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BORBONICO.
VOLUME DECLYIOQUARTO
NAPOLI,
DALLA STAMPERIA REALE.
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2150
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FRONTISPIZIO.
Appartiene questa gaia veduta alla casa
di Marco Lucrezio Decurione pompeiano
elaboratamente descritta nella relazione
degli scavi posta in line di questo volu-
me. Nella fronte sta una nicchia lavorata
a musaico ed ornata di diverse conchiglie'
con entro una statuetta marmorea di
Sileno sostenente col braccio sinistro un
otre, donde sgorgava 1' acqua, che scen-
dendo per cinque scalini con canaletto
nel mezzo si raccoglieva nel sottoposto
bacino : dal centro di questo sorge una
doccia dalla quale pollava l'acqua ani-
matrice della fonte. Due erme bicipiti di
marmo fiancheggiano l'edicola, ed intorno
al bacino sono qua e là disposti dieci a-
i limale tti anch'essi di marmo, e tra questi
al davanti un vivacissimo gruppetto di un
Pane barbuto, cui un piccol Fauno toglie
una spina dal piede. Dal lato sinistro del
riguardante stan due statuette di Fau-
no, l'una in atto di guardare verso il
sole, facendosi riparo con la destra dei
suoi ardenti raggi , Y altra a mezza figura
e con siringa ha raccolto nella nebride un
caprettino, che la capra sua madre par
che reclami belando ed alzandosi desi-
derosa sulle gambe posteriori. Chiudono
la composizione due lunghe erme, l'una
a destra e l'altra a sinistra, esprimenti
amendue Bacco Indiano ed Arianna.
Vuj] , : ' 1 1 '
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VOL XIV. TAV. I. i
Dedalo e Pasif ab — Dipinto pompeiano*
ItXeno abbonente che in generale non credesi fu
l'Arte antica dal figurare il bestiale amor di Pa-
sifae e il non meno infame ministerio che Dedalo
le prestò. Secondo la volgar tradizione , alla quale
contrastò appena Luciano ed alcun altro, raccon-
tarono 1' avventura e Diodoro di Sicilia ed Apol-
ludoro ed Igino (1); la cantarono più volte Proper-
zio, Ovidio, Virgilio; nel bronzo e nel marmo o
sugi1 intonachi la istoriarono scultori e dipintori.
Nelle porte stesse del tempio d1 Apolline in Cuma,
siccome leggiamo nel sesto dell1 Eneide , erano effi-
giati quegli amori nefandi e la prole biforme che
poi ne fu conseguenza e memoria. Veggonsi tut-
tora quelli variamente trattati ne1 due bassirilievi
marmorei del palazzo Spada e della Villa Borghe-
se, illustrati dal Winkelmann. In pittura a fresco
poi per ben tre volte ricorse lo stesso argomento
nella nostra Pompei: la prima nel pilastro di una
pubblica via , e propriamente quella in Continua-
ti) Diod. lib. 4, Apollod. lib. i5. e. i, Igin. far. 40.
*
a VOL. XIV. TAV. I.
zione della seconda fontana ; la seconda nella casa
di Meleagro ; la terza in quella detta della gran
caccia. Così guasto era il primo di tai dipinti che
non si attese ad illustrarlo ; mutilato ancora com-
parve il secondo , ma fu descritto in quest' opera
e disegnato nella tavola LV del volume settimo.
F.eco alla fine il terzo , al pari del precedente com-
posto di tre figure, Pasifae, Dedalo e la lignea gio-
venca , ma quasi intero del tutto e tale da servir
come all'altro di complemento.
Vedesi qui ancora la regina assisa , e l' arte-
fice in pie e presentante l' opera sua , cioè la falsa
vacca , nel cui dorso è praticata l' apertura col
suo coperchio , e la quale poggia sopra tavolato
scorrente mercè quattro rotelle ; accessori tutti co-
muni ai due affreschi ; e l' ultimo artificio delle
rotelline, mentovato da Apollodoro, non fu ob-
bliato nemmen dall'autore del bassorilievo borghe-
siano. Il luogo della scena che nella precedente pit-
tura non iscorgevasi , viene in questa chiaramente
significato: è innanzi al peristilio della reggia, del
quale veggonsi quattro doriche colonne che ne
sostengono il frontispizio. Sotto un albero brullo ,
secco e bistorto, siede la moglie di Minosse in ma-
VOL XI V. TAV. I. 3
gnifica sedia d' avorio a bracciuoli riccamente in-
tagliata e sulla quale è gettato un panno di color
verde. Ella è regalmente vestita con tunica pao-
nazzina e manto giallo foderato di cilestro ; tiene
in ima mano aurato scettro; le circonda il capo
gemmato diadema , i cui bendoni le cadon siigli
omeri; ha in line i piedi appoggiati ad uno sgabello.
Le sta dirimpetto l'artefice coperto solo di breve
tunica cilestrina. Nella sinistra ei tiene l'ascia; ed
indica con la destra l'artificiata giovenca, ravvolta
Torse d' una pelle di quell' animale , come scrisse
il mentovato Apollodoro , e nella quale scorgesi
aperto il coverchio dell'entrata. Così in questo qua-
dro è compiuto quanto nell' altro faceasi desiderare.
Nella descrizione dell' ultimo non ripeteremo
pertanto ciò che nell'illustrazione del primo fu
detto da un nostro collega , circa la storia che ne
forma il subbietto. Solo ci rimane ad aggiungere
che questo dipinto trovasi nel tablino della casa
testé nominata e propriamente a man destra , in
mezzo ad elegantissima parete di fondo cilestro.
c/ba/jaete ^Liberatore.
VOL. XIV. TAV. U. 1
Duk danzatrici — Pittura pompeiana.
JLl lusso degli antichi Romani ora tanto esorbitante
che ai nostri tempi sembra piuttosto favoloso che
verosimile. Quando il lusso romano vagiva ancora
bambino, nò era cresciuto gigante come lo divenne
dipoi ncll' Impero, le cene in Apolline di Lucullo
costavano cinquantamila dramme , circa novemila
cinquecento ducati. Nò la imbandigione di cene così
smoderatamente costose , bastò a saziare le voglie
di quei delizianti , che vollero aggiungervi anche il
diletto e lo spendio della musica , e della danza.
Al qual diletto 1' antica Roma manteneva tremila
danzatrici con altrettanti maestri di ballo ed i cori
corrispondenti (1): giacché pare che associassero al
ballo la musica vocale ed istrumentale. Queste bal-
lerine eran chiamate a rallegrare i banchetti del-
l' eterna Città , e vi facevan la loro comparsa ora
figuranti Nereidi, ora Ninfe (2), quando Baccanti e
(1) Ammian. Marceli. 1. 14.
3) Aten. lib. V. e. II. p. i3o.
3 YOL. XIV. TAV. IL
talora Divinità (i). Tutte queste cose che qui bre-
vemente riassumiamo le abbiamo distesamente nar-
rate nel volume VII di questa opera alla tavola 55,
e seguenti.
Premesse adunque queste brevi notizie sull'uso
degli antichi Romani di mescolar la danza ai con-
viti concluderemo le due ballerine in questa tavola
rappresentate non altro esprimere che due di quelle
danzatrici che il lusso romano impiegava a ralle-
grare le cene. E facendoci a considerare i loro em-
blemi e le loro figure ci viene in mente la con-
gettura che potessero esprimere due stagioni, Pestate
e l' autunno , cioè la messe ed i frutti alle mense
non solo grati ma necessari. In fatti una di queste
due ballerine sostiene con la sinistra un canestro
ripieno di uve e di frutti che indica allora allora
colti dall' albero con quel ramo carico di pomi e
di fiondi che tiene nella destra. Del che e non di
altro ci sembra significativo quel ramo con frutti
e foglie quasi volesse esprimere che quei pomi e
quelle uve che ha in quel canestro non sono
state ad industria fuori stagione serbate, ma allora
colte dagli alberi , il che viene a significare 1' at-
(i) Plut. Con. qu. IX. prob. 17.
VOL. XIV. TAV. II. 3
tualità della stagione che quei frutti produce. Nel-
l* altra danzante seminuda con l'alce nella sinistra
ehi non ravvisa una ninfa reduce dalla mietitura?
E come la falce indica l'esercizio di questa vez-
zosa, cosi il seminudo suo corpo segna il calore
della stagione , la quale idea mista di caldo e di
messi è la meglio atta a figurare 1' estate.
Nel triclinio di una casa pompeiana posta alla
parte postica del Calcidico d' Eumacliia si sono
rinvenute queste due danzatrici dipinte su fondo
giallo. Una , quella che supponiamo esprimer l'au-
tunno, è vestita di una sistide verdastra due volte
succinta ; l' altra ha un pallio paonazzo che ventila
in molli pieghe sotto la sua cintura.
Xj uà ùetrn o bOecni.
Tbn.3]rv,
TA-imir.
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frttn :/<~w7?~ *<v</A.
\<>L XIV. TAV. III.
Diana ed Endimione.
Oia che Endimione fosse nato figliuolo di Giove
e della vezzosa Caliee (1), sia che fosse stalo un re
dell1 Elide (a), sia che amante della caccia (5) e
della pastorizia (4) ; certa cosa è aver egli ricevu-
to dal Sommo de' Numi eterna gioventù, e sonno
perenne (5), e meritatosi l'amor di Diana, la quale
di notte abbandonate le celesti sfere a visitarlo
scendeva. E questo veggiamo nel pompeiano di-
pinto che qui viene esposto. Giace il pastore in
nobilissima postura sopra un sasso , stringendo an-
cor tra le mani i due giavellotti con che inse-
guiva le belve , ed ancora gli sta dappresso il cane
fedele, che, all'arrivo della Dea, da quella parte si
volge. La quale venendo dal Cielo stringe tuttora
nella destra il flagello con che agitava le cerve
della sua biga , e si fa condurre da vezzoso Amo-
(1) Conone Narrat. i4-
(2} Pausania V, 1, 8.
(3) Eraclito De Incredib. 38.
(4) Vedi lo Scoliaste di Teocrito Idyl. Ili, 4g.
(5) Apollodoxo I, 7, 5.
a VOL. XIV. TAV. III.
rino portator di una fiaccola. Notevole è il nimbo
che a forma di luna le adorna la testa ; notevole
quel manto finissimo a ricche pieghe (1) in ehe a
metà è involta ; notevolissima la grazia, l'avvenen-
za e la compostezza che nelle vaghe membra si
osserva .
tÒernarac Quaranta.
1) I Circi (Iiiamaranlo tfiartrcvy 7 'tve&moy , rei$\r,fji.cc , •xi*,i$Xr,fiu.
1A., IV.
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•
VOL. \l\. TAV. |\
Il supplizio di Dirce. — Affresco scoperto non ha
mollo in Pompei.
Vjelebre in tutta la Grecia e per la sua beltà e
per le sue avventure fu Antiope figliuola di Nitteo
re di Tebe e della Ninfa Polisso. Secondo le più
ricevute opinioni (1) Antiope fu amata da Epopeo
re di Sidone nemico di Nitteo : questi morendo
lasciò la corona a Lieo suo fratello , e gli racco-
mandò di vendicarlo di Epopeo. Salito Lieo al trono
di Tebe, debellò Epopeo, e divenne sposo di An-
tiope: ingelosito questo principe della corrispon-
denza eh' essa aveva avuto con Epopeo , la ri-
pudiò. La derelitta fu visitata da Giove sotto le
sembianze di Satiro (2) che la rese incinta. Dirce
seconda moglie di Lieo ne accagionò suo marito ,
e fé rinchiudere in orrendo carcere la infelice An-
(1) Apollod. 1. 3. e. 7. Igin. fav. i55. Paus. 1. i. e. 6, ed altri multi.
(2) Di questa metamorfosi di Giove vedi Ovidio Mtlain. lib. VI. v. 110 e 111.
Nomi. Dionys. VI , 123 ; del pari che la spiegazione data dal nostro amico e col-
lega sig. D. Giulio Minervini nel n. IV. del Bullettiuo archeologico napoletano
pag. 26 della pregevole tazza greca dipinta in Anzi, nella quale fra V altro questa
trasfin inazione di Giove per Antiope egli ravvisa e chiarisce.
**
2 VOL. XIV. TAV. IV.
tiope , ove le fé subire i più acerbi trattamenti ;
di che impietosito Giove la liberò dalla prigione
e la nascose sul monte Citerone , ov' ella diede
in luce Amfione e Zeto , i quali furono allevati
dal pastore Oidio che aveva dato ospitalità alla
loro madre. Istruita Dirce del ritiro della sua
rivale si porta sul monte alla testa delle Baccanti
che vi celebravano le orgie del loro nume , vi
trova Antiope , e col favore delle orgie se ne
impadronisce per compier su di lei 1' ultima sua
vendetta. I figli allora scortati dal vecchio pa-
store , che riconoscevano come padre , riescono
a strappare la loro madre dalle mani della furi-
bonda Dirce , e legarono qucst' ultima ad un in-
domito Toro per farla dilaniare tra le rupi e i
bronchi del Citerone. Commosso Bacco dalla di lei
sventura e riconoscente pel culto eh' essa gli aveva
costantemente prestato , fece impazzire Antiope , e
cambiò Dirce in una fonte, che da quel momento
ne portò il nome.
Dopo aver rammentate le dette favole , noi
aggiugniamo solamente che reso noto per tutta la
Grecia il supplizio di Dirce, celebrato da' mitologi,
ed abbellito da' poeti, sin da' tempi del re Antigono,
VOL. XIV. TAV. I\. 3
Apollonio e Taurisco l'eternarono in Rodi con un
gruppo magnifico di gran mole clic inerito dalla
grandezza romana di esser trasportato in Roma ; ed
altri artefici meno intraprendenti de' primi pur Ja
memoria ne tramandarono alla posterità co1 loro
lavori. A noi però non è pervenuta notizia che talu-
no de' divini pittori della Grecia avesse espresso
nelle sue opere la dolente istoria di Dirce. Era
riserbato agli scavi di Ercolano e di Pompei , sor-
gente perenne di antiquarie ricchezze atte a porger
lume sopra tanti monumenti rimasi ancor dubbi ,
di presentarci in preziosi affreschi due diversi esem-
plari di que1 sublimi lavori che il supplizio della
regina di Tebe ci esprimono , e con maggiori
particolari dello stesso famosissimo gruppo di Apol-
lonio e Taurisco, del quale or ora terremo parola.
Presenta l'affresco pompeiano Dirce come as-
sisa a terra per essere strascinata dal furibondo toro ,
cui è avvinta per una coreggia che cingendola
per la metà del busto si avvolge al corpo del toro
stesso. A dritta Zeto eccita alla corsa il toro ti-
randolo per una fune annodata per sotto alle
corna nel mezzo della fronte, mentre che Antiope
4 VOL. XIV TAV. IV.
par che voglia spingere con la sua destra la mano
del figlio per veder compiuta la sua vendetta.
A sinistra Amfione col veglio suo educatore me-
ravigliati risguardauo 1' esito dell' inventato sup-
plizio. La scena si rappresenta sul Citerone indicato
dalle alpestri rupi , e da una folta boscaglia es-
presse nel fondo del quadro. Dirce vestita da Bac-
cante è ancora coronata di edera : al moto irre-
golare della persona di volersi slacciare dal toro,
puntellandosi col braccio destro sul suolo ed ele-
vando la sinistra sino ad immetterla nella coreg-
gia, si apre il sottil manto cilestro , di cui era ri-
coperta , e laseia comparire il nudo del corpo dalla
metà in su.- Antiope è vestita di lunga sistide verde
ricoperta da sinuoso manto rossiccio: l'attitudine di
volere spingere la mano del figlio a viemaggiormente
incitare il toro le fa scoprire il destro braccio ornato
al polso di una smaniglia di oro. Zeto ha una
corta tunica succinta ed un piccolo mantello , es-
sendo rivestite le sue gambe di calzari formati da
pelle di fiera a testimonianza della sua vita pa-
storale. Amfione in sembianze atletiche non ha altre
vestimenta che un semplice manto paonazzo av-
VOL. XIV. TAV. IV. 5
volto alla cinta che gli passa per (li sopra al sini-
stro braccio prosteso , la <li cui mano stringe un
pugnale nel fodero, al (piale è. pur raccomandato il
ha li co, reggendo nella dritta una lunga asta, consueta
insegna degli croi. Il pastore, o pedagogo cho vo-
glia dirsi, è vestito di lungo abito giallastro rico-
perto da un manto rosso affibbialo al davanti dell'
omero dritto. Egli appressa l'indice della destra alla
bocca volgendosi ad Amfione, e nella sinistra strin-
ge il pedo , attributo caratteristico de' pastori.
Variamente gli antichi scrittori narrano il mo-
do onde Dirce fu avvinta all' indomito toro. Molti
convengono che fosse stata avvinta alle corna , ed
altri alla coda; niuno però con precisione ricorda
che fosse stata legata al corpo del furibondo quadru-
pede , nel modo col quale si vede in questo affre-
sco. Ma, generalmente parlando, dagli artisti que-
ste differenze non si reputano di gran momento ;
poiché stabilito il soggetto da rappresentarsi, il rive-
stono di quelle circostanze che meglio possan far
rilevare la valentia dell' arte che professano , sce-
gliendo qiulla tradizione che più si accomoda al
genere del loro lavoro. Doveasi presentare Dirce
straziata per mezzo di un toro stizzito ; poco ri-
6 ^L. XIV. TAV. IV.
levava se la vittima fosse stata avvinta o alle
corna , o alla coda , o al corpo del toro (j).
Deesi però osservare che la scultura, la quale tratta
le composizioni a rilievo, batte ben altre vie della
(1) Difatti nel Montfaucon è riportato un bel gruppo, nel quale Dirce è attaccata
alla coda di un maestoso toro; ed in una pietra incisa è espresso Amfione e Zeto, l' u-
no tenendo tèrmo il toro , 1' altro avvolgendogli una fune alle corna , nel mentre
che la sventurata Dirce prostrata innanzi ad essi invano implora pietà ; ed in questa
stessa attitudine a noi sembra espressa nel bel frammento di cammeo sopra onice
serbato fra le gemme del Real Museo Borbonico, nel qual frammento è sol rimasa
la testa del toro con la sinistra di Amfione che ne abbranca un corno , e la figura
di Dirce dalla metà in su con le chiome scarmigliate e che in atto supplichevole
leva in alto la sua sinistra mano. In un piccolo gruppo di avorio ritrovato sono
oramai circa venti anni in una casa pompeiana tutto frammentato vedesi Dirce ,
della quale non rimane altro che la metà della figura priva delle braccia , tutta
scarmigliata e piangente , cinta da una fascia che doveva avvincerla al toro. Dirce
nell' affresco ercolaiese è legata al toro eh' è già impennato allo incitamento di
Amfione che lo aizza abbrancandolo strettamente per la testa , mentre che la sven-
turata è ancora in ginocchio supplicando a mani elevate l' inflessibile Zeto, il quale
invece par che contorca la coda del toro per maggiormente aizzarlo , al che un
pastore a sinistra par che voglia accorrere. Nel monumento di Apollonio e Tauri-
sco che or ora vedremo era forse legata pel crine per mezzo di una fune alle
corna del toro, come afferma Igino: Dircem ad taurum crinibws religatam necant.
fab. 8 ; oppure al collo , come ricorda Properzio all' eleg. i3, lib. III. al v. 38.
Vinxerunt Dircem sub trucis ora bovìs. Nelle monete di Tiatira vedesi Dirce le-
gata al toro che supplichevole colle mani alzate implora pietà da Amfione e Zeto,
de' quali 1' uno 1' afferra pe' capelli , e 1' altro procura di fermare il toro già
innalberato : Eckell. Rum. vet. anecd. pag. s6g. ; egualmente in un medaglione
di Settimio Severo è espressa nel rovescio Dirce di già avvinta al toro che sta
per subire il suo supplizio ; ed in un altro di Trajano imperatore è rappresentata
ia misera che vien legata al toro da quegli implacabili figliuoli di Giove.
VOL. XIV. TAV. I\.
pittura che l'esegue 8ul piano-, quindi è che Apollo-
nio e 'riunisco, ed altri elicali haa seguiti, hau tro-
vato il loro effetto nel legare Dirce alle corna o alla
coda del loro, perchè nel tondo della scultura polevasi
da tutti i lati osservare la composizione; il pittor Pom-
pejano al contrario, ovvero il pittore che eseguii' o-
riginale del medesimo affresco, ha legala Dirce al
corpo del toro per presentare l' una e l1 altro in
modo da fargli interamente sul piano osservare :
il che nel mentre sembrava una libertà molto avan-
zata del pittore, è da considerarsi come un raffina-
mento di arte , ove ancor si ponga mente alla poca
conoscenza di prospettiva lineare, che si scorge ne'
monumenti dell' antica pittura. Ed è forse per
questa mancanza stessa che lo spettatore resta in-
deciso, se debba credere in questo importantissimo
affresco Antiope impegnata più tosto a spingere ,
o a trattenere la mano di Zeto , e se il pastor pe-
dagogo intimi silenzio ad Amfione più per rattenere
la impazienza di attendere F esito del supplizio ,
che per distornare un risentimento verso ci' Antio-
pe che sembra impedire a Zeto 1' aizzamento del
toro; seppur non voglia dirsi che il pittore Poni -
pejano non abbia raggiunto in questo suo lavoro il
8 VOL. XIV TAV. IV.
vivace effetto dell'originale, e ne abbia illanguidite
le mosse e raffreddata, per così dire, la espressione ;
carattere non ordinario che han le copie a fronte
degli originali. Del resto questo nostro affresco è da
considerarsi fra i più pregiati della nostra vasta
collezione, sia che si riguardi pel merito dell'arte,
e per la importanza del suggetto , sia che si con-
sideri per la relazione che ha coli' altro insigne
monumento di marmo , del quale or passiamo alla
disamina.
Xft.ovamvatuta binati.
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VOL. XIV. TAV. V e VI. i
li. Toro Farnese , ossia il supplizio di Dirce
— Gruppo in marmo grechetto allo palmi se-
dici per palmi quattordici.
Linceo il famigeratissimo gruppo volgarmente co-
nosciuto sotto il nome del Toro Farnese , opera
classica de' greci artefici Apollonio e Taurisco, ri-
cordata da Plinio , e posta in dubbio da varj scrit-
tori del passato secolo (1). In esso è rappresentato il
medesimo soggetto della Tavola precedente , il sup-
plizio cioè che Amfiooe e Zeto figliuoli di Antiope
apprestano a Dirce per gli oltraggi fatti alla di loro
genitrice.
Questo prezioso monumento fu trasportato al
dir dello stesso Plinio dall'isola di Rodi a Roma , e
si crede che Asinio Pollione uomo sommo, guerriero
invitto, e grande amatore delle arti del tempo di
Augusto (2) avesse comprato il nostro gruppo in-
(1) Vedi il "Winckelmann storia delle arti del disegno.
(2) Dico di lui Plinio 1. V. che ingenia hominum rem publicam fecìt. Ed Orazio
nell'Oda I. nel lib. IT. lo loda in tai termini: Insigne moestis praesidium reis. —
Et consulenti, Pallio , curiae. — Cui laurus aetemos honores — Dalmatico pe-
perit tnumpho.
**
2 VOL. XIV. TAV. V e VI.
sierae con Le migliori statue che erano in Grecia
per mostrarle poi tutte riunite al pubblico. Ne
duole che allorquando sotto il pontificato di Pao-
lo III Farnese fu tratto dalle terme di Caracalla si
rinvenne molto danneggiato , e che i ristauri pra-
ticati dallo scultor milanese Giovan Battista Bianchi
non abbian raggiunto il merito sorprendente del-
l'antico che risale a' tempi de'primi successori di
Alessandro. E qui giova osservare anche una volta
dopo del Winckelmann che questi ristauri sian la
principale e male augurata cagione , che indusse a
credere non pochi nel passato secolo che questo
monumento non fosse quello menzionato da Plinio ,
perchè non offre gran bellezza nel suo lavoro ; vi
sono più cose di quelle eh' esso descrive ; ed è man-
cante della iscrizione, che mosse disputa se i due
menzionati scultori fosser figli di Artemidoro , o di
Menecrate , che quella iscrizione come loro padre
egualmente dichiara ; ma che fosse bensì un' opera
di romano scarpello, una ripetizione infine di quello
di cui ha parlato Plinio. Or per disingannare chiun-
que sarà sufficiente lo esaminare quel che ci è
rimasto di antico nel monumento , ed il luogo del
lodato storico della Natura e dell'Arte.
VOL. XIV. TAV. V iì VI. 3
In una inchiesta di tanta importanza abbia-
mo credulo nostro debito di notare diligentemente
le parti ristaurate di questo gran monumento; il
perchè dopo avorio minutamente più volte osser-
valo, abbiamo pur pregalo il nostro amico e collega
P egregio Professore di scultura signor Solari , pe-
ritissimo conoscitore di antichi monumenti , a voler
esaminare attentamente, coni' è suo sistema , parte
per parte questo gruppo ed indicarne con precisio-
ne i ristauri. Per sola ragione di brevità crediamo
ben fatto d' inserir testualmente il suo riscontro
nella sottoposta nota (i), il risultamento del quale
abbiamo verificato esattissimo e tale come noi ave-
fi) » Signor Cav. Amico e Collega — Mi è giunto graditissimo il suo invito
» di esaminar con attenzione le parti modernamente ristaurate del magnifico grup-
» pò del Toro Farnese : io la ringrazio dell' occasione che mi ha procurato di
» occuparmi novellamente di un monumento che ha formata in altri tempi parte
» de' miei studj siili' antico ; ed accoglierà in questo rincontro che io unisca all'e-
» same de' ristauri qualche riflessione sulla figura muliebre posta alle spalle di tutta
» la composizione di questo gruppo , e eh' ella accortamente suppone che non rap-
> presenti Antiope.
» La figura di Dirce tiene di restauro tutto il corpo dall' umbilico in su con
v 1' intiera testa , similmente le due braccia con porzione della coscia e gamba
» destra , e qualche pezzo nel panneggiamento.
11 Amfione ha di ristauro l'intiera testa sino alla clavicola, come leduebrac-
» eia con porzione delle mani, similmente le gambe da sopra al ginocchio sino ai
» piedi, de' quali vi è nel sinistro d'antico tre dita di mezzo con una porzione di
i> piede ; e della clamide che gli svolazza da dietro una porzione è moderna.
4 VOL. XIV. TAV. V e VI.
vaino riconosciuto; onde è che passiamo a descri-
ver questo monumento nel modo in cui or si vede ,
» Zcto ha di restauro l' intiera testa sino alla clavicola , la gamba sinistra
» sino alla metà della coscia unita al tronco , restando d' antico la punta del piede
» con le dita ; il ginocchio con metà della gamba dritta sino al calcagno ; simil-
» mente è moderno il braccio destro , cioè dal deltoide sino alla mano che tiene la
» corda , come ancora 1' antibraccio sinistro con la mano , la corda , e porzione
» della clamide.
» La figura muliebre ha di restauro la testa sino alla clavicola, tutto il braccio
» destro da sotto al deltoide con 1' intiera mano , 1' antibraccio sinistro con la mano
» che stringe la lancia , e parte della gamba sinistra.
» Al Toro sono di restauro le orecchie e le corna , le due gambe d'avanti ,
» le due di dietro incominciando da sopra al ginocchio sino all' ultima piegatura delle
» zampe che sono antiihc, e porzione della coda.
» Al tronco ov'è appoggiata la lira vi è circa un palmo di restauro con por-
» zione della lira.
» Il Baccante eh' è seduto tiene di restauro metà della gamba diritta col piede
» eh' è in bassorilievo con porzione del monte , 1' antibraccio con la mano dritta
» è moderno, similmente il braccio sinistro sino al polso, e piccoli restauri nella
» testa, nella pelle di capro, e tunica che indossa.
» Il cane eh' è di sotto al toro è quasi tutto moderno , all' eccezione di qual-
>> che punta di zampa eh' è antica.
» Delle tre altre tacce della base nel primo lato dove sono i cervi ciascuno
» di essi ha di restauro le due gambe che sono staccate dal monte , più nel pri-
» mo di essi v' è un'orecchia moderna , nell' altro porzione della testa con un corno.
» Nel secondo lato vi sono molti piccoli restauri e sono la testa di un falchetto ,
» la testa di un cane sino al petto con una zampa , e la testa dell' aquila con la
» testa della serpe che la vuol mordere.
» In ultimo al lato posteriore vi sono di restauro la gamba dritta d' avanti
>> del piccolo cavallo ; le due gambe che sono staccate cioè una d'avanti , e 1' altra
ii di dietro del caprone ; la testa ed altri piccoli pezzi nell' orso e nel toro ; e la
» testa nella testuggine ».
YOL. XIV. TAV V. e VI. 5
e a rilevare senza alcuna iattanza le bellezze che
da per loro stesso si manifestano in quelle antiche
parti che sono stato rispettate dal tempo e dallo
diverse vicende, cui il nostro straordinario gruppo
è andato soggetto.
Con molto sapore e vivacità sono espressi in
questo enorme masso marmoreo Amfiono e Zeto,
presso che nudi nelle persone, in atto di aizzare
un selvaggio toro, alle di cui corna (i) par ohe
dovesse esser per mezzo di lunga fune legata Dirce
po' capelli: una sua ancella, o seguace che voglia
dirsi, posta alla parte postica del gruppo, ed un gra-
» In quanto alla figura muliebre in piedi posta alle spalle del gruppo , ben os-
» serva che pel sito ignobile ove è situata nou possa rappresentare Antiope , giacché
» essendo essa una delle parti principali del soggetto non sarebbe stata quivi collocata
» da que' valenti scultori greci ; per cui opina che sia un' ancella di Dirce. E
» riflettendo io su questa osservazione soggiungo che esaminando quella figura spo-
» glia da' restauri, scorgo dall'azione delle braccia che ben potea rappresentare una
» ancella di Dirce colle braccia atteggiate alla maraviglia ed allo spavento di ve-
li dere l' inatteso supplizio della sua padrona.
» Accolga, Signor Cavaliere, i sensi della mia solita stima ed amicizia. — Fir-
» mato , Angiolo Solari ».
(1) 11 Paganuzzi nella sua Istoria e riflessioni sopra la mole scultoria vol-
garmente denominata il Toro Farnese a pagina 7, nell' ammirare le diverse parti
del nostro gruppo esclama : » Che si troverà a ridire della compassionevole Dirce ,
» atterrata , attaccata pe' capelli alle corna del toro in atto di schermirsi da' di lui
» colpi? » Noi al contrario che abbiamo sott' occhio lo stesso gruppo non vediamo
che Dirce sia ligata pe' capelli alle corna del toro ; giacché alle corna del quadru-
6 VOL. XIV. TAV. V e VI.
zioso piccolo Baccante assiso ad un greppo nella
parte anteriore estatici riguardano nella miseranda
scena , nel mentre che un cane latrando sta per
iscagliarsi verso l'insolito tumulto di quel supplizio.
Mirabile e felicemente espressa è 1' attitudine di
Anifione (i) che piantato con atletica fermezza af-
ferra con la destra un corno del toro , e con la
sinistra gli abbranca il muso in contrario senso,
nel mentre che a rimpetto con pari gagliardia Zeto ,
pede è legata la sola fune che Zeto stringe fra le mani , la quale va ad avvolgersi
ne' capelli della vittima acciuflati sull' occipite : ma siccome la fune e di moderno
ristauro , ed i capelli con la testa di Dirce sono ancor essi moderni e molto distanti
dalla testa del toro, così ci siam serviti dell' espressione , pare che dovesse esser le-
gata pe' capelli alle corna del toro per mezzodì lunga fune , tanto più che Igino
ricorda , come abbiaci veduto di sopra , che Dirce fu legata al toro pe' capelli , e
non precisa in qual modo vi fosse stata avvinta : Dìrcem ad taurum crinìbus reli-
gatam necant. Fab. 8.
(1) La lira che vedesi poggiata al tronco di sostegno di questo atleta il ca-
ratterizza per Amfione , ond' è che l'altro può dirsi senza tema di errare Zeto, es-
sendo noto che le inclinazioni di questi due gemelli furono diverse , Zeto si die alla
vita pastorale ( al quale forse potrebbe appartener la siringa espressa nello scoglio ,
seppur non 1' abbia colà sospesa il piccolo baccante che a quella è più vicino ), e Am-
honc coltivo la poesia e la musica. Myron. Byzant. Poeta-Epimenid. apud Alhenaeum
l. 7. È da leggersi tutto ciò che ha raccolto su di quest' opera il Ch. Heyne all' art.
9, da pagina 182 a 224 delle sue dissertazioni di Antichità , sebbene questo dotto
antiquario per non averla potuto osservare ocularmente abbia formato una troppo
piccola opinione del merito dell'arte di questo insigne monumento: e si legga pur-
anche quanto ne ha discorso il Muller nell'Handbuch §. ibi e 4*"5 n. 3 , ed il
Paganuzzi da noi di sopra citato.
VOL \I\. TAV. V e VI. 7
afferrata la lune legata a cappio fra le corna e
la cervice, tira dall'opposto Iato la testa del furi-
bondo quadrupede , il quale eccitato da questo
contrario e potente molo s'innalbera, e l'infelice
vittima cade quasi supina: invano cerca la sven-
turata con la destra levata in alto ghermirsi dalle
zampe anteriori del toro che sono per ischiac-
ciarla, e con la sinistra si affida alla gamba di
Ambone , che già già è per essere strascinata e
conquassata dal toro divenuto furibondo ed in-
domabile. E questo aggregato di contrarli affetti
ed opposte altitudini produce la più bella e pira-
midale composizione, e fa spiccare il saper profondo
de' valenti allievi di Menecrate -, i quali compene-
trati dal dover esprimere due figli di Giove occu-
pati a vendicar gli oltraggi e gli strazj sofferti dalla
di lóro genitrice elevarono in modo il loro lavoro
da corrispondere in tutte le parti alla importanza
del subietto che impresero a scolpire. Il toro infatti
impennato, Dirce quasi rovesciata, Amfione in un
piano un poco più elevato di quello su cui si pianta
Zeto, l'ancella stante, il piccolo Baccante assiso, e '1
bracco che si slancia ove più ferve l' azione , mo-
strano già la sublimità de' concetti di que' famosi
8 VOL. XIV. TAV. V e VI.
artefici Tralliani per elegantemente aggruppare
la loro composizione, arricchendola de' più mira-
bili e spiccati contrapposti. Nò con minore ele-
vatezza e discernimento espressero il valor sommo
de' figliuoli di Giove in quelle atletiche e straor-
dinarie movenze che diresti animate , tanto so-
no vivaci e pronunziate; la vaghezza del corpo di
Dirce , in quella naturale e bene aggiustata giacitura
di lei; la forza, il moto e l'aizzamento del toro in
que' muscoli turgidi, in quella coda vibratamente ri-
volta sul dorso, ed in quella fierezza di aspetto che gli
danno tale espressione di vita che ti credi esser pre-
sente ad un toro furibondo e spumante di rabbiosa
bava. Da ultimo, la semplicità e scelta de' partiti
delle pieghe delle clamidi di Amfionc e di Zeto ,
della prolissa tunica della supposta ancella, di quella
che cinge dal mezzo in giù la miseranda Dirce,
la cista mistica sorprendentemente lavorata e con-
testa di vimini , sono argomenti più che suffi-
cienti a convincersi che tutto porta l'impronta
dello stile della scultura che i dotti Archeologi as-
segnano a' tempi de' successori del gran Macedone,
tempi ne' quali dovettero fiorire Apollonio e Tau-
risco, non essendoci pervenuto alcun altro partico-
VOL. XIV. TAV. V e VI. g
lare di questi due valorosi artefici di Traili. I'„
qui dopo di aver rilevato i pregi singolarissimi di
questa straordinaria scultura, sembra che possano
rimanere disingannati coloro che sostennero che il
nostro gruppo non offrendo gran bellezza nel
suo lavoro non /asse quello ricordalo da Plinio :
ond'è che ci contentiamo solo di deplorare tutto
ciò che manca, immaginandolo al confronto di tutto
ciò che ne rimane.
Ad indicare intanto sempre più il sapere di
que' valorosi artefici, rileviamo che eglino per di-
mostrare che Dirce erasi portata sul Citerone a
celebrare i Baccanali vi espressero dappresso il tirso
e le ghirlande , e mirabilmente la cista mistica tes-
suta di vimini , e circondata di edera , dalla quale
sembra uscita la grossa serpe , che parte si striscia
sul suolo, e parte resta appiattata nella corteccia
semistaccata dal tronco che sostiene il toro, a guar-
dia forse di Diree stessa protetta da Bacco che la
cambiò in una fonte ; alla quale metamorfosi sem-
bra che abbian voluto alludere quegli artefici con
un getto di acqua da pollare da un grande foro (i)
(i) È perfettamente circolare del diametro di circa tre decimi di palmo e profondo
palmi fere circa , che trapassa tutta la spessezza della base. Ove questo foro non voglia
**
io VOL. XIV. TAV. V e VI.
che vcdesi praticato al lato sinistro dell'indicato
tronco : seppure non voglia dirsi che gli antichi
esprimendo , come è noto , con ligure allegoriche i
più sagri misteri e le più alte operazioni della na-
tura , e nel senso mistico de' misteri dionisiaci spesso
adombrando la perpetuità de' seguaci di Bacco in
faccia alla stessa morte , qui Apollonio e Tauri-
spiegarsi per un getto d' acqua , potrebbe supporsi aver servito per bilicare l' in-
tera macchina e girarla a comodo degli artisti , ed a piacere degli osservatori ,
oppure per immettervi qualche pertica da sostenere un velario per servir di ten-
da a questa beli' opera eseguita forse per essere collocata allo scoperto ? E qui
ci facciam debito di riferire l'opinione dell'egregio nostro amico e collega ca-
valier Niccolini presidente dell'Accademia di Belle Arti , il quale nel mentre
da noi si discuteva col professore Solari , col professore Mori ed altri ragguarde-
voli intendenti fu d' avviso , che quel foro rotondo servisse ad una forte asta di
metallo , la quale in esso approfondita avesse congegnato un seggio a guisa di bi-
goncia , nella quale star potesse seduto o in piedi 1' artefice per lavorare agli ul-
timi tocchi del gruppo , e quando egli avesse bisogno di osservare liberamente tutta
l'opera sua senza lo impedimento alla vista che sarebbe inevitabile facendo uso di
anditi : tanto più che gli anditi non avrebbero affatto permesso di alzarsi ed ab-
bassarsi prontamente a volontà , come ben s' intende che la congegnata bigoncia
su quell' asta avrebbe potuto fare spiegandosi ancora e protraendosi in punti più
distanti per mezzo di ordegno al di sotto da spiegarsi e svilupparsi a somiglianza
de' passetti misuratori. È pervenuto intanto a nostra notizia che 1' erudito Signor
Pancaldi nel suo lavoro che ha apparecchiato su questa meravigliosa mole marmo-
rea , nel dare una novella ed ingegnosa interpetrazione del subietto in essa rap-
presentato, si occuperà di questo foro, e partitamente di tanti altri particolari che
a lui non sembrano abbastanza sinora chiariti. Facciamo voti che presto comparisca
l' importante lavoro del Pancaldi , onde si abbia un complesso di quanto si è potuto
sinora osservare su questo singoiar monumento.
VOL. XIV. T A V. V e VI. u
sco anch'essi iniziali ne'dionisiaci misteri abbiali
posto in azione la lunga biscia sortita dalla cista
mistica, come simbolo dell'eternità, per dimo-
strare agl'iniziati, che sebbene Dirce venga posta
a morie, pure ella vive per le promesse da Bacco
Fatte a* suoi seghaci nella fonte, adombrata da'zam-
pilli pollanti dal foro che quegli artefici praticaro-
no sn questo incomparabile gruppo. Restava infine
ad esprimere il teatro ove ebbe luogo la tremenda
scena : quindi si avvisarono di rappresentar la base
artificiosamente dirupata e scoscesa , il che ad un
tempo presenta l' idea del Citerone e di un luogo
disastroso e più atto a quel dolentissimo supplizio.
Né a caso sembrano scolpiti i bei bassorilievi in-
torno al plinto di questo gruppo, i quali pure ab-
biamo fatto disegnare ed incidere in tre comparti-
menti nella tavola VI. Ed incominciando dal primo
compartimento, che contiene quegli espressi nel de-
stro lato , ammirabili sono i due cinghiali uscenti
dalla lor tana , una serpe che sbucando da un tronco
di albero viene abbrancata dall'artiglio di un'aquila,
un cane che corre, ed un piccolo falco che signo-
reggia sulla preda che rovesciata giace sul suolo :
nel lato posteriore, inciso nel secondo compartimento
12 VOL. XIV. TAV. V e VI.
della tavola, è vivacemente scolpito un orso che ab-
batte un toro, un caprone, una lumaca, una serpe,
una testuggine , un leone inferocito che già s' im-
padronisce di un cavallo e neramente il morde
sul dorso : nel terzo finalmente , che comprende
quegli sculti nel sinistro lato, sono espressi un
daino ed un cervo che pascolano , e un leopardo
appiattato nella sua tana , senza determinata azione
e nel semplice suo stato naturale. E diciamo che
non a caso ci sembrano qui scolpiti questi prege-
volissimi bassorilievi , poiché supponghiamo in essi
altrettanti geroglifici che concorrer dovevano alla
spiegazione della parte morale del subietto princi-
pale, secondo i sentimenti che si volevano ispirare
da que' sublimi artefici (1).
(1) Merita qui d'esser rammentata l'opinione del Signor Sanchez , il quale
ravvisa in tutta la composizione di questo monumento un geroglifico astronomico ,
cioè le rispettive posizioni , la elevazione ed il tramonto di quegli astri , che an-
nunciano la bella stagione dell' anno , quando la terra è ricca delle sue produzioni;
Antiope, egli dice, di cui Giove s'invaghì, rappresentava la costellazione della ver-
gine , Bacco che la punisce, il supplizio di Dirce , il toro eh' è una costellazione,
Amhotie e Zeto che sono le due costellazioni della lira e di Orione , tutte queste
favole in somma non rappresentavano che parte del sistema mito-astronomico, e for-
mavano il linguaggio figurato prima scrittura de' popoli ; e collo stesso sistema va
dimostrando degli altri animali espressi intorno al plinto di questo monumento. Vedi
il gran Musaico pompejano spiegato , e descrizione di altri capolavori di arti. Na-
poli dalla Tipografia di Trani iS58.
VOL. XIV. TAV. V e VI. i3
Alla obiezione, che il nostro gruppo presenti
più cose di quelle descritte da Plinio, prima di noi
P erudito ('urlo Fea ha risposto brevemente , diffi-
nendola » ben debole se si considera, che Plinio non
» ha voluto descrivere minutamente quel gruppo ,
)) ma darlo ad intendere col nominarne le parli prin-
)) cipali »: ma potrebbe ripigliarsi clic la ligura mu-
liebre da noi caratterizzata per un'ancella potesse
ben essere la figura di Antiope, come la interpe-
trò e risarcì lo scultore Bianchi; ed in questo caso
essendo pur essa priucipal parte del soggetto espresso
nel gruppo, doveva esser menzionata da quello
scrittore. E qui torna opportuna la osservazione che
il restauro sia la cagione prima di tali dubbiezze ,
dappoiché quel ristauratore Milanese volle formar
di questa figura, che venne fuori delle terme di
Caracalla priva di quasi tutte le estremità , una
Antiope col supplirvi la testa , le braccia, le mani ,
e aggiungendovi di più il nobile distintivo della
lancia , senza riflettere che il sito ove è posta questa
figura è il più ignobile del monumento, e come tale
poteva per comodo dello aggiustamento della com-
posizione allocarvisi una figura inserviente , e non
mai destinarsi da que'sapienti artefici ad una delle
14 VOL. XIV. TAV. V e VI
principali figure del subictto ch'esprimevano, cioè
alla disprezzata regina di Tebe madre de' due Atle-
ti, che alla presenza di lei compivano la più cruda
vendetta su di Dircc sua implacabile persecutrice.
Ed il Muller (1) che si occupò di questo gruppo ,
penetrato dalla slranezza di ravvisarsi Antiope nella
figura muliebre stante , credette che in origine la
medesima non appartenne al gruppo: in quest'ul-
tima parte però egli andò errato , giacché la figura
muliebre sorge dallo stesso masso marmoreo, ed il
professore Solari che meco ne ha fatta la verifica
è concorso nel mio divisamente, e ha dippiù sog-
giunto che dallo andamento delle antibraccia una
attitudine di meraviglia o di spavento possa desu-
mersi, attitudine molto convenevole ad un'ancella
che è presente all' inaspettato supplizio della sua
signora , anzi che quella datavi dal rista uratore
Bianchi, per formarne un' Antiope.
Ed in quanto alla iscrizione che or si crede
mancante su questa scultura, osserviamo che Plinio
allorché parla degl' importanti monumenti raccolti
da Asinio Pollione ricorda fra gli altri il presente
(1) Osservazioni sul gruppo conosciuto sotto il nome di Toro Farnese, in-
serite negli Annali dell' Istituto archeologico del 1840, pag. 287 e segg.
VOI,. Xl\. TAV. V e VI. i5
gruppo, esprimendosi: Zeto e Amfione e Dira
e il toro e un legame della medesima pietra ,
opere di ylpollouio e Taurisco traspariate da Radi.
Questi diedero occasione di. contesa su de lor geni-
tori , protestando , che paresse Menecrate , ma il
naturale fosse Artemi doro (1). Da questo passo non
si raccoglie che nel gruppo vi fosse una iscrizione
nella quale le riportate circostanze si trovassero
espresse : né vale il dire che Plinio tali cose non
avrebbe potuto enumerare se non fossero conse-
gnate in una iscrizione ; dappoiché lo stesso scrit-
tore nella pagina precedente avverte , che in Ro-
ma si era posta in dimenticanza una Venere di
maggior merito di quella di Prassitele in Guido ,
avvenendo che per la grandezza delle opere che vi
sono, e per la gran quantità delle faccende, le per-
sone vengono distolte dal considerare simili cose;
giacché tale ammirazione è cosa da uomini che han-
no ozio, e si trovano in luogo di gran silenzio; e per
questa cagione non si sapeva ancora 1' artefice di
quella Venere , la quale Vespasiano dedicò tra le
(1) Zcthus et Amphion ac Dìrce et taurus vinculumque ex eodem lapide,
Rhodo advscta opera Apultonii et Taurisci. Parentum il certamen de se fecere ,
Menecratem viden professi , sed esse naturale™. Arthemidorum. Plin. lib. 5G ,
p. 1\ .
