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Full text of "Ricordi di un veterano dal 1847-48 al 1900"

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A,     ELIA 


RICORDI  DI 


UN  VETERANO 


dal  1847-48  al  1900 


2"  EDIZIONE 

RIVEDUTA    E    CORHETTA 


ROMA 

TIPO-LITOGRAFIA    DEL    OBKIO   CIVILE 

1906 


V 


r,  i!::.ron  cay 

FilSOr"'  T    fO  COLLECTinN 

t.jCLlùr.EFUND 

1L31 


Vi 


Mio  oabo  Elia, 

/  fatti  esposti  mi  vostro  manoscritto  sono  esatti 
per  ciò  che  riguarda  quanto  io  ne  conosco. 
Un  caro  saluto  alla  famiglia  dal 

Sempre  vostro 

G.  Gasibaldi. 
Caprera,  18-3-  76. 


PREFAZIONE 

Ai  miei  vecchi  compagni  d'armi! 
Ai  giovani  d'  oggi  ! 


Mai,  come  in  questo  momento  che  scrivo,  e  che  ho 
davanti  a  me  sul  tavolo,  raccolte  le  bozze  dei  miei  «  Ricordi  n, 
ho  sentita  tutta  la  religione  delle  memorie,  e  il  conforto  della 
modesta  opera  prestata  per  la  redenzione  della  patria. 

In  queste  pagine  povere  e  disadorne,  si  seguono,  in  folla, 
uomini  ed  episodi,  confusi  nella  nebbia  del  tempo  e  delle  vi- 
cende; vivi  però  nel  cuore  di  quanti  parteciparono  alle  epiche 
lotte  della  italica  rivendicazione. 

Come  da  un  prisma  vividi  e  smaglianti  si  sprigionano  i 
colori,  cosi  dalle  memorie  netti  e  purissimi  risorgono  gli  uo- 
mini che  furono  —  le  battaglie  combattute  —  le  lotte  fieris- 


TI 

sime  sostenute  —  gli    ideali   mai  piegati  e  mai  domi  —  le 
turbinose  vicende  che  tempo  ed  uomini  non  poterono  infran-  , 
gere  o  tramutare. 

E  benché  io  sappia  che  un  pensiero  scettico  domina  e 
vince  gli  uomini  dell'  oggi  —  pure  non  reputo  inutile  il  pub- 
blicare questi  «  Ricordi  »  —  documento  autentico  d'una  epoca 
fortunosa  e  grande  —  fiore  modesto  che  depongo  sulle  fosse 
dimenticate  e  sui  marmi  onorati  —  lauro  votivo  a  quanti 
alla  patria  dettero  la  giovinezza,  il  sangue,  gli  entusiamì, 
la  vita. 

E  voi,  scettici  beffardi,  che  irridete  le  gloriose  memorie 
delle  nostre  battaglie  —  voi  che  dovete  1*  attuale  libertà  alla 
fede  da  noi  sentita  e  alle  lotte  da  noi  sostenute  —  voi  che 
cercate  educare  la  odierna  gioventù  alla  negazione  di  quel 
sentimento  patriottico  che  fu  il  culto  dell'epoca  nostra  —  voi 
che  tentate  distruggere,  col  freddo  sofisma  o  col  gelido  e  im- 
meritato disprezzo,  le  pagine  più  belle  e  più  grandiosamente 
gentili  della  storia  del  popolo  nostro  —  voi,  scettici  per  op- 
portunismo, leggete  questi  modesti  «  Ricordi  »,  ove  palpita, 
fireme  e  grida  dolente  l'anima  mia  — ^  un'anima  dì  soldato 
che  ebbe  ed  ha  un  solo  ideale:  la  patria!  e  vorrebbe  che, 
come  una  volta  s' effuse  sangue  generoso,  si  prodigassero 
oggi,  con  uniti  di  propositi,  intelletto,  operosità  e  cuore  per 
completarla  e  renderla  grande,  prospera  e  temuta. 


TU 

Leggete,  e  se  non  troverete  h  bellezza  della  fornu  e 
della  frase  letteraria  studiatamente  convenzionale,  voi  vedrete 
invece  man  mano  riapparire  e  palpitare  uomini  che  furono 
e  sono  gloria  e  vanto  dell'Italia  nostra,  e  dopo  questi,  altri 
ed  altri  ancora,  che  il  facile  oblio  trascinò  troppo  presto  fra 
la  folla  dei  dimenticati. 

Ed  allora  —  son  certo  —  se  il  vostro  cuore  non  sarà 
precocemente  pervertito  dall'  opportunismo  moderno  —  che 
anche  voi,  resi  men  scettici  dalla  lettura  di  queste  pagine, 
vi  riconcilierete  col  passato  glorioso  che  è  eredità  di  quanti 
hanno  animo  degno  —  e  comprenderete  che  il  patriottismo 
non  è  una  forma  arcadica  morta,  ma  vive  e  vivrà  nel  pen- 
siero e  nel  cuore  del  popolo  che  ruppe  i  suoi  ceppi  fino  a 
quando  non  si  spenga  il  culto  gentile  e  riconoscente  per  i 
fattori  della   nostra  indipendenza. 


X 


Ed  ai  giovani,  a  voi  miei  vecchi  commilitoni  -  io  de- 
dico questo  mio  libro  :  —  ai  giovani,  anche  in  nome  vo- 
stro, voglio  ricordare  tutta  quell'  epoca  che  parrà  leggenda, 
^quando  il  tempo  renderà  la  tarda,  ma  dovuta  giustizia  $gli 
«omini  ed  agli  eventi  storici. 

Ai  giovani,  che  hanno  V  anima  piena  di  speranze  e  d'  a- 


more,  e  sentono    che  la    vita  sarebbe    sterile    senza    la  luce 
d'  un  ideale,  io  mando  il  mio  saluto  augurale. 


»•» 


Su,  su,  giovani  d'Italia!  —  Come  voi,  rosei  e  frementi 
pei  loro  vent'  anni,  eran  coloro  che  dal  48  al  70  combat- 
terono per  redimere  l'Italia  —  eran  come  voi  animosi  e  ga- 
gliardi gli  studenti  che  a  Curtatone  e  Montanara,  come  a 
Roma,  tennero  alto,  negli  albori  del  nostro  risorgimento,  il 
genio  e  il  valore  italiano  ;  —  come  voi  erano  entusiasti  e 
nobilmente  ribelli  i  Mille  compagni  di  Garibaldi,  che  sal- 
pando da  Quarto  compirono  il  più  grande  fatto  storico  del- 
l' epoca  moderna  ;  —  e  giovani  come  vói  erano  i  caduti  sui 
campì  di  battaglia  per  la  causa  santissima  da  Custoza  a  Mi- 
lazzo —  da  S.  Martino  a  Calatafimi  —  da  Pasirengo  a  Bez- 
zecca  —  dal  Volturno  a  Castelfidardo,  a  Mentana,  Le  zolle 
d' Italia  ricoprono  ovunque  le  ossa  di  quella  balda,  generosa 
e  fiera  gioventù,  che,  tutto  abbandonando,  affrontava  la  morte 
al  grido  di  «  Viva  l'Italia!...  » 

Su,  su,  giovani!  sulle  mura  d' ogni  vostro  paese,  nei 
marmi  votivi,  sono  scolpiti  i  nomi  dei  vostri  cari  —  e  quei 
nomi  sono  tracciati  col  sangue  dei  morti,  quei  marmi  sono 
solcali   dalle   lacrime  dei  superstiti  che  han  virtù  di  memo- 


II 

ria  —  sangue  e  lacrime  che  valsero   a  darvi  una  patria  li- 
bera e  indipendente! 

Innanzi  a  tali  ricordi  l'irrisione  diventa  bestemmia!  — 
Giovani  d' Italia  venite  con  me  a  salutare  i  soldati  del  pa- 
trio risorgimento  ! 

A.   Elia. 


CAPITOLO  I. 

Garibaldi  in  America. 


Nnto  in  Ancona  il  4  settembre  del  1829  e  figlio  di 
marina l'o,  Elia  volle  fin  dìilla  tenera  età.  di  nove 
anni  intraprendere  easo  pure,,  come  il  padre  suo,  la  car- 
riera del  mare,  incomiuciando  ad  esercitarla  da  mozzo, 
percorrendola  tutta,  fino  a  diventare  capitano  di  lungo 
corso. 

Xei  suoi  viaggi  più  volte  gli  era  occorso  di  entrare 
in  relazione  con  patrioti  italiani  ;  nei  loro  discorsi 
aleggiava  la  fulgida  figura-  di  Giuseppe  Garibaldi.  Si 
sentivano  entusiasmati  per  quest'Eroe,  il  cui  nome 
finceva  palpitare  i  loro  cuori  giovanili  aperti  già  ai 
grandi  ideali  di  liberti?  e  di  indipendenza  ;  si  seu- 
tivano  entusiasmati  dal  racconto  delle  eroiche  azioni 
da  liii  compiute  nell'America  del  Sud,  ne  apprendevano 
i  particolari  eon  avidità,  e  ne  facevano  prezioso  tesoro. 
Era  tutta  un'  epopea  che  vedevano  svolgersi  intorno 
all'eroe,  e  loro  sembravano  omeriche  gesta  guello  com- 
piute iu  difesa  della  piccola  repubblica  dell'Uruguay 
invasa  dalle  truppe  del  terribile  Rosas,  e  fra  le  altre 
la  campagna  del  Paranà  combattuta  da  Garibiddi  con 
tre  piccoli  legni  —  mnle  annnti  —  contro  tutta  la  flotta 


2 

Argentina  comandata  dall'Ammiraglio  Brown,  e  parti- 
colarmente il  combalitimento  di  Nuova  Cava,  decantato 
quale  uno  dei  più  brillanti  fatti  navali. 

La  gloriosa  giornata  di  Sant'Antonio  al  Salto  fu  poi 
quella  che  illustrò  il  nome  italiano  e  rese  celebre  quello 
di  Garibaldi;  vero  combattimento  da  leoni  che  il  gene- 
rale compendiò  nel  seguente  Ordine  del  giorno. 

Salto  10  febbraio  1846. 
Fratelli. 

«  Avanti  ieri  ebbe  luogo  nei  Campi  di  Santo  An- 
tonio, a  una  lega  e  mezzo  da  questa  citti'i,  il  più  ter- 
ribile ed  il  più  glorioso  combattimento.  Le  quattro  com- 
pagnie delta  nostra  legione,  e  circa  cinquanta  uomini 
dì  cavalleria  rifugiatisi  sotto  la  nostra  protezione,  non 
solo  si  sono  sostenuti  contro  mille  e  duecento  uomini 
di  Servando  Gomez,  ma  hanno  sbaragliato  interamente 
la  fanteria  nemica  che  li  jissaltó  in  numero  assai  supe. 
riore.  Il  fuoco  cominciò  a  mezzogiorno  e  durò  fino  a 
mezzanotte;  non  valsero  al  nemico  le  ripetute  cariche 
delle  sue  masse  di  cavalleria,  né  gli  attacchi  dei  suoi 
fucilieri  a  piedi;  senz'altro  riparo  che  una  casupola  in 
rovina  coperta  di  paglia,  i  legionari  hanno  respinto  ì 
ripetuti  assalti  del  più  ìiccanito  dei  nemici  ;  io  e  tutti 
gli  ufficiali  abbiamo  tatto  da  soldati  in  quel  giorno. 
Anzani,  che  era  rimasto  al  Salto,  ed  a  cui  il  nemico 
aveva  intimato  la  resa  della  piazza,  rispose  colla  miccia 
alle  miani  e  il  pie  sulla  Santa  Barbara  della  batteria, 
quantunque  lo  avessero  assicurato  che  noi  tutti  eravamo 
caduti  morti  o  prigiomeri. 

«  Abbiamo  avuto  trentasette  morti  e  cinquantatre 
feriti.  Io  non  darei  il  mio  nome  di  ìegioìiario  italiano  per 
tutto  il  globo  in  oro  >.  Il  vostro 

G.  Garibaldi. 


3 

Il  governo  di  MonteTÌdeo    ad  onorare  le   prodezze 
dei  legionari  italiani  guidati  dal  generale  Garibaldi  ema^ 


nava  il  seguente 


DECRETO 


«  Desiderando  il  Governo  dimostrare  la  gratitudine 
della  patria  ai  prodi,  che  combatterono  con  tanto  eroismo 
nei  campi  di  Sant'Antonio  il  giorno  8  del  corrente  ;  con- 
sultato il  Consiglio  di  Stato,  decreta: 

Art.  1.  Il  Generale  Garibaldi  e  tutti  coloro,  che  lo 
accompagnarono  in  quella  gloriosa  giornata,  sono  be- 
nemeriti delia  Repubblica. 

Art.  2.  Nella  bandiera  della  Legione  Italiana  sa- 
ranno is(!ritte  a  lettere  d'oro,  sulla  parte  superiore  del 
Vesuvio,  queste  parole.  «  Gesta  dell'S  febbraio  del  1846, 
operate  dalla  Legione  Italiana  agli  ordini  di  Garibaldi  >■. 

Art.  3.  I  nomi  di  quelli  che  combatterono  in  quel 
giorno,  dopo  la  separazione  della  cavalleria,  saranno 
iscritti  in  un  quadro,  il  quale  si  collocherà  nella  sala 
del  governo,  rimpetto  allo  Stemma  Nazionale,  incomin- 
ciando la  lista  col  nome  di  quelli  che  morirono. 

Art.  4.  Le  famiglie  dì  questi,  che  abbiano  diritto  ad 
una  pensione,  la  godranno  doppia. 

Art.  5.  Si  decreta  a  coloro  che  sì  trovarono  in  quel 
fatto,  uno  scudo  che  porteranno  nel  braccio  sinistro  con 
questa  iscrizione  circondata  dì  alloro:  «  Invincibili  com- 
batterono r  8  febbraio  1846  ». 

Art.  6.  Fino  a  tanto  che  un  altro  corpo  dell'Eser- 
cito non  s'illustri  con  un  fatto  d'arme  simile  a  questo, 
la  Legione  Italiana  sarà  in  ogni  parata  alla  diritta  della 
nostra  fanteria. 

Art.  7.  Il  presente  decreto  si  consegnerà  in  copia 
autentica  alla  Legione  Italiana  e  si  ripeterà  nell'ordine 
generale  in  tutti  gli  anniversari  di  questo  combattimento. 

Art.  8.  11  Ministro  della  Guerra  resta  incaricato 
della  esecuzione  e  della,  parte  regolamentare  di   questo 


4 

decreto,  che  sarà  presentato  alla  Assemblea  dei   Nota- 
bili: si  pubblicherà  e  inserirà,  nel  R.  U. 

<   Suarez-Jose   de    Bela  -  Santiago  -  Vasquez    Fran- 


cisco-J.  Mugnoz 


« 
*  * 


Garibaldi  restò  ancora  alcuni  mesi  al  Salto  di 
Sant'Antonio,  continuando  a  battagliare  colla  flottiglia  e 
colla  legione,  Ano  a  che  il  Groverno  stesso  lo  chiamò  a 
Montevideo.  Sul  cominciare  di  settembre  il  Generale 
Pacheco,  che  aveva  immensa  affezione  e  stima  di  Ga- 
ribaldi, gli  ofTri  il  comando  della  piazza. 

Per  ubbidienza  Garibaldi  accettò  l'arduo  incarico: 
ma  ben  presto  grandi  e  piccole  gelosie,  pregiudizi  locali, 
permalosità  spagnole,  scoppiarono  contro  di  lui,  onde 
egli,  per  il  meglio,  credette  deporre  l'incarico. 


*  * 


Saputasi  a  Montevideo  la  notizia  dell'assunzione  al 
trono  pontificale  di  Pio  IX  e  delle  sue  idee  riformatrici, 
nonché  delle  apparenti  sue  intenzioni  di  promuovere 
guerra  contro  l'Austria,  a  Garibaldi  ed  ai  suoi  legionari 
sembrò  giunta  l'ora  di  combattere  per  la  redenzione 
della  loro  terra  natale  ;  e  senza  indugio,  in  nome  suo  e 
dei  suol  compagni  d'arme,  egli  scrisse  al  nunzio  papale 
a  Montevideo,  offrendo  ì  suoi  servigi  nella  guerra  contro 
lo  straniero. 

Contemporaneamente  scriveva,  al  suo  amico  Paolo 
Antonini  di  Genova,  concludendo  cosi  : 

«  Io  con  gli  amici  penso  venire  in  Italia  ad  offrire 
i  deboli  servigi  nostri,  o  al  Pontefice,  o  al  Granduca  di 
Toscana.  Indi  avrò  il  bene  di  abbracciarvi.  Qui  si  aspet- 
tano notizie  d'Europa.  Amate  il  vostro  » 

6.  Garibaldi 
Montevideo  27  dicembre  1847. 


CAPITOLO  II 

1847-48  Insurrezione  della  Sicilia 
Messina-Palermo-Catania-Calabrle. 

Come  la  più  oppressa  tra  le  regioni  italiane,  la  Si- 
cilia fu  la  prima  a  tentare  di  scuotere  il  giogo  che  le 
gravava  sul  collo,  appena  si  ebbe  sentore  delle  idee  li- 
berali di  Pio  IX. 

Primissima  la  città  di  Messina,  il  1"  settembre  del 
1847.  Molti  parteciparono  alla  congiura;  pochi,  per  fatali 
equivoci,  presero  parte  all'azione.  Gli  ufficiali  borbonici 
che  dovevano  essere  colti  all'  improvviso  all'Hotel  Vit- 
toria, dove  erano  uniti  per  festeggiare  una  promozione, 
non  si  sa  come,  vennero  prevenuti;  corrono  alle  caserme 
e  alla  cittadella  e  ne  escono  alla  testa  di  forti  batta- 
glioni. Gli  insorti  non  s'intimidiscono;  affrontano  le  truppe,, 
ma  il  numero  la  vince  sul  valore  e  l'insurrezione  è  do- 
mata. Il  generale  Landi  pubblica  un  bando  contro  i  prin- 
cipali cospiratori,  promettendo  lauti  premi  a  chi  li  con- 
segni. 

