Monti, Vincenzo
Poesie politiche
POESIE POLITICHE
DI
VINCENZO MONTI
ITALiA
1858.
FLORILEGIO POLITICO
POESIE POLITICHE
DI
VINCENZO MONTI
: pg
ITALIA
1858.
.
DEC I *
.
SONETTO GODATO
SCRITTO IN ROMA l' ANNO I7É
Qui nie commoTit ( melius non tangere, clamo)
Flebit } et insignis tota cantal itur urie.
Hot. 1. II , sat. i.
A adre Quirino , io 60 che a Maro e a Fiacco
Die l' invidia talor guerra e martello :
Io so che Mevio fu molesto a quello ,
Pantilio a questo , e fu villano attacco.
Ma dinne : avean coloro il cor vigliacco
Come i vigliacchi che a me dan rovello ?
Venian di trivio anch' essi e di bordello
Briachi di livor più che di Bacco ?
Squadrali tutti ad uno ad uno , e vedi
Ch'ei sono infami non aventi il prezzo
Neppur del fango che mi lorda i piedi.
Come abbian carca l'anima di lezzo
Brami , o padre , saper ? Storia mi chiedi
Che risveglia per dio sdegno e ribrezzo.
Questi che salta in mezzo
Picciol di mole e di livor gigante ,
Di menzogne gran fabbro , e petulante
Celebrato furfante ,
Cui del ventre la fame i versi inspira,
Onde son nomi di vergogna e d'ira
Azzodino e Saira, (i)
(*) Titolo di fischiata tragedia,
VI
Questi jer l'altro mi baciava in viso".
Non istupir: quel ladro circonciso,
Per cui fu Cristo ucciso ,
Gli fu maestro, ed impiccossi al fico.
L' altro , a cui fanno le parole intrico
Sovra il labbro impudico,
Di Pilato è il cantor mimico e sordo ,
Fra i giumenti d' Arcadia il più balordo.
Di cicalecci ingordo
Gli vien di costa il trombettier di Pindoj
L' universale adulator Florindo.
Buffon canuto e lindo ,
Cbe mai vivo non fosti , io non m' abbasso
A ragionar di te, ma rido e passo.
Oli di nequizie ammasso ,
Cbe tolto dianzi avresti il manto a Ròcco,
Vissuto di limosina e di stocco,
Insaziato pitocco!
Strazio d' oreccbi , ciurmador convulso ,
Sempre fabbro di motti e sempre insulso ,
Che al male oprar l' impulso
Fin dagli stessi beneficj hai preso,
Dunque tu pur m' affronti, e 1' arco hai teso
Neil' arena disceso ?
Dimenticasti presto, Irò novello, (**-)
Lo sdrucito calzar, l'unto mantello
Onde ti fea sì bello
Di vecchi cenci il venditor Giudeo.
Cangiasti i panni , e non cangiasti il reo
Sentimento plebeo.
C) Pezzente famoso nell' Odissea.
VII
E poiché l'epa empiesti insino al gozzo,
La man mordesti che ti porse il tozzo.
Or tu mi dai di cozzo ,
Né rammenti il passato. Esser sofferto
Ruffian potevi , e detrattor diserto
D'ogni più saldo merto,
E proco de' Batilli e sgherro e tutto,
Ma non ingrato. Or va ; lungi ti butto ,
Vaso d' ira e di lutto :
Tu chiudi feccia impura troppo e torba,
E mandi un puzzo che le nari ammorba.
Vuoi tu, Quirin, ch'io forba
La cute agli altri ? Un vende a tutte voglie
Della figlia la carne e della moglie.
Veste un altro le spoglie
Di Levi, agnello in volto ed in cor lupo,
E la contrada semina di strupo.
Da toscano dirupo
Qual venne , e scrigni e fracassa 5
Qual è brigante , truffator , bardassa.
Ed altri l'estro ingrassa
Nelle taverne , e di Lieo si spruzza ,
E con Ascanio s' imbriaca e puzza. (***)
Altri è rasa cucuzza
In vii cappuccio avvolta e si dimena
Di serafico brodo unta e ripiena.
D'Aliberti la scena
Sporca tal altro con nefande rime
Poltron, censore ed animai sublime.
Dove voi lascio ; 0 prime
(***) Nome d'un tavernaio.
TIIT
Bestie di Fin Jo , che v' avete eletto
Fra stalle e mondezzai raminghe il tetto?
O ben degno ricetto !
U' fan eco al grugnir vostro infinito
De' cavalli le zampe ed il nitrito.
E tu pur mostra a dito
N'andresti, o cinerea scappucciata, o sue
Pria d'Agostino, ed or di Pietro bue.
Ma sulle colpe tue
Tacciasi : intera ti darò la mancia
Se alla cicala tenterai la pancia.
Dopo costor poi ciancia
Il mietitor di barbe, il calzolajo,
Il merciajo, il beccajo, il solumajo,
E mi stracciano il sajo
Indegnamente : ed io le spalle gobbe
Feci finora, e più soffrii che Giobbe.
Or mia ragion conobbe
Esser pur tempo di spiegar 1' artiglio.
Dammi, padre Quirin, dammi consiglio.
Risposta di Quirino.
Ammorza l' ire , o figlio.
Morde e giova l'Invidia: e non isfronda
Il suo soffio l' ailór , ma lo feconda»
LA PACE
DI CAMPO-FORMIO
VERSI
CANTATI ALLA MENSA DEL GOVERNO
IN MILANO
*797-
D,
'olce brama delle genti,
Cara Pace , alfin scendesti 5
E le spade combattenti
La tua fronda separò.
Neil' orribile vagina
Già nasconde il brando Marte j
Già l' invitto Bonaparte
Il suo fulmine posò.
Delle madri dolorose
Sono i palpiti sospesi ,
Tace il pianto delle spose,
Spunta il riso lusinghier.
E sul petto al salvo figlio
Cerca il padre la ferita,
E superbo altrui l'addita
Lagrimando di piacer.
X
Riconduce allegro al prato
Il pastor le care agnelle :
Torna il solco insanguinato
Grave il vomero a sentir.
E il villano al foco assiso,
Mentre il vento intorno stride.
Sulle stragi , che già vide
Fa gli amici impallidir.
Per le case , per la via
Scorre libero il piacere;
Un' amabile follia
La ragion rapisce e il cor.
E convivj , e danze , e canti
Di donzelle e di guerrieri ,
E un percoter di bicchieri
Coronati dall' amor.
Dolce brama ec.
Posò P asta e la lorica
La tremenda Dea d' Atene,
Dalla bellica fatica
Ristorando il suo pensier.
Del canoro Mincio intanto
Sul fecondo erboso piano
Il trifoglio Mantovano
Van pascendo i suoi destrier.
Ma dell' attica reina
Le seguaci Inachie figlie
Stan nell'onda Eridanina
La grand.' egida a lavar ;
La grand' egida > tutela
D' un novello Diomede 3
Che. del greco ardire eredo
yenne Italia a liberar.
