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A, ELIA
RICORDI DI
UN VETERANO
dal 1847-48 al 1900
2" EDIZIONE
RIVEDUTA E CORHETTA
ROMA
TIPO-LITOGRAFIA DEL OBKIO CIVILE
1906
V
r, i!::.ron cay
FilSOr"' T fO COLLECTinN
t.jCLlùr.EFUND
1L31
Vi
Mio oabo Elia,
/ fatti esposti mi vostro manoscritto sono esatti
per ciò che riguarda quanto io ne conosco.
Un caro saluto alla famiglia dal
Sempre vostro
G. Gasibaldi.
Caprera, 18-3- 76.
PREFAZIONE
Ai miei vecchi compagni d'armi!
Ai giovani d' oggi !
Mai, come in questo momento che scrivo, e che ho
davanti a me sul tavolo, raccolte le bozze dei miei « Ricordi n,
ho sentita tutta la religione delle memorie, e il conforto della
modesta opera prestata per la redenzione della patria.
In queste pagine povere e disadorne, si seguono, in folla,
uomini ed episodi, confusi nella nebbia del tempo e delle vi-
cende; vivi però nel cuore di quanti parteciparono alle epiche
lotte della italica rivendicazione.
Come da un prisma vividi e smaglianti si sprigionano i
colori, cosi dalle memorie netti e purissimi risorgono gli uo-
mini che furono — le battaglie combattute — le lotte fieris-
TI
sime sostenute — gli ideali mai piegati e mai domi — le
turbinose vicende che tempo ed uomini non poterono infran- ,
gere o tramutare.
E benché io sappia che un pensiero scettico domina e
vince gli uomini dell' oggi — pure non reputo inutile il pub-
blicare questi « Ricordi » — documento autentico d'una epoca
fortunosa e grande — fiore modesto che depongo sulle fosse
dimenticate e sui marmi onorati — lauro votivo a quanti
alla patria dettero la giovinezza, il sangue, gli entusiamì,
la vita.
E voi, scettici beffardi, che irridete le gloriose memorie
delle nostre battaglie — voi che dovete 1* attuale libertà alla
fede da noi sentita e alle lotte da noi sostenute — voi che
cercate educare la odierna gioventù alla negazione di quel
sentimento patriottico che fu il culto dell'epoca nostra — voi
che tentate distruggere, col freddo sofisma o col gelido e im-
meritato disprezzo, le pagine più belle e più grandiosamente
gentili della storia del popolo nostro — voi, scettici per op-
portunismo, leggete questi modesti « Ricordi », ove palpita,
fireme e grida dolente l'anima mia — ^ un'anima dì soldato
che ebbe ed ha un solo ideale: la patria! e vorrebbe che,
come una volta s' effuse sangue generoso, si prodigassero
oggi, con uniti di propositi, intelletto, operosità e cuore per
completarla e renderla grande, prospera e temuta.
TU
Leggete, e se non troverete h bellezza della fornu e
della frase letteraria studiatamente convenzionale, voi vedrete
invece man mano riapparire e palpitare uomini che furono
e sono gloria e vanto dell'Italia nostra, e dopo questi, altri
ed altri ancora, che il facile oblio trascinò troppo presto fra
la folla dei dimenticati.
Ed allora — son certo — se il vostro cuore non sarà
precocemente pervertito dall' opportunismo moderno — che
anche voi, resi men scettici dalla lettura di queste pagine,
vi riconcilierete col passato glorioso che è eredità di quanti
hanno animo degno — e comprenderete che il patriottismo
non è una forma arcadica morta, ma vive e vivrà nel pen-
siero e nel cuore del popolo che ruppe i suoi ceppi fino a
quando non si spenga il culto gentile e riconoscente per i
fattori della nostra indipendenza.
X
Ed ai giovani, a voi miei vecchi commilitoni - io de-
dico questo mio libro : — ai giovani, anche in nome vo-
stro, voglio ricordare tutta quell' epoca che parrà leggenda,
^quando il tempo renderà la tarda, ma dovuta giustizia $gli
«omini ed agli eventi storici.
Ai giovani, che hanno V anima piena di speranze e d' a-
more, e sentono che la vita sarebbe sterile senza la luce
d' un ideale, io mando il mio saluto augurale.
»•»
Su, su, giovani d'Italia! — Come voi, rosei e frementi
pei loro vent' anni, eran coloro che dal 48 al 70 combat-
terono per redimere l'Italia — eran come voi animosi e ga-
gliardi gli studenti che a Curtatone e Montanara, come a
Roma, tennero alto, negli albori del nostro risorgimento, il
genio e il valore italiano ; — come voi erano entusiasti e
nobilmente ribelli i Mille compagni di Garibaldi, che sal-
pando da Quarto compirono il più grande fatto storico del-
l' epoca moderna ; — e giovani come vói erano i caduti sui
campì di battaglia per la causa santissima da Custoza a Mi-
lazzo — da S. Martino a Calatafimi — da Pasirengo a Bez-
zecca — dal Volturno a Castelfidardo, a Mentana, Le zolle
d' Italia ricoprono ovunque le ossa di quella balda, generosa
e fiera gioventù, che, tutto abbandonando, affrontava la morte
al grido di « Viva l'Italia!... »
Su, su, giovani! sulle mura d' ogni vostro paese, nei
marmi votivi, sono scolpiti i nomi dei vostri cari — e quei
nomi sono tracciati col sangue dei morti, quei marmi sono
solcali dalle lacrime dei superstiti che han virtù di memo-
II
ria — sangue e lacrime che valsero a darvi una patria li-
bera e indipendente!
Innanzi a tali ricordi l'irrisione diventa bestemmia! —
Giovani d' Italia venite con me a salutare i soldati del pa-
trio risorgimento !
A. Elia.
CAPITOLO I.
Garibaldi in America.
Nnto in Ancona il 4 settembre del 1829 e figlio di
marina l'o, Elia volle fin dìilla tenera età. di nove
anni intraprendere easo pure,, come il padre suo, la car-
riera del mare, incomiuciando ad esercitarla da mozzo,
percorrendola tutta, fino a diventare capitano di lungo
corso.
Xei suoi viaggi più volte gli era occorso di entrare
in relazione con patrioti italiani ; nei loro discorsi
aleggiava la fulgida figura- di Giuseppe Garibaldi. Si
sentivano entusiasmati per quest'Eroe, il cui nome
finceva palpitare i loro cuori giovanili aperti già ai
grandi ideali di liberti? e di indipendenza ; si seu-
tivano entusiasmati dal racconto delle eroiche azioni
da liii compiute nell'America del Sud, ne apprendevano
i particolari eon avidità, e ne facevano prezioso tesoro.
Era tutta un' epopea che vedevano svolgersi intorno
all'eroe, e loro sembravano omeriche gesta guello com-
piute iu difesa della piccola repubblica dell'Uruguay
invasa dalle truppe del terribile Rosas, e fra le altre
la campagna del Paranà combattuta da Garibiddi con
tre piccoli legni — mnle annnti — contro tutta la flotta
2
Argentina comandata dall'Ammiraglio Brown, e parti-
colarmente il combalitimento di Nuova Cava, decantato
quale uno dei più brillanti fatti navali.
La gloriosa giornata di Sant'Antonio al Salto fu poi
quella che illustrò il nome italiano e rese celebre quello
di Garibaldi; vero combattimento da leoni che il gene-
rale compendiò nel seguente Ordine del giorno.
Salto 10 febbraio 1846.
Fratelli.
« Avanti ieri ebbe luogo nei Campi di Santo An-
tonio, a una lega e mezzo da questa citti'i, il più ter-
ribile ed il più glorioso combattimento. Le quattro com-
pagnie delta nostra legione, e circa cinquanta uomini
dì cavalleria rifugiatisi sotto la nostra protezione, non
solo si sono sostenuti contro mille e duecento uomini
di Servando Gomez, ma hanno sbaragliato interamente
la fanteria nemica che li jissaltó in numero assai supe.
riore. Il fuoco cominciò a mezzogiorno e durò fino a
mezzanotte; non valsero al nemico le ripetute cariche
delle sue masse di cavalleria, né gli attacchi dei suoi
fucilieri a piedi; senz'altro riparo che una casupola in
rovina coperta di paglia, i legionari hanno respinto ì
ripetuti assalti del più ìiccanito dei nemici ; io e tutti
gli ufficiali abbiamo tatto da soldati in quel giorno.
Anzani, che era rimasto al Salto, ed a cui il nemico
aveva intimato la resa della piazza, rispose colla miccia
alle miani e il pie sulla Santa Barbara della batteria,
quantunque lo avessero assicurato che noi tutti eravamo
caduti morti o prigiomeri.
« Abbiamo avuto trentasette morti e cinquantatre
feriti. Io non darei il mio nome di ìegioìiario italiano per
tutto il globo in oro >. Il vostro
G. Garibaldi.
3
Il governo di MonteTÌdeo ad onorare le prodezze
dei legionari italiani guidati dal generale Garibaldi ema^
nava il seguente
DECRETO
« Desiderando il Governo dimostrare la gratitudine
della patria ai prodi, che combatterono con tanto eroismo
nei campi di Sant'Antonio il giorno 8 del corrente ; con-
sultato il Consiglio di Stato, decreta:
Art. 1. Il Generale Garibaldi e tutti coloro, che lo
accompagnarono in quella gloriosa giornata, sono be-
nemeriti delia Repubblica.
Art. 2. Nella bandiera della Legione Italiana sa-
ranno is(!ritte a lettere d'oro, sulla parte superiore del
Vesuvio, queste parole. « Gesta dell'S febbraio del 1846,
operate dalla Legione Italiana agli ordini di Garibaldi >■.
Art. 3. I nomi di quelli che combatterono in quel
giorno, dopo la separazione della cavalleria, saranno
iscritti in un quadro, il quale si collocherà nella sala
del governo, rimpetto allo Stemma Nazionale, incomin-
ciando la lista col nome di quelli che morirono.
Art. 4. Le famiglie dì questi, che abbiano diritto ad
una pensione, la godranno doppia.
Art. 5. Si decreta a coloro che sì trovarono in quel
fatto, uno scudo che porteranno nel braccio sinistro con
questa iscrizione circondata dì alloro: « Invincibili com-
batterono r 8 febbraio 1846 ».
Art. 6. Fino a tanto che un altro corpo dell'Eser-
cito non s'illustri con un fatto d'arme simile a questo,
la Legione Italiana sarà in ogni parata alla diritta della
nostra fanteria.
Art. 7. Il presente decreto si consegnerà in copia
autentica alla Legione Italiana e si ripeterà nell'ordine
generale in tutti gli anniversari di questo combattimento.
Art. 8. 11 Ministro della Guerra resta incaricato
della esecuzione e della, parte regolamentare di questo
4
decreto, che sarà presentato alla Assemblea dei Nota-
bili: si pubblicherà e inserirà, nel R. U.
< Suarez-Jose de Bela - Santiago - Vasquez Fran-
cisco-J. Mugnoz
«
* *
Garibaldi restò ancora alcuni mesi al Salto di
Sant'Antonio, continuando a battagliare colla flottiglia e
colla legione, Ano a che il Groverno stesso lo chiamò a
Montevideo. Sul cominciare di settembre il Generale
Pacheco, che aveva immensa affezione e stima di Ga-
ribaldi, gli ofTri il comando della piazza.
Per ubbidienza Garibaldi accettò l'arduo incarico:
ma ben presto grandi e piccole gelosie, pregiudizi locali,
permalosità spagnole, scoppiarono contro di lui, onde
egli, per il meglio, credette deporre l'incarico.
* *
Saputasi a Montevideo la notizia dell'assunzione al
trono pontificale di Pio IX e delle sue idee riformatrici,
nonché delle apparenti sue intenzioni di promuovere
guerra contro l'Austria, a Garibaldi ed ai suoi legionari
sembrò giunta l'ora di combattere per la redenzione
della loro terra natale ; e senza indugio, in nome suo e
dei suol compagni d'arme, egli scrisse al nunzio papale
a Montevideo, offrendo ì suoi servigi nella guerra contro
lo straniero.
Contemporaneamente scriveva, al suo amico Paolo
Antonini di Genova, concludendo cosi :
« Io con gli amici penso venire in Italia ad offrire
i deboli servigi nostri, o al Pontefice, o al Granduca di
Toscana. Indi avrò il bene di abbracciarvi. Qui si aspet-
tano notizie d'Europa. Amate il vostro »
6. Garibaldi
Montevideo 27 dicembre 1847.
CAPITOLO II
1847-48 Insurrezione della Sicilia
Messina-Palermo-Catania-Calabrle.
Come la più oppressa tra le regioni italiane, la Si-
cilia fu la prima a tentare di scuotere il giogo che le
gravava sul collo, appena si ebbe sentore delle idee li-
berali di Pio IX.
Primissima la città di Messina, il 1" settembre del
1847. Molti parteciparono alla congiura; pochi, per fatali
equivoci, presero parte all'azione. Gli ufficiali borbonici
che dovevano essere colti all' improvviso all'Hotel Vit-
toria, dove erano uniti per festeggiare una promozione,
non si sa come, vennero prevenuti; corrono alle caserme
e alla cittadella e ne escono alla testa di forti batta-
glioni. Gli insorti non s'intimidiscono; affrontano le truppe,,
ma il numero la vince sul valore e l'insurrezione è do-
mata. Il generale Landi pubblica un bando contro i prin-
cipali cospiratori, promettendo lauti premi a chi li con-
segni.
Tutta la città conosceva i capi dell'insurrezione, ma
non vi fu alcuno che li denunziasse ; e fu meraviglioso
che taluni dei perseguitati trovarono rifugio in casa di
gente poverissima, per la quale il premio promesso dal'
Lanza sarebbe stata una vera ricchezza. Tutti i com-
promessi trovarono modo d'imbarcarsi : ma nei Messinesi,
si accrebbe l'odio contro le truppe del Governo oppres-
sore, onde presto doveva sorgere il giorno della rivincita.
per la patriottica cittt'i.
* *
A dare la nuova iniziativa spettava alla capitale'
della Sicilia, all'eroica Psilermo, e questa non tardò a
mettersi all'opera con uno slancio veramente straordi-
nario.
Maggiore eroierao di popolo non si sarebbe potuto
imraag'inare. Certo fu esempio unico nella storia,
Questa fu la sfida poderosa, quitsi pazza, In cartello
a giorno determinato, che i palermitani, stanchi di do-
mandare lenimento alle profonde piaghe comuni, laneia-
rono alle autorità del tirannico governo borbonico.
Il 22 gennaio 1848, giorno natalizio di Ferdinando II
Re delle due Sicilie, era fissato per la rivoluzione.
L'ansia dei giorni, che di poco precedettero quello
stabilito per la insurrezione, fu grande,
Spuntava l'alba del "22. Forti pattuglie di cavalleria
in assetto di guerra percorrevano le vie della città ed i
sobborghi. Buon nerbo di fanteria e di birri stava schie-
rato in piazza VigUena. Le truppe erano consegnate nei
quartieri, al palazzo Reale, al Castello.
Era appena giorno, e le vie brulicavano di gente
inerme di ogni cbisae come nei di festivi. Le finestre
ed 1 balconi delle case zeppi d'uomini, di donne, di fan-
ciulli, tutti aspettanti qualche cosa di straoi'dinario che
ignoravano, ma che presentivano dovesse accadere. Fi-
nalmente alla Madonna del Cassero si presenta un uomo
armato di fucile: visto di essere il solo armalo, grida
al tradimento, e fa fuoco in aria. Al colpo si risponde
con applausi dalle finestre, dalle vie; ed ecco altri cit-
tadini armati, salutati al loro arrivo da frenetici applausi.
Alla piazza della Fieravecchia una ventina dì persone,
alcune armate dì fucile, altre d'arma bianca, con nastro
tricolore sul petto, stanno aspettando che si venga a far
massa; fu un'ora tremenda di aspettativa e di dubbio;
jna valorosi e valorosi sopraggi ungono; si forma una
colonna, questa sì muove per altre strade, e fa nuove
reclute. Passa per l'Albergaria e s^ingrossa d'armati,
pronti ft dare la vita combattendo per la libertà. La
truppii e i birri di piazza Vigliena, noo molestati e non
molestanti, sì ritirano verso il palazzo Reale, ed il po-
polo li aeclama.
Un corpo di circa cinquanta soldati a cavallo con
alla testa il iìglio del generale Vial entrava nella strada
nuova per sciogliere l'attnippamento; il popologridava
Viva la truppa I ; ma i soldati all'ordine dell'ufficiale che
li comandava mìsero mano alle sciabole ; dal popolo
allora partirono alcuni colpi, di fucile, e questi bas-ta-
rono per mettere in fuga l'ufficiale ed i cavalieri. Il dardo
ormai era tratto, e la nvoLuzione prese animo e si fé
gigante per l'inasprimento della popolazione svegliata
dal rombo delle artiglierie. Si festeggiava il natalizio del
re con la strage, che palle e miu-aglìa facevano sul po-
polo; e da parte del popolo coi riiitoccbi d(.41e campane
a stormo, C'hi:iiuanlì alla rivolta, e con le soli loppe tta ce.
11 giorno 13 le squadre cittadine ereaciute di nu-
mero e di coraggio assalivano da più 7>ani il palazzo
delle Finanze difeso da forte presidio di soldati ; la lotta
fu ostinata e non ce&sù che a sei'a.
Durante il lungo combattimento fu dal Castello un
continuo lanciare di bombe, che danneggiavano le cas^,
i conventi, le chiese: si sperava che il terrore avrei ibe
consigliata la sottomissione, ma l'e£Feti,o fu totalmente
contrario. Pacifici cittadini, anche i più timidi, vistisi
minacciati negli averi e nella vita, scelsero di morire
con le armi in pugno in difesa del patrio focolare e si
un rono al popolo.
Per provvedere ai più urgenti bisogni sì riunirono
molti dei più notabili cittadini nel palazzo municipale
e si formarono comitati diversi in appoggio del comi-
tato della Fieravecchia, centro delle disposizioni di guerra.
I combattimenti continuavano da. parte dei citta-
dini ; non ostante la difesa delle truppe, ed il bom-
bardamento che portava ovunque distruzione ed incendi,
tra i quali quello del monte di S. Rosalia, distruggendo
8
ì cenci della parte più misera del popolo ; da questi fatti
gl'insorti inferociti, con furioso combatEimento s'impos-
sessavano del quartiere militare di S. Cita, ed altra san-
guinosa vittoria riportavano occupando il podere del
principe dì Villafranca di fronte a porta Mhcqueda.
Nel giorno 24 i cittadini assalivano furiosamente il
Noviziato guardato da molta forza, e se ne rendevano
padi-oni. Le truppe erano scosse: alcuni mìliti eransi
affratellati al popolo, accolti con amorevolezza ; il pa-
lazzo Reale nel giorno 26 cadeva in mano degl'insorti
e nelle ore pomeridiane questi prendevano possesso
anche del palazzo delle Finanze.
I regi cacciati da tutte le loro posizioni si riunirono
al Molo ; i generali De Maio e Vial s'imbarcarono per
Napoli ; al comando delle truppe rim^e il Desauget.
I cittadini si aspettavano un sanguinoso combatti-
mento al molo, ma il Desauget scelse di ritirarsi co-
steggiando la catena dei monti, che cingono da levante
a settentrione Palermo.
Non restava a! popolo che di espugnare il forte di
Castellamare : e a questa impresa si accinse animoso.
Furono piantate, mascherandole, le artiglierie ed i
mortai conquistati, per battere il Castello dal lato della
Cala. Il forte sotto il fanale del molo fu destinato a te-
nere occupato il presidio del Castello stesso dal lato op-
posto. Si preparava un feroce bombardamento e della
battaglia dovevano essere spettatori un vascello di linea
inglese ed altri piroscafi, nonché molte navi mercantili
di diverse bandiere, che. abbandonato il molo, eransi.
schierate in linea nella rada. E il fuoco incominciò da
arabo le pani; per quasi tre ore tremarono le case
della città al rimbombo delle grosse artiglierie e dei
mortai. Ad un tratto il fuoco cessò su tutti i punti. Per
mediazione del Comandante del Vascello inglese si trattò
della resa. Nella notte il comandante del forte con tutta
la guarnigione di circa mille soldati con armi e bagagli»
s'imbarcava per Napoli.
9
Il .giorno 5 febbraio Palermo, libera, solennizzava
nella Chiesa Madre la sua vittoria.
Il comitato generale, ottenuta la meravigliosa vit-
toria col concorso e il sacrifizio di tutta la cittadinanza,
senti la hecessitc^ sino alla convocazione del Parlamento,
di costituire un governo provvisorio, e con un proclama
divise le incombenze governative, e nominò i cittadini
che dovevano esercitarle.
Presidente del comitato generale, Ruggero Settimo;
segretario generale, Mariano Stabile.
La città di Catania, non degenere figlia della Sicilia,
appena ebbe novella della gloriosa rivoluzione della
magoanima Palermo corse alle armi al grido di : Viva
Palermo — Viva la Sicilia — Viva l' Italia. Il popolo
espugnò valorosamente tutti i posti occupati dalle truppe,
compreso il forte S. Agata. L' entusiasmo e la magna-
nimità dei cittadini risparmiarono la vita ai miserabili
mercenari, che ardirono tirare sulla città, e le grida
della vittoria e del perdono fecero nascere forse in
quelle genti il rimorso di essersi battute per la causa
nefasta della tirannide.
Alla voce di Palermo e di Catania tutti i paesi della
Sicilia risposero, secondando il movimento rivoluzionario,
armando numerose bande pronte a combattere per la
difesa della patria.
*
* *
Ed ora era la volta di Messina.
Ecco quello che scrivevano i delegati del comitato
-di Messina a Ruggero Settimo presidente del comitato
generale di Palermo.
« Sia gloria ai prodi che combattono per la Sicilia
— per la libertà e per la patria italiana.
10
« Messina attende l' avviso da Palermo. Se deve
perire, morrà; ma con le armi alla mano e con il voto
dell' indipendenza nel cuore.
€ Sappiate intanto che la guarnigione è forte di
4030 soldati — 300 cannoni sono pronti a vomitare
r esterminio sulla citoà. Ma Messina sprezza il pericolo
— ne facciano fede la brillante pugna del 1° settembre
e la imponente dimostrazione del 6 gennaio. Messina,
quantunque si mostri disarmata, è col fatto in rivolu-
zione — il suo aspetto è minaccioso, imponente ; però
Messina come al tempo dei Vespri desidera gareggiare
con Palermo solo nella virtù. Se per la causa comune
vuoisi il sacrifìcio di lei, essa é pronta a patirlo e ar-
dimentosa sì getterà nella voragine. Quantunque i prodi
del settembre siano profughi, altri figli ella ha pronti
al cimento ; sebbene disarmata, pugnerà con le mani.
Se l'attua'e stato minaccioso della cittji, i fatti già con-
sumati e la diversione dei 4000 soldati, bastano per aiuta
alla causa comune, essa starà pronta e minacciosa; se
altro vuoisi da lei, si dica. Messina è città « Siciliana
ed Italiana ». Viva Palermo è il grido del popolo. Dite,,
e sarà fatto il voler vostro. Indipendenza e libertà è il
scio voto di Messina.
Ma il contegno ardimentoso e provocante del popolo
messinese non piaceva ai regi. Comandava in Messina
il generale Nunziante, che un giorno, credendo d' inti-
morire la popolazione, volle far mostra di tutte le truppe
che aveva al suo comando, stendendole lungo la via Fer-
dinando ; ma la folla erasi addensata tanto da impedire
ogni movimento ai soldati. Al generale, che aveva voluto
scendere in piazza, non restava che caricare la folla e
rompere l' imponente assembramento per tenere alto il
prestigio militare : invece, vista l'attitudine risoluta della
cittadinanza, ordinava di rientrare nei quartieri, il che
si fece fra gli urli e i fischi della popolazione.
11
Da quel m&mento noti ebbero più tregua le provo-
cftzioni e le risse fra popolo e truppe borboniche; la
flonimossa. divenne generale. Il bombardamento della
città non faceva che Inasprire gli animi dei i:ittadini^ i
quali, armatasi Con armi fornite dai bastimenti clie erano
nel porto e con altre mandate da Palermo, ai decisero
alla lotta ad oltranza.
Il 22 febbraio i forti di Real Basso, Porta Saracena,
Santa Chiara, i bastioni di Don Blasco, le barricate di
Porto Franco e l'Arsenale, cadevano in mano delle forze
cittadine. Aiutato dall'ardire eroico dei bravi cannonieri
palerraitani, il valoroso popolo messinese si arventava
furioso all'attacco. Non valse ad aiTestarlo il fuoco mi-
cidiale del forte S. Salvatore e della Cittadella, traenti
"bombe e mitraglia contro gli assalitori; tutti questi luoghi
difesi dalle truppe borboniche dovettero cedere all' ir-
ruenza del furore cittadino, mentre i nemici della patria,
atterrili e sbaragliati, correvano a cercare rifugio nella
Cittadella, unico punto ormai di loro salvezza. Da per
tutto il popolo vittorioso inalberava la bandiera a tre
colori.
Il 24 aprile una fregata a vapore napoletana por-
tava a Messina, incaricati di trattare l'armistizio, i com-
missari Fiutino e Lo Presti, calabresi; il comitato Messi-
nese incaricava per suoi rappresentanti i cittadmi Piraino,
Kibottl, e Natoli, ai quali, prima di altre tr'attative, era
dato il mandato dello sgombro "della Cittadella,
Cosi la Sicilia, che aveva dichiarato decaduto il Re
delle due Sicilie, era liberata da tutte le truppe bor-
boniche.
Le notizie delle Calabrie erano da per tutto favo-
revoli al movimento ineurrezionale.
A Cosenza, centro delle operazioni, nido di uomini
generosi, suolo santificato più volte dal sangue di tanti
■12
martiri, rosseggiante tuttora per quello dei fratelli Ban-
diera e degli eroici loro compagni, tutte le cure erano
rivolte ad un unico scopo, la distruzione della tirannia.
A Nicastro, come in altri punti della Calabria, si riu-
nivano uomini armati per dai'e la caccia ai borbonici e
per correre serrati a Reggio al grido di viva la libertà.
Nelle Provincie di Gitanzaro, di Salerno, di Cam-
pobasso, di Avellino, di Lecce, di Abbruzzo, si appre-
stavano armi ed armati. Che più? Napoli insorgeva
massacrando Svizzeri e spie borboniche.
L'ora della libertà pareva suonata da un punto al-
l'altro d'Italia ! Sventuratiimente quel risveglio non fu
di lunga durata ; mancò un' unica direzione e la con-
cordia.
CAPITOLO m.
Garibaldi s'imbarca coi suoi legionari per l'Italia.
Si era nei primi mesi del 1848, ed ogni bastimento,
che approdava alla Piata, portava dal vecchio conti-
nente l'annunzio di avvenimenti importanti.
Un nuovo pontefice benediceva l'Italia, perdonava ai
ribelli, accoglieva i proscritti, e poneva sotto la tutela
della croce la causa del popoli.
Il 4 marzo, Carlo Alberto Re di Sardegna, persuaso
che il Piemonte e l'Italia tutta erano anelanti alla li-
bertà — con lealtà di Re e di patriota — elargiva lo
Statuto fondamentale del Regno, e mostrava di prepa-
nirsi alla guerra dell' indipendenza.
Queste notizie entusiasmavano i legionari e la par-
tenza per r Italia era nella mente di Garibaldi ormai
risoluta. L'annunzio della sollevazione di Palermo e di
Messina venne a precipitarla; la lotta eragià incomin-
ciata; in Italia si combatteva e si moriva per la libertà :
il posto suo e della legione era indicato.
13
Uni pubblica sottoscrizione venne aporta fra gli
italiani in favore della spedizione comandata da Gari-
baldi, Un brigantino era Stato noleggiato, e si staTa ap-
prestando per la partenza. Invano il Governo di Mon-
tevideo, conscio deUa perdita che stava per fare, tentava
trattenere con preghiere e con lusinghe Garibaldi ormai
inipiizieiitc; invano gli stranieri atessi, che vedevano
nel generale una delle più. sicure garanzie dello Stato
e dei loro interessi, si associavano al Governo. Gai'i-
Italdi non si sentiva più padrone della sua volontà, e le
insistenze e gli indugi io inasprivano, e lo si sentiva
pieno *di amarezza dire: « ducimi che arriveremo gli
ulcirai, e quando tutto sarà finito ».
Però egli stesso capiva che per ottenere la riuscita
della impresa era necessario precisarne la meta, avver-
lii-e gli acnici, e prepararle in Italia il terreno.
Poco dopo la giornata del Salo era sbarcato a Mon-
tevideo, e si era arruolato nella legione, Giacomo Medici.
Era un giovane bello di forme, intrepido di cuore, af-
fabile di modi ; e Garibaldi, intuendo nel Medici un
valoroso che avrebbe immortalato il suo nome, 1' ebbe
subito assai caro, e ripose in lui tutta la sua fiducia.
GarHialdi peneò subito dì mandarlo in Italia quale fo-
riero e preparatore della divisata spedizione, e lo munì
delle seguenti
isTnrztoKi
« Terrai presente che scopo nostro ò di recarci in
patria, non per contrariare l'andamento attuale delle
cose e i Governi che v' acconsentano, ma per acco-
munarci ai buoni, e d'accordo con essi andare innanzi
pel meglio del paese ; ma che noi preferiremmo lan-
ciarci ove una via ci fosse aperta ad agii'e contro il
t»>de&co, contro cui devono essere rivolte senza trégua
le ire di tutti; e tanto più lo vorremmo, perchè la gente
u
che ci accompagna è mossa d;i questo ardentissitno de-
siderio ; perchè questo avvenga ti recherai :
« 1. A consultare Mazzini intorno ai passi da farsi
onde preparare le cose nel senso suindicato ; quindi t'af-
fretterai alla TolCft di Genova. Firenze e Bologna, ame-
no che con Mazzini non risolviate altrinienti.
0 2. Das'li amici ti procurerai c&mmendatizie per
tutti quei punti che crederai utile di visitare, affine di
dar moto a preparare f;li uomini, e combinare elementi
di co operazione.
« 3. Scorai quei paesi, ti ridurrai n Livorno come luo-
go pili acconcio a sapere di noi.
« 4. Una delle cose che dovrai tenere in vista, si è
quella di indurre gli amici a tener pronti quei mezzi
indispensabili a provvedere il bisog-nevole almeno pei
primi giorni, attìne di non correre il rischio di perdere
il frutto di taiiLG fatiche e dei sacrifici tatti con tanta
generosità dai nostri cumpatriotti di Montevideo.
< 5. I venti, ed altre cause, potrebbero obbligarci
a toccare Gibilterra. Se Mazzini ha ivi piersona fidata
diriga ad essa lettere per me, informandomi della mar-
cia delle cose e sul da farei — e potrà, appena tu ar-
rivi, cominciare a Kcrivere. La persona che incaricasse
ilovrebbe stare sempre all'erta, affine di farmi pervenire
ogni cosa a bordo e subito. Dal nome del bastimento
chs è quello di « Speranza * con bandiera orientale,
sarebbe al momento avvertito del nostro arrivo — e
perchè ne foase più sicuro e potesse riconoscerlo facil-
mente, alzeressimo air albero di prora una bandiera
bianca attraversata orizzontalmente quanto è lunga, e
nel bel mezzo^ da una striscia nera^
f Di quanto scrivesse a noi potrebbe darti avviso,
se ciò potesse farci mutare di direzione :•.
Montevìdeo, 20 febbraio 1848.
G. Garthaìdi.
D. S. < Le lettere ohe io ti scrìvere a Livorno sa-
ranno dirette al nome di M. James Gross — nella so-
prascritta — nell'interno al sig. Giacomo Medici».
16
Il Medici infatti dopo tre giorni s'ìmbarcayaper la
■missione; e il 15 aprile 1848 Cfaribn.ldi medesimo, ac-
compagnato dfilla suaAiinita col piccolo Menotti di otto
anui, e da otiantacinque de' suoi legionari, fra cui l'An-
zani, ammalato, il iSacchi ferito, Ramorino, Montaldi,
Marocrhetti, Grafigua, Peralta, Rodi, Cucelli, e il suo
moro Aghiar; soccorso dallo stesso GoTerno Orientale
dì armi e munizioni, col brigantino « La Speranza »
salpaTa da MonteTideo per la terra Italiana,
CAPITOLO IV.
Venezia si erige a repubblica. Milano e le cinque glornaie.
L'annunzio d'ima sollevazione degli studenti vien-
nesi propagatosi alla metà di marzo spinse il popolo
veneziano alla presa delle armi per la cacciata dello
straniero. Si combjtttè con furore e con grande eroismo
nella città della lagunsi per cinque giorni; e i! popolo
veneziano, rimasto vittorioso, liberava Manin e Tom-
maseo, e si erigeva in repubblicar
Il 18 marzo Milano iniziava colle barricate le me-
morande cinque giornate. Mentre gli Austriaci avevano
fatto del Broletto la loro cittadella e il luogo di macello,
mentre dal Castello si prendeva di mira l'italiano e lo
gi fulniiiiava: al suono delle campane a stormo il po-
polo impegnava la lotca sotto la direzione di un comi-
tato di salute, del quale facevano parte Carlo Cattaneo,
ed Eurico Cernuachi.
Non si sg-omentfivano i Milanesi al rombo assor-
dante del cannone, al quale rispondevano coi riotocchi
dello campane, co n'armarsi e coir erigere barricate, e la
strage che fiicevano le truppe imperiali, spronava alla
lotta ed alla vendetta gli eroici insorti per la libertà.
16
E la lotta fu aspra, violenta, combattuta corpo a
corpo. I cittiidini si scontravano con le pattuglie, che
numerose suivano appostate in ogni via della città, le
affrontavano con ardimento, uccidevano od erano uccìbì,
menti'e dallo finestre delle case e dai tetti pioveva pioggia
micidiale di tegole e di sassi, e di quartiere in quartiere
si scacciavano le truppe con valore senza pari.
Il 23 marzo fu giorno di vittoria e di giubilo per
la città di Milano. Gli austriaci, rotti, sgominali erano
assaliti, fugati da ogni parte dal popolo che non dava
loro tregua. Al Radetzky non restò che di ordinare la
ritirata.
L'eco delle cinque giornate risuonò per tutta Italia,
commuovendole popolazioni ed incitandole alla riscossa.
CAPITOLO V.
Carlo Alberto bandisce la guerra all'Austria.
Il 23 di rharzo 1848 il Re Carlo Alberto bandiva
la gueira all'Austria, ed il 27 dello stesso mese si met-
teva alla testa delle sue truppe con a capo di Stato Mag-
giore il generale Salasco. L'esercito piemontese, forte di
circa 50 mila uomini, era diviso in due corpi d'armatii
11 primo era comandato dal generale Eusebio Biiva, e il
secondo dal generale Ettore De Sonnaz : a capo dell'ar-
tiglieria era il Duca di Genova e di una terza colonnaera
comandante il principe ereditario Vittorio Emanuele.
I^ altre forze che concorsero alla guerra in Lom-
bardia erano 5000 Toscani, 3000 Parmensi e Modenesi,
10,000 dello Stato Pontifìcio, 5000 volontari Lombardi.
Parte delle truppe Napolitane comandate dal generale
Pepe erano entrate in Venezia. Le altre, obbedendo al
loro Re, litornarono nel regno di Napoli. Le forze au-
striaciie erano di 90 mila uomini suscettibili di grandi
rinforzi.
17:
I reduci dall'America non conoscevano gli avveni-
menti del febbraio, la sollevazione di Vienna, la riscossa
di Venezia, le barricate di Milano, ì'entraca di Cario Al-
berto in Liombardìa, e le prime vittorie delle armi ita-
liane sul Mincio ; tutto questo eraloro interamente ignoto;
quindi Garibaldi era incerto del luogo e della meta del
suo sbarco e l'animo suo ondeggiava tra i consigli avuti
del Mazzini che con uno scritto lo spingeva a sbarcare
in Sicilia e gli accordi presi col Medici, peri quali erasi
impegnato ad approdare in Toscana, mentre il suo vivo
desiderio era di scendere ove fosse più pronta l'occa-
sione di menar le mani. Obbligato ad approdare a Palos
presso Cartagena per fare provvista di viveri, Garibaldi
riceveva dal vice console Francese la lieta notizia della
guerra dichiarata all'Austria. Non più esitazioni — la
via era tracciata, la meta era designata. A Garibaldi ur-
geva senza perdere un istante dirigere la prora verso
la costa della Liguria per essere più vicino al teatro
della lotta, ed offrire senza esitare il braccio suo e dei
suoi a Carlo Alberto.
I venti lo obbligarono ad approdare a Nizza, ■ ed
alle 11 antimeridiane deli21 giugno 1848, inalberante
la bandiera di Montevideo, gettava l'ancora nel porto
della sua città natale.
Nello scendere a terra un urlo d'entusiasmo lo sa-
luta, facendogli suonare all'orecchio nel dolce idioma
natio quel grido d'ammirazione, che da tanti anni non
aveva più udito se non in lingua straniera, in terra
straniera.
Non perdette tempo Garibaldi.
Riordinata la legione, alla quale i Nizzardi avevano
recato un primo rinforzo, il 28 giugno di mattina salpa
con circa duecento volontari ben armati ed equipaggiati,
ed .arriva a Genova nel pomeriggio del 29, accolto dai
18
Oenovesi coll'entusiaBnio di popolo con cui era stato
acclamato a Nizza, e ricevuto dalle autorità con ogni
dimostrazione d'onore.
Per debito dì cortesia prima di partire da Genova
dovette accettare l'invito fattogli d'intervenire ad un'adu-
nanza del Circolo nazionale ; fu obbligato, dopo avere
uditi diversi discorsi, a pronunziarne uno egli stesso per
esprimere il suo giudizio sulle cose della guerra e sulle
condizioni dell'esercito. Procurò di schermirsi, ma do-
vette cedere alle vive insistenze e con parola misurata
■ e con molta franchezza sì espresse cosi ;
« Voi lo sapete che io non fui mai partigiano dei
Re. Ma poiché Carlo Alberto si è fatto il difensore della
causa popolare e muove guerra allo straniero per l' in-
dipendenza nazionale, io ho creduto dovergli recare il
- mio concorso e quello dei miei camerati.
« Il maggiore pericolo che ci sovrasta è quello che
la guerra si prolunghi e non sia terminata quest'anno.
Noi dobbiamo fare ogni sforzo perchè gli Austriaci sieno
presto cacciati dal suolo italiano e non si abbia a so-
stenere una guerra di due o tre anni. Ora noi non
possiamo ottenere questo intento se non siamo forte-
mente uniti. Si bandisca da noi la politica, non si a-
prano. discussioni sulla forma di governo, non si ride-
stino i vecchi partiti. La grande, l'unirà questione del
momento, è la cacciata dello straniero, è la guerra del-
dell' indipendenza.
« Io fui repubblicano, ma quando seppi che Carlo
Alberto si era fatto campione dell'Italia, io ho giurato
di ubbidirlo e di seguire fedelmente la sua bandiera. In
lui vedo riposta la speranza della nostra redenzione;
Carlo Alberto sia dunque il nostro capo, il nostro sim-
bolo; gli sforzi di tutti gl'italiani si concentrino in luì.
Fuori di lui non vi può essere salute.
« Uniamoci dunque tutti nel solo pensiero della
guerra allo straniero ; facciamo per la guerra ogni sorta
di sacriiìci. Pensiamo che essi saranno sempre minori
31
di quelli che e' ira porrebbero i nemici, se fossimo vijitì ».
Queste parole vennero accolte da grandi applausi^
e Garibaldi fu nominato socio onorario del Circolo na-
zionale.
Garibaldi senz'altro parti per il teatro della guerra.
— Passò in fretta Novara, e, toccata Pavia per salutare
il suo grande amico Sacchi, il quale andava raccogliendo
volontari, al 4 di luglio arrivò al quartiere generale in
Roverbella, e si presentò immediatamente al Re.
Questi lo accolse con grande coiiiesia, si mostrò
edotto delle sue gesta di America, se ne compiacque
altamente, congratulandosi con lui. Ma all'offerta che
Garibaldi gli fece di sé e dei suoi compagni, quale Re
costituzionale, si credette obbligato di mandare il gene-
rale ai suoi ministri,
Garibaldi non perdette tempo — si presentò al mi-
nistro della guerra generale Ricci, bravo uomo, colto-
militare, ma pieno di pregiudizi ; questi, per ragioni di
regolamenti burocratici, credette di non potere accet-
tare i servigi, ohe Garibaldi offriva alla causa italiana,
per Combattere con l'esercito, e lo consigliò di recarsi
a Venezia « campo degno di lui, dove poteva prendere
il comando di qualche flottìglia tanto utile aquell'asse-
diatit Città >. Garibaldi deliberà invece di recarsi a Mi-
lano, dove giunse la sera del 1 5 luglio, e doTC Taspettava.
miglior fortuna.
Jlilano era pur sempre la citte, delle cinque gior-
nate, e quindi il concetto della guerra popolare rivolu-
zionaria era sorto dalle barricate.
22
CAPITOLO VI.
Garibaldi a Milano prende II comando del Volontari.
Il governo provvisorio s'affaccendava a reclutare
quante più milizie poteva, ed accoglieva volentieri quanti
venivano ad offrirgli il loro braccio; e però il giorno
stesso del suo arrivo esso offerse a Garibaldi il comando
di tutti ì volontari raccolti fra Milano e Bergamo, i quali
sommavano a circa tremila.
Non era forza atta a salvare il paese, ma più di
quanta in quel momento Garibaldi potesse desiderare.
Si occupò quindi senz'altro dell'armamento dei suoi vo-
lontari ; li ordinò in battaglioni; diede al più scelto il
nome del compianto amico Anzani, suo compagno di
Montevìdeo, e lo pose sotto il comando di Medici, che
si era unito a lui.
Nel pomeriggio del 25 luglio, obbedendo ad un or-
dine del governo provvisorio, lasciò i quartieri di Mi-
lano e marciò verso Bergamo.
Prima di lasciare Milano Garibaldi indirizzava alla
gioventù italiana il seguente :
PROCLAMA
Alla Gioventù !
€ La guerra ingrossa, i pericoli aumentano. La pa-
tria ha bisogno di voi.
«: Chi v' indirizza queste parole ha combattuto per
l'onore italiano in lidi stranieri ed è accorso con un
pugno di valenti compagni da Montevideo per aiutare
anche egli la vittoriosa patria, o morire su terra ita-
liana.
€ Egli ha fede in voi : volete, o giovani, averla
in lui?
23
« Accorrete, concentrateTÌ intorno a me, l'Italia ha
bisogno di dieci, di ventiinila volontari, raccoglietevi da
tutte le parti, in quanti più. siete : e alle Alpi 1 Mo-
striamo all'Italia, all'Europa che vogliamo vincere, e
vinceremo. »
Milano, 25 luglio 1848.
6. Garibaldi.
CAPITOLO vn.
Venezia, Treviso, Vicenza, Roma, Curtatone o Montanara,
Goito, Peschiera, Rivoli - Sfortunata giornata di Cu-
stoza - Armistizio di Salasso.
E 91 marzo, Venezia, dopo una lotta vittoriosa, sì
liberava dal giogo straniero.
Il governo civile e militare austriaco era dichia-
rato decaduto, ed una convenzione era firmata per la
quale il reggimento Kinsld e tutte le altre truppe, croati,
artiglieria e marina si ritiravano, imbarcandosi per
Trieste, Manin e Tomasseo, liberaci dal carcere poliuco,
venivano portati m trionfo alla sede del governo.
Il popolo veneziano proclamava la repubblica, e il
governo prendeva provvedimenti per una pronta ed
efficace difesa contro il ritorno dello straniero.
Padova, Treviso, Vicenza e tutte le città, del Ve-
neto proclamavano il governo provvisorio, e ooei face-
vano le città del Friuli.
La mattina del 24 marzo 1848 ebbe luogo a Roma
un'imponente dimostrazione popolare, che chiedeva armi
e la guerra all'Austria.
Questii ottenne effetto immediato, perchè nel giorno
stesso fu affidata al generale Ferrari la organizzazione
24
del corpo dei volontari, e Ferrari non perdette tempo; di-
fatti alle cinque del mattino del 26 marzo partiva da
Roma la prima legione Romana di circa mille uomini ;
e soli due giorni dopo partiva anche, e bene organiz-
zato, il primo reggimento volontari forte di altri mille-
duecento uomini. Queste truppe per la via di Ancona
giungevano a Bologna il 16 e 18 aprile ; e non più in
numero di 2200 combattenti, ma di circa 8000 uomini,
pieni di ardimentoso entusiasmo per la libertà della
patria.
Il mattino del 27 di marzo Carlo Alberto assumeva
in Alessandria il comando supremo dell'esercito e il 24
entrava in Pavia, ove era accolto con grande gioia dai
cittadini, caldi di patrio entusiasmo.
Agli inviati di Milano si esprimeva con sensi dì
vera devozione alla causa dell'unita italiana e manife-
stava il deliberato proposito dì volere liberare l' Italia
dallo straniero.
Procedeva quindi innanzi coi suoi figli fino a Lodi
e vi piantava il suo quartier generale, da dove ema-
nava i seguenti proclami :
« Italiani della Lombardia, della Venezia, di Pia-
cenza e Reggio 1
« Chiamato da quei vostri concittadini, nelle cui
mani una ben meritata fiducia ha riposto la tempora-
nea direzione della cosa pubblica, e sopratutto spinto
visibilmente dalla mano di Dio, il quale, condonando
alle tante sciagure sofferte da questa nostra Italia le
colpe antiche di lei, ha voluto ora suscitarla a nuova
gloriosissima vita, io vengo tra voi alla testa del mio
esercito, secondando cosi i più ìntimi impulsi del mio
cuore ; io vengo tra voi noi? curando di prestabilire al-
25
-cun patto : Tengo boIo per compiere la graad'opera, dal
vostro stupendo valore cosi felicemente incominciata.
a Italiani! In breve la nostra patria sarà sgombrata
dallo Btriialero. E benedetta le mille volte la Provvi-
denza Divina, la quale volle serbarmi a cosi bel giorno,
la quale volle che la mia spada potesse adoperarsi a
procacciare il trionfo della più santa di tutte le cause.
« Italiani ! La nostra vittoria è certa ; le mie armi,
abbreviando la lotta, ricondurranno fra voi quella si-
curezza che vi permetterà di attendere con animo sereno
e tranquillo a riordinare il vostro interno reggimento;
il ToÈo della nazione potrà esprimersi veracemente e li-
beramente ; in quest'ora solenne vi muovano sopratutto
la carità della patria e l'abborrimento delle antiche di-
visioni, delle antiche diacordie, le quali apersero le porte
d' Italia allo straniero ; invocate dall'Alto le celesti ispi-
razioni ; e che l'Angelico Spirito di Pio IX scorra sopra
tli voi ; Italia sarà !
« Dal No.stro Quartier Generale in Lodi, 31 mar-
zo 1848.
Carlo Allerto.
H Ministro della Guerra^ Franzini >.
« Soldati I
« Passammo il Ticino e finalmente i nostri piedi
premono la sacra terra Lombarda I Ben è ragione che
io lodi la somma alacrità, colla quale, non curando le
fatiche di una marcia forzata, percorreste nello spazio
di 72 ore più di cento miglia.
« Molti di voi, accorsi dagli estremi confinì dello
■ Stato, appena poteste raggiungere le vosti'e bandiere in
Pavia ; ma or non è tempo di pensare al riposo : dì
questo godremo dopo Li vittoria.
< Soldati I Grande e sublime è la missione a cui la
2S
Divina Provvidenza ha voluto ne' suoi alti decreti chia-
mai'ci. Noi (iobbiflnio liberare questa nostra comune
patria, f]uesta sacra terra italiana dalla presenza dello
BtranierOv che da più secoli la conculca e 1' opprime :
ogni etii avvenire ìnvidierà alla nosti'a i nobilissimi allori
che Iddìo ci promette; tra pochi giorni, anzi tra poclie
ore, noi ci troveremo a fronte del nemico; per vincere
basterà che ripensiate alle glorie vosti'e di otto secoli,
asli immortali-futti del popolo Milanese ; basterà che vi
ricordiate che siete soldati italiani.
«Viva ritaUal
< Dal Nostro Quartier Generale in Lodi, 31 mai'-
zo 1848.
Carlo Alberto
Il Ministro della Guerra, Franzini ».
E quasi a dimostrare il sentimento concorde di po-
polo e di Re nel volere liberata l' Italia dallo straniero,
in Ancona -veniva pubblicato il seguente bando:
« Cittadini !
« Al suouo delle campane a stormo, che eccitò l'in
aurreziono nelle Lombarde città contro Todiato straniero
e ne fa ora trionfalmente inseguire la fuga e disperdere
gli avanzi, si mesce già il vivo fuoco degli acco:-si drap-
pelli italiani e il tuono possente del cannone di Carlo
Alberto, Da ogni città, da ogni borgo, da ogni siepe
esce un animoso combattente della santa guerra d'Italia.
La croce corona la tricolore bandiera, e Cristo ne ha-
faCto r indivisibile segno della nostra vittoria. I lunghi
secoli del dolore e del lutto si riscattano con brevi e in-
vidiabili perigli; le macchie, già abolite, d'inerzia e di
indifFeretiza si redimono con un'eternità d'impareggia-
bile gloria.
■4 Chi, alla voce d'Italia., di questa patria sublime^
ode più gli affètti di padre, di marito, di figlio ? Chi getta-
ancora uno sguardo sugli averi e sulla ricchezza, se
non per farne un sagrificio alla patria?
■< Via il lusso, vìa gli ornamenti; 11 ferro 1 il ferro!
nessuna gioia fuorclià nelle ferite largamenfb aperte nei
petti nemici; nessun desiderio fuoroliè del sangue co-
piosamente sparso per l'Italia; nessuna gloria fuorché
nella sua redenzione- La nostra avanguardia è partita.
I nostri prodi ci aprono la strada. Quale ragione, quat
pretesto ai forti, ai valenti per rimanere? Che dolcezza
in queste mura, che beltà nella vita, quando nei campi
di Lombardia si muore per l'indipendenza italiana?
« Chi non invidia a sé ste&ao questa nobile fortuna
di morire per l'Italia? Chi ricusa la celeste voluttà di
vendicare la sua vendetta? Cln non s'infiamma all'alto
pensiero di concorrere ad eseguire il decreto di Dio, il
decreto deUa rigenerazione italiana? Su quetsto punto si
fonda la nostra nazionalità, si conquirita la libertà nostra,
si edifica una gloria immortale! Dehl ciò non sia senza
di noi I Dehl si accorra alia guerra della redenzione!
Felice chi lascerà la vita per lei ! Felice" chi tornerà
vittorioso, e udrà dirsi ammirando o piangendo di te-
nerezza: questi fu soldato dell'indipendenza d'Italia!
« Ancona, 30 marzo 1848 ».
Da Lodi il Re mosse per Cremona, ove tenne coù-
siglio di guerra per deliberare sulle operazioni militari.
L'esercito procedeva verso il fiume Oglio, e arri-
Tatovi il generale Bava faceva restaurare il ponte di
Marcarla.
Il Re si trasferiva a Bozzolo.
Il giorno 6 aprOe il generale Bava si avanzavat
verso il fiume e giunto verso le 9 in prossimità di Goito
ordinava ad un battaglione di bersaglieri di a&sjtliro i
cacciatori austriaci, che occupavano i colli ; i nostri mos-
sero impetuosi all'assalto e gii Austriaci, abbandonate le
posizioni, si ripararono entro Goito.
Ordinata in isohiera d'assalto la brigata Regina, e
■sopraggi unti i reggimenti della brigata Aosia, il geiieralG
Bftva mosse contro Goito, preceduto dai bersaglieri co-
mandati dal generalo Alesaandro Lamarniora; questi ap-
poggiati dall'artiglieria, che batteva le caso per cacciarne
gli Austriaci, spalleggiati da lue compagnie delle Eeal
Nati, superati arditamente gli asserragliameiiti costruiti
dai nemici, peuetravano nel paese ; gli Aii&triaci, parto
rimasero prigiociori, parte corsero al ponte per difen-
derlo ; i nostri bersaglieri e ì Reni Nari inseguono, pas-
sano a tutta corsa il ponte, e, scesi sulla sinistra del
fiume, s'impadroniscono di un cannone, che il nennco
nella precipitosa fuga non riesce a salvare.
n combattimento durò tre ore, le nostre truppe che
vi presero parte, aopratutto bersaglien e Real Navi, mo-
strarono gran valore; ebbero due ufBciaU e sei soldati
morti, cinque ufficiali feriti, tra i quali il colonnello La-
marmora, il maggiore Mac:caranì comandante le truppe
Eeal Nari e trentacinquo soldati, fii distinsero il generale
D'Arvillers, il capitauo G-r!fHni e Domenico ResUi.
Il giorno appresso il generale De Sonnaz con un
ardito colpo di mano sloggiara gli Austriaci da Monzara-
bano, ed. alle 5 pomeridiane i Piemontesi erano padroni
di quello posizioni. Contemporaneamente il colonnello
comandante il- reggimento Samia entrava in Borglietto
alla destra di Monzjimbano in faccia a Valeggio, ove i no-
.stri entravano il giorno appresso.
A questi combattimenti seguirono quelli di Pastrengo
e di Santa Lucia.
I nostri guidati dal generale De Sonnaz, cacciati gli
Austriaci dai colli di Costiera, Cassetta e Fratelli, furono
ìa breve ai piedi di Pastrengo. Ma il Duca di Savoia,
2B
tjhe colle brigate Ouneo e Regina si era avanzato alla
testa di tutti, sì trovò arri^stato dal melmoso letto di
quei piccoli torrenti, che si scaricano più. in basso nel
fiume Tiene. Sì doTette rallentfire la marcia; Analmente,
superato l'ostacolo, ed animati dalla presenza del Re e
del Duca, s'avrentano alla lotta, che fu aspra, perchè
gli Austriaci in undici mila difesero palmo a palmo il
terreno ; alle tre e mezzo i nostri erano padroni di Pa-
strengo.
Il Re Carlo Alberto in quel giorno superò tutti in
valore e corse gravissimo pericolo ; intollerante d'indugi
aveva precorso la fanteria con la sola scorta di un drap-
pello di carabinieri. Un corpo di Tirolesi, in agguato per
ritai'dare la marcia dei Piemontesi, fece una acarica a
bruciapelo contro il piccolo drappello, e se il colounelLo
Sanfront non fosse arrivato in tempo coi suoi squadroni
di carabinieri, il Re, che aveva tratto la spada in atto
di slrtDciarai contro il numeroso nemico, si sarebbe tro-
vato a mal partito.
D 6 maggio i Piemontesi con tre divisioni si mos-
sero in ricognizione su Verona ; la brigata Fegina sotto
g-Ii ordini del generale D'ArviUers si avanzava sulla
strnda di Sona, incontrava il nemico e impegnava un
assai vivo combattimento, che ebbe esito fortunato per
i nostri, perchè il nemico si ritirava sotto le mura di
Veruna ; però durante il combattimento la brigata AoaUi
per seguire il He, sempre primo ai rischi, avendo acce-
lerato il passo, si trovò sola di fronte alla nemica e for-
midabile posizione di S. Lucia, seguita a grandissima di-
stanza dalla brigata Guardie.
Gli Austriaci occupavaBo il campanile e le case. Del
cimitero cinto di mura munite dì feritoie, ne avevano
formato una vera fortezza e da questo posizioni con
fUoco micidiale colpivano ì nostri ; U valoroso generale
30
Somraariva secondttndo l' ardore del Re e dei suoi sol-
dati assftle energicamente il villaggio; il generale Bava-
fa piazzare in buona posizione l'tvrtiglieria, la quale apre
TÌ70 fuoco contro il campanile, le case e il cimitero j
sotto le mura del villagj;io sj accende un aapro conflitto,
nel quale trova morto il prode colonnello Caccia del 5"
reggimento ; a fianoo del generale 8oinraariva cadeva
mortalmente ferito il tenente Beston Balbi» suo aiutante;
il colonnello Manassero del G" reggimento era ;graTe-
mente ferito, ed a lui Ticino moriva il tenente GandoU'o
dì lui aiutante e tanti e tanti altri; ma i valorosi Val-
dostani non si arrestano, che anzi il desiderio di ven-
dicare i caduti li spinjje a più fiera locta. Giangeva fi-
nalmente la brigata Guanlìe, che al fiagore del eannone
aveva accelerjito la sua corsa ; e allora il generale Bava,
valendosi del soprasglunto rinlbrzo, si pone alla testa di
questo, lancia le sue brave truppe sul merlato muro, e
queste, sprezzando il pericolo, animate dalla presenza
dei condottieri, superano tutte le diftìcoltii, s' iinpndro-
niseono del baluardo seminando morti e facendo nume-
rosi prigionieri.
Dopo iì combìLttimento di S. Lucia, tanto glorioso
per le armi Piemontesi, essendo giunto il parco da Ales-
sandria, il Re ordinava che ni cingesse d'assedio l'e-
seliiera. La direzione deU'assedjo fu affidata al Duca di
Genova, il quale aveva sotto ì suoi ordini il generale
Cliiodo del genio e il generale Rossi dell'artiglieria; ai
lavori d'assedio, e a cingere la piazza, furono destinate
le brigate Pìtamonfe e Pimroh con Federici generale di
divisione, Bea e Manno brigadieri.
n giorno 19 aprile le truppe Romane di linea e dei
. volontari^ alle quali eransi uniti D battaglione volontari
di Ancona ed altri delle Marche, nonché la Legione di
Eomagna e di Perrara, passavano il Po e si mettevano
31
in marcia verso MoQteljellunn. Il generale Dummio, co-
maDdante in capo di queste truppe colla prima divisione
trovflvflsi già adOstiglia, '
Il 25 d'iiprile, nei dintorni di Schio, ebbe luogo un
combatcimento trii queste nostre truppe e un corjjo di
Auatiiiici che duro per quattro ore; l'attiìcco fu vivo,
ma i bravi nostri giovani volontari seppero cosi bene-
resistere alle prime prove del fuoco, da costringere il
nemico a ritirarsi con perdite non lievi.
Anche nei f,'iorDÌ seguenti ebbero luogo vari scontri
sempre favorevoii alle nostre anni.
11 giorno 8 maggio il generale Ferrari, che aveva .
concentrato le sue forze di volontari e regolari a Mon-
tebclluna, ebbe avviso, dai suoi posti avanzati, delFav-
vicinarsi del nemico.
Il generale, luaciata una parte delle truppe a guar-
dare il paese, mosse col resto delle sue forze per la via
di Cornuda, ove giunto alle ore 5 pom. fece prendere-
ai suoi posizione sulle colline circostanti, mentre man-
dava grosse pattuglie a perlustrare sulla strada dalla
quale si attendeva il nemico. Poco prima del tramanto
la compiignia dei bersaglieri del Po, che stava appostata
sulla collina di desti'a, apriva il fuoco contro l'avan-
guardia nemica che dì poco precedeva il grosso delle
truppe, per cui ben presto l'attacco si spiegò su tutta
la linea; questo durò it n'ora circa, e cessò da parte del
nemico che suonò a raccolta. Era certo che questo aveva
voluto limitare la sua azione ad una ricognizione ; e, si-
curo che l'indomani earebiie stato attaccato da forze su-
periori, il generale Ferrari disposo di ritirarsi dalie po-
sizioni avanzate che occupava colle sue giovani truppe
e di disporre una nuova linea di avamposti al di lù di
Cornuda. Mandava subito avviso al Durando, che si tro-
vava eolla sua divisione nella vicina Bassano, della pre-
senza del nemico, affinchè come generale in capo avesse
prose la &ue disposizioni.
Alle 5 di mattino del 9 maggio il nemico si mosse.
32
•ali 'assalto delle posizioni occupate dal nostri, ì quali
sostennero l'urto senza cedere un palmo di terreno, man-
tenendo un ftioco assai ben nutrito fino alle 4 pomeri-
diane in attesa dell'arrivo del Durando.
Ma il nemico ingrossava sempre più tanto che a
sera le truppe del Ferrari si trovavano ad avere di
fronte l'intera divisione del Nugent, che occupava tutte
le posizioni di fronte, con spiegamento di forze a destra
:e a sinistra tendenti all'avviluppamento; intendimento
che non isfug^ al Ferrari, il quale ordinava un movi-
mento di ritirata e di concentramento più indietro di
Cornuda, per proseguire poi per Montebelluna, onde
congiungersi colle truppe che vi aveva lasciato di pre-
sidio. Giunto a Montebelluna, ordinava la partenza per
Treviso dandone avviso al generale Durando cui chie-
deva urgenti rinforzi.
Il mancato appoggio del Durando fu inesplicabile.
Alle pressanti premure del generale Ferrari egli ri-
spondeva così :
Crespano, 9 maggio 48.
Generale,
< Vengo correndo ».
« Durando >.
Ma non si vide :
n generale Ferrari presa posizione a Treviso, or-
iìinava una ricognizione — volle dirigerla di persona il
generale Guidetti il quale, spintosi avanti alla testa dei
suoi, ebbe trapassato il cuore da una palla tedesca.
Verso mezzogiorno, sì ebbe notizia che il nemico,
in forti masse, si avvicinava a gran passi, da tre parti,
su Treviso. Il bravo generale Ferrari sì spinse con una
forte ricognizione verso il Piave. Venuto a contatto col
nemico, ingaggiava il oombattinlento di tìraglieri, facendo
33
piazzare intanto la deljole sua artiglieria. Al couLi'aE--
tacco del nemico, che aveva spiegato forze imjioneiifcij
e al fuoco delle sue artiglierie clie fulminavamo, la co-
lonna avanzata composta di truppe di linea non resse,
balenò prima, poi, presa da panico si sbandò, abhando^
nando al nemico un cannono e non arrestandosi che a
Treviso. Non giovò l' intrepido e valoroso esempio del
generale di fronte al fuoco; fu vana la voce degli uffi-
ciali che tentarono dì ricMiiinar le truppe al dovere, e
dì fare argine alla fuga ; nulla valse, e la rottfi di quella
colonna fu completa. I volontari marchigiani, romagnoli»
umbri, romani rimasero al loro posto ma non poterono
riparare al disastro ; essi si misero sotto gli ordini del
colonnello Galletti per riannodarsi alle truppe del gene-
rale in capo Durando, avendo il generale Ferrari abb^m-
donato il comando, offeso della condottn del Durando,
che gli aveva fatto manc^u-e il promessogli soccorso.
n gtmerale Durando col grosso dei suoi, si trovava.
a Padova con avamposti a Vicenza ove lo niggiungc-
vano i volontari comandaci dal G-aletti.
Il 20 maggio gli Austriaci, forti di 6000 uomini oltre
l'artiglieria, assaUvano i posti avanzati di Vicenza, svì-
lupivando la loro azione dì artiglieria e di ben nuti'ìto.
fuoco di fucileria contro le barricate di Porta S. Luciiij
di Porta Padova, e di Porta S- Bartolo, ma dopo 4 ore
di combattimento furono da ogni parte brillantemente
respinti.
In questo coDibaLtiraento, sostenuto con molto va-
lore, i nostri ebbero a soffrire non poche perdite, e lo.
stesso generale Antonini vi rimase gravemente ferito.
Il giorno 23 gli Austriaci, con forze assai maggiori
ritornarono ad assalire Vicenza ; il combattimento dura
34
■accanito tutto il giorno e fu ripreso la mattina del 24,
mentre nella notte dal 23 al ^4, bombardarono la città
■che non die segni di allarme. J iiOKtri fecero prodigi di
valore; colla punta della baionetta fugarono il nemico
che perdetce due cannoni e lasciò in nostre mani 154
.prigionieri con più di mille feriti.
Fu uaa giortuita gloriosa per le armi italiane.
Con temporali earo enee gli A ustriaci nttaceavano i
nostri nelle posizioni del Caffaro-Lodrone-Bag'olino, ma
anche da quella parte furono bravamente respinti.
Il giorno 8 giugno il generale Durando ebbe avviso
■del nuovo av-nnscaisi del nemico, ma mal si seppe del
numero e della direzione. Si diceva che non riiggiun'
geva ì :20,000 uomini ed era diretto al Piave per con-
gìungersì ad altro corpo ivi concentrato. Ma il giorno 9
si ebbe notizia che aveva tagliata la strada l'errata e
gittati tre ponti sul Bacchi^Iione. Ormai il sospetto di
esaere attaccaci diveniva certezza, quindi con ogni mag-
giore alacrità si diede opera ai lavori di difesa.
Si distribuirono le forze di 11,000 uomini nelle po-
sizioni le più importanti. Verso sera si ebbero precise
informazioni che tutto l'esercito Austriaco, con Rjidetzty
alla testa e con 80 cannoni, stava per rovesciarsi su
Vicenza.
Alle 4 di mattina del giorno 10 incominciò l'attacco
al Monte Berico, posizione importantissima che domina
Vicenza. Per disposizione del generale Durando, le po-
sizioni di Castel Rambaldo e dì BeLhiguarda, presidiate
dagli Svizzeri, dovevano essere abbandonate, se attaccate
da forze preponderanti, per concentrarsi con una forte
difesa al Colle su cui sta la Villa Ambelicopoli; s cosi
fu fatto. Abbandonato dai nostri il eolle di Bellaguarcia,
^li Austriaci pensarono subito di piantarvi una batteria
ipa, controbattuti con grande precisione dalla batteria
35>
■àél Colle Ambelicopoli, furono costretti a battere in ri'
tirata. Fino alle 11 del mattino l'attacco fu debole, perchè
^li Austriaci laForavano per fortificarsi nelle posizioni
conquistate e nel piantarvi bntcerie che avrebbero ben
presto vonaitato quel turbine dì fuoco che doveva av-
viluppare la città e piombare sui colli. Verso il mez-
zogiorno il nemico spiegava tutte le sue forze, attaccando
conCeniporaneamente il Monte ìlerico, i Colti, e le porte
■di PjMÌova, di S. Lucia e di S. Bartolo.
Alla dilesa della posizione di Ambclicopoli, stava
la batteria LentuLus rafforzata da un battaglione di corpi
pontificii, da un battaglione di svizzeri e dalle compa-
gnie di Mosti di FeiTiira, di Fusirato di Scino e del Ti-
rolo italiano. Fu un accanito acambiarsi di palle, di gra-
nate, di razzi e di fucilate con etsito micidialiSBÌmo. Allo
-2 pomeridiane il Marchese d'Azeglio comandava un at-
tacco jiUa baionetta contro i nemici occupanti !a coilina
■opposta; il combattimento a corpo a corpo fu accanito»
micidiale sopratutto per i nostri, che avevano di fronte
forze quattro volte superiori; vi rimasero feriti lo stesso
d'Azeglio e il colonnello Cialdini, e l'esito infelice fu
causa della perdita della porzione del Monte Berico ; i
nostri, costretti a ritirarsi furono inseguiti da cinqueraiki
cacciatori ed Ungheresi, sensia che la nostra batteria
potesse arrestarli con fuoco a mitraglia per non colpire
i fratelli stretti d'appresso; giunti gli Auati'iaci a passo
■di corsa come una valanga sui nostri, li roveaciarono
^ù dalla china; tentarono ancora i bravi italiani di fare
resistenza sul Monte della Madonna e nei portici, ma
inutilmente che dovettero ripararsi in cittÀ.
Perduto il Monte Berico, la sorte di Vicenza era
-decisa, ma è pur vero che la resistenza poteva prolun-
.g-arsì.
Erano le 8 di sera, e, ad onta del fulminare delle
artiglierie e degli stutzen, nessuna delle barricate aveva
■ceduto, tutte difese fino all'eroismo dal battaglione vo-
lontari, dalla legione Romana, dalla legione Romagnola,
36
dal battaglione AjicoDitAiio e divUe ti'uppe delle Marche;
dì questo parere di ulteriore resistenza erano anche i
Viceiiitini stessi fli<;, quando videi'o sullu toiT^e iiuilberata
la bandiera bianca la prCBero a fucilate.
Fu fù'iuata uim capitolaaioue die tiilvava In città
e i cittaciirii da ogni ra|jpresaglia; ai parlamentari noisU'i,
il comantlarite austriaco disse: « che non si poteva ne-
gare una onorifica capitolazione a chi ai era difeso tanto
eroicamente ».
Certo è che le nostre truppe fecero tutte il loro do-
vere, battendosi con aceauinsento e valore, e la stessa
eapitoÌHzione lo dimostrò, perché poterono ritirarsi con
armi, bagajjllo ed onori di g-uerra, senza alcuna scorta,
colla semplice promessa che non aviebboro preao le
armi per tre mesi.
Si discinsero il Fasi, il Goletti, il Ceccnrini, il Ca-
landrclli, il Tittoiii, 0 OiSiinoTii^ il Ruspoli, l'Albini, i
capitani Cesare Bianchini, Oruani, Gigli, Andreucci, ed
i tenenti Schellini, Andreanì, Fuggii, e Felici di Ancona.
Vi lasciarono la vita il Maggiore Conte Gentiloiii,
il colonnello Del Grande, Francesco Maria Canestri; ri-
masero feriti Miisisinio d'Azeglio, il colonnello Enrico
Cialdioi, i] comandaute l'artiglieria Lontulus, iJ nuxg-
gioTo Morelli, il Morigliani, il Miughetti, il Corandeni,
il Dianiilla-Muller e i capitani Beaufort e Bandini,
Vinti separatamente, le truppe Komane e 1 volou-
tari delie Marche, del Ferrarese, delle Romagoe, delle
Venete provincie e del Fi'iuU, comandate dal Durando,
il maresciallo Kadetzky era ormai libi-'i'o di portare tutte
le sue forze, aumentate e ringat,'liardito, contro l'esercito
Pieffiontese, di cui aveva provato il valore, e che Bolo
gli rimaneva di fronte.
Disgraziatamente questo esercito, il cui ammontare
GOO Superava i. 60 mila uomini, era ordinato in una
37
estensione di terreno talmente estesa da occupare una
linea di circa cento chilometri attraversati da un fiume,
Kivoli, ie rive del Mincio da Peschiera a Goito; i pi'essì
di Mantova; Governolo e Villafranca ne erano le estre-
mità; Roverbella il eentro.
Il Maresciallo Austriaco volle tentare un colpo de^
cìsivo, salvara Peschiera dairimminente caduta, e piom-
bare addosso all'esercito Piemontese, spertindo di trovarlo
debole a motivo della estensione del!a lunga linea di
posizioiii che teneva occupate. Formava quindi il piaro
di l'orzare la destra del Mincio per Kivalta, le Grazie
o CurLitune, contando di trovarvi debole resistenza, sor-
prendere alie spalle !■© truppe Piemontesi e sospin^rle
Botto le fortezze del quadrilatero.
Formato questo piano, il 21 di magLi'io usciva da Ve-
rona ove aveva riunito 40 mila uomini che diresse su
Mantova; la notte del 28 si attendò sotto quella fortezza
da dorè trasse altri 20 mila uomini del Nugent; aveva
quindi Con se 60 mila combattenti con forte artig-lieria,
e li divise in tre corpi di 20 mila og:nuno.
Alle 10 del mattino del 20 magijio attaccaTa con-
tempo i-an e amen te l'ala sinistra dell'esercito Piemontese
girandolo per Kivoli, Affi, Lozise ed il Campo Toscano
di guardia a!la destra; fra Mozzacaiie e Povegliano eravi
un altro corpo di !l'0 mila uomini minacciante il centro,
qualora i Piemontesi avessero incautamente appoggiato
a desti'a o a sinistra per rafforzare i deboli estremi.
L'attacco di Lozise riuscì sfavorevole agli Austriaci-
essi furono ricacciati al di là dell'Adige dal general De
Sonuaz, lasciarono sul terreno oltre 500 feriti e numerosi
prigionieri.
38
A Curtatone e a Montanara erano 5 mila Toscani
con un battaglione dì Napolitani a guardia del Mincio
comandati dal valentissimo generale Laugier. Di questo
pugno d'uomini, il Maresciallo Austrìaco, coi suoi 20 mila,
credeva di averne ben presto ragione.
Lanciava quindi contro quella estrema punta il forte
nerbo di truppe, con ordine di superare ogni resistenza
e di varcare il Mincio, onde prendere alle spalle i Pie-
montesi, sgominarli e fare punta su Pesahiera.
p Senonchè i Toscani, e i pochi Napoletani, ricevet-
f tero il formidabile urto come tanti eroi della vecchia
i guardia, entusiasmati dall'esempio del loro generale, che,
] moltiplicandosi, sì trovava dovunque era più fiera la
mischia.
Gli artiglieri rispondono coi loro otto cannoni alle
furiose scariche nemiche, molti muoiono da eroi sui loro
pezzi, ma vengono tosto rimpiazzati da altri animosi;
<ìh] molino e dalla casa del Lago, delle quali avevano
fatto due fortezze con feritoie, i Toscani fulminavano
gli assalitori ; il battaglione degli studenti si slancia con
impetuosa carica sul ponte dell'Osone; l'eletta schiera
Toscana combatte eroicamente, non si sgomenta nel ve-
dere fulminati tanti cari compagni come il Pilla, il Tofi
■e feriti il Mossotti, il Pirio, il Burci, ma eccitati dall'esem-
pio del generale Langier, dal Malenchini e da altri prodi
sì avventa sul nemico, lo rompe e Io mette in fuga.
Il combatiiimento durò fino alla sera; un pugno
d'uomini che il Radetsky credeva di sterminare in bre-
v'ora, seppe con impareggiabile valore tenergli 1«sta
tutta la giornata sebbene decimato. Alla sera, slinito.
quel manipolo glorioso dovette ritirarsi su Gpito e Ca-
fi teli uccio.
39
Al combattimento prese parte il Montanelli; questi
temendo che il forte numero degli Au.sLri:iL'.i potesse itvere
ragione del piccolo corpo dei Toscani, disse .il Mjilencliiiii,
capitano dei bersaglieri:
— « Moriamo qui tutti piuttosto che arrenderci »
mentre cosi diceva venivano colpiti a morte Pietro Parrà
e Paolo Crespi; Malenchmi si trovava vicino a quest'ul-
timo, volle soccorrerlo, accorse e lo prese nelle Bi:e
braccia « dammi un bacio amico » gli diyse il moribondo
Crespi « e torna a fare il tuo dovere » ; nel piii vivo
del coiBbattiraent'?, veniva colpito da colpo di t-'aratina
che gli traversavi!, la spaiLa sLuisti'a, il bravo Monta-
nelli — se uè ftccorae il Malenchini e corse a sooco-
rerlo — a questi il Montanelli disse « tu mi Jkrai fede
che io caddi guardando il nemico ».
Fra ì tanti leriti vi erano il colonnello Compia e
il tenente colonnello di-llo Stato Maggiore Chigi die do-
vette subire l'amputazione della mano Hiniatra.
Nel mattino del 30, accortosi Carlo Alborto cbs la
coloDTia nemica del centro erasi ritirata durante la
notte a Mantova, trovò necessario di dare appo-cf^io nlla
destra del Mincio per garantire la ritintta delle Lriifipe
Toscane au Volta, e tener fermo sull'alto Mincio lungo
le forti ed elevate poaizioni che da Vallejjgio distendonsi
fino a Castiglione; e fu provvida mì^ura.
Il nemico fatte passare le Bue truppe alla destra
del Mincio, le distese da Rivalla a Gazaldo e già si tro-
vava a Goito quando giunsero le t.ru]ipe Piemonteìsi.
Ben notevole era la ditferenza delle due forze; i Pie-
montesi non superavano i 19 mila uomini con 45 pezzi
di artiglieria, l'Austriaco era forte di 2è mila uomini
40
e 60 etìononi; ma questa sproporzione fu tosto vinta
dall'ardimento e d.il sommo valore dei Piemontesi.
In sei ore di eroÌ(.-Q combattimento, dalle 2 pomeri-
diane alle 8, l'immico fu sconfìtto; lo sbaragliarono nelle
sue colonne, e lo misero in piena fuga, inseguito fin
sotto Mantova,
Fu una vittoria veramente gloriosa. U Re fu sempre
esposto in mezzo ai proiettili sibilanti, ed obte sflorat*
un orewhlo; il duca di .Savoia fu ferito ad una coscia.
Il numero dei morti e feriti austriaci fu grande e molti
furono i prigionieri.
A rendere più memorabile la giornata, Peschiera af
era resji alle 2 pomeridiane, e alle 4 il Re lo annun-
ciava all'esercito durante il combattimento.
%
Per fitcilitare le comunicazioni con la Camicia e con
la Carinzift, il Re Carlo Alberto credette utile di con-
quistare la posizione di Rivoli, ne diede ordine al ge-
nerale de Sonnaz.
Stava a difesa dell'importante poaizionc il colonnello-
Zobel con 4 mila uomini. Il 9 di giugno il generale De
Sonnaz si metteva in marcia, e l'avanguardia piemon-
tese, formata dal battaglione degli studenti, entrata a
Cavaion, clie trovò sgombra di nemici, proseguiva fino
a Costerman ove pernottava ad un'ora dì distanza dagli
avaniposLi austriaci.
All'indomani il De Sonnaz divideva il corpo in due
colonne; l'una comandata dal duca di Genova, composta
delle due brigate Piemonte e Pineroh, delle compagnie
degli studenti, dei volontaiù pavesi e piacentini, e di
due batterie, giunse, per Costerman. Eoi e Caprino,
sopra S. Martino, accennando a circuire la posizione di
Rivoli per la sinistra e tagliare la ritirata al nemico ;
l'altra colonna, partita da Pastrengo, composta di tutta
la Divisione Broglia, p€r la strada del Eonebi e,d A^.
41
giunse sopra Rivoli che fu trovato sgombro^ perchè il
Zobel, quando si accorse che due forti coIoiiTie erano in
marcia per attaccarlo da due parti, a'era rìpieL^'ato su
Intanale; giunto a Preabono occupava fortemente la
-Corona e le Creare, punti molto importanti, e raandnva
sul Trentino alcune compagnie sulla sinistra dell'Adige,
Ma allo spuntare del giorno 11, assalito dal Duca di
Genova, dopo qualche resistenza, batteva in ritirata
verso Madonna della Neve al di là del confine italiano.
n 18 luglio le truppe Piemontesi comandate a serrar
più d'appresso Mantova, con brillante attacco ordinato
e diretto dal Generale Bava, s'impadronivano di Gover-
nolo ricacciando nelle paludi gli Austriaci, e facendo'
molti prigionieri.
Il giorno 2'2 luglio il Maresciallo Radetzki, decìso di
dure una decisiva battaglia ai Piemontesi, riuniti sotto
A''erona piii di ISO mila uomini, divideva queste forze
in tre corpi: l'uno capitjjnato dal d'Aijpre doveva por-
tarsi sulle alture e al borgo di Sona; l'altro comand;ito
da Wratislaw doveva assalire fìommacarapagna; il terzo
lo teneva sotto mano il Wirapfen per soccorrere al bi-
sogno d'Aspre o Wratislaw.
Le posizioni che stavano per essere investite dal
nemico erano difese dal generale Broglia, che con la
brigata Savoia, un battaglione del 13", alcune compaguie
di Toscani, di bersaglieri e di volontari, sei squadroni
di cavalleria Novara, una batteria da posizione Pie-
luonteae, due pezzi Toscani e quattro pezzi Modenesi e
Parmensi, occupava l'ahizzolo e S. Giustino è mandava
avamposti alle Cascine di Colombarone, a destra ed a
sinistra, fra Sondrio e Boscolengo.
Focili alberi abbattuti, e qualche barricata, erano
*utte le difese dei Piemontesi sulla sinistra.
Non cosi al centro, ove il generale De Sonnaz aveva
42
fatto innalzare un lungo bastionato, che, legando le col-
line di Falazzolo con quelle di Sona, chiudeva la gran
strada che da Peschiera porta a Verona ; quest'opera
era difesa dal Duca di Genova e dai Parmensi.
Sulla destra, a Sommacampagna^ eransi pure erette
alcune trincee, difese da un battaglione del 13" e dai
Toscani con tre cannoni.
Stava in riserva Novara Cavalleria. Erano in com-
plesso appena dodicimila uomini.
In Villafranca stavano gli altri due battaglioni del
13°, un secondo battaglione Toscano, e mezza batteria
di artiglieria; in tutto duemila cinquecento uomini, che
non presero parte al combattimento.
L'attacco incominciò a Sona alle 6 del mattino del
23 luglio ; i Piemontesi assaliti su tre lati da forze quat-
tro volte superiori, respingevano con grandissimo valore
i ripetuti attjicchi.
E sebbene il Wimpfen, vedendo l'ostinata resistenza
dei Savoiardi, dei Toscani e dei Parmensi, avesse man-
dato in aiuto la riserva, pure poco frutto ne riportava
contro il bastione difeso dalla brava aitiglieria e dalle
valorose truppe di fanteria; ne sarebbe riuscito ad im-
padronirsene, se Sommacarapagna avesse potuto resi-
stere. Ma come era possibile ulteriore resistenza quajido
tre battaglioni combattevano arditamente da più ore
contro tre brigate? Pur non sarebbero entrati in Som-
macampagna neppure ; ma gli Austi'iaci per venirne a
capo, collocata una batteria di obici sull'altura del San-
tuario della Salute, fecero piovere nel paese tale una
grandine di proiettili, che i Piemontesi dovettero slog-
giare e ripiegare ordinati sopra San Giorgio in Salice,,
nel qual luogo erasi già ridotto il generale Broglia, ri-
tiratosi egli pure in ordine perfetto, portando con se
la sua artiglieria; dietro comando ricevuto dal generale
De Sonnaz, ricondusse le valorose truppe, per Sandrà
e ColA, sopra Pacengo.
XI maresciallo Badetzky dopo questa battaglia, cii&
gli era costato numerose perdite, si pro'pariiva a vali-
care il Miijcto per impedire a DeSomiaz dì ricongÌLin-
gersi col resto deir&&erc.ito ; iiit<into CiiHo Allierto ordi-
nava i suoi per assalire il nemico e cacciarlo dalle po-
sizioni di Custoza, Sommacampiigna e tìlatìiilo, ributtarlo
contro il Mincio, e togliergli la ritirati su \'erona.
Il generale De Sonnaz prima del lar del giorno del
24 luglio, uscito da Peschiera colle sue genti, saputo
de n'avvicinarsi degli Austriiici al Mincio, presidiata la.
terra di Ponti con cinque battaglioni, e collocati due
tìannoni e una compagnia di bersaglieri a Salienze per
ìontrustare ii\ nemico il passaggio del fiume, con la bri-
fata Hiivoia recavasi a Monzambauo ; senoncliè assalilo
il presidio di Ponti da forze assai preponderanti, dopo
accanita resistenza fu costretto a cedere jibbaiidonando-
i cannoni, per ridursi a Peschiera; iinche De Sonnaz,
vedcnito che non avrebbe potuto tenersi a Monzambano
con le poche sue forze, cinque volte interiori a quello
nemiche, dovette abbandonarlo per raccogliersi a Voitn.
Mii nel Iruttempo Carlo Alberto trionfava in Val di
StafFolo; il re si era mosso da Villairanca alle 2 e mezzO'
pomeridiane colle brigate Gnurdif i'ivìnmitc e Cuneo^
aveva lasciato l;i brig;ita Amta ad Acqucroli a breve
distanza da Villafranca sulla atradjL verso Vnlleggio
dando ordine a Soramariva d'invigilarla, a Manno dì cu-
stodire Villafranca, ad Olivieri di hirtctaro la brigata
RobUlant dì riserva al centro, e portarsi a perlustrare
sulla destra in direzione di AIpo.
Giunta a PozzomoretLo l.t brig^ata CliMnìte veniva
salutata dal fuoco di jtriìglieria nemìcn. jua l' impafe^;-
giabile brigata aohierava in battaglia i suoi battaglioni,
piazzava la sua artiglieria e controUittcva vittoriosa-
mente quella nemica; la brigata Cuna) continuando nd
iivanzare al centro, progrediva sino a Fredda ed fill'im,'
boccatura della Valle di Statolo che separa i monti Gai
e Mondatore dalle colline della Berettara e di Somma.
44
I^ brigata Piemonte conTergeni^^ destra, flancheg-
giata dalla crivallerui, assaliva la posizione di lìerettara.
Gli Austrijtci avevano collocato due peazi su quel
monte in un ottima posizione da dove mitrjigliavano 1
uoBtri ; il generale Bara faceva prontamente raocofjliere
in un forttì drappello i volteggiatori dei due reg^'inn?nti
Piemonte, e postili sotto gli ordini dì due capitani, Mar-
cello del 3*^, e Chìabrera del 4", ordinava loro di slog-
giare il nemico, e rivoltosi ad essi diceva:
« Vedono quei due pezzi? — me li facciano ta-
cere ».
Iq breve tempo, in meno di mezz'ora, fili artiglieri
che li servivano erano t'ulniinati ; 1' ufficittle JiustTiaco
pensò a tirarsi indietro, ma non fu in tempo ; i volteg-
giatori enuio sul monte.
Da per tiitto si combatteva dai nostri con impareg-
giabile valore; guidati dal Duca di Savoia e dal Duca
di fìenovit, a baionetta spianata racciavano gli Austriaci
diiUe favorevoli posizioni di tìoinmacarapagna e di Cu-
stoza e vi si mantenevano ; i moiti da parte degli Au-
striaci furono in numero stragrande, circa quattromila.
Diciotta ufficiali, milleottocento soldati colla loro ban-
diera dovettero deporre le armi.
Fu un giorno dì gloria, ma era destino fosse follerò
di ben dolorose sventure.
H 2J> luglio Carlo Alberto ordinava alle sue truppe
d'impadronirsi di Mouzambaiio e di Borghctto, al tine di
ricongiungersi Jil De tìonnaz. Usciva col Bava e col Sam-
mariva da Villafranca e presso Valleggio attaccava gli
Austriaci. Ma l'astuto Radetzky. indovinando la mossa,
aveva moltiplicato le sue forze traendole tutte con sé
da Mantova e da Verona, e mentre si combatteva ac-
canitamente nei pressi di Villafranca, il Duca di Savoia
e il Duca di Genova venivano furiosameuto attaccati
45
a Sommacampagna ed a Castoza. Dopo tìerisBìma lotta,
dopo essere stati per bene otto volte respinti daCustoza
e da Berettara, nei quali combattimenti ì princìpi di
casa Savoia dettero prova d'indomito coraggio, final-
mente gli Austrìaci del generale d'Aspre, che ritorna-
vano all'attacco con sempre nuovi rinforzi, poterono,
nel cadere del giorno, occupare Sommacampagna e sta-
bilirsi nella posizione di Custoza.
Questo risultato ebbe le più fatali conseguenze.
Nello scoraggiaiuento e 'nel pericolo dì quelle ora, fu
decisa Timmedìata ritirata su Gioito.
Per la vìa di Koverbello marciava l'eaercito pie-
montese; chiudeva la marcia il duca di Savoia. Con cozzo
furioso l'armata regia in. sera del 26 s'avventava all'as-
salto di Volta; superava sotto il fuoco micidiale nemico
l'ertissima altura lottando disperatamente nelle tenebre,
replicfindo l'assalto più e più volte in sette ore di com-
battimento ; ma ogni sforzo fu inutile, il nemico ne fe-
ce un vero macello — e la ritirata si rese imperiosa-
mente necessaria.
A Cuatoza ai era iniziata, a Volta si compiva la
CiiLastrofe, ■
L'ora del risveglio era suonata, e qual triste risveglio.
L'esercito piemontese, dopo tante vittorie, in tre
giorni di lotta eroica, disfatto; le linee del Mincio e del-
l'Oglio perdute; quella dell'Adda insostenibile; tutta la
Lombardia riaperta agli eserciti di Radetzky, Milano
«tessa minacciaci; ecco le notizie terribilmente gravi,
che dal 25 al 30 luglio giungevano nella Capitale Lom-
barda.
Fin dall'annunzio dei primi disastri, erasi costituito
a lOlauo un comitato il quale, mojitro Re Carlo Alberto
«
iindava radDnantJo le membrfl sparse del suo esercitoi
assutnfVtìsi di porre in istato di difesa la eittii ; proce-
dev.H alla t'ortìficazione ed Airagijerra<^')i amento delle mura
e dello vie; corcava armi ed armati; ordinava le mi-'
lizie popolali; mandava in Svizzera ad assoldare nuovi
volontari; provvedeva ai viveri per i combattenti e per
per Ut popolazione; ricbiamttva infloe a Milano quanii
corpi frauclii non erano alati taglinti fuori dall'inva-
vasione nemica, ira i quali nocesaariameute ttiiehe (ia-
ribaldi.
Se chiedere armi, rizzar barricate, offrirò vita e sft-
stanze, gridar « guerra 0 morte »■ aoiio stìntili della de-
liberata volontà d'un popolo di seppellii'tìi sotto le rovine
della sua cittò, Milano li diede lutti.
A Garibfildi l'ordine di recarsi a Milano, minacciata
dagli eserciti ciustriaci, giunse a Bergamo la sera del
3 ago&to ; e poichò egli era ^ià con,sapevuIe dello stótft
delle cose, e le avang'uardie auatriiicbe bivaccavano già
a Cassano d'Adda, non esitò un momento e indmzzò iiL
suoi legionari il seguente ordine de! giorno :
Legione italiana I
Legionari! Il cannone tuona — il punto in cui
siamo è in pericolo, come in posizione di essere tagliato
fuori, e poi il giorno di domani ci promette un campo-
di battaglia degno di voi.
Adunque vi chiedo ancora una notte di sacrificio,
progrediamo la marcia.
Viva l'indipendenza italiana.
Merate, 4 agosto 1848.
G. Garihaldi.
Fatti quindi nella notte stsessa gli apparecchi della
partenza, per la via più corta e sicura di Pontide-Brivio-
Merate, dopo trent'ore di marcia forzata, verso le due-
pomeridiane del giorno 5 giungeva a Monza. ■-
47
ConduceTa con sé cinquemila uomini circa, e fta
essi, confuso co' gregiari del battag-lione Anzani, trova-
vasi Giuseppe Mazzini, venuto a chiedere in quella su-
prema angoscia della patria il suo posto di combatti-
mento, pronto a darle come semplice legionario italiano
la sua vita.
Monza, finche Milano resisteva, era una buona po-
sizione di fianco, sulla destra dell'esercito austriaco, e
quand'anche a Garibaldi fosse suito impedito di pene-
trare nell'aasecìiata città, l'audace condottiero avrebbe
potuto molestare il nemico e recare agli assediati aucbe
diil di fuori un non spregevole soccorso; ma troppo
tardi! Sfasciato l'esercita; discordi i generali; riuscite
sfortunate lo fazioni sotto le mura ; smarrita ogni spe-
ranza ; disordinate, inesperte le milizie cittadine; diviso
il popolo; impossibile persino l'eroismo della diapera.zione ;
certo l'eccidio della città e con esso inevitabile lamina.
del Piemonte e della sua liberti; tale era lo stato ter-
rìbile delle cose. — In questo frangente Carlo Alberto
ebbe il triste coraggio dì fare col proprio sacrificio, aua,
l'onta amara di una resa, che la giustizia della storia
dovrà attribuire a molti altri picche a lui, elaseradel
4 agosto, niftudò una proposta di armistizio al nemico, che
la accettò.
L'annunzio dell'armistizio Salaaco colpi tutta la Lom-
bardia, e fu intoso con un sentimento d'incredulità,
tanto che Garibaldi, anziché pensare alia ritirata, deli-
berava di marciare prontiimente ia soccorso di Milano.
Invano I tutto era finito! L'esercito piemontese in
ritirata verso 11 Ticino, l'esodo dei patrioti! e dei pro-
scritti era giii incominciato; Radetzki superbo come un
conquistatore, passeggiava per le vie di Milano.
^
*
* *
Nel frattempo un altro fatto degno di essere ricor-
dato era avvenuto in Bologna.
CAPITOLO vm.
Sollevazione di Bologna.
Il giorno 8 agosto, fin dal mattino, v'erano state
provocazioni fra le truppe austriache ed i cittadini. Tra
il pro-legato Bianchetti e il generale Velden, era stato
convenuto che le truppe austriache non avrebbero oc-
cupato la città, riservandosi la sola guardia delle porte
di San Felice, Galliera e Maggiore.
Alla Guardia Civica era affidato il servizio interno,
e l'onorevole posto della Gran Guardia al Pubblico
Palazzo.
Tali patti non vennero mantenuti, e soldati armati
erano entrati in città, sfidando e provocando i cittadini;
ne seguirono delle risse con ferimento di un ufficiale
e di alcuni croati, quindi scorrerie di truppe a piedi
ed a cavallo ; ed un corpo di cavalleria alle 9 del mat-
tino, entrato da Porta Maggiore, recavasi ad occupare
la piazza.
Fu un fremito generale nei cittadini, e gli atti mi-
nacciosi degli austriaci non si vollero tollerare. Datone
il segno, tutte le campane della' città suonarono a stor-
mo, i tamburi della guardia civica batterono a raccolta;
gli armati volarono alla difesa, gli inermi, non atterriti
dallo minacele nemiche, si diedero ad erigere barri-
cate.
Gli austriaci, senz'altro, cominciarono l'attacco lun-
go la linea che da Porta San Felice stendesi a quella
Galliera, punto formidabilmente battuto.
49
Da Porta Galliera la niitragLia contro la sÈrada di-
retta recava danni gravissimi ; cannoni, dalla Montag-nola..
e da piazza d'armi, fulminavano le case e gii ebocchi
delle vie.
Le racchette, i razzi, le bombe, piovendo nella
città, recavano gravi guasti agli edifizi, ed ■ appiccava*
no incendi, che i bravi pompieri a stento riusoivano,
con ammirevole coraggio, a domare.
Ma i! popolo non ai atterrisce, anzi cresce il suo
sdegno di fronte a tjili barbarie, e, armatosi come
meglio può, incomincia una disperata lotta.
Si combattevada due ore ■virilmente da parte dei cit-
tadini, quando la guardia civica con due cannoni, fu-
gato il nemico, sì piantava alla Montagnola, menandone
strage; questo sfiduciato e vinto si dava alla fuga, la-
sciando prigionieri gli ufficiali.
Fu universale il grido di gioia da parte dei citta'
dini quando, usciti i nemici, sì videro padi'oni della
citta.
I bolognesi non si addormentarono sulla vittoria;
essi si prepararono alla difesa per potere accogliere co-
me BÌ conveniva il nemico.
Si creò un comiUito dì salute pubblica, il quale
subito si mise all'opera, pubblicando il seguente ma-
nifesto:
Fratelli delle Romagne e d'Italia!
« Dopo di avere occupato tre porte principali della
città, ed i suburbi, l'insolente austriaco credeva di po-
terò gettare il fango a piene mani su un popolo italiano;
il castigo fu pronto. L'amor della patria e l'onore d'I-
talia fa gagliardamente palpitare il cuore del nostro
popolo quanto ogni altro generoso; in breve, dopo osti-
nata pugoa, gli austriaci furono cacciati dai poati che
avevano proditoriamente occupati, e dalla Montagnola
i>ve avevano fatto il loro inespugnabile baluardo, che
credevano di tener saldo col cannoni bombardando 1^.
50
città. Un popolo, qufisi inerme, feeo mordere la polvere
a molti di quei tristi, e ne iticAt:«nd molti altri,
< Bopo la prima vittoria la causa non è vìnta; ac-
correte in ftrmi tutti, generosi fratelli a dividere la glo-
ria come dividente per ttinto tempo i dolori.
Bologna, 9 af^osio 184S.
Bianchetti, Pro-delegato — PepoU Gioacchino -Na-
poleone — Biancoli Oreste ^- Berti Lodovico — (Jhe-
rardi Silvestro — Dottore Frezzolini — Rusconi Fe-
derico ».
Ma il destino era segnato^ l'Italia doveva ancora
soffrire il servaggio dello straniero, causa, non ultima,
le nostre discordie.
CAPITOLO IX.
Garibaldi continua la lotta contro l'Austria.
La Lombardia, dopo l'Armistizio, avea piegato il
Capo al duro destino; era forza che O-aribaldi piegasse
il suo; ma la sua doveva essere la ritirata del leone!
Decise pertanto di marciare su Como, sperando che il
paese, scosso dal primo sbalordimento, si leverebbe in
armi per riprendere la lotta. Infiammato da questa fede
arrivava col suoi a Camerlata; ivi prendeva posizione
e vi si trincerava: di là spediva messi al Griffini, al
D'Apice, al Manara, all'Arcioni, perchè si riunissero a
lui per continuare la guerra santa; apriva nuovi aiTUO-
laraenti invitando alle armi il paese. Tutto inutile! Il
Oriffini per la Vaìcamonica, il d'Apice p?r 9a Valtel-
lina, erano gik in via buI confine Svizzero: il Manara,
il Dandolo; il Durando, subendo rarmistìzio s'erano in-
camminati verso il Ticino; la sua colonna, anziché in-
grossare perdeva più della metà dei suoi nomini; un»
cosa era sicura; che gli austriaci s'avanzavano, e in
poche giornata potevano avvilupparlo.
Tuttavia non volle darsi vinto. I^evò bensì il campo
dirifcendeaì verso Sin Fermo; ivi giunto, fece formare
Balla piazza il quadrato e arringò i rimasti ; disse che
sarebbe alata vile cosa deporre le armi; che bisognava
eontinuare la guerra di bande, e con altre parole inci-
sive che egli sapeva cosi bene trovare, tenta comuiii-
Cftre il suo sacro fuoco agli altri — ma il silenzio elo-
quente fu la prima risposta; nuove e numerose diserzioni
furono il commento di quel silenzio.
Calato il cappello eug'li occhi, come era solito fare
nei momenti più torbidi, 1' eroe iniziò la marcia sen-
z'altro col resto de' suoi su Varese; passatavi la notte
del 9, ripartiva il mattino seguente per 11 Liigo Mag-
giore, e tragittato il Ticino a Sesto Calende, approdò
la sera del 10 agosto a Castelletto presso Arona. La
mattina dell' Il s'impadronì nel porto d'Arona dei due
piroscafi ■ S. Carlo « e « Verbano », imbarcò in essi e
in alenili navicelli a rimorchio i millecinquecento uomini
rimastigli ; risalì il Lago Maggiore e sbarcò a Luino ove
pose il suo campo,
P>a la prima delle sorprese con cui Garibaldi do-
"veva fare meravigUare popoli e governi.
Aveva deciso di non lasciare i» terra Lombarda
^eiiza misurarsi con lo straniero e 1' occasione uod si
fece attendere.
Fin dalla mattina del 15 una colonna di Austriaci,
forte di tremila uomini, era partita da Varese coU'in-
toazione di attaccare i legionari italiani. (Garibaldi era
ammalato nell'albergo della Beccaccia, posto a piccola
distanza da Luino sulla strada di Varese, M<?dìci ve-
gliava per lui. Barricata la strada al di là dell'albergo,
collochiti gli avamposti, spediti esploratori a scandagliare
i dintortii. stava in guardia pronto alle armi. Non era
scoccato ti mezzcgiorno, che gli esploratori vennero ad
annunciargli l'avanzarsi del nemico.
52
Mediui corsa (id avvertire Garibaldi, il quale, di-
mentico del male che lo tormentava, balzava dnl letto,
montava a cavallo, spiegava una parte della sua colonna
sulla stradi! e nei eampi circostanti, appostava sulla si-
alstra il Medici col rimanente del corfio, lasciava, se-
condo il suo costume di guerra, avvicinare il nomico e,
scflmbinti i primi colpi, lo caricava alla baionetta, prima
di fronte, poi colla colonna Medici dì fianco. In poche
ore di Horii lottii lo metteva allo sbarji^lio. inseguendolo
per lungo ttAtto di vìa e costringendolo a lasciare sul
terreno, tra morti, feriti e prigionieri, circa trecento
uomini.
Una nuova campagna era incominciata in Lom-
bardia! Il giorno 16 stette ad aspettare un nuovo as-
salto del nemico, che non si fece vedere; il di scgiuenie
per la Valgana, ai avvicinò a piccole tappe a Varese,
dove entrò il IS alle cinque del pomeriggio.
La patriottica città lo accolse trionfaìraente. Vi passò
in riposo la gìoniati del 19, e la mattina del 20. avver-
tito dell'avvicinarsi dì un grosso corpo di Austriaci, or-
dinò la ritirata sulle colline d'Induuo, spingendo Medici
ad Arei.sitte- Il giorno appresso alcune Gomp?xgnie au-
striachf presentavansi in ricognizione e, raccolte notizie
suUe posizioni occupate da Garibaldi, ripartivano. H 23
tutta la divistone d'Aapre, comand.ìta dal generale in
persona,, forte di diecimila uomini, entrava in Varese,
mentre due altre colonne Austriache, l'una da Luino, e
l'altra da Como, erano in moto per occupare tutti i
passi delia Valcnvia e del Mandrisiotto, con Y intendi-
mento di impedire a Garibaldi ogni ritirata e farlo pri-
gioniero.
Garibaldi comprese che, se lasciava tempo a tutte
quelltì folunne netniche di compiere le loro manovra,
chiusa ogni via di scampo, ne sarebbe rimasto schiac-
ciato. Non esitò un istante; lasciò Medici ad Arcisate
con duecento uomini, dandogli ordine di tenere a bada.
il nemico, di resistere più die avesse potuto, ed all'e-^
53
stremo di rifugiarsi in Svizzera; egli risali per un tr<ilto>
la Valgana, per confermare gii avveram nella credenza
che volesse difendersi su quegli altipiiini, poi ad un
tratto mutò direzione, girò per Valcuvia, scese rapida-
mente su Gavirate, coisteggió il Lag-o, e per Capolag-o b
Gazzada, dopo due giorni di marcia forzata riuscì a Mo-
razzone, alle spalle del nemico che credeva averlo sempre
di fronte.
Il generale D'Aspre non durò a luu^o nell' Inganno;
avvertito da uno spione dell'ardita mossa di G-aribaldij
deliberò di assalirlo immediatamente nella sua nuova
posizione e l' indomani una colonna di cinquemila Au-
striaci, comandata dnUo scesso generale D' A&pre, com-
pariva improvvisamente a Morazzone.
Gi-aribaMi non si aspettava si rapida mossa ; i suoi,.
spossati dalle marcie forzate dei giorni precedenti, tra-
scurarooo il comandato servizio di vigilanza e di per-
lustrazioni, sicché il nemico potè facilmente sorprenderli,
e il cannone fu la loro sveglia. Egli ebbe appena il tempo-
di montare a cavallo e di accorrere alle prime difese;
in brevi istanti T attacco si sviluppò su tutta la linea, e
i garibaldini, dominata la prima sorpresa, animati dalla
voce e dall' esempio del loro capitano, sostennero intre-
pidamente l'urto nemico e lo arrestarono. Il nemico però
non poteva tardare ad avere ragione sul valore; tutciìvia
a Gai'iba'.dì riuscì di protrarre la difesa fino a notte inol-
trata ; poi, apertasi con la baionetta una via tra i petti
nemici, si buttò col suoi, serrati e minacciosi, nell'aperta
Campagna, e quivi sciolse la colonim, consigliando i com-
pagni di guadagnare alia spiccioliita il confine svizzero.
Egli dal canto suo li imitò, e travestito, da conta-
dino, nascosto ed ospitato dagli amici, protetto dalla sua.
stella, giunse a sconfinare presso ponte I^resa in Sviz-
zera, dove ad Agno, in casa Vicari ricevette calda ed.
affettuosa ospitalità.
Anche a. Medici era toccata la stessa sorte. Assa-
lito it 24 agosto da circa cinquemila austrinci, cho in
più colonne s'erano mof,ai ad avvilupparla, con soli due-
cento dei Buoi, tenne fronte per oltre quatt'ore ai re-
plicati assfilti; finché divenuUi perieolosa cgm ulterio-
re resistenza, si ritirò in buou' oidiiie nellii limitrolit
Cosi fini la prima impresa di Garihaldi in Italia.
Essa riuscì quale doveva essere! Fu la proieeta di un
iiorno avvezzo a non deporre le armi che dopo la vit-
toria ; fu rauda':e disfida di uu eroe; fu una disperata
rivolta, della quale nessun 'al tre, all' infuori di lui e dei
suoi, avrebbe affrontate le conseguenze.
Militarmente considerata la mossa di Morazzone fu
una delle pii'i ardite che la mente di una stratega possa
immaginare. Lo stesso generale D'Aspre Bcopri, nella
azione del suo avversario, i lampi di un gran genio mi-
litare, che gli italiani non avevano ancora appreso a
conoscere, e lo confessava cosi a persona elevata : « L'uo-
mo che avrebbe potuto essere utile nella vostra guerra
del 1848, l'avete disconosciuto; esso era Garibaldi ».
Garibaldi fu costretto da quei febbroni, che mai ra-
devano abbandonato durante tutta la campagna, a pro-
lungare la sua dimora in Svizzera più di quanto avrebbe
Yoluto ; alla meta di settembre potè partirne, e si ricon-
dusse a Nizza per rivedervi la moglie, il Aglio, la ma-
dre. Ma vi rimase per poco perchè la lebbre della lotta
gli bruciava le vene.
Si recò a Genova, sperando dì trovarvi aiuto di
denaro, di armi e di armati; ma la sua fu una disillu-
sione ! Però appunto in quei giorni, una depuUwione dì
1
56
siciliani, si presentava in Genova a Garibaldi, invitan-
dolo a foTTnare una spedizione di eoccorao alla Sicilia.
Ferdinando II di Napoli aveva tradita e assassinata
La promessa, liberta e mandato un poderoso esercito a
sottomettere la Sicilia, la quale priva di armi, di milizie
-e di cajffitani, nonostante la {gagliarda difesa di Palermo,
di Catania e di Messina, stava per soccombere.
Garibaldi, senza prendere impegno assoluto, promise,
se gli fosse stato possibile, di portare ai siciliani l'aiuto
richiesto. Infatti, raccolti circa cinquecento della sua
vecchia Legione di Lombardia, lanciava agli italiani il
seguente programma:
Italiani !
Il nido della tirannide, al quale mettevano capo tutte
le vili iniquità cortigiane, è rovescieito. Vienna combatte
per la libertà. Non combatteremo noi per la nostra'?
Non udite venire, o italiani, un fremito dalla Lombar-
dia e dalla Venezia? Il popolo che surse di marzo^ seb-
hene coperto dì ferite, non è morto, ma vive; carica il
fucile e aspetta il cenno.
All'armi dunque, o italiani ; noi siamo alla vigilia
deiruUìraa guerra, non lenta, non iìacca, ma a'apida, im-
placata. Levatevi forti dei vostri diritti calpestati, del
vostro nome schernito, del sangue che avete sparso: le-
vatevi in nome dei martiri invendicati, della libertà con-
culcata, e della patria saccheggiata, vituperata dallo stra-
niero, forti come uomini parati a morire ì Non chiedete
vittoria che a Dio e al vostro ferro; non confidate che
in voi. Chi vuol vincere vìnce.
Su dunque, raccogliete fucili e spade, o italiani, Non
sonore promesse, ma opere; non vanti passati, ma gloria
avvenire.
Genova, 18 ottobre 1848.
G. Garibaldi.
66
Da Genova s'imbarcò col proposito di recarsi ini
SicUia.
*
* *
Ma il 25 di ottobre a Livorno, ove Garibaldi aveva-
approdato, 1 democratici di quella città, gli si misero at-
torno, persuadendolo a restare in Toscana, ed a pren-
dere il comando di quel simulacro d'esercito senza capo.-
Fu costretto ad acconsentire; sbarcati i suoi, si recava
a Firenze; ma quivi giunto, si senti sedotto dall'imma-
gine di Venezia, sola combattente invitta per mare e
per terra contro l'Austriaco. Dominato da questo senti-
mento, lasciava con la sua colonna Firenze e s'avviava
per Bologna, col disegno di scendere a Ravenna, e di
là, passare a dare il suo aiuto all'eroica regina dell'A-
driatico.
Ma era appena arrivato in Bologna, intento sempre
a reclutare nuovi seguaci, ed a spiare l'occasione che
gli schiudesse l'agognata via di Venezia, quando si sparse
per tutta Italia l'eco dei tragici fatti di Roma; il lo no-
vembre Pellegrino Rossi veniva assassinato; il Papa, as-
sediato nel Quirinale, rassegnato a subire un Ministero
Mamiani, ma risoluto a non concedere di più; infine il
21 novembre Pio Nono fuggito a Gaeta ; il governo af-
fidato alle mani di tina Giunta Suprema eletta dal Par-
lamento; la Costituente convocata.
Un si inatteso e violento mutamento nelle cose
d'Italia, mutò anche tutti i piani di Garibaldi. Ora gli
era aperta la via di Roma, ed il fascino di Roma era.
per lui irresistibile.
Non mise quindi indugio ad offrire al nuovo go-
verno l'opera sua e dei suoi compagni; e l'offerta es-
sendo stata accettata, così scriveva al Ministro della.
Guerra :
57
Eccellenza,
Domani raggiungerò colla mia colonna Folig'no,
-donde mi dirigerò a Rieti, punto che mi sembra molto
conTeniente per ortranizzare il battaglione, e ricevere
da Roma l'armamento e quanto altro necessario. Mi per-
metto di raccomandare a V. E. il pronto invio del ve-
stiario, trovandosi la mia gente in uno stato deplorevole.
Mi onori dei suoi ordini.
Terni, 22 dicembre 1848.
G. Garibaldi.
< P.S. Ho ricevuto il dispaccio di V. E. dopo di
aver scritta la presente; dirigerò la colonna a Fermo
siccome mi viene ordinato. Ringrazio V. E. dell' accet-
tazione del Corpo al servizio dello Stato, e solamente
reitero la sollecitudine dell'abbigliamento e dei suoi or-
dini. Vale. »
Garibaldi parti da Foligno il 28 dicembre, avendo
dovuto aspettare il vestiario e l'armamento; arrivò a
Macerata il 1" del 1840, dove lo raggiunse un novello
ordine di non proseguire più. per Fermo, e di restare
dove era.
