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Full text of "Real Museo borbonico"

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M    U   SE  O 


BORBONICO. 


VOLUME  DECLYIOQUARTO 


NAPOLI, 

DALLA    STAMPERIA    REALE. 

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N 

2150 

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FRONTISPIZIO. 


Appartiene  questa  gaia  veduta  alla  casa 
di  Marco  Lucrezio  Decurione  pompeiano 
elaboratamente  descritta  nella  relazione 
degli  scavi  posta  in  line  di  questo  volu- 
me. Nella  fronte  sta  una  nicchia  lavorata 
a  musaico  ed  ornata  di  diverse  conchiglie' 
con  entro  una  statuetta  marmorea  di 
Sileno  sostenente  col  braccio  sinistro  un 
otre,  donde  sgorgava  1'  acqua,  che  scen- 
dendo per  cinque  scalini  con  canaletto 
nel  mezzo  si  raccoglieva  nel  sottoposto 
bacino  :  dal  centro  di  questo  sorge  una 
doccia  dalla  quale  pollava  l'acqua  ani- 


matrice  della  fonte.  Due  erme  bicipiti  di 
marmo  fiancheggiano  l'edicola,  ed  intorno 
al  bacino  sono  qua  e  là  disposti  dieci  a- 
i limale tti  anch'essi  di  marmo,  e  tra  questi 
al  davanti  un  vivacissimo  gruppetto  di  un 
Pane  barbuto,  cui  un  piccol  Fauno  toglie 
una  spina  dal  piede.  Dal  lato  sinistro  del 
riguardante  stan  due  statuette  di  Fau- 
no, l'una  in  atto  di  guardare  verso  il 
sole,  facendosi  riparo  con  la  destra  dei 
suoi  ardenti  raggi ,  Y  altra  a  mezza  figura 
e  con  siringa  ha  raccolto  nella  nebride  un 
caprettino,  che  la  capra  sua  madre  par 
che  reclami  belando  ed  alzandosi  desi- 
derosa sulle  gambe  posteriori.  Chiudono 
la  composizione  due  lunghe  erme,  l'una 
a  destra  e  l'altra  a  sinistra,  esprimenti 
amendue  Bacco  Indiano  ed  Arianna. 


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VOL     XIV.    TAV.     I.  i 

Dedalo  e  Pasif ab  —  Dipinto  pompeiano* 

ItXeno  abbonente  che  in  generale  non  credesi  fu 
l'Arte  antica  dal  figurare  il  bestiale  amor  di    Pa- 
sifae  e  il  non  meno  infame  ministerio  che  Dedalo 
le  prestò.  Secondo  la  volgar  tradizione ,  alla  quale 
contrastò  appena  Luciano  ed  alcun  altro,  raccon- 
tarono 1'  avventura  e  Diodoro  di  Sicilia  ed  Apol- 
ludoro  ed  Igino  (1);  la  cantarono  più  volte  Proper- 
zio, Ovidio,  Virgilio;  nel  bronzo  e    nel  marmo  o 
sugi1  intonachi    la  istoriarono   scultori  e   dipintori. 
Nelle  porte  stesse  del  tempio  d1  Apolline  in  Cuma, 
siccome  leggiamo  nel  sesto  dell1  Eneide  ,  erano  effi- 
giati quegli  amori  nefandi  e  la  prole  biforme  che 
poi   ne   fu  conseguenza  e    memoria.  Veggonsi    tut- 
tora quelli  variamente  trattati  ne1  due   bassirilievi 
marmorei  del  palazzo  Spada  e  della  Villa  Borghe- 
se, illustrati  dal  Winkelmann.  In  pittura  a  fresco 
poi  per  ben  tre  volte  ricorse    lo  stesso   argomento 
nella  nostra  Pompei:  la  prima  nel  pilastro  di  una 
pubblica  via ,  e  propriamente  quella  in  Continua- 
ti) Diod.  lib.  4,  Apollod.  lib.  i5.  e.  i,  Igin.  far.  40. 

* 


a  VOL.    XIV.    TAV.     I. 

zione  della  seconda  fontana  ;  la  seconda  nella  casa 
di  Meleagro  ;  la  terza  in  quella  detta  della  gran 
caccia.  Così  guasto  era  il  primo  di  tai  dipinti  che 
non  si  attese  ad  illustrarlo  ;  mutilato  ancora  com- 
parve il  secondo ,  ma  fu  descritto  in  quest'  opera 
e  disegnato  nella  tavola  LV  del  volume  settimo. 
F.eco  alla  fine  il  terzo  ,  al  pari  del  precedente  com- 
posto di  tre  figure,  Pasifae,  Dedalo  e  la  lignea  gio- 
venca ,  ma  quasi  intero  del  tutto  e  tale  da  servir 
come  all'altro  di  complemento. 

Vedesi  qui  ancora  la  regina  assisa ,  e  l' arte- 
fice in  pie  e  presentante  l' opera  sua ,  cioè  la  falsa 
vacca ,  nel  cui  dorso   è   praticata  l' apertura   col 
suo  coperchio ,  e   la  quale   poggia   sopra    tavolato 
scorrente  mercè  quattro  rotelle  ;  accessori  tutti  co- 
muni   ai  due  affreschi  ;  e  l' ultimo   artificio    delle 
rotelline,  mentovato  da  Apollodoro,    non  fu   ob- 
bliato  nemmen  dall'autore  del  bassorilievo  borghe- 
siano.  Il  luogo  della  scena  che  nella  precedente  pit- 
tura non  iscorgevasi ,  viene  in  questa  chiaramente 
significato:  è  innanzi  al  peristilio  della  reggia,  del 
quale   veggonsi    quattro   doriche    colonne   che  ne 
sostengono  il  frontispizio.  Sotto  un  albero  brullo , 
secco  e  bistorto,  siede  la  moglie  di  Minosse  in  ma- 


VOL     XI V.    TAV.    I.  3 

gnifica  sedia  d'  avorio  a  bracciuoli  riccamente  in- 
tagliata e  sulla  quale  è  gettato  un  panno  di  color 
verde.  Ella  è  regalmente  vestita  con  tunica  pao- 
nazzina  e  manto  giallo  foderato  di  cilestro  ;  tiene 
in  ima  mano  aurato  scettro;  le  circonda  il  capo 
gemmato  diadema  ,  i  cui  bendoni  le  cadon  siigli 
omeri;  ha  in  line  i  piedi  appoggiati  ad  uno  sgabello. 
Le  sta  dirimpetto  l'artefice  coperto  solo  di  breve 
tunica  cilestrina.  Nella  sinistra  ei  tiene  l'ascia;  ed 
indica  con  la  destra  l'artificiata  giovenca,  ravvolta 
Torse  d' una  pelle  di  quell'  animale  ,  come  scrisse 
il  mentovato  Apollodoro ,  e  nella  quale  scorgesi 
aperto  il  coverchio  dell'entrata.  Così  in  questo  qua- 
dro è  compiuto  quanto  nell'  altro  faceasi  desiderare. 
Nella  descrizione  dell'  ultimo  non  ripeteremo 
pertanto  ciò  che  nell'illustrazione  del  primo  fu 
detto  da  un  nostro  collega  ,  circa  la  storia  che  ne 
forma  il  subbietto.  Solo  ci  rimane  ad  aggiungere 
che  questo  dipinto  trovasi  nel  tablino  della  casa 
testé  nominata  e  propriamente  a  man  destra  ,  in 
mezzo  ad  elegantissima  parete  di  fondo  cilestro. 


c/ba/jaete    ^Liberatore. 


VOL.     XIV.     TAV.    U.  1 

Duk  danzatrici  —  Pittura  pompeiana. 

JLl  lusso  degli  antichi  Romani  ora  tanto  esorbitante 

che  ai  nostri  tempi  sembra  piuttosto  favoloso  che 
verosimile.  Quando  il  lusso  romano  vagiva  ancora 
bambino,  nò  era  cresciuto  gigante  come  lo  divenne 
dipoi  ncll' Impero,  le  cene  in  Apolline  di  Lucullo 
costavano  cinquantamila  dramme ,  circa  novemila 
cinquecento  ducati.  Nò  la  imbandigione  di  cene  così 
smoderatamente  costose ,  bastò  a  saziare  le  voglie 
di  quei  delizianti ,  che  vollero  aggiungervi  anche  il 
diletto  e  lo  spendio  della  musica ,  e  della  danza. 
Al  qual  diletto  1'  antica  Roma  manteneva  tremila 
danzatrici  con  altrettanti  maestri  di  ballo  ed  i  cori 
corrispondenti  (1):  giacché  pare  che  associassero  al 
ballo  la  musica  vocale  ed  istrumentale.  Queste  bal- 
lerine eran  chiamate  a  rallegrare  i  banchetti  del- 
l' eterna  Città ,  e  vi  facevan  la  loro  comparsa  ora 
figuranti  Nereidi,  ora  Ninfe  (2),  quando  Baccanti  e 


(1)  Ammian.  Marceli.  1.  14. 
3)  Aten.  lib.  V.  e.  II.  p.  i3o. 


3  YOL.    XIV.    TAV.    IL 

talora  Divinità  (i).  Tutte  queste  cose  che  qui  bre- 
vemente riassumiamo  le  abbiamo  distesamente  nar- 
rate nel  volume  VII  di  questa  opera  alla  tavola  55, 
e  seguenti. 

Premesse  adunque  queste  brevi  notizie  sull'uso 
degli  antichi  Romani  di  mescolar  la  danza  ai  con- 
viti concluderemo  le  due  ballerine  in  questa  tavola 
rappresentate  non  altro  esprimere  che  due  di  quelle 
danzatrici  che  il  lusso  romano  impiegava  a  ralle- 
grare le  cene.  E  facendoci  a  considerare  i  loro  em- 
blemi e  le  loro  figure  ci  viene  in  mente  la  con- 
gettura che  potessero  esprimere  due  stagioni,  Pestate 
e  l' autunno ,  cioè  la  messe  ed  i  frutti  alle  mense 
non  solo  grati  ma  necessari.  In  fatti  una  di  queste 
due  ballerine  sostiene  con  la  sinistra  un  canestro 
ripieno  di  uve  e  di  frutti  che  indica  allora  allora 
colti  dall'  albero  con  quel  ramo  carico  di  pomi  e 
di  fiondi  che  tiene  nella  destra.  Del  che  e  non  di 
altro  ci  sembra  significativo  quel  ramo  con  frutti 
e  foglie  quasi  volesse  esprimere  che  quei  pomi  e 
quelle  uve  che  ha  in  quel  canestro  non  sono 
state  ad  industria  fuori  stagione  serbate,  ma  allora 
colte  dagli  alberi ,  il  che  viene  a  significare   1'  at- 

(i)  Plut.   Con.   qu.  IX.  prob.  17. 


VOL.     XIV.     TAV.     II.  3 

tualità  della  stagione  che  quei  frutti  produce.  Nel- 
l* altra  danzante  seminuda  con  l'alce  nella  sinistra 
ehi  non  ravvisa  una  ninfa  reduce  dalla  mietitura? 
E  come  la  falce  indica  l'esercizio  di  questa  vez- 
zosa, cosi  il  seminudo  suo  corpo  segna  il  calore 
della  stagione ,  la  quale  idea  mista  di  caldo  e  di 
messi  è  la  meglio  atta  a  figurare  1'  estate. 

Nel  triclinio  di  una  casa  pompeiana  posta  alla 
parte  postica  del  Calcidico  d' Eumacliia  si  sono 
rinvenute  queste  due  danzatrici  dipinte  su  fondo 
giallo.  Una  ,  quella  che  supponiamo  esprimer  l'au- 
tunno, è  vestita  di  una  sistide  verdastra  due  volte 
succinta  ;  l' altra  ha  un  pallio  paonazzo  che  ventila 
in  molli  pieghe  sotto  la  sua  cintura. 


Xj uà  ùetrn  o    bOecni. 


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TA-imir. 


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\<>L     XIV.    TAV.     III. 


Diana  ed  Endimione. 


Oia  che  Endimione  fosse  nato  figliuolo  di  Giove 
e  della  vezzosa  Caliee  (1),  sia  che  fosse  stalo  un  re 
dell1  Elide  (a),  sia  che  amante  della  caccia  (5)  e 
della  pastorizia  (4)  ;  certa  cosa  è  aver  egli  ricevu- 
to dal  Sommo  de' Numi  eterna  gioventù,  e  sonno 
perenne  (5),  e  meritatosi  l'amor  di  Diana,  la  quale 
di  notte  abbandonate  le  celesti  sfere  a  visitarlo 
scendeva.  E  questo  veggiamo  nel  pompeiano  di- 
pinto che  qui  viene  esposto.  Giace  il  pastore  in 
nobilissima  postura  sopra  un  sasso ,  stringendo  an- 
cor tra  le  mani  i  due  giavellotti  con  che  inse- 
guiva le  belve ,  ed  ancora  gli  sta  dappresso  il  cane 
fedele,  che,  all'arrivo  della  Dea,  da  quella  parte  si 
volge.  La  quale  venendo  dal  Cielo  stringe  tuttora 
nella  destra  il  flagello  con  che  agitava  le  cerve 
della  sua  biga ,  e  si  fa  condurre  da  vezzoso  Amo- 

(1)  Conone  Narrat.  i4- 
(2}  Pausania  V,  1,  8. 

(3)  Eraclito  De  Incredib.  38. 

(4)  Vedi  lo  Scoliaste  di  Teocrito  Idyl.  Ili,  4g. 

(5)  Apollodoxo  I,  7,  5. 


a  VOL.    XIV.    TAV.     III. 

rino  portator  di  una  fiaccola.  Notevole  è  il  nimbo 
che  a  forma  di  luna  le  adorna  la  testa  ;  notevole 
quel  manto  finissimo  a  ricche  pieghe  (1)  in  ehe  a 
metà  è  involta  ;  notevolissima  la  grazia,  l'avvenen- 
za e  la  compostezza  che  nelle  vaghe  membra  si 
osserva . 

tÒernarac    Quaranta. 


1)  I  Circi  (Iiiamaranlo  tfiartrcvy   7 'tve&moy  ,  rei$\r,fji.cc ,  •xi*,i$Xr,fiu. 


1A.,  IV. 


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VOL.     \l\.    TAV.     |\ 


Il  supplizio  di  Dirce.  —  Affresco  scoperto  non  ha 
mollo  in  Pompei. 

Vjelebre  in  tutta  la  Grecia  e  per  la  sua  beltà  e 
per  le  sue  avventure  fu  Antiope  figliuola  di  Nitteo 
re  di  Tebe  e  della  Ninfa  Polisso.  Secondo  le    più 
ricevute  opinioni  (1)  Antiope  fu  amata  da  Epopeo 
re  di  Sidone  nemico   di  Nitteo  :   questi   morendo 
lasciò  la  corona  a  Lieo  suo  fratello  ,    e  gli  racco- 
mandò di  vendicarlo  di  Epopeo.  Salito  Lieo  al  trono 
di  Tebe,  debellò  Epopeo,  e  divenne  sposo  di  An- 
tiope:   ingelosito  questo  principe   della    corrispon- 
denza   eh'  essa  aveva   avuto  con  Epopeo  ,    la    ri- 
pudiò.   La  derelitta   fu  visitata    da  Giove  sotto  le 
sembianze  di  Satiro  (2)  che  la  rese  incinta.   Dirce 
seconda  moglie  di  Lieo  ne  accagionò  suo  marito  , 
e  fé  rinchiudere  in  orrendo  carcere  la  infelice  An- 

(1)  Apollod.  1.  3.  e.  7.  Igin.  fav.  i55.  Paus.  1.  i.  e.  6,  ed  altri  multi. 

(2)  Di  questa  metamorfosi  di  Giove  vedi  Ovidio  Mtlain.  lib.  VI.  v.  110  e  111. 
Nomi.  Dionys.  VI  ,  123  ;  del  pari  che  la  spiegazione  data  dal  nostro  amico  e  col- 
lega sig.  D.  Giulio  Minervini  nel  n.  IV.  del  Bullettiuo  archeologico  napoletano 
pag.  26  della  pregevole  tazza  greca  dipinta  in  Anzi,  nella  quale  fra  V  altro  questa 
trasfin inazione  di  Giove  per  Antiope  egli  ravvisa  e  chiarisce. 

** 


2  VOL.    XIV.     TAV.    IV. 

tiope  ,  ove  le  fé  subire  i  più  acerbi  trattamenti  ; 
di  che  impietosito  Giove  la  liberò  dalla  prigione 
e  la  nascose  sul  monte  Citerone  ,  ov'  ella  diede 
in  luce  Amfione  e  Zeto  ,  i  quali  furono  allevati 
dal  pastore  Oidio  che  aveva  dato  ospitalità  alla 
loro  madre.  Istruita  Dirce  del  ritiro  della  sua 
rivale  si  porta  sul  monte  alla  testa  delle  Baccanti 
che  vi  celebravano  le  orgie  del  loro  nume  ,  vi 
trova  Antiope  ,  e  col  favore  delle  orgie  se  ne 
impadronisce  per  compier  su  di  lei  1'  ultima  sua 
vendetta.  I  figli  allora  scortati  dal  vecchio  pa- 
store ,  che  riconoscevano  come  padre  ,  riescono 
a  strappare  la  loro  madre  dalle  mani  della  furi- 
bonda Dirce  ,  e  legarono  qucst'  ultima  ad  un  in- 
domito Toro  per  farla  dilaniare  tra  le  rupi  e  i 
bronchi  del  Citerone.  Commosso  Bacco  dalla  di  lei 
sventura  e  riconoscente  pel  culto  eh'  essa  gli  aveva 
costantemente  prestato  ,  fece  impazzire  Antiope ,  e 
cambiò  Dirce  in  una  fonte,  che  da  quel  momento 
ne  portò  il  nome. 

Dopo  aver  rammentate  le  dette  favole  ,  noi 
aggiugniamo  solamente  che  reso  noto  per  tutta  la 
Grecia  il  supplizio  di  Dirce,  celebrato  da' mitologi, 
ed  abbellito  da' poeti,  sin  da' tempi  del  re  Antigono, 


VOL.     XIV.    TAV.     I\.  3 

Apollonio  e  Taurisco  l'eternarono  in  Rodi  con  un 
gruppo  magnifico  di  gran  mole  clic  inerito  dalla 
grandezza  romana  di  esser  trasportato  in  Roma  ;  ed 
altri  artefici  meno  intraprendenti  de' primi  pur  Ja 

memoria  ne  tramandarono  alla  posterità  co1  loro 
lavori.  A  noi  però  non  è  pervenuta  notizia  che  talu- 
no de'  divini  pittori  della  Grecia  avesse  espresso 
nelle  sue  opere  la  dolente  istoria  di  Dirce.  Era 
riserbato  agli  scavi  di  Ercolano  e  di  Pompei ,  sor- 
gente perenne  di  antiquarie  ricchezze  atte  a  porger 
lume  sopra  tanti  monumenti  rimasi  ancor  dubbi , 
di  presentarci  in  preziosi  affreschi  due  diversi  esem- 
plari di  que1  sublimi  lavori  che  il  supplizio  della 
regina  di  Tebe  ci  esprimono  ,  e  con  maggiori 
particolari  dello  stesso  famosissimo  gruppo  di  Apol- 
lonio e  Taurisco,  del  quale  or  ora  terremo  parola. 

Presenta  l'affresco  pompeiano  Dirce  come  as- 
sisa a  terra  per  essere  strascinata  dal  furibondo  toro , 
cui  è  avvinta  per  una  coreggia  che  cingendola 
per  la  metà  del  busto  si  avvolge  al  corpo  del  toro 
stesso.  A  dritta  Zeto  eccita  alla  corsa  il  toro  ti- 
randolo per  una  fune  annodata  per  sotto  alle 
corna  nel  mezzo  della  fronte,  mentre  che  Antiope 


4  VOL.     XIV     TAV.     IV. 

par  che  voglia  spingere  con  la  sua  destra  la  mano 
del  figlio   per    veder  compiuta    la    sua    vendetta. 
A  sinistra  Amfione  col   veglio   suo  educatore    me- 
ravigliati   risguardauo  1'  esito   dell'  inventato  sup- 
plizio. La  scena  si  rappresenta  sul  Citerone  indicato 
dalle  alpestri  rupi  ,   e   da  una   folta  boscaglia  es- 
presse nel  fondo  del  quadro.  Dirce  vestita  da  Bac- 
cante è  ancora  coronata    di  edera  :    al  moto    irre- 
golare della  persona   di  volersi   slacciare  dal  toro, 
puntellandosi   col   braccio  destro  sul  suolo  ed  ele- 
vando la  sinistra   sino  ad  immetterla  nella   coreg- 
gia, si  apre  il  sottil  manto  cilestro ,   di  cui  era  ri- 
coperta ,  e  laseia  comparire  il  nudo  del  corpo  dalla 
metà  in  su.-  Antiope  è  vestita  di  lunga  sistide  verde 
ricoperta  da  sinuoso  manto  rossiccio:  l'attitudine  di 
volere  spingere  la  mano  del  figlio  a  viemaggiormente 
incitare  il  toro  le  fa  scoprire  il  destro  braccio  ornato 
al  polso   di   una  smaniglia    di   oro.    Zeto   ha   una 
corta  tunica  succinta  ed  un  piccolo  mantello ,  es- 
sendo rivestite  le  sue  gambe  di  calzari  formati  da 
pelle  di  fiera    a  testimonianza   della  sua  vita   pa- 
storale. Amfione  in  sembianze  atletiche  non  ha  altre 
vestimenta   che    un  semplice  manto  paonazzo  av- 


VOL.     XIV.    TAV.    IV.  5 

volto  alla  cinta  che  gli  passa  per  (li  sopra  al  sini- 
stro braccio  prosteso  ,  la  <li  cui  mano  stringe  un 
pugnale  nel  fodero,  al  (piale  è.  pur  raccomandato  il 

ha  li  co,  reggendo  nella  dritta  una  lunga  asta,  consueta 
insegna  degli  croi.  Il  pastore,  o  pedagogo  cho  vo- 
glia dirsi,  è  vestito  di  lungo  abito  giallastro  rico- 
perto da  un  manto  rosso  affibbialo  al  davanti  dell' 
omero  dritto.  Egli  appressa  l'indice  della  destra  alla 
bocca  volgendosi  ad  Amfione,  e  nella  sinistra  strin- 
ge il  pedo  ,  attributo  caratteristico  de'  pastori. 

Variamente  gli  antichi  scrittori  narrano  il  mo- 
do onde  Dirce  fu  avvinta  all'  indomito  toro.  Molti 
convengono  che  fosse  stata  avvinta  alle  corna ,  ed 
altri  alla  coda;  niuno  però  con  precisione  ricorda 
che  fosse  stata  legata  al  corpo  del  furibondo  quadru- 
pede ,  nel  modo  col  quale  si  vede  in  questo  affre- 
sco. Ma,  generalmente  parlando,  dagli  artisti  que- 
ste differenze  non  si  reputano  di  gran  momento  ; 
poiché  stabilito  il  soggetto  da  rappresentarsi,  il  rive- 
stono di  quelle  circostanze  che  meglio  possan  far 
rilevare  la  valentia  dell'  arte  che  professano  ,  sce- 
gliendo qiulla  tradizione  che  più  si  accomoda  al 
genere  del  loro  lavoro.  Doveasi  presentare  Dirce 
straziata    per  mezzo   di  un  toro  stizzito  ;  poco  ri- 


6  ^L.     XIV.     TAV.    IV. 

levava  se  la  vittima  fosse  stata  avvinta  o  alle 
corna  ,  o  alla  coda  ,  o  al  corpo  del  toro  (j). 
Deesi  però  osservare  che  la  scultura,  la  quale  tratta 
le  composizioni  a  rilievo,  batte  ben  altre  vie  della 


(1)  Difatti  nel  Montfaucon  è  riportato  un  bel  gruppo,  nel  quale  Dirce  è  attaccata 
alla  coda  di  un  maestoso  toro;  ed  in  una  pietra  incisa  è  espresso  Amfione  e  Zeto,  l' u- 
no  tenendo  tèrmo  il  toro  ,  1'  altro  avvolgendogli  una  fune  alle  corna  ,  nel  mentre 
che  la  sventurata  Dirce  prostrata  innanzi  ad  essi  invano  implora  pietà  ;  ed  in  questa 
stessa  attitudine  a  noi  sembra  espressa  nel  bel  frammento  di  cammeo  sopra  onice 
serbato  fra  le  gemme  del  Real  Museo  Borbonico,  nel  qual  frammento  è  sol  rimasa 
la  testa  del  toro  con  la  sinistra  di  Amfione  che  ne  abbranca  un  corno  ,  e  la  figura 
di  Dirce  dalla  metà  in  su  con  le  chiome  scarmigliate  e  che  in  atto  supplichevole 
leva  in  alto  la  sua  sinistra  mano.  In  un  piccolo  gruppo  di  avorio  ritrovato  sono 
oramai  circa  venti  anni  in  una  casa  pompeiana  tutto  frammentato  vedesi  Dirce  , 
della  quale  non  rimane  altro  che  la  metà  della  figura  priva  delle  braccia  ,  tutta 
scarmigliata  e  piangente  ,  cinta  da  una  fascia  che  doveva  avvincerla  al  toro.  Dirce 
nell'  affresco  ercolaiese  è  legata  al  toro  eh'  è  già  impennato  allo  incitamento  di 
Amfione  che  lo  aizza  abbrancandolo  strettamente  per  la  testa  ,  mentre  che  la  sven- 
turata è  ancora  in  ginocchio  supplicando  a  mani  elevate  l' inflessibile  Zeto,  il  quale 
invece  par  che  contorca  la  coda  del  toro  per  maggiormente  aizzarlo  ,  al  che  un 
pastore  a  sinistra  par  che  voglia  accorrere.  Nel  monumento  di  Apollonio  e  Tauri- 
sco  che  or  ora  vedremo  era  forse  legata  pel  crine  per  mezzo  di  una  fune  alle 
corna  del  toro,  come  afferma  Igino:  Dircem  ad  taurum  crinibws  religatam  necant. 
fab.  8  ;  oppure  al  collo  ,  come  ricorda  Properzio  all'  eleg.  i3,  lib.  III.  al  v.  38. 
Vinxerunt  Dircem  sub  trucis  ora  bovìs.  Nelle  monete  di  Tiatira  vedesi  Dirce  le- 
gata al  toro  che  supplichevole  colle  mani  alzate  implora  pietà  da  Amfione  e  Zeto, 
de'  quali  1'  uno  1'  afferra  pe'  capelli ,  e  1'  altro  procura  di  fermare  il  toro  già 
innalberato  :  Eckell.  Rum.  vet.  anecd.  pag.  s6g.  ;  egualmente  in  un  medaglione 
di  Settimio  Severo  è  espressa  nel  rovescio  Dirce  di  già  avvinta  al  toro  che  sta 
per  subire  il  suo  supplizio  ;  ed  in  un  altro  di  Trajano  imperatore  è  rappresentata 
ia  misera  che  vien  legata  al  toro  da  quegli  implacabili  figliuoli  di  Giove. 


VOL.     XIV.    TAV.     I\. 

pittura  che  l'esegue  8ul  piano-,  quindi  è  che  Apollo- 
nio e  'riunisco,  ed  altri  elicali  haa  seguiti,  hau  tro- 
vato il  loro  effetto  nel  legare  Dirce  alle  corna  o  alla 
coda  del  loro,  perchè  nel  tondo  della  scultura  polevasi 
da  tutti  i  lati  osservare  la  composizione;  il  pittor  Pom- 
pejano  al  contrario,  ovvero  il  pittore  che  eseguii' o- 
riginale  del  medesimo  affresco,  ha  legala  Dirce  al 
corpo  del  toro  per  presentare  l'  una  e  l1  altro  in 
modo  da  fargli  interamente  sul  piano  osservare  : 
il  che  nel  mentre  sembrava  una  libertà  molto  avan- 
zata del  pittore,  è  da  considerarsi  come  un  raffina- 
mento di  arte ,  ove  ancor  si  ponga  mente  alla  poca 
conoscenza  di  prospettiva  lineare,  che  si  scorge  ne' 
monumenti  dell'  antica  pittura.  Ed  è  forse  per 
questa  mancanza  stessa  che  lo  spettatore  resta  in- 
deciso, se  debba  credere  in  questo  importantissimo 
affresco  Antiope  impegnata  più  tosto  a  spingere , 
o  a  trattenere  la  mano  di  Zeto ,  e  se  il  pastor  pe- 
dagogo intimi  silenzio  ad  Amfione  più  per  rattenere 
la  impazienza  di  attendere  F  esito  del  supplizio  , 
che  per  distornare  un  risentimento  verso  ci'  Antio- 
pe che  sembra  impedire  a  Zeto  1'  aizzamento  del 
toro;  seppur  non  voglia  dirsi  che  il  pittore  Poni - 
pejano  non  abbia  raggiunto  in  questo  suo  lavoro  il 


8  VOL.     XIV     TAV.     IV. 

vivace  effetto  dell'originale,  e  ne  abbia  illanguidite 
le  mosse  e  raffreddata,  per  così  dire,  la  espressione  ; 
carattere  non  ordinario  che  han  le  copie  a  fronte 
degli  originali.  Del  resto  questo  nostro  affresco  è  da 
considerarsi  fra  i  più  pregiati  della  nostra  vasta 
collezione,  sia  che  si  riguardi  pel  merito  dell'arte, 
e  per  la  importanza  del  suggetto ,  sia  che  si  con- 
sideri per  la  relazione  che  ha  coli' altro  insigne 
monumento  di  marmo ,  del  quale  or  passiamo  alla 
disamina. 


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VOL.   XIV.  TAV.  V  e  VI.  i 

li.  Toro  Farnese  ,  ossia  il  supplizio  di  Dirce 
—  Gruppo  in  marmo  grechetto  allo  palmi  se- 
dici per  palmi  quattordici. 


Linceo  il  famigeratissimo  gruppo  volgarmente  co- 
nosciuto sotto  il  nome  del  Toro  Farnese  ,  opera 
classica  de' greci  artefici  Apollonio  e  Taurisco,  ri- 
cordata da  Plinio ,  e  posta  in  dubbio  da  varj  scrit- 
tori del  passato  secolo  (1).  In  esso  è  rappresentato  il 
medesimo  soggetto  della  Tavola  precedente ,  il  sup- 
plizio cioè  che  Amfiooe  e  Zeto  figliuoli  di  Antiope 
apprestano  a  Dirce  per  gli  oltraggi  fatti  alla  di  loro 
genitrice. 

Questo  prezioso  monumento  fu  trasportato  al 
dir  dello  stesso  Plinio  dall'isola  di  Rodi  a  Roma  ,  e 
si  crede  che  Asinio  Pollione  uomo  sommo,  guerriero 
invitto,  e  grande  amatore  delle  arti  del  tempo  di 
Augusto  (2)  avesse   comprato  il  nostro  gruppo  in- 

(1)  Vedi  il  "Winckelmann  storia  delle  arti  del  disegno. 

(2)  Dico  di  lui  Plinio  1.  V.  che  ingenia  hominum  rem  publicam  fecìt.  Ed  Orazio 
nell'Oda  I.  nel  lib.  IT.  lo  loda  in  tai  termini:  Insigne  moestis  praesidium  reis. — 
Et  consulenti,  Pallio  ,  curiae.  —  Cui  laurus  aetemos  honores —  Dalmatico  pe- 
perit  tnumpho. 

** 


2  VOL.  XIV.  TAV.  V  e  VI. 

sierae   con  Le  migliori    statue  che  erano  in   Grecia 
per   mostrarle    poi   tutte    riunite    al   pubblico.  Ne 
duole  che  allorquando  sotto  il  pontificato  di  Pao- 
lo III  Farnese  fu  tratto  dalle  terme  di  Caracalla  si 
rinvenne  molto  danneggiato ,  e  che  i  ristauri  pra- 
ticati dallo  scultor  milanese  Giovan  Battista  Bianchi 
non  abbian  raggiunto  il  merito  sorprendente   del- 
l'antico che  risale   a' tempi  de'primi   successori  di 
Alessandro.  E  qui  giova  osservare  anche  una  volta 
dopo  del  Winckelmann  che  questi  ristauri  sian  la 
principale  e  male  augurata  cagione ,  che  indusse  a 
credere    non    pochi   nel   passato  secolo  che  questo 
monumento  non  fosse  quello  menzionato  da  Plinio , 
perchè  non  offre  gran  bellezza  nel  suo  lavoro  ;  vi 
sono  più  cose  di  quelle  eh'  esso  descrive  ;  ed  è  man- 
cante della  iscrizione,  che  mosse  disputa  se  i  due 
menzionati  scultori  fosser  figli  di  Artemidoro ,  o  di 
Menecrate  ,  che  quella  iscrizione  come  loro  padre 
egualmente  dichiara  ;  ma  che  fosse  bensì  un'  opera 
di  romano  scarpello,  una  ripetizione  infine  di  quello 
di  cui  ha  parlato  Plinio.  Or  per  disingannare  chiun- 
que   sarà   sufficiente  lo   esaminare  quel    che   ci    è 
rimasto  di  antico  nel  monumento  ,  ed  il  luogo  del 
lodato  storico  della  Natura  e  dell'Arte. 


VOL.   XIV.  TAV.  V  iì  VI.  3 

In  una  inchiesta  di  tanta  importanza  abbia- 
mo credulo  nostro  debito  di  notare  diligentemente 
le  parti  ristaurate  di  questo  gran  monumento;  il 
perchè  dopo  avorio  minutamente  più  volte  osser- 
valo, abbiamo  pur  pregalo  il  nostro  amico  e  collega 
P  egregio  Professore  di  scultura  signor  Solari  ,  pe- 
ritissimo conoscitore  di  antichi  monumenti ,  a  voler 
esaminare  attentamente,  coni' è  suo  sistema  ,  parte 
per  parte  questo  gruppo  ed  indicarne  con  precisio- 
ne i  ristauri.  Per  sola  ragione  di  brevità  crediamo 
ben  fatto  d'  inserir  testualmente  il  suo  riscontro 
nella  sottoposta  nota  (i),  il  risultamento  del  quale 
abbiamo  verificato  esattissimo  e  tale  come  noi  ave- 
fi)  »  Signor  Cav.  Amico  e  Collega  —  Mi  è  giunto  graditissimo  il  suo  invito 
»  di  esaminar  con  attenzione  le  parti  modernamente  ristaurate  del  magnifico  grup- 
»  pò  del  Toro  Farnese  :  io  la  ringrazio  dell'  occasione  che  mi  ha  procurato  di 
»  occuparmi  novellamente  di  un  monumento  che  ha  formata  in  altri  tempi  parte 
»  de'  miei  studj  siili'  antico  ;  ed  accoglierà  in  questo  rincontro  che  io  unisca  all'e- 
»  same  de'  ristauri  qualche  riflessione  sulla  figura  muliebre  posta  alle  spalle  di  tutta 
»  la  composizione  di  questo  gruppo  ,  e  eh'  ella  accortamente  suppone  che  non  rap- 
>  presenti  Antiope. 

»  La  figura  di  Dirce  tiene  di  restauro  tutto  il  corpo  dall'  umbilico  in  su  con 
v  1'  intiera  testa  ,  similmente  le  due  braccia  con  porzione  della  coscia  e  gamba 
»  destra  ,  e  qualche  pezzo  nel  panneggiamento. 

11  Amfione  ha  di  ristauro  l'intiera  testa  sino  alla  clavicola,  come  leduebrac- 
»  eia  con  porzione  delle  mani,  similmente  le  gambe  da  sopra  al  ginocchio  sino  ai 
»  piedi,  de' quali  vi  è  nel  sinistro  d'antico  tre  dita  di  mezzo  con  una  porzione  di 
i>  piede  ;  e  della  clamide  che  gli  svolazza  da  dietro  una  porzione  è  moderna. 


4  VOL.  XIV.  TAV.  V  e  VI. 

vaino  riconosciuto;  onde  è  che  passiamo  a  descri- 
ver questo  monumento  nel  modo  in  cui  or  si  vede , 

»  Zcto  ha  di  restauro  l' intiera  testa  sino  alla  clavicola  ,  la  gamba  sinistra 
»  sino  alla  metà  della  coscia  unita  al  tronco  ,  restando  d' antico  la  punta  del  piede 
»  con  le  dita  ;  il  ginocchio  con  metà  della  gamba  dritta  sino  al  calcagno  ;  simil- 
»  mente  è  moderno  il  braccio  destro ,  cioè  dal  deltoide  sino  alla  mano  che  tiene  la 
»  corda  ,  come  ancora  1'  antibraccio  sinistro  con  la  mano  ,  la  corda  ,  e  porzione 
»  della  clamide. 

»  La  figura  muliebre  ha  di  restauro  la  testa  sino  alla  clavicola,  tutto  il  braccio 
»  destro  da  sotto  al  deltoide  con  1'  intiera  mano  ,  1'  antibraccio  sinistro  con  la  mano 
»  che  stringe  la  lancia ,  e  parte  della  gamba  sinistra. 

»  Al  Toro  sono  di  restauro  le  orecchie  e  le  corna  ,  le  due  gambe  d'avanti  , 
»  le  due  di  dietro  incominciando  da  sopra  al  ginocchio  sino  all'  ultima  piegatura  delle 
»   zampe  che  sono  antiihc,  e  porzione  della  coda. 

»  Al  tronco  ov'è  appoggiata  la  lira  vi  è  circa  un  palmo  di  restauro  con  por- 
»  zione  della  lira. 

»  Il  Baccante  eh' è  seduto  tiene  di  restauro  metà  della  gamba  diritta  col  piede 
»  eh'  è  in  bassorilievo  con  porzione  del  monte  ,  1'  antibraccio  con  la  mano  dritta 
»  è  moderno,  similmente  il  braccio  sinistro  sino  al  polso,  e  piccoli  restauri  nella 
»  testa,  nella  pelle  di  capro,  e  tunica  che  indossa. 

»  Il  cane  eh'  è  di  sotto  al  toro  è  quasi  tutto  moderno ,  all'  eccezione  di  qual- 
>>  che  punta  di  zampa  eh' è  antica. 

»  Delle  tre  altre  tacce  della  base  nel  primo  lato  dove  sono  i  cervi  ciascuno 
»  di  essi  ha  di  restauro  le  due  gambe  che  sono  staccate  dal  monte  ,  più  nel  pri- 
»  mo  di  essi  v' è  un'orecchia  moderna  ,  nell'  altro  porzione  della  testa  con  un  corno. 
»  Nel  secondo  lato  vi  sono  molti  piccoli  restauri  e  sono  la  testa  di  un  falchetto  , 
»  la  testa  di  un  cane  sino  al  petto  con  una  zampa ,  e  la  testa  dell'  aquila  con  la 
»   testa  della  serpe  che  la  vuol  mordere. 

»  In  ultimo  al  lato  posteriore  vi  sono  di  restauro  la  gamba  dritta  d'  avanti 
>>  del  piccolo  cavallo  ;  le  due  gambe  che  sono  staccate  cioè  una  d'avanti  ,  e  1'  altra 
ii  di  dietro  del  caprone  ;  la  testa  ed  altri  piccoli  pezzi  nell'  orso  e  nel  toro  ;  e  la 
»  testa  nella  testuggine  ». 


YOL.  XIV.  TAV  V.  e  VI.  5 

e  a  rilevare  senza  alcuna  iattanza  le  bellezze  che 
da  per  loro  stesso  si  manifestano  in  quelle  antiche 
parti  che  sono  stato  rispettate  dal  tempo  e  dallo 
diverse  vicende,  cui  il  nostro  straordinario  gruppo 

è  andato  soggetto. 

Con  molto  sapore  e  vivacità  sono  espressi  in 
questo  enorme  masso  marmoreo  Amfiono  e  Zeto, 
presso  che  nudi  nelle  persone,  in  atto  di  aizzare 
un  selvaggio  toro,  alle  di  cui  corna  (i)  par  ohe 
dovesse  esser  per  mezzo  di  lunga  fune  legata  Dirce 
po' capelli:  una  sua  ancella,  o  seguace  che  voglia 
dirsi,  posta  alla  parte  postica  del  gruppo,  ed  un  gra- 

»  In  quanto  alla  figura  muliebre  in  piedi  posta  alle  spalle  del  gruppo  ,  ben  os- 
»  serva  che  pel  sito  ignobile  ove  è  situata  nou  possa  rappresentare  Antiope  ,  giacché 
»  essendo  essa  una  delle  parti  principali  del  soggetto  non  sarebbe  stata  quivi  collocata 
»  da  que'  valenti  scultori  greci  ;  per  cui  opina  che  sia  un'  ancella  di  Dirce.  E 
»  riflettendo  io  su  questa  osservazione  soggiungo  che  esaminando  quella  figura  spo- 
»  glia  da' restauri,  scorgo  dall'azione  delle  braccia  che  ben  potea  rappresentare  una 
»  ancella  di  Dirce  colle  braccia  atteggiate  alla  maraviglia  ed  allo  spavento  di  ve- 
li dere  l' inatteso  supplizio  della  sua  padrona. 

»  Accolga,  Signor  Cavaliere,  i  sensi  della  mia  solita  stima  ed  amicizia.  —  Fir- 
»  mato  ,  Angiolo  Solari  ». 

(1)  11  Paganuzzi  nella  sua  Istoria  e  riflessioni  sopra  la  mole  scultoria  vol- 
garmente denominata  il  Toro  Farnese  a  pagina  7,  nell' ammirare  le  diverse  parti 
del  nostro  gruppo  esclama  :  »  Che  si  troverà  a  ridire  della  compassionevole  Dirce , 
»  atterrata  ,  attaccata  pe'  capelli  alle  corna  del  toro  in  atto  di  schermirsi  da'  di  lui 
»  colpi?  »  Noi  al  contrario  che  abbiamo  sott' occhio  lo  stesso  gruppo  non  vediamo 
che  Dirce  sia  ligata  pe' capelli  alle  corna  del  toro  ;  giacché  alle  corna  del  quadru- 


6  VOL.  XIV.  TAV.  V  e  VI. 

zioso  piccolo  Baccante  assiso  ad  un  greppo  nella 
parte  anteriore  estatici  riguardano  nella  miseranda 
scena  ,  nel  mentre  che  un  cane  latrando  sta  per 
iscagliarsi  verso  l'insolito  tumulto  di  quel  supplizio. 
Mirabile  e  felicemente  espressa  è  1'  attitudine  di 
Anifione  (i)  che  piantato  con  atletica  fermezza  af- 
ferra con  la  destra  un  corno  del  toro ,  e  con  la 
sinistra  gli  abbranca  il  muso  in  contrario  senso, 
nel  mentre  che  a  rimpetto  con  pari  gagliardia  Zeto , 


pede  è  legata  la  sola  fune  che  Zeto  stringe  fra  le  mani ,  la  quale  va  ad  avvolgersi 
ne'  capelli  della  vittima  acciuflati  sull'  occipite  :  ma  siccome  la  fune  e  di  moderno 
ristauro  ,  ed  i  capelli  con  la  testa  di  Dirce  sono  ancor  essi  moderni  e  molto  distanti 
dalla  testa  del  toro,  così  ci  siam  serviti  dell'  espressione  ,  pare  che  dovesse  esser  le- 
gata pe' capelli  alle  corna  del  toro  per  mezzodì  lunga  fune ,  tanto  più  che  Igino 
ricorda  ,  come  abbiaci  veduto  di  sopra  ,  che  Dirce  fu  legata  al  toro  pe'  capelli ,  e 
non  precisa  in  qual  modo  vi  fosse  stata  avvinta  :  Dìrcem  ad  taurum  crinìbus  reli- 
gatam  necant.  Fab.  8. 

(1)  La  lira  che  vedesi  poggiata  al  tronco  di  sostegno  di  questo  atleta  il  ca- 
ratterizza per  Amfione  ,  ond' è  che  l'altro  può  dirsi  senza  tema  di  errare  Zeto,  es- 
sendo noto  che  le  inclinazioni  di  questi  due  gemelli  furono  diverse  ,  Zeto  si  die  alla 
vita  pastorale  (  al  quale  forse  potrebbe  appartener  la  siringa  espressa  nello  scoglio  , 
seppur  non  1'  abbia  colà  sospesa  il  piccolo  baccante  che  a  quella  è  più  vicino  ),  e  Am- 
honc  coltivo  la  poesia  e  la  musica.  Myron.  Byzant.  Poeta-Epimenid.  apud  Alhenaeum 
l.  7.  È  da  leggersi  tutto  ciò  che  ha  raccolto  su  di  quest'  opera  il  Ch.  Heyne  all'  art. 
9,  da  pagina  182  a  224  delle  sue  dissertazioni  di  Antichità  ,  sebbene  questo  dotto 
antiquario  per  non  averla  potuto  osservare  ocularmente  abbia  formato  una  troppo 
piccola  opinione  del  merito  dell'arte  di  questo  insigne  monumento:  e  si  legga  pur- 
anche  quanto  ne  ha  discorso  il  Muller  nell'Handbuch  §.  ibi  e  4*"5  n.  3 ,  ed  il 
Paganuzzi  da  noi  di  sopra  citato. 


VOL    \I\.  TAV.  V  e  VI.  7 

afferrata  la  lune  legata  a  cappio  fra  le  corna  e 
la  cervice,  tira  dall'opposto  Iato  la  testa  del  furi- 
bondo quadrupede ,  il  quale  eccitato  da  questo 
contrario  e  potente  molo  s'innalbera,  e  l'infelice 
vittima  cade  quasi  supina:  invano  cerca  la  sven- 
turata con  la  destra  levata  in  alto  ghermirsi  dalle 
zampe  anteriori  del  toro  che  sono  per  ischiac- 
ciarla,  e  con  la  sinistra  si  affida  alla  gamba  di 
Ambone  ,  che  già  già  è  per  essere  strascinata  e 
conquassata  dal  toro  divenuto  furibondo  ed  in- 
domabile. E  questo  aggregato  di  contrarli  affetti 
ed  opposte  altitudini  produce  la  più  bella  e  pira- 
midale composizione,  e  fa  spiccare  il  saper  profondo 
de'  valenti  allievi  di  Menecrate  -,  i  quali  compene- 
trati dal  dover  esprimere  due  figli  di  Giove  occu- 
pati a  vendicar  gli  oltraggi  e  gli  strazj  sofferti  dalla 
di  lóro  genitrice  elevarono  in  modo  il  loro  lavoro 
da  corrispondere  in  tutte  le  parti  alla  importanza 
del  subietto  che  impresero  a  scolpire.  Il  toro  infatti 
impennato,  Dirce  quasi  rovesciata,  Amfione  in  un 
piano  un  poco  più  elevato  di  quello  su  cui  si  pianta 
Zeto,  l'ancella  stante,  il  piccolo  Baccante  assiso,  e '1 
bracco  che  si  slancia  ove  più  ferve  l' azione ,  mo- 
strano già  la  sublimità    de' concetti  di  que' famosi 


8  VOL.  XIV.  TAV.  V  e  VI. 

artefici  Tralliani  per  elegantemente  aggruppare 
la  loro  composizione,  arricchendola  de' più  mira- 
bili e  spiccati  contrapposti.  Nò  con  minore  ele- 
vatezza e  discernimento  espressero  il  valor  sommo 
de' figliuoli  di  Giove  in  quelle  atletiche  e  straor- 
dinarie movenze  che  diresti  animate  ,  tanto  so- 
no vivaci  e  pronunziate;  la  vaghezza  del  corpo  di 
Dirce  ,  in  quella  naturale  e  bene  aggiustata  giacitura 
di  lei;  la  forza,  il  moto  e  l'aizzamento  del  toro  in 
que' muscoli  turgidi,  in  quella  coda  vibratamente  ri- 
volta sul  dorso,  ed  in  quella  fierezza  di  aspetto  che  gli 
danno  tale  espressione  di  vita  che  ti  credi  esser  pre- 
sente ad  un  toro  furibondo  e  spumante  di  rabbiosa 
bava.  Da  ultimo,  la  semplicità  e  scelta  de' partiti 
delle  pieghe  delle  clamidi  di  Amfionc  e  di  Zeto  , 
della  prolissa  tunica  della  supposta  ancella,  di  quella 
che  cinge  dal  mezzo  in  giù  la  miseranda  Dirce, 
la  cista  mistica  sorprendentemente  lavorata  e  con- 
testa di  vimini  ,  sono  argomenti  più  che  suffi- 
cienti a  convincersi  che  tutto  porta  l'impronta 
dello  stile  della  scultura  che  i  dotti  Archeologi  as- 
segnano a' tempi  de' successori  del  gran  Macedone, 
tempi  ne' quali  dovettero  fiorire  Apollonio  e  Tau- 
risco,  non  essendoci  pervenuto  alcun  altro  partico- 


VOL.  XIV.  TAV.  V  e  VI.  g 

lare  di  questi  due  valorosi  artefici  di  Traili.  I'„ 
qui  dopo  di  aver  rilevato  i  pregi  singolarissimi  di 
questa  straordinaria  scultura,  sembra  che  possano 
rimanere  disingannati  coloro  che  sostennero  che  il 

nostro  gruppo  non  offrendo  gran  bellezza  nel 
suo  lavoro  non  /asse  quello  ricordalo  da  Plinio  : 
ond'è  che  ci  contentiamo  solo  di  deplorare  tutto 
ciò  che  manca,  immaginandolo  al  confronto  di  tutto 
ciò  che  ne  rimane. 

Ad  indicare  intanto  sempre  più  il  sapere  di 
que' valorosi  artefici,  rileviamo  che  eglino  per  di- 
mostrare che  Dirce  erasi  portata  sul  Citerone  a 
celebrare  i  Baccanali  vi  espressero  dappresso  il  tirso 
e  le  ghirlande ,  e  mirabilmente  la  cista  mistica  tes- 
suta di  vimini ,  e  circondata  di  edera ,  dalla  quale 
sembra  uscita  la  grossa  serpe ,  che  parte  si  striscia 
sul  suolo,  e  parte  resta  appiattata  nella  corteccia 
semistaccata  dal  tronco  che  sostiene  il  toro,  a  guar- 
dia forse  di  Diree  stessa  protetta  da  Bacco  che  la 
cambiò  in  una  fonte  ;  alla  quale  metamorfosi  sem- 
bra che  abbian  voluto  alludere  quegli  artefici  con 
un  getto  di  acqua  da  pollare  da  un  grande  foro  (i) 

(i)  È  perfettamente  circolare  del  diametro  di  circa  tre  decimi  di  palmo  e  profondo 
palmi  fere  circa ,  che  trapassa  tutta  la  spessezza  della  base.  Ove  questo  foro  non  voglia 

** 


io  VOL.  XIV.  TAV.  V  e  VI. 

che  vcdesi  praticato  al  lato  sinistro  dell'indicato 
tronco  :  seppure  non  voglia  dirsi  che  gli  antichi 
esprimendo ,  come  è  noto ,  con  ligure  allegoriche  i 
più  sagri  misteri  e  le  più  alte  operazioni  della  na- 
tura ,  e  nel  senso  mistico  de'  misteri  dionisiaci  spesso 
adombrando  la  perpetuità  de' seguaci  di  Bacco  in 
faccia  alla  stessa    morte ,   qui   Apollonio  e  Tauri- 

spiegarsi  per  un   getto  d' acqua ,  potrebbe  supporsi  aver  servito  per  bilicare    l' in- 
tera  macchina   e  girarla  a  comodo  degli   artisti ,   ed  a  piacere   degli    osservatori , 
oppure  per  immettervi  qualche  pertica  da  sostenere  un  velario  per    servir  di   ten- 
da   a    questa   beli'  opera   eseguita   forse  per  essere  collocata   allo    scoperto  ?  E  qui 
ci  facciam   debito  di   riferire  l'opinione   dell'egregio  nostro  amico    e   collega   ca- 
valier   Niccolini   presidente  dell'Accademia   di  Belle  Arti  ,    il    quale    nel    mentre 
da  noi  si  discuteva  col  professore  Solari ,  col  professore  Mori  ed   altri   ragguarde- 
voli intendenti  fu  d' avviso ,  che  quel  foro   rotondo  servisse   ad  una  forte    asta   di 
metallo  ,  la  quale  in  esso  approfondita  avesse  congegnato  un  seggio  a  guisa  di  bi- 
goncia ,  nella  quale  star  potesse  seduto  o  in  piedi  1'  artefice  per  lavorare   agli  ul- 
timi tocchi  del  gruppo  ,  e  quando  egli  avesse  bisogno  di  osservare  liberamente  tutta 
l'opera  sua  senza  lo  impedimento  alla  vista  che  sarebbe  inevitabile  facendo  uso  di 
anditi  :  tanto  più  che  gli  anditi  non  avrebbero  affatto  permesso  di  alzarsi   ed   ab- 
bassarsi prontamente   a   volontà ,   come  ben  s' intende  che  la   congegnata    bigoncia 
su  quell'  asta  avrebbe  potuto  fare  spiegandosi  ancora  e  protraendosi  in  punti    più 
distanti  per  mezzo  di  ordegno  al  di  sotto  da  spiegarsi  e   svilupparsi  a    somiglianza 
de'  passetti  misuratori.  È  pervenuto  intanto  a  nostra  notizia  che   1'  erudito    Signor 
Pancaldi  nel  suo  lavoro  che  ha  apparecchiato  su  questa  meravigliosa  mole  marmo- 
rea ,  nel   dare   una   novella  ed  ingegnosa  interpetrazione  del  subietto  in   essa  rap- 
presentato, si  occuperà  di  questo  foro,  e  partitamente  di  tanti  altri  particolari  che 
a  lui  non  sembrano  abbastanza  sinora  chiariti.  Facciamo  voti  che  presto  comparisca 
l' importante  lavoro  del  Pancaldi ,  onde  si  abbia  un  complesso  di  quanto  si  è  potuto 
sinora  osservare  su  questo  singoiar  monumento. 


VOL.  XIV.  T A V.   V  e  VI.  u 

sco   anch'essi   iniziali  ne'dionisiaci   misteri    abbiali 
posto  in  azione  la  lunga    biscia    sortita  dalla   cista 
mistica,  come  simbolo  dell'eternità,    per  dimo- 
strare agl'iniziati,  che  sebbene  Dirce  venga  posta 
a  morie,  pure  ella  vive  per  le  promesse  da  Bacco 
Fatte  a* suoi  seghaci  nella  fonte,  adombrata  da'zam- 
pilli  pollanti  dal  foro  che  quegli  artefici  praticaro- 
no sn  questo  incomparabile  gruppo.  Restava  infine 
ad  esprimere  il  teatro  ove  ebbe  luogo  la  tremenda 
scena  :  quindi  si  avvisarono  di  rappresentar  la  base 
artificiosamente  dirupata  e  scoscesa ,  il  che  ad  un 
tempo  presenta  l' idea  del  Citerone  e  di  un  luogo 
disastroso  e  più  atto  a  quel  dolentissimo  supplizio. 
Né  a  caso  sembrano  scolpiti  i  bei  bassorilievi  in- 
torno al  plinto  di  questo  gruppo,  i  quali  pure  ab- 
biamo fatto  disegnare  ed  incidere  in  tre  comparti- 
menti nella  tavola  VI.  Ed  incominciando  dal  primo 
compartimento,  che  contiene  quegli  espressi  nel  de- 
stro lato ,  ammirabili  sono  i  due  cinghiali  uscenti 
dalla  lor  tana ,  una  serpe  che  sbucando  da  un  tronco 
di  albero  viene  abbrancata  dall'artiglio  di  un'aquila, 
un  cane  che  corre,  ed  un  piccolo  falco  che  signo- 
reggia sulla  preda  che  rovesciata  giace  sul  suolo  : 
nel  lato  posteriore,  inciso  nel  secondo  compartimento 


12  VOL.  XIV.  TAV.  V  e  VI. 

della  tavola,  è  vivacemente  scolpito  un  orso  che  ab- 
batte un  toro,  un  caprone,  una  lumaca,  una  serpe, 
una  testuggine ,  un  leone  inferocito  che  già  s' im- 
padronisce di  un  cavallo  e  neramente  il  morde 
sul  dorso  :  nel  terzo  finalmente ,  che  comprende 
quegli  sculti  nel  sinistro  lato,  sono  espressi  un 
daino  ed  un  cervo  che  pascolano  ,  e  un  leopardo 
appiattato  nella  sua  tana  ,  senza  determinata  azione 
e  nel  semplice  suo  stato  naturale.  E  diciamo  che 
non  a  caso  ci  sembrano  qui  scolpiti  questi  prege- 
volissimi bassorilievi ,  poiché  supponghiamo  in  essi 
altrettanti  geroglifici  che  concorrer  dovevano  alla 
spiegazione  della  parte  morale  del  subietto  princi- 
pale, secondo  i  sentimenti  che  si  volevano  ispirare 
da  que' sublimi  artefici  (1). 

(1)  Merita  qui  d'esser  rammentata  l'opinione  del  Signor  Sanchez  ,  il  quale 
ravvisa  in  tutta  la  composizione  di  questo  monumento  un  geroglifico  astronomico  , 
cioè  le  rispettive  posizioni ,  la  elevazione  ed  il  tramonto  di  quegli  astri ,  che  an- 
nunciano la  bella  stagione  dell'  anno  ,  quando  la  terra  è  ricca  delle  sue  produzioni; 
Antiope,  egli  dice,  di  cui  Giove  s'invaghì,  rappresentava  la  costellazione  della  ver- 
gine ,  Bacco  che  la  punisce,  il  supplizio  di  Dirce  ,  il  toro  eh' è  una  costellazione, 
Amhotie  e  Zeto  che  sono  le  due  costellazioni  della  lira  e  di  Orione ,  tutte  queste 
favole  in  somma  non  rappresentavano  che  parte  del  sistema  mito-astronomico,  e  for- 
mavano il  linguaggio  figurato  prima  scrittura  de'  popoli  ;  e  collo  stesso  sistema  va 
dimostrando  degli  altri  animali  espressi  intorno  al  plinto  di  questo  monumento.  Vedi 
il  gran  Musaico  pompejano  spiegato ,  e  descrizione  di  altri  capolavori  di  arti.  Na- 
poli dalla  Tipografia  di  Trani  iS58. 


VOL.  XIV.  TAV.  V  e  VI.  i3 

Alla  obiezione,  che  il  nostro  gruppo  presenti 
più  cose  di  quelle  descritte  da  Plinio,  prima  di  noi 
P  erudito  ('urlo  Fea  ha  risposto  brevemente ,  diffi- 
nendola  »  ben  debole  se  si  considera,  che  Plinio  non 
»  ha  voluto  descrivere  minutamente  quel  gruppo  , 
))  ma  darlo  ad  intendere  col  nominarne  le  parli  prin- 
))  cipali  »:  ma  potrebbe  ripigliarsi  clic  la  ligura  mu- 
liebre da  noi  caratterizzata  per  un'ancella  potesse 
ben  essere  la  figura  di  Antiope,  come    la  interpe- 
trò  e  risarcì  lo  scultore  Bianchi;  ed  in  questo   caso 
essendo  pur  essa  priucipal  parte  del  soggetto  espresso 
nel    gruppo,    doveva   esser    menzionata  da  quello 
scrittore.  E  qui  torna  opportuna  la  osservazione  che 
il  restauro  sia  la  cagione  prima  di  tali  dubbiezze , 
dappoiché  quel  ristauratore    Milanese  volle  formar 
di  questa  figura,    che  venne    fuori  delle  terme  di 
Caracalla   priva    di  quasi   tutte  le  estremità  ,  una 
Antiope  col  supplirvi  la  testa  ,  le  braccia,  le  mani , 
e  aggiungendovi   di   più   il    nobile  distintivo    della 
lancia ,  senza  riflettere  che  il  sito  ove  è  posta  questa 
figura  è  il  più  ignobile  del  monumento,  e  come  tale 
poteva  per  comodo  dello  aggiustamento  della  com- 
posizione allocarvisi  una  figura  inserviente ,  e  non 
mai  destinarsi  da  que'sapienti  artefici  ad  una  delle 


14  VOL.  XIV.  TAV.  V  e  VI 

principali  figure  del  subictto  ch'esprimevano,  cioè 
alla  disprezzata  regina  di  Tebe  madre  de' due  Atle- 
ti, che  alla  presenza  di  lei  compivano  la  più  cruda 
vendetta  su  di  Dircc  sua  implacabile  persecutrice. 
Ed  il  Muller  (1)  che  si  occupò  di  questo  gruppo  , 
penetrato  dalla  slranezza  di  ravvisarsi  Antiope  nella 
figura  muliebre  stante ,  credette  che  in  origine  la 
medesima  non  appartenne  al  gruppo:  in  quest'ul- 
tima parte  però  egli  andò  errato  ,  giacché  la  figura 
muliebre  sorge  dallo  stesso  masso  marmoreo,  ed  il 
professore  Solari  che  meco  ne  ha  fatta  la  verifica 
è  concorso  nel  mio  divisamente,  e  ha  dippiù  sog- 
giunto che  dallo  andamento  delle  antibraccia  una 
attitudine  di  meraviglia  o  di  spavento  possa  desu- 
mersi, attitudine  molto  convenevole  ad  un'ancella 
che  è  presente   all'  inaspettato   supplizio  della   sua 
signora  ,    anzi  che  quella    datavi    dal    rista uratore 
Bianchi,  per  formarne  un'  Antiope. 

Ed  in  quanto  alla  iscrizione  che  or  si  crede 
mancante  su  questa  scultura,  osserviamo  che  Plinio 
allorché  parla  degl'  importanti  monumenti  raccolti 
da  Asinio  Pollione  ricorda  fra  gli  altri  il  presente 

(1)    Osservazioni  sul    gruppo   conosciuto   sotto  il   nome  di  Toro  Farnese,  in- 
serite negli  Annali  dell'  Istituto  archeologico  del  1840,  pag.  287  e  segg. 


VOI,.  Xl\.  TAV.  V  e  VI.  i5 

gruppo,  esprimendosi:  Zeto  e  Amfione  e  Dira 

e  il  toro  e  un  legame  della  medesima  pietra  , 
opere  di  ylpollouio  e  Taurisco  traspariate  da  Radi. 
Questi  diedero  occasione  di.  contesa  su  de  lor  geni- 
tori ,  protestando ,  che  paresse  Menecrate  ,  ma  il 
naturale  fosse  Artemi  doro  (1).  Da  questo  passo  non 
si  raccoglie  che  nel  gruppo  vi  fosse  una  iscrizione 
nella  quale  le  riportate  circostanze  si  trovassero 
espresse  :  né  vale  il  dire  che  Plinio  tali  cose  non 
avrebbe  potuto  enumerare  se  non  fossero  conse- 
gnate in  una  iscrizione  ;  dappoiché  lo  stesso  scrit- 
tore nella  pagina  precedente  avverte  ,  che  in  Ro- 
ma si  era  posta  in  dimenticanza  una  Venere  di 
maggior  merito  di  quella  di  Prassitele  in  Guido  , 
avvenendo  che  per  la  grandezza  delle  opere  che  vi 
sono,  e  per  la  gran  quantità  delle  faccende,  le  per- 
sone vengono  distolte  dal  considerare  simili  cose; 
giacché  tale  ammirazione  è  cosa  da  uomini  che  han- 
no ozio,  e  si  trovano  in  luogo  di  gran  silenzio;  e  per 
questa  cagione  non  si  sapeva  ancora  1'  artefice  di 
quella  Venere ,  la  quale  Vespasiano  dedicò  tra  le 

(1)  Zcthus  et  Amphion  ac    Dìrce    et  taurus  vinculumque    ex  eodem    lapide, 
Rhodo  advscta  opera  Apultonii  et    Taurisci.  Parentum  il  certamen  de  se  fecere  , 
Menecratem  viden  professi ,    sed   esse    naturale™.  Arthemidorum.    Plin.  lib.  5G  , 
p.    1\  . 