Tutta  la  città  conosceva  i  capi  dell'insurrezione,  ma 
non  vi  fu  alcuno  che  li  denunziasse  ;  e  fu  meraviglioso 
che  taluni  dei  perseguitati  trovarono  rifugio  in  casa  di 
gente  poverissima,  per  la  quale  il  premio  promesso  dal' 
Lanza  sarebbe  stata  una  vera  ricchezza.  Tutti  i  com- 
promessi trovarono  modo  d'imbarcarsi  :  ma  nei  Messinesi, 
si  accrebbe  l'odio  contro  le  truppe  del  Governo  oppres- 
sore, onde  presto  doveva  sorgere  il  giorno  della  rivincita. 
per  la  patriottica  cittt'i. 

*  * 

A  dare  la  nuova  iniziativa  spettava  alla  capitale' 
della  Sicilia,  all'eroica  Psilermo,  e  questa  non  tardò   a 


mettersi  all'opera  con  uno  slancio  veramente  straordi- 
nario. 

Maggiore  eroierao  di  popolo  non  si  sarebbe  potuto 
imraag'inare.  Certo  fu  esempio  unico  nella  storia, 

Questa  fu  la  sfida  poderosa,  quitsi  pazza,  In  cartello 
a  giorno  determinato,  che  i  palermitani,  stanchi  di  do- 
mandare lenimento  alle  profonde  piaghe  comuni,  laneia- 
rono  alle  autorità  del  tirannico  governo  borbonico. 

Il  22  gennaio  1848,  giorno  natalizio  di  Ferdinando  II 
Re  delle  due  Sicilie,  era  fissato  per  la  rivoluzione. 


L'ansia  dei  giorni,  che  di  poco  precedettero  quello 
stabilito  per  la  insurrezione,  fu  grande, 

Spuntava  l'alba  del  "22.  Forti  pattuglie  di  cavalleria 
in  assetto  di  guerra  percorrevano  le  vie  della  città  ed  i 
sobborghi.  Buon  nerbo  di  fanteria  e  di  birri  stava  schie- 
rato in  piazza  VigUena.  Le  truppe  erano  consegnate  nei 
quartieri,  al  palazzo  Reale,  al  Castello. 

Era  appena  giorno,  e  le  vie  brulicavano  di  gente 
inerme  di  ogni  cbisae  come  nei  di  festivi.  Le  finestre 
ed  1  balconi  delle  case  zeppi  d'uomini,  di  donne,  di  fan- 
ciulli, tutti  aspettanti  qualche  cosa  di  straoi'dinario  che 
ignoravano,  ma  che  presentivano  dovesse  accadere.  Fi- 
nalmente alla  Madonna  del  Cassero  si  presenta  un  uomo 
armato  di  fucile:  visto  di  essere  il  solo  armalo,  grida 
al  tradimento,  e  fa  fuoco  in  aria.  Al  colpo  si  risponde 
con  applausi  dalle  finestre,  dalle  vie;  ed  ecco  altri  cit- 
tadini armati,  salutati  al  loro  arrivo  da  frenetici  applausi. 
Alla  piazza  della  Fieravecchia  una  ventina  dì  persone, 
alcune  armate  dì  fucile,  altre  d'arma  bianca,  con  nastro 
tricolore  sul  petto,  stanno  aspettando  che  si  venga  a  far 
massa;  fu  un'ora  tremenda  di  aspettativa  e  di  dubbio; 
jna  valorosi  e  valorosi  sopraggi ungono;  si  forma  una 
colonna,  questa  sì  muove  per  altre  strade,  e  fa  nuove 
reclute.  Passa   per   l'Albergaria   e   s^ingrossa   d'armati, 


pronti  ft  dare  la  vita  combattendo  per  la  libertà.  La 
truppii  e  i  birri  di  piazza  Vigliena,  noo  molestati  e  non 
molestanti,  sì  ritirano  verso  il  palazzo  Reale,  ed  il  po- 
polo li  aeclama. 

Un  corpo  di  circa  cinquanta  soldati  a  cavallo  con 
alla  testa  il  iìglio  del  generale  Vial  entrava  nella  strada 
nuova  per  sciogliere  l'attnippamento;  il  popologridava 
Viva  la  truppa  I  ;  ma  i  soldati  all'ordine  dell'ufficiale  che 
li  comandava  mìsero  mano  alle  sciabole  ;  dal  popolo 
allora  partirono  alcuni  colpi,  di  fucile,  e  questi  bas-ta- 
rono  per  mettere  in  fuga  l'ufficiale  ed  i  cavalieri.  Il  dardo 
ormai  era  tratto,  e  la  nvoLuzione  prese  animo  e  si  fé 
gigante  per  l'inasprimento  della  popolazione  svegliata 
dal  rombo  delle  artiglierie.  Si  festeggiava  il  natalizio  del 
re  con  la  strage,  che  palle  e  miu-aglìa  facevano  sul  po- 
polo; e  da  parte  del  popolo  coi  riiitoccbi  d(.41e  campane 
a  stormo,  C'hi:iiuanlì  alla  rivolta,  e  con  le    soli  loppe  tta  ce. 

11  giorno  13  le  squadre  cittadine  ereaciute  di  nu- 
mero e  di  coraggio  assalivano  da  più  7>ani  il  palazzo 
delle  Finanze  difeso  da  forte  presidio  di  soldati  ;  la  lotta 
fu  ostinata  e  non  ce&sù  che  a  sei'a. 

Durante  il  lungo  combattimento  fu  dal  Castello  un 
continuo  lanciare  di  bombe,  che  danneggiavano  le  cas^, 
i  conventi,  le  chiese:  si  sperava  che  il  terrore  avrei ibe 
consigliata  la  sottomissione,  ma  l'e£Feti,o  fu  totalmente 
contrario.  Pacifici  cittadini,  anche  i  più  timidi,  vistisi 
minacciati  negli  averi  e  nella  vita,  scelsero  di  morire 
con  le  armi  in  pugno  in  difesa  del  patrio  focolare  e  si 
un  rono  al  popolo. 

Per  provvedere  ai  più  urgenti  bisogni  sì  riunirono 
molti  dei  più  notabili  cittadini  nel  palazzo  municipale 
e  si  formarono  comitati  diversi  in  appoggio  del  comi- 
tato della  Fieravecchia,  centro  delle  disposizioni  di  guerra. 

I  combattimenti  continuavano  da.  parte  dei  citta- 
dini ;  non  ostante  la  difesa  delle  truppe,  ed  il  bom- 
bardamento che  portava  ovunque  distruzione  ed  incendi, 
tra  i  quali  quello  del  monte  di  S.  Rosalia,  distruggendo 


8 
ì  cenci  della  parte  più  misera  del  popolo  ;  da  questi  fatti 
gl'insorti  inferociti,  con  furioso  combatEimento  s'impos- 
sessavano del  quartiere  militare  di  S.  Cita,  ed  altra  san- 
guinosa vittoria  riportavano  occupando  il  podere  del 
principe  dì  Villafranca  di  fronte  a  porta  Mhcqueda. 

Nel  giorno  24  i  cittadini  assalivano  furiosamente  il 
Noviziato  guardato  da  molta  forza,  e  se  ne  rendevano 
padi-oni.  Le  truppe  erano  scosse:  alcuni  mìliti  eransi 
affratellati  al  popolo,  accolti  con  amorevolezza  ;  il  pa- 
lazzo Reale  nel  giorno  26  cadeva  in  mano  degl'insorti 
e  nelle  ore  pomeridiane  questi  prendevano  possesso 
anche  del  palazzo  delle  Finanze. 

I  regi  cacciati  da  tutte  le  loro  posizioni  si  riunirono 
al  Molo  ;  i  generali  De  Maio  e  Vial  s'imbarcarono  per 
Napoli  ;  al  comando  delle  truppe  rim^e  il  Desauget. 

I  cittadini  si  aspettavano  un  sanguinoso  combatti- 
mento al  molo,  ma  il  Desauget  scelse  di  ritirarsi  co- 
steggiando la  catena  dei  monti,  che  cingono  da  levante 
a  settentrione  Palermo. 

Non  restava  a!  popolo  che  di  espugnare  il  forte  di 
Castellamare  :  e  a  questa  impresa  si  accinse  animoso. 

Furono  piantate,  mascherandole,  le  artiglierie  ed  i 
mortai  conquistati,  per  battere  il  Castello  dal  lato  della 
Cala.  Il  forte  sotto  il  fanale  del  molo  fu  destinato  a  te- 
nere occupato  il  presidio  del  Castello  stesso  dal  lato  op- 
posto. Si  preparava  un  feroce  bombardamento  e  della 
battaglia  dovevano  essere  spettatori  un  vascello  di  linea 
inglese  ed  altri  piroscafi,  nonché  molte  navi  mercantili 
di  diverse  bandiere,  che.  abbandonato  il  molo,  eransi. 
schierate  in  linea  nella  rada.  E  il  fuoco  incominciò  da 
arabo  le  pani;  per  quasi  tre  ore  tremarono  le  case 
della  città  al  rimbombo  delle  grosse  artiglierie  e  dei 
mortai.  Ad  un  tratto  il  fuoco  cessò  su  tutti  i  punti.  Per 
mediazione  del  Comandante  del  Vascello  inglese  si  trattò 
della  resa.  Nella  notte  il  comandante  del  forte  con  tutta 
la  guarnigione  di  circa  mille  soldati  con  armi  e  bagagli» 
s'imbarcava  per  Napoli. 


9 

Il  .giorno  5  febbraio  Palermo,  libera,  solennizzava 
nella  Chiesa  Madre  la  sua  vittoria. 

Il  comitato  generale,  ottenuta  la  meravigliosa  vit- 
toria col  concorso  e  il  sacrifizio  di  tutta  la  cittadinanza, 
senti  la  hecessitc^  sino  alla  convocazione  del  Parlamento, 
di  costituire  un  governo  provvisorio,  e  con  un  proclama 
divise  le  incombenze  governative,  e  nominò  i  cittadini 
che  dovevano  esercitarle. 

Presidente  del  comitato  generale,  Ruggero  Settimo; 
segretario  generale,  Mariano  Stabile. 


La  città  di  Catania,  non  degenere  figlia  della  Sicilia, 
appena  ebbe  novella  della  gloriosa  rivoluzione  della 
magoanima  Palermo  corse  alle  armi  al  grido  di  :  Viva 
Palermo  —  Viva  la  Sicilia  —  Viva  l' Italia.  Il  popolo 
espugnò  valorosamente  tutti  i  posti  occupati  dalle  truppe, 
compreso  il  forte  S.  Agata.  L' entusiasmo  e  la  magna- 
nimità dei  cittadini  risparmiarono  la  vita  ai  miserabili 
mercenari,  che  ardirono  tirare  sulla  città,  e  le  grida 
della  vittoria  e  del  perdono  fecero  nascere  forse  in 
quelle  genti  il  rimorso  di  essersi  battute  per  la  causa 
nefasta  della  tirannide. 

Alla  voce  di  Palermo  e  di  Catania  tutti  i  paesi  della 
Sicilia  risposero,  secondando  il  movimento  rivoluzionario, 
armando  numerose  bande  pronte  a  combattere  per  la 
difesa  della  patria. 

* 
*  * 

Ed  ora  era  la  volta  di  Messina. 

Ecco  quello  che  scrivevano  i  delegati  del  comitato 
-di  Messina  a  Ruggero  Settimo  presidente  del  comitato 
generale  di  Palermo. 

«  Sia  gloria  ai  prodi  che  combattono  per  la  Sicilia 
—  per  la  libertà  e  per  la  patria  italiana. 


10 

«  Messina  attende  l' avviso  da  Palermo.  Se  deve 
perire,  morrà;  ma  con  le  armi  alla  mano  e  con  il  voto 
dell'  indipendenza  nel  cuore. 

€  Sappiate  intanto  che  la  guarnigione  è  forte  di 
4030  soldati  —  300  cannoni  sono  pronti  a  vomitare 
r  esterminio  sulla  citoà.  Ma  Messina  sprezza  il  pericolo 
—  ne  facciano  fede  la  brillante  pugna  del  1°  settembre 
e  la  imponente  dimostrazione  del  6  gennaio.  Messina, 
quantunque  si  mostri  disarmata,  è  col  fatto  in  rivolu- 
zione —  il  suo  aspetto  è  minaccioso,  imponente  ;  però 
Messina  come  al  tempo  dei  Vespri  desidera  gareggiare 
con  Palermo  solo  nella  virtù.  Se  per  la  causa  comune 
vuoisi  il  sacrifìcio  di  lei,  essa  é  pronta  a  patirlo  e  ar- 
dimentosa sì  getterà  nella  voragine.  Quantunque  i  prodi 
del  settembre  siano  profughi,  altri  figli  ella  ha  pronti 
al  cimento  ;  sebbene  disarmata,  pugnerà  con  le  mani. 
Se  l'attua'e  stato  minaccioso  della  cittji,  i  fatti  già  con- 
sumati e  la  diversione  dei  4000  soldati,  bastano  per  aiuta 
alla  causa  comune,  essa  starà  pronta  e  minacciosa;  se 
altro  vuoisi  da  lei,  si  dica.  Messina  è  città  «  Siciliana 
ed  Italiana  ».  Viva  Palermo  è  il  grido  del  popolo.  Dite,, 
e  sarà  fatto  il  voler  vostro.  Indipendenza  e  libertà  è  il 
scio  voto  di  Messina. 


Ma  il  contegno  ardimentoso  e  provocante  del  popolo 
messinese  non  piaceva  ai  regi.  Comandava  in  Messina 
il  generale  Nunziante,  che  un  giorno,  credendo  d' inti- 
morire la  popolazione,  volle  far  mostra  di  tutte  le  truppe 
che  aveva  al  suo  comando,  stendendole  lungo  la  via  Fer- 
dinando ;  ma  la  folla  erasi  addensata  tanto  da  impedire 
ogni  movimento  ai  soldati.  Al  generale,  che  aveva  voluto 
scendere  in  piazza,  non  restava  che  caricare  la  folla  e 
rompere  l' imponente  assembramento  per  tenere  alto  il 
prestigio  militare  :  invece,  vista  l'attitudine  risoluta  della 
cittadinanza,  ordinava  di  rientrare  nei  quartieri,  il  che 
si  fece  fra  gli  urli  e  i  fischi  della  popolazione. 


11 

Da  quel  m&mento  noti  ebbero  più  tregua  le  provo- 
cftzioni  e  le  risse  fra  popolo  e  truppe  borboniche;  la 
flonimossa.  divenne  generale.  Il  bombardamento  della 
città  non  faceva  che  Inasprire  gli  animi  dei  i:ittadini^  i 
quali,  armatasi  Con  armi  fornite  dai  bastimenti  clie  erano 
nel  porto  e  con  altre  mandate  da  Palermo,  ai  decisero 
alla  lotta  ad  oltranza. 

Il  22  febbraio  i  forti  di  Real  Basso,  Porta  Saracena, 
Santa  Chiara,  i  bastioni  di  Don  Blasco,  le  barricate  di 
Porto  Franco  e  l'Arsenale,  cadevano  in  mano  delle  forze 
cittadine.  Aiutato  dall'ardire  eroico  dei  bravi  cannonieri 
palerraitani,  il  valoroso  popolo  messinese  si  arventava 
furioso  all'attacco.  Non  valse  ad  aiTestarlo  il  fuoco  mi- 
cidiale del  forte  S.  Salvatore  e  della  Cittadella,  traenti 
"bombe  e  mitraglia  contro  gli  assalitori;  tutti  questi  luoghi 
difesi  dalle  truppe  borboniche  dovettero  cedere  all'  ir- 
ruenza del  furore  cittadino,  mentre  i  nemici  della  patria, 
atterrili  e  sbaragliati,  correvano  a  cercare  rifugio  nella 
Cittadella,  unico  punto  ormai  di  loro  salvezza.  Da  per 
tutto  il  popolo  vittorioso  inalberava  la  bandiera  a  tre 
colori. 

Il  24  aprile  una  fregata  a  vapore  napoletana  por- 
tava a  Messina,  incaricati  di  trattare  l'armistizio,  i  com- 
missari Fiutino  e  Lo  Presti,  calabresi;  il  comitato  Messi- 
nese incaricava  per  suoi  rappresentanti  i  cittadmi  Piraino, 
Kibottl,  e  Natoli,  ai  quali,  prima  di  altre  tr'attative,  era 
dato  il  mandato  dello  sgombro  "della  Cittadella, 

Cosi  la  Sicilia,  che  aveva  dichiarato  decaduto  il  Re 
delle  due  Sicilie,  era  liberata  da  tutte  le  truppe  bor- 
boniche. 


Le  notizie  delle  Calabrie  erano  da  per  tutto  favo- 
revoli al  movimento  ineurrezionale. 

A  Cosenza,  centro  delle  operazioni,  nido  di  uomini 
generosi,  suolo  santificato  più  volte  dal  sangue  di  tanti 


■12 

martiri,  rosseggiante  tuttora  per  quello  dei  fratelli  Ban- 
diera e  degli  eroici  loro  compagni,  tutte  le  cure  erano 
rivolte  ad  un  unico  scopo,  la  distruzione  della  tirannia. 
A  Nicastro,  come  in  altri  punti  della  Calabria,  si  riu- 
nivano uomini  armati  per  dai'e  la  caccia  ai  borbonici  e 
per  correre  serrati  a  Reggio  al  grido  di  viva  la  libertà. 

Nelle  Provincie  di  Gitanzaro,  di  Salerno,  di  Cam- 
pobasso, di  Avellino,  di  Lecce,  di  Abbruzzo,  si  appre- 
stavano armi  ed  armati.  Che  più?  Napoli  insorgeva 
massacrando  Svizzeri  e  spie  borboniche. 

L'ora  della  libertà  pareva  suonata  da  un  punto  al- 
l'altro d'Italia  !  Sventuratiimente  quel  risveglio  non  fu 
di  lunga  durata  ;  mancò  un'  unica  direzione  e  la  con- 
cordia. 


CAPITOLO  m. 
Garibaldi  s'imbarca  coi  suoi  legionari  per  l'Italia. 

Si  era  nei  primi  mesi  del  1848,  ed  ogni  bastimento, 
che  approdava  alla  Piata,  portava  dal  vecchio  conti- 
nente l'annunzio  di  avvenimenti  importanti. 

Un  nuovo  pontefice  benediceva  l'Italia,  perdonava  ai 
ribelli,  accoglieva  i  proscritti,  e  poneva  sotto  la  tutela 
della  croce  la  causa  del  popoli. 