A Macerata Garibaldi badava ad ordinare, ad ag-
guerrire ed a rinforzare la sua gente; e tanto entrò nella
stima e nell'affetto dei raaceracesi, che più tardi, quando
furono convocati a nominare il deputato alla Costituente,
lo elessero.
Mentre la Giunta Suprema di governo lavorava ad
apparecchiare il terreno alla Costituente, dall'altro 1 cle-
ricali si studiavano a seminare d'ostacoli il cammino di
quella rivoluzione, il cui andare era necessario e ormai
Xatalo. Giunta la loro veechìa teoria ogni mezzo era
-68
buono; e, in attesa che le potenze cattoliche muoTea-
sero all'invito di Pio IX, coprivano di trame e d'intrìghf
tutto lo stato romano; e in alcuni luoghi, specie nell'ap-
pennino Ascolano e nel confinante Abruzzo, spalleggiati
dal Borbone, avevano coronate le creste di quei monti,
antico teatro del sanfedismo, dì numerose bande bri-
gantesche.
Importava alla Giunta Suprema di por riparo a
quell'urgente pericolo; laonde deliberava di mandare il
colonnello Roselli a combattere il brigantaggio Ascolano;
nello stesso tempo chiamava Garibaldi a Rieti, con l'in-
carico di guardare quel confine verso Napoli, e di con-
certarsi con Roselli per soffocare la nascente reazione;
Garibaldi ubbidiva, e per Tolentino, Foligno, Spoleto,
arrivato verso la fine di gennaio a Rieti, si accinse sen-
z'altro all'opera; e, quantunque il mandato fosse arduo,
e richiedesse severe punizioni, tuttavia il temuto condot-
tiero non lasciò in quei luoghi alcun ricordo di ferocia,
alcuna traccia di sangue innocente.
Rese invece segnalati servigi al governo Romano,
perseguendo nel più rigido inverno l'ostinato malandri-
naggio, tenendo atterrita e rimpiattata la reazione,
custodendo fino all'ultimo tratto quel territorio, aperto
per tante vie alle insidie nemiche....
CAPITOLO X.
Roma — Proclamazione di governo repubblicano
Il 5 febbraio 1849 i deputati del popolo adunati in
Campidoglio trassero con solenne maestà, al palazzo della.
Cancelleria, luogo stabilito per le loro adunanze. Fu
posta subito la questione, che si dichiarasse il decadi-
mento del potere temporale dei papi, e si proclamasse
la repubblica. Sorse Terenzio Mamiani con le memorande
parole : a Soma, o i Papi o Cóla di Rienzo, — « i Papi:
« investìti del podere temporale, essere stati sempre il fla-
< gello d'Italia e della religione; la, repubblica la più. bella
* parola, che dir potessero labbra d'iiouio. Gravi per altro
« i pericoli che potea con sé portare la repubblica, non
* avendo gli Stati roraarii per tutelarla le immortali fa-
* langi che la Friincia ebbe nel 1793. Toscana poteva
* aiutare ma debolmente ; gran danno invece U pro-
* clamata repubblica pot&a recare iti Liguria e iu Pie-
« monte, nerbo e centro delle forze it^iliciue ; l'Europa
« tutta conservatrice-; la Francia meno repubblica che
€ itnpero Napoleonico. Concluse elle la questione della
« forma di govtìrno coiiveniva rimettere alla Costituente
« italian.i ".
Garibaldi, Masi, Filopanti, Agostini. Carlo Rusconi,
parlarono in fivoro della repubblica. Vincigaerra escla-
mava essere tempo di finirla coi Papi, assentivano Ga-
bussi e tìavinì. Bonaparte priocipe di Canino, diclùarava
impossibile la conciliiizione del papato con la libertà
italiana e invitava a proclamare senz'altro la repubblica;
fu una di.scuSsione serratft, efficace, eloquente, Infine
respinta ogni altra proposta, fu messo ai voti il memo-
l'ttndo decreto.
Ari. 1. lì papato è decaduto di fatto e di diritto dal
r/orerno temporale dello Stato romano.
Art. S. Il Pontefice romano avrà tutte le guarentigie
necessarie per la indipendenza iielt' eservizio delia sua po-
testà spirituale.
Art. ci. [.a forma di governo àefln Stato romano sarà
In democrazia pura, e prenderà il glorioso nome di Re-
pubNiea roinana.
Ari. 4. La repubblica romana avrà col reato d'Italia
le relazioni, che esige la nazionalità comune.
T vot-:inci furono Centoquarantafre ; centoventi ri-
sposero *Si; nove risposero Xo ; quattordici approvarono
commentando un articolo.
La folla immensa di popolo, alla notizia, proruppe
,jin un urlo immane di gioia e di plauso.
«0
Roma in quel momento nveva rtflermiito il diritto
del popolo italiano.
Essa parve e fu grande come In Roma dei Cesari !
E il manifesto, cho la Costituente romana diresse a
tutti i popoli, lo prova.
Ecco alcune parti più iniportitnti di quel documento
d'imperitura memoria.
Italiani,
« Novello vi sì presenta quel popolo, che era già,
il più grande deUa terra. Ma fra l'antica grftndezzn e
questa resurrezione stette per miile anni il papato.
0 II popolo ha voluto, e la sua volontà non ha bi-
sogTio di chiedere giustificazioni dal passato. La sua ra-
gione è antecedente ad ogni fjUto umano.
% Era piena di lacrime la storia d'Italia, e al pa-
pato ne veniva ast-ritta gran copia. E nondimeno,
allorché ai fece innanzi il papato, e niise'la croce sulla
dima del vessillo nazionale, v^de il mondo che gl'ita-
]iaiii erano presti ad obliar le sue colpe-: e a nome di
un papa iniziavano la loro rivoluzione. Ma quella fu
appunto la prova di quanto potesse il papato e di quanto
non potesse. I predecessori dell'uliimo regnante erano
stati troppo cauti |>er non imperniarsi a tal prova, e la
loro potenza non tu misurata, cho dalle scìa{?ure accu-
mulate Bui popoli. L'ultimo regnante si avventurava
primo nell'opra e volle ritrarsene, quando ai fu accorto
che egli aveva rivelat;! una terribile verità, cioè l'im-
potenza del principato papale a far Ubera, indipendenie
e gloriosa la nazione italiana; volle ritrarsene, ma fu
tardi, Il papato aveva giudicato se stesso
e Speravamo tuttavia ; ma un sistema di reazione
fu la risposta che venne dal papato. Cadde la reazione.
Il papato dapprima disaimiiló ; vide la pace del popolo
« fugg^l. E nel fuggire portò seco U certezza di dentare
gì
la guerra civile ; violò la costituzione politica ; ci lasciò
senza, goverao ; respìnse i messaggi del popolo ; fomentò
le discordie; stette in braccio del più feroce nemico di
Italia e acomunicò il popolo.
« Questi fatti mostrarono abbastanza ciie il princi-
pato papale né voleva né poteva modificare sé stesso,
e non restava cLe subirlo o distruggerlo. Venne distrutto.
a La liberaliUt di regnanti o tolleranza di popoli
avevano posto i! papato nella città degli Scipioni e dei
Cesari, invece che nel mezzo della Frdncia o sulle rive
del Danubio o del Tamigi; doveva esser per questo, che
gl'italiani perdessero i diritti comuni a tutti i popoli,
la liberti!, la patria? E ae fosse pur vero, che alla po-
testà spirituale del pontificato sia necessario il possesso
d'una sovranità, temporale, quantunque non a questa
condizione fosse promessa da Gesù Cristo l' immortalità
della sua Chiesa, era dunque serbato a Roma di dive-
nire il patrimonio del papato e divenirlo per sempre V
Soma, patrimonio di una sovranità, che per sussistere
aveva bisogno di opprimere, e per essere gloriosa aveva
nocetisità di perirsi e come patrimonio dei papato farsi
cagione permanente della mina d'Italia? Roma, di cui
le tradizioni, il nome e fin le ruine parlaao si torte di
]lbei-tà e di patria? ...»
E il popolo rispose e risponde : No
noma i delta Mbertà t
- Roma é mia!
Parlato a Roma il debito politico, Garibaldi ritornò
a Rieti a riprendere il suo posto militare.
Nel frattempo gii avvenimenti avevano fatto il loro
corso.
Il 22 marzo la catastrofe di Novara ; il 27 la risposta
dell'Asaemblea Veneta all'Haynau ; < Venezia resisceri
tìd ogni costo » ; il 28 l' insensata rivolta di Genova ;
il 1" aprile l'ultimo giorno della decade Bresciana.
62
CAPITOLO XL
Le dieci giornale di Brescia
disastrosa giornata di Novara-
li 20 marzo, in Brescia, una adunata di popolo in
piazza Vecchia, sotto la loggia municipale, preceduta da
bandiera tricolore, chiedeva le dimissioul del Podestà,
Zambelli, e la formazione della guardia ciTica. Nello
Etesso giorno, sul Colle di S. Florian, era comparsa una
squadra d'armati condotta dal prete BoiCava. Questo pic-
colo corpo volante di 300 nomini, al quale si erano ag-
giunti aJcuni terrazzani, aveva avuto incarico, dal Co-
mitato per r iiisurreztoue, di impedire le comunitiazionì
Bulla strada per Peschiera, Verona e Mantova, intercet-
tare dispacci del nemico e molestarlo con avvisaglie.
La sera del 21 marzo fu fermata una staffetta la^
trice di dispacci ; tradotti dal tedesco. ?i rilevò che re-
cavano l'annuncio, essere partito da Verona un grosso
convoglio di munizioni per fornirne Brescia e Milano,
Una trenriaa di giovani animosi, fra i quali Giu-
seppe Zanartìeili, postisi sotto gli ordini di tale Longhena»
perchè era stìito militare, uscirono dalla città allò 11 di
sera col determinato proposito, d'impadronirsi del con-
voglio di munizioni, tanto necessarie ai cittadini insorti.
L'ardita falange giunse a Rezzato prima dì giorno.
Avvertiti i baldi giovani, che il convoglio delle
truppe imperiali era prossimo a giungere, bì diedero
subito a costruire una barricata allo sbocco della via,.
verso Ponte S. Marco, e dopo di avere collocata della
gente anche inerme sui balconi e nelle vie, per dimo-
strare che erano in molti a chiudere il passo, presero.
posto nella barricata, risoluti a tutto.
Non tardò a comparire sulla strada la pesante co-
lonna dei carri, custoditi dalle baionette croate.
63
E corpo austriaco di scorta agli otto carriaggi ciirichi
di munizioiii eradi 173 soldati e sei ufficiali; questi ac-
cortisi della barricata e degli armati clie impedivano il
passo si fermarono. Il comandante della piccola squadra
bresciana divisò di mandare un parlamentario ad in-
vitare il comandante delle forze nemiche a recarsi a
Rezzjito per trattare col duce delle forze cittadine ìq-
sorte. Questi assenti, e, quando fu all'ingresso del paese,
gli fu imposto di arrendersi, informaadolo che ogni re-
sistenza sarebbe stati inutile, perchè Brescia e Milano-
erano in mano del popolo, e le truppe avevano capitolato, ,
r intero paese insorto, come era insorta la stessa Vienna.
Intanto, durante le trattative, erano sopraggiunti
altri iusorti guidati dal curato Boitava, e il capitano ac-
consenti di arrendersi: ufficiali e soldati consegnarono
le armi, e i bravi bresciani preso possesso de! convoglio
delle munizioni, per vÈe montane, onde evitare l'incontro
di qualche squadrone, dì cavalleria, si diressero verso
Brescia, ove giunsero sul fare di sera del giorno seguente,
accolti dalla cittadiminza con. luminarie e grande entu-
La sera del 21 era stato acclamato Podestà il So-
lari, che si annunziava alla clttadiiianza con un patrio^
ticQ manifesto.
Il ^2 venivano aperti i ruoli per la formazione della
Guardia civica.
La mattina del 23 nella contrada de?li Orefici, nei.
pressi di Piazza Vecchia, un pugno di popolani si av-
ventava contro i soldati austriaci di scorta ai carri di
legna, destinatn al riscaldamento delle caserme e del
Forte, li disarmava, inseguendoli fino all'accesso del
Castello, e disarmava pure alcuni gendarmi incontrati
per via. La sommossa si fece generale, si abbatterono-
gli stemmi e le insegne imperiali, e si disarmarono i
soldati di picchetto negli ospedali, ed in altre località
dando ad essi dovunque la caccia.
Il comandante del Forte, Leshke, senza Indugio,.
volle ricorrere alle armi dello spavento; e nelle o
XKimcridiane» fece piombare sulla città un gran numero
di bombe, che, se cagionarono qualche rovina alle case,
ebbero per effetto di accendere maggiormente l'entu
aiasmo bellìgero della cittiidinanza; dopo ta.le preludio
mandava un messaggio til Podestà, intimando che se la
città non t'osse ritornatii. alla soggezione imperiale,
avrebbe bombardata ed incendiata. IlSoleri,a sua voi
domandava tempo per provvedere; ma allo scoccare
della mezzanotte, in esecuzione della fatta minaccia, il
Lesbke, apriva dal castello un furioso bombardamento.
Questo procedere barbaro, che veniva principal mente
a colpire donne e bambini giacenti nel Konno, inaspri
i cittadini, che armati, si fecero sotto al Castello rispon-
dendo ni bombardamento col prendere a bersaglio i can-
nonieri nemiei, al grido « di viva l'Italia, viva il Pie-
monte ».
0 ■!
Intanto, sul mezzogiorno del 20 marzo, le ostilità.!
da parte dell'esercito piemontese contro gli austriaoij
furono riprese, ma le sorti della guerra furono addirit-
tura disastrose per le armi italiane.
Il piano del generale in capo Chzamowsky, noni
era tale, che potesse convenire ad un piccolo eser-J
cito, quale era quello messo assieme dall'eroico Pie-|
monte. Invece di tenere unite, quanto più si potesse, le ,^
piccole forzOj esse erano schierate sopra una fronte ec-
cessivamente estesa.
Il generale Lamarmora, con una Divisione, era stato
inviato nella Lunigiana, per attraversare l'Appemiino
con Tobbiettivo di assalire gli austriaci alle spalle sulla
sinistra del Po.
Ma qualunque fosse il piano strategico, è certo che
il generale Ramorino, che, con la Divisione Lombarda,
fronteggiava il Ticino nella posizione della Cava, ed a
65
cui era stato dato ordine preciso di arrestare la marcia
del nemico, ove questo avesse tentato il passaggio del liu-
ine a Pavia, e, come segnale alC&mando Generalo del Een-
tativo, tirare moltiplicati colpi di cannone ; questo g:e-
nera!e, contrariamente a tali ordini precisi, non sparè
neppure mi colpo, non fece atto dì resistenza, né si ri-
trasse sopra Sannazzaro e Mortara, ove coi-pi picmojitesi
a'wisati avrebbero pomio trovarsi concentrai il mattino
del 2l per dargli man "forte, appoggiandosi ad ottime
posizioni.
Invece la Divisione senza sparare una cartuccia,
senza dare il seguale ordinato si ritirò sulla destra dd
Po, standosene là spettatrice inerte.
Dopo un'avvisaglia di avamposti al Gravellone, g-li
eserciii avversari si trovarono dì fronte il "21 presso
Mortara. Radetzkj-, concentrate tutte le sue forze, con
rapide mosse aveva spinto i suoi all'attacco ; lo truppe
piemonttisi comandate al centro da Vittorio Emaiiuelf',
Duca di Savoia, fecero prodij^i di valore, ma glia ustriaei
sovorchianti di numero, riuseirono ad impossessarsi di
notte delta cittii: e fu notte di strage in Morliira, percliè
si combatté nccaritameuto per le vie, nello piazze e
*ielle c:ise, opponendo i nostri un'indomita e disperata
i-osistenza....
Intanto, si combatteva con valore ed onore dalle
riostTG truppe anche alla Sforzesca; ma i risultati otte-
nuti furono complctaraente neutrali2zati dalla rotta di
ìdorUira.
Il grosso dell'eaercito, con Re Carlo Alberto, nella
Bupposizione che gli Austriaci muovessero da Mai^enta
■jjer transitare il Ticino, stava accampato per attendere
il nemico presso Trecate ; ma, trovate sgombre le pofii-
zìoni ci ripostali ti, mosse al di qua del fium.e, per la vìa
^ Milano.
6S
Fur troppo non potè continuare lungo la eua mar-
-cia su teiTii lombarda, perché, giunta, la notizia che
l'ftusti'iiK'o, già vittorioso, proseguiva alle sue spa-Ue mi-
naccììindo Torino, fu inimediataniente ordinata la retro-
marci «.
Il 28 marzo, l'esercito nostro, forte di quarantamila
uomini 6 110 pezzi d'artiglieria, si trovava alle nove
del mattino sotto Novara. Alle ore undici, il cannone
nemico diede il segnale della bnttaglin.. Re Carlo Alberto
era al suo posto in prima. Illa tra i combattenti. Il cro-
cevia della Bicocca era la chiave della posizione, e gli
austriaci, in dense colonne, dìresBero tutti i loro sforzi
contro di esso, I piemontesi lo difesero col coraggio della
disperazione; Re Carlo Alberto, ritto sul suo cavallo,
nella saa marziale impassibità, sembrava desiderfisse di
essere colpito a morte ; ma se il Re era l'isparraiato
-dalle palle nemiche, quanti gli stavano vicini venivano
mietuti, e tra tanti altri, il generale Perrone, colpito da
palla alla testa, e il genei'ale Passalacqua, l'estavano
fulniinìiti sul terreno, proprio al fianco di Carlo Alberto.
Tutte le riserve erano state impegnate.
II Duca di Savoia^ dopo avere avuto feriti a morte
tre cavalli, appiedato, mantenevasi alla testa degli avanzi
■dei suoi battjiglioni con singolare intrepidezza. Mal' eroi-
smo non poteva pjìi cambiare le sortì della giornata.
Re Carlo Alberto, testimonio e parto di tutte le fasi
della battaglia, cavalcava taciturno e mesto verao la città,
incurante dei pericoli che lo circondavano, e giuntovi,
contemplava in silenzio e con indicibile dolore la di-
iilatta del suo esercito. Lo si voleva ìilloutanare dal
luogo terribilmente esposto, ma Egli, nello schianto dello
strazio diceva; « lasciatemi morire: questo deve es-
sere rultimo giorno della mia vita! » Aveva tanto in-
vocato dal Dio degli eserciti in quel giorno dì perderla,
' ma non fu ascoltato.
Lii bandiera biancaannunzìava la sospensione delle o-
^tilità; segui rarniistizio e quindi l'abdicazione di Carlo
67
"Alberto e l'assunzione al tròno aelngtio Vittorio Ema-
nuele IL
Tutto era finito! I deatioi d'Italia non erano ancora
maturi I Alle undici della notte, Carlo Alberto muoveva
■alla Tolta di Oporto, per morirvi di 11 a pocUI raesi,
martire di un'idea sublime, vittima del dolore !
H 26 marzo, a Brescia, ove nulla si sapeva del
disastio toccato alle truppe piemontesi, si procedeva
alla nomina del Comitato di difesa, nelle persone dei
cittadini Cassola e Contratti, i quali pubblicarono il se-
guente proclama.
Brescia, 2(5 marzo 1849.
Cittadini!
Lfl patria è in pericolo!
Ora è il momento, o bresciani, d'agire e di fare
conoscere che le vostre promesse non furono milhinterie.
Gli armati accorrano davanti al teatro per ricevere
la loro destinazione. Chi non ha arnai, le donne, i vecchij
ì ragazzi, si adoperino a costruire barricate alle porte
della ci Ita.
Uniamo le nostre forze e difendiamoci. Non si tratta
che di duemila uomini, con due pezzi d"'artiglieria, quasi
tutti italiani.
All'armi I All'armi!
Unione, costanza, ordine!
Cassola, Contratti,
Ragione di questo manifesto al.popolo di Brescia
era die il Comitato della difesa, aveva avuto avviso che
la notte del 25 un corpo d'imperiali sotto il comando
del generale Niigent, sortito da Mantova, con marcie for-
zate si dirìgeva su Brescia-
L
68
Nella città erasi formato un corpo dei più ardimen-
tosi guidato da Tito Speri, capi squadra erano Giuseppe
Zanardelli, Giuseppe Nullo, Antonio Frigerio, Luigi Ca-
stelli, Camillo Biseo, Eligio e Filippo Battaggia. Tutti
mossero incontro al nemico, prendendo posizione nel
borgo di Sant'Eufemia, ove già trovavasi il curato Boi-
tava con la sua compagnia ; si asserragliarono pure ia
in altre posizioni atte ad impedire al nemico l'ingresso
nella città.
Poco prima del mezzodì, gli Austriaci aprirono- il
fuoco, ma gli assalitori vennero coraggiosamente respinti. .
Il Comitato ed il Municìpio, conTÌnti che la resi-
stènza non poteva durare a lungo, decisero di spedire
ili generale Nugent una Commissione di cittadini che si
presentò agli avamposti nemici con bandiera bianca.
La Commissione fu ricevuta dal generale, il quale
poneva senz'altro per condizioni che i bresciani cessas-
sero dalla difesa, deponessero le armi, e distruggessero
le barricate, perche egli, per amore o per forza, sarebbe
entrato nella città.
Quando si conobbe l'arrogante risposta del generale
austriaco, la popolazione proruppe unanime in un sol
grido : « Guerra ! Guerra ! »
Gli Austriaci mossero all' assalto della città, ma ì
prodi Bresciani guidati dall' eroico Tito Speri usciti da
porta di Torre Lunga, giunsero alle spalle degli Austriaci,
già alle prese con le bande dei nostri, e impegnarono
una mischia micidiale.
Il combattimento durò fino a sera con la peggio
degli Austriaci, che, abbandonate le conquistate posi-
zioni, si ritÌraron*5 nei loro attendamenti di S. Eufemìa.,
Cosi ebbe fine la memorabile giornata del 26 marzo.
69
Il 27 gli imperiali a mezzodì ripresero le astiìità,
si spinsero fino a Rebuffone, a poca distanza da Torre
Lunga,' dovei Bresciani erano appostati alla difesa. Gli
Austriaci, piantata nmi batteria aopra Verta della Villa
Mflffei, ai diedero a fulminare i bravi difensori, mentre
nello stesso tempo il Castello iniziò il bombardjimenlo
prendendo i bresciani fra due fuochi. Ma le cannonate,
il bombardamento, gli incendi non sg'omentarono i va-
lorosi Bresciani, che anzi, inaspriti dalla ferocia del ne-
mico, moltiplicarono gli atti di eroismo; tanto che, quando
videro verso sera rallentare e cessare il fuoco da parte
degli imperiali, che rientravano nel loro accampamento,
gli eroici difensori, con rapida sortita, si slanciarono sul-
l'inimico, ed in breve furono addosso alla retroguardia
facendone strage.
La sera la cittii era in festa per la felice resistenza
opposta al nemico ; e il Comitato della difesa pubblicava
il seguente manifesto.
Cittadini 1
11 vostro nome alla posteritìi è assicurato. Il nemico
trovasi nell'avvilimento, perchè gli imponenti mezzi di
guerra coi quali credeva atterirvi, non hanno fatto che
.iccrescere il vostro entusiasmo.
Ormai ha consumato tutti ì suoi mezzi guerreschi,
e quindi non dovete fare alti'o che dar compimento ali»
vittoria nello stesso modo che l'avete cominciata.
Italia tutta farà plauso a tanta prodezza.
Ordine, Coetanea, Unione !:
Brescia il 27 marzo ore 6 Vi pomeridiane.
Cassola^ Contratti.
70
Per dire degli episodi e degli atti di eroismo com-
piuti dai Bresciani nei giorni successivi 28, 29, 30, 31,
non basterebbe un volume intero. Basti aft'ermare cì\e
tutti gli sforzi fatti dal Nugent con ben 3500 uomini,
per impossessarsi di Brescia, o per costringerla alla resa,
furono inutili. Vista la sua impotenza, fu obbligato a
chiedere rinforzi e questi non tardarono a giungere, con-
dotti da un ben formidabile avversario, tristamente co-
nosciuto dai Bresciani.
Il 31 marzo giungeva infatti, per espugnare l'eroica
Brescia, il tenente maresciallo Haynau con una intera
divisione — e ben presto diede sue nuove col seguente
dispjiccio : n. 152 — Dal 2" I. R. Comando del Corpo
d'Armata.
Alla Congregazione Municipale
della Città di Brescia.
€ Notifico alla Congregazione Municipale che io alla
testa delle mie truppe mi trovo qui per intimare alla
città di arrendersi tosto e senza condizioni
« Se ciò non succederà fino a mezzogiorno, se tutte
le barricate non saranno interamente levate, la città
sarà presa d'assalto, sacchtgj^iuta e lasciata in balia a
tutti gli orrori della devastazione.
« Tutte le uscite dalla città verranno occupate dalle
mìe truppe ed una resistenza prolungata trarrà seco la
certa rovina di Brescia.
« Bresciani ! Voi mi conoscete, io mantengo la mia
parola !
« Il Comandante delle truppe stanziate all' intomo
della città di Brescia.
Il Tenente Maresciallo.
Haynau.
71
Non è a dire quanto la lettura dì questo dispaccio
inasprisse e rinfuocasse gli animi.
Il IVIuuiC'ìpio mandò subito per il Comitato, che
pronto accorae all'adunanza.
Richiesto del auo parere, il Comitato dichiarava do-
merai risolutamente resistere.
La maggioranza degli adunati, pur non dissentendo
dalla resistenza, deliberava però, di mandare deputati
airilyrau, per ottenere una proi'oga di tempo, onde si
potesse prendere ponderate risoluzioni.
Come ambasciatori si offersero i cittadini Lodovico
Borg^hetti, Pieti'o Pallavicini. Paolo Barucchelli e il no-
bile Girolamo Rossa, alla patria devotissimi. Cosi com-
posta, e fiancheggiata da due gendarmi e preceduta da
bandiera bianca, l'ambasciata verso le 10 si avviava per
il Castello.
I messaggeri trovarono 1' Haynau inflessibile. Ho
detto a mezzogiorno.
Ed alle vive rimostranze degli inviati, per grazia
dichiarava, ohe avrebbe aspettato Uno alle due pomeri-
diaue. ■
DeWuHimatum del Maresciallo austriaco fu data par-
tecipazione al popolo dal balcone del palazzo couiunale.
E la risposta del popolo Bresciano fu quale doveva es-
sere: Guerra! Vogliamo la guerra!
Quella del Podestà fu : Dunque, all'armi Bresciani !
all'anni !
Allo scoccar delle due, tutte le campane della città,
«onie se fossero mosse da un sol uomo, e tocche da uno
«tesso martello, si diedero a suonare a stormo onde chia-:
_mare i cittadini alle anni. Questa era la risposta chei
bresciani mandavano all'Haynau.
]
Il nemico sTeva ììiitanto circondato con forze
merose la cìttii, e piantate sulle alture batterie di cari^
noni e di mortari, ccU'ordine che, al segnale dato dalle
artiglierie del Cafitello, tutte l'è batterie aprissero il
fuoco. H
E alle tre, tanto dal Castello che dalle batterle cÌnH
costanti, &' incoinìnciò senza interruzione a vomitare
bombe e pjille incendiarie; tutte le campane della città
suonavano a stormo, cbiamando il popolo alla resi
stenz.a.
L'IIaynau aveva stabilito un assalto generale al
città; oidinava quindi le sue genti in modo clie tutta'
la circiiibsero, per dividere cosi le forzo dei difensori e
rendere più debole la resistenza. Jh
A queslQ scopo, sul ripiano del poggio MafFei dovè
Etava la brìg-iito Nugeiit, aì^va fatto piazzare una^bat-^
teria, che batteva direttamente la barriera di Torr^B
Lunga, ove dovevano essere diretti i maggiori sforzi,
infatti, fulmìn;vta con fuoco mai interrotto e con colpi
bea diretti, ben pi'esto l'intera trincea fu squarciata, ed
ì difensori dovettero abbandonarla, per ritirartìi al ri-
dosso della ban-icata che formava la seconda linea di
difesa. Tennero loro dietro i ntìmioi che tentarono di
entrare con essi in città, ma furono valorosamente re-
spinti, ed ebbero a subire gravi perdite,
.*•
Non cessava intanto il tuonare dei carmoni e dei
mortari dal di fuori, mentre le bombe ed i razzi piove-
vano dal CtLstello; ma non per questo ritiravnnsi f di-
fensori, che, capitanati dallo Speri, combattevano con
tanta valentia e costanza, da emulare i più esperimen*
tati e disciplinati veterani.
L'Haynau aveva ordinato che un battaglione di
croati, di notte appostato, scendesse giù per la china
del colle ed a forza occupasse le vie che conducevano
73
al centro dalla cittti. Fu parò accolto, mentre discen-
deva, con unn tempesta di fucilate, si da essere obbli-
gato a sostare e a dare indietro; ma poi riordinato,
assali i nostri con fuoco talmente internale da obbligare
i dìfeuHori ad abbandonare la trincea pili avanzata po-
sta alla svoldii della china del Castello, non solo, ma
poi, dopo altra eroica, difesa, a ritirarsi anche dalla
barricata che custodiva la svolta di S. Urbano : ed in-
fine anche dall' ultima di via della Consolazione. Gli impe-
riali, alla carica, sorpassando le barricate, si^iombrando
impedimenti sì precipitarono nella piazza dell' Albero.
Là i Bresciani li attendevano alla posta; dalle finestre, dai
tetti, da^li sbarramenti che chiudevano il passo all'in-
terno della città, vennero accolti con tale una salva di faci-
late, che ben pochi ebbero Sfilva la vita; ma una fiumana
di altri croati serrati in. colonne giù per quella stretta,
impediva ai primi di dare indietro : tanto che, alla di-
sperati)., mancando loro og'ni scampo, fecero testa, e s'av-
ventarono risoluti contro le trincee per forzare il passo;
ma ancora nu fuot'.o micidiale a bruciapelo li accolse, e,
più che decimati, dovettero arrestarsi e dare indietro.
L'Haynau che dal Castello vedeva lo scempio che
• ì difensori facevano dei suoi, ordinava al Colonnello Mìlez
^ accorrere in aiuto con buon nerbo di forza; ma, ap-
pena sboccato sulla pia-aza, il Milez stesso, che stara
alla testi! degli assalitori, colpito da palla al cuore ca-
•^eva morto; i suoi soldati allora sostarono; cogUendo il
momento i bravi BresciAni saltarono dai ripa,ri, e slan-
ciandosi &ul nemico l'assalirono a colpi di baionetta, di
daghe^ di stocchi, di coltelli. Non ressero gli Austriaci,
ma si diedero alla fuga, abbandonando armi e feriti,
La piazza deU'Albero a ricordo di tanto valore fu
poi nominata Piazza del iS49. In quel g-Ìorno 31 marzo
correva a rivi il sangue e i cadaveri vi giacevano ain-
tQonticcbìati.
74
Però altri punti, Torre Lunga, S. Urbano, S. Ales-
sandro turano invasi dal nemico, e l'incendio, il sac-
cheggio, gli orrori di città presa d' assalto, incomincia-
rono nelle tenebre con tutti gli atti i più brutali.
Il primo aprile, dalla parte del Castello, appoggiati
dalle artiglierie, gli Austriaci discendevano in città., inve-
stendo e rompendo tutti gli ostacoli che trovavano sui
loro passi, giungevano alle spalle dei difensori della
piazza dell' Albero, teatro del micidiale combattimento
del giorno innanzi, occupando il palazzo del Broletto,
massacrando quanti si paravano loro dinanzi, gettando,
dalle finestre e dai tetti quante persone si trovavano-
nelle case. Lo stesso avveniva nel quartiere di S. Naz-
zaro e a porta S. Giovanni.
Era tempo di pensare seriamente ai casi della pa-
triottica città, ridotta agli estremi, e minacciata di di-
struzione.
*
• *
Alle 10 antimeridiane il Municipio riceveva le di- ,
missioni del Comitato di difesa. Bisognava senza perdita
di tempo mandare all'Haynau una deputazione per trat-
tare la resa. Fu incaricato il padre Maurizio da Brescia,
accompagnato dal padre Ilario da Milano e dal citta-
dino Pietro Marchesini.
I patti della resa furono con molto stento converiutL
La mattina del 2 aprile entrate le soldatesche au-
striache nella città di Brescia, la leonessa d'Italia, salu-
tata dal Carducci, il Maresciallo Haynau emanava due
bandi. Col primo imponeva alla città una taglia di li-
re 300.000, destinate a compenso e a premio degli uffi-
ciali — più condannava la città e provincia al paga-
mento di un'indennità di sei milioni di lire.
Cosi ebbe fine la lotta gloriosa di Brescia sostenuta.
per 10 giorni con sublime eroismo sotto la direzione del
Valoroso Tito Speri che non avendo trovala la morte
combattendo ^ doveva piigare il fio del sao eroismo
per saziare la sete di vendetta di Haynau « 1' uomo
Jena » — e morire su una forca sugli spaiti di Bel-
fiore — assieme ai compagni di martirio Calvi, Poma,
Canai, ZambeiSi, Scorceliini, il sacerdote Fozzoli, il conte
Montanari, il prete STaiigelico Grazioli.
Ecco come ne canta il poeta Marradì a cui devono
essere grati quanti sentono il eulto della patria:
« Primo ftl capestro iJ non domabil collo
e l'impassibil maestà patriria
die il conto Carlo Montanari, morto
OOD gli oacki fissi nolia vi&ione
dell'avvenire, reazolf) aecondo,
striiig&ii,losi snl onora il Croeifisso
che B sua vita evangelica Tu duce,
l'intropidu in su;i calma e in mia dolcezEa
pastor di Hever&. tlltimo nel flore
<l«i SdOi bai Ventisette abbi, vestito
ooiDB chi B noiie va, maravigliando
dì sua Ictìaiii esecutori ed ustaati
soli la forca Tito Sperì
Salutò, anche una volta « d'un riso d'ineffabile
addìo > i giovili di Monte Baldo, le pianure e V acque
della patria dolente^ poggiò, sicuro, la fcruna testa al palo,
e fra mille nccbi
che intoma gii piangevano in silenzio
fissa con occhi scintillanti il cielo.
I tempi intanto incalzavano e la reazione divampava.
H 6 aprile Catania, dopo eroica difesa, cadeva nelle
rnani sanguinarie del borbonico Filangeri. Il 12 la rea-
zione Lorenese restaurava in Toscana il granducato. H
20 Filaogeri era minaccioso alte porte di Palermo. Fi-
i^tu^uA^ts bì ^l 4iprUe sttlpava da Tolone la spedizione
i/iOlìm» di queste notizie sorprese Garibaldi ad Ana-
Kn(, drtvw ora arrivato il giorno precedente.
Il S4 «prìle l'avanguardia, il di appresso tutto il
corjw di sjieiiizione comandato dal generale Oudinot,
portato ti» dieci navi, forte di dodicimila uomini e di
s*MÌìoi [H'zzi da campagna, gettava l'ancora nelle acque
dì Civitavecchia.
CAPITOLO XII.
Eroica difesa di Roma.
Sullti scopo dell' intervento francese nelle cose di
fvinm» (» stabi gin giudice severa la storia, e non è tema
1 hi> tiivvigli un iuiliano a ritornarci sopra. Solo afferme-
njuK> i>lu' per quanto ai sia voluto dire, cerco non fu
.fui<»l'(lc rhe una grande nazione come la Francia, col
|ti4.>UHtiu d'instaurare l'ordine, fra un popolo confidente
' «.^UitKi nel suo patriottismo, siasi mossa a sostenere
• ma .■*t'lH>rHta teocrazia ed a strozzare, tra le braccia
'l'uitit tvpubblica sorella, la libertii nascente.
K fii con sembianze oneste ed amiche che l'esercito
intiirvmt p(it6 sorprendere la buona fede del governa-
lui'L-, dwl presidio e della popolazione di Civitavecchia,
1' luuLtvrt) Impunemente il piede sul suolo della repub-
tilli<U.
U (Vilimnello Leblanc, inviato dal generale fran-
ri'Hu, ubbt^ li merito di parlar chiaro al Mazzini, e con-
it<.i«juo chti scopo della spedizione era la restaurazione
|iit]iiile. ii^ll rese grande servigio a Roma, quando usci
iinlla ridloola guasconata « I^s itaììena ne ee hattenipaa >
ir
la quale, feco affluire al cuore il sangue caldo del po-
polo di Roma, e mise ^l'italiaoi in obbligo di provare,
che colui aveva mentito.
Alla Repubblica Romana non restava adunque più
«he difendere ad oltranza, se non la esistenza, che era
preda designata alla forila del numero, l'onore) che non
poteva essere da alcuno calpestato impunemente, e che
sarebbe salito tanto più alto, quanto piii fosae stato inaf-
iiato di sangue.
E la difesa dì Roma fu degna dei suoi giorni classici.
L'Assemblea decretò senz'altro, di dare incarico al
Triumvirato di resphigere la forza con la forza; il po-
polo applaudi al magnanimo decreto, eorse alle anni, e
i Triumviri, mirabili di concordia e dì energia, assun-
sero r impegno della difesa. Giuseppe Avezzana fu no-
minato ministro della guerra e posto al comando su-
premo dell'esercito, la guai'dia civica armata e mobiliz-
zata, hi linea di difesa tracciata, i punti principali mu-
Jiici quanto meglio possibile nella strettezza del momento,
i corpi stanziali fuori di Koma ricMamati, e tutta la
Hiaesa di truppe regolari ed irregolari, di finanzieri, dì
Studenti, di emigrati, di quanti infine si trovavano in
tioma atti alle armi, ordinata e così ripartita e eo-
«Td andata :
La Legione Garibaldi, l'S" reggimento di linea, il
"battaglione dei reduci, i quattrocento giovani universi-
adi, i trecento finanzieri, i trecento emigrati, un totale
'^li duemilasettecento uomini, composero la prima bri-
gata comandata dal Generale Garibaldi.
Della seconda brigata, formata di mille uomini di
.^guardia civica, e del 1'^ reggìmen to di fanteria leggiero,
\i dato il comando al Colonnello Masi.
78 ___
La Legione Romana e il primo di linea con du(
pezzi di catopagua erano agli ordini del colonnelle
Bartolomeo Galletti; ottocento oambirieri, t'orinanti la
colonna dì riserva, ubbidivano al generale Giuseppe
Galletti; cinquecento dragoni al colonnello favini;
artiglierie al Lopez e ai fratelli Ciilandrelli,
I bersat^lieri Lombardi, comandati dal Manara, a^
vendo ottenuto dal generale Oudìnot di sbarcare a Pòrto"
d'Anzio, a condizione die non avrebbero preso parte a
combattimenti prima del 4 mjiggio, erano vincolati dal-
l'impegno preso per essi dal Preside di Civitavecclii»;
Sicuri ormai che il generalo Oudìnot voleva entrare
in Roma per ristaurarvi il g-overno papale, il 28 aprile
l'aseerablea approvav<a il seguente decreto, dove il senno
romano ben distingueva la Nazione dal governo di Fran-
cia, non incolpando la prima delle inique aggressioni del
secondo, e ponendo sotto la protezione delle le^'^i i fran-
cesi nell'atto che ai apprestava alla guerra contro l'ar-
mata di Francia.
EEPTTBBLIOA ROMANA
In nome di Dio e del Popolo
' Credendo nelle generose virtù dei Romani cot
nel loro valore :
< Conecio che sebbene deciso a difendere fino agli
estremi, contro ogni invasore l' indipendenza della s.ua
t3rra, il popolo di Roma non rende mallevadore il po-
polo dì Francia degli errori e delle colpe del suo g:o-
verno.
< Fidando nel popolo e nella santità del principio
repubblicano :
80
<iell»t Sezione degli Emigrati, ed agli altri corpi posti
«otto i suoi ordirti:
< il Ministro della Guerra, col dispaccio del 27
«orrenCe attidó a me il c-omando delta prima brigata
nella cui forza è puro compresa la vostra sezione. J
< Le urgenze del momento esigono che C'intendiamo*
subito e quindi oggi vorrete inimiincibiliiiettte trovarvi
Con la vostra truppa sulla piazza di S. Maria in
fitevere, per tutte le comunicazioni ».
* Salute e frateLlanza. ».
Dalla piazza del Vaticano, 29 aprile
, G. Garibaldi.
La brigata Garibaldi fu ordinata a coprire la poii^
zione tra porta Portese e porta Cavalle^^geri ; que^a di
Masi distribuirai tra porta- CavuLleggeri e porta Angelica;
la riserva composta dalla brig»tta Galletti, dai dragoniJ
Saviai, dai bersaglieri Manara, schierata tra piazza Na-
vona, hi Luagara e Borgo; i bìtstioni furono coronati dì
nuovi pezzi, le batterie del Vaticano rinforzate; tutto'
ciò disposto in buon ordine ; Roma era pronta a ribut-J
tare gli assalitori.
I! 30 aprile, le vedette di San Pietro anEunziavano
lo spuntare di una colonna francese sulla via di Civi-
tavecchia. Erano circa dodicimila uomini, divisi in due
brigate sotto il comando dei generali Molière e Lavail-
lant, eoa due batterie da campagna che marciavano
alla c^nquÌHta della Città e credevano che gli italiani
non si sarebbero battuti ; dovevano preisto accorgersi del
loro folle giudizio e chiamare poderosi rinforzi.
Alcuni colpi, aggiustati dal Calandrelli, fecero capire
che si pensava a respìngere gli assalitori, ma essi erano
pur sempre francesi, gli agguerriti soldati dei combat-
timenti africani. Quindi avanzarono da prodi secondo
83
destro francese, lo rompe, lo sfonda, lo inoalza con
bainiietta alle reni, e costringe in brev'ora tutto Tese!
cito assalitore, già ributtato dal fronte m tutta la lirtf
a battere in precipitosa ritirata.
La gioriifita del 30 aprile sarà ricordata dalla stori
come una delle più belle pagine militari dell' indìpen-^
denza itEiiìiìna. ^i
Più di trecento morti, cinquecentotrenta feriti, dufl^|
centojiessanta prigionieri, dovuti all'eroismo di Nino Bi-
xio, fecero pagar cara albi Francia l'insana aggressioae
e dimosti'aiono al mondo che gl'italiani si battono.
In confronto le perdite dogli italiani furono liei
sessantadne morti, un centinaio di feriti; uno solo pri^
gioniero -^ Ugo Bassi.
Onore ai prodi rapiti troppo presto ai futuri
menti della patria.
Il battaglione universitario comandato dal niaggioi
Andreucci, si distinse assai nella gloriosa giornata
« Avanti ragazzi » tuonava Garibaldi — u avanti alla
baionett:i » o i ragazzi si lanciavano impavidi corno ve-
terani contro gli iagguerriti soldati della Francia, Gom.-_
battendo da eroi.
Fra tatti primeggiò Nino Bixio, che, con audacia
da looae fece con pochi uomini prigioniero un batta-
glione del 20" reggiinento di line», col maggiore cbe lo
comandava. ^M
Il primo merito della gloriosa giornata spetta al ge^^
nerale Garibaldi. Fu unanime il sentimento di tutta
Roma nellEi aera stessa del ooinbattìmento ; e la storia
lo confermò col suo ponderato giudizio. Eg'li rimas& fe-
rito nel più caldo ^)1^ .ny.sciiia e, non iie_ fece mostra^
solo alla sera il dottore Ripari, il carissimo amico suo,
volle a forziL curarlo.
Garibaldi aveva intenzione di completare, quella
sera stessa, la vittoria, tagliando ai francesi la ritirata
su Civitaveccliia; e il progetto sarebbe stato senza dub-
bio attuato. Dopo lo scacco sofferto, il morale del ne-
mico era depresso; inoltre i fraucesi mancavano di ca-
valleria per coprire la ritirata, mentre Garibaldi coi
lancieri del Maaina e coi dragoni di linea, tuita gente
fresca, che nulla aveva sofferto nel combattimento, po-
teva giungere a Civita vecchLa prima dei francesi e sol-
levare quelle popolazioni contro lo straniero. Se non si
fossero voluti precorrere i francesi si poteva prenderli
di fianco nella loro ritirata, giacché Garibaldi, raffor-
zando le 6ue truppe coi due reggimenti di linea che
non avevano combattuto, avrebbe tratto il uiig:lior frutto
dalla vittoria.
Ma indarno Garibaldi in&isteLte appog'giato da Gal-
letti : Ma.22ini non voleva esporrà ta Francia ad una
completa disfatta, e provocarne 1 risentimenti. Egli era
il capo del Triumvirato e Garibaldi dovette ubbidire.
Unica impresa, che venne concessa dui Triumvi-
rato a Garibaldi il i" maggio, fu una ricognizione sul
nemico che si ritirava per la via di Civitavecchia ver-
so Ciistel rli Guido, dove 1 Francesi aveviino passata
la notte in armi, nella certezza di essere assaliti. Egli
usci colla sua legione da porta S. Pancrazio,, mentre il
Masina coi lancieri e coi dragoni usciva da porta Ca-
Talleggeri; enti'ambi si unirono all'ostei'ia di Malagrotta,
(love i Francesi si erano preparati alla resistenza.
Ma non sì venne alle mani, perchè l'Oudinot man-
dò a Garibaldi un parlamentario, per avvertirlo che
u-altava col governo Romano un armistizio; coutempO'-
S4
raneamente Garibaldi stesso riceveva l'ordine di rito:
narsene a Roma, ed egli ubbidì nel g-iorno atesso.
Se la giornata del 30 aprile non ebbe quelle coas
guenze che erauo da aspettarsi dopo una vittoria ooal
bella, essa perù provò che Gfaribaldi era qualche cosa
più di uà semplice guerrigliero, e non gli mancavano-
le doti tutte del generale delle grandi fazioni; mentre
provava al mondo che gl'Italiani sapevano battersi.
Intanto che Udinot riposava a Civitavecchia in a'
tesa di rinforzi mandando a Parigi messaggi bugiardi
mal dissimulanti la sconflLtii toccata, l'Assemblea Ro
raana Io rimeritava delle sue slealtà col niandarg
beri i prigionieri; uu esercito austriaco minacciava dal
Fole Legazioni; un'armata Spagnola veleggiava per la
medesima crociata nel Mediterraneo: e fìtiahnente re Fer-
dinando di Napoli faceva occupare da una divisione Vel-
letri, mentre due altre, una di milizie regolari coman-
date dal generale Winspearo, l'altra eompostji di brigan
coraand;ita dallo Zucchi, s'inoltravano per la provine
di Fresinone sui colli Latini.
I
H governo Romano commise a Garibaldi, che, ev
tando coiifitti decìsivi si limitasse a tenere a bada U
nemico. Sperava il Mazzini che le trattative colla Frane!
si sarebbero risolte come egli desiderava, per poi, tran'
quilli da quella parte, poter intraprendere una guerr.
a fondo contro il re di Napoli, e rivendicare a libertà
il suo reame.
*
Garibaldi riunì la sua piccola brigata il 4 di maggie
alle 9 di Ber.a, in piazza del Poi)olo; era coi^iposta
8&
tutto di duemila duecento uomini; la passò in rivista»
ed uscito tiicitamence dii Porta del Popolo, s'incammiaò
per Ponte Molle, facendo le viste di marciare verso
PalO;! poi voltò ad un tratto per la Prenescina, e dopo
una marcia notturna pei monti Tiburtinì faticosissima,
ma silenziosa ed ordinata, arrivò all'indomani a TivoU,
dove 8i accampò sulle sponde dell'Anientì, occupando
cogli avamposti il ponto Lucano a circa eei chilometri
sotto Tivoli.
Il 6 maggio fece riposare, nello ore più calde, la
truppa presso gli avanzi grandiosi degli acquedotti ro-
mani.
L'esercito borbonico, appena avuta notizia della sor-
tita da Roma di Graribaldi, s'era concentrato fra Albano
e Valmontone, e forte di seimila uomini sotto il comando
del generale L;tnza, mentre altri seimila stavano sotto
il comando del Winspeare e del Zucchi pronti ad ac-
correre, si preparava ad atfrontaie Garibaldi e disfarlo.
La mattimi, del 1 Garibaldi fece levare il ca,mpo, e
verso la raezz;4noLte del giorno etesso, sotto un acquaz-
zone torrenziale, occupò Pak'strina a poche miglia dalle
linee nomiciie, miaacciundo coai da vicino il loro fianco
destro. Il giorno H G:uibaldi ordinava alcune scorrerie
una dello quali, comandata dal prode Bronzetti Narciso,
gli aveva riportata la speranza che il nemico non fosse
cosi formidabile come si vantava di essere. Era però
sempre troppo forte di numero, per attentarsi, con soli
duemila uomini, ad assalirlo nelle sue forti posizioni; e
risolvette di starsene sulla difensiva, di stimolarlo, e at-
tenderlo di pi^ fermo,
Il primo incontro serio fra le parti awersario av-
venne la sera dell'g maggio sulla strada che da Mon-
7.
85
tecompatri porta, a Frascati, e sebbene i nostri ai mai
tenessero nella difensiva pure obbligiirono il nemico alla
ritirata, tanto impetuoso fu il contrattacco. ^H
.n giorno 9 Garibaldi circondato dal suo stato Mag^"
giore sali a Castel San Pietro, piccolo paese sopra Pa-
leatrina, per osservare dal campanile le mosse del n^fl
mico. Questo in numerosa sc-hiera, verso lev 3 pom. s^
avanzava da Valmontune su Palescrina, con intenzione^
di chiudergli la ritirata su Homa. ■
Garibaldi prose tosto le sue misure, e affidata a
Manara la difesa della cittiì, collocò parte dei Lejponari
al suo fianco sinistro fuori porta del Sole, egli in per-
sona si mise al centro, mentre Nino Bisio guardava la
destra.
Come suo costume, Garibaldi fece avvicinare 1 na-
poletani e a un dato momento, ordinò un attacco g-ene-
rale alla baionetta che iniae in rotta il nemico, il quale
lasciava nella l'uya molti feriti e prigionieri, e, in potere
dei nostri, tre cannoni da montagna e non pochi lucili.
Le perdite delle truppe romnne furono lievi; degli ut'
ficiali solo il sottotenente Rotta
nente M^u-tino ^''ranchi ferito.
ri:nase ucciso, e il te
li LU^H
Ormai una più lunga slkinza a P.tlestrina poteva
divenire pericolosa, perchè al governo era j;,'iunta la
notizia, di un prossimo attacco combinato di napoletani
e francesi, per cui il Triumvirato, ordinava a Onribaldi
di rientrare in Roma. Era anche lui deciso di finirla, e
non s'attardò sotto le tende; la serrt dell'lt, per sentieri
impraticabili, sfilando in perfetto ordine e silenziosamente
nelle vicinanze del campo nemico, marciò per Zagarolo,
sostò un poco nella osLsria d?lla Colonn;! sulla via Ca-
silina, e con un lung'o giro, come se venisse da Tivoli,
ricondusse la propria gente a Roma, lieta se non di
strepitosa vittoria, di onorato saecesso.
fm
Nel frattempo, importanti avvenimenti militari e
politici eransi maturati. Bolog-na, dcpo quattro giorni di
disperata resisteflzaj aveva dovuto capitolare uelle mani
del bombardatore GorkoTvsky. Ancona, dove teneva il
comando militare quel Livio Zambeccari, compagno di
Oaribaldi a Rio Grande, minacciataj si preparava a dar
prove di eroismo^ A Fiumicino s'ancorava l'aviinguardia
della flotta spagnola. Da Gaeta 1' Antonelli s' affannava
a mettere d'accordo i quattro alleati, senza riuscirvi.
La Francia finalmente continuava la politica a due faccie :
quella delle parole favorevoli a Roma, quella dei fatti
favorevoli al Papa.
Sicché, mentre l'Assemblea nazionale a Parigi de-
•cretava che la spedizione francese fosee « ramenée à
jion premier ìmt », Luigi Napoleone e l'Odillon Barrot
inviavano lettere e messaggi alI'Oudinot, ripeteudogli
l'ordine di entrare a Roma a qualunque costo, per re-
-staurarvi il governo papale.
Iiiflne, perfìdia maggiore di tutte (se si eccettua il
nero tradimento, che doveva fra breve compiere il ge-
nerale Oudinot), la missione a Roma del Leaseps, affi-
datagli da Drouyn De Lhuys. L'inviato francese, doveva
col governo di Roma, trovare il modo di conciliare la
libertà del popolo Romano, i diritti della wvranità pon-
tìflcia, e la dignità del governo Irancese ; in realtà, do-
veva condurre i Romani ad aprire ai francesi le porte
■dì Roma, per restaurarvi il potere temporale del Papa.
H primo effetto dell'arrivo del Lesseps Tu la tregua
^i trenta giorni: tregua che giovò b1 governo della Re-
pubblica romana, per Unirla almeno coli' esercito bor-
bonico.
-'
CAPITOLO xni.
Spedizione contro rE$erclto Borbonico — Veii«trt
L'esercito romano, tra il l" e il 16 di maggio, s'è;
venuto via via ingrossando. B battaglione Melara, pre-
potentemente obbligAto dall'Audinot, a non prendere
parte m primi combattimenti, veniva I^ciato libero;
corpi distìiccati nell'Ascolano erano rientrati ; una legione*
straniera si veniva organizzando ; la legione trentina^
ed una compagnia del 22°^ Reggimento, evasa dagli ac
cantonamenti della Spezia^ erano riuscite a penetra
in Roma ti^a il 9 e il 10, e fuse ineieme, andavano
formare un altro battaglione di bersaglieri lombardi, che
aggiunto al primo, sotto il comando del Manara pro-
mosso colonnello^ prendeva corpo e nome di reggimento.
Finalmenee venuti da Bologna, dopo 15 giorni di marcia^
entravano dalla Porta del Popolo tre battaglioni di bolo-^B
gnesi, preceduti da quella compagnia dì studenti lombardi
e toscani, che formarono il nerbo dei futuri difensori del^
Vascello. ^
Sommiite queste forze nuove, a quelle già esìstenti
ai 30 aprile, si constatò che Roma poteva disporre di >
circa diciasette o diciottomila combattenti; non bastevolij
certo, a fare la guerra alla Santa Alleanza, accanit
contro di Igì, e neppure a vincere la Francia, ma, finché
durava l'armistizio, più che sufficienti a caeeiaro di
territorio della Repubblica, le trnppe del Re di Napoli,
e proteggere nel tempo eteaso Roma, da qualsiasi inaidii
Restava la scelta del generale in capo. Chi meglio-
di Garibaldi meritava tale carica ? Nessuno poteva con-_
trastargliela.
89
II Triumvirato, e per esso il Mazzini, per timore
infondato della sua indisciplinatezza, non volle nominarlo.
Siccome però la sua superiorità era innegabile, fece in que-
sto modo; promosse Garibaldi generale di Divisione, ed
elesse generale in capo, il colonnello Roselli entrato da
poco a Roma, reduce dall'Ascolano, ove era stato a com-
battere il brigantaggio. Fu un errore grave mettere un
uomo della natura del vincitore dì Sant'Antonio e di
Luino, (colui che il generale Austriaco d'Aspre riconobbe
per tale, cìie avrebbe potuto riuscire vittorioso nella
guerra del 1848) sotto la dipendenza del Roselli, bravo
teorico, studiosissimo dell'arte militare, ma che non aveva
avuto campo di mostrare il suo valore al comando di
una fazione campale.
Il generalissimo s'accinse senza ritardo, come vo-
leva il governo, alla spedizione contro il Borbone. Pensò
di attaccare i Napoletani, accampati fra Porto d'Anzio
« Valmontone, sulla loro destra, spuntarli da questo Iato
e tagliar loro la ritirata: capitanava diecimila fanti,
mille cavalli, e dodici pezzi d'artiglieria.
La prima brigata, sotto gli ordini del colonnello
Karocchetti, e del colonnello di stato maggiore Haug,
composta della legione Italiana, del terzo reggimento di
linea, dello squadrone dei lancieri Masina, d'unii com-
pagnia di zappatori del genio, e due pezzi d' artiglieria :
in tutto dueraìlatrecento uomini circa; formava l'avan-
^ardìa.
Il corpo di battaglia cpraponevasi di due brigate,
composte del reggimento dei bersaglieri Lombardi, di
un battaglione del primo fanteria, del secondo e quinto
reggimento, della legione romana, dì due squadroni di
dragoni e sei pezzi d'artiglieria; circa seimila uomini;
« lo capitanava il generale Garibaldi in persona, colon
itello Mìlbiiz capo dello Stato Maggiore.
90
Alla riserva e retroguardift era la brigata del gene-
rale Bartolomeo Galletti, che marciava alla testa del
■ sesto reggimento di fanteriit^ d' un battaglione di cara-
binieri a piedi, del battaglione zappatori del genio, di
due squadroni di carabinieri a cavallo, e di quattro pezzi
di artiglieria; in tutto duemila e quattrocento uomini.
Comandante l'artiglieria il colonnello Lodovico Ca-
landrelli; la cavalleria il generale Bartolucci; capo dello
Stato Maggiore generale il colonnello Pisacane.
Formato cosi Ìl piano e l'ordine di marcia, le truppe
uscirono la sera del 16 da porta S. Giovanni, marcia-
rono per via Labieana, arrivarono alla mattina del 17
a Zjìgarolo, dove soggiornarouo o ripartirono il giorno
appresso per Valmontone, dove il grosso e la riserva sì
ac^^anipù, mentre l' avanguardia per ordine del Coman-
dante del Corpo, si spinse fino a Montefortino, forte po-
sizione a cavaliere delle due vie che, da Valmontone,
conducono Uuna a Velletri, l'altra a Terracina; che è
quanto dire, sulla fronte e sul fianco dell'esercito Napo-
letano.
Quc&to però non era rimasto immobile. Appena
avuto sentore dell'avanzarsi dei Romani, aveva fretto-
losamente abbandonato la linea dei Colli Latini, e s'era,
da tutto le parti ripiegato su Velletri, forte posizione per
se Btes&a, resa formidabile da una forza superiore ai ven-
timila uomini, capitanati dal loro re, e difesa da 32 can-
noni. Era una notizia importantissima: ìl piano di cam-
pagna del generale Roselli poteva dirai fallito, occorreva
farne un altro; ma suprema necessita era prontezza
d'occhio e celerità d'esecuzione; il Roselli non affrettò
d'un passo la sua marcia; per unica disposizione ordi-
nava all'avanguardia di spingere il 19 di mattina rico-
gnizioni fin sotto le mura di Velletri, mentre il grossa
in ordine compatto, fiancheggiato da perlustratori, avrebbe
secondato il movimento.
All'alba del 19 l'avanguardia sì mise in moto; ma fatti
pochi cMlomenri, il Maiocchetti mandava ad avvertire
91
Garibaldi, rhe Terso Velletri scorgeva un forte movi-
mento di truppe nemiche, onde temeva di essere da UH
istante a-ll'alli'o assalito da forze superiori. A tale an-
nunzio G-aribaldi montjiva a cavallo per esaminare da
se stesso la posizione. Nel medesiroo tempo mandava
avviso al generale in capo delle mosse nemiche, come
della sua parterza per trovarsi coli' avanguardia sul luogo
dell'attacco, affinchè da parte sua avesse provveduto
con pronti rinforzi. A spron battuto raggiunse l'avan-
guardia, e raccolti dal Marocchetti gli ultimi rapporti,
cavalcò ancora innanzi per cercare, come fu sempre suo
costume, un posto elevato, d'onde scoprire le posizioni
e le mosse del nemico.
G-iunto alle Colonnelle, suU' altura della vigna Ri-
naldi, sraontù da cavallo ; coperto dal canneti e dalle
macchie della Vigna, s'inoltrò fino ad una sporgenza
d'onde l'occhio poteva correre fin sotto le mura di Vel-
leti'i, e vide abbastanza chiaro che i borbonici si prepai'a
vano ad un'azione imminente.
Non vi era tempo da perdere, Garibaldi spiegò a
destra e a sinistra della strada, che correva tutta incas-
sata fra poggi e vigneti, la legione italiana e alcune com-
pagnie del terzo di linea; e, montato sul tetto d'una
ca-SA nella vigna Spalletti, si rimilo a, spiare le mosse
nemiche.
I ijorbonici avanzavano su tre colonne ' un batta-
glione di cacciatori pei vigneti, a destra e a sinistra;
uno squadrone di cavalleria, appoggiato da un corpo di
fanteria e da artiglieria al centro della strada. Garibaldi
soeso dai suo osservatorio, non fece un pass.o per muo-
vere loro Contro, ma li aspettò di pie fermo. Trascorsi
pochi minuti lo scoppiettio, presso la salita di Villa-
fredda, avvertiva che i nostri erano stati scoperti, e che
1 primo scontro era avvenuto.
Potevano essere le 11 di mattina. Gli avamposti
s'erano ripiegati sulle Colonnette, dove orano appostate
le Éanterie romane; l'attacco si svolgeva su tutta la
""j
i
92
linea; la fucilata era TÌvisaltna da ambe le pfirti; quand
(jaribaldi, vista spuntare sulla strada hi testa della ca-
valleria nemica, spiccò il llasina eoi suoi cinquanta lan
cleri ad arrestarla; e il Masìna sJ slanciava seguito d
suoi compagni, i quali sopraffatti dal torrente della la
valìeria nemica sei volte più numerosa, al primo cozzo
furono travolti e voltarono briglia tutti quanti, mentre
il loro comandante era alle prese col colonnello nemico^
che nello scontro riportò la testa spaccata.
Tjtle spettacolo accadeva troppo vicino a Garibalt
perchè potesse starsene inerte spettatore. Visto il volt
faccia dei lancieri e il Mastna circondato dai nemìci>i
saltò a cavallo, e scortato dal solo moro Aghiar, si mise'
attraverso la via per tentare col gesto imperioso, colla
voce tonante e colla stessa persona, d'arrestare la rottaA
* afrenatii dei pochi cavalieri. Invano, che egli stesso ro-
vesciato di Sella, venne travolto dall' onda commista
■degli amici e nemici, e impigliato il corpo sotto il pro-
prio cavallo, pesto dalle unyhie di cento altri, stava pei
cadere ormai morto o vivo nelle mani borboniche, se'
in buon punto la brava centuria di ragazzi detta della
speranza, a])postata li vicino, con una scarica bene ag-
giustata, non avesse fatto un vuoto nella siepe dei ca-
valieri nemici che già si serravano intorno al cadu'to,
investendoli con altri sopraggiunti delia legione alli
baionetta, non avesse salvata la vita al generale.
Come se nulla t'osse stato, quantunque ferito ed'J
jimmaccato in più parti del corpo, e coli' impronta di
un ferro di cavallo sulla mano destra, Garibaldi balzav;
come lampo in sella, e riprendeva, sereno e irapertu-
babile come sempre la direzione del combattimento.
Nel frattempo però gli Ussari borbonici, trasportai
dalla foga de" loro cavalli, erano andati a cadere uel^
fitto delle linee repubblicane, e fuluiimiti di fronte
■ ■ ■ - •- :. ' .- t-r:
« dai fianchi da un fuoco micidiale, vennero forzati a
dar volta, lasciando sul terreno numerosi feriti e prigio-
nieri, e trascinando, nella fuga rovinosa, la fanterìa che
lì spalleggiava. I garibaldini non mancarono di appro-
fittare della rotta, e slanciati^ tutti assieme alla carica^
con Garibaldi alla testa, accompagnarono i fuggenti colle
baionette tille reni fin sotto le mura di Velletri. LA era
forza arrestarsi.
Garibaldi vide che il momento era critico. Un as-
falto a Velletri con le sue poche forze era impossibile;
una ritirata, con gente già ecompìgliata dalla pugna, e
pili atta a carìcare che a ritirarsi con ordine, sarebbe
stata follia; altro non restava, che HoUecitare il coman-
dante supremo a correre in suo soccorro, e tenere frat-
tanto in iacacoo il nemico con manovre e scaramuccia.
Mandi a gran carriera Ugo Bassi a dare notìzia dell'ac-
caduto al Koselli onde mandasse senza ritardo rinforzi;
intanto pensava a coprire alla meglio le sue truppe die-
tro tutti i frastagli e gli scoscendimenti del terreno, in
attesa degli invocati aiuti.
Fortuna volle che alcuni corpi delle seconda bri-
gata, tra cui i bersaglieri Lombardi guidati dal valoroso
Manara accorressero al tuonar del cannone onde Gari-
baldi, man mano che arrivavano, potè condurli a rin-
forzare le file stremate dell'avanguardia.
Ma tutto ciò a BuUa approdava; 1 nostri non retro-
cedevano; i borbonici non avanzavano, ma restavano
a&mpre forti o minacciosi; ed ogni istante che fuggiva
andava a loro profitto ; isolo uno sforzo concorde dì tutto
l'esercito poteva assicurare e compiere la vittoria.
Convinto di questo, Garibaldi mandò il capitano
David, un animoso Bergamasco, tanto aitante della per-
sona come caldo di parola, a sollecitare il soccorso dal
Roselli.
E il David, divorata la via, trovò il generale in
capo, ohe seguito da tutto il suo stato maggiore, aila
Bta di seimila uomini marciava alla volta di Velletri.
94
n messfiggio portolo dal capitano David fece acce-
lerare la marcia delle truppe. L'arrivo dei rinforzi dava
modo a Garibaldi di prendere l' offensiva.
Veduto infatti sulla via di Terr.ic.ina un insolito
movimento clie poteva essere un preparativo dì attacco,
mandava il connello Marocchetti con qualche centinaio
di fanti, e mezzo squadrone di dragoni, a Jmb03cai-Bi nella
aelva che fiancheggia quella via, afSncliè piombasse sui
fianchi e alle spAlle del nemico appena gli fosae giunto
a portata; e disponeva un vigoroso assalto contro il
Convento dei Cappuccini, che era la chiave delle posi-
zioni borboniche alla loro sinistra.
Intanto che Garibaldi era intento a dare disposi-
zioni per r offensiva, ecco il fuoco dei Napoletani ral-
lentarsi, le loro linee concentrarsi, la strada di Terracina
nereggiare, e tutto accennare a precipitosa ritirata.
In quel punto arrivava Roselli sul luogo dell'azione
Garibaldi Io ragguagliò di quanto era avvenuto; con-
dusse il generale in capo al luogo che gli era servito
da osservatorio in casa Blasi, e gli mostrò i preparativi
dei Napoletani per una precipitosa ritirata, concludendo
col fargli questo piano : < Egli, Garibaldi, si getterebbe
ai fianchi del nemico fuggente; il Roselli coli" artiglieria
del Calandrelli, la linea e i carabinieri delta riserva, pre-
sidiata la posizione espugnata, appoggerebbe l'attacco ».
Ma il generale in capo non prestò fede né ai suoi
occhi, né a quanta gli esponeva Garibaldi ; secondo il
suo giudizio, quei nemici che sfilavano sulla strada di
Terracina, erano brigate che si disponevano ad un nuovo
attacco per rindomani; la ritirata dell'esercito bgrbonico
era una manovra'.
— Ma che manovra! ribatteva Garibaldi, non ve-
dete che quello è un esercito che fugge? e lasciò il
■95
generale in capo a passare tranquillamente la notte in
casa Blasi, e lui se ne andò a dormire coi suoi all'aperto.
AI nuovo mattino uon c'era pili a Velletri. un solo
Napoletano!!
Si è voluto fare un'accusa a Garibaldi di avere at-
taccato battaglia coi borbonici contro l' ordine del gene-
rale in capo.
Garibaldi fu attaccato — non attaccò — e ^udi-.
cando pericolosa la ritirata, e per di più. disonorevole,
prese posizione difensiva, in attesa dell'arrivo del grosso
delle forze Romane. Si tenga in mente che Garibaldi
per caso fortunato si era trovato all'avanguardia, ed.
aveva potuto, con !a sua presenza, rintuzzare e mettere
in fuga il nemico.
La mattina del 20 il generalo in capo mandò sulla
istrada di Terracina qualche squadra volante di fanti e
di cavalli ad inseguire il nemico; ma Garibaldi aveva
ridea di buttarsi nel Regno per accendervi la rivolu-
zione.
Ne scrisse perciò Io steaso giorno al Boaelli con la.
seguente lettera :
« Generale.
« Io profìtto della vostra compiacenza ad ascoltarmi^
e vi espongo il mio parere. Voi avete mandato ad in-
seguire l'esercito Napoletano da una forza nostra; ed è
molto bene.
« Domani mattina dobbiamo coli' intero Corpo d'eser-
cito prendere la strada di Fresinone, e non fermarci fino
a giungere sul territorio Napoletano, le popolazioni del
quale bisogna insurrezionare.
< La divisione che seguita la strada di Terracina
non deve impegnarsi con forze superiori,, ma deve ripie-
garsì sopra, noi in caso d'urgenza; ci6 che potrò^ farò
anche traverso le montagne, non impedito dal peso del-
l'artiglierìa ».
VeUetri, 20 m^^ggio 1849.
G. GarHaidi,
I
n generale Roselli, come era debito suo, trtismiee"
la proposta di Garibaldi al ìlìnistro della Guerra, ei^po-
nendo lo difficoltà dell'impresa e declinandone la respoa-i
labilità.
Il governo Romnno, richiamò a Roma il Roselli col
gfosBO delle forze ; e laaciò Garibaldi eoa uoa brigata,
coli' inc-ariuo apparente dì liberare i confini dfille ina&nade
■dello Zucchi, mft con quello reale, di tentare l'impresa
dell'insurrezione del Regno di Napoli.
Il 23 di sera Garibaldi era coli' avanguardia a Fre-
sinone, da dove il Zucchi era già partì to ; il 25aRipi;
il S'j sconfinava a Coprano, e saputo che Rocca D'Ai'ce,
posizione fortissima, era occupata dai Napoletiini, inviavaiH
tosto ì suoi bersaglieri ed asatilirla. E i bersaglieri si
slanciarono arditi su per l'erta scoscesa, aspeLtandosi,
da un momento all'altro d'essere salutati dalla mitra-
glia, ma arrivarono, senza dare e ricevere un colpo,
fino nel paese, ove non trovarono anima viva.
All'annunzio dell'approssimarsi di Garibaldi^ soldati
ed abitanti, colti da tìmorej avevano sloggiato.
Non fu toccata in quel paese la più piccola cosa.
Le truppe si coricarono sulla piazza, tranquille, senza
tentare di rompere un'imposta e vi passarono la notte.
I
•\
Garibaldi, saputo che un corpo di svizzeri l'aspt
tavfl a S. Germano ordinò al mattino di riprendere laJ
marcia. Egli aveva in mente, che se avesse potuto T?in-]
cere una battaglia, la vittoria gli avrebbe aperte le
porte del Regno.
Altri però erano i pensieri del governo ili Romal
L'invasione austriaca a' avanzava iniiiiicciosa; men-
tre Wimpfen s'inoltrava verso Ancona, un corpo sotto
gli ordini del Liciitenstein marciava su Perugia \. Roma
poteva e&sere in pochi giorni stretta da braccia di ferro;
fare argine a tanto pericolo era un' assoluta necessità,
CAPITOLO XIV.
Ripresa delle ostilità del Francesi contro Roma.
Il Triumvirato, illudendosi elle le trattative con
Xesseps sarebbero approdate ad una l'elice ooncluaione,
ordinò che si allestisse in Soma una spedizione per le
Marche. Gai'ibaldi fu richiamato, ed egli, saputo i! mo-
tivo del rictiiamo ubbidì con gioia, e ripassato il 98 di
maggio il confine, con marcie forzate, la niatLina del 1"
giugno rientrò in Roma.
Sventuratamente, ma come del resto era da preve-
dersi, il giorno stesso della rientrata in Roma di Gari-
baldi, le trattative con Lesseps erano fallite e rotte per
volere d<ìì Comandante le truppe di spedizione. Già il
generale Oudinot aveva ordinato un'operazione che ca-
ratterizzava il suo sleale modo di procedere.
Monte Mario per la sua elevata posiziono era nece-
sario alla difesa di Rora.-r. 1 Romani cercavano di forti-
ficarla con opere di difesa e con ridotti, ma temendo
che i soldati potessero venire in collisione coi francesi,
il generale in capo aveva preso il partito di inviarvi
degli operai senz'armi e senza scorta.
Il generale Oudinot abusando di questa buona lede,
malgrado l' ariuisLizio, ordinava che si occupasse dai
Suoi l'importante posizione e ne dava l'incarico aUa
brigata comandata dal generale Savan che fiicilraente
scacciava i disarmati lavoratori e s'impadroniva del
posto.
U 1° di giugno rOudiiiot alla lettera ingenua del gè
neralo Roselli, con la quale chiedepagU una proroga
de ir armistizio, per dare modo allo esercito della Repub-
blica romana di battere l'esercito austi'iaco, rispondeva,
€ che gli ordini del suo governo gli prescrivevano di
entrare in Roma al più presto ; di avere gm denunciato
l'armistizio allo autorità Komane ; Bolo per riguardo ai^
sudditi francesi residenti in Roma, aveva com/mtito ^^È
differire l'attctiXù fino al lunedi mattina >. In tutte le lin-
gue del mondo, ciò voleva dire, che egli non avrebl
attaccato che il mattino del giorno 4....
JCon una slealtà senza nome» con una perfidia inau-^
dita negli annali militari (delle quali la coscienza della
Storia ha gridato vendetta) all'alba del 3 giugno, i fran-
ueei, con tutte le loro forze concentrate, col silenzio del ,
tradimento, sorpreso quasi nel sonno il sotl.ile battagli onen^B
Melava, di 403 uomini, s'impadronivano di Villa Panfili, ^^
e in men che si dica, avviluppati da o^ni parte i pochi
bravi che la occupavano, si rendevano padroni del Cott
vento di San Pancrazio, e di Villa Corsini, detta Casino
de' Quattro-Venti, t'ormanti con Villa Panfili, quell'ai
tipiauo che era la vera chiave della difesa di Eoma.
au-^l
li ai -f^^
na. ^1
Era da prevedersi, che i francesi cui necessitava
assicurarsi le retrovie per Civitavecchia, avrebbero fatto
i pili grandi sforzi, per impossessarsi del punto più ele-
vato della lìnea di difesa - e vi misero tanta e tala^J
importanza, che per venirne a capo, adoperarono perfino "
il tradimento. ^j
Come è che il generale in capo non se ne sia preo(>^H
cuparo, non si spiega. Era principalissimo dovere suo,
di provvedere durante l'armistizio, aUa fortificazione in
modo efficace delle alture, nonché^ delle ville e dei e*-
99
aini fuori porta San Panorazto. per servirsene come poeti
avanzati. Non ci pensò, e fu errore fatale che Boma do-
veva pagare a caro prezzo !
Avvenuta l'occupazione, per sorpresa e per tradì-
xaento, la Villa Corsini, (detta dei Quattro Venti) fu
oggetto di aspra contesa. Ritolta dai bersaglieri di Pie-
trameliara ai francesi, fu nuovamente perduta; ripresa
dal reggimento Pasi, fu difesa coraggiosamente per più
ore ma riperduta ; con combattimento accanitissimo, so-
stenuto dalle truppe del generale Bartolomeo balletti,
riconquistata per la terza volta, fa anche da queste
perduta.
Il furioso accanimento per conservare il possesso,
dimostra quanto grande importanza sì dava dalle due
parti a quella dominante posizione ; e tanto più non si
arriva a capire perchè, il generale in capo dell'esercito
Romano l'abbia trascurata.
Garibaldi che era appena rientrato in Roma, mai
pensando che da parte dei Francesi si potesse temere
un tradimento, dormiva nel suo modesto alloggio in
Via delle Carrozze, n. 59, quando il fragore del cannone,
che scuoteva tutta la città, lo destò. In un baleno fu in
sella; sì trasse dietro la Legione Italiana, acquartierata
nel vicino convento dì S. Silvestro ; lasciò l'ordine che
le rimanenti truppe lo seguissero, e parti al galoppo.
Arrivato alla porta di S. Pancrazio, misurò con un'oc-
chiata tuttii l'estensione del pericolo; distribuì le truppe
man mano che arrivavano tra i bastioni, la porta e il
Viiscello, e lanciò i Legionari -alla conquista di Villa
Corsini.
La legione, comandata dal Sacchi, preceduta dal
Masina, accompagnata dai più ardimentosi guidati dal
Bixio, non indugiò ; traversò sotto una grandinata di
palle, il terreno scoperto, seminandolo dei suoi migliori,
100
e arrivò fin sotto la Villa; mn colà, fiilminata dì fronte-
e dal lati, dallo finestre, dalle siepi, dalle raurtiglìe fo». i,
rnte, da migliaia di nemici appostali al coperto, fu co-^^
stretta a desistere, e ordinfitamente a ritirarsi al VoBCello,
che da quel momento, divenne l'antemurale estremo e-
più tenace dei difensori di Roma.
L'attacco, più Tolte replicato del casino dei Quattro
Venti, fu micidiale per i nostri; ferito a morte il bravo
Masina, Pier Antonio Zamboni portabandiera dei lan-
cieri e Pietro Scai'cerle aiutante dei lancieri stessi. Fe-
rito il generale Bartolomeo Galletti; ferito gravemente
Nino Bixio. cLe. aveva avuto ucciso sotto il cavallo e
si spinse (audacia sublime) fino a salire su un balcone
del primo piano del casino.
Ebbero pure ferite mortali Francesco Daveri capo
dello etato maggiore della legione, il coloimello Pulini
primo aiutante di campo di Garibaldi, e tanti e tanti altri,
E al Vascello le parti erano cambiate. Gli assalitori
di prima, diventarono gli asbuliti ; i francesi aboccavauo
da ogni pai'te ; ma i legionari protetti dal mrtssiccio edi-
fìcio, convertito in fortezza, sfolg'oravano da cento fe-
ritoie La morte, Il Vascello, avvolto da una bufera di
fuoco, resisteva impavidamente. Di questo baluardo della
repubblica romana, ne aveva preso il comando Giacomo
Medici, il braccio deatro di Garibaldi. Si era cerd che
aarebbQ atikto difeso fino agli estremi.
Nelle ore pomeridiane, i tentativi di riprendere le
posizioni perdute, furono dai gEirìbo-ldini rinnovati con
grande energia ed insuperabile eroismo; nonostante le
perdite gravissime, i legionari, i bersaglieri del Pletro-
taellara e quelli del Manara sì slanciarono ad un nuovo
attacco anche contro il calino dei Quattro Venti : i due
101
sfatanti di Garibaldi, Goffredo Mameli e Augusto Vecr
chi erano »Ula testa dell'ardita fahinge, il primo, Gof-
ft*edo Mameli, caro sopra tutti a Garibaldi, riportava fe-
rita mortale.
La grande superioritìi delle forze francesi, che coi
rinforzi ricevuti, superavano i trentamila uomini con 36
pezzi da campagna e 40 d'assedio, si da permettere loro,
di subito rioccupare con truppe nuove e di tempestare
le posizioni perdute, resero vani tutti gli sforzi, anche
quello tentato verso sera dai bersaglieri, sostenuti dal
reggimento Unione (9" di linea).
Cost fini la giornata del 3 giugno, nefasta alla fama
francese pel tradimento del generale Oudinot; giornata-
veramente memorabile nei fasti del valore italiano, se si-
pensi, che cinque grandi assalti furono dati dai volontari
della repubblica Romana per sloggiare il nemica dalle
posizioni occupate per tradimento ; più di dieci furono
le cariche alla baionetta, con cui preeipimrono contro il
nemico, e per otto volte seppero riprendere ^le mi-
gliori truppe del mondo le posizioni perdute.
Chi può dire degli eroici episodi di quella immor-
tale giornali? Come ricordare alla patria i nomi dei ca-
duti per essa?
Il Masina, ferito al secondo assalto, fiisciata in fretfct
la piaga, sì slanciava a cavallo su pei gradini di Villa
Corsini, ma avvolto dai nemici, roteando 11 ferro terri-
bile, squarciato il petto da una palla, cadeva fulminato.
Il Mangiagalli, a Villa Valentini, menò strage ; spez-'
zata la spada, combattè sempre benché ferito, e tenne
la villa con pochissimi de' suoi fino a sera.
Lo Scarcerle, colpito a morte dopo lotta accanita
sostenuta con impareggiabile valore, legò tutto il suo
alla patria.
Il Manfrin, sergente dei bersaglieri, quantunque
gravemente ferito, volle riprendere il suo posto nelle
file, e al Manara che gli diceva « vattene, qui non servi
a nulla»; rispondeva:* lasciatemi stare, colonnello, al-
8.
102
meno faccio numero » e alla prima scarica il valoroE
era. di nuovo colpito raorUil mente. Due giovitnetti, Ca-
riolatto e Tosi cari a Garibaldi, ebbero gravi ferite.
Il Rozà, ferito due volto, ritornava alla pugna,
alla terza ferita soccombeva.
Àngolo Bassini, s'avventava con un pugno de' suoì
contro Villa Corsini, e ne tornava, pesto e insangulnatoJ
Dalla Lonpa, milanese, che aveva raccolto sulle spalle^
il caporale Fiorani raortog"lì al tìanco, mentre ritraevasi
col caro peso, fu trapassato da una palla e cadde in^È
un fascio col suo carico. Emilio Dandolo, errava per U
campo in cerca delle spoglie deiraraaco fratello e fu.
ferito mortalmente. Narciso Bronzetti, pure ferito, au^^fl
dava in ore notturne, tra le scolte francesi, per togliere
ai nemici il coi-po de! suo servo fedele, e fu ferito esso-^
pure. I|
I legionari del Medici, affrontarono la grandine dei
Vincennes, per sottrarre, da una casa incendiata dal fuo-^
co nemico, i cadaveri dei loro compagni ivi caduti di-V
fendendola; donde il nome di Casa Bruciata. Eroismi
immortali 1
Padroni di Villa Panfili e delle alture, i francesi!
intrapresero l'aissedio di Koma quasi fosse una piazza,
forte ; tracciarono parallele, piantaroDO batterie sotto
direzione del generale Vaillant ; s'avanzarono senza pò
Terao la città,
I nostri, condotti da un genio militare arditamente
infaticabile, scarsi di cannoni e di materiale, contrap-
posero intrepidi offesa ad offeaa, trincera a trincera;
scavarono vie coperte, alzarono cortine, reatauraronoi
senza sosta le cannoniere smontate, e tenhirono anche
delle sortite; alla debolezza dei mezzi supplirono con la
forza dei petti, per prolung-are quanto potevano l'ag^o-
nia della Repubblica.
103
Ma ogni giorno che passava la cinta d'assedio ve-
niva sempre più serrandosi.
I francesi eransi fortemente stabiliti, coH'intera' Di-
visione Guepiller, anche nella Vìa >laminia, da dove
fulminavano il Pincio, bombardavano la città, senza riu-
scire a sloggiare i nostri dai Monti Parìolì ; fra i difen-
sori, vi era anche 11 battaglione degli studenti, clie teneva
■con grande valore la Villa Paniotowschi, sebbene fosse
bersagliata senza tregua dal nemico, che della Villa Pol-
verosi, al di là del ponte Milvio, aveva fatto una for-
midabile posizione offensiva e difensiva.
L' 11 di giugno, nelle ore pomeridiane, il batta-
glione comandato dal valoroso capitano Golinelli, soste-
nuto dalla Legione Romana, volle, con supremo ardimento,
tentare di sloggiare il nemico dalla Villa: con slancio
ila veterani, i bravi studenti si precipitano impavidi al-
l'attacco, sostenendo un accanito combattimento per più
ore; ma la grandine delle palle nemiche, ne arresta fi-
nalmente lo slancio; balenano i bravi giovani, cadono
numerosi, e sono obbligati a ritirarsi; ultimi a farlo, fu-
rono i fratelli Francesco ed Alessandro Archibugi di-
Ancona, che combattendo da veri eroi caddero entrambi
mortalmente feriti ; rimasti sul campo, vennero fatti pri-
gionieri e condotti a Civitavecchia ove lasciarono la vita.
La mattina del 13, i francesi smascherarono tutte
le loro batterie, e con trenta bocche da fuoco batterono,
per sette giorni .e sette notti, i bastioni sesto e settimo,
e la sera del 21 vi aprirono in tre punti la breccia; non
restava più agli assedianti che di salirla: e dìfatti nel
silenzio della notte dal 21 al 22, mossero all'assalto. Il
battaglione del reggimento « Unione > che vi stava di
guardia, si lasciò sorprendere ; e gli assalitori, sollecitati
a trarre profitto del panico, furono padroni, quasi senza
<»m battimento, delle mura di Roma.
1C4
Presrt la breccia^ Mazzini propose, che ne fosse ten-
tata U ripresa la notte stessa. Sì mandò a chiamare
Garibaldi, ma questi dichiarò impossibile l'i]npresfl.
Mazzini scrisse a. Miinara perché persuadesse Gari-
baldi, ma i^uesti non mutò divisamento.
Disse — essere suo convincimento, clie l'assalto not-
turno alla brecciiit coti truppe stanche, orbate dei loro
migliori uttìciali, avrebbe costato iiltie innumerevoli per-
dite, e sarebbe inevitabilmente fallito - -■ o che ormai,
la sola provvida e urgente risoluzione da prendersi era
quella di riparare dietro una nuova linea.
I
Perduta la breccia e la fiducia di conquistarla,
Rijmani restav:t fuoii di Roma soltanto il Vascello, che
il Medici rese immortale. Solo, ma formidabile sempre!
E, dentro lloma, restava il tratto dei bastioni da Porta.
S. Pancrazio a Porta Angelica, e come seconda difesa,
la linea tracciata da^li avanzi delle mura Aureliano,
sostenuta al centro dalle batterie del Pinu, ad occidente
dal bastione ottavo e diilla Villa Spada, ad oriente dai
conventi di tSan Calisto e di San Cosimato, sulle falde
dell'A yen tino.
I
Ed era intorno a queste posizioni, che stava per'^
rinnovarsi la lotta.
I francesi, dopo di essersi gagliardamente trincerati
nella breccia coufjuistata, avevano costruito una terza
parallela, dalla quale bersagliavano le posizioni difese
dai Romani, facendo piovere nella città una tempesta
di bombe, che spesso andavano a cadere, danneggian-'
doli, sui monumenti più famosi dell'antica romana
dezza.
m pesta fl
ggian--™
. gran- '^È
I
I
105
Garibaldi volle affidare, come supremo sforzo, al
iralore insuperabile dei legionari sotto il comando del
Medici la ripresa di Villa BarberiTuì, Vano Ceiitativo!
Clravi furono le perdite ; ebbe fracassato un braccio il
capitano tìorini, il corpo forato da dlciotto ferite l'In-
duno Gerolamo, la spalla trapassata da una baionettata
il giovineCto Cadolini, trapassata una coscEa l'alCro gio-
vinetto Tosi. Ma i valorosi guidati dal Medici non. la-
sciarono al nemico che un monte dì rovine. Armarono di
nuovi pezzi le batterie del l'ino, afforzarono Villa Spada,
tempestarono di colpi le batterie nemiche, e sopporta-
rono con costanza, invitta i disagi dei lavori notturni, i
guasti del bombardamento, i vuoti della morte.
Tutti fecero eroismi sorretti dàlia coscienza dell'alto
dovere.
Il Medici, sebbene anch' esso ferito, fatta del Va-
scello mia fortezza, con un manipolo dì prodi la difese
eoa sovrumana energia di piano In piano, di pietra in
pietra. BeraagUato notte e giorno da Villa Corsini, tor-
mentato senza posa dalle carabine del famosi cacciatori
d'Africa, ridotto in frantumi in gran parte l'edificio che
gli serviva di asilo e dì rocca, nulla valeva a scrollare
la sua impassibile fermezza. Sq_uarciato il secondo piano
scese al primo ; crollato anche il primo, passò al piano
terreno; diroccato questo pure, s'accampò all'aperto;
ma non cedette un sasso della sua ruina e la rese im-
mortale.
*
I difensori delle batterie fecero pure mii'acoU — e
innanzi tutti i cannonieri — inferiori per Tarmi, mal co-
perti da terrapieni improvvisati, costretti a combattere
■con pezzi da campagna contro pezzi d' assedio, più di
106
una volta fecero tacere le batterie nemiche ; ne scon-
quiiàaiirùiitt 0 no demolirono le opere, strapparono, per
la giiifitezza dei tiri e l' intrepidezza della ditesa, grida
d'ammirazione agli stessi nemici.
Un uniuo compendiava in se tutti gli eroismi; pa-
reva abbellite, colla calma, la morta dei suoi bravi,
rendere fede iil miracolo dell'invulnerabilità sua; G
ribaldi I
Lasciata Villa Spada, si era fatta costruire una ca-
paniìa di stuoie presso la batteria del Pino, e là, fra il
rombo assordante delle bombe francesi, passava i giorni
6 le notti, nell'osservare tutto le mosse del nemico, di-
rigendo il fuoco della batteria, spacciando i suoi ordini
ad ogni parte del campo, e trovando modo di dormire
tranquillamente come in casa sua. ..
Ma l'ultima ora fatalmente s'appressava; daS 27 al
29 sette batterie francesi, avevano fulminato tutte le
posizioni romane, e malgrado la virtù e l'eroismo dei
difensori, avevano fatto di esso mucchi di rottami.
Al mattino del 29, il casino Savorelli era distrutto
la Porta S- Pancrazio sQancjita, il bastione Nono e' la
Villa- Spada gravomento danneggiati, la batteria del Pino
sconquofisflta; infine il bastione Ottavo, punto principale
di mira dell'asse di ante, ridotto fn macerie, e la quarta
breccia aperta nei suoi fianchi. Bisognava impedire che
il neniiro ne appyotìttasse e vi si organizzò una fiera
resistenza.
La mattina del 30 due grosse colonne francesi, so-
stenute da forti riserve, mossero di fronte e dtìi fianchi
all'assalto della breccia; i Keniani le respinsero con vi-
gorosa puj;na; assaliti e assalitori, si trovarono corpo a
corpo, ed un accanito conibattimento a ferro freddo
s'Impegnò sul terrapieno; molti. s'imraortaliirono in quel-
la difesa disperata. Emilio Morosini eroe diciorteaine fece
eccidio di nemici, e sebbene ferito due volte non ri-
stette dalla pugna; sfinito di forze mentre era traspor-
tato all'ambulanza dai suoi, fu sopraggiunto dai nemici,..
4
107
ina non si arrese ancora, e menò di sciabola finché gli
bastò la lena; una terza palla gli trapassò il bel corpo
e ne involò l'anima eroica.
La breccia era salita, ma non presa ancora; le
batterie della Montagnola facevano strage degli assa-<
litorì; i francesi pagavano ogni palmo di terreno col
sangue loro e dei loro capitimi; gli artiglieri si face-r
vano tagliare a pezzi sui loro cannoni, ma non si ar-r
rendevano; esaurite le polveri restavano ancora le ba-
ionette e i calci dei fucili; restavano sopratutto an-
cora a far barriera, ì petti dei superstiti ed i ciiniulì
dei morti; ma la gloriosii ecatombe non poteva tratte-
nere il nemico, ed il numero doveva avere ragione una
volta ancora; i francesi irrompevano da ogni lato mi-
nacciando l'unica via dì ritirata; non restavji ai prodi
difensori altro riparo che Villa Spada.
Gaiibildi ricliiamata al Civsino Savorelli la legione
Medici, poiché la perdita delhi neconda linea rendeta inu-
tile la difesa del Vascello, asserragliata Villa Spada, ap-
poggiate le spalle a San Pietro in Montorio, la sinistra
a San Calisto, l'estrema destra al bastione Nono ancora
in piedi, tentò improvvisare una terza linea di difesa.
Preceduti e spalleggiati dal fuoco incrociato di tutte
le batterie, i francesi montavano da ogni parte all'as-
salto; ma il loro obiettivo era sempre Villa Spada; colà
ormai si decideva l'estremo sorte di Roma; colà Gari-
baldi, Medici, Bixio, Manura, Sacchi, i legionari e i ber-
saglieri, quanti erano uomini vivi e atti ancora a im-
pugnare un'arma, si prepararono all'estremo cimento. Il
tetto, le mura della casa bombardata, crollavano da ogni
lato sui difensori^ ma aessuno parlava di resa. Il Manara
infiammato da eroico ardore, desiderando la morte piut-r
tosto che assistere alla resa; correva dove più era grande
il pericolo, incoraggiava i combattenti, dirigeva la lotta»
ma mentre s'affacciava per osservare le mosse del ne-
:mico ;iina palla Io stramazzò agonizzante fra. le braccia.
di Emilio Dandolo, a cui poco prima aveva dettp, come
Ney a Waterloo: « Non ci.sarà dunque una palla per me?»
108
Un altro, come lui, aveva cercato in quell'antro
Infuocato di Villa Spada la morte ; ma questa lo riiM
sparmiò guo mnlgrado volendolo serbato a ben più grande^
destino. Se in quel giorno Maaara fu grande. Garibaldi
m terribile; gu«i ai nemici che gli eran dì fronte,
suoi fidi ti'emavano di vederlo cadere da un momenti'
all'altro, mn, sembrava che le palle avessero paura di,
toccarlo.
A mezzo giorno del 30 piijtfno. tutto era finito
Villa Spadiì era perduta ; l.ìaribaldi si ritirava, coi la-
ceri avanzi dei suoi per la Lungara, sperando ancora dtj
arrestare il nemico a ponte Sant'Angelo, quando un rap*|
presentante del popolo venne ad annunzìarg:Ii che l'na-i
semblea aveva bisogno d'interrogarlo sullo stato dellej
cose, e l'attendeva in Campidoglio.
Chiese al Vecchi che lo accompa^ava: « credete
che in un'ora potremo essere di ritorno? » Lo credo n-^
spose il Vecchi — «allora partiamo» e al galoppo, co*^
perto di polvere, fiammeggiante in volto per l'ardore
della pugna, salì al Campidoglio.
Al suo apparire l'assemblea ruppe in una salva in-j
terminabile di applausi. Informato che Mazzini avev*J
già proclamato che tre sole via rimanevano nperte ai
romani: o capitolare: o difendere la città fino all'estremo;
ovvero uscire da Roma, Governo, Assemblea, esercito,
e portare la guerra altrove ; Garibaldi salito alla Tribuna^
dichiarava senz'altro
* La difesa oltre Tevere impossibile; possibile an-j
■Cora al dì qua del fiume la guerra di barricale ; dover ,
suo di aggiungere che anche siffatta difesa non avrebbe
potuto durare che pochi giorni. Quanto a lui, nuU'altro
reatftvagli che uscir di Roma col resto dei suoi corapai-il
g^iì e tenere alta la bandiera della patria fino all'estremo ;
consigliava perciò l'Assemblea di accettare la terza prò- j
posta del Mazzini: uscire da Roma coli' esercito, col'
Governo e coi rappresentanti del popolo; concludendo:
< dovunque saremo, colà sarà Roma >.
a09
Ciò detto tornò al suo campo, e l'Assemblea respinta
-ogni idea dì resistenza votò il Decreto ormai celebre :
« In nome di Dio e del popolo.
« L'Assemblea costituente romana cessa una difesa
divenuta impossibile, e sta al suo posto ».
Per effetto di questo Decreto il Triumvirato rasse-
gnava r ufBcio al Municipio Romano, unica autorità le-
gittima cui spettasse di negoziare col vincitore i patti
<lella resa. Senonchè avendo il generale francese, per
<jolrao, rifiutiite le più oneste condizioni, Roma sdegno-
sameote ruppe ogni iiegoi:iato, preferendo lo estremo
arbitrio del vincitore al disonore di sottoscrivere con
lui una. resa, che avrebbe sotìbcato in lei il grido di
-eatrema protesta al mondo, contro il bugiardo rappre-
sentante della sorella latina, che dopo averla assalita
colla perfidia di un tradimento, vinta colla sola virtù
del numero, veniva a negarle il supremo diritto dell'in-
columità della vita e degli averi dei cittadini.
Il Municipio annunziava ai romani la prossima en-
trata dei francesi.
« Romani !
« Il coraggio da voi dimostrato nella difesa di Roma,
i sacrifici che incontraste, vi hanno assicurata la gloria
e la Btiraa degli stessi stranieri. — Una difesa ulteriore,
come fu annunziato dal Decreto dell'Assemblea sarebbe
«tata impossibile senza volere la distruzione di una città-
■<die conserva memorie lo quali non debbono perire. La
Vostra rappresentanza municipale non ha accettato patti
Jier non compromettere menomamente la dignità di un
popolo così generoso, ed ha dichiarato di cedere alla
T'orza.
« Le leggi dì umanità e dì incivilimento, la disci-
plina di un'armata regolare, ci ripromettono il rispetto
■^elle persone e della cose.
€ La vostra rappresentanza municipale vi promette,
<ihe non mancherà di fare quanto è in suo potere, onde
110
non si rechi ingiuria ad alcuno. Abbisogna però del vo-
stro concorso ed è certa, dì ottenerlo. Fida nel vostro
contegno d%'iiìtoso o nell' esperienza cosUmti?, che ha di-
mostrato al mondo come i Romani in circostanze pro^
spere o avverse hanno saputo egualmente mantenere
l'oi-dine, e costringere anche i nemici a saUitiire
riverenza la cittA dei monumenti e rispettarne gli al
tanti elle, con le loro virtù, rendono impOBsibile l'obli*
della Romana Grandezza.
« Dal Campidoglio il 2 luglio 1849.
«"Francesco Sturbinettì, Senatore.
Lunati Giuseppe. Gallieno Giuspppe, Gideotti Fede-
rico, Deandreis Antonio, Piaceniini Giuseppe, Corboli
Curalo, Feliciani Alceo, Tittonì Angelo, Conseì'vitori.
Giuseppe Rosai, SegMario.
La sera del 2 ìuglio, ì francesi s'impadronivano di
porta Porteae, di porta S. Pancrazio, e il di seguente
occupavano porta del Popolo. Nella giornata entrava in
Roma il generale Oudinot circondato dal sito Stato Mag-
giore alla testa della 2" Divisione e di numerosa caval-
leria, accolto con ogni sorta di dimostrazioni osLili ed al
grido di « Viva la Repubblica Romana, morte agli slr^
,iiieri, morte al cardinale Oudinot, morte al traditore
X^i sera del 4 i soldati francesi entravano a viva
forza, con le armi in pugno, alla sede della costituente
ed intimavano alla sezione che vi stava in permanenza
di/sciogliersi, Carlo Bonaparte che la presiedeva. protestò.
« In nome di Dio; in nome del popolo degli Stati
Romani che liberamente, con suftragdo univei"i?aie, ha
pletto i 8uo;i rappresentanti; m nome, dell'art. b° della
Costituzione fmncese, l' Assemblea Costituente Romapa
protesta in faccia all'Italia, in faccia alla Franoiaj in
ìapcia al mondo iDctvJjUto, contro jl^ yioipnta invasipo^
4
cii. I
Ili
della sua sede, operata dalle forze frantiesi il giorno 4
luglio alle ore 6 pomeridiane. »
Roma, nel Campidoglio 4 luglio 18i9.
Per l' hiterti Agsemblea
Il Presidente di Sezione : C. Bonaparte.
Il Keg:retarìi>: Qalrico prof. Filopituti.
CAPITOLO XV.
BdrJbaldi escB da Roma coi suoi legionari -
San Marino — Morie di Anita — Cesenatico
A mezzo giorno del 2 luglio, Garibaldi radunava
sulla Piazza del Vaticano i resti della sua divisione, e,
fatto formaro il quadrato, li arringò cobì :
« Compagni, io esco da Roma. Chi vuole continuare
la guerra eonCro lo straniero, venga con me. dà che
io offro a quanti vogliono y^guirmi eccolo : non paga,
ne onori- Offro fame e eeto, marcie forzate, battaglie e
morte. Chi ama la patria mi segua ».
0. Lo seguirono circa tremila uomini, i resti cioè della
Legione italiana, buona parte della polacoa, e del bat-
ta^iliontì Medici, grossi manipoli di finanzieri, dì studenti
e di emigrati, i superatiti lancieri di Maaina, circa quat-
trocento dragoni e i pochi bersjiglieri Lombardi.
La sera del giorno stesso, Gfaribaldi usciva furtiva-
mente da Porta San Giovanni, e, lanciando tutti incerti
sulla sua meta,, s'incamminava per la via Tiburtina;
Gli cavalcava al fianco, in vesti virili, la sua Anita;
gli faceva da guìdaCloeruacchio. coi suoi tigli, l'accompa-
gnava Ugo Btìitói ; ne seguivano le sortì Sacchi. Mitrof
chètti, Montanari, Hoffsietfcer, Cenni, Livraglji. Isnardi
Sisco, Ceccaldì, Chiassi, Stagnettì, Bueno, Muller, l'eletta
dei suoi, ufficiali superstiti. Giunto in sull'filba del B a
112
Tivoli, fece spargere la voce che si dirig;era sul Napole-
fcino. Al tramonio infatti, levato il campo, marciò per
un buon tratto verso il Mezzogiorno ; indi volse improv-
visamente a Settentrione, pernottò a Mouticellì, e la
mattina del 4 s'accampò a* Monterotondo.
a
Como era facile prevedersi, l'Oudinot gli sguinza-
gliava Contro due grosse colonne, l'una comandata dal
g:enera]e Molière, l'altra dal ^'eneral Morris; il borbonico
iStatella gli nmovcva alle epalle dal Tronto; ^'li Spagnuoli
di Don Consalvo, appostati a Rieti, gli sbarravano la
destra; e gli austriaci del D'Aapre, accampati nell' Um-
bria, l'aspettavano di fronte a Foli^'no, e gli chiudevano
le due vie di Peru^'ia e di Ancona. Così Garibaldi era
accerchiato da una rete di ferro; sbagliata una mossa,
l'eroe, Taniato del popolo, era Irremissibilniento perduto:
ma r inseguito era Garibaldi, ed il leone non si sarebbe
lasciato coglierei Nel pomeriggio del 5 staccava la mar-
cia da Monterotondo ; il 6 era a Confine ; 11 7 a Poggio
Mirteto ; r 8 a Terni, dove s' incontrò col colonnello
Porbes che veniva a portargli una colonna dì ottocento
uomini, resti di corpi sbaudati nella campagna, e due
pezzi d' Artiglieria,
*
Terni era il centro di cinque vie ; si poteva salire
a Foligno, quanto discendere a Rieti; voltare per Narm
e Viterbo, come satire a Todi e l^erugia. ^H
Garibaldi 1-isciò in ogni passo delle squadriglie pe^^
ingannare gì' inaeguenci, spinse una avanguardia di ca-
valli a Todi, e il di appresso, 9 luglio, vi si condusse
■egli stesso col grosso del corpo. Qui le cose comin-
ciarono a volgere male, e l'orizzonte ad intorbidarsi.
H programma di Garibaldi ^- fame, sete, marcie for-
113'
zate — se ebbe applausi quando fu proclamato, accen-
uaTa, man mano, a divenire impoBsibile; anche ai ttinti
di buona TolontA veoivano meno le forze, o sintomi
di scoraggiamento cominciarono a manifestarsi; segui-
rono quindi le diserzioni, prima a gruppi, poi in masse.
Intanto concordi notizie recavano, che iFi'anoeBÌ
comandati dal Morris muovevano contrg i nostri da Vi-
terbo, e che gli austrìaci da Foligno si mettevano in
Txiaroia per Todi. Gmlbaldi mandò un nerbo de' suoi
£1 scorazzare sulla strada di Foligno per far credere che
»33Ìrava là; spedi Mailer cxjn i suoi cavalli ed una cora-
X^a^ia della le{,'Lone perla strada di Orvieto, con ordine
<ìì spingersi tino a Montefiaacone -Viterbo ; seppellì i due
«cannoni del Forbes, e quando ebbe l'assicurazione dai
suoi scorridori, che 1 due nemici erano ancora lontani
tanto, da poter loro scivolare in mezzo, lasciò Todi la
sera del V2, paseò il Tevere a Ponte Acuto, e s'incam-
minò per la via mulattiera montuosa ed obbliqua di
Urodo per Orvieto ; sua meta la Toscana,
La sera del 13, avendo avuto informazioni clie il
generale Morris era ancora lontano staccò la marcia per
Orvieto ove giunse sul mattino del 14.
Non entrò in Orvieto ma s'accampò su di una buona
posiziono a cavaliere della strada di Ficulle. Gli Orvie-
tani mandarono a Garibaldi invito di entrare in città,
e lo fornirono del pane mandato ad ordinare dai Fran-
cesi. Ma egli non s'indugiò; nel pomeriggio del 15 levò
il campo e mosse verso Fienile; vi arrivò a sera, quando
i Francesi gli erano già. alle calcagna; gli Austriaci gli
muovevano incontro da. Perugia.
Parti la mattina del 16, abbandonò, dopo poche mi-/
glia di cammino, la sti'nda maestra, si buttò a Sole dove
riposò per poche ore, e la notte per sentieri impervìi e
monti disabitati, .sotto una pioggia dirottissima, in mezzo-
lU
a tenebre fitte, guadagnò il confine toscano e giunse la
mattina a Cetona, accoLto lestos;imente dalla jjopolazione.
Fu quellii la prima volta che la brigata, dacché era uscita
da Roma, dormi acquartierata.
4
Lilieratosi dai francesi g]ì restavano sempre di fronte
gli austriaci, che scendevano da Perugia, ed i toscani,
che tenevano presidii tra ftanteano e Chiusi, i quali po-
tevano impacciai'e, se non arrestare, i suoi movimenti
e molestarlo.
Ma l'eroe non se ne sgomentava. Fortiflcatosi a Ce-
tona; circondati i suoi iìanchi d' i:iiboscate; coperte le
spalle con lorze sufficienti ; mandò celereniente una gros-
sa squadiiglia a battere la strada Sarteauo e Chiusi, e
quando gli riportarono di avere snidati e messila fuga
i presidii toscani, ripigliò la marcia; dormi il 17 a Sar-
teano; entrò il IS a Montepulciano, dove tutta la popo-
lazione fece a gara nell'usargli gentilezze e nel colmarlo
di cortesie e d'offerte.
Rinata la speranza in Garibaldi, pubblicò un ardente
manifesto ai tosoAni, col quale li Invitava ad insorgere
contro la tirannide domestictì e straniera. Ma fu T illu-
sione di un momento, e, presago ormai che nulla piùtjj
poteva sperare, prosegui il suo fatide cammino. if
Giunto 3utl' albeggiare del 20 a Toirita, prese una
grande risoluzione^ quelUi di abbandonare il granducato
toscano e di prendere per nuova meta l'Adriatico e Ve-
nezia I Là sulla laguna ardeva sempre quel gran focolare,
in cui ormai sì concentravano tutti gli sforzi d'Italia.
Il piano di Garibaldi fu presto formato ; salire fin
presso Arezzo; passare dal subiippennino al grande ap-
pennino; scendere tra Pesaro e Ravenna all'Adriatico
ed imbarcarsi nel punto più. opportuno per Venezia.
U5
. »:
Vani sforzi I inseguito, come belva feroce, passo
passo, dagli austriaci che con forze superiori d* ogni
parte lo circondavano, eeppe rompere il cerchio di ftn'o,
e per vie dirupate e nascoste, guadagnò dopo enormi
falliche le alture di Cnrpegna al mezzodì dei 30; neri-
parti nel vespro; traversò la Valle del Conca; prese un
po' di riposo poche ore in un bosco; e al tocco dopo
meazanotce ripigliò la marcia alla volta di S. Marino.
Non gli restava altro rifagio !
A S. Marino scioglierà la sua colonna, e lasciava
libero ognuno di tornare alla vita privata, col seguente
ordine del giorno ;
San Marino, 31 luglio 1849.
Compagni !
Noi siamo giunti sulla terra di rifugio, e dobbiamo il
luiglior contegno ai nostri ospiti, In tal modo, noi avremo
meritata la considerazione che merita la dìegraaia per-
seguitata.
Da questo punto io svincolo da qualunque obbligo
i miei compagni, laeciandoli lil>eri di ritornare alla vita
privata, ma rammento loro, che l'Italia non devo rima-
nere nell' obbrobrio» e che è meglio morire che vivere
schiavi dello straniero.
G. GaHbaldL
Verso le undici di sera, chiamò intorno a sé i mi-
gliori ufBciaii suoi fidi, e svelò loro l'incrollabile suo
proposito, di sottrarsi ai patti che il governo della re-
pubblica Sammarinese slava trattando collo straniero.'
« A chi vuole seguirmi, egli di^se, io otfro nuove
battaglie, patimenti, esiglio ; patti collo straniero mai *.
Le parole di Garibaldi caddero come stille roventi
nell'animo degli accorisi al euo invito, ma a pochi bastò
116
il cuore 6 ki forza, di ascoltare il suo Appello, Non tu—
reno più di duecento quelli disposti a eeguirlo.
Allo BCaocar della mezzanotte, preceduto da tre
guide paestme, per im sentiero di montagna, ec-endeva
il Titano ; guizzando tra le scolte nemiche, traversava
la Marecehia, passava Montebello e, cammiuaiido tuttii
la giornata, verso le 10 di sera del 1" agosto penetrava
in Cesenatico.
Non perdette tempo; fatti prigionieri i carabinieri
e i pochi soldati auscri;ici colà sorpresi, s' impadronì di
tredici « bragozzi » Chiozzotti^ v'imbarcò tutta la sua
gente, usci dal porto e veleg^giò per Venezia.
In sulle prime, al fuggitivo arriso la fortuna, ma,
verso sera, appari all'orizzopte la flottiglia Austilaca che
s'avanzava a tutto vapore.
Ritornato ai-diio uomo di mare concepì con rapidità
(Ulminea il suo piauo; comandò ai bragozzi di sparpa-
gliarsi e dì dirigerai verso punta della Maestra, dove le
acque basse li avrebbero protetti dall' inseguimento. Ma
egli comandava a timidi pescatori ; questi, alle prime
minacele delle scialiippe nemiche che venivìino loro in-
contro, si scompigliarono senza saper più manovrare:,
sicché otto bragu2ai caddero prigionièri degli austriaci,
ed a Garibaldi non restò che gettarsi sulla costa di Ma-
gnSivacca, che per miracolo potè afferrare.
