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Full text of "Poesie politiche"

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Monti,  Vincenzo 

Poesie  politiche 


POESIE  POLITICHE 


DI 


VINCENZO  MONTI 


ITALiA 

1858. 


FLORILEGIO  POLITICO 


POESIE  POLITICHE 


DI 


VINCENZO  MONTI 


: pg 


ITALIA 

1858. 


. 


DEC I     * 


. 


SONETTO  GODATO 

SCRITTO     IN    ROMA     l' ANNO     I7É 


Qui  nie  commoTit  (  melius  non  tangere,  clamo) 
Flebit }  et  insignis  tota  cantal itur  urie. 
Hot.  1.  II ,  sat.  i. 

A  adre  Quirino ,  io  60  che  a  Maro  e  a  Fiacco 
Die  l' invidia  talor  guerra  e  martello  : 
Io  so  che  Mevio  fu  molesto  a  quello , 
Pantilio  a  questo ,  e  fu  villano  attacco. 

Ma  dinne  :  avean  coloro  il  cor  vigliacco 
Come  i  vigliacchi  che  a  me  dan  rovello  ? 
Venian  di  trivio  anch'  essi  e  di  bordello 
Briachi  di  livor  più  che  di  Bacco  ? 

Squadrali  tutti  ad  uno  ad  uno ,  e  vedi 
Ch'ei  sono  infami  non  aventi  il  prezzo 
Neppur  del  fango  che  mi  lorda  i  piedi. 

Come  abbian  carca  l'anima  di  lezzo 

Brami ,  o  padre ,  saper  ?  Storia  mi  chiedi 
Che  risveglia  per  dio  sdegno  e  ribrezzo. 

Questi  che  salta  in  mezzo 
Picciol  di  mole  e  di  livor  gigante , 
Di  menzogne  gran  fabbro ,  e  petulante 

Celebrato  furfante , 
Cui  del  ventre  la  fame  i  versi  inspira, 
Onde  son  nomi  di  vergogna  e  d'ira 
Azzodino  e  Saira,  (i) 


(*)  Titolo  di  fischiata  tragedia, 


VI 

Questi  jer  l'altro  mi  baciava  in  viso". 
Non  istupir:  quel  ladro  circonciso, 

Per  cui  fu  Cristo  ucciso  , 
Gli  fu  maestro,  ed  impiccossi  al  fico. 
L'  altro ,  a  cui  fanno  le  parole  intrico 

Sovra  il  labbro  impudico, 
Di  Pilato  è  il  cantor  mimico  e  sordo , 
Fra  i  giumenti  d'  Arcadia  il  più  balordo. 

Di  cicalecci  ingordo 
Gli  vien  di  costa  il  trombettier  di  Pindoj 
L'  universale  adulator  Florindo. 

Buffon  canuto  e  lindo , 
Cbe  mai  vivo  non  fosti ,  io  non  m'  abbasso 
A  ragionar  di  te,   ma  rido  e  passo. 

Oli  di  nequizie  ammasso , 
Cbe  tolto  dianzi  avresti  il  manto  a  Ròcco, 
Vissuto  di  limosina  e  di  stocco, 

Insaziato  pitocco! 
Strazio  d'  oreccbi ,  ciurmador  convulso  , 
Sempre  fabbro  di  motti  e  sempre  insulso , 

Che  al  male  oprar  l' impulso 
Fin  dagli  stessi  beneficj  hai  preso, 
Dunque  tu  pur  m' affronti,  e  1' arco  hai  teso 

Neil'  arena  disceso  ? 
Dimenticasti  presto,  Irò  novello,  (**-) 
Lo  sdrucito  calzar,  l'unto  mantello 

Onde  ti  fea  sì  bello 
Di  vecchi  cenci  il  venditor  Giudeo. 
Cangiasti  i  panni ,  e  non  cangiasti  il  reo 

Sentimento  plebeo. 


C)  Pezzente  famoso  nell' Odissea. 


VII 

E  poiché  l'epa  empiesti  insino  al  gozzo, 
La  man  mordesti  che  ti  porse  il  tozzo. 
Or  tu  mi  dai  di  cozzo , 
Né  rammenti  il  passato.  Esser  sofferto 
Ruffian  potevi ,  e  detrattor  diserto 

D'ogni  più  saldo  merto, 
E  proco  de'  Batilli  e  sgherro  e  tutto, 
Ma  non  ingrato.  Or  va  ;  lungi  ti  butto , 

Vaso  d' ira  e  di  lutto  : 
Tu  chiudi  feccia  impura  troppo  e  torba, 
E  mandi  un  puzzo  che  le  nari  ammorba. 

Vuoi  tu,  Quirin,  ch'io  forba 
La  cute  agli  altri  ?  Un  vende  a  tutte  voglie 
Della  figlia  la  carne  e  della  moglie. 

Veste  un  altro  le  spoglie 
Di  Levi,  agnello  in  volto  ed  in  cor  lupo, 
E  la  contrada  semina  di  strupo. 

Da  toscano  dirupo 

Qual  venne ,  e  scrigni  e fracassa  5 

Qual  è  brigante ,  truffator ,  bardassa. 

Ed  altri  l'estro  ingrassa 
Nelle  taverne ,  e  di  Lieo  si  spruzza  , 
E  con  Ascanio  s' imbriaca  e  puzza.  (***) 

Altri  è  rasa  cucuzza 
In  vii  cappuccio  avvolta  e  si  dimena 
Di  serafico  brodo  unta  e  ripiena. 

D'Aliberti  la  scena 
Sporca  tal  altro  con  nefande  rime 
Poltron,  censore  ed  animai  sublime. 

Dove  voi  lascio  ;  0  prime 


(***)  Nome  d'un  tavernaio. 


TIIT 

Bestie  di  Fin  Jo  ,  che  v'  avete  eletto 

Fra  stalle  e  mondezzai  raminghe  il  tetto? 

O  ben  degno  ricetto  ! 
U'  fan  eco  al  grugnir  vostro  infinito 
De'  cavalli  le  zampe  ed  il  nitrito. 

E  tu  pur  mostra  a  dito 
N'andresti,  o  cinerea  scappucciata,    o  sue 
Pria  d'Agostino,  ed  or  di  Pietro  bue. 

Ma  sulle  colpe  tue 
Tacciasi  :  intera  ti  darò  la  mancia 
Se  alla  cicala  tenterai  la  pancia. 

Dopo  costor  poi  ciancia 
Il  mietitor  di  barbe,  il  calzolajo, 
Il  merciajo,  il  beccajo,  il  solumajo, 

E  mi  stracciano  il  sajo 
Indegnamente  :  ed  io  le  spalle  gobbe 
Feci  finora,  e  più  soffrii  che  Giobbe. 

Or  mia  ragion  conobbe 
Esser  pur  tempo  di  spiegar  1'  artiglio. 
Dammi,  padre  Quirin,  dammi  consiglio. 


Risposta  di  Quirino. 

Ammorza  l' ire ,  o  figlio. 
Morde  e  giova  l'Invidia:  e  non  isfronda 
Il  suo  soffio  l' ailór ,  ma  lo  feconda» 


LA  PACE 
DI  CAMPO-FORMIO 

VERSI 

CANTATI    ALLA    MENSA    DEL    GOVERNO 
IN     MILANO 


*797- 


D, 


'olce  brama  delle  genti, 
Cara  Pace ,  alfin  scendesti  5 
E  le  spade  combattenti 
La  tua  fronda  separò. 
Neil'  orribile  vagina 
Già  nasconde  il  brando  Marte  j 
Già  l' invitto  Bonaparte 
Il  suo  fulmine  posò. 
Delle  madri  dolorose 
Sono  i  palpiti  sospesi , 
Tace  il  pianto  delle  spose, 
Spunta  il  riso  lusinghier. 

E  sul  petto  al  salvo  figlio 
Cerca  il  padre  la  ferita, 
E  superbo  altrui  l'addita 
Lagrimando  di  piacer. 


X 

Riconduce  allegro  al  prato 
Il  pastor  le  care  agnelle  : 
Torna  il  solco  insanguinato 
Grave  il  vomero  a  sentir. 

E  il  villano  al  foco  assiso, 
Mentre  il  vento  intorno  stride. 
Sulle  stragi ,  che  già  vide 
Fa  gli  amici  impallidir. 

Per  le  case ,  per  la  via 
Scorre  libero  il  piacere; 
Un'  amabile  follia 
La  ragion  rapisce  e  il  cor. 

E  convivj  ,  e  danze ,  e  canti 
Di  donzelle  e  di  guerrieri , 
E  un  percoter  di  bicchieri 
Coronati  dall'  amor. 

Dolce  brama  ec. 

Posò  P  asta  e  la  lorica 

La  tremenda  Dea  d' Atene, 
Dalla  bellica  fatica 
Ristorando  il  suo  pensier. 

Del  canoro  Mincio  intanto 
Sul  fecondo  erboso  piano 
Il  trifoglio  Mantovano 
Van  pascendo  i  suoi  destrier. 

Ma  dell'  attica  reina 

Le  seguaci  Inachie  figlie 
Stan  nell'onda  Eridanina 
La  grand.'  egida  a  lavar  ; 
La  grand'  egida  >  tutela 
D'  un  novello  Diomede  3 
Che.  del  greco  ardire  eredo 
yenne  Italia  a  liberar. 


XI 

Del  tuo  scudo  ,  o  Dea  Minerva , 

La  vast'  ombra  immense  schiere 

Copre  in  campo  e  le  conserva. 