* 


16  VCL.  XIV.  TAV.  V  e  VI. 

opere  del  suo  tempio  della  Pace,  ed  era  degna  della 
fama  degli  antichi:  e  si  dubitava  parimente  se  nel 
tempio  d'  Apollo  Sosiano  Scopa  o  Prasitele  lece  la 
Niobe  che  muore  insieme  co' suoi  figliuoli  (1);  e  lo 
stesso  prosegue  a  raccontare  di  altri  non  pochi  mo- 
numenti. Dal  che  risulta  che  le  notizie  riportate  da 
Plinio  de' maestri  di  tanti  monumenti,  egli  in  gene- 
rale non  le  raccoglieva  dalle  iscrizioni  che  vi  erano 
scolpite;  ma  bensì  dalla  conoscenza  che  esso  stesso 
poteva  avere  dei  monumenti  delle  arti,  e  da  quelle 
che  risultavano  dalle  osservazioni  e  discussioni  dei 
periti  e  conoscitori.  Non  avviene  forse  lo  stesso  a 
giorni  nostri  per  la  conoscenza  de' monumenti  del 
risorgimento  delle  arti,  de'quali  son  ricche  le  molte 
esistenti  raccolte  ?  A  forza  di  discussioni  e  traffico 
di  conoscenze  e  di  paragoni  si  stabiliscono  so- 
vente e  con  quasi  certezza  i  maestri  di  tante  opere 
che  ci  son  pervenute  d'  incogniti  autori.  E  sicco- 
me a'  tempi  di  Plinio  si  disputava  tra  periti  e  co- 
noscitori se  il  gruppo  di  Niobe  co' figli  era  dello 
scarpello    di   Scopa    o    di  Prassitele,   così  a  giorni 

(1)  Qua  de  causa  ignoratur  arti f ex  ejus  quoque  Generis,  quam  l'espasiamts 
Imperator  in  ojeribus  Pacis  suae  dioavìt ,  antiquorum  dignam  fama.  Par  haesi- 
tatio  est  in  tempio  Apollinis  Sosiani ,  Xiul/en  cum  liberis  morientem  Scopas  an 
Pi  nxiteles  fecerit  :  item  etc.  eie   IbiJ. 


VOL.  XIV.  TAV.  V  e  VI.  i7 

nostri  presso  a  poco  si  ò  disputato  se  il  quadro  di 
Papa  Leone  X  (i)  l'osse  del  pennello  di  Raffaele, 
o  di  Andrea. 

Da  tutte  le  riferite  cose  a  noi  sembra  dimo- 
strato esser  questo  l' insigne  monumento  scolpito  in 
un  sol  masso  da  Apollonio  e  Taurisco  celebralo  da 
Plinio  Ira  gl'importanti  raccolti  da  Asinio  Pollio- 
ne  ;  tanto  più  che  non  troviamo  verosimile  che 
un  monumento  così  straordinariamente  grande  ab- 
bia potuto  esser  copiato  in  Roma,  per  collocarsi 
nelle  terme  di  Caracalla ,  ove  tanti  capi  lavori 
esistevano  di  merito  anche  maggiore  del  nostro 
gruppo  ;  il  quale  per  le  addotte  osservazioni  non 
può  appartenere  al  secolo  di  quello  imperatore , 
in  cui  tutti  sanno  che  le  arti  eran  già  inoltrate  alla 
loro  decadenza. 

Tftovamvatidta     binati. 


(i)  L'intelligente  perspicacia  dell'egregio  testé  da  noi  citato  cavalier  Niccolini 
Presidente  della  reale  Accademia  di  belle  arti,  facendo  tesoro  de' lavori  delle  arti 
che  professa  e  delle  discussioni  su  questo  dipinto,  ha  nello  scorso  anno  dimostrato 
che  il  prezioso  epuadro  serbato  nella  real  Quadreria  sia  dipinto  da  Raffaello  Sanzio 
e  non  giù  da  Andrea  del  Sarto  ,  come  i  più  supponevano.  Vedi  il  volume  XIII 
di  questa  opera  tavole  XXXU  a  XXXIV. 


\  \ 


TA/VH. 


>,vf/'.   //<„   ,/r/ ,/ .:„fr 


VOL     XI\.     TAV.     VII.  i 

Bacco  —  Sùdua  in  marmo  greco  alta  palmi  sette 

ritrovala  a  Salerno. 

JL/i  Bacco  abbiamo  più  volto  parlato  in  quest'ope- 
ra, e  diversi  monumenti  che  portan  L'effigie  di 
questo  mime  abbiamo  pur  pubblicati  ne'  precedenti 
volumi;  ciò  non  pertanto  non  vogliamo  defrau- 
dare i  nostri  leggitori  della  conoscenza  del  bel  si- 
mulacro che  abbiamo  sott'  occhio  ,  rinvenuto  non 
ha  molto  nelle  vicinanze  di  Salerno ,  e  dal  nostro 
munificentissimo  Monarca  acquistato  appena  che 
glie  ne  venne  fatta  proposta  dall'  Eccellentissimo 
Ministro  degli  affari  interni  cav.  Santangelo ,  il 
quale  non  lascia  sfuggire  alcun  monumento  che 
possa  arricchire  il  real  Museo  Borbonico,  e  perpe- 
tuar le  gloriose  memorie  delle  nostre  antiche  regioni. 
Nel  più  bel  fiore  dell'età  è  qui  espresso  il  gio- 
condo figliuol  di  Semele  tutto  nudo  con  corona  di 
edera  con  corimbi ,  dalla  quale  pendono  sulle  gote 
due  grossi  grappoli  di  uva  ,  nel  mentre  che  due 
lunghi  cirri  di  capelli  scappando  da  sotto  alla  co- 
rona  stessa    vengono    mollemente    serpeggiando    a 


•  2  VOL.     XIV     TAV.     VII. 

ricadérgli  sul  petto.  Egli  si  appoggia  con  la  sinistra 
elevata  al  suo  vittato  tirso ,  come  stanco  di  aver 
sorbito  il  liquore  dal  nappo  che  sostiene  con  la  sua 
destra  abbassata.  Al  lato  manco  della  figura  una 
vivacissima  tigre  sta  assisa  e  riguarda  attentamente 
nel  nume ,  alzando  la  sua  gamba  destra ,  quasi  do- 
mandasse al  suo  signore  di  esser  posta  a  parte  del 
liquore  che  ancor  suppone  essere  in  quel  nappo. 

E  osservabile  in  questo  bel  simulacro  di  buona 
scultura  greco-romana  quell'aria  muliebre  che  si 
ravvisa  nel  suo  volto,  e  massimamente  negli  omeri 
e  nelle  braccia,  carattere  (i)  che  la  scultura  dei 
buoni  tempi  di  Grecia  ha  costantemente  serbato 
nelle  figure  di  Bacco,  e  che  in  questa  statua  non 
ispicca  cosi  chiaramente,  forse  perchè  l'artefice  non 
volle  attenersi  ad  esemplari  troppo  noti  a'  tempi 
di  Augusto  in  cui  fioriva,  o  perchè  non  ebbe  quello 
elevato  sapere  d'imprimere  nel  suo  lavoro  tanta 
carnosità  e  morbidezza  da  dare  del  muliebre  a  tutte 
le  parti  della  sua  statua ,  senza  alterare  il  com- 
plesso delle  forme  virili  della  figura.  Del  resto  que- 

(i)  Bacco  era  riputato  dagli  antichi  una  ragazza  fra' giovanetti.  V.  Aristide  in 
Bacco,  e  le  nostre  osservazioni  sul  gruppo  pompejano  di  Bacco  ed  Ampelo  in  bronzo 
al  volume  III,  tavola  IX  di  quest'opera  e  la  spiegazione  della  tavola  XLVII  del 
precederne  volume  di  questa  stess' opera. 


VOL     XIV.     TAV.    VII.  5 

sia  bella  statua  può  senza  gran  teina  <li  errare  an- 
noverarsi fra  le  più  importanti  statue  di  secondo 
ordine  di  scultura  greco-romana. 


&j 


Tjiovtimvatt-tfa     ■/ inali. 


Tulstv: 


TA.vill, 


.  tsn/.'.  fc'11  ,/,/./,.,// fi 


\.4&Ka>. 


VOI,     \IV.     TA\.     Mll. 


SuprosTA  Sibilla  —,  Statua  velata  in  marmo  gre- 
clietto  alta  palmi  sette  e  mezzo  proveniente 
dalla  Casa  Farnese. 


N 


on  è  da  rivocarsi  in  dubbio  che  in  diversi  paesi 
ed  in  secoli  diversi  siasi  generalmente  creduto  alla 
esistenza  delle  Sibille.  Gli  antichi  scrittori  lungi 
dal  promuover  dubbiezza  ne  confermano  la  esi- 
stenza col  disconvenire  sul  loro  numero  (i).  Pla- 
tone ne  riconosce  una  sola  ,  ed  i  suoi  seguaci  una 
ne  riconoscono  in  Eritrea  nella  Ionia.  Solino  ed  Au- 
sonio ne  ricordano  tre  V Eritrea  ,  la  Sardica  ,  e  la 
Carnea  ;  Eliano  ne  enumera  quattro  (2)  ;  Varrone 
con  molti  altri  ne  conta  dieci  (5)  ,  l1  ultima  delle 
quali  chiamata  Albunea ,  e  perchè  era  di  Tivoli 
la  dissero  ancora  Tiburtina.  Né  può  dubitarsi  della 


(1)  Anche  i  primitivi  Padri  della  Chiesa  affermano  1'  esistenza  delle  Sibille.  Ma 
avranno  esse  realmente  profetizzato?  In  qual  modo  ottennero  il  dono  del  consiglio 
divino?  Son  dubbj  questi  da  meritare  altro  lavoro  più  severo  dell'  indole  di  que- 
st'  opera.  Varrone  apud  Lactant.  I.  u  e.  6.  e  Aug.  Ve  Civit.  Dei  l.  i8,  e.  n5. 

(2)  E  sono  V Eritrea  ,  la  Sardica,  l'Egizia,  e  la  Samia.  Aelian.  Var.Hist. 
lib.  13.  e.  35. 

(3)  Vedi  Onofrio  Panvinio  nel  suo  trattato  De  SibylUs. 

* 


a  VOL.     XIV.     TAV.     Vili. 

esistenza  delle  loro  predizioni,  la  di  cui  raccolta  de- 
nominata de' libri  sibillini  serbavasi  con  tanta  cura 
in  Roma  che  ne  venne  affidata  la  custodia  ora  a  due, 
quindi  a  dicci,  e  poscia  a  quindici  magistrali.  Non 
sarebbe  quindi  da  far  le  meraviglie  che  alle  Sibille 
autrici  di  quelle  predizioni  e  di  que'  libri  fossero 
state  delle  statue  erette  :  tanto  più   eh'  è  fama  di 
essersi  rinvenuta  in  Tivoli  la  statua   della   Sibilla 
Tiburtina    reggendo  fra  le  mani  il  libro   forse  de1 
suoi  vaticini  ;    dal  che  potrebbe    inferirsi   non  es- 
sere inverosimile  che  la  nostra  statua  una  ispirata 
Sibilla  ne  presentasse ,  se  come  la  Tiburtina  avesse 
un  libro  fra  le  mani ,    o  altro   caratteristico  attri- 
buto :  ma  ne  duole  che  la  nostra  statua  per  quanto 
bella  e  sufficientemente   conservata  nella   massima 
parte  della  sua  figura ,  altrettanto  sia  priva  di  libro 
o  di  altro  convenevole  attributo,  essendo  le  mani 
e  le  braccia  supplemento  ardito  di  libero  ristaura- 
tore  ,  il  quale  si  avvisò  formare  a  suo  talento  una 
di  quelle  fatidiche  donne  facendole  stringere  nella 
sinistra  un  avvolto  papiro,  ed  atteggiandole  la  destra 
al  gesto,  col  quale  sembra  accompagnare  il  suo  dire. 
È  vero  che  l' aspetto  dignitoso  e  severo ,  ed  il  modo 
con  che  è  panneggiata  danno  a  tutta  la  figura  un  por- 


VOL.     \IV.     TAV.     Mll.  5 

lamento  grave  ed  imponente  da  risvegliare  la  idea  , 
che  por  essa  si  rappresenti  una  donna  ad  ufizi  di- 
vini destinala  ;  ina  tutto  ciò  a  noi  non  sembra 
sufficiente  per  riconoscervi  una  delle  Sibille,  delle 
quali,  ali1  ecce/ione  della  statua  Tiburtina ,  non  è 
a  nostra  notizia  di  essersi  rinvenuti  altri  simulacri. 
E  però  clic  ci  limitiamo  a  darne  la  descrizione. 

E  dessa  in  piedi  in  atto  di  accompagnar  col 
gesto  la  sua  parola.  Un  grandioso  manto  dalla 
sommità  del  capo  scende  ad  inviluppare  tutta  la 
persona  clic  al  di  sotto  è  panneggiata  di  prolissa 
tunica  talare,  della  quale  tanto  ne  rimane  scoverta 
quanto  1'  atteggiamento  delle  braccia  alquanto  ele- 
vate ritira  in  su  del  grandioso  manto.  E  questa 
attitudine  produce  il  più  bel  partito  di  pieghe  del 
nostro  simulacro  ,  e  massimamente  di  quelle  che 
sono  al  prospetto  e  delle  altre  che  ricadono  dalle 
braccia.  Il  lungo  cirro  rivolto  sulla  fronte  dà  un' 
aria  bizzarra  alla  testa  poco  conveniente  però  ad 
un'  acconciatura  di  persona  a  cose  sacre  destinata. 
I  suoi  piedi  sono  rivestiti  di  calceameuti,  le  brac- 
cia e  le  mani  col  papiro  involto  sono  moderne  ag- 
giunzioni che  non  raggiungono  il  merito  di  questa 
bella  scultura  greco-romana. 

XiiovamvaltJta     binati. 


,1 


TA.  \X. 


.',„/■.  i/. ,,  ././.r .,.„//, 


VOL.     \l\.    TAV.     IV 
Preteso  padre  di  Traiano  —  Statua  in  marmo 

Pei  il  ci  Leo  alta  palmi,  .set  la. 


Xoche  notizie  ci  lian  tramandato  gli  storici  di 
Trajano  ,  padre  dell'  ottimo  ed  illustre  Empera- 
dore  di  questo  nome  :  altro  non  si  raccoglie  di  par- 
ticolare sul  di  lui  conto  ,  eh'  egli  era  spaglinolo, 
abile  guerriero  ,  dedito  a  servire  con  distinzione 
l'imperio,  dal  quale  fu  rimeritalo ,  l'atto  console, 
ed  ammesso  agli  onori  del  trionfo.  Plinio  il  giovine 
nel  suo  panegirico  a  Trajano,  nel  parlare  dell'a- 
dozione che  di  lui  fece  Nerva ,  ci  fa  sapere  che  era 
nato  di  patrizio  e  consolare  e  trionfai  geni- 
tore (i).  E  sebbene  Eutropio  dica  che  il  padre  di 
Trajano  era  di  famiglia  più  antica  che  distinta  , 
tuttavia  Lipsio  osserva  che  il  patriziato  dovette  es- 
sergli conferito  da  Vespasiano  ,  allorché  questo  Ini- 
peradore  varie  famiglie  elevò  a  quel  nobile  grado. 
E  poiché  da' fasti  consolari  non  appare  ch'egli  fosse 
stato  console ,  lo  stesso  Lipsio  suppone  che  sia  re- 
stato confuso  nel  numero  de'  consoli  surrogati ,  dei 

(i)  Patricia ,  et  consiliari ,  et  triumphali  patre  genitam Cap.  IX. 


2  VOL.     XI\'     TAV.     IX. 

quali  precise  notizie  a  noi  non  son  pervenute.  L'in- 
signe suo  figliuolo  intanto  con  l'avanzarsi  dell'età 
divenne  cosi  celebre  ed  abile  soldato  sotto  gl'in- 
segnamenti di-I  genitore  ,  eli'  essendo  ancor  giovi- 
netto,  come  lo  stesso  Plinio  afferma  (1),  accrebbe 
la  gloria  del  padre  con  partico  alloro  :  e  si  può 
dire  dippiù  che  il  padre  in  compagnia  del  figlio 
abbia  al  tempo  di  Nerone  e  sotto  il  reggimento  di 
Corbalone  militato  nella  guerra  co'  Parti ,  e  meri- 
tatovi i  trionfali  onori  ,  seppur  non  gli  abbia  meri- 
tati nella  guerra  giudaica  sotto  Tito.  Rarissime  sono 
le  medaglie  con  la  sua  effigie  ;  una  se  ne  conosce 
in  oro,  ed  un'altra  in  argento  che  presentano  in- 
sieme le  due  teste  di  Trajano  Imperadore  e  di  lui, 
alle  quali  in  qualche  modo  somiglia  il  volto  della 
nostra  statua.  Ma  poiché  la  testa  di  questo  simula- 
cro ,  sebbene  di  antica  scultura  romana  ,  non  ap- 
partiene al  rimanente  della  figura;  ed  osservandosi 
che  il  movimento  di  questa  statua  somiglia  molto  a 
quello  dell'Achille  che  serbasi  nella  villa  Pinciana, 
ne  risulta,  che  forse  quella  testa  abbia  potuto  in 
origine  appartenere  a  qualche  statua  o  busto  del  pa- 


ti) Quuirt  puer  admudum  ,  partitica  lauro  gloriam  patris  augeres. 

Cap.  xiv. 


VOL     XIV.    TAV.     IX.  3 

die  di  Trajano,  e  clic  la  Statua  priva  di  testa  ap- 
partenga  a  qualche  eroe  molto  più  antico  di  quello 
spagnuolo  guerriero,  e  clic  il  solo  talento  del  ristau- 
ratore  ne  abbia  formato  l'intero  simulacro  che  ab- 
biamo sott' occhio.  E  desso  poggiato  con  la  gamba 
manca  ad  un  tronco  di  albero,  e  non  ha  altro  pan- 
neggio ,  salvo  il  paludamento ,  che  scendendo  da 
sopra  la  spalla  sinistra  va  ad  involgersi  nel  braccio 
dello  stesso  lato.  La  testa,  come  si  Odetto,  è  an- 
tica ,  ma  modernamente  riportata.  Le  gambe  pari- 
menti sono  antiche,  ma  ritoccate  dallo  stesso  scar- 
pello che  ha  immaginato  1'  innesto  di  questa  bella 
scultura  romana. 


f 


tovaniùaluta     alitati. 


^i  .1.  AT- 


TA.X. 


e  't/r/'',     Um     rt/.r/  *'rs///l 


i  ;/,. 


VOL.     XIV.    T\\       \. 


Si  pposto  Ulisse —  Bassorilievo  in  marmo  greco 
alto  pa/nii  o//()  e  mezzo  ,  per  palmi  due  e 
mezzo,  proveniente  dal  Museo  Borgiano. 


ra  i  più  importanti  bassorilievi  del  Real  Museo 
Borbonico  è  certamente  quello  che  qui  pubblichia- 
mo inciso  nella  tavola  X.  Presenta  un  uomo  bar- 
buto, cinto  il  capo  eli  diadema  che  regge  nel  mezzo 
della  fronte  un'  aletta  o  altro  oggetto  che  non 
bene  può  diffinirsi.  Egli  è  tutto  nudo,  se  non  che 
il  cinge  a  mezza  vita  un  leggiero  grembiale,  di  cui 
un  lembo  è  rivolto  sul  bastone,  al  quale,  incur- 
vandosi al  davanti,  poggia  la  sua  ascella  sinistra, 
e  fisamente  riguarda  in  un  oggetto  sottoposto  ai 
suoi  sguardi ,  oggetto  che  attualmente  non  si  vede 
nel  marmo.  A  suoi  piedi  sta  un  cane  assiso  sulle 
gambe  posteriori  in  attitudine  di  mirar  con  atten- 
zione il  suo  padrone.  E  molto  osservabile  una 
piccola  correggia  avvolta  al  polso  sinistro,  ed  alla 
quale  sembra  che  fosse  raccomandata  un'ampol- 
lina sferoidale  con  collo  stretto  e  bocca  larga,  si- 
mile agli  unguentari  di  vetro   o  di  argilla    oppur 


2  VOL.     XIV.    TAV.     X. 

di  bronzo  che  serbami  nelle  collezioni  del  Real 
Museo  ed  altrove.  Lo  stile  della  scultura  è  arcaico 
di  ottima  maniera ,  altravolta  confuso  con  lo  stile 
italico  antico  detto  etrusco  ;  di  modo  che  dopo  le 
scoperte  delle  statue  di  Egina ,  e  di  tanti  altri  stu- 
di fatti  su  tali  monumenti,  altra  via  non  resta  agli 
antiquari  per  distinguere  i  monumenti  greci  anti- 
chi dagli  etruschi,  chela  qualità  de' marmi  in  che 
sono  sculti  e  le  forme  de'  volti  delle  figure.  Nelle 
opere  italiche  il  marmo  è  delle  cave  d'  Italia  (1) 


(i)  L'antichità  delle  cave  di  Luna ,  una  delle  dodici  capitali  degli  Etruschi, 
è  stata  molto  disputata  per  la  inesatta  interpetrazione  di  un  passo  di  Plinio  ,  il 
quale  scrivendo  verso  la  metà  del  primo  secolo  della  nostra  era  le  dice  poc'  anzi 
scoperte:  lib.  36  cap.  ó  sez.  4.  num.  2:  al  qual  proposito  con  molta  erudita  critica 
osserva  1'  annotatore  della  storia  delle  arti  del  sommo  Winckelmann  ,  che  quello 
storico  dice  che  nuper,  poc'anzi,  si  era  ritrovato  in  esse  un'  altra  qualità  di  mar- 
mo più  bianco  di  quello  vi  si  cavava  prima,  esprimendosi  cos'i  :  »  Omnes  auleta  tantum 
candido  marmore  usi  sunt  e  l'aro  insula,  quem  lapiderà  ccepere  ly  chnitem  appel- 
lare ,  queniam  ad  lucernas  in  cuniculis  caederetur  ,  ut  auctor  est  Varrò  ,  muttis 
postea  candidiorilus  repertis,  nuper  etiam  in  Lunensium  lapicidinis  ».  Ed  al  35 
cap.  6  sez.  y  dice  che  IVIamurra,  nobile  romano  che  viveva  ai  tempi  di  Giulio  Ce- 
sare ,  fu  il  primo  che  facesse  le  colonne  del  suo  palagio  tutte  di  un  pezzo,  alcu- 
ne di  marmo  caristio  ,  ed  alcune  altre  di  marmo  lunense  ;  senza  dire  che  sia  stato 
il  primo  a  trarre  marmi  da  Luna  ;  ma  che  sia  stato  il  primo  ad  ornare  la  sua 
casa  di  colonne  del  marmo  caristio  e  del  lunense  ,  supponendo  che  nell'  uno 
e  nell'  altro  luogo  vi  esistessero  precedentemente  le  cave.  Vedi  il  nostro  terzo  tomo 
delle  descrizioni  del  Real  Museo  Borbonico  alla  prefazione  de'  monumenti  etru- 
schi ,  oschi ,  volschi  e  greci  antichi.  Napoli  1823. 


VOI*     XIV.    TAV.     X.  5 

ed  i  volti  sono  di  fattezze  e  Forme  nazionali,  sen- 
za grande  .scelta  o  premura  dell'  ideale  ;  laddove 
nelle  opere  greche  costantemente  il  marino  è 
delle  cave  di  Oncia,  ed  i  volti  delle  figure  .sono 
di  forme  scelte,  ed  al  più  delle  volte  ideali  e  su- 
blimi. Tale  per  1'  appunto  si  offre  il  nostro  bas- 
sorilievo :  il  marmo  è  di  Grecia ,  chiamato  dagli 
artisti  marmo  greco  a  specchioni  ;  le  forme  del 
volto  di  un'  accurata  sceltezza  e  per  conseguenza 
ideali  e  tendenti  al  sublime;  e  qui  caratteristiche 
sono  dello  illustre  personaggio  che  esprimono  , 
iscorgendosi  la  fronte  cinta  del  diadema,  ordinaria 
insegna  de'  monarchi  dell1  antichità.  Allorché  per- 
venne dalla  collezione  Borgiana,  vi  fu  ravvisato 
Ulisse  di  ritorno  in  patria  sotto  mentite  spoglie 
di  povero,  e  riconosciuto  dal  cane  :  questa  divina- 
zione però  incontrò  ostacoli  ne'  particolari  del  mo- 
numento, e  si  credè  più  verisimilinente  che  per 
esso  si  esprimesse  un  semplice  cacciatore.  Il  ve- 
dersi intanto  questa  bella  figura  scolpita  in  una 
lastra  di  marmo  con  dado  sopra  e  sotto  ed  in  ci- 
ma un  gran  fogliame,  ci  ha  fatto  supporre  che  fa- 
cesse parte  di  una  più  grande  composizione  di 
qualche  magnifico  monumento  sepolcrale.    E  que- 


4  VOL.    XIV.    TAV.    X. 

sta  nostra  supposizione   si  è   molto   avvicinata  al 
vero,  essendosi  saputo  da  buona  fonte  che  nell'A- 
sia minore  fu  ritrovato  un  diruto  monumento  se- 
polcrale con  avanzi  di  greche  iscrizioni,  al  quale 
apparteneva  un  bassorilievo  compagno   in  tutto  al 
nostro,  esprimendo  voltata  a  dritta  una  bellissima 
figura  dello  stesso  antico  stile  e  nello  stesso  atteg- 
giamento, tenendo  al  dippiù  nella  mano  un  vaso 
di  bronzo,   la  cui  metà  era  nel  masso  incastrata. 
E  siamo  stati  pure  informati  che  il  nostro  basso- 
rilievo apparteneva  allo  stesso  monumento  asiati- 
co ,  ed  amendue   facevan    parte   del   frontone   di 
quella   tomba ,  nel  quale    era  sculto    un   sepolcro 
posto  fra  la  nostra  figura    e  la  compagna  ,  e  che 
amendue  sono  nello  atteggiamento  di  eseguire  una 
libazione  su  quel  sepolcro  per  placare  gli  Dei  in- 
fernali. Le  quali  cose  tutte  combinano  a  meravi- 
glia   coli'  attitudine   della  nostra   figura  rivolta  a 
sinistra  e  collo  sguardo  fisso  verso  il  sepolcro ,  che 
doveva    esser   frapposto    fra  essa  e  1'  altra    figura 
volta  a  dritta,  espressa  nel  bassorilievo  compagno  ; 
tanto  più  che  tutta  la  persona  e  la  mano  che  do- 
veva versare  il  liquore  sono  atteggiate  secondo  il 
rito  religioso  per  le  libazioni    alle  divinità    infer- 


VOL.    XIV.    TAV.     \. 


iiali ,  siccome  spesso  spesso  s'incontra  ne' auggetti 
funebri  espressi  ne' vasi  Italo-greci,  e  non  «li  rado 
in  aldi  monumenti  dell'antichità  figurata. 


Tuovamlatida     Urinati. 


\0L.     XIV.    TAV.    XI. 
Bassorilievo  /'//  /nanna  lunense, 


i^okgk  nel  campo  robusta  quercia  carica  di  ghian- 
de, che  ombreggia  co' suoi  frondosi  rami  liscia  co- 
lonna adorna  di  un  festone ,  con  suvi  un  simulacro 
tenente  nella  sinistra  mano  un  bacino  ripieno,  ho  det- 
to quasi,  di  frutta.  Muove  a  questa  volta  un  destriero 
su  cui  cavalca  un  uomo,  e  siede  una  donna  dal 
medesimo  sorretta ,  intanto  che  un  clamidato  pe- 
done, prendendo  per  la  briglia  quell'animale,  cerca, 
come  pare,  appressarlo  alla  statua.  Bella  è  la  ma- 
niera come  sono  aggruppate  le  ligure,  bello  il  modo 
come  son  trattate  le  pieghe  del  manto  in  che  è 
avviluppata  in  parte  la  donna,  graziosa  eziandio  la 
movenza  con  che  costei  stringe  una  fiaccola,  e  spe- 
cioso il  contrasto  che  fauno  le  tenere  sue  carni  con 
le  vigorose  del  compagno  ;  ma  difficile  cosa  riesce  il 
determinare  l'argomento  di  questa  scultura.  Certo  è 
per  altro  che  costoro  vengano  a  sacrificare  alla  di- 
vinità posta  su  la  colonna ,  e  ciò  facciano  di  notte. 
Ma  qual  è  il  nume  che  si  merita  sì  fatto  onore. 
È  egli  un  Silvano?  è  egli  un  Vertunno?  è  egli  un 


2  VOL.    XIV.    TAV.    XI. 

Priapo?  Noi  possiamo  decidere;  poiché  quel  bacino, 
o  che  altro  siasi ,  ripieno  di  frutta ,  a  tutti  e  tre 
questi  personaggi  si  converrebbe  e  soprattutto  al  Dio 
di  Lampsaco  ,  il  nome  del  quale  piacque  a  taluni 
derivare  dal  semitico  3NHD  (peri-ab) padre  de'f rutti 
Laonde  se  nel  nostro  simulacro  potessimo  que- 
st'  ultimo  nume  riscontrare ,  memori  che  nude  so- 
levano le  donne  offrirgli  de' sacrifizi  (1),  diremmo 
esser  questo  bassorilievo  un  marmo  votivo  dedicato 
a  colui  che  di  fecondità  era  dispensatore.  E  quando 
sapremo  che  il  marmo  fu  trovato  nelle  rovine  di 
Capri ,  saremmo  tentati  di  credervi  rappresentato 
quel  lascivo  tiranno  che  vi  dimorò  tredici  anni , 
dir  voglia  mo  Tiberio ,  con  qualcuna  delle  sue  pre- 
dilette amiche  (2). 


'ernardo  Quaranta. 


(x)  Caylus  III,  ho,  5.  Bracci  I,  tav.  agg.  22  I.  M.  Fior.  I,  g5,  4-8. 

(2)  Vedi  la  nostra  opera  Le  antiche  liuine  di  Capri  illustrate  pag.  12. 


VOL.    XIV.    TAV.     Mi  i 

Supposti  L.  Cornelio  Lentulo  -  Attilio  Regolo- 
Cicerone— -Mezzi  busti:  il  primo  in  marmo 
di  Litui  alto  pahui  due  proveniente  dalla.  Casa 
I  arnese:  il  secondo  in  marmo  greche  Ilo  allo  pai. 
uno  e  mezzo,  ed  il  terzo  in  marmo  statuario 
alto  pai.  due  e  mezzo  provengono  da  Ercolano. 

J.  ritratti  di  tre  celebri  uomini  della  romana  Re- 
pubblica si  vorrebbero  espressi  per  le  tre  teste  che 
pubblichiamo  in  questa  tavola  XII.  Di  Lentulo  e 
di  Regolo ,  che  sono  i  due  posti  a  sinistra  del  riguar- 
dante, le  denominazioni  trovano  un  certo  appoggio 
in  due  quasi  simili  ritratti  riportati  dal  Gronovio  : 
non  così  del  terzo,  attribuito  all'illustre  Arpinate, 
col  quale  non  sembra  aver  molta  somiglianza  ;  so- 
prattutto se  si  confronti  colle  immagini  più  comune- 
mente attribuite  a  questo  sommo  oratore  e  filosofo. 
Il  celebre  Lentulo  della  famiglia  Cornelia ,  e 
parente  di  Siila  e  di  China ,  è  imberbe  secondo  il 
costume  del  suo  secolo:  i  suoi  lineamenti  si  addi- 
cono ad  uomo  cupo  ,  pensante  ed  ambizioso  :  ed  il 
carattere  della  scultura  conviene  al  tempo  de'  Cor- 


2  VOL.     XIV.     TAV.     XII. 

nelii  ;  se  le  sembianze  non  presentano  il  ritratto  di 
quel  capo  della  congiura  di  Catilina  ,  appartiene 
certamente  a  qualche  altro  celebre  personaggio  del- 
l'ultimo secolo  della  Repubblica  romana. 

L'imperterrito  Regolo  sarebbe  qui  espresso  con 
la  testa  che  gira  alquanto  a  sinistra  e  con  alcune 
pieghe  di  toga  sull'omero  opposto:  i  suoi  linea- 
menti sono  placidi  e  senza  alcun  tratto  della  es- 
pressione che  dovrebbe  essere  impressa  nella  fìso- 
nomia  di  quell'acre  repubblicano  ed  imperterrito 
vincitore  di  armate  e  di  mostri ,  che  dalla  storia 
in  Attilio  ci  vien  presentata  ,  abbenchè  non  sempre 
il  volto  sia  indizio  delle  grandi  passioni  dell'animo. 

Per  ciò  che  riguarda  l'ultimo  busto  a  dritta 
del  riguardante  di  questa  tavola,  e  che  si  attri- 
buisce senza  alcun  fondamento  a  Cicerone,  dicia- 
mo che  questo  marmo  che  in  origine  presentava  il 
ritratto  forse  di  un  console  ,  nel  l'istaurarsi  il  naso 
di  cui  era  mancante  ,  e  nel  risarcirsi  qualche  ol- 
traggio del  tempo,  fu  ritoccato  nella  massima  parte; 
ond.'è  che  ora  non  si  può  neppure  dirimile  l'epoca 
della  sua  scultura,  abbenchè  nell'insieme  palesi 
il  buon  tempo  delle  arti  di  Roma. 

Y-  tovam  valuta    U  mali. 


m  i .  \- 1  \'. 


TEA,  A'JIJ, 


.   ^,//f  .//•'/■'     .'/</,/</,"///       ,/,/. 


?  ,v      '  /  .-/  g  -///   <j<u/A. 


VOIi.     X.IV.    TAV.     XIII.  i 

Si  PPOSTO     F.NK\    CON   LA    FAMIGLIA.    Bassorilievo  -r 

Nobile  Komana  con  gli  attributi  dell'. Ab- 
bondanza. Si  dine/ la  —  Piccoli  bronzi,  ap- 
partenente il  primo  alla  voi /azione  Borgiana, 
il  .secondo    agli    scavi  di  Pompei. 


iJo\  noie  le  sventure  elio  precedei  loro  e  seguirono 
F  ultima  notte  di  Troja ,  e  pur  nota  e  conta  è  la 
pietà  di  Enea  tanto  celebrata  in  quello  eccidio  dal 
eantor  Mantovano;  e  se  il  monumento  che  abbia- 
mo sott'  occhio  ,  inciso  a  sinistra  del  riguardante 
di  questa  tavola  XIII,  fosse  accompagnato  da  altra 
Hgura  che  manca,  avremmo  forse  presentato  ai 
nostri  leggitori  quello  eroe  che  si  pone  in  salva- 
mento (1)  con  la  sua  famiglia  dal  supremo  ester- 
minio della  sua  patria:  imperciocché  il  vedersi  in 

(1)  La  salvezza  di  Enea  e  della  sua  famiglia  viene  attribuita  dagli  storici  e  dai 
poeti  latini  alla  pietà  di  lui ,  osservando  che  nel  mentre  i  Trojani  campavan  dalle 
mani  de' vincitori  trasportando  ciascuno  le  più  preziose  ricchezze,  Enea  fu  visto 
carico  del  padre  e  de' Penati  ,  f  irg.  -Aeneid.  I.  2.  Ovìd.  Fast.  1.  4.  Propert.  I.  *. 
Elrg.  I.  ed  altri  molti.  I  più  antichi  però  affermano  ch'egli  pose  in  salvamento 
la  sua  famiglia  ed  i  suoi  beni  per  aver  dato  di  concerto  con  Antenore  la  pa- 
tria   nelle   mani  de'  Greti,    i  ijuali    per  impedire   1  he   fossero  oltraggiate  le   loro 

** 


2  VOL.     XIV.     TAV.     XIII. 

questo  bronzo  un  uomo  pileato  vestito  alla  Frigia 
che  conduce  per  mano  un  fanciullo  anche  nel  co- 
stume frigio  vestito  ,  ed  accompagna  una  dignitosa 
matrona  ,  che  gli  è  a  manca  imbracciando  a  sinistra 
un  bustino  di  bambolo,  ha  fatto  sospettare  che  in 
questo  monumento  potesse  raffigurarsi  Enea  Del- 
l' uomo  pileato ,  il  piccolo  Ascanio  o  Giulo  nel  fan- 
ciullo, Creusa  che  trasporta  un  Penate  nella  donna 
che  imbraccia  il  bustino  di  bambolo  ;  e  spinge  a  ri- 
cercare con  premura  se  mai  fossevi  indizio  di  altra 
figura  dal  tempo  distrutta  per  riconoscervi  Anchi- 
se  ,  che  non  potrebbe  essere  in  verun  caso  scom- 
pagnato da  questa  scena.    Le  quali   considerazioni 


famiglie  ,  e  distrutta  cosa  che  ad  essi  apparteneva,  posero  una  sentinella  a' palazzi 
di  Enea  e  di  Antenore.  Vedi  Ditti  Cret.  lib.  5.  e  Daret.  Frig.  lib.  6.  E  Servio 
ricorda  al  lib.  1.  dell'  En.  che  Antenore  ed  Enea  tradirono  la  loro  patria  ,  secondo 
i  detti  di  Livio  Antenor  et  Aeneas  (  teste  Livio  )  patnam  prodidisse  dicuntur  : 
sebbene  conchiuda  che  Antenore  ed  Enea  furono  risparmiati  da'  Greci  perchè  si 
dichiararono  contro  Paride  ed  opinarono  per  la  pace.  Ma  ciò  che  molto  rileva  in 
questa  ricerca  si  è  che  Dionigi  di  Alicarnasso ,  benché  scrivesse  sotto  gli  occhi  di 
Augusto  che  gloriavasi  discendere  da  Enea ,  parlò  di  questo  tradimento  ;  del 
quale  né  anche  tacque  Strabone  ,  per  averne  raccolto  i  particolari  da  un  antico 
autore.  Vedi  Dion.  Alicar.  lib.  i.  e.  h.  Strab.  lib.  i3.  Che  che  sia  di  queste 
diverse  tradizioni  ,  sembra  presso  che  certo  che  Priamo  non  amava  Enea ,  e  che 
questo  principe  odiava  Priamo.  Omero  il  ricorda  nella  Iliade  al  Uh.  i3,  e  tutti  gli 
dltri  poeti  e  storici  greci  non  disconvengono  punto  della  scambievole  disistima  di 
questi  due  parenti. 


VOL     \l\.    TAV.     XIII. 

ci  hanno  obbligato  ad  esaminare  accuratamente 
questo  bronzo  di  getto  Don  mollo  spesso  ,  e  che 
sembra  aver  Fatto  parte  di  qualche  ornamento  di 
mobile;  e  dopo  le  più  minute  ricerche  non  abbiamo 

ravvisato  alcun  indizio  da  poter  richiamar  1'  idea 
di  esservi  stata  in  origine  altra  figura  ;  il  che  ha 
fatto  dileguare  il  sospetto  che  dapprima  si  era 
concepito,  e  ci  ha  indotto  anzi  a  riflettere  che,  ap- 
partenendo questo  monumento  alla  decadenza  delle 
arti,  doveano  essere  ben  noti  a  quell'epoca  i  par- 
ticolari della  fuga  di  Enea  con  la  famiglia  ,  ricor- 
dati o  immaginati  dall'  autore  dell'  Eneide.  Quivi 
il  poeta  chiaramente  racconta  che  i  Penati  con  le 
sacre  cose  furon  destinate  ad  esser  trasportate  da 
Anchise  (i);  quindi  mal  si  troverebbe  qui  un  Pe- 
nate fra  le  braccia  di  Creusa.  Prosegue  di  più  lo 
stesso  autore  a  narrare  che  Enea  prescrisse  alla 
consorte  di  seguir  da  lungi  i  suoi  passi  (2)  ;  e  qui 
Creusa  mal  sarebbe  col  marito  e  col  lìglio  aggrup- 
pata. Da  ultimo  in  questo  bassorilievo  non  si  ri- 
trova il  tìgliuol  di  Venere  ricoperto  negli  abiti  da 
vellosa    pelle   di    leone    còme    il    descrive   il  poeta 

(1)  Tu  genitor  cape  sacra  manu ,  patriosque  Penates.  Aeneid.l.  3,  v.  -'-■ 

(2)  ....   et  longe  serfet  vestigia  conjux.  Ib.  v.  ytt.  e  più  sotto  al  v.j?5. 


4  VOL.    XIV.     TAV.     XIII. 

latino  (1),  ina  bensì  vestito  di  frigia  tunica  e  pileo 
viatorio  in  testa;  e  ciò  che  maggiormente  rilevasi 
è  che  la  dignitosa  barba  ,  onde  è  qui  decorato  il 
frigio  viaggiatore  mal  si  addirebbe  allo  eroe  trojano. 
Laonde  sembra  che  per  questi»  importante  bassori- 
lievo altro  subiclto  siasi  voluto  esprimere  ,  il  quale 
none  molto  facile  a  potersi  divinare,  se  ne  togli 
l' insieme  della  composizione  che  una  famiglia  di 
distinzione  par  ne  presenti,  soprattutto  per  la  par- 
ticolarità che  si  osserva  in  quella  specie  di  diade- 
ma che  fregia  la  testa  della  dignitosa  matrona. 

Neil'  altro  bronzo  inciso,  a  dritta  del  riguar- 
dante ,  è  espressa  una  figura  muliebre  vestita  di 
lunga  tunica  con  corte  manche  ,  ricoperta  da  un 
manto  affibbiato  all'omero  dritto  con  cornucopia 
nella  sinistra  ed  altro  oggetto  difficile  a  diffinirsi 
nella  dritta.  Ha  una  stendono  reticolata  in  lesta 
ed  i  calzari  a'  piedi.  L'attitudine  è  molto  nobile, 
pregevole  è  il  partito  delle  pieghe  ,  sufficiente  la 
sua    conservazione.    Ordinariamente   l'Abbondanza 

(1)   ...   latos  humercs ,  subjectaquc  colla 

feste  super  ,  fulvaque  inslerrwr  peli?  Ifonis  .- 

Snrcedoque  teneri:  dextrae  se  parvus  Julus 

Implìcuit ,  sequiturtjue  palrcm  rwn  passtbus  aequts. 

Pone  subii  cunjux-  ferìmur  per  opaca  locorum.  Ih.  jit.  e  se^g. 


VOL.    \1\.    TAV.     Xlll.  5 

,^i  ritrova  in  quasi  che  simili  fogge  rappresentala  ; 
se  non  che  il  vedersi  qui  il  volto  privo  affatto  di 
quel  bello  ideale  non  mai  scompagnato  dal  sem- 
biante delle  divinila  ,  la  testa  ornala  di  sFendone 
o  altro  acconciamento  reticolato  ,  ed  i  piedi  cal- 
zali, ci  fa  portar  giudizio  che  per  questa  figurina 
.si  presenti  il  ritrailo  di  qualche  distinta  romana 
.sullo  le  forme  e  gli  attributi  dell'  Abbondanza  ,  al- 
lusioni molli)  ovvie  nel  tempo  del  romano  impe- 
rio, come  nel  eorso  di  questa  opera  abbiamo  molte 
volte  osservato. 


iJiovamlafula     tymalt. 


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Qi  vrnto  Musaici. 


Siccome  le  mura  de'  tempi ,  de'  portici  e  delle  case 
vedevansi  presso  ^li  antichi  adorne  di  pitture  o 
su  tavole  o  sopra  intonaco,  siccome  dipinte  erano 

eziandio  le  loro  soffi  ite  ;  così  anche  le  soglie  abbi- 
sognavano di  un  abbellimento  che  col  resto  dell' 
edilìzio  le  armonizzasse,  e  che  nel  tempo  medesimo 
non  soffrisse  dal  continuato  calpestio  verun  danno. 
E  ciò  si  ottenne  con  ricoprire  il  pavimento  di  pe- 
truzze  a  variati  colori  ,  le  quali  essendo  connesse 
insieme  rappresentavano  le  figure  come  a  pennelli, 
e  pittura  marmorea  ben  nomar  si  potevano.  Siffatte 
petruzze  chiamavansi  ^rfìoi ,  alóoczicrx.01  ( psep/ioi , 
abaciscoi  )  da' Greci,  tesserne  ed  emblemata  da'La- 
tini,  e  chi  le  disponeva,  perchè  esprimessero  delle 
figure,  vJoopo&TT]?  ( psepliothttes  ),  come  leggesi 
in  una  iscrizione  recata  dal  Bocck  (1).  Dalla  quale 
si  trae  quanto  bene  il  lavoro  istesso  chiamato  fosse 
v//rJ(poc'£<r'/]1aa,  \l/r$okoyr,pa,  \pYl3o\oyx<ro>'  £&a(pos,  davrilov 
tv  afiaxicrx.oig  ( psepJiot/ielema, psephologema ,  pse- 

(1)  C.  I.   n.  2025. 


2  VOL.    XIV    TAV.    XIV. 

pliologelon  edaphos,  dapedon  en  aòaciscois),  pa- 
vimentimi, opus  tessellalum,  nelle  Glosse  di  Filos- 
seno  vermiculatum ,  o  solamente  emblema  in  Var- 
inone (ì),  e  piotimi  de  musivo  presso  Sparziano  (2), 
e  più  tardi  ancora  musivum ,  masiocum ,  mosi- 
bium,  museum,  e  museacum ,  intorno  a  che  si 
meritano  tutta  l'atteDzione  le  disputazioni  etimo- 
logiche del  Ciampini  (5) ,  dello  Scaligero  (4) ,  del 
Ferrano  (5),  e  dello  Sponio  (6),  e  dell'anonimo  citato 
dallo  Schelhorn  (7). 

Inventori  di  opera  siffatta  furono  gli  Egizi , 
maestri  della  civiltà  e  delle  arti  a  tutto  il  mondo  (8); 
e  da  essi  imparatala  i  Greci  vi  sfoggiarono  ogni 
maniera  d'ingegno.  E  già  nel  tempio  di  Giove  in 
Olimpia  vedevasi  un  connesso  di  fluviatili  sassolini , 
che  rappresentavano  un  Tritone  sulla  cui  coda 
sedeva  leggiad rissimo  Amorino. 


(1)  R.  R.  3,  2j.  Cicerone  de  Or.  5,43,  Plinio  5G ,  25,  G0-64. 

(2)  Pescen.  6. 

(5)  De  pict.  I.  cap.  8. 

(i)  Nelle  note  a  Manilio  I,  5. 

(5)  Fer.  Epist.  etc. 

(6)  Dissert.  II,  e.  4. 

(7)  Amoenit.  Litt.  V,  §.  7. 

(8)  Champollion  Figeac  ,   Egjple  p.  200- 


VOL.     \l\.    TAV.     \|\ 

Di  Milani  musaici  gran  copia  se  ne  Uova  in 
Pompei ,  e  quivi  per  punto  furono  disolterrati  quelli 
che  diamo  in  questa  tavola.  Il  primo  presenta  <lm 
maschere  tragiche  in  mezzo  a  corone,  tenie,  e  frutta 
di  ogni  maniera  composte  in  bellissimo  ordine. 
Mostra  il  secondo  in  un  ripartimento  un  gallo  clic 
arraffa  una  pollastra  ,  nell'  altro  anitre  ,  pesci  , 
conchiglie  ed  uccelli.  Il  terzo  anche  pesci  con  una 
conchiglia,  un  polpo  ed  una  locusta  marina,  cinto 
come  di  cornice  da  bellissimo  ornato  di  fiori.  Il 
quarto  finalmente  un'arpia  la  quale  par  che  vo- 
glia artigliare  un  uccello,  che  le  vola  innanzi.  Ella 
stringe  nella  destra  una*  brocca ,  e  colla  sinistra 
sostiene  in  testa  un  canestro  con  siivi  cose  che 
non  bene  puoi  discernere.  La  segue  a  volo  gra- 
zioso Amorino  il  quale  par  che  porti  una  specie 
di  piccola  ara. 


'erjiardo    ^Luaranta 


XTV. 


T.\.  A"V. 


■  '<//<, /A  si  , ■//<  s,s, ///,//'  ',/s/. 


VOL.     XIV.    TAV.     W.  i 

Urnetta  italo-greca  —  Vaso  fittile  alto  675  cen- 
tesimi di  palmo  per  mezzo  pai/no  di  diametro. 

v^f desta  pregevole  urna  a  due  manichi  verticali, 
e  con  coperchio  prominente  nel  mezzo  a  guisa  di 
un  unguentario  (1),  ha  dall' un  aspetto  e -dall' altro 
un  grazioso  dipinto  di  due  figure.  In  quello  del 
principale  aspetto  sono  espressi  fra  una  colonna 
ionica  ed  un  pilastrino  un  tibicine ,  ed  un  citarista. 
Il  primo ,  che  sta  presso  della  colonna  assiso  ad  un 
greppo  coperto  del  suo  manto ,  è  in  atto  di  dar  fiato 
alle  tibie:  il  secondo,  che  sta  in  piedi  presso  del 
pilastrino ,  vi  poggia  la  sua  cetra  in  atto  di  toc- 
carne con  la  sinistra  le  corde  :  quegli  è  tutto  nudo 
nella  persona  ,  se  non  che  un  lembo  del  suo  manto, 
che  ha  gettato  sul  greppo ,  gli  ricopre  parte  della 
sinistra  coscia  :  questi  ha  un  manto  posto  quasi  ad 


(1)  Le  urne  di  simil  forma  sono  molto  ovvie:  i  di  loro  coverihi,  per  comodo 
di  poterli  agevolmente  prendere ,  terminano  sempre  o  con  un  vasetto ,  o  con  un 
balsamario,  o  pur  con  un  uccello,  secondo  noi,  simbolici  dell'uso  cui  era  1'  urna 
destinata.  Il  nostro,  terminante  in  un  unguentario,  ha  forse  analogia  all'unguento 
di  cui  questa  urna  doveva  essere  aspersa,  o  agli  oggetti  che  in  essa  eran  contenuti. 


a  VOL.     XIV.     TAV.     XV. 

armacollo,  ed  una  collana  a  duo  ordini  combinata 
con  alcuni  fiori  a  tre  foglie  ,  simili  a  quelli  che  si 
veggono  contesti  nelle  ghirlande  che  cingono  le 
chiome  di  queste  due  belle  e  vivaci  figure. 

Il  momento  preso  ad  esprimersi  dall'antico  fi- 
glilo pittore  a  noi  sembra  esser  quello  dell'accordo 
de'  due  strumenti  de' suonatori  prima  di  cominciare 
un  concerto,  o  sonata  che  voglia  dirsi;  dappoiché 
colui  eh'  è  assiso  e  dà  fiato  alle  tibie ,  si  atteggia 
non  già  ad  eseguire  una  sonata  ,  ma  a  far  sentire 
il  tono  al  suo  compagno  riguardandolo  fisamente, 
e  sci -stando  le  sue  dita  dallo  strumento;  nel  mentre 
che  questi  stando  attentamente  a  lui  rivolto  pende 
da  quel  suono,  e  tocca  leggermente  le  corde  della 
sua  lira ,  senza  avvalersi  del  plettro  che  stringe 
nella  destra  ;  la  qual  cosa  mostra  che  accorda  e 
non  suona.  E  questa  circostanza  unitamente  all'al- 
tra di  vedersi  le  dita  del  tibicine  spiegate  in  modo 
Intorno  allo  strumento  da  non  poter  formare  ar- 
monia ,  siccome  avviene  sempre  che  si  vogliano 
accordare  gli  strumenti  da  fiato  con  quelli  da  corda, 
conforta  la  nostra  supposizione,  che  qui  siasi  espres- 
so il  momento  di  accordarsi  gli  strumenti,  momento 
con  tanta  verità  afferrato,  che  ti  sembra  esser  pre- 


VOL.    XIV.     TAV.     W  5 

sciite  a  due  Suonatori  (li  clarino  e  (li  celerà  che 
stanno  accordando  i  loro  strumenti  per  quindi  ese- 
guire un  concerto. 

Dall'aspetto  opposto  sono  espresse  due  donne 
che  si  purificano.  Sorge  fra  esse  un  l'onte  Insilale 
a  color  di  bianco  marmo,  e  sostenuto  da  alto  piede 
scanalato.  Una  di  esso  già  denudata  e  colla  lascia 
mamillare  disciolta  è  in  atto  di  lavar  le  sue  mani; 
l'altra  ornata  di  monile  al  collo  sta  togliendosi  la 
tunica  levandola  in  alto:  amendue  hanno  la  testa 
ornata  distendono  poco  dissimili  Ira  loro,  ed  amen- 
duo  sono  atteggiate  a  confabular  insieme.  E  osser- 
vabile nella  donna  che  ha  di  già  cominciato  a  la- 
varsi le  mani  il  suo  strofio  o  fascia  mamillare,  che 
già  slacciata  dal  suo  sito  le  pende  sul  busto  ;  e 
sono  puro  osservabili  in  questa  fascia  alcuni  oc- 
chielli circolarmente  forati ,  destinati  forse  a  pas- 
sarvi un  laccio  per  poterla  cingere  sotto  del  seno, 
come  si  pratica  oggi  col  giubbone  dello  nostre 
donne  ;  il  che  spiegherebbe  il  modo  usato  dagli 
antichi  nello  avvalersi  di  simili  fasce  mamillari  , 
modo  che  sinora  non  ricordiamo  di  aver  veduto  in 
altri  molti  monumenti  che  presentano  donne  di  tali 
fasce  fornite. 


4  VOL.     XIV.     TAV.     XV. 

Resta  da  ultimo  ad  osservare  nel  campo  del 
vaso,  ed  in  direzione  verticale  del  fonte,  quel  fa- 
gotto indeciso  nel  monumento ,  porche  alquanto 
consumato  dal  tempo ,  e  che  anche  indeciso  si  è 
reso  nella  incisione.  Noi  supponghiamo  che  sia  la 
tunica  della  donna  che  già  nuda  sta  lavandosi  le 
mani ,  e  quivi  da  essa  raccolta  ,  come  sopra  di  un 
armadio  o  scansia,  dopo  d'essersene  spogliata. 

Tfi  ovam  Va  tuta     dfi  n  a  tu 


TodLIIV. 


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VOL.     XIV.     TAV.     \\l 


L'Annunziata  -  Quadro  in  tela  di  Scipione  l'ut- 
zone  da  Gaeta,  allo  pai.  8  ed  once  6  per  pai.  6. 


JLìa  eccellenza  alla  quale  nel  dipingere  i  ritraiti 
giunse  Scipione  Pulzone  da  Gaeta  tu  tale,  che  gli 
meritò  l'onore  d'essere  da  tutti  gli  storici  anno- 
verato fra  gli  artefici  più  chiari  della  nostra  napo- 
letana scuola.  Ed  a  quanta  altezza  giungesse  il  Pul- 
zone in  così  fatto  genere  di  dipintura  ne  fa  fede 
sopra  gli  altri  il  Baglione  nella  vita  che  di  lui  ci 
narra,  ove  fra  le  molte  altre  cose  ci  dice  che  »al- 
))  lievo  del  famoso  Iacopo  del  Conte  fiorentino  come 
»  quegli  fu  eccellente  pittore  particolarmente  in  fare 
»  gli  altrui  aspetti,  talché  non  solo  passò  il  maestro, 
))  ma  nel  suo  tempo  non  ebbe  eguali,  e  sì  vivi ,  e 
))  con  tale  diligenza  che  vi  si  sariano  contati  fin 
))  tutti  i  capelli,  ed  in  particolare  i  drappi  che  in 
»  quelli  ritraeva  parevano  del  loro  originale  più 
»  veri  e  davano  mirabile  gusto  ». 

Per  queste  sue  felicissime  doti  nell'  operare  i 
ritratti  non  appena  Scipione  ebbe  compiuti  gli  studi 
dell'  arte  con  Iacopo  del  Conte  avendo  scelto  per 
sua  stanza  Roma  gli  fu  dal  Papa  Gregorio   XIII. 


2  VOL.     XIV.     TAV.     XVI. 

commesso  il  proprio  ritratto,  il  quale  esempio  imi- 
tarono poi  i  principi  e  i  cardinali  della  romana 
corte,  non  che  tutte  le  più  nobili  donne  di  quella 
famosa  città.  A  tale  scopo  lo  chiamò  anche  a  Fi- 
renze Ferdinando  allora  fatto  Gran  Duca,  acciocché 
la  sua  persona  imitasse  e  quella  della  Gran  Duchessa 
sua  moglie,  e  così  pure  venne  in  Napoli  per  di- 
pingervi il  ritratto  di  D.  Giovanni  d'Austria,  per 
la  quale  cosa  l' illustre  personaggio  con  ricchi  doni 
e  grandi  onori  il  compensò.  Ma  vedendo  Scipione 
che  il  solo  lavoro  de'  ritratti  non  lo  poteva  innal- 
zare al  grado  di  molti  altri  eccellenti  pittori ,  die- 
desi  ad  operare  e  storie  e  quadri  da  altari,  in  mezzo 
a'  quali  debbesi  annoverare  la  tela  che  qui  ripor- 
tiamo, la  quale  ora  ammirasi  fra  le  più  famigerate 
che  compongono  nel  real  Museo  Borbonico  le  sale 
della  scuola  napoletana. 

In  questo  dipinto  la  Vergine  genuflessa  innanzi 
a  modesto  inginocchiatoio  con  le  mani  incrociate 
sul  petto  par  che  si  volga  alla  voce  dell'  Angelo ,  il 
quale  inginocchiato  anch'  esso  mentre  la  sinistra 
mano  ha  stesa  verso  il  terreno  reggendo  un  ramo 
di  gigli,  simboli  del  candore,  con  la  destra  all'alto 
rivolta  indica  il  cielo,  e  con  la  bocca  disegnata  ad 
un  leggiero  sorriso  sembra  che  annunzi  alla  Madre 


VOL.     XIV.     TAY.     XVI.  5 

di  Dio  l'alta  missione  della  quale  egli  è  ministro. 
Al  sommo  del  quadro  tre  angioletti  che  da  un 
partito  (li  nuvolo  si  allacciano  come  in  atto  di  orare 
fan  corona  all'Altissimo  ritrailo  in  tutta  la  sua 
maestà  lino  al  mezzo  della  persona  con  gli  occhi 
al  basso  rivolli  e  con  le  braccia  aperte  e  sporgenti 
verso  la  Vergine,  come  se  dal  sommo  de' cieli  com- 
piere volesse  il  sacro  mistero  inviando  a  Maria  lo 
Spirito  Santo  simboleggiato  e  dipinto  nel  candido 
augello  poco  discosto  dagli  Angeli  che  la  gloria  del 
dipinto  esprimono. 

Ad  onta  che  la  composizione ,  come  dicesi  da- 
gli artisti ,  di  questa  tela  non  sia  da  ammirarsi  come 
cosa  straordinaria  ,  la  semplicità  de'  contorni  e  la 
soavità  de' toni  rendono  però  tale  opera  pregevo- 
lissima, spezialmente  se  prendesi  a  considerare  con 
quanta  morbidezza  sonosi  dal  pittore  trattate  le 
pieghe  della  veste  rossa  e  del  manto  celeste  dell'An- 
nunziata, non  che  la  tunica  dell'Angelo  di  color 
giallo  dipinta.  Da  compiangere  però  è  il  ritocco  che 
tale  quadro  ha  sofferto ,  il  quale  pur  troppo  non 
poco  danno  ha  arrecato  alla  purità  de' contorni 
come  quasi  sempre  in  così  fatte  congiunture  si  avvera. 

Se  con  accurata  riflessione    si   osserva    questa 
pittura    non   è   diffidi   cosa  riconoscere   in  essa    il 


4  VOL.     XIV.    TAV.     XVI. 

latte  dall'  autore  succhiato,  perocché  visibilmente  si 
scorge  nel  dipinto  in  parola  il  fare  della  fiorentina 
maniera,  quale  convenivasi  appunto  allo  scolare  di 
Iacopo  del  Conte.  E  ciò  tornar  deve  di  molto  elogio 
al  Pulzone  dimostrandoci  pertanto  quanta  versa- 
tilità era  nel  di  lui  pennello,  giacché  nell'operare 
i  ritratti  quasi  un  Tiziano  il  diresti.  Della  qual 
cosa  è  larga  pruova  la  bellissima  testa  che  vedesi 
nella  sala  medesima  ove  quest'  Annunziata  è  posta 
rappresentante  il  ritratto  del  Pulzone  stesso ,  che 
a  nostro  malgrado  dovremo  metter  da  banda  in 
queste  pagine  non  potendo  in  alcun  modo  il  buli- 
no ,  mercè  un  semplice  contorno ,  giungere  a  dare 
adeguata  idea  de'  vari  toni ,  della  robustezza  e  ve- 
rità di  colore ,  e  della  facilità  di  pennello  con  che 
tale  ritratto  è  operato. 

L'autenticità  del  quadro  che  qui  riportiamo 
non  può  minimamente  esser  colpita  dal  dubbio. 
Nella  predella  dell'  inginocchiatoio  ove  la  Vergine 
è  genuflessa  leggesi  scritto  di  propria  mano  dell'au- 
tore Scipio  Pulzones  Gaetanus  faciebat  i58y  , 
Romae. 


^Antonio  Jticcoù 


i?u. 


£ 


YOL.     XIV.    TAV.     XVII.  1 

Un  Arcangelo  cihcondato  da  vari  angioletti  - 
Lunetta  in  tela  di  Annibale  Caratai. 

I  ì\  queir  Annibale  Caracci  ò  questa  lunetta  che 
insieme  al  fratello  Agostino  ed  al  cugino  Lodovico 
richiamò  la  pittura  in  Italia  sulla  strada  del  vero  e 
del  bello  d'  onde  s'era  sviata.  Qual  parte  s'ebbe  egli 
e  quanta  i  fratelli  a  tale  rigenerazione,  quale  di- 
versità di  stile  d' indole  e  di  tendenze  fosse  fra  loro, 
e  come  gli  avvenimenti  della  vita  li  unirono  pri- 
ma ,  indi  li  separarono ,  e  poscia  un'  altra  volta  li 
avvinsero,  già  dal  chiarissimo  Cav.  Bechi  nel  primo 
volume  di  questa  opera  con  vivo  stile  fu  raccon- 
tato. Inutil  cosa  adunque  sarebbe  ora  toccare  no- 
vellamente i  fatti  risguardanti  la  vita  di  questo 
lume  delle  arti  italiane,  e  perciò  con  brevi  parole 
ci  faremo  solo  a  dire  del  dipinto  riportato  nella 
tavola  XVII.  di  questo  volume. 