Ma la terra non era più sicura del mare ; squadre-
di gendarmi lo cercavano per ogni verso.
Prima necessiti! fu quella di separarsi per potersi
meglio nascondere ai nemici. Ugo Bassi e il capitano
Livraghi con altri presera per una via, Ciceruacchio e
i suoi figli per un'aJtra ; e Garibaldi restò solo con Anita
e il capitano Leggiero, ■-■ ' ^
117
Ma la povera Anita era ih tìn di Vita: di lei sem-
brava non vìvesse |iii!i che lo spirito; il corpo era con-
simto dagli slenti sofferti.
Unico mezzo di salute era quello di lasciare al-
l'istante quella spiaggia; Garibaldi senza pensare ad
altro, prese sulte braccia la sua Anita e scorUito da Leg-
giero, e guidato da un contadino che la fortuna gli
aveva condotto dinnanzi, col caro peso traversata la
macchia arrivava ad una deserta capanna, dove tro-
vava un nascondiglio, e per Anita un pò di riposo su
un giacìglio dì frasche.
Egli er^ là da qualche tempo, quando vide, davanti
all'uscio della capanna, un giovanotto in vesti signorili
che Io saliitrtva rispettosameure. Era Gioacchino lìomiet
di Coniacchio, di famiglia di patrioti il otti nome va in-
cordato irteli itiilinnì. Fu lui coi bravi Jiagazzì e Mon-
tanari che attivarono Garibaldi, facendogli trareraare le
valli di Cottiacchio in una burca, nella quale avevano-
preparato anche un giaciglio pei' l'Anita; In pr-i* mezzo del
Bonnei, e dei suoi fidi guardiani, che potè arrivare nella
(attoria Guiccioli presso Sant'Alberto. Colh, appena adar-
giata sul let:o. l'eroica Anita sentendo che l'ultiuia sua
ora era arrivata « O José, io muoio! mormorò: bacia
ì figli per me! » e chiuse gli occhi nelle braccia del
marito. La disperazione di Garibaldi toccava il delirio^
non si poteva distaccare dalla amata roinjiagna. « Per
i tuoi figli, per l'Italia, pensa a salvarti s, gli disse
piano il capitano Leggiero e potè strapparlo* dal dolo-
roso amplesso.
Cosi il 4 agosto 1840, alle 4 di sera, spirava l'anima
forte di Anita Riheira Garibaldi. Essa martire dell'amore,,
sublime ed intrepida donna. Fu degna compagna delV Eroe-
che tanto la pianse. 11 suo corpo fu coperto da poca sabbia,.
in vicinanza della fattoria Guiccioli alla Mandrioìa, a
9.
US
circa undici miglia da Comacchio l Nestsuno ha ancorq.
pensato in Italia ad erigere, per ricordo ai poBCeri, un
nianumento a. questa KroiniiI
Povera munire! La tua memoria è fiore gentile che
g^rmoglierà sempre nel cuore di quanti amano la piitriab
IjiViciato, per dura necessità il triste luogo, Gari-
baldi, con l'aiuto di Bonnet, di Montanari ed altri pa-
triotti, potè mggiutigtìi'e Iti pinetji di Ravenna, e di la,
bubito dopo, si condusse alla valle Guicdoli. ^
Cola venne a, riceverlo il bravo popolano Giu-H
tìsppe Savinì di Ravenna, che, tenutolo nascosto per
pochi giorni in un casolare delle Paludi della Valle div
Canna^ lo raccomando ad Antonio Fuzzi Ravennate essdql
pure, che a sua volta Io attìdi'i a Don Giovanni Veritìi.
onesto e patriottico sacerdote di Jlocìigliaiia, mcrc-è il
quale, attraversato il Passo dt:lla. Futa potè sconfinare
in Toscana. Da allora, guidato sempre da mani amiche
e leali, sfrusciando in mezzo alle ronde marniate-' alla sua
caccia, protetto dalla sua stella, valico i due versanti
dell'Appennino. Il 2(3 agosto fu a Poggibonsi, dì là a
Pomarance dove fu ospite di Antonio Martini. In ap-
presso, CamilJo Serafini lo tragittò a .San Dalmazio, dove
lo raccomandò al Gutìlfl che a sua volta, condottolo
prima a Massa Marittima, poi a Follonica, lo confidò fi-
nalmente a Paolo Azzanni marinaio di Hio, che offri di
portfire Garibaldi a Porto Venere, in terra di salute.
Colà sbarcato, assieme airamìco Leggiero, Garibaldi
rilasciò airA2zarioÌ un prezioso documento cosi conce-^
pito : "
« II padrone Paolo Azzanni, che la fortuna mi fece
incontrare in terra italiana dominata dfigli austriaci, mi
ha trasportato su questo luogo di asilo e di isdvamentd
trattandomi egregiamente e senza interesse ».
O, Groribaldi^
It9
In questo frattempo, un forte corpo di armata au-
strìaco InTadeva gli Stati della Romagna; occupava il
.7 ma^o Ferrara, e marciara difilato su Bologna.
Quel popolo patriottico si dispose alla resistenza, e
-quando gli austriaci investirono la porta Galliera, buon
numero dì popolani spalleggiati da uno squadrone di
carabinieri, comandati dal colonnello Boldrìnì, con una
carica arditissima ed a colpì dì baionetta li misero in
fuga ; ma i bravi bolognesi, arrestati ad un tratto dalle
scariche di mitraglia di tre pezzi, dagli austriaci piazzati in
posizione dominante, e fulminati dalle carabine dei Tiro-
lesi, che seminavano morte, sono costretti a cedere e
ritirarsi, dopo avere veduto cadere ferito a morte il
colonnello Boldrini, l'aiutante Marziani, il maresciallo
Pavoni e numerosi altri. Occupata Bologna, gli austriaci
proseguirojio per restaurare il governo papale nelle
Marche.
CAPITOLO XVI.
Assedio dì Ancona e sua eroica dlfbsa-
Ancona venne investita dagli austriaci, il 24 maggio,
bloccata e chiusa per terra e per mare.
Erano 12,000 gli assediaiiti, muniti di armi potenti.
Il generale Wimphften aveva mandato agli Anco-
nitani r intimazione di arrendersi, e di assoggettarsi al
Sovrano Pontefice; il Preside Mattioli rispose con fiere
parole ; Livio Zamboccari, comandante delle milizie a di-
fesa, ricordava : « gloria a piccolo Stato il vincere ; gloria
per la santità del diritto soccombere ».
I difensori erano 4850 compresivi i fratelli accorsi
da Iesi, da Loreto, da Sinigaglia, da Fano, da Pesaro,
120
dalla Romagna, dalla Lombardia ed nuche dal Piemonte;^
nell'insieme, i più maldeatn «Ile armi, vissuti fino al-
lora nelle industrie e nei commerci; ini* tutti animati
dì amor jiatrio, e dal proposito di fare il proprio dovere.
Elia e suo padre erano giunti, pochi giorni prima
del blocco, in Ancona e furono destinati al vapoj'e da
guerra < Eloma » sotto grli ordini del tenente di vascello
Castagnoli, e poscia comandati al forti in difesa della
città.
11 2ó maggio avvenne il primo scambio di fucilate
fra le Torrette e Montagnolo e il primo cannoneggia-
mento fra il forte della Lanterna e il piroscafo austriaco
< il Vulcano ».
Il 27 « La Bellona », la più po::ente nave della squa-
dra nemici^, attaccava il forte della Lanterna con le sue
bordate, che smontarono alcuni pezzi, ciò nonostante il
forte non cessava dalla sua Hera difesa.
Procedendo nella sua direzione la nave ammiragli
lanciava lo sue bordate alla Darsena^ ma i cannonieri
del forte Marano e quelli del forte dei Cappuccini ri-
sposero con spessi colpi e con tiri, cos! bene aggi natati jj
da aprire numerose falle nei fianchi della « Bellona •■
elle fu salvata dal « Vulcano » accorso in aiuto per trarre
Ila nave a rimorchio fuori del tiro dei forti ; essa ebbe
il comandante mortalmente ferito, due morti e quaranti
uomini messi fuori di combattimento. ^
Cosi con ugutìl valore, con indomita fierezza, nea-W
suno mancò al dovere suo nei memorabili venticinque
giorni d'assedio. ^
Tutti i giorni un combattimento ; sui forti, stii ba-™
luardi, sulle barricate-^ all'aperto. Agli austriaci occupanti
le alture: alla squadra che batteva i forti, cannoneg-
giando con potenti artiglierie, rispondevano con effica.cia
i nostri bravi dal Cardetto, dalla Cittadella, dai Cappuc-
cini, da Marano, dalla Lanterna, da ogni luogo fortificato ?;
i marinai e popolani, senza conoscere la balistica, eranai'
tramutati, in un lampo, puntatori meravigliosi.
I
121
Nel più fondo della notte dal 29 al 30 maggio, gli
austrìaci lanciarono in città una spaventevole grandinata
4Ì bombe.
Oli Anconitani, a giorno, fecero uua sortita ; tre
volte attaccarono nelle sue posizioni avanzate il nemico
alla bnionetta ; i giovani pai'evano veterani, i veterani
erano tramutati in eroi ! sembrava ricostituita la com-
pagnia della morte, rinnovante le tradizioni del libero
comune, intrepida nelle audaci sorprese, negli scontri
temerari, nello sprezzo della morte ; i vecchi, gli inabili
alle armi, le donne, forniviino le munizioni ; i c^lpitam
di mare, in coi'se pericolose, rompevano il blocco, ri-
fornivano i viveri.
L' 8 di giugno AVirapliften mandava un messnggio
al comune, che è documento del valore iinconitano, do-
cumento tanto più alto in (juanto veniva dal nemico
.stesso : « Le truppe imperiali, esso diceva, passarono'
per le romagne, per le marche, senza incontrare osta-
coli ; ne trovarono solo davjtnti Ancona ; si arrenda la
città se non vuol essere distrutta ».
Ancona non si arrese : ma continuò la difesa colla
forza rinnovata dalla disperazione.
•*#
Il 15 giugno, trecento uomini comandati dai ca-
pitani Cervasoni, Gigli ed Ornani, cuori ardimentosi,
assaltarono Monte Marino alla baionetta ; 1 nemici fu-
rono messi in roftii e l'altura rapidamente occupata. Ma
le forze nemiche ritornarono soverchianti di numero
all'assalto ; la lotta durò accanita, i nostri piuttosto che
cedere, morirono nel santo nome della patria, finché, più
che decimati, furono obbligati alla ritirata; lo stesso Cor-
vesoni fu colpito a morte, e il capitano Francesco Gigli,
sopraffatto dai nemici, sarebbe rimasto sul terreno, se
Enrico Schellini, con coraggio leonino, non fosse accorso
in suo aiuto.
1S3
Li miimccia di Wimphfteu aveva ìnQaiBmftti £;Lt*
animi alla loitti suprema.
Dal 14 al 18 ijiugno le bombe, i razzi st-oppifiTano
fer le vie, nelle case, sugli ospedali, rombavano, di
notte e di giorno, con orrendo fraca,sso; pareva, d'essere
circondati da una catena di vulcani che eruttassero fiam-
me, fuoco e (erro sidla patrioiticn cith'i.
I pompieri, oiioniCQ corpo die vanta nobilissime tra-
dizioni, senza badare a fatiche o pericoli, si moltiplica-
vano, spegnevano incendi, sgombravano maperie, demo-
livano muri, salvavano pL^ricolanti dallo c;ise incendiate,
trasportavano leriii, lottavano ogni giorno, ogni ora con
la furia dei^Hi incendi, guidati dal sentimento del dovere
e da profonda piecii umana.
Tanto sacrilicio, tanta nobiltii d'animo, tanti eroismi,
non bastarono a salvare la eittf'i dagli opprei^sori,
I viveri erano o&;Luriti, e il blop-co, sempre più stretto,
come cerchio di It-rro, non permetteva d'introdurre in ^
città; ottanta incendi divampavano, gli ospedali riboc- S
cavano di feriti clie non si aveva mezzo di alimentare ;
oltre quattrocento morti e numerosi feriti affermarono
col sangue Tatfetto alla patria.
Ancona, diroccata, affamata, straziata, dopo 25 giorni
di resistenzn, veniva forzata alla resa.
LkI marina merc-fititile anconitana, della quale era
a capo Antonio Elia, fece nella difesa del patrio suolo
bravLimente il suo dovere.
Era necessario pensare alla salvezza dei compro-
meesl politici, affinchè non cadessero nelle mani degli
sbirri papalini e dei Croati.
Un bastimento anconitano, di cui era proprietaria
e comandante Mariano Scoponi, ottenne per solerte in-
128
tromissiore del patriota Nicola Novelli, di poter inalbe-
rare bandiera inglese, e su di eago, dovevano prendere
imbarco, per essere trasportati a Corfù, quanti crede-
vano dì non essere sicuri in patria.
E difattì Yi si imbarcarono, il preside Mattioli e
tutti quelli, che si trovavano compromessi e che ave-
vano a temere la vendetta del goYerno l'istaurato e dello-
Sjraniero. Antonio Elia aveva avuto un diverbio coL
priore del convento di S. Francesco di Paola. Temendo-
la vendetta del prete, che mai perdona, il figlio e gli
aniicì lo pregarono caldamente, di prendere esso pure
imbarco per l'estero, Ma egli rispondeva di avere la
uoscienza tranquilla, di nulla avere a temere, non vo-
lere quindi voIontarianieTite abbandonare la pafrìa eia
famiglia', e restò.
La notte del 24 luglio 1?<4'.I la casa abitata dallo-
-iClifl, appartenente ai frati dì S. Francesco di l'aola ed
attigua al laro convento, fu circondata da gendurmi pa-
pili, da soldati au.'5tri!(cì e da poliziotti. Si piecliió all'u-
scio di casa ed alla intimiìzinne della forza fu aperto;
venne eseguita una minuziosa perquisizione, e nulla t,ì
l'inveunp. Non era questo che vulevasi dal bìirbaro au-
striaco e dai preti ; era necessariy dare un terribile
esampio alla popolazione che si mostrava aempre ri-
telle, sempre indomita, ed avversa al governo dei preti
«3 dell'abborrito filrauicro, applicando la le^-ge stataria
su uno dei capi del popola, inunune da ogni colpa. Non
essendosi rinvenuto nulla in casa, gli assetati di sangue
del patriota, requisiti alcuni muratori, si diedero a rom-
"pòre un condotto di scolo, avente comunicazione con
tutti i cinque piani superiori, abitati da numerosi in-
«juilini.
In fondo al condotto disfatto, fu trovata un'arma
«he poteva appartenere a tutti ed a nessuno, o che in
quel posto era stata appositamente gettata da coloro,
che avevano premeditato l'assassinio.
124
Antonio Elia venne legato sotto gli oqi'M delb
glie gestiinte, in mezzo «1 pianto di qiuicti-o creature,
« condotto ftlle Carceri di .S.ta Palazia. Appena giorno
la povera moglie, con io sue quattro piccole figlie, aa-
■davtì. a gettarsi alle ghioccbia del generale austriaco
Faltzenter, domandando grazia per T innocente, ed il
permesso di visitarlo. X^e fu accordato il permesso djJ
visitare il marito, ma quando laaantit donna ai presentò
«Ile ciirceri, una detonazione le gelò iì sangue, e le
fece iisUDtivameiite comprendere, che la vita dì Auto^f
njo KHa, il pHtriota Lnte^errinio» veniva in quel momento
barbaramente ed ingiustamente troncata. AlJa domanda
di vedere il marito, come ne aveva il permesso, le fu
risposto che era troppo t>urdi. Sarà stita una raffinai
tezzii di barbarie del generale quella di far troviii'e prej
sente alla esecuzioua la moglie del jnai'tlre'? La lo;^ic
lo ammette; l'uomo, per rispetto di se stesso, può
«tare nel dubliio.
Ecco un.i lettem che Garibaldi scriveva al figlie
del mai'tire Anconitano :
Caprera, 22 dicembre 1858
Mìo caro Elia,
« Figlio del popolo, 11 padre vostro merita di es-.^
sera annoverato tra i grandi Italiani. 1f
y Oggi, che sì avvicina la Ciidiita dtìlla tirannide
papale, noi dobbiamo ricorditre agli italiani le vìttime
della 3ua ferocia, e ira quelle, una delle più illustri
certamente, Antonio Elia. 4
« Ancona ricordi quel prodissimo suo cittadino che
tanto l'onora ».
Vostro
G. Garibaldi
fu
ire^l
r^
Per la morte del padi'e, Augusto Elia, all'età di
d-iciannove anni, rimaneva unico sostegno della povera
:1^
madre e delle quattro sorelle, tutte di tenera età; la
quinta era per aascere.
TJtt fatto, avvenuto in AiicofiA nell'inverno del
I849j obbligava il giovane Elia a lasciare la patria e la
Jhraiglifji, e a darsi. all'eB}lio. ■ '
In tarda ora di una notte oscura e piovosa una
povera donna scendeva la via del porto con un orcio
pieno d'acqua, attinta alla pubblica fonte di piazza
grande. Quando fu in vicinaiizii del vicolo della Ci-
sterna, la poveretta veniva brutalmente assalita da quat-
tro croati, t i|uali, toltole l'orcio, vnlevano trascinarla
nel vicolo oscuro pt-r vlolenta-ila. Mentre la povera
donna resisteva e gridava, sopra^giiinse un giovany^ il
cjuale, sguainata in men clie sì dica dal fodero di uno
■dei croati la sciabola-baionetti, assill i quattro intenti
-^ dar prova dì loro prodezza su di iifia donna; i quat-
"tro furono assai malconci e posti fuori combattimento
' dil giovanotto e la donna liberati.
Alla mattina l'Elia se ne stava in casa, sita in pros-
simità del Iuog:o ove avvenne il fatto, quando gli si fa
annunziare l'amico del padre e suo, Agostino Scìpioni,
il quale, tutto trepidante, lo veniva ad avvisare, che
uia donna, la signora Piermatteì, i,^li aveva confidato
di averlo riconos-ciuto quale assalitore dei quattro croati:
gii disse di aver supplicata la signora Piermattoi di non
ripetere parola se non voleva farlo fucilare; la signora
aveva promessa di non parlare, ma l'amico Soiipioni
jj^nsava, che non si doveva fare a fidanza e volle che
senza ritardo lasciasse Ancona. Cosi l'Elia fece; preso
subito imbarco si recò a Maibi; Topportuna fuga salvò
la vita all'Elia Aglio ma gli apri la via dolorosa dello
esìlio.
Scorsero dieci anni. Ormai i destini della patria
venivano maturandosi e l'ora della' resurrezione stavli
per suonare.
196
CAPITOLO xvn.
Dal 24 nano 1849 al 1868 - ff PleMoata.
Nella notte del 24 marzo Ì849 Vittorio Emanuele II,.
il nuovo Re, uscente dalia tenda di Radetzchy a cui
arerà detto : « I Savoia sanno la via dell' esilio non
quella del disonore » ! - cavalcava pensoso, tra i campi
seminati di caduti per la libertà della patria, seguito
da piccolo drappello de' suoi. A qual destino andava
incontro? Quale meta attendeva la giovinezza del suo
regno suturo già. d'ineffabili angoscie? Qual fiamma lo
agitava? Certo il suo cuore era angosciato dai ricordi
del breve idillio del « 48 » e della dolorosa epopea del
< 49 »; ma la grand'anima sua si sollevava al pensiero
che il nome d'Italia era stato, per la prima volta, il
grido del popolo combattente, e sentiva già, che le spe-
ranze della patria erano in lui riposte. E stretto al
cuore il patto della libertà, e il simbolo della reden-
zione, proseguiva incontro al suo destino, verso il suo
fido Piemonte, deciso a raggiungere la santa meta — l'u-
nità della patria !
Garibaldi dopo il « 49 » sì era recato a New-Vork
con la speranza di trovare imbarco come comandante,
od ancbe, come secondo di nave mercantile; dopo lunga
aspettativa, una Società Italo-Americana gli diede il
comando di un bastimento, col quale doveva battere
gli scali dell'America centrale. Nel 1Ì<53 prendeva il
comando del « Commonwealth » - un tre alberi desti-
nato ai carichi di carbone dall'Inghilterra per l'Italia:
arrivato a Genova, lasciava il comando e ai recava a
Nizza, per portare un saluto sulla tomba della sua
santa madre, e per restare qualche tempo presso i suoi
£gli, Menotti, Teresita e JSicciotti.
Vi nmaae immolescato ranno 1804: quindi con al-
tro piccolo baatiuiento. nom^.to « Esploratore * si mise
Ut fare la navigazione del cabotaggio.
In uno dei suoi viaggi, colto da grosso fortunale
»eUe bocche di Bonifacio, dovette certare rifugio nel
;porto delia Maddalena, e, dimorandovi alcuni giorni, per
Xa prima volÉn, gti baleni» l'idea di comprare alcuni
iotti posti in vendita dal demanio, dell' Esola di Caprera,
%ter fissarvi hi sua dimora.
# *
Luogo, lento, doloroso decennio, quello dal « 49 al
i>91 » Ma pur meraviglioso di contrasti e di concìlia-
aioni; di forze latenti che ai preparavano; di aperte
Tiscosso che ai teutavano; di pas-sioni che spingevano
a sacrifizi; di martiri che ìnnffiavano di sangue l'Idea.
Vittorio Emanuele. Mazzini, Cavour, Gaiìbaldi, Pal-
lavicino, Manin, Mordini» ed nitri i;-rantti patriotti, non
dimenticavano che l'Italia viveva in catene, e eA prepa-
ravano alla riscossa.
L'Austria, accampava iu Italia con diritto di feudo
su Modena, Parma e Toscana : con eserciti dominatori
nella Lombardia, nel Veneto, nelle Rumagne, nelle Mar-
che; suo sistema di governo, forche, fucilazioni e bastone.
Eppure tutto il decennio fu sfida e duello fra l'Au-
stria forte e l'Idea Italiana più forte ancora-
Luminoso e generoso si diffondeva il pensiero del-
l'agitatore genovese nella Giovine Italia, che aveva per
bandiera il tricolore; per programma l'indipendenza ed
Vinità di Nazione ; per forma di governo, il repubblicano;
c*he predicava guerra di popolo; s'insinuava nelle con-
giure ; scoppiava in parziali insurrezioni ; provocava ven-
dicatori del nuovo sangue versato; cementava l'idea
»&anta del martirio.
Ma le rivolte fallivano; la gioventù si spegneva
negli ergastoli e sui patiboli; ì tentfltivi infelici dei fra-
130
^Ili Bandiera, di Ordini, di Bentìvegna, di Pisacane;
il moto di Calvi in Ciidore: la yong;iura di Milano, che
dava, sugli spalti di Belfiore, alle tbrolie, ed al carcere
duro tanto fiore di nobiti vile, dimostravano che il pen-
siero, mazziniano, grande, perrluè manteneva vivo il
fuoco patrio era impoienio nell'azione.
Chi avrebbe potuto armare l'Idea'-' H Piemonte e
la Casa .Sabaiidii ! Quel princi|t:ito italiano doveva tra-
sformarsi in principato Xazìonale; la monarcbia dovea
farsi rivoLuzionuria : i repubblicani unitari dovean per-
suadersi che la monarchia di S:tvoJa aveva fede, forza
e valore. La monurfliia si pose allo esperimento dei
fatti. Pallavicino, Mmiiu. Mordini si fecero apostoli del-
l'unione della democrazia col Piemonte.
Cavour — vibrile e possente intelletto — uomo di
Stato degno del Re Vittorio Emanuele — concepisce la
l'elice idea di mandare nelle terre d'Oriente, sui campi
di Crimea, a combattere, tra le invitte truppe d'Inghil-
terra e di Francia, i nostri bravi soldati onde riaffer-
massero alla Cernaia, la virti'i degli animi ed il valore
delle armi italiane.
Al Congre&so di Parigi si (a eco dei dolori, delle
miserie, delle sp^eranze d'Italia — e l'Italia sente nel
Piemonte se stessa — intuisce in Vittorio Emanuele il
suo Re prode, generoso e fedele.
Finalmente a Plombiers si segna l'alleanza con la
Francia, e Vuttìmafum lanciato dall'Austria, tanto desi-
derato, da la spìntEi al compimento dei destini della patria.
Nel 1856 i! generale Gaiibaldi trovandosi a Genova,
veniva ogni giorno, ogni minuto sollecitato e messo alle
strette da numerosi patrioti, i quali chiedevano che si
mettesse alla loro testa, per iniziare un' ardito movi-
-mento Nazìoualo.
185
Da tempo erano sorti due partiti in Italia; unica
però la meta — la cacciata dello straniero. -^ I mezzi
per raggiungerla, però, sì palesavano assolutamente di-
Tersi, Gli uni rimanendo fedeli intransigenti al princi-
pio repubblicano, volevano arrivarci con la rivoìuzione.
Gli altri senza alcuna abiura ai principii, aderivano t\l
patto con la Casa di Savoiii, che s'impegnava di met-
terfd alla testa del movimento nazionale, e di combat-
tere per l'unità ed indipendenza d' Italia. Garibaldi sen-
tiva ohe, per rag-giun^'cre questo fine patriottico, era
necessario di far tesoro delle forze piemontesi e che la
spinta, magari indiretta doveva venire da quel principe
leale e dii quel governo. Kgli quindi seguito da Mordinl
da Medici, da Bisio e da alcri patrioti, abbracciò questo
partito; per lui si doveva compiere ad o^ni costo ru-
llila itiiliaua; ed <'i dovere riconoscere che la Casa di
Savoia era chiamata per virtù propria, per valore e per
tradizione storica, a compiere i destini della patria.
Difatti l'impotenza sempre più manifesta dei par-
titi pui'amente rivoluzionari, la sfacciata complicità de-
gli altri principati italiani ooUo straniero, la politica
schiettamente nazionale del Piemonte e del suo parla-
mento, il sangue già versato sui piani Lombardi, l'esilio
tìi Re Carlo liberto, la proverbiale lealtà di Vittorio
Emanuele ai patti giurati furono le vere ragioni che
«chiamarono provvidenzialmente la monarchia pietnou-
tese alla testa della lo;ta nazionale, indussero i patrioti
^he volevano ad ogni costo l'unità d'Italia, a stringersi
intorno ad essa,
Da quel momento venne stabihto che la bandiera
del partito d'azione dovesse essere; Italia e Vittorio-
Emanuele.
IH.
ìU
CAPITOLO zvm
1859 — La guerra d'lndTpenit«tiza.
H 1° dell'aano 1859 l'Europa veniva risvegliata
l'eco rumorosa dei pochi detti pronunziati dall' impew
tore Napoleone III h1 conte Hùbner ani Ija sciatore d'A^
«triii :
« Mi duole che le relazioni col vostro governo noi
sieno cosi amichevoli come per lo passato ».
Era il preavviso delia dichiarazione di guerra:
furono poclii quelli elio non lo capirono. In Italia qu<
«te parole risvegliarono tutte le speranze alle Corze
pile dal 49 in poi, I l'rutti delle alleanae di Crimea ve"
Divano a maturanza.
Si attendeva, con ansia febbrile, l'apertura della
Camera Sarda, per troviire, nella parola del Re Sabaude
un detto, <;]ie confermasse le concepite speranze;
parola si fóce sentire; ecco il dist-orso del Re:
.Signori Senatori, signori Deputati*
« L'orizzonte in mezzo a cui sorge il nuovo anno
non è pienamente sereno. Ciò nondimeno vi accinge- ■
rete colla consueta alacritìi ai vostri lavori parlamen-'*!
.tari. ConforÈiiti dalla esperienza del passato, andiamo
incontro risoluti all'eventualitii deirav\'enire. Qucst'iiT-
venire sarà felice ripoaatido la nostra politica sulla glu^i
stizia, sull'amore della liberta e delia ptitria. '^M
€ Il nostro paese, piccolo per territorio, acquistò
credito nei Consigli di Europa, perché grande per Ip^
idee che esso ispira. ^|
« Questa condizione non é scevra di pericoli, giac-
ché mentre rispettiamo i trattati, non siamo insensibili
af grido di ddore che da tante parti d'Italia si leva
verso di noi.
< Torti p«r la concordia, Mentì nel. notiro hntm
diritto, Mpettlamo prudenti e deoìsì i decroti delU Pmr**
videnai ».
10 gennfdo.
La Corona non poteva dire di più: il grido di dolore
udito da Vittorio Emanuele, si cambiò nelle genti ita-
liane iu grido di giubilo e di esultanza.
11 guanto era gettato e l'Austria non aveva tardato
a raccoglierlo, ordinando la marcia del 3" Corpo d'Ar-
mata di stazione a Vienna verso la Lombardia.
Questo provvedimento, unito ad altri di concen-
trazioni di truppe, ordinati dal Maresciallo Glulay sul
Ticino e sul Lago Maggiore, diedero motivo alla stampa
liberale, diretta dal Conte di Cavour, di dichiarare l'I-
talia provocata, e di fare appello a quanto eravi di
valido e di nazionale — perchè concorresse ad ingros-
sare le file per la prossima campagna.
» *
Mentre tutto nell' Alt* Italia si apprestava alla
guerra, in Toscana la dinastia di Lorena il 27 di aprile,
cessava di regnare. Una rivoluzione sì compiva pacifi-
camente, si formava un governo provvisorio, e il gè.
nerale UUoa prendeva il comando delle forze m-litari.
*
# *
lì 20 dicembre del 1858 il Conte di Cavour chia-
mava a segreto convegno Garibaldi e gli comunicava
in confidenza questo disegno: un'insurrezione era pre-
parata nei ducati ; verso il 1" di aprile Massa e Car-
rara inizierebbero il movimento; due bande di volon-
tari irromperebbero contemporaneamente da Larici e
da Sarzana. Garibnldi doveva apalle^jare la rìvol(a ,f
136
capitanarla. Nello stesso tempo un battaglione dì ber-
saglieri, dei miglior! elementi della guardia Nazionale
di Genova, si doveva organizzare in quella cittA, e
formare il primo nucleo delle forzo popolari destinate a
flanchegyiare, eolla rivoluzione,
1 esercito regolare.
Garibaldi plauttì alla proposta e diede senza resti
zione la sua adesione ; e lieto por l' imminenza dell
guerra si ridusse di nuovo nella sua isola di Caprera.'
Ma l'accalcarsi crescente dei volontari in Piemonte,'
consigliò al Conte di Cavour un altro mezzo per poter
più effictieemente trar profitto dì Garibaldi. Infatti, il 2
marzo 185ì), il generale fu chiamato a Torino dal Re,
Le parole di quel dialogo tra il Re Onlantuomo e l'eroe
popolare s'ignorano; ma il senso ne fu presto palese.
Tornato Garibaldi a Genova, convocò i suoi più
intimi, Medici, Sacchi, Bisio, e diede loro questo an-
nunzio: « Ho veduto Vittorio Emanuele ; credo che il
giorno di ripigliare le armi non sia lontano; state pronti;
io spero di poter fare qualche cosa con voi »!
Fa deciso di ordinare tutta quella valorosa gioventù
— che da Ogni regione della penisola conveniva in
Piemonte — in corpi speciali, che stessero a fianco del-
l'esercito, come rappresentanti dell'elemento popolare e
rivoluzionario di Italia, disciplinati in. ordinata mil
ubbidiente ad un capo, e ao^g-etta al Comando suprei
Da questo concetto nacquero i Cacciatori dello!
Alpi. Garibaldi fu chiamato a capitanarli; ed egli ri-
spose subito all'appello, traendo seco i suoi più fl(
commilitoni.
Il
La aera del 23 aprile due inviati austi'iaci pre--
sentavano al Conte di Cavour Vtdtiniaiu-m del loro gc
verno: « disarmo immediato, o guerra » e la risposta
non poteva essere dubbia,
137
Finalmente quel cartello di sfida, tanto provocato,
tanto desiderato, il grande statista lo teneva in mano;
finalmente la guerra era certa; la Francia vi era im-
pegnata; l'Austria l'intimava essa stessa, e non poteva
sfuggirla.
Infatti, prima ancora che il Conte di Cavour con-
segnasse ai messaggeri austriaci la sua risposta, Gari-
baldi, risposta ancor più espressiva, riceveva l'ordine di
portare la sua brigata a Brusasco, sulla destra del Po,
cioè a dire, in prima lìnea. Suo mandato era : guardare
il Po da Brusasco a Gabbiano, difendere la strada mi-
litare Casale-Torino e chiudere gli intervalli esistenti
tra la divisione Cialdini, che guardava la Dora Baltea,
e le batterie di Casale, che proteggevano più a mez-
zogiorno i passi del Po.
Garibaldi, ad effettuare questo disegno, mandava una
■compagnia a presidiare Verua, e, speditone avviso al
generale Cialdini suo capo immediato, nel giorno stesso
occupava Brozzolo, e vi piantava il suo quartiere gè
3ieral6.
n 25 aprile, parte delle truppe francesi varcava il
■confine della Savoia, e parte prendeva imbarco nei
porti di Tolone e di Marsiglia per Genova.
La guerra era dichiarata, e il 29 aprile, un corpo
-di austriaci, comandato dal generale Giulay, invadeva
il territorio sardo.
L'esercito Piemontese si concentrava sulla destra
del Po, tra Casale e San Salvatore, fiancheggiandosi con
Alessandria, aspettando che il nemico, se lo osava, a-
vanzasse.
Nella giornata del 30 giungevano a Torino e ad A-
lessandria le avanguardie francesi.
186
In data del 29 aprile 1859 il re Vittorio Kmanuel
diresse alle truppe uu nobilissimo proclama,
« L'annunzio che vi d6 è aimutizio di guerra^
all'armi dunque o soldati,,. Io sarò il vostro duce. Altre
volte ci siamo conosciuti con gran parte di voi nel
fervore delle pugne; ed io, combattendo a fianco del
magnanimo mìo genitore, atnjiiirfti con orgoglio il vostro
valore. Movete fidenti alla vittoria, e di novelli allori
fregiate la vostra bandiera, quella bandiera che coi tre
suoi colori e colla eletta gioventù, qui da ogni parte
d'Italia convenuti! e sotto a lei raccolta, vi addita che
avete a compito vosero l'indipendenza d'Italia; questa
giusta e santa impresa sarà il vostro grido di guerra. »
Tali pai'ole del re guerriero e patriota empirono d' en-
tusiasmo e di ardimento gU animi delle milizie regoh
e dei volontari Garibaldini,
Nel pomeriggio del 22 maggio Garibaldi, con mnr-
cia ordinata e celere, aveva preso la via di Arona, e
mentre, per le disposizioni date, tutto faceva credere
che vi avrebbe pernottato; a notte calata, le sue truppe,
con un rapida mezzo giro a deetra infilavano, serrate
e silenziose, la strada di Castelletto, penetravano nel
parco Visconti e trovati alla riva i barconi preparati
dal bravo Viganotti, in ordine mirabile s'imbarc-ivano, e
passavano sull'opposta riva occupandola militarmente.
Subito dopo la 3* compagnia De Cristoforis, scelta per
avanguardia, si spingeva a notte fonda dentro Sesto
Calende e colti nel sonno autorità austriache, doganieri,
gendarmi, e croati, li faceva prigìomeri.
IM
•••
Xa mattina. del 23 maggio la situaziono degli eser-
citi belligeranti era questa: gli alleati ancora al di li'i
della Sesia e del Po, tra Vercelli e Voghera; gli au-
striaci in faccia a loro padroni delle due rive della Se-
sia e del Hciuo e dì tutto il Lago Maggiore.
«
« »
In questo stato di cose, Garibaldi si trovava isolato^
come campato in aria, ed i suoi cacciatori potevano
considerarsi come un nucleo di truppa perduta nel cuore
del campo nemico: per cui al nostro eroe non restava
che, 0 vincere subito ad ogni costo, o disperdersi coi
suoi per i monti, onde potere all'evenienza rifugiarsi in
Svizzera.
A ragion militare veduta, dei due eventi certo il
meno probabile non era . il secondo.
Ed invero l'Austria era signora della Lombardia^
la scorrazzava con forze imponenti; occupava Milano
con forte presidio; allacciava i suoi distaccamenti con
forti colonne mobili, pronte a correre nei punti più
minacciati; sicché poteva opporre al condottiero italiano
una forza sempre di molto superiore alla sua. Ma a
Garibaldi in mancanza di grandi forze erano potenti
ausiliari, la perìzia e l' indomita audacia. Si fissava
quindi nell'antico suo scacchiere del 1848, tra il Ver-
bano e il Lario, e formava in un baleno il suo piano,
deliberando la marcia su Varese nel giorno stesso.
• *
Un fiero proclama scritto di sua mano, inciso colla
fina spada, aveva annunziato il suo arrivo alle popola-
lAoià drila regione, e non vi era amile terra dei din<-
torni ch« alle roventi ftaM restasse insensibile. Da La-
140
Teno, Gnllarate, Besozzo, lapra, Varese, accorsero fe-
stanti ad offrite al famoso Capitano 1' opera loro, ad
invocare una aua parola d'ordine per la lotta; e per
lutti l'eroe aveva parole di coraggioao incitamento.
All' inviato di Varese, che, a nome del suo gene-
roso Podestà Carlo Carcatio gli domandava istruzioni,
rispondeva di suo pugno: « qualunque cosa facciate
contro il nemico in prò' della Sìinta causa italiana, sai'à
da me approvata, ed io vi sosterrò validaraonte » e il
Podestà fu il primo a mandare a combattere con Gari-
baldi il proprio tìglio Paolo, e l'oaompio fu seguito da
altri uon pochi.
La marcia da Sesto Calende a Varese non poteva
■esser fatta di fronte, pcrcliè esposta, ad essere perico-
losamente molestata di fianco; oltre di che, prima d'i-
noltrarsi nel paese, importava assicurarsi sul Lago Mag-
giore un punto di sostegno, e impadronirsi di uno al-
meno dei piroscafi che il nemico vi teneva. Guidato da
questi concetti ordinò il suo movimento cosi:
Bisio, con un battaglione del suo reggimento do-
leva marciare per la strada lacuale di Sesto Calende ;
toccato Angera, doveva staccare una compagnia per
tentare di predare il piroscafo < Ticino » ivi ancorato:
giunto ad Ispra sostare, ed informarsi esattamente del
presidio di Laveuo, e di tutte le altre forze austriache
sul Lftgo; dopo ciò convergere su Brebbia e spingersi
"fino a S. Andreaj borgo che cavalca la via Laveno-
Varese, ed ivi accamparsi gagliardamente.
Il capitano De Criatoforis doveva rimanere a Sesto
con la sua compìignia, sorvegliare il passo del Ticino,
e, ae gli capitava il destro, impossessarsi di qualcuno
dei vapori Jiemici; sopratatto doveva guardaro la strada
Sesto-Cfailarate attii'andovi il nemicoj trattenerlo quanto
avesse potuto, e battere in ritirata su Varese se assalito
da forze superiori.
Tutto ciò stabilito, spinta un'altra pattuglia a Gal-
larate, per mascherare una voJta di più la sua mossa,
verso le 5 di sera Garibaldi staccava la marcia, e per
-le vie traverse dì Corpeyno, Varano, Bodio, Capolago,
tra fitte tenebre, attento a tutti 1 bivii e sollecito a
tutti i rumori, coji la truppa stanca, ma elettrizzata al
■contatto di quella terra tanto agognata, s'aecoBtjiva a
Varese, dove giunse verso le 11 di sera; accolto dalle
oviiziofti di un popolo in delirio, fra lo splendore delle
fiaccole, e lo squillar delle musiche vi entrava in
trionfo; s'avviava quindi al Municipio ed incontrato il
Podestà lo aljbracciji7a, infiamniando con l'ardente isua
parola, che affascinava, quanti Tascoltavano; e prima di
ritirarsi pronunziava queste testuali parole, che la sto-
_ria non può dimenticare: « Qualunque bene diciate di
Vittorio Emanuele non sariìniai troppo. Io non sono réa-
lista, ma dopo che avvicinai Vittorio Emanuele do-
vetti riconoscerlo per un vero patriota e un gnin ga-
lantuomo. Esli, non solo ha per l'Italia un amore im-
meuso, ma uu culto, un'idolatria >.
Quello che importava era provvedero alla difesa.
L'Austriaco, scossa la prima sorpresa, accorreva e ser-
rava da ogni banda.
Giulay conosciuta l'invasione garibaldina, in rispo-
sta a quello di Craribaldi, bandiva un suo proclama fe-
roce, nel quale, dopo avere annunziato il suo arrivo,
coneludeva: < Do la mia parola che i luoghi, i quali
facessero eausa comune con la rivoluzione, verrebbero
puniti col fuoco e con la spada ». E non dovevano es-
sere parole soltanto.
II giorno stesso apiccava dal grande esercito una co-
lonna che a marcia forzata, accorreva sul nuovo teatro
■di g'uerra: anche da, Milano il generale Melezes di Kel-
lermes, spediva su Gallarate e Somma un corpo di quat-
14S
trocento fanti, due peaai e ano aquadrone. Fu questo-
COTpOf che il mrtttino del 25 andò ad attaccare in Soste-
CaJendfi il capitano De Cristoforis:, e che questi, con atra-
bigemmi degni di una pagina di storia, seppe illudere e
deludere cosi bene, da teoerlo in mano per quasi due
ore con forze quattro volte inferiori, e sgusciargli dì
sotto gii occhi, a mezzo tiro di moscìietto, lasciandolo
solo a cannoneggiare le povere case dì Sesto, dove non
era più l'ombra dì un garibaldino.
Intanto la colonna au&trìaca partìtii da Oleggio, il
cui ahtiguardo tu visto spuntare ad Olgìate la aera del
33, era in marcia su Varese^ forte di quattromila uo-
mini con due batterie e due squadroni^ comandata dal
tenente maresciallo Urban.
Varese giace in una conca di colline, alcune delle
quali, vestite di macchie e di boscaglie, formano il suo
baluardo. Tramezzo a siffatte colline, nella direzione dei
quattro punti cardinali, corrono altrettante strade prin-
cipali : ad oriente, quella che dalle falde di Biumo con-
duce per Malnate, a Olgìate e a Como; a mezzodì, quella
che lambendo le pendici di San Pedrino e di Gubìano,
va per Gallarate a Tradate e a Milano: ad occidente,
quella che, traversati i poggi di Masnago e Comerìo,
mena per Gavirate a Laveno, a settentrione inflno, le
due strade d'Induno e di Sant'Ambrogio che spaccando
le prealpi di Valcuvia e di Valgala, portano al Lago
Maggiore ed alla Svizzei'a.
Ora a chi avesse considerata questa topografìa, due
cose risultavano notabili: in, prima, die la sti'adii di In-
duno e di Valgana si allacciava, presso Biumo inferiore,
alla strada di Como in guisa, da formare con essa un
angolo retto; la, seconda, che per il poggio di Bìuaio
Superiore s'incamminava nel quadrivio testé descritto,
VArese-Sant'Ambrogio-Induno-Como, 6 con la forte po-
stura ne teneva la chiave e la dominava.
140
OiÌ> posto, e por quanto fbse& maDifesto che 1* tic-
tacco principale sarebbe venuto dftlla TÌa di Como, non
era però da trascurarsi il supposto, assai probabile, cjne
rUrbaii arrebbe potuto compiere un movimento aggi-
rante per la via Induno ; uè moUo meno era a riget-
tarsi come improbabile il caso, che i corpi incontrati a
Gallarate dal De Cristoforis e il presidio di Lareno, ai
muovessero a rincalzare di fianco e alle spalle l' assalto
principale tentando di mettere i garibaldini fra tre fuochi.
Importava dunque guardarsi da tutti i lati, e guar-
darsi in modo da potere all' evenienza far fronte da ogni
parte, senza assottigliare di troppo la propria lìnea e dis-
seminare le forze ; e Garibaldi non titubò. Fissate due
linee di difesa, l'una esterna, lungo l'arco Biumo-Giu-
bìano-San Pediino, e l'altra intema rasente gli sbocchi
delle principali vie di Varese, occupava coi carabinieri
genovesi e un battag^lione del terzo Regginienlo la Villa
Ponti, centro di Biumo Superiore, e vi piantava il suo
Quartier Generale ; mise a guardia di Biumo Inferiore
un battaglione del secondo Reggimento, ed erigendo due
barricate, una appoggiata alla Villa Litta Modignani a
custodia della strada d' Induno, l'altra tra la chiesetta
di San Cristoforo e la casa Merini & sbarrare le vie di
Como, assicurò su queste posizioni la sua sinistra. Ap-
postò indi un battaglione del primo Reggimento in faccia
ft Gubianoj intorno alle alture circostanti di Boscaccio
e vi appoggiò il suo centro; collocato tra Villa Decrì-
{itofaris a San Pedriuo il rimanente del primo Reggimento
sotto il comando di Oosenz, e fatta asserragliare anche
quella strania, afforzò la sua destra dal Iato di Milano;
richiamò Bisio da Sant'Andrea, senza tralasciare di f^
battere da frequenti pattuglie a grande distanza la strada
di Laveno ; munì di barricate tutti gli sbocchi di Varese
o provvedette cosi alla su» seconda linea; iniìne pre-
scritte come eventuali linee di ritirata le strade di In-
duno e Sant'Ambrogio, tutto Ispezionato co' suoi occhl^
a tutti comunicnndo la sua intrepidezza eia sua feoe^
-attese di pie termo il nemico.
E questo non si fece aspettare lungamente; fin
dalla sera del 25 gli esploratori l'avevano segnalato a
Olgiato. Un breve ma eloquente manifesto del Kegio
Commissario Emilio Viscoiiti- Venosta che diceva: « Va-
resini, voi foste i primi a salutare la bandiera tricolore
in Lombardia, voi sarete i primi a difenderla » aveva
preparato gli acimi ad accoglierlo degnamente e al
mattino seguente infatti sullo seoccare delle otto il ne-
mico appariva iimanzi a Belforte e il combattimento
incominciava.
Dei quattromila uomini che il generale Urban a-
veva ai suoi ordini, una pane era restata in riserva a
San Salvatore, forte posizione tra Binago e Malnate, un
altro battjigiione di granatieri lo aveva inviato, per
Cftsanuova e Cozzone ad eseguire quel movimento ag-
girante sulla strada d'Induno che Garibaldi aveva pre-
veduto, e cogli altri duemilacinquecento fanti circa, la
cavalleria, e quattro peazi veniva ad assalire diretta-
mente Varei^e. Impadronitoai del poggetto di Belforte
annunziò con alcuni raazi il suo attacco, muovendo si-
multaneamente contro la sinistra e il centro dei gari-
baldini; ma questi non si mossero ed attesero, come
Garibaldi aveva ordinato, a mezzo tiro il nemico e con
pochi colpi ben assestati l'arrestarono di botto. Ad un
secondo e più gagliardo attacco, i garibaldini usarono
la medesima tattica. Infatti appena il nemico fu. presso
la barricata della gran strada di Como, e spuntò al cen-
tro sulle alture di Boscaccio, Medici con una brillante
carica alla baionetta di fronte, e Co^enz con un abile
-contrattacco di fianco, con poche forze, ma con grande
-slancio e valore, ributtarono l'assalitore fin sotto le JHlde
U5
di Belforte e lo forzarono a battere in ritirata su tutta
Ifl Jinea.
Garibaldi da Villa Ponti, donde aveva osservato Je
vicende dellii pugna, visto ciie il nemico si ritirnvar
ordinò che s' inBeg-uisse e scendendo di galoppo sulla
strada, si pose egli stesso a capo detl'iiis^uimento. ,
n generala Urlmn era intanto arrivato a San Sal-
vatore, dove aveva lasciato la sua riserva, e, saputo
del rovescio toccato ai suoi, si appareccliiava a sua
volta a sostenere l'itifisalto.
(jaribaldi non aveva con sé che un terzo delle sue
forze, e quantunque la posizione di San Salvatore fosse
fortissima e serrasse la strada come un contrafforte, non
esitò ad ordinare l'attacco; occupato il pogrgotto Raera
fronteg'gianto San Salvatore, e fatto ripieg-are lìixìo cJie
si era troppo inoltrato, ti^nne a bada il nemico con vi-
vissimo fuoco di moachetterìa, finché sceso da Cozzone
il Medici, spinse ad una carica alla baionetta tuttala sua
linea, costringendo gli Austrìaci a lasciare a precipizio
anche quella seconda posizione e a non arrestarsi più
che ad Olgiate. NelPattaceo anche i garibaldini ebbero-
dello perdite — una dolorosa fra tutte — quella del
giovanetto Ernesto Cairoli ! — il primo della f^lorìosa
famiglia Cairoli che moriva.
All'annunzio della vittoria di Varese, riigitaaione
patriottica divampò, eatendeadosi rapidamente. I patrioti
dì Como fecero sapere a Gariljaldi ohe lo aspettavano
frementi nella loro città; che molte pievi del Savio si
erano sollevate, e che alcuni giovani armati si erano
impadroniti dei vapori del Lago ed erano passati alla
causa Nazionale. Garibaldi promise che avrebbe mar-
ciato alla volta di Como, per occupare una buona po-
sizione che gli avesse permesso di dar la mano agli
Insorti del Lago.
1»
Date le opportune disposizioni per la sicurezza (^
Varese, all'alba del 27, col primo regglraeiiLo in testa,
s'incaro minava con tutta U brigati per la via che per
Olgiate e CavaUasea mette a Como.
Il generale Urban a sua volta, rinforzato da due
nuove brigate (AugusCin e ÈsooPgotBchej che facevano
ammontare le sue truppe a ben diecimila uorain^^ a-
Veva preso posizione fm la strtida, medesima e 1' altra
più settentrionalo che da Cavallasca per 8aii Fermo
piomba bu Como; e, colla einisti'a dietro il Lura tra
Brebbìo e Breccia, il centro a San Fermo, la desla-a al
Prato di Pofè sul lago, ai preparava a sostenere l'assa-Uo.
tìe non ciie, male esperto delle abitudifii tattiche
di Garibaldi, egli se l'aspettava nel piano alla sua si-
nistra, e quindi per rinforzare i|uesto punto aveva ma-
laccortamente indeboliti gli akri. Garibaldi invece aveva
l'occhio fisso ai monti ; sicché giunto ad Olghite, aiTe-
^tava la colonna, metteva in posizione tutto il primo
reggimento al da far credere si preparasse allo assalto,
teneva a biida il nemico per più ore, e allo scoccar del
mezzogiorno, coperto dal reggimenLo Cosenz, voltava
repentinamente a sinistra per gli erti viottoli che sali-
vano A Geranico, al Piano ed a. Porè e giungeva &
Caviillasca in faccia a San Fermo. Quivi, spiate dal
campanile di Cavallasca le posizioni nemiche, stabiliva
prontamente il suo piano dì battaglia e ne ordinava con
pari celerità l'esiecuzioue. Al colonnello Medici ^d al
suo reggimento spettava l'onore del primo assalto; De
Cristotbris con due compagnie doveva attaccare di fronte
la chieda di San Fermo; Susini-Millelire con una com-
pagnia doveva attaccarla da sinistra; quella del Vac-
chjeri da destra; altre compagnie, condotte dal Gorini,
e tutte comandate dal Medici in persona, dovevano ca-
lare sulla stnida San Fenno-Kondìnelto e dare addosso
al nemico.
.f .
U7
Il primo cozzo fu tremendo ; i cacciatori austriaci
armati delle loro eccellentL carabine, appiattati attorno
al parapetto del piazzale deila clìiesa, che s' innalzava
sopra un poggio a guisa di bastione, e dietro le finestra
delle case circostaQtij battevano con un tuoco micidiale
di fronte e di fianco i primi a-ssalitori, e cioè la com-
pagnia De Cristoforia, ctie rigò dei sangue dei suoi mi-
fa^Uori la via infuocata; cadde colpito gravemente il te-
nente Pedotti; cadde lacerate le viscere, il capititno De
Cristoforia; Ciidde, fracassata UEia spalla, il tenente Guer-
zoni ed altri, ed altri. La compagnia decimata balena,
s'arresta un istante, ma non indietreggi ft, Nel frattempo
l'assalto ai due fianchi si spiegava ed incalzava ; un bat-
taglione austriaco si lancia alla corsa da Kondinello, ma
incontra sui suoi passi il Medici che lo arresta,, e con
una carica furiosa riesce a rovesciarlo ; altre compagnie
dei nosti'i subentrano a rinforzare l'aasiilto, siccliè il ne-
mico ormai nircidtOt sgominato, rotto, volta in fuga pre-
cipitosa verao Camerista e Como,
Garibaldi non indugiò un istante ad occupare le po-
sizioni espugnate, e mentre Medici s' afforcava tra Kon-
dinello e Breccia, e lìisio diiudeva gl'intervalli tr« San
Fermo e Kondinello, il maggiore Quintini hì piantava
col battaglione ed alcune compagnie del seconda reggi-
mento a San Fermo; altre compagnie si stendevano a
sinistra verso Cima la Costa. Ma ancora il nemico non
si dava per vinto, il generale Aiiguatin,- raccolte tutte
le sue forze, le spingeva parte a destra, su Cima la Co-
sta, per spuntarvi la nostra sinistra, parte a manca, per
TÌaflbrzare l' altura di sopra la Costa, e di là controbat-
terò .San Fermo. E la raosBa fu condotta con rapidità e
-bravura: ma vegliava Garibaldi, e vegliavano i suoi
luogotenenti, onde, appena l'assalitore giunse a mezzo
tiro dalla nostra linea, il Coiienz a sinistra di Cima la
148
Costa, il Medici a destra dn sopra la Costa, fatta una
prima scarica, lo respinsero a punta di baionetta di svolta
in svolta, dì poggio in poy^o, g:i:ù per la strada d'onde
era venuto, fino a ctie Garibaldi veduta da Cima la Costa
quella seconda più roTinosa ritirata, trovò possibile quello-
di cui prima dubitava, cioè la presa di Como; e vi si
preparò senz'altro.
Dato il comando che si raccogl lessero e riordinas-
sero le forze; spediva Simonetta fon alcune guide ad
esplorare i dintorni della cittó, e lascisiUi una buona re-
troguardia a San Fermo, marciava a notte fatta giù per
la tortuosa via di Borgo Vico, e, ormai accertato dagli
esploratori che l'austi-iaco aveva abbandonato Como, vi
entrava trionfalmonle.
Non può defìcrìversi la festosa sorpresa della città,;
una piena di popolo traf5ogi>ato accorse ebbro, frenetico;
Garibaldi baciato, benedetto, toccato come un santo, ve-
niva portato in trionfo fino al palazzo del Comune. Ma
l'entusiasmo di una intera città non gli fece smarrire
un solo istante la mente; e tosto diede opera a guar-
dare le sue spalle, mandando Medici, infaticabile quanto
lui, a vegliitre sulla strada di Camerista, dove ancoija
6' accalcava minaccioso il nemico.
L'alba dell* indomani però chiariva che l'ultimo au-
striaco era scomparso da Gainerlata 'i clic ormai tutta
la colonna dell' Urhan s'era concentrata tra Barlesina e
Monza sulla via dì Milano.
L'Elia, che dopo il 1849 aveva dovuto emigrare,
ai trovava a New York quando i giornali diedero la no-
tizia che Vittorio Emanuele aveva sguainata la spada
per r indipendenza nazionale.
Non perdette tempo — col primo Pacchetto in par-
tenza il « Dewonshire » s' imbarcava per Londra e presa
la via di Calala per la Svizzera raggiungeva Garibaldi
a Como il 38 maggio e si presentava til generale sotto
gli auspici del padre, già amico dell'eroe fin da quando
questi era in America.
All'udire che colui che gli stava innanzi era il fi-
glio del fucilato Antonio Elia, volle baciarlo e strìngen-
dogli la mano, con accento commosso gli disse parole
di affetto paterno e voile che stesse al quartier generale.
Da quell'ora l'Elia senti che era avvinto a Gaiibaldì
per la vita e per la morte e lo segui sempre con vene-
razione filiale.
Garibaldi non dormì sugli allori; affidò a Camozzi.
Commissario Regio per Bergamo, l' orgfinizzazione mili-
tare; lasciò la compagnia del Fanti a proteggere Como.
a reclutar volontari, a raccogliere armi e inviò con lo
stesso ufficio la compagnia del Ferrari a Lecco.
Lodati come meritavano i suoi bravi cacciatori delle
Alpi, e concessa loro per riposarsi tutta la giornata del
28, la mattina del 29, senza svelare ad alcuno 11 suo
disegno, fece battere 1' assemblea, e si pose in marcia,
col resto della brigata, di molto assottigliata pei morti,
pei feriti, per gli infermi e per i distaccati, verso 01-
giate e Varese.
Dove sì andava? a cho niiiavii i! generale? a qual-
cMJìo dello stato maggiore che lo interrogò * Andiauio,
rispondeva, a inc&ntrnre i nostri cannoni a Varese ».
Infatti il ministro della guerra aveva deciso d'inviare
ai cacciatori delle Alpi quattro obici di montftgua: ma
i cannoni erano un pretesto, o tutto al più uno -scopo
secondario, altro era l' intendimento di Garibaldi.
Egli non aveva mai deposto il pensiero di assicu-
rarsi una bnae sul L«go Maggiore ; voleva quindi impa^
dronirsi di Laveno che ne era uno dei punti dominanti.
11.
ISO
Marciava per ciò a quello scopo, fidando nella rapidità
e segretezza delle sue mosse.
Passata la notte del 30 a Varese, mosse all' alba
dell' indomani per la gran strada di Laveno ; giunto a
Germonìo, sostò per studiare la posizione e raccogliere
notizie, dopo di che decìse di tentare di notte la sor-
presa del forte : e si inoltrò con la brigata fino a Cìtì-
glio; lasciò dietro di sé a Brenta il secondo reggimento,
ed a Germonio sulla strada di Varese il terzo; mandò
segretamente Bisio e il Simonetta nell'altra sponda del
Lago, perchè vi raccogliessero barcbe ed armati, con
cui tentare un abbordaggio contro qualcuno dei vapori
austriaci ancorati a Laveno ; e ciò disposto voltò a si-
nistra per Mombello e andò a collocarsi a due chilo-
metri dal forte di Laveno, diramando tosto i suoi ordini
per attaccarlo.
Gli ordini erano buoni; i soli possibili; e se a fru-
strarli non avesse cospirato quel nemico fatale in tutte
lo imprese notturne, il buio, causa dì confusione e d'e-
quivoci, 11 colpo sarebbe riuscito.
It capitano Bronzetti che doveva con la sua com-
pagnia cogliere dì sorpresa il Castello dal lato setten-
trionale, venne abbandonato dalle guide, perdette la
via fi non arrivò al posto.
II capitivno Laudi, che doveva con un'altra com-
imtshiit Horprendere il Castello dal lato meridionale, in-
tututtnvii una strada coperta gremita di neraici dove cre-
deva trovare un orto indifeso; scoperto prima dei tempo
fJAlIff VfiUittti, combatté per più di un'ora valorosamente
tmt'iHii'ì" Mil terreuo non pochi de' suoi, sino a che
thiUi i *>'i'^i luogotenenti Castaldi e Sprovieri, e ferito
fijfl) tlf'.vt, fu costretto a ripiegare ed a ritirarsi, con-
^Wft'ii" ^*'''^> f t'oriti. II forte, desto dall'allarme, diede
imum u iiiiU' ìv sue batterie, tempestò di palle il ter-
151
reno circostante, comunicò l'allarme ai Vapori, che, acJ
«ortìai delle barche condottolo dal Bisio e dal Simonetta,
le presero a bordate mettendo ben presto o spavento'
nelle ciurme inesperte, che, sgominatesi, nonostante le
preghiere, le minacele degli intrepidi condottieri vol-
tavano precipitosamente le prue.
Potevano essere le due dopo mezzanotte, e Gari-
baldi, visto fallito il tentativo, ordinava la ritirata su
Cittiglio; colà si ricongiungeva in buon ordine ai corpi
che aveva lasciato a Brenta ed a Geraonio, con inten-
dimento di ritornare a Varese.
Però la mattina del 31 maggio si ebbero non liete
novelle. Il generale Urban marciava minaccioso e rin-
gagliardito su Varese; sicché Garibaldi dovette pruden-
temente mutar pensiero, e risalire la via di Valcuvia,
dove poteva, protetto dai monti, attendere gli eventi.
Era difatti la giornata del 31 al tramonto, quando
rUrban giungeva con due colonne da Tradate e da Gal-
larate sulle Jilture di Gubiano e di San Pedrino domi-
nanti Varese, e vi si accampava fortemente. Conduceva
dodicimila uomini e dicìotto pezzi d'artiglieria; sbuffava
fuoco e fiamme; annunziava alla città ribelle strage e
rovina; la multava dell'enorme tributo di tre milioni,
oltre, grande quantitii di provvisioni; prendeva ostaggi
numerosi, li minacciava ad ogni istante di morte, e non
vedendo sùbito soddisfatte le sue insensate pretese, a-
priva contro di essa un furibondo bombardamento ab-
bandonandola poi per più ore al saccheggio.
Intanto che Varese subiva l'infernale flagello, Gari-
baldi scendeva da Valcuvia fino in fticcia di Santa Maria'
del Monte; e di là, nella mattina del 1° giugno, fin gìft
a Sant'Ambrogio e Robarello, discosti un ora da Varese
sfidando il nemico.
Più bella occasione pel generale austriaco di vendi-
carsi di quel brigante di Garibaldi non si poteva dare. Ave-
V* giurato che lo avrebbe impiccato con tutti i suoi: ed
óra che Io teneva quasi nelle unghie, appena ad un tiro di
163
oannone, in una posizione quasi disperata, e presso a
schiacciarlo di un boI colpo con forze quadruplicale, per-
chè non lo assaliva? Perchè se ne stette iinmobiie dietro
Varese, occupato soltanto a bombardare una città inerme
non rispondendo alla aflda superba dell'eroe?
11 perché è uà mistero! Il fatto si è che l' IJrban
Jaeciò passare tutta quella giornata senza fare un passo.
Benaa tentare nemmeno una ricognizione a fondo, e sol-
tanto verso sera, si decise ad occupare la posizione di
Biumo superiore temendo di essere attaccato.
Intanto più importanti avvedimenti erano accaduti
Bill maggior teatro della guerra.
Fra il 27 e 38 maggio l'esercito alleato iiiiziaTa quel
gran movimento di fianco dal Po al Ticino, che fu la
più abile manovra strategica della campagna.
Il 29 majgsio resercito Sardo, meno la quinta di vi-
Tisione rimasta a difesa della riva deatra del Po, bì con-
centrava sopra Vercelli per passare la Sesia sui ponti
che vi erano stati gettati.
Il 30 la divisione Cialdini passò per la prima. Il
nemico occupava tutti i villaggi sparai in faccia alla Se-
sia, e dominava il paese; a Palestre poi aveva concen-
trati i più grandi mezzi dì resiatenza. Vi aveva piantato
batterie per dominare il fiume e per battere d' infilata
la strada. Aveva inoltre coronate le cime delle alture
di forti parapetti per tenere al coperto la fanteria, e
scavati dei fossi nei lati, pure protetti di parapetti, die-
tro ai quyli stavano numerose truppe, mentre molti cac-
ciatori tij"olesi erano appostati dietro gli alberi e nelle
case, da dove fulminavano gli assalitori.
Vittorio Emanuele dirigeva in persona le operazioni
militari. II G" e T bersaglieri formavano l'avanguardia
con una sezione d'artiglieria ed uno squadrone dì ca-
valjeggeri d'Alessandria ; il generale Cialdini marciava
olla testa.
153
Al terzo ponte che taglia la strada, ^li esploratori
Incontravano gli avamposti austriaci; accolti da tìtte sca-
riche di fucile e di mitraglia i nostri non si arrestavano,
si slanciavano risolutamente di corèa, invadendo U ponte
e vi si stabilivano, mentre il 17" bersaglieri guidato dal
suo comandante Chiabrera si precipitava con slancio ir-
resistibile sulla difesa di destra, snidando i cacciatori
nemici imboscati nei declìvi. La quarta divisione, con
rapidità fulminea, con foga irresistibile, metteva in fuga
il nemico e s'impadroniva di Palestre.
La terza divisione, rafforzata, dai reggimenti 5'' ca-
valleria e Piemonte ReaJe, ti'averKava la Slesia y mar-
ciava sopra Vinzaglio, forl;emente occupato dal nemico.
Indi, in colonne serrati!, piombava sul villaggio : non vi
furono ostacoli validi ad arrestarla; i battaglioni con
mossa fulminea, fatta una scarica, si avventavano sul
nemico colla punta della baionetta — questo non resi-
steva air urto terribile e, come a Patestro, abbando-
nava il villaggio e si ritirava su Confl-nenza.
L'imperatore dei francesi, prevedendo che Tesercito
italiimo avrebbe dovuto sostenere aspre battaglie, stac-
cava dal b" corpo il 3" regj;imento Zuavi, ed ordinava
al colonnello Clitiloron di mettersi a disposizione Ui Vit-
torio Emanuele, 11 Re, sicuro ohe gli austriìiei avrebbero
fatto tutti gii sforzi per riprendere l' jmportftiilo posi-
zione di Palestra, ordinava al colonnello dei auttvi di
dirigersi su quella posizione.
Verso le 10 del 31 maggio gli austriaci, sboccando
per le sti'ade di Robbie e di Rozano, diedero dì cozzo
negli avamposti piemontesi che li accolsero Cou fuoco
micidiale. Ma erano tre le colonne d'attacco che si avan-
zavano in grandi masse compatte; i nostri tennero testa
ai primi urti tremendi, ma, anprafatti dal numero dei
nemici, furono obbligati a ripiegare, nel villaggio.. _ , j
164
11 20** reggimento, che trovRvasi a sinistra delta
strada di Robbie, fu pure oblilisato a ritirarsi sali' al- ^J
ture, ma non raìlentara il fuoco; il nemico perù ìn-^
grossando sempre, minacciava di scliiacciare le poche e
intrepide uostre truppe. Accorrova- in quel fraug-eiite il
prode colonnello Brìgiione con tre butt;iglioiii, ed 1 Pie-
montesi, riprendendo l'oftensipa, si lanciavano contro il
nemico e lo respingevano al di là delle linee degli a-'
vam posti.
Il generale Cialdìni, avvistosi che le manovre del
nemico tendevano ad aggirare la f^inistra della sua po-1
sizione, vi mandava aLeuni bivttagliuni che raccolse lij
per lì con una sezione d'artiglieria comandata dal brav<
capitano Poimio -Vaglia, mentre il 7" bej'saglieri si slanH
clava addosso al nemico minacciante il ponte i^ettatc
sulla Sesia; nel tempo atesao faceva occupare vigorosa-
mente f;ti approcci di Palestre affine d'impedire al ne-
mico la marcii! sul vilEaK^io; la lotta 3Ì fece at^Canita ^
le grosse colonne austriache comandate dal feld Mare-
sciallo Zobel, sorrette da numerose compagnie di tirolesi
e dall'cirtiglieria, si avanzarono risolutamente contro l6^|
truppe piemontesi che tennero fermo, incuorate dalla
presenza di Vittorio Emanuele, coprendosi di gloria.
Proprio nel più caldo del combattimento il colonnello
Chabron lanciò, in sostegno dei nostri, i suoi Zuavi al-J
l'attacco: questi, come un uragano, sotto gli o::chi del
Re di Piemonte si gettarono sopra gli austriaci. Neasut
ostacolo, nessuna resistenza li arresta; invadono le dtì
fesa nemiche, si grattano sopra 1 cannoni; gli artiglieri au-
striaci, sotto l'impeto delle terribili baionette, non hanno-l
tempo di caricare i pezzi ; riescono vani i tentativi delli
&nterifl che accorre per salvarli, e i cinque cannoni sono'
preda dei vincitori ; non si arrosta il reggimento, si
slancia sulla strada e, seguendo Vittorio Emanuele che
con la spada Io invita all'attacco, si avventa contro 1{
masse austriache impegnate in furiosa lotta coi piemon-
tesi. Cosi i soldati dell« due nazìoai sorelle si frammìS
155
schiarano nel combattimento e nella gloria, investendo
il nemico alla baionetta. Questo fortemente trincerato
sul ponte della Brida, fortificatosi in una grande mas-
seria munita di cannoni e di feritoie, preclude il pas-
saggio del ponte ; ma zuavi e piemontesi non si sgo-
mentano, né si arrestano ; animati dalla presenza del
re e dall'esempio degli ufficiali, s' avventano sul ponte
e sui cannoni che sono presi dai piemontesi ; nella mas-
seria è una lotta terribile, corpo a corpo, e gran nu-
mero di nemici trovano la morte nel fiume che li tra-
volge nei suoi gorghi.
La vittoria dei nostri fu completa; oltre ventimila
erano gli austriaci combattenti, numerosissimi furono
quelli rimasti sul campo, circa cinquecento trovarono
la morte nel fiume ; gli austriaci perderono fra morti
feriti e prigionieri oltre seimila uomini; i nostri circa
duemila uomini fta morti e feriti. Trofeo della vittoria
furono, oltre mille prigionieri, cinque cannoni presi dai
zuavi e tre dai piemontesi. La campagna s'iniziava splen-
didamente I
» *
I zuavi per rendere omaggio al valore del Re, vol-
lero portare al suo quartier generale la sera stessa del
31 i cannoni tolti al nemico.
II Re, grato del delicato pensiero di quei valorosi,
scrisse al colonnello Chabron In seguente lettera :
Torrione, 1 giugno 1859
Sig. Colonnello,
« L' Imperatore nel porre sotto i miei ordini il 3"*
reggimento degli Zuavi mi ha dato un prezioso atte-
stato di amicizia. Io ho creduto di non poter meglio
accogliere questa truppa scelta, che fornendole imme-
diatamente l'occasione di aggiungere un nuovo glorioso
£56
flit» fl quelli che sui ctunpi di bitctagUa d' Africa e di
Crimea Immio re^o cosi terribile ili iiemici» il nomo de-
gli Zuavi. Lo slaiieio irresistìbile con cui il vostro reg-
giiiieiu», liiig. Coloiiiisllo, ha mo^so ieri hU' assalto, ha
meritato tutta la mia ara mi razione. Avventarsi contro
il uemico iilla bAionetttì, iiiipAdroiiii'si di min bntteria,
siìdaudo Ifi mitraglia, è stato ralftire dì pocliì Istanti.
Voi dovete essere altero di comaudare a siffatti soldati,
ed essi dcbboDo pssere felici di obbedire ad un capo
quale voi siete. Io apprezzo altamente il pensiero che
hanno avuto i vostri Zuavi di condurre a! mio quar--
tiere generale i pezzi d'artislieria presi agli austriaci,
e vi pregio di ringra&iarli in mio nome. Io mi atfrctterò
d'inviare questo bel trofeo a S. M. l'Imperatore, al quale
ho gtk fatto fionosoere la bravura impareggiabile con
cui il vostro re^gimeuto si è battuto ieri a Palestro ed
ha sosttìimto la mia estrema destra >.
«. Vogliate, sig. Colonnello, far noti quesM miei sea-
timenti ai vostri Zuavi ».
L'imperatore Napoleone, desideroso di mostrare la
sua aramirazioue pel cavalleresco alleato e di soddisfare
il voto degli Zuavi, decise che il Re di Sardegna sarebbe
pregato di volere accettare i e-annoni. E cosi fu infatti.
Ma un altro reg^alo di non minor gradimento pel Re
doveva venirgli dai bravi Zuavi.
L'indomani luaLthia, quando Vittorio Emanuela si
recava a visiuire i &noj valorosi camerati della vigilia,
ed a GouHegaare al Colonnello Cbabrou il decreto coi
quale decorava colla medaglia d' oro la bandiera del
suo reggimento,, il più anziano dei Zuavi gli partecipava
che il reggimento lo aveva acclamato ano Caporale e Io
pregava di atcettare. « Ben volentieri, amici miei > ri-
spose il Ke commoaso da quel segno di simpatia « d'ora
inmmzi io apparteng'O a voi ». •
Cotìi Vittorio Emanuele fu nominato Caporale dof
Zuavi, come altra volta Napoleone Bonaparte era inal-
zato allo stesso grado a Montenotte.
167
*
In Beffuito a questi avvenimenti il generalissimo au-
strìaco; sicuro che ormai l'aspettava una grossa batta-
glia sul Ticino, aveva pensato a rafforzarsi, e s'era af-
frettato a richiamare la divisione Urban da Varese, dan-
dole per obiettivo Turbigo.
«
Mentre avvenivano questi fatti, gli austriaci in
grandi masse, comandati dall'Arciduca Carlo, dalle al-
ture di Montebello dimostravano, coi loro movimenti del
19 maggio pros^uiti il 20, essere loro intenzione di
stringere in un cerchio di ferro e di fuoco la 1* divi-
sione dell'esercito francese, comandata dal generale
Forey, prima che fosse riunita in ordine di battaglia;
bisognava ad ogni costo arrestare il movimento girante
delle grandi masse nemiche.
n generale Forey vi sì preparò arditamente, ordi-
nando al colonnello Cambriels di riunire quanti più uo-
mini avesse potuto della sua divisione in marcia.
Con questo piccolo numero di valorosi, elettrizzati
dall'ardente coraggio del generale e del loro colonnello,
con audacia senza pari si slanciava contro il nemico tre
volte superiore di nura,ero, lo arrestava e gli teneva
testa. Ma la lo:ta ineguale non poteva durare a lungo,
molti dei bravi erano caduti colpiti a morte, fra i quali
il mAggiore Lecretelle che combatteva da eroe alla te-
sta del suo battaglione; bisognava difendere passo passo
il terreno per impedire al nemico di avanzare, e dare
tempo al resto della divisione di arrivare sulla linea del
combattimento; ma il nemico con forze preponderanti
pressa, si avanza, e la resistenza ulteriore diviene ormai
im|)08sibile; quando, per grande fortuna in quel critico
momento, un roggimento di cavalleria piemontese (Mon-
ferrato) comandato dal valoroso De Sopnaz si slancia
vigorosamente in soccorso dei fratelli d'armi di Francia
e con cariche irresistibili, si getta contro le masse au-
striache che, sgominate, sono costrette a sbandarsi.
In questo brillanto [atto d armi ai distinse il bravo
aottotenente Mainoni d'Intignano che sosteneudo l'urto
di uno siiuatlroiie nemico con f^ninde vìilore lo cosDriii-
geva alla ritirata, rijjortando feritui alla luauo destra.
Per la sua bella condotta il Mainonì venira decorato e
proposto per la promozione.
Intanto g:iungevauo al generale Forey i deaiilerati
rinforzi del reato della sua divisione.
Il combattimento facendosi sempre più accanito da
ogni parte, il L^enerale Forey ordinava al brigadiere Beu-
ret un suprotno attacco alla baionetta, (jli austriaci non
resistendo all'urto sono obbli^'iiti a cedere terreno; sì
arrestano, pLM'ò, al Ciuiitei'o di Montebello del quale
fanno la loro estrema base di difesiii. Bisognava slog-
giare il nemico da quell'ultirao formidabile riparo; an-
cora uno sformo: e, gridando ai suoi bravi soldati ;
— « Allons, mes enfants, arraehons a l'ermemi soii
demier ftbri ', Suivez volre generale ». — Il valoroso
Forey si slanciava alla testa de' suoi contro la posizione
nemica.
Il Cimitero fu investito con slancio furioso ed il
terreno venne seminato di morti e feriti — primo a cei-
dere mortalmente colpito fu il generale di brigata Bou-
ret: m.a niente arrestava la foga degli assalitori che,
scavalcato il muro del Cimitero, investivano il nemico
colla punta delta baionetta mettendolo in rottji.
Alle ore sei e mezzo il nemico era in ritirata pre-^
cipitosa. verso Casteg'gio, inaeg'uito alle reni per buon
tratto di via. La vittoria di Montebello, nella quale la
l'' divisione comandata dal prode generale Forey si co-
priva di gloria, inaugurava brillantemente la campagna
che doveva procedere di vittoria in vittoria.
Io questo combattimento anche le brave truppe pie-
montesi comandate dal valoroso De Sonnaz ebbero la
loro pane di gloria.
II 4 di giugno a Magenta e a Ponte Vecchio si de-
cidevano le sorti dì quella memoranda g-lornata.
■lae
Avanti e dentro Magenta il combattimento fu ac-
Ciitiito oltre o^ni credere. Gli austriaci tì avevjmo con-
centi-ate tutte le truppe del loro centro, lasciando la
sola brigata Ilaramindz in riserva. Le truppe degli al-
leati fecero gii sforzi più eroici per slojfgiarli ; i loro
saldati cadevano sotto U fuoco violento dei ripetuti con-
trattacchi.
Nel momento il più caldo e decisivo il generale di
artiglieria Aug^er ebbe un'ispirazione felice; seguendoli
movimento deli' esti-ema destra riusciva a piazzare, uno
dopo l'altro, 42 pezzi d'artiglieria sull'argine della fer-
ro\ia ed il loro fuoco a mitraglia, facendo orribili vuoti
nelle file nemiche, portava lo sgomento nelle brigate del
1°, 2", 7** e 3" corpo che combattevano unite. 1 fi-ancesi
e tre batlay:Iioui di bersaglieri italiani si slanciarono con
impeto irresistibile contro il nemico che non resse al-
l' lu'io ti'omondo, hi ruppe e si dette alla fuga, Alle 8
di aera le truppe francesi entrarono a Magenta, Gli au-
striaci perdettero due bandiere, quattro cannoni e circa
quindicimila uomini fra morti, feriti e prigionieri.
Il giorno S giugno, dopo un accanito com^battimento
di ti'e ore, i francesi sloggiarono gli austriaci, cornali"
dati dal Principe dì Sassonia ed occuj)arono Melegnano.
Il giorno IO gli austriaci, egombi'ando Lodi, batte-
rono in piena ritirata sulla sinistra dell' Oglio.
II giorno 16, occupate forti posizioni dietro il Chiese,
attesero di pie fermo gli alleati. Lonato e Castiglione
furono i due punti salienti sui quali la linea spiegò la
sua azione.
L'imperatore Napoleone e Vittorio Emanuele, co-
nosciuta la ritirata dei nemici nell'interno del quadrila-
tero, ordinarono il passaggio del Chiese e l'occupazioiie
delle ultime colline che, tra questo lìiime e il Mincio,
rannodano la gcauclg.ci^tepa.d^Ue Alpi alla pìAnur^ Lom-
barda.
360
Il giorno 33 al maresciallo Mac-Mahon venne ordì-
nato di fare ricog-nizioni geuerali tra il fronte dell'eser^
cito e il Mincio.
Intanto V imperatore Francesco Giuseppe, avendo
xlcevuti grandi rinforzi, cambiava tattica e risolveva di
prendere T offensiva.
Divise le sue forze in due glossi corpi, il 23 passa
il MinrJo sopi-a 11 ponti gettati Ira Pescliiera e Goito,
spingendo avanti forti ricognizioni onde conoscere al
giusto le posizioni degli alleati.
Dalla situazione dei belligeranti è provato che gli
austriaci portavano in c-arapo per I" imniioenle battaglia
150 mila fanti, 13 mila eavalli e 68& pezzi di cannone,
mentre gli alleati mettevano in lìnea 140 mila fanti,
io mila cavalli e 52^ pezzi d'artiglieria.
Il giorno 24 i due eBercìtì si ponevano in marcia
l'uno verso l'altro, senza sapere clie andavano rispetti-
vamente ad urtare il grosso del nemico.
Il Maresciallo Baraguay, partito alle tre del mattino
per la strada di moutEigna che va da Esenta su Solfe-
rino, trovava i posti di Fontana e le tìrotte occupati
dagli austriaci e impegnava un acca.nito combattimento.
Il Maresciallo Mac-Mahon, che si era messo in mar-
cia alle due e mezzo antimeridiane per la gran strada che
da Castiglione va a Mantova, il d chilometri dal primo
villaggio, vedeva il 7° cacciatori a cavallo incontrare
gli avamposti del nono corpo austriaco, che aveva oc-
cupato ciisa Merini.
11 Maresciallo fece prendere dai suoi immediata-
mente casa Merini e se ne servi di base per lo spiega-
mento delle sue forze.
Cosi avvenne di tutti gli altri corpi in marcia, i
quali si urtarono contro il nemico pure in marcia.
L' imperatore Napoleone, ai primi colpi dì cannone
salito a cavallo, diede sen2a indugio gli ordini per la
battaglia.
Per descrivere le vicende di quel sanguinoso e me-
161
morabile combattìmento, il pii!i glorioso che ebbe a so-
stenere la Francia dopo la battaglia di Marengo, ci Ter-
rebbe un volume.
A Solferino l'esercito francese sì copri di gloria.
L'esercito Sardo, secondo gli ordini riceTiitì da
Vittorio Emanuele, doleva portarsi il ^4 a Pozzolengo.
Il quartiere generale ordinava alla 1*, 2" e 3' divisione
di esplorare it terreno con cura, mediante numerose
ricognizioni. In consefjuenza la brigata granatieri della
1" divisione, postasi in moto alle -i del mattino, era pre-
ceduta da UQ battaglione di bersaglieri, uno di fanteria,
uno squadrone di cavalleggerì d'Alessandria ed una se-
zione d'artiglieria; la 3" divisione aveva spinto quattro
ricognizioni sulla strada che costeggia il lago e la fer-
rovia; la 5" inviava il suo capo di Stato maggiore co-
lonnello Cadorna con l'S" bersaglieri, un battaglione del-
l'll°, una sezione d'artiglieria ed uno squadrone caval-
ieggeri di Saluzzo per la strada Sugana nella direzione
di Pozzolengo.
La ricognizione della 1" divisione che costituiva la
destra dell'esercito sardo, incontrati gli avamposti au-
striaci in Val di Quadci, attaccò il nemico, ma esgendo-
questi in forze assai superiori dovette retrocedere tino
verso Fenile Vecchio per ricongiungersi al grosso della
divisione. Questa si slanciò sulla posizione austriaca e
se ne impossessò; ma gli aiiatriaci riiiforzat] gagliarda-
mente Conmrono alla ctirica e vi fu un moinentoin cui
i granatieri Sardi furono per essere sopraffatti, ma l'ar-
rivo della brigata Savoia li salvò.
Hulie alture di Monte Polperi l'arrivo di nuovi rinforzi
rende il combattimento ostinato^ micidiale; né piemoii'
teai uè sustriaci guadagnano terreno, mainfli>ein seguito
ad estremo sforzo dei nostri gli austriaci sono obbligati
alia ritirata. Lamarinofa al i^lancia alla carica con X
162
suoi bravi bersa.iilieri, ed occupa, Madonna della Soo-
perta; là riceve il rinforzo della l>ri^^■itil Piemonte e si
mette in marcia per Pozzoleng;».
Il Colonnello Crtdoroa della 5' diviaione, avanzan-
dosi per la strada Sugaaa» incontrava alle oascine di
Ponticello gli avamposti del corpo di Benedeck; per ren-
dersi conto della loro forza spiegava imniediatai]iente le
sue poclie truppe, maiidnndo ad avvisare il £;enerale
Mollard onde accelerasse la marcia. GFli austriaci, che
erano in forze preponderanti, accettarono la sfida e,
malgrado la resistenza eroica delle poche truppe che
loro stavano di fronte, riescirono ad iinprtdronìrsl delle
alture della Casetta e dì S. Martino occupandole solida
mente. Alle 10 del mattino il geneiale Mollaitl, vedendo
sboccare la brigata Cuneo, la spiegava in due linee fra
la strada Sugana e Casa Nuova e procedeva all'assaltr.
Il 7" e rs* reggimento si slanciavano alla baionetta so-
stenuti dal fuoco di una batteria e da alcune cariche
dei cavaliGggeri di Monferrato; giungovano duo volte
sul culmine dell'altura, ma non rìescivano a scacciarvi
il nemico che la teneva solidameiite, ed erano costretti
alla fine a ritirarsi, protetti dalle batterio della soprag-
giunta divisione Cucchiari, arrivata in buon punto; Ja
brigata Acqui si portava anche essa in linea, e tutte
queste truppe si precipitavano sotto una pioggia di fuoco
all'assalto dì S. Martino e se ne rendevano padrone; ma
Benedeck lanciava tutte le sue riserve incatte sul fronte
e sul flftneo dei Piemontesi; e fu allora elio la 5* divi-
sione mitragliattì a pochi pa^i, contrattaccata vivamente
da forze preponderanti balenò, e non trovandosi soste-
nuta, fu costretta a ripiegare e a retrocedere in buon
ordine fino a mezza strada di Rivoltella. Il generale
Mollard ridotto alle sole sue forze, prese poai:ìione alla
Cascina di Retinella colla brigata Piaerolo in prima li-
nea; e vi si mantenne.
Intanto la riserva generale dell'armata Sarda, co-
mandata dal generale Fanti, era stata inoltrata, secondo
163
^ ordini imperiali, verso Solferino, ma alle 12 le altre
tre divisioni, strette seriamente da Benedeck con grandi
forze, domandando rinforzi, il Re, Vittorio Emanuele
dava r ordine alla brigata Piemonte di marciare su
Madonna della Scoperta ove Lamarmora doveva pren-
dere il comando superiore, mentre la brigata Aosta, col
quartiere generale, si sarebbe rivolta a S. Martino.
Contemporaneamente il Re mandava un ufficiale di
ordinanza con ordini al generale MoUard — Generale,
< S. M. il Re le fa sapere per mio mezzo che ì francesi
« vincono a Solferino e che egli vuole che ì suoi soldati
< vincano a S. Martino > Il generale MolUird cosi ri-
< spondeva < vada a dire a S. M. che i suoi ordini sa ■
« ranno eseguiti. »
Amvata la brigata Aosta, il generale MoUard, che'
era l'anima dì tutti i movimenti la formava su due linee
colla sinistra alla ferrovia; la brigata Pinerolo si collo-
cava alla sua diritta identicamente disposta aggregan-
dosi il 7° reggimento, mentre l'S" stava in riserva.
U punto di direzione di queste truppe è la CJon-
tracania, mentre sei compagnie, con due pezzi di can-
none, si volgono sulla sinistra austriaca dietro le alture
di S. Girolamo. Appena fosse giunta in linea la 5' di-
visione, era dato ordine di cominciare l'attacco generale.
La 5' divisione stava per giungere, erano le 5 pom.,
. si stava per incominciare l' attacco generale, quando
proprio in quel punto scoppiava un forte uragano che
obbligava la sospensione di qualunque operazione.
Fin dalle prime ore del mattino si combatteva con
gran valore e con straordinaiio accanimento ; erano le
sette di sera e, per quanti sforzi eroici si fossaro fatti
dai nostri, non si era potuto sloggiare il nemico dalle
alture di S. Martino, da dove opponeva indomita resi-
stenza. Molte erano state le perdite. Era rimasto uccisoli
colonnello Rovetta e il maggior Bosio del 6" reggimento:
feriti il generale Cerale, il generale Arnaldi, il colon-
1^ ^^^
nello Vinlardi del 5", i maggiori Polnstri, Botten emott
iUtri ufOdali.
Cessato l'uragano, fu deciso di fare uno sforzo su-
premo per strappare al nemico il possesso di posizioni
con tanto accanimento disputateci piano concepito stava
per essere posto in esecuzione con quella simultaneità
ed impeto da cui solo potevasi sperare vittoria,
11 14' era all'estrema destra; poi verso sinistra ve-
niva il 7"; indi Aosta, poscia Casale e un battaglione
deirs"; in ultimo Acqui. L'6'* battaglione bersaglieri coL
14"; il 1" con Aosta; il o" col IV.
Cei-ale, che quantunque ferito non si ritirava dal-
l'azione, domandava al generale Motlard aiuto di arti-
glieria, e tosto venti pezzi erano condotti dal valente
'maggiore Revel, e piazzati in buona posizione,
Appena le truppe si posero in movimento, il rombo
assordante delle artiglierie che battevano di fronte e di
fianco, avvertiva il nemico che i nosti'i stavano per
piombargli addosso. Centinaia di tamburi battevano la
carica; le trombe dei bereaglieri la suonavano ai punti
estremi ed al ceuti-o; un urraìi generale scoppiava da.
un punto all'altro delle colonne convergenti, che, a
baionette spianate, si slanciavano sulla posizione e ne
toccavano !a cima. 1 generali, gli ufficiali, tutti alla
testa dei loro soldati, iucuoravanli col grido « Avanti,
avanti Savoia * Il nemico scosiso, non so&tenue rurto-
tremendo, cominciò ad oscillare ed infine voltate le
spalle sì ij,iede alla fuga; e allora' l'Avogadro, coman-
dante il 2" squadrone di cavalleria, collo assenso del
colonnello Ricotti, lo astialiva con carica brillanus.^ima^
lo sbaragliava e lo metteva in rotta disordinata verso-
Pozzoleguo, facendo numerosi prigionieri,
11 cotubattimeuto aveva durato quattordici ore!
Trofei della vittoria furono cinque cannoni, non
pochi prigionieri, fra cui parecchi uffìciali.
Cosi la sera del 24 giugno brillava tra le glorie del
nostro esercito la battaglia di S. Martino,
tQ5
•%
Dopo le vittorie di Solferino e di S. Martino, Na-
poleone m emetteva il seguente ordine del giorno:
Soldati l
« Noi abbiamo preso tre bandiere, trenta cannoni
e seimila prigionieri. L'esercito Sardo ha lottato con
grande valore contro forze superiori. Esso è degno di
marciare al vostro fianco. Soldati! tanto sangue ver-
sato non sarà inutile per la gloria della Francia e del-
l'Italia e per la felicità dei popoli >.
Napoleone,
Mentre l'Urban, lasciata una forte retroguardia a
Varese, contromarciava col grosso della sua divisione
su Gallarate diretto al Ticino, Garibaldi, ignaro di que-
sta improvvisa ritirata, levato nel tempo stesso il suo
campo da Induno, per Arcisate, Roderò, Ciisanova, arri-
vava a Como fra il tripudio di quella cittadinanza che,
da quattro giorni, paventava di rivedere ad ogni istante
gli austriaci.
La vittoria delle armi alleate spalancava ai nostri
le porte dì Milano, mentre gli austriaci ei'ano obbligati
a ritirarsi precipitosamente.
Quest'avvenimento fortunato ebbe per immediata
conseguenza, non solo la liberazione della Lombardia»
ma la sollevazione dei ducati, delle Legazioni e del-
l'Umbria.
«
* *
Nel giorno 20 di giugno una forte colonna di sol-
dati svizzeri al soldo del Papa, partiti da Roma assaliva
Perugia clie si era ribellata al governo papale. La pa-
12
166
triottica citCì'i, quantunque la gran parte della gìoTentù.
fosse in Lombardia a combattere con Vittorio Emanuele
e con. Garibaldi, oppose una valorosissima resistenza,
dapprima dall'alto delle mura, poi nelle contrade, com-
battendo corpo a corpo, cedendo il terreno, alle forze
sovercbianti, palmo a palmo, finché, i bravi Perugini
sopraffatti dovettero arrendersi, I vincitori, satelliti della
tirannide, inferociti per la resistenza incontrata, si ven-
dicarono mettendo a saccheggio la città, seminando
«trage, non rispettando neppure gli inermi e le donne.
La strage di Porugia perpetrata da stranieri al soldo
del Papa andrà alla storia come fatto esecrando.
Ventiquattro ore dopo la battaglia di Magenta l'in-
tero esercito austriaco era in ritirata sull'Addìi; le
avanguardie degli alleati entravano in Milano, ed an-
che il piccolo corpo dei cacciatori delle Alpi poteva
proseguire la sua marcia fortunosa.
Garibaldi impiegò il 4 e 5 giugno a riordinare le
Èue forze, a chiamare nuovi volontari, a perlustrare in
tutti i sensi le strade circostanti, e lanciare scorridori
fin presso le porte di Mihmo.
Dal 5 al 6 s'imbarcava con tutta la sua brigata,
meno alcune compagnie lasciate a Como, alla volta di
Lecco, e nel giorno in cui l'esercito alleato varcava il
Ticino, egli toccava la destra sponda deirAddii. Non vi
si fermò a lungo, che il di appresso, tenendo sempre ai
monti, ripigliò la marcia per Caprino e Almeno.
Mentre Garibaldi era in via per Caprino e Almeno;
■accompagnati da una lettera di Cavour si presentarono
al generale Gai'ibaldi, Turr e Teleki ambedue colon-
nelli nell'esercito della lìbera Ungheria, che nel 1849,
avevano combattuto strenuamente contro T Austria.
Il generale accolse i due valorosi magiari come
-fratelli, e da quel giorno quei bravi seguirono Garibaldi
■con vera devozione.
IBI
Alle ore tre di mattino del 7 la brigata dei caccia-
tori della Alpi, con alla testa il suo generale, passava
il Brembo sul ponte S. Salratore, e, per la strada occi-
■dentale del monte Luvridaj riusoiYa a Voltezza, ed a
_passo di carica scendeva su Bergamo.
Vi arrivava però troppo tardi, cliè il nemico, erasi
^precipi tesamente ritirato. Garibaldi penaò immedlata.-
Tnente d' inseguire i fuggenti sulla strada di Crema, ma,
- appena incominciata la marcia veone informato che
«Q corpo d'austriaci stava per Jirrivare in ferrovia per
3>ortare rinforzo al presidio. Richiamò in fretta la bri-
gata dalla strada di Creina, distribuì e rimpiattò i suoi
- cacciatori alia stazione e nei dintorni, in modo che il
nemico non potesse scappargli ; senonche, a pochi passi,
- da Soriate, uno spione avvisò la colonna TÌaggiante che
i Garibaldini erano a Bergamo; il comandante austriaco,
fatto fermare il treno, fece smontare le truppe, e pro-
tetto da fiancheggiatori e da esploratori s'inoltrò con
tutta cautela verso la città, ove sarebbe stato ben ac-
colto; ma il Bronzetti inviato con due compagnie per
la strada di Soriate lo incontrò, e, senza contare il ne-
raico, lo assali con impetuoso ardimento, lo arrestò, Io
■sbaragliò costringendolo a riprendere in fretta la vapo-
riera.
In quel giorno i sovrani entravano neUn capitale
Lombarda; e Garibaldi era chiamato in Milano da Vit-
torio Emanuele. Le accoglienze fatte al comandante dei
cacciatori delle Alpi furono degne del grande animo
del Re, e caldi gli elogi a lui ed ai suoi compagni.
intanto il generale Urban, fin dal giorno 7, si ei:»
accampato suU'Adda nei dintorni di Vaprio, e vi si era
trincerato. Era questa unaposiaione forte, ma dopol'enr
m
irata d! Garibaldi a Beliamo, la sua importanza era di
molto diminuita, perchè poteva essere minacciata di
fronte e di fianco. Sarebbe bastato che 11 generale Cial-
dìni, avauguardia del nostro esercito, si fosse affrettato
verso l'Adda, e il generale Garibaldi fosse calato, con
mossa combinata, da Bergamo, perche queUa divisione
nemica fosse inevitabilmente disfatta.
La mattina dell'll giugno l'Urban lasciava Vapno
ritirandosi per la via di Crema, e la sera del giorno
stesso Garibaldi, abbandonato Berfj:amo, si- metteva io
marcia per Martinengo alla volta di Brescia; il 12 ri-
prendeva il cammino per Paiozzolo, da dove passava a
Polasco, meutre l'Urbau con la stia divisione si trovava
a Portatilo.
Chi nel giorno 13 giugno avesiie potuto guardare
a volo d'uccello sulla terra Lombarda, vi avrebbe acorto:
l'imperatore Napoleone colla sua guardia imperiale a
Gorgonzola; 'il Re Vittorio Emanuele^ a Vimercato in
mossa per Palazaolo; la più avanzata sinistra degli sca-
glioni francesi a Treviglio sulla sinistra dell'Adda; il
più avanzato scaglione piemontese a Romano sulla si-
nistra del Serio, lo scaglione auBtriaco più vicino, divi-
sione Urban, a Pontoglio; e Uaribaldi marciare col suoi
cacciatori da Palazzolo a, Brescia; marcia pericolosa,
perché fatta su strada parallela a quella del nemico,
quattro volte più forte, e minacciante sol fianco. Ma
il generale, destregg:iandosi con grande avvedutezza, fa-
cendo uso delle poche guide, comparendo or qua. or là
su tutti i punti della linea nemica, spingendo a marcia
forzata i cacciatori delle Alpi, all'alba del 14 si trovava
già alle porte di Brescia, la quale, animata da infuo-
cate parole dell'illustre patriota Giuseppe Zanardellì,
non aveva atteso neghittosa l'arrivo del corpo libera-
tore, ma era già pronta per dare, a colui che la eman-
cipava, potente aiuto. Dopo l'entrata in Brescia, ove fu
accolto dalla popolazione delirante, Garibaldi cessava
di godere di quella indipendenzii che era il principale
attore dei suoi successi.
169
« »
Mentre ì cacciatori delle Alpi eransì fermati nella
sera del 14 di giugno per pernottare a S. Eufemia a
due chilometri circa da Brescia, il generale Garibaldi
riceveva neUa notte stessa un ordine dal quartìer ge-
nerale, espresso in questi termini: « S. M. il Re desi-
dera, che domattina ella porti le sue truppe su Lonato,
dove sarà raggiunto dalla divisione di cavalleria co-
mandata dal generale Sambuy composti di quattro reg-
gimenti di Ciivalleria di linea, con due batterie a ca-
vallo ».
Generale Bella Rocca.
11 generale, ebbe anche l'ordine di ristabilire il
ponte del Bettoletto sul Chiese a monte del ponte di
S. Marco.
# *
Sul fare dell'alba del 15, Garibaldi, lasciata una
compagnia a S. Eufemia, e fatto perlustrare tutto in-
torno il paese, si pose in marcia.
Giunto a Rezzatto e non avendo notìzia della di-
visione di cavalleria che doveva seguire, fermò la co-
lonna e mandò al Re, a mezzo del tenente Trecchi, un
rapporto scritto col quale informava, che quantunque
avesse sul fianco deatro la divisione Urban, pure egli pro-
cedeva avanti per eseguire gli ordini ricevuti. Infatti pat-
tuglie delle guide a cavallo avevano rapportato, che a-
vamposti nemici sttivano sulla strada tra Rezzato-C3a-
stenedolo e Villa-BofTalora. Per non lasciarsi dietro al
suo fianco destro truppe nemiche si prossime, Garibaldi
scaglionò i suoi sei battaglioni nel modo seguente. Due
■dei 1" reggimento, agli ordini di Cosenz, dietro le case
Carbone in Tre Ponti; un battaglione del 2°. con una
quadra di carabinieri genovesi, sotto il comando di
170
Medici, in Bettola di Cilìverghe, dove la atradu da Bre-
scia a Lonato si biforca, l'una sul ponte di S. Marco, l'al-
tra a sinistra sui ponte del Bettoletto; l'altro battaglione-
dei 2" regrgìmento, e i due del 3° col l'artiglieria e con
i rimanenti carabinieri genovesi Garibaldi li condusse
in persona al ponte del Bettoletto. Al colonnello Turi
addetto al suo Stato Maggiore il generale ordinava di
occupare con due compagnie del Irreggimento lo sbocco
dì Tre Ponti verno Castenedolo, e nel tempo stesso ri-
conoBcere bene il nemico; it tutti Graribaldi raccoman-
dava di difendere ad ogni costo la strada da Hezzato
a Tre Ponti e Bettola di Cilìverghe aspettando l'arrivo
della division© di cavalleria piemontese; mandò il ca-
pitano Corte del suo Stato Maggiore ad avvisare Cial-
dini, che era sul Mella, della sua mossa, e sì mise sen-
z'altro per la via di Molinetto.
Intanto il generale Rupprecht, che colla sua bri-
gata formava l'avanguardia della divisione Ilrbau dal
Mella al Chiese, raandìiva rieognizioui sulla strada tra
Rezzato, Tre Ponti, e Bettola Ciliverghe, mentre si por-
tava colgirosao a Castenedolo.
Per far fronte al remico tì rigettarlo, come aveva
ordinato il generale G-arìbaldi, Medici fece costrurre una
barricata al biforcamento della strada Brescia-Bettola-
Cilivergho appossiat;a alla Cascina Lana che occupò
militarmente, e pose tre compagnie nel Cimitero di Ct-
liverghe munendo i muri di feritoie. Cosenz dal suo
canto, fece occupare Osteria di Rezzato, casa Basaalini
che sta a destra della strada bresciana a capo del sen-
tiero di Tre Ponti, munendo i muri di feritoie^ lasciando
in riserva il primo battaglione. Cosi la difesa era ordi-
nata col fronte a Castenedolo, la destra a Osteria di
Eezzato, il centro a Tre Ponti^ la sinistra a Bettola Ci-
liverghe.
Una ricognizione nemica si spinse, stendendo la sua
catena di cacciatori, fin sotto il giardino di casa Bas-
■salinì, ma fu presto respinta. Alle otto di mattina il
171
nemico, molto rinforzato, si avanzò a destra e a sini-
su-a del canale Lupo, con forti riserve nelle cascine
Chizzola e Chidone, fra Tre Ponti e la strada ferrata.
Il colonnello Cosenz deliberò di opporre attacco ad at-
tacco; il colonnello Turr sì recò di persona a Rezzato
e diede ordine al comandante della compagnia poeta.
all' Oeteiia di mandare una parte dei puoi uomini per
un sentiero traversale in forma di testa di colonna, che-
licceuitasse a girare la ijioìstra della catena nemica.
Ciò fotto Turr raggiunse Cosenz il quale, spinte due-
compagnie da casa Bassalini a risoluto attacco di fronte^
costringeva il nemico .1 ripiegare; e tanto fu l'ardore
dei nostri da riuiseire a alogginre il nemico anche dalle
due cascine Chizzola e Chidone. e ad occupare l'argine
della strada lerrata e il ponticello sul Lupo.
I nostri, rinforzati da una corapagnia del Bronzetti
e da altra del Lipari, non si arrestarono, assalirono il
cascinone chiamato Fenile-Ospitale e, sebbene incontras-
sero forte resistenza, riuscirono a cacciarne il nemico e
l'occuparono.
In questo frattempo il capitano Croce che colla sua
Gompiiguiii formava l'ala spinta più avauti della estrema
nostra sinistra, scopri molte forze nemiche che si am-
massavano sulle alture di Castenedolo; avvisatone Cosenz,
questi, riconoscendo di non essere in forza per potere
assalire la intera brigata Rupprecht, fece suonare l'alto
e r assemblea a sinistra, per prepararsi a ricevere l' urlo
nemico. Ma il colonnello Turr riuniti quel che potè di
volontiìri, e chianiaìido a se la restante debole riserva,
deliberò di assalire 11 nemico sul roccolo che prende
nome da S. Giacomo e fece suonare la carica; udito
questo segnale il Cosenz, per non produrre un movi-
mento slegato nella sua linea fece esso pure suonare la
■carica. I nosti'i si avanzarono arditamente tìn presso
alla falda del poggio di Castenedolo ; ma il nemico suo-
nata a sua volta hi carica &u tutta la lìnea si rovesciò
imponente di forze su (juelle tcarse dei cacciatori delle
Alpi che, minacciati di aggiramento, dovettero ripiegare.
172
Il colonnello Turr che aveva spinto arditamente
alla carica i suoi li incuorava col suo esempio alla re-
sistenza; ma il fuoco micidiale dei nemici die corona-
vano il roccolo boscoso li arrestava aul ponte S. G-ia-
como ; qui il Tiirr avanti a tutti coraandavH eoa voce
Monora... k. Passo di carica, avanti...» allorché una paEa
gli trapassava il braccio sinistro poco sotto la sc^apola;
non ai arrestava per questo il valoroso colonnello; e
proseg:uivii a comandare e incoriig'giare i militi allo as-
salto. Ma il nemico numeroso assai, dalla forte posizione
seminava la. morte; a fianco di Turr colpito da una
palla alla gola, cadeva il tenente Oradeiii^o; nel mede-
simo istante era colpito mortalmente il Bronzetti e, al
sergente Gnocchi che lo sorregg-eva una palla traver-
sava l'omero. Non era posisibile più sostenersi e i nostri
dovettero ripiegare.
Ma il Cosenz sempre sereno non si sconfortava per
questo; formata dalla prima compagnia e dai resti dì
altre che potò raccogliere, una piccola colonna coman-
data dal tenente Martini, la spinse avanti per la via di
mezzo, G sostenendola con un distaccamento guidato dal
tenente Mancini per un sentiero di destra, e con altro
simile affidato al tenente Logarbo, che lo condusse a
sinistra celato fra le boscaglie, riprendeva l' offensiva.
Giungeva in quel punto il generale Garibaldi coi
bravi carabinieri genovesi e con altri valorosi; arriva-
vano pure in quel mentce tre compagnie del Medici, e
queste forze riunite dirette da Garibaldi stesso si spin-
sero ad un furioso attacco in aiuto del Cosenz; la lotta
per alcun tempo fu accanita e micidiale; già il nemico
sgominato cedeva terreno, quando comparvero le prime
avanguardie del Ciaidini mandato in soccorso dal Re.
Si stava per prendere fra due fuochi il nemico, ma
queafco si affrettò a battere in ritirata, lasciando i nostri
padroni del campo di battaglie seminato di morti.
Quella dei Tre Ponti fu una giornata ben calda;
anche i garibaldini ebbero perdite gravi; centoventi fe-
179
riti, fra ì quali molti ufficiali e sott' ufficiali alla testa
delle loro squadre ; fra questi l' Elia del seguito del ge-
nerale Garibaldi ed il Carbone dei carabinieri genovesi;
più del quinto degli ufficiali ohe presero parte all'azione
rimasero feriti. Grandi lodi meritarono prima d'altri il
Coseaz, e il Turr, il capitano Bronzetti, e il tenente Gra-
denigo, il maggiore Lipari, i capitani Pesce e Rosaguti,
i tenenti Mancini, Logarbo, Martini, Spacchi, Pea, Ri-
bolla, Spettini, ed i furieri Pedotti, Della Torre e Tor-
chi, portati all'ordine del giorno e proposti per la meda-
glia al valore militare e per la promozione.
Il giorno 16 il generale Lamarmora si recava a
trovar Garibaldi a Nuvolento — i due generali si sti-
mavano a vicenda, e certo devono avere parlato sulle
mosse ulteriori della guerra.
Il 17 Garibaldi mandava a Turr, cheera a Brescia
a curarsi la ferita la seguente lettera:
Carissimo amico,
« Il sangue Magiaro si è versato per l'Italia, e la
fratellanza che deve rannodare i due popoli nell' avve-
nire, è aumentata: quel sangue doveva essere il vostro,
quello di un prode ! Io sarò privo dì un valoroso com-
pagno d'armi per qualche tempo e d' un amico, ma
spero rivedervi presto sano al mìo lato, per ricondurre
i nostri giovani soldati alla vittoria. Sarei fortunato in
qualunque circostanza di potervi valere, e non avete
che a comandarmi ».
Vostro
G. Garibaldi
Alla sera di quel giorno, la brigata con Garibaldi
entrava in Gavardo fra le acclamazioni della popola-
zione. La mattina del 18, all'alba, Bixio, come all'ordine
avuto, occupava Salò.
La mattitia del *iO la brigata col generale in testa
si metteva in marcia. Un ordine del Comando generale
174 _ ____^^
portava che i cacciatori delle Alpi senza Indugio si re-
cassero ad occupare la ViUtellina,
Il 26 la brigfita bivaccava a Poiitida e a sera ar-
rivava a Lectio; cosi il generale si approssimava alla
meta deei^'na tagli, preceduto di un buon tratto dal co-
lonnello Medici.
Il generale Cialdini, avendo nesunto l' incarico della
difesa delle valli limitrofe al Tifolo, aveva concentrato
il nerbo delle sue forze in Valcaraonica, e, come pria-
cipale panto, nello stretto di Breno che mise tosto in
stato di difei^A.
A Garibaldi era dato V incarico d' impedire la di-
BCCsa in Loiiibai'dia di masse nemiche dal Ttrolo.
Importava prima di tutto impadronirsi delle gal-
lerie soprastanti alia sti-ada dello Stelvio, per frapporre
un ostacolo inespugnabile alla minacciata invasione.
Necessitava quindi conquistare la sommità dellotìtelviot
onde fai' nostro lo sbocoo alla valle dell'Adige.
Questo compito era affidato al valoroso colonnello
Medici, il quale aveva formato una colonna di ottocento
combattenti con volontari che il maggiore Fanti, il ca-
pitano Bassini, ed il tenente lietcini, avevano aiTuoIati
ed armati alla meglio.
H giorno 25 giugno Medici diede ordine al tenente
Zambellij comandante una compagnia di volontari Val-
telUnesi, di occupare il ponte del Diavolo come estremo
avamposto, e la seconda linea di Pi'ese-Mondadìzza e
Balladore, mentre faceva avanzaj'e le altre truppe su
Mazzo, Grosseto e Grosio e si assicurava i fianchi con
un distaccamento in Val Grosina, ed un altro alla som-
miti del Monte Mortirolo che comunica colla Val Ca-
monica.
Il giorno 26, mentre Medici enisi recato ad ispe-
zionare l'estremo avamposto questo venne di sorpresa
i
17&
attaccato. I pochi ma valorosi Valtellinesi si ritirarono
calmi e combattendo, ma arrestati dal Medici In una
forte posizione a cavallo della strada, quel pugno d'uo-
mini, per oltre un'ora, oppose valida resistenza, finché,
sopraggiunta un'altra compagnia dì Valtellinesi coman-
data dal capitano Strambio, gli austriaci furono costretta
a TìtirarBi.
n colonnello Medici, visto ohe la ecelta del ponte
del Diavolo per estrema linea di diteaa era stata poco
abile, si spinse ad occupare l' indomani S. Antonio di
Morigone, e fattevi erigere alcune opere di fortificazione,
bì mise in grado di potersi vtmtitggioaamente sostenere
fino allo arrivo dì Garibaldi col grosso delle forze.