*
16 VCL. XIV. TAV. V e VI.
opere del suo tempio della Pace, ed era degna della
fama degli antichi: e si dubitava parimente se nel
tempio d' Apollo Sosiano Scopa o Prasitele lece la
Niobe che muore insieme co' suoi figliuoli (1); e lo
stesso prosegue a raccontare di altri non pochi mo-
numenti. Dal che risulta che le notizie riportate da
Plinio de' maestri di tanti monumenti, egli in gene-
rale non le raccoglieva dalle iscrizioni che vi erano
scolpite; ma bensì dalla conoscenza che esso stesso
poteva avere dei monumenti delle arti, e da quelle
che risultavano dalle osservazioni e discussioni dei
periti e conoscitori. Non avviene forse lo stesso a
giorni nostri per la conoscenza de' monumenti del
risorgimento delle arti, de'quali son ricche le molte
esistenti raccolte ? A forza di discussioni e traffico
di conoscenze e di paragoni si stabiliscono so-
vente e con quasi certezza i maestri di tante opere
che ci son pervenute d' incogniti autori. E sicco-
me a' tempi di Plinio si disputava tra periti e co-
noscitori se il gruppo di Niobe co' figli era dello
scarpello di Scopa o di Prassitele, così a giorni
(1) Qua de causa ignoratur arti f ex ejus quoque Generis, quam l'espasiamts
Imperator in ojeribus Pacis suae dioavìt , antiquorum dignam fama. Par haesi-
tatio est in tempio Apollinis Sosiani , Xiul/en cum liberis morientem Scopas an
Pi nxiteles fecerit : item etc. eie IbiJ.
VOL. XIV. TAV. V e VI. i7
nostri presso a poco si ò disputato se il quadro di
Papa Leone X (i) l'osse del pennello di Raffaele,
o di Andrea.
Da tutte le riferite cose a noi sembra dimo-
strato esser questo l' insigne monumento scolpito in
un sol masso da Apollonio e Taurisco celebralo da
Plinio Ira gl'importanti raccolti da Asinio Pollio-
ne ; tanto più che non troviamo verosimile che
un monumento così straordinariamente grande ab-
bia potuto esser copiato in Roma, per collocarsi
nelle terme di Caracalla , ove tanti capi lavori
esistevano di merito anche maggiore del nostro
gruppo ; il quale per le addotte osservazioni non
può appartenere al secolo di quello imperatore ,
in cui tutti sanno che le arti eran già inoltrate alla
loro decadenza.
Tftovamvatidta binati.
(i) L'intelligente perspicacia dell'egregio testé da noi citato cavalier Niccolini
Presidente della reale Accademia di belle arti, facendo tesoro de' lavori delle arti
che professa e delle discussioni su questo dipinto, ha nello scorso anno dimostrato
che il prezioso epuadro serbato nella real Quadreria sia dipinto da Raffaello Sanzio
e non giù da Andrea del Sarto , come i più supponevano. Vedi il volume XIII
di questa opera tavole XXXU a XXXIV.
\ \
TA/VH.
>,vf/'. //<„ ,/r/ ,/ .:„fr
VOL XI\. TAV. VII. i
Bacco — Sùdua in marmo greco alta palmi sette
ritrovala a Salerno.
JL/i Bacco abbiamo più volto parlato in quest'ope-
ra, e diversi monumenti che portan L'effigie di
questo mime abbiamo pur pubblicati ne' precedenti
volumi; ciò non pertanto non vogliamo defrau-
dare i nostri leggitori della conoscenza del bel si-
mulacro che abbiamo sott' occhio , rinvenuto non
ha molto nelle vicinanze di Salerno , e dal nostro
munificentissimo Monarca acquistato appena che
glie ne venne fatta proposta dall' Eccellentissimo
Ministro degli affari interni cav. Santangelo , il
quale non lascia sfuggire alcun monumento che
possa arricchire il real Museo Borbonico, e perpe-
tuar le gloriose memorie delle nostre antiche regioni.
Nel più bel fiore dell'età è qui espresso il gio-
condo figliuol di Semele tutto nudo con corona di
edera con corimbi , dalla quale pendono sulle gote
due grossi grappoli di uva , nel mentre che due
lunghi cirri di capelli scappando da sotto alla co-
rona stessa vengono mollemente serpeggiando a
• 2 VOL. XIV TAV. VII.
ricadérgli sul petto. Egli si appoggia con la sinistra
elevata al suo vittato tirso , come stanco di aver
sorbito il liquore dal nappo che sostiene con la sua
destra abbassata. Al lato manco della figura una
vivacissima tigre sta assisa e riguarda attentamente
nel nume , alzando la sua gamba destra , quasi do-
mandasse al suo signore di esser posta a parte del
liquore che ancor suppone essere in quel nappo.
E osservabile in questo bel simulacro di buona
scultura greco-romana quell'aria muliebre che si
ravvisa nel suo volto, e massimamente negli omeri
e nelle braccia, carattere (i) che la scultura dei
buoni tempi di Grecia ha costantemente serbato
nelle figure di Bacco, e che in questa statua non
ispicca cosi chiaramente, forse perchè l'artefice non
volle attenersi ad esemplari troppo noti a' tempi
di Augusto in cui fioriva, o perchè non ebbe quello
elevato sapere d'imprimere nel suo lavoro tanta
carnosità e morbidezza da dare del muliebre a tutte
le parti della sua statua , senza alterare il com-
plesso delle forme virili della figura. Del resto que-
(i) Bacco era riputato dagli antichi una ragazza fra' giovanetti. V. Aristide in
Bacco, e le nostre osservazioni sul gruppo pompejano di Bacco ed Ampelo in bronzo
al volume III, tavola IX di quest'opera e la spiegazione della tavola XLVII del
precederne volume di questa stess' opera.
VOL XIV. TAV. VII. 5
sia bella statua può senza gran teina <li errare an-
noverarsi fra le più importanti statue di secondo
ordine di scultura greco-romana.
&j
Tjiovtimvatt-tfa ■/ inali.
Tulstv:
TA.vill,
. tsn/.'. fc'11 ,/,/./,.,// fi
\.4&Ka>.
VOI, \IV. TA\. Mll.
SuprosTA Sibilla —, Statua velata in marmo gre-
clietto alta palmi sette e mezzo proveniente
dalla Casa Farnese.
N
on è da rivocarsi in dubbio che in diversi paesi
ed in secoli diversi siasi generalmente creduto alla
esistenza delle Sibille. Gli antichi scrittori lungi
dal promuover dubbiezza ne confermano la esi-
stenza col disconvenire sul loro numero (i). Pla-
tone ne riconosce una sola , ed i suoi seguaci una
ne riconoscono in Eritrea nella Ionia. Solino ed Au-
sonio ne ricordano tre V Eritrea , la Sardica , e la
Carnea ; Eliano ne enumera quattro (2) ; Varrone
con molti altri ne conta dieci (5) , l1 ultima delle
quali chiamata Albunea , e perchè era di Tivoli
la dissero ancora Tiburtina. Né può dubitarsi della
(1) Anche i primitivi Padri della Chiesa affermano 1' esistenza delle Sibille. Ma
avranno esse realmente profetizzato? In qual modo ottennero il dono del consiglio
divino? Son dubbj questi da meritare altro lavoro più severo dell' indole di que-
st' opera. Varrone apud Lactant. I. u e. 6. e Aug. Ve Civit. Dei l. i8, e. n5.
(2) E sono V Eritrea , la Sardica, l'Egizia, e la Samia. Aelian. Var.Hist.
lib. 13. e. 35.
(3) Vedi Onofrio Panvinio nel suo trattato De SibylUs.
*
a VOL. XIV. TAV. Vili.
esistenza delle loro predizioni, la di cui raccolta de-
nominata de' libri sibillini serbavasi con tanta cura
in Roma che ne venne affidata la custodia ora a due,
quindi a dicci, e poscia a quindici magistrali. Non
sarebbe quindi da far le meraviglie che alle Sibille
autrici di quelle predizioni e di que' libri fossero
state delle statue erette : tanto più eh' è fama di
essersi rinvenuta in Tivoli la statua della Sibilla
Tiburtina reggendo fra le mani il libro forse de1
suoi vaticini ; dal che potrebbe inferirsi non es-
sere inverosimile che la nostra statua una ispirata
Sibilla ne presentasse , se come la Tiburtina avesse
un libro fra le mani , o altro caratteristico attri-
buto : ma ne duole che la nostra statua per quanto
bella e sufficientemente conservata nella massima
parte della sua figura , altrettanto sia priva di libro
o di altro convenevole attributo, essendo le mani
e le braccia supplemento ardito di libero ristaura-
tore , il quale si avvisò formare a suo talento una
di quelle fatidiche donne facendole stringere nella
sinistra un avvolto papiro, ed atteggiandole la destra
al gesto, col quale sembra accompagnare il suo dire.
È vero che l' aspetto dignitoso e severo , ed il modo
con che è panneggiata danno a tutta la figura un por-
VOL. \IV. TAV. Mll. 5
lamento grave ed imponente da risvegliare la idea ,
che por essa si rappresenti una donna ad ufizi di-
vini destinala ; ina tutto ciò a noi non sembra
sufficiente per riconoscervi una delle Sibille, delle
quali, ali1 ecce/ione della statua Tiburtina , non è
a nostra notizia di essersi rinvenuti altri simulacri.
E però clic ci limitiamo a darne la descrizione.
E dessa in piedi in atto di accompagnar col
gesto la sua parola. Un grandioso manto dalla
sommità del capo scende ad inviluppare tutta la
persona clic al di sotto è panneggiata di prolissa
tunica talare, della quale tanto ne rimane scoverta
quanto 1' atteggiamento delle braccia alquanto ele-
vate ritira in su del grandioso manto. E questa
attitudine produce il più bel partito di pieghe del
nostro simulacro , e massimamente di quelle che
sono al prospetto e delle altre che ricadono dalle
braccia. Il lungo cirro rivolto sulla fronte dà un'
aria bizzarra alla testa poco conveniente però ad
un' acconciatura di persona a cose sacre destinata.
I suoi piedi sono rivestiti di calceameuti, le brac-
cia e le mani col papiro involto sono moderne ag-
giunzioni che non raggiungono il merito di questa
bella scultura greco-romana.
XiiovamvaltJta binati.
,1
TA. \X.
.',„/■. i/. ,, ././.r .,.„//,
VOL. \l\. TAV. IV
Preteso padre di Traiano — Statua in marmo
Pei il ci Leo alta palmi, .set la.
Xoche notizie ci lian tramandato gli storici di
Trajano , padre dell' ottimo ed illustre Empera-
dore di questo nome : altro non si raccoglie di par-
ticolare sul di lui conto , eh' egli era spaglinolo,
abile guerriero , dedito a servire con distinzione
l'imperio, dal quale fu rimeritalo , l'atto console,
ed ammesso agli onori del trionfo. Plinio il giovine
nel suo panegirico a Trajano, nel parlare dell'a-
dozione che di lui fece Nerva , ci fa sapere che era
nato di patrizio e consolare e trionfai geni-
tore (i). E sebbene Eutropio dica che il padre di
Trajano era di famiglia più antica che distinta ,
tuttavia Lipsio osserva che il patriziato dovette es-
sergli conferito da Vespasiano , allorché questo Ini-
peradore varie famiglie elevò a quel nobile grado.
E poiché da' fasti consolari non appare ch'egli fosse
stato console , lo stesso Lipsio suppone che sia re-
stato confuso nel numero de' consoli surrogati , dei
(i) Patricia , et consiliari , et triumphali patre genitam Cap. IX.
2 VOL. XI\' TAV. IX.
quali precise notizie a noi non son pervenute. L'in-
signe suo figliuolo intanto con l'avanzarsi dell'età
divenne cosi celebre ed abile soldato sotto gl'in-
segnamenti di-I genitore , eli' essendo ancor giovi-
netto, come lo stesso Plinio afferma (1), accrebbe
la gloria del padre con partico alloro : e si può
dire dippiù che il padre in compagnia del figlio
abbia al tempo di Nerone e sotto il reggimento di
Corbalone militato nella guerra co' Parti , e meri-
tatovi i trionfali onori , seppur non gli abbia meri-
tati nella guerra giudaica sotto Tito. Rarissime sono
le medaglie con la sua effigie ; una se ne conosce
in oro, ed un'altra in argento che presentano in-
sieme le due teste di Trajano Imperadore e di lui,
alle quali in qualche modo somiglia il volto della
nostra statua. Ma poiché la testa di questo simula-
cro , sebbene di antica scultura romana , non ap-
partiene al rimanente della figura; ed osservandosi
che il movimento di questa statua somiglia molto a
quello dell'Achille che serbasi nella villa Pinciana,
ne risulta, che forse quella testa abbia potuto in
origine appartenere a qualche statua o busto del pa-
ti) Quuirt puer admudum , partitica lauro gloriam patris augeres.
Cap. xiv.
VOL XIV. TAV. IX. 3
die di Trajano, e clic la Statua priva di testa ap-
partenga a qualche eroe molto più antico di quello
spagnuolo guerriero, e clic il solo talento del ristau-
ratore ne abbia formato l'intero simulacro che ab-
biamo sott' occhio. E desso poggiato con la gamba
manca ad un tronco di albero, e non ha altro pan-
neggio , salvo il paludamento , che scendendo da
sopra la spalla sinistra va ad involgersi nel braccio
dello stesso lato. La testa, come si Odetto, è an-
tica , ma modernamente riportata. Le gambe pari-
menti sono antiche, ma ritoccate dallo stesso scar-
pello che ha immaginato 1' innesto di questa bella
scultura romana.
f
tovaniùaluta alitati.
^i .1. AT-
TA.X.
e 't/r/'', Um rt/.r/ *'rs///l
i ;/,.
VOL. XIV. T\\ \.
Si pposto Ulisse — Bassorilievo in marmo greco
alto pa/nii o//() e mezzo , per palmi due e
mezzo, proveniente dal Museo Borgiano.
ra i più importanti bassorilievi del Real Museo
Borbonico è certamente quello che qui pubblichia-
mo inciso nella tavola X. Presenta un uomo bar-
buto, cinto il capo eli diadema che regge nel mezzo
della fronte un' aletta o altro oggetto che non
bene può diffinirsi. Egli è tutto nudo, se non che
il cinge a mezza vita un leggiero grembiale, di cui
un lembo è rivolto sul bastone, al quale, incur-
vandosi al davanti, poggia la sua ascella sinistra,
e fisamente riguarda in un oggetto sottoposto ai
suoi sguardi , oggetto che attualmente non si vede
nel marmo. A suoi piedi sta un cane assiso sulle
gambe posteriori in attitudine di mirar con atten-
zione il suo padrone. E molto osservabile una
piccola correggia avvolta al polso sinistro, ed alla
quale sembra che fosse raccomandata un'ampol-
lina sferoidale con collo stretto e bocca larga, si-
mile agli unguentari di vetro o di argilla oppur
2 VOL. XIV. TAV. X.
di bronzo che serbami nelle collezioni del Real
Museo ed altrove. Lo stile della scultura è arcaico
di ottima maniera , altravolta confuso con lo stile
italico antico detto etrusco ; di modo che dopo le
scoperte delle statue di Egina , e di tanti altri stu-
di fatti su tali monumenti, altra via non resta agli
antiquari per distinguere i monumenti greci anti-
chi dagli etruschi, chela qualità de' marmi in che
sono sculti e le forme de' volti delle figure. Nelle
opere italiche il marmo è delle cave d' Italia (1)
(i) L'antichità delle cave di Luna , una delle dodici capitali degli Etruschi,
è stata molto disputata per la inesatta interpetrazione di un passo di Plinio , il
quale scrivendo verso la metà del primo secolo della nostra era le dice poc' anzi
scoperte: lib. 36 cap. ó sez. 4. num. 2: al qual proposito con molta erudita critica
osserva 1' annotatore della storia delle arti del sommo Winckelmann , che quello
storico dice che nuper, poc'anzi, si era ritrovato in esse un' altra qualità di mar-
mo più bianco di quello vi si cavava prima, esprimendosi cos'i : » Omnes auleta tantum
candido marmore usi sunt e l'aro insula, quem lapiderà ccepere ly chnitem appel-
lare , queniam ad lucernas in cuniculis caederetur , ut auctor est Varrò , muttis
postea candidiorilus repertis, nuper etiam in Lunensium lapicidinis ». Ed al 35
cap. 6 sez. y dice che IVIamurra, nobile romano che viveva ai tempi di Giulio Ce-
sare , fu il primo che facesse le colonne del suo palagio tutte di un pezzo, alcu-
ne di marmo caristio , ed alcune altre di marmo lunense ; senza dire che sia stato
il primo a trarre marmi da Luna ; ma che sia stato il primo ad ornare la sua
casa di colonne del marmo caristio e del lunense , supponendo che nell' uno
e nell' altro luogo vi esistessero precedentemente le cave. Vedi il nostro terzo tomo
delle descrizioni del Real Museo Borbonico alla prefazione de' monumenti etru-
schi , oschi , volschi e greci antichi. Napoli 1823.
VOI* XIV. TAV. X. 5
ed i volti sono di fattezze e Forme nazionali, sen-
za grande .scelta o premura dell' ideale ; laddove
nelle opere greche costantemente il marino è
delle cave di Oncia, ed i volti delle figure .sono
di forme scelte, ed al più delle volte ideali e su-
blimi. Tale per 1' appunto si offre il nostro bas-
sorilievo : il marmo è di Grecia , chiamato dagli
artisti marmo greco a specchioni ; le forme del
volto di un' accurata sceltezza e per conseguenza
ideali e tendenti al sublime; e qui caratteristiche
sono dello illustre personaggio che esprimono ,
iscorgendosi la fronte cinta del diadema, ordinaria
insegna de' monarchi dell1 antichità. Allorché per-
venne dalla collezione Borgiana, vi fu ravvisato
Ulisse di ritorno in patria sotto mentite spoglie
di povero, e riconosciuto dal cane : questa divina-
zione però incontrò ostacoli ne' particolari del mo-
numento, e si credè più verisimilinente che per
esso si esprimesse un semplice cacciatore. Il ve-
dersi intanto questa bella figura scolpita in una
lastra di marmo con dado sopra e sotto ed in ci-
ma un gran fogliame, ci ha fatto supporre che fa-
cesse parte di una più grande composizione di
qualche magnifico monumento sepolcrale. E que-
4 VOL. XIV. TAV. X.
sta nostra supposizione si è molto avvicinata al
vero, essendosi saputo da buona fonte che nell'A-
sia minore fu ritrovato un diruto monumento se-
polcrale con avanzi di greche iscrizioni, al quale
apparteneva un bassorilievo compagno in tutto al
nostro, esprimendo voltata a dritta una bellissima
figura dello stesso antico stile e nello stesso atteg-
giamento, tenendo al dippiù nella mano un vaso
di bronzo, la cui metà era nel masso incastrata.
E siamo stati pure informati che il nostro basso-
rilievo apparteneva allo stesso monumento asiati-
co , ed amendue facevan parte del frontone di
quella tomba , nel quale era sculto un sepolcro
posto fra la nostra figura e la compagna , e che
amendue sono nello atteggiamento di eseguire una
libazione su quel sepolcro per placare gli Dei in-
fernali. Le quali cose tutte combinano a meravi-
glia coli' attitudine della nostra figura rivolta a
sinistra e collo sguardo fisso verso il sepolcro , che
doveva esser frapposto fra essa e 1' altra figura
volta a dritta, espressa nel bassorilievo compagno ;
tanto più che tutta la persona e la mano che do-
veva versare il liquore sono atteggiate secondo il
rito religioso per le libazioni alle divinità infer-
VOL. XIV. TAV. \.
iiali , siccome spesso spesso s'incontra ne' auggetti
funebri espressi ne' vasi Italo-greci, e non «li rado
in aldi monumenti dell'antichità figurata.
Tuovamlatida Urinati.
\0L. XIV. TAV. XI.
Bassorilievo /'// /nanna lunense,
i^okgk nel campo robusta quercia carica di ghian-
de, che ombreggia co' suoi frondosi rami liscia co-
lonna adorna di un festone , con suvi un simulacro
tenente nella sinistra mano un bacino ripieno, ho det-
to quasi, di frutta. Muove a questa volta un destriero
su cui cavalca un uomo, e siede una donna dal
medesimo sorretta , intanto che un clamidato pe-
done, prendendo per la briglia quell'animale, cerca,
come pare, appressarlo alla statua. Bella è la ma-
niera come sono aggruppate le ligure, bello il modo
come son trattate le pieghe del manto in che è
avviluppata in parte la donna, graziosa eziandio la
movenza con che costei stringe una fiaccola, e spe-
cioso il contrasto che fauno le tenere sue carni con
le vigorose del compagno ; ma difficile cosa riesce il
determinare l'argomento di questa scultura. Certo è
per altro che costoro vengano a sacrificare alla di-
vinità posta su la colonna , e ciò facciano di notte.
Ma qual è il nume che si merita sì fatto onore.
È egli un Silvano? è egli un Vertunno? è egli un
2 VOL. XIV. TAV. XI.
Priapo? Noi possiamo decidere; poiché quel bacino,
o che altro siasi , ripieno di frutta , a tutti e tre
questi personaggi si converrebbe e soprattutto al Dio
di Lampsaco , il nome del quale piacque a taluni
derivare dal semitico 3NHD (peri-ab) padre de'f rutti
Laonde se nel nostro simulacro potessimo que-
st' ultimo nume riscontrare , memori che nude so-
levano le donne offrirgli de' sacrifizi (1), diremmo
esser questo bassorilievo un marmo votivo dedicato
a colui che di fecondità era dispensatore. E quando
sapremo che il marmo fu trovato nelle rovine di
Capri , saremmo tentati di credervi rappresentato
quel lascivo tiranno che vi dimorò tredici anni ,
dir voglia mo Tiberio , con qualcuna delle sue pre-
dilette amiche (2).
'ernardo Quaranta.
(x) Caylus III, ho, 5. Bracci I, tav. agg. 22 I. M. Fior. I, g5, 4-8.
(2) Vedi la nostra opera Le antiche liuine di Capri illustrate pag. 12.
VOL. XIV. TAV. Mi i
Supposti L. Cornelio Lentulo - Attilio Regolo-
Cicerone— -Mezzi busti: il primo in marmo
di Litui alto pahui due proveniente dalla. Casa
I arnese: il secondo in marmo greche Ilo allo pai.
uno e mezzo, ed il terzo in marmo statuario
alto pai. due e mezzo provengono da Ercolano.
J. ritratti di tre celebri uomini della romana Re-
pubblica si vorrebbero espressi per le tre teste che
pubblichiamo in questa tavola XII. Di Lentulo e
di Regolo , che sono i due posti a sinistra del riguar-
dante, le denominazioni trovano un certo appoggio
in due quasi simili ritratti riportati dal Gronovio :
non così del terzo, attribuito all'illustre Arpinate,
col quale non sembra aver molta somiglianza ; so-
prattutto se si confronti colle immagini più comune-
mente attribuite a questo sommo oratore e filosofo.
Il celebre Lentulo della famiglia Cornelia , e
parente di Siila e di China , è imberbe secondo il
costume del suo secolo: i suoi lineamenti si addi-
cono ad uomo cupo , pensante ed ambizioso : ed il
carattere della scultura conviene al tempo de' Cor-
2 VOL. XIV. TAV. XII.
nelii ; se le sembianze non presentano il ritratto di
quel capo della congiura di Catilina , appartiene
certamente a qualche altro celebre personaggio del-
l'ultimo secolo della Repubblica romana.
L'imperterrito Regolo sarebbe qui espresso con
la testa che gira alquanto a sinistra e con alcune
pieghe di toga sull'omero opposto: i suoi linea-
menti sono placidi e senza alcun tratto della es-
pressione che dovrebbe essere impressa nella fìso-
nomia di quell'acre repubblicano ed imperterrito
vincitore di armate e di mostri , che dalla storia
in Attilio ci vien presentata , abbenchè non sempre
il volto sia indizio delle grandi passioni dell'animo.
Per ciò che riguarda l'ultimo busto a dritta
del riguardante di questa tavola, e che si attri-
buisce senza alcun fondamento a Cicerone, dicia-
mo che questo marmo che in origine presentava il
ritratto forse di un console , nel l'istaurarsi il naso
di cui era mancante , e nel risarcirsi qualche ol-
traggio del tempo, fu ritoccato nella massima parte;
ond.'è che ora non si può neppure dirimile l'epoca
della sua scultura, abbenchè nell'insieme palesi
il buon tempo delle arti di Roma.
Y- tovam valuta U mali.
m i . \- 1 \'.
TEA, A'JIJ,
. ^,//f .//•'/■' .'/</,/</,"/// ,/,/.
? ,v ' / .-/ g -/// <j<u/A.
VOIi. X.IV. TAV. XIII. i
Si PPOSTO F.NK\ CON LA FAMIGLIA. Bassorilievo -r
Nobile Komana con gli attributi dell'. Ab-
bondanza. Si dine/ la — Piccoli bronzi, ap-
partenente il primo alla voi /azione Borgiana,
il .secondo agli scavi di Pompei.
iJo\ noie le sventure elio precedei loro e seguirono
F ultima notte di Troja , e pur nota e conta è la
pietà di Enea tanto celebrata in quello eccidio dal
eantor Mantovano; e se il monumento che abbia-
mo sott' occhio , inciso a sinistra del riguardante
di questa tavola XIII, fosse accompagnato da altra
Hgura che manca, avremmo forse presentato ai
nostri leggitori quello eroe che si pone in salva-
mento (1) con la sua famiglia dal supremo ester-
minio della sua patria: imperciocché il vedersi in
(1) La salvezza di Enea e della sua famiglia viene attribuita dagli storici e dai
poeti latini alla pietà di lui , osservando che nel mentre i Trojani campavan dalle
mani de' vincitori trasportando ciascuno le più preziose ricchezze, Enea fu visto
carico del padre e de' Penati , f irg. -Aeneid. I. 2. Ovìd. Fast. 1. 4. Propert. I. *.
Elrg. I. ed altri molti. I più antichi però affermano ch'egli pose in salvamento
la sua famiglia ed i suoi beni per aver dato di concerto con Antenore la pa-
tria nelle mani de' Greti, i ijuali per impedire 1 he fossero oltraggiate le loro
**
2 VOL. XIV. TAV. XIII.
questo bronzo un uomo pileato vestito alla Frigia
che conduce per mano un fanciullo anche nel co-
stume frigio vestito , ed accompagna una dignitosa
matrona , che gli è a manca imbracciando a sinistra
un bustino di bambolo, ha fatto sospettare che in
questo monumento potesse raffigurarsi Enea Del-
l' uomo pileato , il piccolo Ascanio o Giulo nel fan-
ciullo, Creusa che trasporta un Penate nella donna
che imbraccia il bustino di bambolo ; e spinge a ri-
cercare con premura se mai fossevi indizio di altra
figura dal tempo distrutta per riconoscervi Anchi-
se , che non potrebbe essere in verun caso scom-
pagnato da questa scena. Le quali considerazioni
famiglie , e distrutta cosa che ad essi apparteneva, posero una sentinella a' palazzi
di Enea e di Antenore. Vedi Ditti Cret. lib. 5. e Daret. Frig. lib. 6. E Servio
ricorda al lib. 1. dell' En. che Antenore ed Enea tradirono la loro patria , secondo
i detti di Livio Antenor et Aeneas ( teste Livio ) patnam prodidisse dicuntur :
sebbene conchiuda che Antenore ed Enea furono risparmiati da' Greci perchè si
dichiararono contro Paride ed opinarono per la pace. Ma ciò che molto rileva in
questa ricerca si è che Dionigi di Alicarnasso , benché scrivesse sotto gli occhi di
Augusto che gloriavasi discendere da Enea , parlò di questo tradimento ; del
quale né anche tacque Strabone , per averne raccolto i particolari da un antico
autore. Vedi Dion. Alicar. lib. i. e. h. Strab. lib. i3. Che che sia di queste
diverse tradizioni , sembra presso che certo che Priamo non amava Enea , e che
questo principe odiava Priamo. Omero il ricorda nella Iliade al Uh. i3, e tutti gli
dltri poeti e storici greci non disconvengono punto della scambievole disistima di
questi due parenti.
VOL \l\. TAV. XIII.
ci hanno obbligato ad esaminare accuratamente
questo bronzo di getto Don mollo spesso , e che
sembra aver Fatto parte di qualche ornamento di
mobile; e dopo le più minute ricerche non abbiamo
ravvisato alcun indizio da poter richiamar 1' idea
di esservi stata in origine altra figura ; il che ha
fatto dileguare il sospetto che dapprima si era
concepito, e ci ha indotto anzi a riflettere che, ap-
partenendo questo monumento alla decadenza delle
arti, doveano essere ben noti a quell'epoca i par-
ticolari della fuga di Enea con la famiglia , ricor-
dati o immaginati dall' autore dell' Eneide. Quivi
il poeta chiaramente racconta che i Penati con le
sacre cose furon destinate ad esser trasportate da
Anchise (i); quindi mal si troverebbe qui un Pe-
nate fra le braccia di Creusa. Prosegue di più lo
stesso autore a narrare che Enea prescrisse alla
consorte di seguir da lungi i suoi passi (2) ; e qui
Creusa mal sarebbe col marito e col lìglio aggrup-
pata. Da ultimo in questo bassorilievo non si ri-
trova il tìgliuol di Venere ricoperto negli abiti da
vellosa pelle di leone còme il descrive il poeta
(1) Tu genitor cape sacra manu , patriosque Penates. Aeneid.l. 3, v. -'-■
(2) .... et longe serfet vestigia conjux. Ib. v. ytt. e più sotto al v.j?5.
4 VOL. XIV. TAV. XIII.
latino (1), ina bensì vestito di frigia tunica e pileo
viatorio in testa; e ciò che maggiormente rilevasi
è che la dignitosa barba , onde è qui decorato il
frigio viaggiatore mal si addirebbe allo eroe trojano.
Laonde sembra che per questi» importante bassori-
lievo altro subiclto siasi voluto esprimere , il quale
none molto facile a potersi divinare, se ne togli
l' insieme della composizione che una famiglia di
distinzione par ne presenti, soprattutto per la par-
ticolarità che si osserva in quella specie di diade-
ma che fregia la testa della dignitosa matrona.
Neil' altro bronzo inciso, a dritta del riguar-
dante , è espressa una figura muliebre vestita di
lunga tunica con corte manche , ricoperta da un
manto affibbiato all'omero dritto con cornucopia
nella sinistra ed altro oggetto difficile a diffinirsi
nella dritta. Ha una stendono reticolata in lesta
ed i calzari a' piedi. L'attitudine è molto nobile,
pregevole è il partito delle pieghe , sufficiente la
sua conservazione. Ordinariamente l'Abbondanza
(1) ... latos humercs , subjectaquc colla
feste super , fulvaque inslerrwr peli? Ifonis .-
Snrcedoque teneri: dextrae se parvus Julus
Implìcuit , sequiturtjue palrcm rwn passtbus aequts.
Pone subii cunjux- ferìmur per opaca locorum. Ih. jit. e se^g.
VOL. \1\. TAV. Xlll. 5
,^i ritrova in quasi che simili fogge rappresentala ;
se non che il vedersi qui il volto privo affatto di
quel bello ideale non mai scompagnato dal sem-
biante delle divinila , la testa ornala di sFendone
o altro acconciamento reticolato , ed i piedi cal-
zali, ci fa portar giudizio che per questa figurina
.si presenti il ritrailo di qualche distinta romana
.sullo le forme e gli attributi dell' Abbondanza , al-
lusioni molli) ovvie nel tempo del romano impe-
rio, come nel eorso di questa opera abbiamo molte
volte osservato.
iJiovamlafula tymalt.
t '•' y- /„.,,/,„, ,/,/
• I </s/s,r.
**mé*>
\V,I ,S3T
rL\. .\j\:
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W)|. \|\ T.\\ \|\
Qi vrnto Musaici.
Siccome le mura de' tempi , de' portici e delle case
vedevansi presso ^li antichi adorne di pitture o
su tavole o sopra intonaco, siccome dipinte erano
eziandio le loro soffi ite ; così anche le soglie abbi-
sognavano di un abbellimento che col resto dell'
edilìzio le armonizzasse, e che nel tempo medesimo
non soffrisse dal continuato calpestio verun danno.
E ciò si ottenne con ricoprire il pavimento di pe-
truzze a variati colori , le quali essendo connesse
insieme rappresentavano le figure come a pennelli,
e pittura marmorea ben nomar si potevano. Siffatte
petruzze chiamavansi ^rfìoi , alóoczicrx.01 ( psep/ioi ,
abaciscoi ) da' Greci, tesserne ed emblemata da'La-
tini, e chi le disponeva, perchè esprimessero delle
figure, vJoopo&TT]? ( psepliothttes ), come leggesi
in una iscrizione recata dal Bocck (1). Dalla quale
si trae quanto bene il lavoro istesso chiamato fosse
v//rJ(poc'£<r'/]1aa, \l/r$okoyr,pa, \pYl3o\oyx<ro>' £&a(pos, davrilov
tv afiaxicrx.oig ( psepJiot/ielema, psephologema , pse-
(1) C. I. n. 2025.
2 VOL. XIV TAV. XIV.
pliologelon edaphos, dapedon en aòaciscois), pa-
vimentimi, opus tessellalum, nelle Glosse di Filos-
seno vermiculatum , o solamente emblema in Var-
inone (ì), e piotimi de musivo presso Sparziano (2),
e più tardi ancora musivum , masiocum , mosi-
bium, museum, e museacum , intorno a che si
meritano tutta l'atteDzione le disputazioni etimo-
logiche del Ciampini (5) , dello Scaligero (4) , del
Ferrano (5), e dello Sponio (6), e dell'anonimo citato
dallo Schelhorn (7).
Inventori di opera siffatta furono gli Egizi ,
maestri della civiltà e delle arti a tutto il mondo (8);
e da essi imparatala i Greci vi sfoggiarono ogni
maniera d'ingegno. E già nel tempio di Giove in
Olimpia vedevasi un connesso di fluviatili sassolini ,
che rappresentavano un Tritone sulla cui coda
sedeva leggiad rissimo Amorino.
(1) R. R. 3, 2j. Cicerone de Or. 5,43, Plinio 5G , 25, G0-64.
(2) Pescen. 6.
(5) De pict. I. cap. 8.
(i) Nelle note a Manilio I, 5.
(5) Fer. Epist. etc.
(6) Dissert. II, e. 4.
(7) Amoenit. Litt. V, §. 7.
(8) Champollion Figeac , Egjple p. 200-
VOL. \l\. TAV. \|\
Di Milani musaici gran copia se ne Uova in
Pompei , e quivi per punto furono disolterrati quelli
che diamo in questa tavola. Il primo presenta <lm
maschere tragiche in mezzo a corone, tenie, e frutta
di ogni maniera composte in bellissimo ordine.
Mostra il secondo in un ripartimento un gallo clic
arraffa una pollastra , nell' altro anitre , pesci ,
conchiglie ed uccelli. Il terzo anche pesci con una
conchiglia, un polpo ed una locusta marina, cinto
come di cornice da bellissimo ornato di fiori. Il
quarto finalmente un'arpia la quale par che vo-
glia artigliare un uccello, che le vola innanzi. Ella
stringe nella destra una* brocca , e colla sinistra
sostiene in testa un canestro con siivi cose che
non bene puoi discernere. La segue a volo gra-
zioso Amorino il quale par che porti una specie
di piccola ara.
'erjiardo ^Luaranta
XTV.
T.\. A"V.
■ '<//<, /A si , ■//< s,s, ///,//' ',/s/.
VOL. XIV. TAV. W. i
Urnetta italo-greca — Vaso fittile alto 675 cen-
tesimi di palmo per mezzo pai/no di diametro.
v^f desta pregevole urna a due manichi verticali,
e con coperchio prominente nel mezzo a guisa di
un unguentario (1), ha dall' un aspetto e -dall' altro
un grazioso dipinto di due figure. In quello del
principale aspetto sono espressi fra una colonna
ionica ed un pilastrino un tibicine , ed un citarista.
Il primo , che sta presso della colonna assiso ad un
greppo coperto del suo manto , è in atto di dar fiato
alle tibie: il secondo, che sta in piedi presso del
pilastrino , vi poggia la sua cetra in atto di toc-
carne con la sinistra le corde : quegli è tutto nudo
nella persona , se non che un lembo del suo manto,
che ha gettato sul greppo , gli ricopre parte della
sinistra coscia : questi ha un manto posto quasi ad
(1) Le urne di simil forma sono molto ovvie: i di loro coverihi, per comodo
di poterli agevolmente prendere , terminano sempre o con un vasetto , o con un
balsamario, o pur con un uccello, secondo noi, simbolici dell'uso cui era 1' urna
destinata. Il nostro, terminante in un unguentario, ha forse analogia all'unguento
di cui questa urna doveva essere aspersa, o agli oggetti che in essa eran contenuti.
a VOL. XIV. TAV. XV.
armacollo, ed una collana a duo ordini combinata
con alcuni fiori a tre foglie , simili a quelli che si
veggono contesti nelle ghirlande che cingono le
chiome di queste due belle e vivaci figure.
Il momento preso ad esprimersi dall'antico fi-
glilo pittore a noi sembra esser quello dell'accordo
de' due strumenti de' suonatori prima di cominciare
un concerto, o sonata che voglia dirsi; dappoiché
colui eh' è assiso e dà fiato alle tibie , si atteggia
non già ad eseguire una sonata , ma a far sentire
il tono al suo compagno riguardandolo fisamente,
e sci -stando le sue dita dallo strumento; nel mentre
che questi stando attentamente a lui rivolto pende
da quel suono, e tocca leggermente le corde della
sua lira , senza avvalersi del plettro che stringe
nella destra ; la qual cosa mostra che accorda e
non suona. E questa circostanza unitamente all'al-
tra di vedersi le dita del tibicine spiegate in modo
Intorno allo strumento da non poter formare ar-
monia , siccome avviene sempre che si vogliano
accordare gli strumenti da fiato con quelli da corda,
conforta la nostra supposizione, che qui siasi espres-
so il momento di accordarsi gli strumenti, momento
con tanta verità afferrato, che ti sembra esser pre-
VOL. XIV. TAV. W 5
sciite a due Suonatori (li clarino e (li celerà che
stanno accordando i loro strumenti per quindi ese-
guire un concerto.
Dall'aspetto opposto sono espresse due donne
che si purificano. Sorge fra esse un l'onte Insilale
a color di bianco marmo, e sostenuto da alto piede
scanalato. Una di esso già denudata e colla lascia
mamillare disciolta è in atto di lavar le sue mani;
l'altra ornata di monile al collo sta togliendosi la
tunica levandola in alto: amendue hanno la testa
ornata distendono poco dissimili Ira loro, ed amen-
duo sono atteggiate a confabular insieme. E osser-
vabile nella donna che ha di già cominciato a la-
varsi le mani il suo strofio o fascia mamillare, che
già slacciata dal suo sito le pende sul busto ; e
sono puro osservabili in questa fascia alcuni oc-
chielli circolarmente forati , destinati forse a pas-
sarvi un laccio per poterla cingere sotto del seno,
come si pratica oggi col giubbone dello nostre
donne ; il che spiegherebbe il modo usato dagli
antichi nello avvalersi di simili fasce mamillari ,
modo che sinora non ricordiamo di aver veduto in
altri molti monumenti che presentano donne di tali
fasce fornite.
4 VOL. XIV. TAV. XV.
Resta da ultimo ad osservare nel campo del
vaso, ed in direzione verticale del fonte, quel fa-
gotto indeciso nel monumento , porche alquanto
consumato dal tempo , e che anche indeciso si è
reso nella incisione. Noi supponghiamo che sia la
tunica della donna che già nuda sta lavandosi le
mani , e quivi da essa raccolta , come sopra di un
armadio o scansia, dopo d'essersene spogliata.
Tfi ovam Va tuta dfi n a tu
TodLIIV.
TA . IH.
^«MKh t 'tfts •/*/
-'il pigile XwULO%é£ pm.r
' 'il pi
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■ MU| t/ ÓCfffo.
VOL. XIV. TAV. \\l
L'Annunziata - Quadro in tela di Scipione l'ut-
zone da Gaeta, allo pai. 8 ed once 6 per pai. 6.
JLìa eccellenza alla quale nel dipingere i ritraiti
giunse Scipione Pulzone da Gaeta tu tale, che gli
meritò l'onore d'essere da tutti gli storici anno-
verato fra gli artefici più chiari della nostra napo-
letana scuola. Ed a quanta altezza giungesse il Pul-
zone in così fatto genere di dipintura ne fa fede
sopra gli altri il Baglione nella vita che di lui ci
narra, ove fra le molte altre cose ci dice che »al-
)) lievo del famoso Iacopo del Conte fiorentino come
» quegli fu eccellente pittore particolarmente in fare
» gli altrui aspetti, talché non solo passò il maestro,
)) ma nel suo tempo non ebbe eguali, e sì vivi , e
)) con tale diligenza che vi si sariano contati fin
)) tutti i capelli, ed in particolare i drappi che in
» quelli ritraeva parevano del loro originale più
» veri e davano mirabile gusto ».
Per queste sue felicissime doti nell' operare i
ritratti non appena Scipione ebbe compiuti gli studi
dell' arte con Iacopo del Conte avendo scelto per
sua stanza Roma gli fu dal Papa Gregorio XIII.
2 VOL. XIV. TAV. XVI.
commesso il proprio ritratto, il quale esempio imi-
tarono poi i principi e i cardinali della romana
corte, non che tutte le più nobili donne di quella
famosa città. A tale scopo lo chiamò anche a Fi-
renze Ferdinando allora fatto Gran Duca, acciocché
la sua persona imitasse e quella della Gran Duchessa
sua moglie, e così pure venne in Napoli per di-
pingervi il ritratto di D. Giovanni d'Austria, per
la quale cosa l' illustre personaggio con ricchi doni
e grandi onori il compensò. Ma vedendo Scipione
che il solo lavoro de' ritratti non lo poteva innal-
zare al grado di molti altri eccellenti pittori , die-
desi ad operare e storie e quadri da altari, in mezzo
a' quali debbesi annoverare la tela che qui ripor-
tiamo, la quale ora ammirasi fra le più famigerate
che compongono nel real Museo Borbonico le sale
della scuola napoletana.
In questo dipinto la Vergine genuflessa innanzi
a modesto inginocchiatoio con le mani incrociate
sul petto par che si volga alla voce dell' Angelo , il
quale inginocchiato anch' esso mentre la sinistra
mano ha stesa verso il terreno reggendo un ramo
di gigli, simboli del candore, con la destra all'alto
rivolta indica il cielo, e con la bocca disegnata ad
un leggiero sorriso sembra che annunzi alla Madre
VOL. XIV. TAY. XVI. 5
di Dio l'alta missione della quale egli è ministro.
Al sommo del quadro tre angioletti che da un
partito (li nuvolo si allacciano come in atto di orare
fan corona all'Altissimo ritrailo in tutta la sua
maestà lino al mezzo della persona con gli occhi
al basso rivolli e con le braccia aperte e sporgenti
verso la Vergine, come se dal sommo de' cieli com-
piere volesse il sacro mistero inviando a Maria lo
Spirito Santo simboleggiato e dipinto nel candido
augello poco discosto dagli Angeli che la gloria del
dipinto esprimono.
Ad onta che la composizione , come dicesi da-
gli artisti , di questa tela non sia da ammirarsi come
cosa straordinaria , la semplicità de' contorni e la
soavità de' toni rendono però tale opera pregevo-
lissima, spezialmente se prendesi a considerare con
quanta morbidezza sonosi dal pittore trattate le
pieghe della veste rossa e del manto celeste dell'An-
nunziata, non che la tunica dell'Angelo di color
giallo dipinta. Da compiangere però è il ritocco che
tale quadro ha sofferto , il quale pur troppo non
poco danno ha arrecato alla purità de' contorni
come quasi sempre in così fatte congiunture si avvera.
Se con accurata riflessione si osserva questa
pittura non è diffidi cosa riconoscere in essa il
4 VOL. XIV. TAV. XVI.
latte dall' autore succhiato, perocché visibilmente si
scorge nel dipinto in parola il fare della fiorentina
maniera, quale convenivasi appunto allo scolare di
Iacopo del Conte. E ciò tornar deve di molto elogio
al Pulzone dimostrandoci pertanto quanta versa-
tilità era nel di lui pennello, giacché nell'operare
i ritratti quasi un Tiziano il diresti. Della qual
cosa è larga pruova la bellissima testa che vedesi
nella sala medesima ove quest' Annunziata è posta
rappresentante il ritratto del Pulzone stesso , che
a nostro malgrado dovremo metter da banda in
queste pagine non potendo in alcun modo il buli-
no , mercè un semplice contorno , giungere a dare
adeguata idea de' vari toni , della robustezza e ve-
rità di colore , e della facilità di pennello con che
tale ritratto è operato.
L'autenticità del quadro che qui riportiamo
non può minimamente esser colpita dal dubbio.
Nella predella dell' inginocchiatoio ove la Vergine
è genuflessa leggesi scritto di propria mano dell'au-
tore Scipio Pulzones Gaetanus faciebat i58y ,
Romae.
^Antonio Jticcoù
i?u.
£
YOL. XIV. TAV. XVII. 1
Un Arcangelo cihcondato da vari angioletti -
Lunetta in tela di Annibale Caratai.
I ì\ queir Annibale Caracci ò questa lunetta che
insieme al fratello Agostino ed al cugino Lodovico
richiamò la pittura in Italia sulla strada del vero e
del bello d' onde s'era sviata. Qual parte s'ebbe egli
e quanta i fratelli a tale rigenerazione, quale di-
versità di stile d' indole e di tendenze fosse fra loro,
e come gli avvenimenti della vita li unirono pri-
ma , indi li separarono , e poscia un' altra volta li
avvinsero, già dal chiarissimo Cav. Bechi nel primo
volume di questa opera con vivo stile fu raccon-
tato. Inutil cosa adunque sarebbe ora toccare no-
vellamente i fatti risguardanti la vita di questo
lume delle arti italiane, e perciò con brevi parole
ci faremo solo a dire del dipinto riportato nella
tavola XVII. di questo volume.