I  teologi  ed  i  padri  della  Chiesa  dividono  la 
schiera  degli  angioli  in  tre  classi ,  e  ciascuna  di  esse 
in  altri  tre  ordini.  La  prima  di  queste  classi  com- 
posta viene  da'Serafini,  da' Cherubini ,  e  da' Troni; 


2  VOL.     XIV.     TAV.     XVII. 

la  seconda  dalle  Dominazioni,  dalle  Virtù,  e  dalle 
Podestà  ;  da'  Principati ,  dagli  Arcangeli ,  e  dagli 
Angioli  la  terza ,  mentre  con  questo  ultimo  nome 
chiamatisi  pure  indistintamente  ognuna  di  tali  ge- 
rarchie. All'ordine  pertanto  degli  Arcangioli  appar- 
tiene quello  quivi  rappresentato  ,  perocché  le  sem- 
bianze non  più  fanciulle,  ma  giovanili  che  in  esso 
ravvisami,  e  quelle  grandi  ali  sono  i  distintivi  che 
additano  mai  sempre  ne'  dipinti  questi  ministri  del 
cielo.  Esso  regge  con  la  destra  mano  un  fumante 
turibolo,  con  l'altra  le  catene  all'incensiere  con- 
giunte ,  e  genuflesso  sulla  sinistra  gamba  spiega  mae- 
stosamente le  ali  che  mentre  fan  più  grandiosa  la 
figura  dell'Angelo  servono  ad  un  tempo  per  riem- 
piere lo  spazio  del  campo  seguendo  bellamente  l'in- 
dole della  curva  nella  sommità  della  lunetta  :  e 
i  due  candelabri  in  forma  di  vaso  a'  quali  sta  in 
mezzo  fanno  salire  verso  il  cielo  le  simboliche  fiamme. 
Ogni  parie  di  questa  opera  rivela  la  mano 
e  l' ingegno  del  sommo  pittore  che  diedegli  vita. 
L'Arcangelo  volge  al  cielo  devoto  lo  sguardo  come 
se  aspettasse  un  comando,  ciò  che  ci  obbliga  a 
considerare  quanto  il  Caracci  ben  rammentossi  che 
gli  Angeli  tutti   vengono    dalle  sacre  carte  descritti 


VOL.     XIV.     TAV.     XVII.  3 

ministri  delP  Onnipotente  ,  o  sjùriti  ministranti , 
i  quali  a  ciclo  Jan  corteggio  all'  Eterno  aspet- 
tando ed  eseguendo  i  comandi  dì  Dio.  Né 
niello  si  svela  la  mano  dell'  insigne  bolognese  ,  se 
prendesi  a  considerare  la  somma  facilità  di  pen- 
nello che  si  ammira  nelle  pieghe  del  manto  cele- 
ste e  della  tunica  verde  che  1'  Arcangelo  cinge.  Le 
gentili  e  purissime  forme  poi  de'quattro  angioletti 
e  il  muovere  svariato  della  loro  attitudine  facil- 
mente ci  convincono  che  questo  dipinto  operato 
venne  da  Annibale  dopo  che  in  Parma  ebbe  a  ve- 
nerare le  pitture  del  Correggio,  studiando  il  quale 
non  poco  mutò  di  maniera,  talché  pieno  l'animo 
di  quel  sommo  e  sventurato  artefice  scriveva  al 
cugino  Lodovico  :  Un  si  grand'  uomo  (  l' Allegri  ), 
se  pure  è  uomo  o  piuttosto  angiolo  in  carne ,  e 
posto  /ino  alle  stelle ,  e  qui  doversi  morire  infe- 
licemente. Questo  sarà  sempre  il  mio  diletto .... 
mi  piace  questa  schiettezza  e  questa  purità  che 
è  pera  non  verisimile ,  è  naturale  non  artificiata 
ne  sforzata.  Ognuno  l*  intende  a  suo  modo ,  io 
V  intendo  così ,  io  non  lo  so  dire ,  ma  so  conte 
ho  a  fare ,  e  tanto  basta.  E  pure  a  proposito  del 
Correggio  scriveva  un'  altra  volta  allo  stesso  Lodo- 


4  VOL.     XIV.     TAV.     XVII. 

vico:  abbici  pazienza  il  voslro  Parmigiani  no,  per- 
ché conosco  adesso  aver  di  questo  grand'  uomo 
folio  ad  imitare  tutta  la  grazia,  ma  vi  è  pur  tanto 
lontano  ,  perchè  i  puttini  del  Correggio  spirano , 
vivono ,  e  ridono  con  una  grazia  e  verità  ,  che 
bisogna  con  essi  ridere ,  e  rallegrarsi  ;  ma  al  mio 
gusto  il  Parmigianino  non  ha  che  far  col  Cor- 
reggio, perchè  quelli  del  Correggio  sono  stati  suoi 
pensieri,  suoi  concetti ,  che  si  vede ,  che  si  è  ca- 
vato di  sua  testa  e  inventato  da  se  ,  assicuran- 
dosi solo  con  l'originale;  gli  altri  sono  tutti  ap- 
poggiati a  qualche  cosa  non  sua ,  chi  al  mo- 
dello, chi  alle  statue ,  chi  alle  carte:  tutte  le  opere 
degli  altri  sono  rappresentate  come  possono  essere; 
queste  di  quesf  uomo  come  veramente  sono,  lo 
non  mi  so  dichiarare ,  né  lasciarmi  capire ,  ma 
ni  intendo  bene  dentro  di  me. 

Tanta  modestia  e  così  grande  fervore  pel  vero 
merito  ben  si  addicevano  all'  anima  di  Annibale 
Caracci. 

c/e n tento    i/ticccìmi. 


Tnl.XHY, 


'VA.SXÌ 


f„-'-L'„  t.S/,,./*/ 


VOL.     XIV.     TAV.     XVIII. 
Pitti  ra  pompe]  w  \. 


JLnnanzi  ad  una  tavola  con  sopravi  un  cesi  ino 
ripieno  a  quel  che  sembra  di  fiori  sta  una  vene- 
randa donna  vestila  di  tunica,  e  tutta  inviluppata 
in  ben  largo  manto,  la  quale  tiene  in  mano  una 
specie  di  scodella  o  che  che  siasi  altro.  Innanzi  a 
costei  vedesi  poi  una  donzella  che  sostiene  largo  ba- 
cile ripieno  di  frutta  colla  manca  in  mentre  che 
nella  destra  tiene  un  serto  di  fiori.  Ognun  vede 
con  quanto  di  ragione  si  potrebbe  dire  essere  la 
prima  una  sacerdotessa,  alla  quale  la  sua  ancella, 
o  alunna  che  dir  la  vorrai,  metta  in  mostra  le 
cose  necessarie  a' sacrifizi,  e  cerchi  riceverne  le 
opportune  istruzioni.  La  quale  conghiettura  rice- 
verebbe assai  di  appoggio  nel  manto  che  alla  prima 
ricopre  la  testa,  nelle  chiome  che  lunghe  le  scen- 
dono su  le  guance ,  ed  in  quell'  aria  di  modestia 
e  di  compostezza  che  mostra  nel  volto. 


£l>ernarclo  ^Luarunta. 


PblJTO 


TA.2KL. 


t»^/".  //,■-»  ./,/,/•■.,-,//, 


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VOL.    XIV.    TAV.    XIX. 


Diana  ed  Endimione.  -  affresco  pompetuu,. 


F 


u  comune  opinione  presso  del  paganesimo  che 
la  più  casta  delle  dive  soggiacesse  come  ogni  altra 
alla  possente  forza  di  Amore  ,  e  che  furtiva  ab- 
bandonasse l'Olimpo  per  girsene  a  vagheggiar  sul 
monte  Latino  raddormentato  Endimione.  E  non  al- 
tro che  questo  è  il  momento  espresso  nel  leggiadro 
dipinto  pompeiano  che  qui  pubblichiamo  per  que- 
sta tavola  XIX. ,  il  quale  ci  fa  dubitare  che  altro 
sia  il  vero  suo  protagonista ,  e  ne  induce  a  sup- 
porre che  possa  forse  rivindicarsi  a  Diana  la  pu- 
rezza del  suo  candore.  E  sebbene  non  poco  abbiano 
spaziato  i  poeti  co'  loro  canti  e  gli  artefici  con  le 
loro  opere  sulla  debolezza  di  questa  diva  ,  pure  a 
noi  sembra ,  che  allo  appoggio  tanto  di  questo  af- 
fresco quanto  dell'altro  testé  veduto  alla  tavola  III. 
e  di  altri  monumenti ,  possa  probabilmente  to- 
gliersi la  greca  mitologia  dalla  strana  contrad- 
dizione di  credersi  la  più  casta  delle  dive  fe- 
condissima madre  di  eletta  e  meravigliosa  prole. 
Non  in  abito  succinto  ,  non  calzata    di  venatorio 


2  VOL.    XIV.     TAV.     XIX 

coturno ,  non  armata  di  faretra  e  di  arco  ,  ma 
bensi  nuda  e  solamente  di  celeste  manto  in  parte 
inviluppata  è  qui  espressa  la  diva  dopo  esser  di- 
scesa dall'  Olimpo  reggendo  colla  destra  un  torchio 
acceso  ,  e  colla  sinistra  un  elevato  lembo  del  suo 
manto  leggermente  gonfiato  da  fresca  aura  mattu- 
tina ,  e  quasi  estatica  si  sofferma  a  mirare  il  vago 
Endimione  ,  il  quale  addormentato  giace  su  di 
un  greppo  ricoperto  dalla  sua  clamide  ,  facendo 
sostegno  al  suo  capo  il  dritto  braccio  rivolto  al- 
l' occipite  ,  e  abbandonando  la  sinistra  su  due  lan- 
ce venatorie  che  ancor  tiene  distese  sul  suo  brac- 
cio. Il  disco  crescente  sul  capo  della  diva  posto 
fra  due  rilucenti  astri  irradiano  questa  silenziosa 
scena  ,  la  quale  è  solamente  interrotta  dal  latrato 
del  cane  del  cacciatore  ,  che  vuol  quasi  avven- 
tarsi alla  diva  innamorata. 

Or  non  avendo  questa  vaga  deità  alcuno  dei 
consueti  attributi  che  a  Diana  si  riferiscono  ,  né 
la  foggia  delle  vestimenta  consentanea  al  vestire 
della  sorella  di  Apolline  ,  sembra  che  altra  diva 
qui  debba  riconoscersi.  Gli  antichi  scrittori  greci 
nello  informarci  dell'  avventura  di  Endimione  ad- 
dormentato non  parlan  mai  di  Diana  ,  ma   bensi 


VDL.     XIV.     IAV.     \l\r. 

della  Luna  innamorata  di  lui  ;  in  essi  si  legge 
stantemente  Xs^y-t)  Luna  ,  e  non  mai  Apre/ws  Dia- 
na (1).  E  chi  non  .sa  che  la  Luna  <•  Diana  sono 
due  diverse  deità,  essendo  la  prima  figlia  d'  [pe- 
rione  e  di  Tea  ,  e  la  seconda  figliuola  di  Giove 
e  di  Latona  ,  confusa  poscia  da'  Romani  con  la 
Luna  (2)  ?  Quindi  sembra  che  anche  il  pittor 
pompeiano,  bene  informalo  degli  antichi  miti,  la 
Luna  e  non  Diana  abbia  voluto  presentarci  pel 
suo  dipinto,  esprimendola  di  carattere,  di  attributi, 
e  di  vestimenta  allatto  diverse  dalla  sorella  di  Apol- 
line. Ed  a  maggiormente  comprovare  che  qui  la 
Luna  e  non  Diana  si  rappresentava  pose  in  testa 
della  diva  il  disco  lunare  fra  due  astri,  il  pianeta 
di  Venere  ,  cioè  phosphorus  quando  segue  la 
Luna  ,  ed    hesperus   quando  la  precede. 

Tiicvamvatuita      ■jfinati. 

(1)  Omero  Hymn.  in  Lun.  v.  g.  e  da  Orfeo  ìlymn.  in  Lun.  vien  denominata 
ancora  Tat'poicspwsj  tauri  cornua  habensj  roLtvxtir'kos,  longam  vestem  habens,  e  non 
succinta  come  Diana. 

(2)  Se  i  limiti  impostici  fin  dal  cominciamento  di  quest'  opera  il  permettessero 
molti  altri  argomenti  qui  recheremmo  per  rafforzare  la  nostra  conghiettura ;  senza 
dunque  qui  riportare  altre  autorità  di  Classici  e  non  pochi  monumenti  dell'  an- 
tichità figurata  ,  ci  siam  limitati  ad  annunciar  la  nostra  congettura  senza  treno  di 
citazioni  e  di  più  estese  argomentazioni. 


Vo I  ,  S W . 


T.X.XX. 


f'/t/r/t/f*     /&■/ 


.  i  :/„.., 


I  stt.*  '       /  sv.y/sst,  ■    .j,/s/ft 


VOL.     XIV.     TAV.     \\. 
DUE    PITTURE. 


V, 


EGGIAMO  nella  prima  pittura  di  questa  tavola  un 
Genietto  alato  di  lxl le  sembianze  con  in  testa  una 
causia ,  e  su  le  spalle  leggiera  clamide,  il  quale 
par  che  riceva  dalle  mani  di  una  dorma  parimenti 
alata  il  timone  di  un  aratro ,  dal  quale  pende  una 
di  quelle  l'uni  chiamate  da' Greci  (Aicnzfioi ,  mesaboi, 
^vyo^-:7(icc,  zygodesma,  &vycx.ryipsg  Ifiavris,  zeugate- 
res  liimanles ,  da  Virgilio  lora  iugalia,  e  da  Ca- 
tone subii/già  lora ,  appunto  perchè  con  esse  i  bovi 
si  aggiogavano  all'aratro.  Dal  quale  timone  io  pren- 
do argomento  per  riscontrare  in  quel  giovane  il 
Genio  deW  agricoltura ,  e  nella  donna  V  Ora  in- 
vernale che  gli  consegna  l'istrumento  con  che  co- 
minciare il  lavoro  de' campi.  Certo  così  le  ali  come 
la  tunica  ed  il  manto  di  cui  si  ricopre  costei  ben 
convengono  alla  severa  stagione. 

Nell'altra  pittura  sottostante  alla  descritta  com- 
parisce un  fanciullino  alato  con  in  mano  due  gia- 
vellotti il  quale  col  gesto  e  colla  voce  par  che  in- 
viti a  fuggire  due  corvette  insidiate  da  enorme  leone 
che  viene  ad  assalirle  di  dietro  a  grande  albero. 

iemarcio  £luaranta. 


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V'i.LXIY 


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'  t..,/srt't 


vol.   xiv.  tav.   x\r. 

P  A  URTE   POMPEIANA. 


N 


on  sarebbe  ;i  nostro  erodere  un'iperbole  troppo 
ampollosa  il  chiamare  questa  parete  de'  Pompeiani 
la  parete  della  bellezza  ,  poiché  si  vedono  in  essa 
figurati  i  tre  Iddìi  de'  gentili  che  la  loro  mitografia 
aveva  immaginato  floridi  ed.  appariscenti  in  un'  e- 
terna  e  carissima  giovinezza ,  Venere ,  Apollo ,  e 
Bacco.  Gli  scultori ,  i  pittori ,  e  i  poeti  raccolsero 
tutto  ciò  che  poterono  rinvenire  di  bello  e  di  gen- 
tile fra  le  umane  fattezze  per  comporne  quel  tipo 
di  bellezza  che  applicarono  a'  simulacri  di  questi 
tre  numi.  Di  Venere  cara  agli  uomini  ed  agli  Dei, 
seducente  sopra  tutti  gli  enti  del  cielo  e  della  terra, 
anima  e  diletto  dell'universo,  a  chi  non  son  conte 
le  bellezze  e  le  grazie  ?  A'  soli  Bacco  ed  Apollo  era 
dato  il  fiorire  in  un'eterna  ed  inalterabile  giovinezza 
talché  ad  ambedue,  al  dir  di  Tibullo  (i),  conveni- 
vano intonse  le  chiome.  Ed  allo  stesso  Tibullo  tri- 


(1)  Solis  aeterna  est  Phoebo  ,  Bacchoque  iuvenlus; 
Nam  decet  intonsus  crinis  utrumque  Deum.. 
Tib.  lib.  I  El.  IV. 

* 


2  VOL.     XIV.     TAV.     XXI. 

bolato  di  amore  comparve  (1)  Apollo  co1  capelli  flut- 
tuanti sugli  omeri  e  stillanti  di  unguento,  bianco  il 
bel  corpo  come  la  luna,  ed  a  quel  candor  mesco- 
lata la  porpora  come  le  guance  di  verginella  che 
si  fa  sposa,  o  come  a  gigli  sarìan  miste  viole ,  o 
come  le  mele,  che  candide,  al  comparir  dell1  autunno 
arrossiscono. 

Queste  tre  divinità,  belle  sopra  tutte  le  altre, 
sembrano  a  noi  chiaramente  espresse  nelle  tre  figure 
che  son  principali  nella  composizione  di  questa  pa- 
rete. Il  nimbo  che  cinge  loro  la  testa ,  i  troni  su 
cui  stanno  seduti,  tutto  ci  dà  a  divedere  queste  tre 
figure  per  tre  divinità.  In  mezzo  è  Bacco,  alla  sua 
destra  siede  Apollo,  Venere  alla  sua  sinistra.  Del 
perchè  Bacco  tenga  il  più  cospicuo  luogo  della  pa- 
rete, e  il  più  distinto  seggio,  troveremo  le  ragioni 
nella  celebrità  a  cui  era  giunto  il  culto  di  Bacco 
nell'  ultima  epoca  della  nostra  Pompei.  Poiché  la 
casa,  dove  si  trova  questa  parete,  deve  essere  se  non 
edificata  almeno  stata  riattata  ed  ornata  dopo  il 
l'amoso  terremoto  del  65,  e  fu  da  noi  pubblicata  alla 
tavola  AB  del  XIII  volume,  e  la  parete,  subietto  della 
presente  tavola,  sta  nella  stanza  inarcata  col  n.  27. 

(1)  Tibul.  Lib.  III.  El.  IV. 


VOL.     XIV.     TAV.     XXI.  5 

E  singolare  come  le  pareti  di  questa  ben  adorna 
cameretta  siano  rivestite  di  stucco  e  dipinte  per 
soli  7  palmi  e  i/a  napoletani ,  e  nel  resto  della  sua 
altezza  fino  alla  coruice  lasciate  di  abbozzo,  forse 
perchè  nella  parie  superiore  destinale  ad  esser  ri- 
coperte di  tappezzerie.  Ila  il  pavimento  fatto  di  sca- 
gliola dipinto  sopra  come  se  fosse  di  musaico:  esem- 
pio forse  unico  di  pseudomusaico  presso  gli  antichi, 
e  che  noi  moderni,  cui  non  basta  nò  la  pazienza  ne 
il  denaro  per  fare  musaici  veri  ne' pavimenti,  imi- 
tiamo tuttogiorno. 

Queste  grottesche  bellissime    sono    spartite  in 
fondi  di  vari  colori  fra  i  quali  domina  il  celeste , 
il  verde  ed  il  rosso.  Le  colonnette,  zoccoli  e  basi,  di 
cui  è  tanto  svariata,  sono  espressi  come  se  fossero 
inorati.  Bellissimo  ed  oltremodo    brillante    ne   era 
il  colorito  allorché  comparve  in  queste  rovine ,  ora 
alquanto  rientrato  e  scemato  di  vigore  e  di    brio. 
Soprattutto  attirava  l' ammirazione  de' riguardanti 
il  bel  colore  dell'  incarnato  delle  figure  che  abbiam 
descritte,  il  che  ci  fa  ripetere  che  gli  antichi  fre- 
scanti avevano  una   tavolozza   capace    di  arrivare 
alla  forza  ,  alla  sfumatezza  ,  all'  impasto  de'  nostri 

pittori  a  olio  con  il  vantaggio    su   di   essi   di   non 

** 


4  VOL.     XIV.     TAY.     XXI. 

esser  le  loro  pitture  soggette  a  crescere  ed  alterarsi 
come  i  dipinti  a  olio,  del  che  diciotto  secoli  di 
durata  sono  un  esperimento  che  non  ammette  om- 
bra di  dubbio. 


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ite  imo     ùOec/it. 


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VOL     XIV.    TAV.     XXII. 
Parete  di  Ercolano, 


E 


corsa  ora  mai  la  metà  di  un  secolo  da  che  gli 
Accademici  Ercolanesi  facendo  di  pubblica  ragione 
le  antichità  dissepolte  dagli  scavi  di  Ercolano  e 
di  Pompei  pubblicarono  questa  parete.  Pur  tuttavia 
non  potremo  questa  volta  giovarci  de' lumi  di  quei 
dotti  illustratori,  come  bene  spesso  abbiamo  fatto 
nel  corso  della  nostra  opera ,  giacché  l' indole  delle 
arti  è  talmente  mutata  col  mutare  de' tempi,  che 
nessuna  illustrazione  fu  creduta  allora  necessaria 
al  dipinto  che  qui  riportiamo  ,  e  ad  altre  molte 
pareti ,  perchè  di  soli  ornamenti  architettonici  si 
componeva.  Ma  ora  sarebbe  per  noi  colpa  tacere 
di  questa  parte  dell'  arte ,  mentre  sul  finire  dello 
scorso  secolo  a  niuna  colpa  addicevasi,  non  essendo 
allora  le  discipline  del  bello  in  ogni  ramo  caldeg- 
giate con  quclP  amore  che  a'  dì  nostri  si  veggono. 

Questa  stupenda  tavola  è  importantissima  per 
la  visibile  contezza  che  ci  dà  della  imperizia  degli 
antichi  nelle  regole  della  prospettiva  lineare  para- 
gonata alla  scienza  che  adesso  ne  abbiamo ,  e  del 


2  VOL.    XIV.     TAV.     XXII. 

sommo  merito  all'  opposto  che  possedevano  nella 
prospettiva  aerea,  la  quale  con  maggior  valore  trat- 
tavano di  quel  che  oggi  non  fassi.  E  importantis- 
simo è  al  certo  l' osservare  pure  gli  svariati  e  leg- 
giadri aggiustamenti  adoperati  in  questo  dipinto  al 
di  sopra  delle  trabeazioni  e  sulla  cima  di  quei 
vari  architettonici  edilìzi  quasi  tutti  terminati  con 
animali ,  arabeschi ,  tronchi ,  maschere  ec,  in  modo 
da  dimostrare  agli  odierni  architetti,  che  mal  si 
appongano  credendo  di  starsi  agli  antichi  esempì 
allora  quando  le  private  fabbriche  edificano  sulla 
maniera  medesima  degli  antichi  pubblici  edifici. 
In  modo  che  se  percorri  l'Italia  per  tacere  di 
altre  colte  nazioni  ove  tal  sistema  prevalse ,  ed 
osservi  le  fabbriche  tutte  di  questo  secolo ,  tu  non 
trovi  che  fredde  imitazioni  del  Partenone,  e  degli 
altri  tempi  di  Grecia  ,  o  della  lanterna  di  Demo- 
stene ,  o  del  Panteon  di  Roma  ,  siano  pur  chiese  , 
teatri,  porte  di  città,  case,  insomma  qualunque 
altro  edilìzio  :  e  ciò  forse  perchè  i  tesori  scaturiti 
da  Ercolano  e  Pompei  non  furono  sul  finire  del 
caduto  secolo,  per  la  parte  dell'arte,  abbastanza 
studiati,  talché  la  massima  d'imitare  solo  i  colos- 
sali monumenti  dell'  antichità  prevalse,  e  pur  troppo 


VOL.     XIV.    TAV.     XXII.  5 

tuttavia    prevale  nel   seno  di  quasi    tutte    le  Acca- 
demie di  Europa. 

Ci  1  i  architetti  che  fiorirono  nel  decimo  quinto 

e  decimo  sesto  secolo  seppero  almeno  rinvenire  nel 
loro  ingegno  un  modo  di  decorare  i  privali  monu- 
menti da  ben  distinguerli  dalle  pubbliche  labbri- 
che,  ciò  che  dava  luogo  a  mille  invenzioni  sva- 
riate. Ma  se  non  è  dato  adesso  emulare  quei  sommi 
nel  rinvenire  con  la  potenza  della  propria  mente 
novelle  forme  di  decorazione,  prendiamo  almeno 
liberamente  e  senza  superstizione  ad  imitare  ne- 
gli antichi,  col  sussidio  del  senno  e  su  i  monu- 
menti pompeiani ,  questa  parte  dell'arte  senza  cor- 
rerci dietro  l'uno  coli' altro,  rivestiti  sempre  dalle 
stesse  maniere  e  sospinti  da' pregiudizi  medesimi. 

(Antonio  c/faiccolmi. 


VOL.     XIV.     TAV.     XXIII.  x 

Figuein  \  muliebre:  -\  enere:  la  prima  in  marino 
grechetto  alta  pai.  due  e  58/ 100  proviene  dalla 
Casa  /'arnese:  la  seconda  in  marmo  luuense 
è  alla  palmi  ire ,  e  fu  ritrovata  in  Pompei. 


JLjk  due  belle  figurine  che  presentiamo  incise  in 
questa  tavola  XXIII.  sono  felici  imitazioni  di  famoso 
originale  greco.  La  prima  che  qui  vedesi  in  piedi 
vestita  di  sottil  sistidc  trasparente  sfibbiata  nell'o- 
mero sinistro,  ed  in  atto  di  reggere  con  la  destra 
un  lembo  del  manto  che  ricadendole  sul  dorso  va 
ad  avvolgersi  sul  sinistro  braccio ,  è  simile  a  diverse 
altre  statue  cosi  vestite  e  che  sollevano  con  grazia  il 
manto  dietro  le  spalle.  Nel  real  Museo  Borbonico 
altre  due  se  ne  serbano,  e  diverse  sene  ammirano  in 
altri  Musei  d'Italia  e  di  oltremonte.  Il  Gori  (1)  vi  ri- 
conosce delle  Muse  ,  il  Montelatici  (2)  ed  il  Monti  a  u- 
eon  (5)  delle  Veneri  genitrici,  il  Winckelmann,  che 
molte  ne  annovera,  le  definisce  per  Danzatrici  (4), 

(1)  Museo  Fiorentino:  Statue  tav.  XVI. 

(2)  Villa  Borghese  pag.   218. 

(3)  Antiq.  exp.  T.  I  p.  1  tav.  CU ,  n.  5. 
(i)  Storia  delle  aiti  del  disegno. 


2  VOL.     XIV.     TAV.     XXIII. 

ed  il  Visconti  (1)  in  fine  Veneri  vincitrici  le  deno- 
mina. Dan  luogo  a  tutte  queste  varie  denomina- 
zioni i  ristami ,  a'  quali  ordinariamente  gli  antichi 
monumenti  van  soggetti ,  e  le  statue  del  real  Museo 
non  ne  sono  state  affatto  esenti  :  e  specialmente 
questa ,  di  cui  ci  occupiamo,  ha  di  ristauro  la  testa, 
il  braccio  dritto  e  le  mani ,  estremità  tutte  che 
dovrebbero  decidere  della  sua  denominazione,  per- 
chè son  esse  principalmente  che  portano  l' impronta 
e  gli  attributi  caratteristici  de' subietti  che  presen- 
tano ;  ond'  è  che  vai  meglio  attender  la  scoperta  di 
altri  più  interi  simulacri,  che  azzardare  delle  di- 
vinazioni spesso  contraddittorie  perchè  incerte.  Que- 
sta vaga  figurina  d'  altronde  è  commendevolissima 
per  la  sua  elegante  sveltezza,  pel  giudizioso  ed  ac- 
curato partito  delle  pieghe,  e  pel  nudo  assai  ben- 
inteso disotto  le  vesti  da  cui  traspare  ;  il  che  non 
la  rende  seconda  ad  alcuni  de'  simili  simulacri. 

Non  meno  importante  è  l' altra  figurina  di  Ve- 
nere incisa  a  sinistra  di  questa  tavola:  essa  è  nuda 
dalla  cintura  in  giù ,  restando  nel  resto  coperta  da 
un  elegante  panneggiamento  annodato  al  davanti: 
la  sua  attitudine  è  di  racconciarsi  la  discinta  chio- 

(l)  Museo  Pio  dementino  tav.  III.  lav.  Vili,  pag,  g. 


VOL.    XIV.    TAV.    xxnr. 

ma  ;  cosi  la  Dea  della  bellezza  fu  ritrovala  allorché 
Fallacie  e  Giunone  le  fecer  visita  per  ottenere  da  lei 
dir  inducesse  Amore  a  rendere  Medea  amante  di 
Giasone,  onde  il  Poeta  (i)  cantò  che  Venere  prima 
di  riceverle  »  il  crin  non  colto  eolle  man  raccolse  ». 
E  COSÌ  e  non  altrimenti  in  molti  altri  monumenti  è 
espressa  la  Dea  degli  amori:  vari  ne  sono  gli  esem- 
pli in  piccolo  bronzo  clic  se  ne  serbano  nel  Museo, 
e  così  per  l'appunto  e  simile  a  quella  che  abbiamo 
sott'  occhio  è  espressa  nel  pregevolissimo  bronzo 
leste  ritrovato  in  Nocera ,  ed  acquistato  dall'augusto 
nostro  Sovrano  per  le  cure  dell'Eccellentissimo  Mi- 
nistro degli  affari  interni.  E  sebbene  tali  statue  or- 
dinariamente si  attribuiscono  a  Venere  anadiome- 
iw,  che  si  asciuga  i  capelli ,  a  noi  pur  sembra  che 
questa  divinazione  non  sia  troppo  esatta  ,  dappoi- 
ché Venere  uscente  dalle  acque  del  mare  dovrebbe 
essere  rappresentata  tutta  nuda  e  con  capelli  molto 
più  disordinati  di  quello  che  vedesi  in  tali  simu- 
lacri. 

Allorché  questa  bella  figurina  venne  fuori  dagli 
scavi  pompeiani ,  i  capelli  erari  dorati  ed  il  manto 
era  dipinto  di  color  porporino,  di  cui    or  restano 

;i)  Apulluniu  v.  5o. 


4  VOL.    XIV.    TAV.    XXIII. 

ancora  le  tracce.  E  qui  non  dispiaccia  di  osservare  , 
che  quest'  uso  antichissimo  in  Grecia  ed  in  Italia 
di  dorare  e  colorire  le  vesti  delle  statue  era  presso 
che  comune  in  Pompei  ed  in  Ercolano,  ed  in  quasi 
tutta  la  Campania,  dappoiché  le  molte  statue  che 
da  quelle  distrutte  città  ci  son  pervenute  avevano 
nella  massima  parte  i  capelli  dorati  e  le  vesti  co- 
lorite ed  indorate  (1);  ed  i  bei  stucchi  delle  terme 
bajane  pur  essi  coloriti  ed  indorati  annunziano  esser 
uso  invalso  in  queste  contrade  di  dipingere  ed  in- 
dorare le  sculture:  le  quali  cose  sicuro  indizio  sono 
che  con  quelle  dorature  e  quei  coloramenti  voleansi 
imitare  la  polvere  d' oro  di  cui  le  romane  matrone 
si  ornavano  le  loro  chiome ,  e  i  colori  de'  quali 
risplendevano  le  loro  sontuosissime  vesti. 

Xùiavamvattda    Cfinati. 


(i)  Tutte  le  statue  muliebri  della  famiglia  di  Balbo  vennero  fuori  dello  scave 
di  Ercolano  co'capelli  portanti  le  tracce  della  doratura  :  la  bella  statua  di  Diana 
nell'attitudine  di  andare,  di  antico  stile  italico,  era  tutta  dipinta  ed  indorata;  anche 
dipinta  si  rinvenne  in  varie  parti  della  figura  la  statua  d'Iside;  e  la  Pallade  com- 
battente ercolanese  aveva  tutte  il  peplo  indorato,  in  modo  da  potersene  staccare 
delle  scaglie,  come  asserisce  il  Wiiukclmann.  Vedi  la  nostra  descrizione  dell. 
tue  T.  I. 


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TA.X5TT. 


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VOL.     XIV.    T\\.     XXIV.  i 

Venere — Statua  in  marmo  greco,  alta  palmi  7, 
proveniente  dalla  Casa  Farnese. 


A, 


.ltb_a  volta  abbiamo  discorso  sali'  uso  invalso 
presso  gli  antichi  artefici  di  moltiplicare  e  diffon- 
dere le  copio  de'  famosi  originali  de'  grandi  mae- 
stri delle  arti  di  Grecia  ,  e  specialmente  ne'  pub- 
blici edilizi  e  nelle  estese  terme  elevate  dalla  gran- 
dezza romana.  Ed  in  fatti  non  è  da  revocarsi  in 
dubbio  che  le  più  belle  statue  di  Venere  come  la 
Gnidia  celebrata  da  Plinio  (1),  la  Callipiga  del  real 
Museo ,  quella  così  detta  de1  Medici  della  galleria 
di  Firenze  ,  1'  altra  del  Campidoglio  siano  gli  ori- 
ginali tipi  a  noi  più  noti  della  numerosissima 
schiera  delle  figure  di  Ciprigna  che  per  ogni  do- 
ve s'incontrano.  E  a  noi  sembra  che  la  sveltezza 
e  leggiadria  della  Venere  Medicea  abbia  sommi- 
nistrato l' idea  al  romano  artefice  della  bella  sta- 
tua che  abbiamo    sott'  occhio  ;   poiché    nella  posa 

(1)  Lib.  XXXVI.  4.  Opera  ejas  (Praxitelis  )  sunt  Alhenis  in  Ceramico;  sed 
ante  omnia ,  et  non  solum  Praxitelis  ,  verum  et  in  loto  orbe  terrarum  ,  Venus  , 
quam  ut  viderent  multi  navigaverunt    Gnidum. 


2  VOL.    XIV.     TAV.     XXIV. 

e  nello  insieme  a  quella  più  di  tutte  le  altre  so- 
miglia. Pudibonda  si  dispone  a  tuffarsi  nel  bagno 
dopo  aver  gettato  negligentemente  le  sue  vesti  so- 
pra di  un  vaso  che  l'è  a  sinistra,  attitudine  co- 
mune presso  che  a  tutte  le  Veneri    che  traggono 
origine  da  quel  tipo.  Questo  vaso  che  qui  ad  un 
tempo  serve  di  sostegno  alla  statua  ,  e  di  appog- 
gio alle  vesti  della  Dea,  vorrebbesi  introdotto  co- 
me un  alabastro  o  vaso  contenente  gli  unguenti  , 
di  cui  Venere  faceva  uso  con  predilezione  più  di 
ogni  altra  deità  ;    tanto  più    che  avuto    riguardo 
all'  uso  generalmente  adottato  neh"  antichità  di  un- 
gersi al  bagno  ,  qui  tornerebbe  molto  a  proposito 
F  accessorio  di    un  vaso    da  unguenti.    Ma  osser- 
vando noi  che  le  proporzioni  di  questa  figura  es- 
sendo poco  più  grandi  del  vero,  e  che  i  noti  vasi 
di  profumi  di  alabastro  (1),  che  giornalmente  si  ri- 
trovan  negli  antichi  sepolcri,  sono  di  una  propor- 
zione molto  più  piccola  di  quella  che  qui  è  scul- 
ta ,  ci  piace  di  seguire  l'opinione  del  Visconti,  il 
quale  in  una  presso  che  simile  inchiesta  crede  che 


(1)  Questi  vasi  da  unguenti  senza  manichi  che  i  Greci  chiamano  alabastri 
hau  dato  il  loro  nome  alla  pietra  che  ordinariamente  n'era  la  materia.  Vedi  Vis- 
conti M.  P.  C.  Volume  I.  tav.  X  ,  e  la  sua  nota  su  questa  voce. 


VOL.     XIV.    TAV.     XXIV.  5 

quel  vaso  sia  un'  idria  adoperala  per  le  acque  del 
bagno,  delle  quali  1'  idria  è  pure  un  simbolo,  e 
che  hanno  con  Venere  anche  una  più  stretta  rela- 
zione per  esser  ella  nata  dalle  acque  ,  cioè  dalla 
spuma  del  mare  ,  onde  fu  della  Afrodite  (1). 

Molto  dippiù  avremmo  notato  su  di  questo 
bel  simulacro  di  scultura  romana,  se  la  testa  <•  le 
braccia  non  fossero  state  supplite  recentemente 
dallo  scultore  Albaccini. 

Tj-iovarnvaluia     CJ'inali. 


(i)  Visconti  M.  P.  C.  Voi.  I.  tav.  XI. 


Vii  i 


xsy; 


kàjza  /,//>,    </s/ r/..™.yi 


VOL.    XIV.    TAV.    XXV.  i 

Tr-  Colosso    ni    BARLETTA.   —   Statua  imperiali'  di 
bronzi»  alla  palmi  /g  s/3. 


Oin  dal  cominciamento  di  questa  edizione  annun- 
ziammo che  i  materiali  riuniti  per  la  sua  compi- 
lazione formavano  una  serie  non  interrotta  di  mo- 
numenti da  somministrarci  la  storia  di  diciotto  secoli 
delle  arti,  con  le  vicende  della  loro  perfezione,  della 
loro  decadenza  ,  e  del  loro  rinascimento.  Fedeli  a 
tali  manifestazioni ,  e  non  essendosi  ancora  prodotto 
un  monumento  classico  della  decadenza  delle  arti 
e  dell1  imperio,  ci  siam  resi  solleciti  di  far  esatta- 
mente disegnare  ed  incidere  il  singoiar  colosso  bar- 
attano ,  e  qui  pubblicarlo  come  cpiello  che  una 
volta  illustrato  gran  lume  può  arrecare  allo  stato 
delle  arti  nell1  epoca ,  cui  questo  importantissimo 
bronzo  si  riferisce. 

Vari  scrittori  prima  di  noi  han  diffusamente 
trattato  del  barlettano  colosso  ;  e  noi  qui  non  pos- 
siamo far  di  meno  di  rammentare  l1  ultimo  lavoro 
su  questo  monumento  compilato  dal  caro  nostro 
collega  sig.  Raffaele  Liberatore  immaturamente  man- 


2  VOL.     XIV.     TAV.     XXV. 

calo  al  bene  ed  allo  incremento  delle  amene  lettere 
italiane,  alla  cordialità  dello  stuolo  de'  suoi  amici , 
ed  al  benessere  della  sua  amabile  famiglia.  Egli  nel 
viaggio  pittorico  delle  Due  Sicilie  (i)  cosi  si  esprime 
nel  parlare  del  molo  di  Barletta. 

»  Singolarissimo  ornamento  non  solo  della  via 
chequi  vedesi  rappresentata  ,  e  che  impropriamente 
chiamano  piazza  di  Barletta ,  ma  della  città  stessa 
e  del  regno,  anzi  dell'Italia  nostra,  è  la  statua 
pedestre  di  bronzo,  la  quale  nella  tavola  presente 
a  prima  giunta  ne  colpisce  la  vista.  A  fianco  della 
chiesa  del  Santo  Sepolcro,  presso  l'antica  residenza 
de'  cavalieri  gerosolimitani ,  sopra  rozza  base  di 
pietra  questo  colosso  è  rizzato  ;  e  bene  tal  nome 
si  merita,  poiché  ne  aggiugne  l'altezza  a  palmi  ìy 
2/5  napolitani.  Figura  imperiale  e  romana  ognuno 
facilmente  la  giudica  alla  corazza ,  al  balteo ,  al 
paludamento ,  e  agli  altri  militari  arnesi  ond'  è 
vestita ,  in  quella  foggia  che  siamo  usi  di  ritro- 
varli nelle  tante  statue  de' signori  del  mondo  alle 
quali  perdonò  il  tempo.  Che  se  affisiamo  lo  sguar- 
do alla  benda  gemmata  che  le  fascia  il  capo,  rav- 

(1)  Parte  I.  Volume  II.  pag.  85. 


VOL.     XIV.    TAV.     XXV.  5 

visarvi  potremo  alcuno  degl'imperatori  i  quali  suc- 
cedettero ad  Aureliano,  di  cosi  fatto  diadema  primo 
usatore.  Colla  destra  mano  innalzata  sostiene  una 
croce,  colla  sinistra  un  globo;  ma  l'una  è  di  legno, 
l'altro  di  pietra,  e  però  non  conviene  fermarci 
sopra  tali  accessori;  tanto  più  che  non  pur  le  mani, 
ma  ed  ambedue  le  gambe  sono  aggiunzioni  fatte 
in  tempi  molto  lontani  dall'  originario  lavoro  , 
siccome  il  danno  a  conoscere  il  diverso  colore  nel 
metallo,  e  l'inferiorità  del  disegno.  Al  che  rispon- 
de parimente  la  tradizione,  della  (piale  è  uopo 
far  parola  or  che ,  per  quella  naturai  curiosità  che 
la  presenza  di  simili  opere  sveglia  nell'animo,  pas- 
siamo ad  investigare  qual  principe  la  effigiato  in 
questo  bronzo. 

«Ardua  quistione  ed  oscura  qui  si  presenta;  da 
poiché  manchiamo  di  qualunque  indizio  autentico, 
di  qualunque  storico  monumento  che  ne  dia  lume, 
e  tante,  per  così  dire,son  le  sentenze ,  quanti  gli 
eruditi  i  quali  ne  favellarono.  Attribuì  il  barone 
di  Reisedel  la  statua  in  discorso  a  Giulio  Cesare, 
senza  por  mente  alla  testa  diademata  ,  che  mai 
non  poteva  esser  quella  del  Dittatore.  Il  Fea  ,  nelle 
sue  note  al  Winckelmann,  la  disse  di  Costantino 


4  VOL.    XIV.    TAV.    XXV. 

o  di  un  de'  suoi  figli  indotto  in  errore  dal  Mola , 
che  gli  fece  credere  tale  esser  l' avviso  de'  più  colti 
tra'  Barlettani ,  e  che  glien  trasmise  un  erroneo 
disegno ,  in  cui  la  corona  d'alloro  venne  falsamente 
sostituita  al  diadema.  Il  sig.  conte  D.  Trojano 
Marnili ,  barlettano  ancor  egli,  pugnò  in  apposita 
opera  per  Teodosio  il  grande  ;  nel  che  fu  seguito 
dal  Millin  cui  dedicolla,  ed  il  quale  nel  suo  viag- 
gio per  le  nostre  contrade  si  fermò  specialmente 
a  considerare  questo  colosso.  Ma  la  tradizione  e'1 
comune  degli  scrittori ,  fra'quali  per  cagion  d'onore 
vuoisi  nominare  Leandro  Alberti ,  Paolo  Giovio , 
Pomponio  Gaurico,  e  Pietro  Giannone,  in  esso 
riconoscono  Eraclio,  sebbene  con  particolarità  più 
o  meno  fallaci  e  diverse  espongali  le  cose.  Andando 
innanzi  troviamo  che  Gian  Villani,  allor  che  parla 
nella  sua  storia  di  quel  Rachisio  re  de'  Longobardi 
il  quale  cangiò  la  corona  in  una  cocolla,  e  eh' ei 
nomina  Eracco,  soggiunse:  e  la  statua  del  metallo 
che  si  vede  in  Barletta  in  Puglia  fece  fare  egli  alla 
sua  somiglianza  nel  tempo  ch'egli  regnava.  Scipione 
Ammirato,  quell'  eruditissimo  nostro  leccese  che 
fece  ammirare  l' ingegno  e  il  purgato  stile  de'Na- 
politani  pur  nella  stessa  Firenze ,  sembra  sulle  pri- 


VOL.     XIV.     TAV.     XXV.  5 

me  avoi-  voluto  interpretare  l'  Bracco  del  Villani, 
v  V  Grasce  di  que'di  Barletta,  che  tale  è  il  no- 
me ivi  dato  dal  volgo  al  simulacro ,  per  quell'An- 
elli il  quale  fu  ultimo  duca  e  primo  principe  di 
Benevento  ;  ma  poi  l'avella  ci  pure  d'  Eraclio , 
facendolo  di  sua  fantasia  autore  del  molo  di  quel- 
la città,  e  però  averlo  gli  abitatori  onorato  con 
questo  segno  di  gratitudine.  In  fine  il  D'Agincourl , 
benché  non  osi  determinare  in  sì  grande  incertezza 
e  varietà  di  pareri  qual  sia  da  preferire,  e  confessi 
che  non  conosceva  la  statua  se  non  per  disegni  di 
poca  o  niuna  esattezza  (  ed  inesattissimo  veramente 
è  quello  da  lui  datone  )  ;  pure  la  tenne  qual  lavoro 
greco  anzi  costantinopolitano,  e  fra' monumenti  di 
scultura  del  IV  secolo ,  scarsissimo  numero,  senza 
esaminarla  gran  latto  ,  la  collocò. 

))  Fra  tante  opinioni,  quella  che  si  piace  a  raffi- 
gurare neh"  esemplar  della  statua  1'  imperatore 
Eraclio ,  vanta  in  vero  più  proseliti  ;  e  pareva  al- 
tresì la  meglio  fondata,  dopo  che  il  P.  Grimaldi 
gesuita  mettendo  in  istampe  nel  1607  una  sua  vita 
di  S.  Ruggiero  Vescovo  di  Canne  e  protettor  di 
Barletta  ,  pubblicò  un  latino  epigramma  eh1  egli 
disse  molto  antico  e  conservato  in  quegli  archivi, 


6  VOL.     XIV.     TAV.     XXV. 

il  quale  canta  come  il  greco  scultore  Polifobo  g<  t- 
tasse  di  bronzo  questa  effigie  d1  Eraclio  ,  quando 
ei  tornò  vincitore  dalla  guerra  persiana  ;  come  tol- 
tala i  Veneziani  fra  le  altiv  spoglie  a  Costantino- 
poli per  adornarne  la  patria  ,  fu  la  nave  che  la  por- 
tava spinta  dalla  burrasca  ad  arenare  nella  spiag- 
gia di  Barletta,  e  la  statua  si  franse,  e  giacque  il 
busto  lunga  stagione  inonorato  sul  lido  ;  come  per 
ultimo  un  Fabio  Albano  rifece  e  gli  adattò  le  mem- 
bra mancanti,  ponendogli  nelle  mani  il  globo  e  la 
croce.  Soggiugneva  poi  il  P.  Grimaldi  aver  cavato 
da  un  antico  libretto  ,  anche  serbato  in  archivio 
(  dove  nessun  altro  il  vide  mai)  che  la  traslazione 
della  statua  così  ricomposta  dal  molo  alla  piazza 
avvenne  l'anno  1491  a  dì  19  di  maggio.  Ma  il  eh. 
conte  Marulli  ha  colla  sua  critica  talmente  ridotto 
in  polvere  tutto  questo  edifizio,  che  nessuno  ora- 
mai ,  il  quale  voglia  farsi  a  percorrer.-  il  suo  libro, 
continuerà  nella  credenza  indicata  (1).  Non  cosi 
agevolmente  poi  verranno  nella  sua  sentenza  riguar- 
do   al   sostituire   ad  Eraclio  Teodosio;  in  sussidio 

(1)  V  Discorso  storico  critico  sopra  il  colosso  di  bronzo  esistente  nella  città  di 
Barletta,  del  conte  D.  Trujano  Marulli,  dedicato  al  sig.  cav.  Albino  Luigi  MiUin 
direttore  del  Museo  reale  d'antichità  di  Parigi.  Napoli  1816,  presso  Angelo  Coda. 


VOL.    XIV.    TAV.    XXV. 

(I  Ila  quale  invoca  egli  precipuamente  una  bella  la- 
pida  di  Canosa ,  in  cui  si  legge  che  gli  Appuli  ed  i 
Cai  a  bri  eressero  una  statua  equestre  leggermente 
indorata  a  l'Invio  Teodosio  padre  di  ([nello  impe- 
ratore: iscrizione  la  quale,  benché  da  lui  tratta, 
a  mal-rado  della  contraria  apparenza,  con  sottile 
ingegno  ed  erudizion  non  comune  a  favorire  in 
qualche  modo  il  suo  assunto,  pure  a  noi  sembra 
non  altro  realmente  dinotare  che  la  durata  del  re- 
gno delle  arti  nelle  nostre  regioni,  eziandio  in  quel 
tempo  di  già  inoltrata  decadenza.  E  se  non  allora  , 
e  ito  non  prima,  nò  fuori  d'Italia,  ebbe  luogo  la 
Fusione  del  barletta  no  colosso,  che  per  un  lato  ci 
fa  qualche  peso  il  detto  del  Villani,  il  più  antico 
scrittore  chi'  n'abbia  discorso,  e  per  l'altro  ,  chi 
voglia  acquistar  giusta  nozione  del  grado  di  corrom- 
piniento  in  cui  l'arte  era  caduta  in  Constantinopoli, 
massime  dopo  Teodosio,  basterà  l'osservare  qual  rea 
e  laida  cosa  fosser  ivi  i  tipi  delle  monete,  laddove 
dalle  italiane  zecche  sino  agli  ultimi  re  goti  uscirono 
coni  se  non  eleganti  e  finiti ,  almeno  e  per  le  figure 
e  per  gli  eserghi  regolari  e  plausibili.  Quando  nella 
metropoli  dell'  oriente  non  sapevano  altrimenti 
onorare  il  trionfo  d'  Eraclio  e  la  pace  conchiusa  da 


3  VOL.     XIV.    TAV.    XXV. 

lui  colla  Persia  che  decretandogli  una  pinta  imma- 
gine ,  come  mai  avrebbe  l'atto  egli  colà  fondere 
una  si  magnifica  statua  per  inviarla  in  offerta  al 
santuario  del  Gargano  siccome  altri  malamente  sup- 
posero ?  Del  resto  qualunque  sia  il  monarca  ritratto 
nella  statua  colossale  di  cui  fu  parola  (  poiché  noi 
imitando  la  riserva  del  Signorelli ,  lascerem  la  lite 
ancor  in  pendente  )  sarà  sempre  nobile  vanto ,  che 
di  tutti  i  colossi  sparsi  pel  mondo  romano ,  e  sette 
n'  ebbe  già  la  sola  Roma  ,  quell'  uno  ,  il  quale  non 
interamente  distrutto  dal  tempo  rimane  in  piede , 
in  questo  remoto  angolo  del' regno  nostro  si  trovi  •». 

Da  quanto  ha  detto  il  Liberatore  si  raccoglie 
sempre  più  una  complicata  incertezza  del  soggetto 
espresso  nel  nostro  monumento,  e  noi  siam  di  av- 
viso che  il  medesimo  non  potrà  mai  esser  suffi- 
cientemente chiarito  se  non  si  definisca  col  confron- 
to delle  monete,  e  di  accordo  con  la  storia  delle  arti, 
quale  de'  monarchi  ei  presenti,  se  Teodosio ,  o  Era- 
clio, oppure  il  re  Eracco  dalla  storia  di  Giovanni 
Villani  ricordato. 

Confrontiamo  dapprima  la  fisonomia  del  no- 
stro colosso  con  quella  che  ci  offrono  le  monete 
del  gran  Teodosio.   Diverse  se  ne  serbano  nel  me- 


VOL.     XIV.    TAV.     XXV.  9 

dagliere  del   real  Musco  Borbonico  ,  e   noi    pren- 
diamo a  confronto  quelle  di  oro,  come  le  più  con- 
servate, e  tutte  ci  presentano  imberbe  il  volto  di 
quel  gran  monarca,    simile  al    volto    imberbe   del 
barlettano  colosso;  i  lineamenti  da  quello  non  dis- 
simili, e  la  caratteristica   acconciatura    della    testa 
affatto  simile  a  quella  del  simulacro  sin  nelle  nappe 
pendenti  dal  diadema  all'occipite  annodato;  lo  stile 
in  fine  della  scultura ,    appartenente    al   IV  secolo 
come  il  riconosce  il  D'Agincourt,  e  come  noi  abbiam 
confrontato  con  altri  monumenti  dello  stesso  secolo, 
è  lo  stesso  di  quello  che  nelle  monete  di  Teodosio 
si  ravvisa.  Confrontato  al  contrario    il  nostro   co- 
losso con  le  monete  di  Eraclio  ,  nessuna   relazione 
si  scorge  fra  le  rispettive  fìsonomie ,  anzi  il  volto 
di  questo  imperatore  vi  è  con  barba  effigiato  dal- 
l'altro diversa  ;  lo  stile  infine  è  bizantino,  e  nulla 
ha  di  comune  col  simulacro  in  disamina.  Lo  stato 
delle  arti  nella  metà  deli'  ottavo  secolo  decide  per 
la  esclusione   della  statua  attribuita  ad  Eracco  da 
Giovanni  Villani    di  sopra  rammentato  ,    seppure 
egli  intenda   parlar   del  nostro  monumento,    o    di 
altra  statua  ,  di  cui  ora  non  potrebbesi  rintracciar 
memoria.  Quindi  a  noi  sembra  che  la  lite  lasciata 


jo  VOL.    XIV.    TAV.    XXV. 

ancora  in  pendente  dal  nostro  Liberatore  possa 
senza  gran  tema  di  errare  decidersi  a  favore  della 
opinione  del  chiarissimo  conte  Marnili,  che  attri- 
buì questo  colosso  a  Teodosio  il  grande. 

E  prima  di  por  fine  al  nostro  dire  non  dis- 
piaccia di  qui  rammentare  che  il  gran  Teodosio 
salì  sul  trono  d'  oriente  nel  579.  Egli  era  di 
alta  statura ,  di  nobile  portamento  e  di  un'  aria 
maestosa.  Coltivato  nel  suo  spirito  non  ignorava 
alcuna  cosa  che  meritasse  di  esser  conosciuta.  Il 
suo  grande  ingegno  il  rendeva  capace  d'immagi- 
nare le  più  grandi  imprese  e  di  condurle  felice- 
mente a  fine.  Il  suo  valore  e  la  sua  esperienza  il 
faceva  camminare  a  pari  passo  co' più  gran  capi- 
tani dell'  antichità  :  ogni  battaglia  eh'  egli  dava  era 
per  lui  una  vittoria,  di  maniera  tale  che  Sapore  III. 
re  di  Persia  sorpreso  delle  virtù  di  questo  principe 
cessò  d'essere  l'inimico  de' Romani,  e  conchiuse 
coli'  imperatore  un'  alleanza  che  fu  durevole  e  non 
mai  interrotta. 

Ed  a  noi  sembra  che  il  nostro  vivacissimo 
bronzo  barlettano  corrisponde  anche  a  questi  par- 
ticolari che  trovansi  registrati  della  figura  e  del- 
l'animo del  gran  Teodosio,  e  la  sua  acconciatura 


\()L.     XIV.     TAV.     XXV.  11 

alla  foggia  persiana ,  indipendentemente  dal  diade- 
ma che  usarono  i  successoli  di  Aureliano,  potrebbe 
far  supporre  che  questo  eneo  monumento  gli  foss< 
sialo  eretto  dalla  riconoscenza  de' suoi  popoli  alla 
occasione  della  pace  ed  alleanza  conchiusa  con  Sa- 
pore III.  re  di  Persia. 

Zftovatnfaiula    Jr  inali. 


Vnl.X.IV. 


TA.  XX^'l. 


Wi  rforv  f/f/r/..lv/fr 


i  :/.. 


VOL.     XIV.    TAV.     XXVI.  i 

Venere  accovacciata  con  Amore  dappresso  -Sta- 
tua in  marmo  greco  alta  palmi  5 ,  proveniente 
dalla  Casa  l'arnese. 


G 


Comune  alle  diverse  statuo  di  Ventre  accovac- 
ciata, ed  alle  gemine  esprimenti  lo  stesso  subietto 
fu  verosimilmente  alcun  famoso  originale  di  greco 
artefice  ;  imperciocché  non  solamente  la  Venere  che 
abbiamo  sott' occhio  ed  un'altra  che  serbasi  nel  real 
Museo,  ina  le  altre  due  ancora  del  Museo  P.  de- 
mentino e  della  Villa  Ludovisi  sono  nello  stesso  at- 
teggiamento, ed  un  tipo  comune  lasciano  supporre, 
sebbene  la  nostra  abbia  presso  di  se  un  Amorino 
che  affettuosamente  riguarda ,  e  l' altra  della  Villa 
Ludovisi  sia  accompagnata  da  un  putto  coli' asciu- 
gatoio. Il  Visconti  nel  chiarire  la  Venere  del  Museo 
P.  dementino  (j),  la  quale  non  ha  Amore  né  putto, 
ma  sta  sola  accovacciata  come  in  un  bagno  ,  simile 
all'altra  serbata  nel  Real  Museo,  supponeala  una 
replica  della  Venere  nel  bagno  di  Policarmo ,  am- 
mirata in  Roma  e  rammentata  da  Plinio  (2). 

(1)  Voi.  I.  tavola  X. 

(2)  Lb.  XXXVI  Cap.  IV.  9. 


2  VOL.     XIV.    TAV.    XX.V1. 

Il  momento  espresso  dalla  nostra  bella  statua 
ci  sembra  esser  quello  che  appena  uscita  dal  bagno, 
stando  ancora  accovacciata  ,  compiaciuta  si  rivolge 
a  dritta  a  favellare  col  suo  fanciullo  alato ,  il  quale 
con  la  sinistra  stringe  una  freccia ,  mentre  con  la 
destra  addita  verso  il  di  lei  petto  ,  quasi  a  pre- 
scegliere un  luogo  alla  ferita  per  favorir  forse  le 
inchieste  di  Adone,  o  di  Anchise  ,  o  del  suo  geni- 
tor  guerriero.  E  osservabile  il  braccialetto  che  la 
Dea  tiene  affibbiato  al  disopra  del  sinistro  braccio , 
ornamento  ricordato  dagli  antichi  scrittori ,  ed  illu- 
strato da  Festo,  che  lo  denomina  spinti he r ,  ovvero 
urmiliae  genus,  quod  mulieres  gestare  solebant 
òrac/iio  summo  sinistro ,  vai  dire  »  genere  di  ar- 
"»  milla ,  che  solean  portar  le  donne  alla  sommità 
))  del  sinistro  braccio  »  convenendo  quel  summo 
alla  nostra  statua,  che  la  parte  superiore  del  sini- 
stro braccio  ne  porta  ornata. 

Questa  pregevole  scultura  romana  non  esente 
da  restauri  nelle  estremità ,  sebbene  lascia  ravvisare 
l'ideale  bellezza  de' lineamenti  di  Venere,  la  leg- 
giadria della  sua  attitudine,  e  la  mollezza  della 
sua  espressione,  fa  però  desiderare  maggiore  svel- 
tezza nello  insieme ,  maggior  dilicatezza  nelle  parti , 


VOL.    XI\.    TAV.    XXVI.  5 

ed  in  generale  un'età  più  convenevole  alla  Dea  cicali 
amori:  le  quali  cose  ci  mantengono  nei  nostro  di- 
visamento,  clic  una  bella  copia   sia   di  bellissimo 

originale-  gl'eco,  ma  che  l'esecuzione  dell'artista 
romano  non  raggiugne  il  merito  sublime  dell'  an- 
tico artefice  inventore. 


ytcvamvatijta     -jf inali. 


voi .    !  i 


TA.xsya. 


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YOL.     XIV.     TAV.     XXVII. 
La  cappella  del  Pontano. 


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Ion  si  può  certamente  descrivere  la  cappella  del 
Pontano   senza  fermarci  a  considerare  il   suo  fon- 
datore, nome  che  suona  grande  alle  lettere  calla 
civiltà  dell'intera  Italia.    Gioviano    Pontano    inge- 
gno meraviglioso,  che  continuamente  immerso  nelle 
più  gravi   faccende  della  politica  de'  suoi    tempi , 
scrisse  tante  opere,  quante  sarebbero  state  di  troppo 
per    chiunque   altro ,  che  scevro  di  affari ,  avesse 
potuto    vivere  nel  beato  ozio  delle    lettere  e  delle 
scienze.  E  questo  pare  a  mio  credere  formi  il  gran 
pregio ,  ed  il  gran   valore    degli  uomini   di  Stato 
di  quei  tempi ,  che  agli  ufficii  della   politica  uni- 
vano gli  studi  delle  lettere  e  delle  scienze.  Amba- 
sciatori ne'  casi   difficili ,  preposti  agli  affari  i  più 
importanti  dell'  interna  amministrazione ,  Segretari 
de' Papi,  de' Re,  i  Bembo,  i  Sadoleto ,  i  Casa,  i 
Pontano ,  uomini  pratici ,  per  eccellenza  dottissimi 
di  teorie,  scrittori  infatigabili  sono  in  ogni  tempo 
incomprensibili.  Ed  al  Pontano    crediamo  noi  do- 
vere attribuire  in  gran  parte   le   larghezze  e  i  fa- 


2  VOL.    XIV.     TAV.    XXVil. 

vori  che  ottennero ,  e  l' alto  grado  di  perfezione  a 
cui  salirono  le  lettere  qui  in  Napoli  sotto  il  reg- 
gimento de'  Re  aragonesi.  La  fortuna  di  questo 
prode  uomo  sorse  e  tramontò  con  questa  dinastia 
di  Sovrani  di  cui  fu  Ministro  accreditatissimo.  Fon- 
datore di  un'accademia  emula  della  medicea  si 
vedeva  nelle  poche  ore  che  gli  avanzavano  agli 
affari  circondato  da  una  bella  corona  di  felicissimi 
ingegni  come  un  Sannazzaro ,  un  Altilio ,  un  Can- 
teo ,  un  Elisio  Calenzio ,  un  Alessandro  d'Alessan- 
dro ,  un  Francesco  Elio  Marchese ,  un  Galateo ,  e 
tanti  altri  che  illustrarono  quell'  epoca  che  corse 
si  propizia  alle  lettere. 

Nacque  il  Puntano  in  Cerreto  dell'  Umbria  il 
7  maggio  del  1426  :  rimasto  orbo  del  genitore  fu 
obbligato  per  civili  discordie  rifuggirsi  a  Perugia 
ove  fu  amorosamente  dalla  madre  educato  e  fatto 
ammaestrare  nelle  lettere  greche  e  latine.  Dispe- 
rato del  ritorno  in  patria  quella  dura  necessità  in 
cui  gemeva,  quella  nialesuada  fames ,  che  gli  animi 
vigliacchi  e  perversi  spinge  alle  scelleratezze,  in- 
citò invece  il  generoso  ed  onesto  spirito  del  Pon- 
tano  a  contrastar  da  forte  con  1'  avversa  fortuna. 
Correvagli  l'anno  ventunesimo  ed  erano  gli  anni 


VOL.     XIV.    TAV.    XXVII.  5 

«li  Cristo  i  ii7,  quando  questo  giovinetto  animalo 
dalla  fama  della  munificenza  del  Re  Alfonso  I.  di 
Aragona,  che  allora  guerreggiava  nel  Fiorentino,  ri- 
corse alla  clemenza  di  quel  monarca  clic  accoltolo 
amorevolmente  lo  menù  seco  a  Napoli.  Da  quel- 
l'epoca fino  agli  ultimi  suoi  anni  fu  sempre  adope- 
rato da'  Re  aragonesi  in  gravissime  faccende  di 
Stato,  e  questa  sua  vita  pubblica  gli  durò  quanto 
il  regno  degli  Aragonesi  cioè  fino  al  i5oi.  Dai 
quali  64  anni  da  lui  spesi  in  servigio  di  quei  So- 
vrani trasse  onori ,  e  dovizie  da  poter  riunire  presso 
di  lui  quell'accademia  che  ancor  dura  qui  in  Na- 
poli sotto  il  suo  nome,  e  da  poter  costruire  edilìzi 
sontuosi,  fra  i  quali  noverasi  la  cappella  che  forma 
subietto  della  presente  tavola.  Morì  il  Pontano  nella 
vecchiezza  di  anni  77  il  i5o5. 