Il  4  marzo,  Carlo  Alberto  Re  di  Sardegna,  persuaso 
che  il  Piemonte  e  l'Italia  tutta  erano  anelanti  alla  li- 
bertà —  con  lealtà  di  Re  e  di  patriota  —  elargiva  lo 
Statuto  fondamentale  del  Regno,  e  mostrava  di  prepa- 
nirsi    alla  guerra  dell'  indipendenza. 

Queste  notizie  entusiasmavano  i  legionari  e  la  par- 
tenza per  r  Italia  era  nella  mente  di  Garibaldi  ormai 
risoluta.  L'annunzio  della  sollevazione  di  Palermo  e  di 
Messina  venne  a  precipitarla;  la  lotta  eragià  incomin- 
ciata; in  Italia  si  combatteva  e  si  moriva  per  la  libertà  : 
il  posto  suo  e  della  legione  era  indicato. 


13 

Uni  pubblica  sottoscrizione  venne  aporta  fra  gli 
italiani  in  favore  della  spedizione  comandata  da  Gari- 
baldi, Un  brigantino  era  Stato  noleggiato,  e  si  staTa  ap- 
prestando per  la  partenza.  Invano  il  Governo  di  Mon- 
tevideo,  conscio  deUa  perdita  che  stava  per  fare,  tentava 
trattenere  con  preghiere  e  con  lusinghe  Garibaldi  ormai 
inipiizieiitc;  invano  gli  stranieri  atessi,  che  vedevano 
nel  generale  una  delle  più.  sicure  garanzie  dello  Stato 
e  dei  loro  interessi,  si  associavano  al  Governo.  Gai'i- 
Italdi  non  si  sentiva  più  padrone  della  sua  volontà,  e  le 
insistenze  e  gli  indugi  io  inasprivano,  e  lo  si  sentiva 
pieno  *di  amarezza  dire:  «  ducimi  che  arriveremo  gli 
ulcirai,  e  quando  tutto  sarà  finito  ». 

Però  egli  stesso  capiva  che  per  ottenere  la  riuscita 
della  impresa  era  necessario  precisarne  la  meta,  avver- 
lii-e  gli  acnici,  e  prepararle  in  Italia  il  terreno. 

Poco  dopo  la  giornata  del  Salo  era  sbarcato  a  Mon- 
tevideo,  e  si  era  arruolato  nella  legione,  Giacomo  Medici. 
Era  un  giovane  bello  di  forme,  intrepido  di  cuore,  af- 
fabile di  modi  ;  e  Garibaldi,  intuendo  nel  Medici  un 
valoroso  che  avrebbe  immortalato  il  suo  nome,  1'  ebbe 
subito  assai  caro,  e  ripose  in  lui  tutta  la  sua  fiducia. 
GarHialdi  peneò  subito  dì  mandarlo  in  Italia  quale  fo- 
riero e  preparatore  della  divisata  spedizione,  e  lo  munì 
delle  seguenti 


isTnrztoKi 


«  Terrai  presente  che  scopo  nostro  ò  di  recarci  in 
patria,  non  per  contrariare  l'andamento  attuale  delle 
cose  e  i  Governi  che  v'  acconsentano,  ma  per  acco- 
munarci ai  buoni,  e  d'accordo  con  essi  andare  innanzi 
pel  meglio  del  paese  ;  ma  che  noi  preferiremmo  lan- 
ciarci ove  una  via  ci  fosse  aperta  ad  agii'e  contro  il 
t»>de&co,  contro  cui  devono  essere  rivolte  senza  trégua 
le  ire  di  tutti;  e  tanto  più  lo  vorremmo,  perchè  la  gente 


u 

che  ci  accompagna  è  mossa  d;i  questo  ardentissitno  de- 
siderio ;  perchè  questo  avvenga  ti  recherai  : 

«  1.  A  consultare  Mazzini  intorno  ai  passi  da  farsi 
onde  preparare  le  cose  nel  senso  suindicato  ;  quindi  t'af- 
fretterai alla  TolCft  di  Genova.  Firenze  e  Bologna,  ame- 
no che  con  Mazzini  non  risolviate  altrinienti. 

0  2.  Das'li  amici  ti  procurerai  c&mmendatizie  per 
tutti  quei  punti  che  crederai  utile  di  visitare,  affine  di 
dar  moto  a  preparare  f;li  uomini,  e  combinare  elementi 
di  co  operazione. 

«  3.  Scorai  quei  paesi,  ti  ridurrai  n  Livorno  come  luo- 
go pili  acconcio  a  sapere  di  noi. 

«  4.  Una  delle  cose  che  dovrai  tenere  in  vista,  si  è 
quella  di  indurre  gli  amici  a  tener  pronti  quei  mezzi 
indispensabili  a  provvedere  il  bisog-nevole  almeno  pei 
primi  giorni,  attìne  di  non  correre  il  rischio  di  perdere 
il  frutto  di  taiiLG  fatiche  e  dei  sacrifici  tatti  con  tanta 
generosità  dai  nostri  cumpatriotti  di  Montevideo. 

<  5.  I  venti,  ed  altre  cause,  potrebbero  obbligarci 
a  toccare  Gibilterra.  Se  Mazzini  ha  ivi  piersona  fidata 
diriga  ad  essa  lettere  per  me,  informandomi  della  mar- 
cia delle  cose  e  sul  da  farei  —  e  potrà,  appena  tu  ar- 
rivi, cominciare  a  Kcrivere.  La  persona  che  incaricasse 
ilovrebbe  stare  sempre  all'erta,  affine  di  farmi  pervenire 
ogni  cosa  a  bordo  e  subito.  Dal  nome  del  bastimento 
chs  è  quello  di  «  Speranza  *  con  bandiera  orientale, 
sarebbe  al  momento  avvertito  del  nostro  arrivo  —  e 
perchè  ne  foase  più  sicuro  e  potesse  riconoscerlo  facil- 
mente, alzeressimo  air  albero  di  prora  una  bandiera 
bianca  attraversata  orizzontalmente  quanto  è  lunga,  e 
nel  bel  mezzo^  da  una  striscia  nera^ 

f  Di  quanto  scrivesse  a  noi  potrebbe  darti  avviso, 
se  ciò  potesse  farci  mutare  di  direzione  :•. 

Montevìdeo,  20  febbraio  1848. 

G.  Garthaìdi. 

D.  S.  <  Le  lettere  ohe  io  ti  scrìvere  a  Livorno  sa- 
ranno dirette  al  nome  di  M.  James  Gross  —  nella  so- 
prascritta —  nell'interno  al  sig.  Giacomo  Medici». 


16 

Il  Medici  infatti  dopo  tre  giorni  s'ìmbarcayaper  la 
■missione;  e  il  15  aprile  1848  Cfaribn.ldi  medesimo,  ac- 
compagnato dfilla  suaAiinita  col  piccolo  Menotti  di  otto 
anui,  e  da  otiantacinque  de'  suoi  legionari,  fra  cui  l'An- 
zani,  ammalato,  il  iSacchi  ferito,  Ramorino,  Montaldi, 
Marocrhetti,  Grafigua,  Peralta,  Rodi,  Cucelli,  e  il  suo 
moro  Aghiar;  soccorso  dallo  stesso  GoTerno  Orientale 
dì  armi  e  munizioni,  col  brigantino  «  La  Speranza  » 
salpaTa  da  MonteTideo  per  la  terra  Italiana, 


CAPITOLO  IV. 
Venezia  si  erige  a  repubblica.  Milano  e  le  cinque  glornaie. 

L'annunzio  d'ima  sollevazione  degli  studenti  vien- 
nesi propagatosi  alla  metà  di  marzo  spinse  il  popolo 
veneziano  alla  presa  delle  armi  per  la  cacciata  dello 
straniero.  Si  combjtttè  con  furore  e  con  grande  eroismo 
nella  città  della  lagunsi  per  cinque  giorni;  e  i!  popolo 
veneziano,  rimasto  vittorioso,  liberava  Manin  e  Tom- 
maseo, e  si  erigeva  in  repubblicar 


Il  18  marzo  Milano  iniziava  colle  barricate  le  me- 
morande cinque  giornate.  Mentre  gli  Austriaci  avevano 
fatto  del  Broletto  la  loro  cittadella  e  il  luogo  di  macello, 
mentre  dal  Castello  si  prendeva  di  mira  l'italiano  e  lo 
gi  fulniiiiava:  al  suono  delle  campane  a  stormo  il  po- 
polo impegnava  la  lotca  sotto  la  direzione  di  un  comi- 
tato di  salute,  del  quale  facevano  parte  Carlo  Cattaneo, 
ed  Eurico  Cernuachi. 

Non  si  sg-omentfivano  i  Milanesi  al  rombo  assor- 
dante del  cannone,  al  quale  rispondevano  coi  riotocchi 
dello  campane,  co  n'armarsi  e  coir  erigere  barricate,  e  la 
strage  che  fiicevano  le  truppe  imperiali,  spronava  alla 
lotta  ed  alla  vendetta  gli  eroici  insorti  per  la  libertà. 


16 

E  la  lotta  fu  aspra,  violenta,  combattuta  corpo  a 
corpo.  I  cittiidini  si  scontravano  con  le  pattuglie,  che 
numerose  suivano  appostate  in  ogni  via  della  città,  le 
affrontavano  con  ardimento,  uccidevano  od  erano  uccìbì, 
menti'e  dallo  finestre  delle  case  e  dai  tetti  pioveva  pioggia 
micidiale  di  tegole  e  di  sassi,  e  di  quartiere  in  quartiere 
si  scacciavano  le  truppe  con  valore  senza  pari. 

Il  23  marzo  fu  giorno  di  vittoria  e  di  giubilo  per 
la  città  di  Milano.  Gli  austriaci,  rotti,  sgominali  erano 
assaliti,  fugati  da  ogni  parte  dal  popolo  che  non  dava 
loro  tregua.  Al  Radetzky  non  restò  che  di  ordinare  la 
ritirata. 

L'eco  delle  cinque  giornate  risuonò  per  tutta  Italia, 
commuovendole  popolazioni  ed  incitandole  alla  riscossa. 

CAPITOLO  V. 
Carlo  Alberto  bandisce  la  guerra  all'Austria. 

Il  23  di  rharzo  1848  il  Re  Carlo  Alberto  bandiva 
la  gueira  all'Austria,  ed  il  27  dello  stesso  mese  si  met- 
teva alla  testa  delle  sue  truppe  con  a  capo  di  Stato  Mag- 
giore il  generale  Salasco.  L'esercito  piemontese,  forte  di 
circa  50  mila  uomini,  era  diviso  in  due  corpi  d'armatii 
11  primo  era  comandato  dal  generale  Eusebio  Biiva,  e  il 
secondo  dal  generale  Ettore  De  Sonnaz  :  a  capo  dell'ar- 
tiglieria era  il  Duca  di  Genova  e  di  una  terza  colonnaera 
comandante  il  principe  ereditario  Vittorio  Emanuele. 

I^  altre  forze  che  concorsero  alla  guerra  in  Lom- 
bardia erano  5000  Toscani,  3000  Parmensi  e  Modenesi, 
10,000  dello  Stato  Pontifìcio,  5000  volontari  Lombardi. 
Parte  delle  truppe  Napolitane  comandate  dal  generale 
Pepe  erano  entrate  in  Venezia.  Le  altre,  obbedendo  al 
loro  Re,  litornarono  nel  regno  di  Napoli.  Le  forze au- 
striaciie  erano  di  90  mila  uomini  suscettibili  di  grandi 
rinforzi. 


17: 


I  reduci  dall'America  non  conoscevano  gli  avveni- 
menti del  febbraio,  la  sollevazione  di  Vienna,  la  riscossa 
di  Venezia,  le  barricate  di  Milano,  ì'entraca  di  Cario  Al- 
berto in  Liombardìa,  e  le  prime  vittorie  delle  armi  ita- 
liane sul  Mincio  ;  tutto  questo  eraloro  interamente  ignoto; 
quindi  Garibaldi  era  incerto  del  luogo  e  della  meta  del 
suo  sbarco  e  l'animo  suo  ondeggiava  tra  i  consigli  avuti 
del  Mazzini  che  con  uno  scritto  lo  spingeva  a  sbarcare 
in  Sicilia  e  gli  accordi  presi  col  Medici,  peri  quali  erasi 
impegnato  ad  approdare  in  Toscana,  mentre  il  suo  vivo 
desiderio  era  di  scendere  ove  fosse  più  pronta  l'occa- 
sione di  menar  le  mani.  Obbligato  ad  approdare  a  Palos 
presso  Cartagena  per  fare  provvista  di  viveri,  Garibaldi 
riceveva  dal  vice  console  Francese  la  lieta  notizia  della 
guerra  dichiarata  all'Austria.  Non  più  esitazioni  —  la 
via  era  tracciata,  la  meta  era  designata.  A  Garibaldi  ur- 
geva senza  perdere  un  istante  dirigere  la  prora  verso 
la  costa  della  Liguria  per  essere  più  vicino  al  teatro 
della  lotta,  ed  offrire  senza  esitare  il  braccio  suo  e  dei 
suoi  a  Carlo  Alberto. 

I  venti  lo  obbligarono  ad  approdare  a  Nizza,  ■  ed 
alle  11  antimeridiane  deli21  giugno  1848,  inalberante 
la  bandiera  di  Montevideo,  gettava  l'ancora  nel  porto 
della  sua  città  natale. 

Nello  scendere  a  terra  un  urlo  d'entusiasmo  lo  sa- 
luta, facendogli  suonare  all'orecchio  nel  dolce  idioma 
natio  quel  grido  d'ammirazione,  che  da  tanti  anni  non 
aveva  più  udito  se  non  in  lingua  straniera,  in  terra 
straniera. 

Non  perdette  tempo  Garibaldi. 

Riordinata  la  legione,  alla  quale  i  Nizzardi  avevano 
recato  un  primo  rinforzo,  il  28  giugno  di  mattina  salpa 
con  circa  duecento  volontari  ben  armati  ed  equipaggiati, 
ed  .arriva  a  Genova  nel  pomeriggio  del  29,  accolto  dai 


18 

Oenovesi  coll'entusiaBnio  di  popolo  con  cui  era  stato 
acclamato  a  Nizza,  e  ricevuto  dalle  autorità  con  ogni 
dimostrazione  d'onore. 

Per  debito  dì  cortesia  prima  di  partire  da  Genova 
dovette  accettare  l'invito  fattogli  d'intervenire  ad  un'adu- 
nanza del  Circolo  nazionale  ;  fu  obbligato,  dopo  avere 
uditi  diversi  discorsi,  a  pronunziarne  uno  egli  stesso  per 
esprimere  il  suo  giudizio  sulle  cose  della  guerra  e  sulle 
condizioni  dell'esercito.  Procurò  di  schermirsi,  ma  do- 
vette cedere  alle  vive  insistenze  e  con  parola  misurata 
■  e  con  molta  franchezza  sì  espresse  cosi  ; 

«  Voi  lo  sapete  che  io  non  fui  mai  partigiano  dei 
Re.  Ma  poiché  Carlo  Alberto  si  è  fatto  il  difensore  della 
causa  popolare  e  muove  guerra  allo  straniero  per  l' in- 
dipendenza nazionale,  io  ho  creduto  dovergli  recare  il 
-    mio  concorso  e  quello  dei  miei  camerati. 

«  Il  maggiore  pericolo  che  ci  sovrasta  è  quello  che 
la  guerra  si  prolunghi  e  non  sia  terminata  quest'anno. 
Noi  dobbiamo  fare  ogni  sforzo  perchè  gli  Austriaci  sieno 
presto  cacciati  dal  suolo  italiano  e  non  si  abbia  a  so- 
stenere una  guerra  di  due  o  tre  anni.  Ora  noi  non 
possiamo  ottenere  questo  intento  se  non  siamo  forte- 
mente uniti.  Si  bandisca  da  noi  la  politica,  non  si  a- 
prano.  discussioni  sulla  forma  di  governo,  non  si  ride- 
stino i  vecchi  partiti.  La  grande,  l'unirà  questione  del 
momento,  è  la  cacciata  dello  straniero,  è  la  guerra  del- 
dell'  indipendenza. 

«  Io  fui  repubblicano,  ma  quando  seppi  che  Carlo 
Alberto  si  era  fatto  campione  dell'Italia,  io  ho  giurato 
di  ubbidirlo  e  di  seguire  fedelmente  la  sua  bandiera.  In 
lui  vedo  riposta  la  speranza  della  nostra  redenzione; 
Carlo  Alberto  sia  dunque  il  nostro  capo,  il  nostro  sim- 
bolo; gli  sforzi  di  tutti  gl'italiani  si  concentrino  in  luì. 
Fuori  di  lui  non  vi  può  essere  salute. 

«  Uniamoci  dunque  tutti  nel  solo  pensiero  della 
guerra  allo  straniero  ;  facciamo  per  la  guerra  ogni  sorta 
di  sacriiìci.  Pensiamo  che  essi  saranno   sempre    minori 


31 

di  quelli  che  e' ira  porrebbero  i  nemici,  se  fossimo  vijitì  ». 
Queste  parole  vennero  accolte  da  grandi  applausi^ 
e  Garibaldi  fu  nominato  socio  onorario  del  Circolo   na- 
zionale. 


Garibaldi  senz'altro  parti  per  il  teatro  della  guerra. 
—  Passò  in  fretta  Novara,  e,  toccata  Pavia  per  salutare 
il  suo  grande  amico  Sacchi,  il  quale  andava  raccogliendo 
volontari,  al  4  di  luglio  arrivò  al  quartiere  generale  in 
Roverbella,  e  si  presentò  immediatamente  al  Re. 

Questi  lo  accolse  con  grande  coiiiesia,  si  mostrò 
edotto  delle  sue  gesta  di  America,  se  ne  compiacque 
altamente,  congratulandosi  con  lui.  Ma  all'offerta  che 
Garibaldi  gli  fece  di  sé  e  dei  suoi  compagni,  quale  Re 
costituzionale,  si  credette  obbligato  di  mandare  il  gene- 
rale ai  suoi  ministri, 

Garibaldi  non  perdette  tempo  —  si  presentò  al  mi- 
nistro della  guerra  generale  Ricci,  bravo  uomo,  colto- 
militare,  ma  pieno  di  pregiudizi  ;  questi,  per  ragioni  di 
regolamenti  burocratici,  credette  di  non  potere  accet- 
tare i  servigi,  ohe  Garibaldi  offriva  alla  causa  italiana, 
per  Combattere  con  l'esercito,  e  lo  consigliò  di  recarsi 
a  Venezia  «  campo  degno  di  lui,  dove  poteva  prendere 
il  comando  di  qualche  flottìglia  tanto  utile  aquell'asse- 
diatit  Città  >.  Garibaldi  deliberà  invece  di  recarsi  a  Mi- 
lano, dove  giunse  la  sera  del  1 5  luglio,  e  doTC  Taspettava. 
miglior  fortuna. 