I teologi ed i padri della Chiesa dividono la
schiera degli angioli in tre classi , e ciascuna di esse
in altri tre ordini. La prima di queste classi com-
posta viene da'Serafini, da' Cherubini , e da' Troni;
2 VOL. XIV. TAV. XVII.
la seconda dalle Dominazioni, dalle Virtù, e dalle
Podestà ; da' Principati , dagli Arcangeli , e dagli
Angioli la terza , mentre con questo ultimo nome
chiamatisi pure indistintamente ognuna di tali ge-
rarchie. All'ordine pertanto degli Arcangioli appar-
tiene quello quivi rappresentato , perocché le sem-
bianze non più fanciulle, ma giovanili che in esso
ravvisami, e quelle grandi ali sono i distintivi che
additano mai sempre ne' dipinti questi ministri del
cielo. Esso regge con la destra mano un fumante
turibolo, con l'altra le catene all'incensiere con-
giunte , e genuflesso sulla sinistra gamba spiega mae-
stosamente le ali che mentre fan più grandiosa la
figura dell'Angelo servono ad un tempo per riem-
piere lo spazio del campo seguendo bellamente l'in-
dole della curva nella sommità della lunetta : e
i due candelabri in forma di vaso a' quali sta in
mezzo fanno salire verso il cielo le simboliche fiamme.
Ogni parie di questa opera rivela la mano
e l' ingegno del sommo pittore che diedegli vita.
L'Arcangelo volge al cielo devoto lo sguardo come
se aspettasse un comando, ciò che ci obbliga a
considerare quanto il Caracci ben rammentossi che
gli Angeli tutti vengono dalle sacre carte descritti
VOL. XIV. TAV. XVII. 3
ministri delP Onnipotente , o sjùriti ministranti ,
i quali a ciclo Jan corteggio all' Eterno aspet-
tando ed eseguendo i comandi dì Dio. Né
niello si svela la mano dell' insigne bolognese , se
prendesi a considerare la somma facilità di pen-
nello che si ammira nelle pieghe del manto cele-
ste e della tunica verde che 1' Arcangelo cinge. Le
gentili e purissime forme poi de'quattro angioletti
e il muovere svariato della loro attitudine facil-
mente ci convincono che questo dipinto operato
venne da Annibale dopo che in Parma ebbe a ve-
nerare le pitture del Correggio, studiando il quale
non poco mutò di maniera, talché pieno l'animo
di quel sommo e sventurato artefice scriveva al
cugino Lodovico : Un si grand' uomo ( l' Allegri ),
se pure è uomo o piuttosto angiolo in carne , e
posto /ino alle stelle , e qui doversi morire infe-
licemente. Questo sarà sempre il mio diletto ....
mi piace questa schiettezza e questa purità che
è pera non verisimile , è naturale non artificiata
ne sforzata. Ognuno l* intende a suo modo , io
V intendo così , io non lo so dire , ma so conte
ho a fare , e tanto basta. E pure a proposito del
Correggio scriveva un' altra volta allo stesso Lodo-
4 VOL. XIV. TAV. XVII.
vico: abbici pazienza il voslro Parmigiani no, per-
ché conosco adesso aver di questo grand' uomo
folio ad imitare tutta la grazia, ma vi è pur tanto
lontano , perchè i puttini del Correggio spirano ,
vivono , e ridono con una grazia e verità , che
bisogna con essi ridere , e rallegrarsi ; ma al mio
gusto il Parmigianino non ha che far col Cor-
reggio, perchè quelli del Correggio sono stati suoi
pensieri, suoi concetti , che si vede , che si è ca-
vato di sua testa e inventato da se , assicuran-
dosi solo con l'originale; gli altri sono tutti ap-
poggiati a qualche cosa non sua , chi al mo-
dello, chi alle statue , chi alle carte: tutte le opere
degli altri sono rappresentate come possono essere;
queste di quesf uomo come veramente sono, lo
non mi so dichiarare , né lasciarmi capire , ma
ni intendo bene dentro di me.
Tanta modestia e così grande fervore pel vero
merito ben si addicevano all' anima di Annibale
Caracci.
c/e n tento i/ticccìmi.
Tnl.XHY,
'VA.SXÌ
f„-'-L'„ t.S/,,./*/
VOL. XIV. TAV. XVIII.
Pitti ra pompe] w \.
JLnnanzi ad una tavola con sopravi un cesi ino
ripieno a quel che sembra di fiori sta una vene-
randa donna vestila di tunica, e tutta inviluppata
in ben largo manto, la quale tiene in mano una
specie di scodella o che che siasi altro. Innanzi a
costei vedesi poi una donzella che sostiene largo ba-
cile ripieno di frutta colla manca in mentre che
nella destra tiene un serto di fiori. Ognun vede
con quanto di ragione si potrebbe dire essere la
prima una sacerdotessa, alla quale la sua ancella,
o alunna che dir la vorrai, metta in mostra le
cose necessarie a' sacrifizi, e cerchi riceverne le
opportune istruzioni. La quale conghiettura rice-
verebbe assai di appoggio nel manto che alla prima
ricopre la testa, nelle chiome che lunghe le scen-
dono su le guance , ed in quell' aria di modestia
e di compostezza che mostra nel volto.
£l>ernarclo ^Luarunta.
PblJTO
TA.2KL.
t»^/". //,■-» ./,/,/•■.,-,//,
- >.,/,„
VOL. XIV. TAV. XIX.
Diana ed Endimione. - affresco pompetuu,.
F
u comune opinione presso del paganesimo che
la più casta delle dive soggiacesse come ogni altra
alla possente forza di Amore , e che furtiva ab-
bandonasse l'Olimpo per girsene a vagheggiar sul
monte Latino raddormentato Endimione. E non al-
tro che questo è il momento espresso nel leggiadro
dipinto pompeiano che qui pubblichiamo per que-
sta tavola XIX. , il quale ci fa dubitare che altro
sia il vero suo protagonista , e ne induce a sup-
porre che possa forse rivindicarsi a Diana la pu-
rezza del suo candore. E sebbene non poco abbiano
spaziato i poeti co' loro canti e gli artefici con le
loro opere sulla debolezza di questa diva , pure a
noi sembra , che allo appoggio tanto di questo af-
fresco quanto dell'altro testé veduto alla tavola III.
e di altri monumenti , possa probabilmente to-
gliersi la greca mitologia dalla strana contrad-
dizione di credersi la più casta delle dive fe-
condissima madre di eletta e meravigliosa prole.
Non in abito succinto , non calzata di venatorio
2 VOL. XIV. TAV. XIX
coturno , non armata di faretra e di arco , ma
bensi nuda e solamente di celeste manto in parte
inviluppata è qui espressa la diva dopo esser di-
scesa dall' Olimpo reggendo colla destra un torchio
acceso , e colla sinistra un elevato lembo del suo
manto leggermente gonfiato da fresca aura mattu-
tina , e quasi estatica si sofferma a mirare il vago
Endimione , il quale addormentato giace su di
un greppo ricoperto dalla sua clamide , facendo
sostegno al suo capo il dritto braccio rivolto al-
l' occipite , e abbandonando la sinistra su due lan-
ce venatorie che ancor tiene distese sul suo brac-
cio. Il disco crescente sul capo della diva posto
fra due rilucenti astri irradiano questa silenziosa
scena , la quale è solamente interrotta dal latrato
del cane del cacciatore , che vuol quasi avven-
tarsi alla diva innamorata.
Or non avendo questa vaga deità alcuno dei
consueti attributi che a Diana si riferiscono , né
la foggia delle vestimenta consentanea al vestire
della sorella di Apolline , sembra che altra diva
qui debba riconoscersi. Gli antichi scrittori greci
nello informarci dell' avventura di Endimione ad-
dormentato non parlan mai di Diana , ma bensi
VDL. XIV. IAV. \l\r.
della Luna innamorata di lui ; in essi si legge
stantemente Xs^y-t) Luna , e non mai Apre/ws Dia-
na (1). E chi non .sa che la Luna <• Diana sono
due diverse deità, essendo la prima figlia d' [pe-
rione e di Tea , e la seconda figliuola di Giove
e di Latona , confusa poscia da' Romani con la
Luna (2) ? Quindi sembra che anche il pittor
pompeiano, bene informalo degli antichi miti, la
Luna e non Diana abbia voluto presentarci pel
suo dipinto, esprimendola di carattere, di attributi,
e di vestimenta allatto diverse dalla sorella di Apol-
line. Ed a maggiormente comprovare che qui la
Luna e non Diana si rappresentava pose in testa
della diva il disco lunare fra due astri, il pianeta
di Venere , cioè phosphorus quando segue la
Luna , ed hesperus quando la precede.
Tiicvamvatuita ■jfinati.
(1) Omero Hymn. in Lun. v. g. e da Orfeo ìlymn. in Lun. vien denominata
ancora Tat'poicspwsj tauri cornua habensj roLtvxtir'kos, longam vestem habens, e non
succinta come Diana.
(2) Se i limiti impostici fin dal cominciamento di quest' opera il permettessero
molti altri argomenti qui recheremmo per rafforzare la nostra conghiettura ; senza
dunque qui riportare altre autorità di Classici e non pochi monumenti dell' an-
tichità figurata , ci siam limitati ad annunciar la nostra congettura senza treno di
citazioni e di più estese argomentazioni.
Vo I , S W .
T.X.XX.
f'/t/r/t/f* /&■/
. i :/„..,
I stt.* ' / sv.y/sst, ■ .j,/s/ft
VOL. XIV. TAV. \\.
DUE PITTURE.
V,
EGGIAMO nella prima pittura di questa tavola un
Genietto alato di lxl le sembianze con in testa una
causia , e su le spalle leggiera clamide, il quale
par che riceva dalle mani di una dorma parimenti
alata il timone di un aratro , dal quale pende una
di quelle l'uni chiamate da' Greci (Aicnzfioi , mesaboi,
^vyo^-:7(icc, zygodesma, &vycx.ryipsg Ifiavris, zeugate-
res liimanles , da Virgilio lora iugalia, e da Ca-
tone subii/già lora , appunto perchè con esse i bovi
si aggiogavano all'aratro. Dal quale timone io pren-
do argomento per riscontrare in quel giovane il
Genio deW agricoltura , e nella donna V Ora in-
vernale che gli consegna l'istrumento con che co-
minciare il lavoro de' campi. Certo così le ali come
la tunica ed il manto di cui si ricopre costei ben
convengono alla severa stagione.
Nell'altra pittura sottostante alla descritta com-
parisce un fanciullino alato con in mano due gia-
vellotti il quale col gesto e colla voce par che in-
viti a fuggire due corvette insidiate da enorme leone
che viene ad assalirle di dietro a grande albero.
iemarcio £luaranta.
'
',.,. ". //.,/./.,,..//, ././
'
V'i.LXIY
, ". ,,.,/,/„,*//, ././.
' t..,/srt't
vol. xiv. tav. x\r.
P A URTE POMPEIANA.
N
on sarebbe ;i nostro erodere un'iperbole troppo
ampollosa il chiamare questa parete de' Pompeiani
la parete della bellezza , poiché si vedono in essa
figurati i tre Iddìi de' gentili che la loro mitografia
aveva immaginato floridi ed. appariscenti in un' e-
terna e carissima giovinezza , Venere , Apollo , e
Bacco. Gli scultori , i pittori , e i poeti raccolsero
tutto ciò che poterono rinvenire di bello e di gen-
tile fra le umane fattezze per comporne quel tipo
di bellezza che applicarono a' simulacri di questi
tre numi. Di Venere cara agli uomini ed agli Dei,
seducente sopra tutti gli enti del cielo e della terra,
anima e diletto dell'universo, a chi non son conte
le bellezze e le grazie ? A' soli Bacco ed Apollo era
dato il fiorire in un'eterna ed inalterabile giovinezza
talché ad ambedue, al dir di Tibullo (i), conveni-
vano intonse le chiome. Ed allo stesso Tibullo tri-
(1) Solis aeterna est Phoebo , Bacchoque iuvenlus;
Nam decet intonsus crinis utrumque Deum..
Tib. lib. I El. IV.
*
2 VOL. XIV. TAV. XXI.
bolato di amore comparve (1) Apollo co1 capelli flut-
tuanti sugli omeri e stillanti di unguento, bianco il
bel corpo come la luna, ed a quel candor mesco-
lata la porpora come le guance di verginella che
si fa sposa, o come a gigli sarìan miste viole , o
come le mele, che candide, al comparir dell1 autunno
arrossiscono.
Queste tre divinità, belle sopra tutte le altre,
sembrano a noi chiaramente espresse nelle tre figure
che son principali nella composizione di questa pa-
rete. Il nimbo che cinge loro la testa , i troni su
cui stanno seduti, tutto ci dà a divedere queste tre
figure per tre divinità. In mezzo è Bacco, alla sua
destra siede Apollo, Venere alla sua sinistra. Del
perchè Bacco tenga il più cospicuo luogo della pa-
rete, e il più distinto seggio, troveremo le ragioni
nella celebrità a cui era giunto il culto di Bacco
nell' ultima epoca della nostra Pompei. Poiché la
casa, dove si trova questa parete, deve essere se non
edificata almeno stata riattata ed ornata dopo il
l'amoso terremoto del 65, e fu da noi pubblicata alla
tavola AB del XIII volume, e la parete, subietto della
presente tavola, sta nella stanza inarcata col n. 27.
(1) Tibul. Lib. III. El. IV.
VOL. XIV. TAV. XXI. 5
E singolare come le pareti di questa ben adorna
cameretta siano rivestite di stucco e dipinte per
soli 7 palmi e i/a napoletani , e nel resto della sua
altezza fino alla coruice lasciate di abbozzo, forse
perchè nella parie superiore destinale ad esser ri-
coperte di tappezzerie. Ila il pavimento fatto di sca-
gliola dipinto sopra come se fosse di musaico: esem-
pio forse unico di pseudomusaico presso gli antichi,
e che noi moderni, cui non basta nò la pazienza ne
il denaro per fare musaici veri ne' pavimenti, imi-
tiamo tuttogiorno.
Queste grottesche bellissime sono spartite in
fondi di vari colori fra i quali domina il celeste ,
il verde ed il rosso. Le colonnette, zoccoli e basi, di
cui è tanto svariata, sono espressi come se fossero
inorati. Bellissimo ed oltremodo brillante ne era
il colorito allorché comparve in queste rovine , ora
alquanto rientrato e scemato di vigore e di brio.
Soprattutto attirava l' ammirazione de' riguardanti
il bel colore dell' incarnato delle figure che abbiam
descritte, il che ci fa ripetere che gli antichi fre-
scanti avevano una tavolozza capace di arrivare
alla forza , alla sfumatezza , all' impasto de' nostri
pittori a olio con il vantaggio su di essi di non
**
4 VOL. XIV. TAY. XXI.
esser le loro pitture soggette a crescere ed alterarsi
come i dipinti a olio, del che diciotto secoli di
durata sono un esperimento che non ammette om-
bra di dubbio.
"fv
ite imo ùOec/it.
■ ■ i . x i r.
TA.JXXJUl.
VVVVWVv
, . . . , ::. rr. ^. , . , .\
^^^, -
.',/,/,/.',. &nk .6/
. ■ :/.,
', , .sss .*.;*//*
VOL XIV. TAV. XXII.
Parete di Ercolano,
E
corsa ora mai la metà di un secolo da che gli
Accademici Ercolanesi facendo di pubblica ragione
le antichità dissepolte dagli scavi di Ercolano e
di Pompei pubblicarono questa parete. Pur tuttavia
non potremo questa volta giovarci de' lumi di quei
dotti illustratori, come bene spesso abbiamo fatto
nel corso della nostra opera , giacché l' indole delle
arti è talmente mutata col mutare de' tempi, che
nessuna illustrazione fu creduta allora necessaria
al dipinto che qui riportiamo , e ad altre molte
pareti , perchè di soli ornamenti architettonici si
componeva. Ma ora sarebbe per noi colpa tacere
di questa parte dell' arte , mentre sul finire dello
scorso secolo a niuna colpa addicevasi, non essendo
allora le discipline del bello in ogni ramo caldeg-
giate con quclP amore che a' dì nostri si veggono.
Questa stupenda tavola è importantissima per
la visibile contezza che ci dà della imperizia degli
antichi nelle regole della prospettiva lineare para-
gonata alla scienza che adesso ne abbiamo , e del
2 VOL. XIV. TAV. XXII.
sommo merito all' opposto che possedevano nella
prospettiva aerea, la quale con maggior valore trat-
tavano di quel che oggi non fassi. E importantis-
simo è al certo l' osservare pure gli svariati e leg-
giadri aggiustamenti adoperati in questo dipinto al
di sopra delle trabeazioni e sulla cima di quei
vari architettonici edilìzi quasi tutti terminati con
animali , arabeschi , tronchi , maschere ec, in modo
da dimostrare agli odierni architetti, che mal si
appongano credendo di starsi agli antichi esempì
allora quando le private fabbriche edificano sulla
maniera medesima degli antichi pubblici edifici.
In modo che se percorri l'Italia per tacere di
altre colte nazioni ove tal sistema prevalse , ed
osservi le fabbriche tutte di questo secolo , tu non
trovi che fredde imitazioni del Partenone, e degli
altri tempi di Grecia , o della lanterna di Demo-
stene , o del Panteon di Roma , siano pur chiese ,
teatri, porte di città, case, insomma qualunque
altro edilìzio : e ciò forse perchè i tesori scaturiti
da Ercolano e Pompei non furono sul finire del
caduto secolo, per la parte dell'arte, abbastanza
studiati, talché la massima d'imitare solo i colos-
sali monumenti dell' antichità prevalse, e pur troppo
VOL. XIV. TAV. XXII. 5
tuttavia prevale nel seno di quasi tutte le Acca-
demie di Europa.
Ci 1 i architetti che fiorirono nel decimo quinto
e decimo sesto secolo seppero almeno rinvenire nel
loro ingegno un modo di decorare i privali monu-
menti da ben distinguerli dalle pubbliche labbri-
che, ciò che dava luogo a mille invenzioni sva-
riate. Ma se non è dato adesso emulare quei sommi
nel rinvenire con la potenza della propria mente
novelle forme di decorazione, prendiamo almeno
liberamente e senza superstizione ad imitare ne-
gli antichi, col sussidio del senno e su i monu-
menti pompeiani , questa parte dell'arte senza cor-
rerci dietro l'uno coli' altro, rivestiti sempre dalle
stesse maniere e sospinti da' pregiudizi medesimi.
(Antonio c/faiccolmi.
VOL. XIV. TAV. XXIII. x
Figuein \ muliebre: -\ enere: la prima in marino
grechetto alta pai. due e 58/ 100 proviene dalla
Casa /'arnese: la seconda in marmo luuense
è alla palmi ire , e fu ritrovata in Pompei.
JLjk due belle figurine che presentiamo incise in
questa tavola XXIII. sono felici imitazioni di famoso
originale greco. La prima che qui vedesi in piedi
vestita di sottil sistidc trasparente sfibbiata nell'o-
mero sinistro, ed in atto di reggere con la destra
un lembo del manto che ricadendole sul dorso va
ad avvolgersi sul sinistro braccio , è simile a diverse
altre statue cosi vestite e che sollevano con grazia il
manto dietro le spalle. Nel real Museo Borbonico
altre due se ne serbano, e diverse sene ammirano in
altri Musei d'Italia e di oltremonte. Il Gori (1) vi ri-
conosce delle Muse , il Montelatici (2) ed il Monti a u-
eon (5) delle Veneri genitrici, il Winckelmann, che
molte ne annovera, le definisce per Danzatrici (4),
(1) Museo Fiorentino: Statue tav. XVI.
(2) Villa Borghese pag. 218.
(3) Antiq. exp. T. I p. 1 tav. CU , n. 5.
(i) Storia delle aiti del disegno.
2 VOL. XIV. TAV. XXIII.
ed il Visconti (1) in fine Veneri vincitrici le deno-
mina. Dan luogo a tutte queste varie denomina-
zioni i ristami , a' quali ordinariamente gli antichi
monumenti van soggetti , e le statue del real Museo
non ne sono state affatto esenti : e specialmente
questa , di cui ci occupiamo, ha di ristauro la testa,
il braccio dritto e le mani , estremità tutte che
dovrebbero decidere della sua denominazione, per-
chè son esse principalmente che portano l' impronta
e gli attributi caratteristici de' subietti che presen-
tano ; ond' è che vai meglio attender la scoperta di
altri più interi simulacri, che azzardare delle di-
vinazioni spesso contraddittorie perchè incerte. Que-
sta vaga figurina d' altronde è commendevolissima
per la sua elegante sveltezza, pel giudizioso ed ac-
curato partito delle pieghe, e pel nudo assai ben-
inteso disotto le vesti da cui traspare ; il che non
la rende seconda ad alcuni de' simili simulacri.
Non meno importante è l' altra figurina di Ve-
nere incisa a sinistra di questa tavola: essa è nuda
dalla cintura in giù , restando nel resto coperta da
un elegante panneggiamento annodato al davanti:
la sua attitudine è di racconciarsi la discinta chio-
(l) Museo Pio dementino tav. III. lav. Vili, pag, g.
VOL. XIV. TAV. xxnr.
ma ; cosi la Dea della bellezza fu ritrovala allorché
Fallacie e Giunone le fecer visita per ottenere da lei
dir inducesse Amore a rendere Medea amante di
Giasone, onde il Poeta (i) cantò che Venere prima
di riceverle » il crin non colto eolle man raccolse ».
E COSÌ e non altrimenti in molti altri monumenti è
espressa la Dea degli amori: vari ne sono gli esem-
pli in piccolo bronzo clic se ne serbano nel Museo,
e così per l'appunto e simile a quella che abbiamo
sott' occhio è espressa nel pregevolissimo bronzo
leste ritrovato in Nocera , ed acquistato dall'augusto
nostro Sovrano per le cure dell'Eccellentissimo Mi-
nistro degli affari interni. E sebbene tali statue or-
dinariamente si attribuiscono a Venere anadiome-
iw, che si asciuga i capelli , a noi pur sembra che
questa divinazione non sia troppo esatta , dappoi-
ché Venere uscente dalle acque del mare dovrebbe
essere rappresentata tutta nuda e con capelli molto
più disordinati di quello che vedesi in tali simu-
lacri.
Allorché questa bella figurina venne fuori dagli
scavi pompeiani , i capelli erari dorati ed il manto
era dipinto di color porporino, di cui or restano
;i) Apulluniu v. 5o.
4 VOL. XIV. TAV. XXIII.
ancora le tracce. E qui non dispiaccia di osservare ,
che quest' uso antichissimo in Grecia ed in Italia
di dorare e colorire le vesti delle statue era presso
che comune in Pompei ed in Ercolano, ed in quasi
tutta la Campania, dappoiché le molte statue che
da quelle distrutte città ci son pervenute avevano
nella massima parte i capelli dorati e le vesti co-
lorite ed indorate (1); ed i bei stucchi delle terme
bajane pur essi coloriti ed indorati annunziano esser
uso invalso in queste contrade di dipingere ed in-
dorare le sculture: le quali cose sicuro indizio sono
che con quelle dorature e quei coloramenti voleansi
imitare la polvere d' oro di cui le romane matrone
si ornavano le loro chiome , e i colori de' quali
risplendevano le loro sontuosissime vesti.
Xùiavamvattda Cfinati.
(i) Tutte le statue muliebri della famiglia di Balbo vennero fuori dello scave
di Ercolano co'capelli portanti le tracce della doratura : la bella statua di Diana
nell'attitudine di andare, di antico stile italico, era tutta dipinta ed indorata; anche
dipinta si rinvenne in varie parti della figura la statua d'Iside; e la Pallade com-
battente ercolanese aveva tutte il peplo indorato, in modo da potersene staccare
delle scaglie, come asserisce il Wiiukclmann. Vedi la nostra descrizione dell.
tue T. I.
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TA.X5TT.
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VOL. XIV. T\\. XXIV. i
Venere — Statua in marmo greco, alta palmi 7,
proveniente dalla Casa Farnese.
A,
.ltb_a volta abbiamo discorso sali' uso invalso
presso gli antichi artefici di moltiplicare e diffon-
dere le copio de' famosi originali de' grandi mae-
stri delle arti di Grecia , e specialmente ne' pub-
blici edilizi e nelle estese terme elevate dalla gran-
dezza romana. Ed in fatti non è da revocarsi in
dubbio che le più belle statue di Venere come la
Gnidia celebrata da Plinio (1), la Callipiga del real
Museo , quella così detta de1 Medici della galleria
di Firenze , 1' altra del Campidoglio siano gli ori-
ginali tipi a noi più noti della numerosissima
schiera delle figure di Ciprigna che per ogni do-
ve s'incontrano. E a noi sembra che la sveltezza
e leggiadria della Venere Medicea abbia sommi-
nistrato l' idea al romano artefice della bella sta-
tua che abbiamo sott' occhio ; poiché nella posa
(1) Lib. XXXVI. 4. Opera ejas (Praxitelis ) sunt Alhenis in Ceramico; sed
ante omnia , et non solum Praxitelis , verum et in loto orbe terrarum , Venus ,
quam ut viderent multi navigaverunt Gnidum.
2 VOL. XIV. TAV. XXIV.
e nello insieme a quella più di tutte le altre so-
miglia. Pudibonda si dispone a tuffarsi nel bagno
dopo aver gettato negligentemente le sue vesti so-
pra di un vaso che l'è a sinistra, attitudine co-
mune presso che a tutte le Veneri che traggono
origine da quel tipo. Questo vaso che qui ad un
tempo serve di sostegno alla statua , e di appog-
gio alle vesti della Dea, vorrebbesi introdotto co-
me un alabastro o vaso contenente gli unguenti ,
di cui Venere faceva uso con predilezione più di
ogni altra deità ; tanto più che avuto riguardo
all' uso generalmente adottato neh" antichità di un-
gersi al bagno , qui tornerebbe molto a proposito
F accessorio di un vaso da unguenti. Ma osser-
vando noi che le proporzioni di questa figura es-
sendo poco più grandi del vero, e che i noti vasi
di profumi di alabastro (1), che giornalmente si ri-
trovan negli antichi sepolcri, sono di una propor-
zione molto più piccola di quella che qui è scul-
ta , ci piace di seguire l'opinione del Visconti, il
quale in una presso che simile inchiesta crede che
(1) Questi vasi da unguenti senza manichi che i Greci chiamano alabastri
hau dato il loro nome alla pietra che ordinariamente n'era la materia. Vedi Vis-
conti M. P. C. Volume I. tav. X , e la sua nota su questa voce.
VOL. XIV. TAV. XXIV. 5
quel vaso sia un' idria adoperala per le acque del
bagno, delle quali 1' idria è pure un simbolo, e
che hanno con Venere anche una più stretta rela-
zione per esser ella nata dalle acque , cioè dalla
spuma del mare , onde fu della Afrodite (1).
Molto dippiù avremmo notato su di questo
bel simulacro di scultura romana, se la testa <• le
braccia non fossero state supplite recentemente
dallo scultore Albaccini.
Tj-iovarnvaluia CJ'inali.
(i) Visconti M. P. C. Voi. I. tav. XI.
Vii i
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kàjza /,//>, </s/ r/..™.yi
VOL. XIV. TAV. XXV. i
Tr- Colosso ni BARLETTA. — Statua imperiali' di
bronzi» alla palmi /g s/3.
Oin dal cominciamento di questa edizione annun-
ziammo che i materiali riuniti per la sua compi-
lazione formavano una serie non interrotta di mo-
numenti da somministrarci la storia di diciotto secoli
delle arti, con le vicende della loro perfezione, della
loro decadenza , e del loro rinascimento. Fedeli a
tali manifestazioni , e non essendosi ancora prodotto
un monumento classico della decadenza delle arti
e dell1 imperio, ci siam resi solleciti di far esatta-
mente disegnare ed incidere il singoiar colosso bar-
attano , e qui pubblicarlo come cpiello che una
volta illustrato gran lume può arrecare allo stato
delle arti nell1 epoca , cui questo importantissimo
bronzo si riferisce.
Vari scrittori prima di noi han diffusamente
trattato del barlettano colosso ; e noi qui non pos-
siamo far di meno di rammentare l1 ultimo lavoro
su questo monumento compilato dal caro nostro
collega sig. Raffaele Liberatore immaturamente man-
2 VOL. XIV. TAV. XXV.
calo al bene ed allo incremento delle amene lettere
italiane, alla cordialità dello stuolo de' suoi amici ,
ed al benessere della sua amabile famiglia. Egli nel
viaggio pittorico delle Due Sicilie (i) cosi si esprime
nel parlare del molo di Barletta.
» Singolarissimo ornamento non solo della via
chequi vedesi rappresentata , e che impropriamente
chiamano piazza di Barletta , ma della città stessa
e del regno, anzi dell'Italia nostra, è la statua
pedestre di bronzo, la quale nella tavola presente
a prima giunta ne colpisce la vista. A fianco della
chiesa del Santo Sepolcro, presso l'antica residenza
de' cavalieri gerosolimitani , sopra rozza base di
pietra questo colosso è rizzato ; e bene tal nome
si merita, poiché ne aggiugne l'altezza a palmi ìy
2/5 napolitani. Figura imperiale e romana ognuno
facilmente la giudica alla corazza , al balteo , al
paludamento , e agli altri militari arnesi ond' è
vestita , in quella foggia che siamo usi di ritro-
varli nelle tante statue de' signori del mondo alle
quali perdonò il tempo. Che se affisiamo lo sguar-
do alla benda gemmata che le fascia il capo, rav-
(1) Parte I. Volume II. pag. 85.
VOL. XIV. TAV. XXV. 5
visarvi potremo alcuno degl'imperatori i quali suc-
cedettero ad Aureliano, di cosi fatto diadema primo
usatore. Colla destra mano innalzata sostiene una
croce, colla sinistra un globo; ma l'una è di legno,
l'altro di pietra, e però non conviene fermarci
sopra tali accessori; tanto più che non pur le mani,
ma ed ambedue le gambe sono aggiunzioni fatte
in tempi molto lontani dall' originario lavoro ,
siccome il danno a conoscere il diverso colore nel
metallo, e l'inferiorità del disegno. Al che rispon-
de parimente la tradizione, della (piale è uopo
far parola or che , per quella naturai curiosità che
la presenza di simili opere sveglia nell'animo, pas-
siamo ad investigare qual principe la effigiato in
questo bronzo.
«Ardua quistione ed oscura qui si presenta; da
poiché manchiamo di qualunque indizio autentico,
di qualunque storico monumento che ne dia lume,
e tante, per così dire,son le sentenze , quanti gli
eruditi i quali ne favellarono. Attribuì il barone
di Reisedel la statua in discorso a Giulio Cesare,
senza por mente alla testa diademata , che mai
non poteva esser quella del Dittatore. Il Fea , nelle
sue note al Winckelmann, la disse di Costantino
4 VOL. XIV. TAV. XXV.
o di un de' suoi figli indotto in errore dal Mola ,
che gli fece credere tale esser l' avviso de' più colti
tra' Barlettani , e che glien trasmise un erroneo
disegno , in cui la corona d'alloro venne falsamente
sostituita al diadema. Il sig. conte D. Trojano
Marnili , barlettano ancor egli, pugnò in apposita
opera per Teodosio il grande ; nel che fu seguito
dal Millin cui dedicolla, ed il quale nel suo viag-
gio per le nostre contrade si fermò specialmente
a considerare questo colosso. Ma la tradizione e'1
comune degli scrittori , fra'quali per cagion d'onore
vuoisi nominare Leandro Alberti , Paolo Giovio ,
Pomponio Gaurico, e Pietro Giannone, in esso
riconoscono Eraclio, sebbene con particolarità più
o meno fallaci e diverse espongali le cose. Andando
innanzi troviamo che Gian Villani, allor che parla
nella sua storia di quel Rachisio re de' Longobardi
il quale cangiò la corona in una cocolla, e eh' ei
nomina Eracco, soggiunse: e la statua del metallo
che si vede in Barletta in Puglia fece fare egli alla
sua somiglianza nel tempo ch'egli regnava. Scipione
Ammirato, quell' eruditissimo nostro leccese che
fece ammirare l' ingegno e il purgato stile de'Na-
politani pur nella stessa Firenze , sembra sulle pri-
VOL. XIV. TAV. XXV. 5
me avoi- voluto interpretare l' Bracco del Villani,
v V Grasce di que'di Barletta, che tale è il no-
me ivi dato dal volgo al simulacro , per quell'An-
elli il quale fu ultimo duca e primo principe di
Benevento ; ma poi l'avella ci pure d' Eraclio ,
facendolo di sua fantasia autore del molo di quel-
la città, e però averlo gli abitatori onorato con
questo segno di gratitudine. In fine il D'Agincourl ,
benché non osi determinare in sì grande incertezza
e varietà di pareri qual sia da preferire, e confessi
che non conosceva la statua se non per disegni di
poca o niuna esattezza ( ed inesattissimo veramente
è quello da lui datone ) ; pure la tenne qual lavoro
greco anzi costantinopolitano, e fra' monumenti di
scultura del IV secolo , scarsissimo numero, senza
esaminarla gran latto , la collocò.
)) Fra tante opinioni, quella che si piace a raffi-
gurare neh" esemplar della statua 1' imperatore
Eraclio , vanta in vero più proseliti ; e pareva al-
tresì la meglio fondata, dopo che il P. Grimaldi
gesuita mettendo in istampe nel 1607 una sua vita
di S. Ruggiero Vescovo di Canne e protettor di
Barletta , pubblicò un latino epigramma eh1 egli
disse molto antico e conservato in quegli archivi,
6 VOL. XIV. TAV. XXV.
il quale canta come il greco scultore Polifobo g< t-
tasse di bronzo questa effigie d1 Eraclio , quando
ei tornò vincitore dalla guerra persiana ; come tol-
tala i Veneziani fra le altiv spoglie a Costantino-
poli per adornarne la patria , fu la nave che la por-
tava spinta dalla burrasca ad arenare nella spiag-
gia di Barletta, e la statua si franse, e giacque il
busto lunga stagione inonorato sul lido ; come per
ultimo un Fabio Albano rifece e gli adattò le mem-
bra mancanti, ponendogli nelle mani il globo e la
croce. Soggiugneva poi il P. Grimaldi aver cavato
da un antico libretto , anche serbato in archivio
( dove nessun altro il vide mai) che la traslazione
della statua così ricomposta dal molo alla piazza
avvenne l'anno 1491 a dì 19 di maggio. Ma il eh.
conte Marulli ha colla sua critica talmente ridotto
in polvere tutto questo edifizio, che nessuno ora-
mai , il quale voglia farsi a percorrer.- il suo libro,
continuerà nella credenza indicata (1). Non cosi
agevolmente poi verranno nella sua sentenza riguar-
do al sostituire ad Eraclio Teodosio; in sussidio
(1) V Discorso storico critico sopra il colosso di bronzo esistente nella città di
Barletta, del conte D. Trujano Marulli, dedicato al sig. cav. Albino Luigi MiUin
direttore del Museo reale d'antichità di Parigi. Napoli 1816, presso Angelo Coda.
VOL. XIV. TAV. XXV.
(I Ila quale invoca egli precipuamente una bella la-
pida di Canosa , in cui si legge che gli Appuli ed i
Cai a bri eressero una statua equestre leggermente
indorata a l'Invio Teodosio padre di ([nello impe-
ratore: iscrizione la quale, benché da lui tratta,
a mal-rado della contraria apparenza, con sottile
ingegno ed erudizion non comune a favorire in
qualche modo il suo assunto, pure a noi sembra
non altro realmente dinotare che la durata del re-
gno delle arti nelle nostre regioni, eziandio in quel
tempo di già inoltrata decadenza. E se non allora ,
e ito non prima, nò fuori d'Italia, ebbe luogo la
Fusione del barletta no colosso, che per un lato ci
fa qualche peso il detto del Villani, il più antico
scrittore chi' n'abbia discorso, e per l'altro , chi
voglia acquistar giusta nozione del grado di corrom-
piniento in cui l'arte era caduta in Constantinopoli,
massime dopo Teodosio, basterà l'osservare qual rea
e laida cosa fosser ivi i tipi delle monete, laddove
dalle italiane zecche sino agli ultimi re goti uscirono
coni se non eleganti e finiti , almeno e per le figure
e per gli eserghi regolari e plausibili. Quando nella
metropoli dell' oriente non sapevano altrimenti
onorare il trionfo d' Eraclio e la pace conchiusa da
3 VOL. XIV. TAV. XXV.
lui colla Persia che decretandogli una pinta imma-
gine , come mai avrebbe l'atto egli colà fondere
una si magnifica statua per inviarla in offerta al
santuario del Gargano siccome altri malamente sup-
posero ? Del resto qualunque sia il monarca ritratto
nella statua colossale di cui fu parola ( poiché noi
imitando la riserva del Signorelli , lascerem la lite
ancor in pendente ) sarà sempre nobile vanto , che
di tutti i colossi sparsi pel mondo romano , e sette
n' ebbe già la sola Roma , quell' uno , il quale non
interamente distrutto dal tempo rimane in piede ,
in questo remoto angolo del' regno nostro si trovi •».
Da quanto ha detto il Liberatore si raccoglie
sempre più una complicata incertezza del soggetto
espresso nel nostro monumento, e noi siam di av-
viso che il medesimo non potrà mai esser suffi-
cientemente chiarito se non si definisca col confron-
to delle monete, e di accordo con la storia delle arti,
quale de' monarchi ei presenti, se Teodosio , o Era-
clio, oppure il re Eracco dalla storia di Giovanni
Villani ricordato.
Confrontiamo dapprima la fisonomia del no-
stro colosso con quella che ci offrono le monete
del gran Teodosio. Diverse se ne serbano nel me-
VOL. XIV. TAV. XXV. 9
dagliere del real Musco Borbonico , e noi pren-
diamo a confronto quelle di oro, come le più con-
servate, e tutte ci presentano imberbe il volto di
quel gran monarca, simile al volto imberbe del
barlettano colosso; i lineamenti da quello non dis-
simili, e la caratteristica acconciatura della testa
affatto simile a quella del simulacro sin nelle nappe
pendenti dal diadema all'occipite annodato; lo stile
in fine della scultura , appartenente al IV secolo
come il riconosce il D'Agincourt, e come noi abbiam
confrontato con altri monumenti dello stesso secolo,
è lo stesso di quello che nelle monete di Teodosio
si ravvisa. Confrontato al contrario il nostro co-
losso con le monete di Eraclio , nessuna relazione
si scorge fra le rispettive fìsonomie , anzi il volto
di questo imperatore vi è con barba effigiato dal-
l'altro diversa ; lo stile infine è bizantino, e nulla
ha di comune col simulacro in disamina. Lo stato
delle arti nella metà deli' ottavo secolo decide per
la esclusione della statua attribuita ad Eracco da
Giovanni Villani di sopra rammentato , seppure
egli intenda parlar del nostro monumento, o di
altra statua , di cui ora non potrebbesi rintracciar
memoria. Quindi a noi sembra che la lite lasciata
jo VOL. XIV. TAV. XXV.
ancora in pendente dal nostro Liberatore possa
senza gran tema di errare decidersi a favore della
opinione del chiarissimo conte Marnili, che attri-
buì questo colosso a Teodosio il grande.
E prima di por fine al nostro dire non dis-
piaccia di qui rammentare che il gran Teodosio
salì sul trono d' oriente nel 579. Egli era di
alta statura , di nobile portamento e di un' aria
maestosa. Coltivato nel suo spirito non ignorava
alcuna cosa che meritasse di esser conosciuta. Il
suo grande ingegno il rendeva capace d'immagi-
nare le più grandi imprese e di condurle felice-
mente a fine. Il suo valore e la sua esperienza il
faceva camminare a pari passo co' più gran capi-
tani dell' antichità : ogni battaglia eh' egli dava era
per lui una vittoria, di maniera tale che Sapore III.
re di Persia sorpreso delle virtù di questo principe
cessò d'essere l'inimico de' Romani, e conchiuse
coli' imperatore un' alleanza che fu durevole e non
mai interrotta.
Ed a noi sembra che il nostro vivacissimo
bronzo barlettano corrisponde anche a questi par-
ticolari che trovansi registrati della figura e del-
l'animo del gran Teodosio, e la sua acconciatura
\()L. XIV. TAV. XXV. 11
alla foggia persiana , indipendentemente dal diade-
ma che usarono i successoli di Aureliano, potrebbe
far supporre che questo eneo monumento gli foss<
sialo eretto dalla riconoscenza de' suoi popoli alla
occasione della pace ed alleanza conchiusa con Sa-
pore III. re di Persia.
Zftovatnfaiula Jr inali.
Vnl.X.IV.
TA. XX^'l.
Wi rforv f/f/r/..lv/fr
i :/..
VOL. XIV. TAV. XXVI. i
Venere accovacciata con Amore dappresso -Sta-
tua in marmo greco alta palmi 5 , proveniente
dalla Casa l'arnese.
G
Comune alle diverse statuo di Ventre accovac-
ciata, ed alle gemine esprimenti lo stesso subietto
fu verosimilmente alcun famoso originale di greco
artefice ; imperciocché non solamente la Venere che
abbiamo sott' occhio ed un'altra che serbasi nel real
Museo, ina le altre due ancora del Museo P. de-
mentino e della Villa Ludovisi sono nello stesso at-
teggiamento, ed un tipo comune lasciano supporre,
sebbene la nostra abbia presso di se un Amorino
che affettuosamente riguarda , e l' altra della Villa
Ludovisi sia accompagnata da un putto coli' asciu-
gatoio. Il Visconti nel chiarire la Venere del Museo
P. dementino (j), la quale non ha Amore né putto,
ma sta sola accovacciata come in un bagno , simile
all'altra serbata nel Real Museo, supponeala una
replica della Venere nel bagno di Policarmo , am-
mirata in Roma e rammentata da Plinio (2).
(1) Voi. I. tavola X.
(2) Lb. XXXVI Cap. IV. 9.
2 VOL. XIV. TAV. XX.V1.
Il momento espresso dalla nostra bella statua
ci sembra esser quello che appena uscita dal bagno,
stando ancora accovacciata , compiaciuta si rivolge
a dritta a favellare col suo fanciullo alato , il quale
con la sinistra stringe una freccia , mentre con la
destra addita verso il di lei petto , quasi a pre-
scegliere un luogo alla ferita per favorir forse le
inchieste di Adone, o di Anchise , o del suo geni-
tor guerriero. E osservabile il braccialetto che la
Dea tiene affibbiato al disopra del sinistro braccio ,
ornamento ricordato dagli antichi scrittori , ed illu-
strato da Festo, che lo denomina spinti he r , ovvero
urmiliae genus, quod mulieres gestare solebant
òrac/iio summo sinistro , vai dire » genere di ar-
"» milla , che solean portar le donne alla sommità
)) del sinistro braccio » convenendo quel summo
alla nostra statua, che la parte superiore del sini-
stro braccio ne porta ornata.
Questa pregevole scultura romana non esente
da restauri nelle estremità , sebbene lascia ravvisare
l'ideale bellezza de' lineamenti di Venere, la leg-
giadria della sua attitudine, e la mollezza della
sua espressione, fa però desiderare maggiore svel-
tezza nello insieme , maggior dilicatezza nelle parti ,
VOL. XI\. TAV. XXVI. 5
ed in generale un'età più convenevole alla Dea cicali
amori: le quali cose ci mantengono nei nostro di-
visamento, clic una bella copia sia di bellissimo
originale- gl'eco, ma che l'esecuzione dell'artista
romano non raggiugne il merito sublime dell' an-
tico artefice inventore.
ytcvamvatijta -jf inali.
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YOL. XIV. TAV. XXVII.
La cappella del Pontano.
Nf
Ion si può certamente descrivere la cappella del
Pontano senza fermarci a considerare il suo fon-
datore, nome che suona grande alle lettere calla
civiltà dell'intera Italia. Gioviano Pontano inge-
gno meraviglioso, che continuamente immerso nelle
più gravi faccende della politica de' suoi tempi ,
scrisse tante opere, quante sarebbero state di troppo
per chiunque altro , che scevro di affari , avesse
potuto vivere nel beato ozio delle lettere e delle
scienze. E questo pare a mio credere formi il gran
pregio , ed il gran valore degli uomini di Stato
di quei tempi , che agli ufficii della politica uni-
vano gli studi delle lettere e delle scienze. Amba-
sciatori ne' casi difficili , preposti agli affari i più
importanti dell' interna amministrazione , Segretari
de' Papi, de' Re, i Bembo, i Sadoleto , i Casa, i
Pontano , uomini pratici , per eccellenza dottissimi
di teorie, scrittori infatigabili sono in ogni tempo
incomprensibili. Ed al Pontano crediamo noi do-
vere attribuire in gran parte le larghezze e i fa-
2 VOL. XIV. TAV. XXVil.
vori che ottennero , e l' alto grado di perfezione a
cui salirono le lettere qui in Napoli sotto il reg-
gimento de' Re aragonesi. La fortuna di questo
prode uomo sorse e tramontò con questa dinastia
di Sovrani di cui fu Ministro accreditatissimo. Fon-
datore di un'accademia emula della medicea si
vedeva nelle poche ore che gli avanzavano agli
affari circondato da una bella corona di felicissimi
ingegni come un Sannazzaro , un Altilio , un Can-
teo , un Elisio Calenzio , un Alessandro d'Alessan-
dro , un Francesco Elio Marchese , un Galateo , e
tanti altri che illustrarono quell' epoca che corse
si propizia alle lettere.
Nacque il Puntano in Cerreto dell' Umbria il
7 maggio del 1426 : rimasto orbo del genitore fu
obbligato per civili discordie rifuggirsi a Perugia
ove fu amorosamente dalla madre educato e fatto
ammaestrare nelle lettere greche e latine. Dispe-
rato del ritorno in patria quella dura necessità in
cui gemeva, quella nialesuada fames , che gli animi
vigliacchi e perversi spinge alle scelleratezze, in-
citò invece il generoso ed onesto spirito del Pon-
tano a contrastar da forte con 1' avversa fortuna.