FrattADto il generale Garibaldi colla brigata, sbar-
cara a Colico il 27 giugno e proseguiva fino a Tirano,
dove Beppe che il generale Cialdini, dovendo ripiegare
su Brescia, incaricava lui della difesa degli sboccili dello
Stelvio, del Tonale e CafFaro con Bocca ri'Anfo; in con-
seguenza di ohe il generale affidava ai Medici, col se-
condo reggimento, c^n un battaglione de! terzo coman-
dato da Bìxlo, colla compagnia carabinieri genovesi co-
mandata dal tenente Chiassi, con una sezione d'artiglieria
ed un distaccamento del genio, la difesa dell'Alta Val-
tellina, mentre egli scaglionava in dietro il resto dei
suoi cacciatori delle alpi.
Il 1" luglio una deputiizione di Bormio avvertiva
Medici, che quel municipio aveva ricevuto l'intimazione
di provvedere una forte somma di denaro, viveri e be-
stiame agli austriaci.
It 3 luglio Medici sì spinse avanti per lo stradale
e per le alture laterali. Giunto a Ceppiua, fece occupare
a sinistra il monte Oga, ed a destra le alture di Piazza
e RattB, cbe si steDdono vereo Bormio. Dopo di che,
feoe avanzare due compagnie con ordine dì occuparG ì\
ponte di tì. Lucia,
Mentre il dìstafcam^iitcì austriaco clie si trovava in
Bormio per rintimftttv requisizione, strepitava contro il
municipio ctie ritardava hi consegna; duo compagnie
agli ordini del maggiore Fanti ai avanzavano per chiu-
dergli il passo, il che fece decidere gii austrìaci a darai
a precipitosa fuga, A mezzogiorno Bormio era salva.
La mattina seguente Medici disponeva un attaccc
simultaneo da Bormio e da Ceppma; tosto che vide
due colonne in marcia, il nemico sì ritirava dai Bagni
Nuovi sui Bagni Vecchi dando fuoco alle mine, per cui
in un istante si vide cadere il magnifico ponte dell»1
galleria.
Medici die ordine dì occupare i Bagni Nuovi; s'im-
pegnò una viva fucilata Ira ì due stabilimenti. Gari-
baldi giunto in quel momento, 3 luglio, si era portato
sul luogo del combattimento; gli austrìaci resistettero
ostinatamente ma; sul fare della Bora, presi di tianco
da un distaccaniento, asceso a sinistra (ino a meti^ del
monte delle Scale, e minacciati alle spalle da altro di-
staccamento dìBceso dalle Torri di Fraele, dovettero bat-
tere in ritirata dando fuoco alle mine delle altre gal-
lerie, ma senza molto successo.
Al Medici importava scacciare il nemico al di là
dello Stelvio. Con questo intendimento dava le seguenti di-
sposizioni. D maggiore Blxio, colle forze di cui disponeva, ■
più la compagnia del genio, doveva dalle alture di Piatta-
Martina avanzarsi fin oltre a Val Vitelli per minacciare
l'estrema sinistra nemica fortificata a Cima di Sponda
Lunga, e così con un finto attacco distrarre l'attenzione
del nemico dalla sua destra.
Il capitano Bosisio, con trecento uomini scelti del
177
secondo reggimento, la mattina dell' 8 doveva impadro-
nirsi delle vette del monte Pedenello; il tenente Croft,
con cii'ca cento carabinieri, doveva mostrarsi a tempo
opportuno sull'altura che daniina la quarta cantoniera^
bersagliando il nemico alle spalle; 1£ Bosisìo doveva as-
salire con vigore dalla nostra sinistra il nemico, minac-
ciargli la ritirata, e rendere possìbile un assalto di fronte ;
sulla strada dello Stelvio nelle gallerie, tra la prima e
la seconda cantoniera,- era disposto un battaglione in
colonna d'attacco agli ordini del maggioro Sacchi rin-
forzato da due pezzi d'artiglieria che a gran stento eraniii
potuti trascinar fin lassù.
*
Come alle istruzioni avute, la mattina dell' 8 Bixio
riusciva ad occupare la posizione ohe minacciava la si-
niatra nemica; gli austriaci aprivano un fuoco vivissimo
colle ecceileoci loro carabine, alle quali solo i carabi-
nieri potevano rispondere. Ciò nonostante, Bixio si man-
tenne nella posizione finché non ebbe ordine di ritirarsi.
Il nemico, prevedendo un attacco, aveva chiesto ed
ottenuto rinforzi, ed in quelle formidabili posizioDi vi
aveva concentrato settemila, uomini delle migliori truppe,
oltre un numero di volontari tii"olesi toy eccellenti ca-
rabine; per questo fatto la sorpresa di sinistra non potè
riuscire perché il Bositsio trovava già solidamente occu-
pate le alture di Pedenello, Del resto quello dell' 8 fu
un combattimento inutile, perchè in quel giorno era
stato segnato l'armistizio.
Nessun elogio potrebbe essere adeguato al Medici,
agli ufflcialt e volontari che aveva sotto ì suoi ordini
nella difficile e azzardosa impresa. Gli ufficiali avevano
fatto a gara a chi meglio e piii arditamente potesse ese-
guire gli ordini del loro capo che idolatravano.
Il 12 luglio il generale Garibaldi tnaiidava al Me-
dici U seguente dispaccio ;•
« Ti fiiccio i miei complimenti per il bel fatto dello
Stelvio, che ti ha meritato gli elogi del generale nemico.
< Complimenterai da parte mia in nome dell'Italia
coloro che si sono distinti; domani compariranno i loro
'nomi nell'ordiae del giorno della brigata >.
Dopo le vittorie di Solferino e di S. Martino, l'im-
peratore Napoleone mandava all'Imperatore d'Austria pro-
posta di ai-mibtizio. Il giorno 8 di luglio, in seguito ad
una conferenza dei commissari incaricati, venivano re-
golate le condizioni dell'armistizio stestjo.
Secondo questa convenzione la ripresa delle ostilità
era fissata per il 16 di agosto.
Ma l'armistizio nel pensiero di Napoleone segnava
il preludio della pace; e a tal fine mandava » chiedere
un convegno all'imperatore d'Austria che lo accordava.
Il giorno 11 i due imperatori ebbero una confe-
renza a Vìllafranca^ nella quale furono fissate le basi
del trattato di pace, a concludere il quale fu incaricato
il prineipG Giroìsmo Bonaparte.
Il 12 luglio l'imperatore Napoleone mandava all'ar-
mata, dal suo quartier generale dì Valeggio, il seguente
proclama :
Soldats !
« Les bases de la paix sont arrétèes avec l'empe-
reur d'Autriche, le but prinelpal de la guerre est ateint,
l'Italie va devenir pour la primière fois une nation.
« Une confederation de tous les Etats de l'Italie,
sous la presidence honoraire du Saint-Pére, reunìra en
un faisceau les membres d'une mSme famfile; la Ve-
179
netia reste, il est vrai, soua le sceptre de rAutrìche:
elle séra néanmolnB une province italienne faisant partie
de la coDfederatioB.
« La réunion de la Lombardie au Plemont nous
crèe de ce coté de Alpes un allié puissant qui nous
dérra son indìpendance; les gouTemements restés en
déhors du mouvement, ou rappelés dans leur posses-
sions, comprendront la necessìté des réforms salutaires.
« Un amnistie generale fera disparaltre les traces
des discords civiles. L'Italie, désormais maitresse de ses
destinées, n'aura plus qu'A s'en prendre à elle-mfime,
si elle ne pregresse pas réguliérment dans l'ordre et la
liberté.
« Vous allez bientot retourner en France, la patrie
reconnaissante accuilléra avec transport ses soldats qui
ont porte si haut la gioire de nous armes à. Montebello,
à, Palestre, à Turbigo, é. Magenta, à Marignano et Sol-
ferino, qui en deux mois, ont affranchi le Piémont e le
Lombardie, et ne se sont arretés, que parce que la lutte
allait prendre des proportions qui n'étaient plus en rap-
port avec les intéréts que la France avatt dans cette
guerre formidable.
< Soyez donc fiers de vos succés, fiers des résultats
obtenus, fìers sourtout d'etre les enfats bien-aimés des
cette France qui sera touìours la grande nation, tant
q' elle aura un coeur pour comprendre les nobles causes
et des hommes comme vous pour les défendre.
Xapoleon >
Cosi mentre le vittorie di Solferino e di S. Mar-
tino ci dovevano schiudere i varchi all' Adige ed alla
agognata conquista del Veneto, inattesa e dolorosa come
una catastrofe, giungeva la notizia della pace di Villa-
franca.
Gli Italiani appresero con vivo dolore la fatale do-"
tizia, che troncava d' un colpo le più belle speranze-
Sfa peiiBAndoci poi a sungue freddo, sì dovette trovarci
che la pace fu una provvidenza, Se l'aiuto della Fran-
cia ci costò, per la liberazione della Lorabardiaj Nizza
e Savoia, che cosa altro ci avrebbe costato l'aiuto per la
liberazione del Veneto? Di pii'i, avremo veduto ingran-
dirsi il predominio delia Francia imperiale, e forse effet-
tuata l'idea Napoleonica della Confederazione Italica
presieduta dal Papa !
Invece resbiva agli italiani soltanto il compito do-''
veroso di completare 1' unità della Patria, e questo do-_
vere essi lo compirono con prudenza e con fermezza.
Un artìcolo del trattato di pace — quello nel quale"
veniva atabilito il non intervento — giovò all'unità.
Italiana, perchè permise alle diverse provincie, sorte a.
libertà, di proclamare coi loro plebisciti l'unioue na-
zionale.
•%
J
Verso la metà, di agosto, la Toscana, la Romagna.
Modena e Parma concludevano una Ioga, costituendo un
governo dell' Italia centrale, e prescegliendo come co-
mandante supremo il generale .Manfredo Fanti, e coman-
dante di divisione il generale Giuseppe Garibaldi.
Nell'ottobre sparsasi la voce che le truppe al soldo
del Papa si adunavano a Pesaro per marciare di qua
della Cattolica, e che le Marche bì preparavano ad una
generale sollevazione, il Fanti disponeva che Uarìbaldi
si recasse alla frontiera, per far fronte ad ogni attacO'
del nemico, batterlo ed inseguirlo oltre il confine.
Giunto il generale a Riminì e stabilitavi la sede
del comando, volle fosse data esecuzione ad un suo di-
sógno che avrebbe giovato all'occupazione delle Marche;
1
181
quello cioè dì armare alcuno delle navi mercantili che
si trovavano in quel porto-canale.
Furono scelte pel momento le due migliori, Io scoo-
ner « Arìraìno » e la < Fenice » di proprietà del pa-
triota Agostino Pericoli ; del primo il generale diede il
comando ad Andrea Rossi di Oneglia, del secondo fu
nominato comandante Augusto Elia, entrambi col grado
dì sotto-tenenti di Vascello del Governo dell'Italia cen-
b'ale. Essi si misero all'opera senza ritardo per armare
ed equipaggiare il naviglio, facendo tesoro dei consigli
<;^6 ad essi dava il comune amico colonnello Bìxìo.
L'Elia intanto, per ordine del generale e con l' in-
tesa dei patrioti di Pergola, U. B. Jonni, Ginevri, Ber-
tiboni e Bertucciolì, per la via dì S. Marino aveva fatto
pervenire nell'Urbinate buon numero di fucili, affine di
promuovere un movimento insurrezionale che provo-
casse l'intervento di Garibaldi.
Tutto era pronto e non si attendeva che l' ordine
di marciare.
Ma sorto dissidio fra i reggitori provvisori dei quat
tro nuovi Stati, di Toscana, Romagna, Modena e Parma,
l'ordine ritardava. 11 Ricasoll ed il Cipriani, temendo di
complicare le cose nostre, decidevano di sconfessare le
istruzioni date dal generale Fanti a Garibaldi; ma que-
sti alla loro intimazione, sorretto dal patriottico ardire
del Farini, rispondeva fieramente col noto telegramma
— « Non ricevo ordini che dai governi riuniti ».
Al dissidio fra il Ricasoli e il Fanti essendo seguito
anche quello fra il Fanti e Garibaldi che voleva rom-
pere gli indugi e prendere !" offensiva contro le truppe
papali, il Re Vittorio Emanuele chiamava presso di sé
Garibaldi.
All'invito del Re, Garibaldi si re^ò subito a Torino,
e con lui si trattenne a lungo colloquio. — Che cosa il
Re abbia raccomandato a Garibaldi non si seppe, ma
sì potè bene immaginare che erasi elaborato questo
piano :
13
182
Se attaccato dai mercenari del Papa Garibaldi avreb*
be dovuto sgominarli, inseguirli ed ck-cupare le Marche]
se le Marche fossero insorte, correre in loro soccorso.
Tolto di mezzo il Fanti, a cui il Re avrebbe coiisigliat
le dimissioni dal servizio dell'Italia centrale, cessava la
compromesihia del Piemonte; Garibaldi rappresentava la^
rivoluzione, e nulla bì comprometteva da parte del gc
verno, se lui fosso accorso in aiuto degli insorti. In»3
fatti Garibaldi lavorava allo scopo di incitare le Marchftj
nlla sommossa, ma queste sventuratamente non davano
aog-no di essere pronta ad un serio movimeuto inaui
reaonale — e non potevano neppur tentarlo; basti con-'
siderare che le Marche erano occupate da imponenti^
forze mercenarie al soldo del Papa, e che 1 migliori pi
trioti erano suti obbligati ad eaili;ire ; i piii eransi
ruotati chi nell'esercito regolare piemontese che nel ve
lontari di (jiaribaldi.
Il Farini era d' accordo col Fanti, ed entrambi ve
levano la mossa rivoluzionaria.
11 Cipriaiii [reputato fautore di un movimento pc
litico neir Italia centrale inteso a favorire il Princii
Napoleone) invitato davanti all'assemblea delle Romagna'
a daxe ragione dei fatti che gli sì addebitavano, si di-
mise ; cosi che L. G. Farini fu chiamato al governo
anche di Bologna, Ravenna e Forlì, formando lo Stato
unico delle Provincie dell'Emilia. La lega dell'Italia cen-
trale veniva cosi ricomposta in due Stati : Emilia e To-
scana, d
Graribaldi intanto persuaso da agenti e da amici che
la rivoluzione fatava per scoppiare nelle Marche era sulle,
moiise per l'occupazione.
A! governo della Lega risultava invece che l'in-'
surrezione era assolutamente priva di base, e solo fissa
nella mente di pochissimi esfvlCati, pure Garibaldi man-
dava un telegramma al governo annunziarne che la ri-
voluzione era scoppiata, e che egli stimava suo dovei
Ì8S
di accorrere seD2a ^tro, come aveva preso impegno, in
favore di questi patrioti.
L' animo del Farìni, amante delle audaci risoluzioni
e devoto a Garibaldi, avrebbe desiderato che l'asser-
zione della scoppiata rivoluzione fosse vera; ma le in-
formazioni che aveva autentiche la smentivano asso-
lutamente; ed obbligato a ricordarsi che egli era il dit-
tatore dell' Emilia, e che era suo dovere di agire d'ac-
cordo col RicBsoli dittatore in Toscana, che ben sapeva,
che le Marche non erano nella possibilità, d'insorgere,
dava ordine al generale Fanti di richiamare Garibaldi
al dovere, invitandolo a recarsi a Bologna.
Garibaldi ubbidì alla chiamata ; gli si fecero pre-
£ enti quali perìcoli sarebbero derìvati alla patria se egli
ni fosse spinto nelle Marche che non davano segno di
sommossa, e si cercò di strappargli la promessa che pel
momento avrebbe rinunziato all'impresa.
Garibaldi nulla volle promettere, perchè aveva la
certezza che le popolazioni marchigiane qualche cosa
avrebbero fatto per giustificare il suo intervento.
Allora si ricorse dì nuovo al Re Vittorio Emanuele,
ed il 14 novembre Garibaldi era chiamato a Torino.
n mattino del 17 il generale si abboccava col Be
e, la sera stessa, i giornali davano la notizia, che Ga-
ribaldi aveva rassegnato le sue dimissioni. Infatti, due
giorni dopo, egli ne dava l' annunzio agli italiani col suo
celebre manifesto da Genova, portante la data del 19
novembre 1859.
< Agli Italiani:
« Trovando vincolata quella libertà d'azione che è
inerente al mio grado nell' armata dell' Italia centrale,
onde io usai sempre a conseguire lo scopo, cui mira ogni
buon italiano, mi allontano per ora dal militare servizio.
Il giorno in cui Vittorio Emanuele chiami un'altra volta
i suoi guerrieri alla pugna per la redenzione della Fa-
184
trifl, io ritroverò un'arma qualunque ed un posto avanti
ai miei prodi oonmailitoEi.
« La miserabile volpina politica, che turba il mae-^
atoeo andamento delle cose italiane, deve persuaderci
pili che mai, che noi dobbiamo Berrafci intorno al prode
e leale soldato dell' Indipendenza nazionale, incapace di
retrocedere dal sublime e generoso auo proposito ; e pili
che mai preparare oro e ferro per accogliere chiunque
tenti tuffarci nelle antiche Bciagure.
« (?. Garibaldi
Dopo cÌ6 il generale volle annunciare al Re la É
determinazione con questo affettuoso e riverente bi-
glietto ;
i
23 novembre 1859.
Sire,
< Secondo il desiderio della Maestà, Vostra, io par-
tirò il 23 da Genova per Caprera, e sarò fortunato
quando voglia valersi del mio debole servizio.
(t La dimissione mia, chiesta al G-overno della Tò--
scana e i al generale Fanti, non è ottenuta ancora. Prego-
Vostra Maestà si degni ordinare venga ammessa.
« Con aifettuoso rispetto di Vostra Maestà
« Dev.mo
G. Garìbrtdi
Ed il prode, ed i suoi vecchi amici che vollero di-
mettersi con luì, SchiatBno, Basso, Froscianti, Elia, Gu-
smaroli, Stagnetti, Rossi, ed il figlio del generale, Me-
notti, si ritirarono a Caprera, e col^ vissero in famiglia,
amandosi come fratelli, e passando le giornate a fare
lavori di muratura per condurre a termine la casa di
Garibaldi, a dissodare quella parte di terra dell' isola
che si prestava alla coltivazione, a cacciare e pescare^
per provvedere al loro nutrimento.
185
Garibaldi era da poco a Caprera, quando ricevette
una lettera dal coloanello Turr cou la quale gli pro-
poDera, in uome del Ministro Rattazzi, di organizzare
la mobilizzazinne della guardia nazionale, includèndoTi
i volontari.
Garibaldi rispondeva al Tujt dando la sua piena
adesione, e il Turr si recava da S. M. il Ke con la let-
tera ricevuta, e dopo di aver conferito col Ministro Rat-
-tazzi Bcriveva al generale di recarsi a Torino.
Garibaldi non Indugiò e, arrivato a Torino, prese
alloggio all'Hotel Trombetta.
It 1° di gteiJDitio i patrioti di Torino, Sineo, Bottero,
Brofferio, Le^irdi, Turr ed altri, vollero dare un ban-
chetto al generale. Mentre questi siederà a mensa cogli
amici, una immensa folla Io acclamava dalla piazza.
Garibaldi dovette affacciarsi e parlare al popolo ;
disse essere pieno di speranze nell'avvenire della patria;
di avere fiducia intera nel Re galantuomo, e molto con-
fidare nel forte carattere del popolo subalpino e nel va-
lore deiresereito, concludendo, che egli non avrebbe de-
posta la spada finché V Italia non fosse interamente u-
niÉa e libera.
Ma la dimostrazione del 2 gennaio, organizzata da-
gli studenti universitari fu di una straordinaria impo-
nenza. Garibaldi costretto a parlare dal balcone del-
l'Albergo disse : di andare superbo di quella dimostra-
zione che lo assicurava dell' amore per l'Italia della
gioventù, pronta, a liberarla dal fango nel quale le po-
tenze straniere volevano ricacciarla; concludendo cosi:
« Ho chiesto un milione di fucili — ed oggi vi dico
che bisogna formare la Nazione armata per essere pa-
droni dei destini della patria nostra ».
Questo discorso elettrizzò la gioventù, ma ebbe un
grave conti'acolpo; poiché il giorno appresso tutto U
186
corpo diplomatico protestava presso S. M. il Re contro
le parole pronunziate da Garibaldi ; il Ministero fu ob-^-
bligato a dare le dimissioni, il generale Garibaldi fecei^
pubblicare dalla Gazzetta del Popolo la seg^uente sua let-
tera:
Agli Italiani.
< Chiamato da alcuDÌ miei amici ad as&nraere
parte di conciliatore fra le frazioni del partito liberale
italiano, fui invitato ad accettare la presidenza d'una so-
cietà, che si sarebbe chianuita * La Nazione Armata »";
- Credetti potere essere utile ; mi piacque la gran*
dezza del concetto; ed accettai.
■ Ma siccome la Kazione Italiana armata è tal fatto
che apaventa quanto c'è di sleale e di prepotente tanto
dentro che fuori d'Italia, la folla dei moderni ge&aiti ,
è spaventata ed ha gridato ; Anatema !
« n governo del Re galantuomo fu importunato
dagli allat-raiati, e per non comprometterlo rai sono de-^
ciso di desistere dall'onorevole e grande proposito. "
• Di unanime accordo con tutti i soci — dichiaro
dunque sciolta la società della Nazione annata — ed
invito ogni italiano, che ami la patria a concorrere sJI^h
sottoscrizione per l'acquisto di un milione di fucili. ^H
€ Se con un milione di fucili l'Italia in cospetto
dello straniero non fosse capace- dì armare ara milione di
soldati, hieognereN)e disperare ddV umaniià\
€ L'Italia si armi e sarà liberal >
Torino 4 gennaio 1860.
0. Garìhaldi.
187
H Conte Benso di Cavour veniva incaricato di for-
mare 11 nuovo Miniscero.
H IT gennaio ISfiO il colonnello Turi riceveva dal
generale Garibaldi la lettera seguente :
Fino, 17 Gennaio 1860.
Mio caro colonnello Turr,
« Vogliate avere la compiacenza di chiedere a S. M.
se è deciBo di cedere Nizza alla Francia. Questa do-
manda mi viene fatta molto caldamente dal miei con-
cittadini.
< Rispondetemi subito per telegrafo. Si ] o no '
G. Garibaldi »,
Il colonnello Turr, ossequiente al desiderio del ge^
neraloj sì recava da S. M. e gli consegnava la scessa
sua lettera: ed Egli dopo averla Ietta disse al Turr:--
urah, urah ni a no — è un po' spiccio, umhl Ebbene si ■ —
ma non telegrafategli. — Andate a trovare Garibaldi e
ditegli: — « Il destino domanda a noi due il più grande
sacrifìcio ciie uomo possa fare. E se a lui rode il cuore
per la sua Nizza, deve immaginare il dolore mìo per
la Savoia, culla della mia famigliai Ma per fare l'Italia
noi due dovremo compiere questo grande sacrificio.
« Andate a fare questa mia commìseione a Gari-
baldi, 8 ditegli che conto su di lui, come egli può con-
tare su di me per il bene d'Italia >.
II colonnello Turr portò la parola del Re a Gari-
baldi, che si trovava a Fino, e che subito si ritirava a
Caprera.
Ma non doveva trattenervisi a lungo perchè venne
il momento iii cui Garibaldi dovette decidersi a passare
sul continente assieme ai suoi fidi compagni.
188
Arrivato a Genova, dopo breve sosta in ciisa del
suo amico Coltellettì, il generale si recava ad alloggiare
ji Quarto nella Villa Spinola presso il suo vecchio amico
e compagno del 1S4JI, Augusto Vecchi.
Gli alti'l prendevano stanza uella locanda di Ra-
sehinniQo lU porto, pronti a tutto per il raggiungimento
dell'alto ideale: l'unìtji della patria con Roma capitale !
CAPITOLO XI^.
IB60 — Spedizione dei mille — Marsala — Salemi — Caia-
tafìtnì — Palermo — Miiazzo ~ Reggio Calal}ria —
Napoli — Volturno.
Liberazione dell'italia Meridionale consegnata a
Vittorio Cmanuele.
Era il mese di aprile^ e notizie giungevano che in
Sicilia si combatteva per scuotere il giogo borbonico ^
per rivendicarsi a libertà
Già Francesco Crispi anima della parte più avan-
zata degli esuli siciliani, presi accordi con Mazzini e col
Farini dittatore dell'Emilia, che pure era sempre incli-
nato a tutti gli ardimenti per l'uni Acanzio ne d^elIa patria,
si era arriscliiato a recarsi nascostamente in Sicilia per
dare anima e impulso all'insurrezione; i ]>atrioti s'in-
tesero, e ottenuto dal generale Garibaldi che coi suoi
sarebbe andato in Sicilia la sollevazione dell'isola, che
le brutalità del governo borbonico avevano resa fre-
mente di libertà, fu deliberata. — Si decìse di fare del
Convento della Gancia la base di operazione della rivo-
luzione; e cosi fu.
All'alba del 4 aprile, il suono delle campane a stormo
chiama\'a all'armi la città di Palermo.
Alia testa degli animosi che dovevano cominciare
il fuoco, era il popolano Francesco Riso, anima di pa-
triota e di eroe.
1S9
e .a. L
Fatalmente, come avviene sempre nelle cospirazioni
vi fu il delatore, che informò il Maniscalco, il quale
nella notte, fatti occupare tutti gli sbocchi che portavano
al Convento, si tenne preparato a soffocare nel sangue
la sommosRa popolare.
AI Suono delle campane fu pronto il Riso col suoi
ad uscire dal Convento, e furono pronte altre squaiire
per sostenerlo. Ma sopraffatti dalle soldateBche borboniche
chs tibufavano da ogni parte, furono ben presto accer-
chiati e risospinti nel Cotivento, ove i prodi difensori
vendettero cara la loro vita; assieme coi trucidati cad-
dero da eroi il Riso ed il Padre Angelo di Monte Mag-
giore.
Anche le- bande armate, che, secondo gli accordi, da
og-ni parte si erano accostate ai sobborghi ed alle porte
della città, dovettero ritirarsi ai monti non essendo più
sostenute dalla insurrezione interna. Ma la rivolta, non
era per questo vinta, perchè le squadre non ai agoraen-
farono e non si sciolsero, ma si mantennero nelle alture
resistendo agli attacchi dei borbonici e respingendoli.
Al generale Garibaldi eran cog-nlti questi fatti; già
egK aveva scritto al direttore delI'Ammims trazione Ru-
ììAEtino la seguente lettera :
Mio caro Fan che,
«Io posso disporre dì centomila franchi; desidero
non impiegarli tutti per trasportarmi in Sicilia con al-
eunì compagni^ però li metto a vostra disposizione per
indennizzare rAmministrazione delle spese e dei danni
che potrebbe aortrìrc il «Piemonte» od il «S.Giorgio»
in un viaggio a Malta od a Cagliari, potrebbe soddisfare
il voto di tutti.
* Non ho certamente bis>gno di fare appello al
vostro patriottismo — Dio vi spiani le difficoltà che
l'impresa propostavi potrebbe Incontrare.
G. Garibaldi.
190
A questa lettera del Generale il cav. 0. B. Fauch^j
rispondeva : ^|
« Che^ ben felice dì potere rispondere al suo appello
il vapore sarebbe stato a sua disposizione: Che ì cen-
tomila franchi se li portasse in Sicilia, ove avrebbero
servito per altri bisogni; raccomandava come condizione
indispensabile la massima segretezza.... >
<J
Ma in seguito le notizie dall'isola giungevano assai
incerte e conEradittorie ; alcune dicevano cbe anche gli
insorti delle campagne erano stati domali; altre invece
affermavano che essi mantenevano coraggiosamente
vivo il fuoco dell' insurrezione, dando filo da torcere
alle truppe borboniche.
Bisognava accertarsi del vero stato delle cose, e
Rosolino Pilo e Con-ao, cari patrioti siciliani, sì presero
l'impegno di sfidare il pericolo, di recarsi in Sicilia per
abboccarsi cogli insorti, infondere in essi nuova lena per
la resistenza e mandare informaziooi. A tale uopo Ga-
ribaldi consegnava loro una lettera con caldo appello ai
patrioti siciliani.
*
* *
iva da "
Anche Nicola Fabrizi, grande patriota, mandava'
Malta a Crispi non liete novelle Bull' insun'ezione sici-
liana. Ma Criapi elle voleva far decidere risolutamente
Garibaldi faceva sapere, a modo, suo che le notizie erano
buone,
I più decisi aJla spedizione erano Crispi, Bertani,
Bisio; Stefano Turr dicliiarava che avrebbe seguito
Garibaldi in qualsiasi impresa. Sirtori faceva la stessa
dichiarazione; Medici decideva di rimanere per seguire
il generale con altre spedizioni.
jC insiaistenze di Crispi, HPBertani, di Bisìo, la.
vinsero. Il 1» di maggio dalla bocca di Garibaldi usciva
la fatidica parola < Partiremo! ». Elia, che si trovava
presso al generale, ebbe l'incarieo di preparare gli e-
quipaggi. Egli avrebbe voluto cbiaraare i marinari che
ayeya ayiito sotto i suoi ordini nei legni armati a Ri-
mini, ma Garibaldi non credette di aecordargli tale
consenso, perchè non voleva si propagasse troppo la
notìzia della spedizione.
A Genova vi erano buoni marinari volonterosi. Elia
li arruolò e mandò il Capitano della marina mercantile
Carlo Burattini, per arruolarne altri a Livorno. Bixio
ebbe l'incarico di provvedere al resto. Occorrevano navi.
Egli fissò col rappresentante di Rubattiuo oav. Fauchè
la presa dì possesso, a momento opportuno, non di uno
ma dei due Tflpori < Piemonte > e * Lombardo >. In
breve tutto fu pronto.
Nella notte dal 4 al 5 maggio, chiamati in casa sua
Andrea Rossi ed Elia, Bixìo dispose che Rosai con Schiaf-
fino e col macchinista Canapo prendesse possesso senza
rumore del « Piemonte » con metà deU'equipiiggio, ed
Elia, con l'altra metà, con Menotti Garibaldi e con Or-
lando macchinista s'impossessasse del < Lombardo ».
La presa di possesso dei vapori fu eseguita col mas-
simo ordine e silenzio. Quando Bisio verso le 4 ant. ar-
rivò col rimorchiatore, gli ormeggi erano già stati ab-
bandonati, e tutto era pronto. Accodato al rimorchiatore
il « Piemonte >, e dietro al « Piemonte » il ♦; Lombardo »,
alle 5 del mattino del 5 maggio i vapori erano già fuori
di Quarto, per ricevere a bordo il generale Garibaldi ed
i mille suoi compagni.
Prima d'imbarcarsi il generale Garibaldi aveva rac-
comandato al suo grande amico Medici dì preparare altre
legioni che, da lui comandate, lo avrebbero raggiunto
1S2
ili Sicilia se la sorte gli fosse stata propizia — ■ e il Me-
dici, ossequiente ai desideri di Garibaldi, scrÌTeva al
Panizzi a Londra cosi :
Genova, 6 maggio 1860.
Caro Panizzi,
« Garibaldi con 1000 uomini corre il mare in due
battelli a vapore, da ieri mattina, alla volta della Sicilia.
L'impresa é generosa; Dio la proteggerà, e proteggerà
la fortuna dell'eroico condottiero.
« Io sono rimasto per appoggiare l'ardita iniziativa
con una seconda spedizione, o meglio coti vna potente di-
versione alirom^ ma i mezai ci maBcano. Bertanì ha fatto
miracoli di attività, che molto hanno prodotto, ma che
la prima spedizione ha completamente esauriti.
Caro Panizzi, non lasciarci soli, non laacìamo solo
il nostro Garibaldi e i suoi generosi compagni ■».
Tuo aftmo
Medici
Dopo l'ìraharcQ dei Mille, che fu eseguito nel più
breve tempo possibile, si fece rotta per la riviera di Le-
vante a piccola velocità, attenti tutti per vedere dì sco-
prire le barche che dovevano portarci a bordo le carar
bine inglesi, i revolvera e le munizioni.
Appena montato sul ponte di comando del « Pie-
monte » Garibaldi aveva domandato al Castiglia ed al
Rossi se si erano imbarcate queste armi. Avuta risposta
negativa, sorse nella sua mente un terribile dubbio: eg^lì
fece tosto segnalare al « Lombardo » dì accostarsi e ar-
rivato a portata, con voce tonante domandò :
^- BixiOj quanti fucili e munizioni avete caricati?
— Mille fucili — rispose Bixio.
— E 1 revolvera, le carabine e le cartucce ? ri"battè
•Oari baldi.
— Null'altro, replicò Bixio.
193
Fu. un brutto colpo — Si pensò ad un basso tradi-
mento — Anche da Livorno ci dovevano venire anni
e munizioui, ma anche quelle mancarono! Garibaldi non
si perdette però d'animo — il dardo era tratto — non
era più, possibile arrestarlo.
Il «( Piemonte >, comandato da GaribEtldi in persona,
procedeva avanti. Aveva per ufficiali^ madnflri sotto gli
ordini suoi, Castiglia, Rossi, Schiaffino e Gastaldi. Con
Garibaldi erabo Criapi, Turr, Sirtoiì, Miasori, Nuvolari,
e Bandi provati e valorosi compagni.
Seguiva il « Lombardo > coraandante Bixio. secondo
comandante Elia, ufficiali Dezza, Menotti Garibaldi, e
Carlo Burattini, capo macchinista Orlando Giuseppe.
Per quanto, costeggiando, si cercassero per ogni dove
le barche con le armi e le munizioni non si presentarono
in vista; e perduta ormai la speranza di scoprirle il gè-
nierale ordinai rotta a tutta forza pel canale di Piombino.
11 <t Piemonte » ed il « Lombardo > portavano sul
loro bordo l'Italia e la sua fortuna. Se la spedizione riu-
sciva, t'unita della patria era assicurata; se falliva, i
Mille sarebbei'o sempre rimasti immortali !
La spedizione del resto non si nascondeva al ne-
mico: la pubblicità data alla lettera lasciata da Gari-
baldi a Bertani primìi della partenza, la rendeva notlv
al mondo.
Genova, 5 maggio 1860
Mio caro Bertani,
* Spinto nuovamente sulla ecena degli avvenimenti
patrii, io lascio a voi il seguente incarico.
< Raccogliere quanti mezzi sono possibUi per coa-
diuvarci nella nostra impresa.
« Proc-urare di far capire agli Italiani, che, se sa-
remo aiutati, sani fatta ri^liajp^pcp teinj>Q,e,,9Q^,poc^
194
speBa: ma che non avranno fatto il dovere loro, quandi
tìi limitassero a qualche sterile sottoscrizione.
« Che r Italia iibeni d'oggi in luogo di 200.000 sol-
dati deve armarne 500.000, numero non certamente spro-
porzionato alla popolaziofl.e, poiché tale proporzione di
soldati l'hanno gli Stati vicini, che non hanno indipen-
denza da conquistare.
« Con tale esercito l'Italia non avrà più bisogno di
padroni stranieri, che se la mangiano a poco a poco col
pretesto di liberarla.
« Che ovunque sono italiani che combattono oppres-
sori, fa bisogno sptng'ere gli animosi a dare loro aiuto e
provvederli del necessario.
» Che r insurrezione Siciliana non solo in Sicilia bi-
sogna aiutare, ma dovunque sono nemici da combattere.
*< Io non consigliai il moto della Sicilia, ma venuti
alle mani quei fratelli nostri, io ho creduto obbligo di
aiutarli.
« Il nostro grido di guerra sarà Italia e Vittorio Ema^
nude e spero, che anche questa volta, la bandiera ita-
liana non riceverà sfregio.
Vostro '■OH affetto
Q, GaribaJdi ».
M
Altra lettera iiveva già diretta il giorno innanzi al
Re Vittorio Emanuele : •
Genova, 4 maggio 1860
Sire,
« Il grido d'affanno, che dalla Sicilia arrivò alle mie
orecchie ha commosso il mio cuore e quello di alcune
centinaia dei miei vecchi compagni d'armi, lo non ho
coD3Ìp:liato il movimento insurrezionale dei miei fratelli
di Sicilia, ma dal momento che essi si sono sollevati a
nometleir unità, italiana, di cui Vostra Maestre la perso-
nificazione, contro la più infame tirannia dell'epoca nostri
195
non Ilo esitato dì roetterrai alla testa della Rpedizione.
ào bene, che m' imbarco per un' impresa pericolosa assni,
ma pongo confidenza in Dio, nel coraggio e nella devo^
zìone dei miei compag-ni.
« Il nostro g'rido di guerra sarà sempre « Viva l'U-
nità Italiana 1 « Viva Vittorio Emanuele, suo primo e
più bravo soldato ! »
« Se noi falliremo, spero cbe l' Italia e 1' Europa
liberale, non dimenticlieranno cbe questa impresa è stata
decisa per motivi puri affatto da egoismo, ed. intera-
mente patriottici.
< Se riusciremo, garò superbo di ornare la Corona
di Vostra Maestà di questo nuovo e briliautisairao gio-
iello, a condizione tuttavia, che Vostra Maestà, si oppon-
& che i di Lei consiglieri cediino questa Pro\incia allo
straniero, come hanno fatto della mia terra natale e di
quella dei Vostri Avi.
« Io non ho partecipato il mio progetto a Vostra Mae-
stà; temevo infatti, che per la reverenza cbe Le professo,
Vostra Maestà non riuscisse a persuadermi d' abbando-
narla.
« Di V. Maestà, Sire, il più devoto suddito
G. Garibaldi »
Ed all' esercito scrìveva co^ :
- Soldati Italiani,
« Per alcuni secoli, la discordia e l' indisciplina fu-
rono sorgenti di grandi sciagure per la patria nostra.
Oggi è mirabile la concordia che anima 1*^ popolazioni
tutte dalla Sicilia alle Alpi. Però di disciplina si difetta
ancora, e su di voi, che sì mirabile esempio ne deste e
di valore, essa conta per riordinarsi e compatta presen-
tarsi al cospetto di chi vuole manometterla. Non vi sban-
date dunque, o giovani, resto delle patrie battaglie ; sov-
venitevi elle anche nel settentrione abbiamo nemici e
196
fratelli schiavi — e che le popolazioni del mezzoglff^..^^
sbarazzale dai mercenari del Borbone, abbisogneraoao;
dell' ordinato vostro marziale insegnamento, per prese
tare! a maggrioh conflitti.
« Io raccomando dunque, in nome della patria r:
nascente, alia gioventù che fregia le file del prode eae
cito di non abbandonarle, ma di atritigorsi vieppiù ai
loro valoio&i ufficiuli ed a Vittorio Emanuele, la di cui
bravura non tarderà, a condurci tutti a definitiva vÌt-_
toria.
G. Garilaldi »
La mattina del 7 mag'gio ì due piroscafi andarono
ad ancorare a Talamone, a breve Eratto dal porto di
S. Stefano e della fortezza di Orbetello. Garibaldi sce
a terra, vestito da generale del 1859, ottenne dal co
mandante del luogo tutto quello che gli occorreva, li
mitatamente alla possibilità sua; cosi si ebbe un piccolo
numero di fucili ed una vecchia colubrina.
Saputo dal comandante di Talamone, che nel foitff
di Orbetello si trovava altro armamento, il generale vi
spediva il colonnello Ttlrr con una sua lettera chieden
al colonnello G-iorgini, cximandante del forte, armi e m
nizioni.
Verso sera giungeva, col Ttlrr, lo steaao comandante
dì Orbetello, il quale fatto persuaso dal TUrr che la spe-
dizione di G.-iribaldi era fatta sotto gli auspici del Ke.
aveva messo a disposizione del generale tutto quello che
di armamento si trovava nel forte, e cioè tre cannoni
da sei con 1200 cariche, alcuni fucili, cartucce, ecc.
tre cannoni due soli erano coli' affusto.
Una parte dello scopo era raggiunto, ma il gene
rale approdando a Talamone aveva in animo un disegno'
molto più alto. Il pensiero vagheggiato nel 1859 di una
invasione nello Stato Pontificio per la Cattolica non era
mai stato da lui dimenticato. Egli sperava che, data
I
te
e-
;e. I
be
ioni
D^
mfìV
197
spiata, sapendosi la Sicilia sollevata, una vasta sora-
mossii avrtìbbe messo in fiamme la Penisola tutta; per
cui, fatto chiamare n se il colonnello Zambianchi, gli
affidava rmcarjco d'invadere lo Stato Pontificio dalla
parte di Orvieto, per promuovervi la rivoluzione. A tal
uopo staccò dai mille una schiera di 60 prodi armati,
e consegnato al 2^mbianchi un manifesto pei Romani
ed un foglio d'istruzioni, gli ordinò dì prepararsi alla
partenza. Fra i tanti bravi ohe ebbero ordiJie di accom-
pagnare il Zarabianchi eranvì pure i cari compagni
Guerzoni e Pittaluga,
Prima di partire da Talamone il generale acriveva
a BertauL cosi:
Caro Bertanij
« Nella notte della nostra partenza si smarrirono
due barche che portavano le munizioni, i capellozzi,
tutte le carabine e revolvers, 230 Incili ecc. Nel giorno
seguente cercammo indarno tali barche per molte ore,
e poi proseguimmo.
« Qui abbiamo rimediato alle principali urgenze^
grazie alla buona volontà delle autorità di Orbetello e
di queste.
« Fra poco avrete altre notizie dì noi.
* Frattanto fate ritirare tutti gli oggetti suddetti.
« Con atfetto.
« Talamone, 8 maggio
Vostro: G. Garìhaldi
Poi perchè nessuno dovesse aver danno in causa
della, presa di possesso dei due vapori < Piemonte » e
< Lombarbo » mandava a Bertani la seguente lettera
da consegnarsi
14
198
Ai Signwi Direttori dei Vapori Nazionali
Signori,
« Dovendo iiiiprt-ndere un'operazione in favore d'i-
Laliani militiiiiti per la cii.»s«i della patria, di cui il go-
verno non può occuparsi per diplomatictie considerazioni,
lio dovuto impadronirmi di due vapori dell'amministra-
^iioiia dalle LL, 8S. diretti!, e larlo all'insaputa, del go-
verno s-leam e di tutti.
« lo attuai un atto di violenza: ma comunque va-
■dano le cose io spero che il mio procedimeTito sarà
kìu stili cato dalla santa CtUisa da noi .servita e che it
paese intero rorrà riconoscere come debito suo da sod-
disfare, i danni dii me recati airamniìnisti-azione.
» Quandachè non si verificassero le mie previsioni
fjull 'interessa mento della Nazione per indennizzarli, io
impegno tutto quanto esiste in danaro e materiale, ap-
jjartenente alla sottoscrizione pel milione di fucili, ac-
ciocché con questo si paghi qualunque danno, avaria, o
perdita a LL. SS. ca.gÌonata, Con tutta considerazione
G. Garibaldi.
Genova, 5 magfjio 1860.
• *
La mattina dell'S maggio, salpati da Talamone, i
ì'apori della spedizione si ancorarono nel vicino porto
■di 3, Stefano per prendervi il resto delle provvigioni
ed il carbone, ed alla sera si misero in rotta per po-
nente libeccio colla prua verso l'Africa. Fra le istru-
zioni data dal generale Tiaribaldì a Bixio. principali
erano le Rejjuenti: Seguire il « Piemonte », e se sì fosse
incontrata ijualche nave da guerra nemica, correre ad-
dosso all'arrembaggio.
Prima di lasciare Talamone venne affisso sull'albero
di maestra dei due vapori il seguente
id9
ORDINE DEL GIORNO:
Maggio 8, da. bordo del Piemonte.
« Cacciatori delle Alpil
« La missione di questo Corpo è basata sull'abne-
gazione la più. completa davanti alla rigenerazione della
patria. I prodi cacciatori servirono e serviranno il loro
paese colla devozione e disciplina dei migliori corpi mi-
litari, senz'altra speranza che quella della loro inconta-
minatji coscienza, Non gradì, non onori, non ricompense
allettarono questi bravi.
< Essi si rannicchiarono nella modestia della loro
vita privata allorché scomparve il pericolo; ma, suo-
nando di nuovo l'ora della pug-na, l'Italia li rivede an-
cora in prima fila, volenterosi e pronti a vei'sare il loro
sangue per essa.
« Il grido di guerra dei Cacciatori delle Alpi è lo
stesso che rimbombò sulle sponde del Ticino, or son do-
-dioi mesi: < Italia e Viitono Emanuele » e questo grido,
pronunziato da eroi, susciterà spavento ai oemici d'Italia,
G. Garibaldi. >
L'organizzazione del corpo era la seguente :
Stato Maggiore
Sirtori Giuseppe, capo di stjito mafirgiore, Tarr, primo
_ìùutante, Crispi, segretario di Stato, Menotti Garibaldi,
Schiaffino, aiutanti, Manin, Calvino, Maiocchi, Graz-
"KTotti, Borchetui, Bmzzesi, Cenni, Montanari, Bandi. Sta-
gnetti, ufficiali d'ordinanza.
Basso Giovanni, segretario generale.
aoo
Comandanti delle Compagnie
Nino Bbcio, comandante la 1" Compagnia
Orsini
»
o»
^
»
Stocco
»
3''
»
La Maea
»
4'
>
Anfossi
»
5"
»
Carini
»
6"
*
Cairoli
»
7'
»
Intendenza
Acerbi, Bovi, Maesìio, Bodi
Corpo Medico
Ripari, Uiulini, Boldrinì
Erano eoi Mille Talorosi compagni di altre nazioni.
Il colonnello Peui-d, il maggiore Da,wiijig, il capitano
Forbes inglesi, Deflotte, Lftcroix, Bordon. Diinaas fran-
cesi. Alcuni Talorosi ungheresi con Turr e Tuckory.
Un ordine di Garitialdi diceva :
« L'organizzazione è la stessìa dell'Esercito italiano
a cui apparteniamo, ed i gradi, dovuti al merito, sono
gli atea&i già coperti su altri campi di battaglia,
G. Garibaldi »
Prima di lasciare S. Stefano Garibaldi fece formare
un'ottava compagnia, comandante Baasini; della 2'^ fu
dato il comando a Dezza e l'Orsini ebbe il comando
dell'artiglieria.
la due giorni di viaggio nulla dì notevole accadde.
La sera dal 10 all' 11 maggio il « Piemonte » for-
zata la niacchina, comiociò a lasciarsi indietro il « Lom-
bardo > che camminava due nodi all'ora di meno, fino
a perderlo totalmente di vista, per quanto su questo si
fosse pure forzata la macchina per mantenersi vicini.
SOI
Era certo intenzione del generale Garibaldt di spin-
gersi quanto più avanti poteva^ per ecoprire il Marittimo,
prima del t^ad&re deUn notte; però se per il « Piemonte >,
che portava con sé il comandante della spedizione tutto
andava bene, non era cosi pei « Lombardo » che, per-
duto di vista il « Piemonte >, aveva perdutala sua guida,
e non sapeva quale direzione tenere. Intanto la notte
era scesa oscura, e Bixio sul ponte di comando, con
l'ansietà di chi sente una gravissima responsabilit-à pe-
sare sopra di sé, stava assieme con Elia, spiando m da
prua si scoprisse una traccia del < Piemonte ». Si era
giunti in vista del Mariiiimo ed il « Piemonte > non si
vedeva. Ad un tratto dal timoniere isi dà l'avviso^ che
un vapore era in vista dalla parte (M poppa; ed infatti dal
lato opposto a quello da dove il « Piemonte » era scom-
parso se ne scopriva uno, che si avanzava su noi gua-
dagnando rapidamente sul nostro cammino. Esso aveva,
i fanali spenti; questa precauzione (che se era necessaria
per noi, nhe volevamo passare inosservati, non poteva
ewerlo per u.tì pacchetto poiitate od alti'o ordinario vapore)
fece credere a Bixio che avevamo a fere con un naviglio
borbonico in crociera; ordinò quindi che sì desse la mag-
giore velocità alla macchina e che tutto si approntasse
per un arrembaggio, se non fosse stato possìbile evitare
■ il combattimento.
La nave che si supponeva nemica intanto si avan-
zava sempre più, il che rendeva inutile ogni sforzo per
non essere raggiunti. Bixio allora, raccomandando il si-
lenzio, tutto dispose per l'arrembaggio e, risoluto ad una
pronta ed energica azione pregava Elia di prendere egli
BtefiBO il timone per meglio dirigere l'abbordaggio. Era
jt vapore giunto a breve distanza, tutto era pronto per
dargli addosso, quando il suono della campana con cui
i! generale Garibaldi era uso comandare al timoniere U
direzione del naviglio, ed al quale Elia erasi abituato
nei passati giorni di continua sorveglianza, venne prov-
videnzialmente a colpire le sue orecchie.
marmalo, corsei
202
Lasciò Elia subito il "Hinòne ad un
sul ponte (lì comando per avvisjire Bixio che il Tapor©
che taceva forza dì macchiita per ragg'iung'ere il « Lom-
bardo » em il « Piemonte »; tanti era la fiducia che
Bizio aveva nel suo secondo, che ordinò alla macchina
di fermare per attendere l'arrivo del g-enerale; e difatti
poco appresso la voce di Garibaldi si faceva sentire nello
tenebre «: Oh capitano Bixio ! — che cosa fate ? volete.
mandarci a fondo ? »
« Q-enerale, rispondeva Bixto, vi siete allontanato e-
vi ho perduto dì vista. Vi ho creduto nave nemica &■',
manovra\/o per darvi ran'embag;,'io * — Bixio faremo
rotta per Marsala »■ — ♦; Va bene generale » — e si segui
11 « Piemonte » per ^jjiella direzione.
Verso lo nove del mattino il « Piemonte * ed i
* Lombardo » oltrepassata l'itìola Favìj,'naTia erano h
vista di Marsala, quando dalla puaKi di Mitzìiara si &co
prirODO tre legni da guerra borbonici, che si avanzavati'
rapidamente per tagliare LI cammino alla spedizione ed,
impedirle l'arrivo in quel porto in prossimità del qual'
BÌ vedevano ancorate due navi da guerra.
Bitìogoava giiiócare d' audacia e cercare ad ognf
costo di approdare. Per fortuna le due navi da guerr,
erano inglesi.
A costo di fare scoppiare le caldaie si fecero sforzi
supremi per entrare nel porto prima delle navi borbo-
niche — e vi si riuscì — Ha Piemonte » per 11 suo
minor pescaggio entrò liberamente, si accostò al mo,
al riporo dell' Antimiirale, e potè senz'altro sbarcar
Garibaldi e quanti dei Mille erano con lui,.
Il « Lombardo » invece per il suo maggiore pa
Bcaggio rimase in secco a pochi passi dalla bocca del
porto. Messa a mare lo imbarcazioni^ Bixio scese tosto
a, terra per raggiungere il generale, lasciando ad Elia
gli ordini per lo sbarco dei voloutari, delle armi e delle
munizioni,
Elia ordinò tosto a Burattini di requisire quante
203
barcazioni si trovavano nel porto^ e, giunte queste in
numero sufficiente, sì eftettuò Io sliarco con ordine e
prontezza ammirabile. Poi che ebbe presa terra anche
la parte dei Mille che erano sul * Lombardo » e furono
scaricate le munizioni e le armi, il jjt^ierale GarilmUIì
mandò ordine ad Elia di uscire dal porto, e procurare
di raggiungere Genova per mettersi a disposizione d<'l
Comitato presieduto da Bertani. Dovevasi ubbidire ! ma
mentre Elia provava di trarre dal secco il vapore, ob-
bedendo con dolore agli ordini del generale, i legni bor^
bonici presero a lanciare delle bordate : siocliè poco ap-
presso, vedendo che le navi borboniche avevano messe
a mare le imbarcazioni armate e s'avanzavano per im-
possessarsi dei nostri vapori, Elia ordinò ai marinai di
entrare nelle imbarcazioni, e fatte aprire le valvole della
macchina, perchè peuetrasse l' acqua nella stiva, e si
impedisse che il « Lombardo * cadesse preda del ce-
mieo, come avvenne poi del < Piemonte. » scekero tutti
A terra.
È bello, è doveroso il dire che fu ammirevole l'ac-
coglienza fatta agli sbarcati dalla patriottica cittadi-
nanza Marsalese. Essa accolse i Mille con esultanza.
Vecchi e giorani, uomini e donne — persone distinte
e popolani fecero a gara per usare loro ogni aorta di
gentilezze — facendo echeggiare grida di « evviva Ga-
ribaldi *.
H generale dif^pose che Missori occupasse con forza
la porta Trapani.
Bruzzesi, vestito da ufficiale dei bersaglieri, con una
pattuglia di camìcie rosse, seguito d^i Pentitóuglia già
ispettore dei telegrafi in Piemonte, ebbe ordine di oc-
cupare ì' ufficio postale e telegrafico.
Mosto, coi bravi caj'abinieri genovesi, si appiattò
nella scogliera che forioa il porto per respingere le im-
barcozioni armate distncciite dalle navi da guerra bor-
boniche mn gli l'u dato oi-dine di non tirare uu colpo.
Le truppe rimitaero scaglionate, durante la notte, » de-
stra e a sinistra della città.
Ecco il proclama che il generale G-aribaldi ìndii'iz-
zava al popolo Siciliano appena sbarcato a Marsala :
Siciliani,
« Io vi ho guidato una srhlera di prodi, accorsi
all'eroico grido della Sicilia. Resto delle battaglie lom-
barde, noi siamo con voi e non chiediamo altro che la
liberazione della vostra terra. Tutti uniti, T opera sarà
facile e breve. AH' armi dunque ; chi non impugna
un'arma è un codardo o un traditore della patria. Non
vale il pretesto della mancanza delle armi. Noi avremo
fucili, ma per ora un ferro qualunque ci basta impu-
gnato dalla destra di un valoroso.
« I Municipi provvederanno ai bimbi, alle donne
ed ai vecchi derelitti. All'armi tutti! La Sicilia inse-
gneri ancora una volta, come si liberi un paese dagli
oppressori, colla potente volontà di un popolo unito.
Ér. Garibaldi ►
Occorreva non perdere tempo, e marciare avanti
al più presto.
Garibaldi comandò quindi che all' alba dell' indo-
mani tutta, la colonna fosse pronta alla partenza, ed
infatti la mattina si mise per la via di Salerai. A Ram-
pagallo, feudo del Barone Mistretta, fu ordinato il gran-
d' aito per pernottarvi. Fu in questa prima tappa, che
ai ebbero i primi segni dell'insurrezione siciliana, per-
chè si videro con gioia arrivare le bande comandate
■dai Baroni di S. Amia, e quelle del Barone Mocarta .
Saranno stati circa ottanta uomini, armati di acluop-
petti.
Intanto fu riordinata la Legione, già ripeirtita in
otto Compagnie; si formarono ran esse due battaglioni
ai comandi di Bisio e Carini, e si organizzò coi raari-
rinai del « Piemonte » e del « Lombardo » una com-
pagnia di cannonieri, >
«
* »
Alla mattina seguente la colonna si rimetteva in
"via per Salemì, dove, dopo una marcia alquanto fati-
cosa, arrivava accolta dal marchese di Torrear&a da_
grande festa di popolo, e al suono delle cimpane e di
musica. Fu un vero delirio !
A Salemi, il generale pubblicò il Decreto seguente:
Italia e Vittorio Emanuefe
« Giuseppe Garibaldi, comandante in capo l'armata
nazionale ia Sicilia, ÌQvitato dai principali cittadini e
sulla deliberazione dei Comuni liberi dell'Isola, consi-
deraudo che in tempo di guerra è necessario che i po-
teri civili e militari sieno conceiit.rati nelle medesime
mani, decreta di prenderà la dittatura di Sicilia in nome
di Vittorio Emanuele.
Salemi, 14 maggio.
G. Garibaldi. *
Altre bande di bravi piecioiti armati di carabine
intiinto arrivavano, comandate da Giuseppe Coppola e
dal frate Pantaleo ; esse davano notizia cbe Rosolino.
Pilo e Corrao tenevano sempre la campagna e con una
mano di prodi erano nelle allure di S. Martino, domi-
nanti Monreale; si sapeva pure ohe verso Missilraeri.
raanteoevansi, asserragliati sulla montagna, il La Porta, il
Firmatui'i, il Piediscalzi, il Paternostro, e, cosa sìgnifl-
3
206
cantissiraa e per noi sorprendente, il clero faceva parte
della rivoluzione e ne era il principale iatig'aCore.
Ma il Borbone non stava inoperoso. Ordini erano
stati dati ni comando delle truppe di SieUia, per arre-
stare la marcia doi garibaldini e distruggerli.
lulatti nella notte dal U al lo hi-v^s'o Garibaldi
aveva notizia t'he il generale Landi con un corpo di
.'1000 uomini ed artiglieria maroiJtva su Calatìifimi, é
che a quella volta si era pure avviato il presidio di
Trapaai.
Le bande dei pìcciotU non erano nel numero cbe-
il generale avrebbe desiderato. Era dunque da pensare
e pensar bene se, con lo scarso numero di volontari
male armati, fosse prudente actaccarc posizioni fortissi-
me, coperte ai fiitnchi ed alle spalle e difestì da truppe
regolari armate di buone carabine e sostenute da arti-
glieria.
Non sarebbe stato più prudente consiglio tn'ncerarsì
in Salemi, occupare coi picciotti le alture circo&tanti ed
attendervi l'attacco?
Si sarebbe potuto ricevere il nemico con una ener-
gica controiTensiva e costiingerlo alla ritirata; le bande
avrebbero avuto tempo di formarsi numerose ed accor-
rere in aiuto, attaccando il nemico alle spalle.
Ma Garibaldi era impaziente di misurar&ì col ne-
mico; sentiva nell'animo che una vittoria fulminea gli
era necessaria, senza di che tutto sarebbe istato compro-
messo e, forse, tutto perduto.
Non era; dunque il caso di attendere il nemico a
Salemi; bisognava andargli incontro audacemente, rom-
perlo e sloggiarlo ad ogni costo da Calatatìmi.
E cosi fu deciso.
La posizione nella quale erausi accampati i borbo-
nici, chiamata fin dall'epoca romana « il Monte del Pianto r-
207
era forte per se stessa, perché, mentre impediva un rn-
pido jittacco, offriva validissimo riparo alin difesa.
Da Vita, villaggio che si erjje su dì un poggio ;i
cinque chilometri circa da Salenii, G-aribnldi dispose che-
le bande siciliane che sopragg-i ungevano e sì andavano
raccogliendo, si distendessero il più dìft'usamente possi-
bile Bul dorso dello colline a destra e a 'sinistra della
strada, mostrandosi pronte alla pugna. Dopo questo spìe-
fjamento Garibaldi ordinò la naarcia in avanti della co-
lonna, con la sinistra in testa.
Precedeva Carini con I' ottava compagnia cui tene-
vano dietro la settima, la sesta e la quinta;, al centro
marciava l'artiglieria i cui avantreni consistevano in
carri comuni a due mote ; poi alcuni volontari del genio,
e i marinari del Piemonte e del Lombardo. Seguiva il
battaglione Bixio con le altre quattro corapagnie.
Durante la marcia Garihaldi si spingeva in avanti
in ricognizione con alcune sue guide, avendo al fianco
il capitano Menotti suo tìglio, il capitano Schiaffino ed il
maggiore Elia, i quali non avendo voluto accettare co-
mandi, formavano la guardia del corpo del generale.
Osservata la posizione del nemico, che, colla sua linea
di cacciatori coronava l'altura del « Pianto », senza in-
dugio inviava ai suoi l' ordine di schierarsi sidle pen-
dici di Monte Pietralunga e sulla strada.
Egli aveva appena la forza di un battaglione sul
piede di guerra, e dovette disporla secondo esigeva il
terreno, lo scar&o numero dei suoi e la posizione formi-
dabile del nemico.
Stabili quindi un ordinamento profondo e rado in
linee successive ; ì Carabinieri genovesi in prima linea
dietro ripari naturali ; poi stese 1' ottava e la settima
compagnia in cacciatori colle squadriglie a brevi inter-
valli sul versante dell'avvallamento che separava la sua
90«
posizione da quella nemica, tenendole niiscoste nel grano
già alto ; in eet^onda linea stavano le altre due cojupa-
gnìe sesUi. e quinta, pure in ordine rado, quasi sul ci-
glio ; ed a rovescio del ciglio aspettiiva il battaglione di
Bixio in riserva.
Questo scili eramento si fece in ordine meraviglioso.
Da una parte e dalli' altra delle alture apparivano,
secondo l'ordine di Garibjtldi, sui verdi dossi gli insorti
siciliani, che, per entusiasmo, sparavano i loro l'udii e
mandavano alte grida di guerra, che si ripercuotevano
minacciose per le lontane campagne.
Verso il mezzogiorno parve che U nemico iiccen-
nasse ad un serio attacco- 1 suoi sostegni si avvicina-
l'ono alla linea dei cacciatori, la quale cominciò a spie-
garsi, scendendo per la costa del monte dei Pianto, Per
giungere tino a noi, doveva toccare il fondo del monte,
passare la couvalle e rimontare la china verso l'altura
di Fietralun^a. G-aribaldi avrebbe avuto grande van-
taggio neir attirare il nemico a! basso, attendendolo a
pie' fermo nella posizione occupata dai suoi ; egli sarebbe
riuscito cosi a paralizzare la superiorità delle sue armi
da fuoco e al momento opportuno, che avrebbe saputo
ben cogliere, avrebbe potuto rovesciare addosso ai bor-
bonici le forze garibaldine coli' impeto irresistibile del-
Tattacco alla baionetta. A questo intento Garibaldi ordinò
ai suoi di star tranquilli, distesi a terra e di non s.parare
alcun colpo.
Ma l'offensiva del nemico fu un lampo passeggiero
■e si arresta poco dopo iniziata; invece di un attacco a
fondo, esso si limitò a sparare qualche colpo di fucile,
le cui palle fischiavano alle orecchie dei garibaldini come
un eccitamento del quale non avevano davvero bis-ogno.
Ma non si doveva rispondere, e bisognava ancora mor-
dere il freno !
Intanto Bisio, di cui è da immaginarsi T impazienza
di venire alle mani, venne a spiegarsi a sinistra di Carini
■col suo battaglione su due linee, completando l'ordine di
209
battaglia con dmfinzì i Ciu-abinìeri Genovesi all' ala
destra; Orsini si stabiliva sulla strada colla sua luitro-
acopica artiglieria. Garibaldi con ti fianco Turr, suo primo
aiutante di campo e Sirtori capo di Stato-Magg^iore, stava
apiando le mosse del nemico per cogliere il più fug-
gevole dei momenti tattici ; che decìde sempre della
vittoria.
Vedendo che il nemico non si spingeva al desiderato
attacco, Garibaldi ordinò ni bravo trombettiere Tironi,
l'unico che si aveva, di suonare la sveglia, sperando che
questo segnale servisse a scuoterlo. L'effetto prodotto da
quel suono di tromba fu affatco contrario ; quei borbonici
che sì erano spinti un po' avanti in catena batterono
in precipitosa ritirata; e fu quello U momento in cui
Menotti Garibatdi, Sehiaffìno con la bandiera in pugno (una
bandiera a tre colorì da lui improvvisata a bordo del
Piemonte, e non già quella che la città di Montevideo
aveva donata alla Legione comandata dal generale Gari-
baldi) e VEHa sì lanciarono dietro ai fuggenti, seguiti dai
carabinieri g'enovesi che formavano la prima linea. Inse-
guendo i cacciatori del Ljindi t'uggenli, i tre garibaldini
erano assieme ad essi montati sulla banchina, fortissima
posizione del nemico : Schiaffino colla bandiera, Menotti
Garibaldi, Elia. Quello che accadde ebbe la durata di un
lampo, L' eroico Schiaffino Veniva crivellato di ferite ;
Menotti Garibaldi, vedendolo vacillare e sul punto di
cadere, afferrava la bandiera, ma veniva colpito alla
mano ; Elia che era già stato sfiorato al petto da puntate
di baionetta, con pensiero rapido e più rapidamente
eseguito, afferrava il caro amico Menotti e la bandiera
che egli teneva stretta nella mano sanguinante, e, con
lui abbracciato, si lasciava cadere al di sotto della ban-
china ; disgraziatamente l' a&ta impugnata da Menotti
venne giù dalla banchina, ma il drappo rimase sul campo
nemico.
A ridosso della banchina stavano i carabinieri ge-
novesi che riprendevano Iona per poi tornare all'assalto.
no
Caduti dall'alto i duo rì trovarono vicini al colpitane
Prosdftntì, il carissimo, il fidato amico del generale Ga-
ril>alcìi, ohe appena voiliito Elia cadutogli addosso, gli
domandava cartucee avendo egli finito le &uo. Nel vol-
rarai verso Froscianti, Elia vede il generale Garibaldi
L>he solo> col solilo sangue freddo, camminava verso la
fi)rmidabile posizione nemica vomitante fuoco e dalla
quale poteva essere distante con più di cinquanlia metri-
li pericolo che il generale correva fece correre un bri-
vido per le ossa ai presenti; ed Elia, scattando come
ima molla, sì slanciava verso di luì, gridandogli con
disperazione < Generaìe, una j>nfla che vi colga fntio è
perduto e con Voi è penhda l'unitr) della patria nostra >.
Ma egli, calmissimo, procedeva avanti con lo sguardo
rivolto alla pofiizione dalla quale t borbonici vomitavano
fuoco. Elia che camminava a fianco del generale stava
con indicibile angoscia spiando le mosse del nemico,
pronto a tutto, quando vide un cacciatore borbonico
t'irsi sull'orlo della banciuna, abbassare l'arma, e pun-
tarla sul generale. Elia provvidenzialmente ebbe il tempo
di lare un passo avanil alla persona di Garibaldi. Un
terribile colpo alla bocca lo rovesciò ed egli cadde a
terra supino; coU'aiuto del generale che si era chinato
su lui per dirgli la fatidica, aflettuosa parola « Coraggio,
mio Elia, di queste ferite non si muore •» potè volgersi
liocconi e scampare cosi l' imminente pericolo dì essere
soffocato dal sangue.
Intanto i borbonici fulminavano i nostri; in. quel
momento arrivava Bixio a spron battuto; disse a Ga-
ribaldi brevi parole: e fu inteso il generale rispondere
< No, Nino, qui si vince o si muore » e puntata la sua
spada nella direzione della formidabile posizione nemica
con voce tonante gi'idò: « Avanti, Jincora quest'assalto,
o figlioli, e la vittoria è nostra» e ordinalo si suonaase
la carica dal bravo Tironi che gli si era fatto vicino, si
slanciò per primo sull'erta, seguito da tutti i compagni
■■che non erano caduti.
211
Quel pugno d'uomini, trafelati, pe&tì, insanguinati,
--sfiniti da tre oro di corsa e di lottii, con nuova lena ri-
prenda l'ascesa micidiale rigando di nobile sangue l'erta
-terribile risoluto a vincere o morire.
Come l'eroe aveva preveduto, la vittoria fu nostra.
Incalzati dì fronte da quello stuolo di indemoniati che
parevano uscissero dalla terra, sgomenti dall'improvviso
rombo dei nostri cannoni che il Lravo Orsini era riuscito
a portai'e in linea, turliati dal clamore crescente delle
-squadre siciliane sui loro flanchì e dalla tromba del
bravo Tironi che non cessava dì suonare la carica, dispe-
rando ormai di poter vincere, voltarono le spalile, ab-
bandonando il monte tanto fieramente contrastato e non
sì arrestarono che dentro Calatafimi.
n miracolo era compiuto — la g-iornata era viuta! —
La vittoria di Calatafimi tu indiscutibilmente decisiva
per l'unità della patria « Aiuto e pronto aiuto » telegra-
fava a Palermo la stessa sera de! 15 il generale Land! ;
ma poi credette miglior partito una precipitosa rìdrata
anche da Calatafimi.
Ecco come un eroe dei mille Giuseppe Cesare Ahba,
descrìve nel suo aureo libro « Da Quarto al Volturno >
ta gloriosa giornata di Calatafimi:
* Già tutta l'erta era ingombra di caduti, ma non
si udiva un lamento. Vieino a me il iMissori, coman-
dauie delle g'uide, ooU'occhio sinistro tutto posto e in-
'Mnguinaio, pareva porgesse orecchio ai rumori che ve-
nivano dalla vetta, d'onde si udivano i battHf;lioni muo-
versi pesanti, e mille voci, come fiotti di miu-e in tem-
pesta, urlare a tratti: «Viva lo Re*.
«Frattanto i nostri arrivavano a ingrossarsi, rina-
Bcevano le forze. I capitani si aggiravano fra noi con-
212
fortandoci. Sirtoii e Bino erano venuti a cavallo fin
« Sirtori, impassibile ooUa frusta in uiìwio, pareva
non bì sentisse presente a quello sbaraglio; eppure sulla
sua faccia p»llida e i^munta io le^si qualcosa, come la
volontà di moi'ire fra tutti noi.
« Bisio eompftriva da, ogni parie, come si fosse fatto
in cento: braccio di ferro del generale. L<assù, lo rividi
vicino a lui un altro istiinte.
« — Riposate, figlioli, riposate un poco, diceva il ge-
nerale — ancora, uno sforzo e sarà finitili E Bixio lo
seguiva fra le file.
ftln quello il tenente Bandi veniva, a salutarlo li,
per cadere sfinito. Non ne poteva più. Aveva toccatf;
parecchie ferite, nm un'ultima palla gli ai era ficcata
sopra la mamtnella sinistra, e il sangue gli colava giù
a rivi. Prima che passi mezz'ora sarà morto, pensai;
ma quando le compagnie si lanciarono all'ultimo assalto,
contro quella siepe di baionette che abV)j*gliaTanó, stri-
devano, si che pareva di averle già tutte nel petto, tornai
a vedere quell'uifìciale fra i primi. « Quante anime hai?
gli gridò uno che deve essergli amico.
< E^i sorrise beato.
« lu quel momento ì regi tiravano l'ultima cannonata
fì-agelUndo a bruciapelo un Sacchi pavese; e fu da quella
parte uu grido di gioia perché il cannone era preso.
Poi corse vot^e che il general© era morto, e Menotti, fe-
rito nella destra, correva gridando e chiedendo di lui.
Elia giaceva ferito a morte; Schiaffino, il Dante da Ca
atiglione di questa guerra, era morto, e copriva co
sua grande persona la terra sanguinosa.
« Quando i nemici cominciarono a ritirarsi, protetti
dai loro cacciatori, rividi il generale che li guardava e
gioiva.
« Gli inseguimmo un tratto ; diaparvero dal campo ;
stemmo a vedere la lunga colonna salire a Calatafimì,
lassù a mezza costa del monte grigio, e perdersi ne
città. Ci pareva miracolo aver vinto.
^
213
* «
< 0 gran giorno, o immortali quelle tre ore del com-
battimento! Ha ne si fosse perduto? SI accapriccia il
cuore, immaginando Garibaldi vinto, i suoi a squadre,
a gruppi, rotti, messi in caccia, uccisi per tutt'i quella
terra da Calataflmi a Salemì, lontano, lontano ; gli ultimi
ad uno ad uno, chi qua chi là, scannati come Aere, fin
sulle rive del mure; e la testa del generale mandata a
Napoli; che la potesse vedere e finire di tremare quel
Rei Si raccapriccia. È forse l'Italia non si sarebbe fatta
mai più.
< Felici allora, ben felici i morti combattendo, che
almeno non avrebbero visto la grande tragedia.
« Ma per fortuna d'Italia la vittoria fu nostra ».
#
* •
Sgominato il nemico, conquistata Calatafini, chiave
della posizione, ormai si era padroni delle tre vie con-
ducenti a Trapani, a Castellammare, a Palermo. Ulte-
teriore resistenza non era pel momento da tendersi, ed
inutile era anche l'inseguimento da parte dei garibaldini,
perchè ad in&stidire i fuggiaschi avrebbero pensato ì
bravi insorti siciliani.
Garibaldi pensò di dare un po' di riposo ai suoi, e
volle che si passasse la notte sul conquistato campo di
battaglia. .
Le perdite nostre furono gravi rispetto al numero
esiguo che rendeva prezioso ogni individuo; bisognava
quindi aver cura dei feriti.
Trentadue dei mille rimasero sul terreno, fra i quali
Schiaffino, Montanari, Pedotti, Sartori, D'Amicis ; centot-
tantadue furono i feriti fra i quali, Menotiì Garibaldi,
Elia, Malocchi, Sirtori, Manin, Nullo, Missori, Cariolato,
Pavesi, Bandi, Martignoni, Perducca, Palizzolo, Sprovieri
15
214
Bedischini, Carbonari. Pasquìnellf, Della Torre, Della
Casa, CopeJlo il più gioviiiic dei mille, caro a tutti, ,
molti dei qimli gravemente. \
Fu miracolo die il trombettiere Tironi che segui
pìiseo passo il generale non rimanesse ferito - Gari-
baldi non se ne dimenticò — e a Palermo Io iiomiu6
sotto te ti ente.
La mattina del 16 i garibaldini entrarono a CalatarJ
fimi tra gli evviva e le acclamazioni del popolo.
Posto il quartier generale al palazzo del Comi
Garibaldi emanava il seguente ordine del giorno:
ORDINE DEL GIORNO
DOPO LA BATTAGLIA DI UALATAFEHI :
« Con compagni come voi io posso tenutre t>?ni
cosa, e ve l'ho provato ieri portandovi ad u,iia impresa
ben ardua, pel numero dei nemici e per le loro forti
posizioni.
» Io contavo sulle fatali vostre baionette, e vede-^
fite che non mi ero ingannato.
« Deplorando la dura necessità di dover combatterei
soldati italiani, noi dobbiamo conleesare che trovamraoj
una, resistenza degna di una causa migliore, e ciò coii'
ferma quanto sarem capaci di fare nel giorno in cuil
r italiana famiglia sarà serrata tutta intorno al vessillo^
di redenzione.
« Domani il continente italiano sarà parato a festa '
per la vittoria dei suoi liberi figli e dei nostii prodi si-
ciliani ; le vostre madri, le vostre amanti, superbe di
voi, usciranno nelle vie colla fronte alta e rideuEe.
*c II combattimento ci costò la vita di cari fra.telliì
morti nelle prime file; quei martiri della santa causa']
d'Italia saranno ricordati nei fasti della gloria italiana.
« Io segnalerò al nostro paese il nome de' prodi
che &i valorosamente condiisaero alla pugna
215
vani ed inesperti militi^ e cliè condurranno domani alla
vittoria, nel campo maggiore dì battaglia i militi che
-devono rompere gli ultimi anelli delle catene, con cui
fu avviata la nostra Italia cai'issiaia.
Calatafirai, 12 maggio.
G. Garil/aìdi.
Scrisse poi a Bertani la seguente lettera :
Caro Bertani,
Ieri abtiamo combattuto e vìnto. La pugna fu tra
"italiani. Solita sciagura — ma che mi provò quanto si
possa fare con questa famiglia — nel giorno che la ve-
dremo unita.
Il nemico cedette all'impeto delie baionette de' miei
vecchi Cacciatori delle Alpi vestiti in borghese; ma
combattè valorosamente — e non cedette le sue por-
zioni che dopo accanita mischia corpo a corpo.
I combattimenti da noi sostenuti in Lombardia fu-
rono certamente assai meno disputati che non fu il
^combatti mento di ieri; i soldati napolitani, avendo esau-
rite le loro cartucce, vìbravan sassi contro di noi, da
disperati.
Domani seguiremo per Alcamo ; lo spirito della po-
polazione si è fatto frenetico, ed io ne auguro molto bene
per la causa del nostro paese.
"Vi daremo presto altre notizie. Vostro :
Or. Garibaldi.
CalataSmi, 16 maggio.
P. S. Questa serve per Medici pure.
Della battag-lia di Calatafimi GnrJbaldi con parola
commossa cosi ne parlava :
« Calatafimi! Io avanzo di tante pugne — se nel
l'ultimo mio respiro i mieij vedranmi sorridere, l'ultimo
iorriso d'orgoglio — esso sarà ricordandoti ! *
216
> Tu fosti il corabiittìiDento più ^oti<wo di popolol
L'Italia non deve dimenticarlo >.
• •
Mentre Garibaldi vìnceva a Calaatfimi, il prode Ro-
Holino Hlo dai monti dì Monreale scrÌTera a Martino
Heltrnniì-Soalia chiedendogli informazioni sulle mosse di
Garibaldi, e soccorso di denaro per gli uomini delle sue
Hquadro — ma il Beltrami-^alia era scUo imprigionato
— e il valorosi.1 Rosolino ¥ììo cadeva morto in uno scon-
tro coi borbonici a S- Martino.
Pistlttte le truppe napolitane a Gilataflmi, in quel-
r eroico combattimento nel quale si decìsero le sorti del-
l'unità della patria, Garibaldi comprese che bisognava
battere il ferro finché caldo, e marciare su Palermo.
Era assai arduo aflìire, ma che cosa tratteneva più
Garibaldi?
Si trattava dì unire insieme strategia ed audacia
per assalire coi rimasti dei mille ed ì bravi picciotti,
una città che conteneva trentamila difensori, appoggiati
da una fortezza e sorretti da una squadra r^a — Ga-
ribaldi tentò il colpo.
Il 17, dopo dì avere dato incarico a Crìspi di pro-
muovere la sollevazione dei Comuni della Sicilia, mar-
ciava su Alcamo, il IS per Partinico; nel medesimo
giorno ordinava una conversione e giungeva al passo
di Renne : fianche^avano Garibaldi a ponente le bande
del Laporta, a levante quelle del La Masa, un quattro-
mila picciotti, male armati ma arditi e ben condotti. Per
sopperire alla tenuità delle forze Garibaldi giuoco di
astuzia; ordì un traneUo nel quale il nemico cadde.
II giorno 20 comandò e diresse egli stesso, una ri-
cognizione su Monreale per attirarvi il nemico, e ma-
novrò in modo da far credere che quello era il suo ob-
biettivo. Impegnato un combattimento d'avamposti, ad
un tratto fece sospendere l'attacco e si ritrasse indietro.
217
Nella notte, imperversando Una TÌolenta tempesta,
prendeva sentieri di montagna battuti solo da capre o
volg^eva a levante, lasciando Orsini con le salmerie ed
i cannoni a farsi inseguire dalle truppe borboniclie. E^li,
di sorpresa, scendeva al Parco e batteva una colonna
nemica che lo aveva assalito di fronte ; colà l' Orsini
coir artiglieria lo raggiungeva. Il 24 le truppe bor-
boniche, fiancheggiate da forti colonne di cacciatori
attaceavano i nostri. Garibaldi batteva in ritirata su
Piana de Greci mentre era già sera. Nella notte ordi-
nava ad Orsini di prendere la strada di Corleone per
attrarre le forze nemiche; egli marciava silenzioso su
Marineo, quindi la.sciava Marineo per Missilmeri e, men-
tre le truppe napolitane inseguivano quelle che crede-
vano le forze garibaldine condotte in ritirata dall' Or-
sini, Garibaldi spalleggiato dalla parte di levante dai
picchiti del 1^ Masa, si preparava a dare 1' assalto a
Palermo.
La mattina del 26, alle 4, aocompagnato da Tun-,
Bisio e Missori, andò a visitare il campo di Gibilrossa
occupato dalle squadre siciliane comandate da La Masn,
Fusa e fratelli Mastricohi, formanti un corpo di oltre
4500 uomini.
Garibaldi per avvicinarsi a Palermo aveva due
grandi strade, ad una delle quali si poteva giungere per
stretti sentieri e La Masa, pratico dei luoghi, informò
il Generale che da Gibilrossa si poteva discendere be-
nissimo calaado per quei Bentieri praticabili sino a Mez-
zagno. da dove con altro poco cammino faticoso si po-
teva trovar presto sulla strada di Porta Termini.
Garibaldi dopo brevi rifleesioni, decideva di battere
■questa via e dava ordine a Turr di fissare la marcia
per l'indomani di primo mattino. Questa veniva ordi-
nata cosi :
1* l'avanguardia comandata dal maggiore Tuki&ry,
composta di guide e di 60 volontari dei mille, scelti da
ciascuna compagnia.
218
., I 2" il battaglione Bisio coi carabinieri genovesi.
3° il ktltaglioue Cjiriiii, cacciatori delle Alpi. ,,
4'^ il corpo delle squiidre siuiliano, comandata d;
La Masa. ,■
Disposai in tal raodo la colonna, Garibaldi, fatti chia-
mare i suoi iifTìcifili suponori, i coiiiaodanti le eompa- I
gnie, e i capi delle squadriglie parlò loro cosi : « Com- H
pagni ! IJtie vio abbiamo avanci a noi: una è di ritirarci
nell'interno dell'isola facendo la piccola guerra e per „
organizzarci; l'altra é di piombare su Palermo, entrarvi, ^
accendervi la rivolta, sicuri che quest'ultima impresa
darà pyr risultato la liberazione dell'intera Sicilia. «De-
cidete' » — A « Palermo «;, tutti gridarono, — « Eb- '
beilo, elle ojjnuno taccia U suo dovere e domattina vi
saremo 1 »
Alle 3 antimeridiane del 2Ì maggio — data nierao-
jaada — Garibaldi col resto dei suoi Mille comandati dai
Tilrr, da Sircori, da Bixio, da Carini, da Cairoli, da Mis-
aori, dìv Damiani, di Tukory, da Menotti, da Mosto, da.j
Nullo, da Dezza, da aliceli, da Canzio, da Cucchi, si
quali sipeva di poter contare fino alla morte, spalle^,
giato fortemente dai jìimlotU del La, Masa e del Fuxa,
come aveva predetto, si preparava ad assalire PorjiE,
Terinlni e da quella entrare in Palermo.
Era intendimento del generale di sorprendere la pò-»
sìzLOite del Ponte deU' Ammiraglio senza colpo ferire; piom-
bare su i'orta Ttrmini, e di là spingersi al palazzo Real
dove trovavasi il Lanaa comandante in capo delle forze
borboniche col suo quai'tier generale.
TukOry colla sua avaugu;irdia procedeva in siler
zio per piecipitarsì d' improvviso sul nemico, ma i jpie-
f/ofti, tosto che videro le prime case del sobborgo,"
quasi ayessero già in mano la città, non seppero fre-
narsi, e presero a gridare Viva Garibaldi Vina V liòlia'
Sparando delle schioppettate ; cosi il piano di sorpres
.andava fallito. I regi fortemente protetti da barricate,!
che difendevano e impedivano il passaggio del Pont
da^
J
"ze
219
deirAmmiraglio, spazzavano con un turbine di mitraglia
e dì Tnoseheiteria Ja vìa che vi toiiciuceva e i campi
d'intorno: — i picchtti non ancora abituaci al fuoqo ed
ai cimenti corpo ti corpo, balenano per un momento, ma
all'esempio dei mille che nulla paventano, serrati, con-
Gordi, disprezzanti della morte &i slanciano, sperdono in
men che si dica le truppe borboniche e, come un tor-
rente impetuoso ai avventano sa Porti di Termini scac-
ciandone i nemici, vincendone la refiistenza : primi Ira
Lutti lìisio, Mitìtìori, Carini, Sirtori, Turr, Cairoli, Fusa,
La Masa; gìii erano caduti fulminati, i prodi fra i prodi,
Tucliiiry. Kocco. La Ruhsìi, Pietro Iiiserillo e Giuseppe
lo Squillo asaieme a tanti e tanti altri ch'e ebbero la
fortuna di morire per Ja libertà della patria.; ebbero fe-
rite più o meno gravi Turr, Benedetto CairoU, Enrico
Piccinini. Elatfaello Di Benedetto, Leonardo Caccioppo.
Bixio alla testa del suo bravo battaglione, coi ca-
rabiniei'i genovesi, con a fianco, Dezza, Menotti. Mosto,
Missori, Damiani, Canzio, Nullo, Carbone, Cucchi, Ca-
valli, Venzo ed altri bravi, a j^asso di corsa, con impeto
furioso, attaccano ed espugnano la barricata di Porta
Termini facendo prodigi di valore.
Bixio sopra tutti; come una furia si precipitava
dove era più forte la resi.stenza, terapesùtndo di colpi i
nemici, Anche cadde gravemente ferito; con lui fu ferito
Canaio e non poclii altri.
Forzata 1' entrata in città, i Carabinieri genovesi ed
il resto dei mille seguiti dai bravi picciotti, ai lanciarono
sui borbonici forzandoli a cedere ed a ritirarsi; nel com-
battimento dei Quattro Cantoni fino a piazza del Duomo
ed a porta Maqueda Cairoli, Cucchi, Miceli, Cavalli, Mo-
sto ed altri bravi caddero feriti ; ma i nosti'i, non ostante
le preziose perdite, procedevano impavidi dovunque e
vittoriosi.
Turr, Sirtori, benché feriti, insieme agli alcri ufficiali
di Stato maggiore si moltiplicavano, ed erano all'attacco
4òl palazzo Béiifle, erano a quello di porta Maqueda,
L
220
tagliavano le coraunicadoni tra il mare e il Castello,
mentre Dezza e Missori con un pugno del mille batte-
rano il Demico all'Albergarla.
La Loggia, e molti altri signori siciliani componenti
il Comitato insurrezionale, si cacciano fino alla Fiera-
Vecchia, penetrano nello Cliiese, salgono sui campantll,^
ed il terribile tocco delle campane a stormo chiama alle
armi tutti i cittadini. La città dei Vespri sì ridesta, si
erigono dovunque barricate ; i siciliani non vogliono es-
sere secondi ai mille, si battono con grande valore e ì
addati napoletani, incalzati da ogni parte, sono costretti
a ritirafiSi nelle caserme e nel forte dì Castellammare.
Garibaldi si spìnge fino in piazza Bologni, insedia
il suo quartier generale nel palazzo Pretorio, e di là
emana il primo suo atto dittatoriale in nome di Vittorio
Emanuele, col seguente proclama :
Siciliani !
< Il generale Garibaldi, dittatore in Sicilia a nome
di S. M. Vittorio Emanuele Re d' Italia, essendo entrato
in Palermo stamattina 27 maggio^ ed avendo occupata
tutta la città, rimanendo le truppe napoletane chiuse
nelle caserme e nel forte di Castellammare, chiama alle
armi tutti i Comuni dell' Isola, perchè corrano nella me-
tropoli al compimento della vittoria.
Dato in Palermo, oggi 27 maggio 1860.
G. Garibaldi.
•%
D 28 fu giornata nella quale la città di Palermo
sofferse orribilmente. La mitraglia fece vittime nume-
rosissime, le bombe rovinavano, incendia vano, distrug-
gevano tutto. Mentre il bombardamento infieriva con
tutti i suoi orrori, e il popolo siciliano impavido cos-
truiva barricate, Garibaldi pensava all'organizzazione
221
civile. Nominava Crispi segretario di Stato ; il Duca della
Verdura aindaco; istituiva un Comitato di difesa, pre-
sidente lo stesso della Verdura e chiamava a comporlo
1 signori Michele Mandriano, Tommaso Lo Cascio, barone
Michele Capuzzo, barone di Paterno, conte Tasca Lanza,
Rubino Emanuele e Benedetto Scidita, Pietro Messineo,
marchese Pilo, Patrìola, Girolamo Mondino, ed altri pa-
titoti, segretario Vincenzo Scimecca.
La mattina del 2!) raagg^io, i garibaldini ebbero un
rinforzo di siciliani condotti da Fardella.
Per tutto quel giorno il combattimento continuò
accanito, specialmente a Montalto ove il Laporta, il
marchese Firmaturi, il Sant'Anna, Fuxa, Rottolo, Di
Marco, Pugliesi, Alalmo, Corrao, Caruso, Oddo, guidati
da Sirtori, e da Mistìori. sostenuti dai Carabioteri geno-
vesi, fecero colle squadre dei pi-cciotti, con fermezza e
valore, 11 loro dovere. Molti furono i feriti fra i quali
il bravo tenente della Torre dei Mille.
IL generale L*iiza, che fin dal mattino aveva fatto
inutili sforzi per riprendere le posizioni perdute, vedeva
falliti tutti i tentativi per aprirsi le coraunicazioui con
Castellatnmare, fece cessare il bombardamento, durato
tre giorni e tre notti senza intervallo.
1 Consoli esteri e l'Ammiraglio inglese Mundey,
commoaai per le tante rovine e gli eccidi che da tre
giorni sterminavano la bella città, fecero dei pa&si presso
il generale Lanza perchè sì desse tregua- con un armi-
stizio a tantit eflusione di sangue cittadino e a tante
rovine; il generale borbonico acconsenti, e la mattina
del 30 spedi al Dittatore Garibaldi la lettera seguente;
Generale
« L'ammiraglio bi-itannico mi fa conoscere che ri-
cevei-ebbe con piacere al suo bordo due miei generali,
per aprire con lei una conferenza, nella quale egli ser*
vira da intermediario.
223
« La prego (armi conoscere se acconsente, e nel
caso affermntivo. permettere cho i due miei generali
passino ìa sua linea, tacendoli Ella accompagnare dal
palazzo reale, ove potrebbe mandarli n prendere, fino
iiUa tìanitti per imbarcarsi.
« In attesa di una sua risposta, ho l'onore d'essere
29 maggio 1860.
« Lanza ».
fìaribaldì acconsenti e ordinò la ceRsnzione del fuoco
disponendo che Tinterrista avesse luogo all'una pome-
ridiana. Il maggiore Cenni fu inviato alle undici e mezzo
con due guide al palazzo Keale.
Erano scorsi pochi istanti dalla partenza del Cenni,
quando veniva dato un allarme a Porta, Termini: poco
dopo incomindftvano le fucilate, ilrano Von-Mechel e
Bosco,,! quali ritornavano da Corleone, col dispetto di
essere stati giuocati per la terza volta, e di avere insor
guilo non Garibaldi coi suoi volontari, ma un tieno di
cassoni e ciuTiaggi inservibili.
■ I garibaldini non risposero al fuoco; Carini e Sir-
tori si presentarono per dare la notizia dell'armistizio
nel momento in cui il fuoco dei napoleteui era più vivo;
Carini no riportò grave ferita. Sirtori fu ferito legger-
mento. Turr, raccolti quanti uomini potè sul momento,
corse in appoggio dei nostri a Porta Termini.
In quel momento il generale borbonico Letizia. ac-
compagnato dal Ceemi traversava Toledo; saputo quaato
accadeva, si offerae di recarsi ©a'ii stesso sul luogo del
combattimento per portare ai suoi la notizia dell'armi-
stizio, e per fare cestsare il fuoco onde non si sospettasse
un tradimento- Arrivato sul luogo, impose a Von-ÌIeehel
e a Bosco di cessare da ogni anione ostile, essendo che
la tregua doveva essere rispettata da tucti.
Garibaldi all'una si recò a bordo dell' * Annibaì *
nave da guerra Inglese, nella cui sala di consiglio ebbe
luogo la conferenza e fu stipulata una tregua di 2-i
ore; che per richiesta del generale borbonico fu pro-
liiiig'ftta di altri 'tre gioriTÌ, segno evidente di resa finale.
Infatti il 6 giugno, i negoziati furoilo ripresi senza
difficoltà e questi condussero aduna convenaione, per la
quale le truppe napolitano sgoml>ravano Palermo e il
forte (ìi Castellammare per la via di mare.
Intanto le principali città dell'Isola dopo aspra lòtta
di popolo, dopo martirii, dopo saccliegg:i e strniji, come
in Catania ed altre, si erano affiMncatb a libertà, e
il 1 giugno, della Sicilia, non restìivano in iiuiuo ai bor-
bone che Messina, la cittadella di Milazzo. Augusta e
Siracusa.
Garibaldi s'insediava, col suo quartier generale e
o^l suo governo, al Palazzo Koiile, e mandava il tetm-'nte
colonnello La Porta a liberare dal forte di Castellani-
mare i patrioti imprigionati, principe Pignateili. barone
Kisso, principe Niscenii, principe di Giar din fili, mar-r
chese di S. Giovanni e Padre Ottavio Lanza.
Dopo la presa di Palermo Garibaldi avuta notizia
rhe Elia, curato con cure fraterne dai bravi medici chi-
rurgi Ripari, Lampìasi,, Cipolla, Maltese, era vivente a
Vita accolto amorevolmente in casa del patriota Sal-
vatore Romano, mandò suo figlio Menotti con incarico
di portarlo possibilmente a Palermo; ivi giunto il gene-
rale volle che fosse curato sotto ai suoi occhi e lo fece
condurre al palazzo Reale.
. I
Occorreva proTvedejre ora al necessario per non
perdere il frutto delie riuscite iaiprese.
■-'-"- i — '- ■' '■*
224
Era mestieri organizzare i corpi militari facendo
tesoro dell'entuaiiismò dei cittadini per poter far fronte
ai pericoli delle rappresaglie d'uu governo che, prossimo
a cadere, voleva segnalare i suoi ultimi giorni con atti
disperati e col sovvertimento delle tui'be e di ogni or-
dine civile.
Questi pensieri pesavano orrìbilmeute sull'animo del
dittatore, il quale trovava più difficile mettere riparo a
queste difficoltà civili ciie combattere formidabili eser-
citi borbonici.
Per riparare a questi mal) erano necessarie delle
spedizioni nell'interno dell'Iaola. affidate ai suoi fidi
compagni; ma l'eseciizioue di tali pj'O-positi gli riusciva
nel momento assolutamente impossibile. Da Genova non
arrivavano rinforzi. Anzi si avevano noLizie che due
Drtvi cariclie di volontari condotti dal mag^giore Corte
« L'Utile » e il « Chaiies tìeorgy * erano state catturate
dalla Crociera napoletana e condotte a Gaeta.
Era un vero disastro che impensieriva il Dittatore,
tanto più che si sapeva in viaggio una forte spedizione
condotta dal bravo Medici. Per fortuna questo esperto
condottiero, che aveva imparato da Garibaldi tutte le
astuzie e tutte le audacie, seppe deludere la vigilanza
della crociera napoletana, approdando inaspettato a Ca-
gliari e di là, per rotea impensata dai nemici, arrivare
alla desiderata destinazione.
Nella mattina del 2'2 g:iugno Medici sbarcava con
un reggimento completo ben vestito ed armato, tale da
fare invidia ai migliori soldati del mondo. Entrando da
Porta Ntiova veniva accolto dai Palermitani con grandi
feste. L'arrivo dì Medici con forte aiuto dì uomini e di
armi, fece si che tutte le preoccupazioni del Dittatore
fossero dissipate — Medici aveva con se il bravo co-
lonnello Malenchini eoi suoi toscani — e annunziava
l'arrivo di Cosenz.
Le forze condotte dal Medici e quelle già in arrivo
del Cosenz posero Gaiibaldi in condizione di compiere 1
suoi piani liguardo alla Sicilia, quelli cioè di scacciare
quanto rimaneva dell'esercito borbonico nelln parte o-
rientale dell'Isola, e provvedere alfordine iuceruo.
Bivise le forze in tre colonne: la prima formante
la einistni agli ordini di Medici doveva marciare per il
litorale Ano a Milazzo, ultimo obbiettivo Messinsi; la se-
conda, al centro, condotta dal Turr, per Missilmeri, Vil-
Idfrati, Alia, CalEanissetta, scopo ultimo Messina; ld,ter2a
all'estrema destro, comandatits Bixio, per Corleone, Gir-
genti, Catania, scopo Hnale Messina; così che, tuDte le
forze non avevano che un solo obbiettivo la punta del
Faro.
La marcia di queste brig-ate contribuì moitiasiino a
sisteoiiire il nuovo ordine di cose, a sollevare l'elemento
liberale ed a por freno agli insiini tentativi di disordini.
Ma questo consolidamento incontrava ostacoli perii
fatto che armi borboniche occupavano dei punti impor-
tanti dell'Isola e tenevano in soggezione tuttala regione
orientale, appoggiandoel su Milazzo e alla cittadella dì
Messina.
Il Dittatore riserbava a Medici la parte splendida
d.i liberjire questa regione dalie truppe borboniche, e
siedici, ricevuti gli ordini, a marcia forzata occupava
Bareeliona; qui\d giunto, temendo che i regi, forti in
Milazzo; tentassero un colpo per sloggiarlo, avvisava a
tutti i iiiezzi per fortiticarvisi: occupava l'interessante
poaizione del fiume Meri; muniva il ponte con duo can-
noni; distendeva le sue ali di difesa fino all'altura del
viillaggio Meri; e tutto preparava alia difesa delia sua
posizione per dare tempo all'arrivo di altri rinforai.
Le truppe borboniche cosi composte: un corpo di
236
4500 uoiiiini proveniente da Messina, altro dì 3ó00 stan-
ziato il Milazzo, erano comandato dal colonnello Botìco,
il quale si trovava in grado di dare .aspra battf^Kli^i.
Il giorno 17 lujjlio ebbe luogo un primo fatto di
anni ostinato e sanguinoso.
Medici si era fortificato presso Cariolo al fiume No-
cito, ed aveva occupata la strada di Meri e Milazzo, eri-
gendovi barricate. Bosco pensò di slog^jirlo, e con forze
preponderanti pervenne a passare oltre Carìolo il Nocito
ma ivi s'impegnò un vivissimo combattimento con la
deiitrii di Medici, gagliardamente tenuta dal reggimento
Malencliiui: tanta resistenza da questa parte poneva i
regi ITI pericolo di essere tiigliati fuori della loro linea,
per cui Boseo spinse altri battiigliani verso le barricate;
il conil>attì mento fu accanito, ma Medici per venire ad
una soluzione, lanciava contro le truppe borboiuclic un
battaglione della riserva e i nostri alla punta della ba-
ionetta ricacciavano i regi dentro Milazzo. Le truppe co-
mandate dal Malenchiui combatterono eotto gli occhi di
Medici a^ssaì valorosamente.
Il generale Garibaldi, avvisato a Palermo della re-
sistenza che incontrava Medici, s'imbarr-ava con un buon
rinforzo. Sbarcato a Patti corse innanzi solo al quartiere
generale di Medici. Vi arrivò il 19 e vi trovò anche il
Cosenz,
Calcolando jl generale che i rinforzi sbarcati a Patti
sarebbero arrivati la mattina del 20 sul luogo del com-
battimento, decise di dare battaglia e d'iurebtire iilUnziao.
La mattina del 20 alle 5 il generale Medici divideva
le sue trtippig in due colonne, ciascuna di quattro bat-
taglioni, una sotto il comando di Simonetta, l'altra sotto
quello di Malenchini.
Deciso il combattimento Garibaldi ordina che il Ma-
lenchini pei la strada di Santa Marina kì porti ad as-
227
«atire senz'altro la sìnismi del nemico; dÀ incarico al
Medici di avanzare col reggimento Simonetta e il bat-'
taglione Gaeta per la strada di San Piecro spingendosi
col centro e colla destra contro la città; affida a Nicola
Fabrìzi d'occupare con una legione di siciliani la strada
di Spadafora per -antivenire ogni sorpresa dì un' even-
tuale sortita del presidio di Messina; delibera infine che
la colonna Cosenz, già partita da Patti e rinforzata dal
battaglione Duun e da quello del Guerzoni lasciati a
guardia di Meri, formi la riserva.
Alle 5 del mattino tutti en-ino in moto: il Malen-
chini alle 7 aveva già aperto il fuoco presso San Pa-
pino; anche il Medici attaccava il nemico al di là di
San Pietro e il combattimento si accendeva accanito su
tutta la linea. I garibaldini si spingono verso Milazzo,
ina la loro sinistra, appoggiata a mare, trova tale resi-
stenza nei regi, che si erano ammassati sulla strada di
^n Fapino, e tale fuoco d'artiglieria dal forte e dalla
batteria portata dietro i canneti, che è obbligata a ri-
piegare.
Ad accrescere lo scompiglio nelle giovani schiere
dei volontari, concorse la cavalleria nemica che irruppe
furiosamente sui nostri, sbaragliandoli. Comandava questa
colonna di volontari il colonnello Malenchini che, poten-
temente coadiuvato dai suoi bravi ufficiali, faceva sforzi
eroici per riordinare i suoi e ricondurli alla pugna.
Mentre questo avveniva sull'ala sinistra, Medici spin-
geva tre dei suoi battaglioni ed uno di Carabinieri ge-
novesi verso il fiume Nocito; investiva i molini dove i
regi eransi fortificati e tentava d'impadronirsi della lingua
di terra che congiunge Milazzo con l'interno, e cosi gi-
rare alle spalle del corpo napoletano e tagliar fuori di
Milazzo il Bosco; ma anche questo tentantivo incontrava
un'enei^ica resistenza, perche il Bosco da quel lato aveva
«pinto il maggior nerbo delle sue forze; si combatteva
uno contro tre, in mezzo all'infuriare della mitraglia
€he, da dietro grandi siepi di fichi d'India, faceva strage
dei nostri.
J
238
Medici riconoscendo la gravità della situazione, da
quell'eroe che era, decide d'avventarsi contro i due cau^^
noni che facevano strage dei suoi e d'imirassessarsea^^
« Metjiio perire iiell'firrJschiata impresa, che vedere cosi
sacrilìcati i suoi soldati ». Con questo pensiero raduna
quanti più può dei suoi e si lancia in mezzo al fuoco
neniicro : nei primi passi però gli cade morto il cavallo
e al fianco suo è colpito da palla fredda il Coseiiz. che
rimane tramortito, ma riavutosi tosto, e circondato dai
suoi valorosi compagni, riprende impavido il combatti-
mento.
Garibaldi, accortosi del pericolo clie correvano
suoi cari compa^Kni, riunisce intomo a sé Mlssori, S
tella e quanti trova sotto mano è si lancia al soccorso ;
il cavallo di Garibaldi è ferito e non sente pi rt ilfreno;
il tacco di un suo stivale è portato via da una sclieggia;
é obbligato a smontare da cavallo; accanto a lui in quel
momento cade mortalmente ferito il maggiore Breda; a
Missori è pure ucciso il cavallo; anche Garibaldi vede
che per ispuntarla bisofjmara ad ogni costo impadronii'&i
dei due cannoni che fanno strage, e dà gli ordini ne-
cessari; sì lancia alla testa dei suoi: all'impeto furioso
non è possibile refaistere; i cannoni sono presi e dai_
nostri trascinati nelle linee garibaldine.
Allora la fanteria napoJitana, che in quella giornata"
combattè valorosamente, apre i suoi ranghi e dà il pa^iso
ad una furiosa carica di cavalleria che a' avventa sui
nostri come un turbine per riprendere i pezzi perduti;
le squadriglie siciliane giunte allora da Patti entrano in
combattimento e con una formidabile scarica fermano t'ini-
peto dei cavalieri; l'uiììciaieche comandava la cavalleria
èetsso pure obblig-ato ad arrestarsi ila Garibaldi clic ave-
vagli afferrato la briglia del ca^■allo ; l' ufficiale mena
un fendente, ma Garibaldi para il colpo e con meravi-
gliosa agilità e freddezza ribatte colpo con colpo e spacca
la testa al capitano: i borbonici non si danno per vinti
e da ogni parte assalgono Garibaldi; si combatte corpo a
2L^
corpo Missori sctrica quanti colpi ha nel suo revolver ed
uccide quanti tentano appressarsi al generale ; Scatella lo
difende a colpi di sciabolei, dando cogd tempo ai garibal-
dini di accorrere al soccorso. Garibaldi è salvo.
Ma.f,'li ostacoli erano insuperabili ; gì' immensi can-
neti e le boscaglie di fichi d' India sparsi su quella riva
impedivano aì garibaldini di far uso della baionetta, ter-
ribile arma loro prediletta, e favorivano i tiri dell'arti-
glieria borbonica.
Per fortuna in quel momento apparve nella rada un
vapore con bandiera italiana. Era la corvetta napoletjina
« La Veloce » che il comandante Anguissola, dando primo
l'esempio della rivolta, aveva consegnata a Garibaldi,
il quale la battezzava col nome di « TuckOry » in me-
moria del prode ma^'giore ungherese morto alla presa
di Palermo. Il generale, senza perdita di tempo, bì fa
portare a bordo, e salito sulla coffa dell' albero di trin-
chetto domina tutto il teatro di battaglia; ordina al co-
mandante d'accostarsi a tiro di mitraglia ed aì momento
opportuno fa fulmin:vre di tianco le truppe borboniche,
G ne fa tale strag-e ohe il nemico è sgominato in bre-
ve ora.
Questo felice diversivo dà tempo al Medici ed al
Cosenz di riordinare i loro battaglioni e di prepararsi
ad un decisivo assalto.
'riiribaldi scende a terra dal Tuktìry con un ma-
nipolo di marinari armati, si mette alla testa dei suoi
e riprende l' offensiva ; lutte le riserve sono impe-
gnate; il generale Fabrizi con un corpo di bravi sici-
liani si spinge a vigoroso attacco; il maggiore Guerzoni
arriva esso pure coi stioi a passo di corea; un'ultimo
disperato a.ssalto è ordinato, i canneti a sinistra, il ponte
di Cariolo di fronte, le case di destra, terribili .strette,
sono tutte superate con indicibile valore; i cacciatori
del Boseo rispondono con un fuoco Infernale e recano
ai nostri danni non Jievi ; il capitano Leardi, dopo aver
veduto cadere attorno a sé non pochi dei suoi valorosi
16
230
è ferito a morte; Corto, lo Stalella, ìl Martini, il coQte
Mftlacari, U conte BoLarelli, Cianciolo, di Leo, Vi Bella,
Sazit, tìerg:^ Scolari, Coft'er, compiono iitti eroici e sono
feriti; ed iJ Pino, il Coseuz, 1' Urbinetti e molti altri
sono pure feriti ; ma il nemico è in fuga e insieme al
nemico i ^'aribtildiiii entrano in fAiìazzo e costribgono i
borbonici a riiioliiudersi nel forte.
La battiigUa di Milazzo fu una dcHe pii!i sanguinose.
Su quattromila e Olii battenti f^afibaldini, più di set
tecento restiu'oiio huI wimpo fra morti e feriti.
Le truppe napoletane coinbatLerono con valore e
fecero paprar cara ai nostri la riportata Tittoria.
La g-iornata del 21 passò in entrambi i campì tiun^
quilla^ le nostre truppe riposarono, e quelle borbonii.'he
il 22 s' imbà-Lfcarono su tre navigli francesi per essere
trasportate a Napoli.
Dopo la presa di Milazzo anche le truppe che oc-
cupavano la cittadella di Messina si arresero. — Tutta
la Sicilia era liberata!
Il giorno 24 il generale Garibaldi riceveva una let-
di pugno di S. M. il Ro Vittorio Emanuele. In essa, dopo
alcuni preliminari, il Re scriveva cokì :
« Nel caso chf il Re di Napoli concedesse 1' eva-
cuazione completa della Sicilia dalle sue truppe, se de-
sisteBse volontà fìam ente da ogni influenza, e s'impe-
gnasse a non esercitare pressione di sorta eopra i Sici-
liani, dimodoché essi abbiano tutta la libertii di sceglioi'sì
quel Governo che a loro mef^lio piacesse, in questo caso
io credo che ciò che per noi tornerebbe più ragionevole
sarebbe di rinunziare ad ogni ulteriore impresa contro
il Regno di Xnpoli >■. '
A questa lettera G;iribhldi rispondeva come ap-
presso :
, ^^^ 231
Sire,
« La Maestà Vostra sa di quanto affetto e riverenza
io sin. penetrato per la Sua persona e quanto brami dì
ubbidirla.
« Però V. M. deve comprendere in quale imbarazzo
mi porrebbe oggi un' atitltudine passiva in faL^Pia alla
popolazìene del continente napolitano che io sono obbli-
gato di frenare da taoto tempo, ed a. cui ho promesso il
mio immediato appoggio. L' Italia mi chiederebbe conto
della mift passività, e ne deriverebbe immeuso diinno.
Al termine della mia missione io deporrò ai piedi di
Vostra Maestà l' autorità che le oircoatanze mi hanno
conferito, e sarò poi ben fortunato d'obbedire la M. V.
.per il resto della naia vita >.
Garihaidl.
Occorreva ora pensare al passaggio dello titretto ed
alla continuazione della marcia gloriosa per le Calabrie
alla capitale del Reame di Napoli..
Primo. pensiero del Duce fu quello di nominare co-
mandante militare e civile di Messina l'illustre generale
Nicola Falrizi, con suo Capo di -Stato Mag-gìore il va-
loroso Abele Damiani.
n venerando patriota Dell'imbarcarsi a Malta per la
■ Sicilia aveva portato con sé un buon numero di valo-
rosi, fra i quali PittaUiga, Guerzoni. Leardi, Soncinì,
Bandìni, Civinini, Fochi, Ferrari, Ughi, Pedani, tutti ap-
partenenti ai sessanta che il generale (iaribaldi mandava
col Zambianrhi a compiere la diversione per promuovere
la rivoluzione nello Stato pontiiicio.
11 Zamliianchi non si mostrò degno della fiducia dì
cui veniva onorato, né all'altezza della sua missione.
Per incuria che non si spiega, sì fece sorprendere
■da forze superiori papaline; i pochi uomini che egli co-
mandava, combatterono valorosamente, ma soprafaiti dal
iiumero, mancanti di direzione, dovettero riUrard-i, AI di
232
là. del confine furono fatti prigionieri da un battaglione-
di granatieri e condotti i\ Genova, Liberati s' imbarca-
rono col Corte, ma in alto mare abbordati da navi bor-
boniche vennero tratti prigionieri a Gaeta — liberati —
non stanchi della lunga odissea s' imbarcarono per Malta
e di là col generale Fabrizi rjiggiunsero la Sicilia ri-
sorta.
Il passaggio sul continente non era cosa delle piQ
facili; bisognava vincere le difflcolcà che venivano dal
mÌDÌstero in seguito alle pressioni dell' imperatore dei
francesi; bisognava inoltre deludere la vigilan2a della flotta
nemica che giorno e notte batteva il mare e sorvegliava
lo stretto ; senza contare che il Borbone, nonostante le
defezioni, poteva sempre mettere a fronte di Garibaldi
un esercito organizzato di 100 mila uomini. Era neces-
sario quindi fare uso dì quegli audaci colpi di mano»,
nei quali Garibaldi era maestro.
