  fuol  dire:  E  gli  è  fatto  ber  faglio  a  tut^ 
ti  i  tclpi  àella  fortuna  . 
Bifolco^  vale  il  medefimo  che  aratore;  la- 
tinamente bubuhur  ^^2l\\?ì  voce  ber  .  Il  Pe- 
trarca : 

N^  pajior  f^  apprefaran  ^  né  bifoìcii  , 
Blandire^  voce  latina  :  accarezzare  piace- 
volmente: e  blonda^  cofa  piacevole. 
Bucina^  cioè  tromba:  vogliono  alcuni  ch« 

fi  gai-. 


j^t    GLOSA  D'ALCUNE  VOCI 
lignifichi  il  corno  ,  alcuni  altri  la  piva  for- 
dioa  )  o  cornamufa  che  fi  dica  >  nondi- 
meno egli  è  difegnatoin  quello  luogo  per 
iilrumenco  nobile  da  fonare  • 


CAracchlo  ^  famiglia  onoratiiTima  in  Na- 
poli,  dalla  quale  fono  ufciti  Cardina- 
li >  e  Capitani  di  molto  valore  .  In  que- 
fìo  luogo  il  Sanazzaro  loda  Trìjìano  ,  di 
cui  ho  detto  al  fuo  luogo  ;  o  forfè  £'p/- 
curo  Caraccich  y  eh' a' fuoi  tempi  fu  leg- 
giadro ,  e  culto  Poeta  ,  e  fcrifle  un'  ope- 
ra chiamata  la  Cecarla  , 

Carpino  y  dice  Palladio  in  quel  dell*  agricol- 
tura ,  ch'egli  è  Tultim' albero  tra  tutti 
gii  altri . 

Cerri ,  nome  d^  albero . 

Certare  ,  voce  latina:  vale  il  medefimoche 
combattere  ,  o  contendere  infieme  :  e  da 
quefto  fi  dice  certami  . 

Coetanei  ,  cioè  d*  una  età  medefima  :  ficcome 
compatrioti  ^  cioè  d' una  msdefima  patria  • 

Collacfimarg  ,  cioè//»»^  lacrimari  ,  pianger  > 
e  lagrimar  con  qualcun'  altro  in  com- 
pagnia . 

Ccmonico  »  in  quefto  luogo  pef  ^  j  non  per  »  j 
per  rifpetto  del  'a  rima ,  eh'  è  errenico  :  ma 
comunico  è  il  fuo  dritto  :  e  fignifica  parti- 
cipare  >  ed  accomunare  . 

Compiangere  ,  piangere  infieme  j  come  colla^ 
crimare  y  lagrimar  in  compagnia  .  Si  nota 
che  quefta  voce  è  ufata  dagli  antichi  pro- 
fatari  Tofcani ,  e  Provenzali ,  ancora  eh* 
ella  fia  tutta  della  lingua  latina . 

Congedo  ^  vocc  Spagauola  >  e  ricordata  dal 

Boc- 


DELL'ARCADIA.         169 
Boccaccio    nella   fua  Amorofa  Vifione  : 
fignitìca  licenzia  .  Il  Bembo  nelle  Stan- 
ze : 

Duftqui  9    Vùflrs    bontà    ,    che   f»mpre   i 

mcha  , 
Danti  a  gii  Oratori  ornai  congedo  , 
Connubbio  ,  fignifica  il  matrimonio  :  e  gli  an- 
tichi ufavano  quefta  voce  tra  le  perfone 
libere  :  ma  tra'  fervi  dicevano  contuber^ 
fio ,  o  tal'  altra  voce  . 
Ccnforte^  vai  partecipe,  compagno.  Voce 
latina  fonfon  ;  e  conforte  dichiamo  la  mo- 
glie )  cioè  compagna  .  Bembo  : 

Rendimi  ,  r»  ejfer  puh  ,  libera  e  fciolta 
L*  erranti  mia  conforte  ^ 

C^rbe;ilo/i  ,  in  definenza  di  fcave^ioH  ^  o 
avveiioli ,  E'  il  corbezzolo  quell'  albe- 
ro che  i  Latini  chiamano  arbuttit  :  e  fa 
i  frutti  tondi  ,  rolli  ,  e  punteggiati  , 
fimili  alle  fragole  ;  e  fi  chiamano  <"«''- 
bexxole  , 

Corticc  y  fcorza  degli  arbori,  ne' quali  Ipa- 
ftori  intagliano  ,  cosi  per  favore  5  i  ru- 
bici nomi  delle  loro  paftorelle  j  coti 
punta  di  coltello»  o  d'altro.  La  prima 
invenzione  di  (crivere  in  tavole  d' albe- 
ro nacque  da  loro . 

Cetufcano  ,  rifplendono  come  fa  il  ba- 
leno . 

Covati  ,  è  proprio  della  gallina  quando 
copre  l'  uova  per  far  i  pulcini  .  Pe- 
trarca : 

TJ-ido  di  tradimenti ,  in  cui  fi  cova 
Quanto  mal  per  lo   mondo  oggi  fi  fpande  , 

Crepitare  y  fcoppiarcj  crepar  come  fa  la  fo- 
Tom9  I.  H  glia 


,70    GLOS  A  JD»  ALCUNE  VOCI 

glia  del  latiro ,  quando  fi  mette  fui  fuoco ,. 

Cribro^  crivello  da  vagliar  il  frumento;  che- 
fi  cW\2Lm2i  vaglio  in  Toicana  .  II  Petrarca  : 
Vort^  tial fiume  al  tempio  acqua  col  cribro  ^ 

Crccitare  i  è  proprio  il  verfo  della  voce  del- 
la gallina  che  chioccia.  Il  medeamo  fan- 
no alcuni  altri  uccellacci ,  corr*  è  il  cor- 
vo ,  ch'annunzia  la  pioggia  col  e  ocitare  .. 

Crotalo  ,  nome  d*  iftromento  mufico  ufato 
anticamente  dagli  Egizzj  nel  facrificare  j. 
come  fi  vede  nella  tavola  di  bronzo  di 
Monf.  Torquato  Bembo  .  Alcuni  dicono 
cK'  egli  è  un*  anello  grande  di  bronzo  » 
dal  quale,  percotendofi  con  verga  di  fer- 
ro ,  efce  un  tintinno  ed  «n*  armonìa  mol- 
to dolce ,  in  compagnia  però  della  fiftula . 

Cruente  y  da  cruore  ^  eh' è  il  fangue  :  figni-^ 
fica  [angui nolente  , 

Cubito  ,  gomito  del  braccio  :  dal  qual  s'  ha 
fatto  la  mifura  del  cubito  :  come  1'  Ar- 
ca di  Noè  era  alta  tanti  cubiti» 

Curvati ,  cioè  inchinati  >  piegati  a  terra  • 


DAmma^  per  doppiai,  è  la  capra  fai  va- 
tica  :  fimile  allacavriuola  :  alcuni  l^i 
chiamano  daino ,  Petrarca  : 

JE*  non  fi  vide  tnai  cervo ,  ni  damma  , 
Ma  con  una  rrt  fola  ?  oltra  ch'è  errore ,  vai 
anco  quel  che  noi  dichiamo  la  favorita  ^ 
ìa  (ignora  ^  la  innamorata  ,  la  dama  , 
Debìfcere  ,  aprir  grandemente  per  ogni  ver- 
fo, come  fa  il  cielo  quando  balena  ,  che 
par  che  fi  voglia  a  un  certo  modo  aprire. 
Delia ^  uno  de'  nomi  della  Luna,  percioc- 
Ch*clla  fi  chiama  Lucina ,  Diana ,  Latona  ^ 


1 


DELL*  ARCADIA.  ijr 

Tthe»^  Prof/rpina  ,  Ecaìe  ,.e  tali  altri  «, 
Dante  : 

Onde  ft  Parco  il  Sole  ^  e  Delia  il  cinto  ^ 
cioè  la  Luna . 

Depravaj'fy  guaftafi ,  corrompefi ,  fi  fa  cattivo  ^ 

Vilanì*^  da  dilaniare^  ftracciare>fmembr:.re* 

Dif culmini  „  da  difculminare  „  levar  il  coU 
mo  della  cafa  >  o  della  capanna  . 

Difjicore  ;  jecur  ,  fignifica  la  corata  :  da  que-* 
fto  nome  fi  forma  il  verbo  ditjtcorare  ,  cioè 
cavar  fuori  la  corata,  oli  fegato. 

Dijìraere  ,  condurre  in  divcrfe  parti  9  di* 
videre ,  menare. 

Divellere  ,  f piantare  ,  difradìcare  y  cavar  per 
forza  fuori  della  terra  erba,  o  albero  che 
fia  ben  radicato . 

Diverticoli ,  dal  verbo  vertere  :  nafcondlmeti-^ 
ti ,  luoghi  d'i  nafcondigli  :  così  di  fatti  > 
come  di  parole  :  perciocché  favellando 
l*uomo  accorto  che  non  vuol  elTer ,  co- 
me fi  dice  i^acchiappato  5  ufa  parole  j  e 
tratti  che  fi  poffbno  chiamar  diverticoli, 

Drimdi  ,  Ninfe  delle  felve  :  da  dryt  voce 
greca  »  che  vale  il  medefimo  che '»/^^''<? . 

Dumi  ,  {pini  ,  e  tal  volta  luoghi  fpinofi  % 
invogli  di  fpini ,  ed* altri  rami  de'  fof- 
fati  .  Noi  dichiamo  macchie  in  Tofcana  ; 
cie[e  in  Lombardia . 


E  Bull  ^^  pianta»,  che  produce  le  pomef-» 
le  come  il  fambuco .  Diofcoride  ne  trat-« 
ta  nel  lib.  4.  cap.  175. 
Eccitare^  far  animo,  deftare  ,  inanimare,, 
Mm  %  nome  di  Ninfa  .  Ed  é  quel  rifonamcn-" 
'    to  della  voce  che  riflettendo  ne'  luoghi 
Hi  ca^ 


172    GLOSA  D'  ALCUNE  VOCI 

cavernofi  rifponde  a  chi  chiama .  Ovvìdio 
fcrive  ch'ella  s'innamorò  diNarcifo)  e 
non  efTendo  all'incontro  prezzata  da  lui> 
piangendo  lungamente  ,  fi  converti  in  faf- 
fo.  Vedi  le  Trasformazioni. 

'Edicola  ,  da  <ede£  voce  latina  :  cafìetta,  o 
chiefetta  picciola. 

Edulio ,  companatico  :  cioè  tutto  quel  che 
fi  mangia  in  tavola  ,  cavandone  il  pane. 

^licere  ,  eftrarre  ,  cavar  fuori . 

Enareto  i  ncme  di  paftore  :  maperòdi  fcrit- 
tore  Napolitano  3  amico  delSanazzaroiti 
que' tempi. 

'Enotie^  nome  di  Ninfa  .  Coftel  fu  amata  da 
Paris  allora  ch'egli  era  paftore-  E  per- 
ciocché ella  fi  mantenne  fempre  *  ver- 
gine >  amandola  Apollo  ,  la  fece  medi- 
ca >  e  le  moftrò  la  virtù  di  tutte  l'erbe. 

Erg^fiy  alzifi  j  da  erigere  y  che  vai  drizzar- 
fi ,  levarfi  in  pie;  e  per  metafora»  alzar- 
fi  a  volo  ,  farfi  grande  ,  e  famofo . 

Trimanto  ,  nome  di  fiume  in  Arcadia  •  Na- 
fce  da  un  monte  parimente  detto  Eri- 
manto  ,  famofo  per  le  pruove  d'  Ercole  : 
perch'egli  vi  prefe  vivo  il  cinghiale,  e 
lo  portò  al  Re  Eurifteo . 

Errofìicoy  ch'erra,  che  falla,  o veramente 
eh'  è  ftolto . 

Eruttare  ,  mandar  fuori  con  impeto  :  a  gui- 
fa  del  monte  Etna,  che  manda  fuori  lo 
iìamme  e  la  cenere  con  furore. 

Efanimare^  cavar  fuori  l'anima. 

Efcuhit^  Te  guardie  che  fi  fanno  la  notte  al- 
le for- 

'^  Non  perche  fi  mantemjfe  fempfe  vergine  s 
ma  a  fili  perchè  lafcicjfi  torre  il  figr  ver* 
ginah  da  ^uel  Nume  , 


I 


DELL'  AR.CADIA.    ^     175 
le  fortezze»  agli  armenti,  alle  città.  Le 
fentinelle  dicono  i  foldati  . 

Ifi/are  ,  letifichi ,  allegri  ;  „  da  tfUrare  „  , 

Ej^l'o,  fine,  morte,  e  (ito, 

Éfpurgare ,  da  purgare  verbo  ,  purgar  con  fa- 
crificj  i  luoghi,  oleperfone  nonpie  ,  ma 
profane . 

EJiolf^ro ,  innalzarono  0  con  fatti ,  o  con  pa- 
role. 

Etruria  ,  la  Tofcana  :  'Etrurii ,  i  Tofcani . 

Evadere  y  chefignifica  fuggire  >  fcapolare  > 
falvarfi  dal  pericolo  . 

Evafìmo  ,  dal  verbo  latino  „  evadere ,, .  fcam- 
pammo  . 

Evitare ,  fchifare ,  fcapolare  ;  di  chi  fugge  «. 


FAmulentt  y  affamate,  che  hanno  fanie-^ 
^  Fanatico  y  pazzo,  o  veramente  pieno  di 
furore,  in  quella  maniera  de'  facerdoti 
antichi,  quando  davano  i  refponfi  jfigni- 
fica  anco  il  facerdote  eh'  è  propofto  al 
tempio ,  che  latinamente  fi  chiama/^'^ww. 

Fafcino  y  in  definenza  di  lafcino  y  è  qualità 
dMncantamento ,  per  lo  qual  fi  leva  ali* 
uomo  lacognizion  delle  cofe  :  onde  fat- 
to flupido  non  fa  s'egli  è  vivo;  e  fi  nuo- 
ce con  incanto  così  fatto  alle  pecore  .  L* 
iftelTo  dichiamo  delle  donne  che  guafta- 
no  i  fanciulli  col  guardo.  Ma  il  fuo  pro- 
prio è  delle  pecore.  Il  fuo  verbo  è  Z^- 
fcinore  . 

Fatidico  y  colui  che  predice  le  cofe  future  : 

qu:ifi  fecretariodegl' Iddii,  de'qualicgU 

fappia  il  volere  ;  ode!  fato,  onÒQ  fluidi ^ 

^^iCioè  ,)Chidice>jladifpofizion  del/'^'«?» 

H     ?  Fia^ 


„Ì74    GLOSA  D'ALCUNE  VOGì 
jFtafca  ^  di  legno,  odi  vetro,  o  d'altra  co- 
fa  ;  bottaccio  ,  o  tazza  ove  i  paftori  )  e  i 
contadini  portano  il  vino  }  e  fé  I'  attac- 
cano alla  cintura. 

Thco^  raucojche  ha  la  voce  impedita  j  che 
non  può  liberamente  favellare,  come  co- 
loro che  fono  infreddati. 

Tifa  Ile ,  vafi  fatti  di  vimini ,  o  giunclii  ,  ne^ 
quali  fi  rapprende  il  formaggio,  quando 
fi  fa  )  ovver  vi  fi  porta  dentro  • 

-Fiumora^  i  Tofcani  di  (fero  ,  ìatora^  prato^ 
ra  ,  corpora  ,  arcora  ,  o^tora  ,  luogora  ,  hof- 
gora  ,  graderà  ne'  nomi  neutri  ;  ma  ne' 
mafchili  non  diedero  tale  finimento. 

Fluviali ,  cofe  di  fiume  :  come  pefci  >  faffi  ) 
ed  altro. 

Fragola  y  forta  di  frutto  che  nafce  fui  mar- 
gine delle  foffe  dell'acqua  che  fono  pet 
lungo  i  prati  :  fon  dolci  alla  bocca  >  ro- 
tonde ,  e  rofTe  come  fcarlatto  . 

frangere ,  rompere ,  fpezzare  .^ 

Tratta  ,  inviluppo  di  arbofcelli  }  come  fo- 
no fpini,  eviti;  alberi,  che  noi  li  chia- 
miamo in  Tofcana  macchie  :  i  Lombardi 
dicono  ciefe  . 

Ti'igi^a,  voce  latina:  fredda. 

Trifone  ,  forta  d'  uccello ,  com'  è  il  tordo 
di  grandezza  . 

Ffornba ,  ^  fionda  .  Fronda  non  fi  difle  giam- 
mai da  alcuno  che  fia  flato  fcrittor  rego- 
lato .  I  Latini  òiCQViO  funda ,  Ed  èquel- 
l'iftromento  di  fun?>  odi  corda  col  qua- 
le fi  traggono  i  falTi ,  e  col  quale  Davide 
Re  uccife  Golia . 


«Stf/- 


DELL'  ARCADIA.       17 j 
<i 

GAÌÌia  Cifaìptfta  y  quella  parte  d'  Italia 
che  fi  chiama  oggi  Ja  Lombarda  . 

Gemina  ,  doppia,  raddoppia  :  da  geminare^ 
eh' è  addoppiare. 

Ghirlanda ,  corona  di  fiori ,  ovver  d'altra  co- 
fa  che  fia  vaga  j  e  di  colore  :  voce  Pro- 
venzale .  Alcuni  feri vonog'>/««^<»  5  qua* 
fi  giranda^  perchè  quella  fi  aggira  intor- 
no intorno  . 

Giuggiola ,  frutto ,  ed  albero  che  i  Lombar- 
di chiamano  zipola, 

G rottele .  grotta  ,  caverna  ;  gfottola  ^  caver- 
na picciola  ,  epcrrifpetto  della  rima  del- 
lo fdrucciolo. 


J  Acolo ,  legno  j  pietra  ,  o  qualunque  altra 
cofa  che  Ci  polTa  trar  con  mano  .  Ma  in 
quefto  luogo  fignifica  quel  dardo  di  legno 
che  portano  i  paftori , 
Jade  j  fono  le  fette  ftelle  cht  fi  trovano  nel- 
le corna  9  e  nella  teda  del  Tauro  fegno 
celefte  :  le  quali  quando  nafcono  ,  o  man- 
cano ,  fanno  nafcer  la  pioggia  . 
V>  la  favola  è  nota.  Vedi  le  Trasforma- 
zioni  d'  Ovvidio  ,  e  le  Annotazioni  fo- 
rra P  Arcadia  . 
Ignorare,  non  fapere  >  dal  verbo  latino  ignoro, 
ìlart  ,  allegro,  lieto  ,  giojofo  j  contento- 
Irnliafìo  y  la  baftina ,  o  il  bafto  che  fi  pone 
air  afmo  ,  o  alla   cavalla   ,  o  cavallo  . 
,,  anaotaiione  pellfgrina  ,   „ 
Jmp.polare^  vale  appoggiar  la  vite  ,  od  al- 
H    4  tro> 


jye     GLOSA  D'  ALCUNE  VOCI 

tro  ,  air  albero  chiamato  p<?pp^  ,  o  pioppo , 

Vedi  iì  2,  Indi  e  f  . 

Impuberi ^  giovanetti  di  prima  età»  come  i 
putti  di  quattro  o  cinque  anni .  ,>  fino  agli 
anni  quattordici  i  fanciulli  fi  dicono  «/»- 
pubiri  .   j, 

Incalvano  ,  fi  fanno  calvi  ,  per  metafora  > 
cioè  fi  feccano  gli  alberi  cadendole  fo- 
glie» che  fono  cornei  peli  all'uomo. 

Incappola  ,  ,,  la  incappo  j  da  incappare  „  co- 
gliere: ^i^/<»;'p<?r^  dicono  i  Lombardi;  pren- 
der chi  non  fi  guarda  ;  ,<  ovvero  prendere 
con  rete  .  >?  Dice  lo  %p^%v\\xo\o  accapparf , 

Incedere  j  camminar  fuperbamente  j  andar 
piano. 

Increpare i  riprendere  j  gridare,  ammonire . 

Indecore^  fuor  di  decoro  ,  fenza  gravità  > 
cofa  non  convenevole .  Vedi  ili,  Ind. 

Indeficiente y  cofa  che  non  manca  mai. 

Indragare ,  voce  formata  da  quefto  nome  dra- 
go :  vale  adirarli ,  ftizzarfi  velenofamente 
per  collera,  come  fanno  i  draghi . 

Ineccitabile  ,  cofa  che  non  fi  può  deftare ,  o 
folle  vare . 

Inopia^  lacaredia»  la  povertà. 

Infemito  ,  feguo  le  veftigie  ,  o  veramente 
vado  mettendo  il  feme  per  metafora,  co- 
me colui  che  lemina  •  „  quejie  fon  baje  ,  ,, 

Intetìto^  la  morte,  il  fine,  l'eftremo  delle  cofe. 

Invetera^  invecchiai  dalla  vocQvetuì, 

Invoìutato  5  rivoltato  per  lo  fango  . 

Irafcere  ,  adirarfi  ,  lafciarfi  tralportar  dal- 
ia collera- 

Irretire^  prender  con  carezze  :  dalla  voce 
rete  ,  per  metafora  degli  uccelli  che  fi 
prendono  con  reti  . 

Irritare  j  attizzare  >  (lizzare  >  fiuzzicare  . 


DELL'  ARCADIA.  177 

Irfutfj ,  vale  il  medelimo  che  orrida  >  afpra  > 

pelofa  :  onde  pelle  irfutaj  cuoj  irfuti . 
Iieray  replica  >  torna  di  nuovo  a  cominciare . 


L  Aegro  y  fquarcio,  ftraccio»  rompo. 
Lambrt'fcano  ^  quel  che  i  Lombardi  di- 
cono brtifcare*  ^  cioè  tor  via  dalle  viti  i 
l'armenti  vecchj  ;  quel  che  i  Tofcani  di- 
cono ,  potage  . 

LappcU  ,  alcune  cofe  che  ftanno  fra'  frumen- 
ti ,  che  s'  appiccano  altrui  j  e  tengono 
della  fpecic  del  cardo  * 

Latebrt^  luoghi  da  nafconderfi  ,  occulti  e 
celati,)  nafcondigli  •  ,) 

Lati ,  cioè  larghi ,  ampj ,  fpaziofi  . 

Latrare^  gridare,  abbaiare  come  fanno  i  cani  • 

Ledere  ,  offendere  >  ingiuriar  con  parole» 
o  con  fatti . 

Lenocinli ,  carezze  >  blandimenti  >  moine  » 
allettamenti . 

Lepidi  i  piacevoli,  felìevoll ,  giocondi. 

Lihamenti  ^  tutto  quello  che  fi  guftava  ne* 
facrificj  che  fi  facevano dagliantichi agi' 
Iddii. 

Liguftri ,  fiori  bianchi ,  piccioli ,  e  di  mol- 
to odore.  Virgilio  nella  2.  Egloga  : 
Alba   liguftra   cadunt . 

Litn'ttt ^  fegno  prefifl'o,  termine,  confine. 

Lìmo  ^  fango  ,  fporchezza  ?  loto  . 

Li  mula  ^  limapicciola  ;  diminutivo  da  ^''W'*» 
H     5  Lin^ 

*  Ffffima  fpiegaiione  :  le  viti  fi  lambrufcano 
altro  non  vuol  dire  ,  fé  non  che  in  vece  di 
produrre  uve  di  buon  (opere  producono  uve 
(alvatifbe  ,  ebe  \d^m)iX\x^QÌi^  fi  chiamano . 


»y2    GL05 A  D'ALCUNE  VOCfl 

Linfe ,  acque  chiare  di  fontane . 

Loglio  y  forta  d'erba  la  qual  fi  dice  anco  t*?- 

Zanta ,  Virgilio  nella  5.  "Egloga. 

Infelix  ìoUumfii  flerìUs  dominantur  avena. 
Lue  ari  no  ^  lugarino.  uccelli  che  fono  ufati 

a  tenerfi  per  le  gabbie  . 
Luggiola^  nome  di  erba  acetofa . 
Luftrah  y  tutto  quello  che  fi  appartiene  a 

facrificio  che  fi  fa  a  certi  tempi .  Un/«- 

ftro  appreffo  gli  antichi  era  lo  fpazio  di 

cinque  anni . 
Luftrare ,  fignifica  anco  purgare. 
Lutulento  ,  fangofo  >  limacciofo  ,  formato 

dalla  voce  luto , 

MAcchie y  dumi  che  ftanno  per  le  ville 
fopra  i  foflati ,  compofti  di  fpini ,  di 
vitalbe,  e  di  cotali  altre  frafche . 

Macera  ,  affligge  la  carne  con  gli  (lenti  j 
o  col  digiuno  ;  onde  fi  divien  magro. 

Magione  ,  ftanze ,  abitacolo ,  cafaj  voce  Fran- 
cefe  :  ,>  la  mai  fon  ,, . 

Manganare  ,  fi  àìcQ  fnangano  1'  iftromerito 
col  quale  fi  calcano  le  tele  quando  fon 
tinte,  per  farle  divenir  iuftre  . 

Mantarro  ,  voce  Napolitana  .  Tabarro  ,  e 
vefiimento  da  pallóri .  A  Fiorenza  Io  chia- 
mano fjltambarfo  . 

Mantegna  .  Andrea  Mantegna  fu  famofo  pit- 
tore a'  fuoi  tempi  3  e  diligente  molto  , 
del  quale  si  veggono  in  molti  luoghi  bel- 
le ,  e  vaghe  pitture  :  ma  non  però  da 
comparare  a  quelle  di  Raffaello  da  Ur- 
bino, di  Michelangelo,  e  di  Tiziano. 

Métntici  ,  i  folli  o   degli   organi  ,   o  de' 

:fab- 


DELL'  ARCADIA.         179 
fabbri  .  II  Petrarca   nel  Sonetto  CV. 
Co'  mantici  ,  col  fuoco  ,  e  conglì  [pcccbj  . 

Majfftlia ,  nome  proprio  di  Ninfa  ,  ancor  che 
fia  proprio  luogo  a  Napoli . 

JAeUmp»^  nome  proprio  di  un  cane  ricor- 
dato da  Ovvidio  nel  3.  delle  Trasfor- 
mazioni . 

Mergellinay  la  Villa  del  Sana7zaro  :  luogo 
poco  lungi  da  Napoli  ,  nel  quale  era 
una  bella  torre . 

J\I///f  mila  ^  cioè  mille  volte  mille  . 

Morigerare ,  coftumare ,  coftumatamente  pro- 
cedere ,  o  con  giudici©  reggerfi  ,  e  go- 
vernarfi . 

Motteggiare  »  burlare  )  piacevolmente  par- 
lando ,  pungere  ,  e  fcherzare  amiche- 
volmente . 

ìAunufculó ,  un  prefente ,  un  dono  picciolo  • 

Mutilare ,  troncare ,  fcavezzare  ,  tagliare- 

:n 

NAccafi  f  iftrumentl  muficalldl  bronsrot 
Najadi ,  Ninfe  de*  fiumi  . 

Napee  ,  Ninfe  de'  fonti  ;  ficcome  le  Dria- 
di  fono  degli  alberi. 

Nappo,  vafo  odi  legno,  od' oro,  o  di  ter- 
ra ,  odi  qualunque  altra  materia  . 

"Neputa  ,  erba  chiamata  da'  Greci  Cai  ami  n* 
to  :  utile  allo  (lomaco  ,  e  provocativa  de- 
l'  orina. 

Nifi^a  y  nome  proprio  di  Ninfa  >  e  di  luogo . 


H.    6  Obli- 

/ 


%to    GLOSA  D'ALCUNE  VOCI 

OB/ltera  y  dimentica)  cancella  >  pone  in 
obblìo. 

Olfafi ,  o/facere  è  proprio  il  fiutare,  ol'an- 
nafare  che  fanno  gli  animali  T  un  con  l' 
altro  >  cornei  cani.  0//vj/ ,  cioè  s'annafa  . 

0/irf ,  faper  di  buono ,  o  di  cattivo . 

Oreade  ,  Ninfe  de'  monti  ,  perchè  oroi  in 
greco  vuol  dir  monte  . 

Orione  <i  (iella  maligna  pofta  dinanzi  al  Tau- 
ro :  nel  fuo  tempo  nafce  la  vernata  ,  e 
conturba  il  mare  ,  e  la  terra  •  li  Petrarca  : 

£^  Orione  armato 

Spelea  a^  trìfti  nocchi  $r  governi  e  [arte  . 
Orno  ^  albero  chiamato  altramente  «^''«(^//o  . 
0/V^«^, parti, o  parole  vergognofe  ed  inonefte. 
Ottenebre^  OiFuiche»  ofcure  . 


P/lgtna  ,  carta  ,  e  per  traslazione  le  fcrit- 
ture  degli  uomini  dotti. 
Tahs  ,  Dea  de'  pallori ,  e  de'  pafcoli  .  Vo- 
gliono alcuni  eh'  ella  fia  la  Dea  Veda  >  ed 
alcuni  altri  la  madre  degl'  Iddii  . 
Taleftra  ,  luogo  ove  s  efercitava  anticamen- 
te la  gioventù  :  e  fi  prende  per  T  efer- 
cizio  )  come giuocare alla  palla,  faltare, 
correre,  trarre  il  palo  ,  e  tali  altre  cofe. 
Delle  paleftre  ,  vedi  Vitruvio  . 
Palpitare  ,  muoverfi  ,  e  battere  j  come  fa 

un  cuore  alterato . 
Pampini  y  le  frondi  delle  viti  quando  fono 

fretche  attaccate  a'  farmenti  • 
Pan ,  è  Dio  de'  pallori  ^  e  fi  forma  a  forni- 

glian- 


DELL'  ARCADIA.  iSi 
glìanza  della  Natura  •  Egli  ha  le  corna 
fimilia' raggi  del  iole,  e  della  luna.  L3 
fua  faccia  rolTeggia  a  imitazion  dell*  aere. 
Ha  una  llella  nel  petto.  Dal  mezzo  in 
giù  è  ifpido.  Si  crede  che  fode  figliuolo 
di  Demogorgone  >  che  compofe  la  filhi- 
la  di  fette  canne.  Gli  Arcadi  adorava- 
no qucfto  Dio. 

Tanormita.  Antonio  Panormita  fu  fecreta- 
rio del  Redi  Napoli ,  uomo  di  gran  lette- 
re in  quei  tempi  ,  ed  amato  molto  dal 
Sanazzaro . 

Faretre  y  voce  latina  :  perdonare. 

"Parche  y  le  Dee  che  fono  prepofte  alla  vita 
ed  alla  morte  degli  uomini . 

Farity  detta  Alelfandro,  figliuolo  di  Pria- 
mo i  il  quale  fece  il  giudicio  del  pomo  tra 
le  tre  Dee;  favola  noti fli ma  . 

Parrenofei  il  „  primo  j»  nome  della  città  di 
Napoli  >  e  nome  di  colei  che  1*  edificò  . 

Patera  ,  una  forta  di  tazza  da  bere  ,  con  la 
quale  anco  fi  facrificava  >  porgendo  agi* 
Iddii  latte,  ovinoj  fecondo  a  chi  fi  fa- 
crificava . 

Pavide^  timide,  paurofe  ,  paventofe  , 

Peculio ,  beftiame  ,  o  veramente  facultà  . 

Piaflrella  y  quel  fado ,  o  quel  pezzo  di  pie- 
tra che  fi  trae  da  coloro  che  camminar»- 
do  giuocano  a  chi  giunge  più  vicino  al 
fegno  da  loro  desinato. 

Phjadi  y  ftelle  che  formano  il  Tauro  dal  ca- 
po in  fuori.  Sono  anco  chiamate  F»''g'/'Vj 
e  Gallinelle  dal  volgo  .  Quando  è  T  equi- 
nozio ,  nafcono  la  mattina  .  Dimoftrano 
nafcendo  che  fi  può  navigar  ficuramente  . 

Puntano.  Giovanni  Fontano  fu  poeta  illu- 
Are .  Fu  Napolitano,  e  di  molta  dottri- 
na . 


VSi    GLOSA  p»  ALCUNE  VOCI 
na  .  Ellendogli  tolto  il  luogo  del  fecre- 
tarlato  del  Re,  gli  fuccelTe il Sanazzaro. 

Tentici ,  mordenti ,  che  pizzicano  come  le 
forbole  j  mangiandone . 

Poterlo^  dal  vixho potare:  che  fignificabru- 
fcar  leviti,  e  gli  alberi. 

Vrccipere  ,  comandare  aflolutamente  . 

Vrelii,  le  guerre,  i  combattimenti,  la  pugna  • 

■Trojiergano ,  diftendono ,  vincono ,  atterra- 
no* ■),  dovea  dìrlPoftergano ,  e  così  dar- 
5,  gli  altra  fpiegazione  .  Vedi  il  noftro 
„  Indice.  „ 

Protrato  ,y  diftefo  in  terra ,  pofto  a  giacere . 

^Prarti ,  i  rami  di  quelle  ("pine  che  nafcono 
iopra  le  folle  j  e  ne'  prati .  fpini . 


Q 


Ueruh  j  lamentevoli  y  e  dolenti 
R 


R  Abbuffato y  fcaplgliato ,  tutto  fottofopra . 
Ra  cernì ^  rami  d'alberi ,  o  d'altro»  ^ 

'Recejpy  luoghi  piacevoli,  ed  ombrofi  da  ri- 
tirare. 

Ptf//(7W/7/,  ritornare  in  pianto  ,oin  piacere. 

Kicovero  ,  cioè  rimedio  ,  in  quefto  luogo  . 

Riedono  ^  ritornano  i  tempi  ,o  altro  . 

^igi//a ,  aCpra,  dura  ,  alpeftre  . 

Ri  folta  mi  ,  fi  feri  ve  rifuhami  ;  ma  per  la  ca- 
denza fi  muta  in  queftala"  nella  o.^ 

aitimi .  ritmi  è  il  proprio ,  ma  licenziofa- 
raente  vi  s' ha  interpofto  la  i  dopo  la?» 
per  far  il  verfo  .  Verfi  ,  ovvero  con fo- 
nanze  :   onde  i  volgari  chiamano  ^'*^'  • 


"DELL'  AkCADIA.        hÌ^ 

^om'.nì .  rumini  ,  ficcome  anco  rifoltamì ,  per 

far  la  cadenza  :    ed  è  quel  biafciar  che 

fanno  gli  animali  quando  hanno  mangiato. 

Ruggito  y  la  voce  de' leoni  quando  gridano, 

o  di  qualunque  altro  fiero  animale. 
Butilt  ,  da  rutiUre  ,  che  fignifica  rifplen- 
c^ere,  come  fa  l'armatura  ripercoflk  dal 
ole. 


^S 


'^^AccuU ,  facchi ,  o  tafca  >  o facchetti ,  (JV- 

i3  ver  carneri . 

Satina  .  le  fannt  fono  i  denti  del  porco  cin- 
ghiale >  o  del  porco  falvatico,  o  di  qua- 
lunque altro  animale  che  gli  abbia  fuor 
della  bocca.  Scrivono  alcuni  xanne , 

Saturo  y  fazio,  pafciuto  a  baftanza ,  fatollo-o 

Scinff ,  difcinfe  9  dislegò  ;  il  contrario  di 
finje  , 

StJare  y  acquietare  ,  pacificare  ;  parimente 

alTettare  le  cofe  . 
Wlf cf  yfilix  y  pÌQtra  dura  ;  onde  il  Petrar- 
ca nel  Son.  CLXIV. 

MeJufa  ,  quando  in  ftlct  trasformoìh-» 

Senio  y  da  ftnfx ,  vecchio  .  la  vecchia/a  . 

Serti  y  ghirlande. 

Sgomentare^  aver  paura  ,  sbigottirfi . 

SéàiUrf^fi^cWiareyofuhiare  „  dicono  i  Lom- 
bardi,,  cotne  fuol  fare  la  ferpe. 

Sentici  y  morbi  che  noccino  a  tutto  il  cor- 
po ;  malattie  dannofe  . 

Sorbitilo  y  eh'  è  cofa  afpra ,  com3  il  fugo  del- 
la forbola  . 

S Otero  y  fuber  .  fugbtro  dicono  i  Tofcani  quel 
legno  leggiero  che  emette  nelle  pianel- 
le 


1^4     GLOSA  D'ALCUNE  VOCI 

le  delle  donne,  il  quale  è  fpugnofo»  Lo 

chiamò  anco  (uberi  . 

Staiumina  y  ioftenta  con  pali  »  e  corali  al- 
tre cofe  da  foftcnerviti,  alberi,  e  cofi; 
da  villa  :  quafi  travamenti  >  o  armamen- 
ti da  contadini  . 

Sufumtgj  ,  inccnfi  ,  ed  altri  odori  che  fi  ado- 
prano  ne'  facrificj. 

Svi  [cere .  fvifcerare  è  cavar  le  vìfcere  ,  cioè 
le  budelle. 

Sufttrro ,  il  mormorio  delle  api  j  delle  mo- 
fche,  e  d'altri  animali  così  fatti .  Si  pren- 
deva anco  il  fufurro  per  qualità  d' incan- 
to che  fi  faccia  così  fotto  voce  >  mor- 
morando pian  piano  • 


TAlamoy  camera,  o  altro  luogo  da  abi- 
tare . 

Tallone  y  oiTo  del  pie  eh'  efce  in  fuori  .  I 
L  imbardi  dicono  cavicchie  ,  ocaeccèie  , 

Tanpjre  y  toccar  con  la  mano,  ocon  altro. 

Tf/y^  ,  ora  .  voce  Tofcana  ufata  dal  Boc- 
caccio . 

Torme  ^  iquadre  ,  mandre  di  beftlaml  . 

Tremtfcere ,  tremare  o  di  paura  ,  o  di  freddo . 

Trepidare  ,  temere  ,  aver  oaura  • 

Trinacrìa  ,  l'ifola  di  Sicilia  ,  così  detta  da 
tre  promontori,  cioè  Pachino,  Lilibeoj 
e  Peloro . 

Triti  0^  grano;  e  fi  prende  anca  per  l'al- 
tre biade. 

Trìvio  y  luogo  di  tre  vie  :  quadrivio  Ai  quat- 
tro vie.  talora  fi  prende  perla  piazza  ove 
s'  aduna  la  gente. 

Tr/- 


DELL'  ARCADIA.  xSy 

T»/<;    ,   qualità  di    piecra  che    fi    trova    a 
Roma   in  abbondanza  j  ma  è  moJto  te- 
nera. 
TumoUy  fcpolcro,  monumento  per  morti. 


%.^ 


UBtrl y  le  mamme,  ole  tette  delle ca- 
pre  ,  delle  vacche  ,  e  d*  ogni  altro 
animale . 

Vgrtitey  la  fommltà ,  la  cima  del  capo  :  e 
fi  dice  vertice  y  dovei  dir  vortice  ,,  quel 
contorcimento  che  fa  l'acqua  correndo  , 
I  poli  dei  cielo  fon  parimente  chiama- 
ti vertici  , 

yefpertillf ,  pipiftrelli ,  nottole  ;  né  uccello, 
nò  animai  di  terra  . 

yettra  y  vecch  a  ,  antica. 

Ulula  y  nome  d'  uccello  »  come  della  upu- 
pa. ))  Alocc9  propri.imente  .  „ 

Ululare  ,   è  il  pianto  ed  il  gemito  ,   quafi 

urlare  , 

Uncinute  ,  da  uncino  ,  con  le  fgrifFe  fat- 
te come  gli  uncini,  che  fono  ftorti  io 
dentro  • 

Voeitare y  chiamar  conia  voce:  vociferare, 
cioè  gridare. 


Z«r. 


«86   GLOSA  D'ALCUNE  VÓCI  «e. 

■^^ Accori ,  gli  fchizzl  del  fango  che  van- 
•ìLj  no  fu  le  vedi  nel  tempo  del  verno  :  e 

talora  \accari  fi  prende  per  travagli  >  o 

garbugli  che  l'uQmo  ha. 
Ziixania  ,  erbaccia  che  Jiafce  tra  il  £ru- 

'Xnento . 


NUO- 


»^7 

KUOVA  SCELTA  DI  VOCI 

OSSERVATE  NELL'  ARCADIA 

DEL   SANA22ARO, 

^ra  le  quali  ft  Hi  rtplicano  akune  già  rac* 
•colte  dal  Sanf ovino  ,  o  per  ejfere  fiate  d» 
'tjfo  male  addotte  ,  e  male  ^piegate  ,  o  per 
mccennarne  la  mancanza  nel  Focabolario  del- 
la Grufa  .  Il  fegno  *  fignìfica  che  la  voce  , 
C  quel  particolar  fignificato  di  effa  ,  manca 
nel  fuddetto  Vocabolario  de'*  Sigg.  Accade^ 
mici  della  Crupa  :  la  f  dinota  le  voci  of- 
fervate  da  chi  fece  1*  Ortografia  moderna 
Italiana  te,  ftampata  nei  Seminario  di  Pa- 
dova, r  anno  ijii.ia  4.  e  le  lettere  V. 
il  S.  mandano  il  lettore  ella  precedente  Di- 
ebiaraiione  delle  Voci  dell'  Arcadia  ,  fatta 
'dal  Sanfovirti , 

ABbajato ,  -per  quello  centra  cui  abbaiano 
i  cani  .  Pr.  9.  e.  84-  * 
Abbracciare  ,  per  abbracciamento  .  Pr.7.c.  55. 
Abortirli ,  fconciarfi  .  Pr.  lO.  e.  9j.  ♦ 
Abforbere  .  afToibìre  •  Egl- 12.  v.  224.  V.  US, 
Acera  ^  acero  ,  forta  d'  albero.  Lat.  acer , 

Egl.  6.  V.  15.* 
Addifcere  ,  per  imparare  ;  alla  foggia  de* 

Latini.  Egl.  8.  \,9i.*V.il5. 
Aderbare,  palcere  con  erba  .  Egl. 9.  v. 70.* 
Aduncarfi .  divenir  torto  ,  adunco.  Egl.  lO. 

V.  182.* 
Afangtrfi^  divenir  fangofo  -Egl.  6.  v.  22. 
Affacciare  .  far-fafcio  •  Egl.  6.  v.  1 8.  Nel  Vo- 

'Cabolario  della  Crufca  manca  quefto  ver- 
bo^ 


ì88  NUOVA  SCELTA  DI  VOCI 
bo;  bensì  v'è  Affascinare  collo  ftelTo  G- 
giiificato  di  far  fafcio  ;  il  che  pare  ma- 
nifefto  errore,  mentre  Affafcinarevoxtì. 
piuttofto  dire  ,  nuocere  col  farcino  ,  o 
malìa . 
i Affi[*ro  .  fermaronfi  guardando  attenta- 
mente .  terminazione  irregolare  dal  ^^t' 
ho^iffifare  ,  il  cui  tempo  paiTato  perfetto  re- 
golarmente fi  offxfarortQ  ,  Lat.  intenth  ocu/h 
intueri  .    Boi.  S.  V.  54. 

Afflare  .    foffiare  ,  fpirare  .  Egl.9.  v.  147' 

'*-\y.iis. 

Aggytarfi ,  piacere  a  fé  fteflo  ,  o  rallegrarli 

feco  medefimo  .  Egl.  12.  v.  176.  * 
Agricola,  agricoltore.  Egl.  12.  v.  300- 
-^ggt'liatore .  che  aguzza  .  Pr.  lo.c.  91-  *  t 
Allontanania  ,  lontananza.  Pr. 6.  e.  4?.  * 
Allumare,  illuminare.  Egl.  12.  v.  270 
Alluminare.  ìo^^i^Q  ch^allum^tre ,   Egl.   i*. 

V.  2 12. 
Alpe ,  nel  numero  del  più  ,  Egl.  lO.  v.  66. 
Altro  che  fé  .   le  non  f e  •   Pr.  1 1 .  e»  1 1  g. 
Ahano .  forta  d*  albero.  Egl.  ii,  v.  227.  * 
Amhafciarfì .  affannarfi  in  refpirando  .  Egl-  2 

V.  5^.  *y.ilS. 
Ambi  duo .  Pr.i  i.  e- 122.  ed  altrove.  * 
Amandola^  per  P  arbore,  del  mandorlo,  ir 

cui  fu  convertita  Filli  regina  di  Tracia 

Egl   8.  V.  82.  y.iìS. 
Ammarc^re  .  divenir  marcio.  AllaSamp.c 

155.  * 
Ancipite  f-rro  .  fpada  da  due  tagli .  Egl.  12 

V.48  *K-/V5'. 
Ancudine.  LaZ.  incur  .  Pr.  i2.c.  1^7. 
Annobilire     nobilitare  .  Pr-  i-  e.  ?.  *  t 
Annubilare  ,  annuvolare.   Egl-  12-  v.  2^4.    * 
Apparire,  apparire.  Pr.  u.c.  113. 

Apper» 


DELL»  ARCADLA  .         igj 
Apptrtefttn  .   appartenere  -Alla  Samp.  e. 

Apptrtimnte .  che  appartiene  .  Pr.  io.  e.  94. 
Appicciarfi  ,  attaccarfi  .  Lat.  iriharere  .  Pr. 

5-  c  36. 
AppUufono  .^  per  applaudirono.  Pr.  u.c.  ii8« 
Arbono  .   Lat.  arborsut  .   Pr.  8.  c-  61.  *  f 
Arbufcfilo.  arbofcello.  EgL  12.  v.  26.  *  t 
Ariete  ,  per  montone .  Egl.  1.  v.  ultimo,  e 

Pr.  1 1 .  e.  1 1 5 .  * 
Mifiula,  picciola  arifta  ,  o  punt-a  .  Egl- 12* 

Arrequiarey  per  acquetarfi .  Egl.  8.  v- 51.^ 

F.ilS, 
Afcondito  .  nafcofto  .  Egl.  i».  v.  140.  * 
Afpero ,  per  afpro  .  Egl.  12.  v.  4. 
AJfibiUre ,  fifchiare   apprelTo  .  Egl.  12,  v, 

246.* 
Attrtcciare ,  intrecciare.  Lat.  intexgrfy  i»» 

nt^ert.  Pr.  10.  e-  95-  *  t  VMS. 

B 

B  Affari y  baccherà,  forta  d*  erba  .  Egl. 
9.V.  io.*F. //J. 
Bacalo  ,  baftoue  .  Egl.  12.  v.  511.*!^.  US» 
Benho/o.  benevolo  .  Pr.  i.  e.  iP. 
Beve,  bue.  Egl.  ii.  v.  214.  * 
Bruta  terra,  cioè  flupicia  5  immobile;  epi- 
teto datole  prima  da  Orazio  nella  Ode  ^4- 
del  lib.i. 

^0  bruta  tillut ,  6f  vaga  fiumina  ,   &c. 
Pr.  10.  e.  98.  * 
Buccina .  tromba  militare  •  Alla  Samp-  Q% 
354.  ^.'V^. 


€al^ 


f90    NUOVA  SCELTA  DI  VOCI 
G 

CAlamo  .  canna  .  Egl.  12,  v.  50. 
Capannuola  .  picciola  capanna  •    EgU 
,  12.  V.  288.  * 

Capale  y  per  manico.  Egl.  la.  v.  113.  * 
Cernirt ,  cernere  j  feparare  ;  Lat-  ftcernere^ 

Pf.  1 2.  e.  135- 
Cef fitto  .  picciolo  Cerro.  Pr.  5.  e.  ?7.  e 

Pr.  9.C.  7?.* 
Ctrtare ,  contendere»  Egl.  10.  v.  38.* 
Chiufura  .  ferratura  .  Pr.  9.  e  82. 
Cìrcunflantf  .  Pr.  3.  e-  20.  ed  altrove  . 
C//?r//Ài.  cefteIJa.  Egl.  12.  v.  ii?.  * 
Citara  ,  cetra.  Egl.  12.  V.  185.* 
QtUacrifnarg  .  piagnere  infieme  •  Egl.  12.  v« 

68.  ♦tr./V.S'. 
Compieno,  compifcono.  AlIaSamp.c.  153. 
Connubbio^  matrimonio.  Egl.  io.  v.  174.  * 

Conto*  cogui^'o,  noto,  manifefto.  Egl,  ir, 

V.   111. 

Convicino  .  circonvicino  •    Lat,  finitìmus  < 

Pr.  5.  e.  39- 
Corido  y  perCoridone.  Egl.  8.  v-  18, 
Cori/o*  forta d'albero.  Egl- 12.  v.  22.  * 
Corufcare  .  rifplendere  .  Egl.  12.  v.  %7*  * 

V.  il  S, 
Coftumora  ,  per  codumi .  Egl.  10.  v.  24. 
Crepitante.  Pr.  jc.  19.  *t  ^.  »/J.  nel  verb<a 

Crepitare, 
Crijiato,  chchacrcfta-  Pr.  5.  e.  35.* 
^rodtare .  far  la  voce  del  corbo .  Egl.  i».  Vm 

zz,.*V.ilS. 
Cruento,  infanguinato .  Egl.  io.  v.  149*  * 
Cvfullo .  cappuccio  »  Pr,  11,  e- 122,  ♦! 


DELL»  ARCADIA.         igt 

CtKutrero  .  cocomero  <  Egl.  8.  v.  i2j.  e  Egfa 

12.  V.  252.  * 
Culmìnt .  cima  ►  Egl.  12.  v.  284.  * 
Cuniculo .  coniglio.  Egl.  u.  v.  98.  *t 


DAnnificart,  danneggiare.  Lat.  ledere ^ 
Pr.  5.C.16. 
Dardeggiar^  .  tirar  dardi .  jacu/ari  .  Pr.5.  e- 34.. 
Vecbirtarjt ,   Pr.2.  C.  9.  * 

Dehi^ctre  ,  aprirfi  ,  fendere  >  fpalancarfi  ^ 

Egl.  ii.v.  i84.»K.i75. 
Denigrato,  ofcurato  .  Alla  Samp.  e.  154, 
Defgnato .  difegnato  .  Pr.  12.  e.  141.  * 
Df/iarc  y  per  deftarono  .  Pr.  12.  e.  1^6. 
Dctintrt,  ritenere.  Pr.  12.  e.  142.  *  legged 

negli  antichi  tefti  del  noftro  Autore. 
Dì  ifitto  .  di  Tubito  .  Jfatim  .  Pr.  8.  e.  6j. 
Dilaniare  j  per  isbranare .  Egl.  6,  v.  8i.  "^ 

F.  //  5*. 
Oimcrania  ,  dimora  .   Pr.  12.  e.  142. 

Oifcarferare  .  cavar  di  prigione  .  Egl.  12» 
V.  195.  * 

Difcorfo  .  corfo  .  Pr.  7.  e.  52.  * 

Oil'cvlmiftare  .  levar  la  cima  .  Egl.  12,  v* 
28^.  »  VHS. 

Oifjecorarfi,  fentirfi  trarre  il  fegato.  Egl* 
12.  V.  209.  *  V.  US,  Quefta  voce  è  da  la- 
fciarfi  affatto  al  Sanazzaro  ,  non  effenda 
nè  Latina  ,  né  Italiana  >  e  perciò  infeli* 
cernente  comporta» 

Difpefo.  fpefo.  Pr.7.  e. 5 8.  e  Pr.ii.c.  142.  * 

'^ijìinehrare ,  cacciar  le  tenebre  .  Egl.  i2o 


[k 


V.  213     • 


Oifventura  ,  difavventufa  •  Alla  Samp.  c« 


192     NUOVA  SCELTA  DI  VOCI 
Viverticulo,  luogo  fuor  di  (Irada .  Egl.  ii» 

y._  100.*  V.ilS. 
Divido,  colla f-econda breve .  in  rima-  Egl. 

II.    V.  78. 

Dnttezia  ,  per  ottim.i  regola .  Pr.  5.  e.  38.* 
Dubito]o .  dubbiofo  .   Pr.  5.  e-  35. 
Bumora ,  per  dumi  ,  pruni  ,  Lat.  dumus 
Egl.  IO.  V.  21. 


£ 


1 


ECctìlera .  fopravanzire  .  Egl.  io.  v.  185.* 
Edìcola  ,  picciolo  tempio  .  Lat.  adicu^ 

la  .  Egl.  II.  V.298.  *  F.i/S. 
E  dulia  ^  cibo»  vivanda.  Egl.  io.  v.  70.  * 

K  il  S. 
E ffafci nazione  (  non  aff'afcirsaiione  ) .  malia  » 

incantefimo.   Pr.  9.  e- 8^.* 
Effondere  .  Spander  fuori .  Pr.  u.c.  140.  *  t 
Elcina  .  V.  Elice  .  Pr.  4.  e.  27.  * 
Elifanto^  per  avorio.  Egl.  11.  v.  82.  * 
Elice  .  elee  albero .  i^ex  .  Egl.^.  v.  52.  * 
'Eguipero^  in  vece  ò."*  e  qui  pero  ^  perla  rima. 

Egl.  12.  V.  12. 

£/•>>  .  forca  d' erba  fpinofa  .  Pr.  9.  e.  82.  * 
'Erratico  .  vagabondo  .  Egl.  9-  v.  44* 
EfantMare  .  difanimare  .   exanìmare,  Egl.^i 

V.120.  *  iV'ilS, 
Efafperarji ,  per  adira rfi  fortemente .  Egl< 

II.  V.  7.  * 
Efcuèie .  veglia .  Pr.  8.  e.  64.  *  f  T.  «7^. 
£  />  ,  in  vece  di  benché ,  Lat.  ^f/^.  Pr.  ir. 

e.  112.  * 
EJìcio .  (  colla  ^  ne'tefti  antichi  )  .  ruina 

éftrema .  exìtium  ,  Egl.  8.  v.  95.  * 
afflar <:r e ,  rallegrare.  Egl,  ii.v.  i2^*r. 

.il  S» 


DELL'  ARCADIA.        19; 
"Efili  ,  tenue.  EgL  12.  v.  ^19.  * 
Efpettare  ,  afpettare  •  Pr.  11.  e.  113.  * 
E  [piare  .  purgare.  Pr.  3.  e.  21. 
'Eiìima,  dima»  riputazione.  Pr.  ir.c.n6.  * 
E  fio  ,  coli'  /  ftretta  9  per  quejìo  .  Egl.  2. 

V.  36. 
TJiogìiere ,  innalzare  .  Egl.  S.  v.  15.  * 
EfioUere  .  follevare  ,  innalzare  .  Pr.  4.  e» 

24. 
E  (Usanti,  che  bolle.  Pr.  12.  e.  i?8.*  f 
Ttrurii  ^  per  Etrufchi .  Egl.  io.  v.  79.  *  ^* 

il  S. 
Evafimo^  da  evadere,  fcampare .  EgL  8«  V. 

30.  *  V.  il  5. 
tvitatore  .  che  fchiva  .  Pr.  4.0.25* 


FAhula ,  per  favola  .  Egl.  12.  v.  122. 
Famulrnto ,  ne'  tedi  antichi  (  non  /#- 
tnulente  .  )  affamato  .  Pr.  3.  e.  20.  * 

Farnofi  ,  per  farfì  ,  in  grazia  della  rima 
fdrucciola  .  Quefta  figura  che  frappone 
una  fillaba  tra  le  voci,  dicefi  da'  Greci 
Epentheftt  ,  contraria  alla  Sincope  ,  che 
leva  di  mezzo  alcuna  cofa.  Egl.  8.  v.  59. 

Faticcfo ,  per  affaticato .  Egl.  2.  v.  12.  *  ^ 

Fatidico,  indovino  .  Egl.  io.  v.  28.  *^. 'VX, 

Fatora  ,  per  fati.  E^^l.  lO.  v.  50. 

Fèltce,  felce»  erba  nota,  h^t.fii**'  Egl, 
6.  V.50.* 

F emina  y  con  femplice<w  in  grazia  della  ri- 
ma .    Egl-  8.  V.  12. 

Fefmarnofi ,  in  VCCC  dì  fermarfi  ,  Egl.  S.  Y» 
6j.  Vedi  farnofi, 

Ferono  y   per  fecero,   Pr.  II.C.I15' 

Ff^féla  .  fpecie  d'erba •  Egl.  12.  v.  222. 
X0m  I.  I  Fini' 


194    NUOVA  SCELTA  DI  VOCI 
Tinitimo^  confinante*  Pr.  li.  e  158.  *t 
Jìrmamenio  ,  per  fondamento  .  Pr.  12,  e. 

158.  * 
Tifcina,  cesella.  Pf.  n-  e.  ii5-,*t  T.  Z/^". 

alta  voce  Tifcella  ,  che  è  lo  fteflo  . 
lifiula  ,  ftrumento  da  fiato  per  fuonare  . 

flauto.  Egl.  II.  V.  311.* 
Piumosa  ,  per  fiumi .  Egl.  io.  v.  20.  F.  ti  $, 
T/uviOy  per  fiume-  Egl.  io.  v.  15.  * 
Fcn/itre\  perifpargere  .  Egl.  12.  v.  190. * 
Formofiffimo  .  belUflìmo  .  Pr.  8.  e.  70.  *  t 
Frifone .  lort;i  d'  uccello  .  Pr.  9  e.  81,  eEgh 

II.  V  220.  *  t  ^-  il  S, 
Jrcnte  ,  in  genere  mafcolìno  .  Pr.  io.  e. 

100.  ^ 
Trtttice  .  arbufto.  Egl.  12.  v.  302. 
tumido .  fumofo  5  che  manda  fumo .  Bgl-  U. 

V.  148.* 
Juor  diflrada  .  detto  a  gulfa  di  nome  •  iemì^ 

ta  y  tramer  ,   Pr.9'C.  78.* 


Glfiitabile.  generativo.  Pr.  io-  e.  loi.  *  t 
Ginepro,  per  io  frutto  di  tal   arbore» 
Egl.  6.  v-95-  * 
Giuggiola  ,  per  1*  albero  che  tal  frutto  produ- 
ce .  Egl.9.  v.io.*r. /Vi'. 
Giulio,  per  Luglio  mefe.  Egl.  io.  v.  71.  * 
Giunibero»  ginepro.  Egl.  8.  v.  31.* 
Giunlpero  »  ginepro.  Egl. 12.  v.  io.  * 
Gotta ,  per  goccia  .  Pr.  9.  e.  7^.  * 
Gracculo ,  fortad'  uccello  rapacilTimo.  Egl 

6.  v.  1^7-* 

erottole ,  per  grotte*  Egl.  i.  v.  31.  *   V,il 

Guardato*  cuftodito-  Pr,  4. c- 50. 
Quaiiofo »  pien d'acqua.  Pr. 9'C.77* 


DELL'ARCADIA.  195 

1 

J  Àccio  .  dardo  .  Egl.  12.  v.  ^6.  *  V.HS, 
J afpiìie ,  diafpro  •  Egl.  n.  v.  71. 
Id  Utfia  ,  colla  penulrima  breve  ,  in  gra- 
zia della  rima.  Egh  10.  v.  192. 
J en^  .  lortj  d'animai  lalvatico  ■  Pr.  9.  e  8v 
llart ,  lieto,  allegro.  Egl.   ii.  v.  119   *t 

V.ilS, 
Imbafio  .  \}^^Q  .   Lìt.  cìiteìla  ^  arum ,   Pr.   4* 

ìmiie  ^  colla  faconda  fi  1  Liba  breve.  Egl.  12. 

V.  292. 
Impopularfi  .    rlempìerfi  di  pioppi  alberi  • 

Egl   II   V.  105  *  f  vc-di  la  ftrana  iacerpre- 

tazionc  del Siniovino . 
Zmpubere  .    K^l.  6.  v.  O4.  *  ^^  US, 
Jnaùijfar/i ,  pr   fondarfi  .    Fg'   I2,   v.  ii5.  * 
I«rf<^/r^/f*.  efjcerbare.  tx.fpirmrt,  Pr.  7  e  51. 
Inafperwfi ,   ioafprfre.  Egl   "12.  V.  8.  * 
Incalvarfi .  divenir  cai vo  ;  e  per  metafora  1 

fpogiiarlì  di  iVondi  .    Ei^I.  12.  v,  229.  * 

V  tlS 

Inffitf  .  aniarejcamminarc.  Egl.  9.  v.  72.  * 

F.  i/  S. 
Irti -.l. ère ,   non  fam  fo  •   Egl   it   v  256.* 
Inctfi9rarft     ridurfi  in  cenere  .   E[^^,I.  12.  v. 

89  *  in  lign    neut  pafl 
Incefpjre^  per  coprir  e  n  cefpi  Eg'.i*.  v.21  * 
Incitnjjtmì  y  p^r  iftciterfftim't  .    Egl   12    v.  ly. 
Inclina  fi  .  abbaHarù  per  riverenza     Egl  12. 

V  A^.  * 

Jn^tndito  .  rozzo  ,  confufo .  Egl.  12.  v.  144.  * 
Incudine  .  Egl.  8,  v    9.  *  V    n mudine  . 

Indec9'e .  fenza  onore.  Egl.  12,  v.  lo-j.  * 
r.  il  S. 

I     1  Inde- 


^96    NUOv^A  SCELTA  DI  VOCI 
Indeficiente ,  <fhe  non  manca  mai.  Pr.  ii, 

e.  1^6.*  V.il  S. 
Indragarfi,  iftizzire a  guifa  di  drago.  Egl. 

12.  V.  8.»  l^.il  S. 
Ineccitabile  .  che  non  fi  può  eccitare ,  fcuo- 

tere,  o  fvegliare  .  Egl.  ii.  v.  158.  *  i  V. 

US, 
Inecclijfato  *  eccIi(Tato.  Egl.  io- v.  83.  *  t 
Inerbare,  coprir  d'erba.  Egl.  12.  v.  21. 
InfatigabUe ,  infaticabile.  Pr.9.  c.8o.* 
Infrigidare  ,  raffreddare.  Egl,  12.  v.  263. 
Jngenio  .  ingegno  ,  Egl.  9.  v.  33.  * 
Ingiuncar  fi  ,  coprirfi  di  giunchi  .  Egl.  ic» 

V.  180. 
Ingordarfi ,  divenir  avido.  Egl.  i2.v.  58.  * 
Inoltnarfi ,  riempierfi  d*  olmi.  Egl.  11.  v. 

Ì05.  *t 
Inonofato .  fenza  onore  .  Pr.  11.  e- 122.  * 
Jfìfegnato^  per  dotto  j  ed  ammaeftrato.  Pr. 

5.  e  35. 

Infegnh  h  fehe  .  cioè  ammoefirl .  Pr.   io.  e. 

95-  .         ,. 

Infemitarfi ,  awiarfi  .  Lat,  femìtamingredi  , 

Egl.  12.  V.  159.  */^.  'V5'. 
Infclfarfi ,  riempierfi  di  folfo  .  Egl,  12,  v. 

149.  * 
Integro .  intero  .  Pr.  12.  e.  138. 
Intentivamente  .  attentamente  .  Pr.  io.c.96- 
Interiori ,  interiora  .  Lat-  Exta  .  Pr.j.c-  19. 
Intersto»  morte.  Egl.  12.  v.  322.*/^. //J, 
Intitula  .  intitola  ;  per  la  rima  .  Egl,  12. 

V.  141. 
Intrata  .  entrata  .  Lut.  ìntroìtuf ,  Pr.  5.  e. 

36.  * 
Invefiire ,  per  veftire  .  Pr.  6.  e  43.  * 
J/tveterare  f  per invecchiarfi .  Egl.  6.  V.  III.  * 

y,iis. 


"DELL'  ARCADIA  .    ^      107 

ìrtvlpetarit  .  incrudelire  a  guifa  di  vipera* 
Egh  12.  V.  8. 

Invìfeato.  impaniato.  Pr.  P.  c.6^. 

Invclutato  .  ravvolto  .  Pr.  io.  e.  100.  *  f  T. 
US,  n^IIa  vecchia  edizione  leggefi  invo^ 
lutrato  ;  il  che  £iciimence  farà  errore. 

Irafarg  .   Egl.6.  V.  72.  e  9-  V.  l.  e  I2.v.  207.  ■" 


LAcrtfffeioIe  incertfo  y  dilTe  il  Sanazz.  cioè 
che  difilla  dall'  albero  ,  quafi  lagri- 

mando  ,  Fgl-  6.  v.  91.  * 
Lambrufcarft ,  detto  delle  viti .  divenir  lam- 

brufche  ,  infalvatichire  .  Egl.  12.V.  83.* 

V.  il  S. 
Laftsì9,  per  coperto  di  lana.  Pr.  4.  e.  27.* 
Lattbfojfa ,  pieno  di  nafcondigli .  Pr.  10.  e. 

92.  ^t 
Latora  .  Iati ,  fianchi .  Pr.  io.  e.  102, 
Lttiecinto  .  ruffianefimo .  Pr.  9.  e.  8^.  *  t  ^- 

il  S, 
Lipido  .  giocondo  j  piacevole .  Egl.  12.  v. 

131. e  in  altri  luoghi .  * 
Libamifito .  il  libare  ne'  facrificii  .  Pr.  io. 

e  99.*t  V.il  S, 
LimuU  .  Egl.  6.  V.  12.  *  r.  US, 
Liquidijfimo  .  par  detto  per  limpUijJimo  ,  al- 
la maniera  de'  Latini .  Pr.  12.  e.  140.  *  t 
Liquido  y  per  limpido.  Alla  Samp.  e  155. 

ed  altrove. 
Loniinquità  .  dirtanza  .  Pr.  7.0.  55.*  f 
Loftginquo.  lontano  .   Egl.  12.  v.  27^. 
Lufarino,  forta  d'  uccelletto.  Pr.  9.  e  Si, 

*V.il5, 
Luggio/o .  lugfiolo,  lugliatico,  chenafce  il 

mefe  di  Luglio.  Egl.9. v. 24.* 

I    5  L«. 


19?    NUOVA  SCELTA  DI  VOCI 
Luna  ^  p^r  flotte,  maaicra  poetica.  Pf .  S, 

e.  67.* 
Liffic-ìiuolc  »  ro''gnu  lo  .  Pf.  9.  e.  Si.  *  - 
Lujì  aie  ^-qwi ,  cioè  purgativa  .  Pr.  io.  e. 

ICO.  *  t  ^'^^S. 
Lutuìfuto ,  tangofo.  Alla  Samp.  e- ijj.  *t 

F.  il  S, 

M 

MAciih[o  ,  afperfo  di  miccFie.  Pr.  9,  Co. 
84.  * 
ìiUntarpo ,  Torta  eli  vedi  mento  iuftico  .  Pr. 

6.  e.  44*  "(V.ilS. 
Maltclo .  mifcolino  ,  mafchio  .  Egl.  9.  v. 

Majfilta  ,  il  Sjnazziro  volle  intendere  iua 
madre  5  che  avea  nome  Mafella  ..  Pr.  11, 
e.  115.  ^. //  S. 

Mellifero .  che  produce  melle  .  Pr.  9.  e-  80. 

*  t 

Merola  ,   merlo  uccello.  Pr.  io.  e  105.  * 
Meridiana   .  add.  di   mezzodì  .  fmriJianuf  , 

Pr.  6.  e.  44. 
Merito ,  per  meritato  .  Pr.  5.  e.  16.  e  Pr.  lu 

e. 112.* 
Merula  .   V.   fmroìa  ,   Pr.    8.  C.  62.  e  Egl   U. 

V.    110.  * 

Mex.V> ,  add.  pofto  in  mezzo  .  medius ,  Pr. 
12.  e.  140.  *       .     . 

Mii^licre  .  avverbio  in  vece  di  wfg//o  .  me* 
iiuf  In  fine  del  Pr.  emio.  e  Pr.  ;•  e.  53» 
e  Egl.  12.  V.  31.  e  alla  S.imp.  e.  157. 

Mille  mila .  Pr.  io  e*  97-  * 

Mo  .  ora  .  nunc  .  Pr.  3.  e  17. 

3Ao'i  ita  .  mobilitaf  .  Pr.  7.  e-  52» 

Modolare  .  mcduUri  .   Egl.  I2.  v.  202.  * 

Me/- 


DELL'  ARCADIA.  199 

Mollijjlmo  ^  per  delicatiflìrao    Pr.  12.  e  124. 
Molttformf  .  che   fi   dimoftra  lutto  diverll 

aipetti .  Pr.  io. e- 98.*  t 
Mor.la  .  mora  frutto  •  Egl  6.  v.  95.  * 
Mofirofo.  moftruofo .  Egl.  6.  v.  46.  e  Pr.  11  e. 

1^4. 
MuciJff.  muffo,  ammuffito.  Egl.  12. v.  79-^ 
Mugq,iola  y  per  mugghia  \  perdette  ingrazia 

della   rima  >    n^a  dal  verbo  muggiolare  , 

che  non  fi  trova.  Egl.9  v.12.* 
Munufculo.  picciol  dono  .  Egi.  12,  v.  28.  *  f 

V.  il  S. 
Muts/o ,  mozzo.  Egl.  12.  V.  175.  * 

N 

NAc(aro .  nacchera  >  (Irumento  fancIuU 
lefco  da^^fuono  •  Egl.  9.  v.  8.  * 
tiaeche'^o  ,  io  ^ciTo  che  naccaro ,  Pr.  ic.C. 

97.  *  V^dS. 
Neputa ^  nepitella  erba.  L.àt>»epfta  ,  Egl» 

S.v.  121.  ♦  V,i/S. 
Ntfpilo,  nefpolo  albero.  Egl.  11,  v.  17.  * 
Nom.ri  ,  per  fìumifi  ,   in  grazia  della  ri- 
(3? ma.  Egl.  6.v.  133. 
Ncfco .  con  efTo  noi  •  Lat.  nobifcum  •   EgL 

II.  V.  6. 
Notare ,  andar  a  nuoto >  nuotare.  Pr,  3.  e. 

18.  ed  altrove . 
Kubilo  .  Lat.  nulilar.  Egl.  12.  v.  230. 


OBhed'irli  ,  per  obbedir  Uro  ,  Pr.  II.  C- 1 2 5. 
Obliterare,  cancellare.  Egl.  12.  v. 189. 

I    4  0<r. 


100     NUOVA  SCELTA  DI  VOCI 

Occoltemi  y  per  cccultemi  y  in  grazia  della  ri- 
ma .  Egl.  12.  V.  I7t, 

Ogifo  .  i  Fiorentini  dicono  olio .  Pr.  io.  c.99. 

Olfare  ,  odorare.  h?it»  (/Ifacere ,  Egl.  12.  v. 
15^.»  V.ii$. 

Ombrato,  coperto  d' ombra j  fofco.  Egl. io. 

V.I9^ 
Opulentijpmo ,  ricchiffimo.  Pr.  u.c.  112. 
.  Orida ,  con  r  femplice  y  in  grazia  della  rima . 

Egl.  12.  V.  99. 
Ormar  a  ^  per  orme.  Egl.  9.  v.  59. 
Ottenebrare .  coprir  di  tenebre-  Egl,  ile  V. 

211.  r.  iìS^ 


PAgina  .  carta,  facciata  di  carta  .  Egl.  12. 
V.  i5<5.*^./;j. 
Fagliarefco  .  di  paglia  .  Lat-  paleatuf  .  Pr. 

2.c.9.*t 
Paìefatore,  che  palefa  .  Pr.  3.  e.  18.  *  f 
Vahfatrice  .  Pr.  8.  e.  64.  *  t 
Valido  y  con /femplice  j  per  la  rima.  Egl. 
-    6.  V.  46. 
PampaH^  .  pampano  ,  foglia  di  vite  .  Egl. 

re.  V.56.  *K.  r/y. 
Pampifiofo ,  Pien  di  pampani .  Pr.  7.  e  55. 
JParar  mente  ^  per  attendere,  badare.  Pr, 

S.C.  70.  * 
Parerey  per  apparire,  venir  fuori.  Pr.  8.  e. 71. 
Pafcente  .  che  pafce  .  Pr .  io.  e»  94.  * 
Pafiìtio  .  terra  lavorata  .  Egl.  ii.  v.  299, 
Pa/ìo ,  par  pafciuto  •  Egl-  9.  v.  24.  * 
Pe-a  y  coli*  e  largo  ,  per  tafca  paftorale . 

Egl.  Il,  V.  52.  * 
Pfirfeguire  .    perfeguitare  .    Lat.    infeSìari  . 

Proem.  e.  a. 

Ptr- 


DELL*  ARCADIA.        20/  ^ 
Pfftice  j  invece  di  pertiche  >  per  la  rimai 

Egl.  12.  V.  90. 
Viita  y  per  affanno,  pena-  coli'  acuto  fulla 

feconda  fi 1 1  aba  .  Egl.  12.  v.  4. 
V intere  ,  pittore-  Pr.  g.  e*  19 
Vluvio .  piovofo  .  Egl.  IO.  V.  14.  * 
Vedere  ,  per  potere  5  potenza  .  Pr.  4.  e  29« 
Vonticoy  perafpro,  d'auftero  fapore  •  Egl. 

I2>  V.  S4. 
Fopolofo  .  pieno  di  popolo  .  Lat.  frequent  . 

AllaSamp.  e.  i57« 
Tfipula,  popolo  5  in  grazia  della  rima.  Egl. 

12.  V.  Io^ 
To(fea,  per  poteva.  Pr.ii.  e.  132. 
P offendo^  per  potendo.  Pr.  12.  e.  I3J. 
Pcjftte,  per  potè.  Pr.  u.c.  125. 
Tojfergare  ,  gettarfi  dietro  le  fpal le .  Egl.  9, 

V.  1^4.  il  Sanfovino  malamente  lefìTep/'tf- 
ft  ergano. 
Potéo^  per  potè.  Pr.  II.  e- II?. 
Trafora  y  per  prati  .  Egl.  io.   v.  52, 
Preiipfte  .  precipitofo  .  praceps.  Egl. 12.  V.45. 
Preliare  ^  per  guerreggiare .  Egl.  9.  v.  52.  * 
Prefentifpmo  ,    per  favorevoliflimo  ,    o  per 

molto  potente,  ed  efficace.  Pr.  9.  e.  79. 
Tfojjimarto,  vicino,  proffìmo.  Pr.  9.  e-  85. 
PuhU  y  con  una  fola/,  per  la  rima.  Egl.  6. 

V.  88.  e  12.  V.  197. 
puniche  poma  ,  cioè  granati  .Egl.  12.  v.  70.* 
Punta hnt nte  .  minutamente.  fgUlatim •  Pr. 

5.  e.  ^8. 
Puottnoy  perpofTono.  Pr.  5.  e.  ?4- 
PvffOy  per  pofero>  in  grazia  della  rima» 

Egl.  IO.  V,  13. 


I    5  S^ua^ 


2f.i    NUOVA  SCELTA  DI  VOCE 


QXJadr:7rtg'  Io  ,  qu.dnngolo,  che  ha  quat- 
tro r:ìrtoni  .  Egl.  ii.  v.  262.  * 
^alufjque  animali ,  Pr.  8.  e.  70. 

R 

RAdìafe .  rifplendere  .  Egl.  io.  v.  40. 
Rallegrarfì ^  per  allegrare  di  nuovo  • 
Pr.  u.c.  126.  * 
lR.avvrigitura ,  'L.zxt.  involmrum  .  Pr.  12  e.  1^4. 
Receffo  .   luogo  oa.fcofto  .   Egl.  12-   v.   100. 

*  y.  il  s. 

"RecoUndo .  cfe^no  d'  eHepe  rammemorato . 

Pr.  7.C.  51.  *t 
Recidere,  r^mmémprare  •  Egl.  io-  v.  197.* 
Reccfid^to  .  fecreco  .  "Egl.  12.  v.  142.  * 
Redolire  ,  avere  o  render  odore .  Pr.  io.  e- 

105  *  t 

Repar.ibile .  che  fi  può  riftorare .  Vv*  8.  e. 

71-  * 
Reft'ingere  y  per  radunare  .  Pr.  9-  e  78.  * 
Refupifio    che  giace  in  fui  le  reni  coMa  pancia 

allMnfu.  Pr.S.c  6g.  ♦ 
Rifrggif's  ,  per  ifchivare  ,  aver  ribrezzo  . 

Pr.  7.c^  51'  * 
Rimito^  per  lontano,  o  fegregato.  Pr.  S. 

e  (55. 
Rinfofcarft,  divenir  fofco  .  Egl.  9.  v.  42. 
Rtrìfrigidare .  rafFreddire.  Egl- io  v.  I79«* 
Rir.ionare  .  rimbombar  forte .  Egl.  io,  v.  i86,r 
Rfftifdirfi .  ter n:ir  verde.  Égi.  12.  v.  52?. 
Rinvtrmigliarfi.  tornar  vermiglio .  Egl*  8, 

v.  39.  * 
^ifoltami  ,  per  rifultami  .  Egl.  i.   v.  102. 

rifui' 


DELL'  ARCADIA.        2O3 

rifuUarg y  per  falcare.  *  ^.  'V  S> 
Rifpcnfo .  rilporta.  Pr,  9-  e- 85. 
Rifpujtro  ,  per   rifpofero  >  in  grazia  della 

rima.  Egl.  io.  v.  25. 
Rtjìorare y  per ripiodure j  rinnovare.  Pr. 9. 

e.  So. 
Rofcigniuclo .  Egl,  II.  V.  221,  * 
Rofet'j ,  luogo  pieno  di  rofaj .  Pr.  11.  t.ui, 
Rufco ,  erba  pungente  j  che  anche  pugnttopa 

vien detta.  Egl.  12.  v.  92, 


SAligaftro .  falcio  ,  forta  d*  albero .  Lat. 
j)ìlix  ■  Pr.  9.  e.  78.  non  (ali gare  y  come 
lesgifi  nelle  corrotte  edizioni  dell'Arcadia» 
Sapemmo  y  dsi  fo  .  Pr.9.c.  78, 
Sarcro  .  fatoliO.  Egl.  io.  v.  54.  * 
ScapoLire  ,  per  menar  via  con  empito  .  Egl. 

12.  V. 115.  * 
Sciolteiia .  leggerezza  >  deftrezza  •  Pr.  ii« 

e.  I»5-    *t 
S copulo,  fcoglio  .  Egl.  12.  V.  loi.  *  •[• 
Scnbilì .  fcrivili,  per  la  rima.  Egl- 12-  v.  244. 
Scura  .  fcure  ,  mannaja  .  Lac.  jecurts ,  Pr. 

I2.C.I?3- 

Secare,  fegare^  tagliare»  Pr.  io. 0.97- 
Semi  capro  .   L.:ìZ, fer»icaper  .  Pr.3.  c.20.  e  Egl# 

9.V    57.*t 

S ertimi .  fentirai  •  Ep,I.  n.  v.  1 8  5.  Cosi  il  Pe- 
trarca 1  Son.  I  3S.  f  rcmpe  ojni  afp'o  fcnglio  « 

S^f'-a  ^  per  luogo ftretfto  .  Egl.  9-  v.  ly,.^ 

Sfciart y  per  levar  la  forza  j  indebolire* 
E:ì1.  ii.v.  58    " 

Sfiondare  ,  per  isfrondarfi  1  perder  le  foglie* 
Egl.  2.  v.  47.  • 

Sibilo,  fifchio  ,  Egl.  12.  V.  142. 

I    a         Si' 


^4    NUOVA  SCELTA  DI  VOCI 
Sedo,  compagno.  Egl.  12.  v.  2S6. 
Soffione,  foffietto  ,  ftrumento  da  foffiar  nel 

fuoco.  Egl.  12.  V. 240. 
Sole  5  per  giorno  .  maniera  poetica  ,  tolta 

in    preftito  da'  Latini  ,  quattro  fcW  ,  fd 

altrettante  lune  .  Pr.  8.  e.  67,  * 

Solo .  per  folitario  .  Proem.  e.  i.  e  Pr.  7.  e- 

56.  Egl.  II.  V,  16. 
Sontf'co,  per  cagionevole  ,  infermiccio .  Egl. 

li.  V.  80.  Vedi  gli  Spofitori  di  Tibullo, 

fopraquel  pafTo  dell'  Elegia  VIIL  del  pri- 

mo  libro  :  non  i/li  fonti ca  caujfa  ejì  .  * 
Sorba,  par  detto  per  forbe y  frutti .  Egl.  12. 

V.  71. 
Sorbitilo  vÌH9 .  fatto  di  forbe  .  EgL  io.  v. 

itj,*V.ilS, 
Sorgente^,   per  erto  .  Egl.  12.  v.  299.  * 
Soverchiare^  per  fovrabbondare  •  Pr.  3.  e.  21,  ♦ 
Svicolar  li  ,  per  ifoecchiarfi .  Egl.  12.  v.  114.  * 
Specolo  .  fpccchio  .   Egl.  io.  v.  195.  e  12. 

V.  no. 
Spettacolo  y  per  gli  fpettatori .  Pr.  11.  e.  124.  * 
Spiculo  y  faetta  ,  e  punta  della  faetta.  Egl, 

12.  V.  102.*  f 
Spiegato ,  per  largo  ,  e  fgombrato  d' intoppi . 

Pr.  5.C.  34.* 
Stabulare  .  tenere  dalla  .  Egl.  12.  v.  126. 

*r.  t 

Stagno  .  turato  ,  ben  cbiufo .  Si  dice  in  Lom- 
bardia degli  ordigni  di  legno  fatti  per 
racchiuder  liquori  :  oppure  faldato  collo 
ftagno  .  Pr.  9.  e-  78.  * 

Starnvjf  ,  in  vece  di  jlarfi  .  Egl.  8.  V.  61.  V. 
far  no  fi . 

Statuminare  ,  fermare .  ftabilire  .  detto  del- 
la vite .  Egl.  12.  V.  216.  *  V'  US, 

Stipite i  furto,  dell'  albero.  Egl.  12.  v.  44' 

Stù 


DFLL'  ARCADIA.         205 
Stiva,  manico  dell' aratro  .   Egl.  12.  v.  ir  j. 
Strangolatore   ,    Lat.  flrangulator   .    Pr.    2,    e. 
IC.    *    t 

Strangolare  ,  per  chiuder  forzatamente .  Egl. 
I  .  V.  264..* 

Sttbbio.  ftru  mento  da  te  (Ti  tori ,  a  cai  s' avvol- 
ge la  tela  già  telìuta  .  Egl. io.  v.  176. 

St/ùfro,  per  iovero  albero  .  Egl.  6.  v.  62.* 

SucceJim^nto  ,   Lat   sventur  .   Pr.  7.C.  57. 

Summortnorart  bafTamente  mormorare  .  Lat. 
muffar t ,   Pr.  il.  e.  Ii^.  *  t 


TAbuIa ,  tavola.  Egl.  12.  v.  124- * 
Talamo y  per  camera»  alla  foggia  de* 
Latini  .  non  per  letto  nuziale  .  Egl.  12. 
V.  51.  *  VJIS.  e  t 

TempejìÀ  ,  per  la  Dea  che  manda  le  tem- 
pere. Egl.  12.  V.  306.  * 

Ttrgemirto  .  triplice  3  chc  ha  tre  poteftà  . 

'   Pr.  IO.  e.  98.*  t 

Termino,  termine.  Pr.  12.  e.  138.  * 

Tefìudine.  teftuggine-  Pr.  9-  e-  t^.* 

Torrnofa  ,  per  torme  .  Egl.  9.  V.  37.  K  ifS.  al- 
la voce  Torme. 

Tornare  ,  per  tornarono  .  Pr.  ir.  e- 112. 

TramlttciJo  .  trafparentc  .  Pr.  8.  e-  66-  e  Pi". 
12.  e.  135.  .  , 

Tremifcere .  alla  maniera  de*Latini  •  pQttrgm 
mare.   Egl.  8.  v.  gì-*  ^- '^  •^• 

Tremule  .  che  trema  fovente  .    Pr.  io.  ۥ 

104.    -^t  .,,. 

Triùco,  frumento.  Egl.  io.  v.  163.  *  F.»*  J. 
Truculento,  truce,  fiero.  Pr.  8.c.  68.* 
Truncbef  ,  per  tronchcfi  ,  in  rima  .  EgL 


^c6  NUOVA  SCELTA  Di  VOCt  ec- 
Tumido  .  enfiare  »  gonfio  •  Egl.  n.  v.  146.  * 
Turr.uh,  fepolcro.  Egl- 11.  v.  38.*  V,  US» 


V  Acare ,  ftare  in  ozio.  Egl.  12.  v.  19^^ 
Valloncelh  .  picciola  valle  .  Pr.  9.  e* 

7.7- 
Fafcoh  ,  picciolo  vafo  .  Egl.  9.  v.  7-5.  * 
Venatrhe  ,   cacciatrice  .   Egl.  9.  V.  97.  *  f 
Fefpertillo  ,  nottola  .  Pr.  9.  C.  77-  *  t  T.  //  S. 
Vetero  ,  vecchio  .  Egl.  6.  v.  109.  * 
Vietta  ,  picciola  ftrada  ,  o  via.  Pr.  4.  c.i6. 
Vitto  ^  per  vinto.  Egl.  i.v.  8. 
F»/w/«  .  vitella.  Egl.  li.  V.  ny.* 
yivit/o  colore  ,  contrario  di  pnorto  .  Egl.  12. 

v.  76.* 
Uk/a  ,  alocco.  Egl.  6.  Y.  86.  e  Egl.  u.v. 

109.  *  ^.  i/y. 
Vhlare  .  urlare.  Egl.  6.  v.  90.  e  Egl.  12.  v. 

201.*  y.  US. 

Vmero,  omero,  fpalla  •  Egl.  8.  v.  iii.e  12. 
V.  Z50.  * 

Vocitare  ,  alzar  le  voci*  Egl.  ii.  v.  221.  *  ^. 
*'/  S. 

Voi  no  ^  per  vogliono.  Figura  detta  da  Gre- 
ci Syftrcpe ,  che  leva  di  mezzo  una  filla- 
ba.  Egl-  8.  V.  7^ 

Volta  ,  ufurpato  avverbialmente  >  per  quaU 
cbf  volia  .  Pr.  5.C16.  * 

XJrfaccbio ,  orfo  picciolo'  Egl.9'V.46** 


Actberù .  zacchera  ,  fchizzo  di  fango . 
Egl.9.Y.  i2.*^.r/5'. 


ANNOTAZIONI 

DI  TOMMASO  PORCACCHI , 
DI  FRANCESCO  SANSOVINO, 

EDI 

GIOVAMBATTISTA  MASS  ARENGO 

SOPRA  L»  ARCADIA  DI  M. 

JACOPO  SANAZZAPxO 

Col  rifcontroJl  buone  ed  antiche  edizioni 
molto  più  corrètte  del  iolito . 


tC9 

ANNOTAZIONI 
D    I 

TOMMASO  PORCACCHI 

SOPRA    L'  ARCADIA 
DEL    SANAZZARO. 

PROEMIO. 

Car.  1'  T)  OJi  di  mufici  )  Pone  figurata- 
lin.  4.  r^  mente  il  bofl'o  ,  del  quale  ii 
MlJ  fanno  1  flauti  da  Tuonare,  per 
gì*  iftelTì  riauti  ,  a  imitazione  di  Seneca 
y4^.  r.  548. 

Tibi  multi  fora  tibia  buxo  Solenne  canit  , 
e  ciò  per  variar  vagamente  in  quefto  nome  > 
come  di  fotte  ha  fatto  in  quello  Proemio  > 
dicendo:  umile  fijìula  di  Coridane  ^  q  fonerà 
tibia  di  Palladi, 

PROSA     PRIMA. 

Car.  3.  1.26.  Il drittijfimo  abete  y  rtatoec.  ) 
Chiama  V  abete  nato  a  jlftenere  i  pericoli  dJ 
mare  ,  forfè  in  quei  fignitìcato  che  Stazio  nel 
lib.  6.  della  Teb.ùdc  Io  ch\2imò  audace  \  per- 
ciocché di  quello  legno  fé  ne  fanno  le  navi  , 
le  quali  s'  efpongono  a*  pericoli  del  mare  ; 
con  quefto  verfo  : 

Hinc  audax  ahies  ,  <if  odo'a  in  vulneri  pinus  , 
Ed  è  queft*  albero  drittilfimo  (  come  qui 
dice)  ebellilfimo  fra  tutti  gli  altri,  con  Iq 
foglie  aguifa  di  pettine  >  ch'ei  non  perde 

mai 


2T0  ANNOTAZIONI 
mai.  Quando  in  traverfo  è  pollo  a  foftene- 
re  unpefo,  non  fi  rompe  finché  non  è  rofo 
da*  tarli.  Nafce  ne*  monti,  ed  è  adopera- 
to,  come  s*  è  detto,  per  far  navil);  onde 
fpe^To  ufano  i  poeti  di  metter  l'  abete  per 
la  »ave\  e  perfr.r  travi,  e  per  infiniti  fér- 
vigj  a  beneficio  dell'uomo  .  I  Tuoi  rami  Tem- 
pre Vanno  in  alto-,  e  non  mai  s*  abbaffa- 
no  .  Se  a  quclV  albero  fi  taglia  la  punta 
de*  rami  ,  muore  ;  ma  fé  fé  gli  troncano 
tutti  i  rami  ,  non  muore  :  o  fé  fé  ne  ta- 
gliano alcuni  5  ilreftovive.  Quello  che  na- 
fce in  Arcadia  è  peggior  degli  altri  che 
nnfcono  altrove  ;  perciocché  immarcifce 
facilmente  .  L'  ombra  dell'  abete  fempre 
è  nociva . 

Car.  g.  I.  17.  "Larobufla  quercta^  e  /*  alta 
fraffìft'ì  ,  e  lo  ameniffimo  platano  )  La  quer- 
cia è  c\ùàm:iZ\robufia  per  la  durezza  eftre- 
ma  del  fuo  legno  fortidìmo  ,  a  imitazione 
di  Virgilio  ,  che  nel  terzo  della  Georgi- 
ca  V.  352.  ditfe  : 

--  --  antiquo  rohore  qaertur 

Ingenti!  tendat  ramos  , 
Edi  qui  forfè  è  derivata  quella  parola  an- 
tica in  latino  querquerutn  ,  che  fignificava 
grave  >  e  grande.  Ed  è  la  quercia  albero 
che  fa  ghiande  ,  delle  quali  dicono  che  fi 
cibarono  gli  anùvhi  avanti  che  fonerò  tro- 
vate le  biade  ;  onde  però  è  tenuta  fra  le 
piante  felici  .  Ama  adai  i  monti  ,  e  non 
così  facilmente  s'invecchia»  o  s'  empie  di 
tarli.  E'  facrata  a  Giove,  per  tcftimonio 
di  molti  poeti  ,  ed  in  particolar  d'.'Ovvi- 
dionelfettimo  delle  Trasformazioni  : 

Sacra  Jjii  quercut  de  fumine  Dodenaa  .. 

e  nel  primo,  ed  altrove . 

Il 


DEL    POtlCACCHI 

II  fr;flinoè  chiamato  aiiodt'<V 
(fucfto  luogo  5  perciocché  veramente  è  fem- 
pre  trJe  ,  ce  eguale  j  e  con  le  foglie  pie- 
ne di  penra  :  e  molto  è  nobilitato  per  la 
lancia  d*  Achille  .  Ama  i  monti  acquofi  y 
ed  è  obledientillìmo  a  tutti  i  magifterj  ; 
ma  a  ^lar  lance  è  miglior  del  nocciuolo  , 
più  ''.ggicT  del  corniolo,  e  più  tenero  del 
forbo.  Ovvidio  nel  decimo  la  chiama  uti» 
le  alle  lance  . 

Fr  dryli  fr,-gi}ts  ^  <Ì:S  fr.ixiruivtllh  hcfth, 
D.ìir  ombra  di  queft*  albero  lempre  fuggo- 
no i  ferp'  ,  in  modo  che  fé  dentro  a  uti 
cerchio  ferrato  da  fcglie  di  fraiTino  >  Ca 
porto  il  fuoco  ,  ed  un  ferpc  ;  il  ferpe  per 
non  dare  nel  frafimo  ,  più  torto  fi  getta 
nel  fuoco. 

Il  pljtano  con  ragione  è  chiamato  ame^ 
nijjlma  ,  confiderato  c^e  quefto  albero  non. 
fi  pianta  per  altro,  che  per  avere  ombra» 
fpargendo  egli  largamente  i  fuoi  romi  ,  e 
per  altro  ertendo  rtcrile  ;  e  per  querto  ri- 
fpetto  dagli  antichi  era  bagnato  e  nodrito 
fin  col  vino  :  il  che  òìtÒQ  cagione  a'  poe- 
ti di  chiamarlo  geniale.  Marco  Tullio  nel 
fecondo  dell*  Oratore  fa  teftimcnio  ,  che 
queft'  albero  fparge  i  rami  per  fare  grata 
ombra  a' luoghi  :  e  predo  gì'  Irtorici  natu- 
rali fi  trova  j  che  Licinio  Muziano  ,  il 
quale  fu  tre  volte  Confolo,  e  Gajo  Impe- 
radore  più  volte  banchettarono  a  più  perfo- 
ne  forto  1'  ombra  del  platano.  Né  a  queft' 
albero  è  attribuita  altra  lode  maggiore  che 
quefta,  cioè  che  di  ftate  con  la  fua  foltez- 
za non  fi  lafci  penetrar  da*  raggi  del  fole  » 
e  di  verno  si;  fé  già  non  volerti mo dir  co* 
poeti  ,   che  l*  aver  Giove  ufato  con  Eu* 

ropa. 


ÌT4       ANNòTAZTòMT 
ropa  Cotto  un  platano,  fia  la  miglior  pjo- 
ria  che  Te  gli  pofla  attribuire;  come  fcri- 
ve  anco  Teofrafto  nel  primo  delle  Piante 
al  cap.  15. 

Car.  ^.  1.  ?6.  L*  albero  di  che  Ercole coro^ 
ftare  fi  folta  ^  )  Quefto  albero  è  l' oppio  j  o 
pioppo,  o  albera  che  venga  chiamato,  nel 
quale  fi  trasformarono  le  figliuole  di  Cli- 
mene  »  e  forelle  di  Fetonte  fopra  la  riva 
del  Pò,  dopo  che  lungamente  ebbero  pian- 
to il  fratello  caduto  in  quel  fiume,  permi- 
le  aver  retto  il  carro  del  Sole  fuo  padre; 
ed  è  facrato  ad  Ercole,  a  cui  è  carifTimo  , 
come  dice  Virgilio  nella  Bucolica  Egl. 
7.  v.  61. 

PopuluF  AlcUa  gratijjìma  , 
Perciocché  egli  fole  va  Tempre  andar  coro- 
nato delle  frondi  di  quefto  albero  .  E*  di 
tronco  lungo,  e  diritto  ,  e  di  tenera  e  leg- 
gieri fcorza  ,  ed  appetifce  molto  le  rive  de* 
fiumi:  di  che  Virgilio  Egl.  7.  v.  66.  diffe: 

Populuf  in  jluviis  ,  ahiei  in  tnontibus  alih  . 
Il  fuo  piede  è  piccolo  ,  e  trema  facilmen- 
te i  non  fa  ombra  alcuna  co*  fuoi  rami  > 
e  le  fue  foglie  tremano  femore  con  qual- 
che Crepito  .  Mette  a  buon'  ora  ,  ma  non 
produce  frutto ,  né  feme  ;  ed  è  molto  ami- 
co delle  viti. 

Car.  4.  1.  2  II  toderofo  cafiagno  ,  il  fronzuto 
hojfo  ,  e  con  puntate  foglie  lo  eccelfo  pino  cari^ 
co  di  durtjfìm':  frutti  ;  )  L*  albero  d:  1  ca- 
fiagno è  pieno  di  fpeffì  nodi ,  duri  ,  e  dif- 
ficili a  eder  tagliati ,  come  che  nel  rima- 
nente non  (ia  così  duro  .  Dura  aflai  ,  ed 
ama  il  terreno  fac  b,  ed  arenofi ,  emaf- 
fimimente  il  fabbioii'  umido.  De'  fruttidi 
queil'  albero,  perchè nafcono  anco  per  lor 

me* 


DEL   PORCACCHI.     215 
medefimi  ,  vogliono  molti  che  fi  pafcefìi'e- 
ro  gli  antichi  ,  e  non  di  ghiande  ;  percioc- 
ché le    caftagne  fono  di  fermiifimo  nodri- 
mento. 

Il  boflo  è  fronzuto,  e  in  quefto  confifte 
la  bellezza  Tua  »  cioè  nella  Tpeflezza  delle 
fue  frondi.  E'  uno  di  quegli  alberi  che  fo-- 
no  accomodati  ali'  arte  topiaria  ,  o  a  far- 
ne ornamenti  a*  giardini  :  perciocché  s* 
accomoda  in  qualunque  maniera  vuole 
l'  artefice  .  Sempre  è  verde  ,  e  fempre  fi 
può  toiare  .  Il  fuo  legno  è  tanto  duro  > 
che  non  fente  mai  tarli  ;  è  tanto  grave  , 
che  nell'acqua  va  al  fondo,  ed  amai  mon- 
ti j  come  che  anco  al  piano  alligni  bene  • 
E*  molto  lodato  per  quella  fua  bella  pal- 
lidezza ;  onde  però  fé  ne  fanno  (  come 
iho  detto  )  flauti  j  pettini  ,  e  b..lTo]etti 
da  riporre  unguenti  ,  ed  altre  cole  mol- 
to vaghe . 

11  pino  ha  le  foglie  puntate  j  ed  a  gui- 
fa  di  capelli  9  che  non  caggiono  mai  ;  ed 
è  di  legno  nimico  de'  tarli  ,  e  della  vec- 
chiezza .  La  fua  ombra  fa  morir  tutte 
le  piante  che  le  fon  fotto  :  e  fé  alcuno 
gli  taglia  la  cima»  non  fa  mai  frutto;  ma 
però  non  muore  .  Chi  io  taglia  una  vol- 
ta, non  rimette  più  ;  e  perciò  fcrive  Ero- 
doto ,  che  Crcfo  minacciava  d'  eftirpare  i 
Lampafceni  5  a  gyifa  di  pini  .  I  Tuoi  frutti 
lon  duriflimi ,  e  da  guardarfi  ,  come  difle 
Marziale  lib.  ig-Ep-  25.  che  non  diano  al- 
trui nella  tefta  : 

Poma  [umuf  Qyheles  ,  procul  bine  difeedf  , 
tiator  , 
Ke  e  a  dal  in  mi  [e  rum  nojìra  ruifta  caput , 

E  ovvidio  n«l  io,  v,  lOj, 

-  bif'* 


^14        ANNOTAZIONI 

-.    --  hirfuTaque  vert  ce  ^>tnus\ 
Grata  Deum  rnatrl  . 
alla  quale  autorità  par  che  alluda  in  que- 
fto  luogo  il  Sanazzaro  ,  dicendo;  (cn  pan- 
tate  foglie  lo  eccelfo  pino  . 

Car,  4.  1.  5.  Ucffìbrofe  faggio  ^  la  incorrtit^ 
tlbile  tiglta  5  e  "*/  fragile  tamartfco  ,  interne 
ctn  la  orientale  palma  ,  dolce  ed  onorato  pre- 
mio de'*  vincitori  .  }  Fa  la  ftate  il  faggio  le 
fue  foglie  tanto  Tpefle  ,  che  i  r  iggi  del  fo- 
le non  hanno  forza  di  penefar'e  :  e  però 
lo  chiama  ombroso.  Le  fue  foglie  fonofot- 
tili  e  leggieri,  e  prelliliin^o  imbianc:ano  . 
Di  fopra  generanauna  pìcciolac  eco  a  ver- 
de ,  e  puntita  .  Fa  le  ghiande  dolciflime  , 
e  tali  y  che  gli  uomini  di  Scio  durtrono 
lungamente  con  erte  in  uno  a(Teiio  ferra- 
ti .  La  corteccia  di  queft'  albero  è  in  f^ran- 
d*  ufo  preflo  i  contadini  :  ma  il  1  gno  è 
grandemente  onorato  ne'  vafi  .  Manio  Cu- 
rio giuro  non  aver  dalla  preda  tolto  alcu- 
na cofa  9  fuor  che  una  tazza  di  fa:-:gio  per 
far  facrificio.  E'  utile  a  far  cade  ,  e  fca- 
tole  ,  perchè  agevolmente  fi  torce. 

La  tiglia  non  crefce  molto,  e  non  fèn 
te  mai  corruzione  di  forte  alcuna  ;  e  pe 
rò  qui  è  chiamata  incorruttibile  .  Ama 
monti  ,  ed  il  fuo  legno  è  duro  ,  nodofo  , 
che  roffeggia  »  ed  odora  .  Fra  la  fcorza  e 
il  legno  fono  alcune  camicie,  con  più  car- 
tilagini^ le  quali  fi  chiamano  anco  tiglie  , 
fr  s'adoprano  a  lega'-e  . 

Il  tamarifco  da  Teofrafto  è  po(ìo  nel 
numero  degli  alberi  infolici-  Chiama  egli 
infelici  ,  e  dannati  per  religione  quelli  che 
2^9»  fi  feminano  ,  o  non  fanno  fru^tj  .  Queft' 
albero  è  umile  >  e  di  rami  quafi  come  il 

ro- 


i 


DEL   PORCACCHI.    215 

Tofmarinoj  con  foglia  (Irette,   carnofe ,  ^ 
ccnie  pennate.  Non  fa  alcun  frutto,    e  di 
legno  è  fragile,  come  qui  dice  l'Autore, 
e  per  ie  notlre  parti  trovafi  in  ogni  luogo 
eder  tale  .  Quefto  dico  ,   perciocché  Teo- 
frafto  nel  5.  libro  al  cap.  6.  fcrive  ?  che  in 
Arabia  ncIPifola  di  Tilo  il  legno  del  ta- 
marifco  non  è)  come  prelTo  noi,  fragile; 
ttìà  duro  ,  e  forte ,  come  è  quello  dell*  elee  , 
lO  d'altra  materia  forte  ccnfimile  a  quella. 
Della  palma  orientale,  i^o/^e  ,  r//  onora- 
19  premio  tit'*  vincitori  ^  non  dirò  per  ora  al- 
tro ,  che  quanto  bafti  al. a  dichiarazion  di 
quello  luogo  :    poiché  troppo    lungamente 
bifognerebbe  ,  eh*  io  mi  eftendedi ,  fé  volef- 
ii  dirne  quanto  fé  ne  trova  preflo  Arifto- 
tile,  Teofrafto  ,  Diofcoride  ,  Plinio  ,  ed 
infiniti  altri  .  Nomina  qui  dunque  la  X>a\' 
m^  orientale  ^  ccme  più  nobile  dell'  altre, 
e  però  fogglunfe  1  eh'  ella,  come  più  de- 
gna, era    onorato  premio  de^  vincitori  .   Per- 
chè r  orientale  fia  più  degna  dell'  altre, 
rredo  io  che  nafcri,  perciocché  l'altre  non 
i:anno  i  frutti  della  qualità  che  quella.  Nel- 
1*  Europa  fono  fterili  .  Ne'  luoghi  marit- 
:imi  di  Spagna  fanno  però  frojtto  ,  ma  acer- 
bo, e  fpiacevole  .  In  Africa  lo  fanno  dol- 
ce :  ma  fvanifce  torto  •  Le  orientali  fono 
ì\  tanto  valore  ,  che  de'  flutti  d'  efi'e  ne 
cavano  il  vino,  ed  alcune  genti  il  pane  • 
La  ragione  perchè  la  palma  fi  dia  per  pre- 
mio a' vincitori,  è,  per  tcftimonio  d' Ari- 
ìotile  ,  di  Plutarco  ,  e^  di  Gelilo ,  percioc- 
ché ,  fé  fopra  il  legno  di  quefto  albero  (i 
mettono  pefi  gravi  ,    che   lo  carichino  ia 
modo  che  non  pcfTa  foftenergli  ,  ijud^  le-* 
,  kno  mai  non  fi  piega  in, giù  ,  ma  fempiO^ 
il»^  s'  in^ 


2,6        ANONTAZTONI 

s"*  innalza  in  fu  con  tra  il  pefo  ,  ed  a  quel 
modo  s'  inarca:  volendo  per  quefto  allude- 
re alla  natura  del  vincitore  ,  che  ancora 
e^li  fia  Tempre  andato  ardito,  ef'ortecon- 
tra  tutti  gl'imminenti  pericoli. 

Car.  4.  1.  9.  Un  dritto  ciprejfo  ,  veraetf- 
fimo  imitatore  cc.  )  Il  cipreffb  è  a  noi  tan- 
to noto  albero  ,  per  la  quantità  che  fé  ne 
vede  predo  le  chiefe,  porte  maflìmamente 
fuor  delle  terre,  o  città  ,  che  tutti  loco- 
liofcono  .  E*  chiamato  imitatore  veraciffimo 
delle  alte  mete  ;  perciocché  da  Teofrafto  quelV 
albero  è  porto  fra  quelli  che  fono  più  atti 
a  crefcere  in  lunghezza  .  Soleva  dagli  an- 
tichi elTer  porto  a'  mortorj ,  per  erter  pian- 
ta funebre:  onde  Virgilio  (  Eneid.  6. v.ii  6) 
la  chiamò /^m/^,  cioè  mortifera- 

—  —  ^  feralis  ante  cuprejfof  . 
E  per  tertimonio  di  Plinio  è  facratoa  Plu- 
tone. In  quert*  albero  fu  convertito  Cipa- 
rifTo  5  figliuolo  di  Telefo  ,  che  fu  bel  1  irti mo 
giovanetto  neli' ifola  Cea,  amato  da  Apol- 
lo .  Aveva  quefto  giovane  ammazzato  uti 
fuo  cervo  »  che  gli  era  molto  caro  :  onde 
per  dolore  non  volendo  più  vivere  >  fu  mu- 
tato in  querto  lugubre  albero,  che  dal  fuo 
nome  fu  detto  Ciparrjfo ,  e  poi  Cipreffo .  E 
però  dice  quii*  Autore,  che  quella  pianta 
nella  fommità  di  Partenio  era  così  bella  » 
che  in  erta  >ìon  che  Ciparijfo ,  ma  ejfo  ApeU 
h  jion  fi  farebbe  fdegnato  trasfigurarfi . 

EGLOGA    PRIMA. 

Car.  5.  1.  23,  ^ih  per  li  bofcbi  i  vaghi  uc» 

celli  fannofi 
X  dolci  nidi  j  r  </'  alti  monti  caCcano 

U 


DEL  PORCACCHT.     lx^ 
Le  nevi  ^  che  pel  [ci  tutte  disfannofi , 
e  quel  che  iegue .  ) 

Qiii  è  da^  avvertire  con  quanta  vaghezza 
quedo  fioritiilìmo  Scrittore  abbia  poetica- 
mente defcritto  la  Primavera  a  iraitazion 
d'Orazio  nelT  Ode  4.  del  lib.  i. 

Sohitur  acris  hitms  ^  grata  vicf  verif  ^  & 
Favoni  ^ 
Trahuntqae  ficca s  nìctchttìds  carìnat  : 
Ac  neque  jam  ftabulit  gaftdet  pecus  ,    6CCm 
Ma  quella  del  Sanazz.ìro  in  bocca  d' un  pa- 
Gore  è  detta  con  infinita  leggiadria  poeti- 
ca? a  chi  minLtamente  la  confiderà  a  par- 
te per  parte.  E' anco  molto  vaga,  e  in  al- 
cune cofe  a  quelli  limile  quella  dell*  Ario- 
ilo  nel  Canto  12.  alla  ftan.  72. 
Or  cominciando  i  trepidi  rufcelli 
A  fciorrif  il  fredda  ghiaccio  in  tepid^  onde  f 
E  i  prati  di  nove  erbe ,   e  gli  arbufcelli 
A  rivejìirfi  di  tenera  fronde  ^ 
Car.  7.  1.  I.  V fogne  ritorna  a  noi  per  tan» 
to  [palio 
Co*t  la  forelJa  fua   dolce  Cecropia 
A  lamentar^  delP  antico  fira^io  .    ) 
Quella   è    la  favola  di    Progne  figliuola  di 
Pandione  Re  degli  Atenieli  ,  e  moglie  di 
Te  reo  Re  di  Tracia.  Coftei  dopo  ch'ebbs 
partorito  al  marito  un  fanciullo  s  chiama- 
to Iti  ^  pregò  i!  marito,  che  folTe  conten- 
to di  condurle  Filomena  fua  forella  da  Ate- 
ne ,  eh'  ella  moriva  di  voglia  di  vederla. 
Andò  Tereo  ;   e  conducendo  la  cognata  9 
per  cammino  la  violò  per  forza.  Di  poi  $ 
acciocché  ella  non  raccontalTe  qucHa  fcel- 
leraggine  a  Progne  ,  le  tngliò  la  lingua  > 
e  la  ferrò  come  in  prigione,  dando  ad  in- 
tendere alla  moglie  che  ella  fi  era  morta 
Imo  I.  K  per 


iif  ANNOTA  ZIONI 
per  faftidio  del  mare .  Filomena  avendo  a 
iioja  la  prigione  ,  con  V  aco  diligentifTi- 
fnamcnte  ricamò  tutta  quefta  iftoria  in  un 
drappo  di  finìfllma  tela  ;  e  per  una  came- 
riera di  nafcofto  lo  mandò  alla  forella  .  Pro- 
gne intefo  il  fatto,  diflìmulò  il  dolore~fino 
alle  fefte  di  Bacco;  e  dipoi  veftita,  agui- 
fa  di  facrificante>  di  pelli  ,  col  tirfo  cavò 
la  forella  di  prigione,  e  menatala  pur  tra- 
veftita  a  modo  luoal  palazzo,  cacciata  dal- 
le furie  5  ammazzò  il  figliuolo  Iti  9  e  lo 
diede  a  mangiare  al  padre  .  Di  poi  pre- 
fentatagli  la  tefta  ,  Tereo  andò  per  ucci- 
der la  moglie  :  ma  ella  fuggendo,  fu  per 
compaiijone  dagli  Dei  mutata  in  rondi- 
ne :  Filomena  in  lufignuolo;  ch'ancornoa 
cefiTa  mai  col  fuo  dolcifTimo  canto  di  pian- 
ger 1'  ingiuria  :  Iti  in  fagiano  :  e  Tereo 
in  bubbola  ,  che  da'  Latini  è  detta  impupa' 
perciocché)  quafi  ancor  cerchi  il  figliuolo, 
cfprimeconla  voceil  fuo  ccrdoglio,  dicen- 
do :  ^cir  nrcù  ,  che  vuol  dir  dove  dove  .  Tut- 
ta quefta  favola  di  Progne  ,  e  Filomena 
tocca  in  quefto luogo  V  Autore;  e  perO- 
tropios*  ha  da  ii  tendere  Filomena  Atenic- 
fe  :  perchè  CecropU  ,  o  Cecropidi  erano  det- 
ti gli  Ateniefi  da  Cecrope  :  ma  tre  ternari! 
più  a  baffo  per  fuo  vero  nome  la  chiama 
Filomena  , 

Gar.  6.  1.9.  Ma  mefte  flrjgi  ^  )  Le  ftrigi 
fono  uccelli  n(*tturni  ,  e  importuni  ,  cosi 
detti  ddllo  fl'ider^  ;  che  da  Ovvidio  con 
quefti  verfi  (  131  )  nel  6.  libro  de'  Farti 
fon  deferirti  in  quefta  gulfa: 
Sum  aviaa  vohc^cs  ;  no^n  quié  Vhineia  menftf 

Guttu* a  frtìudohant  \  fed genus  inde  trahunt^ 
Qrandf  caput  ^Jìantes  ofult  ,  rojira  apta  rapina  • 

Cam 


DEL  PORCACCHl.     ti? 

Camtits  pennh  ,  unguibut  bamus  inefi  . 
^H-oSìe  vcl int ,  puerofqtig  petunt  nutrie h  egentef^ 

Et  viti'ìftt  cunts  Cf  ora  rapta  fu-r  &c. 
Eft  ìl'-ii  il  rigibus  nomifi  :  [ed  n^mintf  bujuF 

Cauffa  ,  qt4od  horrenda  jìridere  noSle  fole  fi  f  , 
Da  qu^fti  mil'-detci  uccelli  (  Plinio  ftima  per 
favola,  ch'cffi  vadano  alle  culle  a  fucchiare 
il  fangue  de' bambini  )  è  derivato  il  nome 
di  Jìrtga  a  quelle  donne  malefiche  che  con  le 
lor  vanità  tanno  proLlfione  di  fafcinare  >  e 
guadare  i  bimbini  . 

Car.  6.1.21.  Ifier  giganti  in  F/egra  ;  )  Fle- 
gra  è  una  valle  di  Tellagli  i  preiro  )a  città  di 
Pallcne  :  dove  i  Giganti,  che  furono  figli- 
uoli del  la  Terra,  cài  fmifurata  grandezza 
e  fortezza,  fi  dice  che  vollervo  cacciare  gli 
Dei  dal  Cielo  ,  e  di  quivi  Topr  ip  fero  un 
monte  all'altro  per  arrivare  ai  Cielo  :  per 
lo  che  Giove  ritiratofi  nelP  alta  rocca,  con 
le  facete  li  comincio  a  percuotere,  di  ma- 
niera che  tutti  mirirono.  "Le  quiH.faette 
perché  fog'liono  cnereaccoin.^ng^i.ttefempre 
daMampi ,  e  dd*  tuoni,  pero  dice  in  que- 
ft;  luogo  C'iggtan  haLnì  ^  e  tuon  quanti  ne 
videro    Ijìcft  ^  gtnti  in  Fhg^a  . 

Car.  7.  1.  15.  Lavava  un  veto)  A  imitazion 
di  quel  del  Pct;arca  nella  Canzonetta,  che 
•comincia  : 

Nov  al  fuo  amante p'h  Diana  piacque y 
dove  dice  : 

Pojla  a  bagnare  un  ìeggiadretto  xelo  • 

PROSA    SECONDA. 

Car.  9.  I.  9.  Molti  rimed)  .,  a jf ai  pia  leggieri 
sdirli^  ci  e  a  metterli   in  'feraiione.   )  Parla 
fecondo  icoftumi  ordinar)  degli  uomini:  i 
K    2  qua- 


220        ANNOTAZIONI 

quali  fempre  agli  ammalati  perfuadonoquei 
rimedi  che  s'  hanno  da  ufare  ;  infegnano  quel 
che  s'  ha  da  fuggire;  e  tal  voltagli  ripren- 
dono che  per  ben  loro  non  vogliono  obbedire' 
a  chi  bene  gli  ammonifce  :  alT  incontro  poii 
quando  efTì  fono  ammalati ,  non  fi  ricordano 
più  di  quegli  ottimi  documenti ,  ma  hanno 
bifogno  d'altri  ammonitori,  e  riprenfori  , 
Perciocché  ildefiderio  è  certa  infermità  d' 
animo  j  che  come  cieco  o  non  difcerne  >  o  fé 
fcerne,  non  può  feguir  quellecofe  che  fon 
necefl'arie  alla  falute.  Onde  quel  Fedria  Te- 
renziano  bene  in  cervello,  econofcendoil 
male,  metteva  le  man  nel  fuoco  ,  e  vivendo 
e  vedendo  andava  a  morire  :  ed  Orazio  fegue 
lecofe  che  fi  dovevan  fuggirete  fugge  quel- 
le che  fi  dovevano  feguitare.  L'avaro  alcu- 
ne volte  vede  quanto  fia  moftruofa  l'ambizio- 
ne .  All'  incontro  l' ambiziofo  conofce  l' in- 
fermità dell'avaro.  L'uno  configlia  bens 
nel  male  dell' altro  ,  ed  amendue  fono  infer- 
mi .  E*  fimile  quello  luogo  dell'  Auto/-e  a 
quella  fentenzia  di  Terenzio  :   Facile  o^^fjes 
cum  vaìemus  ,  reSia  ccnjilia  agrotìì    damus  • 
T«  fi  bic  fir  y  alitar  fentiar  :  la  quale  pare  j 
che  fia  nata  dall' oracolo  di  Talcte  é/ofo- 
fò  3  come  fcrive  Laerzio  .  Perciocché  do» 
mandato,  qual  cofa  foflTe  difficili flì ma;  ri- 
fpofe:  Concfcer  fé  ficffo  :  qual  fjciliflìnia  ; 
rifpofe  :  Dar  ccnfgUo  ad  altri , 

Car.  9.  1.  II.  Ci>e  V  fclg  era  per  dechinar- 
fi  verfo  /'  Occidente  ^  €  che  ì  fafiìdioft  grilli 
incominciavano  cc.  )  Defcrive  fecondo  ii  fuo 
folito  la  fera  >  o  il  principio  della  notte  :  la 
qual  defcrizionc  in  alcune  parti  potrebbe  pa- 
rere imitata  da  Virgilio,  e  da  altri  poeti  ; 
ma  perchè  nel!'  altre  poi  q  lontanilfima  ^ 

pe^ 


DEL   PORCAGCHI.    221 
però  io  non  adduco   le  autorità  latine  al- 
tramente. 

Car  IO.  1.  17.  Amico  1^  fek  benivoìe  Tsltnfe 
ec.)  Ancora  nelle  bocche  degli  umili ,  e  roz- 
zi paftori  danno  bene  i  colori  rettoricii  che 
la  natura  per  fé  ftefla  e'  infegna  ufare  .  Veg- 
gonfi  quefte  poche  parole  dette  a  Montano 
tutte  piene  d'  artificio  ,  come  ben  fanno 
coloro  e'  hanno  cognizione  dell*  arte  \  il  qua- 
le io  non  difcopro  ,  perefler  come  chiaro  ed 
apparente  a  tutti. 

EGLOGA    SECONDA. 

Car.  14.  1. 1.  Ch"*  a  Pan  non  fa  colei  che  vin* 
ta  e  fianca 

"Divenne  canna  trt mula  e  Rottile  \  ) 
Intendi  Siringa  Ninfa  d'Arcadia;  la  quale 
(come  fingono  i  Poeti)  cflendo amata  dallo 
Dio  Pan,  né  volendo  acconfentirgli,  fi  mi- 
fe  a  fuggire ,  e  Pan  a  fegui tarla  i  finché  ef- 
lendoftanca»  e  giunta  a  un  fiume  5  di  là  dal 
quale  non  poteva  paflare  ,  fi  voltò  agli  Dei , 
pregandogli  che  di  lei  aveifero  compaflio- 
nej  onde  efTì  la  convertirono  in  canna  :  del- 
la qual  poi  formò  Pan  la  fua  fampogna  . 

Car.  14.  1.10.  Viti  cruda  di  calci  eh?  fé  in 
Teffaglia 

Il  primo  alloro  dì  fue  membra  attratte  \  ) 
Qiiefta  è  la  favola  di  Dafne  ,  e  d'  Apollo  :  la 
qual  fuccelTe  in  quefta  guifa  .  A  ndava  fuper- 
bo  Apollo  per  la  morte  del  fcrpente  Pitone  ; 
ed  avendo  per  ventura  veduto  Cupido  con  l* 
arco  econ  le  freccie  j  cominciò  a  dirgli  vil- 
lania ;  poich'  aveva  ardimento  un  vii  fan- 
ciullo d'ufar  quelle  medefime  armi  eh' egli 
conerà  quel  fiero  fcrpente  ufate  avea  •  Cupi- 
K    3  do 


121        ANNOTAZIONI 

do^'icgoato,  gli  rifnofe  chetofto  l'avrebbe 
fatto  oen'ire  deMifua  luperbia  :  e  volando 
fopr.T  N  monte  Ptrnafo  ,  mife  m-ìno  a  due 
faette  ;  ''una  eh'  jvea  la  punta  d*oro  ^ch'  in- 
duce amore;  e  inalerà  di  piombo,  ch'induce 
odio  .  Ora  <  bbatte  dofi  a  pafìflìr  Dafne  Ninfa 
figliuola  del  fiume  Penco,  e  fanciulladima- 
ravi"Jiof^  belle  ZZ.1  .  dove  era  Apollo  ,  Cupi- 
do fri  fdbito  Anello  con  la  fietta  d*  oro, 
eia  Ninfa  con  ^ujIIi  di  piombo:  talché  i* 
imo^mava*  e  *  altra  odiava;  equantopiii 
quegli  eradi  lei  innamorato,  canto  piiì  el- 
la accrciceva  l'odio  centra  lui  .  Finalmente 
non  avendo  mai  potuto  con  parole  lufinghe- 
voli  piei?arla,  fi  mife  a  feguitarla .  Dafne 
sbigottita  fi  diede  a  fuggire  ,ed  Apollo  a  cor- 
rerle di^itro  Finalmente  fentendo  ella  l'ali- 
to di  lui»  che  già  cominciava  a  raggiunger- 
la, dirizzati  gli  occhi  all'acque  del  fiume 
paterno,  dove  ella  era  in  Teflaglia  già  cor- 
rendo giunta  ,  pregò  il  padre  ,  come  Dio  del 
fiume,  che  leavefTe  compalTìone  della  fua 
virginità.  Né  appena  ebbe  fornito  di  pre- 
gare »  che  fu  convertita  in  alloro,  ritirandoli 
a  poco  a  poco  le  giunture  in  fotti  le  fcorza  , 
i  capelli  in  frondi  .  le  braccia  in  rami,  i 
piedi  in  radici  ,  e  '1  vi^fo  nella  cima  deli' 
albero;  acuirimafe  la  fua  prima  vivacità  e 
verdezza . 

Car.  14-  1.  3c.  Ecco  la  notte  y  e'^lchl  tutt^ 
x'  imbruna  ,  * 

E  gli  alti  tnontì  le  contrade  adombrano  ;  / 
Defcrive  il  principio  della  notte  con  la  foli- 
ta  vaghezza  di  concetti  paftorali,  imitando 
in  alcune  parti  Virgilio  :  perciocché  non 
è  men  bello  il  dir  che  g/'  alti  monti  adom. 
hrano  le  contrade  y  di  quel  che  in  quei  r^eca 

è  ii 


DEL   PORC^ÌCCHI.     125 
è  II  dir  che  dagli  alti  monti  caggiono  le  mag- 
giori ombre  : 

Majorefque  cadunt  altìs  de  montìbus  umbra , 
(   Egl.i.v.84.) 
E  per  ventura  all'  intelletto  d'alcuni  potreb- 
be parer  pm  bella  quella  del  Sanazzaro  che 
quella  di  Virgilio. 

PROSA    TERZA. 