Copre  intere  le  città. 

Deh  proteggi,  o  forte  Diva, 

Nostre  mura  e  nostre  leggi  ; 

Questo  tempio  deh  proteggi 

Dell'  ausonia  libertà  ! 
D' Acaclemo  e  del  Liceo 

Qui  ravviva  il  prisco  grido , 

Sorga  un  altro  Pritaneo 

D'  onor  meta  e  di  virtù. 
E  sian  scherno  sulle  scene 

In  catene  -  trascinati 

I  tiranni  detestati 

Dalla  fiera  gioventù. 

Dolce  brama  ec, 
Ma  voi ,  forti  giovinetti , 

Della  patria  dolce  speme , 

Rivestite  i  caldi  petti 

Di  costanza  e  di  valor. 
Né  dal  fianco  lungo  vada 

Mai  la  spada  -  un  sol  momento  T 

Muor  l'olivo  -  d'  onor  privo 

Senza  attento  -  difensor. 
L' alemanno  augello  infido 

A  schiantarlo  aperta  ha  l' ugna. 

Prodi ,   all'  armi  ;  alzate  un  grido 

Di  coraggio  e  libertà. 
Libertade  o  morte ,  tutti 

Esclamate ,  e  mano  al  brando.' 

Fortunato  chi  pugnando 

Per  la  patria  morirà. 


xrr 

Sulle  tombe  pianti  e  fiori 
Spargeran  le  pie  donzello  : 
Ma  vivrà  nei  nostri  cuori 
Il  valor  che  vi  scaldò. 

Prodi,  all'  armi  ;  alzate  un  grido 
Di  coraggio,  e  mano  al  brando. 
Fortunato  chi  pugnando 
Per  la  patria  sua  spirò. 


PER    LA    FESTA 

NAZIONALE 

DEL    MDGCGIII 

ODE 


F 


ior  di  mia  gioventute , 
Tu  se'  morto ,  né  magico 
Carme  ahi  !  più  ti  ravviva ,  o  fior  gentile, 
E  tu ,  cara  salute , 
Tu  pur  mi  fuggi ,  e  vendichi 
Nel  rio  Novembre  le  follie  d'Aprile. 
Deh  riedi,  o  Dea;  perdona 
Antiche  onte,  e  votiva 
T' appenderò  corona 

Di  fior,  che  l'aure  di  Brianza  educano, 
O  del  Lambro  la  riva. 
Piacciati  a' miei  desiri 
Sol  di  tanto  sorridere 
Che  porre  un  inno  sulla  lira  io  possa  , 
Inno  ,  che  gaudio  spiri , 
E  il  cor  tocchi  dell'  Itala 
Donna ,  due  volte  a  libertà  riscossa. 
Dono  d' amico  Dio 
Riede ,  e  d' auro  ha  le  chiome 
Il  dì,  che  patria  anch'io 
M'ebbi,  e  soave  mi  suonò  nell'anima 
Di  cittadino  il  nome, 


XIV 

Nome  Sacro  ,  onorato  , 

Che  tutti  abbracci  e  temperi 

Dell'  uom  dritti  e  doveri  in  armonia  . 

Onde  forza  ha  lo  Stato, 

E  per  alterni  vincoli 

La  consonanza  social  si  cria  ; 

Fra  i  superbi  tu   suoni 

Stolta  cosa  abbonita , 

E  terror  metti  ai  troni  : 

Ma  di  te  sol  s'  adorna  ogni  magnanimo  , 

A  cui  la  patria  è  vita. 
Proterve  e  nequitose 

Alme  gì'  infranti  piangono 

Ceppi,  e  di  nuova  servitute  han  spene 3 

E  a  tanto  rio  sdegnose 

L'ombre  in  Marengo  fremono 

De'  forti ,  che  spezzar  nostre  catene. 

Sull'Istro  il  cor  rivola 

D' iniqui  assai ,  che  il  soglio 

Mal  zelando  e  la  stola , 

Novellamente  il  pio  pugnai  preparano, 

L'auree  croci,  e  l'orgoglio. 
E  con  gioia  crudele 

Seguendo  sull'atlantica 

Onda  le  folte  caledonie  antenne, 

Alle  perfide  vele 

Pregan  contro  la  gallica 

Virtù  propizie  d'Aquilon  le  penne. 

Re  de'  venti ,  percoti 

L' infide  prore ,  e  sferra 

Gli  Euri  sonanti  e  i  Noti  ; 

E  tu  dell'onde  imperato!-,  tu  vindice 

Scotitoi-  della  terra, 


XT 

D' ambrosia  rugiadosi 

Dalle  stalle  etiopiche 

Traghi  i  verdi  cavalli,  e  col  tridente, 

Dei  Telcliini  operosi 

Fabbricato  all'  incudine , 

Svelli,  sommergi,  Enosigéo  possente, 

La  grifagna  Albione. 

Assai  del  nostro  danno 

Crebbe  avaro  ladrone , 

Che  dalle  nasse  alzossi  e  dalla  burchia 

Dell'  Europa  tiranno. 
Falsar,  mentire  ,  ai  patti 

Romper  fede  e  sospendere  , 

Qual  merce  in  libra ,    della  terra  il  pianto  j 

Acquistar  per  misfatti 

Possanza  infame,  e  al  punico 

Corsal  rapire  di  perfidia  il  vanto  j 

Ecco  P  arte  e  gì'  ingegni 

Della  sleal ,  che  il  Franco 

Valor  sfida ,  e  gli  sdegni 

Del  gran  Guerriero ,  a  cui  già  compra  e  medita 

Ferro  assassin  nel  fianco. 
Spegneasi  al  dolce  canto 

Della  tebana  cetera 

Il  rovente  di  Giove  eterno  strale, 

E  sullo  scettro  intanto 

L' aquila  assisa  in  placido 

Sonno  i  grand'  occhi  declinava  e  P  ale. 

Delle  mie  corde  al  suono 

Prego  P  ira  si  svegli 

Del  Celto  Giove  e  il  tuono , 

Fin  che  col  Russo  alfin  rabbuffi  all'  anglica 

Marcatrice  i  capegli. 


xvr 

Gravar  1'  empia  si  spera 

La  terra  e  il  mar,  che  libero 

A  tutti  ondeggia,  di  servii  catena, 

E  già  selvosa  e  nera 

Di  sue  tonanti  roveri 

Mugge  l'Adriaca  Teti  e  la  Tirrena; 

Ma  di  tal  padre  è  nata 

L' Italica  Donzella, 

Che  con  rigoglio  guata 

I  suoi  perigli ,  e  ride  e  danza  al  fremerò 

Dell'  inglese  procella. 
Ve'  che  saltante  ed  ebra 

D'alta  letizia  il  candido 

Natal  suo  giorno  con  palestre  e  ludi 

Banchettando  celebra , 

Cui  dan  l'Arti  e  l'Olimpiche 

Muse  la  norma,  e  Aglaja  e  i  Piacer  nudi; 

Né  fra  i  canti  e  la  polve 

Circense  il  rilucente 

Brando  dal  fianco  solve. 

Di  Marengo  ella  nacque  in  mezzo  ai  fulmini , 

E  il  padre  in  cor  si  sente. 
Tale  ,  allor  che  con  guerra 

Temeraria  tentarono 

Turbar  Giove,  e  rapirgli  il  lampo  e  il  tuono 

I  figli  della  Terra 

Congiurati  a  rescindere 

Del  ciel  le  mura  ed  il  Saturnio  trono , 

Romoreggiando  fuora 

Del  divin  capo  allegra 

E  neh"  armi  sonora 

Balzò  Minerva,  e  la  paterna  folgore 

Vibrò  secura  in  Flegra. 


XVII 

Poi  del  sangue  già  tersa 
Degli  squarciati  Anguipedi 
Col  gran  padre  esultando  al  ciel  saliva 
Di  calda  strage  aspersa 
L'  asta  frattanto  e  1'  egida 
Lavan  cantando  sull'  Inacliia  riva 
Di  Pelasgo  le  figlie  ; 
Mentre  ancor  polverose, 
E  sciolte  1'  auree  briglie 
11  trifoglio  Erettéo  pascon  le    vergini 
Puledre  bellicose. 


IL 

CONGRESSO  D'UDINE 


i798. 


A, 


gita  in  riva  dell'Isonzo  il  Fato, 
Italia ,  le  tue  sorti ,  e  taciturna 
Su  te  l'Europa  il  suo  pensier  raccoglie. 
Stansi  a  fronte,   ed  il  brando  insanguinato 
Ferocemente  stendono  sull'urna 
Lamagna  e  Francia  con  opposte  voglie  ; 
Ch'una  a  morte  ti  toglie, 
E  dàrlati  crudel  l'altra  procura. 
Tu  muta  siedi  ;  ad  ogni  scossa  i  rai 
Tremando  abbassi ,  e  nella  tua  paura 
Se  ceppi  attendi,  o  libertà  non  sai. 