Jlilano  era  pur  sempre  la  citte,  delle  cinque  gior- 
nate, e  quindi  il  concetto  della  guerra  popolare  rivolu- 
zionaria era  sorto  dalle  barricate. 


22 

CAPITOLO   VI. 
Garibaldi  a  Milano  prende  II  comando  del  Volontari. 

Il  governo  provvisorio  s'affaccendava  a  reclutare 
quante  più  milizie  poteva,  ed  accoglieva  volentieri  quanti 
venivano  ad  offrirgli  il  loro  braccio;  e  però  il  giorno 
stesso  del  suo  arrivo  esso  offerse  a  Garibaldi  il  comando 
di  tutti  ì  volontari  raccolti  fra  Milano  e  Bergamo,  i  quali 
sommavano  a  circa  tremila. 

Non  era  forza  atta  a  salvare  il  paese,  ma  più  di 
quanta  in  quel  momento  Garibaldi  potesse  desiderare. 
Si  occupò  quindi  senz'altro  dell'armamento  dei  suoi  vo- 
lontari ;  li  ordinò  in  battaglioni;  diede  al  più  scelto  il 
nome  del  compianto  amico  Anzani,  suo  compagno  di 
Montevìdeo,  e  lo  pose  sotto  il  comando  di  Medici,  che 
si  era  unito  a  lui. 

Nel  pomeriggio  del  25  luglio,  obbedendo  ad  un  or- 
dine del  governo  provvisorio,  lasciò  i  quartieri  di  Mi- 
lano e  marciò  verso  Bergamo. 

Prima  di  lasciare  Milano  Garibaldi  indirizzava  alla 
gioventù  italiana  il  seguente  : 

PROCLAMA 

Alla  Gioventù  ! 

€  La  guerra  ingrossa,  i  pericoli  aumentano.  La  pa- 
tria ha  bisogno  di  voi. 

«:  Chi  v'  indirizza  queste  parole  ha  combattuto  per 
l'onore  italiano  in  lidi  stranieri  ed  è  accorso  con  un 
pugno  di  valenti  compagni  da  Montevideo  per  aiutare 
anche  egli  la  vittoriosa  patria,  o  morire  su  terra  ita- 
liana. 

€  Egli  ha  fede  in  voi  :  volete,  o  giovani,  averla 
in  lui? 


23 

«  Accorrete,  concentrateTÌ  intorno  a  me,  l'Italia  ha 
bisogno  di  dieci,  di  ventiinila  volontari,  raccoglietevi  da 
tutte  le  parti,  in  quanti  più.  siete  :  e  alle  Alpi  1  Mo- 
striamo all'Italia,  all'Europa  che  vogliamo  vincere,  e 
vinceremo.  » 


Milano,  25  luglio  1848. 


6.  Garibaldi. 


CAPITOLO  vn. 

Venezia,  Treviso,  Vicenza,  Roma,  Curtatone  o  Montanara, 
Goito,  Peschiera,  Rivoli  -  Sfortunata  giornata  di  Cu- 
stoza  -  Armistizio  di  Salasso. 

E  91  marzo,  Venezia,  dopo  una  lotta  vittoriosa,  sì 
liberava  dal  giogo  straniero. 

Il  governo  civile  e  militare  austriaco  era  dichia- 
rato decaduto,  ed  una  convenzione  era  firmata  per  la 
quale  il  reggimento  Kinsld  e  tutte  le  altre  truppe,  croati, 
artiglieria  e  marina  si  ritiravano,  imbarcandosi  per 
Trieste,  Manin  e  Tomasseo,  liberaci  dal  carcere  poliuco, 
venivano  portati  m  trionfo  alla  sede  del  governo. 

Il  popolo  veneziano  proclamava  la  repubblica,  e  il 
governo  prendeva  provvedimenti  per  una  pronta  ed 
efficace  difesa  contro  il  ritorno  dello  straniero. 

Padova,  Treviso,  Vicenza  e  tutte  le  città,  del  Ve- 
neto proclamavano  il  governo  provvisorio,  e  ooei  face- 
vano le  città  del  Friuli. 


La  mattina  del  24  marzo  1848  ebbe  luogo  a  Roma 
un'imponente  dimostrazione  popolare,  che  chiedeva  armi 
e  la  guerra  all'Austria. 

Questii  ottenne  effetto  immediato,  perchè  nel  giorno 
stesso  fu  affidata  al  generale  Ferrari  la  organizzazione 


24 

del  corpo  dei  volontari,  e  Ferrari  non  perdette  tempo;  di- 
fatti alle  cinque  del  mattino  del  26  marzo  partiva  da 
Roma  la  prima  legione  Romana  di  circa  mille  uomini  ; 
e  soli  due  giorni  dopo  partiva  anche,  e  bene  organiz- 
zato, il  primo  reggimento  volontari  forte  di  altri  mille- 
duecento uomini.  Queste  truppe  per  la  via  di  Ancona 
giungevano  a  Bologna  il  16  e  18  aprile  ;  e  non  più  in 
numero  di  2200  combattenti,  ma  di  circa  8000  uomini, 
pieni  di  ardimentoso  entusiasmo  per  la  libertà  della 
patria. 


Il  mattino  del  27  di  marzo  Carlo  Alberto  assumeva 
in  Alessandria  il  comando  supremo  dell'esercito  e  il  24 
entrava  in  Pavia,  ove  era  accolto  con  grande  gioia  dai 
cittadini,  caldi  di  patrio  entusiasmo. 

Agli  inviati  di  Milano  si  esprimeva  con  sensi  dì 
vera  devozione  alla  causa  dell'unita  italiana  e  manife- 
stava il  deliberato  proposito  dì  volere  liberare  l' Italia 
dallo  straniero. 

Procedeva  quindi  innanzi  coi  suoi  figli  fino  a  Lodi 
e  vi  piantava  il  suo  quartier  generale,  da  dove  ema- 
nava i  seguenti  proclami  : 


«  Italiani  della  Lombardia,  della  Venezia,  di  Pia- 
cenza e  Reggio  1 

«  Chiamato  da  quei  vostri  concittadini,  nelle  cui 
mani  una  ben  meritata  fiducia  ha  riposto  la  tempora- 
nea direzione  della  cosa  pubblica,  e  sopratutto  spinto 
visibilmente  dalla  mano  di  Dio,  il  quale,  condonando 
alle  tante  sciagure  sofferte  da  questa  nostra  Italia  le 
colpe  antiche  di  lei,  ha  voluto  ora  suscitarla  a  nuova 
gloriosissima  vita,  io  vengo  tra  voi  alla  testa  del  mio 
esercito,  secondando  cosi  i  più  ìntimi  impulsi  del  mio 
cuore  ;  io  vengo  tra  voi  noi?  curando  di  prestabilire  al- 


25 

-cun  patto  :  Tengo  boIo  per  compiere  la  graad'opera,  dal 
vostro  stupendo  valore  cosi  felicemente  incominciata. 

a  Italiani!  In  breve  la  nostra  patria  sarà  sgombrata 
dallo  Btriialero.  E  benedetta  le  mille  volte  la  Provvi- 
denza Divina,  la  quale  volle  serbarmi  a  cosi  bel  giorno, 
la  quale  volle  che  la  mia  spada  potesse  adoperarsi  a 
procacciare  il  trionfo  della  più  santa  di  tutte  le  cause. 
«  Italiani  !  La  nostra  vittoria  è  certa  ;  le  mie  armi, 
abbreviando  la  lotta,  ricondurranno  fra  voi  quella  si- 
curezza che  vi  permetterà  di  attendere  con  animo  sereno 
e  tranquillo  a  riordinare  il  vostro  interno  reggimento; 
il  ToÈo  della  nazione  potrà  esprimersi  veracemente  e  li- 
beramente ;  in  quest'ora  solenne  vi  muovano  sopratutto 
la  carità  della  patria  e  l'abborrimento  delle  antiche  di- 
visioni, delle  antiche  diacordie,  le  quali  apersero  le  porte 
d' Italia  allo  straniero  ;  invocate  dall'Alto  le  celesti  ispi- 
razioni ;  e  che  l'Angelico  Spirito  di  Pio  IX  scorra  sopra 
tli  voi  ;  Italia  sarà  ! 

«  Dal  No.stro  Quartier  Generale  in  Lodi,  31    mar- 
zo 1848. 

Carlo  Allerto. 
H  Ministro  della  Guerra^  Franzini  >. 


«  Soldati  I 

«  Passammo  il  Ticino  e  finalmente  i  nostri  piedi 
premono  la  sacra  terra  Lombarda  I  Ben  è  ragione  che 
io  lodi  la  somma  alacrità,  colla  quale,  non  curando  le 
fatiche  di  una  marcia  forzata,  percorreste  nello  spazio 
di  72  ore  più  di  cento  miglia. 

«  Molti  di  voi,  accorsi  dagli  estremi  confinì  dello 
■  Stato,  appena  poteste  raggiungere  le  vosti'e  bandiere  in 
Pavia  ;  ma  or  non  è  tempo  di  pensare  al  riposo  :  dì 
questo  godremo  dopo  Li  vittoria. 

<  Soldati  I  Grande  e  sublime  è  la  missione  a  cui  la 


2S 

Divina  Provvidenza  ha  voluto  ne'  suoi  alti  decreti  chia- 
mai'ci.  Noi  (iobbiflnio  liberare  questa  nostra  comune 
patria,  f]uesta  sacra  terra  italiana  dalla  presenza  dello 
BtranierOv  che  da  più  secoli  la  conculca  e  1'  opprime  : 
ogni  etii  avvenire  ìnvidierà  alla  nosti'a  i  nobilissimi  allori 
che  Iddìo  ci  promette;  tra  pochi  giorni,  anzi  tra  poclie 
ore,  noi  ci  troveremo  a  fronte  del  nemico;  per  vincere 
basterà  che  ripensiate  alle  glorie  vosti'e  di  otto  secoli, 
asli  immortali-futti  del  popolo  Milanese  ;  basterà  che  vi 
ricordiate  che  siete  soldati  italiani. 

«Viva  ritaUal 

<  Dal  Nostro  Quartier  Generale  in  Lodi,  31  mai'- 
zo  1848. 

Carlo  Alberto 

Il  Ministro  della  Guerra,  Franzini  ». 

E  quasi  a  dimostrare  il  sentimento  concorde  di  po- 
polo e  di  Re  nel  volere  liberata  l' Italia  dallo  straniero, 
in  Ancona -veniva  pubblicato  il  seguente  bando: 

«  Cittadini  ! 

«  Al  suouo  delle  campane  a  stormo,  che  eccitò  l'in 
aurreziono  nelle  Lombarde  città  contro  Todiato  straniero 
e  ne  fa  ora  trionfalmente  inseguire  la  fuga  e  disperdere 
gli  avanzi,  si  mesce  già  il  vivo  fuoco  degli  acco:-si  drap- 
pelli italiani  e  il  tuono  possente  del  cannone  di  Carlo 
Alberto,  Da  ogni  città,  da  ogni  borgo,  da  ogni  siepe 
esce  un  animoso  combattente  della  santa  guerra  d'Italia. 
La  croce  corona  la  tricolore  bandiera,  e  Cristo  ne  ha- 
faCto  r  indivisibile  segno  della  nostra  vittoria.  I  lunghi 
secoli  del  dolore  e  del  lutto  si  riscattano  con  brevi  e  in- 
vidiabili perigli;  le  macchie,  già  abolite,  d'inerzia  e  di 
indifFeretiza  si  redimono  con  un'eternità  d'impareggia- 
bile gloria. 

■4  Chi,  alla  voce  d'Italia.,  di  questa  patria  sublime^ 
ode  più  gli  affètti  di  padre,  di  marito,  di  figlio  ?  Chi  getta- 


ancora  uno  sguardo  sugli  averi  e  sulla  ricchezza,  se 
non  per  farne  un  sagrificio  alla  patria? 

■<  Via  il  lusso,  vìa  gli  ornamenti;  11  ferro  1  il  ferro! 
nessuna  gioia  fuorclià  nelle  ferite  largamenfb  aperte  nei 
petti  nemici;  nessun  desiderio  fuoroliè  del  sangue  co- 
piosamente sparso  per  l'Italia;  nessuna  gloria  fuorché 
nella  sua  redenzione-  La  nostra  avanguardia  è  partita. 
I  nostri  prodi  ci  aprono  la  strada.  Quale  ragione,  quat 
pretesto  ai  forti,  ai  valenti  per  rimanere?  Che  dolcezza 
in  queste  mura,  che  beltà  nella  vita,  quando  nei  campi 
di  Lombardia  si  muore  per  l'indipendenza  italiana? 

«  Chi  non  invidia  a  sé  ste&ao  questa  nobile  fortuna 
di  morire  per  l'Italia?  Chi  ricusa  la  celeste  voluttà  di 
vendicare  la  sua  vendetta?  Cln  non  s'infiamma  all'alto 
pensiero  di  concorrere  ad  eseguire  il  decreto  di  Dio,  il 
decreto  deUa  rigenerazione  italiana?  Su  quetsto  punto  si 
fonda  la  nostra  nazionalità,  si  conquirita  la  libertà  nostra, 
si  edifica  una  gloria  immortale!  Dehl  ciò  non  sia  senza 
di  noi  I  Dehl  si  accorra  alia  guerra  della  redenzione! 
Felice  chi  lascerà  la  vita  per  lei  !  Felice"  chi  tornerà 
vittorioso,  e  udrà  dirsi  ammirando  o  piangendo  di  te- 
nerezza:   questi  fu  soldato    dell'indipendenza    d'Italia! 

«  Ancona,  30  marzo  1848  ». 


Da  Lodi  il  Re  mosse  per  Cremona,  ove  tenne  coù- 
siglio  di  guerra  per  deliberare  sulle  operazioni  militari. 

L'esercito  procedeva  verso  il  fiume  Oglio,  e  arri- 
Tatovi  il  generale  Bava  faceva  restaurare  il  ponte  di 
Marcarla. 

Il  Re  si  trasferiva  a  Bozzolo. 

Il  giorno  6  aprOe  il  generale  Bava  si  avanzavat 
verso  il  fiume  e  giunto  verso  le  9  in  prossimità  di  Goito 
ordinava  ad  un  battaglione  di  bersaglieri  di  a&sjtliro  i 
cacciatori  austriaci,  che  occupavano  i  colli  ;  i  nostri  mos- 
sero impetuosi  all'assalto  e  gii  Austriaci,  abbandonate  le 
posizioni,  si  ripararono  entro  Goito. 


Ordinata  in  isohiera  d'assalto  la  brigata  Regina,  e 
■sopraggi unti  i  reggimenti  della  brigata  Aosia,  il  geiieralG 
Bftva  mosse  contro  Goito,  preceduto  dai  bersaglieri  co- 
mandati dal  generalo  Alesaandro  Lamarniora;  questi  ap- 
poggiati dall'artiglieria,  che  batteva  le  caso  per  cacciarne 
gli  Austriaci,  spalleggiati  da  lue  compagnie  delle  Eeal 
Nati,  superati  arditamente  gli  asserragliameiiti  costruiti 
dai  nemici,  peuetravano  nel  paese  ;  gli  Aii&triaci,  parto 
rimasero  prigiociori,  parte  corsero  al  ponte  per  difen- 
derlo ;  i  nostri  bersaglieri  e  ì  Reni  Nari  inseguono,  pas- 
sano a  tutta  corsa  il  ponte,  e,  scesi  sulla  sinistra  del 
fiume,  s'impadroniscono  di  un  cannone,  che  il  nennco 
nella  precipitosa  fuga  non  riesce  a  salvare. 

n  combattimento  durò  tre  ore,  le  nostre  truppe  che 
vi  presero  parte,  aopratutto  bersaglien  e  Real  Navi,  mo- 
strarono gran  valore;  ebbero  due  ufBciaU  e  sei  soldati 
morti,  cinque  ufficiali  feriti,  tra  i  quali  il  colonnello  La- 
marmora,  il  maggiore  Mac:caranì  comandante  le  truppe 
Eeal  Nari  e  trentacinquo  soldati,  fii  distinsero  il  generale 
D'Arvillers,  il  capitauo  G-r!fHni  e  Domenico  ResUi. 


Il  giorno  appresso  il  generale  De  Sonnaz  con  un 
ardito  colpo  di  mano  sloggiara  gli  Austriaci  da  Monzara- 
bano,  ed.  alle  5  pomeridiane  i  Piemontesi  erano  padroni 
di  quello  posizioni.  Contemporaneamente  il  colonnello 
comandante  il-  reggimento  Samia  entrava  in  Borglietto 
alla  destra  di  Monzjimbano  in  faccia  a  Valeggio,  ove  i  no- 
.stri  entravano  il  giorno  appresso. 


A  questi  combattimenti  seguirono  quelli  di  Pastrengo 
e  di  Santa  Lucia. 

I  nostri  guidati  dal  generale  De  Sonnaz,  cacciati  gli 
Austriaci  dai  colli  di  Costiera,  Cassetta  e  Fratelli,  furono 
ìa  breve  ai  piedi  di  Pastrengo.    Ma  il  Duca  di   Savoia, 


2B 

tjhe  colle  brigate  Ouneo  e  Regina  si  era  avanzato  alla 
testa  di  tutti,  sì  trovò  arri^stato  dal  melmoso  letto  di 
quei  piccoli  torrenti,  che  si  scaricano  più.  in  basso  nel 
fiume  Tiene.  Sì  doTette  rallentfire  la  marcia;  Analmente, 
superato  l'ostacolo,  ed  animati  dalla  presenza  del  Re  e 
del  Duca,  s'avrentano  alla  lotta,  che  fu  aspra,  perchè 
gli  Austriaci  in  undici  mila  difesero  palmo  a  palmo  il 
terreno  ;  alle  tre  e  mezzo  i  nostri  erano  padroni  di  Pa- 
strengo. 

