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Full text of "Pensieri morali"

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mmn morali 



N. TOMMASEO 



NOTE TQ THE REAPER 

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inner margins are extremely narrow. 

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utilizing the best means posiiblc. 

PLEASE HANDLU WITW C b^^ 



• 

t»ENSIERI MORALI 





DI 


• 


t 




N. TOMMASEO 




// 




• 








MILANO 




PRESSO FRANCESCO SANVlTO 




48K8 




PROPRIETÀ LETTERARIA 



La presente edizione economica , verrà j^ 
in vendita tosto che siasi esaurita T altra, 
guita pure in pari tempo di qaesta^ in un v 
me in ottavo piccolo. 

Milano ; gennaio i^5& 

L editore F. Sanvit 



Tip. Scott 



AL LETTORE 



-«^«b- 



Dal proverbio popolare alla sentenza 
s' savi, dal motto arguto al grave afo- 
ismo, ìii tutti i popoli, in tutti i secoli, 
natura ispirata e l'arte prudente, Tu- 
lli fede e il superbo ragionamento, ama- 
it)no in brevi parole restringere il pen- 
derò e l'affetto, che volassero agili per 
la mente, che ratti penetrassero al cuore. 
;e questa forma io talvolta prescelsi, io 
^he diedi pur saggio d'amare e la copia 
Hposata del dire e la veemente abondan- 
fta, non mi sia, prego, da' buoni imputato 
a smania di sentenziare, o di parer sin- 
golare dagli altri scriventi, o di ostentare 
t)enosa brevità. Tale espongo il mio con- 



/ 



cello quale mi si formò nella mente; e 
tanto aliena è la natura mia dal timor 
d'imitare, quanto dalla paura di non imi- 
tare. E la brevità può bene essere, più 
che orgogliosa , modesta ; quando lo scrK ^ 
vente s'affidi air acume de' suoi lettori, e ■■ 
non ardisca stancarli con dichiarazioni 
che abbujano, e amplificazioni che fred- 
dano, e ripieni che seccano Tanima, qua- 
si bellezza carnosa e attempata, che più 
si mostra e più induce sazietà tediosa. 
Ma che nella brevità possa essere ed ef- 
ficacia di persuasione e splendore e ca- 
lore e pienezza e armonìa, chi noi sa che 
non- sia digiuno della greca e della latina 
bellezza, ch'abbia ricevuto nell'anima il 
verso di Dante? Né questo dico per voler 
insegnare al mondo che la brevità mia 
' sia proprio cosifTatta : dico perchè i dif 
fetti d'un uomo non siano apposti a niif 
forma di stile; e perchè chi scrive flacr 
e chi fiacco sente, non tragga da'difi 
miei scuse e vanti alla propria loquac 
e tardità ed impotenza. 



PARTE PRIMA. 



VIRTÙ, PASSIONE, VIZIO. 



CAPO I. 
I. 

DEL DESIDERIO. 

l. Laddove è armonia di desideri! , ivi è spc- 
iza. 

ì. Il desiderio affretta e créa T avvenire. 
{. Clii innalza i desiderii, li frena. 
L La volontà, o troppo o troppo pooo frc- 
3, è inciampo all'ingegno. 
). I desiderii vani sono concetti immaturi: 
concetti immaturi generano desiderii vani. 
>. Voglie impotenti o forze svogliate, sono 
sventura del mondo. 
1. Chi troppo vuole, si svo^a. 
). Ogni sentimento che voglia durare dev* cs- 
c pensato e tranquillo. 
). Quanto men gli uomini han di bisogno 
m bene, tanto sono nel perseguirlo più avidi 
ibietti. 

IO. Se gli uomini conoscessero intimamente 
cosa che bramano, la bramerebbero meno. 



i 



ì 



^8 — 

11. INon illude bene chi non è un poco' il- 
luso. Questo negli attori di scena ^ e anco negli 
attori del mondo. Ma il troppo illuderci noi di- 
legua T illusione in altrui. 

12. Certi beni tormentano bramati , e più 
tormenterebbero conseguiti. 

13. L'aspettazione del piacele è talvolta più 
tormentosa della paura. 

14. La distanza imaginaria che Tuomo pone 
fra sé e il proprio intento, quant' è più imagina- 
ria tant'è più dilBcile a superare. 

15. Badate se gì' incomodi che durerete per 
godere un bene, siano o no più gravi di que' 
che si durano per non lo godere. 

16. Giunti alla meta d'un gran desiderio, 
si trema. 

17. Il bene precipitosamente afferrato, fa 
male. 

18. É più grave il rammarico flel disingan- 
no che la dolcezza dell' illusione; e giova che 
sia. Perchè se l'uomo, non ostante si frequenti 
disinganni, s'illude; che sarebbe ove questi 
fossero meno penosi? 

49. 11 disingannarsi richiede sovente più for- 
za di fantasia che l'illudersi. 

20. I disinganni potino la pianta del deside- 
rio generoso, ma non la stronchino. 



DEL PIACERE. 



1. Il piacere non è già dolore cessato: nia 
jl dolore ci dispone a que' movimenti de' quali 
esce II piacere; ci scuole. 



%. L'intensilà, non la varielà, fa i piaceiL 
Questa suol nocere a quella. 

3. Il vero ben essere non ha rilievo di sen-* 
sazioni piacevoli: è tulio un q'uielo ed equabile 
sentimenlo.. 

4. Molli vorrebbero improvvisi e a salii que' 
piaceri che vengon dall'ordine quielo e dagli 
abili. 

5. I piaceri passali ci appariscono più vivi 
in memoria che in alto non furono: perchè le 
noje d' allora ) occupando l'anima di sé» non la- 
sciavàn agio a meditare i compensi. 

6. La memoria d' un nd3ile piacere, per bre- 
ve che sia, si distende, quasi tenda protettrice, 
su tutta la vila. 

7. Le cose del mondo più dolci, sono le più 
terribili spesso; appunto perchè pajon facili, e 
r anima ci si abbandona e addormenla. 

8. Donna che teme le gioje, donna che ama 
altamente. 

^. Ne' fari la luce or dispare or appare. Con- 
solazione che venga a intervalli, e guida più 
sicura nel cammin della vila. 

iO. Perchè dunque, o Signore, desti agli uc- 
celli e r agilità beata del volo, e la beata dol- 
cezza del canto? Non bastava egli una sola di 
doti si care? Perchè nell'agilità è la bellezza; 
perchè neiralto è la soavità; perchè nell'inno^ 
cenza è la gioja. 

11. La bellezza delle cose^ più che rutilila, 
v'innalzi l'anima a Dio. 

12. Le più ovvie e coslanti beltezzé della 



^ 10 ~. 

• 

terra e del cielo, le più consuete dimostrazioni 
dcir umana aiTetto, guardatele come visioni e 
voci dell* alto; e sarete oondnovamente ispirati. 



NOIA. 

1. La noja è tristezza senz'amore. 

2. Son più le noje comperate a contanti che 
le gratuite. 

3. Altri piaceri seccano lo spirilo per tedio ; 
altri lo seccano per disamore. 

it. L'ambizioso è tanto sovente annojalo, quan- 
to il vsfno è nojoso.- 

$. La noja affettata é dispregio de' più gros- 
solani: e r usano sovente gli uomini più nojosi. 

6. Chi s'arrabbatta per fuggire la noja, l'a- 
vrà sempre alle spalle: chi nel diletto stesso 
cerca il destro per adempire un dovere, non 
s'annojerà mai. 

7. Un de'^sgni e de'gastighi del male gli è 
far l'uomo paziente delle inutili noje. 

8. Il men buono s'annoja sempre più fiera- 
mente del buono: e perchè meno interamente 
occupato, e perchè meno indulgente. 

9. Ogni stato o sentimento nojoso, è un ri- 
chiamo a virtù. 



■\ 



— il -- 

CAPO IL 
I. 

PIACERE E DOLORE. 

1 . Il piacere è più spesso cagione di guai che 
il dolore. 

2. I beni inopinali non tanto fanno piacere, 
quanto i mali inopinati dolore. 

3. Tanti trovano il dolore cercando il . piace- 
re. Perchè cercano. 

4. Il piacere misto a dolore, è unica felicità 
sulla terra. Piacere mero fa l'anima stupida e 
dura. 

5. Ogni gioja dell' amore vero è pagata con 
doppia ambascia: e però le son care quelle gioje 
e tenaci. 

6. Amore che fa l'anima gaja o cupa, non 
mesta e serena, è amore reo. 

7. Nell'amor grande, ogni dolore, ogni te- 
dio che rammenti esso amore, divien caro al- 
l'anima inferma. 

8. Donna che stima suoi propri i piaceri tuoi, 
può amate più sé stessa che. te. Donna che 
gtima suoi propri i dolori e le consolazioni tue, 
quella t'ama davvero. 

9. AI piacere sia contrappeso la lontana idea 
del dolore. Così non cadrete. E cosi spiegasi 
in Virgilio: iemere i dolci amori. 

10. Cessato il male^ senti necessaria la pre- 
ghiera. 



H. Ne' momenti della gloja pregale pe' dolori 
avvenire; e la preghiera sarà più disinteres- 
sata, più libera di distrazioni, più* calda. 

12. Un'anima, per corrotta e addolorata clie 
sia, è più sensibile al bene che al male.. 

13. L'uomo dimentica più presto il dolore 
che la gioja. 

14. Sempre nella grazia è un principio di s(^ 
verità; nella gioja una vena di dolóre. 

15. Il dolore è più sovente premio che penas 
il piacere è pena più sovente, che premio. 

16. Il dolore è più vario e più ispiratore e 
più innovator, della gioja. 

1 7. Sia ndla vostra gioja una vena di tristez- 
za, nella tristezza una vena di gioja. 

H. 

NECESSITI DEL DOLORE. 

1 . Spada di fiamma sempre rotata custodisce 
la via del legno di vita. La fiasìma è splendore 
e dolore; guida e spavento. 

2. Di que' dolori lo spettacolo ci fa più pau- 
ra, che più ci son prossimi o più remoti. 

3. Quando i minuti dolori presenti non tolgo- 
no il prospetto de' grandi dolori avvenire; al- 
lora ciascuno di que' dolori minuti si moltiplica 
per ciascun di que' grandi, e fa dura ineffa- 
bilmente la vita. 

4. Quando vi tocca un dolore, cercatene sù- 
bito la cagione; e troverete che sempre la colpa^ 
a per diretto modo o per indiretto « è vostra. 

^on lo merUerele dall'uomo c\v^ \^ lo reca. 



- 15 — 

ma lo u\crilcrolc da allr' uomo al quale voi ne 
recaste. 

5. In quelle regioni dov'ora è deserto, fu ce- 
lebrità di pubblica vita; e dov'ora è fervore di 
ci viltà, sarà gelo d'inerzia. Cosi nella vita del- 
l'anima, il corso delle idee varia di una in 
altra regione con gli anni; e in quelle parti del 
pensiero dov'era più gioja, sarà più squallore. 

6. Il mietere è più affannosa fatica del semi- 
nare. Più l'uomo s'appressa al bene quaggiù, 
e più patisce. 

7. La sventura altrui e all' infelice conforto, 
non percb' e' goda de' mali altrui , ma perchè 
egli apprende così lo stato ordinario dell uomo 
quaggiù. 

8. I mali che non hai, considera come al- 
trettanti beni; e sarai lieto. 

9. D'ogni giornata passata senza dolori gran- 
di, ringraziate Iddio come di grazia ottenuta. 

10. Non bisogna tanto pensare al maf che 
si fugge, quanto al male in cui s'entra per fug- 
gire quello. 

11. Non potete voi dire: sono contento? Dite: 
mi conimio: e finitela. 

12. Dio manda secondo il senno i dolori, e 
i dolori secondo il senno. 



GIOJE DEL DOLORE. 



1 . La prima gioja all' uomo abbattuto da do- 
lori lun^i, desta più" fervente che mal \l d^^v 
àerìp de' beni iln tanfo tempo \>o;\:àwM\. 



'2. A chi scese da montagna erta, il pur ve- 
derla rammenta Y ambascia del salire. Cosi V in- 
felice : la stessa felicità gli è memoria di dolore. 
5. Il dolore è cosa tanto tremendamente me- 
morabile all'anima! E nondimeno (provvidenza 
di Dio!) r anima più per minuto rammenta le 
particolarità delle cose che la consolarono, die 
non di quelle che la afflissero. 

4. Le memorie del dolore passato talvolta 
spaventano più forte del dolore i^tesso. L'anima 
non misura sull'atto la profondità né del male 
ne del bene : provida debolezza, quella a rispar- 
mio dì pena, questa a moltiplicazione di gioja« 

5. Le memorie dolorose danno risalto e vita 
alle memorie dilettose. 

6. Nella gioja si dice quello che si senti nel 
dolore. Il riso spende quel che le lagrime ac- 
cumularono. 

7. I dolori più fondi fanno le gioje più alle. 
8/ Più parole potenti e azioni generose ha 

ispirate il dolore agli uomini, che la gioja. 

9. Senz'acqua non fiorisce la terra; ne l'ani- 
ma senza lagrime. 

10. Come l'Egitto al ritrarsi delle acque fe- 
condatrici; cosi l'anima dopo il dolore. 

11. Le acque diluyianti sollevano l'arca che 
slava bassa ed inerte. Cosi le sventure fanno 
dell' anima. 

12. Nessuna gioja è più forte che le gioje se- 
vere del ben patito dolore. 

13. Nei dolori grandi l'uomo non prega: ge- 
me. Ma quel gemilo, «e voUo in su, è polente 

preghiera. 



— 15 -« 

■V. 

SEGNI DEL DOLORE. 

ì. Sotto la nobile malinconia s^ asconde tal- 
volta ignobile o noeritato dolore. 

2. 1 banìbini inviziati piagnucolando per ismor- 
fia cantano; i poeti inviziati cantando per ismor- 
fia piagnucolano. 

3. La donna, più debole dell' uomo, pur sente 
il dolore con più. dignità, piange con più com- 
postezza, 

4. Più si contorce l'uomo nel ridere che nel 
piangere. Il pianto par cosa più naturale assai. 

5. II riso e convulsione; il pianto, come cosa 
intima, spreme della sostanza latente de' nostri 
umori. 

6. Ad altri la gioja è fremito, ad altri è tre- 
nìito, ad altri gemito: quali migliori? 

7. Più facile simulare il dolore che non sia 
l'allegrezza; più facile, dissimulare questa che 
quello. 

8. Chi cela il dolore, è migliore di x^hi na- 
sconde la gioja. 

9. Non è cosa più compassionevole al uKHido 
del sorriso doloroso d'anima che geme ferie- 
inente nel suo profondo, e tace. 

10. Le celie dell'uomo addolorato, a chi le 
intende, son più compassionevole cosa delle 
lagrime.. 



— i() — 

V. 

PUDOR DEL DOLORE. 

1. Chi fiotta, non sente quanto chi preme 
il sospiro. Il pianto dice men delle lagrime. 

2. Hanno anco le lagrime il suo pudore. Chi 
sa piangere sommesso, è più grande di chi som- 
messo gioire. 

5. Nascondete le vostre laffrìnie , come le sue 
bellezze la vergine vereconoa. 

i. Se ragione possente non mova a sfogare 
da altri il dolore, l'anima n'è più fiaccata che 
mai. ' ' ^ 

5. Sfogare in querule confidenze il dolore, è 
conforto tormentoso: come il bere agi' idropici; 

6. Chi è uso a patire, è uso a tacere. Chi poco 
sa tacere, ha poco patito. 

7. Son pochi i dolori de' quali si possa 'altrui 
tutto dire; pochissimi de' quali altri possa in- 
tendere tutto: onde, parlando a mézzo, tu risi- 
chi di parere insieme nojoso e bugiardo. 

8. Parlare troppo de' tuoi dolori a chi non 
t'intende, è debolezza sovente colpevole; ma 
nulla dime, può essere orgoglio. 

9. Il dolore desta negl'indifferenti più curio- 
sità che la gioja. Gli (addolorati la crecfono conv 
passione. 

10. Chi si maraviglia del vostro dolore, v'of- 
fende talvolta più che se maravigliasse della vo- 
stra virlù. 



-- - 17 — 
VI. 

SCIENZA DEL DOLORE. 

1. Patire non è punto merito; ma soffrire, cioè 
portare il patimento, andare innanzi con quello. 

% Se niezzi quegli sforzi che Y uomo fa per 
{scuotere il dolore, li facesse per ben sostenerlo, 
e' lo vincerebbe più presto, e meriterebbe più 
intera l'altrui pietà e riverenza. 

3. L'esperienza del dolore non dà la scienza 
del dolore: la qual viene dalla virtù. 

4» I buoni presentono il bene nel patimento; 
i tristi sentono dalla vita esalare il fetor della 
morte. È differènza tra loro come tra usignuolo 
e avoltojo. , 

5. L'umana società è congegnata in modo 
che sempre dal male esca un bene più grande. 
Però ndla vista del male non ci fermiamo so- 
spirosi; ma procacciamo come trarre da quello 
idee con affetti, utilità con virtù. Il male stesso 
ci sia rivelatore de' segreti di Dio. 

6. Facciamo come il soldato che piglia la 
pioggia sopra sé, ma difende Y acciarino dei 
suo lucile: salviamo dalla fredda acqua l'affet- 
to; del rimanente sia che può. 

7. Da una compagnia nojosa, da un'ora per- 
duta, da un dolore, da un fallo vogliate trarre 
un'idea feconda, un piacere stabile, un'occasione 
di merito straordinario: e troverete. 

8. Il dolore è talento prezioso: difficile spen- 
derlo bene e farlo frullare al gUisk) valore. 

TouòÀSEO^ Pensii'ri morali, ""i 



9. Uomo non educalo dal dolore riman sem- 
pre bambino. 

10. Meditar sul dolore passalo e sulF avvenirci, 
(alvolla distrae dal presente; meditare sui pre- 
senti) può risparmiar gli avvenire. 

il. L'occupazione, meglio che la filosofia , in- 
segna l'oblivione de' mali. 

12. La croce in algebra e in politica è il segno 
del positivo. 

lo. Il dolore noi deboli accarezziamo^ stuz- 
zichiamo: non dico di chi lo mentisce. 

14. Sia polente e consolato di quieta speranza 
il dolore; speranza non cupa, non orgogliosa, 
non vana. 

15. I brevi impeli traggono' seco stanchezze 
lunghe; ammalano e infermano. Freniamo e la 
querela ed il vanto, la loquace disperazione e 
la confidenza infingarda. 



CAPO III. 

. MORALITl DELLE AZIOM. 

1 . La prima impressione che in noi fanno le | 
cose esterne è innocente: la colpa viene* dal non 
la sapere rivolgere al bene al quale dalla na- » 
lura è indirìtla. 



1 



- - il) — 

2. Won c'è allo ìiidiffcreiilo: q se alcuni a 
noi pajon lali, ciò viene dall'ignoranza e spensie- 
ratezza deir uomo. Più egli avanza in sapere 
e in virtù, più si fa chiaro e cresce il merito e 
il demerito d^'suoi alti. 

3. La religione colla potenza delle intenzioni 
concorre a rendere meritorii e efficaci gli atti di 
più lieve momento. 

4. La direzione è quella che dà merita o dc- 
nief ito alle azioni e agli afletti. L'uomo può ania- 
re una donna, un cane, la patria, il genere uma- 
no; gli è tutto amore. L'uomo. può vantarsi d'in- 
filare in una cruna i chicchi di miglio, di man- 
giar sci capponi, di trafìggere un uomo nel cuore 
a primo colpo: gli e tutto amor proprio. 

0. Il fine d'un' azione è talvolta più oscuro a 
chi la fa, che a chi la patisce. 

6. Non e atto di virtù afTalto sgombro d' uma- 
ne affezioni: ma basta al merito l' intenzione 
sincera del cuore. 

7. Nel libero arbitrio risiede il sommo della 
personalità, la facoltà di beh fare, e però di 
^Lvarsi. 

8. Le involontarie conseguenze degli atti di 
deliberata volontà, sono materia di una nuova 
scienza. 

5. Cercare un fine deliberato e costante in 
tutte le azioni degli uomini, non è del saggio. 

10. L'uomo talvolta opera o per cieco istinto 
dell' amor proprio, o per abitudine fatta natura. 

li. Il più de' mali commettesi sopra pensiero: 
e questo segue agli uomini in pena d' altro malo 



che deliberalaiìicnlc e quasi di viva forza com- 
misero. 

12. Chi vi rende troppe ragioni d'un suo 
fallo d'un desiderio, risica di non ne avere 
nessuna di buona. 

13. Di quel che credete in coscienza dover 
fare^ lion rendete ragione con lunghi discorsi. 
Nessuno ha diritto di chiedere alla coscienza 
spiegazioni lunghe; le quali, del rèsto, invece 
di quclare i sospetti, li svegliano. . 

14. Cuore sincero che sdegna giustificarsi, 
pare talvolta cuor vile che giustificarsi non 
possa. 

15. La moralità de'desiderii è varia in cia- 
scun'anima umana: ma da queslo non segue che 
alcuna norma comune non possa esser posta a 
giudicarli, dirigerli, unificarli. 

16. Quanto l'educazione e l'abitudine possano 
allerare l'islinto della coscienza, Dio solo può 
dirlo. Dio solo è giudice della colpa. L'uomo 
più facilmente può conoscere il merito che il de- 
merito dell' altr' uomo. E, s'è' s'inganna, al- 
meno r inganno è men doloroso e men reo. • 

17. Nella medesima terra, nella medesima 
casa fate pochi passi, e vedrete il sole orienlc o 
vi priverete della sua visla. La luce del vero e 
del bello ci e sempre vicina: cosla più sottra r- 
sele che gioirne. 

18. Anco alla morale si può applicar l'arim- 

melica: ma quel che falsifica calcoli lali, gli è 

l'applicarli a certe cose e non a ceri' altre; gli 

ò il tralasciare alcuni importanti clementi del 
calcolo. 



— 24 -- 

19. L'ampia pianura è luti' uguale prospetto. 
Senza salire^, V uomo non domina con lo sguar- 
do le cose. 

20* Più s'alzerà l'umano pensiero, e più cre- 
sceranno i perìcoli e i merili dell'umana volontà. 
La quale, cadendD da maggiore altezza, trarrà 
più dannosa mina. 

21. Lo studio de' casi di coscienza sarebbe 
anco a' poeti e agli oratori utilissimo. 



CONDIZIONE DELLA VIRTÙ. 



1. Chi superbantente si vanta dell'avere 
adempiuto un dovere, sarà finalmente discre- 
dulo o punito, come se lo violasse. 

2. Giusto j non a caso in Virgilio e nel Van- 
gelo a significare virtù. Non è giustizia civile 
senza moralità ; né moralità senza rendere in 
penserò ed in fatto il suo a ciascun ente. 

3. Siccome tutte le cose sono in numero e 
ìp misura, cosi gli alti morali dell'uomo; i 
quali , se potessimo vedere nel giudizio di Dio, 
potremmo computare per numeri con esattezza 
oiatemalica. La religione è l' algebra di lali com- 
puli. 

4. All' anime nobili . la perfezione è dovere ; 
alle basse, il dovere è un soprappiù, come cosa 
di lusso. 

5. Nella severità della virtù vera, cosi come 
della vera bellezza, è non so che liberale, ma- 
gnifico ed elegante, che non è i\e\ d\s^i^\s\\ 4tìvr 
Y affetto, ne in (juc* dell' ingegno. 



6. Non v'è educazione, per gentile che sia, 
aJ quale insegni evitare le inconvenienze a cui 
la passione spinge. Gentilezza senz^ vrrtù è 
menzogna a tutti i momenti smentila. 

7. La virtù sgarbata non è della vera. Quella 
è più vera virtù e' ha jriù grazia negli atti. 
Sommo bene e bellezza somma. / 

8. Conviene alcuna volta rimettere della ma- 
nifestazione esteriore della virtù, per serbarne 
r intimo spirito vie più potente. 

9. Non basta conoscere e amare il vero ed 
il giusto; conviene saperlo dire c'operare: chi 
non pecca nell'intenzione, può peccare ne' modi. 

10. Quand'anche il saggio potesse (e non 
può) tenersi in lutto fuor degli esempi del co- 
mune degli uomini, non dovrebbe tenersene, 
per non far credere altrui la virtù quasi im- 
possibile cosa. 

H. Virtù non disinvolta è odiata e sgrez- 
zota dal mondo; disinvolta, è calunniata o in- 
vidiala. 

12. L'esagerazione è tanto comune nel mon« 
do, che la vera virtù e il vero ingegno che 
non se ne servono, pajon sospetti. 

13. Disonesto avevano gli antichi in senso 
d'eccessivo, perchè nell'eccesso è del male 
sempre. * 

14. Come un lume che fa tròppa fiaccola, (a 
poi troppa moccolaia, cosi tulli gli sforzi del 
corpo e dell'ingegno e dell'animo. 

15. Virtù, per valore, ne' Latini pagani era 
/fc//o^ perchè significava: le forze del braccia, 



dcir animo deirinlimo pensiero, i' una con Tal- 
Ira ajutarsiy né Funa senza T altra poter vi- 
vere a lungo. Ma virtù, per valore meramente 
guerriero, nel Machiavelli, nel Guicciardini, nel 
Botta anmiiiserisce Tidea, e la fa più pagana 
de' pagani stessi. 

16. C'è varii modi di fare il bene: chi ve ne 
impone uno solo» è o impostore o -imbecille o 
matto; sovente un miscuglio de' tre. 

17. Chi giova a sola un'anima, giova a di 
molte. Come, ^li non sa: lo sa Dio. 



NORME DI VIRTÙ. 

i. Sapientia prima, stuUitia caruisse: i pregi 
deir astinenza non son cosa da poco. 

2. Virtù che par negativa e par consistere tutta 
nel bon fare, vi frutterà molte utilità positive , 
e molte virtù positive ecciterà. 

3. Non nel reprimere il moto del pensiero 
o dell'amore è riposta la virtù: ma nel reg- 
gerlo in alto. 

4. Taluni allo spegnere del lume si destano : 
e' sentono la luce a occhi chiusi e nel sonno. 
Cosi dovrebb' essere l'amore del bene e del bel- 
lo; anco ne' riposi dell'anima sentire il difetto; 
e il difetto destarla a guardia più fedele. 

5. Sollecitudine vince velocità : agilità vince 
forza. 

6. La virtù è sempre desta, e scm\)w^ teasv- 



- Ri- 
fluirla: il vizio Ii^ convulsioui, poi letargo e so- 
gni affannosi; e si crede di vegliare perche sogna. 

7. L'uom senza metodo è infelice, perchè, 
fallo irregolare il periodo delle esterne impres- 
sioni, le azioni slesse diventano sregolale. 

8. Non tanto le forze dell'animo, non tanto 
la solidità de' principi!, quanto l'abitudine fa pa- 
rere, ed essere veramente, fermo l'animo nostro. 

1). Non vi fate servo d'abitudine esteriore nes- 
suna, per buona che sia. L'abitudine è come 
una promessa che voi fate ad altri e a voi stes- 
so; e non siete sicuro di sempre poterla man- 
tenere. Intanto chi ha ricevuto la promessa, n'at- 
tende r eseguimento: e chi attende, pretende. 

10. La varietà delle stagioni s'avvicenda a 
sì breve intervallo, per abituare l'uomo a rom- 
pere la troppa uniformità della vita; per ac^ 
crescere, coli' attenzione e con gl'incomodi, i 
piaceri di luk . « 

11. Il dovere non s'adempie se non fiicéndo 
più del dovere. 

12. Difficile sentir grida intorno, e seguitare 
senza turbazione la serie de' propri pensieri: 
più difficile ne' tumulti di fuori mantenere im* 
perturbalo e eondurre sempre innanzi l'affetto: 
e pur nell'atto del non dar retta alle grida, non 
le disprezzare. 

13. Ascoltate i pensieri, i presentimenti della 
notte, perchè in quella pace, come sommerso 
rumore lontano, si fa la coscienza sentire. 

14. Ne' tempi corrotti, a fare il bene, pare che 
debbano i buoni usar più cautele che i cattivi 

n commcUùre il male. 



— 25 — 

1 5. Quo' ehc insegnano la virtù con precetti , 
ftono come que' Veneziani che a chi domanda 
la via, rispondono: sempre diruto. Senìpre di- 
ritto: ma si svolta a ogni dodici passi. A cono- 
scere tale dirittura ci vuole una guida. 

16. Imprudente e fallace è allenare con le 
promesse gli uomini a diventare migliori, porre 
la lusinga quasi mezzana al precetto. 

IV. 

AGBVOLEftB DELLA VIRTÙ. 

1. Ciascun uomo ha modi d'essere virtuoso. 
A chi mei negasse, io risponderei: questo av- 
viso che da me ti viene, può, se tu '1 voglia, 
esser mezzo potente. 

2. Tutte le virtù consistono nel rinunziare a 
una parte dell'amor di se. Gli è vero che que- 
sta rinunzia torna alla fine in vantaggio; ma 
la virtù sta appunto neiranteporre, per amor di 
Dio, la speranza e T imaginazione dell'av venire 
al desiderio e alla tentazion del presente. 

3. La virtù filosofica è palagio senza scale. 
La religione e addita altezze maggiori, ed offre 
al salire più agevoli vie. 

4. Quantunque il bene paja costare più sfor- 
zo, dò {nondimeno il pensiero del male non 
può durare tanto intenso e continovo quanto 
quello del bene. 

a. Sunulare la virtù è più difficile ch'eserci- 
tarla. 



— 20 — 

6. Le virtù sono più feconde che le passio- 
ni: una vera virtù trae con sé tutte l'altre; una 
sola passione non può mai trarle tutte. 

7. i mali l'uno all'altro detraggono; i beni Tun 
per l'altro si moltiplicano: legge d'Iddio pie- 
toso. 

8. Fortezza posta lungo un torrente, n'è me- 
glio difesa: campagna lungo un torrente, è in 
pericolo. Pei* trarre profitto da ogni cosa, Liso-, 
gna sapersi collocar bene in allo: per ricevere 
rinforzi da ogni lato, con viene . essere forte. 

9. Il virtuoso di tutto approfitta ; gli è il vero 
padrone degli uomini e delle cose. 

10. Mai la virtù nuoce all'uòmo; gli nuoce o 
la imprudenza propria o l' imperfezione del bene. 

.11. La temperanza è cagione ed effetto di 
forza. 

12. Nel molto negare a sé stesso, è mollo go- 
dere. 

13. L'esempio del bene è premio del bene. 
Premio a chi lo dà; premio a chi lo contempla 
che non lo conlemplerebbe se in qualche parU^ 
non ne fosse degno. 

14. Bello è un raggio di sole, cadente attra- 
verso alla pula dell' aja. Tale la vecchiezza del- 
l' uomo che visse fruttuosa la vita. 



*' 



JN^^ 



V. 

m 

dell'imperfetta virtù. 

/. L'esperienza del fare il bene, non sempre 
va fuggivo il male. 



— 27 — 

2. Gli uomini fanno del malo più che non cre- 
dono; le donne del bene più die non dicono. 

3. Le passioni' di cui più ci vanliamo esenti, 
son quelle che più sentiamo o che più corriam 
risico di sentire. 

4. Chi troppo minutamente intende a com- 
piere certi doveri, n'omette altri; e si crede 
quasi in diritto d'ometterli. Costoro, in una parte 
rigidi, in altra indulgenti, sono agli altri ingiu- 
stamente severi ; e si credono in debito di for- 
zare altrui all'adempimento del dovere; e fanno 
delia virtù un aguzzino, e della vita una car- 
cere. L'uomo all'incontro che, in sé raccolto, 
pon mente a tutti insieme i doveri proprii, e 
air ordine loro, non ha né voglia né tempo d'es- 
sere intollerante e importuno. 

5. Diffidate del bene: eh' è maschera talvolta 
di male, dico in voi stessi. 

6. Le piccole virtù son mezzane talvolta a 
grandi difetti. 

7. Quando vedete un uomo conservare il suo 
difetto in tutte le condizioni della vita privata 
e pubblica, compatitelo. L'educazione, l'abitu- 
dine, il temperamento, qualche disgrazia, qual- 
che buona qualità dell'animo suo, posson es- 
seme la cagione. 

8. L'uomo grande, se la virtù noi sostenta, 
in molti passi della vita é più misero e inesperto 
del comune degli uomini. 

9. Egli è quasi fatale all' uomo che le parole 
gli sieno discordi dall' opere. Quale sarà cosi 
santo che possa tutto adempiere <\ikawU^ ^\^<^1 
Quale così tfepravato che csaUate ósq^otS «^^x^* 



— 28 — 

10. Non ogni discordanza tra l'opera e le pa- 
role può dirsi ipocrisia: che tulli a questo modo 
sarebbero ipocriti. Ma chi si. pretende incolpa- 
bile, quegli è ipocrila, o bacchettone od ateo 
che sia. 

H. Se il più degli uomini non esercita la 
vera virtù, vuoisi dunque un continuo miracolo 
di Provvidenza per conservarne al mondo V Idea. 



VI. 



DEL GIUDICAR LA VIRTÙ. 

1. Per fare il moralista con garbo, convlen 
trarre la norma de' mali iiltrui e de' rimedii da 
proprii difelli. 

2. Uomo difettoso conta i difelli che non ha: 
ed è più severo di chi non ha punto difetti. 

5. Certi linfatici stimano sé virtuosi; e hanno 
tutti ì difetti che sono conciliabili con la fred- 
dezza e la codardia. 

4. L' opinione loda gli effetti del bene^ le ra- 
dici non vede. 

Ss Taluni tanlo più detestano il colpevole 
quanto meno odian la colpa. 

6. Taluno inlenderebbe correggere i vostri 
difelli dandovi i proprii. 

7. L'uomo che si tiene incolpabile, ^ ficca 
gli occhi spiatori negli occhi dell'incolpato, e si 
crede confonderlo, e ne gode; è uomo men puro 
di quel eh' e' si tenga. Non ha ne il pudore né 
/? compassione^ che sono ì compagni fidi della 
ror/ì viiiù. 



— !2D — 

8. Gli sguardi di cerli zelanti impostori vor- 
rebbero trovare il male che cercano; e noi tro- 
vano, e he stizziscono. 

9. Il pudore che senlesi nel cospetto della vir- 
tùy è soffocato dair orgoglio, talor anco de'buoni. 

10. Nello zelo è sovente più orgoglio che 
amore. 

11. Il falso zelo aborre, il falso sapere di- 
sprezza. 

12. Se chi v'ascolta intende le parole vostre 
alla prima nel senso men buono ; sarà anima 
virtuosa, ma non delicata. 

13. L'essere franteso è inconveniente inevita- 
bile in questo mondo: e chi dell'essere fran- 
teso più si duole, quegli ha meno ragion di 
dolersi. 

14. Risparmiare alle anime deboli un giudi- 
zio temerario, è delle opere di carila più clelle 
che l' uom possa Tare. Perche da' giudizi temc- 
rarii escono que' tanti pregiudizi! crudeli che ap-, 
pestano il mondo. 

15. Maravigliarsi del fallo commesso da al- 
trui, crederlo quasi incredibile anche dopo ac- 
certatisene, è prova d'anima dignitosa. 

16. Con quell'accorgimento, che le anime 
abiette denigrano gli alti generosi, voi dovete 
scusare gli atti men degni. Dovete usare in con- 
trario la medesima, loro norma. 

17. Cercate negli uomini, non tanto que'lali 
in cui somigliano a voi od agli altri, quanto 
quelli in cui differiscono: e apprenderete a ri- 
spettare altrui, a rinnovellare voi stesso. 



— 50 — 

IH. Quulclic parte y qualche germe di merilo, 
In iigiù uomo, quantunque paja disprezzabile, e 
sempre. La virtù vera, cioè modesta, sa sco- 
prirlo, e sa trovar parole da indicarlo ad altrui. 

19. S'avete a dedurre norme generali, de- 
ducetele da' buoni esempi, non mai da' cattivi. 
Se v'ingannate, sarà nobile almeno l'inganno. 

20. Se la virtù non avesse altro merito che 
il piacere diffuso nei cuore de' buoni, per ciò 
solo sarebbe singoiar benefizio. 

21. Il rivolgersi con solitario pensiero alle 
persone che abbiam conosciute di più alto in- 
gegno e di cuore più generoso, e tenerli sem- 
pre testimonii e compagni e consorti, è una 
specie d'ideale, mcn alto del divino, ma che 
pure nobilita lo spirito, e lo prepara ad ascen- 
dere a quello. 

22. Male credere tutto generoso ne' buoni e 
nulla generoso ne'rpi. 

23. Chi nel distribuire non attribuisce a cia- 
scuno quel che gli è debito, è forse non meno 
colpevole di chi ruba. 



— 51 — 



CAPO IV. 

CORSO DELLE PASSIONI. 

1. Il cuore umano è per Io più dai iìlosofl 
considerato troppo- in astratto, e non messo alia 
prova con la Varietà delle cose, in certe, a dir 
quasi, posture particolari. E perciò forse un' 
Iraltato profondo delle passioni, non è ancora 
uscito: e pure questo trattato ha si stretto le- 
game colla scienza della vita civile! 

% Le passioni sono un'escrescenza della virtù. 

3. Dagli affetti soffocati, anziché governati, 
nascono le passioni. 

4. Badate che nel correggere il difetto dell' uo- 
qio non istrappiate la buona qualità che gli è 
accosto. 

5. Una facoltà deiranima soggiogata dalU 
passione, arma l'uomo contro sé stesso. 

6. La gioventù dell'anima é come la primave- 
ra: or piovosa e fredda, or ardente; non sai 
quando incominci né quando Unisca. 

7. Certe passioni pajon nascenti, e ruggono; 
altre pajono prepotenti, e sono decrepite. 

8. La passione é com' acqua, che più si dilata 
e più perde del fondo. 

9. Il vizio, non che la passione, lia sempre 
de' lucidi, intervalli ; gli e 4» scosse. 



— Di — 

10. Le passioni crescono lalvoila più per ima- 
..' ginazione che per affetto. 

11. Le passioni, diminuito sovr'esse l'impe- 
ro dell'imaginazione, o muojono o diventano 
vizii. 

12. Taluni confondono il bisogno con la pas- 
sione. 

1 3. Taluni temono mutare le abitudini, perchè 
le credono fatte parte dell'essere loro piucchè 
non siano veramente. 

44. Fidarsi alle altrui passioni, è il maggior 
'de' pericoli. 

15. Non giudicate ìUài ne l'ingegno ne l'a- 
nimo d' uomo che non abbiate visto in passione. 

16. L'origine, l'atto della passione, non si 
conoscono bene: resta a conoscerla da' suoi ef- 
fetti, insieme raccolti. Ch'è quanto dire:- per 
definire la mia passione, io dovrò attendere 
ch'ella passi. 

17. Il tumulto che resta neir anima dopo ui\|i 
passione fiera, è talvolta più affannoso della 
stessa imperversante tempesta, appunto come 
la marea dopo un'ira di vento. 

18. Può la passione calmata, poi rinfierire. 
Ma le espressioni potenti della passione non si 
trovano se non ne' momenti di calma. 



LA PASSIONE E LA RIFLESSIONE. 

1 . Sensazione e parola piateriale abusala og- 
gidì i)er denotare impressione viva sul semi- 



00 



nicnio. Ncir inipropriolà è sempre un germe 
d'immoralità, ncirincleganle è del falso. 

2. L'anima, abbandonata in balia delle im- 
pressioni esterne, si mula quasi senza avve- 
dersene; e per questo stesso si mula più in 
male che in bene. 

3. Nelle colpe commesse scnz'abbadare, que- 
sto non ci abbadare è talvolta la colpa più rea. 

4. Le medesime cagioni che la stoltezza, fo- 
mentan la colpa. 

.*^. Non domanda già Dio: Come peccasti?; 
domanda: perchè? Il bene ha un perchè: il 
male, o nessuno o troppi. 

6. In secolo corrotto, T applicazione che si 
fa de'prìncipii naturali è dìstruggilrice de'prin-' 
cipii stessi. 

7. Mezzo illecito a fine buono è sempre fu- 
nesto, non foss' altro perchè ci ti3nta a trescare 
col male. 

In morale, più che in letteratura, abusasi 
e' smonimi. 

Raro è che Tuomo giunga col mezzo del- 




scnte. Non è soprapposizione ma assimilazione 
la vita. La passione ammucchia, T alletto edifica. 

12. Quando Tuomo s'accorge che potrebbe 
far meglio, allóra s' ostina talvolta a far peggio* 

13. Il vizio i rimproveri non cura; a' rim- 
proveri la passione s'irrita. 

TosimsEO, Pensieri morali. ^ 



HI. 