XI
Del tuo scudo , o Dea Minerva ,
La vast' ombra immense schiere
Copre in campo e le conserva.
Copre intere le città.
Deh proteggi, o forte Diva,
Nostre mura e nostre leggi ;
Questo tempio deh proteggi
Dell' ausonia libertà !
D' Acaclemo e del Liceo
Qui ravviva il prisco grido ,
Sorga un altro Pritaneo
D' onor meta e di virtù.
E sian scherno sulle scene
In catene - trascinati
I tiranni detestati
Dalla fiera gioventù.
Dolce brama ec,
Ma voi , forti giovinetti ,
Della patria dolce speme ,
Rivestite i caldi petti
Di costanza e di valor.
Né dal fianco lungo vada
Mai la spada - un sol momento T
Muor l'olivo - d' onor privo
Senza attento - difensor.
L' alemanno augello infido
A schiantarlo aperta ha l' ugna.
Prodi , all' armi ; alzate un grido
Di coraggio e libertà.
Libertade o morte , tutti
Esclamate , e mano al brando.'
Fortunato chi pugnando
Per la patria morirà.
xrr
Sulle tombe pianti e fiori
Spargeran le pie donzello :
Ma vivrà nei nostri cuori
Il valor che vi scaldò.
Prodi, all' armi ; alzate un grido
Di coraggio, e mano al brando.
Fortunato chi pugnando
Per la patria sua spirò.
PER LA FESTA
NAZIONALE
DEL MDGCGIII
ODE
F
ior di mia gioventute ,
Tu se' morto , né magico
Carme ahi ! più ti ravviva , o fior gentile,
E tu , cara salute ,
Tu pur mi fuggi , e vendichi
Nel rio Novembre le follie d'Aprile.
Deh riedi, o Dea; perdona
Antiche onte, e votiva
T' appenderò corona
Di fior, che l'aure di Brianza educano,
O del Lambro la riva.
Piacciati a' miei desiri
Sol di tanto sorridere
Che porre un inno sulla lira io possa ,
Inno , che gaudio spiri ,
E il cor tocchi dell' Itala
Donna , due volte a libertà riscossa.
Dono d' amico Dio
Riede , e d' auro ha le chiome
Il dì, che patria anch'io
M'ebbi, e soave mi suonò nell'anima
Di cittadino il nome,
XIV
Nome Sacro , onorato ,
Che tutti abbracci e temperi
Dell' uom dritti e doveri in armonia .
Onde forza ha lo Stato,
E per alterni vincoli
La consonanza social si cria ;
Fra i superbi tu suoni
Stolta cosa abbonita ,
E terror metti ai troni :
Ma di te sol s' adorna ogni magnanimo ,
A cui la patria è vita.
Proterve e nequitose
Alme gì' infranti piangono
Ceppi, e di nuova servitute han spene 3
E a tanto rio sdegnose
L'ombre in Marengo fremono
De' forti , che spezzar nostre catene.
Sull'Istro il cor rivola
D' iniqui assai , che il soglio
Mal zelando e la stola ,
Novellamente il pio pugnai preparano,
L'auree croci, e l'orgoglio.
E con gioia crudele
Seguendo sull'atlantica
Onda le folte caledonie antenne,
Alle perfide vele
Pregan contro la gallica
Virtù propizie d'Aquilon le penne.
Re de' venti , percoti
L' infide prore , e sferra
Gli Euri sonanti e i Noti ;
E tu dell'onde imperato!-, tu vindice
Scotitoi- della terra,
XT
D' ambrosia rugiadosi
Dalle stalle etiopiche
Traghi i verdi cavalli, e col tridente,
Dei Telcliini operosi
Fabbricato all' incudine ,
Svelli, sommergi, Enosigéo possente,
La grifagna Albione.
Assai del nostro danno
Crebbe avaro ladrone ,
Che dalle nasse alzossi e dalla burchia
Dell' Europa tiranno.
Falsar, mentire , ai patti
Romper fede e sospendere ,
Qual merce in libra , della terra il pianto j
Acquistar per misfatti
Possanza infame, e al punico
Corsal rapire di perfidia il vanto j
Ecco P arte e gì' ingegni
Della sleal , che il Franco
Valor sfida , e gli sdegni
Del gran Guerriero , a cui già compra e medita
Ferro assassin nel fianco.
Spegneasi al dolce canto
Della tebana cetera
Il rovente di Giove eterno strale,
E sullo scettro intanto
L' aquila assisa in placido
Sonno i grand' occhi declinava e P ale.
Delle mie corde al suono
Prego P ira si svegli
Del Celto Giove e il tuono ,
Fin che col Russo alfin rabbuffi all' anglica
Marcatrice i capegli.
xvr
Gravar 1' empia si spera
La terra e il mar, che libero
A tutti ondeggia, di servii catena,
E già selvosa e nera
Di sue tonanti roveri
Mugge l'Adriaca Teti e la Tirrena;
Ma di tal padre è nata
L' Italica Donzella,
Che con rigoglio guata
I suoi perigli , e ride e danza al fremerò
Dell' inglese procella.
Ve' che saltante ed ebra
D'alta letizia il candido
Natal suo giorno con palestre e ludi
Banchettando celebra ,
Cui dan l'Arti e l'Olimpiche
Muse la norma, e Aglaja e i Piacer nudi;
Né fra i canti e la polve
Circense il rilucente
Brando dal fianco solve.
Di Marengo ella nacque in mezzo ai fulmini ,
E il padre in cor si sente.
Tale , allor che con guerra
Temeraria tentarono
Turbar Giove, e rapirgli il lampo e il tuono
I figli della Terra
Congiurati a rescindere
Del ciel le mura ed il Saturnio trono ,
Romoreggiando fuora
Del divin capo allegra
E neh" armi sonora
Balzò Minerva, e la paterna folgore
Vibrò secura in Flegra.
XVII
Poi del sangue già tersa
Degli squarciati Anguipedi
Col gran padre esultando al ciel saliva
Di calda strage aspersa
L' asta frattanto e 1' egida
Lavan cantando sull' Inacliia riva
Di Pelasgo le figlie ;
Mentre ancor polverose,
E sciolte 1' auree briglie
11 trifoglio Erettéo pascon le vergini
Puledre bellicose.
IL
CONGRESSO D'UDINE
i798.
A,
gita in riva dell'Isonzo il Fato,
Italia , le tue sorti , e taciturna
Su te l'Europa il suo pensier raccoglie.
Stansi a fronte, ed il brando insanguinato
Ferocemente stendono sull'urna
Lamagna e Francia con opposte voglie ;
Ch'una a morte ti toglie,
E dàrlati crudel l'altra procura.
Tu muta siedi ; ad ogni scossa i rai
Tremando abbassi , e nella tua paura
Se ceppi attendi, o libertà non sai.
Oh più vii, che infelice! oh de' tuoi servi
Serva derisa ! Sì dimesso il volto
Non porteresti , e i pie dal ferro attriti ,
Se del natio vigor prostrati i nervi
Superbia ignavia non t'avesse, e il molto
Fornicar co' tiranni e co' leviti.