Il  Re  Carlo  Alberto  in  quel  giorno  superò  tutti  in 
valore  e  corse  gravissimo  pericolo  ;  intollerante  d'indugi 
aveva  precorso  la  fanteria  con  la  sola  scorta  di  un  drap- 
pello di  carabinieri.  Un  corpo  di  Tirolesi,  in  agguato  per 
ritai'dare  la  marcia  dei  Piemontesi,  fece  una  acarica  a 
bruciapelo  contro  il  piccolo  drappello,  e  se  il  colounelLo 
Sanfront  non  fosse  arrivato  in  tempo  coi  suoi  squadroni 
di  carabinieri,  il  Re,  che  aveva  tratto  la  spada  in  atto 
di  slrtDciarai  contro  il  numeroso  nemico,  si  sarebbe  tro- 
vato a  mal  partito. 


D  6  maggio  i  Piemontesi  con  tre  divisioni  si  mos- 
sero in  ricognizione  su  Verona  ;  la  brigata  Fegina  sotto 
g-Ii  ordini  del  generale  D'ArviUers  si  avanzava  sulla 
strnda  di  Sona,  incontrava  il  nemico  e  impegnava  un 
assai  vivo  combattimento,  che  ebbe  esito  fortunato  per 
i  nostri,  perchè  il  nemico  si  ritirava  sotto  le  mura  di 
Veruna  ;  però  durante  il  combattimento  la  brigata  AoaUi 
per  seguire  il  He,  sempre  primo  ai  rischi,  avendo  acce- 
lerato il  passo,  si  trovò  sola  di  fronte  alla  nemica  e  for- 
midabile posizione  di  S.  Lucia,  seguita  a  grandissima  di- 
stanza dalla  brigata  Guardie. 

Gli  Austriaci  occupavaBo  il  campanile  e  le  case.  Del 
cimitero  cinto  di  mura  munite  dì  feritoie,  ne  avevano 
formato  una  vera  fortezza  e  da  questo  posizioni  con 
fUoco  micidiale  colpivano  ì  nostri  ;  U  valoroso  generale 


30 

Somraariva  secondttndo  l' ardore  del  Re  e  dei  suoi  sol- 
dati assftle  energicamente  il  villaggio;  il  generale  Bava- 
fa  piazzare  in  buona  posizione  l'tvrtiglieria,  la  quale  apre 
TÌ70  fuoco  contro  il  campanile,  le  case  e  il  cimitero  j 
sotto  le  mura  del  villagj;io  sj  accende  un  aapro  conflitto, 
nel  quale  trova  morto  il  prode  colonnello  Caccia  del  5" 
reggimento  ;  a  fianoo  del  generale  8oinraariva  cadeva 
mortalmente  ferito  il  tenente  Beston  Balbi»  suo  aiutante; 
il  colonnello  Manassero  del  G"  reggimento  era  ;graTe- 
mente  ferito,  ed  a  lui  Ticino  moriva  il  tenente  GandoU'o 
dì  lui  aiutante  e  tanti  e  tanti  altri;  ma  i  valorosi  Val- 
dostani non  si  arrestano,  che  anzi  il  desiderio  di  ven- 
dicare i  caduti  li  spinjje  a  più  fiera  locta.  Giangeva  fi- 
nalmente la  brigata  Guanlìe,  che  al  fiagore  del  eannone 
aveva  accelerjito  la  sua  corsa  ;  e  allora  il  generale  Bava, 
valendosi  del  soprasglunto  rinlbrzo,  si  pone  alla  testa  di 
questo,  lancia  le  sue  brave  truppe  sul  merlato  muro,  e 
queste,  sprezzando  il  pericolo,  animate  dalla  presenza 
dei  condottieri,  superano  tutte  le  diftìcoltii,  s' iinpndro- 
niseono  del  baluardo  seminando  morti  e  facendo  nume- 
rosi prigionieri. 

Dopo  iì  combìLttimento  di  S.  Lucia,  tanto  glorioso 
per  le  armi  Piemontesi,  essendo  giunto  il  parco  da  Ales- 
sandria, il  Re  ordinava  che  ni  cingesse  d'assedio  l'e- 
seliiera.  La  direzione  deU'assedjo  fu  affidata  al  Duca  di 
Genova,  il  quale  aveva  sotto  ì  suoi  ordini  il  generale 
Cliiodo  del  genio  e  il  generale  Rossi  dell'artiglieria;  ai 
lavori  d'assedio,  e  a  cingere  la  piazza,  furono  destinate 
le  brigate  Pìtamonfe  e  Pimroh  con  Federici  generale  di 
divisione,  Bea  e  Manno  brigadieri. 


n  giorno  19  aprile  le  truppe  Romane  di  linea  e  dei 

.  volontari^  alle  quali  eransi  uniti  D  battaglione  volontari 

di  Ancona  ed  altri  delle  Marche,  nonché  la  Legione  di 

Eomagna  e  di  Perrara,  passavano  il  Po  e  si  mettevano 


31 

in  marcia  verso  MoQteljellunn.  Il  generale  Dummio,  co- 
maDdante  in  capo  di  queste  truppe  colla  prima  divisione 
trovflvflsi  già  adOstiglia,  ' 

Il  25  d'iiprile,  nei  dintorni  di  Schio,  ebbe  luogo  un 
combatcimento  trii  queste  nostre  truppe  e  un  corjjo  di 
Auatiiiici  che  duro  per  quattro  ore;  l'attiìcco  fu  vivo, 
ma  i  bravi  nostri  giovani  volontari  seppero  cosi  bene- 
resistere  alle  prime  prove  del  fuoco,  da  costringere  il 
nemico  a  ritirarsi  con  perdite  non  lievi. 

Anche  nei  f,'iorDÌ  seguenti  ebbero  luogo  vari  scontri 
sempre  favorevoii  alle  nostre  anni. 

11  giorno  8  maggio  il  generale  Ferrari,  che  aveva . 
concentrato  le  sue  forze  di  volontari  e  regolari  a   Mon- 
tebclluna,  ebbe  avviso,  dai  suoi  posti  avanzati,  delFav- 
vicinarsi  del  nemico. 

Il  generale,  luaciata  una  parte  delle  truppe  a  guar- 
dare il  paese,  mosse  col  resto  delle  sue  forze  per  la  via 
di  Cornuda,  ove  giunto  alle  ore  5  pom.  fece  prendere- 
ai  suoi  posizione  sulle  colline  circostanti,  mentre  man- 
dava grosse  pattuglie  a  perlustrare  sulla  strada  dalla 
quale  si  attendeva  il  nemico.  Poco  prima  del  tramanto 
la  compiignia  dei  bersaglieri  del  Po,  che  stava  appostata 
sulla  collina  di  desti'a,  apriva  il  fuoco  contro  l'avan- 
guardia nemica  che  dì  poco  precedeva  il  grosso  delle 
truppe,  per  cui  ben  presto  l'attacco  si  spiegò  su  tutta 
la  linea;  questo  durò  it  n'ora  circa,  e  cessò  da  parte  del 
nemico  che  suonò  a  raccolta.  Era  certo  che  questo  aveva 
voluto  limitare  la  sua  azione  ad  una  ricognizione  ;  e,  si- 
curo che  l'indomani  earebiie  stato  attaccato  da  forze  su- 
periori, il  generale  Ferrari  disposo  di  ritirarsi  dalie  po- 
sizioni avanzate  che  occupava  colle  sue  giovani  truppe 
e  di  disporre  una  nuova  linea  di  avamposti  al  di  lù  di 
Cornuda.  Mandava  subito  avviso  al  Durando,  che  si  tro- 
vava eolla  sua  divisione  nella  vicina  Bassano,  della  pre- 
senza del  nemico,  affinchè  come  generale  in  capo  avesse 
prose  la  &ue  disposizioni. 

Alle  5  di  mattino  del  9  maggio  il  nemico  si  mosse. 


32 

•ali 'assalto  delle  posizioni  occupate  dal  nostri,  ì  quali 
sostennero  l'urto  senza  cedere  un  palmo  di  terreno,  man- 
tenendo un  ftioco  assai  ben  nutrito  fino  alle  4  pomeri- 
diane in  attesa  dell'arrivo  del  Durando. 

Ma  il  nemico  ingrossava  sempre  più  tanto  che  a 
sera  le  truppe  del  Ferrari  si  trovavano  ad  avere  di 
fronte  l'intera  divisione  del  Nugent,  che  occupava  tutte 
le  posizioni  di  fronte,  con  spiegamento  di  forze  a  destra 
:e  a  sinistra  tendenti  all'avviluppamento;  intendimento 
che  non  isfug^  al  Ferrari,  il  quale  ordinava  un  movi- 
mento di  ritirata  e  di  concentramento  più  indietro  di 
Cornuda,  per  proseguire  poi  per  Montebelluna,  onde 
congiungersi  colle  truppe  che  vi  aveva  lasciato  di  pre- 
sidio. Giunto  a  Montebelluna,  ordinava  la  partenza  per 
Treviso  dandone  avviso  al  generale  Durando  cui  chie- 
deva urgenti  rinforzi. 

Il  mancato  appoggio  del  Durando   fu  inesplicabile. 

Alle  pressanti  premure  del  generale  Ferrari  egli  ri- 
spondeva così  : 

Crespano,  9  maggio  48. 

Generale, 
<  Vengo  correndo  ». 


«  Durando  >. 


Ma  non  si  vide  : 


n  generale  Ferrari  presa  posizione  a  Treviso,  or- 
iìinava  una  ricognizione  —  volle  dirigerla  di  persona  il 
generale  Guidetti  il  quale,  spintosi  avanti  alla  testa  dei 
suoi,  ebbe  trapassato  il  cuore  da  una  palla  tedesca. 

Verso  mezzogiorno,  sì  ebbe  notizia  che  il  nemico, 
in  forti  masse,  si  avvicinava  a  gran  passi,  da  tre  parti, 
su  Treviso.  Il  bravo  generale  Ferrari  sì  spinse  con  una 
forte  ricognizione  verso  il  Piave.  Venuto  a  contatto  col 
nemico,  ingaggiava  il  oombattinlento  di  tìraglieri,  facendo 


33 

piazzare  intanto  la  deljole  sua  artiglieria.  Al  couLi'aE-- 
tacco  del  nemico,  che  aveva  spiegato  forze  imjioneiifcij 
e  al  fuoco  delle  sue  artiglierie  clie  fulminavamo,  la  co- 
lonna avanzata  composta  di  truppe  di  linea  non  resse, 
balenò  prima,  poi,  presa  da  panico  si  sbandò,  abhando^ 
nando  al  nemico  un  cannono  e  non  arrestandosi  che  a 
Treviso.  Non  giovò  l' intrepido  e  valoroso  esempio  del 
generale  di  fronte  al  fuoco;  fu  vana  la  voce  degli  uffi- 
ciali che  tentarono  dì  ricMiiinar  le  truppe  al  dovere,  e 
dì  fare  argine  alla  fuga  ;  nulla  valse,  e  la  rottfi  di  quella 
colonna  fu  completa.  I  volontari  marchigiani,  romagnoli» 
umbri,  romani  rimasero  al  loro  posto  ma  non  poterono 
riparare  al  disastro  ;  essi  si  misero  sotto  gli  ordini  del 
colonnello  Galletti  per  riannodarsi  alle  truppe  del  gene- 
rale in  capo  Durando,  avendo  il  generale  Ferrari  abb^m- 
donato  il  comando,  offeso  della  condottn  del  Durando, 
che  gli  aveva  fatto  manc^u-e  il  promessogli  soccorso. 


n  gtmerale  Durando  col  grosso  dei  suoi,  si  trovava. 
a  Padova  con  avamposti  a  Vicenza  ove  lo  niggiungc- 
vano  i  volontari  comandaci  dal  G-aletti. 

Il  20  maggio  gli  Austriaci,  forti  di  6000  uomini  oltre 
l'artiglieria,  assaUvano  i  posti  avanzati  di  Vicenza,  svì- 
lupivando  la  loro  azione  dì  artiglieria  e  di  ben  nuti'ìto. 
fuoco  di  fucileria  contro  le  barricate  di  Porta  S.  Luciiij 
di  Porta  Padova,  e  di  Porta  S-  Bartolo,  ma  dopo  4  ore 
di  combattimento  furono  da  ogni  parte  brillantemente 
respinti. 

In  questo  coDibaLtiraento,  sostenuto  con  molto  va- 
lore, i  nostri  ebbero  a  soffrire  non  poche  perdite,  e  lo. 
stesso  generale  Antonini  vi  rimase  gravemente  ferito. 


Il  giorno  23  gli  Austriaci,  con  forze  assai  maggiori 
ritornarono  ad  assalire  Vicenza  ;  il  combattimento  dura 


34 

■accanito  tutto  il  giorno  e  fu  ripreso  la  mattina  del  24, 
mentre  nella  notte  dal  23  al  ^4,  bombardarono  la  città 
■che  non  die  segni  di  allarme.  J  iiOKtri  fecero  prodigi  di 
valore;  colla  punta  della  baionetta  fugarono  il  nemico 
che  perdetce  due  cannoni  e  lasciò  in  nostre  mani  154 
.prigionieri  con  più  di  mille  feriti. 

Fu  uaa  giortuita  gloriosa  per  le  armi  italiane. 
Con  temporali  earo  enee  gli   A  ustriaci    nttaceavano   i 
nostri  nelle  posizioni  del  Caffaro-Lodrone-Bag'olino,   ma 
anche  da  quella  parte  furono  bravamente  respinti. 


Il  giorno  8  giugno  il  generale  Durando  ebbe  avviso 
■del  nuovo  av-nnscaisi  del  nemico,  ma  mal  si  seppe  del 
numero  e  della  direzione.  Si  diceva  che  non  riiggiun' 
geva  ì  :20,000  uomini  ed  era  diretto  al  Piave  per  con- 
gìungersì  ad  altro  corpo  ivi  concentrato.  Ma  il  giorno  9 
si  ebbe  notizia  che  aveva  tagliata  la  strada  l'errata  e 
gittati  tre  ponti  sul  Bacchi^Iione.  Ormai  il  sospetto  di 
esaere  attaccaci  diveniva  certezza,  quindi  con  ogni  mag- 
giore alacrità  si  diede  opera  ai  lavori  di  difesa. 

Si  distribuirono  le  forze  di  11,000  uomini  nelle  po- 
sizioni le  più  importanti.  Verso  sera  si  ebbero  precise 
informazioni  che  tutto  l'esercito  Austriaco,  con  Rjidetzty 
alla  testa  e  con  80  cannoni,  stava  per  rovesciarsi  su 
Vicenza. 

Alle  4  di  mattina  del  giorno  10  incominciò  l'attacco 
al  Monte  Berico,  posizione  importantissima  che  domina 
Vicenza.  Per  disposizione  del  generale  Durando,  le  po- 
sizioni di  Castel  Rambaldo  e  dì  BeLhiguarda,  presidiate 
dagli  Svizzeri,  dovevano  essere  abbandonate,  se  attaccate 
da  forze  preponderanti,  per  concentrarsi  con  una  forte 
difesa  al  Colle  su  cui  sta  la  Villa  Ambelicopoli;  s  cosi 
fu  fatto.  Abbandonato  dai  nostri  il  eolle  di  Bellaguarcia, 
^li  Austriaci  pensarono  subito  di  piantarvi  una  batteria 
ipa,  controbattuti  con  grande  precisione  dalla   batteria 


35> 

■àél  Colle  Ambelicopoli,  furono  costretti  a  battere  in  ri' 
tirata.  Fino  alle  11  del  mattino  l'attacco  fu  debole,  perchè 
^li  Austriaci  laForavano  per  fortificarsi  nelle  posizioni 
conquistate  e  nel  piantarvi  bntcerie  che  avrebbero  ben 
presto  vonaitato  quel  turbine  dì  fuoco  che  doveva  av- 
viluppare la  città  e  piombare  sui  colli.  Verso  il  mez- 
zogiorno il  nemico  spiegava  tutte  le  sue  forze,  attaccando 
conCeniporaneamente  il  Monte  ìlerico,  i  Colti,  e  le  porte 
■di  PjMÌova,  di  S.  Lucia  e  di  S.  Bartolo. 

Alla  dilesa  della  posizione  di  Ambclicopoli,  stava 
la  batteria  LentuLus  rafforzata  da  un  battaglione  di  corpi 
pontificii,  da  un  battaglione  di  svizzeri  e  dalle  compa- 
gnie di  Mosti  di  FeiTiira,  di  Fusirato  di  Scino  e  del  Ti- 
rolo  italiano.  Fu  un  accanito  acambiarsi  di  palle,  di  gra- 
nate, di  razzi  e  di  fucilate  con  etsito  micidialiSBÌmo.  Allo 
-2  pomeridiane  il  Marchese  d'Azeglio  comandava  un  at- 
tacco jiUa  baionetta  contro  i  nemici  occupanti  !a  coilina 
■opposta;  il  combattimento  a  corpo  a  corpo  fu  accanito» 
micidiale  sopratutto  per  i  nostri,  che  avevano  di  fronte 
forze  quattro  volte  superiori;  vi  rimasero  feriti  lo  stesso 
d'Azeglio  e  il  colonnello  Cialdini,  e  l'esito  infelice  fu 
causa  della  perdita  della  porzione  del  Monte  Berico  ;  i 
nostri,  costretti  a  ritirarsi  furono  inseguiti  da  cinqueraiki 
cacciatori  ed  Ungheresi,  sensia  che  la  nostra  batteria 
potesse  arrestarli  con  fuoco  a  mitraglia  per  non  colpire 
i  fratelli  stretti  d'appresso;  giunti  gli  Auati'iaci  a  passo 
■di  corsa  come  una  valanga  sui  nostri,  li  roveaciarono 
^ù  dalla  china;  tentarono  ancora  i  bravi  italiani  di  fare 
resistenza  sul  Monte  della  Madonna  e  nei  portici,  ma 
inutilmente  che  dovettero  ripararsi  in  cittÀ. 

Perduto  il  Monte  Berico,  la  sorte  di  Vicenza  era 
-decisa,  ma  è  pur  vero  che  la  resistenza  poteva  prolun- 
.g-arsì. 