LE PASSIONI INGEGNOSE. 

ì. Chi vede le cose che a voi dispiacciono, 
in lui; e non sa vincere sé stesso per evitar- 
le; e gliene duole; e pur non s'ingegna di na- 
sconderle per farvi inganno: è anima onesta e 
schietta. 

2. Chi tace, è sovente nien reo di chi si di- 
scolpa. 

3; Molti credono scusarsi accusando. 

4. La debolezza del cuore astutissima , ai 
molti motivi veri e anche lodevoli dell' operare, 
ne appiccica uno non vero, e nobilissimo; e 
fìnge di credersi giustificala. 

5. Chi si studia con astuzia alleggerire a sé 
il peso de' doveri, o prima o poi deve soppor- 
tarlo raddoppialo. E il pur tollerare quel che 
egli ricusava^ per la dissuetudine, gli parrà 
peso doppio. 

6. Sperate bene di chi potrebbe, accusando 
altrui, scusare sé stesso; e noi fa. 

7. La donna é più nobilmente ritrosa a in- 
colpare altrui per iscolpare sé stessa. Sempre 
ella é più generosa. 

8. Chi degli altrui difetti incolpa la propria 
debolezza, credendosene veramente , colpevole , 
é buono; chi Io fa per veggente generosità, è 
virtuoso. 

9. Chi mostra in sul primo i suoi difetti, 
anco che involontariamente, é migliore di chi 
VI sì fa vedere aureo lutto- 



-^35 — 

^. L'uomo confessa volentieri i difetti che 
ippongono un pregio. 

*«.. Confessare con leggerezza ad altrui il 
roprio fallo, può essere tentazione a ripeterlo. 



CAPO V. 
I. 

CONSEGUENZE DEL MALE. 

1 . Iddio ci pose intorno tanti vincoli e delle 
ose sensibili e delia nostra ignoranza, affinchè 
i virtù nostra n'abbia più libertà. Se l'uomo 
jggesse nei cuori altrui, e ne' casi avvenire, 
nelle cagioni delle cose , vedrebbe l' utilità ne- 
essaria della virtù , i necessarii danni del vizio* 
arebbo assai minor merito essere buòno. 

2. Ogni andare e venire dell'onda, chi sa 
a che primo fìato e da che primo incresparsi 
bbe il suo movimento ? Pensando alle leggiere 
a^oni prime degli ultimi mali più gravi, impa- 
ssi a compiangere l' umana unprudenza e debo- 
sza, anziché ad aborrirla.. 

3. Giudicare le cose dagli efletti che sono più 
rossuni all' essenza delle medesime cose, ap- 
licato alla morale privata e pubblica, potrebbe 
)rse giovare i perfezionamenti e della scienza 

del ctforc. 



4. Il reo con V opere sue per lo più s' accu- 
sa tanto, che al buono non resta che il dover di 
scusarlo. 

5. Certi uomini sono parodia a se medesimi. 

6. Taluni incolpano del proprio torto e del- 
l' altrui, non la cagione vera, ma T occasione ul- 
tima. 

7. Portate Tuomó alle ultime conseguenze 
della sua opinione, della operazione sua; ve- 
drete che non le ha prevedute ; e spesso che le 
detesta. 

8. Molle volte, nelfatto slesso che Tuomo fa 
il male, gli comincia la pena. 

9. L'jndizio del peccato e sovente la pena sua 
più crudele. 

10. Que' che portan palese la pena del male 
fatto, sono i più dispr^zati dal mondo ; c^sono 
forse i nien lontani dal bene. 

1 ì . Grave colpa e pena e vergogna de' tris! i 
è dover, per riuscire a' loro intenti, vestire le 
spoglie della virtù ; dover fare la fatica del pa- 
rere buoni senz'essere; sostenere due battaglici 
ad un tempo, la malagevolezza del bene, cjl 
rimorso del male. 

12. Se quella forza che spendesi nel male, 
occnpassesi in farcii bene, felici noi! 

lo. Sull'uomo eh' è in fallo, per grande e 
possente eh' e' sia, i piccoli, i deboli e i colpevoli 
stessi pigliano il sopravvento. 
.14. Dn de' mali più gravi della passione si 
è eh' ella dissipa quel tesoro dell' attenzione, per 
cui solo r anima e ragionevole e capace di me- 



- 57 -- 

15. Rendere poco meno che necessario il 
male, è T ultima pena del male; T ultima colpa 
dell'uomo, gli è il credere necessaria essa colpa. 

16. Le tentazioni moltiplicate airerrante, gli 
sono insieme pena del vizio; e, s' e' vuole, oc- 
casione continua di merito. 

17. Tentazione è parola più significante del 
greco che le corrisponde; in quanto dice che 
il cimento del dolore e del male ritiene l'anima 
dal ben fare, ma insieme la tiepe talvolta che 
non precipiti al male : non sempre impedimen- 
to, anche freno. 

18. Sovente agli indegni Dio dà fare e dire 
alte cose, perchè da lui si chiami. 

19. La religione di certuni e l'arte di consa- 
crare le cose profane e di profanare le sacre. 

20. Le menti imperfette e le anime false difen- 
dono con argomenti non buoni le cause buone. 

21. Molti spendono in farsi condannare quan- 
ta fatica basterebbe a farli innocenti. 

22. Agli usati al male il bene fa male. 

23. Il grande e buono è indulgente; il debole 
è condiscendente; il reo, connivente. 

24. Quando vedete un uomo che comincia ad 
errare, uomo al quale un' impresa riesce a vuo- 
to, dite che egli ha dubitato. 

25. C'è degli imbecilli ingegnosi, e sono i 
più stupidi al bene. 

26. Vezzo, vale e abitudine e vìzio e grazia 
e carezza e ornamento : propinquità sapiente di 
significati. 

27. È un mondo di verità nelle \v«Kok^ quuviv 



— 38 — 

immundus spirilm... erunt novissima pejora 
prioriòus. Dalle quali parole viene illustrala, non 
solo la coscienza dell' uomo, ma la storia de' po- 
poli. I momentanei miglioramenti rendono lo 
spirito o la nazione convalescente più sbadata; 
le aggiungono false speranze e vanti vani, la ad- 
dornijentano e debilitano. Quindi il male, allor- 
ché ritorna , rinfìerisce , come in anima nuova, 
e par quasi voglia vendetta dell' essere slato 
espulso. Non è vendetta del male quella, è 
pena dell'anima sconoscente, del popolo negli- 
gente e superbo 

28. Il male morale è provvidamente ordinato 
a più beni. Prima, a destar l'amore del suo 
contrario, facendone conoscere il prezzo coi 
danni della mancanza; poi, educando l'erran- 
te a conoscere il pericolo, e con l'esperienza 
de' mali minori , a fuggire i maggiori ; poi , in- 
segnando prudenza e modestia, e cosi accre- 
scendo le forze dell'animo; poi, facendo degli 
erranti ravveduti un anello tra i buoni e i non 
buoni, insegnando il linguaggio che e da lene- 
re verso i traviati, e illuminando le vie tene- 
brose della coscienza. L' uomo inesperto del 
male, se non è un perfetto meritevole d' insolite 
rivelazioni, non intende il cuore umano qual è, 
lo calunnia sovente, e col respingerlo o maltrat- 
tarlo, lo perverte e lo indura. 



CONTAGIO DEL MALE. 



i. Gli uomini peccano non tanto nel male che 
Anno^ quanto in quel che \ase\awo ^^te.\ \ier- 



/ 



~- oD -^ 

che nel male che fanno, la lenlazione è mag- 
giore, e scema la colpa: ma il lasciar fare di- 
mostra inerzia più rea, e disamore de' fratelli e 
del bene. 

2. Certuni si fanno rei per non parere inur- 
bani. 

3. Non è cosa più misera, ne più ambita, 
deir imitazione del male. 

4. Altro è compatire i falli altrui, altra e 
(arsene mezzani e complici. 

5. L'uomo serve più spesso alle altrui cupi- 
dità che alle proprie. 

6. Assicurare altrui il godimento del male, 
è più reo che non sia congodeme. 

7. Gli uomini talvolta si sforzano di parere 
peggiori di quel che sono, perchè si vergogne- 
rebbero di non sapere o non osar di fare quel 
male ch'altri osa e sa. 

8. Vecchio corrotto odia giovane costumalo, 
di odio amaro. 

9. Portansi i vizii alla città, come le bestie 
al mercato. 

10. Portare in campagna gli usi di città, è 
come mettere una sputaccliiera accanto a una 
rosa. 

H. Le villeggiature di certi ricchi sono un 
oltraggio fatto alla natura nel suo stesso seno. 

12. Tra J' uomo che s* ubbriaca in una taver- 
na, e quello che all'ombra d'un albero, il pri- 
mo è quasi sempre il più abietto. 

13. La delicatezza nel male, l' affettazione, il 
buon gusto nel sudicio j quello è \V \)(e%%\!»si. 



— 40 — 

14.* Togliele le inulililà, toglierete i yizii. 

13. Concordia è sempre efficace , se volta al 
bene; se al malc^ concordia non è. I tristi con- 
vengono, i buoni concordano : quelli a distrug- 
gere, questi a creare. 

16. 11 male, per intimo e segreto che sia, 
è sempre contagioso, peichè Y uomo è ente so- 
dale ; e quand' anco non neccia con gli csempiì 
tristi , e con le parole, le quali non possono 
non partecipare deir interna corruzione o debo- 
lezza, nuoce col togliere a sé slesso, e quindi 
ad altrui , la forza ai fare quel bene che natu- 
ralmente dovrebbe e potrebbe- 

17» C'è chi crede far meglio, facendo altri- 
menti da altri e da sé. 

18. L'imitazione degli uomini e delle cose 
che si disprezzano, é la più contagiosa e la più 
frequente: colpa insieme e pena. 

SCANDALO. 

1. 1 nialì morali, così come i corporei, sono 
sovente epidemici e contagiosi insieme. 

2. Più velenoso d'ogni odio, e T esempio del 
male. 

5. V uomo non sa, né lutto tacere, né tutto 
mostrare il male chi' e' fa. 

4. Certi uomini vogliono m proprio il pos- 
sesso de' beni e de' meriti; e non mettono in 
comune che la corruzione e i dolori. 

!}. Camminando per istrado di fango, non s' ha 
^ìjpo ne voglia d alzar g\V oetìà tv\ oMa, 



6. A pochi è lecito cercare il vizio per cu- 
rario. 

7. L'anima cerca le tentazioni ^ ben più so- 
vente che non esse lei. 

8. Allontanare Y idea del pericolo, in fatto di 
morale, non è sempre allontanare il pericolo. 

9. JVon sempre il peccato è in ragion delk) 
scandalo. 

10. Il vizio stagnante fa men romore del vi- 
zio torrente: ma gli è sovente più reo. 

1 1 . Anco i men buoni possono altamente gio- 
vare abbuoni, e farli migliori, non solo inse- 
gnando la resistenza al male che fanno, ma ed 
un €[ualche nobile quasi estro di bene. 

1^. Il male stesso non si fa senza lo stru- 
mento del bene. 

15. Da un solo esempio di bene trarre una 
conseguenza generale, è generosa imprudenza; 
per un esempio reo, o per pochi , o anco molli 
esempi rei, disprezzare o accusare un uomo 
un ordine intero di persone, è ignobile pre- 
giudizio. 



CAPO VI. 
I. 

DEL RIMORSO NON BUONO. 

1. Il rimorso è la più chiara \s\:w^ ^^V\!>3o 
wana perfettibilità. 



_ 42 — 

2. Certuni sì pentono più del mal esito della 
colpa che non della colpa. 

3. Il rimorso di non aver fatto il male con 
garbo, è più tormentoso del pentimento, perchè 
reo, e perché ferisce Y orgoglio più acutamente. 

i. L'uomo troppo fortunato s'annoja del 
male, ma non se ne pente. 

5. Taluni si mostrano pentiti d'aver fatta 
azione buona; ma in cuore non sono. 

6. Pentimento senza affetto, è rimorso orgo- 
glioso, e crucciosa vergogna. 

7. Il pudore può parere vergogna, e però col- 
pa, agl'inesperti, o agli esperti troppo. 

8. I rimorsi ora svogliano dall'amore; e or 
io rinfiammano. 

9. Igea morale, patologia morale : tema di due 
libri, e di più. 

10. Il potente indurato sprezza i rimorsi ; 
come il padrone di casa sprezza l'abbajar de' 
suoi cani. 

11. Anco le menti e gli animi retti sbaglia- 
no; ma fatti avvertiti, si ravveggono volentieri. 
I buoni si ravveggono con gioja; i men buoni 
si risentono con fremito. 



DEL BUON PENTIMENTO. 



1. Il pentimento è dissoluzione rigenerante. 

2. Quando sentite un dispiacere vero di chec- 
cliessia, esaminale il cuor vostro ; ed in quel dis- 

placere discernereie un pentimento buono ed 



un altro men nobile : dal men nobile viene Y a- 
maro, dall'altro può venire la consolazione, 
purché voi vogliate. 

3/ È più sapienza del cuore intimo in un 
versetto del salmo, Domine probmtì me, che in 
tutta la poesia pagana e di Grecia e di Roma. 

4. Il progresso è una scala di disinganni : per 
essi l'anima sale. 

5. Sapersi disdire in faccia a' minori e ritrat- 
tare l' errore commesso, è difficile e coraggiosa 
virtù. 

6. Le e^rienze interiori sole sono efficaci a 
regolare Ja vita. 

7. La noja che salva dal peccato, è da ulti- 
mo fonte di puri piaceri. 

8. Alle anime che Dio ama, moltiplica gli 
impedimenti al male, e rende tormentose le men 
degne gioje. 

9. Le anime naturalmente buone ma deboli, 
non apprendono se non per lunga serie di mali, 
che la virtù, non solo e dovere, è bisogno. 

10. I sogni son sempre consigli a chi sa far- 
ne senno. Rammentano o i cari defunti o i cari 
lontani; co' falsi timori ci addestrano a pen- 
sare le vere sventure nostre ed altrui ; con le 
false gioje c'insegnano le vanità dell'umana spe- 
ranza; con le imagini non degne ci avvertono 
dei nostri falli e pericoli : ci consigliano o il 
pentimento o la vigilanza. 

1 ì . Quel che più commove un' anima erran- 
te, è la memoria de' puri piaceri della vita pas- 
sata. 



12. Finchò riiomo errante è pietoso senz 
viltà a' falli altrui, sperate dell' anima sua. * 

13. Non vogliate, scusando il colpevole, scu 
sare la colpa. Ma dite o ch'essa colpa non è bc 
certa ; o eh' ha in se ragioni da farla merilevol 
più di compianto che d'odio; o che il colpe 
vole r ha con dolori e opere buone espiata ; < 
eh' è in tempo tuttavia d'espiarla. 

14. Disperare dell' altrui correggibilità, è noi 
men reo che disperar di sé stesso ; e forse più 

13. C'è de' momenti che la virtù è invocai 
dagli stessi malvagi; allora gli è il punto di fa 
del bene davvero. 

16. Quando vedete che l'uomo è infelice li 
quella parte dell' esser suo che più era noccn 
le, allora potete sperarlo mutato. 

17. Un po' di vento rasciuga meglio le vi< 
che mille granate con lungo spazzare non fa 
rcbbero. A ripulire il sudiciume umano, invo 
cale lo spirilo corrente per l'alto. 

10. Gl'Illirici dicono povjedati, il narrare; pri 
povjedatiy il predicare, perchè il migliore de' ser 
moni è la semplice narrazione de' fatti; ispovje 
dati, il confessare, perchè chi tulto non dice 
o chi mescola con la narrazione le scuse del 
fallo, colui, a dir proprio, non confessa. Simil- 
mente ai Greci moderni oiioloyf^ è il raccontare 
è^oiioloydì il confessare. 

19. Può essere innanzi a Dio più meritori? 
r annegazione d' uno scellerato, che il sagriflzi<j 
d'un buono, il quale avrà avuto a combattere 
meno. 



— 45-^ 

20. Un convertito è maggior gaudio in cielo 
che novantanove giusti, perchè'! bene ch'e- 
sce dal male, e bene più grande. 

21. Più facile la perseveranza nella virtù che 
nel vizio. 



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PARTE SECONDA. 



AFFETTI BUONI E REI. 



CAPO I. 

AMMIRAZIONE TORTA. 

i. Troppo ammirare, è da fanciullo; nulla 
ammirare è da stupido. 

2. I piccoli spesso si maravigliano, rado am* 
mirano. 

5. Chi ambisce T ammirazione degli uomini, 
se sapesse i perchè della loro ammirazione, se ne 
svoglierebbe. I più degli ammiratori o non han- 
no perchè, o Y hanno tale che converte la lode in 
biasimo amaro. 

4. Quel che a taluni pare rispetto, è sospetto : 
quello che ammirazione, è curiosità. 

5. L'ammirazione talvolta partorisce disprezzo. 

6. L^ammirazione ne' vecchi è sovente affet- 
Ulta, tale sembra ; pare eh' e' voglian farla da 
giovani. Ma più affettato sovente è in essi il 
disprezzo. 

7. Chi disprezza troppo da un lato, troppo 
ammira dall'altro. Ciascun uomo ha una dose 



d'amore e di venerazione che dee pure spendere 
a suo dispetto. Tanto fa spenderla con un po' di 
coscienza e dì senno. 

8. Paragonando uomo con uomo, cosa con 
cosa, si causano i mali e della cièca ammirazione 
e dello stupido disprezzo; perchè, col mostrare 
un esempio migliòre dell' uomo o della cosa giu- 
dicata, si legittima il biasimo; col mostrarne un 
mcn alto, si fa manifesta la verità della lode. 

9. Ammirazione senz'affetto, è falsa o schiava. 

10. Ammirazione senz'amore, è stupida; amo- 
re senza ammirazione, è tutto di sé. 

11. Ammirazione inerte, è quasi insulto, ed 
è confessione di disperata impotenza. 

12. Le nobili cose son delicate e godono del 
silenzio, e il brancicare dell'ammirazione impor- 
tuna le sgualcisce. 

1 5. Alla stima affettuosa l' anunirazione sgua- 
jata pare insulto. 

14. Certuni ammirano gli altri per far am- 
mirare sé stessi* 

15. L'ammirazione in certuni é oi^oglio., 
che brama parere intendente delle (grandi cose, 
familiare degli uomini grandi: o e cupidigia 
rapace, che procaccia appropriarsi di quella luco 
alcuna parte, o farne suo prò* 

1 6. Non. sa bene aranùrare chi non sa com- 
patire. 

1 7. Suspicere denotava a'Latini anco riguardo 

di ammirazione. E sovente la maraviglia slu-, 

/)ida, per {scuotere il suo giogo, trascorre al 

dispeno e oì sospetto. ; 



49 — 



AMMIRAZIONE GIUSTA. 

I. Amore con ammirazione: ecco la radice 
della religione, della poesia, della scienza, della 
società, d'ogni nobile cosa. 

% L'amore, T ammirazione, T umiltà, la san- 
tità, il dolore, tulle queste cose fanno gli uomini 
come fanciulli. 

3. Desiderare, considerare, da sidus: ogni 
brama, ogni meditazione di que' vecchi mirava in 
alto. 

4. Ammirazione è degli affetti il più innocen- 
te ; perchè, se rado l' ammiratore ha la forza di 
fare, ha la volontà di parlare; e il parlare di lui 
giova in ciò che stimola gli altri a fare. 

5. V ammirazione temperata dalla fiducia , 
fa tremendo l'amore. 

6. L'altissimo amore termina in venerazione; 
l'infimo finisce in disprezzo. 

7. Stima è principio d'ammirazione, d'amore 
e di gioja; disprezzo è non amore con princi- 
pio d'odio e di tristezza. 

8. Emulazione è ammirazione temperata dal 
desiderio d'uguagliare, con gioja e speranza. 

9. Nella vera gloria è ammirazione sposata ad 

amore. 

10. L'ammirazione educa l'ingegno, il disprez- 
zo, lo istupidisce e avvilisce. 

II. Quell'ammirazione è feconda che noJi 
jspìra né iroppn fiducia, ne Ito\<^^ ^k\S&jfewTa. ^v 

Tommaseo Principii mondi. ^ 



— 80 — 

se; che non è scusa air inerzia ne slinoolo 
emulazione ambiziosa. 



CAPO li. 



NATURA AFFETTIVA DELL* APUMA UMANA. 

1 . L' uomo sempre ama. Se par che talvol 
non senta Y amore, la colpa è o de' legami s 
ciali che intorpidiscono il cuore , o del tirani 
amor proprio. 

2. Anco laddove a noi pare, materia mori 
fervono vite; anco laddove a noi pare gel 
ardono affetti. 

3. Ciascun uomo, per freddo che sia, U 
cato in certi modi e luoghi, s'infiamma. 

4 Anco chi piange di rabbia, ha misto Y 
more alla collera. L'uomo non tanto odia 
male quani^amail bene. 

5. Non è cuore sì vile, che possa odia 
con tanta mtensità, con quiuita un' anima gent 
ama. 

6. La celia che vien dall'amore è più pr 
fonda che se dall'odio. 

7. Ogni cosa ha il [suo lato amabile : giu( 
cifrne dal primo aspetto è imprudenza. 



— 51 — 

8. V uomo lani' è arnato quant' ama ; se non 
da' presenti, da' posteri. Se il numero de' ria- 
manti è poco, supplisce l' intensità dell' amore. 

9. Bisogna sentire di molte cose per sentirne 
una bene. 

10; L'essere suo inesausto deve l'affetto alla 
sua forte unità. 

11. Le anime fonde hanno l'affetto; le leggiere 
^enton gli affetti. 

12. La terra vola come sasso di fionda sca- 
gliato per gli abissi immensurabili dello spa- 
zio; e l'uomo dorme tranquillo; e guarda e non 
si sgomenta. L' affetto umano è abissi non meno 
profondi; e l'anima li percorre senz' avveder- 
sene, fra la celia ed il sonno. 

13. Può l'uomo sostenere ad un tempo un af- 
fetto e un pensiero diverso : due affetti non può. 

14. Talvolta i più affettuosi sono men facil- 
mente affezionabili. 

1 5. All' uomo è difficile essere insieme passio- 
nato e affettuoso. Questa è la scienza delle po- 
vere donne. 

16. Il popolo, il fanciullo, la donna sì ram- 
mentano e dimenticano, non per odio, ma p<'r 
amore. 

17. L'idea è parola, l'affetto pianta. 



AFFETTO BUONO. 



1.- Non si sentono a fondo se non gli affelli 
buoni. E i colpevoli, in tanto in quanl' hanno 
del buono. 



2. Un affello puro diffonde anco sui meo puri 
la foi*za sua; ne attenua almeno il male ed il 
danno. 

3. Quanto appura gli affetti, gli avviva; quanto 
li insudicia, gli fe smuorire. 

4. Pare che il senso profondo di certi affetti 
sia destinato a coloro che un tempo di lor vitii 
furono erranti ; sia perchè allora i contrapposti 
risaltino all' occhio viepiù ; sia che la natura cosi 
si vendichi delle ingiurie che le sono portate ; sia 
che senza questi sublimi ajuti Y uomo reo non 
potrebbe né vivere nella colpa ne tornare a virtù. 

5. Come ciocca di verde da pure acque cor- 
renti, da anima pura pensier gentile. 

6. Grazia senza forza, non regge ; grazia senza 
affetto, non è grazia vera. 

7. Nella grazia degli affetti è doppia la forza. 

8. Ogni soave affetto è severo. 

9. La passione patisce, Y affetto fa. 

10. La passione più ardente conserva nelle ani- 
me gentili la mite mestizia dell'affetto. 

ì ì . Mormora mesta la colomba, la tortora ge- 
me : le anime più affettuose hanno linguaggio più 
sommesso e men gajo. 

12. Gli affetti più rispettosi son anco i più 
intimi. 

13. Chi occupato da un grande affetto, pensa 
al tuo affetto, e buono e sa amare. 

14. In questo, tra l'altre cose, è provido l' af- 
fetto vero , che si diffonde su tutti gli amati e i 
conoscenti della persona che tu ami ; anco a quelli 
che gli spiacciono o che l'offendono. A questo se- 

S'/^o àìstìnguesì il nobile dall'ignobile amore. 



— 53-. 

15. Particeps ego sum omnium eustodientium 
mandata tua. In quanto ii mio fratello fa il bene, 
io consento con lui: or nessuno è che non faccia 
alcun bene : dunque in alcuna cosa io debbo con- 
sentire con gli uonnini tutti. 

16. Né i popoli, ne i fanciulli, né le donne vo- 
glioif esser ringraziale del bene che vogliono e 
fanno; che è un maravigliarsene, cioè un offen- 
derli. Bisogna richiederlo come legge naturale e 
comune a tutti, superiori e Inferiori. 



L AFFETTO BUONO E L INTENDIMENTO RETTO. 

1. Senza meditazione non è vero amore. 

2. U amore dà più che T ingegno^ dà il senso 
della convenienza. 

3. Volete voi pensare con meno fatica e più 
diritto? Volete voi parlare con più verità ed ef- 
ficacia? Parlate e pensate col cuore. 

4. Ogni sentimento buono è sentimento d' a- 
raore; a ogni sentimento buono corrisponde 
un'idea sublime. 

5. L'affetto è docile. Ànimo docile è delicato 
ed ardente. 

6. L'amore e la cognizione degli uomini, fanno 
vie meglio amare, e conoscere la natura. 

7. Riguardate la natura tutta come un sim- 
bolo d' amore e di fede. 

8. Air intelletto e all' imaginazione, Y affetto è 
moderatore e stimolo insieme. 

9. Ad uomo intelligente ed amante, nel sonno 



slesso, gli organi si compongono a pensiero non 
ignobile e a non vile amoce. 

10. L'associazione delle idee creala dall'a- 
more, è rapida e variata in mirabile modo* 

11. Il sentire delicato desta più pensieri che 
il forte: perchè fa l'anima attenta alle menome 
differenze. 

12. Più si conoscono le cose, e più s'impara 
a non dare importanza a una sola. Il savio ha 
dilezioni più che predilezioni. 

1 3. Cercate il buono nel cattivo, il cattivo nel 
buono ; quello senz' amore cieco, questo senz' o- 
dio maligno. 

14. Chi nel giudicare gli uomini ha severo 
il senno, indulgente il cuore, è anima buona. 

15. Quelli che più s'indovinano, quanto men 
si conoscono , tanto più s' amano. 

16. Nel colloquio de' due più concordi uomini 
della terra, sempre qualche parola o d' una parte 
d'altra è frantesa. 

17. Il buono ama intendersi con altrui; il 
non buono, a franlendere ci gode. 

18. L'indugio scema o toglie valore ad ogni 
dimostrazione d'affetto. 

19. Nelle cose del vero affetto, la dilazione 
non è perdita, ma risparmio con usura. 

IV. 

AFFETTO GUASTO. 

1 . C è chi odia il minor male, e ama il mag- 
giore; e non sono i più cattivi degli uomini. 



% La colpa dell'uomo e la pena, é T amore 
smodato di varietà. 

3. L' amore allargato air eccesso, conflna col- 
r odio. 

4. V ostacolo irrita 'gli affetti volgari , i nobili 
afHna. 

5. Quel che accarezza r adotto, l'addormenta. 

6. Gli affetti senza virtù son bizzarri, e so- 
migliano sovente a pazzia. 

7. Anima troppo tenera o troppo dura, cor- 
rompe gli affetti nobili e i delicati ; come prò- 
nmizia troppo ruvida o troppo molle disformai 
le voci. 

8. La voglia è arida ; V affetto solo è delicato- 

9. Anima ignobile ferve, non arde. 

10. La chiarezza del dire ha con la verecon- 
dia del sentire concordia dolcissima. Quel eh* è 
impuro, è torbo. 

11. Negli affetti improvvisi, massimamente 
conoscesi l' uomo ; che allora e' non ha il tempo 
di acconciare sé stesso. 

12. Coir età i buoni affcnti si fanno più te- 
neri, i tristi più cornei. 

DI CHI NON BEN SENTE l' AFFETTO. 

1. Taluni ambiscono d' essère amati , perfer 
dispetto a coloro ch'egli odiano. 

2. Le anime aride e meschine non amano e 
non istimano gli uni se non per più amaramente 
odiare gli altri, o spregiarli. Fin dell' amore fan- 
n'arme; fin della venerazione, v<indclla. 



— liC — 

3. Orgoglio, interesse, incredulilà, non son al- 
tro che disamore. 

4. La ricchezza soffoca l'affetto, come fa Tacque 
it naufrago. 

* 5. I non avari d' argento sono sovente avari 
di amore. 

6. Certa gente passionata hann' anima senza 
cuore. 

7. Dal non avere cattivo cuore all' averlo buo- 
no, ci corre. 

8. Altro è cordialità, altr'è buon cuore. 

9. L'uomo sincero, quando non sente af- 
fetto di stima, e che creda dover suo a qualche 
modo dimostrarla, può parer simulato. Ed è trop- 
po sincero. 

10. Il grande affetto è freno alla grande sin- 
cerità: teme offendere. 

H. L'affetto de' vecchi suol esser eprepo- 
tente : segno che non è di quel vero. E anche 
per questo i giovani gU si mostrano ingrati; 

12. Nelle anime non affettuose, la dimostra- 
zione degli affetti è più forte, perchè non sen- 
tono il valore de' segni, né s'accorgon de' gradi; 
come lingua, che, mal saputa, adoprisi senza 
scelta. 

13. Certa gente parlano dell'affetto o della 
dignità umana , com' altri dell' Indie ; perchè 
n'iian letto o sentito dire qualcosa. 

14. Può l'uomo esprìmei*e anco un affetto 
che in quell'atto non sente, purché si ricordi 
come l'ha già sentito, o come n'ha sentito di 

\ simili. Ma chi conosce il cuore umano, s' accor- 



— 0/ — 

gè che codesto è come fruito appassita e ser- 
bato nel verno. 

15. Uomo che grida le parole deiraffclto, ò 
più vano che buono. 

16. Le dimostrazioni dell'affetto, in presenza 
d' estranei, offendono o stomacano; sono sovente 
profanazione invereconda. 

17. Chi non è uso a sentire affetto, quando 
lo sente, si vergogna di dimostrarlo; si giudica 
come indegno di parer buono. 

18. Gli affetti che soprarrivano tardi in ani- 
ma fiaccata da' piaceri e da distrazioni ree, 
tengono del tormentoso e pajon dati per pena. 
Sia pena^ almeno, che espii. 

19. Amore senza timore, o è spensieratag- 
gine od orgoglio; amore vero non è. 

20. A canto alle caricature della passione, i 
sentimenti naturali pajono o smorti, o anco si- 
mulati. La scena vuole rossetto. 

21. Gr indegni abusano dell' indulgenza. L'au- 
sterità è necessaria nell'amore. 

22. Le anime affettuose, più son vicine a per- 
dere la persona diletta , e più sì stringono ad 
essa con pietà sollecita e con desiderio affan- 
noso. Le anime disamorale, al vedere l'uomo 
già preso da estrema sventura, già irrepara- 
bilmente saero alla morte, lo guardano, non 
pur come estraneo, naa quasi come nemico. Par 
che la vista dell' estremo male paja ad essi au- 
gurio di male; par che lo imaginino già finito, 
già sotterra, già fradicio; par che quelle cure, le 
quali eglino potrebbero dare a lui , le reputino 
rubate alla felicità pror^-'?^. ^Ua propria \'\i^ 



•— Oo — * 

VI. 

DI CHI NON BENE INTENDE L^ AFFETTO. . 

1. Pradenza senz'amore, è penosa stoltezz 
e punita. 

2. Il tramontano è sereno : chi nelle faccend 
del cuore vede troppo chiaro, è anima fredds 

3. Qual de' due più ammorza T affetto? L'è 
sercizio delle braccia, o l'esercizio del pensiero 
— Del pensiero. 

4. Non ogni ragionamento, ma il ragiona 
mento orgoglioso, fredda l'affetto. 

5. Chi non osserva gli affetti, non sa beni 
osservare nemmeno i fatti. 

6. Chi bada alle piccole miserie dell'animi 
umana, e vi si compiace, non sentirà mai a 
vivo ne l'affetto, né la virtù, ne il dolore. 

7. Ogni cosa é linguaggio all' amore. Chi noi 
ama, capisce, non intende. 

8. A chi commenta il vostro detto, e vnoh 
far mostra d'averlo inteso, annacquandolo, noi 
ragionate né d' affetti né d' arte. 

9. Chi stihfia l'ingegno vostro, e no'I cuo- 
re , é instabile nella sua stima ; e ne varierà ì 
gradi e i segni, secondo che voi, a lui o ac 
altri, parrete più o meno ingegnoso. Sempre 
la vera costanza sta nell'affetto. 

10. Il credente ama con più' sincerità , Iole 
ranza od ardore il non credente, che quest 
non possa amare quello. Perchè il non credente 
é uomo di dubbi, e di dispregi superbi. 



— 59 -- 

vn. 

SIMPATIE ED ANTIPATIE. 

1. Le antipatie sente chi sente troppo le sim- 
latie. Nessuno è antipatico alle anime veramente 
ffettuose. 

2. Le predilezioni sono il maggior fomite 
' odii. 

3. Spesso la simpatia, più che moto di na- 
ird) è effetto della imaginazione, del caso. Se 
io non fosse, gF incanti delle simpatie non sa- 
ebbero tanto bene dileguati dal tempo. 

4. Le antipatie vengono men da natura che 
all'amor proprio, e dall'educazione, e dagli 
bith 

5. Non vi fidate delle somiglianze apparenti : 
uniformità di certe inclinazioni appar più no- 
ibile in nature dissimili. 

6. Possono gli uomini in certe cose conve- 
ire mentahnente, ed essere col cuore dissen- 
enti. Accordarsi non basta : e' convien concor- 
are. 

7. Le false simpatie, specialmente quelle d'opi- 
ione> risicano di mutarsi in avversione e dis- 
rezzo. 

8. Le antipatie, a volerle vincere fuor di tem- 
), senza yìrih e per puntiglio, talvolta cre- 
dono. 

9. I freddi all' amore , pajono più antipatici 
ìgli ardenti all'odio. 

10. Quando crediamo essere amati da tutti, 



— co — 

allora cominciamo a diventare nemici di no: 
medesimi. 

11. Se alcuno vi piace troppo in sul primo, 
diffidate, non già di lui, ma di voi stesso ; cioc 
che la stima o V affezione vostra non pretenda 
da esso cose, quant' egli non può né vuol dare. 

12. Non giudicate né giovane né uomo dal- 
l' impressione prima, sia buona sia trista. Per 
giudicare chi vi é dispiaciuto, «spettate un mo- 
mento ch'egli vi piaccia; per giudicare chi v'c 
piaciuto, aspettate un momento eh' e' faccia cosa 
che a voi piaccia meno. 

1 5. Quando di persona che non vi sia bene 
accetta, giungete a scoprire qualità o atto degno 
di stima, cogliete con amore quel punto, come 
il più vero; e ringraziate Iddio che ve l'abbia 
collocata in miglior lume più pieno. . 
_^^<44. Quelli a cui piacete vi piacciono. 



CAPO IIL 

. I. 

dell'amicizia vera. 



1. L'arte di farsi amare e stimare, é l'arte di 
ben conoscere il fine , non delle azioni altrui , 
ma sì delle proprie. 

% Non si possono amar pienamente se non 
coloro che in tutte le azioni hanno un fine tra 



./ 



^Ci- 
ro comune; e non T hanno se non l'anime 
leste. 

3. II primo incontro di due anime destinate 
1 intendersi, le stringe insieme, e le fa T una 
ST altra riposare soavemente. Senza volere, 
Dza sapere, s' abbattono nelle medesime idee, 
[volta nelle stesse parole. 

4. L'amore o Tamicìzia degni, rivelano alla 
odesta coscienza dell'amato le nobili qualità 
e ili lui scopre l'amico o Tamantè; e gli danno 
me e forza a coltivarle e afflnarle. Così l' af- 
io fa quasi una scelta tra le facoltà dell' uo-^ 

3, e svolge le più delicate. j 

é. Pochi nomi ci restano d' amici illustri, per- ^ 

è r amicizia vera non fa pompa di sé. 

•è. Chi più fugge le amistanze, più gode V a- 

icizia. / 

9i 3olo chi sa contentarsi d' un' amicizia sola, 

lò meritarne parecchie. / 

*. Amiciria generosa : questo titolo li com- 

ende in sé tutti. 

^ L' amicizia fugge dàlia ricchezza, come co- 

nba dal falco. 

ft). Se volete conservare gli amici , non abon- 

te in consigli. 

M. Due amici che tentano romperla, son 

me due mani d' un corpo stesso che tentano 

scarsi a vicenda. 

12. Se la colomba sulle acque inondanti non 

iva dovè si riposi, e ritorna, stendete la mano, 

riponetela in salvo. Chi, disingannato, v^in- 

ea, amatelo più caramente che mai. 



!'-■•• 



./■f/* 



• "^ 

— • ■ »i 

13. Qaatt stati ci danno più iiiemorabili cscm* 
pi di vera amicìzia? I liberi o i servi? Questa 
sarebbe la misara deHa bontà d' un gavemo o 
d'un popolo. Ma impossibile usarla ; perchè. Vth 
micìzia, e ogni vera virtù, sonmodeste, e non- 
fanno rumore. 

. AMICIZIA ÀPPAHENTE, 

,,,0^^ A chi non v'ama, non ne domandate il 
perchè; dcmiandatelo piuttosto a voi stesso. 
. ««& Amicizia gelosa e più potinola d' amore 
geloso. 

\ Taluni fanno mostra d'amare gli uomini 
virtuosi, appunto perchè non amano la viriù. 
r^. Chi nel primo colloquio vi fa perìodi luu- 
ghi, difficile vi diventi . amico. 

: Chi non sente l'amicizia de' luoghi', non 
ama davvero iiè le persone. ' 

*^ Gli amici volgari son come gì' infermi che 
vanno a' bagni; e ci restano finché la stagione. 
glì( arrida. 
,^-^^' Volete voi liberarvi da certi importuni che 
^ vi si chiamano amici? Chiedete un servigio che^ 
non appaghi la loro vanità. 

8. Per giudicare un amico, aspettate d'user- - 
gli più a carico *che a vantaggiò e ad oiiore 
a diletto. 

9. Se credete che gli uomini per l' utile loro 
debbano avere più cura di voi che non nc.ab- 

Llaie voi s(es£0," sbagliale; 



.-"^ 



1^ 



— C3 — 

10. Dairulile o dal piacere che date alle per- 
le^ potete fare misura del' loro affetto; e que- 
dico anche de' buoni. Se non che i buoni si 
npiacciODO nel bene nostro, come nel prò- 
a; e' sì compiacciono nel patire per voi. 
►1. Sil^zio d'amico è diletto di Iradifore. 



CAPO IV. 



MATURA dell'amore. 



I. Amore è applicazione delia bellezza morale 
orporea, €he sta nell'idea, ad un oggetto 

si creda accessibile al desiderio nostro. 
!. Questo dichiara come possa l'amore fer- 
rsi in oggetti non degni. L'idea che ci sta 
la mente, s'attacca per via di -certe prepara- 
rli all' oggetto , e vi ci fa trovare que' pregi 
t forse in esso non sono. 
L Più neir amore pognamo del nostro ; e più 
iamo. 

.. Per questo forse la bellezza corporea che 
e perfetta, e l'altissima perfezione della vir- 
non destano il furor dell' amore, 
ì. Che possiam noi aggiungere del nostro, 
)ggetto che, per piacerci, convicnche ci doni 

suo? 



■4 



6. Quando T oggetto trascendetela capacità 
della ragioqe o del senso ^ non solanoente non 
piace, ma si giudica brutto* Quando è abbrac- 
ciabile colle facoltà nostre in .alcuna parte, ma 
non in tutto, s' ammira ; quando V imaginazione 
comincia a dominarlo, e a dargli del^suo, allora 
s' ama. 

7. Uffizio deir amore si è allontanare dalla 
vista le qualità che sono nella persona, e che 
non connspondono alla idea che ci sta nella 
mente ; allontanarle per fare di quelle una per- 
sona, in parte almeno, ideale. 

. 8. L'amore nutrisce insieme e Tamor pro- 
prio dell'uomo e il desiderio eh' è in lui, del 
perfetto. Ha una parte divina, e una umana. E 
se, desiderando il perfetto, si sforza d' ottenerlo, 
questo è l' altissimo degli amori. 