Questa  chiesetta  fu  fatta  edificar  dal  Pontano 
il  1492  ,  in  un'epoca  in  cui  le  arti  del  disegno 
erano  in  Napoli  come  in  tutta  l'Italia  risorte  a 
nuove  forme  e  nuove  bellezze  da  sotto  le  ceneri 
del  medio  evo.  E  stato  errore  di  alcuni,  scompa- 
gnalo da  ogni  buon  giudizio  di  arte,  di  credere 
che  il  Pontano  seguisse  in  questo  edifizio  l'ordine 

di  Andrea  Ciccione ,  architetto  molto  in  grido  sotto 

**■ 


4  VOL.     XIV.     TAV.     XXVII. 

il  Re  Ladislao  d'Anjou,  e  che  gli  disegnò  il  mo- 
numento che  tuttavia  si  ammira  in  S.  Giovanni 
a  carbonara.  Ma  lo  stile  del  Ciccione  non  ha  nulla 
che  fare  con  quello  della  cappella  del  Pontano ,  e 
sarebbe  l' istessa  cosa  che  confondere  lo  stile  di 
Giotto  con  quello  di  Pietro  Perugino,  volendo  tro- 
var somiglianza  fra  le  opere  del  Ciccione  e  la  cap- 
pella pontaniana.  Quell'epoca  che  produsse  tanti 
capi  lavori ,  che  prende  il  nome  dal  secolo  nel 
quale  fioriva  di  cinquecento,  avea  bandito  affatto 
lo  stile  gotico.  Né  i  particolari,  né  la  massa  di 
questa  elegante  chiesetta  hanno  nulla  che  fare  con 
lo  stile  e  l' epoca  del  Ciccione  che  stava  fra  il  mo- 
resco, il  gotico,  e  il  bizantino.  Oltre  di  che  l'arco 
del  Castello  nuovo  edificato  da  Re  Alfonso,  e  pre- 
cursore di  molti  anni  di  questo  piccolo  ed  elegante 
edilìzio,  aveva  aperto  un  nuovo  stadio  all'  architet- 
tura totalmente  opposto  alla  maniera  del  Ciccione 
e  de'  suoi  coetanei.  Lodiamo  in  questa  cappella  la 
grazia  ed  armonia  della  massa  ,  la  eleganza  di  tutti 
i  suoi  particolari  che  si  rispondono  fra  loro  con 
tanta  concordanza  di  grazia,  con  quanta  si  odono 
i  suoni  delle  varie  corde  di  un  istrumento  mae- 
strevolmente toccate.  E  diremo  di  questo   edifizio 


VOL.     XIV.     TAV.     XXVII.  5 

quello  che  Pomponio- attico  diceva  di  alcune  sue 

vecchie  case,  a  chi  conio  picciolo  e  poco  ornale 
consigliavate  di  demolirle,  che  ci  era  più  sale  che 
spesa.  E  più  salo  che  spesa  effettivamente  .si  osserva 
in  questo  elegantissimo  avanzo  del  buon  giudizio 
del  cinquecento  clic  indichiamo  come  un  bollo  ed 
utile  esempio  agli  studiosi  di  architettura.  E  tanto 
più  utile  in  quanto  che  gli  studi  degli  architetti 
versano  il  più  delle  volte  su  vasti  subietti ,  e  su 
monumenti  di  grande  spcndio ,  di  cui  le  occasioni 
son  tanto  rare  che  posson  quasi  dirsi  chimeriche, 
trascurando  poi  le  fabbriche  più  modeste  che  co- 
muni nell'  uso  si  presentano  tutto  giorno  all'  eser- 
cizio pratico  di  quest'arte. 


Ttuaueimo    £decnt. 


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VOL.     XIV.     TAV.    WVIII. 


Cadmo.  —  Paso  fittile  di  Puglia. 


R 


apita  Europa,  Agenore  di  lei  padre  ignorando 
il  rapitore  ,  ordinò  a'  suoi  lìgli  di  andar  da  per 
tutto  in  traccia  della  sorella  ,  vietando  loro  di  ri- 
tornare in  patria  senza  averla  ritrovata. 

Dopo  molti  e  lunghi  viaggi  Cadmo  perduta 
ogni  speme  di  rinvenirla  si  risolse  di  stabilirsi  in 
Grecia  ,  ove  consultato  l'oracolo  di  A  polline  n'eb- 
be in  risposta  »  nel  vicino  campo  troverai  una 
giovenca  ,  seguila  ,  ed  ove  essa  si  fermerà  fonde- 
rai una  città  dandole  il  nome  di  Tebe  ».  Appe- 
na uscito  dal  sacro  antro  incontrò  la  giovenca,  la 
seguì  ,  e  quando  essa  si  fermò  ,  volle  prima  di 
gettar  le  fondamenta  della  nuova  città  rendere 
grazie  al  nume  con  un  sagrificio.  Spiccò  a  tal  uopo 
i  suoi  compagni  a  cercar  acqua  in  una  fonte  presso 
il  vicino  bosco  consacrato  a  Marte ,  ove  un  drago- 
ne che  il  custodiva  li  divorò  tutti.  Cadmo  impa- 
ziente di  non  vederli  ritornare  si  mosse  ad  incon- 
trarli ,  e  ritrovò  che  quel  dragone  stava  ancor  di- 
vorando gli  avanzi  degl'  infelici  compagni  suoi.  Per 


2  VOL.     XIV.    TAV.    XXVIII. 

vendicar  la  loro  morte  combattè  ed  uccise  quel 
terribile  mostro  con  l'ajuto  di  Minerva ,  e  per  suo 
ordine  ne  sparse  i  denti,  da' quali  sursero  uomini 
armati  e  combattenti ,  i  quali  debellati,  Cadmo  ne 
risparmiò  soli  cinque  che  gli  servirono  di  ajuto 
per  fondar  la  città  in  adempimento  degli  ordini  di 
Apollo. 

11  momento  espresso  nel  principale  aspetto  di 
questo  pregevolissimo  vaso  di  Puglia  è  Cadmo  che 
combatte  il  dragone  con  l'ajuto  di  Minerva.  Qui 
l'Eroe  tutto  nudo  con  sola  clamide  gettata  sugli 
omeri  con  pileo  in  testa  e  calzari  a'piedi  tien  nella 
manca  abbassata  la  spada  col  balteo  e  due  lance, 
ed  atteggiato  al  combattimento  sta  per  iscagliare  con 
la  destra  elevata  una  grossa  pietra  al  dragone  ,  il 
quale  si  rizza  e  vibra  la  lingua  contra  di  lui.  Mi- 
nerva in  lungo  chitone  e  peplo  armata  di  egida  , 
di  elmo  e  di  lancia,  ed  ornata  di  auree  smaniglie, 
indica  all'  eroe  il  luogo  ove  debba  colpire  il  mo- 
stro. Compiono  la  scena  di  questo  primo  piano 
del  vaso  un  mucchio  elevato  di  pietre  ,  alcune 
piante  ed  un  vaso  rovesciato  posto  fra  Cadmo  e'1 
dragone. 

Nel  piano  superiore  Tebe  personificata  siede 


VOL.    XIV.    TAV.     XXVIII.  5 

presso  di  quegli  scogli.  Essa  ha  la  corona  turrita  in 
testa  ,  ccl  è  vestita  di  lungo  e  ricco  chitone  ,  con 
analogo  peplo  del  quale  un  lembo  rialza  colla  de- 
stra presso  dell'  omero  dritto  ,  le  sue  braccia  so- 
no ornate  di  auree  armille  ,  1'  annidare  della  si- 
nistra decorato  di  prezioso  anello  ,  ed  ha  eleganti 
sandali  a'  piedi.  Rimpetto  sta  la  fontana  Crcnaia 
a  mezza  figura  ,  ornata  di  largo  diadema  ,  e  ve- 
stita di  chitone  riccamente  ricamato.  E  segue  an- 
che a  mezza  figura  il  fiume  Ismeno  con  capelli  e 
barba  bianca  vestito  anch'  esso  di  elegante  e  ricco 
chitone  portando  un  lungo  scettro.  Fra  queste  due 
ultime  figure  comparisce  il  sole.  Su  le  teste  delle 
figure  si  leggono  le  iscrizioni  incise  con  bolino  KAA- 
M0£  ,  A0HNH  ,  0HBH,  KPHNAIH,  IMHN05}  (sic). 
Sotto  le  ghirlande  di  edera  che  ornano  il  collo  di 
questo  pregevolissimo  vaso  si  legge  il  nome  del- 
l' artista  AU^TEAU  (sic)  ErPA<DE  (1). 

Il   riverso   del    vaso    rappresenta  Bacco  tutto 


(i)  Un  grande  balsamario  col  dipinto  eh'  esprime  Ercole  negli  orti  Esperidi  è 
dello  stesso  artista,  e  può  osservarsi  nel  real  Museo  Borbonico  all'ultimo  armadio 
dell'ultima  sala  della  collezione  de' vasi  al  n.°  60  ;  ed  una  terza  opera  di  questo 
artista  esprimente  nel  suo  dipinto  una  parodia  di  Procuste  è  stata  pubblicata  dal 
nostro  amico  e  collega  signor   Milllngen.   Coli,  des  peint.  PI.  XLf'I. 


4  VOL.    XIV.    TAV.    XXVIII. 

nudo  nella  persona  con  benda  e  lemnisci  reggendo 
con   la  destra   abbassata   una   ghirlanda  e  nella  si- 
nistra elevata  il  tirso  :  su  questo  braccio  sta  gittato 
il  grandioso  manto  del  Nume.  Egli  è  fiancheggiato 
a  sinistra  da  una  baccante  vestita  di  lunga   sistide 
ricoperta  dalla  nebride,  sostenendo  nella  destra  una 
ghirlanda ,  ed  offrendo  a  Bacco  una  patera  ricolma 
di  frutta  e  di  tre  oggetti  di  figura  piramidale;  ed 
a  manca  da  un  barbuto   satiro   con  festone  nella 
dritta  e  bastone  nella  sinistra.  Sul  piano  superiore 
di  questa  composizione  sono  espresse  tre  figure,  che 
si  veggono  solamente  per  metà.  Due  di  queste  son 
tunicate ,  e  situate  di  rimpetto  ;  l' una   ha  un'  ac- 
conciatura rossa,   e  l'altra  una  cuffia,  e  fra  esse 
trovasi   espressa  una   pianta:   la  terza  è  di  satiro 
calvo  e  barbuto  con  testa  ornata  di  benda,   e  ve- 
stito di  nebride.  Sul  basso   e  propriamente   presso 
del  Nume  un'oca  attentamente  il  riguarda.    I  soli 
colori  bianchi  sono  antichi,  e  gli  altri  colori  bru- 
nastri  che  si  veggono  in  queste  figure  sono  di  mo- 
derno ristauro. 

Sebbene  il  subbietto  del  quadro  espresso  nel 
principale  aspetto  di  questo  bel  vaso  è  per  se  stes- 
so chiarissimo  ed  ineluttabile,  pure  a  maggior  chia- 


>0L.     XIV.     TAV.     XXVIII.  5 

rezza  de]  mito  Astea  celebre  dipintor  (1)  di  vasi 
non  solamente  lia  aggiunto  in  questo  pregevole  la- 
vor  suo  V  epigrafe  grcea  su  ciascuna  figura  ,  ma 
ha  voluto  completare  il  suo  dramma  adombrando, 
a  nostro  avviso  ,  con  quo'  sassi  1'  antro  del  dra- 
gone ;  con  quelle  piante  il  bosco  sacro  a  Marte  , 
che  era  presso  della  fonte  Crenaia  personificata 
qui  nella  mezza  figura  posta  fra  Tebe  e  l'Ismeno, 
anch'essi  personificati  nella  bella  figura  assisa ,  e 
nell'altra  a  metà  di  barbuto  veglio  maestosamente 
crinito  ;  in  quel  vaso  rovesciato  il  sopravanzo  della 
strage  de'  compagni  di  Cadmo ,  i  quali  con  quel 
vaso  appunto  eran  giti  a  cercar  dell'  acqua  neces- 
saria al  sacrificio  ;  nel  sole  infine,  che  comparisce 
sull'  alto  della  composizione  ,  l' oriente  nel  quale 
era    nato   l'Eroe  protagonista  del  suo  dipinto. 

Non  dispiaccia  intanto  l'aggiungere  alle  cose  già 
dette  che  coloro  i  quali  si  sono  occupati  a  ritrovar  la 
verità  delle  favole  dell'  antichità  pagana ,  preten- 
dono che  Cadmo  uscì  di  Fenicia  per  istabilirsi  in 
Europa ,  e  che  giunto  in  Grecia  con  una  colonia 
di  Fenici  s'impadronì  di  una   parte  della  Beozia  , 


(i)  Vedi  la  nota  precedente. 


6  VOL.     XIV.     TAV.     XKVIII. 

e  vi  fondò  una  città  ove  stabilì  il  suo  dominio  non 
ostante  la  molta  resistenza  degl'  indigeni  di  quel 
paese.  Quindi  aggiungono  che  il  dragone  ucciso 
da  Cadmo  fosse  il  principe  del  paese  chiamato 
Draco ,  tìglio  di  Marte  ;  che  i  suoi  denti  misteriosi 
fossero  i  sudditi  di  lui ,  i  quali  si  riunirono  dopo 
la  sua  sconfitta  ;  e  che  Cadmo  li  facesse  perir 
tutti  fuori  di  cinque  che  abbracciarono  il  suo  par- 
tito (1).  Questo  avvenimento  si  fa  da  essi  rimontare 
a  circa  due  secoli  prima  della  distruzione  di  Troia. 


Tficvamvatuta      <jfinati. 


(1)  Falarih.de   lm/td.  Ili.st.  cap.  fi.  A  miniano  Martellino.  1.  ig  ed  altri  molti. 


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VOL.     XIV.     TAV.     \\l\. 
Tazza  ih  Canino. 


JLja  bella  lazza  di  che  prendiamo  a  favellare  venni 
al  Musco  Borbonico  dagli  scavi  di  Etruria  con  pa- 
recchie altre  quivi  disotterrate. Essa  presenta  al  di 
dentro  un  giovane  ammantato  di  pallio  e  con  in 
mano  un  bastone  che  sta  per  baciare  un  garzone t te» 
ricoperto  da  semplice  clamide  con  sopra  l'iscrizione 
EIIOIE^EN  (fece  ),  da  riferirla  al  nome  dell'artista 
che  manca.  Al  di  fuori  poi  ci  mostra  due  distinte 
scene  di  personaggi  dipinti,  le  quali  restano  divise 
da'  manichi  e  chiusa  ciascuna  da  due  sfingi  acco- 
vacciate ed  a  quelli  rivolte  co'  dorsi.  In  una  è  rap- 
presentato Ercole ,  il  quale ,  dopo  sospeso  il  suo  tur- 
casso ad  un  albero,  ha  affrontato  il  leone  nemeo,  e 
passatogli  il  sinistro  braccio  sotto  il  collo  ,  già  cerca 
di  soffocarlo.  Ma  con  tutto  il  suo  valore  egli  è  tutta- 
via pericolante  sì,  che  un  compagno  il  quale  trovasi 
dietro  al  lione  e  che  gli  tiene  la  clava,  volge  colla 
destra  elevata  le  sue  parole  a  Minerva  a  dargli  soc- 
corso, la  quale  perciò  si  ha  tolto  il  cimiero  di  capo, 
ma  non  sai  se  voglialo  offrire  all'  Eroe  perchè  me- 


2  VOL.    XIV.     T\V.    XXIX. 

glio  con  esso  si  difenda  la  testa,  o  al  compagno  di 
lui ,  che  di  ciò  la  prega.  Per  me  a  dir  vero  più 
alla  prima  opinione  inchinerei ,  poiché  1'  amico  di 
Ercole  ha  già  in  testa  un  pileo ,  che  da  offese  la 
campi.  L'altra  rappresentanza  ci  offre  allo  sguar- 
do un  guerriero  caduto  a  terra  per  fresca  ferita  , 
come  lo  indica  la  sua  postura ,  e  molto  più  la 
spada  che  stringe  ancor  nella  destra  ,  ed  il  grosso 
scudo  che  imbraccia  tuttavia.  Egli  è  in  mezzo  a 
due  guerrieri  che  combattono  tra  loro ,  chi  per  di- 
fenderlo, e  chi  per  finirlo.  Questi  ha  un  rotondo 
scudo  con  sopravi  per  insegna  metà  di  un  cavallo, 
una  celata  in  capo ,  gli  schinieri  alle  gambe,  il  resto 
nudo.  Quegli  ha  il  fodero  della  spada  ad  arma- 
collo, la  lancia ,  uno  scudo  di  figura  ovata  con  due 
semicircolari  incisioni  a'  lati,  ed  una  celata.  Ed  io 
son  di  credere  che  qui  si  rappresenti  Patroclo  di- 
feso da  Menelao,  tuttoché  il  momento  scelto  dal- 
l'artista non  sia  di  quelli,  diche  s'incontra  la  de- 
scrizione in  Omero.  E  tanto  più  di  ciò  mi  persua- 
do in  quanto  che  i  due  arcieri,  che  chiudono  la 
scena,  hanno  in  testa  due  mitre,  o  tiare  che  dirsi 
vogliano ,  similissime  a  quelle  che  si  veggono  in 
testa  a'  guerrieri  del  gran  Musaico  pompeiano ,  e 


YOL.    XIV.    TAV.    XXIX.  5 

su  qualche  tosta  di  Paride,  tal  che  ben  possono 
aversi  per  Troiani.  Come  troiano  ancora  è  il  guer- 
riero che  sta  di  Fronte  a  Patroclo;  né  la  sua  ar- 
matura differisce  da  quella  di  Menelao,  se  non 
perchè  costui  ha  i  gambierì  propri  de'  Greci  a 
segno  che  per  essi  meritaronsi  il  titolo  di  WKvri^ihg 

Da  ultimo  noteremo  che  l'epigrafe  apposta  a 
(fuesta  scena  è  IIOIE^E  per  ivroinaiv  [fece  ).  Ciò  fa 
supporre  il  solito  nome  del  vasaio,  il  quale,  qua- 
lunque ne  sia  stata  la  cagione,  non  vi  si  trova. 

bter nardo  £z.aaranta. 


VOL.     XIV.    TAV.     XXX. 


Deposizione  di  N.  S.  dalla  croce.  -  Quadro  sopra 
tela  di  figura  ellittica  di  palmi  dodici  e  3/4-  di 


maggior  diametro. 


J-jrasi  già  di  molto  innolirato  il  diciassettesimo 
secolo  di  n.  s.  allorché  la  scuola  napolitana  ralle- 
grandosi di  aver  dato  alle  arti  tanti  valenti  maestri , 
lamenlavasi  nondimeno  di  vedersi  al  declinare 
del  suo  splendore  con  poca  speme  di  scorgere  negli 
altri  suoi  figli  chi  potesse  sostenerne  l' avita  sua 
grandezza.  A  ristorar  tali  lamenti  sorse  inattesa- 
mente, diremmo  come  un  gonio,  il  giovanetto  Luca 
Giordano  (1),  figlio  del  volgar  pittore  Antonio,  il 
quale  con  istupor  de'  suoi  contemporanei ,  essendo 
ancor  di  sette  anni,  conduceva  sotto  la  disciplina 
del  gran  Ribera  opere  sorprendenti.  Abbenchè  fan- 
ciullo, ma  pieno  dell'innato  amore  che  in  se  po- 
tentemente sentiva  per  1'  arte,  al  solo  annunzio  che 
in  Roma,  in  Venezia  ed  in  altre  città  cospicue  del- 

(i)  Nacque  in  Napoli  nell'anno  i632  ove  trapassò  nel  1705,  avendo  73  anni  di 
età  ,  e  vedesì  il  suo  sepolcro  nella  Chiesa  di  S.  Brigida  innanzi  la  cappella  di  S.  Nic- 
colò di  Bari ,  da  lui  anticipatamente  dipinta. 

* 


2  VOL.     XIV.     TAV.    XXX. 

l' Italia  opere  esistevano  de'  più  celebrati  maestri 
dell'arte,  non  potè  signoreggiare  la  sua  irresistibile 
passione:  quindi  colà  segretamente  si  reca,  e  studian- 
do le  opere  ammirevoli  delle  logge  del  Vaticano,  e 
formandosi  su  quelle  di  Leonardo,  di  Michelangelo, 
di  Andrea  ,  e  di  tanti  altri  sublimi  maestri,  (1)  acqui- 
stò quello  stile  proteiforme  ,  che  i  più  accorti  ar- 
tefici attoniti  ammirarono  nelle  opere  stupende  di  lui. 
Dopo  le  tante  opere  pubbliche  eseguite  con  somma 
celerità  (2)  e  con  molto  sapere,  la  sua  fama  di  valoroso 


(1)  Il  Bellori  parlando  degli  studi  del  nostro  Giordano  soggiunge,  che  qual 
ape  ingegnosa  libando  da' fiori  delle  opere  de'  migliori  maestri  componeva  il  suo 
mele.  Ed  in  quanto  al  suo  stile  sorprendente  d' imitazione  ,  basta  solamente  ricor  - 
dare  che  il  Re  di  Spagna  mostrandogli  un  quadro  del  Bassauo  gli  esprimeva  il 
gran  dispiacere  di  non  possedere  una  seconda  opera  dello  stesso  pittore  :  un  giorno 
dopo  il  Giordano  prese  una  tela  vecchia  e  vi  dipinse  una  composizione  di  maniera 
del  Bassano ,  la  quale  collocata  nella  galleria  del  Monarca  fu  creduta  da'  più 
periti  conoscitori  un  eccellente  lavoro  di  quel  maestro;  e  non  si  chiarì  1' equivoco 
se  non  dopo  le  certe  pruove ,  che  Giordano  diede  di  averlo  recentemente  dipinto 
egli  stesso. 

(2)  11  padre  di  Luca  vendeva  a  caro  prezzo  i  disegni  e  gli  abbozzi  latti  dal  figlio  , 
e  pressavalo  vivamente  a  lavorare  dicendogli:  Luca  fa  presto,  espressione  che 
gli  restò  in  soprannome.  Si  afferma  ,  che  per  fare  più  presto  adoperava  talvolta  le 
dita  invece  del  pennello,  e  che  un  giorno  lodandosi  dalla  Regina  di  Spagna  i  fiori 
dell'  Abate  Belvedere ,  il  Giordano  presi  colle  dita  i  colori  eh'  eran  sulla  tavo- 
lozza ,  come  per  incanto  gli  rimescolò  in  modo  che  uscirono  da  sotto  alle  sue  dita 
de' sorprendenti  fiori:  e  poco  dopo  lavorando  alla  presenza  della  stessa  Regina  di- 
pinse quasi  in  un  minuto  il  volto  di  sua  moglie  assente ,  che  la  Regina  aveva  de- 
siderio di  conoscere.  La  Sovrana  che  credevalo  in  tutt'  altro  occupato  fu  sì  incan- 


VOL.    XIV.    TAV.     \\\.  5 

pittore  si  estese  con  velocità  pari  alla  facilità  con  che 

conduceva  i  più  grandi  suoi  lavori.  La  corte  di  Spa- 
gna lo  impiccò  a  dipingere  le  volto  ed  il  grande 
scalone  dell' Escuriale,  ove  esegui  con  tanta  spedi- 
tezza e  successo  le  ricevute  commessioni,  che  gli 
meritarono  1'  affezione  del  Monarca  delle  Spagne 
Carlo  li,  il  (piale  lo  creò  cavaliere,  lo  rimeritò 
con  diversi  impieghi,  ed  elargì  le  sue  munificenze 
agli  altri  individui  della  sua  famiglia  (1).  Con  egua- 
le stima  e  favore  fu  trattato  da  Filippo  V ,  che 
non  solamente  gli  fece  terminare  le  diverse  opere 
intraprese,  ma  il  confermò  al  suo  servizio.  Il  Gior- 
dano affezionato  d'altronde  alla  sua  patria  implorò 
ed  ottenne  il  permesso  di  ritornare  in  Napoli,  ove 
si  restituì  preceduto  da  una  rinomanza  così  grandiosa 
ed  estesa,  che  appena  poteva  corrispondere  ad  una 
tenue  parte  delle  moltissime  richieste  che  gli  veni- 
van  fatte.  Vuoisi  che  una  delle  tante  richieste,  alle 
quali  egli  soddisfece,  sia  stata  quella  di  dipingere 
nel  coro  della  Chiesa  della  Solitaria  la  dolentissima 

tata  di  tale  istantanea  destrezza ,  che  toltosi  dal  collo  un  superbo  vezzo  di  perle 
lo  donò  al  Giordano  perchè  ne  facesse  regalo  alla  sua  consorte. 

(i)  Un  di  lui  figlio  fu  fatto  capitano  di  cavalleria,  ed  un  altro  nominato  giudice 
nella  vicaria  di  Napoli.  Le  di  lui  figlie  vennero  onorevolmente  maritate  ad  alcuni 
cortigiani   con  vantaggiosi  posti  per  dote. 

** 


4-  VOL.    XIV.    TAV.    XXX. 

deposizione  di  croce,  che  ci  accingiamo  a  descrivere, 
condotta  con  tanta  arte  e  freschezza  di  colorito,  che 
vien  collocata  fra  le  opere  più  insigni  di  questo  va- 
lentissimo maestro ,  e  fra  le  prime  che  si  conser- 
vano nel  real  Museo. 

La  ferace  immaginazione  di  Luca  si  trasporta 
sull'  arida  vetta  del  Calvario ,  ed  ispirata  dal  su- 
blime subietto  da  esprimere  ci  presenta  con  la  più 
elevata  e  patetica  composizione  la  estinta  salma  del 
SIGNORE  dell'universo  nel  momento  che  Giusep- 
pe d' Arimatea ,  Nicodemo  e  due  altri  fedeli  la 
depongon  dal  nobilitato  patibolo  al  cospetto  della 
immensamente  addolorata  Madre  e  delle  desolate 
Maria  di  Cleofa,  Salome  e  Maddalena.  Questa  luttuo- 
sissima rappresentazione  vien  rischiarata  dallo  splen- 
dore di  un  gruppetto  di  Cherubini  posto  a  sinistra 
sull'alto  del  quadro  :  in  lontano  una  figura  velata 
che  attonita  osserva  quel  che  qui  si  passa ,  ed  un 
soldato  a  cavallo  armato  di  lancia  ed  usbergo  in 
atto  di  andare,  mostra  il  compimento  del  consumato 
deicidio. 

Tutto  è  verità  e  sentita  espressione  in  questa 
elaboratissima  composizione:  Nicodemo,  abbenchè  ca- 
nuto ed  avanzato  negli  anni,  stando  ancora  su  d'una 


VOL.     XIV.     TAV.     XXX.  5 

scala,  a  tutta  possa  sostiene  il  Salvatore  per  sotto  alle 
braccia  ,  nel  mentre  che  Giuseppe  di  Ariinatea  ca- 
lato già  dall'altra  scala,  che  ancor  regge  presso  della 
croce  un  suo  seguace,  premuroso  il  raccoglie  per  le 

cosce,  con  l'aiuto  di  altro  fedele  che  posto  a  ginoc- 
chio si  affatica  a  distendere  al  disotto  del  corpo  un 
largo  lenzuolo.  E  questo  ammirevole  e  principal 
gruppo  eminentemente  lumeggiato  dallo  splendore 
de' Cherubini ,  in  contrapposizione  dell'altro  gruppo 
posto  quasi  in  ombra  della  Vergine  Santa  e  delle 
Marie.  Qui  però  resti  compunto  nel  mirare  l'inteuso 
dolore  della  Santa  Madre  al  cospetto  dell'estinto  suo 
Figliuolo  ;  e  la  desolazione  di  Maria  di  Cleofa  e 
di  Maria  Salome  che  lagrimando  riguardano  nel  loro 
Signore  e  ne  deplorano  amaramente  la  morte  ;  nel 
mentre  che  vedi  Maddalena  in  ginocchio  distruggersi 
in  pianto  su' chiodi  che  ha  raccolti  fra  gli  altri  stru- 
menti della  cruda  passione  posti  sopra  e  presso  di 
scabroso  greppo.  E  qui  ebbe  a  vanto  il  nostro  Gior- 
dano di  scrivere  il  suo  nome  Jordanus  F.  quasi 
volesse  esprimere,  che  i  mancamenti  di  sua  vita 
avevan  contribuito  quali  strumenti  all'  amarissima 
passione  del  Redentore. 

XticvamvattJta    binati. 


"voLxrv. 


TA.  XXXI 


yjscfi./fatyf.jfò    at •/.  &,  scuói 


VOL.     XIV.    TAV.     \X\I. 

Di  E     VS  IH'I  il     UPFRBSCHI. 

JLIoBBIAMO  alle  scavazioni  di  Civita  i  due  un  por- 
timi issimi  dipinti  che  qui  pubblichiamo.  Il  primo, 
tratto  Inori  dallo  macerie  vulcaniche  nel  maggio  del 
1760,  presenta  come  in  un  medaglione  il  ritratto  a 
mezzo  busto  di  leggiadra  donna  in  atto  di  meditare 
ciò  che  va  per  iscrivere  sulle  pugillari  giallastre  an- 
nodate in  cima  da  un  nastro  nero,  che  ha  appre- 
state nella  sinistra ,  accostando  con  la  destra  vaga- 
mente atteggiata  la  punta  dello  stile  color  di  ferro 
alle  labbra  ;  momento  egregiamente  indovinato  per 
esprimere  con  gran  verità  quello  istantaneo  raccogli- 
mento che  ordinariamente  precede  in  chi  vuol  dar 
principio  a  qualche  suo  componimento.  Contribuisco- 
no non  poco  alla  verità  di  questa  espressione  l' inde- 
cisa sua  fisonomia ,  gli  occhi  rivolti  a  destra ,  le  nari 
alquanto  aperte ,  le  labbra  non  interamente  chiuse  ; 
e  la  sua  bionda  chioma  vagamente  inanellata  e  co- 
perta di  aurato  reziolo ,  i  suoi  orecchi  ornati  di  sem- 
plicissimi cerchietti  di  oro  ,  la  sua  tunica  verdastra 
ricoperta  da  un  manto  color  violetto  spargono  di  uno 


2  VOL.    XIV.    TAV.    xxxr. 

studialo  contegno,  ma  che  sembra  naturale,  tutta  la 
sua  persona.  Posti  al  di  fuori  del  medaglione  sono 
da  osservarsi  attentamente  a  sinistra  del  riguardante 
due  vasetti  cilindrici  color  di  rame  addossati  con  i  ri- 
spettivi coperchi ,  de'  quali  uno  è  aperto  e  reggesi 
per  la  cerniera  che  1'  unisce  all'  orlo  del  vasetto ,  e 
presso  dell'  altro  chiuso  sta  appoggiato  un  calamo , 
o  cannuccia,  simile  ad  una  nostra  penna  temperata. 
A  dritta  è  dipinto  un  libretto  forse  anche  di  pu- 
gillari ,  avente  nel  mezzo  di  ciascuna  un  rialto  cir- 
colare ;  e  presso  di  una  di  esse  sta  pure  altra  can- 
nuccia simile  alla  precedente. 

Nell'altro  affresco  scoperto  nel  giugno  dello  stes- 
so anno  è  dipinto  parimente  un  libretto  aperto  di 
colore  oscuro  e  col  margine  color  giallo  disseminato 
di  alcuni  segni  cenericci  indicanti  le  lettere  ,  avendo 
in  mezzo  di  ciascuna  pagina  o  tavoletta  il  solito  rial- 
to ,  ed  alquanto  discosto  uno  stile  color  di  ferro , 
acuto  nell'estremità  inferiore,  e  piatto  neh" altra. 

Sarebbero  sufficienti  questi  due  affreschi  per 
dar  conto  di  quanto  concerne  la  doppia  maniera  di 
scrivere  degli  antichi  tanto  sopra  i  papiri ,  che  sulle 
pugillari  ;  poiché  que'  due  vasetti  di  rame  addos- 
sati e  col  calamo  dappresso  sembran  esser  quella  teca 


VOL.     XIV.    TAV.    \\\l.  3 

atramentaria  ixtXayo^o^tiov,  ossia  calamaio,  necessa- 
rio alla  scrittura  sul  papiro;  e  quelle  tavolette  con 
gli  steli  rispettivi  appartengono  senza  gran  teina  di 
errare  alle  tanto  famigerate  pugillari ,  ossia  alla 
scrittura  sulla  cera  distesa  su  di  apposite  tavolette 
di  bronzo,  di  bosso,  di  cedro  e  di  altri  legnami, 
oppur  sulle  pelli  di  antichissimo  uso  presso  de' Gre- 
ci e  de' Romani  (1);  ma  ci  riserbiamo  di  parlare 
appositamente  di  tutte  queste  cose  allorché  pubbli- 
cheremo la  pingue  suppellettile  scrittoria,  che  unica 
e  preziosissima  si  serba  nella  officina  de'  papiri  er- 
colanesi  del  real  Musco.  Notiamo  nonpertanto  in 
queste  passeggiere  osservazioni ,  che  gli  antichi  per 
delincare  le  lettere  coli'  inchiostro  (2)  si  servivano, 
come  abbiam  veduto,  del  calamo  scrittorio,  qual  è 
appunto  quella  specie  di  cannuccia  qui  dipinta  a 
guisa  della  nostra  penna  temperata ,  attingendone 
T  inchiostro  dal  vasetto  che  qui  vedesi  aperto  ;  e 
che  l' altro  vasetto  chiuso  potrebbe  essere  la  teca 
calamaria ,  ossia  pennaiuolo ,  ove  si  riponevano  i 
calami  ;  ma  se  si  consideri  che  il  calamo  che 
vi  è  dappresso  è  più  alto  della  teca,  potrebbe  più 

(1)  Pullure  X.  57  e  segg. 

(2)  V.  Plinio  XXXV.  C  sulle  diverse  maniere  di  far  l'inchiostro. 


4  VOL.    XIV.    TAV.    XXXT. 

verosimilmente  in  esso  riconoscersi  un  altro  calamaio 
con  inchiostro  di  altro  colore ,  e  forse  rosso ,  di  cui 
facevasi  uso  soprattutto  ne' titoli  de' libri,  e  segna- 
tamente delle  leggi,  onde  libri  rubrìcati  venivan 
detti  da' dotti  (i)  i  libri  legali. 

Molto  ci  sarebbe  ancor  da  notare  sulla  diversa 
forma  de'  libri  ;  ma  tralasciando  ciò  che  riguarda  la 
notissima  forma  cilindrica  appartenente  a'  papiri , 
notiamo  di  leggieri  ciò  che  risguarda  il  libretto  bis- 
lungo qui  dipinto,  il  quale  altro  non  ci  sembra  che 
un  aggregato  di  pugillari  congiunte  insieme ,  vai 
dire  un  polittico  composto  di  più  tavolette  unite  con 
gangheri  o  anelletti  l'una  all'  estremità  dell'  altra,  in 
maniera  che  spiegate  formassero  una  lunga  filza,  e 
nel  piegarsi  1'  una  covrisse  1'  altra  :  e  qui  osserviamo 
che  quel  rialto  circolare,  che  costantemente  vedesi 
nel  mezzo  di  ciascuna  tavoletta,  sia  stato  accorta- 
mente introdotto  per  impedire  che  la  facciata  di  una 
pugillare  si  attaccasse  all'altra,  ed  evitare  che  la  cera 
col  toccarsi  confondesse  le  lettere.  Supponghiamo  in 
oltre  che  quella  specie  di  nastro  annodato  nella  som- 
mità del  libretto,  che  ha  fra  le  mani  la  donna  ri- 
trattata, e  pel  quale  nodo  passa  uno  stile,  tenga  qui- 

(i)  Ovid.  Trist.  El.  1.  7 ,  e  Petronio  cap.  46. 


VOL.    XIV.    TAV.     XXXI.  5 

vi  luogo  di  due  ufizì,  l'uno  di  vagina  per  riporvi 
gli  stili ,  conio  vedesi  praticato  per  quello  che  passa 
pel  nodo  istesso,  e  l'altro  per  tener  ferme  le  pugil- 
lari  allorché  vi  si  scrivea  al  disopra.  E  da  ultimo 
conchiudiamo  queste  transitorie  osservazioni,  dicen- 
do che  la  preferenza  data  dal  pittor  pompeiano  alle 
pugillari  e  non  già  ad  un  papiro  nel  dipingere  una 
nohil  donna  che  medita  prima  di  scrivere,  fa  nascere 
il  sospetto  che  avesse  voluto  presentarci  una  giovane 
innamorata,  che  cogitabonda  si  accinge  a  scrivere  al 
suo  amante,  poiché  uno  degli  usi  al  quale  le  pugil- 
lari venivan  destinate  era  quello  de'  biglietti  amo- 
rosi (1). 


yiovamlattJta    ^finali. 


(i)  Ovidio  Amor.  I.  Et    XXII,  23  e  segg.   Properzio  III  E].  XXII,   20. 


VOI..     XIV.     TAV.     XXXII. 


Dipinto  Pompei  ino. 


0, 


'ubstb  duo  ligure  clic  adornavano  la  dipintura 
di  una  stanza  de'  Pompeiani  rappresentano  due  gio- 
vinone ministre  a  qualche  cerimonia  di  religione. 
La  prima  ha  velato  il  capo  (  giacché  in  segno  di 
venerazione  verso  i  loro  Iddìi  gli  antichi  si  euo- 
privan  la  testa)  (1),  ha  un  ramo  in  mano  da  ser- 
virle forse  di  aspersorio  nelle  lustrazioni  ,  e  tiene 
con  la  destra  due  uccelli  che  sembrano  due  co- 
lombe. 

L'  altra  figura  tiene  sul  collo  un  agnello  ,  di 
cui  stringe  con  la  sinistra  le  gambe,  e  sostiene  con 
la  destra  un  cestello  tessuto  di  vimini  atto  a  con- 
tenere utensili  de'  sacrifizi.  Sarebbe  difficile  di  de- 
terminare il  culto  della  divinità  alle  cui  cerimonie 
queste  due  donne  si  accingevano  a  ministrare,  e  solo 
osserveremo  come  la  religione  sensuale  degli  anti- 
chi si  mescolava  non  solo  a' loro  affari,  ma  ezian- 
dio a'  loro  piaceri ,  e  la  rappresentanza  delle  loro 
religiose  cerimonie  offriva  mille  invenzioni  al  pen- 

(1)  Cic.  de  Nat.  Deorum,  lib.  2,  cap.  3.  Plaut.  in  Amphit.  Act.  V.  se.  1,  ver.  41. 


2  VOL.     XIV.    TAV.     XXXII. 

nello  de'  loro  dipintori ,  il  che  è  tanto  lungi  dalle 
nostre  costumanze,  che  senza  un  considerato  studio 
dell'  antichità ,  ci  faremmo  difficilmente  a  supporre 
tante  gaie  e  leggiadre  rappresentanze  dell'  antica 
pittura  potersi  riferire  alla  loro  religione  ed  al  culto 
delle  loro  Divinità. 


^V 


ùeirno  Soecni. 


VOL.    XIV.    TAV.    XXXIII. 
DIPINTO   POMPEIANO. 


D 


a  una  casa  pompeiana  abbiamo  ricavato  le  tre 
ligure  di  questa  tavola.  Chi  sia  quella  donna  legger- 
mente velata  lino  alla  cintura  che  pare  in  atto  di 
spuntarsi  la  soltil  tunica ,  e  che  in  atto  di  leggiadria 
tiene  nella  mano  sinistra  un  flabello  (  il  ventaglio 
delle  antiche  donne  ) ,  sarebbe  difficile  a  dire.  Sep- 
pure a  qualche  facile  indagatore  di  qualunque  siasi 
più  arcana  rappresentanza  non  cadesse  in  pensiero 
di  chiamarla  Frioe,  la  empia  beltà  di  Terpi,  che  a 
sedurre  i  suoi  giudici  fu  dal  suo  difensore  consigliata 
a  mostrarsi  nuda  sfibbiandosi  il  tunico  pallio.  Ma 
chi  si  contentasse  di  questa  spiegazione  sarebbe  più 
facile  ad  esser  persuaso  e  sedotto  de'  giudici  della 
stessa  Frine. 

I  due  giovani  compagni  a  questa  leggiadra  ci 
sembrano  due  ministri  alle  orgie  di  Bacco  ,  soste- 
nenti due  faci  e  coronati  di  corimbi  la  chioma.  Che 
se  qualcuno  volesse  chiamar!  i  due  simulacri  di  Bacco, 
sarebbe  contraddetto  dalla  poca  nobiltà  di  queste  due 
figure  che  al  bellissimo  fra  gli  Dei  de'  gentili  non 


2  YOL.     XIV.     TAV.     XXXIII. 

sarebbe  affatto  conveniente.  In  somma  a  noi  pare 
che  sia  molto  più  facile  a  dire  quello  che  queste 
tre  ligure  non  rappresentano,  piuttosto  che  ciò  che 
vogliono  significare  ,  e  saremo  contenti  a  lodarle 
come  spontaneo  e  quasi  improvvisato  prodotto  del 
pennello  di  qualche  antico  frescante. 


j2  ita  i te imo     £óe<  / 1 


VoJ.'XEV-. 


TA  .XXXIY- 


•Jtereé fi^-ftcrt'  de.  ófjcuàu 


J .  dòte 


VOL.    XIV.    TAV.    XXXIV. 

Di  l,  BASSIRILIEVI  1\  \i  MIMO  GRECO.  1/ primo  a  alto 
palmi  due  -jfóf  per  pallilo  uno  e  mezzo.  Il  se- 
condo è  alto  poi/no  uno  e  mezzo,  per  palmi  due. 


I 


duo  baasirilievi  che  abbiamo  fatto  incidere  in 
questa  tavola  XXXIV  appartengono,  uno  alla  col- 
lezione farnesiana  ,  e  1'  altro  a'  monumenti  ritrovati 
in  Ischia.  Il  primo  presenta  sotto  di  un  albero  due 
eroi  che  si  stringono  le  destre ,  ed  accennano  col- 
l' indice  della  sinistra  in  un  cane  eh' è  fra  essi:  una 
donna  pone  la  destra  sull'omero  manco  dell'eroe 
eh' è  a  dritta  del  riguardante.  Le  vestimenta  de'due 
uomini  sono  eroiche  e  del  buon  tempo  di  Grecia, 
consistendo  in  un  sol  manto  affibbiato  sull'  omero 
dritto,  e  che  si  prolunga  al  davanti  a  guisa  di  una 
tunica  :  quelle  della  donna  in  una  tonaca  succinta 
con  ampeconio  gettato  sulla  sinistra  spalla.  Potrebbe 
questa  bella  e  semplice  composizione  esprimer  forse 
una  federazione  :  1'  artista  per  mostrare  la  vigilanza 
e  la  lealtà  durevole  che  dee  aversi  in  queste  tali 
alleanze,  ha  espresso  che  i  contraenti  indichino  il 
cane  come  simbolo  della  vigilanza  e  della  fedeltà  non 


2  VOL.    XIV.    TAV.    XXXI V. 

indebolita  dal  tempo.  11  cane  si  dà  da'  mitografi 
per  compagno  a  Mercurio,  il  più  vigilante  ed  astuto 
di  tutti  gli  Dei;  e  tutti  sanno  clic  il  cane  di  Ulisse 
riconobbe  il  suo  padrone  dopo  venti  anni  di  assenza. 
Si  legge  nel  secondo  bassorilievo 


VIVS  LEITVS  NYMPHIS  NITRODIS 

VOT.  SOL.  L.  AN. 

Forse  Fulvio  Leilo  volenteroso  compie  il  voto  alle 
Ninfe  Nitrodi. 

Più  sotto  sono  scolpiti  due  vivacissimi  Geni 
che  si  disputano  calorosamente  un  ramo  di  palma. 

La  salubrità  delle  acque  nitrose  d' Ischia  atti- 
rava appo  gli  antichi  gì'  infermi  a  curarsi  in  quella 
isola,  siccome  anche  si  pratica  a' giorni  nostri  :  quin- 
di voti  ed  azioni  di  grazie  degli  antichi  a  quelle 
divinità  eh'  essi  credevano  presidi  e  proteggitrici  di 
quelle  acque,  e  particolarmente  alle  ninfe  tutelari 
assolute  delle  acque  e  de'  fonti.  Diversi  altri  bas- 
sirilievi  letterati  rinvenuti  nella  stessa  isola  d' Ischia, 
e  che  anche  nel  real  Museo  si  conservano,  provano 
questa  assertiva.  E  qui  è  da  osservarsi  che  Fulvio 
Leito  ricuperata  la  salute  dall'  uso  di  quelle  acque, 
non  solo  di  buon  grado  scioglie  il  voto  alle  ninfe, 


VOL.     XIV.    TA\       XXXIV.  5 

ma  sotto  della  epigrafe  mostra  per  mezzo  de'  due 
Geni,  forse  rrnm  della  sanila,  l'altro  del  morbo, 
la  graD  difficoltà  superata  della  sua  guarigione  , 
mettendoli  in  vivacissima  lotta  nel  disputarsi  la 
palma  :  seppure  Don  siasi  qui  voluto  ricorda- 
re la  lotta  fra  Erote  od  Anterote  ,  nella  quale 
quest'ultimo  è  in  atto  di  strappare  un  ramo  di 
palma  ad  Erolc  ossia  Amore  ,  espressa  in  antico 
monumento,  la  di  cui  descrizione  si  legge  in  Pau- 
sania  (l);  tanto  più  che  questo  stesso  soggetto  tro- 
vasi rappresentalo  in  un  bassorilievo  presso  del 
Montfaucon  (2) ,  ed  in  molle  pietre  incise  che 
sono  citate  dal  Bòttiger  (3). 

Questi  due  marmi  di  buona  scultura  romana 
hanno  molto  sofferto  dal  tempo:  la  parte  superiore 
del  primo  è  interamente  perduta  e  mal  supplita 
dal  ristauro  ;  e  portiamo  avviso  che  la  scultura  della 
parte  antica  ,  che  tuttora  esiste,  sia  de'  tempi  di 
Augusto  imitante  qualche  buono  originale  greco.  La 
prima  epidemie  del  secondo  è  molto  corrosa ,  e 
crediamo  che  oltre  delle  ingiurie  ordinarie  del  tempo 


(1)  Lib.  VI.   e.  25. 

(2)  Antiij.  expliqu.  Tom.  I ,  parte  I ,  nella  tavola  inserita  dopo  la  122. 
(5)  Kleine  Schriften.  Tom.  I ,  pag.  162. 

** 


4  VOL.     XIV.     TAV.     XXXIV. 

sia  stato  sott'  acqua,  che  l'ha  generalmente  corroso. 
Lo  stile  della  scultura  e  oVcaratteri  sembra  de'tempi 
degli  Antonini. 

yiovamvatuta   Chinati. 


VolJOV. 


TA  .XXXV. 


ft&Tt   <&é.  6C**cu&,. 


e,  f.  aCèreoc . 


VOL.    XIV.    TAV.    \\\\. 


Imdi:  in  marmo  grcc/ietio ,  alta  palmi  tre  e  Ire 
quarti ,  rinvenuta  nel  Tempio  ci'  Iside  in 
Pompei. 


i^KUBENE  il  cullo  isiaco  fosse  stato  più  volte  solen- 
nemente scacciato  da  Roma,  e  non  avesse  ritrovato 
protezione  che  sotto  l'impero  di  Adriano,  dopo  l'ul- 
tima espulsione  avvenuta  a' tempi  di  Tito,  pur  non 
è  da  revocarsi  in  dubbio,  che  questo  culto  fosse 
stato  in  osservanza  molto  tempo  prima  di  Tito 
presso  de' Pompeiani:  imperciocché  lo  attestano  non 
solo  le  iscrizioni  e  i  diversi  monumenti  isiaci 
ritrovati  sparsi  nella  loro  dissepolta  città ,  ma  ne  fa 
luminosissima  pruova  il  tempio  alla  gran  Diva  egizia 
colà  edificato ,  e  dalle  fondamenta  ristaurato  da 
Numerio  Popidio  Celsino  dopo  il  memorando  ter- 
remoto avvenuto  al  65  di  nostra  salute  regnando 
Nerone  Augusto.  E  fu  nelle  scavazioni  di  questo 
tempio  che  si  rinvenne  la  bella  statua  d'  Iside  che 
imprendiamo  a  descrivere ,  la  quale  era  quivi  in 
apposito   luogo    eretta   dal   suo   devoto   L.    Cecilio 


2  VOL.     XIV.     TAV.    XXXV. 

Febo,  come  leggesi  nella  seguente  iscrizione  incisa 
nel  suo  piedistallo 

L.  CAECILIYS 

PHOEBVS 

POSVIT  .  L  .  D  .  D  .  D 

Col  sistro  nella  dritta  impugnata  ,  del  quale 
non  resta  che  il  solo  manico  ,  e  colla  chiave  del 
Nilo  nella  sinistra  abbassata  ed  aderente  al  lombo, 
è  qui  espressa  la  gran  Diva  dell'  Egitto  ricoperta 
di  due  prolisse  e  pieghettate  vesti  ,  la  prima  delle 
quali  non  ha  maniche,  si  prolunga  sino  al  suolo, 
lasciando  comparire  metà  de'  nudi  piedi ,  e  giunge 
dalla  parte  superiore  sino  al  ricco  monile  che  ha 
sul  petto.  È  questo  monile  lavorato  a  piccoli  qua- 
drati ,  ed  orlato  di  diversi  pendagli  ,  al  centro  dei 
quali  è  raccomandata  una  luna  crescente  con  astro 
nel  mezzo  ,  che  leggiadramente  adorna  U  seno  della 
Dea.  La  seconda  tunica  le  giunge  a' malleoli,  ha 
larghe  e  corte  maniche  in  modo  che  lasci an  nude 
le  ritonde  braccia  ornate  di  smanigli  :  la  parte  su- 
periore di  queste  maniche  le  resta  assestata  sulle 
braccia  per  mezzo  di  cinque  piccole  borchie ,  e  la 


NOI,     XIV.    TAV.    XXXV.  3 

sinuosità  della  parte  inferiore  .si  avvolge  nella  cinta 

che  passa  sodo  del  seno  della  figura  ,  e  clic-,  l'or- 
masi nel  mezzo  per  due  teste  di  coccodrillo  ;  e 
quasi  diresti  esser  cosi  combinate  le  maniche  di 
questo  abito  per  obbligar  le  antibraccia  della  Dea 
a  rimanere  aderenti  a'  suoi  fianchi.  Sono  osserva- 
bili i  cinque  fiorellini  che  le  ornano  un  secondo 
online  di  capelli  bipartiti  sulla  fronte  e  soprapposti 
alla  serpeggiante  sua  chioma,  che  disposta  a  cala- 
mistri ,  come  le  ordinarie  chiome  isiache ,  vaga- 
mente le  discende  sugli  omeri.  E  qui  avvertiamo 
che  questi  piccoli  fiori  ,  la  capigliatura  ,  il  lembo 
superiore  della  veste  ,  ed  i  capezzoli  delle  mam- 
melle erano  indorati  allorché  questa  bella  scultura 
uscì  dallo  scavo  ,  siccome  eran  dipinti  di  rosso  lo 
smaniglio  a  dritta  ,  le  ciglia  e  gli  occhi ,  il  lembo 
inferiore  della  seconda  tunica  ,  e  '1  tronco  cui  è 
appoggiata  la  statua  ;  delle  quali  dorature  ora  non 
resta  che  il  color  giallognolo  del  mordente  ,  e  dei 
dipinti  non  si  avvertono  che  leggiere  vestigia  di  un 
roseo  colore. 

Quando  anche  l' indole  di  questo  nostro  lavoro 
permettesse  intrattenerci  della  storia  di  questa  pri- 
ma Deità  dell'  Egitto  e  del  suo  cullo ,  come  la  gran 


4  VOL.    XIV.     TAV.  XXXV. 

madre  dogli  esseri,  che  quasi  femmina ,   al  dir  di 

Plutarco  ,  riceve  in  se  le  cause  di  tutte  le  ge- 
nerazioni ,  o  ci  concedesse  il  tempo  di  parlare 
della  prava  e  ridicola  degenerazione  di  quel  suo 
semplicissimo  culto  ,  non  che  della  storia  della  di 
lei  trasformazione  in  Grecia  ed  in  Roma  ,  e  della 
depravazione  de'  suoi  misteri ,  avvolti  da  nefan- 
dissime cerimonie  ;  pure  essendo  cose  molto  ovvie 
e  note  ci  asterremmo  di  farne  motto  :  come  del  pari 
non  parleremmo  del  mistico  simbolo  della  luna  cre- 
scente che  le  pende  sul  petto  ,  del  sistro  usato  nelle 
sue  orgie,  che  stringeva  nella  diritta  ,  della  chiave 
o  misura  del  Nilo ,  che  porla  nella  sinistra ,  de' 
nudi  suoi  piedi ,  né  de'  sensi  occulti  che  racchiu- 
dono le  pieghe  delle  sue  vesti ,  e  né  tampoco  delle 
due  teste  di  coccodrillo  simbolo  del  Nilo  e  della 
umidità  riguardata  come  uno  de'  primi  agenti  della 
natura  ;  ma  non  possiamo  far  di  meno  accennare 
solamente  i  pochi  argomenti  che  ci  han  determi- 
nato a  riconoscer  nel  nostro  simulacro  un'Iside 
di  greca  imitazione. 

Diodoro  (1)  ne  istruisce  che  la  trasformazione 
d1  Iside  e  del  suo  culto  in  Grecia  fosse  stata  frutto 

(il  Bill.  hist.  pag.  20  et  seqq. 


VOI..     XIV.     TAV.     XXXV  5 

de'  viaggi  de'  primi  filosofi  greci  ,  che  ridussero 
alla  favola  Ja  teologia  e  la  fisica  degli  Egiziani  : 
questa  favola  divenuta  uu  patrimonio  de1  sacerdoti 
degenerò  per  di  costoro  malizia  in  mi  ammasso  di 
ridicole  empietà ,  e  fu  fomite  alla  sfrenata  licenza 
dilla  popolare  ignoranza  ;  quindi  la  moltiplicità 
delle  immagini  della  Diva  ,  e  di  quanto  aveva  re- 
lazione a'  suoi  misteri  ,  adattando  e  modificando  e 
le  immagini  e  gli  utensili  a'  costumi  del  tempo  e 
della  vigente  liturgia  sacerdotale  ;  così  non  più 
severità  nelle  forme  ,  nozi  più  fermezza  nelle  atti- 
tudini ,  non  più  rigidezza  negli  isiaci  abbigliamenti. 
Erodoto  intanto  (1)  afferma  che  ciascun  egizio 
portava  due  vesti,  ed  una  ne  vesti van  le  femmine, 
distinguendosi  così  dagli  uomini  ;  ond'  è  che  se  la 
nostra  Iside  non  avesse  altro  distintivo  che  le  sole 
due  vesti,  sarebbe  indizio  sufficiente  per  dichiararla 
greca  ;  su  di  che  osserva  il  Winckelmann  (2)  che 
T  antico  storico  abbia  con  que'  detti  parlato  sol- 
tanto della  sopravveste,  senza  por  mente  ,  che 
trattandosi  d'  indicare  un  mezzo  da  far  distinguere 

(1)  'Ei^cara    twv  ^tsv  u.vhùwt>    exas'G?    £XÉ(    oyo  ,  ruv  ds  yvvaiKuv  le  ly.xsr,.  Euterp, 
Cap.  XXXVI. 

(2)  Storia  delle  arti  del  disegno  Tomo  I.  lib.  II.  e.  III.  §  5. 

* 


6  VOL.     XIV.     TAV.    XXXV. 

le  donne  dagli  uomini ,  Erodoto  dovette  essere 
chiaro  e  preciso  ,  come  notò  il  diligentissimo  co- 
mcntatore  di  quel  dotto  danese.  Le  Isidi  greche 
adunque ,  indipendentemente  dallo  stile  della  scul- 
tura ,  e  dalla  materia  in  che  sono  effigiate ,  pos- 
sono anche  riconoscersi  dalle  due  tuniche  delle 
quali  son  rivestite  ;  e  se  per  poco  si  rifletta  che 
gli  artisti  greci  affatto  non  erano  obbligati  da 
legge  alcuna  di  religione  a  conservare  quegli  inal- 
terabili lineamenti ,  e  quelle  determinate  attitudini 
e  vestimenta  ,  ma  solamente  ligati  dal  bello  e  dal 
gusto  de'  loro  tempi  ,  si  conchiuderà  di  leggieri 
che  simili  monumenti  non  possono  appartenere  alle 
arti  dell'  Egitto  ,  ove  gli  artisti  erano  astretti  per 
religione  a  non  alterare  i  tipi  della  Divinità  e  né 
tampoco  le  vestimenta  loro. 

Che  che  ne  sia  della  dottrina  ricavata  dal 
maggiore  storico  greco  ,  e  dalla  inopportuna  osser- 
vazione dei  Winckelmann ,  certo  è  che  il  marmo 
del  nostro  simulacro  non  è  orientale  ,  ma  bensì 
delle  cave  di  Grecia  appartenendo  al  cosi  detto 
marmo  grechetto  ;  lo  stile  non  è  egizio  ,  ma  è 
largo  ed  accurato  ;  1'  attitudine  non  è  ferma,  ma 
di  chi  vuole  stendere  il  passo  per  camminare;    le 


VOL.     XIV.     TAV.     XXX.V. 

braccia  non  interamente  accollate  a' fianchi,  essen- 
done il  drillo  prosi  isti  ;il  davanti:  le  quali  cose  tutte 
argomenti  sufficienti  ci  sembrano  ;i  poter  collocare 
questo  monumento  fra  quo' di  greca  imitazione. 

E  da  ultimo  ci  sia  permesso  di  qui  aggiun- 
gere, che  gli  ornamenti  di  questa  figura ,  massime 
i  cinque  fiorellini  clic  le  ornano  il  capo  ,  lo  siile 
de'  dondolini  del  monile ,  le  dorature  ,  il  colorito 
delle  diverse  parti ,  ed  il  carattere  della  fisonomia 
della  Diva  ci  fanno  riconoscere  in  questa  figura  un 
monumento  delle  arti  italiche  presso  che  simile  alla 
Diana  per  noi  pubblicata  in  quest'opera,  e  ad  altri 
non  pochi  monumenti  pompeiani  ed  ercolanesi. 

yicvamlatwta    ■dftnatt. 


•* 


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VOL.     XIV.     TAV.     XXXVI.  i 

Strumenti  di  Chirurgia  (  in  bronzo)  trovali  in 
Ercolano  ed  in  Pompei. 


JLii  fig.*  I."  rappresenta  lo  speculimi  magnimi  ma- 
tricis.  Questo  istrumento ,  che  è  tutto  di  bronzo  ,  è 
veduto  di  prospetto  ,  con  la  vite  in  avanti  e  con  le 
branche  orizzontali  indietro ,  situato  verticalmente 
co' manubri  in  giù  come  deve  tenerlo  in  mano  l'ope- 
ratore allorché,  riunite  le  branche  dell'  istrumento, 
si  accinge  ad  introdurlo  nella  vagina.  La  fig.a  II." 
ne  mostra  il  profilo. 

Nella  fig."  I."  AB  e  CD  ,  ciascuna  lunga 
pollici  4  z  ,  larga  linee  4  è ,  della  spessezza  di  li- 
nee 2  \,  sono  due  sbarre  leggermente  curve  , 
le  quali  sono  riunite  come  le  due  aste  di  un 
compasso  ,  aventi  nelle  loro  estremità  A  e  C  due 
prolungamenti ,  dall'  estremo  de'  quali  partono  ad 
angolo  retto  due  branche  orizzontali.  Una  di 
queste  branche  è  segnata  di  profilo  con  EF  nella 
lig."  II."  in  cui  XY  rappresenta  una  delle  sbarre  o 
sia  la  AB  della  fig."  I."  Ciascuna  branca  è  lunga 
pollici  5  e  linee  4 ,  larga  5  linee  :  la  spessezza  nel 


2  VOL.     XIV.    TAV.    XXXVI. 

loro  mezzo  è  eli  5  linee ,  mentre  i  margini  termi- 
nano a  taglio. 

IK  tanto  nella  fig.'I."  che  nella  IL",  rappre- 
senta la  vite  lunga  7  pollici  e  2  linee ,  avente  nella 
parte  spirale  il  diametro  di  linee  3  \.  Essa  tiene  il 
manubrio  K  in  cui  veggonsi  due  foglie  ben  cesel- 
late, una  nella  parte  anteriore,  ed  un'  altra  nella 
posteriore.  Il  pane  di  questa  vite  non  è  triango- 
lare ma  quadrato. 

Il  pezzo  BD  nella  fig."  I." ,  lungo  2  pollici  , 
largo  linee  5  f ,  della  spessezza  di  linee  2  i,  è  im- 
mobile. Nel  mezzo  della  sua  parte  anteriore  sta  so- 
vrapposto un  altro  pezzo  cilindrico  del  diametro  di 
linee  9,  dell'altezza  di  mezzo  pollice,  che  posterior- 
mente (fig.aII.a)  termina  in  un  perno  lungo  linee  7, 
largo  5  linee,  ritenuto  per  mezzo  di  un  cuneo  di  bron- 
zo largo  linee  2  e  lungo  linee  4,  conficcato  nel  perno. 
In  mezzo  a  questo  pezzo  cilindrico  è  scolpito  un  foro 
circolare  pel  quale  passa  e  si  muove  la  vite.  Questo 
foro  non  è  fatto  a  chiocciola  come  porterebbe  la  vite, 
ma  è  liscio  ;  e  per  far  che  la  medesima  salisse  e 
scendesse  vi  si  trova  infilzato  un  pezzetto  di  ferro, 
il  quale   passando    pe'  due  fori   scolpiti   a'  lati  del 


VOL.     XIV.    TAV.     XXXVI.  5 

pezzo  cilindrico  81  insinua  tra  i  cavi  della  spira  ,  e 
così  fa   le  voci  di  chiocciola  (1). 