Car.  16.  I.  22.  Fi/ìa  di  Paìes  veneranda 
D*a  de"*  pa fiori  ^  )  Quefta  feda  era  chiamata 
Fallita  y  che  li  celebrava  a'  2i.  d'Aprile/ 
nel  qual  giorno  Romulo  fo  .dò  Roma  ;  ed 
era  fatta  o  per  cacciar  da' beftiami  l'infer- 
mità, come  fi  vede  che  U  Sanazzaro  tocca 
in  quefta  Profa  ;  o  per  rifpetto  delpartod' 
edi  :  ed  erano  iftituiti  quarti  PaUlJ  in  onor 
della  Dea  Pale,  Dea  de' partorì  :  la  quale 
alcuni  tengono  che  forte  Verta  ,  ed  alcuni 
Ja  madre  degli  Dei . 

Car.  1 6.  !.  24.  Cerne  il  fole  apparve  in  Orien* 
tiy  e  i  vaghi  uccelli  ec.  )  Defcrive  1'  appa- 
rir del  giorno;  ed  in  quertadeicrizione  ve- 
dt Ti  e'  ha  ioiirato  diligentemente  il  nortro 
Boccaccio  in  alcuni  luoghi  del  fuo  Deca- 
merone.  Gli  alberi  che  fi  nominano  poi  in 
querta  Profa  >  da  ma  non  fono  ora  altramen- 
te notati;  perchè  mi  rert.no  da  dire  altre 
cofe  per  dichiarazion  delle  favole  che  vi 
fono  inferte  . 

Car.  18.  1.  25.  Gujrdava  gli  armenti  di 
Admeto  alla  riva  d"*  un  fiume  :  e  per  attenta'-^ 
msnie  ec.  )  La  cagione  per  la  quale  ApoU 
lo  rterte  a  guardare  gli  armenti  di  Adme- 
to alla  riva  del  fiume  Anfrifo ,  vien  raccon- 
tata in  quefto  modo.  Efculapio  fìgliuol  d* 
K    4  A  poi- 


224  ANNOTAZIONI 
Apollo  aveva  imparato  da  Chirone  I*  arte 
della  medicina:  di  poi  avuto  da  Palladeil 
fangue  ch'era  ufcito  delle  vene  della  Gor- 
gone ,  col  mezzo  di  quefto  refe  la  faoità  a 
molti .  Perciocché  era  di  quefta  qualità  ,  che 
quel  fjngue  ch'era  ufcito  delle  vene  del  Ia- 
to dritto,  da  lui  era  adoperato  in  falute  ; 
e  quel  ch'era  ufcito  di  quelle  dei  lato  man- 
cino) in  danno  degli  uomini .  Anzi  fi  di  (Te 
una  fovola  di  piti  9  che  con  eflb  aveva  ri- 
iufcitato  alcuni  morti .  Per  la  qua!  cofa  Gio- 
ve ,  acciocch'ei  non  fofle  adorato  per  Dio» 
facendo  operazioni  da  Dio  ,  lo  percofle  di 
faecta,  e  fece  morire  .  Di  che  fieramente 
fdegnato  Apollo,  ammazzò  tutti  i  Ciclopi 
ch'avevano  fabbricato  quella  faetta .  Gio- 
ve montato  per  ciò  in  collera,  volle  cac- 
ciare Apollo  all'  inferno:  ma  a*  preghi  di 
iatona  fi  placò  ,  e  contentoffi  di  bandirlo 
del  Cielo,  con  patto  che  per  prezzo  andaf- 
fe  a  fervire  a  qualche  uomo  .  Per  lo  che 
Apollo  andò  a  fervire  al  Re  Admeto  di  Tcf- 
faglia,  e  pofefi  per  guardiano  degli  armen- 
ti »  Ora  mentre  eh'  egli  attendeva  a  guar- 
dare, Mercurio  afiutifiìmo,  trasformato  in 
paftore  ,  andò  a  rubargli  alcune  vacche  ,  i'Qn- 
za.  eifer  veduto  da  alcuno,  fuorché  da  Bat- 
to pafiore;  al  quale  donò  un  vitello,  perchè 
jion  Io  rivelafle  :  a  cui  il  paftore  moftrando 
col  dito  un  fa (To,  dille:  Lo  iiirà  prima  quel 
fajfo ,  che  io.  Indi  a  un  poco  Mercurio  tra- 
sformato in  Apollo,  domandò  a  Batto  >  fé 
avefiTe  veduto  le  fue  vacche ,  promettendo 
c'o largliene  una .  Batto  vedendofi  raddoppiar 
Ja  mercede,  rivelò  il  furto  al  ladro  fte(To. 
Per  Io  che  Mercurio  Io  convertì  in  quel  faf- 
foch'eìcol  dito  gli  avea  molìrato,  E  tut* 

ta 


DEL  POR  CACCHI,     iis 

ta  qusfti  tavola  dice ,  ed  intende  in  qucfto 
luogo  il  Sanazzaro . 

Car.  18.].  -^i.  Mercurio  ,  tbtfedtnJo  aduna 
gran  pietra  ec.)  Giove  aveva  tolto  l'onore  a 
Io  figliuola  dMnaco  ;  e  fopraggiunto  da  Giu- 
none ,  per  tema  di  non  edere  fcoperto ,  con- 
vertì la  fanciulla  in  vacca.  Giunone  ,  (o" 
fpettando  quel  ch'era,  gli  chiefe  la  vacca 
in  dono,  e  la  diede  a  guardare  ad  Argo,  eh' 
aveva  cento  occhi  ;  de' quali  Tempre  due  per 
lo  meno  vegghiavano  .  Giove  comandò  a 
Mercurio  che  rubafìTea  quel  paftore  occhia- 
tola vacca  :  ondecgVif  de  ndo  ad  una  gran  pie» 
tra  con  gonfiate  guance  fi  mife  a  fuonareuna 
fampogna  :  per  la  dolcezza  del  qual  Tuono  ad- 
dormentato Argo  ,  Mercurio  gli  tagliò  la 
tefia  )  e  tolfe  la  guardata  vacca  . 

Car.  19.  1.  7.  Endirnione  )  Fu  Endimione 
un  billiflìmo  giovanetto,  amato  dalla  Luna  ; 
ed  avendo  ella  per  lui  impetrato  dal  padre 
Giove  grazia  di  quel  eh' ei  defiderafie;  En- 
dimione chiefe  di  dormire  in  perpetuo,  per 
avere  a  perfeverare  immortale ,  e  fenza  vec- 
chiezza .  Così  fi  addormentò  fopra  il  mon« 
te  Latmio  in  Caria . 

Car.  19.  1.  8.  Varify  che  con  la  falce  avea 
tominciatoafcrtvere  Enone)  Mentre  che  Pa- 
ris figliuolo  del  Re  Priamo  di  Troja  abitò 
nella  fel  va  Idea  ,  amò  grandemente  Enonc  > 
una  delle  Ninfe  Idee,  e  figliuola  del  fiume 
j,Cebrene,,  Pandafo,  cheda  Apollo  pe-r  prc- 
mlodella  verginità  toltale  5  ebbe  notizia  Sii 
tutte  l'erbe  ,  e  1'  arte  del  medicare  .  Come 
poi  Paris  fi  fu  innamorato  diElcna»  abban- 
donò C(^ftci  .  Ora  il  giuJicioche  Paris  diede 
fu  1  che,  contendendo  Giunone n  Pallnde, 
c  Venere  avanti  a  Giove  d'una  palla  d'oro 
K    5  che 


126        ANNOTAZIONI 
che  s'aveva  a  dare  alla  più  bella  ,  Giove  le 
mandò  nella  felva  Idea  a  Paris  che  le  giudi- 
cafìTe .  Egli ,  fattole  fpogliar  tutte  tre  nude , 
fentenziò  in  favor  di   Venere. 

Car.  19.1.  19.  La  dipi n fé  volta  Ji  fpalle  ^  ) 
Allude,  per  quel  eh' io  credo,  in  quefto  luo- 
go il  Sanazzaro  alla  pittura  d'Ifigenia,  di- 
pinta da  Timante  per  dovere  edere  facrifica- 
ta  :  perciocché  avendo  egli  dipinto  tutte  le 
perfone  che  l'erano  intorno  ,  mede,  ed  ad- 
dolorate ;  e  mafllmamente  il  zio  di  lei ,  in 
guifa  eh'  aveva  confumato  ogni  immagine  di 
doli;re  e  di  affanno;  coperfe  finalmente  il 
vifo  al  padre  d'efìia  ,  acciocché  da  chi  vede- 
va la  pittura  foife  comprefo  il  dolore  eh'  egli 
col  pennello  non  aveva  potuto  efprimer  tan- 
to che  baQafl'e  ,  fcufando  (  come  qui  dice  )  '/ 
difetto  con  r  ajìu\ia  , 

EGLOGA    TERZA. 

Car.  24.  1.  7,»   Mentre  per  quefìi  monti 

Anàrart  le  fiere  errando  , 

JB  gli  altri  pini  arhn  pungenti  foglie  ; 

Mentre  li  vivi  fonti 

Correran  mormorando 

NelPalto  mar  ,  che  con  amc  li  accoglie  :  ec.) 
Quefta  è  defcrizion  poetica  d' un  lungo  tem- 
po, nel  quale  fignifichiamo  ch'abbia  ad  ef- 
fere  alcuna  cofa  :  il  che  none  fenza  grazia, 
e  lode  di  chi  l'ufa.  Virgilio  nell'  Egloga 
quinta  v.  76. 

Dum  juga  montis  aper  ,  fiuvìot  dum  ptfcii 
amabit , 

Dumque  thymo  pafcentur  aper  ,  dum  rote  (i* 
cnda  y  dee* 

Ovvidio  neli.  libro  dell'Elegie. 


DELPORCACCHI.    iii 

Vitet  M  doni  de  f^  Ttntdos  dumjìabit ,  ^  Ide^ 
Dum    rapidaf    Simois    in    mare    volvef  a- 
quai  y  dee, 

con  quel  che  fegue* 

PROSA    (QUARTA. 

Car,  2  6.  I.  g6.  Najade  i  o  Napee  flate  fof^ 
fero;  )  Credette  la  vanareligion  degli  an- 
tichi, chead  ognicofaj  per  minima  che  fof- 
fe  5  fopraftefle  alcuna  parcicolar  Deità  :  e 
però  Efiodo  iafciò  fcritto  ,  che  in  tutto  il 
mondo  erano  ftati  adorati  trentamila  Dei  . 
Inquefto  propofito  fcrive  Plinio  nel  libro  12. 
le  (eguenti  parole: -<4'»\'  r^of  crediamo  che  i  SU' 
vani  ,  i  Fnuni  ,  ed  altre  [orte  di  Dei  jìano  fia- 
te attribuite  così  alle  felve  ,  cerne  al  Cielo  le  Dei- 
tà [uè  .  Né  folamente  affegnavano  gli  anti- 
chi Dei  mafchj,  ma  ancor  le  Dee  femmine; 
come  le  Njjadi ,  eh'  eran  Ninfe  ch'abitavan 
ne' fiumi;  leNapee,  ne' fonti;  le  Driadi» 
ne'bofchi  ;  1*  Amadriadi,  negli  alberi;  P 
Oreadi ,  ne' monti  ;  e  l'innide  ,  ne' prati  • 
11  Poliziano  \-\q\  Ruftico  v.  ^^^. 

Uda  choros  agitai  Nat!  ,  dscurrit  Oreat 

Monte  fuo  ,  Hquuntfacìles  juga  celfa  Napad  ; 

JVVf  latitat  ^ub  fronde  Dryat . 

Car.  17.  1.  II.  Ma  veggendo  elle  il  fole  di 
molto  aliato  ,  e  l  caldo  grandijftmo  fopravvenire^  ) 
Defcrive  il  mezzo  giorno  ,  imitando,  per 
quel  eh' io  credo  ,  il  Marullofuo  coetaneo: 

Et  jam  Ir.mpade  torrida 

Fulgebat  medio  fi  pater  athere  . 

Car.  27.  1.  56.  Ehi  no  di  capfe  ,  Logifio. 
di  lanate  pecore  guar datore  \  )  Leggafi  l'  Eglog* 
7.  di  Virgilio  ,  dal  qual  luogo  il  Sanazzaro  ha» 
prefo  quello  paflo  :  (  v,  3.  )  •* 

K    6  Ihyf^ 


ii8        ANNOTAZIONI 

Thyrfis  cv/r  ,    Corydon  dijientas   ìaBe  ca» 

fella  s  ; 
Afnbo  fiorente^  atatlhttf  ^  Arcade^  ambo  ) 
Et  cantare  parer  ,  Ò"  refpondere  parati  .      i 

EGLOGA    QUARTA. 

Car.  32. 1. 1.  Siccotn'*  un  tempo  Orfeo  col  del- 
ce  pianto:  )  Orfeo  figliuolo  di  Calliope  Nin- 
fa, amando  fieramente  Euridice,  dopo  eh* 
ella  fu  morta  ,  fcefe  ,  confidato  nella  dolcez- 
za eh'  egli  ufava  Tuonando  la  lira  ,  all'  Infer- 
no: dove  riebbe  Euridice  ,  con  patto  che  nel 
ritorno  non  ù  voltafle  indietro  .  Ma  avendo 
rotto  il  patto  per  troppa  vaghezza  di  veder- 
Ja  ,  gli  fu  ritolta,  e  più  non  potè  riaverla. 
Di  che  addolorato,  non  voile  mai  vedere  al; 
tre  donne,  onde  da  elle  fu  morto.  Coftui 
tuonando  nelle  feive  ,  e  piangendo  la  fua  Eu- 
ridice ,  faceva  movere  gli  alberi  >  ch'anda- 
vano ad  afcoltarlo  . 

Car.  52.  \.i6.  Li  ignudi  pepi  andran  per  ftC" 
chi  campi  , 

E   V  mar  fi  a  duro  ^  e  liquefatti  i  fajjì  ,   ) 
l'argomento   cavato  dall'  imponibile:  di 
che  prefTo  tutti  i  poeti  n'  abbondano  molti 
efemp),  ch'io  giudico  foverchio  addurre. 
Leggi  al  fin  della  feguente  Profa  . 

PROSA    Q^U  I  N  T  A. 

Car.  55.  1.  2.  ISlè  pia  te/io  la  Iella  Aurora 
faccio  eC')  Defcrive  con  mirabil  vaghezza 
«l  nafcimento  del  giorno;  ed  ioquefta  de- 
fcrizione  nuòdirfi  ,  ch'egli  eccellentiffima- 
mente  fifiafervito  de'juoghi  di  molti  Poe- 
ti :  perciocché  quando  dice  :  La  bella  Auro^ 

'4 


DEL    PORCAGCHI.    229 

fa  cacciò  le  notturne ftelle  ,  può  aver  tolto  qtre- 
fto  luogo  dal  ^.dell'Eaeida  di  Virgilio  v.521, 

—  —  rubtfcebat  fìellis  Aurora  fugatis  , 
o  dal  i.  delle  Trasformazioni  d'  Ovvid. 

—  --  fulget  tenebriì  Aurora  fugatis  , 
odal  4.  del  medefimo  : 

--  —  ne  diurna  Aurora  re  moverai  ignef  . 
odal  15.  del  medeiìmo  : 

—  --  fidereos  Aurora  fugaverat  tgnes  . 

Ma  dove  dice  :  e^lcrfjìato  g^llocol fuo  canto 
f aiutò  il  vicino  giorno  ,  avendo  con  quefta 
circofcrizion  del  gallo  rifguirdo  alla  baflez- 
za  del  foggetto  di  che  tratta  >  imita  j  per 
quel  ch'io  poffb  credere  ,  Ovvidio  nel  1. 
dell'Elegie,  in  quefto  verfo  : 

Inque  fuur/t  miferof  excitat  ales  ofus  , 
benché  troppo  lontana  da  quefto  verfo  d* 
Ovvidio  può  parer  la  circofcrizion  del  Sa- 
nazzaro  ;  la  qual  forfè  imita  meglio  quel 
che  difle  Virgilio  nel  fuo  ingcgnofiflìmo 
Morato  v.  s. 

T-xcubitorque  diem  Cantu  pfadixerat  ales  , 

Car.  Z5'^-  ?0'  -^^^^  ^^«  infognati  di  rifponde- 
re  agli  accenti  delU  voci  mie'.)  Virgilio  nell' 
Egloga  prima  v.  5.  difle  ,  cheTitiro  infe- 
gnava  allefclve,  che  ri  fuo  n  afferò  il  nome 
della  fuaAmarilli: 

Fermofam  refonare  doces  AfnarylHda  plvas  , 
e  nella  quinta  v.  63.  difle,  che  le  balze  >  e 
gli  arbufcelli  rifuonavano  : 

--  —  ipfce  jam  carmina  ruper  ^ 
Ipfa  fonant  arbujia  . 

L'altre  parole  poiché  feguoco  nell'Arca- 
dia, cioè:  e  credo  già  che  ora  le  lettere  injie-' 
me  con  gli  alberi  fiano  crejcittte  ^  fono  medefl- 
mamente  imitate  dall*  ultima  Egloga  di 
Virgilio  V,  53» 


tyo        ANNOTAZIONI 

»_  ._  tenerifque  meos  i  nei  dir  e  amor  a 

Arhoribus  :  crefcevt  fila  :  crefcetif  )  amore f  » 

Car.  37.  I.  8.  Che  p'^ndeffero  per  le  fcovef- 

te  ripe  ,  }  Melibeo    prefTo    Virgilio    neli' 

Egloga  prima,  dice  alle  Tue  capre  quafi  il 

medefimo  v.  77. 

D'if»o[a  pendere  proci//  de  rupe  videbo  . 
Ed  Ovvidio  parlando  delle  camozze  t 

.-  alta  de  rupe  pende nt  Caprirupa . 

j,  Ovvidio  ciò  non  diffe  mai .  ,) 

Car-  37. 1.  30-  Spargendo  duo  vaft  di  novolat* 

te  )  duo  di  (acro  [angue  ,  e  duo  di  fumofo  ,  ec»  ) 

Virgilio  nel  quinto  dell*  Eneida  v.77* 

Hic  duo  rite  mero  libane  carchefia  Baccboj 

Fundit  burnì ,  duo  la  èie  novo  j  duo  [angui- 

ne  [acro  ^ 
Vurpurecfque  jacit  flore!  . 
e  nell'Egloga  quinta  v.  67. 

Pocula  bina  novo  [pumantia  laSie  , 
Car. 3 8.  I.31.  Il  reverendoTermino)  Pref- 
To  gli  antichi  Termino  era  riputato  Dio;  e 
limavano  eflì  che  i  confini  de'  campi  toflero 
fotto  Ja  tutela  diluir  onde  era  ferhpre  ado- 
rato allo  fcoperto:  perciocché  per  cofa  em- 
pia avevano  il  credere  »  che  lo  Dio  Termi- 
no abitafTe  fotto  alcun  tetto .  Quefto  Dio  è 
quegli  ,  come  fi  legge  in  Varrone  ,  e  ia 
Gellio  per  via  d'  enigma  j  che  non  volle  ce- 
dere né  anche  a  Giove. 

Car.  39.  1.12.  Lo  infelice  loglio  con  le  ftei 
rili  avene)  Segue  Plinio  nel  lib.  18.  a  c^"?* 
17.  il  quale  dice,  che  il  loglio,  i  triboli 
i  cardi ,  e  le  lappole ,  non  meno  che  i  pruni 
hanno  da  efler  connumerati  più  torto  pei 
maledizione  delle  biade,  che  per  pefte  pro- 
dotta dalla  terra  .  Ed  è  quefto  luogo  del 
Sanazzaro  tolto  dall'  Egloga 5'di  Virg.  v.56. 

Gran- 


DEL    PORCACCHI.     i^t 
Grandia   fape    qui  tur  mandavi  mar    hurdea 

fuIciS    y 

Infelix  iolium ,  ^  fiifiUs  nafcuntur  avena  , 
Fro  molli  viola  ,  prò  purpureo  narcijfo 
Carduus  ,  ^  fpinis  [urgit  paliurut  acuti f  . 
E  quel  chefegue  più  a  baffo  nel  Sanazzaro: 
Vafìcri  ,  gittate  erbe  effonde  per  terra  ,  è  pu- 
le  Colt  j  dal  medefiino  luogo  di  Virgilio  : 
Spargile  bumum  foltis   ,    inducite    fontibus 

umbra f  , 
V  a  flore  f. 

In  fomraa  fino  al  fine  del  parlamento  di  que- 
llo paftore  (cpra  \à  fepoltura  d'  Adrogeo, 
la  maggior  parte  delle  parole  fon  tolte  dal- 
lo fleflo  luogo  di  Virgilio ,  come  ben  può 
comprendere  chi  vuol  paragonarle  . 

Car.  40.  1.  1 1.  Se  [ara  fredda  ,  faremo  al  fo" 
(o\  fé  caldo  y  alle  frefcbe  ombrg  :  )  Virgilio 
nel  luogo  citato  v.  70»       ^ 

Ante  focum  ^  fi  frigur  ertt  ;  fi   tneffli  ,  in 
umb'-a  , 
E  da  quella  medefima  Egloga  fon  derivati 
i  luoghi  tolti   dair  impofilbile  ,  di   quefto 
Autore»  fé  ben  con  diverfi  mezzi . 

PROSA    SESTA. 

Car.  44.  1.  19.  Il  Trojano  Paris  ^  quando 
ce.  )  Fu  Paris  figliuolo  di  Priamo  Re  di  Tro- 
ja  >  ed  eflendo  per  comandamento  del  padre  % 
tofto  che  fu  nato  ,  portato  al  bofco ,  fu  fai  va- 
io ,  enodrito  dai  pallore  degli  armenti  del 
Re>  come  figliuolo  .  Egli  crefciuto  s' inna- 
morò d*  Enone  Ninfa  >  e  fino  a  tanto  che  non 
andò  a  rapire  Elena  >  P  ebbe  in  fommo  pre- 
gio :  e  di  cortei  intende  quii' Autore  •  Leg- 
gi di  fopra  a  c«  225» 

Car. 


l^^        AN  NO  t  AZIONI 

Car.  45.  !.  20.  I  Ifip'  prima  mi  vìJero  ^  ) 
Queftoè  detto  coatra  quei  che  fon  fiochi  >  e 
però  ha  detto:  la  voce  tuttavia  mi  vien  man- 
cando \  ocontra  coloro  a'  quali  in  un  fubito 
fia  la  voce  ftara  levata  :  ed  è  tratto  dall' Egl. 
Monadi  Virgilio  v.  5^. 

--   '-   vox  qt4oque  McBftm 

] am  fugitipfa  :  li'pi  Mcerim  vigere  priore s  , 
Servio  avvifa ,  efTere  opinion  de*  fifici  eccel- 
lenti che  il  lupo  abbia  quella  proprietà  ,  cioè 
che  fc  1*  uomo  è  prima  veduto  da  eflo  ,  perde 
k  voce  .  Né  mancano  filofofi  i  quali  fi  sforza- 
no di  render  la  ragione  di  quefta  cofa  .  K'  fi- 
milniente  imitato  ciò  da  Teocrito  nell*  Idil- 
lio 6,  il  qual  dice  :  Tu  non  potrai  parlare  ^  per^ 
che  hai  V  duto  il  lupo  i  dove  è  da  notare  ,  che 
Teocrito  mutò  quefta  fentenzia  ;  negando 
che  colui  pofìTa  parlare  per  aver  veduto  il  lu- 
po, enon  per  efiTerda  eflToftato  veduto  . 

EGLOGA    SESTA. 

Car.  46.  I.  ^i,  L*  fKviìiia  ^  figìfuol  mio  ^ 
fé  Jìeffa  macera  ,)  Scrivono  i  fnvj ,  che  ficco- 
me  il  ferro  è  con  fumato  dalla  ruggine,  co- 
sì Tinvidiofo  è  lacerato dall*  infermità  fu3 
propria  :  perciocché  egli  "on  meno  di  tor- 
mento ha  per  la  f-^licità  altrui»  che  per  le 
fciaf^ure  fue  .  Di  qui  ben  diffe  A gide  figliuo- 
lo d*  Archidamo,  quando  ebbe  fentito  ch'al- 
cuni gli  avevanoinvidia  *  E Jft  dunque  avran- 
no doppio  dolere  \  come  quelli  che  e  per  le  infeli" 
cita  loro  ,  e  p?r  left-licit/ì  mte  ,  e  de"*  miei  ami- 
£i  faranno  to-memati  »  ed  è  tratto  quefto  luo- 
go del  S.inazzaro  da  m'>Ite  autorità  di  dotti  e 
Greci ,  e  Latini ,  e  poeti ,  e  filofofi  ,  ed  ora- 
toiì ,  ed  iflorici  >  che  troppo  lungo  farebbe 

re- 


DEL  PORCACCHI.  i^? 
reglftrarle  tutte  .  Leggafi  Platone  nel  fin.dcl- 
1' Apol.  AriOot.  nel  2.  dell' Etica  acap.  7. 
Demoftene  a  Leptine  j  centra  Ariflog.  e  neE- 
r  Epift.  Menandro,  Euripide,  Plutarco, 
ed  infiniti  altri  ;  per  tacer  de'  Latini  Virgi- 
lio in  quel  Tuo  bcllifllmo  Epigramma  del  li- 
vore .  Ovvid.  nel  2.  delle  Trasfor.  Stazio  nel 
2.  della  Teb.  Silio  Italico  nel  1.  11.  e  17.  del- 
]^  Guerra  Punica  .  Lucano  ,  con  tanti  altri . 
jyia  Orazio  refprefl'e  meglio  di  tutti  >  Epift. 
lib.  i.Ep.  2.  V.  60. 

Inviàuf  aìterius  tnacrtfcit  rebut  tpìmts  : 

Invidia  Stculi  non  inventre  tyranni 

M^jtu  tcrmintum  » 

Car.47.  1.  56.   Quef  è  Prothy  (bt  di  cU 
prejjo  in  elice  y 
'  E  di  ftrpente  in  tigre  tra  (formava  fi  , 

Efeaft  or  bove  ,  or  capra  ^  or  fiume  ,  or  felice  ,  ) 
Virgilio  nel  4.  della  Georgica  j  con  quefti 
verfi  (  ^87.  )  deferiva  Proteo  : 
j    iji  in  Carpatolo  Neptuni  gurgite  vatey 

CartéUut  Proteuf  . 
e  quel  che  fegue  .  Ed  è  da  notare  che  Proteo 
fu  figliuolo  dell' Oceano  e  di  Tctij  e  fu  Dio 
marino,  porto  (per  quel  che  fivoleggiano  i 
poeti  )  a  guardia  de'  moilri  marini.  Era  gran- 
difiimo  indovino  5  e  fi  trasformava  in  qual  fi 
voleffe  forma  >  come  qui  dice  il  Sanazzaro  . 
La  qual  trasformazione,  ferire  Diodoro,  ef^ 
fer  favoleggiata  da' poeti,  per  rifpetto  de* 
Re  d'  Egitto  ;  i  quali  avevano  ufanza  di  por- 
tare in  capo  la  parte  dinanzi  d'un  leone,  o 
d'un  toro,  od' un  dragone  per  infcgna  del 
principato;  e  talora  un'albero  ,  alcuna  vol- 
ta fuoco,  e  bene  fpeflb  unguenti  odoriferi. 
Le  quali  cofe  fervivanoo  per  ornamento  ,  e 
decoro  del  capo ,  o  per  metter  qualche  (lupo- 
re 


iH^       ANNOTAZIONI 
re  e  iuperftizlone  a'  riguardanti .  Onde  fu 
dato  luogo  alla  fivola  >  che  Proteo  foiìe  foli- 
to  trasforinarfi  in  tutte  quelle  cofe  che  por- 
tava incapo. 

Car.49.  1.35,--*  tutti  Cacco  il  chiamano  ,) 
Cacce  fu  figliuolo  di  Vulcano,  e  co*fuoi  la- 
dronecci» ed  afTììfìiinamenti  infeftò  tutta  la 
Campagna  di  Roma  j  di  maniera  che  una  not- 
te ebbe  ardimento  di  rubare  alcune  vacche 
ad  Ercole,  eh' era  tornato  di  Spagna  ,  ed  ave- 
va uccifo  Gerione,  tirandole  per  la  coda  al- 
la fua  grotta,  mentre  eh' efl'o  Ercole  allog- 
giava col  Re  Evandro  .  Li  mattina  levatofi 
Ercole,  e  trovandofi  meno  le  vacche,  non 
fapendo  ove  avellerò  potuto  fcampare,  per 
ventura  giunfe  a  quefta  grotta:  ma  vedendo 
le  pedate  al  contrario  ,  cioè  che  modravano 
d'elTereufcite  ,  e  non  entrate  nella  grotta, 
fé  ne  partì  con  l'altre  Tue  vacche  .  Intanto 
mugghiando  quelle  di  dentro  per  defiderio 
di  quelle  di  fuora  ,  Ercole  udito  il  mugghio  , 
conobbe  la  triftizia  di  Cacco  j  e  prefa  \à  maz- 
za ,  andò  in  furia  contra  lui  ,  Cacco  fidatoli 
del  fito  della  grotta,  ferrò  la  porta  con  un 
granfaflo,  edentro  vi  fi  nafcofe .  Ciò  ve- 
duto Ercole  ,  andò  in  cima  del  monte  ,  ed  ii 
ultimo  gettata  in  terra  la  pietra  che  ferra- 
va la  grotta  ,  fenza  paura  alcuna  vi  {"aitò 
dentro  ,  e  (Irangolò  Cacco,  ritogliendogli 
le  lue  vacche  .  Dicono  alcuni ,  che  quello 
alTalTino  gettava  fuoco  per  bocca  ;  il  che  è 
ftato  prefo  da  qucdo ,  ch'egli  col  fuoco  da- 
va il  guafto  alle  campagne  j  e  concludono, 
eh' eflTo  fu  un  fervidore  (^qÌ  Re  Evandro  , 
che  col  ferro  e  col  fuoco  faceffe  quanto  mal 
poteva  per  quei  contorni .  Leggi  Servio  Co- 
pra r  ottavo    deli'   Eneide    di    Virgilio 

„  Ov- 


DEL  PORC  ACCHI.     ^is, 
)9  Ovvidio  Del  primo  de'   Farti .  Properzio 
,)  nel  4.  libro  dell*  Elegie  .  T.  Livio  nel  x» 
5,  libro  àoWt  ftorie  ►  >, 

PROSA    SETTIMA. 

Car.  SI.  1.  II.  Da  popoli  Ji  C  alci  dia  venti- 
ti  y  fcvra  le  vetufti  ceneri  della  Sirena  Parteno- 
fé  )  Deferiva  1*  origine  della  città  di  Napoli 
fuj  Patria,  dicendo  che  fu  edificata  da' po- 
poli di  Calcidia  >  che  vennero  fopra  l'anti- 
che ceneri  dì  Partenope  Sirena  .  Sopra  che  è 
dafapeifi,  die  le  Sirene,  fecondo  le  favole 
de' Poeti  ,  furoiitre,  Partenope,  Ligia,  e 
Leucofia  ;  efuron  figliuole  del  fiume  Ache- 
loo  e  della  Ninfa  Calliope.  Furono  moftri 
marini ,  e  dal  mezzo  in  fu  avevano  fembian- 
za  di  donne,  e  dal  mezzo  ingiù  fornivano 
in  coda  *di  pefce.  Quede  abitando  nel  lito 
di  Sicilia  ,  con  la  dolcezza  àtì  canto  loro  al- 
lettavano di  tal  forta  i  naviganti  >  che  an- 
dando verfo  loro  per  udirle,  urtavano  negli 
fcogli,  e  facevano  naufragio.  Pacando  di 
làUlilife,  egli  turò  a  fé,  ed  a' compagni  gli 
orecchi  con  la  cera,  e  non  volle  fentire  il 
canto  di  erte  .  Per  lo  che  le  Sirene  vedendo- 
fi  fchernite  >  per  l'impazienza  del  dolore  iì 
gettarono  in  mare  .  Furono  elle  poi  portate 
chi  qua,  echi  là:  ma  Partenope  fu  portata 
là  dove  poi  fu  edificata  ia  città  di  Naj?òli  , 
che  dal  nome  della  Sirena  fu  pri  ma  chiamata 
Pa»tenope  :  e  coloro  che  1'  edificarono  furo- 
no iCalcidici,  che  fono  quei  di  Negropon- 
te  .  Avvenne  poi  y  eh'  effcndo  queffa  città 
minata  da' Cumani,  cadde  fopra  loro  gran- 

dif- 

*  Non  in  ctda  di  pefce ,  ma  in  gambe  d^ uccelli , 


1,^6        ANNOTAZIONI 
difitma  pefte  :  onde  per  configlio  dell' ora- 
colo d' Apollo,  tornarono  a  riedificHrIa  piti 
fplendidamentedi  prima,  evi  trasferirono 
gran  parte  de'  loro  cittadini  ;  ed  ,  a  differen- 
za della  città  vecchia,  la  chiamarono  N^'^p''-   ' 
///  ,  che  vuol  dire  nuova  città ,  Sono  alcuni 
i  quali  tengono ,  che  anco  la  prima  volta  fof- 
fenuefta  città  edificata  da'Cumani,  e  non 
da'Calcidici  ;  onde  pare  che  qui  l'Autore 
abbia  errato.  A  che  fi  rifponde»  che  anco 
iCumani  tramerò  origine  da' Calcidici,  co- 
me teftifica  Dionigi  Alicarnaffto  nell'otta-  - 
vo  ,  L'vio  pur  nell'ottavo,  e  Strabene  con 
molti  altri  :  V  autorità  de'  quali  io  non  addu- 
co per  non  eiì'er  necefl'aria ,  efolo  mibafta 
averla  accennata  . 

Car.  51.  1.  56.  E  Lifiterno^  henchè  foltta^ 
rio  ,  nientedtmino  fam.fo  per  la  memoria  delle 
[aerate  ceneri  del  d'Vtno  Africano  \  )  Scrive 
Strabene  nel  lib.  5.  che  dopo  SinvefTì  è  il  ca-, 
dello  Linterno  >  dove  è  il  fepolcro  di  Scipio-* 
ne  cognominato  Africano:  il  quale  in  quer 
luogo  menò  i  giorni  della  vita  fua  ,  lafcìan- 
doi  negozj  della  repubblica  5  e  fuggendo  l* 
invidia  de' maligni  :  ed  il  medtfimo  fi  cava 
da  Seneca  nel  principio  dell*  Ep.  77.  e  da  Va- 
lerio Mallimo  al  cap.  dell'  Ingratitudine  . 
QLiefto  ho  detto  5  perchè  alcuni  tengono  che 
Ja  fv^poltura  di  Scipione  folle  fuor  della  por- 
ta Capcnadi  Roma  .*  i!  che  non  ha  puntodel 
credibile.  Fu  qucflo  luogo  5  ch'oggi  fi  chia- 
ma Torre  dtlla  Pat-ìa  ,  eletto  da  Scipione 
Africano  per  fua  perpetua  abitazione;  per 
fusigir  l'invidia.  Podio,  e  le  cattive  lìngue 
de' milvagj  u)mini  di  R.oma  >  dopo  ch'egli 
ebbe  liberato  non  pur  quella  città,  ma  tutta 
Italia  da'  Cartagiaefi  ,  avendofi  acquifiato 

tan- 


DEL  PORCACCHI.    237 

tantn  gloria  ,  e  tanta  immortalità  per  le  £i- 
molilììme  fueimprefe»  ed  avendo  ampliato 
l'Imperio  Romano  ,  con  aggiungerli  h»  Spa- 
gna, ePAfiica:  cfu  bendep.no  ,  che  in  ri- 
compenfa  di  tanti  benefici  così  grande  uomo 
ricevefl'eda'  Tuoi  cittadini  tanta  ingratitudi- 
ne »  acciocché  colui  chedal  mondo  non  ave- 
va potuto  elTer  vinto,  né  anco  fofl'e  dall' 
invidia  fuperato  :  poiché  egli  con  animo  ge- 
nerofo  piiì  tcdo  fi  elefTe  la  vita  folitaria  ,  e 
quieta,  che  la  frequente,  e  rumultucfa  .  E' 
pollo  Linterno  ,  eh*  oggi  non  ha  altro  che  una 
torre  con  un'  oreria  ,  ed  alquante  capannuc* 
ce  da  pefcatori ,  fra  il  Volturno  e  Cuma  > 
preiTo  il  mare . 

EGLOGA    SETTIMA. 

Car.  5?.  I.  IO.  Cime  notturno  uccel  nemi- 
co   al  fole  y 

Lnffo  vo  io  ptf  lurgbi  cfcuri  e  fvfchi  ,  ) 
B'oflervazione  di  tutti  i  buoni  intendenti 
deir  arte  poetica  ,  che  le  Sortine  ,  nel  nume- 
ro delle  quali  èia  prefente  Egloga,  folTero 
trovate  per  Io  più  per  defcriverc  alcuno  fla- 
to della  noftra  vita  foggetto  alle  pacioni 
umane  1  ed  agli  accidenti  della  fortuna  :  il 
che  molto  bene  fi  può  oiTervare  da  quelle  che 
fcrid'e  il  Petrarca  ;  a  imltazion  del  quale  può 
dirfi,  che '1  Sanazzaro,  diligentiiììmo  mae- 
Arodi  qued'  arte,  componeflb  la  prefente > 
e  con  elTa  defcrivefl'e  il  mifero  flato  ,  ed  efi-» 
lio  fuo  .  E'  ben  vero  ,  clie  anco  fi  può  in  una 
Seftinadefcrivercosì  la  vita  beata  e  tranquil- 
la ,  come  la  penofa  ed  afflitta  ,  ed  altra  ma^ 
t<?ria  appreffb  .  Defcrivefi  poi  la  Seftina  eoa 
aljv'gorie,  con  metafore)  ccon  alcurccoa- 

VQ'» 


«58        ANNOTAZIONI 
irenienti  comparazioni  ,  come  fi  vede  nel 
Petrarca  in  quella  : 

Alla  dolce  ùmbra  delle  belle  f rondi  , 
Ed  in  quelle: 

Chi  è  firmato  di  menar  ft4a  vita  . 

A*ixi  f^  dì  creata  era  alma  in  parte* 

h"*  aere  gravato^  e  V  importuna  nebbia  . 

Non  ha  tanti  animali  il  mar  fra  P  onde  , 
E  così  fi  vede  avere  offervato  il  Sanazzarc 
inquefta.  E  perchè  I' ultime  voci  de' verfi 
della  Semina  hanno  a  eiTer  più  torto  nomi  j 
che  verbi;  più  torto  foftantivi ,  che  agget- 
tivi i  e  più  torto  di  due  fi  i  labe,  che  di  più, 
ed' avvertire,  chefeil  Sanazzaro  ha  porto 
in  querta  la  ^àvoìsifofcbi  per  ultimi  voce  ,  eh' 
è  aggettiva,  non  l'ha  fitto  fenza  artifìcio. 
imitando  il  Petrarca  j  il  quale  in  quella  che 
comincia  : 

Mia  benigna  fortuna  y  e^l  viver  lieto  ; 
pofe  la  parola  lieto y  eh' è  aggiunto:  ed  in 
quella  di  Dante  : 

Al  poco  giorno  ,  ed  al  gran  cerchio  d'^ombra^ 
trovali  la  parola  v^rde  aggiuntivo  ,  die.  ndo 
foglia  verde  ,  legno  verde  .  Tuttavia  è  fano 
configlio  ortervar  quei  che  più  fi  vede  ufa- 
to  da' buoni,  e  che  a' più  eccellenti  Scrit- 
tori è  piaciuto  ;  ma  però  non  farà  cafo 
di  religion  violata,  fé  tal  volta  alcun  bello 
ingegno  vorrà  nelle  fue  Sertine  ufar  così  far- 
ti aggiunti  ^  con  l'autorità  di  querti  primi 
lumi  della  lingua  nortra  ,  e  delle  pocfie  com- 
porte in  ert'a. 

PRO -'SA    OTTAVA. 

Car.  (50  ].  2^.  AV  y//  lacrime  Amcr^  ^  ni  di 
s^wiipr.atì^  ne  capre  di  fronde  y  né  api  di  no* 


DEL  PORCACCHI.     259 

Villi  fiori  ji  videro  faye  giammai:  )  E' tolto 
dall*  Egloga  decima  di  Virgilio  ,  dove  ù.  leg- 
gono qiiefti  verfi  :  (  29.  ) 

Nec   lacrytnit  cudelis  Amor    ,  nec  grami" 

r.a    rivif  , 
ÌSlec    (ytifo   faturantur  apef   ,    nec  fronde 

captila  . 
Car.  64.  1.1^.  Al  bianco  cigno  eòe  giovava 
abitare  mlìe  timid*  acque  per  guardar  fi  dal  fo» 
co  y  temendo  del  cafo  di  fetonte  y  ec.  )  Toc- 
ca la  notiflTima  favola  di  Fetonte  >  che'  io  ho 
accennata  nelle  Annotazioni  foprala  Profa 
prima:  perciocché  ardendo  il  cielo  ,  per  ri- 
fpctto  che  Fetonte  non  guidava  bene  il  carro 
d'  Apollo  Tuo  padre  ,  Giove  lo  faettò  ,  e  fe- 
ce cadere  nel  fiume  del  Po  ;  dove  con  le  fo- 
relle  di  lui ,  che  poi  fi  convertirono  in  oppj  > 
venne  anco  Cigno  Re  de'  Liguri ,  che  amava 
Fetonte;  il  quale  piangendo  ,  fu  convertito 
rei  l' uccello  del  fuo  nome  ,  che  Tempre  abi- 
ta intorno  all'  acque  .  Leggi  in  quefte  a  car. 
212, 

Car.  64.  1.  27.  E  tu  y  tnifera  ^  0  cattivella 
ferdice  ,  a  (he  (chi favi  gli  ulti  tetti  ,  pert' 
[andò  te  )  Favoleggia  Ovvidio  ,  che  Pcrdi- 
ce  f  un  nipote  di  Dedalo,  il  quale  avendo 
prima  trovato  la  ft  ga  ,  dal  zio  fu  per  invidia 
precipitato  giù  da  un*  alta  torre  ,  e  per  com- 
paflionedegli  Dei  fu  convertito  ncll'  uccel 
di  quefto  nome ,  che  fino  ad  oggi  ricordan- 
dofi  di  quella  rovina,  non  vola  mai  in  alto  > 
ma  fa  il  nido  in  terra  •  Di  queftu  uccel  lo  fcri- 
vono  Ariftotile  nel  nono  libro  degli  animali  % 
e  Plutarco  in  quel  libro  eh' ei  fece  \qf'ali  ani ^ 
mnli  fano  piò  prudenti  y  i  terreni  ^  oi  marini'^ 
un'  aHuzia  degna  di  non  effer  taciuta  ,  fé  ben 
000  è  a  propofito  per  quefloluo|;.o  ,  Dicono 

ewi> 


^40  ANNOTAZIONI 
eflij  che  fé  alcuno  uccellando,  s'abbatte  a  tro- 
var il  nido  de'perniconij  o  ftarnotti,la  ftariia, 
o  perdice  madre,  ii  getta  a'  piedi  dell'  uc- 
cellatore? quaù  per  lafciarfi  pigliare:  ma 
però  ,  acciocché  mentre  egli  attende  a  lei ,  i 
togliuoli  pofranoficuram^ntefcampar via.  U 
che  fatto  ,  ella  fimilmente  vola  via ^  enonfi 
lafcia  pigliare . 

Gir.  67.  1. 15.  Venivano  Ih'i falchi ,  venivatso 
ipaflori  iii  pecore  ,  e  ^i  capre  .  )  Virgilio  nell' 
Egl.  IO.  V.  19. 

Fertit  &  upilio  :  tardi  venere  buhuìci . 

Car.  6S.  i.  19.  Il  candido  cigno  p^rf^go  della 
fua  morte  cantare  gli  efequialì  verji  )  Che  il  ci- 
gno dolcemente  canti  alla  fua  morte  ,  è  tan- 
to noto  e  celebrato  da  tutti  >  come  da  pochi  è 
creduto  5  mairim:imente  perchè  da  niuno  è 
flato  fentito  :  cade  Luciano  nega  d'  aver 
mai  veduto  in  Pò  alcun  cigno,  avendo  per 
quel  fiume  navigato.  Eliano  nel  libro  della 
Batura  degli  animali  dice,  chei  cigni  non 
cantano,  fé  non  quando  foffiaii  vento  Zef- 
fir^  ,  o  Favonio  .  Pare  che  quefto  luogo  del 
Sanazzaro  fia  imitato  da  quello  di  Marziale 
nel  lib.  n-  Ep.  77. 

Dukia  defgSla  modulatur  carmina  lingua 
Cantator  cycmis  funeri f  ipfe  fui  . 
Né  mancano  filofofi  i  quali  fi  sforzano  d*  ad- 
dur  la  cagione  di  quefta  cofa  ^  affermando  che 
ciò  procede,  perrifpetto  che  il  cigno  ha  il 
collo  lungo  e  ftretto  ,  e  che  con  fatica  gli  fpi- 
riti  fanno  pruova  d'  ufcirne  fuora  .  Alcuni 
tengono  che  il  cigno  conofca  la  fua  morte, 
perchè  le  penne  che  ha  fopra  la  teda  ,  a  poco 
a  poco  gli  penetrino  il  cervello  5  ed  a  quel 
fiiodo  fi  fenta  avvicinar  1'  ora  del  mori- 
£S  ;  benché  non  mancano  di  quelli  i  quali 

del 


DEL   PORCACCHI.    241 
del  tutto  negano  quefta  cofa  >  come  ridico^ 
la  ,  e  vana  . 

EGLOGA    OTTAVA. 

Car.  72. 1 .  25.  Ni^P  ondefoha ,  e  fielP  anrte 

l'emina  , 
E  V  vago  vinto  (pera  in  rete  accogliere^ 
Qbi  fue  fperan'i^e  fonda  in  cor  di  f.  mina  ,  ) 
Ancorché  iofappia  di  certo  la  mente  dell* 
Autore  non  effer  di  volere  in  queflo  luogo 
dar  nota  d' incoftanzia  ,  e  d' inftabilità  a  tut- 
to il  nobil  felTo  femminile  5  di  cui  non  fi  pof- 
fono  mai  abbadanza  defcrivere  le  lodi  ;  non- 
dimeno ,  per  notare  alcuna  cofa  in  conformi- 
tà di  quanto  èquifcritto,  dirò  ere  per  giu- 
dicio  mio  il  Sanazzaro  tafla  in  quefto  ternario 
Ja  femmina  in  uno  de*  due  modi  ;  cioè  «oche 
'1  cuor  d'efla  è  rutto  pieno  di  tutti  ivizj,  in 
maniera  cheniuno  fé  ne  può  fidar  punto  ;  o 
che  Ga  leggiero  ,  t^itr  rifpetto  della  legge- 
lezza  d'eflo  non  vi  s'abbia  da  poter  mettere 
fperanza  .  Se  vuole  inferire,  che '1  cuor  del- 
la femmina  fia  tutto  pieno  di  tutti  i  vizj ,  po- 
trò dir  che  ciò  fia  imitato  da  quel  fentenzio- 
f o  ,  ma  per  altro  troppo  empio,  e  mendace 
Epigramma  diFaufto,  eh' è  tale: 

CunRa  (uh  ajìrige'o  regnantia  crimina  cah 

Kt4trit  in  tfternof  femina  nata  doìos  . 
Pejfima   re:  uxor    :  poterit  tamen  utiUt  effe 
Si  b^evitir  tnoritns  del  tihi  quidquid  babet, 
Atft  quot  voiucrts  infunt ,  quot  litore  concha^ 
Tot  mala   ,  tot  fraudef    mens    muliebnr 
babet . 
Ma  fé  vuol  taffare  ,  come  io  ftimo  1  di  legge- 
rezza il  cuor  della  donna  ,  poiché  lo  parago- 
la  air  acqua,  all'arena)  ed  al  vento;  dirò 
Tcmt  I,  L  che 


241        ANNOTAZIONI 

che  fia  imitato  dal  libro  i.di  Properzio  Eleg. 

19.   V.  62, 

—  -.  nulla  Jiu  f emina  pondus  hahet . 

odal  4.  dell'  Eneide  di  Virgilio  v.  569. 

—  --  varhm  &  mutabih  femper 
Temina  . 

Car.  75.  J.  17.  Chi  prende  il  Cieco  in  guì. 
èia  ,  /w^/  confili  a  fi  :  )  E*  tolto  dal  Sacro  Evan- 
gelio, nel  qual  fi  dice,  che  Te  un  cieco  gui- 
da l'altro,  amendue  caggiono  nella  fofTa  ; 
ed  Orazio  Ep.  17. 1. 1.  difTe  : 

~~  ut  fi  Ccecut  iter  mcnflrare  velit , 
e  predo  Ariftofane  nella  Commedia  del  Plt** 
to  y  Carion  fervo  fi  fdegna  coutra  il  padro- 
ne, eh'  egli  vedendo  lume»  vada  dietro  a 
Pluto  cieco.  All'  incontro  fi  legge  in  M. 
Tullio  nell'ultimo  libro  de' Fini ,  cheCajo 
Drufoeccellencifilmo  dottor  di  leggi  5  efien- 
do  cieco  degli  occhi  corporali,  con  quelli 
dell'animo  infegnavala  via  agli  altri  di  ben 
governarfi  :  il  chefimilmente  ho  notato  ne* 
miei  Paralleli ,  d' Appio  Claudio  ,  ediGio- 
vanni  Zifca  Boemo . 

Car.  7^.  I.  19.  Qaefla  vita  fnortaU  al  dì  fo^ 
tnìgliaft\  )  Tutti  quelli  tre  terzetti  fono  fen- 
tenziofi  ,  e  detti  perdifcorrer  fopra  la  bre- 
vità della  vita  delTuomo:  la  quale  per  il 
vero  è  cosi  breve,  che  non  pure  è  affbmi- 
gliataa  un  giorno,  a  un  giuoco  di  dadi ,  a 
un  fiore  ,  ed  a  una  gocciola  d'  acqua  :  ma  a 
un'ombra  ,  e  per  dir  di  più  ,  al  fegno  d'  un' 
ombra  .  E  potrebbe  quefio  I  uogo  per  ventura 
parere  imitato  „  dalla  Satira  9.  diGiove- 
5,  naie  v.  126.  ,> 

—  —  Feftinat  enìm  decurrere  velox 
F/cfculuf  angufia  mi  fera  qui  brevi (fima  vit^ 

P9r^ 


DEL   PORCACCHI.      i4y 
Portio  :  Jum  bibimut ,  Jum  fgrfa  ,  ungtteHm 

ta  ,  puellas 
Pcfcimuf  ,  cheph  non  intelleSla  feneSlur  . 
fé  non  che  molto  più  fimile  mi  pare  a  quef 
detto  di  quel  favio  Greco,  di  cui  fi  legge 
predo  Plutarco  ,  che  diceva  in  quella  guii'a  t 
Vita  firn  Uh  ift  carceri  uttiur  dici  ,  ^  totum 
vita  fpatif/m  uni  diti  aguale  propemodum  di-^ 
xtrif/f  ,  per  quem  intuiti  lucem  ,  pojieris  deiii" 
de  vitam  tradimuj  . 

Car.  75.  l.ult.  0  felici  color  che  amor  cotim 
gìunfeli  )  E'  imitato  da  Orazio  nelT  Ode  i  J. 
del  libro  i-  v.  17. 

Felicef  ter  &  ampUuf 

Qtios  irrupta  tenet  copula:   nee  inaila 
Divulfar  querimoniif  y 

Suprema  citiut  folvet  amor  die  . 
Car.  73.  1.  17.  Ed  Ifi  innanzi  agli  0C(hi 
Amor  dipinftmi ,  )  Dall'  immagine  d*Ifi  ,  rap- 
prefentataglifi  avanti  agli  occhi ,  argomen- 
ta edergli  venuto  voglia  d*  appiccarfi  per 
la  gola.  Perciocché  I  fi  fu  un  belliflìmogio- 
^ane  ^  che  s'  innamorò  fieridimamente  d* 
Anaffarete  crudeliflìma  fanciulla  :  la  qua- 
le non  volendo  vederlo  mai  >  1'  induffeatal 
difperazione  «  che  per  1'  impazienza  dell* 
amore  ,  col  laccio  s'  impiccò  da  ie  fteflo  . 
Leggi  quefta  favola  nel  libro  i4.  delle  Tras- 
formazioni d'  Ovvidio  .  Di'qucfto  fanciul- 
lo dille  il  Petrarca  nel  Gap.  t-  del  Tr.  d' 
Amore  : 

Ivi  queli^  altro  al  mal  fuo  ti  veloce 
Jfi  y  cb"*  amando  altrui  y   in  odio  /'  ebbe, 
Car.    74.    1.    19.     Lo  fiam*  che  le  Parcit 
al  fufo  avvolgono  \  )  Fingono  i  Poetiche  le 
Parche  fon  tre  forelle  ,  figliuole  di  Demo- 
jorgone  j  0  j  fecondo  Marco  Tullio ,  d'  Ere- 
L    2  bo 


244        ANNOTAZIONI 

bo  e  della  Notte:  le  quali  filano  la  vita  a  gli 

uomini  j  come  di  (le  Dante: 

Ma  perchè  lei  che  M  e  ftotte  fila  ) 

Islcn  ^li  avea  tratta  ancora  la  conocchia  y 

Che  Cleto  impone  a  ciafcun  che  compila, 

E  1'  Ariorto  nel  Canto  34.  alla  ftanz.  89. 
he  vecchie  fon  le  Vatche  ,  che  con  tali 
Stami  fila»  le  vite  a  voi  mortali  . 

c  r  ufficio  loro  è  contenuto  in  quefto  bel  ver- 

fo;  »j  par  bello  al  Porcacchi .  „ 

Clùtho  colum  bajulnt  ^  Lachefis  trahlt  y 
Atropa  occat . 

Cefellio  Vindice  prefloGell.  nel  5.  lib-  cap. 

16.  le  chiama  con  altri  nomi,  cioè  Nona y 

Decvma  ,  e  Morta  :  e  cita  quefto  verfo  di 

Livio  antichìflimo Poeta  : 

Quando  dief  adveniet  y  quem  profata  Morm 

Seneca  le  chiama  Fatt  :  e  fon  tenute  jneiora- 
bili,  cioè  che  non  fi  muovono  per  preghiere 
d*  alcuno  ,  di  maniera  che  quando  efTe  hanno 
a  tagliare  il  filo  della  vita  dell'  uomo,  ne- 
cefìTariamente  conviene  che  colui  muoja,  non 
volendo  mutare ,  o  prolungar  quel  punto  » 
Onde  in  quefto  propofito  difl'e  egli  nelT  Ere. 
Fur,  V.189. 

Nulli  /ujfo  cejfart  licet  : 
•  Nulli  fcriptum  proferre  diem  , 
Apuleio  fcrived'efl'einqueftafentenza  :  Le 
tre  parche  fono  i  tre  Fati  ,  che  s*  accorda^ 
m  co^  tre  tempi  .  Quello  che  n4  fufo  ^  av- 
volto ,  fignifica  il  paffato  :  quel  che  x'  avvolge 
nelle  dita  ,  fignifica  il  prefente  :  e  quel  che 
non  è  ancor  tratto  dalla  conocchia  5  fignifica  il 
futuro  , 

Car.  74, 1.  27,  Pur  mi  fi  para  la  fpl etata 
Amendola 

Di' 


DEL   PORCACCHI.     245 

Dinanzi  agli  occhi  ,  e  par  cb^  al  vento  mOm 
Vrtfi  La  trifta  F'ili  ) 
Fu  quella  Filli  figliuola  di  Licurgo  Re  di 
Tracia»  la  quale  ricevè  in  caia,  e  nel  Tuo 
letto  Demofoonte  figliuol  di  Tefeo  >  che  tor- 
nava dalla  guerra  di  Troja .  Coftui  partendo- 
fi  per  andare  ad  acconciar  le  fue  cole  j  le  die- 
de la  fede  di  torla  per  moglie  :  ma  non  tor- 
nando al  tem:^o  promedo,  ella  vinta  dal  do- 
lore ,  credendoli  abbandonata,  da  fé  ftetTa 
s'appiccò  per  la  gola,  e  fu  convertita  nell* 
albero  dell'amandola)  0  mandorlo  ,  chequi 
chiama  Amendola  . 

C.^r.  76.   1.  18.   Vedi  il  Mofitondi  Trtfo\  ) 
Frifo  fu  fisi  molo  d'  A  Cimante ,  e  di  Nefcle  : 
il  quale  non  potendo  fopportar  la  mala  vita 
datagli  dalla  matrigna  ,  conia  forella  chia- 
mata Elle  fé  ne  fugp.ì  :  ed  avuto  dal  padre  un 
mintone,  eh*  aveva  il  vello,  0  la  lana  d* 
oro  ,  vi  montò  a  cavallo  :  ma  volendo  pailare 
limare,  Elle  cadde  nelT  acqua,  es'  anne- 
gò :  onde  quel  mare  fu  chiamato  E//f/p(?/;r<?. 
Friio  giunfe  a  falvamento  in  Coleo  ai  Re 
Età,  dove  facrificòaGiove,  oa  Mercurio 
il  montone  5  ed  attaccò  la  pelle  nel  tempio- 
Dicono  che  gli  Dei  tanto  ebbero  accetto  quei 
lacrificio,  che  pofero  quel  Montone  in  cic- 
lo, e  lo  fecero  uno  de'  fegni  del  Zodiaco. 
Ori  é  da  notare,  che  dove  qui  il  Sanazzaro 
dice  :  V^dt  il  Monton  di  Frifo ,  volle  accen- 
nare la  ftagion  della  primavera  ,  che  fi  avvi- 
cinava ;  quifi  volelTe  dire,  cheficcome  gli 
alberi  deponevano  lo  fquallore  ,  e  comincia- 
vano a  riverdire,  così  colui  deponefie  ildo- 
lorchefentiva  ,  e  prendendo  fperanza  fi  ri- 
confortad'e  .  U  fole  entrain  quello  fegnod* 
Ariete  il  mefedi  Marzo,  quando  appunto 
L    j  co  min» 


^46        ANNOTAZIONI 

comincia  la  primavera  ;  ed  è  dedotta  q uè fla 
favola  dalla  natura  dei  montone  a  quella 
del  fole  :  attefo  che  la  natura  del  monto- 
ne è  di  giacere  il  verno  fui  lato  manco  ; 
e  così  il  fole  il  verno  va  al  fmiiìro  emi- 
fpero,  e  la  ftatealdeftro.  Di  quefto  anima- 
le parlò  TAriofto  nel  Canto  II.  alla  ftanza 
S2.  in  quefto  modo  : 

Ma  poi  che  '/  Sol  ftell*  animai  difcreto 
Che  porto  Frifo ,   illumino  la  [pera  . 
J-»eggi  le  mie  dichiarazioni  fopra  quel  la^go . 

PROSA     NONA. 

Car.  77.  1.  21.  Per  P  amica  ofcurìth  della 
notte '^  )  Nel  principio  di  quefta  Profa  è  da 
metter  gran  curaalTornata  difcrizion  della 
fera  ,  che  '1  Sanazzaro  fa ,  fenza  ufcir  mai 
de*  termini  deli'  umiltà  paftorale  :  e  in  tutta 
quefta  Profa  >  e  maftìmamente  nel  ragiona* 
mento  àt\  vecchio  Opico  »  avvertifcaft 
quanto  vagamente  ragioni  delle  vanità  ma- 
giche 9  imprefle  nelle  menti  de'  troppo 
creduli  paftori  :  e  con  quatito  giudici©  al- 
cuna volta  finga  che  Svecchio  mal  fi  ricor- 
di nel  nome  d'  alcuni  animali  incogniti  ; 
quanto  ben  circollcriva  gli  Etiopi ,  rhiaman- 
dogli  gemi  nere  più  che  matura  oliva  ,  per- 
chè colui  non  (i  ricordava  del  nome  ;  ed  altri 
avvertimenti  sì  fatti  ;  ne'  quali  tutti  è  arte  9 
e  giadicio  grande  .  Nel  refto  poi  faccio  av- 
vertiti i  lettori ,  eh' io  potrei  in  quefta  Pro- 
fa  dir  molte  cofe  più  che  non  dirò,  perti- 
nenti ali'  imitazione:  ma  per  efl'er  di  due 
otre  parole  ciafcuno  di  quefti  luoghi  imita- 
ti ,  però  io  lo  pallerò  con  filenzio  .  Que- 
fte  prefcnti  parole  j  eh'  io  qui  fopra  ho  no- 
tato i 


DEL   PORCACCHI.     247 
tato  )  fono  eftratte  dal  2.  deli'  Eneida di  Vir- 
gilio, V.25S.  dove  dice: 

--  —  tacitd  ptr  amica  plentia  ÌUMéf , 
Car.  7S.  1.   30.  /  '^ggj  ^^i  fole  apparendo 
tielU  fo*nmità  di  siti  menù  ,  non  ^jfendo  an^ 
arale  lucide  gotte  della  frefca  brina  rifecca^ 
te  nelle  tenere  e^be ,  )  Defcrive  l' Aurora  »  o 
il  principio  del  giorno»  imitando  forfè Ov- 
yidio  nel  4.  librodelle  Trasformazioni  v.  81. 
in  alcuna  parte  di  quefta  defcrizione  : 
Pcftira  noSìurnof  Aurora  removerat  'gnefy 
Solq'ie  pruin^faf  radiis  ftccaverat  berbat  , 
ancorché  fi  vede  la  defcrizione  del  Sanaz- 
zarodiverfa  da  quella  d*Ovvidio;  poiché  i* 
uno  dice  ,  che  le  lucide  gotte  della  frefca  bri^ 
na  non  erano  ben  rifgccate  ;  e  T  altro  dice  > 
che  il  fole  l' aveva  del  tucto  rifeccate  . 

Car.  79.  I.  14.  Della  magica  Circe  ^  e  di 
"Medea  :  )  Circe  fu  figliuola  del  Sole  e  di 
Perfe  Ninfa  ;  e  venne  ad  abitare  in  Italia  nel- 
rifobdalei  detta  C#>/-^ii ,  che  poi  diventò 
terra  ferma  ,  e  chiamafi  oggi  Monte  t'ircello . 
Cortei,  per  quanto  dicono  i  poeti,  conver- 
tiva gli  uomini  in  varie  fiere  per  forza  d' 
arte  magica;  fecondo  che  fi  vide  ne' com- 
pagni di  Ulille  ;  i  quali  poi  da  lui  furono  con 
I*  arte  infegnatagli  da  Mercurio  ritornati 
nella  forma  di  prima  .  Leggi  Omero  nel  10. 
delPOdiaea. 

Medea  fu  figliuola  d' Età  Rede'Colchi-, 
e  fu  maga  eccellentiffima  ,comc  quella  9  che 
per  amor  di  Giafone  feppeco'fuoi  incanta- 
menti addormentare  il  ferpente  che  fempre 
ve.^ghiava  a  guardia  del  vello  d'oro»  che 
Giafone  andò  a  rubare.  Di  lei  fi  leggono 
pfcfloi  Tragici  molte  vanità.  Degl'incan- 
tamenti poi  che  qui  fon  podi  parte  è  ftata  ca- 
L    4  vaca 


44»      ;ANN0T  AZIONI 

vata  dairEglogaS.di  Virgilio,  alla  quale 
rimetto i  lettori]  e  parte  da  quei  verll  d' 
Ovvid.  (  Am,  l.  ^.  El.  7.  v.  31.  )  che  efpri- 
mono  la  forza  dell'  arte  magica  : 

Carmine    lue  fa  Ceres    fieri  l§m    van*fcit    in 
herham  \ 
Dificiunt  Ufi  Carmine  fontis  aqua . 

Ilicibus  glande! ,  cantataque  vìtibuf  uva 
Dscidit  ;  Sif  nullo  poma  movente  ffwnt , 

Car.  80.  1.  21.  Similmente  di  governare  le 
mellif^re  api  ,  e  rifiorarle  ce.  )  Qui  fi  potreb- 
bono  dir  molte  cofe  j  ch'io  per  brevità  !a- 
fcio  ;  ma  rimetto  il  lettore  curiofo  al  4.  li- 
bro della  Georgica  di  Virgilio. 

Car.  85.  1.  21.  Mille  pecore  di  bianca  lana 
pifce  ec.  )  A  imitazion  di  Virgilio,  che  il 
medefimDdice  nell'  Eglog.  2.  v.  21. 

Mille  m?(£  Siculi s  errant  inmonùhui  agna  , 

Lac  mi  hi  non  a  fiat  e  novum  ,  nonfrig$re  defit^ 

Canto -i  qua  [olìtus  ,  &:c. 

EGLOGA    NONA. 

Car.  86.  1.  1 5.  Dimmi ,  caprar  noiello  ,  ec-  ) 
Quefta  Egloga  tutta  è  fatta  a  imitazion  del- 
la ?.  della  Bucalica  di  Virgilio  ,  nella  quale 
contendono  Menalca  e  Dameta  :  e  i  luoghi 
imitati  dal  Sanazzaro  facilmente  pofTono  ef- 
fer  comprefi  da  coloro  che  P  una  >  e  l'altra 
fi  pigliano  aiTunto  di  leggere  ,  fenza  eh*  io  vi 
confumi  tempo. 

Car.  90.  1.  I.  Dimmi  ,  qual  fera  è  sì  dì 
mente  umana  , 

Qhe  x'  inginocchia  al  raggio  della  luna  ^ 

E  per  purgarfi  fcende  alla  fontana  ?  ) 
Non  celTandj  punto  d'imitar  Virgilio  nei 
luogo  detto  3  fa  che  i  due  paftori  in  concor- 

ren- 


DEL  PORCACCHI.^  249 
renza  propongono  dubbi  l*  uno  ali*  altro  9 
fenza  farli  rifol vere  .  Onde  Elenco  doman- 
da qual  fia  quel!*  animale  che  tanto  s'av- 
vicini d'intelletto  all'uomo,  che  vedendo 
la  luna»  s'  inginocchi»  e  fcenda  alla  fonta- 
na per  purgarfi  .  E  quello  animale  deve  in- 
tenderfi  elTer  l'elefante;  della  natura  del 
quale  fi  leggono  cofe  maravigliofe  :  ma  fra 
l'altre  dicono  1  per  dichiarazion  di  quello 
luogo,  che  nelle  campagne  di  Mauritania  a 
un  certo  fiume  che  il  chiama  Amilo  ,  qui n do 
la  luna  è  nuova  >  fcendono  le  mandre  degli 
elefanti,  equivifolennemente  purificando- 
fi  ,  fi  fpruzzano  d' acqua  :  e  poi  facendo  ri', 
verenziaalla  luna  1  fé  ne  ritornano  nelle  (qU 
ve  .  Leggi  Filoftrato  nella  vita  di  Apollonio 
Tianeo,  Ariftotile  nelT  8.  degli  Animali» 
Strabone  nel  1 6.  Plinio  nell'  8.  Pierio  Vale- 
riano  ne'  fuoi  Jeroglifici ,  Tommafo  Lopez 
nella  fua  Navigazione  ,  Lodovico  Bartema 
nel  fuo  Itinerario  ,  e  Giovanni  Leoni  nella 
parte  9  della  fua  Irtoria  . 

Car.  90.  1.  4.  Dimmi  ,  quaV  è  V  uccello  il 

qual  raguna 
I  legni  in  la  fua  morte  ,  f  poi  j'  accende  ^ 
E   vive  al  mondo  (enxa  pare  alcuna  ?  ) 
Intendi  l'uccello  della  f(rnice;  l'iftoria  del- 
ia quale  è  tanto  nota  che  non  ha  bifognodi 
maggior  copia  di  parole  .  Plinio  nel  cap.  2. 
del  lib.  lo.fcrive,  ch'ella  vive  ^60.  anni; 
e  che  poi  fi  fa  un  nido  di  cafiia  »  e  d' incenfo  ) 
e  lo  riempie  d'  odori ,  e  poi  vi  muore  fopra  ; 
e  che  delle  oiTa  ,  e  delle  midolle  fue  nafce 
un  vermicello»  che  poi  diventa  il  medefi- 
rao  uccello  della  fenice  .  Lsrsgi    Filofirato 
nel  3.  lib.  della  vita  d'  Apollonio,  ed  Elia- 
Bo;  e  de* più  moderni  Poggio  Fiorentino 
L    5  nel 


250        ANNOTAZIONI 
jiei  Viaggio  di  Niccolò  de' Conti)  il  qual 
confermi»  non  efier  punto  favola  quel  che 
della  fenice  fi  fcrive . 

PROSA    DECIMA. 

Car.91.  I.13.  he  fe/ve  i  che  al  cantar  </#* 
^vo  pafto^'t ,  ec)  In  quefta  Profa  X.  fono  mol- 
te parole  imitate  da  Virgilio ,  e  da  altri ,  che 
per  efìTer  poche  per  ciafcun  luogo  ,  io  non  le 
Tegiftrerò  tutte:  e  fra  l'altre  poflTono  efler 
«quelle  forfè  tolte  da  quel  che  dice  Egl.  lo.v.  8. 

re[pcndent  omnia  filva  , 

o  più  abballo  ,  quando  fcrive  ,  che  «  pìnt  che 
•vi  tratto^  parlavaKo\  il  che  può  efler  del  ms- 
defimo  ,  che  fcrifle  Egl.  8.  v.  22. 

—  —  ptncfg'ie  J eque  mi  f  . 
oqumdo  parla  dell'  immagine  di  Pan  ,  dove 
-dicech'avea  la  faccia  rubiconda  come  matura 
fragola^  a  fimilitudine  del  medefimo  5  che 
iafciòfcrìttodi  quefto  Dio  nell'Egl.  io.v.27. 

Sanguinei f  ebuli  baccis  m^moque  rubentem  , 

Car.  94,  1.  17.  "Oa  amore  fpronato  feguitb  la 
^ella  Siringa  :)  Leggi  quanto  ho  fcritto  nelle 
-Annotazioni  fopra  1'  B.g\.  2.  di  quefto  Auto- 
«•e  a  e.  221. 

Car.  94.  1.2^.  Ccfnìncil  a  congiungere  con 
ftova  cera  fette  canne  y  )  Virgilio  neli'Egl. 
■a.  V.  32.  dice  : 

Pan  primis  calamoi  cera  canjungere   pìuris 
Injìituìt . 

Car.  94. 1.  :?  !.  ideile  mani  d*  un  paflere  S*- 
^acufano\  )  Virgilio  neli'Egl.  6.  fcrive  di 
quefto  dicitor  Siracufanp: 

Prima  Syracofio  dignata  e  fi  ludere  ver  fu  , 

Nofira  ftec  erubuit  filvas  babitare  Tbalia . 

Per  quefto  paftor  Siracufano   intendi   Teo- 
cri- 


DEL   PORCACCHI.     151 

crito,  giocoiidilfimo  dicitor  delle  cofe  pa- 
florali  in  vcrii  Greci  .  Coftui  fu  figliuolo  di 
Pradagora  >  o  (  come  vogliono  alcuni  )  di 
Simmaco*  e  di  Filine:  e  fcrifTe  gT  Idillj  in 
genere  bucolico  e  paftorale  . 

Car.  95.1.  10.  Al  Mantoano  Titiro  y  )  In- 
tendi Virgilio  ,  che  cantò  fotto  nome  di  Ti- 
tiro  pallore  :  e  dice  ,  eh*  egli  fu  H fecondo  fi- 
^«err  di  quella  fampognaj  per  non  difcordar 
dall' ideilo  Virgilio,  il  quale dilTe  (  coaie  ho 
notato  qui  fopra  )  che  la  Mufa  prima  aveva 
cantato  col  verfo  Siracufano ,  e  poi  col  fuo  . 

Car.  95.  1.  iS.  Infegrib  primieramente  le(«U 
te  di  ri  fonar  e  ilncme  della  f or  mofa  Amari  Ili  ^ 
da '^  con  quel  che  fegue  molte  righe  appref- 
fo.  )  Quelli  fono  gli  argomeoti  delle  dieci 
Egloghe  della  Bucolica  di  Virgilio:  e  il  Sa^ 
nazzaro  in  quello  luogo  ha  ufato  le  parole 
dello  (lelTo  Virgilio  al  principio  di  ciafcuaa 
Egloga  :  le  quali  ognuno  per  fé  può  vedere  . 

Car.  96.  I.  i.  Le  felve  degne  degli  aUiJjimi 
Confc/'  )  Con  artificiofa  invenzione  loda  Vir- 
gilio ,  dando  fempre  in  quflla  confiderazio- 
ne,  eh' è  di  far  parlare  a*  pallori:  e  però 
dice,  che  da  lui  folle  mutata  una  canna  al- 
la fampogna  di  Pan  ,  e  in  vece  di  quella 
vene  folTe  aggiunta  una  più  grolla  ;  volen- 
do inferire»  ch'egli  più  altamente  aveva 
fuonato,  che  Teocrito;  il  quale,  contento 
di  cantar  le  cofe  paftorali  ,  aveva  lafciato 
campo  a  Virgilio  di  ammae^^are  ,  abbandona^' 
t*  (  come  qui  dice  )  le  capre  ^  i  rujìici  colti- 
vatori della  terra  ;  intendendo  per  quelle  pa- 
role la  Georgica  ;  ed  apprejfo  con  pia  fonora 
L     6  trom^ 


♦  Altri  Simichide  :  forfè  così  chiamaVKffi  (§ 


Jiejf9  Tfgfritfi  ^  dal  ttafo  finiOt 


f.^2         ANNOTAZIONI 

trofnba  Cantare  le  armi  àelTrojnno  Enea  ,  co- 
me fece  nell*  Eneida  .  Le  parole  poi  che  qui 
fopra  fon  porte  ^  fono  dell'  Egl,  4.  d'  elfo 
Virgilio  : 

.>  _-  pive  fint  Confale  digna  . 
Car.  97.  1.   36.  Circondato    di  tre  veli  di 
diterp  colori  ,  raccender})  la  cajìa  verbena  ^   ) 
Virgilio  neir  Egl.  8*^h'  è  quella  degl'in- 
canti )  V.  64. 

--  '-  molli  cinge  hac  altaria  v'ttta  : 
Vtrhenafque  adole  pingui r  ,  &  mafcula  tura , 
e  più  giù  V.  7^. 

Terna  tibi  h<ec  pritnuM  triplici  diverfa  colore 
Licia  circumdo  y  terque  hac  altaria  circum 
E^giem  duco , 
Della  verbena  cafta  ,  e  perchè  foffe  adopera- 
ta ne*  facrificj  dagli  antichi,  io  non  parlerò 
in  quefto  luogo»  avendo  ancora  adir  molte 
altre  cofc  •  Da' Greci  ella  era  chiamata  J^- 
rabotane  ,  folo  perchè  era  adoperata  a  molti 
facrificj .  Leggi  Plinio  nel  lib.  25.  al  cap.  9» 
e  Donato  fopra  l'Andria  di  Terenzio  . 

Car.  98.  I.  6.  Chtatnerl  ad  alla  voce  tre- 
cento nomi  di  non  conosciuti  Dii  \  ec.  )  Imi- 
tato dal  4-  dell' Eneida  di  Virgilio;  benché 
forfè  più  propriamente  1'  ha  imitato  nelle  pa- 
role più  di  fotto  :  convocando  la  tergtmina 
lEcate ,  ....  il  profondo  Caor  ,  ec  Virgilio 
ivi.  V.  510. 

Tercentum  tonai    ore  Deos    ^    Erebumque    , 

Cbacfque  , 
Terge  mi  namqui  Hccaten  ,  tria  virginia  ora 

Diana  . 
Car.  9S  1.  19.  E  '/  grandiffimo  Oceano  padre 
mtiverfale  di  tutte  le  cofe  ,  )  E'  tolto  da  Virgi- 
lio ,  che  dìde  nel  4.  della  Georg.  V.  382. 
Oceanumque  patrtm  r  trum  , 

B  qui  3 


DEL    PORCACCHI.     25? 
E  qui,  fé  il  luo,",o  me  lo  comportale,  po- 
trebbe dirfi  per  qual  cagione  Omero  ,  e  gli 
altri  abbiano  chiamato  1*  Oceano  patere  iie/U 
fcff  :  ma  lo  riferboad  altra  occalione  . 

Car.  59.  1.  31.  Coi  quali  a  mia  pojìa  fo- 
glio io  trasformarmi  in  lupo  >  )  Virgilio  nel- 
la Farmaccutria  V.  97. 

Hit  ego  f^pe  lupum fieri  ,  ^if /^  fondere  fdvh  , 
Car.  ICO.  1.  19.  ha  pìccìola  carne  .rapita 
dal  fronte  del najcente  (avallo)  Omndo  Vir- 
gilio induce  nel  4.  dell'  Eneida  la  Reina  Di- 
doneavolcr  fare  i  facrificj ,  dicequefti  ver- 
fi  )  da'  quali  il  Sanazzaro  ha  tolto  le  prefenti 
parole  :  (  v,  511.  ) 

Sp.irfirat  éf  laticer  fmu/at or  fonti f  Aveffii  i 
FaliibuT   &  mejfa  ad  lunam  quaruntur  aènis 
Puhentei  berha  ,  nigri  cam  laiìe  veneni  : 
Quaritur  Ì2  nafcentit  equi  de  fonte  fevoì- 
fuf  ,  Et  matri  prareptu!  amor  . 

Quando  poi  il  Sanazzaro  fa  dire  al  facerdote 
Ennreto  i  verfi  magici ,  ha  imitato  1'  Egloga 
degl'incanti  di  Virgilio,  fecondo  e'  ha  an- 
co fatto  di  fopra  j  e  più  abbaflb  in  molti 
altri  luoghi . 

Car.  1 01.  1.16.  Deir  impari  numero  godono* 
magici  Di i  ;  )  Ha  aggiunto  il  Sanazzaro  la 
parola  magici  agli  Dei;  cofa  che  non  fece 
Virgilio  ,  che  dide  Egl.  8.  v.  75. 

—  —  numero  Deuf  impare  gaudet . 
Edèdafapere»  che  la  vana  fuperftizion  de- 
gli antichi  credette  ,  che '1  numero  caffo,  o 
difpari  forte  molto  più  efficace  ad  ogni  cofa  > 
che  il  pari  :  il  che  Plinio  ftima  intenderli  ne' 
giorni  delle  febbri  :  e  ciò  fi  può  molto  bene 
oflervare  da  quel  che  fcrive  Ateneo  nel 
libro  ic  del  modo  di  compartire  il  vino  nel 
bere>  dicendo  che  od  debbano  bere  cinque 

bic- 


,^54  .  ANNOTAZIONI 
bicchieri,  o  tré  $  o  non  mai  quattro  ;  volen- 
do concluder,  che*!  numero  caffo  deve eiTe- 
re  avuto  piìj  in  odervanza  .  Mi  fra  tutti  il 
numero  del  tre  prelìb  gli  antichi  era  tenuto 
perafTolutifììmo  e  fjcro  ,  volendo  che  quan- 
to fod'e  niii  il  ito  detto  tre  volte  ,  tutto  foffe 
avuto  per  efficacinimo  :  e  perciò  folevano 
ufarJo  ne'  mifterj  magici  ,  come  s*  è  veduto 
perii  verfi  di  Virgilio  nella  Farmiceutria  » 
e  come  è  anco  preffo  Teocrito  in  quei  verfi 
del  m.defimo  titolo  che  in  latino  fuonanoia 
quefto  modo  : 

Ter  libo  ,  ter  ^  hac  pronuntto  tnyjìica  verha  , 
Soleva  anco  ofrervarfi  quarto  numero  nelle 
cerimonie  funerali  :  cade  fi  legge  *  : 

—  —  &  fuprernum  ter  voce  ciemus  , 

anzi  tanto  d*  efficacia  aveva  >  che  fparfamcn- 
tepreflo  i  poeti,  e  gli  oratori  fi  leggono  que- 
Ite,  efimili  parole:  T^e  volte [celhrato y  tri 
volte  efetr abile  ,  tre  volte  beato  ,  tre  volte  gran» 
Mjfimo ,  tre  volte  infelice  .  „  ufo  anche  de' 
Francefi  .  „ 

Car.  Ì04.  1.  7.  Quivi  viole  tinte  di  amorosa 
pila  Jena ,  )  Quefto  è  detto  forfè  con  qualche 
allusone  a  quel  chedifle  Orazio  neU*  Ode 
IO.  del  lib.  3. 

—  —  nec  tinSluf  viola  pallor  amantium . 

^  Car.  1 04 .1.16.  Adone ,  j acinto ,  Ajace ,  e  V 
giovane  Crcco ,  ec.  )  Perchè  a  baftanza  mi  par 
d'  avere  fcritto  fopra  quefta  Profa  ,  però  ve- 
nendo a  propofitoil  ragionar  delle  favole  di 
queftiqui  nominati  più  abbafìTa  nel P  Egloga 
Ji.  ne  rimetto  il  lettore  a  quel  luogo . 

EGLO. 

■*  Se  allude  al  paffo  di   Virgilio  ,  ^ncid.  > 
V.  68.   dice  cosi  : 

—  -  &  magna  fupreraum  voce  ciemn* . 


DEL   PORCACCHI.     255 
EGLOGA    DECIMA. 

C3r.iC5-Li9.   Nonforfy  Tronìmo  mìo ^  dtl 
tutto  mutoU  y 

Cani*  uom  crede  ,  le  felve  ;  ) 
Secondo  che  puòcomprenderfi  dalla  feguen» 
te  Profa  ,  piglia  il  Sanazzaro  a  lodare  in  que- 
fta  Egbga  la  Tua  patria  Nipoli  >  e '1  Carac- 
ciolo, ch'egli  non  chiama  pernome  t  ben- 
ch'  io  penfo  che  fia  il  Signor  Triftano  Carac- 
ciolo ,  molto  (limato  al  fuo  tempo  da*  dotti  ; 
eh*  è  quegli  a  cui  il  Fontano  inviò  i  Tuoi  libri 
de  V  rudenti  a  y  infiemecon  Francefco  Pude- 
rico:  e  quefto  principio  non  è  forfè  detto 
fenza  imitare  in  qualche  parte  Virgilio  >  che 
dinenell'Egl.  IO.  V.  8. 

tioncanimui  futdii  :  r e(y onde nt  omnia  (tìva  ♦ 

Car.  106.  1.  IO.  CtTca  lealtà  Cittadt  ove  i 
Calcidici 

Sopra  il  vecchio  Sepolcro  ec.    ) 
Perquefta  città  intendi  Napoli:  di  che  ve- 
di quanto  n'  ho  fcritto  fopra  la  Profa  7.  che 
può  lervire  per  dichiarazion  di  quello  luogo  . 

Car.  107.  1,  23.  Far  quei  primi  pajìor  nei  bo» 
fcbi  Etrurii:  )  Intendi  per  quelli  primi  pa- 
llori Romulo,  e  Remo:  de'  quali  uno,  che 
fu  Remo  da  pìàfeìid  augurjfu  vinto:  percioc- 
ché avendo  elfi  edificato  Roma,  e  contra- 
ftandoqual  di  loro  le  dovcfle  imporre  il  no- 
me ,  vennero  a  quello  accordo  ,  che  chi  avef- 
fepiù  felice  augurio,  dovelìe  denominarla 
a  modo  fuo.  Per  Io  che  Remo  vide  prima 
fei  avo'.toj  ,  e  Romulo  poco  dopo  ne  vide 
dodici,  tal  eh'  effendo  più  felice  l'augu- 
rio di  quello  ch«  di  quello?  toccò  a  Romu- 
lo a 


256        ANNOTAZIONI 
Io  a  dare  il  nome  alla  citta  ,  eh' ci  ciil.i^ 
mò  Roma  . 

Car.  io8. 1.  20.  E  ^l  mi  fero  Sììtm  vtcchlarelh 
Non  trova  /'  afìnello  ) 
Sileno  fu  balio,  e  pedante  di  Bacco  >  che 
Tempre  usò  di  cavalcare  un'afino;  e  fu  il 
buffone  ,  o  foggetto  di  tutti!  poeti  per  dir 
buffonerie  .  Scrive  Arato  1  che  per  amor 
di  Bacco  Tuo  figlioccio,  fu  poi  trasferito  in 
cielo  fra  le  (Ielle. 

Car.  109.  1.  6.  -.  —  ove  il  protervo 

Atteoti  divenne  cervo  ;  ) 
Atteone  fu  figl  uol  d*  Arifteo  ,  e  fu  cac- 
ciatore .  Coftui  s'  abbattè  un  giorno  a  ve- 
der Diana  nella  fonte  Gargafia  tutta  nu- 
da, che  fi  lavava;  onde  eilafdegnata,  gli 
buttò  di  quelì' acqui  addoffo ,  e  lo  conver- 
tì in  cervo,  che  da*fuai  cani  poi  fu  divo» 
rato  . 

Car.  109.  1.   ir,  Uarfia  [en^a  pelìeba gua» 
fio  il  bcjfo , 

Ter  cui  la  carne  ,  e  P  cjfo  or  porta  ignudo  .  ) 
5,  Beffo  dee  leggerfi ,  non  do]fo ,  come  ma- 
„  lamente  leffeil  Porcacchia  la  cui  Anno- 
j,  tazioneperòfi  porrà  qui  fotco  per  non  de- 
5,  fraudarne  i  lettori .  Vuol  intender  in  que- 
5,  fto  luogo  il  Sanazziro  ciò  che  intefe  nel 
5,  Proemio  a  e.  2.  dicendo,  ìterfie  pregiati 
,,  bojfi de^  mufìci  ^  cioè  il  fiauto  ^  o  la  tibia  ^ 
„  dicuidiffe  un  Doco  più  abbailo ,  alluden- 
,>  do  3  qu^fto  fteffo  argomento  •  fono>'a  tibia 
„  di  Palude  ^  per  la  quale  ti  male  irìfuperbito 
„  Satiro  (cioè  il  fuddetto  M:ufKi  )  provoco 
5  5  Apollo  alli  fu  oi  danni .  Che  il  bcjfo  fi  a  fi  pi- 
»  gliato  da' poeti  peihfibiay  okra'l  tedi- 
»  moniodi  Seneca  addotto  dal  Porcacchia 
i>  c. 2C9,fi  poiTono  aggiugaere  quefti altri, 

„  forte 


DEL   POROiCCHI.     257 
,5  forle  di  non  minore  autorità  .  Ovvidio  nel 
5,  14.   delle  Trasf.  v,  537. 
,,     --Óf  inflati  complevit  murmure  èuxi  , 
5,  Valerio  Fiacco  neli' Argonautica  Iib.  r. 
„  V.  319. 

j,     Obruat  Idaam  quantum  tuba  Martia  huxum* 
5,  Stazio  nel  lib.  7.  della  Tebaide  v.  170, 

jj     ^  «7^  infpirata  rotavi 

j,     Buxa  . 

j)  e  nel  lib-  8.  v.  222. 

j,     Et  mcderata  fonum  vario  fpìramrne  baxuf  • 

i)  e  Claudiano  nel  3.  lib.  de  Raptu  Prcfefpinég 

„  V.   130. 

3)     Si  ì'uxcf  injJare  vtUm  ,  ferah  gemlfcunt  , 

Car.  1C9.  I,  1 1.  Marfia  fenx,a  pelU  ha  gua - 
Jìo  il  dojfo  ,  ) 
Di  Marfia  dovea  io  ragionare  di  fopra  al  fine 
del  Proemio  ,dovc  1'  Autor  dice  ,  che»/w/«- 
le  infuperbito  S^2tiro  provoco  Apollo  alìi  fuoì  dan-> 
niì  ma  per  eiTermi  inavvedutamente  pa^Tata 
qu'jlla  occafione  ,  dico  che  Marfia  Satiro 
avendo  trovato  il  piffero  che  Minerva  aveva 
gettato  via  >  e  perfeverando  in  Tuonarlo  ,  gli 
parve  d'  eiler  diventato  così  dotto  nella  mu- 
fica  ,ch'  ebbe  animo  di  teneri!  da  più  d'Apol- 
lo, e  di  sfidarlo.  Furono  eletti  per  giudici 
Minerva  ,  e  Mida  Re  di  „  Frigia  ,,  .  La 
Dea  perii  dritto  giudicò  a  favor  d' Apollo  , 
e  Mida  a  compiacenza  in  favor  di  Marfia. 
Per  Io  che  Apollo  fece  a  Mida  nafcer  gli 
orecchi  d' afino  ,  ed  a  Marfia,  fcorticando^ 
lo  ,  traile  d*  addoHo  la  pelle  . 

Car.  ICQ.  1.  ^2  La  donna  ,  e  la  bilancia  è 
gita  al  eitlo.  )  Vuole  inferire  che  in  terra  non 
épiù  Giuftizia,  dicendo  ch'ella  è  tornata 
con  le  fue  bilance  in  cielo  .  Fu  qucfta  do^na  5 
chiamata  Aftrta  ^  e  fu  figliuola  d'Aftrco  e 

de  IP 


15?        ANNOTAZIONI 

deli' Aurora  >  o(come  vogliono  alcuni)  di 
Giove  e  di  Temide.  Cortei  fingono  i  poeti , 
che  venne  in  terra  fin  nella  prima  età  dell' 
oro:  ma  che  poi  offera  dalle  fcelleraggini  de- 
gli uomini ,  fé  ne  tornò  in  cielo  . 

Car.  no.  1.  7.  Già  mi  rimsmhra  ^  che  da 
cima  un*  elice 

ha  fini  fi -a  cornice  ,  oimè  ,  predicelo  \  ) 
E*  tolto  dall' Egl.  i.di  Virgilio  v.  18. 

(  S^pefiniftra  Cava  pradixit  ab  ilice  e  orni  x .  ) 

Car.  110.  1.  12,  Chd  la  Sibilla  nelle  foglie 
feritelo,  )      .     .  . 

Furono  in  quei  primi  fecoli  alcune  fanciulle 
le  quali  dotate  di  fpirito  prof  tico  indovina- 
vano le  cofe  avvenire  :  e  quefte  furon  chia- 
mate Sibille.  In  tutto  furono  dieci i  delle 
quili  poflono  vederfi  inomi  in  Lattanzio  Fir- 
miano  >  infieme  con  le  lor  profezie  .  Il  Poli- 
ziano nella  fua  Nutricia  ne  racconta  alcune 
altre  di  nome.  Ora  dice  Virgilio,  che  la  Si- 
billa Cumana  fcriveierifpofte  domandatele, 
fopra  foglie  di  lauro  :  ie  quali  diftende  in 
mezzo  a  cento  porte  i  e  per  ogni  picciolo  aere 
che  v' entri  dentro,  le  foglie  vanno  in  ma- 
Iora,c  tornanfene  i  configlianti  fenza  rifpofta. 

Car.  no.  1.  16.  Vajhr  ^  la  noce  y  che  con  l'* 
otnhre  frigide 

'N.oce  alle  biade  ,  ec.  ) 
Imita  forfè  Ovvidio  in  quei  verfi  ne' quali 
introduce  l'albero  della  noce  a  dolerfi  che 
fcrmpre  è  percofìlo  dal  popolo  che  paffa  ^  nel- 
la Noce  V.  61.  cosi  : 

—  .-  qu^niam  fata  ladere  dicor  , 

Imus  in  exiremQ  margine  fundus  habet , 


PRO. 


DEL   PORCA  CCHl.     259 

PROSA    UNDECIMA. 

Car.  115.  I.  20.  //  giorno  iì  quale  per  me  fa • 
r^ fempre  acerbo^  e  femp^e  con  debite  lacrime 
finorato  y  ec.  )  Siccome  Ergafto  alla  lepoltura 
della  madre  Malìilia  rapprefenta  Enea  a  quel- 
la del  padre  Anchife;  così  le  parole  di  que- 
fìo  reno  imitate  da  quelle  che  Virgilio  fa  di- 
re a  lui  nel  5.  V.  46. 

Annuut  exacìis  ccmpìetur  merìfibuf  orbif  , 
Ex  quo  relliijuias  divinique  cffa   parenti^ 
Condiditnus  terra ^weejì/tfque  facravitnus  aras» 
J^mque  dief  ("nifallor  J  adtjì  ^  quem  fem» 

per  acerbum  , 
Semper  bonoratum  Cpc  Di  vduifiu  J  habebo  , 
c  piÌ4  abbaflb  il  Sanazzarodice  5  che  ciafruno 
eiella    fua    vittoria  averà  il   dono  y  a   imita- 
2Ìon  medcfimamente  di  Virgilio  ; 

-_  --  meritaifue  exfpeSìenf  premia  palma  , 
(  lib.  5.  V.  70.  ) 
e  cosi  in  molti  altri  luoghi  ,  dove  più  ,  e  do- 
ve meno  vedefi  efTere  imitato  Virgilio,  fe- 
condo eh'  egli  imitò  Omero  nel  lib-  23.  dell' 
Iliade. 

Car.  116.  I.  5.  Ncft  fu  sì  topo  datoilfegno  , 
the  ad  un  tempo  tutti  cominciarono  a  ftende-. 
fé  i  pajft  per  la  verde  campagna  ce.  )  Così  Vir- 
gilio nel  luogo  citato  ,  v.  3 1 5.  introducendo 
i  giovani  a  correre  : 

locum  capiurtt  i  figncque  repente 

Conripiunt [patia  audito  Jimenque  relinquunt^ 
Eff^ufi  n'mbo  fmtles  :  (irnul  ultima  jignant  , 
Così  èda  cd'ereolTervata  la  caduta  di  Cari- 
no ,  e  1'  invidia  di  lui  verfo  Logifto  in  far- 
lo cadere  ;  la  palma  guadagnata  da  Ofelia» 
fidagli  altri;  il  romor  che Logiflo  perciò  ne 

fece  i 


^60  ^  ANNOTAZIONI 
fece  ;  e  in  fomma  tutto  quefto  fpettacoio  ef- 
fer  tolto  da  lui .  Perciocché  quivi  Nilo  cor- 
rendo avanti  a  tutti,  cadde  in  terra  :  dove 
non  dimenticato  dell*  amor  fuo  verfo  Eu« 
rialo,  eh* era  il  terzo  a  correre)  s*  oppole 
a  Salio,  ch'era  il  fecondo,  e  lo  fece  cade- 
re :  ondeEurìalo  confeguì  il  premio  .  Si  la- 
mentò Silio  del  torto  fategli  da  Nifo  ,  e  non- 
dimeno il  giudicio  (lette  faldo,  e  i  giovani 
da  Enea  tutti  furono  premiati,  comequefti 
da  Ergafto  .  Chi  paragonerà  quefti  due  luo- 
ghi infieme  ,  vedrà,  il  Sanazzaro  averdili- 
gentifìTimamente  imitato  Virgilio.  E*  da  leg- 
ger fimilmente  Stazio  nel  luogo  che  dirò  po- 
co appredo  :  dove  canta  un  belliflimo  coa- 
trafto  di  carrette,  e  vi  fon  molti  luoghi  fi- 
miliaquefti.  Il  giuoco  poi  del  lanciar  del 
palo,  che '1  Sjnazzaro  induce  5  è  a  fimiiitu- 
dinedi  qu-'llo  de*cefti  di  Virgilio;  fé  non 
che  il  Sanazzaro  fi  vai  delle  parole  di  lui  an- 
cor nel  giuoco  delle  braccia,  ch'ei  h  fire 
a' pallori,  e  noi  è  in  Virgilio,  fenoncom- 
prefo  in  quello  de*  ecidi  .  Stazio  nel  6.  della 
Tebaide  v.  646.  fra  diverfi  giuochi  mette  il 
giuoco  del  difco,  al  quale  èfimil  quello. 

Car.123.1.3.  Ponendo  una  vìva  felce  mila 
rete  della  fua  fionda  ,  ec.  )  Perchè  il  Sanaz- 
zaro feri  ve  va  di  cofe  paftorali ,  e  molto  più 
proprio  è  de'  pallori  tirar  con  la  frombola  ,  o 
fcaglia  >  che  d' arco  ;  però  dove  Virgilio  in- 
troduce i  giovani  a  tirar  con  le  frecce  a  una 
colomba  legata  ali*  albero  d' una  nave;  (il 
che  però  è  imitato  da  Diete  Candiotto,  il 
quale  l'crive  nel  3.  aver  ciò  fatto  i  Greci  ne' 
giuochi  intorno  a  Troja)  il  Sanazzaro  mette 
i  pallori  che  tirano  di  frombola  a  un  lupo  le- 
gato ad  un  palo;  n^lche  i  m^defimi  effètti 


DEL  PORCACCHT,  i6i 
fanno  qaefti  che  quelli  .  Di  quefti  Fronimo 
colfe  nel  palo  \  e  di  quelli  il  figliuolo  d' Irta- 
coterì  con  la  freccia  fuir  albero:  qui  Cloni- 
co  diede  nella  corda,  che  fi  ruppe  ,  e  fé  fug- 
gire il  lupo;  e  quivi  MneOeo  ruppe  i  lega- 
mi della  colomba)  che  volò  via:  Parteno- 
peo »  invocati  in  [uà  aita  i  paftorali  Dii  ^ 
iCon  la  pietra /«f^  ftelU  tempia  [etto  la  manta 
orecchia  ,  ed  ucci  fé  il  lupo  :  ed  Eurizio  , 
chiamindo  a'  fuoi  voti  il  fratello  ,  con  la 
freccia  ferì  per  aria  la  colomba  >  e  la  fece 
morta  cadere  a  terra  . 

Car.  125.1.  19. 1 privilfgj  della  vecchi e\X^  5 
ce.)  La  rifpofta  che  fa  il  vecchio  Opico  a  Er- 
gaftojè  in  alcuna  parte  fimile  a  quella  che  fa  j 
prefìTo  Virgilio  >  Entello  ad  Acefte  .  Qui 
Opico  fi  Icufa  per  la  vecchiezza  ,  e  poi  rac- 
conta le  fue  pruove  fatte  in  gioventù  ;  e  qui- 
vi Acefte  fa  il  mcdefimo;  dell*  En.  lib.  $► 
V.  395. 

.-  —  geltdui  tardante  fenella 
S angui s  bebet  ,  frigentque  effata  in  corpi}- 
rt   viret  ; 

e  poi  fi  gloria»  in  fua  gioventù  d'  aver  coti 
agevolezza  maneggiato  quei  gravi  certi  : 
(ivi  V.  414.  ) 

--  —   hir  ego  faetuj  ; 

Dum  melior  vires  [angui f  dahat ,  &c» 

EGLOGA    UNDECIMA. 

Car.  127.  1.  13.  La  dotta  Egeria  i  e  la  Te- 
batta  Manto  ) 
Paragona  MalVilia  alla  dotta  Egeria  ,  ed  alla 
Tebana  Manto.  Egeria  fu  una  Ninfa,  eoa 
la  quile  dicono,  che  Numa  Pompilio,  fe- 
condo Re  de'  Rcmini  ,di  notte  ficongiugne" 

va; 


262  ANNOTAZIONI 
Ta  ;  e  con  lei  ragionando  ,  imparava  da  c((a. 
le  leggi  divine)  con  le  quali  frenava  la  fe- 
rocità del  popolo  Romano  .  Dicono  ,  eh* 
egli  fusi  caro  a  quefta  Ninfa  ,  che  dopo  U 
morte  di  lui  ella  per  foverchio  piagnere  fi 
convertì  in  un  fonte  di  lagrime  nella  felva 
della  Valle  Aricina  .  Di  lei  Icrive  Ovvidio 
nel  15.  delle  Trasf.  v.  550. 

Mota  forar  Phcebi  gelidum  de  corpore  fontem 
Fecit  y  <^  aterna f  artt4f  tenuavit  inundas  , 

^d  il  Petrarca  nel  Gap.  2.  del  Tr.  d*  Am. 

Vidi  il  pianto  d^  Egeria  , 
Manto  fu  figliuola  di  Tirefia  Tebano  ,  e  fa 
indovina  .  Coftei ,  efTendo  Tebe  ridotta  in 
fervitù  ,  dopo  molto  aggirar  per  varj  paefi  , 
venne  in  Italia,  dove  di  Tiberino  ,  Dio  del 
Tevere,  partorì  Ocjio  ,  eh'  edificò  Mantova. 
Virgilio  nel  10.  v.  ipg. 

I//e  etiam  patri  if  agmen  ci  et  Ocnuf  ab  oris  ) 
Fatidica  Mantus  Èf  Tufci  filittf  amnis  : 
Qui  muro£  y  matrifquededittibi^  Marttua^ 
nomen  . 
e  Dante  facendo  parlare  a  Virgilio,  diffe  : 
Manto  fu  che  cercò  per  terre  wolte  ; 
Pofcia  fi  pcfe  là  dove  nacqui  io  , 
Car.  127  A'  ig- 0  erh  y  ofiory  c/j'*  un  tempo 

ecce! fi  e  magni 
Refojìe  al  mondo  y  ed  or  pef  afpra  forte 
Giacete  per  li  fiumi  ^  e  per  li  fi  agni  ^  ) 
Di  fopra  nelle  Annotazioni  alla  Profa  io-  a  e. 
254.  io  ho  citato  quefto  luogo  :  nel  quale  mi 
fon  rifervato  a  trattar  delle  favole  che  quivi 
fono  ,  e  qui  in  parte  fon  tocche  ,  o  accenna- 
te .  Le  parole  di  quel  luogo  fon  quefte*  F/- 
nahnente  qtMntì  fanciulli  ,  e  magnanimi  Re  fu^ 
^^no  nel  primo  tempo  pianti  dagli  antichi  pafto» 
*'  ^  iutti  fi  vsdi'jano  quivi  tra  if  ormali  fiorire-;^ 

fer^ 


DEL  PORC  ACCHI.    26^ 

fefvando  ancora  gli  avuti  nomi  ;  Adone  )  Ja-m 
cinto  )  Ajace  ,  e  l  giovane  Croco  ,  con  P  ama-, 
ta  dcnieiU  :  e  fra  quifti  it  vano  N^rcifo  ec. 

Adone)  fu  figliuolo  di  Cinara  edlMirrn» 
e  fu  giovane  belliiiimo  .  Di  lui  s'  innamorò 
Venere  ardentHrimamente  ;  perciocché  9 
elTendo  ella  abbracciata  con  Cupido  fuo  fi- 
gliuolo, per  ventura  da  una  faettadi  lui  fu 
punta  nel  petto  ,  e  vedendo  Adone  >  di  lui  s* 
accefe.  Ma  edendo  il  giovane  ftato  ammaz- 
zato da  un  cinghiale.  Venere  ,  dopo  che  lun- 
gamente l' ebbe  pianto  j  Io  mutò  in  fiore  co- 
si chiamato  . 

J acinto  i  Ajace)  Owidio  nel  lib.  13- delle 
Metamorfofi  co  :  quc-fti  verfi  abbraccia  la  fa- 
vola di  tutti  due  quefti  giovani,  Jacinto ,  ed 
Ajace  :  (  394.) 

--   •-   rubefaSìaque  f angui  ne  teliti  f 
Vurpureum  viridi  genuit  de  Cafpìte  fiorem  \ 
Qut  pnut  Otbaliofuerat  de  vulnere  natuf  . 
Li i era  cctnmunii  tnediis  tueroque  ^   viroque 
Infi  ripta  e  fi  folti  s  :  hae  ncmìntf ,  illa  querela  , 
In  che  ha  da  fa  per  fi  5  che  Jacinto  fu  un  fan- 
ciullo molto  bello  ,  amato  da  Apollo»  ed  ef- 
fendoper  difgrazia  ftato  ammazzato  nel  lan- 
ciar d*  un  difco  ,  fu  mutato  nel  fi>  re  chiama- 
to dal  fuo  nome:il  quale  è  dipinto  di  certe  ve- 
ne nere  ,  che  difcorrono  in  guifa ,  che  forma- 
no le  due  lettere  Greche  «,  e  i  *,  la  qual  co- 
fa  diede  a'poeti  doppia  cagione  di  favoleggia- 
I  re  .  Alcuni  dicono  ,  eh»;  quelT  A  i  fofle  in  fe- 
gnodellequereled' Apollo;  ed  altri,  che  fi- 
I  griifichi  Ajace  j  e  però  dice  Ovvidio  ne'  verfi 
di  fopra  : 

—  —  bac  nomini F  ,  illa  querelle . 
Ajace  Telamonio  fu  quegli  che  per  dolore 
(U  aver  perduto  in  contr^fto  con  UlHcel* 


2  64  ,      ANNOTAZIONI 
armi  di  Achille  ,  fi  ammazzò  da  fé  (leffb  ;  e 
del  uio  fangue  nacque  quello  fiore  vcen  le  let- 
tere e'  ho  detto . 

Croco  ^  con  P  amaia  donzella  \^  Croco  amò 
così  fieramente  la  fanciulla  Smilace  ,  che  per 
1*  impazienza  d' amore  fu  convertito  nel  fiore 
del  zafferano  j  fecondo  che  racconta  Ovvidio 
nel  4.  delle  fue  Trasformazioni  . 

lì  v<ino  Narcifo  )  Narcifo  è  chiamato  vano^ 
per  rifpetto  che  s' innamorò  di  fé  fteffb  .  Fu 
egli  figliuolo  del  fiume  Cefifo  e  di  Liriope 
Ninfa;  ed  avendo  fudato  nel  cacciare?  e  du- 
rato gran  fatica  ,  fi  ridud'e  ad  una  fonte  per 
bere  ,  dove  chinando  la  tefta  nell'acque  ,  vi- 
de 1'  effigie  del  belliiTìmo  volto  fuo;  e  innamo- 
n-ìtofi  di  fé  fteffo  ,  al  fine  per  palone  fi  con- 
fumò ,  e  fi  converti  in  fiore  del  fuo  nome  . 

Car.  128. 1.  21.  Filici  Orfeo  ^  cP  innaniU^ 
ore  eflreme  ) 

Ver  ricovrir  e  elei  eie  pianfe  tanto. ^ 

Sicuro  fìftiì'h  dove  pth  and-zf  f  terne  .  ) 
Quefta  favoli  ò  dcfcritca  nel  la  ff  guente  Pro- 
fa  alla  5.  Ann-tazionr,  deve  dice:  Euri^ 
dice  nel  bianco  piede  puma  d^l  velenoso  afpim 
de  fu  coflretta  di  efalare  L:  bella  animi  . 

PROSA   DUODECIMA. 

Car.  132.  1.9.  Ma  zr»(.Ta  la  cfcura  netto 
pìetofa  delle  mondane  fatiche  t  e.  )  Qucda  de- 
fcrizione  della  notte  è  cacata  dal  4.  dell* 
Eneida  di  Virgilio,  dove  fi  leggono  quelli 
X^erfi  :  (  522.  ) 

Nox  erat  ;  &  placidum  carpebant  fejfa 
foporem 

Cori  or  a  per  ferrar  ,  ftlvaque  &  fava  qui  era  nt 

j/^(iuora  :  cf^m  midig  volvuntur  fiderà  Upfu  | 

Cum 


DEL  PORCACCHI.     165 
C'.im  tacet  cmnif  ag«r  :  pecudtt  ,  pi^aqui 

volttcrtf , 
j^iaqut  lacut  lati  liquIJoJ  ,  quaqut  afptra 

iiurnis 
Rura  tenent  y  femno  pofita  fuh  ncHe  ftlentt 
htnibant  curas  ,  (3  corda  oblila  lahcrvm  . 
Car.  135.  1.19.    U Aurora  già  incominciava 
a   remeggi  ere  ntl  cielo  ^  rifvegliandoumver(aU 
mente  i  mir tali  alle  opre  loro  :  )  Defcrive  fe- 
condo il  fiio  coftume  il  tiifcimento  del  gior- 
no ,  non  lenza  forfè  qualche  imitazione  di 
quel  luogodi  Virgilio  nell*  u  v.  182. 

Aurora  inte'ea  miferis  mortalibuf  almafrt 
Bxtulerat  lucim  ,  referent  opera  atqae  Uborer» 
Car.  1^5.  I.  17.  Euridice  ;  ficsome  nel  hìan^ 
€4  piede  punta  dal  velemfo  afpide  ec.  )  Di 
fopraair  Annotazione  5.  dell*  Egl.  11.  ho  ci- 
tato quefto  luogo  ;  per  dichiarazion  del  quale 
ha  òà  faperfi  ,  che  Euridice  edendo  amati 
ardentemente  da  Arifteo  ,  un  giorno  eh'  egli 
fi  mife  a  feguirla  ,  da  lui  fuggendo  quanto 
più  potè  velocemente  ,  fu  punta  in  un  piedi 
un*  afpide  velenofo>  che  nell'erba  erana- 
fcodoi  di  maniera  che  ne  reftò  morta  ..Or- 
feo ,  che  fimilmente  l'amava  congranfer- 
vore  »  confidato  nella  dolcezzt  della  fua  li- 
ra» eh*  egli  con  gran  melodia  finava»  {cq(o 
all'  Inferno  per  riaverla:  dove  placati  gli 
Dei  infernali  »  la  riebbe  »  con  patto  eh'  ei 
non  doveiTe  voltatfi  a  guardarla  .  tinche  noii 
fede  fuora  .  Mi  non  oflervando  il  patto  ,  eli 
fu  ritolta,  e  più  non  potè  riaverla.  Vir- 
gilio nel  4.  delia  Georgica. 

Car.  136.  1.  II.   Non  ffn^a  volontà  delCft" 
lo)  Allude  forfè  a  quel  di  Virgilio»  ^».  !• 

».  777- 

.--«  non  bttc  fii$f  numi  ne  dìvutn , 
Tm9  /,  M  e  do. 


166        ANNOTAZIONI 

e  dove  più  abbado  dice  :  il  beato  Eurota  ^  a 
<-«»ec.  par  eh*  abbia  imitato  quell'altro  luo- 
go dello  (IclTo  Virgilio  nell'  Egl.  6.  v.  82. 
Gfftfiia  qua  ,    Vbcsbo    quCftdam  meditante  ^ 
beatvt  Audi'tt  Eurotaf  . 

11  che  tuttavia  ricordo  a'  belli  ingegni  j  per- 
chè fi  veggia  con  quanta  leggiadria ,  e  va- 
ghezza foglioDo  i  buoni  autori  elTere  imita- 
ti :  equeftì  luoghi  con  infiniti  altri  fopra  il 
SanazzaiOj  oltra  che  io  nio'to  tempo  a  die- 
tro per  mio  fpa  fio  ho  con  diligenza  offerva' 
ti  5  nondimeno  ho  veduto  diligentiflimamen- 
teeflcre  ftati  notati  dal  virtuofiifimo  ,  e  ca- 
riflìmo  amico  mìo  M-  AntonioB^  fra  de' Ne- 
grini ,  in  un  fuo  efemplare  >  tutto  di  fu:i  ma- 
no fe^.nato,  ed  adorno  ;  come  fon  foliti  di 
fare  i  giudiciofi  oiTervatori  delia  lingua  iirai- 
11  a  lui . 

Car.  1^7.1.15.  Lo  innamorato  Alfeo ^  (en* 
Xa  mescolar  fi  con  quello  <^  ec.  )  Fu  Aretula  fi- 
gliuola di  Nereo  e  di  Doride  j  Ninfa  di  Dia- 
na; e  tornando  un  giorno  da  cacciare  ,  fi  ba- 
gnò per  rinfrefcarfi  nell'  acque  del  fiume  Al- 
feo ,  che  corre  per  Arcadia  .  Il  Dio  di  quel 
fiume,  chiamato  pure  ^/T-^t?)  vedutala  nuda  1 
e  bella,  fé  ne  invaghì  torte  ,  e  corfe  per  ab- 
bracciarla :  ma  ella  fchifandolo^  come  ca- 
fta  5  fi  mife  a  fuggire ,  finché  ,  fudando  for- 
te, fi  convertì  in  un  fonte  .  Per  Io  che  Dia- 
na mofla  a  compafiion  di  lei ,  le  aperfe  la 
terra  ,  dove  entrò  l' acqua ,  e  fotto  terra  cor- 
fe fino  in  Sicilia  ,  fenza  punto  mefcclarfi  col 
mare .  Non  reftò  per  qucfio  Alfeo  di  feguir- 
Ja,  ma,  ridottofi  in  fiume»  le  tenne  dietro 
iìnoin  Sicilia . 

Car,  1:^7.1.21.  Le  pene  de'* fulminati  Gi" 
ffinti  ^  (he  vollero  ajfalire  il  cielo  ^  )  I  Giga  li- 
ti fu- 


DEL   PORCAGCHI.    U^ 

ti  furono  figliuoli  della  Terra;  per  la  qual 
cofa  da  Lucano  furono  chiamati  Terrigtni  nel 
verfosió.  del  lib.  ^. 

Aut  }it{rrigtn£  tentarent a/ira  Gigante^  , 
e  perchè  erano  d'immenfa  poffanza  j  ma  di 
molto  maggiore  arroganza  ,  ebbero  animo  di 
voler  rapire  il  cielo  agli  Dei  ;  e  così  fopra- 
ponendoi  monti  Punoair  altro  5  gli  mifero 
in  Canto  fpavento,  eh'  eflì  tutti  fceferodat 
ciclo  in  terra  ,  e  fi  nafcofero  in  diverfe  par- 
ti ,  tnsformati  in  varie  forme  :  e  però  dif- 
fe  Ovvidio: 

Ermffurnqui  ima   dt  fede  Typbcea  terra 
QaHiihut  feciffe  mutum  j  cuni^ìofque  dtdijfe 
Terga  fuga  .  V.  g2i.  del  5.  delle  Trasf* 
Ma  Giove  ritiratoli  fopra  l'alta  rocca  del 
cielo»  gli  fuimmò  tutti»  e  fece  cader  cia- 
fcuno  fotto  quel  monte  eh'  elio  portava  per 
efpugnare  il  cielo;  come  qui  fotto  il  Sanaz- 
zaro  foggiungne  >  e  come  ti  può  vedere  nel 
ib.  12.  di  Silio  Italico,  e  in  Ovvidio,  ed  al- 
trove .  Lc^gi  quanto  io  di  ciò  ho  fcritto,  e 
fecondo  la  favola  >  e  fecondo  1'  allegoria  fo- 
pra il  Canto  1 6.  del  Furiofo  . 

Car.  i;8. 1.  21.  Cbtamata  Pompei  ,  ed  ir» 
rigata  dalle  onde  del  freddiamo  5 amo ,  )  La 
città  di  Pompei  non  era  molto  lontana  dal 
monte  V^efevo,  e  fu  così  nominata,  fecon- 
doSolino,  dalla  pcwp^  con  la  quale  Ercole 
quivi  aveva  di  Spagna  condotto  i  buoi  .  E 
quefta  rovina,  della  quale  qui  tratta  il  Sa- 
nazzaro  ^  fuccelTe  ne'  tempi  di  Nerone ,  co- 
me fi  può  vedere  in  Cornelio  Tacito  nel  lib. 
1 5.  delie  fue  iftorie .  La  menzione  che  fa  poi 
poco  avanti  queftc  parole  il  Sanazzaro  dell* 
incendio,  che  con  tefnpeftofe  fiamme  ,  e  con 
fttttre  (epe' [e  i  firfon/ìantipae/i^  Ò  tutta  ifto- 
M    2  ria  : 


i6S        ANNOTAZIONI 

ria  :  perciocché  fcrive  Suetonio  nella  vita  di 
Tito,  chea*  tempi  di  quello  [mperadore  ac 
caderono  alcune  fciagure  molto  da nnofe  >  fra 
le  quali  fu  l' incendio  del  monte  Vefevo,  o 
di  Somma  in  Campagna  .  La  defcrizione  poi 
di  quedo  incendio  fi  legge  molto  curiofamen- 
teprelTo  Dione  lilorico  ;  e  per  efller  da  lui 
elegantemente  defcritta con  molta  copia  di 
parole  >  merita  d' effer  veduta  da  ogni  cu- 
riofo .  Un'  altro  incendio  ufcì  di  quello  mon- 
te medefimo  a  tempo  di  Papa  Benedetto  IX. 
e  di  Corrado  Imperadore  Panno  1306.  e  i* 
eccellentiflimo  Dottore  M.  Simone  Porzio 
Napolitano  fcrilTe  una  fua  molto  dotta  Epi-» 
llola  latina^*  inctndio  agyi  Puteclani  ,  fuc- 
ceflo  (fé  mal  non  mi  ricordo)  l'anno  1552, 
Si  deve  ancora  vedere  quello  bello  Epigram- 
ina  di  Marziale  fopra  di  ciò  ;  eh'  è  nel  lib,  4. 
Epigr.44. 

Hic  fjì pampìneis  viridh  modo  Vej'vius  urnbfhi 

Prijffrat  bic  ma  di  do  f  nchilh  uva  lacus  , 
Hac  juga  ,  quam  Nyfne  coìhi ,  p/»/  Bacchus 
arnavit  : 

Hoc  nuptr  Satyri  monte  dedtre  choros  . 
fìac  f/emrif  (c'Us  ^  hacedamone  grattar  illi  \ 

Hic  locus  Htrcuìeo  nomine  clarus  erat . 
QunBa  )actm  flammh  ,  ^   trifii  mtrj'a  fa* 
villa  : 

TSLtc-  Supiri  velUnt  hoc  li  cui jf e  ftbi  , 
Ora  perchè  fopra  la  decima  Profa  di  quello 
Autore,  dove  il  facerdoce  Enareto  ,  dando 
pella  forza  deli' arte  magica  ,  infegna  all'in- 
namorato paftore  il  modo  che  terrà  per  gua- 
rirlo )  ho  da  dir  quello  che  per  inavvertenza 
quivi  mi  dimenticai ,  dicoche  ilSanazzaro 
in  quel  luogo  ha  parlato  come  poeta  ,  per  noa 
^ircodarfi  dalla  credenza  de' pallori  )  i  quali 

fono 


DEL  PORC  ACCHI.     269 

fono  creduli  della  magìa  .  Quefìa  >  per  quan- 
to io  trovo  fcrittoj  è  di  due  forte.  La  prima 
è  fcellcmtifììma  ,  e  piena  di  ruperftiziofe  va- 
nità, e  d'incantamenti  5  abborrita  da  tutti 
i  fedeli  Crifliani  :  e  viene  per  rivelazione, 
o  più  follo  per  vifion  fantafìica  ,  e  vana  de* 
demoni ,  che  dj'Greci  é  detta  Tbeurgìa  :  al- 
la quale  tutte  le  leggi  fono  contrarie;  ed 
ognuno  r  ahborrifce  ,  come  quella  che  non 
mortra  Te  non  cofe  .apparenti ,  e  fenza  fonda*^ 
mento,  oftabilirà  alcuna.  L'altra  magia  è 
naturale  ,  riverita  da  ognuno  ,  come  cofa 
più  atta  di  tutte  l'altre  ,  e  di  più  diletto  agli 
fìudiffi  :  equerta  altro  non  è  che  certa  con- 
fumitacognizion  del  le  cofe  naturali ,  ed  una 
perfetta  filofofia  .  Dove  poi  il  Sjn  izzaro  ha 
fatto  dire  a  quel  facrrdote  ,  che  pii^lierà  er^ 
hQftcatif  eon  acuta  falc*  ,  ha  a^  uto  minor  con- 
ilderazionc  di  quclch'ebbr  Virgilio  nel  4. 
dell' Eneida,  il  quale  non  diffc/^/^'r  acuta  ^ 
ma  f^lci  di  brorj7o  ,  in  quei  verfi  :  (  v.  yi  3 .) 
TaL'ibtts  &  fnijf^  ad  lunam  qaaruntur  aenis 
VÙhift'ts  brrhde . 
Il  che ,  oltrachè  è  tratto  dalla  tragedia  Me- 
dea di  Sofocle;  il  qual  fi  che  feghi  Terbe  ve- 
lenofee  malefiche  ,  tenendo  il  vifo  volto  in- 
dietro ,  perché  '1  maligno  odor  non  la  offen- 
defìTe  ,  con  la  falce  di  bronzo  ;  è  anco  tratto 
dalla  difcir^lina  deijli  antichi  facrificj  ,  ne* 
quali  ufavano  le  cofe  di  bronzo:  e  maffima- 
mcnte  in  quelli  ne'quali  o  volevano  male- 
dire, o  mitigare,  o  finalmente  cacciar  mi- 
li .  Leggi  Macrobio  nel  5.  de*  Saturnali  al 
cap.  19. 


M     3  EGLO. 


«70   ANNOT.  DEL  PORCAGCHI. 

EGLOGA  DUODECIMA. 

Tutta  quefta  Egloga  è  divinamente  tra- 
dotta dal  Meli  feo  di  M.Giovanni  Pontano 
dove  elTo  piagne  la  morte  della  fua  moglie. 
Però,  fenzacheio  mi  prenda  cura  d'anno- 
tarvi alcuna  cofa  fopra ,  è  da  veder  quivi .  Ci 
farebbono  da  avvertir  molte  cofe  intorno  al- 
la lingua  >  e  particolarmente  agli  Affi/Ti  :  ma 
ciò  fi  potrà  veder  nella  mia  Aggiunta  alla 
Fabbrica  del  mondo  dell'  Alunno  • 


Fine  delle  annotazioni  di 
Tommafo  Porcacchia 


I 


ANNO. 


^71 

ANNOTAZIONI 
D    I 

FRANCESCO  SANSOVINO 

SOPRA   V  ARCADIA 
DEL    SANAZZARO. 

DafU  quali  e  per  non  rtcar  tedio  a*  lettm  ^ 
i  per  non  gettare  inutilmente  la  fatica  e  la 
carta  ^  fi  fono  hvati  i  luoghi  del  tutto  fi- 
fnili  a  quei  del  Por  cacchi  ,  come  pure  le  au- 
torità degli  Scrittori  foverchio  replicate  ;  r/- 
mettendofi  però  da  per  tutto  i  lettori  alle  pre- 
cedenti Annotazioni  del  fuddetto  Porcacchia 


PROEMIO 


Car.  i.^JT^Regiati  hojft  )  Prende  la  mate- 
lin.  3.  Y^  ria  per  la  forma;  cioè  il  le- 
jL  gno  col  quale  fi  fanno  i  pif- 
feri i  o  i  flauti ,  per  li  flauti  medefimi .  Co- 
sì il  Petrar.Son.  214. 

Se  non  y  come  a  morir  le  hifognajfe  Verro 
cioè  pugnale,  o  coltello,  otali  altre  armi 
Vedi  a  e.  209. 

lì  contrappone  alla  voce  P''^^»'»?»  qued' altra 
umile y  e  tibia  zfiftula  ,  per  la  fi;^urazìone  j  la 
quale  dà  rilievo  ai  concetti  de' poeti ,  nella 
maniera  che  fa  l'ombra  alle  figure  de' pitto- 
ri .  Così  il  Petrarca  nel  Sonetto  219. 