Onorati mariti ,
Che a Caton preponesti, a Bruto, a Scipio!
Leggiadro cambio , accorto senno in vero ;
Colei che l'universo ebbe mancipio,
Or salmeggia, e una mitra è il suo cimiero.
nix
Di quei prodi le sante ombre frattanto
Bomor l'anno e lamenti entro le tombe ,
Cbe avaro pie sacerdotal calpesta ;
E al sonito dell'armi, al fiero canto
De' Francia mirmidoni e delle trombe
Susurrando vendetta alzan la testa.
E voi 1' avrete e presta
Magnanima ombre. L'itala Fortuna
Egra è sì, ma non spenta. Empio sovrasta
Il Fato, e danni e tradimenti aduna,
jNIa contra il Fato è Bonaparte; e basta.
Prometeo nuovo ei venne, e nell'altera
Giovinetta virago Cisalpina
L' etereo fuoco infuse , anzi il suo spirto.
Ed ella già calata ha la visiera ,
E il ferro trae, gittando la vagina,
Desiosa di lauro, e non di mirto.
Bieco la guata ed irto
Più d'un nemico ; ma costei noi cura.
Lasciate di sua morte , o re, la speme.
Disperata virtù la fa secura ,
Né vincer puossi chi morir non terne.
Se vero io parlo, Cremerà vel dica,
E di Coclite il ponte, e quel di Serse,
E i trecento con Pluto a cenar spinti.
E noi lombardi petti e noi nutrica
Il valor, cbe alle donne Etnische e Perse
Plorar fé' l'ombre de' mariti estinti.
Morti sì, ma non vinti,
Ma liberi cadremo, e armati, e tutti.
Arme arme fremeran le sepolte ossa ,
Arme i figli, le spose, i monti, i flutti j
E voi cadrete, o troni ; a quella scossa.
XX
Cadrete- ed alzerà Natura alfine
Quel dolce grido che nel cor si sente,
Tutti abbracciando con amplesso eguale.
E Ragion sulle vostre alte ruine
Pianterà colla destra onnipossente
L'immobil suo triangolo immortale.
Ira e fiamma non vale
Incontro a lui di fulmini terreni,
E Forza invan lo crolla e 1 Impostura.
Dio fra tuoni tranquillo e fra baleni
Tienvi sopra il suo dito, e 1' assecnra.
Tu primo degli Eroi , che sull' Isonzo
Men di te stesso, che di noi pensoso,
Dei re combatti il perfido desio ;
Tu, che se tuona di Gradivo il bronzo,
Fra le stragi e le morti polveroso
Mostri in fragile salma il cor d'un Dio:
All'ostinato e rio
Tedesco or di' , che sul Tesin lasciata
Hai la Donna dell'Alpi ancor fanciulla,
Ma eh' ella in mezzo alle battaglie è nata
E che novello Alcide è nella culla.
Molti per via le fan villano oltraggio
Ricchi infingardi, astuti cherci, ed altra
Gente di voglie temerarie e prave.
Ella passa, e non guarda, ed in suo saggio
Pensier racchiusa non fa motto, e scaltra
Scuote intanto i suoi mali, e nulla pavé.
Così lion , cui grave
Sulla giubba il notturno vapor cada,
Se sorride il mattili sull'orizzonte,
Tutta scuote d' un crollo la rugiada ,
E terror delle selve alza la fronte,
XXI
Canzon , l'italo dior dal sonno è detto ;
Però della rampogna ,
Che mosse il tuo parlar, prendi vergogna.
Ma se quei vili , che son forti in soglio ,
T' accusano d' orgoglio ,
Rispondi: Italia sul Tesin v'aspetta
A provarne la spada e la vendetta.
INNO
CANTATO AL TEATRO DELLA SCALA
IN MILANO
IL 2.1 GENNAJO 1799-
XI tiranno è caduto: sorgete,
Genti oppresse : natura respira :
Re superbi , tremate, scendete,
Il più grande dei troni crollò :
Lo percosse co' fulmini invitti
Libertate, primiero de' dritti,
Lo percosse del vile Capeto
Lo spergiuro, che il cielo stancò:
CORO
Re superbi! l'estremo decreto
Per voi l' ira del cielo segnò.
Tingi il dito in quel sangue spietato,
Francia , tolta alle indegne catene :
Egli è sangue alle vene succhiato
De' tuoi figli , che il crudo tradì :
Cittadini, che all'armi volate,
In quel sangue le spade bagnate ;
La vittoria ne' bellici affanni
Sta sul brando, che i regi ferì ;
cono
Giù del trono , crudeli tiranni ,
Il servaggio del mondo finì.
XXIII
Oli soave dell' alme sospiro ,
Libertà , che del cielo sei figlia !
Compi alfine 1' antico desÌTo
Della terra, che tutta è per te.
Ma tua pianta radice non pone
Che fra' brani d'infrante corone,
Né si pasce di mute rugiade ,
Ma di nembi e del sangue dei re.
CORO
Re superbi, già trema, già cade
Il poter , che il delitto vi die.
Dalla foce ss del Reno veloce
Sino all'onda che Scilla divide,
Già tua luce all'Europa sorride,
Già l' Italia dal sonno destò ;
E sull' alpi lo spettro di Brenno
Fiero esulta ss ed insulta col cenno
Un ramingo , che regno ha perduto ,
Perchè ingrato e spergiuro regnò :
CORO
Re spergiuro , ogni ciglio fu muto
Sul tuo fato ss, né cuor sospirò.
Chi è quel vde, che vinto s'invola
Via per l'onda ss, che l'Etna circonda?
Versa, o monte, dall'arsa tua gola
Tuoni e fiamme, onde Tempio punir 5
Sulle regie sue bende profane
Fremon d' ira già l' ombre Romane ,
E di Bruto il pugnale già nudo
Gli è sul petto , già chiede ferir ;
CORO
Re insolente, re stolto, re crudo ,
Di tal ferro non merti morir,
XXIV
Oh soave dell' alme sospiro
Libertà, che del cielo sei figlia,
Fin del Nilo le sponde sentirò
Di tua luce la dolce virtù :
Di tua luce ancor essa s'infoca
Stanca l'Asia di ceppi, ed invoca
Bonaparte, il maggior de' mortali.
Che geloso fa Giove lassù :
cono
Bonaparte ha nel cielo i rivali ,
Perchè averli non puote quaggiù.
Lo splendor delle Franche bandiere
Gli occhi all' Indo da lungi pcrcote,
Che si scuote tr , e sull' ali fescere
Lor dirige segreto un sospir :
Ma del Cairo sull'ultimo lito
L'Anglo atterra lo sguardo smarrito,
Che dell' oro , sua forza , già vede
La gran fonte al suo piede ss finir :
CORO
Traditore £2 nel mezzo del core
Finalmente ^ si sente ferir.
Punitrice de' regii delitti ,
Libertate , primiero de' dritti ,
Gli astri sono il tuo trono £2 , e la terra
Lo sgabello del santo tuo pie ;
Ma tua pianta radice non pone
Che fra' brani d' infrante corone ,
Né si pasce di mute rugiade ,
Ma di nembi e del sangue dei re :
CORO
Re superbi , già trema , già cade
Il poter che il delitto vi die,
I L
PERICOLO
CANTO
1798.