9. L'amore, e tutti gli affetti che lo circon- 
dano prima di soffocarlo, sono la febbre della 
virtù. 

lOv Determinare l'idea dell'amore, glìjè come 
determinare il senso dèi caldo è del freddo, che 
in sé è indefinibile, negli effetti suoi relativo. 

14. L'amore eh' è passione, si fonda nell'igno- 
ranza; l'amore eh' è affetto, nella conoscenza. 



PRINCIPIO dell'amore. 



Il più delle volte l'amore liQn nasce se non 
perchè si crede già nato in chi siam per amare. 
2. Agli uomini vani, per il desiderio d' essere 




amali, pare amore persino il ribrezzo; e lo scher- 
no, pare estasi. 

^1/^: Chi teme V amore, ha ragione di sperario. 

^^. Più facile non rispondere la prima voUa a 

Sposta d'amore; che dopo risposto, stnettere. 

„«^^. In taluni l'amore va dal corpo all'anima, 
in altri dall'anima al corpo. 

j^. Quando giungi ad amare persona a cui 

'^3esti già dispiacere, l'amore è più abbandonata- 
ménte infiammato. 
M^' I torti commessi innanzi di conoscer a 

^ndo il cuore di chi s'ama^ sono i più npà* 
TObilL 

k Gli amori che cominciano dal puntiglio ^ 
^n sono dei più leggieri. 
\ Amore men lieto sul principio, è men tri- 
sto alla fine. 

^ss40. Amore è pietà: un misto cioè di con^pas* 
8ione, di rispetto e di religione. 

CONDIZIOHI dell' AMOBE. 

^^ -t: Il pudore dimostra insieme la gentilezza 

e dell'anima e dell'ingegno. 
^^.^4^. Il falso pudore è indizio d'anima o fredda 

o corrotta. 

, ..H3. Il pudore di certa gente consiste nella ima- 
' ginazione del male, più che nel sentimento del 
i bene. 

A> L'amore in cui punto di timore non entri* 
•'amore non è. j 

Tommaseo, Pensieri moralL- ^ 1 



-. C8 — 

3. Le diffidenze ingiuriose Vengono dall' or- 
goglio. 

4. L' orgoglio misto all' amore crea le con- 
traddizioni che fanno tanto varia questa pas- 
sione ^ si semplice nel fine e ne' mezzi. 

5. Non il troppo fidar nell'amato è punito 
da tradimenti; ma il fidar troppo di sé. 

6. Le bugie tanto più facilmente son credute 
in amore, quanto le sono più inverisimili. 

7. In amore, e in ogni commercio della vita, 
l'eccesso della diffidenza non viene che dopo 
un eccesso di buona fede. 

8. Gelosia è ammirazione con tristezza, de- 
siderio con odio. 

9. Quelli che meno avrebbero diritto o bisó- 
gno d' esser gelosi, sono sovente più degli altri. 

10. L'amore non legittimo si sdegna contro 
l'infedeltà ben più acremente dell'amore legit- 
timo. Moralità tremenda è la sua; ma le manca 
il perchè. 

DEL NOBILE AMORE. 



] 



1 . Il più amabile è chi non sa d' essere amato. 

% L'amore vede i difetti, ma fin da queUi 
s'infiamma: che sono come poc' acqua in in- 
cendio. 

3. Badate che nella persona amata i difetti 
non vi piacciano più de' pregi. 

4. Quando il difetto della persona aniata vi 
move a pietà rispettosa e timidiae tenera, allori 

remore dice davvero. | 



5. L'amore d^no imita della persoqa amata 
I meglio; l'indegno, il peggio. 

6. Come le frutte al sole, si maturano le ani- 
ne al degno amore; all'indegno seccano. 

7. Quello è amore più degno che anela di 
ar conoscere i pregi più spirituali dell' oggetto 
tmato; quello è men degno, che gli estrìnseci. 

8. Quando i più materiali atti destano saasi 
I idee gafìtili, allora Tamore è possente. 

9. Chi sa, l' amore profano neUe anime pure, 
ì parificate, quante imagini gentili e religiose 
spirò ? 

10. 1 piaceri dell'amore più puri, rimangono 
liù minutamente, con le particolarità loro, im- 
pressi nella memoria. La mente li accoglie più 
erena, più tenace li serba. 

11. Quell'amore è più alto, o più .alto diren- 
erà, in cui, col dolore insieme e con la gioja^ 
eeomunasi la pre^iera. 

12. Perchè la Vergine è sempre rappresen- 
sita con viso e aria giovanile? ^ Perche la pu- 
ezza dei pensieri è gioventù perpetua dell' a^ 
lima. 

13. Converrebbe poter desiderare a tutti quel 
ene che si de^dera a persona amata ; e desìr 
erario con la medesima ardenza. 

AMORE IGNOBUS. 

le Nell'amore colpeyde è uà principio di ca- 
lta traviato. 



— ro — 

1. Quando i falli id' amore non ispengono 
la mutua stima, in queir affetto è un germe di 
bene , che- il pentimento, i dolori e l' età svol- 
geranno. 

3. Le facilità dell' amore corrompono gli spi- 
riti meglio temprati. 

4. Dare a' sensi troppa agevolezza, e dir loro 
poi, combatteteliy è un tarsi tentatore. 

5. Le cose che più possono sulla concupiscen- 
za, posàono meno sull'affetto passionato. 

6. Non tutte le imagini che precedono, quanto 
quelle che seguono il Mo d' amore, lo fanno rea 

7. L'amore combattuto dal rimorso è più de- 
licato. Chi fa teoria del male, non ama. 

8. Amore ignobile agita le braccia, non le ten- 
de: sa stringere, abbracciare non sa. 

9. Amore che non educa, è corruttore. 

10. L'amore che ispira nuove idee, è amore 
benefico : quel che le antiche appanna, è falso o 
reo. 

li. Son poche le cose umane ove regni più 
evidente giustizia, che le cose d'amore. Chi ama 
davvero, è sempre riamato, o dalla persona 
che egli ama, o da più e da migliori di, quella. 
Chi tradisce, è tradito; sovente nell'atto stesso, 
se più tardi, in più terribile modo. 



CAUSIS Ea> EFFETTI DELL* IGNOBILE AMORE. 

1. Voler piacere a tutti^ è un non voler pia- 
cere forte a nessuno. La civetteria tetterata è 
noù meno sclùtosà detta gatente. 



2. Gouvien dire dbe T abitudine sia ben poi^- 
le^ se può far^ tollerabile la vita a' galanti. 

3. La vanità cerca in amore le apparenze 
dd male, l' orgoglio eerca le prove del male. 

4. Le anime ignobili provano uno o più ama- 
ri ; ma non conoscoii Y amore. 

5. Della dignità, dell'amore, della poesia^ ce 
n'è poca a questo mondo: ma c'è delle dignità, 
delle poesie, e degli amori. 

€. C'è degli amori uguali agli odii, o almeno 
sunili n^li effetti. Questo provano, senza voleV 
lo, i versi di Virgilio : 

Torva ieaena liipum se<}uìtur, lupus Ipse capellaniy 

Florentem eyiisum sequitur lasciva capella, 

Te Corydon, ò Alexi; trahit sua quemque voluptas. 

7. La vita di certuni è continovo suicidio. 

8. Perduta la forza , la bellezza ci resta. Non 
n'abusiamo a spossam vie più e ingegno e 
animo. 

9. L'amore abietto e l'abietta stima crea- 
rono la poesia prosaica. 

' AO. Taluni lasciano l'amicizia ai ra^zzi, l'a- 
more ai collegiali, ai gonzi la sincerità, la fede 
religiosa alle donne; e si stimano gente avve- 
duta, e anche onesta. 

.wx. 

FINE dell'amore. 

1. Ceri' amore, o durerebbe eterno^ o non 
comincerebbe mai, se non amassinu) prima di 
conoscere l'oggetto che amiamo. 



2. Qual amore è più tremendo? il contiDOvo 
ed uguale; o quel che restai e riarde? — U 
contiiìOYO, al quale è fommìo il dolore. 

3. Gli amori più tenad son quelli die noD 
avventano in sulle prime, ma penetrano T ani- 
ma ^ a poco a pòco, come pio^erella soave e 
abondanie. 

4* Favilla sotto cinie^a, dura più. La mode- 
stia conserva l'amore^ 

^^. L'amore voiteUve liberare ramato dm d<rio- 
rosi effetti della passione, e lasdame viva la • 
causa. Contraddizione tremenda. 

6. Amore che mai non trapassa dal dolora 
alla gfoja, o muore o ammasca» 

7. L'amore é medico^ eper^ talvolta caroe- 
fice, di sé stesso. 

8. L'amore che fa maraviglia a sé stesso, 
può ^li durare? Può; ma quello die si crede 
affetta naturale, é debito inevitabile, è anuire 
più vero. 

9. Chi ama di molto,, pensa al termine del- 
l' amore più di chi c'è vicino. 

10. Gom'uom che persegue sogno svanito, 
cosi chi ritenta un cessato amore. 

11. L'amore finito piiò div^tare passione; 
affetto, non mai. Se affetto ritorna, segno è <^ 
non era finito. 



— 75 — 
CAPO V. 

AMORE NELLA DONNA. 

1. Quanti segreti dell'amore in questi due 
versi ! 

Malo me Galatca petit, lasciva paella, 
£t fugit ad salicesi et se capit ante yideri. 

Nota la forza del peiii^ che non si potrebbe 
tradurre; il modesto senso di lasciva, che 
vale òrtb^a» e non è qui punto indecente, co- 
me nella lingua italiana spesso ; notisi il vezzo 
di quelle idee campestri commiste all'amore, 
meda, salices; notisi come a Danieta, che in 
questo canto fa la parte dell'amante modesto, 
tocchi un'amica sveglia, che lo mette sulla 
via dell'allegre scoperte. 

% V uomo è più reo nella sua civetterìa del- 
la donna : perche meno tentato, e perch' egli ha 
tane' altre soddisfazioni che ^i dovrebbero em- 
pier la vita. 

3. Nell'amore delle donne, l'amor proprio 
ha men parte che nell'amore degli uomini. 

4. L'uomo in amare è più vano; la donna 
ha più profondo Toi^oglio dell'amore. 

5. Difficile trovare donna ch'abbia ingannati 
gli uomini, né sia mai stata ingannata. 

6» Nello stesso amore colpevole , la donna, è 
sovente più spirituale dell'uomo. 



— 74 — 

7. Quelle donne son poetiche, ch'hanno de- 
sìderii indeternìinati : coi li determina, è già 
nel regno della materia. 

8. Della donna, è destino essere insidiata 
dalla serpe, e schiacciarla. La debolezza vince 
la frode, meglio assai della forza. 

9. La donna ha bisogno e dovere d'essere 
amata. Colpa dell' uomo, se tale la sceglie e la 
fa, che amarla costantemente o non possa o 
non sappia. 

10. Non si conosce a fondo la donna in- 
nanzi i trentanni, né Tuonn) innanzi i qua- 
l'anla. 

11. Gli uomini, per amore s'ammazzano: le 
donne muojono. Più lungo, più forte, più pio 
sagriflzio. 



SENNO D AMORE NELLA DONNA. 

1. La donna alla donna è stampatello; l'uo- 
mo alla donna è cifera. 

% La donna vede meglio i difetti dell'amato, 
che non l' uomo dell' amata : e pure la donna 
ama più. 

3. La donna, nelle sue gelosie , è più veg- 
gente ddl'uomo. 

i. Studiare la donna freddamente, è un ca- 
lunniarla già. 

5. Noi frantendiamo la donna: e del franten- 
derla poi ci adiriamo seco. 

6. La modestia stessa^ ad uomo non delicato, 



pare iii donna o freddeiza trippa o troppo 
amore. 

7. L'uomo dappoco è donna tradotta in prosa. 

8. La donna è coiruomo, quel che Io zero^eili 
numeri. 

9. La donna è cosa rimpastabile in inflaito, 

10. Le donne senton l'amore: gli uomini so- 
vente cercano di sentirlo. 

11. Le doime indovlhiano più, perchè sanno 
meno. Chi intende di molto, sottintende poco. 

12. La donna invoca pià.soVmta dell'uomo 
'in aniore; le potenze invisibili. EtkM^ sa me- 

^o amare, meglio sente il mistero. 

13. L'importanza della diàina sta nel non si 
dare importanza. 

COLÀGGIO d' amore NELU DONNA. 

1. L'uomo è più ardito in amore, la donna 
è più coraggiosa. 

% La donna, più timida, men dell'uomo però 
teme le conseguenze ultime e terribUi dell'a- 
more. • 

3. La donna è più risoluta nelle sue debolez- 
ze ; r uomo ne conunette di più gravi e più ree, 
tentennando. 

4. Mirabile come la donna innamorati tooohi 
gli ultimi termini del pericolo, e pur non U' 
varchi. L'uomo è troppo prudente^ tmppo 
temerario, perchè più di se. '\^ 

5. Sapersi fermare a tempo, ÌA ogni eosa, ra 
me^Uó fa àonnà che V uomo. 



:-. 76 -. 

6. La donna educa e rinfonui ruomo mode- 
randolo: se tende a eccitaiio, lo fiacca. 
. 7. All' uomo, r amore é ^ogo» aùa doiuia, 
più sovente sagrìfizio. 

8. La donna si sa contenere; e però, quan* 
do dice, dice più, quando vuole, vuol più. 

9., La donna sa m^iio dell'uomo* coprir, Ta- 
more; onde talune paìon fredde, cbe non sono^ 

10. NeQe donne più flfBcere è qualcosa di più 
impenetrabile che neU' uòmo. Il puctore, non fofr* 
s' altro, vela sempre 4ina parte dell' anima ìùto. 

il. Si conoscono una, diie, trenta donne: 
mai non si conosce la donna. L'uomo più. . 

12. Donna che aasconda il viso nel tuo asoo, 
se all'amore non t'ispira ammirazione ben ad 
crudele. 

13. Per conoscere il pudor della donna, guar- 
datela più dopo che prima del fallo. 

IV. 

UN po' DI 1I4LE DELLE DOKIfE. 

i. Quasi tutte le donne che n(m ebbero l'e- 
sperienza dell' amore, ^ a qualunque occupazione 
si diano, portw seco un fervore, una smania, 
che in certi istanti sonaiglia a ilisperazione. 

%. Donna, anche onesta, non sa col mede-^ 
amo occhio guardane Fuomo oh'è innamorato 
d'altra donna, e l'uomo di'ò libero del suo 




dei che non vuole avere i difeul delle 
^e> segnò talvolta die tiHia di mag- 



-*TfT — 

4. Donna saperha, ha ricevuto od aspetta 
gravi Hmiliazioni. 

5. Certi amanti e mogli degli uomini cele- 
bri, con la prosaica lor vita li perseguitano 
fin dopo morie. 

6. Tra le femmine letterate, le più tremende 
alla pazienza virile sono m primo luogo quelle 
che parlano di lutto ciò che hanno letto; in 
secondo luogo quelle che leggono tutto ciò che 
hanno scritto: le più mansuete son quelle che 
stampano. 

7. Donna ignuda stucca; donna letterata e 
vmna è come ignuda. 

8. Le civette e i pedanti affettano la natu- 
ralezza; vanno da Siena a Firenze passando per 
le Baleari. 

9. Certe donne, parlando di sé ai loro aman* 
ti, non dicono la pura verità se non qualche 
volta, senza saperlo. 

10. Certune si credono sensilnli, perchè fanno 
sentire. 

11. Le donne, o convertono, o divertono, 
o pervertono. 

12. Certe donno che diconsi onesto e che 
ostentano l' orgoglio del pudore, sono meno ve- 
reconde di quelle che per difesa non hanno se 
non se il pudor dell' orgoglio. Ma il pudore sin- 
cero è umiltà; che parte umana ed estrinse- 
ca n'è la modestia. 

13. Donna che |dange dopo il iallo coimnes- 
so, buona nelle viscere. 



^- 



V. 

SEGUITA. 

« 

1 . In certe donne il pudore è un precelto del 
Galateo, in altre è timore, in altre è rimorso. 

2. Il cupido pudore di donna scaltra sa me- 
scere col rimprovero la lusinga; che allora ha 
potenza tremenda. 

3. L'inverecondia ha biso^o di forme che 
la velino; l'impudicizia ha bisogno di certa de^ 
ccnza eh' è ignota al pudore. 

4. Quando donna ti dice parole o fa atti che 
non vuole saputi da altri, e tu diffida o di lei 
di te. ^ 

5. Se si potessero raccogliere insieme i desi- 
derii di certe donne oneste, e' parrebbero più 
romanzeschi di que' d'una sciupata. 

6. Uomo che si crede amar donna d'animo 
verginale, e trova aIlro,r è come viaggiatore che 
si crede errare in selva intatta, e trova a un 
tratto i pinoli verdi, e un'insegna d'osteria. 

7. La donna, co' suoi desiderii di vita agia- 
ta, è seduttrice a sé stessa ; già prima venduta 
che <^mpra. . 

8. Non sai qual sia disgrazia maggiore al- 
l' umanità: veder .moltiplicarsi le bi^lerine, o i 
giureconsulti. 

9. Parole di donna corrotta penetrano pivi 
addentro nell'animo femminile, che d'uomo. 



VI- 

BELLEZZA. 

i. La costa è dell' uomo, ma la carne con 
la qual Dìo edificò la bellezza femminile, è fai- 
tura direttamente divina. 

% l colori che in natura più abondano, il 
verde, il rosso, il celeste, meglio al vestire della 
donna s'avvengono che dell'uomo. Forse per- 
chè più sensibile e più prossima è la donna 
che 1 uomo alle visibili bellezze della terra e 
del cielo. 

5. L'astinenza di ogni genere fa più pura, 
più snella, più sana, più durevole la bellezza. 

4. Può la donna non pensare alla bellezza 
propria; credersi brutta non può. 

K. L'orgoglio della bellezza, più che l'ebrietà 
dell'amore, fa dimenticare alle donne le traver- 
sie della domestica vita. 

6. Le belle sono sovente più continenti delle 
brutte : e perchè più osservate da molti; e per- 
chè la vanità spegne talvolta o distrae i desi- 
derii ; e perchè V occupazione dell'essere corteg- 
giate toglie agio agi' m timi coUoquii ; e perche, 
:*olle belle, di molto tempo se ne va in prepa- 
'azioni e preghiere, e le brutte non perdono 
1 tempo, per tema di perdere il destro; e per- 
chè nelle belle il senso è meno ardente, per 
)iù equabile temperanza d'umori. La bruttezza 
; indizio di squilibrio, e nei fluidi e nei solidi 
I negli appeiili. 



^ 



7. Ma le belle talvolta cadono più faclbnen- 
te: perchè più vane e più sfcore di sé; o perche 
meno accorte; o perchè guardate con più so- 
spetto, e però iminalizite e messe al punto. 

8. Bella donna sfacciata , n(m è mai tante 
sfacciata ({uanto brutta sfacciata. 

9. La bellezza, e air uomo e alla donna» sem- 
pre reca più dolori che gioie. 

10. La donna, ^iù che ruomo, rimbellisce 
ad un tratto; in lei è come ispirazione la bel- 
lezza. 

11. Nel più delle nobili la vecchiaja é rihai 
tante; nel più delle contadine è serena comi 
una seconda gioventù. Al povero, la vecdiiezzi 
è l'età del riposo e della speranza. 

EFFETTI DELLA BELLEZZA. 

1. Quel che rende pericoloso il conversan 
con donna bella, gli è che nel volto di lei ogn 
moto par moto 4'wMnu 

2. Ivon mente la penna della pura colmiba 
stt il colore cangiante di lei brilla al sole, ec 
inganna gli sguardi. Se k bellezza a voi pan 
che prometta d'amare pia che in vero non sen 
te, vostra è la colpa, non sua. 

3. Un de' sensi più tocrìhili dbie suscita la bel 
lezza, è vedere quella beata armonia delle for 
me dair amore turbata, e dire con umile giojj 
fra sé : questo profondo e quieto mare e serena 
SI eommove allo spirito inio. 



— 8-1 — 

4. C e la bellezza che scuote, e" è quella che 
commove, c'è quella che appaga: meglio la 
seconda. 

^M, Più [bello il raggio della luna tra le fo- 
"glie verdeggianti. La malinconia in donna gio- 
vane commove più. 

J6. C'è un bello che avventa, e poi allenta 
F amore; c'è un brutto che, più pensato, piace 
più. 

^.^. Donna patita, a momenti, imbellisce in 
'"modo più terribile all' anima, che donna di fre- 
sca e tonda bellezza. 

8. Perchè la donna ha dovere e diritto di 
farsi amabile all' uomo eh' è o sarà suo, ha pur 
dovere e diritto di parere bella, se bella è ; ad 
ogni modo, dì non parer dispiacente : dunque 
d ornarsi quanto a bella si conviene, cioè po- 
co; quanto a non bella, cioè pochissimo. 

9. I tanti incòmodi che accompagnano la fe- 
condità delle donne, le giovano anche in que- 
sto , che le impongono cura continova della pro- 
pria mondezza ; la qual cura ella insegna anco 
air uomo. L' uomo eh' ha men di bisogno di ri- 
pulirsi, se r educazione pia della donna non ne 
lo feccia avvertito, è più sudicio. 

10. Il lusso non è alla donna diritto, perchè 
dovere non è; non diritto le stomachevoli nu- 
dità, né le mode schiave, perchè doveri non 
sono. 

11. La foglia abbellisce il ramo, e Io cuo- 
pre; il velo è ornamento. 

Tommaseo, Pemicri morali. ^^ 



— 82 — 

ì% Donna che non vi parla la lingua nati 
e pur vi piaccia, se parlasse quella vi piac< 
rebbe dicci volle più. 



CAPO VI. 

matri:monio. 



1. Il nome, che par cosa esii inseca e casua 
le^ è il vincolo delle anime, delle vite, delle gc 
nerazioni umane. 

2. Agli Ebrei, la fecondità era dovere e be 
ncdìzione, perchè bisognava perpetuare e mol 
li{)licare sulla terra il numero de credenti veri 
La generazione era dunque atto sacro, uffizit 
e sociale e religioso, e santificazione delle forz< 
vitali. Cosi dovrebb' essere a tutti i credenti ei 
abbuoni, che dovrebbero noi matrimonio pen 
sare a propagar sulla terra le tradizioni dclli 
verità e dell' affetto generoso. 

3. Società che lascia moltiplicare il numen 
delle ragazze disperate di marito nella casa ma 
terna , accumula a se stessa un debito ruinoso 

4. La poligamìa e deir infanzia del mondo 
^ e lo ritrae a infanzia 

V 5. In paese ove la donna non è compra e( 

usala come animale od arnese, la poligamia e 
/// più grande tribolazione che possa toccare at 



--85-- 

pòvero galantuomo. Àbramo e Giacobbe lo 

HIO, 

6. 11 matrimonio è come la morte ; pochi ci 
rivano preparati. 

7. Pazienza, operosità, solitudine; senza que- 
, buon matrimonio non c'è. 

8. Pregate da Dio moglie che vi sia matcr- 
Qoente sorella. 

9. Chi non ebbe sorella, non sa perfettamen- 
amare donna. Il fraterno inizia alla santità 
l'amor conjugale. 

10. La famigliarità conjugale dovrebbe ag- 
ingere alla confidenza, ma non punto sco- 
re del rispetto. All'incontro , le anime volgari, 
i vivono insieme, e meno si rispettano, e 
no s' intendono. 

11. L'amor conjugale è in molti, piuttosto 
ì amore, affezione di stima, bisogno d'abitu- 
e; o più sovente compiacenza che viene al- 
nor proprio, dai comodi della domesfica vita. 

12. L'amor di famiglia è in certuni amore 
9dato di sé. Tale è, in molti più, l'amore 
patria. 

«. Matrimonio divenuto contratto di sorte. 
4. La bigamia, associando due noi a uno, è 
assurda che rea. 

II. 

MATRIMONIO E VIRTÙ. 

. In società corrotta, mcn corrotte son quel- 
le si maritan per tempo. 



% Ne' popoli più semplici y i giovani inolio 
conoscono certe particolarità delle cose che of- 
fendono il pudore; sentendone senza malizia 
parlare, senza malizia le intendono, e non van- 
no infianmiando sé stessi in imaginazioni mo- 
struose. 

3. Nel pudore di certi popoli dove il marito 
rifugge dal tenere discorso della moglie pro- 
pria, è virtù e senno grande. Parlare di sua 
moglie, egli è come parlar di sé stesso, osten- 
tare le proprie bellezze o bontà , ed è un de* 
stare in altrui desiderio di conoscere pregi, che 
non s'espongono agli occhi altrui senza peri- 
colo, e deirammiratore e dell'ammirato, o d'en- 
trambi. 

4. La parola conoscere nel senso biblico, non 
e senz'aita ragione. La soddisfazione del ma* 
lerial desiderio discopre nell'anima amata nuovi 
difetti nuove bontà. 

5. Il non s'avvedere Giocasta, in tant' an- 
ni , eh' Edipo ha i piedi bucati, é favola che di- 
mostra più storicamente la conjugale castità di 
que' tempi. 

6. Gli antichi Pagani avevano le mogli, le 
schiave, e le cortigiane. Taluni adesso nella mo- 
glie cercano la cortigiana e la schiava ; e poi la 
vogliono pura ed alta. 

7. Certi mariti trattano le donne loro come 
se mogli non fossero, e poi, se la donna od 
altri li prende in parola, gridano come gente 
ferita. 

8. A donna oziosa, anco l'amore legittimo 
diventa pericolo, perchè la lo rumina troppo. 



%J§ 



tollerabili a lei. 11 marllo è sovente Y uomo del 
diritto assoluto: però non curante. E se bada 
alla moglie, ci bada troppo ; ci bada per impor- 
tunarla corromperla. Grimportuni abbraccia- 
menti, anco legittimi che siano, corrompono. 

11. I mariti sono soverchiati dalle mogli, 
quando, secondo che il vocabolo suona, non 
sono più maschi. E chi è femmina dell'anima, 
non vale punto che del corpo sia maschio. S' in- 
gegneranno d'appagare il senso, e tanto più 
foranno l'animo della moglie malcontento. 

12. Dalle corna dell' orgoglio maritale, spun- 
tano quelle altre siffatte. 

13. I mariti non amati vivono a lungo, ac- 
ciocché sian puniti essi della propria o vìUà o 
infedeltà, e le donne dell' error loro non abbiano 
quasi premio. 

IV. 

CONCORDIA CONJCGALE. 

1. Le benedizioni profferile il dì delle noz- 
50 , dovrebbero gli sposi rinnovare ogni di nel 
)ejìSicro. 

2. Marito che fa tenerezze alla moglie in pa- 
ese, ha voglia e vanità, più che afletto. 

3. Se donna in presenza altrui fa mostra del 
uo affetto al mari lo, mal segno. 

4. Moglie che si vanta della sua fedeltà, tes- 
e discolpe, o alle debolezze passale, o alle de- 
olezze avvenire. 

5. Marito che si vnnla della sua fedellà, uo- 



— 88 — 

mo vanesio, i cui vanti saran forse puniti come 
infedeltà vive e vere. Vantandosi, par ch'e'dì- 
ea: la mia fedeltà non è mèrito de' pregi di mia 
moglie, è sforzo mio. 

6. Men pericolosa moglie è femmina lettera- 
ta, che figliuola di femmina letterata. 

7. De' veri pregi della moglie, e de' veri difet- 
ti, il marito è sovente l'ultimo ad avvedersi. 

8. E i pregi della donna e i difelli dovreb- 
bero consigliare il marito a tenerla, come sacra 
cosa , lontana dallo sguardo, o cupido o scher- 
nitore, del mondo profano. 

9. Due amanti o sposi cessano d'intender- 
si , quando l' un de' due ha cominciato ad in- 
tendere un terzo. Causate i paragoni , e sarete 
tranquillo. 

10. Tra moglie e marito le doglianze non 
si facciano nel momento dell'ira; ma ad ani- 
mo riposato, sincere ed intere. 

11. Un cane abbandonato sulla via, che cer- 
ca guaiolando il padrone, muove a pietà: e 
una povera donna abbandonata, una oioglie 
tradita ! 

12. L' esigilo non vi divida dalla moglie e 
dai figli. Accattare, ma uniti. 

13. Quando la donna esce troppo di casa, 
la famiglia è distrutta. La buona società aboli- 
sce la società buona. 



--89 — 

V. 

LA MADRE. 

1. SareU)e a cercare , se di donna men gio- 
vane del marito, ma pura, nascan figliuoli più 
affettuosi. 

2. La più vera proprietà è la proprietà della 
madre. Ond'Eva disse: possedi hominem per 
Deum. E però, laddove la donna è schiava, le 
vietano di esser madre, od ella sei vieta ; e lad- 
dove la donna non sa D non vuole esser ma- 
dre, diviene schiava. La donna comanda per il 
figlio e nel figlio. 

3. La madre, perchè più soffre del padre, 
ama più. 

4. Quasi sempre le femmine sono da' geni- 
tori meno amate de' maschi; come per prepa- 
rarle a quel giorno che troveranno altro padre, 
altra madre, altra famiglia. 

5. La nuora dovrebb' essere trattata da'suo- 
cèri, se non come figlia, se non come rocchio 
e il costato del figlio loro, aknen com' esule 
dalla casa natia, com' orfana di padre e di 
madre. 

6. Difficile che la madre più tenera ami il 
figlio lontano cosi come fa de' vicini che le ab- 

' biano amore , quand' anco non sia colpevole la 
lontananza. 

7. Anco neir affetto di madre è talvolta non 
so che vanità. L'affetto di moglie o d'amante 
degna, ha sagrifizii di sé stesso più interi. 



8. Laddove è famiglia numerosa e concor- 
de, r educazione riesce meglio ; perchè son più 
varie le prove , e la virlù degli educatori e de- 
gli educati é messa a più ardui cimenti. 

9. Laddove non è educazione, non è vera- 
mente legittimo matrimonio. 

10. I sacramenti della Chiesa, istituendo pa- 
drini e comari, distendono il vincolo sacro della 
famiglia agli estrani; e più e più lo santificano. 

11. Gesù Crisi non fa cerimonie a sua madre. 



CAPO VIL 



DEL SENTIRE I DOLORI ALTRUI. 

1 . La sensibilità molte volte è più nella fan- 
tasia che nel cuore. 

% C è della gente sensibile, e pur senz' af- 
feito. Costoro vivono male^ e fanno del male. 

5. Talvolta coloro che son detti egoisti, son 
meno egoisti degli uomini e della donna che 
son detti sensibili. 

4. Chi dice con espresse parole : me ne dis- 
piace, sia di dolor vostro, sia di noja datavi, 
sia d'altrui disonore; è quegli talvolta a cui 
meno dispiace. 

5. L'ozio è il padre de'vizii; ma la sonsibi- 
yyié è la figlia sua più diletta. 



— 5H — 

6. Molti confondono, in materia d'affetti, il 
tenero col molle. Mollezza è sovente durezza. 

7. Àltr'è sentirsi mosso e sommosso, altr'c 
commosso. I patetici confondono il sentimento 
colla sensibilità, i frenetici col risentimento. 

8. Amare è facile ; compatire è difficile. 

9. Ispiratemi la gioja che fa pensare e fa 
piangere. 

10. L'abito del consentire a' mali altrui ren- 
de r anima meno ferocemente ostinata nel senso 
dei proprii; le dona certa gentile agilità da di- 
strarla. 

1 1 * Consolare i dolori altrui gli è il migliore 
conforto de' proprii. 

12. Consolate, no con parole, ma con lagri- 
me; e avrete, inestimabil mercede, non parole 
ma lagrime. 

13. Più fortunato in questo, perchè più sin- 
cero, il popolo misero che sa soffrire tacendo, 
che geme sommesso; e ha lagrime, non be- 
stemmiatrici, n>a oranti; e ragionacchiando non 
aizza là sventura che dorme. 

a. In felicitare i bella parola del Genovesi, 
meglio che lo sfelice del Buonarroti, 



COMPASSIONE INEFFIGACfi. 



1. L'uomo pare che sappia meglio l'arte del 
dar dolore che del dar piacere a sé stesso e ad 
altrui. 

2. Da un atto di compassione non giudicate 



— 92 — 

dell'uomo: tutti sentono la compassione, po- 
chi l'ascoltano. 

3. Compassione è sovente un effetto della me- 
moria che richiama i proprii mali passati, e cosi 
s' investe de' mali altrui. Però son talvolta com- 
passionevoli anco gl'iniqui. 

4. Gli uomini crudeli si credon pietosi quan- 
do piangono sopra sé stessi. 

5. E anche non pochi infelici e buoni, in al- 
trui non compiangono altra infelicità che la pro^ 
pria. Pensano a sé senz'addarsene. 

6. Il terrore de' mali proprii, solo di per sé, 
non insegna la pietà degli altrui. 

7. Voi credete eh' altri vi compianga ; e v'os- 
serva. 

8. Gli é più facile piangere a'dolori altrui che 
compiangere. 

9. I ministri de' luoghi pii, in mezzo al con- 
tinuo spettacolo delle umane miserie, avvezza- 
no il cuore talvolta a tutt'altro senso che della 
soave e sofferente pietà. Conviene riconduire le 
caritatevoli istituzioni dal grado di abitudine 
quasi meccanica, in cui sono discese, all'alto 
fine religioso e civile che solo le rende bene- 
fiche. 

10. Se non istimi l'uomo che tu compiangi, 
la tua compassione é spietata. 

m. 

COMPASSIONE EFFICACE. 

1 . Compassione è amore con tristezza, e con 
^siderìo dì giovare. 



2. La compassione acuisce ringegno. 

3. da compassione è più sacra cosa dell'am- 
mirazione. 

4. La compassione ne'buoni è pietosa, nelle 
anime elette pia; in quelli umana, in queste 
divina. 

5. Quand'andate a veder chi patisce, non 
pensate alle parole che avete a parlargli. La vi- 
sta del dolore v'ispirerà e il dire e, meglio, il 
tacere. 

6. Quand' una donna ha sofferto di molto per 
voi, credete eh' ella intenderà , senza lunghe pa- 
role, il dolore vostro. 

7. La dd)olezza è più venerabile della for- 
za. Un bambino a me fa più paura di un re. 

8. Chi compiange gli scherniti, ha provato 
il dolóre e l'amore. 

9. Veder chiuse case o botteghe, e riaperte 
da altre persone con altre robe, desta un senso 
mesto e pio, quasi come il pensler della morte. 

IQ. Abbiate pietà di chi ha fretta, di chi aspet* 
ta, di chi siospetta. 

11. Più merito è nel compatire i difetti, che 
nel compiangere le sventure. 

IV. 

DEL SOCCORRERE ALLE SVENTURE. 

1. Taluni corteggiano la sventura, perchè spe- 
rano seminare in terreno non ingrato. 

% Chi assiste spettatore freddo al danno al- 
trui, è più incauto che crudele. 



5. I lamenti degrinfelici^ a certa gente pajo- 
no segni di bene stare. 

4. Attenuare la fede nella grandezza altrui, 
è men colpa che attenuare la fede nella sven- 
tura. 

3. Chi consiglia quando trattasi d' ajutare, e 
più crudele e superbo eh' e' non si pensa. 

6. Molti scusano la crudeltà co' difetti dell'in- 
fclice a cui negano ajuto. 

7* I traviamenti altrui non ci danno diritto 
di oltraggiar la sventura. 

8. L'uomo abbandona l'uomo, più per ispen- 
sieratezza che per crudeltà. 

9. L'uomo abbandonato da tutti, comincia ad 
accorgersi eh- egli primo ha abbandonato e tra- 
dito sé stesso. 

10. Pensi l'ingiusto, ne' momenti del dolore, 
al dolore ch'egli ha cagionato agli oppressi. 

li. Gl'indegni negoziano la pietà. 

1 2. Le grandi istituzioni tutte, o quasi tutte, 
nascono da qualche sventura. 

13. Acciocché siano svelati i pensieri di molli 
cuori , per questo il Salvatore patisce e fa pa- 
tire i suoi cari, il dolore é rivelazione e di- 
vina ed umana; il dolore fa conoscere l'uomo 
all'uomo, e l'uomo a sé slcsso, cioè se altri 
l'ami veracemente, e s'egli ami veramente sé. 
Effetto e mezzo della liberazione spirituale e 
della morale e della civile, si é rischiarare la 
coscienza dell'uomo; e così fare più saldi e più 
degni d'essere conosciuti e più coraggiosi i 
suoi a! ti. 



— 95 — 

CAPO Vili. 

SPERANZA. 

^ Speranza è desiderio con gìoja. 
% La speranza buona è creala dall'umiltà; 
per questo è virtù. 

3. L'aspettazione è tormento; la speranza 
è piacere : perchè neir aspettazione è certezza 
materiale, e dubbio segreto; nella speranza è 
sicurezza di fede. 

4. Il 'fiore fa più allegria che il frutto: la 
speranza è più lieta e più spiritual cosa del go- 
dimento. 

5. Dalle nubi ci manda Y arco baleno Y eco 
deir antica promessa, non dal cielo sereno. Dallo 
lagrime la speranza. 

6. Il galleggiar delle foglie d' autunno nel 
crepuscolo della sera, è simile alla speranza lan- 
guida deir infelice. 

7. Nel pensare alle cose che periscono, pen- 
sate a quelle che si rinnovellano ; e sarete in- 
sieme con quelle rinnovellati di speranza ope- 
rosa. 

8. « Speriamo quanto ci piace; ma quanto 
ci avviene, sopportiamo. » Sentenza pagana. 
Troppo sperare fa più difiScile il ben soffrire. 

9. La memoria è più consolatrice della spe- 
ranza. I vecchi che sanno non isperare nella 
vita, sono i più felici degli uomini.' Beato chi sa 
essere vecchio a tempo ! 



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— 96 — 

10. Non so qual sia più fecondo d'inganni: 
la speranza y o il limore. 

1 1 . Più gli animi sono ignobili, e più la spe- 
ranza si mescola col timore, a fare instabile la 
volontà. 

ì% La paura rugge intomo all'animo chiu- 
so; ma la speranza furtiva si insinua ed apre 
le porte dell' anima, e la tradisce al nemico. 

13. I più son traditi dall' avidità propria piut- 
tosto che dalla malìzia altrui. Questa s è servita 
di quella. 

14. La speranza é cumulo di passioni, o 
germe. 

1 5. L' aspettazione fu detto essere acerba ne- 
mica; ma più nemica a coloro che da altri 
aspettano oltre il dovere, che non a coloro 
da' quali s'aspetta. Il disinganno delle cose che 
non corrispondono all'opinione, è più amaro alle 
anime rette, che l'umiliazione del non potere 
noi all'opinione altrui corrispondere. 

16. La speranza mercanteggia. 

17. La speranza tradisce sé stessa, falsando 
con interpretazioni mendaci la verità delle cose. 

18. Speranza vana, tempesta continua. 

19. AUsura della felicità è la speranza. Chi 
men spera mcn soffre. 

20. La modestia ingentilisce e consolida la 
speranza. 

21. Costanza viene, più dalle memorie, che 
dalle speranze. 



d7 



DIFFIDENZA — DUBBIO. 

ì. Molle le fosse aperte sotto i piedi di ciii 
mira in alto. Si guardi egli, non tanto dagli 
errori di lassù, quanto dai lacciuoli da basso. 
^ 2. Con uomo al quale non potete più crcnle-^ 
ce» rompete se potete, consorzio, per non ca- 
hmniar lui con o^ni pensiero, e per non av- 
vilire e amare^are con diffidenze continovo 
l'anima vostra. ^ 

3. Diffidate di chi vi ha ingannato; non lo 
crediate però incorreggibile. 

4. Quanto più le persone sono sicure, e tanto 
più dovete diffidar delle cose. • 

Sé Diffidate, non tanto d* altrui, quanto d^Ii 
ilfetti e delle avversioni vostre. . 

6. Diffida sopra ogni cosa, deila tua diffi'^ 
danza. 

7. Chi diffida d'altrui, troppo fida in sé stesso. 

8. La fidanza meglio giudica gli uomini che 
la diffidenza. 

9. Il più tormento dell* uomo probo è do- 
ver dubitare dell'altrui probità. 

10. If dubbio, in amore e in altre cose, e 
più crudele della certezza. 

11. Da chi ha dubitato, o mostrato dubita- 
re, di voi, un alto di fiducia giunge più caro 
d^ogni più eletta lode. 

12. Non calunniiate gli uomini, né col so- 
letto né colla anuqirttdón^: che quand'eccila 

TouuASEQ, PenritfiiiffiAù ,. ^ "V 



— 98 — 

dcsiderii, e quindi pretensioni soverchie, an( 
l'ammirazione è calunnia. 