Oh  più  vii,  che  infelice!  oh  de' tuoi  servi 
Serva  derisa  !   Sì  dimesso  il  volto 
Non  porteresti ,  e  i  pie  dal  ferro  attriti , 
Se  del  natio  vigor  prostrati  i  nervi 
Superbia  ignavia  non  t'avesse,  e  il  molto 
Fornicar  co'  tiranni  e  co'  leviti. 
Onorati  mariti , 

Che  a  Caton  preponesti,  a  Bruto,  a  Scipio! 
Leggiadro  cambio ,  accorto  senno  in  vero  ; 
Colei  che  l'universo  ebbe  mancipio, 
Or  salmeggia,  e  una  mitra  è  il  suo  cimiero. 


nix 

Di  quei  prodi  le  sante  ombre  frattanto 
Bomor  l'anno  e  lamenti  entro  le  tombe , 
Cbe  avaro  pie  sacerdotal  calpesta  ; 
E  al  sonito  dell'armi,  al  fiero  canto 
De'  Francia  mirmidoni  e  delle  trombe 
Susurrando  vendetta  alzan  la  testa. 
E  voi  1'  avrete  e  presta 
Magnanima ombre.   L'itala  Fortuna 
Egra  è  sì,  ma  non  spenta.  Empio  sovrasta 
Il  Fato,  e  danni  e  tradimenti  aduna, 
jNIa  contra  il  Fato  è  Bonaparte;  e  basta. 
Prometeo  nuovo  ei  venne,  e  nell'altera 
Giovinetta  virago  Cisalpina 
L' etereo  fuoco  infuse ,  anzi  il  suo  spirto. 
Ed  ella  già  calata  ha  la  visiera  , 
E  il  ferro  trae,  gittando  la  vagina, 
Desiosa  di  lauro,   e  non  di  mirto. 
Bieco  la  guata  ed  irto 
Più  d'un  nemico  ;  ma  costei  noi  cura. 
Lasciate  di  sua  morte ,  o  re,  la  speme. 
Disperata  virtù  la  fa  secura , 
Né  vincer  puossi  chi  morir  non  terne. 
Se  vero  io  parlo,   Cremerà  vel  dica, 
E  di  Coclite  il  ponte,  e  quel  di  Serse, 
E  i  trecento  con  Pluto  a  cenar  spinti. 
E  noi  lombardi  petti  e  noi  nutrica 
Il  valor,  cbe  alle  donne  Etnische  e  Perse 
Plorar  fé'  l'ombre  de'  mariti  estinti. 
Morti  sì,  ma  non  vinti, 
Ma  liberi  cadremo,  e  armati,  e  tutti. 
Arme  arme  fremeran  le  sepolte  ossa , 
Arme  i  figli,  le  spose,  i  monti,  i  flutti  j 
E  voi  cadrete,  o  troni ;  a  quella  scossa. 


XX 

Cadrete-  ed  alzerà  Natura  alfine 
Quel  dolce  grido  che  nel  cor  si  sente, 
Tutti  abbracciando  con  amplesso  eguale. 
E  Ragion  sulle  vostre  alte  ruine 
Pianterà  colla  destra  onnipossente 
L'immobil  suo  triangolo  immortale. 
Ira  e  fiamma  non  vale 
Incontro  a  lui  di  fulmini  terreni, 
E  Forza  invan  lo  crolla  e  1  Impostura. 
Dio  fra  tuoni  tranquillo  e  fra  baleni 
Tienvi  sopra  il  suo  dito,  e  1'  assecnra. 

Tu  primo  degli  Eroi ,  che  sull'  Isonzo 
Men  di  te  stesso,  che  di  noi  pensoso, 
Dei  re  combatti  il  perfido  desio  ; 
Tu,  che  se  tuona  di  Gradivo  il  bronzo, 
Fra  le  stragi  e  le  morti  polveroso 
Mostri  in  fragile  salma  il  cor  d'un  Dio: 
All'ostinato  e  rio 

Tedesco  or  di' ,  che  sul  Tesin  lasciata 
Hai  la  Donna  dell'Alpi  ancor  fanciulla, 
Ma  eh'  ella  in  mezzo  alle  battaglie  è  nata 
E  che  novello  Alcide  è  nella  culla. 

Molti  per  via  le  fan  villano  oltraggio 
Ricchi  infingardi,  astuti  cherci,  ed  altra 
Gente  di  voglie  temerarie  e  prave. 
Ella  passa,  e  non  guarda,  ed  in  suo  saggio 
Pensier  racchiusa  non  fa  motto,  e  scaltra 
Scuote  intanto  i  suoi  mali,  e  nulla  pavé. 
Così  lion  ,  cui  grave 
Sulla  giubba  il  notturno  vapor  cada, 
Se  sorride  il  mattili  sull'orizzonte, 
Tutta  scuote  d' un  crollo  la  rugiada , 
E  terror  delle  selve  alza  la  fronte, 


XXI 

Canzon ,  l'italo  dior  dal  sonno  è  detto  ; 
Però  della  rampogna  , 

Che  mosse  il  tuo  parlar,  prendi  vergogna. 
Ma  se  quei  vili ,  che  son  forti  in  soglio , 
T' accusano  d'  orgoglio  , 
Rispondi:  Italia  sul  Tesin  v'aspetta 
A  provarne  la  spada  e  la  vendetta. 


INNO 

CANTATO  AL  TEATRO  DELLA  SCALA 
IN  MILANO 

IL   2.1    GENNAJO    1799- 

XI  tiranno  è  caduto:  sorgete, 
Genti  oppresse  :   natura  respira  : 
Re  superbi ,  tremate,  scendete, 
Il  più  grande  dei  troni  crollò  : 

Lo  percosse  co'  fulmini  invitti 
Libertate,  primiero  de' dritti, 
Lo  percosse  del  vile  Capeto 
Lo  spergiuro,  che  il  cielo  stancò: 

CORO 

Re  superbi!  l'estremo  decreto 
Per  voi  l' ira  del  cielo  segnò. 
Tingi  il  dito  in  quel  sangue  spietato, 
Francia ,  tolta  alle  indegne  catene  : 
Egli  è  sangue  alle  vene  succhiato 
De'  tuoi  figli ,  che  il  crudo  tradì  : 
Cittadini,  che  all'armi  volate, 
In  quel  sangue  le  spade  bagnate  ; 
La  vittoria  ne'  bellici  affanni 
Sta  sul  brando,  che  i  regi  ferì ; 

cono 
Giù  del  trono ,  crudeli  tiranni , 
Il  servaggio  del  mondo  finì. 


XXIII 

Oli  soave  dell'  alme  sospiro  , 

Libertà ,  che  del  cielo  sei  figlia  ! 
Compi  alfine  1'  antico  desÌTo 
Della  terra,  che  tutta  è  per  te. 

Ma  tua  pianta  radice  non  pone 
Che  fra' brani  d'infrante  corone, 
Né  si  pasce  di  mute  rugiade , 
Ma  di  nembi  e  del  sangue  dei  re. 

CORO 

Re  superbi,   già  trema,  già  cade 
Il  poter ,  che  il  delitto  vi  die. 
Dalla  foce  ss  del  Reno  veloce 
Sino  all'onda  che  Scilla  divide, 
Già  tua  luce  all'Europa  sorride, 
Già  l' Italia  dal  sonno  destò  ; 

E  sull'  alpi  lo  spettro  di  Brenno 
Fiero  esulta  ss  ed  insulta  col  cenno 
Un  ramingo ,  che  regno  ha  perduto  , 
Perchè  ingrato  e  spergiuro  regnò  : 

CORO 

Re  spergiuro ,  ogni  ciglio  fu  muto 
Sul  tuo  fato  ss,  né  cuor  sospirò. 
Chi  è  quel  vde,  che  vinto  s'invola 

Via  per  l'onda  ss,  che  l'Etna  circonda? 
Versa,  o  monte,  dall'arsa  tua  gola 
Tuoni  e  fiamme,  onde  Tempio  punir 5 

Sulle  regie  sue  bende  profane 
Fremon  d' ira  già  l' ombre  Romane , 
E  di  Bruto  il  pugnale  già  nudo 
Gli  è  sul  petto ,  già  chiede  ferir  ; 

CORO 

Re  insolente,  re  stolto,  re  crudo , 
Di  tal  ferro  non  merti  morir, 


XXIV 

Oh  soave  dell'  alme  sospiro 

Libertà,  che  del  cielo  sei  figlia, 
Fin  del  Nilo  le  sponde  sentirò 
Di  tua  luce  la  dolce  virtù  : 

Di  tua  luce  ancor  essa  s'infoca 
Stanca  l'Asia  di  ceppi,  ed  invoca 
Bonaparte,  il  maggior  de'  mortali. 
Che  geloso  fa  Giove  lassù  : 

cono 
Bonaparte  ha  nel  cielo  i  rivali , 

Perchè  averli  non  puote  quaggiù. 
Lo  splendor  delle  Franche  bandiere 
Gli  occhi  all'  Indo  da  lungi  pcrcote, 
Che  si  scuote  tr  ,  e  sull'  ali  fescere 
Lor  dirige  segreto  un  sospir  : 

Ma  del  Cairo  sull'ultimo  lito 
L'Anglo  atterra  lo  sguardo  smarrito, 
Che  dell'  oro  ,  sua  forza ,  già  vede 
La  gran  fonte  al  suo  piede  ss  finir  : 

CORO 

Traditore  £2  nel  mezzo  del  core 
Finalmente  ^  si  sente  ferir. 
Punitrice  de'  regii  delitti , 

Libertate  ,  primiero  de'  dritti , 

Gli  astri  sono  il  tuo  trono  £2 ,  e  la  terra 

Lo  sgabello  del  santo  tuo  pie  ; 

Ma  tua  pianta  radice  non  pone 
Che  fra'  brani  d' infrante  corone , 
Né  si  pasce  di  mute  rugiade  , 
Ma  di  nembi  e  del  sangue  dei  re  : 

CORO 

Re  superbi  ,  già  trema ,  già  cade 
Il  poter  che  il  delitto  vi  die, 


I  L 
PERICOLO 


CANTO 
1798. 