Furor ne caecus , an rapii vis acrlot ,
An culpa? responsum date.
Hor. Ode VII. Epod.
I L
PERICOLO
CANTO
Stendi, fido amor mio, sposa diletta ,
A quell' arpa la man , che la soave
Dolce fatica di tue dita aspetta.
Svegliami l'armonia eli' entro le cave
Latebre alberga del sonoro legno ,
E de' forti pensier volgi la chiave.
Ch'io le vene tremar sento e l'ingegno,
Ed agitarsi all' appressar del Dio
Sul crin 1' alloro , e di furor dar segno.
Ove, Febo, mi traggi ? ove son io?
Non è questa la Senna, e la famosa
Onda , che tanto di veder desio ?
Oh riva , che la riva gloriosa
Dell' Ilisso vincesti e dell' Eurota !
Oh Tebro , che la fronte hai sì pensosa !
Cela, o Tebro , la fronte, e di remota
Sovrana fama non aver più spene ,
Che 1' estinse la Senna; e solo or nota
Vive l'infamia delle tue catene.
Altri Tullj ed Ortensj ha questa terra
D' eloquenza miglior caldi le vene.
Ed altri Scipj ed altri petti in guerra
Sacri a libera morte , in cui più ardita >
Più prodiga di sangue alma si serra.
XXVIII
Oh più che d'arme, <h valor vestita,
Francese Libertà , cui sola diede
La ragion di Sofia principio e vita!
Di te tremano i troni , ed al tuo piede
Palpitanti i tiranni pace pace
Gridan, giurando riverenza e fede.
Ma 6e fede è sul labbro, il cor fallace
Sol di sangue ragiona e di vendetta
Che in re vili e superbi unqua non tace.
Oh cara, oh santa libertà, che stretta
Di nodi ti rinfranchi 3 e vieppiù bella
Da' tuoi mali risorgi , e più perfetta !
Alma d' invidia e di rancore ancella ,
Alma avara e crudel non è tua figlia ,
Né cui febbre d'orgoglio il cor martella.
Libera è l' alma che gli affetti imbriglia ,
Libero 1° uomo , ebe ragion corregge ,
Che onor, giustizia , e cortesia consiglia.
Liberi tutti , se dover ne regge
In pria che dritto, e santità ne guida
Più di costumi , che poter di legge.
Queste cose io volgea dentro la fida
Mente segreta, allor che voce acuta
In 8uon di doglia e di pietà mi grida :
Ahi che nel petto de' miei figli è muta
La virtù di che parli , o pellegrino !
Disse; e in pianto la voce andò perduta.
Mi volsi ; e in volto che appaila divino
Donna vidi seder, che della manca
Fa letto al capo addolorato e chino.
La destra in grembo dolcemente stanca
Cade , e posa. Degli occhi io non lavello .
Che son due rivi •, e più piange , più manca
XXIX
Del conforto la voglia. Al pie sgabello
Le fan rotti un diadema ed uno scetro,
E di Bruto l'insogna è il suo cappello.
Yolea parlarle, e dimandar ; ma dietro
Tomba aprirsi m'intesi, e la figura
Mi sopravvenne d'un orrendo spetro.
Impietrommi le membra la paura ,
E trema la memoria al rio pensiero
Che vivo nella mente ancor mi dura.
Più che bujo d'inferno ei fosco e fiero
Portava il ciglio , e livido 1' aspetto
D' un cotal verde che moria nel nero>
Dalle occhiaje , dal naso e dall' infetto
Labbro la tabe uscia sanguigna e pesta
Che tutto gli rigava il mento e il petto s
E scomposte le chiome in sulla testa
D' irti vepri parean selva selvaggia ,
Ch'aspro il vento rabbuffa e la tempesta.
Striscia di sangue il collo gli viaggia ,
Che della scure accenna la percossa :
Il capo ne vacilla , e par che caggia.
Stracciato e sparso di gran gigli indossa
Manto regal che il marcio corpo e guasto
Scopre al mover dell' anca , e le scarne ossa j
E de' vermi rivela il fiero pasto ,
Che nel putrido ventre cavernoso
Brulicando, per fame avean contrasto.
All'apparir che fece il tenebroso
Regal fantasma la Donna affannata
Il mesto sollevò ciglio pensoso.
E a lui che intorno avidamente guata,
Tra tema e sdegno, a che venisti, disse,
0 fatai di Capeto Ombra spietata?
Non rispose il crudel, ma obliquo fisse
Gli occhi no , ma dogli occhi le caverne
In ella ; ed ella in lui gli occhi rifièse.
Così guatarsi entrambi, e nell'interne
Del cor latéhre ognun si penetrava ,
Che il pensier per la vista ancor si scerne.
L'un d'ira, e l'altra di terror tremava.
Superhamente alfin POrnhra si mosse,
E a cadenza le lunghe orme mutava.
Con feroce dispetto al pie chinosse
Di quella dolorosa ; il calpestato
Scettro raccolse, ed alto in man lo scosse.
Poi l'infranta diadema insanguinato
Sul capo impose , e lo calcò sì forte ,
Che del peso il crin giacque affaticato.
Allor si reo gigante , e colle torte
Vuote lucerne disfidar parea
Europa tutta e le sorelle a morte.
Facea tre passi , e al terzo si volgea
Sulle calcagna eretto e sui vestigi ;
E ad ogni passo di terror crescea.
E sacro a Libertà luogo in Parigi ,
Ove pose la Dea suo trono immoto
Quando sdegnosa ne balzò Luigi.
Ivi seduti e liberi in lor voto
Stan Cinquecento che alle sante leggi
Per cinquecento fantasie dan moto.
O tu che sulle carte il senno leggi
Del gran Consesso che in Atene il crime
Punia de' Numi su tremendi seggi j
0 la severa maestà sublime
Di quei Coscritti che la muta terra
Reggean col cenno dalle sette cime;
XXXI
Di questo, onci' io ti parlo, in mente afferra
I magnanimi sensi e la grandezza;
Ma non l'ira, il furor, l'odio, la guerra.
Qual dell' Euripo è il flutto che si spezza
Contro gli scogli della rauca Eubéa ,
Tal di questi il fracasso e la nerezza.
P^è diversa era l'onda cianca,
0 quella che soffri di Serse il ponte,
Quando al cozzo d'Europa Asia correa.
Improvviso, e sembiante ad arduo monte
Qui comparve lo spettro maladetto :
Tremar gli scanni , e i crin rizzarsi in fronte*
Stette in mezzo, girò torvo l'aspetto,
E stendendo la man spolpata e lunga
Con lo scettro toccò questo e quel petto.
Come è scosso colui che il dito allunga
Al Le'idense vetro che fiammeggia ,
E par che snodi i nervi e li trapunga j
Così del crudo ai colpi arde e vampeggia
Ogni seno percosso , e amor , disio
Dell'estinto tiranno i cuor dardeggia.