Correvagli l'anno ventunesimo ed erano gli anni
VOL. XIV. TAV. XXVII. 5
«li Cristo i ii7, quando questo giovinetto animalo
dalla fama della munificenza del Re Alfonso I. di
Aragona, che allora guerreggiava nel Fiorentino, ri-
corse alla clemenza di quel monarca clic accoltolo
amorevolmente lo menù seco a Napoli. Da quel-
l'epoca fino agli ultimi suoi anni fu sempre adope-
rato da' Re aragonesi in gravissime faccende di
Stato, e questa sua vita pubblica gli durò quanto
il regno degli Aragonesi cioè fino al i5oi. Dai
quali 64 anni da lui spesi in servigio di quei So-
vrani trasse onori , e dovizie da poter riunire presso
di lui quell'accademia che ancor dura qui in Na-
poli sotto il suo nome, e da poter costruire edilìzi
sontuosi, fra i quali noverasi la cappella che forma
subietto della presente tavola. Morì il Pontano nella
vecchiezza di anni 77 il i5o5.
Questa chiesetta fu fatta edificar dal Pontano
il 1492 , in un'epoca in cui le arti del disegno
erano in Napoli come in tutta l'Italia risorte a
nuove forme e nuove bellezze da sotto le ceneri
del medio evo. E stato errore di alcuni, scompa-
gnalo da ogni buon giudizio di arte, di credere
che il Pontano seguisse in questo edifizio l'ordine
di Andrea Ciccione , architetto molto in grido sotto
**■
4 VOL. XIV. TAV. XXVII.
il Re Ladislao d'Anjou, e che gli disegnò il mo-
numento che tuttavia si ammira in S. Giovanni
a carbonara. Ma lo stile del Ciccione non ha nulla
che fare con quello della cappella del Pontano , e
sarebbe l' istessa cosa che confondere lo stile di
Giotto con quello di Pietro Perugino, volendo tro-
var somiglianza fra le opere del Ciccione e la cap-
pella pontaniana. Quell'epoca che produsse tanti
capi lavori , che prende il nome dal secolo nel
quale fioriva di cinquecento, avea bandito affatto
lo stile gotico. Né i particolari, né la massa di
questa elegante chiesetta hanno nulla che fare con
lo stile e l' epoca del Ciccione che stava fra il mo-
resco, il gotico, e il bizantino. Oltre di che l'arco
del Castello nuovo edificato da Re Alfonso, e pre-
cursore di molti anni di questo piccolo ed elegante
edilìzio, aveva aperto un nuovo stadio all' architet-
tura totalmente opposto alla maniera del Ciccione
e de' suoi coetanei. Lodiamo in questa cappella la
grazia ed armonia della massa , la eleganza di tutti
i suoi particolari che si rispondono fra loro con
tanta concordanza di grazia, con quanta si odono
i suoni delle varie corde di un istrumento mae-
strevolmente toccate. E diremo di questo edifizio
VOL. XIV. TAV. XXVII. 5
quello che Pomponio- attico diceva di alcune sue
vecchie case, a chi conio picciolo e poco ornale
consigliavate di demolirle, che ci era più sale che
spesa. E più salo che spesa effettivamente .si osserva
in questo elegantissimo avanzo del buon giudizio
del cinquecento clic indichiamo come un bollo ed
utile esempio agli studiosi di architettura. E tanto
più utile in quanto che gli studi degli architetti
versano il più delle volte su vasti subietti , e su
monumenti di grande spcndio , di cui le occasioni
son tanto rare che posson quasi dirsi chimeriche,
trascurando poi le fabbriche più modeste che co-
muni nell' uso si presentano tutto giorno all' eser-
cizio pratico di quest'arte.
Ttuaueimo £decnt.
Val. ! r
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VOL. XIV. TAV. WVIII.
Cadmo. — Paso fittile di Puglia.
R
apita Europa, Agenore di lei padre ignorando
il rapitore , ordinò a' suoi lìgli di andar da per
tutto in traccia della sorella , vietando loro di ri-
tornare in patria senza averla ritrovata.
Dopo molti e lunghi viaggi Cadmo perduta
ogni speme di rinvenirla si risolse di stabilirsi in
Grecia , ove consultato l'oracolo di A polline n'eb-
be in risposta » nel vicino campo troverai una
giovenca , seguila , ed ove essa si fermerà fonde-
rai una città dandole il nome di Tebe ». Appe-
na uscito dal sacro antro incontrò la giovenca, la
seguì , e quando essa si fermò , volle prima di
gettar le fondamenta della nuova città rendere
grazie al nume con un sagrificio. Spiccò a tal uopo
i suoi compagni a cercar acqua in una fonte presso
il vicino bosco consacrato a Marte , ove un drago-
ne che il custodiva li divorò tutti. Cadmo impa-
ziente di non vederli ritornare si mosse ad incon-
trarli , e ritrovò che quel dragone stava ancor di-
vorando gli avanzi degl' infelici compagni suoi. Per
2 VOL. XIV. TAV. XXVIII.
vendicar la loro morte combattè ed uccise quel
terribile mostro con l'ajuto di Minerva , e per suo
ordine ne sparse i denti, da' quali sursero uomini
armati e combattenti , i quali debellati, Cadmo ne
risparmiò soli cinque che gli servirono di ajuto
per fondar la città in adempimento degli ordini di
Apollo.
11 momento espresso nel principale aspetto di
questo pregevolissimo vaso di Puglia è Cadmo che
combatte il dragone con l'ajuto di Minerva. Qui
l'Eroe tutto nudo con sola clamide gettata sugli
omeri con pileo in testa e calzari a'piedi tien nella
manca abbassata la spada col balteo e due lance,
ed atteggiato al combattimento sta per iscagliare con
la destra elevata una grossa pietra al dragone , il
quale si rizza e vibra la lingua contra di lui. Mi-
nerva in lungo chitone e peplo armata di egida ,
di elmo e di lancia, ed ornata di auree smaniglie,
indica all' eroe il luogo ove debba colpire il mo-
stro. Compiono la scena di questo primo piano
del vaso un mucchio elevato di pietre , alcune
piante ed un vaso rovesciato posto fra Cadmo e'1
dragone.
Nel piano superiore Tebe personificata siede
VOL. XIV. TAV. XXVIII. 5
presso di quegli scogli. Essa ha la corona turrita in
testa , ccl è vestita di lungo e ricco chitone , con
analogo peplo del quale un lembo rialza colla de-
stra presso dell' omero dritto , le sue braccia so-
no ornate di auree armille , 1' annidare della si-
nistra decorato di prezioso anello , ed ha eleganti
sandali a' piedi. Rimpetto sta la fontana Crcnaia
a mezza figura , ornata di largo diadema , e ve-
stita di chitone riccamente ricamato. E segue an-
che a mezza figura il fiume Ismeno con capelli e
barba bianca vestito anch' esso di elegante e ricco
chitone portando un lungo scettro. Fra queste due
ultime figure comparisce il sole. Su le teste delle
figure si leggono le iscrizioni incise con bolino KAA-
M0£ , A0HNH , 0HBH, KPHNAIH, IMHN05} (sic).
Sotto le ghirlande di edera che ornano il collo di
questo pregevolissimo vaso si legge il nome del-
l' artista AU^TEAU (sic) ErPA<DE (1).
Il riverso del vaso rappresenta Bacco tutto
(i) Un grande balsamario col dipinto eh' esprime Ercole negli orti Esperidi è
dello stesso artista, e può osservarsi nel real Museo Borbonico all'ultimo armadio
dell'ultima sala della collezione de' vasi al n.° 60 ; ed una terza opera di questo
artista esprimente nel suo dipinto una parodia di Procuste è stata pubblicata dal
nostro amico e collega signor Milllngen. Coli, des peint. PI. XLf'I.
4 VOL. XIV. TAV. XXVIII.
nudo nella persona con benda e lemnisci reggendo
con la destra abbassata una ghirlanda e nella si-
nistra elevata il tirso : su questo braccio sta gittato
il grandioso manto del Nume. Egli è fiancheggiato
a sinistra da una baccante vestita di lunga sistide
ricoperta dalla nebride, sostenendo nella destra una
ghirlanda , ed offrendo a Bacco una patera ricolma
di frutta e di tre oggetti di figura piramidale; ed
a manca da un barbuto satiro con festone nella
dritta e bastone nella sinistra. Sul piano superiore
di questa composizione sono espresse tre figure, che
si veggono solamente per metà. Due di queste son
tunicate , e situate di rimpetto ; l' una ha un' ac-
conciatura rossa, e l'altra una cuffia, e fra esse
trovasi espressa una pianta: la terza è di satiro
calvo e barbuto con testa ornata di benda, e ve-
stito di nebride. Sul basso e propriamente presso
del Nume un'oca attentamente il riguarda. I soli
colori bianchi sono antichi, e gli altri colori bru-
nastri che si veggono in queste figure sono di mo-
derno ristauro.
Sebbene il subbietto del quadro espresso nel
principale aspetto di questo bel vaso è per se stes-
so chiarissimo ed ineluttabile, pure a maggior chia-
>0L. XIV. TAV. XXVIII. 5
rezza de] mito Astea celebre dipintor (1) di vasi
non solamente lia aggiunto in questo pregevole la-
vor suo V epigrafe grcea su ciascuna figura , ma
ha voluto completare il suo dramma adombrando,
a nostro avviso , con quo' sassi 1' antro del dra-
gone ; con quelle piante il bosco sacro a Marte ,
che era presso della fonte Crenaia personificata
qui nella mezza figura posta fra Tebe e l'Ismeno,
anch'essi personificati nella bella figura assisa , e
nell'altra a metà di barbuto veglio maestosamente
crinito ; in quel vaso rovesciato il sopravanzo della
strage de' compagni di Cadmo , i quali con quel
vaso appunto eran giti a cercar dell' acqua neces-
saria al sacrificio ; nel sole infine, che comparisce
sull' alto della composizione , l' oriente nel quale
era nato l'Eroe protagonista del suo dipinto.
Non dispiaccia intanto l'aggiungere alle cose già
dette che coloro i quali si sono occupati a ritrovar la
verità delle favole dell' antichità pagana , preten-
dono che Cadmo uscì di Fenicia per istabilirsi in
Europa , e che giunto in Grecia con una colonia
di Fenici s'impadronì di una parte della Beozia ,
(i) Vedi la nota precedente.
6 VOL. XIV. TAV. XKVIII.
e vi fondò una città ove stabilì il suo dominio non
ostante la molta resistenza degl' indigeni di quel
paese. Quindi aggiungono che il dragone ucciso
da Cadmo fosse il principe del paese chiamato
Draco , tìglio di Marte ; che i suoi denti misteriosi
fossero i sudditi di lui , i quali si riunirono dopo
la sua sconfitta ; e che Cadmo li facesse perir
tutti fuori di cinque che abbracciarono il suo par-
tito (1). Questo avvenimento si fa da essi rimontare
a circa due secoli prima della distruzione di Troia.
Tficvamvatuta <jfinati.
(1) Falarih.de lm/td. Ili.st. cap. fi. A miniano Martellino. 1. ig ed altri molti.
'
■ >,*.//,
i ;/,„.,
\"pl.-\|V
*<t/t> . ftt'/,/,s//'t://f f/t /
VOL. XIV. TAV. \\l\.
Tazza ih Canino.
JLja bella lazza di che prendiamo a favellare venni
al Musco Borbonico dagli scavi di Etruria con pa-
recchie altre quivi disotterrate. Essa presenta al di
dentro un giovane ammantato di pallio e con in
mano un bastone che sta per baciare un garzone t te»
ricoperto da semplice clamide con sopra l'iscrizione
EIIOIE^EN (fece ), da riferirla al nome dell'artista
che manca. Al di fuori poi ci mostra due distinte
scene di personaggi dipinti, le quali restano divise
da' manichi e chiusa ciascuna da due sfingi acco-
vacciate ed a quelli rivolte co' dorsi. In una è rap-
presentato Ercole , il quale , dopo sospeso il suo tur-
casso ad un albero, ha affrontato il leone nemeo, e
passatogli il sinistro braccio sotto il collo , già cerca
di soffocarlo. Ma con tutto il suo valore egli è tutta-
via pericolante sì, che un compagno il quale trovasi
dietro al lione e che gli tiene la clava, volge colla
destra elevata le sue parole a Minerva a dargli soc-
corso, la quale perciò si ha tolto il cimiero di capo,
ma non sai se voglialo offrire all' Eroe perchè me-
2 VOL. XIV. T\V. XXIX.
glio con esso si difenda la testa, o al compagno di
lui , che di ciò la prega. Per me a dir vero più
alla prima opinione inchinerei , poiché 1' amico di
Ercole ha già in testa un pileo , che da offese la
campi. L'altra rappresentanza ci offre allo sguar-
do un guerriero caduto a terra per fresca ferita ,
come lo indica la sua postura , e molto più la
spada che stringe ancor nella destra , ed il grosso
scudo che imbraccia tuttavia. Egli è in mezzo a
due guerrieri che combattono tra loro , chi per di-
fenderlo, e chi per finirlo. Questi ha un rotondo
scudo con sopravi per insegna metà di un cavallo,
una celata in capo , gli schinieri alle gambe, il resto
nudo. Quegli ha il fodero della spada ad arma-
collo, la lancia , uno scudo di figura ovata con due
semicircolari incisioni a' lati, ed una celata. Ed io
son di credere che qui si rappresenti Patroclo di-
feso da Menelao, tuttoché il momento scelto dal-
l'artista non sia di quelli, diche s'incontra la de-
scrizione in Omero. E tanto più di ciò mi persua-
do in quanto che i due arcieri, che chiudono la
scena, hanno in testa due mitre, o tiare che dirsi
vogliano , similissime a quelle che si veggono in
testa a' guerrieri del gran Musaico pompeiano , e
YOL. XIV. TAV. XXIX. 5
su qualche tosta di Paride, tal che ben possono
aversi per Troiani. Come troiano ancora è il guer-
riero che sta di Fronte a Patroclo; né la sua ar-
matura differisce da quella di Menelao, se non
perchè costui ha i gambierì propri de' Greci a
segno che per essi meritaronsi il titolo di WKvri^ihg
Da ultimo noteremo che l'epigrafe apposta a
(fuesta scena è IIOIE^E per ivroinaiv [fece ). Ciò fa
supporre il solito nome del vasaio, il quale, qua-
lunque ne sia stata la cagione, non vi si trova.
bter nardo £z.aaranta.
VOL. XIV. TAV. XXX.
Deposizione di N. S. dalla croce. - Quadro sopra
tela di figura ellittica di palmi dodici e 3/4- di
maggior diametro.
J-jrasi già di molto innolirato il diciassettesimo
secolo di n. s. allorché la scuola napolitana ralle-
grandosi di aver dato alle arti tanti valenti maestri ,
lamenlavasi nondimeno di vedersi al declinare
del suo splendore con poca speme di scorgere negli
altri suoi figli chi potesse sostenerne l' avita sua
grandezza. A ristorar tali lamenti sorse inattesa-
mente, diremmo come un gonio, il giovanetto Luca
Giordano (1), figlio del volgar pittore Antonio, il
quale con istupor de' suoi contemporanei , essendo
ancor di sette anni, conduceva sotto la disciplina
del gran Ribera opere sorprendenti. Abbenchè fan-
ciullo, ma pieno dell'innato amore che in se po-
tentemente sentiva per 1' arte, al solo annunzio che
in Roma, in Venezia ed in altre città cospicue del-
(i) Nacque in Napoli nell'anno i632 ove trapassò nel 1705, avendo 73 anni di
età , e vedesì il suo sepolcro nella Chiesa di S. Brigida innanzi la cappella di S. Nic-
colò di Bari , da lui anticipatamente dipinta.
*
2 VOL. XIV. TAV. XXX.
l' Italia opere esistevano de' più celebrati maestri
dell'arte, non potè signoreggiare la sua irresistibile
passione: quindi colà segretamente si reca, e studian-
do le opere ammirevoli delle logge del Vaticano, e
formandosi su quelle di Leonardo, di Michelangelo,
di Andrea , e di tanti altri sublimi maestri, (1) acqui-
stò quello stile proteiforme , che i più accorti ar-
tefici attoniti ammirarono nelle opere stupende di lui.
Dopo le tante opere pubbliche eseguite con somma
celerità (2) e con molto sapere, la sua fama di valoroso
(1) Il Bellori parlando degli studi del nostro Giordano soggiunge, che qual
ape ingegnosa libando da' fiori delle opere de' migliori maestri componeva il suo
mele. Ed in quanto al suo stile sorprendente d' imitazione , basta solamente ricor -
dare che il Re di Spagna mostrandogli un quadro del Bassauo gli esprimeva il
gran dispiacere di non possedere una seconda opera dello stesso pittore : un giorno
dopo il Giordano prese una tela vecchia e vi dipinse una composizione di maniera
del Bassano , la quale collocata nella galleria del Monarca fu creduta da' più
periti conoscitori un eccellente lavoro di quel maestro; e non si chiarì 1' equivoco
se non dopo le certe pruove , che Giordano diede di averlo recentemente dipinto
egli stesso.
(2) 11 padre di Luca vendeva a caro prezzo i disegni e gli abbozzi latti dal figlio ,
e pressavalo vivamente a lavorare dicendogli: Luca fa presto, espressione che
gli restò in soprannome. Si afferma , che per fare più presto adoperava talvolta le
dita invece del pennello, e che un giorno lodandosi dalla Regina di Spagna i fiori
dell' Abate Belvedere , il Giordano presi colle dita i colori eh' eran sulla tavo-
lozza , come per incanto gli rimescolò in modo che uscirono da sotto alle sue dita
de' sorprendenti fiori: e poco dopo lavorando alla presenza della stessa Regina di-
pinse quasi in un minuto il volto di sua moglie assente , che la Regina aveva de-
siderio di conoscere. La Sovrana che credevalo in tutt' altro occupato fu sì incan-
VOL. XIV. TAV. \\\. 5
pittore si estese con velocità pari alla facilità con che
conduceva i più grandi suoi lavori. La corte di Spa-
gna lo impiccò a dipingere le volto ed il grande
scalone dell' Escuriale, ove esegui con tanta spedi-
tezza e successo le ricevute commessioni, che gli
meritarono 1' affezione del Monarca delle Spagne
Carlo li, il (piale lo creò cavaliere, lo rimeritò
con diversi impieghi, ed elargì le sue munificenze
agli altri individui della sua famiglia (1). Con egua-
le stima e favore fu trattato da Filippo V , che
non solamente gli fece terminare le diverse opere
intraprese, ma il confermò al suo servizio. Il Gior-
dano affezionato d'altronde alla sua patria implorò
ed ottenne il permesso di ritornare in Napoli, ove
si restituì preceduto da una rinomanza così grandiosa
ed estesa, che appena poteva corrispondere ad una
tenue parte delle moltissime richieste che gli veni-
van fatte. Vuoisi che una delle tante richieste, alle
quali egli soddisfece, sia stata quella di dipingere
nel coro della Chiesa della Solitaria la dolentissima
tata di tale istantanea destrezza , che toltosi dal collo un superbo vezzo di perle
lo donò al Giordano perchè ne facesse regalo alla sua consorte.
(i) Un di lui figlio fu fatto capitano di cavalleria, ed un altro nominato giudice
nella vicaria di Napoli. Le di lui figlie vennero onorevolmente maritate ad alcuni
cortigiani con vantaggiosi posti per dote.
**
4- VOL. XIV. TAV. XXX.
deposizione di croce, che ci accingiamo a descrivere,
condotta con tanta arte e freschezza di colorito, che
vien collocata fra le opere più insigni di questo va-
lentissimo maestro , e fra le prime che si conser-
vano nel real Museo.
La ferace immaginazione di Luca si trasporta
sull' arida vetta del Calvario , ed ispirata dal su-
blime subietto da esprimere ci presenta con la più
elevata e patetica composizione la estinta salma del
SIGNORE dell'universo nel momento che Giusep-
pe d' Arimatea , Nicodemo e due altri fedeli la
depongon dal nobilitato patibolo al cospetto della
immensamente addolorata Madre e delle desolate
Maria di Cleofa, Salome e Maddalena. Questa luttuo-
sissima rappresentazione vien rischiarata dallo splen-
dore di un gruppetto di Cherubini posto a sinistra
sull'alto del quadro : in lontano una figura velata
che attonita osserva quel che qui si passa , ed un
soldato a cavallo armato di lancia ed usbergo in
atto di andare, mostra il compimento del consumato
deicidio.
Tutto è verità e sentita espressione in questa
elaboratissima composizione: Nicodemo, abbenchè ca-
nuto ed avanzato negli anni, stando ancora su d'una
VOL. XIV. TAV. XXX. 5
scala, a tutta possa sostiene il Salvatore per sotto alle
braccia , nel mentre che Giuseppe di Ariinatea ca-
lato già dall'altra scala, che ancor regge presso della
croce un suo seguace, premuroso il raccoglie per le
cosce, con l'aiuto di altro fedele che posto a ginoc-
chio si affatica a distendere al disotto del corpo un
largo lenzuolo. E questo ammirevole e principal
gruppo eminentemente lumeggiato dallo splendore
de' Cherubini , in contrapposizione dell'altro gruppo
posto quasi in ombra della Vergine Santa e delle
Marie. Qui però resti compunto nel mirare l'inteuso
dolore della Santa Madre al cospetto dell'estinto suo
Figliuolo ; e la desolazione di Maria di Cleofa e
di Maria Salome che lagrimando riguardano nel loro
Signore e ne deplorano amaramente la morte ; nel
mentre che vedi Maddalena in ginocchio distruggersi
in pianto su' chiodi che ha raccolti fra gli altri stru-
menti della cruda passione posti sopra e presso di
scabroso greppo. E qui ebbe a vanto il nostro Gior-
dano di scrivere il suo nome Jordanus F. quasi
volesse esprimere, che i mancamenti di sua vita
avevan contribuito quali strumenti all' amarissima
passione del Redentore.
XticvamvattJta binati.
"voLxrv.
TA. XXXI
yjscfi./fatyf.jfò at •/. &, scuói
VOL. XIV. TAV. \X\I.
Di E VS IH'I il UPFRBSCHI.
JLIoBBIAMO alle scavazioni di Civita i due un por-
timi issimi dipinti che qui pubblichiamo. Il primo,
tratto Inori dallo macerie vulcaniche nel maggio del
1760, presenta come in un medaglione il ritratto a
mezzo busto di leggiadra donna in atto di meditare
ciò che va per iscrivere sulle pugillari giallastre an-
nodate in cima da un nastro nero, che ha appre-
state nella sinistra , accostando con la destra vaga-
mente atteggiata la punta dello stile color di ferro
alle labbra ; momento egregiamente indovinato per
esprimere con gran verità quello istantaneo raccogli-
mento che ordinariamente precede in chi vuol dar
principio a qualche suo componimento. Contribuisco-
no non poco alla verità di questa espressione l' inde-
cisa sua fisonomia , gli occhi rivolti a destra , le nari
alquanto aperte , le labbra non interamente chiuse ;
e la sua bionda chioma vagamente inanellata e co-
perta di aurato reziolo , i suoi orecchi ornati di sem-
plicissimi cerchietti di oro , la sua tunica verdastra
ricoperta da un manto color violetto spargono di uno
2 VOL. XIV. TAV. xxxr.
studialo contegno, ma che sembra naturale, tutta la
sua persona. Posti al di fuori del medaglione sono
da osservarsi attentamente a sinistra del riguardante
due vasetti cilindrici color di rame addossati con i ri-
spettivi coperchi , de' quali uno è aperto e reggesi
per la cerniera che 1' unisce all' orlo del vasetto , e
presso dell' altro chiuso sta appoggiato un calamo ,
o cannuccia, simile ad una nostra penna temperata.
A dritta è dipinto un libretto forse anche di pu-
gillari , avente nel mezzo di ciascuna un rialto cir-
colare ; e presso di una di esse sta pure altra can-
nuccia simile alla precedente.
Nell'altro affresco scoperto nel giugno dello stes-
so anno è dipinto parimente un libretto aperto di
colore oscuro e col margine color giallo disseminato
di alcuni segni cenericci indicanti le lettere , avendo
in mezzo di ciascuna pagina o tavoletta il solito rial-
to , ed alquanto discosto uno stile color di ferro ,
acuto nell'estremità inferiore, e piatto neh" altra.
Sarebbero sufficienti questi due affreschi per
dar conto di quanto concerne la doppia maniera di
scrivere degli antichi tanto sopra i papiri , che sulle
pugillari ; poiché que' due vasetti di rame addos-
sati e col calamo dappresso sembran esser quella teca
VOL. XIV. TAV. \\\l. 3
atramentaria ixtXayo^o^tiov, ossia calamaio, necessa-
rio alla scrittura sul papiro; e quelle tavolette con
gli steli rispettivi appartengono senza gran teina di
errare alle tanto famigerate pugillari , ossia alla
scrittura sulla cera distesa su di apposite tavolette
di bronzo, di bosso, di cedro e di altri legnami,
oppur sulle pelli di antichissimo uso presso de' Gre-
ci e de' Romani (1); ma ci riserbiamo di parlare
appositamente di tutte queste cose allorché pubbli-
cheremo la pingue suppellettile scrittoria, che unica
e preziosissima si serba nella officina de' papiri er-
colanesi del real Musco. Notiamo nonpertanto in
queste passeggiere osservazioni , che gli antichi per
delincare le lettere coli' inchiostro (2) si servivano,
come abbiam veduto, del calamo scrittorio, qual è
appunto quella specie di cannuccia qui dipinta a
guisa della nostra penna temperata , attingendone
T inchiostro dal vasetto che qui vedesi aperto ; e
che l' altro vasetto chiuso potrebbe essere la teca
calamaria , ossia pennaiuolo , ove si riponevano i
calami ; ma se si consideri che il calamo che
vi è dappresso è più alto della teca, potrebbe più
(1) Pullure X. 57 e segg.
(2) V. Plinio XXXV. C sulle diverse maniere di far l'inchiostro.
4 VOL. XIV. TAV. XXXT.
verosimilmente in esso riconoscersi un altro calamaio
con inchiostro di altro colore , e forse rosso , di cui
facevasi uso soprattutto ne' titoli de' libri, e segna-
tamente delle leggi, onde libri rubrìcati venivan
detti da' dotti (i) i libri legali.
Molto ci sarebbe ancor da notare sulla diversa
forma de' libri ; ma tralasciando ciò che riguarda la
notissima forma cilindrica appartenente a' papiri ,
notiamo di leggieri ciò che risguarda il libretto bis-
lungo qui dipinto, il quale altro non ci sembra che
un aggregato di pugillari congiunte insieme , vai
dire un polittico composto di più tavolette unite con
gangheri o anelletti l'una all' estremità dell' altra, in
maniera che spiegate formassero una lunga filza, e
nel piegarsi 1' una covrisse 1' altra : e qui osserviamo
che quel rialto circolare, che costantemente vedesi
nel mezzo di ciascuna tavoletta, sia stato accorta-
mente introdotto per impedire che la facciata di una
pugillare si attaccasse all'altra, ed evitare che la cera
col toccarsi confondesse le lettere. Supponghiamo in
oltre che quella specie di nastro annodato nella som-
mità del libretto, che ha fra le mani la donna ri-
trattata, e pel quale nodo passa uno stile, tenga qui-
(i) Ovid. Trist. El. 1. 7 , e Petronio cap. 46.
VOL. XIV. TAV. XXXI. 5
vi luogo di due ufizì, l'uno di vagina per riporvi
gli stili , conio vedesi praticato per quello che passa
pel nodo istesso, e l'altro per tener ferme le pugil-
lari allorché vi si scrivea al disopra. E da ultimo
conchiudiamo queste transitorie osservazioni, dicen-
do che la preferenza data dal pittor pompeiano alle
pugillari e non già ad un papiro nel dipingere una
nohil donna che medita prima di scrivere, fa nascere
il sospetto che avesse voluto presentarci una giovane
innamorata, che cogitabonda si accinge a scrivere al
suo amante, poiché uno degli usi al quale le pugil-
lari venivan destinate era quello de' biglietti amo-
rosi (1).
yiovamlattJta ^finali.
(i) Ovidio Amor. I. Et XXII, 23 e segg. Properzio III E]. XXII, 20.
VOI.. XIV. TAV. XXXII.
Dipinto Pompei ino.
0,
'ubstb duo ligure clic adornavano la dipintura
di una stanza de' Pompeiani rappresentano due gio-
vinone ministre a qualche cerimonia di religione.
La prima ha velato il capo ( giacché in segno di
venerazione verso i loro Iddìi gli antichi si euo-
privan la testa) (1), ha un ramo in mano da ser-
virle forse di aspersorio nelle lustrazioni , e tiene
con la destra due uccelli che sembrano due co-
lombe.
L' altra figura tiene sul collo un agnello , di
cui stringe con la sinistra le gambe, e sostiene con
la destra un cestello tessuto di vimini atto a con-
tenere utensili de' sacrifizi. Sarebbe difficile di de-
terminare il culto della divinità alle cui cerimonie
queste due donne si accingevano a ministrare, e solo
osserveremo come la religione sensuale degli anti-
chi si mescolava non solo a' loro affari, ma ezian-
dio a' loro piaceri , e la rappresentanza delle loro
religiose cerimonie offriva mille invenzioni al pen-
(1) Cic. de Nat. Deorum, lib. 2, cap. 3. Plaut. in Amphit. Act. V. se. 1, ver. 41.
2 VOL. XIV. TAV. XXXII.
nello de' loro dipintori , il che è tanto lungi dalle
nostre costumanze, che senza un considerato studio
dell' antichità , ci faremmo difficilmente a supporre
tante gaie e leggiadre rappresentanze dell' antica
pittura potersi riferire alla loro religione ed al culto
delle loro Divinità.
^V
ùeirno Soecni.
VOL. XIV. TAV. XXXIII.
DIPINTO POMPEIANO.
D
a una casa pompeiana abbiamo ricavato le tre
ligure di questa tavola. Chi sia quella donna legger-
mente velata lino alla cintura che pare in atto di
spuntarsi la soltil tunica , e che in atto di leggiadria
tiene nella mano sinistra un flabello ( il ventaglio
delle antiche donne ) , sarebbe difficile a dire. Sep-
pure a qualche facile indagatore di qualunque siasi
più arcana rappresentanza non cadesse in pensiero
di chiamarla Frioe, la empia beltà di Terpi, che a
sedurre i suoi giudici fu dal suo difensore consigliata
a mostrarsi nuda sfibbiandosi il tunico pallio. Ma
chi si contentasse di questa spiegazione sarebbe più
facile ad esser persuaso e sedotto de' giudici della
stessa Frine.
I due giovani compagni a questa leggiadra ci
sembrano due ministri alle orgie di Bacco , soste-
nenti due faci e coronati di corimbi la chioma. Che
se qualcuno volesse chiamar! i due simulacri di Bacco,
sarebbe contraddetto dalla poca nobiltà di queste due
figure che al bellissimo fra gli Dei de' gentili non
2 YOL. XIV. TAV. XXXIII.
sarebbe affatto conveniente. In somma a noi pare
che sia molto più facile a dire quello che queste
tre ligure non rappresentano, piuttosto che ciò che
vogliono significare , e saremo contenti a lodarle
come spontaneo e quasi improvvisato prodotto del
pennello di qualche antico frescante.
j2 ita i te imo £óe< / 1
VoJ.'XEV-.
TA .XXXIY-
•Jtereé fi^-ftcrt' de. ófjcuàu
J . dòte
VOL. XIV. TAV. XXXIV.
Di l, BASSIRILIEVI 1\ \i MIMO GRECO. 1/ primo a alto
palmi due -jfóf per pallilo uno e mezzo. Il se-
condo è alto poi/no uno e mezzo, per palmi due.
I
duo baasirilievi che abbiamo fatto incidere in
questa tavola XXXIV appartengono, uno alla col-
lezione farnesiana , e 1' altro a' monumenti ritrovati
in Ischia. Il primo presenta sotto di un albero due
eroi che si stringono le destre , ed accennano col-
l' indice della sinistra in un cane eh' è fra essi: una
donna pone la destra sull'omero manco dell'eroe
eh' è a dritta del riguardante. Le vestimenta de'due
uomini sono eroiche e del buon tempo di Grecia,
consistendo in un sol manto affibbiato sull' omero
dritto, e che si prolunga al davanti a guisa di una
tunica : quelle della donna in una tonaca succinta
con ampeconio gettato sulla sinistra spalla. Potrebbe
questa bella e semplice composizione esprimer forse
una federazione : 1' artista per mostrare la vigilanza
e la lealtà durevole che dee aversi in queste tali
alleanze, ha espresso che i contraenti indichino il
cane come simbolo della vigilanza e della fedeltà non
2 VOL. XIV. TAV. XXXI V.
indebolita dal tempo. 11 cane si dà da' mitografi
per compagno a Mercurio, il più vigilante ed astuto
di tutti gli Dei; e tutti sanno clic il cane di Ulisse
riconobbe il suo padrone dopo venti anni di assenza.
Si legge nel secondo bassorilievo
VIVS LEITVS NYMPHIS NITRODIS
VOT. SOL. L. AN.
Forse Fulvio Leilo volenteroso compie il voto alle
Ninfe Nitrodi.
Più sotto sono scolpiti due vivacissimi Geni
che si disputano calorosamente un ramo di palma.
La salubrità delle acque nitrose d' Ischia atti-
rava appo gli antichi gì' infermi a curarsi in quella
isola, siccome anche si pratica a' giorni nostri : quin-
di voti ed azioni di grazie degli antichi a quelle
divinità eh' essi credevano presidi e proteggitrici di
quelle acque, e particolarmente alle ninfe tutelari
assolute delle acque e de' fonti. Diversi altri bas-
sirilievi letterati rinvenuti nella stessa isola d' Ischia,
e che anche nel real Museo si conservano, provano
questa assertiva. E qui è da osservarsi che Fulvio
Leito ricuperata la salute dall' uso di quelle acque,
non solo di buon grado scioglie il voto alle ninfe,
VOL. XIV. TA\ XXXIV. 5
ma sotto della epigrafe mostra per mezzo de' due
Geni, forse rrnm della sanila, l'altro del morbo,
la graD difficoltà superata della sua guarigione ,
mettendoli in vivacissima lotta nel disputarsi la
palma : seppure Don siasi qui voluto ricorda-
re la lotta fra Erote od Anterote , nella quale
quest'ultimo è in atto di strappare un ramo di
palma ad Erolc ossia Amore , espressa in antico
monumento, la di cui descrizione si legge in Pau-
sania (l); tanto più che questo stesso soggetto tro-
vasi rappresentalo in un bassorilievo presso del
Montfaucon (2) , ed in molle pietre incise che
sono citate dal Bòttiger (3).
Questi due marmi di buona scultura romana
hanno molto sofferto dal tempo: la parte superiore
del primo è interamente perduta e mal supplita
dal ristauro ; e portiamo avviso che la scultura della
parte antica , che tuttora esiste, sia de' tempi di
Augusto imitante qualche buono originale greco. La
prima epidemie del secondo è molto corrosa , e
crediamo che oltre delle ingiurie ordinarie del tempo
(1) Lib. VI. e. 25.
(2) Antiij. expliqu. Tom. I , parte I , nella tavola inserita dopo la 122.
(5) Kleine Schriften. Tom. I , pag. 162.
**
4 VOL. XIV. TAV. XXXIV.
sia stato sott' acqua, che l'ha generalmente corroso.
Lo stile della scultura e oVcaratteri sembra de'tempi
degli Antonini.
yiovamvatuta Chinati.
VolJOV.
TA .XXXV.
ft&Tt <&é. 6C**cu&,.
e, f. aCèreoc .
VOL. XIV. TAV. \\\\.
Imdi: in marmo grcc/ietio , alta palmi tre e Ire
quarti , rinvenuta nel Tempio ci' Iside in
Pompei.
i^KUBENE il cullo isiaco fosse stato più volte solen-
nemente scacciato da Roma, e non avesse ritrovato
protezione che sotto l'impero di Adriano, dopo l'ul-
tima espulsione avvenuta a' tempi di Tito, pur non
è da revocarsi in dubbio, che questo culto fosse
stato in osservanza molto tempo prima di Tito
presso de' Pompeiani: imperciocché lo attestano non
solo le iscrizioni e i diversi monumenti isiaci
ritrovati sparsi nella loro dissepolta città , ma ne fa
luminosissima pruova il tempio alla gran Diva egizia
colà edificato , e dalle fondamenta ristaurato da
Numerio Popidio Celsino dopo il memorando ter-
remoto avvenuto al 65 di nostra salute regnando
Nerone Augusto. E fu nelle scavazioni di questo
tempio che si rinvenne la bella statua d' Iside che
imprendiamo a descrivere , la quale era quivi in
apposito luogo eretta dal suo devoto L. Cecilio
2 VOL. XIV. TAV. XXXV.
Febo, come leggesi nella seguente iscrizione incisa
nel suo piedistallo
L. CAECILIYS
PHOEBVS
POSVIT . L . D . D . D
Col sistro nella dritta impugnata , del quale
non resta che il solo manico , e colla chiave del
Nilo nella sinistra abbassata ed aderente al lombo,
è qui espressa la gran Diva dell' Egitto ricoperta
di due prolisse e pieghettate vesti , la prima delle
quali non ha maniche, si prolunga sino al suolo,
lasciando comparire metà de' nudi piedi , e giunge
dalla parte superiore sino al ricco monile che ha
sul petto. È questo monile lavorato a piccoli qua-
drati , ed orlato di diversi pendagli , al centro dei
quali è raccomandata una luna crescente con astro
nel mezzo , che leggiadramente adorna U seno della
Dea. La seconda tunica le giunge a' malleoli, ha
larghe e corte maniche in modo che lasci an nude
le ritonde braccia ornate di smanigli : la parte su-
periore di queste maniche le resta assestata sulle
braccia per mezzo di cinque piccole borchie , e la
NOI, XIV. TAV. XXXV. 3
sinuosità della parte inferiore .si avvolge nella cinta
che passa sodo del seno della figura , e clic-, l'or-
masi nel mezzo per due teste di coccodrillo ; e
quasi diresti esser cosi combinate le maniche di
questo abito per obbligar le antibraccia della Dea
a rimanere aderenti a' suoi fianchi. Sono osserva-
bili i cinque fiorellini che le ornano un secondo
online di capelli bipartiti sulla fronte e soprapposti
alla serpeggiante sua chioma, che disposta a cala-
mistri , come le ordinarie chiome isiache , vaga-
mente le discende sugli omeri. E qui avvertiamo
che questi piccoli fiori , la capigliatura , il lembo
superiore della veste , ed i capezzoli delle mam-
melle erano indorati allorché questa bella scultura
uscì dallo scavo , siccome eran dipinti di rosso lo
smaniglio a dritta , le ciglia e gli occhi , il lembo
inferiore della seconda tunica , e '1 tronco cui è
appoggiata la statua ; delle quali dorature ora non
resta che il color giallognolo del mordente , e dei
dipinti non si avvertono che leggiere vestigia di un
roseo colore.
Quando anche l' indole di questo nostro lavoro
permettesse intrattenerci della storia di questa pri-
ma Deità dell' Egitto e del suo cullo , come la gran
4 VOL. XIV. TAV. XXXV.
madre dogli esseri, che quasi femmina , al dir di
Plutarco , riceve in se le cause di tutte le ge-
nerazioni , o ci concedesse il tempo di parlare
della prava e ridicola degenerazione di quel suo
semplicissimo culto , non che della storia della di
lei trasformazione in Grecia ed in Roma , e della
depravazione de' suoi misteri , avvolti da nefan-
dissime cerimonie ; pure essendo cose molto ovvie
e note ci asterremmo di farne motto : come del pari
non parleremmo del mistico simbolo della luna cre-
scente che le pende sul petto , del sistro usato nelle
sue orgie, che stringeva nella diritta , della chiave
o misura del Nilo , che porla nella sinistra , de'
nudi suoi piedi , né de' sensi occulti che racchiu-
dono le pieghe delle sue vesti , e né tampoco delle
due teste di coccodrillo simbolo del Nilo e della
umidità riguardata come uno de' primi agenti della
natura ; ma non possiamo far di meno accennare
solamente i pochi argomenti che ci han determi-
nato a riconoscer nel nostro simulacro un'Iside
di greca imitazione.
Diodoro (1) ne istruisce che la trasformazione
d1 Iside e del suo culto in Grecia fosse stata frutto
(il Bill. hist. pag. 20 et seqq.
VOI.. XIV. TAV. XXXV 5
de' viaggi de' primi filosofi greci , che ridussero
alla favola Ja teologia e la fisica degli Egiziani :
questa favola divenuta uu patrimonio de1 sacerdoti
degenerò per di costoro malizia in mi ammasso di
ridicole empietà , e fu fomite alla sfrenata licenza
dilla popolare ignoranza ; quindi la moltiplicità
delle immagini della Diva , e di quanto aveva re-
lazione a' suoi misteri , adattando e modificando e
le immagini e gli utensili a' costumi del tempo e
della vigente liturgia sacerdotale ; così non più
severità nelle forme , nozi più fermezza nelle atti-
tudini , non più rigidezza negli isiaci abbigliamenti.
Erodoto intanto (1) afferma che ciascun egizio
portava due vesti, ed una ne vesti van le femmine,
distinguendosi così dagli uomini ; ond' è che se la
nostra Iside non avesse altro distintivo che le sole
due vesti, sarebbe indizio sufficiente per dichiararla
greca ; su di che osserva il Winckelmann (2) che
T antico storico abbia con que' detti parlato sol-
tanto della sopravveste, senza por mente , che
trattandosi d' indicare un mezzo da far distinguere
(1) 'Ei^cara twv ^tsv u.vhùwt> exas'G? £XÉ( oyo , ruv ds yvvaiKuv le ly.xsr,. Euterp,
Cap. XXXVI.
(2) Storia delle arti del disegno Tomo I. lib. II. e. III. § 5.
*
6 VOL. XIV. TAV. XXXV.
le donne dagli uomini , Erodoto dovette essere
chiaro e preciso , come notò il diligentissimo co-
mcntatore di quel dotto danese. Le Isidi greche
adunque , indipendentemente dallo stile della scul-
tura , e dalla materia in che sono effigiate , pos-
sono anche riconoscersi dalle due tuniche delle
quali son rivestite ; e se per poco si rifletta che
gli artisti greci affatto non erano obbligati da
legge alcuna di religione a conservare quegli inal-
terabili lineamenti , e quelle determinate attitudini
e vestimenta , ma solamente ligati dal bello e dal
gusto de' loro tempi , si conchiuderà di leggieri
che simili monumenti non possono appartenere alle
arti dell' Egitto , ove gli artisti erano astretti per
religione a non alterare i tipi della Divinità e né
tampoco le vestimenta loro.
Che che ne sia della dottrina ricavata dal
maggiore storico greco , e dalla inopportuna osser-
vazione dei Winckelmann , certo è che il marmo
del nostro simulacro non è orientale , ma bensì
delle cave di Grecia appartenendo al cosi detto
marmo grechetto ; lo stile non è egizio , ma è
largo ed accurato ; 1' attitudine non è ferma, ma
di chi vuole stendere il passo per camminare; le
VOL. XIV. TAV. XXX.V.
braccia non interamente accollate a' fianchi, essen-
done il drillo prosi isti ;il davanti: le quali cose tutte
argomenti sufficienti ci sembrano ;i poter collocare
questo monumento fra quo' di greca imitazione.
E da ultimo ci sia permesso di qui aggiun-
gere, che gli ornamenti di questa figura , massime
i cinque fiorellini clic le ornano il capo , lo siile
de' dondolini del monile , le dorature , il colorito
delle diverse parti , ed il carattere della fisonomia
della Diva ci fanno riconoscere in questa figura un
monumento delle arti italiche presso che simile alla
Diana per noi pubblicata in quest'opera, e ad altri
non pochi monumenti pompeiani ed ercolanesi.
yicvamlatwta ■dftnatt.
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Sji'SF ^M^
VOL. XIV. TAV. XXXVI. i
Strumenti di Chirurgia ( in bronzo) trovali in
Ercolano ed in Pompei.
JLii fig.* I." rappresenta lo speculimi magnimi ma-
tricis. Questo istrumento , che è tutto di bronzo , è
veduto di prospetto , con la vite in avanti e con le
branche orizzontali indietro , situato verticalmente
co' manubri in giù come deve tenerlo in mano l'ope-
ratore allorché, riunite le branche dell' istrumento,
si accinge ad introdurlo nella vagina. La fig.a II."
ne mostra il profilo.
Nella fig." I." AB e CD , ciascuna lunga
pollici 4 z , larga linee 4 è , della spessezza di li-
nee 2 \, sono due sbarre leggermente curve ,
le quali sono riunite come le due aste di un
compasso , aventi nelle loro estremità A e C due
prolungamenti , dall' estremo de' quali partono ad
angolo retto due branche orizzontali. Una di
queste branche è segnata di profilo con EF nella
lig." II." in cui XY rappresenta una delle sbarre o
sia la AB della fig." I." Ciascuna branca è lunga
pollici 5 e linee 4 , larga 5 linee : la spessezza nel
2 VOL. XIV. TAV. XXXVI.
loro mezzo è eli 5 linee , mentre i margini termi-
nano a taglio.
IK tanto nella fig.'I." che nella IL", rappre-
senta la vite lunga 7 pollici e 2 linee , avente nella
parte spirale il diametro di linee 3 \. Essa tiene il
manubrio K in cui veggonsi due foglie ben cesel-
late, una nella parte anteriore, ed un' altra nella
posteriore. Il pane di questa vite non è triango-
lare ma quadrato.
Il pezzo BD nella fig." I." , lungo 2 pollici ,
largo linee 5 f , della spessezza di linee 2 i, è im-
mobile. Nel mezzo della sua parte anteriore sta so-
vrapposto un altro pezzo cilindrico del diametro di
linee 9, dell'altezza di mezzo pollice, che posterior-
mente (fig.aII.a) termina in un perno lungo linee 7,
largo 5 linee, ritenuto per mezzo di un cuneo di bron-
zo largo linee 2 e lungo linee 4, conficcato nel perno.