Furor  ne  caecus ,  an  rapii  vis  acrlot , 
An  culpa?  responsum  date. 

Hor.  Ode  VII.  Epod. 


I  L 

PERICOLO 

CANTO 


Stendi,  fido  amor  mio,  sposa  diletta , 
A  quell'  arpa  la  man ,  che  la  soave 
Dolce  fatica  di  tue  dita  aspetta. 

Svegliami  l'armonia  eli' entro  le  cave 
Latebre  alberga  del  sonoro  legno , 
E  de' forti  pensier  volgi  la  chiave. 

Ch'io  le  vene  tremar  sento  e  l'ingegno, 
Ed  agitarsi  all'  appressar  del  Dio 
Sul  crin  1'  alloro ,  e  di  furor  dar  segno. 

Ove,  Febo,  mi  traggi  ?  ove  son  io? 
Non  è  questa  la  Senna,  e  la  famosa 
Onda ,  che  tanto  di  veder  desio  ? 

Oh  riva ,  che  la  riva  gloriosa 

Dell' Ilisso  vincesti  e  dell' Eurota  ! 

Oh  Tebro ,  che  la  fronte  hai  sì  pensosa  ! 

Cela,  o  Tebro  ,  la  fronte,   e  di  remota 
Sovrana  fama  non  aver  più  spene , 
Che  1' estinse  la  Senna;  e  solo  or  nota 

Vive  l'infamia  delle  tue  catene. 

Altri  Tullj  ed  Ortensj  ha  questa  terra 
D'  eloquenza  miglior  caldi  le  vene. 

Ed  altri  Scipj  ed  altri  petti  in  guerra 
Sacri  a  libera  morte ,  in  cui  più  ardita  > 
Più  prodiga  di  sangue  alma  si  serra. 


XXVIII 

Oh  più  che  d'arme,  <h  valor  vestita, 
Francese  Libertà ,  cui  sola  diede 
La  ragion  di  Sofia  principio  e  vita! 

Di  te  tremano  i  troni ,  ed  al  tuo  piede 
Palpitanti  i  tiranni  pace  pace 
Gridan,  giurando  riverenza  e  fede. 

Ma  6e  fede  è  sul  labbro,  il  cor  fallace 
Sol  di  sangue  ragiona  e  di  vendetta 
Che  in  re  vili  e  superbi  unqua  non  tace. 

Oh  cara,  oh  santa  libertà,  che  stretta 
Di  nodi  ti  rinfranchi  3  e  vieppiù  bella 
Da'  tuoi  mali  risorgi ,  e  più  perfetta  ! 

Alma  d' invidia  e  di  rancore  ancella , 
Alma  avara  e  crudel  non  è  tua  figlia , 
Né  cui  febbre  d'orgoglio  il  cor  martella. 

Libera  è  l' alma  che  gli  affetti  imbriglia , 
Libero  1°  uomo  ,  ebe  ragion  corregge  , 
Che  onor,    giustizia ,  e  cortesia  consiglia. 

Liberi  tutti ,  se  dover  ne  regge 

In  pria  che  dritto,  e  santità  ne  guida 
Più  di  costumi ,  che  poter  di  legge. 

Queste  cose  io  volgea  dentro  la  fida 
Mente  segreta,  allor  che  voce  acuta 
In  8uon  di  doglia  e  di  pietà  mi  grida  : 

Ahi  che  nel  petto  de'  miei  figli  è  muta 
La  virtù  di  che  parli ,  o  pellegrino  ! 
Disse;  e  in  pianto  la  voce  andò  perduta. 

Mi  volsi  ;  e  in  volto  che  appaila  divino 
Donna  vidi  seder,  che  della  manca 
Fa  letto  al  capo  addolorato  e  chino. 

La  destra  in  grembo  dolcemente  stanca 
Cade  ,  e  posa.  Degli  occhi  io  non  lavello . 
Che  son  due  rivi  •,  e  più  piange ,  più  manca 


XXIX 

Del  conforto  la  voglia.  Al  pie  sgabello 
Le  fan  rotti  un  diadema  ed  uno  scetro, 
E  di  Bruto  l'insogna  è  il  suo  cappello. 
Yolea  parlarle,  e  dimandar  ;  ma  dietro 
Tomba  aprirsi  m'intesi,  e  la  figura 
Mi  sopravvenne  d'un  orrendo  spetro. 
Impietrommi  le  membra  la  paura , 
E  trema  la  memoria  al  rio  pensiero 
Che  vivo  nella  mente  ancor  mi  dura. 
Più  che  bujo  d'inferno  ei  fosco  e  fiero 
Portava  il  ciglio ,  e  livido  1'  aspetto 
D' un  cotal  verde  che  moria  nel  nero> 
Dalle  occhiaje ,  dal  naso  e  dall'  infetto 
Labbro  la  tabe  uscia  sanguigna  e  pesta 
Che  tutto  gli  rigava  il  mento  e  il  petto s 
E  scomposte  le  chiome  in  sulla  testa 
D' irti  vepri  parean  selva  selvaggia , 
Ch'aspro  il  vento  rabbuffa  e  la  tempesta. 
Striscia  di  sangue  il  collo  gli  viaggia , 
Che  della  scure  accenna  la  percossa  : 
Il  capo  ne  vacilla ,  e  par  che  caggia. 
Stracciato  e  sparso  di  gran  gigli  indossa 
Manto  regal  che  il  marcio  corpo  e  guasto 
Scopre  al  mover  dell'  anca ,  e  le  scarne  ossa  j 
E  de'  vermi  rivela  il  fiero  pasto , 
Che  nel  putrido  ventre  cavernoso 
Brulicando,  per  fame  avean  contrasto. 
All'apparir  che  fece  il  tenebroso 
Regal  fantasma  la  Donna  affannata 
Il  mesto  sollevò  ciglio  pensoso. 
E  a  lui  che  intorno  avidamente  guata, 
Tra  tema  e  sdegno,  a  che  venisti,  disse, 
0  fatai  di  Capeto  Ombra  spietata? 


Non  rispose  il  crudel,  ma  obliquo  fisse 
Gli  occhi  no ,  ma  dogli  occhi  le  caverne 
In  ella  ;  ed  ella  in  lui  gli  occhi  rifièse. 

Così  guatarsi  entrambi,  e  nell'interne 
Del  cor  latéhre  ognun  si  penetrava , 
Che  il  pensier  per  la  vista  ancor  si  scerne. 

L'un  d'ira,  e  l'altra  di  terror  tremava. 
Superhamente  alfin  POrnhra  si  mosse, 
E  a  cadenza  le  lunghe  orme  mutava. 

Con  feroce  dispetto  al  pie  chinosse 
Di  quella  dolorosa  ;  il  calpestato 
Scettro  raccolse,  ed  alto  in  man  lo  scosse. 

Poi  l'infranta  diadema  insanguinato 
Sul  capo  impose ,  e  lo  calcò  sì  forte , 
Che  del  peso  il  crin  giacque  affaticato. 

Allor  si  reo  gigante  ,  e  colle  torte 
Vuote  lucerne  disfidar  parea 
Europa  tutta  e  le  sorelle  a  morte. 

Facea  tre  passi ,  e  al  terzo  si  volgea 
Sulle  calcagna  eretto  e  sui  vestigi  ; 
E  ad  ogni  passo  di  terror  crescea. 

E  sacro  a  Libertà  luogo  in  Parigi , 
Ove  pose  la  Dea  suo  trono  immoto 
Quando  sdegnosa  ne  balzò  Luigi. 

Ivi  seduti  e  liberi  in  lor  voto 

Stan  Cinquecento  che  alle  sante  leggi 
Per  cinquecento  fantasie  dan  moto. 

O  tu  che  sulle  carte  il  senno  leggi 

Del  gran  Consesso  che  in  Atene  il  crime 
Punia  de' Numi  su  tremendi  seggi j 

0  la  severa  maestà  sublime 

Di  quei  Coscritti  che  la  muta  terra 
Reggean  col  cenno  dalle  sette  cime; 


XXXI 

Di  questo,  onci' io  ti  parlo,  in  mente  afferra 
I  magnanimi  sensi  e  la  grandezza; 
Ma  non  l'ira,  il  furor,  l'odio,  la  guerra. 

Qual  dell' Euripo  è  il  flutto  che  si  spezza 
Contro  gli  scogli  della  rauca  Eubéa , 
Tal  di  questi  il  fracasso  e  la   nerezza. 

P^è  diversa  era  l'onda  cianca, 

0  quella  che  soffri  di  Serse  il  ponte, 
Quando  al  cozzo  d'Europa  Asia  correa. 

Improvviso,  e  sembiante  ad  arduo  monte 
Qui  comparve  lo  spettro  maladetto  : 
Tremar  gli  scanni ,  e  i  crin  rizzarsi  in  fronte* 

Stette  in  mezzo,  girò  torvo  l'aspetto, 
E  stendendo  la  man  spolpata  e  lunga 
Con  lo  scettro  toccò  questo  e  quel  petto. 

Come  è  scosso  colui  che  il  dito  allunga 
Al  Le'idense  vetro  che  fiammeggia , 
E  par  che  snodi  i  nervi  e  li  trapunga  j 

Così  del  crudo  ai  colpi  arde  e  vampeggia 
Ogni  seno  percosso ,  e  amor ,  disio 
Dell'estinto  tiranno  i  cuor  dardeggia. 