O  noflra  vita  ,  r^'  è  sì  bella  in  vlfla  ; 

Cam*  perde  agevolmente  in  un  mattino 

M    4         Qa^i 


'i.^1        ANNOTAZIONI 

jÓ«^/  ch(t  *«    TnoW*  anni  a    gran  pena    ì* 
acqwfta  / 

Car   2.  1.2?.  Dì  Menalo  e  di  Liceo  .  ) 
Sono  monti  dell'  Arcadia.  Onde  Virgilio 
nel  I.  della  Georgica  v.  i6. 

Ip^e  nemus   Hquens  patrìum  faltufque  Lyca! 

pan  cvhm  cuflof  y  tua  fi  uhi  Mee  naia  cura, 
e  fono  confacrìti  al  Dio  Pane.  Enel  monte 
Liceo  era  un  tempio  dedicato  a  Fauno  ^'V^r- 
n;  y  cioè  con  due  corna»  Ovvidio  riel  2.  de' 
Farti  V.  414. 

TaunuT  in  Arcaica  tempia  Lyceus  hahet . 
c  fi  chiama  Liceo  da'  lupi,  de'  quali  quel 
monte  era  copiofo  ;  perchè  nella  lingua  Gre- 
ci lycos  fignifica/«P^  • 

Car.  2.  1.  26.  Fiftula  di  Qorid$ne ^  )  Nome 
di  paftore  »  figurato  per  la  perfona  di  Virgi- 
lio nella  Bucolica  ;  nel  principio  dell'Egloga 
2.  ove  dice: 

Formsfutnpajìcr  Corydon  ardehat  Ahxim  » 

Car.  2.  1.17.  Dameta  .  )  E'  parimente  pa- 
llore nell*  Egloga  v  di  Virgilio . 

Car.  2.  I.2S.  Tibia  di  Pallade  ^  )  iftru- 
mento  mufico  fatto  di  canna.  Dice  Plinio 
nel  lib.  16.  e.  56.  Tenia  harundoefl  ubi  ali  s  ca- 
lami y  quam  auleticon  dicebant  .  ed  Orazio 
nell'  Arte  Poet.  v.  202. 

Tibia  non  ,  ut  nunc  ,  o^ickaìco  vinSi.t  tuba* 
que  ^muìa  ,  ec. 

Car.  2.  1.  28.  li  male  infuperbito  Satiro  ) 
Marfia  ài  Frigia  ,  ec.  Vedi  le  Trasf.  d' Ov- 
Yìdio  3  ed  a  e.  257* 


PRO- 


DFL   S  ANSO  VINO.     %n 
PROSA     PRIMA. 

Car.  5. 1  9.  Partenio  )  Mjnte  in  Arcadia  » 
così  detto,  perciocché  le  vergini  vi  folcva- 
no  fpeflo  l'acri ficare  alla  Dea  Venere  .  Si 
chiamava  anco  Partenio  un  fiume  della  Pafla- 
gonia  i  ed  è  cosi  detta  un'  erbi  dedicata  a 
Minerva . 

Car.  5.  1.10.  Vaftorah  Arcadia  )  Di  que- 
fta  Arcadia  fi  può  vedere  quanto  ne  ferivo 
nell*  aggiunta  fitta  al  Giovio  nella  vita 
del  Poeta . 

Car.g.  1.30.  1/  Jirhtijfimo  abeti)  Elegge 
dodici,  o  quindici  forte  d'alberi  eccellenti 
fra  tutti  gli  altri  per  apparenza  ,  e  per  ufo  a* 
bifogni  umani  ;  e  dà  a  tutti  loro  l'epiteto  del- 
la propria  qualità,  e  natura  ;  de' quali  non 
occorre  in  qusfto  luogo  di  ragionare  a  quale 
opera  eiìi  fono  buoni  ,  che  ciò  fi  contiene  iti 
Diofcoride,  in  Crefcenzio,  ed  in  altri  ;  fo- 
lamente  diremo  alcuna  ifioria  favolofadi  al" 
cuno  di  loro. 

Car.  3.  1.72.  Rohiifla  quercia  ^  )  Altri  la 
chiamano  annofa  .  Vedi  a  e.  ^lO-  Fu  con- 
facrata  a  Giove  dagli  antichi,  che  ne*  pri- 
mi tempi  fi  mantennero  del  fuo  frutto  ;  con- 
cioflìachèaGiovefta  il  nutrire  gli  uomini  da 
lui  prodotti  al  mondo  ,  e  governargli.  Per 
quefto  coronavano  le  (latue  di  Giove  di 
quercia  :  quafi  che  ciò  f jfle  iegno  di  yita  data 
di  Giove  a*  mortali  •  Di  qui  era  che  i  Roma- 
ni divano  la  corona  di  quercia  a  chi  avcflfe  in 
guerr.»  difefod^  morte  un  cittadino  ;  volen- 
do da- e  a  colui  che  fu  cjgionc  altrui  di  vive- 
re »  1*  infegna  della  vita  .  E  però  i  Celti , 
in  cambio  della  immagine,  eftatuadiGio- 
M    ;  ve^ 


274        ANNOTAZIONI 

Ve ,  mettevano  utia  alcilììma  quercia  j  e  quel  - 
Ja  adoravano  5  come  riferifce  Aieflandro  de- 
gli AJelTandri .  Dicono  i  poeti ,  che  dopo  la 
contefa  fra  Giove,  e  Giunone,  pacato  che 
fu  il  diluvio,  il  primo  albero  che  TpuntaHe 
fuori ,  fu  la  quercia  ;  onde  arrecò  ammortali, 
come  dice  Efi  odo,  doppio  giovamento»  per- 
chè da'  rami  ne  raccolfero  le  ghiande ,  onde 
«fTì  prima  vivevano  ;  e  del  tronco  fé  ne  fe- 
cero tetti  )  e  coperti . 

Car  ^.  1.  54.  Amfnìjjlmo  platano  )  Scrive 
lEliano,  chea  Serfe  piacque  tanto T  ombra 
del  platano,  che,  trovandofiin  Lidia  con 
Sroffb  efercito ,  per  cammino  fi  fermò  tutt' 
«n  giorno ,  con  gran  difconcio  di  tante  gen- 
ti,  pergoder  l'ombra  d'un  platano  .  Si  leg- 
ge che  in  Candiafu  un  platano,  che  ftava 
fempre  verde ,  fatto  il  quale  dicono  che  Gio- 
"ve  giacque  con  Europa  .  Virgilio ,  nel  zÀ 
della  Georg,  v.  70.  lo  chiama  A'"'^*'  •  f 

Et  fiefiUs  platani  malof  gcjfere  valenth  , 
Car.  ^,  1.3(5.  L^  albero  di  chi  Erede  qc.  ) 
Vedi  a  car.  aiz.  Ercole  ne  andava  coro- 
!nato  per  qucfta  cagione  ,  che  ,  andando 
ali'  Inferno  per  trarne  Cerbero ,  fi  avvolfe  al 
capo  alcuni  rami  di  pioppo ,  le  foglie  del  qua- 
le ,  dove  toccarono  la  carne  tutta  fudata  ,  di- 
vennero bianche,  e  di  fopra  fcure,  ed  affu- 
anicate  :  e  cosi  volle  che  foffcro  fempre  ;  e 
quell'  albero  gli  fu  caro  ,  perchè  gli  difefe  il 
capo  dal  fummo  infernale  .  Ma  gli  efpofitori 
delle  favole  dicono  ,  che  Ercole  è  fignifica- 
toper  il  tempo;  «che gli  antichi  lo corona- 
"Vano  di  pioppo  ^  perchè  quello  albero  moftra 
le  due  parti  del  tempo  con  due  colori  :  col 
bianco  fignifica  il  di:  con  l'altro,  cheèfo» 
ico  >  figaifìca  la  notte  •  Dicono  che  è  albero 

in- 


DEL  SANSOVINO.  27? 
infernale,  perchè  fu  creduto,  cha  nafceiTc 
la  prima  volta  fu  le  ripe  d*  Acheronte-  di 
qui  era  che  le  miniftre  di  Bacco  fé  ne  corona- 
vano: perchè  tennero  Bacco  parimente  per 
Dio  dell'  Inferno.  Quando  Fetonte  cadde 
nel  Pò,  come  fcriveOwidio  nel  2.  le  fue 
forelle,  figliuole  di  Olimene,  fi  trasforma- 
rono ne*  predetti  alberi  per  Io  dolore  . 

Car.  4.  1.3  Lo  tcetlfo  pina  )  Virg.  nell* 
Egl.  7.  y.  65.  gli  dà  titolo  di  bellilfimo  : 

Fr/ixinur  in  jihii  puh b erri m,j  ,    pìnu^  fft 
hortir  ,  V.  ac.  214. 

ConftantinoCefare  dice  ,  che  il  pino  fu  già 
una  fanciulla  amata  da  Pan  »  e  da  Borea,  e 
eh'  ella  voleva  meglio  a  Pan  ,  che  a  Borea  : 
onde  Borea  fdegnato ,  fonandola  in  alcuni 
faflì  5  le  tolfe  la  vita  ;  di  che  la  Terra  aven- 
done compaflìone  ,  la  trasformò  in  pino.  Il 
pino  è  notatodagli  antichi  per  la  fraude  , 
perchè  per  l'altezza,  e  verdezza  è  bel  Io  a 
vedere  ,ma  dannofoachi  (\  ri pof^  all'ombra 
fua  ;  perchè  i  frutti  cadendo  o  ammazzano,  o 
danneggiano  leperfonej  cosi  fa  la  fraude. 
V.  acar.  21?, 

Car.  4. 1.  5.  V cmhrofo  faggio ,  )  Cosi  Vir- 
gilio nel  Culice  V.  1 39. 

IJmbrofifique  manent  fagus  ,  ederaqU9  ligantef 
hrachia  . 
Cornelio  Alefìandrofcrive,  che  emendo  af- 
fediato  il  cartello  di  Chio,  quei  di  dentro  fi 
mir.tjnnero  con  le  ghiande  del  f^g^io- 

Car.  4.  l.  6.  Tammarijco  ,  )  Virgulto  > 
chi  tmato  anco  da'  latini  myica  .  Vedi  Plinio 
nel  Iib.  24.  e.  9* 

Car.  4.  1.7.  Palma  ^)  Gli  antichi  figura- 
vano per  la  Vittoria  una  giovinetta  co  .  l'ali  , 
e  le  mettevano  io  mano  un  ramo  di  lauro  > 
M    6  che 


116  ANNOTAZIONI 
cììJ  fta  Tempre  verde  5  ed  un  ramo  di  palma  > 
sì  perchè  la  memoria  del  vincitore  vive  Tem- 
pre verde  ,  come  fa  il  legno  della  palma  ,e 
sì  perchè  la  palma,  perpefochefe  le  ponga 
di  fopra  ,  non  cede ,  ma  Tempre  va  ali*  in  Tu  9 
come  Ta  la  Vittoria. 

Car.  4.  1.10.  Cip^effo  ,  }  Dicono  le  favo- 
le j  che  Ciparifìfo,  figliuolo  di  TeleTo  ,  fu 
grandemente  amato  da  Apollo:  ed  avendo 
trafcuratameflte  ammazzato  un  Tuo  cervo, 
che  gli  era  affai  caro,  non  volendo  effopiù 
vivere  per  dolore  ,  fu  trasTormato  in  queft' 
albero.  H'ilcipreffo  riputato  albero  lugu- 
bre, perchè  gli  antichi  TuTavano  ne' mor- 
tori .Vedi  a  e.  216.  Onde  Ovvidio  nel  3.  de* 
Trilli  Eleg.  1^.  v.  21. 

Funerh  ara  m'tbi  ferali  cìn^a  cuprejfo  . 
e  Petronio  nel  Satirico  v.  75. 

Gaudent  ferali  circum  tamulata  cuprejfu  . 
«dera  albero  conTacrato  a  Plutone  ,  Dio  del- 
l'Inferno,  per  quella  ragione,  che  tagliato 
una  volta  non  rinafce  più,  Ticcome  l'uomo 
jiìorto  una  volta  non  rioafce  più  .  Dice  Var- 
Tonc,  che  mentre  s'ardevano  i  corpi  ^orti> 
fi  circondava  il  Tuoco  di  rami  di  cipreffo ,  ac- 
ciocché il  graveodore  della  carne  abbrucia- 
ta no  1  ofFendeffe  i  circondanti . 

EGLOGA    PRIMA. 

Car.  s.  1.25.  Gi^per  lihfcèi  ecìDekrì' 
ve  la  primavera  dagli  effetti  degli  uccelli ,  e 
della  rJéve,  V.ac.2i6. 

Car.  5.  J.  35.  Pregne  )  Vedi  la  favola  ia 
Ovvialo  nel  6.  delle  TrasTorm  ed  a  e.  217» 

Car,  5.  ].  ^6.  Cecropia  )  Cioè  Filomena 
Atcniefe.  V.  a  car.iiS.  Più  Totto  dice  :  , 


DKL  SANSOVINO.     ^^^ 

Selvaggio  mìo  ,  per  quejie  ofiure  grotto'0 

FUomtna  ,  né  Prpgnf   vi  fi  vedono  . 
Car.  6.  1.  10.  Strigi  ^)\^^  jirigt  iouQ  uc- 
celli notturni ,  e  faftidioil,  perchè  ftridoao. 
Lucano  nel  6.  v.  689. 

S^od  trtpiduf  bubo  ,    quod  ftrìx  mòìurna 
queruntur  , 
C  Sereno  dcir  ediz.  Comini.in.i  a  e  100. 

Prattrea  fi  forte  ppemit  Jìrix  atra  puellof 
Virùfa  immulgtni  exerti s  ubera  labri s  , 
Vedi  a  car.  ii8.  Plinio  nel  11.  lib.  cap. 
39.  dice  :  Fabulojum  enitn  arbitror  de  firigim 
bttt  ,  ubera  eas  infarttium  ìabrit  immulgere\ 
£jife  in  maledifiir  jam  antiquit  firigtm  £0i2m 
venir  ;  fed  qua  jit  aviurn  ,  anfìare  non  arhlm 
tr$r.  Da  queftochiamiamoy?''^^^^  quelle  don- 
ne le  quali  fanno  arte  di  guadare  i  bambini , 
e  che  il  voJgo  dice  che  fi  convcrrono  in  gat- 
te ;  delle  quali  largamente  favella  il  Conte 
Gio:  Francesco  Pico  nel  fuo  libro  intitolato 
Striga,  Stazio  le  fa  nate  nell'Inferno,  di- 
cendo : 

Mofiro  crudtl  ^  che,  nel  baffo  Acheronte 
Fu  conceputo  >   e  tra  le   Furie  nato , 
lE.d  ha  di  donna  petto ,  collo  ,  e  fronte  ^ 
Da  firidevde  ferpe  fepafato  , 
Qual  par ,  (he  dalU  cima  t  aì^i  9  *  montf 
Nel  capo  ^  e   nella  faccia  pa  piegato. 
Va   guefta  pejìe  ,  e  la  notte  fi  pafce 
Ve'*  fanciulli  che  trova  in  culla  ,  e  '«  fafce  , 
Gli  antichi  dilTero  ,  che  dalle  Arpie  nacque- 
ro iejiregbe  ,  e  le  chiamarono  anco  Lamie  ,  le 
quali  Filoftrato  nella  Vita  d*  Apolloniodi- 
ce  ,  che  fono  fpiriti  malvagi  1  libidinoft  j  ed 
avidi  delle  umane  carni  . 

Car.  6.  1.  21,  Jn  Flegra  ;  )  Flegra  è  no- 
me d*  una  città  della  Macedonia >  ed* una 

vai- 


27S        ANNOTAZIONI 
valicali*  intorno  della  città,  fecondo  Pli- 
nio nel  lib-  4-  cap.  io.  dove  i  Giganti  moffe- 
ro  guerra  a  Giove  . 

PROSA    SECONDA. 

Car.  9. 1.  9,  Mohi  rìmedj  ,  )  V.  a  c  219. 

Car.  10.1.22.  Fa  cheto  alquanto  ec  )  A 
imitazione  di  Teocrito  : 

Si  autem  cantaverh , 

Vt  olitn  Lihyco  cum  C bromi  canta jìi   coti" 
tendens  , 

Capram  tibi  daho  gemtlUparam  ad  ter  muh 
gendum  , 

Car.  10. 1.  29.  C^W»v<?  )  Era  coftui  un' ore- 
fice di  molta  eccellenza  ;  il  quale  venuto  a 
Napoli  di  Spagna,  fu  molto  amico  dei  Sa- 
nazzaro  . 

9)  Che  il  CariteofolTe  un'orefice,  a  noi  non 
9,  è  noto  fé  non  per  la  prefente  teilimonian- 
,,  za  del  Sanfovjno  :  Oppiamo  bensì  che  il 
3,  Cariteo  fu  un'  uomomolto  letterato  della 
),  famofa  Accademia  del  Fontano ,  e  ami- 
5,  ciflìmodel  nolìro  Poeta  ,  il  quale  lo  no- 
5,  mina  nella  Elegia  XI.  del  libro  1.  fra  gli 
))  altri  fuoi  dottj  amici,  così: 
„     J^^f'n  &  rite  fuor  Genio  C  bari  tea  f  honoref 
5,      Vrabeat  ^  ^  fefias  concin/ìt  ante  dapes  » 
3,  enei  libro  primo  degli  Epigrammi  feri- 
5)  ve  i'undecimo  De  partu  TSLi[<ea  ^  Cbari. 
3,  tei  conjugif  ,  Di  quefto  Cariteo  fi  trov^ 
„  preiTo  di  noi  un  gìufto  volume  di  Rime  noe 
9,  difpregevoli  Campato  in  Napoli  per  Sigi- 
„  fmondo  Mayr  P  anno   M.D.  IX.  in   4^ 
j»  coli' afliftenza di  Pietro  Summonzio}  per 
i>  la  nobiltà  del  cui  animo  ,  e  per  lo  cui 
j^  grande  amore  verfo  gli  amici  videro  la 


DEL   SANSOVINO.     279 

5)  luce  delle  llampe  Opere  llimatifTime  di 
)>  varj  infigni  letterati  della  fuddecta  Ac- 
3,  cademÌ3>  a  cui  anch' egli  era  aggregarci 
>,  come  quel  le  dello  ftelTo  Fontano,  delSa- 
})  nazzaro  ec- per  la  qual  pietà  vien  merita- 
j>  mente  lodato  dal  Sanazzaro  in  quel  bel- 
),  Jiflìmo Epigramma £>*  Summontti  phtau , 
-»>  eh' è  il  9.  del  libro  2. 
»  Excitat  objlrifias  tumuli r  Summontìus  Vm-r 
„  bras  ; 

j,  Impleat  ut'fanFid  munus  ami  citiate.* 
»  Il  degno  coftume  del  qual  gentiluomo  9 
),  non  per  amicizia  ,  che  non  fi  dà  co'  mor- 
ii ti,  ma  per  ia  venerazione  e  Aima  che  pro- 
>)  fediamo  a'  famcfi  uomini  ,  noi  fratelli 
s)  Vo'^i  ci  abbiamo  propofto  ad  imitare  . 
},  Del  Cariteo  fi  legge  altresì  uà' Epigram- 
„  ma  Latino  fcritto  al  Sanazzaro,  checo- 
5>  mincia  : 

9,  Hot  lihrot  Juvertalis  ,  atque  Perfii  . 
„  e  trovai  ac.  ij7-  dell'Opere  Latine  del 
»,  Sanazzaro  dell' edizion  Cominiana.  Può 
„  effere  nondimeno  che  il  Cariteo  orefice 
„  fofle  un'akro  diverfo  dal  defcritto  finora  , 
5,  o  fé  pur  fu  quello  fteflb,  lavorafle  per  di- 
),  letto,  0  per  altro  fine,  di  quella  profef- 
,,  (ione  5  congiugnendo  con  raro  ,  ma  non 
5,  unico,  efempio  l' efercizio  della  mano  a 
),  quei  della  mente  5  e  dell'intelletto.  ,> 

EGLOGA    SECONDA. 

Car.  13. 1.28.  E  fegm  unhaftìifcox  )  Per- 
chè col  guardo  uccide  j  ficcome  la  donna 
amata,  con  gli  occhi  infiammando  il  cuore  , 
mena  l' amante  a  mifero  ftato  .  E'  il  bafilifco 
fpeciedi  fcrpente ,  che  abita  nelle  folitudi- 

ni 


«o        ANNOTAZIONI 
Il  "deli*  Africa  ,  come  dire  Plinio 'nel  llb.  S. 
cap.  2i.Ha  gli  occhi  rofli ,  ed  è  di  colore 
che  pende  ai  nero.  Scaccia  da  fé  tutti  gli 
altri  lerpcnti  col  fifchio,  onde  Lucaiio  nel* 

9.  V. 724.  I 

SthiUque  eff<indens  cunSlas  terrenità  pefles  , 
Att*e  vfftfna  nocenf  i  late  filfì  fubm'svst  otrtm 
Vulgui  ^  ^  in  VMCua  r fgtjatba fili fcuf  arena  ,- 
Car.  1^.1.54,  Tigre  )   Di  fopra  àì^^thaJ] 
(ilìfco  ,   per  variar  la  elocuzione  ;  compa- 
razione prefa  da  crudeliflìmo  animale  .  II 
Petrarca  nel  Son.  i> 9. 

Qvefìa  umil  fera  >    un  cor  Ai  tigre  ,  0  d"*  orfa  %\ 
Car.  i^.  1.55.    Filidatnia  ^  )  Nome  uiato 
da  Virgilio  per  paftorella  nella  7.  e  io.  Eglo- 
ga .  Favella  anco  il  poeta  diquefta  Fillide 
nelle  fue  Pifcatorie . 

Car. 14.  1.2.  A  Pan  nonfacohi)  CioèSi- 
ringa  Ninfa  feguitata  da  Pan,  e  convertita 
dagli  Dei  in  canna.  Vedi  le  Trasform.  d' 
Ovv'idio.  ed  a  e.  2ii.  2 

Car.  14.  1.  10.  C^lei  (befe  in  Teffaglia  » 
Cioè  Dafne  re::;uitada  Apollo,  econvertitai 
in  lau.o.  Vedi  le  Trasfbrnìaz.  di  Oirvidiol 
nel  iJb.  I.  ed  a  e-  221. 

Car.  14.  1.  17.  Salamandra  ,  )  Di  fopra 
dide  tigre  sWtì  donna,  per  crudele,  e  fred- 
da :  ora  in  queftj  luo^o  chiama  (q  fa/^f»an' 
dra ,  Queft'  animale  fi  dice,  che  vìve  nel 
fuoco,  però  Io  chiama  mofiro '^  così  il  Pe- 
trarca nella  Canz  55. 

Stranio  cibo  ,  e  mtmhil  (aUmandra  \ 
Cjr.   14,  1.  30,  Ecco  la  notte  ;  )  Vedi  a 
C.  122. 


PRO' 


DEL   SANZOVINO.     itt 
PROSA     TERZA. 

Car.  16.  1.  23.  Paìif  veneranda  Dea  )  Fu 
quefta  prcflo  agli  antichi  Dea  de'  paftori  ,  le 
cui  fede  iì  chiamavano  Palilia ,  o Parilia  dal 
partorire,  perche  fi  credeva,  ch'ellaavef- 
fecura  al  partorir  de'  beftiami  •  V.  a  e  222. 

Car.  iS.  l.ig.  Admeto)  Vedi  ac.22j.  e  224. 

Car.  18.  1.  21.  Sagace  Mercurio^  )  Vedi 
a  e.  215. 

Car.  19.  1.7,  EnditnicKe  )  V.  a  c.  225. 

Cir.  19.  I.  8.  Pafif,  )  V.  a  e.  225. 

Car.  18.  1.  IO  Ver gif4dìeare  h  ignude  Dee  ,  ) 
Venne  contefa  tra  Giunone  ,  Pallade  >  e 
Venere  dinanzi  a  Giove  di  una  palla  ,  o  po- 
mo d*  oro,  che  fi  aveva  a  dare  alia  più  bella  ; 
e  no:i  potendo  Giove  rifolverfi  a  far  giudicio 
traqaefteDec,  per  dìverfi  rifpetti  ,  le  rimi- 
v^e  al  giudicio  di  Paris  :  il  quale  fattele  fpo- 
gliareignude,  diede  la  fentenzia  in  favor 
di  Venere .  Ónde  ne  nacque  lo  fdegno  di 
Giunone,  e  di  Pallade  conerà  Trojani .  V» 
a  e.  225. 

EGLOGA     TERZA. 

Car.  11.  1.^^  Che  ^  fé  ben  ti  rammenti^  ) 
Perciocché  Apollo  fu  pallore  ,  e  governò 
gli  armenti  di  Admeto  Re  .  Vedi  fopra  nel- 
la  Profa  j.ac  224. 

Car.  2^.  1.  2c.  Salttn  Fauni  ,  e  Stivarti  \  ) 
Dei  de*  campi,  e  delle  fclve  ,  i  quali  mori- 
vano dopo  un  lungo  tempo  .  Ovvidio  nelle 
Trasform.  lib.  i.  v.  ipi. 

Sunt  mìhi  Semidei   ,  [unt  rujlica    numina 


i8ì        ANNOTAZIONI 

Faunique  ,  Satyrique  ,  ^  monticoia  Silvani  . 
Dicono,  che  nacquero  da  Fauno»  figliuo- 
lo di  Pico,  padre  del  Re  Latino. 

Car.  2j.  1.  37,  Mtntn  per  quefti  monti  ) 
Vedi  a  e.  «6, 

PROSA    QUARTA. 

Car.  15.  1.  6.  Amaranta  )  Tratto  dal  nome 
d*  un'  fiore  chiamato  ^'w<»''/»«;fl  dalla  immor- 
talità ,  perchè  dicono  9  che  non  marcifce 
mai.  Vedi  Plinio,  lib.  21.  cap.  8. 

Car.  16.  1.  56.  tiajadt  ^  oMapee  )  Vedi 
a  e.  127-  e  la  Profa  8.  a  e  60.  dove  il  Sanazza- 
xo  dichiara  quefta  materia  . 

Car.  27.  1.  36.  Logifio ,  ^^  Elpim  )  V.  a  e. 
227.  e  da  Virgilio  tolto  da  Teocrito  nel^. 
Idillio: 

Erat  au'em  hic  quidam  ipforum 

Sarhatus^  ,   hìc  femibarbatur  ;    ad  fontem 
autem 

Qutmdam  ambo  fedente: ,  ec. 
e  perchè  inferifceche  efli  cantavano  bene, 
perchè  erano  d'Arcadia,  vedi  Celio  Rodi- 
gino nel  lib.  9.  alcap.  9-  dove  ragiona  della 
perizia  che  avevano  gli  Arcadi  nella  mufica  • 

Car.  28.  l.io.  Il  mio  domefiicocervo)T\xttSL 
quefta  parte  è  imitata  dalla  ?•  Egloga  di  Vir- 
gilio ,  ma  molto  più  dall'Idillio  i.  di  Teo- 
crito ,  il  qua'  comincia  : 

Jucundum  quid  fafurruf  ,  | 

Car. 30. 1.7.  E  giurot'tec.  )  Cosi  Teocrito? 

Xieque  quid    ad    labrum    mt    attingit  ,  fed 
adb'jc  jacet  intaSittm , 


EGLO- 


DEL  SANSOVINO.     283 
EGLOGA    QUARTA. 

Car.  50. 1.  26.  Ciè/  vuol  te.  )  Quefta  è  Se- 
fìina  doppia»  bellifllma  ,  vaga  >  e  piena  di 
molti  affetti  amorofi  5  e  non  punto  inferio- 
re aqualfivcglia  di  quelle  del  Petrarca. 

Car.  31.  1.  I,  Siccom^un  tempo  Orfeo)  Ve- 
di le  Trasformaz.  d'Ovvidio,  ed  a  e  228. 

Car.  jr.  1.  ly.  Canto  ecn  la  mia  canna  ^  ) 
Ora  fiftula,  ora  fampogna  ,  attribuendo  la 
V  cce  di  cantare  al  fuono  ;  e  ciò  poeticamen- 
te ad  imitazione  di  Teocrito ,  e  di  Virgilio  • 

PROSA    Q^U  I  N  T  A. 

'  Car.  55.  I.  55.  r  Cftdo  lih  che  ora  ec»  ) 
Tolto  da  CalfurnioncU'  Egl.  i.  v.  24. 

—  --  tu  poter  alto 

Corti  ce  Jefcrtptof  citiuf  percurrere  ver  fu  s  , 

Car.  g6.  1.  7.  Erima/tto  )  Fiume  famofo 
dell*  Arcadia?  nominato  da  Virgilio  >  e  da 
diverfi  altri  poeti . 

Car.  37. 1.  8.  Che  pendefjero  per  le  [coverte 
ripe  .  )  V.  a  e  230. 

Car.  ?7  1.  31.  Duo  va  fi  )  V.  a  e.  230. 

Car.  39. 1  12.  Infelice  loglio  )  V.acigo. 

Car.  39.1. 17.  PaJIori  ^  gittate  erbe  )  V.  a 
C.  2?i. 

Car.  40.  1.  13.  5*^  farà  freddo  ^  )  V.  a  Ci 
23». 

EGLOGA    (i,U  I  N  T  A. 

Car.  4t.  1.  ^i.  E  P  ondeggianti  biade)  Co- 
sì il  Poliziano  nelle  Stanze  : 

Veiler  con^r  msntony  vacche  mugghiare  ^ 

E  le 


iÌA        ANN0TA5:T0NI 

E   le  biade   ond:ogìar  ,  come  fa   il  t»are  , 
Car.4i.l.^2.  Piaf^fer  le  fante  Dive)  So- 
no le  Mu(e  chianiite  Div? ,  e  Dee  da' poe- 
ti ;  così  il  B^mbo  nel  I.  Sonetto  : 

Dive  ^  per  cui  i  ap^e   "Elicona  ,  t  ferra  \ 
Vfe  far  alla  mo^te  illujìr.    inginni  . 
C:ir.42.   l.S.   D-.mque  frefche  corone)  Ufo 
de*  Greci  5  il  coronar  lefepoiture  di  fiori; 
è  feguitato  poi  da'  Romani  ,  Vedi   Plinio 
alcap.  5.  del  libro  2t. 

PROSA     SESTA. 

Car.  44. 1.  19'  ìlTrojano  Paris  ,)  Si  chia- 
mò anco  Ali^ffjftJro ,  Coflui  rapì  Elena  .  V. 
a  e  22^.  e  z3i. 

Gar. 45,  1.20.  I  li*pi  prima  mi  videro^  ) 
E*  cofa  vulgati ,  che  l'uomo  prima  veduto 
dal  lupo  perde  la  voce.  Però  Opico  in  que- 
llo luogo,  vedendoli  mancar  la  voce  peri' 
età,  dice  d'egire  il.ito  veduto  dal  lupo  ) 
quafi  burlando,  e  fchetzando  in quefta  vol- 
gare opinione.  V.  a  e.  252, 

EGLOGA    SESTA. 

Car.  46.  1-  54'  -L*  invìdia  ,  figUuol  mio  ,  ) 
V,  a  e  2JZ. 

Gar.47.  \'^S'  JQi^'ft'  è  Protìo,  )  Fu  da- 
gli antichi  tenuto  Dio  marino.  Era  indovi- 
no ,  e  fi  trasformava  in  tutte  le  forme  eh'  cf- 
fo  voleva  .  Dice  Virgilio  nel  4.  della  Geor- 
gica  V.  392 

.-  —  novit  tiam^ue  omnia  vatts  , 

Qua  ftnt  ^  qua  fuerint  ,  qua  tnox  ventura 

l'ah.  ntur  , 

Quippf  ita  'Nsptuno  vifum  eft:  immanta  cujuf 

Ar^ 


DEL  S  ANSOVr  NO.     1^5 

Armenia  ,  ^  turptr  pafdt  (ub  gurgìte  pho* 

Dicono,  che  s*  innamorò  di  Pomona  ;  ed 
i  Litini  Io  chiamano  ^«rtunno  ^  Otiàz  Pro- 
perzio Elcg.  2.  dei  hb  4-  v,  10. 

Vertumnfif  vtrfo  dUof  «h  amrti  Deus  » 

a  cui  (1  conlacravano  le  prime  biade  che  na- 
fcevano  . 

Car.49.  1.5?.  £"  tutti  Cacca  il  chiamano  ,  ) 
Fu  ladro  famofo  in  Campagna  di  Roma  ,  il 
quale  colle  a'cune  vacche  ad  Ercole,  che» 
avendo  vinto  Gerione  in  I(pagna^  sacrari- 
dotto  nel  Lizio  >  ed  alloogiava  col  Re  Evan- 
dro .  Vedi  la  fua  iftoria  nel  primo  libro  di  Ti- 
to Livio  :  e  Virgilio  nelT  8.  dell*  Eneida  j 
dove  ne  favella  a  lungo  .  V.  a  e.  i34« 

PROSA    SETTIMA. 

Ccir.  51.  I.  II.  D/C^IcfMa  )  Vedi  a  e.  235* 

Car.51. 1.  23.  Ctjalpina  Gallia^  )0uclla  re- 
gione che  é  chiamata  Lombardia  dà^Lcngobar^ 
ài  ^  che  la  tennero  iungo  tempo. 

Car.  51. 1.  go.  Avfonico  regno)  Altre  vol- 
te Aufonia  era  parte  d*  Italia  ,  dove  ora  e  Be- 
nevento ,  eTerracina  ;  ora  s*  intende  per 
tutta  Italia  ;  ma  qui  (Ignifica  il  regno  di  Na- 
poli,  affalicogiàdaCarloIU.  Vedi  il  Com- 
pendio del  Collenuzio  delle  cofe  di  Napoli  j 
e  la  S:oria  d*  Angelo  di  Coftanzo  • 

Car.  51.  1.31.  La  antica  Sinvtjfa  )  E'^UC" 
fta  città  in  Campania  ,  fra  terra  »  abbon- 
dante di  vino  ;  oggi  fi  chiama  Sijfa  ,  ed  ha 
tìtolo  di  Ducato  ;  ed  era  del  Cardinale  d* 
Urbino . 

Car.  51.1.  5^.  Linttrnoy  )V.  ac.  236, 
Car*  53.  I.  z,  L»c^nia  )  Provincia  tra  U 


486        ANNOTAZtONt 

Calabria  >  e  la  Puglia  :  oggi  fi  chiama  ì^Prift' 
(Spato  , 

Car.  51.1.10.  Rifnanejfe  it  vedovo  regno! ft 
man  di  femmina  .  )  A  Ladislao  Redi  Na- 
poli fuccefle  la  Reina  Giovanna  ,  Ja  quale  j 
datafi  a  vica  lalciva  j  e  difonefta  5  com.^  han- 
no fcritto  alcuni ,  fu  cagione,  che  il  regno 
patifle  molti  mali  »  e  che  alla  fine  Alfonfo  d' 
Aragona  l*  occupaiTe  ;  e  che  quegli  umori 
perveniiTero  quafi  fino  a*  tempi  noftri  ,  fu- 
fcitati  per  quelle  pretenfioni  da  Carlo  V. 
Imperadore  ,  e  da  Francefco  I.  Re  di 
Francia  . 

Car.  52. 1.  2^.  Alfonfo  di  Aragona  )  Fu  que- 
AoRe  l'anno  1410.  uomo  di  molto  valore  ; 
il  quale  >  avendo  aflaltata  la  Corfica  con  una 
alTaj  giolfa  armata  >  fu  dalla  Reina  Giovan- 
na ,  eh'  era  (lata  privata  del  feudo  di  quel  re- 
gno da  Papa  Martino  V.  in  luogo  della  quale 
egli  ne  aveva  invertito  Luigi  III.  Duca  d' 
Angiò  )  adottato  per  figliuolo  :  onde  venuto 
a  Napoli,  fece  tanto  ne*  tempi  che  fioriro- 
no Braccio  5  e  Sforza,  ch'effo  occupò  tutto 
il  regno,  e  lafciolloa'  fuoi  difccndenti .  fino 
che  vennero  i  moti  di  Carlo  VIIL  Re  di 
Francia  ,  per  li  quali  fi  travagliò  lungamen- 
te r Italia  in  grandi/Tìma  guerra. 

Car.  55»  !♦    18.   Per  non  perdere  )    Luogo 
tolto  dal  Petrarca  nel  Son.  229. 

O  nofira  vita  ,  cb"*  è  f*  bella  in  vi  fi  a  ; 

Com*  perde  agevolmente  in  un  mattino 

Quel  che  *«  moh^  anni  a  gran  pena  r^acquijìa  \ 
5)  La  ftelTa  citazione  è  a  c.  271. 

Car.  57  1.  4.  C^/i7OTtffi>Sincero5  )  Cogno- 
me del  Sanazzaro  ;  e  lacagioneper  la  quale 
così  fichiamaiTe»  ènotiflima  in  quello  luo- 
go^ Onde  ilGiovio  neir  Elogio  >  dove  fa- 
vela 


DEL  SANSOVINO.     287 

'ella  del  Sanazzaro,  facilmente  erra  j  dati- 
Ione  la  cagione  ad  altro . 

Car.  58.  I.  2.  Coti  pef  to  innani't  )  Mo- 
flraqui  che  le  Tue  fatiche  paftorali  furono  da 
ui  fcritte  nella  patrii  ,  ed  accenna  j  che 
Mella  fua  giovanezza  fa'ebbe  famofo  tra  gli 
liltri  poeti  per  lo  poema  de  Pa^tu  Firginir  9 
oer  le  Tgìcghe ,  e  per  altri  Tuoi  dottiffimi  >  ed 
ìCutilTimi  vetfi. 

EGLOGA    SETTIMA. 

Car.  58.  1.  24-  Tal  che  m*  addormn  )  A 
imitazione  di  quei  del  Petrarca  Carz.  j. 

Con  lei  fofs''  io  da  chi  fi  parte  il  fole -^   CC' 

Car.  48.  1^4-  Campi  di  fleccbi)  Così  il 
Petrarca  nel  Sonetto  iqo 

E  duro  campo  di  battaglia  il  letto  , 

PROSA    OTTAVA. 

Car.  60.  1.  22.  iVV  di  lacrime  ec.  V.  a 
c.  259» 

Car.   6^.   1.  19.  Male  augurata  cornice  ;  ) 

Orazio  la  chiama  annofa  „  ncIl*Odei7«  del 

„  lib.  5.  ^ 

jj     —  —  aqua  nifi  fallii  augfif 

,,     Annofa  corni x  ,  ,) 

perciocché  fi  dice  che  vive  molte  età  ;  e 

Virgilio  ,)  nel  i.  della  Georg,    v.  388.  }| 

la  chiama  improba  : 

yy     Tum  e  or  nix  piena  pfuviam  vocat  improba 

„         voce  .  „  V.  a  e.  258. 

Car.  64.  1.  23.  Bianco  cigno  )  Fu  Cigno 
Re  de'  Liguri  >  il  quale  amando  fomma- 
mente  Fetonte,  vedendolo  caduto  dal  car* 
fo  del  Sole   nel  Pò  ,  pianfe  tanto  la  fu» 

mor-» 


in  ANNOTAZIONI 
morte,  che  fi  convertì  nell'  uccello  detto 
cigno  :  il  4uale  fé  ne  ila  per  ji  fiumi  ,cant.in- 
do dolcemente  quando  fi  muore  ;  quantunque 
fia  creduto  più  CjIIo  favola,  che  altramen- 
te.  V.  a  e.  2^9. 

Car.  64.  1.  28.  Perdsce^  )  Dice  Ovvidio , 
che  fu  nipote  di  Dedalo,  e  che  avendo  tro- 
vato il  corapalìb  ^»  e  la  Tega  ,  Dedalo  per 
invidia  lo  gittò  giù  d'  una  torre  :  onde  i  Dai 
nioflì  a  compaffione  lo  trasformarono  nella 
pernice.  Di  qui  é  ,  chequell*  animale  noa 
vola  alto,  ricordandoli  dei  pericolo.  V".  a 

e.  139- 

Gir.  67.   I.  IJ.  lenivano  i  bifolchi  y  ec    ) 
Virgilio  nella  io.  Egl.  v.  19. 

y*rii(   i^  upflio  :  tardi    venete  btthulci  : 
Uvtduf  btbema  vsnit  de  glande  Menahaf  . 
V.  a  e.  140. 
e  Teocrito  1 

yenefuftt  bubulciy  pajìofef,  cabrarti  verter unt, 
Omnes  interrogabant ,  quod pateritur  maltsm  , 
Car.  67.  1.  3^.  l^oi  y  Arcadi  y  )  Di  Virgi- 
lio nella  IO.  Egl.  V.  il, 

.^   .-  cantahith  y  Arcadts  y   tnquH  y 
yiùtiùhui  base  vt(iris  \  foli  earttare  periti 
Arca  des  .  0  mihi  tum  quam  molliter  ejfa  quie- 

[cane  ,  ec. 
Car.  62.  1. 19.  Candido  cigno  )  V.  a  e.  259. 
Car.  69.  1.  16.  R' fonante  Ècco  ?  )  Ovvidio 
nel  3.  delle  Trasformazioni  dice  »  che  fìi 
Ninfa,  ed  eff^^ndo  innamorata  di  Narcifo  , 
bellilfimo  giovane,  ma  crudele  ,  per  lo  do- 
lore divenne  pietra,  né  rimafe  altro  di  lei 
che  la  voce  >  laqual  fi  fente  quando  l'uo- 
mo in  qualche  luogo  concavo  grida  ,  o  favel- 
la •  Vedi  il  decto  ^  libro,  e  la  Dichiara* 
sòjoae  Sommaria  dcHg  H^ì^q  Sanfovino . 


DEL  SANSOVINO.     igc, 
EGLOGA    OTTAVA. 

Car.  73- 1.  2.  TtfpìaM .  )  Terpia  fu  già  una 
terra  nella  Beozia  ,  vicina  al  monte  Pernafo 
però  fi  difTero  le  MufeTWp/W/,  ovvero  le 
Kinfe  abitatrici  di  quei  luoghi . 

Car.  75.  ì.i^.DiftatteC')  Di  fopra  nell* 
Egl.  4'C-  32-difle: 

Li  ignudi  ptjci  andran  per  feschi  campi  ^ 

E    V  mar  fi  a  duro  ,  9  liquefali  ti  i  fajfi  . 
nota  la  variazione . 

Car.  7^.  1.  16.  St  Amorgè ciecoy  )  Quafi  imi- 
tato da  quello  del  Petrarca  nel  Sonetto  102, 

J'  Amor  non  S  ;  ibe  dunque  è  quel  e b"*  i  fcnto  ? 

Car.  73.  1.  19.  Quefia  vita  mortale  .)  V.  g  q, 
242.  ,,  Quintiliano  nella  4-  Declamazione  t 
t,  dell'  edizione  Burmanniana  a  car.  92.  ].  5. 
,„  Si  cunSia  gaudia  noftra  ,  //  voluptates  ,  é? 
„  quacumque  ex  b/ic  univerfitate  mundi  velfo^ 
,,,  licitant  adfpeSiu  ^  velblandiuntur  ufu  ^  di^ 
,j  ligenter  excutiaf  ,  tota  vita  bominis  unur 
^  eji  dies  „  E  Virgii-  nel  io.  dell'  En.  v.  4fi7- 

Stai  fua  cuìque  dÌ9s .  hnve  CT  inreparabi- 
le  tempuf 

Omnibuf  efl  vita. 
Ed  il  Petrarca  nel  Trionfo  del  Tempo: 

Cbe  più  d^  un  giorno  è  la  vita  mortale^ 

Nubi  lo  ,  brtve  ,  freddo  ,  e  pien  di  noia  ; 

Cbe  puh  bella  parer  ,  ma  nulla  vale  ? 

Car.  7^.  I.  23.  /  mal  (psfi  anni ^  )  Accen- 
na quel  del  Petrarca  nel  Son.  251. 

La  vita  fugge ,  e  non  f'  arrejìa  un*  ora  ; 

E  la  morte  vien  dietro  a  gran  giornate* 
?  nel  Trionfo  della  Divinità: 

E  veggio  andar  ^  an^i  volar  il  temp9^ 

<.?  nel  Trionfg  dgj  Jempo  : 

Tm9  X,  Jj  Qbe 


190        ANNOTAZIONI 

Che  vola»  /*  ore ,  /  gicr/t* ,  e  gli  anni  ,  e  ì  fmf% , 

V.   a   e.  242. 

Car.  7;.  1.  27.  H  ^  «""^  ^'«^''^  )  Accenna 
quelle  d' Orazio  nel  2.  dell'  Epift.ep.2.  v.55. 

Singula  de  nohis  anni  pradantur  eunte f  . 

Car.  7^.  1.  27.  O  felici  color)  V.  a.  e.  24?. 

Car.  74. 1.1 1.  Ed  Jfiinnanii  te.)  Vedi  a 
e.  *43» 

Car.  74.  1.15.  E  pria  mutano  il  pel  y  )  Co- 
sì il  Petrarca  nel  Son.  97» 

Fero  è  V  proverbio  ,  <-^'  <»//r/  cangia  il  pelo 

An^i  che  *l  vexio  . 

Car.  74. 1.  19.  Lo  ftame  chele  Va''che)So'm 
no  treforelle,  figliuole  dell' Èrebo  e  della 
Notte.  Fingono ì  Poet i  )  chedi  queftei'una 
fili ,  che  l' altra  tenga  la  rocca  ,  e  che  la  ter- 
za tagli  il  filo  .  Significando  per  quefto,  che 
Ja  noftra  vita  non  è  altro  che  un  fi'o  ,  e  che 
agevolmente  fi  rompe ,  per  la  fua  debolezza  • 
Onde  è  fcritto: 

Clotìo  colttm  bajulat ,   tacbeft  trahit , 
Atropo!  occat . 
5>  QLiefto  verfo,  acui  dà  il  Porcacchi  titolo 
5,  di  bello,  contiene  in  fé  due groflì  errori 
5,  di  Prolodia,  facendofi  breve  la  feconda 
5,  fillaba  della  voce  CUtho ,  che  di  natura 
5,  fua  è  lunga  5  mentre  in  lingua  Greca  feri- 
ni vefi  coll'omega  ,  così)  YjK(ù^(à  \  e  abbre^ 
5,  viandofi  pure  la  prima  fillaba  in  bajuUtm 
5,  che  tuttavìa  è  lunga  .  Di  più,  ci  fono  du^ 
5,  improprietà  di  parlare  ;    non  diccndofi 
3,  trahere  colum  ,  ma  pinttolìo  tr/jhere  fila , 
ny  ovvero  carpere  coluw ,  Occa^e  poi  prefo  in 
»  fignificato  di  tagliare,  o  recidere  >  è  una 
5>  eleganza  moftruofi .  Può  effere  nondiirie- 
5)  no,  che  il  Porcacchi  l'abbia  lodato  pei* 
j)  Ironia.  V.  a  e.  244.5, 

"  "'■  Car. 


DEL  SANSOVlNO.     29^ 

Car.  74.  1.  27.  Pf^f  rnippara  )  V.  a  C.  245'» 

Car.  75.  1.  7.  E  fra  ciprejfi  )  Perciocché 
era  albero  prefTo  agli  antichi  infernale ,  e  che 
s'ufava  n«' funerali  >  iìccome  fi  di  (le  nella 
primi  Profa  al  la  dizione  C/pr^/a  ,  V.  ac^jS. 
e  176. 

Car.  75. 1.  25.  E  ^Ifaero  Genio  ,  )  Diceva- 
no gli  antichi ,  ch'era  i!  Diodella  natura  » 
e  del  piacere  s  come  farebbe  giorno  geniale  , 
cioè  lieto  5  e  dolce.  Onde  Giovenale  nel!» 
Sat.  4.  del  lib.  1.  v.  66. 

—  —  Genialir  agatur 

JJìe  dief, 
E  Virgilio  nel  i.  della  Georg,  v.  joi, 

Invitat  Gen'/ilif  b'ems  . 
E  dicevano  efTr,  indulgere  genio  ^  cioè  dare 
opera  al  diletto;  onde  Perfio  nella  Sat.  5* 
V.  151. 

Indulge  Genio  :   C/trpamur   Julia, 
e  noi  ufianio  dire  :  Vogdofeguire  il  mio  genio  y 
cioè  la  natura  mia  ,  e  fi  mili . 

Car.  76.  1.  .  8.  l^editlMcntondi  Frifo  ;  )  V. 
«C.  245. 

PROSA     NONA. 

Car.  78.  1 .  30    E  /  raggj  .'/ti fole  )  V.3  C.  1 47- 

Car.  79  1.  15.  Circe  j  e  di  MeJ^a  :  )  Vedi 
Dvvidio  nelle  Trasf.  „  Valer.  Fiacco  ncll* 
Argonautica,  ed  a  e   247. 

Car.  80.  I.  16.  Plf^di ,  I^dr  .  ) .,  V'-ii  la 
9)  Dichiaraz.  Somnaria  dello  ft  fl  '  Smfo- 
))  vino  alle  voci  mcdefime.  Cosi  con  poca 
9)  fatica  fi  fctnrio  ^1)  uommi  molto  onore» 
99  replicando  del  continuo  ciò  che  da  loro,  o 
•»  da  altri  è  flato  decco  .  „ 

Car.  80, 1.17,  Oritne ,  )  Vedi  la  Dichiara- 
N    2  zio- 


t92        ANNOTAZIONI 

alone  Tuddetta .  Virgilio  nel  i.  dell' Eneida 
V.  535. 

Cumfuhito  aJfurgettf  fluSlu  nimbcfui  Orio  fi  ec 
La  favola  di  colhii  iì  racconta  diverfamente; 
ma  la  comune  è  )  che  eflendo  Giove  >  Mer- 
curio, e  Nettuno  in  viaggio,  giunfèro  una 
fera  a  cafa  d' un  certo  Ireo  ,  il  quale  avendo 
conofciuti  qucfti  per  Dei ,  facrificò  loro  un 
bue  ;  onde  aftretto  a  chieder  grazia  j  e  di- 
cendo che  vorrebbe  un  figliuolo,  ancoraché 
ia  moglie  fofle  morta  ,  e  che  leavefle  pro- 
tpeflodi  non  maritarfi  più  j  gli  Dii  tolta  la 
pelle  del  facrificato  bue  ,  vi  pifciarono  den- 
tro ,  e  comandarono  a  Ireo ,  che  la  fotterraC- 
fe ,  e  dopo  nove  mefi  fcopriflTe  la  pelle  .  il  che 
fatto ,  Ireo  trovò  che  era  nato  quefto  Orione , 
così  detto  dall' <"•'«'»  •  Coftui  datofi  alle  cac- 
cie,  ed accoftatofi  a  Diana»  divenuto  info- 
lente  ,  edifprezzando  i  celefti  Dii,  la  ter- 
ra partorì  uno  fcorpione  ,  il  quale  ammazzò 
Orione  ;  onde  Diana  mofla  a  dolore  della  fua 
morte ,  lo  mife  in  cielo  vicino  al  Tauro . 
Car.  85.  Lai.  MUl*  ptcort)  V.  a  e.  248. 

EGLOGA    NONA. 

Car.  86.  L  1^.  Dimmi  .  capraf  novello  y  ) 
Imitata  dalla  ?.  di  Virgilio ,  il  qual  Virgilio 
tolfe  la  fua  dalla  4.  di  Teocrito . 

Die  mihi  ,  DamcBta  ,  cajum  pecus  ?  an 
Melibcei  ?  ec. 

Car.  90. 1.  I.  Dimmi  y  qual  fera  )  V-a  C.248, 

Car.  90. 1.  4.  Dimmi  ,  quaf  è  P  uccello  )  V, 
a.p249. 


PRO- 


DEL   SAN  SOVINO.     19? 
PROSA     DECIMA. 

Gar.  91.1.13.  Le  fehe ,  )  Non  mi  emen- 
derò in  modrare  i  luoghi  di  Virgilio  tolci 
dal Sanazzaro  »  e  porti  in  quefta  Pro  fa  ,  per- 
chè» oltreché  è  cofa  lunga  ,  non  toma  anco 
a  molto  profitto.  Toccherò  adunque  alcuna 
favola  j  perchè  i  lettori  poflano  intendere 
il  tutto. 

Gar.  94. 1,  ji.  Vaflon  5iract*{ano\  )  V.  a 
c.  250. 

Car.  95.  1.  IO.  Al  "Manteano  Titiro  ,  )  In- 
tende qui  Virgilio  ,  il  quale  imitò  Teocrito 
in  quelle  paftorali.  Vedi  a  e  251. 

Car.  96.  J.  4.  Rufticbi  coltivatori  )  Dice 
chedopo  la  Bucolica,  Virgilio infegnò nella 
Georgica  la  ncateria  della  agricoltura  .  V.  a 
e.  251. 

Car.  9^.  1»  6.  Co,t  piif fonerà)  Perchè dop>o 
la  Georgica,  cantò  con  ifttle  eroico  le  cote 
di  P^nea  in  12.  libri  .  V.  ivi* 

Car.  98. 1.2^.  Lari ,  )  Sono  Dei  familia- 
ri,  edomeftici,  dagli  antichi  àQtùLarer  . 

Car.  9^5.  1.  29.  Ecate  ^  )  La  Luna  .  V,  la 
Dichiaraz.  Scmm.  ed  a  e  252 . 

Car.  104.  1.16.  Adone  ,  Jacìnto  ,  )  Adone 
bellilfimo  giovane,  fommamente  amato  da 
Venere,  e  morto  da  un  porco  falvatico,  fu 
da  lei  convertito  in  un  fiore  chiamato  Ado^ 
ne,  Jacinto  fu  fommamente  amato  da  ApoU 
line,  e  da  lui  mutato  nel  fiore  chiamatoy^- 
einto  j  poiché  fu  morto  nel  lanciar  d' un  di- 
fco  1  che  era  giuoco  di  quei  tempi ,  come  og- 
gi forfè  il  lanciar  del  palo.  Ovvidionel  15. 
delle  Trasforro.  dice  di  Jacinto ,  e  d'  Ajace  % 
N     i  che 


/294        ANNOTAZIONI 

che  s' amm.zzò  per  V  arme  date  ad  UlifTe ,  e 
non  a  lui  ,  in  queda  maniera  : 

Cerni'  ha  cnì  parlato^  al^a  la  mano  ^ 
E  poi  la  tfa  a  fé  con  ogni  fof\a  y 
E  quel  petto  ferisce  ^ 
E  più  giù  : 

Quel  fior  leggiadro  in  cui  cangiojjt  il  figlia 
Gi^  d^  Affidante  ^  di  quel  [angue  nfcto^ 
'E  y  dal  coìof  in  fuor  ,  fimìh  al  giglio 
Le  vaghe  fcglie  in  un  momento  aprh  . 
Fcrmanji  ancor  nel  bel  color  vermiglio 
JLe  note  che  v*  imp'ejfe  il  biondo  Dio  : 
E  moflrh  il  novo  fior  dtfcritto  (  come 
i'  altro  )  il  duo)  di  Jacinto  ,    e  il  cofìut 

nome,  V.  a  e.  254.  e  265. 
dar.  104. 1.  17-  Croco  ,  )  V.  a  e  264. 
Car.  104.  I.  18.  Narcifc)  Fr^*?  s'innamo- 
rò dì  Narcifo,  onde  efTendo  efìTo  fchivo  di 
Jei,  per  Tua  pena»  vedendofi  in  una  fonta- 
na, fi  innamorò  di  fé  medefimoj  e  con  tan- 
to ardore ,  che  alla  fine  non  potendo  più  fop- 
portare  >  fi  convertì  nel  fiore  che  fi  chiama 
Narcifo,  V.  a  c-  264.  ed  a  e  288. 

EGLOGA    DECIMA. 

Car. 106.  1.  IO.  Cerca  P  alta  Cittade  )V. 
a  e.  255. 

Car.  106. 1.17.  Alfepbeoy  )  Nome  di  pafiore 
famofo  5  ricordato  da  Virgilio  nella  5.  Eglo- 
ga .  5,  ed  anche  nella  8.  V 

Car.ic6.1.2  5.  Caraccioly)  Vedi  la  Dichiar. 
Somm.  ed  a  e.  255. 

Car.107.  1.27.  Remo  y  Fratello  di  Romo- 
lo ,  il  qual  vide  folamente  fisi  avoltoj)  e  Ro- 
molo dodici  ;  per  Io  che  toccò  a  Romolo  l' 
cdificazion*  di  Roma,  le  cui  mura  avendo 

Re- 


DEL   SAKSOVINO.     29T 

cerno  pafl'ate  per  ilcherno ,  fu  morto  da  Ro- 
molo .  V.  a  e.  155» 

Car.107.  I.  36-  Arturo  )  E' (Iella  di  Boote 
dopo  la  codadeir  Orfa  maggiore  ;  e  quando 
quefta  fteila  nal'ce  ^  e  fi  pofa  ,  partorifce 
le  tempere.  Virgilio  nel  i.  della  Georgi- 
ca  V.  67. 

At  fi  non  fuerit  telluT  fecunda  5  [ub  ipfum 

AfSlurum  tenui  fat  erit  fufptniitre  fulco  ^ 

Car. ì ci A.20' EU mfftroSi/eno)Y.  a  e.  255. 

Car.108.  1.  15.  Vertunno  non  s^  aJopra  qc.  ) 
Fu  tenuto  Dio  da'  Romani  ,  e  prepofto  a' 
frutti  degli  alberi ,  ed  a  ciò  che  nafce  nell* 
autunno  .  Il  qua!  prende  nuove  forme  .  Ve- 
di quanto  s' è  detto  di  coftui  in  Berofo  9  »>  au- 
tore fuppofto  da  Annio  da  Viterbo.  „ 

Car.  1C9.  I.ii.  Marfiafenia  ptllr)V,  ac« 
156-  e  272. 

Car.109.  1.  52.  La  donna  y  V.  ac.257. 

Car,  110.  It  7.  Già  mi  rimembra  j  )  V.  3 
C.   238. 

PROSA    UNDECIMA. 

Car.  110.  I.  I.  Padoano  Mantegna y  )  An- 
drea Mantegna  fu  pittore  a'  tempi  de'  noftri 
padri,  e  di  gran  credito  in  Italia  >  e  molto 
diligente  nella  pittura  •  A  Mantova  fono 
molte  opere  di  Tua  mino  .  Vedi  la  Dichiar, 
Somm.  alla  voce  Mantegna  . 


EGLOGA   UNDECIMA. 

Car.  127.  1'  ij.  La  dotta  Egeria  y  )  Fu  co- 
rtei Ninfa,  con  la  qual  Numa  Pompilio  Re 
de'  Romani  fingeva  di  aver  commercio;  9 
N    4  die* 


tgS        A  r;  N  O  T  A  Z  I  O  N  I 

diede  le  leggi  al  popolo  5  quafiche  egli  h 
avefTe  da  lei .  V.  a  e»  261. 
„  E'  curiofo  r  oiTervare  che  tanto  il  Porcac- 
3,  chijquanto  il  Sanfovino  in  quefto  luogo  ci- 
j,  tanoil  verfo  del  2.Cap.deI  Tr.d'Aniore 
^>  del  Petrarca)  intero,  ma  con  due  erro 
5,  ri  9  cosi  : 

3,  VeJi  il  pianto  d*  Egeria  in  vect  dì*  offa  . 
5,  fenza  alcuna  diftinzione  ;  quafi  che  le  pa- 
5,  roX^invece  4^ offa  appartenefTero  ad  Ege- 
3,  ria,  e  non  a  quel  che  fegue.*  dovendofi 
;}>  legger  cosi  : 

'ì%  Vidimi  pianto  d^  Egeria  ^  f^n  vece  d^  cffi 
3,  Scilla  indurar  fi  in  petra  afpra  ed  alpefira  , 
5y  Qhe  del  mar  Sidliam  infamia  f offe , 
3,  Da  ciò  fi  raccoglie  l'utilità  di  ben  punta- 
9>  rei  libri,  circoftanza  di  cui  va  adorno  il 
3,  tedo  del  Petrarca  Cominiano  ,  poco  fa 
9,  pubblicato .  5, 

Car.  1I7.  1.  13.  E  la  Tebana  Manto  )  V. 
a  e.  262. 

Car.  127.1,15.  Vtangi  5  Jaclnto  ,  )  V.  a 
c.  154*  e  263. 

Car.  127.  I.  29.  Ricordate  a  Karciffo  )  V.  a 
c»  264.  edac.  29^. 

P  R  O  S  A  D  U  O  D  E  C I  ìM  A . 

Car.  1 J5. 1.17.  'Euridice^  V.  a  e.  265. 

Car.  136.  I.i2.  Nonfertia  volontà  del CÌ9' 
h)  V. ac.  265.  6  2  66. 

Car.  137.  1.  ly-.  Aìfeo  ,  )  V.  a  e.  266. 

Car.  141.  1.  50.  ^//(?  tagurio  )  Linterno,. 
d'ove  il  gran  b^fclco  Africana  ^  cioè  Scipio- 
ne )  u  ritirò  ,  abbandonando  Roma  j  come 
ingrata  al  fuo  valore  ,  col  quale  era  flato  rn. 

Hre 


DEL   SA  NSOVINO.     sor. 
UrtJi  tanti  armenti  y  c'ioz  ài  tanti  efercici  • 
Vediacar.  236.6  z^-j. 

Car.  141.  1.  ult.  Barcinio  ,  e  Sutnmonyo ,  ) 
Pietro Summonzio  ,  e  Barcinio  furono  gen- 
tiluomini Napolitani ,  di  molte  lettere  ,  e 
fpecialmente  il  Summonzio  5  ed  araiciffimi 
de! Sanazzaro . 

>,  Non  fi  accorda  molto  il  Sanfovino  in  que- 
5,  Ito  luogo  intorno  alla  perfona  dei  Sura- 
9>  monziocoU'  Anonimo  che  fa  le  note  alla 
a,  Vita  del  Sanazzaro  fcritta  dal  Crifpo,  e 
5,  riftanipata  in  Napoli  l'anno  1720.  il  quale 
j5  lo  chiama  ivi  a  e.  xxii.  eruditijjìmo ftam'jam 
B5  tort  ,  cP  tra  delP  Accadtmia  ,  ed  il  Mam 
e,  nu\iodi  Napgli  ^  Vedi  a  e.  278.  6*79. 


Fine  delle  AnnotaTiìom  dì 
Francefco  Sanfovino. 


N   j  ANNO. 


ANNOTAZIONI 

D    I 

GIOVAMBATISTA 

MASSARENGO 

SOPRA    L*  ARCADIA 
DEL    SANAZZARO. 

A'    LETTORI. 

L*  ARC  ADI  A  dì  M.  Jacopo  Saftn- 
laro  (  non  [oh  Arcadia  ,  perchè  le  fu 
co  fi  dato  nome  dalì*  Autore  ,  tna  Ar» 
stadia  ,  perchè  fomiglia  proprio  un"*  Arcadia  d^ 
infinito  piacere  a  chi  confiderà  per  menti  /* 
altera  de"*  concetti  ^  per  valli  le  profonde  fé n^ 
-1en\e  ,  per  pianure  le  belle  defcri^ioni ,  per  al- 
beri i  dilettevoli  periodi  ,  per  foglie  le  fcelte 
•parole  ,  per  frutti  le  curiifijftme  favole  ,  per 
fiori  i  vaghi  ornamenti  ,  ed  arteficj  poetici  , 
fer  fonti  gli  occulti  fecreti  di  filosofia  ,  e  per 
diverfith  d*  animali  le  varie  anioni ,  e  ricrea^ 
elioni  de"*  pajìori  )  benché  d^  improvvìforoxia 
fi  dìmoflri  ,  a  guifa  nondimeno  dell'*  antico  Si- 
leno ,  rinchiude  cofe  di  tutta  perfezione  ^  ed 
so  per  me  ,  ftudiofi  Lettori  ,  non  si  tofto  j  per 
foddis fazione  dì  chi  me  ne  pregava  molto  ^  in" 
cominciai  ad  ojfervar  quefio  divino  Autore  , 
«ff  etnimo  dì  toccar  leigier mente  qualche  nota^ 

bil 


ttl  l.icgo  ;  a  gutfa  Ji  quei  peregrini  che  arrim 
vati  in  nuovo  paefe  ,  notano  le  (o(e  pitif  fegna- 
late  \  che  y  fcoperta  gran  moltitudine  di  cofe  ^ 
una  pia  delP  altra  degna  di  conjidera'iiont ,  r^- 
fiai  per  maraviglia  in  tutto  confufo  \   non  fa» 
pendo  con  che  ragione  pia  quejlo  the  quello  pajfo 
ijfgfvare  y  (on  detrimento  degli  altri  mi: le  ^  fé 
]a  fiuto  gli  avijfi  ,   Laonde  ,   vome  avvìi  ne  a 
colui  il  quah  entrato  in  un*  ampio  giardino  di 
cento  varietà  di  fiori  ^  per  ornar (i  de^  pia  bel- 
li^ poiché  un  tempo  è  flato  dubbiofo  quali  [ce" 
gliere   ,     veggendoli  tutti  d^  egual  vaghe^ia  , 
indifllntamente  qua  e  fatanti  ne  piglia^  quan- 
ti ne  può  capire ,  con  animo  di  ritornare  agli 
altri   •  così  accaduto  è  a  rn4  y  che  non  pofen» 
do  ora  ,  per  la  iflart^a  digli  fiampatori  ,  ab^ 
tracciar  tutte  le  cofe  notate  ,  fon  coftretto  fa- 
re  un  picciol  fafcio  di  quefìe  poche  ,  afoettan- 
do  altra  pili  opportuna  ocCafiom  Ji  toccar  le  aU 
tre  pia  diftefamente  ;  fé  pur  conofcerl  cheque- 
fte  non  vi  fianoa  fedivo '^  come  ben  nella   beni' 
gnità  voftra  mi  confido ,  Vivete  felici , 


N    «         PRO- 


geo        ANNOTAZIONI 

PROEMIO. 

Car.  1,  ^^Ogliofio  ec,  )BeIIiffimo  artificio 
Jin.  9,    ^\  fi  fcorge  qui  nel  1*  Autore  ,  per 


acquiftar  tacitamente  grazia 
all'  Opera  s  ed  a  le  flefTo  la  benevolenza  de' 
Lettori  :  mentre  con  varj  efempj  va  mo- 
ilrando)  gradirfi  bene  fpeÓTo  viapiùlecofe 
dalla  femplice  natura  prodotte  »  che  dalla  in- 
duftriofa  arte  fabbricate  .  E  però  fu  tolto  di 
pefo  quefto  principio  da  Pietro  Ronfardo  ec- 
cellente poeta  Francefe  ,  nel  Proemio  della 
i\x2iRecùnue  ^  e  da  lui  divinamente  in  quella 
lingua  fpiegato  . 

Car.  1.  1.  IO.  Xp^t'V) Perchè  fono  incol- 
ti ,  cioè  non  efpurgati  di  rami ,  come  negli 
adorni  giardini  dice  di  fotto  ritrovarfi . 

Car.  I.  L  15.  Aggradare  ;  )  Se  le  cole  na- 
turali più  dilettino  ,  che  le  artificiali  ;  e  fé 
l'arte  refti  vinta  dalla  natura»  fu  antichiffi- 
TTia  queftione  »  ed  in  tutte  le  pili  fiorite  Ac- 
cademie lungamente  difputata  ;  né  pur  an- 
cora decìfa  .  Io  per  me  fento  con  la  più  co- 
mune opinione ,  che  refti  l' arte  molto  fupe- 
TÌore  alla  natura  ;  e  per  non  far  ora  catalogo 
di  tutte  le  ragioni  che  fi  poilono  addurre  1 
parmi  quefta  fola  baftare  :  perchè  l'arte  ab- 
braccia non  fol  quello  che  dalla  natura  viene 
operato»  imitando  lei  totalmente,  ma^fer- 
vendofi  delle  proprie  cofe  di  lei ,  fa  opere  al  - 
le  quali  non  può  giugnere  la  fagacilTìma  natu- 
ra :  come  appunto  con  molti  efempj  mi  da- 
rebbe il  cuore  di  provare .  E  fé  bene  l' Auto- 
re qui  pruova  il  contrario  ,  cioè  »  che  dilet- 
tino le  naturali  più  ,  che  leartificiofe  ,'  l'ha 
fatto  5   perchè  tornava  comodo  all'  Opera 

fua> 


DEL  MASSARENGO.  301 
fu.i  1  chep-u  del  naturale»  che  dell*  artifi- 
cirTo  dimoftra  (  quantunque  maravigliolb  ar- 
tificio fotte  fempJicevefte  naturale  conten- 
ga )  né  più  bella  introduzione  poteva  ritro- 
vare ,  e  che  di  tutto  punto  quadraiTe  come 
quefta  ,  che  forfè  il  contrario  anch'  egli  fen- 
tiva  neiranimo;  così  fece  il  Taegio  nelle 
fuc  Lettere  di  varj  foggetti  j  doveconfimi* 
le  argomento  prova  nella  prima  lettera  )  la 
Villa  efTer  più  dilettevole  della  Cictà,  per 
efortar  l'amico  ai  piaceri  della  Villa  :  altro- 
ve poi  tutto  1'  oppofito  ,  altrui  fcrivendo  ^ 
dimoftra.  Servendofi  forfè  di  quella  famofa 
fentenza»  che  S/ipientit  eft  fiutare  conflium 
in  Meìius  ,  (if  tempori  infervire  , 

Gar.  1.  I.  20.  G/i  ammaejirati  .  )  Quali 
uccelli  fi  poffano  ammaedrare  5  riferifce  Pli- 
nio nel  lib.  IO.  cap.  41.  e  45-  e  fono  il  pappa- 
gallo» il  corvo,  la  pica  j  il  tordo,  ilraeru- 
lo,  il  lucarino  il  cardellino  ,  il  verdone» 
il  paHerofoIitarioì  ed  altri,  che  nel  citato 
luogo  legger  fi  ponno  . 

Car.  1.  \,zi*Silveftre  canieni)  Avverta-^ 
noi  Lettori  che  Cannone  Ci  piglia  in  due  ma- 
niere: in  fpecie ,  ed  in  genere.  Il  genere 
abbraccia  tutte  le  forte  di  Cantilene  Liri- 
che ,  come  Sonetti»  Sedine,  Ballate,  Ma- 
drigali, ed  altre;  onde  evenuto  il  titolo  di 
Canzoniere  a  quei  libri  che  tutte  quefte  forte 
di  Poefie  Liriche  contengono.  In  fpecie  fi- 
gnifica  quel  componimento  Melico  che  Can^^ 
?««#da  tutti  fi  chiama  ;  il  quale  fatto  di  più 
franze  fotto  una  medefima  teftura ,  ha  poi 
nel  fine  una  picciola  ftanza  detta  Riprefa  ,  o 
più  torto  Cimmiato  .  Ma  qui  V  Autore  a  mio 
giudicio  nò  l'una,  né  1' altra  fignificazione 
intende i  ediftijnoio,  efler  p^fta  queàa  vo- 
ce 


?or  ANNOTAZIONI 
cedi  Ca;tionia\V  oppofitodi  quello  che  di 
focto  foggiugne  /»  ^ohi  verfi  :  perchè  ve^fo 
propriamente  lignifica  quel  numero  di  parole 
con  arte  ì  e  lonorità  tciTuto  ;  così  Cagione  s* 
intenderanno  quei  verfucci  rudici  j  con  po- 
co artificio  da  rozza  vena  ufeiti  ;  e  però  mol- 
to giudiciof«mente  diede  a  quella  l'  Autore 
epiteto  àìfilvvjife  ,  ed  a  quelli  di  colti  , 

Car.  I.  1.  z2.  Vergate  nelle  ruvide  cortec* 
eie  de*  faggj  )  Con  ragione  ha  detto  ruvi» 
àe  ,  per  far  intendere  >  che  anticamente 
fcrivevano  fopra  due  fcorze  d'  alberi ,  cioè 
fopra  la  corteccia  di  fuori ,  la  quale  è  ruvi- 
da 5  e  di  quella  intende  qui  ilSanazzaro,  e 
fopra  una  feconda  fcorza  ,  che  immediata- 
mente (la  fotto  a  quefta»  la  quale  è  fotciliflì- 
ma .  Onde  è  poi  venuto ,  che  i  Libri  fi  chia- 
mano Codtces  ^  perchè  di  quefta  cartilagine 
il  facevano;  ed  uno  pur  ancora  Te  ne  ferba 
nella  Libreria  Fiorentina  .  Non  refterò  pe- 
rò di  dire,  che  nella  prima  fcorza  fi  feri- 
veva  in  due  maniere»  o col  taglio»  o  con  lo 
ftile  :  col  taglio,  nella  parte  efteriore  ;  e 
quefto  chiamavano  ignare  ,  o  intagliare  nelle 
frogie  ;  come  in  molti  luoghi  si  di  quello  ,  co- 
me d' altri  poeti  fi  può  ©(Tervare  :  con  lo  ftile 
poi,  nella  parte interioi e  ,  verfoil  tronco; 
equeilofidiceva/f''/i'^r^  :  della  qual  ultima 
maniera  intende  qui  l'Autore.  Ma  e  nell* 
una ,  e  nell'altra  fcorza  volendo  fcrivere  con 
lodile,  era  neceflario  che  frefca,  e  verde 
folTe.  Ó."3ttro  fcorze  ritrovo  dagli  antichi 
ufateperifcrivere;  dell'abete,  della  pece, 
della  figlia  ,  e  del  faggio  ;  la  qual  fcrive 
Plinio  nel  lib.  16.  cap.  9.  incerti  facrificj  ef- 
fereftatareligiofa . 

Car.  1,1.  ult.  Nflltraft  carte)  Intendi  le 

pel* 


DEL  MASSARENGO.  30? 
pelli  di  Capretto,  le  quali  dopo  le  fcorze  de* 
gli  alberi ,  e  dopo  le  tavole  incerate  5  furo- 
no ritrovate  per  ifcri  vere,  ma  prima  fi  pur- 
gavano, iì  radevano  j  e  con  la  pomice  fi  pu- 
livano . 

Car.  1.  I.  I.  Le  incerate  canne  )  Fu  qtie- 
fta  la  fampogna  ritrovata  dal  Dio  Pan  ,  di  cui 
parla  Virgil.  nelP  Egl.  2.  v.  52. 

Pan  prirmif  calamo:  ce  fa  conjungere  plurit 
Infiituit , 
E  nella  Egloga  3.  v.  25. 

—  —  aut  umqt4am  tibi  fijìula  cera  , 

Jun^a  futi  ? 
E  qui  pur  è  da  notare  >  come  fia  eccellente 
il  Sanazzaro  in  quefti  contrapporli  j  dando  a' 
paftori  la  canna ,  la  quale  dalla  natura  è  fat- 
ta cava  di  dentro,  quafiapofta  per  ricevere 
il  fiato;  a  cui  fimilitudine  poi  Parte  ha  for- 
mato i  flauti ,  gli  organi ,  i  pifferi ,  ed  altri  : 
ed  ai  mufici  afl'egnando  i  flauti  di  boffo ,  fat- 
ti con  grand*  arte;  concioffiachè  la  natura 
fa  il  boffo  ,  non  vacuo,  come  la  canna  ,  ma 
tuttofodo,  a  guifadicorno  ,  e  pur  l'arte  a 
forma  di  canna  lo  riduce  .  Ma  certo  fé  le  can- 
ne d' Arcadia  fofTero  ftate  fimili  alle  India- 
ne ,  non  avrebbe  quel  Dio  ritrovata  la  fam- 
pogna .  Sono  in  India  le  canne  di  tanta  grol- 
fezza,  cheun'uomonon  lepuòflringere  ;  e 
di  tanta  altezza  ,  che  da  un  nodo  ali*  altro  fi 
fa  un  naviglio  capace  di  tre  uomini  comoda- 
mente; né  altri  navigli  s' ufayano  già  inquei 
paefi  .  Peròfcrive  Diodoro  Siculo  nel  5.  del- 
la fua  iftoria  ,  la  maggior  potenza  di  Staura- 
bate,  Re  delle  Indie  ,  eflere  ftata  in  navigli 
di  canne;  poiché  con  quattro  mila  di  quefti 
egli  vinfe  la  Regina  Semiramis .  Nafcono  le 
più  grolTc  intorno  al  fiume  Accfmoi  ma  tut- 
ti i 


^504         ANNOTAZIONI 
ti  i  fiumi ,  e  luoghi  paluQri  ie  producono 
grofTidìme . 

Car.  2.  1.  ^.  Che  li  ter  fi  e  pregiati  beffi,  de^ 
Tnufici  )  La  materia  per  la  forma  poda  ,  è 
molto  famigliare  a'  poeti  j  per  la  vaghezza 
che  apporta  allo  (li  le:  come  benidìmo  con 
cfcmpj  dimo/lrano  il  Porcacchi  >  e  il  Sanfo- 
vino  :  né  io  tacerò  un  folo  efempio  del  Ri- 
nieri  nel  fuo  Sonetto  20.  che  comincia  : 
Orfo  ,  del  tnio  cammin  fid/>ta  [corta  y 
E  del  mio  cavo  pin  porto  ficuro  . 
dove  pofe  quel  dotto  uomo  il  {>r«o  in  doppia 
Allegoria  >  cioè  per  la  lira  ,  intendendo  egli 
de*  fuoi  verfi  ;  e  la  lira  per  navg  ;  così  figni- 
ficòil  pino,  nave,  e  lira.  ^ 

Car.  2.  ],  IO.  Certo  9  che  io  creda  ^  niuno^  ^ 
Anzi ,  fé  non  tutti  ^  la  maggior  parte  dubi4 
tano;  che  fé  ciò  non  fofTe  ,  non  s'ingegne4 
rebbono  di  ornar  con  l' arte  le  naturali  fonta-| 
ne  5  per  aver  diletto  maggiore.  Ben  è  vero" 
(  per  allegare  una  ragione  contra  me  fteffo  ) 
che  quanto  più  T  arte  fi  avvicina  alla  natu- 
ra j  di  moxlo  che  inganni  quafi  la  propria  na- 
tura 5  tanto  è  piik  lodevole,  onde  fi  mettono 
alle  fontane  artificiofe  le  conchiglie»  le  oftri- 
che ,  le  lumache,  l'alga»  il  capilvcnere, 
ed  altre  erbe  acquatiche,  per  coprir  l'arte 
confembianzadi  naturalezza.  Di  qui  fi  co- 
nofce  (  direbbono  i  naturalifti  )  che  l'arte  ri- 
ceve la  perfezione  dalla  natura;  ma  rifpon- 
do  ,  che  fé  la  natura  dà  perfezione  all'arte 
(  il  che  però  non  concedo  afToIutamente  )  1' 
arte  ancora  la  rozza  natura  riforma  ;  perchè 
Io  ilare  in  purir  naturalibut  poco  diletto  reca  ; 
eccome  che  poco  gradifca  la  femplice  natura 
l'uomo,  che  fempre  a  maggior  perfezione 
afpira,  s'è  ingegnato  di  ufar  l'arte  per  ab- 

bel- 


DEL  MASSARFNGO.       .-cjy 
hel'irla  ,  come  n'  avemo  V  eiempio  neifa 
Pfofa  5.  car.  ii.f  rforiava  ciafcuna  ec.  e  neN 
]a  Profa  4.  car.  16.  conia  dìvtrft^  di'*  portai 
menù  ec. 

Car.  2.  I.  \\,Dunqnt  in  ci}>  fidandomi  ^  ec) 
Si  diede  il  Sanazzaro  a  quefta  maniera  di  fcr i- 
vere  padorale ,  perchè  a  quello  fi  fentiva  da 
una  certa  naturalezza  inclinato,  e  da  quefbo 
più  Corto  che  da  altri  Tuoi  Poemi ,  fperò  Tem- 
pre di  acquiftarfi  nome,  né  ciò  fia  detto  3 
vento;  che  pureglifteflb  in  più  guife  ne  lo 
fcrifle.  fi  può  cavare  dalle  Tue  Elegie  in  va» 
X)  luoghi,  e  maffirae  nella  prima  del  1.  libra, 
aLucioCraftb  : 

At  tnibi  pagante  dìFiant  ftlve/lria  Muftg 
Carmina  ,  qua  tenui  gutture  cantai  Amof  , 

e  più  fstco  9   feguicando  per  molti  ver  fi  , 
pur  dice  : 

Hoc  vitagtnus ,  hoc  jìudium  miei  fata  mim, 
nifirant  \ 
Hi  ne  opto  cintret  nomen  bnhere  meor  , 
e  nella  Elegia  feguente  ,  fcrittaa  Giovanni 
Pardi Spagnuolo  : 

At  nos  per  filvaf  ,  &  fordida  rwa  ^  Capelli,? 
Verfamuf  :  quando  PhyUi>  amare  jubet , 
ed  in  cento  altri  luoghi ,  che  per  brevità  tra- 
lafcio .  Balla,  chela  quefto  egli  è  riufcito 
conforme  al  fuo  defiderio  ,  eOendo  giunto  a 
fegno  tale  ,  che  altri  giammai  non  i'  ha  arri- 
vato ,  con  che  fu'-erato  . 

Car.  2. 1.  12.  A^li  afcohanti  alberi  ,  )  Ren- 
de vaghezza  tanta  Tattribuire  operazioni  ani^ 
mate  a  quelle  piante,  che  i  poeti  non  fé  ne 
poObno  aftenere  ,  né  folo  le  fanno  afcolrare  % 
come  qui ,  marifuonare  ancora.  Ecco  nel- 
la Profa  2.  car.  8.  Ma  poi  che  egli  fi  tacque ,  eh 
ri  foranti  [elve  parimente  fi  acquetarono  » 

E  nel- 


206        ANNOTAZIONI 
E   nella  Profa  lo.car.  91.   Le  felve  ^  che  at 
canta*   dt^  duo  paftori  avear.o  dulcijftmam.mt 
rimbombato  , 
E  nella  Egloga  10.  car.  no. 

Cosi  cantava  j  e  $  bofcbi  rintonavano  . 
E  nella  Profa  5.  car.  40-  le  fa  fufurrare  .  Q^^- 
Jìi  pini  y  ec*  fufurreranno  il  nome  tuo  ,   Neil' 
Egloga  ji-car.  130.  fibilare  : 

Rìfponderanno  al  vento  fiht landò  , 
Nella  Profa  12.  e.  132.  Le  quiete  fé  he  ta. 
e  e  va  no  . 
Neil'  Egloga  i.  car.  8.  ragionare  : 

Queft^  alberi  dì  lei  fempre  ragionano  , 
E  fé  ragionano»  poflbno  anco  rifpondere  1 
come  nella  Profa  lO.  car.gi.Tutti  i  pini  che 
vi  erano  ,  parlavano  con  argute  note  y  rifpon- 
dendo  alle  amorcfe  can^orii  da* pafiori  , 
E  car.  (54.  1  circonjìanti  pini  movendo  le  lorù 
fommìtà  gli  rifpondeano  , 
Che  più?  nell*  Egloga  3.  car.  23.  non  fi  legge? 

Tal  che  ornai  non  è  pianta 

Che  non  chiami  Amaranta. 
Dunque  puote  pregarle  poco  di  fopra  a  c.  21, 

Va'li  vicine  ,  e  rupi , 

Cipffjji ,  alni  ,  ed  abeti  . 

Porgete  orecchie  alle  mie  bajfe  rime  . 
E  neli' Egloga  10.  car.  105.  dice  : 

Non  fon  5  Fronhno  mio  y  del  tutto  mutole 

Com*  Uim  crede  ,  le  felve  . 
ma  meglio  più  baflo  car.  106.  chiamale  dotte  : 

Che  '«  quelle  dotte  fe've  non  conofcap  , 
Non  darei  fine,  che  inHniti  fono  gli  efempj 
di  quefto  .  né  folo  negli  alberi ,  ma  ne'  falli 
ancora  •  Profa  5-  car.  3  5.  E  già  i  fafft  che  vi  fono 
mi  conoscono  ,  e  fono  ben  infegfrati  di  rifpondere 
agli  accenti  delle  voci  mie.  E  Virgilio  nella 

Egloga  5.  V.  63. 

ipfa 


I 


DtL  MA  SS  ARENGO.       507 

.-  -.   ipfée  j-^m  tarmina  rup-.Sy 

Ipfa  fcnant  arbofia  , 

Car.  2.  I.  14.  Raccontari  le  roxi^  Egloghe 
ec.)  Pare  da  quefte  parole  ,  che  laintenzio- 
re  principale  dell'Autore  fia  ftata  di  feri - 
vere  Egloghe  folamente  ,  e  eh'  egli  poi  Je 
abbia  di  Picfe  frammezzate»  per  eontinuar- 
Je  r  una  alP  altra  con  qualche  ordine  ;  come 
pur  da  Severino  Boezio  nella  fua  Confolazio- 
ne  Filofofica ,  e  da  altri  ofl'ervato  ù  vede  :  e 
tanto  più  quedo  fidimoftra>  perelTer  quaiì 
tutte  r  Egloghe  di  Virgilio  qui  tra  la  Profa  j 
e  la  Rima  riportate  .  Intorno  a  quefto  ave- 
rei  a  difcorrere  lungamente,  ma  la  brevità 
di  quelle  oflTervazioni  non  lo  comporta  ;  e  ri- 
chiederebbe queflo  argomento  folo  un  lungo 
difcorfo,  per  non  dir  trattato.  Dirò  fola- 
mente  j  eh'  io  fono  (lato  gran  tempo  in  pen- 
Cero,  ch'ella  piùtodo  Ccmmedia^  che  al- 
trimenti, dovelTe  intitolarfi .  E'  ben  ve- 
ro, che  di  prima  vifta  mi  fi  opponevano  al- 
cuni dubbj ,  per  li  quali  non  mi  pareva  di  po- 
terla chiamar  Cc»?/wr////«  ;  efonoquefti  . 

Primo,  perchè  è  favola  Monodica  ,  dove 
J*  Autore  narra  tutte  le  azioni  :  e  le  Cginrae- 
die  efl'er  debbono  Drammatiche  . 

Secondo,  perchè  contiene  più  di  cinque 
parti ,  fuori  dell' ufo  Comico  . 

Terzo,  perchè  la  favola  Comica  deve  cf- 
fer  di  fua  natura  ridicola  :  e  tale  non  è  1* 
Arcadia  . 

Quarto ,  perchè  non  è  recitata  in  palco  • 

Quinto,  perchè  è  fatta  di  prò  fé  e  verfi , 
centra  le  regole;  e  di  verfi  che  da' Comici 
non  s'  ufano  . 

Serto  ,  ed  ultimo  ,  perché  egli  defcrive  la 
fua  propria  vita  1  e  tccea  il  proprio  fuo  nome 

nel- 


96S        ANMOTAZtONT 
nella  Profa  7.  il  che  non  coftumafi  di  fare 
nella  Commedia  . 

Qiiefte  fonde  ragioni  in  parte  $  che  mi 
proibivano  il  nominarla  Commedia  ;  trala- 
fciando  lecofe  del  maravigliofo  ,  degli  Epi- 
fodj ,  ed  altre  difficoltà  ,  che  non  fono  da  ri- 
folverfi  così  in  piedi .  Ma  pure  per  foftenta- 
re quefta opinione,  ch'ella  fia  Commedia, 
andava  brevemente  fra  raeftefTo  rifponden- 
doa  tutti  gli  obbietti  in  tal  modo  .  E  quanto 
alla  prima  oppofizione  5  eh'  ella  non  fia  favo- 
la Drammatica  >  ma  Monodica  (  fupponendo 
che  favola  fia)  rifpondeva  in  due  maniere. 

Primo,  negando,  eh' ella fofle Monodica 
femplice  ;  conciofriachè  quafr  tutte  le  Eglo- 
ghe fono  Drammatiche  ;  e  che  più  torto  era 
mifta  del  Drammatico ,  e  Monodico .  Dram- 
matica nella  maggior  parte  delle  Egloghe, 
dove  non  folamente  non  parla  folo  il  Poeta  , 
ma  due ,  e  talora  tre  paftori  fon  neceil'arj  per 
recitarle  :  Monodica  nelte  rimanenti ,  ed  in 
tutte  le  Profe . 

Secondo,  io  rifpondeva  ,  la  Poefia  Dram- 
matica c/Tere  di  due  forte  :  V  una  che  molte 
perfone  richiede  ;  e  quefta  diralTì  Dramma^ 
tica  pura:  i*altra  ha  una  fola  perfona  ,  che 
narra  tutto  ;  e  quefta  dovrà  dirli  DrammatU 
(a  raciontativa  , 

Ora  quando  anco  fi  diceffe  ,  che  1*  Arcadia 
forte  Monodica  ,  non  percià  fi  nega,  chs 
Drammatica  non  fia  '•  e  fé  pur  ad  alcun  paref- 
f e  1  che  il  Poeta  abbia  voluto  efTer  Monodi- 
co ,  mentre  dice  :  Potrlbeniofra  quefte  dejtrm 
te  piagge  agli  afcohantì  alberi^  ed  a  quei p^» 
chi  paftofi  che  vi  faranno  ,  raccontare  le  ro^- 
q^e  Egloghe  da  naturale  vena  ufcite  ;  dalle  qua- 
li parole  fi  concfce,  eh'  egli  folo  vuoi  reci- 

ta- 


DEL  MASSARENGO,  jof 
tv^re  ;  non  per  quefto  fi  toglie  che  non  .fia 
Commedia  ;  perchè  fi  ie^^ge  nella  Vita  di 
Platone,  icritta da  Laerzio  >  che  la  Trage- 
dia »  innanzi  r  età  di  Tefpi  poeta  >  fu  Mo- 
nodica ,  e  recitata  in  ifcena  da  un  Colo  :  e 
Plutarco  nella  Vita  di  Solone  racconta  ,  che 
quel  lavio  uomo  afcoltò  nel  teatro  il  fopra- 
tocco  Tefpi  che  recitava  le  favole  fue  da  fé 
flcflo  ,  ficccme  era  cofiume  di  quel  tempo, 
e  come  appunto  fece  il  Sanazzaro,  che  agli 
alberi  5  ed  a*  pafiori  raccontò  le  cofe  d'Ar- 
cadia. Ma  che  dubbio  di  quefto;  fc  durò  fi- 
no al  tempo  di  Nerone  Imperadore  :  e  fino  a' 
tempi  nofiri  fi  n  citano  Commedie  da  un  fo- 
lo  ,  con  voce  ,  abiti  j  e  faccie  differenti  ? 
JVIa  quante  volte  fi  introduceva  nelle  Com- 
medie una  perlona  fola  a  favellare  ?  n'  abbia- 
mo 1' efempio  ncll*  AleflTandra  di  Licofro- 
ne  »  dove  introdotto  viene  un  fervo  folo  % 
che  racconta  tutto  il  fatto  ;  e  ne  rende  il  dot- 
to Porfirione  teftimonio  ne'  Comentarj  fopra 
Orazio,  ove  dice,  che  Bacchilidecompofe 
una  Tragedia  Monodica,  fimìle  a  quella  di 
Licofrone  :  e  quello  che  delle  Tragedie  fi  di- 
ce ,  fu  comune  alle  Commedie  ancora,  co- 
me afferma  Suida  .  Adunque  non  è  dubbio  al- 
cuno ,  che  quanto  a  quefto  capo  non  fi  poffa 
chiamar  Co  fnr/je^i  a '^  e  tanto  più,  perchè  la 
Commedia  confifte  odi  Cantici  (oli;  che  fo- 
no quelle  fcene  nelle  quali  un  folo  ragiona;  o 
di  Diverbi  foli ,  dove  parlano  più  perfone  ; 
o  degli  uni  e  deglialtri  è  mifta  .  L'Arcadia 
è  miftadeir  uno,  e  dell' altro:  adunque  fa- 
rà Commedia  .  E  bafti  quefto  in  rifpofta  del- 
la prima  obbiezione  . 

Si  oppone  nel  fecondo  capo )  ch'ella  con- 
tiene più  di  cinque  parti ,  Veramente  quefta 

èdii- 


5io        ANNOTAZIONI 
è  difficile  oppofizione  da  rifolvere  ;  tanto 
più  che  fcrive  Orazio  nella  Poetica  v.  180. 

"Neve  minor  ,  quinto  neti  pt  produclior  /iSìu 

Fabula  ,  quie  pofci  vult ,  (^  fpeSiata  reponi . 
Però  rifpondo  >  che  non  fi  ofierva  neceflaria- 
mente  quefta  regola:  il  che  fapendo  il  no- 
ilroSanazzaro ,  potè  anch*  egli  divider  li 
fua  Arcadia  in  più  di  cinque  parti,  ajutato 
dalTefempio  di  Dante  }  chela  fuadivifefo- 
lamente  in  tre.  Se  a  quello  fu  lecito  cader 
nel  meno ,  contra  il  precetto  di  Orazio  ,  non 
deve  efler  riprcfo  ilnoftro  Poeta,  che  nel 
più  fi  fia  diftefo  . 

La  terza  oppofizi  one  è  ,  che  manca  del  ri- 
dicolo ,  parte  elTenziale  della  Commedia , 
anzi  propria  differenza  di  lei  ,  con  la  quale 
fldiftingue  dalla  Tragedia,  fecondo  Anfto- 
tile  nella  Poetica,  e  Platone  nel  10.  della 
Repubblica  .  A  quefto  rifpondo  in  due  modi . 

Primo,  il  ridicolo  non  edere  (lato  tanto 
necelTario  1  che  non  fi  poteflTe  tralafciare  : 
ma,  cheeffendo  introdotto  per  grand?  ri- 
creazione degli  fpettatori ,  anco  fenza  il  ri- 
dicolo, cioè  fenza  le  buffonerie >  poteri]  re- 
care agli  afcoltìnti  grandiffima  ricreazio- 
ne ;  e  tale  è  P  Arcadia  . 

Secondo,  e  meglio,  rifpondo,  cìi?ficco- 
me  due  forte  di  facezie,  o  motti  fi  ritrova- 
no ,  Punooneftoj  gentile,  e  piacevole  ,  f 
altro  fallace,  vile,  e  buffonefcoi  e  pur  P 
uno  eP  altr^  hanno  del  ridicolo;  così  due 
forte  di  Commedie  fi  fono  ritrovate  :  una  e* 
ha  il  ridicolo  onefto5  con  non  poco  grave 
mifto  ;  e  quefla  fi  chiama  Commedia  d^  Ijlrif. 
«» ,  da  Cicerone  nel  2.  de  O^at.  nominati 
Etologi  :  1'  altra  fpecie  ha  dei  ridicolo ,  vile  5 
«cdifonello,  introducendo  ruffiani  >  e  buffo- 
ni j 


DEL  MASSARENGO.      ^f 
ni  ,  folo  per  far  ridere  ;  equefta  Commedia 
dì  Mimi  Q.  dice  )  de*  quali  parlò  Ovvidio  2- 
Trijì.v.s\5' 

S  fri  bere  fifaf  efi  imitante  i  tur  pia  Mi  mot  , 

Fatta queda di vifione  ,  chi  non  vede,  T  Ar- 
cadia aver  il  Tuo  ridicolo  della  prima  fpecie  ? 
e  'I  Sanazzaro ,  fprczzando  di  farfi  Mimo ,  ef- 
ferfi  moftrato  vero  Comico?  Non  hanm)del 
ridicolo  le  contefe  paftorali ,  i  giuochi  di 
Maflilia  ,  le  favole  dipinteal  tempio  di  Pa- 
le ,  i  varj  modi  d*  incappare  gli  uccelli  5  ed 
altri  pafli  di  (Jueft'  Opera  eh*  io  taccio  ?  dun- 
que anco  per  quefto  farà  Commedia  . 

Era  la  quarta  oppcCzione  ,  che  1'  Arcadia 
non  vien  recitata  in  palco;  la  quale  facilmen- 
te fi  diftrugge  con  quefta  rifpoHa ,  che  il  rap- 
prefentare  in  fcena  le  favole  Comiche  non  è 
delia  Commedia  effenziaie:  ma  bafta  folo , 
che  fi  reciti  a  qualche  perfona  .  Sì  prova  nel- 
la Commedia  di  Dante,  la  quale  non  vien 
recitata  in  ifcena;  ed  in  altri  efempj ,  che» 
come  manifefti ,  tralafcio  ;  ma  mi  giova  5 
per  più  Ccura  rifpcfìa  ,  dimoftrar  che  V  Ar- 
cadia fia  quafi  in  palco  recitata  dal  Poeta  ;  e 
che  il  teatro  fiano  le  deferte  piagge,  afcol- 
tanti  gli  alberi  ,  ed  i  paftori  :  e  però  difle  1* 
Autore:  Votrlbeniofra  quefte  deferte  paggi 
agli  afcohanti  aìbiri  ^  ed  a  quei  poebi  pafioti 
(he  vi  faranno^  raccontate  ec. 

Al  quinto  luo^o  mi  fi  opponeva  ;  1*  Ar- 
cadia efler  fatta  di  profa,  e  verfi  ,  cofa  non 
ufata  da' Comici  ;  e  di  verfi  poi  i  quali  non 
fervono  alle  Commedie  .  Un  fol  colpo  fa  due 
ferite  ,  poiché  un  folo  obbietto  abbraccia  due 
:oppofizioni:  ma  rifpondo  a  un  capo;  che» 
quando  anco  il  Sanazzaro  avelTe  fatto  cofa  da 
.altri  non  ulata  ,  non  folo  non  de^eeilcrri- 

pie- 


3i2        ANNOTAZrONI 
prefo,  ma  più  torto  grandemente  lodato  j 
eh' egli  abbia  con  nuovo  modo  di  diletto  for- 
mata la  Commedia  .  Non  concedo  però  ,  che 
ciò  far  non  fi  paiTa  ;  anzi  parmi  di  poter  mo- 
ftrare,  eh' altri  abbiano  pur  e  verfi  ,  e  prole 
mifchiate  nelle  Commedie  loro  .  Concioflìa- 
chè  bene  fpeffb  accade.,  nelle  Commedie  in 
profa  raccontar  Sonetti,  Stanze,  Madriga- 
li, Ballate  )_  o  Canzonette;  e  quelle  o  fatte 
da  chi  le  recita,  o  narrate ,  come  da  altri  udi- 
te ,  e  compofte  .  Non  vengo  agli  efempj, 
perchè  chi  ha  letto  le  Commedie  del  Para- 
bofco  ,  del  Pino  ,  del  Dolce  ,  del  Ruzante, 
e  d'altri ,  non  ha  bifogno  di  pruove  .  Cosi 
dunque  ha  fatto  il  Sanazzaro ,  teflendo  la  Tua 
Commedia  di  profe  ,  ed  a  luogo  a  luogo  rife- 
rendo le  Canzoni  fue  ,  o  d'  altri  paftori .  Al- 
l'altro capo ,  che  i  verfi  non  abbiano  che  fare 
con  la  Commedia  ,  fi  rifponde  ,  non  aver 
ufato  il  Sanazzaro  forta  alcuna  di  verfi  che  da 
altri  Comici  non  fia  pure  (lata  ufata  .  Quan- 
te Paftorali  fono  fatte  di  terzetti  ?  leggali 
Ja  Marzia  per  una  .  Quante  hanno  per  en- 
tro fparfe  le  Canzoni  ?  V  A  minta  del  Taflo, 
il  Partor  Fido ,  ed  altre  ne  fanno  kdc .  Quan- 
te ne  fono  mifte  di  Madrigali  ?  la  Cecaria  ,  e 
'1  medefimo  Paftor  Fidoil  dimoftrano  .  Del 
verfofdrucciolo  non  parlo,  perchè  efTendo 
egli  vero  imitatore  del  Jambo  j  nel  quale 
fcrivevanoi  Latini  Comici,  più  opportuno 
verfo  non  poteva  ritrovare 5  onde  fi  vede, 
Cae  da  tanti,  e  tanti  pofcia  è  ftatafeguita 
quefta  fua  invenzione  del  verfo  fdruccioJo  % 
perchè  nelle  Commedie  non  fi  trova  il  pia 
opportuno  . 

Finalmente  mi  fi  opponeva,  che  il  Poeta 
&ÌTÌ  ve  la  propria  fua  vita  j  ^d  il  fuo  proprio 


DEL  MASSARENGO.       315 

nome  di  Sincero  tocca.  A  quefto  rifpondo, 
nelle  Commedie  antiche  non  folo  edere  fla- 
to in  ufo  di  prendere  i  nomi  veri ,  ma  anco- 
ra fi  cercava  d'imitare  più  che  poflìbii  foflTe 
quelle  perfone  ch'avevano  tai  nomi  ;  come 
riferifceSuida  ,  e  lo  conferma  il  Glofatored* 
Ariftofanenelle  Nfbbie  .  Né  folo  nelle  anti- 
che »  ma  nelle  nuove  ancora;  onde  abbiamo 
in  Menandro  ,  e  in  Terenzio  il  nome  di  Gna^ 
torte  ,  vero  nome  d' un  parafito  j  come  dimo- 
flra  Ateneo,  cosìfuufatoii  nome  di  Taide  ^ 
e  di  Safo  ,  e  d' altri .  Però  diciamo  i  che  fé 
bene  fi  debbono  fingere  i  nomi  nelle  Comme- 
die >  non  è  proibito  però  il  prendere  i  veri; 
e  quefto  ha  del  ragionevole;  perchè  il  vcri- 
firaile  poetico  acquifta  credito  maggiore  .  A 
quello  rifpondo  ,  non  effer  difdicevole  ,  che 
il  Sanazzaro  parli  di  fé  ftelTo ,  e  narri  la  fua 
vita,  perchè  ciafcuno  può  raccontare  da  fé 
fteffb  quello  che  altre  volte  gli  è  accaduto  . 
Cosi  Boezio  nella  lua  Confolaiione  \m\t?i^& 
medefimo  ,  e  le  fue  padioni ,  e  San  Gregorio 
Nizianzeno  fcrive  la  fua  propria  vita  .  Ma 
che  non  fia  cofa  nuova  il  trattare  in  una 
Commediala  vita  d'uno,  ola  fua,  m-iflime 
fotto  diverfità  di  perfone  ,  come  qui  il  Sanaz- 
zaro, lo  moftra  AuloGellio  con  l'efempio 
d'  Aleliìo  Tuzio  pi-eta  ,  il  quale  una  Comme- 
dia fcrifl'e  intitolata  L<?  l^itìì  di  "Pitagora  :  ed 
Ateneo  nel  lib.  iz.riferifce  molti  verfi  di 
MaC'ne  Comico  ,  ne'  quali  defcrive  quel 
poeta  La  vita  di  Manìa  meretrice ,  e  la  de- 
fcrive in  modo  ,  che  ben  chiaro  fi  conofce  , 
quella  Commedia  effere  ftata  recitata  in  pal- 
co da  un  folo  iftrione.  Dunque  non  impedi- 
fce  che  non  fia  Commedia  ,  T  aver  il  Poeta 
nella  Profa  7.  deli'  Arcadia  tocco  parte  del- 
Tomo  I,  O  la  fua 


314        ANNOTAZIONI 

lafua  vita  tanzi  aggiungo,  non  folofcoprlr- 
fi  là  perfona  del  Poeta  nel  nome  di  Sincero  , 
ma  tutta  quella  Opera  eflercome  una  nar- 
razione della  Tua  vita.  Di  modo  chefottoii 
nomediquefto,  e  quel  paftore  tratta  tutti  i 
fuoi  cafi  amorofi  ;  ora  la  rigidezza  dell'  ama- 
ta ,  ora  la  piacevolezza  ,  ora  i  dolci  contra'H 
ch'egli  aveva  con  gli  amici  poeti  del  fuo 
tempo  )  fcrivendofi  l'un  l' altro  i  loro  amo- 
ri ;  ora  biafimando  i  vizj  di  quella  età  in  cui 
viveano  ,  ed  altri  fimili  accidenti  ;  come  po- 
trei beniflimo  provare  a  parte  per  parte»  Te 
la  lunghezza  non  mei  vietafl'e  .  Ma  ora  che 
abbiamo  levate  tutte  le  difficoltà  oppofte  > 
un'altra  d'improvvifo  mi  s'  aggiugne  5  ed 
è  1  eh'  ella  non  abbia  nodo  che  fi  fciolga  •  Ma 
che  pili  bel  nodo  di  quello  delh  Pr.  n.  fcioU 
to  dalla  Ninfa  di  quel  paefed' Arcadia  ?  do- 
vefifcorge,  in  che  modo  d'Arcadia  (ìa  ri- 
tornato a  Napoli  in  così  breve  tempo  :  ove 
fpiegò  tutte  le  cofe  vedute  j  e  udite  in  Ar- 
cadia. Quello  è  il  nodo  della  favola  fcioìto'^ 
quelloè  il  maravigliofoj  del  quale  mi  ferbo 
a  fcrivere  con  più  tempo  ,  Raccogliendo 
adunque  tutto  il  detto  finora  ,  parmi  con  ra- 
gione poterfi ,  anzi  doverfi  chiamar  Cow«?^- 
<//<?  quffto  Poema  »  e  non  altrimenti .  Egli  è 
Poema  Drammatico  j  divifo  in  più  atti,  ri- 
cicolo ,  recitato  in  teatro  campeftre  >  in  ver- 
fi  da  Comici ,  fotto  finti  nomi ,  e  (  per  ag- 
gìugnere  di  più  altre  quilità  della  Comme- 
dia) contiene  fatti  di  perfone  popolari  %  odi 
ftato  mezzano  :  m-ilra  il  vivere  morale  ,  ed 
i  vizj  riprende  fotto  runiche  genti  :  nel  prin- 
cipio ha  del  difperato  ,  odeì  travagliofo,  nei 
nifjzzo  trova  rimedio  a*  travagli ,  e  nel  fine 
iQKifce  iietameats  :  loftiieèbaffo,  e  con- 


DEL  MASSART^NGO.  ^j 
forme  alle  perfone  che  ragionano:  oltre  al 
corpo  della  Commedia  j  ha  il  fuo  proemio, 
e  la  Tua  licenza  ;  finalmente  è  contenuta  fot- 
te un  nome  fole  d'  Arcadia .  Chi  negherà  chfl 
non  fia  Commedia  ? 

Car.  2.  1.20.  Freftarono  intente  crecchie  ^ 
ec.  )  Bella  maniera  di  far  attento,  moftran- 
do  di  raccontar  cofe  ,  con  gran  dolcezza  fino 
dagli  fteffi  Dcji  fentite  :  chi  non  le  udirebbe 
attentamente?  Altroartificio  usò  iperboli- 
camente Virgilio  nell' Egloga  8. 

PaftùTum  Mufam  Dantonif  &  Alphefihóti  9 
Tmmemor  berharum  qua  e  fi  mirata  jave  ne  a 
C ertami fy  quorum ftupefa^ a  cartnìne  lynceT  j 
Et  mutata  fuof  requie'unt  flufn'tna  curfus  , 
Car.  2.  1.  22.  Vaghi  animali  ^  ec.  )  Vaga- 
bondi, ed  erranti,  non  vaghi  di  bellezza: 
cosi  il  Petrarca  nella  Canz. 
Kleì  dolce  tempo  ec. 
"Ed  in  un  cervo  folitario ,  e  vago 
Di  felva  in  felva  ratto  mi  trasformo  . 
benché  fi  potrebbe  anco  riferire  all'uno  j  e 
all'altro»  cioè  alla  vaghezza,  ed  ali*  erro- 
re, come  il  Petrarca  nel  Son. 

Fago  atJ«o licito  ,  che  cantando  vai  , 
enei  Trionfo  d*  Amore,  cap.  2. 

Carmen  re  ^  e  Pico  y  un  già  de^  noflfi  regi  ^ 
Or  vago  augtUo , 

Così  P  innamorato  H  chiama  »/  vago  ,  perchè 
avendoralì   Amore,  ^  fempre  vago,  e. fa 
gli  amanti  vaghi .  Il  Petrarca  nella  Seftina  : 
Non  ha  tanti  animili  ec 

Deh  or  /off"*  io  col  vago  de  Ha   Luna 

Addormentato  , 
Ovvero  fi  dice  »<7^o  l'amante,  perchè  fem- 
predefidera  l'amata  ,  e  nel  defiderio  varia» 
^d  è  vagabondo ,  £  di  ^ui  chiamò  l'Autore  la 
O    z  fu* 


3i6        ANNOTAZIONI 

tua  àonnz  ^efio  Profa  7.  car.  55.  Per  tanti  fé- 
ni  di  mare  ,  dal  mio  de  fio  dilungato  .  Onde  fé 
fi  mette  vago  per  ^/^^y/c/i? ,  è  perchè  il  defio  mai 
non  ifta  fermo  ,  ma  Tempre  è  inquieto  5  fino 
che  appagato  fia  j  e  fé  allora  non  vaga  ,  è 
perchè  finifce»  efTendo  adempito  ,  d'efler 
defio.  Laonde  feropre  va  vagando  ,  mentra 
chi  V  adempia  ,  cerca  .  Tal  fi  dipinge  il 
Poeta,  mentre  priega  Montano  che  canti  : 
Profa  2.  car.  io.  A  evi  io  vngo  di  cotal  fuono  ^ 
fon  voce  ajfai  umana  difjì  ;  ec.   E  nella  Profa 
5.  car.  36.  Ma  le  pecore  ,  e  le  capre  ,  che  pia  di 
pafcere  ,  che  di  ripofarfi  erano  vaghe  ,  ec  per- 
ciò hanno  i  poeti  chiamato  ildefio  l'-^^o ,  li 
Petrarca  nel  Sonetto. 
Amor  mi  [prona  ec« 
Onde  V  vago  defir  perde  la  traccia  « 
E  nel  Sonetto  . 

Voglia  mi  fp-ona  :  e  e. 
DelP  un  vago  defio  /*  altro  riforge  , 
Si  mette  anco  vago  in  vece  di  fplendente  j  ed 
in  vece  di  amorofo  >  e  pien  di  vaghezza  :  ufa- 
ti  nell'  uno  e  nelP  altro  modo  dal  Petrarca  • 
Del  primo,  nel  Sonetto. 

Erano  i  capei  d"*  ero  ec. 
E  V   vago  lum3  oltra  misura  ardea  , 
Del  fecondo  ,  nel  Sonetto  : 

Grafie  cP  a  pochi  eC. 
X.'  andar  celefìe --^  é"  '/  vago  fpirto  addente  « 
Car.  t,  I.  2^.  Di  Menalo  e  di  Liceo  .  ) 
Monti  d'  Arcadia  piià  famofi ,  come  nelle  fe- 
guentiProfe,  ed  Egloghe  moftreremo.  Ha 
però  l'Arcadia  altri  monti  aflai ,  cerne  Apol- 
lonio ,  Cillene,  Erimanto  ,  Partenio  ,  ed 
altri ,  clTendo  il  fuo  fito  di  natura  montuofif- 
fimo  ed  alpeftre ,  come  quella  che  antica- 
l^j^nt^  fu  fempre  poco  abitata  j  fé  non  da  rii* 

di' 


DEL  MASSARENGO.  ?i7 
Hicane  genti  j  e  però  diceva  il  Poeta  nella 
ProTa  7.  car.  54.  Tra  quejìe  fo^itudini  Ji  Arc/i" 
dia  ,  ovt  (  con  vojira  pace  ti  dirh  )  non  che 
i  giovani  nelle  nobili  città  nudritti  ,  ma  appe^ 
na  mi  fi  lafcia  credere  che  le  falvatiche  biftie 
vi  pojfano  con  diletto  diriiQra'e  :   ec« 

Car.  2.1.  2*^.  Di  Coridone  ,  )  Per  Coridone 
intende  qui  V'irgilio,  come  intefe  anco  nell* 
Egloga  4  PJfcatoria  V.  69. 

Tum  cartit  ^  ut  Ccrydona  [acro  Melifausifi 
antro 

Viderit  y  i^  c^lamcs  labri r  admoverit  audax  • 
e  quel  eh-'  fegue  :  benché  il  medcfimo  inten- 
defTe  fotto  nome  di  Titiro  nella  Profa  io. 
car.  ^5.  Fé  di  quella  l*  ultimo  dono  al  Man-- 
tonno  Titiro  ,  ec*  Ora  la  diverfità  di  quefti 
due  nomi  fi  accorda  in  tal  modo  ,  che  Titiro 
fia  il  più  ufnto  con  cui  fi  nominalle  Virgilio  , 
ma  ora  Coridone  ,  ora  altro  paftore  fi  fingeva 
nelle  altre  Egloghe,'  fotto  quai  finti  nomi 
fcriveva  le  Tue  pafiìoni  amorofe  >  ficcome  ad 
imitazione  di  lui  poflìamo  dire  del  noftroSa- 
nazzaro  ;  il  cui  piiì  celebre  ,  e  più  ufato  no- 
me era  Sincero  :  ma  pur  ora  fotto  nome  d' 
Ergafio,  o  d*  altro  paftore  cantava  le  fue 
amorofe  venture,  odifavventure  .  Per  Da- 
mata intende  il  Paftor  Siracufano  ,  del  quale 
ragiona  più  chiaramente  nella  detta  Profa 
IO.  car.  94.695.  e  di  cui  Virgilio  intefe  nell' 
Egloga  6.  dicendo  . 

Prima  Syaco/ìo  dignata  eji  ludere  verfu . 

Car.  2.  1.  18.  Il  male  inptperbito  Satiro 
ce»  )  Intende  qui  Marfia  ,  del  quale  più  a  lun- 
go diremo  al  fuo  luogo,  fopra  ilpaHodell* 
Egloea  IO.  car.  109. 

Marfia  fen^a  pel'e   ha  gunflo  il  dojfo  . 

„  Leggi  hojfo^  e  V.  a  e.  256. , 5 

O    5  Chi 


?i8         A  NNOTAZIONI 

Chi  fiano  queiti  Satiri;  fé  fi  ritrovino»  o 
nò)  etuttil^  loro  ifloria ,  più  baflb  note- 
rò con  miglior  occarione. 

Car.  2.  l.  30.  Che  ctrto  egli  è  migliore  il 
peCù  terreno  ben  coltivare  ,  ec.  )  Ben  egli  col- 
tivò tanto  quefta  picciola  Arcadia,  che  ne 
acquiftò  nome  immortale,  non  facendo  co- 
me quei  poetiche  più  verfi  compongono  di 
Caffio  Parmigiano,  ma  il  tempo,  e  l*ob- 
hììo  tutti  poi  fé  gli  portano  . 

PROSA     PRIMA. 

Car.  5.  1.9.  Giace ml/a fermiti  ec»)MoU 
to  giudjciofanicnte  formò  il  Sanazzaro  que- 
fta  fua  narrazione  dal  luogo  *,  poiché  all'  Ope- 
ra ftefTadato  avevail  titolo  dal  luogo  :  c^e 
fé  da  nome  di  perfona ,  od'  altro  1'  avefie 
formato  ,  da  quello  anco  (  per  conformarfi  a* 
precetti  de'buoni  autori)  averebbe  dato  prin- 
cipio alla  narrazione. 

Car.  3.  I.  IO.  De/Ja  pa fi  orale  Arcadia^  ) 
L*  Arcadia  è  paefe  nella  Grecia  ,  detta  par- 
te dell*  Acaja  Mediterranea  ,  nel  mezzo 
della  Morea  ,  e  di  tanti  monti  ripiena  ,  che 
76.  ne  fcrive  Plinio  al  lib.  4.  cap-  6.  però  ivi 
tutti  gli  abitatori  fono  pallori  .  Prima  fi 
chiamava  Pela[gia^  ma  pofcia  da  Arcade  fi- 
gliuol  di  Giove  ,  e  di  CalIifto^^^i3^*^ncmi- 
jnata  negli  anni  del  Mondo  (come  fcrive  Eu- 
sebio) ^708.  Aveva  quefta  regione  al  tempo 
di  Plinio  32.  città:  oggi  è  molto  più  fpopola- 
ta .  Abbonda  di  cinghiali,  ed'  afini  tanto 
grandi,  che  fono  entrati  in  proverbio,  l^i 
fu  molto  celebre  Giove  detto  Lifa»ia  ,  il  cui 
tempio  era  fabbricato  in  Olimpia  città  famo- 
fadi  quel  paefe,  avanti  il  quale  ^ava un bo^. 

fc^ 


DFL    MASSARENGO.       3^9 
(co  di  olivi  falvatichi ,  che  mai  non  ritaglia- 
va) fé  non  in  occaficne  di  coronare  i  vinci- 
tori ne' giuochi  Olimpici)  da  loroin  folea- 
nltà  di  quello  Giove  inftituiti  •  Ebbe  due  uo- 
mini di  grande  ingegno  ,    Prometeo  ,  ed 
Atlante  .  Quefti   fu  il  primo  che  parlafìe 
tra'  Greci  di  Aerologia»  avendo  trovato  il 
corfo  delle  ftelle  :  e  perciò  fu  detto  che  por- 
tafle  il  Cielo  •  Quegli  riduffe  gli  uomini  roz- 
zi a  buoni  cofìumi ,  e  fu  il  primo  che  ritro- 
vafle  l'arte  ftatuaria .  fabbricava  uomini  di 
cretL^^  e  con  certa  arce  gli  faceva  ^muovere 
con  fiato,  quafi  ^vivi  foÀTero  :  e  fu  iip:imo 
che  dalla  felce  Icuotefl'e  il  fuoco,  onde  fu 
detto  aver  rub.ito  il  fuoco  alla  sfera  del  fole  9 
m^flìme  perchè  anch' egli  era  iutendentilTi- 
mo  dell'  Aerologia .  Un'altra  Arcadia  fi  leg- 
ge in  Plinio  lib.  gì.  cap. 4.  citcàdiCandia  : 
Ja  quale  1  copiofa  di  fontane  , elTendo  diftrut- 
ta  ,  fi  feccò,  e  di  nuovo  fabbricata  >  ritornò 
a  fcaturire . 

Car.  5.  J.  25,  S^ivì  fe»ia  nod$  i^runoil 
^rittijfimo  ahete  ^  nato  a  foftenere  i  pe\  coli  del 
tnare'i  ec.  )  Senza  nodo  è  1'  abete  da\  mezzo 
in  giù  ,  ma^  vcrfo  la  cima  nodofo  ,  <*  duro  : 
così  Ovvidio  nel  io.  delle  Trasforrr^  'ioni 
V.  94.  la  chiamò  : 

Emdifque  ab'tef  ,  ec. 
Lo  chiama  dr a tijpmo  ,  perchè  fé  ne  fanno  i 
drittiflimi  alberi,  e  le  antenne  alle  navi, 
ovvero  drittijftmo ,  cioè  altilTimo ,  e  lunghif- 
fimo  ;  come  in  altri  autori  fi  trova  ufurpata 
quefta  voce  ;  peròil  MantoanodifFe  : 
Hic  p^occra  abiti  ,  ec 

Che  fignifica  alto  e  dritto  ;  ma  più  alta  è  la 
femmina  del  mafchioiper  teilimoniodi  Pli- 
nio, edendofene  in  Cipro  trovati  d'altezza 
O    4  di 


^20  ^  ANNOTAZIONI 
di  no.piedijc  di  grofTezzaquantopofTono  ab- 
bracciar tre  uomini .  In  Germania  fono  tan- 
to groflì ,  che  i  corfari ,  d'  un  folo  abete  fedo 
nel  mezzo  per  il  lungo,  e  cavato  dentro  fi 
fervono  per  vafcelloa  navigare,  capace  di 
50.  uomini;  e  perciò  dilTeil  Sanazzaroch' 
egli  era  nato  a  foftenere  i  pericoli  del  mare  ) 
come  anche  Claudiano  : 

Apta  fretif  abhf  ,  ec. 

Ha  le  foglie  in  forma  di  pettini,  e  che  mai 
non  cadono  '.  non  fa  frutto  :  tagliato  nella 
cima ,  fifecca  ;  ma  tagliato  fotto  i  rami, 
vive,  ed  ò  d*  ombra  alquanto  dannofa  .  Fu 
chiamato  albero  audace ,  come  ^i  vede  prelffo 
Stazio  nel  Jib-  6.  della  Teb.  però  Virgilio 
fcrive  ,  che  il  Cavallo  Troiano  era  d' abete  , 
perchè  jinchiufenel  ventre  traditori,  nei 
quali  regna  audacia  ,  dicendo  nel  2.  dell* 
JEneida  v.  16. 

—  _-  feSlaque  intextint  ahiete  coftat . 
el*  Ari ofto  nel  canto  4.  ftan.u-  fa  che  Brada- 
jnante  leghi  Brunello  ad  un  abete  più  tcfto  , 
che  ad  alfra  fortadi  albero,  perchè  Brunel- 
lo era  ladro  ,  e  traditore  . 

Can.5.  1.27.  Con  pia  aperti  rami  )  Q^ie- 
ilod.'ice,  perchè  l'abete  ha  i  rami  tanto  den- 
iì  ,  che  non  poflono  dilla  pioggia  efFer  pene- 
trati,  maiTiraeeflendo  aguifa  di  cipreflo  in 
piramide  raccolti .  onde  fi  conofce  malamen- 
te eiTere  ftato  detto  da  Quinziano  : 

Caditur  atque  abief  proni  s  umbra  he  erti  s  ^ 
JVIa  la  quercia  gli  rifponde  affai  .  Onde  Ov vi* 
dio  nel  I.  delle  Trasform.  v.  ic6.  le  diede  l' 
aggiunto  di  patuìa\ 

Et  qua  deàderant  patuìa  J ovis  arbore  glandet. 
Ed  il  Mantoano  di  ramofa  : 

l^udaque  ramosa  tendehant  hrachia  qmrcuf , 

Car. 


DEL   MASSARENGO.        ^u 

Car.^.l.iS.  Rohufìa  quercia^)  Codro  poeta  1 

ValtdtJm  manibuf  dum  fcindere  quifcum  , 
La  quercia  è  albero  facrato  a  Giove  per  teiti- 
monio  di  Ovvidio  nel  7.  delle  Trasformazio* 
ni  V.  613. 