In mezzo a questo pezzo cilindrico è scolpito un foro
circolare pel quale passa e si muove la vite. Questo
foro non è fatto a chiocciola come porterebbe la vite,
ma è liscio ; e per far che la medesima salisse e
scendesse vi si trova infilzato un pezzetto di ferro,
il quale passando pe' due fori scolpiti a' lati del
VOL. XIV. TAV. XXXVI. 5
pezzo cilindrico 81 insinua tra i cavi della spira , e
così fa le voci di chiocciola (1).
Il pezzo PQ , lungo 2 pollici e 5 linee, largo
mezzo pollice, della spessezza di linee 4, tiene an-
teriormente un ringrosso dell1 altezza di G linee in
cui è scolpito un altro foro , attraverso del quale
passa la parte estrema della vite senza spira, e che
uscita appena dal ringrosso tiene sovrapposto un al-
tro pezzetto /di maggior diametro, cioè di linee oì e
dell' altezza di lince 5, ritenuto alla vite stessa con
un piccolo perno di acciaio. Lo stesso pezzo PQ a
destra ed a sinistra tiene due buchi quadrati per
dove scorrono le due branche , e riceve un movi-
mento di elevazione e di abbassamento per mezzo
della vite IK, la quale passando pe '1 foro scolpito
in mezzo al suddetto pezzo cilindrico termina dietro
di PQ. Nel mezzo della parte posteriore di que-
sto pezzo PQ trovasi annessa la terza branca
orizzontale simile a quelle che sono nelle estremità
delle due sbarre AB e CD. Il profilo di que-
(i) Questo pezzetto di ferro nello scavo di tale istrumento eseguito in Pom-
pei iiell' anno 1818 tu trovato distrutto dalla ruggine. Vi si supplì con un pezzo
nuovo , come trovasi al presente.
4 VOL. XIV. TAV. XXXVI.
sta terza branca si scorge nella fig.a II." segnata
con NO.
La parte esterna dì ciascuna branca è conves-
sa , la interna è in forma prismatica triangolare.
Da questa conformazione risulta che le tre branche
allorché si riuniscono nella parte interna si toccano
con sei superficie. Dalla riunione delle tre branche,
che combaciano perfettamente co' loro margini , ri-
sulta una specie di cilindro del diametro di mezzo
pollice , ed alla distanza di linee 6 ì dal vertice
forma un rigonfiamento della larghezza di 8 linee,
in modo che termina in forma olivare.
Le tre branche nel massimo allargaménto non
si trovano equidistanti , poiché tra punta e punta
delle due superiori lo spazio intermedio è di pol-
lici 3 e linee 2. Tra quella di destra ( l' istrumento
come si è detto dal principio è guardato vertical-
mente con la vite in avanti e co' manichi in giù )
e la branca inferiore lo spazio è di pollici 3 e li-
nee 4 i. Tra la branca sinistra e l' inferiore vi è
la distanza di pollici 3 e linee b\ (ì). Nel massimo
allargamento delle branche lo spazio circolare tra
(i) Questa differenza probabilmente è stata prodotta dalla ossidazione del
bronzo più in alcuni punti che in altri.
VOL. XIV. TAV. XXXVI. r.
Loro compreso tiene il diametro di poli. 3, e Lio. li.
Nella fig.* 1." B(l e J)l I sono due manubri
rinvi aventi ciascuno nelle parti posteriori uV' loro
estremi G ed // una testa di serpente. Questa è rap-
presentata da il/ nella fig.' II." Essi stanno uniti a
cerniera con gli estremi laterali del pezzo JBD, ed
hanno un movimento limitalo ali1 interno in modo
clic nel massimo avvicinamento rimane tra loro lo
spazio di circa pollici 4« Ciascuno di essi misurato
dal suo principio fino all' estremo della bocca del
serpente è lungo pollici 5 e linee 4- Essi incomin-
ciano parallelepipedi , e cosi continuano per un pol-
lice e io linee sino al sito dove principiano le squa-
me del dorso del serpente. Da queste squame sino
alla testa vi è un pollice ed 8 linee : la testa è lunga
mezzo pollice e larga linee 5 f. Ciascun manubrio
incomincia con la larghezza di linee 5 | e finisce
con linee 2 7 nel collo del serpente. La spessezza
nel principio è di linee 2 ^, e poco prima della testa
di questo emblema di Esculapio è di 2 linee.
Descritto l' istrumento , ecco il modo col quale
se ne fa uso. Tenendo fermi con la mano sinistra i
due manichi BGe DH, con la destra che abbraccia
il manubrio della vite IK facendola girare da de-
6 VOL. XIV. TAV. XXXVI.
stra a sinistra , il pezzo PQ si alza e con esso Ja
branca che vi è annessa , mentre le due branche su-
periori si accostano , e così tutte tre avvicinate for-
mano una specie di corpo olivare che s' introduce
nella vagina. Dando poi alla vite IK un movimento
da sinistra a destra , il pezzo PQ si abbassa e con
esso anche la terza branca , mentre le due supe-
riori si allontanano : con questo allargamento di
tutte le tre branche la vagina rimane dilatata , ed
attraverso dello spazio circolare posto tra le branche
l' osservatore può vedere le alterazioni organiche
della bocca e del collo dell' utero (1).
(1) Chiunque sia appena iniziato nell'arte di costruire le macelline, noterà
subito la perfezione di questo istrumento e come adempia benissimo 1' uffizio cui
veniva destinato. Sarà in pari tempo preso da ammirazione pe '1 perfezionamento
al quale era giunta la meccanica presso gli antichi a' tempi di Tito. Analizzando
a parte a parte questo specolo si trova essere un lavoro meditato e fatto con tutte
le regole della meccanica. Tra le altre cose piacerà di notare la seguente. Quella
manovra della vite senza la chiocciola fa conoscere che si voleva ( per quanto è
possibile ) evitare la resistenza fatta dall' attrito. Ognun sa che la vite a pane
quadrato si considera presso i moderni come la miglior forma da darsi a questa
macchina in quegl' istrumenti ne' quali si richiede la massima precisione nelle
ricerche. E gli antichi possedevano già questa conoscenza , poiché 1' aveauo saputo
bene applicare nella costruzione di questo specolo , col quale 1' operatore dovea
maltrattare il meno che fosse stato possibile la squisita sensibilità delle parti su di
cui dovea operare. D' altronde in questo caso non si trattava di adoperar la vite per
superare grandi resistenze, ma si guardava più alla economia della potenza, affinchè
1' operatore non fosse stato obbligato a fare grandi sforzi con la mano. Il che si
ottiene più con la vite senza la chiocciola , come lo è questa del nostro specolo.
VOI.. XIV. TAV. XXXVI. 7
Dalle cose lin (|iiì esposto s' intende che lo spe-
culimi trovalo in Pompei è composto da tre bran-
che , e non già da quattro come ha creduto dì
vedere il eli. Dottor de Paolis nel disogno (perfet-
tamente simile al nostro) che trovasi inserito negli
limali dell' Istituto di corrispondenza arclieolo-
gica pubblicati in Roma nell'anno 1842. L'accorto
Autore però ha ben conosciuto ( e lo ha fatto av-
vertire) clic la quarta branca dovea riescire assai
incomoda. Io sono sicuro che se il dotto Medico
romano avesse avuto presente l' originale di questo
istrumento non sarebbe caduto in tale equivoco. Sti-
mo altresì convenevole di avvertire che il nome di
speculimi uterinum Celsi scritto con questo titolo
in quegli Annali non è bene adattato •, dappoiché
Cornelio Celso ne' suoi otto libri di Medicina non ne
fece parola alcuna. Tutti sanno che nel lib. IV cap. 27
quod est de vulvae morbo, evvi una lacuna. E chi
sa se nel frammento perduto il diligentissimo auto-
re , il quale scrivendo su di svariati argomenti rac-
coglieva il meglio da tutti i libri , non ci dava con-
tezza anche dell' istrumento di cui parliamo? Certa
cosa è che in nessun luogo dell' opera sua , come a
noi è pervenuta , se ne trova fatta menzione. Ed è
8 VOL. XIV. TAV. XXXVI.
perciò che a questo i strumento appartiene il solo
nome di speculimi uteri.
Questo speculimi magnimi malricis fin dal-
l'anno 1818 venuto fuori dagli scavi delle rovine di
Pompei, e che tanto ha richiamata l'attenzione del-
l'universale, non è che un dilatatore della vagina.
Esso era noto agli antichi ed a' moderni : ma in
questi ultimi tempi era andato in disuso. Archigene
presso Aezio parlò del suo dioptra di cui si serviva
per dilatare la vagina (1). Anche Paolo Egineta fa
menzione del piccolo dioptra per dilatare l'ano (2),
ed in altro luogo (5) parla del dioptra per l'utero.
Sembra dunque che dagli antichi era conosciuto lo
specolo a tre branche, la figura del quale trovasi
nelle opere di Pareo, di Vido Vidio, di Sculteto,
di Garangeot , di Dionis , di Brambilla e di altri.
Le figure dateci da questi autori sono molto simili
allo specolo pompeiano. Dalle quali notizie si rica-
va essere statò questo istrumento destinato a dilatare
la vagina, per cui gli compete il nome di dilata-
(1) Aetìi Tetrahiblo IV. comm. 4-° de uteri exulccratione Archìgems cap. H8.
(2) Lib. VI cap. 78.
(5) Lib. VI cap. 73.
VOI.. XIV. TAV. XXXVI. g
loro , e dilatando poteano vedere il collo doli' utero,
onde altri lo chiamarono speculimi alari o specu-
limi magnum dui I ri vis. Esso non e un vero specu-
limi , o sia specchio ; e di passaggio siami per-
messo di dire che è ben diverso dallo specillimi
uteri de' moderni inventalo dal Sig. Recamier nel
principio del secolo che corre, e quindi successiva-
mente perfezionato. Lo specolo del Recamier con-
siste in un tubo di stagno o di altro metallo tanto
ben levigato nella superficie interna, che riflettendo
i raggi della luce provenienti dal collo dell1 utero
illuminato fa vedere lo stato del medesimo.
La fig." III." mostra lo speculimi ani guardato
di profilo ed un poco aperto.
Esso è di bronzo , ed è composto di due pezzi
AB CD ed EFGH, de' quali le due parti inferiori
CD e QH servono da manichi , e le due supe-
riori ABC ed EFG piegate ad angolo retto in B
ed in F formano le branche. Questi due pezzi sono
avvicinati ed uniti V uno all' altro per mezzo di una
cerniera CG , e sono disposti in modo che quando
i manubri si accostano, le branche allora si allon-
tanano, e cosi allontanate dilatano il podice. Il mas-
simo allargamento di queste branche nella parte in-
io VOL. XIV. TAV. XXXVI.
terna delle loro estremità è di un pollice ed una
linea AB è lungo 5 pollici , ed ha la massima lar-
ghezza di 5 linee; BC è lungo un pollice e 9 linee,
e largo 4 linee; CD è lungo 5 pollici e 10 linee, e
largo linee 4. Delle stesse dimensioni sono le parti
dell' altro pezzo EFGH.
Questo speculimi sotto il nome di calopiero era
noto ad Ippocrate, il quale nel libro delle emorroidi
ne fa menzione colle seguenti parole, giusta la tra-
duzione del Foesio. At si altius insederit tuberosa
eminentia per instrumentum , dilatandae sedi ac-
commodatum , catopterem dictum , inspicere
oportet, neque ab eo decipi (1). Dalle riferite paro-
le ippocratiche s' intende bene essere ancor questo
speculimi un dilatatore.
La fig." IV.a rappresenta una tanaglia o forcipe
tutto di bronzo a brunelle curve. La lunghezza
dell' istrumento preso per mezzo di una linea tirata
dall' estremo de' manichi fino alla punta delle bran-
che è di pollici 7 e linee 8 \. Esso è composto di due
pezzi , uno ABF l'altro DCE , i quali non sono
incastrati, ma il primo trovasi sottoposto al secondo
(1) Hippocratis de haemorrhoidibus liber. Sect. TI pag. no, Edit. Foésìi. Fran-
cofurti lógó.
VOL. XIV. TAV. XXXVL n
e sono uniti per mezzo di un perno. I manubri
IH e /)(' della Lunghezza di pollici 4 è linee 11^
al di sotto ùYl perno incominciano quasi parallele-
pipedi per la lunghezza di un pollice e linee' 11 ì.
1 due lati anteriori e posteriori ( 1' istrumento
si considera situato verticalmente) hanno nel loro
mezzo la larghezza di lince 4 , ed i due lati
esterni ed interni che ne formano la spessezza
hanno linee 3. Indi incomincia la parte cilindrica
del diametro medio di linee 4 i e della lunghezza
di 5 pollici, de' quali nella parte superiore mezzo
pollice è tornito , un pollice e linee 9 ì è scana-
lato a spirale , ed il restante inferiore che è anche
tornito e terminato con un cappelletto è di linee 8 k.
Questo lavoro mentre serviva perchè l' istrumento
non isf uggisse dalla mano dell' operatore , si trova
fatto con la massima eleganza.
Le branche BF e CE non sono ugualmente
lunghe , poiché la CE per una linea tirata dal cen-
tro del perno sino all' estremo E è lunga polli-
ci 2 e linee 9 ^ , mentre la BF è più corta di linea
1 5. Esse nelle loro estremità hanno le dentellature
orizzontali e parallele. La branca CE tiene i denti
nella parte concava per la lunghezza di un poi-
12 VOL. XIV. TAV. XXXVI.
lice e linea 1 \ : la BF li tiene nella parte con-
vessa per la lunghezza di un pollice ed una li-
nea. Queste due branche nel sito dov' è il perno ,
toltone le due appendici , hanno la larghezza di 8
linee, la quale gradatamente restringendosi fin dove
incomincia la dentellatura arriva a poco più di 2
linee : qui la larghezza si aumenta un poco ed è
poco meno di 5 linee : quindi gradatamente si re-
stringe in modo che le branche terminano smus-
sate. La spessezza nel principio dov' è il perno è di
linee 2 \, e si conserva sino all' estremo ove si trova
di linee 2.
I manubri ( quando l' istrumento è chiuso ) di-
stano l' uno dall' altro per uno spazio , il quale preso
immediatamente sotto a' cappelletti è di un pollice
e linee 5 \. Le due branche si toccano nel princi-
pio delle dentellature , ma i margini inferiori delle
estremità dentellate lasciano tra loro lo spazio di una
linea. Il massimo allontanamento a cui possono
portarsi i manubri è di pollici 7 e linee 5 , preso
anche al di sotto de' cappelletti ; quello delle bran-
che è di pollici 5 e linee g.
1
E un poco difficile determinar 1' uso di questo
forcipe sul quale molli han detto molte e svariate
VOL XIV. TAV. XXXVI. i5
cose, lo sono di avviso che questo istrumento po-
teva servire i." a trarre da qualche picciola cavità
frammenti e frantumi di osso, di dardi, ed altri
corpi estranei ivi raduti ; 2.0 a prendere le arterie
per poterlo allacciare (1).
Riguardo al primo uso vedesi bone che l' istru-
mento ha tutte lo condizioni favorevoli, principal-
mente le dentellature tanto opportuno por afferrare
i corpi e non lasciarli cadere. Avendo le branche
curve si può meglio do' forcipi retti e della pinzetta
adattare alle tortuosità che possono trovarsi ne1 luo-
ghi in cui i corpi sono caduti 0 sonovisi insinuati.
Ed a me sembra che questo sia il forcipe di cui
Fa parola Cornelio Celso nel Cap. IV dell' ottavo
libro di Medicina. Questo Autore trattando dello
fratturo del cranio con depressione dell' osso espo-
ne un suo singolare metodo di perforare in due
0 tre punti l'osso, e con lo scalpello recidere
i tramezzi per procuraro un' apertura a traver-
so della quale si potesse operare con un forcipe
fatto a bella posta per prendere i frammenti
(1) Qui accenno le cose principali che ho un poco più ampiamente trattate
in una Memoria che presenterò alla nostra R. Accademia Ercolanese di Archeo-
logia.
*
j4 VOL. XIV. TAV. XXXVI.
dell' osso vacillanti. Ecco le sue parole : Si qua
(fragmcnta) labant, et ex facili removeri possimi ,
FORCIPE (l) AD ID FACTO colli gelida SUìlt , TìlU-
ximeque ea , quae acuta membranam infestarli.
Ora il forcipe ercolanesc sembra esser quello in-
dicato da C. Celso; esso non è atto soltanto ad af-
ferrare e sverrò i frammenti vacillanti , ma siccome
nel recidere le ossa o nel prendere que' frammenti
possono cadere de' frantumi nella sottoposta cavità ;
così il forcipe medesimo poteva anche servire per
raccogliere i frantumi dell' osso i quali fossero ca-
duti nella piccola cavità. Questo forcipe avendo i
manichi molto lunghi fa che la mano dell' opera-
tore non impedisca di guardar bene entro la cavità
da cui estrarre si debbano i frammenti vacillanti
ed i caduti ed ovunque approfonditi.
(i) Forcipe, come trovasi nella esattissima edizione de; libri di medicina di
Cornelio Celso pubblicata da Errico Stefano , seguito da' più accurati editori , ed
anche dall'eruditissimo Targa: e non già torfice, poiché qui l' istrumento non
deve recidere , ma prendere e raccogliere ( collìgenda siint ). La qual cosa poggia
sull' autorità di Cassiodoro il quale nel Cap. IV della sua Ortografia così ci ha la-
sciato scritto: Forfices secundum etj-mologiam debemus dicere , et scribere ; ut si
a filo dicamus , F debeamus ponere , ut forfices , quae sunt sartorum ; et si a
pilo , per F ut forpices , quae sunt tonsorum . si a capìendo , per C ut forcipes,
eo quod formum capiant quae sunt fabrum ; Formum enim dixerunt Antiqui ca-
ìidum .
VOL. XIV. TAV. XXXVI. i5
('da questo forcipe a me pare similmente po-
tersi estrarre un pezzo di piombo o di pietra lanciato
dalla fionda secondo il costume degli antichi, qua-
lora si fosse conficcato nello carni , come co lo scrisse
Cornelio Celso (i). Anche Ambrogio Parco trattando
della estrazione dello frecce descrive un istromento
atto a tirar fuori dalle cavità delle ferito le picciolo
punte de' dardi ivi rimaste, ed i pezzettini attorti-
gliati della lorica a maglie di ferro. In una tavola
presentando egli le ligure di questi pezzettini offre
altresì quella del suo forcipe a becco corvino. E
chi fosse vago di consultare le opere di quel Ceru-
sico troverebbe la forma di quel!' istrumento pres-
soché simile al forcipe che bassi qui in disamina (2).
A questo forcipe crcolancsc par che potrebbe cor-
rispondere 1' osi agra di Galeno il quale ne fa men-
zione trattando dello fratture della calvaria (5).
Anche di quest' ostagra ci ha parlato Paolo Egi-
neta, il quale voleva che l'osso patito non si fosse
estratto tutto in una volta ma a parte a parte , se
è possibile con le dita , e quando con queste non
(1) Lib. VII. Cap. 5 n. 4.
(2) Amhrosii Parasi opera chirurgica. Lib. X. Cap. XVIII.
(3) Galeri, melhodus medendi Lib. VI. Cap. VI. T. X. p. i5i. Edit. Cart.
**
16 VOL. XIV. TAV. XXXVI.
si riusciva si fosse fatto coli' odontagra , coli' osla-
gra o con la volsetta o con altro simile istrumen-
to (1). Or V ostagra è anch'esso un forcipe (2),
ed il forcipe ercolanese avendo gli estremi margini
delle branche non più. estesi di linee* 2 potea anche
meglio dell' odontagra e della volsella (5) insinuarsi
nella piccola cavità ove non si avea potuto pene-
trar con le dita. Quindi è probabile che il forcipe
ercolanese corrisponda all' ostagra di Galeno.
L'altro uso, cui poteva essere destinato questo
bronzo, quello cioè di prendere le arterie per po-
terle ligare , è comprovato dalle dentellature del-
l' una e dell' altra branca similissimc a quelle delle
pinzette di cui oggigiorno si servono i chirurgi per
lo stesso fine. E degno di avvertirsi che le dentel-
lature non sono a lima , cioè a linee incrocicchiate ,
perchè queste avrebbero potuto ferire o lacerare
1' arteria ; ma ciascun dente è come un lungo pri-
sma triangolare , di cui 1' angolo solido situato in
(1) Bauli Aeginetae Lib. VI. Cap. XC.
(2) Ostagra otTrxypx , da turrit» osso , ed aypi presa.
(5) Tra le volselle del R. Museo trovasene una delle più grandi , la quale
nelle estremità delle branche tiene i margini inferiori dentellati, lunghi 5 linee ,
vale a dire 3 linee più di quelli del forcipe pompeiano. Delle volselle, ossiano pin-
zette, parlerò in altra occasione.
VOL. XIV. TAV. XXXVI. 17
avanti e eh' è visibile, è mollo ottuso e perciò in-
capace di lacerare i corpi che dal forcipe restano
allenati. Il testé citalo Cornelio Celso ne' flussi
di sangue prodotti da ferite e clic non aveano po-
tuto arrestarsi con medicamenti , propone la sud-
detta ligatura , e per eseguirla voleva che pria
fossero presi i vasi che tramandavano il sangue.
Né si contentava di una , anzi ne proponeva due.
» Quocl si il/a ( medicameli ta ) quoque profluvio
viucuutur , vexae quae sanguiuem fundunl ap-
prehendendae , circcique id quod icLum est ,
duobus locis deligandae » (1). Ambrogio Pareo, che
al pari del nostro Cav. Santoro in Napoli , fu in
Francia il ristauratore del metodo di ligare le ar-
terie in casi di amputazione, nelle sue opere ri-
porta la figura di un forcipe per afferrare i vasi
arteriosi, il quale somiglia, principalmente per le
branche , al nostro forcipe trovalo in Ercolano (2).
£oen edetto tf/u ih ed.
(1) Lib. V. Cap. 2G. 11. 21.
(2) Ambrosìi Paraei opera chirurgica Lib. XI. Cap. 25.
VOL. XIV. TAV. XXXVII.
Di e Istrioni int terra cotta , il primo allo pai 4 \,
ed il secondo alio pai -/ | , ritrovali in Pompei.
Vjiie T argilla sia stata la più antica materia su
tirila quale si esercitò la scultura lo ha dimostrato il
chiarissimo Abate Winckelmami al libro I. della sua
storia dell'arte del disegno. Egli nello enumerare gli
antichi monumenti in argilla esistenti ancora a'giorni
di Pausania , soggiunge d' essersi ritrovati nelP an-
tica già da lungo tempo sepolta città di Pompei
quattro statue di terra cotta , che veggonsi nel Museo
d' Ercolano (ora parte del real Museo Borbonico ) :
due di queste, egli dice, alquanto minori dell'or-
dinaria grandezza umana , rappresentano due figure
comiche, dell' ano e dell' altro sesso con maschera
sul capo. . . .Or queste due statue abbiamo trascelte
Tra la estesa raccolta delle terre cotte del real Mu-
seo , e le pubblichiamo per questa tavola XXXVII,
non già nello intendimento di voler pruovare per
esse l' antichità della plastica , come sembra che
abbia avuto forse in pensiero quel dotto Danese
nell' annoverarle in sostegno del secondo capitolo
2 VOL. XIV. TAV. XXXVII.
del libro primo della storia dell' arte ; poiché ben
altri e più antichi monumenti e della nostra rac-
colta e di tante altre formate dopo il tempo in che
il Winckelmann scriveva , potrebbero fornir ma-
teriali molto più acconci a pruovar quell' assunto :
ma qui le pubblichiam solamente per la particolare
importanza della loro grandezza, e perchè possono
sempre più chiarire il teatro degli antichi, ed i suoi
attori.
La prima di queste due figure posta a sinistra
del riguardante è in atto di declamare sulla scena.
Due tuniche la rivestono , avendo 1' una maniche
ben lunghe e 1' altra molto corte : sopraimposto alle
tuniche è un manto a larghe pieghe che inviluppa
tutta la figura , e lascia solamente libero 1' omero
e '1 dritto braccio : questo poggia al davanti colla
mano sulla piega del manto disposta quasi ad ar-
macollo , nel mentre che il sinistro resta prosteso
lungo il fianco , ed avviluppato in modo da rac-
cogliere colla mano il lembo di una parte del manto
che giunge sino al piede. Tal foggia di aggiusta-
mento delle vesti combinata colla serietà dell'atti-
tudine produce nella figura un carattere fiero e se-
vero. I piedi sono calzati di ricchi sandali , e non
VOL. XIV. TAV. XXXVII.
sapresti diffinirU se coturni tragici o socchi comici ;
tanto più che la maschera che le copre il volto uon
ha caratteri precisi a determinare se sia quella che
a Melpomene o a Talia si attribuisce: ed aggiungi
che L'atteggiamento della figura, od il modo gravo
con che è vestila fan dubitare se per essa un attore
tragico , oppure un comico si rappresenti.
L' altra figura posta a dritta di questa tavola
esprime un' attrice anche in atto di declamar sulla
scena. E dessa vestita di una lunga e prolissa tunica
a corte maniche : un manto fimbriato gettato
siili1 omero sinistro le si avvolge alla cinta , e rac-
colto in parte sul sinistro braccio ricade per que-
sto lato , lasciando osservare la ricca frangia di
che è adorno. I suoi calzari sono presso che simili
a quelli dell'altro attore , e la maschera che le copre
il volto sembra comica anzi che no. E osservabile
la fascetta annodata nel mezzo della fronte e che gi-
rando forma diversi cappi a guisa di fiorellini intorno
intorno alla testa ed a linea degli orecchi: tali parti-
colari potrebbero far nascere il sospetto che questa
maschera quella fosse della meretrice descritta da
Polluce, che ha la testa cinta di una fascetta dì
vari colorì; i quali forse il figlilo pompeiano in
4 VOL. XIV. TAV. XXXVII.
dirotto de' colori ha volato indicare con que' diversi
cappi ricacciati in giro della testa.
La grandezza di questi due bei e rari monu-
menti della plastica degli antichi , del pari che la
loro conservazione , li raccomandano non poco alle
osservazioni de' dotti, i quali anzi che trovarli di an-
tico stile, vi scorgeranno al certo il fare del buon
tempo di Augusto, il che si appalesa specialmente
nel grandioso partito delle pieghe del manto dello
attore e della tunica di quest' attrice ; e portiamo
opinione che amendue appartennero ad un istrione
pompeiano, nella di cui modesta abitazione, non
potendo essere espressi in una materia più costosa,
furono eseguiti in terra cotta. E poiché in Pompei
un teatro tragico ed un altro comico esisteva ,
come tuttavia esiste il di loro fabbricato con altre
preziose reliquie d' incrostature di marmi e d' iscri-
zioni , sarebbe probabile che l' istrione pompeiano
con qualche donna della sua famiglia fossero stati
periti nell' una e nell'altra scena ; tanto più che le
due figurine danno indizi di appartener forse l'ima
alla scena tragica, ed alla comica l'altra.
TftQvamvatuta binati.
VmH.XttV.
TA.xxxyani-
...-.,...■..
1 v
^Jét/ts ^flint/oZ/tri* jcum ■
VOI.. XIV. T.VV. XX.WI1I. i
Lucerna in terra cotta alta sino al manubrio
otto (Ircinii di palmo t lunga palmo uno , e larga
mezzo palmo.
J_ja copiosa collezione delle lucerne di terra cotta
del real Museo venne negli scorsi anni arricchi-
ta dalla importante lucerna bilicne , ossia a due
lumi , ritrovata bella ed intatta nello scavo di
una casa pompeiana. La sua grandezza, la sua for-
ma, e l'apparente bizzarria della maschera che vi
è espressa ci han detenni nati a farla disegnare ed
incidere in questa tavola XXXVIII. Essa appar-
tiene alla classe delle lucerne sacre (1) , ed è con-
formata a guisa di una testa di giovane bue , la
cui maschera ornata di elegante testiera , dal mezzo
della quale si protende sino alla metà del naso un
infida frangiata, e fiancheggiata da due fiori a lungo
stelo, vedesi vivacemente espressa sul dorso della
lucerna: il piccolo manubrio è ricacciato dalla parte
(i) La classificazione più ricevuta delle antiche lucerne si divide in quattro
branche , cioè pubbliche , sacre , sepolcrali , e private.
<2 VOL. XIV. TAV. XXXVUI.
esterna verso la metà delle corna disposte a guisa
di luna falcata: nel mezzo di queste vedesi prati-
cato un foro da servire per infundibolo dell' olio ,
che pel vuoto della parte interna della lucerna giun-
geva ad animare, per così dire, i due lucignoli che
cran riposti ne' due becchi , che qui vedonsi sporti
al di là del naso della maschera stessa.
Ognun sa che estesissimo era l'uso delle lu-
cerne (i) presso l'antichità; grande se lo riguardi
pe' bisogni pubblici e sacri , immenso per quelli dei
privati : del che non leggiera pruova forniscono i
nostri scavi e la numerosissima collezione del real
Museo , la massima parte della quale nelle private
case fu rinvenuta. E sembra non potervi esser dub-
bio , che la gran varietà delle forme e de' soggetti
in esse rappresentati non dipendea sempre dal ca-
priccio degli artefici , come ordinariamente si crede,
ma bensì dallo accorgimento de' medesimi, per te-
nerne sempre pronti degli assortimenti che relazione
(1) Sebbene il real Museo sia molto ricco di lucerne di metallo , pure la mag-
gior quantità se ne ha in terra cotta ; la qual cosa dee desumersi dal poco valore
della materia , che si adatta alla più generale condizione de' consumatori , e non
già , come alcuni han preteso , dalla maggiore antichità della terra cotta , nella
quale i primi lavori dell' arte furono eseguiti.
VOL XIV. TAV. XWVIII. 5
avevano a' riti ed a' culli diversi elio erano in os-
servanza, o dal piacere e volontà di coloro che Le
commettevano, ora ornate di particolari iscrizioni,
ora con misteriosi emblemi , ed ora con effigie di
numi domestici e tutelari; il che non sembra po-
tersi agevolmente oppugnare, ove si esamini atten-
tamente la collezione del real Museo, indipendente-
mente da tante altre. E per lo appunto a noi sembra
da un particolare ordinata la presente lucerna espri-
mente la testa di un giovane bue, che noi suppon-
ghiamo presentar le sembianze di Api (1).
Abbiamo più volte osservato col sussidio dei
monumenti quanto era in voga in Pompei il culto
isiaco, e che più famiglie di Alessandrini erano quivi
stabilite forse per ragioni commerciali (2): quindi
niente di più facile che un Alessandrino , o altro
devoto d' Iside , avesse fatto eseguire questa gran
(1) Api conosciuto sotto il nome di Osiride sposo d' Iside era adorato presso
;,li Egizi sotto la figura di giovane bue , perché credevasi che ne avesse presa la
forma , per salvarsi con gli altri Dei allorché furono vinti da Giove. In quanto
a' particolari che dovevan distinguere questo bue , ed al suo culto , vedi Euseb.
praep. Evang. I. 3. e. i.3.
(2) La bellissima casa del Fauno , o del gran musaico , apparteneva proba-
bilmente ad un Alessandrino : vedi ciò che fu osservato nella relazione degli scavi
del volume Vili , allorché fu scoperta questa magnifica abitazione.
4 VOL. XIV. TAV. XXXVIII.
lucerna a due lumi per rischiarare la sua abitazione;
e per mostrarsi anche in questo utensile devoto al
particola!* culto di Api , vi avesse fatto effigiare la
maschera del bue, ornata di sacra infida frangiata
nell'estremità, e posta in mezzo a due fiori di loto
a lungo stelo affidati.
Xiiovamvcctidta dfinatt.
jjroa.jsiVc
TA . XXXEX .
{floraC is7n</t'//-7ic su* i
. J . s/s."
$&£&/. -yaxm/firKuettfó'.
VOL. XIV. TAV. XXXIX.
Capitelli b frammento in marmo grechetto.
I
due bellissimi capitelli e '1 prezioso frammento
compresi in questa XXXIX tavola sono stati tra-
scèlti fra' più importanti della collezione del rea!
Museo Borbonico, come i più analoghi a presentare
un modello di un ottimo lavoro in fatto di ordine
ionico e corintio. 11 primo che abbiamo fatto dise-
gnare ed incidere in due aspetti, n.° 1 e 2, provenien-
te dalla gran Terma puteolana, volgarmente detta
Tempio di Giove Serapide, accoppia al più purgato
stile una perfetta conservazione in tutte le sue parti,
e massimamente nelle due bellissime volute. Il se-
condo segnato al n.° 4, a noi pervenuto dagli scavi
di Pompei, è di una scelta squisita di forme, e di
una esecuzione pari alla bellezza della composizione:
le foglie di acanto sono leggiere e gradatamente in-
curvate sotto gli angoli della tegola, ove lateral-
mente formano un garbatissimo cartoccio; come il
capriccioso fogliame che riempie il mezzo del ca-
pitello è gaiamente annodato verso la sommità ad
un lungo stelo, che diresti di tirso; e qui biparten-
■2 VOL. XIV. TAV. XXXLX.
dosi si ripiega in due laterali cartocci, lasciando
piramideggiare la noce di pino in mezzo di ele-
gantissima foglia. Il frammento inciso al n.° 3 pre-
senta le più scelte ed eleganti foglie di acanto lavo-
rate con tanta precisione ed amore, da persuaderci
che gli scultori del buon tempo delle arti non la-
sciavano nulla di trascurato , anche quando il la-
voro, per la lontananza nella quale doveva figurare,
non dovesse cadere sotto attento esame.
Senza qui ripetere agi' indagatori della bella
forma della voluta ionica le diverse opinioni su
quest' oggetto , siccome siamo di avviso che niuno
abbia trattato questa materia meglio del nostro
egregio Presidente Cav. Niccoliui , riportiamo te-
stualmente la sua lettera diretta al Sig. Lampredi
su di questo argomento.
TfiovamvaUóta jftnatt.
VJiie vuoi tu che io li dica, mio caro Lampredi, della memoria sulla
voluta ionica che mi mandi per consultare il mio parere? Questa tua
memoria riguarda il testo di lingua , e la pratica architettonica.-
VOI.. XIV. TAV. XXXIX. :\
Rispetto :il libili, cioè ad interpretare se la ma oscuriti derivi da Vitru-
\ io, o ditali errori de' copisti, io non me ne intendo abbastanza per entrare
nel Laberinto in cui panni che una folla di commentatori siasi smarrita;
e relativamente alla pratica architettonica, non te ne offendere, non ti-
no intendi tu. Così che se te ne ]>ailo, saremo i <lur ciechi clic faceva-
no alle bastonate senza colpirsi. Tut tavolta a\ endo io Ferma opinione in
quanto al testo, che il ino schiarimento sia ottimo perchè in siffatta ma-
teria è noia la ina ejagliardla , e tutti sanno con quali atleti hai lottato
ed bai vinto (*), dirò quel clic ne penso circa la parte che mi riguarda.
Da ragazzo consumai molta carta e molto tempo in disegnare la
voluta ionica secondo i melodi di Leon Ballista Alberti, di Seri io ,
di Vignola, di dell'Orme ce. e come sentiva dire che quella faccenda
era un all'are mollo serio, farneticai non poco a rintracciare ancor io
a mio modo la regola Vitruviana. E mentre mi lambiccava il cer-
vello mi parve di acquistare un tesoro allorché il Signor Casas
insigne architetto francese ritornando dal suo viaggio di Grecia mi
permise di disegnare e lucidare tutti gli studi de' suoi capitelli jo-
nici , e di formare ancora col gesso una dozzina delle più belle vo-
lute , che quel diligentissimo artista aveva calcate colla creta e colla
cera sugli avanzi de' capi lavori della greca architettura.
Io diceva fra me — il possesso de' monumenti , i quali servirono
di norma a Vitruvio , mi daranno piena cognizione della sua regola.
Ma il mio raziocinio , ahimè ! svanì , quando confrontando quelle
volute mi accorsi che nessuna corrispondeva alle sposizioni della
voluta Vitruviana , e che tutte erano fra loro dissimili !
Dalla seguente tavola potrai conoscere le differenze più notabili
di alcune di esse esattamente misurate, alle quali ho posto in ultimo
a confronto le misure della voluta di Palladio che è la più Vitru-
viana fra tutte le traduzioni.
(*) Fece tacere Perticali e Monti , sul Fisicoso ( V. Poligrafo ).
*
4
VOL. XIV. TAV. XXXIX.
* A
Voluta del tempio
ionico situalo sull' 11-
ìisso- parti.
Voluta del tempio
di Bacco a Teo.
Voluta del capitel-
lo jonico a Priene.
Voluta del tempio
di Minerva Poliade.
Voluta dell' jonico
dell' acropoli di Eleu-
si.
Voluta Vitruviana
secondo Palladio.
-: -
a
24
24
24
24
24
24
174
m
12 >
18
16
12i
15
12
Hìr
15J
14
114
24
24
H
H
24
44
44
34-
24
(*) I due profondi canali di questa voluta con i loro ornamenti le danno ap-
parenza che la sua spirale sia di cinque giri.
VOI.. XIV. TAV. XXXIX.
Più tardi riscontrai La stessa diversità in molte volute «li Roma
antica , ed in quelle «le^li fjc&vì «li Pompei, delle quali ne
consente colla regola Vitruviana.
Vitruvio faceva i suoi libri per guidare fra certi Limiti la fan-
tasia sfrenata e la maini inesperta degli studiosi, «.; per formare
con idee generali il criterio degli architetti , «li che dobbiamo essergli
infinitamente obbligati ; e La regola che stabili per La voluta è bella
e buona quando si consideri come quell' ovale diviso da Linee
perpendicolari ed orizzontali praticalo da' maestri nelle
elementari del disegno per assegnare a ciascuna sua parte la misura
che deve avere presso a poco nella faccia umana la fronte.
L'occhio, il naso, la bocca, il mento, ce. Ma se vi fosse chi si affatica
a suddividere in altre guise queir ovale presumendo di conseguire
con ciò una regola per l'ormare un bel volto, e di poter gin.
ad esprimere con quel compartimento di circoli e di lìnee i diversi
caratteri delle fisonomie , certamente costui comparirebbe esser fuori
di senno. Eppure non altrimenti s'affaticano tutti coloro che cercano
nella regola Vitruviana la voluta perfetta pel capitello jonico , di
che Vitruvio medesimo, se tornasse al mondo, avrebbe onta, collu-
di altre particolarità trattate da' suoi commentatori con profusione
d' importanza male appropriata.
i'. veramente è da recar meraviglia che siasi fatto tanto rumore
per canonizzare questa regola , mentre veggiamo che le più belle
volute joniehe precedono la sua esistenza , che da quelle non fu
desunta , che non servì di norma alle belle volute posteriori di
Roma antica , e che le infinite sue sposizioni recate dagli architetti e
da' Letterati moderni son tutte diverse! Ma fa più meraviglia ancora
l' osservare che in tante indagini degli spositori , messa da banda
la parte essenziale, siasi per lo più badato al modo meccanico della
cosa , escogitando tutti il come debbasi mnnvere e stringere il
6 VOL. XIV. TAV. XXXIX.
compasso per descrivere la spirale ! Ciò mi fa ritornare sul proposito
dell' ovale praticato da' fanciulli per abbozzare la faccia umana.
L' artista che vuol delineare un bel volto , ne concepisce 1' idea
ponendo mente all' espressione che deve avere ed al carattere del
torso e delle altre membra , colle quali star deve in armonia , e
ispirato dal genio che guida la sua mano, è tanto lunge col pensiero
da quell'oya/e delle scuole, quanto ogni regola simile alla regoletta
di Vitruvio era lunge dall' idea dell' architetto che fece la superba
voluta del tempio di Minerva Poliade. Egli quando la creò ebbe
in mira il carattere dell' ordine che aveva immaginato , ed il fregio
del sontuoso capitello del quale formar doveva la parte principale ,
e 1' arricchì del doppio canale , del triplice listello e di quell' ele-
gantissimo pulvino che la rendono si bella. Così gli autori delk
altre belle volute nell' ideare la grandezza , il numero e il rilievo
delle spirali , animati dal sentimento medesimo che dava il carattere
agli altri membri dell' ordine da loro ad un tempo immaginati ,
non riguardavano al modo meccanico di descrivere quelle spirali
con precisione che come cosa secondaria appartenente alla diligenza
e non alla immaginazione ed al gusto.
Ma dirai non essere nemmeno cosa da trascurarsi nella forma-
zione di una bella voluta il modo meccanico abbisognante per de-
scrivere con precisione la sua spirale , come non trascura di avere
una buona sesta chi vuol tirare un cerchio con esattezza : e diresti
bene , se si trattasse di ricercare un tal modo fuori della regola Vi-
truviana. Ma debbo dirti all' orecchio, mio riveritissimo Lampredi,
che in siffatta ricerca gli spositori di quella stessa regola son tutti
fuori di via , perchè la parte meccanica di quella slessa regola è
basata sopra principi falsi. Cosa penseresti se a descrivere un cer-
chio esatto in vece di cercare una buona sesta si andasse in traccia
di una riga per formare un quadrato onde ridurlo ad ottagono ed
VOI.. XIV. TAV. WXI.V
i figura >li sedici | «li trentadue, «li sessantaquatlro latiec? So chi
in siffatto modo si perviene ancora a formare cerchi apparenti, ma
in sostanza Falsi. K questo appunto è il caso: il perchè la voluta
dev'essere formata da una lìnea curva continuata, ut quale avendo
proprietà di scemare nel roggio mentre commuta , genera nel suo
sviluppo la spirale che termina come incomincia con indole unica
tendente a volgersi in se slessa e decrescendo sempre senza devia-
menti fino al suo occ/iio : laddove la spirale della volala Vitruviana
di natura in tutto contraria ò composta ili differenti parli di cerchio,
ciascuna delle quali ha raggi eguali e centro diverso, e forma nel suo
calumino laute picciolo deviazioni che la rendono imperfetta presso
a poco come il cerchio tiralo colla riga. Kè vale il dire che le quarte
de circoli che la compongono hanno ne'loro contatti tangente comune
mentre esse sono altrettante porzioni di cerchi differenti , le quali
producono giri diminuiti a diverse riprese e non decrescenti in lutti
i raggi, come richiede la natura della spirale.
Né per altro motivo tanti spositori consumarono inutilmente il
loro tempo in cercare il modo di formare la voluta perfetta colla
sesta , che per la semplicissima ragione che i raggi della spirale son
tutti diseguali e tutti eguali quelli del giro del compasso. In fatti
non vi ha punto in una voluta ben formata in cui ponendo una
punta della sesta e girando coli' altra si possa seguitare una minima
parte della sua spirale : esperimento da me lungamente ripetuto
sopra molte volute antiche e specialmente su quella del vestibolo
dell' acropoli di Eleusi, la quale è abbastanza grande e ben conservala.
Quindi ho motivo di credere che gli architetti greci quando
ebbero bisogno di formare una spirale esatta invece di cercare una re-
gola , nota bene , siansi occupati in rintracciare uno strumento all' uopo
adattato, che loro servisse come il compasso serve a descrivere i cerchi.
Ho dello che ho motivo di crederlo , imperciocché mi trattenni
VOL. XIV. TAV. XXXIX.
ad investigale il meccanismo di siffatto strumento , e giunsi a rin-
venirlo in modo che descrive spirali sinicissime a quelle , e potrai
vederlo delineato nel disegnetto qui annesso. Esso ti convincerà
ad un tempo che ho pagato pur troppo anch' io il mio tributo alla
voluta Vitruviana , del quale tributo per altro 1' ultimo obolo è que-
sto che ora spendo per l'arti compagnia in tale fanciullaggine. Del
resto sarei in contradizionc con me stesso , se intendessi dire che con
tale strumento si possano formare belle volute: poiché, ripeto, nella
voluta jonica il bello deriva dal suo rapporto colle altre parti
dell' ordine al quale serve, e soltanto la esattezza della sua spirali
può dipendere dal meccanismo che la descrive ; quale esaltezza uon
può essere rinvenuta nella regola Vitruviana per la imperfezione dei
suoi stessi elementi , come parmi aver dimostralo. Quindi a mio
credere risulta la inutilità delle tante sposizioni che di quelle regole
si fanno ; inutilità doppiamente confermata dal fatto , perchè a
guidare la mano inesperta del fabbricatore volgare , una qualunque
siasi di simili regole è sufficiente , e 1' architetto ingegnoso non ha
mestieri della regola Vitruviana per far belle volute , e molto
meno delle mille spiegazioni contraddittorie de' suoi spositori.
Benedetta sia la voluta Vitruviana ! credeva aver finito, e mi
resta a dire che la spirale di Salviati nel suo andamento decresce di
raggio nel seguente modo : ponendo che i raggi partano dal centro
dell' occhio come centro comune di tutti i quadranti , e che il semi-
diametro dell' occhio sia diviso in nove parti eguali, il primo qua-
drante decresce parti nove , il secondo idem , il terzo idem , il
quarto idem , il quinto decresce parti sei , il sesto idem , il
settimo idem, l'ottavo idem, il nono decresce parti tre, il decimo
idem, l'undccimo idem, e il duodecimo idem.
Le spirali degli altri spositori di Vittimo decrescono nel rag-
gio in diverso modo , ma tutte a sbalzi , nessuna degradatamente in
VOI. \l\ TAV. XXXIX. 9
"^iii quadrante, eccettuata la icconda ili Vignola, la quale decresce
gradualmente, ma nelle unioni de' segmenti non ha le tangenti co
illuni; a minorare il <| u;il<- difetto il Barozzi < li % i ^<- la spirale in <ii-
i.i\ e \n\ ece che in quai te di cerchio.
Ma poiché io fine della ma lettera inaiati per sapere quale spi-
rale preferirei, li dirò, che < l< >[n > la tua quella di Palladio, come
linai, uni pare la più Vitruviana, quella ci i Salviati la più bella,
< quella «li Vignola la meno difettosa.
Intendiamoci bene , e Unisco — mentre reputo superfluo ed
unitile ii^ni ulteriore discussione sulla voluta di Vitruvio per la parte
architettonica , dichiaro the sarci un profano se lo stesso dicessi per
ciò die riguarda la parte letteraria ; intorno alla utilità della quale
e delle tante Litiche in essa spese lascio a te ed a' sapienti tuoi pari
il giudicarne.