Erano  le  8  di  sera,  e,  ad  onta  del  fulminare  delle 
artiglierie  e  degli  stutzen,  nessuna  delle  barricate  aveva 
■ceduto,  tutte  difese  fino  all'eroismo  dal  battaglione  vo- 
lontari, dalla  legione  Romana,  dalla  legione  Romagnola, 


36 

dal  battaglione  AjicoDitAiio  e  divUe  ti'uppe  delle  Marche; 
dì  questo  parere  di  ulteriore  resistenza  erano  anche  i 
Viceiiitini  stessi  fli<;,  quando  videi'o  sullu  toiT^e  iiuilberata 
la  bandiera  bianca  la  prCBero  a  fucilate. 

Fu  fù'iuata  uim  capitolaaioue  die  tiilvava  In  città 
e  i  cittaciirii  da  ogni  ra|jpresaglia;  ai  parlamentari  noisU'i, 
il  comantlarite  austriaco  disse:  «  che  non  si  poteva  ne- 
gare una  onorifica  capitolazione  a  chi  ai  era  difeso  tanto 
eroicamente  ». 

Certo  è  che  le  nostre  truppe  fecero  tutte  il  loro  do- 
vere, battendosi  con  aceauinsento  e  valore,  e  la  stessa 
eapitoÌHzione  lo  dimostrò,  perché  poterono  ritirarsi  con 
armi,  bagajjllo  ed  onori  di  g-uerra,  senza  alcuna  scorta, 
colla  semplice  promessa  che  non  aviebboro  preao  le 
armi  per  tre  mesi. 

Si  discinsero  il  Fasi,  il  Goletti,  il  Ceccnrini,  il  Ca- 
landrclli,  il  Tittoiii,  0  OiSiinoTii^  il  Ruspoli,  l'Albini,  i 
capitani  Cesare  Bianchini,  Oruani,  Gigli,  Andreucci,  ed 
i  tenenti  Schellini,  Andreanì,  Fuggii,  e  Felici  di  Ancona. 

Vi  lasciarono  la  vita  il  Maggiore  Conte  Gentiloiii, 
il  colonnello  Del  Grande,  Francesco  Maria  Canestri;  ri- 
masero feriti  Miisisinio  d'Azeglio,  il  colonnello  Enrico 
Cialdioi,  i]  comandaute  l'artiglieria  Lontulus,  iJ  nuxg- 
gioTo  Morelli,  il  Morigliani,  il  Miughetti,  il  Corandeni, 
il  Dianiilla-Muller  e  i  capitani  Beaufort  e  Bandini, 


Vinti  separatamente,  le  truppe  Komane  e  1  volou- 
tari  delie  Marche,  del  Ferrarese,  delle  Romagoe,  delle 
Venete  provincie  e  del  Fi'iuU,  comandate  dal  Durando, 
il  maresciallo  Kadetzky  era  ormai  libi-'i'o  di  portare  tutte 
le  sue  forze,  aumentate  e  ringat,'liardito,  contro  l'esercito 
Pieffiontese,  di  cui  aveva  provato  il  valore,  e  che  Bolo 
gli  rimaneva  di  fronte. 

Disgraziatamente  questo  esercito,  il  cui  ammontare 
GOO  Superava  i.  60  mila   uomini,   era   ordinato    in   una 


37 

estensione  di  terreno  talmente  estesa  da  occupare  una 
linea  di  circa  cento  chilometri  attraversati  da  un  fiume, 
Kivoli,  ie  rive  del  Mincio  da  Peschiera  a  Goito;  i  pi'essì 
di  Mantova;  Governolo  e  Villafranca  ne  erano  le  estre- 
mità; Roverbella  il  eentro. 


Il  Maresciallo  Austriaco  volle  tentare  un  colpo  de^ 
cìsivo,  salvara  Peschiera  dairimminente  caduta,  e  piom- 
bare addosso  all'esercito  Piemontese,  spertindo  di  trovarlo 
debole  a  motivo  della  estensione  del!a  lunga  linea  di 
posizioiii  che  teneva  occupate.  Formava  quindi  il  piaro 
di  l'orzare  la  destra  del  Mincio  per  Kivalta,  le  Grazie 
o  CurLitune,  contando  di  trovarvi  debole  resistenza,  sor- 
prendere alie  spalle  !■©  truppe  Piemontesi  e  sospin^rle 
Botto  le  fortezze  del  quadrilatero. 

Formato  questo  piano,  il  21  di  magLi'io  usciva  da  Ve- 
rona ove  aveva  riunito  40  mila  uomini  che  diresse  su 
Mantova;  la  notte  del  28  si  attendò  sotto  quella  fortezza 
da  dorè  trasse  altri  20  mila  uomini  del  Nugent;  aveva 
quindi  Con  se  60  mila  combattenti  con  forte  artig-lieria, 
e  li  divise  in  tre  corpi  di  20  mila  og:nuno. 

Alle  10  del  mattino  del  20  magijio  attaccaTa  con- 
tempo i-an  e  amen  te  l'ala  sinistra  dell'esercito  Piemontese 
girandolo  per  Kivoli,  Affi,  Lozise  ed  il  Campo  Toscano 
di  guardia  a!la  destra;  fra  Mozzacaiie  e  Povegliano  eravi 
un  altro  corpo  di  !l'0  mila  uomini  minacciante  il  centro, 
qualora  i  Piemontesi  avessero  incautamente  appoggiato 
a  desti'a  o  a  sinistra  per  rafforzare  i  deboli  estremi. 

L'attacco  di  Lozise  riuscì  sfavorevole  agli  Austriaci- 
essi  furono  ricacciati  al  di  là  dell'Adige  dal  general  De 
Sonuaz,  lasciarono  sul  terreno  oltre  500  feriti  e  numerosi 
prigionieri. 


38 


A  Curtatone  e  a  Montanara  erano  5  mila  Toscani 
con  un  battaglione  dì  Napolitani  a  guardia  del  Mincio 
comandati  dal  valentissimo  generale  Laugier.  Di  questo 
pugno  d'uomini,  il  Maresciallo  Austrìaco,  coi  suoi  20  mila, 
credeva  di  averne  ben  presto  ragione. 

Lanciava  quindi  contro  quella  estrema  punta  il  forte 
nerbo  di  truppe,  con  ordine  di  superare  ogni  resistenza 
e  di  varcare  il  Mincio,  onde  prendere  alle  spalle  i  Pie- 
montesi, sgominarli  e  fare  punta  su  Pesahiera. 
p  Senonchè  i  Toscani,  e  i  pochi  Napoletani,  ricevet- 

f  tero  il  formidabile  urto  come  tanti  eroi    della    vecchia 

i  guardia,  entusiasmati  dall'esempio  del  loro  generale,  che, 

]  moltiplicandosi,  sì  trovava  dovunque  era  più    fiera  la 

mischia. 

Gli  artiglieri  rispondono  coi  loro  otto  cannoni  alle 
furiose  scariche  nemiche,  molti  muoiono  da  eroi  sui  loro 
pezzi,  ma  vengono  tosto  rimpiazzati  da  altri  animosi; 
<ìh]  molino  e  dalla  casa  del  Lago,  delle  quali  avevano 
fatto  due  fortezze  con  feritoie,  i  Toscani  fulminavano 
gli  assalitori  ;  il  battaglione  degli  studenti  si  slancia  con 
impetuosa  carica  sul  ponte  dell'Osone;  l'eletta  schiera 
Toscana  combatte  eroicamente,  non  si  sgomenta  nel  ve- 
dere fulminati  tanti  cari  compagni  come  il  Pilla,  il  Tofi 
■e  feriti  il  Mossotti,  il  Pirio,  il  Burci,  ma  eccitati  dall'esem- 
pio del  generale  Langier,  dal  Malenchini  e  da  altri  prodi 
sì  avventa  sul  nemico,  lo  rompe  e  Io  mette  in  fuga. 

Il  combatiiimento  durò  fino  alla  sera;  un  pugno 
d'uomini  che  il  Radetsky  credeva  di  sterminare  in  bre- 
v'ora,  seppe  con  impareggiabile  valore  tenergli  1«sta 
tutta  la  giornata  sebbene  decimato.  Alla  sera,  slinito. 
quel  manipolo  glorioso  dovette  ritirarsi  su  Gpito  e  Ca- 
fi  teli  uccio. 


39 


Al  combattimento  prese  parte  il  Montanelli;  questi 
temendo  che  il  forte  numero  degli  Au.sLri:iL'.i  potesse  itvere 
ragione  del  piccolo  corpo  dei  Toscani,  disse  .il  Mjilencliiiii, 
capitano  dei  bersaglieri: 

—  «  Moriamo  qui  tutti  piuttosto  che  arrenderci  » 
mentre  cosi  diceva  venivano  colpiti  a  morte  Pietro  Parrà 
e  Paolo  Crespi;  Malenchmi  si  trovava  vicino  a  quest'ul- 
timo, volle  soccorrerlo,  accorse  e  lo  prese  nelle  Bi:e 
braccia  «  dammi  un  bacio  amico  »  gli  diyse  il  moribondo 
Crespi  «  e  torna  a  fare  il  tuo  dovere  »  ;  nel  piii  vivo 
del  coiBbattiraent'?,  veniva  colpito  da  colpo  di  t-'aratina 
che  gli  traversavi!,  la  spaiLa  sLuisti'a,  il  bravo  Monta- 
nelli —  se  uè  ftccorae  il  Malenchini  e  corse  a  sooco- 
rerlo  —  a  questi  il  Montanelli  disse  «  tu  mi  Jkrai  fede 
che  io  caddi  guardando  il  nemico  ». 

Fra  ì  tanti  leriti  vi  erano  il  colonnello  Compia  e 
il  tenente  colonnello  di-llo  Stato  Maggiore  Chigi  die  do- 
vette subire  l'amputazione  della  mano  Hiniatra. 


Nel  mattino  del  30,  accortosi  Carlo  Alborto  cbs  la 
coloDTia  nemica  del  centro  erasi  ritirata  durante  la 
notte  a  Mantova,  trovò  necessario  di  dare  appo-cf^io  nlla 
destra  del  Mincio  per  garantire  la  ritintta  delle  Lriifipe 
Toscane  au  Volta,  e  tener  fermo  sull'alto  Mincio  lungo 
le  forti  ed  elevate  poaizioni  che  da  Vallejjgio  distendonsi 
fino  a  Castiglione;  e  fu  provvida  mì^ura. 

Il  nemico  fatte  passare  le  Bue  truppe  alla  destra 
del  Mincio,  le  distese  da  Rivalla  a  Gazaldo  e  già  si  tro- 
vava a  Goito  quando  giunsero  le  t.ru]ipe    Piemonteìsi. 

Ben  notevole  era  la  ditferenza  delle  due  forze;  i  Pie- 
montesi non  superavano  i  19  mila  uomini  con  45  pezzi 
di  artiglieria,  l'Austriaco  era  forte    di  2è  mila    uomini 


40 

e  60  etìononi;    ma  questa  sproporzione    fu   tosto   vinta 
dall'ardimento  e  d.il  sommo  valore  dei  Piemontesi. 

In  sei  ore  di  eroÌ(.-Q  combattimento,  dalle  2  pomeri- 
diane alle  8,  l'immico  fu  sconfìtto;  lo  sbaragliarono  nelle 
sue  colonne,  e  lo  misero  in  piena  fuga,  inseguito  fin 
sotto  Mantova, 

Fu  una  vittoria  veramente  gloriosa.  U  Re  fu  sempre 
esposto  in  mezzo  ai  proiettili  sibilanti,  ed  obte  sflorat* 
un  orewhlo;  il  duca  di  .Savoia  fu  ferito  ad  una  coscia. 
Il  numero  dei  morti  e  feriti  austriaci  fu  grande  e  molti 
furono  i  prigionieri. 

A  rendere  più  memorabile   la  giornata,    Peschiera  af 
era  resji  alle  2  pomeridiane,    e  alle  4  il  Re  lo   annun- 
ciava all'esercito  durante  il  combattimento. 


% 


Per  fitcilitare  le  comunicazioni  con  la  Camicia  e  con 
la  Carinzift,  il  Re  Carlo  Alberto  credette  utile  di  con- 
quistare la  posizione  di  Rivoli,  ne  diede  ordine  al  ge- 
nerale de  Sonnaz. 

Stava  a  difesa  dell'importante  poaizionc  il  colonnello- 
Zobel  con  4  mila  uomini.  Il  9  di  giugno  il  generale  De 
Sonnaz  si  metteva  in  marcia,  e  l'avanguardia  piemon- 
tese, formata  dal  battaglione  degli  studenti,  entrata  a 
Cavaion,  clie  trovò  sgombra  di  nemici,  proseguiva  fino 
a  Costerman  ove  pernottava  ad  un'ora  dì  distanza  dagli 
avaniposLi  austriaci. 

All'indomani  il  De  Sonnaz  divideva  il  corpo  in  due 
colonne;  l'una  comandata  dal  duca  di  Genova,  composta 
delle  due  brigate  Piemonte  e  Pineroh,  delle  compagnie 
degli  studenti,  dei  volontaiù  pavesi  e  piacentini,  e  di 
due  batterie,  giunse,  per  Costerman.  Eoi  e  Caprino, 
sopra  S.  Martino,  accennando  a  circuire  la  posizione  di 
Rivoli  per  la  sinistra  e  tagliare  la  ritirata  al  nemico  ; 
l'altra  colonna,  partita  da  Pastrengo,  composta  di  tutta 
la  Divisione  Broglia,  p€r  la  strada  del  Eonebi   e,d  A^. 


41 

giunse  sopra  Rivoli  che  fu  trovato  sgombro^  perchè  il 
Zobel,  quando  si  accorse  che  due  forti  coIoiiTie  erano  in 
marcia  per  attaccarlo  da  due  parti,  a'era  rìpieL^'ato  su 
Intanale;  giunto  a  Preabono  occupava  fortemente  la 
-Corona  e  le  Creare,  punti  molto  importanti,  e  raandnva 
sul  Trentino  alcune  compagnie  sulla  sinistra  dell'Adige, 
Ma  allo  spuntare  del  giorno  11,  assalito  dal  Duca  di 
Genova,  dopo  qualche  resistenza,  batteva  in  ritirata 
verso  Madonna  della  Neve  al  di  là  del  confine  italiano. 


n  18  luglio  le  truppe  Piemontesi  comandate  a  serrar 
più  d'appresso  Mantova,  con  brillante  attacco  ordinato 
e  diretto  dal  Generale  Bava,  s'impadronivano  di  Gover- 
nolo  ricacciando  nelle  paludi  gli  Austriaci,  e  facendo' 
molti  prigionieri. 

Il  giorno  2'2  luglio  il  Maresciallo  Radetzki,  decìso  di 
dure  una  decisiva  battaglia  ai  Piemontesi,  riuniti  sotto 
A''erona  piii  di  ISO  mila  uomini,  divideva  queste  forze 
in  tre  corpi:  l'uno  capitjjnato  dal  d'Aijpre  doveva  por- 
tarsi sulle  alture  e  al  borgo  di  Sona;  l'altro  comand;ito 
da  Wratislaw  doveva  assalire  fìommacarapagna;  il  terzo 
lo  teneva  sotto  mano  il  Wirapfen  per  soccorrere  al  bi- 
sogno d'Aspre  o  Wratislaw. 

Le  posizioni  che  stavano  per  essere  investite  dal 
nemico  erano  difese  dal  generale  Broglia,  che  con  la 
brigata  Savoia,  un  battaglione  del  13",  alcune  compaguie 
di  Toscani,  di  bersaglieri  e  di  volontari,  sei  squadroni 
di  cavalleria  Novara,  una  batteria  da  posizione  Pie- 
luonteae,  due  pezzi  Toscani  e  quattro  pezzi  Modenesi  e 
Parmensi,  occupava  l'ahizzolo  e  S.  Giustino  è  mandava 
avamposti  alle  Cascine  di  Colombarone,  a  destra  ed  a 
sinistra,  fra  Sondrio  e  Boscolengo. 

Focili  alberi  abbattuti,  e  qualche  barricata,  erano 
*utte  le  difese  dei  Piemontesi  sulla  sinistra. 

Non  cosi  al  centro,  ove  il  generale  De  Sonnaz  aveva 


42 

fatto  innalzare  un  lungo  bastionato,  che,  legando  le  col- 
line di  Falazzolo  con  quelle  di  Sona,  chiudeva  la  gran 
strada  che  da  Peschiera  porta  a  Verona  ;  quest'opera 
era  difesa  dal  Duca  di  Genova  e  dai  Parmensi. 

Sulla  destra,  a  Sommacampagna^  eransi  pure  erette 
alcune  trincee,  difese  da  un  battaglione  del  13"  e  dai 
Toscani  con  tre  cannoni. 

Stava  in  riserva  Novara  Cavalleria.  Erano  in  com- 
plesso appena  dodicimila  uomini. 

In  Villafranca  stavano  gli  altri  due  battaglioni  del 
13°,  un  secondo  battaglione  Toscano,  e  mezza  batteria 
di  artiglieria;  in  tutto  duemila  cinquecento  uomini,  che 
non  presero  parte  al  combattimento. 

L'attacco  incominciò  a  Sona  alle  6  del  mattino  del 
23  luglio  ;  i  Piemontesi  assaliti  su  tre  lati  da  forze  quat- 
tro volte  superiori,  respingevano  con  grandissimo  valore 
i  ripetuti  attjicchi. 

E  sebbene  il  Wimpfen,  vedendo  l'ostinata  resistenza 
dei  Savoiardi,  dei  Toscani  e  dei  Parmensi,  avesse  man- 
dato in  aiuto  la  riserva,  pure  poco  frutto  ne  riportava 
contro  il  bastione  difeso  dalla  brava  aitiglieria  e  dalle 
valorose  truppe  di  fanteria;  ne  sarebbe  riuscito  ad  im- 
padronirsene, se  Sommacarapagna  avesse  potuto  resi- 
stere. Ma  come  era  possibile  ulteriore  resistenza  quajido 
tre  battaglioni  combattevano  arditamente  da  più  ore 
contro  tre  brigate?  Pur  non  sarebbero  entrati  in  Som- 
macampagna  neppure  ;  ma  gli  Austi'iaci  per  venirne  a 
capo,  collocata  una  batteria  di  obici  sull'altura  del  San- 
tuario della  Salute,  fecero  piovere  nel  paese  tale  una 
grandine  di  proiettili,  che  i  Piemontesi  dovettero  slog- 
giare e  ripiegare  ordinati  sopra  San  Giorgio  in  Salice,, 
nel  qual  luogo  erasi  già  ridotto  il  generale  Broglia,  ri- 
tiratosi egli  pure  in  ordine  perfetto,  portando  con  se 
la  sua  artiglieria;  dietro  comando  ricevuto  dal  generale 
De  Sonnaz,  ricondusse  le  valorose  truppe,  per  Sandrà 
e   ColA,  sopra  Pacengo. 