Infatti la sera dell'S agosto egli ordinava al colon-
nello MuasoUno, calabrese, di tentare, con un limitato
numero di volontari scelti fra i più audaci della bri-
gata Sacchi, dei bersaglieri del Bonnet, del corpo delle
guide, e condotti dai più valorosi, quali Missori, Alberto
Mario, Vincenzo Cattabeni, Nullo, Curcio, Salomone ed
altri valorosi, la sorpresa del forte Cavallo e la insur-
rezione della Calabria. La sera dopo ordinava a Salva-
tore Castiglia di sbarcare nell'Alta Fiumana con altri
arditi garibaldini.
Persuaso Garibaldi, dopo quindici giorni di vani
tentativi, della difflcoltA del passaggio dello stretto di
Messina, causa 1' esiguità delle sue forze, ed avute no-
tizie dal Bertnni che in Sardegna stavasi organizzando
una legione di circa nove mila volontari bene armati
condotti dal colonnello Pianciani e dal Nicotera [.libe-
rato da poco dall' ergaistolo della Favìgnana con altri
compagni (h Pisacjine) col proposito d'invadere lo Stato
Pontiflcio, convinto che su Roma si poteva marciare
con più sicurezza per la via di Napoli, deliberava, dì
233
portiirsi egli stesso al Golfo degli Aranci per aseìeurfirsi
il concorso dei nove mila uomiai coi quali avrebbe rad-
doppiato le 6ue forze. Si metteva perciò tosto in viaggio
ed appena iirrivato al G-oIfo degli Aranci si presentava
d'improvviso a quella gioventù, che auelava al combat-
timento ; vinse col fascino delle sue parole gli scrupoli
di qualcuno e, preao il comando di quelle truppe, le
traese seco in Sicilia.
Date le disposizioni opportune per il governo del-
risola — nominò Bepretis Prodittatore e parti per
Messina.
Prima di lasciare Palermo il Generale emanava
l'ordine del giorno seguente :
Alle Squadre Cittadine 1
« A Voi robusti e coraggiosi Agli dei campi, io dico
una parola di gratitudine in nome della patria italiana,
a Voi che tanto contribuiste alla liberazione di questa
terra, a Voi che conservaste il fuoco sacro della Ubertii
sulle vette dei vostri monti, affrontando, in poclii o male
armati, le numerose ed agguerrite falangi dei domi-
natori.
Voi potete tornare oggi alle vostre capanne colla
fronte alta, colla coscienza d' aver adempiuto ad opera
grande! Come sarà affettuoso l'amplesso delle vostre
donne inorgoglite di Voi, accogliendovi festose nei vo-
stri focolari! e Voi racconterete superbi ai vostri flgU i
perigli trascorsi nelle battiiglie per la santa causa del-
ì'Itnlia.
I vostri cìirapi, non più calpestati dal mercenario,
vi sembreranno piii belli, più ridenti. Io vi seguirò col
cuore nel tripudio delle vostre messi, delle vostre ven-
demmie, e nel giorno in cui Li fortuna mi pergiura la
occfliSione di stringere ancora le vostre destre incallite,
sia per narrare delle nostre vittorie o per debellare
su
nuovi nemici della patria, Voi avrete strstto la mano-
di un fratello. »
Palermo, 3 giugno.
G. Garibaldi.
Non si trattenne a Messina, ma trasferiva il suo
quartiere generale a Punta di Faro riunendovi le bri-
gate Medici, Cosenz e I^acchi^ dimostrando di volere
tentare il passaggio dello scretto da quel punto.
Non era che uno dpi suoi soliti stratta penimi ■ —
altro egli aveva, in mira !
IL generale Sinori per ordine di Garibaldi aveva
già assicurati due vapori, il <■ Torino » ed il « Franklin »
che faceva trovar prouti nel porto di Taorttiina. Senza
perdila di tempo, senza che alcuno ne sapesse oulla,.
come un fulmine Garibaldi ordina a Bisio che trova-
vasi a Taormina e che tanto aveva sospirato quel co-
mando, di imbarcare la sua gente e quella di Ebe-
rhardc (circa 40CK) uomini) sui due pirofìcafì. Bixio ohe
tutto aveva approntito per il passnjcgio dello Stretto,
imbiircati i suoi, monta sul * Torino * ; Garibaldi con
parte ilellu truppe e col battaglione Oliassi, taile sul
« Fritnklin ».
Nella notte del 19 di agosto, levate le ancore par-
tono per la Calabria, ed allo spuntar dell'alba del tìQ i
due vapori si accostano a Melito tra Capo dell' Armi e
Hpartivento. Disgraziatamente nel prendere terra il « To-
rino » rimaae arenato, ma non per questo venne ri-
t trdatD lo sbarco delle truppe garibaldine che fu effet-
tuato senza contrasto; solo più tardi le navi da guerra
napolitane in crociera se ne accorsero e presero a bom-
bardare il « Torino » vuoto.
Bisognava impadronii-si con un colpo di mano di
Reggio; e «enza esitare il generale Garibaldi ordina di-
muovere all'assalto, e la sera del 20 i gju-ìbaldini ri-
prendono la marcia. Ad ima certa distanza delia città
il generale ordina di obliquare a destra e per sentieri
235
remoti, evitaodo gli .ivampoeti nemici Jippostiiti sullo
stradale, e guidato dal coloiinGllo Fiutino si avvicina
ftUfl piiizai. Fatti riposare i volontari e disposto che la
divisione Disio assalisse dalla parte di clestrii e quella
di Eberhardt da sinistra, dopo forte resistenza s' impa-
droiii della citti'i ed obbligò i regi a rinchiudersi nel
castello.
A Garibaldi importava d'impossessarsi del forte, per-
che a\ev« iiTiito notizia che una grossa colonna uejnica,
comandata dal generale Briganti, marciava eii Reggio,
Fortiinntaiiiente la iioinparsa di Missorl roi suoi, reduci
dall'impresa del Forte Cavallo, fece credere ai Napole-
tani, che erano rinchiusi nel castello, di essere accer-
chiati, per cui alio prime fucihite piovute dall'albo do-
nianilarono d'arrenderai.
Il Dittatore iiicaricjiva Bixio di trattare la resa e
nomhiava Antonino Fiutino prodittatore delle Calabrie.
#%
I risultali della presa di Reggio furono di grandis-
sima importanza ; Garibaldi si rendeva padrone di buon
materiale da guerra e acquistava per base d'operazione
sul continente una piazza di grande rilievo.
La vittoria di Reggio er;i ben presto seguita da al-
ti'a pure importemcissinia e decisiva. Xella notte dal 21
al 22 il generale Cosenz, imbarcata sopra la fiottigiia
del Faro la sua divisione, i carabinieri genovesi, e la
legione esiera, riusciva ad approdare su la spiaggia ca-
labrese nelle vieinauze di Seilla, mettendosi cosi alle
spalle della forte brigati Briganti, accampata presso
San Giovanni.
Avuta notizia del fortunato sbarco di Cosenz a Scilla,
il generale Garibyjdi si mos&e senza iudugio con tutti i
suoi da Reggio, ove laseiò il colonnello Phitino con una
colonna dì patrioti calabresi, per prendere fra due fuochi
i Borbonici, comandati dal Briganti e dal Melendez.
Le mosse dei garibaldini flirono cosi ben coni'binate
ctie l'iuscirono a circuire lo forge regie, tantocJiè Gari-
baldi, serrandolo d'appresso e sicuro del fatto suo, intimò
la resa. Alloro aì videro novemila uomini d'ogni arma,
ricclii d'arti{?lieri£i e d'o;;!!! attrezzo di suerm, nbbassare
le armi, dopo debole rcBÌ^tcnzn, innanzi a ottomila ga-
ribaldini <iuasi sprovvisti di tutto. Peri!» nel breve coni-
bftitimeuto sostenuto dal Ck^senz nel prendere terra a
liagiiara nelle vicinanze di Scilla, dopo di essere sfug-
gito rairacolosaraente alla flotta borbonica in crociera,
si ebbe A deplorare una preziosissima perdita, quella
di Paul De Flotte, deputato all'Assemblea repubblicana
francese, il quale eraei unito ai Mille col Loorois, col
Dumas e con altri fr.itelli di Francia, venuti a combat-
tere per la liberta ed unità d'Italia; perditi dolorosis-
sima per tutti, ma particolarmente per Garibaldi, che
cosi ne scrisse al Bertani, in forma d'ordine del giorno
del 24 a^'osto :
« Abbiamo perduto De Flotte! gli epiteti di bravo,
di onesto, di vero democi-atico sono impotenti per espri-
mere tutto l'eroismo dì quest'anima ìncomparubile !
« De Flotte, nobile tìglio della Francia, era uno di
quegli esseri privilegiati che un sol paese non ha diritto
di approjìfìarsi : no, De Flotte appartenne all'umanità
intera; giiicché per lui la patria era ovunque un popolo
Boffereiittó e curvo si rialzava per la liberta.
« De Flotte morto per l'Italia, ha combattuto per
essa come avrebbe coinbiittuto per ta Franoia.
« Quest'uomo illujstre era un legame prezioso per
la fratellanza dei popoli che attende l'avvenire dell'U-
manità. Morto nei ranghi dei cacciatori delle Alpi, egli
era, come molti dei suoi bravi concittadini, il rappre-
sentante della geoerotìa Nazione, che sì può arrestare
uu momento, ma che é destinata a marciare in avan-
g^uardia deiremancipazione dei popoli e della civiltìi de!
mondo.
21 agosto.
G. Garibaldi.
237
Perchè questo bel nome foB«e ricordato eon onore,
il generale ordinava che la compagnia di 2ò0 francesi
Tenuti h combattere per l'ItaUca indipendenza pren
desse il nome eroico di De Flotte.
Da quel giorno lo sfacelo dell' esercito borbonico
delle Calabrie segui con rapidità crescente. Tutte le Pro-
vincie si soUeTavano precedendo le forze della rivolu-
zione, guidate da Garibaldi, La città di Potenza cacciava
le truppe che la custodivano, e la BasilicatJi rivendicava
la sua libertà. Cosenza costringeva le forze borboniche
a Capitolare ed a ritirarsi a .Salerno, con impegno di
non più combattere coniro Garibaldi. A Foggia, a Bari
le truppe fraternizzavano col popolo. Il generale Viale,
che stava a guardia, delle Termopoli di Monteleone con
12000 uomini, minacciato dall'insurrezione del popolo
e dalla sedizione delle truppe, batteva iu ritirata, abban-
donando ai garibaldini una delle più forti poaìzìoni,
chiave strategica delle Calabrie-
Delie truppe borboniche in ritirata prendeva il co-
mando il generale Ohio che sì arrestjiva a Saveria-Man-
nelli, tra Tiriolo e Cosenza, per attendere di pie fermo
il sopraggiungere dei garibaldini. Prima però che egli
arrivasse a Saveria^ le alture che la dominano, venivano
occupate dlalle brave bande calabresi di Stocco, parte
delle quali erano dirette e comandate dal valoroso pa-
iriota Antonio Taglieri, che nominato tenente passò poi
nel 2" reggimento della divisione Cosenz; cosiché il Chic
sì trovò prima dì combattere, accerchiato. Garibaldi or-
dinò tosto a tutte le truppe che lo seguivano dì conver-
gere a marcia forzata su Tiriolo, e, appena potè avere
sottomano l'avanguardia della divisione Cosenz, la lan-
ciava sulla stradji di Savoria-Mannelli, faceva calare
dallo alture le bande dello Stocco, ed intimava al ge-
nerale Chio la iTsa.
238
Questi tentò di j,'uadagiiare tempo, tnn dopo un ora
altri 13000 uomini andavano dispersi conto quelli del
generale lìriganti, lasciando libere nelle mani del Dit-
tatore tutte le Calabrie. Il generale Garibaldi annua-^
ziava la vittoria con il seguente dispaccio: « Dite
mondo die, fol miei bravi ("alnbresi lio littto depotrj
le armi ai 12000 soldati del generale Chio, e liljerat
la strada agli ultimi trionfi dell'Unità Italiana • e pn
seguiva la sua marcia trionfale per Napoli.
Tra Salerno ed Avellino circi ventimila uomini, la
più parte mnroenarii stranieri, suivano aspt'ttjindo Ga-
ribaldi, risoluti a combattere. Ma, corsa la notizia che
la rivoluzione si era propjigata ad Avellino e nel Prin-_
cipato Ulteriore, Èwiputo che il generale Cnlderelli, ci
aveva capitolato a Cosenza, era passato a Garibaldì7
anche le truppe di quel campo cominciarono a dar se-
gni di ammutinamento ; il che to'se ai eoniandnnti la
speranza di tentare un attacco con probabilità di suO;jj
cesso.
L' arrivo di queste notizie a Napoli indusse il
a ritirarsi a Gaeta: il che' fece il 6 del mese di Set-
tembre, la-sciando Napoli in tutela della Guardia Na-
zionale.
All' udire la lieta notìzia Garibaldi, presa a Vtetri
la ferrovia, gimigeva a mezzogiorno alla stazione dì
Napoli ove Liborio Romano lo riceveva, felicitandolo a
nome della cictadinanza.
Al tocco in carrozza accompagnato da Cosen/, da
Bertani, da Mìssoi'i, da Nullo o da poclii altri ufficiali
faceva il suo ingresso nella bella cittii di Napoli, passando
sotto i forti ancora occupati dalle truppe borboniche,
in mezzo a soldati nemici sparsi per le vie e fra V en-
tusiasmo del popolo scendeva alla Foresteria, palazzi-
dei governo, e ne prendeva possesso. ^|
Primo suo atto fu quello di emanare il seguente
Decreto :
239
Napoli, 7 settembre I8GO.
U Dittatore Decreta:
€ Tutti i bastimenti da guerra e mercantili appar-
tenenti allo Stato delle due Sicilie, Arsenali e materiali
di Marina, sono aggregati alla Squadra del Re Vittorio
Emanuele, comandata dall' Ammiraglio Persane ».
G. Garibaldi.
*
* »
Istituiva tosto il governo dittatoriale, nominando Cri-
spi ministro degli Esteri, Liborio Romano ministro del-
l'Interno, Cosenz ministro della Guerra, Pisanelli mini-
stro dì Grazia e Giustizia, ed al generale Turr dava il
comando di tutte le truppe stanziate a Caserta ed al
Volturno.
U 18 settembre il generale Turr, comandante le
forze al Volturno chiamava a se il suo capo di stato
maggiore e tutti i comandanti delle brigate ai suoi or-
dini ; esponeva ad essi il progetto di una ricognizione
offensiva su Capua, onde antivenire una battaglia che,
secondo notizie ricevute, i regi si apprestavano a dare
appunto nel giorno 19 dedicato a S. Gennaro, dal quale
speravano protezione e vittoria. Si doveva simulare un
attacco sul fronte di Capua, per attirarvi le forze bor-
boniche ed impedire alle medesime di portare soccorso
alla loro sinistra dove dovevano operare le colonne
di Cbudafii e di Cattabeni; dava a ciascuno dei co-
mandanti di brigata verbali istruzioni , determinanda
ad ognuno la parte che doveva prendervi ; raccoman-
dava infine ai comandanti di non esporre le truppe
oltre il limite richiesto dallo scopo cui tendeva l'azione,
cioè la simulazione di \\a attacco.
Ordinava quindi che l' azione dovesse effettuarsi
nelle prime ore del giorno seguente, 19 settembre.
240
In seguito & tale ordine i colonnelli brig:a.(iieri Span-
garo, Puppi, di Giorgia, Eber, Sacchi, La Masii, si mos-
sero sul (are del giorno del 19 al simulato attacco di
Capun.
L'attacco contro il fronte dì questa fortezza, in so-
stenuto eoa grnnde valore: colla punta della baionetta
furono siiidivti i borbonici che occupavano due cascine
sulla strada conducente agli approcci del forte e quelli
fippostat! fra l'argine delU ferrovia e la strrida poetale.
I bersaglieri milanesi^ comandati dal tenente Pe-
dotti, compirono atti di grande valore ; il tenente, caccia-
tosi coi suoi fra le fitte schiere neiniclie, corse pericolo
di essere soprafatto ; vi fu uu momento In cui fti cre-
duto perduto, ma il destino lo volle conservato alla
patria.
La mitraglia, senza interruzione vomitata dai ba-
stioni e dai forti di Capua. cagionava perdite enormi ; lo
stesso brigadiere Puppi, mentre con temerai'ìo ardi-
mento si esponeva alla tt^sta dei suoi, inseguendo il
nemico fino a 100 metri dalle controscarpe del forte ca-
deva mortalmente ferito, da eroe; assieme a lui erano
feriti mortiUmente i capitani Morani, Cozzo e Blanc.
Ormai lo scopo che il coraandiinte euperlore erasi
prefisso poteva ritenersi pienamente ottenuto, per cui
venne ordinato di retrocedere ordinatamente, e die o^ni
corpo riprendesse le proprie posizioni. Al tenente Pedotti
eoi suoi Vtersaglierl milanesi, coadiuvato dal tenente Zan-
carìni, comandante la compagnia Genio, fu dato l'arduo
incarico di sostenere e proteggere la ritirata e di trarre
in. salvo l'arti^lieriaj specialmente i pezzi che il fuoco
nemico aveva smontati.
II neraicOj appena visto che i nostri muovevano in
ritirata, bai danzosìtm ente usciva in buon numero dal
forte per inseguirli e molestarli ; ma venne arrestato
dalle punte delle baionette dei bravi bersaglieri che,
guidati dal loro comandante Pedotti e assecondati dal
3° battaglione del capitano De Claroli, lo misero in fuga.
241
It tenente Pedottì per il suo eroismo veniva propo-
fito per ]a promozione e per la croce delFOrdine Mili-
tare di Savoia,
Altri ufflciali per la loro bella condotta ebbero pure
meritate oiiorifieienae e promozioni.
11 maggiore Cattabeni, partito secondo l'ordine ri-
cevuto da Caserta alle 3 poni, del giorno 18, arrivava
a Limatola a mezzanotte e mandava il seguente rap-
porto :
Ai generale Turr.
« Mi trovo ad un terzo di miglio dalle sponde del
fiume. Mi è riuscito ottenere tre pescatori che mi ser-
viranno di guida. Da qui a Caiazzo vi sono circa 4 mi-
glia. I soldati riposano, e alle '2 e mezza riprenderò la
marcia. Ho ortlinato ai soldati dì mettere le giberne
aUestremitii del fLicile, perché troveremo un mezz'uomo
d'acquft abbondante.
« Dai rinsegnamenti avuti, in Caiazzo ci sono 600
regi, con due pezzi d'artiglieria.
« Al giungere di questo rapporto, son sicuro Caiazzo
sarà in nostro potere. Non potevamo scegliere un mi-
glior punto di questo per passAre il fiume. Alle 4 e mezza
diirò l'assalto a Caiazzo, e vedrà che i cacciatori di Bo-
logna son degni di essere sotto i suoi comandi ».
firmato G. B. Cattabeni.
E, come aveva promesso, le truppe comandate dal
C-attabeni alle b e mezza entravano a Caiazzo,
Ottenuto lo scopo della ricognizione e quello di e-
Bplorare le ibrze del nemìeo, il generale Turr esponeva
al Dittatore Garibaldi la necessità di ordinare al Catta-
beni di sgombrare Caiflzzo ; ma Garibaldi mostrava ri-
24?
pugnanza dì abbandooare una co^ bólla posiziohe : e
allora Tuit fatta comprendere la difficoltà di sostenere
con un battaglione una posizione cosi lontana, al di lÀ
di un fiume, raccomandava a Garibaldi di farla occu-
pare fortemente, e il generale dava ordini al Medici dì
mandarvi una brigata della sua divisione ; disgrazia -
tamente non si era più in tempo.
Il generale Garibaldi, visto che il Turr aveva biso-
gno di riposo, per migliorare la sua salute il 20 gli tele-
grafava cosi :
AI generale J\irr, Caserta.
*. Subito giunto Medici a Caserta incaricato dei Co-
mando, venite qui a passare qualche giorno.
Napoli 20, ore 6,50 »
G. Garibaldi.
Mentre questo avveniva nel campo garibaldino, i
borbonici preoccupiiti della perdita di Caiazzo, determi-
navano di riprenderlo immediatamente e ad ogni costo.
»
La mattina del 21 settembre sei battaglioni di cac-
ciatori regi, due squadroni di cavalleria ed una b;itteria
da campagna, sotto il comando del generale Colonna
uscivano da Capua per investire Caiazzo.
Il comandante dell' 11° battaglione garibaldino che
occupava la posizione avanzata di Monte S. Nicola, av-
visava il brigadiere Spangaro di questo movimento; uia
era troppo tardi ! I rinforzi non potevano arrivare in
tempo, solo il colonnello Vacchieri con 600 uomini potè
giungere in sussidio dal Cattabenì.
Ma che potevano fare i comandanti garibaldini con-
tro l'enorme superioritii delle forze nemichet Essi occu-
parono un Iwsco di oli^i, («irricarono le strade di Caiazzo
243
ed atte&ero di pie fermo il nemico. Si cominciò a com-
battere fuori della città ma, incalzati àxi ogni parte^ i
i,quibaldini mancanti di artiglieria, oppressi dai numeroi
abbandonarono la campajina e si ritirarono nella città
dietro le barricate, per resistere fino all'estremo. Avve-
niva allora un fatto atroce; mentre i nostri combatte-
vano alla difesa delle barricate, i reazionari li fucila-
vano alle spalle dalle case e dai tetti. Osni resistenza
diveniva impossibile, inutile; le barricate erano demolite
dal cannone borbonico, 1 garibaldini assaliti di fronte e
alle spalle; il Cattabeni cadeva ferito gravemente men-
tre incoraggiava alla resistenza ; molti altri ufficiali fe-
riti vennero fatti prigionieri; i garibaldini cercarono di
salvarsi ritirandosi, ma, incalzati dalla cavalleria, molti
rimasero buI terreno, altri si gettarono nel fiume, ove
non pochi perdettero la vita, siccbè del battaglione
Cattiibem ben pochi rientrarono in Caserta.
N
Verso la fine di settembre Garibaldi, presentendo
elle i napoletani, forti di olti'e quarantamila uomini, rin-
chiusi a Capua avrebbero fatto un supremo sfurzo per
ric.onquistare_Napoll al loro Re, aveva con un suo caldo
appello chiamato i commilitoni a raccolta chiedendo al-
ritalia nuovo aiuto d'uomini, pel compimento dei suoi
voti di libertà e d' indipendenza.
Alla chiaraiita di Garibaldi volle rispondere anche
l'Elia, che i! Prodittatore Depretis aveva mondato a Bo-
logna alle cure del professore Rizzoli. Sebbene assivi sof-
ferente e impedito di parlare, pur'egli senti il dovere di
non mancare all'appello, tiinto più che il Cenento Lanari,
superstite del battaglione Cattabeni, si offriva di accom-
pagnarlo.
Quaudo il ijenemlc vide l'Elia a Caserta Io accolse
n viva gioia ed amore, ralJegrnndosi di vedere av-
■*rata la sua profezia dei X5 raag-gio a Cfilataftmi «. Co-
344
raggioy mio Et'tit, di quénk ferite tum si muore » parole che-'
egli ai compiacque di rammentargli nvaiiti ai pret>enli de
qunrtiere generale,
Come Garibnldi aveva previsto i borbonici si ]
paravano ud Uim Aera, disperata riscosan.
Ma il generale dal canto suo noti ai sarebbe lasciat
cogliere alla sprovvista. — Egli si approntava a ricevere
il nemico come si conveniva, e prendeva il partito il
fronteggiarlo in tutti i punti, pei quali avrebbe potuto ,
sfondare e marciare su Napoli.
A questo scopo dava le sue disposizioni.
Le posizioni dell' esercito garibaldino, cominciando^
dalla sua estrema destra, cioè da Maddaloni descj'ivendo
un semicerchio erano le seguenti:
Monte Longone. Monte Caro, Caatelmorone, posta'
di prolungamento della linea ira Maddaloni e S. Leucio;
S. Leucio, Sant'Angelo, Santa Maria e San Tammaro,
le quali erano occupate cosi: ^H
Sopra Maddaloni Blsio colla sua divisione, die com^'
ponevasi delle brigate Dezza e Spiiiazzi, più la brigata
Eberhaidt della divisione Medici, con la colonna Fabrizij^B
in tutto 5Ò00 uomini circa, con 8 pozzi di artiglieria^^
A Castel raiorone, passo da Casertii a Limatola, il
battaglione Bronzetti di soli 2?0 uomini.
A S. Leucio il t;:enerate Sacchi colla sua briga
(divisione Turr) di 2500 uomini circa.
A Sant'Angelo il generale Medici con la sua divi
sioae (meno la brigata Eberhardt) e colla brigata Spa
garo (divisione Turrj. in tutto 5000 uomini circa, con ^
pezzi da campagna e il reggimento Brocchi dei genio
di 400 uomini.
A San Tammaro, estrema sinistra, il reggimento
bardella della divisione Cosenz, steso tìno alla ferrovia
di S. Maria a Capua, ove era pure una mezza batteria;
245
i reggimenti Malenchini e Laugè, sulla sti'ada ruotabìle
a destra di S. Maria, ed a sinistra verso la ferrovia la
brigata La Masa con una compagnia del genio, distesa
verso lo stradale Santa Maria-Sant' Angelo ; la batterìa
della divisione Turr a Porta Capua di S. Maria. Tutta
questa forza sotto gli ordini del generale Milbitz.
Ad Aversa il colonnello Corte con la brigata in for-
mazione.
La riserva forte di liOOO uomini circa, con 12 pezzi
di artiglieria, sotto gli ordini del generale Turr, a Caserta.
La battaglia era imminente; Garibaldi ne era certo.
H iìO di settembre aveva notato da Sant'Angelo un mo-
vimento straordinario sotto Capua, e siccome era sicuro
di aver indovinato il pensiero del suo avversario, man-
dava gli aiutanti ad avvertire i suoi Luogotenenti che
fac^sero buona guardia perchè l'indomani sarebbe av-
venuto l'attacco generale, ultimo disperato tentativo da
parte dei borboni.
Il 1" ottobre, alle 3 del mattino, il generale Garibaldi
seguito dal suo stato maggiore e dai suoi aiutanti mon-
tava in ferrovia e giungeva a 8. Maria sul far dell'alba.
Il Milbitz era giìY alle prese col generale Tabacchi in
S. Maria, e il Medici con Afan de Rivera a S. Angelo.
Il generale Tabacchi, attaccando S. Maria e tro-
vando forte resistenza di fronte da parte dei reggimenti
Lauger, Sprovieri, Corrao e La l'orta, spinse una parte
delle sue truppe a sinistra per girare la città e tagliare
le comunicazioni fra S. Maria e Sant'Angelo; ma se ne
avvide Garibaldi che ordinò alla brigata Assantì di ac-
correi-e in aiuto.
Diede pure ordine al 2" battaglione bersaglieri Li-
vornesi comandati diil maggiore .Sgarellino di spingersi
a sinistra della strada per S. Angelo, al 1" reggimento
colonnello Faziolì, ed al 2' comandato dal colonnello
Borghese di occupare il cimitero ed una casa prossima,
per tener testa all'irrompente nemico.
17.
Tutti questi oitiini rigorosamente eseguiti, sotto 11
fulmìujtre iiic^ssuite de! nemico, rafforzano la mìiiac-
clata ]Knizìone leuuta con estremo valore dal brigadiere
Mal une. ili Ili e dai suoi eroici compagni. L'attacco ftil-
mineo della brigata, Assauri e dei brarì guidati da Lau-
ger, Sprovìeri, Palizzolo, Malencbioì, La Porta, fenim lo
alancio del nemico che si riduce ad investire Santa Maria,
la cui popolazione elettrizzstii dalle calde purole dello
ftiudente Aufjusto Pierantoni prestava ogni sortii di aiuto
in sostegno dei combattenti gnrìbaldini.
Mentxe a destra ardeva cosi il Mini battimento, a San-
t'Angelo i re^ t'«i;c\ìiiio i più arditi sforzi, con te più
grandi luasee, per sfondare la linoa dei nostri e irrom-
pere su Caserta e Napoli. II Dunn. lo Spangaro, il
Simonetta, il Ferrari, il Pedoni fiicevano ^furzi eroici
per contenere ed arrestare l'impeto del nemico, ma bat-
tuti da tutti i lati dairartiglicria boi-booica, ferito il bri-
gadiere Dumi., morto il comandante del tuittairlìone Ra-
morinu, tenti i capitani Tito, Franco, ed altri, s<jno co-
stretti a dare indietro e » riparare dietro le barricate.
Il fienrialo Medici comprendeva che la p-^rdFtì dolla
fina [Kjsiziune iivrebbe avuto per fatale risultato I'occtu-
pjLzione da parte dei regi di Caserta e di Napoli. Biso-
gnava vincere ad ogni coftto: « Avanti figliuoli » egli
gridava — < moriamo tutti (jui se occorre, ma vineiamo
ip nome d'Italia e di Oarihaldi ».
« .A.vanti tutti »! — e colla decisa risoluzione di
vincere o di morii'e si mette uìl,'* testa dei sunì e, sor-
retto didla sezione d'artiglieria comandata dal tenente
Torrii.:ellÌ, si slancia conti-o il nemico, caric-ando furlosa-
meiiLonlla Iviiunettìt; cadono nella brillante cjirica il niag-
gior Cfwtellazzo, il lungntem^nte Ciipauelll e molti nitri,
ma il nemico é fermaLo e obbligato a cedere terreno.
11 generale Gnril>aldi che dalle primo ore del mat-
tino »i trovava a S. Maria, codiiilandy interamente in
Milbiiz, am veeclijo coraiKtgno di Ronm, cai aveva rac-
oomandiito di resistere e impedire ad ogni costo che le
comunicazioni tra S. Maria, e Sant'Angelo fossero tagliate,
montava in veÈtur» e, scortato dal suo stato raagg'iore,
da Missori, da Arrivabeiie, da Elia, da Basso e da al-
cune guide, 3i dirigeva verso Sant'Angelo per vedere
come findavano le cose in quel campo d'azione, die sa-
peva Srtrlaraente ìDipegnato.
La strada che da S- Maria va a Sant'Angelo era
tUlnnnata;, il generale G-arihaldi in quel momento su-
premo per le sue armi nel traversarla si trovò avvolto
in un nembo di morte; la carrozza tempestata da una
grandine di fucilate fu involta fra un nu^'oio di nemici.
Le scariche gli avevano ucciso un cavallo ed il cocchiere,
talché Griiribaldi fu costretto a balzare a terra e coi
suoi difendersi; cadevano feriti, al fianco del generale
il prode Arrivalene ed altri; il pericolo era estremo;
ma se ne avvidero i carabinieri genovesi comandati dal
Mosto, i carabinieri lombardi comandati dal Simonetta,
e il bravo capitano Fratelli comandante la 7" com-
pagnia della brigata Spangaro, i qunli tutti si slancia-
rono con tale impeto che il nemico fu in breve sbara-
gliato e posto in fuga a punta di baionetta,' e a Garibaldi
e ai suoi aperta !a via per Monte Sant'Angelo.
Ivi arrivato, trovò Medici che alla testa dei suoi
faceva eroici sforzi onde rigettare le masse borboniche ;
ma col suo occhio d'aquila il generale B' avvide che le
sommità del Monte S. Nicola erano occupate dai nemici^
i qunli per strade coperte avevano delusa la vigilanza
dei garibaldini, e girato Sant'Angelo, si erano portati
dietro la nostra lìnea, oceupasido le alture, pronti a
piombare alle spalle dei nostri,
Senza perdita di tempo il generale Garibaldi rac-
colse tutte le truppe che potè avere sotto mano e,
preso esso stesso il comando, si avviò per stretti sen-
tieri pafiBando al di sopra del nemico e d' improvviso
fatta una sola Bcitrica si precipitò sui l)orboniei che uc
rimasero schiacciati e fatti prigionieri.
Intiinto altre truppe giungevano in aiuto al Medici
^
248
condotte dal maf^g^iore Farinelli, dal maggior Morìei, dal
colonnello Simonetta, dal colonoello Ferrari, e dal co-
lonnello CunsialJa, sotto capo dello stato maggiore; con
tutte queste forze il Medici ordinava un estremo assalto
alla baioneltrt: questo fu condotto sotto gli oc-chi di (ia-
ribaldi con tale impeto irresistibile, che i borbonici fu-
rono rotti e posti in fuga lasciando numerosi prigionieri.
Quando Garibaldi si fu assicurato elio a Sant'An-
gelo per l'eroica condotta dei combattenti guidati dal
Medici^ potevasi ormai contare sulla vittoria, si diresse
dì nuovo verso 8. Maria.
Mentii accorreva in quella pai-te ove U combatti-
mento erti aspramente impegnato, il generale Turr man-
dava a Gainbaldi un suo ufficiale d' ordinanza, per far
gli noto di avere inviata parte delUi riserva a S. Maria e
parte in rinforzo a Bixio; e per chiedergli se credeva
arrivato il momento opportuno per fare entrare in com-
battiuieiito i restanti 3500 uomini che aveva disponi-
bili, Garibaldi gli rispondeva: « marciate con tutte le
forze su 3. Maria, dove mi troverete ».
Il g-eueraìe Turr non perdette un minuto — egli te-
neva pronti [ suoi — e presto fu a S. Maria ove trovò
che Milbitz faceva eroici sforzi per ribattere gli attjicchi
sempre ripotuti del nemico.
Appena ri-aribaldi vide Turr con la riserva gli disse:
« Siamo vincitori — noa occorre che r ultimo colpo de-
cisivo ».
Air imitante il generale Turr ordina alle brigata As-
santi o Milano che aveva condotte con sé di caric-ire il
nemico : Garibaldi seguito da Rilstow coi suoi usseri si
mette alla testa delle brigatt;; tutti gli altri corpi fanno a
gara per seguirlo nell'estremo cimento; Corrao, La Porta,
Pace, Palizzolo, Sprovierì, Malenchjni, Bassini, Ta&ca,
Lepore, Sgarellino ai slanciano in furioso attacco; il batta-
glione Tasca del reggimento Bassini, affronta il nemico
che erasi forlemeote trincerato nel cimitero da dove se-
minava strage sui nostri ; il primo a scalare la cinta, è il
249
Taloroso furiere Pittaluga ; il Pittaluga è seguito dalla
1* compagnift Lepore e da altre; il cimitero è preso
colla punta della baionetta e il nemico posto in fu^a;
molti rimangono prigionieri e il prode Pittaluga ti pro-
mosso sottotenente sul campo di battaglia.
Altri si avventano contro la batteria nemica e se ne
impadroniscono.
Ma non era ancora la vittoria predett^i da Gari-
baldi !
A S. Maria ancora si combatteva accanitamente.
La compagnia La Flotte teneva fermo fin dalla mat^
tina nella Cascina davanti S. Maria^ da dove cinque fu-
riosi assalti nemici non avevano potuto sloggiarla. Ma
tutti erano sfiniti.
Per fortuna il cjipitano Adamoli dello stato maggiore
portava la notìzia al generale Turr dell'arrivo della
brigata Eber; sì sentiva il vivissimo fuoco col qujile ei'ano
stille accolte le brigate guidate da Garibaldi in pei'iiona,
e Turr ordinava che Eber con la sua brigata, colla le-
gione ungherese e con la compagnia dei cacciatori esteri,
accorresse a sostegno,
11 Dittatore, sboccato sulla strada S. Angelo, era stato
accolto da fuoco violentlsiiimo sulla sua sinistra mentre
la cavalleria borbonica si slanciava alla carica, ma i
bersflglien railftnesi mandati dal Medici di scorta ed a
sostegno e guidati dal valoroso Pedotti, tcnoero testa con
una furiosa controcarim coadiuvati dalla legione unghe-
rese e misero in fuga, sbarìigiiata, la cavalleria e la fan-
terìa nemica.
Era ora di finirla; e Garibaldi manda ordine al Turr
a S. Maria, a Medici a Sant'Angelo, perchè m faccia un
ultimo supremo sforzo su tutta la linea ; Hclieiter coi
suoi usseri ungheresi, Corrao, La Porta, coi loro reg'gi-
menti; Tanara, Cucchi, Tasca, Sgarellìiio coi loro bat-
taglioni ; Pedotti e Missiroli, il pj-imo coi suoi bravi ber-
saglieri, il Bccondo coUa 1^ compagnia della brigata Sac-
chi, si lanciano in aiuto della truppe di Malenchinì e
2Ó0
del Bassini e tutti uniti sA avventano contro il nen]i«
con furiosa carìcii allii baionetta; il nemico è rotto
tulita la liuen sbandato ed in ritirata su CapuA.
La giornata del 1° ottobre fu memorabile. — In qi
fiero combattimento Garibaldi anche una volta dai
prova di grande sapienza militare : i suoi luof^-utenent
Turr, Medici, Bixio, Milbitz, La Masa, Dezza, e gli altri
tatti, si mostrarono degni di lui; i bravi garib^ildìnì dJpder^H
prove di grandissimo valore e di abnegazione. Moltis-
simi furoiio coloro che si distinsero e fra questi i ccb^_
lonnelli Borghese e Fazioli, il promosso e decorato a1^|
l'ordine di Savoia Pedottj, il tenente Carbone, il Tom-
masì che il Malenebìni promoveva capitani: a fianco d€|^J
Carbone dei Mille combattè da valoroso il furiere mag^^l
glore Coffa che veniva promosso sottoponente e Cregiaio
della modaglia. al valore militm'e ; mnetró pure grande
vs^lore il tenente Lacava che si guadagna la medagU.
al valore mUiCare.
Verino le G pom. tutta la linea di battaglia da S. Ma-
ria alle alture di S. Angelo era abbandonata diii nomici
e i garibaldini estenuati, dopo 14 ore di combattimento_
;iccanito, potevano riposarsi sul campo tanto glorios
mente difeso.
Anche da Maddaloni Bixio aveva mandata la
tizia della vittoria su tutta la sua linea.
Il cnmijatti mento fu lungo ed accanitissimo. — Eixio
aveva voluto dai suoi il giuramento che sarebbero morti
tafti al loro posto piuttosto che permettere ai borbonici
di marciare su Caserta — « Devono passare sui nostri
corpi » aveva detto e gli assalti delle truppe regie, re-
plicati ed accaniti, furono tutti con gravi perdite respim^^
ed inSne furono posti in luga. ^H
Gli atti di eroismo di Bixio, di Dezza, di Menotti
Garibaldi, degno figlio del ^adre, dei colonnelli Tadeì
1
!ntQ
1
251
Spinazai, del maggiore Boldrini che rimase gravemente
ferito, non si possono descrivere. — Il posto doveva es-
sere tenuto — là ai doveva vincere o morire — i prodi
tennero fede e vinsero.
Nei fieri combattimenti sostenuti con grande valore
e vinti colla punta della baionetta, molti si distinsero e
fra gli altri, il capitano Burattini, i tenenti Venzi, Gior^',
Taglieri e il Della Torre, proposti tutti per la promo-
zione e per la medaglia al valore militare.
E de{jiio di memoria onorata questo epico episodio.
Mentre si combatteva acciinita mente in tutta la linea a
.S. Maria, a S. Angelo ed a Miiddalonì, il inaggnoro Bron-
zetti eoli 270 dei nostri sosteneva a Castel Moirone riu'to
di 3000 boi'bonici, respingendoli in ben dieci assalti. La
inìiggior parte di quei bravi era caduta; invano gli uf-
ttcijili napoletiini eeortavauo i superstiti ad arrendersi,
facendo sapere clie tìinto valore sarebbe etato rispettato;
Pilade Bronzetti resistette entro il ca-stello tinche ebbe
cartucce, e,qnitndo queste vennero meno, i difensori di
Castel Morrone vollero morire da eroi, Stretti come un.
sol uomo, tentarono aprirsi col revolver in pugno e colla
baionetta un varco tra le migliaia di nemici; oMdero
quasi tutti lasciando di essi nome immortale ; hi ferito
a morto lo stesso eroico Bronzetti e i poL^iii rimasti ven-
nero condotti prigionieri. Fra questi eroi sacrati alla
morte, combatterono disperatamente il valorosissimo ca-
pitano Mirri, che fu ferito, ed i tenenti Matteo Renato
Imbriani, Vincenzo Migliorini, Elpidìo Mantógazza già
distintosi 0 Milazzo, i quali si guadagnarono la meda-
glia al valore militare e la promozione. Questa eroica
resistenza contribuì efficacemente alla vittoria della me-
moranda giornata: onore ai prodi!
Mentre Garibaldi co* suoi del quai"tiere generale sì
ritirava da S. Angelo, s'imbattè nei caraljìuieri geuo-
252
vesi che vollero fargli scorta, Fatto appeua Volt per
il rancio, e per un pieeolo riposo di cui tutti sentivano
il bÌKOgno, venne al tìeiieriile l'avviso che una colonna
di 5000 borbouit'i tivivavaai a Caserta vecchia, pronta
a piombare su Caserta, quartiere generale garìbaldiao.
Mandate staffette, per avvertire Sirtori che era a
Caserta, Bùcio a Maddaloni, Stocco coi suoi calabresi ad
Aversa egli cou Missoti eoi carabinieri genovesi e con
altre lorze che potè avere sotto mano, si mise subito
in marcia prendendo la via della Montagna. I nemici
si erano posti in marcia per Caiserta nulla sapendo dei
rovesci loro toccati su tutta la linea di combattimento
nel giorno innanzi, nm trovarono Sirtori con le forze
garibaldine sotto al suo comando al Quartiere Generale
(alle iiu.ilì erasi unito un battafilione di liersa^lieri sbar-
cato allora allora da nna R. Nave Itiiliana) che li rice-
vette vigorosamente, e sorpresi ai fianchi ed alle spalle
dalle forze di Gfaribaldi, di Bixio, di Stocco, dopo una
reJstenza de^nii di mig'lior causa, battuti con valore
dai nostri, fra i quali .si distìnsero come sempre il co-
lonnello Mìssorì e il Ma;2;giore Fazzari, accerchiati, dovet-
tero arrendersi e darsi prigionieri.
La vittoria det Volttinio del 1 e 2 ottobre aveva
tolto ai borbonici o^ni possibilitii di rivincita; e li aveva
costretti a rinchiudersi nelle fortezze di Capua e di fraeta.
Perù un pensiero crucciava G-aribaldi. Ksho diceva
eon gli amici nei brevi momenti di riposo al quartier
generale di Caserta: f II primo ottobre abbiamo scon-
fitto il nemioo a tal punto, che non sarà piCi in grado
di affrontiirci; ma non poyso andare a Boma, lasciando
addietro 40.000 uomini trincerati tn due fortezze: eiisi
si riprenderebbero Napoli, queindo io coi miei non fos-
simo qui a difenderla ».
A dìstorglierlo da cotali pensieri era avvenuto un
fatto politicamente assai importante.
25S
CAPITOLO XX.
Liberazione dell'Umbria e delle Marche
Castellldardo-Ancona.
Decisa l'occupazione delle Marche e dell'Umbria da
parte delle truppe Piemontesi, il Conte di Cavour ne
■dava avviso al Cardinale Antonellì con sua nota del
7 settembre 1860 uella quale si diceva:
Che il govemo Sardo era dovuto venire in quella
determinazione perche « la coscienza del Re Vittorio
Emanuele non gli permetteva di rimanersi testimone
impassibile delle sanguinose repressioni con cui le armi
dei mercenari stranieri al soldo del governo papale,
soifocherebbero nel sangue italiano ogni manifestazione
del sentimento nazionale. Niun governo ha diritto di
abbandonare all'arbitrio di una schiera di soldati di
ventura gli averi, l'onore, la vita degli abitanti di un
paese civile.
« Per questi motivi dopo aver chiesti gli ordini
di S. Maestà il Re, mio Augusto Sovrano, ho l'onore di
flìgniflcare a Vostra Eminenza che truppe del Re hanno
incarico d'impedire, in nome dell'umanità, che i corpi
mercenari pontificii reprimano colla violenza l'espres-
sione dei sentimenti delle popolazioni delle Marche e
dell'Umbria.
« Ho inoltre l'onore d'invitare Vostra Eminenza,
per i motivi sopra espressi a dare l'ordine di disarmare
e di sciogliere quei corpi, la cui esistenza è una mi-
naccia continua alla tranquillità dell'Italia.
« Nella fiducia che V. Eminenza vorrà comunicarmi
tosto le disposizioni date dal govemo di S. Santità in
proposito, ho l'onore di rinnovarle gli atti dell'alta mia
considerazione.
Firmato: C. Cavour »
254
Srio';;Iiere l'esercito al soldo pontifìcio sarebbe stato
Io stesso che aprire le porte alla rivoluzione; il governo
papale scelse la guerra.
Dopo la. giornata del 18bi) iielliv quale le truppe
pontificie comandato dal generale Schraidt espugnarono
Perugia cominettondovi fatti atrofia Cortona era divenuta
il centro dei nuovi preparativi insurrezionali nel limi-
trofo Stato romano. Emigrati perugini, come il Danzetta,
il conte Ansidei, il l^ompili ed il conte Massaniccì vi
avevano preso stanza o vi tenevano adunanze di pa-
trioti; v'interveniva anclie il fìualterio che aveva preso
parte al movimento del 27 aprile In Toscana. Questi, as-
sieme ili Diligenti, si recava a Torino dal conto dì Cavour
per sUibilire accordi per una prossima sollevazione del-
rUmbria.
Gli accordi furono questi; il Danzetta ed il Massfi-
ruoci con altri patrioti od aniìci dovevano preparare
una sollevazione nel punto die essi avessero creduto
il migliore per J'8 o 9 di settembre. II Diligenti venne
iDcaricato di intenderei eoi patrioti Toscani vicini alla
frontiera perche si riunissero in armi a Chiusi il giorno 7
e di la accorressero a prestare man forte ai sollevLìti del-
l'Umbria; il Diligenti per questo s'intese anche coi li-
berali livorne&i e tutto fu stabilito per un movimento
insurrezionale per dare motivo alle truppe italiane d'in-
tervenire.
Cento patriol;Ì dell'eroica città di Perugia, dei quali
faCòvjino parte l'Ugolini conte flaleazzo e Manni Gaetano,
uscirono dalla città, sì diressero all' osteria dell' Ei-
leia, ove trovarono ordine di recarsi a Chiusi per con-
cretare lo operazioni da farsi; durante il cammino incon-
trarono una squadra di geudanni, impegnaroTio la lotta,
ne uccisero alcuni e fecero gli altri prigionieri.
A Todi ed a Terni altri patrioti riuniti dal conte
Alceo Massarucci erano pronti pel movimento; e l'S di
Kettenibro i bravi giovani si mettevano in marcia;
erano circa 400 col Massarucci, col Theodolì Mai'io, col
Baldoni Giuseppe, e col Colaciccbi di Todi. Luoìj;o di
convegno era l'altura di AUerona; vi arrivarono alle
11 della notte del y e vi troviU'ono i volontaii condotti
iial Danzetti e dal Bruschi, A Chiusi aveva preso il co-
niando di altri 300 volontari il colonnello Masi e ne
Aveva formata la legione alla quale Aveva dato il nome
di Cacciatori del Tevere. Partito li Masi da Cliiusi si
diresBe su Città della Pieve, ove norainù un governo
provvisorio. Giungevano da Chiusi altri 150 volontari
condotti dal capitano Giuseppe Baldini. Il giorno 10 il
colonnello Masi, arrivava al convento di S* Lorenzo ove
erano atìunati i volontari dell'Umbria e prendeva il co-
mando del corpo forte di circa niiUe uomini.
Fu deciso di marciare su Orvieto e, colle intelligenze
che si avevano nell'interno, impadronirsi della città cU
notte e di aorpi'esa-
Hivise quindi le forze in due colonne, una il colon-
nello Masi la pre^ con sé e si dilesse al nord della
città dT'rvieto, con la speranza che ^ti amici interni
gli aprissero le porte come era convenuto, Taltra co-
lonna sotto il comando del capitano Liborio Salvatori
sì diresse dalla parte &ud delta città, su quel cono di
tufo alto ed in accessi bile, nel mezzo della spianata del
i|uale, sorgono le mura dell'antica Orvieto.
Erasi convenato con i liberali Orvietani che verso
la mezzanotte avrebbero fatto scendere una Kcala di
oorda ptr la quale i volontari da fuori sarebbero ascesi
sulle mura. All'ora stabilita la scala era al posto; primo
a montarvi fu il coraggio-so Delbonti'oraboiiì Giovanni
di Crevrtlcore, giA caporale dei finanzieri ponlilìci; altri
lo seguirono; nel Salire assai faticoso, di^razia volle
ehe i fucili di quei bravi urtassero e facessero rumoreì
già, il bravo Delbon tromboni stava per arrampicarsi
auUa sommità delle mura^ quando una voce giidù; < Chi
vive'? - «Ila rispofstii " Roma » segui um« detonazione che
fu siissc^nita da eiJtre; li* muiIa venne nhbiiQdoiiiitn ria
coloiM che U tenevano e i volontari che vi enino ^Iki,
sbattendo violeii temente contro il tufo, precipitarono
nel fuswiio. 11 tentaiivo era fallico e In colonna dovette
ritirarsi a S. I^renzo. ove prima del giorno facev» pur
ritorno II colonnello Masi, non essendo neanche riuBcìto
il tenwiivo dell'apertura .della porta al nord della città.
L'audace tentativo non andava perù perduto; il
giorno se^ueoifi le suloritn cittadine guidate dtil eonte
Piccolornini, assecondate dal jjopolo Orvietano tultu as-
sembr-nio, si presentavano ;il legato del Papa moi signor
Cernili ehiedendo si apiissero le porte alle truppe na-
zionali e si evitassero contlitti.
Il tlcleyato, ilnpo qualche indugio, aceordnva \i\ resa
e dttva incarico per l'esecuzione RÌla rappre^ntanza
comunale; cosi i cacciatori del Tevere entravnno in Or-
vieto dalla pcu'te della Kocca, mentre i papaliiii uè usci-
viino d-Ula porti Komaiia.
La sera del 17 settembre i aicciatori incolonnati
prendevano la via di Hagiiorea, preceduti danrdita avan-
yuardin cotnaitdatw dal tenente niarelicsc Mario Theo-
doli. Arrivarla colonnii a Hn;^iiciin^n, dopi» l)reve sostv-ì,
riprese la marcia per Cellino e MonteHasc^ne ; sì spe-
niva di arrivare al paese di Borpresa, ma a tre chilo-
metri distami alcuni uomini dell'avanguardia mandati
arami dal Theodoli ad esplorare, s'iinbatierono in uim
I>attuglia di grendarmì a cavallo; altri a piedi seguivano
da lun<;i: ^'li uomini dell 'avanscoperta aprirono il fuoco:
i cttraljiiiiei"! a piedi che si trovavano lontani si inìsero
in tuga, quelli a cavallo che erano già sopra «.i nostri
furono filiti prigionieri. Ma i fuggiti a\'UVHno dato l'al-
Uirme e la sorpresa non tu più pousilùle.
Unii compagni» di pontifici (belRi) si fece avanti
per arrestare ravanguardia dei caccinwri comandati dal
Tlu'odoli. ma i nostri, fatta una scarica, e sorretti dai
corpo del >hibi, uoproggiunto di corsji^ attaccano i belgi
257
alla baionetta, li mettono in fuga e con esai entrano a
Montefiiiscone, mentre i papalini fug'goiio cìnlla parte
opposta per la YÌadi Viterbo.
Il giorno 20 settembre la guarnis'ione poiitiflci» a-
vendo abbandonato Viterbo, una deputazione iHttadiiia
Tenìva ad invitare Masi ad entrarTi, ed alle 5 pome-
ridiane dello stesso giorno i nostri erano a Viterbo. 11
24 i cacciatori del Tevere occupavano Civitacastellana
e Corneto.
Il 2 di ottobre i cacciatori lasciata Civitacjistellana
giunsero parte a Rignano Flaminio, parce a Castelnuovo
di Porco e una colonna a Fiano Romano ; il 5 tutta
la colonna transitava sulla sinistra del Tevere e nel
pomerif^gio arrivava a Poggio MLrteto, città delle più
patriottiche.
Presavi stanza il colonnello Masi spediva il Dili-
genti ed il Maaeariicci al generale Brignone in Terni
per sapere eq poteva proseguire il suo movimento verso
Roma e qiirili erano le istruzioni del Governo.
I due patrioti venivano incaricati dal generale di
lare sapere al colonnello Masi clie ogni speranza di an-
dare a Roma era svanita e che ordine perentorio eravi
di sgombrare dal cosi detto patrimonio di S. Pietro.
Fu forza al Masi di ubbidire e 1' 8 di ottobre non
r&stava un volontario sulla sinistra del Tevere. I cac-
ciatori del Tevere isi erano ridotti a Montefiascone di-
retti per Orvieto, da dove avevano mossi i primi passi
pieni di ardire e di speranze ; il 20 doveti-ero abban-
donare anche Orvieto !
Tu seguito i cacciatori del Tevere formati in due
battaglioni, sotto gli ordini del colonnello Masi, poterono
rendere segnalati servigi al paese combattendo il bri-
gantaggio che nell'Ascolano e negli Abruzzi perpetrava
atrocitik inaudite specialmente in Collalto, segnalando-
visi in modo particolare il capitano Marchese Mario Theo-
doli che si meritava promozioni ed onorificenze; vi si di-
258
stinsero pure il tenente Giulio Silvestri ed il più gio-
vane tratello Aniiib.-ile sottotenente.
Per la Uberitzione dell'Umbria dai mercenari del
pjtpa eoiiiandatì dal fiimoso generale Schraidt, fU dato
incarico al generale Fanti, comandante del 5" corpo,
il quale formò il piano seguente ;
1" Impadronirsi di Perugia come base d' operazione;
2" Marciare su Foligno, centro delle comunicazioni
delio SÈJito pontifìcia con l'intento d'assicurare per o^ui
evenlo la congiunziune col 4" corpo, comandato dai Cial-
diiii ;
3* Da Foligno rivolgersi su Spoleto o su Ancona
secondo le mosse di Lamorìcière.
11 generale De Sonnaz con la brigala gramitieri di
Sardegna ed altre truppe sussidiarie, bersaglieri, artiglie-
ria, cavallcric'i e genio, doveva occupai-c Perugia. La
mattina del 14 settembre investiva la piazza murata t-
alle ore 9 la colonna di deatra comandata dallo stesso
generate De Sonnaz, sfondata la porta S. Antonio coi
bersaglieri in testa, comandati tiial colonnelio Pidlavicini.
entrava in città. Mentre questo avveniva a dcsti-a, i
granatieri di Sardegna a sinistra sfondata la porta SanUt
Margherita entravano essi pure trìonfauLì in Perugia,
H generale Scbmidt che si era ritirato nel ferie, alle
6 pomeridiane capitolava. Cosi per le eccellenti dispo-
sizioni tattiche dal generale De Sonnaz e pel valore
delle nostre truppe si ebbe espugnata V importantissima
piazza e 'si arrendevano prigionieri 1700 pontiflci con
sei pezzi d'artiglieria e la bandiera del 2" reggimento
estero.
259
Nelle Marche le cobo andavano cosi :
L'8 settembre Urbino insorgeva e fugati 1 gendarmi
pontifici, abbattuti gli stemmi del governo papale pro-
clamava l'unione all'Italia sotto la dinastia di .Savoia;
Fosaombrone neseguiva l'eserapio innalzando il vessillo
tricolore.
A tale notizia il generale Lamoriciére mandava or-
dine al Di Curten di ridurre a servitù le ribellate città.
Il giorno U Fossombroue veniva assalita da una forte
colonna di mercenari, i quali sorpresa la città vi rin-
novarono le scelleratezze, gli ee^Mdl che avevan già fu-
nestata la patriottica Perugia. Non ebbe ilprode Di Curten-
l'ardire di assalire Urbino, ove lo attendevano in armi i
generosi cittadini rafforzati da 800 volontai'i accorsi in
loro soccorso dalie terre vicine, risoluti all' estrema re-
sistenza.
Né, nella baldanza brutale di quell' orgia sangui-
naria, ardiva di muovere su Pergola che erasi pure sol-
levatii con grande entusiasmo e si sosteneva con vigoroso
ardiineuCo, isjjirato dall'esempio diii patrioti Fulvi Giu-
seppe. G. Batt. Jonni e Aseanio G-inevri^
Per tutta le Marche il Lamnriciure aveva ftitto pro-
proclamare lo stato d' assedio e le scorazzava terroriz-
zando le pDpolnzloui con atti feroci.
Al Ciiddini, con la 4" e la 7"^ divisione, a cui il go-
verno del Re aveva dato l'incarico di liberai'e le Marche
da tanto lifigellOj era imposto il dovere di accelerare le
suo mosse per cogliere il nemico disseminato e scod-
flggerlo prima che avesse. potuto raccogliersi.
Il mezzogiorno dell' 11 settembre una brigata di ca*
valleria comandata dal maggior generale Griflìiii e due
battaglioni di bersaglieri, divorata la via, accerchiavano
la cittii di Pesaro.
Il Cialdini mandava un parlameutiirio coli' intimi-
260
zione della resa, ma essendo stata questa respinta, l'ar-
tiglierìa, che appena arrivata aveva preso poàizione,
apriva il fuoco contro porta Rimini e porta Cappuccini.
Dopo un'ora di cannoneggi adonto i nostri bravi bersa-
glieri entravano in eittó per le porte Bfondnte.
La guartiife'ìoLe mercenaria erasi riparata nel forte
coir intendimento di resistere; ma il g:iorno di poi dopo
un vivaoìssimo fii-ico della nostra artiglieria piazzata sul
colle di Loreto, inalberava baudiera bianca e si arrendeva
a discrezione.
11 giorno 12 i nostri s'inipadranirono di P'ano e la
mattina del 13 ripresero la marcia per Ancona.
D 14 si volle dare un po' di nposoalle truppe a Seni-
gallia, ma, saputosi che la colonna del generale Di Ciu'ten
si trovava sulle alture di 8. An^^elo, :I bravo generale
Leotardi ordinava a! brigadiere Avogadro di Casanova di
muovere subito ad attaccarla e questi, con due batta-
glioni della brigata Bergamo e eoi lancieri di Milano,
verso le 2 pomeridiane assaliva il nemico vigorosamente
e lo sbaragliava, facendo buon numero dì prigionieri.
Nella notte del 14 il generale Cìaldini veniva infor-
mato che il generale Lanioricière sì dirigeva per la Valle
del Cliienti a marcie forzate verso Ancona con circa
4000 uomini e che era seguito, ad un giorno di distanza,
dal general Pimodan eoìla S'* brigata di circa 5CHX) uojuini;
gli si riferiva pure che il Lamorituère avrebbe passata 1»
notte del li> Macerata.
D.1 Macerata per Ancona il Ijimorìoière poteva per-
correre tre strade; la 1^ più breve e più direita, di-
scende in Val di Potenza, passa questo fiume, sale a
Monte Caseìaito e per Monte Floi'e procede per Osinio e
di là ad Aiieona; la '2^ che, dopo passato il iìume Potenza
segue il versante a maestro di questa valle mette a Re-
canati, Side a Loreto e per la Valle di Musone va alle
Crocette di Castelfìdardo e ad Ancoua; la 3' acgue la
cresta delle colline fra Potenza e Chienti, per Monte
Lupone e Monte Santo sbocca alla spiaggia, varca il
261
fiume Potenza presso la foce, viene a Porto Recanati e
per Cameraito Ta ad Ancona.
Il generale Cialdini al mattino del \(\ fece occupare
un'eccellente posizione fra Osimo e Jesi spingendosi fino
Castel fìdardo.
Per ti'arre in inganno il Lamoricière sulle sue in-
tenzioni, il Cialdini mandava, nel cuore della notte del
15 uno squadrone di lancieri a Filottrano, con incarico
di ordiDare perentoriamente pel mattino seguente 24,000
razioni di pane per l'esercito, il quale doveva attraver-
sare il paese diretto per Macerata. Invece, nella stessa
notte, ì due l>attaglÌoni 11" e 16" che colla brigata Como
avevano occupato Torre di Iesi, si poruivano a passo
accelerato, accompagnati da una sezione d'artiglieria, ad
cccupare la forte posizione di Osimo.
Il Lamoricière arrivò il lo a Macerata ed il 16 a
Loreto, ove il 17 lo raggiunse la colonna Pimodnn.
Soltanto il Musone separava i due eserciti ; il ge-
nerale Cialdini aveva dovuto disporre le sue truppe in
modo da oppoi-si contemporaneamente a due attacchi,
converjjenti ma provenienti da direàoni opposte, e cioè
da Loreto e da Ancona. A tale intento, aveva occupate
le colline che dividono il Musone dall'Esine, e sì pro-
tendono digradando verso il mare fin presso la con-
fluenza dei fiumi. L' ordine di battaglia delle truppe
italiane aveva quindi due fronti, l'uno rivolto al nord,
verso Ancona e disteso dal ponte delle Ranocchie, per
S. Biagio, la Badia e San Rocchetto, alle Crocette: l'altro,
rivolto al sud, verso Loreto, dalle Crocette, per Cam-
panari, CastelHdardo, S. Solino ad Osimo. Quest'ultimo
era il più forte, come pili potente era il capo pontificio
al quale doveva opporsi.
La sera del 17 e nella notte le truppe italiane pren-
devano posto nell'ordine che segue al fronte Sud,
A sud del villaggio delle Crocette, di fronte ai ponti
di Loreto prendeva posta la 4" batteria dell' 6° r.'ggi-
mento; più innanzi presso al poggio che sovrasta aÀ ca-
ie
262
seiniili riei Cjimpniiarì, la 2' batteria de] 5" reggimento
artiglieria; tra le due batterie I primi tre batlagUoni
del 26° reggimento fanteria. La brigata Regimi in ri-
serva aJ oceidente dello Crocoite.
A uielà strada fra Loreto e Castelfldardo la fi" bat-
teria di obici del ó" reg'giniento iirtiglieria, e sulla destra
di essa una sezione della iS' batteria del ó° reggimento.
Davanti ivirartiglieria i tre primi batteiglioni del :^ó" reg-
giiiieiitu fanteria, fronte ai ponti di Loreto. Il quarto
iiattasliono in Castel fi dardo-
In fivanxata al ponte del Molino sul Vallato l'ir
e 12" battaglione bersaglieri con due pezzi coperti della
fi* batterin. AIU S. Ciìao. dt sopra il '26" bntta^lioae dei
bersaglieri.
In oaaervaziotie 1 reggimenti lancieri di Milano e
di Vittorio Emanuele (3 squadroni) a, monte dei ponti
di Loreto sul Musone e sul Vallato; tre squadroni del
reggimento lancieri di Novara nella sezione pianeggiante
davanti ai Campannari.
Era dato ordine che all'alba del 18 it 26° battaglione
bersaglieri che occupava la 8. Casa di aopra avesse oc-
cupato anche la S. Casa di sotto: che il 12° bersaglieri
rinforzasse le vedette e le pattuglie tra il ponte del Mo'
lino e la costa. Il colonnello Piola Caselli, scortalo dai
riparti dell' ll'^ e 12" battaglione bersaglieri, avesse re-
ificato durante la notte del 18 la posizione degli avam-
posti al Musone, riconoscendone i guadi.
•\
Obbiettivo del generale Lamoricière era di raggiun-
gere Ancomi checché dovesse costare.
Esclusa l'idea di un attacco delle colline tra Castel-
fidardo e le Crocette, doveva ad ogni costo cercare di
guadagnare la via del monte d'Ancona che si di:^t;icca
da porto Kecanali, guada il Musone e per sentieri ira-
Tersi, sale per Umana, Sirolo, Massignano o Poggio ad
Ancona rasente alla ripa che scende al mare. E poiché
j^ritnliani avevano lasciati sguerniti alcuin passaggi piii
a monte che pure iiddueono alla via suddetta per An-
cona, decise di approfittarne facendo marciare le truppe
su larga fronte col fermo intent;o di raggiungere quel-
L'unica via che egli aveva di salvezza anche a costo dei
pili grandi sacrifizi.
■Come all'ordine ricevuto fin dall'alba il capitano Bar-
TDavarft comandante del 26° battaglione di bersaglieri,
aveva spinta la 101" compagnia (capitano Fescia) ad oc-
-cupare lit S. Casa di sotto. Più a ViUle l' il" bersaglieri
aveva una compagnia (44') oltre il confluente dell'Aspi».
Un gruppo di bersfigiieri della 101" compagnia si
-era posto alle vedette presso alle case Arenici, coperto
dagli alberi e dai cannetti. All'improvviso tra le fitte
cotture, apparvero sei compagnie di carabinieri svizzeri;
i bersaglieri diedero l'allarme e bì ripiegarono sugli ar-
gini, ove la 47" compagnia si sostenne; l.i lOl" compa-
gnia lasciata la S. Casa di sotto accorse in rinforzo.
Il Lamoricèire fissato il suo piano di rap'giungere
Ancona per la via di Monte Conerò aveva diviso le sue
forze in due corpi. Aveva affidato al generale Pimodan
il comando della colonna sinistra forte dì oltre 4000 uo-
mini reputati assai valorosi.
Aveva preso con se la seconda colonna di 35C0
uomini circa, parco d' artiglieria, riparti d' Iihindesi, di
gendarmi a cavallo e di guide. L' ordine di combatti-
mento era il seguente:
Il generale Pimodan doveva passare il guado ed
attaccnre con azione subitanea la .S. Cnea di sotto, sta-
tiilirvisi solidamente, e con un cambiamento di fronte'»
sinistra slanciarsi all' attacco della S. Casa dì sopra,
mentre la colonna comandata dal generala in capo do-
"veva seguire a rincalzo, datergo e da fianco.
264
I cambinieri Svìzzeri, come si è detto iniziavano l'at-
tacco; dopo le prime fucilate intorao alle case Arenici,
ai lanciarono al guado di gran corsii, lo attraversarono
con furia e giunsero a fare fitta aiepe couiro gli argini
della sponda sinistra del Musone. Alle sei compagnie di
Carabinieri, tenevano dietro, il 1" battaglione di ctic-
cifttori indigeni, ed il l** batlagUone tir^liori ù-ancso-
be!gi, tiiiei yntto gli ordini dei colonnello Corbucoi. Se-
guivano le truppe suddette, una sezione d' artiglieria, e
il 2" battaglione cacciatori indigeni; il 2" battaglione
di bersiìglieri Austriaci veniva di riserva.
Sulla dighe, tra 1 cannetti la miscliia divampa fu-
riosa.
I carabinieri Svizzeri si lanciarono contro la S. Casa
di sotto seguiti da tutti gli altri battaglioaì e dai due
pezzi.
Benché colti da quella tempesta di moschetteria dei
battas]Ìoni pontifici, prima dagli argini, poi sul fianco-
e sul tergo dalle macchie folte di canneti, i bersaglieri
della 4T e 101* compagnia contrattaccaroiio vigorosa-
mente alla baignefcca. Soverchiati, travolti dall' onda cre-
scente dei nemici che li avviluppavano da ogni parte,
tra le insìdie di quel terreno diffìcile, i bersaglieri con-
tinuano pertinacemente nella lotta con gravi perdite;
il capitano Della Casa cadeva alla testa dei suoi ; la 47"
compagnia cominciò a ripiegarsi a gruppi in direzione
del 12" battaglione, e la 101" compagnia ei ritrasse alla.
S. Casa di sotto, guarnì il fosso e s" apparecchiò a di-
fenderla.
Frattanto le rimaneati tre compagnie del 26" bat-
taglione erano discese dalla S. Casa di sopra in rinforzo
per impedire l'avvolgimeiito verso le caccine Seranello
di- Mirano. La 104" compagnia (capitano Nullo) ai lan-
cia con impeto da quella parte, a baionette spianate ;
i due cannoni pontifici stavano già. per essere collocati in
batteria al di là della S. Casa di sotto, i nostri bersaglieri
si avventano addosso ai cannonieri irlandesi rincalcati
_ 265
■da una coinpagnia di carabinieri avizzi^ri che il gene-
Tale Fimodan areva mandato in soccorso — Il capitano
Nullo, ferito a morte cadde prigioniero — ma a furia
di contrassalti i bersaglieri condotti dal tencnto Canini
lo strappavano dalle mani dei nemici e tanto fu l'im-
peto dei nostri da obbligare i nemici a ripiegare sulle
dighe per appoggiarvisi. Il generale Piraodiin per 11-
nirla formò nuove colonne di assalto.
I carabinieri svizzeri in prima linea; il 1° batta-
glione di Cacciatori ed il battaglione tiragliori franco-
belgi a rincalzo ; gli altri due battagioni della colonna
Piniodan, 2° indigeni e 2° bersaglieri austriaci sugli ar-
gini ; i due squadroni dovevano eseguire un avvolgimento
presso la ccinfluenza dell' Aspio nel Musone ; i due can-
noni aprivano il fuoco per sostenere l'attacco ; altri sei
pezzi si approntavamo a collocarsi in batteria.
Di fronte a questa pii'i poderosa riscossa il 26° bat-
taglione, allo stremo di munizioni, dopo un'ultima difesa
dietro al fosso e presso la 3. Casa, di sotto, fu costretto
a ripiegare per la via alberata nhe conduce alla S. Casa
dì sopra, cedendo il terreno palmo a palmo.
I pontifici preso possesso della S. Casa di sotto cam-
biarono fronte a sinistra e andarono a schierarsi in bat-
taglia nelle colline della S. Casa di Sopra.
Ma al fragore della battaglia tutte le truppe italiane
■elettrizzate si preparavano al combattimento.
n generale Villamarina che era alle Crocette, udito
il rombo del eannone dava ordine al 1° e 2' battaglione
del 10" di fanterìa di marciare di corsa in. soccorso alla
volta della S. Casa di sopra; seguivano a brevi inter-
Talli gli altri due battaglioni con una sezione d'artiglieria
del 5" reggimento.
II generale Cialdini da Castelfidardo con altre truppe
6\ recava di gran galoppo sul campo di battaglia — erano
le 11 del matliiio.
Dall'alto della S. Cawi di sopra e dal Ciglione i bravi
bersaglieri *^ol comandante Barbavara, che avevano per
260
più di un'ora tenuw wsta RTl'av versa rio cinque volle"
ma^iore di numera, aspettavaiio la bufera che saliva;
« colpi di moschetto mirabilmeute preoì^ riuscirono a
frotitegN^ìAr^ pi"'!* alcun tempo il nemico: iùa serrati
dA o^ai pfirte. travolti in una lotta a corpo a corpo.
a punta di i'aionetta, t«mpesIaLÌ dalla mitraglia, soqo
obbl'gati ad fibbandoDare la 8^ Casa di Sopra e ritrarsi
irjt le boscaglie oltre il ciglione, di lÀ della via cam-
pestre di villa Corrainì.
Tosto che i due hattagUoni del 10° fanteria e le
altre truppe i^iunsero sul ciglione del monte d'Oro, il
generale Cialdini ordinò al tenente-colonnello Bossolo di
iar deporre gii zaitii, indicò 1 due caj»cinali caduti in
mano al nemico e ordinò di riconquiscnrli alla baionetta.
AI colonnello Avenati. comandante della brig'ata Regina.
dava l'ordine di guarnire con il 9' reggimento il Poggio
di S. Pellegrino, a guardia dei .sottostami passaggi del-
l'Aspio; ai tre squadroni di lancieri Xo^'ara di tenersi
pronti nd operare nel piano; a due pezzi della 2* bat-
teria dei 5' ref;gimento ordinava di raggiungere la se-
:iiuue igià partita pel luogo di combaiiimento: ed ìntìnc
alla V batteria deU'8'' reggimento (.capitano Rizzetlà) di
approntarsi ad aprire il fuoco.
Al grido di < viva il Re « fanteria e bersaglieri &i
ApingoQO con ^ara patriottica nU'ubtwUto della S. Casa di
topra; Tartìglieria condotta diti capitano Sterpone dì ga-
loppo va arditam€<nte a collocarsi sul ciglione delle al-
ture per battere la S. Casa di sotto e l'artiglieria pon-
tificia.
Attorno alla S. Casa di »opra si svolge un furioso
combattimento; ì carabinieri e i tìragliori la difendono
con sti'eiuia tenacitÀ. eccìtjiti alla resistenza dal ^'cnerale
Pimodan; la Casa è in tiamme; il generale Fimodan e
colpito mortalmente, e ì difensori impotenti a resistere^
battono in precipitosa ritirata tempestati dalla nostra ar-
tiglieria,
Invano il generale Lamorìclère eccita i suoi ail^
267
Scossa ; le truppe merceoarie non reggono al fuoco
lielle truppe italiane, sì Bcompongono e si dauno alla fuya,
inseguite dai lancieri di Novara e dai bravi bersaglieri
che nella ^iornatsi fecero veri prodigi di valore, diretti
quali verso Loreto, altri verao Recaiiati, mentre dei pic-
coli drappelli prendevano la via di Umana. Il generale
Lamorìcière riuscì a. guadag-nare la strada dj Sirolo e
per la via alpestre che va al convento di Camaldoli
sul Monte Conerò potè raggiungere Ancona, con pochi
dei suoi.
Alle 2 del pomerigio il combattimento era cessato.
Dalla parte di Ancona aveva tuonato il cannone,
iìn dalle 8 di mattina ; la flotta aveva aperto il fuoco
contro la piazza, danneggiando le opere di Monte Car-
detto e di Monte Marano ; verso sera si ritrasse al largo
avendo raggiunto il suo scopo, cioè quello di distogliere il
presidio della piazza dal portare soccorso ai combattenti
di Castelfldardo tenendolo occupato. La giorriatsi costò
ai nostri ab uomini dì truppa e sei utlìciali morti (che
tono i capitani Della Casa, KuUo, Gosberti dei bersa-
glieri, Cuiìia, Scorticati ed il tenente Volpini del 10"
f.LDteria). Furono l'enti J3Q uomini di truppa e 10 uffi-
ciali cioè il maggiore Castelletto, i capitani Angioli,
Zoccbi e Trombone, i tenenti Lupiano, Toesca, Silve-
sta-i, G-allettiV, i sottotenenti Zanoldo, Costa, e Conti. I
pontifici ebbero perdite di gran lunga maggiori.
Il giorno 19 fra il generale Cialdini ed il colonnello
Coudenhoven venne stabilito che i pontifìcii avrebbero
deposte le armi in presenza delle truppe italiane. Si ar-
resero circa 4000 pontificii con 150 ufficiali ; 11 cannoni,
cassoni e carri di artiglieria caddero nelle mani del vin-
ncitore, altri si dispersero.
Cosi ebbe termine la battaglia di Castelfldardo colla
vittoria delle armi italiane.
Nel giorno stesso il generale Cialdini rìaevQVR il
aegueute telegnimniii :
< Il Conte di Cavour mi dà il gradidiisimo incarico
di farle giungere il più sollecitamente possibile, sijr. ge-
nerale, le cougratulazioni del Re e del Gioveruo per la
splendida viHoria riportata ieri.
« Il Croverno desidera avere al più presto i nomi
4egli ufficiali morti e feriti. -
Da Pesaro. 19 settembre 1860.
Il R. Commissario straordiuArio
Lorenzo Vaìerìo,
Il giorno 20 il generale Cialdini diede Io diaposi-
zioiii per un largo hlocco intorno ad Ancona, in aspet-
tativa della sua 13" (livìsione e del 5" corpo che distava
■di poche marcie.
Il giorno a3 il fjenerale Fanti riconotibe la pia.zza
dai due lati di terni e di mitre e, presi concerti coH'ara'
miraglio Porsatio, dichiarò il blocco serrato; sbarcò il
paJ"co d'assedio nella gros:>a spìatrgifi di Numanaif dispose
il completo investimento detla piazza.
Dalla parte di terra l'obbiettivo principale era quello
di Monte Gardetto, dal qual torte si poteva comimdare
e battere tutte le altre difese della piazza ; per raggiun-
gere tate obbiettivo era necessario impadronirei delle
posizioni fortificate di Monte Pelago e Monte Pulito, onde
impiantarvi le batterie per battere la Lunetta di S. Ste-
fano e Monte Gardettu.
Il generale Fanti ordinava pertanto al valoroso co-
lonnello Ponzio-Vaglia di concentrare vivissimi fuochi
d'artiglieria sulla Cittadella e sul campo -trincerato, e
comandava che si prendessero di riva forza la Uinetut
di Monte Scriraa e il Lazzai-etto.
269
Il giorno 24 si apriva il fuoco contro le opere esterne
'd.ellA pmzza.
Dalla sua parte ClaldJni radunati bu Montag'nolo 12
pezzi rigati investi la Cittadella e il forte Scrimn, che
abbandonato dalle truppe pontificie fu subito occupato
dai nostri. 11 giorno '2Ò il generale Cadorna vi pian-
tava la 4" batteria e con essa apriva il fuoco contro il
LazzfLretbo, dal quale si volerà sloggiare il nemico.
Il g-iorno 26 fu deciso d^il Fanti l'attacco al Monte
Pelago. Lii brigata Bologna, condotta dal Pinelli, si slan-
cia col più grande vigore sulla posizione, unitamente al
23" e !i5" bersaglieri, e nonostante la fitta grandine di
palle e di mitraglia dei cinque pezzi ivi piazzati, i no-
stri bravi continuano la loi'o corsa ; ufficiali e soldati
gareggiano a chi prima porrà il piede sul parapetto ne-
mico; in UQ baleno superano gli spalti, Sjilcano nel t'osso,
s"arr;impicano sui parapetti e la bandiera del 39° reg-
gimento sventola sul culmine del forte; i mercenari
sono messi in piena fuga.
I nostri bravi soldati inebbriati dalla vittoria inse-
guono il nemico, scalano i parapetti della seconda lu-
nsdta e vi piantano la bandiera del 40° reggimento im-
possessandoai di altri due pezzi.
Monte Pulito viene occupato dal 09" reggimento
che vi si stabilisce.
Si dà allora alla squadra il segnale di aprire il luoco
e questa assale con le sue bordate il G-ardetto e it Forte
dei Capuccini, che ne vengono gravenaente danneggiati.
Nella notte del 26 essendosi ultimati i lavori del forte
Scrima, vi si piazzava una batterìa d'obici ed un'altra
di pezzi rigati sulla sinistra, ed al far del giorno tutti
questi pezz.i aprivano il fuoco contro le posizioni for-
tificate della piazza. Intanto il generale Cialdini ordj-
java al 7" battaglione bersaglieri, comandato dal capi-
taiio Bruiieltii, .^oLto la tlirezione del suo cjipo di stato-
rangsiorc tcnenCe-L'oloimello Piola, dì occupare rapida^
mente boi^o Pio. Il haujijjiione si slancia risolutamente,
e cacciati i posi! nemici lo occupa provvedeudo subito
alle opere di prima difesji ; vei'so aera due altri batta-
glliuni di bersaiflieri il C" e il 12" rinforzano il 7" e
occupano solidamento tjuel borgo.
Alle ore S del 21 il tì" battaglione dei bersaglieri
ebbe l'ordine d' impadronirsi del Lazzaretto; sotto un
fuoco micidiale questi bravi .si lanoiaiio allardica im-
presa; una barca serve da ponte nello stretto canale che
lo i^ola.
Il primo plotone accolli png^iiato da un drappello di
zappatori procede sotto un fuoco vivissimo all'atterra-
mento della portJi; ma il sottotenente Ferrar! Luigi si
slancia entro it ridotto per una cannoniera seg:uito dai
suoi lic-rsaglicri, e, cadendo all'iniprovviBO sul nemico,
facilita la apertura della porta.; in un ora l'intero bat-
taglione si stabiliva al Lazzaretto, impossessandosi di il
pezzi e facendo prigionieri gli ulflciali ed i soldati cho
lo presidiavano.
Il giorno 28 e la notte fra il 28 e il "29 le truppe
italiane si occuparono nel piazzare a 400 metri dalle
mura, nuove batterie. Il Lazzaretto era stato rinforzato da
altre truppe^ ma vedendo it generale Fanti clie le bat-
terie del Molo e quella dtlla Lanterna lo avevano preso
di mira e lo fulminavano, dava ordine al contrammi-
raglio Persano di attaccare quelle batterie e farle ad ogni
C'Osto tace l'è.
Il Persano corrispose prontamente all'invito del
Fanti. Ad un'ora pomeridiana Ift Piro-fregata « Vittorio
Emanuele » si abbo2zava a 500 metri di distanza dalla
batteria Casamatta della Lanterna; le Piro-ft'egate « Go-
vernolo »■ e « Costituzione « assecondarono la « Vittorio
Emanuele » ormeggiandosi a 500 metri di distanza a
ponente della Lanterna. Alle due pomeridiane le ma^
novre erano eseguite sotto il fuoco delle batterie della
piazza ; senonchè il vento forte che soffiaTa da scirocco
Dee arare gli aocorotti che tenevano abbozzata la « Vit-
torio Emanuele » la quale dovette cambiare di posto e
per manovrare fu obbligata a mettersi fuori di tiro. Fu
segnalato alla « Carlo Alberto » di prendere il posto
della nave suddetta e questa b'andù ad abbozzare verso
le 3 pom. a 200 metri di distanza dalla Lanterna, senza
rispondere neppure con un colpo ai tanti che le piove-
vano attorno dai foni,
Alle 3 '/, fatto il tiro dì prova questa fregata lan-
ciava tutta la sua fiancata contro La batteria della Lslu-
terna ; che ne aveva rovinato il piano superiore. * 11
Governolo », * La Costituzione » o il i( Carlo Alberto »
continuavnuo a fulminare le batterie del porto.
La « Vittorio Emanuele » rientra in azione : a tutta
velocitii mauovra per passare ad un tiro di pistola dalla
Lanterna; alla temeraria manovra rimangono pietrificati
gli stesai artiglieri delle batterie nemiche; arrivata la
bella fregata all' altezza della Lanterna lancia a brucia-
pelo la sua terribile fiancata e passa avanti prendendo
il largo per girai'e di bordo e portarsi a lanciare, all'oc-
correnztì, l'altra fiancata; ma uon ve ne fu bisogno,
perchè ad un tratto si vide uscire denso fumo dalle can-
noniere della batteria ; da li a poco si fé' udire un ter-
ribile scoppio e la Lanterna apparve avvolta in una fìtta
colonna di fuoco.
Svanito il fumo sì vide la batteria e la Lanterna
ridotta ad un mucchio di macerie, sotto !e quali rimasero
sepolti ufficiali e artiglieri. La catena che sbarrava l'en-
trata del porto non esisteva più, perchè i pontoni che la
reggevano erano stati affondati dai colpi di cannone delle
ITegate; tutti i cannoni delle batterie del porto erano
stati smontati e ridotti al silenzio, per cui 11 porto stesso
era aperto alla nostra squadra, e quindi Ancona poteva
considerarsi perduta per i mercenari papalini.
Alle 4 Yj cessava il fuoco ed il maggiore Mauri
recavasi a bordo dell'ammiraglio per chiedere un armi-
J
278
stizio; ma il Persano rispondeva che egli non avera la
facoltà di acfordarlo e che bisognava trattare col ge-
nerale Fanti ; seiionchè ripugnando al Lamoricièie di
trattare col Fanti non mandò alcun parlamentario e
quindi il Fanti oidinava che alle 10 di notte tutte le
batterie riaprissero il fuoco. Da due ore i nostri lulraì-
navano i punti Coititicati della cittiì, quando fu annun-
ziato al Fanti l'arrivo di un parlameniario e la re&a fu
conclusa.
Disfatto a Castelfidardo il generale Lamoriciére ed
entrate le truppe italiane nella capitale delle Marche,
il conte di Cavour, sfidando la collera dì qualche po-
tenza europea, chitee al Pariamento subalpino l'appro-
vazione della >sua politica, che era quella di annettere
tutte le Provincie italiane, che liberamente avessero
dichiarato di voler iar parte della Monarchia Sabauda,
•ed avutone l' assenso dispose tosto che il Re stesso si
mettesse alla testa dell' Esercito per passare il Tronto.
(ìik il Re aveva emanato il seguente proclama ai
soldati, quando stavano per occupare t' Umbria e le
Marche :
I
Soldati !
« Voi entrate nelle Marche e nell' Umbria, per re-
staurare l'ordine civile nelle desolate città, e per dare
ai popoli la libertà di esprimere i propri voti.
« Non avete a combattere potenti eserciti, ma libe-
rare infelici Provincie italiane dalle straniere compagnie
■di ventura.
« Non andate a vendicare le ingiurie fatte a me o
all' Italia, ma ad impedire che gli odi popolari rompano
-a, vendetta della mala signoria.
< Voi insegnerete coli' esempio il perdono delle of-
273
Pese e la toUpranza cristiana a ctii, stoltamente paragona.
all'islamismo, l'amor della patria italiana.
"- D'accordo con tutte le grandi potenze, ed alieno-
da ogni provocazione, io intendo togliere dal centro^
d' Ibilia una cagione perenne di turbamento e di di-
scordia> Io vot'lio rispettare 1» sede del Capo della Chiesa,,
al quale sono sempre pronto a dare io, d'a-ccordo colle
potenze alleate ed amiche, tutte quelle guarentigie d' in-
dipendenza e di sicurezza, che i suoi ciei-hi consijrlieri sì
sono indarno ripromessi dal fanatismo delle sette mal-
vagie, cospiranti coatro la mia autorità e la libertà della
Nazione.
«Soldati! Mi accusano di ambizione. SI, ho un'am-
bizione: ed è quella di restaurare i prìncipii dell'ordine
morale in Italia, e di preservare 1' Europa dai continui
pericoli della rivoluzione e della guerra ».
11 settembre 1860.
Vittorio Emanuele.
IL generale Cialdini nell'imminenza della battaglia di
Castelfldardo aveva diretto queste proclama alle ti-uppe r
Soldati di questo Corpo d'Armata!
« Vi conduco contro una masnada di briachi stranieri,
che sete d' oro e vaghezza di aacclieggio, trasse nei
nostri paesi.
« Combattete, disperdete inesorabilmente quei com-
pri sicari, e per mano vostra sentano l'ira di un popolo^
che vuole la sua nazionalità e la sua indipendenza.
Soldati!
« L'invitta Peru"gia domanda vendetta e, benché tarda,,
l'avrà.
« 11 fj^enerale. comandante il 4" corpo d'armata
Cialdini Ir
274
Garibjildi, infonnato che il generale rialriiiii aveva
disfatto a Czis le lii dardo i interi- oii uri del l'apa capitana
ditt.1 Lnmoricière, eroanava il seguente ordine del giorno:
I
%
■10 I
Caserta, 5 ottobre 13G0
« Il quartiere generale è a Cftserta; i nostri frate]
dell'esercito italiano, comandati dal bravo generale Cia
dini, combattono i liemici d'Italia e vincono.
« L'esercito di Lainoriciére è sljito disfatto da quef
prodi. Tatte le proviiicie serve del Pai-»a sono lìbere.
Ancona è nostra: i valorosi soldati dell'esercito del se
tentrione hanno passata Ih frontiera e sono sul territorio
napolitano. Fj'a poi-o avremo la lortuuadi stringere quelle,
destre vittoriose.
G. Garibaldi »
H 7 ottobre indirizzava a Vittorio Erannuele la let-|
tera seguente:
Sire!
« Mi congratulo colla Maestà Vostra per le hrillant
vittorie riportate dal vostro bravo geneiale Cialdini
per le felici loro conseguenze. Una Lattatila guads
gnata sul Volturno ed un combattimento alle due Oa-
serte, pongono i soldati di Francesco II nell'impossibilità
di più resisterci. Spero dunque poter passare il Volturno
domani. Non liarebbe male, che la M. V. ordinasse a i
parte delle truppe, cbe si trovano vicino all'Abruzzo, '
di passiire t)uella frontiera per fare abi-assare le armi^
a certi gendarral cho parteggiano ancora pel borbone^H
* So che V. M. sta per mandare qitatlromila uomini^^
a Napoli, e sarebbe bene, Penai V. M. che io le sono
amico di cuore e merito un poco di essere creduto. È
275
molto meglio accogliere tutti gli italiani onesti a qualun-
que colore essi abbiano appartenuto per il passato, an-
ziché inasprire fazioni, che poti-ebbero essere pericolose
nell'avvenire.
« Essendo ad Ancona, dovrebbe V. M. fare una
passeggiata, a Napoli per terra o per mare. So per terra,
e ciò sarebbe meglio, V. M. deve marciare almeno con
una divisione. Avvertito in tempo, io vi congiungerei
la mìa destra e mi recherei in persona a presentarle
i miei omaggi e ricevere ordini per le ulteriori opera-
zioni.
« La M. V. promulghi un decreto, che riconosca i
gradi de' miei Ufficiali. Io mi adoprerò ad eliminare
coloro che debbono essere eliminati.
Della M. V. ubbidientissimo
(J. Garibaldi »
Il 9 ottobre Vittorio Emanuele da Ancona lanciava
ai popoli dell' Italia Meridiottah il seguente manifesto :
Ai popoli dell' Ibilia Meridionale,
< In un momento solenne della storia nazionale e
■dei destini italiani, rivolgo la mia parola a voi, pwpoli
dell'Italia meridionale, che mutato lo Stato nel nome
mio, mi avete mandato oratori d'ogni ordine di citta-
dini, magistrati e deputati de' municipil, chiedendo di
essere restituiti nell'ordine, confortati di libertà ed u-
nìti al mìo Kegno.
« Io voglio dirvi quale pensiero mi guidi, e quale
sia in me la coscienza dei doveri che deve adempiere
chi dalla Provvidenza fu posto sopra un trono italiano.
ff Io salii al trono dopo una grande sventura nazio-
nale. Mìo padre mi diede un alto esempio, rinunziando
la corona per salvare la propria dignità, e la libertà
de' suoi popoli. Carlo Alberto cadde coU'armi in pugno,
mori nell'esìglio ; la sua morte accomunò sempre più le
sorti delltt mia famìglÌA a quelle del pupolo Italìnn», che
da tanti secoli ha dato a. tutte le terre stratiicre le ossa
de' suoi esuli, volendo rivendicare il retappo di ogni
gente, che Dio ha posta fra gli atesei confini, e stiletta
ìusieme col simbolo dì una soia favella.
« Io mi educai a quell'esempio e la memoria di
mio paxire fu la mia stella tutelare.
u Fra la corona e la parola dfita, non poteva per
me essere dubbia la scL'lta, mai.
« Riaffermai la lilierta in tempi poco propizii a
libertà, e volli che, esplicandosi, essa gitta&se radici net
costume dei popoli, non potendo io «vere a sospetto ciò
che a' miei popoli era caro. Nella libertà del Pit-nionte
fu rei iKÌosam ente rispettata la erediià, che l'animo pre-
sago del mio Augusto Llenitore, aveva laKciaio a tutti
gli Italiani.
« Colle franchìgie rappresentative, colla popolare
istruzione, colle grandi opere pubbliche, colla liberta,
dell'industria e dei traffici, cercai di accrescere il be
nessere del mìo popolo: e volendwTispetCata la religione
cattolica, ma libero ognuno nel santuario della propria
coscienza, e ferma la civile autorità, resistetti aperta-
mente a quella ostinata e proe^iccianta fazione, che sì
vanta la sola amica e tutrice de' troni, ma che intende
a comandiire in nome del Re, ed a frapporre tra il
Principe e il popolo la barriera delle sue intolleranti
pasBioni.
- Questi modi di g-overno non potevano- essere
senza effetto per la rimanente Italia, La concordia del
Principe col popolo nel proponimento dell' indipendenza
nazionale e della libertà civile e politica, la tribuna
e la stampa libere, l'esercito che aveva salvata la tra-
dizione militare italiana sotto la bandiera tricolore, fe-
cero del Piemonte il vessillo e il braccio d'Italia. La
forza del mio principato non derivò dalle ai'ti di una
occulta politica> ma dallo aperto influsso delle idee e
della pubblica opinione.
mantenere nella parte di popolo italiano
riunito sotto il mio scettro, il concetto di ima egemonia
uaziomile, onde nascer doveva lit concorde arinouiìi delle
divise proTincie di una solft nazione.
« L'Italìii iu fatta capace del mio pensiero, quando-
vide mandare i miei soldati sui campi della Crimea
accanto ai soldati delle due grandi potenze occidentali.
Io ToUi far entrare il dlritlo d'Italia nella realtà dei fatti
e degli interessi europei.
« Al congresso di Parigi i miei legati poterono
parlare per la prìraa volta all'Europa dei vostri dolori.
E fu a tutti manifesto, come (a preponderanza del-
l'Austria in Italia fosse infesta all'erpiilibrio Europeo, e
quanti pericoli corressero Ut indipendenza e la libertii
del Piemonte, se la rimanente penisola non fosse fran-
cata dagl'influssi stranieri.
11 mio magnaiaino alleato, l'Imperatore Napoleone III,
senti che la causa italiana era degna della grande
nazione auUa qnale impera. I nuovi destini della nostra
patria furono inaugurati da una giusta guerra. I soldati
italiani combatterono degnamente accanto liUe invitte
legioni della Francia. I volontari accorsi da tutte le pro-
TÌncie e da tutte le famiglie italiane sotto la bandiera
della Croce Sabauda addimostrarono, come tutta l'Italia
m'avesse investito del diritto di parlare e di combattere
in nome suo.
« La ragione di stato pose fine alla guerra, ma non
a' Buoi effetti, i <|uali si andarono esplicando per la in-
flessibile lùgicadcgli avvenimenti e dei popoli.
*. Se io avessi avuta quell'ambizione clic è impu-
tata alla mìa famiglia da chi non si lii addentro nella
ragione dei tempi, io avrei potuto essere &oddistatto
dell'acquisto della Lombardia. Ma io aveva speso il san-
gue prezioso dei miei soldati non per me, ma per l'I-
talia.
« Io aveva chiamati gl'italiani alle armi; alcune
Provincie avevano subitamente mutato g^li ordini interni
19
A
318
per conojrrere alla guerra d'Indipendenza, dalla quale
i loro Principi aborrivano. Dopo la pace di Vìllnfranca,
quelle provincie dimaud/irouo la mia protezione (.'ontro
il minacciato restauro degli antichi Governi. Se ì fatti
dell'Italia centrale erano la conseguenza della guerra
-alla qaale noi avevamo invitiiti i popoli, se il sistema
delle intervenzioni straniere doveva essere per sempre
bandito dall' Italia, io doveva conoscere e difendere in
quei popoli il diritto di legalmente e liberaiuonte mani-
festare i voti loro.
« Ritirai il mio Governo ; essi fec-ero un Governo or-
■dinato: ritirai le mie truppe; ossi ordinarono forze re-
ìiolari. ed a gara di concordia e di civile virtù vennern
in tanta riputazione e t'orza, che solo per violenza d'armi
atraniere avrebbero potuto esser vinti.
« Grazie al senno dei popoli dell' Italia Centrale,
l'idea monarchica fu in modo costante affermata, e la
Monarchia moderò moralmente quel pacifico moto popO'
lare. Cosi l'Italia crebbe nella estimazione delle genti
civili, e fu manifesto all'Europa come griuiliani siano
acconci a governare sé stessi,
€ Accettando la annessione io sapeva a quali diffi-
coltà europeo andassi incontro. Ma io non po:evo man-
care. Chi in Europa mi taccia d'imprudenza, giudichi
«on animo riposau), che cosa sarebbe diventata, che
cosa diventerebbe l'Italia, il giorno nel quale la Monar-
chia apparisse impotente a soddisfare il Lisof-iio della
<;ostitnzione nazionale!
■e Per le annessioni, il moto nitzional? se non mutò
nella sostanza, pìglio forme nuove; accettando dal diritto
popolare quelle belle e nobili provincie,. io doveva leal-
mente rieonoscGre l'applicazione di quel principio, né mi
era lecito di misurarlo colla norma dei miei affetti ed
interessi particolari. In sutfragio di quel principio, io feci
per utilità dell'lcalia, il sacrificio che piti costava al mio
cuore, rinunziando a due nobiliasirae provincie del Regno
avito.
Il
279
«Ai Piincipi italiani cli9 han voluto essere miei
leraìci, ho sempre duti schietti consigli, risoluto, se
vani fossero, ad incontnire il perìcolo che l'aceecamento
loro avrebbe fatto correre ai troni, e ad accettare la
volontà dell'Italia.
« Al Uranducà io aveva indarno otferta la alleanza
prima della guerra. Al Sommo Pontefice, nel quale ve-
nero il Capo della Religione dei miei avi 6 dei miai
popoli, fatta la pflde, indarno acrisai offerendo di assu-
mere il Vicariato per l'Umbria e per le Maiclae.
« Era manifesto che queste proviucie contenute sol-
tanto dalle Jirmi di mercenari stranieri, ee non ottenes-
sero la guarentigia di governo civile the io proponeva^
sarebbero tosto o tardi venute in termine di rivolu-
■cìone,
^B « Non ricorderò i consigli dati per molti anni dalle
^■potenze a! Re Ferdinando di Napoli. I giudizi! che nel
^■Dongresso di Parigi furono proferiti sul suo Governo,
preparavano naturalmente i popoli a mutarlo, se vane
fossero le querele della pubblica opinione e le pratiche
della diplomazia.
P, « Al giovane Suo Successore io mandai offerendo
alleanza per la guerra dell'indipendenza. Là pure trovai
chiusi gli animi ad ogni affetto italiano e gli intelletti
abbuiati dalla passione.
« Era cosa naturale, che ì fatti succeduti nell'Italia
settentrionale e Centi'ale, sollevassero piii e più gli animi
neUa Meridionale.
^L < In Sicilia questa inclinazione de^'li animi ruppe
^Efn aperta rivolta. Si combatteva per la libertà in Sicilia,
quando un prode guerriero devoto all'Italia ed a Me, il
generale Garibaldi, salpava in suo aiuto. Erano Italiani
™ che Boccorrevaao italiani; io non potevo, non dovevo
^^attenerlil
^K' < La caduta del Governo di Napoli riaffermò quello
^(she il mio cuore sapeva, cioè quanto sia necessario ai
le l'amore, ai Governi la stima dei popoli !
2m
« Nelle due Sicilie il nuovo refjgiiuento si inaugurò
col mio nome. Ma alcuni atti diedero a temere che non
bene si interprotAsse, per ogtii rispetto, quella politica che
è dal mio nome rappresentJtta. Tutta l'Italia ha temuto,
che all'ombra di una gloriosa popolarità e di uaa pro-
bità antica, tentasse di riannodarsi una fiizione pronta a
sacriflcjvre il vicino trionfo nazionale, alle chimere del
Buo ambizioso fanatismo.
« Tutti gl'italiani si rodo rivolti a me perchè scon-
giurassi questo pericolo. Era mio obbligo il farlo perché
nell'attuale condizione di cose non sarebbe moderazione,
non Sfirebbe senno, ma fiarccliezza od imprudenza, il
non nseuinere con mano ferma la direzione del moto na-
zionale, del quale sono responsabile dinanzi all'Europa.
« Ho fatto entrare i miei soldati nelle Marche e
nell'Umbria, disperdendo quella accozzagflia di ^ente di
ogni paese e di ogni lingua, che qui si era raccolta,
nuova e strana forma d'intervento straniero e la peg-
giore dì tutte.
« Io ho proclamato l'Italia degli italiani, e non per-
metterò mai che l'Italia diventi il nido di sette cosmo-
polite, che vi si raccolgano a tramare i disegni o della
reazione o della demagogia universale.
Popoli dell'Italia Meridionale !
« Le mie truppe si avanzano fra voi per raffermare
Fordine. Io non vengo ad impervi la mia volontà, ma
a far riopettare la vosti'a.
« Voi potrete liberamente manifestarla: la Provvi-
denza, che protegge le cause gi'jste, ispirerà il voto .che
deporrete nell'urna.
« Qualunque sia la gravità degli eventi, io attendo^
tranquillo il g-iudizio dell'Europa civile e quello delta
Storia, perchè ho ki coscienza di compiere i miei doveri
di Re e di italiano!
a In Europa la mia polìtica non sarà forse inutile
1^
HA neonciliare il progresso dei popoli colla stabilità delle.
Httionarchie.
H * In Italia so che io chiudo l'era delle rivoluzioni.
" « Dato da Ancona addi nove ottobre milIeottoBento-
sessanta.
« VITTOHIO EMANUELE
« Far ini »,
* *
n giorno 15 ottobre il generale Gai-ihaldl pubblicava
Jiuesto iHanilcsto :
« Per adempiere ad un voto caro alla Nazione in-
tera, determino :
« Che le Due Sicilie, che al sang-ue italiano devono
il loro l'iscaUo e che mi elessero liberamente Dittatore,
fanno parte inte-grante dell'Iutlia ura ed indivisibile,
con suo Re costituzionale Vittorio Emanuele e i suoi
discendenti.
« Io deporrò nelle mani del Re, al suo arrivo, la dit-
tatura cont'eritiimi dalla Niizione.
jt I prodittiitori sono incaricati dell'esecuzione del
presente decreto,
a G. Garihttldi ».
n 21 il plebiscito era votato con la formula:
« n popolo vuole l'Italia una e indivisibile sotto lo
scettro di Casa Savoia ».
E nel giorno stesso Garibaldi emanava il seguente
Ordine del giorno :
« Il prode generale Cialdini ha vìnto presso Tsernia.
i borbonici sbaragliati hanno lasciato ottocento ttanta
prigionieri, cinquanta uflìciali, bandiere e cannoni.
■porg'
e^ftono
?;-vouumo.
:OTnP^^^*
va
lU'ìo^''
\toa\*^
e-o<^'': ... ài
Tìcat
>tato
iiv
...^.'""^sr.A^"^^
lia^'
eoW P*^
DVePiae
ed
■\ ftO
,,aàHtA^°'^
aa-
'degli. '^^'^.o.v.ie^,^.^ 4.,e a
283
« vbi vinceste — e vincerete ^ perchè siete ormai
truìti nella tattica che decide delle battaglie !
« Voi non siete degeneri di coloro che entravano
'nel fìtto profondo delle falangi Macedoni e squarciavano
petto ai superbi vincitori dell'Asia.
« A questa pagina stupenda della Storia del nostro
se, ne seguirà una più gloriosa ancora, e lo schiavo
ostrerù finalmente al libero fratello un ferro arruotato
e appartenne agli anelli delle sue catene.
4. All'armi tutti! tutti, e gli oppressori, i prepotenti
fumeranno come la polvere-
* Li% provvidenza fece dono all'Italia di Vittorio
Emanuele. O^ni cuore italiano deve rannodarsi a Lui,
^perrarai intorno a Lui, Accanto al Re Galantuomo ogni
gara deve sparire, ogni rancore dissiparsi !
^- < Anche una volta io vi ripeto il mio grido — al-
^■'■armi tutti! tutti! — Se il marzo del 1861 non trova
^Bbq milione d'italiani armati, povera patria nostra, po-
vera vita italiana! Ohi no: lungi da me un pensiero
che mi ripugna. Il marzo del 1861, e se fa bisogno, il
febbraio, ci troverA tutti al nostro posto.
^L « Italiani di Calataiirai, di Palermo, del Volturno,
"di Ancona, di Castelfìdardo, d'Isernia, e con noi ogni
uomo di questa terra non codardo, non servile; tutti,
tutti serrati intorno al glorioso soldato di Paleatro, da-
ranno l'ultimo colpo alle crollanti tirannidi !
< Accogliete, giovani volontari, resto onorato di tante
battaglie, una parola d'addio! Io ve la mando commosso
dal profondo della mia anima. Oggi io devo ritirarmi,
ma per pochi giorni, L'ora della pugna mi troverà con
voi accanto ai soldati della libertà italiana.
< Che ritornino alle loro case quelli soltanto chia-
mati da doveri imperiosi di famiglia, e coloro ohe glo-
riosamente mutilati, hanno meritato ìa gratitudine de/la
patria. Essi la serviranno nei loro focolari coi consigli
e coll'aspetto delle nobili cicatrici che decorano la ma-
284
schia figura di ventanni. Àll'infuorì di questi, gli altri
restino a custodire le gloriose bandiere.
« Noi ci ritroveremo fra poco, per marciare insieme
al riscatto dei nostri fratelli schiavi ancora dello stra-
niero. Noi ci troveremo fra poco per marciare insieme
a nuovi trionfi della libertà e dell'indipendenza.
G. Garibaldi.
Il giorno del suo ingresso in Napoli il Re Vittorio
Emanuele indirizzava ai popoli dell'Italia Meridionale il
seguente proclama:
17 novembre 18b0.
Ai popoli Napoletani e Siciliarìi
« Il suffragio universale mi dà la sovrana potestà
di queste nobili Piovincie. Accetto quest'altro decreto
della volontit Nazionale, non per ambizione di Regno,
ma per coscienza d'italiano. Crescono i mìei, crescono ì
doveri di tutti gli italiani. Sono più che mai necessarie
la sincera concordia e la cosiante abnegazione. Tutti i
partiti debbono inchinarsi devoti dinanzi alla maestà
deiritidia clic Dio solleva.
« Noi dobbiamo instaurare un governo che dia
guarentigia di viver Ubero ai popoli e di severa probità
alla pubblica opinione. Io faccio assegnamento sul con-
corso efficace di tutta la gente onesta.
« Dove nella legge ha freno il potere e presidio la
libertà, ivi il Governo tanto può pel pubblico bene,
quanto il popolo vale per la virtù.
« All'Kuropa dobbiamo addimostrare che, se la ir-
resistibile forza degli eventi superò convenzioni fondate
sulle secolari sventure d'Italia, noi sappiamo ristorare
nella Nazione Unita l'impero di quegli immutabili dommi.
senza dei quali ogni società è inferma, ogni autorità
combattuta ed incorta >.
Vittorio Emanuele.
285
H 3 novembre, il generale Della Roem d'ordine del
e acrireva una lusinghiera lettera a Garibaldi con la
quale ammiraTa i prodigi di valore e ì sagrifizi dell'E-
aereìto Meridionale, ed esprimeva la riconoscenza che la
patria italiana doveva al loro eroismo.
ì Garibaldi a sua volta scrisse un'affettuosa lettera
dì commiato al Re, la quale si chiudeva con queste
ole :
« Vogliate Maestà, permettermi una sola preghiera
■< nell'atto di rimettervi il supremo potere- Io Ti imploro
ajpitcliè mettiate sotto Ì'ii/H^jiimn rostra fittela, coloro che
mi ebbi a collaboratori in questa yrand' opera di ajfran-
camento dell'Italia Meì'idionale^ e che acf(fffliat€ ne! Vostro
E^erdio i miei commilitoni chf. han ben meritato della
■€ patria e di eoi ».
ri
CAPITOLO XXI.
Riiiro di Garibaldi a Caprera.
I
Il giorno 8 di novembre il Oenerale volle vedere
a — dopo di averlo stretUiniente abbracciato, gli fece
inviw di andare con lui a Caprera. « Sarete fratello a
Menotti » gli disse stringendogli la mano. — ■ L' Elia,
commosso fino alle lacrime, ringraziò il generale — &
cui fece capire — che egli aveva altri sacri doveri da
«empiere verso la madre vedova e verso le sue quattro
iBorellè orfane — e prese congedo con immenso dolore
da quel grande che in meno di sei mesi aveva assicu-
rata, 1' unità -itahaua. unendo sotto lo scettro di Vittorio
Emanuele l'Italia Meridiouale, con nove milioni, trecen-
iomila, seicento sessantatre sudditi devoti.
La mattina del 9 Garibaldi B'imbai'cava per Caprera
286
salutato da un'intera popolazione e da tutti i suoi com-
pagni affranti dall'emozione.
*
Fu grande fortuna d' Italia la rivoluzione siciliana
del 4 aprile 1860.
Questa provocò la spedizione dei Mille. Se questa
spedizione non veniva in tempo — come è provato dalle
rivelazioni di Brassier de Saint-Simon — l'Italia si sa-
rebbe sistemata in base ai risultati della guerra del 1859.
— E secondo il volere di Napoleone non si sarebbe
avuta l'unità ma la federazione col Re del Piemonte e
della Lombardia, col Re di Napoli e col Papa che ne
sarebbe stato il Capo e Re di Roma !
La spedizione dei Mille ha avuto un' importanza
capitale più di qualsiasi altro evento della Storia d'Italia,
proclamandone l'unità.
CAPITOLO XXII.
Presa di C^a e di Gaeta.
La mattina del 28 ottobre, ambo gli eserciti setten-
trionali e meridionali erano intomo a Capua. Una con-
ferenza tra Garibaldi ed ì generali Menabrea e Della
Rocca aveva già determinato il piano di espugnazione
della fortezza, per l'esecuzione del quale il generale Me
nabrea aveva dato i suoi ordini agli ufficiali del genio
mentre il generale Della Rocca dava le sue disposizioni
all'artiglieria ed agli »ltrì corpi : le truppe piemontesi
rinforzavano il posto di Caiazzo, di 3. Maria e di S. Àn
gelo ; il genio e l' artiglierìa si distribuivano nelle ri-
spettive posizioni intomo alla fortezza e tutto veniva
preparato per il bombardamento, e per l'attacco generale
<Ae fu condotto con energia e valore, tanto che il 2 dì
287
novembre le truppe borboniche segnavano coi delegati
.delle armi italiane la tesa.
Pili di ventimila borbonici si emuo trincerati con
>tenti artlg^lierie a Mola di Gaeta.
H 4 dj novembre vennero destinati a conquistare
luella posizione, la brigata granatieri di Snrdegna, il
^14" e 24" bersaglieri, due squadroni di lancieri di Novara
due batterie d'artiglieria.
Mola è la parte più a mare della cittadella di Formìa.
è addossata ad una linea di colline che scendono sul
[mare lasciando appena posto per la strada.
II 24° battaglione bersaglieri si andò a stendere su
Itìn' altura a cavallo della strada ; a destra, sulle prime
■alture, si stendeva il 1° reggimento granatieri ; il à" reg-
gimento granatieri si collocava più indietro ; il 3" in ri-
riserva ; il 14" battaglione dei bersaglieri venne mandato
a sloggiare ì borbonici che occupavano il paese di Ma-
ranolfl, situato in altura sopra Mola.
Alle ore 11 s'incominciava l'assalto con fuoco vivis-
Bimo da ambo le parti; un battaglione del 1" granatieri
mandato in sostegno del 14'' bersaglieri e con vigoroso
ittacco scaccia i borbonici da Maranola.