E  subito  un  tumulto ,  un  mormorio  , 
E  d' accenti  un  conflitto  e  di  pensieri 
Da  quelle  bocche  fulminanti  uscio  ; 

E  parole  di  morte,  onde  que'feri 

Van  susurrando ,  simiglianti  a  tuono 
Che  iracondo  del  ciel  scorre  i  sentieri. 

Tremò  di  Libertade  il  santo  trono, 
>5  Tremò  Parigi  ,  intorbidossi  Senna 
Alle  spade  civili  in  abbandono. 

Ma  di  Vandèa  le  valli  ,  e  di  Gebenna 
Si  rallegrar  le  rupi ,  ed  un  muggito 
Mandar  di  gioja  alla  mal  vinta  Ardenna. 


XXXII 

L' Tstro  udillo,  e  levò  più  ch'anzi   ardito 
Il  mozzo  corno,  e  al  suo  scettrato   augello 
Fé  l'italo  sperar  nido  rapito. 

L'udì  Sebeto,  e  rise  in  suo  bordello  ; 
Roma  udillo ,  e  la  lupa   tiberina 
Sollevò  il  muso ,  e  si  fé  liscio  il  vello. 

Ma  Li  vergine  casta   Cisalpina 

Mise  un  sospiro,  e  a  quel  sospir  snudati 
Mille  brandi  fuggir  dalla  vagina. 

Che  al  dolor  di  costei  di  Francia  i  fati 
Visti  in  periglio,  alzar  la  fronte  i  figli 

•    D' ira ,  di  ferro ,  e  di  pietade  armati. 

E  sui  pugnali  tuttavia  vermigli 
Fér  di  salvarla  sacramento,  tutti 
Arruffando    feroci  i  sopraccigli, 

Di  Sambra  e  Mosa  i  bellicosi  flutti 

Risposero  a  quel  giuro ,  e  allor  non  tenne 
I  rai  la   Donna  di  Parigi  asciutti. 

Chiudi  la  bocca,  ohimè  !   iicna  le  penne, 
Loquace  fama ,  e  fra'  nemici  il  pianto 
Deb  non  si  sappia  che  colei  sostenne. 

E  voi  che  crudi  della  madre  il  santo 
Petto  offendete,  al  suo  tiranno  antico 
Ricuperando  la  corona  e  il  manto, 

Al  suo  tiranno,   al  suo  tiranno,  io  dico; 
Cbe  tentate,  infelici?  ah!   se  tal  guerra 
Le  danno  i  figli ,  cbe  farà  il  nemico  ? 

Già  non  più  vacillanti  in  sulla  terra 
Acquistan  piede  e  fondamento  i  troni; 
Già   Lamagna,  già  l'avida  Inghilterra 
Fan  sulla  Senna  di  lor  voce  i  tuoni 

Mormorar  più  possenti,    a  cui  risponde 
11  signor  de,'  settemplici   trioni. 


XXXTII 

Già  dersuoi  vanni  le  dalmatich' onde 
Copre  l'aquila  ingorda,  a  cui  cresciute 
Son  Pugne,  che  del  Po  perse  alle  sponde. 

E  alla  sua  vista  pavide  e  sparute 
Cela  le  corna  la  dubbiosa  Luna , 
E  l'isolette  dell'Egeo  s'tan  mute. 

Tradita  intanto  l' itala  Fortuna 

Di  voi  duolsi,  di  voi  che  libertade 
Le  contendete  non  divisa,  ed  una. 

E  con  furor  che  in  basse   alme  sol  cade, 
Tutto  scoprendo  all'  inimico  il  fianco , 
In  voi  stessi  volgete  empi  le  spade. 

Già  non  aveste  il  cor  sì  baldo  e  franco 
Quando  svili'  alpi  la  tedesca  e  sarda 
Rabbia  ruggiva  ;  e  non  avea  pur  anco 

Di  Bonaparte  l' anima  gagliarda 
Le  cozie  porte  superate,  e  doma 
Di  Piemonte  la  valle  e  la  lombarda. 

Ei  vi  fé  tersa  e  lucida  la  chioma , 

Ei  pugnando  e  vincendo  e  stanco  mai, 
De'  vostri  mali  alleviò  la  soma. 

Ei  vi  fé  ricchi  ed  eleganti  e  gai , 
Ei  vi  fece  superbi  ;  e  se  non  basta , 
Ingrati  e  vili  :  e  ciò  fu  colpa  assai. 

Or  dritto  è  ben  se  della  tanta  e  vasta 
Sua  fatica  ed  impresa  una  mercede 
Si  ria  gli  torna,  e  infamia  gli  sovrasta: 

Dritto  è  ben  se  l'Italia,  che  vi  diede 
D'auro  e  d'arte  tesori,  or  la  meschina 
Aita  indarno  e  libertà  vi  chiede. 

Potè ,  oh  vergogna  !  la  virtù  latina 
Domar  la  greca,  e  libere  le  genti 
Mandar,  compenso  della  sua  rapina. 

App.  c 


E   voi  Fianchi  di  Bruto  ai  discendenti , 
Voi  premio  d'  amistà,  premio  d' affanni  3 
Sol  catene  darete  e  tradimenti  ? 

Deh  !   non  rida  all'  idea  de'  nostri  danni 
La  serva  Europa,  né  di  voi  sia  detta 
Fra  gli  amici  quest'onta,  e  fra' tiranni. 

Non  più  spregio  di  noi ,  non  più  negletta 
L' itala  sorte ,  e  fra  voi  stessi  aperta 
Non  più  lite,  per  dio  ;  non  più   vendetta. 

O  servitù  tra  poco  e  dura  e  certa 

Voi  pur  v'avrete;  e  giusta  fia  la  pena. 
Ha  cuor  villano,  e  libertà  non  inerta 

Chi  l'amico  lasciò  nella  catena. 


L'ASILO  DELLA  VERITÀ 

CANTATA 

1806. 


'%, 


PERSONAGGI 

IL  MISTERO 
LA  VERITÀ' 

£oro  di  Virtù' 


L' ASILO  DELLA  VERITÀ 


Vi 


IL   MISTERp 


ieni,   diva  infelice, 
Vieni.  In  questo  a' profani  occulto  asilo 
Ti  ricovra ,  e  respira 
In  securtà.  Qui  l'ira 

Giunger  non  può  de' tuoi  nemici.  A  tutti 
Ignoto  resterà  che  qui  s' asconde 
La   non  tarentf»  verità. 

LA    VERITÀ' 

Che  parli? 
Io  tua  compagna  ?  e  che  comune  io  feco 
M'  abbia  l' ospizio  ?  Noi  sperar.  Nemica 
Ti  fui,  lo  sono,  e  lo  sarò.  Tu  cerchi 
L' ombre  ;  io  la  luce.  Tu  mostrar  non  osi 
La  fronte  ;  io  temo  di  celarla.  Or  dunque 
Lasciami ,  o  Nume  tenebroso.  Invano 
Riunir  t' argomenti 
Mistero  e  Verità. 

IL    MISTERO 

T'accheta,  e  senti. 
So  che  avversa  mi  sei  :  non  io  per  questo 
T'ebbi  men  cara,  augusta  Dea,  né  mai 
Ti  nocqui  io  no  ;  che  l' opra  mia  sovente 
Anzi  ti  giova,  e  tu  noi  sai.  Coperta 
Dell'  arcano  mio  velo 

Tu  diventi  più  bella  ;  e  spesso ,  il  credi , 
M'hai  vicino,  mi  tocchi,  e  non  mi  vedi^ 


XXXVflI 

Ma  tacciasi  di  questo.  Altri  pensieri 
Chiede  il  tuo  stato.  Una  crudele  in  terra 
Ti  dan  perpetua  guerra 

L'Ignoranza,  l'Error,  l'Orgoglio,  e  il  cieco 
Amor  di  se  medesmo ,  e  quell'  orrendo 
Mostro  a  tutti  tremendo  , 
Che  Fanatismo  ha  nome  ,  arbitro  antico 
Dodi  umani  intelletti.   Ognun  ti  teme, 
Ognun  t'odia,  ti  scaccia,  e  cuor  non  trovi 
Che  paro  ti  riceva.   Or  ecco  5  in  questi 
Alla  mia  f'è  commessi 
Taciturni  recessi,  io  t' offro ,  o  diva, 
Altari ,  e  culto,  e  sicuranza ,  e  petti 
Di  te  bramosi  e  di  te  degni.   Inoltra 
Là  dentro  il  passo ,  e  scorgerai  se  vero , 
Se  svelato  ti  parla  oggi  il  Mistero. 
Qui  le  virtù  più  belle 

Han  trono,  incensi  ed  ara; 
Qui  dispogliar  s'impara 
Da  vili  affetti  il  cor. 
Eterna  dallo  stelle 

Qui  piove  un  Dio  la  luce, 
Non  Dio  tiranno  e  truce , 
Ma  tutto  Dio  d'amor. 
la  verità' 
Di  stupor  mi  riempi 

0  generoso  mio  rivai.  Ma  quali 
Sono  dunque  i  mortali 
Di  tanto  ben  privilegiati  ? 

IL    MISTERO 

I  figli 

Dell*  Eterno  Architetto. 


XXXIX 
LA    VERITÀ' 

Easta  cosi;  quel  detto 

Mi  fa  tutto  palese.  Addio  :  ti  resta 

Tu  con  gli  alunni  del  compasso  :  io  corro 

Altro  asilo  a  cercar. 