XI  maresciallo  Badetzky  dopo  questa  battaglia,  cii& 


gli  era  costato  numerose  perdite,  si  pro'pariiva  a  vali- 
care il  Miijcto  per  impedire  a  DeSomiaz  dì  ricongÌLin- 
gersi  col  resto  deir&&erc.ito  ;  iiit<into  CiiHo  Allierto  ordi- 
nava i  suoi  per  assalire  il  nemico  e  cacciarlo  dalle  po- 
sizioni di  Custoza,  Sommacampiigna  e  tìlatìiilo,  ributtarlo 
contro  il  Mincio,  e  togliergli  la  ritirati  su  \'erona. 

Il  generale  De  Sonnaz  prima  del  lar  del  giorno  del 
24  luglio,  uscito  da  Peschiera  colle  sue  genti,  saputo 
de  n'avvicinarsi  degli  Austriiici  al  Mincio,  presidiata  la. 
terra  di  Ponti  con  cinque  battaglioni,  e  collocati  due 
tìannoni  e  una  compagnia  di  bersaglieri  a  Salienze  per 
ìontrustare  ii\  nemico  il  passaggio  del  fiume,  con  la  bri- 
fata  Hiivoia  recavasi  a  Monzambauo  ;  senoncliè  assalilo 
il  presidio  di  Ponti  da  forze  assai  preponderanti,  dopo 
accanita  resistenza  fu  costretto  a  cedere  jibbaiidonando- 
i  cannoni,  per  ridursi  a  Peschiera;  iinche  De  Sonnaz, 
vedcnito  che  non  avrebbe  potuto  tenersi  a  Monzambano 
con  le  poche  sue  forze,  cinque  volte  interiori  a  quello 
nemiche,  dovette  abbandonarlo  per  raccogliersi  a  Voitn. 

Mii  nel  Iruttempo  Carlo  Alberto  trionfava  in  Val  di 
StafFolo;  il  re  si  era  mosso  da  Villairanca  alle  2  e  mezzO' 
pomeridiane  colle  brigate  Gnurdif  i'ivìnmitc  e  Cuneo^ 
aveva  lasciato  l;i  brig;ita  Amta  ad  Acqucroli  a  breve 
distanza  da  Villafranca  sulla  atradjL  verso  Vnlleggio 
dando  ordine  a  Soramariva  d'invigilarla,  a  Manno  dì  cu- 
stodire Villafranca,  ad  Olivieri  di  hirtctaro  la  brigata 
RobUlant  dì  riserva  al  centro,  e  portarsi  a  perlustrare 
sulla  destra  in  direzione  di  AIpo. 

Giunta  a  PozzomoretLo  l.t  brig^ata  CliMnìte  veniva 
salutata  dal  fuoco  di  jtriìglieria  nemìcn.  jua  l' impafe^;- 
giabile  brigata  aohierava  in  battaglia  i  suoi  battaglioni, 
piazzava  la  sua  artiglieria  e  controUittcva  vittoriosa- 
mente quella  nemica;  la  brigata  Cuna)  continuando  nd 
iivanzare  al  centro,  progrediva  sino  a  Fredda  ed  fill'im,' 
boccatura  della  Valle  di  Statolo  che  separa  i  monti  Gai 
e  Mondatore  dalle  colline  della  Berettara  e   di  Somma. 


44 

I^  brigata  Piemonte  conTergeni^^  destra,  flancheg- 
giata  dalla  crivallerui,  assaliva  la  posizione  di  lìerettara. 

Gli  Austrijtci  avevano  collocato  due  peazi  su  quel 
monte  in  un  ottima  posizione  da  dove  mitrjigliavano  1 
uoBtri  ;  il  generale  Bara  faceva  prontamente  raocofjliere 
in  un  forttì  drappello  i  volteggiatori  dei  due  reg^'inn?nti 
Piemonte,  e  postili  sotto  gli  ordini  dì  due  capitani,  Mar- 
cello del  3*^,  e  Chìabrera  del  4",  ordinava  loro  di  slog- 
giare il  nemico,  e  rivoltosi  ad  essi  diceva: 

«  Vedono  quei  due  pezzi?  —  me  li  facciano  ta- 
cere ». 

Iq  breve  tempo,  in  meno  di  mezz'ora,  fili  artiglieri 
che  li  servivano  erano  t'ulniinati  ;  1'  ufficittle  JiustTiaco 
pensò  a  tirarsi  indietro,  ma  non  fu  in  tempo  ;  i  volteg- 
giatori enuio  sul  monte. 

Da  per  tiitto  si  combatteva  dai  nostri  con  impareg- 
giabile valore;  guidati  dal  Duca  di  Savoia  e  dal  Duca 
di  fìenovit,  a  baionetta  spianata  racciavano  gli  Austriaci 
diiUe  favorevoli  posizioni  di  tìoinmacarapagna  e  di  Cu- 
stoza  e  vi  si  mantenevano  ;  i  moiti  da  parte  degli  Au- 
striaci furono  in  numero  stragrande,  circa  quattromila. 
Diciotta  ufficiali,  milleottocento  soldati  colla  loro  ban- 
diera dovettero  deporre  le  armi. 

Fu  un  giorno  dì  gloria,  ma  era  destino  fosse  follerò 
di  ben  dolorose  sventure. 


H  2J>  luglio  Carlo  Alberto  ordinava  alle  sue  truppe 
d'impadronirsi  di  Mouzambaiio  e  di  Borghctto,  al  tine  di 
ricongiungersi  Jil  De  tìonnaz.  Usciva  col  Bava  e  col  Sam- 
mariva  da  Villafranca  e  presso  Valleggio  attaccava  gli 
Austriaci.  Ma  l'astuto  Radetzky.  indovinando  la  mossa, 
aveva  moltiplicato  le  sue  forze  traendole  tutte  con  sé 
da  Mantova  e  da  Verona,  e  mentre  si  combatteva  ac- 
canitamente nei  pressi  di  Villafranca,  il  Duca  di  Savoia 
e  il  Duca  di  Genova    venivano   furiosameuto    attaccati 


45 

a  Sommacampagna  ed  a  Castoza.  Dopo  tìerisBìma  lotta, 
dopo  essere  stati  per  bene  otto  volte  respinti  daCustoza 
e  da  Berettara,  nei  quali  combattimenti  ì  princìpi  di 
casa  Savoia  dettero  prova  d'indomito  coraggio,  final- 
mente gli  Austrìaci  del  generale  d'Aspre,  che  ritorna- 
vano all'attacco  con  sempre  nuovi  rinforzi,  poterono, 
nel  cadere  del  giorno,  occupare  Sommacampagna  e  sta- 
bilirsi nella  posizione  di  Custoza. 

Questo  risultato  ebbe  le  più  fatali  conseguenze. 
Nello  scoraggiaiuento  e 'nel  pericolo  dì  quelle  ora,  fu 
decisa  Timmedìata  ritirata  su  Gioito. 

Per  la  vìa  di  Koverbello  marciava  l'eaercito  pie- 
montese; chiudeva  la  marcia  il  duca  di  Savoia.  Con  cozzo 
furioso  l'armata  regia  in.  sera  del  26  s'avventava  all'as- 
salto di  Volta;  superava  sotto  il  fuoco  micidiale  nemico 
l'ertissima  altura  lottando  disperatamente  nelle  tenebre, 
replicfindo  l'assalto  più  e  più  volte  in  sette  ore  di  com- 
battimento ;  ma  ogni  sforzo  fu  inutile,  il  nemico  ne  fe- 
ce un  vero  macello  —  e  la  ritirata  si  rese  imperiosa- 
mente necessaria. 

A  Cuatoza  ai  era  iniziata,  a  Volta  si  compiva  la 
CiiLastrofe,  ■ 


L'ora  del  risveglio  era  suonata,  e  qual  triste  risveglio. 

L'esercito  piemontese,  dopo  tante  vittorie,  in  tre 
giorni  di  lotta  eroica,  disfatto;  le  linee  del  Mincio  e  del- 
l'Oglio  perdute;  quella  dell'Adda  insostenibile;  tutta  la 
Lombardia  riaperta  agli  eserciti  di  Radetzky,  Milano 
«tessa  minacciaci;  ecco  le  notizie  terribilmente  gravi, 
che  dal  25  al  30  luglio  giungevano  nella  Capitale  Lom- 
barda. 


Fin  dall'annunzio  dei  primi  disastri,  erasi  costituito 
a  lOlauo  un  comitato  il  quale,  mojitro  Re  Carlo  Alberto 


«  

iindava  radDnantJo  le  membrfl  sparse  del  suo  esercitoi 
assutnfVtìsi  di  porre  in  istato  di  difesa  la  eittii  ;  proce- 
dev.H  alla  t'ortìficazione  ed  Airagijerra<^')i amento  delle  mura 
e  dello  vie;  corcava  armi  ed  armati;  ordinava  le  mi-' 
lizie  popolali;  mandava  in  Svizzera  ad  assoldare  nuovi 
volontari;  provvedeva  ai  viveri  per  i  combattenti  e  per 
per  Ut  popolazione;  ricbiamttva  infloe  a  Milano  quanii 
corpi  frauclii  non  erano  alati  taglinti  fuori  dall'inva- 
vasione  nemica,  ira  i  quali  nocesaariameute  ttiiehe  (ia- 
ribaldi. 

Se  chiedere  armi,  rizzar  barricate,  offrirò  vita  e  sft- 
stanze,  gridar  «  guerra  0  morte  »■  aoiio  stìntili  della  de- 
liberata volontà  d'un  popolo  di  seppellii'tìi  sotto  le  rovine 
della  sua  cittò,  Milano  li  diede  lutti. 

A  Garibfildi  l'ordine  di  recarsi  a  Milano,  minacciata 
dagli  eserciti  ciustriaci,  giunse  a  Bergamo  la  sera  del 
3  ago&to  ;  e  poichò  egli  era  ^ià  con,sapevuIe  dello  stótft 
delle  cose,  e  le  avang'uardie  auatriiicbe  bivaccavano  già 
a  Cassano  d'Adda,  non  esitò  un  momento  e  indmzzò  iiL 
suoi  legionari  il  seguente  ordine  de!  giorno  : 

Legione  italiana  I 

Legionari!  Il  cannone  tuona  —  il  punto  in  cui 
siamo  è  in  pericolo,  come  in  posizione  di  essere  tagliato 
fuori,  e  poi  il  giorno  di  domani  ci  promette  un  campo- 
di  battaglia  degno  di  voi. 

Adunque  vi  chiedo  ancora  una  notte  di  sacrificio, 
progrediamo  la  marcia. 

Viva  l'indipendenza  italiana. 
Merate,  4  agosto  1848. 

G.  Garihaldi. 


Fatti  quindi  nella  notte  stsessa  gli  apparecchi  della 
partenza,  per  la  via  più  corta  e  sicura  di  Pontide-Brivio- 
Merate,  dopo  trent'ore  di  marcia  forzata,  verso  le  due- 
pomeridiane  del  giorno  5  giungeva  a  Monza.  ■- 


47 

ConduceTa  con  sé  cinquemila  uomini  circa,  e  fta 
essi,  confuso  co'  gregiari  del  battag-lione  Anzani,  trova- 
vasi  Giuseppe  Mazzini,  venuto  a  chiedere  in  quella  su- 
prema angoscia  della  patria  il  suo  posto  di  combatti- 
mento, pronto  a  darle  come  semplice  legionario  italiano 
la  sua  vita. 

Monza,  finche  Milano  resisteva,  era  una  buona  po- 
sizione di  fianco,  sulla  destra  dell'esercito  austriaco,  e 
quand'anche  a  Garibaldi  fosse  suito  impedito  di  pene- 
trare nell'aasecìiata  città,  l'audace  condottiero  avrebbe 
potuto  molestare  il  nemico  e  recare  agli  assediati  aucbe 
diil  di  fuori  un  non  spregevole  soccorso;  ma  troppo 
tardi!  Sfasciato  l'esercita;  discordi  i  generali;  riuscite 
sfortunate  lo  fazioni  sotto  le  mura  ;  smarrita  ogni  spe- 
ranza ;  disordinate,  inesperte  le  milizie  cittadine;  diviso 
il  popolo;  impossibile  persino  l'eroismo  della diapera.zione  ; 
certo  l'eccidio  della  città  e  con  esso  inevitabile  lamina. 
del  Piemonte  e  della  sua  liberti;  tale  era  lo  stato  ter- 
rìbile delle  cose.  —  In  questo  frangente  Carlo  Alberto 
ebbe  il  triste  coraggio  dì  fare  col  proprio  sacrificio,  aua, 
l'onta  amara  di  una  resa,  che  la  giustizia  della  storia 
dovrà  attribuire  a  molti  altri  picche  a  lui,  elaseradel 
4  agosto,  niftudò  una  proposta  di  armistizio  al  nemico,  che 
la  accettò. 


L'annunzio  dell'armistizio  Salaaco  colpi  tutta  la  Lom- 
bardia, e  fu  intoso  con  un  sentimento  d'incredulità, 
tanto  che  Garibaldi,  anziché  pensare  alia  ritirata,  deli- 
berava di  marciare  prontiimente  ia  soccorso  di  Milano. 

Invano I  tutto  era  finito!  L'esercito  piemontese  in 
ritirata  verso  11  Ticino,  l'esodo  dei  patrioti!  e  dei  pro- 
scritti era  giii  incominciato;  Radetzki  superbo  come  un 
conquistatore,  passeggiava  per  le  vie  di  Milano. 


^ 


* 
*  * 


Nel  frattempo  un  altro  fatto  degno  di  essere  ricor- 
dato era  avvenuto  in  Bologna. 


CAPITOLO  vm. 

Sollevazione  di  Bologna. 

Il  giorno  8  agosto,  fin  dal  mattino,  v'erano  state 
provocazioni  fra  le  truppe  austriache  ed  i  cittadini.  Tra 
il  pro-legato  Bianchetti  e  il  generale  Velden,  era  stato 
convenuto  che  le  truppe  austriache  non  avrebbero  oc- 
cupato la  città,  riservandosi  la  sola  guardia  delle  porte 
di  San  Felice,  Galliera  e   Maggiore. 

Alla  Guardia  Civica  era  affidato  il  servizio  interno, 
e  l'onorevole  posto  della  Gran  Guardia  al  Pubblico 
Palazzo. 

Tali  patti  non  vennero  mantenuti,  e  soldati  armati 
erano  entrati  in  città,  sfidando  e  provocando  i  cittadini; 
ne  seguirono  delle  risse  con  ferimento  di  un  ufficiale 
e  di  alcuni  croati,  quindi  scorrerie  di  truppe  a  piedi 
ed  a  cavallo  ;  ed  un  corpo  di  cavalleria  alle  9  del  mat- 
tino, entrato  da  Porta  Maggiore,  recavasi  ad  occupare 
la  piazza. 

Fu  un  fremito  generale  nei  cittadini,  e  gli  atti  mi- 
nacciosi degli  austriaci  non  si  vollero  tollerare.  Datone 
il  segno,  tutte  le  campane  della'  città  suonarono  a  stor- 
mo, i  tamburi  della  guardia  civica  batterono  a  raccolta; 
gli  armati  volarono  alla  difesa,  gli  inermi,  non  atterriti 
dallo  minacele  nemiche,  si  diedero  ad  erigere  barri- 
cate. 

Gli  austriaci,  senz'altro,  cominciarono  l'attacco  lun- 
go la  linea  che  da  Porta  San  Felice  stendesi  a  quella 
Galliera,  punto  formidabilmente  battuto. 


49 

Da  Porta  Galliera  la  niitragLia  contro  la  sÈrada  di- 
retta recava  danni  gravissimi  ;  cannoni,  dalla  Montag-nola.. 
e  da  piazza  d'armi,  fulminavano   le  case  e  gii  ebocchi 
delle  vie. 

Le  racchette,  i  razzi,  le  bombe,  piovendo  nella 
città,  recavano  gravi  guasti  agli  edifizi,  ed  ■  appiccava* 
no  incendi,  che  i  bravi  pompieri  a  stento  riusoivano, 
con  ammirevole  coraggio,  a  domare. 

Ma  i!  popolo  non  ai  atterrisce,  anzi  cresce  il  suo 
sdegno  di  fronte  a  tjili  barbarie,  e,  armatosi  come 
meglio  può,  incomincia    una   disperata  lotta. 

Si  combattevada  due  ore  ■virilmente  da  parte  dei  cit- 
tadini, quando  la  guardia  civica  con  due  cannoni,  fu- 
gato il  nemico,  sì  piantava  alla  Montagnola,  menandone 
strage;  questo  sfiduciato  e  vinto  si  dava  alla  fuga,  la- 
sciando prigionieri  gli  ufficiali. 

Fu  universale  il  grido  di  gioia  da  parte  dei  citta' 
dini  quando,  usciti  i  nemici,  sì  videro  padi'oni  della 
citta. 

I  bolognesi  non  si  addormentarono  sulla  vittoria; 
essi  si  prepararono  alla  difesa  per  potere  accogliere  co- 
me BÌ  conveniva  il  nemico. 

Si  creò  un  comiUito  dì  salute  pubblica,  il  quale 
subito  si  mise  all'opera,  pubblicando  il  seguente  ma- 
nifesto: 


Fratelli  delle  Romagne  e  d'Italia! 

«  Dopo  di  avere  occupato  tre  porte  principali  della 
città,  ed  i  suburbi,  l'insolente  austriaco  credeva  di  po- 
terò gettare  il  fango  a  piene  mani  su  un  popolo  italiano; 
il  castigo  fu  pronto.  L'amor  della  patria  e  l'onore  d'I- 
talia fa  gagliardamente  palpitare  il  cuore  del  nostro 
popolo  quanto  ogni  altro  generoso;  in  breve,  dopo  osti- 
nata pugoa,  gli  austriaci  furono  cacciati  dai  poati  che 
avevano  proditoriamente  occupati,  e  dalla  Montagnola 
i>ve  avevano  fatto  il  loro  inespugnabile  baluardo,  che 
credevano  di  tener  saldo  col  cannoni  bombardando  1^. 