Il battaglione granatieri col 14° bersaglieri dopo di
Ilavere cacciato i borbonici da Maranola, rinforzati da
]ialtro battaglione del 2" granatieri tutti uniti ai sca-
gliano arditamente contro l'alta posizione chiamata Ma-
donna, di Ponza fortemente occupata e difesa da due
batterie; con slancio ammirabile vi sono sopra^ fugano
il nemico e s'impossessano dei cannoni.
Eseguite queste due brillanti operazioni, tutta la
linea dei nostri si slancia risolutamente all' attacco dì
Mola sotto il fuoco del nemico, attraverso un terreno
difficile cosparso di siepi, di muri e di fossi ; marciano
,ln testa la 3" e la 4" compagnia del 2° granatieri che-
§88
prime scavalcano le barricnte e penetTHiio bgI paese,
mettendo in fuga il nemico che lascia, in potere dei uostii
undici connoni. Non restava che espugnare la posizione
del Castellone fortemente tenuta dai borbonici ; grana-
tieri e bersaglieri ontusiasniitti per le rìpoi-uite vittorie,
si Blanciano wtlorosamente all' assjilto e, superati tutti
gli ostacoli ed ogni resistenza, vittoriosamente l'espu-
gnano.
Ricoverati entro le mura dì Gaeta, i fìorboiii di
J«apoli si sforzavano di tener ancora testa alle potenti,
forze dell'Italia unita con una guarnigione di circa 20000
combattenti e con ben ò28 bocche da fuoco.
Nella notte del 10 novembre 1860, otto pezzi da
campagna aprivano il fuoco con tiri in arcata, produ-
cendo graiìde sgomento negli assediati; nella notte suc-
cessiva il fuoco fu ripreso. Il giorno 12 U generale Cial-
dini, comandiuiCe delle due divisioni 4* e V* che aveva
occupato tutte le alture dominanti la cittii e spinti i suoi
avamposti presso il Borgo di Gaeta, decise di ricacciare
entro la cinta quelle truppe borboniche che avevano sta-
biliti i bivacchi sull'istmo fino all'Attrattina : le fece as-
Balire da buon nerbo di bersaglieri che colla punta della
baionetta le obbligarono ad abbandonare ogni esterna
4>osÌ2Ìone.
AJla fine di dicembre tutte le batterie erano piazzate
e 1' H di gennaio Cialdini ordinava si aprisse il fuoco-
Mentre seguiva il bombardamento la diplomazia non
■mancava d'agitarsi. Napoleone tll s'interponeva fra i
belligeranti e riusciva a fissare un armistizio che aveva
principio la stessa sera dell' 8 gennaio per terminare il 19.
Dal 19 al 21 furono iatte praticlie per la resa.
269
ma avendo il Borbone rifiutato, alle ore 8 '/t antimeri-
diane del ^'iorno 22 tutte le batterie aasedianci entra-
rono in azione. II bombardamento durò fino al 12 feb-
bmio. produeendo danni non lievi alla nittà e provo-
cando esplosioni di ma{!:azzÌQÌ di polvere, Infine il gior-
no 13 ver&o le 3 pomeridiane una terribile esplosione
mandava all'aria le batterie Miilpasso e TransUvania,
essendosi appiccato il fuoco all'enorme quantità di i?6
mila chilogrammi di polvere. Lo spavento in Gaeta fu
cosi grande che rese necessaria la capìtohisione, la quale
fu firmata allo ore 5 pomeridiane.
Francesco II non s' intromise nella capitolazione e
prima che l' esercito italiano entrasse a Gaeta s' im-
barcò sul vapore francese « La Muette » che lo con-
dusse a Civitavecchia.
A Caprera il generale Garibaldi non rimaneva
inoperoso; egli aveva la mente fìssa al riscatto di Roma
e di Venezia ed invitava gli amici a preparare mezzi
occorrenti.
tCon questi concetti scriveva al Bellazzi alla flne di
Caprera, 29 dicembre 1860.
Caro BeUazzi.
« Io desidero l'azione concorde di tutti ì comitati
"italiani di provvedimento per coadiuvare al gran ri-
scatto. Cosi Vittorio Emanuele con un milione d' ita^
liani armali, questa primavera chiederit giustamente
ìò che manca all'Italia.
<t Nella sìvcra via che si segue, io raccomando che
smparisca ogni indizio di partiti ; i nostri antagonisti
)no un partito, essi vog^llono l' Italia fatta da loro col
sncorso dello straniero e senza di noi.
290
< Noi fcdnmo la Nazione, non Togliamo altro capo
che VÌEtorio Emanuele ; non escludiamo nessun ita-
liano, che voglia trancaraente come noi : dunque so-
pra ogni cosa sì prodìchi energicamente la concordia di
cui abbisogniamo irameuaamence.
Vostro
G. Garibaldi ».
Dopo aver pr^so parte ad una seduta tempestosa
alla Camera dei Deputati, Gaiibaldi era. toruatn] a Ca-
prera» quando il 6 glug^no si sparse la fulmìnea notizia
che Cavour era nioi-t». L'impressione tu enorme ; l'Ita-
lia perdeva il suo più grande uomo di Suito. la, libertà un
amico devoto, la Dinastia di .Savoì;t uno dui suoi più
validi sostegni.
Il Ministro Ricaaoli, succeduto al Conte di Cavour,,
Tolle aci;ontentare il'generale Garibaldi coli' istituzione
dei Tiri a Segno Nazionali, ma dopo pochi giorni il
Barone non era più al Governo ; il partito moderato vo-
leva che si procedesse allo scioglimento dei Comitati di
Provvedimento, ma egli in nome della libertà di as-
sociazione, .si rifiutò e diede le dimissioni, (ili successe
Rattazzi, che, consegueute al disegno del Riciisoli, com-
mise al generale la direzione dei Tiri a bersaglio.
All'Elia che era sofferente per la grave ferita il ge-
nerale scriveva cosi:
Caprera, 18 gennaio 1862.
Caro Elia^
« Italia e Vittorio Emanuele è il programma con-
sentaneo ai voti della nazione e fu di suida ai tutti i
Coinit£\ti di Provvedimento.
2^1
« Oltre ai servizi che ìianno già resi alla patria,
imminlstrati che siano da persone intelligenti ed one-
ste, potrebbero renderne altri importantà in avvenirej
raccogliendo i fondi pel riscatto di Roma e di VeneziA,
« Qualunque altro Comitato che sorga con pro-
gramma e fini diversi non potrebbe reggersi, perchè la
Nazione lo riproverebbe.
« Accetto adunque con piacere l'ofFerta vostra di
erigere in cotesta importante cìttk un Comitato di Prov-
vedimento e r istituzione del tiro a segno. Intendetevi
a tal flne eon persone oneste e patriottiche e mettetevi in
relazione col sig. Federico Bellazzi, persona di mia con-
fidenza, il quale ha diretto devotamente il Comitato
Centrale di Genova, ma che si è ritirato, non accec-
tancio la presidenza di quel nuovo Comitato.
• G-radite i sensi di stima e d'affetto dal
sempre rostro
G. Garibcddi >.
t
Ka
Nei primi giorni di maggio 1862, quando gifi da qual-
che tempo il generale era in giro nella Lombardia per
l' impianto dei tiri a bersaglio, in cominciar ono h manife-
starsi i sintomi di un tentativo per la liberazione di
Venezia; il tentativo di Sarnic-o, che venne impedito
dal governo.
Disgustato da questo avvenimento, il generale erasi
I nuovo ritirato a Caprera, quando amici della Sicilia
lo invitarono ad andare a visitare le terre da lui re-
dente. La notte del 7 luglio coi pochi amici, che si tro-
vavano all' Isola, prese imbarco per la Sicilia. A Pa-
lermo fu accolto con delirio. ChÌani.ato nei luoghi dell'e-
popea del 1860, Alcamo, Pardnico, Corieone, Sciacca,
lat:tflmi,. Vita, Salerai, si spinse fino a Mnrsala. Do-
nque passava dimostrava la necessità di riprendere
le armi per la liberazione di Roma, essendo un'onta per
la Nazione, che la sua CapitHle rimanesse schiava del
Papa. K fu aliom che venne IwncLiito all' ItJilia il grida
di Boìna a mortela grido che condusse al doloroso fatiu
di Aspromonte ed nlla gloriosa disfatta di Meuttma.
CAPITOLO ssin.
Aspromonte Sollevazione in Polonia.
Ad Aspromonte, il generale veniva ferito al piede
da palla italiana; il tatto suscitò profonda commozione
non solo in ogni aBgolo d'Italia, ma in quante con-
trade era giunto il nome dell' ilroe e l'eco delle sue
vittorie, I volontari accorsi intorno a lui» venivano di-
sperai ed egli stesso veniva portato prigione nel forte del
Varignano.
La palla del 29 agosto 1862, se offese il corpo del
temuto capitano, fece percorrere all'idea sua animatrice,
un cammino, quale non avrebbe potuto sperare dalla
più splendida delle vittorie ! — Aspromonte giovò alla
questione Romana iu modo .assolutamente decisivo.
Nel 1862 il Governo Russo aveva ordinata la levii
generale in tutto Tirapero, ma per la Polonia si pre-
scriveva, che fossero esenti dall'obbligo di leva i con-
tadini ed i grandi proprietari rurali, per cui la legge
colpiva soltanto gli abitanti delle cittii. Questo privilegio
promosse una agitazione grandissima in tutta la Po-
lonia, e quando il Governatore di Varsavia volle appli-
care la legge, nel 18 gennaio 1863 il Comitato Nazionale
bandi 1' iuburrezione e la lotta incominciò.
293
ÌT Generale era infermo a Caprera, e si doleva dì
nou poter accorrere in aiuto dei Polacchi per iwgnra un
debito di gratitudine verso un paese che tanti suoi
Hfigli aveva sacrificati per la causa della libertà. Non
potendo pagare di persona scriveva all'Europa: « Non
abbandonate la Polonia >.
^P In Italia recar soccorso alla Polonia era come un
' dovere, 11 valoroso Nullo Francesco dei Mille, impa-
zìcDte d'judugio e di martirio, partiva e, unitosi ai
ribelli^ ti'ovava la morte sugli argini di Skutz.
TI gennaio del 1864, all'Elia che aveva data la sua
piena adesione al movimento insurrezionale della Po-
lonia, deciso di prendervi parte, venne trasmesso dall'or-
ganizzatore generale del Governo Nazionale, il decreta
qui trascritto col quale lo si creava organizzatore delle
forze insurrezionali a favore della Polonia nell'Adriatico
e lo si nominava provvisoriamente Capitano dì Fregata.
Pour «irt remjilace
' , / BolJq \ DmiB a beoeve 1884
Varsavia.
Eu vertii des pouvoirs qui nos sont confèrea pour
Gouvernenient Njitional Polonaia pur un Decret du
10 fevrier 1864 date de Varsavie, nous nommons au
post d'Organizateiu' des fbrces Navales Polonais sur le
mer Adriaiique le Citoyen Auguste Elia sujet du Royame
de l'Italie, natif d'Ancone, et lui conferons provisoiiement
le grad de Capitaine de Fregate dans la Marine Natio-
naie; il aura a se contbrmer dans Tesercice de sos fnn-
tiios ordi'es et instruction ulterieurs.
F.to r. K.
Organimteur General.
n 13 marzo Elia aveva ricevuto da M. John Robson-
Cy di Londra la seguente lettera, con la quale l'avvi-
sava dell'arrivò in Ancona di un vapore a lui diretto
per farne quell'uso che più gU fosse piaciuto, con assi-
curazione che il vapore era pienamente adatto per ser-
vire nell'Adriatico.
London, 1864 mars 13''
Dear Sir,
« Having been fumished with your address by my
■commercial friend. I avail myself of the opportunitj'.
and beg of yon, to take in your charge my steamer
the < Princess, > Master Sainscler, desUned to your
port and charged with goods inseuded for speculation.
Should yon accept this commission, I then will send you
the power for sale, or to dispose of her in manner
yon would think proper. She is iit for transport, and
passengers trade of short distance, and I think she vili
auswer well in the Adriatìc. She may be in your place
towards the end of this month.
< The benrer of this letter, the Master of the steamei',
will require your aid and your advice, tvhich yon will
kindly afford him and oblìge.
€ Your obedient seryant
John Robson ».
Questa lettera fu ricevuta a mezzo postale e non
a mano per cui nell'aprile, insistendo l'Elia che non
aveva avuto altre notizie, perché gli si facesse sapere
e fare qualche cosa, riceveva la seguente:
Torino, 22 aprile 1864.
Pregiatissimo Signore,
« Ho ricevuto la vostra del 11 aprile. Aspettate e
fate aspettare gentilmente, fino a che non riceverete no-
tizie positive da Londra.
29&
* Spero che gli avvenimeutì camminino. Fra poco
riceverete da parte mia la lettera patente commerciale,
che ho ricevuto oggi e che manderò a voi col mezzo
di una persona sicura. À tutti i miei saluti.
- Aggradite l'espreissicne della mia sincera amicizia
e del mio distintissimo rispetto
Vostro dev,mo
s. s.
Ma passò del tempo. II vapore annunziato non
eras-i veduto, né arrivavano altre notizie, quando da
persona sconosciuta gli veane portata la seguente lettera:
I
Torino, 30 giugno 1864.
Mìo caro Elia,
« Se potete e volete consacrarvi ad una grande
impresa, che vi alloutinerà per qualche tempo dalla
vostra famiglia, ma che può e deve esaere base della
nostra gloria e della grandezza avvenire, venite imme-
diatamente a Torino e da Torino al Campo di S. Mau-
rizio, dove debbo dirvi cosa e come. Non dite niente a
reesuno. Il latore non sa nulla e non gli dite nulla.
« Se poi le vostre ferite non vi permettessero di
viaggiare per mare e per terra rispondetemi non posso.
* Attendo con impazienza voi od una, vostra riga.
_4 Tacete tutto e vogliate sempre bene al
L
Sempre Vostro
Xi9io Bixio *
È da immaginarsi con che premura Elia rispondesse
all'appello del caro amico generale Bisio, che già. pre-
sentiva essere d'accordo col Re Vittoria Emanuele e
^HiOD Garibaldi per qualche ardita e gloriosa impresa.
Non indugiò la partenza e laggiunae dopo due giorni,
•isio al Campo di S. Maurizio.
, MoDtnti a cavallo ai recarono in una cn&in» di pro-
prietà, di Accostato, dove Elia ebbe l'altissimo onore e
ì& gniniic- eoddislazione di stringerò in mano che gli ve-
nÌTft stesa dal Padre della Patria, Se Vittorio Ema-
nuele II, che ebbe pitrole asssi benevoli per lui. Elia
riceyetto verbali ordini e di^aposizioni intoruò ad una
combionta operazione e ritornò in Ancona in attesa dì
essere cliianiato.
Anche Mazziui cooperava con Vittorio Emanaele e
spronava gli amici buoì a dare il loro appoggio per
l'insurieziono in Gallizia, e per trovare validi coope-
ratori nei principati Balcanici, e sopratutto nel Monte-
negro, per un forte diversivo contro l'Austria, per poi
marciare colle forze nazionali alla conquista del Veneto.
Intanto che tali trattative correvano, il generale Ga-
ribaldi, invitato dal popolo inglese a recarsi in Inghil-
terra, la mattina dell'll aprile giungeva a Londra, ac-
colto da per tutto dove passava da una moltitudine fre-
mente d'ammirazione e di amore.
Fra le feste che gli furono fatto merita di essere
ricordata quella della prima autoritH. cittadina.
Il Lord Mayor di Londra saluUiva in luì in nome
della libera Inghilterra :
« Il grande Apostolo della libertà; l'eroico e caval-
leresco soldato che nou impugnò mai la spada che per
una giusta causa; il conquistatore di un regno per li-
berarlo dall'oppressione; colui che rimase povero per
arricchire f^li altri, il cittadino amante della sua patria
e di tutta la razza umana, assiti più della propria vita:
l'uomo sinceramente buono e giusto di cui le private
virtù sono superate soltanto dalla magnanimità sua più
che spartana 0 romana >.
297
Invitato ad un banchetto di amici polacchi ed ita-
liani tra i quali Mazzini, Saffi e Mordini, al levare della
mensa Mazzini ai levò e propose un brìndisi al gene-
rale Garibaldi con queste parole:
« Il mio brindisi racchiuderà tutto quanto ci è caro,
tutto quello per cui abbiamo sotferto e combattuto. Bevo
alla salute della libertii dei popoli, dell'uomo, che è la
incarnazione vivente di queste grandi idee, di Giuseppe
Garibaldi; della poTera, sacra ed eroica Polonia i cui
figli silenziosamente combattono e muoiono per la li-
bertà da più dì un anco; bevo alla salute di quella
■giovane Russia la cui divisa è terra e lavoro; della
nuova Russia che fra non molto offrirà la mano alla
Polonia aorella, riconoscendo la sua indipendenza e can*
celiando i ricordi dei russi degli Czar; alla salute dei
russi che col nostro amico Herzen hanno tatto tanto per
■creare una nuova Russia ».
Garibaldi rispose :
r « Sono per fare una dichiarazione che ho nel cuore
' da gran tempo. Vi è fi'a noi un uomo che ha reso i
più. grandi servigi al nostro paese ed alla causa della
libertà. — Quando io ero giovinetto non avendo che
aspirazioni verso il bene, cercai uno capace di servire
di guida e di coniiìgrlio ai miei giovani anni, e lo trovai. —
Egli solo vegliava, mentre tutti intorno a lui dormi-
vano - Egli solo alimentava il fuoco sacro — Egli con-
servò sempre la sua fede, l'amore sviscerato al suo paese,
la devozione alla CAUsa della liberta — Quefit'uomo è
il mio amico e Maestro Giuseppe Mazzini. Beviamo
I alla sua salute ».
I II 5 maggio Garibaldi lasciava l' Inghilteira, ed il 9
I r« Ondine > Jackt del Duca di Sutherland lo sbarcava a
■Caprera,
Prima d' imbarcarsi per far ritorno alta sua isola
il geoerale cosi scrisse a Victor Ugo che avevagli espreaao
il desiderio di stringergli la mano qualora avesse potuto
Tisìtarlo nella partenza da Londra:
Mio caro Victor Ugo,
< Il visitarvi nel vostro esigilo era per me più che
un desiderio ; era un dovere : ina molte circostanze me
lo impediscono. Spero mi capirete, che lontano o Ticino,
non sono mai separato da Voi e dalla causa che rap-
presentate.
Londra 22 aprile.
« Sempre vostro
» G. GaribaMi >.
Volle pure fosse pubblicata una lettera di com-
miato e di omaggio alla stampa inglese e cosi scriveva :
« Nel lasciare 1' Inghilterra non posso a meno di of-
frire un pubblico oraag'gio alla stampa inglese, e uno spe-
ciale tributo di gratitudine a tutti quei giornali che fu-
rono sinceri e fedeli organi della pubblica opinione verso
di me, e benevoli interpreti dell'ammirazione e dei sen-
timenti che nutro perla nazione che mi diede ospitalità.
« Londra, 28 aprile.
« G. Gar&taldi ».
Garibaldi non si trattenne a lungo nella sua i&ola.
D 14 di maggio, collo stesso vapore che lo aveva ricon-
dotto dair Inghilterra e che il Duca dì Sutherland aveva
messo a sua dii^posizione, sbarcava nell' isola d' Ischia
per curarsi dell'artrite.
Come si disse già da qualche tempo correva una
rriepondenza privata fra Miizzini e Vittorio Emanuele-
Intermediario fra Vittorio Emanuele e Mazzini era
na persona amica iU Manzini quanto altrettanto devota
Vittorio Emanuele.
Nei primi di giugno 1864 questa persona di fidacifl.
:'t-iceveva da Manzini ud messagg'io che diceva cosi:
* Il Re non intende questo cospirare continuo a
impiantare un dualismo tra il goTerno e il partito di
azione in cose nelle quali si era in sostanza d'ac-
cordo; volere pgli Venezia quanto me; avere egli fede
nell'onestà dei mio procedere; perchè non si verrebbe
un patto per l'intento comune? »
E il 15 di giugno il Mazzini in una aua lettera
neLa quale apriva l'animo suo grande, concludeva cosi:
Mio caro
^P « Se chi pensa alla guerra contro l'Austria iia co-
^■licienza di me e crede al mio onore, che non ho tradito
^pnai, io dichiaro:
« Che non credo a vittoria definitiva possibile senza
resercito regolare e l'intervento governativo.
* Ctie non sogno neanche d'innalzare, ove anche
il potessi, una bandiera repubblicana nel Veneto — che
tacendo noi per coscienza e per dignità d' ogni pro'
gramma politico, e limitandoci a gridare guerra all' Au-
stria, aiuto ai nostri fratelli, accetteremmo il prognimma
che uscirebbe dal Veneto. Ora, il grido del Veneto che
abbisogna dell'esercito e dell'Italia costituita come è,
aarà infallibilmente monarchico. Su questo punto il re
non ha dunque da temere.
« Data questìL sicurezza, il migliore accordo è quello
di lasciarci fare, e apprestarsi a cogliere nipidamente
l'opportunitìi che noi cercheremo di offrire.
300
« Garibaldi è l'anima d'ogni moto di volontari, Nes-
suno può dubittiro àiitla di lui adesione alle dichiarazioni
cbe io feci sul principio di questa mia lettera. Ma
sono convinto, ohe la di lui azione dovrebbe essere
lasciata libera ed indipendente. S' inleade che i primi
tatti di guerra governativa regolarizzerebbero il contatto
dell'insurrezione e del capo dei volontari col disegno
generale stratej^ico,
« Potete ctìmunìcare al re questa mia e credetemi
vostro
f!. ]Hfi£ZÌni
La risposta di Vittorio Emanuele fu :
< Avere comuni lo slancio e il desiderio di fare
con la persona di cui si parlji. Giudicare le co^e da me
e con la massima energia, non con timide impressioni
altrui.
■ Ma sappia la persona che gravi sono i momenti;
che bisogna ponderarli con mente ealma e cuore ar-
dente; che io e noi tutti vogliamo e dobbiamo compiere
nel più breve spazio di tempo la grand'opera ; ma guai
a noi tutti se non sappiamo ben farlo, o se, abbando-
nandoci ad impetuose interapesiive frenesie, venissimo
a tale sciiigura da ripiombare la patria nostra nelle
aintiche sventure. -
« Il momento non è ancora maturo; fra breve, spero,
Dio aiuterà- la patria nostra.
Il 2 di luglio in un autografo il Re faceva a Maz-
zini questa rispostii :
« La Polonia mancò ognora nelle varie sue fàsi in-
surrezionali della forza vitale di espansione, e questa
è la principale cagione della sua i ovina; forse potrebbe
rinascere come la fenice dalle proprie ceneri, estendendo
le Sue ramificazioni in Gallizia, Principati ed Ungheria,
dove il terreno sarebbe facile a exploiier se vi fossero
uomini energici ed audaci che servissero di trait-d'u?iio?i.
b
301
Se i moti in Gallizi.a estesi nlle citate contrade pren-
lessero le proporzioni di una spontanea popolare insur-
rezione da tenere fortemente occupata l'Austria, allora
sarebbe necessario anzitutto d'aiutarla con ttn nitcleo di
italiani delermÌTiafì, e cosi riuniti vari fecondi elementi,
ttitii osdìi (lì principafe nemico, si potrebbe condurre a com-
pimento il comune desiderio.
1 Intanto correvano intelligenze oltre che con Maz-
zini e Garibaldi anche coi generali Klapka e Ko&tnith,
capi dell'insurrezione ungherese e con altri a Belgrado
ed a Bukarest — Garibaldi era pronto a tutto.
Nei primi di luglio il Re Vittorio Emanuele appro-
vava tutte le proposte di Mazzini e si metteva d'ac-
cordo col generale Garibaldi, che doveva, essere U condot-
tiero delJ-'nrdiln impresa. Intermediario del Re Vittorio
Emanuele con Garibaldi era il sig. Porcelli d'intesa con
Bixio e tutto si stava preparando.
«
* *
Alcuni del partito democratico pur sapendo che
dell'ardita impresa era consenziente anche Mazzini, che
fortemente la voleva, non approvavano questa pericoloaa
spedizione e temevano pel Generale stesso, che vole-
vano rimanesse in Italia ad aspettare altri eventi pro-
pìzi. Ma egli era risolato; isi doveva partire ed EUla
stava aspettando ìnip;iziente l'annunziato vapore, quando
ricevette la seguente lettera:
Torino, 9 luglio 1864,
Mio caro Elia,
^^ « I mestatori hanno tentato di fare andare a monte
II tutto e di far cambiare idea al nostro G . . . .
« Spero che non riesciranno ! Questa sera vedrò
r altra persona e cercherò di accomodare ogni cosa.
300
€ Domani vi saprò dare notizie positive.
< Intanto ho voluto scrivervi queste due righe in
risposta alle vostre due pressaatl, perchè attendiate senza-
inquietarvi.
« Sar^ un piccolo ritardo, ma pazienza 1
« A domani dunque.
« Tutto Vostro
< PorcelU ».
Ma l'indomani 10 luglio 1864 il Qiomale il Diritto
pubblicava la seguente protesta anonima :
« Avuta certa notizia, che alcuni fra i migliori del
partito d'azione sono chiamati a prendere parte ad im-
prese rivoluzionarie e guerresche fuori d'Italia, ì sot-
toscritti (che non si sotscrissero !) convinti :
< Che noi stessi versiamo in gravi condizioni pc4i-
tiche;
< Che nessun popolo e nessun terreno sìa più
propizio ad una rivoluzione per gli interessi della li-
bertà, che r italiano ;
« Che le imprese troppo incerte e remote quali
sono le indicate, ordito da principi, debbano necessa-
riamente servire più a' loro interessi che a quelli de'
popoli ;
« Credono loro dovere per iagravìo della loro co-
scienza dichiarare ;
< Che l' allontanarsi dei patrioti italiani in questi
momenti non può che essere funesto agli interessi della
patria ».
Questa pubblicazione del Diritto fece persuaso Vit-
torio Emanuele che non potendosi più condurre l' im-
presa con la dovuta segretezza, se ne accrescevano i
perìcoli ; e non volendo che si pensasse, che egli man-
dava al sacrifizio Garibaldi coi suoi valorosi compagni,
per vedute ambiziose proprie, con lettera, portata al
Generale dal Porcelli, lo scioglieva da ogni impegno e
ritirava il suo concorso all'opera progettata.
306
CAPITOLO XXIV.
Guerra del 1866 — Liberazione del Veneto.
La guerra del 1S64 intrapresa dalle due grandi po-
tenze tedesche contro la Dauimarca fu poi rorigino del
loro dissecai.
Finché ei trattò di togliere ad un piccolo regoo i
fere ducati dell'Elba; finché sì volle togliere ogui inge-
renza ai minori Stati della Confederazione, Austria e
P^frussia andarono d'accordo; ma quando si fu alla spar-
tizione della conquisi,a, fra le due potenze si sriluppò
^wlin forte antagonismo che doveva condurre alla guerra.
I
^V lu vista di questa eventualità il Conte di Bismarlc
^"tìhìamato a ae nei primi di marzo il Coute Barrai, Mini-
r atro d'Italia presso il Re di Prussia, ebbe con lui una
I conversazione concernente un trattato di alleanza offen-
^« siva e difFensiva.
^H Stabiliti gli accordi preliminari, Lamarmora incar
^Biricava 11 generale Govone per la conclusione definitiva
^^del trattato — non poteva farsi scelta migliore — e il
I 9 marzo egli partiva da Firenze per Berlino. Il trattato
' fu concluso e firmato, ed a questo l'Italia si mantenne
fedele, sebbene V Austria ad un certo punto offrisse la
cessione del Veneto, purché l'Italia sì distaccasise dalla
Prussia.
Fatti i necessari preparativi con la mobilitazione
dell'esercito e col richiamo sotto le armi delle vecchie
classi, la guerra fu dichiarata.
S04
n Re Vittorio Emanuele, decisa la guerra all'Au-
stria, indirizzava alla Nazione il seguente proclama :
Italiani !
« Sono corsi ormai sette anni che l'Austria assalendo
armata i miei .Stati, perchè Io aveva i>erora[:ji la causa
della comune patria nei consigli d' Europa, e non ero
stato insensibile ai gridi di dolore che si levavano dal-
l'Italia oppressa, ripresi la spada per difeniere il mio
trono, la libertà dei iiiifi popoli, l'onore italiano e com-
battere pel diritto di tutui la nazione.
« La vittoria fu pel buon diritto ; e la virtù degli
eeereiti, il concorso dei v&lontari, la concordia ad il
sonno dei popoli e gli aiuti dì un magnanimo alleato,
rivendicarono quasi interdi la ìndipeudenza e la libertà
d' Italia.
* Supreme ragioni che noi dovemmo rispettare ci
vietarono allora di compiere la g-iusta e gloriosa im-
presa : una delle più nobili ed illustri regioni della pe-
nisola, che il roto delle popolazioni aveva riunito alla
nostra Corona e che per una eroifa resistenza e una
continua e non meno eroica protesta contro il restau-
rato dominio straniero ci rendeva particolarmente sacra
e cara, rimase in balia dell' Austria.
« Benché ciò fosse grave al mio cuore, nondimeno
mi astenni dal turbare 1' Europa desiderosa di piice, che
favoriva colle sue simpatie it crescere ed il fondarsi del
mio Regno.
« Le cure del mio governo si volsero a jjreferenza
ad accordare gli ordinamenti interni, ad aprire ed ali-
raentiire le fonti della pubblica prosperità, a compire gli
armamenti di terra e dj mare, perchè l'Italia, posta in
condizione di non temere offesa, trovasse più facilmente
nella coscienza delle proprie forze la ragione delle op-
I
305
■rtune prudenze, aspettando si maturaase col teuipo',
col favore dell'opinione delle genti civili e degli equi e
liberali prìncipii che andavano prevalendo nei con-
igli d'Europa, l'occasione propizia di ricuperare la
Venezia e di compiere ed assicurare la sua indipen-
denza. Quantunque l'aspettare non fosse senza pericoli
'« senza, dolori entro confini mal circoscritti e disarmati,
e sorto la perpetua minaccia di un inimico, il quale nelle
infelici Provincie rimaste soggette alla sua dominazione
aveva accumulato i suoi formidabili armamenti della
offesa e della difesa : collo spettacolo continuo innanzi
agli occhi dello Btrazio che egli faceva delle nostre po-
polazioni, che la conquista e una spartizione iniqua gli
avevano dato, pure io seppi frenure, in omaggio alla
uiete d'Europa, i miei sentimenti di italiano e dì Re,
e la giusta impazienza dei miei popoli. Seppi conser-
Tare integro il diritto di cimentiire opportuni! mei ite la
Tita e le sorti della Nazione: integra la dignità della Co-
rona e del Parlamento, perchè l'Europa comprendesse
che doveva dal canto suo giustizia intiera alt' Itaha.
« L' Austria ingrossando improvvisamente sulla no-
stra frontiera, e provocando con uu atteggiamento ostile
e minaccioao, è venuta a turbare l' opera paciifica e ri-
paratrice intesa a, compiere 1' ordinamento del regno, e
alleviare ì gravissimi sacrifici imposti ai miei popoli
dalla sua presenza nemica sul territorio nazionale.
a All' ingiustificata provocazione ho risposto ripren-
dendo le armi, che già si riducevano alla proporzione
della necessità dell'interna sicurezza: e voi avete dato
uno spettacolo meraviglioso e grato al mio cuore, colla
prontezza e con l'entusiasmo con che siete accorsi alla
mia voce nelle file gloriose dell' esercito e dei volon-
tari.
«Nondimeno quando le potenze amiche tentarono-
di risolvere le difficoltà suscitate dall'Austria in Germa-
nia ed in Italia per via di un Congresso, io volli dare un
ultimo segno dei miei sentimenti di conciliazione al-
l' Europa, e mi affrettai di aderirvi.
« L'Austria rifiutò, Auclie guesta volta, i negoziati,
e respinse ogni accordo e diede al mondo una novella
prova che, se confida nelle sue forze, non confida ugual-
menta nella bont^'i della sua causa e nella giustizia dei
diritti che uearpa.
€ Voi pure potete confidare nelle vostre forze, Ita-
liani, guardando orgogliosi il llohdo esercito e la for-
midabile marina, pei quali né cure né sacrifizi furono
fisparmiati; ma potete anche oontìdare nella santità del
vostro diritto, di cui ormai è immancabile la sospirata
rivendicazione.
« Ci accompagna la giustìzia della pubblica opi-
nione, ci sostiene la simpatia dell' Europa, la quale sa
che l'Italia, indipendente e sicura del suo territorio, di-
venterÀ pur essa una garanzia d'ordine e di pace, e
ritornerà efficace iscrumento delia ciTillà universale.
Italiani !
« Io dò lo Stato a reggere al mio amatissimo cu-
gino il principe Eugenio e riprendo la spada di Gotto,
di Pastrengo, di Palestre e di S. Martino.
« Io sento in cuore la sicurezza che scioglierò pie-
namente questa volta il voto fatto sulla tomba del mio
magnanimo Genitore. Io voglio essere ancora il primo
soldato della indipendeitza italiana.
« Viva l'Italia.
€ Firenze, li 20 giugno 1866.
* Vittorio Emanuele. ».
Il Re rivolgeva poscia il seguente proclama all'eser-
cito ;
307
Ufficiali, BottiifBciali e soldati!
L'Austria, armando sulla noatra frontiera, vi sfida a
novella battaglia. In nome mio, lii nome della Nazione,
vi chiamo alle armi. Questo grido di guerra sarA per
voi, come Io fu sempre, grido di gioia. Quale sia il vostro
-dovere, non ve lo dico, perchè so che bene lo conoscete.
Fidenti nella giustizia della nostra causa, forti del nostro
diritto sapremo compiere con le armi la nostra unitA,
I
Ufììciali, sottufficiali e soldati !
Assumo oggi nuovamente il comando dell'esercito
per adempiere al dovere che a me ed a voi spetta di
rendere lìbera il popolo della Venezia, che da lungo
tempo geme sotto ferreo giogo. Voi vincerete, ed il
fvostro nome sarà benedetto dalle presenti e future ge-
erazioni.
I
Firenze, 21 giugno 1866.
Vittorio Emanuele.
•%
Disponeva poi che si ìtìtifuissero due depositi a Como
tBarì per la formazione del corpo dei volontari o
fHva il comando al generale Garibaldi.
' Si sapeva dunque della formazione di un corpo di
volontari e tutta la vecchia guardia aspettava di essere
chiamata; non si sapeva però dal Generale quale desti-
nazione gli si i^arebbe data. Si parlava che avrebbe avuto
incarico di sbarcare col suoi volontari in Istria, per sol-
levare quelle popolazioni italiauissime e piombare su
Trieste. Ma prevalsero altri concetti.
Quando tutto fu deciso egli chiamò a sé ì suoi fìdi,
d all'Elia così scriveva:
Mio caro Elia,
e Venite — Se vi fosse Burattini, che venga. Se vì>
fossero pure dei bravi marinari volontai'i conduceteli »
Milano e arrivali là avvisaiemi.
Vostro
0 G. Garibaldi ».
Elia mise subito assieme un buon numero di mari-
nari volontari, ai quali, oltre il Burattini* si unirono
alcuni capitani della mariirn mercantile; e tutti parti-
rono per Milano, ove giunti Elia informava il Generale
chiedendo ordini,
H 16 di giugno il " Monitore Prussiano > pubbli-
cava la dichiarazione di guerra. Il 17, La Marmerà fe-
dele ai suoi impegui partiva pel Quartiere generale, ed
il 20 inviava la dichiarazione di guerra all'Austria.
Se la flotta itn,ìianjt fosse stata affidata al comando
di un uomo come Garibaldi, o come Bixio, con la cer-
tezza di dominare con la stessa l'Adriatico, tenendo ob-
bligata la flotta nemica a stare riparata sotto i cannoni
di Fola, il miglior piano di campagna sarebbe stato quello
d'impossessarsi, con un energico colpo di mano di Trieste
per fame base di operazione deireserclto, che sbarcato
su quel punto buon nerbo di forze, come diversivo,
avrebbe girato tutte le difese accumulate per tanti anni
sul territorio Veneto, trasportando di primo slancio la
guerra nel suolo nemico. Ma prevalse altro criterio,
e la flotta italiana fu data in mano a persona mancante
di grande energia e di quella alta capacità tanto neces-
saria in un momento cosi grave e decisivo per la na-
zione.
BQ9
Per nian;giore sventura^ nella fissazione e nella esecu-
zione del piano dì campagna, si urtarono due pareri
contrari.
La Marmora non ammetteva altra offesa possibile so
non dal Mincio colia base di Alessandria t Piacenza.
Cialdìni invece aveva intuito essere foUe impreaa l'at-
tacco di fronte al quadrilatero; essere indispensabile
girarlo, facendo base a Bologna e Ferrara dirigere le
operazioni di guerra eu Padova per Pontelag-oscuro e
Rovigo, mentre l'attacco dal Mincio conduceva per ne-
cessaria conseguenza agli assedi di Peschiera e di Verona
che bisognava assolntjiraente evitare,
La Marmora si riflutó recisamente di operare sul Po.
Fu quindi Btabilito die i primi tre corpi di armata
eseguirebbero una seria dimostrazione sul Mincio onde
attrarre da quel lato le forze dell'are idiiai, mentre il 4"
Corpo, formato di otto divisioni con 170 pezzi d'artì-
;<lieria, varcato il Po marcerebbe su Rovigo di cui s' im-
padro lì irebbe, attendendo per inoltrarsi oltre V Adige,
di essere raggiunto dal grosso dell' Esercito, che vi si
porterebbe mediante una marcia di fianco, utilizzando
la ferrovìa dell'Emilia.
1^
1 TK,
ìt
Fissato dal La Marmora questo piano, nella mattina,
del 19 giugno, dal comando supremo dell' Esèrcito tu
ordinato che all'alba del domani il 1" Corpo si avan-
zasse per prendere posizione sulle allure tra Pozzoleng»
e Volta In modo da poter chiudere il passo ad ogni
sortita da Pescliiera sulla destra del Mincio; che il 3"
Corpo d'armata si avanzasse su Goito legandosi a sini-
stra col 1" sotto Volta e a destra col 2"' per Rivalla ;
che il 2° Corpo si appressasse a Mantova, senza passare
il Gonline, ma ia modo da potere, al rouipere delle ostilità,.
impadronirsi subito di Curtatooe e minacciare Borgo-
forte; che la divisione di cavalleria, muovesse nella
notte per porsi ira Castiglione delle Stivìere, San Cas-
fci^no, Guidizzolo e Medole.
La riserva generale d'artiglieria doveva collocarsi
attorno a Cj'eraona.
Il fronte dell'armata del Mincio era per tal modo
disposto su una distesa di 42 chilometri.
Disegno del comando supremo dell'Esercito era il
seguente: al mattino del 23 impadronirsi dei passi dc-1
Mincio tra Monzambano e Goito con le truppe del 1° e
-i" Corpo, porre piede BuUa sponda sinistra e spingere
la cavalleria vereo l'Adige. Heì tempo stesso, colle truppe
del 2° Corpo impossessArsi dei fortini avanzati di Cur-
tatone e Montanara dinanzi a Mantova, entrare nel Ser-
raglio, tagliare Le comunicazioui tra quella fortezza e
liorgoforte, e aissalire «questa ultima poisizione dalle due
sponde del Po e costringere con un rapido fuoco di
numerosa artiglieria, il preaidioalla resa o allo B^^ombro,
Nel mattino del 23 il passaggio del Mincio fu effet-
tuato come era stato ordinato senza contrasti da parte
degli austriaci.
Il 1° Corpo passò il Mincio a Monzambano colla
ijrigata Pisa e prese posizione al di là ed a cavallo del
tìume; la quinta divisione lo passò a Borghetto ed occupò
Valleggio; la 3" lo valicò ai muliui di Volta ed occupò
l'altipiano di Pozzuolo; la 2'' restò nella sua posizione di
Pozzolengo osservando Peschiera; una forte riserva &i
-situò a metà strada tra Volta e Borghetto.
Il 3° Corpo valicò il fiume al ponte di Goito, alla
presenza del Re.
- Vi passarono la 7", 16'' e 9"^ Divisione mentre l'B'
-gettava un ponte più in alto, a Ferri ; le divisioni 16'^ e
V si coUocìvrouo in prima linea, fra Belvedere e Rover-
Ju,ella, le altre due rimasero in.geQouda. liqea.
. 311
Il 2° Corpo non passò il Mincio; ina con la 6' Divi-
sione ed una brigata della 4^ varcò la frontiera delle
Grazie ed occupò Curtatone e Montanara ; l'altra bri-
Igata della 4" Divisione fu posta sulla destra del Po os-
servando Borgoforte.
Le divisioni Longone e Angioletti rimasero nei pressi
di Castell uccio.
*rutti questi movimenti non incontrarono alcuna re-
sistenza. L'assenza di forze austriache nella pianura
^-avanti Verona, indusse il generale La Marmora a ri-
^■tenere che il nemico avesse rinunziato a difendere 11
lerreno fra l'Adige e il Mincio, e che si sarebbe limitato
i.a contrastare il passo del primo fiume. Perciò venne
^nel concetto di gettarsi arditamente fra le piazze di Ve-
rona, Peschiera e Mantova, per separarle una dall'altra, ed
occupare una forte posizione che, richiamando l'attenzione
del nemico, favorisse il passaggio del 4" Corpo d'Armata,
soncentrato fra Bologna e Ferrara. In conseguenza di
questo presupposto diede gli ordini perchè il 1° Corpo
occupasse Castel Kuovo, S. GiuEtino e per Valeggio, Cu-
j stoza, Somma -Campagna ai dirigesso a Sona. llS^prolun-
^^j;ando questa lìnea, doveva occupare Somma-Campa-
^^gna e Villafranca.
r Ordinava infine che il 2" Corpo, passando il Mincio
■ a Goito, occupasse quel paese, Marmirolo e Roverbella,
' quale riserva generale.
^^— Tutti questi movimenti dovevano farsi nelle prime
^ftore antimeridiane del giorno 24.
^M G-aribaldi aveva a-ccettato con gran cuore, che Trento
" fosse lobbiettìvo delle sue operazioni; ma v'erano altre
vie per giungervi oltre quella all'ovest del Garda. Sca-
glionare le sue truppe a Bergamo, accennando a nord
per richiamare gli austriaci ai passi del Tonale e del
Caffaro; poi correre a gran passi al Po Cremoneee, e
m
per l'Emilia, al basso Po, dietro il corpo del genenil»
Cialdiui; entrare con questo nel Veneto, sopravanzarlo,
e per la Val Sugana lanciarsi su Trento; questo era il
piano che egli aveva in mente, ma tale disegno non
combinava colle idee del Comando Supremo ed a que-
sto Garibaldi dovette sottomettersi.
Il generale il 23 giugno contava di avere con se sei-
mila uomini circa, e con questi si metteva in marcia per
la via Glie gli era stata tracciata, mentre sapeva che il
generale Ivunn gli opponeva una t'orza superiore ai 18
mila uomini.
Elia aspettava da tre giorni a Milano la chiamata di
Garibaldi, quando a mezzo del tenente colonnello Fran-
cesco Cuochi dello Stato Maggiore^ riceveva l' ordine
di portiirsi con i suoi a Sale!),
Ivi arrivato £lin presentava al generale i volontari
ohe lo accompagnavano, 11 generale gli espresse l' in-
tendimento Euo di affidare a lui il comando delia miuu-
Bcol» tìotuglia del Liigù di (jju'dii; ma Elia gli fóce osser-
vare clic avendo già il maggiore Sgaralliiiù di Livorno,
presa la consegna ed il comando della flottiglia istessa, per
ordine del Capo di 8tato Maggiore, era suo desiderio di
lasciarglielo; solo chiedeva i! comando dell'unica barca
cannoniera pronta ed armata « 11 Torione », se il gene-
avesse rlo-phtlcimeute deciso di fidarlo nelìa flottiglia. Il
generale pregò Elia di rimanere nella flottiglia e gli diede
il comando desiderato.
Questa flottiglia si componeva di cinque barche can-
noniere armate con un cannone da24mm. a prua, di-
fese da un parapetto di corazza a prora e da 2 da 5 '/j
mm. nei fianchi; ma quattro di esse erano in riparazione
e solo dopo alcuni giorni, una dopo l'altra furono pronte
ad entrare in aaiono.
La flottiglia austriaca del lago era composta delle
cannoniere ad elica « Speinthenfel > « ì\ ildfang » « Schar-
f&chiutea » « Raufbold » « "Wespe » e « Xikoke » e
dei vapori « Francesco Giuseppe •> e * Hess ».
Il 33 il generale aveva ordinato ai volontari che aveva
sottomano, di marciare avanti e di Occupare con audaci
colpi di mano il Caffaro e Montesuello; e i garibaldini
non perdettero tempo.
U colonnello Splnflzzi, comandante del 2° reggimento,
■messosi subito in marcia si spingeva fino ad Anib; il
maggiore Castellini fiiceva avanzare il suo battaglione di
betsaglieri in due colonne di due compagnie ciascuna ed
una compagnia del 2° reggimento, per la strada di
Bagolino verso Monteauello che riusciva ad occupare
dopo accanito combattimento mettendo in fuga il oemico.
Cosi i nostri si erano stabiliti sul Montesuello e sul
Oaffaro, con drappelli di fianco a Bagolino da un lato,
ad Hano e Monte Stino dall'altro; senonchè in seguito
all'ordine che il generale Garibaldi aveva ricevuto dal
Coniando Supremo, di Affrettarsi a proteggere 1' eroica
Brescia, il colonnello Spinazzi venne richiamato e oo-
mandato ad occupare Lonato e Descuzano.
Ecco come erano andate le cose dell'esercito il 24
giugno.
Il 3° corpo si era messo in marcia alle due anti-
meridiane in tre colonne per occupare la linea Som-
macampagna-Villafrauca che gli era stata assegnata.
A destra la divisione principe Umberto pereorreva
la strada Roverbelin e Mozzecano diretta su Villafranca.
La divisione Bixio al centro, avviata alle Confardine,
seguiva da Masslmbona a Villatranca la strada che vol-
gendo a sinistra tende a quella borgata.
La divi.sione Cugia a sinistra per la strada da Poz-
zolo a Ramelli muoveva verso Sommacampngna ove
doveva collegarsi a sinistra con la destra del 1" corpo
d'armata.
su
Seguiva ìd ri&erva la divisione Covone per la strada
di Scivie direttA a Pozzo jMereto per iri prendere po-
sizione. La brigata di cavalleria che veniva in coda
alla divisione Bixio dovev.i stnbilirsi ft Rosspgfìferro.
Si credeva, secondo notizie avute, che a Villafraaca
vi fossero due squadroni di citvalleria nemica.
S. A. 3- il principe Umberto volendo eorprenderli,
ordinava al Cnpitano di Stato Maggiore Taverna, di porsi
.'dia testa dello squadrone d'avanguardia e di attraver-
sare di gran galoppo quella uittà, per la strada diritta
e larga che la taglia nel mezzo, e ai due battaglioni dì
bersaglieri di seguirlo a sostef^no a paiaso di corsa;
mentre la Divisione avrebi)e seguito a breve distanza.
L'avanscoperta fu eseguita con prontezza, ma la
città fu trovata sgombra di nemici.
It capitano conte Taveina spìnse la ricog'nizìone sulla
strada di Verona e Povegliano, e vi eooperse le vedette
nemiche; erano gli Ussari Wiirtemberg àeUa brigata Sjv
dakowschi in marcia. Avviso ne fu dato al comando
della Divisione che giù aveva traversalo VilLafranca;
questa spiegò subito la brigata Parma in prima linea
con due batterie, a cavallo della strada Regia e dellii
ferrovia, tendenti a Verona. Era tempo perchè l'attacco
della cavalleria austriaca si sviluppò immediato e violento.
Gli squadroni Us-seri ei slanciarono a gidoppo serrato
contro lo &q^uadrono italiano inseguendolo dno sulle
catene dei bersaglieri che coprivano la brigata Parma;
li si arrestarono accolli da viva fucilata; batterono in
ritirata e &i ridussero presso le due brigate comandate
dal Pulz e dal Radiikowscbi, le quali apiegati i propri
cavalieri in battaglia, gli Ussari Imperatore a diritta,
gli Ulani di Trani a ministra, una batteria al centro,
si lanciarono contro Villaf'ranca.
Gli Ulani preso il galoppo sopra vanzarono gli- Us-
sari; oltrepiissaLO Canova incontrarono le fitte catene
dei bersaglieri. Caricare queste ed i sostegni fu l'affare
di un momento, ma al di là diedero di cozzo conti'o
^15
lì otto quadrati d^la brigata Parma, appoggiati da una.
potente artiglieria ohe vomitava niilraglia. 11 principe
Umberto aveva aruto appena il tempo di gettarsi in
un quadrato del 49', coraandato dal maggiore Ulbrìch.
iO spettacolo era imponente; da una parte una giovane
tteria cui non intìmidivano gli urrak dei cavalieri
,tl a briglia sciolta, dall'altra una brillante cavalleria
sì gettava impavida a capo fitto contro quella mu-
raglia di ferro e dì fuoco. Ma ì quadrati della brigata
rimAsero immobili come torri e la c^valleriu austriaca
vide spezzarsi tutti i suoi sforzi contro la muraglia
i ferro della brava fanteria, superba di mostrare il suo
Bangue freddo e il suo eroismo al tìglio primogenUo
di Vittorio Emanuele il quale, con serenità d'animo
dava l'esempio del coraggio e della devozione al dovere.
, Dopo inutili, ripetute cariche ^'li avanzi del reggi-
'tnento Trani, dovettero retrocedere laceri e malconci;
quando il Kadafcowachi lì riannodjiva appena 100 ri-
spondevano all'appello,
Al rumore delle cannonate la divisione Bixio era
accorsa a spiegarsi sulla sinistra del principe : il gè-
nerale ordinava al suo capo di stato maggiore, te-
nente»colonuello di San Marzano di porsi alla testji dei
.tre squadroni di cavalleggeri di Saluzzo, muovere in
icognizìone e portare soccorso, occorrendo, a S. A. R.
,1 tenente colonnello di San Marzano si slancia alla
testa dei suoi bravi squadroni si avventa contro la ca-
valleria nemica che tentava sfondare i quadrali deUa
fanteria della divisione del principe e concorre a deci-
marla.
Avvenimenti meno felici per le armi nostre avve-
ivano in altre parli.
Il 1° Corpo d'armata — generale Durando — doveva
portarsi a Castelnuovo, osservare Peschiera e Pastrengo
■«guernire le linee delle alture tra gora eSantaGiustitja.
316
Ma questa raarcÌA che doveva essere una semplice oc-
cupazione dì poaìzìoni si cambiò Ad dui princìpio in uno
dei più seri combattimenti.
Nella notte del 23 al 24 di giugrno potenii masse
nemiche laac-Jate le posizioni che occupavano lungo l'A-
dige a Pasirengo e nel campo trincerato di Verona, con
marcia obliqua investivano la divisione in marcia verso
le posizioni loro assE^nate.
Non valse il valore delle truppe e I' eroismo dei
bravi ufficiali, del gener«le Cerale, del colonnello Dezza,
e dello stesso generale in capo Durando che assieme ai
suddetti riportava grave fenta ; la 1° divisione soprafatta
dfl forze imponenti e convergenti, minacciata di aggira-
mento, vinta, fu obbligata alla ritirata verso Valeggio.
Da quel momento l'attacco da parte degli Austriaci di-
venne generale.
Fino alte 4 pomeridiane si combattè dando i nostri
prova di indomabile resistenza contro un nemico asaai
superiore in numero, perchè quasi la metà delle nostre
t'orxe, al comando del Cialdini, era rJmìista trulla destra
del Po colle ai-mi a! piede.
Alle 5 tutto il 7° corpo austriaco appoggiato da riparti
del 9° e da una brigata del ó° corpo, dopo di e&aei«i reso
padrone di Sommacampagna, assaliva le poche truppe
itaLjane per sloggiarle dalle alture di Belvedere. Ottomila
dei nostri, sebbene spossati dalle marcie e dai lunghi
combattimenti, tenevano testa a forze nemiche talmente
soverchianti che sommavano a più di venticìnquemila
uomini. I nostri non cedevano, la lotta continuava sempre
più accanita, furiosa, con gravissime perdite da ambo le
parti. Ma nuove forze subentravano, il nemico ingros-
sava, premeva sempre più, e i nostri furono obbligati a
ripiegare.
Il 29*^ reggimento e il Ifi» bersaglieri assaltarono ri-
.solutamente la Mongabia e il Monte Criool.
317
Erano 20 compagnie sostenute dal fuoco di otto caa-
'noni che andavano ad .isanlire 25 compagnie auscriache
con otto pezzi, in fortissime posizioni. Di contro alla
parte orientale del Monte Criool, il generale "Willarey
colla o'' compagnia del 30° si avanzava tenendo alto II
berretto e griditndo Viva il- Re, quando, colpito da tre
proiettili Cctdde fulminato. Ma quelle akure con tanto
accanimento difeae, furono dai nostri valorosi conqui-
state; e le truppe della tariffata austriaca furono obbli-
gate ad una ritirata scompigliata, con l'abbandono di due
cannoni e i carri di munizioni roveaciati.
L Casale di Mongabia veniva occupato dal mag-
giore Hiuola-Pegcarini con tre compagnie del 29" reg-
gimento.
^k H generale Govone che era stato mandato dal Re
sulle alture dì monte Torre con la brigata Alpi, vide
quanto vantaggio poteva ricavare da questa posizione,
■ove aveva raccolto tutta la sua artiglieria. Per primo
scopo si prefìge di conquistare Custoza. Fa piazzare
tutte tre le batterie coi tiri rivolti contro quel Yillaggio e
ordina die il 34"" bersaglieri (maggiore Pescetto) si spin-
ga ad aiutare la brigata granatieri comandata dal
principe Amedeo che combatiteva eroicamente per ri-
prendere quella posizione, e che aveva sofferto gravi
perdite, lo stesso principe Amedeo vi era rimasto ferito.
L'effetto di quel potente fuoco d'artiglierìa fu grande.
^_U. 34" bersaglieri supera con mirabile slancio Terta sco-
Hb^esadel poggio di €ustoza, di contro alla testa del Monte
Torre, raggiunge i bravi granatieri e i valorosi della
3^ Divisione, e al suono delle trombe si slancia insieme
a quelli entro il villaggio, impegnando contro gli Au-
striaci lotta accanita.
In quel momento arrivava dalla parte dì Villa^
franca, inaspettato rinforzo, la seconda batteria a cavallo
sotto gli ordini del maggiore Ponzio- Vagli a.
Giungendo sull'alto del poggio all'entrata snd-occl-
ientale del vilLiggio, la testa della batteria urtava in
^318
un forte drappello di caralleria AustrÌHca e ussari di
Baviera; il miigfi^ore Ponzio -Vaglia sì metteva alla testa
dei serventi ni pezzi, appartenenti alla batteria del ca-
pitano Perrone e ctìn grandissimo coraggio e slancio im-
petuoso caricava furiosamOiiCe ia cavalleria austriaci, la
rompeva, !a metteva in fuga, facendo alcuni prigionieri.
Per questo brillantissimo fatto il maggiore Ponzio-Vaglia
veniva promosso e decorato dell'ordine militare di Savoia.
L'attacco furioso dei nostri obbliga gli austriaci a
ritirarsi in rotta verso il Belvedere.
Kimasti padroni di quella pof<ixione, bersaglieri e gra-
natieri impegnarono il fuoco contro i nemici appostati
in Vili Busa, nel cimitero, nella cliiesa, nel pal,azzo Maffei
e Hul poggio soprastante.
Il maggiore Ponzio-Vaglia ordinava al capitanò Per-
rone di condurre i suoi cinque pezzi in aiuto dei com-
battenti nel villaggio di Custoza contro il Jieniico, ap-
postato fortemente a Etelvedere ; l'ordine fu eseguito e
il nemico posto in fug;i.
Appena impadronitosi di Custoza, il generale Govone
ne maudava avviso al generale della Rocca, a cui chie-
deva alti'e truppe per fronteggiare il nemico che sempre
più e più ingrosstiva e col quale il combattimento era
seriamente impegnato.
DigraziatJimente la 3' divisione [Brignone) assalita
da forze preponderanti, era stata costretCìi ad abbaudo-
iiare la importantissima posizione del Monte della Croce.
L'annunzio fu doloroso astìai pel generale Lamarmora, il
quale, vista l'importanza di questa perdita ordinava al
generale Cugia di atfrettarbi a portare soccorso a quella
divisione, ed al colonnello Ferrari, comandante del 64° fan-
teria, dì seguire senz' altro la mossa e di appoggiarla.
Inttinto il generale Govone che aveva obbligato gli
austriaci ad abbandonare Custoza e Belvedere volle pro-
vare di conquistare anche le forti posizioni di Monte Mo-
limenti e Cavalchina, ordinava ifuindi alle sue brave
J;ruppe dì marciare alla conquista dì esse, e alle 2 Vi pom
pure queste erano in mano dei nostri.
'319
Venti compagnie stavJiDO ora &u quelle alture dinau^i
Beh'edere sino a Biigolino. Urgeva appareoohiarsi a
gagliarda difesa sa quelle ìmporUntÌHi$ìmQ posizioni e
sopratutto coprirle di artiglieria; ma tempo e mezzi man-
irono.
Il gienerale austriaco Moroicic aveva ricevuto or-
dine dell' ai'^ciduca di muoTere colle sue due brigate di
riserva per impiidronirsi ad ogni costo di Oustoza. Erano
;)assate le 3 pom. e le nostre truppe non avevano alcun
autore di quella mosaa che doveva dare il crollo alla
'battaglia. Alle 3 'A ricorainclava il fuoco dell'artiglieria
^jiemica pi» violento che mai.
Nell'udire il forte rumore della battaglia sulle alture
li Custoza il generale Bixio mandava il suo capo di stato
^Tnag;?iÒ!'e tenente colonnello di San Mariano, a chiedere
al comandante del corpo se poteva muoversi in soccorso,
luche S. A. R. Umberto aveva raaad.-ito a prendere or-
dini allo stesso scopo, ma enti'ambi ricevevano quello
,di rimaner fermi nelle loro posizioni. Infatti il generale
)ella Rocca interpretando gli ordini ricevuti dal Lamajr-
mra nel più stretto senso, non si credette autorizzato
id un atto spontaneo di vigorosa controfl'ensivji.
Vedendo addensarsi rapida tanta massa d'armati at-
(toruo A Belvedere, il generale Qovone fa scendere dal
''Monte Torre il 2V bersaglieri e lo spinge contro la si-
^^uistra del nemico ; ordina al generale Bottiicco di fare
^Kivanzare il 36" reggimento sulla deijtra ad est di Cu-
^■^boza. Il combattimento infuria; le nostre quattro batte-
^KTie dal Monte Torre, tirando a raiti'aglia. fanno strage
^Uéi nemici ; ma il numero di questi è stragrande e i
^Hruoti si riempiono in un attimo. I nostri sono esausti di
^^ìjrze, e vengono meno le munizioni ; il nemico inf^roBsti
^.e prt;rae sempre più ; non è possibile resistere più a
lungo, le nostre perdite sono enormi; il maggior Fezzi
cade ferito a morte, sono foriti gravemente i tenenti
.Salini e Tormvghi, il capitano Alberi è ucciso, il capitano
ISerrati'ice e il maggiore Lavezzeri feriti. Anche il capi-
330
tono di stato maggiore Biraphi è ferito gravemente.
Oli Austriaci occupano 1' altura sovrastante a Valle
Busa; i nostri, sempre combattendo, sono costretti a ce-
dere terreno a scendere verso la chiesa 6 il cimitero.
II genei'alo Moroicic senza perdita di tempo aveva
fatto piazzare sulle alture di Belvedere e di Monte Mo-
linienti abbandonate dai nostri le batterie delle due sue
■brigate e ire dì altri corpi e d'accordo con quelle del 9°
corpo batteva furiosamente Custoza, quindi ordinava un
attacco generale che divenne irresistibile per la gran
massa degli assalitori.
I difensori di Custoza si sforzano di tener testa
per quanto è possibile al furioso attacco del neiuioo che
si aceatca sempre più numeroso, sotto la tempesta dei
proiettili, tramezzo alle case che ardono e miuncciano
rovÌDa. Il coloutit^Uo Marchetti eccita i suoi a resistere;
la batteria a cavallo ha finito le munizioni; il tenente
PoUoiii ne protegge la ritirata. Oranatieri, bersa.e:lieri
€ fanteria del 51" e del Sb" combattono furiosamente ; il
generale Bottaco dirige impavido il combattimento ; ma
una più lunga resistenza non è possibile; troppo è
grande la soverchiante forza nemica.
Frattanto il generale Govone ha avuto risposta
da Villafranca che nessun soccorao può eBsergli man-
dato; la sua artiglieria è all'ultimo colle munizioni; il
capitano Gatti, del suo Beguito, é ucciso al suo fianco,
il capitano Nasi ferito mortalmente.
Le sue truppe non possono più reggere; il peso
della battaglia è divenuto enorme. Non gli rimane un
momento da perdere se vuole salvare la sua Divisione
dalla terribile conseguenza degli attacchi di fronte e di
fianco. Comanda la ritirata su Villafranca. Manda uf-
ctali a fare riordinare dietro la casa Coranini i retro-
<!edenti, per avviarli in colonna di marcia sulla strada; i
<;olonne]ti Cravetta e Di Salasco sono ordinati sui fian-
chi della strada per agevolare e coprire la ritirata del-
l' artiglieria e della fanteria.
321
n movimento ai eseguisce con I' ordine, che è poa-
'eibile in airaili ca&i, sotto il micidiale tiro delle arti-
glierie situate nelle alture; ed alcune centinaia di valo-
Irosi rimasti a contatto col nemico in Custoza e nel bo-
sco, assicurano, con un ultimo sforzo di difesa, la riti-
t'ata.
'. Così fini verso le 6 pom, la battaglia di Custoza
combattuta con straordinario valore.
Mentre questo avveniva a Custoza e nelle alture
di Belvedere e di Monte Croce, il comantlante del 7'
Lreggimento bersaglieri, magg-iore Giolitti, segnalava la.
'comparsa di grosse masse di truppa nemica sulle al-
ture di là di Val di Staffalo. Il generale Cugia spediva
avviso al Comandante del 3" corpo della minaccia d'im-
minente attacco di forze preponderanti, facendogli pre-
sentire r impossibilità di mantenersi in quella posizione.
IH generale Della Rocca gii mandava ordini di ritirarsi
Ljn direzione di Villafranca.
Il generale Della Rocca comprendendo clie il mo-
mento finale era giunto, dava gli ordini per la ritirata
Vtìrao il Mincio; la divisione Bixio e la cavalleria di ri-
.serva doveano coprirla.
p La fermezza del generale Bixio e delle sue truppe
aasicurarono la ritirata del 3° Corpo di armata ed egli
stesso si affrettò poi ad occupare Quaderni, per impe-
^dire al nemico di peoetrure tra Villafranca e Valleggjo.
Il combattimento del 24 giugno fu assai onorevole
"per le truppe italiane.
Le nostre perdite furono Mensibili, ma quelle del
nemico furono assai più forti. La maggior parte dei no-
stri combattenti fecero prodigi di valore, tanto è vero
che gli austriaci, si astennero dal cimentarsi ad impe-
dirne la ritirata. Dieci diviisioni non avevano potuto
prender parte a quel combattimento; due rimante per
3?2
■ordine Biiperiore a Villafranca; quella comandata da
.S. A. Reale il principe Umberto e l'ultra cnmiLiulain
dal generale Ilixio; e otto divisiooi, circa novantaraila
uomini, con 170 cannoni rimasto sul Po, sotto gli ordini
del generale Cialdinl.
L,a giornata di Ctistoza non ebbe la grande impor-
tanza che gli 3i volle attribuire; tanto che il * luglio.
le truppe sotto gli ordini di Ciiiidini. passato il Po, co-
stringeTano la guarnigione di Borgoforte ad abbandonare
Ojuella torte piazza per ritirarsi in Mantova e in IO
giorni questo corpo d'invaaione di'! Citildini, rÌTitbrzau>
à più che 150 mila uomini, si trovava buU* Isonzo
pronto a marciare per la conquista di Venezia.
Per i volontari comandati da Garibaldi l'ordine di
ritirarsi dalle posizioni conquistate era stato doloroso,
ma bisognava ubbidire.
Il generale senza esitare, con la sua abituale rapi-
dità:, ordinava alle sue truppe di abbandonare i posti ot-
cupati e con tanto valore difesi, e le disponeva fra
Brescia e Lonato.
Nella notte del 25 il comandante della llottiglia
ordinava ad Elia di sbarcare tutto il materiale da guerra
della sua cannoniera «Torrione» e di avvertire di non
la&ciare a bordo degli esplodenti, poiché dovevasi dar
fuoco alla flottiglia per distruggerla,
Elia ubbidì quanto allo sbarco del msteriale, che
poteva essere stato richiesto dal Generale come ueces-
iiario alla difesa di Brescia, ma credette di non poter
permettere si abbruciasse la sua nò le altre cannoniere.
Ractìomandò ai marinari del « Torrione » di fare buonsi
guardia e, coU'autorità che gli dava il suo grado supe-
riore, ordinò ai coiBatidan-ti delle altre cannoniere di
non dare esecuzione ad alcun ordiae, che potesse coni^
promettere la salvezza del naviglio loro affidato. Ciò
dispoBlo si diresse alia residenza del capo di stato;
maggiore e, trovativi lE generale Fabri2i ed il colonnello
GuatìCiiUa, cliiese loro quali erano gli ordini per la flottìglia
-a sapuiili, domandò oarta bianca, prendendo inpegno
d'impedire che essa cadesse in mano agli austriaci;
aenza che vi fosse bisogno d' incendiarla e di distruggerla.
Sua intenzione era di adoperare iL eistema, che ebbe
a riuacirgli cosi bene a Marsala col w Lombardo » cioè
quello di aprire all'ultimo estremo i rubinetti alle mac-
chine per l'arie affondare. Avuta tale facoltà, mantenne
una attivÌB»ima. sorveglianza per non essere sorpreso dal
lato del Iago, mentre il colonnello Bruzzeai prendeva, le
sue precauzioni dal lato di terra, e non essendo acca-
duto nullit di straordinario, la flottiglia fu salvata con
soddisfazione grandissima del generale Garibaldi, che alla
notìzia avuta della sua distruzione era andato au tutte
le furie.
Venuto il giorno dopo a prendere il comando divi-
BÌonale di Salò ìE generale Avezzana, questo con insi-
stenza pregava Elia dì accettare il coniando della flot-
tiglia, e sebbene a malincuore, perchè gli doleva lo
stato di quasi inazione a cui era condannato, pur non-
dimeno dovette ubbidire, perchè alle istanze del generale
Avezzana vi si aggiunse l'ordine gentile del generale
Garibaldi, che, venuto a bordo della cannoniera « Tor-
rione » gii faceva elogio per la salvata flottiglia e Io
pregava a prenderne il comando. L'Elia non poteva ri-
liutarsi e chiese ed ottenne per suo capo di stato mag-
giore il capitano, amico suo carisjsimo, Alberto Mario.
Elia ebbe poi delle importanti missioni di fiducia
d'ordine del generale Garibaldi e da lui personalmente.
La prima affidatagli fu quella di recarsi in incognito ad
esplorare f+e erano vere alÉune mosse del nemico riferite
al capo di stato maggiore, e nel tempo stesso di vedere
ae era lattibile V impossessarsi di un vapore che gli
324
Austi'Uci BvevAiio ìa costruzione a Desenzuuo; cosa a&~
soliiCamente impossibile perchè il vapore in costruzione
aveva ancora il fondo aperto e toancaote del fasciame:
ecco la lettera con la quale gli si dava l'inctuico.
■« Caro Colonnello,
< Ecco le due guide di tutta confidenza. Ho già detto>
loro qualche cosa. Quando crederete voi direte ìt resio.
La vettura earà alla vostra porta tra pocài minuii.
Buon viaggio e felice ritorno con più buone nouzie. II
sotto Capo di Stato Maggiore. E. Guastalla ■.
Altre mìsaioni di Garibaldi al Ministero con lettere
e con istruzioni riservate l'Elia condusse a termine con
soddisfazione del generale.
E 1" luglio ricevuto il rinforzo di tre dei cinque
reggimenti che si stavano organizzando, il generale Ga-
ribaldi, lasciato buon prefiidio a Brescia ed n Lonato,
disponeva il movimento in avanti per riprendi^rt?, con
nuovo sangue dei suoi, le posizioni .che gli era stato
ordinato di abbandonare.
Il giorno 2 di luglio il colonnello brigadiere Corte
clje per capo di Stato Maggiore aveva il bravo capitano
Marcora ebbe l'ordine di muovere verso Rocca d'Anfo.
La sera pernottava a Veatone ed alla ujattina ripren-
deva la marcia. Verso il mezzogiorno veniva avvertito
che una coiupiignia di bersaglieri, comandala dal ca-
pitano Evangelisti e tre di volontari comandati dal mag-
giore Salomone sotto la direzione del capitano di Stato
Maggiore Bezzi avevano ricevuto ordine di girare attorno
alla Rorca e di piombare dalla cimft dei monti sugli
austi'iaci che occupavano S. Antonio e le falde orientali
dì Monte Suello.
Arrivata la colonna comandata dal Corte^ in pros-
Bimità dì ti. Anconio, venne attaccata dai Cacciatori
austriaci appostati sulle falde del monte e distesi lungo
I
325
O stradale. Non pei' questo i nostri rallentavano la
marcia e con ardimento e bravura assalirono ÌI nemico.
Arrivati sulle alturj vi prendevano posizione e piazzati
cannoni aprivtiao contro gli austriaci un fuoco cosi
en vivo da, obbligarli a ritirarsi sul Monte Suello. Nel
fatto mostrarono valore e sangue freddo il colonnello
Bruzzesl e 11 maggiore Mosto; si comportarono da valo-
rosi il sottotenente Coralizzi dhe veniva decorato a\ va-
lore militare e il furiere Fortis che veniva promosso.
A mezzanotte dal 8 al 9 la brigata Corte si mise
in marcia per i monti del Tirolo; giunta sull'erta del
Monte Poino vi t'fce l' alto e furono prese disposizioni
per il combattimento.
Il 3" reggimento fu mandato in ricognizione verso
Storo, ove si sjtpeva accampato un. corpo austriaco forte
di 4000 uomini.
SuH' albeggiare del giorno 9 una colonna di ^000
austriaci con artiglieria si mostse contro i nostri attra-
verso la via elle mena a Rocca d'Anfo,
Queste mosse vennero segnalate a Garibaldi elle
montato tosto in carrozza arrivò fra le file dei volontari.
Esfiminate le condizioni locali, il generale ordinava
a Corte di assalire di fronte la posizione nemicit e di
espugnarla ad ogni costo.
Monte .Snello che è un picco che sbarra le due vie
di Bagolino e del Catfaro, era difeso da quattro caia^
pa^nie di tirolesi, e da altre cjuiìttro di fanteria. — A
snidarli da lassù colla punta della "baionetta non era
facile impresa. — Ma Garibaldi impaziente di vittoria
ordina l'assalto. I volontari elettrizzati dalla sua presenza
fii slanciaQo animosi, e sebbene bersagliati dalle eccellenti
carabiue tirolesi avanz:mo, avanzano sempre, e quan-
tunque decimati obbligano gli austriaci a cercare rifugio
bell'ultima trincea .';ulla vetta del monte. Ma a tal punto
le forze dei nostri sono agli estremi — non ne possono
più — e non possono avanzare ed arrampicarsi fin sulla
vetta — molti sono caduti morti e feriti — Garibaldi
tempesta — ordina cho sì fticpia l'ultimo sfoi-zo — eg;lì
stesso t' ferito alla sommitii della eosciii destra e i nostri,
pure estenuntì, per assecondare l'ordine del fteneral©
tentiino l' impossibile. Per fortuna endeva la notte e i
due camiii cessarono il fuoco restando di fronte senza
muoversi né l'uno né l'altro dalle loro posizioni: ma
apparse la compagnia bcr.saglieri clell'Evangeliaii e le
tre del Saloraone sulla cima dominante del Herga, gli
austriaci temendo ai'agionedi vedersi all'indomani oliiusa
o^i via di ritirata, abbandonarono nella notte la forte
posizione — che l.i mattina veniva occupata dai nostri.
Il giorno 10, yli nitstriacL vollero prendere la rivin-
cita, ma furono bravamente respinti e, costrecU ad ab-
bandonare Ai'zo. si ritirarono su Hloro.
8i procedeva allora dal geiiernle fTaribaldi aU'espu-
gnazione del forte d'Ampola.
La notte del 18, con ardimento rarissimo un bat-
tagltoiie del 9° re g^d mento, comandato da Menotti Gari-
baldi, dopo avere marciato più ore in silenzio e coji ogni
Eoria di cautele occupava Monte Burelli e Monte Giove.
Colla occupazione di quelle alture il forte d'Ampola rima-
neva completamente circondato.
Alle 2 pomeridiane dello stesso giorno il forte si ar-
rendeva senza condizioni.
Anche in Val Camonica ebbe luo3:o un fatto d'armi
molto onorevole pei pochi volontari che vi presero parte.
Il maggiore Caldesi comandante del 1" battaglione
del 4° reggimento, aveva preso posizione nella stretta di
Incudine sopra Edolo e vi si era afforsiato con opere di
difesa campale, valendosi di due pezzi di artit;lieria dftl
44° battaglione di Guardia Nazionale Mollile delia legione
Guiccìardì forte di circa 450 uomini, d'un drappello di
doganieri e di ìiIl'Uim carabinieri.
Il 1° luglio giungeva a Breno il colonnello Cadolini
cogli altri tre battaglioni del 4° reggimento e il S" bat-
taglione bersaglieri: e la mattina del 2 si recava ad
Incudine j Ttsitava la posizione; ditva le opportune di-
«posizioni dì difesa; ordinava un migiHor collocamento
-deirartiglieria e la costruzione di un ponte suIl'Oglìo per
poter padroneggiare iinche il verBaute sinistro della
Valle, prescrivendo al maggiore Caldesi di tenere quella
poaizìono ad ogni costo, e ad ottenere tale efltitto gii
annunziava l' invio del 2* battaglione bersaglieri.
Predisposta ogni cosa, ripartiva per Edolo onde
fare avanzare le altre sue truppe. Ma cammin facendo gli
venne avviso clie un corpo di 4 mila austriaci irrom-
peva pel passo di Croce Domijii su Breno. Arrivato ad
Edolo spediva ordine telegtaflco a Breno perchè i tre
battaglioni occupassero subito Campolare nella Valle
delle Valli di contro allo sbocco di Croce Domini, e dopo
di aver spedito il 2" battaglione bersaglieri ad Incudine
e dato ordine al Castellini che lo comandava di porsi
alla dipendenza di Caldesi, lasciava Edolo ,e alla mat-
tina del 3 era a Campolare; visto che nessun nemico
-era calato da Croce Domini ed avendo saputo che dì
]à del monte eravi buon nerbo di nemici, decise di la-
.sciare a Campolare un biittii^lione, il 4°, e ricondusse
■g-li altri due a Breno.
Frattanto il maggiore Caldesi aveva collocato il 3'^
bersaglieri nel Casale di Davena, a mezza via ti'a In-
cudine e Vezza, con ordine di assicurare la ritirata alla
■sua compagnia che stava agli avamposti e, di ritirai si
alla posizione di Incudine, se il nemico avesse attaccat:»
con grandi forze.
- . Nel corso delia notte vi fu qualche allarme; si dissi'
.al Caldesi che 4 mila austriaci stavano per piomliarglì
addosso, ed egli chiedeva per telegrafo rinforzi al
Cadolini mentre ordinava al Malagrida di abbandonare
il posto avanzato di Vezza e di ritirarsi assieme al
maggiore Castellini su Incudine.
Il Malagrida ubbidì, non cosi il CaMtellini che, supe-
riore di grado, gli ordinava invece di rioccupare la
posizione abbandonata; aenonchè nel frattempo gli aii-
-striaci sì erano avanzati, e trovato sgombro il villaggLo
328
di Vezzn, Io avevano occupato fortemente piazzando in
batteria ì loro cannoui. Quando il Malitgiida, ubbidendo
Agli ordini del Castellino si presentii avanti U villaggio,
'venne accolto da vivo fuoco nemico: non ai scosse
per questo il bravo ufficiale, ma ordinò ai suoi di di-
stendersi in rateila e di muovere arditamente avanti;
intanto sopra^rgiuEgevano i rinforzi del bersaglieri co-
mandati dai capitani Adaiiiolt e Frigerio: il combattì-
meato divenne accanitissimo; il nemico si addensava
sempre più e il Caldesi, vista la posizione insostenibile,
mandava ordini dì ritirata. Ma il prode Castellini non
volle darsi per vinto. Couianilata la carica alla baionetta
Bi slanciò per primo; impetuoso fu l'assiilto^ ma una gran-
dine di colpi di l'ucile e di mitraglia arrestava la foga dei
nostri bravi che venivano decimati. Il prode Castellini
cadeva colpito nei braccio, nel volto, nel petto; il bravo
Frigerio cadeva egli pure per non più rialzarsi. Gli
assalitori si ritrassero alquanto per riprendere flato;
erano stanchi si, ma non iscoraggiati ; ni appostarono
rispondendo colpo a colpo; ma, ultimate le inuniziom,
dovettero cedere e ritirarsi dietro ordine del capitano
Oliva, che per la morte del Castellini aveva assunto il
comando. Anche il maggiore Caldesi erasi ritirato da In-
cudine e si era fermato a Cedegolo, dietro ordine del
colonndlo Cndolini, ove venue raggiunto dairOliva coi
suoi bravi che nel combattimento impari, avevano mo-
strato grande valore e fermezza.
Il 10 lug'lio il Colonnello Brnzaesi rafìorzato dal 2"
battaglione del 9'* reggimento e da una batteria del
maggiore Dogliotti, cacciava gli austriaci da Lodi'one e
si spingeva ad Arzo, posizione migliore.^
Padroni del forte d'Ampola i garibaldini mossero in
avanti verso la gola, sulla eommitii della quale si trova
il villaggio dì Tiarno di sopra, mentre più in basso vi
è J' altro che si noma Tiarno di sotto.
329
Aranti a quest' ultimo si apre la stretta valle alla
"cui sinistra si trova Bezzecca; procedendo, la valle sì
j^— stringe ancor più, circondata da monti e dal villaggio
^Bdi Pieve mentre al di là cominciìt il Lago di Ledro.
^m La mattina del 20 due compagnie del 2° reggimento,
^"tre del 7", un battaglione del 6° ed il 1° bersaglieri oc-
I -cupavauo Tiarno di sopra; poco dopo vi prendeva po-
I sizione pure il 9" comandato dal colonnello Menotti Ga-
ribaldi. Il 5° reggimento si collocava a Tiarno di sotto,
^—.spingendo i suoi avamposti Ano a Bezzecca.
^P Era necessario impedire al nemico, che si trovava
I dietro i monti, d'avanzare per la valle di Concei, giac-
ché superando Beaaecca avrebbe tagliato fyori il 2" reg-
g^imentOj respinto probabilmente gli altii alle gole di
^■Ampola, e ponendosi nelle montagne iVa queista e Lar-
^^■daro, avrebbe minacciato seriamente i fianclii delle due
linee di operazione.
L'attacco del giorno seguente provò che tale ap-
punto era il progetto tattico del ueraico.
H generale Haug prevedendo questo disegno piantò
il Buo quartìer generale a Bezzecca, incaricando Pian-
■ciani dì portare a Garibaldi il suo rapporto.
l II generale Garibaldi arrivava in fretta e poneva il
"*uo quartier generale a Tiarno di sotto e subito ordinava
che un battaglione del 5" occupasse i villaggi della valle
■di Concei, e &i collocasse nelle case onde meglio respin-
gere r avanziirsi del nemico. Ordinava che un altro
battaglione prendesse posizione sul Tratt e sulle alture
in faccia a Bezzecca per chiudere lo sbocco verso
Pieve; dava pur ordine che gli altri due battaglioni del
5'" stessero pronti al far del giorno per guai-nire i monti
a dritta ed a sinistra della valle di Concei: queste ec-
cellenti disposizioni, non furono eseguite colla prontezza
lecessaria, per cui il battinglione mandato sul monte di
destra, trovata la posizione occupata dal nemico fu di-
aperso e inoUi restarono prigionieri.
L'I. giornata del 21 cominciava cosi con triste pre-
ludio.
Gli aiiatriaci con grosse forze comandate dallo BteBB&
generale Kuhn si accingevano a furioso attacco.
Il generale Haug comprese subito che la sua diritta
era insostenibile, sebbene vi avesse fatto collocare dal
Pianeiani tutte le forze delle quali poteva disporre; man-
dava quindi il Piancìani s>tes«> ad informarne Garibaldi e
lo incari<'ava di ordinare a Menotti di portarsi col suo&°
reg^toento rapidamente sull'alture di sinistra; dava
pure ordine che il 2" reggimento avanzasse dal Pieve
in appoggio della destra.
Se questo movimento si fosse effettuato come era ro-
dinato, il nemico ne sarebbe rimasto accerchiato. Ma il 2"
reggimento non si mosse e l'esito mancò.
Si dovette però alla fulminea esecuzione dell' ordine
datogli, e al coraggio insuperabile del colonnello Me-
notti Garibaldi, se la vittoria fini per essere dei gari-
baldini.
Il colonnello Chiassi per porre riparo al tardato mo-
vimento del 5" ed alla mancatii mossa del 2" reggimento
si avventò contro il nemico con furia irresistibile; alla
carica fulminea il nemico s'arresta, cede ed accenna a
ritirarsi in disordine, quando nel momento decisivo l' e-
roico Chiassi è colpito a morte.
Ai vedere c-aduto il loro comandante i nostri rallen-
tano r offesa, contrattaccati ondeggiano, incominciano a
dare indietro e finiscono c^l disordinarsi. .In quel mo-
mento giungeva sul posto il generale Garibaldi in ca-
rezza ed abbracciato col suo colpo d'occhio sicuro il
campo di battagliaj mandava avviso a Menotti di scen-
dere dilli" altura col suo 9" reggimento, odi approntarsi
a disperato attacco.
In pnri tempo dava ordini che si racco glie ssero gli
avanzi del 5° regg:imento e del 2" e coi bersaglieri, chs
avevano fatto prodigi di valore, &i tacesse ogni sforzo
per sloggiare il nemico.
Ma gli austriaci non solo ai erano resi padroni dì
Bezzecca, ma, sbucati fuori dal villaggiOf avevano coro-
mite le alture della loro artiglieria e si slanciavano a
formidabile attacco contro l'eatrema linea garibaldina.
Il pericolo era graviasìmo, la strada di Tiaroo era
tempestata dal nemico, e G-avibaldi stesso veniva fatto
bersaglio ai colpi. Le palle guizzavano, rimbalzavano
e, ravvolgevano in un nembo di polvere In sua car-
rozza. ; uno dei Ciivalli era ferito a morte, una delle
guide che la scortava (Giannini) cadeva morta, altre
avevano feriti i cavalli ; i suoi aiutanti valevano strap-
parlo da qu6l posto mortale e salvare lui, se non era
possibile vincere. Ma Garibaldi aveva sul volto 1m calma
di Calataflmil * Qui sì vince o si muore » e comandava,
incoraggiava, spediva ordini, secondato dagli ufficiali
del suo quartiere generale, sopratuttn da Canzio, dallo
Stagnetii, dai Damitini, dal Jlissori e dalle guide tra le
quali l'Amadei che in tutta quella giornata si era mol-
tiplicato per trovar.si sempre presente dove maggiore
era il pericolo; i carabinieri genovesi condotti dal Mosto,
sejjuìto dai valorosi Burlando e Stallo, senza cessare di
combattere, tacevano cerchio attorno al generale per co-
prirlo dalla furiosa pioggia di proietti che tempestava
la posizione.
Intanto il maggiore Dogliotti aveva dìspoato, come
alle istruzioni avute, che si portassero sul posto la bat-
teria di riserva e gli altri perizi che si erano dovuti ri-
tirare ; appena arrivarono il generale ordina clie al ga-
loppo vadano a piazzarsi su una posizione che e^o stesso
indica, il maggiore eseguisce l'ordine in un baleno, i
cannoni sono a posto ed aprono il fuoco convergente sa
332
Bezzecca. Le dieci bocche dirette inimbìltnente dal Do-
gliotti produssero il loro terribile efletto. 11 nemico sfol-
gorato dentro Bezzeeca, incalzato furiosamente dal 9"
regit,'imento guidato da Menotti Garibaldi che fa mira-
coli di valore, dal 7°. dai resti del 5" e del 2" e da
quanti altri eraiisi ivi raccolti per ordine del generale, è
finalmente costretto a cedere. Per tanto eroismo il co-
lonnello Menotti Garibaldi e la bandiera del suo 9" reg-
gimento venivano decorati della medaglia d'oro al va-
lore militare.
Ma nulla valeva finché Bexzecca non era presa.
Questo il Duce voleva e quanti sono intorno a lui lo
comprendono — e più che tutti lo comprendono Menotti,
Missorl, Canzio, Mosto, Damiani^ Cariolato, tìuerzonì, Mi-
celi, Amadei, della Torre, Bedischiui, Stagnetti, Politi, Bo-
nacCL, Ficola, Staugoliiii, Gattoni, Giorgi, ed altri i quali
formano una falange votata alla vittoria od alla morte;
di questa falange si pone alla testa Ricciotti Garibaldi
che fa da prode le sue prime armi; il bravo giovanetto
degno figlio del padre, afferra la bandiera del fl" reggi-
mento comandato dall'eroico suo fratello Menotti, e con
questa in pugno, mentre i cannoni del Dogliotti mandano
in fiamme Bezzecca, a testa bassa, lui e tutti i valorosi che
bì erano Btretti attorno al generale, » passo di carica, si
slanciano sul villaggio e con lotta terribile, corpo a corpo
rompono, sgominano gli austriaci, li mettono in fuga
precipitosa e li iuseguono colla punta della baionetta.
alle reni fìu al di là di Le&umo.
Cosi la vittoria, con tiinto accanimento contrastata
fu violentemente strappata sa tutta la linea.
333
»
Il 5 luglio, il generale portava il suo quarciere
Oeuerale da Rocca d'Aiifo a Bagolino.
11 7 luglio i gariljaldìni respingevano una forte ri-
cognizione dellu brigata Thouu, che si era spinta iìno
a Lodrone, e tre giorni dopo ributtavano brillantemente
un secondo attacco dì quella brigata., e sotto gli occhi
i G-arìbaldi, la sbarragliavaiio e ineltevmio in fuga.
Intanto la floitiglia del Lago di Garda iioa stava
inoperosi!.
La flotta fluatriaca. che poteva considerarei padrona
assoluta del lago perchè motto poderosa, tenevasì tra
Bardolino e Garda alla punta di S. Vigilio sotto la pro-
tezione di quei forti. Elia con la sua cannoniera « Tor-
rione * si portava a molestarla sotto il tiro dei forti^
prendendola a bersaglio col suo cannone, ritirandosi,
quaudo vedeva che le navi auetriache abbandonavano
le àncore per inseguirlo, tenendo avanti al nemico di-
ritta la prua corazzata, ordinando macchimi indietro a
poco a poco, con la lusinga di potere attu-are le navi
nemiche sotto i forti di Salò. Tentativi yani!
•*#
1
^P H 15 di luglio si addivenne alla formazione rego-
lare delle brigate, come alla proposta del generale
I ■Garibaldi portata al Ministero dal colonnello Elia.
^^ Vennero formate cosi:
1" Brigata 2" e 7° reggim. magg. gen. Haug
2^ > 4''el0'' » » ' Fichi
3* . 5"e 9° > » Orsini
4" » l"e 3° > brigad. Corte
ò^ » 6° e 8" » > Nicotera
Al comando di Sal6 il ten. gen. Avvezzana.
Capo di Stato maggiore Augusto Vacchi.
Comandante la flottiglia il colonnello Augusto Elia.
33-4
Fu ordinato che 1' 8° reggimento movesse da Vestonè"
per raggiungere a Condìno il tì" col qunle doveva for-
mare brigata.
Nella stessa mattina del 15 ìl brigadiere Nicoteni
areva occup«to C'ondino col 6' reggimento e l'S" Latteria
del 5° reggimento d^artiglieria (capitano Afao di Rivera%
Nella giornata riceveva l'ordine di portarsi a Cimego;
e il luogotenente colonnello Spro-\ieri muoveva a quella
volta col 3* e 4* battaglione del 6° reggimento e una
sezione dell' 8" batteria.
Il brigadiere Nicotera avevagli ordinato di porre
un battaglione n Cimego, e coll'altro occupare le alture
che sif?nore^gÌano U ponte sul Chiese e fai"vi piazzare
i cJinnon!.
All'alba del 16 ìl brigadiere Nicotera mosse da Con-
dino C9l rimanente della colonna. Nella stessa ora gli
austriaci con grandi forze marciavamo ad a&salire le
nostre posizioni avanzate da tre parti convergenti, da
Cologna, da Val di Daone, da Pieve per Tiamo e Monte
Giove, coltintendimento di attorniare i nostri e distrug-
gffl-U.
Erano le ore 8 ant. quando oomiuciò il eombatti-
raento. Nicotera aveva ordinato al 4" battaglione di slan-
ciarsi ad occupare le alture al di la del Chiese; prima
perà che il battaglione giungesse al ponte, rartiglìeria
nemica si diede a fulminarlo mentre una grossa colonna
di austriaci si distendeva di corsa sulle alture di faccia
al ponte ed al villaggio di Cimego.
Il maggiore Lombardo comandante 11 1° battaglione
del 6' reggimento, destinato alla riserva, visto il pericolo
_ che correva il 4', corse di moto proprio in sostegno col
suo e col y battaglione che stava .allo sbocco del vil-
laggio e gridando « avanti compagni » trasse seco i
volontari e primo sì lanciò alla carica — ma arrivata
sul ponte cadeva fulminato. Una palla gli aveva tra-
versato il cuore.
11 Nicotera volle ad ogni costo allontanare il nemico
335
da quelle alture; a questo scopo dava ordine al 1°, 3" e
i" battag-Iione di acacciamelo. Si mise alla testa dei
nostri il valoroso teoente colonuello Pais-Serra, il quale
ordinava si aitraversasse il fiume a g-uado ; con grande
ardimento, ì bravi garibaldini sì slanciarono sulle alture
sotto il fuoco micidiale del nemico,
I nostri bravi f&cero sforzi eroici per snidare il ne-
mico dall'elevata posizione, ma dopo una lotta terribile,
ineguale dovettero cedere a forzte tanto superiori e sempre
toinbattendo ritirarsi protetti dall'artiglieria.
Intanto altre masse austriache venivano ad assalire
le alture di Nnronc, per battere la nostra sinistra; il
capitano Bennici Bostenne con grande valore il combat-
timento sulla vetta del Narone, ma visto 11 pericolo di
essere avviluppato da forze tanto prevalenti dovette ri-
tirarsi colla sQa compagnia Telante e la 3" compt^rnia
bersaglieri. Il colonnello Guastalla e il nuiggioro Lobbia
dello Stato maggiore, che assistevano al combattimento,
visto il pericolo che correvano le compagnie distacate
sulla sponda sinistra del Chiese ordinarono un cjimbia-
raento di fronte a destra indietro sempre combattendo.
Il grenerale Graribaldi accorso in vettura mandava un
battaglione del 9"' reggimento ad occupare Condino ed
ordinava airartiglieria dì piazzarsi dinnanzi al villaggio
a mezza costa delle alture di Brione;^ il fuoco di 10 pezzi
trattenne il centro e la sinistra degli austjiaci. Intanto
Garibaldi e Fabrizì provvedevano alla riscosKa, e con
forze combinate e con grande valore, cacciavano gli au-
striaci da quelle alture e lì mettevano in fuga tiile, che
più non si arrestarono.
#%
Ormai Garibaldi non temeva più ostacoli, e con le
sue mosse stava per raggiungere l'obbiettivo agognato,
l'ociiup azione del Trentino, per cui serrava d'appresso
Riva, poruiva il suo quartier generale a Cologna e in-
cominciava l'investimenco di Lardaro.
336
Padrone delle due valli priociprtli, che dal Garda
salivano ji Treuto, era ormai libero di spiegare tutte le
sue forze e di marpiare in battaglia contro un nemico,
elle aveva e speri mentalo il valore garibaldino, mentre
Medici «Ha testa di una forte colonna di ti'uppe rego-
lari, sì avanzava vittoriosamente da Lerico e da Per-
gine; per cui la vittoria finale e la presa di Trento era
ormai sicura.
.Senonchè il mattino del 2» luglio, quando tutto
era pronto pel bombardato ento di Lardaro giungeva lo
annunzio della sospensione delle ostilità, preludio della
pace.
n 10 di agosto Garibaldi riceveva dal generale La
Marmerà il seguente telegramma:
■Il Considerazioni politiche esigono imperiosamente
la conclusione dell'armistizio pel quale al richiede, che
tutte le nostre forze si ritirino dal Tirolo.
« D' ordine del Re ■» .
Quale scossa abbiano provato in quel momento il
cuore dell' Eroe e quello dei suoi compagni al può in-
dovinare. Arrestati senza avere conquistato Venezia. Il
Trentino perduto. Trieste abbandonata! Ma Garibaldi non
tradì neppure eoo un seguo la tempesta che aveva nel
cuore, e rispose egli stesso al La Marmerà: < Obbe-
disco ».
La campagna per la liberazione del Veneto era fi-
nita ed i garibaldini si accingevano a ritornare alle loro
case.
Anche gli equipaggi delia flottiglia del Lago di Garda
sì scioglievano. Sebbene in coudizioni Immensamente in-
feriori alle forze austrìache del Lago, essa seppe com-
piere il proprio dovere durante la campagna, e se
avesse avuto alcuni altri giorni di tempo e ricevuto dal
Miuistero i cannoni richiesti per armare una zattera or-
337
mai a termine di costruzione, avrebbe certo messo tutto
l'impegno per distruggere la flotta nemica e rendersi
padrona del Lago.
Che non mancò al suo dovere lo dicono i due or-
dini del giorno eeguenti del generale Garibnldi e del
generale Avezzana comandante divisionale di Saiù :
ORDINE DEL GIORNO
juandato al generale Avezziuia
Comandante divisionale a Salò
Generale,
« Porgete una parola di lode ben meritata in noni&
della Patria e del Re ai prodi della nostra flottiglia ;
essi hanno ben meritato col loro esemplo; e sotto il co-
mando di voi, valoroso veterano dell'indipendenza del-
la patria, vedremo presto 11 Garda libero dalla dqmi-
nazione straniera.
Salò, 10 agosto.
G. GarìhiMi.
Ecco l'ordine del giorno col quale il generale Avez-
zana, già Ministro della Repubblica Romana nel 1849,
dava commiato agli equipaggi della flottiglia.
ORDINE DEL GIORNO
« Gli equipaggi dei volontari che rimasero fino ad
a bordo della flottiglia italiana nel lago di Garda,
ianno ben meritato tiella patria. Coraggio nello sfidare
il nemica superiore nel naviglio, in macchine da guerra,
superiore in uomini. Virtù ed abnegazione negli uffl-
tiali che servirono come semplici militi. Ordine, nettezza
nelle Piro-Cannoniere, ohe il geoerale CJaribaldi affidò-
alle loro cure.
338
u Fino al 12 luglio esse furono tre dinanzi al ne-
mico, poi quattro ed in ultimo cinque. Lo affrontarono
arditamente neUe sue a«que B<>tto il fuoco delle bat-
terie di terra e gli procacciarono uccisioni e danni.
Qui, dove erano i pochi ma valorosi uomini, il nemico
non osò mai venire. Unico vanto lo avere bomluwdato
la inoffensiva città di Gargnano e rubato il • Benaco o
a quindici miglia dalla flottiglia, che non poteva difen-
dere l'inerrac piroscafo mercantile.
« Io ricorderò sempre con militare orgoglio lo avere
avuto ai miei ordini il personale degli equipaggi volon-
tari in questa guerra del 1866, forse l'uliima della mìa
vita.
« S'abbiano tutti gli ufficiali e mìliti le mie sentite
azioni di grazia.
Salò, 21 settembre 1866.
H luogotenente generale
G. Avezzana »
All'ordine del giorno, il generale Avezzana faceva
seguire questa lettera, diretta ad Elia:
Al Colonnello A. Elia
Comandante la flottiglia sul Lago di Garda.
Chi scrive è rimasto sommamente soddisfatto del
modo come la S. V. lia disimpegnato il suo compito nel
comando delle forze galleggianti sul lago di Garda.
Ed aggiunge in verità come V. S. essendo comandante
la cannoniera « Torrione . nella calamitosa notte del
26 giugno salvasse risolutamente la sua nave e le altre
da prossima rovina, opponendosi ad ordini stati verbal-
mente impartiti da chi allora comandava la flottiglia.
E di poi, insignito da chi scrive e poi confermato dal
generale G-aribaldi nel comando supremo, s'ebbe in co-
desto incarico l'elogio palese del salvato naviglio.
339
Lo scrivente, Dell'attestare siffatte verità, offre alla
•S. V. i sentimenti dellit sua stima e devozione.
Salò, li -^i settembre 1866.
II luogotenente generale
comandante divisonale'
O, Avezzana
Infine il 28 settembre l' Elia faceva la consegna
della flottiglia al comandante della E. Marina cav. Na-
poleone Canevaro.
Gli ufficiali suoi compagni d'armi nella flottiglia,
vollero dare al loro comandante il seguente attestato
di affetto :
Al colonnello Augusto Elia
gli ufficiali della Marina Volontaria.
« Radunati oggi per stringerci tutti uniti la mano,
permettete, o colonnello, che prima di separarci da voi
v' indirizziamo una parola di addio.
■ Non è la serva parola di clii ndula o di ctii
esprime un affetto bugiardo, ma è la libera espressione
di quanti amareggiati dalle memorie del passato, si con-
fortano nella speranza di un migliore avvenire.
* Dimentichiamo iBtanto per caritji di patria le
umiiiasiLoni sofferte sugli insanguinati campi di battaglia
e nelle ingemmate aule della diplomazia, e che ci per-
donino questo supremo sacrifizio i martiri invendicati
di Custoza, di Tiarno e di Lissa!
« E noi pure confinati da tre mesi in questa riva,
dove l'Eroe del popolo ci destinava a gloriosi avveni-
menti, dimentichiamo l'ingrata inazione acuì ci si volle
costretti, sfruttando tanta parte di entusiasmo e di ge-
nerosi propoBiti.
« Colonnello! Se il sangue delle battaglie non ha
battezzato la nostra camicia, voi ed i voatri bravi com-
pagni, sul cui petto brilla la medaglia dei Mille, potrete
d40
francamente attestare, eomo inferiori dì numero, dì
forze e ael difetto di tutto, sapemmo cimentnre pii"i volte
un nemico, clie pur troppo insegnava a chi ci governa
come si appresta una guerra, mai a noi come si com-
batte, e si va incontro alla morte.
« Gli avvenimenti del 1866, rton saranno però d'i-
nutile peso nella tilancia dei nostri destini, perché la
democrazia rifulse di una luce più bella sulle alture di
Custoza, fra le mosche tterie del Tirolo, e in mezzo alle
vampe della eroica Palestre !
« Questo è il nostro conforto, Colonnello, e quando
tornati alle nostre case deporremo l' incruenta camicia
rosea, giuriamo di vestirla quel giorno, in cui il popolo
armato insanguinerà nuovamente le vette del Tirolo, e
le coste dell'Istria, perchè qualunque straniero sappia,.
che quel tremendo contine è il confine deir Italia, indi-
pendente e libera!
Salò, 21 settembre 1866-
Marto Alberto, Buratihii Cofio, (ìagìiardì Ougiielmo,
Bandini Tvmintocìe, Bradìcìch Giimeppe, Viggiavi PomjieOj.
Pegwait) Giuseppe, Martini Xarcìm, Pedani Tito, Stra-
■mmzotii Cesarej Brtnno Ba^idint. Pncaiti Luigia Silvestrìni
Pasqtuiìè, Schiitffiifo Prospero^ Bandini Costaniìno, Bamc-
chini Andrea^ Verni Cesare, Barbieri Ahnaandro, Ghjgìioni
Lorenzo. Bocci Marino, B^'rardì CoIombOf Camin Gaetano^
Eomani Giovanni, Xegrini Mariano.
Intanto che questi fatti si svolgevano in terra un av-
venimento dei più dolorofii avveniva nel mare Adriatico.
I migliori ufficiali della marina da guerra ir.vo-
cavano come loro Duce supremo il Galli della Mantica^.
34t
uomo di grande capacitò, e di straordiiinria energia, ri-
tenuto una vera tempra d'acciaio, capace di ogni eroismo.
Fu invece preferito il conto Carlo Pellion di Persane.
Contro il Peraaao l'Austria seppe opporre un ter-
ribile avversario — Guglielmo Tegettlioff di quaran-
t'anni appena di età; e fu scelto proprio lui, Bebììene
fosse il più giovine degli ammiragli, perchè Io si sapeva
pieno di ardire e di uu coraggio quasi temerario.
La. fiotta italiana per la sua potenza poteva essere
la dominatrice del maro Adriatico, Vi era tutto da ten-
tare - tutto da sperare.
Fu decisa l'occupazione di Lissa, consideratala <'A-
bilterra dell'Adriatico; e il ly luglio alle 11 antime-
ridiane la nostra flotta prendeva posizione dirimpetto
all'isola.
Una ricognizione fatta dal D'Amico, capo di stato
maggiore del Persane, coli' esploratore « Messaggero »
liferiya che la guarnigione dell'Isola eradi 2500 uomini,
provveduta di ogni mezzo di resistenza.
Deciso l'attacco, la flotta venne di\isa in tre squa-
dre; una comandata dal vice ammiraglio Vacca doveva
attaccare Coraisa, difesa da due batterie, e da una ca-
samatta; l'altra sotto gli ordini del vice ammiraglio
Albini doveva eseguire uno sbarco nel porto di Maiiego
difeso da due batterie; la terza, la più poderosa coman-
data dal Persano doveva forzare i! porto di S. Giorgio
difeso da quattro forti e da due batterie.
Alle 11 Va del 19 l'ammiraglio ordinava si aprisse
il fuoco che senza interruzione durò fino alle 7 '.'3 po-
raeriiliane; alle 2 saltava in aria una polveriera ne-
mica; alle 3 Yj ne scoppiava una seconda e andava
all'aria la Torre del Force e la bandiera che vi era inal-
berata; alle 5 tutti i forti di S. Giorgio erano demoliti
ed i cannoni, ad eccezione di due situati nell'elev:tta
posizione del telegrafo, erano .■jmoTitati e ridotti a! silen-
zio; l'intrepidezza, e il valore degli equipaggi sono in-
33.
3i2
descrivibili — sebbene a bordo non pochi fossero ì fe-
riti e parecchi i morti.
L:i prt'Sji, di Lissji t^rn assi aurata; ma fu malaugu-
ratamente rimandutH al l'indo mani, perchè l'Albini uon
aveva eseguito lo sbarco.
Allo ore 9 del giorno 20 l'avriso « Esploratore »
segnalava la squadra iieiuic^ in vista: L'ammiragUo Fer-
sano avrebbe dovuto senz' al tro aegnalare a ciascuna
delle navi gotto al suo comando il posto di combatti-
mento, per ribattere vittoriosadiente Ijiltatco; invece
l'ammiraglio comandante supremo alle ore 9 '/t ablsaa-
donava la nave di coniando «; Re d'Iudia » per im-
barcare su! Monitore corazzato < Affondatore > aicom-
pagnato dal capo di stato maggioro e da due suoi aiu-
tanti di bandiera.
L'onorevole deputato Pier Carlo Boggio che era
nella nave aiutuiraglia < Re d'Italia « quale storiogi'alb,
all'invito che gli fece il Persano, si ritiutù di seg-uirlo
perchè ebbe l;i percezione che coli 'abbandono della
nave ainmiraglìa nel supremo momento del t-umbatU-
mento, si commetteva non solo un gravissimo errore,
ma un atto colpevole.
Intanto la squadra austriaca arrivava a grande
velocità, in liuea su due file, formata in cuneo, col pro-
posito di spazzare, rompere ed affondare tutte quelle
navi che avrebbe incontrato sulla sua via; in testa a
tutte era la nave ammiraglia « Carlo Mas ».
Il primo e maggiore impeto fu portato dal nemico
sulla R. nave annniraglia « Re d'Itiìlia ^ — e ai eiipìsce!
— L'ammiraglio Tegeithort" riteneva che su queLkt nave
stesse il comandante in capo della ttottii italiana, e le
muoveva arditamente contro. Era un duello tra le due
navi di comando — e quella delle due che ne fosse
riuscita vincitrice avrebbe deciso delia vittoria della aun
squadra !
L;i K. Nave = Re d'Italia » assalita da poppa, e nei
fianchi, ebbe apezzato il timone per cui rimase sena»
343
-governo. In tale critica e fanale posizione, il comandante
Faa di Bruno, uomo dei più valorosi, gli ufficiali sotto
■ai suoi ordini, gli equipaggi, i cannonieri reatiirou tutti
alloro posto impavidi, rispondendo agli assalitori con
bordate, con tiri di cannone, con le oirabine.
La nave ammiraglia austriaca « Max > fu sopra iil
Re d' Italia a tutta forza di macchina e 1' inveatl con
•urto tremendo: con orribile scroscio lo sperone ferrato
squarciatole il lianco, le apriva un'enorme breccia sotto
la linea d'acqua. La bella nave ammiraglia colla ban-
■dìera a riva spiegati al vento, sempre eroicamente
combattendo s'inclinò -^ e fra le grida di viva l'Italia
da pjirte del suo equipaggio emeutre quello iiustilaco
si scopriva reveren temente il capo, sprofondava nel-
l'abisso del mare trascinando nei vortici 700 eroi; pri-
mi fra lutti, l'Einilio Faa di Bruno comandante, il de-
putato Pier Carlo Boggio, il marchese di Malaspina co-
mandante in seconda, il cav. Del Santo sotto capo di
stato mMg,2;tore, i tenenti Candìani, Crualterio, Casanova,
Bossaiìo, JSozzetto ed Isola, i sottotenenti, Olivieri. Pa-
lermo, Orsini, il conte Fazioli guardia marina. Verde
cav. Luigi medico di bordo; ed il pittore Ciaffi. Po-
■chìasimi furono i salvati e fra questi il bravo tenente
Candiani.
Affondata la creduta nave ammiraglia le corazzate
«uetriache assalgono le navi Italiane « Ancona » la «Pa-
lestro » la « San Martino » e le altre: il •: Kaiser > si
slanciava contro il < Re di Portogallo » ma ne uscivii
malconcio, inesso fuori di combattimento ed in fuga,
mercè l'abilitii e la bravura del comandante Elibot>'.
Nella mischia la « Palestre > venne colpita nella
parte non corazzata da granate che le cagionarono forti
avarie.
Sviluppatosi l'incendio il bravo comandante Cappel-
lini fa di tutto per domarlo; ma mutili sforzi. Visto che
ogni salvezza della nave è ormai impossibile due piro-
scafi dell'annata italiana * l'Indipendente « ed il «. Go-
3-U
vernolo » sfidando ogni piìi grave rischio si accostano
alhi Palestra ortreudo salvezza all'equi piigy io
L'eroico toiuauJante — chiama h raccolta ì com-
pflijni — fa adessi nota riuevìtabile catastrofe — quindi
dice: « Chi vuole salvarsi si salvi n Unanime sì sente
un grìdu « {tircmu quello che 11 coranndjiiite sarà per
fare » al che il Ovppellini risponde « io non abbanciono
il mio posto » 0 gli eroi tutti confermimo < vogliamo
seguire la tua sorto >.
Udita questa commovente decisione il comandante
ordina >-ia aiziito il gran pavese. I niarinju salgono ji riva
sugli alberi, sui peunoni, e intuonano i canti della !N azione.
— Un orrendo seoppio — un ultimo, immt'n-so grido si
eleva al cielo < Viva l'iuilial viva il Re » e i mar-
tiri della patria, avvolti in un turbine di tìauime, spro-
fondano nei vortici del mare.
Nel combattimento tutti, meno uno, fecero il Loro
dovere, gli eroisirì di Faa di Bruno e del Cappellini
SODO immortali.
Ma a clie giova i] valore, e a che vnle l'eToisroo se
manca il duce che sappia condurre alla pugna ed alla
vittoria?
Il Persano commise due errori gravissimi. 11 primo
— di avere abbandonato la nave aramirj^glia pochi mo-
menti avanti il combattimento. Egli avrobbo dovuto sce-
gliere tìn dall'inizio della campagna come nave ammi-
raglia r « Aflondatore » se la credeva atta a
servirlo nel combattimento. Il secondo
seppe adottare un ordine di battaglia l'ifepondence a
quello col quale la parte nemica veniva ad investirlo.
Colla sua squadra il Persane doveva ordinarsi in due
linee ed in forma d'imbuto; lasoia-re che le navi nemi-
che entrassero nell'imbuto o quindi assalirle prima a
colpi di calinone — a bordate — e poi investirle a colpi
di sperone.
L' « Affondatore > doveva tenerlo gopraveiiùo onde
potere dominare, dirigere l'azione; ed impegnato il uom-
meglio
che egli non
"battimento — Talersì della sua velocità e delle sue
■qualità offensive, — correre addosso al « Max * nave
ammiraglia nemica, investirla a tutUi forza col tagliente
suo sprone e colarla a, fondo. Cosi avrebbe cerf^^imente
manovrato Galli della Mantioa. Invece come fu utilizzata
quelita nave, la più potente del tempo ?