Sacra  Jovi  qutrcus  di  ftf>7Ìnt  Dodon^eo  , 
E  di  Ciaudiano  : 

Qutr(us  amica  Jovi  ^  ec. 
non  Iole  perchè  fa  ghiande  più  grofle  di  tutte 
l' altre  >  e  di  molta  dolcezza  ,  ma  perchè  noa 
vien  tocca  dal  fulmine  .  E  leggefi  nelle  an- 
tiche favole,  che  fcegliendofi  ciafcun  Dio 
un'  albero  in  protezione  ;  Giove  la  quercia  1 
Febo  il  lauro,  Venere  il  mirto?  Pallade  T 
olivo,  Ercole  il  pioppo,  Fiutone  il  cipreffbj 
ed  altri  altre  piante  eleflero  .  Ha  però  na- 
turale inimicizia  con  r  olivo  y  e  con  la  noce  , 
e  fa  funghi  lodatiflìmi  intorno  alle  radici  > 
chein  L'>mbardia  ^^j/^'»  fi  chiamano,  e  ben- 
ché ami  il  monte»  feri  ve  nondimeno  Plinio 
iib.  16.  cap.  I.  in  Germania  nafcere  fu  la  ri- 
va de'  fiumi ,  dove  tanto  avidamente  fi  abbar- 
bicano, che  fé  per  avventura  fono  dalla  cor- 
rente acqua  fpiantate  ,  tirano  feco  tanta  grati 
mafladi  terra  con  le  ampie  radici  loro  ,  che 
per  lo  fiume  ritte,  in  guifa  d'altiflìme  na- 
vi ,  buona  pezza  camminano  a  feconda  5  e  fé 
la  notte  cogliono  qualche  inavveduto  vafcei- 
Jo  ,  il  gettano  in  mille  pezzi  con  le  forti  ra- 
dici :  né  di  ciò  alcun  fi  faccia  maraviglia , 
perchè  fcrive  di  queft'  albero  Virgilio  nel  4* 
dell' tneidav.  44-. 

!;/«  bar  et  fc  optili  f  :  if  ,    quantum  vtrtice 
ad  auras 

jìì,t  boriai ,  tantum  fa  die  t  in  T  art  ara  tendi  t. 
Delle  foglie  di  queft' albero  fi  coronavano! 
liberatori  de' cittadini. 

O    5  Car. 


^21        ANNOTAZIONI 

Ccir.  3.  1.  28.  L'  alto  fr/7/Jino  ,  )  Virgilio 
nell'  II.  dell'  Eneida  v.  155. 

—  ferro  fonat  alta  bipenni  Fraxinuf  . 

5,  mai  migliori  tcfti  leggono  iSia  ^  non  nL 
,,  ta  .  ,,  Ed  Orazio  lib.  3.  Od.  25. 

Procera f  manibu!  vertere  fraxinof  » 
Ma  fé  bene  è  ftato  chiamato  ahoy  fé  ne  tro- 
va però  una  fpecie  bafla  >  e  nodofa  >  con  fo- 
glieaffai  più  fofche  dellauro  ,  la  quale  non 
è  buona  per  afte  »come  il  fraftìno  grande  fen- 
za  nodi .  Non  fiorifce  il  frnflino  fino  che  non 
fon  nati  i  ferpenti  :  iquJi  tnnto  l'odiano, 
che  più  torto  entreriano  nel  fuoco  ,  che  ap- 
pena toccar  la  fua  ombra  ,  non  che  le  foglie  ; 
CperòdilTe  il  Ma>icoano  : 

Hic  Ir  ice  a  pinguef  y  o^icfa  cdubris 

Fraxinuf  . 
Le  foglie  fono  mortifere  vi'  cavalli  :  ma  a' 
buoi  5  e  alle  capte  non  nuocono  :  e  fattone 
fucco  da  bere,  è  rimedio  coi^tra  ferpenti. 
Scrive  Plinio,  nel  monte  Ida  i  fraflini  effer 
di  tanta  bellezza  ,  e  perfezione  ,  che  -  fcor- 
zati,  fembrano  cedri, crd  ingannano  bene  fpef- 
io  i  compratori .  Di  quefto  fu  la  lancia  d' 
Achille,  che  f  rendo  piaghe,  le  fanava  an- 
cora .  Plinio  lib.  1 6.  cap.  15.6  Dante  : 

Così  s   od*  io  ibe  fo!eva  la  latici  a 

D*  Achille  ^  e  del  fuo  padre  e jfer  cagione 
Prima  di   tr'tfìa  ,  e  poi  di  buona  m/inda  , 
a  cui  forfè  allude  il  Petrarca  nel  Son. 

I  begli  occhi  ond*  i  fui  percojfo  in  guifa  , 

eh"*  e  i.'jedefnti  porian  f^ìldar  la  piaga  . 

Car.  ?.  1,  28.  Lo  amenìjp.mo  platano  )  ^o- 
l*>  per  i*  ombra  ,  ma'  per  altro  fterile  ,  e  però 
(imbolo  degli  oziofi.  Virgilio  nel  i»  della 
Cie<jrg.  V.  7c. 

Ei  ftiriieì  platani  maks  ^ejftre  vaUntis  ^ 

JEdec- 


DKL  MASS  ARENGO.  ?i?, 
"E  detto  p'at.j  no  i  perchè  ha  i  rami,  eie  to- 
glie 1  pule  ,  da  tx^t-Jj,  che  p'-ino)  ela'goia 
Greco  fignitìca  .  Era  tanto  in  prezzo  per  la 
fua  graziola  ombra  ,  che  in  alcuni  luoghi  vi 
craconllituitauna  gabella  a  chi  volea  goder- 
la. Sotto  quello  particolarmente  fi  ritirava* 
noadifpucar  lefcienze:  onde  diHe  Cicero- 
ne nel  I.  dell*  Oratore:  N^f^  me  b<£c  tua 
platanusaii/nontih  ,  ec  e  Plitoiie  l'  amò  tin- 
to ,  che  a  cj^ueir  ombra  fola  volle  che  i  fuoi 
Platonici  li  ritiranfero  a  platonizar». .  Fu 
chiamato ^^m'rf/^  da  Faufto  Andreìino  poeta  : 

Explicat  hic  frondtf  piatami f  geniali s 
cpacat  . 
perchè  fotto  'a  fja  pianta  Ci  facevano  i  con- 
viti .  Laojide  uGvano  di  tarlo  crefrere  j  in- 
naffiandolo Col  vino.  Scrive  Plinio  lib,  ii» 
cap.  I.  in  Licia  elTerne  rtato  uno  5  cavo  nel 
tronco  in  trmi  di  cap.ini^a  ,  il  cui  vacuo  era 
di  S I .  piedi  ;  tutto  dentro  veftito  di  pomici  « 
e  pur  verdeggiante  ancora  :  tì?A  qual  luogo 
Licinio  Muzjano,  tre  voice  Confolo»  rice- 
vè a  cena,  e  a  dormire  mo'to  comodamente 
diciocto  imici  •  Odiano  qued*  albsi  ò  i  Fran- 
zefi,  comefcriveilRueiiio  ;  per  la  qual  co- 
fa  in  Francia  rochiflimi  fé  ne  veggono  ,  né 
da  quelli  popoli  fi  fa  il  nomr,  e  la  natur.ì  fja  • 
Perchè  abbiamo  detto  efi'er  fimbolo  degli 
oziofi  ,  era  molto  nto  a  cant=>re  gli  amori ,  i 
quali  per  lo  più  nafcono ,  e  fi  nucrifconodel- 
l'ozio.  O  fé  pur  là  fi  trattavmocoft'di  fcien- 
ze,  quafi  che  ivi  fi  fìrmaHe  una  fcuola  di 
lettere  ,  ben  fi  conveniva  ,  perchè  ^x^^'' 
fignifica  Olio, 

Car.  5.  |.  Ji.  Con  pia  brtvt  f 'Onde)  Rìfpet- 
toal  platano  >  che  ijrghinìma  latien?. 

Car.  3. 1.  32,  V  alhtro  di  (he  ìirccU  e"    ) 
O     6  Cii-j 


)24     ,  ANNOTAZIONI 
Circofcrizione  del  pioppo,  di  cui  Virgllia 
tìclV  Egl.  7  V.  6i. 

Pcpulur  Alcida  gratijjima  , 
Quefto  in  molti  luoghi  d' Italia  fi  chiama  ^i' 
hfro  ,  e  fi  legge  nell*  Arioftocan.  i.  ftan2a25. 

Cofi  un  gran  ramo  d"*  albero  rimondo  . 
e  forie  potrebbe  dirfi  ,  che  qui  non  fode  cir- 
cofcrizione  >  come  abbiamo  detto  ,  ma  chia- 
mafìe  il  Sanazzaro  ancora  il  pioppo  con  il  ce- 
lebre nome  di  albero.  Nel  Regno  di  Napoli 
fi  dice  cbiuppo  da'  Cavajuoli ,  della  qual  voce 
fi  fervono  poi  nel  Carnovale  i  faceti  a  far  con 
le  mar^here  rider  le  genti  ,  contraffacendo  i 
Bergamafchi  j  o  i  detti  Cavajuoli.  inTri- 
vigiana '^'«/p^»^  il  nominano.  Di  quefìo  Er- 
cole fi  coronava  •  e  però  ftimavano ,  che  a  lui 
forte  con fecrato,  come  ben  ne  recita  la  fa- 
vola il'Porcacchi  fopra  quefto  luogo  .  Ma 
pofeegli  malamente  1'  oppio  per  io  pioppo ^ 
forfè  ingannato  dalla  fimilitudine  della  vo- 
ce 5  emoftrò  di  non  fapere ,  che  l'oppio  è 
albero  dal  pioppo  differente,  éicì  cuifucchio 
a  fa  bevanda  per  far  dormire  j  e  dormendo 
morire,  a  chi  non  puote  digerirlo.  Scrive 
ilmedefimo,  e  prima  di  lui  Plinio,  cheque- 
il'  albero  non  fa  ombra  :  il  che  tutto  difdice 
a  quello  ch'oggi  fi  ferva  j  di  piantarne  nelle 
flrade  ruftiche  per  om-bre'jgiarle»  ed  è  con- 
trario parimente  alla  intenzione  del  Sanaz- 
zaro ,  il  quale  va  defcrivrndo  il  fito  con  que- 
fte  piante  ,  per  moftrarlo  ameno  per  lagra- 
tiffima  ombra  loro,  ma  s*  egli  non  faceffe 
ombra,  a  che  detto  avrebbe  Virgilio  nel  ic 
dell' Eneida  v.  190. 

V  optile  a  f    inter   frondis  ^    umbramque  forO" 
rum  ec. 
e  nel  2.  della  Georgica  v-  66. 


DEL   MASSARENGO.       ^25 
Fr^xinuf  y  Hiirculeaqut  arbos  umbrofa  cq'P" 
na  y  ec. 
ed  il  Fontano  : 

Ahaque  prstexit  vi  fi  de  s  ti  hi  pcpn/nf  vmhraf  , 
Car.  5.1.  ult.  Nel  cui  pcdalg  le  mi  fere  fi- 
gliuole di  Clintfnf  te-  )  CJimene  fu  figliuola 
dfclP Oceano,  mìtitnta  nel  Sole»  del  quale 
ebbe  Fetonte  5  Fetufa  ,  Lainpetufa,  e  Ja- 
pezia  ;  a'tii  dicono  5  Fetufa  5  Lampezia, 
ed  Egla  .  Le  quali  piangendo  in  riva  al  Pò 
Ja  morte  del  fratello  >  furono  cangiate  in 
pioppo  ,  com2  fcrive  Virgilio  nel  fuddetto 
verfo  : 

Popuhaf  Inter  frondìt ,  ec» 
benché  il  medefimo  da  fé  ftefTodiverfo  nel- 
V  Egloga  6  V.  62.  in  alni ,  detti  altrimenti 
finixv  ,  le  (limi  trasformate  : 

Tum  Pbaetbontiadaf  mufco  circumdat  amara 
Corticis  ,  atque  f*lo  prorerar  eript  alnos  , 
Sì  avvertifce  però,  che  il  Snoazzaro  ha  detto» 
le  figliuole  di  Climene  5  e  non  le  figliuole  del 
Sole  loro  padre  ,  perchè  il  Sole  ebbe  altre  fi- 
gliuole da  altre  Ninfe  ,  come  Dirce  ,  Circe  > 
Oeta  ,  Pafifae,  Egina,  ed  altre. 

Car.  4.  1.  2,  Ncderofo  cajlagno  ,  )  Scrive 
Plinio  nel  lib.;;.  cap.  20.  Quefto  albero  ama 
terreni  arenofi  ,  leggieri  ,  ed  umidi  ,  ma 
aflai  il  tufo ,  benché  fia  in  fito  ombrofo  j  Set- 
tentrionale» e  freddo  :  ricufa  per  Io  contra- 
rio ogni  forta  di  terreno  graflo  ,  e  fruttife- 
ro .  Si  femina  il  fuo  frutto  in  folle  picciole  , 
a  cinque  a  cinque  per  fofla  »  e  fi  propagina  > 
nudandolo  intorno  alla  radice,  ediftcnden- 
dfo  tutto  il  tronco  in  terra  »  perchè  ,  dalla  ci- 
ma rigettando  »  s' abbarbica  a  ufanza  di  vite  ) 
onde  più  piinte  a  un  tempo  fé  ne  fanno  ;  ma 
trapiantate  io  altro  luogo  fi  feccano  ;  però  è 

4we- 


r-5  ANNOTAZIONI 
meglio  feminarle  :  ed  èbuoniflimoi  far  pali 
per  le  viti ,  sì  perchè  dura  graa  tempo  >  sì 
anco  perchè  è  più  forte  i  ed  ia  pochi  ariai 
crefce  ;  il  frutto  è  di  grandiflimo  nutrimei- 
to  ,  del  qual  foìo  vivono  la  miggior  parte  de' 
montani,  confervandolo  tutto  l'anno  dalla 
putrefazione  con  mefcolarlo  tra'  garigli  di 
Doce  mondati.. 

Car.  4J.?.  Ilffoniutoboffoy  )  Fronzuto» 
perchè  non  fi  trova  albero  più  fpeOTodi  foglie 
di  lui  .   Il   Pontino  : 

IrjJue  <i?  inter.tum  buxo  frondente  gnterunì. 
Per  Io  che  fé  ne  filino  bellilTiin:'  topie  »  e  fie- 
pi  nei  giardini  ;  e  perchè  fiano  più  folte  ,  fi 
tofano  .  Ha  le  foglie  crcfpe  ;  onde  da'  Posti 
glivien  dato  l'aggiunto  di  crejpato  ^  e  (re» 
fiatù  ;  né  mii  gli  cadono  :  per  un  t^m^:i 
mantengono  il  co'or  verJe  j  poi  diven^:',ono 
gialle»  e  rendo  o  tanto  grave  odure ,  che 
in  alcuni  luoghi  h^nno  infettato  1*  aere.  Il 
fuo  legno  non  invecchia  mai  ,  non  intarla» 
non  iiU  agìlla»  e  per  vento  che  foffj  >  non 
faftropito  di  foglie,  onde  vien  detto  albero 
di  fileniio  ,  come  per  contrario  fu  detto  gar* 
rulo  il  pino  „  da  Nemefiano  nell*  Egl.  i. 
)>  V.  30. 

j>       —  —  ftd  j  nobh  ne  vento  garrula  pinuf 
j>       Obfirepat  y  has  uhnot  potiuf  fagofve  peta- 

ma  piuttofto  devrebbe  dirfi  albero  canopo  , 
facendofene  flauti  foaviffìmi  .  L'  amano  i 
tornitori  ,  per  far  palle  ,  vafi ,  bolToletti , 
pettini,  ed  altri  diverfi  idrumenti .  L' Ai- 
ciato  ne'  fuoi  Emblemi  l'  aflTomìglia  agli 
amanti:  perchè  il  vero  amante  verdeggia 
fempve  ppr  il  caler  vivace  d'amore  ,  che 
lo  mantiene   fempre  pallido  ,  conforme  a 

quel 


DEL  MASSARENGO.  ^17 
quel  detto  ;  Omnit  amam  paHidur  ;  e  nel 
pulare?  e  nella  voce,  e  nel  canto  fi  fcuo- 
predolciflimo»  eroaviflimo,  come  i  flauti 
fono  di  qiK  fi' albero  fatti:  di  cui  difTe  T  Au- 
tore nel  Procni.  car.  2.  Li  ttrft  e  pregiati 
kojft  ^f*  muftì i ,  I  verfi  dell' Alciato  fono  : 

Perpetua  viri /ti  i  ,  frifpot/ae  cacumi  ne  buxur  , 
Vnde  tfl  éiifp^ribtdf  fijì'xla  fatìa  modis  , 

Dtliciif  apta  e  fi  ,  temris  ^  am.natihus  arbo^, 
P/jJ/or  imfi  illi  :  pallet  ^  omnìr  amant , 
Daquefto  illimarono  alcuni»  eH'ere  il  me- 
defimo che  il  mirto,  facratoa  Venere  ,  det- 
to da'  volgari  martello  ^  e  meglio  monella, 
o  morfina  ;  ma  s*  ingannano  grandemente  » 
non  fapendo  la  d; finzione  tra  1'  una  pi.inta  , 
e  l*  altra  :  leggano  Plinio,  e  conofceranno 
il  loro  errore  .  Bea  è  vero  che  ,  in  manca- 
mento di  morfina  5  fi  fervono  le  donne  del 
boiTo  indorato  ,  con  lettere  fcritte  fu  le  fo- 
glie, o cuori,  o altre  invenzioni,  per  mo- 
ftrare  rarnmirtellato  cuore  :  ma  non  fegue  , 
che  perciò  fia  il  mirto  quello  .  Dal  nome  di 
quello  albero,  ch'ivi  era  in  copia,  e  detto 
Bujfeto  un  camello  fui  Parmigiano,  famofo 
per  la  Dieta  in  quel  luogo  fatta  tra  '1  Papa  > 
r  Imperadore,  e  il  Re  di  Francia. 

Car.  4.  1.  ^.  Con  puntate  fcglie  h  ecceìjo 
pino  ec  )  Benidìmodefcrive  il  pino  :  elio  ha 
le  foglie  fi  mi  li  a'  capegli ,  e  puntate ,  le  qua- 
li mai  non  gli  cadono.  Della  cui  natura  ft 
fcrive ,  che  ncn  fiorifce  ,  ma  Tempre  fa  frut- 
ti ;  e  tre  frutti  gli  aifegna  Plinio ,  i  quali  na» 
fcono  l'uno  dopo  l'altro,  di  modo  che  fem- 
pre  ha  frutti .  L' ombra  fua  è  pcricolofa ,  ed 
alle  erbe  nociva  ,  nonio  fé  per  natura  della 
pianta  ,  o  perché ,  cadendo  i  frutti ,  le  pe- 
iìano .  ma  fo  bene  >  e^Ter  cofa  da  pazzo  il  dor- 
mi- 


?18  ANNOTAZIONI 
mire  allafua  ombra,  per  il  pericolo  de' c.t^ 
denti  frutti  ,  dalle  cui  inavvedute  percofle 
talora  èfeguita  la  morte*  Ma  tornando  al 
pino  9  tagliandoli  la  cima  (  come  anco  la 
palma)  non  £i frutti  :  ma,  tagliato  nel  tron- 
co >  non  pullula-,  anzi  del  tutto  muore,  on- 
^e  è  nato  proverbio,  che  fi  dice  :  Dijirug 
gere  ima  famiglia  comi  il  pìno\  cioè  ruinar- 
Ja  sì,  che  più  non  ne  nafca  germj.  E'  f a  • 
ciliflimo  a  fvellerfi  o  per  vento  5  o  per  for- 
za che  gli  fi  faccia  >  perchè  non  profonda 
con  le  radici,  mafta  nella  terra  fuperficia- 
le,  e  di  ciò  uioftra  Suida  Tefempio  d*  un 
poeta  Greco  nel  fuo  Vocabolario,  che  in 
volgare  cosìfuona:  Egli  fa  ejìirpato  aguìfa 
V/  pino  ,  e  gittate  in  mare,  a  che  medefi- 
mamente  fi  deve  credere  che  rirairafle  Vir- 
gilio nel  5.  dell' Eneida  v.  448. 

Concidit   :    ut  quondam    cava  corjcidit  aut 

Erymantbo , 
Aut  Ida  in  m<igna  radi  cibiti  eruta  pinus  . 
La  quale  verità  fu  beniffimo  confermata  da 
alcuni  Epigrammi  di  Zelote  poeta  Greco, 
i  quali  nel  1.  libro  dell'Antologia  fi  leg- 
gono: e  fono  citati  n.!?.  libro  della  difefa 
di  Dante  cap.  8.  per  ifcoprire  un'  errore 
deir  Ariofto  nel  can.2.1.  flanzaió    il  qua- 
le difle  del  pino  quel  che  Virgilio  detto  ave- 
va della  quercia  :  che  tanto  è  radicata  fotto, 
quinto  s'alza  e. n  rami  fopra  la  terra: 
ATe-  fia  sì  duro  incentro  Borea  il  pino 
Che  rinnovare  ha  pia  di  cento  chiome  ) 
Che  y  quanto  apparfuor  dello  fcogUo  alpina  ^ 
Tanto  fotterra  ha  le  radici ,  ec. 
e  Virgilio  nel  4.  deli' Eneida  v.  442. 

Ac  velut  anncfo  valid&mcum  rohore  quercum 
Alpini  Borea  num  hin( ,  nuncflatibus  illinf 

Erue^ 


DEL   MASSARENGO.       5^9 

'Ertierg  inttr  f<  cenante  itfiridor\  ^  alte 
Confttrnunt  terrnm  concaio  Ji'tpite  f''ond€S  \ 
Ipfa  baret  [copuli i  :  C?  ,  quantum  tertice  ad 

aurat 
j^iberiat^  tantum  radice  in  Tartara  tendit , 
Da  che  fi  vede,  non  aver  letto  forfè  T  A« 
riufto  Teofrafto  nel  3.  della  Natura  delle 
Piante;  dove  dice  ,  che  il  pino,  ed  il  ci- 
preflo  hanno  le  radici  fuperficiali ,  e  nel  3. 
delle  Cagioni  delle  Piante,  ove  replica  il 
niedefimo  j  foggiugnendo  5  che  perciò  noti 
n  deve  in  alcun  modo  innaffiue  intorno  alle 
radici  ;  parole  molto  bene  fpiegate  ivi  dal- 
lo Scaligero.  Ma  lafciamo  quefta  digreflio- 
ne  .  Ha  proprietà  il  legno  del  pino  ,  che  non 
vien  confuniato  dalle  tignuole  ,  e  Te  fia  fepoU 
to  fotto  terra  jpofcia  allagato  ,  diverrà  Tem- 
pre più  duro ,  fenza  putrefarfi  giammai  :  ma> 
fé  fi  lafcia  fopra  terra  ,  una  piccioli  pioggia 
il  corrompe.  Veni^^mo  alle  favole  .  Della 
confecrazione  del  pino  ritrovo  diverfe  opi- 
nioni fra  gli  fcrittori  .  Alcuni  difTero  ,  eh* 
egli  era  confecrato  alla  Dea  degl'inganni, 
dagli  antichi  chiamata  Lavtma  ^  equefio, 
perchè  nafce  in  luoghi  chiufi  ,  e  riporti .  Al- 
tri lo  confecrarono  a  Pane,  conforme  alla  fa- 
vola raccontata  inquefto  luogo  dal  Sanfovino; 
eperòdiife  Properzio  nel  iib  i.EIeg.iS.v.ic. 

Faguf  ,  &  Arcadia  pinut  amica  Deo  . 
td  il  Sanazzaro  nella  Profa  io.  car.  92.  fa  di- 
nanzi alla  fpelonca  del  Dio  Pane  un  bofco  di 
pini,  tra'quali  uno  era  altiffimo  ,  e  fpazio- 
f o  ,  da  cui  pendeva  la  fampugna  ,  dice  egli 
più  baffo,  car.  94.  Dinanii  alla  fptlunca  por  ^ 
gfta  cmbra  un  p'm  altijp.mo  >  t  f!^X.ìcfo  ,  ad 
vn  ramo  dtl  qualt  una  grande  e  htlla  fampo- 

gna  pendeva  ,  Altri(equefia  è  la  piiì  comu- 
ne ) 


3^0        ANNOTAZIONI 
ne  )  io  (linurono  facro  a  Cibcle  ,  midre  degli 
Djì  .  CosidKTe  ella  appreflb  Virgilio  nel  9. 
deii'Eneidav.  85. 

Pinea  fìlva  mihi  ,  multof  Jilefla  per  annof  . 
ed  Ovvid.  nel  lib.  10.  delle  Trasf.  v.  103. 

..  —  birfutaque  vertice  pinuT  j 

Grata  Deum  matrì , 
e  la  cagione  di  quarta  confecrazione  è  5  per 
efler  in  quello  trasformato  Ati ,  da  lei  ama- 
ti fli  ma  ;  di  cui  fcriveOvvidio  nel  io.  la  fa- 
vola in  tal  modo.  Innamoratafi  Cibeied' Ati 
Frigio,  giovanebelliffimo,  oprò  tanto,  che 
1'  ebbe  a'  fuoi  piaceri ,  e  godutolo ,  fi  fece 
promettere  di  non  congiugnerfi  mai  con  a^ 
tra  donna.  Mi  divenuta  fieramente  accefa 
delle  bellezze  di  lui  Sangarida  Ninfa  ,  feppe 
sì  ben  fare  con  doni ,  e  preghiere  ,  che  di  lui 
faziò  le  amorofe  fue  voglie  ;  onde  la  Dea  ac- 
cortafi  della  rotta  fede  ,  per  opera  di  Mege- 
ra lo  mife  in  tanto  furore,  chetagliatiS  i 
membri  genitali ,  d'un  monte  fi  precipitò. 
Ma  rincrefcendole  in  quel  punto  Ja  merce 
dell'  amato  giovane  ,  per  aria  il  fortenne  con 
i  capelli ,  ed  unite  le  gambe  in  un  fol  tron- 
co ,  l'allungò  con  radici  fino  a  terra;  e  de* 
capelli  f.'ce  le  verdi  foglie,  per  Jequaìié 
flato  detto  da'  Latini  capìlUta  pinu^  ,  e  da 
Ovvidio  hirfuta  .  Dal  nome  poi  della  D  a  fi 
chiamò  Cyhehia  ,  e  Be^etyntbiaca  .  A Itri  di- 
cono, cheCibele  avea  fatto  quello  giovane 
fuo  facerdote  ,  con  patto  che  fervaffe  cafticà 
perpetua;  ma  avendo  violatala  carità  con 
quella  Sangarida  ,  fcrive  Catullo  ,  che  bev- 
ve l'acqua  del  fiume  Gallo  di  Frigia,  per 
la  quale  entrato  in  furore  gli  pareva  ,  che  le 
cafe  ,  i  templi ,  le  città  ,  e  le  piante  gli  rui- 
nalTero  fopra .  cosi  afcefo  fopra  un  monte, 

ed 


DEL^MAS^ARENCxO.  rt 
ed  ivi  callratoU  ,  in  precipizio  riiinofómenrc 
fi  diede  .  Altri  dicono ,  che  la  Dea  ftcfla  per 
geiofu  gli  Cigliò  i  genitali ,  a  ufanza  di  j-?ai- 
li  ;  onde  poi  Galli  furono  detti  i  Tuoi  facerdo- 
ti .  Per  queda  amputazione  dunque  de'  geni- 
tali la  pianta  uon  produce  intorno  alla  radi- 
ce prole  alcuna  :  di  modo  che  tagliato  lui, 
non  è  Iperanza  d'averne  la  fpecie ,  fé  non 
fi  ritorna  a  feminare;  ilchediede  occafione 
all'  Alciatodi  pigliarlo  per  (imbolo  di  quel- 
li che  muojono  lenza  figliuoli  : 

At  picea  i  emittat  nulkf  que^Jìirpeftolomsy 
IHiuf  ejì  index  qui  ftm  prole  perit , 
E' (lato  il  pino  molto  atto  ai  canti  de' parto- 
ri ,  fino  a  tanto  »  che  ì'  hanno  fatto  parlare  s 
erifponderealle  foavi  note.  Virgilio  nelP 
Egloga  8.  V.  22. 

Manalus  argutumque    nemuf  ,    ptncfque  lo- 
quentis  Semper  hahit . 

ed  un  altro  lochiamo  kquace  \  ed  il  Sanaz- 
zaro  nella  Profa  io.  car.  91.  Quando  il  mondt 
non  era  sì  colmo  di  vi^j ,  tutti  i  pini  che  vi 
trafjo  ,  parlavano  con  argute  note ,  risponden- 
do alli  amorofe  cnni&ni  de'^ pafiori  .  e  più  baf- 
fo Car.  94.  «"^  ^  fama  che  ,  mentre  ccfiui  can- 
tava ^  i  cirronftanù  pini  movendo  le  loro  jcm- 
mità  gli  rifpondeatto  .  ed  in  altri  luoghi ,  eh* 
io  taccio  per  brevità  ,  parendomi  per  ora 
detto  a  baftanza  del  pino  . 

Or.  4  1.  5.  L^emùrofo  faggio  y  )  Virgilio 
nel  Culice  v.  139. 

Ufnhrof^qae  manent  fagu:  ,  ec. 
ed  il  Petrarca  : 

Tum  frondofa  ingent  ramìt  alti ffima  fagu f  » 
Del  faggio  abbinmo  fcritto  nel  Proem  car. 
^c2.  fopra  quelle  parole:  Vergate  nelle  ru- 
vide urttecii  de*  faggj  j  e  ne  diremo  nella 

Pr.4. 


^3z        ANNOTAZIONI 

Pr.  4.  car.  19.  U»  nappo  nuovo  di  faggio  ec. 
Solo  qui  avviferò ,  efler  òtito  faggio  oiiro  loù 
^Àyw  ,  cioè  a  eomtdendo  ;  perchè  fopra  tut- 
te le  ghiande  la  fua  è  dolcillìmn  a  mangiarfi  ; 
e  però  grata  a' topi  ,  ghiri,  taflì ,  e  tordi. 
Data  a'  porci  fa  loro  !a  carne  più  facile  a  cuo- 
cerfi,  più  molle ,  e  più  fana  allo  ftom^co. 
Con  le  ghiande  di  figp.iofi  fervaronodaiTaf- 
fedio  le  geuti  di  Chic,  come  feri  ve  Plinio 
lib.  16.  cap.5-  del  qual  cibofolo  vivevano  an- 
co gli  uomini  dell'  età  dell'oro ,  come  accen- 
na il  Sanazzaro  nell'  Egloga  10.  car.  107- 

Lf  qua*  per  povertà  d^  ogni  altro  «dulio  , 
'bion  già  per  aurea  ttà  ^  ghiande  pafcevam 
Ver  h  Ur  grotte  daW  Agoflo  al  GiuUo  , 
e  perchè  Giove  è  quegli  che  ci  pafce  ,  e  nu- 
tre,, al  dir  de'poeti  „gli  avevano  i  Roma- 
ni confecrato  un  bofco  tutto  di  faggj ,  dal 
quale  egli  era  detto  Giove  F^ge//<3/^  .  II  fuo 
legno  èutilea  farfaette  ,  come  anco  il  mir- 
to, di  cui  diffe  Virgilio  nel  t.  della  Georg. 
V.  446. 

At  fnyrtui  validi f  h.jfiilibur  ,  ec. 
Quefta  voce  dì  faggio  ,  come  òeW*  abete  ,  ci- 
preffo ,  ptno ,  e  d'  altri ,  apprello  Latini  (i  pi- 
glia in  felTo  di  femmina,  e  da.'  Tofcani  fi 
fcrive  in  fedo  di  mafchio  ;  con  tutto  ciò  ieg- 
gefi  negli  Afolani  del  Bembo  : 

Faggio  ,  del  mio  piacer  *  compagna  eterna  , 
ApprelToaGiulio  Cammillo  il  faggio  figni- 
fìca  la  fapienza  1  come  il  lauro  l'eloqucn-^a  . 

Car.  4.  1,  5.  La  in-orruttihih  figlia  ,  )  I.,a 
tigliaè  albero  non  molto  grande  ,  notiflima 
a*  Francefi  per  farne  feudi  alla  guerra  bifo- 

gnofi . 

*  j,  Compagna  qt**  femhra  detto  per  compa- 
gnia.  „ 


DEL  MASSARENGO.  555 
gnofi  ,  Ha  foglie,  e  frutti  fimili  all' edera; 
come  fcrive  Plinio  lib.  16.  cap-  14-  è  di  due 
lorte  ,  mafcljio,  e  femmina.  Il  mafchio  è 
odorifero  ,  nodofo  9  e  rofTeggiante  con  la 
xorza  alquanto  grolTa  ,  ed  infleflibile  :  la 
fen. mina  è  più  grofla  del  mafchio,  e  di  le- 
gno bianco:  fa  fiore,  e  frutto,  il  quale  non 
è  toccato  da  alcuno  animale:  non  fi  corrom- 
36  ;  e  perciò  la  chiama  incorruttibiU  :  ama  i 
Tionti ,  ed  ècaldiflima  ;  perciò  fcrive  Giu- 
io  Capitolino ,  che  Antonino  Pio,  effendo 
ranto  vecchio,  che  reggere  non  fi  poteva, 
maffìmechedi  pofitura  lungo,  fi  fafciava  il 
>etto  dentro  aflì  picciole ,  e  fottili  di  tiglia  • 
ìcriveil  Porcacchiqui ,  che  la  tiglia  ha  le- 
^noduro,  contr' a  quello  che  fcrive  Plinio» 
gli  altri  autori,  però  il  fuo  errore  è  ms- 
ifeftatoda  Ovvidionel  io.  delle  Trasforra. 
v.  92. 

"Nec  tiliae  molle t ,  ec. 
^a  la  tiglia  fra  la  fcorza^  ed  il  legno  certe 
membrane  fottili ,  delle  quali  fi  fmno  lega- 
rli,  dette  tigli  e  ^  ma  una  fottililTima  fra  I' 
iltre  chiamata //-r<»,  della  quale  fi  ferviva- 
\o  gli  antichi  Tofcani  ,  per  far  naftri  ,  o 
ìocchi  alle  corone,  ederacofadi  gran  pre- 
gio, però  didc  Orazio  nell' Oda  ultima  del 
lib.  1. 

Difplicent  ftexa  phììyra  corona , 

Car.  4.  1.  6.  E  ^l fragile  t amari fco  ,  )  Ov- 
vìdionel  %- df  A'te  Amandi  v.691. 

tiec  Jenfa  foliis  buxi  ,  fragile fque  myric^  , 
Quanto  fi  fia  abbagliato  il  Potcacchi  anco 
n  quello  luogo,  ciafcu.i  fel  veda  .  Scrive 
3gli  ,  il  tamarifcodi  cui  parla  ilSanazzaro» 
ilT^r  albero  infe'ice  >  perché  non  fi  femina> 
aè  fa  frucco:  efler  umile,  e  di  rami  quaù 

cu- 


2^4,       ANNOTAZIONI 

com3  il  rofmarino:  confermando  la  Tua  oj>i^ 
«ione  per  la  paroìafragUe  ,  porta  a  differenza 
d' un' altro  tamarifco  ♦  chenafcein  Ar:>bia, 
duro ,  e  forte  .  Né  fi  avvede  egli ,  che  ,  in- 
tendendo di  qu:  (lo,  fi  fare  tre  errori  al  Sa- 
nazzarodi  non  poca  importanza.  Uno  ^  che, 
cfTendo  la  fua  intenzione  (  com^  abbinma 
un'altra  volta  mortrato  )  di  defcrivere  uti 
luogo  del  iziofi  (limo  ,  ed  atto  a'  piaceri,  fa- 
rebbe vizio  grande  il  mettervi  alberi  infe- 
lici, come  dice  egli  eflere  il  tamarifco  .  L' 
altro  ,  che  ^  facendo  quefta  defcrizione  d' 
alberi  per  moilrar  con  loro  P  amenità  del- 
l'omSra,  alla  quale  vuole  introdurre  i  pa- 
llori cantanti  1  annoverale  fra  quelli  un'al- 
bero che  non  fa  ombra  ,  per  la  faa  baflezza^ 
Il  terzo,  che,  intendendo  il  Sanazzarodel 
tamarifco  frutice ,  male  avrebbe  fatto  a  met- 
terlo fotto  nome  d'albero,  accompagnan- 
dolocol  pino,  faggio,  tiglia,  e  palma,  che 
alberi  fono  .  A  quefti  tre  errori  fé  avefTc 
il  Porcacchi  attefo,  certo  avrebbe  un'al- 
tro tamarifco  defcritto.  Per  ifcoprir  dun- 
que  l'intenzione  delT  Autore,  e  P  errore 
di  M.  Tommafo  ,  diciamo  con  Plinio  nel  lib. 
15.  cap.2i.  il  tamarifco,  effer  di  due  forte, 
un  falvatico  ,<letto^r^/j' ,  e  da' Latini  con  vo- 
ce greca  fnyricey  il  quale  fi  chiama  infelice^ 
perchè  non  fi  femina ,  ne  fa  frutto,  ed  è  di 
grandezza  del  rofmarino. L'altro  èdomeftice 
detto  veramente  ^'«w^''''*  in  Latino,  ed  ét^- 
fnarìct  y  o  tamarisco  in  Italiano  :  il  quale  fa 
un  frutto  di  legno,  maggior  della  galla;  e 
nafce  alto  al  pari  degli  altri ,  facendo  con  /e 
•fue  fpefie  fogliette  graziofa  ombra  ;  e  di  que- 
llo intende  il  Sanazzaro  :  I'  unoel'  altro  è 
lÉilejnofra^il^j  di  fogli?  ftrette?  carnofe, 


DEL  MASSARENGO.  3^ 
celie  mai  non  gli  cadono:  ma  quello  filve- 
flrc  è  in  ufo  fole  per  fare  fcope  ;  di  quefto  do- 
mellicc  fi  fanno  nappi ,  tazze»  corone  di  de- 
voziv^ne  j  ed  altre  cofe,  ed  è  utiliflìino  cen- 
tra la  milza  :  però  in  quelle  tazze  fi  dà  a  bere 
a  chi  patifce  quel  male  . 

Car.  4.  1.  6.  L*  cricntale  palma  y  )  Dice 
criititale y  non  perchè  non  ne  fii  altrove, 
ma  perchè  abbonda  molto  in  quelle  parti  ,  e 
l'ufanoaflaifTimo,  facendone  vino  ,  ed  alcu- 
ni pane;  di  modo  che  l'ifteflo  fruito iolo gli 
mantiene,  appreftando  loro  pane  e  vino,  e 
cibo  agli  animali  quadrupedi  .  Scrive  Plinio 
nel  1.  15.  e.  4»  eiTerdi  due  forte  (  come  mol- 
te altre  piante  fono)  m.ifchio  ,  e  femmina  : 
ed  amai  fi  canto  ardentemente  fra  loro  ,  eh' 
una  non  può  (lare  fenzal'  altra,  e  fé  non 
fono  tanto  vicine  che  o  con  li  rami  fi  tocchi- 
no ,  o  fotfi.ìndo  i  venti ,  ne  vada  l' odore  dell' 
una  fopra  l'altra  :  fé  fi  pianta  una  fola  fpe- 
cie,  farà  femprefterile  fino  eh' abbia  la  com- 
pagna :  e  fé,  mentre  fruttano,  fi  taglia  il 
mafchio  ,  o  la  femmina  >  1'  altra  fubito  fi 
fd  fterile  j  fimbolo  vero  del  matrimonio  .  pe- 
ro fcrive  AriHotile  ,  che  congiugnendo  i 
femi  dell'una  edell' altra,  quando  fi  femi- 
nano»  fanno  un  fol  tronco,  il  qual  è  ma- 
fchio  ,  e  femmina  :  così  erefcendo  ,  fono 
profperiflìme  ,  e  co'  rami  I'  una  V  altra  s' ab- 
bracciano in  forma  di  catene  ,  o  teffute  reti  . 
Scrive  Achille  Tazio  cofe  di  maraviglia  dell' 
amore,  e  libidine  di  quefte  due  piante  ,  nel 
file  del  primo  libro-  Ama  (dice  egli)  '/ 
$/f ripèto  tanto  la  femmina  )  chf  ,  fé  fi  [emina 
(do  ,  0  tanto  lontan$  ,  che  mn  nt  pojfa  jen^ 
tir  /'  o^orf  ,  fi  fecca  ,  Laonde  gli  agricoltori 
(h  ^anno  la  ftat  natura  ,    afctndtndo  in  «« 

luo^ 


336        ANNOTAZIONI 

tucgo  etninente  ,  ojfcrvano  in  qual  parti  fi  pie. 
gbi  {^perchè  fempreji  vo/ge  verfo  l"*  amata  fé  m- 
mina  )  e  csncfciuto  il  male  ,  gli  fanno  un  ri. 
mtdìo   tale  ^  che   ^  pigliato  un  rnmj   di  quel  in 
femmina  ,    gliele  piantano    nel  bel  me^io  de 
rami  ,    o  in  un  fejfo  nel  tronco  :  per  la  qua. 
congiunzione  fi  vede  palesemente  ,  movtrfi  quel- 
la pianta  per  allegrerà   ,    e  ri  crear  fi  talmen 
te  ,  che  ritorna  verde  y  e  fa  frutto  .  Lungc 
farebbe  dir  tutto  quello  che  della  palma  f 
fcrivej  attefochè  ve  ne  fono  di  49*  forte 
come  teftilìca  Plinio;  ma  diremo  folo  di  quel- 
la più  nobile  >  e  cbe  è  più  conofciuta  da  tat- 
ti }  della  quale  credo  che  intendefTequi  il  no- 
ftro  Sanazzaro .  Sifemina  piantando  quells. 
dura  midolla  5  o  anima  che  (la  nel  fuo  frutte 
dattilo  :  nà  fola  fi  pianta ,  perchè  non  nafce- 
rebbe ,  o  nata  farebbe  di  poca  vita  ;  ma  due  : 
o  quattro  infieme  .  il  terreno  deve  elTerca- 
Jido  ,  arcnofo,  e  prefTo  1*  acque ,  perchè  ere 
fca  generofamc^nte  .   Fa  i  rami  folaraentc 
nella  cima  »  e  gli  fpande  a  guifa  ài  dita  ,  for- 
mando una  mano  aperta  »  onde  è  detta  palma 
cht  mano  (igtiifica  »  ed  il  frutto  dattilo  ,  voc€ 
Greca,che  dito  in  Latino  s'interpetra.Le  fue 
foglie  fono  fimili  a  tagliente  fpada  >  ma  feOe 
da  un  lato  )  che  pajonoduej  fempre  verdi  j 
e  che  mai  non  le  cadono»  ancorché  fi  fec- 
chi .  II  mafchio  fiorifce  ne*  rami  :'  la  femmi- 
na >  fenzafiorffe,  germina  a  modo  di  fpina 
ila  centoanni  a  far  frutti  ;  però  dicefi  in  pro- 
verbio: Chi  la  pianta  y  non  n?  gujìa  ,   Ha  il 
frutto  non  tra  le  foglie  ,  ma  fragrami,  dol- 
ce 5  carnofo»  ed  utiliflimo  a  diverfe  infer- 
mità .  Delle  fue  foglie  fi  fanno  ceftelle  ,  ve- 
^i  (  quale  fu  quella  di  S.  Paolo  primo  Erimi- 
|:.a)  funi ,  fedie  >  ftuojei  e  le^anfi  con  effe  le  j 

viti 


DEL  MASSARENGO.  3^7 
viti  a'  pali  in  paefi  dove  n'  hanno  copia  .  Ul- 
timamente r  albero  fa  fcala  a  feftefTo,  per 
falirvi  fopra  j  con  certe  fogliette  ,  di  cui  è 
comporto  tutto  il  Tuo  tronco  ,  il  quale  non  ha 
fcorza  )  né  midolla  . 

Car.  4  1.  7.  DoUe  td  onorato  premio  de* 
vincitori ,  )  Ritrovo,  la  palma  effere  ftatat 
fimbolo  di  pila  cofe,  come  diverfi  anco  u' 
hanno  fcritto  ;  di  guerra  ,  di  fortezza  5  di 
libine  ,  deir  anno  ,  e  della  vittoria  .  Di 
guerra  e  di  fortezza,  perchè  ficcome  è  pro- 
prio della  palma  nel  pefo  levarfi  in  alto,  cosi 
è  proprio  della  guerra  ,  nelle  ferite,  e  pref- 
fure  invigorirfi  ;  e  della  fortezza,  il  dura- 
re nelle  awerfità,  vincendo  con  la  coftan- 
za,  come  vince  la  palma,  levando  in  alto 
ogni  pefo  che  le  fia  attaccato .  A  quefto  pro- 
pofito  fece  un  dottilììmo  Emblema  TAIciato  : 

fiititur  in  ponduf  palma  ,    &  confurgìt  i/t 


altum  j 


Quo  magit  &  premitur  y  hoc  magt  tolìlt 

onus  , 

Fert  &  odorata t    helìarta  duìcia  glande s  , 

Queit  menfas  interprimui  hab'tur  bonjf  . 

I ,  puer  ,  Cir  reptans  ramìs  has  coll'ge  ;  mentir 

Qui  ccnjìant'f  erit ,  pramia  digna  feret  , 

Aveva  finto  queiringegnofiflìmo  uomo  una 

palma  co*  frutti  maturi  >  alli  cui  rami  efTen- 

dofi  appigliato  un  fanciullo  per  coglierli  , 

effa  levatolo  in  aria  ,  il  teneva  fofpefo  ,  coti 

gran  pericolo  di  vita ,  fovra  un  fiume.  Di 

libidine ,  per  1*  amor  grande  che  è  tra  il  ma- 

fchio,  e  la  femmina,  e  peri  libidinofi  con- 

giugnimenti  e'  hanno  infiemeco'rami ,  pili 

che  la  vite  con  1'  olmo,  o  altri  alberi;  e 

perciò  fu  prefoanco  per  T  amor  coniugale. 

Dell* anno  fu  geroglifico,  perchè  ogni  nuo- 

lomQ  I,  P  va 


3^8        ANNOTAZIONI 

va  luna  feun  ramo>  e  quando  ha  dodici  ra- 
ini ,  è  finito  l'anno  ;  onde  in  alcuni  paefida* 
rami  della  palma  fi  contavaiìo  i  mefi  ,  egli 
anni .  Di  vittoria  era  fimbolo  ,  perchè  vive 
feniprcj  come  la  palma»  che  fopra  tutti  gli 
altri  alberi  vive;  onde  fu  detta  iterna\  e 
perchè  non  cede  la  vittoria  a  chi  cerca  di  op- 
primerla j  come  non  cede  la  palma  al  pelo; 
ciò  lafciòfcritto  Plutarco 5  eloriferifce  Au- 
lo Gelilo  nel  lib.  3.  cap.  6.  onde  fu  detta  vin^ 
citrice ^  trionfale-^  e  da  Virgil.  nel  3.  della 
Georg.  V.  49.  Olimpiaca  ,  da'  giuochi  Olim- 
pici,  ne' quali,  invece  dell'antico  olivo, 
fi  usò  di  dare  a'  vincitori  in  premio  di  lor  va- 
lore ;  come  ne  fa  fede  qui  il  Sanazzaro  ;  anzi 
i  trionfatori  portavano  in  trionfo  una  verte 
di  palma  ,  che  palmata  fi  diceva,  e  palma 
fignifica  la  vittoria  ftenfa  ,  come  1*  ufurpò  il 
Sanazzaro  nella  Profa  ii-  car.  117.  Ottefine 
{  ficcome  defidsrava  )  la  prima  palma,  e  Vir- 
gilio nel  3.  della  Georg,  v.   12. 

Vfimui  Idumaas  referam  tibi  ,  Mantua  j 
Palmas , 
Dipingevafi  pure  la  Vittoria  ancora  (  come 
la  dipinfe  Claudiano  nelle  lodi  di  Stilicene  ) 
donna  »  con  1*  ali  forate ,  e  con  la  palma  ver- 
de .  Difle  il  Sanazzaro  ^<?/r/,  perchè  la  Vit- 
toria fa  piacevoli  tutte  le  fatiche ,  dilettevo- 
li tutti  gli  affanni,  e  delle  ferite  leva  il  do- 
lore, eia  memoria.  Onorato  y  perchè  quel- 
la gli  reca  eterno  grido,  fama,  ed  onore; 
onde  diffe  1'  Arioftonel  Can.  15.  danza  u 

Tu  il  vincer  (empre  mai  laudabil  co[a  . 

Car.4. 1.  8.  Ma  fra  tutti  nel  meno  y  )  Col- 
loca nel  più  degno  luogo  di  tutti  quelli  alberi 
il  ciprefìTo  ,  perchè  in  Arcadia  era  ài  molt^ 
ftÀAia  ;  onde  n*  abbondavano  tutti  i  promoii^ 

cor;  ; 


DEL  MASSARENGO.  3^9 
Torj;  ed  in  particolare  ,  del  munte  Cillene 
fi  legge,  dell' Erimanto,  e  del  Liceo;  pe- 
rò è  verifimile  1  che  nel  monte  Partenio, 
ove  era  quello  deliziolo  luogo  1*  averterò 
piantato jiel  bel  mezzo,  quafiche  gli  altri 
intorno  toflero  a  faa  difefa  ,  ed  onore  . 

Car.  4.  1.  8.  Prtffo  UH  chiaro  fonte  ^  )  Io 
non  focon  qua!  ragione  prcfl'oun  fonte  de- 
feriva il  ciprenTol*  Autore,  fé  il  ciprelTo di 
fua  natura  odia  l'acque,  come  dice  Plinio 
lib.  f6.cap.  18.  Io  per  me  non  ho  fin' ora  che 
mi  ioddisfaccia  rifpofta  alcuna  . 

Car.  4.  1.9-  Un  dritto  cìprejfo ,)  Drlttif- 
fimo  nafce  ilcipreflo;  del  quale  fcrive  Pli- 
nio nel  lib  16.  cap.  J^.  efìer  albero  venu- 
to di  Candia;  nel  qu.jl  paefe  n;<fce  tanto  co- 
piofamente ,  che  non  fi  muove  terreno  (  fé 
non  vi  fi  emifia  altro  )  che  Tubilo  non  vi  na- 
fca  il  ci/refTo  ;  e  ne  Teminano  i  hofchi ,  quili 
c\ì\2im^no  ^oti  JelU  figliuole  ^  e  mpori\  tanto 
èil^ruadagno  che  ne  riportano.  Njfce  con 
gran  difficoltà,  e  perciò  dur:i  anco  lungamen- 
te fenza  rcderfi  ,  ed  inv<  e chr-irTi  :  per  lo  che 
fé  ne  fanno  ca (Tette  per  coniervar  le  cofc  pe- 
ricolofe  di  tignuole.  E'm.ifchio,  ef-mmi- 
na>  ma  la  femmina  fterile  ,  ed  il  m.tfchio  tan- 
to copiofo di  frutti,  che  tre  volte  l'anno  fé 
ne  coglie  ;  il  Gennajo  ,il  M.tggio,  ed  il  Set- 
tembre .  Fa  bacche  rofì'eg^ianti  ,  e  nere; 
ha  foglie  anicrt-e  ,  di  acuto  odore  ;  è  d'ombra 
poco  grata;  odia  l'acqua,  il  letame,  l'ef- 
fer  potato,  ed  il  terreno  modo  alle  radici . 
Tagliato  non  rinafce  ,  eccetto  in  Ifchia  ;  e 
però  fu  pianta  facrata  a  Plutone  Dio  dell* 
Inferno  ,  nel  quale  chi  entra  non  può  riufci- 
Tc  .  Quindi  infilice  fi  chiamava  ,  come  tutte 
l'alcre  pÌ4tice  facre  agi' Infernali  Dii  ;  che> 
P    %  eia- 


340  ANNOTAZIONI 
erano  quelle  che  i  frutti ,  o  bacche  negre  fa- 
cevano ;  era  anco  detta /«'«^/^^  >  come  la  pi- 
gna ,  ed  il  taflo  ,  perchè  ne  coprivano  le  por- 
te delle  cafe  ove  era  un  morto  ;  e  ne  circon- 
davano i  roghi  ,  non  folo  per  la  rimembran- 
za de*  morti,  ma  infieme  perchè  men  gra- 
ve fofle  r  odor  de' cadaveri  arfi .  Virgilio, 
Ovvidio  ,  Plinio  >  Catone»  ed  altri  fcritco- 
ri  ne  fanno  fede  :  ed  il  Sanazzaro  nell'  Eglo- 
ga?, car.  75. 

F  fra  ciprejji  mi  farete  un  tumuU  . 
Maunacofa  mi  fovviene?  che  1'  Alciato, 
uomo  dotti ifi mo  >  l'afìbmiglia  ne' fuoi  Em- 
blemi alle  cofe  belle  >  ma  di  niuno  utile  ; 
mentre  dice: 

Pulchra  coma  e  fi  ,  puhhro  digeflaque  ordU 
ne  frondei  ; 
Sed  fruSiur  nulìos  hac  coma  pulchra  gerii , 
quafi  che  il  ciprelTo  non  faccia  frutti  ;  e  pu- 
re atteftano  Virgilio  ,  Plinio,  ed  altri  auto- 
ri, che  egli  fa  il  frutto  fimi  le  ai  conio.  Vir- 
gilio nel  3 .  dell'  En.  v.  680. 

Aeriàg   quercur  ,  aut  conifera  cyparifft  , 

Forfè  intefel' Alciato  del  cipreffb  femmi- 
na ,  il  quale  %  come  detto  abbiamo ,  non  frut- 
ta ;  e  non  del  mafchio  ,  del  quale  iotefe  Vir- 
gilio ;  e  così  fi  conciliano  i  due  luoghi  con- 
trari.  Quelli  che  del  fignificato  delle  erbe 
ragionano,  pigliano  ìIcipreiTo  per  fimbolo 
di  doppio,  o  finto  amore,  cioè  di  uno  che 
il  pie  tenga  in  piiì  fcarpe  . 

Car.  4.  I,  10.  Veracìjfwio  imitatore  delle 
alte  mete  ^  )  Le  mete  erano  i  termini  che 
fi  prefcrivevano  a'  curfori  o  a  piedi,  o  a 
cavallo  ,  o  fu  le  carrette  ;  le  quali  erano 
fatte  in  forma  di  piramidi  ;  e  tali  anco  era- 
fio  i  coa.iiai  i^  campi  >  0  de'  dominj  ;  or^ 


T>V.L  ^T  A  SS  ARENGO.  34» 
fjcendo  il  ciprcflb  i  iuoi  rami  in  guifa  Hi 
piramiàe  ,  ha  ddto  occafione  al  Poeta  di 
chiamarlo  veracijfimo  imitatore  dtlU  alte  fntm 
te  ;  come  anco  alP  Alciato  di  dire  ne'  fuoi 
Emblemi  : 

Indicai  (ffigtif  meta ,  nomenque  cuprejji  , 
TreSÌ.jndof  pari/i  condttione  fuof  . 
alludendo  al  nome  di  ciprejfo  ^  che  in  Gre- 
co vien  detto  da  ^.u^iv  iroipitsovi  )  cioè  ab 
aqualiter  pa*iendo  ,  nerchè  fa  i  rami  egua- 
li .  Mete  anco  da  quefta  forma  furono  dette 
quelle  mafie  piramidali  di  fieno  >  quali  ne* 
campi  finno  gli  agricoltori  dopo  averlo  fat- 
to feccare  al  fole  >  da  loro  chiamate  mara' 
gnu  ole  . 

Car.  4. 1.  11.  Nel  quale  non  (he  Cipariffoy  ) 
La  favola  di  quefta  metamorfofi  è  raccontata 
daOvvidio  nel  io.  in  tal  modo  :  FuciprefTo 
belliffimo  giovane  di  Cea  ,  figliuolo  di  Tele- 
io  y  e  molto  amrjto  da  Apollo  :  avendo  coftui 
perfue  delizie  un  belliflìmo  cervo  ,  per  ma- 
la ventura  un  giorno  1'  uccife  contra  ogni  fuo 
penlìero;  che>  mentre  in  vano  avea  mirato 
con  Parco  ad  uno  uccello  ,  la  Getta  cadendo 
a  piombo  ,  il  colte  di  ferita  mortale.  Della 
cui  morte  addolorato  Cipreflo  ,  pregò  gli 
Dtiy  che  ficelfero  eterno  ii  fuo  pianto,  e 
fubito  fu  convertito  in  cir^fefTo  ,  che  Tempre 
lagrima  odorata  pec*  fuori  del  tronco  •  Ser- 
vio riferilce  quella  favola  alquanto  diverfa  > 
dicendo  «  che  fu  amato  da  Silvano  1  Dio  del- 
le lelvc,  e  che  inavvedutamente  colendogli 
da  lui  uccifa  quefta  fui  cerva  ,  fi  diede  in  pre- 
da tanto  al  dolore,  che  di  pietà  Silvano» 
perchv.^  non  morilTe  ,  il  converfe  in  un  verde 
a'berodel  medefimo  nome  ,  che  pur  lagrima 
ancora.  Ma  la  prima  favola  è  più  famofa  . 
P    3  Car, 


•j4i  ANNOTAZIONI 
Car.4.  1.13.  Ne  fono  le  dette  piante  ti  dU 
f torte ft^  ec.  )  L*  ombra  piace  a  tutti,  ma  noa 
tanto?  che  per  Jadenfirà  degli  alberi  fiaim- 
. penetrabile  :  così  AchilleTazio  neli.  iib. 
circa  il  principio  dice  t  Qvarum  r^mì  y  atque 
f rendei  mutuo  com>ìexu  ita  ftfe  ntSìeb/int  ,  ut 
teSli  fifom  fortiftés  pf ifjìarefìt  :  vtnhram  qu'ine-^ 
tiam  fui/  f^'ondfhuf  pi^cr  rtjtnxerat  eo  artifim. 
fio  j  ut  Las  aliquct  radii  fcl-s  modica  pra^ 
tum  iluftrarent^  cc.  ed  il  m'defimo  nel  fine 
pjr  del  detto  1.  Iib.  defcrivendo  un  giar«^ 
dine  dice  :  Terra  autem  ,  quam-  fuperìmpfn- 
dtntes  fronde s  opacuba*,t  ^  modo  hic  y  modoil- 
ììc  illfiftrabattir  ^  dum  eaipfee  fronde s  ^  vento 
ìmpulfa  n  varìantibut  fo-'ìr  radii s  adttum  pra- 
btrent^  ec.  Dove  fi  vede  j  che  per  non  far 
r  ombra  tanto  fpefla  ?  vuol  che  il  fole  P  al- 
lumi per  il  moro  delle  foglie.  Il  Sanazzaro 
ancora  nel  principio  della  Pr,  ^.car,  15.  dif- 
fé  :  H  non  ofìante  ,  che  i  fronzuti  fnmhuchi 
coverti  di  fiori  odoriferi  V  ampia  firada  qunji 
tutta  occupaffero  «  il  lume  della  luna  era  sì 
tbiaro  ,  che  non  altrimenti  che  fé  giorno  (iato 
foffe^  ne  mofirava  il  (ammìno  ^  Il  contrario 
fece  l*Ariofto  nelcan.  i.  ftan.  37.  dove  fa 
V  ombra  d*  un  cefpuglio  tale  $  che  il  fole: 
non  la  penetrava  : 

'E  la  foglia  c(>ì  rami  in  modo  è  mifta  , 
Che  V  foLnon  v^  entra  j  non  the  minor  vi  fi  a  ^ 
Benché  fi  potrebbe  rifpondere»  effer  detto 
quefto  non  alToIutamente  ,  ma  con  figura  > 
per  moftrare  una  gran  denfirà:  pur  mi  pia- 
ce >  che  fia  detto  con  verità  ,  e  non  finta- 
mente >  perquefta  ragione:  che  avendo  ivi 
a  dormire  Angelica  ,  era  bene,  che  il  luo- 
go folTe  tanto  chiufo  ,  e  coperto  ,  che  né  fo- 
le >  né  vento  j  né  pioggia  potefle  farle  dan* 

no  ' 


DEL  MASSARENGO.  345 
no:  attefo  che  ama  il  fonno  le  tenebre  >  ed 
odia  la  luce  .  A  che  ebbs  rifguardo  anco 
il  noftro  Sanazzaro  nella  Pfofa  9.  car.  7S, 
quando  defcrivendo  l'ombra  d'una  valle  $ 
ove  erano  per  dormir  la  notte  vegnente  » 
dille  :  Tai  che  per  le  foltt  ombre  dt^  fr^n^u- 
ti  rami  y  non  chi  al/ora  (  che  notte  era  )  mjg 
appena  quando  il  fole  fcjfe  flato  piò  alto  ,  fé 
ne  farebbe  potuto  vtdere  il  etelo  :  ma  negli  al- 
tri luoghi  per  dove  avevano  a  camminare 
di  giorno,  o  a  cantare  1  giuocare  >  e  fare 
altri  efercizj,  per  non  dormire  ,  fa  che  vi  (I 
vegga  lume»  e  v'entri  il  fole, 

Car.  4. 1.  15.  Quivi  in  dive  r fé  ^  e  *  leggi  e- 
re  pruove  efercitarji  :  ftccome  in  lanciare  il  * 
palo ,  )  Dice  leggiere  ,  perchè  più  deprez- 
za, che  forza,  vi  bifogna;  e  però difle  nel- 
la Profa  II.  car.  118.  che  Urfacchio  non 
puote  lanciar  molto  il  palo  :  Credendoli  form 
fé  ,  che  in  cih  folo  le  for-^e  haflare  gli  dovef^ 
fero:  il  che  non  fece  Montano,  il  quale  po- 
co più  bafìTo  ,  ivi:  Aggiungendo  alquanto  di 
defire\ia  alla  for\a  ,  avan-^ò  •  di  tanto  tutti 
gli  altri  ,  quanto  due  volte  quello  era  lungo  , 
Vedi  tutti  i  giuochi  pofti  qui  dal  Sanazzaro 
nella  Profa  5.  car.  34»  e  nella  Profa  n.  alla  fé- 
poltura  di  Mafiilia. 

Car,  4. 1, 18-  Htllt  fo^ti  lotte  ,  piene  di  ru-^ 
P     4  ftica^ 

*  Se  il  Maff arengo  aveffe  letto  ^  come  nelle  a »• 
ti  che  e  migliori  E  dizioni  fi  legge  :  non  leg- 
giere pruove,  avrebbe  rifparmiata  quejla  art" 
rtct anione  :  ma  egli  avvedutofi  delia  contram 
ritta  ibe  appariva  in  leg^frfi  dopo  leggie- 
re^ ci^  chef*guey  r/c^' in  lanciare  il  grave 
palo,  lafcih  fuori  nelt*  addurre  quejio  luog9 
dell'*  Arcadia  la  V9(t  grave  . 


344  .  AKNOTAZIOxNt 
ficane  injidie  ,  )  UxQt  forti  ,  perché  in  quel  - 
Je  fi  prova  la  robuilezza  del  corpo  .  E  le  infi. 
die  fo  o  >  come  quella  d'  Urfacchio  nella 
Pro  fa  II.  car  119.  Cotnincil  a  fervi  r fi  dtUe 
afiu^it  ;  t  buffando  in  un  punto  il  capo  ce»  e 
più  bafTo  quel  la  di  Selvaggio  ufata  con  Ura- 
nio nella  lotta  5  car.  121.  Ma  Selvaggio  mn 
dirrnmicato  dell* [uè  afiu\ie  ,  gli  ditde  col  talh" 
r,e  dietro  alla  giuntura  ec 

Car.  4.  1.30.  In  cantare  ^  ed  in  fonare  U 
fampcgne  a  pruova  )  L'cfenipiodi  quefto  ab- 
biamo neir  Egloga  9*  car.  86. 

Dimmi  y  captar  novello^  ec. 

Car.  4.1.  3?.  Ciafcuno  varie  maniere  cer» 
iando  di  fol'aiiare  y  fi  dava  maraviglicfa  fe- 
fia  ;  Erga  fio  fio ,  ec.  )  Introduce  Tempre  Ér- 
^ailo  a  ftar  penfofo  >  mentre  gli  altri  follaz- 
zano  ,  non  per  falvatichezza,  mi  talora  per 
paflione  amorofa»  come  qui  :  il  che  fi  cava 
(dalie  parole  eh'  ei  dice  di  Te  fteflb  nell'  Eglo- 
ga I.  car.  6. 

Che  penfando  a  echi  che  ^l  cor  m^  ha  lacero^ 

Divenuto  un  ghiaccio ■i  ec. 
€  taleeraanco  Sincero  nella  Profa  7.  in  mol- 
ti luoghi ,  ma  fpccialmente  a  car.  57.  Niuna 
ccfa  m"*  aggrada  ,  nulla  fefta  ,  né  gioco  mi  può 
non  dico  accrefcere  di  Iettata  ^  ma  fcemare  deU 
le  m'ferie  ;  ec.  Talora  per  doglia  della  madre 
perduta,  il  che  lo  coihinge  anco  a  lagrima* 
re  :  come  nella  Profa  5.  car.  40.  Alia  melo- 
ili  a  della  quale  Erga  fio  ,  qua  fi  con  le  lacrima 
fu  gii  occhi  y  cosi  aperfe  le  labbra  a  cantare, 
e  nella  Profa  II.  car.  112.  e  113.  Non  rima. 
fé  peri  che  con  attenzione  gr andt  jfma  non  fo[- 
fe  da  ciafcuno  afoUata  ,  altro  che  fé  frfe  da 
Ergaflo  :  il  quale  mentre  quel  cantare  duri  , 
in  una  fjfa^  e  lunga  cogitaci ont  vidi  profn^ 


DEL   MASSARENGa.^      ?4? 
damente  occtpato  .   e  poco  fotco  fcrìve   del 
medeiìmo  :  Ed  aìU  volte  mandando  fuori  al* 
(unt  rart  lacrime ,  ec. 

Car.  4.1.  :?6,  Ergafto  folo^  )  Ama  il  mi- 
fero  amante  le  folitudini ,  per  meglio  isfo- 
gare  il  Tuo  dolore;  però  dice  nell' Egloga  w 
car.  6. 

Non  truovo  tra  gli  ùjfanr,i  altro  ricovero  9 
Che  di  federmi  fola  a  p'V  d^  un^ acero  ^ 
D^  un  faggio  y  d^  un*  abete  ,    ovver  d"*  un 
[«vero  . 
e  nella  Profa  6.  car.  4^,  Mi  era  gittate  a  pie 
d*  vn"*  albero  ,    dolore fo  e  fcontenttjjimo    iltra 
modo  :  e  nella  Profa  7.  car.  56.  Fuggendo  ta^ 
lora  io  dal  conjorxio  de'^paficri  ,  per  poter  tne-^ 
gUo  nelle  folitudini  pensare  a"*  miei  mali  ,  ec. 
e  Carino  nel'a  Profa  8.  car.  68.  Errando  per 
l)(fcbi  jertia  fentitro  ,  e  per  menti  afprijjìmi  ^ 
t  ardui ,  ec.  e  non  foiamente  era  folo  col  cor-» 
pò,  ma  con  l'animo,  e  penfiero  j  peròfie- 
gue  {Dimenticato  di  fé  y  )e  nella  Profa  11. 
car.  \i^.  A  modo  di  perfona  alienata  :  ec. 

Car.  5. 1.  I.  Dimenticato  di  fé ,  e  //#'  fuo£ 
greggi  )  Quindi  è  che  lo  riprefe  Selvaggio 
neir  Egloga  i.  car*  5. 

--   -.  oimè  ,  cb€  mal  fi  la f ciano 
he  pecorelle  andar  a  hr  ben  placito . 
ed  a  quefto  rifpore  Ergafto  car.  6. 

Come  vuoi  che  '/  projìrato  mio  cor  ergafi 
A  p>ner  cura  in  gregge  umile  e  povero  ^ 
Cb"*  io  fpero  che  fra"*  lupi  an^i  difpergafi  ? 
e  Carino  nella  Profa  8.  car.  67.  Della  qualco» 
fa  io  poco  curandomi  ,  ec. 

Car.   5.   l.   5,    Del  cui  mi  fero  flato  Selvag- 

gfo  mojfo  a  compattine  y  )  Officio   in  vero  di 

buon  amico  l*avcr  pietà  delie  miferie  altrui  9 

comerallegrarfi  nelle  contentezze  :  tale  era 

P    5  l'ama- 


946        ANNOTAZIONI 

1*  amata  di  Carino  nella  Prcfa  8.  car.  67.  La 
quale  poco  avanti  blanda  ,  amic'jjlrna  ^  e  di 
Piti  piaghe  psetcfa  ,  qua(i  per  compa^one  pian- 
gere veduta  alea  :  e  Selvaggio  neli'  Egloga 
j,  car.  6. 

Per  maraviglia  ^  pia  C:b^  un  fajfo  indurofnt  , 
(£i  quefto  diremo  nell'Egl.  12.  car.  144.  fo- 
pra  quelle  parole  : 

—  --  cP  io  giti  tutto  commovo  mi  \ 

Tanta  pietà  il  tuo  dir  nel  petto  e  [alami . 

Car.  5.  1.  6.  Ver  dargli  alcun  conforto  y  ) 
l>Joii  folo  amichevolmente  con^figliandolo  9 
o  facendogli  fperar  bene  del  Tuo  amore  >  ma 
per  dargli  conforto  ,  cioè  alleviamento  al 
dolore  :  il  che  fi  fa  operando  che  sfoghi  l'ap- 
pafllonato  cuore  con  difcorfo  •  Cofa  che  mol- 
to volentieri  fanno  tutti  quelli  chel'  animo 
tengono  di  gravi  penfieri  oppredo,  paren- 
do loro  di  alleggerirli  alquanto ,  mentre  pof- 
ibno  con  gli  amici  palefare  i  fuoi  affanni  .  E 
fé  bene  ricufava  Sincero  di  far  quello  nella 
Profa  7.  car.  50.  Avendoli  a  raccontare  ora  che 
in  maggi'^.re  moleftia  mi  trovo  ^  mi  faranno  ac- 
fref  imento  di  pena  ,  e  qua  fi  uno  inacerbire  di 
dolore  alla  mal  f/tldata  piaga  ;  che  naturai- 
imente  rifugge  di  far  fi  fpeffo  toccare  ;  fi  rifol- 
Te  però  di  raccontarli,  perchè /<?  sfogare  con 
'parole  ai  miseri  fuole  alle  volte  ejfere  allevia- 

mento  di  pefo  ;  e  di  (Te  V  Autor  noftro  nel 

Sonetto  : 

L^^jfo  y  quahr  fra  vaghe  ec. 
Nuovo  j  e  frano  piacer  fol  di  doler  me 
Nel  cor  venir  mi  fuol  >  quando  in  altrui 
Di  [cerno  del  mio  mal  tanto  cordoglio , 


EGLO- 


DEL    MASSARENGO.       54? 
EGLOGA     PRIMA. 

Car.  5.  L  li.  Ergafto  mio  ^  ptrchè  folingo  j 
e  tacito  ec.  )  Dovendo  il  Poeta  noftro  trat- 
tare ragionamenti  ruhci?  e  paftorali  »  era 
necelTario  ,  eh'  egli  conforme  all'  umile  ma- 
teria ,  ritrovafle  anco  verr.>  umile  ,  e  bafio  ; 
e  perchè  ilverfo,  quanto  più  corre,  tanto 
più  vien  languido,  ficcomj  foftenuto  5  gra- 
ve diventa  ;  immaginoifi  all'  ufanza  de'Gre- 
ci  inventori  di  rufticani  poemi ,  non  pur  ufar 
voci  di  niuna  gravità,  ma  nel  fine  anco  del 
verfo,  ove  confile  tutta  la  gonfiezza  per  la 
cadenza  lunga  ,  ufar  parole  fdrucciole  .  Nel 
che  tanto  più  fi  compiacque,  quanto  vide> 
da' Latini  elTere  a  quarto  fine  ftato  offerva- 
to  di  porre  nel  quarto  ,  e  quinto  luogo  de* 
verfi  Bucolici i  Dattili:  come  Virgilio  nel- 
]' Egloga  I.  V.  ^. 
Af(//  patrie  finii  y  ^  JuUia  liftqutmuJ  afta  ; 

tiof  patriam  fugimuf.  tu  y  Tityre  ^  lentuf 
in  umbra   ec. 

ed  in  mille  altri  luoghi,  eh*  io  tralafcipi 
per  non  far  cumulo  d'autorità  in  cofa  chiarif- 
fima.  Ora  inqueftaforta  di  verfi  Sdruccio- 
li ,  benché  primo  inventore,  quinto  feli- 
cemente componede  ,  ognun  fel  vede  \  che 
forfè  alla  Tua  perfezione  niuno  dopo  lui  ag- 
giunfc  giammai .  Madi  quefto  affai .  Quan- 
to alle  parole  poi  dette  da  Selvaggio,  fi  ve- 
de 9  che  volendolo  confortare  ,  uu  i  modi  del 
medico,  effcndo  egli  il  primo  a  interrogar- 
lo del  fuo  male,  con  pigliar  occafione  dal- 
lo ftar  fuo  malinconico ,  perchè  venga  a  con- 
feffare  il  fuo  male  :  e  qui  potrei  moftrare  un 
grande  artificio  di  qucfto  Poeta,  ma  mi  ri««' 

P    6  fcr- 


•4^        ANNO  TAZ  IONI 

ferbo  di  farJo  in  altre  fatiche  fopra  quefl' 
Op-n . 

Car.  5.  1.  14.  VeM  quelli  che  ^Iriovafcan» 
do  pajfano  y  )  Bellidìma  vaghezza  rende  qui 
il  deferì  vere  le  diverfe  azioni  di  quefti  ani" 
mali ,  come  ben  la  conobbe  >  ed  ofleivò  Vir- 
gilio nel  Culice  v.  50- 

Tondentur   tent^o  viridantia  gramìna  morft4  : 

Ptndida  projeSlif  carpuntur  6f  arbuta  ratnìs  \ 

Den[aqut  virgulti i  avide  labrt^fca   petuntur  , 

H<ec  fttfpenfa    rapi  e   carptnte  i  acumi  na  morfu 

Vel [alici f  lenta  ,  vel  qua  nova  na(cituf  alnus  , 

Htsc  teneras  fruii  cum  ferite  i  rimatur  \  afilla 

Jwminet  in  rivi  prajìanttf  itnaginis  undam  , 

Ma  meglio  fu  imitato  Virgilio  dal  ncdro 

Autore  nella  Profa  5  car.  56.  Ma  le  pecore^ 

e  le  capre  ,  che  più  di  papere  ,  che  dt  ripofar- 

p  erano  vaghe  ,    cominciarono  ad  andarci  ap- 

picciandoper  luoghi  inaccejftbili  ,  ed  ardui  del 

falvatico  monte  ,  quale  pajcendo  un  rubo  >  qua" 

ie  un^  arbore  elio  ec. 

Car.  5. 1.  15.  Vfài  que^  duo  montcn  ^  ec.  ) 
Tocca  molto  giudiciofamente  la  guerra  de* 
montoni  nella  primavera,  pereflere  il  fole 
in  Ariete ,  nel  qual  tempo  quefti  -inimali  piti 
che  in  altro  dell'anno  fi  rifentono.Così  quan^ 
do  il  fole  è  in  Tauro  ,  i  tori  j  in  Caiic^o,  * 
granchi  ;  in  Leone  »  i  leoni  ;  in  Scoi  pio  ,  gli 
fcorpioni  ;  ed  è  cofa  nota  ,  come  anco  è  noto  , 
che  da  queda  regola  prefero  gli  antichi  Filo.; 
fofi  coftume  di  formare  immagini  di  fcor« 
pioni,  mentre  il  fole  era  in  quel  fegno,  ed^ 
quelle  valerfene  con  gran  forza  in  molte  oc-' 
correnze;  così  di  leone,  e  d'altri .  Ma  la  gio- 
irà così  leggiadramente  dal  Poeta  deferir- 
la di  quefti  duo  montoni  mi  dà  campo  a  dire , 
che  fé  è  vero,  come  pur  veriflìmomi  pare> 

che 


\ 


DEL  MASSA RENGO.  ?4^ 
c!ie  dagli  animili  irragionevoli  molte  ,  e 
molte  cofe  abbiano  gli  uomini  apparate;  li 
può  dire,  che  da'  montoni,  e  da'  tori  che 
infieme  accozzano ,  fia  inventata  la  gioftra  : 
e  che  faviamcnte  abbia  i'  Anodo  nel  i.  Can- 
to ,  danza  62.  iifata  la  comparazione  de'  leo- 
ni ,  ed?' tori  per  moftrar  la  fierezza  di  duo 
cavalieri  combattenti  : 

Tion  fi  vjft'iO  i  Itoni  y  0  i  tori  in  faUo 
A  dar  ai  petto  ,  ed  accecar  si  crudi  , 
Ccmtf  quei  duo  guerrieri  ai  fiero  ajfalfo  , 
C  meglio  nella  danza  Teguente: 

Già  non  fero  i  cavalli  un  correr  torto  ^ 
An^i  co^^laro  a  guifa  di  montoni  . 

e  veramente  tra  tutti  gli  animali  combat- 
tenti )  la  giollra  de' montoni  edere  la  più 
reale,  non  è  dubbio  alcuno,  sì  perchè  vo- 
gliono accozzarfi  del  pari ,  si  ancora  perchè 
la  fanno  per  modrar  ciafcunoil  Tuo  valore, 
non  per  cdjo  ,  o  rancore  ,  come  gli  altri 
animali  ;  e  quell'  ardore  di  vittoria  fagli 
animofii  e ingegnofi  nel  combattere  .  Inol- 
tre lagiodra  de' montoni  è  veramente  dnii- 
le  all'  abbattimento  delle  lancie,  il  quale 
e  con  la  lancia,  econ  la  perfonacompoda  il 
fa  ,  fenza  ifregolarfi  punto  con  l'  una  e  l' 
altra  da  cavallo,  dringcndo  quello  fempre 
dentro  i  prcfcritti  termini  dello  d-^ccato  : 
e  così  appunto  fanno  i  montoni  ;  i  quali  per 
grancofi  n  ;n  uTcirebbono  del  campo  che  fi 
pigliano,  mentre  s  -izzuffino  ;  mt  tenendo 
la  dura  fronte  drittidìma>  fi;za  punto  ifcon- 
certarlidel  corpo coraggiofamente  s'affron- 
tano: ma  gli  altri  animali  qui,  elafaltan* 
do  d  lacerano,  d  afferrano  con  infidie;  e 
queda  maniera  ^  plij  dmile  al  combattere  di 
iiocco  >  nella qual  pugna  ciafcua  fi  difende^ 

ecer- 


350  ANNOTAZIONI 
e  cerca  infieme  di  ferire  >  e  però  è  lecito  quii 
e  là  per  io  campo  rchermirfi ,  e  con  maeftre- 
voli  inganni  afferrare  il  Tuo  nemico  .  A  che 
rifguardando  l' Arioso  in  tal  cafo  fièfervi- 
to  d'altra  comparazione  che  di  montoni  ; 
comed'orfi,  di  cani ,  e  d'altri  limili  i  ecco 
nel  Can.  i.  ftan.  5. 

Come  fcglion  talor  duo  can  mordenti , 
0  per  invìdia  ,  0  per  altro  odio  tnojp , 
Avvicinar ft  j  digrignando  i  denti  , 
Con  occhi  biechi  ,  e  pia  che  bragia  rojji  ;  ec. 
(Imilmente  ilSanazzaro  nella  Profa  11.  car« 
iir.  parlando  della  lotta  fra  Uranio,  e  Sel- 
vaggio :  parevano  a  vedere  duo  rabbioji  orfi , 
0  duo  forti  (cri  y  che  in  quel  piano  combattef- 
fero  ,  Cosi  il  Tad'o  in  molti  luoghi  della  fua 
Conquiftata  :  e  V  llluftriifima  Sig.  Curzio 
Gonzaga  nel  fuo  bellilfimo  Fido  Amante;  ma 
tutti  per  brevità  tralafcio  . 

Car.  5.  1.23.  Già  per  li  bofchi  i  vaghi  UC" 
celli  fannofi  ec.  )  Deferire  la  primivera  da- 
gli effetti)  come  veramente  più  bella  per 
la  narrazione  di  diverfe  cofe  :  e  per  quefto  ri- 
fpetto  fra' poeti  più  comunemente  fi  ufa  , 
tutte  ledefcrizioni  di  tempo  fare  dagli  ef- 
fetti .  Si  avvertifca  oltracciò  il  modo  che 
tiene  Selvaggio  per  diftrasre  Ergafto  dall' 
amore  j  con  mettergli  innanzi  il  bel  tem- 
po della  primavera»  affinechè  gli  rincrefca 
di  perderlo  dietro  a  quelle  vanità;  così  fa 
liugenioper  diftraere  Clonico,  nell'Eglo- 
ga 8.  car.  76. 

Fedi  le  valli  ^  e  i  campì  che  fi  fmaltano  ec« 
Car,  5.  I.  29.   L^  arco  ripiglia  il  fanciulli n 
di  Venere  y  ec.  )  La  ragione  perchè  defcri- 
vendo  il  Poeta  la  primavera  ,  foggiunga  che 
Amore  ritorna  ali*  arco  r  è  perchè  nel  tem- 
po 


DEL  MASSARENGO.  351 
pò  della  primavera  movendofi  il  (angue  per 
la  dolcezza  della  ftagione>  fono  gli  uomini 
più  atti  a  innaraorarfi  ,  come  anco  le  piante, 
gli  animali  bruti  ,  e  finalmente  ognicofa  fi 
rifcnte  ,  deftandofi  alla  generazione  .  Da  che 
i  filofofi  argomentano ,  in  quella  ftagìone  ef- 
fere  ftato  creato  il  mondo ,  e  che  per  quello 
ogni  cofa  ritorni  al  fuo  principio ,  cioè  alla 
generazione»  che  è  propria  di  tutte  lecofe 
create  5  come  la  creazione  propria  di  Dio. 
Ritrovando  adunque  il  Demonio  in  quefta 
fanguigna  Cagione  la  materia  difpofta  ne*no- 
ftri  corpi  a  ricevere  il  fuoco  della  fua  tenta- 
zione ,  opera  gagliardamente  3  e  muove  il 
Teme,  che  in  abbondanza  fi  genera,  per  le 
midolle,  e  per  le  vene  deftando quegli  ad- 
dormentati fpiriti;  onde  ne  fegue  5  che  di 
leggieri  5  più  che  in  altro  tempo,  c'inna- 
moriamo. E  però  beniflìmo  la  Santa  Chiefa 
ha  ordinato  in  quel  tempo  il  digiuno  quadra- 
gcfimale ,  tutto  a  propofito  per  macerar  la 
carne  ,che  non  fi  rifenta  nella  libìdine  .Una 
dcfcrizione  di  primavera  fimile  a  quefta  y  ol- 
Te  alle  allegate  dal  Porcacchi ,  e  Sanfovino  , 
leggi  nelle  Ode  d' Anacreonte  ;  edèbellif- 
fi  ma . 

Car.  5.  I.  go.  Chi  diferir  non  è  mai  Jìanm 
€0 ,  0  fa^iù  )  Perchè  fé  bene  fi  ceffa  dall'  ope- 
razione, o  dall'amore  in  atto  ,  forfè  perchè 
il  freddo  riftagna  ilfangue>  ed  in  que' tem- 
pi ognuno  fi  ritira ,  di  modo  che  mancano 
molte  occafioni  di  lufluriare  >  il  fomite  pe- 
rò con  noi  reftafempre  ,  non  mai  fianco,  0 
fazio  di  ferire  . 

Car.  y.  J.  31.  Di  far  dille  midolli  arida 
tenere,  )  Ad  Amore  fi  dava  la  facella  ,  per- 
chè 1*  innamorato  par  che  feropr^  arda  per  \t 

alte- 


J5i  ANNOTAZIONI 
alterazione  del  fangue,  e  quefta  fu  la  pri- 
ma cofa  e  fprefl'a  dal  Petrarca  Z)^  retnsd,  ut*, 
forile,  69.  i»l]a  definizione  d*  Amore  »  di- 
cendo :  Amor  eft  litens  ignìt  ^  gratum  vuìntit , 
fapidutn  venenum  ,  duhh  am^ritudo  ,  delefìfi- 
bilis  morhur^jacundum  fvppliiium ,  blanda  mors^ 
ec.  Ecco  di  primo  Jngrefl'o  eh' egli  tocca  un 
fuoco  occulto ,  perch'egli  fta  n^l  profondo 
cuore»  e  nellerinchiufe  midolle  ardendo  . 
Quindi  fi  fentono  tutto  giorno  gli  am.uni  ra- 
gionar di  fuoco  ,  di  face,  di  cenere,  d'ar- 
dore» di  fiamma)  di  confumarfi  ,  ftrugger- 
fi ,  disfarfi  ,  dileguarfi ,  incenerirfi  ,  e  tan- 
te altre  frafcberie  ,  per  ifcoprir  l'ardore  che 
nelle  midolle  fentono  .  Di  quefta  materia 
n'  anderemo  trattando  a'  fuoi  luoghi ,  fecon- 
do i'  occorrenze ,  per  non  cumular  ogni  cofa 
in  un  luogo  :  bafta  chea  quefto  propofito  fa 
quello  che  nel  fine  di  queft'Egloga  i.  car.  7, 
il  legge: 

. e  */  cor  pia  tn*  arfe  : 

C  neir  Egloga  2.  car.  i^. 

Siccome   al  fol  la   neve  ,   ec« 

e  più  bado ,  a  car.   i?. 

Che  corni  cera  al  foco  ,  ee. 
ed  a  car.  14. 

Venga  a  me  falama^tdra  ^ 
Felice  infittile^  e  m(e'^abil  moflro  * 
In  cui  convien  y  eh'' oancr  i^  incendio  cfifca 
Dal  dì  (h"  io  vidi  ratno*i(o  Sguardo  \ 
Ove  antcr  ripensando  agghiaccio  ^  ed  ardo, 
e  nell' Egloga  4.  car.  51. 

Sempre  in  fiamme  fon  vijfo  ;  ec. 
e  nella  Profa  7.  car.  5;.  Di  ora  inora  piàccn 
h  fue  eccejjive  belhiie  le  mie  tenere  midolle  ac- 
iendeva  ;  e  CariiiO  nella  Profa  8.  car.  52.  Era 
f'^  adunque  ,  ,  ,  infing  dalla  mia  fanciulle  ria 

accem 


DEL   MASSARENGO.       ^n 

ac  Ctfo  art/enttjjitramente  dell^atnore  d*  una  ,  eC» 
e  reli'Egl.  S.car.  7^ 

E   non  pctran  goJ^r  della  mia  cenere  . 
e  più  bado  car.  75. 

A  quella  cruda  cb^  cr  /»'  incende  ,  /  Jlrt/gm 
gfmi  . 
Da  quello  ardore  fi  formano  nel  petto  quei 
focolì  fofpiri  di  cui  dice  nella  Profa  7-  car. 
5^.  Altroché  un  fcfpiroardtntilfimo  in  rifpofta 
non  U  rindea  .   E  nel!'  Egloga  12.  car.  148, 

Si  cocenti  fcfpir  dal  petto  elicemi  , 
c  perchè  Amore  è  fuoco  ,  porta  feco  il  fuo» 
coy  ed  arde  i  petti  di  fuoco  ,  difìTi  nella 
Profa  7.  car.  5J.  OcbefojJ'e  di  si  freddo  pet-^ 
SOy  che  amore  nonpotejfe  ricevere^  perché  ai 
freddo  ghiaccio  non  s'appiglia  il  fuoco. 

Car. 5.  i.32.  pregne  ritornale.  )  Per  Pro- 
gne intende  la  rondine  ,  nella  quale  fu  tra- 
mutata .  Per  la  forella  Cecropia,  intende 
Filomena»  forella  di  Progne,  e  trasforma- 
ta in  rcfìgnuolo;  e  fi  vede»  che  più  baffo 
la  chiama  per  nome  : 

Fiicmena ,  né  Progne  vi  fi  vedono  : 
ed  Ergafto  nell' Egloga  ii.  car.  12?» 

O  Filomena  ,  che  gli  amichi  ^uai 

Rinnovi  cgni  anno ^   e  con  joavi  accenti 
Da  feive  ^  e  da  fpelunche  udi-  ti  fai\ 

"E  l'è  tu  y  progne  ,  ?  ver  ,  ch^  cr  ti  lamenti^ 

Ni  con  la  forma  tt  fur  t  hi  i  ffnjit 

Ma  del  tuo  fallo  ancor   ti  lagni  e  penti  ; 

La  favola  racconteremo  ivi,  come  in  piii 

comodo  luogo  ;  folo  dirò  ,  che  Cecrope  fu 

detta  anco  P''tg»e  da  Bjtifta  Pio  : 

Multa  dcltt  raptum   Ctcro'Js  alet  Itym  , 
edaquefti  due  uccelli  fi  argomenta  la  pri- 
mavera »  nei  qual  tempo  folo  comparifcono  ; 
e  però  è  facto  il  proverbio  : 


554,      ANNOTAZIONI 

Hiì'Undo  non  facit  vtr , 

ed  Ovvìdiodiflenel  fine  del  lib.  2.de'Faftit 

Falltmur}  an  veris  prafìuntia  venh  hirun- 
do\  ec. 

Car.  6.  I.  5.  A  cantar  ver  fi  li  leggiadri  ,  e 
frottole  ,  )  Notino  gli  ftudiofi  di  poefia  la  dif- 
ferenza tra  verfi  )  e  frottole  .  Verfi  leggiadri 
chiama  il  Poeta  le  Canzoni  >  come  quella  di 
Galizio  neir  Egloga  3»  a  car.  12. 

Sovra  una  verde  riva  ec. 
di  cui  dilTe  nella  Profa  4»  car.  24.  Moki  comm 
mendarcno  le  rime  leggiadre  ,  e  tra  rufiici  pam 
fiori  mn  ufttate .  Frottole  poi  erano  canzonet- 
te amorofe ,  ora  bofchereccie ,  ora  in  fog- 
gettodi  nozze  5  ora  fitte  burlefcamente  ;  e 
però  il  loro  ftile  era  bado,  iverfi  brevi,  e 
fenza  regola  j  o  con  poca  almeno  tcffuti . 
Delle  quali  a*  tempi  noftri  molte  fi  compon- 
gono, alTai  dilettevoli,  le  quali  per  io  più 
fi  sforzano  d' imitare  le  antiche  canzonette  a 
ballo  tondo  . 

Car.  6.1.  IO.  Ma  mefle  flrigi ^  ed  ìmponu^ 
re  nottole  .  )  Strige  uccello  grande  edingor- 
do,  con  occhi  di  civetta  5  roftro  adunco  , 
piedi  uncinati,  e  di  canute  piume.  Vivefo- 
lo  di  rapina,  onde  ama  le  tenebre  a  ufanza 
de' ladri,  volando folo di  notte,  con  rauco, 
ed  importuno  ftridore  s  da  c\xìjlrige  vien  det- 
to ,  per  teftimonio  di  Ovvidio  nel  6.  de'  Fa- 
tti V.  139.  ove  Io  defcrive  eccel lentemente  .* 

E/i  illff  ft rigibus  ncmen  :  fedrtomints  hujus 

G auffa  ^  quod  horrenda  ft  ìdere  noSìe  fclent  » 
era  uccello  di  cattivo  augurio,  e  fi  conofce 
da  Seneca  nell*  Ere.  Fur.  v.  68?. 

Omenque  trifie  refonant  infavfta  Jì^igif  . 
perchè  come  feri  ve  Ovvidio  nel  detto  lib-  6. 
era  opinione,  che  la  nptte  andane  alle  culle 

de' 


DEL  MASSARF.NGO.       ^55^ 
de' bambini  per  tucchiar  loro  il  fangue  y  on- 
de morivano  : 

Nc^if    volani  ,   puerofqut     petunt    nutrici r 
igtntef) 
'Et  vitiant  (UftÌF  Càrpora  rapta  fuif  . 

Carpire  4Ìicuntur  laòltntia   vìfcera   rojlris  j 
Tt  plenum  poti  fanguint  guttur  habent , 
C  poco  più  bano  r 

Pecora tjue  exfofhent  avidi s  infamia  ìinguif  . 
At  puer  infflix  vagit  ^  cptmque  petit  ^^ 

Trrrita  voce  (tti  nutrix  accurrit  ahmni  \ 
Et  rigido  ftSìa:  inverit  ungue  ge/tar  . 
E  però  con  uni  verga  di  ("pino  bianco  le  cac- 
ciavano >  ufando  certi  rimedj  ,  fcritti  pur 
daOvvidioper  fanare  gli  ftregati  bambini. 
Che  (i  ritrovi  o  nò  quefta  Torta  d' uccelli  > 
dirlo  non  faprei  :  ma  fo  bene  dal  nome  ^  e 
dalle  opere  che  di  loro  (ì  fcrivonoj/r*-^^^  ef- 
fere  ftate  chiamate  certe  brutte  vecchie,dia- 
boliche  incantatrici  3  le  quali  con  fattuc- 
chierie vanno  maleficiando  i  bambini  ;  co- 
me tante ,  e  tante  ne  fono  ftate  condennate 
dalla  Santiilìma  Inquifizione  ;  e  diquefteia- 
tefe  il  Mantovano  quando  difTe  : 

--  ..  tenero f  ne  fafcimt  artus 

Nfxia  Jìrix  , 
E  Quinto  Sereno  dell*  ed.  Comin.  a  e.  100. 
Prateria  fi  forte  prtmit  ftrix  atra  putlhs 

yirofa  immuìgenr  exerti f  ubera  labrir  . 
e  Francefco  PicoMirandoIanoin  un  Dialogo 
intitolato  la  Strega  y  ferivo  :  Tngredìebamur 
ncSiu  domoi  inimicorum  ^  'i^  amico* um  etiatn 
quartdoque  :  referabantur  nobif  januàs  ;  dor- 
fnientibufqut  parentibuf  arripiibatnus  infante t . 
quoi  lum  ad  igntm  pcfuìjfémuf  ,  forabnmVf 
acu  [uh  unguiculir  ,  éT  admovtbamus  labra 
(uSluque   tantum  fanguinis  ,    quanto  repleret^f 


?5<5        A  NN0TA2:,!0NT 

bf  y  extrahebamuf  ;   baufti  [aft^oirtif  pars  de- 
glutitbatur'  j  pan  adfervabatur  in  pyxide  ,  a& 
conficiiridum  unguenium  ^  quo  tiates  abìuantur 
ec.  quando  poi  volevano  efler    portate  da 
Denmnio  alla  Noce  di  Benevento»  o  altro- 
ve .  Né  quefto  è  favola  ,  perchè  fi  fono  tro- 
vati bambini  con  i  diti  forati  >  e  con  cicatri- 
ci fotto  r  unghie  .  Ma  perchè  non  abbiano  a 
gridare  >  feguita  :  Sopiunutr  ita  ,  ut  non  y>«- 
ìiant  :  fed  ex- erge  fa  lì;  tnìrct  edunt  ejulatus  ^ 
tsgrotantque  ,   ^  imerdurn  mornintur  ,   e   per 
guadagno  poi ,  elle  fteHe  in  poco  tempo  con 
rimcd)  li  fanano  ;  avendodaimedefimo  De- 
monio imparata  1'  arte  di  fumarli  :  il  che  fan* 
no  con  mille  fuperftJzioni,  ed  incantefimi, 
Nèque'ìa  ècofa  folamente  de*  noftri  tempi , 
ma  fino  a'  tempi  d' O vvidio  accadeva  :  e  quel- 
lo eh'  efli  degli  uccelli  ftimivano ,  er  t  opera 
ò.q\  Demonio ,  fatta  col  mezzo  di  quelle  fre- 
ghe ;  eS.  Agoftino  nel  \%\\\t.deCivit.  Dei ^ 
teftimonia  ,  che  fino  a'  fuoi  giorni  fi  faceva- 
no in  Italia  quelle  ftregherie  che  da  Apule- 
jo  5  e  da  altri  fono  fcritre  .  Furono  dette  La* 
mie  ^  Larve  y  Lemt4fi\  ma  fotto  quelH  nomi 
intendevano  <ìvìco\q  Fantafme  ,  le  Ombre, 
efimjii.  Pare  che  Plinio  (  fecondo  alcuni  ) 
neghi  le  rtregha  nel  lib.  ii.  cap.  39.  Fabula, 
[utn  enitftQc,  marifpondo,  che  intende  Pli- 
nio degli  uccelli  ,  non  delle  donne;  AqWq 
quali  é  pur  vero,  che  in  forma  di  gatte,  d* 
uccelli,  e  d*  altri  animali  fono  portate  dal 
Demonio:  nonché  venmente  tramutino  la 
loro  natura  ,  mail  Demonio  l'i  fa  ftr3ve':^e- 
re  ,  per  ingannarle  »  Siccome  Amore  facf-va 
anco  travedere  il  mifero  Ergado,  poiché  le 
rondinelle,  ei  rofi^nuoli  gli  parevano  fri- 
gia e  nottole  ,  Nottole  per  rondinelle  »  1^ 

qucili 


^  DEL   MASSARENGO.      357 

quali  g^J^-'M/r,  ed  importune  fon  dette,  come 
le  nottole  (ono  ;  e  per  ^ofignuoliy?''/^»' ,  che 
ftf/te  egli  chiama,  come  fon  mefte  ,  e  pian- 
gono le  Filomene  o  vogliam  più  rcHo  cre- 
dere ^  che  intendefl'e  fne/ìe  ,  cioè  che  appor- 
tano me (lizia  ,  eflendo  di  cattivo  augurio; 
come  caUo  il  vino  diciamo,  perchè  rifcal- 
da  chi  molto  ne  bee  .  Scimarono  alcuni ,  que- 
ftc  fìrigi  efTer  le  Arpie  da  Virgilio ,  e  da  Sta- 
zio defcritte;  ma  falfamente,  poicfèfono 
diftinte  da  quelle  .  ben  è  vero  ,  che  favoleg- 
giano i  poeti  dalle  Arpie  elTer  venute  le  firi- 
gi  :  e  fi  cava  da  Ovvidio  nel  lib-  6.  de'  Fafli  » 
che  dice  V.  1^1. 

Sunt  avida  vclucres  ;  non  qua  Vhineia  tnetiftf 
Cf/ttura    fraudabant    ;    fed    gtnuf    inde 
trabunt  , 

di  modo  che  dir  poliamo  ^  eneredifpec'efi- 
mile  ,  ma  non  V  idefTa  .  Veniamo  alle  ìmp^r^ 
tunt  hotstle  ,  di  cui  la  favola  è  tale  apprefTo 
Ovvidio  nel  i.  delle  Trasform.  Nittimene 
figliuola  dtl  Re  Nitteo  ed'Amaltea»  aven- 
do acutamente  commefìTo  incefto  con  il  pa- 
dre, poiché  fu  dalla  luce  fcoperta  >  fuggii* 
ira  diluii  ch'ucciderla  voleva  5  cgnefTere 
da  Minerva  cangiata  in  civetta  ,  e  prefa  al- 
la fua  cuftodia  in  vece  delia  cornice  ,  la  qua- 
le era  ftata  cacciata  ,  per  averle  riportata 
una  ingiuria  fattale  da  A glauro  .  Da  che  fe- 
gui  poi  inimicizia  fra  loro  tanto  grande  ,  che 
I'  una  le  uova  dell'  altra  ha  Tempre  procura- 
to di  rompere,  odi  rubare.  E  tanto  pili  l* 
odio  s*  accrebbe  ,  quanto  V  una  ali*  altra  con- 
traria fi  conobbe  :  perchè  la  cornice  è  negra  % 
Ja  civetta  biancneggia  tra  M  bigio  :  quella 
vola  di  giorno,  quefta  (  per  il  rofTore  del 
fuo  peccato)  odia  la  luce?  e  vola  folamea- 


358        ANNOTAZIONI'  ^ 

te  di  notte  :  quella  gracchia  ,  quefta  ama  il 
filenzio:  quella  è  fuggita  dagli  altri  uccel- 
li» aqueftatutci  corrono;  non  tanto  per  ri- 
prenderla del  commelTo  errore,  quanto  per 
maraviglia  e'  hanno  delle  fue  accorte  manie- 
re ;  e  per  pigliar  da  lei  configlio,  la  quale 
tengono  per  lapientilTima  ,  sì  per  la  ccnver- 
fazione  che  tiene  con  la  Dea  della  Tapien- 
2a,  sì  anco  per  altro,  come  leggerete.  Fu 
da  principio  dimandata  la  civetta  dagli  al- 
tri uccelli  ,  in  qual  modo  poteflero  difen- 
tlerfi  dagl*  inganni  degli  uomini,  erifpofe: 
Con  non  lanciar  crefcere  h  qutrcie ,  ma  roder. 
ìf  ttntreìle  ;   perchè,  crcCcendo  ,  antivede- 
va, dovernafceredaquelleunyifchio,  che 
farebbe  ftato  la    diftruzione   loro  .  A  que- 
ilo  foggiunfe  ,  Che  ,   quando  glt  uomtni  avef. 
fero  femìnato  illino^  e  canape  ^  fubito  lobec^ 
(ajftro  ;  pircbS  ,  nafcendo  ,  ft  ne  (ariano  fat- 
te reti  ,  ter  incappargli  ,   E  mentre  diceva 
queftecofe  ,  vedendo  un  cacciatore  con  l'ar- 
co ,  e  le  faette  ,  difTe  loro  :  Guardativi  de 
colui  ,  perchè  con  le  proprie  voftre  penne  vi  le- 
verà il  volo ,  facendovi  con  le  alate  fue  frec 
eie  cad^f  feriti  a  morte.  Rifero  gli  uccell 
gai  delle  fa  vie  rifpofte  della  civetta,  ecomt 
pazza  la  riputavano  ;  quafi  ciò  àict^^ -^  pe 
fepararfi  dal  loro  conforzio  ,*  ma  pofcia  ,  prò   , 
vando  lor  malgrado  la  verità  de' configli  da    i 
tigli ,  l' ebbero  fempre  in  venerazione  ,  ca 
jne  fapientilTima  :  e  però  non  sì  tcfto  la  veg 
gono  5  che  volano  a  lei  ,  per  onorarla  ,  • 
flupirfi  della  fua  prudenza.  Maeffa,  com 
pietofa  delle  loro  difavventure ,  fola  fé  n 
Tola  ,  né  giammai  canta  ,  anzi  ftride  ,  e  pia 
gnedi  non  aver  potuto  rimediare  ai  loro  ma 
li^  Quindi  fu  (liiDSta  facra  a  Minerva  i  per 


DEL   MASSARENGO.       359 

thè  non  ha  cofa  più  propria  la  fapienza  della 
manfuetudine . 

Secondo .  per  dimoftrare  »cheil  faviocon 
il  fuo  avvedimento  conofce  le  cofe  porte  in 
ofcuro  j  ficcome  la  nottola  vede  nelle  tene- 
bre ;  onde  fu  detta  da  Marzian.  Capp.  nel 
princ.  del  6.  1.  v.  22.  ncSlivìda  . 

Terzo ,  perchè  lo  ftudiofo  deve  elTer  vigi- 
lante ,  come  vigilantiflìma  è  la  nottola  ;  e 
crive  Plinio  >  che  portata  addoifo  la  lecca 
efta  d'una  nottola  j  fa  Tuomo  ftudiofo  ^  e  vi- 
gilante infiemc  . 

Quarto,  perchè  ficcome  il  favio  illumina 
'intelletto  agl'ignoranti  con  la  fua  dottrina, 
:osì  il  fangue  tratto  dell' ala  deftra  della  noc- 
:ola  reftituifce,  ungendo  gli  occhi ,  la  luce 
i  chi  1*  ha  quafi  perduta  .  E  perchè  Clonico 
;  a  cieco  d'amore,  e  perchè  veder  poteffe 
'ombre  notturne  nello  incantelìmo,  diife 
Enareto  nella  Profa  io.  car.  99.  E  di  [angue 
?»  nottola  ti  ti/tgtt'b  gli  occhi  con  tutto  il  vi- 
li ;  cht  le  tembre  della  notte  al  vedere  non  ti 
offendano  ,  ma  come  chiaro  giorno  ti  mani" 
^eftino  tutte  le  coft , 

Quinto,  perchè i  favi  debbono 'guardarli 
lai  vino  ,  il  quale  offufca  T  intelletto  ,  inde- 
•olifc«  i  fenfi ,  toglie  la  memoria,  ediftrae 
'animo dallo (ludio;  eia  civetta  ha  quefta 
troprietà  ,  che  ,  mangiando  le  uova  fue  ,  fa 
diare  il  vino . 

SeOo,  ed  ultimo  ,  perchè  in  Atene  fé  ne 
eggiono  affai  (  come  per  contrario  in  Can- 
ia  niuna)laqu3lcittàdi  Atene  era  in  pro- 
ezione  di  Minerva  ,  e  dal  fuo  nome  chiama- 
a  .  Di  qui  nacque  il  proverbio  Portar  notto* 
f  ad  Atene  \  come  difle  l'Ariofto  Canto  40» 
ian,  I. 

Por* 


?«o        ANNOTAZIONI 

Vortar  (  cctne  fi  dice  )  a  Samo  vaft  ^ 
TSlottoIe  a   Atene  ^  e  coccodrillt  a  Egitto, 
in  fignificazionedi  chi  donaa  un  ricco»  od; 
chi  porta  cofe  ove  n'abbonda  .  Anzi  l'ave 
vano  gli  Ateniefi  per  imprefa  del  lor  regie 
valore»  cornagli  EgizjPape,  i  Romani  1 
avoltojo  ,  fc,  Kra  la  nottola  fra  gli  uccell. 
inaugurati,  e  fi  conferma  nell' efempio  ò\ 
Pirro  ,  che  ,   quando  mofle  V  efpedizione 
contra  gii  Argivi  ,  eiTendogli  volata  una  ci' 
vetta  in  cima  dell'  afta»  gli  augurò  (ìniftrc- 
fortuna  ^  come  veramente  gli  avvenne  ir 
quella  guerra.  Ha  proprietà  quefto  uccellc 
chefe  gsrrifce  nella  temperai  dà  fegnodi 
ferenità  ;  fé  nel  fereno  ,  dimoftra  p;oggif 
futura.  Ticn  particolare  inimicizia  con  k 
api  s  vefpe  »  calabroni  )  f^nguifughe  :  pei 
contrario  è  confderatiffimo  conio  fparvie- 
re.  Non  refterò   di  avvertire  ultimamen 
te  Terrore  di  molti  inconfiderati  moderni 
i  quali  abbagliandofi  nella  voce  di  nottola  u 
Tofcano ,  e  di  nctìua  in  Latino  ,  ia  pigliano 
non  per  la  civetta  (<:ome  fi  dee  ragionevol 
mente,  e  come  T  inteftro  gli  antichi)  m.' 
per  il  topo  volatile  ,  quafi  che  non  fappia- 
no  ,  quefto  chiamarfi  da'  Volgari  pipìjìrelh 
e  da'  Latini  vefpe''ttlio  y  e  per  lafciar  molt 
efempj,  un  folo  bafti  del  noftro  dottiiTìm< 
Sanazzaro  :  il  quale  nella  Pr.  9.  car.  77.  fep 
pe  beni  (limo  dire:  E  già  ogni  uccelU  fi  eri 
per  U  jovravvtgfitnti    tenebre    raccolto  nel  frj< 
albergo  ^fuora  che  i  vefpertilli  ,  ec»  dove  avreb 
he  più  to^oàQito  nettale^  quando  fofTe  ft.ìt( 
il  medefimo  fignificato  ,  che  ufar  parola  au- 
gi Latina  ,  che  Tofcana . 

Car.  6. 1.  1  j.  Primavera  ,  e  faci  dì  per  tm 

'0ft  r/fdort(^^  )  II  Petrarca  nel  Soletto  : 


DEL   MASSARENGO.       s6r 

^yvafiiio  */  pianeta  ec 
VrimtiVfra  per  me  pur  non  i  mai  , 
Car.  6.  J.  12.  NV  trttovo  erb<f  ^  ù  fioretti  ^ 
(he  mi  gitveno 'y  Ma  fo!o pruni ^  e Jieccbi  ^^c-) 
In  fcmma  a  un'  animo  con fuio  pare  ogni  co- 
fa  piena  di  cosfuiìone  >  al  miferodi  miferia, 
rr. così  appunto  pareva  all'innamorato  Sin- 
cero  neJI'  Egloga  7.  car.  58, 

I  ai  ftren  f»i  far  tari;  M  f  fofcbi\ 
Campt  di  fltccJjì  I4  fiorìtt  piagge  ;   eC 

.ed  a  Melifeo  ,  riferito  da  Barcinio  nell'Eglo- 
ga 12.  car.  149* 

Ovunque  miro  par  che  ^l<iel  fi  otten^hre  ,*  ec. 

Car.  6.  1.  20.  Caggian  baleni  ,  e  tuon  ec.  ) 
Tocca  in  particolare  di  quei  baleni  con  cui 
fulminò  Giove  i  Giganti  ;  non  fenza  caufa  » 
perchè  furono  fegnalatiflimi ,  e  meritò  per 
quelli  il  fabbricatore  Vulcano  di  ottener  da 
Giove  in  guiderdone  la  belIlfTima»  e  caftif- 
fima  Minerva  per  mog'if,  co.i  patto  però 
di  conquiftarfela  a'  Tuoi  deliri  o  con  prieghi^ 
jo  con  doni,  o  con  violenza;  benché  al  mife- 
ro amante  poi  tutto  (ucceden.-  vano  . 

Car.  6.  1.  28.  Acero  y  )  A Ib^ro  di  grandez- 
za pari  alla  tig'ia  ,  nobiliflìmc)  per  la  bellez- 
za de' l-tvorien  che  fé  ne  fanno;  e  tiene  il 
primo  lu">go  dopo  il  cedro.  Di  quefto  ,  ed' 
altri  Iceni  era  fatta  la  gran  machina  del  ca- 
vallo Trojano.  Virgilio  nel  2.  dell' Enei- 
da  V.  i»2. 

Pr^fitpue  ,  cum  jam  bic  trabibur  Ctntextus 
acurnit 

Starei   equut ,  ec 

Car.  6.  i.  29.  Severe  ,  )  Queflo  k  albero  noti 

flìolco  i<  rande,  m^  ben  groffo  al  le  volte  in 

dicci  pit.di  ;  femoe    verde  ,  e  che    tardi 

crefce  .  Ha  prui/rietà  dilfereoXi!liina  dagli 

Tf/w*  I,  Vj^  aitii 


^61  ANNOTAZIONI 
alrri  alberi,  i  quali  fcorzati  fi  feccano  »  e 
quefti  piglia  maggior  vigore  ,  eflendo  la  cor- 
teccia di  lui  groflìfTima.  E' di  legno  forato, 
leggiero,  e  che  Tempre  fta  a  nuoto;  per  lo 
che  fé  ne  fervono  i  marinari  per  foftentar  le 
ancora-  ed  i  pefcatori  le^reti  nell'acque. 
Se^  "inno  ferragli  a'  vafcelli  >  edutiliiìì- 
I  riefce  nelle  fcarpe,  e  pianelle  per  fcr- 
vare  i  piedi  dall*  umido  .  Ultimamente  9 
non  lafcia  mai  le  foglie  3  non  invecchia  5  e 
:fe  ghiande  di  poco  fapore  :  ma  poi  è  corno- 
diftimo  afar  iciami  per  le  api. 

Car.  6,  1.35.  Per  maraviglia  y  pia  cP  un 
fajfo  rnJurcmiy  ec.  )  Nafce  la  maraviglia  dall' 
ignoranza  ;  perchè  folo  colui  fi  maraviglia  il 
jqual  non  intende  la  cagione  delle  cofe  ronde 
li  fapere  non  è  altro  che  conofcere  le  cofe  per 
Jefue  cagioni;  però  con  ragione  fegue  Sel- 
vaggio : 

E  ^n  dimandarti  alquanto  rajjkuromi , 
Oltre  a  ciò,  la  maraviglia  faftupidi  gli  uo- 
mini ;  e  l'uomo  di  ftupore  fta  immobile  co- 
inè faflo:  onde  non  è  maraviglia  fé  Selvag- 
gio di  maraviglia  s*  indura  più  di  faffb  uden- 
do gl'infortunjd' Ergafto  ;  però  attonito  qvLQ" 
Ho  tale  fi  nominò  dall'  Autore  nella  Profa  2. 
e. 8,  Stava  ciafiun  di  roi  non  men  pietofo  ,  cl^f 
attonito  ad  afcoltare  le  lompaJfiontvcU  parole 
M  Ergafto:  perchè  lo  ftupore  fa  attonito  ;  e 
feftupidi ,  anco  attoniti  faranno  i  LfTì .  A 
trove  in  fimile  cafo  iece  di  pietà  commov-er 
gli  animi;  vedi  nell' Egloga  «2.  e.  144. 

—  —  cP  io  già  tutto  commovcmi  ; 

Tanta  pietà  il  tuo  dir  nel  petto  efalami  , 
ina  nella  detta  feconda  Profa  car.  8.  abbrac- 
cia 1*  uno  e  l'altro  ,  condire:  Non  men pie- 
Ufi  j  the  amnitg .  nella  Profa  7.  car.  57, 

diffe 


t 


DEL  MASSARENGO.  J6^ 
di  (Te  Cirino:  Gravi  fon  i  tuoi  dolori^  Sin- 
Ctro  *»io  ,  t  veram-fnte  da  mn  fen^^  cimpaf-. 
ficftfgrandijfima  afcoltarfi ,  Simile  effetto  in- 
terviene per  dolor  proprio,  e  però  diiTe  il 
Sanazzaro  nel  Sonetto . 

Laffoy   qualar  fra  vaghe  ec. 

Colmo  <P  ira  ,  t  di  duol  divento  un  [cogito  . 

Car.  6. 1.  36.  Ql*aP  è  colei  eh'  ha  ''l petto  ta»- 
loerrortico  ,  )Cioèftolto»  e  pieno  di  errore  > 
o  di  leggerezza  ,  perchè  non  è  ftabile  j  ma 
fempre  con  penfiero  errante  ;  tale  fu  chiama- 
to Elenco  da  Ofelia  nell*  Egloga  9*  e.  86, 

Che  gì*  involafii  tu ,  ptrverfo  erronico  , 
e  Clonico  da  Eugenio  nelT  Egloga  8.  e.  72. 

J^alunque  uom  ti  vtdejfe  andar  sì  erronico  . 
benché  ivi  fi  potrebbe  interpetrare  errante^ 
e  vagabondo^  come  più  latinamente  diifeil 
Sanazzaro  nella  detta  Egloga  9-  CàX.^-j» 

Guarda  le  capre  d^  un  pafto^  erratico  . 

Car.  7.  i.  6.  Che  di  colore  avanza  latte  ^  f 
rofe  :  )  Perifrafi  dell'  incarnato ,  colore  amo- 
rofiflìmo,  il  quale  di  bianco  e  vermiglio  (1 
compone,  cosidifle  Uranio  nelT  Egloga  2. 
car.  14.  ^ 

Tirrena  mia  ^  il  cui  colore  agguaglia 

Le  mattutine  rofe  >  /  */  puro  latte  » 
ricfce  tanto  vagoquefto  colore»  e  tanto  ac- 
crcfce  la  bellezza  >  che  con  va.  j  modi  1'  han- 
no circofcritto  ;  con  liguftri  e  rofe  >  giglie 
viole  5  perle  e  coralli ,  cinabro  ed  alabaftro  » 
vino  e  latte  ,  ed  altri  eh' iotralafcio  :  né  bel- 
lezza alcuna  di  donna  defcrivono  ,  che  di 
quefto  colore  non  facciano  menzione  ;  co- 
me a  chi  é  pratico  dt*  poeti  refta  chiaro  ;  ma 
quello  che  pofliamocol  noftro  divino  Poeta 
provare  1  non  cerchiamo  altronde;  oltre  .igU 
*cfenipj  citati  %  leggaQ  la  dcfcnzione  d^lla 
(^    i  bei- 


5<?4        ANNOTAZIOKI 

be) !ezz3  di  Amaranta  neiia  5^rora4.  car.  2y, 
E  V  vpt  alquanto  più  lunghaito  che  tendo  ^ 
di  bella  formai ,  ccn  btancb^wa  non  Ipt-^cf  ve- 
le y  ma  temperata  ,  quafi  al  bruno  ài'i.hìnan~ 
do  ^  e  da  un  vermiglio  e  grA\to[Q  colare  aCm 
fC^pagnaro    ec. 

Car,  7.  ]•  9.  C9SÌ  fui  prtfo  )  Ofìd"*  ho  tal gi ego 
al  collo  ,  ec.  )  Notino  gli  amanti  ,  qunl  lia  io 
flato  loro ,  che  a  guifa  di  belUe  li  lafciano  da 
una  vii  femminuccia  mieter-:  il  gioi  o  ai  col- 
lo .  tale  era  V  innamorata  Clonico  neil  Egl, 
8.  car. 72. 

Tal  cF  io  pojfa  dal  gir^oiì  collo   t(ì^'gl''^*'e\ 
Car.  7.  1.  ^4.  E  fiafuperifa  ,  ec.  S;  verifica 
quel  d*  Ovvidionel  lib.  I.  de'F\.lh,  chela 
bellezza  induce  fafto  ,  e  gonfi?zza  : 

FaHur  ^n^ft  ^uUb^is  ,   jtqmturque  fuperbia 

fcrmam  .  (  v.  419.  ) 

Ca' .8-  I.  9.  C/&'<g:  pianger  fpffo  i  td a  cantaf 
tni  fprofiarìo  :  )  Sono  d'  amore  propriflìmi 
effètti  il  canti.ree'1  piangere  ;ep  ròal  poe- 
ta Lirico  molto  convenevoli^ondt;  did'e  il  Pe- 
trarca nel  1.  Sonetto: 

Del  vario  ftileitt  ih*  io  piango  >  e  ragiona  t 
e  nel   19?. 

Cantai  j  or  piarfgo\ 
e  nel  feguente  : 

I  pian.ì  \  or  canto  ; 
ed  il  Bembo  nel  primo  Sopetto  : 

Pianfi  ,  e    cantai    h  ftfa^io   ,    #    /'    afpra 
guerra  . 

ed  li  Taffo  nel  Sonetto  : 

Cantai  gì^  lifto  y  e  ricercai  nel  canto 
Gloria  pia  cara  a  me  y  che  l*  ero  a  Mida  j 
Or  piango  *rittfio  ,  ec.  • 

Degli  effetti  d'amore  chi  faperne  brami, 
leg§a  il  Convivio  d  \  Pkconc  ;  il  Redigi* 


ÙEL  MASS  ARENGO.  ^65 
no*lib  12  cap.:?4.  -jS-  3^.  IdiàJoghiHi  Giù- 
feppc  BctufTi  :  eid  ietterà  del  Muzio  Giudi- 
nopolitnno  in  rilpofta  de'qusiiti  tatrigli  for 
pra  Amore.  Eri  m  0  penJlero»  rflt'c  al- 
quanto più  -Hiliuentc  in  toccare  i  D-\iii  degni 
di  confiJerazione  <  ma  dì  molti  cb*  io  n'ave- 
va notati?  qiicfll  pochi  ho  ferirti  1  dubitan-» 
do  con  Io  ftampatore ,  che  il  volume  non  ere- 
fcadi  foverchio.  Nelle  fet^ueoti  Profe,  ed 
Egloghe  Tirò  anco  più  breve  ,  o^rch'^  i  luo- 
ghi non  oiTervati  in  ^ucftì  edizione,  in  al- 
tra piij  comodamente  fi  daranno  in  luce  . 

PROSA     SECONDA. 

Car.  8.  1.  26.  Quantunqui  con  la  ficcavo^ 
ce  ^  )  Per  amore,  come  era  il  Petrarca  nel 
Sonetto  : 

Fili  voltf  f^tà  etti  bil  femhiantt  ec. 

Celi  m*  ha  fatto  Amor  tremarti»-  -y  t  fioC9* 
e  Cgnifica  rauco»  debile,  ed  impedito  , co- 
me il  fagiano,  di  rui  diffe  l'Autore  nel- 
la Profa  3.  car.  16,  Ifiorbi  ftgìani  pff  U  loro 
magioni  cantava to .  ed  li  Petrarca  nel  Trion- 
fo d*  A  more  >  Can.  I. 

Ivi  fra  /*  erbt  giA  Jet  pianq^e*  fioco  , 

Car.  f.  1.  19.  Col  vifopalìidot  magro  ,  ccn 
gli  rabbuff'ati  capelli  ,  r  gli  occbi  lividi  cc.  ) 
Mifrri  amanti  a  che  fi  riducono  ,  che  piti 
fcmbianzadi  morte,  ch«  di  vita  teiigono! 
mirifi  la  effigie  dello  innamorato  Clonico 
Q^   l  nella 

*  Ifi  molti  luoghi  ;  Hon  gi^  nt*  citati  dal  Maf^ 
fé r fugo  ;  »sn  avendo  il  lib,  i2.  del  Rodigli 
no  pia  che  capi  ventuno  ^  e  non  tfattandoji  a 
capi  ?4.  ^5.  36.  d*  alcun*  altro  fuo  libro  di 
pmil  materia , 


566        ANNOTAZIONI 
nella  Profa  8.  car.  72.  Un^  uomo  s)  rahhujfato , 
€  nei  gtfii  dolo^cfo  ,  che  di  [e  ne  fé  forte  tnam 
rrft)/g//tfr(?; ma  meglio  nell'  Egloga  8.  car. 72, 

Ove  si  fol  con  fronte  efatigue  ,  e  pallida 
Su  /*  afiftelh  $r   vaine  ,  e  malincontco 
Con  chiome  irfute ,  e  con  la  barba  fquaU 
li  da  ?  ^ 

tutto  nafce  perchè  l'amante  non  vive  in  fé 
fteflb ,  ma  con  1*  amata  fempre  >  di  modo  che 
fi  può  dire  morto  afe  j  vivo  alla  donna  ama- 
ta: onde  fé  ha  fembianza  di  morte  anzi  che 
di  vita,  è  perchè  ama  di  cuore;  però  diflc 
quel  Poeta  : 

--  pallet  &  ommt  amans ,  V.  a  car.  327. 