E subito un tumulto , un mormorio ,
E d' accenti un conflitto e di pensieri
Da quelle bocche fulminanti uscio ;
E parole di morte, onde que'feri
Van susurrando , simiglianti a tuono
Che iracondo del ciel scorre i sentieri.
Tremò di Libertade il santo trono,
>5 Tremò Parigi , intorbidossi Senna
Alle spade civili in abbandono.
Ma di Vandèa le valli , e di Gebenna
Si rallegrar le rupi , ed un muggito
Mandar di gioja alla mal vinta Ardenna.
XXXII
L' Tstro udillo, e levò più ch'anzi ardito
Il mozzo corno, e al suo scettrato augello
Fé l'italo sperar nido rapito.
L'udì Sebeto, e rise in suo bordello ;
Roma udillo , e la lupa tiberina
Sollevò il muso , e si fé liscio il vello.
Ma Li vergine casta Cisalpina
Mise un sospiro, e a quel sospir snudati
Mille brandi fuggir dalla vagina.
Che al dolor di costei di Francia i fati
Visti in periglio, alzar la fronte i figli
• D' ira , di ferro , e di pietade armati.
E sui pugnali tuttavia vermigli
Fér di salvarla sacramento, tutti
Arruffando feroci i sopraccigli,
Di Sambra e Mosa i bellicosi flutti
Risposero a quel giuro , e allor non tenne
I rai la Donna di Parigi asciutti.
Chiudi la bocca, ohimè ! iicna le penne,
Loquace fama , e fra' nemici il pianto
Deb non si sappia che colei sostenne.
E voi che crudi della madre il santo
Petto offendete, al suo tiranno antico
Ricuperando la corona e il manto,
Al suo tiranno, al suo tiranno, io dico;
Cbe tentate, infelici? ah! se tal guerra
Le danno i figli , cbe farà il nemico ?
Già non più vacillanti in sulla terra
Acquistan piede e fondamento i troni;
Già Lamagna, già l'avida Inghilterra
Fan sulla Senna di lor voce i tuoni
Mormorar più possenti, a cui risponde
11 signor de,' settemplici trioni.
XXXTII
Già dersuoi vanni le dalmatich' onde
Copre l'aquila ingorda, a cui cresciute
Son Pugne, che del Po perse alle sponde.
E alla sua vista pavide e sparute
Cela le corna la dubbiosa Luna ,
E l'isolette dell'Egeo s'tan mute.
Tradita intanto l' itala Fortuna
Di voi duolsi, di voi che libertade
Le contendete non divisa, ed una.
E con furor che in basse alme sol cade,
Tutto scoprendo all' inimico il fianco ,
In voi stessi volgete empi le spade.
Già non aveste il cor sì baldo e franco
Quando svili' alpi la tedesca e sarda
Rabbia ruggiva ; e non avea pur anco
Di Bonaparte l' anima gagliarda
Le cozie porte superate, e doma
Di Piemonte la valle e la lombarda.
Ei vi fé tersa e lucida la chioma ,
Ei pugnando e vincendo e stanco mai,
De' vostri mali alleviò la soma.
Ei vi fé ricchi ed eleganti e gai ,
Ei vi fece superbi ; e se non basta ,
Ingrati e vili : e ciò fu colpa assai.
Or dritto è ben se della tanta e vasta
Sua fatica ed impresa una mercede
Si ria gli torna, e infamia gli sovrasta:
Dritto è ben se l'Italia, che vi diede
D'auro e d'arte tesori, or la meschina
Aita indarno e libertà vi chiede.
Potè , oh vergogna ! la virtù latina
Domar la greca, e libere le genti
Mandar, compenso della sua rapina.
App. c
E voi Fianchi di Bruto ai discendenti ,
Voi premio d' amistà, premio d' affanni 3
Sol catene darete e tradimenti ?
Deh ! non rida all' idea de' nostri danni
La serva Europa, né di voi sia detta
Fra gli amici quest'onta, e fra' tiranni.
Non più spregio di noi , non più negletta
L' itala sorte , e fra voi stessi aperta
Non più lite, per dio ; non più vendetta.
O servitù tra poco e dura e certa
Voi pur v'avrete; e giusta fia la pena.
Ha cuor villano, e libertà non inerta
Chi l'amico lasciò nella catena.
L'ASILO DELLA VERITÀ
CANTATA
1806.
'%,
PERSONAGGI
IL MISTERO
LA VERITÀ'
£oro di Virtù'
L' ASILO DELLA VERITÀ
Vi
IL MISTERp
ieni, diva infelice,
Vieni. In questo a' profani occulto asilo
Ti ricovra , e respira
In securtà. Qui l'ira
Giunger non può de' tuoi nemici. A tutti
Ignoto resterà che qui s' asconde
La non tarentf» verità.
LA VERITÀ'
Che parli?
Io tua compagna ? e che comune io feco
M' abbia l' ospizio ? Noi sperar. Nemica
Ti fui, lo sono, e lo sarò. Tu cerchi
L' ombre ; io la luce. Tu mostrar non osi
La fronte ; io temo di celarla. Or dunque
Lasciami , o Nume tenebroso. Invano
Riunir t' argomenti
Mistero e Verità.
IL MISTERO
T'accheta, e senti.
So che avversa mi sei : non io per questo
T'ebbi men cara, augusta Dea, né mai
Ti nocqui io no ; che l' opra mia sovente
Anzi ti giova, e tu noi sai. Coperta
Dell' arcano mio velo
Tu diventi più bella ; e spesso , il credi ,
M'hai vicino, mi tocchi, e non mi vedi^
XXXVflI
Ma tacciasi di questo. Altri pensieri
Chiede il tuo stato. Una crudele in terra
Ti dan perpetua guerra
L'Ignoranza, l'Error, l'Orgoglio, e il cieco
Amor di se medesmo , e quell' orrendo
Mostro a tutti tremendo ,
Che Fanatismo ha nome , arbitro antico
Dodi umani intelletti. Ognun ti teme,
Ognun t'odia, ti scaccia, e cuor non trovi
Che paro ti riceva. Or ecco 5 in questi
Alla mia f'è commessi
Taciturni recessi, io t' offro , o diva,
Altari , e culto, e sicuranza , e petti
Di te bramosi e di te degni. Inoltra
Là dentro il passo , e scorgerai se vero ,
Se svelato ti parla oggi il Mistero.
Qui le virtù più belle
Han trono, incensi ed ara;
Qui dispogliar s'impara
Da vili affetti il cor.
Eterna dallo stelle
Qui piove un Dio la luce,
Non Dio tiranno e truce ,
Ma tutto Dio d'amor.
la verità'
Di stupor mi riempi
0 generoso mio rivai. Ma quali
Sono dunque i mortali
Di tanto ben privilegiati ?
IL MISTERO
I figli
Dell* Eterno Architetto.
XXXIX
LA VERITÀ'
Easta cosi; quel detto
Mi fa tutto palese. Addio : ti resta
Tu con gli alunni del compasso : io corro
Altro asilo a cercar.