L'Aftondatore (comandante Martini), mentre le no-
stre uaTi « Re d'Italia » « Re di Portogallo > « An-
cona » « Palestro » e le altre sì trovavano alle prese
col nemico e facevano con tanto eroimno il loro dovere
— traversata la linea delle corazzate italiane volgeva
la prua contro il lato destro del < Kaiser » manovrando
per inveatirlo col suo formidabile rostro. Già il tenente
di Viiacello Ghinea dalla tolda della nave — manda il
grido « pancia a terra » affinchè il potente urto immi-
nente non faccia trabalzare gli uomini dell'e tini paggio —
già l'ultima ora è suonata per quel liei tipo delle an-
tiche armate navali — quando ad un tratto, l'« Affon-
datore » per ordine imperioso dell'ammiraplio Persano
coinandaute le forze navali italiane — piega bruscamente
a destra — e si allontana dal Kaiser e dal combatti-
meuto ! Quante lacrime di vergogna e di dolore si sa-
ranno versate da quei bravi che formavano l'equipaggio
della potente nave che col suo rostro di 9 metri di spor-
genza^ colla sua corazza impenotrabile, coi suoi cannoni
Amistrong da 300 libbre — da sola significa va vittoria.— !
Ma monitore — rostro — conizzatura — Armstrong —
eroismo degli equipaggi — tutto fu annientato per defi-
cenza di chi comandava 1
L'orgoglio italiano nell'anno 1866 ebbe a patire btìti
dolorose delusioni.
L'infelice giornata di Custoza, che non fu priva di
gloria per i nostri combattenti, la terribile catastrofe di
Lissa, che ebbe eroi immortali, recavano profondo dolore
346
nei cuore della nazione, t, per di più, ]» Yeneaa —
uno degli obbiettivi dt-1 patriottismo italìflno — per sfogo-
di dispetto e di orgoglio dell' iuiperatore d'Austria, era
dAta in dono nllo imperatoro Napoleone dalle cui mani
doveva riceverla il Re d'Itnlia !
Nella notte del 4 al 5 luglio il Re Vittorio Emanuele
aveva ricevuto il seguente telegramma:
A S. M. il Re d'Italia
Parigi, 5 luglio
«Sire: L'imperatore d'Austria entrando nelle idee
espresse nelhi mia lettera al sjg, Droujni De Lliuys, mi
cede la Venezia, dichiarandosi pronto ad accettare una
mediazione per ristabilire la pace,
L' esercito italiano ha avuto occasione di mostrare
il suo y^ore. Un magg-ìore spargimento di ^ngue è
dunque inutile e l'Italia può raggiunjiere onorevolmente
lo scopo cui aspira mediante un accomodamento con
me, su cui sarà facile intenderci. Scrivo a S. M. il Re
di Prusaia per fargli conoscere questo stato di coBe e
proporgli per la (icrmania come lo faccio a V. 31. per
l'Italia, la conclusione d'un arwiistizio come preliminare
alle trattative di pace.
Xapoìeon-! *
Questo gravissimo annunzio — pochi giorni dopo
una battaglia perduta — sebbene valorosamente com-
battuta — nel momento di ripigliare le offese con tante
speranze e tanto bisogno dì un successo d'armi — giunse
al Re — all' esercito — all' Italia — oltre ogni dire
sgradito.
Ricevere la Venezia come un dono dalle mani del-
l'imperatore dei francesi feriva nel più rivo l'amor pati-io
547
d^»\\ italiani — non solo — ma poteva dw motivo a
dubbi ingim-ioa sulla fede dell' Italia verso Ift Prussia
sua allenita.
D'altro canto ricusando, e continunndo la guerra a
dispetto dell' imperatore dei francesi, v'era la posBÌbilità
di vederci venir contro la Francia armata nel Veneto
o altrove! Pure tra la rovina alla quale una tal guerra
ci avrebbe condotti e il diaoiiore, né al (|Uartier gene-
rale né ili Ke, né al ministero poteva rimaner dubbia
la scelta.
15 Re r]uindj rispondeva, ringraziando l'Imperatore
dei Fcìiucesi deli' interesse che prendeva per l'Italia ; ma
dichiarando che trattandosi di jifFare tanto gmve, doveva
consultare il suo governo e il suo alleato al quale era
stretto da un trattalo.
Intanto il generale Cialdiiii domandava se poteva
invadere senza perdita di tempo il Lerritorio Veneto e
gittarsi nella provincia di Rovigo.
Il generale Lamarmora rispondeva al Cialdini in-
vitandolo ad operare, giaccliè egli diceva « per me il
jwg^no sarebbe ricevere la Venezia senza avervi messo
piede ».
E il generale Cialdini confermava che il 7 di sera
avrebbe gettati i ponti e passato il Po.
Per questi fatti l'imperatore Napoleone era adira-
tìssimo, e poco mancò che la nobile e patriottica Cittti
già regina dell' Adriatico — non vedesse sventolare sul
campanile di S. Marco e sui forti della sua laguna la
bandiera napoleonica e non avesse a suo presidio le
truppe francesi.
Per scrupolo di lealtà il barone Ricasoli d'accordo
con S. M. il Re e col generale Lamarmora si opponeva
alla firma dell' armistizio senza averne prinia otlenuto
V assenso dell'alleato Re di Prussia e l' imperatore Na-
poleone ritenendosi ofiFeao aveva giti ordinato ehe due
navi dit guerra con truppe da sbarco « La Provence »
e < L'Eclaireur » partissero per Venezia con ordini sug-
gellati.
348
Uhaliino Peruzzì, visto che ftl eoqte Nigra, nostro
;imbaaciiiwre a P.-irigi. non era riuscito di parare il
grave colpo, consiglia a Ricasoli di mandare a Paiigi
persona' conosciuta da Lui;;! Napoleone quando era prìn-
cipe, e che aveva elevate amicizie a Pari^, tra le quali
quello di Alcide G-randguillot direttore del giornale ofB-
ti&so « Coscitutionel » e del generale De Fleury, percliè
vedesse di scongiurare questo affronto all' Italia. La
persona ufficiata accettò la delicata missione e seppe
riuscii-e a risparmiare alia patria una nuova umiliazione
e danni non lievi.
L' Imperatore dei Francesi venuto a miglior ran-
siglio mandava a Ferrara il principe Napoleone con le
condizioni per la pare die erano le seguenti; Consegna
diretta ineondizioiinta del VeueLo all'Italia — plebiaoito
delle Provincie venete.
Il re Vittorio Emanuele — il nostro governo —
fecero tutti gli .sforzi per lìimostrare e persuadere rim-
peratore che la riunione del Trentino all'Italia era eosa
essenziale. Ma l'Austria non volle saperne e ormai as-
sicurata della pace con la Prussia rispondeva ritìutando
e mandava ai no^strì confini altri due corpi d' eserciio
togliendoli dall'armata del Nord.
La situazione erasi fatta critica per noi. — Il re ed il
governo esitarono assai prima di acconsentire al passo
doloroso di rinunziare al Trentino, ma dovettero finire
col soiFoear& il sentimento di giusta orgoglio per nou
compromettere le sorti della Nazione.
Unitji la Venezia all'Italia, Garibaldi pensava a
sciogliere il suo voto a Roma, A tal fine raccomandava
agli amici di non indugiai'si, e U incitava a fere i pre-
parativi necessai'i.
A Firenze erasi costituito un comitato centrale che
aveva per capi Cairoli, Crispi, Fabrizi, Guastalla ed altri,
349
tutti animati dal vivo desiderio di dare all'Iralia la sua
•Capitale naturale — Roma.
CAPITOLO XXV,
Campagna deirAgro-Romano
Montelibrefti - Roma - Monterotondo - Mentana.
Dopo le guerre del 1859-1860 le condizioni morali
dei liberali romani avevano subito una forte suossa.
I più non aocettJiYano senza dist^ussioiie la con-
dotta passiva, rassegnata, che dal 1853 veniva loro rac-
eomandiiCa.
L'emigrazione resa più numerosa per i giovani clie
dn Roma erano corsi ad arruolarsi sotto la liHndiera del-
l'unità nazionale, faceva aperUimcnte intendere essere
giunto il momento per Roma di cambiare attitudine e
suo dovere di prouuuciard energicamente per la sua
liberazione dal giogo papale.
La vittoria degli alleati sui campi Lomttirdi nel
1859 — la disfatta dell'esercito pontificio nelle Mar-
che — la marcia trionfale di Garibaldi nel regno delle
Due Sicilie — avevano a tal punto entusiasmato la gio-
ventù liberale romana da volere senz'altro che si uscisse
dall'inerzia, nelLi quah la cittadinanza da tanto tempo
si era lasciata addormentare. .
Il partito democratico di Roma, abbenchè sti'emato,
non era del tutto spento. Euistevano ancora non pochi
avanai del 48 e 49 che alla azione del tempo avevano
resistito conservando integra la loro fede e ì loro prin-
cipii.
Questi patrioti, insofferenti n tautn Gotioniissione, si
intesero coi più animosi e migliori delta emigrazione e
coi capi del partito d'aaione ; ruppero gl'indugi e orga-
nizzarono dei nuL-!ei pronti nll' azione.
n fatto di Aspromonte fu lo stimolo ad un azione
conoordo, e slabilitji la fusione dei vari nuclei si costi-
tuì uu Comitato d' Azione Romano col seguente pro-
gramma :
■ Fare propaganda incessante ed effitjaee onde in-
durre il popolo il scuotersi ed a sollevarsi, non fosse al-
tro per dare pretesto al Governo di Torino di portarci
con tnagfciore ntilib\ sul tappato diplomatico U quesliùrte
romana^
* RaggranelUre gli elementi d'azione esistenti in
cìttft, organizzarli e prepararli per un dato raomeutb
alla riscossa. — Provvedere le armi. — Stabilire mezzi
regolari e sicuri al confine per Io scambio della corri-
spondenza.
L' impresa era ardua — trattavasì di lottare col
prete e coi francesi. Bisognava agire con arditezza, e
ad un tempo con prudenza poiché le due polizie, erano
intente a spiare e a sventare le mosse del nuovo centro
d'azione.
Contro queste difRcoìtà lottavano i direttori del par-
tito d'Azione Romano — ed ìl programma tracciato ebbe
in parte il suo svolgimento.
Un tóornale clandestino dnl titolo Homa o morte fu
istituito e in mezzo a mille ostacoli e peripezie non
cessò dalla patriottica sua propaganda
Si procedette all'organizzazione delle forze atte al-
l'azione. L,a corrispondenza al di là dei confini fu or-
gduizzata con elementi d' indiscutibile sicurezza.
Le armi furono raccolte in luogo da potere essere^
a momento opportuno, introdotte in città coli' aiuto di
361
provati patrioti quali il Cucchi, il Guerzoni, l'AdamoIi,
Lorenzini, ecÈ altri.
Certo è dunque che il lavoro lento bI, ma costante
del Comitato d'asione romano valse a scuotere dall'iner-
zia la gioTRctii ed a preparare gli elementi che nella
città dovevano prendere parte ad un fatto che doveva.
affrettare la liberazione dà Roma.
L'il febbraio 1867, il ministro Ricasoli, disapprovato'
nella perpetua questione del diritto di riunione, aveva
sciolto la Camera.
Convocata la nuova, questa non appai'endo diversa
da quella dÌscio!ta, il barone KìcrgoIì senza attendere
alcun voto che lo giudicasse, rassegnava il potere, che
veniva raccoko da Urbano Rattazzi.
Si sapevano le opinioni su Roma del nuovo presi-
dente del Consiglio, Egli aveva censurato la conven-
zione dì settembre, e s'era risolutamente opposto alia
convenzione Lag;rand Dumonceau.
Era pur noto che egli non intendeva fare alcuna
concessione alla Chiesa se non quando fosse cessato il
potere temporale dell'autorità ecclesiastica ed il go-
verno ìtiUiaao fosse insediato in Roma.
L'entrata al potere del Rattazzi fece nascere nel
partilo liberale italiano la speranza che con luì si sa-
rebbe andati a Roma; e il partito d'azione si mise subito
all'opera per accelerare l'evento.
« *
Da parte sua il generale Garibaldi inviava al Co-
mitato insurrezionale di Terni il capitano Galliano e
il tenente Perellì col mandato di armare quanti giovani
fuorusciti romani avessero potuto raccogliere, e con
questi, fatta irruzione nello Stato Pontificio, getuirvi
in prima favilla dell' incendio. I rappresentanti del partito
d'azione nel Ternano conte Massarucci e Frattliii, ealdi
patrioti e vecchi cospiratori, consentivano di dar mano
air impresa; e il 19 giuguo ìi Galliano <?d ii Perelli rac-
colti ed armati centoqumttro giovani arditi, tragittata la
Nerft maccia.v;iiiQ per In Sabina. Se non ohe giunti nel
punto di sconfinare uei pressi di Poggio Catino e Ca-
stelnuovo, una compagnia di granatieri, che si teneva
ivi imboscata, circuì la colonna e le intimò la resa.
Questo fatto non influì in modo da raflreddare l'o-
pera di G.iribaldi, che anzi servi a spronarla. Difattì
Garibaldi mandava Cucchi Francesco a Roma per an-
nodare in sua mano le tila della rivoluzione; mwndava
suo figlio Menotti a sondai'e li terreno e a stringere
patti col Ni colera e con altri nel mezzogiorno; incari-
cava Acerbi della raccolta dei giovani e delle armi
alla frontiera Umbro-Toscana e lo mandava in suo
nome a scandagliare le intenzioni del Rattazzi.
Intanto nella prima quindicina di agosto il generale
aveva dati i suoi ordini e distribuite le parti come alla
vigilia di un entrata in campagna; Menotti doveva scon-
finare da Terni coU'obbìettivo Monterotondo; Acerbi da
Orvieto, obbiettivo Viterbo; Nicotera e Salomone da A-
quila e Pontecorvp, obbiettivo VeUetri.
Già il 13 luglio 1867 i comitati riuniti avevano an-
nunziata la loro fusione col seguente manifesto:
Romani 1
e H voto comune, il voto di tutti quelli a cui batte il
cuore per l'onore e la libertà della patria, sì è realiz-
zato.
« Non più dissensi, non più divisioni; tutte le fra^
353
zioni del partito liberale si sono data la mano, hanno
unite le fome per abbattere per sempre questo resto
del governo papale e per dare Roma all'Italia.
« n Comitato Nazionale Romano -ed il Centro d'in-
surrezione fanno quindi luogo ad una Giunta Nazionale
Romana la quale assume la auprema direzioae delle
cose.
« RaUejrriamocì di questa santii concordia, e diamo
opera a fecondarla con unirà di fede e di disciplina, con
unit-À di propositi e di sacrilìoii. 11 fascio romano è ora.
veramente formato: facciamo che non si sciolga mai
pili e che presto ci dia la vittoria.
Romani I
- I cittadini rispettabili, che fanno parte della Giunta
a cui rasae^ueremo l'utlicio, sono degni dell'alta mis-
sione; ma a tuiUa riuscirebbero senza il vostro concorso,
« Secondateli adunque, fidenti ed animosi e l'impresa
non fallirà.
«( Vogliamolo tutti, e hen presto venticinque milioni
di fratelli saluteranno Roma Capitale d'Italia ".
Il Comitato Nazionale Ronuino
Il Centro d'Insurrezione.
I^itruzioiiL per la concentrazione delle colonne in-
vadenti il territorio romano erano date e il generale
Garibaldi stava per partire pel luogo dell'azione, quando
il 23 settembre in Sinahinga venne arrestato; doveva
essere tradotto ad Alessandria. A Pistoia, mentre si era
per un momento fermato nel viaggio, ebbe lempo di
consegnare all'onorevole Del Vecchio il seguente bi-
glietto da p^ublilicarsi:
354
24 settembre
« I romani hanno il diritto degli schiavi, insorgere
contro i tiranni.
« Gli italiani hanno il dovere di aiutarli e spero
lo faranno a dispetto della prigionia di cento Gari-
baldi.
« Avanti adunque nelle vostre belle risoluzioni, Ro-
mani e Italiani. Il mondo intero vi guarda.
G. Garibaldi
Il 27 settembre imbarcato nella R'' nave 1' « Esplo-
ratore > il generale veniva portato a Caprera dove do-
veva essere sorvegliato a vista da navi da guerra e
dalle loro imbarcazioni.
» *
Intanto che il governo sequestrava Garibaldi, i suoi
amici discutevano sul modo di raggiungere lo scopo.
Se l'accordo nel fine era generale — la liberazione di
Bontà — vi era discordia sui mezzi di esecuzione: Crispi,
Fabrizi, Cucchi, Cairoli, Guastalla, Miceli, La Porta,
Oliva, Guerzoni, Adamoli, Damiani, Lorenzini, Amadei,
tutta quasi la frazione politico-militare del partito gari-
baldino opinava che il segnale della- riscossa dovesse
partire da Roma; Menotti, Canzio, Acerbi e qualche altro,
tenendosi più ligi alle istruzioni del generale, volevano
che le mosse dovessero essere parallele; il Cucchi, che
più di tutti la caldeggiava, dava per sicura l'iniziativa
romana.
»
Mentre avvenivano queste tratfcntive fra i capi del
movimento; all'improvviso circa duecento giovani ca-
pitanati dal trentino Luigi Fontana dei Mille, passavano
805
il confine nel Viterbese, si buttavano sopra Acquapen-
dente e dopo una zuffa accaaita facevano prigionieri
una quaraiLtiua di gendarmi pontifici e s'iiupofisessavano
del paese.
All'annunzio doli' inopinato qssalto di Acquapendente
Menotti ed Acerbi credettero non essere piìi questione
di disi^utere — essere impegnalo il loro onùre ad accor-
rere in soccorso degli arditi patrioti — e quindi Acerbi
diede ordine alle sue genti di sconfinare.
II 3 ottobre Menotti Garibaltli rotti gli indugi con
pochi conapagni vnrcaTa li conlÌLe, Si dii'esse a Poggio
Catino ove fu accolto con amore dal conte Galeazzo Ugo-
lini. Ma non volle fermarvìai e tosto ai mise in moto.
A S. Vaientino il Sindaco Nardi con venti giovanotti in-
grossava il drappello che a Poggio Mirteto accoglieva
alti'i trenta animosi; a Monteiuii^giore ti-ovava il capi-
tano Fontana con cento ardimentosi e vi pernottava. Sul-
l'albejrsiare la colonna si dirigeva a Montelibretti.
Menotti con circa 200 uomini precedfv,-ì. gli altri
col TriuguU e coir Ugolini seguivano alla distanza di
mezzo chilometro, tiiunto Menotti nella maccbia di Ma-
nocchio venne ^lasalito da buona schiera di iiendarmi e
di zuavi pontifici che Io atteudevauo in imboscata.
I nostri, sebbene sorpresi, non ai perdettero d' a-
nimo; guidati dal valoroso Menotti Garibaldi i bravi
xorontari si lanciarono sull'inimico: questo dopo breve
resistenz;i preso da sgomento bl dava a fuga precipitosa.
II giorno 6 i nostri nccarapavano a Carmignano di
fronte a Nerola occupata dal colonnello De Claretto;
^uìvi la colonna t'u raggiunta dai maggiore .Salomone che
conduceva ciiaa. 150 volontari; dal maggiore Valentini
di Aquila roJi altri 100 volontiri circa; giungevano puro
altri &0 baldi giovani guidati da Lodovico l'etriui e dal
conk- Ippolito Viceutiui di Rieti; 100 circa da Monto-
356
poli sotto t;U ordini dei fratelli Rondoni ed altri guidati
daU'emigrato romano Ovìdi Ercole; arrivava intìiie il
Fazxari ohe (.-ondiuevii oltre 300 volontari da lui (brinati
in un bello e valente battaglione.
Sotto gli ordini di pienotti erano ormai circa 1200
volontari. IntiUito il colonnello de Charette inlorraato che
la colonna cIip gli elava di fronte erasi molto ingrossata;
abbandonava Nerola per Monteli bratti.
T-a matiin.i dell'S ottobre. Menotti fece muovere la
colonuji ed alla sera occupava Nerola; ivi attendeva
ali "oi'gnnizzaz ione della sua truppa ed a provvederla
dell'arnianiento che giungeva da Terni, La mattina del
13 ordinava la marcia su Montelibretti e la colonna vi
giungeva verso le due pomeridiane. Si erano avute false
informazioni che il nemico erasi allontanalo, per cui i
garibaldini credendosi sicuri avevano formato i fasci
d'armi e ognuno per conto suo concava di provvedere al
necessario ed a ristorai-ai dal lungo cammino.
D'improvviso noa scariòa di fucilate avvertiva i
YOlonuu'i che il nemico era alle porte del paese. Si
corse seitm ritardo alle aniit. Fazzari montato a cavallo
scoireva le vio incitando, quanti incontrava a fonnarsi
in colonna. Messo assieme un gruppo di circa 50 uomini
esce animoso dalla porta e precipita contro il nemico
che a passo di cai-ic-a veniva ad investire il paese.
Era un battag^lione di zuavi pontifici ; questi visto
Fazzai'i lo accolgono con una scniica a bruciapelo che
gli uccide il cavallo e lo ferisce ad una gamba; il cava-
liere precipita di sella ma non si da per vinto; ha in
pugno il suo revolver, lo scarica addosso a chi ha la
disgrazia di awicinarglisi e sparati tutti i colpi finisce
per scaraventare il revolver stesso contro il comandante
dei nemici che lo accerchiavano. Questo eroismo in-
cute rispetto agli uPfìciidi dei zuavi, i quali invece dì
3Ò7
finirlo lo Insciano in custodia di tre dei loro, mentre la
massa continuji ad avanzaro mantenendo fuoco vivissimo
contro i nostri che, sebbene in pochi, tenevano testa.
Intanto Menotti clie aveva riunito intorno a se il
grosso dei volontari, a passo di carica investe i nemici
che fanno resistenza, ma infine il valore dei nostri la
vince e i zuavi sono rotti, posti in fu^ja e lasciano sul
terreno morti, feriti e qualche prigioniero. Si distin^
sere nel combattimento il furiere Ildebrando Campa-
gnoli che venne promosso.
Il 13 di ottobre Nicotera sconfinava con ottocento
uomini a Vallecorsa e l' indomani s'avviava a Falvaterra.
Si aspettava cbe Roma dess.e qualche segno dì vita
e Cucchi, Guerzoni, Adamoli, Bossi, Celle, Costa si erano
stretti in lega coi membri del Comitato di Azione ; ma
tutti sentivano che la sollevazione intempestiva nella
provincia aveva resa impossibile una sorpresa, nella Ca-
pitale.
Mentre questo avveniva in Sabina, Canzio e Viglaut
pensavano di trarre G-aribaldi dalla prigionia di Caprera.
Noleggiata una paranzella salparono da Livorno il 14
otto5>re, cantameate acoost;irono alla Maddalena <?d a
mezzo della inglese Signora Collin. fatto per%-enire un
biglietto al Generale, proseguivano pel porticello di Bran-
dinchi per a&pettarvelo. La noEte del 16 ottobre il Ge-
nerale avventuratosi sopra un guscio di noce, che chia-
mavasi il * Beccaccino », faceva il tragitto da Caprera rtl
punto di ritrovo,e deludendo la vigilanza dei R. Eiiui-
paggi, prendeva imbarco nella paranzella, sbarcava a
Livorno, ed in sul mezzogiorno del 20 arrivava a Firenze
con grande sorpresa del Governo e gioia degli amici.
Il 21 ottobre 1867 veuivji diramato il seguente raiv-
nifesto :
24
358
Romani all'armi!
« Per la nostra libertà, per il nostro diritto, per
l'unità della patria Italiana, per l'onore del Nome Ro-
lùano.
AW armi !
« n nostro grido di guerra sia:
« Viva Roma Capitale d'Italia! Rispettiamo tutte le
credenze religiose, ma liberiamoci una volta e per sempre
da una tirannia, che ci separa violentemente dalla fa-
miglia italiana e tenta perpetuare l'inganno, che Roma
sia esclusa dal diritto di nazionalità ed appartenga a
tutto il mondo, fuorché all'Italia.
« Da molti giorni i nòstri fratelli hanno levato il
vessillo della santa rivolta e bagnata del loro sangue
la via sacra di Roma.
e Non tolleriamo più che siano soli e rispondiamo
al loro eroico appello con la campana del Campidoglio.
« Il nostro dovere, la solidarietà della causii comune,
le tradizioni di Roma ce lo impongono.
All'armi ! ■
« Chiunque può impugnare il fucile accorra; fac-
ciamo di ogni casa un fortezza, di ogni ferro un'arma.
« I vecchi, le donne, i fanciulli elevino le barricate,
i giovani le difendano.
« Viva l'Italia!
« Viva Roma I »
*
* *
Il 2'J il generale parti per Terni. Ivi giunto sapendo
che il Governo aveva dato ordine di arrestarlo, in sul-
l'albeggiare del 23, sconfinava a Passo Corese e dava
ordine a Menotti, comandante del centro, di riunire tutte
Sb9
le colonne che si trovavano già pronte a Monte maggiore,
mentre altre erano in formazione a Tenti, e gli ordi-
nava quindi di sconfÌHare senza ritardo.
Nella notte del 2-1 Garibaldi telegrafava al Comitato
di Firenze: « Occupo Passo Corese e Monic Maggiore
con le forze riunite di Menotti ». Nel giorno stesso or-
dinjiva ai investisse Monte Rotondo, die voleva ad ogni
costo espugnare, ancorché non avesse alcun pezzo di arti-
glieria.
La notìzia che Garibaldi era entrato nel territorio
pontifìcio , {'eoe accorrere voloutjiri da tutte le parti ;
anclie Ancona eccitata alla guerra santa da un patriottico
proclama non aveva mancato al suo dovere.
Messi assieme pochi fondi, e raccolte delle armi,
partiva una colonna di cui veniva aflfldato il cjDmandL»
ad Elia. Prima però, che questa colonna composta di
più di mille ducenco volontari fosse armata, si dovette
perdere del tempo a Terni. luflce rotto ogni indugio e
sebbene non poche armi mancassero per raruninieuto
completo, Elia ordinava la partenza e raggiungeva il ge-
nerale Garibaldi e suo figlio Menotti a Monte Rotondo,
ove "giii sì combatteva.
La difesa di .Monte Rotondo fu aecunita. L'attacco
incoraiaciato all'alba durò tutta la giornata; stava per
calare la notte ed il fuoco continuava da ambo le parti;
già molti dei nostri erano feriti, fra i quali, Capra, Molilo,
Carcano, Martinelli, Uziel; morti il Giovagnoìi.l'Andreucci
ed altri. « Bisogna fluirla » grida Garibaldi— ed ordina
di dar i'uoco alla porta; verso le otto di sera la porta v«
in fiamme e fattavi una apertura i garibaldini vi si pre-
cipitano, gli antiboini si rìfuggiauo nel Casti Ho ed al-
l'albeggiare riprendono le fucilate; ma visto che i vo-
lontari, penetrati nelle scuderie del Castello del principe
Piombino (che era coi garibaldini a combattere per la
360
liberazione di Roma) ai preparavano ad appiccare il fuoco
al Castello, verso le 9 di mattino si arrendevano, la-
sciando in nostre mani due cannoni con un centinaio
di cariche, circa 300 fucili e poche munizioni.
Nell'eroico combattimento si distìnsero assai Val-
zania, Martinelli, Giovagnoli Raffaello che ebbe il fra^
tallo morto, Coralizzi Luigi ed il giovane quindicenne
Carlo Raffaelli che aveva già dato prove di grande w»
dimento e di valore a Monteiibretti, meritandosi gli elogi
del generale e la promozione a sottotenente.
Ecco l'ordine del giorno col quale il generale par-
tecipava la presa di Monterotondo :
ORDINE DEL GIORNO
« Anche in questa campagna di Roma i valorosi vo-
lontari hanno compiuto il loro glorioso Calataflmi ; tem-
porali, nudità, fame quasi da non credersi sostenibili, non
furono capaci di scuotere il brillante loro contegno.
« Essi assaltarono una città murata, colle porte barri-
cate e cannoni per difenderla, guernìta da esperti tira-
tori e se ne impadronirono con uno slancio di cui l'Italia
può andare superba !
« Dìo benedica questi generosi.
« Monterotondo, 26 ottobre.
G. Garibaldi ».
Al Comitato Centrale di Roma:
Cari Amici
« Dopo r assaho e la presa di Monterotondo ci siamo
spinti sino a sei miglia da Roma, ove ci troviamo ora.
« Dei nemici non abbiamo notizie. Se la spedizione
francese è vera, spero vedere ogni italiano fare il suo
dovere.
« Casina 8*^ Colomba, 27 ottobre.
O. GaribtMi >.
aei
Il 24 ottobre Acerbi assaliva Viterbo, mii uonostanto
il valore spiegato dm Buof, nel quale primeggiò il bravo
Napoleone Farboai che l' jicerbi promoveva maggiore,
fu neceagità desistere dall' attacco.
Il giorno 26 i nostri muovevano ad un decisivo as-
&ilto; m.1 i pontifici abbandonavano Viterbo e l'Acerbi
se ne impadroniva.
Il Nicotera che aveva per obiettivo Velletri ebbe
un serio e micidiale combattimento a Monte 8an (iio-
vanni, ove cadeva I' eroico Di Benedetto con ben ven-
tidue valorosi compagni, altri furono feriti, fra i quali
il bravo tenente Lacava ; il 28 il Nicotera prendeva La
sua rivincita a Frosinone, ove fug'ava il nemico cagio-
haudofe'li forti perdite ed il 30 occupava Velletri.
Appena sì seppe in Roma che bande dì garibaldini
erano entrate nel territorio del papa, il governo non
ebbe più ritegno.
Chiuse alcune delle porte della cittfi ; le altre for-
temente custodite ; sorvegliò gli alberghi e le case; cacciò
1 forestieri sospetti; infine rigori e vessazioni di ogni
sorta; difficile quindi pit!i che mai preparare una som-
mossa, senza che la polizia ne venisse a cognizione.
Cucchi Francesco era stato incaricato, con araplis-
aima credenziale di Garibaldi, d'intendersi coi membri
della Giunta Nazionale per promuovere e dirigere il mo-
vimento di Eoma,
A coadiuvare il colonnello Cucchi erano entrati in
Roma, il maggiore Guerzoni, il maggiore Adamoli, il co-
lonnello Bossi, il Cella, i quali sfidando ogni pericolo
lavoravano indefessamente perché scoppiasse 1» pcintilla
rivoluzionaria ma, nonostante i prodigi di operosità e
d'ardire del Cucchi e dei suoi compagni^ i preparativi
362
per r audace impresa non si erano potuti completare ;
e, quel eh" e peggio, le armi, senza le quali i congiurati
romani si protestavano impotenti a qualunque tentativo,
non erasi ancora trovato modo di farle entrare in Roma.
*
Ma da quelli di Firenze si scriveva al Cuccili « una
schioppettata, una sola schioppettata entro Roma e ba-
sta » ; e la schioppettata fu tirata.
Disegno dei cospiratori era d'assalire il •Campidoglio,
impadronirsene ed asserragliarvi si. Un drappello di con-
giurati guidati dal Cucchi e dal Costa Nino era incaricato
di questa faccenda. Il colonnello Bossi con altra squadra
doveva sorprendere li corpo di guardia di piazza Co-
lonna ; Guerzoni con cento uomini forzare Porta S. Paolo
e distribuire agli insorgenti le armi depositate nella Villa
Matteini. (riuseppe Monti con altri doveva minare e fare
saltare la Caserma Serristori, e Zoffetti con altri can-
nonieri inchiodare le artiglierie del Castel Sant'Angelo.
I fratelli Cairoli Enrico e Giovanni dovevano scen-
dere il Tevere fino a Ripetta, e portare armi che do-
vevano prendere a Terni. Senonchè, tutte queste imprese
audaci abortirono, perchè il Governatore di Roma, ve-
nutone a cognizione, aveva prese forti misure preven-
tive ; solo la Caserma Serristori andò in parte all' aria,
ma senza scopo, perchè vuota di soldati pontificii I fra-
telli Cairoli con settanta valorosissimi compagni, arrivati
all'altezza di Ponte Molle, saputo che i tentativi di som-
mossa erano falliti, furono costretti a tenersi, nascosti
durante lanette fra i canneti, ed a cercarsi poi un mi-
gliore rifugio appena spuntò l'alba. Credevano d'averlo
trovato a Villa Glori sui colli Parioli ; ma scoperti ed
assaliti da truppe tre o quattro volte superiori, dopo
eroica resistenza, caduto Giovanni Cairoli, ferito mor-
talmente Enrico, la più bella schiera d'eroi, che avesse .
mai fatto sacrifizio dì se per la patria, dovette disperdersi.
363
dopo di avere costretti alla fuga i mercenavì del Papa.
Ecco come parla del fatto glorioso il valoroso Gio-
vanni Cairoli :
« Ci U'ovavamo in aperta campagna, quando ad una
trentina di passi da noi. scorgemmo avniizarsi una forte
colonnit di papalini. Vi piombammo in mezzo scaricando
i revolv^iirs. Ne seguì una sanguinosa coUutùizione. Dopo
qualche minuto di terribile mischia nella quaEe i revol-
vers furono perline /idoper-nti come martelli, mi sono
trovato a. contatto con Enrico nostro comandante che
era attorniato da cinque o sei papalini. Una scarica ci
fece cadere entrambi feriti. Enrico mortalmente: da
terra abbiamo avuto il conforto di vedere i mercenari
volgere le terga il che ciascuno di essi eseguiva però
dopo di averci lanciato un colpo di baionetta. »
€ Povero Enrkof Ti torni almeno a sullievo delle
ferite che ti conducono a morte, i! conforto del grande
Tebano — vedere in fuga il nemico. »
Fallito il moto insurrezionale della notte del 22 ot-
tobre, in Trastevere buon numero di ardiri popolani si
apparecchiavano risolutamente alla riscossa.
Giulio Alani patriota e giovane* pieno di ardimento,
proprietario di un lanificio in via della Lun.L'ji retta, aveva
dato convegno a quanti erano giovaui liberali, forti e
coraggiosi in Trastevei'e, e per quanto potè, raecùlse nel
suo stabilimento fucili, revolver e munizioni.
In quella c^isa erasi istituito un laboratorio ove si
fabbricavano cartuccie alla cui formazione erano intente
alcune giovinette del popolo, addette come lavoranti nel
lanificio.
Protìsima allo atabiliinento eravi Tabitazione di Fran-
cesco Arqurttì, altro vero patriota, molto popolare nel
rione di Trastevere. La moglie di lui e le figlie anche esse
attendevano alla preparazione delle munizioni, mentre il
lio maggiore dell'Arquati, Piaaquale, insieme a Giulio
Alani, percorrevano quel popoloso quartiere per la prò-
3&4
pagaiida ft!]ji rivolta, eceitando ad un ardito movimento
i più niilmosi dì quei popolani.
11 2ó ottobre l'opera ferveva nel lanificio Aiani, di-
venuto focolare di quel roauipolo di patiioti, decisi a mo-
rire per Ut litiertii di Roma, quando alle 2 1/4 uno dei
giovani elio stavano di vedetta su una terrazza, dava
l' avviso dell' approasimarsi di un corpo di zuavi e di
forte stuolo di sbendarmi; fa chiusa e barricata la porta
e tutti corsero ad armarsi risoluti all'estrema difesa.
Gli zuavi 6Ì slanciano per abbattere coi calci dei
fucili la porta della casa, ma dall'alto si tirano delie
bomba nelle loro file, e sono ricevuti da fut-ilatit cosi
viva, da costringerli ad abbandonare l'assalto ed a ri-
pararsi nelle vicine vie, ove appiattati, aprirono un cou-
tiouatn fuoc» dì CuL^ilerìa.
Al rumore delle fucilate Giulio Aiani che sì trovava
in casa Arquati corre verso V uscio per uscirne, ma la
casa è in uq baleno citrondaUi dagli zuavi e dai gen-
danni, che, forzata la porta, si slanciano per le scale ;
l'Alani col revolver in pugno si precipita sugli invasori,
raa assalito da ogni parlo, sopraffatto dal numero, viene
legato e Hutto in prigione.
Intanto il combattimento contro la casa Aiani si fa
sempre più vivo. Paolo Gioacchini, uomo di óO anni,
capo del lanificio, coi di lui figli Giuseppe e Giovanni
incoraggiano alla resistenza e nessuno pensa di arren-
dersi.
Si combatteva da quattro ore quando u^ìi ?,uavi
riusci di sfondare la porta; la casa ó invasa dalla truppa
inferocita per la lunija resistenza, che fa macello di quanti
incontra; Angelo Marinelli, vecchio settantenne, gridava
ai giovani di porsi in wilvo pei tetti, mentre eirli teneva
testa agli iuviiuori atterrandone quanti gli si facevano
vicini a colpi di accetta, finché crivellato da ferite cadde
per non più rialzarsi; intanto ad alcuni dei difeusori era
riuscito di mettersi iu salvo pei tetti delle case vicine,
dove poscia vennero arrestati.
98G
Quelli che non poterono salvarsi non cessarono dal
■combattere sulle scale, sugli abbaini» ji corpo a corpo
colle daghe, coi pugnaU, coi denti : domina in mezzo a
tutti l'eroica donna Gìtidìtta-Tavanl^Arquaii, che incuora,
coraaiida e combatte, terrìbile nell'ira nel vedere avanti
a se il cadavere del marito e quello del giovinetto figlio,
entrambi trucidati; alla fine soccombe es.sa pure ti'afitta
da replicati colpi.
Il nome dell'eroica donna o dei prodi carlnti con lei
dovranno essere ricordati con amiiijrazioue d;tlle gene-
razioni future e dall'Italia.
La presa di Monterotondo produsse grande sgo-
mento in tutto il territorio pontificio ed ebbe per con-
seguenza la ritiriti cU. tutte le truppe papaline al di
là del Tevere.
Garibaldi non aveva pace se non faceva un colpo
di mano su Roma sperando sempre che gli amici nella
piazza gli avrebbero facilitata la riuscita e non volle
perdere tempo.
Lasciato un l>attaglione a Monterotondo sotto gli or-
dini del colonnello Carbonelli, e speditone un aitalo col
colonnello Pianciani a Tivolif il generale, ordinato ad
Acerbi ed a Nicotera di raggiungerloj muoveva diftilato
con tutte le sue forze su Roma.
Il giorno ^9 Garibaldi portava il suo quartiere ge-
nerale a Castel Giubileo spingendo i suoi avamposti oltre
a Villa Spada e al Casino dei Pazzi. I pontifici si erano
ben premuniti; la porta del Popolo, la Salaria, la Pia e
tutte le ville attigue, Torlonia, Patrizi, Lodovisi e Monte
Mario erano guernite da pezzi coperti ed occupate da
numerose truppe. Garibaldi vide T impossibilita di un
atUicco venturoso; piissò tutta la giornata a studiare la
posizione, e confidando sempre iu mia insurrezione entro
Roma, ordinò che nella notte si accendessero fuochi in
tutta la linea del campo.
Ma a Roma l'insurrezione non appena tentata er;i
Eitsta repressa e spenta. Garibaldi con alcuni Carabi-
nieri genovesi BOCto gli ordini di Stallo e di BurUindo
e con alcune guide condotte dai bnivi LorenzLni ed A-
madci romani, aveva voluto tentare una ricognizione
su ponte Nomentano; incontrata una pattuglia di papa-
lini, questa aveva presa la fuga. Dopo una permanenza
fli un'ora in quo! posto, due colonne di zuavi e di anti-
boinì sbucarono, una dal ponte fomentano, l'altra dal
ponte Mamolo tirando contro i nostri. Ma il Generale
non volle, che sì rispondesse, e siccome a^ìi non aveva
voluto fare, che una ricognizione, e lo scopo era rag-
giunto, nel mezzo della notte ordinò la ritirata su Mon-
terotondo. Kgli aveva avuto un messaggio, col quale lo
si informava che i francesi sbarcati a Civitavecchia erano
in mai'cia forzata per Roma, e perciò si voleva prepa-
rare Il riceverli.
Arrivato a Monterotondo mandava il aeguente or-
dine :
« Al generalo Nicotera.
« Per i due messi vostri, che vidi questa mattina
vi inviai ordine di occupare Tivoli, e lo stesso ordine vi
confermo ora.
< — Qui tutto va bene.
« — Interventi o non interventi, bisognerà com-
piere l'unificas^ione delia patria.
< A Tivoli troverete Piancìaui c«n un battaglione.
« Scrivetemi subito.
* Monterotondo 31 ottobre.
G. ù'ariba/dL
Nel ritornare a Monterotondo una gran parte di vo-
lontari disertarono le file per portarsi alle Ituro case, tan-
toché all'appello della sera del 2 novembre neppure la
metà delle forze si trovò presente.
«
ut ■
GariluLldi, commosso per l'eroica morCe di Enrico
Caii'oli e (lei suoi prodi, scriveva il seguente ordine
del giorno.
« Volontari italiani!
« Lh Grecia ebbe i suoi Leonida, Roma antica i
suoi Tabi, e l'Italia moderna i suoi CairoH, ^olla diffe-
renza che con Leonida e Fabio gli eroi furono trecento:
con Enrico Cairoli essi furono ecttantn, decisi di vin-
cere 0 morire per la libertà italiana.
« Nella notte del 53 al 23 del passato mese, 70
prodi Comandati da Enrico e Giovanni fratelli Cairoli,
ardirono., pe! Tevere, gettarsi tìn sotto le mura di Roma.
col magnanimo pensiero di portare soccorso d'armi e di
braccia al popolo romano combattente.
« A ponto Molle non vedendo i seg^nali conrenuti,
sostarono. Giovanni Cairoli spedito In ricognizione rife.
riva cessativ la pugna in Roma. « Ritirarsi o morire ».
Quei generosi preferirono la morte.
" tìi asseragliarono in S. fJiuliano, ■© quivi, uno
contro quattro, armati di soli revolvera, questi prodi,
operando miracoli di valore, di gloria imperitura copri-
rono un altra volta it nome italiano.
« Attaccati da due compagnie di zuavi e antiboini,
intrepidaineritL' ne sostennero l'urto. La puf^na fu acca-
nita e sanguinosa; ma davanti a quel pugno di valo-
rosi i mercenari del papa ripiegai-ono. Molti i caduti
dei nostri, fra i quali i dairoli e l'Enrico morto.
« Volontari ».
« Tutte le volte che vi troverete a fronte dei mer-
cenari pontilÌL-Ì rieordatevi degli eroi di tSau Giuliano.
Monteiotondo 2 novembre.
G. Garibaldi.
li:&_
368
' La eera del 2 novembre eoa un ordine del giorno
Veniva stahilito l'ordine di marcia per la via. di Tivoli.
Si doveva partire da Moniorotondo nelle prime ore del
mattino del S; invece, per non ai sa qiial contrattempo,
s'iniziò la marcia verso le ore l'J.
Si erano dal Generale oi-dinati corpi di esploratori,
di avnnguai'dia e di fiancheggiatori.
Le posizioni di Palombara, Sant'Angelo. Monticelli
erano stnte occupate da tre battagUoni comandati dal
-colonnello Pagg-i, si doveva quindi essere tntuqLiilii con-
tro ogni sorpresa; ina non fu cosi.
Appena oltrepassatji Mentana l'avangraardi-t veniva
attiiccata dai soldati pontifici.
Da un bosco clie si trova a destra della strada che
da Mcntaiia vif a Tivoli, era incominciato il primo at-
tacco contro un pìccolo reparto dei nostri esploratori
che precedeva la colonna iu marcia. Menotti accorse
con tre o quattro ufficiali del suo stato maggiore e il suo
capo guida Augusto Lorenzini, per riconoscere il ne-
mico, ma non si potè accertare che di una cosa, e cioè
che il bosco era fortemente occupato — si sperò che
fosse uiiJL ricognizione di non grande importanza e Me-
notti ordinò a Stallo di aviinzurc col- suo battaglione, di
occupare i punti più elevati a destra e a sinistra della
Strada, spingendo le catene in avanzata per sloggiare il
nemico. Sopraggiungevano a rinforzo di SbUlo i lacta-
glioiii di Burlando^ di Mayef e del Cantoni guidati da
Missori che si avventavano contro le forze papaline e ne
sostenevano l'urto. Mentre Menotti era stato ol>b!igato ad
allontanarsi per ordinare la ditesa del centro e della
sinistra ed amraasa.ire forze per un attacco generale, tutto
l'esercito papalino si avventava contro i notitt'i che no-
noa-tante le perdite resistevano sempre.
II bravo Cantoni comandante una colonna di Ro-
magnoli, della quale faceva parte il tenente Fortis, con
mii'abile sangue freddo e valore, assecondando gli sforzi
eroici del Missori, dello Stallo, del Burlando, del Mayer,
369
del Tosi si avTenta. con una carica alla baiouetta conti-o-
le masse antiboine che per un momento accennano »
sbandarsi, ma rinforzato, sono sopra i nostri che non rie-
scono a resìstere; 11 Cantoni e tanti altri caclooo mor-
CrtUnente feriti, e i bravi garibaldini sonj costretti a ce-
dere e ridursi sotto i pagliai per riordinarsi.
,11 momento era grave, ma sopraggiunto (TaribAldi
riunifice quanto più può dei nostri, con parole di fuoco
lì scuote ed ecoita il loro entusiasmo e li invita ad un
siniullnneo contrattacco che è spinto con irresistìbile
bravura e sostenuto gag;liard3inenEe per quasi due ore.
Ma verso le tre pom., sopraffatri da nuovi rinforzi, con-
tra-stando jnlmo a palmo il terreno, i gtiribnldini sono
t^ostl'etti ìl retrocedere fin sotto le case di Mentana.
»*.
In quel punto i tiri rapidi o ben aggiuytiiti dei
nostri, appostati nelle case che avevano ocoupzito per
ordine del generale, e quelli dei due cannoni che Ga-
ribaldi stesso aveva fatto piazzare in eccellente posi-
zione, arresUiuo la fopa del nemico.
La presenza del generale Garibaldi accompagnato
da Fabrizi, da Menotti, da Canaio, da Mario, da Guer-^
zoni e da altri, infonde nuovo ardire nei nostri; il ge-
nerale ordina la carica alla baionetta — un ui'rà di
gioia saluta il comando — e la Ciirica fu goneriile, spleU'
dida pel risultato. Il nemico abbandona le posizioni, i
nostri riacquistiino le loro e si procede all'assako di
Villa Santucci, certi ormai della vittoria.
•%
>Ia vinti 1 papalini, altro nemico sconosciuto, fin al-
lora rimasto invisibile, giungeva in quel puntn, fresco
di rombattimento a rimpiazzare i vinti, venendo a ful-
minare di fianco con fuoco di fila mai interrotto i trafe-
Inli garibaldini.
370
GrAiidi masse nere si avfliizavaTio intente ad impa-
dronirsi dei dossi delie colline di sinistra eoU'obìettivo
evidente di tagliare ìa ritìmtJi su MontiTotondo. I bravi
garibaldini sparavano le loro ultime c-artucce; An era
ftioco sprecato, perché i loro proietti non arrivavano nep-
pure alla metà della lunga linea percorsji dal nuovo
nemico.
La resisfcenz-a era ormai impossibile — e Garibaldi
visto il pericolo di rimanere in breve avviluppato, ordi-
nava la ritirata su Monterotondo, che fu esej^uiui con
ordine esangue freddo sotto il continuo grandinare delle
palle dei soldati dell'imperatore dei francesi — ■ venuti in
Italia, anche una volta, per la salvezza del trono pa-
pale, e per fare la prova del loro chassepot sui petti
dei vctlontari garibaldini, che erano ridotti nell'iiupos-
sibilità di dìfeDdersi,
Giunto a Monterotondo Oaribaldi pensù dì or^'a-
oizzarc la difesa assernigliandone l'entrala. Ma manca-
vano del tutto le munizioni avendo i garibaldini consu-
mata &n l'ultima cartuccia; quale difesa era possibile ?
I prodi diffìnàori del governo teocratico portarono
a Roma, ti'ofeo di vittoria, i due cannoni dì Montero-
tondo, no>i nostri 7na de/ Papa: e fu una mistiflcazione !
Port:iirono è vero dei pri^onieri — ma anche questi
con frode perche ^-iolarono / _/?fl//i della capitolazione
segnata col comandante del Castello, i quali sancivano
che tutti i garibaldini che si trovavano nel Castello e
nelle case di Mentana dovevano essere compresi nella
capitolazione e lasciati liberi di ritornare alle loio case.
Per dare un'idea di come si svolse una parte del-
l'azione, ecco il rapporto del colonuollo Elia al ,L,'enernle
Faìjrizi :
liapporto del Comandante la G" Colonna
ul cupo di Stato Maggiore del Comando Genera/e
Generale Kicola Fabrìzi.
Ancona, li 12 novembre 1867.
Generale,
« Rispondo air Invito diretto dalla S- V. a tutti i
■comandanti di Colonne che si trovarono presenti ul
combattimento di Mentana, inviandole questo rapporto
sulla parte avuta nel combattimento suddetto, dalla
■G" coiouna dji me comandata.
« Alle ore 12 del 3 corrente mossi da Monteiotondo
lilla testa della Colonna seguendo l'ordine di mareia
prescrittami dal Comitndo Generale con ordine del giorno
della sera precedente.
<( Le mie forze, molto diradate dopo il ritorno a Mon-
terotondo. si componevano del 18" Battaglione, ridotto
a 195 uomini, comandato dal maggiore Perlach Pietro,
del 19" comandato dal maggiore Cesare Gliedini forte di
1Ì0O uomini, del ao" battaglione comandiitù da Celare
Bernieri forte di 'òiO uomini, rimasto quest'ultimo a
Moutcrotondo agli ordini dol Coma^ndaiite di quella piazza
■colonnello Carbonelli.
« Giunto al paese di Mentana verso la 1 p. ni. do-
vetti fare allo essendomi impediti la mavwa dui volon-
(i(U'i della 3* colonna, comandata djil colonnello Valzania
che mi precedeva, i quali con un'ordinata contromarcia
a sinistra passando avanti il mio ironie si portiivauo a
prendere posizione sulle- colline a sinistra del pa^se. Da
qualche ferito, che si vide passare, avemmo conoscenza
■che C-i trovavamo in faccia al nemico e che ai posti
avanzati fransi incominciate le fucilate. In quel punto
mi venne ordine d-il generale Garibaldi, trasmessomi
■dal suo aiutan:,e c^ipitano CoccapieUer, di fure oc-
■cupare da parte dei miei le case a sinistra di Meu-
372
tóna. Trasuiiài l'ordine ai maggiori Perlach e Ghedini,
ed i nostri vi penetrarono risoluti secondo 1' ordine
elle loro diedi a respingere Dt;ni «ttac-co del nemico. Vi-
sta eseguita tale operazione mi poriai presso Garibaldi
per mettermi a sua tlitìpoBÌzioiie. E,^IÌ uovavasi a metà
del paese circondato dai vecchi eompiigni e dai suoi aiu-
tanti, dando ordini pel eorabatttoiento. Vedutomi, mi
cìaTa incarico di raccogliere quanti avessi potuto dei
nostri e di spingermi con ossi al di \k delle case, che
tbrmaiio il lato sinistro del paese. Ordinai a quanti noti
erano nelle case, di seguirmi in avanzata verso la parte
più presa di mira dal nemico. Avevo con me i maggiori
Periacb e Ghedini, l'aiutante maggiore Tironi, l'aiutauie
in seconda Barattini Filippo, l'ufficiale d'ordinanza Fala-
Bchini Pietro, il capitano Berti Antonio, il tenente Au-
gusto Marinelli, il mio capo di stato maggioro capitano
Boldrini, il capitano Canini di'i MUle, il tenente Occhia-
lini ed i sottufficiali Longhi, Zagaglia^ Berecta, Melap-
pioni, Berti, Pezzali, Leone Bucciarellì, .Saliara, Beducci,
Mariotti. Marinelli Lui^i, Ferraioli ed i caporali Luigi
Padiglioni. Cesare Burattini e 1' aiutanto del 18' batSar
gliene sottotenente Luigi Carnevali. Si erano pure uniti
a ,me i capitani Grassi e Ballanti ed altri volonCitri
comandati da Salomone (.') e da Frigesy.
Ordinai a questi valorosi di spiegarsi in catena e rasen-
tando le siepi, flaiicheggianti la strada che taglia quei
campi e conduce iilla villa Santucci, di spingersi avanti
nell'intento di sloggiare il nemico dalla villa da easo oc-
cupata. Igaribaldioi rispondevano da bravi al fuoco ne-
mico e gli urtìciali ne li incoraggiavano.
1") Il 3' hai lagi ione della colonna Salomone camaniiitT ria! mag-
giore Ravelli jii-p^e ^t.tvnua parte al eombttUiirienlo a fimrn tliei iriiw: rlcj
battaglione liit-evano parte ai-coni anwnitìMji fra i quali il furicr-^ AH«!-
braniio Campii^ncili i.'he a Moo te libr triti si ronduiìse con Iftfilo valere ila
vpniry pi-opo-ilci per In ]ironimionp .id uH'ciiile. A Mi ntima i! Cunfii^iiulì
i;ìinhfiit=nrfo ft corfo n «-"rpo, vnns fnril^ di fToIjm tli baioTiflUa e fetto
prigi aKtu dai Irancrsi.
ftTS
« Eravamo fulminati iill'iirtiglieria e dal f'aoco vivis-
simo delle carabine; più di un volontario era caduto
al mio fianco e primi fra tutri il naio Jiiutante Tironi, e
il capitano Antonio Berti che bravamente rimasero al
loro posto. La faccenda si taceva sempre più seria; man-
dai l'aiutante in seconda Barattini, con ordine di riunire
quanti dei rosti'i avesse potuto e me li portasse al
l'uoco, ma ritornò solo. Si era da ogni parte impegnati
e non conveniva fare scendere i garibaldini vhe occu-
pavano Le case; privi di rinforzi ed incaìzati da^fli Zuavi
ponEìfiei fin sotto le case di Mentana, volli tenwre iin
colpo ; riuniti intorno a me quanti più ne potei, di uf-
flciali e soldati, oi-dinai una carica alla baionetta. Coa-
diuvati dai nostri, che dalle case tiravano addosso iiyii
assalitori e dal tiro dei cannoni che il Generale aveva
fatto piazzare in buon posto, i miei, incoraggiati dagli
ufficiali che marciavano in testa primi ad esporsi, si
slanciarono contro i papalini e sotto gli occhi di Gari-
baldi, giunto allora sul posto, di Fabnzi, dì Menotti, di
Ricciocti» di Canzio, di Mario e di altri bravi, mettono
in fuga gli assalitori incalzandoli colla punta della ba-
ionetta. Fu un attacco hril lauti ssimo, e cosi ben riuscito
che si credette per un momento alla vittoria.
« Ciò avveniva verso le 4 pom. ; ma passato poco
tempo ci vedemmo più fortemente assaliti in altro punto.
■ Il nemico cambiata direzione all'intacco spin-
geva forti colonne sulle alture di siaiatra, difese da Val-
znnia, allo scopo dì tagliarci la ritirata su Monterotondo,
« La natura dei tiri, la regolaritìi e rapidità dei me-
desimi, il fischio delle palle, tutto aveva cambiato. Xon
erano pilli le truppe papaline che si battevano contro i
pochi ed estenuati garibaldini, privi ormai di munizioni;
stavano dì fronte ad essi i primi soldati del mondo che
facevano le prime prove dei loro Chiissepot sui petti dL'i
pati'iotì italiani.
« La colonna Vjdzania stette salda finché ebbe
cartuceie da sparare contro il forraidabhe assalto; ina
poi, sopraffatta da forze imponenti e ridottiisi senza mu-
25
374
nizioni, dovecte ripi0g:are. Abbandonate le elture di si-
nistra, s'imponeva a noi pure di peiifiare ni casi nostri.
Avutone il LiQusenso dnl Generale FaUrìzi cJie mi stava
vicino, chiamai a ritccolcii e feci battere la ritirata.
« Non furono però in tempo di ritirarsi i molti, ohe
trovaviinbi, per ordine avuto dal Generale, ad occupare
le case ed il Castello di Mentana, i quali furono £attl
prigionieri con evidente violaziono dt-i patti della Capi-
tBlazione. Armata da un ufficiale superiore francese e dal
comandiLiiiL' U foruu gciribaldiuo rinchiuso nel Castello,
e condotti come tali a Roma. Fra questi si trovarono
molti del 18" e 19" battaglione appeuteneuti alla mia
colouua.
« H 20" battaglione, pure facente parte della mia
6' colonna, rininato a Monterotondo, fece anch'esso il
suo dovere. Il bravo capitano Litt/i, che lo comandava
in aissenza del maggiore Bernieri, visto che a Mentana
erasi impegnata con calore l'azione, allo scopo di garan-
tire ai nostri In ridratti in caso di roveseio, portò la mag-
gior parte d«lle sue forze ad occupare i! convento dei
Cappuccini situato in buona posizione elevata sullastrada
che va a Mentana, da dove potè arrestare la foga dei
iiranceBÌ, che si avanzavano ini^egueudo 1 nostri. Giovò
non poco l'azione risoluta del capitano Raffaello Giova-
gnoli, che si trovava al Romitorio, da dove respingeva
i ripetuti attacchi del nemico. Egli volle tentare un ul-
tima conti'ocariea alla testa dì un cen linaio di valorosi,
che fecero prodigi. Molti di quei bravi caddero attorno
al Giovagiioli colpiti dalle palle dei Chassepot dell'im-
peratore di Francia ; ira (juelli che i>ìli si distmsero per
valore, priraejrgiò il sottotenente Luigi Coralizzi, che ri-
portiiva grave ferita alla testa da farlo ritenere per
morto, e il quindicenns Carlo KafFaeli.
(f Tutti fecero il proprio dovere. Gli ufficiali molto
si diaiinsero per ardire e sangue freddo nel condurre i
Tolontiiri al combattimento.
Il comandante la 6" l'olonr.a
Col. ^1. Elh.
S?5
Dopo il sanguinoso combattimenlo e la ritirato, il
generale fu per lungo tempo deciso à continuare la resi-
stenza in Moiiterotondo. Non voleva sentire parlare di
ritirata. Agli amici che gliela consigliavano egli rispon-
deva « La nostra bandiera é Soma a Morte. Kon siamo
andati a Roma dobbiamo morire qui ! » Ma i comandanti
di colonna, credettero loro dovere d'insistere nell'inte-
resse delki patria, e vollero che l'Elia assumesse Tin-
cnrico del tentativo ad essi fallito.
Ma l'Elia, consapevole degli inutili sforzi fatti
dai compagni, rifiutò in sulle primo di fare altro teii-
■ tatÌFO ma poi dovette an-enderei alle insistenze repli-
cate, e fu con non poca fatica che potè riuscire a per-
suadere il generale, che la vita sua e quella dei suoi do-
veva essere conservata all'Italia. Il generale finalmente
scosso domandò se Fabrizi, Menotti e Riuciotti erano
rientrati, ed avendo Elia risposto affcrm attivamente, gli
diede l' incarico di ordinare la ritìiata su Passo -Corese. La
■ritirata fu eseguita senz'essere punto molestata e si passò
lanette sul territorio ancora tenuto dal papa per virtù
dell'intervento dei soldati dell'imperatore di Francia.
Quando al mattino il generale entrava nel territorio
italiano, il primo che gli si presentò fu il colonnello
Cara va, già suo ufSciale, allora comandante del 4" gra
natieri di guardia al confine, il quale dm^ante la cam-
pagna si era fraternamente interessato, in tutti i modi
po&slbiH, permessigli dalla dist^ìplina, de' uosni sbandati
e dei nostri feriti. Garibaldi gli porse la mano e gli disse :
« Colonnello, siamo stati battuti, ma potete assicurare
i nostri fratelli dell'esercito che l'onore delle ai'mi ilji-
liane è salvo ».
Eloquente epigrafe di quella camp;igna, <vhe, nel
1899 ebbe il battesimo della patria riconoscenza al-
lorché per volontà del parlamento fu rieouoaciuta cam-
pagna naziojìah.
375
Dippoi sì fece la consegna delle armi da parte dei sol-
dati volontari alle truppe italiane.
Quando i compari presero oorgedo dal gener^e
che saliva sul treno per Fiieiize, tutti pmno commossi;
Elia gU disse: — « Xon tarderà altra occasione — ri-
cordatevi dime generale! ». Ed Egli tenendogli la mano
fra le sue, rispondevn: — < Mi ricorderò di voi, come
della mìa sciabola ».
Mentana può considerarsi come uno dì quei casi fe-
talt che affrettano 1 destini di una Nazione ; come un
olocausto inevitabile, necessario 1 Questo glorioso com-
battimento, anche uua volta dimostrò che gì' tulliani si
battono: 4000 garibaldini, male armati, quasi senza mu-
nizioni, tennero gaglliardamente testa a 6000 papalini
ed a 5000 francesi, consideniti. giustanientp, i primi soldati
del mondo, jirmnii dì Chassepot, tenendoli a rispettosa
(iistanza per mezza giornata e facendo pagar cara la
loro vittoria,
CAPITOLO XXVI.
Nozia di S. A. R. il Principe Umberlo I.
con S, A- R. la Principessa Margherita di Savo
iia.
Il 21 Aprile del 186S fu giorno dì lieto avveni-
mento per l'Italia e per la casa di Savoia. — Xel
Reale palazzo di Torino ebbe luogo la solenne cerimo-
nia della scritt-1 nuziale del Principe Reale Umberto
tìglio ereditario di S. M. il Re Victorio Emiinuele II e di
S. A. R, la Principessa Maria Margherita di Savoia figlia
del principe Ferdinando duca di Genova e della prin-
cipessa Elisabetta di Sassonia.
Facevano corona a S. M. il Re ì Principi Ri R. i
Cavalieri dell'Ordine Supremo dell'Annunziata, i Mini-
stri Segretari di Stato, le Depute^zioiiì del Senato e della
Camera dei Deputati, 1 rappresentanti del Comune, le
dame d'Onore, i grandi dignitari di Corte e le princi-
pali Autorità Oi.vili e Militari.
Testimoni al nuzial contratto erano S. A. R. il Prin-
cipe di Carignano, S. E. il Marchese Alfieri di Sostegno.
AssisCevano alla firma il Re Vittorio Emanuele e
la Regina di' Portogallo, i Principi della Casa di Fran-
cia e il Principe ereditario di Prussia.
Il giorno 'Ài, nella Città clie li vide nascere si
compiva r unione dei due Principi chiamati a reggere
le sorti d'Italia.
Alle ore 10 fu 'celebrato il uiati-imonio civile —
Compiuto il rito civile, fu celebrata la Messa da Monsi-
gnore l'Arcivescovo di Torino che a!4sistit;o da altre au-
toritii ecclesiastiche impartiva ai Reali Sposi la benedi-
zione Nuziale. •
Dttrantc la funzione le bande dei reggimenti di pre-
sìdio e della Guardia Nivzionale eseguivano sulla piazza
Reale una grande serenata. Il popolo il cui concorso era
immenso, featante dimostrava la sua gioia per l'auspicato
evento, con incessanti, unanimi, ovazioni, acclamando
con frenetici evviva agili Sposi RR. che più e più volte
si presentavano alla flnescra del Reale Palazzo per rin-
graziare e isalutare.
Alle 5 pom. le LL. Maestà, i Principi della Reale
Famiglia e i Principi Esteri, intervennero alle corse che
si tennero con immenso concorso di popolo festante in
Piazza d'Armi.
Tanto nell'andata che nel ritorno — come all'ar-
rivo in piazza d'Armi e nella partenza — gli Augusti
Sposi — ebbero dall' immensa folla di popolo accalcato,
unanimi, frenetiche acclamazioni — e grida di « Ev-
viva! » Interminabili, La città tutta offriva, un'aspetto
animatissimo di festa generale.
380
Quanti f^entono amore per la liberty della patria
conquistata con tanti sacrirtzi concordi salutano questo
giorno felice per la Dinastia Sabauda sotto i cui auspici
sì è fatta l'Unità — giorno felice anche per la Nazione
— facendo YOti per Ha prosperità de^li sposi e perchè
t^plendaiio nella Reggia — allietata dalla ^e^senza della
Principessa Marglic-rita, le cui divine sembianze già sono
acolpite nel cuore d'ogni italiano — quelle sante virtù
dotnestiche che sono di nobile esempio ai popoli — e per-
chè vongA eoi giovine Principe congiunto al vaiore di
Cui ha dato prova — quel senno forte e previdente ne-
ceasario per compiere Topera di rigeuerazioue nazionale
così felicemente avviata dal Grande Suo Genitore.
CAPITOLO xxvn.
Il 1870 ~ Digione — Entrata in Roma.
Sul principio del 1870, scoppiavano una dietro l'altra,
le uotizie deiranno terribile; l'antico duello tra Francia
e Gernaania ripreso : il primo esercito francese distrutto
aWorth e a GravelotCe; ìl secondo annientato a Sedan;
l'imperatore stesso fatto prigioniero ; l'impero caduto e
in Frauda la repubblica proclamata ; g-li eserciti di Ger-
mania socco le mura di Parigi.
La Francia, troppo grande per darsi vinta, faceva
sforzi eroici per rialzarsi.
Mentre il governo italiano spinto dall'unanime vo-
tontii del partito liberale ai apprestava alla conquista
di Koma^ Gai'ibaldi otìriva la sua spada alla repubblica
francese.
Ma al governo della difesa nazionale non giunse
gradita l'offerta, e l'avrebbe respinta, se il generale Bor-
done, amico di Garibaldi, non sì fosse assunto rincarico
381
e la respoQsabilità dì scrivergli che sarebbe stato ac-
colto a braccia aperte dal popolo tVancese.
Saputo che il generale voleva andare iu Francia.
Elia, che oou molti altri era pronto ad accompag^narlo, gli
scriveva che esso e i compagni aspettavano una sua chia-
mata, desiderosi di seguirlo; contetuporanearaente scri-
veva airaraico Catizio, che cosi rispondevagli:
Genova, 28 settembre 1870.
Mìo carissimo Elia,
« Il generale è prigioniero a Caprera — Menotti a
Catanzaro — e in Francia non ci vogliono.
« Codesti novelli Bruti, che cg;gi reggono la cosa
publdica in Francia, vogliono diplomatìzzare e non pen-
sano a prepariirsi a lotta suprema, che abbia per obbiet-
tivo^ la cacciata dell'invasione straniera.
« M'ingannerò, ma essi non servono, come dovreb-
bero, la Francia e la cau^a repubblicana.
« Alla generosa e patriottica offerta del generale
non risposero ancora; allo slancio dei volontari con-
trappongono ordini rigorosissimi ai consoli e ai confini
donde siamo rimandali.
« Per ora io ti constf^lio a non muoverti.
« Saluta gli amici.
« Aff.mo tuo
*. S- C'ami o ».
E cosi Elia e gli amici suoi, che sarebbero andati
■col generale non si mossero.
Coloro che seguirono Garibaldi e vollero dare la loro
vita per la Francia tennero alto anche una volta il va-
lore italiano fugando a Digione le schiere degli inva-
sori, vendicando in modo altamente generoso il fratri-
388
cidio della repubblica Romana e la. gloriosa disfatta di
Mentana causata dall'intervento delle truppe francesi
voluto dal governo imperiale.
Nobile sangue italiano fu vei'snto sul suolo francese,
ed è titolo di gloria il rammentare, che l'unico iiofeo
che si conserva in Francia di quella guerra disastrosa,
è fa bandiera del 61° reggimento Prtussìano sti'appala sotto
un grandinare di palle dai garibaldini, comandati daKic-
ciotU Garibaldi.
Ecco quello che Garibaldi dire nel suo libro : < Me-
morie Autobiografiche » della Campagna dì Frauda.
« 11 governo della difesa nazionale, composto di tre
onesti individui meritevoli della fiducia del paese, mi
accolse perchè imposto dagli avvenimenti, ma con fred-
dezza: coli' intenzione manifesta di voleisi servire del mio
povero nome — ma non altro; privandomi dei mezzi
necessari a che la cooperazione mìa potesse riuscire utile.
« Gambetta, Cremieus, Glaìn-Dizoin individualmeute
furono con me gemili; ma il primo, più di tutti, da cui
avrei dovuto aspettarmi un concorso energico, mi lasciò
in abbandono durante un tempo prezioso.
< Nei primi di settembre 1870 fu proclamato il go-
verao provvisorio in Francia, ed io il 6 di quel mese
offrii i miei servizi a quel governo ; e quel governo stette
un mese senza rispondermi; tempo prezio^ìo in cui si
sarebbe potuto far molto, e che fu iutierameiite perduto.
« Solo ai primi di ottobre seppi che sarei stato accolto
in Francia, ed il generale Bordone, a cui solo si deve
la mia accettazione, venne a cercarmi in Caprera col
piroscafo la Vill& da Paria, capitano Condray, sul quale
giunsi a Marsiglia il 1 ottobre.
«Esquiros, prefetto dell'illustre citti'i e la popola-
zione entusiasraata mi accolsero festosamente; un tele-
gramma del governo di Tours mi chiamava immedia-
tamente presso di se.
«A Tours perdetti vari giorni per l'indefisione del
governo, e mi trovai sul punto di dovermene tornare a
Caprera, perchè compresi che ero poco gradito; l'in-
carico che si voleva darmi, quello di organizzEire alcune
centinaia di volontari italiani che si trovavano a Chambery
ed a Marsiglia, lo dimostrava.
« Dopo vai'ie controversie coi signori del governo,
mi recEii a D<j per raccogliervi quegli elementi d'og-ni
nazionalità, che dovevano servire di nucleo al futuro
esercito dei Vosges.
< I Prussiani marciavano su Parigi dopo Sédan, e
naturalmente sui. loro fianco sinistro, ove s'addensavano
le nuove reclute della Francia, essi dovevano fouere dei
fiancheggiatori ; infatti questi più volte comparvero sino
nei dintorni di Dòle, ove tetievo pochi uomini in via
d'organizzazione, poco equipaggiati, e, quel che è peggio,
per mollo tempo male armati ; il nostro contt^gno, co-
munque, fu energico, .prendendo posizione « Mont Rol-
land prima, e poi nella Foret de la Serre, dimodoché
Dòle rimase inviolata per tutto il tempo cho noi vi
soggiornammo.
« Da DóIe ebbi ordine in novembre di portarmi
colla mia gente nel Morvan, minacciato dal nemico,
assieme all' importante stabilimento metallurgico del Cre-
uxot.
o Io scelsi Autuii per porvi il mio quai-tier gene-
rale; l'arrivo degli Italiani di Tanara e di Kavelli, di
alcuni Spugnoli, Greci, Polacchi, e di alcuni battaglioni
di mobili cominciò a rialzare l'effettivo del nostro pic-
colo esercito, anche perchè avemmo alcuni pezzi da
montagna, due batterie di carapagna e alcune guide a
cavallo: la maggior parte d'italiani.
« Si organizzarono tre brigate ; la prima comandata
J
384
dal generale Bossack ; la seconda dal colonnello Delpeck
elle poi passò sotto gli ordini del coloiinn'llo Lobbia, e
la terza comandata da Menotti; la qiiami brigata sotto
il comando di Ricciotti, si componeva da princìpio di sole
-compagnie di franchi tiratori, operanti in colonne vo-
lanti, e SLiir ultimo della campagna venne accresciuta
con alcuni liattaglioni dì mobilizzati. Capo di Stato Mag-
giore dell' Esercito fu il generale Bordone, che in oc-
casione di mia infermità supplì me stesso in ogni circo-
stanza ; Capo del mio qiiartier generale fu il colonnello
Canzio, sinché prese il comando della quinta brigata alla
quale aggiunsi la prima, dopo In morte del generale Bos-
Back; eouiandante dell'artiglierìa fu il colonnello Olivier.
« I due nostri squadroni di guide furono comandati
-dal Forlattì ; il dottore Timoteo Riholi fu capo dell'Am-
bulanza ; comandante di piazza presso il quartier gene-
rale il tenente colonnello Demag ; capo del genio il colon-
nello tìaublair.
« Con tale organizzazione movemmo vei-so la metà
di novembre per Arnny-le-Duc e la Valle dell' Ouche che
scende a Dijon, ove si trovava l'esercito prussiano di
Werder che mìnatciava la vallata de! Rodano, e che
teneva i suoi avamposti verso Dòle, Nuits, Souhemon,
taglieggiando con delle scorrerie tutti i paesi circon-
vicini.
« n sedicente esercito dei Vosges, forte di circa
ottomila iLomini, marciava dunque contro 1' esercito vit-
torioso di ÌVerder di oltre ventimila uomini con molta
artiglieria e cavalleria.
« I nostri tiratori impegnarono subito varie scara-
muccia di non grande rilievo, eccettuata Ut brillante
impresa di REcciotti su Chatillon sur Scine, e quella
d'Ordinarie. Nella prima, i franchi tiratori della quarta
brigata eseguirono una maguiflca sorpresa, la quale é
narrata nell' ordine del giorno seguente :
38f>
ORDINE DEL GIORNO
« Ifranclii tiratori dei Vosges, i cacciatori cieli' Is6re,
i cacciatori delle Alpi (Savoiardi), il bjittfiglione del
Doubs, ed i CiiocìfiCon dell' Havre che sotto la direzione
di Ricfiotti Gtii'ibaldi lian presa parte all'affare di Chfltil-
loD, h;miio ben nieritftto della Repubblica.
« In numero di qu-ittrocento essi assalirono circa
mille uomini, li sconfissero, fecero loro ceatose^san basette
prigionieri, fm cui tredici ufRcìali, presero otfantadue
cavalli sellati, quattro vetture d'armi e munizioni e il
carro della posta. I nostri ebbero sei morti e dodici fe-
riti, assai più i nemici. Haccomando i prigionieri alla
generoHità francese.
« Arnay-le-Duc, 21 novembre 1870.
G, Ga-ì'ibaìd't ■».
« Eravamo alla metA di novembre e nulla si era
Ancora da noi operato d'importante; qualche cosa con-
veniva fere.
t Misurar&i in un attacco di giorno contro l'eaet'
cito di ■V^''erder che occupava Dijon, sarebbe statai una
stoltezza, si poteva fare un tentativo di notte. i)i notte
la diversità delle armi spariva, giacché anche in Fran-
cia c'eran toccati i soliti ferracci; oltre che, io avevo
per niasaima che non si deve sparare in un attacco di
notte, massime da militi nuovi.
i La mattina del 36 novembre, essendo io montato
a cavallo a Limteuay per riconoscere quell'altipiano, mi
trovavo con lo ^ttUo Maggiore su quelle alture, quando
una colonna di più migliaia di prussiani con le tre tirmi,
uscita da Dijoii, avanzavasi per la strada maestra verso
di noi.
4$6
«. Ordinai a tutte le forze che si trovavano nel vU-
la^'^io di Ljiiitenay di salire suH'altipiaiio, e le collocni
di mano in mano che arrivavano nei loro posti dì bat-
taglia, a destra e sinistra della sirada per eiiì giunge-
vano, lasciando sulla stessa stradii alcimi battaglioni in
colonna come riserva, e por unjL carica dt-eisiva, iu caso
che il aeiuìco sì spingesse sino alte nostre linee. La
maggior parte della terza brigata, che formava il nerbo
delle nostre forze, occupava la sinistra schierata sull'orlo
del bosco, con le sue linee dì tiratori in fronte sul ci-
glione della collina che dominava il bosco stesso. Le ri-
serve nella strsida appartenevano esee pure alla terza
brigata.
I carabinieri genovesi erano collocaci all' estrema
siniatra, e la nostra artiglierìa composta di una batteria
di camparla da 4 rigata e di due batterie da montagna,
ai era collocata alla sinistra dei genovesi in posizione do-
minante tutte le altre.
« Sulla nostra destra eranvi i franchi tiratori di
Lhost che furono poi rinforzati ihi quelli di Ricciotti. La
poca cavallenii s'era collocata in fronte del centro nostro
in una depressione del terreno. Si aveva sotto mano
una forza di cinque mila uomini in tutto.
* Nel combattimento di Lantemiy, 2li novembre 1870^
non prese parte né la prima né la secouda brigata. La
prima, perchè nel giorno anteriore, verso Fleury in con-
seguenza di quel combattimento, erasi ritirata su Pont
de Pany. La seconda era in marcia ed arrivò il 27 a
Lantenay.
a II reggimento Ravelli della terza brigata, composto
d'italiani, era pure assente, trovandosi verso l'ituche.
« Occupato Paque dal nemico, lo feci avanzare due
pezzi della nostra artiglieria sostenuti da alcune linee
di tiratori, che cacciarono con pochi tii'i il nemico dal
villaggio.
« Mentre ciò succedev;i. 1 Prussiani avevano fatto
gran mostra delle loro forze schierandole sulle dominanti
ssn
alture di Frenola. Mentre il loro battaglione si ritirava
con precipitazione da Paques, appena sotjtenuti da alcuni
pe^zj, non fecero avanzare la superba linea che stava
in riserva — « Dunque essi non sono in gran forza! *
ecco il ragionamento che io mi feci subito — « Non
vengono? ebbene andiamo noi a trorarli ». — Mi decisi
quindi di atCaccarli, e marciammo risolutamente contn»
il nemico, colla stessa ordinanza di battaglia con cui lo
avevamo aspettato nelle posizioni nostre-
€ I nostri franchi tiratori di destra caricai'ono la
sinistra nemica bravamente, minacciando di avvolgerla.
La terza brigata avanzava in ordine perfetto, colle sue
linee dì bertì;tglieri al fronte, seguita da colonne di bat-
taglioni cosi serrate da destare invidia ai soldati i pii!i
a^uerriti.
« Le artiglierie nemiche collocate sulle alture di
Prenois, fulminavano le nosti'e linee, come sanno fare
gli artiglieri prussiani; eppure non sì scorgeva 'nei centri
la miuinia esitazione ; nessuna ondulazione nelle linee,
ammirabile il loro contegno; Tcnergiii, !a fermezza e la
fredda bravura delle truppe repubblicane, hcossero l'im-
passibile intrepidezza dei vincitori di Sédan ; e quando
essi videro che non si temevano le loro granate, ma si
avanzava coraggiosamente e celeremente alla carica,
cominciarono la loro ritirata su Dìjon. Due sole nostre
compagnie ohe avevano fiancheggiato il villaggio sulla
destra in sostegno della nostra cavalleria, caricarono
insieme un battaglioue di riseTva prussiana, che con
<ìue pezzi d'artiglieria era rimasto indietro, per proteg-
gere la ritirata, cagionandogli forti perdjr,e. tìi distinsero
in quella carica il colonnello Canzio ed il comandante
Boudet, che entrambi ebbero morti i cavalli.
« Lo spirito dei miei militi era stupendo; eravamo
stati si felici nella giornatiV che io presi la risoluzione di
-tentare un colpo disperato, che riuscendo avrebbe potuto
rialzare le sorti della sventurata repubblica efoi&c ob-
-bligare il nemico ad abbandonare Ffitìsedìo di Parigi, ve-
zèè
dejidosi miiiacciato sulle principali sue linee rii fomUTi'
fazione. Ma quali mezzi aveva posti ih min mano il go-
verno dell.-t difesa'? Io rabbrividisco pensandovi! Era
troppo presumere, sperando nella vittoria! Però in una
notte piovosi della fine di novenubro pensai di fare un ten-
tativo; eonfldaTido che, in caso ^i non riuscita avreiomo
avuto tempo sufficiente per ritirarci, decisi l'attaceo, I*a
iniisf>ettftta aggresHìone produsse m Dijon una quEilclie
contusione; ma. sia detto ad onore della Gennania, i nu-
merosi corpi ivi stanziati, scagtionuronsi prontamente
nelle forti posizioni di Talaiit, Fontaiue, Hauteviile, Dais
e ci ricevetcero con una grandine tzile di fucilate, come
uon vidi mai l'eguale.
« I miei giovani militi tennero testa e con bravura;
i posti esterni dei prussiani furono assaliti uno dopo
l'altro, conquistati e distrutti malgrado una Aera dilesji.
« La mattina i nostri cadaveri si Crovavano am-
raonticdùati sui cadaveri dei nemici, la maggior parte
di questi forali da bajoneltc, giacché Tordiue era dì 'loa
sparai'e.
* Giunti sotto Talant, il fuoco nemico era troppo
formidabile per poterlo superare, e si dovette ripiegare
a destra ed a sinistra della strada maestra^ per scansare
i tiri diretti che la solcavano orribiJraente e facevano
strage.
« Il nostro assalto alle posizioni di Dijon cominciò
verso le sette pomeridiane ; era molto buio e tempo
piovoso. Sino alle 10 ebbi molta fiducia di riuscire; ma
sorsa quell'ora i capi della mia avanguardia mi fecero
sapere esaere inutile persistere neU'.issdlto, essendo spa-
ventosa la resistenza del nemico ed impossibile fare
avanzare In nostra gènte. Con relutwnxa mi dovetti con-
formare alle asserzioni dei miei fidi e ordinare la ritirata
che per ess^ere di notte potè effettuarsi senxa perdite. Il
nemioo non si mosse dalle sue posizioni e noi non fumm*
disturbati.
« Luog'O di concentramento di tutti i corpi in ri-
tirata del sedicente esercito dei Vosg-es fu Autiiii.
* Il 1" decembre il nemico imbaldanzito dalla nostra
ritirati, veurie di- sorpresa ad attaccarci ad Autini. Col-
locate le loro arliglierie sulle alture di Saint Martin co-
ÌQÌnciarono a fulrainai'ci — Era verso il mezzogiorno.
« Feci collocare 1 nostri dicìotco pezzi in posizione
dominante quella nemica, e questi serviti con ardore e
bravura dai nostri giovani artiglieri, tempestarono di
projetti l'avversario o lo obbligarono dopo più ore di
combatti mento, a portai'e indietro i propri pezzi.
« Alcune compagnie di franco tiratori ed alcuni bat-
taglioni di mobili lanciati sul fianco sinistro dei Prus-
siani, completarono la giornata, ed il nemico fu obbligato
a ritirarsi.
« Ad Autun servimmo di cortina e protezione ai due
movimenti di fianco clie si operarono dix Cbagny a Or-
leans dal generale Crousat^ e dal grande esercico della
Loira, comandato dal generale Bourbaky verso l'est. In
conseguenza del movimento del generale Bourbaky, i
prussiani abbandonarono Dljon, e noi l'occupammo con
tutte le nostre forze ».
Prima di abbandonare Autun il generale consegnava
a suo figlio Ricciottì il seguente;
ORDINE DEL GIORXO
1 * Partendo da Autun devi pigliare la direzione di
Sémur e di Montbard per turbare le comunicazioni del
nemico, il quale occupa Troyes e Auxerre.
« Potendo arrivare a Montbard, Chatìllon, Chaiir-
mont, Xeufcliateau, sulla gran linea delle comunicazioni
dell'inimico, la «luale va da Strasburgo a Parigi, l'ope-
razione divenwrii molto pili ardua e pii'i importante.
K All'uopo di compiere con successo tale missione ci
vogliono militi //'/ hw, cioè uomini forti ed agili; quanti
noi fossero debbono rimanere ad Autun nei depositi, ove
29
serviiflnuo dì u&ccìolo per l'istruzione doÌ nuovi franchi
tirziiori.
« Sorpiissati gli Hvaiuposti del nos-tro esercito verso
il nord, i tuoi movimenti hanno sempre ad effettuarsi
di notte.
€ Che l'aurora ti trori sempre imboscato preferìbil-
mente nei lembi dei boschi, sempre pronto a sorprendere
gli esploratori nemid, i loro corrieri, o le loro vetto-
vsglie. e sempre a portata dei boschi e delle mouta,yne»
per assicurarti la ritirata.
« Xon esf^eiido punto postiibLe il trar carri e muU
con munizioni di riBcrra, cìaiscuii milite duve curare
dUigeii temente le proprie cartucce, epporó sparare di
rado t- bene,
M. Ti raccomando severissimamente un buon contogno
cogli abitanti, i quali devono amare e stimare i militi
della repubblica. Amati dagli abitanti si avranno facil-
mente buone guide, il che non deve mai mancarti, come
pure esatte informazioni delle posizioni del nemico, delle
sue forze, ecc.
« Giunto sulle lìnee di comunicazioni di lui, urge
distrug^.i,'ervi le vie ferrate e i tele-grati.
'> Venendoti fatto dì distruggerò quella da Strasburgo
a Parig;!, sarebbe un vero colpo di mano.
« Mi riprometto da te ogni notizia che possa inte-
ressarmi, ::iia mediante telegrafo, sìa in qual' altro modo
che ti sarà possibile.
« Incalzato, o inseguito da forze superiori, spartirai
i tuoi in tanti pìccoli di-suaccamenti, i quali inganneranno
il nemico, pigliando direzioni diverse, e ai quali tu in-
diclierai un ptuito di ricongiungimento.
« Autuiij 11 novembre.
G. Garibaldi »
Queste istruzioni e le disposizioni date dal Generale
sono di una grandissima importauza storica, giacché sì
è tentato dì accusare Garibaldi di non avei'e prestato il
suo concorso all' armiita dell'est comandaUi dal generale
Bourbaky, mentre le mosse eseguite da Garibaldi, soste-
nute dfl, combattimenti, provano il contrario.
I fntti furono i seguenti:
n generale Bourbaky, comandante l'armata dell'est
ai era mosso con 120,000 buoni soldati per act.".orrere in
aiuto di Belfort, piazza fortificata fra il Doubs e l'Oignon
nei Vosgt ; mossa ardita che avrebbe invertite le sorti
della Frmicia, se questa manovra fosse riuscita.
La stampa francese volle censurare il gynei'itle Ga-
ribaldi, per avere permesso, secondo essa, al corpo del
generale Manteiiffel di intercettare lit linea d'operazione.
Importa notare : che la marcia del generale Man-
"teuflel avvenne nei giorni 91, ?2 e 33 gennaio 1871,
giorni dì sanguinosi combattinientì sostenuti dall'eser-
cito dei Vosgi contro le forze imponenti del generale
Kettler.
II giorno 24 In impiegato a riordinare le truppe al-
quanto scompaginate dai combattimenti. II giorno 25 di
primo mattino i3 ooionneHo Bagliiua pjirtiva con gii or-
dini ricevuti da-Oiaribaldi alla testji di II' compagnie ed
Un mezzo squadrone di cavalleria alla volta di Auxonne
e la sera del L*6 il Monte -Roland, chiavo di DSle, ca-
deva in potere delle truppe comandate dal Bjigliina per
il qual fatto, la via dì ritirata & sud-ovest era apertji
all'iirmata del Bourbaky.
Questo avveniva per le dJapctóizionì strategiche e
previdenti di Garibaldi, mentre la divisione comandata
dal Crenier, villeggiava inoffensiva tra Gay, Vesoul e
Montebouzon, senza utilità alcuna per la Francia.
E il generale Garibaldi continua cosi:
« Il movimento del generale Bourbaky ben ideato
era d'impossibile esecuzione, perché le condizioni cD
quel grande esercito erano assolutamente disastrose.
39a
e Venti giorni di più di organizznzione, passata la
terrilnile stagione della ueve e dei tctuHcci di gennaio,
quel nuni'ei'oso e giovitno esercito a\Tebbe potuto ravvi-
VM^ le speranze della Francia: invece esso fu sprecato
6 distrutto in modo orribile.
«11 movimento di Manteuffel parallelo a quelio di
Bourbflky, per ingrossare le forze di Werder e degli
asaedianti di Belfort, niì era noto: e io avrei fatto tutto
il possibile per arrestarlo iiella sua marcia di fianco. Mi
vi provai, ed ero uscito da Dijon col nerlo delle mie
poche forze per attapcai'e il nemico a la-Sur-Till, lasciando
al comando della città il generale Pellisier: ma le forti
colonne che mi stavano di fronte, quattro volte superiori
alle forze che erano ai miei ordini, mi pei-suasero a ri-
piigliare le primitive posiaoni : nondimeno due delle mie
quattro bricrate, la seconda e la quarta, operavano sulle
comunicazioni del nemico, conj,'Ìuntamente a tutte le com-
pagnie dei miei franchi tiratori.
« Deciso di difendere Dijon. la mia prima cura fu
di continuare le opere di fortiiicaatone che erano stale
incominciate dai Prussiani,
« Le posizioni di Talant e Fontaine che dominano la
strada principale che va a Parigi, furono le prime ad
essere coronate da opere volanti e vi si collocarono a Ta-
lant due batterie dì campagna da 12 e due da 4, a Fon-
talne una batteria da 4 di campagna ed una di montagna
dello stesso calibro. Altre batterie da 12 si collocarono
in altre opere innalzate aMontemuzard,Montchappè, Bel-
lair, e in altre posizioni nella cinta di Dijon, per tener
lontani i fuochi del nemico in caso di attacco, che io
n&ì aspettavo da un giorno all'altro.
« Ditatti il 21 gennaio il nemico ci attaccò dalla
parte di ponente.
* Con forti posizioni, coperte da muri e ripe, con.
393
linee di tiratori a destra e a sinistra della strada mae-'
stra, e con trentaaei pezzi di artiglieria collocati sulle for-
midabili posizioai di Talant e Fontaine, la nostra difesa
riusci brillantissima. La formidabile colonna che ci venne
dalla parte di Parigi poteva ben chiamarsi ima colonna
di acciaio ! Furono appena bastanti a fermarla 1 nostri
trentasei pezzi infilanti: la strada e varie migliaia dei no-
stri migliori tiratori, distesi dietro i ripari. L'attacco fu
veramente formidabile; io vidi in quel giorno soldati
nemici, come mai avevo veduti migliori. La coloima che
marciava sulle nostre posizioni del centro, era ammirar
bile di valore e di sangue freddo. Essa ci giungeva sopra,
compatta come un nembo a passo no]i accelerato, ma
uniforme, con un ordine ed una pacatezza spaventevoli.
« Questa colonna, battuta da tutte le nostre arti-
glierie in infilata e da tutte le linee di fanteria in avanti
di Talant e Fontaine lateralmente alla strada, lasciò il
campo coperto di cadavei'^i, e per varie volte riordinan-
dosi nelle depressioni del terreno, essa ripigliò l'attncpo,
con lo stesso ordine e pacatezza ammirevole.
« Che famosi soldati!
< Molto valore mostrarono pure i nostri in quella
memoranda giornata e furono veramente degni dei ne-
mici che ci assalivano.
* La battaglia durò dalla mattina sino al tramonto,
con quanto accanimento fo^e possibile da una parte e
dftiraltra e senza vantaggio inarcato di nessuno. Al tra-
monto noi eravamo padroni delle nostre posizioni ed il
nemico stava nelle sue.
#
« H 22 l'attacco si ripetè con e^'unle accanimento;
"la Yalan^a dei prussiani era si grande che fummo mi-
nacciati d'esserne sepolti.
< Verso la metà . della giornata, ci minjw?.ciarono
di un attacco su Fontaine, e v'inviarono più. battaglioni,
394
fingendo un assalto, ma subilo dopo comparvero a set-
tenti'ìone sullo striidalo di Langres in due colonne, e con
filtro forti colonne di fiancheggiatori da levante verso
MontiuuzHi'd, a Saint-Apollinaìre.
« L'attacco sulla via diLangres fu formidabile, degno
del terrilnlo esercito che ci stava di fronte; quasi tutti
i nostri corpi piegavnuu, meno In quarta brigata che &i
sostenne fortemente in una fabbrica di nero animale,
munita di un chiuso, ove si cran praticate delle feritoie.
Alcune ceiiiiiiaia di militi della terza brigata in forma-
zione, gii\ decimata nel combattimento del 21, sosten-
nero pure l'iirro in uno stabilimento contiguo più in-
dietro 0 si riunirono poi alla quarta. Questi corpi rimasero
per un peJi2o avviluppati dal nemico, per la ritirata delia
nostra aEa destra.
« Avendo il nemico collocate le sue artiglierie sulla
prima collina che domina Pouily e Dijon a cnimontana
e tirando con quella maestria a cui ci avevano assue-
fatti i prassiani smontarono in poco tempo tutti i nostri
pezzi del centro collocati sullo strfKÌale e lateralmente,
rispondendo con qualche tiro iln, parta nostra coi due
pezzi di Montmuzard, con due del JJoutecliippè e con
altri due che si collocarono au di una strada obliqua allo
stradale sulla destra, quandu si vide rimpossibilltii di
tenerli nella prima posizione, fulminata dalle artiglierie
nemiche.
« Verso i! tramonto la nostra .situazione era delle
più critiche; i prussiani padroni del campo, minacciavano
di assaltare la città. Ai nostri corpi che si ritiravano si
procurava di assegnare posizioni più indietro presso la
cinta, con buoni recinti aleùni dei quali muniti di feri-
toie; ma invano: questi presi da panico non pensavano
che metterai in salvo, spargendo l'allarme in città e lo
spavento dovunque,
« La nostra esti'ema sinistra, formata per la mag-
gior parte della terza brigata, e situata a Talant e Fon-
talne, alla vista della ritirata del centro, aveva spinto-
395
i suoi franchi tiratori sulla destra nemica, e marciava
risolutamente per sostenerlo e ìrapeiirne lo smembra-
mento; sull'imbrunire alcuni corpi di mobilizzati sulla
nostra destra, spiegandosi energicamente su Pouilly,
nbiettivo principale del campo di battaglia, ricacciarono
il nemico dal terreno cOTiquistato, e lo respinsero sin»
al di là del Castello. In tal modo la quarta brigata, cui
si doveva l'onore della pugnii, v&nne sbaraazatii dal
nembo nemico che l'aveva avvolta da un pezzo; anzi,
onore maggiore, nel respingere i reiterati assalti del
01" reggimento prussiano, e combattendo corpo a corpo,
essa pervenne a togliergli la bandiera che, eroicamente
difesa e sepolta sotto un monte di cadaveri, fu con al-
trettanto ardimento oonqyistatit dai nostri clie la vollero
trofeo del valore italiano.
« Io mi sono trovato presente a pugne ben mici-
diali, ma certamente, poche volte ho veduto ai gran nu-
mero di cadaveri ammonticchiati su piccolo spazio, come
ne vidi in quella posizione a tramontana, occupata dalla
quarta brigata e da parte della quinta.
« Nelle prime ore della notte il nemico era in piena
ritirata, e per vari giorni ci lasciò tranquilli a Dijon a-
vendo sgombrato pure i villaggi cìirostanti che furono
occupati da noi.
« Le notìzie dell' armistizio (dal quale l'esercito dei
Vosges era stato escluso) dopo la capitolazione di Parigi ;
e Hnalmente l'emigrazione deireserrito dì Bourbaky in
Svizzera, cambiarono la faccia delle cose.
« lì nemico, lìbero dall'assedio di Parigi e dello
esercito dell' est passato in Svizzera, cominciava ad am-
raa.ssare su di noi forze imponenti, e malgrado tutte le
opere di difesa da noi eseguite, esso avrebbe finito per
attorniarci e ischiacciarci, come aveva fatto a MetZj a
Sedan, ed a Parigi. Kecessità per noi — essere pronti
a tutto.
396
< Dal 23 gennaio al 1" febbraio vincili sempre ci te-
nemmo come meglio sì potè nella capitale della Borgo-
fina iu tutte le nostre poaiziotii. U nemico aveva ca.pito
che pei' scuoterci occoiTevauo grandi forze, e u« accu-
mulava molte, tanto cbe alla tìng di gennaio, le sue co-
lonne occupavano con grandi masse il nostro fronte, e
cominciavano a stenderai per avviluppare i nostri flaii'
chi. L'esercito di Manteuffel, libero di quello dell'est di
Boiirbfiky, scendeva verso la vallata dei Rodano, e mi-
nacciava la nostra linea di ritirata.
« n 31 gennaio ni cominciò a combattere verso
la nostra i^inistra dnl mattiuo, e si concinnò sino a notte
avanzata. U nemico ci tastava su vari punii, prendendo
posizioni al di fuori di Dijon per un attacco generale.
Alcuni corpi prussiani mostravansi nella valle della
Saone, minacciando di pi^enderci a rovescio per la no-
stra destra.
« Non v' era tempo da perdere. Noi eravamo 1' ul-
timo boccone, che avidamente solleticava il grande e-
sercito vincitore della Francia, e qnesto voleva iarci
pagare cara la temerità di avergli coutrastiito per un
monn;nto la vittoria.
« Ordinai la ritir^ita in tre colonne: la prima bri-
gata comandata da Canzio, a cui s' era Aggregata la
quinta, doveva scendere parallelamente alla strada fer-
rata di Lione, proteggendo rartiglieria pesante e il no-
stro materiale che marciavamo ìu vagoni. La terza bri-
gata con Menotti s'incamminò per la vallaUi dell'Ouche
verso Autun. La quarta di Riccìotti, prese la via di
tìaint-Iean di Losne* per la sponda deatra della Saone
verso Verdun.
II quartiere generale parti in via ferrata dopo avere
fissato a Chagny il punto centrale della riunione dello
esercito; ì vari altri corpi e compagnie di franchi tira-
397
tori distaccati dalle brigate, furono pure diretti al punto
dì convegno.
<i Tutto fu eseguito col migliore ordine possìbile^
grazie all'atlivitÌL dei capo dì stato maggiore, del co^
mandante generale d'artiglieria colonnello Olivier- e dei
comandanti dei corpi, senza essere molestati dal nemico.
« Da Chagny il quartier generale passò a Cha-
lons sur Saone, poi a Conrcelles ».
La capitolazione di Parigi essendo un fatto com-
piuto, e L'armistizio trasformato in prelimiiiari di pace,
dopo d'essere stato eletto deputato all'assemblea di Bor-
deftus, il- genei-jJe r 8 febbraio decise di recarci in quella.
cittA coU'unico intento di portare il suo vwto alla re-
pubblica, lasciando Menotti provvisoriamente al comando
dell'esercito. Ecco quello che ne dice Garibaldi:
« Tutti sanno come fui accolto dalla raAggioranza
dei deputati, all'assemblea; certo quindi di non potere far
più nulla pel' quel grande e sventurato paese che ero
venuto A servire nella sciagura, mi decisi di recaimi a
Marsiglia e dì là a Caprera, ove giunsi il 16 febbraio 1871>
La caduta dell'impero francese ni apriva la via di
Roma; gli animi ritornavauo al grande ideale di dare
la sua capitale alla nazione. Ma. il governo non si de-
cideva, le lettere che «eguono danno luce su quel fatto
storico della più grande importanza per l'Italia;
Carissimo amico Elia
Ancona
« È urgente per l'esistenza e l'avvenire d'Italia che
8Ì trasporti la capiuUe a Roma, senza dilazione.
« Riunite iiumtmff ed aghaie per questo l'opinione
pubblica colla parola e colla penna.
« Il governo è ben disposto, ma indeciso.
398
« Siano nostri amici personali^ o no, fatte capire ai
democratici di costà ed ai nazionali, che oggi non e' é
un minuto da perdere in faccia alla situazione europea.
Bisogna spingere il governo a Roma e subito. Si gridi
Roma- capitale d'Italia immediata, dalle Alpi ai due man.
Vostro
L. FrapoìU >.
Ed in Ancona, città altamente patriottica, si ebbero
meethuj e agnazione, concordi tutti i partiti.
Firenze, 4 settembre 1870.
Amico coi, Elia,
Ancona.
« Giovedì sera, tutte le vette dell 'appen nino, da.
Tenda ad Aspromonte, devono essere illuminate da fuochi.
, « Pensate all'esecuzione per la parte vostra sui punti
circostanti prominenti. Ceneri e SafB, pensano per in su.
Parlatene con Pichi. Verso Chieti abbiamo i nostri. Pen-
sate per Sinigaglia.
« Viva Roma.
Vostro
Z. FrapolU >.
Firenze, 7 settembre 1870
Amico !
« A Roma si va. Se e' è qualche ritardo è di ore
e per ostacoli materiali. Non vi lasciate sviare dalle
notizie dei malevoli. Fate riunioni, dimostrazioni, fuochi
dovunque. Se domani sera saremo in Roma sarà gioia.
Se no incitamento ! A Roma si va, l'Europa è concorde.
Viva l'Italia!
Vostro
L. FrapolU >.
399
E A Romn si andò per la breccia di Porta Pia e
il sacro Toto dei liberali italiani ornai era compiuto.
»%
H 7 settembre 1S10 il Ministro degli Atfiiri Esteri
spediva iiiia cir'eoUire alle potenze estere cun in quale
si rendevano noti i pericoli che minacciavano la patria
e la chiesa, concludendo con queste parole :
« S. M. il Re, custode e depositario dell'iiite^-itii e
dell'inviolabilità del suolo nazionale^ interessato come so-
vrano di una nazione cattolica a non abbandonare alla
mercè di qualche sorpresa il capo della chiesa, prende.
come è suo dovere, con Muoia in taccia della rattolicità,
e deirEuropa, la responsabilitìi del mantenimento deiror^
dine nella penìsola e della tutela della Santa Sede. —
II governo di 8. M. non può aspettare a risolversi, av-
venimenti c]ie conducano all'effusione del swngue tra
i romani e le forze straniere. — Noi occuperemo pertanto,
allorquando le nostre in Cor inazioni lo dimostrino oppor-
tuno, i punti necessari per la sicurezza comune, lasciando
alle popolazioni la cara della loro propria auiministra-
zione ».
* •
Ku quindi ordinato cho fossero pi'onte le truppe de-
stinate all'occapazìone di Roma, sotto il comando del ge-
nerale Cadorna.
Dato l'ordine, le truppe italiane dopo di aver occu-
pato Viterbo, Civita-Castellana, Fresinone, Cìviuivecchia
6 le terre dell'Agro, il giorno 17 settembre il 4'^ corpo
d'armata si mosse su Romii; da altre parti inuoivevano le
divisioni Bisio e Angioletti, e tutte queste truppe furono
disposte intorno alla cìtitii in modo da accerchiarla.
Nella mattina del 20 se^ttembre fu ordinato l'attacco.
La Porta Pia veniva sfondata a colpi di artiglieria, e
400
acL-aiiCo ad essa, aperta la breccia. Ottenuto questo risul-
tato, fu oi<liiiftta la sospensione dei fuochi d'^rtiglierÌA e
le truppe lurono mandate all'assalto. I battaglioni dei
bersaglieri e di fanteria si avventano a passo di carica
sulla barnc^ata. della poita e dentro l'apertura della brec-
cia non arrestati dalla mitraglia e dal fuoco di fucileria
dei mercenari pontifici che colpivano non pochi dei noscrì,
fra i quali il bravo Maggiore Pagliai-i dei bersaglieri.
Mentre (|uesto avveniva a Porta Pia, il tjeueride Bixio.
dopo essersi impadronito di villa Panfìli e del Casino dei
quattro venti, aveva att'rontato e sperso il nemico a Porta
S. Pancnizio.
L'ingresso delle truppe italiane fu accollo con segni
di vìvlt^inia gioia e di entusiasmo da parte del po]Kilo
di Roma.
Il giorno 22 il Generale Cadorna insediava in Cam-
pidogìio la Giunta provvisoria di governo clie aveva
composto cosi ;
Don MichelaiHgelo Caetani duca di Sermoneta pre*
Bidente: principe Francesco Pallavicini, duca. Sforas Ce-
aarini, Emanuele dei principi RuBpoii, prìncipe Baldtìs-
sare Odescalchì, Ignazio Bonconapagni dei principi di
Piomliìno, avv. Ignazio Placidi, avv. Vincenzo Tancredi,
Vincenzo Tiitoni, Pietro de Angelis, Actiille Gori Maz-
zoleni, Felice Ferri, Augusto Castellani, Alessandro Del
Gtande, Filippo Costa, Avv. Raffaele Marchetti.
D a di ottobre si procedeva al plebiscito che riu-
sciva imponente, poiché i voti aff"erniativi sommarono a
135,291 mentre i negativi furono 1507 soltanto.
Non erano trascorsi due mesi da questo avveni-
mento felice per la nazione italiana, che la Casa di Sa-
voia riceveva un grandissimo attestato della fiducia che
godeva in Europa.
Le Cortes di Madrid assicurate del consenso di Vit-
■401
torio EmaDuelee de! prìncipe reale, proclamavano Ame-
deo duca d'Aosta Re di Spagna.
Il 3 dì dicembre giungeva a Firenze la deputazione
elle portava al nuovo Ke la fausta notìzia.
Al palazzo Pitti erano presenti al ricevimento i grandi
dignitari dello Stalo, i ministri della Corona e la rap-
presentanza delle due Camere del Parlamento Nazio-
nale.
Al discorso del signor Euiz Zorilla il Re Vittorio
Emanuele rispose con brevi parole, accordando all' a-
mato figlio il consenso di accettare il glorioso trono ìt-
ouì lo chiamava il voto del popolo spagnolo.
Il Duca D^Aoeta, con voce commossa significava la
sua acc-ettazione, e l'atto solenne, che procltìrauva Ame-
deo Re di Spagna veniva rogato: e poco appresso egli
si recava alla capitalo del suo regno, animato da seiiti-
memi liberiili e d'amore pel popolo ch-e Io avevw. pre-
scelto a suo Re.
Ma ben presto si manifestarono nelle Provincie spa-
gnole ed anche nella stessa capìtjile segni di non dub-
bia ribellione.
Il 18 luglio del 1872 si attentava, alla vita del gio-
vane Re ed a quella della regina; per fortuna i due
sposi furono mìracol osamente salvi.
Mentre assieme alla regina attraversava iu carrozza
una delle più popolose vie di Madrid, vennero tii'ate
addosso ai reali parecchie fucilate.
Non sì sgomentò per questo il figlio dì Vittorio Ema-
nuele, e continuò nella incominciata impressa dì ricon-
durre la pace, imprimendo un regime schiettamente
liberale, fra quelle popolazioni.
Ma ì torbidi crebbero talmente di gravitii che Ame-
deo di Savoia, vedendo cti non poter governare senza
venir meno alia costituzione, piuttosto che mancare al
Buo giuramento e far versare in una lotta civile sangue
spagnolo, decìse di rinunziare spontaneamente alla co-
rona.
4^2
Cosi fece: e il dì 11 febbraio 1873 ritornava, non
più Re di Spagna, ma principe di tìitvoiu acclamato in
seno alla pacriii aun.
CAPITOLO xx\^in.
Morte di Mazzini.
Il 10 di marzo 187a raoriva a Piati, quasi profugo
nella sua patria che amò tstito, dopo mezzo secolo di
lotte titaniche e di inelTabili amarezze, Giuseppe M.iazini.
Era fiiico'a Genova il 22 giugno 180y. e fin da gio-
vinetto fiveVii dato a vedere dì essere douito d'ingegno
fervido e precoce : di volontà ferrea ; et 'inarrivabile ab-
negazione e costttjiza. In (Jenova passò i primi venti-
cinque anni in famiglia, della quale formava la jrioia.
Nel 1830 dova un addio agi: studi, ed impaziente
di dare tutta l'opera sua alla patria, si univa a dei
giovani iscritti nel Garbo nariauio, o messosi in corri-
spondenza con quelli di Toscana, delle Rarai%me e delle
Marche, li sospingeva ad insorgere ; tradito da un falso
ciirbonnro, T'U novembre veniva arrestato, e condotto
nella fortezza di Savona dalla quale usciva assolto il
2 febbraio 1631.
Il IO dello stesso mese, passava la prima volta le
Alpi.
A Lione trovò duemila italiani in armi pronti ad
invadere la Savoia; ma vennero sciolti e disarmati prima
che il tentativo potesse inizEarsì. Intanto avveniva il ten-
tativo rivoluzionario di Rimini nel quale cento giovani
imbt^rbi sostennero cinque ore di combattimento contro
i battaglioni serrati di croatfii, le cariche della cavalleria
ungherese e la mitraglia austriaca.
405
n 27 aprile 1831, saliva al trono del Piemonte
Carlo Alberto, sul quale gli esuli rifugiati in Francia, Sviz-
[zera e Inghilterra, tenevano Assi gli occhi, sapendosi
jme egli odiasse l'Austria che teneva in soggezione
gran parte dltalia. E Mazzini scriveva iil Re la memo-
rabile lettera
Se no, no !
Sire,
« Se io vi credessi un re volgare, d'anima inetta
0 tiraunicaf non v'indirizzerei la parola dell'uomo li-
bero. I re di tal tempra non lasciano al cittadino che
la scelta tVa l'ai-mi e il silenzio. Ma Voi, Sire, non siete
tale. La natura creandovi al trono, v'ha creato anche
ad alti concetti, ed a forti pensieri ; e l'Itnlia sa che Voi
avete di regio più che la porpora. Voi non giungete
oscuro sul trono; l'Italia, Sire, guarda in Voi il suo li-
beratore.
< L'Italia vuole libertà, indipendenza ed unione :
Sire, non avete mai cacciato uno sguardo au questa
Itali», bella del sorriso della natura, incoronata da venti
secoli di memorie sublimi, potente per mezzi infiniti,
recinta di teli difese che un forte volere e pochi petti
animosi basterebbero a proteggerla dairinsulto straniero'?
Non avete mai pensato che v'ha una corona più bril-
lante G sublime che non è quella de! Piemonte? Una
corona che non aspetta se non l'uomo abbastanza ar-
dito per concepire il pensiero di cingerla? Non v'è sorto
un pensiero: rìimìsci fé iiiemhra sparse di que^ia htlla
Italia: e pronunzia; E mia tutta e felice.
« Si, Sire ! Voi l'avete questa idea nobile e grande,
e isentite sorgere dentro di Voi una voce che grida ;
tu gei 'nato a qualche com di grande : Oh ! seguitela Sire
quella voce; ó la voce d'Italia che non aspettai se non
una parola, una sola parola per farsi Vostra.