SOSPETTO. 

1. li sospetto succede spesso, o confonde! 
aRa paura; mostro peggiore della paura. 

2. Siccome chi è avvezzo a gridare, gri< 
«tnco in camera chiusa ; cosi chi per solito di 
iìda d'altrui, anco de' buoni* diffida. 

3. Chi è avvezzo a' climi freddi, anco 
paesi caWi, al primo raffrescare, s'imboltis 
di roba. La diffidenza indica o esperienza n< 
buona, o giudizio reo. 

4. Chi crede sé probo, e sospetta sempre de 
l'altrui probità, costui ha la probità della spi 

5. Gli sciocchi son creduli della stranezza 
del male, più che della grandezza e del ban 

6. L'ultimo della perversione è il non ci 
dcre alle virtù. 

7. Se usassimo, per imaginare il bene, qu 
gii ingegni sospettosi che usiamo per fantasi 
care il male, sarenuno meno miseri di quel e] 
siamo, e men rei. 

8. Il sospetto non fondato nella realità, S' 
vente la crea. 

9. Diffidare dell'uomo è un corromperlo. 

10. Il sospetto, ben più che la malvagli 
suole aver parte nel male che gli uommi a ^ 
cenda si fanno. Temon d'essere prevenuti. 

IL La diffidenza, quanl'è più avara d'; 



— 09 — 

ti 9 tanfc più prodiga di tempo sprecalo in 

dugi e in indagini. 

12. Avvelenatore d'ogni grandezza, è il so- 

etlo. 



CAPO IX. 

TIMORE. 



1. Timore è odio, con tristezza, di male che 
minacci. 

% Il timore è naturale all'ignoranza deffuo- 
p; ma si badi eh' e' non trascenda i confini 
Wa stessa ignoranza. Perchè siccome c'è un'i- 
loranza colpevole, c'è un timore colpevole. 
!5. II timore de' pericoli, è talvolta dei peri- 
ii tutti il maggiore. 

4. La paura è il gran nemico d'ogni virtù* 

5. Qual fa più male nel mondo? L'incostan- 
L il timore ? Quella è sovente generata da 
lesto. 

6. C'è gente al mondo si timida, che gli atti 
D'altrui timidità li fanno tremare. 

7. Anco la paura ha le sue frodi: i conigli 
■Mano sempre. 

JS. La paura è crudele. La generosità^ segno 
I sicurezza. 



v 



— 100 — 

« 

9. Talvolta la limldltà fo loquaci i del 
a paura facondi i vili. 

10. Altri ardimenti coprono la timidità; 
la scoprono; altri la creano. ,j^^ 

li. Amore che non teme, o sta per fl 
non è mai cominciato. 

12. Tutte le passioni disordinate comba 
col timore: questa la loro pena. 

13. Viltà squisita, o compiacersi nell'; 
viltà educarla. 

14. Da dubbio, gli antichi italiani e i 
cesi fecero dotta e ridoltare, sìgnilìcando e 
dubbio della mente^ e l'incertezza che ne s 
è cagione de' più gravi spaventi. Chi ha un 
chiara e ferma, non ha paura: Tidca gli è 
e guida; via, vita e verità. 

1$. Nella pena è pudore; nel pudore 
principio di paura. Più il pudore oegenei 
yei^ogna triste, e più tiene della paura. 

16. L'ira è paura. 

17. Lo spavento eccita. 



VILTÀ. 

1 . Il cessar dal pericolo a inotti pare si 
ma felicità: questa stessa opinione lo pui 
condurre. 

2. Se il codardo corresse contro i nemici 
la rapidità che li fiagge, li spaventerebbe. 

3. Non c'è uomo più coraggioso del vile 
dir villania all'uomo òpDressp. 



« 



:4* Basta mostrare il viso , per far mutare 
gaggio a certi nemici. V ira loro e il eorag- 
jr-d^fP^^"^ ^3 ^^^ vostra yoltata di spalle. 
iSt pepatevi da colorò che, dopo espressa un' o- 
lAMìfL'al sentire che voi tenete la contraria , 
'biiÌ||BiO dalla parte vostra con impeto subi- 
béo. Gente, se non falsa, debole; e il debole 
g sa nenrnièn egli quand' è sìncero. 
H: Schiavo corrotto ha, neir ubbidire, un'ar- 
inza codarda, che non si può dipingere con 
le. 

Taluni coprono la servilità con la maschera 
ardimento, e minacciano per paura. 
1. All'audacia e all'insolenza è sèmpre con- 
ila timidità. Temono o,di essere troppo co- 
li per qucfl che sono, o di non essere co- 
tttli per qael che si credono; iemoito, non 
altro, di parer tìmidi o modesti in modo 
lolo. 

9. Nel vile, la stessa dignità, se mai qual- 
volta si. mostra, apparisce insolenza. 
). L'uomo abietto, siccome è pronto ad 
iginarc pericoli, cosi corre subito ad ima- 
lare abiettezze in altri. 
i* Il jpauroso è perfido : chi trema, vacilla. 
Tluuni temono, non tanto il male seguito 
ina, quanto il male non coronato da pre- 
I. Quesl'è di certa gente il pudore, questo 
' LOrso. \- ' 

Chi a tutti si proslrit per suoi- fini, si 

di tutti minore. 6gm moto di terti in- 

a costui è un c^enno di Giove. E perchè 



costui considera, non i' insetto, ma il suo no 
mento, e perchè il numero di questi è |afii 
costui si volge or qua or là, sempre inc< 
e timido che il suo timore non paja. ;^' u 
virtuoso non perde la vista in cose miiij 
guarda all' umanità, come ad una sola ptjéf 
Questa noi può odiare ; ned egli lei, peinì^i 
rebbe sé stesso. 

14. Prudenza, da viltà non differisce tah 
se non nel fine. 

15. La paura; agli abietti, tien l^pgodi 
dorè. 

16. L'uomo vile, ove può senza peri 
ostentare ardimento e dignità diventa un • 
disperato. 

17. Gli uomini tradiscono o per ispen 
o per t timore o per ri3pelto. Delazione e ^ 
renza hanno la medeiMma origine. 

in. 

INERZIA. 

1. Gran parte di que'che si dicono g^ 
tuomini, amano i proprii comodi più che i 
sii non amino le lor passioni. . 

2. Chi pensa troppo a' suoi comodii è' 
ma fredda ; e T anime fredde non si poéfi 
dire mesie. 

3. Uomo che non fa il bene, è forse piji 
di chi fa insieme ([^1 bene e del male. 

4. Non si cw^Iem il bene senz'adopi^ 
ad accrescerlo. Guardia i)Qi€»*te, non è custQ 



5. L'ozio, in ciò specialmente è pestifero, clic 
ascia l'anima, non distratta da v^un oggetto 
legno, seguitare il pensiero del male. 

6. L'inerzia è più sovente cagion dì rovina 
Aie r abusata attivila'; la^^quale ha il suo rime- 
jfo, il suo confine in sé stessa. 

^ 7. L'imprudenza è madre di temerità; ma 
a troppa prudenza è sempre gravida di giudizi! 
toierarii, o d'indugi dannosi. 
8. Pilato è r ideale degli uomini deboli : lavarsi 
kmani, ed intingere; condannare, ed assolve- 
re; minacciare, ed essere minacciato; interro- 
tire, € non aspettar la risposta; scrivere, e non 
per che, e non curar di correggere, e co- 
llere nel segno credendo di avere sbagliato. 

9. Chi lascia ch'altri noccia ingiustamente al 
itello , quegli tradisce il fratello. Il pauroso , 

Inerte tradiscono. 

10. Lasciar ire le cose come le vanno, è 
lusa de' fiacchi o de' cattivi, se pretesto all'i- 
lerzia. 

1 1 . Se aspettate che gli uomini si astengano 
Boddisfore alle vogUe loro pur per soddi- 

alle vostre!'; mcnrete gridando all'uoìana 
ita. 
i% Abbandonato e sovente l' uomo che s' ab- 
idona. 

13. La pigrizia talvolta si maschera di mo- 
la. 

14. Gli uomini,^ da' mali grandi vorrebbero 
' \r conseguenti piccoli chinni; e da beni pio- 
li, vantaggi grandi. 




-■^■^ 



-^ 104 — 

15. Il riposo a voi sia, non letargo, ma p 
paraxione di nuove forze e pensieri. 

IV, . 

AUDACIA. 

1. Timidità, e anche prudenza soverdiia 
sovente delle audacie la più incauta. 

^ L' ardire è sovente prudenza vera. 

3. L'audacia, usata alternamente colla p 
denza, confonde il nemico. 
. I minaceìanti, instabili. 

5. Gli audaci si ritirano, o per aver piì 
per salvare quel ch'hanno. 

6. Ne' pericoli' che paion più facili a vinc 
è sovente più insidia , pcarchè V anima ci 
più sbadata, 

7. L'audacia della paura, è di tutte auda< 
sima, 

V, 

CORAGGIO. 

1. Coraggio è desiderio operoso, senza 
stezza e senz' anunirazione. 

2. Andare mcontro al male è già un to^^ 
gli lunghezza 'ed empito. 

3. Cedere , è talvolta più corallo e vii 
che resistere. 

4. Richiedesi gran coraggio talvolta, a e 
essere audace. 

5. Ài timidi parere audace, agli audaci tii 
do, è talvolta necessità dcH'uonr saggio. 



i 



— 105 — 

^^^.iSf^on è cosa, per piccola che appajà, la 
quale non tnrbi minimamente, almieno per un 
istante, il più sicuro uomo del mondo. Chi dice 
. di non si turbare di nulla, mente. 

vS^Taluni pongoiìo la fortez:^a nel vantare 
-ertezza. 

Jk^Tanl'è più vero il valore, quanto meno 
tumostra sdegno o rabbia. ' 

JJf^Certuni si stimano coraggiosi o inviola- 
^-imLperchè sono impuniti. 
yÀfi. Certuni si vantano del feìr paura; e an- 
che in falso se ne vantano. 

L'uomo teme sovente il male eh' e' non 
Te quel ch'egli ha lien per nulla. Così la 
paura fa le veci del coraggio, ed allevia il do- 
lore. 

12. Donna paurosa del pericolo, rado è ti- 
mida del male. Verecondia e coraggio si con- 
vengono insieme. 

IJMI coraggio che affronta a buon fine lo 
sdierno, la noia, la sconoscenza, la diffidenza 
degli uomini, è più forte di quello che affronta 
il pericolo della pelle. 

^$. Quando l'uomo pensa alla infinita bontà, 
ifon avendo qui luogo ignoranza, non dee aver 
luogo timore. 

lo. I progressi della civiltà tendono a libe- 
me gli uomini dal giogo del timore. 




— lOG -- 

CAPO X. 
I. 

IRA. 

1. Ndl'ira è tristezza, con princìpio d'odio. 

2. Moli' ire sono orgoglio; molti sdegni, am- 
bizione. 

3. Lo sdegno sovente è desiderio deluso. 

4. C'è deviamenti che pajono di dolore, e 
son d'ira. 

5. Chi risponde con ira, segno è che sente 
mi rimprovero in cuore. 

6. La mansuetudine simulata è un sorriso nel 
fremito. 

7. Non sempre chi s'arrabbia ha torto: il 
vile non va in collera mai. 

8. Il vile conosce il frenato, non l'indegna- 
zìone. 

9. Quando cosa che credesi fermamente, si 
vede da altri debolmente affermata, uomo di 
cuore ed impaziente se n'ha a male, come 
d' oltraggio. 

10. Se nello sdegno del male commesso da 
altri non entra dolore, egli è sdegno semina- 
tore di scandali. 

1 1 . Nelle cose ove può credersi pugna d' in- 
teressi, e dove, per non conoscere Tumore al- 
trui, si può, non volendo, recare offesa; ivi è 
imprudenza interporre mediatori. 



-107-^ 

li. Vuoi tu sapero se Tuomp sia virtuoso 
davvero? guarda s'egli è mansueto co' tristi. 

13. Io molto sapere molto sdegoo: questo 
detto dei Savio umilia le vanità de' dotti, non 
ìscusa le rabbie loro servili* 

14. L'ira infosca la^ mente , iisi trasparente il 
cuore. 

15. La soavità del sentire aggiunge forza alla 
forza ; laddove il feroce, il superbo, il nimiche- 
vole è più convulso che nerboruto, più teso 
che intenso, più riscaldato che fervido e ra- 
diante. 

16. L' ira è grossolana. 

17. L'ira di taluni è paura. 

IMPAZIENZA. 

1. Nell'impazienza è insieme orgoglio e de- 
bolezza. Per questo . la pazienza è virtù tanto 
grande. 

2. L'impaziente è incostante» 

3. L'impazienza è principio di viltà. 

4. L'impazienza è malignità. L'uomo allo- 
ra, per aver di che vociare, vorrebbe ch'altri 
sbagliasse; e se non isba^a, gli sa male do- 
vere mandar giù que' rimproveri che aveva 
già belli e pronti. L'altrui merito, a lui, quasi 
come ali' in vido, diventa ofiTesa^ 

5. Ogni vizio iè impazienza di aspettare che 
la tentazione passi. 

6. Taluni, per non perdere il tempo, per- 
dono i modi di spenderlo (vuIIxìc^^-ìjìSicì^^^^^ 



7. Altri può dire: vo adagio perche ho fretta, 
INiente ritarda tanto ed impiccia le faccende, 
quanto il mostrare o il far fretta. 

8. Si perde più tempo a fare in furia le coso, 
che a farle adagio. Chi va adagio, lascia un po' 
fare alle cose , che ne san più degli uomini. 

9. Non fate, né di desiderio, né d'ira, né 
di lamento,, domande precipitose; che poi, sver- 
gognati ds^l fatto, non abbiate a arrossirne. 

10. Mal fa chi comincia a dolersi, prima di 
conoscere con che gente abbia a fare. 

11. C'è de' torti comuni a tutti gli uomini, 
de' quali chi primo si lagna, par eh' abbia ra- 
gione. 

12. Ha anco la pazienza il suo pudore; il 
quale, vmto una volta che sia, il maggiore non 
solo non arrossisce di mostrarsi debole dinanzi 
al minore; ma si crede in autorità, e quasi in 
debito. 

13. L'impazienza è languore. 



PAZIENZA VERA. 

1 . Nel momento del peixlere la pazienza , 
pensate a persona cara, e dite: s'ella od egli 
mi vedesse in quest' atto di debolezza , sarebbe 
mal contenta di me. 

% Il male eh' altri soffrono da' malvagi o da- 
gH stolti, ci sia ragione di^più per non ci la- 
mentare fuor di tempo ed invano. 

5. Di pazienza coraggiosa abbiamo più eseni- 



pii in Omero e in Virgilio , che in Dante. In 
Dante è cristiana la spiritualità dell' amore; ma 
r odio vinoente è pagano tuttavia, se non peggio. 

4. Pazienza operosa, è grandezza e dell' uo- 
mo e dei popoli. Napoleone era operoso, ma 
impaziente; Alessandro era insofferente; Cesare, 
animo più posato, e più grande ingegno. 

5. Chi ha memoria, ha pazjenza. 

6. Saper aspettare, è una delle arti più dif- 
fieìli, perchè chiede annegazione anco de'senti- 
inenti ohe pajono buoni. 

7. Una parola di lanoientQ paziente, dopo mol- 
te di rimprovero impaziente, refrigera l'animo 
e di chi la dice e di chi V ode. . 

8. La donna è più paziente, e però più per-» 
severante dell'uomo. 

9. Donna che nell' amore addolorato sa vin* 
cere l' inpazienza, credetele. 

10. L'impazienza c'insegna a portare, non 
solo con forza, ma con grazia il peso della vita : 
la pazienza è bellezza. 

IV. 

PAZIENZA PASSIVA* 

ì. La pazienza attiva è la virtù delle ani* 
me grandi; la pazienza passiva è la virtù del 
somaro. Attiva chiamo la pazienza, non solo che 
opera fuor di sé, ma e quella che, non po- 
tendo operare di fuori, pure conserva la volon- 
tà ferma del bene; e sente la dignità propria, 
e. sa le ragioni del suo soffrire , e nel soffrire 
le pensa, e ne ha confovlo/ 



— ito - 

% Pazienza inerte e non pensata e tutta pas- 
si va, è sofferenza, non pazienza vera. 

3. Gli uomini sono poco pazienti, e troppo 
sofferenti. 

4. Chi fa soffrire, non sa soffrire. 

5. Chi s' impaziientisee ha torto, ma anche un 
po' di ragione. 

6. Vizio impaziente è men reo di vizio pa- 
ziente. 

7. L'impaziente non è falso, almeno. 

8. Certa pazienza de' rimproveri, e pur delle 
ingiurie, può non essere mansuetudine; può, 
peggio che paura, essere computo d'utiUcà. 

9. L' impazienza mal repressa, è più ingiurio- 
sa dell'ira. 

10. Taluni, più fremono nel patire, e più cre- 
dono acquistare diritto a essere liberati dal 
lor patimento. 

11. L'intolleranza impotente, a non curante, 
divien tolleranza. 

12. La pazienza non affettuosa è impazienza 
minacciosa. 

13. La pazienza degli interessati è più vile 
che quella de' vili. 



— iìì ^ 



CAPO XI. 



DEL DISPREZZO. 

1. Certa loUeranza è disprezzo, certa sofferen- 
za è disamore. Ecco perdie i pcqpoli guasti sono 
cortesi. 

2. Ne' nuNli bruschi , è più ignoranza che 
orgoglio. L'orgoglio è urbanamente sdegnoso» 
fcrisce a freddo. 

3. La parola non mi degno » indica più so- 
vente impotenza che orgc^o. 

4. Il disprezzo affettato non si sa tenere; e 
alla fine scoppia in ingiurie. 

5. Quando si finge di disprezzar la virtù , 
allora gli è T ultimo grado della menzogna. 

6. I felici del mondo sod più contenti nel 
trovar modi da dimostrare il disprezzo, che di 
significare T affetto. 

7. Gli spregevoli dispregiano altrui con gioja. 

8. C è una riverenza piena d' amore ; e' è 
un amore pien di crudeli dispregi. 

9. La donna è talvolta più leggiera dell' no- 
mo nel dimostrare il disprezzo: ma appunto 
perchè più leggiero, il disprezzo in essa e men 
reo. 

10. Certi giovani disprezzano i vecchi, pur 
perchè vecchi; certi vecchi disprezzano i gio- 
vani, pur perchè giovani. 






11. L'albero più incurvalo dagli anni, di- 
mostra vita più robusta ed antica. Sovente quel 
medesimo eh' è pretesto al dispregio, dovreb- 
be esser ragione di riverenza. 

12. L'ingegno ch'altri spende in attribuire 
a sé il merito altrui, voi spendete in comuni- 
care altrui il merito vostro. 

13. Quello che ne'men buoni è odio e dl- 
sprezzO) ne' buoni è disistima dolorosa, mista di 
dolce-amara, pietà e condoglianza. 
5^. Nell'uomo buono che ha troppa ragio- 
ne^ la mansuetudine pare ironia. 

^45. Chi mostra di rispettar poco altrui, per 
ciò stesso è da taluni avuto in rispetto. 

1 6. Disprezzo dispettoso, è d' orgoglioso che 
teme ; disprezzo freddo , è di vile che si tiene 
sicuro. 

17. La nuova generazione calpesta la vecchia^ 
per farsene grado a salire, quando non vegga 
che la vecchia sia tant' alla da non poterla pre- 
mere, tanto forte da potercisi con sicurezza 
aggrappare salendo: allora ella tende a quella 
le braccia, e ne pende. 

18. Quant' altri più spregia e schernisce corte 
cose, altri più se ne tiene, o fa almeno le viste 
d' averle in onore ; non sempre per dispettò 
per orgoglio, ma per generosità più o meno 
sincera; per più e meno verace coraggio che 
dagli ostacoli ha fomite ; o perchè pare all' uo • 
mo, non a torto, che quella cosa a cui si dona 
importanza «ol persegivtarla o schernirla per- 
tinace, debba avere importanza. 



— 115 — 

HB. 

PE^\ DEL DISPREZZO. 

cose meno imporlanll, dal liascurailo 
10 sovente importanza, 
iprczzo, è talvolta impotenza ehe dispe- 
rui, od inerzia disperante di sé. 
i disprezza, teme più ehe non pensi, 
loro a cui più dispiace essere umiliati, 
ono umiliare. 

dìsprczzatore è quasi sempre più vile 
rezzalo. 

illi, il disprezzo altrui fa spix'zzanti. 
non curanza è principi fomite d' odio. 
X facile agli odiati dimenticar T odiato- 
ai disprezzato il disprezzatore. 
li teme il disprezzo, è sprezzato; chi 
1, è sprezzabile. 

'alvolta, chi è sprezzato si dice invi- 
5 più spesso, chi è invidioso si dice 
lisdcgnosa ed altera. 
I sospetto dell'altrui disprezzo fa i nemici. 



lASEO^ Peti Sturi tnoralL 



— IN- 



CAPO XII. 



AMBIZIONE. 

1. Chi bada soltanto a non essere superati 
da altri, per questo, non foss' altro, resterà in 
dietro a molti. 

2. L'uomo ehe nelle opere dell'ingegno o de 
valore non tende che a superare l' altr' uomo 
non ha Y idea né del bello né dell' onesto. 

3. Chi vuol signoreggiare sempre, dimostn 
con e(ò la sua piccolezza. Il sole copre della sui 
luce le stelle; ma cede la notte. 

4. Chi non sa cedere nelle minime cose, do 
vra poi vergognosamente rinchìnarsi nelle pii 
gravi. 

5. Non insuperbite de' segni di rispetto eh 
vi vengono offerti : rispetto non sempre è stima 

6. Prima |di pigliare per voi gli onori cb 
pajono a voi fatti, guardatevi dentro, guardato 
incorno. 

T. Spesso i superbi dall'orgoglio loro soi 
costretti a convivere con persone, de' quali pu 
l'aspetto lì umilia. 

8. Sin nell'affetto più schietto ed umile, 
qualche moto di ambizione, che si compiac 
de' pregi altrui, come di proprio vanto. Ma tal 
ambizione non é né sovercMatrice né torba ; 
dura poco. 



9. La gloria e i' amore si compone di piccole 
umiliazioni. 

10. Gli ambiziosi vanno più sicuri che i su- 
perbi; perdi' hanno più sangue freddo. 

11. L' ambizione dà tregua all' altre passio- 
ni; non le spegne però. 

1 2. L' amor della gloria tronca i misfatti che 
vengono dall'ambizione, la quale e viltà ma- 
scherata. Ma poi l'amor della gloria altri mali 
crea 9 non minori , e di quelli si nutre. 

13. La vera grandezza ha di molti rivali, 
per«hc pochi la sentono. 

14. Non e cima tant' alta, cui pie di vivente 
Bon calchi, od ala d'uccello non sorvoli. 

1 5. L' ambizione de' servi e più rabbiosa che 
quella de' signori. 



YA.MTÀ. 

1. Chi riguarda le cose semplicemente nelle 
relazioni eh' eli' hanno con se stesso, è anima 
fredda, pìccolo ingegno. 

2. Il fumo che sale, lascìatel salire; se no, 
vi accieca. Non contrastale alle vanità de' me- 
schini; ma non ci badate. 

3. Taluni stimano altrui, perchè pieni di se. 

4. Chi è più contento di se, è men d'altrui; 
e a vicenda. Qual più felice? 

5. C è gente che pensano a sé , anco par- 
lando ad altrui; c'è gente che parlando di so, 
pensano • consentono altrui. 



— ilG — 

G. Taluni dicendo : il tale mi ama; inlcni 
no: mi sHìua. 

7. Quando V uomo comincia parere a sé steì 
degno d'amore e di slima, allora appunto ( 
nìincia esserne indegno. 

8. I topi clic rodono il voslro tempo, e < 
tempo l'anima, vogliono che gliene sappii 
anche grado. 

9. L' orgoglio fa tacere, la vanità fa parlai 

10. La soddisfazione di sempre fare e di 
a suo modo, è la più malaccorta di tutte. 

11. Quando vi tastano di cosa che non s 
pcte, confessate a dirittura la vostra ignors 
za ; e a ohi v' interrogava , volgetevi inlerr 
gando. Cosi imparerete qualcosa, e vedrete qua 
t' altri ne sappia. 

12. Modestia e costanza stan bene insien: 
I leggieri son vani. 

13. Il vero amore è modesto, perchè co 
giunto ad ammirazione familiare e a confiden 
riverenza. Uomo vano, o non ama mai; o, 
ama, disenfia. 

14. Non può neir affetto non entrare un poi 
di vanità : il piacere cioè che danno i pregi del 
persona amata, il desiderio eh' altri li conosc; 
il desiderio che la persona amata conosca i pr 
gi nostri, e però cresca verso di noi la si 
slima. Ma chi sa vmcere tal imovimenti, ed es>9 
tare sé stesso umiliandosi, e togliendo dall' £ 
fetto quest' ombra uggiosa di sé stesso, queg 
ama davvero. 

13. Chi giunge, o per virtù o per opgogl 



— H7 — 

^; per trista evidenza, a disprezzare alcune qua- 
lità del proprio spirito o della persona, non può 
però mai lasciare la speranza d* essere stimalo 
od amato da altrui. Questa è una delle più lar- 
ghe fonti del ridicolo sociale. 

16. Confessare la propria vanita, confessare 
cioè gli artifìzìi che Tuomo adopera per non 
confessare ad altrui né a se i suoi diifetti, e 
la virtù più difficile. Questa piaga del cuore, e 
questa cura possente, questa nuova regione pro- 
fonda ddl'osservazione e del merito, è scoperta 
del lume cristiano. 

1 7. Temere la taccia di vano, può essere or- 
goglio, della stessa vanità più profondo. 

18. Gli abietti vi fìngono ambizioso o vano, 
per affettatamente negarvi que' vantaggi o quo' 



so 

ol 
le 

e. 
re 

a- 

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11- 



e. 



$€! 



la 



prem a cui voi pensate nemmeno. 



19. La vanità dell'ingegno fa tacere e falsa 
^"' la coscienza. 

^j 20. I moderni non sentono V orgoglio tanto, 
quanto la vanità. 



VANTO. 

1. Se mai fosse lecito vantarsi, converrebbe 
aspettare passato il pericolo; ma quando mai 
son passati i pericoli? 

2. All'amore, vantarsi in qualche momento 
è più modestia che orgoglio. Si soffre a di 
bene di sé ; ma il desiderio d' essere scmpr 
più amato, la vince. 



3. Chi cerca la lode,, com' ultimo fine, e 
nìile a chi propone a sé stesso il procrc 
figliiioK i>cUi. E i' uno e I' altro e consegue 
d'esercizii e di beni più nobili; ne può s 
da s<». 

4. Chi si vanta di faic^ il dover suo, se 
è che non fa nen)inen qu^'llo. 

a. Chi si vanta de'proprii pregi, è più 
gno di pietà che d'invidia. 

6. Meno ha l'uomo diritti, e più pretei 

7. I vanii fanno venire a galla i difetti. 

8. Imagine, per bella clie sia, mostrai 
mente ingi*andita da specchio concavo, è bru 

9. Uomo vano, uom grossolano. 

10. Chi si crede infallibile od impeceafa 
farà allievi insofferenti o insoffribili. 

11. A chi si loda, a diritto o no, ba< 
di non rispondere duramente. Il silenzio è 
pena assai. 

12. Se i vanti altrui vi fann'ira, badate 
gli è un germe d'invidia. 

13. Le menti annebbiate dal fumo delle v 
parole de' vanti bugiardi, non sentono la 
lezza e la potenza della modesta verità. 



CAPO xin. 

MATTIE dell'orgoglio. 

1. Il soie obliquo fa r ombre maggiori. Le 
esle false adombrano più. 

2. Taluni giudicano sé stessi dalF ombra die 
lanno. 

3. Nessuno dovrebbe vantarsi del dolore al- 
pui; e pure questo e sovente argomento di com- 
daeenza e di lode. 

4. L'orgoglio chiude l'uomo in sé; l'adula- 
ione 9 e anco la stolta anmiirazione altrui, lo 
hiudono a chiavistello. 

5. L'orgoglio mura T intelletto; che, asse- 
iato dalla verità, muor di fome. 

6. L' orgoglioso non cresce, perchè s'aggran- 
hia in sé. 

7. L'uomo conosce sé stesso, ma nel mo- 
lento della passione o ddl'errore, dimentica chi 
glie. 

8. L'orgoglio toglie . a' pregi il lor fiore, la 
elica tezza. 

9. L'amor proprio, battuto, dice più verità 
ile palpato. 

10. Gli uomini si affaticano tanto per pa- 
^ da più che non sono; non è maraviglia se 
rovocano la cupidìgia e l'invidia de' tristi. 

11. ìJ ebrietà istupidisce più che l' ubriaohoz- 
ì del vino. 



— 120 "-. 

* 

12. Non c'è cosa air orgoglio più nemica de 
r orgoglio slesso. 

13. I vani, non potendo far seggio d'alln 
se d' altrui fanno seggio ; i superbi, non sape 
d' essere pietra angolare, si fanno pietra di sca 
dalo. 

14. I leggieri sono ostinati^ per parere e 
sliinti. 



CAUSE dell'orgoglio ED EFFETTI. 

1. L'io umano può dividersi in due: ¥ 
mante e Tamato ; Y uomo ama la parte divina 
se , ma, corrotto, confonde alla divina V umat 

2. Il suicidio è un eccesso dell' amore di i 
5. La passione è dell' orgoglio fissinola e r 

mica. Da questa lolla ddl' orgoglio seco sles 
nascono i più frequenti pentimenti dell' anir 
umana. 

4. L' amor proprio è delle umane passioni 
padre o figlio: come padre, egli è fonte di tu 
i vizii ; come figlio, nasce da tate o tal vizio ps 
ticolare. Per esempio : dall'avarizia si figlia l' ai 
bizione del mollo danaro; dalla lussuria, il van 
do' troppo difficili o de'trc^po facili piaceri. 

5. 1 vizii d'orgoglio impiccioliscono l'uor 
in ragione contraria delle apparenze; i dife 
d'amore k) fanno parer più piccolo eh' e' non s 
L'amore avvilisce, se unito all'orgoglio. 

6. Lussuria è figlia d'orgoglio, madre d' 
varizia. 



7. Libidine è frutto e pena d' orgoglio. Donna 
umile cede all'amore, non al piacere. 

8. L'orgoglio accende l'anime ignobili, e fred- 
da r amore più puro. Sola la carità può dell' or- 
goglio far senza, e pur ardere. 

9. L'orgoglio col cipiglio, e la vanita co'le- 
zii, sciupano più la bellezza del viso, che la 
dissolutezza non faccia. La dissolutezza appas- 
sisce; r orgoglio sfigura. 

10. L'orgoglio dà atti alla persona incompo- 
sti; la modestia, eleganti. 

11. Il piglio della meretrice è orgoglioso; e 
ogni orgoglio ha del meretricio. 

12. Neir estrema bassezza è più frequente 
r orgoglio. 

13. La superbia è dc'vizìi il più frequente- 
mente punito, e il più difficilmente sanabile. 

14. Dagli orgogliosi si può sperare assai più 
fhe dai vani. 



VERGOGNA ORGOGLIOSA. ' 

1 . Nel pudore stesso è un germe d' orgo- 
glio. E' nacque dopo il peccato. 

2. Vergogna non virtuosa ha deir impuden- 
te n^li atti, dell'impudico. 

3« Guai a chi non si vergognasse di sé! 
La vergogna é il primo bene che si trac della 
colpa e la prima medicina del male; ma se 
abusata, diventa male grave essa stessa. Quindi 
la irisla vergogna, la vergogna orgogliosa. 

4. Impudenf . chi arrossfe^i'^ M n^^* 



■^ 



5. Non c'è miilanteria più misera di quella 
che Uciì dietro al tristo successo; ed è forse la 
piò frequente. 

6. Chi rovescia in altrui la sua colpa, anco 
se iiHiocente, ha taccia di debole. 

7. Non si scolpare d'ingiusta accusa, è so- 
vet\tc la meglio discolpa. 

8. Certuni arrossiscono del vizio in tanto 
solo, in quanto il loro orgoglio n'è offeso. 

9. Negli animi mal disposti, la vergogna e 
orgoglio turbato, che sembra ora dispetto ^ or 
furore. 

10. Uomo colpevole soffre talvolta i gravi 
rimproveri, de' leggieri s'adonta. 

11. Chi toccato nel vivo, muta discorso, e 
forse più in difetto di chi si confonde. 

12. L'uomo, per non emendare 1 proprii 
difetti, s'ingegna di dissimularli a sé, di sco* 
nosccrsi. 

13. In molti, confessare i proprii difetti e 
più orgoglio che umiltà. Lo fanno per prevenire, 
e quasi rintuzzare l'altrui maldicenza. Nondi- 
meno io prescelgo questo all'orgoglio di chi 
de' proprii difetti si fa un onore. 

14. Dire quel che ci manca, non è sempre 
un sentirlo. Chi sente a fondo i difetti propru, 
non ne parla tanto. 

15. Taluni affettano d'esser brutti cioè origi- 
fmli, per parere men brutti. Il simile nello stile. 

. 16. Molti de' mori amano vestire di bianco. 
È difetto della natura umana la smania di far 
jjsalfaro i proprii difetti. 



17. I piccoli fanno più pompa della loro pie- 
oolezza, che della grandezza i grandi. 

18. Taluni credono difetli i pregi ch'egli 
hanno , e s' ingegnano d' espiarli aggravando i 
difulti lor veri, e convertendoli in vizio. 

19. I\on i difetli o le sventure rendono T uo- 
mo ridicolo dispregevole, ma la smania di 
coprir quelli e da queste spacciarsi lesto. 

20. L'uomo non è mai ridicolo, quando si 
mostra qual è. 

21. Più duro è confessare a chi s'ama le 
debolezze proprie, che le colpe. Perchè nelle 
colpe è un'apparenza di forza; e ciò piace al- 
l' amore. 

22. Amore che mortifica l'amor proprio o 
non dura, o, se dura, è tremendo. 

23. Gli ostmati mutano tutto, fuorché il pun- 
tìglio. 

IV. 

UMILTÀ. 

1. Più l'uomo sì perfeziona , e più vede le 
imperfezioni proprie. L'mniltà è la verace co- 
noscenza dell uomo. Il nosce te ipsum era un 
sospiro a questa ignota virtù del Dio non ben 
noto. 

2. Quando l'uomo si sente umiliato e sgan- 
nato, e diffida di sé, allora gli pare retrocedere; 
é va più innanzi che mai. 

3. La grandezza umilia, non abbatte. 

4. Chi guarda fiso fuor di sé le cose corpo- 



ree, aggrava T amore smodato di sé; chi le mo- 
rali, lo vince. 

5. Chi meglio conosce la propria piccolezza, 
non dispera, e più grande. 

6. Chi vuole specchiarsi in acqua limpida, 
convien che si chini; senza umiltà non si co- 
noscono r anime pure. 

7. Umiliarsi per utile altrui, e coraggio ; per 
proprio, viltà. 

8. L'amore buono insegna umiltà; il reo, 
umiliazioni. 

9. Il modesto è più sicuro di sé, che non 
sia l'orgoglioso. 

10. Modestia soverchia pare orgoglio; e tal- 
volta è. 

11. Sola la modestia è sincera. L'orgoglio 
non dice il vero, se non per ferii-e col vero. 

12. Osservando i vostri difetti, trarrete più 
anfìmaeslramenlo da altrui , che osservando i 
difetti altrui e que' che a voi pajono pregi vo- 
stri. 

13. Neir umiltà, nel pudore è non so che 
raccolto e severo, che impone rispetto più che 
non la maestà e la ferocia. 

14. Quanto l'uomo toglie a sé per donare 
ad altrui, tant' altri a sé toglierà per rendere a 
lui. Se non che gli altri, con quel che a sé tol- 
gono, gli danno il meglio: l'amore e l'onore. 

18. L'amor proprio impiccolisce ogni idea; 
l'annegazione é l'arte del sublime. 

16. La debolezza che sente necessità degli 
ajuiì ài sopra e d'intorno, e delle cure conli- 
yjovr proprio^ è forza vera. 



— 1:25 - 

17. L'ostinato sta, a la parola lo dice; ii 
dodleva; T umile vola. 

18. Non è cosa che più dell'ostinazione s'op- 
ponga alia vera perseveranza. L' ostinato , per 
puntiglio si muta; talora senz' avvedersene. 

19. L'alterezza de' dappoco nell' accogliere 
le parole degli umili, è cosa che li farebbe sor- 
ridere di pietà, se umili veramente non fossero. 

20. Non bisogna troppo credere né alla for- 
za propria né alla propria debolezza, sìa det- 
r ingegno o sia dell' animo, sia delle membra o 
sia dell'esteriore potenza. 

21. I grandi curano e ingrandiscono le pic- 
cole cose. 

22. L'umile attesta, ed è martire; il superbo 
prolesta, e fa martiri. 

23. Chi dubita di se, par sovente uomo di 
dubbio. 



CAPO XIV. 

CURIOSITI. 



1. La curiosità è iocomoda, come la tosse. 

2. Chi vuol conoscere gli uomini a forza 
d'interrogazioni, è simile a chi per via d'in- 
terrogazioni volesse imparare uoa lingua. La- 
sciate parlare e operare ; guardate e ascoltate. 



— 126 — 

5. te iiilcrrogazioni Iroppe son sempre so- 
spette. 

4. Temete gì' interrogatori rrcanzonano o voi 
od un terzo. 

5. L'interrogazione, anco che paja piacevole 
ed onorevole, ha non so che, spesso, che of- 
fende ; perchè fa credere che V interrogante vo- 
glia parer maggiore di te. 

6. Chi viene pigliandovi con le sue interro- 
gazioni adagio adagio e dalla lontana, né troppo 
e sincero, né reputa voi sincero. 

7. V interrogazione degli sciocchi, quasi sem- 
pre è maligna, e de' maligni, inurbana. 

8. I più avveduti interrogano affermando. 

9. Agr interrogatori molesti, rispondete inter- 
rogando, e smetteranno. 

10. S'altri é impacciato a rispondervi, o mu- 
tate discorso, rispondete per esso; o metter 
tegli innanzi un'interrogazione piùì facile, più 
piacente, che lo distragga e rincori. 

11. Fuggite le troppo minute interpretazioni 
de' fatti altrui, che o li abbelliscono o li im- 
bruttiscono oltre al vero. 

12. Chi più non curante de' curiosi? 

15. Chi guarda senza dispiacere le umane 
stoltezze, é vile e maligno. « 

14. Il curioso é maligno, perché meschino; 
meschino, perchè maligno. 

15. La curiosità non cerca il bene, se non 
per iscoprirvi il difetto. 

16. La curiosità è sovente il più possente, 
perchè ìì meno temuto, dei tentatori. 



!l 



! 



17. La curiosila farà aUriii punlìgiioso, chiu- 
do, bugiardo. 

18. Molte colpe di senso, d'orgoglio, di mal- 
dioenza, d'ira, d'invidia hanno orìgine dalla 
corlosUà. 

19. Meglio che i grandi pensieri, i grandi 
dolori salvano l' uomo dall' esser petlegolo. 

20. Solo l'uomo sciocco dà a tutte le cose 
uguale importanza. 

21. I balocchi de' giovani son eglino più pue- 
rili che i passatempi de' vecchi? Più innocenti 
assai spesso. 



SCHERNO. 

1. Derisione è gioja, mista con tristezza; odio 
piccolo d'altrui, amor grande di sé. 

2. Quel che fa più ridere, gli è il ridicolo 
che s'imagina nelle cose, e non v'è. 

3. Ai Latini, straniero valeva nemico ; a noi 
strano vale ridicolo. Quale è il peggio ? 

4. il pover porta nella state gli abiti d'in- 
verno, e r inverno que' della state. Sovente ciò 
che pare stranezza da riprendere, è necessità da 
compiangere. 

5. La derisione in taluni è, piuttosto che ma- 
liffniia, debolezza, vanto d'arguzia, vendetta 
d inesperti. 

6. Chi, quando si pensa d'aver punto nel 
vivo altrui, sorride, è anima non generosa. li 
generoso ferisce, ma gliene duole ; fa arrossire, 
mn cgìì stesso arrossisco. 