Car.  9.  1,  7.  J'  ingegnava  di  confortarlo  y 
ammonirlo  y  e  riprenderla)  Tre  gradi  difìin- 
gue  nelP  ordine  che  tener  fi  dee  per  fare  una 
giovevole  correzione  .  Primo  j  confortar!' 
uomo  con  dolci  parole  j  più  tofto  feguendo  1* 
inclinazione  dell' animo  fuo  3  che  difgudan- 
doloi  con  dargli  fperanza  buona  ,  e.  fargli 
animo  .  Secondo  »  ammonirlo  ,  con  fargli 
vergogna  del  fuo  trrcre,  per  la  bruttezza  5 
e  viltà  di  quello;  onde  egli  ftefTo  cominci; 
quafi  di  fuo  volere ,  a  fprezzarlo ,  ed  abor- 
rirlo .  Ultimamente  j  avendo  in  tal  modtJ 
difpofto  V  animo  del  delinquente  ,  riprender- 
Jo  afpramente  5  e  metterlo  in  timore ,  o  con 
minaccie  ,  ovvero  augurandogli  maggior  ma- 
ie  .  E  quefti  tre  gradi  parimente  dalP  ora- 
tore ferva  r  fi  debbono,  elFendo  eglino  con- 
formi all'  ordine  di  natura  ,  la  quale  a  debile 
principio foggiunge  mezzo  più  gagliardo,  e 
conchiude  con  potenti iTimo  fine. 

Car.  9.  1.9.  Ingegnandogli  di  molti  rimedj  , 
ec.  )  Al  male  altrui  tutti  medici  fiamo;  al 
xioftronon  abbiamo  rimedio  :  onde  fi  verifica 

il 


DEL  MA  SS  ARENGO.       ^7 

il  proverbio:  Rurovarfi  pia  medici y  che  in» 
ferm-tà  .  A  quello  propofito  ferve  quello  che 
del  Gonnella  fi  fcrive  :  ilquale,  dimandato 
dalMirchefe  Niccolò  di  Ferrara >  Di  qual 
arte  fojfe  maggior  numero  in  Ferrara  ,  rifpo- 
f e  ,  de^  Medici  \  e  repHcando  il  Marchefc» 
Che  nh  \  affli  di  quelli  averm  Ferrara  fola-^ 
mente  due ,  «  tre  al  pia  ;  fecero  buona  fcom- 
mefla  tra  loro  .  in  pena  di  chi  (offe  ritrova- 
to in  bugia  •  Il  Gonnella  dunque  una  matti- 
na per  tempo  poftofi  alla  porta  del  Duomo 
col  volto,  e  coii  la  gola  tutta  fafciata  di  pel- 
le, a  quinti  entravano  in  chiefa,  e  gli  di- 
mandavano del  fuo  male,  rifpondeva,  (èe 
gli  delevano  i  denti:  dove  ognuno  gì'  infe- 
gnava  un  rimedio  ;  ed  egli  fcriveva  il  nome  » 
e  la  ricetta  di  ciafcuno  :  onde  andato  poi  a 
quello  modo  per  la  città  |  cercando  rimedj  al 
fuo  dolore  ,  fegnò  fopra  una  lilla  più  di  goc. 
perfone  che  gli  avevano  infegnato  medicina 
al  mai  de'  denti .  Ciò  fatto ,  andò  il  fegueute 
giorno  a  palazzo  j  a  quell'ora  appunto  che 
il  MarcHefe  definava  ;  e  quivi  prefentolTi  col 
vifo,  e  con  la  gola  tutta  fafciata,  fingendo 
grandiiTìnio  dolore .  Il  Marchefe  non  accor- 
Cofi  dell' aduzia,  intendendo  che  i  denti  gli 
dolevano,  fubito  dille  :  Gonnella  ,  u[erai  il 
rimedio  eh*  io  ti  dh  ^  e  fubito  farai  fano  ,  Tor- 
nato a  cafa  il  Gonnella ,  fece  un  ruolo,  do- 
ve mife  tutti  per  ordine  i  rimedj,  e  coloro 
che  gliele  avevano  infe£;nati  ;  ed  in  capo  di 
lilla  fcriife  il  Marchefe.  Il  terzo  giorno» 
come  libero,  efano,  andòa  trovare  il  Mar- 
chefe ,  e  gli  moftrò  le  ricette  eh'  egli  aveva 
avute  al  dolor  de' denti ,  e  chiefc  la  fcom- 
meda  .  Onde  ritrovandofi  il  Marchefe  pri- 
mo fu  la  liQa,  e  dopo  lui  tanti  altri  gentil- 
Q^  4  uomi- 


568        ANNOTAZIONI 

«omini  ,  non  potendo  tener  le  rifa  ,  coe- 
fclso  d'aver  perduto,  e  pli  f«ce  pagare  ì» 
fcommffTa  .  Ptf'*  non  effcr  adunque  io  da 
pui  àe^lì  altri  ;  feguendo  V  univerbi  cc- 
ftuaie  ;  con  tutto  che  dc'rimcdj  d*  amor» 
abbia«io  trattato  Ovv.dCic.  P!io.  P«tr.  Avi- 
cenna ,  Galeno  ,  il  D  mcnichi ,  ed  altr?  co- 
piofamenre  :  nondimeno  di  dirne  ìp  q.uJla 
Juogo  alcLi'^i  non  refterò  ,  npprovcjci  da  di  *  tr- 
fi  amici  miei:  e  fupponendo,  che  l'iut.r-P 
mitàd' amore  nafca  non  tani-odi  infarto  ani- 
mo, quanto  da  incompofta  temptrr.'.tara  di 
corpo,  come  da  malinconia  foverchia  ,  oda 
altro  umor  peccante  >  metterò  ieprsrati  rx- 
medjda  ufarfi  nel  corpo  ,  ed  altri  per  fervi- 
2Ìo  dell'  animo.  Al  corpo  dunque  gioverà 
primieramente  1'  aftinenza  per  documento 
di  Terenzio ,  il  qual  diffe  nell*  Eun.  Att.  4. 
Se.  5.  V.  6. 

Stne  Cerere  ,  &  Libero  fri  gel  Venur  . 
e  fi  fa  ,  con  la  dieta  non  folo  fpegnerfi  l'amo- 
rofafete»  ma  ogni  altro  piacere,  e  diletta 
jnfieme  .  Giova  altresì  l'elleboro  prepara- 
to ,  tolto  per  bocca  ,0  poco  3  o  più  1  confor- 
me alla  robufta  complellìone  dell' infermo* 
Similmente  il  cavar  fangue  dalla  vena  fal- 
vatelia  della  mano  finiftra  dopo  aver  fatta= 
una  baftevole  evacuazione  dei  corpo.  Ag- 
giunge Plinio  il  get.arfopra  l'amante  pol- 
vere nella  qualcuna  mula,  o  altro  ilerile 
anim  ile  rivolto  fi  fia  j  e  fu  ufato  da  Enareta 
a  fanar  Clonico  nella  Profa  io.  e.  loo-  dappoi 
ii  fpargerb  fovra  al  c.->po  dilla  polvere  ov*  mU" 
la  ,  0  altro  Jìtrile  animale  invclutato  fi  fia  , 
Ma  (  tralafciand©  i  molti  rjmedjdi  magia, 
dai  Demonio  ritrovati)  per  levar  la  pacione 
dell'animo»  fia  bene  mutar  luogo,  allonta- 

nan- 


DEL   MASSARENGO.       ^6g 

nandofi  della  perlona  amata  »  perchè  la  mu- 
tazione di  luoRO  come  al  corpo,  così  adi- 
ftraerci  pentìeri  dell'animo  >è  propriiTima- 
Fuggir  l'ozio,  perconfiglio  d*Ovvid.  ne' 
Remd'  Am.  v,  159. 

Otis  fi  tcllat ,  peritre  Cupidinh  arcuf . 
E  r  inlegnò  Eugenio  a  Clomco  nelT  Egloga 
8.  car.  75. 

E  p^i  (omincitrai  col  rajìro  a  frangere 
JL/a   dura   terra  ,  e  flerperai  la   lappola  ) 
Qbe  le  trej'centi  biade  fuol  tani  antere .' 
la  con  la  rete  uccello  ,  e  con  la  trappola  , 
Per  non  marcir  nelP  o\io  ^  e  tendo  infidi^ 
Alla  mal  n^ta  volpe ,  e  fptjfo  incappola  . 
Così  ji  [(accia  amor  ;  cc» 
Similmente  impiegarli  in  negozj  importan- 
ti j  o  pigliar  imprffe  laboriofe  ,  e  difficili  : 
acciò!'  animv^da  pili  alto  penderò  diftratto 
s'allontani  dalT  imm  iginazione  che  lo  tor* 
menta.  Schifar  le  cofe  ch^?  pofTono  recar  me- 
moria rimorofiidolce^e  piacevole  dell'  amato 
oggetto.  Conllderar  bene  Tpefìo,  quanto fia 
brurta  9  e  infelice  cofa  1'  amor  Itfcivo  .  Pen- 
fare,  che  con  tanti  llrazj,   (Wnti ,  dolori, 
pianti,  forpirì,  fpefe  »  e  difficoltà  fi  cerca 
una  breviilima  dilettazioiie,  cofa  labile,  e 
che  in  fomma  è  niente  ,  e  però  degna  d'  efìTer 
<lift>rcgiata  ,  e  riputata  viliflìma  .  Penfareai 
difetti,  e  vizjdeli' arnita  .  Non  filTar  giam- 
mai gli  occhi  negli  occhi  ambiti  :  perchè  da 
quelli  fi  bee  tutto  V  amorofo  veleno  ,  e  dilTc 
Properzio  nel l'  Eieg.  12  del  lib.  i- v.  12. 

5*  nefcit ,  «culi  fufit  in  amore  ducts  , 
fn.T  più  torto  ,  fc  nell'  amata  perfona  fi  ritro- 
va qualche  parte  imperfetta,  edifeCtuofa, 
quella  mirare  ,  ed  a  quella  confiderare,  per 
tvcr  indi  occafionc  di  prenderla  a  fchifo  .  A- 
a    5  fcoU 


370  A  K^  N  O  T  A  Z  r  O  N I 
fcoltar  que*  critici  che  gli  altrui  difetti,  e 
mafljme  delle  donne  biafi mando  fcoprono  ;  o 
Jegger  libri  che  le  loro  bruttezze,vizj,e  colpe 
dimoftrano.  Alcuni  d'  animo  nobile  5  ege- 
«erofo  ,  con  la  fola  vergogna  j  e  roflore  fi 
fono  liberati  :  accorgendofi  che  il  fover- 
chio  amore  gli  faceva  impazzire  ,  operar  co- 
le indecenti  5  e  come  favola  del  volgo  efTer 
«Tioftrati  a  dito .  E  di  piià  ponendofi  avanti 
jgli  occhi  la  bruttezza  de' piaceri  amorofi  j 
come  privi  d'utile,  ripieni  d'ogni  perico- 
lo, e  difonore,  e  di  continuo  pentimento 
cagione  .  Dicono  alcuni ,  quello  mile  dover- 
ci vincere  non  contradando,  ma  fuggendo; 
e  dicono  molto  bene  ;  per  il  pericolo  che  tie- 
ne la  paglia  di  non  accenderfi ,  fé  s'  apprefla 
al  fuoco;  ma  però  ritrovo  io  (ed  altri  fono 
pur  del  mio  parere)  che  il  domefticarfi  mol- 
ato,  e  farfi  famigliare  dell*  amata  ,  è  oppor- 
jCunilTjmo  rimedio  i  perchè  ficcome  il  veleno 
»on  nuoce  a  chi  per  tempo  lo  fi  rende  fami- 
gliare 5  come  di  Mitridate  fi  legge,  e  di  al- 
cuni popoli  Orientali ,  così  l'amore  fattofi 
^omeftico  5  non  fa  danno;  perchè  ogni  gior- 
«opiù  fiavviiifce;  la  qua!  viltà  è  contro  al 
mantenimento  d'  amore  ;  e  la  ragione  è 
pronta;  perchè  fé  l'amore  none  altroché 
iefiderio  della  cofa  amata ,  mentre  durerà  il 
<3efiderio  ,  con  iftarfi  la  donna  lontana  ,  e  fe- 
;parata  dall'amante,  durerà infieme  l'amo- 
re, e  quanto  pili  negata  gli  fia  ,  più  crefcerà 
al  defio ,  e  l' amore  ;  ma  fé  fi  toglie  con  la  fa- 
migliarità quello  dcfiderio  ,  1'  amante  per  la 
copia  fifazia,  e  molte  cofechs  nell'amata 
egli  ammirava  ,  ed  adorava ,  metterà  in  non 
cale  ;  conofcendole  diverfe ,  e  di  gran  lunga 
inferiori  a  quella  nobile  j  ed  alca  idea  che  gli 

for- 


DEL    MASSARENGO.       571 
formava  A  tiore,  0  più  collo  il  fuo  sfrenato 
appetito  : 

Cbe  fpeffo  occhio  ben  [an  fd  veder  torto  , 
come  aifle  il  Petrarca  nel  Sonetto  : 

//  mal  mi  preme  ,  ec. 
E  fi  legge  fcritto  da  un  medico  : 

£)uifquit  amat  ranam  ,  ranam  putat  ejjif 
Diatiam , 
ma  è  ben  vero  >  che  ,  ficcome  quando  il  fole 
illufìra  la  terra  da  un  lato,  T  altro  riman 
fofco,  così  da  un  lato  illuftrando  amore  il 
fenfoi  relU  la  ragione  tenebrofa  .  Giova  ul- 
timamente V  impiegarfi  in  altro  nuovo  amo- 
re; perchè,  ficcome  il  fiume  divifo  in  più 
rami  divicn  manco,  così  P  amor  divifo  in 
molte  perfone  ralla  poco  efficace  ;  e  ficcome 
un  veleno  l*  altro  caccia ,  ed  un  chiodo  i*  al- 
tro ,  così  l'amor  vecchio  vien  cacciato  dal 
nuovo:  e  lo  diHe  dopo  Cic.  nelle  Tufc.  ii 
Petr.  nel  Gap.  1.  del  Trionfo d*  Amore  . 

Dall^  un  fi  fciùglte ,  e  lega  all^  altro  nodd  \ 
Cotale  ha  quejia  malizia  rimedio , 
Qome  d^  riffe  fi  trae  chiodo  con  chiodo  . 
Si  prova  con  differente ,  mi  pur  a  propofico  t 
cfempio  di  Tancredi  ,    il  quale  alla  bella 
Armida  non  fi  moffe  punto  ,  per  l'  amore  che 
portiv^a  a  Clorinda;  di  cui  fcrive  il  Taflb 
nella  fuj  Conquiftata  lib.  6.  (lan.  <,7- 
M.a  Centra  fue  iufngbe   invitto  almeno 
Tancredi  or  fu^  eh"*  arfe  giè  a  dramma  a 

dramma  ■ 
PeroccP  altro  defio  gP  incende  il  feno  ^ 
Talché  di  nuovo  incendio  or  non  infiamma  * 
E   ctme  guarda  /*  un  d"*  altro  veneno  y 
Tal  antica  </*  a*nO'  da  nuova  fiamma  , 
Ma  quanto  a  me  lodo  bene  ,  che  di  quefti  du« 
rimedj  il  primo  non  fi  adoperi ,  ie  non  da  chi 
Q.    6  fifett- 


57'-         ANNOTAZIONI 

fifeote  di  poter  refiftere  ;  altrimenti  peri- 
colofo  farebbe  ,  e  di  molto  maggior  danno: 
il  fecondo  non  fi  ufi ,  fé  non  in  eftrema  ne- 
cefTitàj  cioè  dopo  aver  provati  gli  altri  ri- 
medi >  perchè  fé  bene  fi  permette  un  minor 
male  j  perchè  fi  fugga  il  maggiore  :  come 
dicono  i  dottori  nel  cap.  i.  io.  iHjìinSi.  nel 
cap.yf  qtdfd  virìuf  ^i.  qua(l,i.  e  Bartolo  nel- 
la /.  !•  nvm.  7.  C.  df  fftm.  Tri».  ^  fid.  catb,  e 
di  due  mali  fi  dee  eleggere  il  minore  ,  con- 
forme alla  /.  quoti  et  nihiljf,  de  reg.  jur.  e  alla 
Glofa  nella  /•/?  procurat.  rei.  jf.  de  doL  mal,  ^ 
mgt.  exctpt.  Nondimeno  non  li  dee  fare  il  ma- 
le ,  perchè  ne  nafca  bene  ;  e  lo  dice  la  Glofa 
nella  A  guì  fub  pr^textu  ,  C ,  de  Sacrofan^, 
T.(cl.  e  nel  C  magna  .  'N.e  clerici  ,  vel tnon.  fec. 
neg.feim.  Né  fi  de€  fcoprir  un'  altare,  per 
coprirne  un' altro  ;  fi  pruova  per  la/-  fin.pa- 
ragr.(edetjiqsiif.  nel  fin.  ed  ivi  Baldo  al  num. 
12  al  verfo  No»  debet .  C.  ccm.  de  kgétt.  ed  ì\ 
medefimo  Baldo  neir  >4«ri^.  7\Z/y?.  al  num. 5. 
al  vcrfo  In  alt  mentis  .  Cad  Treb.  e  Bartolo 
nella  Lajftdtùs  .  al  nu.4.  C>qui  pot.  in  pig.hak. 
Ma  per  difendere  anco  quell'ultimo  rimedio 
fi  potrebbe  rifpondere  con  Baldo  nella  detta 
l.ajftduif  al  n.  7.  efler  lecito  fcoprire  un'altar 
maggiore  j  per  coprirne  un  minore;  e  cosi 
efier  lecito  prendere  un  nuovo  amore,  per 
ifradicare  il  vecchio  •  Per  fine  darò  un  rime- 
dio imparato  dal  Petrarca  nel  lib.  Ve  retnsd, 
utriufq.fort^cap.  69.  ove  dice  :  Checffendo  le 
caufe  da  cui  fi  genera  quefto  velen  d' amore  > 
fanità  ,  bellezze  ,  ricchezze  ,  ozio ,  e  gioven- 
tù i  gli  antidoti  per  cacciarlo  fono  infermi- 
tà, bruttezza,  povertà,  gran  negozj,  eJa 
vecchiezza  dei  giovanili  errori  caftigatrice. 
E  quando  niuno  de' foprat occhi  xiinedj  non 

gio^ 


DKL   MASSARENGO-       g;? 
giovi ,  eforto  ciafcuno  per  ultimo  rimedia 
far  quello  che  e'  infegna  1'  A  riodo  dicendo  : 

A  chi  in  amor  /'  invKcita  ,  olt**  ogni  pena  , 

5»  convengono  i  ceppi  ,  e  la  catena  . 

Car.  Q.  1.9.  Ajjai  pia  leggieri  a  dirli  ,  che 
a  metterli  in  operatone  .  )  Forfè  perchè  non 
fanno  Io  (lato  di  chi  è  caduto  in  tale  infermi» 
tà  ;  e  diceva  Sincero  nella  Profa  7,  car.  56. 
Colui  folarnente  fel  può  penfere  che  lo  hapvuo* 
vatoy  0  prtéova  ;  ond^èquel  detto  d' un' ap- 
paflionato  amante  : 

Nejjun  creae  il  mio  mal ,  fé  non  chi  ^l prova  $ 
che  quando  i  conlìglianti  fodero  aggravati  di 
tal  piaga  ,  non  faprebbono  quai  rimedj  ufa- 
re>  o  fapcndoli ,  non  vorriano  adoperarli  5 
e  di  qui  nafce  la  proibizione  a'  medici ,  cha 
caduti  in  male  pericolofo  di  morte  non  pof- 
fano  mcdicarfi  da  fé,  ma  fiano  sforzati  va- 
Jerfi  d*  altro  medico,  altrimenti,  moren-» 
do,  come  uccifori  di  fé  rtcfli  condennati  fo- 
no. Ma  pur  dice  Arili,  nel  2.  della  Fifica  j 
tefto  I.  il  medico  poter  fc  fterto  nisdicare  » 
né  impedire  che  fia  agente  ,  e  paziente  nel 
medefimo tempo;  perchè  fi  fa  fecundum  dim 
ver  [a  . 

Car.  9. 1.  10.  Per  men  f«ntirs  la  noja  deU 
U  petrofa  via  ,  )  La  mu(ica  quanto  giovi  a 
fcacciar  li  faftidj  ,  e  quanto  alleggerifca  la 
fatica  ,  fi  cava  da  molti  Icrittori  che  a  pie- 
no n'  hanno  trattato,  madaOvvid.  nelprin, 
dei  4.  Trlft, 

Hcc  ejì  cur    cantei    ^ìnHut   quoqui  compede 

Indocili  numero  cum  grave  molli t  $pur  . 
e  quello  eh*  ivi  feguc  per  molti  verfi  ;  ma 
leggafi  il  nofiroSanazzaro  in  quefia  Profa  2. 
^4r.  10,  Fa  (kf  h  fi/quj^nh  loda  (iti  tuo  can. 


?74        ANNOTAZIONI 

tare  ,  fé  non  ti  è  noja  ;  che  la   via  evieni Jo 
nt  parrà  minore  ;  tolto  da  Virgilio  nel  fine 

deli' Egloga  9.         ^      ,  .     ,    ,     x 

Cantante!  licet   ufque  (  tmnu!  vta  Uiat  ) 

eamus  , 
Car.  IO.  1.  17.  Amico -i  fé  ìebenlvole  Kift- 
fé  ec:  )  Vago  color  rettorico  5^  fé  bene  in  boc- 
ca di  vii  pallore  1  perchè  daflì  anco  rettori- 
ca  naturale ,  come  logica  >  e  gramatica  na- 
turale :  fimil  arte  usò  Carino  nella  Profa  7. 
car.  57.  Ma  dimmi  ^  fé  gli  DH  nelle  braccia 
ti  rechino  della  defiftta  donna  ,  ec.  Così  nel- 

r  Egl.  II.  car.  129.  pregando  di  favore  un  fiu- 
mi Ergafto: 

E  i  fé  per  piaggia  mai  non  fi  dijiempre 
Il  tuo  bel  corfo  y  ec. 

E  Virg.  nelì'  Egl.  9-  v.  30. 

Sic  tua  Cyrneai  fugiant  examina  taxot  : 

Sic  cytifo  pajia  difientent  ubera  vacete  \ 

Incipe  ,  fi  quid  babet  ,  ec. 
Dove  a  fcopre  l'artificio  ufato  nel  fondar 
preghiere  .  Chi  defidera  impetrar  alcuna  co- 
fa  5  prima  dt-e  acquirtarfi  benevolenza  predo 
Ja  perfona  a  cui  chiede  :  ecco  b?!^  modo  di  far- 
fi  benevolo  il  pregato,  con  defiderargli  be- 
ne, e  quel  bene  che  più  gli  gradifce .  Poi^ 
dee  tentar  con  doni  d*  impetrarla  ;  per  quel' 
dettod'Ovvidiolib.  5.  ^^  Art.Am  v,  6^^. 

Munera  (  cnde  mibi  )  capittnt  hominefque\ 
Deofque  : 
Vlaeatur  donis  Jupiter  ipfe  datit . 
Ecco  il  Sanazzaro  :   Acciocché  tu  non  creda 
che  le  tue  fatiche  fi  (parlano  al  vento  ,  io  ho 
un  haflone  di  noderoso  mirto ,  ec« 

Car.  IO.  1,26.  lo  i^  un  bafio*te  di  nod*rO' 
(0  mirto ,  ec.  )  Fuil  biflone  ritrovato  da  Bjc; 
co  (  come  afferma  Rabano  )  acciocché  gli 

uo- 


DEL  MASS  ARENGO.  57? 
nomini  gravi  per  lo  vino  con  quello  fi  fofte- 
nellero  .  Mi  poi  è  flato  ufato  da*  paftori , 
non  tanto  per  appoggio  di  iìanchezza ,  per 
guida  delie  msndrej  e  per  faltare  i  (ofCi , 
quanto  per  efl'er  arma  prontifllma  a  difender 
(e,  e  la  greggia  da  ogni  nemico  animale. 
E  però  lochiamo  ^arJa  nella  Profa  ii.car. 
115.  E  V  terio  rimarrà  contento  di  quejio  dar ^ 
do  di  ginepro  ,  //  quali  ornato  di  sì  bel  ferro  , 
p»trà  e  pir  dardo  fervi  re  )  e  per  pa fioraie  ba.~ 
ftone  .  E  Virgilio  nel  Culice  v.  190.  fa  che  il 
paftore  fattofi  un  baflone  del  tronco  d*  un' 
orno  ,  ammazzi  il  ferpsnte  che  voleva  ucci- 
der lui  : 

Et  vaììdum  dextra  truncum  detraxit  ah  orno  y 

jQai  e  a  fui  foci  ar  et  opem  ^  ec» 
a  imitazione  del  quale  dilTe  il  noflro  Sanaz* 
raronell'Egl.  2.  car.  11. 

eh'  /'  un  fol  ramo  mi  trarò  da  p'ejfo  ^ 

Nel  fari  fpejfo  ritornare  a  dietro  . 
Quindi  è  ,  che  gran  diligenza  ufavanoin  for- 
birli,  come  qui  ben  deferire  l'Autore,  e 
nella  Profa  6.  car.  44.  £  nella  dffira  mano  un 
belli jfimo  bafione  ,  con  la  punta  guarnita  di  no- 
vararne  .  E  nella  Pr.  9.  car.  84.  E  neW  una 
delle  mani  avea  di  ginepro  un  baftcne  belli jfitnOy 
quanto  alcuno  mai  ne  vedejft  a  pajìore  \  ec 
E  nella  Pr.  11.  car.  125.  Rima  fé  ad  Erga» 
fio  un  delicatijfimo  bafione  di  p^ro  falvatico  , 
tutto  pieno  dì  intagli .  E  per  moftrare ,  che 
Apollo  apprcflo  Admeto  foffe  veramente  pa- 
llore ,  fra  gli  altri  arnefi  gli  diede  un  bafio- 
ne d*  oliva,  nella  Profa  3.  car.  18.  Ed  irt 
un  de*  lati  vi  era  Apollo  biondijfimo  ,  //  qaa- 
le  appoggiato  ad  un  bafione  di  falvatica  diva 
ec.  il  quale  per  la  fua  bellezzi  non  riputò 
egli  indegno  di  Mercurio  j  in  ricompenfa 

del- 


576        ANNOTAZIONI 

della  foa  ve  lira  d;^  lui  ricevuta  in  dono.  Co- 
sì a  PanC)  Dio  de' paftori  d' Arcadia  ,  die- 
de un  baione  ,  ne'la  Profa  io.  car.  92.  Sovra 
al  quale  jì  vid*vn  di  lez^no  la  grande  e^ìgìe  dtl 
falvatfco  Iddio  appoggiata  ad  un  lungo  bttjìong 
di  una  intera  oliva  . 

Car.  IO.  LuIcO»-  qui-fto  (  je  tu  Virrai  can- 
tare )  fia  ttitt»  ìu§ .  )  Se  qui  dona  un  bafto- 
ue  per  premio  del  fuo  cantare»  nella  Profa 
7.  car.  57.  dona  una  ramr>ogna  :  E  io  in 
guiderdone  ti  donerò  quefia  famptgna  di  faf»^ 
buco ,  ec. 

EGLOGA    SECONDA. 

Per  la  varietà  della  teflìtura,  e  per  la  di- 
verficà  de*  ioggc^ti ,  qucfta  fra  tutte  i'  Eglo» 
ghe  palìorali  fi  puòdirebeilillìma  ,  e  che  ia 
eHa  1*  Autore  fi  fia  molto  compiaciuto  .  Prin- 
cipia con  rima  di  terzetto,  feguita  con  la 
rima  nel  mszzo  òt\  verfo ,  ripiglia  i\  terzet- 
to in  verfo  fdrucciolo  ,  ed  a  quefto  foggiun- 
gendonova,  ma  leggiadra  forma  di  terzet- 
to ,  con  una  bella ,  ed  incantenata  Canzonet- 
ta ?  conduerifpondenti  Madrigali  in  fine» 
la  concbiude  nel  medefimo  terzetto  ;  ma  ta- 
le ,  che  cdel  primofpondaico,  e  del  fecon- 
do dattilico  ,0  fdrucciolo  precedenti  con  fi- 
de .  Comincia  il  terzetto  fpondaico  :  Itenf 
*//'  cmbra  .  Lrt  rima  pofta  in  mezzo  del  ver- 
fo :  Fuggite  ti  ladro  .  lì  terzetto  fdruccio- 
lo :  Ncffun  fi  fidi^^  Il  terzetto  fpezzato  5  o 
rima  che  d\x\i  più  torto  vogliamo:  Gi^  fe^ 
m$  giunti  al  luogo .  La  incatenata  Canzonet- 
ta :  Ver  pianto  la  mia  Carne  ,  Il  primo  Ma- 
drigale :  Fillida  mis  .  al  qual  rifponde  :  Tir- 
fina  mia ,  li  f«^oodo  ;  V*JÌ9r  ,  (bt  feti  in^ 


DEL  MASSAHEKGO.  37^ 
Urn»  ,  al  qual  riipondo  ;  Vaftop  ^  ìhe ptr  fug^ 
gire  .  (  benché  accoppiando  inlìemf  quefti 
quattro  Madfig;?!)  ,  come  quattro  ftanze  9 
Céfti^netts  alla  T^aptlifana  più  tolìo  la  no- 
ni icerci  i  le  quàli ,  f«coado  V  ufo  antiro ,  e 
d' oggi  ancora  »  di  quDttro  brevi  ftanze  fi  fa- 
civano  :  e  tale  ancora  chiamerei  quella  pri- 
ma  :  Per  piantécc.  )  La  cbiufa  de. l'Egloga 
in  terzetto  miilo  di  fpondaico  ,  e  fdrucciolo  f 
ivi  comincia:  f^<^«  /«  notte  ^  t  ^l  dtl ,  Ora 
che  tutte  le  parti  dì  queOa  artificiofiiTima 
E}»!oga  abbiimodiftintamente  moftratej  giu- 
do farebbe  T  artificio  di  ciaicuna  dichiarare  » 
raa  in  altro  piiì  comodo  tempo  fuppliramori 
guefto  ,  ed  a  molti  altri  mancamenti . 

Car.  II.  1.  52.  Catctatt  il  ladro  ,  il  qual 
iitnpre  /»  appiatta  ec.  )  Da  quefta  natura  del 
Jupo  ,  che  qual  ladro  fi  nafconde  all'  infidie  > 
per  trappolar  la  preda  ,  formò  1'  Arioso  la 
fua  bella  comparazione  ,  Canto4>  (lanza  25. 

—  ..  ..  ,.  cerne  ripofia 

hopo  alla  macchia  ti  capriccio  atttnde  * 

Car.  12.  I.  15.  Che  nel  latrar  de^  can  non 
f  ajfuuram  ,  )  La  ragione  di  quefto  è  quel- 
la che  diffe  il  Poeta  di  fopra  neli'  Egloga 
».car.  5. 

..  .-  r  /  Can  doftnendo  flanncf , 
che  fé  bajall'ero  al  lupo  1  fi  potrebbono  aiTicu  - 
rare;  ovvero  non  s*  alf'curano  ,  perchè  non 
teme  talora  il  lupo  V  abbajar  de*  cani  .  Due 
proprietà  ritrovo  nel  cane:  1' una  ,  per  mio 
giudizio,  all'  altra  contraria  .  La  prima» 
ch'egli  è  fedele  verfo  il  padrone  in  guifa  , 
che  fi  fon  trovati  de' cani  e*  hanno  il  loro  fi- 
gnore  ,  combattendo  centra  gli  aflalitori  , 
djfefo  da  morte  i  ed  oltre  gli  cfemp)  degli 
fcrittoii,  ch'io  potrei  allegare?  n'ho  ve^ 

du- 


?78  ANNOTAZIONI 
data  io  la  prova  in  Parma  patria  mia.  Epe- 
rògli  Egizj,  prima  eh' apparaflero  le  lette- 
re, ponevano  il  cane  per  la  fedeltà  .  Il  che 
diede  occafione  a  quel  bel  Sonetto  di  Giulio 
Cammillo: 

Il  verde  Egitto  per  la  tugra  arena. 
Di  qui  Virgilio  defcrivendo  neli'  8.  delT  En. 
V.  461.  come  Evandro  levò  la  mattina  per 
tempo,  dice,  che  V  accompagnavano  due 
cani ,  a  guifa  di  d  le  guardiani  : 

Nec  non  ^  gemini  cufiodef  limine  ah  alto 

Vrocedunt  ,    g'ejfumque    canes    ccmltantuf 
berihm  , 
d'autore  nella  Pr.  II.  car.  117.  il  quale  fo^ 
vra  tutti  i  (ani  f edeli jfimo  ,  ed  amorevole  ,  merim 
ih  per  la  \ua  immatura  morte  ejfere  da  me  pian* 
to ,  e  fempre  confofpiro  nrdentijjìmo  nominato  . 
E  1'  Ariofto  lo  chiamò /</<?  compagno.  Ma 
della  loro  fedeltà  molti  efempj  riferifce  Pli- 
nio lib.  8.  cap.  40*  dove  fra  gli  altri  racconta 
d*uno5  al  quale  era  (lato  il  padrone  uccifoj 
né  fi  fapeva  il  reo  ;  e  per  mezzo  di  quello  ca- 
ne ,  il  quale  5  a  cafo  vedutolo  in  compagnia 
di  molti,  lo  conobbe,  ed  ifcopertolo  con  la- 
trargli, e  morderlo,  egli,  confufo,  e  vinto,  fu 
corretto  a  confcHare  l'occulto  delitto .  Sono 
dunque  fedeli  i  cani  a'ioro  fignori  :  ma  hanno 
altra  proprietà,  che  adulano  grandemente  5 
che  fé  bene  ricevono  percolTe  da  loro  ,  non 
reftano  d' accarezzarli ,  e  far  loro  vezzi ,  per 
tenerfeli  amici .  Benché  quello  fi  potrebbe 
anco  attribuire  a  grande  amore  che  portino 
al  padrone  ;  fapendo  di  efler  battuti  da  loro  , 
foloper  caftigo,  non  per  odiati  che  fiano  ; 
ediquefto  efempiofi  valeva  uà  padreaper- 
fuadere  un  figliuolo ,  che  con  buon  animo  ri- 
cevefle  le  correzioni , 

Car. 


DtL  MASSARENGO.       ?79 

Car.  12.  1 .  12.  A*  Uro  agnelli  già  non  noce  il 
fafcino  j  )  Fafcino  è  certa  infermità  che  vie- 
ne agii  animali  >  come  da  ftregamento  :  o 
più  torto  è  quel  male  che  alcuni  maligni  j  ed 
invidiofi,  c'hanno  i  raggi  vifivì  corrotti,  fan- 
Eoai  fanciulli ,  ed  agli  agnelli ,  o  capretti , 
Volgarmente  detto  fnal d''  occhio  ;  e  tali  dico- 
no edere  gli  occhi  Hi  donna  meftruata  .  Vie- 
ne dal  verbo  ^eia-/.uiva> ,  che  a'Latini  fignifica 
invideo '^  d'onde  fi  dice  in  Italia  ,  invidiare 
un  bambino  j  cioè  ammaliarlo  ,  come  fanno 
talora  certe  brutte  ftreghe  :  ond*  efii  poi  fi 
ftraggonoj  e  confumano;  non  potendo  >  per 
cibo  efquifito  che  prendano  ,  alimentarfi  ; 
però  dille  il  noQro  Poeta  nell*£gloga  6. e.  46. 

E  fi  diltgua  y  (cmt  agnel  per  fafcino^ 
c  nella  Profa  3.  car.  20.  facrificando  alla  Dea 
Pale  :  Guarda  i  teneri  agnelli  ^al  fafcino  de* 
malva gj  occhi  degli  invidiofi  \  e  nella  Pr.  9. 
car.  Zi.  Altra  centra  le  perverfe  tff'afcinaiio* 
ni  di  invidiofi  occhi  ,  e  quella  invidia  non 
folo  limavano  dal  ritorto,  e  bieco  fguardo 
avvenire ,  ma  dal  guardar  dolcemente  ,  e 
dall*  augurar  bene  ancora  ;  e  dicevano  ,  che 
Je  foverchie  lodi  avevano  forza  d' amrnaliare 
gli  uomini  j  onde  a  quefto  propofito  Virgilio 
celi'  Egloga  7.  v.  27.  dide  : 

Aut   fi  ultra    placitum    laudar it   ,    laccare 

frontem 
Cingile^  nevati  noceat  mala  lingua  future  » 
C  Plinio  lib«  7.  cap.  i.  In  eadem  Africa  fami- 
li  a  t  quafdam  ejfafcinantium  ,  Iffgontif  ,  & 
I^ymphcdorus  tradunt  ^  quarum  laudati one  in-- 
tereant  pnbata  ,  arefcant  arborei  ,  emoriantuf 
infante! .  Quindi  è  ,  che  tra  gli  antichi  alcuni 
volevano  che  in  tutte  le  lodi  fi  giungere  la 
parola  prafifcini ,  tratta  da  quella  Fefcennina 

aa- 


5?ó     Annotazioni 

arrtfca  poefia  ;  quiTi  che  con  auella  proteftaU 
fero  i  iautiantl  ,  eh'  cfii  non  lodavano  per  fa- 
fcinare  E  li  cagione;  per  la  quale  hanno  for- 
za le  lodi  di  fafc'nazioni  ^  è  la  dilitazione  de- 
gli (piriti  'he  fi  faquindoci  fintiamo  loda- 
re :  onde  1*  anima  Ti  fa  piii  atta  a  ricevere  no- 
cumento ;  e  pf-rò  fnudizioiamente  Vir?jlio 
voleva  che  òìif-nc/ffra  fi  faccfìe  una  corona  ; 
la  quile  erba  è  odorifera  ,  e  y  come  dice  Dio- 
fcoride  ,  ha  virtù  di  cofiringcre  ;  e  coft«pan- 
do  1  meati ,  impedire  la  dilatazione  ch«  dal- 
la lode  puònafcere;  ficch<^  viene  per  cagio- 
ne naturale  a  proibire  la  fifcin.ìzione  .  Altra 
fafcinìzione  hanno  gì'  lllirj  >  uomini  che  ne-^ 
gli  occhi  portano  due  pupille  ,i  quali  fé  fiffa- 
no  il  guardo  in  alcuno,  1' alfa  fci  nano;  e  fé 
fono  adirati,  col  guardo  folo  i'  uccidono. 
Fafcino  fu  prefo  da  Orazio  nell'  Epod.  Od.  8. 
per  una  forca  d*  incantclìrao  che  fanno  gli 
uomini  alle  donne;  quando  difle  : 

Minufve  latìgugt  fafftnum} 
intendendolo  oer  il  membro  virile  t  e  dì  qus- 
ftoracdefirnofignificato  leggefi  nella  Priape- 
jacarm.  zy. 

PaJicaktrt  fafcino  ^tJali  . 
per  dichiarazione  di  cui  leggafi  Cello  Ro- 
dig.  nelle  fue  Antiche  Lez.  lib.  4.  cap.  6. 
Scrive  Plinio  nel  lib.  28.  cap.  4,  Tafcì»o  ef- 
fcre  fiato  anco  Dio  ,  cuftode  degl*  Impcrado- 
x\y  ede' f.jnciuUi  :  quile  onoravano  apprcf- 
foi  Romani  le  vergini  Vertali . 

Gir.  it.  1.  J5.  Così  ne  meni  il  di  ^  come 
la  notte}  ec.  )  Proverbio  che  fi  dice  degli 
oziofi  >  ed  inutili;  pi^rchè  il  più  inutil  tem- 
pò  della  vita  è  quello  che  fi  donna  al  fonao^ 
per  tefiimoniodiquel  faviochedifie  : 

Eripìmuf  vitt?  quidquid  jomn»  tradimui  • 

Car. 


DEL  MASSARFN^GO.       5S1 

Car.  12.  J.  35.  £  '«  //<  /-  w^^;;./  nette ef.  ) 
Chiami  w#^^.i  «off^  quello  che  di  fopra  ba 
detto /wrf//'»f<?  : 

C^*  e^o  tnattino  udii  romori  Jìram  , 
forfè  all'  ufo  de*  Romjoi  ;  del  qual  fi  Ic^gé 
apprefio  dottori  nella  i.  tnor 9  Romano  .^  ff.de 
ffrtit  ^  che  cominciava  a  raezra  notte  il  fuo 
g'orno;  ou-lì*  ufo  oggidì  è  feguito  dalla  S. 
Romana  Chiefa  :  onde  appunto  li  levano  in 
queir  ora  a  lodar  Dio  i  religiofi  con  la  prima 
ora  Canonica,  da  loro  appellata  Mattutino, 

Car.  i2.  1.  :^6.  Quefii  can  mi  dtfiar  bajat$' 
do  al  lupo .  )  I  cani  col  Tuo  latrato  fcoprono  i 
ladri;  tUdro  fi  chiama  il  lupo  j  come  di  fo- 
pra in  rueft'  Fgloga  : 

Itt  ^  m'ei  rani  ^  ttt  ^  Melammo  ,  id  Adro  ^ 
•C adiate  il  Udrò  (cn  audaci  gridi  , 
e  fé  ben  quello  comunemente  s*  aferi  ve  a  fe- 
deltà ,  ed  amore  che  i  ortino  alla  roba  del 
patroi^e  >  alcuni  pero  1*  atcriluifconoa  invi- 
dia naturale  chi  abbiano  perch*  altri  godano 
la  roba  .  ond'.-  fi  dice  in  proverbio  limne  » 
fèti  he  non  mangia  iattuf^ht  ,  non  vuol  ih^  aìtrf 
ie goda  .  Mjchida'cnn  clVere  fcopffrto  ncii 
volelie  ,  porti  feco  iJ  pjè  deliro,  oT occhio 
deliro  d*  un  can  nero  ,  o  ut  cod:i  d'  una  don- 
nola ,  e  gir  prtrà  ficuro  . 

Car-  I?.    1.  t?.  Kè  cerco  ufcir  dal  lacch  ^ 
Si  m*  è  dice  ti  to*^fnento  >  #  V  p'ungeP 
^•'0(0  ,    ce.  ) 
Si  dichiara  mvghoii  Poeta  neU*  Egloga  X. 
car.  74.  dicendo; 

Brommn  tornare  addietro  y  entnji  volgono  ^^ 
Kf  pfr  foco  ardo»  y  ni  ptr  giel$  tiggbiaff 

ciano  ; 
Ma   ffn'{a  alcun  dolor  fempre  f  dclgono  • 

Ctnun  fuggire  Amore  ,  e  pur  t$  abbracciano  j 

e  que- 


^Ht        ANNOTAZIONI 

equefti  miracoli  fono  ad  Amore  fimigliarlf- 
iìmi  ;  come  tant' altri  che  ad  ognora  fono  da* 
poeti  celebrati . 

PROSA     TERZA. 

Car.  16.  I.  II.  1  fiochi  fagiani  per  U  lùf$ 
magioni  cantavano  >  )  Fiochi  >  perchè  han- 
no voce  grofla  >  e  come  rauca.  In  que(!o 
animale  fu  cangiato  Iti,  figliodi  Tereo  e  di 
Progne  >  il  quale  uccifo  per  verdetta  5^^  fu 
dato  i n  cibo  a  Tereo  Tuo  padre  .  Si  dirà  la'fa- 
voia  quando  di  Progne  3  e  Filomena  avere- 
moa  trattare. 

Car.  16.  1.  23.  Pef  reverenda  della  quale  ^ 
«c.  )  Ecco  quanto  gli  antichi  odervaffero  le 
fefte  loro  ;  come  oggidì  pure  le  oflervano  a 
confufion  nollra  i  Pagani  (  ben  mi  pefa  dir- 
lo) gli  Etnici  >  e  gli  Ebrei  ;  e  noi  Criftia- 
ni  9  quantunque  da  Dio  ci  fia  ftata  comandata 
quefta  oflervanza  j  nondimeno  bene  fpciTo  o 
per  avarizia  ,  o  per  ingordig  ia  di  guadagno  , 
o  per  altra  indegna  cagione  ,  ne  facciamo  po- 
co conto:  fuggendofi  anco  talora  da  alcuni 
di  udire  quella  poca  Mefla  .  Dell' offervan- 
za  antica  fi  legge  in  Ovvidio  lib.  i.de'  Fa- 
lli V.  71. 

Prifpffa  lux  orituf  :  lìnguifque^  animi  [qui 

faveti  . 
2^uac  dicenda  hono  funt  bona  ve^ha  die  , 
Car.  16. 1.  29.  E  di  corbexxf'li  <,  )  Quefto 
è  1'  albero  che  i  Latini  chiamano  arbutut  ;  le 
cui  foglie  fimili  fono  al  cedro,  ma  piià  rare 
alquanto;  i  frutti  tondi  ,  rolli  5  e  punteg- 
giati, come  le  fragole,  i  quali  fi  chiamano 
xorbexxoli ,  Da  Plinio  lib.  25.  e.  8.  fu  detto 
<ia«ft<rfruttg  unedp^  perciocché  per  T  afprez- 


DEL   MASSARENGO.       3«? 
2a  fua  non  fé  ne  può  mangiar  più  d'uno. 

Car.  16.  1.  g(.  Po*  con  fumo  di  puro  fo'f» 
ec.  )  11  Tolfo  ha  virttidi  purgare  icatti-i  odo- 
ri,  difcacciando  Taere  infetto:  ed  è  con- 
trariflìmoagli  Ipiriti  infernali;  come  dalla 
Pr.  10.  car.  ice»  fi  cava  >  ove  Enareto  vo- 
lendo purgar  Clonico  dice  :  Con  acqua  lu» 
fìreile  )  e  henediUta  ti  inncfjìer'b  tutto  ^  ft^jftt" 
mirandoti  convergine  fcifoy  ec  perciò  i'ufa- 
vano  gli  antichi  a  purgare  le  loro  raandre  : 
come  anco  purgavano  le  loro  cofcienze ,  fal- 
lando fopra  il  fuoco  .  nel  fine  della  Pr;  5.  e. 
2i,  Indi  di  pagliii  accef  grand'tjjìfni  fochi  ^  fo- 
rerà a  quelli  cominciammo  tutti  per  ordine  de- 
flrijjtmamente  a  faltare  ,  per  efpiare  le  colpe 
ccmmcfft  nei  tempi  pajfr^>ti  ,  E  quefta  fuper- 
ftizione  dura  oggi  ancora  apprelTo  il  pazzo 
volgo  ;  ed  ho  veduto  io  fanciulli ,  e  fanciul- 
le farlo  femplicemente  >  come  fecreti  da 
vecchiarelTe  imparati .  La  ragione  di  quefta 
fuperftizione  è,  perché  efìTcndo  proprio  del 
fuoco  di  purgar  tutti  gli  altri  elementi ,  e  ri- 
durli alla  fua  purifllma  natura  ,  ftimano  »  che 
purgando  il  corpo,  ne  fegua  purgazione  ali* 
anima;  acciocché  anima  infetta  non  refti  in 
^en  purgatocorpo  ;  cofe  però  falfiflìme  ;  e 
3Ìn  fi  confermano  ,  intendendo,  all'anime 
Jel  Purgatorio darfi  il  fuoco  in  purgazione» 
;d  air  Inferno  in  paca.  Veramente  il  fuoco 
ii  fua  naturi  ha  non  fo  che  del  divino  :  ond* 
?gli  è  porto  fovra  tutti  gli  elementi  ;  rifplen- 
3e,  dà  lume  al  fole?  alle  ftelle,  e  fa  mille 
naravigiiofi  effetti .  Perquefto»  e  per  lieo- 
nodi  che  reca  a'  mortali ,  fu  da  NembrcfC 
fdorato  per  Dio  :  e  ,  dai  moti  5  e  mormora- 
zioni di  quello  certe  cofe  future  arguendo 
^onde  nacque  U  Piromanzia)  fili  edificò  tem* 


ftA.        ANNOTAZIONI 

pj,  ordinò  facerdoti ,  e  c^mpoi'e  l'orazìoaji 
da  recitargli  in  verfo  . 

Car.  »7.  J.  ^o.  Vtdtmmo  in  fu  U  parta  di 
fini»  alcutu  ft/we  ,  *  colli  bfUìlJifni  ,  ec  )  D 
qui  fi  fcorge  j  cHere  rtato  uio  antichiflimo 
come  è  anco  moderno  ,  il  dipingere  neH< 
portede*  tcinpj  5  o  intai^iiare  in  marmi,  .< 
in  altra  maniera ,  per  invitar  le  genti  al  tem 
pio  alme»»©  col  dilerto  dj  faper  le  iftorie  con 
tenute  fotìo  le  pitture  :  ed  anco  perchè  gì 
©ziofi ,  che  femore  non  vogliono  orare,  ab 
bianoa  trattenerli  virtiiofament*  nella  con 
temoluzionr  de'miftcrj.  Virg.  nel  i.  deli' 
Eneida  v.  464.  finire,  che  Enea,  venuto ji 
.Cartagine,  nella  porta  del  (empio  di  Giù 
-none  vede  dipinta  la  guerr*  d  i  Troja  : 

Sic  4Ìt  ,  /ìt^ue  an'mumt)Uìi*rapsfcit  inani 
e  nel  ó.lib-^'-ic.dinnnzi  a\  tempiod'Apolline 

In   fo'ibus  Ittum  Andfogeo   \    tum    pender 
pcenas 

Cti^opida  j^lft  ec. 
.ed  Achilie  T^zio  nel  princìpio  del  i.Iit 
-«  nel  iib.5. 

Car-  »8,  1,  2u  Apf>lìo  hìondijfim»  ^  )  ChÌD 
mafi  biondo  r,er  la  chu rezza  de  '  Tuo  vifo  ,  on 
•de  anco  da'  Latini  è  ótitto  f'>rmofus ,  pule  ber 
favur  *  rijit4f  ,  q  n-tiJus  ^  o  fia  per  hcipcl 
li,  eneociouppeil-jto  intcnfuf  ^  puU-hrircmu! 
.aihryf-ccwuf  :  il  che  dinotano  i  ragsj  più  In 
cenrid^-r  oro;  perchè  Apollo  è  il  mcdef: 
mo  che  'i  Sole  . 

Car.  '.  8.  i.  13.  Guardava ^li  armenti  di  A4^ 
meto  alla  riva  ^*  un  fiume  :  )  Racconta  Ov» 
vidiobi'niilimo  la  favola  nel  2.  delle  Tras 
forni,  ed  il  Gofeliao  molto  leggjadrament 
^a  deferì  ve  intagliata  in  una  tazza  ;  nel  don* 
^^i^orale  che  comincia  : 

D'i 


DEL   MASSAREMGO.       3S5 

Dì  faggio   quefta    t/ii^a  ecio  ti  d^no  , 
Perchè  dunque  fu  paftoroi  il  Sanazzaro  nel- 
Prola  5«  car.  gg.  difìie  :   Va  fior  aU  Apollo   \  e 
e  nell'Egloga  j.car.  is. 
A^ri  l'*  ufcio  per   tempo  ^ 
Leggiadro  aitno  pafiore  , 
e  più   bafio  : 

Cbt  y  fé  btn  ti  rétmmenti  , 
Guardafii   i  bianchì  armenti. 
La  cagione  perchè  diventale  paftore  èdi- 
verfamente  da  diverfi  riferita.  Scrive  Ov- 
vidio  ,  feguito  da  molti  elTcre  (lato  ,    per 
aver  ammazzato  i  Ciclopi ,  onde  ,  bandito 
dal  cielo,  fu  privo  della  deità  :  ed  egli  fi  ri- 
covrò  inXedaglia  appreffoil  ReAdameto; 
forfè  così  comandato  da  Giove  ;  per  ivi  guar- 
dare il  numerofo  gregge  di  quel  Re.  Calli- 
maco poeta  nondimeno  in  un  fuo  Inno  d' 
Apolline,  e  Seneca  nella  Tragedia  d*  Ippo- 
lito dicono,  ch'egli  v'andò  per  amore  ch^ 
egli  portava  a  quell'Admeto:  e  non  curava 
Je  vacche  ,  e  i  buoi,  come  qui  dice  il  Sanaz- 
zaro  ,  e  prima  dilTe  Ovvidio;  ma  guardava 
cavalle  da  carretta  :   Phcehum  etiarn  Nomium 
cogmtninamtis ,  (  dice  Callim  ico  )  ex  ilio  tem- 
pore ex    quo    juxin  Arnpbryfétn  jugalei    pavìt 
equas  ^  itKpub'^rif  amore   infamm.itui    Adtnett  , 
La  verità  è  però  ,  come  Icrive  Teodoiizio  > 
che  eOendo  Apollo  n:,to  con  Di  ina  di  Giove 
e  Lìtona  negli  anni  del  mondo  (  fecondo  Eu- 
febio  )  371  !.  crebbe  tanto  profperofo  ,  e  di 
valore  ,  che  in  breve  regnò  fopra  gli  Arca- 
di ,  e  ritrovò  loro  nuove  leggi  :  ma  per  1' 
afprezza  di  quelle  eHendo  cacciato  dal  regno, 
ebbe  ricorfo  appreHo  Admeto  Re  diTefla- 
glia  ;  dal  quale  Admeto  gii  fu  d.ito  il  reggj^ 
njpnto  fopra  alcuni  popoli  prefloil  fiume  A.," 
j9mQ  I.  R  ix\  " 


3«6        ANNOTOAZINI 

frifo .  Del  quale  dice  il  Poeta  nell'  Egloga 
10.  car.  109. 

Apollo  in  Tauro ,  0  in  Liha  non  alberga  y 
Ma  con  P  t^ata  verga  al  fiume  Anfrifo 
Si fta  dolente  ajjlfo  in  una  pietra  ;   ec. 
Car.  18.1.24.  E  per  attentamente  mirare 
due  forti  tori ^  ec.  )  Introduce  il  Sanazzaro 
occafione  differente  affalda  Ovvidio perchè 
aveffe  agio  Mercurio  d'involargli  le  vacche» 
DiceOvvidio,  che  invaghito  del  Tuo  pro- 
prio fuono  >  fi  era  dimenticato  il  gregge  5  e 
che  allora  fi  affettava  la  chioma;  mail  Sa- 
nazzaro fa  >  ch'egli  foffe  intento  al  combat- 
tere di  due  forti  tori;  onde  fi  vede  quanto 
avanzi  il  noffro  Autore  l'invenzione  d'  Ov- 
vidio»  ponendooccafione  veramente  da  pa- 
flore,  e  più  degna  di  tal  perfona. 

Car.  18.  1.  30.  Batto  pa'.efatore  del  furto 
'trasformato  in  fa/fo ,  ec.  )  Quefto  faff'o  fu  la 
pietra  del  par^igofte  ,  veramente  palefatrice 
de' furti  degli  orefici,  quando  fotto  coperta 
d'oro  vendono  argento  ,  or-,  me,  o  altro  più 
baffo  metallo ,  che  fubiro  fi  cor-ofce  al  para- 
gone  h  falfità  loro  .  Ma  perchè  il  Poeta  non 
finifce  la  favola  ,  diremo  il  rimanente  .  Apol- 
lo dunque  ,  accortofi  del  furto  >  cercò  tan- 
to qua  5  eia,  che  e  il  ladro,  ed  il  furto  ri- 
trovò; onde»  accefo alia  vendetta  ,  va  per 
faettare  Mercurio  :  ma  dalla  collera  accie- 
catoj  non  può  mirar  tanto  giuffo  ,che  locol- 
j;a  ;  onde  preparandoli  a  novo  colpo,  e  fer- 
ie più  diritto,  Mereiaio  difparve  .  Paffa- 
to  quel  furore ,  rircrnò  Mercuria- ,  e  placa* 
to  Apolline,  gli  donò  la  lira  di  feinvent^ 
ta>  ed  infiemcgl'infegnòii  modo  di  fonaff 
la.  Per  loqual  dono  poi  allegro  Apolline» 
in  fegno  di  gratitudine.,  a  Mercurio  donò  un 

bsi- 


DEL  MASSARENGp.  3S7  ^ 
bellifllmo  baftone  di  fua  mano  ingegnodfll- 
mamente  lavorato  .*  e  cosi  fu  (labilità  fra  lo- 
ro la  riconciliata  amicizia  • 

Car.  19.  1.29.  Con  file niio  mirabilìjjifno) 
Che  fi  debba  flar  con  fiienzio  prefente  a* 
facrificj  divini ,  ene'tempj,  fi  cava  da  Vir- 
gilio nel  5.  dell' Eneida  V..71.  dove  fi  fa  il 
folenneanniverfariod'  Anchife  : 

Ore  f avere  cmnes  ,  ^  cingile  tempora  ramif  . 
e  da  Ovvidio  nel  2.  de'  Falli  v.  654. 

Spt^ant  ,  ^  linguir  candida  turba  favent  , 

e  l' oflervò  il  Taflo  nel  lib.  21.  ftau.  84»  della 
Conquiftata  : 

Pcfcin  eh*  al  faort  delia  canora  voce 

SiUn^ic  fu  da^  [acerdoti  impojìo  . 

Car. 19.1. 5'.  Eie  interiori  di  quella  divota'- 
mente  per  vittima  offerfe  )  Nota n fi  in  quella 
azione  del  facerdote  le  quattro  condizioni 
che  fi  ricercano  a  pregarT)  io  ;  la  divozione  > 
l'umiltà,  iamodeftia,  d'orazione. 

Car.-i9.  1.35.  C^fìiuliviy  )  Ecco ,  quan- 
to giudiziofamente  ufa  gli  aggiunti  ;  ne'quali 
veramente  fi  è  m'jftrato  miracolofo  :  in  altri 
Juoghi  ha  c'  iamite  le  oììvc pallide  ^  in  altri 
^ff  y  conforme  all'  occafione  ;  qui  la  chia- 
ma r^y?^  ,  non  folo  pereirer  confrcrata  alla 
carta  Minerva  >  di  lei  inventricc  (  bench'  al- 
tri r  attribuifcono  ad  Anfteo  )  ra^  perchè  ra- 
giona di  fcrificj  ,  ne'qualinonfi  dee  ufare 
fé  non  cola  che  c^iftn  ,  pura,  e  monda  fia  ; 
cosi  altrove  chiamò  eli  incenfi  c^^Jli  . 

Car.  19.  I.  ^6.  Crepitanti  lau'i  ^)  Cioè  chfi 
facevano  firepito,  come  il  ginepro,  il  ci- 
preflo  ,  e  il  pino  fanno,  quando  nel  fuoco 
fon  porti  i  e  ciò  fi  conferma  nella  Pr.  10.  car« 
aoi.ove  dice  : 

Così  fìrida  nel  foco 

Tv     2  Chi 


388         ANNOTAZIONI 

Chi   V  mio  mal  prende  in  gioco  . 
però  inalerò  fenfoufato  pare  da  Virgilio, 
quando  nel  6.  delTEneida  v.  209.  parlando 
dell'aureo  ramo difle  : 

—  ,.  jic  Lni  crepitabant  hraSiga   vento  . 
Il  crepitar  de'  lauri  era  felice  fegno  ncTacri- 
fìcj  ;  e  perqucfto  volendo  deferì  vere  profpe- 
ri  Àlacri  fi  cj  di  quefti  paftori  ,  difle  :  dicnft^ 
tanti  lauri, 

Car.  19.  1.  36.  Infieme  contrai  Sabina  ,  ) 
L*  ufo  di  facrificar  leerbefuancichiflìmod-' 
gentili  ;  perchè  allora  non  fi  coftuma 'ano 
gl'incenfi;  ma  fra  l' altre  1*  erba  Sabina  ,  il 
lauro,  il  cipreffo,  ed  altre  fi mili  odorifere 
erano  più  in  ufo:  onde  Virgilio  diife  dell* 
erba  Sabina  nel  Calice  v.  403, 

Herbique  turis  opefp'ifcif  imitata  Sabina, 
ed  Ovvidio  meglio  nel  i.  de' Farti  v,  343. 
parlando  de'  primi  antichi  Romani  : 

Ara  dabatfumoi  herbis  contenta  Sabinis  , 
Et  non  exiguo  lauruf  adufta  fono  . 

Si  quis  erat  ,  faSìis  pr/jti  de  fiore  coroni ^ 
jQjtf  pojfet  viùlar  adde'e  \  dives  erat, 
c  Properzio  lib.  4.  Elegi.i  ^  v.  s8. 

Et  crepat  ad  vettre!  berha  Sabina  focos  , 
Ha  ritenutoqueft'erba  il  nome  fino  a' giorni 
no/lri ,  che  our  Sabina  fi  eh  ima  ;  al  cipreiTo 
di  foglia,  ed'  odore  fimiLflìma.  L'  erba  è 
medicinale  molto  ,  ed  i  I  folo  odore  fa  difper- 
dere  il  parto  alle  donne  \  benché  altri  medi- 
ci 1*  ufino  ppr  quelle  che  partorir  non  potTo- 
no;  avvicin.^ndpb  folam^ntealla  natura  ,  o 
con  il  fumo  folo  dell' erba  rlfcald:ita  ;  perchè 
ha  forza  (  fecondo  Plinio  lib.  24.  cap.  11.  ) 
di  allargare  tanto,  che  con  molta  facilità  n' 
cfca  ,  benché  morta  ,  la  creatura  . 

Car.  20.  1.  i .  Con  le  braccia  diftefe  «/*/<»  ^* 


DEL    MASSARENGO.       389 
Oriente)  Lt\  maggior  parte  de*  fac  ri  ficj  anti- 
chi lì  facevano  verfo  Levante  :  come  benif- 
fimo  oflervato  fi  vede  dall'Autore  nelTEglo- 
§a  3.  car.  22. 

F<y  et   rivolto  /»/  fole  , 

Dicea  qutfte  parole  . 
e  nella  Pr.  11.  car.  114.  A^hrlp^ima  i/forgen^ 
te  Sole  :  ec.  e  Virgilio  neii'  S.  lib.  deh'Enei- 
dav.  68. 

Suroit ,  6f  éttberei  (peSlinr  or  tenti  a  [olir 

Lucina  ,  rite  cavif  undam  dir  fiumi  ne  palmi  r 

S  ti  li  tilt  t ,  ac  taltf  effundit  ad  atbera  voces  • 
E  nel  11.  V.  1 7?. 

Illi  ad  furgtnum  converji  lumina  (ohm 

Danf  frt4ges  manibut  falfar  ^  eC. 
t  più  baHo  V.  176. 

Efto  nunc  ,  Sol ,  teftir  • 
e  mille  alrri  efempj  n*  avere!  d' altri  poeti 
Eroici,  e  Lirici,  ch*iotrn!^afìro  per  nonac- 
crefcere  di  foverchio  il  volume,  e  perchè 
ricercano  molte  dichiarazioni  .  Bada  dire 
che  ferbò  queftì  medefima  ufanza  laChiefa 
antica,  ePoHcrva  anco  la  moderna;  onde 
quafi  tutti  i  tcmpj  fi  veggono  fabbricati  ver- 
(b  Oriente  ,  con  gli  altari  maggiori  che  rif- 
guard.jno  il  forgente  fole  :  e  ciò  d' ordine  de' 
(acri  Co.icilj;  di  che  ricordevole  il  Taflb 
■nella  fua  Gerufalemme  Conquiftata  >  di  Ri- 
naldo che  fa  orazione  a  Diodice  nel  lib.  21. 
ilan.  96. 

Al^b  il  penjier  fovra  ogni  ciel  (ublime  . 

E  le  luci  fisi  nell*  Oriente  ec. 

EGLOGA     TERZA. 

Car.  22.  \,  6*Sova  una  verde  riva  )  La 
C.nzoe ,  che  é  la  ?ii!t  nobil  parte  delia  Me  - 
R     3  1ÌC4 


390  ANNOTAZIONI 
lica  poefia  i  fecondo  i  buoni  autori ,  ha  tre 
parti;  Principio»  Narrazione,  ed  U fc: ta  . 
II  Principio  o  contiene  invocazione  >  o  prò- 
pofizione  fola  ,  o  molte  volte  l*  una  e  '1  altra 
infieme.  Così  fi  vede  offervato  dal  Petrarca 
in  molte  fue  Canzoni ,  ma  in  quella  partico- 
Jarmentealla  Beatiffima  Vergine;  ove  pri- 
ma propene  : 

Vergine  bella  ,  ec» 
poi  invocadicendo  : 

Ma  non  fo  ^ncominctar  fenx,a  tu*  aita  , 
il  fimi  le  fece  nella  Canzone  :  Italia  mia  ;  ed' 
in quell' altra  :  Tacer  nonpojfo,  Alcunevol- 
te  poi  propone  folamente  ,  ienza  invocare; 
come  in  quella  Canzone  :  TsLel dolce  tempo  ec. 
Cosi  il  Poeta  noftro  in  quella  Canzone  prima 
propone:  Sovra  una  verde  riva  ^  poi  invoca: 
Apri  P  ufcio  per  tempo  .  Ma  nella  Canzone  : 
Alma  beata  ^  e  bella  ,  invoca  »  e  propone  tut- 
to a  un  tempo;  e  quafi  direi  meglio  ,  edere 
una  propofizione  fola  ,  perché  quella  in  voca- 
zione non  ferve  per  chiedere  ajuto  ,'  al  qual 
fine  però  ella  è  inftituita  ;  ma  folo  per  intro- 
duzione della  Canzone  .  Ritrovo  quefta  Can- 
zone fimiledi  teftura  quali  in  tutto  a  quella 
della  1.  parte  delle  fue  Rime  : 

Valli  ripofle  ,  e  fole  ^  ec. 
e  forfè  non  fenza  occulta  cagione ,  quale  agli 
fpeculativi  lafcieremo  , 

Car.  2  2,  I.  19.  Apri  r  ffcioper  tempo  ,  ec.  ) 
Invoca  il  Sole,  che  meni  lieto  giorno  ,  con- 
forme al  desiderio  univerfale,  amando  cia- 
fcuno  i  giorni  folari ,  edabborrendo  i  nebu- 
lofi  .  Sono  però  certi  popoli  d*  Etiopia?  i 
quali  maledicono  con  tutto  T  affetto  il  iol  tì^- 
fcente  ;  perchè  col  fuo  troppo  calore  appref- 
fo  loro  difperde  ogni  cufa  >  e  però  lo  chiama ^ 

no 


DEL   MASS  ARENGO.       391 
no  Apollo ,  chi: perdente  ,  i'econdo  Fulgenzio  % 
s'  interpreta  .  Tale  anco  fi  moftrava  Meli- 
feo,  come  canta  Barcinio  nell' Egloga  12. 
car.  149. 

Ingrato  fil  ^  per  cai  ti  affaretti  a  nafcere} 
Tua  luce  a   tne  cbt  vai ^    s^  io  pia  non godol^  ' 
e  quel  che  fegue  per  Tei  verfi  ancora  . 

Car.   22.    1.   26.   Acciocché  tua  firelU)  Lj 

Luna  intende,  forella  del  So'e  ;  per  efTer 
nati  Apollo ,  e  Diana  in  un  medefimo  parto  , 
di  Latona  e  di  Giove  . 

Car.zj.  1.  3.  Ma  torni  il  mondo  a  quelle  ofan» 
Reprime.  )  Ali' età  dell' oro  ;  delia  qual  ra- 
giona nel)*  Egloga  6.  car.  48. 

1  tempi  antichi  y  ec. 

Car.  2  j.  L  6.  E  p/r  le  [pine  dure  ce.  )  Tratto 
da  Virgilio  nell'Egloga  4.  v.  29.^ 

Inculrtfque  rubenf  pendeùit  fentibur  uva  : 

Et  dura  quercU!  [udabunt  rofcida  mella  , 

PROSA    Q^U  A  R  T  A  . 

Car.  26,  I.  1 1 ,  Afe  medefitna  ufcita  di  men' 
te  ,  (en\a  avvedercene  ella  ,  tutti  le  caddero  ,  ) 
Quello  cader  dt'norifu  con  altra  maniera, 
non  meno  di  quella  leggiadra  >  ifpiegato  dal 
TafTo  ne!  fuo  Aminta  ,  atto  2.  fcena  2.  v.  55. 
M:»  ,  mentre  ella  s'^  ornava  -^  e  vagheggiava^ 
Rivolfe  gli  o:cbi  a  cafo  ,  e  fi  fu  accorta  ^ 
Ch'aie  dt  lei  m'era  accortale  vergognando 
Rill.jji  tofto  ,  e  i  fior  hfciò  cadere  . 
Cjr.   26.    1.    15.     Divenne  non    altrimenti 
verm.gìia  nel  vifo  ec  )  Q^iefto  rortore  nac- 
que da  vergogna ,  come  più  bafTo  fi  dichiara 
il  Sanjzzaro  con  quelle  parole  :  For  fé  pen 
ffjndo  di   meglio  nafcondere  la  fopravvenuta  rof^ 
fella  ,  che  da  donne  fa  vergogna  le  procedea^ec^ 
R    4  Ma 


591         ANNOTAZIONI 

Ma  in  qual  parte  del  vifo  dia  queHa  ver-» 
gogna,  édifpareretraglifcrictori .  Alcuni 
Ja  mettono  negli  occhi,  per  1*  acttorità  del 
Petrarca  nel  Trionfo  della  Caftità:  il  qua! 
dille  : 

Che  vergogna  con  man  dagli  occhi  forba  ; 
c  di  Dante,  che  dilTe  : 

Allor  con  gli  occhi  vergogno/i^  e  hajff  qc. 
<  d^  Ariftotile  nella  Rettorica  lib.2.  e.  6.  che 
fcrive  :  Et  ea  qua  funt  ocultf  expoftta  ^  qua^ 
que  in  propalalo  funi:  unde  ^iìlud prove  fhium 
dicunt  i  Pudorem  in  oculit  ejfe^  e  di  Valerio 
Fiacco  nel  lib.  2.  v.  470. 

Illa  trsmenf  ,  trifti-que  oculoi  dejeHa  pudore  . 
Alcuni  altri  nella  fronte:  di  cui  dille  il  Pe- 
trarca nella  Canzone: 

Una  donna  più  bella  ec. 

Ratto  inchinai  la  fronte  vergognofa  , 
e  di  qui  è  venuta  la  voce  sfrontato  ,  che  figni- 
^cafen^a  fronte,  e  fen^a  vergogna  y  e  la  fra- 
fe  Latina perfricarefrontem^  per  ifcancellar- 
ii  la  vergogna  del  vifo  .  Ed  il  Boccaccio  dif- 
ie  :  Con  altre  donne  poffo  andare  a  fronte  [co- 
perta :  cioèfenza  arrofTìr  nel  vifo  .  Altri  1* 
lianno  collocata  nelle  guance;  come  Plinio 
il  qual  diffe  nel  lib.  ii.cap,  :^'j.  Infra  otulof 
mnìa  hontini  tantum  ,  quas  pnfcì  genaS  'vo- 
cabant  y  XII. Tahu/artim  interdi  fio  radi  afe- 
minif  ras-  vetantes  ,  Pudoris  hac  fedes  ,  Ibi 
maxime  cfisnditur  rubor  ,  ed  Owidio  4.  Tr//?, 
Uleg.  ?r  V,  70. 

Pu*pureuf  molli  fiat  in  ore  rubof  , 
ed  a  mio  giù 'ici»)  quello  è  il  più  fano  pare- 
re ;  e  per  rifpondere  alle  altre  due  opinioni , 
leconcilieròa  qu;fta  con  1' autorità  d' Ari- 
ftocile  ne'  Tuoi  Problemi  ,  ove  riferifce  la 
cagione  perchè  a  quelli  e' hanno  vergogna» 

fi  fdC- 


DEL  MASSARENGO.  355 
fi  facclan  roli'e  P orecchie  ,  ed  a  quelli  e' 
hanno  collera}  lì  arrolìifcan  )  gli  occhi  :  An 
prspt^na  quod  pud  or  in  oculii  frigur  quondam 
adiiucit  uni  cum  metti  ,  atiiue  ob  id  merito 
(alor  rtlinqnit  cculof  ?  1/  Viro  demig^anf  in- 
de  ftriuf  ad  Utum  fui  maxime  capacem .  EJi 
atittm  bujui'mjdi  fumma  pars  aurium  ;  nam 
Ttìiqua  par  eft  cffea  .  R-trfum  irati  ì  c  al  or  fu f^ 
funditur  ,  idiui  pitijjtmum  apparet  in  ocitlif  , 
propter  albicantem  iliorum  colorem  ,  Che  fé 
nella  vergogna  s'abballano  gli  occhi  ,  onde 
vergogno/i  fon  detti ,  avviene  perchè  1'  uomo  , 
fentendofi  accefonel  vjfoper  vergognai  con 
abballare  gli  occhi  ^  pare  a  lui  che  gli  altri 
noi  veggano  ;  come  i  bambini  ,  coprendoli 
gii  occhi ,  ftimino  efl'er  lìcuri  da  ogni  paura  : 
che  fé  negli  occhi  folTe  la  vergogna  ?  eflì  an- 
cora diverrebbono  rolli:  ma  ciò  nega  farfi  T 
inveftigatore  di  natura  Ariftotiie  ,  dicendo 
che  ivi  più  torto  per  timore  fi  genera  freddo  » 
ii  quale  di  fua  natura  induce  pallidezza  j  non 
rodezza  .  A  quelli  che  nella  fronte  la  pofe- 
To,  rifpondo  ,  aver  eglino  figuratamente  pre- 
fa  una  parte  della  ficcia  per  1*  altra  ,  e  polla 
Ja  fronte  5  come  più  eminente  luogo  del  vi- 
fo  ,  per  le  gu.ince  ;  perchè  non  vcg^hiamo  , 
la  fronte  giammai  arroflarfi  per  vergogna, 
ma  sìben  per  fudore  :  dove  nella  vergogna  j 
"bianca  fi  moftra  ;  e  qui  molti  efempj  addur 
potrei,  ove  la  fronte  è  pola  per  la  ciera  j 
per  la  prefenzi  ,  per  la  faccia  ,  e  per  lo  vifo 
{utto:  onde  fé  fi  dice  la ffcna fronte  ,  è  per- 
ché tutto  il  vifo  è  fcreno  ,  fé  vergagnofa  , 
perchè  la  faccia  è  vergognofa  .  E  s'  alcuno  ha 
dettola  faccia  ve'gognofa  ^  fenzi  toccar  più 
le  guance,  che  altra  parte  >  in  occsfione  di 
vergogna  fcmprcfi  dee  intendere  detto  deU 

R    5  le 


194        ANNOTAZIONI 
le^uance,  come  parte  maggior  delvlfo,  e 
fede  propria  della  vergogna.  Ora,  che  ab- 
biamo conciliati  i  difpareri  degli  autori ,  av- 
vertano gli  ftudiofi  una  difFcrenza  fottile  de' 
gramaticf  tra  vergogna  ,  ed  eruhfcenia  :   di- 
cenda,  quefta  eifere  un' onefto  rofìTore ,  che 
da  virtia  procede  »  o  per  lode  che  fia  data  ,  a 
per  modeftia  di  qualche  atto  pubblico ,  o  per 
altra  cofa  leggiera:  quella  5  da  confufione 
d'animo  per  vizio  fcoperto  nafce  ;  ma  fi  con- 
fonde quefta  ,  come  tutte  l'altre  differenze  ; 
e  lo  dimoerà  qui  V  Autore  ;  il  qunl  pone  ver- 
gogna per  onello  roffore .  t)ifri  roffore\  per- 
chè da  altro  non  fi  conofce  la  vergogna  j  chs 
da  un  roffore ,  il  qual  fi  mofira  nel  vifo  i  e  fé 
Quinziano  dilTc:  ptlUJuf  pudùr ^  intefe  per 
lo  pudore,  non  la  vergogna  »  mail  timore» 
attefo  che  il  timore  fa  pallido  5  ed  efangue 
il  vifo;  ritirandofi  il  fangue  intorno  al  cuore. 
Car,  27.  L  28.   E   quivi  a  p/V  di  un*  altif- 
fima  eletta  n?  ponemmo  (en\a  ordine  alcuno  a 
federe  ,  )  Sedevano  feniz'  ordine  ,  perché  co- 
sì a  vea  meno  dell' artifici  jfo,  e  però  pi ià  del 
libero,  ericreevolej  chefeavefTero  a  fer- 
var  dignità  fra  loro  ,  avrebbe  alquanto  dell' 
odiofo ,  per  efTer  fuori  del  naturale;  tanto 
grato  a' pallori  :  fa  tufti  eguali  la  natura» 
onde  tutti  ftar  poflono  fen?;'  ordine  di  prece- 
denza. A  quefto,  in  confermazione  ,  allu- 
de 1!  Autore  nella  i.  Pr.  car.  3.  quando  parla 
degli  alberi  dalla  natura  poili  foora  il  monte 
Partenio  :  In  o^dins  non  artifìdofo  difpofti , 
Così  difie  nella  Pr.  5.  car.  56.  Ne  ponemmo 
ionfftfr.  mente  fovra  la  verde    erba    a  federe  , 
Altrimenti  però  di  (Te  nella  Pr,  6.car.4?• 
mentre  fi  cibavano  r  E  quivi  ordinatamente 
(gmtnciammo  a  mangiare  le  carni  de* [acri fi. 

fati 


DEL  MASSARENGO.  39^ 
fati  tiielii .  Ma  fi  potrebbe  rirpondere  ,  che 
quell'ordine  s'intende  rifpetto  a'facritìcj. 
Perchè  nelle  azioni  facre  ,  e  divine  r-Tvava- 
no  crdine  ;  come  n'  abbiamo  1'  efempio  nel- 
Ja  Pr.  5.  car.  ii.  Sovra  s  quelli  cominci am-^ 
mo  tutti  per  ofdifte  dejlrijfimamente  a  faltare  * 
cofa  che  non  facevano  fra  loro  :  o  pur  fi  po- 
trebbe dire  >  che  cominciafTero  a  mangiare 
ordinatamente  >  cioè  mangiando  prima  i  vi- 
telli che  primi  erano  (lati  facrificati  ,  e  cosi 
gli  altri  cibi  per  ordine  .  Nella  Profa  ii.car, 
139.  moftra)  che  Io  fiar  fenz' ordine  era  fé* 
gno  di  gran  malinconia  :  D"*  intorno  a  ìuicon 
difufnto  mormorio  le  [uè  Ninfe  fi  ava  no  tutte 
piangendo  ,  e  fen^a  ordine  0  dignith  alcuna 
gittate  per  terra  non  aliavano  i  mefli  volti  . 

Car.  27.  1.  ult.  Ambiduo  co"*  capelli  biondi 
pia  che  le  mature  [piche  :  ambiduo  di  Arca- 
dia ^  ed eguaìmtnte  a  cantare^  ed  a  rifponde-^ 
re  apparecchiati .  )  Tolto  da  Virgilio  nell* 
Egloga  7.  V.  4. 

Ambo  fiorente  f  atatibuf  ,  Arca  de  f  ambo  , 

Et  cantare  pare;  ,   ^  refpondere  parati  , 
ed  imitato  dal  Taflb  nella  Ballata: 
Io  mi  fedea  tutto  foletto  ,  ec. 

Ambe  a  cantare^  ed  a   rifponder  pronte ^ 

Cerne  di  primave'^a  i  v.ighi  augelli  : 

Ambe  vidi  con  l»  fighi  aurei  tai^Hi  ; 

Ambe  f'ìavi  il  rijOy 

Bianche  e  verm'gHe    il  vifo: 

Ambe  nude  le  braccia  ,  ec. 

Car.  29.  1.  \\,  Un  nappo  huovo  di  faggio 
ec.  )  I  vafi  di  fjggio  furono  fommamente  iti 
pregio,  comefcrivc  Plinio  lib.  16.  cap.  3^. 
onde  fc  ne  valevano  fino  ne*  f:Krificj  ;  e  però 
Manio  Curio  giurò  5  della  prefaglia  non  aver 
tolto  altro  che  un  vafo  di  faggio,  per  facri- 
y  R    6  fica- 


^<)6  ^  ANNOTAZIONI 
iìcare  .  Uno  però  le  ne  vede  nella  Profi  i  r. 
car.i2o.  fatto  d'  acero  ;  ed  altri  n'  ho  letti  d* 
ibifco,  ed  altri  d' altra  materia:  ma  miri- 
fi  la  bella  defcrizione  del  vafo  ;  nella  quale  s' 
ingegnano  molto  i  poeti }  intagliandovi  fo- 
pra  millecofe  :  così  Virgilio  nell*  Egl.  5.  v. 
50.  duo  vafi  intagliati  propone  a'cantanti  pa- 
Uori  in  premio  ,  e  nel  s-  deli'  Eneida  v.  535. 

_.  —   hoc  munus  haheb'u  , 

Crater/i  impreffum  fignif  . 
e  nel  9.  v.  165. 

3 ini  daho  argento  perfeSia  atque  afptra  fi- 
gnh  PgcuU  . 

Achille  Tazio  nel  principio  del  i-  lib.  un  bel- 
Jilfimo  intagliato  nedefcrive:  ed  Anacreon- 
te  nelle  Tue  Ode:  il  Cavalier  Porro  nel  fine 
della  Tua  Amaranta  : 

Vieni  ^  cb^  al  tuo  venir  lieto  ti  dono 

Una  gran  tana  di  fottìi  ibifco  ,  ec- 
e  M  Gofelino  nel  fine  della  2.  parte  delle  Tue 
Rime  defcrivendo  pure  un  dono  paftoralc  : 

Di  faggio  quejla  ta\ia  ecco  ti  dono  \ 

Ove  ^  intagliato  con  tnirab'tl  arte  ,  ec. 
Ma  ho  notato ,  che  folo  i  vafi  da  bere  j  o 
da  mangiare  s'intagliavano,  non  gli  altri: 
€  quefti  ufavano  di  donare  agli  amici  ,  come 
degno  prefente  ;  e  di  proporli  ne' premj  de' 
vincitori ,  come  dell'  uno  e  dell'altro  n'  ab- 
biamo in  Virgilio  chiari  efempj .  Però  il  Sa- 
nazzaro  nelT  Egl.  9.  non  intaglia  i  duo  vafi  di 
faggio  )  premio  del  cantar  che  vince  »  perchè 
erano  fatti  per  mungervi  dentro  capre  . 

Car.50.  \.s.    Di  t/il  radice  nafce  ec*)  DÌCQ 
anco  il  Petrarca  nel  Sonetto  . 

Mirando  7  fol  de"*  begli  occhi  CC. 

Tal  frutto  nafce  di  cotal  radice  , 

Car,   30.   1,  7.  E  gwroti  per  le  Veith  de"^ 

fa. 


DEL  MASS  ARENGO.  ^g? 
/seri  fonti  )  Giuramento  imitato  da  quello 
degli  Dei  ,  i  quali  giuravano  per  la  Scige  pa*- 
Iu-'ì;,  per  non  mentire  :  che  mentendo  poi  » 
rertavanocento  anni  privi  della  divinità  ,  e 
del  nettare  ;  onde  dille  Virgilio  nel  6.  deli' 
En.  V.  J2J. 

.-  .-  Stygiamqu*  p/j/.v^^w , 

Dì  cuius  jxirafe  tinj'rtt  <&  fallere  numen  , 
tosi  gli  uomini  giuravano  per  la  Divinità  de' 
facri  fonti  >  sì  perchè  in  quelli  ftimavano 
Dei  ,  e  Dee  llìrfi  ,come  nella  Pr.  i,  car.  19. 
«ianco  ,  perchè  erano  alcuni  fonti  che  fa- 
cevano contra  agli  fpergiuri  ;  ne  riferìfce 
Solino,  ed  il  conferma  S.  Agollino  ^f  C/v/;. 
D'i ,  ale.  7.  uno  di  Sardegna  ^  che  gli  fper- 
giuri accieciva.  Plinio  nel  lib.  31.  cap.  2» 
narra  d' un  fiume  di  Bitinia  ,  chiamuoO/<7- 
€a  ^  il  quale  i  mentitori  incende  come  fiam- 
ma ;  il  medefimo  feri  ve  Stefano  àe  Urb.  Ut. 
P.  d'  una  fonte  di  Sicilia  ,  detta  Validm  ;  e 
Filoftrato  nel  2.  lib.  della  Vita  di  Apollonio 
Timeo  >  d*  una  fontana  vicina  a  Tiana  ,  cit- 
tà, In  quale,  bevuta  dagli  fpergiuri ,  di  mo- 
do gli  ftroppia  ,  che  da  quell'acqua  non  fi  pof- 
fono  pili  partire  . 

Car.  50.  l.  7.  Che  giammai  le  mìe  labbra  noi 
Ufca'-cnó  ,  ec.)  Replicato  due  volte  da  Virgi» 
Jio  ncir  Egl.  3.  v.  43.  e  47. 

Nec  dum  illìs  ìahra  mdmovi    ,  feti  c$rtdita 
ferv3  , 

EGLOGA     QUARTA* 

Car.  3t.  1.  29.  O  fortunato  ,  (he  c§n  4/- 
tre  rimi 

Ri  confolar  potrai  la  doflia  e  '^l  pianto  I   )  Pen- 

fano  alcuni  mi\  configliaci  amanci  >  col  can- 
to 


'398  ANNOTAZIONI 
to  sfogare  i  loro  amori,  fpegnergli  ardori  j 
ed  acquetar  le  miferie  ;  e  tale  quafi  fi  moftra 
r  Autore  nella  Pr.  7.  cjr.  51.  Ma  perchè  lo 
sfogare  con  paro' e  ai  m'tferi  fuoU  alle  volte  ef- 
fei-e  alleviamento  lìi  pefo  ,  ec.  ma  altrimenti 
pensò  il  Petrarca  quando  difTe  nel  lib.  De 
retnid.  utrtufq,  fo*t,  Loquendo  ,  canvndoque 
amor  alitur  ,  accenditurque  ,  non  ex/ììngaitur  , 
ttec  lenituf  :  ut  quo ^  memorai  cantui  ^  ^  Car» 
mirti  ,  tuorum  non  fomenta  ,  fed  irrìtamenta 
fint  vulnerum  \  meglio  dunque  ntlla  medefi- 
ma  Pr.  7.  car.  50.  difìTe  l'  Autore  :  Non  pcjfo  , 
gra^icfo  paftore  ,  ferina  fioja  grandljjima  rìcor' 
darmi  de"*  pajfati  tempi '^  li  q^alì  avvegnaché 
per  me  poco  lieti  dir  fi  poffano  ^  nientedimeno 
avendoli  a  raccontare  ora  che  in  maggiore  mo» 
lefiia  mi  trovo  ,  mi  faranno  accrefcimsnto  di 
pena  ,  e  quaji  uno  inacerbire  di  dolore  alla  mal 
faldata  piaga  ,•  che  naturalmente  rifugge  di 
far  fi  fpfjfo  toccare  , 

Cìi''.  32,  1.14.   --e  P  incantate  rime  ^ 

Chàdi  biade  p  ih  volte  han  privi  i  campì  ,   ) 
difTe  Ovvidio  Amor. lib.  ^.  Ehg,  7,   f.  gì. 

Carmine    la  fa  Ceres   ferii  em    vanefcit    in 
herham . 

però  affafcinar  le  biade  era  proibito  nella 
legge  delle  XII.  Tavole  :  Qui  fruga  excan* 
tajfit  5  pitnas  dato  ,  neve  alienam  f<getem  peU 
lexeris  excantando .  ed  un'  altra  :  Ne  incanì 
tanto:  ne  ag^um  defruganto  \  il  che  non  era 
altro,  che  incantar  la  terra  ,  perchè  non 
produca,  o,  prodotta  avendo  la  (pica  ,  non 
maturi,  e  maturando  fiada  loglio,  e  da  al- 
tre erbe  nocive  affogata . 


PRO- 


DEL   MASSAR.ENGO.       ^gg 

PROSA    QUINTA. 

Car.  ?5.  I.  5.  E  U (rifiato  gallo  col [uo  canti 
Jalurò  il  virino  giorno ,  )  M.  Francefco  Fa- 
bri  in  un  i  Tua  Rima  Paftorale  che  comincia  : 

Ario  Paftor  ,  ec . 

Co  fi  quando  P  augel  nunzio  del  giorno  , 
E  pafiori  ,  e  bifoUbiin  mmti  ,  e  ^n  valli 
Dejìaccn  chiare  canto  alle  hr  opre  y  ec. 
Perchè  non  lolo  veggia  per  fé  ,  mi  rifveglia 
iniieme  gli  altri .  Rcmy  Bellau  >  poeta  Fraa- 
cefe  eccellente  nella  2.  giornata  della  Ber- 
geria,  alla  prima    RimadelTlnverno,  che 
comincia  : 

L'  Hyvtr  p^lU  dt  frcid  ec. 
Car  ji  tojl  que  l*  eyfeau  a  la  crejìe  pourpret 
Reviilloit  du  matin  la  lumiere  doree  , 
Un  ehacun  f*  levoit  ,  ec. 
Perchè  il  gallo  (caccia  la  notte ,  e  chiama  il 
giorno,  gli  antichi  ufavano  di  facrificarlo 
alla  Notte,  ed  in  tempo  di  notte.  Ovvidio 
nel  I.  de'  Farti  v.  455. 

NoSle  Dea  Noci:  cri  flatus  e  adì  tur  ahr  ^ 
Quod  tepidutn  vigili  provocai  ore  diem , 
Stimano  alcuni ,  che  a  Cibele  facrato  folTe  , 
poiché  i  Tuoi  facerdoti  Gr.lU  (\  chiamavano; 
ma  quanto  erroneamente,  ciafcun  fel  penfi. 
Era  ben  confecrato  al  Sole,  perchè  con  lui 
fi  leva  ,  e  con  lui  fi  corca  ;  onde  i\x  cliiamato 
Titanìuf  ahi.  Il  Tuo  canroè  grandemente 
abborrito  dal  leone  ,  di  cui  fi  legge  una  bel- 
liflinia  favola  appreffb  Achille  Tazio  nel  2. 
lib.  ma  chi  non  vuol  che  canti ,  gli  leghi  al 
collo  un  cerchietto  di  vimine  ;  o  pur  cabrare 
Jo  faccia  ,  che  non  canterà  mai  pili  .  Egli 
é  aoimale  calidilTiino  )  e  però  molto  abile  al 

coi- 


4C0        A  N  N  O  T  A  !Z  T  O  N 1 

coito  :  onde  il  Poiiz.  nel  Rufiw.  41 5.  io  chla* 
mòfalafe^  perché  balla  un  fol  gallo  a  tren- 
ta galline  »  cuna  fol  donna  a  trenta  uomini  : 

Jpfe  falax  totarn  fdcundo  ffmine  gentem 
Implst ,  ec.  ^ 
Combatce  volentieri  con  gli  altri  polli;  e 
rimanendo  vincitore  , canta  in  vece  di  trom- 
betta ;  però  vien  detto  ««/«^''<?  delle  vittorie. 
E' detto  anco  afirologo  ^  perchè  conofce  ,  e 
predicele  mutazioni  de'  tempi.  Finalmen- 
te fi  chiàmxreligiofo  ,  perchè  canta  l'ore  Ca- 
noniche, cioèa  m-'zzi  notte,  nell'  aurora,  ec- 

Car.35.  1.35.  E  credo  già  che  ora  le  lettere 
ènjìetne  con  gli  alberi  (iano  cresciute  ;  )  Tro- 
vato da'  Greci  poeti,  da' Litini  feguito,  e 
da'  Tofcani  imitato.  H  Tadbnelfuo  A  min- 
ta 1  atto  I.  \c.  I.  v  217. 

Lo  fcriffe  in  mille  p'ante  ,  e  con  le  piante 

Crebbero  i  ver  fi ,  e  così  lejfi  in  una  , 
Virgilio  nell'  Egl.  lO.  v.  55. 

-.   temrifque  m;oi  incidere  amjrer 

Arboribuf'  cefcent  ì^la  \  cej'cetif  ^  am)re^  • 
ed  io  ho  veduto  nel  giardino  d'  un  principe 
foglie  à(i\  fico  Indiano  crefciute  con  li  noniii 
intagliati  di  molce  fi^^nore  principali  . 

Car.  36.  1.  52.    Ma  le  pecore  ,   e  le  capre  ,  chi 
pia  df  pafcere  ,  che  di  'ipjfirfi  erano  vagbe^  ec 
Tolto  da  Virgilio  nel  Calice;  vedi  alle  An 
notazioni  fopra  h  ».  Egloga  a  e.  ?48. 

I/edi  quelle  che  '/  f<o  varcando  ec. 
.    Car.  37.  J.  5.   Di  veder/i  fecchiite  dentro  dì 
quelle:  ec.  )  Vir.g  nel  Culice  v.  56. 

at  illa 

Immifift  in  rivi  p-eftantif  im^ginis  undam  . 
•Che  nell' acqui  fi  rapprefenti  1'  immagine 
com:  nel  vetro  ,  fu  concetto  di  molti  poeti  •" 
.Virgilio  nell'  Egloga  2.  v.  25, 

tlte 


DEL   MASSAREKGO.       40T 

jCec  fum  adeo    infitrnit  \   rtuper  mt  in  liti* 
re  vidi  , 

Cum  p'.^fiJum  venti f  flaret  mare  , 
ad  imitaziorc  del  qiule  ,  il  TafTo  nel  fuo 
A  minta,  atto  2.  leena  1.  v.  35.  facendo  par- 
lare un  Satiro  : 

—    .-  .-  ftofi  fon  io 

Da  di(p'tii^r  ,  fé  ben  me  fliffo  vidi 

Nfl  liquido  del  mar ,   quando  Pa/tr^   ieri 

Té$ceano  i  venti  ^  ed  ei  giaaa  fen\^  onda  , 
e  nella  2.  fcenav.61.  parlando  d*  una  Ninfa 
che  fi  fpecchiava  : 

Con  gli  occhi  al  fonte  confglier  ricorfe  , 

E  fi  mirh  qua  fi  di  furto  . 
Di  quello  loggetto  kce  Virgilio  n.Diftichi  9 
i  q.iaJi  fi  leggono  ne'  Tuoi  Opufculi  ,  degni  in 
vero  di  così  divino  Poeta.  Quindi  è,  che  i 
profefibri  di  bella  poefia  Tofcana  hanno  chia- 
mate l'acque  liquidi  (rifialli .  Di  queft.i  Torta 
di  (pecchi  fi  vagliono  i  pallori  ,  e  le  Ninfe , 
chi  bene  ,  e  chi  male  .  Male  fé  ne  fervi  Nar- 
cifo,  a  cui  fu  cagion  di  morte;  ed  a  Carino 
nella  Pr.  8.  car.  66^  fu  cagione  di  perder  l* 
amata  ,  per  averla  fatta  fpccchiare  in  un  fon-  ' 
te:  Bajfnndo  gli  occhi  nelle  quiete  acque  ^  vi-* 
de  /(p  jieffa  in  quelle  dipìnta  :  E  leggefi  di 
quello  fpecchiarfi  un  Sonetto  del  Varchi: 

Qui  fio  è  y   Tirfi  ,   quel  fonte   in  cui  folfa 

Specchiarfi  Ja  mia  vaga  pnjiorella  ,  ec 
ecco  come  la, natura  dallo  fpecchio  ha  confe- 
guito  un  dono  di  poter  contemplar  fé  mede- 
iJma  .  A  quello  modo  diventiamo  fifionomi- 
Hi  di  noiflcifi  ;  perciò  Platone  efortò  gli  ub- 
b'riachi  ,  e  i  collerici  a  fpecchiarfi  fpeflo  ,  e 
più  quando  erano  in  qoelia  pacione  >  accioc- 
ché >  veduta  la  bruttezza  del  loro  vifo  ,  h- 
fcialTero  quel  vizio  .  QucQo  medefimo  dir 

fo« 


401  ANNOTAZIONI 
foleva Socrate  a' Tuoi  diicepoli  ;  perchè.  Te 
veduta  a  ve  Acro  nello  fpecchio  la  lor  faccia 
ed'er  bella,  (1  vergognerebbono  di  far  opere 
brutte 3  e,  vedendola  brutta  >  vergognadofi 
di  accoppiare  inùeme  due  cofe  brutte,  cor- 
po, ed  animo,  fi  sforzerebbono  d*a)utar  la 
bruttezza  del  vifocon  la  bellezza  dell'ani- 
mo .  Comeci  rapprcfenti  lo  fpecchio  le  im- 
magini, èftata  opinione  varia  rra'  filolofi  • 
Altri  (limarono  ,  che  in  lui  fofT^ro  i  fimula- 
cri  mandati  fuori  da' corpi  noftri  :  altri  dif- 
fero  ,  che  con  la  ritorta  virtù  vifiva  fi  vedo- 
no in  lui  i  corpi  moftrando  egli  le  cofe  per  li 
raggi  riflefiì  ;  ma  quefta  rifleflione  fi  £i  dal 
denfo  ;  e  però  gli  fpecchj  hanno  il  piombar 
battuto  di  dietro  ;  così  l' acqua  >  per  non  po- 
ter trafparire  efTendo  troppo  alta  ,  o  avendo 
qualche  denfità  nel  fondo  ,  fa  il  mcdefimo 
effetto  .  Io  altrimenti  (limo  avvenir  que- 
fìo,  non  per  eHer  la  materia  trafparente? 
©per  folidezza  di  corpo  denfo  che  rifletta! 
raggi  ,  come  fi  è  detto  ,  ma  perchè  la  ma- 
teria che  fa  fpecchio  è  foglia?  terfa ,  puli- 
ta >  e  lucida  .  Di  qui  vediamo  ?  che  un  mar. 
mo,  un  legno,  una  tavola  ,  un  bacino  di  ra- 
me ,  di  (lagno,  d'argento,  o  d'oro,  ben- 
ché trafparentc  non  fia  ,  purché  abbia  la  fu- 
perficielifcia  ,  e  lucida,  ferve  in  vece  di 
l'pecchio;  e  da  quello  fono  ritrovati  gli  (pec^ 
chi  d' acciaio  :  ma  un  vetro  benché  fiatrafpa- 
rente,  e  chiaro»  fé  ha  dellofcabrofo  ,  e  non 
fia  foglio,  non  rapprefenterà  giammai  cofa 
alcuna  ,  fé  non  in  quslla  poca  parte  foglia  > 
e  pulita  . 

Car.  37.  1.  28,    I»  uno  altare  noovamtn^ 
te  fatto  di    verdi    cr'ie  ;  ec.  )    Che    quedl 
fofle  antica  ufaaza»  (ì  conofce  da  Virgi- 
lio 


DEL  MASSARENGO.       403- 
ilo    nel    12.  dell'  Eneida  v.  iiS. 

Tff  meJicque  focos  df  D/V  ccmmunìhur  aras 
G^amifteas . 
C  r  Autor  noftro  nella  Profa  ic.  car.  97.  Fa^ 
'/ò  di  terra  ,  e  di  trbe  un  nuovo  altare  ,   Vir- 
gilio nel  ^.  dell'  Eneida  v.  24. 

.-  viridtmquf  ab  humo  convelltrt  fdvam 
Cortalus- ,  ramif  ttgtrem  ut  frondtniìbus  aran 
e  nel  niedefimo  libro  pure  de'  facrificj  ragio- 
nando che  taceva  Andromachc  al  morto  Et» 
tore ,  V.  30?. 

—  __   --    Maffifquf   vocahat 

HiSì$rtum  ad  tumulum  :  viridi  qutm  cefpi-m 

te  inantm  » 
"Et  geminai ,  caujfam  lacrimi s  ,  facraverat 

aras  , 

ed  il  medefimo  poeta  nel  Calice  v.^92.  quan- 
do il  pallore  gli  faceva  la  fepoltura  : 

Gramineam  ut  viridi  fadiret  de  cefpìte  ter^ 
ram , 

Car.  jS.  I.  ^2.  1/  reverendo  Termino  )  Ter- 
mino era  il  Dio  de' confini ,  il  quale  da  tut- 
ti era  inviolabilmente  ofTervato  ;  e  s' alcuno 
per  avventura,  arando»  1*  avefTe  palTato ,  in- 
correva nella  pena  della  legge  delle  XII. 
Tavole:  Qui  Termìnum  exarajjit  ^  ìpfur  <if 
hovef  [acri  funto .  A  quedo  Dio  erano  facri 
tuteli  confini  si  delle  città  ,  come  de' pri- 
vati campi  :  ed  ogni  anno  gli  fi  i'acrific^va  in 
quel  proprio  luogo  del  confine  dalle  due  par- 
ti confinanti  i  come  ben  deicrive  quelli  fa- 
crificj (  che  Terminali  fi  chiamavano  )  Ovvi- 
dio  nel  2.  de'  Falli  v.  64?. 

Te  duo  dtverfa  domini  prò  parte  coronaftt'^ 
Binaque  ferta    tibi  y  bin^que  liba  ferunt  , 

e  quel  che  fiegue  j  ove  foggiunge,  che  fra 
tutti  gli  Dei  j  folo  il  Termino  contrago  con 

Gio- 


4ò4  ANNOTAZIONI 
Giove;  evolIeelTere  adorato  nel  medefimo 
tempio  di  Giove  ;  ma  non  contento  di  que- 
fto  j  volle  dappoi  anco  eflcrfopra  di  Giove; 
per  che  gli  fu  £r»tto  un  tempio  ieparato;  e  fé 
Giove  fi  contentava  di  ftare  in  un  tempio  rac- 
chiufo,  e^li  volle  che  il  fuo  foOfe  di  fopra 
fcoperto .  leggafi  Ovvidio  nel  fopratocco  luo- 
go :  Tito  Livio  nel  lib.  I.  circa  il  fine  :  Var- 
rone  nel  lib.  i.  ^e fermc»e  latino:  AuloGel- 
Jio  nel  lib.  12.  e.  6.  il  Trapezunzio  nella  fua 
Dialettica  al  principio.  Così  dunque  fu  fer- 
vatofempre  fcoperto  ;  onde  (limarono  poi  ef- 
fer  cofa  nefanda  rinchiudere  i!  Dio  de'  ter- 
mini dentro  il  termine  d'un  tetto.  E  flato 
però  un  tempo  che  non  fi  conofceva  quedo 
Termino  ,  poiché  ogni  cofa  era  comune  j  co- 
me difTe  il  noftro  Poeta  neirEi'Joga  6.car.48. 

I  campi  eran  comuni  ,   e  fen^a  termini . 

Car.  59.1.21.  Ecco  che  il pafiofaU  A'jolh  y 
ec.  )  Perchè  egli  fu  paftore  >  come  nella  Pr. 
7,  moftfò  V  Autore  car.  1 8.  e  però  ficcome  a 
paftore  gli  fu  dedicato  il  verfo  Bucolico  . 
Calf.  poeta  Egl.  7.  v.  22, 

Aut  facunda  Pales  ,  aut  pajio'altf  Apolh  , 
e  Nemef.  Egl.  i.  v.  6^,  il  nomìnò-rwale  : 

M.untra  dat  ^  laur^s  carp^nt  ^  rwa/if  Ap'.llo» 
e  Sidonio C<»r.  t^,  v.  198.  l'appellò  bifolco  , 

Jujfuf  ptfeefe   qui  gregem  efl  clienti^ 

Am^b^yli  ad  fluvium  Deuf  huhulcus  , 
e  con  ragione  dunque  difTe   il  Poeta  nell* 
Egloga  ?.  car.  22. 

Ap'i  P  ufcio  pef  tempo  ) 
Leggiadro  alni)  p^jjiore  • 
e  con  ragione  anco  io  fa  venire  alla  Sepol- 
tura d'  Androgeoin  Arcadia  ,  perchè  egli  fu 
pallore,  e  Re  degli  Arcadi;  a'quìli  anco 
diede  leggi,  onde  fu  detto  NomioJl  Poorano; 


DEL   MASSARENGO  .        405  ^ 

"PhubcijHf  ,  ^  Nernh  ,  Lycinjui  ,  patria 
qut  Ly^to  , 
hp.nchè  Nrf/tio  i  G  chiama  in  latino  pajìor e  \  e 
cesi  per  due  rifpetti  degnamente  tu  detto 
Komio  .  Ebbe  altri  nomi  pur  daMuoghi  d' 
-Arcardia  >  onde  fi  conferma  quefto  che  di- 
ciamo; edide  Properzio  :  Eleg  ».Iib.:?.v.38. 

Prttijnm  fjì  y  Lyci0  zeta  probantf  Deo  . 

Car.    ^9.    i.    30.   Fevgono  ora  tutte  c«n  ca- 
mfiri  biancbijfimi  ,  )  Virg.  nella  2.  Egl.  v  46. 

_,  .-   __   tibi   aita   pienti 

Ecce  ferunt  Kyfnpba  calatòir  :   ec. 

Car.   40.    1.    14.    È   prima  i   u/.'Kcfi  taffi  ) 

Taflo  è  albero  detto  da'  Germani  con  Greca 
voce  Oolo-^  per  eflcr  egli  ottimo  a  far  baie- 
fìre,  ed  archi,  quali  ufano  oggi  molto  gì* 
Inglefi  ;  ed'  un'  arco  di  tallo  tocca  il  Snnaz- 
zaro  pella  Pr.  11.  car.  1  26.  //  quale  di [tmpli^ 
ce  ttijfi  avendolo  ,  ec.  dove  più  opportuna- 
mente ragioneremo  un'  alerà  volta.  E' fi- 
mileall'abtrte  ,0  più  toftoal  larice  ,  in  quan- 
to s'appartiene  al  mantenerfi  verde  Tempre: 
anzi  a  guifa di  pino  s'allarga  nei  lati*  Neil' 
Auftria,  nell'  Ungheria,  e  nella  Dania  ò 
copiofo  :  ma  quello  dell'Elvezia  fi  tiene  il 
migliore  .  Fa  quefto  albero  certe  coccole  rof- 
(e  ,  nelle  quali  dicono  cfTer  mortai  veleno  s 
manìnse  nella  Spagna  .  D»confi  però  le  fiere 
falvatiche  nutrirfi  di  «^|U  rto  frutto  :  ondeCe- 
fare  Miflimiliano  fi  doifc  d'eflcrne  ftato  ci- 
bato: ed  il  folo  fumo  uccide  j  topi .  Anzi  in 
Arcadia  egli  è  di  tanto  veleno  ,  che  fé  alcu- 
no ali*  ombra  fui  dorme  t  0  mangia  ,  fubito 
fi  muore  .  D<i  queft' albero  vogliono  che  fia 
nominato  il  tojftco  ,  detto  da'  Latini  toxicum  , 
quafi '«x'V«w> .  Scrive  Plinio  lib.  16.  cap»  lOt 
che  inchiodando  ìsi  pianu }  perde  \\  vekn.o  ^ 

EGLO- 


406        ANNOTAZIONI 
EGLOGA    QUINTA. 

Car.  41.  I.  II.  Seguir  le  Ninfe  ittf'tà  feti- 
€t  amori,  )  Allude  al  l'opinione  antica ,  che 
2  piaceri ,  ediletti  cheavevano  gli  uomini 
av^tiinvita,  gli  feguiirero  anco  nella  mor- 
te; onde  quegli  ftefii  neir  al  tra  vita  eferci- 
taflero:  come  anco  la  toccò  Virgilio  nel  :6* 
dell*  En.v.  613. 
—  —  —   qu£  ^ratìa  currum  ^ 
Af*norumque  fuit  vivif  ,  qua  Cura  nitentÌF 
Pafcere  «quof  ,  eademfequitw  tellure  repofto?  -. 
Androgeo  nella  Tua  vita  paftorale  fi  era  dilet- 
tato di  feguire  amorofamente  le  Ninfe,  di 
cantare  all'ombra  i  fuoi  amori  :  cosi  dun- 
que aveva  a  dilettarfi  nell' altra  vita>  e  pe- 
rò dice: 

Altri  monti  ,  altri  piani  ,  ec« 
1* opinione  però  nonèCriftiana»  ma  Etnica 
(  che  i  femplici  lettori  non  pigliafìTero  un 
granchio)  e  Tempre  intendiamo  di  parlare  fe- 
condo l'ufo  della  gentilità,  eccetto  quando 
facciamo  particolar  menzione  della  Chiefa 
Santa. 

Car,  41.  1 .  li.  H  '/ ondeggianti  biade  a*  lieti 
campi  y  ec.) Metafora  tolta  dal  mare,  chia- 
ramente efprefla  dal  Poliziano  nelle  Stanze  : 
Veder  cozzar  mofiton  ^   vacche  mugghiare  ^ 
E   le  biade  ondeggiar  y  come  fa  il  mare, 
.S'applica  quefìa  mede(ìma  metafora  alle  in- 
fegne  fpiegate,  come  l'  usò  il  Taffo  nella 
Conquiftata  lib.  17.  ftanza  g7. 

Mentre  P  altera  infegna  intorno  ondeggia^ 
Edi  qui  s'è  applicata  a.ico  alle  fchiere  d* 
«eferciti  ;  di  cui  fi  veggono  molti  efempj  nel- 
l&  medefiina  Gcrufalemme  Conquiftata ,  nu 

.uno 


DEL  MASSARENGO.     407 

^tinocblaramenterpiegato  nel  llb.gflanza.ij- 
Par  che  cnde^gi   la  tt$rba  intorno  ^  e  frema  * 

e  di  lui  prima  i'.Ariofto  nel  Canto  16.  ftan- 

za  68. 

ht  fitra  pugna  un  pf^zo  andò  di  pare  , 
Che  vi  fi  difternea  poco  vantaggio  : 
J'edsaji  trPuHOy  or  f  altro  ire  y  e  tornare  y 
Cerne  le  biade  al  vento/in  di  Maggio  y 
Or  come  fopra  il  lite  un  mobil  mare 
Ottime  y  or  va  y  ni  mai  tiene  un  viaggio, 

^C  dice  ancora  de^  capelli  :  come  il  Guidiccio- 

ne  nei  Sonetto: 

La  beltà  y  e  pura  luce  j  ec« 
C^'  ond/ggiar  vidi  $  bei  crin  /«"  oro  al  foli  y 
£   raddoppiar   dì   nova  luce  il  giorno  . 

c della  Vela,  cd*alcre  cofe  ,  che  per  brevi- 
tà lì  laTciano  . 

Car.  42.  1.  7.  Androgèo  y  Androgèo  fonava  it 
hcfco  .  )  Quello  raddoppiamento  di  parole  non 
pur  leij^iadro ,  e  vago  rende  il  parlare,  ma 
talora  lidapolfo,  e  vigore  ;  come  apprcflo 
Virgilio  nell*  Egloga  2.  v,  69. 

Ab  Corydon  ,  Corydon  ,  qu^e  te  dementia 
ctpit  l 
enelP  Egloga  7.  v.  ult. 

Ex  ilio  Corydon  ,  Qtrydon  eft  tempore  nobìs  • 
e  neil*  Egloga  5.  v.  65. 

--   .-  ipfit  jam  carmina  rupes  y 

Ipfa  fona  ni  arbufla'.Deuty  dtus  ilte^  Mendica  , 

talora  fa  coiitrario  cJfetto  ,  tftenuando  T  ora- 
zione i  come: 

Laffo  me  ,  laffo  '.   e 

V'angi  y  cor  ìajfo  y  piangi  , 
talora  (la  pr  r  fcmplice  replica  di  quella  vo- 
ce, dimoilrarvlo  una  frequenza,  e  fpclTez- 
za  di  nominarla >  come  qui  appreHo  lino* 
ftio  Poeta  : 

An* 


Ao8         ANNOTAZIONI 

Androgè 0  ^  And'Ogèo  (ottava  il  bofto  , 
ed  apprcdo  Virgilio  nell*  Egl.  6.  v.  44. 

—  —  ut /(fuf  ,  Hy'a  j  Hyla,  omne  jonaret , 
fimil  loco  a  quello  dei  Sanazzaro  fi  legge  nel 
Sonetto  del  Molza  : 

Pcfcia  che  qui  la  mia  l^infa  ,  ec- 
ove  dice  : 

E   Pc^ia  ,   Per;;^ia  ri  fonava  il  hofc»  . 
poco  dilfimile  da  Te  ftelFo  fu  il  Poeta  nell* 
Egl.  II.  car.  148. 

E  Filli  f  f^jfii  i  p*»  Filli  rifpondono  , 
come  anco  Giulio  Cammilio  nel  San. 

T«  ,  che  fecondo  P  alta   Rofna  ,   ec» 

B  G'berio  fonar  ^  Giberto  i  colli, 
né  pur  fi  trovano  quefte  parole  raddoppiate  3 
ma  triplicate;  come  dal  Petrarca  nel  lina 
della  Canzone: 

Italia  mìa  ;  ec« 

lo  vo  gridando  Pace  ,  pace .^  pace  . 
equeftomododidiremoftraedenfafi  ,e  fpef 
fezza,  e  dcfiderio  grande. 

Car.  42.  \.i,   Dunq-'e  frtfche  corine  ec.  ■ 
Si  noti  P  ufo  di  offerir  corone  alle  fepolture 
poiché  di  quefto  fièmoftrato  oflTervantifli- 
mo  il  Poeta  noftro  ;  e  leggea  nelT  Egloga  .4 
car.  52. 

E  Itt  ghirlande  colte  a^  vt^rdi  campi , 

Al  centf  muto  dia  con  le  tue  rime  . 
e  nella  Pr  5.  car.  39.  Eciocbe  ilpajìorale  Apol-' 
lotuttofejìtvo  m  Viene  al  tuo  fepohra  per  ador 
narti  con  le  fue  odorate  corone  \  ec- 
enell'Egh^ga  8.  car.  75. 

Ornando  di  ghirlande  il  /neflo  cumulo  . 
C  nell.'i  Pr.-'fa  10.  car.  104.  E  fovra  quella  cffer 
te  dt  molte  corone .   Con  le  corone  poi  offeriva 
eo.d*ogni  forta  di  fiori ,  fpargendoli  intor 
pO}  e  fopra  la  fepoltura;  onde  diffe  nell. 


DEL  MASS  ARENGO.       409 

Pr.  7,  Car.  39.  Per  la  quaUofa  ,  pafiori  ,  ^rf- 
tMU  trbt  i  fronde  per  tirra  E  più  abballb  : 
Fervono  ora  tutti  con  canefìri  hiartcbi^fimi  ,  p/>« 
ni  difio'i  ec.  ed  il  Bembo  nell'  Bpitafio  ch'ei 
fece  alla  lepoltura  delT  Autore  : 
Da  [acro  cimri  florts  :    eC. 

E  Remigio   Fiorentino  nell'   Epltafio  del 
Bembo  : 

E  dt  f rondi  ,  i  di  fior  Spargete  un  mmho 
Intorno  al  [affo  dei  fnmofo  Bembo  . 
Kè  fol  quello  tacevano  ,  mi  vi  piantavano  l* 
erbe  ,  che  vivi  in  ogni  t^  mpo  manteneflèro  i 
fiori  :  cosi  defcrive  elTer  la  fepoltura  di  Ma{^ 
filiail  Sanazzaro  nella  Profa  io.  car.  lou 
A  quefie  beitele  fé  ne  aggiungtva  una  non  me-» 
no  da  commendart  ibe  qualfivoglia  delle  ahre^ 
toncicjfiacofacbè  tutta  la  terra  ji  potea  vedere 
ircvtrta  di  fiori  ^  ec.  E  nell*  Egl.  u.  car.  130. 
Vedranno  aliar  di  fior  vermigli  y  e  gialli  ec 
e  Virgilio  nel  Calice  fa  che  il  paftore  alla  Te- 
poltura  del  morto  Culice  ne  pianta  di  mille 
iorte;  e  quelli  erano  facri  ,  come  nella  Pro- 
fa  g.  car.  20.  Ù  legge  .  ^e  qutUt  p  r  ignoranti 
cvejfefo  violate  le  erbe  de"*  quieti  fepblcri  » 

PROSA     SESTA. 

Car.  43.  1  8.  M.enxre  Brgafio  ^  ec.  )  Chc 
fra"*  partorì  mentre  lmI' canta  ,  P  altro  feri- 
va» o  intagli  le  cofe  cantate,  come  qui  da 
Fronimo  vien  f  .tto  »  fi  ccnofce  dall'  Egloga 
1 2-  car   1 5c.  ove  dice  Summonzio  : 

Dthfeti  caldi  mr  ,   Barcinio  y  feribili, 
c  poco  più  balToei  pli  rifponde: 

Summon\io  ,  io  per  li  tronchi  fcriv9  e  vergoh  i 
le.  nell*  Egloga  1 1 .  car.  127. 

E  quant^io  parlo  ^  per  li  tronchi  ferivi  * 
jgmo  I,  S  nel 


41©        ANNOTAZIONI 

«el  qual  foggetto  diffeil  Cavaliere  Bonar. 

nella  3.  parte  delle  Tue  Rime,  all'Egloga: 
I  doloro^  ae tenti  ,  ec. 
f ^//  più  volte  fé  qtiejìe  querele  \ 
Ma  quefta  fu  di  tutte  /*  ultirn*  era  : 
Ed  io  con  la  mia  falce  a  pie  d"*  un"*  oìtm 
Notai  tutto  il  fao  dtr  ,  tutti   i  fuoi  gejli  . 
Car.45    I.  IO.  La  fcrijfe  in  una  verde  cor- 

teccia  di  faggio  \  )  Si  conferma  quello  che 

nel  Proemio  dicemmo,  car.  302  che  fci'iven- 

do  nel  faggio  ,  la  fc^rza  doveva  effer  verde  . 
Car.  4^.    !•  23,   Ma  poi  che  con  P  ahbondevoh 

dtv^rfità  de"*  cibi  avemmo  fedata  la  fame  ,  ec.  \ 

Di  Virg.  nel  i.  dell'  En.  v.  216. 

Pojlquam    excmta  fames  epulif  j    me^ftcqui 
temoTte , 

eneirs-  v.  184- 

.    Pcftquam  exemta  fames  ^  &  amor  compref- 
fas  edendi  , 

a  cui  allude  anco  quello  del  i.  dell'Enei 

da  v.  713, 

Voftquam prima  quiet  epuUs^meftfaque  retncta 
Car.  44.    1.  ult»  Il  quale  (  procf  he  pelcfo  mei 

tO   'i  e  rufiiC'JJimo  ur^mo  ,  era   )     Urf-^cchic  pe 

lutta   Arcadia  era  chiamato'^    )   Erafopr^nno 

mato  dall'  oiTo ,  per  la  fua  rufticbezza  :  per. 

qucfto  nome  volle  ufare  per  ingjura  El.no 

nell'  Eg  .  9.  car.  87. 

Corbo  mahaggic  )    urfacehio  afpro   ^  f  fai 
vati  co  . 

E  G  L  OGA    SESTA. 

Car.  46.  !.  22,  Nel  mondo  oggi  gli  amici  no  1 
fitrovano  ;  )  Ben  dice  il  vero  ,  che  cercando 
un  vero  amico  >  fi  trovano  tanti  nemici  »  d 
fiduUtori;  conforme  al  detto  deli'  Evangc 

lio; 


DEL    MASSARENGO.       41 X 

7io  .*  J'nmici  èominh  iiomefhci  ejui  %  Onde  è 
nato  il  proverbio  che  :  P/i  tojìo  una  cornac^ 
càia  b'artiéty  (hi  uh*  amico  vero  (ì  troverebbe  ,  e 
diceva  uno  ,  cUe  gii  amici  oggidì  fono  fimili 
alle  mofche,  le  quali  fi  fanno  compagne  del 
cuoco  ,  mentre  alberga  nella  cucina  ;  ma  to- 
fto  eh*  egli  non  cuoce  alcuna  vivanda  ,  ed  ab- 
bandona la  cucina  ,  efle  ancora  da  lui  fi  parto- 
no ;  eperòdifle  un  poeta  : 

'Tempore  ftlici  mu/tct  numerabh  amicos  : 
Si  fo^iufia  perit  ,  ««//w/  amicus  erit  ^ 

ji  chediv'de  occafionealT  Ariofto  di  comin- 
ciare il  fuo  Canto  19. 

Ahun  non  puh  faper  da  chi  fa  amato 
Quando  felice  in  fu  la  rota  fieJe y 
Vero  c'  hj  i  ter:  y  e  i  finti  amici  a  lato  % 
Che  moftran  tutti  una  medefma  f'de  : 
Se  pi  fi  cangia   in   frijìc  il  litto  fiato  y 
Volta  la    turba  adulatrire  il  p'tdi  '   ec. 
«  però  lodevole  eri  Li  fentCf^zj  di  quel  favlo 
che  non  voleva  ùiCi  alcu  io  ìHì-c  • ,  fecon  lui 
non  aveva  prima  mangiato  un  mogt^io  di  Ta- 
le: de^otindo,  che  per  lungo  rempo  fi  do- 
veva praticare,  prima  che  f;a  gli  amici  fi 
riponefle . 

Car.  46.  1 .  1 8  Tal  ndt  d  l  mio  ben  ,  cbr  V 
fZ/o  fimula  :  )  E  dille  »'  A  rioilo  Canto  5.  ftaii- 
Zà  8. 

£cm  /'  odt  ti  ragionai  ,  fi  v  di  il  -roito  | 
Ma   dentro  il  petto  mil  giudicar  pnjji  ^ 
Car.  4*.  I.  :9.   --    •-  (he  ;  ot   mi  lacera 
I     Dietro  le  [palle  e§n  acuta  l  mula  .   ) 
JAnzi  runeerr;,  ed  ncutjflTima  fpadi  ,  poi- 
'ioo  t.ilor3  le  Dunrur^  Hi 'iogua» 
S:  f  nde  difTe  il  i'ctrarct*  nel 
Zap.  4.  ^<;I  Trionfo  U' Am. 
£  mi  Ili  altri  m  vidi  a  fui  U  lingua 
S     2  jLo^- 


412   ^    ANNOTAZIONI 

Lancia  ,  efpada  fu  fempre  ,  e  feudo  ^eJelmo  , 
e  però  fi  vede,  la  lingua  efière  (lata  fate? 
dalla  natura  in  torma  di  fpiedo  ,o  pardi  (pa- 
da  ,  per  moftrarci  quanto  fia  pronta  ^  ed  ac 
comodata  al  ferire;  e  di  qui  è  ^ata  chiama 
ta  vibrante  ,  e  tagliente  ,  i  quali  aggiunti  fonc 
dì  fpada  propri flinii .  La  chiamò  il  Tk^o^cu 
to  ftrale  nella  Gerufal.  Conquidata  lib.  C 
flanzago. 