IL MISTERO
Fermati, ascolta.
la verità'
No , lasciami : altra volta
Intervenni chiamata
Ai mistici consessi
Di questi oscuri Illuminati, ed ebbi
Di che pentirmi. Orsù: conosco anch'io
I lor travagli; so che sono; addio.
Dell' arcano altare al piede
Ogni labbro in sacro accento1
Mi giurò silenzio e fede,
Ma scordossi il giuramento
Più d' un labbro e mi tradì.
Porse il petto al santo amplesso y
E amor vero ognun promise;
Ma l'orgoglio i cuor divise,
E il fratel più volte oppresso'
Dal fratello , oh dio ! peYi.
IL MISTERO
Vero parlasti , austera dea; ma quale
Degli umani istituti
Ottimo sempre si mantien ? Tu stessa
Di prudenza talor forse non varchi
I prescritti confini ? e per soverchio
Zelo del giusto non ti veggo io spesso
Cangiata in vizio? Ma garrir che giova?
Entra, e i tuoi torti a prova
XL
Conoscerai. V'aprite, eccelse porte
Del negato a' profani
Mistico tempio, e voi brandite, o figli
Della luce , le spade , e coli' alzate
Punte in croce onorate
La dea del Ver, che viene.
(Si spalancarlo le porte del Tempio , e com-
parisce il cono delle virtù' ' , che si avan-
zano giubilando incontro alla verità'.
la verità'
Oh ciel ! son io
Fuor di me stessa? o quelle
Che là veggio , son pur le mie sorelle ?
CORO DELLE VIRTÙ'
Vieni, aspettata
Dolce germana ;
Dell'? beli' anime
La gioia è ingrata,
Se va lontana
La verità.
la verità'
Oh cercate da me gran tempo invano
Care sorelle, Egualità, Costanza,
Cortesia, Temperanza,
Beneficenza, Libertà! Dumpa' io
Dopo tanto desio
Vi ritrovo e v'abbraccio? Oh dolce incontro!
Oh me felice ! Ma rjual sorte amica
Fuggitive e disperse
Vi riunì , vi aperse
Questo asilo di pace?
UKA DELLE VIRTÙ'
Un dio, che sempre
Per noi fia dio. Leva lo sguardo , e mira :
Eccolo.
LA VERITÀ'
Oh vista ! E non è quello il volto
D' Eugenio?
CNA DELLE VIRTÙ'
È desso. SulP augusta fronte
Della paterna stella
Non "vedi il raggio balenar ? Sbandite
D' ogni parte e tradite , Ei ci raccolse
Tutte intorno al suo solio , Ei ne permise
L' aver culto e seguaci ; ed è sno dono
Se, Lui nostro Oriente e nostro Duce,
Questo tempio abitiamo e questa luce,
la verità1
Oh magnanimo , oh degno
Ch' ogni buono 1' adori.
UKA DELLB VIRTÙ'
E non siam sole
Al regale suo fianco. Altre sublimi
Lo circondano a gara
Generose Virtù , che la profonda
GÌ' insegnano di Stato
Difficil' arte.
la verità'
Ed io fra tante, io sola
Esclusa rimarrò?
UNA DELLE VIRTu'
Sgombra il sospetto.
Noi medesme al suo piede
Ti guideremo. Ei chiede
Di te pur sempre e ti desira, e contro
Le lusinghe e gl'inganni
XT.TT
C he circondano i troni Egli ti spera
fciu compagna, sua scorta e consigliera.
la verità'
Sì : quel cor d' udirmi è degno ,
E a quel core io parlerò.
IL MISTERO
E agi' iniqui il tuo disegno
Io fedel nasconderò.
la verità'
Dunque pace, o dio Mistero;
IL MISTERO
Dunque pace, o dea del Vero 3
A DUE V
Senza vdo e senza sdegni
Tra noi regni l' amistà.
una virtù'
L' almo sole del grande Architetto
Sulla fronte d' Eugenio risplenda ;
UN' ALTRA VIRTÙ'
Per P augusto fratello ddetto
Ogni petto di gioia s' accenda ;
TUTTI
Il fragor delle palme battute
A Lui porti la terza salate,
E il possesso d'un' alma sì cara
Sia la gara-di tutte Virtù.
IN MORTE
DEL MILITARE ROISE
ODE
Sprezza l' Invidia : ascendi ,
Vate , il mio carro portator del grande
Cigno di Dirce per la polve Elea.
Vieni , e securo tendi
L' arco Teban , che riverita spande
La memoria de' forti e la ricrea.
Posto ancor non avea
Fine all' invito 1' Eliconia Diva ,
Ch' alto io già premo il divin cocchio ; ed Ella
Gl'immortali corsieri, in sulla riva
D'Alfeo pasciuti, per lo ciel flagella.
Dell' atre nubi il seno
Squarcian le rote impetuose. Il tuono
Svegliasi e ruggej il lampo mi combatte
Le pupille ; e sereno
Il cor nel petto mi fiammeggia al suono
Delle tempeste. Come vento ratte
Sotto le piante intatte
Fuggon cittadi e regni. Inclito campo
D'Eylau, già scendo lodator de' tuoi
Vanti, e pio bacio di ìispetto io stampo
SuLT uaul tomba de' cpui spenti Eroi.
XLIV
Qui pugnava tremenda
Contro il valor la rabbia, e in vorticoso
Turbo le nevi congiurate e i venti.
Qui fé' palude orrenda
Misto il barbaro sangue al generoso;
E col fragor de' bellici tormenti
Si confondean ruggenti
Le bufère. Ma invitta, ovunque cada
L' ira de' nembi e il Runico furore ,
Del gran Guerriero combattea la Spada,
E più securo d'ogni spada, il core.
Quale nel suo disdegno
Alza Giove lo scettro ; e la divina
Tolgor s'infiammale tuona, e parte, e strugge;
Tal del mio Sire è il 6egno,
Tal del suo brando il lampo e la ruina.
Cade lo Scita fulminato, e muggo
Nella caduta, o fugge
Precipitoso. Orribile mistura
Fan riversati nella bianca valle
Corpi , carri , destrieri ; e la Paura
Sferza ululando le fuggenti Spalle.
Ob delle forti imprese
Genio custode ! lo stil prendi e scrivi
De' prodi il nome, ebe sul sacro letto
D' onor morte distese :
Scrivi li cento ebe trafitti, in rivi
D' ostil sangue calcar di mille il petto j
Né ardir porgea lo stretto.
E tu pur cadi tra' famosi , o figlio
Dell'Insubre Oriente, e te caduto
Pianse il mistico sol , pianse ogni ciglio ,
E del gran Tempio il lavorio fu muto.
XLV
j\la de' tuoi fatti altera
Già vien la Gloria, che il fraterno pianto
Terge : alle auguste Canopée colonne
Già torna la primiera
Luce, e in lieto si cangia arcano canto
L'inno lugubre della tua Sionne.