Il  pezzo  PQ ,  lungo  2  pollici  e  5  linee,  largo 
mezzo  pollice,  della  spessezza  di  linee  4,  tiene  an- 
teriormente un  ringrosso  dell1  altezza  di  G  linee  in 
cui  è  scolpito  un  altro  foro  ,  attraverso  del  quale 
passa  la  parte  estrema  della  vite  senza  spira,  e  che 
uscita  appena  dal  ringrosso  tiene  sovrapposto  un  al- 
tro pezzetto  /di  maggior  diametro,  cioè  di  linee  oì  e 
dell'  altezza  di  lince  5,  ritenuto  alla  vite  stessa  con 
un  piccolo  perno  di  acciaio.  Lo  stesso  pezzo  PQ  a 
destra  ed  a  sinistra  tiene  due  buchi  quadrati  per 
dove  scorrono  le  due  branche  ,  e  riceve  un  movi- 
mento di  elevazione  e  di  abbassamento  per  mezzo 
della  vite  IK,  la  quale  passando  pe  '1  foro  scolpito 
in  mezzo  al  suddetto  pezzo  cilindrico  termina  dietro 
di  PQ.  Nel  mezzo  della  parte  posteriore  di  que- 
sto pezzo  PQ  trovasi  annessa  la  terza  branca 
orizzontale  simile  a  quelle  che  sono  nelle  estremità 
delle    due   sbarre  AB  e    CD.    Il    profilo   di  que- 


(i)  Questo  pezzetto  di  ferro  nello  scavo  di  tale  istrumento  eseguito  in  Pom- 
pei iiell'  anno  1818  tu  trovato  distrutto  dalla  ruggine.  Vi  si  supplì  con  un  pezzo 
nuovo  ,  come  trovasi  al  presente. 


4  VOL.     XIV.     TAV.     XXXVI. 

sta   terza  branca   si  scorge  nella  fig.a  II."  segnata 
con  NO. 

La  parte  esterna  dì  ciascuna  branca  è  conves- 
sa ,  la  interna  è  in  forma  prismatica  triangolare. 
Da  questa  conformazione  risulta  che  le  tre  branche 
allorché  si  riuniscono  nella  parte  interna  si  toccano 
con  sei  superficie.  Dalla  riunione  delle  tre  branche, 
che  combaciano  perfettamente  co'  loro  margini ,  ri- 
sulta una  specie  di  cilindro  del  diametro  di  mezzo 
pollice ,  ed  alla  distanza  di  linee  6  ì  dal  vertice 
forma  un  rigonfiamento  della  larghezza  di  8  linee, 
in  modo  che  termina  in  forma  olivare. 

Le  tre  branche  nel  massimo  allargaménto  non 
si  trovano  equidistanti ,  poiché  tra  punta  e  punta 
delle  due  superiori  lo  spazio  intermedio  è  di  pol- 
lici 3  e  linee  2.  Tra  quella  di  destra  (  l' istrumento 
come  si  è  detto  dal  principio  è  guardato  vertical- 
mente con  la  vite  in  avanti  e  co'  manichi  in  giù  ) 
e  la  branca  inferiore  lo  spazio  è  di  pollici  3  e  li- 
nee 4  i.  Tra  la  branca  sinistra  e  l' inferiore  vi  è 
la  distanza  di  pollici  3  e  linee  b\  (ì).  Nel  massimo 
allargamento  delle  branche  lo  spazio   circolare  tra 

(i)  Questa   differenza   probabilmente   è  stata    prodotta   dalla    ossidazione   del 
bronzo  più  in  alcuni  punti  che  in  altri. 


VOL.    XIV.    TAV.    XXXVI.  r. 

Loro  compreso  tiene  il  diametro  di  poli.  3,  e  Lio.  li. 

Nella  fig.*  1."  B(l  e  J)l I  sono  due  manubri 
rinvi  aventi  ciascuno  nelle  parti  posteriori  uV'  loro 
estremi  G  ed  //  una  testa  di  serpente.  Questa  è  rap- 
presentata da  il/  nella  fig.'  II."  Essi  stanno  uniti  a 
cerniera  con  gli  estremi  laterali  del  pezzo  JBD,  ed 
hanno  un  movimento  limitalo  ali1  interno  in  modo 
clic  nel  massimo  avvicinamento  rimane  tra  loro  lo 
spazio  di  circa  pollici  4«  Ciascuno  di  essi  misurato 
dal  suo  principio  fino  all'  estremo  della  bocca  del 
serpente  è  lungo  pollici  5  e  linee  4-  Essi  incomin- 
ciano parallelepipedi ,  e  cosi  continuano  per  un  pol- 
lice e  io  linee  sino  al  sito  dove  principiano  le  squa- 
me del  dorso  del  serpente.  Da  queste  squame  sino 
alla  testa  vi  è  un  pollice  ed  8  linee  :  la  testa  è  lunga 
mezzo  pollice  e  larga  linee  5  f.  Ciascun  manubrio 
incomincia  con  la  larghezza  di  linee  5  |  e  finisce 
con  linee  2  7  nel  collo  del  serpente.  La  spessezza 
nel  principio  è  di  linee  2  ^,  e  poco  prima  della  testa 
di  questo  emblema  di  Esculapio  è  di  2  linee. 

Descritto  l' istrumento  ,  ecco  il  modo  col  quale 
se  ne  fa  uso.  Tenendo  fermi  con  la  mano  sinistra  i 
due  manichi  BGe  DH,  con  la  destra  che  abbraccia 
il  manubrio  della  vite  IK  facendola  girare  da  de- 


6  VOL.     XIV.     TAV.     XXXVI. 

stra  a  sinistra  ,  il  pezzo  PQ  si  alza  e  con  esso  Ja 
branca  che  vi  è  annessa ,  mentre  le  due  branche  su- 
periori si  accostano  ,  e  così  tutte  tre  avvicinate  for- 
mano una  specie  di  corpo  olivare  che  s'  introduce 
nella  vagina.  Dando  poi  alla  vite  IK  un  movimento 
da  sinistra  a  destra ,  il  pezzo  PQ  si  abbassa  e  con 
esso  anche  la  terza  branca ,  mentre  le  due  supe- 
riori si  allontanano  :  con  questo  allargamento  di 
tutte  le  tre  branche  la  vagina  rimane  dilatata ,  ed 
attraverso  dello  spazio  circolare  posto  tra  le  branche 
l' osservatore  può  vedere  le  alterazioni  organiche 
della  bocca  e  del  collo  dell'  utero  (1). 

(1)  Chiunque  sia  appena  iniziato  nell'arte  di  costruire  le  macelline,  noterà 
subito  la  perfezione  di  questo  istrumento  e  come  adempia  benissimo  1'  uffizio  cui 
veniva  destinato.  Sarà  in  pari  tempo  preso  da  ammirazione  pe  '1  perfezionamento 
al  quale  era  giunta  la  meccanica  presso  gli  antichi  a'  tempi  di  Tito.  Analizzando 
a  parte  a  parte  questo  specolo  si  trova  essere  un  lavoro  meditato  e  fatto  con  tutte 
le  regole  della  meccanica.  Tra  le  altre  cose  piacerà  di  notare  la  seguente.  Quella 
manovra  della  vite  senza  la  chiocciola  fa  conoscere  che  si  voleva  (  per  quanto  è 
possibile  )  evitare  la  resistenza  fatta  dall'  attrito.  Ognun  sa  che  la  vite  a  pane 
quadrato  si  considera  presso  i  moderni  come  la  miglior  forma  da  darsi  a  questa 
macchina  in  quegl'  istrumenti  ne'  quali  si  richiede  la  massima  precisione  nelle 
ricerche.  E  gli  antichi  possedevano  già  questa  conoscenza  ,  poiché  1'  aveauo  saputo 
bene  applicare  nella  costruzione  di  questo  specolo  ,  col  quale  1'  operatore  dovea 
maltrattare  il  meno  che  fosse  stato  possibile  la  squisita  sensibilità  delle  parti  su  di 
cui  dovea  operare.  D'  altronde  in  questo  caso  non  si  trattava  di  adoperar  la  vite  per 
superare  grandi  resistenze,  ma  si  guardava  più  alla  economia  della  potenza,  affinchè 
1'  operatore  non  fosse  stato  obbligato  a  fare  grandi  sforzi  con  la  mano.  Il  che  si 
ottiene  più  con  la  vite  senza  la  chiocciola  ,  come  lo  è  questa  del  nostro  specolo. 


VOI..     XIV.     TAV.     XXXVI.  7 

Dalle  cose  lin  (|iiì  esposto  s' intende  che  lo  spe- 
culimi trovalo  in  Pompei  è  composto  da  tre  bran- 
che ,    e   non    già   da  quattro  come  ha  creduto  dì 
vedere  il  eli.  Dottor  de  Paolis  nel  disogno  (perfet- 
tamente simile  al  nostro)  che  trovasi  inserito  negli 
limali  dell'  Istituto  di  corrispondenza  arclieolo- 
gica  pubblicati  in  Roma  nell'anno  1842.  L'accorto 
Autore  però  ha  ben  conosciuto  (  e  lo  ha  fatto  av- 
vertire) clic  la  quarta  branca  dovea  riescire  assai 
incomoda.  Io  sono    sicuro    che  se  il  dotto    Medico 
romano  avesse  avuto  presente  l' originale  di  questo 
istrumento  non  sarebbe  caduto  in  tale  equivoco.  Sti- 
mo altresì  convenevole  di  avvertire  che  il  nome  di 
speculimi  uterinum  Celsi  scritto  con  questo  titolo 
in  quegli  Annali  non  è  bene   adattato  •,  dappoiché 
Cornelio  Celso  ne'  suoi  otto  libri  di  Medicina  non  ne 
fece  parola  alcuna.  Tutti  sanno  che  nel  lib.  IV  cap.  27 
quod  est  de  vulvae  morbo,  evvi  una  lacuna.  E  chi 
sa  se  nel  frammento  perduto  il  diligentissimo  auto- 
re ,  il  quale  scrivendo  su  di  svariati  argomenti  rac- 
coglieva il  meglio  da  tutti  i  libri ,  non  ci  dava  con- 
tezza anche  dell'  istrumento  di  cui  parliamo?  Certa 
cosa  è  che  in  nessun  luogo  dell'  opera  sua ,  come  a 
noi  è  pervenuta  ,  se  ne  trova  fatta  menzione.  Ed  è 


8  VOL.     XIV.     TAV.     XXXVI. 

perciò  che  a  questo   i strumento   appartiene  il  solo 
nome  di  speculimi  uteri. 

Questo  speculimi   magnimi   malricis  fin  dal- 
l'anno 1818  venuto  fuori  dagli  scavi  delle  rovine  di 
Pompei,  e  che  tanto  ha  richiamata  l'attenzione  del- 
l'universale, non  è  che  un  dilatatore  della  vagina. 
Esso  era  noto   agli    antichi  ed   a'  moderni  :  ma  in 
questi  ultimi  tempi  era  andato  in  disuso.  Archigene 
presso  Aezio  parlò  del  suo  dioptra  di  cui  si  serviva 
per  dilatare  la  vagina  (1).  Anche  Paolo  Egineta  fa 
menzione  del  piccolo  dioptra  per  dilatare  l'ano  (2), 
ed  in  altro  luogo  (5)  parla  del  dioptra  per  l'utero. 
Sembra  dunque  che  dagli  antichi  era  conosciuto  lo 
specolo  a  tre  branche,  la  figura  del  quale  trovasi 
nelle  opere  di  Pareo,  di  Vido  Vidio,  di  Sculteto, 
di  Garangeot ,   di  Dionis ,  di  Brambilla  e  di  altri. 
Le  figure  dateci  da  questi  autori  sono  molto  simili 
allo  specolo  pompeiano.  Dalle  quali  notizie  si  rica- 
va essere  statò  questo  istrumento  destinato  a  dilatare 
la  vagina,  per  cui  gli  compete  il  nome  di  dilata- 


(1)  Aetìi  Tetrahiblo  IV.  comm.  4-°  de  uteri  exulccratione  Archìgems  cap.  H8. 

(2)  Lib.  VI  cap.  78. 
(5)  Lib.  VI  cap.  73. 


VOI..    XIV.    TAV.     XXXVI.  g 

loro ,  e  dilatando  poteano  vedere  il  collo  doli' utero, 
onde  altri  lo  chiamarono  speculimi  alari  o  specu- 
limi magnum  dui  I  ri  vis.  Esso  non  e  un  vero  specu- 
limi ,  o  sia  specchio  ;  e  di  passaggio  siami  per- 
messo di  dire  che  è  ben  diverso  dallo  specillimi 
uteri  de'  moderni  inventalo  dal  Sig.  Recamier  nel 
principio  del  secolo  che  corre,  e  quindi  successiva- 
mente perfezionato.  Lo  specolo  del  Recamier  con- 
siste in  un  tubo  di  stagno  o  di  altro  metallo  tanto 
ben  levigato  nella  superficie  interna,  che  riflettendo 
i  raggi  della  luce  provenienti  dal  collo  dell1  utero 
illuminato  fa  vedere  lo  stato  del  medesimo. 

La  fig."  III."  mostra  lo  speculimi  ani  guardato 
di  profilo  ed  un  poco  aperto. 

Esso  è  di  bronzo ,  ed  è  composto  di  due  pezzi 
AB  CD  ed  EFGH,  de' quali  le  due  parti  inferiori 
CD  e  QH  servono  da  manichi ,  e  le  due  supe- 
riori ABC  ed  EFG  piegate  ad  angolo  retto  in  B 
ed  in  F  formano  le  branche.  Questi  due  pezzi  sono 
avvicinati  ed  uniti  V  uno  all'  altro  per  mezzo  di  una 
cerniera  CG ,  e  sono  disposti  in  modo  che  quando 
i  manubri  si  accostano,  le  branche  allora  si  allon- 
tanano, e  cosi  allontanate  dilatano  il  podice.  Il  mas- 
simo allargamento  di  queste  branche  nella  parte  in- 


io  VOL.    XIV.    TAV.    XXXVI. 

terna  delle  loro  estremità  è  di  un  pollice  ed  una 
linea  AB  è  lungo  5  pollici ,  ed  ha  la  massima  lar- 
ghezza di  5  linee;  BC  è  lungo  un  pollice  e  9  linee, 
e  largo  4  linee;  CD  è  lungo  5  pollici  e  10  linee,  e 
largo  linee  4.  Delle  stesse  dimensioni  sono  le  parti 
dell'  altro  pezzo  EFGH. 

Questo  speculimi  sotto  il  nome  di  calopiero  era 
noto  ad  Ippocrate,  il  quale  nel  libro  delle  emorroidi 
ne  fa  menzione  colle  seguenti  parole,  giusta  la  tra- 
duzione del  Foesio.  At  si  altius  insederit  tuberosa 
eminentia  per  instrumentum ,  dilatandae  sedi  ac- 
commodatum  ,  catopterem  dictum  ,  inspicere 
oportet,  neque  ab  eo  decipi  (1).  Dalle  riferite  paro- 
le ippocratiche  s' intende  bene  essere  ancor  questo 
speculimi  un  dilatatore. 

La  fig."  IV.a  rappresenta  una  tanaglia  o  forcipe 
tutto  di  bronzo  a  brunelle  curve.  La  lunghezza 
dell'  istrumento  preso  per  mezzo  di  una  linea  tirata 
dall'  estremo  de'  manichi  fino  alla  punta  delle  bran- 
che è  di  pollici  7  e  linee  8  \.  Esso  è  composto  di  due 
pezzi ,  uno  ABF  l'altro  DCE ,  i  quali  non  sono 
incastrati,  ma  il  primo  trovasi  sottoposto  al  secondo 

(1)  Hippocratis  de  haemorrhoidibus  liber.  Sect.  TI  pag.  no,  Edit.  Foésìi.  Fran- 
cofurti lógó. 


VOL.     XIV.     TAV.     XXXVL  n 

e  sono   uniti   per   mezzo  di  un  perno.  I  manubri 
IH  e  /)('  della  Lunghezza  di  pollici  4  è  linee  11^ 

al  di  sotto  ùYl  perno  incominciano  quasi  parallele- 
pipedi per  la  lunghezza  di  un  pollice  e  linee'  11  ì. 
1    due    lati    anteriori    e    posteriori    (  1'  istrumento 

si  considera  situato  verticalmente)  hanno  nel  loro 
mezzo  la  larghezza  di  lince  4  ,  ed  i  due  lati 
esterni  ed  interni  che  ne  formano  la  spessezza 
hanno  linee  3.  Indi  incomincia  la  parte  cilindrica 
del  diametro  medio  di  linee  4  i  e  della  lunghezza 
di  5  pollici,  de'  quali  nella  parte  superiore  mezzo 
pollice  è  tornito ,  un  pollice  e  linee  9  ì  è  scana- 
lato a  spirale ,  ed  il  restante  inferiore  che  è  anche 
tornito  e  terminato  con  un  cappelletto  è  di  linee  8  k. 
Questo  lavoro  mentre  serviva  perchè  l' istrumento 
non  isf uggisse  dalla  mano  dell'  operatore ,  si  trova 
fatto  con  la  massima  eleganza. 

Le  branche  BF  e  CE  non  sono  ugualmente 
lunghe ,  poiché  la  CE  per  una  linea  tirata  dal  cen- 
tro del  perno  sino  all'  estremo  E  è  lunga  polli- 
ci 2  e  linee  9  ^ ,  mentre  la  BF  è  più  corta  di  linea 
1  5.  Esse  nelle  loro  estremità  hanno  le  dentellature 
orizzontali  e  parallele.  La  branca  CE  tiene  i  denti 
nella  parte  concava  per   la  lunghezza    di   un   poi- 


12  VOL.    XIV.    TAV.     XXXVI. 

lice  e  linea  1  \  :  la  BF  li  tiene  nella  parte  con- 
vessa per  la  lunghezza  di  un  pollice  ed  una  li- 
nea. Queste  due  branche  nel  sito  dov'  è  il  perno , 
toltone  le  due  appendici ,  hanno  la  larghezza  di  8 
linee,  la  quale  gradatamente  restringendosi  fin  dove 
incomincia  la  dentellatura  arriva  a  poco  più  di  2 
linee  :  qui  la  larghezza  si  aumenta  un  poco  ed  è 
poco  meno  di  5  linee  :  quindi  gradatamente  si  re- 
stringe in  modo  che  le  branche  terminano  smus- 
sate. La  spessezza  nel  principio  dov'  è  il  perno  è  di 
linee  2  \,  e  si  conserva  sino  all'  estremo  ove  si  trova 
di  linee  2. 

I  manubri  (  quando  l' istrumento  è  chiuso  )  di- 
stano l' uno  dall'  altro  per  uno  spazio ,  il  quale  preso 
immediatamente  sotto  a'  cappelletti  è  di  un  pollice 
e  linee  5  \.  Le  due  branche  si  toccano  nel  princi- 
pio delle  dentellature ,  ma  i  margini  inferiori  delle 
estremità  dentellate  lasciano  tra  loro  lo  spazio  di  una 
linea.  Il  massimo  allontanamento  a  cui  possono 
portarsi  i  manubri  è  di  pollici  7  e  linee  5  ,  preso 
anche  al  di  sotto  de'  cappelletti  ;  quello  delle  bran- 
che è  di  pollici  5  e  linee  g. 

1 

E  un  poco  difficile  determinar  1'  uso  di  questo 
forcipe  sul  quale  molli  han  detto  molte  e  svariate 


VOL    XIV.    TAV.    XXXVI.  i5 

cose,  lo  sono  di  avviso  che  questo  istrumento  po- 
teva  servire  i."  a  trarre  da  qualche  picciola  cavità 
frammenti  e  frantumi  di  osso,  di  dardi,  ed  altri 
corpi  estranei  ivi  raduti  ;  2.0  a  prendere  le  arterie 
per  poterlo  allacciare  (1). 

Riguardo  al  primo  uso  vedesi  bone  che  l' istru- 
mento ha  tutte  lo  condizioni  favorevoli,  principal- 
mente le  dentellature  tanto  opportuno  por  afferrare 
i  corpi  e  non  lasciarli  cadere.  Avendo  le  branche 
curve  si  può  meglio  do'  forcipi  retti  e  della  pinzetta 
adattare  alle  tortuosità  che  possono  trovarsi  ne1  luo- 
ghi in  cui  i  corpi  sono  caduti  0  sonovisi  insinuati. 
Ed  a  me  sembra  che  questo  sia  il  forcipe  di  cui 
Fa  parola  Cornelio  Celso  nel  Cap.  IV  dell'  ottavo 
libro  di  Medicina.  Questo  Autore  trattando  dello 
fratturo  del  cranio  con  depressione  dell'  osso  espo- 
ne un  suo  singolare  metodo  di  perforare  in  due 
0  tre  punti  l'osso,  e  con  lo  scalpello  recidere 
i  tramezzi  per  procuraro  un'  apertura  a  traver- 
so della  quale  si  potesse  operare  con  un  forcipe 
fatto    a    bella    posta    per    prendere    i    frammenti 


(1)  Qui  accenno  le  cose  principali  che  ho  un  poco  più  ampiamente  trattate 
in  una  Memoria  che  presenterò  alla  nostra  R.  Accademia  Ercolanese  di  Archeo- 
logia. 

* 


j4  VOL.     XIV.    TAV.     XXXVI. 

dell'  osso  vacillanti.  Ecco  le  sue  parole  :  Si  qua 
(fragmcnta)  labant,  et  ex  facili  removeri  possimi , 

FORCIPE    (l)  AD   ID  FACTO   colli  gelida   SUìlt  ,    TìlU- 

ximeque  ea  ,  quae  acuta  membranam  infestarli. 
Ora  il  forcipe  ercolanesc  sembra  esser  quello  in- 
dicato da  C.  Celso;  esso  non  è  atto  soltanto  ad  af- 
ferrare e  sverrò  i  frammenti  vacillanti ,  ma  siccome 
nel  recidere  le  ossa  o  nel  prendere  que'  frammenti 
possono  cadere  de'  frantumi  nella  sottoposta  cavità  ; 
così  il  forcipe  medesimo  poteva  anche  servire  per 
raccogliere  i  frantumi  dell'  osso  i  quali  fossero  ca- 
duti nella  piccola  cavità.  Questo  forcipe  avendo  i 
manichi  molto  lunghi  fa  che  la  mano  dell'  opera- 
tore non  impedisca  di  guardar  bene  entro  la  cavità 
da  cui  estrarre  si  debbano  i  frammenti  vacillanti 
ed  i  caduti  ed  ovunque  approfonditi. 


(i)  Forcipe,  come  trovasi  nella  esattissima  edizione  de;  libri  di  medicina  di 
Cornelio  Celso  pubblicata  da  Errico  Stefano  ,  seguito  da'  più  accurati  editori  ,  ed 
anche  dall'eruditissimo  Targa:  e  non  già  torfice,  poiché  qui  l' istrumento  non 
deve  recidere  ,  ma  prendere  e  raccogliere  (  collìgenda  siint  ).  La  qual  cosa  poggia 
sull'  autorità  di  Cassiodoro  il  quale  nel  Cap.  IV  della  sua  Ortografia  così  ci  ha  la- 
sciato scritto:  Forfices  secundum  etj-mologiam  debemus  dicere  ,  et  scribere  ;  ut  si 
a  filo  dicamus  ,  F  debeamus  ponere  ,  ut  forfices  ,  quae  sunt  sartorum  ;  et  si  a 
pilo ,  per  F  ut  forpices ,  quae  sunt  tonsorum  .  si  a  capìendo  ,  per  C  ut  forcipes, 
eo  quod  formum  capiant  quae  sunt  fabrum  ;  Formum  enim  dixerunt  Antiqui  ca- 
ìidum . 


VOL.    XIV.     TAV.     XXXVI.  i5 

('da  questo  forcipe  a  me  pare  similmente  po- 
tersi estrarre  un  pezzo  di  piombo  o  di  pietra  lanciato 
dalla  fionda  secondo  il  costume  degli  antichi,  qua- 
lora si  fosse  conficcato  nello  carni ,  come  co  lo  scrisse 
Cornelio  Celso  (i).  Anche  Ambrogio  Parco  trattando 
della  estrazione  dello  frecce  descrive  un  istromento 
atto  a  tirar  fuori  dalle  cavità  delle  ferito  le  picciolo 
punte  de' dardi  ivi  rimaste,  ed  i  pezzettini  attorti- 
gliati della  lorica  a  maglie  di  ferro.  In  una  tavola 
presentando  egli  le  ligure  di  questi  pezzettini  offre 
altresì  quella  del  suo  forcipe  a  becco  corvino.  E 
chi  fosse  vago  di  consultare  le  opere  di  quel  Ceru- 
sico troverebbe  la  forma  di  quel!'  istrumento  pres- 
soché simile  al  forcipe  che  bassi  qui  in  disamina  (2). 
A  questo  forcipe  crcolancsc  par  che  potrebbe  cor- 
rispondere 1'  osi  agra  di  Galeno  il  quale  ne  fa  men- 
zione trattando  dello  fratture  della  calvaria  (5). 
Anche  di  quest'  ostagra  ci  ha  parlato  Paolo  Egi- 
neta,  il  quale  voleva  che  l'osso  patito  non  si  fosse 
estratto  tutto  in  una  volta  ma  a  parte  a  parte ,  se 
è  possibile  con  le  dita ,  e  quando  con  queste  non 


(1)  Lib.  VII.  Cap.  5  n.  4. 

(2)  Amhrosii  Parasi  opera  chirurgica.  Lib.  X.  Cap.  XVIII. 

(3)  Galeri,  melhodus  medendi  Lib.  VI.  Cap.  VI.  T.  X.  p.  i5i.  Edit.  Cart. 

** 


16  VOL.     XIV.     TAV.     XXXVI. 

si  riusciva  si  fosse  fatto  coli'  odontagra ,  coli'  osla- 
gra  o  con  la  volsetta  o  con  altro  simile  istrumen- 
to  (1).  Or  V  ostagra  è  anch'esso  un  forcipe  (2), 
ed  il  forcipe  ercolanese  avendo  gli  estremi  margini 
delle  branche  non  più.  estesi  di  linee*  2  potea  anche 
meglio  dell'  odontagra  e  della  volsella  (5)  insinuarsi 
nella  piccola  cavità  ove  non  si  avea  potuto  pene- 
trar con  le  dita.  Quindi  è  probabile  che  il  forcipe 
ercolanese  corrisponda  all'  ostagra  di  Galeno. 

L'altro  uso,  cui  poteva  essere  destinato  questo 
bronzo,  quello  cioè  di  prendere  le  arterie  per  po- 
terle ligare  ,  è  comprovato  dalle  dentellature  del- 
l' una  e  dell'  altra  branca  similissimc  a  quelle  delle 
pinzette  di  cui  oggigiorno  si  servono  i  chirurgi  per 
lo  stesso  fine.  E  degno  di  avvertirsi  che  le  dentel- 
lature non  sono  a  lima  ,  cioè  a  linee  incrocicchiate , 
perchè  queste  avrebbero  potuto  ferire  o  lacerare 
1'  arteria  ;  ma  ciascun  dente  è  come  un  lungo  pri- 
sma triangolare ,  di  cui    1'  angolo  solido  situato  in 

(1)  Bauli  Aeginetae  Lib.  VI.  Cap.  XC. 

(2)  Ostagra  otTrxypx  ,  da  turrit»  osso ,  ed  aypi  presa. 

(5)  Tra  le  volselle  del  R.  Museo  trovasene  una  delle  più  grandi ,  la  quale 
nelle  estremità  delle  branche  tiene  i  margini  inferiori  dentellati,  lunghi  5  linee  , 
vale  a  dire  3  linee  più  di  quelli  del  forcipe  pompeiano.  Delle  volselle,  ossiano  pin- 
zette, parlerò  in  altra  occasione. 


VOL.     XIV.     TAV.     XXXVI.  17 

avanti  e  eh' è  visibile,  è  mollo  ottuso  e  perciò  in- 
capace di  lacerare  i  corpi  che  dal  forcipe  restano 
allenati.  Il  testé  citalo  Cornelio  Celso  ne'  flussi 
di  sangue  prodotti  da  ferite  e  clic  non  aveano  po- 
tuto arrestarsi  con  medicamenti ,  propone  la  sud- 
detta ligatura ,  e  per  eseguirla  voleva  che  pria 
fossero  presi  i  vasi  che  tramandavano  il  sangue. 
Né  si  contentava  di  una  ,  anzi  ne  proponeva  due. 
»  Quocl  si  il/a  (  medicameli ta  )  quoque  profluvio 
viucuutur ,  vexae  quae  sanguiuem  fundunl  ap- 
prehendendae  ,  circcique  id  quod  icLum  est , 
duobus  locis  deligandae  »  (1).  Ambrogio  Pareo,  che 
al  pari  del  nostro  Cav.  Santoro  in  Napoli ,  fu  in 
Francia  il  ristauratore  del  metodo  di  ligare  le  ar- 
terie in  casi  di  amputazione,  nelle  sue  opere  ri- 
porta la  figura  di  un  forcipe  per  afferrare  i  vasi 
arteriosi,  il  quale  somiglia,  principalmente  per  le 
branche  ,  al  nostro  forcipe  trovalo  in  Ercolano  (2). 


£oen  edetto     tf/u  ih  ed. 


(1)  Lib.  V.  Cap.  2G.  11.  21. 

(2)  Ambrosìi  Paraei  opera  chirurgica  Lib.  XI.  Cap.  25. 


VOL.     XIV.    TAV.    XXXVII. 

Di  e  Istrioni  int  terra  cotta  ,  il  primo  allo  pai  4  \, 
ed  il  secondo  alio  pai  -/  | ,  ritrovali  in  Pompei. 

Vjiie  T  argilla  sia  stata  la  più  antica  materia  su 
tirila  quale  si  esercitò  la  scultura  lo  ha  dimostrato  il 
chiarissimo  Abate  Winckelmami  al  libro  I.  della  sua 
storia  dell'arte  del  disegno.  Egli  nello  enumerare  gli 
antichi  monumenti  in  argilla  esistenti  ancora  a'giorni 
di  Pausania  ,  soggiunge  d'  essersi  ritrovati  nelP  an- 
tica già  da  lungo  tempo  sepolta  città  di  Pompei 
quattro  statue  di  terra  cotta ,  che  veggonsi  nel  Museo 
d' Ercolano  (ora  parte  del  real  Museo  Borbonico  )  : 
due  di  queste,  egli  dice,  alquanto  minori  dell'or- 
dinaria grandezza  umana  ,  rappresentano  due  figure 
comiche,  dell'  ano  e  dell'  altro  sesso  con  maschera 
sul  capo. . .  .Or  queste  due  statue  abbiamo  trascelte 
Tra  la  estesa  raccolta  delle  terre  cotte  del  real  Mu- 
seo ,  e  le  pubblichiamo  per  questa  tavola  XXXVII, 
non  già  nello  intendimento  di  voler  pruovare  per 
esse  l' antichità  della  plastica ,  come  sembra  che 
abbia  avuto  forse  in  pensiero  quel  dotto  Danese 
nell'  annoverarle   in  sostegno  del  secondo   capitolo 


2  VOL.     XIV.     TAV.    XXXVII. 

del  libro  primo  della  storia  dell'  arte  ;  poiché  ben 
altri  e  più  antichi  monumenti  e  della  nostra  rac- 
colta e  di  tante  altre  formate  dopo  il  tempo  in  che 
il  Winckelmann  scriveva ,  potrebbero  fornir  ma- 
teriali molto  più  acconci  a  pruovar  quell'  assunto  : 
ma  qui  le  pubblichiam  solamente  per  la  particolare 
importanza  della  loro  grandezza,  e  perchè  possono 
sempre  più  chiarire  il  teatro  degli  antichi,  ed  i  suoi 
attori. 

La  prima  di  queste  due  figure  posta  a  sinistra 
del  riguardante  è  in  atto  di  declamare  sulla  scena. 
Due  tuniche  la  rivestono ,  avendo  1'  una  maniche 
ben  lunghe  e  1'  altra  molto  corte  :  sopraimposto  alle 
tuniche  è  un  manto  a  larghe  pieghe  che  inviluppa 
tutta  la  figura  ,  e  lascia  solamente  libero  1'  omero 
e  '1  dritto  braccio  :  questo  poggia  al  davanti  colla 
mano  sulla  piega  del  manto  disposta  quasi  ad  ar- 
macollo ,  nel  mentre  che  il  sinistro  resta  prosteso 
lungo  il  fianco ,  ed  avviluppato  in  modo  da  rac- 
cogliere colla  mano  il  lembo  di  una  parte  del  manto 
che  giunge  sino  al  piede.  Tal  foggia  di  aggiusta- 
mento delle  vesti  combinata  colla  serietà  dell'atti- 
tudine produce  nella  figura  un  carattere  fiero  e  se- 
vero. I  piedi  sono  calzati  di  ricchi  sandali ,  e  non 


VOL.     XIV.    TAV.    XXXVII. 

sapresti  diffinirU  se  coturni  tragici  o  socchi  comici  ; 
tanto  più  che  la  maschera  che  le  copre  il  volto  uon 
ha  caratteri  precisi  a  determinare  se  sia  quella  che 
a  Melpomene  o  a  Talia  si  attribuisce:  ed  aggiungi 
che  L'atteggiamento  della  figura,  od  il  modo  gravo 
con  che  è  vestila  fan  dubitare  se  per  essa  un  attore 
tragico  ,  oppure  un  comico  si  rappresenti. 

L' altra  figura  posta  a  dritta  di  questa  tavola 
esprime  un'  attrice  anche  in  atto  di  declamar  sulla 
scena.  E  dessa  vestita  di  una  lunga  e  prolissa  tunica 
a  corte  maniche  :  un  manto  fimbriato  gettato 
siili1  omero  sinistro  le  si  avvolge  alla  cinta ,  e  rac- 
colto in  parte  sul  sinistro  braccio  ricade  per  que- 
sto lato ,  lasciando  osservare  la  ricca  frangia  di 
che  è  adorno.  I  suoi  calzari  sono  presso  che  simili 
a  quelli  dell'altro  attore ,  e  la  maschera  che  le  copre 
il  volto  sembra  comica  anzi  che  no.  E  osservabile 
la  fascetta  annodata  nel  mezzo  della  fronte  e  che  gi- 
rando forma  diversi  cappi  a  guisa  di  fiorellini  intorno 
intorno  alla  testa  ed  a  linea  degli  orecchi:  tali  parti- 
colari potrebbero  far  nascere  il  sospetto  che  questa 
maschera  quella  fosse  della  meretrice  descritta  da 
Polluce,  che  ha  la  testa  cinta  di  una  fascetta  dì 
vari  colorì;  i  quali  forse  il  figlilo   pompeiano    in 


4  VOL.     XIV.     TAV.     XXXVII. 

dirotto  de'  colori  ha  volato  indicare  con  que' diversi 
cappi  ricacciati  in  giro  della  testa. 

La  grandezza  di  questi  due  bei  e  rari  monu- 
menti della  plastica  degli  antichi ,  del  pari  che  la 
loro  conservazione ,  li  raccomandano  non  poco  alle 
osservazioni  de' dotti,  i  quali  anzi  che  trovarli  di  an- 
tico stile,  vi  scorgeranno  al  certo  il  fare  del  buon 
tempo  di  Augusto,  il  che  si  appalesa  specialmente 
nel  grandioso  partito  delle  pieghe  del  manto  dello 
attore  e  della  tunica  di  quest'  attrice  ;  e  portiamo 
opinione  che  amendue  appartennero  ad  un  istrione 
pompeiano,  nella  di  cui  modesta  abitazione,  non 
potendo  essere  espressi  in  una  materia  più  costosa, 
furono  eseguiti  in  terra  cotta.  E  poiché  in  Pompei 
un  teatro  tragico  ed  un  altro  comico  esisteva  , 
come  tuttavia  esiste  il  di  loro  fabbricato  con  altre 
preziose  reliquie  d' incrostature  di  marmi  e  d' iscri- 
zioni ,  sarebbe  probabile  che  l' istrione  pompeiano 
con  qualche  donna  della  sua  famiglia  fossero  stati 
periti  nell'  una  e  nell'altra  scena  ;  tanto  più  che  le 
due  figurine  danno  indizi  di  appartener  forse  l'ima 
alla  scena  tragica,  ed  alla  comica  l'altra. 

TftQvamvatuta    binati. 


VmH.XttV. 


TA.xxxyani- 


...-.,...■.. 


1  v 


^Jét/ts    ^flint/oZ/tri*  jcum  ■ 


VOI..     XIV.     T.VV.     XX.WI1I.  i 

Lucerna  in  terra  cotta  alta  sino  al  manubrio 
otto  (Ircinii  di  palmo  t  lunga  palmo  uno ,  e  larga 
mezzo  palmo. 


J_ja  copiosa  collezione  delle  lucerne  di  terra  cotta 
del  real  Museo  venne  negli  scorsi  anni  arricchi- 
ta dalla  importante  lucerna  bilicne ,  ossia  a  due 
lumi  ,  ritrovata  bella  ed  intatta  nello  scavo  di 
una  casa  pompeiana.  La  sua  grandezza,  la  sua  for- 
ma, e  l'apparente  bizzarria  della  maschera  che  vi 
è  espressa  ci  han  detenni  nati  a  farla  disegnare  ed 
incidere  in  questa  tavola  XXXVIII.  Essa  appar- 
tiene alla  classe  delle  lucerne  sacre  (1) ,  ed  è  con- 
formata a  guisa  di  una  testa  di  giovane  bue ,  la 
cui  maschera  ornata  di  elegante  testiera  ,  dal  mezzo 
della  quale  si  protende  sino  alla  metà  del  naso  un 
infida  frangiata,  e  fiancheggiata  da  due  fiori  a  lungo 
stelo,  vedesi  vivacemente  espressa  sul  dorso  della 
lucerna:  il  piccolo  manubrio  è  ricacciato  dalla  parte 


(i)  La  classificazione  più  ricevuta  delle  antiche  lucerne  si  divide   in   quattro 
branche  ,  cioè  pubbliche  ,  sacre  ,  sepolcrali ,  e  private. 


<2  VOL.    XIV.     TAV.     XXXVUI. 

esterna  verso  la  metà  delle  corna  disposte  a  guisa 
di  luna  falcata:  nel  mezzo  di  queste  vedesi  prati- 
cato un  foro  da  servire  per  infundibolo  dell'  olio , 
che  pel  vuoto  della  parte  interna  della  lucerna  giun- 
geva ad  animare,  per  così  dire,  i  due  lucignoli  che 
cran  riposti  ne'  due  becchi ,  che  qui  vedonsi  sporti 
al  di  là  del  naso  della  maschera  stessa. 

Ognun  sa  che  estesissimo  era  l'uso  delle  lu- 
cerne (i)  presso  l'antichità;  grande  se  lo  riguardi 
pe'  bisogni  pubblici  e  sacri ,  immenso  per  quelli  dei 
privati  :  del  che  non  leggiera  pruova  forniscono  i 
nostri  scavi  e  la  numerosissima  collezione  del  real 
Museo ,  la  massima  parte  della  quale  nelle  private 
case  fu  rinvenuta.  E  sembra  non  potervi  esser  dub- 
bio ,  che  la  gran  varietà  delle  forme  e  de'  soggetti 
in  esse  rappresentati  non  dipendea  sempre  dal  ca- 
priccio degli  artefici ,  come  ordinariamente  si  crede, 
ma  bensì  dallo  accorgimento  de' medesimi,  per  te- 
nerne sempre  pronti  degli  assortimenti  che  relazione 


(1)  Sebbene  il  real  Museo  sia  molto  ricco  di  lucerne  di  metallo  ,  pure  la  mag- 
gior quantità  se  ne  ha  in  terra  cotta  ;  la  qual  cosa  dee  desumersi  dal  poco  valore 
della  materia  ,  che  si  adatta  alla  più  generale  condizione  de'  consumatori  ,  e  non 
già  ,  come  alcuni  han  preteso  ,  dalla  maggiore  antichità  della  terra  cotta  ,  nella 
quale  i  primi  lavori  dell'  arte  furono  eseguiti. 


VOL    XIV.    TAV.     XWVIII.  5 

avevano  a' riti  ed  a' culli  diversi  elio  erano  in  os- 
servanza, o  dal  piacere  e  volontà  di  coloro  che  Le 
commettevano,  ora  ornate  di  particolari  iscrizioni, 
ora  con  misteriosi  emblemi ,  ed  ora  con  effigie  di 
numi  domestici  e  tutelari;  il  che  non  sembra  po- 
tersi agevolmente  oppugnare,  ove  si  esamini  atten- 
tamente la  collezione  del  real  Museo,  indipendente- 
mente da  tante  altre.  E  per  lo  appunto  a  noi  sembra 
da  un  particolare  ordinata  la  presente  lucerna  espri- 
mente la  testa  di  un  giovane  bue,  che  noi  suppon- 
ghiamo  presentar  le  sembianze  di  Api  (1). 

Abbiamo  più  volte  osservato  col  sussidio  dei 
monumenti  quanto  era  in  voga  in  Pompei  il  culto 
isiaco,  e  che  più  famiglie  di  Alessandrini  erano  quivi 
stabilite  forse  per  ragioni  commerciali  (2):  quindi 
niente  di  più  facile  che  un  Alessandrino ,  o  altro 
devoto  d' Iside ,  avesse  fatto  eseguire  questa  gran 


(1)  Api  conosciuto  sotto  il  nome  di  Osiride  sposo  d' Iside  era  adorato  presso 
;,li  Egizi  sotto  la  figura  di  giovane  bue  ,  perché  credevasi  che  ne  avesse  presa  la 
forma  ,  per  salvarsi  con  gli  altri  Dei  allorché  furono  vinti  da  Giove.  In  quanto 
a'  particolari  che  dovevan  distinguere  questo  bue  ,  ed  al  suo  culto ,  vedi  Euseb. 
praep.  Evang.    I.  3.  e.    i.3. 

(2)  La  bellissima  casa  del  Fauno ,  o  del  gran  musaico  ,  apparteneva  proba- 
bilmente ad  un  Alessandrino  :  vedi  ciò  che  fu  osservato  nella  relazione  degli  scavi 
del   volume  Vili ,   allorché  fu  scoperta   questa   magnifica   abitazione. 


4  VOL.    XIV.    TAV.    XXXVIII. 

lucerna  a  due  lumi  per  rischiarare  la  sua  abitazione; 
e  per  mostrarsi  anche  in  questo  utensile  devoto  al 
particola!*  culto  di  Api ,  vi  avesse  fatto  effigiare  la 
maschera  del  bue,  ornata  di  sacra  infida  frangiata 
nell'estremità,  e  posta  in  mezzo  a  due  fiori  di  loto 
a  lungo  stelo  affidati. 


Xiiovamvcctidta   dfinatt. 


jjroa.jsiVc 


TA .  XXXEX . 


{floraC  is7n</t'//-7ic    su*  i 


.  J .    s/s." 


$&£&/.  -yaxm/firKuettfó'. 


VOL.     XIV.     TAV.     XXXIX. 


Capitelli  b  frammento  in  marmo  grechetto. 


I 


due  bellissimi  capitelli  e  '1  prezioso  frammento 
compresi  in  questa  XXXIX  tavola  sono  stati  tra- 
scèlti fra'  più  importanti  della  collezione  del  rea! 
Museo  Borbonico,  come  i  più  analoghi  a  presentare 
un  modello  di  un  ottimo  lavoro  in  fatto  di  ordine 
ionico  e  corintio.  11  primo  che  abbiamo  fatto  dise- 
gnare ed  incidere  in  due  aspetti,  n.°  1  e  2,  provenien- 
te dalla  gran  Terma  puteolana,  volgarmente  detta 
Tempio  di  Giove  Serapide,  accoppia  al  più  purgato 
stile  una  perfetta  conservazione  in  tutte  le  sue  parti, 
e  massimamente  nelle  due  bellissime  volute.  Il  se- 
condo segnato  al  n.°  4,  a  noi  pervenuto  dagli  scavi 
di  Pompei,  è  di  una  scelta  squisita  di  forme,  e  di 
una  esecuzione  pari  alla  bellezza  della  composizione: 
le  foglie  di  acanto  sono  leggiere  e  gradatamente  in- 
curvate sotto  gli  angoli  della  tegola,  ove  lateral- 
mente formano  un  garbatissimo  cartoccio;  come  il 
capriccioso  fogliame  che  riempie  il  mezzo  del  ca- 
pitello è  gaiamente  annodato  verso  la  sommità  ad 
un  lungo  stelo,  che  diresti  di  tirso;  e  qui  biparten- 


■2  VOL.     XIV.    TAV.     XXXLX. 

dosi  si  ripiega  in  due  laterali  cartocci,  lasciando 
piramideggiare  la  noce  di  pino  in  mezzo  di  ele- 
gantissima foglia.  Il  frammento  inciso  al  n.°  3  pre- 
senta le  più  scelte  ed  eleganti  foglie  di  acanto  lavo- 
rate con  tanta  precisione  ed  amore,  da  persuaderci 
che  gli  scultori  del  buon  tempo  delle  arti  non  la- 
sciavano nulla  di  trascurato  ,  anche  quando  il  la- 
voro, per  la  lontananza  nella  quale  doveva  figurare, 
non  dovesse  cadere  sotto  attento  esame. 

Senza  qui  ripetere  agi'  indagatori  della  bella 
forma  della  voluta  ionica  le  diverse  opinioni  su 
quest'  oggetto ,  siccome  siamo  di  avviso  che  niuno 
abbia  trattato  questa  materia  meglio  del  nostro 
egregio  Presidente  Cav.  Niccoliui  ,  riportiamo  te- 
stualmente la  sua  lettera  diretta  al  Sig.  Lampredi 
su  di  questo  argomento. 

TfiovamvaUóta     jftnatt. 


VJiie  vuoi  tu  che  io  li  dica,  mio  caro  Lampredi,  della  memoria  sulla 
voluta  ionica  che  mi  mandi  per  consultare  il  mio  parere?  Questa  tua 
memoria   riguarda  il  testo  di    lingua  ,    e  la   pratica  architettonica.- 


VOI..    XIV.    TAV.    XXXIX.  :\ 

Rispetto  :il  libili,  cioè  ad  interpretare  se  la  ma  oscuriti  derivi  da  Vitru- 
\  io,  o  ditali  errori  de' copisti,  io  non  me  ne  intendo  abbastanza  per  entrare 
nel  Laberinto  in  cui  panni  che  una  folla  di  commentatori  siasi  smarrita; 
e  relativamente  alla  pratica  architettonica,  non  te  ne  offendere,  non  ti- 
no intendi  tu.  Così  che  se  te  ne  ]>ailo,  saremo  i  <lur  ciechi  clic  faceva- 
no alle  bastonate  senza  colpirsi.  Tut  tavolta  a\  endo  io  Ferma  opinione  in 
quanto  al  testo,  che  il  ino  schiarimento  sia  ottimo  perchè  in  siffatta  ma- 
teria è  noia  la  ina  ejagliardla  ,  e  tutti  sanno  con  quali  atleti  hai  lottato 
ed  bai  vinto  (*),  dirò  quel  clic  ne  penso  circa  la  parte  che  mi  riguarda. 

Da  ragazzo  consumai  molta  carta  e  molto  tempo  in  disegnare  la 
voluta  ionica  secondo  i  melodi  di  Leon  Ballista  Alberti,  di  Seri  io  , 
di  Vignola,  di  dell'Orme  ce.  e  come  sentiva  dire  che  quella  faccenda 
era  un  all'are  mollo  serio,  farneticai  non  poco  a  rintracciare  ancor  io 
a  mio  modo  la  regola  Vitruviana.  E  mentre  mi  lambiccava  il  cer- 
vello mi  parve  di  acquistare  un  tesoro  allorché  il  Signor  Casas 
insigne  architetto  francese  ritornando  dal  suo  viaggio  di  Grecia  mi 
permise  di  disegnare  e  lucidare  tutti  gli  studi  de'  suoi  capitelli  jo- 
nici ,  e  di  formare  ancora  col  gesso  una  dozzina  delle  più  belle  vo- 
lute ,  che  quel  diligentissimo  artista  aveva  calcate  colla  creta  e  colla 
cera  sugli  avanzi  de' capi  lavori  della  greca  architettura. 

Io  diceva  fra  me  —  il  possesso  de' monumenti  ,  i  quali  servirono 
di  norma  a  Vitruvio  ,  mi  daranno  piena  cognizione  della  sua  regola. 
Ma  il  mio  raziocinio ,  ahimè  !  svanì ,  quando  confrontando  quelle 
volute  mi  accorsi  che  nessuna  corrispondeva  alle  sposizioni  della 
voluta    Vitruviana  ,  e  che  tutte    erano    fra    loro    dissimili  ! 

Dalla  seguente  tavola  potrai  conoscere  le  differenze  più  notabili 
di  alcune  di  esse  esattamente  misurate,  alle  quali  ho  posto  in  ultimo 
a  confronto  le  misure  della  voluta  di  Palladio  che  è  la  più  Vitru- 
viana fra  tutte  le  traduzioni. 

(*)  Fece  tacere  Perticali  e  Monti  ,    sul    Fisicoso    (  V.    Poligrafo  ). 

* 


4 


VOL.     XIV.     TAV.     XXXIX. 


*  A 


Voluta  del  tempio 
ionico  situalo  sull' 11- 
ìisso- parti. 


Voluta    del    tempio 
di  Bacco  a  Teo. 


Voluta  del  capitel- 
lo jonico  a  Priene. 


Voluta   del    tempio 
di  Minerva  Poliade. 


Voluta  dell' jonico 
dell'  acropoli  di  Eleu- 
si. 


Voluta     Vitruviana 
secondo  Palladio. 


-:     - 

a 


24 


24 


24 


24 


24 


24 


174 


m 


12  > 


18 


16 


12i 


15 


12 


Hìr 


15J 


14 


114 


24 


24 


H 


H 


24 


44 


44 


34- 


24 


(*)  I  due  profondi  canali  di  questa  voluta  con  i  loro  ornamenti  le  danno  ap- 
parenza che  la  sua  spirale  sia  di  cinque  giri. 


VOI..     XIV.     TAV.     XXXIX. 

Più  tardi   riscontrai  La  stessa   diversità  in  molte  volute  «li  Roma 
antica  ,    ed    in    quelle   «le^li    fjc&vì  «li  Pompei,  delle   quali    ne 
consente  colla  regola  Vitruviana. 

Vitruvio  faceva  i  suoi  libri  per  guidare  fra  certi  Limiti  la  fan- 
tasia sfrenata  e  la  maini  inesperta  degli  studiosi,  «.;  per  formare 
con  idee  generali  il  criterio  degli  architetti  ,  «li  che  dobbiamo  essergli 
infinitamente  obbligati  ;  e  La  regola  che  stabili  per  La  voluta  è  bella 
e  buona  quando  si  consideri  come  quell'  ovale  diviso  da  Linee 
perpendicolari  ed  orizzontali  praticalo  da'  maestri  nelle 
elementari  del  disegno  per  assegnare  a  ciascuna  sua  parte  la  misura 
che  deve  avere  presso  a  poco  nella  faccia  umana  la  fronte. 
L'occhio,  il  naso,  la  bocca,  il  mento,  ce.  Ma  se  vi  fosse  chi  si  affatica 
a  suddividere  in  altre  guise  queir  ovale  presumendo  di  conseguire 
con  ciò  una  regola  per  l'ormare  un  bel  volto,  e  di  poter  gin. 
ad  esprimere  con  quel  compartimento  di  circoli  e  di  lìnee  i  diversi 
caratteri  delle  fisonomie  ,  certamente  costui  comparirebbe  esser  fuori 
di  senno.  Eppure  non  altrimenti  s'affaticano  tutti  coloro  che  cercano 
nella  regola  Vitruviana  la  voluta  perfetta  pel  capitello  jonico ,  di 
che  Vitruvio  medesimo,  se  tornasse  al  mondo,  avrebbe  onta,  collu- 
di altre  particolarità  trattate  da'  suoi  commentatori  con  profusione 
d'  importanza  male  appropriata. 

i'.  veramente  è  da  recar  meraviglia  che  siasi  fatto  tanto  rumore 
per  canonizzare  questa  regola  ,  mentre  veggiamo  che  le  più  belle 
volute  joniehe  precedono  la  sua  esistenza  ,  che  da  quelle  non  fu 
desunta  ,  che  non  servì  di  norma  alle  belle  volute  posteriori  di 
Roma  antica  ,  e  che  le  infinite  sue  sposizioni  recate  dagli  architetti  e 
da'  Letterati  moderni  son  tutte  diverse!  Ma  fa  più  meraviglia  ancora 
l' osservare  che  in  tante  indagini  degli  spositori ,  messa  da  banda 
la  parte  essenziale,  siasi  per  lo  più  badato  al  modo  meccanico  della 
cosa  ,    escogitando     tutti     il     come    debbasi    mnnvere    e    stringere   il 


6  VOL.     XIV.     TAV.     XXXIX. 

compasso  per  descrivere  la  spirale  !     Ciò  mi  fa  ritornare  sul  proposito 
dell'  ovale    praticato    da'  fanciulli    per    abbozzare    la    faccia    umana. 
L'  artista    che    vuol    delineare    un  bel    volto  ,    ne  concepisce    1'  idea 
ponendo    mente    all'  espressione    che    deve    avere  ed  al  carattere  del 
torso    e    delle    altre    membra  ,    colle    quali    star   deve  in  armonia  ,  e 
ispirato  dal  genio  che  guida  la  sua  mano,  è  tanto  lunge  col  pensiero 
da  quell'oya/e  delle  scuole,  quanto  ogni  regola  simile  alla  regoletta 
di  Vitruvio  era  lunge    dall'  idea    dell'  architetto    che    fece  la  superba 
voluta   del    tempio  di    Minerva  Poliade.      Egli  quando  la  creò  ebbe 
in  mira  il  carattere    dell'  ordine  che  aveva  immaginato  ,  ed  il  fregio 
del  sontuoso    capitello  del  quale  formar  doveva  la  parte  principale  , 
e  1'  arricchì  del  doppio  canale  ,    del    triplice   listello  e  di  quell'  ele- 
gantissimo pulvino  che  la  rendono  si  bella.       Così    gli    autori    delk 
altre  belle  volute   nell'  ideare  la  grandezza  ,    il    numero   e  il  rilievo 
delle  spirali ,  animati  dal   sentimento  medesimo  che  dava  il  carattere 
agli  altri    membri    dell'  ordine  da  loro    ad    un    tempo    immaginati  , 
non    riguardavano    al    modo    meccanico   di  descrivere    quelle    spirali 
con  precisione  che  come    cosa    secondaria  appartenente   alla  diligenza 
e  non  alla  immaginazione  ed  al  gusto. 

Ma  dirai  non  essere  nemmeno  cosa  da  trascurarsi  nella  forma- 
zione di  una  bella  voluta  il  modo  meccanico  abbisognante  per  de- 
scrivere con  precisione  la  sua  spirale  ,  come  non  trascura  di  avere 
una  buona  sesta  chi  vuol  tirare  un  cerchio  con  esattezza  :  e  diresti 
bene  ,  se  si  trattasse  di  ricercare  un  tal  modo  fuori  della  regola  Vi- 
truviana.  Ma  debbo  dirti  all'  orecchio,  mio  riveritissimo  Lampredi, 
che  in  siffatta  ricerca  gli  spositori  di  quella  stessa  regola  son  tutti 
fuori  di  via  ,  perchè  la  parte  meccanica  di  quella  slessa  regola  è 
basata  sopra  principi  falsi.  Cosa  penseresti  se  a  descrivere  un  cer- 
chio esatto  in  vece  di  cercare  una  buona  sesta  si  andasse  in  traccia 
di  una  riga  per    formare   un    quadrato  onde    ridurlo   ad   ottagono  ed 


VOI..    XIV.    TAV.     WXI.V 

i  figura  >li  sedici  |  «li  trentadue,  «li  sessantaquatlro  latiec?  So  chi 
in  siffatto  modo  si  perviene  ancora  a  formare  cerchi  apparenti,  ma 
in  sostanza  Falsi.  K  questo  appunto  è  il  caso:  il  perchè  la  voluta 
dev'essere  formata  da  una  lìnea  curva  continuata,  ut  quale  avendo 
proprietà  di  scemare  nel  roggio  mentre  commuta  ,  genera  nel  suo 
sviluppo  la  spirale  che  termina  come  incomincia  con  indole  unica 
tendente  a  volgersi  in  se  slessa  e  decrescendo  sempre  senza  devia- 
menti fino  al  suo  occ/iio  :  laddove  la  spirale  della  volala  Vitruviana 
di  natura  in  tutto  contraria  ò  composta  ili  differenti  parli  di  cerchio, 
ciascuna  delle  quali  ha  raggi  eguali  e  centro  diverso,  e  forma  nel  suo 
calumino  laute  picciolo  deviazioni  che  la  rendono  imperfetta  presso 
a  poco  come  il  cerchio  tiralo  colla  riga.  Kè  vale  il  dire  che  le  quarte 
de  circoli  che  la  compongono  hanno  ne'loro  contatti  tangente  comune 
mentre  esse  sono  altrettante  porzioni  di  cerchi  differenti  ,  le  quali 
producono  giri  diminuiti  a  diverse  riprese  e  non  decrescenti  in  lutti 
i   raggi,  come  richiede  la  natura  della  spirale. 

Né  per  altro  motivo  tanti  spositori  consumarono  inutilmente  il 
loro  tempo  in  cercare  il  modo  di  formare  la  voluta  perfetta  colla 
sesta  ,  che  per  la  semplicissima  ragione  che  i  raggi  della  spirale  son 
tutti  diseguali  e  tutti  eguali  quelli  del  giro  del  compasso.  In  fatti 
non  vi  ha  punto  in  una  voluta  ben  formata  in  cui  ponendo  una 
punta  della  sesta  e  girando  coli' altra  si  possa  seguitare  una  minima 
parte  della  sua  spirale  :  esperimento  da  me  lungamente  ripetuto 
sopra  molte  volute  antiche  e  specialmente  su  quella  del  vestibolo 
dell'  acropoli  di  Eleusi,  la  quale  è  abbastanza  grande  e  ben  conservala. 

Quindi  ho  motivo  di  credere  che  gli  architetti  greci  quando 
ebbero  bisogno  di  formare  una  spirale  esatta  invece  di  cercare  una  re- 
gola ,  nota  bene  ,  siansi  occupati  in  rintracciare  uno  strumento  all'  uopo 
adattato,  che  loro  servisse  come  il  compasso  serve  a  descrivere  i  cerchi. 

Ho  dello  che  ho  motivo    di  crederlo  ,  imperciocché  mi  trattenni 


VOL.     XIV.     TAV.     XXXIX. 

ad   investigale  il  meccanismo    di  siffatto    strumento  ,    e  giunsi  a  rin- 
venirlo in  modo  che  descrive  spirali    sinicissime  a  quelle  ,    e  potrai 
vederlo    delineato    nel    disegnetto    qui  annesso.      Esso  ti  convincerà 
ad  un  tempo  che  ho  pagato  pur  troppo    anch'  io  il  mio  tributo   alla 
voluta  Vitruviana  ,  del  quale  tributo  per  altro  1'  ultimo  obolo  è  que- 
sto che  ora  spendo   per    l'arti  compagnia  in  tale  fanciullaggine.      Del 
resto   sarei  in  contradizionc  con  me  stesso  ,  se  intendessi  dire  che  con 
tale  strumento  si  possano  formare  belle  volute:  poiché,  ripeto,  nella 
voluta    jonica    il    bello    deriva    dal    suo    rapporto    colle    altre    parti 
dell'  ordine  al  quale  serve,  e  soltanto  la  esattezza  della  sua   spirali 
può  dipendere  dal  meccanismo  che  la  descrive  ;    quale   esaltezza  uon 
può  essere  rinvenuta  nella  regola   Vitruviana  per  la  imperfezione  dei 
suoi    stessi    elementi  ,    come    parmi    aver    dimostralo.    Quindi  a  mio 
credere  risulta  la  inutilità  delle  tante  sposizioni   che  di  quelle  regole 
si    fanno  ;     inutilità    doppiamente    confermata    dal    fatto ,    perchè  a 
guidare  la  mano  inesperta  del  fabbricatore  volgare  ,  una  qualunque 
siasi  di  simili    regole  è  sufficiente  ,    e    1'  architetto    ingegnoso  non  ha 
mestieri    della    regola    Vitruviana    per    far    belle    volute  ,    e    molto 
meno  delle  mille  spiegazioni  contraddittorie  de'  suoi  spositori. 

Benedetta  sia  la  voluta  Vitruviana  !  credeva  aver  finito,  e  mi 
resta  a  dire  che  la  spirale  di  Salviati  nel  suo  andamento  decresce  di 
raggio  nel  seguente  modo  :  ponendo  che  i  raggi  partano  dal  centro 
dell'  occhio  come  centro  comune  di  tutti  i  quadranti ,  e  che  il  semi- 
diametro dell'  occhio  sia  diviso  in  nove  parti  eguali,  il  primo  qua- 
drante decresce  parti  nove  ,  il  secondo  idem ,  il  terzo  idem  ,  il 
quarto  idem ,  il  quinto  decresce  parti  sei  ,  il  sesto  idem ,  il 
settimo  idem,  l'ottavo  idem,  il  nono  decresce  parti  tre,  il  decimo 
idem,     l'undccimo  idem,     e  il  duodecimo  idem. 

Le  spirali  degli  altri  spositori  di  Vittimo  decrescono  nel  rag- 
gio in  diverso  modo  ,   ma  tutte  a  sbalzi  ,   nessuna    degradatamente  in 


VOI.     \l\      TAV.     XXXIX.  9 

"^iii  quadrante,  eccettuata  la  icconda  ili  Vignola,  la  quale  decresce 
gradualmente,    ma  nelle  unioni    de' segmenti  non  ha  le  tangenti  co 
illuni;  a  minorare  il  <|  u;il<-  difetto  il  Barozzi    <  li  %  i  ^<-  la  spirale  in  <ii- 
i.i\  e  \n\  ece  che  in  quai  te  di  cerchio. 

Ma  poiché  io  fine  della  ma  lettera  inaiati  per  sapere  quale  spi- 
rale preferirei,  li  dirò,  che  < l< >[n >  la  tua   quella   di   Palladio,    come 

linai,  uni  pare  la  più  Vitruviana,  quella  ci i  Salviati  la  più  bella, 
<   quella  «li  Vignola  la  meno  difettosa. 

Intendiamoci  bene ,  e  Unisco  —  mentre  reputo  superfluo  ed 
unitile  ii^ni  ulteriore  discussione  sulla  voluta  di  Vitruvio  per  la  parte 
architettonica  ,  dichiaro  the  sarci  un  profano  se  lo  stesso  dicessi  per 
ciò  die  riguarda  la  parte  letteraria  ;  intorno  alla  utilità  della  quale 
e  delle  tante  Litiche  in  essa  spese  lascio  a  te  ed  a' sapienti  tuoi  pari 
il  giudicarne. 