7. Clii nel discorrere con voi ceica agli oc- 
chi altrui, per leggere in essi in consenso allo 
scherno, è anima ahietta; chi cansa ogni am- 
miccare maligno, come viltà, e abbassa gli oc- 
chi con meslo pudore, e anima generosa. 

8. Lo sghignazzare stizzisce, il ghignare, 
irrita; quello è di sciocco, questo è di freddo 
e di vile. 

9. Chi più crudelmente schernisce, talvolta 
offende meno, perch' è più dottamente vile, 

10. Quando vi vien da sorridere di sempli- 
cità altrui, fatelo schiettamente, e offenderete 
meno. 

11 . Lo scherno non fiacca, se non gli spiriti 
che ne son degni. 

12. Derisori: gente non animosa né gene- 
rosa né schietta. 



SCHERNO E CALUNNIA. 

1 . Il riso, non é figliuolo dell' odio, ma padre. 

2. La cicuta di Socrate fu la sua propria 
ironia. 

5. Gii uomini odiano sovente più chi li per- 
seguita con parole, che non se ca' fatti. 

4. Chi educa le anime allo scherno , le edu- 
ca atta crudeltà, perché le fa spieiate e le fa 
spensierate. 

5. Il più degli scherni viaoie da rabbia, o 
da paura, o da rimorso. 

6. Che farébbevo le anime piccole, se non tro- 



assero iieiie grandi qualche vizio da maledi* 
e, qualche difetto da deridere, qualche virtù 
[a abusare? 

7. Il vile perseguita l'altrui dignità con di- 
pregio, noncuranza, calunnia, scherno ; perchè 
[ueir esempio fa veder possibile quel eh' egli non 
correbbe credere, e vorrebbe che tutti gli uó- 
uini discredessero. . . 

8. Il più coraggioso o più audace uomo dei 
nondo^ dinanzi al più indegno , non oserebbe 
)rofferire gli scliemi e le ingiurie, eh* e' gli dice 
lietro le spalle. 

9. Si ride di chi non sa essere cattivo con 
ranchezza o con fortuna; si ride del mezzo 
jsurajo, del mezzo ladro. 

10. Il ridicolo, nelle nazioni guaste diventa più 
3rribile dcir infamia ; la più seria faccenda della 

nta. 

, . , • • • 

ti. I tristi e i deboli, e. i vani (sovenle^iù 
accaniti de' tristi), cominciano a ridòre del bene 
ehe loro non garba; visto il riso impotente, 
calunniano. . 

12. Le anime corrotte s'ingegnano di ca- 
lunniare, in modo* che la calunnia ìaccia 1- uomo 
qd un tempo odioso e ridicolo. 

13^ Il vile, deridendo calunnia, celiando ùa-' 

jm. Ce chi calunnia dicendo il vero* 



Tommaseo^ Pomeri Morctli^ ^ 



% 



CAPO XV. 

MALDICEI^ZA. 

i. n più maldicente è il più debole. 

2. La maldicenza deli' uomo è misura de' i 
difi^lti. 

j>^. Taluni si credono dignitosi, perchè 
verenti; e liberi, perche sciolti. 

4. Più d'un maldicente si crede vlrluos 
ingegnoso, per non altra ragione , se non ] 
ch'egli è maldicente. 

5. L'uomo non è mai tanto ingegnosamt 
sciocco, quanto allorché dice male d'aitimi 

6. La maldicenza non è mai eloquente. 

7. Le allusioni indirètte sono tanto più i 
deli, che 1'. altrui malignità può , intei*pretai 
farle più velenose che in sé non erano; e d' i 
far pia^* , 

8. Triste le punture che cominciano da 
complimento. 

9. Chi dalla lunga prepara il discorso ^ 
farlo cadere su cosa a voi spiacevole, an 
abietta. 

10. Ha la maldicenza anch'- essa i suoi' 
lirici; va rapidissima di pensiero in pensii 
e in discorso soave sparge veleno; in mezs 
discorso tranquillo e mnocente, vi porta, q 
con corto stile appuntato, ferita di morte. 

a. Dalla spia al maldicente ci corre, qiw 



/- 

^ 



da cbi esercita un^ arte a chi nelle ore d^ ozio 
se ne diletta. 

12. Chi va a caccia per diporto, ci ha più 
piacere di chi Io fa per guadagno. Cosi i mal- 
dicenti. 

13. Chi, per giovare od onorare voi, dice 
male degli altri , non crediate che costui possa 
giovarvi, o che sappia. 

a. La calunnia è la corona della virtù. 
15. L' origine greca di calunnia e fico. I vizii 
sono sempre meschinità. 

II. 

bontX e maldicenza. 

1. I buoni, son più severi verso altrui con 
parole che in fatti; verso se, in fatti più che 
in parole. 

% Anco la bontà ha le sue maldicenze, tanto 
più biasimevoli quanto più generali , foggiate a 
sermone. 

3. Quella donna che vieta le altrui maldicenze 
in presenza sua^ non sen^pre se ne sa astenere 
essa stessa. 

4. Taluni tacciono d'altri, acciocché sia ta- 
cìuk) di loro. 

5. Per non essere calunniato, giova talvolta, 
o pare che giovi^ farsi accusatore o accusabile. 
Ma guai chi si lasci ire a tale apparenza ! 

6. Laddove molti hanno il torto, di colui che 
Tha meno, talvolta si sparla più. 

7. €iudicare delle yirlù, gli è come ^iudieax' 



dcir iìigcgno. Pochi i giudici competenti; ni 
molli prendono la vìa più sicura: condannan 
sempre. 

8. Se cercherete i pregi negli altri, i difct 
in voi stesso; gli altri impareranno a cercare 
pregi vostri, e i difetti proprii. 

9. A chi dice: il tale poteva meglio; dovei 
rispondere: poteva peggio, 

10. L'onesto, rispetta il giudizio degli uomi 
ni, non lo teme. 

11. Lasciate cil tempo e a Dio la difesa ve 
stra, quando non si tratti proprio dell' onore, 
deir altrui pericolo, o della verità, che pel ve 
stro silenzio potrebb' essere revocata in dubbia 



MALIGNITI. 

.. • . ■ 

1 . I buoni e i grandi cercano il bene nel mal 

i tristi e i mediocri soltanto il naale nei beni 

2. Quand'uno con ansietà troppa vi dic( 
!; non crediate eh' io pensi male; o lo pensa , 

j vi disprezza tanto da credere che voi possial 

; pensarlo. 

3. U abito de' giudizii temerarii è [comuti 
sovente anco ai buoni. 

4<. I giudizii temerarii , in questo sono , no 
fosse in altro, funesti, che abbassano il pensi< 
ro dell'uomo ad oggetti vili, ed avverano ì 
esso la bassezza ch'egli imputa ad altri. 

5. I giudizii temerarii possono genei'are pi 
mali de' mali esempì» 



6. Le donne volgari sono indulgenti a' di- 
fetti degli uomini, sevei^e a que' delle donne, 

7. Le anime generose e gentili, quand'anco 
giudichino i fallì severamente, sempre però le 
intenzioni con carità. 

8. Riguardiamo i delrallori e i nemici come 
esercizio che ci tiene più desti. 

,9. Se non avessimo chi prende gratuito la 
cura de' nostri difetti, dovremmo, a ciò, pagare 
qualcuno, per non li perdere di vista. 

IV. 

^ INVIDIA. 

1. Invidia è ammirazione, repressa da odio 
e tristezza. 

2. Odio, senza coraggio^ è prossimo a invidia. 

3. Chi brama per se il bene altrui, non sa che 
iquel che ad altri è bene, a lui polrebb' essere 
vergogna e sventura. 

4. Invidit stultus Amynias. V invidia e, non 
meno che reità, stoltezza. 

5. Il bene che T uomo sa di certo non poter 
conseguire, e' non l'invidia. 

6. Gridasi più volentieri contro que' falli che 
non si possono commettere. 

7. V indegnazione che dicesi onesta , è tal- 
volta rabbia padi*osa. 

8. Disprezzo è sovente dispetto. Fingono non 
vedere; ma invidiano. 

. 9. L'invidia, collo scoprire il male, serve 
f.ìlvolta alla manifestazione del vero. 



--134 — 

10. Se prelcndele che i vostri avvcrsariì, ia 
parole ed in atli, solennemente vi confessino il 
torto proprio, cioè che voi siete maggiore o 
migliore di loro; non solo non la finirete mai, 
ma la vostra ragione diventerà torto marcio. 



CAPO XVI. 

ODIO, INIMICIZIA. 

1. Coloro che più hanno accattate le inimici- 
zie, più se he lagnano. 

% Non sempre chi parla con meno risenti- 
mento del proprio avversario, ha men torto. 

3. Quando l'anima e mal disposta, gli atti 
gentili dell'uomo che ci dispiace, pajono viltà 
profonda goffagine. 

4. I più de' nemici, col loro accanimento, fan- 
no di tutto per far la discolpa l' uno dell' altro. 

5. Certi nemici, a forza d'odio, si rendono i 
innocui. 

6. L'arte di odiare è più difficile che quella 
di amare. 

7. Per distruggere i nemici, vuoisi più sforzo 
che per profittarne. 

R Se un nemico ii cede^ pensa eh' ù* lo te^ ; 



-^ 135 — 

eia per virtù, per rimorso, per altre ragioni se- 
grete ; non per mero timore : non e illusione più 
pericolosa di questa. 

9. Talvolta chi sente la propria dignità , par 
che tema lo sguardo del suo nemico; e noi 
teme no, ma si vergogna per esso, e vuole ri- 
sparmiargli nuovi alti d'audacia vile. 

10. Vincitore non generoso^ è già presso ad 
essere vinto. 

1 1 . I monumenti della vittoria fanno sovente 
la vittoria colpevole; e partoriscono la vendetta. 

12. Molti uomini sono come que' fanciulli che 
aizzano i cani tra loro per chiasso. 

13. In nazione discorde, taluni si uniscono 
per più dividere gli altri, e per poi dividersi 
ancora più tra loro. 

14. Se volete riconoiiiare due uomini o due 
parti, non parlate mai per primo a colui eh' ha 
più torto. 

1 5. S' altri ci odia, impariamo a renderci de- 
gni d' amore ; allora le apparenze dell' odio al- 
trui si di^gueranno a' nostr' occhi, come i ter- 
rori del sogno dall' uomo che si desta e che 
guarda. 

16. Fate del bene a chi v'odia o disprezza; 
e l' amerete. L' amore seguirà, meglio che pre- 
cedere, al benefizio. 

17. Non odiare né ì nemici dell'amico tuo,, 
né gli amici del tuo nemico. 

18. Par ch'amino Dio per odio degli uomini. 

19. Odio, figlio d'amore abusato. 

20. Ne' popoli non civili, tra l'amore e l'o- 
iìh non uè mezzo. 



f V ' 



W. 

dell'ingiuria, e pel contendere. 

I 

1. Là dove le ingiurie sono grossolane ^ e' 
meno calunnia. 

2. Le. ingiurie, Ira scherzose, amorevoli 
ostili, son le più dure. 

3. Donna che ama, versa ne' rimproveri pi 
abondanza d' amore che nelle più abondanti ci 
rezze; perchè non sa di versarla. 

4. Le piccole sventure^ ì piccoli scandal 
le piccole offese non turbano \ esercizio delle fi 
colta, se non a chi l'abbia colpcvohiiente ii^ 
bato. 

5. L' insulto è come il colore ; non là donc 
viene, ma in chi lo riceve. . . 

6. Molle difese aggravano l'offesa, molli r 
medti la malattia, molte scuse il fallo. 

7. Il miglior modo di finir le conlése , è ne 
le cominciare. 

8. Prima di contendere, guardatevi dattori] 
e alle spalle. 

9. Azzuffarsi co' piccini, torna in danno ; 
più forti. Schiacciarli è, per lo meno, un insi 
diciarsi. 

10. Poche cose abbassano tanto l'uomo, quai 
to il discendere a contesa disuguale. 

1 1 . Non cominciare la rissa, è talvolta po( 
virtù; ma lasciarla a mezzo, e vicino alla vi 
toria , e sentendosi accusar di paura , gli è 
massimo della forza. 



i2. Le contese durano di molto, quando la 
viltà va congiunta coli' impotenza. 

13. Non v'aspettate ch'altri vi faccia in pa- 
role la confessione del torto proprio , e vi si 
dia vinto. Basta un' occhiata ^ un abbassar di 
fronte di voce. 

14. Quando in differenza qualsiasi o d'opi- 
nione d'affetto, gli òcchi de' due litiganti si 
rincontrano, gli è buon segno. 



CAPO XVII, 



dell'offendere> 



i. Oltraggio, soperchio, superbia, eccesso: 
le idee d'offesa son tutte denotate da voci si- 
gnificanti un di più. E molti pongono appunto 
in codesto di più la grandezza e la gloria; al- 
tri, la virtù stessa. 

2. Taluni, perche fanno il male con l'ajulo 
del più forte, si credono poterlo fare da se. 

3. Chi crede non potere aver bene, senza 
far male ad altrui, è più stolto che reo. 

A. L'ingiustizia può far del bene agli ingiu- 
riali; non però chi l'osa fa bene. 
5. Quando vi vien voglia di offendei'e alcu- 



no, pensate a' palimentì, non tanto di lui, quanlc; 
di coloro che T amano. 

6. I men forti offendono più. La gruccia, se 
ve la melton sul piede, vi fa più male del piede 
che ha vita. 

7. Persecuzione di donna sopra donna, è 
spietata, perchè più continua, e perchè la donna 
sa le parti deboli dell'animo femminile, dove 
fare più strazio. 

8. Le offese muiute e le impensate, è meo 
lacile perdonare. 

9. Chiamare altrui ignorante o stolto, è so- 
vente più colpa che dirgli corrotto o tristo : fe- 
risce più nel vivo certuni. 

10. Le arti che usate per non offendere, pajo- 
1)0 offesa; e talvolta sono, appunto perch arti. 

11. Chi misura fin dove può offendere; e 
si pente, non dell'avere offeso, ma dell'ave- 
re trascesa la misura; è anima fredda. 

12. Gl'ingiusti talvolta vi differiscono il dan- 
no, perchè sperano farlo maggiore. 

13. Certuni son come gli or^; non assal- 
tano, se non messi al punto. 

14. Non v' aspettate dagli uomini offese; ma 
freddezze piuttosto. 

15. I deboli fanno assai per provocare i ne- 
mici, non assai per disfarsene. 

II. 

dell' offendersi, 

i. Nell'insulto che l'uomo riceve, egli non 
può imito distaccare sé da ^fe sl<i^sOs che non 



— 139 -- 

senta in sé offeso un uomo, offeso quel rispetto 
3b'è debito all'umana natura. Onde chi dice di 
non sentir punto rammarico degl' insulti, e men- 
tisce ed insulta egli stesso la natura dell' uomo. 
Se non per sé, insultato, dee l'uomo dolersi 
[)er colui che l'insulta. 

2. Di due che s'intoppano per via, l'urla- 
tore talvolta stizzisce più dell'urtato. 

3. La cosa che l' offensore sovente meno s' a- 
spetta , è che 1' offeso si dolga. Perdonerebbe 
]uasi più facilmente il resistere: ma lagnarsi? 

4. Chi voleva finirvi, lo sentirete dolersi che 
^ avete mancato d'urbanità. 

5. L'amore appassionato e l'odio, non con- 
mk per nulla le offese fatte, ma le ricevute. 

6. Chi non s'avvede dell'offesa fattavi, è ani- 
na sciocca o grossolana; chi mostra di non se 
ne addare, è anima abietta. 

7. Taluni, coli' adontarsi d'ingiuria immeri- 
^ta, la rendono meritata. 

8. A molti dispiace, non tanto il torto rice- 
vuto, quanto la viltà di colui che lo fece. 

9. Quando ricevi male da altrui, prima di 
jnicciartene, di' : ma non ho io tante volte più 
gravemente nociuto, a me stesso? 

10. Siccome chi ha male a una parte teme 
«mpre che tutti ci dieno dentro per l' appunto 
i ; similmente chi ha qualche torto prende ogni 
>aroia a rimprovero del torto suo. 

1 1 . Se dopo aver detto o pensato male d'al- 
;uiH), voi sentite che questi abbia pensato bene 
li voi, non potete a meno di mutare in meglio 



il giudizio vostro. Più facile seguitar a lodare 
colui che vi biasima, che seguitar a biasimare 
colui che vi loda. E tale differenza fa Onore alla 
bontà dell'umana natura. 

12. Quando ricevete oltraggio da alcuno, 
nell'atto di dolervene, pensale al bene che di 
lui direste, s'egli avesse a voi reso onore; e la 
doglianza sarà certo men acre. 

13. All'ingiuria, indugiate la risposta; e tro- 
verete le scuse. Alle gentilezze, se la indugiate, 
troverete pretesti per non rispondere, o inade- 
guatamente rispondere. 

14. Nella moderazione del lamento, è una 
virtù più terribile d' ogni rimprovero e d' ogni 
minaccia; perchè sveglia la coscienza dell' uomo 
offensore. 

15. Donna che a torto offesa, tace, è donna 
di cuore. 

16. Chi cerca tirarvi in lingua, perchè sfo- 
ghiate il risentimento contro qualcuno, ed egli 
della vostra debolezza fare a sé spettacolo, e 
;mima che non ha veramente amato. 



CONSEGUENZE DELL OFFESA. 

1. L'ingiustizia è, a chi la fa, più indigesta 
che non a chi la riceve. 

2. Far del male al suo simile è facil cosa; 
il duro sta nello sbrigarsi delle conseguenze del 
male fatto. 

3. Jl nial che si fa, è reso, non tanto per 



vendetta^ quanto per istinto d'imitazione, non 
ytncibile senza molla virtù. 

4. L'offesa è dardo invisibile che coitc, vo- 
lando, rimbalzato da mille bande, finché non 
tomi nel petto di chi l'ha vibrato. 

5. Sovente* l'offensore, del resistergli dell' of- 
feso, grida come d'orditogli tradimento. 

6. A' fortunati, l'ostacolo pare insulto. 

7i Nessuno più pronto a provocare del debole. 

8.. Mettere i buoni alla disperazione , è cosa 
crudele; i non buoni, mal cauta^ 

9. L'uomo intento ad offendere, non sa di- 
fendersi^ 

■V. 

lOELLA VENDETTA. 

1 . E più amaro patir la vendetta d' offesa fat- 
ta, che non sia dolce l'offendere. 

2.. Il potente si vendica più crudelmente 
delle piccole offese, che delie grandi. 

3. La memoria dell'ultimo oltraggio fa di- 
menticar tutti gli altri ; anzi li rende come cari 
se servono a giuslitìcaree affrettar la vendetta. 

4. Ne' giovani, la vendetta fredda è peggior 
segno che gì' impeti inordinati dell' ira, per rea 
che Tira appaja. 

5. Quando a falsa ragione s' imputa il male ^ 
e ecmtro quella s' infuria ; la vendetta allora e 
doppiamente funesta. 

6. I deboli e gli erranti credono lecita l'in- 
giuélizia verso l'ingiusio. 



— 142 — 

7« La vendetta giustifica l'offensore^ 

8. DifiQcile a colui che ha ragione, non la 
difendere in modo, eh' e' non si metta dalla parte 
del torto. 

9. Vendicarsi del forte avvilito, è viltà, ed è 
pericolo. Pericolo talvolta più graVe, che ad as- 
salirlo potente. 

10. Perchè la vendetta fosse lecita mai, con- 
verrebbe poter provare che l'ingiuria ch'io ri- 
cevo da altr'uomo, non è una pena mandatami 
da Dio, per altri miei falli. 

11. Amere' io ch'altri si vendicassero de* torti 
che da me ricevettero? Pensiamo alla catena 
di guai che da ciò seguirebbero; e perderemo 
ogni cupidità di vendetta. 

12. Doletevi, non mai per aver soddisfa- 
zione del torto ricevuto (eh' e orgoglio colpe- 
vole), ma per avere risarcimento del danno, e 
sicurezza da' cimenti avvenire. 

15. Non armate dell' ira vostra gli sciocchi: 
o non faranno quel che voi chiederete, o fa- 
ranno il contrario. Ma i malvagi allora esultano 
più, quando trovano uno scemo che si faccia 
ministro delle vendette loro. 

14. Il perdono muta sempre l'animo del per- 
donato, che non è più sicuro nell'odio suo ò 
nel disprezzo ; ne dee cercar qualche scusa. Quc* 
st'è già un passo. 

15. Sulla vendetta sr fonda gran parte della 
storia antica e dell'arte: appunto per questo il 
I)crdonó è necessaria virtù de' tempi mutati. 

i6. lì Cristianesimo ha torcala, tra l'altre, 



143 



ima parola di cui né Omero né Virgilio poic- 
vana intendere il senso : generosità. 

17. Il perdono umilia taluni. 

1 8. Pregare pe' nemici, operare pe' nemici, è 
iar di necessità virtù. 



CAPO XVIII. 

I. 

l'avarizia. 

1 . Come nel corpo la più eletta parte de' cibi 
s'accoglie per volgersi in sangue, similmente 
in molli uomini il fiore delle potenze dell' ànima 
si muta in danaro. 

2. I pensieri dell' avaro sonò pesanti e lividi, 
come il metallo eh' egli • ariia. 

3. Chi limita soverchio ì proprii bisogni^ 
gli accresce. 

4. L'avaro, intanto che bada a risparmiare, 
non pensa ai veri modi d' augumentare. 

5. All'avaro pajono necessità i danni altrui. 

6. Gli avari vincono il vizio che li tornienta^ 
più spesso per soddisfare a un altro viziò, che 
per fare aUo buono. 

7. Chi non gpde la ricchezza, l'ha tutta nel- 
l'abaco; dorme su un letto di zeri. 



8. Coloro slessi che con buon iinc tendono 
a ricchezza, raro è che insieme con la ricchezza 
non acquislin la forza e la volontà di mal fare. 

9. IVeir avarizia, così come in ogni passione 
umana, è un princìpio di vero. L'oro, come 
strumento di beni ìnnumerabilì a' nostri fratelli, 
ha pregio maggior d' ogni stima. Ma Y avarizia, 
cosi come tutte le passioni, converte il mezzo 
in fine; e serra quel che dovrebbe raccorrò a 
solo fine dì meglio distribuire. 

10. L'uomo ricco è un amministratore de* 
poveri. Ecco perchè sia più facile eh* entri un 
cammello per la cruna d'un ago, che un ricco 

nel regno de' cieli. 

11. I più risparmiano, per non saper come 
spendere. Insegnate i modi di fare il bentìj e 
avrete sceniati di molto 1 viziì: umani. 

12. Il secolo è avido più iche aviiro. 

13; L' arte del togliere è jpiu difficile die quella 
del dare; e a .'tanfi piace più. 

II* ; .. • ■ . 

. IL DANARO. . • 

1. L'oro sotterrà; il verde sópra terra; e i 
fiori sul verde. 

2. Quando gli uomini nel danaro trovarono 
un modo sicuro per soddisfare tutti i loro de- 
•siderìi; ai mali che dapprima •commettevansi- 
pcr il conseguimento del fine , s' aggiunsero 
quelli che potevano condurre al conseguimrtìlo 
ari mezzo» ' . ^ 



3* McdM credono *ehe, senza danaro, né anco 
K virtù si possa esercitare nei mondo. 

4. Havvi delle nazioni tanto ricche che pos- 
em pagare anche gli atti di virtù ; gastigarii 
tuttosto. Gli uomini virtuosi saranno simili a 
uel soldato di LucuUo: IbU eo quo vis qui 
anam perdidit. 

5. Se il danaro non è il miglior modo di 
cquistare la sapienza, non può esser nemmeno 
i propagarla. 

6. La moneta, siccome segno del prezzo di 
itle le cose, tutte ce le fa passare dinanzi ra- 
idamente e produce quella confusione negli ani- 
ù , che suol produrre negli occhi la vista d' un 
orpo rapidamente rotato. 

1. I . doviziosi e i potenti , dimentichi del 
ero bene, cominciano dar prezzo ad oggetti 
he non hanno valore ; ond'avviene, eh' essendo 
itte le cose umane per naturai corso tendenti a 
quilibrio, smodatamente cresciuto il prezzo 
' un oggetlo, gli altri nella medesima propor- 
ione si sforzano di salire; ed ecco* un moto 
nasi di convulsione, non tanto nel commercio 
egli uomini, quanto nello spirito loro; ecco 
uovi bisogni creati, aperte nuove vie di mi- 
eria. 

8. A persone avvezze a computare ogni cosa 
I danaro, non v' accostate, se non quando siete 
icuro eh' e' non possano ridurre in danaro la 
ace vostra la fama. 

9. Non sono spergiuri quelli soltanto eh 
iuran falso con le solenni parole che tutti s*r« 

Tommaseo, Pensieri meralL V^ 



i 



no; nia qaanlì uè' discorsi o nelle opere iiiho- 
mettono le cose religiose o le morali, e se ne 
servono alle lor cupidigie. 

10. Quelli che trafficano sul proprio disono- 
re, son men rei di quelli che sulle altrui ne- 
carità o debolezze. 

H. Taluni, per risarcir l'onore, pattuiscono 
il proprio disonore. 

12. L'jarimmetica è a molti grammatica e teo- 
logia. 

13. Chi vuol vendere, mostra e grida; ehi 
compra, tace. Cosi nella vita. 

14. Non senza perchè, interesse ai latini va- 
leva differenza. 



CAPO XIX. 

L& SPESE. 



1. I ricchi si credono scontar con danaro 
i debili deir affetto; e sono più sudici degli 
avari. 

2. Abbiamo brani di poeti, e pezzetti di Me* 
cenali. 

3. Il prodigo non ha buon cuore ; perch' egli 
ostenta, e il vero affetto è modesto. 

4. Il risparmio è annegazione; è principio di 
yjplù. 



3. È egli più comune credere clic il super- 
fluo sìa necessario, o il necessario superfluo? 

6. La necessilà di non aver sempre necessità 
del superfluo, è la più provvida delle sventure. 

7. Il lusso fa tributarii a sé gli elementi ed 
i climi, per profanare con Tarte e impiccolir la 
natura. 

8. Doloroso a pensare come l'uomo renda 
inseparabili dal decoro e dalla felicità della vita 
propria le droghe del nuovo mondo. 

9. Nel mangiare d' un cibo, pensiamo a tutte 
le vite che s' infusero in quello prima che quello 
s'infondesse alla nostra; e la gratitudine aprirà 
Tali in sublime ampiezza. 

10. Chi v'invita a pranzo, pretende che non 
r annojate, e che non v' annojate. La metà delle 
pretese sarebbe già troppo. 

ìi. Giova tenere conto fedele delle entrate e 
spese, non tanto per saper regolarsi in queste, 
quanto per non sospettare calunniosamente del- 
1 altrui probità. 



IL RICCO. 

1. Ditemi dove la virtù è più probabile, i 
pregiudizi men crudeli, ih senso naturale più 
sano, meno amari i disinganni, men gravi i 

Sericoli, il tradimento a scoprirsi più facile, la 
ellezza meno fucata, meno spossata, più salda : 
Nel ricco o nel povero? 

2. Il ricco talvolta aggiunge alla corruzione 



I*. « 



la trividlilà; il povero rende talvolta , con h 
corruzione, la trivialità più schifosa* 

5. Il ricco è sovente un ammalalo che abbi- 
sogna di senapismi: dee sentire il dolore pei 
sentire la vita. 

4. Il terreno molle è fangoso; la felicità € 
lutulenta. 

5. Il vento secca la mota più presto che il 
sole. La sventura, meglio che la prosperità, 
purifica Tuomo. 

6. I vizi del ricco da pochi son riguardali 
con non meno severità che i vizi del povero. 
Un perfido istinti di adulazione e di codardia si 
nasconde nell'animo anco degli uomini buòni; 
e non dissimularlo o negarlo bisogna, ma fo^ 
temente e modestamente combatterlo. 

7. Alla mensa d'un fornicatore povero non 
sederebbero certi uomini dabbene, e che predica- 
no virtù. — Perchè dunque seggono a quella 
d'un fornicatore ricco? 

8. Certi ricchi non fanno le viste di amare, se 
non coloro che possono impunemente insultare. 

9. Certi ricchi si pensano che tutti li rubi- 
no; e che nessuno 11 burli. 

10. Chi sotto cortine dorate vedesse giacere 
un asino, riderebbe. Storia quotidiana. 



1 FORTUNATI. 



1. Ognuno si crede, che le grazie straordi- 
narie del cielo e degli uomini sieno serbate a 
/r//; Ian(o l'uomo è cortese a sé stesso! 



3. Al vedere uno sui trampoli, tulli io guar- 
dano. L'uomo bada all'illusione, anche quan- 
do conosca di essere illuso. 

3. Le anime delle moltitudini, piccole, d' ap- 
parenza ed immense, come le stelle del cielo, 
al piccolo occhio umano son visibili appena. Non 
ci sia cagione a superbia T ignoranza nostra. 

4. Nobile eli' ami i popolani, ha fama e glo- 
ria a buon palio. 

5. Nobile che non sia cristiano di cuore , non 
può non islimar se maggiore d'ogni vivente 
del popolo, per grande che sia ; giacche il no- 
l>ile sente vivere in sé tutti i suoi antenati; i 
[juali per poco che valessero, tutti insieme 
sommati, valgon più d*uno. 

6. Donna Mia, uomo ricco e potente si ten- 
gon idoli; vogliono onori divini. Meno ardenti 
[?d umili preghiere da taluni ha Dio, che non 
abbia bella donna e uomo ricco. 

7. Patrizio che vi straloda, o è grandemcnfe 
infelice, o vuole cannonarvi e servirsi di voi. 

8. Badate che le cose da voi dette o fatte, 
quando siete perdente, altri non le possa a voi 
rinfacciare, se mai veniste ad essere vincitore. 

9. Diffidare della buona ventura, insegna la 
latura stessa alle anime non corrotte e non fa- 
né. Il piacere ha un contrappeso nella lontana 
dea del dolore. Amores metuet dulces. 

10. La prosperità aggrava in più guise il 
[)ericolo: coli' attirare l'invidia e la cupidigia, 
dell'addormentare la fortezza e la previdenza, 



% 



coir attaccare T anima al bene che si possedè, 
quasi a condizione necessaria di vita. 

H. Sei terra, e terra ritornerai: coltivala 
intanto in sudore; ed inchinali ad essa per 
aver pane. Sei popolo, e popolo ridiverrà ta- 
luno de' tuoi discendenti, per grande che tu sia* 
Coltivalo, ed inchinati ad esso. 

■V. 

I FORTI E I DEBOLI. 

1. I più degli uomini sono come le piante., 
non ridotti a coltura e a bellezza, se non per 
servire agli altrui Ahi. 

2. Il grande talvolta si serve del piccolo, 
come lo scrittor della penna ; senz'avergli obbli- 
gazione, e gettandolo via quaud'è inutile. 

3. Siccome i naturalisti sui gatti e i cani 
fanno loro esperienze, così certi grandi sopra 
i minori di se. 

4. Patrocinio, talvolta è latrocinio. 

5. Quelli che più son tenaci dell' autorità 
eh' egli hanno , laddove si pensano che 1' utile 
loro non ci perda, vi lasceranno sfogare ogni 
vostro capriccio. 

6. Potestà senz' affetto , è o di ferro o di 
stoppa. 

7. Pochi amano la gente che li serve, po- 
chissimi la rispettano. 

8. Siate co' minori cortese , come se fossero 
vostri maggiori; cioè rispettoso senza viltà, 
ùwigUare senza spregio. 



9. Gerla genie vorrebbero il somaro, ma 
non il suo raglio. 

10. Il polente è più nojoso del debole; il for- 
tunato, del misero. 

H. Comandare e raccomandare hanno la 
medesima origine. Chi comanda senza queiraf- 
tólo che raccomanda, sarà ubbidito or meno 
ora più 6k quel che bisogni. 

12. L'ubbidienza troppa zelante e precipito- 
sa, è disubbidienza. 

13. Dond'è che i grandi trovano in mag- 
gior numero ministri de' lor piaceri , che d' o- 
pere virtuose? Non già perchè il male sia più 
facil cosa del bene; ma perchè i deboli si cre- 
dono d'acquistare più merito, servendo al più 
forte in quel che credono che più gli piaccia , 
e servendolo con t.ale prestezza, ch'egli non 
debba manifestare in lunghe vergognose parole 
il suo reo desiderio. 

14. Chi ubbidisce a malincuore, comincia a 
corrompersi. Il primo corruttore della moglie 
S talvolta il marito; e del servo, il padrone. 

13. L'uomo ubbidisce volontieri a chi gli 
comanda disubbidire. 



— 152 — 

CAPO XX, 

l'infelice. 

{. Questo è destino perpetuo degF infelici: 
che le loro virtù sieno o seonoseiute o dissimu- 
late, o compresse o punite; i loro difetti, aggra- 
vati dalla calunnia, ripetitrice instancabile. 

2. Si pretende nella sventura medesinia tro- 
vare la colpa, radice della sventura; e quella 
parte di vero eh' è in tale pregiudizio^ dà pre<- 

testo alle più contraddittorie accuse. 

3. Cosi giudicano delle intere nazioni le am- 
bizioni non solo coetanee, ma che è più dolo- 
roso, la storia stessa, pronta più che non crede 
a piaggiare i felici. 

4. Vae victis ! Queste parole che raccolgono 
interi volumi di storia, son T eterna divisa di 
tutti gl'imitatori di Brenno. 

5. La lieta fortuna, tultocliè meritata, è so- 
spetta ai miseri; la miseria, tuttoché immeri- 
tata, è sospetta ai fortunati: chi più lontano dai 
vero? 

6. Certi fortunati ispiran disprezzo; certi sfor- 
tunati!, diffidenza: quale infelicità più terribile? 

7. Alcuni segreti delF anima scopronsi me- 
glio ne' prosperi tempi; altri, meglio ne' tempi 
avversi. II fortunato bisogna metterlo alla prova 
del dolore; il misero, della gioja. 

A Certi uomini odiano iveV fc^ilello fin quasi 
/» probabilità della sveuUxTa- 



— 155 



9. L'uomo decaduto dal primo slato, non 
ne parli con altri; massime con coloro clìe ne 
l'hanno deposto. 



VANTAGGI DELLA SAXNTURA. 

1 . Le imperfezioni nostre ci son date li stru-^ 
mento di bene. Il sonno, T infermità, il dolore, 
la debolezza de' sensi, gli errori che vengon da 
essa, son tutte vie a meglio conoscere il vero, 
nel .paragone di quei che siamo con quello che 
esser potremmo. Il non essere sempre sicuri del 
vero e del bene ci invita a badare meglio, a 
riesaminare, a pregare; ci fa più lieti, quando 
il bene » quando il vero è trovato ; e ci fa men 
superbi. - 

2. Le croci reggono noi, più che noi le croci. 

3. La debolezza, di cui molti si lagnano, è tal- 
volta la validissima delle difese. 

4. A questo, non foss' altro, le molle sven- 
ture son buone, che fanno andar via il pue- 
rile prurito di lamentarsene. 

5. Nella sventura, potete serbare la dignità 
vostra, e pure ingraziarvi i vostri nemici, o 
taluno dei loro ministri. E questo col silenzio 
meglio che con le parole. 

6. Chi non fu mai sventurato, non conosce 
sé stesso né gli altri. 

7. Spesso uoni guadagna più a perdere, che 
a guadagnare. 

8» Se il male altrui polcss' essere all' mi- 



_ 154 — 

me oneste conforto del loro, la servitù de' po- 
tenti e le villanie de* letterati sarebbero conforto 
grande alla povertà e all'ignoranza. 

9. I malvagi, per trionfare dd giusto, non 
gli dovrebbero invidiare altro bene che la sven- 
tura. 

10. La porta, il. premio, il segnale della virtù 
è la sventura. 



PIACERI DEL POVXRO. 

♦ ■ 

1 . Non pose IddiD l'uomo in prima tra spere 
e lumiere , ma sotto gli alberi e il ciel sereno. 

2. Era di zolle il primo altare; e Torna- 
vano la primavera, T aurora, e le visioni del- 
l' alto. 

3. Un raggio di sole, attraverso a un bic- 
chier d'acqua, è più bello, che attraverso un 
bicchiere di vino. 

4. Il salcio piangente si china ; e in que- 
sto è la sua maggiore bellezza. E ben fu chia- 
mato piangente: il dolore rende l'uomo umile 
e amabile altrui. 

5. Antigone fa bella e lacrimabile del vergi- 
nale suo velo la canizie contaminata d'Edip- 
po. La sventura fa sacra, espiando, la colpa. 

6. Non v'è dolore che non risparmi un do- 
lore. ' 

7. Il dolore è varietà; ci toglie all'unifor- 
mità, all' unità ci conduce. 

8.. La sventura raccoglie e rinforza lo spi- 
''j'io; la prospèrilk lo fiacca e Vo d[\^"à\v^. 



-- ll>5 — 



IV. 

LA SVENTURA ABUSATA. 



1. I mali tulli son pronunziali all'uomo in 
tempo, e più volle; ma e' non vuole ascoltare, 
non osa cercare, non sa rammentarsi gli an- 
nunzi tristi: per questo il male gli giunge non 
aspettato. 

2. Saper la cagione delle sventure, e so- 
vente sventura più dolorosa. 

3. Quando il dolore non è guardato come 
punizione, piuttosto che toglierne via la causa, 
si cerca lottar cogli effetti. 

4». Taluni si credono grandi, perchè si son 
messi in angustie. 

5. Molti si fabbricano T infelicità, come una 
casa, soprapponendo pietra a pietra, e ferman- 
dole con cemento ; poi si lamentan d' Iddio. 

6. Oh se il tempo che si perde nel questio- 
nare sopra la sventura, spendessesi nelF evitarla 
e nel ripararla! 

7. Noi non ci lamentiamo de' nostri mali , 
e non iscusiamo i difetti nostri, che per aggra- 
varli. 

8. Molti abusano della sventura, per diven- 
tare peggiori. Se ciò non fosse, non si lagne- 
rebbero tanto amaramente. 

9. Que' ripari dalle sventure <;he pajono più 
sicuri, le rendon più rare, ma taloranco più ir- 
reparabili. 

10. Il caminetto j là stufa, fautvó «ivtóR<^\?à. 



il freddo di fuori. Gerii ripari non tolgono il 
primo male, e ne chiaman di nuovi. 

H. Que' che pajono più sventurati, sono 
sovente innamorali della propria ^sventura. 

i% La sventura, in mano di laluni, è laccio 
da prendere ora i compassionevoli, ora i cru- 
deli. 

13. Certuni professano la sventura, come 
un'arte liberale, o come un sussidio dell'arte. 

14. I più di quelli che professano la sven- 
tura, usano tanlo la preghiera e il lamento, che 
non sai quando parlino per apprensione, quan- 
do per abilo quasi meccanico, quando per vero 
dolore. Ma c'è modo di giudicarli senz'essere 
ne crudeli né canzonali. 



CAPO XXI. 

DEL CHIEDERE E DELL'OFFRIRE. 

L Chiedele quel che s' ha a chiedere , sen- 
za lauti preamboli. Le preparazioni lunghe, o 
mostrano diffidenza o la generano. 

2. L'abiettezza sia nel modo di chiedere, 
non nella necessità di ollenere. 

3. Cercar d'avere men che si possa biso- 
gvo d'altrui 9 è carità verso altrui; è un far 

meno jycs^re la nostra \\Va. 



-^ 157 — 

4. Prima dì desiderare più di queflo clic 
s'ha, converrebbe pensare a trarre più protillo 
che si possa da quello che s'ha. 

5. Pensate: « se questo che altri chiede a 
me dovess'ìo chiedere ad esso, che viso gli 
fare' io? » E tal viso fategli. 

6. Temono che, dato pane ai mendichi, sia 
tolta dal mondo T elemosina. Ma T elemosina 
del pensiero e del cuore? 

7. Il danaro del -ricco serve sovente a umi- 
liare il povero ed a corromperlo. 

8. Offrire cosa che possa venire ad altri op- 
portuna, anco che si sappia che l'offerta non 
sia per essere accettata, è nobile alto, se si fac- 
cia con l'anima, non a mostra. 

9. Taluni fingono profferirvi un bene, per ne- 
garvelo se non dite di no; e se dite di no, per 
gridarvi villano ed ingrato. 

10. Accettare con semplicità la profferta fat- 
tavi, è de' ringraziamenti sovente il più garbato. 

11. Taluni rifiutano la profferta altrui più 
per. orgoglio che per generosità vera d' animo. 



tt BENEFIZIO VIRTUOSO. 