Godi, o fratel. Le donne
Del sacrato Elicon veglian la cura
Del lauro asperso del tuo sangue ; e vive
Eterno il lauro , che l' eterna e pura
Ond.a educò delle Ga6talie rive.
XLVI
SONETTI
I
1 pastorel Oberino ogni pensiero
Posto in un eapro avea di negro vello,
Cbe di sua greggia era il più forte e snello ,
Ed ogni altro vincea col corno altero.
Pazzarel ! Gli era intorno il giorno intero
Per farlo bianco e renderlo più bello ;
Spesso il lavava a un limpido ruscello;
Ma lavandolo più, lo fea più nero.
Clori cbe giunse , e rimirollo attenta,
Disse : Qucst' opra tua nulla ti frutta ,
Percbè il capro più nero ognor diventa.
Il pastor le rispose : E tu ben tutta
Stai la mattina ad abbellirti intenta,
Pur ti veggio ogni dì sempre più brutta»
La bellezza.
U
n arboscel di sorbo un dì piantai
Mal esperto cultor nell' orto mio ;
E nel pingue terren sì l'innestai
Cb' alto crebbe , e coi rami al ciel salio.
Lunga stagion le frutta n' aspettai ,
Tutto pien di speranza e di desio ,
Né il lieto dì pareami giunger mai
Di vederle mature e code ancb'io.
Le colsi alfine , e come vaghe in vista !
Ma tale al gusto avean rigida asprezza
Che ancora il labbro mio se ne contrista.
0 bugiarda cui tanto il mondo apprezza
Vaga sembianza che d' amaro è mista !
Quanto è folle chi crede alla bellezza,,
XLVII
La vita umana.
E.
ra sereno il ciel , placida l'onda,
E tanta calma non si vide mai,
Come allor quando dall' amica sponda
Sciolsi , e il fragil mio legno al mar fidai.
Ma quella sorte non durò seconda ;
Fremere il mar, turbarsi il ciel mirai ;
E or fui spinto in voragine profonda ,
Or sull' instabil flutto al ciel poggiai.
Del mio periglio , benché tardi , accorto
Mi trovo ancor troppo lontan dal lido
Con gran timor di rimanere assorto.
E invan m' affanno , e disperato grido :
Quant' era meglio non uscir dal porto ,
E non creder cotanto al mare infido.
Al signor N. N. che vestì le divise militari
nel giorno stesso delle sue nozzet
Signor, 6e mentre un bel desio di moglie
Vien nel giovine petto a farsi il nido,
Cingi la spada e le guerresche spoglie
Cavaliero di Marte, e di Cupido 5
Già non vorrai sull' amorose soglie
Sempre , cred' io , cercar la Dea di Gnido ,
O caldo gir di marziali voglie
Al par d' un Garamanto e d' un Numido,
Saggio qual sei di belliche faville
Tempra il pensier colla tranquilla idea
Di due vaghe d' Amor care pupille.
Cosi talvolta ancor Marte scendea
Sazio di guerra dalle Tracie ville
A riposarsi in grembo a Citerea.
AD UN AMICO
Contro un Censore che pretendeva dovesse
modificare due strofe dell'Ode
PER LE NOZZE
FRA IL NOBILE SIG. CONTE
GIO. BATTISTA DA PERSICO
podestà' di verona
E LA NOBILE SIG. CONTESSA
PISANA GAZOLAf)
À
lil vana speme ! ahi vano
Dei sacri carmi amor !
Poveri versi in mano
D' un asino Censor ,
Che non dell'arte Delfica ',
Ma sol dovria dei ragli giudicar !
Chi fia di sciorre ardito,
Giudice Mida, il canto?
Cessa il non sano invito,
Gentile amico , e il vanto
De' lunghi orecchi indocili
A fronte china impara a rispettar.
O V. il voi. IV, a pag. 3o7.
DISCORSO
RECITATO IN FAEWZA
AD UN CONVITO REPUBBLICANO
dall' autore
commissario direttoriale n£lls emilia
COL CITTADINO
AVVOCATO OLIVA
Arr.
CITTADINI
lNoii avezzo a favellare nella frequenza del
popolo io ayea affidata all' eloquenza del mfh
collega F espressione de' miei sentimenti . Voi
li avete ascoltati sopra il suo labbro, la mia
anima vi ha parlato per la sua bocca , né io
potrei che scemarne la forza aggiugnendo sil-
laba alle nobili , e delicate sue parole .
Tuttavolta chi può tacere alla vista del
tenero ed interessante spettacolo di questo
simposio repubblicano ? Egli è il trionfo più
maestoso della libertà , dell' eguaglianza , del-
la virtù . Non vi manca che la presenza di
tutta la Cisalpina per apprendere da voi il
segreto di conquistare il cuore del popolo al-
la Repubblica . Non vi manca che lo sguardo
di tutto il resto d' Italia per ammirarvi , e
vergognarsi delle sue catene: oh dolce, oh
sublime democrazia ! Egli è ben misero chi
non ti ama ! Egli è ben vile chi teme la sem-
plicità de' tuoi santi costumi ! L' eguaglianza
non atterisce che gli uomini senza merito ,
quegli uomini io dico, che han bisogno di
ornarsi delle virtù dei sepolti, e circondarsi
d' orgoglio per essere qualche cosa: oh divina,
desiderata democrazia ! Tu vendichi la natu-
ra dagli oltraggi che le ha fatto il disordine
delle passioni, tu rimetti ognuno al silo posto.
LII
tu non lasci fra gli uòmini elio Ta sola conso-
lante differenza dei talenti, e della virtù.
Mi volgo a te, modesto ex-plebeo, che
a questa mensa mi onori della tua nobile
compagnia. Tu che appartieni alla porzione
più sacra e più cara della Repubblica rico-
nosci in me un' altro ex-plebeo tuo fratello ,
e non isdegnare di accordarmi la tua bene-
volenza e amicizia. Oh come è granile la mia
superbia nel dividere teco F onore di questo
Seggio ! Come sento di esser picciolo al tuo
fianco f il tuo lacero vestimento, la tua te-
sta squallida e rabbuffata, quel volto oltrag-
gmto dal Sole , e dall' mclemenza degli ele-
menti, quelle mani incallite nella fatica, mi
avvisano altamente , eh' io sono d' assai mi-
nore di te nei contrassegni del earatLere re-
pubblicano. Ma sii generoso. Volgi lo sguar-
do alla passata tua condizione, fanne il con-
fronto cobi presente, e riconosci il beneficio,
clic la democrazia ti ha portato sottracndoti
al pesante giogo della tirannide.
Col tuono insultante dell' alterezza 1' A-
ristocratico ti dicca ; uomo ignobile, abbassa
}a fronte, e obbedisci . Tu sci il mio serba-
vo, ed io il tuo padrone. 11 Democratico ti
dice: Cittadino, alza la fronte, e comanda.