E  j  quafi  acuto  ftrale  ,  in  lui  rivolta 

La   Lingua  , 

Ed  il  noftroSanazzat'onell*  Egloga  ?•  cart« 
86.  dKTe  : 

Che  mala  lingua  non  i  aveffe  a  ledere  , 
Da  qui  nacque  il  proverbio  :  La  lingua  non 
ba  cjfo  ,  e  fa  rompere  il  doffo  .  Ma  quant<  ì 
danno  dalla  lingua  sfrenata  nafceflTe)  il  mo 
(Irò  San  Giacomo  nella  fua  Epiftola  Canoni 
ca  al  cap.  ^.  luogo  degno  d' effèr  letto  ,  e  ri 
letto  da  qualfi voglia ,  per  fuggir  non  pur  i 
vizio,  ma  infiemei  calunniatori ,  che  di  ta 
vizio  fi  dilettano  .  Narra  Luciano  ,  la  Calun 
nia  eder  in  tal  modo  (lata  figurata  da  Apel 
le;  il  quale  da  Antifilo  Tuo  difcepolo  era  (la 
to  calunniato  apprelTo  Tolomeo  .  Dipinf 
egli  un'  uomo  in  fedia  ,  con  l'  orecchie  lun 
g'hilTime,  fimilea  Mida,che  d' afino  le  ave 
va  :  a  coftui  affiftevano  due  donne,  Igne 
ranza ,  e  Sofpizione  :  ed  egli  porgeva  un 
mano  alla  Calunnia ,  clie  gli  s' apprefentav 
in  beHiifimoafpetto,  ma  d'ira,  e  di  rabbi 
accefa  fi  (Irafcinava  dietro  un  giovane  eh 
con  le  mani  in  alto  gridava  .  Dinanzi  ali 
Calunnia  andava  il  Livore  ,  fratello  dell'Io 
vidia;  il  quale  pallidiiTimo  in  vifo  ,  un  vec 
chio decrepito,  e  da  lunghiffima  infermit 
|:onfumato  fomigliara .  Dietro  alla  Calunni 

poi 


DEL  MASSARENGO.  40 
poi  fc'guiva  una  donna  con  vefte  di  color  fo- 
fco  tutta  fquirciata  ,  che  con  di  rotti  (Ti  me  la- 
grime fi  macerava  j  percotendofiil  petto  :  e 
per  quelh  voleva  egli  fignificare  la  Peniten- 
za ,  la  quile  vedendo  la  Verità,  che  veniva 
a  fcoprirli  ,  di  roiì'ore  ,  e  vergogna  fi  confon- 
deva .  Tale  adunque  fu  dipinta  la  Calunnia  » 
figliuola  della  perverfa  lingua  j  da  Apelle 
eccellentifiìmo  pennellatore  .  La  qual  pit- 
tura, come  mineriofidìma)  altro  luogo  che 
quefto,  ed  altro  tempo  più  largo  richiede, 
per  elTere  dichiarata  :  però  mi  riferboa  più 
conìoda  cccafione  ;  intanto  potranno  1  belli 
indegni  affaticarvifi  ,  perchè  contiene  bel- 
lifTìmi  fecreti  di  fiiofofia  .  Di  quefto  danno 
di  lingua  temeva  Virgilio  nell'  Égl.  7.  v.  18. 

--  «r  vati  rtoceat  ma /a  lingua  futuro  , 
Però  dovrianoi  maledici  fare,  come  Euge^ 
nio  apprcflo  il  noftro  Autore  nell'  Egl.  8. 
:ar.  76. 

E  pria  cP  io  parlo  ^  It  parole  mafiico  , 
Perchè  a  tal  fine  appunto  la  lingua  è  ftata  di 
ienti  dalla  Natura  circondata  . 

Car,  46. 1.31.  L' imi  di  a  ,  {ìgliuol  mìo  ,  (* 
He  fa  macera  ,  )  Di  Orazio  £p.  2.  Ub,  i.  «.60. 

InviJur  ahe^ius  macrefcit  rebus  opimi f  . 
oerchè  T  invidia  confuma  ,  e  diftrugge  )  vol- 
garmente fi  dice  :  crepar  d^  invidia  ;  e  forfè 
:osj  volle  intendere  Virgilio  nelP  Egloga  7. 
\f.  26. 

--  invidia  rumhantur  ut  ilia  Codro, 
i^erl*  Invidia  fi  dipingeva  un  cane  con  un' 
<'^o  in  bocca  :  cfTcndo  il  cane  di  natura  invi- 
iiofoi  e  fi  dice:  ^^  cane  non  mangia  lattu^ 
bf  ,  ni  vuol  cb*  alfi  ne  pigli  .  Ma  leggia- 
iramente  defcriife  l' invidia  ,0  Pinvjdjofo  , 
i^irgilio  in  un  fuo  Epigramma  <//  Lhore  \  al 
S    i  qua- 


414        ANNOTAZIONI 

quale  rimetto  i  lettori;  per  efier  degno  di 
gran  coiifidcrazionc  .  Efiendo  richiefto  il 
S.inazzaro  alla  prcfenza  del  Re  Federico  d' 
Ara,i;Qna  ^  che  cofa  fofle  di  giovamento  agli 
occhi  )  rifpofe  :  L'  invidia  \  perchè  ,  diffe  , 
quefìti  fa  vedere  altrui  tu* tu  le  cofe  e  maggio- 
ri y  e  pia  piene  y  né  miglior  gìovùmsnto  p  jfono 
AVer  e  gli  cechi  ,  fé  non  che  la  vijìa  diventi 
f'.à  gagliarda  ,  e  migliore  ,  e  fubito  allegò 
quei  verfi  d'  Ovvidio  nel  libro  i.  de  Arte 
Amandi  v.  540. 

pertìlior  figcf  ejì  alienis  fewper  in  agrir  : 
Vicinumque  pecuf  grandiur  uèer  hahet , 
Favoleggiano  i  poeti  Greci  ,   che  efìendo 
Momo  fra  gli  Dei ,  e  non  facendo  egli  cofa 
mai  che  bene  fteffe,  non  mancava  punto  di 
riprendere  ciò  che  di  buono  facevano  gli  al- 
tri: per  Io  che  Giove  faftidito  dei  coftui  ma- 
ledire» acciocché  non  foffe  quella  gran  Cec- 
caggine  fra  gli  Dei ,  io  gittò  a  capo  chino  da' 
Cielo.  Ma  egli  nulla  perciò  pentito  del  fuc 
mal  coli  urne  »  conformealia  perver  fa  fua  na- 
tura ,  cercò  di  generar  fimili  a  fé..  E  dopc 
molto  aver  cercata  moglie  atta  a  compire  1: 
fua  rea  intenzione,  fi  accoppiò  con  la  Invi 
dia,  e  tale  fu  il  loro  congiungimento^  ch( 
nacquero  ad  un  parto  la  Malvagi t3L,  e  la  Ma 
ledicenza  ;  le  quali  pofcia  maricatcfi  con  1 
Odio,  e  col  Livore  »  in  ifpazio  di  tempi 
produnTero  tanti  altri  figliuoli  ,  e  nipoti  >  eh 
fi  fparfc  in  ogni  parte  della  terra  qacfta  mal 
progenie,  in  guifa  che  non  vi  è  ,  non  diri 
regione ,  o  città  ,  m.-i  ca(a  alcuna  privata  ov 
non  fia  entrata  "uella  pelliicnz» .  Ecco  ,  co 
me  dallainv.di  i  nati  fono  tutti  i.  mali ,  el 
portiamo  chiami  re  nrimo  peccato  del  mon 
do  à  poiché  il  i'erpeote  mollo  da  invidi  t  de 

feli- 


DEL   MASS  ARENGO.        415 

felice  ftato  dell'uomo,  tu  quello  che  ci  fece 
prevaricare;  e  dal!  invidia  di  Gain  nacque 
la  morte  del  fracello  :  la  fuperbia  contra 
Dio,  e  mille  altri  mali. 

Gir.  4.7.  1.2.  Prima  (he  i  rn'tetitor  le  htam 
de  affti[ino\  )  Stimino  alcuni ,  e  malamen- 
te »  eh;:  qui  il  Poeta  intendi  di  quvl  io  <»^^/i:«- 
nare  ^  di  cui  diflì  fopra  T  Egl.  2.  m\  il  dej  in- 
tendere quefto  aff.^fcino  per  fjggiur.tivo  dal 
verbo  affafcìart  ,  non  afftjfcinare  ,  il  cui  fog- 
giunti vo  {2irthhcaffuf:tnino  ;  e  1'  intenzione 
del  Poeta  è  dire  ,  che  veder  vorrebbe  la  yen- 
detta  de' fuoi  nemici  prima  che  i  mietitori 
facciano  i  fafci  delle  tagliate  fpiche ,  cioè  in- 
nanzi Luglio  y  ovvero  quanto  pili  prefto. 
,}  Vedi  la  nuova  fcelta  di  voci .  ^y 

C-ìX.  47.  l.  15.  Qbf  fputando  tre  volte  fu 
sttv'ifibììe  )  Lo  fputo  non  è  altro  che  un  certo 
efcremcnto  flemmatico,  il  quale ,  generato 
nel  ventricolo  del  fucco  degli  pulimenti,  fa- 
lcai cervello,  equindi  cadea  bagnare  la  lin- 
gua ,  e  \<'.  labbra,  e  ad  inumidire  il  cibo. 
Ha  tanta  forza  Io  fputo  dell'  uomo  ,  maffime 
digiuno,  che  fcaccia  le  lentiggini  ,  ferfe  , 
vajuoli»  mentagra,  prurito  ,  rogna  >  tiro- 
ni}  volatiche,  ed  altri  mali  che  tra  pelle, 
e  carne  vengono.  Giova  al  mal  d'occhio: 
lana  i  morfi  degli  fcorpioni ,  ragni  ,  rofpi  > 
fcaraf:iggj  ,  e  d'  altri  animaletti  velenofi, 
perciocché  ritiene  in  fc  una  certa  qualità 
velenofj  prefa  parte  dagli  umori  corrotti  j  e 
part.' dalle  immondizie  che  reftano  tra  i  den- 
ti :  dai  quali  partendofi  certi  vapori  ,  e  fumi 
verfo  Icr  labbra  ,  l' infetc.mo  ;  e  qu udì  avvie- 
ne, che  a  coloro  che  fono  digiuni  per  \o  piij  la 
bocca  ,c  '1  fiato  put^i  perché  dallo  ftomaco  > 
auàfi  da  un^  fungofa  palude ,  ^i  partoriO  certi 
S    4  V*- 


4t6  ANNOTAZIONI 
vapori  groffi ,  e  fvitenci  >  i  quili  conia  loro 
q.ialita  vcleioG  contaminano  i  tonti  della 
jciliva  .  E  fé  lo  fputo  di  un'uomo  fano  ha 
tanta  f>rzì  ,  che  fana  lo  flupor  de' membri, 
ammazzi  l\irgento  vivo,  toglie  ogni  for- 
za alle  (cine,  refpi  »  topi,  fcolopendre ,  e 
Serpenti  ,  anzi  Cv>l  folo  fputa?  loro  addolTo  fi 
difcacciano  ;  che  diramo  noi  dello  fputo  di 
coloro  cb.-:  {0:0  leprofi  ,  impiagati,  e  pieni 
di  mai  Fr  U12  fé  ,  o  d'  altri  mali  contagiofi  ? 
non  è  dubbio  che  farà  peftilentiflìmo ,  e  però 
daguardjrfene.  Avevano  mille  fuperftizio- 
ni  gli  antichi  fopra  lo  fputo  ;  come  che  ribat- 
tere le  f (fcinazioni  5  ed  ogni  ammiliamen- 
to  y  però  fubito  che  avevano  orinato  fputava- 
no:  fputìvano  nella  deftra  fcarpa  prima  che 
l' inveftilTero  ne!  piede  :  paflando  per  luogo 
doveavelTero  inteC:>e(rer  qualche  pericolo  , 
Xputando  cacciavano  ogni  timore ,  e  fi  libe- 
ravano dal  pericolo:  volendo  chiedere  gra- 
zie agli  Dei  fi  fputavano  in  feno  per  meglio 
ottenerle  ;  ed  il  facerdote  Enareto  nella 
Profa  IO.  car.  loi.  vuole  che  fputi  Clonico 
Jtre  volte,  mentre  lo  guarifceda  amore  :  e 
qui  trg  volte  [gufando  il  ladro/«  invifihile  .  Chi 
più  virtù  dello  fputo  brama  fapere  legga  Pli- 
nio lib.  28.  cap.  4» 

Car.  47.  1.30.  Erhe  ^  t  pltue  m^jftrofe  ^  ) 
L'  erba  ,  e  la  pietra  Elitropia  ,  le  quali, 
portate  addcflTo,  fanno  invifibile  ,  fé  a  Pli- 
nio creder  dobbiamo.  Altre  fono  che  fanno 
ringiovanire  ,come  più  bado  fi  legge  car. 48, 

O  con  erb*  incantate  ingiovanivano  . 

Ma  pare  molto  difficile  a  capirfi  come  pof- 
fibil  fia,  che  un  corpo  collante  di  larghezza  , 
lunghezza,  e  profondità,  contrappofio  per 
oggetto  di  .V irta  fana,  cfenza  alcun'  altro 

cor- 


V£L   MASSARENGO.      417 
corpo  tramezzo  fi  faccia  iiivifibile ,  e  ciò  per 
via  di  ragion  naturale  :  quafi  che  T  atto  del 
farfi  invifibile  da  foprannaturalecagione  pro- 
cedi ;  ma,  dato  che  per  opera  di  fpiriti  ae- 
rei invifibili  agli  occhi  noftri  fi  polfa  appan- 
nare ,  e  coprire  il  corpo  che  ci  fta  per  ogget- 
to libero  della  vifta^  come  effer  puòch^  non 
fi  vegga  almeno  il  luogo  occupato  da  tal  cor- 
po, e  dal  coprimento  fuo?  Sequefto  copri- 
mento  fi  fi  d'  aere  moltiplicatoli ,  e  conden- 
fatoli  intorno,  perchè  non  fi  vedrà  quell' 
aere  moltiplicato  ,  e  condenfato ,  come  chia- 
ramente vediamo  le  nebbie,  e  le  caligini 
dell' aere  >  ed  il  luogo  che  occupano  ?  Si  po- 
trebbe rifpondere  ,  le  nebbie  ,  eie  caligini 
efier'  aere  intorbidato  ,  e  fatto  terreftre, 
ed  impuro  dagl'  impuri  >  e  terredri  vapori 
che  dalla  terra  efalano,  e  però  notabilmente 
fono  vifibili  achi  le  mira  ;  ma  una  moltipli- 
cazione d*  aere  puro  occulterà  V  oggetto, 
fenza  farfi  defcrivere  ;  e  quella  moltiplica- 
zione farfi  o  intorno  air  oggetto,  o  vicino 
alla  vifta  del  rimirante,  o  talora  nelT  uno  ,  e 
nell'  altro  luogo  •  Ovvero  fi  potrebbe  rifpon- 
dere ,  quefio  occultamento  di  corpi  farfi  per 
moltiplicazion  d' aere  fatta  non  folo  in  quan- 
tità ,  ma  in  qualità  ancora  ;  così  nello  fpazio 
intermedio  5  come  intorno  ali*  oggetto  ,  e 
vicino  agli  occhi  del  rimirante  ;  cioè  che  l* 
aere  fi  faccia  notabilifiìmaraente  chia»'o  ,  e 
fottilifiìmo:  onde  fé  ne  venganoa  difgrega- 
re  in  largo  i  raggi  vifivi ,  per  non  aver  aere 
fufficiente  afoftenergli  fino  all' oggetto  i  o 
pili  torto,  che  detti  raggi  fé  ne  ofFufchino, 
ed  abbaglino  di  modo  ,  che  veder  non  poffìa- 
mo,  come  apertamente  proviamo  ,  che  la 
chiarezza  dell*  aere  non  ci  lafcia  vederle 
S    5  ilfHc 


4ts      annot  az  toni 

{Ielle  di  giorno.  Quelli  poi  che  a  virtù  Co- 
prannaturale  l' attnbuifcono,  ne  fanno  au« 
tori  gli  Angeli  j  oiDcmonj:  ma  non  fi  dee 
intendere  che  operino  altrimenti  che  con, 
mezzi  naturali  ,  in  quanto  alia  compofizio- 
ne  ,  ed  all^  ordine  dell'  univerfo  ,  fecondo 
S.  Tommafo,  eS.  Agoftino  nel  !ib.  «8.  della 
Città  di  Dio  ;  fé  ben  pajono  foprannaturali  a 
noi ,  quando  le  cagioni ,  i  mezzi ,  gP  idro- 
menti ,  e  le  vie  ci  fono  occulte.  Se  cedui 
dunque  con  erbe  >  e  pietre  fi  faceva  invifibi- 
le  ,  per  virtù  ,  o  forma  Ipecifica  3  che  in  ta- 
li pietre  ,  o  erbe  fulTe  ;  tal  virtù  però  ,  o  for- 
ma fpecifica  »  come  agente  operava  natural- 
mente nelle  cofeche  pa di '^'a mente  avevano- 
ad  elTer  difpode  alla  invifibiltà  . 

Car.  47.    1.31.    Magici  ver  fi  affai  poff enti  ^ 

•  validi  ec  )  Ha  detto  delle  erbe,  e  delle 
pietre,  ora  tocca  delle  parole,  alludendoa 
quel  volgar  detto:  J«  htrbis  ^  verbtf  ^'t:S  la- 
pidthus  confi  flit  omnis  virtù  i '^  *  ben  fi  vede 
in  quedi  incintefimi ,  quaata  fia  la  forza  del- 
ie 

*  Cade   in  acconcio  in  qupOo  luogo  la  Stanz» 

piacevole  di  Andrea  Navaiero  che  crovad 
a  car.  283.  dell*  Edizione  dj  tur^e  L-  One- 
re di  quel  gran  letterato  da  noi  Tanno 
1718.  con  univerfale  appraVuzione  pro- 
curata: 
Udito  ho  dir  che  gran  vir^h  fi  t^ova 

Nelle  parole  ,  /teir  erbe  ^  e  /tg*  fsff}  , 
Provato  ho  le  parole   ,  r  nnn  mi  giova  ^ 
Perduto  ho  le  parole  ,  il  tfwpo  ,  «•  /  paj^  • 
Delfbe^at'*   io  fon  di  far   la  prova 
TP  un^    nfalata   qvando  tu  ci  paffì  , 
Se  non  mi  gioverà  qucfta   infialnta  ^ 
Io  giuro  a  Dio  di  darti  una  [affata  , 


DEL   MASSARENGO.       41^ 
te  parole  ;  non    perchè    di  natura  abbiano' 
forza  alcuna,  fé  da  Dio  non  vien  dita  loro 
(  che  bene  ipeffb  uferanno  quefti  malefici  pa- 
rolc  facratiflìme  ,  a  far  cofe  nefande  )  ma 
perchè  cosi  il  Demonio  fi  obbliga  con  loro» 
che  volendo  farcia  tal  cofa  ,  dicanole  tali 
parole  ;  onde  fé  un'  altro  che  non  aveffe  pat- 
teggiato col  Demonio,  lemedefime  dicefle 
non  avrebbe  eltètto  alcuno  .  Degli  effetti  di 
parole  fi  legge  nell'Ariofto  Canto  2.ftanza  15. 
T raffi  un  libro  ,  /  moflrh  grande  effetto  ; 
Che  Ifggtr  non  finì  la  prima  faccia  , 
Ci^'  vfcir  fa  ttn  fpirt§  in  forma  di  valUtto  , 

Ed  il  TalTo  nella  Conquift.  Hb.  1 5.  danza  19» 
Quanti  morm$rò  mai   profani  note 
Teffala  maga  con  la  bocca  immonda^  CC» 

e  nel  lib.  16.  danza  ^. 

Mormofh  potentiffimc  paroff  • 

e  nella  danza  ix. 

Spirti  invocati ,  of  non  vtntte  ancona  ? 
Fo'fe  afpettate  ,  #  neo^bittoft  ,  t  Unti  , 
Suon  di  vtci  pia  occulte  ,   o  pia  poffenti  ? 

C  nella  danza  12.  chefegue  : 

E  fo  con  lingua  anch'*  io  di  fanguf  lorde 
Qjjfl  nome  ri  fonar  grande  ,  o  temuto 
A  cui  ni  Dite  mai  ritrofa  ,  0  forda  , 
JSlè  tracutato  ad  ubbidì"  fu    Pluto  . 

ultimamente  delle  parole  così  dide  il  Sanala* 

raroreil'  Egl.4'  cp' 

-.  -_  -.  -.  e  /'  incantate  rim»  y 
Che  di  biad'  pia  volte  hi  n  privi  i  campi  , 
Ma  della  Tirtù  delle  parole  Icggad  Plinio  nel 
lib- 18.  cap.  ». 

Car.  47.  I.  ?6.  Q:"fi'  '  Pr»t?o  ,  ec.  )Noii 
dice ,  che  codui  fode  Proteo  dedo  ma  lo  nò- 
min»  tale  )  perchè  ficevacofe  fimiii  a  quelle 
ili  Pxotco  >  quafi  dir  voglia  un*  altro  Proteo? 

Sé  ed 


410        ANNOTAZIONI 
ed  in  quefto  modo  di  parlare  dille  più  baf- 
fo car.  49.  parlando  di  un'  altro  ,  con  raflo- 
migiiarlo  a  Cacco  . 

Ob  oh  y  quel  Cacco ,  0  quanti  Cactbl  bra^ 
mano  ec. 
Era  Proteo  Diomarino,  il  quale  perchè  fi 
voltava  in  varie  forme,  fu  detto  Vertunno 
a  vertendo  ;  di  cui  parla  il  Sanazzaro  nell* 
Egloga  IO.  car.  108. 

Ver  tanno  non  /'  adopra  in  tratformarfe  . 
Coftui  era  indovino  ,  ma  per  non  indovinare 
f  iceva  di  fé  mille  metamorfofi ,  onde  fpaven- 
tati  gli  uomini  da  lui  fuggiffero,  fenza  ri- 
cercar più  indovinazioìie  .  Chi  però  voi  èva 
da  lui  Vaticinio  ,  bifognavache  nellegafle, 
perch'egli  pofcia  legato  non  poteva  più  tra- 
sformirfi .  Owidio  nel  i.  de'  Fafti  v.369. 

Decipiat  ne  te  verjis  tamen  ille  figurit  , 
Im  l'idi  ani  gtminas  vìn(ula  firma  manu!  , 
e  nelle  fue  Metimorfofi  al  lib.14.  defcrive 
pienamente  la  fua  favola  .  Cosi ,  dopo  Ome- 
ro 1  Vrigilio  nei  4.  della  Georg,  v.  387. 

EJi  in  Carpathio  Nfptuni  gurgite  vjtef  ec- 
Sivvc  Proteo  per  fimbolo  d' un' adulatore  ; 
il  quale  in  mille  varie  forme  fi  muta  ,  per 
adulare  il  fuo  fignore  >  né  mai  gli  fi  può  trar- 
re una  verità  di  bocca,  fé  non  con  minaccie  » 
legandolo  col  timore  .  Si  può  diranco,  che 
a  quefto  moftro  fomigli  la  donna  i  la  quale  è 
di  fua  natura  variabile  ,  bugiarda  ,  e  con^  le 
fue  arti  fi  trasforma  in  cento  guife  ,  per  in- 
gannare or  quefto,  or  quello;  però  dille  il 
Talfo  nella  Conquiftata  lib.  6.  ftan.  95.  par- 
lando dell'  aftuta  Armida  : 

Tenti  elh  mHI^  arti  ,  e  '//  va'iafsrma  9 

Qu^.fi  Pnteo  n  vel  y  gli  apparve  avanti  , 

Car.  48.  ì.i,  E  feafi  or  bave  ^  ce.)  Feafi^ 


DEL   MASSARENGO.      4IT 
•{>arola  accorciata  da  faceaft  ,  ufata  dal  Pe- 
.rarca  in  cinque?  ofei  luoghi,  ma  non  mai 
in  rima  . 

Car.  48.  1,  7.  ConP  afìnel  portando  ti  gra- 
no  a  frange'^  ,  )  Come  pur  in  Italia  fi  cortu- 
ma  .  jMa  in  tre  altri  luoghi  folamente  ritro- 
vo nominato  quefto  animale  dall'  Autore  ; 
nella  Pr.  8.  e.  71.  Scvra  un  picciolo  afindlo  VS' 
nire ,  nell'Egloga»,  car.  72. 

Su  /'  a{inello  or  vaim  ,  e  malinconico  , 
e  neir  Egloga  10.  car.  ic8. 

Non  trova  P  a  fintilo  cv*  et  c/ivalca  , 
con  tutto  che  però  in  Arcadia  ne  fia  tanta 
copia;  cometelìifica  Varrcne  lib.  2.  de  Re 
Uuft,  cap.  I .  dove  afferma  ,  a'  fuoi  giorni  eC- 
ftrrfi  venduto  un' afino  60.  fefterzi .  Nafcono 
nelle  Indie  con  le  corna  :  vivono  go.  anni  ; 
e  morti  5  e  putrefatti  generano  fcarafaggi . 
Leggi  il  libro  delle  Nobiltà  dell' Afino  ,  e 
quello  che  difFufamente  ne  feriva  il  Tefiori 
rei  la  lui  Offidn^  )  al  tit.  A  ni  ma  li  a  dive' [a  , 
Per  quello  animale  ebbe  Giove  la  vittoria 
contra  i  Giganti  ,  onde  il  ripofe  in  cielo  fra 
Je  (Ielle del  Granchio. 

Car.  48.1.   14.   Talvolta  mi  parlar  f oh  va 
inducert  1  tempi  antichi^  quando  i  buoi  par- 
lavano  ;  )  Al  tempo  d'  Efopo  (  dilTe  un  ro- 
tondo umore.  )  Al  tempo  che  il  mondo  non 
rra  sì  colmo  di  vizj  (  dovea  dir  egli  )  nel  qua- 
\v.  i  pini  rifpondevano  a'  pallori  ,  come  nel- 
IVofa  IO.  car.  Qf .  H  (/>  degno  è  di  creder, 
un  tempo   quando  il  mondo  non  era  sì  col~ 
di  viij  ,  tutti  i  pini  (he  vi  erano  ,  parla m 
no  con  argute  note  ^  rìfpondendo  alle  amoro. 
anioni  de^p/iflori.  Sogliono  fpeflbi  poeti 
uir  cofe  imponìbili  ,  per  le  quali  non  fole 
non  vengono  riprefi  >  ma  con  eflfe  aggiungo- 
no 


412  ANTNOTAZroNr 
no  mjlta  vaghezza  :i'componim<;nci  ;  e  folo' 
bafta  eh'  efli  mf^defimi  moftrino  di  conofcere- 
che  ciò  per  trafcuraggine  nna dicono  ^  o  per- 
chè non  veggiano  dover  eflfer  tenute  impof- 
fibili  j  o  non  vere  j  anzi  che  cosi  paiano  al- 
tresì a  loro,  che  lefcrivono;  ma  che  cesi  le 
dicono  ,  come  per  vere  1*  hanno  avute  dalla 
relazione,  o  fede  altrui»  e  per  certezza  di 
lorolK-fTì  :  ond&per  moftrar  quella  conofcen- 
2a  ch'iodico  ,  ne  fanno  accorti  i  lettori .  L* 
Ariofto  nel  Canto  ;o.  ftan.  49.  volendo  iper- 
bolicamente dire  che  i  tronchi  delle  lancie 
rotte  folTero  afcefi  fino  al  cielo  ;  e  che  in  fe- 
gno  ,  due ,  o  tre  ne  tornaflero  giù  accefi  >  (i 
fcusò  con  dire; 

Scrive  Turpin  ver/icf  in  quifio  loco , 
ed  Ovvidio  nelle  Trasform.  lib.  i.  v,  400. 

Saxa   (  quif  htc  credat ,  nif  fit  prò  tefte  ve" 
tufias  }  ) 

"P onere  duritìem  capere  ,  fmmqug  rìgorem  » 
ed  il  Petrarca  nella  Canzone  : 
'N.tl  dolce  temp9  ec. 

Chiudi  mai  d*  uom  vero  nafcer  fonte} 

r  parìo  cofe  mafiffefte  e  conte  „ 
e  più  baffo: 

Vero  dirò  :  forfè  e  parrà  menzogna  : 

CP  i  [enti  trarmi  della  propri  7  tt/im<3go  . 
Quindi  fon  nate  quelle  frafi  :  Ut  f  ma  efl  ^ 
ut  fertur  ,  ut  perbibent ,  ft  credere  dignum  e  fi  , 
ec.  A  quefto  dunque  attendendo  il  noftro  ec- 
ceilentifìTimo  Poeta  ,  quella  finta  bugia  difTe 
per  altrui  bocca  : 

Tal  volta  nel  parlar  foleva  inducere» 
e  per  maggior  fede  acquiftare  alla  iperbole  > 
la  fa  dire  da  un  vecchio  uomo,  carico  forte 
d  anni ,  il  quale  anch'  egli  udita  l' aveva  gio- 
vinetto ancora  dal  vecchiflìmo  Tuo  padre ,  e 

que*» 


DEL  MASSARENGO.  An 
tfuefto  fuo  padre  J.Ì  rireriicc  come  cofa  an-^ 
ùchilTima  >  occorla  ne'  primi  tempi ,  di  mo- 
do che  per  quefti  tre  gradi  d'antichità)  ogni 
gran  bugia  acquifterebbe  credito-.  Si  awcr* 
tifcapcrò,  le  iperboli  «  benché  fiano  fopra 
la  verità,  non  eder  centra  la  verità  ,  come 
cofa  poflibile;.  equcfto  luo.qo  del  S'anazzaro 
ci  lerve  per  eiempio  ;  percfiè  è  fuori  d*  ogni 
credenza  che  i  buoi  parlaflTero  ,  ma  non  è 
onera  la  verità:  clTendo  cof^  poflibile  che 
parlino  ;  per  aver  la  bocca  >  la  lingua  ,  i  den- 
ti 5  ed  altri  organi  alla  favella  neceflarj  ;  e  Ci 
legge  nella  S  «era  Scrittura  dtll*  afino  di  Ba- 
laam ,  che  per  opera  dell'  Angelo,  come 
cogliono  i  fjcri  dottori ,  parlò. 

Car.  48.  1,   17,  aUo'/i  i  (ommi  Vii  non  fi 
Cdegnavano  ec.   }   N*  abbiamo  Tefempio  in 
A  polline ,  dicuifcriveilGofelinoinunfuo 
dono  p-ìftorale  ,  che  comincia  : 
Di  f«ggtù  quefta  ^^W^a  ec- 

.-.-->-.     r  Dio 

ha  vita  fa/ìcral  non  el'he  a  fihivo  , 
X^uefto  fu  ^  q'j/indo  il  mofido  ncn  era  sì  Col^ 
m»  Hi  vìij  »  didc  il  Sanazzaro  nella  Pr.  10. 
ca-  gr.  Lì  maggior  parte  de'^famofi  Dei  an- 
tichi fur'^no  veramente  pallori,  perchè  in 
quei  pr.mi  tempi  attendevano  alla  cura  de- 
gli a.  imali  molto  più  che  alla  noftra  non  fi 
e  0 Ulna  .  Intende  qui  il  Sanazzaro  dell'  età 
del;'  oro,  quindo  gli  Dei  tutti  (lavano  in 
teira;  di  cui  fcriveOvvidio  nel  i.de'Fafti 

V.  147. 

Tunc  e^/iregnabam^  patitntcumtifra  Di9*' 

rum 
Fjlct ,  &  bumanir  numina  mifla  locif  . 
Ma  p^^r  le  icelleratezze  degli  uomini  fi  ri- 
ciraroQgiu  cielo  j  «ptrò  fegueivi; 


41^        ANNOTAZIONI  ' 

t<[onJum  Juflitiam  facìnur  mortale  fugarat  , 
V-ittfna  de  Super  ti  illa  r  eli  qui  t  bumum  , 
il  che  parve  accennale  P  Autore  nelP  Eglo- 
ga IO.  car.  109. 

La  d  nna  ,  e  la  bilancia  è  gita  al  cielo  , 
Car,  48.  1.  iS.  Menar  le  p.'corelle  in  felva  a 
fafcere  •^)  L'cfempio  in  Apollo,  e  in  Mer^ 
curio  nella  Pr.  3.  car.  iS.Edi»  un  de''  htì  vi 
era  Apollo  hiondijjlmo  ,  ec.  E  poco  pia  bajfo 
fi  vedeva  pur  Mercurio  ,  ec.  e  fi  dee  avverti- 
re ;  che  ha  detto  [immi  Vìi  ,  per  intendere 
fòlamente  i  Dei  del  cielo  ;  che  gli  Dei  terre- 
fi  ri ,  come  Fauni ,  Satiri ,  Silvani;  e  gl'In- 
fernali» come  Plutone  ,  Pfoferpinaj  Net- 
tunno  ,  ed  altri  non  fi  chiamavano/oww/ .  Di 
queilo  mi  riferbo  trattarne  altrove  >  ed  in  al- 
tro tempo . 

Car.  48.  1,24.  E  non  efan  t'Tt'^»'' >  ec«  ) 
Zizzania  qui  fi  prende  ì^et  (iifcordia ,  come 
anco  nella  parabola  dell'  Evangelio  ,  quando 
il  nemico  umino  andò  a  feminar  zizzanie  nel 
campo  di  buon  grano  feminato  .  Quindi  fi  di- 
ce :  Metter  y  uà  ni  a  in  campo  ,  fpargere  ,  O 
f^mìnar  litania  ;  cioè  £ir  nafcere  bisbiglio  y 
eccitar  difcordie.  così  dilTe  il  noftro  Poeta 
neir  Egloga  9- car.  86. 

Ponendo  fra'*  pafto^  tanta  xii^aftia} 
In  fenfo  materiale  fi  mette  per  ogni  fortadi 
erbi   nociva   al  frumento  ,  maflìme  per  il 
loglio  . 

Car.  48*1.^6.  Atri  aceniti  i  ec.  )  Così  1» 
cliiama  nella  Profa  io.  car.ioo.  nero  aconito^ 
Scrive  Plinio  al  lib.  17.  cap.  a.  elTer  veneno 
velociflimo  ,  e  che  toccate  fòlamente  le  pir- 
ti  genitali  alle  donne,  le  uccide.  Si  dà  in 
vino  a  chi  è  ftato  trafitto  dagli  fcorploni  >  e 
gli  fcorpioni  toccati  da  quell'erba  fon  fitti 

im- 


DEL  MASSARENGO.  4«y 
immobili  né  altro  gli  può  liberare,  che  il 
tatto  deli*  elleboro  bianco .  Muojono  le  pan- 
tere toccandola  :  né  fi  fai  vano  fé  non  con  dar 
loro  fterco  umano .  Ha  proprietà  T  aconito  , 
che  le  in  corpo  umano  ritrova  veneno,  locac- 
ela fenza  far  danno  alcuno ,  ma  fé  non  ritro- 
va veneno,  uccide;  ed  un  cafo  fimile  diede 
occafione  d'un  bel liflìmo  Epigramma  ad  Au- 
fonro ,  fopra  una  donna  che,  volendo  ammaz- 
zare il  marito  conTaconito*  e  dubitando, 
che  ncn  folTe  baftevole  ad  ucciderlo  ,  vi  mife 
altrettanto  argento  vivo  ,  e  datoglielo  a  be- 
re ,  non  gli  fece  nocumento  alcuno  :  ond'  el- 
la venne  ingannata  dai  fuo maligno penfie- 
ìo  .  La  cagione  ,  perchè  velenofo ,  e  nero  fia 
J'  aconito  ,  feriva  Ovvidio  nel  7.  delle  Tra- 
sform.  efier  quefta:  Che  andato  Ercole  all' 
Inferno  per  liberar  l' anima  d' Alcefte ,  Cer- 
bero col  fuo  latratogli  fece  gran  contrafto  ; 
perla  qual  cofa  Ercole  fdegnato,  joftrafci- 
nò  fuori  dell'  Inferno;  e  della  nera  fpuma  di 
quello  arrabbiato  cane  s'infettarono  l'erbe 
de' campi ,  e  ne  nacque  qued'erba  velenoiìf- 
fima  ,  oggi  detta  «llebero  nero  :  dalla  quale 
;poi  tutte!'  erbe  velenofe  ^\  fono  chiamate 
aconiti . 

Car.  49.  !.  18.  E  ""nguifa  di cQÌomVt  ognorha* 
ittandofi»  Tutti  i  poeti ,  come  gli  abbraccia- 
jjnenti  dalla  vite  all'olmo  ,  e  dall' edera  al 
tronco,  pigliane  per  fimiiitudine  così  ne' 
baci  fi  compiacciono  dell'efempio  de' colom- 
bi ,  i  quali,  come  lafciviiri  mi  che  fono  ,  per 
ia  calidità  loro  ,  con  gran  dolcezza  fi  baciano 
ben  cento  volte  innanzi ,  e  dopo  il  coito,  e 
per  quefta  loro  amorofa  natura  furono  facri  a 
Venere  Dea  degli  amori.  Quanto  ai  baci  dif- 
fc  1'  Ariodo  nel  canto  ^y  ftanza  68.  ^ 

Ma 


425        ANNOTAZIONI 

Ma  baci  che  imitavan  le  colombe  , 

ed  il  TaOTo  nella  Gerufalenotne  Conquidati 
iib.  13.  danza  16. 

Raddoppian  le  Colombe  i  baci  lo'^o  , 
ed  il  Sanazzaro  in  un  Tuo  Epigramma  latina 
ùdtlìnam  ^  Iib,   i.   «.    6. 

Sed  totam  cupio  tenere  Unguatn 
Infertam  hum'dultT  meis  l ihAlìs  : 
Hi  ne  ^  [ugtre  \  m.rjiun  ulifqu.' 
Molisi  adjicere\   ^  columbulorum 
In  mo^em  y  teneros  in'tre  lufur  ^ 
Ac  bUndum  fìmul  excitare  murmuf  . 
Car.  49.  I.ult.  Cheperunfalfomilhbugn  s* 
infamano  .  )  Diftinguevano  gli  antichi  la  buo- 
na dalla  cattiva  fama  cosi  :  La  buona  dipin- 
gevano in  abito  di  donna  alata  fonante  uà 
corno:  ma  la  cattiva  fofiiava  in  corno  fatto 
di  fcorze» 
Car.   50.  I.  5,  -—  ed  Bq  curviti  gli  emiri 
In  comprar  (e nm  ^  e  pur  ancor  non  vendolo.) 
Alludea  quella  fentenza  di  Socrate  fapientìf- 
/ìmoil  qual  diffe  :  Hoc  unum  f ciò  y  quodnthil 
[ciò,  e  di  queir  altro  filofofo,  il  quale  eden- 
dò  vecchio  »  e  confumato  negli  ftudj  di  filo- 
fofia  ,   dilTe  che  pur  allora  cominciava  ad 
imparare  » 

PROSA    SETTIMA, 

Car»  51*  L  x6.  (  St  dirlo  nonmi  fi  difcorr' 
ifi^e  y  ec.  )  Arroifa  per  modeftia  ,  avendo  a 
lodar  lafuacafa,  per  quel  detto:  Laur  in 
ere  proprio  fordefcit .  onde  Volendo  ubbidire  al 
prececco  del  favio Catone: 

Nec  te  colUudet  ,  ne  e  te  culff^vifis  ipft . 
ft  parentefi  con  quelle  parole  ;p  dirlo  mn  mi 
^disconvieni  ),  Sapeva  beaiiiimo  i'Aucore» 

U  ve- 


DEL  MASSARENGO.  427 
la  vera  lode  coniìftere  nella  propria  azio- 
ne ;  e  non  eHer  lecito  allargarii  nelle  lo- 
di degli  antecelVori.  Ma  fapeva  anco  ,  in 
certi  cafi  concedcrfi  fuor  d*  ognibiafimo» 
come  per  dar  notizia  di  noi  ove  la  noftra  pre- 
fenza  non  Ha  conofciuta  ;  così  fu  lecito  ad 
Enea  dir  predo  Virgilio  liU  1..  dell'  En^ 

Sum  piuf  j^neas  ,  raptor  qui  ex  hofte  Venatet 
CUjfe  vebo  mecum  ^fama  fuper  athera  notus ^ 
ed  al  medefimo  modo  fu  lecito  qui  ali*  Auto- 
re fpiegare  gli  onori  degli  antenati  fuoi  -,  per 
ritrovarfi  egli  foreftiero>  ed  in  paefi  inco- 
gniti .  E*^ lecito  ancoralodarfi  per  rifponde- 
re  al  nemico  che  con  parole  ingiuriofe  sfac- 
ciatamente minacci  1  o  provochi  i  come  mol- 
ti belliliìmi  efempj  di  guerrieri  con>battenti 
in  Omero  >  in  Virgilio  ,  neli'  A  riofto ,  e  nel 
Taflb  fi  leggono  ,  eh'  io  tralafcio  per  brevi- 
tà ;  e  fimile  a  quefti  baderà  i'efempio  della. 
Dortra  Arcadia,  di  Elenco  >  e  di  Ofelia  coa- 
tendenti  nclì'  Egloga  9.  car.  S7. 

Lofant»  Pale  inUnta.  ode  il  mio  canto  y  ec 
E  V  ff  mi  e  a  prò  Part  al^a  le  e  orna  ec- 
nella  qualcontcfa  Tanno  feguitando  infino  al 
£ne  .  Lecito  ancora  farà  ad  un  giovinetto  j 
fenza  pregiudizio  fuo  y  lodare  gli  anteceflori 
fuoi;  perchè  i  giovani  ,  quantunque  valo- 
rofi  s  non  nofl'ono  eifere  ancora  ben  conofciu- 
ti  ;  ma  m'.ftr^ndo  valore,  e  raccontando» 
chei  fuoi  fono  (lati  famofi  >.  è  un  far  verlfi- 
mileche  anch'eflì  .-.bbianoa  riufcirtali;  e 
quello  moftrò  l'  A  riofto  in  perfona  di  Guido- 
ne nel  Can.  20.  flan.  5. 

--  -•  lo  credo  che  ciafritn  di  vul 

Albi  a  della  mia  Jìirpe  il  nome  in  pronto  tC"- 

Inoltre  fi  permette  il  datfi  vanto  dinanzi  ;k 


418  ANNOTAZIONI 
perlone  eh'  abbiano  vedute  prodezze  confor- 
mi a  quelle  di  cui  altri  fi  vanta  ,  o  maggiori  ; 
e  ciò  non  è  biafime  vole  ;  perchè  chi  V  ode  è 
teftimonio  della  verità:  così  fece  Sacripan- 
te eoa  Angelica  preiTo  TAriofto  nel  Canto  i. 
ftanza  80. 

So»  dunque^  diffg  il  Saracitto  ^  fono 
Dunque  in  fi  poco  credito  con  vui ,  ec. 
e  Ruggiero  nel  Canto  25.  danza  ?l. 

lo  non  voglio  altra  gente  ^  altri  fajjidi  \ 
eh"*  io  credo  baflar  fola  a  q'je  fio  fatto  ,  ec» 
onde  poi  fegue  nel  fine  di  quella  danza  . 
Cesi  die  e  a  ,'   né  dieta  cofa  nova 
Ali*  un  de^  due  che  «*  avea  vifio  prcva  , 
A  quefto  modo  fu  lecito  al  vecchio  Opico 
vantarfi  alla  prefenza  di  quei  partorì  delle 
onorate  prove  fatte  da  lui  nella  fua  vigorofa 
età.  Pr.  II.  car.  125.  Ove  tifjfuno  y   né p^efa- 
«j,  né  forefiieroylipojjette  a  me  agguagliare  .  ec. 
fé  ben  con  altra  ragionefi  difende  quel  luo- 
go 5  per  effer  lecito  a' vecchj  lodarfi  ,  per 
inanimire  col  loroefempio  noialtri  giova- 
netti, che  inefperti  fiamo;  e  di  qui  è  cava- 
to quel  detto: 

A  boVi  ma  Jori  difcit  arare  minor  , 
Fuori  di  quelli  3  e  pochi  altri  cafi  >  non  è  le- 
cito darfi  vanto  ;  perciocché  il  lodar  fé  ftefl'o 
par  che  fia  un  difpregio  degli  altri  ;  onde 
genera  difdegnoj  ed  è  comunemente  noio- 
f 0  .  AMindricardo  farebbe  dato  biafmo  ap- 
preOTo  T  A  riodo  nel  canto  14.  danza  58- 
Se  per  Jìtrpe  ^  di  m  chi  è  meglio   natcP 
Che  '/  pojfente   Agrican  fu  il  padre  mio  ; 
Se  per  riaheiii'^  chi  ha  di  me  pih  fiato  ? 
Che  di  d'imi  ni  0  io  cedo  folo  a  Dio  : 
Se  per  valor  ;   credo  oggi  avere  efpèrto , 
Cb'  rjjer^  ar/jato  per  vahre  io  merto . 

fé 


DEL   MASSARENGO.       425 

le  non  che  parla,  ed  il  fegno  Mandricardo 
trapalìa  per  forza  d'amore,  a  cui  non  11  può 
dar  legge  :  e  però  dille  Boezio  Con[.  Ph,  Hb. 
3»  mut,  12.  V.  47. 

Quif  Itgem  dtt  amanùbus  ? 

Major  iix  amcr  e  fi  Cibi  . 

Car.  5Z.  1.  II.  Da//a  naturale  ifJC90anx^^ 
9  Mobilità  di  animo  incitata  ,  ec.  )  Tocca  il 
proprio  vizio  delle  donne,  cioè  l*  inftabili- 
tà  , -effendo  loro  peculiare  1' effe  re  in  ogni 
cola  iiicoftanci ,  e  varie  ;  onde  dilTe  VirgiL 
nel  4.  deli'En.  v.  569, 

—  —   varium  ^  mutabile  fcm^ef 

F emina  , 
Ed  il  Petrarca  nel  Sonetto  ». 
Se  7  dol(e  f^uardo  ec. 

Femmina  è  cefa  mcbil p«r  natura  , 
C  V  Ariofto  Canto  6.  ftanza  50. 

Conobbi  tardi  il  fuo   mobil  ingegno  ec. 

Car.  52.  1.  29.  (  Siccome  la  mia  (iella  e  i  fati 
Ufolle^o)  Tuffigli  andanti  logliono  attribuire 
i  loro  amori  a  deftino  ,  oaftelia,  per  ifcufa- 
re  Ja  loro  cecità ,  cioè  gli  errori  della  propria 
:orrotta  volontà  ,  con  quefta  coperta  ;  e  pe- 
rò dille  Elenco  nelP  Egloga  9.  car.  89. 

Quella  che  mi  die  in  (otte  il  mio  pianeta  \ 
e  nel  Sonetto  ; 

Se  fama  al  mondo  mai  ec. 
iifìfe: 

Cajfandra  ,  o^i  il p^ov*  io  ,  che  da  mìa  felÌ4 

Tirar  ver  te  mi  fento  al  bel paefe  » 

;on  ricordandofi  di  que'  verfi  del  Petrarca 
iella  Canzone  : 

Lajfo  me  ^  cb^  i  non  /"^  ec. 
Gi^  ,  /''*  traforro  il  del  di  cerchio  in  cerchio  f 
J^ejfun  pianeta  a  pianger  mi  condanna  , 
Si  mortai  velo  il  mio   vedtre  appanna  , 

Cht 


/410        A  NKOT  AZIONI 

Che  colpa  è  ddlt  fi  tilt  , 

0  delle  fcfe  belle? 
o  più  tofto  noa  ricordandofi  di  le  ftcflo  3  il 
quale  nella  Canzone  che  conaincia  : 

O  fra  tante  procelle  ec 
^ifTe  a  imitazione  del  Petrarca:    ^ 

E   poi  fm  fé  c  ndanna 

Tsil  V  proprio  error  ,  ma  il  itelo  ^  e  P  alti 
pile. 

Che  fol  per  ttoflro  ben  fon  chiare  e  belle  , 
ed  il  mede  fimo  SanazzaTo  nella  Canz. 
Ben  crtdev^  ic^   eC. 

J^iante  fiate  ^   Ujfo  ,  ia  qm fio  fiato 

Al  fnio  fie-^o   defiino 

Ho  dato  btrjfrno  ,  ed  alle  crude  fielle  1 

Ma  ibs  fo-pa  è  del  Cielo  ,  9   del  mio  fam 

ma  egli  è  pur  vero  clie  il  reale,  e  fchiettc 
amore  è  per  elezione,  non  per  deftino  ,  per- 
chè procede  da  virtij  i  e  non  efTendo  virtiì  al- 
tro che  eiezione  d^  11'  or^enziune  ,  non   pw. 
elTer  amore  per  deftino  .  Pende  dunque  que-  j 
fto  divino  motodeiranimoda  fefteflo,  edal'4 
l'oggetto  che 'l  move,  né  altra  forza  vi  s  "" 
interpone;  efe  vi  s'jnterponefTe  ,  niuime 
rito  averebbe  l'aminte  preffb  la  donna  ama- 
ta :  e  pure  l'amore  è  di  tanto  merito,  eh.' 
fol  con  l' iftefTo  amore  fi  può  compenfare  ,  ef 
fendo  fitta  quafi  inevitabil  legge  ,  comedif- 
feDintenel  5.  dell' Inferno  • 

Amor  ,  eh'*  a  nullo  amato  amar  perdona  ,  ec 
Car.  52.  1.  50.  Apy^a  avea  etto  anni  for. 
ritti  ^  che  le  forile  di  amore  a  fentire  incomin- 
ciai ^  )  Quii  maraviglia  ?  Te  nelle  fue  Eie 
gie  Latine  fi  reputa  f^liciifimo  Poeta  ,  (e  pò 
tra  vivere  amorofamente  >  com<?  nella  prim: 
•del  i.Iib,  v.  27. 


DEL   MASSARUNGO.       43t 

J^CH   miti  Mceonidtn  ,    Luci  ,    non   cura 
Maronem 

Vi  ne.  re  :  fi  fijm  r.otuf  amore  ,  fnt  eji  ^ 
L^  già  di  fopra  detto  avea  : 

Rine  opto  cineres  nomen  babere  meoT  , 
1  con  ferma  quefto  da  quello  che  nel  prin- 
:ipio  della  3.  Eleg.  del  detto  i.  lib.  fcrive  : 

Tu  puero  teneri t  tgnis  tnihi  printus  ab  nnnif  • 

Car.  51.  I.  55.  Ma  bella  ,  e  leggiadra  pia 
he  altra  che  vedere  mi  pareffe  giammai  ,  ) 
^n  dice  p^|"f//V  ,  perchè  molte  volte  none 
1  vero  ;  e(T'endo  folito  d*  amore  ,  di  far  pa- 
er  bello  il  brutto  :  onde  è  fatto  il  proverbio: 
^on  è  bello  il  bello  ^^  ma  btllo  dò  che  piaci  ; 
osidjlTe  Carino  nella  Profa  8.  car.  61.  In^ 
no  dalla  mia  fancitiUexia  accefo  ardentijjima^ 
lente  dell'*  ^.mo^e  d'*  una  ,  che  al  mio  giudizio 
m  le  [uè  beitene  non  che  P  altre  pafì  or  elle  d* 
\rcidta  ,  ma  di  gran  lunga  avania  le  [ante 
V<r  ;  ec. 

C»r.  5:?.  1.  16.  N^  avendo  ancora  ardire  di 
[ccprirmeletc.  )  Perchè  fperava  ar.cora  qual- 
he  poco  ;  che  (e  fofle  dito  di  fperanza  fuo- 

,  avrell?  Lttocom.'  Tancredi  cor  Tama- 
I  Clorinda:  di  cui  fcriveil  Taflb  nella  Con- 
ila, lib.  ^.  ft.in.  Il, 

Ella  ftrmfi  ,  e  lui  parlando  audace 

Fece  in  q-.tl  punto   '!  di[t)erato  amore  , 
)SÌ  hcsvà  Cirino  n  ila  Pr.  S.csr.  6^.  Non 

endo  ,  fucomi  tu  pot.o  innanzi  dicejìi  ,  «r- 
re  di  di[ccprirmele  in  co[a  alcuna  , 

Car    5;.  1.  18     Per  non  perdere  in  unpun» 

quel  che  in  molli  anni  mi  parca  avere  con 
'Jujinofa  f/jtica  racquijìato  ;  )  Simile  a  qucl 
:i  Petrarca  nel  Sonetto  : 

Rotta  è  /*  alta  CoLnna  ,   ec« 

Cifff*  perde  agevolmente  in  un  mattino 

Quel 


4n        ANNOTAZIONI 

^el  che  *a  molt;^  anni  a  gran  pina  f'  ac* 
quifta  ! 

attdio  che  diffe  un  poetar 

Accidit  in  pun^j  quod  nm  contingit  in  artrt$. 
El'Ariofto  nel  Canto  i.  danza 48. 

E  cai  quel  ne  viene  a  un^  ora  ^  a  un  punto. 

Che  in  mille  anni  ,  9  mai  più  ,  non  è  rag^ 

gfUf.tO  . 

Quindi  è  nato  il  proverbio  :  hiulta  cadun 
inter  cs  ,  ^  offam  . 

Car.  54.  1.  II.  Se  la  dolente  anima  da  not 
fo  che  vi  irà  fovraprefa  non  foffe  divenuta  timi 
dacc.)  Cofa  che  perlopiù  agli  amanti  di 
fperati  accade  .  E  però  difle  nell*  Egloga  8 
car.  74. 

Talor  per  ira  ,  e  {degno  volno  incidere  ec 
■manon  tantoio  I*afcriverei  a  viltà,  quant 
a  defiderio  di  non  privar  l' amata  crudele  d 
<5uel  contento  che  ha  di  dargli  mille  volte  1 
ora  la  morte  .  Concetto  (piegato  in  mill 
guife  da' poeti .  Ben  è  vero  ,  che  nell'Egle 
5a2.  Pifcatoria  del  Sanazzaroquel  difperat 
Licone  per  amore  volerydofi  precipitar  nel 
acque  ,  moftrò  viltà  ,  quando  difTe  v.  7: 

jam  faxo  me  ^ne  ex  ilio  demittere  in  undt, 

Practpitem   jubet    ipfe  furor  ,    Vos  0  mii 
]^^mpba  , 

Vos  maris  urtdifofli  'b^ympbte  ^  pr tifiate  <ù 
denti 

Xion  duro4  ahituf  ^  favafque  exjìinguere  flam 
mai  . 
Ma  quefto  fu,  perchè  voleva,  e  difvolev 
in  un  tempo;  fé  bene  poi  il  furore  lo  pre 
cipitò . 

Car.  55.1,20.  Mirando  i  fronzuti  olmi  ci ì 
^«ndati  dalle  pampino  fé  viti  ,  mi  corre  ec. 

jàmano  grandemente  gU  amanti  quefto  efea 

pio 


DEL  MASS  ARENGO.       453 

pioaella  vite  con  l'olmo  ,  perchè  è  legno 
di  maritaggio:  maritandofi  la  vite  all'ol- 
mo, come  eflì  bramano  di  maritarfi  con  P 
amata.  PeròVertunno  con  quello  efempio 
induflTe  Po  mona  a*  Tuoi  piaceri ,  nelle  Tras- 
corro, d'  Ovvidio  lib.  14"  equi  Sincero  ne 
accrefceva  il  Tuo  dolore  j  edilTaflb  nella 
•Canzone  : 

Amor  ,  ta  vedi ,  /  non  hai  duolo  ec. 
fenevalfe.  In  altra occafione  diverfaritro- 
vo  quL'fto  efempio  pollo  dal  Poeta  nell'  Eglo- 
ga 5-  car.  41. 

^uah  la  vite  alP  olmo  ,  ec. 
Si  marita  la  vite  non  folo ali* olmo,  di  cui 
tante  autorità  n'abbiamo  in  Virgilio;  maa'^' 
pioppo  ancora  ;  onde  Ora^iio  Ep.d,  Ode  i,  '*- 
9.  dilTe  : 

Erge  aut  adulta  vitìum  propagine 
Aitar  mari  taf  popolo  f  . 
Ma  fi  dee  notare ,  che  non  ha  volu*^  "  Sanaz- 
zarouiarel' efempio  dcll'eder/  come  de  - 
la  vice  :  perchè  l' edera  è  fol'  '-^^"^?^o  degli 
amanti  inonefti ,  e  lafcivi  '  ^ui  amori  lono 
fenza  frutti ,  e  per  Io  più*  ^«^^  cdjem^  rui- 
na;  come  l'edera  non /^'"."^  »  f ^  ^  J^  rui- 
na  delle  piante  eh'  ^«T^ccia  :  al  contrario 

.laviteuti!ilìim3m^^f«/^'^f5^P?''  '^°"  ^  .*"': 
;mo ,  e  però  ù  fin:^'^  9^^l'  °"^^^'  ^"'jP^'  '  » 
.cui  amori  al  m/i"?on'o  afp.rano  :  odique- 
»ì;  o«,^„..;  ^k^"""  '^  bellezza  corporale,  ma 
f'\^'^f"'^'SreII' animo  amando,  frutti  prò* 
la  belle2;-i„i^^i    q^j^jj  ^  ^  ^^^  ^^^  ^^  j^^ 

^"^SB'era  maritarfi  agli  alberi  ,  come  la  vi. 
1^:  ma  ben  fi  dice  l'edera  ftrinjiere  ,  e  prc- 
iere  >  infegnodi  sfrenata  libidine  :  inque, 
ofi  dimoerò  giudiciofiflìmo  TAriofto  nel 
anto  7.  ftaa.  19.  che  volendo  raoftrare  i  l^i. 
Tcm,  X,  T  fcivi 


4H        ANNOTAZIONI 
fcivi  abbracciamenti  di  Ruggiero)  ed  AI- 
cina  j  di  (Te  : 

Non  così  flrettamente  edera  preme 

Pianta  ovt  intorno  abbarbicata  s"*  abbia  ^ 

Come  fi  firingon  gli  duo  amanti  interne  . 

Car.  55.   \.  16.  Stn\a  fofpetto  alcuno  dì  ge~ 

hfiaec)  Dice  quello  l'Autore,  perché  U 

Gclofiaj  il  Dubbio  ,  ed  il  Timore  fanno  le 

guardie  ad  Amore  ,  come  rifcrifce  Giulio 

Cammillo  nel  fuo  Teatro  ;  il  qual  dice  ,  che 

il  regno  d*  Amore  fi  chiama  grate  errore  :  il 

palagio  è  di  Speranza  :  le  fcale  fono  le  Ufan- 

ze:  le  camere  di  Ozj ,  di  Sogni ,  di  Defiri , 

e  di  Perfeveranze  :  i  fervidori ,  e  i  camerie- 

n  fono  Canto  j  Rlfo>  Adulazione,  Grazia, 

^'jerimonia  :  i  guardiani  del  palagio  la  Ge- 

*®"j:,  il  Dubbio,  ed  il  Timore:  i  cortìgia- 

"\*ii'' ,  come  dice  il  Petrarca  nel  Gap.  4, 

del  Triv^fo  d'Amore: 

Stanco  -y^p^f^  ^  g  ripofato  Affanno  : 

Ch^^J^-^ifnor  ,  e  Gloria  o[cura  ,  e nigra  : 
Perfida  x^^lf^jg  ,  e  fido  Inganno  : 
Sollecito  Fw^^  ,  U.gion  pigra. 
Male  lagelolia  ^oerfezione  d»  amore ,  co- 
me ad  alcuni  piace  ^^^^  f^^anno  gli  aman- 
ti telici  fenza  gelofia  ,„flendo  il  loro  amore 
imperfetto  ?  Della  ge)^3  Potrei  dir  più, 
ma  per  brevità  tralafcio.^j^i  brama  eccel- 
lentemente  vederla  delcrn^  \pga.  \\  T^fi 
/o  in  quelle  Stanze:  ^  >  legga  li  ^  al- 

lo fon  la  Gè  lo  fa  ,  cP  or  mi  .      , 
Car.  56.  1.  IT.  Penfandoy  untnet?.* 
re  ejfere  a  me  ed  a  lai  cagione  di  perPof    ,' 
ta.  )  Virgil.nelPEgl.  3.  y.  lor.  "'" 

Idem  amor  exit'um  pecari  eft pecorijque ma 

oltre  il  danno  che  pativano  forfe<li  non  eiJe 

me- 


DEL   MASSARENGO.       4^5 

inenate  a'  pafcoli ,  come  quelle  ài  Carino 
nella  Prola  8.  c-^.r.  67.  Le  mie  vacche  digiunt 
non  ttfcircng  dalla  chiù  fa  mandra  y  fiè  gujiarom 
no  mai  fapore  di  erbi  ,  né  liquore  dt  fiume  alcuno, 
Car.56.  1, 16.  ifJ  vedutola  innamorata  Vacca ^ 
fella  ce  )  Di  Virg.  nel!'  Egl.  8.  v.  %^, 

Talit  amor  Dapbnim  ,    quali s  ,    cum  fejfa 

juvencum 
Ver    nemora    atque    ahof    quarendo    bucula 

luccs 
Vroptgr  aquàt  rivum  viridi  procumhtt  in  ulva 
"Perdita  ,  nec  [era  memi  ni t  decedere  no^i  • 
Car.  56.   1.12.  Laqual  cofa quanto  fia  a  me  » 
'fbe  fmile  vita  foftegno  ^   rto/cft   a  riguardare  , 
colui  folamente  fei  puh  Oenfare  che  lo  ha  pruova-^ 
toy  opruova  .  )  Si  verifica  il  detto  di  Achille 
Tazio  nel  fine  del  5.  lib.d..gli  Amori  di  Leu- 
cippe  ,  e  di  Ciitofonce  :   AlUf  Dei  bujut  tela 
ignota  [uni  .   Solif  ewm  amnn  ibus  ,  praterea 
nulli f  y  amantium  vulnera   innotefcunt  ,   e    pe- 
rò il  Petrarca  nel  Tuo  i.Sonettorperava  pietà 
•folamente  da  chi  per  prova  conofceva  anfiore: 
Ove  fa  chi  per  pruova  intenda  amori  , 
Spi-ro  trovar  pietà  ,   non  che  perdono  , 
Car.  5  7. 1.24.  Q^i alt  furono  quelle  rime^  ec.  ) 
"Di  Virgilio  neir  Egl.  9.  v.  44. 

Quid  ,  (^iite  te  pwa  folum  fub  noSis  canentem 
Audieram}  numtros  meminiyfi  verba  tenerem  • 

EGLOGA    SETTIMA. 

Car.  58.  1.  IO.  Come  ndttwMo  unti  fc.  } 
vACTomiglia  fc  ftelTo  a  quegli  uccelli  ch^- fug^ 
gono  il  fole,  perchè  quefìi  hanntj  fecorem- 
pre  cattivo  aui^urio  •  cosi  non  è  (  vuol  dir  ta- 
cita mente  il  Pocca  )  buon  fcgno  per  me  ,  eh' 
io  fuggala  luce.  Similmente  il  Tallo  oeUa 
T     z  pri- 


436        ANNOTAZIONI 
prima  Parte  delle  Tue  Rime  al  Sonetto:  O 
nemica d^ Amor  ,  ec.  parlando  d'una  \^ecch'a 
ch'aveva  interrotto  un  fuo  difegno  j  lalgri* 
da,  con  dire  : 

Deb  fuggi  il  fole  )  e  cerca  in  chiudo  loco  , 

Come  notturno  uccel ,  gli  orrori  amici  j 

N^  qui  timor  la  tua  fernhian-^a  apporte  , 

Car.   58.    1.  32.  Aggiorna   il  fole  y  )  Ufa  il 

verbo  aggiornare  in  fignificazione  attiva,  con - 

tra  il  parere  del  Petrarca  ,  che  giammai  non 

volle  ufariofeuon  perfonalmentc>  ofignifi- 

cato  pafTivo  ;  nel  Son. 

Quando   V  pi/ttìeta  ec. 
Ma  dentro  j  dove  giammai  non  /'  aggiorna 
e  nel  Sonetto  : 

Se  V  fajfo  ond"*  è  più  cbiufa  ec» 
Degli  occhi  è  */  duci  ;  che  tofio  che  /'  ag- 
giorno  , 
una  volta  però  l' usò  anche  il  Bembo  in  atti- 
va fii^nificaz.  nel  Son,  Sento  P  odor  ec. 
.-  .-  il  fol  che  le  mie  notti  aggiorna , 

PROSA     OTTAVA. 

Car.  60.  I.  ì4.  Non  vedi  tu  y  ilnofiroUr» 
facchio  tutto  fejìivo  da  man  d  ftra  venirne  con 
ìa  ritrovata  giovenca  ,  ec.  )  E' formato  quefto 
augurio  da  Carino,  perchè  anch' egli  nella 
maggior  fuadifperazione  videa  man  deftra 
due  colombi  ?  egli  fu  buon*  augurio;  dice 
dunque  car.  70.  in  queOa  medefima  Profa  : 

Mi  era  aliato  già  per  gittarmi  dall'*  alta  ripa', 
quando  fubitamente  daldeftrg  lato  mi  vidi  dm 
hiancbi  colombi  venire  ,  ec. 

Car.  61.  ì.io»  Offerendole  ora  la  fiera  tefla 
del fetofo  cinghiale  y  )  A  imitazione  di  Virgi* 

UonelI'Egl.  7- V.  29- 

Setcp 


DEL    MASSARENGO.       437 

Sftojt  caput  hoc  apri  ^  tibi  Dflia  ,  parvur  ec« 
Car.  64.  1.  27.  E  tu  mìfera  ,  e  cattivtlla  per- 

dict ,  ec.  )  Perdice  fu  gran  cacciatore  :  ma 
liiflruriofo  tanto ,  che  volle  abbracciar  con  la 
propria  madre  ;  onde  ne  nacque  il  prover- 
bio, che  per  una  frenata  lib  dine  fi  dice  : 
Ptrdicis  libido y  come  attefta  Celio  nel  lib. 
29.  cap.  26.  Tralafcio  per  ora  la  favola  >  e  le 
proprietà  di  quefto  uccello,  tocche  dal  Por- 
c.icchij  ma  dirò  folo,  quinto  facilmente  »  e 
con  ragione  fi  fia  mutato  in  Italia  quefio  no- 
me di  ptrdice  in  pernice  ,  quafi  che  fiano  que- 
fti  uccelli  p^''«'V/(?yi,  o  per  danno  che  recano 
alle  campagne  ,  ©perchè,  effendo  fatte  de- 
licatezze de'crapulatori,  fono  la  p^''««V^  del- 
le cafe  j  e  però  appreffo  gli  Egizzj  la  pernice 
ftava  per  geroglifico  degli  uomini  perniciofi  • 
Scrive  Teofrafto,  le  pernici  di  Paflagonia 
aver  due  cuori  ;  il  che  parimente  fu  da  Gel- 
iio  annotato  nel  lib.  16.  cap.  15*  In  perdice 
fu  trasformato  Talo  fanciullo  ,  come  ri  fé  ri- 
fce  il  Teftori  nell*  Officina  ;  benché  Ovvi- 
dio  nell*  8.  delle  Trasform.  dice,  ch'egli 
aveva  nome  Pendice  ,  come  fopra  dicem- 
mo .  Della  natura  di  quefto  uccello  dirò  que- 
llo ,  che  da  Plinio  viene  fcritto  5  che  fé  la 
femmina  ftarà  oppoftaal  mafchio ,  del  folo 
fpiraredi  lui  s' ingravida  ;  però  nel  tempo 
del  concepire  fianno  a  bocca  aperta  ,  e  del 
folo  fiato  de'mafchi  che  fopra  lor  volano, 
concepifcono  ,  e  talora  anco  con  la  voce  fo- 
ia: tanto  fonolafcive,  e  calde.  Fufacraa 
Giove,  ed  aLitona  : 

Car.  65.  1.  18.  E  non  una  volta  ,  ma  millt 

ec.  )  Bellifiìmo  calo  d'amante  ;  e  perciò  fu 

leggiadramente  imitato  il  Sanazzjro  in  que- 

fto  luogo  dair  Autore  della  Marzia  Gomme- 

T    5  dia 


43S         ANNOTAZIONI- 

dia  paftorale,  nell'atto  i.  fc.  2.  in  perfona 
di  Venele;i,  e  di  Valerio  >  il  quale  facen- 
dola mirar  nel  fonte,  le fcopre l'immagine 
ài  quelìa  per  cui  languiva  . 

Car.  66.  1.9.  Vercioctbè  armenti  giammai 
Mon  vi  (ol'.ano  per  rivirenia  delle  Ntnfe  accvjìa-' 
rei  )  Ha  riguardo  a  quello  che  dift'e  nella 
Pro  fa  3.  car.  20.  0  turbati  conti  piedi  i  vivi 
fonti,  ec-ed  in  qu-'fta  medefima  Profa  poco 
fopradiffe:  U  quale  nS  da  uccello  ,  n^  da  fiera 
turbato  qq^ 

Car.  66,  1.  18.  Ella  ce»  novi  preghi  ec.  ) 
Gli  accidenti  che  porgono  fperanza ,  e  ad 
un  tratto  la  levano  >  dilettano  incredibil- 
mente ;  e  però  nelle  Tragedie,  e  nelle  Com- 
medie le  ne  fanno  nafcere  affai  5  cosi  ne*^ 
Poemi  Eroici  pofti  a  fuo  luogo  fembrano  lu- 
centi gemme ,  ma  fpecialmente  nelle  narra- 
zioni ,quando  fi  riduce  un  cafo  fino  alTeftre- 
mo ,  e  poi  fi  volta  la  fortuna  .  Un'  efempio 
abbiamo  in  quefto  paftbre  ;  il  quale  non  ifpe- 
3rò  mai  tanto  dei  fuo  amore  >  quanto  in  quefta 
tella  occafione  >  e  pur  fegui  contrario  effet- 
to ;  onde  il  medefimo  poi,  ridotto  all'  ulti- 
mo per  difperazione  ,  riebbe  improvvifa- 
mente  dolci ffi ma  fperanza  ,  cornea  car.  70. 
Hi  era  aliato  già  per  gittarmrdall^  alta  ripa  : 
ec.  e  più  chiaro  fi  coiìofcequcfio  diletto  nel- 
la Pr.  1 1 .  ne'  giuochi  pofti  in  arbitrio  di  for- 
tuna ,  ove  chi  più  vicino  era  alla  vittoria» 
per  iftrano  accidente  rimaneva  perditore: 
ed  al  contrario  >  chi  più  fi  teneva  perduto  j 
infperatamente  confeguiva  la  vittoria  . 

Car.  67.  I.  IO-  jQ^^attro  foli  ,  ed  altrettante 
lune,  )  Aggiunge  queft'  ultimo,  perchè  fé 
aveff?  detto  follmente  quattro  foli  ^  farebbe 
ftato  intefo  per  quattro  anni  ;  0  fé  quattro  lu- 

nti 


DEL  MASSARF.NGO.      4^9 
Hf  y  quattro  medi  poiché  quello  in  un'an- 
no, equefta  in  un  mefe  forma  ilfuocorfo. 
Ovvidio  nell*  Epift.  di  Filli  a  Demofoonte  $ 
volendo fignificare quattro  mefi,  dice,v.  5, 
Luna  quater  latuir^  toro  qftater  orbe  recrevit  , 
Ma  perchè  il  fole,  e  la  luna  ,  portati  dalla 
ot:ava  sfera  verfo  Oriente,  girano  il  cielo 
in  24.  ore  ,  qucfta  di  notte ,  e  quello  di  gior- 
no fcoprendoù  agli  occhi  noftri ,  il  modo  che 
in  quello  giro  folo  é  conforme  il  giro  loro: 
volendo  l'Autor  noftro  deTcriver  lofpazio 
di  quattro  giorni  ,    e  quattro  notti  5    be- 
ne dille  :   Qjtattro  fjli^  ed  altrettante  hne  , 
Car.    67.    1.20.    Della   qual co[a  io  p9C0  cu» 
rand.mì ,  ec.  )  Chi  è  appaflìonato  d*  amore  % 
pare,  che  curando  folo  la  cofa  amata,  lafci 
ogni  altro  in  abbandono  ••  come  qui  facea  Ca- 
nno ,  che  gli  armenti  fu  )i  avea  podi  in  non 
cale   .  Così  dell'  innamorato  pallore  Ario 
di  ile  il  Fabbri  in  una  fua  Rima  Paftorale  : 
Abt  quante  vcltf  ^  ir  per  le  piagge  errand$ 
tur  [en\a  guardia  le  fue  greggi  allors 
Da'  benig'.i  pajìor  vedute  ^  9  pianiti 
Spejfo  la  \era  ancor  non  li  fovvenne 
J)i  rinchiuder  /*  ovile  ;   onde  ri  ma  fé 
La   notte  poi  preda  ficura  al  lupo  . 
Così   Amor  cieco  P  aggirava  ;  e  pjjìo 
Cosi  V  avea  di  Ce  medefmo  in  bando  . 
ed  Erg^rto  appreiìoil  nollfo  Sanazzaro  nell* 
Egloga  I.  car.  6. 

Cent*  vuoi  eie  V  projirato  mio  cor  ergsji 

A   pon."  cura   in  g'<gf,e  umile  e  povero  ^ 

eh''  io  fpero  ibe  fra'  lupi  an\i  difpergaf  ? 

c  r  Autore  della  Marzia  Commedia  paftora- 

le  neil'  atto  i .  ffcna  4.  introduce  Valerio  in- 

nam«:ato  ptftore  ,  chediife: 

Capre  :  (he  capre  ?  foffe'  tutte  prede 

T     A  Li 


440        ANNOTAZIONI 
Le  mie  greggie  de*  lupi  :  oimè  ,  che  V  duolo 
jD'  amor  è  quel  cP  ogni  altro  amore  ancide  ec« 
Car.  67. 1.  g^.   Voi  ,  Arcadi  ,  canterete  nei 

voftri  Monti  ec.  )  Tratto  da  Virgilio  nell* 

Egloga  IO.  V.  ?i. 

Trifiis  at  mie  ,  Tamen  cantabitis  y  Arca» 

des  ,  inquit , 
Montihm  bac  vtjirii  :  foli  cantati  periti 
Arcade s  , 

A  cui  imitazione  fcrifle  forfè  il  Poeta  noftro 

neli'  Egl.  8.  car.  75. 

F'oi  uferete  in  me  il  pietcfo  officio  . 

e  quel  che  fiegue  per  più  verfi .  e  nell'  Egl. 
4.  car.  52. 

Allora  io  eheggio  che  Rovente  il  giorno 
Il  mio  fepolcro   onori   in  quefia  volle  , 
Car.  68. 1.  21.  O  crudelijfima  y   e  fiera  ec-  ) 
Beliiffimo  è  il  lamento  che  fa  Sacripante  dL 
Angelica  nel  Can.  i.  dell'Ariofto,econ  tut4 
te  quelle  regole  fatto  che  veramente  conve-' 
nìvano  ;  ma  refta  molto  inferiore  a  quefto  ài 
Carino,  nel  qual  fi  vede  che  il  Sanazzaro  fi 
è  compiaciuto  grandemente  .  Potrei  notare 
l' artificio  a  parte  a  parte  ;  ma  fi  lafcia  al  di- 
ligente lettore ,  come  cofa  che  lungo  difcor- 
fo  richiede . 

Car,  70.  1.  30.  Mi  era  aliato  gi^  per  git^ 
tarmi  daW  alta  ripa  :  )  E  Virgilio  nell*  Eglo- 
ga 8.  v.  59. 

Vraceps  aerti  Specula  de  montis  in  undas 
Deferar  ,  extremum  hoc  munus  morientis 
baheto . 
Sogliono  i  miferi  bene  fpeffo  bramar  la  mor- 
te, come  quella  fia  la  fine,  edilripofodi 
tutti  i  loro  affanni;  e  l'accennò  il  Sanazza- 
ro nell' Egloga  8.  car.  74. 

fi  quanti  frror  gli  amanti  orbi  non  guatano] 

Col     ^ 


DEL  MASSARENGO.       441 

Cd  Jejio  dtl  morir  la  vita  fpreix.^n9  • 
^  però  dille  i  I  Petrarca  nel  Sonetto  : 
A  pie  de    colli  ec. 
ÌAa  dtl  misero  fiato  ovt  noi  femo 
Condotti  dalla  vita  altra  (irtna  , 
Un  fol  conforto  y  t  dtl  la  morte  avet/^o . 
e  nel  Sonetto  : 

Occhi  miei ,  ofcurato  ec. 
ìdorte  biaj'mate  ;  anx*  laudate  lui 

Che  Itga  ,  e  [doglie  \  e^n  un  punto  apre  ,  e 

ferra  ; 
E  dopo  V  pianto  fa  far  lieto  altrui  , 
COSÌ  Virgilio  nel  1.  lib-  dell'  En.  v.  94. 
—  --  O  terqut  quaterque  beati  9 
Quif  ante  ora  patrum    Troja  fub    mcenibus 

altif 
Contigit  oppttere  \  CC' 
eClonico  appaflfìonato  d'amore  nella  prefa- 
ta Egloga  ».  car.  74. 

Cbe  miglior  vita  del  morir  non  provafi , 
Ma  quefto  per  lo  più  avviene  a'difperatt 
amanti  ,  i  quali  fi  procacciano  la  morte  o 
coi  precipizio;  come  qui  il  di foerato  Cari- 
no ,  e  Licone  nell'Egloga  2.Pircatoria  del 
Sanazzaro ,  v.73. 
Jam  faxo  mg  mt  ex  ilio  demìttere  in  undar 
Prétcipittm  jubet  ipfe  furor  . 
Imitato  dal  Fabri  in  una  fua  Rima  Paftorale 
che  comincia:  Ario  pafior  ,  ec. 

J2i*al  furor  mi  ritiene  ora  ,  e  mi  vieta 
Gittarmi  già  d^  un  alta   rupe  in  fondo 
Di  qucft'i   valle  ;  e  d^  una   quercia  antica  , 
Ver  più  d'  alto  cader  ,  faltr  in  cima  ? 
OC'I  ferro;  come  la  infelice  Didoneappref- 
fo  Virgilio  nel  4.  dell' Eneicia  ;  ed  il  pa^or 
Melifeo,  di  cui  parla  il  noftro  Poeta  nsli' 
Egloga  12.  car.  144. 

T  5        £  ;»'• 


442         ANNOTAZIONI 

E  pef  ftftrji  prep  il  ferro  ancip:t(  ? 

o  col  laccio;  come  Tabbandoiuta  Filli  da 
Demofo  »nte  ;  e  Gionico  paftore  apprrflb  il 
noftro  Sinizzaro  nel!'  Egloga  8.  carte  74. 
DiroUe  ,  0  taccio  f  in  tanto  il  duoi  fofpi/t' 

CP  <o  fui  per  <jpp'cf/irmi  fùvra  un  platano  , 
Ed  Ifi  innanzi  ngli  occhi  Amor  dipìnfemì  , 
Dove  ù  fcorge  la  favola  d' Ifi  ,  eh' anch'  egli 
per  la  lu)  A^ufliirete  fi  appiccò  .  o  col  vele- 
no ;  o  ncli*  acque  ;  i  quali  partiti  di  morire  , 
fé  non  tutti,  parte  almeno  fi  offerferoall* 
Ajtor  noft ro  di fperato  per  amore ,  come^gli 
racconta  nella  Profa  7.  car.  54. 

EGLOGA    OTTAVA. 

Car.  72.  I.  25.  Nell^onde  folca ,  ec.  )  Per- 
chè djflfe  Virgilfodell*  incoftanza  delle  don- 
ne nel  I.  delTEn.  V.  569. 

—  —  varium  &  mutabile  femper 

Fem'ttta  . 
Ed  il  Poliziano  nelleStanze  : 

Segue   chi  fuf^e  ;  a  chi  la  vuol  /»  afconde  : 

£  vanne  ,  e  vttn  y  come  alta  riva  /*  onde  . 
Di  quefta  materia  abbiamo  rocco  nella  Profa 
7.  fopraquel  luogo  :  D mia  naturale  incoftan- 
Z^  i  e  mobilità^  dì  animo  incitata  ,  e  ne  dire- 
mo nella  Frola  ice.  98.  ivi  :  la  multiforme 
Luna  . 

Car.  73.  1.  16.  Se  Amore  è  cieco  ,  non  p«)j 
il  vero  fco'gi^re  :  ec  }  Amore  fi  dipin.p,e  cie- 
co per  due  ragioni;  P  una  perchè  fli  ciechlj 
gli  amanti ,  levando  loro  il  lume  dell'  intel- 
letto ;  onde  non  conofcono  i  difetti  che  fo-^ 
no  nella  eofa  amìf?.  ;  e  di  qui  vediamo  ,  eh' 
uno  amerà  talora  donna  bruttilTima ,  e  (i  darà 

a  ere- 


DEL  MASSARENGO.  445  . 
a  credere  quella  edere  la  Dea  Venere  ;  e  M 
glidiceffe:  Fratello,  che  vuoi  fare,  aman- 
do sì  fatta  beftia?  e  t'hai  pofti  gli  occhiali 
groffì,  che  fanno  parere  uno  due  ;  lafciala 
andare  ai  la  malora  :  egli  non  vorrebbe  afcol- 
tarc  .  Ma  poi ,  mancando  l' amore  ,  torto  fi 
fcorge  r  errore ,  e  fi  vede  ogni  mìnimo  vi- 
zio che  nel  corpo  j  o  nell'animo  fia  .  Per- 
chè dunque  V  amore  accieca  la  ragione ,  e 
rende  fimile  ad  una  bellia  T amante,  difle 
Euripide  nella  Medea  v.  330.  eh'  egli  era 
eftremo  male  ;  fentenza  degna  d'un'Oracolo: 

4>£J" ,  più  '  iSpoToìi  ip(à7i<i  cis  xotìiò if  fjttyoe . 
L*  altra  ragione  è,  perchè  i  ciechi  è  fama 
che  fono  più  prefontuofi  degli  altri  5  ed  A- 
more  fi  fa  cieco ,  perchè  è  prefontuofi  Aimo. 
Onde  Platone  nel  Fedro  finge,  che  Socrate, 
eilendo  per  favellar  d* amore,  comedi  co- 
fa  sficciata  ,  fi  cuopre  gli  occhi  prima.  Ed 
ha  qucfto  rifguardò  forfè  Owidio  (^wflr.j, 
E/fg.  6.  V.  59.  )  quando  difle  ,  che  la  Nocte> 
come  cieca  ,  mancava  in  tutto  di  vergogna  : 

iVcx  ,  &  Amor  ,  vinumjue  nìbil  maderabih 
fmadffit  : 

Illa  pudori  vacati  Liber  ^  Amorque  wetu  » 
Perchè  di  notte  perlopiù  fi  commettono  i 
peccati  d'amore  .  Ed  a  quefio  fine  anco  fono 
ftate  ritrovate  lemifchere,  perchè,  ficco- 
mc  ilbu))  della  notte  occulta  le  fcellera- 
tezze,  così  pare  a'  viziofi  ,  coprendofi  il  vi- 
fo ,  di  poter  fire  ogni  sfacciata  cofa  .  Ma 
ben  toccò  qucfta  cecità  d'amore  1*  Ariofto 
nel  Can.  i .  ftan.  56.  in  tal  modo ,  che  e  cic- 
co ,  ed  occhiuto  infieme  lo  faccia: 

jQuel  cb*  /*  U'tm  vedi  ,   Amor  gli  fa  intifbile  ; 

B   /'  invifbil  fa  veder  Amore  . 

Car.  74.  l.  IO.  Ob^  io  fui  per  appicearmi 
T     6        ^  ftìvrs 


444        ANNOTAZIONE 

fovra  un  plat/ino ,  )  Con  ragione  dunque  gli 
£gÌ22J  (  come  (crive  Oro  ne'  Tuoi  Jeroglifici) 
volendo  rapprefentare  1*  Amore  ,  dipinge- 
vano un  Laccio;  per  dimoftrarej  chequaft 
fempre  a  miferabile  condizione  ci  conduce  . 
Di  quefto  abbiamo  toccato  nella  Profa  8.  ivi  ; 
Mi  era  aliato  ec 

Car.  74. 1. 15.  f  p'ia  mutano  il  pel ^  ec»  ) 
Proverbio  antichiflTimo ,  tolto  da  quello  : 
LupUT  pilum  mutat  ,  non  mentem , 
Il  lupo  muta  il  pel ,  ma  mn  il  vi\io  • 
però  difTe  il  Petrarca  nel  Sonetto  : 
Dtcefett^  anni  ec. 
Vero  è  "^l  proverbio  ^  ch'Altri  cangia  il  pelo 
Anzi  che  V  veno  , 
E  nella  3.  ftanza  della  Canzone  : 
QttelP  antiquo  mio  dolce  ec- 
Cbe  vo  cangiando  V  pelo  , 
K^  cangiar  poffo  P  oftinata  voglia , 
Ed  il  Molza  nel  Sonetto: 

Alma  fenice  ,  che  dal  (acro  ec. 
—    "  $"*  è  pur  mio  dejìino 
CP  io  cangi  il  pelo  ,  e  ncn  /*  acceca  voglia  , 
Alle  volte  però  e  peloj  e  coftumi  fi  can- 
giano :  come  diffc  il  Petrarca  nel  Son. 
Volo  con  l*  ali  de"*  penfieri  ec. 
Pere''  bai  cefiumi  variati  ,  e  ^Ipelo  , 
ed  alle  volte  il  pelo  cangia  i  coftumi .  Il 
medefimo  Petrarca  nel  Sonetto: 

Tempo  era   cmai  da  trovar  ec. 
Poco  avea  a  '  indugiar  ,  che  gli  anni  ,  e  ^Ipelo 
Cangiavano  i  cofìumi  . 
dove  infieme  fi  nota  l'ufata  locuzione  di  canm 
giar  pelo  y  per  invecchiarfi . 

Car.  74.  1.  17.  Ed  un  bel  guardo  pia  che  un 
%regge  apprezzano-  )  Solito  degli  amanti,  è 
concetto  leggiadramente   dal  Taffo  in  un 

fuo 


DEL   MASS  ARENGO.  ^    445 
fuo  Sonetto  Ipiegato  i  il  qual  comincia: 

Veggio  y  quando  tal  vifia  am&r  impara^  ec» 

E  per  un  rijo  obblio  mille  tormenti  . 

Car.  75.  1.2.  E  vuol  ^  fé  può  y  di  diramare 
aJdifcere  .  )  Potrà  benillìmo  ;  perchè  nel  fi- 
ne di  queft'  Egl.  8.  car.  76.  Il  legge  : 

Cbe  al  mondo  mal  non  è  fen^a  rimedio  . 

Car.  75.  1,  6.  Voi  uferete  in  me  il  pittofo 
officio , 

E  fra  ciprejft  mi  farete  un  tumulo ,  ) 
Simil  luogo  nella  i  Elegia  latina  del  Sanaz- 
zaro   ad  Lucium  C'ajfum  , 

Inde  fuper     tumulumque  meum  ,    Mamfqut 
jepultof 

TityruF  ex  bedera  ferta   virente  ferat  . 

Hic  mthi  fahabit  Corydon^  ^  puh  ber  Alexis  : 

Damcetas  fiores  fparget  utraque  mar.u . 
ed  il  medefimo  nell'  Eleg.  ?.  Ad  Amica m  , 

Tum  cineri  ^  <(2  muta  perfolventjujia  favilla 
Mijìa  darei  rutili i  hlia  cana  rcfit  • 
e  n'  abbiamo  un*  altro  nella  Pr.  8.  car.  67. 
Voi  ,  Arcadi  ,  canterete  nei  vojiri  monti  la  mia 
morte:   ec. 

Car.  75.  1.14.  Ver  troppo  amar  altrui  y  fei 
ombra  ^  e  polvere  .  )  Ben  difle  a  quello  propo- 
fito  nel  fine  della  2.  Egloga  Pifcatoria  il  me- 
defimo  Sanazzaro  : 

Vitantur  venti  :  pluvia  vìtantur  ,  ^  aflus  : 

2Q.on  vitatur  Amor  .  mecum  tumaletur  opofteT, 

Car.  75.  1.22.  E  f^  io  le  le^gi  altuojìgnor 
prevarico^  )  Chiama  prevaricar  le  leggi  d* 
Amore,  il  cacciar  la  malinconia  ,*  perchè 
nella  malinconia  più  fi  mantiene  Amore  9 
che  nell'  allegrezza  ;  come  anco  il  fuoco 
materiale  pili  lì  conferva  vigorofo  in  kgna 
di  materia  dura  ,  ed  alquanto  umidetta  ,  che 
fé  rara  ,  e  fecca  folle  i  ed  è  vero  quel  detto: 

In' 


446        ANNOTAZIONI 

Intenfiut  amant  rnelatubolici  .  Ma  bello  ar- 
tifici.) fi  fcorge  nel  '^oeta .  Cui  vuol  con- 
fortar alcu.io  ,  def  jv  rre  per  principale  fco- 
poil  contririo  della  cofa  che  affinila  ;  acco- 
modancl»  quel  contrario  con  quel  miglior 
model  che  ricercano  !e  circoft.inze  della  fpe- 
cie  dei  dolore  che  preme  altrui:  come  cbi  di 
morte  conforcaffe  9  abbiali  per  mira  la  vita  : 
chi  di  d  inno  ,  i*  utile  :  chi  di  ricevuta  ingiu- 
ria la  ragione  :  chi  di  dif^erazione  ,  la  (pe- 
ranza  ,  ec  perchè  Contraria  contrari if  cu- 
rantur  ,  Co  quello  medefimo  penfiero  Euge- 
nio ,  volend  )  confortare  V  innamoralo  CÌo- 
nico»  e  vCtJK^'do,  eh'  era  bifogno  di  le- 
varli prima  la  malinconia,  gli  propone  il 
viver  lieto  : 

Ama  il  giocondo  Apollo  ,  *  V  (acro  G»wo  , 
Car.  75.  1.15.  ^f^^  il  po£ondo  Apclh  ,  e 
^l  [acro  Genio  ^  )  Per  cacciar  l'araorofa  paf- 
fione  ,  eiorta  Clonicoa  darfì  a*  piaceri  del 
corpo  )  ma  ripugna  a  queftoconfiaiio,  che  la 
crapula  è  m.idre  della  lufl'uria  ;  ficcomecoa 
Taftinenza  fi  caftiga:  onde  difTe  Terenzio 
nell'  Eun.  Att.  4.  ^c.  5.  v.  <$. 

Sine  Cerere  ,  ^  Libero  fnget  Venm  . 
e  fi  offerva  ,  che  quarti  crapuloni  fono  libidi- 
nofiffjmi  ;  e  n*  abbiamo  Tefem pio  in  Elioga- 
baio  ,  in  Sardanapalo  >  e  in  altri .  Però  fi  po- 
trebbe per  Apollo  intendere  la  mufica  ,  e  per 
il  Genio,  non  la  crapula,  mail  viver  lie- 
to )  e  fenza  penfieri  nojofi  ;  perciocché  a  chi 
attende  a*  penfieri  allegri  ,  e  gioviali ,  non 
fi  appicca,  fé  non  di  rado,  il  peftiferoamo- 
re;  efe  s'appiglia,  prefto  anco  abbandona. 
Pur  mi  giova  credere,  chela  prima  efpofi- 
zione  quadri  meglio;  e  chea  maggior  di- 
chiarazione del  giocondo  Apollo  fia  polio '^P- 

tro 


DEL  MASSARENGO.  447 
tro  Genio  ^  pigliando  iiiqueito  luogo  Apol- 
lo perii  Padre  Libero^  Conforme  alU  diftiti- 
ziouedi  Portìrio  nel  lue  libro  chiamato  i"tf/<?  ^ 
ove  dice:  Di  tre  qualità  effer  lapotcnzad' 
Apollo;  in  cielo efier  Sole ^  interra  landre 
hibero  ,  e  ne  11'  Inferno  A\iolh  :  e  che  perciò 
dagli  antichi  al  Tuo  fimolacro  furono  tre  infe- 
gneconfecrnte  ;  la  lira  come  a  Sole;  chede-< 
notava  r  armonia  celcfte  /  lo  feudo  cornea 
Libero;  inteio  per  la  divinità  della  terra  : 
{«  le  faette  5  come  a  Dio  deli'  Inferno,  e 
punitore  . 

Car.  76.  l.  g.  Io  con  la  rete  uccello^  e  con 
la  trappola ,  )  La  voce  uccello  ila  come  ver- 
bo )  non  come  follanti vo  nome ,  che  più  cor- 
\tQtx.2imii\iQ  augello  i  in  ver  fi  di  dire  fi  coflu- 
ma  ;  benché  il  noftro  Autore  talora  abbia 
dec:o  uccelli  in  vece  òi  augelli  j  perchè  a'  fuoi 
tempi  non  era  la  lingnaTofcana  in  quella  fi- 
nezza eh'  oggidì  fi  trova  ,  mercè  del  Bembo  ) 
che  veiamente  fé  ne  può  chiamar  riftorato- 
>re  ;cic  bene  il  Bembo  fu  a'  tempi  de'  Sanaz- 
zaro  ,  non  era  però  al  tempo  dell' Arcadia  > 
da  lui  compoQa  in  giovinezza  ;  che  quan- 
do cominciò  a  fiorire  il  giovinetto  M.Pie- 
tro Bembo  ,  era  vecchio  di  molti  anni  il 
Sanazzaro  . 

Car.  76.  L  4.  Per  non  marcir  nelP  Clio  y  ) 
Per  cacciar  amore  >  gì'  infegna  a  non  dar  luo- 
go aiPozio,  ma  fcacclarlo  :  onde  foggiunge 
poi  :  Così  ft  [ca(cia  amor  •  ec.  Qua  fi  abbia  da 
Ovvidio  imparato,  il  qual  difle  ne'Rim.d* 
Am.  v.  1 39. 

Olia  fi  tollas  ,  periere  Cupidình  a'cus  . 
e  dal  Petrarca  nel  i.  Cap.  del  Trionfo  d' 
Amore  : 

£i  nacquf  d^  cito ,  e  di  lafcivia  umana . 

onde 


44^        ANNOTAZIONI 
onde  lì  fcorgci  che  1'  anore  fi  nodrifce  d* 
ozio;  e  pure  halcritto  Ovvidio  nel  lib.  i* 
Am(ir.  Eleg,  9.  v,  ult.  tutto  il  contrario  : 

Qui  nolet  fieri  de  fidi  0 fu  ^  ,  amet  . 
ove  dice  ,  che  chi  brama  fcacciar  da  fé  l* 
ozio,  s'  innamori  ,  perchè  farà  fempre  in 
continuo  affare  •  Ma  diciamo  pure  ,  che  Ov- 
vidio né  a  fé  (lelTo ,  né  al  Petrarca  lìa  contra- 
rio .  Perchè  la  voce  oiio  ,  fi  piglia  in  due  ma- 
niere :  1' una  in  fignificazione  di  non  fare 
cofa alcuna;  ed  in  quefto  fenfo  dilTe  Ovvi- 
dio :  £«»  noht  fieri  defidiofuf  ec.  perchè  gli 
amanti  in  continuo  affare  (tanno,  finché  il 
fuobram.Tto  fine  abbiano  confeguito  ;  come 
diflc  D.inte  : 

--  _-  ^  mai  non  pofa  y 

Fin  che  la  cofa  amata  il  fa  gioire  . 
in  quefto  fignificato  adunque  non  è  vero  ,  eh' 
Amore  fi  nodrifcad* ozio.  L'altra  maniera 
in  cui  fi  piglia  quefta  voce  >  è  il  fare  folamen- 
te  cofe  inutili,  e  vane»  o  non  buone;  e  fi 
dichiara  con  un  luogo  di  Senofonte  ,  in  quel- 
le parole  che  lì  leggono  nel  primo  de'  detti  » 
e  de' fitti  di  Socrate;  le  cui  parole  fuonano 
così  :  Quel  detto  di  Efiodo  :  L'affare  non  è 
vergogna  ,  ma  sì  ben  1'  ozio ,  dicono ,  che 
Socrate  fu  folito  dichiararlo  ;  cioè  ,  Non  che 
V  Poeta  comand  4Jj'e  che  non  bifognava  afìe- 
nerfi  da  ni  uno  ajfare  ^  p^r  Brutto  ^  ed  ingiulìc 
cP egli  fojfe\  ma  che  fojfe  bene  ogni  cofa  fa' 
re  per  guadagno  (  con  le  quali  parole  s'  ac- 
coita  a  qu-*l  detto  della  Scrittura  Sacra  :  Vtì~ 
nam  Cìlidus  ,  aut  frigidaì  effes  ;  f^^d  quia  te- 
pi  dus  «s  ,  incipiam  te  evomere  ec.  )  e  pere 
feguita  Senofonte  :  E  pur  Socrate  ^  penfandc 
e b"*  ogni  affare  foffe  utile  y  e  buono  aW^uomìn, 
ma  V  Olio  nocivo ,  e  brutto  :  e  P  operar  ,  be- 
ne : 


DEL  MASSARENGO.      449 

fie  \  ma  lo  Jftrfi  o^iùfi)  y  male  ;  quelli   chevs- 
iiva  f.jp  qaahbe  co  fa  buona  ,  diceva  the  epe-. 
'avano  ,  e  cP  erano  buoni  operarj  j   ma  quelli 
■  he  giocavano  a*  dadi  ^  o  facevano  alcuna  co  ' 
''a  cattiva  e  danne  fa  ^    nomava  o^ioft  ;   t  così 
^a  bene  il  dire  ;  Che  il  negozio  non  è  vergo- 
ina  j   ma  che   vergogna  è  ben  /'  o^io  ,    Ecco 
dunque,  come  1*  ozio fignifica  tutti  gli  affa- 
ri che  non  fono  di  utile  all*uomo  ;  ed  in  que- 
lo  Tenti  mento  difTe  il  Petrarca  j  che  Amore 
nacque  dall'ozio:  ed  Qvvidio  ,  che,  fcac- 
riando  l'ozio,  lì  Icacciava  Amore:  ed  il 
Sanazzaro  infegna  ad  operare  ,  per  non  mar- 
cir nell' ozio,  d'  Amore  nutrimento.  Ma 
Cicerone  prefe  o^io  in  buona  parte  ,  non  per 
attiva  operazione,  quando difTe»  che  non 
ra  mai  occupato  9  fé  non  quando  ftava  ozio- 
fo;  intendendo  dell' occupazione  delle  lec- 
ere ,  e  dell*  oziofità  dalle  brighe  di  repub- 
blica . 

Gar,  76.  I.  ri.  Che  nelle  menti  ftmpUcett» 
inibir ga no  ,  )  Semplicette,  cioè  poco  accor- 
re ;  e  quefti  tali  fono  che  s'innamorano  : 
!  :be  fé  accorti  foflero ,  non  gli  vincerebbe 
:osi  facilmente  Amore  :  o  vinti ,  non  fi  nu- 
:rirebbono  in  quello  con  tanto  fperare  i  però 
iifle  il  Petrarca  nel  Sonetto  : 
Era  V  giorno  eh"*  al  Sol  ec. 
Quand^  i  fui  prefo ,  e  non  me  ne  guardai  . 
jd  il  noftro  Autore  nel  Sonetto  : 
Tra  freddi  monti  ,   eC. 
—  --   0  givjla  palma  ^ 
Vincer  uom  che  ft  fida  ,  lufingando  I 


PRO- 


450        ANNOTAZIONI 
PROSA    NONA. 

Car.  78.  1.  18.  Un  legno  dì  edera  ^  ed  u 
di  alloro  ,  )  Lo  fcrive  Plinio  nel  lib.  16 
cap.  40.  Vogliono  che  fia  detta  edera  ^  a. 
edendo  ^  perchi^  rode  le  pareti  ;  altri  da  ha 
reo  ,  perchè  har-t  parìetibut ,  6r  arhoribui 
Sia  come  fi  voglia,  è  fimbolo  dell*  ingrati 
tudine  ;  come  fi  cava  dal  Poeta  nell'  Eglog 
10.  car.  no. 

Tagliate  tofto  le  radici  all'*  ellere\  ec- 
poiché  non  potendo  per  fefteffa  durare  fen 
ka  appoggio  5  appoggiatafi  j  fé  è  pianta,  1; 
ftringe  tanto ,  che  la  fa  feccare  :  fé  è  mu 
ro  )  tanto  il  rode  ,  che  lo  fa  cadere  .  D 
quella  fi  coronavano  i  poeti  ,  perchè  B  icc( 
fu  il  primo  che  fé  ne  facefle  corona  ,  sì  pe 
eller  eglino  per  la  facondia confecrati  a  Bac 
co,  siperdimoftrar  r  eternità  de' verfi  ;  co 
me  fempre  è  verde  ?  edera  ;  e  però  dilTe  Vir 
giiionell'Egl.  7.  v.25. 

Pajlores  ,  edera  cre^centem  ornati  poetam 

Arcadef  , 

c  pi»  fotto  : 

-.  -.  ,.  —  haccare  fronttm 
Cingile ,  ne  vati  noceat  mala  lingua  futuro 
ed  il  Sanazzaro  nelT  Egloga  9.  car.  86. 
An^i  gliel  vinjf  y  ed  et  noi  volea  (edere 
Al  cantar  mio  ,  Schernendo  il  buon  giudici 
D"*  Ergaflo  y  che  mi  ornò  di  mirti  ^  ed 
edere  . 
La  ragione  perchè  fé  ne  coronafle  Bacco  : 
nefluno  la  riferifce  ,  maftimo  eficrquefta: 
Che  eflendo  facile  col  vino  imbriacarfi ,  1 
edera  difende  la  teda  dalT  eluco  ,  che  altre 
none,  fenonbalordimentodi  capo  per  ub- 

bria- 


DEL    MASSARENGO.        45r 
riachezzì  :  onde  coronandofene  j  o  man-' 
iando  delie  Tue  coccole  )  fi  preferva  dalTub- 
iiachezza.   Tre  forte  d'edera  fi  trovano  > 
;ricce  da  Plinio  nei  lib-  16.  cap.  IJ4. 

Car.  7S.  J.  22.  Accefe  dt  mdte  fiaccoU  3 
e.)  L3H;<ccolaera  un  pezzo  di  legno  ^  ta- 
li^ito  ,  o  ipaccato  per  lungo ,  ed  unto  d'olio  > 

di  cera  ,  o  d'  altra  cofa  untuofa  ;  e  fi  face- 
ano  ancora  con  canne,  e  con  legna  ;  ufan- 
ole  per  tar  lume  nel  bujo  ,  e  ne' facrificj , 

guifa  cheufiamonoi  i  toichj  di  cera  ;  così 
iSanazzaro  nella  Pr.  11.  car.  1 14.  ivi  :  Ac^ 
endtmmo  di  molit  fiaccole  intorno  alla  ppo/- 
ura  ,  g  fovra  U  cima  di  quella  ne  poner/jma 
na  grandijftmi  , 

Car.  8c.  1.  7.  Ed  a  cui  ne  potrejli  gir  tu  | 
c.  )  Molto  rifguardo  ha  qui  avuto  il  Sanaz- 
taroa  farcheOpico  proponga  Enareto  ,  ri- 
ufando  la  Maga;  perchè  ciTendo  Clonico 
tomo»  non  conveniva  da  una  donna  confi- 
;liarfi  ;  alla  qual  forf^;  non  avrebbe  creduto  > 
:  gì' incanti  farebbono  ftati  vani  :  però  mi- 
;Iiore  fu  Enareto ,  perchè  gli  uomini  fi  muo- 
'ono  più  da  zelo ,  e  piià  compaiTione  hanno  , 
/edendo  un  del  fuo  fedo  ridotto  a  quello 
tftremo  bifogno  ;  che  per  avventura  le  don- 
le  non  fono  tali  ;  cosi  una  donna  farebbe  ri- 
:orfa  ad  una  donna  ,  come  fece  Didone  ap- 
ìrcffb  Virgilio  nel  lib.  4.  dell'  En.  e  Brada- 
nante  appredo  l'  Ariofio  nel  Canto  3- 

Car.  80.  1.  29.  Jntefe  pre/fo  air  alea  chiara^ 
mente  tutti  i  Unguaggj  dtgli  uccelli  ,  )  Non 
è  cofa  che  ad  altrj ,  oltre  a  Enareto  >  non  fia 
lata  data  ;  come  con  un  efempio  bello  mo- 
(Ira  FiloftratoelTereftato  conce  flo  ad  Apol- 
lonio Tianeo  »  uomo  di  iottiliflimo  ingegno  , 
5  perciò  di  gran  valore  ;  e  Virgil.  uel  ;.  del- 
l'Eq. 


4?i        ANMOTAZIONI 

V  Eli.  v.36j.l*atcribuircead  E leno indovino 
Ef  voluùrufn  linguas^  & pr^petf'r  emina  penna 
E  '1  Taflo  neir  Amia,  atto  i.  fc.  ^.  v.  21  g. 
Mopfo  ,  r/»*  intendi  il  parlar  degli  augelli 
F  la  virtà  dvlP  «*he  ,  e  delle  fonti  . 
Tale  fu  ancora  Melampo  ,  padre  di  Manto 
come  Stazio  nella  fua  Tebaide  riferifce .  Ni 
di  ciò  dee  effer  maraviglia  alcuna ,  percht 
gli  antichi  A  uguri  da  molti ,  e  molti  verfi  d 
uccelli  predicevano  lecofcloro;  ed  oggid 
fono  uccellatori  intendentilTimi  delle  voc 
degli  uccelli.  Né  voglio  lafciar quello ch« 
apprefTo  Autore  degno  ò.\  fede  fi  legge ,  d 
duo  compagni  ch'erano  inunacafa,  e  fen 
tendo  uno  di  eflì  circa  i!  principio  della  not 
te  alcuni  topi  (Iridere  fra  loro ,  intefe  che  s 
avvifavano  l'uà  1*  altro  a  parti rfi  ;  poich« 
ellindo  rofa  da  loro,  e  dalle  tignuoleun; 
travv»  ,  foftegno  principale  del  tetto,  dove, 
cadere  quella  notte  :  di  che  ridendofi  il  com 
pagno  ,  né  volendo  fuggirfi ,  come  itco,  l'ai 
tro,  la  notte  fu  fatto  in  una  fchiacciata  pe 
la  ruina  del  tetto. 

Car.  81,  1.  4,  Eff^fe  il  fonte  di  Cupidi 
nt  ;  )  Quefto  fonte  fi  ritrova  prefTo  a  Gizico 
cittàdell' Afia  )  e  da  alcuni  fi  chiama  font< 
Ci\io  ^  oCiiico,  Di  quefto,  e  d'un'  altn 
fimile  fa  menzione  il  TafTo  nella  Conquiftat; 
lib.21.ftan.89. 90.  91.  Un'altro  fonte  tutt( 
contrario»  chiamLito  Salmace  ^  fi  ritrova  ir 
Caria  ,  prefto  la  città  di  Alicarnaflo  ,  de 
qual  chi  bee  ,  s' accende  d'  amor  lafcivo  ;  < 
perciò  favoleggiano  i  poeti  5  Ermete,  e  Sai' 
mace  Ninfa  per  virtù  di  queft' acque  eft'erf 
talmente  amati  ,  che  congiunti  infiemedi- 
veniiTero  un  corpo  folo  Ermafrodito  .  L 
Ariufto  nei  Can.  i.  ftan.  78.  finge  ,  1'  uno  < 

l'ai- 


DEL  MASSARENGO.  45? 
l'altro  di  quefti  fonti  emeriti  Ardenna  ,  feU 
V3  nel  paefe  degli  Svizzeri ,  e  de  Piccardi  : 
manrn  è  vero;  vi  fono  ben  acque  di  gran 
l'a'ore  per  diverfe  infermità  ,  come  n'  atte- 
la  il  Munrtero  nella  fu.ì  Gofmografia  . 

Car.  81.  1.9.  Ufta  nera  merla  ^  ec.  )  Cori 
^rati  ragione  la  chiama  ntra  ,  sì  perche  di  fua 
satura  è  nera  ,  sì  ancora  perchè  ,  in  Arcadia 
nafcendo  tutte  le  merle  bianche,  moftrò  ,. 
:he  quefta  era  una  mer  la  appredo  loro  nota- 
bile :  come,  al  contrario,  fegnalata  fareb- 
be npprefTo  noi  una  bianca.  Dicono  alcuni  , 
jlTer  detta  merula  ,  quah  *nera  uolatif  ;  ma 
'li  riprende  Quintil.  nel  lib.  i.  verfo  il  fine 
Jel  cap.  6.  Scrive  Plinio  lib.  lO.cap.  29.  le 
nerle  di  nere  farfi  flave,  la  (late  cantare  ^ 
1  verno  balbutire»  e  circa  il  folftizio  tacer 
le!  rutto  . 

Car.  'i\.  I.  II.  Che  nei  [acri  fonti  non  ce' 
fiva  y  ec  )  Sciocchi  veramente  fono  coftoro 
:he  negano  le  virtù  delle  acque,  perchè,  ia 
il  Boccaccio  fi  dee  credere  nella  fua  opera 
le*  Fonti ,  al  mondo  fi  trovano  fontane  che 
anno  effetti  miracolofi  ;  come  tanti  e  tan- 
ib.ìgni  oggidì  nellMtalia,  nella  Francia, 
iella  Spagna,  e  nella  Germania  fi  fa  che 
lanno  mirabile  virtù  . 

Car.  83.  1.  25.  Altra  centra  U  pervgrfe  ef- 
^afcinaiìoni  di  invidioft  occhi  )  Sono  niol- 
e  fireghe  ,  e  rtregoni,  o  malefici,  i  quali 
ol  guardo  folo  aff^fcinanoi  come  molti  ne 
crive  il  Pico  della  Mirandola  nel  fuo  tratta- 
o  dellr"  Streghe.  Sono  anco  certi  uomini 
letti  I//»^/ ,  i  quali,  pere' hattfH>  negli  oc- 
:hi  due  pupille,  fé  guardano  fifo  alcuno  men- 
re  fono  adirati ,  1'  ammazzano  \  eifendo  gli 
pirici  vifivi  tanto  puri  j  e  fotci.'i  >  che^  fa- 

cii^ 


454        ANNOTAZIONI 

t:ll mente  padano,  e  facilmente  prendonol 
infezioni.  Quindi  è»  che  il  mil  d'occhia 
sì  di  leggieri  s'  appigi  ia  :  che  le  donne  mei 
ftruaCe  infettano  gli  fpecchi ,  e  gli  occhi  a 
trui  col  guardo  folo  :  che  gli  amanti  s'accer 
dono  al  mirar  delT  amata  ;  e  tanti  altri  m, 
ravigliofi  effetti ,  che  dagli  occhi  fi  cagion; 
no  .  A  quefta  pefte  delle  affalcinazioni ,  m. 
lie,  incanti  ,6  fatture  feri  ve  Teofr-ifìo  »  cl^ 
1'  bypericoft ,  da  altri  perciò  detto  fuga  Da 
ntonum  y  portato  al  collo  giova:  così  l'a« 
quifoglit^,  come  narra  Plinio  lib.  24.  cai 
1 3.  SimileArircù  hanno  la  fcilla  erba  j  appe: 
fopra  la  porta  »  la  brionia  feccata  ,  e  porti 
ta  al  collo  ,  il  fiele  di  corvo  unto  con  olio  ( 
gelfomino;  cquertofu  rimedio  della  regir 
Cleopatra . 

Car.  85.  I.  TI.  1  rtfponfi  iitl  tuo  ^  e  nofl 
Iddio  ,  /  qt^ali  egli  pia  che  altro  Oracolo  f< 
rijjimi  rende  neUa  pura  notte  a*  paflorì  in  qu 
Jìt  minti -^  )  Di  queftofoggetto  difTe  T  Ai 
tore  neir  E'eg.  ad  Jnl'.amrm  M.ajum  y  pra 
ceptorem  ,  l*h.  2.  Ehg.  7.  v,  2  ? . 

Nec  pan  Manali  a  reddit  refpon^a  f-b  umbra 
Islotìe  Hcet  paftor   vìncerà  libet  oviì  , 

EGLOGA     NONA. 

Gir.  87.  I.  2.  Vafti  di  timo  ,  )  Parti  ,  eie 
pafc.uri ,  ove  tolta  gentilmente  dal  latine 
ma  come  erano  pafciut!  di  timo  qucfti  cei 
biatti  ,  fé  in  Arcadia  non  nafceil  timo  ?  ce 
me  riferifce  Plinio  lib.  i\-  c^ìVì.  io-  Lifcio  \ 
foluzìone  a' beili  ingegni  .  Se  non  fi  rifpor 
•deflc: ,  eh'  egli  abbia  pofto  il  timo  per  la  tin: 
èra,  al  contrario  di  quello  che  infegna  Mi 
.ero  nel  i\xo  poema  deli*  Erbe  cap.  2^. 

Si 


DEL  MASSARENGO.       4^5 

Sii  defìt  ! hyvifit  ^  prò  Ivy hw  ponere  ihymbram 

Prète rpiitftt  mfdtii^  quin  vii  eji  aqui  duobut  . 

jweroch-  edenHo  il  timodi  tre  f.rte  ,  in- 

:enda  il  Poeta  d' una  li  qual  forfè  nafceva  in 

arcadia  ;  e  Plinio  d' un'altra  . 

Car.  89.  I.  2.  0  cufta  Viftatrice  ^  )  Qafia 
fi  quam  mtno  rcgavit ,  Ma  ccm-'  cafta  fu  Dia- 
la ,  fé  amò  Endimione  ,e  lo  baciò  mentre  el 
lormiva  lopra  Lamio  ,  ovver  Latmio  ,  mon- 
:e  di  Jonia  ,  come  rifcrifce  Tullio  ?  e  per  te- 
tlimonio  di  Virgilio  nel  ^.  della  Georgica 
^.  391.  amò  ,  e  fu  amata  da  Pane  Dio  d* 
Arcadia? 
Muftere  fc  nivto  hna  ,  fi  cndtrt  dignum  e  fi  , 
Fan    deus    Arcadia    c/>ptam  ti  ,    Luna   , 

In  ni  mora    aita  vocanr  :    nec  tu  afpeffjata 
vccant^m  . 
!d  il  medefimo  aff-'rma  Nicandro  poeta.  An- 
i  come  cafla  ,  fc(pcr  autoritàdi  Alcmane 
•octa  Lirico)  la  Rugiada  fu  di  lei  e  dell'Aere 
igliuola?  Ma  confermiamo  l'autorità  di  Tul- 
io ,  e  quella  di  Virgiliocon  due  Epigrammi 
el  noftro  Sanazzaro  nel  lib.  1 .  uno  fé  ne  leg- 
;e  (  è  il  18.    )  Z)f  Endywione  y  &  Luna  ^  iti 
al  modo  : 
Sp^everat  birfutas  pafcin'tm    Pana  capillas 
Candida    mtlurnii  qua  Dea  ferfar  equir  . 
At  pcjìquam  nivue  eonfpex't  munera  Lina  , 

Pofibohuit  notai   Endymionis  cvef  . 
Qui  ihnul a(  trifìet  fomno  inclinirat  ccellot  | 
Mcr  bac  ,  mon  ,  inquit^  non  mibi  fcm- 
nut  erit . 
d  il  medefimo  nel  2.  lib.  Epigr,  6.  De  Lu»^ 
^    Pane  : 

Erudii  longas  Tegtaa  in  rupe  querelar 
Pan  capjut  forma  ,  candida  Luna ,  tua^ 

Cum^ 


456        ANNOTAZIONI 

Cumquf  levi  cilamos  cera  conjungertt^nSdlt 
V radala  fffenfuf  tu  quoque  ,  canna  j  mtoi 

PROSA     DECIMA. 

Car.  92.  I.  13.  Paffammo  col  defiro  piedi 
avanti^  )  Superftizione  antica  i  non  per  al 
tro ,  fé  non  perchè  la  parte  delira  è  mole 
felice»  ficcome  la  finillrainfeliciiTima:  on 
de  la  parola  deftro  lignifica  favorevole  ,  ' 
finiftro  infelice .  Virgilio  neli'  8.  dell'  E 
neid,  V.  302. 

Et  nos  ,  ^  tua  dexter  adi  pedt  (aera  (ecundo 
Quindi  fu  fempre  più  nobile  riputata  la  aia 
Bodeftra»  e  Dio  metterà  nell'eftremo  Giù 
dizio  i  buoni  a  manodeftra.   Ma  poiché  e 
nafce  occafione  di    toccar  qualche  poco  ci 
quefta  delira  parte,  diremo,  che  gli  uccell 
che  negli  augurj  vengono  da  man  delira  ,  fc 
no  affai  buoni;  come  oiìer  vaio  fi  vede  dal 
Autore  nella  Pr.  8.  car.  70.  nella  perfona  d( 
difperato  Carino  :  £"  quefte  parole  dicendo  ,  n 
tra  aliato  già  per  gittarmi  dall*  alta  ripa:  quan 
do  Subitamente  dal  deftro  lato  mi  vidi  duo  biai 
tbi  colombi  venire^  ec.  e  di  fopra  a  car.  6Q.  avf 
va  già  decto  il  medefimo:  Non  vedi  tu  ^ 
ftùftro  Urfacchio    tutto  feftivo    da  man    defir 
menirne  ec.  1'  uomo  è  più  polTente  nella  ma 
deftra,  nel  pie  deftro,  nell'occhio  deftro 
.e  nell'orecchia  deftra  .  Il  pie  deftro d'  u 
taflofcaccia  la  malinconia  :  il  pie  deftro  e 
un  nero  cane  proibifce  il  latrare  degli  altri 
fi  cavano  molte  erbe  con  la  man  deftra  :  .' 
Prelati  fi  bacia  la  man  deftra  :  fi  dà  la  fed 
con  la  man  deftra.  Tutti  gli  animali  can: 
minano  col  pie  deftro  innanzi,  emaftime 
«flerva  nel  leone»  il  cui  liniftro  piede  mi 


DEL  MASSARENGO ,       457 
flcn  va  innanzi  al  dertro  .  Si  fanno  gì*  invi- 
li nel  bere  con  la  man  deftra ,'  onde  diffe  Vir-» 
gilio  nelP  8.  dell'  Eneida  v.  274» 
Cingiti   frands  nomai   ,    <Èr  ^ocula    porgiti 
dtxtris  . 

'Mille  cole  potrei  addurre  sì  di  natura  ,come 
del  l' arte  >  che  più  gradifcono  la  parte  deftra 
iella  (ìnKlra  .  Non  larà  dunque  maraviglia 
Te  queila  fu  fempre  di  buono  augurio  »  e  la  fi- 
QÌftra  di  cattivo,  leggafi  PiinioIlb«7.  cap. 
17.  lib.  1 1.  cap.  45.  Ma  che  la  finiftrafja  per- 
niciofifTima  »  fi  conofce  da  quefto  ,  che  le  co- 
Te  infelici  (come  detto  abbiamo)  fi  chiama- 
Qo  finijìre:  Qfiniftra  cornice  chiamò  l'Autor 
uolìronell'  Egloga  10.  car.  ne.  quella  che 
jgià  prima  aveva  chiamata  "ialt  augurata  , 

UaPr.  8.  car.  6j.  Quindi  è  venuto  quel 
modo  di  dire  :  Dexter  adfy  ,  cioè  fii  tu  favorii 
vote  ^  f  prcpi^io ,  Ma  tralafciamo  pure  tan- 
:i  altri  efempj di  Cicerone,  di  Virgilio,  di 
Seneca»  di  Stazio,  d'Ovvidio,  di  Lucano, 
di  Valerio  Fiacco  ,  d' Orazio  ,  di  Terenzio , 
t  finalmente  del  Petrarca^a  propofito  di  que- 
^a  voce  deflro\  che  la  brevità  noftra  non  com- 
porta più  lungo  difcorfo. 

Car.  93.  1.5.  ZV*//'  una  eran  notati  tutti  i 
i)  JelP  anno  ,  e  i  varj  mutamenti  delle  fta^ 
lioni  ,  e  la  ine  qualità  della  notte  ,  e  del  gior^ 
*ìo  ,  ec  )  Simili  cofe  cantava  JopaapprelTo 
Virgilio  nel  fine  del  1.  dell' Eneida  v.  742. 

Hic  canit  erranttmlunam  y  folifjue  laèorer  i 

Vnde  hominumgenui  -  ^  peeudis  ^  unde  iftfm 
ber  ,  ^  ignft  ; 

ArSlurum  ,  pluviafquf  Byadat ,  geminofqUf 
Trionet  ; 

J2."id  tantum  Oceano   properent  fé  tinguert 
foltf 
T9tn9  I.  V  H^ber^ 


45»        ANNOTAZIONI 
Hibtrni  )  vel  qua  tarili s  mora  ncBibuf  chfiet 
Car.  93.   1.  g6.  Come  i  loro  anni  fi  pclfaatì 
ai  fegni  delie  noderofe  co^na  chiaramente  cono- 
fctre:  )  Così  gli  anni  de* cervi  fi  conofco 
no,  poi  eh'  eflì  ogni  anno  accrefcono  lorc  ^ 
un  ramo . 