1 . Più facile fare agli altri quel eh' uno vor- 
rebbe fatto a se, del non fare quel ch'uno non 
vorrebbe a sé fatto. Ove si tratti di bene, il più 
è sempre più facile e più dolce del meno. 

2. Dubiti, di due chi t'ha più giovato? Quel 
che meno ti ripete: ho giovato. Dubiti, di due 



chi l'ha più nociuto? Chi più li ripelc: non 
t'ho nociuto, 

3. Volete ch'altri prenda parte a' vostri do- 
lori? comunicate con essi i vostri piaceri. 

4. La vera discretezza sta nel ripetere da 
noi medesimi il sommo, dagli altri il mìnimo. 

5. La mezza carità fa volontieri e con vanto 
le cose che non richieggono pazienza. Ma la 
pazienza è la prova della carità vera e intera. 

6. Molti fanno il bene, .non jgià di propo- 
sito , ma a proposito d' altra cosa ; e non sono 
de' men benefici. 

7. Non è umanità vera, senz'umiltà. 

8. Se l'uomo, credendosi immeritevole di 

Eartecipare ad opera buona, riconoscesse come 
eneflzio |del cielo il potere concessogli di far 
bene altrui; non sarebbero tanti gl'ingrati. 

9. Se dai retta agli uomini, non diranno mai 
che tu abbi fatto abbastanza.. Ma questa loro 
ingiustizia giova a rammentarci i nostri doveri. 

10. Quella luce che illumina mi mondo, ne 
illumina innumerabili. In questo specchio si ri- 
miri la misera umana beneficenza. 

III. 

ARTE DEL BENEFIZIO, E MESTIERE. 

1. L'arte del beneficare è più difficile d'o- 
gni arte bella. Ma tutti credono d'averla innata; 
e i men degni, meglio di tutti. 

2. Taluni fanno del bene, perche non veg- 
gono come dire di no. 



5. L'acqua, Taria, la luce, si movono soUe- 
eill verso I uomo; non aspettano le sue preghie- 
re. E ruomo, quanti stimoli chiede la sua 
carità! 

4. L'uomo, più si vanta della beneficenza, 
dov'ebbe men parte la sua volontà. 

5. Taluni beneficano per isperanza, per ri- 
guardo, motivo simile; da costoro aspet- 
tatevi del male, ove manchi un di que' media- 
lori che vi conciliano il benefizio. 

G. C'è chi fanno il bene, perch' altri non gli 
facia del male. 

7. L!ipocrisia del benefizio è delle più fre- 
quenti nel mondo. 

8. Volete voi liberarvi da seccatori di molli ? 
Mostrate d'avere di bisogno di loro; chiedete 
un servigio del quale non possano sperar ri- 
compensa, ne da voi nèda altri. 

9. Le promesse costano poco; e anco di que- 
ste certi uomini si mostrano avari. Avarizia pie- 
tosa, che risparmia speranze ingannatrici. 

10. Benefizio a stille, secca. 

li. L'aspetto dell'uomo che fa il bene., è 
del benefizio non piccola parte. 

IV. 

IL BENEFIZIO SCIUPATO. 

1. Fanno del bene anco i tristi; ma fare il 
bene e men incile assai. 

2. Molli credono indivisibile dalla beneficen- 
za r unìiliazione altrui. 



— leu — 

3. Badate che nd render bene a ehi vi' fece- 
male, l'orgoglio vostro non si studii d** eserci- 
tare una certa vendetta, e d'umiliare col be- 
nefìzio, come i vili farebbero coirollraggio. No- 
bile vendeliafè volgar detto d'anime non vol- 
gariv Meglio il popolo toscano': Vincere di cor- 
tesia. 

if. Disprezzare chi tu benefichi, è viltà ; egli 
è uno scusare l'ingratitudine. 

5. Nel beneficare è certa affettata modestia, 
più pesante della ostentazione stessa. 

6. Quando voi ringraziate, e che il ringra- 
zialo, alzando la voce, risponda: Nulla/ che 
dice mai? Che? Le pare? e simili; tenete • per 
fermo che qucst' uomo si crede d' avervi fatto 
una grazia grande. 

7. V è certe mazze che, a portarle, stan-- 
cano più che non reggano. 

8. Afolti rammentano i benefizi! fatti, ma noii 
dicono come gli fecero: le intenzioni, le pa- 
role, gli atti; non dicono il male maggiore che 
hanno recato a tanti altri. 

9^. Neir ospitalità entran due cose: cordialità 
e vanità. Non tutta la gente ospitale è affet- 
tuosa. 

10. Con uno sguardo si può soddisfare al de- 
bito dell' ospitalità, meglio forse che con pranzi 
e feste. 

11. Risparmiare la noja ed il tempo, gli e 
il primo debito dell' ospitalità^ ^esse volte di- 

- mendicato. 

12. I vizii e i pregiudizii sciupano il bene- 



lÌKio, rendendo inseparabile da quello Tidea 
del danaro. 

15. BeneOcare in danaro è sovente un cor- 
rompere, un irritare, un opprimere. 



CAPO xxir. 

LA SCONOSCENZA. 

1 . Non pochi, neir atto che godono un bene, 
«'ingegnano di negare il merito di colui cui 
k) debbono. 

. ^. L* uomo non virtuoso numera i beni ehc 
riceve; pesa quelli che fa: pesa i mali che fa; 
j»a quelli che egli riceve^ li conta appena. 

3. Fate a' beneficati un torto, o vero o ap- 
parente che sia; vedrete quanto pochi di loro 
serberanno memoria del bene avuto. 

4. L' uomo che vi deve qualcosa , è più ir- 
ritabile d'un nemico; perchè si sente minore 
di voi. 

. 5. Taluni cercano queir indipendenza di stato 
che li liberi, non dai pericoli della vita, ma dai 
pesi della gratitudine. 

6. Non credete alla gratitudine sempre affac- 
cendata. Sovente la gratitudine vera, come Taf- 

ToMMASEo^ Pensieri morali, ^V 



fetto fero, è timida , e non voiTd>be parere 
sguajata o importuna. 

7. Lo sconoscente, se si noette a ringrazia- 
re, è sfacciato; come chi non ama^ e ne £a ie 
viste, ò sguajato. 

8. Come volete che gli uomini sien grati, 
tìb quel clie voi date spontanei, molli di loro son 
tali che ve k) strapperebbero con forza o con 
frode ? 

9. Il benefattore si Ubera da un dovere; il 
beneficato contrae de' doveri. Ecco perchè il 
benefizio ò men difficile della gratitudine. 

10. Il benefattore è più sovente crudele o mal 
accorto, che il beneficato non sia sconoscente. 

11. Chi vuol fare troppo bene a un tratto, 
non educa la gratitudine altrui, la quale, cosi 
come in ogni altra virtù, vuol essere eser- 
citata per gradi. 

12. Taluni sono s<fonoscenti senza saperlo, 
perchò del bene ricevuto hanno un'idea men 
alta di quella che gira pel capo al benefattore. 

13. Cfertuni imaginano ch'altri debba loro tale 
tal piacere od utile, come se gliene avesse pro- 
messo. E se non T hanno, si lagnano come di 
fellonia. 

14. Non mettete T altrui generosità a troppo 
duro cimento. Non pretendete troppo dagli uo- 
mini. Non fate scommesse pericolose tra il male 
ed il bene. 

15. Non pretendete nemmeno quel che vi 
spetta; e avrete più. 

16. Chi nulla aspetta dagli uomini, li stima 
p/fì di ehi Inllo. 



-.1(53 — 

17. La misura della gratitudine al mondo è 
sempre tanta quant'è il boneOzio: se in un 
beneficalo scarseggia, in altri soprabbonda; se 
scarseggiano i presenti, soprabbonderanno i 
venturi; se non gli uomini, Dio. E già l'in- 
segnarvi a fare il bene senza sperar ricompen- 
sa, è ricambio maggiore d' ogni gran benefizio. 

18. Agli alti monti la neve; alle anime ge- 
nerose la gelida sconoscenza. 

19. L'ingratitudine de' beneficati non vi fac- 
cia pentito del benefizio; ma v' insegni operarlo 
con animo più puro d'umano speranze. 



LA ORATITLDlIfE. 

1. Nella riconoscenza entra la gioja, amo- 
re , desiderio di rendere il bene fatto. Ove man- 
chino le due ultime condizioni, non c'è gra- 
titudine vera. 

2. Quando l'uomo v'offre una cosa, delle 
cinque le tre, dite ch'egli non ne ha bisogno. 
Non gliene siate però men grato. 

3. Siate grati anco all' offerte non disinte- 
ressale; altrimenti, poche occasioni avrete d'e- 
sercitare la gratitudine. 

4. Siate grati anco all'interessalo servigio, 
ma non ve ne aspettale degli altri; che sarebbe 
ancor più semplicità che arroganza. 

5. Siale riconoscenti a chi vi serve, rico- 
noscenti di cuore ; e chi vi serve , sarà grato 
a voi. 



6. A chi vi ringrazia di cosa che voi non 
abbiate falla appunlo per rendergli servigio, e 
dillicile il dire: « non l'ho fallo per voi »; per- 
chè pare un affronto. Ma bisogna saperlo dire 
con garbo e con coraggio, per non si rubare la 
gratitudine, e non mentir col sil^izio. 

7. A chiunque vedete disposto a sapervi più 
grado di quel che voi noerilate, ditegli sicu- 
ramente: oc non me ne siale tanto (^bligato. 
Parte del merito non e mia, ma del tale. » Ov- 
vero : « non m' e costato nulla. » Ovvero : « ho 
fatto comodo e piacere a me. » L'altro allora, 
vi sarà sempre più vivamente obbligato; Oj 
se non la generosità vostra, avrà in pregio la 
vostra schiettezza, eh' e virtù più difficile. Al- 
meno così godrcte dellia vostra dignità, la quale 
è più necessaria a mantenersi dell'altrui grati- 
tudine* 

8. Chi, dopo aver ricevuto un favore, vi 
si mostra più cortese di prima, è anima ge- 
nerosa. 

9. Torna la colomba col ramo a chi la sal- 
vò, prima di fuggirsene libera per le cime della 
rinnovala verdura. Una lieta novella, recata con 
animo lieto, è de' ringraziamenti il più degno. 

10. Difficile che le parole dell' uomo annojato 
sìeno così dolci, come dell'uomo che chiede una 
grazia. E dovrebbero. 

li. Chi parla bene degli uomini, massime 
assenti, e quando n'ha di bisogno, e quando 
non n' ha di bisogno, è generosamente onesto. 

12. La ,i?rantudine è virtù, più de' miseri, che 

forliwniì. 



— 165 — 

13. L' uomo che scnlc la riconoscenza, sente 
r ùmniirazione allresì. 

14. Chi sa da qual terra si leva il vapore 
che annafficrà di pioggia ristoralrìee il tuo' 
campo^ Preghiamo perdono pe' falli nostri non 
noti; preghiam mercede a' non noli altrui be- 
nelì2ii. 

15. Quanto ricevete da altrui, procurate di 
raiderlo tosto a' più bisognosi, o in parola o in 
opera o in desiderio od in astinenza. 

16; I buoni pensano a' favori avuti; i men 
buoni a quelli da avere. 

17. Non si pagano con l'ingegno i debiti del 
cuore. 



PARTE TERZA. 



SOCIETÀ 



CAPO L 
I. 

SOLITUDINE, 

1. Solitudine consolata dall' affetlo, è giar- 
dino chiuso, con rosignuolo tra il verde; fre- 
quenza di gente frivola, è via polverosa, con 
c^ni che abbajano dietro a vetture sconquassate. 

% Anima fresca in niondo appassito, è come 
mirto tra piante sfrondate nel verno. 

3. Anima gentile mal collocata nel mondo, 
e rosajo che sporge sopra un chiassuolo» 

A. Certe anime si struggono tra gli uomi- 
ni, come una zolla di zucchero in bocca di 
vecchia sdentata. 

5. Le consolazioni dei disprezzati dal mondo 
sono recondite, come la vita loro; e però meno 
turbate. 

6. Siccome pianta abbandonata ne' monti, tal- 
volta s'abbarbica profondo; cosi Tuomo ne- 
gletto, se forte, mette frulli ammirabili di virtù 
e di sapienza. 



7. L'uomo solingo e quasi albero pianlalo 
sul pendio del poggio^ che pai* voglia cadere, 
male radici ha conliUe come nel pianò, e scen- 
de con esse libero e sale; e dà luogo al sen* 
tiero che si apre tra lui e gli alberi soprastanti, 
e il sentiero ombreggia di frescura lieta ; e sollo 
i suoi rami Y erbe, non tocche, crescono più ri- 
gogliosa 

8. M' esigila chi mi toglie agio di vegliare so- 
pra mo slesso. 

9. La società meglio godesì e si conosce a 
guardarla dall'alto, che a starci in mezzo. 

10. Nelle voiagini del mare profondo, valli, 
e poggi, e pesci lucidi e snelli, ed erbe e perle, 
e grande olDUcina di vite: e par mula solitudine. 

11. L'isole, il mai*e difende da tutte le partì, 
e da tutte percuote. All'uomo, la solitudine è 
insieme sicurezza e dolore. 

12. A' grandi uomini e al grandi scellerati 
si fa solitudine intorno. I mediocri, e nel bene 
e nel male, hanno folla, e fanno folla. 

- 13. Guai al solo che odia e macchina ! no 
al solitario che medita ed ama. 

14. Temete quella solitudine che vi scioglie 
dalle promesse date, dai doveri contratti; amate 
quella che vi fa più pensoso dell' altrui bene, 
più alto a nobilmente patire , più pio a' mali 
umani. 

15. Soli, vivete come se presenti al nemico 
più accanito, ed al più nobile amico. 



-^Wò 



FREQUENZA. 

l. L' uomo il quale desideri trovar di molli 
I gli somiglino e convengano seco, non può 
1 ingegnarsi di somigliare agli altri, e mas- 
lamcnte ai migliori. Quindi T istinto d' imi- 
ione; quindi T istinto deUa sociabilità; quin- 
ti cullo del bello. 

ì. Folle chi, per essere un istante abbagliato 
i raggi del sole, chiudesse gli occhi in per- 
luo^ dicendo: abbastanza vidi. Folle chi, per 
er ricevuto noja e dolore dal consorzio so- 
le, l'abbandona disperatamente. 
3. A ben conoscere un uomo, giova vederlo 
solo, ora con molli, or con pochi; con 
i egli ama, con chi lui non ama; in peri- 
0, in sicurezza, lieto, dolente. E ancora non 
sta. 

ì. Più cose in società convien disimparare 
ì imparare; ed è più dìilicile il primo. 

5. L'uomo cerca talvolta la solitudine, più 
r fti^ii-e che per trovar sé medesimo. La 
Ita di certi oggetti sociali lo farebbe rien- 
ire troppo amaramente in sé stesso. 

6. Chi studia troppo gli uomini, ci fa il capo, 
non intende più nulla. Osservateli alle ocea- 
ni; e, senza tanto spiare, li conoscerete. 

7. Dìilicile, senza viltà e senza stento adat- 
ti agli alti'ul pregiudizi e debolezze. 

8. La nave corre sull'acque, senza riceverle 



, — 170 — 

■ 

in sé; che riceverle e perire è tutt'uno. Così 
vive il savio nel mondo. 

9. Chi naviga, sia fermo, e pur va. Certi 
viaggiatori navigano, e pure stanno. 

10. Chi adopra uno stivale. Io riporterà in- 
zaccherato, ma sempre stivale. 

11. Avremo col tempo case carreggiabili e 
ville nuotanti ; e patrie mobili, come tabernacoli 
di pastori. E la fitta frequenza farà il mondo 
quasi deserto. 

III. 

LA VITA DEL MONDO. 

1. C'è più imbecilli trasdotti, che tra gì' igno- 
ranti; più villanìe commeltonsi in città che in 
campagna; più barbarismi diconsi nell'accade- 
mie ch^ in mercato ; più at^i di barbarie si fauno 
in gente incivilita che in barbara. 

2. Certa società che si chiama colta, è com- 
posta di mezzi sciocchi, di mezzi ingegnosi, di 
mezzi cattivi. 

3. Un de' più gravi inconvenienti del troppo 
stretto e lungo convivere con* certe persone» 
gli è che la noja le fa parere più difettose che 
veramente non sono. 

4. Si ride di chi non sa essere cattivo con 
disinvoltura e fortuna. 

5. Taluni si credono uomini di mondo, per- 
chè il mondo li soffre. 

6. Se vedete un più potente di voi compia- 
cersi nelle vostre facezie, pensate ch'egli ride 

di luW altro che del vostro fegcg^uo. 



-- 171 — 

7* Più nojoso un dolio fra somari, che un 
somaro fra dolli. 

8. Que' leggeri urli che all' amor proprio del- 
t uomo non può non dare a quando a quando 
la più esercitala gentilezza; quegli urli che 
r uomo di mondo dissimula, per non mostrare 
il suo lato debole, e sa vendicarsene senza ec- 
cedere né toccare sul vivo : quegli urti il buon 
letleralo li prende a petto, s' arriccia tulio per 
ribatterli , vuol ricaltarsi d' una puntura con 
una ferita; % olire a quel di ragazzo, si acqui- 
sta il titolo di maligno. Male dà egli a cono- 
scere sé medesimo ; e peggio s' avvezza a co- 
noscere gli altri. 

9. La freddezza dall' uomo d' ingegno mo- 
strata nella società, non sempre è timidità; può 
essere non curanza: ed è difello più grave. 

10. Povero che bazzica nelle case de'gran- 
jdi , deve fare la parte o del canzonatore o del 
canzonato. 

. 11. La loquacità è vana, la taciturnità so- 
vente orgogliosa. 

12. Dire in modo chiaro le cose spiacevoli, 
e nulla d'inutilmente spiacevole; è difficile al- 
quanto. 

13. Lasciate le sentenze generali ai libri, e 
non le portate tra gli uomini. 

14. Quando da un colloquio uscite senza né 
un pensiero né un affetto nuovi, la colpa è non 
men vostra che d' allri. 



-- 172 — 
CAPO II. 

DECORO NELl'cRBA.MTX. 

1 . Siccome in bella stampa si legge più vo- 
Icnlieri , cosi valenl' uomo di manici*e ornate 
più garba. 

% Certa urbanità piace, perchè ci rende sof- 
fribili i vizii e le virtù. 

3. II merito degli uomini, in società, si giu- 
dica non tanto dall' utile, quanto dal piacere che 
il loro commercio porge. 

4. L'opinione è il più amato de' tiranni. 

5. Quelli che più lian di bisogno, e quelli 
che hanno mén di bisogno d' altrui, son fra gli 
uomini i più cortesi; quelli per amore dell'u- 
tile, questi per anìor del piacere. 

G. or inchini sovente son alto irrivepcnte, 
perchè pare e che voi crediate l' inchinato uomo 
da richiederli e da bearsene, e che crediate voi 
stesso uomo tale da potere co' vostri inchini far 
pago l'animo altrui. 

7. Principale uffìzio di gentilezza si è rispar- 
miare r inutile spesa di tempo. 

8. Il titolo d'amico, nelle società corrotte, è 
non meno servilmente abusato che quello di 
servo. 

9. Discorso religioso, fra certa gente, suone- 
rebbe più indecente assai d' un discoi*so osceno. 

io. Plebe che imita le cerimonie de' ricchi, 
à vilissima. 



— 173 — 

11. Quando il villano piglia i vizii di ciiià, 
ne rintuzza Y acume , e gì' indura. 

12. Genie di cerimonie affettate e di lezii, 
uscita de' gangheri, avrà vilupmi crudeli e 
loquaci. 

lo. Affabilità è madre di grazia. 

14. Non dimostrare la noja che da altrui si 
patisce, e generosità delle più virtuose, se ha 
line di virtù ; ad ogni modo è delle più delicate. 

15. La congratulazione frammista d'augu- 
rio. 3Ie ne rallegro del vostro bene; ma desi- 
dero che vi duri. 

16. Temete le cerimonie de' birbanti; della 
loro inurbanità ringraziateli. 

URBANITl MENZOGNERA. 

1. Gli uomini potrebbero essere felici, se 
sapessero barattare. Ma vogliono in quella vece 
spendere la moneta dell' etichetta ; e falliscono e 
fanno fallire. 

.2. L'etichetta è nel commercio del mondo 
moneta che rappresenta tutti i valori, e non 
ne ha sovente nessuno. 

5. Chi nel mondo vuol parere quel eh' è, 
non meno e non più, viene tacciato talvolta 
di bassezza e d'orgoglio insieme. 

A. Non bene olei qui bevie semper oleL V u- 
guaglianza affettata di modi è bugiarda. 

5. Se la gentilezza e il pudore non sono del 



— 474 — 

cuore sincero, velano turpitudini e inurbanità 
grossolane, che scoppiano da ultimo, come mar- 
cia da tumore. 

6. La grazia artifiziale , come Y artifiziale 
eleganza, denota freddezza di sentire, ed un 
certo leggero disprezzo della gente a cui s'a- 
ma piacere; la grazia naturale, come la natu- 
rale eleganza, richiede calore d' affetti modesto. 

7. Nel mondo, gli aridi pajono i meno sec- 
canti. 

8. I fortunati del mondo, attorniati come 
sono da persone o da cose importune, s'avvez- 
zano a dissinìulare Io sdegno e la noja. E per- 
chè r astenersi dallo sfogo della passione, è, alla 
lunga, un frenare la passione stessa ; di ciò se- 
gue che i potenti sono pazienti, più che i de- 
boli, delle piccole noje. 

9. Nascondere il malumore, od altro senti- 
mento qualsiasi, senza vincerlo, talvolta è peg- 
gio che sfogarlo. 

10. Gli uomhù di mondo sono canzonatori 
canzonabili. 

11. Nella cortesia di certi cattivi ed abietti 
verso i dignitosi e buoni, è, non già rìveri^za 
della virtù, ma bisogno, o di coprirsi col manto 
della virtù, o di rannicchiarvisi sotto. 

12. Gli atti d'urbanità insoliti, v'avvertano 
di un nuovo pericolo. 

13. Anco che vi pajano fredde o sbadale o 
affettate o interessate le carezze altrui, non le 
rigettate però con dispetto o sospetto; basta 



— 175 — 

non dar loro, nò in bene né in male, valore 
troppo. 

14. L'affettata indifferenza , può essere più 
ciarlatanesca dell'enfasi. 



CAPO iir. 

DEL élRE IL VERO. 

!• Onestà non può essere, senza sincerità. 
Ha dond' è che nel mondo tanti sono gli one- 
sti, e i sinceri si pochi? 
- ^ * #; Senza sincerità non è forza. 
'^-^^^ Sincero è delicato. Finezza dà traspa- 
renza. 

4. La sincerità ostentata dalle anime grosso- 
lane, è maschera deforme ed immobile, non 
volto vivo. 

5« Per non dare una mentita, badate di non 
mentire al sentimento vostro. 

6. Non dire tutto quel eh' uno sente, è spes- 
so virtù generosa. Ma qui, come altrove, il 
merito si misura dal fine. 

7. Non sempre e da parlare tutto quel che 
si pensa; ma sempre come si pensa. 

8. Non è necessario, sempre, dire tutta la 
verità ; necessario è sempre trovarsi dls^fosto a 
dirla. 



9. Se avclc diritti da difendere, diehiarateli 
in tempo; e offenderete meno. 

10. Chi teme dir troppo, dice nulla; e par 
che senta il contrario di quel che sente. 

H. Quanto e più lo scandalo del dire certe 
verità, tanto e* più necessario pronunziarle. Ma 
più necessario ancora è aspettare il momento 
opportuno. 

12. Tacere il vero, senza viltà, è più diffi- 
cile talvolta che dirlo. 

15. Chi ti chiede il tuo segreto, può essere 
imprudente, ma gli e galantuomo; chi tenta 
rubartelo, può essere galantuomo, ma è in lui 
\del .vile. 

■ii?«*C Quando taluno vi dice dì confidare un 

" segreto in intero, e vi tace qualcosa, badatevi. 

AS. Chi, anco nel male, rispetta la verità, ed 

affronta il pericolo piuttosto che offenderla , è 

animo che dà speranze di se. 

BUGIA. 

1. C'è degli uomini a' quali la menzogna 
pare più necessaria, più nobile, più ingegnosa 
della verità. 

% Certi uomini 9 quando si tratta di nuo* 
cere , crcdon subito alla bugia ; quando di gio: 
vprc, nemmeno la verità. 

37 Chi mentisce, forse non lo farà per tra- 
dire; ma uomo tale e capace di qualsiasi Ira- 
dimcnlo. 



-.177 — 

4. Chi non sa dire la verilà, o non ò de- 
gno, la dice più difficile a credere della men- 
zogna. 

5. Taluni sono bugiardi e impostori, senza 
saperlo. 

6. Col lacere e col non fare, si mentisco e 
i si nuoce talvolta, più che con opera, o con 
l parola. 

7. Chi lascia ch'altri creda il falso, può es- 
sere più bugiardo di chi lo dice. 

8. Raccogliendo tutto il bene possibile d' una 
: [ persona o d' una cosa, e tacendone ogni difel- 
^1 to, non che possibile, vero; e attribuendo a 

K >iuella sola i pregi che Irovansi, uguali o mag- 
?! giori, in altre: senza dire bugia, si può gra- 
\ vemenle offendere il vero. 
. : 9. Se con menzogna credete salvarvi dal pe- 
^' ricolo, il pericolo raddoppiate; e con la sicu- 
rezza, perdete la dignità. 

10. Imporre ad altri che dica bugia, ò cor- 
ruzione delle più gravi, e delle meno temute 
nei mondo. 
ijsj ^^. La bugia, per da nulla che appaja, e 
^3j[ macchia che bisogna espiarla. 

, .4ft Più bugìe diconsi in conversazione scelta 
di un'ora, che in un di di mercato. 

Certi autori sono attori. 
_ Difficile distinguere timidità da doppiez- 
za. Alcune fanciulle pajono più doppie che le 
maritale, perche più timide. 
-JtSf. Uomo d'intenzioni non relle, più sem- 
ice gli parlate, e più vi tiene do^\ù^\. 
ToxMASKO, Pensieri moroli. ^^ 



io- 



_ i78 — 

16. Le persone che mollo vi parlano dell' in- 
genuità e del candore altrui, non sono inge- 
nue né candide. 

17. Chi fa pompa di un alto di generosità, 
ancor che vera, per questo che ne fa pompa 
(non fosse per altro), merila di non essere inte- 
ramente creduto- 

18. Un girar d'occhi smentisce la simulazio- 
ne e la dissimulazione di giorni ed anni. 

19. Chi parlando prolunga il discorso, e fini- 
sce con troppa cura i periodi, vuol celarvi qual- 
cosa. • . 

20.JChi non crede altri sincero, sincero non 
e; anco che sia di huona fede. 

21. Yaruìy ai Latini è bugiardo. Il vano è 
bugiardo. 

22. Chi esagera, talvolta fa peggio che men- 
tire, perchè con quella parte di vero inganna 
altrui, e fa credibile la menzogna. 

23. Gli accorti, quando toccasi il tasto vero, 
non rispondono, 

24. Chi ha (orto, non s'ingegna già di mo- 
strare che il falso sia vero, ma prende un 
vero che slava accanto al falso e glielo mette 
dmanzi; e inganna, forse, sé slesso prima che 
altri. 

25. I falsi sembrano non mentiscano mai; 
mentono sempre, ma basta saperli leggere a ro- 
vescio, e allora gli si fa dire il vero a loro 
rtispetlo. 



i)] 



\ 



— i7t) 



CAPO IV. 



DEL LUSINGARE. 

1. Chi troppo bada a se, non può badare 
. air opinione ne all' amore di quelli che lo cir- 
condano ; e per troppo lusingare gli uni, risica 
d'offendere gli altri. 

2. Cortesia senza benevolenza sincera, è 
scherno. 

5. Chi non contraddice mai, è anima piena 
di dispregi, disamorala e bieca. 

4. Delle promesse dell' affetto siate più ava- 
ro, che delle promesse di danaro o d' altro che 
sia. Quelli son débiti che non si spengono mai. 

5. Ogni attrito è principio di lacerazione o 
di consumamento; ogni carezza è attrito. 

6. Nulla più stomachevole delle carezze d' uo- 
mo maligno. 

7. Ove convenga salvare i più deboli, lu- 
singate anche con doni T ingiusto ; purché non 
sia ne' doni stessi ingiustizia. 

8. Gli uomini che meno lusingano e men 
vanno a versi, nelle necessità sono più docil- 
mente ascollali. Questo che Cicerone dice del 
popolo, e vero di quasi tutti. 

9. É egli più turpe lusingare i pochi od i 
molti? 



^ 180 — 



DEL CEDERE ALLE LUSINGHE. 

1. Non crediate alle cerimonie né dei Uuom 
né de' calllvi : questi le fanno per invidia o per 
ischerno; quelli per alto di virtù, per compas- 
sione, per debolezza. 

2. L' indulgenza é talvolta una specie d' adu- 
lazione, forse più dispregiata. 

3. Certa indulgenza è più sprezzante del- 
l' austero rigore. Par che dica a' minori : « Non 
siete degni eh' io mi corrucci per voi. » 

A. Chi tulli soffre, nessuno stima. 

5. Que' segni di predilezione o dì stima, che 
nella società si danno e ricevonsi con la me- 
desima disinvoltura, appunto -perché non sene 
apprezza il valore; que' segni T inesperto degli 
usi, li piglia per buona moneta, e si trova im- 
brogliato a ricambiarli di cuore. 

6. L'uomo dappoco si lascia trappolare da 
paroline, e da certa confidenza che simula sti- 
ma ed amore. 

7. Cedere alle lusinghe do' minori, è peggio 
che cedere a' pianti. Gì' insegnate viltà. 

8. É forma talvolta di squisita lusinga il por- 
tare un'imbasciata di persona ch'altri crede a 
voi cara, imbasciata di non vera o di caricata 
soavità. 

9. Al veder uno che vi si accòsta, né cre- 
diate alla prima, né sospettale di lui. E' può es- 

scrc un nemico vile, un invido impotente ; può 



I uno che per debolezza vi segue, e vi tra- 
•er debolezza; può allresi essere un cer- 
! de'proprii piaceri; un annojalo ctie va 
, come il bambolo ad un balocco, e il 

a un bicchiere di vino. 

Gli uomini che fin dal primo v'offrono 
juel che bramate; temeteli. 

Alle promesse fatte nel pericolo non va 
lo. 

Molli, che si vergognerebbero della men- 

nel chiedere, mentiscono nel promettere. 

Chi vi fa grandi promesse, o v' inganna, 
iganna. 

Il ricco ama tanto i buffoni, che vuol 
1 buffone, e vuol che si rida; e con chi 
ide è ribelle. 

Egli è quasi destino che gli uomini me- 
li piacciano ai potenti, per altri meriti che 
veri. 



CAPO V. 



1. 

LE MALE LODI. 

tfolli seguaci od amici e lodatori son come 
ileli , che invece d' accrescere , scemano 
al sostantivo, se sostantivo è. 



2. Soverchio lodare altrui, è biasimare sé 
slesso. 

3. Chi esagera, sente poco; intendo non 
molto. 

4. Chi loda a lungo, loda tiepido. 

5. Le lodi de' freddi feriscono; degli sciocchi 
malmenano. 

6. Lode data a' presenti in tono di maravi- 
glia, è perfida o sciocca. 

7. Chi loda a viso, mal sa difendere dopo 
le spalle. Ma quale è de* due, che meglio ami? 

8. Chi alla lode franmiischia parole di fredda 
compassione, non istima e non ama. 

9. Chi li loda, e ti tace il vero , ti sprezza. 

10. Le lodi date ad indegni, sono accuse in- 
volontarie, perchè nel modo dell' esprimerle è 
sempre il falso. 

li. Nelle lodi date da indegni, o indegna- 
mente, il lodato, se onesto, non che inorgoglire, 
ha pietà di sé slesso. 

12. Chi loda nel chiedere, non gli negare, 
ma guardatene. 

13. A chi vi loda con secondo fine, rispon- 
detegli: — al fatto ! — Ovvero : — In che posso 
servirla? — , 

14- A costoro o date subilo, o dite: non pos- 
so. Cosi risparmiate a voi noja, ad altri viltà ; 
e vi mostrate meno semplice di quel ch'altri 
vi tiene. 

1 5. Le lodi interessate fanno più male al lo- 
datore che bene ; quand' anche il lodalo non se 
n'accorga suiratto. 




-- i85 — 

16. Proseguire con Iodi è perseguire. 

17. La lode importuna, è' come ai fiori mano 
grossolana che li sgualcisce. 

18. Lodare cerli polenti, gli è come buttar 
[ìori in un fiume; l'acqua li sciupa, li porla 
^ia, senza sentirne l'odore né farlo sentire. 



ADULAZIONE. 

1. Chi sguajatamente vi dimostra stima, o 
vi spregia, od è pronto a spregiarvi. 

2. La stima profonda teme persin d' onorare. 

3. S' alili vi dà segni di troppa riverenza , 
potete tenere per fermo che le riverenze vanno 
'ivolte a qualcosa che non è voi, 

4. Chi vi dimostra più o meno rispetto, se- 
condo che si sente più o meno lodato da altrui; 
mima debole, da non se ne fidare punto. 

5. Se uom abbietto vi mostra più slima di pr^ 
na, dite: o ch'egli vi crede simile a sé, o ch'c- 
;li vuole diventar simile a voi. E nell'uno ti 
leir altro pensiero umiliatevi. 

6. L'amor proprio regolato dalla virtù, ri- 
;petta l'amor proprio altrui, non l'adula. 

7. L'adulazione comprende molti vizii, e 
ulti nell'infimo grado. 

8. L'adulatore, chiudendo perfidia e viltà, 
K>tto maschera di stoltezza, si fa a tre doppi 
jpregevole. 

9. Non è cosa più vile d'un vecchio che adula 
e passioni de' giovani. 



ì 



10. Chi s'ingegna d' imitare i voslri difetti, 
è più ignobile di chi si mette a lodarli. 

11. Adesso, a non calunniare vuoisi più co- 
raggio, che a non adulare. 

ì% Chi adula i vostri principii, è più peri- 
coloso di chi adula la persona vostra. 

13. L'adulatore, supponendovi tanto sciocco 
che non v'accorgiate della sua falsità, o tanto 
abbietto che, accorgendo vene, la accettiate, si 
dà a divedere abbietto insieme e sciocco. 

14. Le anime generose ricevono più offesa 
dair essere adulate, che dall'essere ingiuriate ; 
si perchè sentono che l'adulazione è scherno 
ed insidia, si perchè si dolgono dell' offesa che 
fa l'adulatore al vero e agli uomini degni di 
lode e alla propria dignità. 

15. L'indulgenza talvolta pare adulatrice. 

16. Adulazione e codardia coli' origine ci ri- 
mandano a' cani. 



k 



LODI E BIASIMI. 

1. Temi più la lode che il biasimo. Chi bia* 
sima^ ha quasi sempre più ragione di chi loda. 
E non l'avesse, non toccherebbe al biasiniato 
giudicare di ciò. 

2. Più difficile rendere ragione della lode, 
che del biasimo. E anche per questo i biasima- 
tori son tanti. 

3. Lodare uomo indegno, non è maggior 
fallo, ma più pericoloso del vituperare uomo 
deswo. 



— 185 — 

K Fare un rimproveix) ingiusto, gli è p(^gio 

non ne fare uno giusto. 
pfli rimproveri e le lodi, con reticenze, son 

polenti. 

i. Le reticenze di lode son nobfli e belle, di 
nmo son vili o crudeli. 
'. Chi vi tocca di cosa dispiacevole al vo- 
► amor proprio, ma ve ne tocca per isbieco, 
i v'ama. Di cose tali, F affetto o tace odice 
irò e diritto. 

t. Causare e rigettare da se le allusioni obli- 
!, ma se bisogni dir cosa spiacevole, dirla 
ietto, è prova insieme di lealtà e di corag- 
; dice forza e di cuore e di senno. 
>. Chi grossolanamente loda, vitupera squi- 
mente. Coloro che lodano con delicatezza, 
re squisitamente non sanno. 
0. Certi rimproveri accarezzano, certi bia- 
i adulano. 

Ir: Sovente lodano un pregio in altrui, per 
argli altri pregi maggiori, o per detrarre ai 
gi d'un terzo. 

2. Chi loda l'uno per offendere l'altro, è 
na abbietta. 

3. L' adulatore del più forte non sa non es- 
5 insultatore del del30le. Nella viltà è sem- 

audacia. 

4. Fra gente ignobile o inetta, chi loda si 
)iù nemici di chi biasima ; perchè offende 
goglio degli uni, è rimprovero all'invidia 
li altri. Biasimando, all'incontro, lusinga 
tissimi. 



15. Non siate precipitoso uè a lamentarvi né 
a lodarvi degli uomini. Se la prima impressio- 
ne della stima o dell' affetto si facesse men vì- 
va, le Iodi stesse, più languide d'una volta, 
sembrerebbe^ biasimi. 

16. Quella è vera grandezza, che non soffia) 
e non ispira la parodia. 

17. Gli avari di lode non ne sentono il de- 
bito né la dolcezza. 

IV. 

DEL LODARE AFFETTUOSO. 

1 . Se volete conoscere Tuomo, badate a come 
egli loda. 

% V amore è meno difficilmente siamlabile 
della stima; dico la stima vera. 

3. La vera grandezza mette rispetto. Chi non 
è rispettalo per le doti dciraqimo, o gli e in- 
degno di lode, ha lodatori non degni. 

4. Chi delle lodi e de' pregi tuoi si com- 
piace tacendo, quegli t'ama. Chi loda, amerà 
forse sincero, ma non profondo. 

5. L' amore profondo non loda a viso, se non 
per isfogar il dolore proprio , o temperare l' al- 
trui. 

6. Chi ama, più che lodare, venera; teme 
fare o dir troppo o troppo poco. 

7. Chi ncirimpeto dell'affetto misura le lodi, 
è anima forte. 

8. V amico e Y amante vero arrossiscono , 
come delle onte, cosi delle lodi dell'anima (ima- 



ta. Sono modesti per essa e con essa; perchè 
i due ftinn'uno. 

9. Non sempre chi abondantementc loda, è 
piaggiatore timido o leggiero, ma può essere 
uomo che per gentilezza d'animo o per amore 
del merito vero (del quale e' discerne ed ama 
$in le menome parti) sa generosamente distri- 
buire la lode. 

10. La speranza de' beni avvenire, e il desi- 
ierio di scaldare e quasi fecondar con la lode 
propria i beni avvenire, può Care a gentile ani- 
na inganno. 

41. La lode che venga da mente e. da ani- 
lìo retto, indirizza al bene, perchè rassicura Io 
spirito dubitante. 

1!L Chi non loda il bene, non ha diritto di 
riprendere il male. Chi non ha esercitato la mi- 
sericordia, è indegno d'esercitar la giustizia. 

13. Il topo, non bruito animale di per se, 
pur fa schifo, perchè rode di soppiatto, e pare 
ohe strisci ; che sono i pregi di certi letterati e 
rinomati ed anonimi. 

14. Alle animi gentili, dovrebbesi chiedere 
scusa delle lodi ancor più che dei biasimi. 

15. Aspettate che muojano gli illustri , non 
vogliate, lodando, oscurarli. 

16. Anco nel lodare vuoisi autorevolezza. 

T. 

COME ACCOGLIERE LA LODE. 

1. I mediocri tendono al lucro, e l'ottengo- 
no. Certi valenti, non tendono wè^V Vw^x^^^^"^^ 



--•«88 — 

lode, e pur la vorebbero; e in pena di codesta 
conlraddizione, non hanno ne lucro né lode. Se 
sprezzassero questi beni a dirittura, li avrebbero. 
.,v2. Chi sente prurito d'esser lodato, ha gran 
'voglia d'essere burlato davvero. 
V'3. Non cercar mai di conoscere persona che 
senta più bisogno di essere lodata che amata. 

I ^fGli uomini amano esser lodati in quejlo 
- ' ch'è il minor lor pregio. Onde i vili adulano i 
difetti, e piacciono. 

5. Le lodi de' pregi corporali e degli estrin- 
seci ci lusingano. In tale sentimento, che si fa- 
cilmente diventa colpevole, è un principio vei*o; 
ed è questo: che l'anima umana, in quelli non 
ha merito alcuno, vi conosce il dono gratuito 
di Dio. Ma la colpa comincia, quand'olia n'ar- 
roga il merito a sé; e pretende gli onori che 
a Dio son dovuti. 

r^-ft'Le iodi date alle qualità più estrinseche, 
son quasi sempre un'insidia. 
7. Lode tiepida offende taluni, più che fer- 
*' vido biasimo. 
.-/- 8. Lode soverchia, plBfende meno di lode scar- 
sa; ed é oltraggio maggiore. 