A. N.
io VOL. XIV. TAV. XXXIX
INDICE DELLA TAVOLA.
y/ Compasso con tre giunture , le quali servono a slargarlo ed a stringerlo
rimanendo sempre in piombo il pezzo inferiore col cannello che porta la
lì Punta del lapis, la quale al di sopra del cannello ha una picciola molla che
la preme leggermente.
C Asta fissa del compasso, la quale al di sopra è fermata perpendicolarmente da
un telaro con vile.
V Coni , ossiano fusi a diverse degradazioni adattabili allevarle grandezze del li-
spire. Questi fusi s' incastrano nell' asta fissa del compasso e si fermano
con due viti come si vede in E.
F Cerniere per mezzo delle quali girano insieme il compasso ed il raggio in cui
scorre la gamba del compasso medesimo mentre gira.
lì Corda attaccata al fuso ed al compasso, la quale nel girare il raggio F tira
la gamba che porta la punta del lapis , e gradatamente stringendo il com-
passo medesimo descrive la spirale. Questa corda può essere formata con le
picciolissime catenelle che si avvolgono al tamburo degli orologi da tasca.
// Picciolo rocchetto per avvolgere la corda finché sia alla misura che si vuol
dare alla spira.
/ Rotino per situare la punta del lapis alla distanza dal centro corrispondente
al diametro dell' occhio che si vuol dare alla voluta.
Qualora vogliasi fare una spirale ellittica basterà formare il corrispondente
fuso ellittico.
Potrebbesi ancora perfezionare tutto il macchinismo del compasso , poiché
quello accennato nel presente disegno non è che un saggio , dal quale ,
per altro , costruito di legname in dimensioni quattro volte maggiori del
disegnetto , ho ottenute felicissime prua ve fino a descrivere spirali di venti
giri con finissimi listelli.
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r. f. ■ ■ - Z poh ■jetcyt, .
voi.. XIV. TAV. \i
Cista mistica di bronzo dell 'altezza, dal gruppo
che sta sopra del coperchio sino a' piedi chi
la sostengono, di un palmo e due decimi ' , e
del diametro di otto decimi di palmo, prove-
niente dal Museo Borgiano.
JL/eggesi nella nota 1 della tavola XLIII del pri-
mo tomo del Musco P. dementino » Un bel mo-
numento di siffatti riti ( cerimonie delle orgie ) è
la cista mistica di bronzo che conservo presso di
me. Fu rinvenuta nel territorio di Palcstrina den-
tro una spelonca chiusa in tre arche di peperino
o marmo albano Erano nello stesse due
patere , uno stilo ed uno striglie per le lustra-
zioni. La cista è simile a quella che si vede in
tanti bassirilievi bacchici : è un vaso di bronzo
di forma cilindrica , o piuttosto a cono troncato
rivolto sossopra ; il suo coperchio è sormontato
da un gruppo ci' una Menade e d' un Fauno ,
che può servir di manubrio. Vicino alla estremità
2 VOL. XIV. TAV. XL.
superiore del vaso è un giro d' anelli ne' quali do-
veva passare la catenella o il nastro per fermare
il coperchio. Il vaso è retto su tre piedi lavorati in
forma di mezze sfingi. È tutto ornato di figure graf-
fite , quali s' incontrano sulle patere etnische , e
rappresentano il ricevimento degli Argonauti nell' ar-
mamentario di Cizico : quelle del coperchio , deità
marine. L' essere stati iniziati a Bacco gli Argo-
nauti per testimonianza di Orfeo , di Valerio Fiacco
e d' Apollonio Rodio , era forse la ragione per rap-
presentarli sulle ciste o altri vasi che servivano alle
iniziazioni , per imporne maggiormente al volgo
coli' esempio e colla riuscita di quelli eroi. Dentro
v' erano un cavriuolo ed una pantera , animali
bacchici attaccati al fondo , una cista minore ed
un pezzetto di metallo che ha la forma di un
prisma triangolare , ed è forse la stessa cosa che Cle-
mente Alessandrino nel descrivere ciò che si con-
tenca nelle ciste chiama piramide. Comunicai que-
sto rarissimo monumento all' abate Winckehnann,
il quale restò persuaso delle mie opinioni su di
esso , anzi mi chiese il permesso d' inserirne la
notizia nella sua descrizione delle gemme Stoschia-
ne che stava pubblicando , come veramente lo fece
voi.. XIV. TAV. XL 3
alla pag. '_>.")() , benché con qualche inesattezza :
anzi avendogli fatto osservare, che attesa la somi-
glianza doveva esser pur anco una cista mistica un
singoiar vaso del Museo Kircheriano , approvò
questo mio pensamento facendone al luogo stesso
la distinta menzione »
Alla lettura della trascritta nota non poco
dubitammo se si dovesse riconoscere nel nostro
bronzo la stessa cista posseduta dal sommo Viscon-
ti , tanta essendone la simiglianza fra loro ; e ri-
flettendo alla tradizione che si ha dal Museo della
Casa Borgia , donde ci pervenne la cista che abbia-
mo sott' occhio , di essersi rinvenuti nella medesi-
ma quantità maggiore di piccolissime figure e di
oggetti affatto dissimili da quelli ritrovati neh' altra
cista , vieppiù rafforzava la nostra dubbiezza ; se
non che imbattutici nella recente opera del nostro
amico e collega Sig. Professore Gerhard sugli spec-
chi etruschi abbiamo raccolto eh' egli pubblicando
in tal rincontro le diverse ciste mistiche (1) assi-
(O Gerhard (Etrusker Spiegel) conta dodici ciste mistiche di diverse dimensio-
ni , finora rinvenute quasi tutte nell'antica Preneste , e sono le seguenti che hanno
preso il nome de' loro possessori : i.a la Ficoroniana , 2." la Braedstediana , 3." la
Peteriana, 4." laCasoliana, 5.a la Borgiana (eh' è la nostra), 6." la Bonorelliana ,
**
4 VOL. XIV. TAV. XL.
cura che la nostra cista, eh' è la Borgiana, sia stata
passata dal Visconti nella collezione di Borgia: ecce
le sue parole volte in Italiano » Ed in vero Vi-
sconti non doveva avere motivo alcuno di privarci
di quanto apparteneva al monumento Borgiano da
lui prima posseduto , non facendo menzione di
quelle statuette se ad essa cista mistica avessero
appartenuto ». Chiaro dunque appare, che la nostra
cista non solamente sia la stessa posseduta già dal
Visconti, ma che ad essa non appartengano i diversi
oggetti che la tradizione Borgiana voleva in essa
ritrovati. Ed a confermarci in questo divisamente
leggiamo nella stessa opera del Gerhard che » le
figurine della cista Pennacchiana di Bologna pas-
sarono nel Museo Borgiano. Lanzi vide dette
figurine nell' anzidetto Museo , ma non la cista ,
che non più esisteva ; imperciocché dopo aver
descritte le ciste metalliche che gli erano note ,
egli dice — Lo stesso intendo ( in quanto allo
1? la Townelliana , 8.a la Reviliana, g.a la Kolleriana , io.a la Vaticana , li." la
Pennacchiana, 12.' la Beroliniana — Le figure graffite intorno al cilindro sono ora
eroiche (Argonauti? Dioscuri ? Polissena? Amazzoni?) ora atletiche (armamento
di guerrieri? Lottatori? Pugillatori?} ed ora bacchiche, come la Kolleriana, e la
Beroliniana.
NO!.. XIV. TAV. XL. 5
stile i tisca nioo ) delle molle statuette di un? altro
ci si a riferita </</■ monsignor Bianchini e
che si conservano adesso nel JÌIuseo Borgia-
no ». Ciò posto non sembra che possa revocar-
si in dubbio che i molti altri oggetti attribuiti
dalla tradizione Borgiana alla cista Viscontiana , a
questa non appartengono affatto , e clic quelli
enunciati dal Visconti sono i soli rinvenuti nella
nostra cista , e tutti gli altri riferir si debbono sì
alla cista Pennacchiaua veduti dal Lanzi , che agli
altri ricordati dal Bianchini. Ed infatti, gli oggetti
di ciste mistiche serbati ora nel Musco sono più
da appropriarsi a quelli del Pennaccliia e del Bian-
chini che agli altri enunciati dal Visconti. A mag-
gior chiarimento delle cose sinora esposte abbiamo
fatto disegnare ed incidere questo pregevolissimo
bronzo (1) e ne diamo qui unitamente alla tavola
incisa la corrispondente descrizione , del pari che
1' elenco degli oggetti che appartener si supponeva
alla detta cista , i quali confusi pervennero nel
reale Museo Borbonico.
(1) Visconti lo riguardava come il più insigne monumento, e '1 più compie
di tal genere fra' cinque simili allora conosciuti.
6 VOL. XIV. TAV. XL.
Stanno sul vertice del coverclrio due figure nu-
de, un salace Satiro barbuto che s'incurva alquanto
e distende le mani per impadronirsi di una donna ,
minacciandola. Questa con folta chioma bipartita
sulla fronte ha le gambe incrocicchiate ed alza con
violenza la sua destra armata di clava , abbassando
l'altra tutt' aperta come per difendersi dall'assalito-
re : 1' espressione de' loro volti corrisponde perfet-
tamente all' azione (1). Sullo stesso coperchio sono
incisi dalla parte anteriore un cavallo ed un grifo
marino con un pesce sotto la marcatura del loro
corpo ; dall' altra un Tritone a volto satiresco im-
brandisce nella dritta una spada tratta dal fodero
che stringe nella sinistra, ed in sembiante minacce-
vole riguarda in una giovine Tritonessa, che gli sta
dirimpetto, la quale stringe in ciascuna mano una
serpe che le si avviticchia al corrispondente brac-
cio : i suoi capelli acciuffati sul vertice della testa
sono cinti da una foglia aquatica a guisa di sottil
nastro sulla fronte , ove le estremità annodandosi
restano elevate come un cerchio ; il suo corpo si di-
(1) Inesattamente il WincVelmann parlando di queste due figure , che tengon
luogo di manubrio del coperchio , dice : sur le couvercle est Bacchus appuié sur
un Faune, et autour du cylìndre est grave une Bacchanale .
VOL. XIV. TAV. XL. 7
vide all' ingiù in due grandi serpi a bocca spalan-
cata; e presso di lei si vede un mollusco, (piasi
simile al calamajo, conio nell' marcatura del corpo
del Tritone è espresso un pesce simile a quelli os-
servali di sopra.
È in oltre leggermente graffito intorno intorno
alla parte cilindrica della cista 1' armamentario di
Cizico, nelle di cui pareti stanno di parte in parte
sospesi scudi e parazonì. Cizico completamente ar-
mato di elmo, di usbergo , di scudo e di lancia sta
nel centro assiso su di un greppo ili mezzo a nove
Argonauti , e fra questi tre are , sopra una delle
quali è posato un elmo. Il momento della scena
sembra quello che Cizico dopo di aver riforniti di
armi gli Argonauti gli accommiata , stringendo per
la destra uno di essi che 1' è più vicino : e presso
che tutti riverenti par che gli manifestino la loro
riconoscenza (ì).
I piccoli mistici oggetti che si dissero ritrovati
in questa cista , e a noi pervenuti dal Museo Bor-
(i) Il Sig. Gerhard nella citata opera non inclina a credere che le ligure graf-
fite sul cilindro esprimono il ricevimento degli Argonauti da Cizico principe de' Do-
lioni , ina piuttosto 1' armamento di guerrieri per un' alta impresa concertata ; rome-
1' elmo siili' ara indica il duce che hanno scelto.
VOL. XIV. TAV. XL.
giano, sono: cine lioni , quattro asini, quattro lupi,
cinque volpi, due buoi, una lepre, due conigli, due
capre, due oche, due colombe, due galli, un'aquila
con due aquilotti, due scorpioni, tre gruppi simi-
lissimi fra loro d' un uomo barbuto che porta sulle
spalle un giovinetto , il quale stringe con le sue
braccia la bocca dell' altra figura ; due giovani nu-
di con piedi e mani unite, sostenenti sugli omeri
una femmina in ginocchio , la quale lor copre il
volto colle sue mani : per terra si vede un ogget-
to non facile a diffinirsi , forse un elmo o un frutto ;
un giovane nudo boccone e con le braccia ade-
renti a' fianchi e piedi parallelamente stretti, sos-
tenendo sul dorso un gruppo simile al testé de-
scritto di tre figure ; un giovane nudo con le
mani rivolte a tergo , sostenendo assisa sulle sue
spalle una donna nuda co' capelli sciolti in atto
di nascondersi il volto fra le mani ; altro giovane
nudo con le gambe unite e colla mano sinistra
rivolta al dorso si copre la bocca con la dritta ;
due ripetizioni di questa stessa figura ; una donna
nuda con capelli sciolti , avendo i piedi uniti , la
sinistra aderente al fianco , e la dritta chiusa e
prostesa j altra donna con la sinistra a tergo e la
VOL. XIV. TAV. XL. 9
dulia sulla bocca; altre tre ripetizioni della stessa
figura; otto parli sessuali muliebri; tre pezzetti
triangolari su de' quali è espresso un palmizio, ap-
partenenti l'orse ad una collana ; quattro mani
chiuse; (piatirò leste di toro forate; una scala mi-
stica a (piatirò scalini; una gamba; un piede di
cavallo; un antibraccio; ed un braccio con mano
fornita di manico (1).
Xficvamvuttdta -y inali.
(1) Lo stesso Gerhard sull'uso degl' indicati oggetti soggiunge che alcuni sono
relativi a Bacco , altri a' bagni per amendue i sessi , tanto più che i tritoni ed altri
mostri marini che pur si vedono incisi sulla cista indicano l'umido elemento de'bagni.
*
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VOL. XIV. TAV MI \ XUII
\ aso Greco dipinto
1 '
/ . / iccia di tutti ' ' <>"i< digente colpita dall
I'ausnma lil'. \ csji 27.
A. ra gli antichi vasi greci di creta pitturata uno
de' famigeratissimi è fuor di dubbio quello che rap-
presenta i fatti della presa di Troia, monumento
insigne dell'arte che, posseduto dalla famiglia Vi-
venzio , fu da essa venduto al Re di Napoli per die-
cimila scudi, e così pervenne al Real Museo Borbo-
nico. Esso era stato disotterrato in Nola al volgere del
1797 in una tomba romana, dove, come ascoltam-
mo dallo stesso suo possessore , serviva a contenere
le reliquie di alcune ossa raccolte dal rogo, e con
esse cinque balsamari di alabastro mezzo calcinati,
ed una bella sardonica di greco stile , con sopravi
un'aquila che andava artigliando riottoso dragone.
Ed è notevole che siffatta stoviglia sia stata agli
stessi antichi in tal pregio, che volendola difendere,
**
2 VOL. XIV. TAV. XLI a XL1I1.
il più che potevano contro le ingiurie del tempo,
la chiusero in altro vaso di più grossolana creta ,
che può ugualmente nel nostro Museo vedersi. Il
primo a dar contezza di questo monumento stu-
pendo fu il Gerning nel suo viaggio per l'Austria
e l'Italia (1). Da lui n' ebbe contezza il Bòttiger che
ne parlò ne'suoi Vasengemiihlde (2); e finalmente il
Millin il quale lo pubblicava nella raccolta del Dubois
Maisonneuve (5), ma con disegno così imperfetto,
che oltre alle tante alterazioni nelle teste, e nell'ab-
bigliamento delle figure, due di esse vi mancano af-
fatto. D'allora in poi fino a questo momento non v'è
stato per così dire nissuno scrittore dell'arte antica ,
che non abbia parlato di questo vaso, sempre la-
mentando , che non se ne avesse per anco né un
fedele disegno, nò una compiuta spiegazione. Il per-
chè stimammo di darlo qui in tre tavole rappresen-
tato , cioè l' intera composizione , sebbene più in
piccolo , nella prima j e le sue teste alquanto più
grandi nelle altre due.
Il vaso è a tre manichi, due sopra la pancia
(1) Reise durch Ostreich und Italìcii 1802 , Tom. II , pag. 8g.
(2) I , 64 , e III , 29.
(5) PI. XXV , e XXVI.
VOL XIV. TAV. XU \ XLIH.
ed uno sotto la bocca "• alzasi palmo uno ed once
mì, «(I ha un diametro di palmo uno ed once; otto
e mezzo, ed è delle più fine crete e delle più lu-
cide vernici, che siano uscite dalle antiche nolane
fabbriche , così in questa parte , come ognun sa ,
commendate. Ma vince di tanto nella bellezza del
disegno e della composizione tutti gli altri vasi di
quella contrada , per quanLo essi superano quelle
di tutte le altre fabbriche nella eccellenza del lucido
e dell'argilla. I personaggi sono condotti nello spazio
che corre tra i manichi della pancia e porzione del
collo sì , che 1' intera scena vien chiusa da due
l'asce di ornati al di sotto , da una al di sopra : e
chi volgesse gli occhi a'subbietti , vedrebbe subito
una paura, uno sgomento, una strage di vecchi,
di giovani , di donzelle-, e chi abbracciarsi suppli-
chevole alle statue de'numi, chi sedersi come pel-
asi lo su gli stessi altari , quali fuggire inseguiti ,
quali starsene a terra piangenti, o muovere a di-
sperata difesa, e tutto ciò fra il rotare delle spade
vincitrici, e i cadaveri sanguinosi de' vinti guerrieri.
Venendo poi all'argomento del vaso, primeg-
gia fra tutti il gruppo di Ncoptolemo, che, avendo
con una mano afferrato Priamo , rifuggitosi sull' ara
4 VOL. XIV. TAV. XU a XLIII.
<li Giove Erceo ombreggiata da una palma, coli' altra
gli va vibrando colpi mortali , che tutto lo riman-
gono insanguinato. Sdegno e vendetta son dipinti sul
volto del greco, paura su quello del re troiano,
per quanto lasciali veder le sue mani, di cui una
corre all' aspra ferita ricevutavi , e 1' altra alla
fronte , quasi per velar la vista del colpo che
dovrà torgli la vita. Un morto guerriero giace ai
piedi di Priamo , mentre alle sue spalle , seduta
sopra la base dove innalzavasi la statua del nume ,
una donna stracciandosi le chiome fa le più smanio-
se disperazioni. Questo gruppo trovasi in mezzo a
quattro altri , due quinci e due quindi. A tergo del
re vedesi Aiace, che vicino ad un guerriero spiran-
te raggiunge Cassandra che abbraccia la statua di
Pallade , sulla base di cui un' altra donna si sta
lacerando con le mani i capelli. Appresso vedesi
Enea che armato cerca fuggire con Anchise in brac-
cio , ed è seguito dal piccolo Ascanio. Dall' altra
parte , nell' ultimo gruppo che contrasta col testé
descritto, si trova Ulisse che si sforza di far alzare
la renitente Andromaca dalla base , su cui siede , in
mentre che un altro Greco par che colla mano le
persuada a rassegnarsi al suo destino. A tale scena la
VOL. XIV. TAV. XL1 a XII II
giovane Polissena, sostenendosi colla mano l;i fron-
te, va considerando e o tra poco dovrà cangiare
in vilissima schiavitù la sublime altezza del regio
Stato, li1 uIlìiho gruppo , che trovasi tra questo e
quello di Priamo è staio finora un enigma per tutti
gli archeologi , epperò su questo mi piace dimo-
rarmi alcun poco.
Esso componesi di una donna, che con un'arme
sconosciuta vorrebbe finire il guerriero, che le sta
davanti in ginocchioni, e che cerca difendersene
coprendosi collo scudo con una mano , impugnando
coli' altra la spada. Somiglia quell' arme a grossa
mazza rotonda anziché no , doppia un pochino
più all'uno estremo che all'altro, ed ha in mezzo
un incavo per potervi adagiar le mani , ove strin-
gere il si voglia, ad alzarlo ed abbassarlo replicate
volte.
Il Vivenzio vedeva in questa figura una lan-
cia (i) ; JVlillin crede essere un giogo (2) ; Schorn ,
senza recarne nessuna propria , disapprova questa
opinione (5), quantunque il Bòttiger avesse egli an-
(1) Catalogo ecc. pag. 71.
(2) Vases peints. I , XXVI , 54.
(3) Homer nach Antiken , Heft IX , V , Vi , 53 34.
6 VOL. XIV. TAV. XLI a XLIII.
cova trovato in quell'oggetto la somiglianza con un
giogo (i)-, Panofka lo prende per un istrumento for-
mato da due ferri di lancia situati 1' un contro
l'altro-, finalmente il chiarissimo Raoul-Rochette ,
solenne conoscitore degli antichi monumenti, con-
fessa con ingenuità essere un istrumento misterioso
di profonda significazione ed assai difficile a deter-
minare (2).
Ora, che Tarme disputata non sia un giogo,
si fa chiaro non solo dall'essere dissomigliantissima
da tutti gli altri gioghi che ci rappresentano le pit-
ture , e i bassirilievi antichi; ma anche dal solo
osservare che da una parte sia più sottile dell'al-
tra , il che mai ne' gioghi si osserva.
Per l' opinione poi del dotto Panofka dirò col-
l' insigne Raoul-Rochette di non comprendere ciò
che potrebbe essere un istrumento risultante da due
punte di lancia, l'una messa contro l'altra, e che
Panofka stesso nou siasi spiegato affatto sul suo uso.
Per me lo credo un pistello, e penso di po-
terne dare una compiuta dimostrazione. Ed in vero
la sua figura è quale al pistello si addice , cioè
(1) Arch. d. Mahlerei p. 341.
(2) Jtìon. etc. Achilkid. pag. 80.
VOL. XIV. TAV. XLI a XI.III. 7
con due estremità di disuguale grossezza, atte a
schiacciare corpi più o meno duri e resistenti, ed
oltre a ciò con un incavo nel mezzo acconcio a pren-
derlo ed agitarlo. Esso chiama vasi pilli ni da1 Latini,
vvspog , a\irpi(!>otvov , e tioth/% dai Greci : e serviva a
.schiacciare diversi semi. Ascoltiamo Popma(i): Pil-
latici api/ìces et ministri suut molilores , pistores ,
cogiti... Ilorum ist rumenta, cimi sint nudta et
diversa prò ratiotie artis et operae , recenseniur
Inter cetera a scriploribus rei rusticae , maxime a
Catone, pilafarraria , ad far pinsendum , pila J ci-
baria ad fabam f resemi , pila seminarla ad teren-
dos seminum nucleos. E Plinio (2): Pilumfabarium,
farrearium, seminarium , quo faba , far , et semi-
na in pilo, sive mortario, fé riunì ur et tiinduntur.
Ma come , mi si dirà ed a tutta ragione ,
come mai un pistello avrebbe potuto essere così
grande? Risponderò che non sempre si può giu-
dicare delle cose antiche traendone induzione dalle
moderne. Poiché gli usi , le arti , i mestieri , e
tutto che all' uomo appartiensi , col volgere degli
anni , a mille cangiamenti soggiace. Se dunque
(1) De Inatrum. Funài, cap. 7.
(2) H. N. Uh. XVIII, e. 16.
8 VOL. XIV. TAV. XLI a XLIII.
taluno maravigli della lunghezza di questo pistello ,
imparerà nientemeno che da Esiodo come non solo
gli antichi lo facessero di grandezza considerevole;
ma di tre cubiti eziandio. Ecco i suoi versi (1) :
Hjaos Sri Xr,y£( fxtuos o|-soj ItjXìoio
Koti>[).ctros iSaXifiOv fj.lTo7ruipivov o(/.(3flr)o'«vTos
Ztjvos ipiaQivms , \utu Sé rptirirui (ìpcnos X('ws
II0XX011 ikcttypoTipos ' Sri yocp rors %upms as"Hp
Bxiov VTrip r.iQ-xkri; xr)piTps(5«<;v avSpuivouv
Epurai T.fAanos ttXsiov Ss ti wktos cvtwpn
H'jxos aotiKTorart) crjXsrai nrfittfa aàripui
T'Xr) , (fuXXa S' ipaZ,i Xlil > '""roproio ri \r,yu •
Tr^os ap' vXoToy.av fj.t\j.vrm£voS copia spyava
OXjxov niv TpwoSrjii Tapniv, urspov ti rpi-rr\y^vv .
Quando d'acuto Sol la forza allena,
Per V estivo calor che iì ne bagna
D'autunno là , quando il gran Giove piove ,
E si muove il mortai corpo , e ne viene
Molto più lieve : allora V astro Sirio
Pur de' mortali uomini sulla testa
Di giorno viene, e più la notte assaggia
Quando senza periglio di magagna
Dal ferro il bosco a tagliar viensi , e a terra
Sparge le foglie , e pili non si dirama ;
jéllor le legna taglia , sovvenendoti
Dell' opporlun lavoro , ed un mortaio
Di tre piedi tu sega ; ed un pistello
Di tre cubiti.
(l) Epy. xo» n'/iif. v. 4 12.
VOI.. XIV. TAV. XLI a XI.III. g
Ora clic diremo quando troviamo quest'arme
essere noi nostro vaso appunto di tre cubiti ad un
bel circa? Non pare egli il passo d'Esiodo composto
da uno che avesse voluto a bella posta descriverla?
l\oii viene questa pruova in soccorso dell'altra som*
ministrataci dalla ligura? E non si uniscono amen-
due strettamente a conferma di quanto ho asserito?
Se non elicmi si domanderà ancora, ed a buon
dritto, che abbia qui a dividere un pistello coli' ul-
tima notte di Troia , e perchè io abbialo arme
chiamato. All'una inchiesta risponderò, che arme
dicevansi , secondo Varrone , tutte le cose con che
si allontanava il nemico: Arma ab arcendo, quod
his arcemus hostem (1). Il perchè Caio il giure-
consulto diceva che anche le pietre ed i bastoni dove-
vansi avere come armi quando si usavano contro il
nemico (2). Imperciocché arme è parola che ben si
adatta ad un obbietto qualunque che serva, vuoi a
difendersi, vuoi ad offendere. Soddisferò poi all'altra
interrogazione col Furor arma ministrai del Man-
tovano. Così M. Antonio il Triumviro , profugo da
(1) Di L. L. Lib. IV.
(2) L. 47. Dig. de J'erb. Signif.
io VOL. XIV. TAV. XLI a XLIII.
Modena , diede cortecce a' soldati in vece di scudi.
Nella terza guerra punica, in mancanza di funi, le
donne somministrarono a' Cartaginesi le loro trecce
per gli archi. Lo stesso fecero le matrone di Aquileia
assediata dall' impcrador Massimino , i Marsigliesi
combattuti da Cesare, ed i Romani stretti nel Cam-
pidoglio di assedio da' Galli, i quali Romani perciò
dedicarono una statua a Venere Calva. Non è dun-
que maraviglia se una furiosa troiana, non potendo
avere un'arme con che difendersi dalla spada greca,
mossa da virile ardimento, abbia dato di piglio ad
un pistello come fosse stato una clava , e che la
disperazione quel rustico istrumento in arme da
guerra cangiato avesse. Il che con tanto più di fi-
ducia asserisco in quanto che in quel frangente i
Troiani cercarono di uccidere i Greci con qualun-
que cosa fosse venuta loro alle mani , e loro lancia-
rono i bicchieri, e le mense, e gli ardenti tizzoni
de' focolari , e gli andavano trapassando finanche
cogli stessi spiedi dov' erano infilzate le arrostite
carni, siccome dice un greco poeta (1):
Oi'Ss y.tv Apysiot<Tiv UMUTUTOS irrikt typis
AXX' o ijjiev invaletesi rtrvy\>.ivai , ói Ss rpzvs'^ui;.
0) Qiunt. Smyrn. Lib. XIII, v. 145.
VOL. XIV. TAV. XI- 1 \ XI III m
Oli ITI XUC/fiiViji vir' ta^-xf,tUi(Ti Tl,T^^TH
AigXoiS, 7,V ójitXuitf/ w*rapn«vùi !XTvsf<T/.iv
()/':." in irow xa/ ffwXoey^va (Ti'wv t/|(« Oippa XtX-.TTG
ll$xir oi',uaX.'|)oiO rrt^i^tiovrU ocVTfM).
i\'o// però indenne era l' ac/iea vittoria :
Da tazze altri volpili , altri da mense ,
siila bruciati da tizzoni ardenti ,
O trafitti da spiedi , ove abbro&tite
Di porvi ancor fumavano le carni ,
Che investici dì Vulcan l' igneo vapore ,
Spiravan V alma.
Così Quinto, e con questi versi devesi anche
spiegare, a creder mio, un altro vaso del Real Mu-
seo Borbonico dove si vede per la stessa ragione
questo pistello medesimo ed un candelabro adope-
rati per arme.
Vuoisi poi notare che a questo guerriero
trovasi apposto il solito KAAO£, che qui ci sembra
doversi intendere in significato di valoroso. Un altro
KAA02} nel senso medesimo vedesi tra la donna
seduta sulla base della statua di Pallade, e quella
che le sta dirimpetto : ma è chiaro che un tale
epiteto abbisogni essere riferito ad Aiace.
Meglio pertanto sarebbe per noi se 1' artista
in vece di questa epigrafe avesse apposti i nomi
alle sue figure che qui restano in parte sconosciute,
n VOL. XIV. TAV. XL1 a XLlll.
come sarebbono rimase quelle della tavola iliaca ,
s ci fossero senza iscrizione pervenute.
Da ultimo vorremmo paragonare questo insi-
gne monumento col celebre quadro del Lesche a
Delfo, dove Polignoto ebbe dipinto lo stesso sub-
Inetto ; certo essendo che da quella pittura il nostro
artefice traeva alcun che , s' egli è vero , come è
\ (rissimo che nelle figure di Polignoto una vecchia
ve devasi col capo raso , che potevasi scambiare con
un eunuco, su le cui ginocchia un fanciullo era as-
siso, che la mano innanzi agli occhi per la paura
mettevasi (1).
tJÒernarao J^Lttaranfa.
(i) Pausania Phoc. e. 26. Uatpct 5* ttjv Mtdovaav tv %pw xtK.u.p{j.ivrì irptirfrvris , x
av9pwjro? t<?iv twovyoi , irxàiov 01 tv rais yowatne f%ti yvfMvov t to òt r-nv XUPX *,ir0
VOL. XIV. TAV. XLIV.
Dipinti pompeiani.
N
ella bella casa di Marco Lucrezio e precisa -
mente nel pianerottolo della scala , segnate» col
N.° 20 nella pianta di essa casa che in fine di
questo volume noi pubblichiamo , sono dipinti i
due terrazzi che si veggono nell' alto di questa
tavola delineati.
Nel primo di questi terrazzi riposa sopra un
plinto di pietra una maschera scenica muliebre,
con folta capigliatura, e corona di oro. Vicino a
questa maschera a significare a qual divinità si
appartenga è un pavone , il quale non ci lascia
dubbio esser quella la maschera di Giunone si-
gnora e regina del Cielo. Incontro ad essa è pure
sopra un plinto di pietra poggiata una maschera
di Giove con prolissa barba e coronata di folti
capelli di quercia. L'aquila ministra del fulmine,
ed il mondo sono vicino a questa maschera a
chiarire i meno esperti nella mitologia esser quella
l'effigie del Signore degli uomini e degli Dei.
Sappiamo da Plinio che a' tempi di Augusto
2 VOL. XIV. TAV. XLIV.
un tal Ludio fu il primo ad inventare quel genere
di pittura che noi diciamo pittura di paese, e ci
narra quel sommo e diligente istorico che questo
Ludio rallegrava le dipinture delle pareti con
ville , portici, boschi , piscine, stretti di mare,
fiumi , spiagge ; e tutti questi luoghi , secondo il
desiderio de' committenti , quali popolati di pas-
seggieri , quali di naviganti , quali di viaggiatori
sopra asini o in cocchio , e qualche volta vi fa-
ceva de' pescatori, delle brigale che banchettava-
no , e talora cacce e vendemmie (1). Pare che
questa invenzione di Ludio, la quale non datava
all' epoca della distruzione di Pompei che appe-
na di un secolo, si fosse molto propagata in questa
parte della Campania , poiché troviamo spessissi-
mo nelle dipinture de' muri di Ercolano e Pompei
queste rappresentanze di paesi che Plinio chiama
topiaria opera. Nella medesima casa di Marco
Lucrezio nella stanza marcata N.° 1 1 , che sporge
sul!' atrio , sono ne' tre muri dipinti tre grazio-
sissimi paesetti , in fra le altre vaghezze che la
adornano, uno de' quali è riprodotto in calce di
(1) Plin. Lib. XXXV. Cap. io.
VOL XIV. TAV. XLIV. 3
questa tavola XLIV. Ivi in un luogo alpestre chilo
«li sassose ed aride rupi è in un verdeggiante ri-
piano espresso più vivo che dipinto un irsuto
cignale attaccato da due feroci mastini , che <-
nell' atto di difendersi furiosamente dal loro im-
portuno assalto. Abbiamo qui potuto riprodurre
una lìcvolc copia dell' antico originale che è di-
pinto con tanta vivezza , che ha piuttosto 1' aria
di essere un'azione vera e reale ripercossa in uno
specchio, anzi che una reminiscenza espressa col
pennello. E di riscontro a questo dipinto se ne
ammira un altro , anche più bello di questo ,
dove un tramontare di sole in un deserto del-
l'Africa con un leone ed una leonessa, che affan-
nosi e lenti camminano in quelle aride sabbie, ti
offrono un ritratto del quale solo può essere ca-
pace un artefice , che abbia viaggiato in quelle
regioni tanto dissimili dalle nostre. Perciocché
evvi mirabilmente espresso il calore ardente del
sole, e l'affannosa stanchezza che produce su quei
due feroci animali , a' quali pare che manchi la
forza di muovere i lenti passi co' quali cammi-
nano. E queste cose , dipinte come noi diciamo
di maniera , hanno un' impronta così fedele del
4 VOL. XIV. TAV. XLIV.
vero , che nella moderna pittura difficilmente si
ravvisa uguale ne' lavori i più agiatamente stu-
diati e copiati dalla natura.
yuaùe/mo zèecnt
! XXX.
G&té&VU //*//r *4/
> ,/,,*.<■
',/< . 4w^w MmA
VOL. XIV. TAV. XLV.
Vittoria— Affresco pompeiano.
I
n una leggerissima biga veloce di prospetto si
presenta molto vaga donzella con corona (i) nella
destra , e palma nella sinistra : le interamente
spiegate ale (2), la increspata chioma svolazzante
all'impeto della corsa , le sottilissime vestimcnta
che si attaccano quasi ondeggianti sulla figura, e
la vivacità de' corsieri che ansanti attendono il
segno di soffermarsi , a chi non farà riconoscere
nel nostro pompeiano dipinto una Vittoria sollecita
apportatrice di pace? Raccomandate le redini dei
destrieri al parapetto del carro, che qui serve da
trasversale timone , essa sta ritta in sulla biga
colla destra elevata in atto di mostrar con quasi
(1) La corona era così propria della Vittoria, che tanto Talea il dire corona,
quanto Vittoria. Il Pascalio de Cor. VII, 5 soggiunge che rare volte s' incontra la
Vittoria che non sia coronata, ond' ebbe l'aggiunto di crretyxvriQopos.
(2) Amore fu scacciato dal Cielo per le sue impertinenze : gli Dei gli tolsero
le ali , e le diedero alla Vittoria figliuola del cielo e della terra. Si veggano in
Ateneo XIII, p. 563 i versi di Aristofonte in cui si dice che gli Dei cacciarono
dal cielo Amore , gli tolsero le ali , e ne rivestirono la Vittoria.
1 YOL. XIV. TAV. XLV.
ilare contegno la ricca corona cui è annodata
una vitta, e colla sinistra abbassata regge il fron-
zuto ramo di palma , quasi mostrasse la corona
come trionfo della riportata vittoria , origine della
stabile pace che annunzia nel ramo di palma che
fermamente sostiene.
E sebbene convengono i dotti che quando la
Vittoria appare su di una biga , suol essere tale
rappresentazione più relativa a vittoria riportata
ne' giuochi , che a trionfi siili' inimico , pur tut-
tavolta noi crediamo che nel nostro pompeiano
dipinto si esprima la Vittoria come nunzia di
pace dopo essersi trionfato sull' inimico, onde la
diciamo Vittoria pacifera , o con Apule jo Pal-
mari s Dea.
I fogosi destrieri con nari aperte e con orec-
chi distratti verso la Dea mostranti nell' ansante
loro figura tutti intenti a' di lei voleri. La parte
anteriore del carro non ha alcun ornato , non
iscorgeudosi il rimanente pel solito difetto di pro-
spettiva lineare più volte osservato ne' dipinti
pompeiani. Sono però da notarsi le due graziose
borchie poste agli estremi del timone , i quali
vengon fuori dalle esterne parti del collo di eia-
VOL. XIV. TAV. XIA 3
scuri (avallo , e finiscono con un pomo ingegno-
samente immaginato per impedire l' uscita delle
borchie , cui si veggono raccomandate due coreg-
gutole, forse per assicurarle in modo da non po-
tersi sfibbiare nel violento corso della biga; come
sullo stesso timone son pure da notarsi i due se-
micerchi o cerchietti posti poco discosto dalla
parte interna del collo de' cavalli , del pari che
le due bellissime fibule che son dappresso a tali
cerchietti , le quali impediscono , come noi sup-
poniamo, che le redini de' destrieri possano sfug-
gire dal timone. E chi sa se que1 cerchietti sien
quelli ricordati da Omero ne' carri della Vittoria
ove si appendevano le briglie de' cavalli?
La nostra Vittoria è nella solita acconciatura
di Diana, e come questa Dea ha una sistide suc-
cinta sotto del seno. Vogliono i dotti che quando
negli antichi monumenti , e specialmente nelle
pietre incise e nelle medaglie , s' incontra la Vit-
toria neh" acconciatura di Diana, si è voluto con
essa indicare la verginità di lei : ed oltre a ciò
opina il Winckelmann che quando la Vittoria ha
T aria e la somiglianza delle figlie di Niobe , ciò
sia espressamente per darle 1' aria di vergine.
k VOL. XIV. TAV. XLV.
Questo importantissimo dipinto venne fuori
dagli scavi in istato di ottima conservazione.
tyiov-amvakdfa <J*incdt.
-
NVJ.AK.
TA.AIA.I.
•.va/ ,/,/,/. iaufa
VOL. XIV. TAV. XLVL
Cacci-; Dipinto pompeiano.
Vjosti MK barbarico fu al cerio degli antichi
popoli, e da ricolmar d'orrore qualunque anima
gentile , quello di esporre 1 rei alle bestie feroci
perchè ne fossero divorati. E fin da' tempi di So-
Jonc essere a quella atrocità gli Ateniesi trascorsi
il sappiamo da Luciano (i); e che da'Cartaginesi
fosse praticata , non ce ne fanno dubitare le so-
lenni parole di Polibio (2). E noto ancora che di
questo supplizio Scipione Africano puni i transfu-
ghi (5), e che non diversamente operò il questore
Baldo su' Gaditani , come dice Pollione (4). E con
tali sanguinosi spettacoli gli antichi credevano che
si agguerrissero viemaggiormente gli animi de' bat-
taglieri ; sicché Tullio potè dire (5) : Cam vero sontes
ferro depugnabant, auribus /orlasse mu/tae, oculis
(1) In Toxar. i5.
(2) Lib. I, cap. io.
(5) Valerio Massimo Lib. II, e. 2.
(4) Cic. Epist. Fam. Lib. X , 32.
(5) Tusc. II , 17.
2 VOL. XIV. TAV. XLVI.
quidem nulla poterat esse fortior contro, dolorem
et mortem disciplina. Il perchè ne' tempi soprav-
venuti, prima di andare alla guerra, gl'Imperatori
davano a' soldati di tali spettacoli (1). Spesso però in
xnancanza di condannati , il popolo sollazzavasi a
guardar belve che si affogassero fra loro. E queste
cacce solite a darsi negli anfiteatri, chiamati perciò
teatri da caccia , &a<rpa xvvnymrix.x da Dione (2),
erano frequentissime ancora in quello di Pompei. Sic-
ché prendendone gran piacere gli abitanti di quella
città , ben credevano i dipintori che il persegui-
tamento de' feroci animali tra loro fosse grato spet-
tacolo da adornarne ancora le pareti. Cosi restano
spiegati pure gli alberi onde adornansi le rupi del-
l' altra pittura nella parte inferiore della nostra ,
dove un lione insegue un cavallo.
Quinto Scevola fu il primo a dare nella sua
edilità curule lo spettacolo de' leoni al popolo :
ascoltiamo Solino (3) : Spectaculum ex leonibus
JRomae primus edidit Q. Scaevola P. F. in curali
(1) Capitol. in Max. e. 8.
(2) De Leg. e. 5.
(3) Cap. 29.
VOL. XIV. TAV. XLVl. 3
aedilitate. Cenlum vero Leonum jubatorum pu-
gnarti princeps L. Cornelius P. /'. Sulla Felix
qui posteci dictator fuit in praelura ex/iibuil A,
f. DCLX. Ma per quel che risguarda il leone
sciolto della nostra pittura, dobbiamo ricordare Le
parole di Seneca dicente (1): L. Sulla primus in cir-
co leones solutos dedit, quum alioquin alligati tane
darentur ad con/iciendos eos missis a rege Baco
jaculaloribus. Affinchè poi le belve si aizzassero
maggiormente fra loro , e lo spettacolo crudele si
compisse il più presto, legavansi tra loro. Epperò
nella parte superiore di questa tavola veggiamo la
pugna di un toro allacciato ad un orso , tauri et
ursi pugnarli Inter se colligalorum, come dice Sene-
ca (2). E gli orsi facevan venire dalla Macedonia e
dalla Pannonia, siccome i leoni e le tigri dall'A-
frica (3), e li appaiavano col toro a cagione della
ferocia di questo. Tauris, dice Plinio (4), in ad-
spectu generositas , torva fronte , auribus setosis ,
(1) Ds Br. V. 8.
(1) De Ira. e. 6.
(3) Plinio H. N. Vili , 7.
(4) H. N. Vili , 45.
4 VOL. XIV. TAV. XLVI.
cornibus in procinclu dimicationem poscentibus.
Sed tota comminatio prioribus in pedibus. Stat
ira gliscenle aliernos replicane , spargensque in
alluni arenavi , et solus animalium eo stimulo
ardescens.
Vuoisi poi avvertire, che le rupi onde qui
chiudonsi il toro e l'orso solevano esser di legno ,
o comparir inopinatamente di solto all' arena in
mezzo all' antiteatro. Ascoltisi Apuleio (1) : Erat
vions ligneus ad instar inclyti montis illius ,
quem vates Homerus Idaeum cecinit , sublimi
instructus fabrica , consilus viretis , et vivis ar-
boribus , a sunirno cacumine , de manibus jabri
fonte manante, fluviales aquas ehquans.
u3er nardo Q uà ranta.
(i) Lib. X, e. 15.
<i
VOL XIV. TAV. Xl/VII. f
Grkco eroe m di i sa qi idrica — Monocromo
pompeiano di palmi due ed once due per pal-
mo uno e Ire guarii.
xjL quattro rarissimi monocromi ercolanesi ser-
bati nelle gallerie del real Museo (1) venne av-
venturosamente aggiunto il quinto , che abbiamo
sott' occhio, rinvenuto in Pompei nelle scavazioni
del 1840.
Su tavola di marmo greco è delineato ad un
sol colore , genere denominato dagli antichi mo-
nocromo , un greco eroe su di una velocissima
quadriga guidata da veglio auriga. Armato di
crestato elmo co' guanciali chiusi sotto del mento,
di spada , e di scudo , ei sembra misurar di
uno sguardo il campo nemico , che con la dritta
ancora afferrata all'orlo della quadriga cerca con
terribile occhiata da uu capo all'altro dell'inimica
falange chi fosse il guerriero degno di misurarsi
col suo valore.
V
(1) V. Tomo I delle antichità di Ercolano, ove è dimostrata ampiamente
la loro importanza , ed il pregio in che tanevansi i monocromi.
2 VOL. XIV. TAV. XLVn.
I vivacissimi corsieri par che sentano rhe il
formidabile guerriero già già si appresta all' ester-
minio de' nemici , tanto è V impeto del loro
aspetto espresso con vario movimento in ogni
testa, ed in ogni muscolo, e massimamente nelle
rizzate orecchie , nelle aperte nari , e nelle spu-
manti bocche. L'eroe è tutto nudo della persona,
se ne eccettui le poche pieghe del suo manto ,
che da un omero all' altro gli traversa il petto.
L' auriga è vestito di tunica, ed ha coperto il capo
di un cappuccio a guisa di pileo depresso sull'oc-
cipite : i cavalli hanno i soliti guernimenti di
testiera, pettorale, e cigna. Tutto il carro è sem-
plicissimo , e privo affatto di ornati. U equina
cresta dell' elmo , e i guanciali chiusi sotto del
mento , il piegar della tunica dell' auriga , le
fattezze del carro, lo stile in somma della intera
composizione affatto greco son caratteri tutti, che
ci fanno probabilmente riconoscere in questo pre-
zioso monocromo il terribile figliuolo di Tetide
sul suo cocchio guidato dal veglio Automedonte ,
il quale ha scandagliato d' uno sguardo il campo
nemico , ed avido par che ne cerchi il supremo
duce FAtorre.
VOL. XIV. TAV. XLVII
Non sembra priva di fondamento la denomi-
nazione per noi data al nostro eroe ; dappoiché
quei convenuti lineamenti , che costantemente
ravvisiamo nelle immagini di lui , il suo aspetto
truce , il crespo sopracciglio , il movimento di
rivolgere la testa a sinistra, la chiusura de' guan-
ciali sotto del mento , il frontale del suo elmo
nella stessa guisa che in tutte le figure di lui
s' incontra , come il resto della sua eroica ar-
matura, sono tutte circostanze, che concorrono in
sostegno del nostro divisamento: in somma siccome
coloro , che han pratica di antichi monumenti
riconoscono la figura di Alessandro appena che
ne veggono le immagini, del pari Achille si rav-
visa tra tutti i guerrieri dell' Iliade che ci ven-
gono tramandati dall'antichità.