IL    MISTERO 

Fermati,  ascolta. 
la  verità' 
No  ,  lasciami  :  altra  volta 
Intervenni  chiamata 
Ai  mistici  consessi 
Di  questi  oscuri  Illuminati,  ed  ebbi 
Di  che  pentirmi.  Orsù:  conosco  anch'io 
I  lor  travagli;  so  che  sono;  addio. 
Dell'  arcano  altare  al  piede 
Ogni  labbro  in  sacro  accento1 
Mi  giurò  silenzio  e  fede, 
Ma  scordossi  il  giuramento 
Più  d'  un  labbro  e  mi  tradì. 
Porse  il  petto  al  santo  amplesso  y 
E  amor  vero  ognun  promise; 
Ma  l'orgoglio  i  cuor  divise, 
E  il  fratel  più  volte  oppresso' 
Dal  fratello ,  oh  dio  !   peYi. 

IL    MISTERO 

Vero  parlasti ,  austera  dea;  ma  quale 
Degli  umani  istituti 
Ottimo  sempre  si  mantien  ?  Tu  stessa 
Di  prudenza  talor  forse  non   varchi 
I  prescritti  confini  ?  e  per  soverchio 
Zelo  del  giusto  non  ti  veggo  io  spesso 
Cangiata  in  vizio?  Ma  garrir  che  giova? 
Entra,  e  i  tuoi  torti  a  prova 


XL 

Conoscerai.  V'aprite,  eccelse  porte 

Del  negato  a' profani 

Mistico  tempio,  e  voi  brandite,  o  figli 

Della  luce  ,  le  spade ,  e  coli'  alzate 

Punte  in  croce  onorate 

La  dea  del  Ver,  che  viene. 

(Si  spalancarlo  le  porte  del  Tempio ,  e  com- 
parisce il  cono  delle  virtù' ' ,  che  si  avan- 
zano giubilando  incontro  alla  verità'. 
la  verità' 

Oh  ciel  !  son  io 
Fuor  di  me  stessa?  o  quelle 
Che  là  veggio ,  son  pur  le  mie  sorelle  ? 

CORO    DELLE    VIRTÙ' 

Vieni,  aspettata 

Dolce  germana  ; 

Dell'?  beli'  anime 

La  gioia  è  ingrata, 

Se  va  lontana 

La  verità. 

la  verità' 
Oh  cercate  da  me  gran  tempo  invano 
Care  sorelle,  Egualità,  Costanza, 
Cortesia,  Temperanza, 
Beneficenza,  Libertà!  Dumpa'  io 
Dopo  tanto  desio 

Vi  ritrovo  e  v'abbraccio?  Oh  dolce  incontro! 
Oh  me  felice  !   Ma  rjual  sorte  amica 
Fuggitive  e  disperse 
Vi   riunì ,   vi  aperse 
Questo  asilo  di  pace? 

UKA    DELLE    VIRTÙ' 

Un  dio,  che  sempre 


Per  noi  fia  dio.  Leva  lo  sguardo ,  e  mira  : 
Eccolo. 

LA    VERITÀ' 

Oh  vista  !  E  non  è  quello  il  volto 
D'  Eugenio? 

CNA    DELLE    VIRTÙ' 

È  desso.  SulP  augusta  fronte 
Della  paterna  stella 
Non  "vedi  il  raggio  balenar  ?  Sbandite 
D' ogni  parte  e  tradite  ,  Ei  ci  raccolse 
Tutte  intorno  al  suo  solio  ,  Ei  ne  permise 
L'  aver  culto  e  seguaci  ;  ed  è  sno  dono 
Se,  Lui  nostro  Oriente  e  nostro  Duce, 
Questo  tempio  abitiamo  e  questa  luce, 

la  verità1 
Oh  magnanimo ,  oh  degno 
Ch'  ogni  buono  1'  adori. 

UKA    DELLB    VIRTÙ' 

E  non  siam  sole 
Al  regale  suo  fianco.  Altre  sublimi 
Lo  circondano  a  gara 
Generose  Virtù ,  che  la  profonda 
GÌ'  insegnano  di  Stato 
Difficil'  arte. 

la  verità' 
Ed  io  fra  tante,  io  sola 
Esclusa  rimarrò? 

UNA    DELLE   VIRTu' 

Sgombra  il  sospetto. 
Noi  medesme  al  suo  piede 
Ti  guideremo.   Ei  chiede 
Di  te  pur  sempre  e  ti  desira,  e  contro 
Le  lusinghe  e  gl'inganni 


XT.TT 

C  he  circondano  i  troni  Egli  ti  spera 
fciu    compagna,  sua  scorta  e  consigliera. 
la  verità' 
Sì  :  quel  cor  d' udirmi  è  degno , 
E  a  quel  core  io  parlerò. 

IL   MISTERO 

E  agi'  iniqui  il  tuo  disegno 
Io  fedel  nasconderò. 
la  verità' 
Dunque  pace,  o  dio  Mistero; 

IL    MISTERO 

Dunque  pace,  o  dea  del  Vero 3 

A    DUE    V 

Senza  vdo  e  senza  sdegni 

Tra  noi  regni  l' amistà. 
una  virtù' 
L'  almo  sole  del  grande  Architetto 

Sulla  fronte  d'  Eugenio  risplenda  ; 

UN'  ALTRA    VIRTÙ' 

Per  P  augusto  fratello  ddetto 
Ogni  petto  di  gioia  s' accenda  ; 

TUTTI 

Il  fragor  delle  palme  battute 
A  Lui  porti  la  terza  salate, 
E  il  possesso  d'un' alma  sì  cara 
Sia  la  gara-di  tutte  Virtù. 


IN     MORTE 

DEL  MILITARE  ROISE 


ODE 


Sprezza  l' Invidia  :  ascendi , 

Vate ,  il  mio  carro  portator  del  grande 
Cigno  di  Dirce  per  la  polve  Elea. 
Vieni ,  e  securo  tendi 
L'  arco  Teban ,  che  riverita  spande 
La  memoria  de'  forti  e  la  ricrea. 
Posto  ancor  non  avea 
Fine  all'  invito  1'  Eliconia  Diva  , 
Ch'  alto  io  già  premo  il  divin  cocchio  ;  ed  Ella 
Gl'immortali  corsieri,  in  sulla  riva 
D'Alfeo  pasciuti,  per  lo  ciel  flagella. 
Dell'  atre  nubi  il  seno 

Squarcian  le  rote  impetuose.  Il  tuono 

Svegliasi  e  ruggej  il  lampo  mi  combatte 

Le  pupille  ;  e  sereno 

Il  cor  nel  petto  mi  fiammeggia  al  suono 

Delle  tempeste.  Come  vento  ratte 

Sotto  le  piante  intatte 

Fuggon  cittadi  e  regni.  Inclito  campo 

D'Eylau,  già  scendo  lodator  de' tuoi 

Vanti,  e  pio  bacio  di  ìispetto  io  stampo 

SuLT  uaul  tomba  de'  cpui  spenti  Eroi. 


XLIV 

Qui  pugnava  tremenda 

Contro  il  valor  la  rabbia,  e  in  vorticoso 

Turbo  le  nevi  congiurate  e  i  venti. 

Qui  fé'  palude  orrenda 

Misto  il  barbaro  sangue  al  generoso; 

E  col  fragor  de'  bellici  tormenti 

Si  confondean  ruggenti 

Le  bufère.   Ma  invitta,  ovunque  cada 

L' ira  de'  nembi  e  il  Runico  furore  , 

Del  gran  Guerriero  combattea  la  Spada, 

E  più  securo  d'ogni  spada,  il  core. 

Quale  nel  suo  disdegno 

Alza  Giove  lo  scettro  ;  e  la  divina 

Tolgor  s'infiammale  tuona,  e  parte, e  strugge; 

Tal  del  mio  Sire  è  il  6egno, 

Tal  del  suo  brando  il  lampo  e  la  ruina. 

Cade  lo  Scita  fulminato,  e  muggo 

Nella  caduta,  o  fugge 

Precipitoso.  Orribile  mistura 

Fan  riversati  nella  bianca  valle 

Corpi ,  carri ,  destrieri  ;  e  la  Paura 

Sferza  ululando  le  fuggenti  Spalle. 

Ob  delle  forti  imprese 

Genio  custode  !   lo  stil  prendi  e  scrivi 

De'  prodi  il  nome,  ebe  sul  sacro  letto 

D'  onor  morte  distese  : 

Scrivi  li  cento  ebe  trafitti,  in  rivi 

D' ostil  sangue  calcar  di  mille  il  petto  j 

Né  ardir  porgea  lo  stretto. 

E  tu  pur  cadi  tra'  famosi ,  o  figlio 

Dell'Insubre  Oriente,  e  te  caduto 

Pianse  il  mistico  sol ,  pianse  ogni  ciglio  , 

E  del  gran  Tempio  il  lavorio  fu  muto. 


XLV 

j\la  de'  tuoi  fatti  altera 

Già  vien  la  Gloria,  che  il  fraterno  pianto 

Terge  :  alle  auguste  Canopée  colonne 

Già  torna  la  primiera 

Luce,  e  in  lieto  si  cangia  arcano  canto 

L'inno  lugubre  della  tua  Sionne. 