Car.  94.   I.   50.    indi  pervenne  (  e  non  f 
come  )   nelle    mani  d^  un  pajìore  Siracusano 
ec   )  La  narrazione   di  quefta  fampogna 
che  di  Pane  venne  in  manod' unSiracufanc 
paftore,  il  qualepoi  la  donò  aTitiro  ,  come 
che  forfè  dalla  6.  Egloga  di  Virgilio  fia  trat^ 
ta  )  fu  gentilmente  imitata  dal  Gofelino  ir» 
un  fuo  Dono  paftorale ,  che  comincia  :  Bahi 
jelva  Partenia  ]  ec.  dove  ragionando  d' un;  i 
lira  fatta d'  una  tefìuggined' Arcadia,  dic<  ^ 
che  da  Pane  fu  donata  a  Mopfo ,  e  che  queft 
poi)  morendo,  la  donò  aTirfi.  Né  la  tra 
Jafciò  il  Ta nb  nel  fuo  Aminta  ,  nell'  atto  1 
fcena  i.  v.  191.  parlandodi  Elpino  : 
Diceva  egli  ,  e  diceva  che  gliel  dtjfe 
S^el  grande  che  canti  P  armi  ^  e  gli  amori   , 
eh"*  a  lui  laccio  la  fi  fi  ola  morendo  , 
Car.  95.  I.   IO,    Al  Mantonno  Tittro  ,    J 
Intende  Virgilio,  che  cantò fotto  nome  dfl 
Titiro  nelle  Bucoliche  .  e  pure  nel  Proteo 
4.  Egl.  Pefcatoria  dell'Autore,  v.  69.  h 
intefe  fotto  nome  di  Coridone  : 

Tum  canit  ,  ut  Corydona  [acro  ìdelifaut  /; 

antro 

Viderit ,  (è?  calamoi  lahrij  admoverìtaudax 

Formofum  quihui  Ule  olim  cantarat  Alexìn 

Dixerat  &  mufam  T>amonìs  ,   ^  Alphefibigi 

Car.  97.    ].    26.    Or  qui  come  la  candidi 

ìuna  ec.  )  Scrive  Celio  nel  lib.  9.  cap.  23 

due  forte  di  Magia  ritrovarfi  ,  Naturale 

%  Diabolica .  La  prima  è  della  più  fcelta  fì 

lofo^ 


DEL  MASSARENGO.  459 
cfofia  naturale;  la  feconda  infame  .  Quella 
nveftigando  lefecrete  virtù  delle  cole  na- 
Lirali  per  via  di  confenfo  ,  da'  Greci  cbiama- 
0  (ympotb-ia  ,  fa  mirabili  effetti  ;  e  queft'  ar- 
e  beninimola  pofllede  l'Angelo , come  que- 
lli e'  ha  piena  cognizione  delle  cofe  di  natu- 
1,  In  quella  furono  eccellenti  gli  Etiopi  % 
gl'Indi:  in  quella  gli  Egizzj ,  cultori  de* 
Demonj .  Ora  il  Sacerdote  Enareto  né  ufa  la 
>Jaturale  fchietta  ,  né  la  Diabolica  fempli* 
:e  j  ma  con  la  bontà  della  prima  coprendo  U 
nalizia  della  feconda  *  forma  una  Magia  mi- 
b;  poiché  oltre  alle  cofe  naturali  1  fi  vale 
\nco  della  invocazione  degli  fpiriti .  Benché 
timano alcuni,  l' una  1  e  l'altra  Magia  ef- 
er  obbligata  alle  fallaci  cerimonie  de^  De- 
nonj  ;  il  che  però  a  me  non  pare  .  Tutti  que- 
ti  incanti  poi  imitati  fono  dalli  Farmaceu- 
ria  di  Virgilio»  il  quale  da  Teocrito  gli 
veva  riportati  ;  ed  o'tre  aquefta  Profa  ,  un"* 
Itra  più  bella  imitazione  di  Virgilio  fece  il 
ianazzaroheir  Egloga  5.  Pefcatoria  ,  i  cui 
uoghi ,  detoni  veramente  di  elTere  raffren- 
ati,  perbtevicàtraUfcio. 

Car.  97.  1.  32.  Circondato  di  tre  veli  di  di-- 
itr fi  fulcri  ,  )  Ufo  vecchio,  di  circondar  di 
'di  gli  altari  ;  e  fervato  da  Virgilio  nell'  E- 
;loga  8.  V.  64.. 

—  --  molli  cinge  hàtc  aitarla  vitta  . 
•enchè  ivi  interpetrino  alcuni  altri  gli  a/tari 
^erÌQ  vittime  y  le  quali  di  veli  pure  fi  cir- 
ondavano . 

Car.  98.  l.  2.  Difcinto  y  e  fcal^o  d'*(mpie- 
V,  )  Quello  fignifica  deliberazione,  ovve- 
0  propofito  fermo  ,  e  nato  fubito  ,  con  furo- 
e  ;  ciò  fi  conofce  in  Didone  appreffc  Virgi- 
i«ael4*  dell' Eneida  v.  51  s. 

V     X  Unum 


460        ANNOTAZIONI 

Vnum  exuta  pedem  vi  ne  lì  s  ,  in  ve  fi  e  recinga 
ed  il  noftro  Sanazzaro  nella  Farmaceutria; 
Egloga  5.  Pefcatoria  v.  26. 

Ipfa  cornai  ejfufa  ,  pedemque  exuta  fini ft rum 
e  l*Ariofto  nel  Canto  5.  ftanza  8.  ragionandc 
della  maga  Melifla  : 

Difcima  ^  e  [calla  ^  e  [ciche  avea  le  chiome 
e'I  Taflo  nella  Conquiftata  lib.  16.  flan.  8.  d 
Emirenomago  ; 

E  [cinto  ,  t  nudo  un  pi  è  ,  nel  cerchio  accolto 
Altro  fignificato  però  diede  a  ciò  il  Sanazza- 
ro nell'Egloga  S.car.  7j. 

Di  [cinti  j  e  [calli  [atra  P  erbe  tenere  . 

Car.  98.1.4.  Tenendo  per  le  corna  una  ne 
ra  agna  y  ec.  )  Differentemente  facrificava- 
no  a' loro  Dei  ,  come  differenti  erano  di  do- 
minio, e  di  abitazione  .  Agli  Dei  delciek 
facrificavano quadrupedi  bianchi,  perchè k 
cofe  celefti  hanno  del  puro  ,  candido ,  e  bian- 
co; agli  Dei  della  terra,  del  mare,  e  dell 
Inferno  ,  quadrupedi  neri ,  perchè  le  coH 
terrene»  acquatiche,  ed  infernali  tengon( 
dell' ofcuro,  fé  non  fono  fitte  chiare  dall 
aere  illuminato  ;  ma  bene  fpeffo  agli  Dei  ma 
rini  facrificavano  volatili  neri  ,  perchè  1 
acqua  marina  è  torbida,  e  mobile.  Quind 
è,  che  facrificandoo  a  morti  ,  o  di  notte 
oalletempeftati ,  ufavano  pureanima'i  ne- 
ri. A' morti  ;  Virgil.  nel  4.  della  Georg 
alfine,  v.  545. 

Inferias  Orpheì  Lethda  papavera  enittes  ,  ec 

Tt  nigram  ma^ahìs  ovetn  ,  ec. 
c  nel  5.deirEneida  v.  96.  i^crificando  a 
morto  Anchife . 

—  —  cadit  quinas  de  more  hi  denti  i  ^ 

Totque  [uef  y    totider»  nigrantir   ttrgo  ju 
vencQs . 

Di 


DEL  MASSAREKGO.       46f 
fDl  notte,  e  agii  Dii  Internali;  Virgilio  nel 
5.  dell'  Enelda  v.  243.  ^ 

Quatuor  hicprimum  nigrantit  ttrga  juvencos 

CortHituìt  , 
?  più  baflb,  V.  249. 

-  ipft  atri  vellerh  agnam 

JE.ntat  matti  Eumenidum  magrteeque  for^ri 

Eftfe  ffrit  . 
Alle  temperati,  alle  procelle,  ealletem- 
pefte  ;  Virgilio  nel  ^  dell' En.v.  120. 

tiigfam  Hiemi    ptcud^m  ,  Zepèyris  felich 
b'if  aìbam  . 

perchè  i  venti  fono  più  della  regione  del  cie- 
lo ,  che  della  terra  .  Cosi  il  nolbo  Enareto, 
facrificandoalli  non  conofciuti  Dii  »  cornea 
Dii  che  fono  ofcuri ,  ed  alla  reverenda  Not- 
te j  facrifica  una  nera  agna  .  Ma  fé  da  alcu- 
no mi  venifl'e  oppodo ,  nella  Profa  3.  car.  19, 
non  avere  il  Sanazzarooflervator  antico  ri- 
to ,  facrificando  una  agna  bianca  a  Pale  j  Dea 
terreftre,  rifpondo;  fé  ben  era  Dea  fopra- 
dante  alle  cofe  runiche ,  era  però  Dea  fuper- 
ifla,  come  anco  Cerere  >  Cibele,  Temi,  ed 
altre  . 

Car.  98.  J.  6.  Chiamerà  ad  alta  voce  tre^ 
tento  nomi  di  non  conofciuti  Dii  \  )  Tolto  da 
Virgilio  nel  4.  dell'  Eneida  v.  510. 

Trecentum  tonat  o^e  dgot ,  ec. 
il  qual  luogo  fi  dee  intendere  per  li  trecento 
Giovi,  adorati  dalla  cieca  gentilità,  come 
fcrive  Tertulliano  eflere  ftati  numerati  da 
Marco  Varrone  ;  e  trentamila  fcrive  Ellodo 
eflere  ftati  gli  Dei  ,  a' quali  fecero  (acrificio 
i  gentili  :  non  farà  dunque  maraviglia  che 
n'avefleroanco  trecento  altri  non  conofciu- 
ti ;  e  forfè  erano  o  gli  Dei  Lari ,  o  li  Semi- 
dei j  quali  per  mancamento  di  meriti,  fti* 
V    3  ma* 


46i  ANNOTAZIONI 
mavano,  che  non  aveflero  potuto  fallre  fìtn 
al  Cielo  )  e  che  però  dimoradero  nella  mez 
za  regione  deli' aere  .  A  quefti  dunque  por 
tavano  onore  »  fé  ben  non  li  conofcevano  ;  ( 
n'  abbiamo  T  efempio  nel  principio  di  queO 
Profa  iC  Car.  92.  J«///  adorato  prima  il  fant 
Pan^  dopo  li  non  ccnofctuti  Dii  {fé  aUunov 
ne  era  che  per  non  tnojìrarfi  agli  occhi  noftr 
fisi  latebre fo  bcfco  fi nafcondejfe)  ec.  un*  altr 
efempio  n'  abbiamo  apprefTo  *  S.  Paolo  A  pò 
itolo,  Dottor  delle  Genti  ,  il  quale  tant 
riprefe  coloro  eh'  avevano  confecrato  un*  al 
t^rtlgrotù  Deo  ^  che,  da  quello  prefa  ceca 
{ìone>  li  converti  al  vero  ed  unico  Dio,  d 
loro  veramente  non  conofciuto  .  Ma  io  fti 
mo,  quefto  numero  di  trecento  cfTer  poft 
indefinitamente  per  una  numerofa  moltitu 
dine,  così  lopofeil  TafTonella  Conquiftat 
lib.  1^  flanza  72. 

Ella  ,  moffa  a  quel  dir  ,  chiami  trecento 

Con  ftra  lingua   Deità  d*  Averno  . 

Car.  98.   I,  IO.    -E"  la    molti f or nt^  Luna 
Chiama  la  Luna  di  molte  form? ,  perchè  qua( 
tro  volte  il  mefe  di  faccia  fi  cangia  :  onde 
dice  a  una  donna  infiahile  pia  che  la  luna  :  e  g 
incoftanti  fi  chiamano /<^/»<»//^/,  quafi  fotte 
podi  al  variar  della  luna  ,  come  fono  tutte  1 
donne  ;  Il  Mantoano  : 
I    Induit  irtftabilis  luna  lux  t  erti  a  , 

Car.  98.   1.    12.    La  chiara  faccia  del  Si 

le la  quale    continuamente  dijcorrem 

inttrno  al  mondo ,  vede  fenia  impedimento  v^ 

runo 

*  Dovea  dire  y  apprejfo  S.  Luca  negli  At 

Apoflolici  cap,  1 7.  dove  racconta  queflofa: 
to  fucceduto  tra  S,  Paeh  e  gli  Aunlt 
mW  Areopago, 


DEL  MASSARENGO.       4<5; 

9Unù  tutte  le  opere  de"*  mortali  .  )  Che  il  fole 
vegga  tutte  le  cofe ,  fu  concetto  prima  d* 
Omero  nell'  Iliade  y  poi  di  Lucrezio  nel  lib. 
6.  in  terzo  luogo  %  di  Plinio  nel  lib.  i.  e.  6, 
V^aclaruì  ,  exìmiuf  ,  omnia  intuettr  ,  omnia 
etiam  exaudì(ns\  finalmente  di  Marziano  Ca- 
pei la  nel  lib.  r,  Carmine  12. 

l/lundanu\que  oculus  ^  fulgor  fplendenth 
O'ympi , 
onde  Remigio  Bellacqua  ^  poeta  Franzefe 
eccellentiilìmo  ,  nella  2. giornata  della  Ber- 
geria  ,  al  lamento  di  Prometeo  lo  chiamò  oc» 
(bio  di  Dio  ,  e  del  Mondo  : 

Il  veit  ce  beati  Soldi ,  /'  ail  de  D'teu ,  ^ 
du  Monde  . 

Car.  98. 1.  18.  E  V  grandijpmo  Oceano pa» 
dre  universale  dì  tutte  le  cofe  ,  )  Detto  di  Vir- 
gilio  nel  4.  della  Georgica  v.  382, 

Oceaftvmque  patrem  rerum. 
Fu  prima  opinione  del  principe  de'Jonici  Fi- 
lofofi  Talete  Milefio  ,  appreffo  gli  antichi  di 
molta  autorità  .  La  ragione  credo  fofle  >  per- 
chè fapeva  ,  in  tutte  le  cofe  mancando  l* 
umido ,  mancar  la  vita;  ficcome  anco  fenza  1* 
umore  niente  può  nafcere ,  o  generarfi  ;  e 
però  affermava  y  V  Oceano  eiler  padre  de- 
gli Dei  )  e  di  tutte  le  cofe  ,  ma  non  da  alcu- 
no generato.  Alla  quale  opinione  s'  accodò 
Omero  nella  Iliade  >  inducendo  Giunone 
che  dice,  T  Oceano»  eia  madre  Teti  efl'er 
Ja  nazione  di  tutti  gli  Dei .  e  certo  chi  noti 
fa  la  forza  dell'  acqua»  ed  i  benefici  che  da 
quella  nafcono,  come  da  un  Dio,  legga  Pli- 
nio lib.  ji.  cap.  1.  dovemoftra,  quefta  nu- 
trire tutti  gli  altri  elementi ,  e  queda  mede- 
fima  fuperarli.  Fu  chiamato  l' Oceano  N^- 
reo  j  Netturino ,  e  Mare  .  Gli  diedero  un  car- 
V    4  ro 


464  ANNOTAZIONI 
ro  guidato  dalle  balene ,  i  cui  trombetti  era- 
no 1  Tritoni  >  che  gli  andavano  innanzi  ;  i 
fecero  ricco  di  buoi  marini  >  dati  in  guardi: 
a  Proteo ,  e  gli  aggiunfero  un  groflb  ftuolo  di 
Ninfe  per  ferve . 

Car.  98.  1.  19.  E  le  vergini  tZìnf e  generatt 
da  lui  ;  cento  che  ne  vanno  per  le  felve  y  i 
cento  che  guardano  i  liquidi  fiumi  :  }  Virgi- 
lio nel  4.  della  Georgica  v.  3S2, 

—  —  Nymphafque  forores  y 

Centum  qua  filvas  ,  centutn  qua  jlumim 
fervant , 
Più  di  cento  ne  potrei  nominar  io  i  ma  mol- 
te di  quelle  nomina  Virgilio  ad  imitazione 
ci'  Ornerò  nel  6.  dell'  iliade»  nel  4-  della 
Georg.  V.  ^54. 

--  —  Milejìa  veliera   Nympha 

Carpebant ,  h.yali  faturo  fucata  colore  : 

Drymoque  ,  Kantboqut  ,  Ligeaque  {,  Phyl- 
lodoceque  , 

"Nefae  ,  Spioque  ,  Thaliaque  ,  Cymodocequt . 

Cydippeque  ,  &  flava   Lycorias  , 
e  più  baflb  nomina  Clio  )  Ber  ce  ,  Efire ,  Opi . 
Dejopea  y  ed  Aretufa  :  enei  5.  deli'  Eneide 
nomina  Teti  ,  Melite  ,  e  Panopea  .  cOsi  il  Sa- 

nazzaro  nella  4.  Egloga  Pefcatoria  v.56.  a 
imitazione  di  Virgilio  : 

\-~  vos  hanCy  Panope  ,  vof  ,  candida  Drymo^ . 

Cyntothoeque  ,  Rhoeque  ,  Vherufaque 
Dinameneque  • 
Altri  nomi  diede  il  TaiTo  alle  donzelle  di 
Lucia  nella  Conquift^ta  lib.  21.  ftan.29.  go 
benché  abbia  imitato  Virgilio  n^el  fopratocGc 
luogo  ;  nomina  dunque  Tirrena  ,  Sehe\ia  ^ 
MergeUina  »  Silvia  ,  Dafne  ,  Qkri  ,  Alba . 
Albina  y  Orili  y  Cri  fella  y  Ni  fida  y  e  Spio  ,    A{- 

tridiverfi  nomi  figuro  il  Fontano  nel  Jib- 2, 

di 


DEL  MASSARENGO.  4<^? 
^t  Stelli f  :  ma  leggano  i  curiofi  d  i  quella  di- 
verfità  di  nomi  V  Officina  del  Teftori  al  ca^. 
Nympì;^  diverfe  ,  che  ivi  molti  altri  ne  ave- 
ranno  .  Ritrovo diverfità  fra'  poeti  ìntorao 
a  quefte  Ninfe:  perché  altri  le  chiamano 
fortlle  dell^  Oceano  ,  come  di  fopra  abbia- 
mo allegato  Virgilio  :  Nympbafque  fororet  : 
ti\tx\  figliuole  y  come  Catullo  C^arw/w^  85.  ad 
Gellium  : 

"Non  genìtor  Nympbarumabluat  Oceanur  , 
s\tn  ferve \  ma  per  accordar  quella  diverfità  ^ 
mi  pare»  che  diciamo,  effer  veramente  fi- 
gliuole dell'Oceano,  fecondo  Catullo,  ed 
aluifervirc,  cornea  vecchio  padre,  e  Re 
dell'acque:  ed  al  luogo  di  Virgilio  rifpon- 
deremo,  aver  detto/c*?'^/-,  non  rifguardan- 
do  ali*  Oceano ,  ma  attendendo  a  loro  ftelTe  ; 
furore T  y  cioè,  eh*  erano  forelle  fra  loro  >  e 
tutte  pofcia  deir  Oceano  figlie  . 

Car.  98.  1. 19.  Ma  convocando  la  tergemirta 
E  cote  ,  vi  aggiungerò  il  profondo  Caos  ,  // 
grandi/Jimo  Èrebo  t  e  le  infernali  Eumeni  di  ) 
Virgilio  nel  4-  dell'  En.  v.  510, 

Erehvmque  ,  Cbaojque  , 

Tergeminamfjue  Hecaten  , 

enei  lib.  6.  v.  247. 

Voce  vocant  Hecaten  y  cahque  Erehoquepo* 
tentem  , 
delle  Eumenidi,  ivi  pure  v.  150. 

j^ntas  matri  Eumenìdum  magnaque  forori  , 
'•  Car.  99.  1.  1,  E  difvellendole  da  rneT.Xp 
U  corna  la  fofca  lana  ^   la  gitterh  nel  foco  per 

primi  Itbamenti  :  )  Virgilio  nel  6.  dell'  Enei- 
da  V.245. 

Et  ,  fummat  Cérpens  media    inter  (ornua 

fatar  , 
Ignibus  imptnit  facrtr  libantlna  prima  . 
V    5  eRc- 


4CS        A  NNOT  AZIONI 

e  Remigio  Bellacqua  nella  i.  giornata  della 
Bergeria  ,  al  Difcorfo  dell' Inverno  Profa  t* 
defcrivendo  una  Maga  facrificante  per  at- 
traere  un'  innamorato  :  Jetti  fur  dei  char^ 
boni  ardarts  du  fouffre  vi^ge  ,  de  /*  byfope  y 
de  la  rue  ,  ^  une  pò  ignee  de  ìa'tne  noire  , 
arracbee  d^  entre  Us  cornei  </*  nne  brehìs  ^ 
fu    elle  vouloit  facrijier, 

Car.  99.  1.  II.  £■  di  fangue  di  nottola  ti 
ungerl  gli  occhi  ec.  )  Queda  unzione  di  fan- 
gue di  nottola  tolto  dall'ala  delira  (  come 
nella  I.  Egloga  dicemmo  fopra  quel  le  paro- 
le ;  Ma  tnefle  jirigi  y  ed  importune  nottole  ,  ) 
ha  forza  di  far  veder  nelle  tenebre  della  not- 
te ogni  cofachiariflìma  :  così  fa.Remy  Bel- 
leau  nella  citata  fua  Bergeria  alla  2.gioTnatar, 
nel  Difcorfo  dell'  Inverno  Profa  i.  checo- 
mincia  :  ^uii  fait ,  ec.  Puìi  fé  moville  les 
yeux  y  &  le  vifage  du  fang  d'*  un  hihou  ^  a  fin 
que  lei  tenebre!  de  la  nuìH  ,  comme  elle  di- 
foit  y  ne  /'  impefchaffent  de  voir  .  Quindi  è  > 
che  il  Demonio  fa  ungere  quelle  fue  ftreghe , 
ed  incantatrici  j  non  tanto  per  la  trasforma- 
zione ,  quanto  perchè  veder  poflatso  gli  fpi- 
riti  )  e  le  ombre  fenza  timore .  E  apprclTo 
Virgilio  nel  4.  della  Georg,  v.  415.  Cirene 
unge  il  figlio  Arifteo  di  ambrofia»  accioc- 
ché atto  fofTe  a  vedere  la  divinità  di  Proteo  , 
né  fi  fpaventafle  alle  varie  trasformazioni 
di  luì  : 

H^c  alt  ,  ^  Itquidum   amhropa  diffundit 

odorem  : 

Quo  totur»  nati  corpus  perduxit ,  ec* 

Car.  99.  1.15.  Ed  acciocché  le  firane  ,  # 

diverfjjìme   figure    de^  convocati    Dii  non  ti 

[paventino  ,  ti  porro  in  dojfo  una  lingua^  un$ 

itchio  l  fd  una  [paglia  di  Lìbiano  ferpente  , 

con 


DEL  MASS  ARENGO.  457^ 
t(in  U  dcftra  parte  dtl  cuore  d*  un  leone  in-' 
viterat9  ,  e  [ecco  all'*  ombra  folamenti^  della 
piena  luna  ,  )  E'  tanto  leggiadro  quello  Poe- 
ta ,  che  da  molti  e  molti  in  mille  e  mille 
luoghi  è  ftato  imitato  ;  ma  quefto  paflb  tra 
gli  altri  dal  prefato  Remy  Belleau,  poeta 
elegantirtìmo,  è  (lato  tolto  di  pefo  ,  epodo 
nel  lopratocco  luogo  della  2.  giornata  della 
Bergeria  .  A  fin  aujji  qu^  elle  ne  fé  troublafty 
cu  trouvafi  efpouvantee  de  la  diverfitè  der  fi- 
guref  ejfranger  y  a  P  invocation  des  efpritf  ^ 
fé  mtt  una  langue  y  &  un  csil  de  ferpent  dans 
le  fein  ,  fé  poudre  le  cerpr  du  cceur  d^  un  lyon-t 
(ecbè  aux  rayons  de  la  lune  ,  fur  toutes  lei: 
beftef  fauvagts  . 

Car.  ICO.  1.4.  Suffumicandoti  con  vergine 
(elfo  ,  con  ifcpo  ,  e  con  la  cafta  ruta  ;  )  Que- 
fte  tre  cofe  appunto  fono  ufate  nel  l' incante- 
fimodi  Remy  Belleau  nella  detta  i.giornata: 
Jette  fur  des  e  barboni  afdans  du  fouffre  vier-m 
gè  ^  de  /*  byjope  ,  de  la  rue  , 

Car.  ICO.  1.9.  Ti  farò  prendere  la  cenere 
dal  [acro  altare  ^  td  a  due  mani  per  fovra  '/ 
capo  get  tarlati  dopo  le  f pai  le  nel  corrente  fiu* 
me  ,  ftnia  voltare  piU  gli  occhi  indietr^f  :  ) 
Virgilio  nelTEgl.  8.  v.  loi. 

Fer  cinerefy  Amarylli^forat  :  rivoque  fiutnti^ 

Tranfque  caput  jace  '.  ne  refpexeris  ,  ec. 

Car.  ICO- l  18.  Fari  venire  erbe  da  tutta 
Arcadia^  )  Poteva  dirlo  con  ragione,  per- 
chè fra  i  quattro  paefi  citati  da  Plinio  nel 
lib.  25.  caP' 8.  dove  nafcono  erbe afl'ai,  e  di 
ftrane  forte,  l'Arcadia  è  de' principali . 

Car.  lOO.  l.  13.   Legiferai  una  immagine dt 

cera  in  tre  nodi  ,  con  tre  Ucej  di  tre  colori^ 

9  tre  volte  con  quella  in  mano  attorniando  h 

nlUft  >  et*  )  ECCQ  Remy  Belleau  neli'rjlega-» 

V    6  co 


46S        ANNOTAZIONI 

to  luogo;  Cejìe  image  ejìoit  efìroitttfmrtt  //. 
cee  par  le  col  de  trois  cordons  dt  liine  ,  de 
couliurf  dijferentes'.  puif  tournant  troif  tourf 
a  P  ertTcur  du  cerne  ,  autant  de  fots  elle  pi' 
quoit  cefte  image  ,  avec  une  l  angue  ai  gufile 
j(m,  cvjure  ,  enforctlee  par  la  pointe  j  la  pan  , 
•cu  devoit  eftre  la  cceur  en  cefte  are  ;  1'  uno 
e  l'altro  imitato  da  Virgilio,  e  prima  da 
Teocrito  ;  ma   Virgilio   nell*    Egloga    8. 

V.   7Ì- 

,  ^Xirfta  tibi  h£c  primum  trìplici  diverga  colore 
\  T^ifidi  cìrcutndo  ,  terque^  hac  aitarla  circum 
Effigtem  duco  . 

Car«  100.  1.  29.  Colei  pungo  ,  ed  aflringo 
Che  nel  mìo  cor  dipingo  ,   ) 
E  pur    feiJiita    nella    imitazione   il  Poeta 
.Fcanaefe -nel  detto  luogo: 
-  •  'Tout  aifjfil*  efpcinionne  ,  ^  traperce  le  cueur 
De  ce  cruel  ingrat  ,  qui  me  met  en  fureur  : 
JJ    eftreignant   aujft    fort   en   /'  amcureux 

martyre , 
Qu*  entre  cef  laqs  courans  ^  eflrains  fon 

cefte  ciré . 
Car.  100.   I.  35.  Tutte  mie  pene  e   doglie 
Richiudo  in  quefte  fpoglie  .  ) 
Virgilio  neli'  Egloga  8.  v.  qt. 

Haf  olim  exuv'as  mihi  perfidui  ille  reliquit 
'pignora  cara  fui  :  qua  nunc  ego  limine  ir 

ipfoy 
Terra  )  tihi  mando  .  debtttt    bac   pignori 

Vapbnim . 
Car.  loi.  1.  5,  Cofi  ftrida  nel  foco 
Chi  H  mio  mal  prende  in  gioco  ,  } 
Cosi  Virgilio  arde  il  ramo  di  lauro  ,  e  dice 
nellaftefiaEgl.S.v.  Sj- 

Dapbnh  me  malut  uriti  ego  hancin  Dapi- 
ttide  laurum  ^ 


DEL    MASS  ARENGO.       a^9 
•ma  il  Poeta  Francei'e  arde  la  refina,  noa 
il  lauro. 

Car.  loi.  I.  5,  InJt prendenti»  io  unabian- 
ca  colomba  ,  )  Per  eiTer  fac rata  alla  Dea  de- 
gli amori  ;  e  la  piglia  femmina»  per  efler 
l' incanto  l'opra  una  donna  :  che  fé  fopra  uo- 
mo folle  ,  mafchio  l'averebbe  prefo .  E  la 
colomba  bianca  fi  facrificava  dalle  donne  che 
fi  ritrovavano  dal  marito  feparate  >  come  n' 
afferma Ovvidio  nel  i.  de'  Fafti  v.  451» 

Ergo  [api  fuo  conjux  abdu^a  marito 
Uritur  igniti!  alba  columba  foci!  . 

Car.  1C4. 1.  ^5.  Le  argute  cicale)  Fu  con- 
vertita in  quello  animale  Titone  1  amato 
dair  Aurora  ,  effendo  giunto  all'eftrema  vec- 
chiezza :  si  perchè  la  cicala  vecchia  ritorna 
giovane,  avendo  gittata  la  fcorza  ,  come  i 
vecchi  decrepiti  fanno  ,  i  quali  lafciato  il 
canuto  fapere  ,  ritornano  alla  fanciuHefca 
ignoranza,  capeggio:  sì  anco  perchè  i  vec- 
chi di  quella  età  non  fono  buoni  ad  altro  che 
a  cicalare.  Cicale  fi  chiamano  quei  che  non 
fanno  cantare,  e  pur  col  loro  nojofocanto 
aflordano  tutti  ;  però  difl'e  il  Sauazzaro  nell* 
Egl.  9.  car.  89. 

Corri  ,  cicala  ,  ec 

Ed  alle  cicale  afromigliò  il  Taflb  alcuni  con- 
figlieri  di  Ducalto  >  nella  Conquiftata  lib.  7. 
ftanza3  5. 

Ma  pronti  e  fan  di  lingus ,  e  di  configlio  , 
E  cicale  pareano  in  tronco  imbrofo  , 
E  fé  i  Greci  fono  {^diù  chhmàù  loquaci  y  non 
fu  per  altro  ,  fé  non  perchè  portavano  un  fe- 
gno  di  loquacità,  ch'era  la  cicala»  ed  in 
particolare  gli  Ateniefi ,  come  fi  legge  in 
Suida,  e  in  Tucidide  Greci  :  i  quali  fcrivo- 
no ,  che  gli  Ateniefi  portavanp  le  cicale  d* 

oro 


4^6        ANNOTAZIONI 
oro  nella  piegatura  del  cappello  ;  ed  a  que  (le 
allude  Virgilio  nella  Ciri  v.  ii6. 

Ergo  omnif  caro  refidebat  cura  captilo  : 
Aurea  follemni  comtum  quoque  fibula  rììu 
Mopfopit  teseti  nefiebat  dente  cica  da  , 
BelhllimiOde  fcrifìTe  Anacreonte  fopra  Li 
cicala  ;  la  quale  in  lingua  Franzefe  da  Remj 
Belleau  è  ftata  gentilmente  tradotta  . 

EGLOGA    DECIMA. 

Car.  107.  1.  20.  Ghiande  pafcettano  )  Le 
fcrive  Plinio  nel  proemio  del  lib-  16.  e  nel  e 
5. e  6.  dove  afferma»  dagli  Spagnuoi^  elfen 
fiata  ufata  per  dopo  parto  .  Sono  molte  fpeci^ 
di  ghiande,  e  però  fotto  nome  di  ghiande. 
vuole  Ulpiano,  che  vengano  tutti  i  frutti; 
benché  oggidì  s'intenda  in  Tofcana  folamen- 
te  del  frutto  della  quercia.  Ritrovo  però 
che  la  ghianda  di  cui  intende  qui  il  P.:>eta 
era  quella  del  faggio,  come  afferma  Plini( 
nel  fopratoeco  luogo  ;  dove  aggiunge  di  più 
eflere  ftato  in  Roma  un  bofco  a  queftofinc 
canfecrato  a  Giove  ,  per  Io  quale  era  dett< 
Jupitef  Fagutalif:^  attefocbè  a  Giove  fi  ap- 
partiene dare  il  cibo  agli  uomini ,  Q^^nii 
Giove  <\Qttoà'i\  giovare  .  Si  conferma  queftc 
dalla  v(  ce  ifteffa  ài  faggio  ,  detta  dal  Greco 
diro  To-j  (pdyny  i  che  (igxìì^ca  e omeder e  :  ov 
vero  dalla  etimologia  dìf^gg'o ,  quafi  che  fi 
giovamento  . 

Car.  108.  l.  25.  Vertunno  non  s*  adopra  it 
tr  a  sfior  mar  fé  ,  )  Quefto  Vertunno  è  il  me- 
defimo  che  Proteo  ,  di  cui  diffe  il  Sanazzarc 
nella  Canzone  : 

O  fra  tante  procelle  ec. 

Talché  Prgth^  btmhè  fi  pofi^  0  dorma  ^ 

Vili 


DEL  MASSARENGO.  «71 
Viti  non  f  cangia  di  fua  propria  forma  , 
ma  è  da  notare,  che  il  non  trasformaiTi  di 
Proteo  è  prefo  qui  per  cattivo  fegno ,  e  nell* 
allegata  Cannone  per  buono.  Era  quefto  Ve?- 
tunno  Dio  dell'  anno  ,  ed  in  varie  forme  tras- 
formavafi ,  perchè  l'anno  per  le  varie fus 
ftagioni  in  varie  guife  fi  muta.  Amò  coftui 
Pomona  ,  Dea  de'  frutti ,  e  fece  tanto  col  Tuo 
trasformarfi .  che  n'ebbe  da  quella  d'amor 
rubella  Dea  il  defiatoamorofo  frutto  ;  vedi 
Ovvidio  nelle  Trasform.  lib.  14.  e  Proper- 
zio nel  lib.4.  Eleg.2. 

Gar.  108.  1.  26.  Pcmona  ha  rottt  ,  ec.  ) 
Queda  era  Dea  de' frutti  »  onde  à?^ perni  il 
nome  prefe .  Aveva  un  giardino  belliilìmo 
da  lei  loia  governato  ,  e  portava  in  mano  la 
falce  da  potare  .  Amò  un  tempo  la  vergini- 
tà ,  finalmente»  perchè  era  belliifima  »  s* 
innamorò  di  lei  Vertunno,  e  con  arti  le  la 
godette  ,  eiTendofi  ella  altresì  innamorata 
di   lui  . 

Gar,  1C9.  1.  II.  Marfia  fen^a  pelle  ce.  ) 
Quefto  è  '/  male  ìnfvptrbito  Satiro  9  di  cui 
intefe  nel  fine  dei  Proemio  il  Sanazzaro  .  La 
favola  fcrive  Ovvidio  nel  6.  de'Fafti»  enei 
4.  delle  Trasf.  Strabone  nel  fine  del  12  .  Ero- 
doto nel  7.  e.  26.  Plinio  nel  lib- 5.  e.  29.  e 
Claud.  libro  2.  contra  Eutropio  v.  256.  Fu 
Marfia  d'  Apamea ,  città  di  Frigia,  detta 
prima  Cilene .  Goftui  avendo  imparato  la  mu- 
fica  da  Jagne  j  trovò  a  cafo  in  un  rubo  di  fpi- 
ne  il  flauto  gettato  via  dall*  inventrice  Mi- 
nerva ;  perchè  fonando  ella  in  riva  alla  pa- 
lude Tritone  ,  fi  vide  nelT  acque  la  deformi- 
tà del  vifo ,  mentre  gonfiava  le  gote  ,  in  dan- 
do il  fiato  air  iftromento  .  Marfia  dunque, 
come  buoa  mufico  ^heegli  era^  datofi  con 

dili- 


471        ANNOTAZIONI 
diligenza  a  fonare  quel  flauto  ,  riufcì  tante 
perfetto  »  che  era  dagli  altri  Satiri  fuoi  pari 
e  dalle  Ninfe  ammirato,  correndo  e  quefie 
e  quelli  con  gran  diletto  al  maeftrevole  fuo 
no  .  Laonde  gonfio  di  tanto  fuo  valore  j  ( 
die  vanto  di  fuperare  Apollo  nel  fuono  :  pei 
la  quaicofa  venuti  al  paragone  in  Aulocre 
ne,  elefTe  Apollo  Minerva  per  giudice,  ( 
Marfia  il  fuo  Re  di  Frigia  Mida  •  Sonò  Mar 
fia  il  primo  ,  e  molto  fu  lodato  da  A  polline 
ma  pregato  infieme  ,  per  pietà  eh' egli  ave^ 
va  di  lui ,  e  per  non  privare  il  mondo  di  tan 
tobene,  che  gli  volefle  cedere.  Ma  (land< 
egli  via  pia  fuperboche  mai  ,  giurò  il  Di< 
perlaStige,  vincendolo,  di  fcorticarlo;  < 
prefo  il  flauto  fonò  tanto  dolcemente ,  ch< 
fubito  Minerva  gli  diede  il  vanto  ,  e  Mid; 
air  incontro  dichiarò  Marfia  vincitore  .  On 
de  fdegnato  Apollo  dell'  ingiufta  fentenzad 
Mida,  gli  fece  l'orecchia  finiftra  d' a  fi  no 
ed  appiccato  Marfia  ad  un  platano  (che  pu 
ancora  antichiiTimo  fi  vedeva  al  tempo  di  Pli 
nio  )  lo  fcorticò  vivo,  e  gli  attaccòunaco 
da  di  porco  ;  del  cui  fangue  poi ,  e  delle  la 
grime  de*  Satiri  ,  delle  Ninfe,  de' Fauni 
e  degli  uomini  prefenti,  nacque  un  fium 
eh'  oggidì  ancora  Marfia  ù  chiama-  Fatt 
quefto  ,  Voleva  fcorticare  infieme  Babi  fu^ 
fratello,  efonatoreanche  lui,  come  ri  feri 
(cQ  Ateneo  nel  lib-  14-  delle  Cene  de'Sapien 
ti  r  ma  per  intercedione  di  Minerva  fu  libe 
rato:  la  quale  attediando  eh' egli  era  mufic 
vile  ,  e  nel  fuono  tanto  fconcio  ,  ed  infelice 
cominciando  male  ,  feguendope?.gio  ,  e  fa 
cendopeflìm>fine,  che  non  meritava  cadi 
go  :  placatofi  il  Dio  ,  il  lafciò  ftare,  fprez 
zandolo,  con  idimarloalTai  punito  della  fu 

ign»- 


DEL  MA  SS  ARENGO.  47;? 
gnoranza :  onde  ne  nacque  il  proverbio  : 
^tìcna  peggio  dì  Babi  ,  Un'  audacia  fimi  le 
iquelhdi  Marfia  fu  in  Tamira ,  mufico  di 
Tracia,  e  difcepolodi  Lino  ;  il  qualeaven- 
io  voluto  concrallare  con  le  Mufe  j  fu  da  Ic- 
'o  privato  di  luce  .  Sarà  dunque  Marfia  firn- 
30I0 di  temerità  :  ondefefcrifi'ero  ,  ch'egli 
la  fotto  la  difefa  di  Bacco  >  fu  perchè  era  te- 
linerario  ,  e  loquace»  come  i  vinolenti  fono» 
!'e  cui  parole  l'ono  a  guifa  di  Satiri ,  che  qua  e 
!!à  vanno  faltellando;  ma  poiaUa  prefenzade' 
dotti,  ede'faggi  ,  Ipogliati  5  cioè  fcoperta 
'laioro  prefiinzioi-e  ,  tante  ciance  fi  rifoivono 
in  nulla  •  Fu  quefta  favola  maravigliofamen- 
ce  dipinta  da  Zeufi  ,  ed  in  Roma  nel  tempio 
•della  Concordia  molto  diligentemente  per 
^ran  tempo cuftoditaì  per  teftimoniodi  Pli- 
QÌo  lib.  35.  cap.  IO.  ed  a'  noftri  tempi  è  (lata 
eccellentemente  efpreffa  in  una  fua  pittura 
da  Antonio  da  Correggio,  come  attefta  il 
Dolce  nel  fuo  Significato  deli' erbe  .  Ma  un 
dubbio  mi  nafce  intorno  a  quefta  favolai  per- 
chè tutti  gli  autori  fcrivono,  che  Marfia  fu 
appiccato  )  ed  ifcorticato  :  di  modo  che  fi 
dee  credere  con  ragione  ,  che  egli  fé  ne  mo- 
rilfe  ,  fé  non  per  altro  ,  almeno  di  dolo- 
re j  e  pure  io  ritrovo  in  Silio  Italico  nel  lib. 
8.  che  elfendo  (lato  vinto  da  Apollo  ,  non  fu 
uccifoda  lui  ;  ma  che  fé  ne  fuggì  in  Italia  >  e 
il  nome  diede  ai  popoli  M^rli  della  Puglia 
(  benché  Pliniolib.7.  cap.  i.  l'attribuifca  a 
Marfo,  figliuolo  di  Circe  )  per  efferfi  ferma- 
to tra  loro  .  (  v.  503    ) 

SeJ  populif  nimtn  pofuit  metuentior  bcfptr  , 
Cum  fugtrtt  Vb'ygio!  trant  aquora  Marjfy.t 

Crgnor  , 
Iti  vgj<,rji^//f  Pbtebi  fup^ratus pfSiìat  Ufcn  . 

Al 


474        ANNOTAZION! 

Al  qual  dubbio  in  vero  non  trovo  rirpoflq 
che  per  ancora  mi  foddisfaccia  ,  e  però  dei 
dero  averla  da  altrui.  Qi^iactro  altri  Mari 
ritrovo  dasli  Icrittori  nominati  :  uno  Re  d 
Lidi  da  Plinio  lib.  ?.  e  12.  due  Iftorici  5  < 
uno  il  quile  fcriffe  De  TranquUlìtatt  ;  d 
quali  fa  menzione  Suida .  e  fcrive  Szthi 

*  d'  una  città  di  Frigia  >  detta  Marfia  ,  e  g 
abitanti  Marfinti  . 

Car.   110.  I.  8.  La  fnijlra  cornice^  ohm 
prg^f'ffelo  i  )  Tenevano  i  gentili  ^  alcuni  ucce 
li  ellere  di  cattivo  augurio   ;  come  qui 
cornacchia  ;  della  quale  Virgilio  pur  nella 
Egloga  V.  1 8.  imitato  qui  dal  Sanazzaro  : 

(  S^-)e  fnijìra  cava  pr^dixlt  ab  ilice  co*' nix  . 
fu  chiamita  pur  fmijira  dal  Petrarca  n 
Sonetto . 

Kon  JaW  Ifpano  Ibero  ec- 

Qual  deflro  ,  cofvo  ,  0  qual  manta  cornict 
e  1'  Autore  nella  Pr.8.  car.  6^.  la  nomina  pt 
mah  augurata  cornice  .  La  civetta  ancora 
in  quefto  numero  ,  e  però  diffe  di  fopra  il  S 
nazzaro  nell'  Egl.  i .  e.  6. 

Ma  mefte  ftrigt  ,  ed  importune  nottole  , 
Di  tal  forta^  fono  parimente  il  corvo,  ed 
barbaggianni  5  che  altri  chiamano  allocco  , 
ulula  .  Veggafi  Plinio  al  lib.  lO.  cap.  12.  o' 
fpecial  mente  racconta  ,  la  cornice  efìfer  in 
mica  a  Minerva  ;  perchè  nel  tempio  di  que 
la  ben  raro  fu  veduta,  e  nella  dotta  A  ter 
non  mai  :  onde  con  ragione  Ovvidio  nel  li 
2.  Amor»  Eleg,  6.  v.  55.  diffe  : 

Vivit 

*  De  Urblbus  edit.  Tho-  de  Plnedo  Ann 
ftel.  an.  1678.  pag.  445.  d^una  citt^  di  F 
nicia  chiamata  Marfia  ,  '  (ui  abitanti  fi d. 
(ivano  M^r fieni  da  un  eerto  Marfo  . 


m 


DEL  MASSARFNGO.      475 

Vivtt  &  armi  fera  cor  nix  invi  fa  Mifie'Vif  , 
mibenchv^  odiofa  forte  alla  Dea  della  fapien- 
za  5  racconta  però  il  medefimo  Plinio  nel 
lib.  1  o.  cap.43»  efl'erne  (lata  una  in  Romì  che 
parlava  diftintamente  .  Quindi  è  venuto  I* 
ufo  di  dire  a  chi  porta  cattive  nuove  :  Ecco  il 
i(o^vo\  e  Te  è  donna:  Ecco  U  cornice  .  Co- 
sì Poilervò  il  Taflo  nel  fuoAininta,  atto 
3.fc.  2.V.  31.  quando  Nerina  portò  nuova 
della  morte  di  Silvia  : 

Dunqtie  a  me  pur  convìen    ejfer  fmiftra 

Cornice  d^ amarijf\tna   novella. 
Del  cattivo  augurio  del  corvo  toccò  il  Poe- 
ta nell*  Egl.  ii.car.  149. 

Tahr  d"*  un* alta  rupe  il  corto  crocita  , 
e  nella  fua  Fillide  9  Egl.  i.  Pefcatoria  : 

^(id  tantum    irfuetus  fireperet    mibi   co*- 
vuf y  ec. 

Car.  110.  1.16.  Vajìor  ^  la  noce  ,  che  co» 
P  cmbre  frigide  Noce  alle  biade  ,  ec.  )  Porta 
dunque  feco  V  etimologia  >  efTendo  detta 
a  nocendo  ,  perchè  nuoce  non  folo  agli  altri 
frutti  con  la  fredda  fua  ombra  ,  ma  a  fé 
fterta  ancora  : 

Chi  già  nornh  te  Noce» 

Dir  volle  appunto  nuoce» 
e  però  diflTe  il  Boccaccio  nel  Decamercnc  : 
La  fredda  noce  dante  a  fé  medefima  confuot 
frutti  cagione  di  afpre  battiture ',  poiché  chi 
vuol  frutti  da  lei»  bifogna  con  fafìì  1  ocot» 
le^ni  percuoterla  •  Ovvidio  nel  principio 
della  Noce . 

Nux  ego  jun^a  via  ,  cumf\m  fine  crimine 
vita , 
A  ùopulo  faxtT  pratireunte  petor  , 
e  più  iegue  {piegando   le  proprietà   Tue  • 
Anzi  chi  vuol  mangiarla  >  frangerla  bilo- 

gna; 


475       ANNOTAZIONI 
gna  ;  ond'  è  fitto  il  proverbio  di  Plauto  ne 
Cureulione  atto  i.  Tei.  v.  5^- 

^éi  e  nuce  nucleum  effe  vult  j  frangi t  nucem 
denotando,  che  chi  vuol  del  benej  affati 
carvifi  bifogna  .  Qiieft*  albero  tienfi  ch< 
fia  molto  amato  dagli  fpiriti  maligni  ;  i 
però  famofiflfìma  è  la  Noce  di  Benevento 
onde  il  Taflo  nella  Conquiftata  lib.  22 
ftan.  22.  finfe  ,  nel  bel  mezzo  d'un  bofo 
incantato  efTer  fondaco  l*  incanto  l'opra  unj 
noce  ,  dal  Demonio  trasformata  in  mirto  : 

Ei  la  noce  troncò  chi  mirto  parve  . 

PROSA    UNDECIMA. 

Car.  in.  1.  17.  Cari  pafiori  ec.  )  Queft 
fono  gli  anniverfarj  che  fa  Enea  al  morte 
padre  prefTo  Virgilio  nel  lib.  5.  dell*  Enei 
da  V.  45.  dove  egli,  convocati  i  Trojani 
così  lor  parla  : 

DarJanida  magni  ,  genu!  alto  a   fanguin 

divum  , 
AnnuuT  exaSlìs  completur  menfibus  orbis  ^ 
Ex  quo  relliquias  divini que  offa  parenti t 
Condidimus    terra  ,    mafia fque  [aera  vi mu 

ara!  , 
Jamque  die!  (  ni  fallar  )  adefl  ,  quem  fefn 

per  acerhum  ) 
Semper  honofatum  [jìc  Di  vohiflit)habebo.ec 
Car.  1 15.  1.  26.  L?  offa  della  vojìra  Majft 
Ha  )  Grande  artificio  contiene  quella  parr 
la  j  vofìra  ,  detta  da  Ergafto,  che  beivch 
fuamìdrefiaj  pure  gli  piace  chiamarla  de 
gli  afcoltanti  paftori ,  per  difporli  più  facil 
minte,  come  ad  onorar  cofa  loro  propria 
quafi  dicerie  :  Voftrafu,  perchè  vi  amava 

vo- 


DEL   MASSARENGO.       477 
'cftraj  perchè  vi  onorava»  vi  configliava) 
/i  faceva  benefici . 

Car.  114.  I.  ^.  La  maggior  parte  Ji  noi 
lutila  nette  fi  rtfto  conErgaJìo  avegghiare\) 
E  più  baflo  :  Cosi  tutta  quella  notte  tra  fo- 
hi  ftnia  dormire  ,  con  foavt  ,  e  lamentevoli 
veni  fi  pafsh .  Le  Vigilie  erano  in  ufo  tale 
inticamente  ,  che  la  notte  innanzi  alla  fo* 
ennità  vegghiavano  uomini ,  e  donne:  ma 
cerche  in  quelle  fi  facevano  mille  mali,  fu 
proibito  nelle  Leggi  delle  XII.  Tavole  « 
;he  ,  fé  non  in  certi  facrificj ,  potefTero  le 
;.e  vegghiare  :  N^tìurna  mulierum  facri^ 
ne  junto  \  pr^eter  illa  qua  prò  populo  ri- 
e  pint .  Queft'  ufo  è  (lato  portato  anco  ap- 
oreilo  noi  :  e  però  a  molti  Santi  fi  fanno  le 
/igilie  ,  perchè  anco  nella  primiera  Chie- 
da vegghiavano  la  notte  precedente  alla  fella 
n orazione.  Mj  perché  molti  cattivi  ,  e  vi- 
:iofi  abufavarfi  di  quella  occafione  >  commet- 
cndom.llefcellcrdtezze  *  molto  prudente- 
nente  ha  ordinato  la  S.  Chiefa  5  che  le  vigi- 
ie  fi  facciano  con  digiuno  »  ed  orazione  il 
iiornu  a  cui  fegue  la  fefta  ,  e  che  la  notte  fi 
iorma  ;  e  ciò  bene  fpiegò  il  faggio  e  reveren- 
do poeta  F.  Batilia  Mantovano  : 

Id  qucque  y  nam  [citu  locus  ejì  dsgnijjlmuf  ^ 

addam  , 
Quod  nofiri  in  templi/  atavi  vigilare  f ci  eh  a  nt  j 
Bxftibiafque  pati  ,  fcUmnia  mane  \equenti 
Yejìa   reftpturi    .   morem  nunc  fuftuUt  ataf , 
Kam  quia  nox   [celeri  folet  effe  accapo  ,  ^ 

illud 
Obfervant  qui  furto  vohnt  committere  temptér^ 
J  ejunare  diem  vifum  tft  japieutibui  illam 
Qua  prait  y  ^  claufo  ne  fio  m  dormire  cubili  . 
Car,  ii4i  il  J.  Ejfendff  p:r  tutto  ofcttrato  ^ 


4 

478        ANNOTAZIONI 
ftc<endemmo  di  molte  fiaccole  intorno    alla  ft- 
peltura -i  )  Quafi  imitato  da  Virgilio  nel  i. 
deir  Eneidav.  716. 

--  dependent  lychnì  laqueafibus  aureif 

Incenji  y  <l^  m^gmfiammif  funalia  tìncunt , 

Car.i  14.  l.ult.  Maternj  ceneri  ,  ec.  )  Sotto 
perfona  di  Ergafto  ,  iftimo  io  che  parli  1*  Au- 
tore ,  e  ^QvMajJilia  intenda  la  propria  fus 
niadre  ,  il  cui  nome  *  per  ancora  non  ho  fa- 
putoima  in  confermazione  di  quefto  mio  pen- 
iiero  ,  ben  ritrovo  che  nel  lib.  5.  delle  Eleg. 
latine  il  Sanazzaro  ,  in  quella  eh'  egli  fcrive 
a  Gadandra  ,  con  farle  in  certo  modo  una  mi- 
nuta della  pallata  fua  vita  ,  tocca  fra  Tal  tre 
cofe  brevemente  ilfoggetto  dell*  Arcadia  j 
e  giunto  aquefte  efequie,  dice:  {  £"/<?g.  2. 
9,  39-  ) 

Androgeumque  y  Opicumqut  ^  &  ruftica  facfA 
feciftuf  , 
Cofnrnovì  lacrìmit  mox  pia  faxa  meir  , 

Dum  tumulum  cara  <^  dum  ftfti nata  parenti. 
Tata  cano  ,  gemitui  dum  ,  Meli[ea  ,  tt40T 
c  quefto  iftelTo  mi  fa  credere  parimente ,  ch< 
la  Canzone  cantata  pur  da  Ergafto  neirÈgio 
ga  5.  fopra  la  fepolturadi  Androgeo,  fian 
lugubri  Nenie»  cantate  dal  medefimoSanaz 
zaro  per  la  morte  di  Tuo  padre . 

Car.  115.  l.  12.  Intorno  alla  quale  i pajhr 
rincora  collocarono  i  grandi  rami  ec  )  Non  ( 
quefto  l*  altare  di  erbe  che  ufavano  gli  anti- 
chi» 

*Ehh  nome  Mafella  »  ^  fu  Salernitana  ,  del 
4a  nobile  ed  antica  famigUa  Sdiito-Mango 
Vedi  le  annotazioni  delP  Anonimo  fopra  i 
principio  della  Vita  del  Sana^aro  fcriPt* 
^a  C'tovamhattfia  Crrfpt  da  Gallipoli  ,  < 
f^r^meffa  a  qufjia  rioftra  ^diihne  • 


DEL  MASSARENGO.  ,  47^ 
lì,  ma  una  fimile  ufanza  che  praticavano 
;'  facrificj  de'  morti ,  coprendo  la  fepoltu- 
difrondi,  e  la  terra  di  foglie  :  però  dille 
Saiiazzaro  nella  Tua  Fillide  j  Egl.  i .  Pefca- 
ria  >  V.  56. 

Imipiam  .  tu  (omferas  ad  bujìa  cupfejfuf 
Sparge  tnanu  :   (^f  viridi  tumulum  \upirin» 

tege  myrto  . 
Car.  115.  1.  14.  Chiamando  tutti  ad  alta 
ce  la  divina  anima  ^  )  Virgilio  n«l  ^.  del- 
En.al  funerale  di  Polidoro,  v.  68. 
—  —  'Ì3  magna  fupfemttm  voce  ci  emù  f  • 
lei  5.  air  anniverfariod'  Anchife  >  v.  9S. 
--   __  animamque  vocabat 
Ancbifa    magni  ,    Manifque    Acheronte  re^ 

mijfof . 
lei  6,  airefequie  diMifeno  perquefto  ul- 
no  chiamare,  usò  quella  frafe  ,  v.2ji. 
--  —  dixitque  Hovijìma  verba  . 
)iù  bafìfo,  pur  nel  6- parlando  di  Deifobo 
:)rto ,  V.   506. 

--  —  ^  magna  Manif  ter  vece  vocavi , 
a  tutti  quelli  luoghi  adunque  fi  cava  V  ufo 
gli  antichi  Gentili,  di  chiamare  ad  alta 
ce  l'anima  del  morto,  come  qui  fanno  i 
ftori  quella  di  Maflìlia  :  e  noi  altri  Criftia- 
in  vece  di  queft' ultimo  grido  ,  cantiamo 
alta  voce  : 

^Requiem  aternam  ,  e  Keqtiiefiat  ec. 
Car.115.  1.  16,  Fercno  fmìlmente  i  loro  do- 
:  )  Così  fanno  i  Trojani  alla  fepolturad* 
ichife  ,  in  Virgilio  nel  lib.  5.  dell'  Enei- 
,  V.  100. 
Necnon  Cf  focii  ,  qu£  (uique  eft  copia  ,  lati 

Dona  ferunt , 
Car.  1 1 5. 1. 1 9.  Allora  Ergajìo ,  ce.  )  Que- 
iSiuochi ,  come  anco  l' elequie  >  fono  imi- 
tati 


4«o        ANNOTAZIONI 
tati  da  Virgilio  nel  5.  dell'  Eneida  ,  il  (\m 
le  altresì  gli  prefe  da  Omjro  nel  25.  del 
Iliad.  alla  Sepoltura  di  Patroclo  . 

Car.  I  ló.  1.  14.  Qj*aj*  coi  fiato  il  collo  ^ 
rifcalJavn  ,  e  i  pigili  in  quelle  medeftme  p 
date  poneva:  )  Qucft' ultimo  è  di  Virgilic 
ma  quel  primo  vagamente  aggiuntovi  dal  S 
nazzaro  ■>  per  maggiormente  efprimere  qua 
to  glifofleal  pelo  :  Virgilio  nel  5.  delPÉng 
da  V.  ?a4. 

—  _.  calamque  terit  jam  calce  Dioref  , 

Incumbem  hutnero  :  ec. 
E'i  Tallo  nella  Conquift.  lib.  8.  ftan.  37. 

ìila  Tancredi  il  perfegue  y  e  già  fu^dorf 

La  man  gli  flende  ^  e^l pie  col  pi^  gli  prern 

Car.  1 19. 1.  28.  Kon  poffono  tutti  gli  uon. 
ni  tutte  li  cofe  fapere  ;  )  Bel  detto  di  Virg 
lio  nell'Egloga  8.  v.  63. 

-.  --  non  omnia  pojfumur  omnet  , 

Car.  122.  1.  5.  Ergafto  non  volle  che  le  i  ' 
pia  avanti  prccedjfero  y  )  Virgilio  nel  5- <tt 
r  Eneida  v,  461. 

Tf/w  pater  j^neas  procedere  longiui  iras 
Et  fa  vi  re  animi  s^  En.ellum  baud  pajfuf  acerb 
Die  fine  a  quefto  giuoco  Ergafto ,  non  per  1 
more  che  fra  loro  fuccedefle  male  alcun* 
ma.perchè  Capeva  che  farebbe  andata  la  lot 
troppo  in  lungo  ;  attefo  che  (come  dico 
i  Peripatetici  )  Tira  èia  cote  della  forte 
za,'  e  lo  diiTepur  Virgilio  nel  lib.  5.  de 
Eneida,  v.454« 

Acrior  adpugnam  rsdit ,  ac  vim[u[citat  ir, 
e  nel  primo  ,  v.  150. 

Jamqae  faces  &  faxa  volani  ;  furor  art  \ 
mi  ni fl  rat . 
^i  che  fu  diligente  odervatore  il  TafTo  nel 
€onquift.  lib,  7.  ftanzà  65.  66.67.  nel!'  S.fta 

34. 


DEL    MASSARENGO.       481 
^4  91,  enei  15.  ftanza  76.  Però avvifa  Virgi- 
lio in  luo  Epigramma  àe  Ludo  ^  ne' giuochi 
doverfi  guirdare dall' ira,  perch'ella  è  una 
quarta  Furia  : 

Principio  Furìif  ira  eji  tribur  addita  quarta, 

•Car.  125.1.  3.  Ponendo  una  viva  felce  ne U 
fs  rete  dtìia  fua  fionda  ^  )  Stimò  qui  il  Por- 
racchi ,  etTer  molto  più  propria  de'  paftori  la 
Tonda  ,  che  l'  arco  :  ma  s' inganna  a  mio  cre- 
derà ,  perchè  in  mille  luoghi  fi  trova  l'arco 
!B  mino  3'  paftori  .  Icgganfi  le  Commedie 
paftorali  ,  ed  il  Sanazzaro  n-lla  Profa  i.  car. 
ì^.  Siccome  in  lanciare  il  grave  p^lo  j  in  trarre 
:on  gli  archi  al be* faglio  .  nella  Pfofa  5.  car- 
;4.  prendemmo  chi  gli  archi  ^  i  chi  le  fionde  ^ 
i  neir  Egloga  9.  car.  86. 

Ti  rifofpinféa  fpfll**'  Inarco  a  Chnìco  , 
;  nel  la  Pr.  i  ucar.  115.  racconta  Opico  di  ef- 
ere  ftato  vinto  da  Tiriì  nel  hectare  ,  fc.  Ma 
:he  tanti  efempj  in  cofa  chiari  (Ti  mi  ?  E  s'aU 
un  mi  diceflTc,  che  l'arco  è  più  da  batta- 
lia  ,  e  ia  fionda  per  la  caccia  j  gli  rifpondo  ) 
)H"er  veriflìmo  :  anzi  V  uio  de'.la  fionda  efTe- 
eftato  ritrovato  nelle  Ifole  Baleari ,  oggi 
N^ajorica  ,  e  iMinorica  di  Spagna,  noii  per 
Uro  che  per  la  caccia  :  ove  tanto  cel;;brc 
livenr^e,  che  non  comportavano  !e  madri , 
Cuoi  figli  cibarfi  Te  non  di  quello  che  in  cac- 
:iando  s*  avevano  con  la  fionda  accifo.  Lu- 
:ano  nel  i-  lib.  v.  229. 

--   --  Cif  torto  Balearif  v^rberi  funda 

Oiyor , 
Via  in  guerra  pure  fi  ufavano  le  fionde  j  Vir* 
;i!io  nel  q. dell'  Eneid.1  ,  v.  586. 

Stridemtem  fundam  pojitir  Me^entiuf  hafliT  ^ 

Ipfe   ter  adduSia  circum  caput  egit  b^l/tna  . 
xia  ficcome  la  fionda,  e  l'arco  fono  p-^r  U 
Tomo  I,  X  biC 


ah     annotazioni 

battaglia^  cosi  l'uno  d'altra  fono  per  I^- 
caccia.  Virgilio  nell'i i.  dell'  Eneida  de 
fcrivendo  il  valorofo  Metaboj  e  la  vita  d 
lui ,  V. 578. 

Tela  manujafutum  tenera  puerìlia  torjìt  ^ 
"Et  fundam  tereti  circutn  caput  egit  haben^ 
Strymoniamquc  gruem  ,    aut  album  dcjed 
ohrem . 
Ed  il  TafìTo  nella  Conquiftata  lib.  24-ftan 
2a  25.619- 

Quinci  le  fionde  ,  le  baìeftre  ,   e  gli  archi 
Effer  tutte  dovean  rotate  ,  e  [carchi  , 
Car.    126. 1.  g.  Di  [emplice  tajfo  avendolo 
dubitava  di  [penarlo  :  ec.  )  Nella  Profa  5 
abbiamo  detto  a  baftanza  delia  natura  di  que 
(lo albero;  diciamo  ora  del  modo  di  farn 
gli  archi  •  Si  fende  il  tronco  in  piij  pali ,  qua 
li  pofcia  lavorati,  fé  ne  fanno  gli  archi .  M 
avendo  egli  fotto  la  corteccia  due  fcorze  ;  1 
una  bianca»  cioè  quella  di  fuori ,  el'alcr 
rofla,  quella  di  dentro;  non  è  buona  a  far 
gliarchi  l'una  fenza  l'altra;  poiché  nel! 
piegatura»  la  bianca  tiene  il  rilevato  di  fc 
pra  ,  e  la  roda  il  curvo  di  fotto  :  laonde  5  i 
della  rofla  fola  fi  face  (Te  l'arco  ,  fubito  tei 
fi  romperebbe  :  ficcome  all'  oppoflo  la  part 
bianca  del  legno  fi  lafcia  piegare  quanto  fi  ve 
glia  j  ma  non  ha  forza  di  dar  l' impeto  fcac 
ciando  la  faetta .  Tale  dunque  era  1'  are 
di  Opico* 

E'^LOGA   UNDECIMA. 

Car.  li  6.  1.  31.  Ricominciate  i  0  Mufe 
voftro  pianto,  )  Quello  vien  tante  volte  d. 
Poeta  in  quella  Egloga  iterato,  perchè c< 
citi  a  maggior  pietà  ;  e  cosi  fece  il  Cav; 

lier 


DEL   MASSARENGO.      4S5 
4cr  Bonardo    nell*  Egloga  che  comincia  t 

I  dilo'oft  accenti  ,  ec. 
ve  più  e  più  volte  replica  il  verfo  : 

piangete  meco  ^  ed  allargate  il  pianto, 
.èaqueQofine  pure  fu  dal  Cavalier  Poro  tra- 
afciato  nella  fua  bcHa  Amaranta  .  Quefta 
cerazioneperò  alle  volte  iì  fa  per  allegrezza 
:Cgli  Epitalami  »  e  ne'  Trionfi  ;  edalle  vol- 
te per  muovere  a  fdegno  . 

Car.  117.   1.  51.  N<^  fi  (cerna  pìh  in  rofa  ^ 

in  amaranto  )  Amaranto,  ed  amaranta d 
lice:  quefta  delTerba,  e  quello  del  fiore. 
V  detta  amaranta^  perchè  non  marcifce, 
nde  ha  1*  epiteto  d' immortale  ;  il  Sanazzaro 
ellaProfa  io.  car,  104.  Le  rubiconde  fpighr 
ell^  immortale  amaranto  .  Di  quefta^  fi  coro- 
ava  Imeneo,  come  fi  cava  da  Catullo  (Caf-^ 
une  59.  )  in  quei  verfi  . 

Cinge  tempora  for'tbuF 

Suave  olenti f   amaraci  , 

enchè  Teocrito  nell'Epitalamlo-d'EIena  glt 
à  la  corona  di  giacinto  j  o  più  torto  di  lau- 
Dj  come  altri  interpetrano  .  Daquefiaer- 
a  fu  detta  Amaranta  la  Ninfa  da  Galizio 
antata  nel  Egloga  3.  car.  23. 

Tal  che  ornai  non  i  pianta 

Cbt!  non  chiami  Amaranta  . 

la  Ninfa  da  Ofelia  celebrata  nell'Egloga 
.car.  88. 

E.d  Amaranta   mìa  mi  firinge  ,  ec. 
5  più   torto  non  vogliam  dire,  erter  nome 
norofo,  che  per  lafcivia  fi  dà  a  tutte  Io 
-nate ,  come  di  querta  forta  fono  Filli ,  Clo- 

»  ed  altri;  e  fi  cava  dal  variar  che  fa  Ófe- 
anel  nome,  perchè  poco  più  baffo  la  chia* 
la  Ff/iida  : 

Anzi  Fillida  mia  m^  afpetta  al  rio  >  ec. 
X    z  Car. 


4^4        ANNOTAZIONI 

Car.  128.  J    «5.  Ma  net  poi  cbi  una  volta 

Ciei  ne   sfo'^^a  , 
Vento  ^   ne  fol ^    né  pioggia  ^  0  primavera 
Mafia  a   tornarne  in  la   terrena  fioria  , 
Argomentano  alcuni  fottilmente  da  queft 
luogo,  che  il  Poeta  nieghi  la  Refurrezione 
e  più  fi  confermano  per  le  parole  che  nel  fin 
di  quefta  Egloga  1 1.  car.  i?i.  dice  : 
Spero  s  che  fovra  te  non  avràpojfa 
Quel  duro  eterno  inecciiabil jonno  , 
ma  quanto  infipidaniente ,  ciafcun    fel    m 
de  •  Perchè   vero  ,  anzi  veriflimo  è  ,  eh 
né  vento,  né  pioggia,  né  fole  balla  a  refi 
fcitarne  (  come  fi  vede  nelle  piante,  cf- 
ogni  anno  refufcitano  per  li  celefti  influflì 
da'quali  vien  la  parte  vegetativa  governata 
ma  fole  la  potenza  di  Dio  :  non  eifendo 
anima  ncftra  foggctta  a*  "quelle  cofe  fottoli 
rari,  come   l'eibe  fono.    E  però  altro  ne 
vuol  dire  ,  fé  non  chele  piante,  e  1' erbe 
fé  ben  muojono  ,  fi  ravvivano  però  per  le  a 
lefti  influenze  ,  mi  P  uomo  non  così  ;  effer 
do  neceffario  (fé  non  riceve,  come  Laz 
ro  ,  ed  altri  grazia  fpeziale  da  Dio  )  ci 
afpetti  V  Unìverfal  Giudicio  .  Né  meno 
dee  offendere  la  conferm;<zione  del  lor  par 
le,  perchè  intende  il  Poeta  per  quello  ^W 
(itahilfonno  non  folo  la  morte  del  corpo  ,  n 
infieme  della  fama,  e  della  gloria  .  Voie: 
do  Ergafto  dire  ,  che  non  avrà  pofla  la  mor 
nel  gloriofo  nome  di  fua  madre,  d'aver 
col  corpo  feppellito  nella  ftretta  urna,  r 
eh'  egli  la  farà  immortale  co'  verfi  fuoi.  Co 
forme  a  quefto  luogo  del  Sanazzaro(  fc' be 
in  diverfofoggetto)  il  Fiamma  in  un  Sooc  1 
rofpiritual^,  che  comincia  ; 
^ImQfpirfo  divin^  ec« 

U 


DEL   MASSARENGO.       4%$ 
L/f  tua  tfirti)  paò  fo/ )  no»  pietra  y  od  erba  , 
LuHge  dal  perigli ofo  efìremo   vìtco 
Tenermi  ancor  ntlls  terrena  ft'or^a  , 
intendendo  ,  che  forza  umana  >  o  rimedio  na- 
:ural  non  vale. 

Car.  io8.  I.  ìj.  In  la  terrena  fcor^a  .  ) 
Ufa  la  parola /i-or ^tf  metaforicamente,  per 
le  membra  y  a  fimilitudine  del  Petrarca  nel 
Sonetto  : 

N<//*  €tà  jua  pia  bella  y  ec, 
J^afciando  in  terra  la  terrena  fecr^a  . 
e  in  tre  ,  o  qu  ittro  altri  luoghi  ,  eh'  io  tra- 
lafcio  . 
C^r.  I  ^o.  I.  17.  Vedranno  allor  di  fior  vermim. 

oli ,  e  gialli 
Veftritti  i  nomi  lor  per  mtx\o  i  prati  ,  ) 
Quefto  s'intende  all' ufo  di  Napoli ,  e  d'al- 
tri luoghi  d'Italia,  dove  s' ufa  ne' giardini 
feminar  pctrofellino  ,  o  piantar  violette  in 
Forma  di  lettere,  acciocché  pofcia crefciu- 
:e  formino  in  terra  verdeggiante  il  nome 
fcritto  i  e  così  deefi  credere,  ficcome  i  pa- 
ìori  intagliavano  i  nomi  delle  loro  Ninfe  ne- 
i  alberi  ,  le  Ninfe  ancora  in  corrifponden- 
i  d'amore  ,  i  nomi  degli  amati  padori  ia 
:erra  piantaffero  con  fiori . 

PROSA     DUODECIMA. 

Car.  I  34.  1.  I.  H  neh*  andare  veramente  ///- 

»«  ;  )  Dalla  leggiadria  del  movimento  del- 

a  perfona  con(  bbc  anco  Enea  li  madre  Ve- 

lere  ,  apprcfl'o  Virgilio  nel  i.  dell' £ncida> 

|v.  405. 

Et   vera  inceffu  patuit  Dta  . 
;  peròdifTe  il  Petrarca  nel  Sonetto  : 
Eram  i  capti  d*   ero  ec. 

X     3  Noft 


4^6         ANNOTAZIONI 

2ion  era  /'  andar  fuo  cofa  mortale. 

iTìa  divino,  e  ceìcfte  5  come  l'appellò  uè 
Sonetto  : 

Gra^U  epa  pochi  ec. 

L*  andar  cdeftt  ;  e  V  vagofpirto  ardente  . 

Gar^  134.  1.  15.  Giunto  con  lei  f opra  alfiu 
me  ,  vidi  fuù  ita  mente  le  acque  da/i*  un  lato 
(dal?  ahrorifiringerfi  ^  e  darle  luogo  per  meno 
ec.  )  Così  Virgilio  nel  4.  del  Georgica  v.?6c 
quando  Cirene  mena  Arifteo figliuolo  Tetto  i 
fiume  Peneo  : 

—  —  fitnul  alta  jubet  difcedere  late 

Flumina  ,  qua  juvensf  g^'effus  inferret .  ec 
ed  il  fimile  feguì  il  Tadb  nella  Tua  Conquida 
ta  lib.  Il   danza  11. 

Diffe  '^e  y  che  lor  dia  hco  y  aW  acqua  impofe 

Ed  ella  tcjìo  fi  ritira^  e  cede. 
Mi  prima  di  tutti  fu  miracolo  fatto  da  Dio 
per  liberar  col  mezzo  di  Mosè  il  fuo  popol 
Ebreo  dalle  m.ìni  di  Faraone . 

Car.  1^4  1.27.  Non  ah'imeuti  che  fé  andan 
do  per  unajìretta   valle  ^  mi  vedejfi  fopraftar 
due  erti  argini  ,  0  due  bajfe  montagnette  , 
3S  Virgilio  nel  fopra  allegato  lib.  4.  dell 
Ceorgica,  v. 360. 

-.  --  —  -.  at  illum 

Curvata  inmontis  faciem  circumftetit  unda 

Accepitque  finu  vafto  ,  m'ifitque  fub  amnem  . 
ed  il  TaiTo  nel  lib.  12.  ftanza  u.  della  Con 
quiftata  : 

E,  quinci  e  quindi  ,  ^'  efto  monte  in  gulfa  y 

Curvata  pende  \  4  *«  me^o  appa*  divifa  . 

Car.  155.  1.  30.  Mi  fé  paffare  piò  oltre  inu 
luogo  pia  ampio  y  e  più  {pa^iofoy  ove  molti  U 
ghi  fi  vedevano  ,  ec,  )  Tutto  è  imitato  d 
Virrùlio  ncl4.  della  Georgica  ,  ove  Aride 
altresì  vede  fotterra  tutte  le  origini  de' pi 


DEL   MASS  ARENGO.       4S7 
famofi  fiumi,  come  qui  il  Sanazzaro;  eTe- 
gui l'imitazione  ilTaiTo  pur  nel  detto  lib. 
12.  ftan.  12.  13.  con  molte  feguenti . 

Car.  136.  I.  5.  Coti  pajjando  avanti  tutto 
^upefatto  e  ftofdito  dal  gran  rom$rt  dtlle  ac* 
qut  andava  mirandomi  intorno   ,  #  non  (en\a 

qualche  paura  ,  ec.  )  Virgilio  nel  4.  della 
'Georgica  ,  v.  365. 

lyaf ,  (i?  ingenti  motu  flupefaBuf  a  quorum^ 
Omnia  jub  magna  labentia  fiumi na  terra 
Spf^abnt  divrja  lodi  ^  ec. 
ieilTdOo  nella  Conquift.  ftanza  13.  lib-  il. 
Stupidi  rimira'  gli  umidi  regni  , 
E   sbigottiti  pia  cbe^n  campo  ^  o^n  guerra  ^ 
Algranfnon  di  tant*  acque  andar  [otterrà  . 
rende  ^'eram^nte  e  paura  »  e  Hupore  loftre- 
pitofofuono  delle  cadenti  acque;  e  peròdif- 
fe  Enaretoa  Cloniro  nella  Profa  10.  e- 97. 
(  Se  di    venirvi  ti  darà    il  cuore  )    Volendo 
per  gì'  incanti  menarlo  in  una  profonda  val- 
le, ove  o«  terribìlijfimo  fiume  nafceva  ,  9  per 
hreve  Ipa^io  contraftando  nella  gran  voragine  y 
e  non  pojfendo  di  fuora  ufcir^  ^  yif  moftrava  /<?- 
lamente  al  mondo  ,  ed  in  quel  medejìmo  luogo 
fi  fommergeva  . 

Car.   136.  1.  25.  Il  quale  non  come  gli  aU 
tri  è  coronato  di  falci  ,  0  di  canne  ,  ma  di  ver^ 
'  '^ mi  lauri  ,  per  le  continue  vittorie  de"*  fuoi 
".ioli  :  )  Con  ragione  pone  il  lauro  per  fe- 
gno  di  vittoria,  come  anco  era  la  palma  ; 
perchè  nei  trionfi  Romani  fi  coronavano  i 
trionfanti  di  corone  di  lauro;  ed  il  capita- 
no che  così  trionfava,  portava  un  ramo  di 
I?uro  nelle  mani,  fi  cava  da  Appiano  A  ief- 
fandrino  nel  trionfo  di  Scipione  Africano. 
Scrive  a  quello  propoiìto  Suetonio  nel  prin- 
cipio d'jlla  vita  di  Galba  ,  e  lo  conferma  Pii- 
X    4  nio 


488         ANNOTAZIO  NI 

nìo  nel  lib.  15.  cap.  30.  che  Livia  Augu- 
ra rpofatafi  con  1*  Imperadore  Ottaviano, 
eflendoufcita  fuori  di  Roma  ad  un  palagio 
chiamato  l^ejtntam  ^  e  dando  a  federe  ,  un' 
aquila  che  per P aere  volava,  lafcioile  ca- 
der nel  grembo  una  gallina  bianca  ,  la  qua- 
le nel  rofìro  portava  un  verde  ramodiiaii- 
ro  .  Spaventata  di  quefta  Livia  ,  fece  con  di- 
Jigenza  allevar  la  gallina  ;  dalla  quale  nac- 
quero poi  tante  altre  galline,  che  il  luogc 
ove  fi  tenevano  ,  era  perciò  chiamato  /<«  Cni- 
Una,  Fece  fimilmenre  piantar  quel  lauro 
il  quale  venne  sì  bello»  e  si  ben  prcduiTe 
che  fu  cofa  maravigliofa  vedere  gli  alber 
belli  che  di  eflTo  nacquero  poi,  E  da  indi  prc 
fé  Ottaviano  per  coftume,  e  religione  (i 
che  fu  anco  da*  fuoi  fucceflori  olTervato  > 
quando  era  per  trionfere,  di  tagliar  di  quei 
rami,  per  coronarf^ne,  e  per  portarne  ir 
mano  :  finita  poi  la  pompa  5  li  faceva  di  nuo 
vo  piantare  vicino  agli  altri  dove  erano  ftat 
tagliaci,  e  tutti  crefcevano  ;  e  di  più  quan- 
do moriva  un'  Imperadore  fi  feccava  il  pian- 
tone >  e  tutti  quei  rami  da  lui  portati  n 
trionfo  ,  e  piantati  .  Di  modo  che  efl'endi 
morto  Nerone,  che  fu  l'ultimo  del  lignag 
gio  dei  Cefari  ,  tutti  i  lauri  che  fi  erano  pro« 
dotti  dal  primo  lauro  che  aveva  fatto  Livi; 
piantare,  portato  dalia  gallina,  fi  feccaro 
no;  efimilmente  morirono  tutte  le  gallim 
che  dalla  prima  gallina  bianca  erano  nate  . 
Car,  137.  1.  54.  L"*  ardente  fucinaci  Vul 
sano  .  )  Per  dichiarazione  di  quefto  luogi 
oon  voglio  tralafciar  quello  che  nota  Cicer 
nel  3.  della  Natura  degli  Dei  e.  22.  quattri 
elTere  flati  i  Vulcani .  Il  primo  nato  da  Cie 
io;  del  <^uale  poi  e  di  Minerva  ufcì  quel). 

ApoU 


DEL  MASSARENGO.  4?<? 
Apolliiie  prorcttore  di  Atene.  Il  fecondo 
nacque  del  Nilo  ,  appellato  dagli  Egizj  Op^; 
e  fucurtode  dell*  Egitto  .  lì  terzo  fu  figliuo- 
lo di  Menalco,  il  quale  pofìTedette  le  Ifole 
di  Sicilia  nominate  ^ulcanie  ,  Il  quarto  di 

'Giove  e  di  Giunone  ;  il  quale  per  elTer  nato 
brutto,  così  alla  nìadre  fpiacquCj  che  fu  dal 
padre  nell*  Ifoladi  Lenno  precipitato  jonde 

TÌmaff  rtorpiato  d'uà  piede  .  Quefto  è  fabbro 
degli  Dei  '.  U  le  faette  a  Giove  :  prefe  con 
fottilinima  rete  Marte  in  adulterio  con  Ve- 
nere, fua  moglie:  e  vien  chiamato  Dio  del' 
fuoco  i  e  di  qaefto  intende  qui  1'  Autore  . 
Car.  139.    1.2  1.    Trovai   in  terra  federe  il 

vtnerarttio  Idiit»  ,  ec  )  Vedi  (Imile  deferi.. 
zicne  dì  fiume  in  Remy  Belleau  ,  nobile  poe- 
ta Franzcfe  nella  i.  giornata  della  Bcrgeria, 
illa  Profa  che  comincia:  Cct  be^geres  fin  ccn^ 
tentet ,  ec.  ove  defcrivendo  uno  t^eccbio  no- 
tabile per  vaghezza,  Tadorna  fa  V  altre 
cole  d'un  Nettunno;  e  dice:  Sur  i^autrefa^ 
ce  e  fi  un  re.  ber  ^  ou  y  a  un  Roy  affif  •/»  majejìè  , 
muronnè  d*  une  >  ouronne  de  jonis  mcilets  mtrle':^^ 
Jlt grand* s  ,  (Éf  lìrget  fudìUf  ,   qui  fé  trcavenS 
far  la  g' ève  dt  la  tner  ,   il  porte  la  barbe  Icngve  , 
<.^   beriff^e    da    couìeur  bleve   .     (^  ftmhle    qa* 
tUHi  infinite  de  'uiffeaux  diftìlen  de  f«s  moufia-^ 
*tbtt  )  ailongetf  ,  (^  ccrdonn  es  diffus  fa  L  vres  ; 
c  1'  Ecccllentr?  Sionor  Cavalier  Batilta  Gua- 
rinl»^nel  bellirtimo  fuo  Pallor  Fido,  attor. 
fc.4. 

t.d  uf:ire  in  quel  punto 

Di  me^^c  il  fiume  un  vf  echio  ignuda,,  e  grave  y 
Tutto  (ìilUnt>  il  crin  ,  ftillante  il  mento  . 
cil  noftro  Poeti  nel  Capitolo  fatto  in  morte 
di  Pier  Leone,  intorno  al  principio»  par- 
lando d'  Arno  : 

X    5  Eiì 


9fo        ANNOTAZIONI 

Ea  ecco  il  verde   Dio  del  bel  paefe  ,  tc. 
Di  limo  un  manto  avea  fparfo  di  fronde 
E  di  falci  una  [eh  a  in  fu  la  te  (la  ; 
Con  la  qual  gli  occhi  ,  e  H  vifo  ft  nafconde 

e  Virgilio  neir  8.  dell'  Eneida  del  fiume  Ti 
berino ,  v.  31.. 

Huic  Deuf  ipfe  loci  fiuvio  Tièfinuf  amcenir 
Populea  f  inter  fé  ni  or  fé  a  dt  olle"  e  frondis 
Vifus  ,   eum   tenuti  glauco   velabat  ami5lu 
Qarbafus  ,  ^  crini s  umhrofa  tegebat  arundo 
Car.  140.    1.8.   yH  ini  linai  a  baciar  primi 
la   terra  ^  e  poi  cominciai   quejìe  parole  :   qq. 
Siccome  chi  dalla  Tua  patria  ad  altro  luogo  I 
parte  ,  fuol  prender  commiato  con  parole 
e  con  bici  5  come  nella  Conquift.  del  Tafl< 
lib.  2.  {iàw-  56. 

E  l"*  immagini  [ante  ^  e^l  facro  aliare 
Baciando  fparge  ancor  lagrime  amare  . 
e  rabbirtmo  ©(Ter vate  nella  Profa  12.  alla  fé 
poltura  dìMafliilia  >  car  152.  E  cosi  detto 
Baciando  la  fepoltura  ,  ed  invitando  noi  a  fa 
te  il  fimi  le   ,  fi  pò  fé   in  via   :  ce-    cesi  nell 
arrivo  ,  di  lontano  5  alla  prima  vifta  fi  falu 
ta  con  baci ,  e  con  parole  .  EccoVirg.  ne 
7^deir  Eneida  ,  v.  ne. 

Continuo  ,  *  Salve  fati  s  mibi  dehitaTellus 

Vcfque  , 

*  Luogo  eccellentemente  imitato  dal  Nava 
gero  in  que'  verfi  non  compiti  che  fi  tro 
vano  nella  noflra  Edizione  a  car.  224.  fatt 
da  lui  nel  ritorno  dalla  Tua  ambafceriad 
Spagna  in  Italia  .  i  quali  furono  con  molt 
leggiadria  tradotti  da  Pietro  Angelio  Bar 
geo ,  e  leggonfi  pureivi  a  car.  286. 
Salve  ^  cura  Deum  ^  Mundi  fé  liei  or  ora  ^ 
Jgrmofa  Ve  neri  s  dulcet  falvete  receffuf  : 

Uf   V9f 


DEL   MASSARENGÓ.       a^ì 

Vcfque  ,  aif  ,  o  fidi  Troja  jahete  Penate f 4 

Htc  Jumut ,  btec  patria  ejì  ,  ec. 
e  il  TaiTo  nella  Conquiftatalib.  4.  in  prin- 
cipio . 

Car.  141.1.16.  Da  ejji  conojciuto  non  era  : 
tanto  il  cangiato  abito  ,  e  V  (overchìo  dolore 
fnt  aveano  in  non  molto  lungo  tempo  trasfigurato.^ 
Non  tantoaffligge  lungo  digiuno  il  corpo, 
come  breve»  maintenfo  dolore:  perchè  il 
digiuno,  ed  altre  pene  corporali  (  fé  fono 
volentieri  patite)  affliggono  la  carne  fola- 
mente,  mai*  animo  ne  gode;  come  quello 
che  meno  viene  oifufcato  dalla  caligine  di 
ben  fatollo  ,  ed  agiato  corpo:  ma  un  picciol 
dolore,  il  quale  per  oggetto  primiero  cruc- 
cia l'animo,  cagiona  che,  mentre  mal  fuo 
grjdo  l'animo  patifce 9  il  corpo  none  dalla 
folita  virtij  animale  foftentato ,  onde  in  bre- 
vilTimo  tempo  fidiftrugge.  Di  qui  fi  vede  , 
che  un'infelice  amante  in  tre  giorni  più  fi 
confuraa  j  che  uno  il  quale  tre  mefi  fi  fia  affa- 
X     6  ticato 

Vt  vcf  pcft  tantot  animi  ^  mentifque  lahores 
jifpicio  ,  luftroque  libem  !  ut  munire  veftro 
Sdii  citar   toto  deptllo  e  pecore  curai  ! 
Non  aliii  Cborites  perfundunt  candida  lympbit 
Compara  :  nonalios  contexunt  [erta  per  agror , 

O  gradito  dal  Cielo  alffio  terreno  ^ 
E  tu  f'ggio  d*  Amo'f  riposo  ,  e  fido  , 
Sii  felice  mai  fempre  .   O  come  lieto 
Or  ti  riveq^gio  y  e  nel  fiorito  Jena 
JVJt  getto  lajfo  ,  e  in  te  mio  dolce  nido 
Rpofo  il  corpo  fianco  ,  e  V  alma  acqueto  t 
J^i  tejfon  fiori  ,  e  qui  le  TSlinfe  biondi 
B^^art  le  membra  nelle  gelid*  onde. 


492         ANNOTAZIONI 

tic  ito  col  corpo  :  ed  al  contrario  unocbe  cor 
animo  contento  abbia  moItifTiini  difa  ,1  fof- 
ferti  j  poco  ,  o  nulli  fi  diminuifce.  Però  di- 
ce qui  1  Autore,  che  per  foverchio  dolore 
era  trasfigurato;  e  tale  eraClonico,  di  cui 
difTeneil'Egl.S.  car.  72. 

Qualunque  uom  ti  vedere  andar  sì  erronìa 
Di  duol  sì  carco  in  tanta  amaritudine  , 
Certo  dirtbbf  ^  Qnejìi  non  par  Chnico  , 
Perchè  dunque  molto  più  fi  ftrugge  T  uomo 
per  fatica  d'animo»  che  per  laboriofa  ope- 
razione del  corpo  ,  fida  maggior  premio  s 
uno  ikidiofo  letterato  <,  che  a  un  laboriofc 
facchino;  oltre  a  che  >  tantoè  piùdegfial 
opera,  quanto  più  nobile  è  l'operante:  raj 
r  animo  è  fenza  paragone  più  nobile  del  cor- 
po ,  dunque  più  degna  è  la  Tua  operazione; 
ed  in  conieguenza  di  maggior  premio  me- 
ritevole. 

EGLOGA    DUODECIMA. 

Car.   143.  1.    7.    Qui  canti)   Milijeo  ,  ec.  ] 
Inquarta  ultima  »  e  però  belliliìma  Egloga  ti 
può  dir  veramente,  che  il  noftro  Poeta  ab- 
bia olTervato  quel  detto  :  Omnis  laus  in  /"»< 
canitur  ;  avendo  conchiufa  la  fua  Arcadi? 
con  si  leggiadra  poefia  ;  come  quegli  che  ri- 
teneva beniifimo  a  memoria  lafentenza  del 
Petrarca  nella  Canzone  : 
AV/  dolce  tempo   ec. 
'La  vita  il  fin  ,  e^l  dì  loda  la  fera  , 
ma  queda  non  farà  cofa  nuova  a  chi  fa  1'  arti- 
ficio degli  oratori,  che  nel  fine  delle  lorc 
orazioni  ferbano  i  più  forti  argomenti  ;  le 
amplificazioni  nel  fine  ;  e  le  parole  più  fona- 
re, più  piene,  e  più  pefanti  nel  fi^^e  de' 

pcrio- 


DEL  MASSAI ENGO\  49? 
"periodi.  Cosi  negli  eferciti  Togliono  ?e  re- 
troguardie eflere  della  più  fcelta  gente  :  nel- 
le mudcbe  il  fine  Tempre  li  fa  più  dolce  ,  più 
pieno,  più  dotto,  più  foave  ,  e  più  ornato  : 
nelle  menfc  fi  danno  le  più  erquiiite  vivan- 
de ,  e  i  più  preziofi  *  vini  in  fine:  nelle 
Canzoni,  ne' Sonetti,  ne*  Madrigali ,  e  in 
altre  poelie  d  procura  che  il  più  bello  jìa  nel 
fine:  nells;  Coinmedieil  più  vago  ,  ci^  è  lo 
fciogli mento  della  favola,  fi  riduce  al  fine  : 
nelle  Tragedie  ,  il  maravigliofo  nel  fine. 
Ecco  dunque  con  quanta  ragione  abbia  il  Sa- 
nazzaro  ferbatanel  fine  (  b.nchè  tucte  fiano 
a  maraviglia  belliirimc)  la  più  degna  Eglo- 
-ga .    ma  feguitiamo. 

Car.  i4>  1-  7.  Q(ff  caffo  Mefìpo  ,  fjai  pro- 
prio ajfifimi  Qc.  )  La  vaghezza  di  quella  re- 
petizione  di  Voci  quanta  dolcezza  recchi  > 
non  fi  potrebbe  dire.  La  quale  però  diverta - 
mente  da' poeti  s^ufa-  Alle  volte  contrap- 
ponendo ;  come  il  Petrarca  nel  Sonetto: 

Sennuccio  t  vo  cu:'  j appi  ,  ec. 
'    J^i  tutta  umile    y  t  qui  la   vidi  altera  \ 

Or  afp'a  ,  or  pi,:Ha  ,   9'  J^fpittata  ,   cr  pia  , 

talora  compartendo;  come  il  noftro  Poeta  in 
quefto  luogo;  ed  il  Petrarca  nel  medefimo 
Sonetto  : 

^  Àjfatto  contrario  era  indi  il  coftttrMe  degli 
Eirgi  ^  com*  fi  ojjervt  ntlP  Evangelio  di  S , 
Giovanni  al cnp.  z.  v  io.  dove  /'  Aribitricli  « 
<  me  y  dopo  d*  avite  ajU.gpato  il gtnercfo  e  deli  . 
cato  vino  intuì  era  fiata  convertita  P  acqua 
da  Cri  fili  nelle  no\xe  di  Cana  ,  diffe  '.  Omnis 
homo  primum  bonum  vinum  punit:  <5c  cum 
inebriati  fuerrnt  $  tunc  id  quod  dererius 
cfl  :  tuaucem  Icrvani  bonuiQ  vinum  uCque 
ftdhuc  . 


494        ANNOTAZlONt 

j2«/  ^antò  dolcemente  ;  e  qui  x*  trjftje  i 
Qui  fi  rivolfe  ;  e  qui  rattenne  il  pajfo  . 
ma  11  dee  avvertirei  chequefto  talora  fi  f 
con  la  congiunzione ,  come  nel  fopratocc 
efempio,  ed  alcune  volte  fenza  j  come  qu 
neli'efempio  del  Poeta  noftro .  Si  fa  queft 
repetizio»e  in  altri  modi,  ma  quedi  i  pii 
vaghi  fono  ;  gli  altri  lafcio  per  brevità  . 

Car.  143.  1.  II.  O  piha  glande  \  ec- 
Summonzio ,  che  qui  ragiona  ,  era  amico  £1 
migliare  del  Poeta ,  uomo  dotto»  echepu 
fi  dilettava  di  poefia  :  ma  molto  inclinato 
piangere  1'  altrui  miferie  ,  e  a  lodare  gì 
eftinti  amici  ;  e  però  di  lui  fcrilTe  il  Sanazza 
IO  il  9-  Epigramma  del  i.  lib.  in  mater'ia  d 
quella  fua  pietà  : 

JExcitat  vhJlriSiat  tumuli t  Summòntiuf  Utn 
bras  ; 
Impleat  ut  fanone  munuf  amicitìa , 

Utifue  priuf  vivof  ^  fic  (^  po/ì  fata  fodalef 
Ohferv^t  ;  trifles  &  fedet  ante  rogùi  , 
e  quello  eh*  ivi  fiegue  :  onde  fi  vede  che  no 
fenza  gran  giudizio  P  ha  introdotta  in  quefl 
Egloga  a  piangere  la  morte  di  Filli .  „  Ve 
3>  ò^i  a  carte  278.  alcune  noftre  più  efatt 
5,  notizie  itttorno  a  quarto  nobile,  e  dott 
3,  uomo  .  ,, 

Car,  144.  1.  4.  "  /V  vuoi  vederla  ^  of^  a^ 
i^ati . 

CF  io  ti  ter  ri  fu  uno  ^  e  l^  altro  mufcolo  .  ) 
L'atto  che  fanno  quelli  duo  partorì ,  mentr 
1'  uno  l'altro  aita  alla  falita  ,  èftatoda  mol 
ti  Comici  paftyrali  imitato,  e  fra  gli  altr 
dair  Autore  della  Marzia  Commedia  nell 
atto  f.  fcen.4. 

Sali  ;  io  ti  reggerl  fovra  h  [palle  . 

Sojìiemmi  i  pii  cgn  P  dna  ^  ci*  altra  mano 

Car. 


DEL    MASS  ARENGO.      49? 
Car.  144..  1.  29.  --  --  cÌj^  io  già  tutto  cor»' 
movomi  ;  Tanta  pitta  ec  )  F^r^  enimfit  (  dif- 
fe  Achille  Tazio  nel  ■^.\\h.)ut  qui  alitna  ma^ 
lì  audii  ^  una  qucdcmmodo  pùtìaiur  ,  E  però 
r  Autor  del  la  Marzia  Commedia  pafìorale  y 
neir  atto  i .  {e.  4.  al  principio  dide  : 
Dì  nta^avigiia  ,  e  di  pitta  ampungcmi 
Il  tuo  p-.rlar  ,  mio  caro  antico  folio  , 
£  dal  pettj  per  duel  l^  alma  di  [giunge  mi  , 
rC  '1  Sanazzaro  Profa  2.  car.  9.  Àn-^i  ogni  uno 
^fta   sì  vinto  da  ccmp^Jftone  ,  che  conte  meglio 
poteva  0  fapeva  ,  /'  ingegnava  di  confortarlo  , 
e  nella  Profa  7-  car.  37.  Grati  fono  i  tuoi  do^ 
Uri  ,   Sincero  mie  ,  e  veramente  da  non  fen^a 
comp^Jficne  grandijfima  afccltarfi -^  q  in  queft* 
Egloga  12.  più  ballo,  car.  148. 

Qu/ìl  fiera  si  crude)  t  qual  fajfo  irnmohilf 
Tremar  non  fi  ftntijfe  entro  le  vifcere 
Al  miferabil  fuon  del  canto  mbìle  ? 
Kè  folo  altri  hanno ccmpaflione  di  noi  j  ma 
noi  ftefli  del  noftro  male  :  come  Sincero  nel- 
la Profa  7.  car,  56.  Egli  fni  viene  una  trifie^' 
^a  di  mente  incurabìU  y  con  una    ccmpajjione 
grandiffima  di  me  ftejfo  .  Per  quefta  compaf- 
fione  adunque  eh'  abbiamo  di  noi  ftefli,  e 
che  deftiamo  negli  altrui  petti»  volentieri 
le  lioftre  difgrazie  raccontiamo ,  ancorché 
tolta  ci  fofle  la  fperanza  di  confeguime  aju- 
to,  eccoPefempionell'Ariofto  j  Canto  ijr 
ftanza  5.  ove  difle  Ifabella  : 

E  benché  ajuto  poi  da  te  non  efca  , 
Poco  non  mi  parrà  che  te  «'  increfca  , 
equefto  deftarein  altrui  compaflione  ci  re- 
ca a  un  certo  modo  compaflione  :  il  che  chia- 
xatnente  fpiegò  il  Sanazzaro  nel  Sonetto  : 
'N      l^^ffo  qttalor  fra  vaghe  ec» 
Nu9V9 ,  e  ftrano  piacer  fj  dt  dghrme 

Nel 


49^        ANNOTAZIONI 

Tiel  cor  vmir   mi  fuol  quando  tn  altrui 

Difcerno   del  mio  mal  tanto  cordoglio  , 
e  Ufi  la  Prof.i  7.  car.  51.   Ma  perchè  lo  sfogn 
con  parole  a  i  mi  feri  juole  alle  volte  e  (fere  ali 
v'tamento  di pefo  .   Altro  efl-etto defcrive  nei 
Eglogi  8.  carte  75, 

Vri*  orfo  tfi   meXlo  /*  a/ma  ,  un  leon  rug^emt 
Clanico  mio  ,  \entendo  il  tuo  rammarico 
Che  qua (i  d^  Ogni  vena  il  [angue  juggemi 
^  Car.  Ì48  I.  24.  E  Filli   ifaffi  ^  i  pin  Fi! 
rifpandofto^  )  Rende  gr.in  compaflìone  il  Po( 
tacon  quefta  iterazione  in  forma  d'Ecce 
come  ben  volle  ofTervar'o  per  quefto  fine 
Taflb  nella  Conquiftata  lib.  t\.  Itanza  z6. 

Rupffto  /*  (Tta  rupf  ;  e  l*  aura  ^  e  P  onj 

RifponJean  pur   Rvperto  , 
il  medefimo  li  oflerva  in   Virgilio,  ed  i 
Ovvidfo  ,  ed  in  altri  degni  poeti. 

Car.  148.  I.  ;5.  Poi  (he  è  pa  ver  ^  che 
fie^o  del  non  ilachefi  .  )  Per  Cielo  intend 
il  Fato  y  da  Virgilio  chidinato  ineforabiU 
crudele  ^  ineluttabile:  e  da  altri  poeti  irifi 
ptrabile  ^c^tido  ,  inevitabile  ,  [o^do ^  immobile 
implacabile  ^  atroce^  ec.  perchè  dicevano 
i  Gentili  :  Quello  che  una  volta  è  deft 
nato  dal  Cieio  >  non  mucarfi  gijmmai  ; 
però  nel  Petrarca  fi  legge  :  Il  Ciel  non  vm 
le  \  il  del  nega  \  al  Ciel  piacque  \  ilCielfu'f 
mi  man  duro  \  il  del  volge  ^  e  governa  •  il  Ci 
mi  defiina  ■  il  Ciel  fo'tilh  ;  era  ordinato  i 
Cielo:  ed  il^  nodro  Sanazzaro  più  baflo  i 
quella  Egloga  12.  car.  151. 

Ma 

*U  po(fono  dire  anche  i  Crìftìani  in  buon 
Theologia  y  int-ndendo  cil  de'T  ordine  invA 
riabile  d  Ila  divina  Provvidtn\a  j  non  d 
fato  )  e  degli  aftri , 


DEL   MASS  ARENGO.       497 

Ma  chi  pt'b  le  fue  leggi  al  del  pre[crive^reì 
ilTe  però  un  filofofo: 

Sapienf  domlnnbituf  afiris  , 

il  Petrarca  nella  Canzone  : 
Cibiti  re  y  f refi  he  ,   ec. 

E  faccia  fo'ia  al  Cielo  . 

Car.  148.  I.  ult.  Vf^rffti  intorno  a  lui flar 
igni  ,  ed  ulule  y  )  Di  quefti  difTe  Virgilio 
lelP  Egloga  8.  v.  55. 

Cei'tent  &  tycnis  ulul^e  . 

Car.  149.  I.  3.  —  *  quella  a  lai  ri  [penda  , 
d  ulule  .  )  Non  ò  proprio  della  lodola  l* 
luhre  ,  mi  ufa  quella  voce  per  modrare  le 
oci  pietofinìme  che  s'  udivano  ,  come  pur 
lifìTe  il  medcfimo/nel  Lamento  in  morte 
Zbrifti ,  V.  ^i. 

Excitafqui  IJtnbraf  ^medias  ulula ff e  per  urbes, 

Car.  152.  1.  23.  ì/la  [e  V  pianger  ,  i»  Cieh 
a  qualche  fntrito  y  ec.  )  Vorrebbe  1'  Auto- 
e  >  che  le  lagrime  avellerò  forza  in  Cielo  di 
ommuovere  la  Morte  ,  quafi  che  la  Morte 
tia  in  Cielo;  il  che  è  fa  1  fi  (limo  :  ma  fi  po- 
rcbbe  rifpondere  »  eh*  egli  vorrebbe  muo- 
ere  a  pietà  gli  Dei,  perchè  gli  Dei  pofcia 
novellerò  la  Morte  :  ma  non  fi  ricorda  il 
*octa  d*avere  fcritto  nella  Egloga  11.  car. 
18. 

Ma  noi  poi  che  una  volta  il  del  ne  ffor:^a  ^ 
Vento  y  n$  fol  y  r$  pioggia  y  o  primavera 
Bafìa  a  tornarne  in  la  terrena  fcer'^a  ♦. 
ii  rifponde  che  poHono  gli  Dei  quello  che  né 
'eneo,  né  fole,  né  altre  creature  fotto  il 
:ielo  polfono,  come  quelli  che  Hanno  fopra 
1  cielo  .  Quanto  alle  lagrime  »  fé  in  Cielo 
iano  udite,  ni  pondo  :  Altre  lagrime  noa 
ver  forza  di  muovere  a  pietà  ,che  quelle  de' 
;iulli  :  altrimenti  le  lagrime  de*difperaù> 

e  ds' 


4?S        ANNOTAZIONI 
e  de' dannati  impetrerebbono  ajuto  >  il  eh 
non  pofTono  .  così  dille  il  Poeta  : 

Se  le  lag'itne  fono  uditt  in  Cielo  . 
ad  imitazione  del  Petrarca  5  che  difle  uè 
Sonetto: 

Ite  ,  caldi  fofpìri  ,  ec. 

lE  )  [e  pfego  mortale  al  Cìel  s^  intende  » 
e  nella  Canzone  : 

Spirto  gentil  ,  che  quelle  ec. 

JE  fé  cofa  di  qua  mi  Ciel  fi  cara  » 


ALLA    SAMPOGNA. 


Car.  155.  1.  2.  Ecco  che  qui  fi  e  empì  e» 
ec- )  Quefte  ultime  parole  del  Sanazzaro  fo 
no  come  eftreme  voci  di  canoro  cigno  »  che 
quanto  più  vicino  a  morte  fi  fente  ,  tanto  pi' 
foavemsnte  canta;  Oj  per  dir  meglio  j  fo 
no  come  le  ultime  raccomandazioni  che  i 
un'amico  ali' altro  che  fi  parte,  o  un  mo 
riente  padre  di  famiglia  a'  fuoi  figliuoli  :  ne 
qual  punto ,  raccogliendo  quel  poco  di  fpiri 
to  che  gli  avanza»  proferifce  piìifentenz 
che  parole  5  perchè  reftino  quei  ricordi  im 
prefli  a  perpetua  memoria  di  lui  j  ed  a  finge 
lar  beneficio  loro  .  Ed  io  per  me  fé  averti 
notare  fopra  quefta  ultima  Profa  ,  teffere 
più  volume,  che  fopra  tutto  il  precedeot 
dell'Arcadia  non  ho  fatto  .  Laonde  rcfta 
non  poiTo  di  maravigliarmi ,  che  il  Porcac 
chi  j  ed  li  Sanfoviao  l'abbiano  pallata  fei 
za  toccarne  pure  una  parola  ,  fé  forfè  non  fi 
o  per  iftanchezza  d'averfi  molto  attaticat 
ifltorno  alle  dodici  Egloghe  j  ed  alle  dodi 

ci  PrO' 


DFX    MASSARENGO.       400 
^ofe  ;  ©(quello  che  crederei  piuttofto) 
che  la  copiofa  materia  gli  Ipaventafle  . 
:.  mi  pefa  ,  di  avere  anch' io  a  pacarla  yJ"^- 
ede  ^  per  non  {ax  crefcere  il  volume  3  e 
non  trattenere  gli  ftampatori ,  che  fotte 
enna  mi  vengono  Campando  :  ma  non  la- 
ro con  più  agio  di  farle  fopra  difcorio  , 
.on  conforme  al  gufto  ,  e  defidcrio  mio» 
quanto  almeno  comporteranno  le  debili 
e  dell' ingegno . 
-ir.   151.   1.  4.   T)i  non  da  pia  colto  y  ma 
;ih  fortunato  faftorg  cc*  )  Con  mirabile 
:^cio  (alvail  Poeta  il  grado  conveniente 
.  fampogna  ,  e  fugge  il  biafimo  della  pra- 
riì  lede. 

Car.  I  jj.  1.  5.  Da  pia  fortunata)  Perchè 

e   più  baffo  :  A  me  conviene  ,  \rima  che 

ffperte  dita  [oppia  mifuratarnente    /a  tua 

mia  esprimere  ,  per  mahagio  accidente  daU 

;/>  labbra  di/giungerti . 

Car.   153.1.   I?.   P^r  malvagio  accidente  ) 

u  la  morte  dell'amata  donna,  come  fi  pro- 

\  a  a  car.  154.  I.  6.  E  di  piangere  awaramen- 

I  e  con  teco  il  duro  ,    ed  inopinato    cafo  della, 

ta   immatura  morte . 

Car.  153. 1.  II.  Il  duro  aratore^  ec-)  Sto 

■ur  penfando  fé  ragione  mi  fovviene  >  per- 

hé  il  Sanazzaro  abbia  ufata  più  lodo  la  pa- 

r  ola  aratore  y  chela  voce  agricoltore  ,  o  al- 

ra  più  generale:  attcf©  che  non  parla  qui 

i  far  folchi ,  proprio  officio  dell'aratore  ♦ 

tome  più  fotto  fi  legge;  ma  di  pigliare  i 

lon  pennuti  uccelli  fuora  del  nido  9    per- 

hèda  altri  non  fiano  involati,  il  che  noti 

più  fpetta  all'aratore,  che  ad  altra  rufli- 

a  perfona   .    Ma  fin  ora  non  avendo    ra- 

j,;iooe  che  mi  fcddisfiiccia  >  fon   cofiretto 

*àlpeL* 


5C0        ANNOTAZIÒNt 

*  ai'pt-ttarla  da  qualche  accorto  ,  e  faput 
ingegno. 

Car.  15^.  1.  27.  Della  tua  [alvatich^n 
contentandoii  ,  tra  quefie  foUtudini  ti  ri  man 
ghi)  Eforta  la  Sampogaa  a  contentarfi  del 
la  fua  forte ,  perchè  quefta  è  fpecie  di  teli 
cita,  coiìie  più  apertamente  j1  dille  nel  fin. 
di  quella  Profa  ,  quafi  per  ultimo  ,  e  però  pii 
giovevole  ricordo  ,  car.  \^j.  Colui  tra  mar 
tali  yf  p«3  Con  p'à  verità  chiamar  beato  ,  cb 
ftn\a  invidia  delle  altrui  grande^l*  >  ^^^  ^^^^ 
defio  animo  della  fua  fortuna  ji  contenta  . 

Car.   154.  1,  4.    Infognando    le  rifpindent 

felve 

*  Felleil  Sanaix^ro  in  quejio  luogo  tifare  la  voc 

adoperata  da  Virgilio  nel  ^^  dalla  Gì  or  gì  e  a  v 
511.   donde  i  tratta  la  Jimilitudine  : 
Quali s  populea  maerens  philomela  fub  umbr 
Amidos  queritur  foetus  ;  q\ios  duruf  arato' 
Obfervans  nido  inplumì?  detraxit:  ec 
In  quella  guifa  che  hi  voluto  ambe  dire  not 
pennuti  uccelli  5  per  efprimere  /Mnplunai 
di  Virgilio  .  Torquato  Tajfo  nel  libro  il,  dei 
la  Gerufal.  Liberata  /?.  90.  fervendofi  dell 
Jìe(fa  ftmilitudtne  ,  dijfe  villano  >  invece  d 
dire  arator*  : 
C^me  ufignuol  j  cuiM  vUlan  duro  invole 
Dal  nido  j  figli  non  pennuti  ancora. 
Che  poi  Virgilio  abbia  ufata  U  voce  arator  / 
lucgo  d^  altra  pia  generale  ^  cil  avrà  fatto 
perchè  gli  tornava  meglio  in  acconcio  per  l 
Jlruttura  ,  e  per  lo  fuono  del  verfo  .  Tibullo  pa 
rimente  nella  Eleg.-^.  del r.  Ub.  v.  4.  vo'end 
dire  che  Amore  fé  «'  era  andato  a  villeggia  e 
in  compagni  a  della  fua  ^emeji^e  che  quivi  ap 
prendeva  il  parlar  del  contado  ,  coiì  fcnjfe  : 

Vcibaque  aratoris  radica  difcit  Amor» 


IDEL  MASS  ARENGO.  50T 
ffvt  di  rifoftarg  il  mma  della  tua  d^nna  ♦ 
'  c-  )  Simil  frafe  ,  come  più  propria  ,  e  più 
ag3  ,  usò  nellj  Profa  ic.  car.  95.  Infegnòpri.^ 
7ier,ì  mente  le  felve  di  ri  fonale  il  nome  della 
'«rmcfj    Amjrtllida  , 

Car.  15^.  ].  ji.  N/  ti  curare i  ec.  )  Vo- 
endo    1'  Autore   abbandonare  quetìa  Sam- 
•ogaa  j  I*  avvertifce  come  viver  debba  > 
come  ditenderfi    dal    giudizio    degli  uo- 
nini  ;    non  folo  da  quelli  che  la  bartezza 
uà  ifdegneranno  ,    ma    infieme    da  chi  il 
roppo  ardire  le  improvererà.  I  quali  ri- 
ordi  fé  (limò  l'Autore,  perfona  di  tanta 
ccellenza  ,    giovevoli    alla  fua  Arcadia  , 
•er  la  fimpogna  intefa  ;   quanto  neceffarj 
ebbe  io  giudicarli  a  quelle  poche,  e  roz- 
e  mie  Annotazioni ,  nate  da  giovane»  che 
cr  Tacerba  età  non  può  avere  mituro  in- 
egno  ,  né  canuta  efperienza  ;  e    nutrite 
n  villa  tra  ruftiche,  e  bofchereccie  cam- 
agne  ;    dove  ,  efìendo  prive  della  nobile 
onverfazione  de'  virtuofi  ,    e  fcienziati   , 
he  nelle  famofe  città  co^iofìmenae  fiori- 
cono  ,  non  hanno  potuto  di  quella  fcelta 
ottrinacibarfi  ,  né  di  quei  nobili  ornamen- 
veftirfi  j  onde  fenza  rodere  poteiTero  al- 
3  prefenza  de'  grandi  comparire  ?  Dovrà 
unquc  baftar  loro,  poiché  in  villa,  e  da 
ncolto  paftorello  partorite  tono  ,   di  abi- 
are  nel    loro  nativo  luogo  ,    e  goderfi  di 
(fere    da  giovinetti  paftori  per  gli  erbofi 
•rati  >  fotto  le  fronzute  piante  lette  ,  e  lo- 
ate  :  perciocché  affai  onor^^te  faranno,  quan- 
o  da  chi  la  nobile  ,   e    fonora    lampogna 
el  Sanazzaro  fonerà  ,   fieno  fenza  difpia- 
ereintefe,  e  confiderate  .  Se  poi  da  qual- 
'he  amorevole  cittidino  riceveranno  favo- 
re) 


501  ANNOT.  DEL  MASSAR. 
re  ,  non  fi  infuperbifcano  ,  ma  5  ringfa 
ziandolo  del  cortefe  affetto  »  fi  ricordin( 
fempre  della  balTezza  loro  ,  e  eh'  egli  < 
meglio  nella  povera  ,  e  vile  Tua  capan 
nuccia  elTer  padrone  ,  che  con  l'  efca  de 
gli  adombrati  onori ,  lafciarfi  condurre  ne 
fuperbi  palagj  a  dura>  ed  infelice  fervitu 
Lodato  Dio. 


Il  jine  delle  Annoi a:(tonì 
del  Maffarengo^ 


Qtun* 


Giunta  dì  alcune  poche  annotazioni 
[opra  L'  Arcadia. 

'">Ar.  I.  Lio.   Spaiiofi  alberi)  EfprefTe  il 
.j  p/jtu/uf  de'  Latini,  Virgilio  nel  prin- 
vo  della  prima  Egloga  : 
Titye  ^   tupatuldrecubansfuhtegmlne  fagì , 
leiruJcimoverfo della  Georgica: 
Tityre  ^  te  patula  cecini  fub  termine  fagi  , 

I  tale  epiteto  vien  replicato  dal  Sanazzaro 
Ila  Profa  io.  car.  94.  di/t^n^^i  alla  fpelunca 
gè  va  ombra  un  pino  altìjjimo  ^  ^  fpa\iofo . 
.Car.2.  I.i2.  Agli  afcoltanti alberi  ^  )  Attri- 
ifcono  vagamente  i  poeti  orecchie  alle 
ante.  Virgilio  nella  6.  Egl.  v.J*2. 
Omnia  qua   ,  Pbabo  quondam  meditante   , 

beatus 
AuJiit  Eurotar  ,  jujjitque  edifctre  lauro f  , 

II  le  canit, 

piÌ4  chiaramente  Orazio  nell'  oda  ii.  del 
libro,  celebrando  il  valore  del  canto d* 
feo  : 
Blandum  &  auritar  fidibut  canori f 

Ducere  quercut . 
nno  altresì  loro  voce  5  e  parole.  Catullo 
V  armi  ne  4.  ) 

Ubi  ifie  ,  pojl  pbafeluf  ,  antea  fuit 
Cornata  fdva  ;  nam  Cyt borio  in  jugo 
JLoquente  fape  jibilum   edidit  coma  , 
Car.  2.   L21.   E  le  tenere  Ninfe  ^  dimen* 
afe  di  perfeguire  i  vagbi  animali  ^  CC.   )  So- 
glia que' veffl  d'Orazio  nell' Oda  I?.  del 
libro . 
J^in  &   Vrometbeuf ,  «if   Pelopir  parens 
Duki  laborum  decipitur  fono  : 
^ec  curat  Orion  leone f  , 

Aut  timidof  agitare  lyncaf  . 

Car. 


504 

Gar.  11.  Egl.i.  v.  5.  LoJar  gUccckì (i 
reni  y  e  trecce  bionde^  )  In  quefta  lezione 
accordano  tutte  1'  Edizioni  dell'  Arcadia 
nondimeno  pare  che  dovrebbe  legge rfi. 

L-odar  gli  occhi  feren  )  le  trecce  bionde  . 
e  peravventura  così  avrà  fcritto  il  Sanazz; 
ro  ;  perchè quL'l  t^'ecc^  fenza  P artìcolo  difgi 
(la  molto  le  orecchie* 

Car.  25.  Pr.  4. 1.  21.  E  V  vifo  alquanto  p 
ìutigbettg  che  tondo  ,  Ji  bella  forma  ,  c^ 
biam belila  non  [piacevole  ,  ma  tefnp erata 
quaji  al  bruno  decbinando  ,  ec.  )  Notò  qu 
fta  diiferenza  che  pafia  tra  la  bianchezza  i 
fommo  grado  ,  e  la  alquanto  più  temperate 
Properzio,  tra' Latini  gentiliiTiino  e  dotti 
fimo  poeta»  nella  Elegia  25.  v.  41.  deli,  i 
bro,  dando  alla  prima  V  aggiunto  di  p/V«.i 
cioè  di  perfetta  ,  e  all'  altra  à\fofca  ,  cioèi 
<juali  dìibininte  al  bruno  ^  qqvcìì  qui  amti 
dire  il  Sanazzaro;  conchiudendo  però  ci 
gli  cfiFemnainati  giovani  e  dall'una,  edal 
^Itra  ugualmente  eran  prefi  : 

Vidiftis  pieno  tener em  candore  puellam  , 
Fid'fiis  i\x\co\   ducit  uterque  ccl.r  , 

Car.  94.  Pr.  lO,  I.4.  Dinaniiallafpelun 
porgeva  ombra  un  ptno  ahijjìmo  ^  t  fpaiii,fo  ^ 
Il  Petrarca  parimente  nella  Canz.  30.  v.  2 

Ove  porge  ombra  un  pino  alto  )  od  un  colle  -, 

Talor  m*  arre  fio  . 

e  M.  Tallio  nel  i-  libro  de  Oratore  ,  cap. 

Nam  me  hac  tua  platanus  admonuit  ;  qua  n 

minus  ad upacandum  bunc  locum  patulis  tji  e 

fitft  rmmii  ,  quAm  ilìa  (ujuf  umbramfecutus 


AUu. 


505 

ìcune  importanti  Correzioni ,  ed  Offerva» 
zioni  intorno  alle  Note  dd  Vorcacchi , 
e  del  Aiajfarengo. 

^Ar.  2jo.  Il  Porcacchi  facendo  oflerva- 
^  zione  (opra  quelle  parole  del  Sanazza- 

;  che  ptndtfftro  per  le  fcove^te  ripe  \  cic.l 
feguente  palio >  com'egli  dice  j  d*Ovvi- 
D  ,  fenza  additare  alcun  determinato  libro| 
.  nd'  egli  fé  1*  abbia  prefo  : 
..  ..  ..  alta  di  rupe  pertdent 

Cafeirup^  , 

'ISanfovino  pure  ,  fegucndoil  ruocodume 

ripece  nelle  Tue  Annotazioni  .  Ma  né  que- 

1  parole  fi  trovano  in  verun' opera  di  quel 

xtt2Lynècaprirupaé  vocc  Latina,  perquan* 

apparifca  dagli  antichi  Gramatici  ,  e  dà* 

'rflTici  moderrn  .  Trovafi  bensì  rupicapra  ^ 

De  capra  fahatica  ,  carnowm  ,  Vtà'\  Plinio  al 

».  II.  cap.  37.  Avrà  forte  il  Porcacchi  vo- 

ro  allegare  quel  verfod'Ovvidio  porto  nel 

brode*  Rimcdjd' Amore  (  n.  179.  ) 

Eccepelunt  rupet  ,  praruptaque  faxa  CapelUy 

j(come  fuole  bene  fpedo  avvenire  a  chi 

n  ha  la  pazienza  di  ricorrcr-e  a'  libri  )  gli 

'à  fallita  la  memoria  . 

'Car.  324.  Fuor  d'  ogni  ragione  vien  ripre  - 
in  quefto  luogo  il  Porcacchi  dal  Mad'areii- 

,  come  fé  egliavcffe  errato,  afferendoa 
211.  Vtppio^  e  ^ì  pioppo  cfferdue  nomi  d* 
'albero  folo  .  Anzi  èda  rinrenderfi  l'in^^ 
urto  cenfore  ;  chiariflimo  ciTcndo  per  le  of- 
ffvazioni  di  molti,  che  in  Italia  col  nome 

cppso  y  di  pioppo  ,  ed* alùara  viene  a  figni- 
arò  un  folo  genere  di  pianta  i  benché  Ro- 
llio Cofìaotioinel  fuj  Supplemento  dclU  1 
Tom.  i.  y  Lir.. 


50<5       ALCUNE  ALTRE 

Lingua  Latina  così  diftingua  :  Populus  alba 
Itali f  albara  :  Populuf  nigra  ,  Italia  ^  oppio 
pioppa.  E  nello  (leffb  libro  alla  voce  ocìr 
C©si  feriva  :  Ejus  fptcief  carpims ,  Italia  op 
pio  >  ut  in  Liguria  (  alibi  oppio  »  vel  piopp 
efi  populus  )  Ma  di  gran  lunga  più  groflo  è  i 
granchio  prcfo  dal  Maflarengo,  mcntr'egJ 
vuol  confermare  la  fiia  diftinzione  tra  oppio 
phppo  y  c  tuttavia  fegue  ad  accufare  il  Poi 
cacchi  ì  cosi  dicendo  :  E  mafirl  di  non  {ape 
re  ^  che  /'  oppio  è  albero  dal  pioppo  d'jfere^ 
te  ,  del  cui  [uicbio^  fa  bevanda  per  far  dot 
mire  ,  e  dottnendo  morire  ,  chi  non  puote  dt 
gerirlo.  Poteva  il  MalTarengo  informarfid 
qualfivoglia  fpcziale  >  e  avrebbe  imparat 
che  ilfonnifero  chiamato  cpìo  non  è  altri 
nienti  fugo  deli*  ^p/>/<?  albero  ,  ma  è  iilatt 
efpre^o  dal  papavero  nero,  cosi  detto  dall 
voce  Greca  oVo'é,  chefignifica  umore  ^  ofw 
fhio  i  che  non  diftilH  per  fé  fteilb ,  ma  ce 
mezzo  di  taglio  j  o  d*  altra  violenza  .  Ben 
che  a  voler  fottilmente  diftinguere  ,  chia 
mafi  propriamente  da*  Greci  oV/oy  ,  1'  umor 
che  diftilladal  gambo  tagliato  del  fuddett 
papavero  j  e^vKaviov  quello  che  fen'efpri 
me  a  forza  di  torchio  da*  capi  e  dalle  fogli 
bollire:  ma  in  lingua  volgare  con  una  fo) 
voce  viene  a  fignificarfi  1*  una  e  1*  altra  ma 
niera  di  liquore  .  E'  cofa  degna  di  oiTerva 
zione  ,  che  nel  Vocabolario  della  Crufca  no 
fi  trova  cpio  in  quefto  (ignificato  di  fonnifere 
benché  vi  fi  legga  oppiare  ,  adoppiare  ,  op] 
foporarc ,  e  oppiato  ,  opio  foporatus  j  e  poc 
dopoj  cppio  y  fo'ta  d^  albero-^  allaqual  voc 
fi  adduce  per  telìimonioil  feguente  yerfo'( 
Luca  Pulci ,  tratto  dal  J.  Canto  del  fuo  pòe 
ma  intitolato Ciriffo  CaIvaneo>verfo  il  fint 

Tu 


ANNOtAZrONt.      507 

Tu  gli  adìiyrtnenttr,ii  (otto  (jueji'*  oppio, 
qual  poeta  ,  benché  fervafi  di  tal  voce  in 
nfo  metaforico  ,  cioè  pzv  tenere  a  bada  ^  o 
xir.g4nnart  ^  vedefi  nuHadimeno  >  ch*egli 
.\xèiQ2\V  opto  fonmftro  ^  da  lui  perawentu- 
,  come  dal  Maflareng  ) ,  creduto  efl'er  al- 
ro  >  e  non  latte  di  papavero  . 
Car.  3-^9.  Avea  il  Maflarengo  a  e.  554« 

icciatod' inavveduto  il  Porcicchi  ,  perchè 
iminade  il  tamari fcoj  arbore  infelice '^  non 

urendo  a  lui  convenevol  cofa  ,  che  il  Sa- 

iiziaro  porto  avefle  alberi  infelici  in  quel 
ogoameniflìmo  ,  e  pieno  di  tant-' delizie  > 
l'egli  così  leggiadramente  deic'-fve  :  ma 

:)i    dimenticatofi    della    fui    ripreniìooe  9 

iiiama  egli  ftedo  il  cipreffo  pianta  infAice  ^ 
fufiefta  ;  benché  fia  una  di  quelle  defcrit- 

■:dal  Sanazzaro  nella  prima  ProG  .  Ma  tut- 
quefta  oflerv.izioefoprn  gli  alberi/ /»V«  , 

i  infelici  ,  qui  non  fa  punto  j  propoùto  ;  ed 
altrettanto  frivola  >  e  vana,  quanto  ri- 

3rcata>  efottile . 