A.  N. 


io  VOL.     XIV.     TAV.     XXXIX 

INDICE  DELLA  TAVOLA. 


y/     Compasso   con   tre   giunture  ,  le    quali    servono   a    slargarlo    ed    a  stringerlo 

rimanendo  sempre  in  piombo  il  pezzo  inferiore  col  cannello  che  porta  la 
lì      Punta  del  lapis,  la  quale  al  di  sopra  del  cannello  ha  una  picciola  molla  che 

la  preme  leggermente. 
C     Asta  fissa  del  compasso,  la  quale  al  di  sopra  è  fermata  perpendicolarmente  da 

un  telaro  con  vile. 
V    Coni  ,  ossiano  fusi  a  diverse  degradazioni  adattabili  allevarle  grandezze  del  li- 
spire.   Questi   fusi   s' incastrano    nell'  asta   fissa  del    compasso  e  si  fermano 
con  due  viti  come  si  vede  in  E. 
F     Cerniere  per  mezzo  delle  quali  girano  insieme  il  compasso  ed  il  raggio  in  cui 

scorre  la  gamba  del  compasso  medesimo  mentre  gira. 
lì     Corda  attaccata  al  fuso  ed  al  compasso,  la  quale  nel  girare  il  raggio  F  tira 
la  gamba  che  porta  la  punta  del  lapis  ,  e  gradatamente  stringendo  il  com- 
passo medesimo  descrive  la  spirale.  Questa  corda  può  essere  formata  con  le 
picciolissime  catenelle  che  si  avvolgono  al  tamburo  degli  orologi  da  tasca. 
//    Picciolo  rocchetto  per  avvolgere  la  corda  finché  sia  alla   misura   che  si  vuol 

dare  alla  spira. 
/      Rotino  per  situare  la  punta  del  lapis  alla  distanza  dal  centro    corrispondente 
al  diametro  dell'  occhio  che  si  vuol  dare  alla  voluta. 
Qualora  vogliasi  fare  una  spirale  ellittica  basterà  formare  il  corrispondente 

fuso  ellittico. 
Potrebbesi  ancora  perfezionare  tutto  il  macchinismo  del  compasso  ,  poiché 
quello  accennato  nel  presente  disegno  non  è  che  un  saggio  ,  dal  quale  , 
per  altro ,  costruito  di  legname  in  dimensioni  quattro  volte  maggiori  del 
disegnetto ,  ho  ottenute  felicissime  prua  ve  fino  a  descrivere  spirali  di  venti 
giri  con  finissimi  listelli. 


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voi..    XIV.    TAV.     \i 


Cista  mistica  di  bronzo  dell 'altezza,  dal  gruppo 

che  sta  sopra  del  coperchio  sino  a' piedi  chi 
la  sostengono,  di  un  palmo  e  due  decimi ' ,  e 
del  diametro  di  otto  decimi  di  palmo,  prove- 
niente   dal   Museo    Borgiano. 


JL/eggesi  nella  nota  1  della  tavola  XLIII  del  pri- 
mo tomo  del  Musco  P.  dementino  »  Un  bel  mo- 
numento di  siffatti  riti  (  cerimonie  delle  orgie  )  è 
la  cista  mistica  di  bronzo  che  conservo  presso  di 
me.  Fu  rinvenuta  nel  territorio  di  Palcstrina  den- 
tro una  spelonca  chiusa  in  tre  arche    di  peperino 

o  marmo  albano Erano  nello  stesse  due 

patere ,  uno  stilo  ed  uno  striglie  per  le  lustra- 
zioni. La  cista  è  simile  a  quella  che  si  vede  in 
tanti  bassirilievi  bacchici  :  è  un  vaso  di  bronzo 
di  forma  cilindrica  ,  o  piuttosto  a  cono  troncato 
rivolto  sossopra  ;  il  suo  coperchio  è  sormontato 
da  un  gruppo  ci'  una  Menade  e  d'  un  Fauno  , 
che  può  servir  di  manubrio.  Vicino  alla  estremità 


2  VOL.     XIV.     TAV.     XL. 

superiore  del  vaso  è  un  giro  d'  anelli  ne'  quali  do- 
veva passare  la  catenella    o  il  nastro    per  fermare 
il  coperchio.  Il  vaso  è  retto  su  tre  piedi  lavorati  in 
forma  di  mezze  sfingi.  È  tutto  ornato  di  figure  graf- 
fite ,    quali  s'  incontrano    sulle  patere  etnische ,  e 
rappresentano  il  ricevimento  degli  Argonauti  nell'  ar- 
mamentario di  Cizico  :  quelle  del  coperchio ,  deità 
marine.    L'  essere  stati  iniziati    a  Bacco    gli  Argo- 
nauti per  testimonianza  di  Orfeo ,  di  Valerio  Fiacco 
e  d'  Apollonio  Rodio  ,  era  forse  la  ragione  per  rap- 
presentarli sulle  ciste  o  altri  vasi  che  servivano  alle 
iniziazioni  ,    per    imporne    maggiormente  al  volgo 
coli'  esempio  e  colla  riuscita  di  quelli  eroi.  Dentro 
v'  erano    un  cavriuolo    ed    una  pantera  ,    animali 
bacchici  attaccati  al  fondo ,    una  cista  minore  ed 
un  pezzetto  di  metallo    che   ha   la   forma    di    un 
prisma  triangolare ,  ed  è  forse  la  stessa  cosa  che  Cle- 
mente Alessandrino  nel  descrivere  ciò  che  si  con- 
tenca  nelle  ciste  chiama  piramide.  Comunicai  que- 
sto rarissimo  monumento  all'  abate  Winckehnann, 
il  quale  restò  persuaso    delle    mie  opinioni    su    di 
esso ,    anzi  mi  chiese    il    permesso   d'  inserirne    la 
notizia  nella  sua  descrizione  delle  gemme  Stoschia- 
ne  che  stava  pubblicando  ,  come  veramente  lo  fece 


voi..    XIV.    TAV.    XL  3 

alla  pag.  '_>.")()  ,  benché  con  qualche  inesattezza  : 
anzi  avendogli  fatto  osservare,  che  attesa  la  somi- 
glianza doveva  esser  pur  anco  una  cista  mistica  un 
singoiar  vaso  del  Museo  Kircheriano  ,  approvò 
questo  mio  pensamento  facendone   al   luogo  stesso 

la  distinta  menzione » 

Alla  lettura  della  trascritta  nota  non  poco 
dubitammo  se  si  dovesse  riconoscere  nel  nostro 
bronzo  la  stessa  cista  posseduta  dal  sommo  Viscon- 
ti ,  tanta  essendone  la  simiglianza  fra  loro  ;  e  ri- 
flettendo alla  tradizione  che  si  ha  dal  Museo  della 
Casa  Borgia  ,  donde  ci  pervenne  la  cista  che  abbia- 
mo sott'  occhio  ,  di  essersi  rinvenuti  nella  medesi- 
ma quantità  maggiore  di  piccolissime  figure  e  di 
oggetti  affatto  dissimili  da  quelli  ritrovati  neh'  altra 
cista  ,  vieppiù  rafforzava  la  nostra  dubbiezza  ;  se 
non  che  imbattutici  nella  recente  opera  del  nostro 
amico  e  collega  Sig.  Professore  Gerhard  sugli  spec- 
chi etruschi  abbiamo  raccolto  eh'  egli  pubblicando 
in  tal  rincontro  le  diverse   ciste  mistiche  (1)  assi- 


(O  Gerhard  (Etrusker  Spiegel)  conta  dodici  ciste  mistiche  di  diverse  dimensio- 
ni ,  finora  rinvenute  quasi  tutte  nell'antica  Preneste  ,  e  sono  le  seguenti  che  hanno 
preso  il  nome  de'  loro  possessori  :  i.a  la  Ficoroniana  ,  2."  la  Braedstediana  ,  3."  la 
Peteriana,  4."  laCasoliana,  5.a  la  Borgiana  (eh' è  la  nostra),  6."  la  Bonorelliana , 

** 


4  VOL.    XIV.    TAV.    XL. 

cura  che  la  nostra  cista,  eh'  è  la  Borgiana,  sia  stata 
passata  dal  Visconti  nella  collezione  di  Borgia:  ecce 
le  sue  parole  volte    in   Italiano  »  Ed  in  vero  Vi- 
sconti non  doveva  avere  motivo  alcuno  di  privarci 
di  quanto  apparteneva  al  monumento  Borgiano  da 
lui  prima   posseduto  ,    non    facendo    menzione  di 
quelle  statuette  se  ad  essa  cista   mistica   avessero 
appartenuto  ».  Chiaro  dunque  appare,  che  la  nostra 
cista  non  solamente  sia  la  stessa  posseduta  già  dal 
Visconti,  ma  che  ad  essa  non  appartengano  i  diversi 
oggetti  che  la  tradizione  Borgiana  voleva    in    essa 
ritrovati.    Ed  a  confermarci  in  questo  divisamente 
leggiamo  nella  stessa  opera  del  Gerhard  che  »  le 
figurine  della  cista    Pennacchiana  di  Bologna  pas- 
sarono   nel    Museo    Borgiano.    Lanzi    vide    dette 
figurine   nell'  anzidetto  Museo  ,    ma  non  la  cista  , 
che    non   più   esisteva  ;    imperciocché   dopo    aver 
descritte    le    ciste    metalliche    che  gli  erano  note , 
egli    dice  —  Lo   stesso    intendo    (  in  quanto    allo 


1?  la  Townelliana ,  8.a  la  Reviliana,  g.a  la  Kolleriana  ,  io.a  la  Vaticana  ,  li."  la 
Pennacchiana,  12.'  la  Beroliniana  — Le  figure  graffite  intorno  al  cilindro  sono  ora 
eroiche  (Argonauti?  Dioscuri  ?  Polissena?  Amazzoni?)  ora  atletiche  (armamento 
di  guerrieri?  Lottatori?  Pugillatori?}  ed  ora  bacchiche,  come  la  Kolleriana,  e  la 
Beroliniana. 


NO!..     XIV.     TAV.     XL.  5 

stile  i  tisca  nioo  )   delle  molle  statuette  di  un?  altro 

ci  si  a  riferita  </</■  monsignor  Bianchini e 

che  si  conservano  adesso  nel  JÌIuseo  Borgia- 
no  ».  Ciò  posto  non  sembra  che  possa  revocar- 
si in  dubbio  che  i  molti  altri  oggetti  attribuiti 
dalla  tradizione  Borgiana  alla  cista  Viscontiana ,  a 
questa  non  appartengono  affatto  ,  e  clic  quelli 
enunciati  dal  Visconti  sono  i  soli  rinvenuti  nella 
nostra  cista ,  e  tutti  gli  altri  riferir  si  debbono  sì 
alla  cista  Pennacchiaua  veduti  dal  Lanzi ,  che  agli 
altri  ricordati  dal  Bianchini.  Ed  infatti,  gli  oggetti 
di  ciste  mistiche  serbati  ora  nel  Musco  sono  più 
da  appropriarsi  a  quelli  del  Pennaccliia  e  del  Bian- 
chini che  agli  altri  enunciati  dal  Visconti.  A  mag- 
gior chiarimento  delle  cose  sinora  esposte  abbiamo 
fatto  disegnare  ed  incidere  questo  pregevolissimo 
bronzo  (1)  e  ne  diamo  qui  unitamente  alla  tavola 
incisa  la  corrispondente  descrizione  ,  del  pari  che 
1'  elenco  degli  oggetti  che  appartener  si  supponeva 
alla  detta  cista  ,  i  quali  confusi  pervennero  nel 
reale  Museo  Borbonico. 


(1)  Visconti  lo  riguardava  come  il  più  insigne  monumento,    e '1  più  compie 
di  tal  genere  fra'  cinque  simili  allora  conosciuti. 


6  VOL.     XIV.    TAV.     XL. 

Stanno  sul  vertice  del  coverclrio  due  figure  nu- 
de, un  salace  Satiro  barbuto  che  s'incurva  alquanto 
e  distende  le  mani  per  impadronirsi  di  una  donna  , 
minacciandola.    Questa    con  folta  chioma  bipartita 
sulla  fronte  ha  le  gambe  incrocicchiate  ed  alza  con 
violenza  la  sua  destra  armata  di  clava  ,  abbassando 
l'altra  tutt' aperta  come  per  difendersi  dall'assalito- 
re :  1'  espressione  de'  loro  volti  corrisponde  perfet- 
tamente all'  azione  (1).  Sullo  stesso  coperchio  sono 
incisi  dalla  parte  anteriore  un  cavallo  ed  un  grifo 
marino  con  un  pesce  sotto  la  marcatura    del  loro 
corpo  ;  dall'  altra  un  Tritone  a  volto  satiresco  im- 
brandisce nella  dritta  una  spada  tratta  dal  fodero 
che  stringe  nella  sinistra,  ed  in  sembiante  minacce- 
vole riguarda  in  una  giovine  Tritonessa,  che  gli  sta 
dirimpetto,  la  quale  stringe  in  ciascuna  mano  una 
serpe  che  le  si  avviticchia  al  corrispondente  brac- 
cio :  i  suoi  capelli  acciuffati  sul  vertice  della  testa 
sono  cinti  da  una  foglia  aquatica    a  guisa  di  sottil 
nastro  sulla  fronte ,  ove  le    estremità  annodandosi 
restano  elevate  come  un  cerchio  ;  il  suo  corpo  si  di- 

(1)  Inesattamente  il  WincVelmann  parlando  di  queste  due  figure  ,  che  tengon 
luogo  di  manubrio  del  coperchio  ,  dice  :  sur  le  couvercle  est  Bacchus  appuié  sur 
un  Faune,    et  autour  du  cylìndre  est  grave  une  Bacchanale . 


VOL.     XIV.     TAV.     XL.  7 

vide  all'  ingiù  in  due  grandi  serpi  a  bocca  spalan- 
cata; e  presso  di  lei  si  vede  un  mollusco,  (piasi 
simile  al  calamajo,  conio  nell'  marcatura  del  corpo 
del  Tritone  è  espresso  un  pesce  simile  a  quelli  os- 
servali di  sopra. 

È  in  oltre  leggermente  graffito  intorno  intorno 
alla  parte  cilindrica  della  cista  1'  armamentario  di 
Cizico,  nelle  di  cui  pareti  stanno  di  parte  in  parte 
sospesi  scudi  e  parazonì.  Cizico  completamente  ar- 
mato di  elmo,  di  usbergo ,  di  scudo  e  di  lancia  sta 
nel  centro  assiso  su  di  un  greppo  ili  mezzo  a  nove 
Argonauti ,  e  fra  questi  tre  are  ,  sopra  una  delle 
quali  è  posato  un  elmo.  Il  momento  della  scena 
sembra  quello  che  Cizico  dopo  di  aver  riforniti  di 
armi  gli  Argonauti  gli  accommiata ,  stringendo  per 
la  destra  uno  di  essi  che  1'  è  più  vicino  :  e  presso 
che  tutti  riverenti  par  che  gli  manifestino  la  loro 
riconoscenza  (ì). 

I  piccoli  mistici  oggetti  che  si  dissero  ritrovati 
in  questa  cista ,    e  a  noi  pervenuti  dal  Museo  Bor- 


(i)  Il  Sig.  Gerhard  nella  citata  opera  non  inclina  a  credere  che  le  ligure  graf- 
fite sul  cilindro  esprimono  il  ricevimento  degli  Argonauti  da  Cizico  principe  de'  Do- 
lioni ,  ina  piuttosto  1' armamento  di  guerrieri  per  un' alta  impresa  concertata  ;  rome- 
1'  elmo  siili'  ara  indica  il  duce  che  hanno  scelto. 


VOL.     XIV.     TAV.     XL. 

giano,  sono:  cine  lioni ,  quattro  asini,  quattro  lupi, 
cinque  volpi,  due  buoi,  una  lepre,  due  conigli,  due 
capre,  due  oche,  due  colombe,  due  galli,  un'aquila 
con  due  aquilotti,  due  scorpioni,  tre  gruppi  simi- 
lissimi  fra  loro  d' un  uomo  barbuto  che  porta  sulle 
spalle  un  giovinetto  ,  il  quale  stringe  con  le  sue 
braccia  la  bocca  dell'  altra  figura  ;  due  giovani  nu- 
di con  piedi  e  mani  unite,  sostenenti  sugli  omeri 
una  femmina  in  ginocchio ,  la  quale  lor  copre  il 
volto  colle  sue  mani  :  per  terra  si  vede  un  ogget- 
to non  facile  a  diffinirsi ,  forse  un  elmo  o  un  frutto  ; 
un  giovane  nudo  boccone  e  con  le  braccia  ade- 
renti a'  fianchi  e  piedi  parallelamente  stretti,  sos- 
tenendo sul  dorso  un  gruppo  simile  al  testé  de- 
scritto di  tre  figure  ;  un  giovane  nudo  con  le 
mani  rivolte  a  tergo ,  sostenendo  assisa  sulle  sue 
spalle  una  donna  nuda  co'  capelli  sciolti  in  atto 
di  nascondersi  il  volto  fra  le  mani  ;  altro  giovane 
nudo  con  le  gambe  unite  e  colla  mano  sinistra 
rivolta  al  dorso  si  copre  la  bocca  con  la  dritta  ; 
due  ripetizioni  di  questa  stessa  figura  ;  una  donna 
nuda  con  capelli  sciolti ,  avendo  i  piedi  uniti ,  la 
sinistra  aderente  al  fianco  ,  e  la  dritta  chiusa  e 
prostesa  j    altra  donna  con  la  sinistra  a  tergo  e  la 


VOL.     XIV.    TAV.     XL.  9 

dulia  sulla  bocca;  altre  tre  ripetizioni  della  stessa 
figura;  otto  parli  sessuali  muliebri;  tre  pezzetti 
triangolari  su  de' quali  è  espresso  un  palmizio,  ap- 
partenenti l'orse  ad  una  collana  ;  quattro  mani 
chiuse;  (piatirò  leste  di  toro  forate;  una  scala  mi- 
stica a  (piatirò  scalini;  una  gamba;  un  piede  di 
cavallo;  un  antibraccio;  ed  un  braccio  con  mano 
fornita  di  manico  (1). 


Xficvamvuttdta    -y  inali. 


(1)  Lo  stesso  Gerhard  sull'uso  degl'  indicati  oggetti  soggiunge  che  alcuni  sono 
relativi  a  Bacco ,  altri  a'  bagni  per  amendue  i  sessi ,  tanto  più  che  i  tritoni  ed  altri 
mostri  marini  che  pur  si  vedono  incisi  sulla  cista  indicano  l'umido  elemento  de'bagni. 

* 


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VOL.     XIV.     TAV      MI     \     XUII 


\  aso  Greco  dipinto 


1  ' 

/ .  /  iccia  di  tutti  '  '  <>"i<  digente  colpita  dall 

I'ausnma   lil'.    \   csji    27. 


A.  ra  gli  antichi  vasi  greci  di  creta  pitturata  uno 
de'  famigeratissimi  è  fuor  di  dubbio  quello  che  rap- 
presenta i  fatti  della  presa  di  Troia,  monumento 
insigne  dell'arte  che,  posseduto  dalla  famiglia  Vi- 
venzio  ,  fu  da  essa  venduto  al  Re  di  Napoli  per  die- 
cimila scudi,  e  così  pervenne  al  Real  Museo  Borbo- 
nico. Esso  era  stato  disotterrato  in  Nola  al  volgere  del 
1797  in  una  tomba  romana,  dove,  come  ascoltam- 
mo dallo  stesso  suo  possessore ,  serviva  a  contenere 
le  reliquie  di  alcune  ossa  raccolte  dal  rogo,  e  con 
esse  cinque  balsamari  di  alabastro  mezzo  calcinati, 
ed  una  bella  sardonica  di  greco  stile ,  con  sopravi 
un'aquila  che  andava  artigliando  riottoso  dragone. 
Ed  è  notevole  che  siffatta  stoviglia  sia  stata  agli 
stessi  antichi  in  tal  pregio,  che  volendola  difendere, 


** 


2  VOL.     XIV.     TAV.     XLI     a     XL1I1. 

il  più  che  potevano  contro  le  ingiurie  del  tempo, 
la  chiusero   in  altro  vaso  di  più  grossolana  creta  , 
che  può  ugualmente  nel  nostro    Museo  vedersi.  Il 
primo   a  dar  contezza   di  questo  monumento  stu- 
pendo fu  il  Gerning  nel  suo  viaggio  per  l'Austria 
e  l'Italia  (1).  Da  lui  n'  ebbe  contezza  il  Bòttiger  che 
ne  parlò  ne'suoi  Vasengemiihlde  (2);  e  finalmente  il 
Millin  il  quale  lo  pubblicava  nella  raccolta  del  Dubois 
Maisonneuve  (5),  ma  con  disegno  così  imperfetto, 
che  oltre  alle  tante  alterazioni  nelle  teste,  e  nell'ab- 
bigliamento delle  figure,  due  di  esse  vi  mancano  af- 
fatto. D'allora  in  poi  fino  a  questo  momento  non  v'è 
stato  per  così  dire  nissuno  scrittore  dell'arte  antica  , 
che  non  abbia  parlato  di  questo  vaso,  sempre  la- 
mentando ,  che  non  se  ne  avesse  per  anco  né  un 
fedele  disegno,  nò  una  compiuta  spiegazione.  Il  per- 
chè stimammo  di  darlo  qui  in  tre  tavole  rappresen- 
tato ,    cioè  l' intera  composizione ,    sebbene  più    in 
piccolo  ,  nella  prima  j   e  le  sue  teste  alquanto  più 
grandi  nelle  altre  due. 

Il  vaso  è  a  tre  manichi,  due  sopra  la  pancia 

(1)  Reise  durch  Ostreich  und  Italìcii  1802  ,  Tom.  II  ,  pag.  8g. 

(2)  I  ,  64  ,  e  III ,  29. 
(5)  PI.  XXV  ,  e  XXVI. 


VOL    XIV.    TAV.    XU     \    XLIH. 

ed  uno  sotto  la  bocca  "•  alzasi  palmo  uno  ed  once 
mì,  «(I  ha  un  diametro  di  palmo  uno  ed  once;  otto 
e  mezzo,  ed  è  delle  più  fine  crete  e  delle  più  lu- 
cide vernici,  che  siano  uscite  dalle  antiche  nolane 

fabbriche  ,  così  in  questa  parte  ,  come  ognun  sa  , 
commendate.  Ma  vince  di  tanto  nella  bellezza  del 
disegno  e  della  composizione  tutti  gli  altri  vasi  di 
quella  contrada  ,  per  quanLo  essi  superano  quelle 
di  tutte  le  altre  fabbriche  nella  eccellenza  del  lucido 
e  dell'argilla.  I  personaggi  sono  condotti  nello  spazio 
che  corre  tra  i  manichi  della  pancia  e  porzione  del 
collo  sì  ,  che  1'  intera  scena  vien  chiusa  da  due 
l'asce  di  ornati  al  di  sotto  ,  da  una  al  di  sopra  :  e 
chi  volgesse  gli  occhi  a'subbietti ,  vedrebbe  subito 
una  paura,  uno  sgomento,  una  strage  di  vecchi, 
di  giovani ,  di  donzelle-,  e  chi  abbracciarsi  suppli- 
chevole alle  statue  de'numi,  chi  sedersi  come  pel- 
asi lo  su  gli  stessi  altari  ,  quali  fuggire  inseguiti  , 
quali  starsene  a  terra  piangenti,  o  muovere  a  di- 
sperata difesa,  e  tutto  ciò  fra  il  rotare  delle  spade 
vincitrici,  e  i  cadaveri  sanguinosi  de' vinti  guerrieri. 
Venendo  poi  all'argomento  del  vaso,  primeg- 
gia fra  tutti  il  gruppo  di  Ncoptolemo,  che,  avendo 
con  una  mano  afferrato  Priamo  ,  rifuggitosi  sull'  ara 


4  VOL.     XIV.     TAV.     XU     a    XLIII. 

<li  Giove  Erceo  ombreggiata  da  una  palma,  coli' altra 
gli  va  vibrando  colpi  mortali ,  che  tutto  lo  riman- 
gono insanguinato.  Sdegno  e  vendetta  son  dipinti  sul 
volto   del   greco,  paura  su  quello  del  re  troiano, 
per  quanto  lasciali  veder  le  sue  mani,  di  cui  una 
corre    all'  aspra    ferita  ricevutavi ,    e  1'  altra   alla 
fronte  ,    quasi    per   velar    la  vista   del   colpo    che 
dovrà    torgli  la  vita.  Un  morto  guerriero  giace  ai 
piedi  di   Priamo  ,    mentre  alle  sue  spalle ,    seduta 
sopra  la  base  dove  innalzavasi  la  statua  del  nume , 
una  donna  stracciandosi  le  chiome  fa  le  più  smanio- 
se disperazioni.  Questo  gruppo  trovasi  in  mezzo  a 
quattro  altri ,  due  quinci  e  due  quindi.  A  tergo  del 
re  vedesi  Aiace,  che  vicino  ad  un  guerriero  spiran- 
te raggiunge  Cassandra  che  abbraccia  la  statua  di 
Pallade  ,    sulla  base  di  cui   un'  altra  donna  si  sta 
lacerando  con  le  mani  i  capelli.    Appresso   vedesi 
Enea  che  armato  cerca  fuggire  con  Anchise  in  brac- 
cio ,  ed  è  seguito   dal  piccolo  Ascanio.   Dall'  altra 
parte  ,    nell'  ultimo  gruppo    che  contrasta  col  testé 
descritto,  si  trova  Ulisse  che  si  sforza  di  far  alzare 
la  renitente  Andromaca  dalla  base ,  su  cui  siede ,  in 
mentre  che  un  altro  Greco  par  che  colla  mano  le 
persuada  a  rassegnarsi  al  suo  destino.  A  tale  scena  la 


VOL.     XIV.     TAV.     XL1     a     XII  II 

giovane  Polissena,  sostenendosi  colla  mano  l;i  fron- 
te, va  considerando  e o  tra  poco  dovrà  cangiare 

in  vilissima  schiavitù  la  sublime  altezza  del  regio 
Stato,  li1  uIlìiho  gruppo  ,  che  trovasi  tra  questo  e 
quello  di  Priamo  è  staio  finora  un  enigma  per  tutti 
gli  archeologi ,  epperò  su  questo  mi  piace  dimo- 
rarmi alcun  poco. 

Esso  componesi  di  una  donna,  che  con  un'arme 
sconosciuta  vorrebbe  finire  il  guerriero,  che  le  sta 
davanti  in  ginocchioni,  e  che  cerca  difendersene 
coprendosi  collo  scudo  con  una  mano  ,  impugnando 
coli'  altra  la  spada.  Somiglia  quell'  arme  a  grossa 
mazza  rotonda  anziché  no ,  doppia  un  pochino 
più  all'uno  estremo  che  all'altro,  ed  ha  in  mezzo 
un  incavo  per  potervi  adagiar  le  mani ,  ove  strin- 
gere il  si  voglia,  ad  alzarlo  ed  abbassarlo  replicate 
volte. 

Il  Vivenzio  vedeva  in  questa  figura  una  lan- 
cia (i)  ;  JVlillin  crede  essere  un  giogo  (2)  ;  Schorn  , 
senza  recarne  nessuna  propria ,  disapprova  questa 
opinione  (5),  quantunque  il  Bòttiger  avesse  egli  an- 


(1)  Catalogo  ecc.  pag.  71. 

(2)  Vases  peints.  I ,  XXVI ,  54. 

(3)  Homer  nach  Antiken ,  Heft  IX ,  V  ,  Vi ,  53  34. 


6  VOL.     XIV.     TAV.     XLI      a     XLIII. 

cova  trovato  in  quell'oggetto  la  somiglianza  con  un 
giogo  (i)-,  Panofka  lo  prende  per  un  istrumento  for- 
mato da  due  ferri  di  lancia  situati  1'  un  contro 
l'altro-,  finalmente  il  chiarissimo  Raoul-Rochette , 
solenne  conoscitore  degli  antichi  monumenti,  con- 
fessa con  ingenuità  essere  un  istrumento  misterioso 
di  profonda  significazione  ed  assai  difficile  a  deter- 
minare (2). 

Ora,  che  Tarme  disputata  non  sia  un  giogo, 
si  fa  chiaro  non  solo  dall'essere  dissomigliantissima 
da  tutti  gli  altri  gioghi  che  ci  rappresentano  le  pit- 
ture ,  e  i  bassirilievi  antichi;  ma  anche  dal  solo 
osservare  che  da  una  parte  sia  più  sottile  dell'al- 
tra ,  il  che  mai  ne'  gioghi  si  osserva. 

Per  l' opinione  poi  del  dotto  Panofka  dirò  col- 
l' insigne  Raoul-Rochette  di  non  comprendere  ciò 
che  potrebbe  essere  un  istrumento  risultante  da  due 
punte  di  lancia,  l'una  messa  contro  l'altra,  e  che 
Panofka  stesso  nou  siasi  spiegato  affatto  sul  suo  uso. 
Per  me  lo  credo  un  pistello,  e  penso  di  po- 
terne dare  una  compiuta  dimostrazione.  Ed  in  vero 
la   sua   figura   è   quale  al  pistello   si  addice ,   cioè 

(1)  Arch.  d.  Mahlerei  p.  341. 

(2)  Jtìon.  etc.  Achilkid.  pag.  80. 


VOL.     XIV.    TAV.    XLI     a     XI.III.  7 

con  due   estremità   di  disuguale  grossezza,  atte  a 
schiacciare  corpi  più  o  meno  duri  e  resistenti,  ed 
oltre  a  ciò  con  un  incavo  nel  mezzo  acconcio  a  pren- 
derlo ed  agitarlo.  Esso  chiama  vasi  pilli  ni  da1  Latini, 
vvspog  ,  a\irpi(!>otvov  ,  e  tioth/%  dai  Greci  :  e  serviva  a 
.schiacciare  diversi  semi.  Ascoltiamo  Popma(i):  Pil- 
latici api/ìces  et  ministri  suut  molilores ,  pistores , 
cogiti...  Ilorum  ist rumenta,  cimi  sint  nudta  et 
diversa  prò  ratiotie  artis  et  operae ,  recenseniur 
Inter  cetera  a  scriploribus  rei  rusticae ,  maxime  a 
Catone,  pilafarraria ,  ad  far  pinsendum ,  pila  J ci- 
baria ad  fabam  f resemi ,  pila  seminarla  ad  teren- 
dos  seminum  nucleos.  E  Plinio  (2):  Pilumfabarium, 
farrearium,  seminarium ,  quo  faba ,  far ,  et  semi- 
na in  pilo,  sive  mortario,  fé  riunì  ur  et  tiinduntur. 
Ma    come ,    mi    si  dirà    ed  a   tutta  ragione , 
come  mai  un    pistello  avrebbe  potuto  essere  così 
grande?   Risponderò  che  non  sempre   si  può  giu- 
dicare delle  cose  antiche  traendone  induzione  dalle 
moderne.    Poiché   gli   usi ,    le    arti  ,  i    mestieri ,  e 
tutto  che  all'  uomo  appartiensi ,   col  volgere  degli 
anni  ,    a    mille    cangiamenti   soggiace.    Se    dunque 

(1)  De  Inatrum.  Funài,  cap.  7. 

(2)  H.  N.  Uh.  XVIII,  e.   16. 


8  VOL.     XIV.     TAV.     XLI      a     XLIII. 

taluno  maravigli  della  lunghezza  di  questo  pistello  , 
imparerà  nientemeno  che  da  Esiodo  come  non  solo 
gli  antichi  lo  facessero  di  grandezza  considerevole; 
ma  di  tre  cubiti  eziandio.  Ecco  i  suoi  versi  (1)  : 

Hjaos  Sri  Xr,y£(  fxtuos  o|-soj  ItjXìoio 

Koti>[).ctros   iSaXifiOv  fj.lTo7ruipivov  o(/.(3flr)o'«vTos 

Ztjvos  ipiaQivms  ,  \utu  Sé  rptirirui  (ìpcnos  X('ws 

II0XX011  ikcttypoTipos  '  Sri  yocp  rors  %upms  as"Hp 

Bxiov  VTrip  r.iQ-xkri;  xr)piTps(5«<;v  avSpuivouv 

Epurai  T.fAanos  ttXsiov  Ss  ti  wktos  cvtwpn 

H'jxos  aotiKTorart)  crjXsrai  nrfittfa  aàripui 

T'Xr)  ,  (fuXXa  S'  ipaZ,i  Xlil  >  '""roproio  ri   \r,yu  • 

Tr^os  ap'  vXoToy.av  fj.t\j.vrm£voS  copia  spyava 

OXjxov  niv  TpwoSrjii  Tapniv,  urspov  ti  rpi-rr\y^vv . 

Quando  d'acuto  Sol  la  forza  allena, 

Per  V  estivo  calor  che  iì  ne  bagna 

D'autunno  là  ,  quando  il  gran   Giove  piove  , 

E  si  muove  il  mortai  corpo  ,  e  ne  viene 

Molto  più  lieve  :  allora  V  astro  Sirio 

Pur  de'  mortali  uomini  sulla  testa 

Di  giorno  viene,  e  più  la  notte  assaggia 

Quando  senza  periglio  di  magagna 

Dal  ferro  il  bosco  a  tagliar  viensi  ,  e  a  terra 

Sparge  le  foglie  ,  e  pili  non  si  dirama  ; 

jéllor  le  legna  taglia  ,  sovvenendoti 

Dell'  opporlun  lavoro  ,  ed  un  mortaio 

Di  tre  piedi  tu   sega  ;  ed  un  pistello 

Di  tre  cubiti. 

(l)   Epy.  xo»   n'/iif.   v.   4 12. 


VOI..    XIV.    TAV.    XLI     a    XI.III.  g 

Ora  clic  diremo  quando  troviamo  quest'arme 
essere  noi  nostro  vaso  appunto  di  tre  cubiti  ad  un 
bel  circa?  Non  pare  egli  il  passo  d'Esiodo  composto 
da  uno  che  avesse  voluto  a  bella  posta  descriverla? 
l\oii  viene  questa  pruova  in  soccorso  dell'altra  som* 
ministrataci  dalla  ligura?  E  non  si  uniscono  amen- 
due  strettamente  a  conferma  di  quanto  ho  asserito? 
Se  non  elicmi  si  domanderà  ancora,  ed  a  buon 
dritto,  che  abbia  qui  a  dividere  un  pistello  coli' ul- 
tima   notte   di  Troia  ,    e  perchè    io  abbialo    arme 
chiamato.  All'una  inchiesta  risponderò,  che  arme 
dicevansi ,  secondo  Varrone ,  tutte  le  cose  con  che 
si  allontanava  il  nemico:  Arma  ab  arcendo,  quod 
his  arcemus  hostem  (1).    Il  perchè  Caio  il  giure- 
consulto diceva  che  anche  le  pietre  ed  i  bastoni  dove- 
vansi  avere  come  armi  quando  si  usavano  contro  il 
nemico  (2).  Imperciocché  arme  è  parola  che  ben  si 
adatta  ad  un  obbietto  qualunque  che  serva,  vuoi  a 
difendersi,  vuoi  ad  offendere.  Soddisferò  poi  all'altra 
interrogazione  col  Furor  arma  ministrai  del  Man- 
tovano. Così  M.  Antonio  il  Triumviro ,  profugo  da 


(1)  Di  L.  L.  Lib.  IV. 

(2)  L.  47.  Dig.  de  J'erb.  Signif. 


io  VOL.     XIV.     TAV.    XLI    a    XLIII. 

Modena  ,  diede  cortecce  a' soldati  in  vece  di  scudi. 
Nella  terza  guerra  punica,  in  mancanza  di  funi,  le 
donne  somministrarono  a'  Cartaginesi  le  loro  trecce 
per  gli  archi.  Lo  stesso  fecero  le  matrone  di  Aquileia 
assediata  dall'  impcrador  Massimino ,  i  Marsigliesi 
combattuti  da  Cesare,  ed  i  Romani  stretti  nel  Cam- 
pidoglio di  assedio  da' Galli,  i  quali  Romani  perciò 
dedicarono  una  statua  a  Venere  Calva.  Non  è  dun- 
que maraviglia  se  una  furiosa  troiana,  non  potendo 
avere  un'arme  con  che  difendersi  dalla  spada  greca, 
mossa  da  virile  ardimento,  abbia  dato  di  piglio  ad 
un  pistello  come  fosse  stato  una  clava ,  e  che  la 
disperazione  quel  rustico  istrumento  in  arme  da 
guerra  cangiato  avesse.  Il  che  con  tanto  più  di  fi- 
ducia asserisco  in  quanto  che  in  quel  frangente  i 
Troiani  cercarono  di  uccidere  i  Greci  con  qualun- 
que cosa  fosse  venuta  loro  alle  mani ,  e  loro  lancia- 
rono i  bicchieri,  e  le  mense,  e  gli  ardenti  tizzoni 
de'  focolari ,  e  gli  andavano  trapassando  finanche 
cogli  stessi  spiedi  dov'  erano  infilzate  le  arrostite 
carni,  siccome  dice  un  greco  poeta  (1): 

Oi'Ss  y.tv  Apysiot<Tiv  UMUTUTOS  irrikt  typis 

AXX'  o  ijjiev  invaletesi  rtrvy\>.ivai ,  ói  Ss  rpzvs'^ui;. 

0)  Qiunt.  Smyrn.  Lib.  XIII,  v.   145. 


VOL.    XIV.    TAV.     XI- 1     \     XI  III  m 

Oli  ITI  XUC/fiiViji    vir'  ta^-xf,tUi(Ti    Tl,T^^TH 

AigXoiS,  7,V  ójitXuitf/  w*rapn«vùi  !XTvsf<T/.iv 

()/':."   in    irow    xa/   ffwXoey^va  (Ti'wv   t/|(«  Oippa   XtX-.TTG 

ll$xir  oi',uaX.'|)oiO   rrt^i^tiovrU    ocVTfM). 

i\'o//  però  indenne  era  l'  ac/iea  vittoria  : 

Da  tazze  altri  volpili  ,  altri  da  mense  , 

siila  bruciati  da  tizzoni  ardenti  , 

O  trafitti  da  spiedi  ,  ove  abbro&tite 

Di  porvi  ancor  fumavano  le  carni  , 

Che  investici  dì  Vulcan  l'  igneo  vapore  , 

Spiravan  V  alma. 

Così  Quinto,  e  con  questi  versi  devesi  anche 
spiegare,  a  creder  mio,  un  altro  vaso  del  Real  Mu- 
seo Borbonico  dove  si  vede  per  la  stessa  ragione 
questo  pistello  medesimo  ed  un  candelabro  adope- 
rati per  arme. 

Vuoisi  poi  notare  che  a  questo  guerriero 
trovasi  apposto  il  solito  KAAO£,  che  qui  ci  sembra 
doversi  intendere  in  significato  di  valoroso.  Un  altro 
KAA02}  nel  senso  medesimo  vedesi  tra  la  donna 
seduta  sulla  base  della  statua  di  Pallade,  e  quella 
che  le  sta  dirimpetto  :  ma  è  chiaro  che  un  tale 
epiteto  abbisogni   essere    riferito  ad  Aiace. 

Meglio  pertanto  sarebbe  per  noi  se  1'  artista 
in  vece  di  questa  epigrafe  avesse  apposti  i  nomi 
alle  sue  figure  che  qui  restano  in  parte  sconosciute, 


n  VOL.     XIV.     TAV.     XL1     a    XLlll. 

come  sarebbono  rimase  quelle  della  tavola  iliaca , 
s  ci  fossero  senza  iscrizione  pervenute. 

Da  ultimo  vorremmo  paragonare  questo  insi- 
gne monumento  col  celebre  quadro  del  Lesche  a 
Delfo,  dove  Polignoto  ebbe  dipinto  lo  stesso  sub- 
Inetto  ;  certo  essendo  che  da  quella  pittura  il  nostro 
artefice  traeva  alcun  che ,  s' egli  è  vero  ,  come  è 
\ (rissimo  che  nelle  figure  di  Polignoto  una  vecchia 
ve  devasi  col  capo  raso ,  che  potevasi  scambiare  con 
un  eunuco,  su  le  cui  ginocchia  un  fanciullo  era  as- 
siso, che  la  mano  innanzi  agli  occhi  per  la  paura 
mettevasi  (1). 

tJÒernarao  J^Lttaranfa. 


(i)  Pausania  Phoc.  e.   26.  Uatpct  5*  ttjv  Mtdovaav   tv   %pw   xtK.u.p{j.ivrì  irptirfrvris  ,  x 
av9pwjro?  t<?iv   twovyoi  ,  irxàiov  01  tv  rais   yowatne  f%ti  yvfMvov t  to    òt  r-nv  XUPX  *,ir0 


VOL.     XIV.     TAV.     XLIV. 
Dipinti   pompeiani. 


N 


ella  bella  casa  di  Marco  Lucrezio  e  precisa  - 
mente  nel  pianerottolo  della  scala ,  segnate»  col 
N.°  20  nella  pianta  di  essa  casa  che  in  fine  di 
questo  volume  noi  pubblichiamo  ,  sono  dipinti  i 
due  terrazzi  che  si  veggono  nell'  alto  di  questa 
tavola  delineati. 

Nel  primo  di  questi  terrazzi  riposa  sopra  un 
plinto  di  pietra  una  maschera  scenica  muliebre, 
con  folta  capigliatura,  e  corona  di  oro.  Vicino  a 
questa  maschera  a  significare  a  qual  divinità  si 
appartenga  è  un  pavone ,  il  quale  non  ci  lascia 
dubbio  esser  quella  la  maschera  di  Giunone  si- 
gnora e  regina  del  Cielo.  Incontro  ad  essa  è  pure 
sopra  un  plinto  di  pietra  poggiata  una  maschera 
di  Giove  con  prolissa  barba  e  coronata  di  folti 
capelli  di  quercia.  L'aquila  ministra  del  fulmine, 
ed  il  mondo  sono  vicino  a  questa  maschera  a 
chiarire  i  meno  esperti  nella  mitologia  esser  quella 
l'effigie  del  Signore  degli  uomini  e  degli  Dei. 

Sappiamo  da  Plinio  che  a'  tempi  di  Augusto 


2  VOL.     XIV.     TAV.     XLIV. 

un  tal  Ludio  fu  il  primo  ad  inventare  quel  genere 
di  pittura  che  noi  diciamo  pittura  di  paese,  e  ci 
narra  quel  sommo  e  diligente  istorico  che  questo 
Ludio  rallegrava  le  dipinture  delle  pareti  con 
ville  ,  portici,  boschi  ,  piscine,  stretti  di  mare, 
fiumi  ,  spiagge  ;  e  tutti  questi  luoghi  ,  secondo  il 
desiderio  de'  committenti  ,  quali  popolati  di  pas- 
seggieri  ,  quali  di  naviganti ,  quali  di  viaggiatori 
sopra  asini  o  in  cocchio  ,  e  qualche  volta  vi  fa- 
ceva de'  pescatori,  delle  brigale  che  banchettava- 
no ,  e  talora  cacce  e  vendemmie  (1).  Pare  che 
questa  invenzione  di  Ludio,  la  quale  non  datava 
all'  epoca  della  distruzione  di  Pompei  che  appe- 
na di  un  secolo,  si  fosse  molto  propagata  in  questa 
parte  della  Campania  ,  poiché  troviamo  spessissi- 
mo nelle  dipinture  de' muri  di  Ercolano  e  Pompei 
queste  rappresentanze  di  paesi  che  Plinio  chiama 
topiaria  opera.  Nella  medesima  casa  di  Marco 
Lucrezio  nella  stanza  marcata  N.°  1 1 ,  che  sporge 
sul!'  atrio  ,  sono  ne'  tre  muri  dipinti  tre  grazio- 
sissimi  paesetti  ,  in  fra  le  altre  vaghezze  che  la 
adornano,     uno  de' quali  è  riprodotto  in  calce  di 

(1)  Plin.  Lib.  XXXV.  Cap.  io. 


VOL     XIV.     TAV.     XLIV.  3 

questa  tavola  XLIV.  Ivi  in  un  luogo  alpestre  chilo 
«li  sassose  ed  aride  rupi  è  in  un  verdeggiante  ri- 
piano espresso  più  vivo  che  dipinto  un  irsuto 
cignale  attaccato  da  due  feroci  mastini  ,  che  <- 
nell'  atto  di  difendersi  furiosamente  dal  loro  im- 
portuno assalto.  Abbiamo  qui  potuto  riprodurre 
una  lìcvolc  copia  dell'  antico  originale  che  è  di- 
pinto con  tanta  vivezza  ,  che  ha  piuttosto  1'  aria 
di  essere  un'azione  vera  e  reale  ripercossa  in  uno 
specchio,  anzi  che  una  reminiscenza  espressa  col 
pennello.  E  di  riscontro  a  questo  dipinto  se  ne 
ammira  un  altro  ,  anche  più  bello  di  questo  , 
dove  un  tramontare  di  sole  in  un  deserto  del- 
l'Africa con  un  leone  ed  una  leonessa,  che  affan- 
nosi e  lenti  camminano  in  quelle  aride  sabbie,  ti 
offrono  un  ritratto  del  quale  solo  può  essere  ca- 
pace un  artefice  ,  che  abbia  viaggiato  in  quelle 
regioni  tanto  dissimili  dalle  nostre.  Perciocché 
evvi  mirabilmente  espresso  il  calore  ardente  del 
sole,  e  l'affannosa  stanchezza  che  produce  su  quei 
due  feroci  animali ,  a'  quali  pare  che  manchi  la 
forza  di  muovere  i  lenti  passi  co'  quali  cammi- 
nano. E  queste  cose  ,  dipinte  come  noi  diciamo 
di  maniera  ,    hanno  un'  impronta    così  fedele  del 


4  VOL.    XIV.    TAV.    XLIV. 

vero  ,  che  nella  moderna  pittura  difficilmente  si 
ravvisa  uguale  ne'  lavori  i  più  agiatamente  stu- 
diati e  copiati  dalla  natura. 


yuaùe/mo    zèecnt 


!  XXX. 


G&té&VU        //*//r       *4/ 


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VOL.     XIV.     TAV.    XLV. 


Vittoria—  Affresco  pompeiano. 


I 


n  una  leggerissima  biga  veloce  di  prospetto  si 
presenta  molto  vaga  donzella  con  corona  (i)  nella 
destra  ,  e  palma  nella  sinistra  :  le  interamente 
spiegate  ale  (2),  la  increspata  chioma  svolazzante 
all'impeto  della  corsa  ,  le  sottilissime  vestimcnta 
che  si  attaccano  quasi  ondeggianti  sulla  figura,  e 
la  vivacità  de'  corsieri  che  ansanti  attendono  il 
segno  di  soffermarsi  ,  a  chi  non  farà  riconoscere 
nel  nostro  pompeiano  dipinto  una  Vittoria  sollecita 
apportatrice  di  pace?  Raccomandate  le  redini  dei 
destrieri  al  parapetto  del  carro,  che  qui  serve  da 
trasversale  timone  ,  essa  sta  ritta  in  sulla  biga 
colla  destra  elevata  in  atto  di  mostrar  con  quasi 


(1)  La  corona  era  così  propria  della  Vittoria,  che  tanto  Talea  il  dire  corona, 
quanto  Vittoria.  Il  Pascalio  de  Cor.  VII,  5  soggiunge  che  rare  volte  s' incontra  la 
Vittoria  che  non  sia  coronata,  ond' ebbe  l'aggiunto  di  crretyxvriQopos. 

(2)  Amore  fu  scacciato  dal  Cielo  per  le  sue  impertinenze  :  gli  Dei  gli  tolsero 
le  ali ,  e  le  diedero  alla  Vittoria  figliuola  del  cielo  e  della  terra.  Si  veggano  in 
Ateneo  XIII,  p.  563  i  versi  di  Aristofonte  in  cui  si  dice  che  gli  Dei  cacciarono 
dal  cielo  Amore  ,  gli  tolsero  le  ali ,  e  ne  rivestirono  la  Vittoria. 


1  YOL.     XIV.     TAV.     XLV. 

ilare  contegno  la  ricca  corona  cui  è  annodata 
una  vitta,  e  colla  sinistra  abbassata  regge  il  fron- 
zuto ramo  di  palma  ,  quasi  mostrasse  la  corona 
come  trionfo  della  riportata  vittoria ,  origine  della 
stabile  pace  che  annunzia  nel  ramo  di  palma  che 
fermamente  sostiene. 

E  sebbene  convengono  i  dotti  che  quando  la 
Vittoria  appare  su  di  una  biga  ,  suol  essere  tale 
rappresentazione  più  relativa  a  vittoria  riportata 
ne'  giuochi  ,  che  a  trionfi  siili'  inimico  ,  pur  tut- 
tavolta  noi  crediamo  che  nel  nostro  pompeiano 
dipinto  si  esprima  la  Vittoria  come  nunzia  di 
pace  dopo  essersi  trionfato  sull'  inimico,  onde  la 
diciamo  Vittoria  pacifera  ,  o  con  Apule jo  Pal- 
mari s  Dea. 

I  fogosi  destrieri  con  nari  aperte  e  con  orec- 
chi distratti  verso  la  Dea  mostranti  nell'  ansante 
loro  figura  tutti  intenti  a'  di  lei  voleri.  La  parte 
anteriore  del  carro  non  ha  alcun  ornato  ,  non 
iscorgeudosi  il  rimanente  pel  solito  difetto  di  pro- 
spettiva lineare  più  volte  osservato  ne'  dipinti 
pompeiani.  Sono  però  da  notarsi  le  due  graziose 
borchie  poste  agli  estremi  del  timone  ,  i  quali 
vengon  fuori  dalle  esterne  parti  del  collo  di  eia- 


VOL.     XIV.     TAV.     XIA  3 

scuri  (avallo  ,  e  finiscono  con  un  pomo  ingegno- 
samente immaginato  per  impedire  l' uscita  delle 
borchie  ,  cui  si  veggono  raccomandate  due  coreg- 
gutole,  forse  per  assicurarle  in  modo  da  non  po- 
tersi sfibbiare  nel  violento  corso  della  biga;  come 
sullo  stesso  timone  son  pure  da  notarsi  i  due  se- 
micerchi o  cerchietti  posti  poco  discosto  dalla 
parte  interna  del  collo  de'  cavalli  ,  del  pari  che 
le  due  bellissime  fibule  che  son  dappresso  a  tali 
cerchietti  ,  le  quali  impediscono  ,  come  noi  sup- 
poniamo, che  le  redini  de' destrieri  possano  sfug- 
gire dal  timone.  E  chi  sa  se  que1  cerchietti  sien 
quelli  ricordati  da  Omero  ne' carri  della  Vittoria 
ove  si  appendevano  le  briglie  de' cavalli? 

La  nostra  Vittoria  è  nella  solita  acconciatura 
di  Diana,  e  come  questa  Dea  ha  una  sistide  suc- 
cinta sotto  del  seno.  Vogliono  i  dotti  che  quando 
negli  antichi  monumenti  ,  e  specialmente  nelle 
pietre  incise  e  nelle  medaglie ,  s' incontra  la  Vit- 
toria neh"  acconciatura  di  Diana,  si  è  voluto  con 
essa  indicare  la  verginità  di  lei  :  ed  oltre  a  ciò 
opina  il  Winckelmann  che  quando  la  Vittoria  ha 
T  aria  e  la  somiglianza  delle  figlie  di  Niobe ,  ciò 
sia    espressamente   per  darle  1'  aria   di  vergine. 


k  VOL.     XIV.     TAV.     XLV. 

Questo  importantissimo  dipinto    venne  fuori 
dagli  scavi  in  istato  di  ottima  conservazione. 

tyiov-amvakdfa    <J*incdt. 


- 





NVJ.AK. 


TA.AIA.I. 


•.va/  ,/,/,/. iaufa 


VOL.    XIV.    TAV.    XLVL 

Cacci-; Dipinto  pompeiano. 


Vjosti  MK  barbarico  fu  al  cerio  degli  antichi 
popoli,  e  da  ricolmar  d'orrore  qualunque  anima 
gentile  ,  quello  di  esporre  1  rei  alle  bestie  feroci 
perchè  ne  fossero  divorati.  E  fin  da' tempi  di  So- 
Jonc  essere  a  quella  atrocità  gli  Ateniesi  trascorsi 
il  sappiamo  da  Luciano  (i);  e  che  da'Cartaginesi 
fosse  praticata  ,  non  ce  ne  fanno  dubitare  le  so- 
lenni parole  di  Polibio  (2).  E  noto  ancora  che  di 
questo  supplizio  Scipione  Africano  puni  i  transfu- 
ghi (5),  e  che  non  diversamente  operò  il  questore 
Baldo  su'  Gaditani ,  come  dice  Pollione  (4).  E  con 
tali  sanguinosi  spettacoli  gli  antichi  credevano  che 
si  agguerrissero  viemaggiormente  gli  animi  de'  bat- 
taglieri ;  sicché  Tullio  potè  dire  (5)  :  Cam  vero  sontes 
ferro  depugnabant,  auribus /orlasse  mu/tae,  oculis 


(1)  In  Toxar.  i5. 

(2)  Lib.  I,   cap.   io. 

(5)  Valerio  Massimo  Lib.  II,  e.   2. 

(4)  Cic.  Epist.  Fam.  Lib.  X ,  32. 

(5)  Tusc.  II  ,  17. 


2  VOL.     XIV.     TAV.     XLVI. 

quidem  nulla  poterat  esse  fortior  contro,  dolorem 
et  mortem  disciplina.  Il  perchè  ne' tempi  soprav- 
venuti, prima  di  andare  alla  guerra,  gl'Imperatori 
davano  a' soldati  di  tali  spettacoli  (1).  Spesso  però  in 
xnancanza  di  condannati  ,  il  popolo  sollazzavasi  a 
guardar  belve  che  si  affogassero  fra  loro.  E  queste 
cacce  solite  a  darsi  negli  anfiteatri,  chiamati  perciò 
teatri  da  caccia ,  &a<rpa  xvvnymrix.x  da  Dione  (2), 
erano  frequentissime  ancora  in  quello  di  Pompei.  Sic- 
ché prendendone  gran  piacere  gli  abitanti  di  quella 
città  ,  ben  credevano  i  dipintori  che  il  persegui- 
tamento  de' feroci  animali  tra  loro  fosse  grato  spet- 
tacolo da  adornarne  ancora  le  pareti.  Cosi  restano 
spiegati  pure  gli  alberi  onde  adornansi  le  rupi  del- 
l' altra  pittura  nella  parte  inferiore  della  nostra  , 
dove  un  lione  insegue  un  cavallo. 

Quinto  Scevola  fu  il  primo  a  dare  nella  sua 
edilità  curule  lo  spettacolo  de'  leoni  al  popolo  : 
ascoltiamo  Solino  (3)  :  Spectaculum  ex  leonibus 
JRomae  primus  edidit  Q.  Scaevola  P.  F.  in  curali 


(1)  Capitol.   in    Max.    e.  8. 

(2)  De   Leg.   e.   5. 

(3)  Cap.  29. 


VOL.     XIV.     TAV.     XLVl.  3 

aedilitate.  Cenlum  vero  Leonum  jubatorum  pu- 
gnarti princeps  L.  Cornelius  P.  /'.  Sulla  Felix 
qui  posteci  dictator  fuit  in  praelura  ex/iibuil  A, 
f.  DCLX.  Ma  per  quel  che  risguarda  il  leone 
sciolto  della  nostra  pittura,  dobbiamo  ricordare  Le 
parole  di  Seneca  dicente  (1):  L.  Sulla primus  in  cir- 
co leones  solutos  dedit,  quum  alioquin  alligati  tane 
darentur  ad  con/iciendos  eos  missis  a  rege  Baco 
jaculaloribus.  Affinchè  poi  le  belve  si  aizzassero 
maggiormente  fra  loro  ,  e  lo  spettacolo  crudele  si 
compisse  il  più  presto,  legavansi  tra  loro.  Epperò 
nella  parte  superiore  di  questa  tavola  veggiamo  la 
pugna  di  un  toro  allacciato  ad  un  orso  ,  tauri  et 
ursi  pugnarli  Inter  se  colligalorum,  come  dice  Sene- 
ca (2).  E  gli  orsi  facevan  venire  dalla  Macedonia  e 
dalla  Pannonia,  siccome  i  leoni  e  le  tigri  dall'A- 
frica (3),  e  li  appaiavano  col  toro  a  cagione  della 
ferocia  di  questo.  Tauris,  dice  Plinio  (4),  in  ad- 
spectu  generositas ,  torva  fronte ,  auribus  setosis , 


(1)  Ds  Br.  V.  8. 
(1)   De   Ira.  e.  6. 

(3)  Plinio  H.  N.  Vili ,  7. 

(4)  H.  N.  Vili  ,  45. 


4  VOL.     XIV.     TAV.     XLVI. 

cornibus  in  procinclu  dimicationem  poscentibus. 
Sed  tota  comminatio  prioribus  in  pedibus.  Stat 
ira  gliscenle  aliernos  replicane ,  spargensque  in 
alluni  arenavi  ,  et  solus  animalium  eo  stimulo 
ardescens. 

Vuoisi  poi  avvertire,  che  le  rupi  onde  qui 
chiudonsi  il  toro  e  l'orso  solevano  esser  di  legno  , 
o  comparir  inopinatamente  di  solto  all'  arena  in 
mezzo  all'  antiteatro.  Ascoltisi  Apuleio  (1)  :  Erat 
vions  ligneus  ad  instar  inclyti  montis  illius  , 
quem  vates  Homerus  Idaeum  cecinit  ,  sublimi 
instructus  fabrica ,  consilus  viretis ,  et  vivis  ar- 
boribus  ,  a  sunirno  cacumine ,  de  manibus  jabri 
fonte  manante,  fluviales  aquas  ehquans. 

u3er nardo    Q  uà  ranta. 


(i)  Lib.  X,  e.  15. 


<i 


VOL    XIV.     TAV.     Xl/VII.  f 

Grkco  eroe  m  di  i  sa  qi  idrica  —  Monocromo 
pompeiano  di  palmi  due  ed  once  due  per  pal- 
mo uno  e  Ire  guarii. 


xjL  quattro  rarissimi  monocromi  ercolanesi  ser- 
bati nelle  gallerie  del  real  Museo  (1)  venne  av- 
venturosamente aggiunto  il  quinto  ,  che  abbiamo 
sott' occhio,  rinvenuto  in  Pompei  nelle  scavazioni 
del  1840. 

Su  tavola  di  marmo  greco  è  delineato  ad  un 
sol  colore  ,  genere  denominato  dagli  antichi  mo- 
nocromo ,  un  greco  eroe  su  di  una  velocissima 
quadriga  guidata  da  veglio  auriga.  Armato  di 
crestato  elmo  co'  guanciali  chiusi  sotto  del  mento, 
di  spada  ,  e  di  scudo  ,  ei  sembra  misurar  di 
uno  sguardo  il  campo  nemico  ,  che  con  la  dritta 
ancora  afferrata  all'orlo  della  quadriga  cerca  con 
terribile  occhiata  da  uu  capo  all'altro  dell'inimica 
falange  chi  fosse  il  guerriero  degno  di  misurarsi 
col  suo  valore. 

V 

(1)    V.    Tomo   I  delle  antichità  di   Ercolano,     ove  è  dimostrata     ampiamente 
la   loro  importanza  ,  ed  il  pregio  in  che  tanevansi   i  monocromi. 


2  VOL.     XIV.     TAV.     XLVn. 

I  vivacissimi  corsieri  par  che  sentano  rhe  il 
formidabile  guerriero  già  già  si  appresta  all' ester- 
minio de'  nemici  ,  tanto  è  V  impeto  del  loro 
aspetto  espresso  con  vario  movimento  in  ogni 
testa,  ed  in  ogni  muscolo,  e  massimamente  nelle 
rizzate  orecchie  ,  nelle  aperte  nari ,  e  nelle  spu- 
manti bocche.  L'eroe  è  tutto  nudo  della  persona, 
se  ne  eccettui  le  poche  pieghe  del  suo  manto  , 
che  da  un  omero  all'  altro  gli  traversa  il  petto. 
L'  auriga  è  vestito  di  tunica,  ed  ha  coperto  il  capo 
di  un  cappuccio  a  guisa  di  pileo  depresso  sull'oc- 
cipite :  i  cavalli  hanno  i  soliti  guernimenti  di 
testiera,  pettorale,  e  cigna.  Tutto  il  carro  è  sem- 
plicissimo ,  e  privo  affatto  di  ornati.  U  equina 
cresta  dell'  elmo  ,  e  i  guanciali  chiusi  sotto  del 
mento  ,  il  piegar  della  tunica  dell'  auriga  ,  le 
fattezze  del  carro,  lo  stile  in  somma  della  intera 
composizione  affatto  greco  son  caratteri  tutti,  che 
ci  fanno  probabilmente  riconoscere  in  questo  pre- 
zioso monocromo  il  terribile  figliuolo  di  Tetide 
sul  suo  cocchio  guidato  dal  veglio  Automedonte , 
il  quale  ha  scandagliato  d'  uno  sguardo  il  campo 
nemico  ,  ed  avido  par  che  ne  cerchi  il  supremo 
duce  FAtorre. 


VOL.     XIV.     TAV.     XLVII 

Non  sembra  priva  di  fondamento  la  denomi- 
nazione per  noi  data  al  nostro  eroe  ;  dappoiché 
quei  convenuti  lineamenti  ,  che  costantemente 
ravvisiamo  nelle  immagini  di  lui  ,  il  suo  aspetto 
truce  ,  il  crespo  sopracciglio  ,  il  movimento  di 
rivolgere  la  testa  a  sinistra,  la  chiusura  de' guan- 
ciali sotto  del  mento  ,  il  frontale  del  suo  elmo 
nella  stessa  guisa  che  in  tutte  le  figure  di  lui 
s'  incontra  ,  come  il  resto  della  sua  eroica  ar- 
matura, sono  tutte  circostanze,  che  concorrono  in 
sostegno  del  nostro  divisamento:  in  somma  siccome 
coloro  ,  che  han  pratica  di  antichi  monumenti 
riconoscono  la  figura  di  Alessandro  appena  che 
ne  veggono  le  immagini,  del  pari  Achille  si  rav- 
visa tra  tutti  i  guerrieri  dell'  Iliade  che  ci  ven- 
gono tramandati  dall'antichità. 

Ci  duole  non  poco  che  questo  pregevolissimo 
monumento  fu  rinvenuto  malconcio  dal  tempo  , 
e  che  i  delicati  tratti  di  pennello,  con  che  è  di- 
pinto ,  sieno  in  alcune  parti  svaniti  ,  e  massima- 
mente presso  la  figura  di  Achille,  in  modo  da  non 
far  riconoscere  fra  le  sue  armi  la  lunga  asta  ster- 
minatrice di  eroi  decantata  nella  Iliade  (1), 

(1)  Lib.  XIX. 