87
406
« Proferitela, Sire, questa parola : strinatevi a lega
coiritJtlia. Ponetevi alhi testii dellu Nazione, e scrivete
sulla Vostra ìimidiera: /«l'on?, Libertà, Indipendenza t
• CoBti'ìngei.e u Sire la storia a scrivei-e sotto i
nomi di Washington, e di Kosciusko. — 1'"^ mi nome
più grande d' quegli 17 fu un trono eretto da trenin itti-
lioiii di- uomini liberi che Hcrtsuera sulla base di meritato
monumento: - A Carlo Alberto nato Re — l'Italia ri-
nata per lui! * Ardite Sire, e noi saremo con voi —
Se no, noi >
Dopo scritta questa lettera, Mazzini si diede a fon-
dare la Giovane Umilia, istituita per la fratellanza degli
italiani, credenti nella lejige del Progresso e del Do-
vere, col grande intento di costituire l'Italia in Nazione,
una, indipendente e libera,
Coi suoi aciitti Mazzini tenne rivo l'amore della
patria. Col lavoro indefesso di 17 anni, dnl 31 al 48,
col suo apostolato di fede e d'amore, ài acquistò la sina-
patìa non solo defili Italiani imi dell'Europa liberale,
che vide in lui, l' incarnazione dei tempi nuovi e Vn-
postolo della redenzione.
Quando Pio IX sali al Pontificato, iMazzini levava
un'altra voltii la voce ricoMando al Papa le sventure
d'Italia ed Invocando il suo intervento per farle cessai-e.
Caduto in Francia il Regno di Luigi Filippo nel feb-
braio del 184^, radunali quanti più potè esuli che si
trovavano a Parigi; fondava l'Associazione nazionale
italiana a scopo unitario.
L'Italia si svegliava colla gloriosa rivoluzione di
Palermo, Messina e Catania e colle 5 g:iornate di Milano,
seguite dalle 10 giornate dall'eroica Brescia, dai moti
dell'Italia centrale, o dal l'intiiiuizione di guerra al-
l'Austria da parte di Carlo Alberto.
407
Nella guerra del 48, segui la legione dei volontari
-capitanati da Garibaldi, finché sfinito di forza dovette
rifugiarsi a Lugano.
Alia notizia dolorosH della rotta di Novara l'as-
semblea Romania elesse un triumvirato che pensasse tvlla
■difesa della proclamata republilica e Mazzini fu eletto
triumviro con Saffi e Arinollini.
Contro Roma si erano unite Austria. Spagna, Francia
e il Re di Napoli, ma la gloria di distruggere la repub-
blica Romann, che seppe difendersi con tanto valore,
doveva spettare tutta alla Francia iN'apo Iconica.
Mazzini credette sempre essere i]i dispensabile al-
l'Italia l'miìone di tutti i suoi figli per diventare e con-
-eervarsi libera, gloriosa e potente ; e quando nel 59 fu
intimata dal Re Vittorio Emanuele lai guerni contro
l'Austria, egli dichiarava che si univa al concetto di
Garibaldi, perchè anteponeva ad ogni cosa, l'uuitìi della
patria.
*
Nel campo liberale Mazzini era considerato lo spirito
■della rivoluzione, Garibaldi la forza. Senza Garibaldi
l'unità d'Italia forse non si sarebbe fatta; ma senza
Mazzini, che fece iniziare i moti di Sicilia, Garibaldi non
avrebbe accettato dì comandare l'impresa dei Mille e
non saiebbe sbarcato a Marsala.
La morte di Mazzini lasciò un vuoto profondo nel
■-cuore degl'Italiani; poiché motti riconobbero troppo tardi
408
qual'uomo egli era; quale l'opera sua spesa disinteressa-
ta per la patria redenzione; le lotte alteramente so-
stenute — fra la santa ribellione e la ancor più santa
abnegazione — nell'impulso dato in ogni tempo alla causa
nazionale. Con Mazzini si spense un essere grande eh©
nmò sopra ogni altra cosa la patria sua -^ e che sempre
cxjoperò al raggiungimento del grande fine che portò
l' Italia da Torino a Roma. Alla sua grande figura il
risorto popolo italiano tributa dal cuore la sua venera-
zione profonda.
Ecco come ne canta nel suo « Tito Speri », il poeta,
patriottico Marradi :
«... alacre ad ogni ora
propagator del fuoco dì bue fede,
apostolo dei verbo che Mazzini
dall'esilio bandìa come dall'ombra
d" un invisibii Sinai : Uazzini
contro despoti e servi, in notte cieca
tetragono. Veggente, che, fuggiasco
di terra in terra, austeramente chiuso
nei bruni panai e nel pallor del volto
soffiò sopra una tacita rovina
la fiamma del suo spirito; e naa preote
che dìceao morta, in faccia ali* invasore
delle sue tombe e delle sne mine
ai rizzò formidabile, e, qaand'altro
non potè contro lui, si attestò viva
salendo su 1 patiboli a morire >.
Nei primi di giugno Urbano Rattazzi — uno dei
migliori uomini di Stato italiano, di princìpii liberali ele-
vatissimi — cadeva gravemente malato a Ii>osinone e
sinceramente compianto vi lasciava la vita.
400
Il corpo di Urbano Rattazzi giunse a Roma la mat-,
Una deir8 di giugao ricevuto d.ai membri dell' € Asso-
ciazione Progressista > trasportato nel palazzo Santa-
croce, OTe abitava la famiglia, venne imbalsamato.
Alla Camera, Pisanelli, Depretis e Crispi, oltre il
Presidente Bìancheri ne fecero degna commemorflzione,
quale era doTuta al grande statista.
Il Re aveva ordinato che tutta la sua Casa, militare
■e civile avesse assistito al trasporto -- il principe Um-
berto reggeva uno dei cordoni del feretro, tutte le truppe
erano schierate facendo gli onori nel passaggio alla sta-
zione ove il Conte Pianciaai consegnava la salma al Sin-
■daco di AleiSsanUria, D trasporto fu uno dei più solenni.
CAPrroLO xxis.
Morte dì Vittorio Emanuele If.
Il Re Vittorio Emanuele IT, nell'iuaugui'are a Firenze
il 5 dicembre il Parlamento Italiano, nel quale per la
prima volta Roma era rappresentata, pronunziava un di-
scorso che faceva fremere di gioia i eiitadiui dell'intera
Penisola.
« Signori Senatori, Signori Deputati,
* L'anno che volge al suo termine ha reso attonito
il mondo per la grandezza degli eventi che jiiun giu-
dizio umano poteva prevedere. 11 nostro dititto s\x Romfi
noi lo avevamo sempre altamente proclamato e di fronte
aUe ultime risoluzìoai cui mi condusse l'amore della pa-
tria, ho creduto dover mio di convocare i nazionali co-
mizii {Lunghissimi applausi). Con Roma capitale d'Italia>
Ilo sciolta la promessa e coronata l'impresa che 23 anni
410
or sono veniva inizinta dal magnanimo mio genitore-
« n mio cuore di Re e di figlio prova una gioia so-
lenne nel salutare qui raccolti per la prima volta tutti
i rappresentanti della nostni patrin diletti e nel pronun-
ciare queste parole: L'Italia è libera ed una, ormai noa
dipende più che da noi il farla grande e felice (Àpplnusì).
Mentre noi qui celebriamo questa solennità inaugurale
dell'Italia cnmpiutfì, due grandi popoli del eontiuente,
gloriosi rappresentanti della civiltii moderna, si straziano
in una teiTibile lotta. Legati alla Franwa ed alla Prussia
daiU iiieuioiia di recenti e Ijeneflclie alleanze, noi Ab-
biamo dovuto obbligarci ad una rigorosa neutralità, la
quale ci era imposta dal dovere di non accrescere l'in-
cendio e dal desiderio di poterci sempre interporre, con
parole impar?.iali, fra le parti belligeranti.
« E questo dovere d'umanità e di amicizia, noi non
cesseremo dall' adempierlo, ag-giungendo i nostri sforzi a
quelli delle altre potenze per metter fine ad unti guerra,
che non avrebbe inai dovuto rompersi fra due nazioni,
la cui grandezza è egualmente necessaria alla civiltà del
mondo.
« L'opinione pubblica^ consacrando col suo appog-
gio questa politica, lia mostrato una volta di più che
l'Italia lìbera e concorde è per l'Europa un elemento
d'ordine, di libertà e di pace (Applausi).
<t Quest'attitudine agevolò il compito nostro, quando
per la difesa e integrità del territorio nazionale e per
restituire ai Romani l'arbitrio dei loro destini, i miei
soldati, aspettati come fratelli e festeggiati come libera-
tori, entrarono a Roma. Roma, reclamata dall'amore e-
dalla venerazione degli Italiani, fu resa a se stessa, all'I-
talia, e al mondo moderno.
<t Noi entrammo in Roma in nome del diritto na^
zionale, in nome del patto ohe vincola tutti gli Italiani.
ad unitj"i di na^iione: vi rimarremo mantenendo le pro-
messe che abbiamo fatto solennemente a noi stessi: li-
berta della Chiesa, piena indipendenza della Sede pon-
tificia neir esercizio del suo ministero religioso, nelle sue
relazioni con la cattolicità [Applausi).
« Su questa base e dentro ì limiti dei suoi poteri
il mio GoTerno ha già dato i provvedimenti iniziali, ma
per condurre a termine la grand' opera si richiede tutta.
l'autorità del Parlamento,
« L'imminente trasferimento della sede del Governo
a Roma ci obbliga a studiare il modo di ridurre alla
laassiuui. semplicità gli ordinamenti aiiimiuiBtriitivi e giu-
diziari, e rendere ai comuni e alle Provincie le attriba-
i^ioni elle loro spettano {Ap2)hiHsi).
* Anche la materia degli ordinamenti militari e della
difesa nazionale vuole essere studiata, tenendo conto della
nuova esperienza di guerra. Dalla terrìbile lottti che
tiene tuttora attenta e sospesa l'Europa sorgono inse-
gnamenti che non è lecito di trascurare a un Governo
che vuole tutelare Tonore e la sicurezza della nazione
{Appìcnisi).
* Su Lutti questi temi vi saranno sottoposti disegni
di legge e sulla pubblica istruzione eziandio, che vuole
essere annoverata essa pure fi-a gli strumenti più efB-
cati della forza e della prosperità nazionale ».
Segue p(ji la seconda parte del diàcorso che riguarda
le finanze e l'amiunzio dell' assunzioue al trono dì Spa-
gna di Amedeo d'Aosta.
11 31 dicembre il Re d' Italia entrava per la prima
volta in Roma per recarvi generoso soccorso; il Tevere
uscito dal suo letto, apporb^va desolazione e mina.
Nel 2 luglio del 1871, accolto prima in Campidoglio
dal pia uso," dalle benedizioni e dall'esultanya di 30 mi-
lioni d'Italiani, prendeva gloriosamente possesso del Qui-
rinale, nuova sua Reggia, proiiunciando le memorabili
parole « ci siamo e ci resteremo *.
U2
Roma italiana, dopo la sua proclamazione a capi-
tale del risorto paese, accolse nel Quirinale pareccM so-
vrnni e principi esteri venuti a visitare il Re Vittorio
Emanuele, riconoscendo con tuie atto il nuovo regime
costituzionale: l'imperatore Don Pedro del Brasile, il re
ed il principe di Danimarca, il principe Federico Carlo
di Prussia., i'arcidutìi Nepomuceno d'Austria, il re e la
regina di Grecia, il principe di Galles, il duca di Edim-
burgo ed altri. Tutti ebbero a lodarsi delle festose acoo-
glianze. e [' animi razione d'ognuno fu grande e completa
per le particolari doti di pensiero e di cuore del nuovo
Re d'Italia.
Nel 1873 Re Vittorio visitò Vienna e Berlino, ac-
colto con entusiasmo che sembrò delirio — egli ovun-
que personificava il popolo italiano risorto a vita novella,
ed il Re galantuomo sapeva di rappresentare un popolo
che aveva diviso e dL\'ideva le sue aspirazioni.
Nel febbraio 1874 gimi&e in Italia la notizia della
morte di Nino Bisio, il soldato intrepido, quasi temerario,
di animo bollente e dell'inerzia sdegnoso. L'ardore di ope-
rosità che lo divorava l'aveva spinto, quando non era
più richiesta l'opera delle armi, a correre in lontane re-
gioni per schiudere nuova via al commercio italiano, ed.
in selvaggie ed inospitali contrade la luorte crudele, che
egli aveva tante volte affrontata sul campo di battaglia,
lo fece sua vittima.
Morendo egU pensò alla patria, alla sua famiglia che
raccomandò al Re. E non fu vana la raccomandazione.
In diiUi 14 febbraio 1874 il Re indirizzava da Na-
poli — ove pervenriegli la notizia — il seguente tele-
gramma al Ministro Minghetti:
413
« Ricevetti ieri il rapporto che Ella mi manda sulla
« morte del poTero Bisìo. La prego d! fare per parte del
« Governo quello che si potrà per la famìglia. Io pure
« son disposto aiutare. Faccia il piacere dì dirmi, dopo
< che Governo e ordine mauriziano avranno fatto la loro
« parte, con qua! pensione creda che io possa contri-
« bui re ».
# #
Il 5 aprile 1875 l' imperatore Francesco Giuseppe
restituì a Venezia la visita fattagli da Re Vittorio a
Vienna, e nell'ottobre l'imperatore Gngliemo di Germa-
nia giunse a Jlilano ospite del Re, accolto con grande'
encusiasLUo.
Intanto Re Vittorio dava impulso al riordinamento
dell'Amministrazione pubblica italiana, prendendo viva
parte al rinnovamento della vita nazionale, conscio e
compreso dei suoi doveri dì cittadino e di Re. E come
alto fosse in lui questo sentimento lo dimostrano le pa-
role da lui profferite nel discorso della Corona il 20 no-
vembre 187 ti:
«Da 6 anni celebriamo iu Roma la feata dell'unità
« nazionale. Dalla ìnteg-rata unità, avemmo frutti di glo-
« ria e prova di sapienza civile. Molto ai è fatto, molto
« rimane a fare. Rimane 1' opera che vuole maggiore
« pazienza e lavoro e maggiore concordia d'intento ;
«quello di consolidare tutto l'edificio governativo, e
< dove occorre, correggerlo. A questo non si può riu-
« acire che con una gara sincera di operosìti^ e di co-
% stanza. Io vi addito la via e sono certo che anche iu
< queste battaglie pel riscatto civile, la mia voce tro-
« vera risposta di nobili sacrifizi e di gloriose vittorie ».
# *
H primo gennaio 1878, Vittorio Emanuele ricevette,
senza dare il benché minimo sospecco di sofieresza, le
414
deputazioni del Parlamento, i grandi dignitari dello Stato-
e molte altre rappresentanze, ed a tutti ricambiò con
volto lieto gli auguri pel nuovo anno.
Alla sera si recò al teatro Apollo; nel tornare a
casa si lagnò d'un gran citldo e fece abbassare ì cristalli
della carrozza. Giunto nelle sue stanze volle che il primo
cameriere aprisse i balconi: si fece portare dell'acqua
ghiacciata ed accese un sigaro che si mise a fumare
sul davanzale di una finestra.
Il gioi-no 2 andò a Castel Porziano per iscuotersi
« come egli disse > e ne ritornò verso il mezzogiorno^
che il malessere andava crescendo.
n giorno 3 ricevette al Quirinale prima il sig. Gam-
betta che era a Roma da pochi giorni, e colla sua cor-
dialità destò entusiasmo nel deputato francese; poi IT
presidente del Consiglio dei Ministri per la firma dei
decreti.
— « Vede. Depretis », gli disse : « contrariamente
alle mie abitudini ho fatto accendere il fuoco, perchè
sento un gran freddo. — Lrt scorsa notte l'ho passata
male ».
— « Bisogna curarsi, MaestJi!
— « Mi curo; mi astengo dall'andare a caccia, del
resto se dì notte non mi sento bene, di giorno va meglio ».
Ciò detto si diede a firmare.
Aveva letto un decreto che collocava in aspettativa
per motivi di salute un impiegato. Rivolto a Depretis,
gli disse sorridente ;
— •; Anche io avrei bisogno di un po' d' aspetta-
tiva per l'eguale ragione ».
— « Maestà — gli rispose il Ministro alquanto tur-
baco, ma seguendo lo scherzo del Sovrano — per ì Re
■i motivi di salute non sono sufficienti per avere l'aspet-
tativa ».
Il Re tacque e continuò a firmare.
Il 4 di mattino, il Re aveva dato le disposizioni di
partenza per Torino, ma la debolezza lo costrinse a ce-
4AS.
dere al male e a rimettersi a letto; fece chiamare il me-
dico. Il Snglioiie, comprese subito che la cosa era grAve,
ma non diede a capir nulla al Re; soltanto domandò
ed ottenne che fosse consultato un altro medico. Si tele-
grafò al Profeesore Bruno in Torino e fu chiamato l'ono-
revole Baccelli, che nccorse con sollecitudine e presela
ilirezioue della cura.
La mattina del r> vi fu aumento di febbre prodotto
dalla polmonite. Al tocco, arrivato il Dottore Bruno, si
tenne* consulto. I tre dottori si trovarono d'accordo nella
dia.gnosi della malattia ed ordinarono una dose di chi-
nino come disinfetUiiite e una buona emisbione di san-
gue, mediante salasso, lì Re era recisamente avverso
a farsi aprire la vena: ma il professore Baccelli disse
risolutamente :
— «( Maestì, la nostra responsabilitii innanzi a Voi
e al paese, é troppo grande, perchè da noi non si taccia
uso di tutti i nostri diritti. Vostra Maestii sarà Ke finché
vuole ma in questo momento i re siamo noi e Vostra
Maestii è nosti-o suddito ».
Vittorio Emanuele sorrise, sporse il braccio e si pro-
sto al salasso; dopo del quale ai senti un po' uaeglio.
Il quinto giorno della malattia si sperava in una
crisi benefica. Da Firenze era stato chiamato il profes-
l'ore Cipriani, da Pisa il pì'ofesaore Landi.
Tutto le cure, tutti i rimedi furono usati, ma la
wiei benefica non venne !
Nella mattina del giorno 9 i medici avvertirono un
forte peggioramento. Gli ufficiali di servizio furono man-
dati ad avvisare i principi reali, i minisU'i e i grandi
dignitari della Corte.
^^P II professore Bruno ebbe incarieo di chiedere ul Re,
^^^ se era disposto a ricevere i conforti della rehgìoue.
^^^ Il Re calmo, si volse al medico e gli disse :
^^P — K Ma dunque la malattia e ben grave ?
W II dottore riprese che si trattava di una precau-
I zione — e il Re replicò, <i Facciano pure ».
4IB
n Re prese il viatico con grande sereniiit di spirita
■e disse:
— « Io speravo di morire buI canapo di battaglia :
ma pazienza! — Muoio almeno in questa gran Roma, in
mezzo al mìo popolo ■.
Dopo il Vìaiico passarono avanti al Re, affranti dal
dolore, i ministri e ì dignitari, il Re li BaUitò tutti. Poco
appresso chiese da bere e il canonie^s Anzino gli porse
uti bicchiere d'acqua — con la mano tremante accostò
il bicchiere alle labbra — dopo Io sforzo reclinò la- cesta,
— era la fine! il prìncipe Umberto si accostò alletto —
Vittorio Emanuele fissò su lui uno sguardo lungo, amo-
raso — gli Blese la mano e pronunziò questa sola pa-
rola — * Addio » — di nuovo cqn sguardo pieno di
amore si volw verso il figlio e vei"so la principessa Mar-
gherita entrambi in^inocichiati a flanco del lecco, e non
stticcó più da essi lo sguardo f
Verso le 11 Vittorio Emanuele — il Grande Re— il
Pfldre della Patria — entrava in agoni.-i, ciuesCa durò
pochi minuti. Quando il prof. Bruno disse: * 11 primo
Re d'Italia è morto » fti uno scoppio unanime di pianto.
E cosi il di y gennaio 1878 in Roma, nel palazzo del
Quirinale cessava di vivere, dopo breve malattia, il
Griiu Re a cui l'Italia deve la sua uniti, la sua indi-
pendenza. Quando si vide abbassare la bandiera della
torre, coi-se come un lampo per la cittA la triste no-
tizia — i negozi si cliiusero tutti immediatamente come
manifestazione di sommo cordoglio e di lutto nazionale.
L'effetto primo fu di sgomento — pareva — con la
sua morte — che la grande famiglia italiana — di cui
era il padre amato — dovesse smembrarsi — ma ben
presto — in mezzo a quella costernazione, gli animi si
rinfrancarono volgendo i! pensiero al figlio del Re libe-
ratore dal quale il popolo attendeva la parola elle lo
rianimasse.
La morte di Vittorio Emanuele fu cagione di gran
417
lutto per la intera Dazione e del più, vivo dolore per ogni
buon italiano.
I suoi funerali furono imponenti — Tutta Italia fa
largamente rappresentata.
II Municipio per renderli più solenni rivolse al po-
polo di Roma il seguente manifesto:
Romani!
€ La nostra citta nella sua storia, che fu quella del
mondo, non ebbe mal per volgere di secoli pii'i giusta
ragione di piangere ed onorare un Re ed un Eroe,
« Il grido di dolore del popolo italiano oppresso e
diviso, elle Egli redense e compose in una sola famiglia,
si e ridesttito all'annunzio della sua morte. Fra le nostre
mura è convenuta, gente iununitìrevole da ogni parte
d'Italia, a rendere tributo di piamo al suo liberatore e
Re; Oggi in Roma batte il cuore di tutta la Nazione.
•n Lui fondatore del Regno d'Italia, il mondo civile
onorava ed onora; Principi illustri, ì Legati di tutta
Europa e quelli di più lontane regioni assisteranno ai
funerali di Lui, associandosi al nostro lutto.
« Sette anni or sono, noi salutammo Vittorio Emar
nuele trionfatore e vindice ; domani Egli avrà tomba nel
più degno dei nostri eterni monumenti.
■« Quella tomba sarà per noi sacra quanto la Patria
lìbera ed una.
Il nome di Vittorio Emanuele II vi starà perenne
ammaestramento doUe vìrtiì, che fanno un popolo libero
e grande.
Dal Campidoglio addi 16 Gennaio 1878.
« E. RuspoLi Sindaco ff. %
G. Finali — A. Armellini — E. Cruciani-Aliprnndi —
0. Sansoni — S. Gatti — G. Fraschetti — P. Pog-
gioli — L. Torlonia — 6, Mazzino — F. Nobili Vi-
telleschi — A. Bracci ».
Sulla BUA, romba ni Pantheon, asilo supremo della
sua pace imiiioitnle, si scrissero le parole — vere — elo-
quenti — nella loro brevità:
- A VITTORIO EMANUELE H
PADRE DELLA rAXBLl
E il Paiittieon rininri'ù sempre luogo di pellegri-
naggio per i veri patrioti.
Vittorio Emanuele fu fedele luantenitore delle fran-
chigie concesse al popolo da Carlo Alberto; e mai s'op»-
pose ai progressi richiesU dai uuovi tempi di civiltà e
dal bene del paese : supr'ìmo fine dei suoi desideri. Nella
storia del regno di ViCtorio Emanuele si racchiude la
storia d'Italia di trent'anni; giacché aEa grand'opera
della redenzione egli sì era accinto fin dai primordi del
suo regnare e mai si arrestò, mantenendo le libertà giu-
rate, ricevendo nel pìccolo Piemonte gli esuli d'ogni
parte d'Italia, resistendo alle ininaccie ed alle prepo-
tenze straniere e, giunto il momento dcsideratOj sguai-
nando la spada per rìndipendenza ed unità della patria.
Tutto il mondo manda condoglianze all'Italia e si pose
in lutto.
La memoria di Vittorio Emanuele sarà sacra, in
eterno nel cuore degli Italiani.
Fu fortuna per la patria nostra, da poco sorta a
nazione, che Umberto I successore al Gran Re nel trono
d'Italia fosso degno figlio del Oraii Genitore, e che le
sortì della naaione non corressero con lui nessun peri-
colo, sapendosi come immenso fosse in lui 1' amore al-
ritalia e il sentimento di volerla prospera e grande.
E che tali fossero i suoi sentimenti lo dice il pro-
clama che S. M. Umberto I indirizzava alla Nazione;
421
UMBERTO I.
PER GRAZIA DI DIO E PER VOLONTÀ. DELLA NA^ÌiaME
Re d' Italia
Italiani!
La più grave dellesventiire ci ha improvvisamente
colpiti.
Vittorio Emanuele II, il Fondatore del Regno d'I-
talia, r Istauratore dell' Unità Nazionale, ci fu tolto.
Io raccolsi il Suo ultimo respiro che fu per la Na-
zione e il Suo ultimo voto che fu per la felicità del Po-
polo a cui ha dato la Mberti'i e la gloria.
La Sua voce patema che risuonerà sempre nel mio
cuore, m' impone di viQcere il dolore e mi additA il
mio dovere.
In questo momento uà solo conforto è possibile:
mostrarci degui di Lui — Io col seguire le Sue orme —
Voi col serbarvi sempre devoti a quelle cittadine virtù,
per cui Egli potè compiere l' avduii impresa di fare
graode e una l' Italia.
Io custodirò l'eredita, dei grandi esempi che Egli
mi lascia, di devozione all-a patria, di amore operoso di
ogni civile progresso, e di fede inconcussa a quelle li-
bere Istituzioni, che largite dall' Augusto mio Avo, Re
Carlo Alberto, religiosamente difese, e fecondate da mio
Padre, sono orgoglio e forza della mia Casa.
Soldato come Essi, dell' Indipendenza Nazionale, ne
sarò il più vigile difensore.
Meritarmi l'Amor del mio Popolo, qual già l'ebbe
il mio Augusto Genitore, sarà 1' unica mia ambizione.
Italiani ì
H vostro primo Re è morto. Il Suo Successore vi
proverà che le Istituzioni non muoiono.
Stringiamoci insieme, e in quest' ora di supremo
28.
422
dolore raffermiamo quella concordia dì propositi e di
affetti, che fu sempre presidio e salute d' Italia.
Dato al palazzo del Quirinale il 9 gennaio 1878.
Umberto.
Questa è la parola che il nuovo Re Umberto I in-
dirizzava air Esercito ed all' Armata.
Ufficiali, sott' ufficiali e soldati di terra e di mare-
« Vittorio Emanuele II, il primo soldato dell' In-
dipendenza Italiana non è più. Irreparabile sventura
colpi Colui che ci ha guidati alle battaglie, che ha ispi-
rato, educato, e mantenuto in voi le virtù del cittadino
e del soldato.
« Ài Suo magnanimo ardimento dobbiamo i glo-
riosi fatti, che illustrano la nostra bandiera ; al Suo
senno previdente gli ordini e le armi di cui andate fieri
ed onorati; alle sue salde virtù l'esempio di ossequio
alle libere istituzioni, di generosità nel soccorrere in
ogni evento la Patria, di vigore nel tutelarla e difen-
derla.
Ufficiali, sott' ufficiali e soldati.
« Già compagno dei vostri pericoli, testimonio del
vostro valore, so di potere contare su voi.
« Forti delle vostre virtù ricorderete che dove è la
nostra bandiera, ivi è il mio cuore di Re e di soldato.
Umberto
CAPITOLO XXX.
Ultimi giorni e morte del generale Garibaldi.
Della morte di Vittorio Emiiniiele per cui sentiva
Teaeriizlone profonda Garibaldi fu inconsolabile.
Esso da tempo viveva a Caprera Intento a trarre
qualche piirtito dalla parte dell'isola suscettibile ad es-
sere coltivawi.
Nel 1876 venuto a Homa aveva aperta la cam pagina
per la sistemazione dei Tevere, che proseguiva con te-
nacità sapendo di fare cosji utile e grande.
Neil' inviare al colonnello Domenico Cariolato l'ap-
pello agli Italiani per la sottoscrizione ai grandi lavori
del Tevere, cosi gli scriveva;
« Mio caro CarioUto,
« Vi accludo l'appello che io faccio agli ludiani per
la sottoscrizione a favore dei lavori del Tevert. Sai'ebbt)
utile che la prima firmar fosse quella del_Re. Mingbetti
mi si ò dimosti'ato iavorevoLe, ma temo cbe altri met-
teranno i bastoni fra le ruote, e si farà in modo cbe il
Re non firmi. ■
« Parlatone a Dezza e venite presto a Villa Casalim.
Sempre vostro
G. Garibaldi*
• Boma, lo gennaio 1876.
Era inlento a questC) nobile scopo ed a quello no»
meno nobile e grande delUt bonifica dell'Agro Romano,
quando nei primi del 18tìi avvenne il triste latto del
424
trattato del Biirdo. Garibaldi che era ritordato a Ca-
prera ne fu colpito pili di ogni altro patriota perchiS !ui
non si aspettavfi dalla Francia quest'atto che umiliava
l'Itftlia. ^
Palermo si preparava in quei giorni a festeggiare
la data della ricorrenza dei Vespri Siciliani, e, invitato
a recarsi nell'Isola da lui tanto amata, acconsentiva &
fare il faticoso viaggio sebbene sofferente di salute e
sebbene vivamente sconsigliato dai figli e dagli amici,
che paventavano per lui le latiche del viaggio.
Lasciata Caprera, sbarca a Napoli ricevuto con de-
lirio da quella popolazione che non l'aveva più rivedut»
dopo il 1860. Sento il bisogno di un po' di riposo e va
a passare alcuni giorni tranquilli nella villa del sìg. Ma-
clean a Posillipo.
Da Napoli si dirige in Calabria; riposa una notte
a Catanzaro, e segue poi il viaggio, parte in vettura,
parte in ferrovia; pellegrinaggio faticosissimo e per lui
micidiale, accolto dovunque passa con vera frenesia;
arrivato allo Stretto, è ricevuto a Eleggio da quel popolo
delirante — passa a!la sua Messina elie s'accalca per sa-
lutarlo, per toccarlo, per baciarlo — e il 28 marzo entra
a Palermo. Non è possibile dire della gioia, delle feste,
e delle deliranti accoglienze di quella popolazione, essendo
più facile immaginarle, che descriverle.
H 31 marzo, anniversario del terribile eccidio, il Ge-
nerale per le tristi condizioni di salute non potè asaiatere
alla grande cerimonia, e se ne scusava coi patrioti si-
ciliani. L'indomani suo figlio Menotti aJln folla radunata
sotto le sue finestre, leggeva un'addio affettuoso del padre,
nel quale si protestava figlio di Palermo. Si trovò ne-
425
cessano che il generale riposasse qualche giorno e fl-
nalmente il 17 aprile sul Cristoforo Cohmbo ripartiva
per Caprera.
Nel resto di aprile e nel mag^gio lo stato di salute
del Generale non era migliorato, ma nessuno pensava
che la sua fine fosse tanto prossima! — Invece aWn fine
di maggio il suo stato erasi fatto d'improvviso j^^rave
I assai — disperato 1 La notte del 1° giugno i telegrammi
I si correvano l'uno dietro l'altro — Garibaldi è aggravato
I — Garibaldi è moribondo !
I Nelle prime ore del mattino del 2 giugno lo stato
I del Generale appailva sempre più disperato — il respiro
^^■dìveniva più lento ed affannoso — e si vedeva — che
^^PCl terriijile momento della sua scomparsa dal tuondo era
W pLU' troppo vicino. Da Menotti furono mandati iivvisì
I telegrafìc^i a Canaio, a Teresita ed a Riceiotti, Fu pure
^^ telegrafato al dottore Albanese; ma ormai non potevano
^■più giungere a tempo.
^^ L'abbandono delle forze faceva a tutti comprendere
che la catastrofe era immiuente. Egli si spegneva tran-
quillo; solo si vedeva che avrebbe desiderato la conso-
lante notizia dell' arrivo del dottore Albanese, di Ric-
eiotti, di Canzio e di Teresita.
Nel meriggio -— due capinere vennero a posarsi sul
balcone aperto della camera del Generale, cinguettando
— La moi^lie signora Francesca, temendo disturbassero
l'ammalato fece im gesto per allontanarle; ma il Gene-
rale con un fll di voce soave, siissurò : « lasciatele stare
— sono forse le anime delle mie due bambine che mi
portano l'ultimo saluto. Quando non sarò più — mi rac-
comando di non abbandonarle » e non disse pii'i altro,
parve si fosse assopito. Solo più. tardi chiese di Manlio,
suo diletto Aglio decenne — questi condotto vicino al
letto si precipitò sul padre posando leggermente la testa
sul petto ansante — il Generalo sembrò farsi ilare —
un. Bon-so di soddisfazione sì vide errare sul suo viso al
contatto di quell'infantile esistenza tanto a lui cara! —
426
poi volle vedere il suo cielo — il suo mare — e placi-
damente fra le braccia dì Menotti, di Manlio e della
dolce famiglia presente — allo 6 e 22 pomeridiane esa-
lava la sua anima grande !
Alla notizia — Garibaldi è morto — l'Italia sussultò
— e si senti sbigottita dall'immensità delia perdita. Ija
Nazione si mise in lutto come nel funebre giorno delia
morte di Vittorio Emanuele — e un'ondata di popolo in
lacrime sì recava da ogni parte d'Italia a Caprera —
ormai sacra all'Italia — per portare l'omaggio e il tri-
buto di devozione suprema alle spoglie dell'Eroe tanto
amato.
Il Re Umberto scrisse di proprio pugno a Menotti,
figlio del Generale, cosi;
« Mio padre m'insegnò nella prima gioventù ad ono-
rj\re nel generale Garibaldi le virtù del cittadino e del
soldato.
« Testimone delle gloriose sue gesta, ebbi per lui
l'affetto più profondo, la più grande riconoscenza e am-
mirazione.
« Mi associo quindi al supremo cordoglio del popolo
italiano, e prego d'essere interprete delle mie condoglianze,
condividendole coU'intera nazione.
Umberto »
Sentimenti veramente patriottici e gentili, degni
del figlio del Gran ì\e, padre della patria.
La morte del generale veniva constatata dal certi-
flcato seguente :
Caprera, 3 giugno 1882.
Signor Sindaco
Maddalena
« Ieri (2) alle ore 6 pomeridiane è morto in Caprera,
al suo domicilio, il generale Giuseppe Garibaldi in se-
427
guito a paralisi faring^ea. Dichiai'iamo che In tuTiiulazione
del Ci^davere può farsi dopo 24 ore daUa morte.
« In fpde ci sottoscriviamo
Prof. Albanese
• Bott. Cappelletti »,
La Camera dei deputati ed il Senato prorogano per
quindici gioi'ni !e loro tornate : il Go\'eriio propone e il
Parlamento approva che la Pesm N'azionale dello Statuto
sia sospes;! ; le esequie dell'Eroe siano tatt,e a spese dello
Stato; Lina pensione vitalizia di diecimila lire annue sia
assegnata alla vedova ed a ciascuno dei figli.
In og-ni terra italiana, da Roma al più umile borgo
si decretano onoranze.
L'Elettrico non basta a dare sfogo all'enorme quantità
di telegrammi che da ogni parte del mondo piove a Ca-
prera.
L'assemblea dei deputati della Kepnbblit-a francese
sospende le sue sedute ; la sinistra del Senato propone
si voti tin indirizzo di cordoglio all'Italia ed alla famig'UB;
il Muuioipìo di Parigi delibera di mandare rappresentanti
ai suoi funerali ; Lione, Marsiglia, Dijon attestano con
pubbliche manifestazioni le loro condoglianze.
La Camera dei deputati e il Senato di Wa&hington
approvano una mozione deplorante « la morte di Ga-
ribaldi ed esprimente la tìirapatìa degli Stati Uniti per
428
l'Italia ». La Camera di Buda-Pest vuole scritto nel pro-
cesso verbale il compianto della Nazione ungherese,
per la scomparsa dell' Eroe ; il Consiglio nazionale dì
Berna « rende omaggio a nome del popolo svizzero alla
memoria di Garibaldi e si associa all' Italia nel lutto
causato dalla morte del'grande patriotta >. Il Consiglio
municipale approva « una mozione di profonda simpatia
alla Nazione italiana in occasione della morte del grande
Cittadino e condoglianze alla Simiglia ».
«
* *
Tutta la stampa mondiale fa gli elogi del compianto
grand'uomo.
Il Times, scrive ; « Ebbe tutte le qualità del leone;
non soltanto il coraggio senza confini, ma le doti più
nobili, con la magnanimità, la placidezza e l'abnega-
zione ».
La France esclama : « Questa morte è un lutto del-
l'umanità. — Garibaldi era cittadino del mondo ».
La Vossische Zeitung : « Dobbiamo dimenticare il ri-
cordo di averlo avuto nemico e deplorare la sua morte »,
e il Tagéblatt conferma : « Egli nel suo idealismo vide
solo l' infelicità della Francia e non pugnò contro il
popolo germanico, ma bensì in favore della libertà del
popolo». La Germania dichiara: «Vogliamo rendergli
questa giustizia. — Egli fa generoso, patriottico, pronto
al sacrificio ». La La Xeue Freie Presse conchiude : « Si-
mili figure sono fari nella storia del patriottismo ».
» #
Due uomini — nel secolo nostro — lasciarono questa
terra accompagnati da universale consenso di laudi a
di dolore: Vittorio Emanuele e Garibaldi; perchè essi
soli incarnarono due dei più straordinari avvenimenti
della storia: un Re fedele alla libertà, che oblia la
I
tradizione della sua stirpe, g mette In pericolo il retaggio
dei suoi Agli per la redenzione di un popolo; un popolano
(?he si eleva, per virtù propria fino alla potenza di Ee,
ma per ritornare al suo modesto focolare scevro dì qual-
fjiasi ambizione, sacrificando gli ideali della sua anima
alla suprema felicità deLla pati-ia! Inchiniamoci alla me-
moria di questi Grandi !
Composta, la salma del Generale il dottore Albanese
inviava questo telef^rarama. perL',hè fossero note le su-
preme dieposizioni del Generale:
<( Garibaldi spirò ieri serti; lasciò un' autografa di-
sposizione in data 17 settembre 1881, cosi concepita: —
« Avendo per testamento determinato la cremazione del
mio cadavere, incarico mia moglie dell'eseguimento di
tale Tolontii, prima di dare avviso a chicchessia della
mia morte. Verrà costruita una piccola urna in g^ranito
che racchiuderii le mie ceneri. L'urna sarà, collocata nel
muro, dietro il sarcofago delle mie baraliine e sotto
l'acacia che lo domina ».
Ecco poi testualmente la lettera del generale al dot-
tore Pi-andina:
Caprera, 27 settembre 1877
Mio carissimo Prandiua,
« Voi gentilmente vi incaricate della cremazione
del mio cadavere e ve ne agno grato.
« Sulla strada che da questa casa conduce verso
tramontana alla marina, alla distanza di trecento passi
a sinistra, vi è una deprestiione di terreno limitata da
un muro.
« In quel cauto si formerà una catasta di legno
d'acacia, lentisco. mirto ed altre leg-Jie aromaliche. Sulla
catasta si poserà un lettino di ferro e su questo la
J
480
bara scoperta, con dentro gli avanzi miei, adorni della
camìcia rossa.
« Un pugno di cenere sarà conservato ìn un' urna
di granito, e questa dovrà essere posta nel sepolcreto
che conserva le ossa delle mie bambine Rosa e Anita.
Vostro sempre
Q. Garibaldi »
Ed a queste sue istruzioni scritte ne aggiungeva
altre verbali: al Prandina diceva. —
« Voglio essere bruciato; bruciato, non cremato, ca-
pite bene. In quei forni che sì chiamano Crematori non
ci voglio andare: voglio ripeto essere bruciato all'aria
aperta... . e voi Fazznri sarete il mio' liberto ».
« Farete una catasta di legna, dell'acacia dì questa
isola, stenderete il mio corpo vestito della camicia rossa
sopra un lettino di ferro; mi deporrete nella catasta
con la faccia rivolta al sole e mi brucierete; le ceneri
le deporrete dietro la tomba di Anita — Cosi voglio fi-
nire — ».
E non fu bruciato ! — Le sue ossa sono sepolte nella
sua granitica Caprera ~ isola sacra alla patria. — Ma
il suo spirito ale^ia in ogni angolo d'Italia che tanto
amò — e per la quale diede tutte le sue forze — la
sua anima grande, perchè fosse libera e potente ! Tafe
l'ideale di tutta la sua vita gloriosa! E che cosi fu, lo
prova questa sua dichiarazione.
« Io non ebbi mai altro che uno scopo — quello
dell'unità italiana — quindi il mio programma del Ti-
cino fu lo stesso a Marsala, ad Aspromonte ed a Men-
tana ».
431
CAPITOLO XSXI.
Nozze di S. A. R. il Principe di Napoli
con la Princlpassa Elena Petrovjcli Niegos dei Montenegro,
La storia del Montenegro è tutto un poemii di eroi-
smi! Le lotto sostenute per due secoli d;ii valorosi .an-
tenati e dal Principe Rognanle Nicola I, Iianno fondato
uno stato indipendente e solido la cui imporlanza è ri-
conosciuta dal mondo intero. Principo e popolo stret-
tamente legati come una sola tainij,'lia sentono venera-
zione profonda per la Ru^ia - riconoscenti non di-
mcnticlii — per l'aiuto dei essa prestato — mai venuto
meno — nelle lotte titaniche sostenute per la indipen-
denza..
Fra l'ItaHa — pure ijrt lotta secolare per l'indi-
pendenzft — e il Montenegro culla di eroi — una cor-
rente di simpatia ó sempre esistita, e moki volontari
italiani accorsero nel lfl7ìi-7f} ji prendere p;irte alla lotta
sostenuta contro ì turchi nell' Erzeg"0vinn.
Nella Cernagora si ricorda con grato animo che il
voto di Mazzini e di (xarihaldi fu costHiiCemente quello:
Che nella costa orientali dall' Adriatico si formasse un
grande Siato Serbo-Mojitejiegrìno fdo dìlenio dell'Italia.
'Erti quindi naturale che le Jinnuiizlate nozze Sa-
voia-Petruvicli fossero accolce con gioia ed entnsiar
sticaniente festeggiate in Italia — E lo furono dal po-
polo intero.
Il giorno 22 ottobre 1896 — la Principessa Elena
Bbarcava a Bari, ricevuta dal Ducii di Genova e da
tutte le autoricà fra le più vive acclamazioni dell'in-
tera popolazione festante.
433
Appena toccata la terra italiana 8. A, R. la prin-
cipessa riceveva il seguente telegramma.
Cara Elena
> Fra i saluti ed auguri che ti accolgono in terra
italiana, sian primi i nostri ttlfettuosissimi a te cara fi-
glia, che attendiamo ansiosamente nella nostra casa >
« Umberto, Margherita. »
Fin delle prime ore del giorno 23, tutta Roma era
in moto.
Tutti gli edifici pubblici e privati erano imbandie-
rati, e la via Nazionale e quella del Quirinale tutte
parate a festa presentavano un colpo d'occhio stupendo.
Alla stazione feri'oviaria innanzi alla sala Reale era
sorto uno splendido padiglione ornato di palmizi — La
sala Reale messa a nuovo era veramente sontuosa.
Verso le 10, numerose associazioni cittadine con ban-
diere occupavano i posti loro assegnati ; cosi fecero le
rappresentanze scolastiche.
*
* *
Poco prima delle 11 arrivavano alla stazione pre-
ceduti dai corazzieri e dai battistrada i Sovrani e le
carrozze della Regina di Portogallo, dei Princìpi e delle
Principesse.
Alle 11 precise la campana della stazione dava l'av-
viso dell'arrivo del treno Reale.
* *
Appena il Principe Nikita nel suo caratteristico
costume montenegrino con le Principesse Elena ed Anna
si mostra nellfl loggetta del vagone gli applinisi si fanno
eiilusiftstiei.
Tutti gli sguardi sono rivolti verso la Principessa
Elena — e l'entiiisiasrao e gii applausi si fanno più vivi
alla Tiata della sua avvenenza.
Il Principe Nikita — una vigorosa, sirapntica figura
di soldato — scende per primo dal vagone, seguito dal
Duca di Genova. Subito dopo scende la Prlncipesea Elena
che incontrate le Loro Maestà il Re e la Regina, le
abbraccia e bacia affettuosamente.
S. A. R. il Principe di Napoli a sua ì'olta soluta
l'Augusta Suiì Fidanzata baciandole rispettosamente la
mano.
Menti'e S. M. il Re ed il Principe Nikita p-issano in
rivista la compagnia d'onore, S. M. la Rey;ina presenta,
alhi Principessa Elena la Kegina di Portoyalln, i Prin-
cipi e le Principesse, ed il Sindaco On. Ruspoli che al-
l'Augusta Fidanzata dà la ben venuta a nome di Roma.
. Appena le piime carrozze del corteo si mettono in
moto, dal popolo che greitdsce la piazza, scoppia un
unanime fragoroso applauso.
Dalle finestre aftbllate lungo tutto il percorso sì
agitano IVizzoietti, le bandiere s'inchinano e il popolo
grida: — Vìva il Re, vìva la Regina! Viviti la Princi-
pessa Eietia! Viva il Principe Nikita! Viva il Principe
Reale-'
Appena il Corteo è entrato nel palazzo del Quiri-
nale, dalla piazza, letteralmente gremita di popolo che
si acenlca — si grida Evviva 1 8i applaude fragorosa-
mente.
436
Sulla lo^ia centrale gli staffieri di Corte mettono
il solito parato di yelluto rosso e la Principessa Elena
si mostra assieme ii S. M. la Kegina. Quasi subito com-
paiono S. M. il Re, il Principe Nikita, S. M. la Re^na
Pia, le principesse e i principi.
Chi può descrivere l'entusiasmo di quel momento?
Lo spettacolo è indimenticabile ! La Principessa
Elena che si moacrava molto commossa, è stata accolta in
Italia e specialmente in Roma con l'espansione delle
cittadinanze, che attendevano con ansia l'Augusta Sposa,
il bel fiore, che la stirpe slava regalava al trono di Casa
Savoia.
# *
Una folla immensa, composta dì romani e di ita-
liani d'altre provincie, si era riversata fin dalle prime
ore del giorno 24, nelle vie Venti Settembre, in piazza
del Quirinale e nella via Nazionale ; non vi era edificio,
casa privata e alberghi che non avessero oltre ad arazzi
ed addobbi le bandiere italiane e montenegrine.
* *
Alle 10 precedute da carabinieri a cavallo giungevano
quattro berline del Senato, i landaux della Camera dei
deputati e le quattro berline del Municipio, seguite da
molte vetture di Corte recanti le Dame e i Gf^entìluo-
raini fra i quali molti montenegrini nei loro bei costumi.
Gli invitati della Corte si trovavano già riuniti nella
sala da ballo del Quirinale per la cerimonia civile.
S. E. Farini e S. E. il marchese di Rudini erano anche
essi al loro posto. Alle 10 e un quarto entrava la Corte.
Appena la Corte si è seduta il presidente del Senato
on. Farini chiama gli Augusti Sposi e i testimoni.
Il Principe di Napoli e la Principessa Elena pren-
*87
dono posto da un lato della tavola al centro delln sala
e i due testiraoDi, Conte di Torino e Diio-a d'Aosta ai
lato opposto.
Il presidente del Senato legge gli artìcoli del Codice
civile e pronunzia la form&la del matrimonio. Gli Au-
gusti SpOfii firmano 1' Atto con la peudji offerta dalle
Associazioni italiane, dopo di loro Hrmano S. M. il Re il
Principe Nicola I, il Duna, d'Aosta e il Conte di Torino.
Terminata la cerimonia si forma il corteo che pre-
senta un colpo d' occliio pittoresco.
A piedi dello scalone afitendevano duo berline dì
gala a sei cavalli. Nella prima presero posto i Sovrani
d' Italia e il Principe Ereditario. Nella seconda la Prin-
cipessa Elena, il Principe Nicola I e il Prìncipe Mirko,
poi seguivano le altre berline colla Regina di Portogallo
e gli altri principi e principesse.
Le berline con i Sovrani e il Principe Ereditario e
quella dell'Angusta Sposa e dei Principi del Montenegro,
precedute dai corazzieri percorsero la via assiejiata di
popolo fra continue salve di applausi, sventolare di faz-
2oletti e al suono della fanfara reale e degli inni del
Montenegro.
Nella Chiesa di S. Maria degli Angeli ove avevano
preso posto il Re, la Regina, gli Sposi Augusti, le prin-
cipesse e i principi, e in apposite tribune i colhiri del-
l'Annunziata, i grandi ufficiali, fra i quali notavasi il
Console generale Montenegrino comm. Popovich, — re-
gna il pili grande silenzio.
Monsignor Piscicelfi si avanza verso gli Augusti
Sposi — Alcuni cerimonieri stendono al di sopra del loro
capo un candido velo argenteo e ne danno a reggere i
(Quattro lembi alle LL. AA. il Duca d'Aosta, il Cooce dì
438
Torino, il Principe Mirko ed il Principe Karageorgevich.
Monsignor Piscicelli dà la benedizione agli Sposi Augusti
e il Principe di Napoli e la Principessa Elen» si scam-
biano l'anello nuziale.
È un momento solenne di grande commozione!
Compiuta la cerimonia il Principe di Napoli dà U
braccio alla Sposa ed il corteo Reale, al quale tutte le
autorità fanno ala mentre gli allievi dell'Accademia mi-
litare presentano. le armi, s'incammina verso l'uscita.
*
# *
Alle l'2 Vi le porte del tempio si riaprono ed una
delie grandi berline con tiro a sei vi si ferma dinanzi;
un drappello di corazzieri si mette alla testa.
Fu un momento emozionante allorquando gli Au-
gusti sposi saliti sulla berlina, questa si mosse seguita
da quella della LL. Maestà e dalle altre della Corte per
traversare fra un uragano di applausi la piazza dell'E-
sedra e infilare la vìa Niizionale.
Lungo tutto il percorso sulla berlina degli Sposi si
gettavano fiori e cartellini di augurio.
L'Augusta Sposa con grazia infinita chinava la te-
sta per ringraziare il popolo degli applausi entusiastici
— il Principe di Napoli era raggiante, esultante !
Con clamorosi applausi erano calorosamente salu-
tati il Re e la Regina e il Principe Nicola.
Gli Sposi nel giungere al Quirinale hanno atteso
l'arrivo dei Sovrani — e qui è avvenuta una scena
commovente. S. M. la Regina appena scesa dalla car-
rozza si è gittata con vero impeto d' affetto nelle brac-
cia della Principessa Elena e l'ha abbracciata e baciata
ripetutamente.
La giovine Principessa di Napoli fece l'atto di vo-
lerle baciare la mano, ma la Regina volle di nuovo ab-
bracciarla. La sposa è stata poi abbracciata dalla Re-
gina di Portogallo e dalle altre principesse.
'439
Al tocco e mezzo arrivava al Quirinale una nu-
merosa rappresentanza del Senato. Il rìeeviraeiito ebbe
luogo nella sala del trono presentì tuttì i ministri e gli
alti funzionari di Corte.
Il presidente On. Fariiii fattosi innanzi alle LL.
Maestà lesse un beli' indirizzo augurale e di eeiiltauza
del Senato concludente cosi:
Sire.
« Fatta ragione dei tempi, la Maestà Vosti'a pre-
ferendo ai tripudi clamorosi le gioie tranquille e' gli
omaggi riverenti d'animi devoti, voleva contenuti in
modesti confini i festeggiamenti di queste Nozze Re-
gali, ma la gioia che dalla Reggia si dito ade oggi per
tutta la terra d'Italia attesta con mirabile spoiitaneit:i
quali atfetti stringono la Nazione alia sua dinastia e,
come la sovrerohiante piena di tali affetti sia impos-
BÌbile dì contenere.
Sua Maestà, il Ke rispoBe:
« La letizia che mi circonda, le prove d' affetto
che mi vengono da ogni parte, la devozione che mi di-
mostra il Senato del Regno, mi confermano che il paese
sento come la mia casa sìa ìdentìdcaui col popolo ita-
liano.
« Le due dinastie che sì collegano eljbero comuni,
ooras ella dice, onorevole Signor Presidente, la prodezza
iieìle armi, I' amore alla patria, gli sforzi generosi per
redimere i" popoli dalla Servitù.
Signor Presidente !
« Dica ai suoi eolìeghi, che il pensiero di una pa-
tria grande, forte e felice è il cosLante proiiosito del-
4Ì0
l'animo mio. A conseguirlo ho consacrato tutta la mia.
vita. Il legame che sta per stringerai mi affida che i
miei successori consacreranno Anch'essi la loro vita al
medesimo intento.
"f Questa è lo min fedo di padre e di Re.
Dopo l'udienza del Semuo ebbe luogo quella della
Camera dei Deputati.
L'ufficio di Presidenza era al completo — i depu-
tati circa 200.
H presidente on. Villa lesse l'indirizzo, col quale —
dopo di avere dimostrato che un solo pensiero racco-
g-Iie tutta la Ikmig'Iia ibiliana intorno alla Casa dei
suoi Re e fa prorompere da ugni cuore voci di giubilo
e di benedizioni ; dopo di avere presentato al Re, a S.
M. la graziosa Regina, a S. A. R. il Principe di Napoli,
alla Principessagontile che porta nell'antica Reggia con lo
splendore di nuove grazie, con tesoro di gloriose me-
morie, prezioso retaggio dì quella famiglia di forti, d'onde
essa ha avuti i natali, il tributo delle felicitazioni deUa
Camera elettiva e i voti della Nazione — concludeva :
(( A Voi 0 Sire, alla Maestà dell'Augusta amata Re-
gina, a S. A. R, il Principe di Napoli, noi porgiamo
nella concorde e serena esultanza dei cuori, il fervido,
aftèttucso saluto della devozione e della gratitudine na-
zionale. »
S. M. il Re rispose col seguente discorso :
Signor Presidente,
* Ella ben argomenta affermando che le gioie della
mia famiglia si accrescono, per l' intimo accordo colla
Rappresentanza Nazionale ; esso trae il suo alimento pe-
renne diille nostre libere istituzioni.
« A me è particolarmente gradito il saluto della
Camera elettiva, espressione genuina dell'alleanza della
Dinastìa colla Nazione, nella quale sia il presidio della
indipendenza della Patria.
B Ho desiderato che in questi giorni di festa per la
Tiiià Casa, sì trattenesse l'entusiasiin^ ai^hietto che da per
tutto prorompe poiché è al lavoro, allo studio, al di-
■gnìtoso raccoglimento che dobbiamo attingere la lena
per crescere in grandezza e in prosperità. *
Signor Presidente,
« Questo legato della grandezza e dell' integritó
della Patria che io ebbi dal mio gran Genitore, si tra-
manda per tradizione nella mìa famiglia e allo altissimo
intento non verrA meno mio figlio,
« Anche la scelta della sua sposa, la quale appar-
. tiene ad una progenie di valorosi, di difensori e vin-
dici dell'indipendenza Nazionale, addita l'animo suo.
« La mia Casa e quella del Montenegro signìflcajio
liberazione e indipendenza.
« "È in questo amore della Pfitria nhe si nobilitarono
i sacriflci, si rittemprarono i caratteri ; è in questo
culto della Patria che si rafferma la fede, segnatamente
nelle ore difficili che mai non mancano ai popoli grandi.
« Dica, sig. Presidente, alla Camera elettiva che io
le ricambio gli auguri affidandola che il mio cuore di
Re ha un solo palpito; la felicità dell'Italia. »
Le potenze estere associandosi al giubilo dell' Ita-
lia inviarono tutti i loro omaggi e felicitazioni alle LL.
Maestà.
In conclusione la buona, coltet avvenente Sposa, di^
scendeute da una stirpe di eroici difensori dell' indi-
pendenzii del patrio suolo, ha trovato in tutta Italia un
vero eucusiasmo di sentimenti favorevoli. Come una
^omma preziosa, essa irradìerà di nuovo splendore la
fulgida Corona Sabauda — Siano dunque unanimi gli
auguri di te!icità agli Sposi il cui avvenire compendia
j destini della patria.
44a
CAPITOLO XXXJt.
Volontari Italiani In Grecia.
Nel 1897 — uu grido di entuaiasmo echeggiaTa da
un capo aU*altro d'Italia per la causa ellenica. — H
flleUeDÌBino fu sempre per gli italiani umi delle eorde
che più vibrnrouo uel cuore dì quanti sentono amore dì
patria e di libertó. — e tutte le volte che la Grecia
tentò di redimere dalla servitù le sue belle terre, l'Italia
non rimase insensibile e mandò i migliori suoi (ìgU
A colli IwUtei'e per la sua redenzione, come molti greci
combatterono per I» nostra.
Sarebbe troppo lungo il parlare dei patrioti che le
diedero la vita in tempi ormai lontftni ma pur non
dimenticati; basterebbe ricordare il Santorre Santarosa
^- nel 1821 — il Bssetti — il Tarella ~ il Mamiot — il
Tirelli — il Hriltbii ^ il Tarsio — il Viviani — il Tor-
ricelli-- il Frenarlo — il Mtovitowich — il Dania —
il Eattelaiii — che liiseiarono le loro ossa in Grecia nel
1822 — e l'Andrei! Broglio marc^hegiano che lasciava la
vita ad Anatolica nel 1828.
Accenneremo ai più recenti, e diremo che insorta
r isola di Creta dopo la campagna del 18G6, ben due-
mila e pili volontari e nou meno di ottanta ufficiali
corsero a dnre agli insorti I! loro aiuto. I primi, sbarcata
a Sira furono posti sotto gli ordini dì Zambra-Ivakis, Bl-
sanzioa, e Ooracas, gli altri sotto il comando del mag-
giore JVIereu, e tutti diretti all'isola di Creta ove si
combatteva per la indipendenza.
Al Mereu prima della sua partenza il generale Oa-
ribaldi aveva consegnata la lettera seguente:
I.
413
Caprera, 9 ottobre 1866,'
« Il maggiore Mereu, uno dei miei prodi com-
pagni d'armi, va in Grecia per combattere la santa
cau&u di quel paese.
« Io lo raccomando caldaraente ai miei amici
G, Garibaldi ii.
Nel 1867 la Grecia si preparava a sorgere in armi
per la questione non solo di Creta ma anche per la
causa macedone; una nuova spedizione di Toscani gui-
data da Syarellino partiva da Livorno: toccaui Caprera
prendeva il comando della spedizione il bravo giovane
Kicciotti Garibaldi.
Egli partiva diretto non a Candia ma al Pireo, con
istruzioni del padre di cercare di portare la rivoluzione
nell'Epiro e nell'Albania e di far sapere che se l'insur-
rezione avesse luogo, anche egli sarebbe accorso sul
campo dell'azione.
Ma mentre un Gomitalo ellenico era dietro ad orga-
nizzai'e uri movimento sulla fi-ontiera Epirota, l'inter-
Tento delle potenze anche questa volta intimava alla
Grecia di spegnerò il movimento nel suo nascere, e i vo-
lontari italiani dovettero rimpati'iare.
Nel 1875, Mico Liubitiratìc, un eroe Erzegovese —
le stesso che col Vucalovich sì era mantenuto in guerra
per l'indipendenza nel 1862 riportando segnalate vit-
torie — tali da destare F universale ammirazione e da
obbligare il governo ottomano a segnare in Ragusa un
trattato favorevole all'Erzegovina, (trattato i cui patti non
furono poi rispettati) — aveva ripreso le armi e indi-
rizzava un fiero proclama alla gioventù di tutte le na-
zioni, perche rispondesse al suo appello, Garibaldi al-
zava anche esso la sua voce in favore dell'Erzegovina
colle seguenti parole :
444
A Liubìbratic ed al suoi gloriosi compagni 1
« Miei cari amici,
< Voi vi siete assuncì una difficile missione, ma
bella, superba, santa; quella dell'emancipazione degli
Slavi dalla più atroce delle tirannidi.
« Io vi invidio e giammai tanto mi pesarono gii anni
come oggi, che non posso dividere con voi glorie e pe-
rigli.
< Già m' indirizzai a tutte le popolazioni che lan-
guono sotto il giogo ottomano perchè si sollevino e non
dispero di vedere raggiungere la vostra bandiera dai
prodi che contano nella loro storia i Leonidas, gli Spar-
tachi e gU Scanderberg.
« Il vostro divisamento di sostenere la guerra di
partigiani durante l'inverno, lo credo il migliore; l'av-
venire è vostro. Qualunque uomo che non sia un per-
verso farà sua la causa vostra e come noi palpiterà di
gioia al vostro glorioso trionfo ».
Roma, 29 ottobre 1875.
Vostro
G. Garibaldi.
Al patriota esule triestino, presidente del Comitato,
per gl'insorti erzegovini, scrìveva cosi:
« Mio caro Popovich,
« Ove rimanesse un insorto solo nell' Erzegovina,
bisogna aiutarlo.
« Io spero che Lìubibratic e compagni si soste-
ranno sino alla primavera. Intanto bisogna lavorare per
loro a tutta forza
« Dite ai valorosi del Montenegro ohe il mondo am^
mira il loro eroismo, e fa voti per la grandezza d^l
loro paese, culla di eroi. Salutateli caramente per me ».
Roma, 31 ottobre 1875.
Sempre vostro
Q. Garibaldi
445
E quando ebbe per telegramma i particolari della
di Piva nella quale i Turchi toccarono una
solenne sconfitta, cosi gli scrìveva :
battaglia
« Caro Popovicb,
« I liberi d'ogni psiese europeo esultano per la
slpendìda vittoria deferii eroici figli dell'Erzegovina ori-
entale '.
Boma, 6 novembre 1875.
6. GarUahli,
Non è quindi da meravigliarsi se all'annunzio del-
l'insurrezione di Creta nel 1897 e dell'attitudine del
governo Ellenico di sostenerla colle armi, in Italia, vec-
chi palTioCi e giOTiiui di cuore ardente, sentirono il sa-
crosanto dovere di continuare la g-Ioriosa tradizione
della camicia roasa, quale simbolo di libertà per gli
oppressi.
Per opera dell'insigne patriota Ettore Ferrari^ co»'
diuvato dal colonnello Gattorao, si formò un corpo di
garibaldini. Ma In parte per le difficoltà frapposte dal
Governo Italiano — che per riguardo ai trattati internar
zionali doveva ostacolare l' imbarco dei volontari, —
ma ancor più per le incerfezze delio stesso governo di Gre-
cia, il numero desìi accorsi fu assai limitato. E per pro-
vare che tali incertezze riuscirono demnose alla causa
ellenica, basti il dire — che il generale Menotti Gari-
baldi (col quale si sarebbero accompagnati i cblonnelli
Pais, Elia, Cariolato, Bedischini e tanti e tanti altri che
lo avrebbero seguito da formarne una divisione) tele-
grafato al fratello Ricciotti se doveva partire, riceveva
risposta, che diceva inutile la partenzii, giacché riteneva,
dal modo come si mettevano le cose, che forse egli stesso
sarebbe stalo costretto a fare ritorno in Italia.
Per tutte queste contrarietti si potè solo formare al
444
più presto poasibiift un V iMtLto^'lioiie dì duecento cìn-
quftntft uoiiiiui, c-Jie. comandati d^tl Mereu, furono l primi
a partire per la GrecÌA. Del tstosso del corpo di altri
ottocento uomini, già pronti il generale Ricciotti Gari-
baldi comandante di tutta la Legione, ne fomiaya altri
due battaglioui il 2" e il 3".
Ci volle tqmpo non breve, dopo giuìiti al Pireo e
ad Atene, perchè questi bravi potessero avere le finn-
e il più stretto necessario per un corpo destinato a com-
battere. Finalmente il 7 di ]u;\ggio il Ministro della
guerra partecipava al comandante del corpo garìLifildino
g^enerale Riociotti Garibaldi, l'ordine di marcia.
il giorno 9 la Le5:ioue approdavi; ad Hagia-Marina:
ivi giuufci il y:enerale avvisavei telegrafi carne nte il prin-
cipe Costantino a Domolcos del suo arrivo; questi lo
iuvitn.V(t a raggiungerlo senza ritjirdo. A Domokos la
Legione garibaldina fu postJi, sotto gli ordini del gene-
rale di divisione Mauromicbaelis.
La mattina del 17 raii^glu l'esercito turco, forte di
setttìnmnìila uomini, diviso in cinque divisioni, cou mo-
vimento aggirante attaccava l'esercito greco, di appena
28 mila combattenti.
L'attacco più accanito si svolse nel centro, contro
le trincee iutorno a Domokos, tenute solidamente e con
valore dalle truppe greche comandate dal generale Mau-
romichaelia, che da prode vi lasciava la. vita.
A questo combattimento prese parte il 1" battaglione
garibaldino comandato dal Mereu, che ebbe ben 50 circa
dei suoi valorosi fra morti e feriti. Per la morte del
generale Mauromichaelìs che le comandava, e per il nu-
mero preponderante del nemico, le truppe greclie dopo
447
eroica resistenza dovettei-o abbandonare ]e trincee di
Doniokos.
Da quel momento In battaglia poteva tlii^sì finita,
perchè il principe ereditario, comandante supremo, a
notte fatta metteva tutto il suo esercito in ritirata per
FurcA.
Mentre questo avveniva al centro, airpstrema sinì-'
atra la divisione Mairi Panhà sping^ei'adistaominenti con
l'obiettivo di impossessarsi della strada Koto-Agorinni-
Dereti Moccoluno onde tagliare ai Gre<rl la ritirata; men-
tre col grosso delle sue forze si presentava ad attaccare
la piccola divl&ionc Tertipis che occupava Ealimbeni-
Kasim ir- Amasi ar.
Contro la divisione Hairi Pacha combattevano eroi-
camente il 2" e 3" battagilione dei garibaldini, fiancheg-
giati dalla brava legione Filellenlcii.
Ecco come il generale Riociotti Garibiddi descrivo
il combatti 111 ento .
* Indovinato il piano di attacco del generale Hairi
Paeha, dt'cisi di prendere contittto con le truppe nemiche
in una specie di semivcrcliio rientrante che taceva la
pianura a piò delle toliiue, il cui corno destro era te-
nuto Eiolamente dalla Filellenica ed il àinìstro da alcuni
Euzoni della divisione Tertipia.
« In m^zzo a questo Kuuiìcerchio vi era .una colli-
netta isolabi: e questa era la posizione che io ordinai
d'occupare per tener teista olle masse nemiche ; già. i
tdragliori turchi più avanzati, ne avevano nv^giunte le
falde di destra e di einistra e ac<;ogUevano la (.oniiiju'sa
della nostra colonna con un fuoco asuai bea nutrito. Fer-
mate per un momento le prime compagnie dissi ai miei
bravi poche parole:
446
< Compagni ! rkoriUdèvì che oggi è affidati) a roÌ l'o-
nortì deJìii camicia fìSKCi e la dignità deU'Hali-.i ».
« Queste parole furono accolte con fremito d'entu-
siasmo e Doa ebbi dubbio che queatti terza generazione
di volontari sarebbe stata degna delle precedenti.
« Ordinili a Mcirtinotti, comandante dei 2° batta-
glione, di stendere la 1' compagnia in ordine aperto e
prendere possesso a passo di corsa della collinetta —
obbiettivo del nostro campo d'azione.
« Per fortuna la nostra brava 1' compagnia giunse
sul culmine della collina, che era attraversata da una
Ecogliera di muro a secco, pochi minuti piima dei tur-
chi. Arrivati alla scogliera i nostri aprirono un fuoco
accelerato sul nemico — ma questi a sua volta li ful-
minava con fuoco incrociato.
» In questo momento accadde un fatto il quale fu
inteso djilITtiilia tutta con vero dolore.
« Fra i primi che giunsero euHa cresta della col-
lina vi erano alcuni ufficiali del mio stslo maggiore,
tutti provvisti di fucile. Con essi si trovava il nostro An-
tonio Fratti. Raggiunta che ebbi in pochi minuti la som-
mità, mi sentii dire: Glenerale, Fratti è ferito! Mi ri-
volai al piccolo gruppo ohe si allontanava col ferito, e
chiesi; « Come ata Fratti? Mi fu risposto « è morto >.
« Ne sentii cordoglio vÌTÌssimol
« Povero Fratti! fu destino che dovesse trovare
l' estremo giaciglio là sotto un salice sulla sponda del
Pentamili! »
< Air apparire dei nostri il movimento io avanti
del nemiiw si era arrestato; ma tutto il fuoco lo aveva
concentrato sulla collina ove le Camicie Rosse preisen-
tavano un splendido bersag'lio, tanto che in un momento
ne caddero parecchie.
« Il capitano Capelli comandante della 1* compa-
gnia, mio figlio Beppino ed altri otto o dieci si erano
già slanciati giù dal pendio contro il nemico strapo-
tente ; immediatamente diedi ordine a Mju-tinotti di ab-
U9
bandonare la collina e di correre in sostegno a passo di
carica.
La 2*, 3", 4* compagnia furono spinte avanti in ap-
poggio dei movimento eulla sinistra, e quattro compa-
gnie grecite (3" battaglione comandante Martini), sulla
destra.
« La sezione francese — sotto de Barre — segui
il battaglione italiano ; o la sessione inglese — sotto Erio
Short — si uni al battaglione greco.
« Kamos, greco, mio compagno indivisibile si mise
alla testa dei suoi connazionali, e Mcren sopraggiunto col
resto dei suoi alla testa della nostra destra.
* Alle b pomeridiane atfeiccati rabbiosamente, i Tur-
chi interrompono la loro marcia in avanti, e si fermano
ma il conibattimento contìnua accanito; infine balenano.
si disordinano e volgono in precipitosa ritirata. Un gildo
si leva altitìsimo dalla Legione Filellenica; « Viva i g'a-
rìbaldini ! Viva l'Italia! » da noi si risponde < Viva la
Grecia ». Ben altro ci rimaneva ancora da fare.
«; Bisognava sloggiare i Turclii che si erano trin-
cerati in un altura detta della Madonna. iMontaì a ca-
vallo ; pregai il valoroso capitano Varatassis, coman-
dante la Legione Filellenica, rinia-:ta in poco più di
cento, e il capitano greco Stifiliades che era venuto a
mettere a mia disposizione una compagnia di truppe
regolari, di appoggiare la mia destra, e sostenuti «Ila
sinistra rial 3^ battaglione greco comandato da braTi uffi-
ciali e diretto dal valoroso compagno Ramos, ordinai un
attacco generale alla baionetta. Tutti con slancio ammi-
revole ei avventano ansanti suH'erbi posizione nemic-a;
i Turchi non reggono all'ardito e furioso assivlto, ab-
bandonano la posizione e si mettono in fuga.
* n sole era tramontato — ■ le fucilate erano cessate
— ed anche l'artiglieria taceva — oiinai non vi era da
fare altro che ritornare ai Tillaggì per pernottarvi.
'460
< Le trombe suonarono a raocolta e da tutte le
parti venivano gruppi di camicie rosse gridando avviva
— ebbri tutti di un immenso entusiasmo-
< La prova era superata e splendidamente superata.
« La camicia' rossa ayeva scritto un' altra pagina
non indegna di figurare accanto alle altre gloriose; e
l'Italia nostra poteva andare superba di questa nuova
generazione dei suoi tigli. Avevano combattuto uno con-
tro sette e non erano stati vinti !
« Verso l'una del mattino mi venne l'ordine di ri-
tirarmi per la via dil>anitz a Lamia — e mi si diede
notìzia che tutto l'esercito greco si ritirava >>.
Ma il generale Ricciotti Garibaldi non volle abban-
donare il campo senza .avere raccolti i feriti e formato
un convoglio di trasporti. E prima di tutto volle ren-
dere l'estremo tributo ai caduti e al valoroso compagno
Antonio Fratti dandogli onorata sepoltura sotto ad un
salice vicino al ruscello PentamiU!
Pagato quest'ultimo tributo e mandato l'estremo sa-
luto ai valorosi morti per una santa causa, la colonna
prese la strada di Panaghia.
Cosi fini Ja breve campagna di Grecia del 1897 nella
quale la brava legione onorava anche una volta il nome
italiano tenendo alto il prestìgio della Camicia rossa.
CAPITOLO xxxm.
Orrendo misfatto 9 morte df Umberto t°
Come un fulmine un gravissimo lutto colpiva im-
provvisamente r Italia tutta.
Il 29 luglio del 1900 — giorno nefasto — il mondo
esterefatto udiva l' orrìbile notizia. A Monza, moriva
assassinato da belva umana Umberto F Re d'Italia —
451
'il Re che amava il popolo suo come il padre 11 più amo-
roso I il più benefico!
Cbi può ricordare senza fremere U data dellii sera
infame nella quale Umberto di Savoia — forma idenle
dibonU'i — iri mezzo ad una festa di popolo alla quale
fidente aveva voluto prendere parte — a tradimento
— fra le ombre notÈuroe — venÌTa ucciso dall' arma
parric-ida d'un italiano? Fu il più grande misfatto che
tigre sititionda di sangue potesse perpeti-are !
Umberto F nel morire deve avere pensato — Oh !
quanto meglio sarebbe jitato cadere tra il fragore delle
armi e lo squillar delle trombe nel 186ij — quando fra
i suoi valorosi soldati combiitteva da eroe nella disgra-
ziata ma pur gloriosa giornata di Cu&toza ; sarebbe morto
sul campo combattendo in difesa della libertà e per la
unità della patria col pensiero rivolto alle terre italiane
irredente —, seuipre Udenti!
Incancellabile durerà in tutta Italia il ricordo del-
l'eeecraiido delitto — e il popolo che vivo l'amò tanto
— sentirà sempre che il ricordo di Lui iV>rma ormai la
parte più cara della sua coBcienza.
« Date liierime ed onori alla sua sacra memoria ».
Questo fu il Vostro voto Sire! quando saliste sul
trono del Padre della Patria e di Umberto I il Re Buono
■ — e il popolo come una eco alle parole de! Vostro cuore
addolorato — spinto da sentimento unanime — glori-
ficando la memoria del Re estinto, fece nel tempo stesso
solenne aftcrniazione plebiscitaria di affetto per Voi Ema-
nuele III nostro Re e per la Voatra Ciisa.
E le dimostrazioni di vivo rimpianto di tutto un
popolo, aia per Voi — Regina Margherita — = tanto amata
452
,dal lacrimato Re — tanto adorata dalla Nazione — di
conforto al Vostro cuore d'italiana, di sposa e di madre.
L'Italia Ti ha conBacrata alla sua venerazione!
*
a •
Questo è il primo ordine del giorno col quale S. M.
il Re Vittorio Emanuele III manifestava all' esercito i
suoi sentimenti patriottici e civili in occasione della sua
assunzione al trono.
Ufficiali, sott'uffìciali e soldati
dell'Esercito e dell'Armata!
« L'intiero mondo civile ha udito con indignazione
la tragica fine del compianto mio genitore.
« Il dolore della Nazione si è cerbimente ripercosso
nei vostri cuori di buoni e fedeli soldati. In questo
momento il mio pensiero si rivolge fidente a voi tutti,
certo che riporterete su di me l'affetto col quale cir-
condavate il Re Umberto, atfetto che, seguendo l'esempio
paterno, con cuore di soldato, io vi ricambio.
«E con -voi il mio pensiero si rivolge ai vostri
compagni, che in Creta, nell'Eritrea ed in Cina mo-
strando le tradizionali qualità di soldati italiani, tengono
alta la gloriosa bandiera nazionale simbolo della gran-
dezza e dell'unità della nostra patria ».
Da Monza T agosto 1900.
Vittorio Emanuele III.
*
* *
Ecco come si commemorava alla Camera dei De-
putati la morte di S. M. Umberto I Re d'Italia.
465
H giorno 6 agosto il presidente onorevoie Villn —
-dava partecipazione all:i. Camera deiresecrjinJo delitto
collo seguenti: parole che tutti i deputati profondamente
commossi ascoltavano in piedi:
« Onorevoli colleghi!
Umberto I, l'amalo nOBtro Re, non è più ! La mimo
sacrilega di un assassino si ò levata su lui e \h n\ Monza,
in mezzo al popolo che lo salutava plaudente con le più
schiette manifeatazioDi della gratitudine e delTaftetto, ne
spezzava freddamente il cuore.
« Non la mia povera parola varrelibe oggi a dfrvi
della immane sventura che (?i lia colpiti ; uon io saprei
degnamente evocare dinanzi agli ocuhi del cuore, im-
pietrito dal dolore, l' imraag^ine del Re barbaramente as-
sassinato ; non io potrei dirvi di questo gran m.iirtire
della carità, che l'odio settario ha, nel suo inaaziabilo
-istinto di rovine e di sangue vigliaccamente sacrificato.
(Benìssimo .')
« No !... Ma io sento che parla per me la voce di
tutto un popolo che lo amava {Benhiimo!) e Io benediva ;
di un popolo intero che da^jli alti palazzi, come dai più
umili casolari, dai più remoti augoli del paese, dalle of-
ficine e dai campi, si leva esterrefatto Ira le Iaj,'rime e
le preghiere e nell'impeto delle sante ire maledice ai
sicari. {Vtàssinm appnwazioni).
« No!... Ma io sento che echeggia qui nel cuore di
tutti noi la voce immensa di tutto il mondo civile che,
piangendo desolato e concorde la caduta di un Eroe vil-
mente fulminato da un assassino, solleva un j;rido dì
esecrfizione e di allarme contro quel cosmopolitismo fe-
roce e sau^'ulnario che, caJpebtaiido ogni alta idealità
456
dell» Tita umana e ponendosi in aperta rivolta contro-
ogni santa manifestazione della carità e dell'amore, uod
sì arresta neppure dinnanzi al porriddio. {Vivissime ^lp-
provazioni).
€ No, io sento raccolta qui negli animi nostri la
parola dolcissima di quella grande Addolorata che, dopo
di aver portato nella Keggia il fascino della grazia e
della bontà, dà oggi nelle veglie del dolore l'esempio
di una forza e di una virtù ammirande; {Vivissime ap-
provazioni — prolungati applausi) non dimentica mai, fra
le angoseie dell' anima, né dei doveri di miwìre, né di
quelli che la stringono alla nazione che essa ama, e
dalla quale è riamata, e non invocando da Dio che la
grazia suprema della rassegnazione. {Benissimo!)
« Era buono... non fece mai male a nessuno. È il più
gran delitto del secolo.' E in queste parole che proruppero
dal cuore della donna e della Regina, è la sintesi do-
lorosa e solenne di quella terribile tragedia, che ebbe
il suo epilogo nella notte tìitale del 29 luglio. (Bravo .')
*
• #
« Era buono. Si, buono di quella bontà che è il com-
pendìo di tutte le virtù; di quella bontà che riunisce
e rispecchia le più eminenti doti dell' intelletto e del
cuore in tutti i rapporti della vita morale e civile. {Be-
nissimo !)
*
« Era buono ; e lo provò prima ancora dì assumere
le alte responsabilità della Corona, conformando tutt*
la sua vita alle austere discipline del dov«:e, assecon-
-dando con sentimento di devozione la volontà del padre,
-s^uendone fedele gli esempi e avventurando la. vita
-COTI lui e eoi fratello' sui tarapi di Lombardia per la
-carata italiana. {Baniminio! Bravo!)
« Io non ambisco — cosi Egli diceva ai rappresen-
tmei della Nazione, noU'attcv di cingere la Corona ; Io
BOB ambisco che nieritftre questa lode: EctLI it deriìo
DEL m»BE *. E nella oTnerica semplicità di queste parole
Egli scolpiva tucto ranimo suo. {Ai^oì>azioni\
«: Era buono; e lo provò durante i veiuidiie anni di
regno, non ismentendo mai quella che fu la costante
preoccupazione di tuttala sua vita; di mantenere, cioè,
fede rigorosa alle istituzioni. Re costituzionale, egli non
si lasciò mai sedurre dal pensiero di potersi in qualche
modo porre in. contriisto con quell'indirizzo di Governo
che gli poteva essere segnato dalla volontà della na-
zione. Reli.cioso osservatore iella legge, egli sentiva tutJi
i doveri che sì impongono al Sovrano nell'atto ufficio
■che gli è affidato, di essere moderatore imparziale fra
l'urto dei partiti che intendono n fecondare con nuovi
elementi l'attività politica ed economica dello Stato. Piis-
sarono sopra di noi turbini e procelle spaventose; gravi
sventure colpirono il cuore della nazione, egli non di-
sperò mai della patria; nèdubiiò mai della virtù italiana:
ma richiamando serenamente il paese alla coscienza della
sua forza e al culto della libertà, proclamò sempre la sua
lede costante nelle Istituzioni « essere e^ise la mittii/twrffiu
contro ogni pericolo; in esue la prosperità e la (frimdezza deìla
patria ». (Vivisaime approtazifmi — Vmi e protjt nyali ap-
pianai).
* Nùn fece mai dd male a nessuno. E come lo avrebbe
potuto? Egli passò beneficando. Non fu pubblica sventura
nella quale egli non abbia saputo manifestale tutto l'ine-
sauribìitì tesoro di bontà che aveva nel cuore. Lo vedete
impavido in mezzo ai pericoli, affrontare la tcrribne ma-
45S
Iflttia quando é più fìtta rec!itoral>e (Ielle vite e più fler»
l'iraperveryaro del flagello; impaziente sempre di giun-
gere tin i primi a portare uhh parola di conforto e un
socMrso ai derelitti colpiti dalla sciagura. Non vi è mi-
seria alla^ qUAle egli non sappia apprestare un riparo.
Negli asili come nogli ospedali egli accorre colla coficienza
di dover adempiere ad un dovere di umanità e con la
stessa fede coti cui vi accoirre una suora di carità.
« To pcrrò vegli ujiiiH la 'jloria dd mio regna. Con
queste parole egli riassumeva tutto il mio cuore, tutto
lo scopo al quale avrebbe desiderato fossero rivolte le
cure del Governo; l'ìnteuto sommo che egli sperava di
poter raggiungere. E lo provava accordando largo con-
corso di sovvenzioni ad Istituti di previdenza, Caase di
lavoro, Associazioni cooperative, ogni opera diretta ad
allie\'arc If- ucceseiLii dei più umili. Lo provava mo-
strandosi sempre devoto alla causa degli operai, mesco-
landosi con questi con confidente famigliaritti; mostrando
la più vivji bollecitudine per i loro interessi e per
quelli delle Joro famiglie; avendo per tutti una stretta
di mano, Juna parola amica, un sorrìso che infondeva
in ogni cuore un sentimento dì fiducia e dì ossequio.
« Era buono e non di meno vi fu chi ha potuto con-
cepire)il truce pensiero di farne scempio!
« E vi è staio chi ha potuto freddamente, roteare
sopra quel petto, sul quale brillavano le insegne del va-
lore, ì tre colpi mortali !
« EtìTu clii pensò di scegliere con ributtante audacia
teatro dell'opera scellerata ed infame quello stessa
459
luogo e quell'ora etesaa, in cui il plauso popolare salu-
tava il Re buonoj leale e generoBo ; conculcando l'au-
torità sovrana ed insultando ad un tempo l'affetto po-
polai'e {Twi e proiuitgaii appluffi).
<t È il pih gran delitto dal Secolo. Sì: è la brutale
malvagità che, mentre sfoga il suo istinto di sangue di-
struggendo la più nobile delle esistenze conculca nel
tempo atesso la più alta perso ni ftcaziono dell'autorità della
legge, della tnaesti't della nazione, del diritto sociale, della
giustizia, e insulta ad un tempo il sentimento popolare
nella pili elevata sua manifestazione. (^Vicì e in'ohtngati
applausi).
« È la brutale malvagità alimeniata ed ordinata a
sistema contro ogni ordine sociale : distruggere per di-
struggere. Lusinganti torso ì dissennnti, di poter con le
loro opere di sangue attentare a quella grande espres-
sione di forza che è la Monarchia italiana; ed offendere
quel prezioso coacervo di volontà, di aspirazioni, di
energie che ó rapprosentiUo dalla Dinastia di Savoia?
{Vive approvazióni).
<( Mo ; il Re nnn muore {Pvnhwgafi iippinimi e gridìi
ripetute di: Viva il Re !) e il sangue dei miuniri fortifica
la fede dei superstiti. {Prùluagatì (tppiausi).
•, Il Re non muore; Umberto rivive nel tiglio suo.
Vittorio Emanuele III raccoglie la Corona insanguinata
per continuare imperterrito e con la stessa fede tiuella
nùBsione di pace a di giustizia, che l'Augusto suo Gè-
460
nitore si era prefisso. ( Vive appromazhm). Contro questa
l^ge indefettibile, della continuità giuridica e morale
della Monarchia, che hi coscienza del popolo ha con toi-
rabile concordia riconosciuta, non vi è opera di sètte,
non vi è opera di violenti che possa prevalere. {Vivi
e profungati applmixi — grida ripetute di: Viva il Re!)
* »
« Grandi doveri però c'incombono, ai quali la nostra
coscienza non può mancare. Noi sentiamo che la vita
morale della Nazione è turbata, da dissesti morbosi ; noi
sentiamo che vi e nell'organismo sociale qualche cosa
che fallisce alla regolarità e sincerità delle sue funzioni.
Al più grande dei delitti del secolo, perpetrato su di
una pubblica piazza assiepati di popolo e contro la più
nobile delle vite, si collegano responsabihtà morali più
o meno dirette, più o meno prossime che possono di-
pendere dagli imperfetti organismi della nostra vita giu-
ridica ed amministrativa.j('T7(!e approvazioni).
« Bisogna richiamare il paese all'osservanza rigorosa
della legge. {Vive approvazioni — applausi). Bisogna mo-
dificare, correggere i nostri istituti educativi, tar pene-
trare nelle masse il sentimento del dovere; richiamarle
agli alti ideali della patria e della famiglia ; dare a tutti
e in tutto quella giustizia che è il supremo bisogno dei
popoli. {Applausi unanimi e prolungati).
* #
« Con questi intendimenti raccogliamoci attorno al
giovine Re sul quale l'occhio del padre e della madre po-
savansì con tanto affetto e che sollevando la bandiera
abbrunata della patria, intende con animo sicuro verso
la meta segnatagli dal padre e dalle tradizioni della sua
Casa. Raccogliamoci attorno ad esso al grido di : Viva
il Re {Vivi e prolungati applausi, — grida di : Viva il Re!)
461
Qué&to grido che mi prorompe dall'animo è l'espressione
più pura dell'unità della patiia, la mnnifestiizìone più
alEa della sua forza morale e della maesUi- G della gmii-
deazft del noiiitì ìuliano, purificati da ogni eoiurasto re-
gionale. Da qui l'avreDlre della patria, da qui l'espia-
zione, che darà la pace alle nostre coscienze e al pneae
la sua unità morale e la coscienza della sua miseioiie.
■{Àpplutisi generali e proitingaii. — Grida ripeitiin dì ; Viva
il Re!)
Così parlava l'onorevole Saracco, presidente del Con-
siglio, ministro dell'interno:
« Sig-nori deputati!
< Mi onoro di annunziare alla Cfiniera, che S. M. Il
Re. con decreto del 2 agosto, ha coaferraato ine nell'uf-
ciò di presidente del Consiglio, ministro dell'interno, e
i miei coìleghì nelle loro rispettive funzioni. Spetta perciò
a me di compiore il mestissimo ufficio di associarmi, in
nome del (JovernOpai sentimenti d' indignazione e di do-
lore, eaprossì con rara eloquenza dal vostro degno pre-
sidente,
« Mi associo a questi sentimenti coll'aninio più che
con le parole; le quali non bastano a significare la
commozione profonda e il cordoglio che mi strazia.
« Io, chd vidi le origini del nuovo Regno, o presi
parte a tutte le vicende fortunate, per cui il piccolo Pie-
inonte si trasformò nella Grande Patria Itoliana, non
avrei mai creduto di viver tanto per assistere alla sti*age
del mio Re. {Bravo! Bene!)
*\
* Ciò che più mi cruccia é il pensiero che la sua
vita preziosissima fu troncata dalla mano d' italiano.
{Hrafo! — Approcazìnnì)
462
' « Se la maledizione del popolo non avesse raggiunta
il parricidti, se non gli pendeBse inesorabile sul capo la
maledizione di Dio e di tutto il inondo civile, vorrei
anch' io, con le lagrime negli occhi e con lo sdegno nel
cuore, esecrare e maledire questa belva in figura d'uomo.
{Benissimo! — Vive apprwazioiii).
« Ma debbo far forza a me stesso e, come capo del
Governo, imporre freno all'indignazione che mi trabocca
dall'animo, imitando l'esempio di forte serenità che ci
viene dall'Augusto Successore.
#
« Raccolti nel dolore, prostriamoci innanzi al feretro
del Re leale, buono e generoso, soldato per la patria e
per l'umanità, del Re che riassumeva le virtù civili
e militari della sua eroica stirpe ; del Re che fu sempre
fortunato interprete dei sentimenti e delle aspirazioni
del suo popolo, cui lascia tanta e cosi larga eredità di
affetti.
*
« L'universale compianto che lo accompagna nel
sepolcro è il giusto premio di una vita tutta spesa nello-
adempimento del dovere e dedicata al benessere ed alla
felicità, del suo popolo.
« La fine crudele toccata al più giusto al più umano-
dei Sovrani deve ispirarci gravi riflessioni e suscitare
virili propositi.
« Di fronte alla frequenza di cosi mostruosi e bru-
tali delitti che, senza odio e senza motivo, prendono di
mira le più innocenti e le più elevate esistenze; di
fronte alle minaccie incalzanti e feroci di una classe
di degenerati senza patria, senza umanità e senza Dìo;.
463
[Benìssìmf}! — Vivissime approvazioni) che sognano di
rinnovare !a BocLetói seppeiìondola sotto le sue rovine;
in mezzo ii tanto agliai-si di tnalsnue passioni e di ap-
petiti sfrenati, che avveleuano l'amliente e turbaao la
pubblica coscienza, non è lecito ni Governo rimanere
impassibile; {Benmìmo! — Brami) non potete restare
impassibili voi, onorevoli deputati, cui sono connesse le
sorti di una cosi nobile e civile nazione, grande nei suoi
slanci patriottici, generosa e cavalleresC'fl nei suoi sen-
timenti. {Bene!)
« Non è possìbile che nel seno dì questo bel paese
cOBtinui a fecondarsi il reo seme che ha dato frutti cotd.
funesti e ne prepara di peggiori per l'avvenire. (Renis-
ainiQ .')
« Tutti coloro che, come noi, son convinti esfsere la
Monarchia la sola forza con la quale il nostro paese può
tenersi unito e prosperare, {Beìtìasbno!) hanno l'obbligo
ài stringertìi insieme per studiare e per preparare i mezzi
acconci a prevenire le funeste esplosioni di un fanatì-
srao cieco, che minacciano il ritorno di una barbarla
nuova e senza nome [Appmvaztoni).
« È questo il compito che i nuovi pericoli impong^ono
al Governo ed al Pai-lamento, consci della loro missione
e solleciti dell'onore, della sicurezza e dell'avvenire del
paese, {iknfusimo!).
« Dopo mezzo secolo di vita politica, attraverso
tante vicende, non ho miii penluta la fede nei benefizi
della libt-rt-ji, clie fu la leva del nostro risorgimento e
la pietra angolare del nostro Kcgno ; (/fefl/.Wmf) /) ma,,
per assicurarla e garantirla, occorre impedire con mano
ferma ed energica che nell'ombra e sotto il pretesto
della libertii sì sovvertano gli ordini dello Stato. {Benis'
404
Mmo — Vivi applami !} e si mettano in serio pericolo le
c(Hiquiste della civiltà e del progresso. {Bemasimo!)
•%
« L'immenaa sventura che ci strappa cosi amare
lacrime, aia per noi un salutare lavacro che purifichi
gli spiriti e unisca gli animi alla comune (^fesa.
€ Sarà questo l'omaggio più degno che possiamo ren-
dere alla venerata memoria del compianto Sovrano ed
il saluto augurale all'Augusto Successore che, giovane
ed animoso, seguita sul trono le orme luminose del Pa-
dre e dei suoi Grandi Avi.
«
» *
« I vecchi hanno data una Patria e un glorioso re-
taggio da custodire ; spetta a voi giovani di conservarlo
ed accrescerlo con la fede robusta, collo spirito di sa-
crifizio e coi sentimento di solidarietà, che levarono l'I-
talia alla presente fortuna. {Benissimo! — Viveapprova-
zioni Vide prolungati applausi). »
II presidente della Camera dà poi comunicazione dei
seguenti telegrammi.
« *
Monsieur le Président,
Profondément ému par le crime execrable qui met
en deuil l'Italie et le monde civilisé, je prie Votre Ex-
cellence d'agréer l'expression de mes plus vives sympat-
thies. Je suis sttr d'étre l'interprete des sentiments de
mes coUegues en vous adressant le temoignage de no-
tre tristesse. Les deux nations se sentent unies une fois
465
de plus par les nieraes douleurs. — Paul Deschanel. »
— {VÌBÌsttiini e prolungati applausi).
« L'Union Interparlemen taire pour l'arbitrage iuter-
national et la paix réunie en conference à Paria, s'asao-
cianG ali deuil de la natica Itiilienue et protestant avec
indignatlon contre l'odieus actetitat dont Roi Humbert
a été TÌctime, a l'honneur d'offerir a Monsieur le Pré-
sident de la Chambre dea Députés rbomiuage respectueux
de ses sincéres cofldoleancea. — Le Président de la Con-
ference, Faillieres, Président du Senat. > — (Applausi).
« Profondément émus du deuil qui frappe l'Italie,
nous vous envoyons nos compii ments do condoléan<'e
et bien douloureuso eympathie au nom de l'Union des
Commissaires étrangers — Robert Raffalovich Asbeck
Spearman. » — {Bemf)
« Le ci'ime abomìnable qui plorile en deuil l'iinia-
Tiitè entìère m'a cause une grande douleur. Sur d'ètre le
fldèle interprete de ces mèmes sentlmentg dfi tous mea
collègues, j'esprime à Votre Excellence nos sympathies
et l'assurance de le part immense que nous prenons
daus Ih douleur de tont la nation italienne. — letcho
BakalofF Président de la Ctiambre dea Députés de Bul-
garie. » — {Bene!)
X Dopo aver ascoltate le seguenti parole pronunciate
nella seduta d'oggi, la Camera che ho l'onore di presie-
dere ha deliberato che esse siano trasmesse a V. E. come
46S
fedele espressione dei suoi sentimeiiti, nonché dì quelli
della nazione Argentina :
V. Signori deputati ! Il telegrafo annuncia che Sua
Maestà Umberto I, il virtuoso e magnanimo Re d'Italia
cadde vilmente assassinato. Credo rendermi fedele in-
terprete dei sentimenti della Camera dei deputati della
Nazione Argentina esecrando il barbaro attentato che
deve essere energicamente riprovato da tutti i popoli
civili del mondo in omaggio alla memoria dell' illustre
Re, che fu sicuro e costante amico della nostra patria.
« In considerazione del dolore che grava sul nostro
Spirito per la perdita che ha sofferto la nobile nazione
italiana e quella parte del suoi sudditi che abitano il
nostro paese e. che in fraterna unione con noi lavora
alla sua prosperità e al suo ingrandimento propongo si
levi la seduta. »
« Saluto Lei, signor presidente, con la più distinta
considerazione. ■— Marco Avellaneda, presidente; Ales-
sandro Sorondo, segretario ». (Vivisgimi applausi).
*
* *
« La Camera dei deputati del Brasile, profondamente
commossa per il luttuoso avvenimento di cui fu vittima
il Re Umberto, associandosi al dolore che ha ferito il
cuore del popolo italiano, votò una mozione di compianto
sospendendo le sue sedute, e presenta le sue condo-
glianze. — Carlos Vaz Mello, presidente della Camera >.
— {Approvazioni),
* *
« La Camera dei deputati del Perù si associa al
dolore del Parlamento italiano per l' assassinio del Re
Umberto. — Carlos de Pierola, deputato-presidente ».
i^Bene!).
m
« La Camera dei deputati del Chili ha deliberato
esprimere a codesta Camera, per mezzo di Vostra Ec-
cellenza, il suo dolore per la disgrazia ohe affligge la
nazione italiana. — Carlos Palecios, presidente ; Rafael
Brako, segretario ». — {Sene!).
« Id nome parLito Indipendenza Ungherese costi-
tuito, e della Opposizione Parlamentare esprimo profondo
dolore perdita impareggiabile Ke e nobilissimo uomo,
augiii-ando felicità nazione italiana. — Francesco Kos-
suth, presidente». — [Vivhisifui applaudii).
Da ogni parte del mondo pervennero telegrammi
d'esecrazione per l'orrendo misfatto e di vive simpatie
per l'Italia.
L' 11 ngo3to 1900 dopo aver dato il giuramonto
prescritto dall'alt. 22 dello Statuto del Regno S. M. il
He Vittorio Emanuele IH pronunziava alle Camere ria-
nìte iu Senato il seguente dlscoreo :
Signori Senatori, Signor/ Deputati!
a II Mio primo pensiero è pel Mio popolo, ed è
pensiero di amore e di gratitudine.
« n popolo che ha pianto sul feretro del suo Re;
■che aRettuoao e fidente si é stretto intorno alla Mia
Persona, lia dimostrato quali salde radici abbia nel Paese
la Monai'cUia liberale {Appliiti.ti fragorosi — grida di Vioa
il He!)
t Da questo plebiscito di dolore tragg^o i migliori
auspici del Mio Regno,
466
« La nota nobile e pietosa, che sgorgò spontanea
dall'anima della Nazione all'annunzio del tragico evento.
Hi dice, che vibra ancora nel cuore degli Italiani la voce
del patriottismo, che inspirò in ogni tempo miracoli di
valore (Applattsi). Sono orgoglioso di poterla raccogliere.
« Quando un popolo ba scrìtto nel libro delia Stoiia.
una pagina come quella del nostro Kisorgimento, ba di-
ritto dì tenere alta la fronte e di mirare alle più grandi
idealità {Applaudi). Ed è a fronte alta, e mirando alle più
grandi idealità, che Mi consacro al Mio Paese con tutta
l'eflPusione ed il vigore di cui Mi sento capace {Applausi,
con tutta la forza che Mi danno gli esempi e le tradi-
zioni della Mia Casa {Applausi vivissimiy.
t Sacra fu la parola del Magnanimo Carlo Alberto^
che largì la libertà: sacra quella ilei Mio Grande Avo,
che compi 1' unità d' Italia. Sacra altresì la parola del
Mìo Augusto Genitore, che in tutti gli atti della sua
vita, si mostrò degno erede delle virtù del Padre della
Patria (^Vivissimi e prolungati applausi — grida di Vitxi
il Rei Viva Casa Savoja!)
< All'opera del Mio Genitore diede ausilio, ed ag-
giunse grazia e splendore quella della Mia Augusta e
Venerata Genitrice, {Lunga ovazione e grida di Viva la
Regina Marijkerita) che Mi istillò nel cuore e Mi impresse
nella mente i sentimento del dovere di Principe e di
Italiano {Applatm vivissimi). Cosi all'opera Mia si aggiun-
gerà quella della Mìa Augusta Consorte, che nata an-
ch'Essa da forte prosapir.. sì dedicherà intieramente alla
Sua PaU'ia di elezione. {Applami ripetuti e grida di Vica
la Begiìia).
« Dell' amicizia di tutte le Potenze abbiamo avuta
eloquente prova nella partecipazione al Nostro lutto col-
r intervento di Augusti Principi e di Illustri Rappi'e-
sentanU; (Applausi), ed Io mi dichiaro a tutte profonda-
mente grato.
« L'Italia fu sempre efficace strumento di concordia,,
e tale sarà altresì durante il Mio Regno, nel fine co-
mune della conservazione della pace. {Approvazioni).
469
ic Ma non basta la pace esteriore. A noi bisogna la
pace interntl, {VÌPÌ e p-of ungati applausi ~ grida di Vìca
il Sejf e la concordia di tutti gli Liomini di buon vo-
lere, per isvolgere le nostre forze intellettuali p le no-
stre energie economiche. (Approvasioni).
« Ediichiamr» le iiofrtre generiixioiii al mito della
Fatria (Apjìwvmioiìi), iiironest^i operositii, al sentimento
dell'onore {Btìnlstfimo!); a quel sentimeato acuì s'itispi-
rano con tanto slancio il Nostro Esercito e la nòstra
Armata (Applafcsl pi'alttìi/{a(ì — grida di T'jrcf VEnvivifo,
Vita rArmata), che vengono dal popolo e sono pegno-
dì fratellanza, che cong'iunge ne 11' unita e nel!' umore
dellfi Pittria tutta intiera la Famiglia Italiana. {L'su'jh-e
e pi-Qhinijaii'. oeitzioni).
« Ractogliaraoci e difendiamoci con la sapienzn delle
leg:gi e colUi rigorosa loro ;ipplÌraj;ione (Ap/'htm rhù'
gimi). Monarchia e Parlamento procedano solidali ìli que-
st'opera salutare. {Benkstmof)
Signori Senatori, Signori Deputata
LI Impavido e securo a-scendo al Trono {Owsiojie
litnfjhiiiHimn; grilla ripetuU di Vini il iie)cQì\ la cotjeienza
de' Miei diritti e doveri di Ke {Triplice Mita di applaudi).
<t È necessario vigilare e spieg;ire tutte, le forae vive,
per conservare intatte !e grandi conquitite dell' utut*i e
della libertii {Appiaud). Non mancherà mai in Me Ut
più serena lìducia nei nostri liberali ordinamenti {Ap-
plausi), e non Mi maneherà la forte iniziativa e la ener-
gia deiraziono {Gmnile orazione e grida ripdiite di Viva
il Re), per difendere vigoros^imcnte le gloriose Istitu-
zioni del Paese, retaggio prezioso dei Nostri maggiori [i-i^-
provitsiiiid).
t! Cresciuto nell'iimore della Religione e della Patria,
invoco Dio in teritimoniu dell» mia promessa, (Triplice
aaivti di npplmmi t gr'ithi di Viva i/ He!) che da oj:gi in.
poi il Mio cuore, la Mia meuie, la Mia vita olirò alla
grandezza ed alla prosperità della Patria ». {Ltintjn ovn-
31.
470
licne che dura per parecchi minuti e grida ripetute di
Viva il He, Viva la Reyinay F/cn Ca»a Savoia).
Parole esprimenti alti sentimenli patriottici degne
del discendente dell' Avo immortule — D Padre della
Patria — e del Re Buono suo magnanirao genitore Um-
berto I.
Giunto alla fine di questi ricordi che sono una eco
dì storia ripercuotentesi intorno a me — e che riasBu-
mono pagine di vitji vissuta nelle grandi ore per la li-
hertìL della patria — si affollano alla mente mia le sem-
bianze care e gtoriose di tutti ì compari dei giorni
eroici e lontani — le immagini dei pochi superstiti —
dei molti e molti morti — dei saliti in alto sulle cime
della rinomanza — degli umili rimasti oscuri, non ostante
il sacrifizio del sangue e l'altezza divina del sogno !
Amici, compagni, sacre legioni di combattenti — come
appaiono lontani i tempi nei quali vibrava cosi piena,
cosi fulgente, cosi feconda la giovinezza dei nostri cuori
e la visione bella dell'Italia sorgente I Quanto appaiono
lontani 1 e come erano diversi da quelli d'ora.
Eppure anche oggi non mancano alti e nobili ideali
che s'impongono alla mente ed al cuore delle nuove
generazioni!
Per noi, vecchi — nessuna cosa quaggiù, fu più cara
della patria 1 neppur la famiglia che è pur tanta parte
di noi stessi.
L'Italia — una — indipendente — forte — fu il
nostro ideale — e nessun sacrifizio ci parve abbastanza
grande perchè questo ideale fosse raggiunto.
E Voi, gioì?ani, non sarete da meno dei padri vo-
stri; come noi, voi pure sentite nell'animo agitarsi pre-
49t
potente Tatnore della patria — voi pure sentite che la
terra sacra a cui natura pose i confini, che Dante scolpi
nel verso immortale molto aspetta da Voi.
Voi sentite che dal monte e dal mare sospirano
cuori di fratelli, inTocanti libertà di lingua, di costumi
e di poseien2a e comprendete che non è piccolo ideale
il completare la grand'opera che fu cementata col san-
gue dei padri vostri!
Co! progredire dei tempi è giusto che nuovi pro-
blemi si agitino; che nuove correnti siano determinate
dalla forza e dalla fede dei giovani ^ ma ciò deve rag-
jjiungei'si senza rinnegure quello che è fondamento alla
vita delle N;t2Ì0DÌ: la custodia gelosa delle coiiquiste fatte,
la forza per consolidarle ed espanderle, l'autorità sem-
pre ferma contro coloro che in un campo o nell'altro
cercano minare la sicurezza della, patria e diminuirne
il sentimento e la dignità.
0 giovani, Credetelo ! I grandi problemi sociali non
ai risolvono con l'appello all'odio, allo ire, alle malva-
gità; state in guardia contro chi questo avesse a consigliai'-
vi — sono consigli dannosi alla patria ed a. voi stessi —
e men che degni di chi è vero amico del popolo -^
giacché, siatene certi — non è con la lotta continua,
ma con la concordia che si potrà ottenere il continuo e
progressivo miglioramento morale e materiale dei meno
favoriti dalla fortuna.
0 giovani, i vostri padri vi hanno dato una patria
che dalle brutture dell' oppressione, e della tirannìa, in
breve volgere d'anni è giunta a tale altezza da meritare
le maggiori considerazioni fra i popoli civili.
Ispirandovi all'esempio del passato, attingendo sem-
pre maggior fiducia nella giovinezza del paese, personi-
ficntji ncll.i giovinezza del Re, a cui l'età ha concesso la
472
provvida vigorìa degli impulsi rinnovatori, e il carattere
e l'intelletto hanno dato la saggezza e la maturità che
affida, non avete che a serrarvi intorno a lui, sicuri che
Egli condurrà, la patria verso gloriosi destini.
Stringetevi, o giovani intorno al Re Vittorio Ema-
nuele IH che, raccolta la Corona nel sangue paterno,
seppe far scaturire dal cuore e dalla volontà Sua tanta
luce di nobili propositi, t:xnta fiamma di affetti generosi,
tanta coscienza della tradizione storica e dell'ufficio che
i nuovi tempi domandano !
Ciò facendo contribuirete all'attuazione del concetto
tanto sognato e desiderato dalla gi'and' anima di Gari-
baldi, quello di « un Re capo della democrazia » col
proposito di volere l'Italia grande per unanime consenso,
felice, amata e rispettata da tutti.
Con tale sentimento nobilissimo —stringetevi o gio-
vani tutti concordi sotto la santa bandiera della patria —
e fate vi sia scritto;
« Italia una, libera, grande e felice, per volere di po-
polo e di Re, per bontà di leggi e di costumi, fino ai
confini che la natura le ha segnati ».
*
* •
Questo colla pace dell'ai di là, è il voto della ge-
nerazione morente alla quale non sorride, che la spe-
ranza nei fièli, che debbono amare la patria, che noi
adorammo e sogneremo in perpetua vittoria, fin negli
estremi riposi.
E ora, a Voi, vecchi compagni d'armi, dei quali ho
fugacemente e troppo modestamente riassunti i ricordi
e gli ideali, il saluto mia pieno di amore e di venera-
zione.
FINE
INDICE
<'ai'Itolo I. — Garibaldi in America l'ag. 1
t IL — 1847- IS — Insurrezione dell» Siciliu
Uessin.i-Palerino -Catania- Calabrie , • 5
1. III. — Garibaldi s' imbarca coi suoi legionari
per l'Italia • l'-ì
> IV. — Venezia si erige a ropuliblica ^Milano
'e le cinque giornate - 1")
» V. — Carlo Alberto bandisce la guerra nl-
l'Austria • 16
» VI. — Garibaldi a Milano prende il comando
dei Volontari < 22
> VII. — Venezia, Treviso, Vicenza, Koma. Cur-
tatonee Montanara, Coito, Peschiera,
Rivoli - Sfortunata giornata di Cu-
stoza - Armistizio di Salasco. . . ^ 2iS
Vili. — Sollevazione di Bologna • 4ii
> IX. — Garibaldi continuala lotta control'Au-
stria » fri)
» X. — Roma - Proclamazione di governo re-
pubblicano - 58
» XI. — Le dieci giornate di Brescia — Disa-
strosa giornata di Novara .... » 62
» XII. — Eroica difesa di Roma » 76
» XIH. — Spedizione contro I' Ksercito ISorlio-
uico - Vellètrì :. 8«
» XIV. — Ripresa delle ostilità dei Francesi con-
tro Roma -> UT
» XV. — Garibaldi esce da Roma coi suoi le-
gionari - San Marino — Morte di
Anita — Cesenatico > 111
» XVI. — Assedio di Ancona e sua eroica difesa • IVJ
XVII. — Dal 2i marzo 1S49 al 1859 - 11 Pio-
monte ■» 126
» XVIII. — ISTiO - La guerra d'indipendenza. . - 131
474
Oaprolo XtX. — 1860 - Spediziono doi Uille - Uarsals
- Salemi - CaUtafimi - Palermo -
IfilaiEO - Begf^o Calabria - Napoli
- Volturno. Liberaiione dell' Italia
Meridionale oonsegnata a Tittorio
Emanuele II Pag. 188
» XX. — Liberazione dell' Umbria e delle Uarche
- Castelfldardo - Ancona . . . . > 253
> XXI. — Bitiro di Garibaldi a Caprera . . . > 28.1
. XXn. — Presa di Capna e di Gaeta 286
. XXIII, — Aspromonte - SoUevaziono in Polonia » 29'2
» XXIV. — Guerra dell866-LiberazionedelVeneto • 30:ì
' XXV. ~ Campagna dell' Agro Romano - Mon-
telibretti - Boma - Montorotondo -
Mentana • 34if
> XXVL — Nozze di S. A, R. il Principe Umberto
con 8. A. B. la PrìnciposBa HaT-
gherita di Savoia • 376
XXVII, — Il 1870 - Digione - Entrata in Boma. . 380
XXVIII. — Morte di Mazzini • 402
. XXIX. — Morte di Vittorio Emanuele II . . . . 400
> XXX — Ultimi giorni e morte del Generale Ga-
ribaldi » 423
» XXXI. — Nozze di S. A. B. il l'rincipo di Napoli
con la Principessa Elena FotroTJch
NiegoB di Montouogro • 431
■ XXXII. — Volontari italiani in Grècia .... » 44-'
XXXIII. — Orrendo misfatto - Morte di Umberto I - 450
IIbI 50«.a«.T
ncami O un ««Mtano
iinìiii
IKMT»440
mirili
3 2044 082 222 068
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