Godi,  o  fratel.  Le  donne 

Del  sacrato  Elicon  veglian  la  cura 

Del  lauro  asperso  del  tuo  sangue  ;  e  vive 

Eterno  il  lauro ,  che  l' eterna  e  pura 

Ond.a  educò  delle  Ga6talie  rive. 


XLVI 


SONETTI 


I 


1  pastorel  Oberino  ogni  pensiero 
Posto  in  un  eapro  avea  di  negro  vello, 
Cbe  di  sua  greggia  era  il  più  forte  e  snello , 
Ed  ogni  altro  vincea  col  corno  altero. 

Pazzarel  !   Gli  era  intorno  il  giorno  intero 
Per  farlo  bianco  e  renderlo  più  bello  ; 
Spesso  il  lavava  a  un  limpido  ruscello; 
Ma  lavandolo  più,  lo  fea  più  nero. 

Clori  cbe  giunse  ,  e  rimirollo  attenta, 
Disse  :  Qucst'  opra  tua  nulla  ti  frutta , 
Percbè  il  capro  più  nero  ognor  diventa. 

Il  pastor  le  rispose  :  E  tu  ben  tutta 
Stai  la  mattina  ad  abbellirti  intenta, 
Pur  ti  veggio  ogni  dì  sempre  più  brutta» 


La  bellezza. 


U 


n  arboscel  di  sorbo  un  dì  piantai 
Mal  esperto  cultor  nell'  orto  mio  ; 
E  nel  pingue  terren  sì  l'innestai 
Cb'  alto  crebbe ,  e  coi  rami  al  ciel  salio. 

Lunga  stagion  le  frutta  n'  aspettai , 
Tutto  pien  di  speranza  e  di  desio , 
Né  il  lieto  dì  pareami  giunger  mai 
Di  vederle  mature  e  code  ancb'io. 

Le  colsi  alfine ,  e  come  vaghe  in  vista  ! 
Ma  tale  al  gusto  avean  rigida  asprezza 
Che  ancora  il  labbro  mio  se  ne  contrista. 

0  bugiarda  cui  tanto  il  mondo  apprezza 
Vaga  sembianza  che  d' amaro  è  mista  ! 
Quanto  è  folle  chi  crede  alla  bellezza,, 


XLVII 

La  vita  umana. 


E. 


ra  sereno  il  ciel ,  placida  l'onda, 
E  tanta  calma  non  si  vide  mai, 
Come  allor  quando  dall'  amica  sponda 
Sciolsi ,  e  il  fragil  mio  legno  al  mar  fidai. 

Ma  quella  sorte  non  durò  seconda  ; 
Fremere  il  mar,    turbarsi  il  ciel  mirai  ; 
E  or  fui  spinto  in   voragine  profonda , 
Or  sull'  instabil  flutto  al  ciel  poggiai. 

Del  mio  periglio ,  benché  tardi ,  accorto 
Mi  trovo  ancor  troppo  lontan  dal  lido 
Con  gran  timor  di  rimanere  assorto. 

E  invan  m'  affanno ,  e  disperato  grido  : 
Quant'  era  meglio  non  uscir  dal  porto , 
E  non  creder  cotanto  al  mare  infido. 

Al  signor  N.  N.  che    vestì  le  divise   militari 
nel  giorno  stesso  delle  sue  nozzet 

Signor,  6e  mentre  un  bel  desio  di  moglie 
Vien  nel  giovine  petto  a  farsi  il  nido, 
Cingi  la  spada  e  le  guerresche  spoglie 
Cavaliero  di  Marte,   e  di  Cupido 5 

Già  non  vorrai  sull'  amorose  soglie 

Sempre ,  cred'  io ,  cercar  la  Dea  di  Gnido  , 

O  caldo  gir  di  marziali  voglie 

Al  par  d' un  Garamanto  e  d' un  Numido, 

Saggio  qual  sei  di  belliche  faville 

Tempra  il  pensier  colla  tranquilla  idea 
Di  due  vaghe  d' Amor  care  pupille. 

Cosi  talvolta  ancor  Marte  scendea 
Sazio  di  guerra  dalle  Tracie  ville 
A  riposarsi  in  grembo  a  Citerea. 


AD  UN  AMICO 

Contro  un  Censore  che  pretendeva  dovesse 
modificare  due  strofe  dell'Ode 

PER    LE    NOZZE 
FRA    IL    NOBILE   SIG.    CONTE 

GIO.  BATTISTA  DA  PERSICO 
podestà'  di  verona 

E    LA    NOBILE    SIG.    CONTESSA 

PISANA    GAZOLAf) 


À 


lil  vana  speme  !  ahi  vano 
Dei  sacri  carmi  amor  ! 
Poveri  versi  in  mano 
D' un  asino  Censor , 
Che  non  dell'arte  Delfica ', 
Ma  sol  dovria  dei  ragli  giudicar  ! 

Chi  fia  di  sciorre  ardito, 
Giudice  Mida,  il  canto? 
Cessa  il  non  sano  invito, 
Gentile  amico ,  e  il  vanto 
De'  lunghi  orecchi  indocili 
A  fronte  china  impara  a  rispettar. 


O  V.  il  voi.  IV,  a  pag.  3o7. 


DISCORSO 

RECITATO    IN    FAEWZA 

AD  UN  CONVITO  REPUBBLICANO 

dall'  autore 
commissario  direttoriale  n£lls  emilia 

COL    CITTADINO 

AVVOCATO    OLIVA 


Arr. 


CITTADINI 


lNoii  avezzo  a  favellare  nella  frequenza  del 
popolo  io  ayea  affidata  all'  eloquenza  del  mfh 
collega  F  espressione  de'  miei  sentimenti  .  Voi 
li  avete  ascoltati  sopra  il  suo  labbro,  la  mia 
anima  vi  ha  parlato  per  la  sua  bocca ,  né  io 
potrei  che  scemarne  la  forza  aggiugnendo  sil- 
laba alle  nobili ,  e  delicate  sue  parole  . 

Tuttavolta  chi  può  tacere  alla  vista  del 
tenero  ed  interessante  spettacolo  di  questo 
simposio  repubblicano  ?  Egli  è  il  trionfo  più 
maestoso  della  libertà ,  dell'  eguaglianza  ,  del- 
la virtù .  Non  vi  manca  che  la  presenza  di 
tutta  la  Cisalpina  per  apprendere  da  voi  il 
segreto  di  conquistare  il  cuore  del  popolo  al- 
la Repubblica .  Non  vi  manca  che  lo  sguardo 
di  tutto  il  resto  d'  Italia  per  ammirarvi ,  e 
vergognarsi  delle  sue  catene:  oh  dolce,  oh 
sublime  democrazia  !  Egli  è  ben  misero  chi 
non  ti  ama  !  Egli  è  ben  vile  chi  teme  la  sem- 
plicità de'  tuoi  santi  costumi  !  L'  eguaglianza 
non  atterisce  che  gli  uomini  senza  merito , 
quegli  uomini  io  dico,  che  han  bisogno  di 
ornarsi  delle  virtù  dei  sepolti,  e  circondarsi 
d'  orgoglio  per  essere  qualche  cosa:  oh  divina, 
desiderata  democrazia  !  Tu  vendichi  la  natu- 
ra dagli  oltraggi  che  le  ha  fatto  il  disordine 
delle  passioni,  tu  rimetti  ognuno  al  silo  posto. 


LII 

tu  non  lasci  fra  gli  uòmini  elio  Ta  sola  conso- 
lante differenza  dei  talenti,  e  della  virtù. 

Mi  volgo  a  te,  modesto  ex-plebeo,  che 
a  questa  mensa  mi  onori  della  tua  nobile 
compagnia.  Tu  che  appartieni  alla  porzione 
più  sacra  e  più  cara  della  Repubblica  rico- 
nosci in  me  un'  altro  ex-plebeo  tuo  fratello  , 
e  non  isdegnare  di  accordarmi  la  tua  bene- 
volenza e  amicizia.  Oh  come  è  granile  la  mia 
superbia  nel  dividere  teco  F  onore  di  questo 
Seggio  !  Come  sento  di  esser  picciolo  al  tuo 
fianco  f  il  tuo  lacero  vestimento,  la  tua  te- 
sta squallida  e  rabbuffata,  quel  volto  oltrag- 
gmto  dal  Sole ,  e  dall'  mclemenza  degli  ele- 
menti, quelle  mani  incallite  nella  fatica,  mi 
avvisano  altamente ,  eh'  io  sono  d'  assai  mi- 
nore di  te  nei  contrassegni  del  earatLere  re- 
pubblicano. Ma  sii  generoso.  Volgi  lo  sguar- 
do alla  passata  tua  condizione,  fanne  il  con- 
fronto cobi  presente,  e  riconosci  il  beneficio, 
clic  la  democrazia  ti  ha  portato  sottracndoti 
al  pesante  giogo  della  tirannide. 