4  VOL.     XIV.     TAV.     XLVII. 

1'  immensa  e  salda  asla  paterna  , 

»  Cui  nullo  Acuivo  palleggiar  polea 
)>  Tranne  il  Pelide  ,  frassino  di  erui 
»  Sterminatore 

e  che  secondo  l'aggiustamento  della  figura  dovea 
essere  fra  lo  scudo  e  la  spalla  ;  e  riè  tampoco  la 
sferza  che  tolse  in  mano  Automedonte  nel  montare 
sul  cocchio,  e  che  qui  doveva  essere  nella  destra  pro- 
stesa dell'auriga  ,  ricordata  anche  essa  con  molta 
precisione  nella  Iliade.  E  se  i  limiti  di  questa 
opera  non  e1  impedissero  di  seguir  le  tracce  del 
libro  XIX  di  quel  sommo  poema  primogenito 
dell'epopea,  diremmo  che  il  momento  scelto  dal- 
l'antico pittore  ed  espresso  in  questo  monumento 
sia  quello  che  precede  le  parole,  che  Achille  in- 
dirizza agi'  immortali  destrieri  Balio  e  Xanto. 

E  tolta  nella  man  la  sferza 

»  Salta  sul  cocchio  Automedon.  Vi  monta 
»  Dopo  ,  raggiante  come  sole  ,  Achille 
»  Tutto  presto  alla  pugna  ,  e  con  tremenda 
»  Voce  a'  paterni  corridor  sì  grida 


»   Disse  ,  e  gridando  i  corridor  sospinse  » 

Come  per  lo  appunto  mostra  il  nostro  monocromo 
essere  i  destrieri  nel   principio    della    loro    iinpe- 


VOL.     XIV.     TAV.     XLVII.  5 

tuosa  corsa  ,  che  Automedonte  par  che  voglia 
moderare  protendendo  la  destra  verso  le  agitate 
loro  teste  ,  quasi  volesse  imporre  maggior  regola 
alla  irrompente  corsa  :  cose  tutte  espresse  dal 
pompeiano  artista  con  tanta  verità  da  non  lasciar 
nulla  a  desiderare  nel  generale  accordo  del  suo 
componimento;  conseguendo  altresì  da  queste  due 
figure  il  più  spiccato  contrapposto.  Ed  invero  tu 
scorgi  Achille  fiero  nello  aspetto  ,  atletico  nella 
figura ,  eroico  nello  incesso  ,  terribile  nelle  armi  , 
avido  di  scontrar  l' inimico  ;  al  contrario  tu  vedi 
Automedonte  grave  di  età  con  semplice  tenia  su 
la  fronte,  sereno  nel  volto  ,  incurvato  al  d'avanti 
ed  attento  a  guidare  gl'impetuosi  destrieri:  quegli 
nudo  torreggiarne  sulla  quadriga,  questi  vestito  di 
tunica  ed  incurvato  al  d'  avanti  ;  1'  uno  tutto  ar- 
mato di  magnifico  elmo  crestato  ,  1'  altro  inerme 
con  piccolo  pileo  schiacciato  in  testa  :  tutto  in 
somma  mostra  ad  evidenza  la  volontà  dell'  arti- 
sta ed  il  buon  secolo  dell'  arte. 


Yfiwamó-atùta    chinati. 


Voi    X  I  \". 


TA.   L'i  DO. 


.    >,,<    .   ■/;,„././;„,      ./,/   r/ .,.„//, 


YOL.     XIV.     TAV.    XLVIII. 


Coi-onna  musaicata  alta  palmi  dieci,  e  di  diametro 
palino  uno  e  mezzo,  ritrovala  in  Pompei. 


ìja  importanza  ,  la  gajczza  e  la  raoltiplicità  dei 
monumenti  lavorati  a  musaico  che  si  serbano  nel 
real  Museo  Borbonico  è  troppo  nota    per  poterne 
intrattenere  i  nostri  leggitori  ,  che    già  più    volte 
ne    abbiamo    detto    nel    corso    di    quest'  opera  , 
e    molti    ne    sono    tuttora    sparsi   nelle    dissepolte 
parti  delle    antiche  città  di  Ercolano  ,  di  Pompei 
e  di  Stabia  ;    come  pure  in    tutti  gli  avanzi  degli 
edilizi  della  intera  Campania  :    di  modo  tale  che 
lo    egregio  cav.  Niccolini    nelle  sue    memorie  su! 
Serapeo  Puteolano   lette    alla  reale   Accademia  di 
belle  arti,  faceva  ascendere  il  numero  de'musaici- 
sti  che  avevan  lavorato  ne' pavimenti  degli  edifizì 
della  zona  da  Miseno  a  Stabia  ,    vai    dire    su    di 
un    terreno    non    maggiore    di    venti    leghe    qua- 
drate,   almeno  a  settantamila   pel  corso  di    quat- 
tro secoli.   Ed  ove  si  ponga  mente  che  nella   sola 
parte  allora  scoverta  di  Pompei  ,    che    giunge    al 
quinto  di  quella  città,  che  non  è  la  più  cospicua 


2  VOL.    XIV.    TAV.    XLVIII. 

della  Campania  ,    si  contengono  mille    e  ventidue 
pavimenti  di  musaico  ,  non  sembrerà  al  certo  ec- 
cedente l'enunciato  numero  di  quegli  artefici.  Ed 
è  da  porsi  a  calcolo  che  i    medesimi  non  limita- 
vansi  solamente  a  lavorare  in  musaico  composizioni, 
figure  ed  ornati  sulle  superficie  piane,  ma  bensì  sulle 
superficie  concave  e  convesse;  della  qual  valentia 
sulla  superficie  concava  se  ne  haii  due  esempi  nella 
cella  isiaca  ritrovata  nella  casa  di  Giulia  Felice  in 
Pompei,  ed  in  una  bella  lontana  così  detta  del  Gran 
Duca  di  Toscana;  e  sulla  superficie  convessa,  una 
luminosissima  pruova  se  ne  raccoglie  ora  nel  sin- 
golare lavorio  intorno  alla  curva  della  colonna  di 
una  casa  scoperta  nell'  ottobre  del    1808    fuori  la 
porta  orientale  di  Pompei,  e  precisamente  accanto 
alla  schola  o  sedile  coperto.  Nel  piccolo  giardino 
di  questa  casa,  che  trovasi  immediatamente  dopo 
1'  ingresso  ,    si    rinvennero  quattro    colonne   tutte 
incrostate  di    vaghissimi   ornati  a  musaico,  e  che 
servi van  forse  di  sostegno  alla  pergola,  che  nelle 
case  pseudo-urbane  ,  come  questa  ,  si  trovava  col 
giardino  appena  varcato  l'adito,  ricordandoci  Vi- 
trùvio  che  la  distribuzione  delle  case  di  città  or- 
dinariamente finiva   col  peristilio  ,    colla    pergola 


VOL.    XIV.     TAV.     XLV11I.  3 

e  col  giardino  :  le  pseudo-urbane  al  contrario 
avevan  dopo  l'ingresso  il  giardino  e  la  pergola  (1). 
La  più  conservata  di  queste  colonne  abbiamo 
ora  sottocchio  nella  presente  tavola  XLVIII  ;  ed 
ognun  vede  che  tanto  questa  quanto  le  altre  tre 
sono  rivestite  di  un  musaico  composto  di  minute 
tesserine  di  vivacissime  paste  vitree  colorate,  e  non 
già  di  marmo  di  colore,  il  quale  ordinariamente 
si  adoperava  in  lavori  più  speciosi,  e  soprattutto 
ne'  figurati  ,  come  nel  gran  Musaico  della  batta- 
glia di  Alessandro  e  Dario,  ed  in  altri  più  antichi 
del  real  Museo ,  come  quello  del  Teseo  che  ab- 
batte il  Minotauro  circondato  dalle  riconoscenti 
fanciulle  ateniesi.  A  testimonianza  di  Plinio  (2) 
tali  lavori  ne'  pavimenti  hanno  avuto  origine  in 
Grecia ,  e  Soso  ne  fu  il  più  celebrato  artefice.  In 
seguito  furono  lavorati  con  tesserine  di  vetro  co- 
lorato: e  lo  slesso  Plinio  (3)  ricorda  come  il  vetro 
riducevasi  a  piccoli  pezzi  a  diverso  colore,  e  che 

(1)  Vedi  la  relazione  degli  scavi  di  Pompei  da  aprile  i835  a  giugno  i83g  del 
nostro  collega  cav.  Bechi  posta  in  fine  del  volume  dodicesimo  di  quest'  opera,  il 
quale  tu  il  primo  ad  annunziare  la  scoperta  sì  di  questa  casa  ,  che  delle  quattro 
colonne  ,  del  pari  che  della  singolarità   del  lavoro  del  musaico  sulla  loro  carva. 

(2)  Lib.  XXXVI  ,  25. 

(3)  Ivi  e.  26  in  fine. 


4  VOL.     XIV.     TAV.     XLVIII. 

cotto  collo  zolfo  si  rassoda  e  fassi  pietra.  E  tanto 
è  vero  ciò  che  raccogliamo  dall'  esimio  Naturali- 
sta latino,  che  nella  raccolta  de' vetri  antichi  del 
real  Museo  (1)  si  serbano  de'globetti  di  vetro  co- 
lorato e  moltissimi  piccoli  pezzi  di  figura  semi- 
sferica anch'  essi  colorati  ,  ed  a  noi  pervenuti 
dagli  scavi  di  Pompei,  del  pari  che  le  molte  paste 
antiche  imitanti  le  gemme  incise  ,  delle  quali  è 
ricco  il  Museo  Stoschiano  ,  e  la  nostra  collezione 
degli  oggetti  preziosi  (2). 

Il  singolare  lavoro  adunque  della  nostra  co- 
lonna è  compartito  in  quattro  zone  tramezzate  da 
altrettante  fasce  ;  le  prime  sono  ornate  di  rose  e 
di  svariati  fiorami  ,  con  fregi  di  cacciatori  che 
incalzano  o  affrontano  un  cervo;  e  le  seconde  ornate 
sono  di  scorniciature  ad  ovoli,  o  di  festoni,  o  di 
graziosi  meandri  di  un  elegante  e  leggiero  effetto  ; 
e  tutto  ciò  praticato  con  sì  incantevole  precisione 
sulla  curva  della  colonna,  che  può  dirsi  uno  sforzo 
dell'arte  per  le  difficoltà  superate  nell'ammirabile 
esecuzione.  E  qui  bisogna  confessare  che  l'effetto 

(i)  Vedi    il    nostro  real    Museo  Borbonico  descritto  alla  pag.   55  e  segg.  della 
parte  II. 

(i)  Vedi  la  citata  nostra  opera.  Cabinet  des  objets  précieux. 


VOL.     XIV.     TAV.     XLVIII.  5 

di  un  peristilio  l'orinato  con  queste  colonne  proda r 
doveva  una  stupenda  decorazione  difficilissima  a 
raggiungersi  da'tempi  nostri;  e  ci  reca  maraviglia 
come  i  moderni  anelici,  e  specialmente  i  romani 
musaicisti  non  abbiano  finora  procurato  di  ripetere 
con  la  loro  opera  così  belli  esempi",  perocché  a 
noi  sembra  che  la  più  utile  sorgente  di  questi  sta 
nello  studio  della  loro  riproduzione,  applicata  ai 
nostri  tempi  ed  a'  bisogni  nostri. 


tyiovarnvatùfa    3fi<naft. 


* 


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VOL.     XIV.     TAV.     XLIX.  1 

Danti-;  Alighieri  —  Mezzo  busto  di  bronzo  allo 
palmo  uno  e  tre  decimi. 


Oalvb  o  effigie  veneranda  di  un  massimo  fra  gli 
umani  intelletti.  Oh  come  ti  stai  altiera  e  pensie- 
rosa, e  nel  muover  degli  occhi  onesta  e  tarda  !  E 
se  non  sei  1'  effigie  di  Dante  di  chi  mai  puoi  tu 
asser  1'  immagine  ?  Accolgo  non  come  probabile 
ma  come  certa  1' opinione  di  quelli  che  credono  il 
modello  di  questo  bronzo  meraviglioso  gettato  sul 
volto  vivo  e  vero  del  severo  Ghibellino,  tanto  di 
vero  e  di  espressivo  ti  lampeggia  su  gli  occhi,  da 
quella  faccia  non  scolpita  ma  viva  ,  e  non  viva 
solo  di  carne  e  di  muscoli ,  ma  di  sentimento 
protondo  e  di  alti  e  sublimi  pensieri  ,  che  più  la 
riguardi  e  più  vorresti  osservarla  ,  e  che  tutta 
ti  manifesta  1'  anima  nella  quale  il  Massimo  Fat- 
tore volle  stampare  più  vasta  orma  del  suo  Spi- 
rito creatore  ,  per  servirmi  dell'  espressione  del 
poeta. 

Ed  in  fatti  chi  non  riconosce  in    questa    im- 
magine   Dante    Alighieri    il    fiero    ed    implacabile 


2  VOL.    XIV.     TAV.     XLIX. 

ghibellino  ,  quel  Dante  che  chiama  la  Capraia  e  la 
Gorgona  a  far  siepe  alle  foci  dell'  Arno  oude  in- 
ghiottisca quella  Pisa  vituperio  delle  genti  che 
fé  morire  di  fame  con  gì'  innocenti  figliuoli  il 
miserando  Conte  Ugolino  :  tragedia  il  di  cui  rac- 
conto sublime  son  cinque  secoli  che  fa  rabbrividire 
e  spargere  fiumi  di  lagrime  a  milioni  di  padri  ! 
Dante  gran  teologo ,  gran  filosofo ,  gran  politi- 
co ,  sommo  poeta  che  rappresenta  tutto  lo  scibile 
del  suo  tempo.  Enciclopedia  incarnata  ,  ed  enci- 
clopedia nella  quale  si  veggono  brillare  di  vivacis- 
simo splendore  le  più  belle  gemme  di  Minerva  e 
di  Apollo.  Dante  non  secondo  a  nessuno  degli 
altissimi  intelletti  che  onorano  la  specie  umana  , 
dissimile  a  tutti  e  non  somigliante  che  a  sé  solo: 
capace  di  tutto  fuori  che  di  sortile  dalla  sua 
originalità  ,  e  mai  tanto  singolare  come  quando  si 
sforza  d' imitare  altrui.  Di  fatti  è  tanto  simile  al 
suo  maestro  e  Duca  Virgilio ,  quanto  è  simile 
uno  scoglio  di  basalte  ad  un  cespuglio  di  rose. 

Come  Fidia  trasse  dalla  umile  creta  il  modello 
del  suo  Giove  Olimpico,  cosi  Dante  dal  volgare 
italiano,  che  vagiva  bambino,  trasse  la  più  sonora 
e  la  più  alta  favella  del    mondo   moderno  capace 


VOI..     XIV.     T.W.     M.IV  3 

di  esprimere  in  più  sublimi  concetti  della  più  alta 
poesia  i  più  intimi  ed  i  più  cari  sentimenti  del- 
l' iinima  la  più  appassionala. 

Ingegno  più  universale  e  più  profondo  di 
Omero  che  fu  il  poeta  del  gentilesimo,  come  Dante 
è  stato  il  poeta  della  Cristianità ,  poiché  come 
Omero  riassumeva  in  lui  solo  tutto  lo  scibile  del 
suo  secolo. 

Ecco  le  opere  che  dettò  in  mezzo  alle  tempeste 
delle  fazioni ,  a'  disagi  dell'  esilio. 

Le  canzoni, 

La  vita  nuova  ,  specie  di  romanzo  in  cui 
descrive  il  suo  innamorarsi  in  prosa  ed  in  versi. 

Il  convito,  un  commento  a  tre  sue  canzoni. 

De  monarchia  ,  opera  latina. 

De  vulgari  eloquentia ,  opera  latina. 

Traduzione  in  terza  rima  de1  salmi  peni- 
tenziali. 

La  divina  commedia. 

Non  voglio  lasciare  di  parlare  di  Dante 
senza  riprodurre  quel  bellissimo  sonetto  di  Boc- 
caccio che  è  pubblicato  nella  edizione  del  Giolito 
del    i555. 


** 


k  YOL.     XIV.     TAV.     XLIX. 

Dante  Alighieri  son  Minerva  oscura 

D'  intelligenza  e  d'  arte  ,  nel  cui  ingegno 

L'  eleganza  materna  aggiunse  al  segno  , 

Che  si  tien  gran  niiracol  di  natura. 
L'  alta  mia  fantasia  pronta  e  sicura 

Passò  il  tartareo  e  poi  il  celeste  regno  . 

E  il  nohil  mio  volume  feci  degno 

Di  temporale  e  spiritai  lettura. 
Fiorenza  gloriosa  ebbi  per  madre 

Anzi  matrigna  a  me  pietoso  figlio  , 

Colpa  di  Icngue  scellerate  a  ladre. 
Ravenna  fu  mi'  albergo  nel  mio  esigilo  , 

Et  ella  ha  il  corpo  ,  e  1'  alma  il  sommo  Padre 

Presso  cu'  invidia  non  vince  consiglio. 

Come  questo  insigne  monumento  risplenda  fra 
le  cose  le  più  pregevoli  del  real  Museo  Borbonico 
venuto  in  proprietà  della  Real  Casa  Regnante  dalla 
eredità  farnese,  ecco  la  mia  congettura.  Quando 
Margherita  d'Austria  vedova  del  duca  Alessandro 
de'  Medici  fu  concessa  in  seconde  nozze  al  duca 
Ottavio  farnese  da  Carlo  Quinto  di  lei  padre,  si 
ritenne  in  sicurtà  della  restituzione  della  dote  e 
degli  stradotali,  che  gli  erano  dovuti  in  forza  del 
contratto  matrimoniale  ,  una  quantità  di  mobili 
pregiati ,  e  di  oggetti  di  arie  che  erano  stati  del 
suo    primo  marito ,    e    in  conseguenza    della  Casa 


VOL.    XIV.     TAV.     XLIX.  5 

Medici  ,  non  potendo  il  duca  Cosimo  allora  capo 
di  quella  famiglia  bastare  nemmeno  eoa  la  vendila 
di  tutte  le  sue  sostanze  a  soddisfare  queste  obbli- 
gazioni, secondo  ci  racconta  l'Adriani  (i).  Ciò 
premesso  è  probabile  ebe  fra  i  tanti  oggetti  di 
arte  che  Margherita  d'  Austria  portò  in  Casa  far- 
nese, e  che  dalla  Casa  farnese  passarono  alla  Casa 
regnante  de1  Borboni  di  Napoli ,  vi  fosse  anche 
questo  bellissimo  busto  di  bronzo  che  qui  pubbli- 
chiamo. 


TtUQWeimo    zoecni. 


(i)  Adriani  storia  fiorentina  liu.  3,  p.  8f>,  edizione  del  Giunti. 


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VOL.    XIV.    TAV.     L.  1 

StATU  \    1)1    MARMO    l.i  NENSB  ,     alla   palmi   quattro 
e  mezzOj   ritrovata   in    Pompei. 


Aja  graziosa  statua  incisa  in  questa  tavola  par 
che  ci  presenti  una  Diana  caeeiatriee.  La  sua  tu- 
nica succinta  ,  il  balteo  cui  doveva  esser  racco- 
mandata la  faretra  ,  che  or  manca  ,  i  coturni 
venatari  «li  pelle  ed  ornati  al  di  sopra  di  ferino 
teschio  ,  1'  attitudine  di  fermarsi  nella  corsa  per 
incoccai-  un  dardo  nell'  arco  ,  1'  uno  e  1'  altro  dal 
tempo  distrutti,  il  cane  infine  che  l'accompagna 
arrampicandosi  ad  un  greppo  nell'atto  istesso  che 
la  Dea  si  sofferma,  sono  indizi  tutti  a  farci  rico- 
noscere la  figlia  di  Giove  e  di  Latona.  Concorrono 
in  sostegno  della  nostra  denominazione  i  monu- 
menti che  la  presentano  nella  stessa  foggia  abbi- 
gliata e  nella  stessa  attitudine ,  e  specialmente 
i  diversi  simulacri  di  lei  si  del  real  Museo  che 
di  altre  riputate  collezioni ,  del  pari  che  le  anti- 
che medaglie  ;  onde  non  sembra  improbabile  che 
nel  nostro  marmo  debba  ravvisarsi  Diana  come 
preside  della  caccia,  e  de'  boschi  abitatrice. 


2  VOL.     XIV.    TAV.     L. 

Che  la  tunica  così  breve  da  lasciarle  scoperte 
le  gambe  sin  sopra  alle  ginocchia  sia  l'abito  pre- 
diletto della  Dea ,  lo  si  raccoglie  da  Callimaco  nel 
suo  inno  a  Diana  ove  cantava  compiacersi . 

e  di  portar  la  tunica  succinta 

Sin  al  ginocchio  a  debellar  le  fiere  (1). 

Cornei  coturni  venatori  siano  uno  de1  principali 
distintivi  di  questa  Dea ,  lo  apprendiamo  da  quei 
versi  di  Virgilio  ,  in  cui  Coridone  ad  essa  pro- 
mette una  statua  di  bianco  marmo  se  i  suoi  de- 
sideri saranno  appagati: 

Ma  se  sarà  quanto  il  voler  mio  disse, 
Per  me  sarai  di  bianco  marmo  se  ulta, 
E  di  bei  borzacchin  le  gambe  ornate  (2). 

A  malgrado  di  tutto  ciò  è  da  osservarsi  però  la 
differenza  che  si  scorge  nell'  acconciatura  della 
chioma  della  nostra  statua  posta  a  confronto  di 
quelle  che  sono  espresse   in   altri  monumenti  ,    e 


(1)   xbu  ts  yovv  y-'X(<  xtrmti 

Xuvvvtr&ai  teyvuro*  iv'  uypix  G^pix  xait-w. 

Callim.  Hymn.  in  Dianam  v.  11  e  12. 

(2)  Si  proprium  hoc  fuerìt ,  levi  de  marmare  tota 

Puniceo  stabis  suras  evincta  cothurno. 

Virgil.  Ecl.  VII,  v.  3i  e  3i. 


VOL.     XIV.     TAV.     L.  3 

soprattutto  nelle  medaglie  :  in  queste  le  chiome 
della  Dea  veggonsi  in  parie  annodate  a  guisa  di 
luna  crescente  sulla  fronte  ,  ed  in  parte  cadono 
ondeggianti  sulle  spalle  :  nella  nostra  al  contrario 
sono  bipartite  sulla  Ironie  ,  e  serpeggianti  vanno 
da  un  lato  e  dall'  altro  ad  annodarsi  all'  occipite. 
Ed  è  da  notarsi  del  pari  che  la  Umica  della  no- 
stra slatua  è  sfibbiata  sull'omero  drillo,  in  modo 
da  lasciarne  il  seno  scoperto  come  si  osserva  co- 
stantemente nelle  figure  delle  Amazzoni  ;  e  1'  am- 
peconio  che  negli  altri  monumenti  si  vede  rac- 
colto in  giro  sulla  cintura  ,  qui  al  contrario  ve- 
desi  gittato  sull'  omero  sinistro  donde  viene  ad 
avvolgersene  una  parte  sul  disteso  braccio  ,  la- 
sciandone pendere  in  giù.  la  estremità  :  le  quali 
cose  potrebbero  mettere  in  dubbio  la  denomina- 
zione data  alla  statua  di  Diana  cacciatrice  ,  ri- 
manendo sempre  a  favore  di  questa  il  distintivo 
del  cane  che  segue  i  suoi  passi  ,  ed  i  coturni  ve- 
natort  che  le  rivestono  le  gambe  :  ed  in  questa 
ipotesi  bisognerà  dire  che  lo  scultore  pompeiano' 
per  non  rimanere  servii  copista  dell'  antico  tipo 
originale  vi  abbia  cambiato  T  acconciatura  della 
chioma  ,  scoperta  la  dritta   mammella  ,  e  lasciato 


4  VOL.     XIV.     TAV.     L. 

pendere  1'  ampeconio  dal  sinistro  omero.  Vero  è 
per  altro  che  questa  bella  statuetta  era  molto  pre- 
giata presso  de'Porapeiani,  vedendosi  in  essa  pra- 
ticati diversi  antichi  restauri,  i  quali  promuovono 
le  discorse  dubbiezze;  ed  aggiungi  che  allorquando 
fu  tratta  dalle  scavazioni  era  in  vari  luoghi  di- 
pinta, e  poco  se  ne  potevano  discernere  le  diverse 
restaurazioni.  Ci  proponghiamo  dare  un  supplimen- 
to  a  questa  descrizione  tosto  che  ci  sarà  dato 
poter  esaminare  partitamente  questo  monumento, 
e  distinguere  i  moderni  dagli  antichi  ristami  ,  e 
se  il  marmo  delle  diverse  parti  appartenga  ad  una 
stessa  cava. 

ysiou-amvatidta    SrinaU. 


VOL.     XIV      TAV.     LI  1 

Mosco     IN     MARMO     GRECO    —    FILOSOFO     IN      IIARMO 

ORECHÈTTO  :    sfai 'nette  sedenti  alta    ciascuna 
palmi  (ftie  e  mezzo ,  provenienti    (falla    Casa 
l 'arnese. 


I 


L  nome  di  Moschione  o  Mosco  fu  comune  a 
quattro  illustri  scrittori  dell'  antichità  ,  de'  quali 
pochissime  notizie  sono  a  noi  pervenute.  Uno  fra 
essi  però  si  distinse  sopra  gli  altri  pe' suoi  elegan- 
tissimi versi  pastorali  ,  che  non  solo  il  posero  a 
livello  di  Teocrito  ,  ma  gli  meritarono  1'  onore  di 
essere  eternato  il  suo  nome  con  statue  ed  iscri- 
zioni. Una  testimonianza  ce  ne  dà  Ja  statua  presso 
Girolamo  Galimberti  osservata  da  Fulvio  Orsino, 
nella  cui  base  sta  scolpito  il  di  lui  nome  M02}XiaN} 
ed  altra  luminosissima  ne  raccogliamo  dal  prezioso 
monumento  che  abbiamo  sott'  occhio.  Qui  1'  illu- 
stre buccolico  emulo  e  compatriota  di  Teocrito  è 
espresso  assiso  su  sedia  ricoperta  da  voluminoso 
cuscino  ,  stringendo  nella  destra  poggiata  sulla 
coscia  un  papiro.  Egli  è  inviluppato  da  un  sinuoso 
pallio  che  gli  lascia  metà  del  busto  e  tutto  il  brac- 


2  VOL.     XIV.     TAV.    LI. 

ciò  scoverto.  1  suoi  piedi  sono  rivestiti  di  calzari 
alla  greca  ,  e  poggiano  sopra  una  specie  di  sup- 
pedaneo rilevato  sul  plinto  ,  in  fronte  a  cui  si 
legge  MO^XION.  Ne  duole  che  la  testa  che  ora 
vi  è  non  è  la  sua,  poiché  presenta  forme  faunine, 
e  che  il  braccio  sinistro  e  la  mano  di  questo  lato 
tenente  un  papiro  semisvolto  sieno  moderne  ri- 
parazioni. Questo  prezioso  monumento  di  scultura 
greca  ha  meritato  tutta  1'  attenzione  del  chiaris- 
simo Visconti,  il  quale  lo  ha  pubblicato  nella  sua 
Iconografìa  greca  (i)  mettendone  in  vista  i  non 
volgari  pregi  di  rarità. 

L'  altra  statuetta  compagna  incisa  in  questa 
tavola  dirimpetto  a  Moschione  presenta  forse  altro 
poeta  o  filosofo  nello  stesso  abbigliamento  e  presso 
a  poco  nella  stessa  attitudine.  Essa  però  si  di- 
stingue dall'  altra  per  la  magnificenza  della  sedia 
che  ha  alle  gambe  anteriori  due  grifi  ,  e  pel  me- 
rito del  greco  scultore  che  ha  spiegato  molto  sa- 
pere nell'  aggiustamento  e  nella  esecuzione  delle 
pieghe  del  pallio  ,  uno  de'  principali  distintivi  di 
questi  uomini  celebri  dell'antichità,  informandone 

(i)  Tomo  I.  pag.  91  e  92,  tav.  VII  ,  n.  2. 


VOL.    XIV.    TAV.    LI. 
Plutarco  ohe    la   barba  ed  il    pallio    erano    le    in- 
segne  de'  (il  oso  lì  ,   a   prescindere  dalla    corona   e 
dalla  vitta  che  cingeva  il  loro  capo,  come  da  un 
epigramma  dell'  Antologia  si  raccoglie  che  Empe- 
docle veniva  rappresentato  coronato  e  vittato  (1). 
Tali  onorifici  distintivi  fregiavano    ordinariamente 
le    tempia    de'  più    famigerati    filosofi    di    Grecia , 
distintivi  che  qui  ci  astenghiamo  di  annoverare  , 
dappoiché    la   testa  del  nostro  filosofo   benché  an- 
tica non  è  sua  ,    e  la  destra  abbassata  cui  manca 
P  indice  ,    la  quale  stringe  un  papiro  ,    e  la  sini- 
stra elevata  con  altro  papiro   sono   alquanto  dan 
neggiate. 


yiovamv-atidta    Sminati. 


(1)  Anthol.  i,  86,  rp.  i. 


VOL.     XIV.     TAV.     L1I.  1 

Sileno  ubbriaco  —  Bassorilievo    in    marmo  largo 
pahìii  due  e  un  decimo  ,  per  palmo  uno. 


Oebbkne  in  più  luoghi  di  quest'  opera  abbiam 
pubblicato  monumenti  dionisiaci  di  svariata  rap- 
presentanza ,  pur  nondimeno  non  possiamo  aste- 
nerci dal  rendere  di  pubblica  ragione  il  Baccanale 
che  presentiamo  inciso  per  questa  tavola  LII  , 
come  importante  per  la  sua  vivacissima  compo- 
sizione, e  per  la  somiglianza  che  ha  con  altri  ri- 
nomati bassorilievi  di  Grecia. 

Nel  mezzo  è  mirabilmente  scolpito  Sileno  ub- 
briaco a  cavalcioni  ad  un  asino  ,  e  sostenuto  da 
due  Faunetti  ,  sugli  omeri  de'  quali  mollemente 
tiene  le  braccia  distese ,  in  modo  che  essi  restano 
come  saldi  sostegni  sotto  delle  sue  ascelle.  Questo 
bellissimo  gruppo  è  preceduto  da  una  pantera  fre- 
giata di  ederacea  ghirlanda  ,  e  da  un  Satiro  che 
guida  1'  asino  per  una  corda  ligata  al  collo  ,  nel 
mentre  che  con  la  sinistra  alzata  stringente  un 
pedo  pastorale  minaccia  1'  asino  che  sta  in  atto 
di  cadere  ,    piegando  indecisamente  le   gambe  an- 


<2  VOL.     XIV.     TAV.     LII. 

tenori.  Altri  due  Fauni  seguono  1'  ebbro  Sileno  ; 
T  uno  col  braccio  sinistro  elevato  regge  pel  ma- 
nico sopra  i  suoi  omeri  un  grandioso  vase  cosi 
detto  a  calice  elegantemente  scanalato  e  scorni- 
cialo ad  ovoli  sul  labbro  ,  dal  di  cui  piede  sem- 
brano emergere  due  rami  di  albero  al  quale  sono 
avviticchiati  de'tralci  ricchi  di  pampini  e  di  uve, 
e  sostenendo  sul  braccio  dritto  un  corno  da  bere 
o  riione  che  voglia  dirsi:  l'altro  col  destro  piede 
poggiato  sopra  un  greppo  regge  sulla  coscia  un 
otre  pieno  di  vino,  del  quale  stringe  con  la  sini- 
stra mano  il  collo,  onde  non  ne  sgorghi  il  liquore. 
Piena  di  verità  è  1'  espressione  della  ebbrez- 
za impressa  sul  volto  e  sul  corpulento  busto  di 
Sileno,  e  non  meno  vera  è  l'espressione  de' due 
Faunetti  affàticantisi  a  sostenere  1'  abbattuto  ve- 
gliardo ,  1'  uno  abbracciandolo  col  destro  braccio, 
l'altro  piantando  con  atletica  l'orza  le  sue  distratte 
gambe  :  essi  par  che  maraviglino  della  loro  situa- 
zione ,  tanta  è  la  vivacità  de'  loro  volti.  Né  sa- 
presti ritrovar  meno  interesse  tanto  nella  espres- 
sione del  volto  del  Satiro  che  vorrebbe  a  tutta 
forza  far  camminare  1'  asinelio  deridendo  1'  ub- 
briachezza   di   Sileno  ,    quanto   in  quella   de'  due 


VOL.     XIV.     T\V.     LII.  3 

Faunelti  seguaci,  il  primo  de' quali  non  curando 
il  peso  che  sostiene  sugli  omeri ,  desioso  si  volge 
a  guardar  ncll'  otre  che  porta  il  suo  compagno  , 
come  se  gli  chiedesse  di  riempirgli  di  vino  il  ri- 
tone  che  verso  di  lui  ticn  rivolto.  E  non  senza 
interesse  e  verità  è  pur  l' espressione  di  quest'ul- 
timo Faunetto  che  posto  in  contrapposizione  del 
primo  chiaramente  mostra  di  negargli  il  vino  :  in 
somma  è  felicemente  qui  resa  l'espressione  dell'uno 
che  desidera,  e  dell'altro  che  nega.  E  da  notarsi 
intanto  che  all'  eccezione  de'  due  Faunetti  che 
sostengono  Sileno  ,  i  quali  son  coronati  di  pino  , 
tutte  le  altre  figure  ,  ed  anche  1'  asino  son  coro- 
nati di  edera  con  corimbi.  Il  pino  oltre  di  essere 
l*  albero  favorito  di  Cibele  e  di  Silvano  ,  sappia- 
mo da  Properzio  che  era  anche  sacro  a  Pane, 
poiché  il  nume  di  Arcadia  era  amante  di  questo 
albero  ;  ed  è  incontrastato ,  come  provasi  co'  mo- 
numenti ,  che  i  Greci  più  de'  Romani  facessero 
uso  del  pino  per  caratterizzare  i  Pani  ,  gli  Egi- 
pani ed  i  seguaci  di  Bacco.  E  notiamo  da  ultimo 
che  negli  antichi  monumenti  di  bacchico  argo- 
mento spesso  s'  incontrano  gli  asinelli  pieganti  le 
gambe   anteriori    attaccati   a'  carretti    di    Bacco  , 


4  VOL.     XIV.     TAV.     LII. 

onde  vennero  detti  plostrarii  da  Catone  (1)  forse 
da  ploslrum  basso  carretto;  dal  che  potrebbe  in- 
ferirsi che  1'  autore  della  nostra  scultura  ha  qui 
introdotto  l'asino  piegante  le  gambe  anteriori  ad 
imitazione  di  quelli  che  sono  attaccati  a' carretti; 
se  pur  non  voglia  dirsi  con  maggiore  verosimi- 
glianza che  l'artista  per  fare  spiccare  in  ogni  parte 
della  sua  composizione  l'eccessiva  ebbrezza  di  Si- 
leno ,  1'  abbia  voluto  rendere  tanto  grave  ed  ab- 
battuto dalla  forza  del  vino,  da  far  barcollare  l'asi- 
nelio coli'  indeciso  piegar  delle  gambe  anteriori. 

Che  che  ne  sia  di  questa  opinione  ,  non  po- 
trem  negare  che  la  somiglianza  di  questa  compo- 
sizione con  quelle  di  consimili  monumenti  greci  ; 
che  il  vedersi  introdotto  tra  i  seguaci  di  Sileno 
simultaneamente  corona  di  edera  con  corimbi  ,  e 
ghirlande  di  pini;  che  l'attitudine  in  fine  del  va- 
cillante asino  che  si  scorge  in  altri  più  antichi 
monumenti ,  son  tutte  cose  che  ci  inducono  a  rico- 
noscere in  questa  nostra  bella  scultura  una  imita- 
zione tratta  da'più  pregevoli  capolavori  di  Grecia. 

ytcuamlKitùta   Svitiate. 

(i)  De  re  rustica  Cap.  XI,  e  dal  Visconti  T.  V,  tav.  VII  del  Museo  P.  C. 


Vwl.XIV". 


TA..  i  ni 


*>r,/'-   net*     ,/s/ sf  «..vv/tf 


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VOL.     XIV.     TAV.     LUI.  1 

Due  quadri»  noni  DI  bronzo:  il  primo  allo  palmo 
uno  e  sellantacmqiie  centesimi  per  palmi  due  ; 
il  secondo  alto  palmo  uno  e  tre  decimi  per 
palmi  due  e  tre    decimi. 


jL  resenta  il  primo  bronzo  inciso  in  questa  tavola 
un  giovane  paffuto  becco  rinvenuto  nelle  scava- 
zioni noccrine  (1).  Esprime  il  secondo  un  ben  ro- 
busto toro  ritrovato  non  ha  molto  in  Pompei.  Era 
questo  destinato  alla  decorazione  di  una  fonte  , 
ove  serviva  pure  da  getto  di  acqua ,  come  lo  ad- 
dimostra il  tubo  che  salendo  dalla  base  marmorea 
quadrata  passa  lungo  il  corpo,  e  vien  fuori  dalla 
bocca  ,  donde  sgorgava  limpida  acqua  alimenta- 
trice  della  sottoposta  fonte. 

Sebbene  il  becco  fosse  in  grande  venerazione 
in  alcune  regioni  dell'Egitto  perchè  adombrava  il 
loro  nume  Pane  con  volto  e  gambe  di  becco,  pure 


(i)  Sono  importanti  le  scavazioni  eseguite  in  Nocera  da' (rateili  Serio  nell'  an- 
no 1845,  nelle  quali  fu  rinvenuto  il  nostro  bronzo  con  diversi  altri  di  maggior  me- 
rito, tutti  dalla  munificenza  di  Ferdinando  II.  acquistati.  Noi  ne  faremo  di  mano 
in  mano  la  pubblicazione. 


2  VOL.    XIV.    TAV.    LUI. 

presso  de'  Greci  era  questo  quadrupede  immolato 
a  Bacco  ,  perchè  distruttore  delle  vigne.  Appena 
uscito  dagli  scavi  questo  bronzo  fu  confuso  col- 
1'  ariete ,  e  si  credette  appartenere  al  culto  di 
Bacco,  essendo  risaputo  che  ne' deserti  della  Libia 
un  ariete  indicò  a  Bacco  ed  a'  suoi  seguaci  la  sor- 
gente di  acqua  che  li  salvò  tutti  dal  morir  della 
sete  :  onde  fu  supposto  che  sì  per  questo  mito  , 
che  per  vedersi  praticata  sulla  schiena  quell'  aper- 
tura bislunga,  fosse  destinato  a  decorare  e  a  gettar 
acqua  in  qualche  fonte  nocerina.  Osservata  però 
attentamente  quell'  apertura  ci  siam  convinti  che 
altro  non  sia  ,  se  non  la  sfogatoja  per  la  quale 
usciva  la  cera  della  forma  nell'atto  della  fusione, 
la  quale  sfogatoja  essendo  stata  mal  saldata  dopo 
la  fusione  ,  ora  col  lasso  del  tempo  si  è  riaperta 
staccandosene  il  tassello  che  la  cuopriva. 

Le  fattezze  intanto  di  questo  becco  sono  belle 
e  grandiose  ,  le  proporzioni  tali  da  imprimergli  i 
più  bei  caratteri  della  sua  specie  ,  il  che  massi- 
mamente si  appalesa  nel  vivace  movimento  della 
sua  testa  cui  accresce  decoro  quel  gruppo  di  velli 
che  gli  pendono  dinanzi  al  collo. 

Molto  ci  sarebbe  da  osservare  sul  toro  coni- 


VOL.    XIV.     TAV.    LUI.  3 

pagno.  Privo  affatto  di  attributi  non  può  ravvi- 
satisi nò  un  toro  Apidc  (1)  adorato  per  tutto 
l'Egitto,  uè  un  toro  del  ciclo  solare  famoso  ne' mi- 
steri mitriaci  ,  e  uè  tampoco  un  toro  dionisiaco  , 
come  veggonsi  espressi  negli  svariati  monumenti 
a  noi  tramandati  dall'antichità  (2).  E  certo  però 
che  le  forme  di  questo  quadrupede  e  le  diverse 
sue  parti  son  modellate  secondo  il  gusto  più  squi- 
sito delle  antiche  scuole. 

E  qui  giova  avvertire  che  leggendosi  in  più 
luoghi  di  Pausania  che  gli  Areopagiti  dedicarono 
un  toro  di  bronzo  nell'Acropoli  di  Atene  (3),  che 
i  Corciresi  altro  ne  donarono  ad  Apollo,  altro  in 
Olimpia  (4)  ,  e  molti  buoi  consegrarono  nel  tem- 
pio delfico  nella  Beozia  ed  altrove  (5)  ,  probabil- 
mente potrà  inferirsi  che  il  nostro  una  imitazione 


(  1  )  Sono  celebri  i  tori  Apidi  che  osservarci  ne'  bronzi  egizi  del  real  Museo  da  noi 
descritti  a  pag.  104  e  ss.  della  I."  parte  delle  nostre  descrizioni  del  real  Museo  Bor- 
bonico ,  non  che  i  tori  mitriaci  de'  bassorilievi  ritrovati  a  Capri  ed  altrove  ,  e  da 
noi  benanche  descritti  a  p.  244  e  ss.  della  stessa  opera. 

(2)  Un  toro  dionisiaco  vedesi  in  una  pasta  della  collezione  Stoschiana,  il  cui  origi- 
nale trovasi  nel  gabinetto  nazionale  di  Francia  col  nome  dell' incisiore  TAAOT.  Ste- 
seli,  pietre  incise  T.  40.  Braci  mem.  gì. 

(3)  Fausania  lib.  I ,  e.  24. 

(4)  Idem  lib.  X  ,  e.  9. 

(5)  Ibidem  e.  16. 


4  VOL.     XIV.     TAV.     LUI. 

sia  di  talune  di  quelle  antiche  figure  di  quadru- 
pedi eseguite  dal  vivificante  scarpello  degli  artefici 
greci  ,  i  quali  ne  ornavano  i  tempi  ,  quasi  ostie 
perenni  al  cospetto  de'  loro  numi. 

iZiov-amv-aUàfa  binati. 


- 


VOL.     XIV.     TAV.     LIV.  1 

Venere  ,  Baccante  -  Figurine  <li  bronzo  ,  la 
prima  alla  palmo  uno  e  tre  quarti  ,  la  seconda 
palnio  uno  e  mezzo. 


JLirc  due  bellissime  figurine  di  bronzo  che  riunite 
presentiamo  in  questa  tavola  furono  rinvenute 
nel  1845  negli  stessi  particolari  scavi  di  Nocera  , 
de'  quali  abbiamo  tenuto  proposito  nella  prece- 
dente tavola. 

Graziosa  ,  svelta  ,  avvenente  è  la  figurina  di 
Venere  panneggiata  dal  mezzo  in  giù ,  ed  in  atto 
di  rimirar  compiacente  nello  specchio,  che  aver 
doveva  nella  sinistra  in  parte  perduta,  le  assestate 
trecce  della  sua  chioma  ,  nel  mentre  che  con  la 
destra  elevata  altro  ornamento  sembra  che  voglia 
accrescere  alla  sua  troppo  semplice  acconciatura. 
In  simile  attitudine  sono  frequenti  le  immagini 
della  Dea  e  ne'  monumenti  e  nelle  medaglie ,  at- 
titudine che  le  meritò  il  soprannome  di  calli- 
coma  ,  ossia  dalle  belle  chiome  :  e  non  può  re- 
vocarsi in  dubbio  che  Venere  gran  cura  prendesse 
della  sua  vaga  capellatura,  dappoiché  ne  ricorda 


2  VOL.    XIV.    TAV.    LIV. 

Apollonio  Rodio  (i),  che  allorquando  Giunone  e 
Pallade  si  decisero  di  far  visita  a  Venere  perchè 
si  adoperasse  d'  indurre  Amore  a  rendere  Medea 
amante  di  Giasone ,  la  Dea  degli  amori  trovavasi 
avvolta  dal  mezzo  in  giù  ,  come  la  mostra  il 
nostro  bronzo  ,  occupandosi  a  riordinare  la  sua 
chioma. 

Sparsa  e  divisa  sulle  biacche  spalle 
Ha  la  chioma  che  in  ordine  rimette 
Con  un  pettine  d'  oro,  e  mentre  i  lunghi 
Capei  già  ricompor  volea  in  trecce 

si  avvide  che  le  Dee  stavan  per  entrare  nelle  sue 
stanze  ;  allora 

11  crin  non  colto  colle  man  raccolse. 

A  non  ripetere  quanto  si  è  discorso  di  Venere 
come  anadiomene  ossia  uscente  dalle  onde,  e  come 
callicorna  ossia  dalle  belle  chiome  ;  e  senza  intrat- 
tenerci su  tanti  altri  soprannomi  cui  davan  luogo  e 
le  fattezze  della  Dea  ,  e  le  sue  svariate  avventure, 
per  ciascuna  delle  quali  ora  un  tempio  se  le  erigeva, 
ed  ora  un  particolar  rito  se  le  stabiliva,  secondo  ne 
ricordano   gli  antichi   scrittori  ,    ci   limitiamo    ad 

(i)  Argon.  Ili,  V,  45  a  47. 


VOL.    XIV.    TAV.     LIV.  3 

osservare  che  il  nostro  bronzo  proviene  da  un 
reputatissimo  originale  greco  (|ni  cim  molta  intelli- 
genza imitato,  non  lasciando  desiderare  in  alcuna 
delle  sue  parti  nò  purezza  di  contorni,  e  né  tampoco 
scelta  di  forme ,  non  ostante  la  molto  avanzata 
ossidazione  che  ne  altera  la  superficie  in  tutte  le 
sue  parti  :  in  somma  il  nostro  bronzo  è  cosi  mae- 
strevolmente composto  e  con  accuratezza  finito, 
che  si  meritò  gli  occhi  incastrati  di  smeraldo,  dei 
quali  ora  non  resta  che  qualche  leggerissimo  indizio, 
ed  un  elegante  suppedaneo  a  quattro  zampe  leonine 
mirabilmente  a  cesello  intagliate. 

Gaio,  robusto,  grazioso  è  il  piccolo  Baccan- 
te tutto  nudo  ed  in  atto  di  saltare  correndo  , 
nel  mentre  che  poggia  il  destro  piede  ed  alza 
il  sinistro,  equilibrandosi  col  destro  braccio  pro- 
steso e  col  manco  elevato,  in  modo  da  bilanciar 
la  figura  col  più  felice  contrapposto.  Il  ciuffetto 
de' capelli  erti  ed  annodati  nel  mezzo  della  fronte, 
e  le  vivacissime  forme  alquanto  schiacciate  del 
suo  volto  rendono  questa  graziosa  figurina  non 
poco  grata  allo  sguardo  dell'  osservatore  ;  come 
lo  star  tutto  poggiato  sul  destro  piede  ne  ricor- 
da l'uso  che  ebbero  gli  antichi  di  rappresentare  i 


i  VOL.    XIV.     TAV.     LIV. 

seguaci  di  Bacco  scherzando  e  saltando,  per  alluder 
sempre  alla  ilarità  dell'  ebbrezza  del  loro  nume  , 
ed  alla  felicità  che  loro  si  prometteva  nella  vita 
futura  fin  dalle  prime  iniziazioni  a'  dionisiaci  mi- 
steri. Questo  pregevolissimo  bronzo  di  ottimo  stile 
greco ,  corretto  in  ogni  sua  parte  ,  e  di  una  car- 
nosità rarissima  ad  ottenersi  nelle  fusioni  di  questo 
genere,  poggia  sopra  una  basetta  formata  quasi  da 
due  mezzi  coni  rovesci  scorniciati  ad  ovoli  elegan- 
temente ,  e  dal  cesello  a  perfezione  ridotti  ;  il  che 
si  osserva  a  traverso  della  così  detta  patina  della 
quale  il  tempo  gli  ha  ricoperti. 


yiov-amvafiéta    Srtnaéi. 


VoTLXJY. 


TA  ,  LV. 


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VOL     XIV.     TAV.     LV.  1 

Due  lucerne  in  terra  colta  verniciata  pervenute 
dagli  scavi  di  Pompei  :  la  prima  alla  palmo 
uno  e  sette  decimi ,  larga  sette  decimi  ;  la 
seconda  alta  palmo  uno  e  tre  decimi  ,  larga 
otto  decimi. 

liKL  corso  di  quest'opera  abbiain  più  volte  par- 
lato della  copiosissima  raccolta  delle  lucerne  di 
terra  cotta  del  real  Museo  Borbonico  ,  la  quale 
non  è  al  certo  meno  importante  delle  altre  molte 
che  in  esso  sono  riunite,  sia  che  se  ne  consideri 
lo  estesi)  numero  di  oltre  a  i5oo  monumenti  ,  e 
le  svariate  loro  forme  ,  sia  che  se  ne  esamini  il 
diverso  loro  uso  sacro  o  sepolcrale,  pubblico  o 
privato  ;  ciò  nondimeno  ritorniamo  volentieri  su 
questa  raccolta  ora  che  la  sorgente  perenne  degli 
scavi  di  Pompei  ne  ha  arricchiti  di  altri  tre  pre- 
ziosi esemplari ,  due  de' quali  essendo  affatto  nuovi 
e  pe'  loro  ornati  ,  e  pel  lavoro  dell1  argilla  di  che 
son  formati,  ci  siamo  affrettati  a  farli  disegnare, 
incidere  e  qui  pubblicare  per  questa  LV  tavola. 
La  prima    eh'  è   a    destra    del    riguardante  è 


2  VOL.     XIV.     TAV.     LV. 

monolicne,  cioè  ad  un  so]  lume  :  la  seconda  bilione, 
ossia  a  due  lumi  ;  amendue  di  terra  cotta  invetria- 
ta color  verdastro  di  uno  smalto  così  trasparente  , 
che  le  diresti  piuttosto  di  vetro  che  di  argilla.  Ed 
è  questa  invetriatura  che  la  prima  volta  compa- 
risce così  netta  e  vivace  ,  da  metter  queste  due 
singolari  lampadi  in  cima  della  nostra  raccolta  ; 
dappoiché  oltre  alla  loro  bella  forma  ed  alla  finitez- 
za del  loro  lavoro,  sono  esse  al  caso  di  mostrare  a 
qual  grado  di  conoscenze  eran  pervenuti  i  nostri 
Pompeiani  in  fatto  di  chimica  applicata  alle  arti  ; 
conoscenze  che  dovevan  esser  comuni  a  tutte  le 
altre  Italiche  regioni. 

La  prima  è  della  solita  forma  così  detta  a 
nave.  La  parte  di  mezzo  è  circolare  ornata  come 
in  altri  simili  monumenti  di  diversi  cerchi  eccen- 
trici che  circondano  un  rosone  con  un  foro  nel 
mezzo  ,  per  dove  infondevasi  1'  olio  :  dal  lato  an- 
teriore si  produce  e  viene  avanti  il  becco  col  foro 
pel  lucignolo  :  dall'  opposto  lato  va  fuori  e  legger- 
mente s'  incurva  all'  in  su  un  pampino  accerchiato 
da  una  fascetta  nel  suo  gambo,  e  al  di  sotto  nella 
grossezza  del  sostegno  del  pampino  è  ingegnosamente 
praticato  un  anello  della  capacità  da  potervi  im- 


VOL.     XIV.     IAV.     I.V  3 

mettere  l'  ÌDdice  ,  formando  con  ciò  il  manubrio 
molto  adatto  a  maneggiare  e  trasportare  Becondo 
il  bisogno  questa  graziosa  lucerna» 

E  notabile  L'elegante  ornato  ciré  alla  periferia 
somigliante  ad  una  scorniciatura  di  ovoli  lavorati 
a  minutissimi  ed  equidistanti  puntici  ,  come  pure 
osservabili  sono  le  duo  teste  e  colli  di  grifi  addossali 
al  becco,  e  che  esternamente  sporgenti  al  di  sopra, 
e  terminanti  al  di  sotto  in  due  piccoli  cartocci 
riempiono  la  composizione  ,  cui  dà  compimento 
la  dilicatezza  ed  il  finito  del  leggiero  pampino  che 
adorna  il  manubrio. 

La  seconda  è  di  forma  simile  alla  prima,  se 
non  che  ha  due  becchi ,  come  abbiam  detto.  Nel 
mezzo  evvi  a  bassorilievo  la  maschera  di  un  Bac- 
cante coronata  di  edera  con  corimbi  ,  essendo 
praticato  V  infundicolo  dell'  olio  in  un  foro  poco 
discosto  dal  mento.  Questa  maschera  è  circondata 
da'  soliti  diversi  cerchi ,  V  ultimo  de'  quali  ha  nella 
parte  interna  della  periferia  un  leggerissimo  ornato 
a  zig-zag  lavorato  a  puntini  cosi  minuti  che  risve- 
gliano l' idea  del  merletto.  I  due  becchi  sono  ornati 
esternamente  da  due  teste  e  colli  di  cavallo  che 
al  di  sopra  s'  incurvano  in  fuori ,  e  prolungati  al 


4  VOL.     XIV.     TAV.     LV. 

di  sotto  finiscono  in  piccoli  cartocci;  ed  internamen- 
te tra  un  becco  e  1'  altro  è  rilevata  una  zona  se- 
micircolare come  luna  falcata  ,  i  di  cui  estremi 
finiscono  ancor  essi  in  simili  cartocci  ,  i  quali 
unitamente  a  quella  specie  di  foglia  terminante  a 
calicetto  alquanto  rilevata  sulla  superficie  produ- 
cono il  più  bello  effetto  che  possa  desiderarsi 
nelP  ornamento  di  un  bene  immaginato  becco  di 
lucerna.  Meritano  osservazione  le  dilicate  e  precise 
testiere  che  rivestono  le  teste  de1  cavalli,  non  che 
le  due  cinte  de'  rispettivi  colli ,  negli  estremi  delle 
quali  anzi  che  essere  accennati  i  fermagli  ,  sono 
indicate  le  fibule  con  le  rispettive  orlature  che  le 
assicuravano  intorno  al  collo  de' cavalli.  Il  manubrio 
è  simile  a  quello  descritto  nella  prima  lucerna  , 
se  non  che  il  pampino  è  accerchiato  da  due  fascette 
nel  gambo  mollo  più  grande  dell'  ordinario  ,  ed 
è  più  folto  e  più  ammassato  dell'  altro  ,  sebbene 
conservi  la  sua  naturale  lobolatura;  il  che  ha  potuto 
facilmente  derivare  dal  trasporto  del  pampino  che 
l'artefice  dovè  fare  dal  grande  al  piccolo  ,  o  più 
verosimilmente  da  quelle  licenze  che  spesso  spesso 
costoro  si  prendono  allorché  lavorano  di  maniera, 
senza    aver    presenti   gli    esemplari    della    natura , 


VOL.     XIV.     TAV.     LV.  5 

tanto  più  che  talvolta  sono  trasportati  ad  alterarne 
le  forine  o  qualche  parte  di  esse  per  ottenerne  un 
elletlo  soddisfacente  all'  occhio  di  un  committente 
o  degli  osservatori. 

In  quanto  all'  uso  di  queste  due  lucerne  pos- 
siamo dire  senza  gran  tema  di  errare  eh1  esse 
appartenevano  alla  classe  delle  sacre,  e  segnatamen- 
te al  cullo  di  Bacco,  dandone  sufficiente  pruova 
i  pampini  che  formano  la  decorazione  de' manubri, 
e  la  bella  protome  di  Baccante  che  a  bassorilievo 
è  scolpita  nel  mezzo  di  questa  seconda  lucerna. 


tonam 


valuta    Sftnati. 


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VOL      XIV      IAV.     LVI.  1 

Patera  figurata  di  lena  cotta. 

Impesta  bellissima  lazza,  òhe  ri  venne  dalle  sca- 
vazioni di   Videi,  dovette  esser  donata  in  premio 
a  qualche  giovane  por  l' esimie  pruove  del  suo  va- 
lore vuoi   nelP  equitazione  vuoi  ne'  fatti  ginnastici. 
Alle  prime  mi  par  che  accennino  i  cinque  perso- 
naggi di  fresche  sembianze:  de'  quali  uno  a  capo 
scoperto  e  quattro  ricoperti  da'  cimieri,   par    che 
si  addestrino  a    montar    d' un  salto    a    cavallo ,  e 
ciò  eseguano    davanti  ad  altro   guerriero ,    galeato 
esso    pure  ,    ma   armato    di    lancia   e   scudo   con 
sopravi  grossa  cerasta,  il  quale  stia  non  da  semplice 
spettatore  ,  ma  qual  giudice  di    loro   destrezza.  E 
questa  conghiettura  rendono  probabilissima  le  due 
solite  leggende  che   corronvi  per  attorno  in  arcai- 
che lettere:  HO  IIAIS  KALOS  ,  HO  nAI2?  KAL02},  il 
giovane   bello ,    il  giovane   bello ,    prendendo    la 
parola  bello  anche  nel  senso  morale.  E  questo  stes- 
so è  il  senso  dell'  iscrizione,  che,  a  conferma  della 
medesimezza    dell'  argomento  ,  ripetesi    nell'  inter- 
no   del   vaso  ,   comechè    non    replicata  :    dove   è 


2  VOL.     XIV.     TAV.     LVI. 

notevole  che  il  KAAOS  sia  scritto  da  destra  a 
sinistra  ,  ed  HO  ITAIS  da  sinistra  a  destra.  E  con 
siffatta  epigrafe  si  allude  al  giovine  che  spicca  un 
salto  tenendo  in  mano  due  altèri  (  àXrnpts  ),  che 
è  come  un  dire  due  gran  masse  di  piombo,  simili 
alle  altre  due  che  stanno  nel  campo  presso  al  cer- 
chio da  cui  quello  si  chiude.  E  ben  si  vede  in  esse 
1'  incavo  fattovi  perchè  la  mano  potesse  comoda- 
mente adagiarvisi  per  sollevarle ,  ovvero  per  gi- 
rarle a  tondo,  affinchè  i  muscoli  gran  forza  per 
siffatto  esercizio  ,  che  alteria  (àXrnpia.  )  addiman- 
davasi,  acquistassero.  Il  sacco  poi,  che  si  vede  pen- 
dere nel  campo,  è  quello  dove  contenevansi  gli  altri 
strumenti  del  ginnasio,  che  è  il  sito  qui  rappre- 
sentato ,  e  che  in  un  luogo  d'  Antillo  presso  Ori- 
basio  (1)  è  detto  yvy.vtx.(Tiov  àXrypicov  ,  ginnasio 
delle  alterìe. 

Ujernarao    J2  uara  nta. 


(i)  Pag.  lz5  JUall/iaei. 


RELAZIONE 

DEGLI 

SCAVI    DI    POMPEI 

Da  Agosto  184^  a   Gennaio  18 52. 


Uopo  alquanti  anni  di  sonno  profondo  risvegliatasi  questa  opera  per 
camminare  al  suo  fine  ,  non  sarà  meraviglia  se  questa  nostra  relazione 
degli  scavi  pompeiani  riescila  alquanto  più  lunga  delle  precedenti  , 
e  lasciando  alla  fine  di  essa  di  discorrere  le  generalità  di  questi  ca- 
v  amenti ,  ci  tratterremo  alcun  poco  sulla  descrizione  della  più.  bella 
casa  che  si  sia  rinvenuta  in  questo  lungo  periodo  di  tempo. 

In  una  strada  larga  quanto  le  principali  di  questa  città  ,  che 
partendo  dalla  così  detta  porta  del  Vesuvio  e  incrociandosi  con  la  via 
della  Fortuna  scende  radendo  da'  Teatri  alla  porta  di  Stabia  ultima- 
mente scavata  ,  di  cui  parleremo,  strada  detta  delle  Sonatoci  da  alcuni 
dipinti  nelle  sue  adiacenze  rinvenuti ,  è  posta  la  casa  di  Marco  Lu- 
crezio sacerdote  di  Marte  e  duumviro  ,  cosi  chiamata  dal  dipinto  in 
essa  rinvenuto,  nel  quale  fra  molti  utensili  da  scrivere  si  vede  una 
lettera  suggellata  col  suo  indirizzo,  il  quale  molti  hanno  letto  Marco 
Lucretio  Flamini  Marlis  Duumviro  Pompei  :  a  Marco  Lucrezio 
Sacerdote  di  Marte  Duumviro  in  Pompei.  Questa  casa  ha  il  suo  ingresso 


alla    sinistra    dell'  uomo    che    partendo    dalla    strada    della    Fortuna 
scende  a'  Teatri. 

Sono  marcate  de'N.'  2  e  3  le  due  stanze  e  stanzino  contiguo  die 
fiancheggiano  l' ingresso  N.°  1  di  questa  casa,  che  alcuni  hanno  creduto 
botteghe ,  e  che  potrebbero  forse  dirsi,  appoggiandosi  sull'  autorità  dì 
Gelilo,  aver  servito  di  vestibolo  ,  cioè  stanze  esterne  della  casa  istessa 
per  dar  ricovero  a  coloro  che  aspettavano  l'apertura  di  essa  per  esservi 
introdotti.  Sono  disadorne  e  solo  vi  rimangono  alcune  tracce  di  pitture 
sul  fondo  bianco  ,  particolarmente  nel  camerino  segnato  di  N.°  2.  Il 
N.°  1  contrassegna  l'adito  o  ingresso,  Protiro,  della  casa.  Questo  adito 
è  adorno  di  pitture  che  sembrano  appartenere  all'  ultima  epoca  di 
Pompei.  Queste  pitture  sono  così  disposte.  Cinge  il  basso  de'  muri  un 
zoccolo  spartito  in  compartimenti  di  marmi  a  vari  colori.  Sopra  esso 
in  fondati  celesti  divisi  da  pilastri  rossi  veggonsi  candelabri  dipinti  come 
se  fossero  di  oro.  Ne'  due  compartimenti  del  centro  delle  pareti  di 
questo  adito  sono  due  quadri.  Quello  di  sinistra,  mezzo  perduto  nella 
metà  che  ne  resta,  mostra  dal  mezzo  in  giù  tre  figure,  una  delle  quali 
sostiene  in  ambe  ìe  mani  due  faci  rovesciate.  L'altro  dipinto  a  riscontro 
di  questo  assai  ben  conservato  rappresenta  una  sonatrice  di  flauto  in 
atto  di  camminare  suonando  con  un  uomo  su  di  essa  appoggiato  ,  e 
preceduta  da  un  giovinetto  tunicato  che  ha  in  ambe  le  mani  una  face 
accesa  ,  e  che  noi  reputiamo  indicare  per  le  ragioni  che  andercino  ad 
esporre  una  tibicina  che  si  avvia  alle  orgie  di  Bacco.  Nel  centro  degli 
altri  tre  compartimenti,  poiché  il  quarto  è  occupato  dalla  porta  della 
scala  N.°  4,  sono  tre  figure  volanti ,  designate  comunemente  col  nome 
di  baccanti  ,  una  che  sostiene  un  corno  di  abbondanza,  la  seconda  un 
rostro  di  nave  ,  l' ultima  un  tirso  ed  un  cembalo.  La  stanza  N.°  4 
conteneva  una  scala  di  legno  ,  le  di  cui  tracce  sono  visibilissime  nel 
muro,  ed  i  cui  primi  gradini  di  fabbrica  sono  tuttavia  esistenti.  Nel 
sottoscala    dimorava    forse    lo    schiavo  che  in    questa  modesta  casa    è 


Il 

& 


opponibile:  aveste  il  il.i|.|  ii  ufficio  dì  portinaio  e  «li  Btriense,  che 
mediante  le  dm  aperture  di  questo  corridoretto ,  una  accanto  la  porta 
il  ingresso  .  I  altra  sporgente  tuli  atrio  poteva  simultaneamente  eser- 
citare < 1 1 ■(-->! i  due  uffici,  <•  vigilare  ad  un  tempo  il  protiro  <■  l'atrio. 