Ci duole non poco che questo pregevolissimo
monumento fu rinvenuto malconcio dal tempo ,
e che i delicati tratti di pennello, con che è di-
pinto , sieno in alcune parti svaniti , e massima-
mente presso la figura di Achille, in modo da non
far riconoscere fra le sue armi la lunga asta ster-
minatrice di eroi decantata nella Iliade (1),
(1) Lib. XIX.
4 VOL. XIV. TAV. XLVII.
1' immensa e salda asla paterna ,
» Cui nullo Acuivo palleggiar polea
)> Tranne il Pelide , frassino di erui
» Sterminatore
e che secondo l'aggiustamento della figura dovea
essere fra lo scudo e la spalla ; e riè tampoco la
sferza che tolse in mano Automedonte nel montare
sul cocchio, e che qui doveva essere nella destra pro-
stesa dell'auriga , ricordata anche essa con molta
precisione nella Iliade. E se i limiti di questa
opera non e1 impedissero di seguir le tracce del
libro XIX di quel sommo poema primogenito
dell'epopea, diremmo che il momento scelto dal-
l'antico pittore ed espresso in questo monumento
sia quello che precede le parole, che Achille in-
dirizza agi' immortali destrieri Balio e Xanto.
E tolta nella man la sferza
» Salta sul cocchio Automedon. Vi monta
» Dopo , raggiante come sole , Achille
» Tutto presto alla pugna , e con tremenda
» Voce a' paterni corridor sì grida
» Disse , e gridando i corridor sospinse »
Come per lo appunto mostra il nostro monocromo
essere i destrieri nel principio della loro iinpe-
VOL. XIV. TAV. XLVII. 5
tuosa corsa , che Automedonte par che voglia
moderare protendendo la destra verso le agitate
loro teste , quasi volesse imporre maggior regola
alla irrompente corsa : cose tutte espresse dal
pompeiano artista con tanta verità da non lasciar
nulla a desiderare nel generale accordo del suo
componimento; conseguendo altresì da queste due
figure il più spiccato contrapposto. Ed invero tu
scorgi Achille fiero nello aspetto , atletico nella
figura , eroico nello incesso , terribile nelle armi ,
avido di scontrar l' inimico ; al contrario tu vedi
Automedonte grave di età con semplice tenia su
la fronte, sereno nel volto , incurvato al d'avanti
ed attento a guidare gl'impetuosi destrieri: quegli
nudo torreggiarne sulla quadriga, questi vestito di
tunica ed incurvato al d' avanti ; 1' uno tutto ar-
mato di magnifico elmo crestato , 1' altro inerme
con piccolo pileo schiacciato in testa : tutto in
somma mostra ad evidenza la volontà dell' arti-
sta ed il buon secolo dell' arte.
Yfiwamó-atùta chinati.
Voi X I \".
TA. L'i DO.
. >,,< . ■/;,„././;„, ./,/ r/ .,.„//,
YOL. XIV. TAV. XLVIII.
Coi-onna musaicata alta palmi dieci, e di diametro
palino uno e mezzo, ritrovala in Pompei.
ìja importanza , la gajczza e la raoltiplicità dei
monumenti lavorati a musaico che si serbano nel
real Museo Borbonico è troppo nota per poterne
intrattenere i nostri leggitori , che già più volte
ne abbiamo detto nel corso di quest' opera ,
e molti ne sono tuttora sparsi nelle dissepolte
parti delle antiche città di Ercolano , di Pompei
e di Stabia ; come pure in tutti gli avanzi degli
edilizi della intera Campania : di modo tale che
lo egregio cav. Niccolini nelle sue memorie su!
Serapeo Puteolano lette alla reale Accademia di
belle arti, faceva ascendere il numero de'musaici-
sti che avevan lavorato ne' pavimenti degli edifizì
della zona da Miseno a Stabia , vai dire su di
un terreno non maggiore di venti leghe qua-
drate, almeno a settantamila pel corso di quat-
tro secoli. Ed ove si ponga mente che nella sola
parte allora scoverta di Pompei , che giunge al
quinto di quella città, che non è la più cospicua
2 VOL. XIV. TAV. XLVIII.
della Campania , si contengono mille e ventidue
pavimenti di musaico , non sembrerà al certo ec-
cedente l'enunciato numero di quegli artefici. Ed
è da porsi a calcolo che i medesimi non limita-
vansi solamente a lavorare in musaico composizioni,
figure ed ornati sulle superficie piane, ma bensì sulle
superficie concave e convesse; della qual valentia
sulla superficie concava se ne haii due esempi nella
cella isiaca ritrovata nella casa di Giulia Felice in
Pompei, ed in una bella lontana così detta del Gran
Duca di Toscana; e sulla superficie convessa, una
luminosissima pruova se ne raccoglie ora nel sin-
golare lavorio intorno alla curva della colonna di
una casa scoperta nell' ottobre del 1808 fuori la
porta orientale di Pompei, e precisamente accanto
alla schola o sedile coperto. Nel piccolo giardino
di questa casa, che trovasi immediatamente dopo
1' ingresso , si rinvennero quattro colonne tutte
incrostate di vaghissimi ornati a musaico, e che
servi van forse di sostegno alla pergola, che nelle
case pseudo-urbane , come questa , si trovava col
giardino appena varcato l'adito, ricordandoci Vi-
trùvio che la distribuzione delle case di città or-
dinariamente finiva col peristilio , colla pergola
VOL. XIV. TAV. XLV11I. 3
e col giardino : le pseudo-urbane al contrario
avevan dopo l'ingresso il giardino e la pergola (1).
La più conservata di queste colonne abbiamo
ora sottocchio nella presente tavola XLVIII ; ed
ognun vede che tanto questa quanto le altre tre
sono rivestite di un musaico composto di minute
tesserine di vivacissime paste vitree colorate, e non
già di marmo di colore, il quale ordinariamente
si adoperava in lavori più speciosi, e soprattutto
ne' figurati , come nel gran Musaico della batta-
glia di Alessandro e Dario, ed in altri più antichi
del real Museo , come quello del Teseo che ab-
batte il Minotauro circondato dalle riconoscenti
fanciulle ateniesi. A testimonianza di Plinio (2)
tali lavori ne' pavimenti hanno avuto origine in
Grecia , e Soso ne fu il più celebrato artefice. In
seguito furono lavorati con tesserine di vetro co-
lorato: e lo slesso Plinio (3) ricorda come il vetro
riducevasi a piccoli pezzi a diverso colore, e che
(1) Vedi la relazione degli scavi di Pompei da aprile i835 a giugno i83g del
nostro collega cav. Bechi posta in fine del volume dodicesimo di quest' opera, il
quale tu il primo ad annunziare la scoperta sì di questa casa , che delle quattro
colonne , del pari che della singolarità del lavoro del musaico sulla loro carva.
(2) Lib. XXXVI , 25.
(3) Ivi e. 26 in fine.
4 VOL. XIV. TAV. XLVIII.
cotto collo zolfo si rassoda e fassi pietra. E tanto
è vero ciò che raccogliamo dall' esimio Naturali-
sta latino, che nella raccolta de' vetri antichi del
real Museo (1) si serbano de'globetti di vetro co-
lorato e moltissimi piccoli pezzi di figura semi-
sferica anch' essi colorati , ed a noi pervenuti
dagli scavi di Pompei, del pari che le molte paste
antiche imitanti le gemme incise , delle quali è
ricco il Museo Stoschiano , e la nostra collezione
degli oggetti preziosi (2).
Il singolare lavoro adunque della nostra co-
lonna è compartito in quattro zone tramezzate da
altrettante fasce ; le prime sono ornate di rose e
di svariati fiorami , con fregi di cacciatori che
incalzano o affrontano un cervo; e le seconde ornate
sono di scorniciature ad ovoli, o di festoni, o di
graziosi meandri di un elegante e leggiero effetto ;
e tutto ciò praticato con sì incantevole precisione
sulla curva della colonna, che può dirsi uno sforzo
dell'arte per le difficoltà superate nell'ammirabile
esecuzione. E qui bisogna confessare che l'effetto
(i) Vedi il nostro real Museo Borbonico descritto alla pag. 55 e segg. della
parte II.
(i) Vedi la citata nostra opera. Cabinet des objets précieux.
VOL. XIV. TAV. XLVIII. 5
di un peristilio l'orinato con queste colonne proda r
doveva una stupenda decorazione difficilissima a
raggiungersi da'tempi nostri; e ci reca maraviglia
come i moderni anelici, e specialmente i romani
musaicisti non abbiano finora procurato di ripetere
con la loro opera così belli esempi", perocché a
noi sembra che la più utile sorgente di questi sta
nello studio della loro riproduzione, applicata ai
nostri tempi ed a' bisogni nostri.
tyiovarnvatùfa 3fi<naft.
*
-c
^
^
Si
VOL. XIV. TAV. XLIX. 1
Danti-; Alighieri — Mezzo busto di bronzo allo
palmo uno e tre decimi.
Oalvb o effigie veneranda di un massimo fra gli
umani intelletti. Oh come ti stai altiera e pensie-
rosa, e nel muover degli occhi onesta e tarda ! E
se non sei 1' effigie di Dante di chi mai puoi tu
asser 1' immagine ? Accolgo non come probabile
ma come certa 1' opinione di quelli che credono il
modello di questo bronzo meraviglioso gettato sul
volto vivo e vero del severo Ghibellino, tanto di
vero e di espressivo ti lampeggia su gli occhi, da
quella faccia non scolpita ma viva , e non viva
solo di carne e di muscoli , ma di sentimento
protondo e di alti e sublimi pensieri , che più la
riguardi e più vorresti osservarla , e che tutta
ti manifesta 1' anima nella quale il Massimo Fat-
tore volle stampare più vasta orma del suo Spi-
rito creatore , per servirmi dell' espressione del
poeta.
Ed in fatti chi non riconosce in questa im-
magine Dante Alighieri il fiero ed implacabile
2 VOL. XIV. TAV. XLIX.
ghibellino , quel Dante che chiama la Capraia e la
Gorgona a far siepe alle foci dell' Arno oude in-
ghiottisca quella Pisa vituperio delle genti che
fé morire di fame con gì' innocenti figliuoli il
miserando Conte Ugolino : tragedia il di cui rac-
conto sublime son cinque secoli che fa rabbrividire
e spargere fiumi di lagrime a milioni di padri !
Dante gran teologo , gran filosofo , gran politi-
co , sommo poeta che rappresenta tutto lo scibile
del suo tempo. Enciclopedia incarnata , ed enci-
clopedia nella quale si veggono brillare di vivacis-
simo splendore le più belle gemme di Minerva e
di Apollo. Dante non secondo a nessuno degli
altissimi intelletti che onorano la specie umana ,
dissimile a tutti e non somigliante che a sé solo:
capace di tutto fuori che di sortile dalla sua
originalità , e mai tanto singolare come quando si
sforza d' imitare altrui. Di fatti è tanto simile al
suo maestro e Duca Virgilio , quanto è simile
uno scoglio di basalte ad un cespuglio di rose.
Come Fidia trasse dalla umile creta il modello
del suo Giove Olimpico, cosi Dante dal volgare
italiano, che vagiva bambino, trasse la più sonora
e la più alta favella del mondo moderno capace
VOI.. XIV. T.W. M.IV 3
di esprimere in più sublimi concetti della più alta
poesia i più intimi ed i più cari sentimenti del-
l' iinima la più appassionala.
Ingegno più universale e più profondo di
Omero che fu il poeta del gentilesimo, come Dante
è stato il poeta della Cristianità , poiché come
Omero riassumeva in lui solo tutto lo scibile del
suo secolo.
Ecco le opere che dettò in mezzo alle tempeste
delle fazioni , a' disagi dell' esilio.
Le canzoni,
La vita nuova , specie di romanzo in cui
descrive il suo innamorarsi in prosa ed in versi.
Il convito, un commento a tre sue canzoni.
De monarchia , opera latina.
De vulgari eloquentia , opera latina.
Traduzione in terza rima de1 salmi peni-
tenziali.
La divina commedia.
Non voglio lasciare di parlare di Dante
senza riprodurre quel bellissimo sonetto di Boc-
caccio che è pubblicato nella edizione del Giolito
del i555.
**
k YOL. XIV. TAV. XLIX.
Dante Alighieri son Minerva oscura
D' intelligenza e d' arte , nel cui ingegno
L' eleganza materna aggiunse al segno ,
Che si tien gran niiracol di natura.
L' alta mia fantasia pronta e sicura
Passò il tartareo e poi il celeste regno .
E il nohil mio volume feci degno
Di temporale e spiritai lettura.
Fiorenza gloriosa ebbi per madre
Anzi matrigna a me pietoso figlio ,
Colpa di Icngue scellerate a ladre.
Ravenna fu mi' albergo nel mio esigilo ,
Et ella ha il corpo , e 1' alma il sommo Padre
Presso cu' invidia non vince consiglio.
Come questo insigne monumento risplenda fra
le cose le più pregevoli del real Museo Borbonico
venuto in proprietà della Real Casa Regnante dalla
eredità farnese, ecco la mia congettura. Quando
Margherita d'Austria vedova del duca Alessandro
de' Medici fu concessa in seconde nozze al duca
Ottavio farnese da Carlo Quinto di lei padre, si
ritenne in sicurtà della restituzione della dote e
degli stradotali, che gli erano dovuti in forza del
contratto matrimoniale , una quantità di mobili
pregiati , e di oggetti di arie che erano stati del
suo primo marito , e in conseguenza della Casa
VOL. XIV. TAV. XLIX. 5
Medici , non potendo il duca Cosimo allora capo
di quella famiglia bastare nemmeno eoa la vendila
di tutte le sue sostanze a soddisfare queste obbli-
gazioni, secondo ci racconta l'Adriani (i). Ciò
premesso è probabile ebe fra i tanti oggetti di
arte che Margherita d' Austria portò in Casa far-
nese, e che dalla Casa farnese passarono alla Casa
regnante de1 Borboni di Napoli , vi fosse anche
questo bellissimo busto di bronzo che qui pubbli-
chiamo.
TtUQWeimo zoecni.
(i) Adriani storia fiorentina liu. 3, p. 8f>, edizione del Giunti.
, -r,„/' /£■„ ,6/tFj^
.■^c
VOL. XIV. TAV. L. 1
StATU \ 1)1 MARMO l.i NENSB , alla palmi quattro
e mezzOj ritrovata in Pompei.
Aja graziosa statua incisa in questa tavola par
che ci presenti una Diana caeeiatriee. La sua tu-
nica succinta , il balteo cui doveva esser racco-
mandata la faretra , che or manca , i coturni
venatari «li pelle ed ornati al di sopra di ferino
teschio , 1' attitudine di fermarsi nella corsa per
incoccai- un dardo nell' arco , 1' uno e 1' altro dal
tempo distrutti, il cane infine che l'accompagna
arrampicandosi ad un greppo nell'atto istesso che
la Dea si sofferma, sono indizi tutti a farci rico-
noscere la figlia di Giove e di Latona. Concorrono
in sostegno della nostra denominazione i monu-
menti che la presentano nella stessa foggia abbi-
gliata e nella stessa attitudine , e specialmente
i diversi simulacri di lei si del real Museo che
di altre riputate collezioni , del pari che le anti-
che medaglie ; onde non sembra improbabile che
nel nostro marmo debba ravvisarsi Diana come
preside della caccia, e de' boschi abitatrice.
2 VOL. XIV. TAV. L.
Che la tunica così breve da lasciarle scoperte
le gambe sin sopra alle ginocchia sia l'abito pre-
diletto della Dea , lo si raccoglie da Callimaco nel
suo inno a Diana ove cantava compiacersi .
e di portar la tunica succinta
Sin al ginocchio a debellar le fiere (1).
Cornei coturni venatori siano uno de1 principali
distintivi di questa Dea , lo apprendiamo da quei
versi di Virgilio , in cui Coridone ad essa pro-
mette una statua di bianco marmo se i suoi de-
sideri saranno appagati:
Ma se sarà quanto il voler mio disse,
Per me sarai di bianco marmo se ulta,
E di bei borzacchin le gambe ornate (2).
A malgrado di tutto ciò è da osservarsi però la
differenza che si scorge nell' acconciatura della
chioma della nostra statua posta a confronto di
quelle che sono espresse in altri monumenti , e
(1) xbu ts yovv y-'X(< xtrmti
Xuvvvtr&ai teyvuro* iv' uypix G^pix xait-w.
Callim. Hymn. in Dianam v. 11 e 12.
(2) Si proprium hoc fuerìt , levi de marmare tota
Puniceo stabis suras evincta cothurno.
Virgil. Ecl. VII, v. 3i e 3i.
VOL. XIV. TAV. L. 3
soprattutto nelle medaglie : in queste le chiome
della Dea veggonsi in parie annodate a guisa di
luna crescente sulla fronte , ed in parte cadono
ondeggianti sulle spalle : nella nostra al contrario
sono bipartite sulla Ironie , e serpeggianti vanno
da un lato e dall' altro ad annodarsi all' occipite.
Ed è da notarsi del pari che la Umica della no-
stra slatua è sfibbiata sull'omero drillo, in modo
da lasciarne il seno scoperto come si osserva co-
stantemente nelle figure delle Amazzoni ; e 1' am-
peconio che negli altri monumenti si vede rac-
colto in giro sulla cintura , qui al contrario ve-
desi gittato sull' omero sinistro donde viene ad
avvolgersene una parte sul disteso braccio , la-
sciandone pendere in giù. la estremità : le quali
cose potrebbero mettere in dubbio la denomina-
zione data alla statua di Diana cacciatrice , ri-
manendo sempre a favore di questa il distintivo
del cane che segue i suoi passi , ed i coturni ve-
natort che le rivestono le gambe : ed in questa
ipotesi bisognerà dire che lo scultore pompeiano'
per non rimanere servii copista dell' antico tipo
originale vi abbia cambiato T acconciatura della
chioma , scoperta la dritta mammella , e lasciato
4 VOL. XIV. TAV. L.
pendere 1' ampeconio dal sinistro omero. Vero è
per altro che questa bella statuetta era molto pre-
giata presso de'Porapeiani, vedendosi in essa pra-
ticati diversi antichi restauri, i quali promuovono
le discorse dubbiezze; ed aggiungi che allorquando
fu tratta dalle scavazioni era in vari luoghi di-
pinta, e poco se ne potevano discernere le diverse
restaurazioni. Ci proponghiamo dare un supplimen-
to a questa descrizione tosto che ci sarà dato
poter esaminare partitamente questo monumento,
e distinguere i moderni dagli antichi ristami , e
se il marmo delle diverse parti appartenga ad una
stessa cava.
ysiou-amvatidta SrinaU.
VOL. XIV TAV. LI 1
Mosco IN MARMO GRECO — FILOSOFO IN IIARMO
ORECHÈTTO : sfai 'nette sedenti alta ciascuna
palmi (ftie e mezzo , provenienti (falla Casa
l 'arnese.
I
L nome di Moschione o Mosco fu comune a
quattro illustri scrittori dell' antichità , de' quali
pochissime notizie sono a noi pervenute. Uno fra
essi però si distinse sopra gli altri pe' suoi elegan-
tissimi versi pastorali , che non solo il posero a
livello di Teocrito , ma gli meritarono 1' onore di
essere eternato il suo nome con statue ed iscri-
zioni. Una testimonianza ce ne dà Ja statua presso
Girolamo Galimberti osservata da Fulvio Orsino,
nella cui base sta scolpito il di lui nome M02}XiaN}
ed altra luminosissima ne raccogliamo dal prezioso
monumento che abbiamo sott' occhio. Qui 1' illu-
stre buccolico emulo e compatriota di Teocrito è
espresso assiso su sedia ricoperta da voluminoso
cuscino , stringendo nella destra poggiata sulla
coscia un papiro. Egli è inviluppato da un sinuoso
pallio che gli lascia metà del busto e tutto il brac-
2 VOL. XIV. TAV. LI.
ciò scoverto. 1 suoi piedi sono rivestiti di calzari
alla greca , e poggiano sopra una specie di sup-
pedaneo rilevato sul plinto , in fronte a cui si
legge MO^XION. Ne duole che la testa che ora
vi è non è la sua, poiché presenta forme faunine,
e che il braccio sinistro e la mano di questo lato
tenente un papiro semisvolto sieno moderne ri-
parazioni. Questo prezioso monumento di scultura
greca ha meritato tutta 1' attenzione del chiaris-
simo Visconti, il quale lo ha pubblicato nella sua
Iconografìa greca (i) mettendone in vista i non
volgari pregi di rarità.
L' altra statuetta compagna incisa in questa
tavola dirimpetto a Moschione presenta forse altro
poeta o filosofo nello stesso abbigliamento e presso
a poco nella stessa attitudine. Essa però si di-
stingue dall' altra per la magnificenza della sedia
che ha alle gambe anteriori due grifi , e pel me-
rito del greco scultore che ha spiegato molto sa-
pere nell' aggiustamento e nella esecuzione delle
pieghe del pallio , uno de' principali distintivi di
questi uomini celebri dell'antichità, informandone
(i) Tomo I. pag. 91 e 92, tav. VII , n. 2.
VOL. XIV. TAV. LI.
Plutarco ohe la barba ed il pallio erano le in-
segne de' (il oso lì , a prescindere dalla corona e
dalla vitta che cingeva il loro capo, come da un
epigramma dell' Antologia si raccoglie che Empe-
docle veniva rappresentato coronato e vittato (1).
Tali onorifici distintivi fregiavano ordinariamente
le tempia de' più famigerati filosofi di Grecia ,
distintivi che qui ci astenghiamo di annoverare ,
dappoiché la testa del nostro filosofo benché an-
tica non è sua , e la destra abbassata cui manca
P indice , la quale stringe un papiro , e la sini-
stra elevata con altro papiro sono alquanto dan
neggiate.
yiovamv-atidta Sminati.
(1) Anthol. i, 86, rp. i.
VOL. XIV. TAV. L1I. 1
Sileno ubbriaco — Bassorilievo in marmo largo
pahìii due e un decimo , per palmo uno.
Oebbkne in più luoghi di quest' opera abbiam
pubblicato monumenti dionisiaci di svariata rap-
presentanza , pur nondimeno non possiamo aste-
nerci dal rendere di pubblica ragione il Baccanale
che presentiamo inciso per questa tavola LII ,
come importante per la sua vivacissima compo-
sizione, e per la somiglianza che ha con altri ri-
nomati bassorilievi di Grecia.
Nel mezzo è mirabilmente scolpito Sileno ub-
briaco a cavalcioni ad un asino , e sostenuto da
due Faunetti , sugli omeri de' quali mollemente
tiene le braccia distese , in modo che essi restano
come saldi sostegni sotto delle sue ascelle. Questo
bellissimo gruppo è preceduto da una pantera fre-
giata di ederacea ghirlanda , e da un Satiro che
guida 1' asino per una corda ligata al collo , nel
mentre che con la sinistra alzata stringente un
pedo pastorale minaccia 1' asino che sta in atto
di cadere , piegando indecisamente le gambe an-
<2 VOL. XIV. TAV. LII.
tenori. Altri due Fauni seguono 1' ebbro Sileno ;
T uno col braccio sinistro elevato regge pel ma-
nico sopra i suoi omeri un grandioso vase cosi
detto a calice elegantemente scanalato e scorni-
cialo ad ovoli sul labbro , dal di cui piede sem-
brano emergere due rami di albero al quale sono
avviticchiati de'tralci ricchi di pampini e di uve,
e sostenendo sul braccio dritto un corno da bere
o riione che voglia dirsi: l'altro col destro piede
poggiato sopra un greppo regge sulla coscia un
otre pieno di vino, del quale stringe con la sini-
stra mano il collo, onde non ne sgorghi il liquore.
Piena di verità è 1' espressione della ebbrez-
za impressa sul volto e sul corpulento busto di
Sileno, e non meno vera è l'espressione de' due
Faunetti affàticantisi a sostenere 1' abbattuto ve-
gliardo , 1' uno abbracciandolo col destro braccio,
l'altro piantando con atletica l'orza le sue distratte
gambe : essi par che maraviglino della loro situa-
zione , tanta è la vivacità de' loro volti. Né sa-
presti ritrovar meno interesse tanto nella espres-
sione del volto del Satiro che vorrebbe a tutta
forza far camminare 1' asinelio deridendo 1' ub-
briachezza di Sileno , quanto in quella de' due
VOL. XIV. T\V. LII. 3
Faunelti seguaci, il primo de' quali non curando
il peso che sostiene sugli omeri , desioso si volge
a guardar ncll' otre che porta il suo compagno ,
come se gli chiedesse di riempirgli di vino il ri-
tone che verso di lui ticn rivolto. E non senza
interesse e verità è pur l' espressione di quest'ul-
timo Faunetto che posto in contrapposizione del
primo chiaramente mostra di negargli il vino : in
somma è felicemente qui resa l'espressione dell'uno
che desidera, e dell'altro che nega. E da notarsi
intanto che all' eccezione de' due Faunetti che
sostengono Sileno , i quali son coronati di pino ,
tutte le altre figure , ed anche 1' asino son coro-
nati di edera con corimbi. Il pino oltre di essere
l* albero favorito di Cibele e di Silvano , sappia-
mo da Properzio che era anche sacro a Pane,
poiché il nume di Arcadia era amante di questo
albero ; ed è incontrastato , come provasi co' mo-
numenti , che i Greci più de' Romani facessero
uso del pino per caratterizzare i Pani , gli Egi-
pani ed i seguaci di Bacco. E notiamo da ultimo
che negli antichi monumenti di bacchico argo-
mento spesso s' incontrano gli asinelli pieganti le
gambe anteriori attaccati a' carretti di Bacco ,
4 VOL. XIV. TAV. LII.
onde vennero detti plostrarii da Catone (1) forse
da ploslrum basso carretto; dal che potrebbe in-
ferirsi che 1' autore della nostra scultura ha qui
introdotto l'asino piegante le gambe anteriori ad
imitazione di quelli che sono attaccati a' carretti;
se pur non voglia dirsi con maggiore verosimi-
glianza che l'artista per fare spiccare in ogni parte
della sua composizione l'eccessiva ebbrezza di Si-
leno , 1' abbia voluto rendere tanto grave ed ab-
battuto dalla forza del vino, da far barcollare l'asi-
nelio coli' indeciso piegar delle gambe anteriori.
Che che ne sia di questa opinione , non po-
trem negare che la somiglianza di questa compo-
sizione con quelle di consimili monumenti greci ;
che il vedersi introdotto tra i seguaci di Sileno
simultaneamente corona di edera con corimbi , e
ghirlande di pini; che l'attitudine in fine del va-
cillante asino che si scorge in altri più antichi
monumenti , son tutte cose che ci inducono a rico-
noscere in questa nostra bella scultura una imita-
zione tratta da'più pregevoli capolavori di Grecia.
ytcuamlKitùta Svitiate.
(i) De re rustica Cap. XI, e dal Visconti T. V, tav. VII del Museo P. C.
Vwl.XIV".
TA.. i ni
*>r,/'- net* ,/s/ sf «..vv/tf
. t ,/,,
VOL. XIV. TAV. LUI. 1
Due quadri» noni DI bronzo: il primo allo palmo
uno e sellantacmqiie centesimi per palmi due ;
il secondo alto palmo uno e tre decimi per
palmi due e tre decimi.
jL resenta il primo bronzo inciso in questa tavola
un giovane paffuto becco rinvenuto nelle scava-
zioni noccrine (1). Esprime il secondo un ben ro-
busto toro ritrovato non ha molto in Pompei. Era
questo destinato alla decorazione di una fonte ,
ove serviva pure da getto di acqua , come lo ad-
dimostra il tubo che salendo dalla base marmorea
quadrata passa lungo il corpo, e vien fuori dalla
bocca , donde sgorgava limpida acqua alimenta-
trice della sottoposta fonte.
Sebbene il becco fosse in grande venerazione
in alcune regioni dell'Egitto perchè adombrava il
loro nume Pane con volto e gambe di becco, pure
(i) Sono importanti le scavazioni eseguite in Nocera da' (rateili Serio nell' an-
no 1845, nelle quali fu rinvenuto il nostro bronzo con diversi altri di maggior me-
rito, tutti dalla munificenza di Ferdinando II. acquistati. Noi ne faremo di mano
in mano la pubblicazione.
2 VOL. XIV. TAV. LUI.
presso de' Greci era questo quadrupede immolato
a Bacco , perchè distruttore delle vigne. Appena
uscito dagli scavi questo bronzo fu confuso col-
1' ariete , e si credette appartenere al culto di
Bacco, essendo risaputo che ne' deserti della Libia
un ariete indicò a Bacco ed a' suoi seguaci la sor-
gente di acqua che li salvò tutti dal morir della
sete : onde fu supposto che sì per questo mito ,
che per vedersi praticata sulla schiena quell' aper-
tura bislunga, fosse destinato a decorare e a gettar
acqua in qualche fonte nocerina. Osservata però
attentamente quell' apertura ci siam convinti che
altro non sia , se non la sfogatoja per la quale
usciva la cera della forma nell'atto della fusione,
la quale sfogatoja essendo stata mal saldata dopo
la fusione , ora col lasso del tempo si è riaperta
staccandosene il tassello che la cuopriva.
Le fattezze intanto di questo becco sono belle
e grandiose , le proporzioni tali da imprimergli i
più bei caratteri della sua specie , il che massi-
mamente si appalesa nel vivace movimento della
sua testa cui accresce decoro quel gruppo di velli
che gli pendono dinanzi al collo.
Molto ci sarebbe da osservare sul toro coni-
VOL. XIV. TAV. LUI. 3
pagno. Privo affatto di attributi non può ravvi-
satisi nò un toro Apidc (1) adorato per tutto
l'Egitto, uè un toro del ciclo solare famoso ne' mi-
steri mitriaci , e uè tampoco un toro dionisiaco ,
come veggonsi espressi negli svariati monumenti
a noi tramandati dall'antichità (2). E certo però
che le forme di questo quadrupede e le diverse
sue parti son modellate secondo il gusto più squi-
sito delle antiche scuole.
E qui giova avvertire che leggendosi in più
luoghi di Pausania che gli Areopagiti dedicarono
un toro di bronzo nell'Acropoli di Atene (3), che
i Corciresi altro ne donarono ad Apollo, altro in
Olimpia (4) , e molti buoi consegrarono nel tem-
pio delfico nella Beozia ed altrove (5) , probabil-
mente potrà inferirsi che il nostro una imitazione
( 1 ) Sono celebri i tori Apidi che osservarci ne' bronzi egizi del real Museo da noi
descritti a pag. 104 e ss. della I." parte delle nostre descrizioni del real Museo Bor-
bonico , non che i tori mitriaci de' bassorilievi ritrovati a Capri ed altrove , e da
noi benanche descritti a p. 244 e ss. della stessa opera.
(2) Un toro dionisiaco vedesi in una pasta della collezione Stoschiana, il cui origi-
nale trovasi nel gabinetto nazionale di Francia col nome dell' incisiore TAAOT. Ste-
seli, pietre incise T. 40. Braci mem. gì.
(3) Fausania lib. I , e. 24.
(4) Idem lib. X , e. 9.
(5) Ibidem e. 16.
4 VOL. XIV. TAV. LUI.
sia di talune di quelle antiche figure di quadru-
pedi eseguite dal vivificante scarpello degli artefici
greci , i quali ne ornavano i tempi , quasi ostie
perenni al cospetto de' loro numi.
iZiov-amv-aUàfa binati.
-
VOL. XIV. TAV. LIV. 1
Venere , Baccante - Figurine <li bronzo , la
prima alla palmo uno e tre quarti , la seconda
palnio uno e mezzo.
JLirc due bellissime figurine di bronzo che riunite
presentiamo in questa tavola furono rinvenute
nel 1845 negli stessi particolari scavi di Nocera ,
de' quali abbiamo tenuto proposito nella prece-
dente tavola.
Graziosa , svelta , avvenente è la figurina di
Venere panneggiata dal mezzo in giù , ed in atto
di rimirar compiacente nello specchio, che aver
doveva nella sinistra in parte perduta, le assestate
trecce della sua chioma , nel mentre che con la
destra elevata altro ornamento sembra che voglia
accrescere alla sua troppo semplice acconciatura.
In simile attitudine sono frequenti le immagini
della Dea e ne' monumenti e nelle medaglie , at-
titudine che le meritò il soprannome di calli-
coma , ossia dalle belle chiome : e non può re-
vocarsi in dubbio che Venere gran cura prendesse
della sua vaga capellatura, dappoiché ne ricorda
2 VOL. XIV. TAV. LIV.
Apollonio Rodio (i), che allorquando Giunone e
Pallade si decisero di far visita a Venere perchè
si adoperasse d' indurre Amore a rendere Medea
amante di Giasone , la Dea degli amori trovavasi
avvolta dal mezzo in giù , come la mostra il
nostro bronzo , occupandosi a riordinare la sua
chioma.
Sparsa e divisa sulle biacche spalle
Ha la chioma che in ordine rimette
Con un pettine d' oro, e mentre i lunghi
Capei già ricompor volea in trecce
si avvide che le Dee stavan per entrare nelle sue
stanze ; allora
11 crin non colto colle man raccolse.
A non ripetere quanto si è discorso di Venere
come anadiomene ossia uscente dalle onde, e come
callicorna ossia dalle belle chiome ; e senza intrat-
tenerci su tanti altri soprannomi cui davan luogo e
le fattezze della Dea , e le sue svariate avventure,
per ciascuna delle quali ora un tempio se le erigeva,
ed ora un particolar rito se le stabiliva, secondo ne
ricordano gli antichi scrittori , ci limitiamo ad
(i) Argon. Ili, V, 45 a 47.
VOL. XIV. TAV. LIV. 3
osservare che il nostro bronzo proviene da un
reputatissimo originale greco (|ni cim molta intelli-
genza imitato, non lasciando desiderare in alcuna
delle sue parti nò purezza di contorni, e né tampoco
scelta di forme , non ostante la molto avanzata
ossidazione che ne altera la superficie in tutte le
sue parti : in somma il nostro bronzo è cosi mae-
strevolmente composto e con accuratezza finito,
che si meritò gli occhi incastrati di smeraldo, dei
quali ora non resta che qualche leggerissimo indizio,
ed un elegante suppedaneo a quattro zampe leonine
mirabilmente a cesello intagliate.
Gaio, robusto, grazioso è il piccolo Baccan-
te tutto nudo ed in atto di saltare correndo ,
nel mentre che poggia il destro piede ed alza
il sinistro, equilibrandosi col destro braccio pro-
steso e col manco elevato, in modo da bilanciar
la figura col più felice contrapposto. Il ciuffetto
de' capelli erti ed annodati nel mezzo della fronte,
e le vivacissime forme alquanto schiacciate del
suo volto rendono questa graziosa figurina non
poco grata allo sguardo dell' osservatore ; come
lo star tutto poggiato sul destro piede ne ricor-
da l'uso che ebbero gli antichi di rappresentare i
i VOL. XIV. TAV. LIV.
seguaci di Bacco scherzando e saltando, per alluder
sempre alla ilarità dell' ebbrezza del loro nume ,
ed alla felicità che loro si prometteva nella vita
futura fin dalle prime iniziazioni a' dionisiaci mi-
steri. Questo pregevolissimo bronzo di ottimo stile
greco , corretto in ogni sua parte , e di una car-
nosità rarissima ad ottenersi nelle fusioni di questo
genere, poggia sopra una basetta formata quasi da
due mezzi coni rovesci scorniciati ad ovoli elegan-
temente , e dal cesello a perfezione ridotti ; il che
si osserva a traverso della così detta patina della
quale il tempo gli ha ricoperti.
yiov-amvafiéta Srtnaéi.
VoTLXJY.
TA , LV.
, -*>/, ',/ ,,./t f ts/r /■ >' >^.ji ////*
. I ,2.,.
VOL XIV. TAV. LV. 1
Due lucerne in terra colta verniciata pervenute
dagli scavi di Pompei : la prima alla palmo
uno e sette decimi , larga sette decimi ; la
seconda alta palmo uno e tre decimi , larga
otto decimi.
liKL corso di quest'opera abbiain più volte par-
lato della copiosissima raccolta delle lucerne di
terra cotta del real Museo Borbonico , la quale
non è al certo meno importante delle altre molte
che in esso sono riunite, sia che se ne consideri
lo estesi) numero di oltre a i5oo monumenti , e
le svariate loro forme , sia che se ne esamini il
diverso loro uso sacro o sepolcrale, pubblico o
privato ; ciò nondimeno ritorniamo volentieri su
questa raccolta ora che la sorgente perenne degli
scavi di Pompei ne ha arricchiti di altri tre pre-
ziosi esemplari , due de' quali essendo affatto nuovi
e pe' loro ornati , e pel lavoro dell1 argilla di che
son formati, ci siamo affrettati a farli disegnare,
incidere e qui pubblicare per questa LV tavola.
La prima eh' è a destra del riguardante è
2 VOL. XIV. TAV. LV.
monolicne, cioè ad un so] lume : la seconda bilione,
ossia a due lumi ; amendue di terra cotta invetria-
ta color verdastro di uno smalto così trasparente ,
che le diresti piuttosto di vetro che di argilla. Ed
è questa invetriatura che la prima volta compa-
risce così netta e vivace , da metter queste due
singolari lampadi in cima della nostra raccolta ;
dappoiché oltre alla loro bella forma ed alla finitez-
za del loro lavoro, sono esse al caso di mostrare a
qual grado di conoscenze eran pervenuti i nostri
Pompeiani in fatto di chimica applicata alle arti ;
conoscenze che dovevan esser comuni a tutte le
altre Italiche regioni.
La prima è della solita forma così detta a
nave. La parte di mezzo è circolare ornata come
in altri simili monumenti di diversi cerchi eccen-
trici che circondano un rosone con un foro nel
mezzo , per dove infondevasi 1' olio : dal lato an-
teriore si produce e viene avanti il becco col foro
pel lucignolo : dall' opposto lato va fuori e legger-
mente s' incurva all' in su un pampino accerchiato
da una fascetta nel suo gambo, e al di sotto nella
grossezza del sostegno del pampino è ingegnosamente
praticato un anello della capacità da potervi im-
VOL. XIV. IAV. I.V 3
mettere l' ÌDdice , formando con ciò il manubrio
molto adatto a maneggiare e trasportare Becondo
il bisogno questa graziosa lucerna»
E notabile L'elegante ornato ciré alla periferia
somigliante ad una scorniciatura di ovoli lavorati
a minutissimi ed equidistanti puntici , come pure
osservabili sono le duo teste e colli di grifi addossali
al becco, e che esternamente sporgenti al di sopra,
e terminanti al di sotto in due piccoli cartocci
riempiono la composizione , cui dà compimento
la dilicatezza ed il finito del leggiero pampino che
adorna il manubrio.
La seconda è di forma simile alla prima, se
non che ha due becchi , come abbiam detto. Nel
mezzo evvi a bassorilievo la maschera di un Bac-
cante coronata di edera con corimbi , essendo
praticato V infundicolo dell' olio in un foro poco
discosto dal mento. Questa maschera è circondata
da' soliti diversi cerchi , V ultimo de' quali ha nella
parte interna della periferia un leggerissimo ornato
a zig-zag lavorato a puntini cosi minuti che risve-
gliano l' idea del merletto. I due becchi sono ornati
esternamente da due teste e colli di cavallo che
al di sopra s' incurvano in fuori , e prolungati al
4 VOL. XIV. TAV. LV.
di sotto finiscono in piccoli cartocci; ed internamen-
te tra un becco e 1' altro è rilevata una zona se-
micircolare come luna falcata , i di cui estremi
finiscono ancor essi in simili cartocci , i quali
unitamente a quella specie di foglia terminante a
calicetto alquanto rilevata sulla superficie produ-
cono il più bello effetto che possa desiderarsi
nelP ornamento di un bene immaginato becco di
lucerna. Meritano osservazione le dilicate e precise
testiere che rivestono le teste de1 cavalli, non che
le due cinte de' rispettivi colli , negli estremi delle
quali anzi che essere accennati i fermagli , sono
indicate le fibule con le rispettive orlature che le
assicuravano intorno al collo de' cavalli. Il manubrio
è simile a quello descritto nella prima lucerna ,
se non che il pampino è accerchiato da due fascette
nel gambo mollo più grande dell' ordinario , ed
è più folto e più ammassato dell' altro , sebbene
conservi la sua naturale lobolatura; il che ha potuto
facilmente derivare dal trasporto del pampino che
l'artefice dovè fare dal grande al piccolo , o più
verosimilmente da quelle licenze che spesso spesso
costoro si prendono allorché lavorano di maniera,
senza aver presenti gli esemplari della natura ,
VOL. XIV. TAV. LV. 5
tanto più che talvolta sono trasportati ad alterarne
le forine o qualche parte di esse per ottenerne un
elletlo soddisfacente all' occhio di un committente
o degli osservatori.
In quanto all' uso di queste due lucerne pos-
siamo dire senza gran tema di errare eh1 esse
appartenevano alla classe delle sacre, e segnatamen-
te al cullo di Bacco, dandone sufficiente pruova
i pampini che formano la decorazione de' manubri,
e la bella protome di Baccante che a bassorilievo
è scolpita nel mezzo di questa seconda lucerna.
tonam
valuta Sftnati.
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.'„/.„/.■„ «.,„„„.//, ,/,/
VOL XIV IAV. LVI. 1
Patera figurata di lena cotta.
Impesta bellissima lazza, òhe ri venne dalle sca-
vazioni di Videi, dovette esser donata in premio
a qualche giovane por l' esimie pruove del suo va-
lore vuoi nelP equitazione vuoi ne' fatti ginnastici.
Alle prime mi par che accennino i cinque perso-
naggi di fresche sembianze: de' quali uno a capo
scoperto e quattro ricoperti da' cimieri, par che
si addestrino a montar d' un salto a cavallo , e
ciò eseguano davanti ad altro guerriero , galeato
esso pure , ma armato di lancia e scudo con
sopravi grossa cerasta, il quale stia non da semplice
spettatore , ma qual giudice di loro destrezza. E
questa conghiettura rendono probabilissima le due
solite leggende che corronvi per attorno in arcai-
che lettere: HO IIAIS KALOS , HO nAI2? KAL02}, il
giovane bello , il giovane bello , prendendo la
parola bello anche nel senso morale. E questo stes-
so è il senso dell' iscrizione, che, a conferma della
medesimezza dell' argomento , ripetesi nell' inter-
no del vaso , comechè non replicata : dove è
2 VOL. XIV. TAV. LVI.
notevole che il KAAOS sia scritto da destra a
sinistra , ed HO ITAIS da sinistra a destra. E con
siffatta epigrafe si allude al giovine che spicca un
salto tenendo in mano due altèri ( àXrnpts ), che
è come un dire due gran masse di piombo, simili
alle altre due che stanno nel campo presso al cer-
chio da cui quello si chiude. E ben si vede in esse
1' incavo fattovi perchè la mano potesse comoda-
mente adagiarvisi per sollevarle , ovvero per gi-
rarle a tondo, affinchè i muscoli gran forza per
siffatto esercizio , che alteria (àXrnpia. ) addiman-
davasi, acquistassero. Il sacco poi, che si vede pen-
dere nel campo, è quello dove contenevansi gli altri
strumenti del ginnasio, che è il sito qui rappre-
sentato , e che in un luogo d' Antillo presso Ori-
basio (1) è detto yvy.vtx.(Tiov àXrypicov , ginnasio
delle alterìe.
Ujernarao J2 uara nta.
(i) Pag. lz5 JUall/iaei.
RELAZIONE
DEGLI
SCAVI DI POMPEI
Da Agosto 184^ a Gennaio 18 52.
Uopo alquanti anni di sonno profondo risvegliatasi questa opera per
camminare al suo fine , non sarà meraviglia se questa nostra relazione
degli scavi pompeiani riescila alquanto più lunga delle precedenti ,
e lasciando alla fine di essa di discorrere le generalità di questi ca-
v amenti , ci tratterremo alcun poco sulla descrizione della più. bella
casa che si sia rinvenuta in questo lungo periodo di tempo.
In una strada larga quanto le principali di questa città , che
partendo dalla così detta porta del Vesuvio e incrociandosi con la via
della Fortuna scende radendo da' Teatri alla porta di Stabia ultima-
mente scavata , di cui parleremo, strada detta delle Sonatoci da alcuni
dipinti nelle sue adiacenze rinvenuti , è posta la casa di Marco Lu-
crezio sacerdote di Marte e duumviro , cosi chiamata dal dipinto in
essa rinvenuto, nel quale fra molti utensili da scrivere si vede una
lettera suggellata col suo indirizzo, il quale molti hanno letto Marco
Lucretio Flamini Marlis Duumviro Pompei : a Marco Lucrezio
Sacerdote di Marte Duumviro in Pompei. Questa casa ha il suo ingresso
alla sinistra dell' uomo che partendo dalla strada della Fortuna
scende a' Teatri.
Sono marcate de'N.' 2 e 3 le due stanze e stanzino contiguo die
fiancheggiano l' ingresso N.° 1 di questa casa, che alcuni hanno creduto
botteghe , e che potrebbero forse dirsi, appoggiandosi sull' autorità dì
Gelilo, aver servito di vestibolo , cioè stanze esterne della casa istessa
per dar ricovero a coloro che aspettavano l'apertura di essa per esservi
introdotti. Sono disadorne e solo vi rimangono alcune tracce di pitture
sul fondo bianco , particolarmente nel camerino segnato di N.° 2. Il
N.° 1 contrassegna l'adito o ingresso, Protiro, della casa. Questo adito
è adorno di pitture che sembrano appartenere all' ultima epoca di
Pompei. Queste pitture sono così disposte. Cinge il basso de' muri un
zoccolo spartito in compartimenti di marmi a vari colori. Sopra esso
in fondati celesti divisi da pilastri rossi veggonsi candelabri dipinti come
se fossero di oro. Ne' due compartimenti del centro delle pareti di
questo adito sono due quadri. Quello di sinistra, mezzo perduto nella
metà che ne resta, mostra dal mezzo in giù tre figure, una delle quali
sostiene in ambe ìe mani due faci rovesciate. L'altro dipinto a riscontro
di questo assai ben conservato rappresenta una sonatrice di flauto in
atto di camminare suonando con un uomo su di essa appoggiato , e
preceduta da un giovinetto tunicato che ha in ambe le mani una face
accesa , e che noi reputiamo indicare per le ragioni che andercino ad
esporre una tibicina che si avvia alle orgie di Bacco. Nel centro degli
altri tre compartimenti, poiché il quarto è occupato dalla porta della
scala N.° 4, sono tre figure volanti , designate comunemente col nome
di baccanti , una che sostiene un corno di abbondanza, la seconda un
rostro di nave , l' ultima un tirso ed un cembalo. La stanza N.° 4
conteneva una scala di legno , le di cui tracce sono visibilissime nel
muro, ed i cui primi gradini di fabbrica sono tuttavia esistenti. Nel
sottoscala dimorava forse lo schiavo che in questa modesta casa è
Il
&
opponibile: aveste il il.i|.| ii ufficio dì portinaio e «li Btriense, che
mediante le dm aperture di questo corridoretto , una accanto la porta
il ingresso . I altra sporgente tuli atrio poteva simultaneamente eser-
citare < 1 1 ■(-->! i due uffici, <• vigilare ad un tempo il protiro <■ l'atrio.