Col  tuono  insultante  dell'  alterezza  1'  A- 
ristocratico  ti  dicca  ;  uomo  ignobile,  abbassa 
}a  fronte,  e  obbedisci  .  Tu  sci  il  mio  serba- 
vo, ed  io  il  tuo  padrone.  11  Democratico  ti 
dice:  Cittadino,  alza  la  fronte,  e  comanda. 
Tu  sei  mio  eguale,  ed  io  nuli' altro  ebe  il 
tuo  fratello.  L'Aristocratico  ti  clicca  ;  nomo 
sprezzato,  mangia  il  pane  della  miseria,  e 
ringrazia  la  mia  clemenza  che  abandona  alla 
tua  fame  gli  avanzi  della  mia  erapola  .  Jl 
X'emocratico  ti  dico:  Cittadino,  prendi  meco 


ri  ti 

il  tuo  posto  a  questa  mensa  frugale  imbandi- 
ta dall'amore  e  dall' eguaglianza  ,  ed  unisci 
la  tua  voce  alla  mia  per  intuonare  un  brin- 
disi  di  gratitn  lino  alla!  Repubblica  •  Grìfdava 

l'Aristocratico:  io  sono  tutto,  e  tu  nulla. 
La  natura  ha  seminato  lira  gli  uomini  il  do- 
lore, e  il  piacere.  Tientì  tu  il  primo,  ch'io 
voglio  per  me  tutto  il  secondo.  11  Democra- 
tico all'opposto  ti  grida:  Cittadino  Meni  a 
divider  meco  i  piaceri  di  questa  vita  ,  e  fam- 
mi parte  del  dolore  che  ti  travaglia.  Ripren- 
di i  diritti  che  la  natura  ti  ha  donati,  e  non 
temer  che  le  leggi.  L'ingiustizia  insomma  , 
il  capriccio,  la  tirannia  erano  la  norma  dei 
primo  ;  l'equità,  l'eguaglianza,  l'amore  so- 
no la  regola  del  secondo . 

Cittadino,  rispondi.  Qual  dei  due  è  più 
degno  della  tua  stima  ?  Quale  dei  due  go- 
verni ti  comanda  la  tua  ragione,  e  il  tuo  in- 
teresse di  rispettare  ed  amare  ?  Qual  più  ti 
giova  di  essere  ?  Schiavo,  o  Repuhhlicano  ?  (i) 
Bravo  Cittadino;  la  natura  ha  parlato  al  tuo 
cuore,  tu  hai  l'atto  la  scelta  della  ragione  . 
Riprendi  adunque  la  tua  dignità  :  ma  per  di- 
venire, e  conservarti  repubblicano,  conosci  i 
sacri  doveri  che  accompagnano  questo  titolo  . 
Apprendi  che  la  tua  libertà  degenera  in  ti- 
rannia quando  non  è  subordinata  alle  leggi  , 
quando  oltrepassa  i  contini  del    patto    che  tu 


(i)  A  questa  dimanda  il  povero  si  è  mes- 
so a  gridare  furiosamente  :  Repubblicano  . 


uv 

hai  segnato  co' tuoi  fratelli.  Apprendi  che  o- 
gnuno  ha  dei  diritti  sull'  altro,  e  che  in  vir- 
tù di  questi  diritti  la  società  circoscrive  la 
tua  libertà,  e  ne  regola  l'esercizio.  Appren- 
di in  somma  che  esser  libero  nuli'  altro  vuol 
dire  che  esser  suddito  delle  leggi ,  senza  le 
quali  la  libertà  è  il  più  terribile  dei  ilagelli  . 
Queste  leggi  benefiche  ti  permettono  di 
esser  l'elice,  ma  non  a  spese  del  tuo  fratello; 
e  felice  appunto  ti  vogliono  perchè  ti  vietano 
di  rendere  infelici  i  tuoi  simili .  die  se  il 
cuor  ti  tentasse  di  lagnarti  ancora  della  di- 
suguaglianza dei  beni ,  che  rimane  tuttavolta 
fra  gli  uomini,  e  ti  fa  sospettare  dell'egua- 
glianza de' tuoi  dritti j  considera,  cittadino, 
e  consolati ,  considera  le  vendette  che  la  na- 
tura esercita  sopra  tutti  coloro  che  resistono 
a'  suoi  decreti .  Dall'  orrore  della  tua  indi- 
genza discendi  nel  cuor  de' colpevoli,  che  tu 
chiami  felici,  e  vedi  lo  strazio  che  fanno  i 
rimorsi .  Osserva  quel  ricco  indolente  affan- 
narsi in  traccia  di  nuovi  piaceri ,  e  non  tro- 
varne più  alcuno ,  perchè  tutti  li  ha  consu- 
mati .  Osserva  quell'  avaro  insensibile  ai  gri- 
di della  natura,  crudele  con  gli  altri,  e  più 
crudele  con  se  medesimo,  divorato  da' sospet- 
ti ,  e  cascante  di  fame  in  mezzo  alla  copia 
de'  suoi  tesori.  Vedi  quel  bugiardo  privato 
della  pubblica  confidenza ,  quell'  invidioso  la- 
cerato dalla  vista  dell'  altrui  bene  ,  quell'  ipo- 
crita vestito  a  bruno ,  tremante  all'  aspetto 
della  verità,  che  lo  raggiunge,  e  lo  fulmina. 
Porta,  se  il   puoi,    invidia    alla   logora  salute 


do]  libertino,  alle  innesto  intemperanze  del 
parassita  ,  ai  torbidi  sogni  del  giudice  ini- 
quo ,  dell*  avido  mercenario  ,  del  pubbli- 
cano ingrassato  delle  sostanze  del  povero  e 
del  pupillo.  Contempla  in  somma  il  doloroso 
spettacolo  delle  pene  che  accompagnano  1'  o- 
pulenza,  l'orgoglio,  1'  ambizione,  il  delitto, 
e  rendi  grazie  alla  provvidenza  suprema,  cbe 
ti  ha  compartito  il  massimo  de'  benerìzj  to- 
gliendoti di  essere  scellerato . 

Va  dunque,  virtuoso  e  fortunato  mendi- 
co ,  sii  superbo  dell'  umile  tua  condizione , 
porta  nel  cuore  de'  tuoi  compagni  il  sacre  lo- 
co della  libertà  che  t'infiamma,  abbracciami, 
e  grida  meco  :  Viva  la  libertà  5  viva  la  Repub- 
blica . 


Lvr 
OTTAVA 


Alfin  sci  morto  o  maledetto  e  rio 
Anno  decimoterzo ,  anno  alle  genti 
Portator  della  piena  ira  di  Dio 
Anno  carco  di  sangue  e  di  lamenti! 
Nella  vorago  dell'  eterno  ohlio 
Vanne  sepolto,  e  1'  uom  non  ti  rammenti 
Che  per  gridar  :  11  Baratro  ti  chiuda 
Anno  decimoterzo,  anno  di  Giuda  < 


NOTA  DELL'  AUTORE 

rUBBLJCA  TA    KELl'  AFFZNDICX    ALLA 
GAZZETTA    DI    MILANO 

dell'i    6.    settembre    182.7. 


N« 


lei  n.°  65  del  Diario  di  Roma  trovatisi 
alcune  righe  che  mi  riguardano,  ed  alle  qua- 
li per  amore  della  mia  riputazione  e  del  vero 
debbo  fare  la  seguente  risposta:  Non  conqui- 
stato ,  ma  sibbene  di  propria  volontà,  veden- 
do che  la  mia  vita  va  sempre  più  declinando, 
ho  voluto  procacciarmi  i  conforti  della  mia 
religione  ,  in  cui  venni  allevato  e  nudrito  prin- 
cipalmente dall'  esempio  dell'  ottimo  mio  pa- 
dre, morto  in  opinione  poco  men  che  di  san- 
to, e  dalla  quale,  quantunque  abbia  potuto 
traviar  talvolta  la  mia  penna,  certo  non  se 
n'  è  mai  ribellato  il  mio  cuore.  Io  non  sospet- 
tava nemmeno  che  questo  semplicissimo  fatto, 
del  quale  mi  compiaccio  tuttora ,  dovesse  tro- 
vare chi  lo  giudicasse  tanto  difforme  dalla 
passata  mia  vita,  da  attribuirgli  i  nomi  di 
conquista  e  di  ritorno  ai  sani  principi ,  meno 
poi  da  ascriverlo  a  vanto  di  chi  che  sia.  La- 
sciando il  giudizio  delia  mia  e  dell'  altrui  co- 
scienza a  Quel  solo  che  ne  ha  il  diritto,  avrei 
creduto  di  mancare  a  me  stesso,  se  non  aves- 
si protestato  contro  V  abuso  che  il  giornalista 


LVIII 

di  Roma  ha  fatto  a  mio  danno  di  troppo  im- 
portanti parole.  Qualunque  poi  siasi  il  nome 
che  dar  si  voglia  alla  cosa ,  debbo  dichiarare a 
esser  falso  che  sia  stata  opera  dei  RR.  PP. 
Barnabiti  di  Monza,  i  quali  io  neppur  cono- 
sceva (  sebbene  io  abbia  sempre  nutlrito  la 
dovuta  stima  per  la  loro  congregazione  )  in 
quel  tempo  in  cui  deposi  i  segreti  della  mia 
coscienza  nelle  mani  di  un  mio  amico  sacer- 
dote di  Milano,  e  domandai  di  essere  accol- 
to al  perdono  di  ogni  mio  errore .  Così  pari- 
menti è  del  tutto  supposta  e  non  vera  la  let- 
tera che  il  giornalista  asserisce  scritta  da  me 
al  mio  eh.  collega  ab.  De  Gesaris  :  e  falso  è 
finalmente  che  io  divida  ora  il  mio  tempo  fre 
la  conversazione  dei  RR.  PP.  Barnabiti  d 
Monza  ,  e  la  Feroniade .  Queste  cose  mi  par 
ve  di  dover  rispondere  all'  articolo  del  Dia 
rio  di  Roma, 

Vincenzo  Monti. 


Prezzo  Franchi  \ 


PQ  Monti,   Vincenzo 

4-720  Poesie  politiche 

M5A17 
1858 


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