Il  N."  .'>  indica  il  compluvio  dell'atrio  toscano,  la  cui  vasca 
che  doveva  esser  marmorea  è  stata  trovata  mancante,  forse  levata  via 
«oli  tante  altre  cose  ili  questa  sepolta  città  dagli  antichi  istessi  dopo 
L'eruzione.  L'atrio  toscano  è  segnato  col  V  ti.  Esso  è  vagamente 
dipinto.  Ha  un  zoccolo  spartito  in  vari  compartimenti  di  marmi  dipinti 
a  perfetta  similitudine  del  vero,  fra  i  quali  spesseggiano  il  porlìdo  e 
il  serpentino.  Sopra  questo  zoccolo  sono  a  vari  colori  delineate  ar- 
i  Iniettore  grottesche  sopra  un  Tondo  celeste  che  lia  resistito  alle  rovine 
e  alla  sepoltura  di  ìX  secoli.  Di  questo  colore  gli  antichi  erano  ac- 
curatissimi  fabbricanti,  ed  in  una  bottega  di  droghiere  (pigmenlarius) 
vicinante  a  questa  casa  ne  abbiamo  trovato  di  bellissima  qualità. 

Il  N."  7  contrassegna  una  edicola  su  la  quale  avevan  culto  i  Dei 
Lari.  Questa  edicola  tutta  gentilmente  lavorata  di  stucco  colorato 
aveva  il  suo  fastigio  sostenuto  da  due  colonne,  la  cui  pianta  tuttavia  è 
conservata.  11  pavimento  di  questo  atrio  è  di  musaico  bianco,  con  alcu- 
ne l'asce  nere,  ed  un  meandro  pure  nero  che  cinge  la  vasca  del  compluvio. 
Questo  atrio,  come  quasi  tutti  gli  atri  della  sua  specie  che  si  son  rinvenuti 
in  Pompei  ,  è  fiancheggiato  dalle  due  ale  N."  12  ,  ed  ha  in  fronte  il 
tablino  N."  i3  che  descriveremo  a  suo  luogo.  Le  stanze  che  si  aprivano 
.su  di  esso,  e  che  da  lui  ricevevano  la  luce  e  l'aria  a  via  di  una  finestra 
che  era  nell'  alto  dell'  uscio  che  le  chiudeva  ,  sono  tutte  dipinte  su 
tondo  bianco,  colore  scelto  sentitamente  siccome  quello  che  ripercotendo 
la  luce  è  più  che  ogni  altro  adattato  alle  stanze  poco  luminose. 

La  camera  N."  8  ha  le  sue  pitture  spartite  in  varie  grottesche  che 
hanno  base  sopra  un  zoccolo  giallo,  ed  ha  in  ciascheduna  delle  tre  pare- 
ti che  la  compongono  due  gemetti  ed  un  piccolo  quadro,  il  tutto  come 


4  - 
abbiam  detto  su  fondo  bianco.  Questi  gcnietti  o  amorini  alati  riposano 
sopra  mensole  sporgenti  dal  muro  dipinte  color  di  oro.  11  primo  a 
destra  dell'  uomo  che  entra  in  questa  camera  ha  un  elmo  in  una  mano, 
ed  un  turcasso  nell'  altra.  Quindi  si  vede  nel  centro  della  parete 
dipinto  in  un  quadrettino  (  di  quattordici  decimi  di  larghezza  )  En- 
dimione  seduto  con  un  cane  a'  piedi  che  guarda  verso  la  luna  ,  che 
bicornuta  spunta  all'  angolo  opposto  ove  siede  Endimioue.  L'  altro 
genietto  tiene  nella  destra  un  cimiero  ,  nella  sinistra  uno  scudo  e  la 
lancia.  Poi  nella  parete  dirimpetto  la  porta  si  vede  altro  genietto  simile 
con  elmo  in  testa,  una  daga  nella  destra,  e  sostenente  uno  scudo  con 
la  sinistra. 

Nel  quadro  di  mezzo  ,  di  dimensione  simile  a  quello  di  già  de- 
scritto ,  è  dipinto  il  centauro  Chirone  che  ammaestra  Achille  a  suonare 
la  lira  ;  soggetto  di  bellissima  composizione  molte  volte  ripetuto  nelle 
pitture  ercolanesi  e  pompeiane  ,  e  che  doveva  avere  per  tipo  qual- 
che famoso  dipinto  dell'  arte  antica.  Dall'  altro  lato  è  un  consimile 
genietto  anche  galeato  che  imbraccia  lo  scudo  e  sostiene  una  lancia. 
Nella  terza  parete  sono  due  altri  gemetti  con  scudo  e  lancia  varia- 
mente atteggiati ,  e  nel  quadro  centrale  è  dipinta  una  vaga  nereide 
che  abbracciandosi  al  collo  di  un  cavallo  marino  ,  di  cui  tiene  il  freno 
con  la  mano  sinistra,  alza  la  destra  sopra  la  testa  per  tenere  il  lembo 
di  un  panno  che,  quasi  vela,  dal  vento  gonfiato  le  lascia  nudo  il  suo 
corpo  giovanile  bilanciato  sulle  onde.  Nel  compartimento  superiore  si 
veggono  quattro  maschere  sceniche  e  due  figure  di  attrici  una  comica 
come  si  rileva  dal  pedo  e  dalla  maschera  che  tiene  in  mano.  L'  altra 
stanza  N.°  9,  pure  spartita  in  due  compartimenti  come  la  precedente , 
ha  dipinto  in  tre  quadretti  una  nereide  con  un  ventaglio  in  mano  sedu- 
ta sopra  un  delfino  che  si  vede  di  spalle.  Negli  altri  due,  che  mal  si 
raffigurano  perchè  molto  danneggiati,  sembra  effigiato  in  uno  Ciparisso 
poiché  ha  una  cerva  a'  suoi    piedi  ,    nell'  altro    appena   si   ravvisano 


«lue  figure.  Quattro  altri  quadrettini,  ne' quali  in  campo  nero  sono 
effigiati  gemetti  con  animali,  fiancheggiano  i  due  quadri  di  sopra  de- 
scritti ,  mentre  quello  clic  occupa  il  centro  della  parete  dirimpetto  la 
porta  ha  a'  suoi  lati  due  fauni  danzatiti,  uno  con  un  cestello  di  f rutti 
in  ispalla  e  un  capretto  nella  scnistra  ,  1'  altro  con  un  vaso  di  argento 
sull'  omero  sinistro  ad  un  pedo  o  bastone  pastorale  nella  man  destra. 
Nel  compartimento  supcriore  si  veggono  sei  getiietti ,  una  citarista 
seduta  ,  ed  una  donna  in  atto  di  andare  a  ministrare  ad  un  sacrifizi 
portando  una  cesta  di  offerte  in  una  mano  ,  ed  una  lepre  nell'  altra. 
La  terza  figura  muliebre  scemata  ha  in  testa  la  pelle  di  un  teschio 
di  elefante  con  la  proboscide  eretta  sulla  sua  fronte  ed  una  chimera 
a'  piedi  ;  questa  figura  simboleggia  forse  una  provincia.  Tutte  e  tre 
queste  figure  riposano  sopra  tre  piedistalli  in  due  de'  quali  sono  dipinti 
due  paesi  (  topiaria  opera  ),  nell'  altro  di  fronte  alcuni  pesci. 

Nelle  pittine  della  stanza  N."  io  sparlile  nell'  istesso  modo  delle 
altre  precedentemente  descritte  sono  rimarchevoli  tre  quadretti.  In  quello 
dirimpetto  la  porta  è  espresso  un  Pane  Ithofallo  che  con  atto  inve- 
recondo solleva  il  pallio  di  una  baccante  addormentata.  In  quello  a 
destra  è  a  sponda  di  un'  acqua  una  Ninfa  che  pare  in  atto  di  ammaestrare 
al  nuoto  due  amorini  che  in  quell'acqua  si  vedono  immersi  ;  dico  pare, 
perchè  questo  quadretto  è  molto  guastato.  Nel  terzo  quadro  è  dipinto 
un  Narciso  con  due  dardi  in  mano  che  dritto  in  piedi  si  china  a 
riguardarsi  nelle  onde  per  lui  fatali,  ed  un  amorino  che  rovescia  una 
face  quasi  a  presagire  il  doloroso  fine  di  quel  vano  e  leggiadro  garzone: 
questo  quadro  ora  distaccato  è  stato  trasportato  nel  real  Museo. 

Appariscono  nel  compartimento  superiore  maschere  e  genietti,  una 
citarista  seduta,  una  sacerdotessa  che  scoperchiando  un' acerra  di 
oro  è  nell'  atto  di  mettervi  l'incenso  ,  e  due  altre  figure  appena  visibili. 
Sarebbe  difficile  determinare  a  qual  uso  servisse  il  piccolo  incavo  che 
si  vede  in  un  angolo  di  questa    stanza  ,    dipinto    anche  esso  come  la 


camera  ,  e  dove  si  scorge  un  gemello  che  tiene  un  tirso  ed  un  riton 
nelle  mani.  Nella  parte  superiore  di  della  camera  le  dipinture  sono 
talmente  guaste  che  appena  si  distinguono. 

La  stanza  N."  n  anche  essa  dipinta  come  le  precedenti  ha  nel 
compartimento  superiore  la  Vittoria  da  noi  pubblicata  nella  tavo- 
la XLV  di  questo  stesso  volume  ,  la  «juale  ha  base  sopra  un 
quadretto  di  paese  esprìmente  il  corso  di  un  fiume  ,  ed  è  fiancheg- 
giata da  due  genielti  muliebri  tunicati  con  ali  di  farfalla.  Nelle 
pareli  lalerali  souo  i  due  quadretti  di  animali  descrìtti  nella  tavo- 
la XLIV  di  questo  medesimo  volume.  Sopra  di  essi  stanno  su  due 
globi  due  baccanti ,  una  con  un  tirso  in  mano,  l'alita  veduta  di  spalle 
che  suona  un  cembalo ,  fiancheggiate  da  quattro  genietti  volanti.  Nel 
compartimento  di  basso  sono  rimarchevoli  selle  pitture,  quattro  rotonde 
e  tre  quadrate  ;  nelle  tre  quadrale  si  vede  in  quella  a  destra  rappre- 
sentato il  rozzo  Polifemo  monoculo  che  siede  a  sponda  di  mare  coronalo 
di  palustri  canne  ,  tenendo  in  una  mano  un  pedo  e  stendendo  1'  altra 
a  ricevere  una  lettera  che  gli  porge  un  gentile  amorino  cavalcante  uà 
delfino.  Questo  subietto  più  volte  rinvenuto  in  ti  colano  e  Pompei 
doveva  essere  la  copia  di  un  quadro  molto  famigerato  nell'  antica 
pittura.  Nel  quadro  dirimpetto  la  porla  mancante  di  una  figura  è  espressa 
una  ninfa  seduta  in  attitudine  di  pescare  con  altra  donna  alata  vicino 
ad  essa  che  tiene  un  ramoscello  di  ulivo  in  una  mano.  Nel  terzo  quadretto 
è  dipinto  il  caso  di  Elle  quando  dal  montone  cade  nel  mare ,  cui 
Frisso  stende  invano  la  mano  per  ajularla.  Questo  quadretto  è  stato 
pure  distaccato  ,  ed  è  nella  collezione  del  real  Museo  Borbonico. 

De'  quattro  tondi  due  fiancheggiano  il  quadro  che  sta  dirimpetto 
la  porla  ,  gli  altri  due  sono  uno  da  un  lato  1'  altro  dal  lato  opposto 
della  porla  istessa.  Ne'  due  dirimpetto  la  porta  sono  dipinti  i  busti  di 
Marie  e  Venere  che  si  riguardano.  La  testa  di  Marte  è  galeata,  e  si  vede 
1'  estremila  del  suo  scudo  d'  oro  che  gli  cuopre  la  spalla  sinistra.  Venere 


7 
è  rappresentata  con  diadema  in  fronte,  ed  un  amorino  a  lato  che  stendendo 
un  braccio  e  in  atto  di   porgerle  un   ventaglio  o  flabello    in    forma  di 
foglia,  come  lo  abbiamo  trovato  tanti;  volle  dipinto  nelle  pitture  erco- 
lanesi  e  pompeiane.    L  due  tondi  clic  fiancheggiano  la  porta  ,  dipinti  a 
miro  di  questi  ,  rappresentano  le  teste  di  Giove  e  di  Giunone. 
Rientrando   nel  cortile  toscano  di  questa  casa  si  veggono   le    due 
ale  marcate  col  N."  12;  quella  alla  dritta  dell'uomo  che  entra  nel  cortile 
è  in  questo  modo  dipinta.  Sopra  un  zoccolo  come  se  fosse  di  marmo 
bianco  leggermente  venato  gira  una    lascia    rossa  ornala  di  ippocampi, 
delfini,  e  mostri  marini.  Nel  compartimento  supcriore  nel  quale  domina 
il  fondo  giallo  erano  cinque  quadretti  tulli  distaccati  e  trasportati  nella 
collezione  del  real  Museo,  due  de'quali  rappresentavano  due  poeti  dram- 
matici, uno  nell'atto  di  ammaestrare  un  attore.  Questa  ala  che  si  alzava 
con  uno  scalino  marmoreo  sul  pavimento  dell'atrio  aveva  in  terra  un  mu- 
saico bianco  e  nero  a  varie  riquadrature.  L'altra  ala  a  riscontro  di  que- 
sta è  cosi  dipinta.  Un  zoccolo  rosso  con  uccelli  e  fogliami ,  su  di  esso 
architetture  grottesche  dipinte  sopra  fondo  giallo,  in  mezzo  alle  quali 
due  quadretti,  uno  rappresentante  una  scena  di  commedia,  in  cui  vedesi 
una  vecchia  con  maschera  comica  ed  il  pedo  nella  mano  sinistra  ,    la 
quale  alza  la  destra  in  atto  di  voler  trattenere  un'  attrice   che   parte. 
L'  altro  quadro  in  cui  si  scorgono  appena  tre  figure,  due  di  bambini 
ed  un'  altra  virile,  potrebbe  rappresentare  una  scena  tragica  de'  figli  di 
Medea  col  Pedagogo.  La  parte  alta  di  questa  ala  è  molto  danneggiata, 
ed  il  suo  pavimento    è  del  genere  detto  opus  signinum  (1),  cioè  un 
impasto  di  calce  con  frantumi  di  vasi  di  creta,  arrotato  poi  e  spianato 
con  pezzetti  di  marmi  qua  e  là  in  esso  incassati. 

(1)  Plin.  lib.  XXXV.  12,  /t6.  Quid  non  eicogitavit  ars?  Fractis  etiam  testis 
utendosic,  ut  firmius  durent  tusis  calce  addita,  quae  vocant  lignina.  Quj  genere 
etiam   [lavirneula  exeogitavit. 

+ 


8 

I)  tablino  N."  i3,  che  pure  si  solleva  con  uno  scalino  di  marmo 
sul  pavimento  dell'  atrio,  ha  in  prospetto  il  giardinetto  di  fiori  N.°  23 
col  fonte  N.°  24  che  descriveremo  a  suo  luogo  ,  i  quali  dovevano  col 
loro  aspetto  ridente  e  svariato  rallegrare  la  dimora  in  questa  stanza. 
I  due  quadri  che  ornavano  il  centro  de'  due  muri  che  lo  fiancheggiano 
si  sono  trovati  dislaccati  dagli  antichi  istessi,  evi  erano  stati  trasportati 
da  altre  pareti,  come  quelli  del  triclinio  N.°  14  che  in  appresso  descri- 
veremo. Su  questi  muri,  diligentemente  dipinti  lino  agli  orli  delle  pitture 
che  in  essi  erano  incassale,  vi  si  vede  chiara  la  impronta  della  cassa  di 
legno  che  sosteneva  l' intonaco  di  queste  pitture  con  le  sbarre  orizzontali 
su  cui  erano  inchiodate  le  tavole  verticali,  delle  quali  era  detta  cassa 
formata.  1  medesimi  bisogni  suggeriscono  soventi  volte  le  istesse  idee. 
Una  prova  ne  è  che  non  solo  gli  antichi  conoscevano  questa  industria 
del  distaccare  e  trasportare  da  un  muro  all'altro  le  pitture  delle  tonache, 
ma  ciò  che  è  più  si  servivano  degli  stessi  metodi  che  usiamo  noi,  poiché 
ne  tagliavano  gli  orli  e  le  racchiudevano  in  casse  di  legno,  come  ci  han 
lascialo  scritto  Vitruvio  (  Lib.  11  cap.  Vili)  e  Plinio  (  Hist.  lib.  XXXV 
cap.  49).  Il  pavimento  di  questo  tablino  ha  nel  centro  una  riquadratura 
commessa  di  vari  marmi ,  come  alabastro  ,  serpentino  ,  giallo  antico  e 
altri,  scompartita  in  vari  disegni,  ed  è  larga  palmi  7  e  2/10  in  quadro 
circondata  da  un  meandro  di  musaico  bianco  e  nero.  Le  due  pareti  di 
questo  tablino,  nel  cui  centro  mancano  i  quadri  levati  via  dagli  antichi 
istessi  ,  sono  gentilmente  dipinte  con  architetture  grottesche  sopra  un 
fondo  giallo.  Il  zoccolo  che  gira  attorno  a  questi  muri  è  dipinto  a  mar- 
mo verdastro. 

Questo  tablino  aveva  il  lacunare  o  soffitto  lavorato  a  cassettoni 
con  rosoni  indorati,  i  cui  frammenti  si  sono  rinvenuti  in  gran  copia  nelle 
macerie  dello  scavo. 

Fra  le  più  belle  pitture  che  si  siano  rinvenute  negli  scavi  pompeiani 
ed   ercolanesi  sono  certamente  quelle  che  adornavano  il  sontuoso  tricli- 


ino  di  qw  egnalo  col  N.'  14.  Queste  piiiurc  consistono    in  ire 

madri  con  figure  grandi  al  vero,  fiancheggiati  da  sui  piccoli  quadrettini 
ove  sono  espressi  gemelli  in  picciola  dimensione.  Siccome  questi  dipinti 
per  la  loro  importanza  meriteranno  un  distino  posto  in  questa  opera,  cosi 
saremo  contenti  a  parlarne  qui  succintamente  e  per  modo  generali',  senza 
inoltrarci  nella  loro  speciale  illustrazione.  E  prima  di  tutto  avvertiremo 
1  una  singolarità  materiale  di  questi  dipinti,  e  questa  si  è,  di  essere  slati 
tutti  tagliali  da  altro  luogo,  e  trasportati  ed  incassati  ne'  muri  di  questo 
triclinio  con  artifizio  meraviglioso  ,  del  quale  non  abbiamo  ne'  nostri 
tempi  né  esempio  nò  norma.  E  di  ciò  abbiamo  avuto  luogo  a  convincerci 
avendo  ravvisato  attorno  a  questi  quadri  un  distacco  a  fenditura  capillare, 
nella  quale  entrava  a  stento  una  lama  di  temperino,  ma  ciò  non  pertanto 
perfèttamente  distaccata  dallo  intonaco  circostante.  Quello  che  ha  fissato 
il  nostro  convincimento  su  questo  fatto  straordinario  dell'  antica  mecca- 
nica si  è  stato  primieramente  il  paragone  della  malta  o  composizione 
di  cemento  de'  due  intonachi ,  di  quello  cioè  de'  muri  e  di  quello  dei 
quadri  che  abbiamo  trovato  diversissimi  1'  uno  dall'  altro. 

i  tre  grandi  quadri  rappresentano  secondo  noi,  uno  Ercole  iniziato 
a'  misteri  Jacco  Eleusini ,  1'  altro  una  Theogonia  ,  o  rappresentanza 
ricordevole  della  nascita  di  Bacco,  poiché  si  vede  sopra  un  carro  trionfale 
il  balio  Sileno  col  pargoletto  Bacco  nelle  braccia  circondato  da  fauni 
e  baccanti  di  ambo  i  sessi  :  questi  due  quadri  si  sono  distaccati  per  far 
parte  della  collezione  del  real  Museo.  Nel  terzo  che  rimane  ancora 
al  suo  posto  è  espresso  Bacco  trionfatore  delle  Indie,  cinto  di  trofei  con  i 
duci  vinti  incatenati  avanti  i  suoi  piedi  ,  e  una  Vittoria  che  nota  sopra 
uno  scudo  le  vittorie  di  Bacco.  Questi  gran  quadri  come  anche  gli  otto 
piccoli  esprimenti  genietti  erano  incassati  in  grottesche  vaghissimamente 
dipinte  sopra  fondo  tinto  del  più  vivace  cinabro ,  in  nulla  inferiore  al 
più  bello  che  adesso  somministra  alla  pittura  il  Celeste  Impero.  Questa 
tinta  brillantissima  allorquando  si  scava    percossa    da'  raggi    del   sole 


10 


perde  tutto  il  suo  brio  ,  e  cangiasi  in  nero.  11  pavimento  di  questa 
camera  è  di  musaico  bianco  e  nero  lavorato  diagonalmente  in  una  greca 
che  s' intreccia  nel  modo  medesimo  di  quella  che  da  tanti  anni  si 
ammira  nell'  atrio  della  casa  pompeiana  detta  del  cignale. 

Nello  scavare  questo  triclinio  si  rinvennero  attorno  di  esso  le  tracce 
di  un  ricco  sedile  che  lo  circondava  in  tre  lati  a  modo  di  divano. 
Questo  sedile  era  poggiato  sopra  otto  piedi  di  legno  tornito  rivestili  da 
laminelte  di  argento  con  anima  di  ferro  nel  mezzo  fissata  nel  pavimento. 
Questa  stanza  prendeva  luce  da  tre  finestre,  due  aperte  nell'alto  e  sporgenti 
su  i  letti  delle  adiacenti  botteghe  ,  e  la  terza  che  godeva  del  prospetto 
e  de'  profumi  del  giardinetto  N."  23,  poiché  aveva  il  suo  parapetto  a 
livello  di  esso.  Due  eran  le  porle  che  introducevano  in  questa  orna- 
tissima  camera  destinata  certamente  ad  feslas  dctpe.s,  a'  conviti  festivi 
del  pompeiano  che  in  questa  bella  casa  abitava  ;  una  di  queste  porle 
grande  e  diremmo  noi  di  parata  aperta  nell'  ala  N.°  12,  l'altra  piccola 
sporgente  sull'atrio,  forse  destinata  agl'inservienti  a' banchetti  che 
s'  imbandivano  in  questa  nobile  stanza. 

Lasciando  questa  parte  dignitosa  di  questa  casa  entriamo  nelle  più. 
modeste  ,  ma  non  men  necessarie  stanze  di  essa,  e  vedremo  che  il  N.° 
i5  segna  una  stanza  disadorna  the  è  il  procoeton  o  1'  anticamera  del- 
l'agiamento  N.u  16,  in  cui  due  simultaneamente  potevano  sedere,  come 
rilevasi  dal  doppio  seditore  che  in  esso  apparisce. 

Da  questa  stanza  si  entrava  pure  nella  cucina  N."  17  e  nella 
dispensa  N.°  18  che  aveva  una  finestra  di  comunicazione  con  la  cucina. 
Nella  cucina  si  vede  chiaro  il  focolaio  col  suo  piccolo  forno ,  il  gettatore 
ossia  foce  della  cloaca  dove  dalla  tavola  sovrapposta  scolavano  Je 
acque  con  le  quali  si  purgavano  le  stoviglie  che  servivano  alla  mensa. 
Il  N.°  19  marca  una  stanza  forse  destinala  a  dimora  di  qualche 
inserviente  di  questa  casa.  Contrassegna  il  N.°  20  la  scala  che  conduceva 
alle  stanze  nobili  del  piano  superiore  di  questa  casa.  Questa  scala,  che 


Il 

«lagli  incavi  che  si  M'armo  ne'  lati  do'  tuoi  scalini  e  da  qualche  frani» 
mento  rinvenuto  siamo  certi  essere  stata  rivestita  <Ji  marmo  ,  ha  i  suoi 
muri  dipinti  di  rosso  nella  parte  inferiore,  «li  bianco  nella  superiore. 
Prendeva  luce  ila  una  finestra  aperta  sull'atrio,  e  serviva  «li  faucc  o 
corridore  al  contiguo  lablino  N.°  i3.  Nel  pianerottolo  sulla  parte  inferiore 
in  campo  rosso  sono  dipinte  Le  maschere  descritte  alla  tavola  XL1V  di 
.[ mvsto  stesso  volume,  e  due  altre  maschere  inulto  corrose,  vicino  ad  una 
delle  <|uali  ò  un  cignale  e  elle  potrebbe  dirsi  «li  Meleagro  ,  e  all'altra 
un  bicchiere  d'  oro  con  serpente  che  lo  circonda  che  potrebbe  attribuirsi 
ni  Igia.  Le  pitture  che  ne  ornano  la  parte  superiore  consistono  in  grolte- 
sche  di  una  gran  semplicità ,  (Va  cui  sono  tramezzale  mascherette  ed 
uccelli.  11  procoeton  o  anticamera  N."  21  è  dipinta  con  molla  vaghezza  a 
varie  grottesche  su  fondo  gialli)  con  sfondi  bianchi,  e  vi  sono  rimarchevoli 
molto  guasti  due  quadri,  uno  di  paese  mezzo  distrutto,  1'  altro  dove  si 
travedono  due  figure  appena  distinguibili.  Sonovi  anche  dipinti  cinque 
gemetti  con  simboli  guerrieri  che  potrebbero  dirsi  geni  di  Marte. 

Questa  stanza  prendeva  luce  da  una  finestra  sporgente  sul  giardino 
e  dava  ingresso  all'  altra  lesa  di  scala  che  saliva  alle  parli  superiori 
della  casa.  Le  imposte  de'  travi  che  ne  sostenevano  il  soffitto  sono  a  nove 
palmi  dal  suo  pavimento  che  era  di  opus  signinum  come  quello  del 
contiguo  corridoio,  nel  cui  recesso  N.°  22,  dipinto  a  grottesche  su  fondo 
bianco,  sono  le  tavolette,  lo  stilo,  il  raschiatore,  il  calamaro  e  la  lettera 
su  cui  si  è  lelto  da  molti 
MARCO  ■  LVCRETIO  •  FLAMINI    MART1S  ■  DECVRIONI  •  POMPEI- 

A  Marco  Lucrezio  Sacerdote  di  Marte  Decurione  in  Pompei. 
Iscrizione  che  ha  dalo  il  nome  e  questa  casa  ,    e   alla  cui  inlerpetrazione  , 
sebbene  non  nostra  ,  noi  pienamente  acconsentiamo. 

Passiamo  ora  a  descrivere    la  flora   o  giardinetto   N.°    23    molto 

1 

industriosamente  collocato  pe'  riscontri  che  ha  colle    principali  stanze 
di  questa  casa,  che  con  la  sua  amena  veduta  ,  con  le  chiare  acque  della 


sua  fonte  ,  e  con  i  profumi  de'  suoi  fiori  era  iDteso  a  rallegrare.  Nel 
fronte  di  questo  giardino  dentro  una  nicchia  della  forma  di  un'  edicola 
semicircolare  tutta  lavorata  di  mosaico  con  conchiglie  evvi  un  ornato  che 
risalta  sopra  un  fondo  turchino  di  fogliami  e  canne  palustri.  Dentro  la 
nicchia  è  una  statuetta  di  Sileno  che  si  appoggia  ad  un  tronco  di  albero 
alla  pai.  2  7/10  scolpita  in  marmo  pentelico  con  nebride  ad  armacollo, 
sostenente  col  braccio  sinistro  un  otre,  dalla  cui  bocca  grondava  1'  acqua 
che  scendendo  in  cinque  veli  da  cinque  scalini  si  raccoglieva  in  un 
canaletto  N.°  24,  mediante  il  quale  si  versava  nel  baciletto  rotondo,  dal 
cui  centro  un  zampillo  scaturiva  mormorando  ad  animare  questa  fontana. 
Due  condotti  di  piombo  con  la  lor  chiave  di  bronzo  tuttavia  in  opera 
portavano  l'acqua  a  volontà  di  chi  gli  apriva  e  chiudeva,  uno  alla  bocca 
dell'  otre  del  Sileno  ,  l' altro  al  zampillo  del  centro  della  flora.  Non  è  da 
tacersi  che  sul  pilastro,  il  quale  sovrasta  alle  chiavi  dell'acqua,  è  con  un 
chiodo  graffito  un  laberinto  che  qui  pubblichiamo  alla  tavola  a.  in 
fine  di  questo  volume.  Due  ermette  bicipiti  fiancheggiano  la  edicola 
del  fonte  esprimenti  una  Bacco  ed  Arianna  1'  altra  un  Fauno  ed  una  Fau- 
na. Due  altre  erme  bicipiti  sono  al  fronte  della  flora  verso  la  bocca  del 
tablino  esprimenti  ambedue  Bacco. Indiano  ed  Arianna.  Attorno  al  bacile 
in  mezzo  a'  fiori  erano  qua  e  là  disposti  come  si  vede  nella  pianta  diversi 
animali  di  marmo  cioè  un'oca,  un  cavallo,  una  vacca,  due  ibis,  tre  conigli 
e  due  delfini  che  addentano  due  polipi  con  due  amorini  su  di  essi  saliti, 
in  atto  di  essere  così  liberali  dalle  branchie  di  quei  voraci  animali  con 
1'  aita  di  quei  due  pesci,  cui  1'  antichità  attribuiva  una  gran  simpatia  pel 
genere  umano.  Di  questo  stesso  subietto  si  è  rinvenuto  in  Pompei  un 
ceriolario  o  lucerniere  di  bronzo  di  stupendo  lavoro  che  illustra  il 
nostro  Segretario  perpetuo  Coniai.  Quaranta  ,  e  nella  cui  rappresentanza 
ravvisa  il  simbolo  della  forza  benefica  che  prevale  sulla  forza  malefica. 
Un  altro  gruppetto  di  un  Pane  barbuto,  cui  un  giovine  faunetto  toglie 
una  molesta  spina  dal  piede  caprigno.  Finalmente  una  statuetta  di  un 


Fauno  in  alio  di  riguardare  verso  il  sole  facendosi  riparo  con  Ja  man 
destra  da'  suoi  raggi  ,  alla  palmi  a  e  8  decimi ,  ed  un'  altra  erma  di  un 
Fauno  scolpilo  a  mezza  figura  che  ha  raccolto  nella  nebride  un  capreltino: 
che  la  capra  sua  genitrice  alzandosi  sulle  gambe  di  dietro  è  in  atto 
di  reclamale  belando.  11  fauno  tiene  una  fistola  nella  destra.  QueSK 
gruppetto  è  allo  palmi  3  e  4  decimi.  Lungo  sarebbe  il  descrivere  tutte 
le  convenienze  ed  avvertenze  per  lo  scolo  libero  e  fluente  delle  acque 
acciò  non  avessero  danneggiato  le  camere  circostanti.  Cosi  questa  vaga 
fioriera  era  collocata  in  modo  tanto  industrioso  da  essere  in  riscontro 
con  le  principali  stanze  della  casa,  fra  le  quali  l'Eco  o  Esedra  N.°  25 
che  si  apriva  sul  fianco  di  esso  giardino.  Questa  camera  una  delle  più 
grandi  della  casa  (  Oeco  o  Exedra  che  fosse  )  era  tutta  dipinta  con 
graziosissime  grottesche  su  fondo  bianco  fra  cui  gemetti,  baccanti,  can- 
delabri, uccelli  e  varie  altre  simili  vaghezze  si  compongono  in  un  in- 
sieme vario  e  grazioso  al  di  là  di  ogni  descrizione.  Fra  i  genietti  che 
vi  si  ammirano  ve  ne  sono  sei  che  vendemmiano,  e  sei  altri  che  a  mo- 
do de'  nostri  fanciullini  fanno  il  gioco ,  come  essi  dicono,  della  ceca- 
Iella,  con  differenza  da  quello  de'  nostri  fanciulli,  che  il  bambino  ben- 
dato è  attaccato  con  una  corda  ad  un  chiodo  piantato  in  terra  acciò 
nel  suo  cammino  sia  circoscritto  ,  e  gli  altri  cinque  lo  tormentino  con 
bastoni,  con  gridi  e  simili  strazi  infantili,  senza  che  al  paziente  sia  dato 
agio  di  prenderli  al  di  là  del  raggio  limitato  dalla  corda  che  lo  lega. 
11  pavimento  di  questa  bella  esedra  è  di  mosaico  bianco  ed  aveva 
nel  centro  in  una  riquadratura  cinta  di  un  meandro  nero  forse  un  quadro 
di  musaico  che  non  si  è  trovato,  e  che  o  è  stato  portato  via  dagli  an- 
tichi stessi ,  o  non  era  ancora  slato  collocato  quando  l'eruzione  cuopri 
questa  bella  casa.  Per  la  scala  N.°  26  si  scendeva  a  una  stanza  sotter- 
ranea la  di  cui  porta  è  murata  dagli  antichi  isless'.  11  corridoio  se- 
gnato di  N.°  3o  ha  zoccolo  giallo  ,  fondi  rossi  oon  animali  ;  il  suo  pa- 
vimento è  di  lapillo  vulcanico  con  pezzetti  di  Marmo  bianco  incassati 


U 
dentro  di  esso.  Questo  pavimento  è  lavorato  nel  modo  medesimo  dei 
lastrici  che  cuoprono  quasi  tutte  le  case  di  Napoli.  La  stanza  N."  27 
è  disadorna  e  forse  una  guardaroba  o  dispensa.  La  stanza  N.°  28  sem- 
bra un  cubicolo  o  stanza  aggregata  dell'  altro  cubicolo  più  grande 
N.°  29.  È  dipinta  con  fondo  giallo  in  cui  erano  tre  quadretti  ora  per- 
duti fiancheggiati  da  amorini  ,  ed  aveva  nella  parte  superiore  in  un 
fregio  bianco  varie  figurine  in  mezzo  a  grottesche.  Fra  queste  figure 
si  veggono  un  fauno  con  un  pedo  in  una  mano  e  il  calamo  nell'altra, 
e  una  donna  con  una  cesta  di  fiori  e  frutta.  11  pavimento  è  di  opera 
signina  con  pezzetti  di  marmo. 

IL  cubicolo  N.11  29  che  si  apre  dietro  il  giardinetto  era  nella  parte 
anteriore  decorato  di  pitture  ,  ed  in  quella  ove  doveva  esser  collo- 
cato il  letto  adorno  di  tappezzerie.  Poiché  in  quella  parte  di  questa 
stanza  si  veggono  interrotte  le  pitture  e  ricoperti  i  muri  di  semplice 
intonaco  bianco.  Queste  tappezzerie  è  noto  essere  state  molto  in  uso 
nell'antichità,  e  dicevansi  aulaea  da'  Latini,  peripetasmata  da'Greci,  ed 
erano  qualche  volta  figurate  e  tessute  con  oro  come  quelle  che  Vene 
al  dire  di  Cicerone  involò  in  Sicilia.  La  parte  dipinta  di  questa  ca- 
mera ha  compartimenti  di  grottesche  su'  fondi  vicendevolmente  rossi, 
gialli  e  bianchi  con  zoccolo  nero.  In  essi  erano  due  quadretti,  uno  dei 
quali  rappresentava  Apollo  e  Dafne  con  quattro  busti  di  divinità  fian- 
cheggianti  i  delti  quadri,  due  muliebri  che  non  hanno  distintivi  di 
divinità  ,  ed  uno  virile  nel  quale  sembra  espressa  una  testa  di  Bacco 
dal  tirso  che  tiene  ;  il  quarto  è  perduto. 

11  N.°  3o  segna  un  corridoio  sul  quale  si  aprono  le  stanze  sopra 
descritte  ,  e  le  mette  in  comunicazione  fra  loro  senza  disturbarne  l'uso. 
Questo  corridoio  ha  un  zoccolo  rosso  alto  palmi  sei  e  mezzo  sul  quale 
si  veggono  dipinti  candelabri  grotteschi  sopra  fondi  bianchi  adorni  di 
frondi.  La  stanza  N.°  01  è  una  camera  che  mette  in  comunicazione  la 
casa  principale  con  la  contigua  casetta  che  secondo    me  era  la    fora- 


i5 

iteria  (  hoapitalia  )  <l,  questo  pompeiano  palaxielto.  Poiché  ripeterò 
quello  da  me  altra  volla  detto  sulle  tracce  di  Vitruvio  (i),  che  gli 
antichi  Greci  ne'  tempi  della  loro  più  grande  opulenza  e  squisitezza 
di  civiltà  ricevevano  il  primo  giorno  gli  ospiti  nella  casa  comune,  e 
ne'  giorni  consecutivi  a.sscgnavaii  loro  una  casetta  contigua  alla  loro, 
acciò  i  padri  di  famiglia  potessero  viverci  a  loro  agio  e  senza  essere 
incomodati  dalla  presenza  de'  padroni  di  casa,  e  quasi  si  credessero 
in  casa  propria,  mandando  loro  tutte  le  provvisioni  e  tutto  ciò  che  era 
necessario  alla  loro  agiata  dimora.  Questo  costume  de'  Greci  mi  pare 
fosse  frequentemente  seguitato  da'  ricchi  pompeiani,  mentre  nelle  grandi 
case  pompeiane  sono  frequentissimi  gli  esempi  di  queste  casette  ag- 
giunte, picciole  ed  eleganti,  che  non  potevan  secondo  me  servire  ad  al- 
tro uso.  In  questa  camera  era  una  scaletta  che  saliva  alle  parti  le  più 
elevate  della  casa  istessa  che  adesso  sono  perdute  alle  nostre  ricerche. 

Il  N.°  32  segna  il  tablino  della  foresteria  chiuso  con  due  tendali 
e  dove  si  apre  sul  picciolo  atrio  N.°  35,  e  dove  comunica  colla  camera 
N.°  3i.  Questo  tablino  è  gentilmente  dipinto  ne' suoi  due  muri  in  tre 
compartimenti  orizzontali  adorni  di  grottesche,  cioè  zoccolo  nero  ,  parte 
media  rossa  e  gialla,  e  fregio  bianco,  fra  le  quali  grottesche  si  distin- 
guono tre  amorini  volanti,  uno  con  frutti,  1'  altro  con  un  vase  ed  un 
tirso  ,  il  terzo  con  una  lira.  In  questo  tablino  si  rinvenne  una  biga 
con  molli  ornamenti  di  bronzo,  ora  nel  real  Museo. 

Il  N.°  33  indica  la  fauce  o  corridoio  che  fiancheggia  tutti  i  ta- 
blini  delle  case  pompeiane,   disadorno  e  semplicemente  intonacato. 

Il  IN."  34  pare  un  cubicolo,  essendoci  l'incavo  del  letto  con  zoccolo 
giallo  liscio  alto  palmi  6  e  mezzo,  e  fregio  bianco  adorno  di  grottesche. 

11  N."  35  segna  l'atrio  toscano  di  questa  foresteria  col  suo  picciolo 
compluvio  nel  centro.  È  decorato  di  graziose  grottesche.  Ha  un  zoccolo 
nero  che  lo  circonda  ,  su  del  quale  i  suoi  muri  sono  dipinti  in  com- 

(ì)  Lib.  VI.  cap.  io. 


partimenli  rossi  e  neri.  Nel  centro  della  parete  che  è  alla  sinistra  del- 
l'uomo che  entra  in  questo  atrio  dal  lato  del  vicoletto  sul  quale  spor- 
ge F  ingresso  di  questa  casetta  ,  si  veggono  i  resti  di  un  quadro ,  la 
cui  rappresentanza  non  può  indagarsi,  perchè  non  resta  che  la  parte 
bassa,  nella  quale  non  si  veggono  che  le  gambe  de'  cinque  personaggi 
che  formavano  la  composizione  di  questa  pittura.  Nella  opposta  parete 
sono  due  grandi  incavi  che  sembrano  aver  servito  a  due  armari.  La 
stanza  N.°  36  che  riceve  lume  dalla  sua  porta  che  si  apre  sull'  atrio 
ha  pure  una  piccola  finestra  sporgente  sul  vicoletto.  E  rivestita  di 
stucco  bianco  con  parche  e  semplici  riquadrature  lineate  con  rosso  e 
con  verde.  Era  questa  forse  la  stanza  dell'  atriense  che  custodiva  questa 
foresteria.  La  stanza  N.°37,  che  riceve  l'aria  e  la  luce  come  la  pre- 
cedente, ha  un  zoccolo  giallo  alto  i3  palmi,  con  candelabri  qua  e  là 
distribuiti  che  lo  dividono  in  vari  compartimenti ,  nel  mezzo  a'  quali 
stanno  in  sei  dischi  campiti  di  rosso  sei  teste  appena  visibili  ,  due 
amorini  volanti  ,  ed  un  quadretto  istorialo  totalmente  perduto.  La  par- 
te superiore  di  questa  camera  ha  sopra  stucco  bianco  in  una  specie  di 
fregio  dipinti  con  spiritosa  impetuosità  vari  animali  bellissimi ,  fra  i 
quali  due  cervi  e  due  pantere.  L'adito  o  protiro  N.°  38,  che  sporge  sul 
vicolo  che  rade  questa  casa  dal  lato  di  settentrione  ,  ha  un  zoccolo 
nero  sul  quale  varie  riquadrature  dipinte  sopra  fondo  bianco.  La  porla 
esterna  di  questa  foresteria  era  adorna  di  due  pilastrini  rivestili  di 
stucco  rosso. 

Tornando  adesso  alla  facciata  di  questa  casa  entriamo  nella 
bottega  N.°  3g  che  ha  un  picciolo  stanzino  vicino  ad  essa  segnato 
col  N.°  40.  Questa  bottega  ha  il  pavimento  di  opera  signina  con  pic- 
cioli frammenti  di  marmo  irregolari  di  forma  ,  incastrali  in  esso  pa- 
vimento. La  piccola  scala  che  vi  si  vede  saliva  alle  camere  superiori 
di  detta  bottega  ,  ove  abitava  il  pompeiano  che  in  essa  esercitava  il 
suo  tenue  commercio. 


'7 

Il  IV"  41  legna  il  protira  0  «dito  'li  una  casetta  a  due  pioni  che 
prendeva  luce  dal  piccolo  peristilio  IN."  46  Questo  adito  ha  il  pavi- 
mento di  musaico  nero  e  bianco  lavorato  a  squame.  Nella  più  grande 
(tanta  di  questa  casetta  N.°  44  si  vedono  tre  fornelli  atti  ad  una  qual- 
che  manifattura)  forse  ad  una  tintoria  ,  se  si  vuol  trarre  questa  con- 
fettura dalle  molle  botteghe  in  vicinanza  di  questa  casa  ,  ove  si  fab- 
bricavano  e  si  vendevano  colori.  Questa  stanza  ha  una  gran  finestra 
aperta  incontro  i  fornelli  d'  onde  traea  l'aria  e  la  luce.  Le  sue  pareti 
sono  dipinte  in  compartimenti  rossi  e  bianchi.  La  stanzetta  segnata 
N.°  45  è  dipinta  a  grottesche  su  fondo  bianco,  con  elegante  sempli- 
cità ,  fra  le  quali  grottesche  si  vedono  cinque  paesetti.  11  peristilio 
N.°  46  è  ricoperto  di  stucco  lavorato  a  bugne  con  cinque  pilastri  e 
una  piccola  nicchia  destinata  al  culto  delle  divinità  che  racchiudeva, 
in  numero  di  cinque  statuette  di  bronzo  che  si  rinvennero  nel  luogo 
medesimo  dove  furono  per  l' ultima  volta  invocale  dalla  famiglia 
pompeiana  loro  devota  ,  e  che  fu  costretta  abbandonarle  con  la  casa 
che  avrebber  dovuto  proteggere  per  la  sovrastante  eruzione.  Eccone 
la  descrizione  : 

i.°  Figura  muliebre  velala  che  ha  nella  sinistra  il  cornucopia  e 
nella  dritta  una  patera  ,  alta  compresa  la  base  7/Ì0. 

2.0  Ercole  col  vello  del  leone  e  la  clava ,  alto  con  la  base  5/ìo. 

3.°  Giove  coronato  di  alloro,  il  fulmine  nella  dritta j  a' piedi 
ha  1'  aquila  ,  e  colla  sinistra  si  appoggia  allo  scettro  ,  alto  9/10. 

4.0  Figura  virile  barbata  e  laureata ,  con  la  sinistra  alzata  e 
una  patera  nella  destra  ,  alta  3/ìo. 

5.°  Un'  Iside  o  Fortuna,  la  quale  ha  nella  dritta  il  timone,  nella 
sinistra  il  corno  dell'  abbondanza,  e  il  fior  di  loto  in  fronte  ,  alta  <j/io. 

Sotto  questa  nicchia  sono  dipinti  i  soliti  due  serpenti,  e  nella  parte 
superiore  due  Camilli  col  consueto  riton  nelle  mani  in  atto  di  sacri- 
ficare. La  stanza  sporgente  sul  detto  peristilio  N.°  47  ha  il  pavimento 

** 


18 

di  opera  signina  ,  ed  è  dipinta  di  color  rosso  ,  con  due  istorie  nel 
centro  delle  pareti  rappresentate  in  due  quadri  ,  ne'  quali  le  figure 
sono  quasi  accessorie  del  paese  in  cui  sono  espresse.  Noi  chiameremmo 
queste  dipinture  paesi  istorici  (  topiaria  opera  ).  In  una  di  esse  vedesi 
Andromeda  legata  ad  uno  scoglio ,  incurvato  a  specchio  del  mare  , 
con  Perseo  che  accorre  alla  sua  difesa  ,  ed  una  figura  che  dalla  parte 
superiore  dello  scoglio  ove  sta  legata  Andromeda  è  in  atto  con  lo 
scagliare  di  un  sasso  sul  mostro  marino  di  volere  ajutare  1'  audace 
impresa  di  Perseo.  Neil'  altro  quadro  si  vede  in  una  campagna  Paride 
seduto  vicino  alla  base  di  un'alta  colonna  ,  che  sopporta  un'  urna, 
e  che  forse  indica  un  monumento  sepolcrale.  Mercurio  sta  vicino  a 
Paride,  ed  accenna  le  tre  Dee  ,  che  si  veggono  in  lontano  sulle  falde 
del  monte  Ida  ,  come  se  ivi  aspettassero  di  essere  da  lui  giudicate. 

Il  N.°  48  segna  una  grande  stanza  ,  probabilmente  un  cubicolo, 
poiché  vi  si  vedono  due  incavi  che  ad  altro  non  sembrano  aver  po- 
tuto servire  ,  che  al  capezzale  di  due  letti.  Questa  camera  ha  il 
pavimento  di  opera  signina  con  alcuni  musaici.  I  suoi  muri  dipinli 
con  semplicità  hanno  un  zoccolo  nero  alto  oltre  i  10  palmi  ,  ed  un 
fregio  bianco  con  animali  e  grottesche  ora  appena  distinguibili. 
11  N."  49  segna  una  scala  che  saliva  al  piano  superiore  di  questa 
casa  ,  e  la  fauce  o  corridoio  per  la  quale  si  penetra  nelle  tre  came- 
rette 5o,  5i,  52.  La  camera  N.°  5i  era  un  agiamento  ,  quella  N.°  52 
una  cucina ,  e  la  stanza  N."  5o  era  1'  anticamera  delle  due  precedenti. 
Questa  picciola  casetta  è  una  nuova  pruova  dell'  uso  generale  degli 
ornamenti  presso  i  Pompeiani  ,  poiché  non  vi  è  casa  per  meschina 
che  sia  che  ne  sia  priva.  Il  N.°  53  indica  1'  adito  di  una  modesta  ca- 
scttina  che  aveva  ingresso  dal  vicolo.  Il  suo  cortile  N.°  54 ,  nel 
quale  vedesi  un  fornello  ove  fu  trovata  una  caldaia  di  rame  , 
doveva  essere  in  parte  scoperto.  11  N.°  57  segna  una  grande  stanza 
disadorna  ,  senza  essere  nemmeno  rivestita  d' intonaco.  Le  due  carne- 


'9 
rette  N."  55  e  56  erano  forse  due  cubicoli  ,  ambedue  prendevano 
Iure  da  due  piccioli:  finestre  aperte  sul  vicolo  all'  altezza  di  7 
palmi  ;  in  una  di  queste  si  è  trovata  la  inferriata  che  la  chiudeva, 
che  è  tuttavia  in  opera  :  ncll'  altra  ,  che  è  la  più  adorna  di  questa 
modesta  abitazione,  sonovi  dipinte  grottesche  sopra  stucco  bianco 
con  uccelli  e  vari  altri  semplici  ornati.  Le  iscrizioni  che  si  sono 
trovale  segnale  sulla  facciata  di  questa  casa  sono  le  seguenti. 

Sul  primo  pilastro  che  sta  alla  dritta  dell'  uomo  che  entra  in 
questa  casa 

GN  •  HELV1VMSABINVM  • 

AED-O'V'/' 

(>_CALVENTIVM  ■  S1TTIVM- 

11  VR-1  D  V-BONI  VICVLA  ■ 

cioè  :  Gneum.  Helvium.  Sabinum.  Aedilem.  Orat.  Ut.  Faciatis.  Caium. 
Calventium.  Sitlium.  Duumvirum.  Iure.  Dicundo.  Viri.  Boni.  Vicula. 

La  quale  iscrizione  voltata  nelP  italiana  favella  verrebbe  a  dire, 
che  Vicula  prega  che  sia  fatto  Edile  Gneo  Elvio  Sabino,  e  Duumviro 
e  Giudice  Caio  Calvenzio  Sizio  uomini  dabbene. 

Sul  secondo  pilastro  è  ripetuta  in  parie  la  prima  iscrizione  come 
segue  : 

GN  •  HELV1VM  •  SABINVM  ■ 

aed  •  o  •  vy 

Sul  terzo  pilastro 

POSTVMIVM  •  M  •  HOLCONIVM  • 

Ai.  PRISCVM^CT- 

CASELLIVM  •        POSTVMIVM  •  PROCVLVM. 

AED- 


20 

Sul  quinto  pilastro 

M  •  HOLCONIVM- 

PRISCVMAEDO^ 

AVETTIVM    CAPRASIVM  • 


C  •  IVLIVM    POLYBIVM  •  Il  •  VIR    STVDIOSVS    ET    PISTOR  - 

In  questa  iscrizione  i  postulatori  di  Marco  Olconio  Prisco  e  Aulo 
Vezzio  Caprasio  per  1'  Edilità  ,  e  di  Caio  Giulio  Polibio  pel  Duumvi- 
rato sono  uno  studioso  ed  un  fornaio  e  mugnaio  ,  giacché  il  Pktor 
era  presso  gli  antichi  1'  operaio  che  esercitava  i  due  mestieri  di  mu- 
gnaio e  fornaio  che  non  erano  giammai  disgiunti. 

Sul  sesto  pilastro 

M    HOLCONIVM    JD    Or     rogat- 

SABINVS- 

In  quest'  altra  iscrizione  è  un  Sabino  che  chiede    1'  elezione  alla 
Edilità  pompeiana  di  Marco  Olconio. 
Sul  settimo  pilastro 


CASELL1VM- 


Su  queste  iscrizioni  riguardanti  1'  elezione  delle  magistrature  mu- 
nicipali di  Pompei,  che  sono  le  più  numerose  e  le  più  frequenti,  di- 
scorreremo alcune  idee  già  da  molti  anni  da  noi  avventurate  e  det- 
tateci dalla  lunga  esperienza  che  abbiamo  di  queste  scavazioni. 

L1  amministrazione  municipale  di  Pompei,  come  altre  volte  abbìam 
detto,  affacciandosi  nelle  sue  principali  torme  e  funzioni  con    quella 


Jl 


di  Roma  perche  di  comune  origini:  ,  pare  da  non  dubitare  ,  chi  li 
elezioni  de'  suoi  magistrati  municipali  si  facessero  a  voto  di  popolo  , 
i  similitudine  de' Comizi  clic  presso  i  Romani  eleggevano  le  autorità. 
Ciò  posto  coloro  clic  a  questo  e  a  quel  personaggio  davano  il  loro 
voto  ,  o  facevano  le  loro  brighe  perchè  fosse  eletto  ,  esternavano 
questo  loro  atto  e  desiderio  scrivendolo  su' muri  delle  strade  pom- 
peiane ,  e  ciò  per  invogliare  gli  altri  a  seguire  il  loro  esempio  ,  col 
magnificare  e  predicare  le  buone  qualità  di  quel  personaggio  ,  e  per 
la]  modo  attaccarselo  anche  di  gratitudine  con  queste  manifestazioni 
che  indicavano  avergli  dato  il  loro  suffragio.  Tanto  più  che  il  rogare 
che  quasi  sempre  s' incontra  in  queste  iscrizioni  è  termine  indicativo  di 
elezione,  come  leges  magistratusque  rogare;  e  la  elezione  de' magi- 
strati ne'  Comizi  si  esprimeva  eziandio  con  le  voci  fieri  e  rogare,  ed 
in  questo  caso  le  sigle  O.  V.  F.  sarebbero  da  interpetrarsi  orai  utfa- 
ciatis,  interpetrazione  che  viene  mirabilmente  confermata  da  una  iscri- 
zione della  via  nolana  pubblicata  dal  Cav.  Avellino,  nella  quale  le 
iniziali  O.  V.  F.  vi  si  leggono  per  esteso  orat.  ut.  faciatis,  ed  il  rogat 
vorrebbe  significare  la  designazione  di  quel  personaggio  a  quel  magi- 
strato. Né  con  ciò  vogliam  dire  che  queste  iscrizioni  potessero  tener 
luogo  di  tabelle  ,  ma  che  fossero  piuttosto  un  mezzo  ,  onde  far  cono- 
scere i  suffragi  prima  dell'  elezioni  ,  e  fare  mediante  esse  partito  e 
suffragi  a  quei  personaggi  de'  quali  si  dichiaravano  postulatori,  roga- 
tores  ,  quelli  che  le  facevano  scrivere. 

Per  lasciare  ora  di  parlare  delle  cose  particolari  di  questo  cava- 
inento  e  passare  alla  generalità  delle  scavazioni  ,  diremo  come  in  questo 
lasso  di  tempo  si  è  scavata  buona  parte  di  una  delle  vie  principali 
della  città  di  Pompei ,  che  abbiamo  chiamato  via  delle  Sonatrici ,  la 
quale  divide  in  tutta  la  sua  larghezza  da  settentrione  a  mezzogiorno, 
partendo  dalla  porta  detta  del  Vesuvio  e  scendendo  verso  il  mare, 
larga  ,  maestosa  e  diritta  a  radere  i  Teatri,  e  traversare  la  porta  sta- 


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biana.  Forse  la  sola  il  cui  nome  è  dichiarato  non  solo  dalla  sua  postura, 
rna  anche  da  una  iscrizione  osca  ,  prezioso  monumento  avanti  essa 
rinvenuto.  Su  questa  iscrizione  i  nostri  dotti  colleghi  Commendator 
Quaranta  ,  D.  Giulio  Minervini  e  Padre  Garrucci  hanno  fatto  dotte  ed 
elaborate  memorie  ,  alle  quali  essendo  di  pubblica  ragione  rimandiamo 
la  curiosità  de'  nostri  lettori. 

Sopra  il  pilastro  di  una  bottega  contigua  alla  porta  nolana  si  è 
trovata  questa  iscrizione  : 

A    CEIVMIIV  I  D 
EPACATVS    CITO 
ROG- 

Epacato  prega  che  sia  presto  eletto  Aulo  Ceio  Duumviro  e  Giudice  : 
iscrizione  nuova  pel  cito,  presto,  che  è  la  prima  volta  che  mi  vien 
fatto  di  leggere  in  simili  iscrizioni. 

Si  è  anche  rinvenuta  in  una  bottega  di  droghiere  ,  pigmentarii 
laberna,  nella  via  delle  sonatrici  una  quantità  di  droghe  e  colori,  fra 
i  quali  alcuni  pani  di  biacca  con  il  marchio  de'  fabbricanti  che  suo- 
nava Attiorum,  degli  Azii,  dovendo  questo  essere  stato  il  nome  dei 
fabbricanti  di  quelle  droghe.  Fra  queste  droghe  erano  degne  di  osser- 
vazione otto  qualità  di  colori  diversi,  tra  i  quali  tre  gradazioni  di  terra 
paonazza  e  una  massa  di  asfallo  ,  e  molto  colore  mescolato  con  gomma 
mastice  ;  il  che  prova  che  era  in  uso  presso  gli  antichi  la  tinta  a 
vernice  che  forse  usavano  sopra  i  legni  esposti  all'  azione  dell'  umido. 
Era  anche  singolare  una  quantità  di  luto  fullonico  ,  sostanza  molto 
simile  al  nostro  sapone,  e  che  stropicciata  con  acqua  fra  le  mani  De 
ha  tutte  le  proprietà  di  assorbire  le  lordure  ,  ed  ammorbidire  la  pelle. 
È  anche  per  la  prima  volta  in  questo  periodo  di  tempo  comparso  un 
frammento  di  tazza  di  una  sostanza  similissima  alla  nostra  porcellana  , 


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e   fu   rinvenuto   dictio   la   iterinone  Oica   «^i ♦- 1 1 ;•   porta   nolana   nella  pre- 
tensa degli  Accademici  Ercolaneti 

Si  sta  ora  icavando  bella  <•  ornalissima  abitazione  non  lungi  e 
nel  lato  della  strada  delle  Sonalrici  dirimpetto  a  quello  ove  è  situata 
la  descritta  casa  di  Marco  Lucrezio.  Di  tutte  le  cose  rimarchevoli  che 
vi  si  rinvengono  ,  non  che  della  sua  pianta  faremo  argomento  della 
relazione  degli  jeavi  rhe  accompagnerà  il  quindicesimo  volume. 


YfuaUetmo    yBecni. 


INDICE 


PUR     M  A  TER  I K 


DELLE    TAVOLE 


COMPRESE 


IN  QUESTO  DEGIMOQUARTO    VOLUME. 


Architettura. 

r  EDUTyi  prospettica  della  fonte  della 
casa  di  Marco  Lucrezio  Decurione 
pompeiano  -  Tavola  che  forma  il 
frontispizio  del  volume. 

Quattro  musaici Tav.         XIV 

La  cappella  del  Pontano XXVII 

Capitelli   e  frammento  in  marmo  gre- 
chete    XXXIX 

Colonna  mosaicata  di  Pompei XLVIII 


Laberinto Tav .  a 

Pianta  della  casa  del  Decurione  Mar- 
co Lucrezio AeB 

Pittura. 

Dedalo  e  Pasifae  -  Dipinto  pompeiano.  I 

Due  Danzatrici  -  Idem II 

Diana  ed  Endimione  -  Idem Ili 

Il  supplizio  di  Dir  ce  -  Idem IV 

Z»'  Annunziata  -  Quadro XVI 

Un  Arcangelo  circondato  da  vari  An- 
gioletti -  Idem XVII 

Pittura  pompeiana XVIII 

Diana    ed  Endimione  -  Affresco  pom- 
peiano   XIX 

Due  pitture XX 

Parete  pompeiana XXI 

Parete  di  Ercolano XXII 

Deposizione    di    nostro    Signore   dalla 

Croce  -  Quadro  in  tela XXX 

Due  antichi  affreschi. XXXI 

Dipinto  pompeiano XXXII 

Altro  simile XXXIII 


Dipinti  pompeiani Tav .  XLI V 

fautori  a  -  Affresco  pompeiano XLV 

Cacce  -  Dipinto  pompeiano XLVI 

Greco  eroe  su  di  una  Quadriga  -  Mo- 
nocromo pompeiano XLVIl 

S  C  U  L  T  U  R  A. 

Il    Toro  farnese  -  Grande    gruppo   in 

marmo Ve  Vi 

Bacco  -  Statua  in  marmo „  VII 

Supposta  Sibilla  -  Idem Vili 

Preleso  padre  di  Tra) ano-  Idem IX 

Supposto  Ulisse  -  Bassorilievo  in  marmo.  X 

Bassorilievo  in  marmo XI 

Supposti  L.  Cornelio  Lentulo ,  Attilio 
Regolo,   Cicerone  -  Mezzi  busti  in 

marmo XII 

Supposto  Enea  con  la  famiglia- Basso- 
rilievo in  bronzo  -  Nobile  Romana 
con  gli  attributi  dell'1  abbondanza  - 

Statuetta  in  bronzo XIII 

Figurina  muliebre  ,   Venere  -  Statue   di 

marmo XXI 1 1 


Venere  -  Statua  di  marmo Tav.  XXIV 

Il  Colosso  di  Barletta  -  Statua   imperia  - 

le  di  bronzo XXV 

Venere  accovacciata  con  Amore  d"  ap- 
presso -  Statua  di  marmo XXVI 

Due  bassorilievi  in  marmo  greco XXXIV 

Iside  -  Statua  in  marmo  grechelto XXXV 

Due  Istrioni  -  Terra  cotta XXXVII 

Dante  Alighieri  -  Busto  in  bronzo ....  XLIX 

Statua  di  marmo L 

Mosco  e  Filosofo  -Statuette  in  marmo.  LI 

Sileno  ubbriaco  -  Bassorilievo  in  marmo.  LII 

Due  Quadrupedi  -  Bronzi LUI 

Venere  e  Baccante- Figurine  di  bronzo.  LIV 

Vasi  volgarmente  detta   Etruschi. 

Umetta  Italo  -  greca  -  Vaso  fittile XV 

Cadmo  -  Vaso  fittile  di  Puglia XX  Vili 

Tazza  di  Canino. XXIX 

Vaso  greco  dipinto XLI  a  XLIII 

Patera  figurata  -  Terra  cotta... LVI 


U  T  E    N  S  I  L  l. 

Strumenti  di  Chirurgia-  B ronzi. Tav.     XXXVI 

Lucerna  -  Terra  colta XXXVIII 

Cista  mistica  -  Bronzo XL 

JJue  lucerne  -  Terra  cotta  verniciala .  LV 


N.  B.  Oltre  alle  descritte  tavole  trovasi  in 
fine  del  volume  la  relazione  degli  scavi  di  Pompei, 
nella  quale  si  parla  della  tavola  a.  e  della  tavo- 
la A  e  B. 


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