. ^9. Le lodi talvolta pajono al lodato più iro- 
niche, che al lodatore. 

, . H). Certuni ti lodano, per consolarti d'un 

^ dolore eh' eglino stessi avranno o preparato o 
permesso. 

v- H. Chi frantende una lode, può essere cuo- 
re buono; chi la disprezza é anima fredda. 






k 



— 189 — 

CAPO VI. 
I. 

DEL CONSIGLIARE. 

1 . Molli consiglieri e ajulalori e amici e ne- 
mici somigliano a que' ragazzi che si baloccano 
in mezzo alla slrada; e cacciandovisi tra' piedi 
vi Iratlengono quand'avete fretta. 
„^4r Tale ch'aCFetta senno senile, è decrepilo. 

3. L'eccitamento senza l'esempio, talvolta fa 
gli eccitati ricalcitrare. 

4. I consigli che si danno al vizio punito, 
è difficile che non somiglin troppo a' rimproveri. 

8. Chi si mette a consigliare o a riprende- 
re, quando dovrebbe soccorrere, è sciocco an- 
cor pili che spieiato. 

^jSif Molli desiderano eh' altri capili male, pur 
^rchc il loro vaticinio s'avveri, o perch' altri 
del non avere ascoltalo il loro consiglio abbia 
pena. Quell'amor proprio che prima li mosse 
a suggerire il bene, gì' incita a volere il male. 
--^» Talvolta il consiglio è vendetta. Chi ha ri- 
cevuto un dispiacere, e non sa come ricattarsi, 
dà al suo rimprovero color di consiglio. 
^^^J^ Il consiglio dell' uomo retto è preghiera , 
perchè l'altrui bene è anche il suo. 
t^. Se donna che v'ama, alla vostra parola fa- 
ce, prendete II silenzio come consiglio amore- 
vole, ma potenle. 

j^StO. Accellate dalla donna i cou^v^^lv s^\^Vv\ 
3W Iroppo /lisinghevoU duUVaVe. 



--490 — 

il. Date il consìglio a tempo; e ne darete 
poclii. 

12. Non mettete il piede in casa altrui se non 
quando l'utilità che siete per recarvi sia evi- 
dentemente più grande di quella che volete ri- 
trame. 

13. Que' che danno troppi avvisi al prossi- 
mo , quando ne ricevon uno per sé , escono 
quasi del mondo. 

- V'i^. Chi vuol disingannare, è slimato il pessi- 
'^ ' nK) dcgr ingannatori. 

. :iò. Vm difficile accettare un consiglio, che ri- 
' fiutare un regalo. 

yil^. Taluni cliicggono un consiglio, per evitare 
: 1in biasimo, o per piaggiare e abbonire. 

. 17. Chi vi chiama a consiglio o a giudice, 
" badate non voglia farvi servitore e strumento. 
48. Correggere vale e reggere insieme e am- 
. inondare altri e se. 

n. 

dell'operare. 

• 1 . Certi uomini s' appigliano talvolta al par- 
tilo migliore, perchè '1 peggiore è occupalo. 

2. V uomo che ondeggia fra varii disegni gran- 
di, e non s'appiglia a nessuno, non ha voca- 
zione a grandezza vera. 

3. E nel mondo corporeo e nel morale, la 
risolutezza e gran parte della forza. 

4. Spiecialevi ; o il bene stesso diventa male. 
Solleciludino tranquilla è la criand' arte del vi- 
y(T(\ 



— i9i — 

5. La pace non è nei riposo. 

6. Sentire il valore del lempo: ecco il se- 
gno di vera grandezza. 

7. Le grandi cose preparansi a bciragio, in 
un punto si fanno. Lungamente lo spirito di Dio 
s' agitava sul!' acque. A un tratto Dio dice : e la 
luce è. 

8. Non abbandonate mai quello intorno a che 
avete lungamente operato. Purché non reo, qual- 
eh' utile ne potrete raccogliere tuttavia. 

9. Rinfrescate le operazioni abituali, che per 
l'abito diventano o meccaniche e senza merito ; 
clìieste imperiosamente dalla natura, e però 
non omissibili senza dolore ; o nojose, e pretesto 
d'inerzia, e fomite di disamore. Rinfrescatele con 
sempre nuovi pensieri, affetti, e usi; ed eser- 
citerete insieme la ragione con la libertà, la 
virtù con V amore ; sarete men grave agli altri 
e a voi stesso. 

10. La vita di taluni è simile alta giornata 
di dii viva in paese dove a levante è monte 
vicinissimo. Non hanno aurora; e il sole, ap- 
pena mostratosi, brucia. Cosi quelli, gioventù 
vera non hanno ; ma o le debolezze dell'infan- 
zia, le cocenti sollecitudini della virilità. 

il. Molti si credono aver finito delle cose 
la fine; e finiscono appena il principio. 

12. Gli uomini spesso cominciano di là dove 
andrebbe finilo; onde Dio li punisce con farli 
finire là dove potevano aver cominciato. 

13. II mondo è un (entro, dove chi inlendo 
meglio la parlo non cura di saperla a memoria, 



o fa le viste dì non la sapere; e chi la sa, la 
ripete senza intenderla , con pronunzia sgua^ta 
e con gesti spropositati. 

14. Chi accatta scuse per indugiare, è anima 
da non se ne fidare punto. E' consuma nel non 
fare più ingegno di quel che richiederebbcsi a 
fare. 

15. I più degli uomini, non sono defunti, ma 
trapassati; non morti, perchè non vissero mai. 

16. La coscienza, meglio che la scienza, dà la 
prescienza de' falli. 

^^ -f?: Chi eccede, cede. 



CAPO VII. 
1. 

DEL FINE. 

1 . Facile trovar le ragioni d* una risoluzio- 
ne già presa ; il difficile sta nel trovarle prima di 
prenderla. 

2. Determinare chiaramente a se stesso quel 
ch'uno vuole, è la prima condizione, e delle 
mcn facili, di buon successo. 

3. Nulla più nojoso dell' andarsene, senza sa- 
per dove; e nulla più comune tra gU uomini. 
Quindi la noja regina del mondo. 

4. Lunga cura, posla a buon (ine, non può 

jjon essere fruttuosa. 

k 



5. L' altezza dei flne ispira , non soio olii se 
lo propone, ma sovente anelie ctii gii contrasta. 
iii^ Uno scopo principale, molti accessorii; ecco 
le condizioni delle opere grandi. 

7. Le cose delle quali non avete esperienza, 
ancorché vi pajano laciii, non le tentale, se non 
per fine di vera utiDtà; mai per gioco. 

8. Chi può, prima o dopo, manifestare e 
gli atti proprii e l'intenzione che lo guidò, que- 
gli è probo. 

9> Se gli uomini prevedessero Y esito delle 
cose, non congratulerebbero a sé quasi mai, se 
non delle sventure. 

10. Abbiate proposili tanti, da bastare a ire- 
cent' anni di vita ; e tanto innocenti, da poterla 
finire oggi stesso. 

H. Recare tutte le idee e le opere d'un uo- 
mo ad un sentimento motore, se non fòsse as- 
sunto retorico, potrebb' essere investigazione pie- 
na di sapienza. 

ps-l^. Tema d* un libro profondo : le contraddi- 
zioni degli uomini insigni. 

13. In tempi guasti, gli uomini nella vita pri- 
vata singolari, nella pubblica pajono sovente 
volgari; come in terreno paludoso e grandi e 
piccoli affondano, ne la vera statura apparisce. 

i4. Gli uomini singolari, come la pila, scom- 
pongono per comporre. 



ToMMAs EO;, Pensieri morali, S!^ 



de' mezzl 



1 . I mezzi umani son piccoli ; ma tulli pos- 
son dal fine essere nobilitali. 

2. Basta avere uno scopo; e intorno allo scopo 
spontanei accorrono i mezzi. Basta avere un i- 
dea ; e intorno a queHa convengono , quasi fa* 
miglia e città popolosa, vogliose altre idee. 

5. Quell'intendimento è destituito di mezzi ^ 
che non sa bene quel che si voglia. 

4. Se i mezzi complicati , giudicate che mi- 
sero il fine reo. 

5* I mezzi conducevoli a buon fine , in tempi 
corrotti, sono anch'essi fuor di tempo o mala- 
mente adoprati. 

6. Gli uomini, più sovente sbagliano nel fine, 
che ne' mezzi. 

7. Manca all' uomo , per essere grande o tran- 
quillo, più sovente Io scopo, che i mezzi. 

8. Siate tenace del fine, ma non de'mezzic 
Sdi*ete docile cosi, ma non fragile. 

9. La gente mediocre non hanno né la pa- 
zienza del meditare , né quella che richiedesi a 
compire nell'opra le idee. Quel eh' è stato da 
altri pensato, eglino ridicono; quel ch'eglino in- 
cominciano a fare, convien ch'altri finisca. 

10. L'uomo arrossisce di parere da meno 
di quello ch'egli è; onde parlando di molto, e 
non potendo operar come parlg^ piuttosto tra- 
lascia d' operare. 



11. Nel discernere ii bene eh' è operabile, 
dal meglio eh' è impossibile, consiste la fecon- 
dità del pensiero e la sodezza del senno. 

12. Grandi cose non si fanno senz'attenzio- 
ne intensa, eh' e principio di fissazione ; e sen- 
z' ispirazione, eh è principio di furore. E per 
qaesto i grandi uomini, a' piccoli, pajono pazzi ; 
e i tristi li fanno impazzire davvero. 

15. I vecchi sono sovente men servili de' 
giovani , perch' hanno meno speranze ; o , se 
vuoisi guardare la cosa dal lato peggiore, per- 
chè sono più stanchi, e la servilità richiede più 
sforzi che il coraggio. 

ni« 

DEL POSTO CHE l'lOMO TIENE NEL MONDO. 

1. L'uomo non falla quasi mai vocazione. 
Cattivo poeta, sarebbe pessimo ciabattino. 

2. La professione dell'uomo dice l'animo suo 
talvolta per la ragion de' contrarii. 

5. Vi sentite da mollo? Non mutate condi- 
zione; e parrete dappiù. 

4. Diffidate di chiunque aspira a bene che 
non gli è necessario. 

5. Più grande è l' oggetto, e in più largo spa- 
zio sente i proprii conlini. La più alta dignità 
è più soggetta, che non la men alta. 

6- Voler farsi centro, mentre che siam tutti 
nati per volgerci attorno a un centro, ecco il 
male. Applicare a se il sistema tolemaico. 

7. C e de' nobili e e' è de' plebei , che non 
sanno ne slare al lor póslo, wv! Xes^^'^^w^^ 



- 1% - 

8. Uomo da nulla sovente, pur per trovarsi 
testimone o strumento a un gran fatto , si crràc 
qualcosa. 

9. Nella vita gli uomini navigano a diversi 
porti; il vento che giova a me, nuoce ad altri. 
Non per questo dobbiamo urtarci, e far naufra- 
gare chi non ha colpa se il vento non ci è fa- 
vorevole. 

10. Gli alberi lungo le vie, non annaffiati, 
coperti dalla polvere del calpesfio, vivono, e 
son pii d' ombra al passante. Cosi gli uomini sa- 
cri al pubblico bene. 

1 1 . Non si può imaginare un uomo di conto, 
senza imaginarlo titolato, o almeno Dottore. 



CAPO Vili. 



I FURBI. 

1 . Non e furbo chi s' avvede del bene e 
del male altrui; furbo è chi tace il bene o il 
male, quando dovrebbe parlarlo, o dice e fa pa- 
rere l'opposto. 

2. I furbi novizii simulano ; i consumati dis- 
simulano. Dan meno da fare, e dan meno nel- 
roccbìo. 



3. Né celare, né far pompa delle proprie im- 
perfezioni ai minori di sé, gli é un renderne 
meno pericoloso l'esempio. 

4. Oli dalle buone altrui qualità cerca trarre 
vantaggio a sé stesso, senza fatica né merito, 
è il più miserabile de' trafficanti. 

6. Il furbo, anche rozzo, é sempre cortese. 
Il tristo che non ha bisogno di voi, é sempre 
inurbano. 

6. L'anima dell'astuto é come la serpe; li- 
scia, lucida, lubrica, fredda. 

7. L'astuzia dell'uomo di mondo é un'astu- 
zia sistematica, cioè la più semplice di tutte le 
astuzie. 

8. Non v'é cosa che faccia cadere in tante 
contraddizioni, quanto il voler sempre mostrare 
sagacità. 

9. La imaginata necessità d'essere furbo è, 
ad uomo non pravo, la massima delle angosce. 

10. La doppiezza vi può salvare una vol- 
ta; nuocere più d'una. 

11. I furbi credono potersi tenere in altezza, 
con le medesime arti per cui son saliti. E per 
questo rovinano. 

12. Beati i monoculi! Ma qualche volta i 
monoculi pigliano bastonale da ciechi. 

15. L'età nostra, più furba che accorta. 
14. Taluni ingannano, no coU'ingannarC;, ma 
col lasciarsi credere semplici. 

13. Gli accorti disfanno col non fare, par- 
lano colle reticenze. Tutto quel che dicono in 
segreto é stampabile, tranne le virgole; e lì sta 
il veleno. 



-^ 198 -- 

i6. Mercurio, Dio dell'eloquenza de' furbi. 

17. I furbi non intendono d'essere intesi. 

18. i furbi diffidano degli onesti, ma sanno 
pure che possono servirsi della loro onestà, e 
ci fanno capitale. 

19.1 ciarlatani sono i servitori del vero; in- 
fedeli e goffi, ma servono. 

20. La furberia è una scommessa delf altrui 
con la pròpria credulità. 

21. Non c'è gente più credula degli astuti, 
quando si mettono a credere. 

22. Della stupidità de' furbi: bel libro da fare. 
25. I furbi che non sanno rispondere, fin- 
gono non intendere. 

24. I furbi troppo previdenti, non veggono 
le cose prossime. 



1 SEMPLICI. 

1. Chi vede solo un lato delle cose, e chi tutti 
i lati, è leale; chi alcuni, e de' meno ragguar- 
devoli, è semplice, o doppio. 

2. Si vince non la semplicità la doppiezza. 

3. Gli avvedimenti dell'amore, sono sovente 
tutt' altro dagli accorgimenti soliti della vita; 
ond'è tanto difficile a' furbi intender le donne. 

4. Molti si tengono più avveduti di voi, per- 
chè voi non degnate far mostra d'avvedervi 
de'lofo miseri avvedimenti. 

5. Chi non è ingenuo, reputa ingenuo chi 
faìe non è. 



6. Gli accorti credono tanto all' altrui dabbe- 
naggine, che non si saprebbe dire ài\ qua! 
banda la dabbenaggine sia maggiore. 

7. Il tìtolo di doppio è in società men terri- 
bile, che quel di semplice. 

8. Pare sovente malizia e senno, quel eh' e 
dabbenaggine od imprudenza. 

9: La &ma di «empliee è cosa comoda, per- 
chè libera dalla briga di parere furbo. 

10. Se rimbecillita non avesse i suoi vantag- 
gi, gr imbecilli non sarebbero tanti. 

1 1 . Gli uomini amano piuttosto essere ingan- 
nati del tutto, che delusi a mezzo. 

12. Ingenuo, a' Latini, non servo; agi' Italia- 
ni, sincero; a' Francesi, semplici. 

13. I men buoni si maravigliano e si ridono 
della fede loro mostrata da' buoni. 

14. Il perplesso è uomo semplice. 

15. Semplicità, par malizia ai maliziosi; ma- 
lizia, ai semplici, semplicità. 

16. I semplici ingannano, e con la fidanza 
della semplicità loro, e col rendere i proprii 
pensieri inaccessibili all'astuzia de' fraudolenti , 
che suppongono tutti simili a sé. Chi sta fer- 
mo scampa a chi corre contro di lui hnaginaii- 
dolo lontano. 

IP. 

PARAGONE TRA IL FURBO ED IL SEMPLICE. 

1« La doppiezza è da ultimo semplicità, o 
scempiaggine, secondo che meno o più rea. 



-^200 — 

2. DuplicHà scempiata: ecco la colpa é la 
scusa della genie di mondo. 

3. I quietoni son sempre più avveduti di quel 
che pare; i vìvaci, meno di quel che pare. 

4. La bontà e la semplicità spesso coprono 
astuzia. I più accigliati e pensosi sono talvolfa 
i più miti e più schietti, 

5. La semplicità^ ai depravati, pare raffinata 
doppiezza ; e jl vero, ironìa. Ài semplici, la dop- 
piezza pare innocenza. 

• 6. GrimbecUli pigliano l'ironia per davvero; 
. i tristi, il vero per ironìa. 

7. L'uomo nutrito d'arte^ sì crea un basso 
orizzonte di piccole astuzie; e più là, nulla ve- 
de. I suoi modi sono a un dipresso ì medesimi 
sempre. L'uomo ignudo d'ogni arte, posto al 
cimento, ha accorgimenti pindarici. 

8. L'uomo semplice tien l'occhio ali* uno; il 
corrotto, al molteplice; il provetto nel bene, dal 
molteplice trae nuove norme di più forte unità. 

9. Credere il male, è più semplicità, che cre- 
dere al bene; ma pare il contrario. 

10. I buoni e i non buoni sanno conoscere 
la marìuolerìa del furfante; ma i buoni aspet- 
tano di vederla alla prova, i non buoni, colla 
nìariuoleiia propria e col sospetto, la provo- 
cano e le fanno da levatrice. I buoni la cau- 
sano, e se ne dolgono; i non buoni le vanno 
incontro, e gioiscono, e solo han dispetto, quan- 
do non ne possono profittare. 

1 1 . I furbi s' accorgono dell' odio ; i semplici 
dejl' amore. 



L 



— 2(H — 
CAPO IX. 

I BIRBANTI. 

1. Gli uomini grandemente buoni o profon- 
damenle trisli, non parlano mai della tristizia al- 
trui ; quelli per indulgenza, questi per modestia. 

2. Spesso i più rei sono quelli che più par- 
lano di diritto. 

3. La mercatura, dice Cicerone, se frutla po- 
co, è vile ; se di molto, onorata. Il simile taluni 
dicono della furfanteria. 

4. Molli de' vizi;, in certe società, son puniti 
come il furto in Isparta. 

5. Non dell' essere colpevoli arrossiscono ta- 
luni, ma déir essere gratuitamente colpevoli. 

6. Taluni emendano le buone azioni con più 
zek), che non altri lo triste. 

7. Havvi un'ipocrisia che fa parere gli uo- 
mini più corrotti che non siano nell'anima; che 
aguzza r ingegno e la lingua al male; che tor- 
menta sé stessa, per parer disprezzabile. 

8. Il tristo che non sa quel che si fare di 
male, che si balocca ed aspetta, è gentilissimo. 

9. I cattivi, sovente pagano il fio delle colpe 
loro, col diventar progettisti 

10. Se potessimo penetrare nell'intimo di 
certe anime, interrogare i luoghi testimoni di 
memorabili avvenimenti, se levarci da terra e 
contemplare dall'alto la ruota corrente delto. 
umane vicende, morremmo tfw\§}i^^\^. 



-^202 



DEI BIRBxVNTl IN SOCIETI. 

1. Chi troppo facilmente acconsente appalti 
che voi gli fate, è talvolta men semplice che 
non paja. 

2. Non è da pretendere che uomo cattivo 
stolto con tutti , sia con voi savio e buono. 

5. Non vi fidate alla discordia de' tristi; si 
ricongiungeranno per nuocervi. 

4. Il più comodo alleato de' tristi, è la pian- 
golosa inerzia de' buoni. 

5. Quand'hai la disgrazia di far lega con 
un tristo, la meglio per liberarsene, gli è un 
pensare ai servigi che tu gli hai fotti. 

6. Non imponete condizioni ad altrui, che voi 
stesso poi dobbiate, per il vostro meglio, ri- 
trattare. 

7. I tristi vorrebbero essere amali da* buo- 
ni; e per questo sovente vestono le apparenze 
della virtù. Vorrebbero essere amati da' buoni, 
e non amano. Si sentono indegni d'amore; e 
di questo premio ambilo, disperano; e però odia- 
no i buoni, da' quali pur vorrebbero essere 
amati. L'odio loro è amor impotente. 

8. Difficile che i buoni nella compagnia dei 
malvagi non perdano, e che si faccian migliori 
in compagnia de' buoni i malvagi. Ma neces- 
sario. 

9. A una fonte pura s'abbeverano e agnelli 
e lupi; ma ì lupi non la corrompono col bere 

ài quella. 



— Sos- 
io. Non credere air altrui falsila; questa, 
nel commercio de' buoni co' tristi, è l' arte più 
penosa di tutte. 

11. Chi troppo dubita che voi dubitiate di 
lui, non sarà cattivo, ma sarà neppure inno- 
conto. 

IH. 

SEMPLlGITà de' birbanti. 

1. Dirittura di mente, non e mai senza retti- 
tudine d'animo. Il tristo ha sempre o dell' im- 
becille del matto. 

2. La malvagità affatto stolta, diventa o poco 
credibile ^ molto scusabile. 

3. L' uomo che si vanta di non fare il male, 
è ipocrita novizio, o un malvagio sciocco. 

4. I frodolenti che si vantano de' piccoli loro 
trionfi, sono i più stolidi de' bricconi. 

5. Noi dovremmo ringraziare i bricconi delle 
scappate che fanno. E' si svelano. 

C. Il malvagio è più credulo alla malvagità 
degli uomini, che il buono alla bontà. 

7. Chi cerca al mal fare uno strumento in 
altrui, s'agguzza sovente il ferro che lo tra- 
figga- 

8. Non crediate che chi serve alle vostre in- 
giustizie, lo faccia per puro amore de' maligni 
e del male. 

9. Degli strumenti che adopera il malvagio 
per premiare gli altrui misfatti, si serve la giu- 
stizia infallibile per punire i suoi. 



— 204"- 

10. L'uomo più reo, nel punire i rei, ne reca 
4) cagione la loro reità ; tanta forza ha la virtù 
nella conservazione di società buona o trista. 

11. Se i tristi non fossero tanto semplici, da 
pigliarsela con più tristi di loro, i buoni non 
avrebbero scampo. 

12. Il malvagio pensa talvolta piuttosto al 
trionfo e a' trofei, che alla preda; e cosi dà 
tempo alla pena, che lo raggiunga. 

IV. 

DEL GIUDICARE I BIRBANTI. 

1. Temete d'uomo che sempre vi dice: io 
sono un uomo onesto ; io la penso cosi, e non 
potrei altrimenti; io sono immutabile. 

2. I più cattivi, non son sempi*e quelli che 
fan più rumore. 

3. Più reo chi consiglia di chi fa. E sovente 
il silenzio^ l'omissione, consigliano. 

4". Certi uomini, certe donne, e certe cose, 
non se ne può dire né bene né male, senza 
pci'derei. 

5. C è de' tristi de' quali non bisogna nem- 
meno parlare ; ce n' è di cui parlare è onore- 
vole, perchè non senza pericolo. 

6. Fate conoscere i tristi ambigui, toglieteli 
dalle tenebre ; essi ne goderanno, e si manife- 
steranno da sé. 

7. La malvagità degli uomini giova, in quan- 
to ci fa esperti a conoscerla in altri, e a discer- 
nome i germi in noi stessi. 



8. Nel giudicare altrui, pensale sempre es- 
serci qualcosa più spregevole di quello che noi 
crediamo spregievolissimo ; e cosi compatirele 
ogni male, ma senza volerlo giuslificare. 

9. Siccome i pazzi conoscono lucidissima- 
mente le pazzie degli altri pazzi, cosi i pas- 
sionati e 1 viziosi veggono acutamente, e vitu- 
perano le passioni e i vìzi altrui. 

10. Molti si credono conoscere gli uomini, 
quando conoscono le colpe loro. E le cause? 
Che spesso vuol dire, le scuse? 

11. In ciascun uomo son due naturali, due 
temperamenti, due caratteri almeno. Chi a que- 
sto non bada, calunnia gli uomini e Dio. 

12. Nel sonno, talvolta Tuomo pensa di cose 
che non ha deliberatamente volute mai, non che 
fatte ; e pare fino a sé stesso più abietto di 
quel ch'egli è. Questo fatto singolare e tre- 
mendo c'insegni a temere le miserie della de- 
bole umana natura ; e' insegni a compatire i 
poveri pazzi, o i deliranti, che pronunziano cose 
turpi, senza mai forse avere in quelle fermato 
il pensiero. E la passione, non degenerata in 
vizio, è sovente una specie di follia. 

13. Chi muta di bene in male, non dite 
ch'egli era sempre così; chi di male in bene, 
dite che buono era, ma che tale a voi non com- 
parve, perchè non n' eravate voi degno. 

14. Quando siete suil' atto di condannare gli 
altrui portamenti, imaginatevi dì vedere l' uomo 
da voi biasimato, pronto a smentire o co' fatti 
o col pentimento la precipitosa condanna; e vi 
che tercle. 



V. 

DEL NON CALUNNIARE 1 BIRBANTI. 

1. Chi crede all'allrui bontà, è dello seni- 
plice ; chi crede altri malvagio, è stimalo pru- 
dente del mondo. 

2. L'uomo in società è quasi sempre cre- 
dulo o migliore o peggiore del vero. 

3^ Chi conosce la natura umana, può non 
conoscere gli uomini; chi conosce gli uomini 
alla spicciolata, sovente calunnia l'umana na- 
tura. 

4. C è degli uomini corrotti dall' educazione 
dagli abiti; depravati dalle massime false; 
tristi, perchè il male che pensano o fanno li ren- 
de cupi e torbi; cattivi, percliè il male che fanno 
e che pensano li rende vili: perversi del tulio, 
non ce n' è. Sempre nell' anima umana è l'i- 
stinto della rettitudine, il bisogno del bene. 

5. Certi rei sono innocui ; qualche innocente 
fa, senza saperselo, del mal grande. 

6. Azione buona che venga da uomo corrotto 
da principio falso, azione cattiva che venga 
da uomo buono, o da principio almeno in 
parte vero, son difficilissime a giudicare. Dio 
solo e scrutatore di tali segreti. 

7. Quando potete interpretare in nobile mo- 
do una parola, e le date senso ignobile, fate 
azione più vile del ladro. 

8. Molli credono cosa lecita e santa calun^ 
niare i cattivi. 



\ 



9. Coloro che pensano male d' altrui , ci si 
appongono, non lanlo perché il giudicalo è cat- 
tivo uomo, quanto perohè, credendolo catti- 
vo, lo fanno. 

10. I sordi, con persone nuove aguzzano 
r udito, e ci sentono meglio; i viziosi, con. per- 
sone nuove ambiscono talvolta mostrarsi mi'- 
gliori, e diventano. 

11. Chi gode deir essersi ingannato nel giur 
dicar male d'altrui, è anima proba. Chi si 
vergogna crucciosamente dell'inganno, colui 
stima più la vanità de' giudizii proprii, che la 
dignità dell'anima altrui; gli e per lo meno 
uno sciocco. 

12. Quando si veg$i;ono, sentonsi, e cono- 
sconsi gli uomini pratici, giungesi a spiegarli, se 
non a stimarli. 

13. La falsità dell'animo viene parte da de- 
bolezza, parte da ingegno male indirizzato, 
parte da esempii tristi. Sdegnarsene fortemen- 
te, è come prendersela con uno zoppo o con 
un appestato. 



— 208 — 

CAPO X. 



l'animo. 



1. Studii l'uòmo se stesso, in quanto sonii- 
glia agli altri uomini, piucchc in quanto ne dif- 
ferisce. 

2. Nelle cose morali, ad argomentare dall'ana- 
logia, spesso s'erra. 

3. Non sempre si giudican gli uomini colla 
propria esperienza, ma Iroppo sovente coirima- 
ginazione. 

^^^l 4. Chi dice: ti conosco, o ha troppo buona 
troppo cattiva opinione di voi. 

5. Il carattere degli uomini di società è ca- 
rattere calligrafico ; elegante, ma iacile ad essere 
falsificato. 

6. Per conoscere gli uomini , convien co- 
glierli in que' frangenti a' quali l'anima loro non 
era preparata. 

7. Uno può essere buono nelle cose ordina- 
rie. Ma s' obblighi a fare quel che non fece, ad 
omettere quel che faceva; s'egli in queste vi- 
cende conserva la sua indole uguale: ecco l' uomo. 

8. Non è facil cosa darsi a conoscere a tempo. 

9. E gli alti animi e i bassi, hann'alti e bassi 
pensieri; se non che, ai bassi animi i bassi pen- 
sieri vengono primi. 

10. Difficile antivenire le intenzioni altrui, 
senza far arrossire. 



— 209 — 

11. Siccome chi sa le parole a mente, può 
seguitar col pensiero un canto lontano, e crede 
sentirlo anche quando noi sente; cosi e nelle 
cose del cuore. Segue talvolta che colui che noi 
ci figuriamo d'intendere, muta registro; e noi 
pensiamo ch'esso ripeta la canzone medesima 
che da noi si sa a mente, ed e' dice tutt' altro. 
E quando da ultimo ce n'accorgiamo, bestem- 
miamo la perfìdia degli uomini. Non la perfi- 
dia altrui ci ha traditi, ma la nostra memoria 
tro^o fedele. 
„>^;;ipt3k. Volete voi conoscere le intenzioni d' un 
uomo? Badate s'è' pensa a unire gli altri uo- 
mini o a disunirli. 

15. Per discemere i veri buoni, metteteli In- 
sieme. Se non s'accordano, la virtù loro è appa- 
renza. 

14. Due uomini soli non si possono cono- 
scere l'un l'altro: ci vuole un terzo per farli 
conoscer bene. 



LE APPARENZE. 

1. Nel medesimo corpo avete forma, odore,, 
colore, e altre tali qualità, che non sono esso 
corpo. Cosi la virtù. I segni di lei non sono 
lei stessa. 

2. Nell'anima umana son suoli, come nella 
terra, commisti, distinti. 

5. Sotto alla leggerezza, all'imbecillità, all'i- 
gnoranza, si trova talvolta un fondo di malizia 
Tommaseo, Pensieri morali. ii 



— 210 — 

di senno o di dolore, che fa tremare di ri- 
verenza e di paura. 

4. Uomo valentissimo in certa condizione di 
cose, in altre e peggio che debole : pare tristo. 

5. Spesso gli uomini sono assaliti nel lato 
contrario al loro lato debole ; e tale assalto gio- 
va a mantenerli ne' pregiudizii che avevano, e 
ad ingannare la moltitudine intomo al mento 
loro. 

6. Certe citazioni e certe opere pie, fanno 
parere gli uomini dotti e buoni a buon mer- 
cato. 

7. L'uomo stimato per le qualità sue noce- 
voli può essere buono ; ma allora egli è tanto più 
sventurato , perchè diventa strumento della ma- 
lignità altrui. 

8. Le persone amflbie che bazzicano in luo- 
ghi e con uomini d'opposta natura, ianno e 
soffrono il male rassegnatamente. 

9. L' uomo che vi par dubbiò , se di questo 
suo essere dubbio non approfitta né ad utile né 
a vanità, e se ci dura, non diffidate di lui. 

1 0. Basta al vizio {talvolta un' apparenza di 
virtù, per essere sthnato; basta alla virtù una 
dramma di vìzio, per essere disprezzata. 

11. Nel più degli uomini son più le buone 
qualità eh' e' non vogliono avere, e d'avere non 
sanno, di quelle eh' e' vogliono e sanno. 

ì% L'uomo s' inganna più a giudicar male 
dell'uomo, che bene. 

13. Quel ch'era carattere, ora è colore. 



— 211 -- 
CAPO XI. 

SENSO DELLE PAROLE. 

1. Non giudicate l'uomo da sole le parole , 
h dalle opere sole. 

2. Siccome non si può dalla voce conoscere 
viso delle persone, cosi dalle parole i fatti. 

3. Certuni sono, quali dicono di non essere. 

4. Certi uomini sono un'esclamazione o un'i- 
)nia bipede e implume. 

5. Non pochi, col modo di pronunziare con- 
addicono al detto proprio. L accento, più che 
» stile, è Tuomo; l'accento è lo spirito. 

6. Due negazioni fanno un'affermazione; ma 
ili sovente due affermazioni negcino. 

7. Chi non sa tradurre, in società, non in- 
3nde nulla. 

8. Chi parla molto degli altri, intende dire 
i se. 

9. Chi ritrarrà con parole ogni forma del 
apore che vola, ogni color della nube che posa 
ul poggio ? Dove sono le parole che dicano i 
ioti, nella somiglianza si variati, del cuore? 

10. La parola dell'arte è luccicante, ma di 
ice fi^edda; la parola del cuore, brilla meno, 
lìa arde. 

11. Chi è guasto dall'arte, convien che stu- 
li , acciocché le sue parole non sìcn di sovcp 



— 342 — 

chic studiale. La prima che oniai gli viene al 
pensiero, e la parola e Timagine meno schiena. 

12. Le parole più semplici son più feconde, 
e di significato e d'affetto; non solamente per- 
chè, stancando esse meno l'attenzione, la mente 
ci si ferma più a bell'agio, e più vi s'illustra 
ed accende ; ma anco perchè le parole semplici, 
essendo delle più frequentemente usitatc, por- 
tano seco nell'anima tutti i varii significati in che 
Fuso le adopera, portano molte ìmagini e ricor- 
danze, e le portano accolte in acconcia unità. 

i 3. L' eccesso della maldicenza talvolta viene 
dal non sapere la forza e l'uso delle parole; 
e quel che pare tristizia, e goffaggine. • 

14. I sordi son più sospettosi e più cupi dei 
ciechi; perchè la parola è più necessaria all'a- 
nima che la luce ; e perch' essi veggono indizi! 
di cose che non intendono, onde la loro curio- 
sità è sempre tesa e mai soddisfatta : laddove il 
cieco ha per la parola indizio di cose che non 
vede, ha cioè più di quel che desidera. Gli uo- 
mini al bujo son ciechi; ma il sordo è sempre 
al bujo, e le sue sono tenebre visibili. 

POTENZA DELLE PAROLE. 

1. Ascoltate un uomo parlarvi Ire volte a tre 
settimane d'intervallo; raffrontate, e potrete co- 
noscerlo in parte. 

2. Più difficile bene interrogare, che bene 
rispondere. 



5. Una parola può compendiare una vita. 

4. Le parole dell' uomo di cuore fanno auto- 
ila quanto Y opere. 

5. Parlate dì quelle cose che ^li altri taccio- 
io o perchè non osano o perche non sanno ; e 
iirele parco e potente. 

6. Parlate, non come un libro stampato (Dio 
bberi!), ma come se le vostre parole doves- 
lero essere stampate o lette, sì dagli amici vo- 
Irì e si dai nemici. 

7. Badate quali delle vostre parole raffreddi- 
lo l'affetto la giovialità in altrui , quali sieno 
iccolte con silenzio, quali tronchino di colpo 
I discorso: e verrete a correggervi di molti 
lifetti. 

8. Altro ^ farsi sentire, altr'è farsi ascolta- 
e; altr'è ch'altri senta quel che voi dite; lo 
cnta nel cuore. Si fa sentire chi grida; si fa 
scoltare chi solletica la curiosità o le leggiere 
ogiie altrui ; chi sente in se, fa sentire. E chi 
lon bada che a farsi sentire o a farsi ascoltare, o 
lon sente, o sente torto. 

9. Ogni uomo o donna che senta, ha nello 
arole uno stile suo. Quello studiate, o scrittori, 
iù che i libri stampati. Attingete alla fonte vi- 
a, non alla bottega da caffè. 

10. Gli uomini dannila esagerano, o per farsi 
edere, o perchè sicuri di non essere visti. 

1 1 . La temperanza nell' usare le parole di ri- 
)nosccnza e di lode, dimostra che l'uomo prova 
curi questi sentimenti, e n'è degno. 

12. L'autorità della parola, del comando, dei- 



f 



— 214- 

i' esempio; cioè l'eloquenza, il governo, la virtù, 
uniscono le volontà disgregate; ma il primo e 
il secondo, senza il terzo, non bastano che per 
poco; poi fanno divisione più trista. 

13. Picchia, ma ascolta; dice ogni cosa. Egli 
ò il segreto e del dire e del fare. Chi s' è fatto 
ascoltare, ha vinto. Picchia ma ascolia; vale: 
picchia, ma lasciali curare. 



LOQUACITÀ. 

1. Se volete accordarvi, operate; se disunir- 
vi, parlale. 

% Il loquace non è veramente buono. Sarà 
non cattivo, ma né anco affettuosoa 

3. Loquacità contino va significa più sciocchez- 
za cattiva, che sciocchezza imbecille. 

4. Chi patisce e provoca l'audacia degli uomi- 
ni, crea i misfatti; chi avvezza le donne ciarlie- 
re, le fa corruttrici. 

5. Talvolta costa più dire una parola, che 
scrivere dieci lettere. 

6. La parola è come Toro; conviene sapere il 
tempo e di risparmiarla e di spenderà. 

7. Chi dopo detta una parola efficace, la vuol 
comentare, si mostra indegno di dirla. 

8. Chi loquacemente interroga, è poi stretto 
a rispondere ; e di giudice si fa reo ; e per na- 
scondere il vero che gli reca vergogna od in- 
comodo, si fa vile. Non fale parlare, se amale 
ch'altri non vi forzino a parlare voi. 



— 215 — 

9. Impedire o troncare a' minori di voi la pa- 
la, può essere peggiore ingiuria che le busse, 
1 il furto; perchè la parola è più sacra prò* 
ietà di ogni arnese; e perchè con la parola 
•yente, meglio assai che con altro, può Tuo- 
stornare o alleggerire i dolori. 
iO. Parlate quel tanto che basti a far par- 
re gli altri, o quel tanto che a farli tacere, 
i 1 . Le donne vi diranno delle cose inutili a 
re; ma gli uomini vi diranno delle cose che 
a necessario tacere. 

12. La donna che dicono loquace, ha più del- 
lomo la forza, Tumiltà, la dignità del silenzio. 

1 3. Gr imbecilli dicono meno sciocchezze dc- 
i ingegnosi; molte meno de* dotti. 

14. Se vedete un uomo che dice e dice, pen- 
te, ch'egli non ha nulla da dire, onde non 

come finirla; o ch'egli ha troppo da dire, 
ide non sa come si cominciare. 

15. A parlatori prolissi mettetegli in bocca 
morso delle interrogazioni stringenti, prepo- 
riti. • 

1 6. La donna non sa tenere i segreti dappo- 
; ma i gravi, meglio dell' uomo. 

1 7. D' un segreto, non giova parlare a lungo, 
! anche con la persona che n'è consapevole, 
prìneipal parte; per non avvezzare a sfoghi 
rieolosi la lingua. 

18. Chi riceve i segreti di due persone tra 
*o non amiche, si mette in pericolo di men- 
gna angosciosa. 



— 2i6 — 

IV. 

IL SILENZIO. 



«nw»^' 



::^^*Pofer tacere, è più sovente la più; deside- 
rabile libertà. 

^'2. Saper non rispondere, è più difficile, ebe 
rispondere. 

o. Il più efficace rimprovero a chi tiene di- 
scorsi lubrici comechessia spregevoli, è 
non se ne dar per intesi. 

4. Chi non intende i silenzi, non intende nep- 
pur le parole. 

b. Uno sciocco che sapesse tacere, sarebbe 
raro sopra il topazio. 

'■/6. Alle bestie si piglia tant' amore, per que- 
sta ragione tra l'altre, che le non dicono cor- 
bellerie. 

7. L'affetto vero insegna il silenzio; e però 
r eloquenza. 

8. Donna che ha lungamente taciuto l' amo- 
re, l'ha sentito fortemente. 

9. All'affetto, il segno è più possente della 
parola ; né la parola dice abbastanza mai senza 
il cenno. 

10. Il segno dice più delle parole a chi ama; 
è come la musica, alla quale ciascuno accompa- 
gna la canzone che gli can(a il suo cuore. 

1 1 . Ad anima ardente, le parole sono il mcn 
forte e mcn necessario de' linguaggi. Ella parla 
co' fatti, con gli atti, co' suoni inarticolati della 
iìfìf^uQ, co' taciti moli del labbro, con I' ac- 



cento della voce e con gì' intervalli che corrono 
tra parola e parola. 