Il N." .'> indica il compluvio dell'atrio toscano, la cui vasca
che doveva esser marmorea è stata trovata mancante, forse levata via
«oli tante altre cose ili questa sepolta città dagli antichi istessi dopo
L'eruzione. L'atrio toscano è segnato col V ti. Esso è vagamente
dipinto. Ha un zoccolo spartito in vari compartimenti di marmi dipinti
a perfetta similitudine del vero, fra i quali spesseggiano il porlìdo e
il serpentino. Sopra questo zoccolo sono a vari colori delineate ar-
i Iniettore grottesche sopra un Tondo celeste che lia resistito alle rovine
e alla sepoltura di ìX secoli. Di questo colore gli antichi erano ac-
curatissimi fabbricanti, ed in una bottega di droghiere (pigmenlarius)
vicinante a questa casa ne abbiamo trovato di bellissima qualità.
Il N." 7 contrassegna una edicola su la quale avevan culto i Dei
Lari. Questa edicola tutta gentilmente lavorata di stucco colorato
aveva il suo fastigio sostenuto da due colonne, la cui pianta tuttavia è
conservata. 11 pavimento di questo atrio è di musaico bianco, con alcu-
ne l'asce nere, ed un meandro pure nero che cinge la vasca del compluvio.
Questo atrio, come quasi tutti gli atri della sua specie che si son rinvenuti
in Pompei , è fiancheggiato dalle due ale N." 12 , ed ha in fronte il
tablino N." i3 che descriveremo a suo luogo. Le stanze che si aprivano
.su di esso, e che da lui ricevevano la luce e l'aria a via di una finestra
che era nell' alto dell' uscio che le chiudeva , sono tutte dipinte su
tondo bianco, colore scelto sentitamente siccome quello che ripercotendo
la luce è più che ogni altro adattato alle stanze poco luminose.
La camera N." 8 ha le sue pitture spartite in varie grottesche che
hanno base sopra un zoccolo giallo, ed ha in ciascheduna delle tre pare-
ti che la compongono due gemetti ed un piccolo quadro, il tutto come
4 -
abbiam detto su fondo bianco. Questi gcnietti o amorini alati riposano
sopra mensole sporgenti dal muro dipinte color di oro. 11 primo a
destra dell' uomo che entra in questa camera ha un elmo in una mano,
ed un turcasso nell' altra. Quindi si vede nel centro della parete
dipinto in un quadrettino ( di quattordici decimi di larghezza ) En-
dimione seduto con un cane a' piedi che guarda verso la luna , che
bicornuta spunta all' angolo opposto ove siede Endimioue. L' altro
genietto tiene nella destra un cimiero , nella sinistra uno scudo e la
lancia. Poi nella parete dirimpetto la porta si vede altro genietto simile
con elmo in testa, una daga nella destra, e sostenente uno scudo con
la sinistra.
Nel quadro di mezzo , di dimensione simile a quello di già de-
scritto , è dipinto il centauro Chirone che ammaestra Achille a suonare
la lira ; soggetto di bellissima composizione molte volte ripetuto nelle
pitture ercolanesi e pompeiane , e che doveva avere per tipo qual-
che famoso dipinto dell' arte antica. Dall' altro lato è un consimile
genietto anche galeato che imbraccia lo scudo e sostiene una lancia.
Nella terza parete sono due altri gemetti con scudo e lancia varia-
mente atteggiati , e nel quadro centrale è dipinta una vaga nereide
che abbracciandosi al collo di un cavallo marino , di cui tiene il freno
con la mano sinistra, alza la destra sopra la testa per tenere il lembo
di un panno che, quasi vela, dal vento gonfiato le lascia nudo il suo
corpo giovanile bilanciato sulle onde. Nel compartimento superiore si
veggono quattro maschere sceniche e due figure di attrici una comica
come si rileva dal pedo e dalla maschera che tiene in mano. L' altra
stanza N.° 9, pure spartita in due compartimenti come la precedente ,
ha dipinto in tre quadretti una nereide con un ventaglio in mano sedu-
ta sopra un delfino che si vede di spalle. Negli altri due, che mal si
raffigurano perchè molto danneggiati, sembra effigiato in uno Ciparisso
poiché ha una cerva a' suoi piedi , nell' altro appena si ravvisano
«lue figure. Quattro altri quadrettini, ne' quali in campo nero sono
effigiati gemetti con animali, fiancheggiano i due quadri di sopra de-
scritti , mentre quello clic occupa il centro della parete dirimpetto la
porta ha a' suoi lati due fauni danzatiti, uno con un cestello di f rutti
in ispalla e un capretto nella scnistra , 1' altro con un vaso di argento
sull' omero sinistro ad un pedo o bastone pastorale nella man destra.
Nel compartimento supcriore si veggono sei getiietti , una citarista
seduta , ed una donna in atto di andare a ministrare ad un sacrifizi
portando una cesta di offerte in una mano , ed una lepre nell' altra.
La terza figura muliebre scemata ha in testa la pelle di un teschio
di elefante con la proboscide eretta sulla sua fronte ed una chimera
a' piedi ; questa figura simboleggia forse una provincia. Tutte e tre
queste figure riposano sopra tre piedistalli in due de' quali sono dipinti
due paesi ( topiaria opera ), nell' altro di fronte alcuni pesci.
Nelle pittine della stanza N." io sparlile nell' istesso modo delle
altre precedentemente descritte sono rimarchevoli tre quadretti. In quello
dirimpetto la porta è espresso un Pane Ithofallo che con atto inve-
recondo solleva il pallio di una baccante addormentata. In quello a
destra è a sponda di un' acqua una Ninfa che pare in atto di ammaestrare
al nuoto due amorini che in quell'acqua si vedono immersi ; dico pare,
perchè questo quadretto è molto guastato. Nel terzo quadro è dipinto
un Narciso con due dardi in mano che dritto in piedi si china a
riguardarsi nelle onde per lui fatali, ed un amorino che rovescia una
face quasi a presagire il doloroso fine di quel vano e leggiadro garzone:
questo quadro ora distaccato è stato trasportato nel real Museo.
Appariscono nel compartimento superiore maschere e genietti, una
citarista seduta, una sacerdotessa che scoperchiando un' acerra di
oro è nell' atto di mettervi l'incenso , e due altre figure appena visibili.
Sarebbe difficile determinare a qual uso servisse il piccolo incavo che
si vede in un angolo di questa stanza , dipinto anche esso come la
camera , e dove si scorge un gemello che tiene un tirso ed un riton
nelle mani. Nella parte superiore di della camera le dipinture sono
talmente guaste che appena si distinguono.
La stanza N." n anche essa dipinta come le precedenti ha nel
compartimento superiore la Vittoria da noi pubblicata nella tavo-
la XLV di questo stesso volume , la «juale ha base sopra un
quadretto di paese esprìmente il corso di un fiume , ed è fiancheg-
giata da due genielti muliebri tunicati con ali di farfalla. Nelle
pareli lalerali souo i due quadretti di animali descrìtti nella tavo-
la XLIV di questo medesimo volume. Sopra di essi stanno su due
globi due baccanti , una con un tirso in mano, l'alita veduta di spalle
che suona un cembalo , fiancheggiate da quattro genietti volanti. Nel
compartimento di basso sono rimarchevoli selle pitture, quattro rotonde
e tre quadrate ; nelle tre quadrale si vede in quella a destra rappre-
sentato il rozzo Polifemo monoculo che siede a sponda di mare coronalo
di palustri canne , tenendo in una mano un pedo e stendendo 1' altra
a ricevere una lettera che gli porge un gentile amorino cavalcante uà
delfino. Questo subietto più volte rinvenuto in ti colano e Pompei
doveva essere la copia di un quadro molto famigerato nell' antica
pittura. Nel quadro dirimpetto la porla mancante di una figura è espressa
una ninfa seduta in attitudine di pescare con altra donna alata vicino
ad essa che tiene un ramoscello di ulivo in una mano. Nel terzo quadretto
è dipinto il caso di Elle quando dal montone cade nel mare , cui
Frisso stende invano la mano per ajularla. Questo quadretto è stato
pure distaccato , ed è nella collezione del real Museo Borbonico.
De' quattro tondi due fiancheggiano il quadro che sta dirimpetto
la porla , gli altri due sono uno da un lato 1' altro dal lato opposto
della porla istessa. Ne' due dirimpetto la porta sono dipinti i busti di
Marie e Venere che si riguardano. La testa di Marte è galeata, e si vede
1' estremila del suo scudo d' oro che gli cuopre la spalla sinistra. Venere
7
è rappresentata con diadema in fronte, ed un amorino a lato che stendendo
un braccio e in atto di porgerle un ventaglio o flabello in forma di
foglia, come lo abbiamo trovato tanti; volle dipinto nelle pitture erco-
lanesi e pompeiane. L due tondi clic fiancheggiano la porta , dipinti a
miro di questi , rappresentano le teste di Giove e di Giunone.
Rientrando nel cortile toscano di questa casa si veggono le due
ale marcate col N." 12; quella alla dritta dell'uomo che entra nel cortile
è in questo modo dipinta. Sopra un zoccolo come se fosse di marmo
bianco leggermente venato gira una lascia rossa ornala di ippocampi,
delfini, e mostri marini. Nel compartimento supcriore nel quale domina
il fondo giallo erano cinque quadretti tulli distaccati e trasportati nella
collezione del real Museo, due de'quali rappresentavano due poeti dram-
matici, uno nell'atto di ammaestrare un attore. Questa ala che si alzava
con uno scalino marmoreo sul pavimento dell'atrio aveva in terra un mu-
saico bianco e nero a varie riquadrature. L'altra ala a riscontro di que-
sta è cosi dipinta. Un zoccolo rosso con uccelli e fogliami , su di esso
architetture grottesche dipinte sopra fondo giallo, in mezzo alle quali
due quadretti, uno rappresentante una scena di commedia, in cui vedesi
una vecchia con maschera comica ed il pedo nella mano sinistra , la
quale alza la destra in atto di voler trattenere un' attrice che parte.
L' altro quadro in cui si scorgono appena tre figure, due di bambini
ed un' altra virile, potrebbe rappresentare una scena tragica de' figli di
Medea col Pedagogo. La parte alta di questa ala è molto danneggiata,
ed il suo pavimento è del genere detto opus signinum (1), cioè un
impasto di calce con frantumi di vasi di creta, arrotato poi e spianato
con pezzetti di marmi qua e là in esso incassati.
(1) Plin. lib. XXXV. 12, /t6. Quid non eicogitavit ars? Fractis etiam testis
utendosic, ut firmius durent tusis calce addita, quae vocant lignina. Quj genere
etiam [lavirneula exeogitavit.
+
8
I) tablino N." i3, che pure si solleva con uno scalino di marmo
sul pavimento dell' atrio, ha in prospetto il giardinetto di fiori N.° 23
col fonte N.° 24 che descriveremo a suo luogo , i quali dovevano col
loro aspetto ridente e svariato rallegrare la dimora in questa stanza.
I due quadri che ornavano il centro de' due muri che lo fiancheggiano
si sono trovati dislaccati dagli antichi istessi, evi erano stati trasportati
da altre pareti, come quelli del triclinio N.° 14 che in appresso descri-
veremo. Su questi muri, diligentemente dipinti lino agli orli delle pitture
che in essi erano incassale, vi si vede chiara la impronta della cassa di
legno che sosteneva l' intonaco di queste pitture con le sbarre orizzontali
su cui erano inchiodate le tavole verticali, delle quali era detta cassa
formata. 1 medesimi bisogni suggeriscono soventi volte le istesse idee.
Una prova ne è che non solo gli antichi conoscevano questa industria
del distaccare e trasportare da un muro all'altro le pitture delle tonache,
ma ciò che è più si servivano degli stessi metodi che usiamo noi, poiché
ne tagliavano gli orli e le racchiudevano in casse di legno, come ci han
lascialo scritto Vitruvio ( Lib. 11 cap. Vili) e Plinio ( Hist. lib. XXXV
cap. 49). Il pavimento di questo tablino ha nel centro una riquadratura
commessa di vari marmi , come alabastro , serpentino , giallo antico e
altri, scompartita in vari disegni, ed è larga palmi 7 e 2/10 in quadro
circondata da un meandro di musaico bianco e nero. Le due pareti di
questo tablino, nel cui centro mancano i quadri levati via dagli antichi
istessi , sono gentilmente dipinte con architetture grottesche sopra un
fondo giallo. Il zoccolo che gira attorno a questi muri è dipinto a mar-
mo verdastro.
Questo tablino aveva il lacunare o soffitto lavorato a cassettoni
con rosoni indorati, i cui frammenti si sono rinvenuti in gran copia nelle
macerie dello scavo.
Fra le più belle pitture che si siano rinvenute negli scavi pompeiani
ed ercolanesi sono certamente quelle che adornavano il sontuoso tricli-
ino di qw egnalo col N.' 14. Queste piiiurc consistono in ire
madri con figure grandi al vero, fiancheggiati da sui piccoli quadrettini
ove sono espressi gemelli in picciola dimensione. Siccome questi dipinti
per la loro importanza meriteranno un distino posto in questa opera, cosi
saremo contenti a parlarne qui succintamente e per modo generali', senza
inoltrarci nella loro speciale illustrazione. E prima di tutto avvertiremo
1 una singolarità materiale di questi dipinti, e questa si è, di essere slati
tutti tagliali da altro luogo, e trasportati ed incassati ne' muri di questo
triclinio con artifizio meraviglioso , del quale non abbiamo ne' nostri
tempi né esempio nò norma. E di ciò abbiamo avuto luogo a convincerci
avendo ravvisato attorno a questi quadri un distacco a fenditura capillare,
nella quale entrava a stento una lama di temperino, ma ciò non pertanto
perfèttamente distaccata dallo intonaco circostante. Quello che ha fissato
il nostro convincimento su questo fatto straordinario dell' antica mecca-
nica si è stato primieramente il paragone della malta o composizione
di cemento de' due intonachi , di quello cioè de' muri e di quello dei
quadri che abbiamo trovato diversissimi 1' uno dall' altro.
i tre grandi quadri rappresentano secondo noi, uno Ercole iniziato
a' misteri Jacco Eleusini , 1' altro una Theogonia , o rappresentanza
ricordevole della nascita di Bacco, poiché si vede sopra un carro trionfale
il balio Sileno col pargoletto Bacco nelle braccia circondato da fauni
e baccanti di ambo i sessi : questi due quadri si sono distaccati per far
parte della collezione del real Museo. Nel terzo che rimane ancora
al suo posto è espresso Bacco trionfatore delle Indie, cinto di trofei con i
duci vinti incatenati avanti i suoi piedi , e una Vittoria che nota sopra
uno scudo le vittorie di Bacco. Questi gran quadri come anche gli otto
piccoli esprimenti genietti erano incassati in grottesche vaghissimamente
dipinte sopra fondo tinto del più vivace cinabro , in nulla inferiore al
più bello che adesso somministra alla pittura il Celeste Impero. Questa
tinta brillantissima allorquando si scava percossa da' raggi del sole
10
perde tutto il suo brio , e cangiasi in nero. 11 pavimento di questa
camera è di musaico bianco e nero lavorato diagonalmente in una greca
che s' intreccia nel modo medesimo di quella che da tanti anni si
ammira nell' atrio della casa pompeiana detta del cignale.
Nello scavare questo triclinio si rinvennero attorno di esso le tracce
di un ricco sedile che lo circondava in tre lati a modo di divano.
Questo sedile era poggiato sopra otto piedi di legno tornito rivestili da
laminelte di argento con anima di ferro nel mezzo fissata nel pavimento.
Questa stanza prendeva luce da tre finestre, due aperte nell'alto e sporgenti
su i letti delle adiacenti botteghe , e la terza che godeva del prospetto
e de' profumi del giardinetto N." 23, poiché aveva il suo parapetto a
livello di esso. Due eran le porle che introducevano in questa orna-
tissima camera destinata certamente ad feslas dctpe.s, a' conviti festivi
del pompeiano che in questa bella casa abitava ; una di queste porle
grande e diremmo noi di parata aperta nell' ala N.° 12, l'altra piccola
sporgente sull'atrio, forse destinata agl'inservienti a' banchetti che
s' imbandivano in questa nobile stanza.
Lasciando questa parte dignitosa di questa casa entriamo nelle più.
modeste , ma non men necessarie stanze di essa, e vedremo che il N.°
i5 segna una stanza disadorna the è il procoeton o 1' anticamera del-
l'agiamento N.u 16, in cui due simultaneamente potevano sedere, come
rilevasi dal doppio seditore che in esso apparisce.
Da questa stanza si entrava pure nella cucina N." 17 e nella
dispensa N.° 18 che aveva una finestra di comunicazione con la cucina.
Nella cucina si vede chiaro il focolaio col suo piccolo forno , il gettatore
ossia foce della cloaca dove dalla tavola sovrapposta scolavano Je
acque con le quali si purgavano le stoviglie che servivano alla mensa.
Il N.° 19 marca una stanza forse destinala a dimora di qualche
inserviente di questa casa. Contrassegna il N.° 20 la scala che conduceva
alle stanze nobili del piano superiore di questa casa. Questa scala, che
Il
«lagli incavi che si M'armo ne' lati do' tuoi scalini e da qualche frani»
mento rinvenuto siamo certi essere stata rivestita <Ji marmo , ha i suoi
muri dipinti di rosso nella parte inferiore, «li bianco nella superiore.
Prendeva luce ila una finestra aperta sull'atrio, e serviva «li faucc o
corridore al contiguo lablino N.° i3. Nel pianerottolo sulla parte inferiore
in campo rosso sono dipinte Le maschere descritte alla tavola XL1V di
.[ mvsto stesso volume, e due altre maschere inulto corrose, vicino ad una
delle <|uali ò un cignale e elle potrebbe dirsi «li Meleagro , e all'altra
un bicchiere d' oro con serpente che lo circonda che potrebbe attribuirsi
ni Igia. Le pitture che ne ornano la parte superiore consistono in grolte-
sche di una gran semplicità , (Va cui sono tramezzale mascherette ed
uccelli. 11 procoeton o anticamera N." 21 è dipinta con molla vaghezza a
varie grottesche su fondo gialli) con sfondi bianchi, e vi sono rimarchevoli
molto guasti due quadri, uno di paese mezzo distrutto, 1' altro dove si
travedono due figure appena distinguibili. Sonovi anche dipinti cinque
gemetti con simboli guerrieri che potrebbero dirsi geni di Marte.
Questa stanza prendeva luce da una finestra sporgente sul giardino
e dava ingresso all' altra lesa di scala che saliva alle parli superiori
della casa. Le imposte de' travi che ne sostenevano il soffitto sono a nove
palmi dal suo pavimento che era di opus signinum come quello del
contiguo corridoio, nel cui recesso N.° 22, dipinto a grottesche su fondo
bianco, sono le tavolette, lo stilo, il raschiatore, il calamaro e la lettera
su cui si è lelto da molti
MARCO ■ LVCRETIO • FLAMINI MART1S ■ DECVRIONI • POMPEI-
A Marco Lucrezio Sacerdote di Marte Decurione in Pompei.
Iscrizione che ha dalo il nome e questa casa , e alla cui inlerpetrazione ,
sebbene non nostra , noi pienamente acconsentiamo.
Passiamo ora a descrivere la flora o giardinetto N.° 23 molto
1
industriosamente collocato pe' riscontri che ha colle principali stanze
di questa casa, che con la sua amena veduta , con le chiare acque della
sua fonte , e con i profumi de' suoi fiori era iDteso a rallegrare. Nel
fronte di questo giardino dentro una nicchia della forma di un' edicola
semicircolare tutta lavorata di mosaico con conchiglie evvi un ornato che
risalta sopra un fondo turchino di fogliami e canne palustri. Dentro la
nicchia è una statuetta di Sileno che si appoggia ad un tronco di albero
alla pai. 2 7/10 scolpita in marmo pentelico con nebride ad armacollo,
sostenente col braccio sinistro un otre, dalla cui bocca grondava 1' acqua
che scendendo in cinque veli da cinque scalini si raccoglieva in un
canaletto N.° 24, mediante il quale si versava nel baciletto rotondo, dal
cui centro un zampillo scaturiva mormorando ad animare questa fontana.
Due condotti di piombo con la lor chiave di bronzo tuttavia in opera
portavano l'acqua a volontà di chi gli apriva e chiudeva, uno alla bocca
dell' otre del Sileno , l' altro al zampillo del centro della flora. Non è da
tacersi che sul pilastro, il quale sovrasta alle chiavi dell'acqua, è con un
chiodo graffito un laberinto che qui pubblichiamo alla tavola a. in
fine di questo volume. Due ermette bicipiti fiancheggiano la edicola
del fonte esprimenti una Bacco ed Arianna 1' altra un Fauno ed una Fau-
na. Due altre erme bicipiti sono al fronte della flora verso la bocca del
tablino esprimenti ambedue Bacco. Indiano ed Arianna. Attorno al bacile
in mezzo a' fiori erano qua e là disposti come si vede nella pianta diversi
animali di marmo cioè un'oca, un cavallo, una vacca, due ibis, tre conigli
e due delfini che addentano due polipi con due amorini su di essi saliti,
in atto di essere così liberali dalle branchie di quei voraci animali con
1' aita di quei due pesci, cui 1' antichità attribuiva una gran simpatia pel
genere umano. Di questo stesso subietto si è rinvenuto in Pompei un
ceriolario o lucerniere di bronzo di stupendo lavoro che illustra il
nostro Segretario perpetuo Coniai. Quaranta , e nella cui rappresentanza
ravvisa il simbolo della forza benefica che prevale sulla forza malefica.
Un altro gruppetto di un Pane barbuto, cui un giovine faunetto toglie
una molesta spina dal piede caprigno. Finalmente una statuetta di un
Fauno in alio di riguardare verso il sole facendosi riparo con Ja man
destra da' suoi raggi , alla palmi a e 8 decimi , ed un' altra erma di un
Fauno scolpilo a mezza figura che ha raccolto nella nebride un capreltino:
che la capra sua genitrice alzandosi sulle gambe di dietro è in atto
di reclamale belando. 11 fauno tiene una fistola nella destra. QueSK
gruppetto è allo palmi 3 e 4 decimi. Lungo sarebbe il descrivere tutte
le convenienze ed avvertenze per lo scolo libero e fluente delle acque
acciò non avessero danneggiato le camere circostanti. Cosi questa vaga
fioriera era collocata in modo tanto industrioso da essere in riscontro
con le principali stanze della casa, fra le quali l'Eco o Esedra N.° 25
che si apriva sul fianco di esso giardino. Questa camera una delle più
grandi della casa ( Oeco o Exedra che fosse ) era tutta dipinta con
graziosissime grottesche su fondo bianco fra cui gemetti, baccanti, can-
delabri, uccelli e varie altre simili vaghezze si compongono in un in-
sieme vario e grazioso al di là di ogni descrizione. Fra i genietti che
vi si ammirano ve ne sono sei che vendemmiano, e sei altri che a mo-
do de' nostri fanciullini fanno il gioco , come essi dicono, della ceca-
Iella, con differenza da quello de' nostri fanciulli, che il bambino ben-
dato è attaccato con una corda ad un chiodo piantato in terra acciò
nel suo cammino sia circoscritto , e gli altri cinque lo tormentino con
bastoni, con gridi e simili strazi infantili, senza che al paziente sia dato
agio di prenderli al di là del raggio limitato dalla corda che lo lega.
11 pavimento di questa bella esedra è di mosaico bianco ed aveva
nel centro in una riquadratura cinta di un meandro nero forse un quadro
di musaico che non si è trovato, e che o è stato portato via dagli an-
tichi stessi , o non era ancora slato collocato quando l'eruzione cuopri
questa bella casa. Per la scala N.° 26 si scendeva a una stanza sotter-
ranea la di cui porta è murata dagli antichi isless'. 11 corridoio se-
gnato di N.° 3o ha zoccolo giallo , fondi rossi oon animali ; il suo pa-
vimento è di lapillo vulcanico con pezzetti di Marmo bianco incassati
U
dentro di esso. Questo pavimento è lavorato nel modo medesimo dei
lastrici che cuoprono quasi tutte le case di Napoli. La stanza N." 27
è disadorna e forse una guardaroba o dispensa. La stanza N.° 28 sem-
bra un cubicolo o stanza aggregata dell' altro cubicolo più grande
N.° 29. È dipinta con fondo giallo in cui erano tre quadretti ora per-
duti fiancheggiati da amorini , ed aveva nella parte superiore in un
fregio bianco varie figurine in mezzo a grottesche. Fra queste figure
si veggono un fauno con un pedo in una mano e il calamo nell'altra,
e una donna con una cesta di fiori e frutta. 11 pavimento è di opera
signina con pezzetti di marmo.
IL cubicolo N.11 29 che si apre dietro il giardinetto era nella parte
anteriore decorato di pitture , ed in quella ove doveva esser collo-
cato il letto adorno di tappezzerie. Poiché in quella parte di questa
stanza si veggono interrotte le pitture e ricoperti i muri di semplice
intonaco bianco. Queste tappezzerie è noto essere state molto in uso
nell'antichità, e dicevansi aulaea da' Latini, peripetasmata da'Greci, ed
erano qualche volta figurate e tessute con oro come quelle che Vene
al dire di Cicerone involò in Sicilia. La parte dipinta di questa ca-
mera ha compartimenti di grottesche su' fondi vicendevolmente rossi,
gialli e bianchi con zoccolo nero. In essi erano due quadretti, uno dei
quali rappresentava Apollo e Dafne con quattro busti di divinità fian-
cheggianti i delti quadri, due muliebri che non hanno distintivi di
divinità , ed uno virile nel quale sembra espressa una testa di Bacco
dal tirso che tiene ; il quarto è perduto.
11 N.° 3o segna un corridoio sul quale si aprono le stanze sopra
descritte , e le mette in comunicazione fra loro senza disturbarne l'uso.
Questo corridoio ha un zoccolo rosso alto palmi sei e mezzo sul quale
si veggono dipinti candelabri grotteschi sopra fondi bianchi adorni di
frondi. La stanza N.° 01 è una camera che mette in comunicazione la
casa principale con la contigua casetta che secondo me era la fora-
i5
iteria ( hoapitalia ) <l, questo pompeiano palaxielto. Poiché ripeterò
quello da me altra volla detto sulle tracce di Vitruvio (i), che gli
antichi Greci ne' tempi della loro più grande opulenza e squisitezza
di civiltà ricevevano il primo giorno gli ospiti nella casa comune, e
ne' giorni consecutivi a.sscgnavaii loro una casetta contigua alla loro,
acciò i padri di famiglia potessero viverci a loro agio e senza essere
incomodati dalla presenza de' padroni di casa, e quasi si credessero
in casa propria, mandando loro tutte le provvisioni e tutto ciò che era
necessario alla loro agiata dimora. Questo costume de' Greci mi pare
fosse frequentemente seguitato da' ricchi pompeiani, mentre nelle grandi
case pompeiane sono frequentissimi gli esempi di queste casette ag-
giunte, picciole ed eleganti, che non potevan secondo me servire ad al-
tro uso. In questa camera era una scaletta che saliva alle parti le più
elevate della casa istessa che adesso sono perdute alle nostre ricerche.
Il N.° 32 segna il tablino della foresteria chiuso con due tendali
e dove si apre sul picciolo atrio N.° 35, e dove comunica colla camera
N.° 3i. Questo tablino è gentilmente dipinto ne' suoi due muri in tre
compartimenti orizzontali adorni di grottesche, cioè zoccolo nero , parte
media rossa e gialla, e fregio bianco, fra le quali grottesche si distin-
guono tre amorini volanti, uno con frutti, 1' altro con un vase ed un
tirso , il terzo con una lira. In questo tablino si rinvenne una biga
con molli ornamenti di bronzo, ora nel real Museo.
Il N.° 33 indica la fauce o corridoio che fiancheggia tutti i ta-
blini delle case pompeiane, disadorno e semplicemente intonacato.
Il IN." 34 pare un cubicolo, essendoci l'incavo del letto con zoccolo
giallo liscio alto palmi 6 e mezzo, e fregio bianco adorno di grottesche.
11 N." 35 segna l'atrio toscano di questa foresteria col suo picciolo
compluvio nel centro. È decorato di graziose grottesche. Ha un zoccolo
nero che lo circonda , su del quale i suoi muri sono dipinti in com-
(ì) Lib. VI. cap. io.
partimenli rossi e neri. Nel centro della parete che è alla sinistra del-
l'uomo che entra in questo atrio dal lato del vicoletto sul quale spor-
ge F ingresso di questa casetta , si veggono i resti di un quadro , la
cui rappresentanza non può indagarsi, perchè non resta che la parte
bassa, nella quale non si veggono che le gambe de' cinque personaggi
che formavano la composizione di questa pittura. Nella opposta parete
sono due grandi incavi che sembrano aver servito a due armari. La
stanza N.° 36 che riceve lume dalla sua porta che si apre sull' atrio
ha pure una piccola finestra sporgente sul vicoletto. E rivestita di
stucco bianco con parche e semplici riquadrature lineate con rosso e
con verde. Era questa forse la stanza dell' atriense che custodiva questa
foresteria. La stanza N.°37, che riceve l'aria e la luce come la pre-
cedente, ha un zoccolo giallo alto i3 palmi, con candelabri qua e là
distribuiti che lo dividono in vari compartimenti , nel mezzo a' quali
stanno in sei dischi campiti di rosso sei teste appena visibili , due
amorini volanti , ed un quadretto istorialo totalmente perduto. La par-
te superiore di questa camera ha sopra stucco bianco in una specie di
fregio dipinti con spiritosa impetuosità vari animali bellissimi , fra i
quali due cervi e due pantere. L'adito o protiro N.° 38, che sporge sul
vicolo che rade questa casa dal lato di settentrione , ha un zoccolo
nero sul quale varie riquadrature dipinte sopra fondo bianco. La porla
esterna di questa foresteria era adorna di due pilastrini rivestili di
stucco rosso.
Tornando adesso alla facciata di questa casa entriamo nella
bottega N.° 3g che ha un picciolo stanzino vicino ad essa segnato
col N.° 40. Questa bottega ha il pavimento di opera signina con pic-
cioli frammenti di marmo irregolari di forma , incastrali in esso pa-
vimento. La piccola scala che vi si vede saliva alle camere superiori
di detta bottega , ove abitava il pompeiano che in essa esercitava il
suo tenue commercio.
'7
Il IV" 41 legna il protira 0 «dito 'li una casetta a due pioni che
prendeva luce dal piccolo peristilio IN." 46 Questo adito ha il pavi-
mento di musaico nero e bianco lavorato a squame. Nella più grande
(tanta di questa casetta N.° 44 si vedono tre fornelli atti ad una qual-
che manifattura) forse ad una tintoria , se si vuol trarre questa con-
fettura dalle molle botteghe in vicinanza di questa casa , ove si fab-
bricavano e si vendevano colori. Questa stanza ha una gran finestra
aperta incontro i fornelli d' onde traea l'aria e la luce. Le sue pareti
sono dipinte in compartimenti rossi e bianchi. La stanzetta segnata
N.° 45 è dipinta a grottesche su fondo bianco, con elegante sempli-
cità , fra le quali grottesche si vedono cinque paesetti. 11 peristilio
N.° 46 è ricoperto di stucco lavorato a bugne con cinque pilastri e
una piccola nicchia destinata al culto delle divinità che racchiudeva,
in numero di cinque statuette di bronzo che si rinvennero nel luogo
medesimo dove furono per l' ultima volta invocale dalla famiglia
pompeiana loro devota , e che fu costretta abbandonarle con la casa
che avrebber dovuto proteggere per la sovrastante eruzione. Eccone
la descrizione :
i.° Figura muliebre velala che ha nella sinistra il cornucopia e
nella dritta una patera , alta compresa la base 7/Ì0.
2.0 Ercole col vello del leone e la clava , alto con la base 5/ìo.
3.° Giove coronato di alloro, il fulmine nella dritta j a' piedi
ha 1' aquila , e colla sinistra si appoggia allo scettro , alto 9/10.
4.0 Figura virile barbata e laureata , con la sinistra alzata e
una patera nella destra , alta 3/ìo.
5.° Un' Iside o Fortuna, la quale ha nella dritta il timone, nella
sinistra il corno dell' abbondanza, e il fior di loto in fronte , alta <j/io.
Sotto questa nicchia sono dipinti i soliti due serpenti, e nella parte
superiore due Camilli col consueto riton nelle mani in atto di sacri-
ficare. La stanza sporgente sul detto peristilio N.° 47 ha il pavimento
**
18
di opera signina , ed è dipinta di color rosso , con due istorie nel
centro delle pareti rappresentate in due quadri , ne' quali le figure
sono quasi accessorie del paese in cui sono espresse. Noi chiameremmo
queste dipinture paesi istorici ( topiaria opera ). In una di esse vedesi
Andromeda legata ad uno scoglio , incurvato a specchio del mare ,
con Perseo che accorre alla sua difesa , ed una figura che dalla parte
superiore dello scoglio ove sta legata Andromeda è in atto con lo
scagliare di un sasso sul mostro marino di volere ajutare 1' audace
impresa di Perseo. Neil' altro quadro si vede in una campagna Paride
seduto vicino alla base di un'alta colonna , che sopporta un' urna,
e che forse indica un monumento sepolcrale. Mercurio sta vicino a
Paride, ed accenna le tre Dee , che si veggono in lontano sulle falde
del monte Ida , come se ivi aspettassero di essere da lui giudicate.
Il N.° 48 segna una grande stanza , probabilmente un cubicolo,
poiché vi si vedono due incavi che ad altro non sembrano aver po-
tuto servire , che al capezzale di due letti. Questa camera ha il
pavimento di opera signina con alcuni musaici. I suoi muri dipinli
con semplicità hanno un zoccolo nero alto oltre i 10 palmi , ed un
fregio bianco con animali e grottesche ora appena distinguibili.
11 N." 49 segna una scala che saliva al piano superiore di questa
casa , e la fauce o corridoio per la quale si penetra nelle tre came-
rette 5o, 5i, 52. La camera N.° 5i era un agiamento , quella N.° 52
una cucina , e la stanza N." 5o era 1' anticamera delle due precedenti.
Questa picciola casetta è una nuova pruova dell' uso generale degli
ornamenti presso i Pompeiani , poiché non vi è casa per meschina
che sia che ne sia priva. Il N.° 53 indica 1' adito di una modesta ca-
scttina che aveva ingresso dal vicolo. Il suo cortile N.° 54 , nel
quale vedesi un fornello ove fu trovata una caldaia di rame ,
doveva essere in parte scoperto. 11 N.° 57 segna una grande stanza
disadorna , senza essere nemmeno rivestita d' intonaco. Le due carne-
'9
rette N." 55 e 56 erano forse due cubicoli , ambedue prendevano
Iure da due piccioli: finestre aperte sul vicolo all' altezza di 7
palmi ; in una di queste si è trovata la inferriata che la chiudeva,
che è tuttavia in opera : ncll' altra , che è la più adorna di questa
modesta abitazione, sonovi dipinte grottesche sopra stucco bianco
con uccelli e vari altri semplici ornati. Le iscrizioni che si sono
trovale segnale sulla facciata di questa casa sono le seguenti.
Sul primo pilastro che sta alla dritta dell' uomo che entra in
questa casa
GN • HELV1VMSABINVM •
AED-O'V'/'
(>_CALVENTIVM ■ S1TTIVM-
11 VR-1 D V-BONI VICVLA ■
cioè : Gneum. Helvium. Sabinum. Aedilem. Orat. Ut. Faciatis. Caium.
Calventium. Sitlium. Duumvirum. Iure. Dicundo. Viri. Boni. Vicula.
La quale iscrizione voltata nelP italiana favella verrebbe a dire,
che Vicula prega che sia fatto Edile Gneo Elvio Sabino, e Duumviro
e Giudice Caio Calvenzio Sizio uomini dabbene.
Sul secondo pilastro è ripetuta in parie la prima iscrizione come
segue :
GN • HELV1VM • SABINVM ■
aed • o • vy
Sul terzo pilastro
POSTVMIVM • M • HOLCONIVM •
Ai. PRISCVM^CT-
CASELLIVM • POSTVMIVM • PROCVLVM.
AED-
20
Sul quinto pilastro
M • HOLCONIVM-
PRISCVMAEDO^
AVETTIVM CAPRASIVM •
C • IVLIVM POLYBIVM • Il • VIR STVDIOSVS ET PISTOR -
In questa iscrizione i postulatori di Marco Olconio Prisco e Aulo
Vezzio Caprasio per 1' Edilità , e di Caio Giulio Polibio pel Duumvi-
rato sono uno studioso ed un fornaio e mugnaio , giacché il Pktor
era presso gli antichi 1' operaio che esercitava i due mestieri di mu-
gnaio e fornaio che non erano giammai disgiunti.
Sul sesto pilastro
M HOLCONIVM JD Or rogat-
SABINVS-
In quest' altra iscrizione è un Sabino che chiede 1' elezione alla
Edilità pompeiana di Marco Olconio.
Sul settimo pilastro
CASELL1VM-
Su queste iscrizioni riguardanti 1' elezione delle magistrature mu-
nicipali di Pompei, che sono le più numerose e le più frequenti, di-
scorreremo alcune idee già da molti anni da noi avventurate e det-
tateci dalla lunga esperienza che abbiamo di queste scavazioni.
L1 amministrazione municipale di Pompei, come altre volte abbìam
detto, affacciandosi nelle sue principali torme e funzioni con quella
Jl
di Roma perche di comune origini: , pare da non dubitare , chi li
elezioni de' suoi magistrati municipali si facessero a voto di popolo ,
i similitudine de' Comizi clic presso i Romani eleggevano le autorità.
Ciò posto coloro clic a questo e a quel personaggio davano il loro
voto , o facevano le loro brighe perchè fosse eletto , esternavano
questo loro atto e desiderio scrivendolo su' muri delle strade pom-
peiane , e ciò per invogliare gli altri a seguire il loro esempio , col
magnificare e predicare le buone qualità di quel personaggio , e per
la] modo attaccarselo anche di gratitudine con queste manifestazioni
che indicavano avergli dato il loro suffragio. Tanto più che il rogare
che quasi sempre s' incontra in queste iscrizioni è termine indicativo di
elezione, come leges magistratusque rogare; e la elezione de' magi-
strati ne' Comizi si esprimeva eziandio con le voci fieri e rogare, ed
in questo caso le sigle O. V. F. sarebbero da interpetrarsi orai utfa-
ciatis, interpetrazione che viene mirabilmente confermata da una iscri-
zione della via nolana pubblicata dal Cav. Avellino, nella quale le
iniziali O. V. F. vi si leggono per esteso orat. ut. faciatis, ed il rogat
vorrebbe significare la designazione di quel personaggio a quel magi-
strato. Né con ciò vogliam dire che queste iscrizioni potessero tener
luogo di tabelle , ma che fossero piuttosto un mezzo , onde far cono-
scere i suffragi prima dell' elezioni , e fare mediante esse partito e
suffragi a quei personaggi de' quali si dichiaravano postulatori, roga-
tores , quelli che le facevano scrivere.
Per lasciare ora di parlare delle cose particolari di questo cava-
inento e passare alla generalità delle scavazioni , diremo come in questo
lasso di tempo si è scavata buona parte di una delle vie principali
della città di Pompei , che abbiamo chiamato via delle Sonatrici , la
quale divide in tutta la sua larghezza da settentrione a mezzogiorno,
partendo dalla porta detta del Vesuvio e scendendo verso il mare,
larga , maestosa e diritta a radere i Teatri, e traversare la porta sta-
22
biana. Forse la sola il cui nome è dichiarato non solo dalla sua postura,
rna anche da una iscrizione osca , prezioso monumento avanti essa
rinvenuto. Su questa iscrizione i nostri dotti colleghi Commendator
Quaranta , D. Giulio Minervini e Padre Garrucci hanno fatto dotte ed
elaborate memorie , alle quali essendo di pubblica ragione rimandiamo
la curiosità de' nostri lettori.
Sopra il pilastro di una bottega contigua alla porta nolana si è
trovata questa iscrizione :
A CEIVMIIV I D
EPACATVS CITO
ROG-
Epacato prega che sia presto eletto Aulo Ceio Duumviro e Giudice :
iscrizione nuova pel cito, presto, che è la prima volta che mi vien
fatto di leggere in simili iscrizioni.
Si è anche rinvenuta in una bottega di droghiere , pigmentarii
laberna, nella via delle sonatrici una quantità di droghe e colori, fra
i quali alcuni pani di biacca con il marchio de' fabbricanti che suo-
nava Attiorum, degli Azii, dovendo questo essere stato il nome dei
fabbricanti di quelle droghe. Fra queste droghe erano degne di osser-
vazione otto qualità di colori diversi, tra i quali tre gradazioni di terra
paonazza e una massa di asfallo , e molto colore mescolato con gomma
mastice ; il che prova che era in uso presso gli antichi la tinta a
vernice che forse usavano sopra i legni esposti all' azione dell' umido.
Era anche singolare una quantità di luto fullonico , sostanza molto
simile al nostro sapone, e che stropicciata con acqua fra le mani De
ha tutte le proprietà di assorbire le lordure , ed ammorbidire la pelle.
È anche per la prima volta in questo periodo di tempo comparso un
frammento di tazza di una sostanza similissima alla nostra porcellana ,
33
e fu rinvenuto dictio la iterinone Oica «^i ♦- 1 1 ;• porta nolana nella pre-
tensa degli Accademici Ercolaneti
Si sta ora icavando bella <• ornalissima abitazione non lungi e
nel lato della strada delle Sonalrici dirimpetto a quello ove è situata
la descritta casa di Marco Lucrezio. Di tutte le cose rimarchevoli che
vi si rinvengono , non che della sua pianta faremo argomento della
relazione degli jeavi rhe accompagnerà il quindicesimo volume.
YfuaUetmo yBecni.
INDICE
PUR M A TER I K
DELLE TAVOLE
COMPRESE
IN QUESTO DEGIMOQUARTO VOLUME.
Architettura.
r EDUTyi prospettica della fonte della
casa di Marco Lucrezio Decurione
pompeiano - Tavola che forma il
frontispizio del volume.
Quattro musaici Tav. XIV
La cappella del Pontano XXVII
Capitelli e frammento in marmo gre-
chete XXXIX
Colonna mosaicata di Pompei XLVIII
Laberinto Tav . a
Pianta della casa del Decurione Mar-
co Lucrezio AeB
Pittura.
Dedalo e Pasifae - Dipinto pompeiano. I
Due Danzatrici - Idem II
Diana ed Endimione - Idem Ili
Il supplizio di Dir ce - Idem IV
Z»' Annunziata - Quadro XVI
Un Arcangelo circondato da vari An-
gioletti - Idem XVII
Pittura pompeiana XVIII
Diana ed Endimione - Affresco pom-
peiano XIX
Due pitture XX
Parete pompeiana XXI
Parete di Ercolano XXII
Deposizione di nostro Signore dalla
Croce - Quadro in tela XXX
Due antichi affreschi. XXXI
Dipinto pompeiano XXXII
Altro simile XXXIII
Dipinti pompeiani Tav . XLI V
fautori a - Affresco pompeiano XLV
Cacce - Dipinto pompeiano XLVI
Greco eroe su di una Quadriga - Mo-
nocromo pompeiano XLVIl
S C U L T U R A.
Il Toro farnese - Grande gruppo in
marmo Ve Vi
Bacco - Statua in marmo „ VII
Supposta Sibilla - Idem Vili
Preleso padre di Tra) ano- Idem IX
Supposto Ulisse - Bassorilievo in marmo. X
Bassorilievo in marmo XI
Supposti L. Cornelio Lentulo , Attilio
Regolo, Cicerone - Mezzi busti in
marmo XII
Supposto Enea con la famiglia- Basso-
rilievo in bronzo - Nobile Romana
con gli attributi dell'1 abbondanza -
Statuetta in bronzo XIII
Figurina muliebre , Venere - Statue di
marmo XXI 1 1
Venere - Statua di marmo Tav. XXIV
Il Colosso di Barletta - Statua imperia -
le di bronzo XXV
Venere accovacciata con Amore d" ap-
presso - Statua di marmo XXVI
Due bassorilievi in marmo greco XXXIV
Iside - Statua in marmo grechelto XXXV
Due Istrioni - Terra cotta XXXVII
Dante Alighieri - Busto in bronzo .... XLIX
Statua di marmo L
Mosco e Filosofo -Statuette in marmo. LI
Sileno ubbriaco - Bassorilievo in marmo. LII
Due Quadrupedi - Bronzi LUI
Venere e Baccante- Figurine di bronzo. LIV
Vasi volgarmente detta Etruschi.
Umetta Italo - greca - Vaso fittile XV
Cadmo - Vaso fittile di Puglia XX Vili
Tazza di Canino. XXIX
Vaso greco dipinto XLI a XLIII
Patera figurata - Terra cotta... LVI
U T E N S I L l.
Strumenti di Chirurgia- B ronzi. Tav. XXXVI
Lucerna - Terra colta XXXVIII
Cista mistica - Bronzo XL
JJue lucerne - Terra cotta verniciala . LV
N. B. Oltre alle descritte tavole trovasi in
fine del volume la relazione degli scavi di Pompei,
nella quale si parla della tavola a. e della tavo-
la A e B.
iwi UT S '
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K5 »
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