Tu sei mio eguale, ed io nuli' altro ebe il
tuo fratello. L'Aristocratico ti clicca ; nomo
sprezzato, mangia il pane della miseria, e
ringrazia la mia clemenza che abandona alla
tua fame gli avanzi della mia erapola . Jl
X'emocratico ti dico: Cittadino, prendi meco
ri ti
il tuo posto a questa mensa frugale imbandi-
ta dall'amore e dall' eguaglianza , ed unisci
la tua voce alla mia per intuonare un brin-
disi di gratitn lino alla! Repubblica • Grìfdava
l'Aristocratico: io sono tutto, e tu nulla.
La natura ha seminato lira gli uomini il do-
lore, e il piacere. Tientì tu il primo, ch'io
voglio per me tutto il secondo. 11 Democra-
tico all'opposto ti grida: Cittadino Meni a
divider meco i piaceri di questa vita , e fam-
mi parte del dolore che ti travaglia. Ripren-
di i diritti che la natura ti ha donati, e non
temer che le leggi. L'ingiustizia insomma ,
il capriccio, la tirannia erano la norma dei
primo ; l'equità, l'eguaglianza, l'amore so-
no la regola del secondo .
Cittadino, rispondi. Qual dei due è più
degno della tua stima ? Quale dei due go-
verni ti comanda la tua ragione, e il tuo in-
teresse di rispettare ed amare ? Qual più ti
giova di essere ? Schiavo, o Repuhhlicano ? (i)
Bravo Cittadino; la natura ha parlato al tuo
cuore, tu hai l'atto la scelta della ragione .
Riprendi adunque la tua dignità : ma per di-
venire, e conservarti repubblicano, conosci i
sacri doveri che accompagnano questo titolo .
Apprendi che la tua libertà degenera in ti-
rannia quando non è subordinata alle leggi ,
quando oltrepassa i contini del patto che tu
(i) A questa dimanda il povero si è mes-
so a gridare furiosamente : Repubblicano .
uv
hai segnato co' tuoi fratelli. Apprendi che o-
gnuno ha dei diritti sull' altro, e che in vir-
tù di questi diritti la società circoscrive la
tua libertà, e ne regola l'esercizio. Appren-
di in somma che esser libero nuli' altro vuol
dire che esser suddito delle leggi , senza le
quali la libertà è il più terribile dei ilagelli .
Queste leggi benefiche ti permettono di
esser l'elice, ma non a spese del tuo fratello;
e felice appunto ti vogliono perchè ti vietano
di rendere infelici i tuoi simili . die se il
cuor ti tentasse di lagnarti ancora della di-
suguaglianza dei beni , che rimane tuttavolta
fra gli uomini, e ti fa sospettare dell'egua-
glianza de' tuoi dritti j considera, cittadino,
e consolati , considera le vendette che la na-
tura esercita sopra tutti coloro che resistono
a' suoi decreti . Dall' orrore della tua indi-
genza discendi nel cuor de' colpevoli, che tu
chiami felici, e vedi lo strazio che fanno i
rimorsi . Osserva quel ricco indolente affan-
narsi in traccia di nuovi piaceri , e non tro-
varne più alcuno , perchè tutti li ha consu-
mati . Osserva quell' avaro insensibile ai gri-
di della natura, crudele con gli altri, e più
crudele con se medesimo, divorato da' sospet-
ti , e cascante di fame in mezzo alla copia
de' suoi tesori. Vedi quel bugiardo privato
della pubblica confidenza , quell' invidioso la-
cerato dalla vista dell' altrui bene , quell' ipo-
crita vestito a bruno , tremante all' aspetto
della verità, che lo raggiunge, e lo fulmina.
Porta, se il puoi, invidia alla logora salute
do] libertino, alle innesto intemperanze del
parassita , ai torbidi sogni del giudice ini-
quo , dell* avido mercenario , del pubbli-
cano ingrassato delle sostanze del povero e
del pupillo. Contempla in somma il doloroso
spettacolo delle pene che accompagnano 1' o-
pulenza, l'orgoglio, 1' ambizione, il delitto,
e rendi grazie alla provvidenza suprema, cbe
ti ha compartito il massimo de' benerìzj to-
gliendoti di essere scellerato .
Va dunque, virtuoso e fortunato mendi-
co , sii superbo dell' umile tua condizione ,
porta nel cuore de' tuoi compagni il sacre lo-
co della libertà che t'infiamma, abbracciami,
e grida meco : Viva la libertà 5 viva la Repub-
blica .
Lvr
OTTAVA
Alfin sci morto o maledetto e rio
Anno decimoterzo , anno alle genti
Portator della piena ira di Dio
Anno carco di sangue e di lamenti!
Nella vorago dell' eterno ohlio
Vanne sepolto, e 1' uom non ti rammenti
Che per gridar : 11 Baratro ti chiuda
Anno decimoterzo, anno di Giuda <
NOTA DELL' AUTORE
rUBBLJCA TA KELl' AFFZNDICX ALLA
GAZZETTA DI MILANO
dell'i 6. settembre 182.7.
N«
lei n.° 65 del Diario di Roma trovatisi
alcune righe che mi riguardano, ed alle qua-
li per amore della mia riputazione e del vero
debbo fare la seguente risposta: Non conqui-
stato , ma sibbene di propria volontà, veden-
do che la mia vita va sempre più declinando,
ho voluto procacciarmi i conforti della mia
religione , in cui venni allevato e nudrito prin-
cipalmente dall' esempio dell' ottimo mio pa-
dre, morto in opinione poco men che di san-
to, e dalla quale, quantunque abbia potuto
traviar talvolta la mia penna, certo non se
n' è mai ribellato il mio cuore. Io non sospet-
tava nemmeno che questo semplicissimo fatto,
del quale mi compiaccio tuttora , dovesse tro-
vare chi lo giudicasse tanto difforme dalla
passata mia vita, da attribuirgli i nomi di
conquista e di ritorno ai sani principi , meno
poi da ascriverlo a vanto di chi che sia. La-
sciando il giudizio delia mia e dell' altrui co-
scienza a Quel solo che ne ha il diritto, avrei
creduto di mancare a me stesso, se non aves-
si protestato contro V abuso che il giornalista
LVIII
di Roma ha fatto a mio danno di troppo im-
portanti parole. Qualunque poi siasi il nome
che dar si voglia alla cosa , debbo dichiarare a
esser falso che sia stata opera dei RR. PP.
Barnabiti di Monza, i quali io neppur cono-
sceva ( sebbene io abbia sempre nutlrito la
dovuta stima per la loro congregazione ) in
quel tempo in cui deposi i segreti della mia
coscienza nelle mani di un mio amico sacer-
dote di Milano, e domandai di essere accol-
to al perdono di ogni mio errore . Così pari-
menti è del tutto supposta e non vera la let-
tera che il giornalista asserisce scritta da me
al mio eh. collega ab. De Gesaris : e falso è
finalmente che io divida ora il mio tempo fre
la conversazione dei RR. PP. Barnabiti d
Monza , e la Feroniade . Queste cose mi par
ve di dover rispondere all' articolo del Dia
rio di Roma,
Vincenzo Monti.
Prezzo Franchi \
PQ Monti, Vincenzo
4-720 Poesie politiche
M5A17
1858
PLEASE DO NOT REMOVE
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