Iz. Quante cose mai dice il ramo in bocca 
della colomba tornante! Dice che le acque ab- 
bassate, che la terra rasciutta, che al monte non 
è perduto il suo bello di prima, che il cielo è 
placato, che il rinchiuso nella casa galleggiante 
indugi ma sperì, ch'ella non s'è dimenticata di 
lui. Ma per dir tante cose con un sol ramo, in 
un sol volo, convicn essere, non corbo, co- 
lomba. 

1 3. Nuovo genere di poesia : guardare le cose 
che pajono inanimate, come linguaggio degli 
spiriti invisibili. 



CAPO XII. 

INDIZI! ESTERNI DELL'ANIMO. 

I. 

STRUTTURA. 

1. Soggetto di più scienze nuove: l'armo- 
nia de' sensi fra loro; le corrispondenze che 
corrono tra i colori^ i suoni, gli odori, i sapori 
e le qualità che si senlon col tatto. 

2. Il maggior numero de' grandi uomini è 
tra quc' di mezzana statura. I grandi uomini, e 



— 248 — 

della persona piccoli, .patiscono piccolezze di 
molle. Ma tra i piccoli e i lunghi, meglio quelli. 

3. Persona piccola , voce grossa : uomo 
schietto. 

4. Uomo tozzo, quand'è grossolano, è più 
grossolano di donna tozza. 

5. Gente di regione paludosa , ha l' anima tal- 
volta più grossolana, che crasso V ingegno. 

6. Le donne lunghe, men buone degli uo- 
mini lunghi. 

7. Nelle persone lunghe , gli atti e le altitu- 
dini più affettate non so se sien più frequenti, 
o se più dieno neir occhio. 

8. Le donne di piccola statura, se non son 
più che buone, perdono della modestia a do- 
ver sempre guardare in su ; le donne d' alla 
statura ne perdono a dover sempre guardare 
d' allo in basso. 

9. Le donne non grandi ispirano più peri- 
colosi amori ; perchè Y amore confondesi con 
un senso indistinto di pietà. 

10. Le più robuste donne non son quelle 
che suscitano gli amori più forti. 

11. Donna di grande corporatura, 'se si sver- 
gogni, è più svergognata ; sia che quella tanta 
materia più aggravi l'aura soave dell' amore; 
sia che il desidèrio altrui faccia parere quella 
tanta materia ancor più impregnala di con*u- 
zione; sìa che la forza stessa de' muscoli accre- 
sca all' orgoglio, e l' orgoglio alle brame ree. 

lì. Tra' grassi, scegliete i men bassi di sta- 
tura, come i più schietti. 



— a«9 - 

13. Uomo grasso e doppio, è doppio il doppio. 

14. Donna secca, più secca nell anima, che 
uomo secco; perchè la secchezza è men pro- 
pria alla struttura della donna. 

15. Persona smilza, cuore talvolta non buono. 

16. Donna snella nel corpo, avrà più snello 
Tingevo. Se leggiero, colpa degli uomini più 
che di lei. 

17. Non tanto la vita casta, quanto T anima 
pura d' odio e d' orgoglio , conservano per lun- 
ga età la bellezza. Perchè la carità è maggior 
cosa della castità. In tanto i vizii del senso 
speciahnente deturpano, in quanto fomentano 
r orgoglio e i dispregi. 



PORTAMENTO DECENTE, DECOROSO. 

1 . I movimenti del corpo , se non sieno in- 
convenienti, hanno in sé la ra.sjione di se. 

2. Ogni malacreanza è piìncipio o segno di 
vizio. 

5. Parte del bello e il conveniente; parlo del 
conveniente e il decente; il decente inchiudc 
purità e pulitezza. Gente sudicia non può avere 
intero il senso del bello. 

4. La decenza delle vesti e del portamento, 
è una tacita assicurazione del vostro rispetto 
verso la gente con cui convivete. 

5. Se c'è qualche ispirazione tuttavia negli 
sguardi e negli alti, è nella gente non dotta. 

C. Chi bene consideri, il conladino in mezzo 



!*•■ 



-^220 — 

alla sua famiglia buona ha più autorilà di pa- 
role, e sicurezza di cuore, e dignità di por la- 
mento, che non molti ricchi cascanti del cor- 
po e deir anima. 

7. Servitore che fa i suoi servigi attorno a 
voi troppo adagio o troppo in furia , non 
v' ama. 

8. Uomo che parla ritto in sulla persona con 
le gambe strette l'una all'altra e raccolte, non 
molto sincero. 

9. Non vi fidate alla grazia de' bambini, che, 
sola di per se, dice poco o nulla; e sovente ri- 
copre il male. Gli uomini e gli animali feroci 
hanno certi movimenti graziosi. Certfe anime fe- 
roci aflcltano la grazia; le donne che alTettan 
la grazia ,' sono per lo più senza cuore. 

10. Altitudine decente non può non essere 
graziosa; vincolo indissolubile stringe bellezza 
e pudore. Ma Y attitudine che cerca la decenza, 
che si studia d'evitar l'indecenza, è afleltata e 
sgarbala, perchè artifiziosa, e perchè le si ac- 
compagna il pensiero del male. 

in. 

SPALLE, MÀM, PIEDI. 

1. Non s' è mai osservata la proporzione che 
corre tra il collo ed il senno. E pure il collo 
e la regione del giogo. 

2. Le donne dal collo corto sentono più che 
le donne dal collo lungo. Gli uomini, credo» 
al contrario. 



3. Collo corlo e grosso : affetlo poco. 

4. Grosso nelle spaile, grossolano neir ani- 
ma, anche se buono. 

5. Ragazzo tozzo, con ispalle quadre, e viso 
paffulo; carnaccìa. 

6. L'ingegno de' gobbi, angoloso e falso. 

7. Ragazzo che sia inlirizzilo, e noi fa per 
^alvalichczza o timidità, è più povero di fonta- 
na che di senno. 

8. Tra i non sinceri, son forse più eh' hanno 
il pie piccino, che grosso. 

9. Dal passo, più che dal portamento di per- 
sona veduta alle spalle, si può giudicare l'età. 

10. Il passo può dire l'età, l'educazione, 
lo stato dell'animo; o l'uno o l'altro dei tr«; 
Lutt'a tre insieme, non può. Il simile dicasi 
(fogni altro indizio. Indizio non è prova. 

1 1 . Chi neir andare saltella , ha anima non 
bene ferma. 

12. Chi, pari pari, accompagna ogni passo 
con una picchiata di mazza, e porta la mazza 
un po' innanzi a se, pari pari : uomo uggioso. 

15. Se vi sentite alle spalle ciampeggiare un 
passo alTrettato quasi più del vostro, e mai 
non vedete chi vi raggiunga; dite che chi vi è 
dietro è più piccolo di voi. 

14. Il cavai Pegaso ha fatto sgorgare un solo 
Ippocrene; il cavallo di San Francesco ne fa 
spicciar mille. Il moto riscalda, col, corpo, il 
[Tuorc; rinfresca la mente. Quante ispirazioni 
ne' piedi ! 



1 



IV. 

ATTI. 

1 . Nel modo dì tenere le mani e ic braccia, 
si mostra l'anima. 

2. Pugna serrate y mani lente, o conserte in 
modo forzalo: anima o pensiero disavvenente. 

3. I leggieri alti e cenni, dicono più de' ge- 
sti badiali. 

4. Un cenno può ritrarre intera una vita. 

5. Le attitudini che Tuomo prende nel sonno, 
dicono r indole sua. 

6. V opportuna eloquenza degli atti e la po- 
tenza e la sapienza mirabile della donna. 

7. Dagli atti di donna non buona spirano 
alle anime giovani consigli malvagi, come da 
espresse e lunghe parole. 

8. Quando vedete mi garbacelo , dite : quella 
persona o ha in questo punto un pensiero igno- 
bile, ha l'abito del pensare ignobile. 

9. Chi per esprimere affetti miti e gentili, 
fa alti fieri o sconci: anima non delicata. 

10. Chi fa gesti imperiosi o violenti: ani- 
ma debole. 

H. Sovente il gesto dice il contrario di quello 
che vorrebbe dir la parola. Il gesto e l'atteg- 
giamento è sovente la più sincera parola del- 
l' anima.. 

12. Chi, parlando, fa gesti che non s'avven- 
gono al senso delle parole eh' e' dice, non sente 
rollo. 



— 289 — 

13. Ripetere le parole e gli atti l'uno dell' al- 
tro amato, gli è come riconfondere le anime. 

14. Ripetizione frequente del medesimo atto, 
stupidezza o mania. 

15. II bell'uomo e la donna bella, nel bel 
mondo, stanno sempre in sul recitare una parte. 
Ma specialmente il bell'uomo. 

16. Lo sbracciarsi, nella donna, pare talvolla 
più inverecondo che non sia; ma talvolta le 
meglio educate si sbracciano con men pudore. 

V. 

CAPO. 

1. Movere lezioso del capo, e sorridere: gente 
pretensionosa, piccosa. 

2. Chi nel parlare dà del capo innanzi; ha 
più lezii che affetto. 

3. Dondolare del capo, in donna , segno tal- 
volta di finzione o di stoltizia o di bramosia. 

4. Donna o fanciulla a capo alto, pericolosa; 
non perchè cattiva, ma perchè, se non vana, 
scapata, e diflicile al pentimento. 

5. Donna ch'alza troppo o troppo abbassa 
il viso, temerla. 

6. Viso supino, se non ingentilito dell'alletto, 
è sensualissimo. 

7. Capo alquanto supino e pendente da un 
lato: atto d'amore. 

8. Capo languidamente chino: donna affet- 
tuosa, e che sa tacere e le gioje e i guai del- 
l' affetto. 



— 224 — 

9. Capo chino e labbroni: caponaggiiie. 

10. Capo basso, e occhi che guardano intenti 
di sotto in su: non sincero. 

VI. 

CAPELLI, COLORITO. 

1. Anco il taglio de' capelli dice T anima; 

2. Capigliera lunga ad arte: uomo più vano 
che molle. 

3. I pizzi, invece di farli convergere, fa- 
teli scendere giù diritti verso la gola; avrete 
faccia diversa. 

4. Capelli biondini, amorosi jessi; più im- 
brunano, e più l'amore si fa serio. 

5. Le razze paffute sono più bionde, e le 
bionde, son più paffute. E secondo che V uomo 
assecchisce e rinforza, credo che i suoi capelli 
più tirino al bruno. 

6. Bionda sfacciata, più sfacciata che bruna 
sfacciata ; perchè sentendo men forte, ha meno 
tentazioni, onde il suo depravarsi è più reo; 
e perchè, depravata che sia , è più fiacca al ri- 
sorgere ed al rinnovarsi. 

7. Dal viso, dal colorilo, dagli occhi si può 
talvolta indovinare la voce. 

8. La tinta del viso e il colore degli occhi, 
considerati insieme, sono indizio dell'animo; non 
ciascuno da se. 

9. Tra' visi pallidi, men buona gente, che ìyb! 
coloriti; ma più d'ingegno. 

10. Nelle razze degenerate e affralite, il pai- 



Mre secco del viso dice debolezza e arroganza, 
oja e stizza, cupidigia e livore. 

11. II vario colore del viso, secondo i tempi, 
enola le mulazioni dell' anima. La donna mu(a 
fiorilo dair un'ora all'altra del di. Dunque volu- 
ile? No. Dunque docile. Dunque perfettibile. 
»unque da trattarsi con attenzione sempre no- 
ella, da non si disprezzare mai. 

12. Rossore improvviso che venga da do* 
)re, è possente a desiare fiamma d'affetto. 

13. La gioja che s'apre nel rossore, è quella 
he maestri ed amanti debbono ambire più. 

14. Donna che piùlangue d'amore, e più per- 
e di freschezza; più commove ed infiamma. 

TU. 

FRÓNTE. 

.^ Nella fronte è l'ingegno, l'anima, le più 
pirituali doti della bellezza. 
^Jl,' Grinze per la fronte, traverse: poco pen- 
ierp, 

-^. Fronte sformatamente grande a proporzio- 
le del viso: ingegno non ampio né profondo. 
^4C Nelle fronti basse è meno agilità di pen- 
derò, ma talvolta più senno. 

Sf. Fronte bernoccoluta : anime dure al bello. 
^^^/ Fronte corrugata fuor di ragione : segno 
ii pensieri o non buoni o non dominati. 
^^: Donna leggermente accipigliata ; più ama- 
3ile che se arridente. 

Tommaseo, Pensieri morali, ili 



— 226 — 

8. Le belle, più che Io brutte, hanno talvolta 
cipiglio feroce. 

^ 9. Le donne oneste, ma pedanti, hanno cèrti 
cipigli e garbacci, che pajono scellerate. 

10. I grandi pensieri, non contraggono, ma 
serenan la fronte. 

^Af. L'uomo non può leggere se non nella 
fronte e nel cuore e nelle parole altrui la spie- 
gazione di sé. 

LINEAMENTI. 

i. Faccia raccolta, fa ridere; allungata, move 
pietà. 
% Faccia schiacciata: donna sfacciata. 

3. Viso grosso, voce grossa : anima non de- 
licata. 

4. Faccia d' uomo ritondctta, rosata, e rugia- 
dosa: ingegno ritondetto, rosato, e rugiadoso. 

5. Guance rilevate, spengono il fuoco e ab- 
bujano il linguaggio degli occhi. 

6. I lineamenti , in donna , più delicati e più 
docili alle impressioni dell' affetto, non espri- 
mono chiaramente le qualità abituali, se non 
nelle brutte. 

7. Le linee del viso sono gran parte della 
potenza degli ocdii. 

8. Viso gentile, corpo sottile, come lo stelo 
di un fiore: donna fragile e buona. 

9. Viso bianco, bocca larghetta, gote pienol- 
/o: buona donna. 



— 227 - 

10. I Testili più meno stretti, comodi, ve- 
recondi, puliti, possono sulla forma e la sanità 
delle membra ; possono ancora sulla delicatezza 
de' lineamenti e sul colorito e T espressione del 
viso. 

1 1 . La pace de' lineamenti è primo indizio 
di grandezza ; chi fa lezii, garbacci, giurate eh' è 
poca cosà, perchè sente poco. 

12. Gli atti del viso, più son leggieri, e più 
dicono. 

13. I visi più gentili o più nobili son quelli 
che meglio esprimono con l'ammirazione l'af- 
fetto. 

14. L'espressione morale del volto, non già 
i lineamenti del viso, rende la figura antipatica. 
Il medesimo uomo, mutato dell' anima, può di- 
venire simpatico, che non era. 

1 $. Di persona non mai vista, la mente vuol 
pure a qualche modo figurarsi la statura ed il 
viso. Cercare le norme secondo le quali sìiralli 
imaginamenti si fanno, sarebbe sludio fruttuoso 
delle operazioni dello spirito umano. 

16. Cercare come la medesima fisonomia va- 
rii da maschio a femmina. 

17. Gli studi fatti sopra le fisonomie d'un 
popolo, non mollo giovano a conoscere dal viso 
la natura d'uomo d'altro popolo. 

NASO. 

1. Grande è il polere del naso nelle s^iav^i^c 
fìe (le'nwiialL 



-.228 — 

%. La civiltà può di molto sui nasi. In canv 
pagna non v' è da trovare que' nasi bisehenc^ 
bisbetici, che contristano le città. 

3. La bellezza del naso e de' denti e, come 
nello scrivere la bontà della lingua. Se e' è, di 
per sé è poco pregio ; se non e' è, vizio grande. 

4. Naso bello, talvolta, dice anima brutta. 

5. 11 naso simboleggia il corpo; là bocca, 
r anima. 

6. La modestia della flsonomia molto dipen- 
de dalla forma del naso. 

7. Le linee dal naso alla bocca fanno Y ama- 
bilità. 

8. Stabaccare a presine, e a bocchino pari: 
atto abito di canzonatore. 

9. Naso che s' inchina a baciare la bocca: 
ingegno poco. 

10. Bazza, e naso lungo; bontà. 

AJSCÓRA DEL NASO. 

1. Naso lungo, bocca larga, viso secco: uomo 
buono. 

2. Naso piccolo, labbra flne^ ma un po' spor- 
genti: furbacchiuoleria leggiadretta e schietta. 

3. Naso stringato: furbacchiuoleria mali- 
gnuceia. 

4. Naso ritto: anima per lo meno leggiera. 

5. Guancie rilevate, naso ritto: donna pu- 
dica forse, ma all'apparenza impudente. 

6. liaso ritto dà agli sguai'di non so che va- 



r 



galKHido, da non ispirare fiducia. Colpa sovente, 
non degli sguardi né. dell' anima, ma del naso. 

7. Il naso rineagnato toglie agli ocehi ogni 
espressione d'affetto. 

8. Pieghe dal naso agli angoli della bocca, 
e naso ritto: fisonomìa imperfetta. 

9. Occhi cerulei, naso lungo : donna forse non 
buona. 

10. Fra gente dal naso lungo, le donne sono 
men buone degli uomini. Perchè nelle donne 
è sventura il naso lungo; or i difetti del corpo, 
se non sono occasione di virtù, son radice di 
vizii e di errori. 

11. Naso gl'osso, in donna, indica talvolta 
difetli e di donna e d'uomo. 

12. Naso e faccia grossa: donna avveduta, 
ma buona. 

1 3. Naso grosso in viso non grasso, dice non 
so che tra il patetico e lo scimunito; e secon- 
do la lunghezza e le protuberanze, diventa as* 
solutamente o scimunito o patetico, 

OCCHI. 

1 . Chi ha vista corta, gli manca uno de' più 
possenti linguaggi dell'anima; non può inten- 
dere con gli occhi , e non è sicuro di farsi in- 
tendere; gli è separato, in certo modo, dalla 
società, con^ un sordo. 

% Nell'intensione dello sguardo leggesi e la 
potenza e la volontà dell' apprendere. Può l' qc« 
Mo essere debole, lo sguardo VùLVecvsfò. 



— 250 — 

3. AspeUo fiero, occhi mansueti: fidatevi. 
A. Occhi fieri, sorriso -piacevole: diEBdate. 

5. Secondo la differenza degli occhia il me- 
desimo senlimento dice tuU' altro. 

6. Uomo e donna che si somigiian negli oc- 
dii, s'aman eglino più? Qual somiglianza cor- 
porea fa più tenace l'amore? 

7. Occhi incavati e vivi, con pallore: viso 
potente. 

8. Solchi diagonali sotto gli occhi, le^iadri 
a vedere; trasversali, spiacevoli: indizio di vizii 
più che di passioni. 

9. Occhi cisposi e languidi, secchezza pal- 
lida: donna talvolta sensuale. 

10. Occhi piccoli e luccicanti in viso pio- 
colo: uomo pettegolo. 

il. Occhio troppo lucente, e che, neir osser- 
vare, mra: ingegno non forte. 

12. Talvolta nel brillare dell'occhio, l'affetto 
par come furberia. Per isciogliere il dubbio, 
guardate al sorriso. 

xn. 

SGUARDI DI BONTl. 

1. Lo sguardo di persona che tace, talvolta 
dice più, e più sincero, che lo sguardo di per- 
sona che parla. 

% Non guardar fiso né uomo né donna > e 
dimostra rispetto e lo concilia. 

3. Chi abbassa gli occhi mentre che voi gli 
parlate, è più sincero di chi abbassa gU occhi 
menti'e ch'esso a voi parla. 



4. Viso e occhi chini; la più sguajata fisono- 
mia si rinvergina. 

5. Nel grande amore e nel gran dolore gli 
occhi non parlano ; o chini, o velati di lagrime. 

6. Donna che non ti guarda e crolla il capo: 
dolore grande. 

7. Occhi ardenti d'amore rassegnato e dispe- 
rato, e lucenti di lacrime: tremendi suiranima. 

8. Occhi chini, e d'improvviso levati: pos- 
senti. 

9. Il levare degli occhi in allo è più polente 
in donna^che in uomo ; perchè men frequente, 
e meno pensato. 

10. La donna non è mai tanto bella quanto 
neir alzar gli occhi al cielo. 

SGUARDI SINISTRI. 

1 . Chi Siringe gli occhi parlando, cuore non 
delicato. 

2. Capo chino e fermo, occhio intento nel 
volto altrui: poco affetto. 

3. Derisore che osserva a occhi bassi: uo- 
mo vile. 

4. Occhi bassi in parlando, dicono o finzio- 
ne ribrezzo o scrupolo o non curanza. 

5. Chi, parlandoli, leva gli occhi in alto, sen- 
za guadarli mai: uomo falso o agitalo. 

6. Sguardo che si leva intento e fermo, sen- 
z'affetto: in giovane, è segno non buono. 

7. Non guardale sempre fiso; che fate lo 



i 



5."o 

sguardo iniportuno, e gli (ogliele significato e 
valore. 

8. Chi, dopo avervi detta cosa che creda es- 
sere a voi spiacevole , vi guarda fiso « freddo, 
per vederne l'elTetto; non ha nò corano né 
cuore. 

9. Chi vi guarda quando voi non guardate; 
non v'ama. 

10. Il luccicare arguto e sommesso degli oc- 
chi infida il sorriso, è segno d' animo non since- 
ro. Nel sorriso , lo sguardo dee essere lìbero e 
aperto. 

11. Guardale l'occhio, tuttoché ardente e bel- 
lo, di femmina corrotta; vi si vede per entro 
un fumo di desiderii che lo infosca, uno spirito 
di crassa malizia che n' esce 

1% Donna tropp' esperta dell'amore, ha oc- 
chi spiatori che ti freddano l'anima. Ma quando 
dl'arriva ad amare davvero, perde la sicurezza 
dello sguardo; ed, esaltandosi, s'umilia amabil- 
mente. 

13. Nello sguardo avvezzo alla sommessione 
forzata, è non so che bieco e sinistro, che non 
ingiustamente desta ne' potenti ingiusti il so- 
spetto. Meno l'uomo leva gli occhi, e più, 
quando li leva^ la sua gardatura appar di mi- 
naccia. 

14. La guardatura del servo, o di chi vive 
servilmente, o di chi fa atto servile, è o bieca 
od obliqua. 



BOCCA, MENTO. 

1. Non senza perchè, os i Latini dicevano 
tutta la faccia deir uomo. Nella bocca è lo 
spirilo. 

2. Non senza perchè, i movimenti e la for- 
ma della bocca dinotano l'anima più fedelmente 
che gli occhi. La bocca è la sede della parola ; 
e nella parola sono e il pensiero e l'affetto. 

3. Anco a certe bestie gli occhi son belli; 
le bestie; anco belle, hanno bocca disavvenente, 

Eerchè non parlano; gli uccelli che cantano, han 
ecco gentile. Nell'uomo la bocca, più che gli 
occhi, dice l' anima. Un moto delle labbra espri- 
me più, e più verace, che mille occhiatine od 
oechìacci. 

4. Bocca grande: anima di rado gentile. 

5. Bocca larga con largo sorriso: sincerità 
più affettata che vera. 

6. Certe bocche larghe pare che ridano o 
che piangano, quando non ridono o non pian- 
gono ; pare che dicano anima più buona di quel 
che è, ma cattiva non è. 

7. Troppa distanza dagli occhi alla bocca: 
fìsonomia spaventosa. 

8. Viso piatto, con guance non magre, e 
bocca non piccola: femmina sensuale. 

9. Donna che ha larga e piatta la mascella 
inferiore, non ha forte né sentimento ne in- 
gegno. 



^234 — 

10. Nelle generazioni fatte materiali dagli 
abili del vizio, sarebbe da osservare se la ma- 
scella iiìferiore acquista sempre sproporzionato 
accrescimento. 

11. Il mento, mutando gli atti della bocca, 
muta grindizii dell'anima. II mento parìa più 
in certa guisa degli occhi. 

12. Mento piccolo, indizio d'affetto; mento 
lungo e piano, freddezza; lungo e rientrante, 
perspicacia e fermezza; fossette al mento, gra- 
zia del corpo più che dell'anima. 

FORMA DELLE LARBRA. 

1 . Gli occhi dicono Y affetto momentaneo, le 
labbra dicono Tabito. 

2. Labbro grosso: delicatezza o poca o falsa. 

3. Labbro'^ superiore con fosscttina nel mez- 
zo: anima non alta. 

4. Bocca pari : malignità. 

5. Bocca pari: persona che par serena, ed 
é cupa. 

6. Labbro indentro: persona piccosa, e di sé. 

7. Labbro inferiore alquanto contratto: g^te 
veloce a vendetta. 

8. Labbro rovesciato : uomo non pessimo. 

9. Chi ha il labbro superiore ritto: cuore 
buono, ma ingegno poco. 

10. Labbra in fuori: persone di molte pre- 
tese, di, poco affetto. 

/i. £ egli più schietto chi ha il labbro di 
sopra sporgenle , o chi cva^^ ^^ ^vvQf\ 



— ^5 — 

ATTI DELLE LABBRA. 

1. Chi neir osservare mostra i denti: più sin- 
cero che ingegnoso. 

2. Chi tiene ie labbra aperte , e non è ne 
addolorato né assetalo; bada che non sia vano 
o ciocco, o un misto de' due. Ma tristo non è. 

3. A chi il labbro superiore, segnatamente 
nel commoversi o nel sorridere, s'alza un po' in 
su: cuor sincero. 

4. Labbro inferiore che nel parlare si rove- 
scia in giù, dice affetti non profondi e non alti. 

5. Labbro di sotto, nel parlare sporto in fuo- 
ri, e quasi riversato: ingegno mediocre. 

6. Chi parlando apre la bocca e socchiude 
gli occhi: uomo di non forte sentire. 

7. Chi parlando di cose tenere torce le lab- 
bra: non buono. 

8. Ogni moto soverchio della bocca dice 
pensieri disavvenenti. 

9. I moti delle labbra, non c'è precetto di 
Galateo che insegni a comporli ; ma sola la gen- 
tilezza dell'animo, educata dagli abiti. 

10. I troppo composti moti della bocca, dan- 
no più a sospettare, che i troppo incomposli. 

il. Anco un labbro bello, e indice di begli 
affetti, può da mali abiti o da momentanea pas- 
sione ignobile, essere ignobilmente atteggiato. 

12. La preghiera e il dolore meno gentili e 
tnen alti, fanno il labbro di sotto s^ovqgiivVfò% 



più alti e gentili, raccolto. I primi sfigurano, i 
secondi trasfigurano. 

1 3. Sporgere del labbro di sotto in parlando 
e recitando: pretensione d'amabilità orgogliosa. 

SORRISO. 

1. Dalla maniera di ghignare, sogghignare, 
sghignazzare, ridicchiare, rìducehiare, sorride- 
re, ridere sotto sotto, arridire, sganasciarsi, sbel- 
licarsi, scoppiare, crepar dalle risa; si conosce 
r uomo. 

2. Qual è più bugiardo? La parola o il si- 
lenzio? il sorriso. 

3. Chi si crolla nel ridere: poca mente. 

4. Chi ridendo si scrolla senza molto strepito, 
e tiene il capo basso: macchione. 

5. Chi non sa tenere il riso; forse migliore 
di chi non sa tenere il pianto. 

6. Chi sorride sempre, è più sciocco die 
tristo. 

7. Chi sorride sempre, e non ride mai: ba- 
datevene. 

8. L' amore vero , e ne' fanciulli e negli uo- 
mini, significa sé slesso più con le lagrime che 
col sorriso. 

9. Qual più sincera lagrima: della donna, 
dell'uomo? 

10. Donna che non sorrìde mai: da temere, 
il. Donna che sorrìde immota: non è com- 
mossa. 



12. Chi per sorridere aspetta che voi sor- 
rìdiate, e pure aveva pronto il sorriso; è più 
Turbo di voi. 

13. Bocca che non sorride, bocca di tristo; 
che sorride troppo e spesso; di vile. 

14. Chi sorride con gli occhi più che con le 
labbra: sincero. 

15. Chi sorride senza ghigno; e sente e sa- 
prebbe rendere la bellezza. 

16. Donna che sorridendo volge il capo a 
destra; più graziosa e più buona, che se a 
mancina. 

VOCE. 

1. Tutte le voci degli animali, se l'uomo le 
imita con la sua, sono spiacevoli a udire, ben^ 
che spiacevoli in sé stesse non sieno. Solo il 
canto di certi uccelli, bene imitato, piace; per- 
chè nella voce deir uccello è armonia più di- 
stinta da' suoni de' corpi che non han vita ; ar- 
monia quindi più prossima al mondo al quale 
appartìen la parola. 

% Tra il moto degli occhi e il suon della 
voce è una segreta armonia. 

3. Non giudicate dell'uomo, se non dopo 
sentito come pronunzia. 

A. Il patrizio non buono, se non nel porta- 
mento nelle parole o negli atti, ha nella voce 
non so che di spiccato o di pesante o d'arido, 
che mostra il suo sentire allo di se. 



1 



— 258 — 

5. Sarebbe da osservare se sia aleuna qua- 
lità ereditaria negli organi della voce. 

6. Ragazzo eh alza a un tratto la voce con 
grida smodate, segno che non ha appreso a 
vincere se stesso; e che la sincerità sua può 
pigliar mala piega. Questo, se le grida sono 
gravi; se acute però, miglior segno. 

7. Insegnate a' bambini moderare la voce. 
Moderare e già modulare. E chi modera il iato, 
saprà moderare T affetto. 

8. Moderate la voce, se volete darle effica- 
cia sugli animi. 

9. Chi tutte le cose profferisce al medesimo 
modo, non sente. 

10. Chi abbassa a un tratto la voce, è uomo 
che sente il suo torto. 

11. Chi grida le parole del cuore, le non 
gli cscon dal cuore. 

12. A voce alta esprimonsi più sovente gl'i- 
gnobili affetti che i nobili. 

13. Voce strillante: uomo imprudente, non 
perfido. 

14. Voce grossa in bambino piccolo: poco 
cuore. 

15. Voce grossa e in gola: poco pudore. 

16. Tra pei-sone dalla voce forte son più 
anime deboli che tra le d'acuta. 

17. Qual voce dice anima più doppia? La 
grossa, o l'esile? L'esile. 

18. Parlare lento e soave e^^lìcl naso; since- 
rità non profonda. 

19. Chi profferisce basso, spedito e senza 
^aiìelà d'accenlo: uomo foVso. 



20. Gerii buffoni, pronunziano più stentalo 
degli uomini gravi. 

21. Voce sonile e piana e in gola: uomini 
pacifici, ma da evitare. 

22. Chi vi parla in gola le parole del cuo- 
re: anima grossolana. 

23. Voce in gola e strozzala: più ingegno 
che anima. 

24. Voce velata ed in gola: anima non lim- 
pida né generosa. 

25. Voce acuta che vien dalla gola: anima 
non sincera né forte; voce arguta che viene 
dal petto: anima delicata e profonda. 

26. Voce sottile, e che fin nella gioja sa 
cóme di lagrime : anima nata a vincer d' amore. 

27. Non tutte le voci sommesse son delica- 
te ; ma le sommesse e snelle e vibranti, quelle 
dicono delicatezza possente. 

28. Le donne pure, ben oltre negli anni, fan- 
no ad ora ad ora sentir nella voce un accento 
di penetrante soavità che ferisce l'anima* 



— 243 — 

^v ^. '-J3, Les grandes prospériics ìic soni qu'ufl 
(issu de pciits inalheurs. 
-^^5. Toul ennui est un appel à Dieu. 

!24. Il n'y a que les àines délicates qui coni- 
prcnnent les senliments forts : il n'y a que les 
àmes fortes qui comprennet les senliments de* 
licals. 

25. Il n'y a de grace véritable que dans les 
inouvcments et dans les paroles qu'une huini- 
lite sincère inspire et dirige : tout le reste n'est 
qu'affólerie et mignardiso. 

^. L'amourvéritablene diljanìais:j'atlrape; 
- '*fì dil: je suis atlrapé, et il se laisse fairc. 

- " JìT' Les femmes aiment ceux qui font beau* 
~^' coup pour elles, ou bien ceux qui ne font rien 

de tout. 

28. On ne eonnoit une femnie qu'aprés l'a- 
voir vue sourire. 

^^^29. Les paroles que la fcnnne ne dU pas soni 
ics plus cloquenles. 

- ; ,: :3b. Tel cric courage qui craindrail d'en avoir. 

. 31. La Providence est la iogique dcs grand» 
«^^ ' ésprits : la Iogique est la providence des sots. 

32. Le Christianisme ne crée pas les difficul- 
tcs, il les constate, et, par là méme, il aide à Ics 
vaincre. La philosophie , en les niant , ne fait 
que les aggraver. 

'33. Le Christianisme est le stoicisme agrandi 
par l'amour, rhumilité et respérance. 

34. Gertains prétres d'aujourd'hui se dcla- 
chent des hommes plutót que des choses: c'osi 
aìnsì qu'ils comprennent l'abnégation. 



,-»-^55. Le clcrgc corrompu nieurt de pouvoir 

temporel rentré. 

,.^«^6. L'hérésie divise, elle esl dono Tauxiliairc 

de la tyrannie. 
^ ^. L'ineredulité doute, et tout en douiant - 
'" elle affirme: c'est donc elle, et non pas la foi, 
^ qui est un prejugc. 

22^SI1^. Dans robscuriié il y a doute; dans la 

'clarié il y a mysthère. 

^^aSfi* L'extase yaut mieux que Tanalyse. 



FINE. 



INDICE 



V 



Al Lettore pag. b 

PARTE PRIMA. 

VIRTli, PASSIONE, VIZIO. 

CAPO I. 

I. Del desiderio > 7 

IJ. Del piacere %•» 8 

m. Noja. . » iO 

CAPO IL 

L Piacere e dolore > ii 

IL Necessità del dolore » i2 

III. Gioje del dolore » ìd 

IV. Segni del dolore » i5 

V. Pudor del dolore » 16 

VL Scienza del dolore ti 17 



— 246-- 

CAPO ni. 

I. Moralità delle azioni pag, 18 

II. Condizione della virtù ....... 31 

III. Norme di virtù » 23 

IV. Agevolezzer della virtù > %l 

y. Deli' imperfetta virtù . > 96 

VI. Del giudicar la virtù > 2B 

CAPO IV. 

I. Corso delle passióni > 51 

II. La passione e la riflessione . ...» 52 

III. Le passioni ingegnose . . ^. . . . > 54 

CAPO V. 

I. Conseguenze del male » 55 

IL Contagio del male > 58 

IIL Scandalo > 40 

CAPO VI. 

L Del rimorso non buono . . . . . » 41 
IL Del buon pentimento ....... ^ 

PARTE SECONDA. 

. • 3 

AFFETTI BUONT E REI. 
CAPO L 

I. Ammirazione torta ........ 47 

IL Ammirazione giusta » 49 



CAPO IL 



Natura affettiva dell' anima umana . pag. SO 



Affetto buono 

. L'affetto buono e l'intendimento retto. 
. Affetto guasto 

Di chi non ben sente l' affetto . « . 
. Di chi non bene intende l'affetto • • 
I. Simpatia ed antipatia 

CAPO HI. 



Dell'iamicìzìa vera 
Amicizia apparente 



CAPO IV. 

Natura dell'amore 

Principio dell'amore . 

[. Condizioni dell'amore 

'. Pensieri d'amore 

Diffidenze |d' amore 

L Del nobile amore 

[I. Amore ignobile 

[IL Cause ed effetti dell' ignobile amore 
L. Fine dell'amore 



CAPO V. 



Amore nella donna .... 
Senno d'amore nella donna . 
L Coraggio d'amore nella donna 



54 
85 

58 
59 



60 
62 



65 
64 
65 
66 
67 
68 
69 
70 
74 



73 
74 



IV. Un po' di male delie donne . . . .pag, 76 

V. Seguila » 78 

VI. Bellezza ...» 79- 

Vn. Effetto della bellezza » Sa 

CAPO VI. 

I. 11 matrimonio . > 82 

II. Matrimònio e virtù » 85 

III. Autorità maritale ......*..» 8S 

IV. Concordia conjugale > 87 

V. La madre *....» 89 

CAPO vn. 

I. Del sentire i dolori altrui » 90 

IT. Compassione inefficace ....... 91 

in. Compassione efficace » 92 

iV. Del soccorrere alle sventure . ...» 93 

CAPO VIIL 

I. Speranza » 93 

II. Diffidenza , dubbio ; » 97 

III. Sospetto ...» 98 

CAPO IX. 

I. Timore » 99 

II. Vikà » 400 

III. Inerzia ....;.......» 102 

IV. Audacia » i04 

V. Coraggio » ivi 



CAPO X. 

Irai ptxg. i06 

Impazienza ...» 107 

[. Pazienza vera. .......... 108 

'. Pazienza passiva » iO& 

CAPO XI. 

Del disprezzo » IH 

Pena del disprezzo . i 145 

CAPO xn. 

Ambizione ......'.....» Ii4 

Vanità • .... j 115 

. Vanto . • 117 

CAPO XIII. 

Mattie dell'orgoglio » 119 

Cause dell'orgoglio ed effetti ...» 120 

. Vergogna orgogliosa » 121 

. Umiltà » 123 

CAPO XIV. 

Curiosità » 125 

Scherno » 127 

Scherno e calunnia » 128 



CAPO XV. 

I. Maldicenza pag. 150 

IL Bontà e maldicenza » 151 

III. Maligni(à 9 ÌM 

IV. Invidia » 153 

CAPO XVI. ^ 

I. Odio, inimicizia » 154 

lì. Dell' ingiuria^ e del contendere . . . » i56 

CAPO XVU. 

.1-^ Deir offendere » 157 

II. Deir offendersi > 158 

IH. Conseguenze dell* offesa » 140 

IV. Della vendetta » 141 

CAPO xvin. 

I. L'avarizia » 143 

IL II danaro » 144 

CAPO XIX. 

I. Le spese » 14!ì 

II. Il ricco . » 147 

IIL I fortunati ...» 148 

IV. t forti e i deboli > ISO 



— st — 

CAPO XX. 



I. l'infelice . . : pag. 152 

IL Vantaggi della sventura > i53 

in. Piaceri del povero » dM 

IV. La sventura abusata » i95 

CAPO XXI, 

I. Del chiedere e dell' offrire » 12(6 

IL II benefizio virtuoso < > 157 

IH. Arte del benefizio, e mestiere ...» 1S8 

IV. Il benefizio sciupato » 199 

CAPO XXII. 

I. La sconoscenza » 16i 

IL La gratitudine >163 

PARTE TERZA. 

ftOClETl. 

CAPO L 

L Solitudine » iG7 

IL Frequenza > 169 

III. La vita del mondo > 170 

CAPO II. 

I. Decoro nell'urbanità » 17:2 

IL UrbanKà menzognera > 173 



— zKZ — 

CAPO IH. 

I. Del dire il vero » ì7j 

IL Bugia . . » i76 

CAPO IV. 

I. Del lusingare > 179 

li. Del cedere alle lusinghe » i80 

CAPO V. 

I. Le male lodi . . » i8i 

IL Adulazione » i83 

HI. Lodi e biasimi > i84 

IV. Del lodare affettuoso » Ì8C 

V. Come accogliere la lode » i87 

CAPO VL 

L Del consigliare » i89 

IL Dell'operare » iUa 

CAPO VH. 

L Del fine » iU2 

IL De' mezzi » 194 

HI. Del posto che l' uomo tiene nel mondo . » 195 

CAPO VHL 

I. I furbi » 19(5 

H. I semplici * . . » 198 

IH. Paragone tra il furbo ed il semplice . » 199 



i. 



CAPO IX. 

I. I birbanti pag. 2(M 

U. Dei birbanti in società » 202 

III. Semplicità de' birbanti » 203 

IV. Del giudicare i birbanti > 204 

V. Dei non calunniare i birbanti ...» 20G 

CAPO X. 

I. L'animo ...» 208 

IL Le apparenze » 209 

CAPO XI. 

I. Senso delle parole » 211 

IL Potenza delie parole » 212 

IIL Loquacità » 214 

IV. Il silenzio » 21G 

CAPO XII. 

IKDIZII ESTERNI DELL* ANIMO. 

I. Struttura » 217 

IL Portamento decente, decoroso . • . > 219 

IIL Spalle , mani , piedi . » 220 

IV. Alti » 222 

V. Capo » 225 

VI. Capelli, colorilo » 224 

VII. Fronte » 225 

VIIL Lineamenti » 22G 



— 2o4 — 

IX. Naso pag. 227 

X. Ancóra del naso » 228 

XL Occhi » 229 

XII. Sguardi di bontà > 250 

XIII. Sguardi sinistri » 2Si 

XIY. Bocca, mento » 233 

XV. Forma delle labbra » 234 

XVI. Atti delle labbra > 235 

XVII. Sorriso 256 

XVIII. Voce .257 




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