Car.  378.  Virgilio  in  ^ue*  due  verfi  : 
"MiC  non   éf  gemini  cuflcd.s  limine  ah  nlto 
Pfocedunt  ,  greffvmque  cams  comnantur  bg^ 
ri  lem  , 

Tiitò,  s'ionoi»  mMngìnno,  Omeiò  ,  che 

ci  fecondo  dell' C)jifì    i  v.  io.  pirì^ndo  di 

'elemaco,  figliuolo  d*  UlifTe,  cosìfcrive: 

B>>'  y  ifjtiv  «  <  elyo^n'r  ,  irctheif/ji  (T^  i;^i  X°^^' 

xioy  gyyof . 

tTTOVTO  . 

\rtdoffene  al  parlamento  ^  imp-tgnandoun'^  afla 
V  ferro  ^  Non  già  folo  :  ma  infieme  il  ffgui^ 
avana  dut  cani  bianchi  (o  pronti  .  )  Lottef* 
Y      2  iv> 


5o8      ALCUNE  ALTRE 
focoftume  degli  Eroi  ci  rapprefentaOme 
ro  anche  in  altri  luoghi  . 

Car.  385.  IIMaflarengo  feguita  1' autori 
tà  di  Plinio,  che  nel  libro  2^.  cap.  S.  chia 
ma  il  frutto  del  corbezzolo  (  che  è  1*  arhty 
de'  Latini  )  une^o  :  ma  è  da  notarfi  ,  chi 
Plinio  viene  in  ciò  riprefo  dal  Dalecampi< 
così  ;   Ctìfn  arbuto  ,  qua!  xó[u.oepOi  (fi  ,   Pliniu 
hic   mglfgenter  y  ut  CT  cap.  24.  lib.  1  5.  unedo 
nern  confundit  ,    q^Ja  fruilus  ejì  epìm.lidis 
Quanto  poi  a  ciò  che  dice  qui  il  Suddette 
Maflarengo ,  che  queft'  albero  ha  ì  frutti  ton 
^*  j    ^^U*   j    ^  punteggiati  ,    coma  le  fragole  ; 
(  di  modo  che  potrebbero  ingannare  colli 
vaga  lor  vifta  qualche  perfona  meno  avvedu- 
ta ;  come  che  redine  poi  di  fapore  molto  in 
feriori  alle  fragole  j  eflfendo  afprifTimi  )  « 
quali  fi  chiamano  cofhtWoH  \    troviamo  chc 
Luca  Pulci  9  quaGal  finedel  fuoCirifFoCal- 
v^neo,  il  mife  in  proverbio  con  que' verfi  3 
i"  moftra  per  lanterna  men  che  lucciola  ;  ec< 
E  fpaccia  per  un  dattero  una  fucciola  ; 
E  penfa    la  c^rbe^ola  per  fragola,  . 
Car,  385.  II  luogo  di  Callimaco  è  tolte 
dalla  Edizione  Greco-Latina  di  quel  Poeta 
fatta  in  Utrecht  del  1697.  con  gli  eruditif- 
fimi ,  e  maravigliofi  Cementar]  di  Ezechiel- 
Jo  Spanen^io  .  L' antica  traduzione  di  quefto 
luogo,  rapportata  dal  Maflarengo ,  è  la  fé- 
guente  *    Phabum  &  pajioritìur»  vocamusjatn 
inde  cum  fub  Ampbryfo  jugalei  pafcebat  equof  , 
deo  fimi  li  s^  amore  accenfut  Admeti  .   Noti  fi  j 
quanto  fiano  tra  di    loro  differenti  le  tra- 
duzioni. 

Car.  397.  Fallando  il  Maflarengo  di  cer- 
ti fonti  punitori  degli  fpergiuri  ,  commette 
tre  errori .  Il  primo  è.  ,  che  accenna  una 

fon- 


ANNOTAZIONI.       509 
.  j  diBitinia  ,  da  Plinio  chiamata  Olaca^ 
I  un  è  fonte  ,  mi  fiume  .  Il  fecondo,  che 
"  Stefano </r  UrbibuT:\\  lib.  31.  cap.  2.  dove 
i!  Autore  non  divide  la  fua  Opera  ,  eh' è 
izionario  Geografico  y  in  libri ,  ma  nel- 
:tere  dell'  alfabeto  .  Quefto  però  farà 
3  errore  di  penna,  o  una  trafpofizione 
)  Ibmpatgre  ;  additandofi  appunto ,  coli' 
-lurre  il  lib.  31.  cap.  2.  il  fuddetto  luogo 
Plinio.  Il  terzo  fallo  fi  è,  che  chiama 
f  nte di  Sicilia  ,  riferita  da  Stefano,  Pa^ 
'na  ,  dovendo  dire  Filicine  ;  quando  ciò 
n  fia  colpa  j  o  diverfa  opinione  d'  altro 
ìdiittore  .  Di  tutto  ciò  abbiamo  voluto  av- 
are i  lettori ,  per  dar  loro  un  faggio  dei- 
negligenza  del  MafTarengo ,  il  quale  ha 
ilamente  allegati  luoghi  fenza  numero  di 
oni  Scrittori ,  che  noi  abbiamo  poi  rifcon- 
iti  con  tedi  emendatiflìmi  ,  e  reftituiti 
ile  Annotazioni  del  medefimo  . 
C  ir.  407.  Male  fu  addotto  dal  MaflTaren- 
I'  ultimo  verfo  della  7  Egloga  Virgiliana: 
Ex  ilio  Coryion  ,  Cory^on  eft  tempore  nobir  , 
r  vo'erlo  dimoftrar  fomigliante  al  52.  del- 
5.  Egloga  del  Sanazzaro  : 
Androgèo  ,  Androgèo  fonava  il  hof(o, 
rchè  in  queft*  ultimo  altro  non  fi  ofìerva  , 
e  una  mera  repetizione  di  nome  ;  laddove 
quel  di  Virgilio  fta  riporta  una  grande  ef- 
acia»  dovendofi  intender  così  :  Da  indi 
qua  (  cioè  da  quel  tempo  che  il  pa(ìor  Co- 
Jone  vinfe  Tirfi  in  una  gara  di  canto  paio- 
le )  CoridoneapprelTodi  noi  è  veramente 
)ridone  ,  cioèquel  valentuomo  ch'era  da 
liti  riputato  ;  chetale  non  farebbe  fiato, 
andò  Tir  fi  fofl'e  rimafo  a  lui  fuperiore  nel 
ntarc .  Mjnierc  non  difiìmili  fono  tutto  dì 
Y    5  in 


.510      ALCUNE  ALTRE 
in  bocca  del  volgo:  Da  quello  cPiofcno;  ,  i 
io  nenfo  qutfia   £»fi  ^  fcambiaumi  il  nome  ,  e 

Car.  417.  Quanto  ai  giulH  motivi  che  ui 
può  avere  di  lodar  fé  rtelTo  1  e  le  cofe  lu< 
annoverati  in  quefto  luogo  dallo  Spofitore  » 
da  ved«r  Da»  tealcap.  ^,  del  fuo  Convivi 

Car.  4^^.  Dice  il  MaflTarengo,  che  la  \ 
te  all'olmo  congiunta  è  fimbolodel  mati 
monio ,  e  r  edera  abbarbicata  alle  piante  , 
alle  pareti ,  è  eieroglificode'difoncfti  co 
giugnimv-nti  .  Dato  che  ciò  fia  j  non  d 
nulladimeno  riceverli  come  un  canone  inf 
libile:  mentre  Antonio  Ongaro  ,  Padov 
no  j  n-1  Tuo  bellirtimo  Alceo,  il  quale  fi 
pubblicato  djl  Cornino  ìnficmc  colT  Ami 
ta  dei  Tan'o  ,  correttiffirao  ,  At.  L  Se. 
V.  1 3S.  fi  vale  di  tutte  e  due  quefte  finjilit 
dini  per  V  union  maritale  >  così  ; 

E  /*  edere  >  e  le  viti 

Amano  gli  dm''  ^  e  i  trombi  hr  mariti  , 
e  Giovanti^  Antonio  V«lpi  ,  l*  antico  ,  gè 
tiluomo ,  e  Vefcovo  di  Como ,  pojta  elega 
tiflìmo,  che  vifTe  nel  fecolo  dccimofeftc 
Ila  voluto  anch' effo  ufart- le  dette  fimiiit 
dini  per  ifpiegare  un'amore  non  dirò  fol 
mente  cafto ,  m  «  facro  5  qu  «1  è  appunto  que 
lo  che  palla  tra  un  Vefcovo  ,  e  la  fua  Gbief. 
Dice  egli  adunque  in  una  fua  Egloga  Latin 
nella  quale  inrrodure  la  Chicfa  di  Com 
fotto  mmidi  Am  ,^ili ,  a  lamentarG  dì  Vaf, 
cioè  di  Monfignor  Bernardino  della  Croci 
fuoVrfcQ/o,  alTenreda  ei  per  lo  fpazio 
cinque  a;i-<i  »  e  dimorante  io  Roma  : 

Sed  tih   m     atirno  volui  conjungere  vinci 

Ut  panef  bedera  pallenti  ,  ut  vttihuf  ulmu 

Car.  438.  ,,   E  fé  quattro  lune  avelie  de 
})  tofemplicemente  il  Sanazzaro,  avreb 

»  ili- 


AKN'OTAZlONt.        511  . 

\nte(o  q^aitro  m 'fi .  „  )  Com2  appunto  of- 

rvanogli  Acc-demici  della  Grufca  ,  a  e. 

'io.  del  loro  accuratilTimo  Tefto  ,  che  volle 

unificar  D.nte  ,  quando  diffe  nel  Canto  33. 

;ir  Inferno  V.  25. 

M'  ^vea  wofir^to ,  per  lo  ftio  f9rame  , 
pia  luntgià  ,  quand^  i' feci  V  tttalfonno  ,  ec« 
in  una  fua  Canzone  *• 
Onde  /»  1'  ebbi  colpe  , 
P/'A  /une  bét  volto  V  ^ol  perdi  fu  (penta  , 
roperzio  nella  Eleg.  5.  del  lib.  3.  v.  27.  dà 
la  Luna  I*  ai??,iunto  di  menftrua  ,  perchè 
)rma  i  mefi  co'  Tuoi  periodi  : 
—  .-  ..   ._  un>le  coaSlis 
Ccrmhui  y  in  plenum  menfl'ua  hunaredit  m 
'i  Ovvidio  nella  Piftola  di  Canace  a  Maca- 
co V.  45.  prende  la  decima  Luna  per  lo  dc- 
imo  mefe  : 
Jam    novier    erat    erta  ' foror   pulcherrima 

PMiy 

Denaqut  lurifera  huna  movsbat  equos  , 

Nefda  ,   qua  fateret  fubitof  mi  hi  cauffa  do^ 

lores  , 

"Et  rudii  ad  par  tu  f  ,  ^  nova  mìles  eram  , 

finalmente  i  Greci  chiamano  il  me(e  fJL^y ,  da 

'v'"'/,  che  Luna  vuol  dire. 

Car.  444,  Il  gieroglifico  dell'  Amore  » 
;he  ci  dà  Oro  Apolline  ,  così  fuona  in  latino: 
..aqueut  amorem  ,  ut  feram  quamdam  ,  figni^ 
fcat .  'E  perciò  può  ammettere  diverfa  fpie* 
'.azione  di  quella  del  MafTarengo  . 

Car.  4^7.  Dice  il  noftro  Spofitore  :  E  ft 
>ene  il  Bembo  fu  a*  tempi  del  Sana\\aro  , 
'^ion  era  peri  al  tempo  dell'*  Arcadia  ,  da  lui 
•ompofta  in  gi.vinena  ;  che  quando  cominci» 
j  fiorire  il  giovinetto  M.  Pietro  Bembo  ,  era 
vecchio  di  mJii  anni  il  Sananaro  .  Quinto 
I  Y    4  in 


5T2  ALCUNE  ALT^E 
in  ciò  s^  inganni  il  Maflarengo ,  chiaramen 
te  apparifce  dalle  vite  ,  e  dagli  fcritti  d 
cjueMue  celebratiffimi  Autori.  Nacque  i 
Sanazzaro  l'anno  di  noflrafalute  1458.  e^ 
il  Bembo  l'anno  1470.  Ecco  in  prireo  luo 
go  ,  che  tra  l*età  dell'  uno  ,  e  dell'  altr» 
non  correvano  più  che  dodicianni  di  diva 
rio.  In  fecondo  luogo,  del  1504.  nel  mef 
di  Marzo  fu  ftampata  la  prima  voltaceli 
città  di  Napoli  tutta  compita  1*  Arcadia 
mentre  il  Sanazzaro  era  in  Francia  col  R 
Federigo  sbandito  da'  fuoi  ftati  (  la  qua 
Opera  andava  prima  attorno  manufcritta 
ed  imperfetta  >  cioè  fino  alla  finedell'  Egle 
S3.  X.e  tale  fi  era  pubblicata  due  volte  in  Ve 
jiezia  j  fcnzafaputa,  e  poi  con  grandifpia» 
cere  dell' Autor  fuo)  ed  il  Bembo  l'ann< 
dietro  1505.  nello  fteiTo  mefe ,  feceufciri 
da*  torchi  d' AldoMannuaio  i  leggiadriflTi 
ini  Tuoi  Afolani;  per  la  qual  cofa  è  chiaro 
che  in  un  tempo  medefirno  ambedue  fioriva 
joo  ;  e  che  il  Bembo  non  fo!o  era  nato  quand( 
comparve  l'Arcadia  a  perfezione  ridotta 
magia  contava  34.  anni.  In  unoerroreaf 
fatto  contrario  a  quefto  del  Maflarengo  cad' 
de  1'  Anonimo  che  fece  le  Annotazioni  ali; 
Vita  del  Sanazzaro  fcritta  dal  Crifpo,  il  qua 
le  a  car.  xxxii.  dell'  ultima  edizione  Napo 
litana  ,  conghiettura  >  che  il  Sanazzaro  fpe 
rafle  il  cappello  Cardi  nalizlo  per  1*  efempic 
del  Bembo  ,  che  a  tanta  dignità  era  flato  in- 
nalzato .  Ma  doveva  avvertire,  che  il  Sa 
nazzaro  mori  l'anno  1530.0  5  come  altri  vo' 
gliono  ?  153*.  o  1533»  e  che  il  Bembo  fi 
creato  Cardinale  l'anno  1539.  come  conftf 
da  una  fui  lettera,  concai  ringrazia  Papr 
Paolo  III.  di  tal  dignità  conferitagli .  e  mo; 

ri  pQ- 


ANNOTAZIONI.        5f5 

pofcia  Tanno  1547.  Non  poteva  dunque 
rvir  d*e(empio  al  Sanazzaro  per  ifperare 
1  porto  fimile  ,  il  quale eflendo  già  morto, 
jn  potè  vederlo  colla  porpora  in  dodo  , 
on  lafceremo  di  notare  così  di  pafl'aggio , 
:>n  tale  occ  dìone  >  uno  sbaglio  prefo  dal  fa- 
ìoùfìimo  Pitr  Bai/e  ì\q\  fuogran  Diziona- 
o  Illorico  Critico ,  il  quale  afTerilce  ,  il 
enibo  effere  (lato  tatto  Cardinale  da  Papa 
mente  VII. 

[  Mail'arengo  poco  avanti  »  in  que(!o  (lef- 
j  iiìogo  ,  cosìfcrive  :  Pfcòè  a^  tempi  J^ÌS^' 
azzaro  »on  tra  la  lìngua  Tofcanaìn  quella  fi. 
■.Ila  cb^  oggidì  fi  trova  y  ec  )  Non  fi   valfe 
ran  fatto  il  noftrobuon  Chiofatore  della  fe- 
icità  de*  Tuoi  tempi,  avendo  fcritto  in  ma- 
niera ,  che  bene  fi  pare,  non  aver  lui  porta- 
0  rifpetto  alcuno  al  le  regole  del  la  Gramati- 
3 ,   fé  pure  non  fi  vuol  dire  ,  eh'  egli  atten- 
o  all'acquifto  delle  più  fublimi  cognizioni  « 
ibbia  medoin  non  cale  quefiebagatelle  .  Il 
he  ,  quanto  fia  lodevole  %  fel  vedano  i  favj . 
Car.  45*'  E'curiofo  l*oflervare  »  come  il 
Ma'Tarengo  in  propofito  del  favellar  degli 
Ljccelli,  fenza  verun  preparamento,  o  paf- 
I  Taggio  ,  racconta  una  novelletta  di  topi,  quafi 
L:hs  i  topi  fodero  uccelli . 

Car.  454.  Alle^anfi  due  verfi  di  Macro 
Poeta  »  con  fnnchezza  maravigli ofa,  co- 
me fé  fodero  di  queir  antico  Kmilio  Macro> 
che  fcride dell' eibs,  e  de'ferpenti,  con*- 
forme  al  tedimonio  d*  Ovvldio  .    Non  hi 
^o  tempo,  che  il  CliiaiidrmoSig.  Gìq- 
atifia  Morgagni ,  Pubblico  primario  Pro- 
re di  Notomia  in  quedo  noftro  Studio  di 
)a  ,  eìnfieme  eruditidìmoed  elegantif- 
j  Scrittore)  ?  gloria  gravide  non  folo<li 


•    5M,      ALCUNE  ALTRE 
Forlì  lui  patria  »  e  di  qu;fta  Univerfità  ,    rr 
di  tutta  i' Italia»  hadimoftrato  diflTufameri 
te  in  una  fua  lunga  e  dotta  Lettera  l'opra  Se 
reno  Samonko  ,  fcritta  al  Dottor  Giovan  i 
hatijìa  Volpi ,  da  cui  fu  pubblicato  quelT  Ai  i 
torcia  fine  di  Cornelio  Celfo  j  chi  porta  e 
fere  r  Autore  Ai  quel   Poema  trattanteiel 
erbe,  che  va  fotto  nome  di  Macro  ,  (sch 
già  dai  pili  eruditi  non  vien  creduto  àjtr. 
menti  di  queir  Emilio   contemporaneo  i 
Ovvidio  ,  ma  di  Scrittore  fenza   paragon 
meno  antico  . 

Car.  461.  E  trentamila  fcrive  Eftodo  ej 
fere  flati  gli  "Dei  ,  a  quali  fecero  facrifido 
gentili .  )  Ciò  fi  può  confermare  coli*  au^.ori 
tà  di  M'iliìmo  Tirio  ,  Filofofo  Platonico  ,  i 
quale  nel  fine  della  fua  prima  Differtazion 
cos  J  fcrive  :  Sunt  autem  hi  (  Dii  )  plurimi  ,  ÌL  j 
$mnis  fere  generi i  ^  non  tantum  quot  Baotiu 
Pota  effe  vùluit  ,  Nn'  enim  frigi  nt  a  tan 
tam  Deorum  mìlUa  ,  fuprcmi  illtus  fiìii  É 
amici  funt  ,  fed  innumeri  :  par  ti  m  in  ae! 
fiellarum  co^pora^  partim  in  lìbere  Damcnuh 
effentia  , 

C.ir.  463.  Alle  tre  autorità  addotte  da 
Maflarengo  per  far  vedere,  eflTer  convenien 
te  il  dire  che  il  Sole  vede  tutte  le  cofe,puofi 
aggiugnere  quella  di  Maflìmo  Tirio  dopo  1< 
metà  della  fooraccitata  Diilertazione  :  Dì 
vinum  intellcSium  lum  ohtutuSoUs  conferamus'. 
qui  ftmuì  toti^m  terra  fpatium  perlujirat  . 

Car.  169.  Dovevafi  dire  >  che  i  Greci  por 
tavano  la  cicala  in  fegno  della  loro  naturale 
eloquenza  ;  e  non  già ,  edere  ftati  chiamati 
loqu-ìci  ,  perchè  un  tal  fegno  portaffero  . 

Car.  47O. ovvero  dalla  etimologia  di 

f^igih  5  quaftabtfa  giovamento  )  E*  una  rom- 
pa f- 


ANNOTAZIONI.       jij 

ifTione  ,che  V  Autore  non  fi  fia  datodi  pro- 
to a  compilare  un'  Etimologico  intero  fu 
ilo  modello  .  Sarebbe  altra  cofa  ,  che  non 
o  le  Etimologia  odi  Marco  Varrone  ,  o 
.,     iiìdoro»  o  del  Voffioj  odel  Menagioj  o 
el  Ferr.iri . 

Car.  480.  Quedo  concetto  :  Qaapcolfia^ 
oìl  collo  gli  rifcalJava  y  il  Sanazzaro  non  1* 
ggiunfe  del  Tuo,  ma  fembra  che  il  toglief- 
e  odaOvvidio,  oda  Stazio  Papìnio .  Ov- 
'idionel  primo  delle  Trasform.  v.  541.  par- 
ando d*  Apolliireche  feguita  Dafne  >difl*e  : 

..  •-  -_   tergoque  fugaci 

tmmìnet^^  crinem  fpa  rfum  cervlcihuf  afftat, 
trizio  Pjpinio nel  6.  dcllaTeb3ide^  v.6og. 
Jefcrivendo  alcuni  giovani  che  corrono  a  ga^ 
rra  y  cosi  cantò  : 

Effagit  hit  oculoi  rapida  puif  ocyor  awa 

ìdanaliut\  quemiieìnde  graduprgmit  borri* 

dui    Idas  • 

Irtfpiratque    bumero  \    fiatitqut  &    ptSlorìi 
urnb*a 

Terga  premit , 

Gir.  485.  Volendo  il  Maflarengo  far  pom- 
pa di  erudizione  intorno  a\V  Qvhì  amaranta  , 
e  fcrivendo  colla  folita  fretta  ,  incorfe  in  un 
^roffiffimo  errore  .  Dice  esli  così  :  Di  quefia 
^  coronava  Imeneo  ,  come  ji  cava  da  CatuU 
h  (   Carmine    sQ.    )   ''»  quei  verf  : 

Cinge  tempora  fl "ibur 

Jnaudentit    amaraci  (  in    VCCC  di    Suav$ 
9lentif   ) 
:E  non  s'  avvide  I'  uomo  da  bene  della  gran 
differenzi  che  pafTa  tra  l*eibade:cacon  Gr«- 

co  nom  *  Amarflco  ,  e  l'  amaranta  ,  o  ama^artm 
ta  .  Mentre  la  prima  è  un' erba  di  gratiflìiiio 
odore»  da*  Latini  chiamata  fampfufbum  ^  e 
y    6  da- 


?t6  ALCUNEALTftE 
cìagritaliani  major an^ì  ^  cperfa-^  nella  qaif 
finirono  i  poeti  che  per  compalfione  degli  De 
fofl'e  convertito  Amaraco  ,  un  de'  paggi  d 
Cinara  Re  di  Cipro,  per  non  poterfi  gue 
garzone  dar  pace  d'  avere  infranto  un  vaio  d 
alabaftro  ripieno  di  preziofo  e  ioavifiìmo  un 
gaento  ;  e  di  quefta  fi  coron-ava  verament 
Imeneo;  hààovtl  amaranto  èpiuttodoun 
fpiga  di  color  purpureo,  che  fiore  alcuno 
e  non  è  altrimenti  odorofo .  In  molti  luo 
ghi  d'Italia  vien  chiamato /<?''W/«  re?  :  e  ii 
Padova  a' tempi  di  Roberto  Goftantini  dice 
YSlClgflofia  . 

Car.  484.  Quanto  inutilmente  s'affatich 
il  MafiTarengo  per  difendere  ìlSanazzaro  in 
torno  alla  Rifurrezione  de' Morti,  ognuni 
che  ha  fior  di  fenno,  può  facilmente  cono 
fcere  .  Il  Sanazzaro  in  tutta  1'  Arcadia  f 
parlarci  paftori  alla  foggia  de' Gentili;  cl< 
avvertì  beniffimo  anche  il  Maflarengo  me 
defimo,  il  qual  di{r;*a  car.  406.  L"*  »pinhn 
però  non  i  Crìftiana  ^  mi  Etnica  {^  (heìfem 
plici  "Lettoci  non  pigllaffe'ù  «n  granchio  ) 
jempfe  intendiamo  di  parlart  [e: ondo  P  tff 
della  gentilità  ,  eccetto  quando  facciamo  paf- 
ticolar  menzione  d«lla  Cbiefa  finta  ,  E  per 
ciò  doveva  in  quefto  luogo  )  fé  così  gli  era  j 
grado?  replicare  uni  tal  protetta,  o  paflan 
ad  altre  oflicrvazioni ,  fenza  far  motto  fopn 
di  ciò  .  Molto  più  necefiTaria  è  ftata  la  fpiega 
2Ìone  che  fece  d' un  paffo delle  Api  di  Gio- 
vanni Rucellai  il  dottiamo  Signor  Canoni- 
co Giovanni  Checozzi,  ornamento  fingola 
rìflìmodi  Vicenza  fua  illu^lre  patria  ,  libe 
rando  dalla  taccia  di  mifcredente  il  celebra 
GiovangiorgioTriflìno  fuo  concittadino  ;  ( 
leggcfi  la  fua  difefa  in  una  eruditiflìma  'et 

tera 


ANNOTAZIONF.  J17 
ira  ci)* egli  fcrilTe  Panno  1718.  al  Dottor 
iovann'antonio  Volpi  >  a  carte  302.  del- 
Coltivazìone  dell*  Alamanni  ftanìpata  da 
iufeppe  Cornino  colla  noftra'  adìftenza  • 
Car.  4S6.  A  i  due  verfi  del  Taflo  addotti 
jUVIaffarcnsio  : 

Dtjfe  ;  e  ehi  lor  dia  loco  ,  ^11^  acqua  imp  fé  : 
Ed  ella  tofto  fi  ritira  ,  »'  cede  ; 

può  aggiugnere  ,  che  il  Taflo  imitò  in 
aedo  luogo  quel  verfo  d'Ovvidio  nella  6. 
legU  del  ^  Irbrodegli  Amori,  dove  Eni- 
?o  fiume  di  Tedaglia  ,  innamorato  della 
?liiffim3  Tiro  ,  figliuola  di  Salmoneo,  per 
3terla  fenza  verun  impedimento  abbr^- 
ire  > 

Cedere  jujjit  aquam  :  jujfa  reeeffft  a  qua  , 
!  qual  verfo  dà  una  gran  lode  il  vecchio  Sca- 
gero  al  cap.  7. del  6.  libro  della  fui  Poetica. 
Car.  488»  Raccontando  il  MafìTarengo  la 
.">ria  di  quella  gallina  di  maravigliofa  bian- 
lezza  j  che  portando  in  bocca  un  ramo  dì 
luro  colle  Tue  coccole  >  fu  lafciata  cadere 
lefa  dd  un' aquila  in  grembo  a  Livia  Drufìl- 

>  la  quale  divenuta  poi  mogliediOttavia- 
D  Cefare  ,  chiamofli  Augufia  ;  commette 
je  errori.  In  .primo  luogo  dice,  che  Li- 
ia  fi  fpaventò  di  tale  avvenimento  ;  e  Pli- 
io  nello  ftefTo  luogo  citato  dal  noftro  Spofi- 
ore»  dice  il  contrario  :  intrepideque  miran- 
te' Appreflo  afferma  ,  che  il  luogo  dove 
ivia  per  comando  degli  Arufpici  fece  con- 
;rvare  ,  e  fecondare  Ja  gallina  fuddetta  , 
alla  qual  poi  tante  ne  vennero  ,  fi  chiamaf- 
•  U  Ì3allirta\  e  pure  tantoSjetonio  in  prin- 
ipio  della  Vita  di  Galba  ,  quanto  Plinio  al 
bro  fopraccennato,  attediano  cheeradet- 
3  :  Ad  Calli naf  ,  Da  quefto  )  e  da  molti 

altr 


5i8       ALCUNE    ALTRE 

«Uri  sbagli  fi  conofce  chiaro  ,  cheli  Mail 
rengo  troppo  afllcuravafi  della  Tua  mem 
ria  ,  allegando  gli  autori  fenza  rilegger 
libri,  e  trattando  così  col  pubblico  in  tro 
to  confidente  miniera- 

Car.  499.  Per  non  trattenere  gli  Stamp 
tori  ,  che  fatto  la  ptfnna  mi  vengono  fiampa 
do.  Ubbidì  il  MalTarengo al  precetto  dat 
da  Gioachimo  Porzio  nella  Tua  Enciclop 
dia  al  trattato  d.'  Ratione  Studicrum  ,  ca 
^a  ratione  vi  tare  pojfis  infcribendo  tadiur. 
ove  fi  legge  :  Die  (balcograpbìs  ,  parent  fé  1 
librum  ti  dare  velie  excudendum  ,  eTiamfi 
piginam  quidam  paraverir  .  Tum  facile  tot 
volumi  ni  i  fpeciem  animo  conci  per  e  ,  inde  fi 
gulaf  parteif  lev'iter  in  Com<tdiarmn  ar^ 
menti  modum  defcrihere  ,  den'tque  qmtidii 
quantum  illif  fatit  erit  ,  abfolvefe  poteri. 
Quum  fic  inceperir  altquid  ,  perficerg  debili 
V  Hs  ,  noli!  .  Id  ego  in  «m  ni  bus  pene  lìb 
feti  i  ac  etiam  in  iflo  ,  Sed  qua  ratione  ^  t 
fra  dicam  ,  Facilhme  fcribo  pedetentim  ^  / 
quotidie  typcgrapbut  fuat  ex'tgit  cbartas  .  3' 
ìim  fu  quinquaginta  edere  libro!  ^  quam'^ai 
ne  alia  unum  .  Yc^'i  \\  riminente  di  que 
capo  ,  e  tutto  il  capo  feguente  di  quel  libr 
elTendo  molto  curiofi  . 

Car.  501.   Annotazioni  ,  nate  da  giovai, 
cbe  per  P  acerba    età  non    può    avere  mati 
ingegno  ,  né  canuta  efp^rienia  ,    e  nutrite   , 
villa  tra  rufiifbe  ,    9  bofcberecce    Campagna 

ec.  Cheli  MalTarengo  folTe  molto  giova 
quando  fcrìfTe  quefte  Annotazioni  ,  acce 
nafi  ancora  a  carte  428.  con  quelle  parol 
Per  ejfer  lecito  a^  veccb)  lodarfi  ,  per  inat 
fìfire  col  loro  efempio  noi  altri  giovanetti  ^  ( 
inefperti  jiamo .  Djvrà  dutque  fu  tal  ri  file 

cf- 


ANNOTAZIONI.  5^9 
'ffer  molto  lodato  il  MafTarengo,  nonché 
1  alcuni  fuoi  sbagli  compatito.  L'averle 
oi  egli  compofte  in  villa  ,  dove  per  lo  più 
on  fono  pronti  i  libri  da  confultare ,  avrà 
agiopatolemoltifllmce  quafi  continue  fal- 
j  e  ftorpiate  citazioni  degli  Autori ,  e  prin- 
ipalmente  de'  Poeti  ;  dal  che  pcròconghiet- 
jrafi,  non  avere  il  Maflarengo  avuto  gran 
ttto  cognizione  della  quantità  de'  verfi  • 
laravigliofo  certamente  nel  citare  a  me- 
loriacon  efcittezzà  gran  quantità  di  Autori 
'ogni  forta  fi  è  dimcftrato  Girolamo  Maggi 
'  Angiari  ne*  Tuoi  eruditilììmi  libri  delle 
)ampane>e  delTEquuleo,  comporti  da  eflo  in 
rigione>  mentre  era  fchiavode'Turchi . 

yiltri  avvertimenti . 
"^^Itando  il  MaiTarengo  Tpelle  volte  in  que- 
»^  (le  fue  Annotazioni  Achille  Tazio 
.utoredcgli  Amori  di  Leucippe,  ediCli- 
ifonte ,  il  battezza  Tempre  per  Achille  Sta- 
io .  Veramente  il  Chiariflìmo  j  anzi  il  mi- 
acolo d'erudizione  de' tempi  noftri ,  Gio- 
anni  A  Iberto  Fabricio  ,  nel  3.  lib.  della  fua 
fan  Biblioteca  Greca»  a  car.  i05.not9  lo 
eiTo  sbaglio  in  alcuni  efemplari  di  Suida  co- 
ì:  In  quibttfJ,jm  Codi  ci  bus  S  ut  Ja  Statìixs  a  p. 
fi/atar  ,  pcflrema  litUra  nominis  A'^tKKivi 
irperam  repttita  :  così  ancora  vien  nomina- 
)  da  Giofia  Simlero  nel  fuo  Compendio  del- 
i  Biblioteca  Gefneriana  ,  e  da  altri.  Con- 
rario  a  quefto  fi  è  l'errore  di  coloro  che 
dendo  citare  Achille  Stazio,  infigne  lette- 
ito  del  Secolo  XVI.  penfano  che  debba  fcri- 
erfi  Achille  Taiioy  confondendo  COSÌ  un'an- 
ico  Greco  Scrittore  con  un  moderno  Portu- 
hefe ,  quale  fu  Io  Stazio  ;  di  cui  abbiamo  gli 
ludici  Cora^ntarj  fopra  il  libro  di  Cicerone 


510     ALCUNE  ALTRE  ANNOT. 
é*  F-j/tfjfopra  CatuUo,e  Tibullo,e  fopra  TA 
te  Poetica  di  Orazio  ,  e  altre  ciotte  fatiche  i 
C  confervano  alcuni  fuoi  Scritti  in  Ron  , 
ne'la  Libreria  di  S.  Maria  in  Vallicella  >al  j 
qu  de  laCciò  in  tedamento  tutti  i  Tuoi  libri 

Volendo  il  MaiTirengo  citare  la  Gerui 
lemme  del  Taflb,  femprc  cita  la  Conqulftati 
e  non  la  Liberata  .  Varie  poftono  edere 
ciò  le  cagioni  ;  cioè  o  perchè  una  tal  Riforr 
era  ftata  pubblicata  pochi  iTimo  tempo  a  vai 
che  il  MafìTarengo  fcrivede  le  Tue  annotazi 
ni  fopra  V  Arcadia ,  e  perciò  pare  che  ave 
fé  la  grazia  della  novità  :  o  perchè  i  eflen 
forfè  amico  del  Taffo  j  gli  premeffe  con 
frequenti  citazioni  far  acquiftare  quel  crec 
to  a  quefto  nuovo  Poema  »  che  prello  de'  p 
intelligenti  non  potè  mai  ottenere  :  o  fin; 
mente  per  far  cofa  grata  ad  uno  ftampatc 
di  Pavia,  che  ne  aveainquel  tempo  fati 
una  edizione  in  quarto,  laquale  forfeav  i 
incontrato  pochi  compratori  :    oppure  e 
realmente  il  M affare .igo ,  come  giovane  , 
perciò  non  ancora  di  m  ituro  giudicio,  giuc 
ch^Q  quefto  pili  eccellente  del  primo  Poem  : 
Comunque  ciò  fia  ,  è  cofa  inflilIiWle  ch« 
primo  andò  acquiftando fempre  miglior  ce 
cetto  e  ftima  ;  di  modo  che  fi  trovò  Pac 
Beni ,  che  non  dubitò  dì  metterlo  a  confrc 
to  coli' Iliade  ,  e  coli' Eneide,  edidifpu 
rea  chi  di  loro  fo  (Te  dovuto  il  priniato  de 
Epica  ,  e  per  eflo  ftabilirlo  ,  come  fi  ricor 
fce  dalla  fua  Opera  intitolata  t  CcMparaiù 
d'*  Ornerò^  l/trgilio^  e  Torquato  Tnffo  ,  ii 
prefìTa  in   Padova  fanno  1607.  in  4.  All' 
contro  il  fecondo  V  andò  femore  ^\h  perde 
do.  Vedi  il  Crercimbeni  nf.llaScoria  de 
Volg.Poefia,  e'I  Menagio  nelle  Mefcolanz  J 

i/M  di  tutta  k  AmftfiTri^nìs 


TAVOLA     ^'' 
DELLE  RIME  SDRUCCIOLE 

USATE 

ID  AL    SA  NA2ZARO 

NELU   ARCADIA. 

Abbia.        Egl.  X. 
,44.Ma  curar  greggi  dalla  infetta  fcabbJa  > 
.6.  Il  qua!  un  di  per  istogar  la  rabbia , 
^8.  lofifcelle  teìTendoj  egli  ur-i  gabbia» 

Abile.         Egl    V  I. 
o.Orconofcoben  io,che'l  mondo  in-ftabi le 
z.Talcheogni  volta>o  dolce  amico aifabilcj 
4. Di  piaga  avvelenata  ,  ed  incurabile  . 

Egl.  XII. 
17  Quella  rampogna  fua  dolce  ed  amabile  ; 
^9.Non  gian  caun  fuon  tridoi  e  miferabilc, 
jr.Che  pur  parve  ad  udircofa  mirabile  . 

Abili.         Egl.  X. 
55. Le  felve  ufate  >  e  le  fontane  amabilr^ 
57  Erran  per  alpe  incolte  ,  inabitabili , 
Sp.Da  genti  ftrane,  in^ique  ,  ineforabili . 

A   E  u   L  A.         EgL  Xtl. 
ti.Ch*  oggi  farà  fornita  la  mìa  fabula  ; 
i4Nè  vedrò  mai  perbofchi  fafTj,©  tabula  . 
16  Quiluque  altro  paftor  vi  pafce»o  ftabula» 

A   e  e  A  R  I  .         Egl.  IX. 
*. Selvaggio  andar  per  la  (ampogna  >  e  i 

naccari . 
ic.Ma  con  Uranio  a  te  non  valfer  baccari  > 
j  i.Furafti  il  capro,  ei  ti  conobbe  ai  zaccari. 
Egl.   X. 
5. Dell'alme  Mufc>e  più  no  pregia  naccar>, 

7.  E 


'522        TAVOLA    DELLE 
7. E  si  del  fingo  ognun  s'afconde  i  zacca 
9.E  par  che  odore  più  che  abrofiaje  bacc 
Accia.         EgL  X. 
144  Che'l  modo  intorno  intorno  fi  disficci 
145. E  prenda  un'altra  facciapiù  lef^giadr 
A  e  e  I  A  N  o .  Egl'  I. 

8. E  vannogli  da  tergo,  e'I  vitto  fcicciar 

10  E  fai  ben  tu,che  i  Jupi(acor  che  taccia 
1 2. Però  che  i  Jor  piftor  no  vi  s'impaccia 

EgL    VIIL 
77'Nè  per  foco  ardon  ,  né  per  gìelo 

ghiacciano  ; 
79.Cercan  fuggire  Amore  ,  e  pur  Io 

bracciano  ; 
Si.Che  chi.ima  iibertade,e  piti  s*allaccia  i 
A  e  e  I  A  T  I.         EgL  XII. 
251. E  dir:  Col  bel  fepolcro,  o  lauro, 

bracciati  , 
253.11  Cielo  ,0  piva  mia  non  vuol  eh 

tacciati. 
253  .Dal  fondo  òqì  mio  cor  mai  no  difcacci  ; 

Acculo.        Egl.  Vi. 
1 37-Qu-fti  compagai  del  rapace  gracculo 
i^p.Purcb' abbian  le  man  piene  all'ali 
facculo . 
A  e  E  R  A  .         EgL  VL 

1 1  .Tal  piage  del  mio  mal»che  poi  mi  ìac 
1  ^.L'invidiajfigliuol  miojfe  ftefla  micei 
15. Che  non  gli  giova obra di  pino,od'ac 

Acero.        EgL  L 
50.  Che  di  federmi  ^olo  a  pie  d'un'acero 
52. Che  pélàdo  a  colei  che'I  cor  m'ha  la(  i 
54  Né  fento  il  duol  ,  ond'  io  mi  ftru  ) 
e  macero . 
A  e  H  E  s  I  .        EgL  XIL 
194.  A  Filli  mia,  gridavamo  Cloto,o  Lacht 
i96.Mora  gli  armcnti>s  per  le  feive  vach 

198.  Pc 


RIME   SDRUCCIOLE.        51? 
^S.Poicheèpur  ver,  che '1  fiero  Ciel  non 
plachefi . 

A  e  I  T  o  .        Egl.  I. 
I. Ergalo  mio,  perchè  folingo  ,  e  tacito 
^.Le  pecorelle  andare  a  lorben  placito. 

A  e  o  L  o.         Egl.  Xll. 
32. E  depon  qui  la  pera.il  mantoje'i  bacolo; 
34'Quinci  fi  vede  ben  (enz'*  altro  odacelo  . 
36.QUÌ  Diana  ti  lafcia  l'arco  ,  e  '1  jacolo  • 

A  G  R  I  M  E  .  Egl.  XII.  (me: 
61. Poi  che  Filli  t'ha  porto  in  doglia»  e  lacri- 
64.Duaque,amici  paftorjciafcun  confacrinie 
66.E  chi  altro  non  può  >  mecocoliacrime* 

A  D  I  A.        Egl.  X. 
58. Certa  l'arte  Febea  con  la  Palladia  » 
40. Ma  a  guifa  d'un  bel  fol  fra  tutti  radia 
42. Non  troverebbe  il  pari  in  tutta  Arcadia» 

A  G  I  M  E.         Egl.  XII. 
52  Ove  più  rutta  al  ciel  la  gran  voragine  , 
54. Veder  mi  par  la  mia  celefte  immagine 
56.Tener  l 'orecchie  intére  alle  mie  pagine» 

Alami.         Egl.  XII. 
^o. Filli ,  Filli ,  gridando  tutti  i  calami, 
52. Or  non  fi  moff'e  da'  fuperni  talami 
54. Tanta  pietà  il  tuo  dir  nel  petto  efalami. 

Alidi.         Egl.  VI. 
44.Ufcir  vivo  da'  cani  irati ,  e  calidi  ; 
46.E1  be,e  pietre  moftrofe,  e  fughi  palidi, 
48. Magici  verfi  aftai  polTenti  ,  e  validi . 
A  L  L  I   D  A.  Egl.  Vili. 

lOve  si  fol  con  fronte  efangue ,  e  pallida 
3  Co  chiome  irrute^e  co  la  barba  f  luallida? 
A    L  T  A  N  o.         Egl.   VIII. 
140. Che  per  tema  de'lupi,che  le  aflaltano, 
i42.\edi  le  valli ,  e  i  campi  che  fi  fmaltano 
;44.  Intorno  ai  fonti  i  paftor  lieti  falcano . 

A  L- 


:5M        TÀVOLA    DELLE 
A  L  V  A  N  o  .        EgK  XIL 
227. Poi  mi  (i  moftra,o  Filli,  fopra  un'alva 
lig  E  à'iCQ'.E  eco  che  i  tnont'  giù  fi  incalvano 
2^  I  .Qu:\l'' ombre y  0  qua'*Jifefe  omii  v*  fahanc 

Alzati.         E^,I.  XU. 

19.1 1  fu  quel  pinife  vuoi  vederla^  or  alzai 

31  Ma  per  miglior  fall rvi, prima  fcaizati , 

3}. E  con  uà  (alto  poi  ti  apprendi, e  sbalza 

Amano.         EgU  VI. 

122. Gii  è  primo  Tonno,  e  tutti  Cacco  il  chi 

mano ,  (ma 

1 24.0h  oh,  quel  Cacco.  o  quanti  Cacchi  br 

126. Che  per  un  falfo  mille  buon  s*  infamar 

Amavi.  Egl.  Vili. 
pi.Vcnite  a  quel  che  ad  alta  voce  chiam  r 
94  Corretelo  fiere,a  quel  che  tanto  brama' 
96  Di  quel  che  con  fua  morte  tutti  infami 
A  M  o  L  A  .  Egl.  L  (mo 
92. Che  notte  e  giorno  al  mio  foccorfo  chi 
P4  Bcjn  fanno  quefti  bofchi  quant'  io  amol 
96.Ch*ogn'or  piagédoe  fofpirandobramo 

A    M    P  A    N    E  .  Egl.  X. 

56. Per  non  trovar  pàftura;e  delle  pampan 
5S  LafìTo  ,  ch'appena  di  milP  una  campan 
6o.Che'l  cor  per  doglia  fofpirado  awapar 

A   M  P  I   N  o .         Egl.  XII- 
i76.Eqmlearbuftofenza  vite,  o  pampino, 
178. Dunque elTer  può,  che  dentro  un  cor 

ftampino 
i3o  E  del  h'co  già  fpeato  i  fenfi  avv3mpia{ 

Ancia.        Egl.  X 
155.EC0I  tridente  urtarli  in  fu  laguincia 
156  Li  donna,  e  la  bilancia  è  gita  al  cielo  . 

Ansine.        Egl.  XIL 
zSt.Ovq  tu  pafca,e  mai  p^er  vento,o  grandi 
289  Qui  fovra  l'erba  frefca  il  manto  fp^dir 
«9i.FurfeipetricheMCiel  la  grazia  madin 

An- 


RIME  SDRUCCIOLE.        52^ 

A    N    D    O    L    A  .  Egl     XII. 

i.Con  la  fua  Filli, e  (ìarfi  in  pace  amandola; 
3  Solca  fpeflTo  per  qui  venir  chiamandola  : 
5. Con  incenfi  fi  (la  Tempre  adorandola  . 

A   N  D  o  s  I .         Egl.  Vi. 
4.Givan  di  prato  in  prato  rammentandoli 
"6  Non  era  gè  lolla  ,  ma  follazzandolì 
{.E*n  guifa  di  colombi  ognor  baciandofi  • 

A   N  G   A   N  E.  Egl.  XII. 

yCh' io  non  vi  feriva  F/7//,  acciocché 
piangane  (gane, 

^E  feawerràjch'alcun  che  zappe,  o  man- 
;).DoIente)eftupefatcoal  tìn  rimangane  . 

A    N    G    A   S    I  .  Egl.    VI. 

j.Così'l  veggia  cader  d'un  oImo,e  fragafi, 
i..Tu  fai  la  via  che  per  le  piogge  affangafi: 
..Quel,che  tal  viva,  che  lui  dello  piangafi. 

A   N  G   E  R   E.         Egl.  VI. 
».Di  male  in  peggio;e  delti  pur  copiagere 
.Quand'io  appena  incominciava  a  tagere 
».Con  Paiinel  portando  il  grano  a  frangere. 

Egl.  Vili. 
.Che  non  $' acquila  libertà  per  piangere: 
.E  poi  comincerai  col  raftro  a  frangere 
.Che  le  crefcenti  biade  fuol  tant'  angere. 

Egl.  XII. 
.Per  poter  a  mia  porta  in  quella  piangere; 
.Mille  ne  fon  che  qui  vedere  ,  e  tangere 
.Ma  deliro  n^l  toccar,guarda  noi  fiagere» 

A  N  G  u  L  o  .         Egl.  Xll. 
Verran  pallori  a  venerar  queft'angulo; 
.E  leggcran  nel  bel  fallo  quadrangulo 
..Per  cui  tanto  dolor  nel  petto  ftrangulo . 

A  N  I  A.         Egl.  IX. 
•Quella  tua  greggia,  ch*è  cotanto  Urania» 
.Dimmi ,  bifolco  antico ,  e  quale  infania, 
■  Ponendo  fra'  paftor  tanta  zizzania  ? 

A  N  i* 


526        TAVOLA   DELLE 

Ante.         Egl.  VL 

77. L'umana  vita  ;  e  non  eran  zizzanie» 

79.Non  fi  vedean  quefte  rabbiofe  infanie 

Xi.Percheconvienche'l  modo  or  fi  dilan 

Anima.         Egl.  VI.      (n 

1 1 6.Che  s'io  moftrafli  quel  c'ho  dentro  Tar 

ii8. Tacer  vorrei, ma  il  gran  dolor  m'inanii 

iio.Oimè,ch'a  nominarlo  il  cor  fi  efanim: 

Annosi.        Egl.  L 
ii.Fan  Jegran  prede»  e  i  can  dormen 

ftannofi  » 
ig.Già  per  li  bofcbì  i^aghi  uccelli  £mn 
i5.Le  nevi,  che  pel  fol  tutte  disfannofi  . 

Egl.  VIH. 
20. E  i  Satiri ,  e  i  Silvani  defterannofì 
22.E  poi  per  mano  in  giro  prenderanncfi 
24.E  mille  canzonette  ivi  udirannofi  . 
A  N  T  I  e  I  .         Egl.  XU. 
256. Per  veder  Melifeo,  poiché  i  Tuoi  cant 
238.Ben  fai  tu,faggio,che  coi  rami  amanti 
240. Ti  parve  di  fentir  foifioni,  o  mantici . 

A   N  T   I    NO.  Egl.  XII. 

275. Udendo  Melifeo  per  modo  il  cantino  ; 
277. E  che  i  paftordi  Mincio  poi  gli  pianti 
279. Ancorché  del  granTjtiro  fi  vantino 

A  p  o  L  I.         Egl.  XIL 
1 1 3. E  cangiar  raftri,  ftive,  aratri,  e  capoli 
1 1 5. Dunque  >  mifer  ,  perché  non  rompi 

fcapoli 
117. Poi  che  Napoli  tua  non  è  pili  Napoli  ? 

A  p  p  o  L  A.      Egl.  vin. 

iig.La  dura  terra  ,  e  fterperaì  la  lappola 
150. Io  con  la  rete  uccello  ,  e  con  la  trappc 
131.  Alla  m.il  nata  volpe,  e  fpetToincappol 

A  R  e  E  R  E  .         Egl.  XIL 
191.  Non  vide  mover  mai  lo  avaro  carcen 
^9^0  Atropo  crudel  >  poterti  parcere 

195'  Deli 


RTME  SDRUCCIOLE.        527 
Deh  confcrntlte  ornai  ch'io  mi  difcarcere» 

Ari   co.         Egl.  Vf. 
.Quantunque  5  Opico  mio  ,  fii  vecchio» 

e  carico 
.Deh  piangi  or  meco,  e  prendi  il  mio 

rammarico.  Egl.  Vili. 

.Clonico  miojfentendo  il  tuo  rammarico, 
.E  s*  io  le  leggi  al  tuoSignor  prevarico, 
.Che  vivrai  lieto,  e  di  tal  pefo  fcarico. 

Ario.         Egl.  Vili. 
.In  vitaje'n  morte  in  un  voler  non  vario. 
.Sovra  un  grand'olmoierfera  ,  e  folìtario 
.Ed  a  me  folo  é  il  Cicl  tanto  contrario  . 

A  R  N  o  s  I  .         Egl.  Vili. 
.Due  tortorelle  vidi  il  nido  farnofi  : 
.Quand*io  le  vidi  oimé  sì  amiche  ftarnofi, 
.Ch'appena  in  terra  i  pie  potean  fer- 

marnofi  . 
A  R  o  N  o  .         Egl.  X.  (no 

.Pdftor  mal  ter  poi  chiaro,e  mei  moftraro- 
.Indi  incantar  la  luna  m' infegnarono  , 
.  Alfcfibeo,  e  Meri  fi  vantarono  . 

}      A  R  o  s  I.      Egl.  xri. 

.Lafciar  quei  Tanti  pie ,  quando  fermaroiì 
r.E  forfè  i  fior  che  lieti  allor  moftrarofi , 
'.Dell'  alta  vifion  eh'  ivi  fognarofi . 

A  s  e  A  N  o.         Egl.  I. 
[A  dolci  nidi ,  e  d'  alti  monti  cafcano 
'.E  par  che  i  fiori  per  le  valli  nafcano  , 
f.Eipuri  agnelli  per  l'erbette  pafcano  . 

A  s  e  E  R  E  .         Egl.  VI. 
Menar  le  pecorelle  in  felva  a  pafcere  ; 
{.Non  fi-^jotea  l'un'uo  ver  l'altro  irafcere: 
;.E  Copia  i  frutti  fuoi  fempre  feanafcerc* 

Egl.  IX. 
!. Dimmi, caprar  novello,e  non  t'irafcere , 
ii»Chi  te  la  di^  sì  follemente  a  pafcere.?    • 


5-i«        TAVOLA   DELLE 
Egl.  XII. 
203.1ngrato  foI)pcr  cui  ti  affretti  a  nafcei 
205.Ritorni  tu  y  perch'  io  ritorne  a  pafce 
207.0  perchè  piiì  ver  te  mi  pofl'a  irafcere 
Ascino.         Egl,  IL 
49.  Né  perdoncapra  perchè  fuor  la  lafclr 
51.  A'  loro  agnelli  già  non  noce  il  fafcin 
53.EÌ  aoftricol  fiatar  parche  s'ambafcii 

Egl.  VL 
14.E  fi  dilegua  come  agnel  per  fafcino  ; 
16.11  pur  dirò,  cosigli  Dii  mi  lafcino 
18.  Prima  che  i  mie  ti  cor  le  biade  affafcin 

Ascoli.         Egl.  I  X. 
25.  Ecco  una  pelle  ,  e  due  cerbiatti  mafc 
25.  Pon  pur  la  lira  j  ed  io  porrò  duo  vafc 
27«Chequefti  armenti  a  mia  matrigna  ] 
fcoli . 
A  s  I  M  o.         Egl.  Vili. 
^6. Vinti  di  doglia  fi  daranno  ii  biafimo , 
iS.Laflb  che*n  ciò  penfado  ogn'ora  fpafin 
^O.Mtrci  del  del ,  dalgran  ptriglio  evafw. 

A   S  P  £  R  o  .  Egl.  XII. 

5.  A  Meiifeo  venir  fato  tant'afpero  ? 
7.Queirè  fol  Ja  cagione  ond*Jo  mi  efafi 
9. E  via  piiì  dentri  al  cor  m' induro  ; 
inafpero  ; 
A  -s  P  I  D  E  .         Egl.  XII. 
a 67. Avrei  poter  di  farpi^tofoun'afpide  : 
169. Ne  grifo  ebbe  giammai  terra  Ari fmapi 
171. Non  defiaile  un  cor  di  dura  jafpide . 
A  s  s  A  N  o.         Egl- 1. 
z.Penfar  ti  veggio?oimè,che  mal  fi  laff'a 
4. Vedi  quelle  che*]  rio  varcando  paffan 
^.Come  in  un  tempo  per  urtar  s'abbafiTat 
A  s  s  1  M  I .         Egl.  XII. 
»i. Filli,  nel  tuo  morir,  morendo  Jaflìm 
ji^.Quefta  pianta  vorrei  che  tu  mofiraffnr 

roi- 


RIME   SDRUCCIOLE.        sig 
5  Forfè  a  dir  le  mie  pene  oggi  incitailìmi. 

A  s  s  I  N  o.         Egl.  X. 
ify.Così  prefe a  cantar  fotto  un  bei  fraflìno  » 
if9.Provveda  ilCiel,  chequi  ver  noi  non 

paflìno 
5:i.Fra  quefti  armenti  refpirar  mi  laiTìno . 

A  s  T  I  e  o  .        Egl.  VITI. 
.9.E  che  ti  fan  di  e  notte  andar  fìntadico  ; 
I. E  pria  eh*  io  parlo  >  le  parole  maftico. 

Astino.        Egl.  XII. 
.>9.Che  del  bel  colle ,  e  del  forgente  palino 
Ji.Ma  prega  tu  che  i  renti  non  tei  guadino  i 
.jg.Pur  che  a  falir  fin  fu  l*  ore  ne  badino  . 

A  T  A  N  o  .         Egl.  Vili.       (nO| 
55. Ch'io  fui  per  appiccarmi  fovra  un  plata- 
.57.  A  quanti  crror  gli  amanti  orbi  non  gua- 
tano! 
59. Tanto  a  ciafcun  le  fue  fciocchezze  ag- 

gratano. 

A  T  E  s  I  .         Egl.  XII. 
7i.E  perchè  la  lor  fama  più  dilatefi  » 
74.Tal  che  faròche'l  gran  Tefino,ed  Atefi  9 
76Che  Filli  il  fenta^ed  a  fé  ftefla  aggratefi  - 

A  T  I  e  o.         Egl.  IX. 
44«G  uarda  le  capre  d' un  paftor  erratico . 
46.Corbo malvagio,  urfacchioafpro,  efai- 

vatico9 
48.Che  trafportar  fi  fa  dal  cor  fanatico . 

A    TORÀ.  Egl.  X.  ^ 

50. Malvagie  lingue  ,  e  le  benigne  fatora 
51. leene,  vaccarelle,  in  quelle  pratora; 
j5H«Ciafcuna  a  cafa  ne  ritorne  fatora . 

A   T  R   I   A  .  Egl.  X. 

90.  E  tienlo  a  forza  nell'  ingrata  patria  , 
^i.Verrcbbca  noi  ,  lanciando  1* idolatria» 
94.Fuor  già  d' ogni  natia  carità  patria . 

Toff.  U  Z  Ava- 


5^0       TAVOLA   DELLE 

A  V  A  M  I  .         Egl.  VI- 
59. Da  terra  i  primi  rami^ed  addeftravami 
61.11  vecchio  padre  miojcbe  tato  amavami 
•i.  Con  amiche  parole  a  fc  chiamavami  ; 

A  V  A  M  o  .        Egl.  VL 
45  .Ivi  s'afcole  quando  a  cafa  andavamo 
25  .Neffun  vi  riguardò  ,  perchè  cantavamo 
a 7. Al  noftroalbcrgo,quadoal  focoftavam( 

A  V  A  N  o  .         Egl.  VL 
68.1  tépì  antichi  ,  quando  i  buoi  parlavnnc 
70.Allora  i  fommi  Dii  non  fi  fdegnavano 
72.E5Com'or  noi  faccmo  9  efli  cantavano . 
Egl.  X. 
1  ?4'Che  fé  col  tempojC  col  poder  s'aggravane 
I  S6.C0SÌ  cantava  >  e  i  bofchi  rintonavano 
i8?.In  Parnafo  5  o  in  Euroca  s*afcoltavano. 

A  V  A  s  I.        Egl.  VL 
53. E  di  ferpente  in  tigre  trasformavafi  > 
Sj.Or  vedi,Opico  mio,feM  mondo  aggrava 
57«Penfando  al  tempo  buon  )  che  ognord( 
pravafi . 

Egl.  XIL 
icj.E'l  Tebro  al  nome  tuo  lieto  inchinava^ 
icp.Morta  è  colei  ch'ai  tuob?l  fonte  ornava! 
III. Onde  tua  fama  al  ciel  volando  alzavafi  . 

Avide.        Egl.  VIIL 
ig7.L*amorore  (peranze,  ardite,  ed  avide  » 
I  g9.0r  Ipcnfa  alquanto  alle  tue  capre  gravid 
Mi.Fuggon  da'  cani  più  che  cervi  pavide  . 

A  z  I  A.        Egl.  VIIL   ^ 
iifi.Ed  odia  quel  crude!  che  sì  ti  ftrazia , 
118. Allora  il  noftro  Pan  colmo  di  grazia  5 
i2c.Tal  che  la  mente  tua  ne  fia  ben  fazia  • 

Azio.        Egl    I. 
^o.Che  di  ferir  non  è  mai  ftanco  ,  o  fazìo 
22. Progne  ritorna  a  noi  per  tanto  fpazio 
24*A  lamentàrfi  dell*  antico  fttazio . 

Ei- 


PJME   SDRUCCIOLE.        5?t 
E  B  B  E  s  I.         Egl     XII. 
\^.Ahf9*berg  a  tal  duelo  il  mal d^vribbef  ^ 
•ó.Latortorellach'  al  tuo  grembo  crebbed, 
.8. Secco;  eh'  in  verde  già  non  pofercbbefi. 

E  e  o  L  I  .        Egl.  XII. 
o.E  preponea  il  tuo  fondo  a  tutti  i  fpecoli: 
2. Or  vedrai  ben  pafTar  (lagioni ,  e  fecoli  ; 
4. Pria  eh-!  mai  sì  bel  volto  in  te  fi  rpccoli  • 

E  e  o  L  o  .         Egl.   X. 
5  .E  gli  ombrati  coftumi  al  gu  ido  fecolo  > 
Ed  è  fol  di  virtù  si  chiuro  fpccolo, 
7. Degno  aflai  più  ch'io  col  mio  dir  non 
recolo  . 
E  e  o  R  E.        Egl.    XII, 
)5.Una  agna  dare  a  te  delle  mie  pecore, 
)7.Non  cofcntirjo  Cicl  ch'io  mora  indecoref 
)9.Par  che  mi  fpolpe,  rnerve,e  mi  disjecore. 

E  D   A    N   O.         Efil.     IL 

72.0 che  fian  erbe,  0  inca  -tiche  poffedano; 
;4.  Ai  greggi  di  coftor  lupi  non  predanoi 
jfi.Ch'a  noftre  miadre  per  uran.-!a  ledano? 

Edere.      Egl.    IX. 
i.Che  mila  lingua  non  t'avelTe  a  ledere  : 
^.Anzigiicl  vinfi  >  ed  ei  noi  volea  cedere 
5.D'Erg''(lr),che  mi  ornò  di  mirti>ed  edere: 

Edio.       Egl.    Vili. 
.6.Clonico  dolce;  e  non  ti  vinca  il  tedio; 
48  Caccia  i  penfieri ,  che  t'han  gà  pofto 

afTed'o  9 
o.Che  al  mondo  mal  non  e  fenza  rimedio  • 

E  D  o  N  o  .       Egl.    I. 
:i. Filomena»  né  Prog  ie  vi  fi  vedono: 
;4.PrimiV(.rai  e  Tuoi  dì  Der  me  non  ricdonaj 
:6.Ma  folo  pruni,e(lecchi,che  'I  cor  ledono» 

E  G  G   I   A  N  o  .       Egl.    I. 
i6  Dc'paftor  che  contado  all'ombra  feggiano  j. 
4. Or  poi  cheo  nulli,  o  pochi  ti  pareggiano 
Zi  30.  Deh 


Sii       TAVOLA   DELLE 

3o.Deh  canta  ornai  i  che  par  che  i  temp 
chieggiano. 
E  G  N  I   N  o  .       Egl.    X. 
II. Dal  fcfio,e  co  vedetta  ai  buoni  infegnit 
13. E  s'  una  volta  avvien  che  fi  difdegninc 
15. Che  di  tornar  al  ben  pur  non  s'ingegni 
E  L  E  B  R  E  .    ^^Egl.    XIL 
254.  Anzi  perchè  ognor  più  ti  onori, e  celel 
256. Onde  con  quefto  nrjiodir  non  incelebre 
258X3  fepoltura  tua  famofa  ,  e  celebre. 
Elia.       Egl.    IX. 
50. Fuggito  é  dal  roraore  Apollo,  e  Deli  i 
52, Oggi  qui  non  fi  canta  5  anzi  fi  prelfa  ; 
54.Cominci.i  ,  ElencojC  tu  rifpondi,OfeI 

Elice.       Egl.    VI. 
5oIn  vento, in acqua,in picciol rubo,o  feli 
52.Queft'  è  Proteo  ,  che  di  cipreflo  in  clic 
54.Efeafiorhove,orcaprajorfiume,orreli( 

Egl.    X. 
166. Vivon  color  fotto  Boote  ,  ed  Elice; 
168. Già  mi  rimembra  ,  che  da  cima  un*  eli( 
ijo.Che  '1  petto  mi  fi  fé  quafi  una  felice  . 

E  L  L  E  R  E.       Egl.    X. 
181. Di  male  piante  ,  e  non  tardate  a  fvellei 
183. Tagliate  tofto  le  radici  all'  ellere  ; 
185. Non  lafceranno  j  pini  in  alto  eccellere 
Emina-       Egl.    Vili. 
8. Or  cerchi  lecittadi,  ove  Amor  gemi 
ic.Nell*  onde  folca  5  e  nell'arene  femin 
12. Chi  fue  fperanze  fonda  in  cor  di  femir 
E  M  I  T  o.       Egl.    XII. 
i55.Sederfi  e  con  diletto  in  quel  gran  fre 
157.0  la(ro50  dì  miei  volti  in  pianto,e  gemii 
i59'E  per  quell'orme  ancor  m'indrizzo  ei 
femito  • 


E  N  A- 


RIME   SDRUCCIOLE.        533 

E  N  A    LO-       Egl-    X.  ^ 
7  Con  note  quai  116  fo  s'un  tempo  In  Menalo 
9.E,fe  non  folfe  che  *1  fuo  gregge  affrenalo> 
i.Chea  morte  deiìar  (pefTo  rimenalo) 

E  N  D  E  R  E  .       Ecl.  X. 
).E  i  borchi  ai'quai  sì  fpeffo  è  dato  intendere 
i.Ma  Tempie  (Ielle  ne  vorrei  riprendere > 
3. Si  ratto  fer  dal  ciel  la  notte  fcendere  , 

Egl.  XII. 
3.  Potrò  cantar  ;  che  farlo  qui  difcendere 
5. Io  vorrei  pur  la  viva  voce  intendere  , 
7'Onde  s'io  pecco  in  ciòjnon  mi  riprendere* 

E  N  D  o  L  A .       Egl.  Vili, 
e. Se  qu  fta  è  vita  o  morte, io  no  coprédolaj 
z.  Pur  mi  fi  para  la  fpietata  Amendola 
4.La  trifta  Filliefanimata  »  e  pendola. 

E  N  D  o  L  o .       Egl.  VI. 
8.1  '1  fo  che  '1  pruovo ,  e  col  mio  danno  in- 

tendolo, 
0  Ed  io  per  quel  che  veggio  acor  copredoloj 
2. In  comprar  fennojc  pur  ancor  no  vendolo» 

E   N  D  o  T   I  .       Egl.  XII. 
Q.Quante  fiate  ai  Tuoi  fofpir  movendoti , 
i.O  Mi!ifeo,  lanette  e'I  giorno intendoti> 
].Nei  pectojche  tacendo  ancor  comprédoti. 

E  N  E  B  R  E  .       Egl.  XII. 
.9. Sappi  che  gli  occhi  ufati  in  pianto  ,  e 

tenebre  , 
I. Ovunque  miro,parcheMciel  fi  ottenebrej 
g.E'or  cagion  ch'io  mai  non  mi  dirtenebre. 

E  N  E  R  E.       Egl.  I. 
7  Ed  ogni  ramo  abbia  le  foglie  tenere  > 
9  L'arco  ripiglia  il  fanciullin  di  Venere  > 
■i.Di  far  delle  midolle  aridacenerc  . 


z  i^     m. 


554        TAVOLA   DELLE 
Egl   VI. 

ioiU*fon  or  quelle  genti?oimè  fon  cenere 
103. 1  lieti  amanti  ,  e  le  fanciulle  tenere 
105.11  foco,e  P  arco  del  figliuol  di  Venere . 
Egl.  VIIL 
a3.Dircinti  j  e  fcalzi  fovra  l'erbe  tenere  j 
a 5. E  '1  fier  fanciullo,  e  la  fpietata  Venei  1 
27. E  non  potran  goder  della  mia  cenere  • 

E  N  E  R  I.       Egl.  XH. 
S9.Mergillina  gentil  i  che  sì  ti  inceneri 
$1.  Antiniana  ,  e  tu  perchè  degeneri  ? 
9?. Quei  mirti  che  furg)à  si  molli  e  teneri 

f-,  w  1  o.      Egl.  VIIL 
jij. Prendi  il  configlìodel  tuo  fido  Eu.seni 
inAma  il  giocondo  Apollo, e'I  facro  Gen 
ii7.Ch'è  danno  in  gioventù, vergogna  al  fen 

Egl.  IX. 
29. Ch'  io  non  ti  fcopra  :  or  ecco  il  nod 

Eugenio: 
31.I0  vo  Montan  ,  ch*è  più  vicino  al  feni 
j^.Né  credo  eh'  bibbia  si  fublimc  in  genio . 

E  N  T  A  M  I  .       ErI.  Vili. 

Só.Per  Dio  queft* alma  liberar  confentami 

88.0  terra  tu  che  puoi  >  terra  3  contentan 

.90. Sì  che  uom  mai  non  ne  trove  orma  > 

Tentami . 

E  N  T  A  N  o.       Egl.  II. 

46. Tn  ]atte,e'n  lane^e  d'ogni  tep  )  aumérat 

45^-N:  mai  per  neve  il  Marzo  (i  fgomcntai 

50. Così  par  che  li  fati  al  ben  confutano  • 

Egl.  VIIL 
44.Se  noftri  affanni  un  fumo  al  fin  diventar 
46.  Dunque?  è  ben  tepo  ornai»  che  fi  rifenta 
48. Nel  fango  onde  couvien  ch'ai  fin  fi  pe 
caHO  • 


£&L 


RIME   SDRUCCIOLE.        ^35 
Egl.  XII. 
)2. Perchè  rufchi  pungenti  in  te  diventano 
M- Dimmi ,  Nifida  mia  ;  cosi  non  Tentano 
)6.Nè  Paufilipoin  te  verrirconfentano; 

E  p  I  D  I .       Egl.  I. 
jS.E  veggio, quando  i  di  fon  chiari  e  tepidi  • 
^o.Perifca  il  mondo>e  no  péfar  ch'io  trepidi^ 
4i-Ghe'I  cor  s'adempia  di  penficr  più  lepidi. 

Egl.  VI. 
?  j. Per  bofchi  ,0  Ci  prendea  la  morte  intrepidi, 
8 5. Non  r'ofchi  o  freddi,  ma  lucenti  e  tepidi 
89. Ma  vaghi  uccelli  dilettofi  e  lepidi . 

^  Egl.  xn. 

^i. Luoghi  un  tépo  ai  mio  cor  foavije  lepidi . 
5g  O  Cuma  ,0  Baja  ,  o  fonti  ameni,e  tepidi , 
35  Che']  mio  cor  di  dolor  non  fudi,e  trepidi. 

E  p  u  T  A.       Egl.  Vili. 
ii.La  cara  zappa,  e  pianterai  la  neputa  , 
14  E'I  tempo  fol  in  ciòdifponi  e  deputa  ; 
16. E  tanto  è  mifer  1  uoni,quant'ei  Q  reputa. 

E  au  I  E.      Egl.  Vili. 
47. Gli  fpirti  tuoi  fepolti  anzi  l' efequie  9 
49.  E  s*  a  te  (leiTo  non  dai  qualche  requie  j 
51. Non  può  gioir,  ragion  è  ben  che  arrequie. 

E  R  D  E  s  I .       Egl.  XII» 
ij.E  ']  mjndodcl  mio  mal  tutto  rìnverded  : 
iij.Se  nel  paflar  di  Lete  amor  non  perdefi . 

Erga  no.         Egl.  Vili. 
.  i4.C>e'  paftor  neghittofi  fi  poftergaiio  ; 
1 36.C0SÌ  convien  eh'  a!  tutto  fi  difpergano 
138. Che  nelle  menti  femplicette  albergano  . 

Ergasi.         Egl-  I. 
44-1  fier  giganti  in  Flegra;e  poi  fommsrgad 
4^- Come  vuoi  che'l  protrato  mio  corergaft 
4SGh'io  fpero  che  fra'^  lupi  anzi  difpergafi  ? 


Z   4         £&< 


136      TAVOLA   DELLE 
Erg  ole.        Egl.  XIL 
aGg.Barciniomio,  traquefte  bafie  pergoh 
27i.Summonzio  j  io  per  li  tronchi  ferivo , 

vergole  ; 

173. Per loogiaqui  paefi  ancor difpergole . 

E  R  I  A.        Egl.  X. 

62. D'alcun  Tuo  bene  in  quefta  vii  miferia 

^4.1  bifolchi ,  e  i  paftor  lafcian*  Efperia  5 

66. Che  '1  duro  tempo  glie  ne  dà  materia  • 

E  R  1  T  o.        Egl.  XIL 
3io.Ma  fé  'i  pianger  in  Cielo  ha  qualche  m 

rito 

321. Io  piango,©  Filli, il  tuofpietato  Interitc 

314. Deh  penfa,pregojal  bel  viver  preterite 

E  R  M  I  N  E  .  Egl.  VIIL 

38.11  qualjpoi  che  fi  vede  giuntoal  termini 

40.C0SJ  quando  vecchiezza  avvien  che  tei 

mine 
42  .Vergogna»  e  duo!  convien ,  ch'alcol 
germi  ne  •  I 

E  R  M  I  N  I  .  Egl.  VL 

74.1  campi  eran  comuni,  e  fenza  termini 
76.Non  era  ferro,iI  qual  par  ch'oggi  termit 
78.0nd'  avvien  ch'ogni  guerra >  e  mal 
germini . 
E  R  T  I  e  E.         Egl.  XIL 
Só.Le  fpalle  fae  con  l'uno  e  l'altro  vertice 
S  8 .  Ma  chi  verrà  che  de'tuoi  dafii  accertici 
90.E  i  lauri  tuoi  fon  fecche,e  nude  pcrtice 

E  R  u  L  E.         Egl.  XIL 
2 1 8. Sento  la  lira  dir  con  voci  querule  : 
22o.Talor  veggio  venir  frifoni ,  e  merule 
iZi.Voi  meco  ,  0  mirti  ,  e  voi  piangete  ,  0  ferule 
Espilo.        Egl.  XIL 
17. A  tua  porta  potrai:  cerca  in  quel  nefpilo 
19  Quel  biondo  crine  ,  o  Filli ,  or  non  in 
crefpilo 

ai. Ma 


RfME  SDRUCCIOLE.       557 
i.Ma  dtl  mio  lacrimarlo  inerbi  ,  eincs- 
fpilo . 
£  T  E  M  I  .         Egl.  Vili. 
4. Cantando  al  mio  fepolcro'.allor  diretemi: 
6.E  forfè  alcuna  volta  moftreretemi 
8.E  'ndarno  al  fordo  faflo  chlameretemi . 

Etera.         Egì.  VI. 
7.Movean  i  dolci  balli  a  fujn  di  cetera  j 
9.0  pura  fede  ,  o  dolce  ufanza  vetera  •' 
I. Tanto  peggiora  più, quanto  più  invetera. 

Etere.         Egl.  X- 
i-i.Caraccioljche'n  fonar  fampogne,o  cetcre 
f^.Coftui  non  imparò  potare  ,  o  mietere  • 
•5. E  paiFion  fanar  maligne ,  e  vetere  . 

£  T  T  A  M  I.      Egl.  xn. 

.3. Filli  deh  non  fuggir  eh'  io  feguo  ;  arpet*^ 

tami , 
i5  Dir  non  potrei ,  quanto  l'udir  dilettami  ; 
•7.Quantuiiqu?  il  mio  bifogno  altrove  af- 
frettami . 
E  T  T  A  N  o .         Egl.  IL 
p  Uranio  mio  ;  e  già  i  compagni  affettano  j 
i.M ontanoji  miei  compagni  non  fofpcttano 
r4.Nè  credo  che  di  me  penfier  fi  mettano  . 

E  V  A  N  o .  Égl.  X. 

71  Non  già  per  aurea  età,ghiande  pafcevano 
7j.Vivon  di  preda  qui ,  come  folevano 
^j.Deh  ch'or  non  mi  fovvien  qual  nomeave- 
vauo  / 

E  V  o  L  E  .         Egl.  VI. 
92.Edi  balfìmo,  c'ncenfo  Ucnmevole, 
94.CÌ  ìfcun  mangiava  all*ombra  dilettevole 
96.0  dolce  tempo  ,  o  vita  follazzevole  ' 

E  z  z  A  N  o.         Egl.  Vili. 
óS.Coldefiodel  morir  la  vita  fprezzano; 
70.  E  pria  mutano  il  pel ,  poi  che  s*  avvez- 
zaao } 

Z    5  7i.E^ 


518      TAVOLA   DELLE 
72. Ed  un  bel  guardo  più  che  un  gregge  ap 
prezzano . 
E  z  z  o  L  I  .        EgL  XIL 
7i'E  ratto  diventar  forba  i  e  corbezzoli: 
7^E  fé  per  inneftar  li  incido  >  o  fpezzoli , 
75«Che  moftran  ben  ,  che  nel  mio  amaro  av 
vezzoli  . 

I  A  D  I.         Egl.   Vili. 
i7.Sen2a'I  mio  cantOjtal  che  Fauni,c  Driac 
19  Le  Naiadi ,  N.ipee  ,  ed  Amadriadi , 
21.  Per  me  dal  lungo  Tonno  >  eleTefpiadi 

Egl.  X. 
loiO  Satiri ,  e  Silvani ,  o  Fauni ,  e  Driadi 
lOi.Njjadi,  ed  Amadriadi,  oSemidee» 

I  B  E  R  I  .  E-1.  VIIL 

19. Sarà  mai  dì,  eh' io  polla  dir  fra' liberi, 

51. Di  (late  fecchi  pria  mirti ,  e  giuniberi 

33. Che  tu  mai  impetri  quel  che  in  vaa  deli 

beri. 

I   B   I   L  E.  Egl.  VI. 

41. Che  fnutando  ere  volte  fu  invifiblle 
:43«ChefeI  vedea  ,  di  certo  era  impofllbile 
45'Ove  non  vai  che  1*  uom  richiami  0  fibib 
r  B  I  L  I  .         Egl.  XH. 
242. E  SI  filli  mi  ftan  gli  accenti  »  e  i  fibili 
144. Deh  fé  ti  cai  di  me,  Barcinio,  fcribil 
246  L'  un'arbor  per  pietà  con  1*  altro  allibili 

I  e  A  N  o  .         Egl.  Vf. 
115. Per  quello  bofcolancorchè  i  faggi  dicano 
I27. Quanti  neir  altrui  fangue  fi  nutricano 
12^. Tal  che  i  miei  cani  indarno  s'affaticano. 

Egl.  xn. 

233E*  par  che  i  tori  a  me  muggendo  dicano 
^35'Con  gran  ragion  le  genti  s'affaticano 
2i7'Sò  ui}Che  ancor  nei  falli  amor  nutricati 


lei* 


RIME    SDRUCCIOLE.      539 
I  e  E  M  I.       Egl.  xir. 
MimoHra  in  fogno  entro  i  begli  occhi  > 

edicemi  : 
E  mentre  ftarcon  lei  piangendo  licemi> 
-.Si cocenti  fofpirdal  petto  elicemi, 
I  e  I  o.         Egl.  Vili. 
95. E  voi ,  paftor,  piangete  il  trifto  eficio 
97. Voi  ulerctc  in  me  il  pietofo  officio  , 
99*Che  fu  nel  mondo  di  mia  morte  indiclo  • 

Egl.  IX. 
14- AI  cantar  mio ,  fchernendo  il  buon  giu- 
dici© 
16. Cantando  tu  'I  vincefli  ?  or  con  Gallcio 
18. Come  agnel  eh'  è  menato  al  ficrificio? 
I  e  o  L  A.         Egl.  XII. 
'ngé.PQt  notar  de'  Tuoi  gefti  ogni  particola  ; 
^98.  Poggiamo  or  fu  ver  quella  facra  edicola  ; 
joo.Ei  fo!o  é  il  facerdote ,  ed  ei  l' agricola  . 

I  e  u  L  I .        Egl.  XII. 
pS.Abitatadalepri,  edacuniculi? 
100. Non  veggio  i  tuoi  recefli  ,  e  i  diverticuli 
IO  Dove  temprava  Amor  fuo'ardenti  fpiculi? 

I  D  A  N  o  .         Egl.   XII. 
i04.Morir  vedrai  di  quel  ch'in  te  s'afiidano  • 
ic6.Lì(ì'q  y  già  ti  onorava  il  grande  Eridano  ì 
ic8.0r  le  tue  Ninfe  a  pena  in  te  fi  fidano  • 

I  D  E  R  E.  Egl.  VI. 

ii3.C!h'lo  vi  ripenfo  ,  Cento  il  cor  dividere 
115.  Deh  ,  per  Dio ,  non  mei  dir ,  deh  non 

mi  uccidere; 
II 7. Farei  con  le  fue  felve  i  monti  ft ridere  • 
Egl.  Vili. 
7iChc  rautia  voglia  ;  tal  che  undolceri* 

dere , 
73.Talor  per  ira  o  fdegno  volno  incidere 
75. £  con  amor  da  fé  i*  alma  dividere  . 

Z    6  £gl. 


540      TAVOLA   DELLE 

Egl.  IX. 
17. Non  udì  io  già  Ja  tua  rampogna  ftridere  i 
IO  Catiamo  a  provajc  lafcia  a  parte  il  ridere  J 
ii.Montan  potrà uoftrequeftion  decidere.  1 

I  D  E  R  o  .         EgL  L 
41.M  a  attendo  fuaruina,  e  già  confiderò  , 
43*Caggian  baleni ,  e  tuon  quanti  ne  viden  * 
45. La  terra  e  '1  ciel,  eh*  io  già  par  me  il  de 
fiderò . 

I  D  I  e  I .        Egl.  X. 
z6, Cerca  P  alta  cittadg  ove  i  Calcidici 
iS.Quefto  non  intes'io,  ma  quei  fatidici 
30. Tal  j  eh'  io  gli  vidi  nel  mio  ben  veridici 

I  D  I  E.      Egl.  n. 
SQ.Neflun  fi  fidi  nell*  afiute  infidie 
4i.Eciò n'avviene  per  le  noftre  invidie  . 
Egl.  VL 
5. La  M^  è  morta ,  e  regnano  le  'nvidic  9 
7.Regnan  le  voglie  prave  >  e  le  perfidie 
9'TaI  che']  fi^l  uolo  al  padre  par  che  infidic 
Egl.  Vili. 
131. Per  non  marcir  nell'ozio,  e  tendo  Infidi 
i^^.Cosi  fi  fcaccia  amor  ;  cosi  le  invidie 
i35-Cos]fi  fpregiail  mondo,  e  Tue  perfidie 
I  F  E  R  E.       Egl.  VI. 
89.  Atri  aconiti,  e  piante  afpre,  e  mortifere 
pi.EraalJpr  piena  d' erbe  falutifere  > 
9J.DÌ  mirr'tf  preziofeed  odorifere  . 
I  F  I  e  o.      Egl.  XII. 
35. Filli ,  quefi'alto  pino  io  ti  facrifico  ; 
?47.Quefto  è  l'aitar  che  in  tua  memoria  edi 

fico; 
29  In  eh*  io  piangendo  il  tuo  bel  nome  am 
plifico . 
t  G  I  D  A  .       Egl.  I. 
9r.La  paftorella  mia  fpietata  e  rigida  , 
93.E  (la  fupcrba  3  e  più  che  ghiaccio  frigida 


RIME  SDRUCCIOLE,      su 
Egl.  XII. 
.Il  titol  che  a  tutt'ore  il  cor  m'infrigida  , 
.Quella  che   a  meliseo  sì  altera  , 

E    RIGIDA  . 
r.Sl  STA  SEPOLTA  IN  aUESTA  PIETRA   FRI- 
GIDA. 

1    G    I    D    E  .         Egl.    X". 

:  Deh  perchè  non  troncate,o  Parche  rigide, 
.Paftor  ,  la  noce  5  che  con  1* ombre  frigide 
(.Pria  che  per  anni  il  fangue  fi  rinfrigide  • 

I  e  L  I  A  s  I.       Egl.  Vili. 
5  Chi  prede  il  cieco  in  guida, m  ti  cofigliafi: 
7'Queila  vita  mortale  al  di  fomigliafi  ; 
9  Picndi  fcornoalPoccaforinvermigliafi  . 

I  L  A  R  E.  ^    Egl.  XII. 
>.Quel  giorno, o  patria  mia  j  eh' allegro  ed 

ilare 
.Or  vo  che  '1  Tenta  pur  Vulturno ,  e  Silare  ) 
3. Né  cofa  verrà  mai  che  '1  cor  mi  ciliare  ; 

I  M  I  T  E.       Egl.  XII. 
o  E  poi  corri  a  chiamarlo  in  fu  quei  limite  ; 
i.Più  collo  (  fé  vorrai  che  'J  finga  ed  imite  ) 
4.Legg!er  non  è ,  come  tu  forfè  eftimite  . 

I  M  u  L  A  .       Egl.  VI. 
8. Per  la  roba  mal  nata  j  che  gli  ftimula  , 
o.Tal  ride  del  mio  ben  >  che  '1  rifo  fimula  : 
2. Dietro  le  fpalle  con  acuta  limala. 

I    N   A    T    I  .         Egl;    XI I. 

.1  Ma  tUjfe'l  pili  bel  luogo  il  Ciel  deftinati, 
rjVer  noi  più  Tpeflo  omai  lieta  avvicinati  ; 
fS'àrbor  di  Filli  io  fon  ;  pajìon  ,  indi/tati  . 

I  N  I  0.       Egl.  VI. 
p.Ch'io  tei  pur  dica:  or  fai  tu  quel  Lacinio  ? 
il. Quel  che  la  notte  veglia  ,  e  '1  gallicinio 
•3  Perocché  vive  fol  di  latrocinio. 


In- 


542      TAVOLA    DELLK 

I   N   S   E    M    I  .         Egl.    Vili. 

6i.Se  refpirai  non  fcmi  il  duol  si  avvinfei  i 
C4.Dirono,otaccio?jntàto  il  duol  f  fpinfei  i 
66.Ed  Ili  innanzi  a'^ìì  occhi  Anur  dipinfei 

I  p  E  R  o.     E^i  xn. 

J. Incontra  'I  Cielo:  anzi   mi  indrago 

invi  pero, 
lo.Péfandoaquel  chefcrinTein  ungiunipe 
ii.O  dolor  loninio,acui  null'altro  equipe 

I  p  I  T  E.       Egl.   XII. 
44*  E  vedrai  fcrittoun  verfo  in  fu  lo  ftipit  i 
4ó.pr che  dirai  ,  quand' ei  gittò  precipita 
48/E  per  ferirfi  prefe  il  ferro  ancipite  ? 

I  R  o  L  A.       Egl.  XII. 
isS.Dove  viva  la  amai ,  morta  fofpirola  ; 

160  II  giorno  fol  fra  me  contemplo  ,  e  miro 

161  Tal  che  fovente  in  fin  qua  già  ritirola  . 

I   S    e   E    R    E.         Egl.    Vili. 

Sp.Tranghiotti  il  trillo  corpo  in  le  tue  ' 

fcere , 
91  O  folgori ,  che  fate  il  ciel  tremifcere , 
93*Evuol5  fé  può,  di  difamareaddifcere 

Egl.  XII. 
182. Tremar  non  fi  fentide  entro  le  vifcere 
184. E' ti  parrà  che  '1  ciel  voglia  dehifcere, 
186.E  che  pietà  ti  roda  ,  amor  ti  fvifcerc  : 
I  s  E  R  o.       Egl.  Vili. 
50  Che  fpene  aràn  gli  ftranj?e  (c^ì  cor  mife 
52.Quante  fiate  del  tuoerror  forrifero 
54»Quei  corfer  per  pietà  ,  quefti  s' alfifcro 

Egl.  XII. 
2  Quand'  d  fc riffe  in  quel  faggio  .  VfJi 

miferé  , 
4  O  pietà  grande/  equalìDIl  pernii  fero 
6.Perchè  di  vita  pria  non  lo  divifero  ? 

^  isi. 


RIME  SDRUCCIOLE.        j4j 
I  s  I  M  I.      Egl.  XII. 
.Qui  cantò  Melifeo ,  qui  proprio  affi  fimi 
.Fidi  Filli  morirt ,  e  non  ucalìmi  , 

I  s  s  E  L  o  ,       Egl.   X. 
.La  finiftra  cornice  I  cime,  predicelo; 
Lado  ,  che  la  temenza  al  mio  cor  fiflelo  , 
;.Chc  la  Sibilla  neìle  foglie  fcriflelo  . 

Issimi.       Egl.  XII. 
E  la  notte  la  chiamo  a  gridi  altiflìml  ; 
j. Sovente  il  dardo  ond' io  fteifo  tratìlTìmi  9 
y.Euo  ilrtmtdto  àe'' tuoi  pianti  afprijftmi  , 

Issiti.       Egl.  Xll. 
5. Tutte  l'oudein  un  punto,  ed  inabiliti; 
^'.Quefto  dolore  ,  oioiè  ,  pur  noa  prediiliti 
e. Tante  lode  cantando  in  carta  rcrifliti . 

I  s  T  u  L  A.       Egl.  XII. 
I  .Non  Tenti  or  tu  fonar  la  dolce  fiftula  ^ 
}.I  tuoi  capelli  )  o  Filli,  inunaci^luU 
5.11  cor  mi  paffa  una  pungente  ariftula  • 

Itera.       Egl»  XII. 
5  Se  fentrai  lamentar  quella  fua  citerà  j 
7. La  qual  mentre  pur  Filli  alterna  ,  ed 

itera  ; 
'9.0gui  altra  melodia  dal  cor  mi  oblitera  . 

I  T  i  e  o .       Egl.  X. 
f5j.De'  noftri  campi  il  defiato  tritico  ; 
i5.Tal  che  aflai  meglio  nei  paefe  Scitico 
67. Benché  con  cibi  alpeflri  ,  e  vin  forbitico . 

Itimi.       Egl.  XII. 
65.Verfi  fol  di  dolor  ,  lamenti ,  e  ritimi  ; 
67. A  pianger  col  iuo  pianto  ognuno  incitimi, 
69. Benché  M  mio  duol  da  fé  di  e  notte  invi- 
ami • 


ItU" 


544      TAVOLA    DELLK 

I-T    U    L    A.         Egl.    XII. 

i37*Qua{ì  vacca  che  piange  la  Tua  vitula  » 
i39.Njn  vedrò  mai   Lucrino  ,  Averno  y 

Tritala  , 
141  .Valle  che  dal  mio  fogno  ancor  s' intitul 

Ivano-       Egl.  VL 
80. Le  genti  li  igarnon  fi  leativano  ; 
b2.T  vecchi  quando  al  fin  più  non  iifcivano 
84  O  con  erbe  incantate  ingiovanivano  . 

I    V   E    R    E  .         Egl.    X. 

196  Che  ade  na  il  monJoeol  fuo  dritto  viver 
198  Bj  Ita  terra  che  'i  produfl's  a  fcrivere , 
200. Rime,  achi'Iciel  non  potè  il  fin  pr 
feri  vere  ' 

Egl.  xn. 

278. Un  bel  lauro  io  memoria  del  fuo  fcriver 
aSo.  Degno  fu  Mchfeo  di  fempre  vivere 
282. Ma  chi  può  le   fue  leggi  al  Ciel  pri 
fcrivere? 

I  V  I  D  o ,         Egl.  Xll. 
74.M:indan  fugo  di  fuor  sì  tinto  e  livido , 
76  Le  rofenoa  han  più  qu^i  color  vivido  ; 
72.D4Ì  qu.ii  per  tanto  fp^zio  oggi  midivid( 

I  z  I  A.       Egl.  VI. 

52. Per  giuftjzia  pote'Ii  :  or  che  giuflizia  ? 

34.Daecapie,  e  duo  capretti  per  malizia 

36.51  fignoreggia  ai  m^uJo  i'  avarizia  . 

I  z  I  o.       Egl.  X. 

iió.Chedi  Arjtil,  né  di  Maggio  hai  Gcrifizi. 

ii7-iVIa  s*un  e-  mmette  il  vizio,e  tu  noi  regg 

O  B  I   L  E  .  Egl.  IX. 

32..Che  qucft j  tuo  paftor  par  troppo  igne 

bile  , 
54. Vienne  all'ombra,  Montan  cheTaui 

mobile 
56. Nota  il  noftro  cantar  jqual  è  pìh  nobile 


RIME  SDRUCCIOLE.      545 

Egl.  X. 
.E  ciò  che  in  arte  maga  a  ftempo  nobile 
-.Né  nafce  erbetta  sì  filveftra  »  ignobile  > 
.£  quale  (Iella  è  fifl'a  ,  e  quarè  mobile . 

Egl.  XII. 
.Sì  fiflfe  pallion  di  cofa  mobile  , 
.Qjal  fiera  sì  crudcl  >  qunl  faìTo  immobile 
.AI  miferabil  fuon  del  Caiuo  nobile  ? 

O  e  I  T  A .         Egj.  XIF. 
;.  Ad  un  mio  rofcigniuol  che  ftiide  j  e  vo- 

cita  : 
j.Talor  d'un'  alta  rupe  il  corbo  crocita  : 
\Af(hiay  Capri y  Atento^  M'f^no  ,  e  Procita  , 

O  D  o  L  A  .         Egl.  XII. 
>.Quàdo  avvienjche  talor  con  la  Tua  lodola 
2. Ovver  quando  in  fu  l' alba  efclama  e  mo« 

dola  : 
4  Tua  luce  a  me  che  vai  s' io  piià  non  go- 
dola. 
O  G   L  I  E  R  E.  Egl.  Vili. 

i.E  '1  vago  verno  Ipera  in  rete  accogliere  ^ 
^Eugcniojs'io  potrò  mai  l'alma  fciogliercj 
j.Tal  eh*  10  poiTadal  giogo  il  collo  efto- 
gliere  ; 
O  L  A  N  o.         Egl.  Vili. 
i.I  mal  fpeli  anni  >  che  sì  ratti  volano  > 
^.  A  che  le  menti  cieche  fi  confolano  9 
j.E  l'ore  ladre  i  noftri  beni  involano  ? 

O  L  F  A  s  I.  Egl.  XII. 

9. Monti  dove  Vulcan  bollendo  infolfafi  , 
i.Perocch<^,  vequelTacqua  irata  ingolfafi> 
j.E  più  gra  ^e  V  odor  ridonda  ,  ed  olfafi  \ 

O   L  G  o  L  I.  Egl.  XII. 

4.Serbati  tejino  ^  e  fpeflo  quand  io  volgoli  > 
ló.Speflo  gli  lego,e  fpeflb,oimè>dirciolgoli  ; 
.8. Poi  con  fufpir  gli  afciugo  ,  e  'nfieme  ac^ 
colgoli* 


54«        TAVOLA   DELLE 
O  L  G  o  N  o.         Egl.  VIIL 
74L0  ftame  chs  le  Parche  al  fufo  av\ 

gono; 
jó.Braman  tornare  addietro  j  e  non  fi  ^ 

gono  ,' 
78. Mi  fenza  alcun  dolor  fenaprc  fi  dolgo 

Eil  X. 
162. Gli  uccelli ,  e  le  formiche  fi  ricolgoi 
164. Così  gli  Dii  la  liberta  ne  tolgono  . 

O  L  s  E  M  I.         Egl.  VL 
55  Quel  ladro  traditor  dal  greg?^  tolfer 

37. 10  ^liel  direi ,  ma  chi  mei  di(^e  v-^ìd 
59.Cjnvieaiaii;e  penfa  tu  fé  qusfto  dolfe 

O    L    T    A    M    I  .  E^^l.    I. 

98.11  ?re^ije  mio, che  ?ià  tutt'orc  afcolti 

100.  Fcco  rim'3omba,e  fpedo  indietro  volt 
102. E  nell'  orecchio  il  bel  nome  nfoltam 

O  L  T  E  M  I  .  Egl-  XIL 

i28.Daquìlche  fratta  ov' io  languifcaafc 

temi . 
1^0. Mi  pur  coavicn  )  che  a  voi  fpcfìTo  riv 

temi 
ijz.Poiche  non  trovo  ove  piangendo  occ 
temi  . 
O  L  V  E  R  E.  Egl.  VL 

47.0(radi  morci  ,  e  di  fepolcri  polvere 
4  J- Porta  va  indolTj,  che  *Ì  facean  rifolve 
51. Tato  fi  può  per  arte  il  moadoinvoivc 
Egl.  VIIL 

101 .  Farete  meco  in  cenere  rifolvere  ; 
loj. Allor  VI  degnerete  i  palfi  volvere , 
10^,  Per  foppo  amar  altrui, fei  §mbra  .ff  polve 

Ombrano.         Egl.  IL 
1 34E  gì  i  aiti  monti  le  contrade  adombrar 
i?6  E  le  mie  pecorelle  il  bofco  fgombraiu 
1^8. li  tempoe  l'ora  chela  mandra  ingo 
brano • 

Ome- 


RIME  SDRUCCIOLE.        547 
Omeri.         Egl.  VI. 
i.Che  fon  pur  fecchioed  ho  curvati  gli 

omeri 
;  O  quanti  intorno  a  que^e  felve  nomeri 
5. Rallri, zappe, (ampognev-ì natrice  vomeri! 

Omini.         Egl.  I. 
5. Sannoio  fiumi ,  monti,  fiere  1  ed  uomini  , 
7.Sal  lo  quante  fiate  il  di  la  nomini 
9.0  ch'egli  infelva  pafca,  o  in  mandra 
romiui. 

Egl.  XII. 
4.0r  non  fia  mai ,  che  alcun  vi  Iodi ,  0  no- 
mini 9 
6  E  poi  che  Morte  vuol  che  vita  abbomini , 
S. Andrò  nojaiido  il  ciel>  la  terra  >  egli 
uomini . 

O    N   A    N    O  .  Egl.    I. 

iLe  Voci  ,  che  sì  dolci  in  aria  fonano  > 
3  Quell'alberi  di  lei  tempre  ragionano, 
5.Ch*a  pianger  fpeflb,  ed  a  cantar  rai  fpro- 
nano  : 

Egl.  X. 
i.Com'  uom  crede  j  le  fel ve;  anzi  rifonano 
4. Selvaggio,  oggii  paftor  più  non  ragio- 
nano 
6. Perché  per  ben  cantar  non  fi  coronano. 

Ondami.         Egl.  VI. 
17- Veder  vendetta  di  chi  tanto  attondami , 
119.  t  per  l'ira  sfogar  eh*  al  core  abbondami  : 
li. Tal  ch'iodi  gioja,e  di  pietà  confondami. 

Ondano.         Egl.  II. 
43. Con  alti  legni ,  e  tutte  le  circodano  , 
45-Cosi  per  ben  guardar  fempre  n'abbodano 
^7Quando  i  bofchi  fon  verdi,e  quando  sfron- 
dano • 


0J4« 


548        TAVOLA  DELL7. 

O    N    D    I    T    A.  Egl.    XII. 

i40.Chc  con  fofpir  non  corra  a  quella  afe 

dita 
141.  Forfè  qualche  beli'  orma  ivi  recondit; 
144.  Al  fuon  della  mia  vocearpra  j  ed  ine 
d.ta . 
O  N  D  o  N  o.         Egl.  XII. 
18 8. E  Filli  i  i  falli  >  ipin  Filli  rifpondor 
i9o-Or  dimmi»  a  tanto  umor  che  gli  oc 

fondono, 
191. Di  quelle  inìque  Dee  che  la  nafcondon 
O  N  I  e  o  .        Egl.  I. 
56.Vedendo!:I  parlar  si  malinconico  ; 
5I  Qaal*é  colei,ch'ha'I  petto  tanto  erronii 
6o.Dimmel,  che  con  altrui  mai  noi  con 
nico . 

Egl.  Vili. 
2. Su  1'  afinello  or  vaine  ,  e  malinconico. 
4. Qualunque  uom  ti  vedefle  andar  si 

nico 
6. Certo  direbbe  ,  Pijefli  mnpar  Ciò* 

Egl.  IX. 

5. Ti  rifofpinfe  a  Ipezzar  l'arco  a  Clonic 

7.Forfe  fuallor  ,  ch'io  vidi  malinconi 

9. Che  gì'  involarti  tu ,  perverfo  erronic 

O  N  O  M  I  .  Egl.  Xil. 

2 15. Mi  flava  un  tempo  j  ed  or  lanTo  abba 

donami . 

a  !  j.Talor  mentre  fra  me  piago,e  ragionon: 

lig.Di  lauro  ,  0  Melifeo  ,  più  ngn  coroHomi  , 

O  N  T   I   e  I.  Egl.   XII. 

80.1  pefci  per  li  fiumi  infermi ,  e  fontici  : 

Si.Vegna  Vefevoje  i  fuoi  dolor  racconcie 

S4.E  fé  fon  li  fuoi  frutti  amari  >  e  pontici 


Op  I  A 


)nicc^ 
ileria 

wico  \ 


RIME  SDRUCCIOLE.       54^ 
O  p  I  A.        Egl.  I. 
.Con  la  lorella  Tua  dolce  Cecropia 
•  A  dire  il  vero  oggi  è  tanta  1*  inopia 
•Che  par  che  diamo  in  ScitiajO  in  Etiopia. 

.E  ciafcun  vìve  in  tantoeftrema  inopia  » 
.Ringrazia  dunque  il  Ciel  qualunque  ha 

copia 
.Che  ciafcun  caccia  dalla  mandra  propia» 

O  p  u  L  I.         Egl.  XII.^ 
.Turti  cangiati  ;  e  freddi  quelli  fcopuli 
•Quanti  pnftor,  Sebeto  >  e  quanti  populi 
•Pria  che  la  riva  tua  s'  ino!mi,o  impopuli? 

O  R  D  A  N  o.        Egl.  Xn. 
•.Se  quell'altre  fuerimeor  mi  ricordano  ; 
.Tanto  i  miei  fcnfi  al  tuo  parlar  s' ingor- 
da.:©, 
'Che ai  primi  verfi  poi  gli  altri  s'accor- 
dano. 
Ordì  la.         Egl.  IX. 
'.Cotclìa  lingua  vclenofa  mordila  i 
).Mitera  felva  ,  che  coi  gridi  afTordila  : 
Getta  la  lira  omaijche  indarno  accordila. 

Organo.         Egl.  XII. 
J.Che  fol  penfando  udir  quel  fuo  dolce  or- 

.Sano, 
'.Or  via  ;  che  i  fati  a  buon  cammin  ne  fcor- 

gano  ; 
[..Fermati  ornai ,  chei  cannon  fé  ne  ac- 
corgano . 

O    R    G    E    R    F  .  Egl.    vili. 

«.E  ilìor  vedrò  di  verno  al  ghiaccio  fof-< 

gere, 
4. Se  Amore  è  cieco  ,  non  può  il  vero  fcor- 

gere  : 
6  Se  ignudo;  uom  che  non  ha  >  come  può 

porgere  f 

O  R  I  .\  . 


i30       TAVOLA  DtL  LE 
Oria.       Egl.  VI. 
98. Con  le  parole  ,  ancor  con  la  memoria 
ico.Ov' è '1  valore  ,  ov'è  l'antica  glori: 
102, Delle  qu3Ì  grida  ogni  famofa  iftoria  . 

O  R  I  D  A  .       Egl.  XII. 
95, Le  rive  cue  giammai  crucciata  Dorid 
97. Non  ti  vid'  io  poc'  anzi  erbofa  ,  e  fior 
99.Non  ti  veggi'or  più  ch'altra  incolto 
orida  ? 

O  R  I  D  o.       Egl.  VIIL 
14.0  rallentar  dal  laccio  iniquo  ^  ed  orid 
ló.Selva  alcuna  non  fia  ,  né  Cimpo  flari 
iS.DiraniChe  viva  ancor  D imeta.  e  Cori 

Orilo.       Eg!.  XIL 
20. Con  Ic'tue  man.,  né  di  ghirlande  intìnr 
22. Volgi  in  qua  gli  occhi ,  e  mira  in  fu  e 

cerilo  : 
24  Portane  il  cor,che  qui  lafciando  accor 

O    R    M    O    R    A.         Egl.    IX. 

S5.TÌ  freme  fra  le  frond€,e'l  fiume  morm 
37-Vienne,Montan, mentre  le  nodretnrm 
39.  Moftrando  ai  cani  le  latebre,  e  l' ormo 

O  R  o  L  E.       Egl,  VL 
95. Or  latte,  e  ghiande,  ed  or  ginepri 

morole  , 
97.Penfando  all'opre  lor  ,  non  fo!o  onon 
99. Chinato  a  terra  come  fante  adorole  . 

O  R  R  E  R  E.       Egl.  VI. 
29. Che  tue  capre  fian  tutte  :  ond'io  per  e 

rere 
31. Deh  fé  qui  fofìTe  alcuno  a  cui  ricorrer 
^3. Sol  Dio  fel  veda  ,  che  ne  pu^  foccorre 


Orr  «• 


RTME  SDRUCCIOLE.      55t 
Or  r  o  n  o  .      Egl.  r. 
Vedi  que'  duo  monton  ,  che  *nfiem3  cor- 
rono 
Vedi  eh'  al  vincitor  tutte  foccorrono, 
E  con  Tembianti  fchìvi  ognor  ]*abborrono. 

O  R  T  I  e  I.       Egl.  X!l. 
'\  tal  che  poi  mirando  in  quelli  coreici  > 
Faxheciol  vento  il  mormorar  confortici: 
Tal  che  ne  foni  ancor  Refina  ,  e  Portici  • 

O  s  e  A  N  o  .        Egl.  IX. 
Ruminan  1*  erbe  j  c  i  cacciator  s'  im- 

bofcano, 
Cantate  ,  acciocché  monti  ornai  ccno- 

fcano» 
Cantate  fin  che  i  campì  fi  rinfofcano  , 

O  s  e  A  s  I  .       Egl.  X. 
Zhe  'n  quelle  dotte  feU'e  non  t-o'-'orrifi , 
^uivi  Ij  fera  >  poi  che  '1  cicl  rinfofcafi  , 
lenon  ch*iltri ,  m.ì  Fauno  a  udir  rim- 
bofcjfi . 

O   S   T    R    A    N   O.  Egl-    !• 

E  nelle  fcorze  fcritta  ladimoftrano, 
Per  lei  li  tori  ,  e  gli  arieti  gioftrano  • 

O  T  A  L  o.      Egl.  Viri. 
01  color  mille  ;  e  con  U  piva>  e  '1  crotalo 
Vedi  il  M  jnton  di  Frifoje  fegna  e  notalo, 
Che  'n  pochi  dì  convieo  ,  che  'i  fol  per- 

cotalo . 

O  T  A  N  o         Egl.  X. 
Che  tal  più  pute,  ch'ebuli ,  eci  abrotano  t 
Ond'  io  temo  ,  gli  Djì  non  fi  rifcotano 
Siccome  i  falli  de'  malvagi  notano . 

O  T  T  o  L  E  •       Egl.  I. 
A  cantar  verfi  sì  leggiadri ,  e  frottole , 
Selvaggio  mio, per  quefte  ofcure  grottolc 
Ma  mette  (Irigi,  ed  importune  nottole* 

O  V  A- 


SfS2      TAVOLA  DELLE 
O  V  A  N  o.       Egl-   VI. 
2. Di  fenno,  e  di  pefifierjche  'n  te  fi  co\ 
4-Nel  mondo  oggi  gii  amici  non  fi  trov 
6.E  i  mai  coftumi  ognor  più  fi  rinnovai 
O  V  A  s  I.      EgL  Vili. 
8^. Dinanzi  agli  occhi  5  e  par  ch'ai  v 

movafi 
55. Se  fpirto  al  mondo  di  pietà  ritrovafi 
Sj.Che  miglior  vita  del  morir  non  prov 

Egl.  IX. 
41. Quanto  *1  fecol  perduto  in  voi  rinno^ 
45.Montan,coftui  che  mecoa  cantar  prò 
45.Mifera  mandra  j  che  'n  t.tl  guida  tre 
O    V   E   NO*        Fgl.   L 

jj.Nètruovo  erbe,  ©fioretti,  che  mi 

veno  ,' 

37. Nubi  mai  da  queft'aria  non  fi  moven^ 

39. Notti  di  verno,  che  tonando  pioven 

O  V  E  R.  E.        EgL   II. 

146. Se  vuoi  ftir  meco  >  non  mi  vedrai  me 

14S.E  si  potrebbe  ben  tonare,  e  piover 

Egl.  XII. 
317. E  lafcio  fopra  lor  quefti  occhi  piover 
3i9.Bafle  fon  quefte  rime.j  efili ,  e  povf 
321. Dovrebbe  tanta  fé  Morte  commover- 
O  V  E  R  o.       Egl.  I. 
47.  A  poner  cura  in  gregge  umi'e  e  pov: 
49.Non  truovo  tra  gli  affanni  altro  rico\ 
5i.D'un  faggio,  d'un  abete,  ovver  < 
Coverò . 

O  V  o  M  I.       Egl.  XlL 
53.Fillia  tal  fuon  ?  eh' io  già  tutto  coir 

vomì; 
53.Taci ,  mentre  fra  me  ripenfo ,  e  prò' 
57'Delle quali  il  principio  folritrovomi 


U 


RIME  SORUCCIOLS.       51? 
U  B   B   I  o .       Egl.  X, 
Peiifando  al  mal  che  atvenne  ;  e  non  è 

dubbio. 
Un   orfa  un  tigre  ha  facto  il  fier  con- 

nubbio  : 
i.Mia  cella  breve  al  difpietato  fubbio  ? 

Uberi.       Egl.  VI. 
i.Sove;  te  all'ombra  degli^ opachi  fuberi 
V  E  come  falli  a  quei  che  fono  impuberi  % 
E  di  t^'fur  le  lane  >  e  munger  gli  ubari  « 

Ubili.       Egl  XII. 
O  vacche^   ecco  It  mvi  ^  e  i  tempi  nubili^ 
t.Chi  fia  cheudendociò  mai  rida>o  giubili? 
Tu  fi  che  con  fcfpir   quefi"^  aria  ^nnubiìi  ^ 
U   B    I   T  0  .         Egl.   VI. 
5. Ma  innanzi  cena  venne  un  p:;(Ior  fabito 
5.t  dirte  a  me  :  Serrao,  vedi,ch'io  dubito, 
D.Ne caddi  sì)  eh*  ancor  mi  dolc  il  cubito. 
Egl.  XH. 
Si  crudo,  oimè^  ch'ai  dipartirfifubito, 
^O'id'io  rimango  in  fui  (iniftro  cubito 
4.£  così  verfo  lei  gridar  non  dubito  : 

U  e  e  I  o  L  E.      Egl.  X. 
i.Nécuro  iogià  ,  fé  col  parlar  mio  cruc- 

ciole  : 
4. Che  fperando  udir  più  vidi  le  lucciole  . 

U  e  E  R  E.       Egl.  VI. 
5.11  gregge  m*  iotcgnaya  di  conducere  > 
7  Til  volta  i:el  parlar  loleva  n  d  j.  ere 
j.Che  '1  ciel  pili  grazie  allcr  folea  proda- 
cere. 

U  e  I  D  I.       f.gl    XII. 
7.P0Ì  che  'I  mio  fol  nafcofc  i  rjf  gi  lucidi  \ 
9  Moftraiifi  rerbc,e  i  fior  languidi  e  mucidi: 
i.E  gli  animai  oei  bofchi  incolti  e  fucidi  « 


Tmg  ì.  A»  Udì 


554      TAVOLA  DELLE 

U    D    I    N    E.^       Egl^    Vili. 

5  Di  duo)  sì  carco  ,  in  tanta  amaritudine 
7.Forfe  che  P'-r  fuggir  la  folitudine 
9  Suoi  (Irai  temprati  nella  calda  incudin 
U  G  G  A  M  I.       Egl.  X(I. 
3o6.GIi  armenti  in  quefte  felve  ?  o  per( 

ftruggami  ? 
2o8.Se  il  fai  ch'ai  tuo  venir  la  notte  fuggai 
210. Non  vo  che  '1  raggio  tuo  rifchiare 
fuggami . 

u  G  G  E  M  I .     Egl.  virr. 

loy.  A  quella  cruda  eh'  or  m' incende  e  Per 

gemi , 
lop.Un'orfo  in  mezzo  T alma  un  leon  r 

gemi , 

iii.Chequafi  d'ogni  venailfanaue  fuggcr 

Uggiola.       Egl    IX. 

lo.Pon  quella  lira  tua  fatta  di  giuggiola  ; 

22.Pon  quella  vacca,  che  fovente  muggio 

24Pafti   di  timo,  ed'acetofa  luggiola. 

U  L  I  o.       Egl.  X. 

€8. Per  non  vederopprefTo  il  lor  peculio 

70-Le  qua'  per  povertà  d' ogni  altro  edui 

72. Per  le  lor  grotte  dall'  Agofto  al  Giul 

U  L  M  I   N  E.       Egl.  XII. 

2S4  Or  da  vante  un'  altare  in  fu  quel  culm 

i86.Deh>  fociomio}  fé 'J  ciel  giammai  1 

fulmine  . 
i88.La  capannuola  tua  non  fi  difculmine . 
Ulule.       Egl.  VI. 
86.Eranoi  giorni;  enons'udivan  ulult 
8  8, La  terra,  che  dal  fondo  parchepulul. 
SO.Ond'  oggi  avvien  che  ciafcun  pianga  : 
ulule  ; 


Egl 


RIME   SDRUCCIOLE.       555 
.       Egl.  XII. 
'.In  arbor  fronda  ,  in  terra  erba  non  pu'uìe; 
).Vedrefti  intorno  a  lui  ftar  cigni>ea  ulule> 
i.Si  lagn'.-;  e  quella  a  lui  rifponda,  d  ulule  . 

U   ME   R   I  .        Egl.  XII. 
S.Fa  che  fi  fpandan  le  parole  e  i  numeri  ; 
o.Un  lauro  gli  vid*  io  portar  fu  gli  umeri  s 
i.Mcntr'io  femino  qui  menta  »  e  cucunaeri# 

U  M  E  R  o.       Egl.  Vili. 
9. Con  1'  alma  Pale  aumenterà  *1  tuo  nu* 

mero  ; 
i.Enon  ti  fdegnsrai  portar  fu  Fumerò 
j.L'afp.irago,  l'aneto,  e '1  bel  cucumero. 

Umidi.       Egl.  XII. 
46.Faran  gir  i  miei  fenG  enfiati  e  tumidi 
aS. Ma  come  vedrò  voi  »  ardenti,  e  fumidi 
30. Che  gli  occhi  miei  -aon  fian  bagnatici 

umidi. 

Umile.       Egl.  XII. 
66. Si  mostrò  sempre  ;  or  mansueta  ed 

UMILE 

68. Se  quelle  rime  troppo  dir  prefumile  j 
i70.Be;ì  v&ggiochecol  fiato  un  giorno  allu- 
mile. 

U  M  I   N  A.       Egl.  XII. 
Iti  i. Che  quel  miofol  che  1*  altro  mondo  allu- 
mina 

aij.Qualbove  all'ombra)  che  fi  pofa  e  ru- 
mina, 
if  5.Qual  vite  che  per  pai  non  fi  ftatumina  • 
U  M  o  R  A  .       Egl.  X. 
20.MÌ  fé  cercare  un  tempo  ftrane  fiumora  » 
21. E  s*  io  pafTai  per  pruni ,  ortiche  ,  ed 

umora» 
i4.Crudi  orli ,  dure  genti  >  afpre  coftumora* 


Um  u* 


55(5      TAVOLA    DELLE 
U  M  u  L  o,      EgL  Vili. 
98. E  fra*  cipre/Tì  mi  farete  un  tumulo , 
icxD.Ailor  le  rime  eh' a  mal  grado  accumu 
102. Ornando  di  ghirlande  il  mefto  cumulo 

Egi.  xn. 

^S.Queft*  è '1  tempio  onorato,  equefto 

LU^T'ulo 

4c.Qui  fempre  ti  farò  di  fiori  un  cumulo: 
42.Nondifpr  zzar  ciò  ch'in  tua  gloria 
CI! 'nulo . 

U  N   A  N  o  •       Egl.  X. 
53. Acciocché  quando  i  bofchi ,  e  i  mo 

iiììbrunano, 
55.Qu  jnti  greggi ,  ed  armenti  oimè  dig 

nano, 
57. Si  van  nudrendoche  per  terra  adunan 
U  N  e  H  E  s  I .       Egl.  X. 
i7S.Noce  alle  biade»  or  eh'  è  ben  temp 

trunchefi , 
180. Non  afpettate  che  la  terra  ingiunchcfi 
182. Fin  che  ogni  ferro  poi  per  forza  adu 
chefi . 
Ungere.      Egl.  IX. 
26.DÌ  £iggio  5  ove  potrai  le  capre  munger. 
2  8.Scufe   non    mi   faprai  cotante  aggiu 

gere, 
30. Far  non  potrai  sì,  eh' io  non  t'abbia 
pungere. 

U  N  G  E  s  I  .       Egl.  X, 
17. Nel  lieto  piano  ove  col  marcongiungeì 
19' Amor ,  che  mai  dal  cor  mio  non  difgiui 
gefi, 
2i.Ove l'almi  penfandc  ancor  compungefi 


Un  I' 


RIME   SDRUCCIOLE.       557 
Uniche.      Egl.  XII. 
Ognun  la  pena  fua  meco  comuniche  : 
Scriifi  i  miei  verfi  in  fu  ie  poma  puniche; 
Sì  fon  le  forti  mie  moilrofe  ^  ed  uniche  . 

U  N  s  E  L  I.       Egl.  VITI. 
.1  monti ,  e  i  fiumi  /  e  fé  '1  tuo  duol  con- 

punfeli 
.0  felici  color  che  amorcongiunfeli 
.Né invidia,  o  gelosìa  giammai  difgiun- 
feli  / 

Urano.       Egl.  I!. 
•De'  fallì  lupi ,  che  gli  armenti  furano  ; 
Afcun  fagg;  paflor  le  mandre  murano 
•Che  nel  latrar  de'  can  non  fi  anicurano  • 

Egl.  VI. 
Ridori  in  vifta  buon  ,  che  tutti  furano 
D'  oltraggio  ,  o  di  vergogna  oggi  non 

curano 
In  si  malvagia  vita  i  cuori  indurano. 

Urti.       Egl.  X. 
.Farcjuei  primi  paftcr  nei  bofchi  Etrurii; 
•So  bèi!  che  I*  un  da  più  felici  augurii 
In  fu  P  edificar  de*  ior  tugurii . 

U  R  o  M  I .       Egl.  1. 
.Divento  un  ghiaccio ,  e  di  nuli'  altra  cu- 

romi , 
•Per  maraviglia,  più  eh'  un  fadb  indu- 

romi , 
.E  *n  dimandarti  alquanto  rafllcuromi . 

U  s  e  A  N  o.       Egl.  XII. 
•Vedrem  fé  le  fue  viti  fi  lambrufcano  , 
.  Vedrem  poi  che  di  nubi  ognor  fi  oftufcano 
.Forfè pur  novi  incend;  in  lui  corufcano  . 


Usco- 


555      TAVOLA    DELLE 
U  s  e  o  L  o.       Egl.  Xlf. 
16. Ma  cerca  ben,  fé  v*  è  pur  altro  ai 

fcolo  ; 
18. Una  tabella  pofe  per  muiufcolo 
^o.Ch'io  ri  terrò  fu  Puno ,  e  l'altro  mufc» 

Userò.       Egl.  X- 
2^.Le gambe  il  fanno;  e  fé  timor  mi  pu 
2^.  Al  fin  le  dubbie  forti  mi  rifpufero  : 
27  Sopra  il  vecchio  fepolcro  fi  ccnfuftro  . 

U  s  T  I  c  I  .       Egl.  XIL 

i57S'io  vivo  »  ancor  farò  tra  quefìi  ruftl 

259. E  da'  monti  Tofcani,  eda'Liguftici 

261.S0I  per  cagion  che  alcuna  volta  furtic 

U  T  A  T  I  .  ^    Egl.  X(l.  ^ 

59Che  temprar  non  li  f 0  .  comincia  ; 

tati  ; 
i5 1. Che  farai  >  Meiifeo?  morte  refutati 
65.  Né  più,  come  folca,  lieta  fai  utati . 
Ut  I  c  I.       Egl.  XIL 
301. Ch'io  ti  farò  fermar  dietro  a  quei  fri 
3 04 .Voto  fo  io,  fé  tu  ,  Fortuna  1  ajutic 
3o6.Unaalla  Tempellà,  che '1  ciel'non 
tici , 

Utile.       Egl.  XIL 
173. Mirando,  e  parmi un  fol  che  fplen 

rutile, 
J7  3.Qual  tauro  in  felva  con  le  corna  mut 
177  Talfonoiofenzate,  nìanco  e  difuti 
U  T  o  L  E.       Egl.  X. 
i.Non  fon,  Fronimomio,  del  tutto 

tole, 
3.Tal,  chi  quafi  all'antiche  egual  j 
tob. 


Ut 


RIME  SDP.UCCTOLE.       559 

U  T  o  L  o.       Egl.  VI. 
Legar  per  giuramento,  end' efler  mutolo 
Del  furto  fi  vantò  ,  roi  eh'  ebbe  avutolo  , 
Agli  occhi  no(lri;ond*  io  faggio  riputolo  . 

U  V  I  o.       Egl-  X.  , 

Non  fia  mai  poi  balen  ,  né  tempo  pluvio  , 
Amico  ,  io  fui  tra  Baje,  e  M  gran  Veiuvio, 
Il  bel  Sebeto  accolto  in  picciol  iiuvio  . 


Jl  jine  del  Tomo  Primo 


o 


> 


'C/ 


PQ        Sannazaro,  Jacopo 

^633  Opere  volgari 

A13 

17^1 

t.l 


PLEASE  DO  NOT  REMOVE 
CARDS  OR  SLIPS  FROM  THIS  POCKE 

UNIVERSITY  OF  TORONTO  LIBRARY