50 

città.  Un  popolo,  qufisi  inerme,  feeo  mordere  la  polvere 
a  molti  di  quei  tristi,  e  ne  iticAt:«nd  molti  altri, 

<  Bopo  la  prima  vittoria  la  causa  non  è  vìnta;  ac- 
correte in  ftrmi  tutti,  generosi  fratelli  a  dividere  la  glo- 
ria come  dividente  per  ttinto  tempo  i  dolori. 
Bologna,  9  af^osio  184S. 

Bianchetti,  Pro-delegato  —  PepoU  Gioacchino -Na- 
poleone —  Biancoli  Oreste  ^-  Berti  Lodovico  —  (Jhe- 
rardi  Silvestro  —  Dottore  Frezzolini  —  Rusconi  Fe- 
derico ». 

Ma  il  destino  era  segnato^  l'Italia  doveva  ancora 
soffrire  il  servaggio  dello  straniero,  causa,  non  ultima, 
le  nostre  discordie. 


CAPITOLO  IX. 
Garibaldi  continua  la  lotta  contro  l'Austria. 

La  Lombardia,  dopo  l'Armistizio,  avea  piegato  il 
Capo  al  duro  destino;  era  forza  che  O-aribaldi  piegasse 
il  suo;  ma  la  sua  doveva  essere  la  ritirata  del  leone! 
Decise  pertanto  di  marciare  su  Como,  sperando  che  il 
paese,  scosso  dal  primo  sbalordimento,  si  leverebbe  in 
armi  per  riprendere  la  lotta.  Infiammato  da  questa  fede 
arrivava  col  suoi  a  Camerlata;  ivi  prendeva  posizione 
e  vi  si  trincerava:  di  là  spediva  messi  al  Griffini,  al 
D'Apice,  al  Manara,  all'Arcioni,  perchè  si  riunissero  a 
lui  per  continuare  la  guerra  santa;  apriva  nuovi  aiTUO- 
laraenti  invitando  alle  armi  il  paese.  Tutto  inutile!  Il 
Oriffini  per  la  Vaìcamonica,  il  d'Apice  p?r  9a  Valtel- 
lina, erano  gik  in  via  buI  confine  Svizzero:  il  Manara, 
il  Dandolo;  il  Durando,  subendo  rarmistìzio  s'erano  in- 
camminati verso  il  Ticino;  la  sua  colonna,  anziché  in- 
grossare perdeva  più  della  metà  dei  suoi  nomini;  un» 
cosa  era  sicura;  che  gli  austriaci  s'avanzavano,  e  in 
poche  giornata  potevano  avvilupparlo. 


Tuttavia  non  volle  darsi  vinto.  I^evò  bensì  il  campo 
dirifcendeaì  verso  Sin  Fermo;  ivi  giunto,  fece  formare 
Balla  piazza  il  quadrato  e  arringò  i  rimasti  ;  disse  che 
sarebbe  alata  vile  cosa  deporre  le  armi;  che  bisognava 
eontinuare  la  guerra  di  bande,  e  con  altre  parole  inci- 
sive che  egli  sapeva  cosi  bene  trovare,  tenta  comuiii- 
Cftre  il  suo  sacro  fuoco  agli  altri  —  ma  il  silenzio  elo- 
quente fu  la  prima  risposta;  nuove  e  numerose  diserzioni 
furono  il  commento  di  quel  silenzio. 

Calato  il  cappello  eug'li  occhi,  come  era  solito  fare 
nei  momenti  più  torbidi,  1'  eroe  iniziò  la  marcia  sen- 
z'altro col  resto  de'  suoi  su  Varese;  passatavi  la  notte 
del  9,  ripartiva  il  mattino  seguente  per  11  Liigo  Mag- 
giore, e  tragittato  il  Ticino  a  Sesto  Calende,  approdò 
la  sera  del  10  agosto  a  Castelletto  presso  Arona.  La 
mattina  dell' Il  s'impadronì  nel  porto  d'Arona  dei  due 
piroscafi  ■  S.  Carlo  «  e  «  Verbano  »,  imbarcò  in  essi  e 
in  alenili  navicelli  a  rimorchio  i  millecinquecento  uomini 
rimastigli  ;  risalì  il  Lago  Maggiore  e  sbarcò  a  Luino  ove 
pose  il  suo  campo, 

P>a  la  prima  delle  sorprese  con  cui  Garibaldi  do- 
"veva  fare  meravigUare  popoli  e  governi. 

Aveva  deciso  di  non  lasciare  i»  terra  Lombarda 
^eiiza  misurarsi  con  lo  straniero  e  1'  occasione  uod  si 
fece  attendere. 


Fin  dalla  mattina  del  15  una  colonna  di  Austriaci, 
forte  di  tremila  uomini,  era  partita  da  Varese  coU'in- 
toazione  di  attaccare  i  legionari  italiani.  (Garibaldi  era 
ammalato  nell'albergo  della  Beccaccia,  posto  a  piccola 
distanza  da  Luino  sulla  strada  di  Varese,  M<?dìci  ve- 
gliava per  lui.  Barricata  la  strada  al  di  là  dell'albergo, 
collochiti  gli  avamposti,  spediti  esploratori  a  scandagliare 
i  dintortii.  stava  in  guardia  pronto  alle  armi.  Non  era 
scoccato  ti  mezzcgiorno,  che  gli  esploratori  vennero  ad 
annunciargli  l'avanzarsi  del  nemico. 


52 

Mediui  corsa  (id  avvertire  Garibaldi,  il  quale,  di- 
mentico del  male  che  lo  tormentava,  balzava  dnl  letto, 
montava  a  cavallo,  spiegava  una  parte  della  sua  colonna 
sulla  stradi!  e  nei  eampi  circostanti,  appostava  sulla  si- 
alstra  il  Medici  col  rimanente  del  corfio,  lasciava,  se- 
condo il  suo  costume  di  guerra,  avvicinare  il  nomico  e, 
scflmbinti  i  primi  colpi,  lo  caricava  alla  baionetta,  prima 
di  fronte,  poi  colla  colonna  Medici  dì  fianco.  In  poche 
ore  di  Horii  lottii  lo  metteva  allo  sbarji^lio.  inseguendolo 
per  lungo  ttAtto  di  vìa  e  costringendolo  a  lasciare  sul 
terreno,  tra  morti,  feriti  e  prigionieri,  circa  trecento 
uomini. 

Una  nuova  campagna  era  incominciata  in  Lom- 
bardia! Il  giorno  16  stette  ad  aspettare  un  nuovo  as- 
salto del  nemico,  che  non  si  fece  vedere;  il  di  scgiuenie 
per  la  Valgana,  ai  avvicinò  a  piccole  tappe  a  Varese, 
dove  entrò  il  IS  alle  cinque  del  pomeriggio. 

La  patriottica  città  lo  accolse  trionfaìraente.  Vi  passò 
in  riposo  la  gìoniati  del  19,  e  la  mattina  del  20.  avver- 
tito dell'avvicinarsi  dì  un  grosso  corpo  di  Austriaci,  or- 
dinò la  ritirata  sulle  colline  d'Induuo,  spingendo  Medici 
ad  Arei.sitte-  Il  giorno  appresso  alcune  Gomp?xgnie  au- 
striachf  presentavansi  in  ricognizione  e,  raccolte  notizie 
suUe  posizioni  occupate  da  Garibaldi,  ripartivano.  H  23 
tutta  la  divistone  d'Aapre,  comand.ìta  dal  generale  in 
persona,,  forte  di  diecimila  uomini,  entrava  in  Varese, 
mentre  due  altre  colonne  Austriache,  l'una  da  Luino,  e 
l'altra  da  Como,  erano  in  moto  per  occupare  tutti  i 
passi  delia  Valcnvia  e  del  Mandrisiotto,  con  Y  intendi- 
mento di  impedire  a  Garibaldi  ogni  ritirata  e  farlo  pri- 
gioniero. 

Garibaldi  comprese  che,  se  lasciava  tempo  a  tutte 
quelltì  folunne  netniche  di  compiere  le  loro  manovra, 
chiusa  ogni  via  di  scampo,  ne  sarebbe  rimasto  schiac- 
ciato. Non  esitò  un  istante;  lasciò  Medici  ad  Arcisate 
con  duecento  uomini,  dandogli  ordine  di  tenere  a  bada. 
il  nemico,  di  resistere  più  die   avesse  potuto,  ed  all'e-^ 


53 

stremo  di  rifugiarsi  in  Svizzera;  egli  risali  per  un  tr<ilto> 
la  Valgana,  per  confermare  gii  avveram  nella  credenza 
che  volesse  difendersi  su  quegli  altipiiini,  poi  ad  un 
tratto  mutò  direzione,  girò  per  Valcuvia,  scese  rapida- 
mente su  Gavirate,  coisteggió  il  Lag-o,  e  per  Capolag-o  b 
Gazzada,  dopo  due  giorni  di  marcia  forzata  riuscì  a  Mo- 
razzone,  alle  spalle  del  nemico  che  credeva  averlo  sempre 
di  fronte. 

Il  generale  D'Aspre  non  durò  a  luu^o  nell'  Inganno; 
avvertito  da  uno  spione  dell'ardita  mossa  di  G-aribaldij 
deliberò  di  assalirlo  immediatamente  nella  sua  nuova 
posizione  e  l' indomani  una  colonna  di  cinquemila  Au- 
striaci, comandata  dnUo  scesso  generale  D' A&pre,  com- 
pariva improvvisamente  a  Morazzone. 

Gi-aribaMi  non  si  aspettava  si  rapida  mossa  ;  i  suoi,. 
spossati  dalle  marcie  forzate  dei  giorni  precedenti,  tra- 
scurarooo  il  comandato  servizio  di  vigilanza  e  di  per- 
lustrazioni, sicché  il  nemico  potè  facilmente  sorprenderli, 
e  il  cannone  fu  la  loro  sveglia.  Egli  ebbe  appena  il  tempo- 
di  montare  a  cavallo  e  di  accorrere  alle  prime  difese; 
in  brevi  istanti  T  attacco  si  sviluppò  su  tutta  la  linea,  e 
i  garibaldini,  dominata  la  prima  sorpresa,  animati  dalla 
voce  e  dall'  esempio  del  loro  capitano,  sostennero  intre- 
pidamente l'urto  nemico  e  lo  arrestarono.  Il  nemico  però 
non  poteva  tardare  ad  avere  ragione  sul  valore;  tutciìvia 
a  Gai'iba'.dì  riuscì  di  protrarre  la  difesa  fino  a  notte  inol- 
trata ;  poi,  apertasi  con  la  baionetta  una  via  tra  i  petti 
nemici,  si  buttò  col  suoi,  serrati  e  minacciosi,  nell'aperta 
Campagna,  e  quivi  sciolse  la  colonim,  consigliando  i  com- 
pagni di  guadagnare  alia  spiccioliita  il  confine  svizzero. 

Egli  dal  canto  suo  li  imitò,  e  travestito,  da  conta- 
dino, nascosto  ed  ospitato  dagli  amici,  protetto  dalla  sua. 
stella,  giunse  a  sconfinare  presso   ponte  I^resa  in  Sviz- 
zera, dove  ad  Agno,  in  casa  Vicari  ricevette  calda   ed. 
affettuosa  ospitalità. 


Anche  a.  Medici  era  toccata  la  stessa  sorte.  Assa- 
lito it  24  agosto  da  circa  cinquemila  austrinci,  cho  in 
più  colonne  s'erano  mof,ai  ad  avvilupparla,  con  soli  due- 
cento dei  Buoi,  tenne  fronte  per  oltre  quatt'ore  ai  re- 
plicati assfilti;  finché  divenuUi  perieolosa  cgm  ulterio- 
re resistenza,  si    ritirò  in   buou' oidiiie    nellii    limitrolit 

Cosi  fini  la  prima  impresa  di  Garihaldi  in  Italia. 
Essa  riuscì  quale  doveva  essere!  Fu  la  proieeta  di  un 
iiorno  avvezzo  a  non  deporre  le  armi  che  dopo  la  vit- 
toria ;  fu  rauda':e  disfida  di  uu  eroe;  fu  una  disperata 
rivolta,  della  quale  nessun 'al  tre,  all'  infuori  di  lui  e  dei 
suoi,  avrebbe  affrontate  le  conseguenze. 

Militarmente  considerata  la  mossa  di  Morazzone  fu 
una  delle  pii'i  ardite  che  la  mente  di  una  stratega  possa 
immaginare.  Lo  stesso  generale  D'Aspre  Bcopri,  nella 
azione  del  suo  avversario,  i  lampi  di  un  gran  genio  mi- 
litare, che  gli  italiani  non  avevano  ancora  appreso  a 
conoscere,  e  lo  confessava  cosi  a  persona  elevata  :  «  L'uo- 
mo che  avrebbe  potuto  essere  utile  nella  vostra  guerra 
del  1848,  l'avete  disconosciuto;  esso  era  Garibaldi  ». 


Garibaldi  fu  costretto  da  quei  febbroni,  che  mai  ra- 
devano abbandonato  durante  tutta  la  campagna,  a  pro- 
lungare la  sua  dimora  in  Svizzera  più  di  quanto  avrebbe 
Yoluto  ;  alla  meta  di  settembre  potè  partirne,  e  si  ricon- 
dusse a  Nizza  per  rivedervi  la  moglie,  il  Aglio,  la  ma- 
dre.  Ma  vi  rimase  per  poco  perchè  la  lebbre  della  lotta 
gli  bruciava  le  vene. 

Si  recò  a  Genova,  sperando  dì  trovarvi  aiuto  di 
denaro,  di  armi  e  di  armati;  ma  la  sua  fu  una  disillu- 
sione !  Però  appunto  in  quei  giorni,  una  depuUwione  dì 


1 


56 

siciliani,  si  presentava  in  Genova  a  Garibaldi,  invitan- 
dolo a  foTTnare  una  spedizione  di  eoccorao  alla  Sicilia. 

Ferdinando  II  di  Napoli  aveva  tradita  e  assassinata 
La  promessa,  liberta  e  mandato  un  poderoso  esercito  a 
sottomettere  la  Sicilia,  la  quale  priva  di  armi,  di  milizie 
-e  di  cajffitani,  nonostante  la  {gagliarda  difesa  di  Palermo, 
di  Catania  e  di  Messina,  stava  per  soccombere. 

Garibaldi,  senza  prendere  impegno  assoluto,  promise, 
se  gli  fosse  stato  possibile,  di  portare  ai  siciliani  l'aiuto 
richiesto.  Infatti,  raccolti  circa  cinquecento  della  sua 
vecchia  Legione  di  Lombardia,  lanciava  agli  italiani  il 
seguente  programma: 

Italiani  ! 

Il  nido  della  tirannide,  al  quale  mettevano  capo  tutte 
le  vili  iniquità  cortigiane,  è  rovescieito.  Vienna  combatte 
per  la  libertà.  Non  combatteremo  noi  per  la  nostra'? 
Non  udite  venire,  o  italiani,  un  fremito  dalla  Lombar- 
dia e  dalla  Venezia?  Il  popolo  che  surse  di  marzo^  seb- 
hene  coperto  dì  ferite,  non  è  morto,  ma  vive;  carica  il 
fucile  e  aspetta  il  cenno. 

All'armi  dunque,  o  italiani  ;  noi  siamo  alla  vigilia 
deiruUìraa  guerra,  non  lenta,  non  iìacca,  ma  a'apida,  im- 
placata. Levatevi  forti  dei  vostri  diritti  calpestati,  del 
vostro  nome  schernito,  del  sangue  che  avete  sparso:  le- 
vatevi in  nome  dei  martiri  invendicati,  della  libertà  con- 
culcata, e  della  patria  saccheggiata,  vituperata  dallo  stra- 
niero, forti  come  uomini  parati  a  morire  ì  Non  chiedete 
vittoria  che  a  Dio  e  al  vostro  ferro;  non  confidate  che 
in  voi.  Chi  vuol  vincere  vìnce. 

Su  dunque,  raccogliete  fucili  e  spade,  o  italiani,  Non 
sonore  promesse,  ma  opere;  non  vanti  passati,  ma  gloria 
avvenire. 

Genova,  18  ottobre  1848. 

G.  Garibaldi. 


66 

Da  Genova  s'imbarcò  col   proposito    di   recarsi   ini 
SicUia. 


* 
*  * 


Ma  il  25  di  ottobre  a  Livorno,  ove  Garibaldi  aveva- 
approdato,  1  democratici  di  quella  città,  gli  si  misero  at- 
torno, persuadendolo  a  restare  in  Toscana,  ed  a  pren- 
dere il  comando  di  quel  simulacro  d'esercito  senza  capo.- 
Fu  costretto  ad  acconsentire;  sbarcati  i  suoi,  si  recava 
a  Firenze;  ma  quivi  giunto,  si  senti  sedotto  dall'imma- 
gine di  Venezia,  sola  combattente  invitta  per  mare  e 
per  terra  contro  l'Austriaco.  Dominato  da  questo  senti- 
mento, lasciava  con  la  sua  colonna  Firenze  e  s'avviava 
per  Bologna,  col  disegno  di  scendere  a  Ravenna,  e  di 
là,  passare  a  dare  il  suo  aiuto  all'eroica  regina  dell'A- 
driatico. 

Ma  era  appena  arrivato  in  Bologna,  intento  sempre 
a  reclutare  nuovi  seguaci,  ed  a  spiare  l'occasione  che 
gli  schiudesse  l'agognata  via  di  Venezia,  quando  si  sparse 
per  tutta  Italia  l'eco  dei  tragici  fatti  di  Roma;  il  lo  no- 
vembre Pellegrino  Rossi  veniva  assassinato;  il  Papa,  as- 
sediato nel  Quirinale,  rassegnato  a  subire  un  Ministero 
Mamiani,  ma  risoluto  a  non  concedere  di  più;  infine  il 
21  novembre  Pio  Nono  fuggito  a  Gaeta  ;  il  governo  af- 
fidato alle  mani  di  tina  Giunta  Suprema  eletta  dal  Par- 
lamento; la  Costituente  convocata. 


Un  si  inatteso  e   violento   mutamento  nelle  cose 
d'Italia,  mutò  anche  tutti  i  piani  di  Garibaldi.   Ora   gli 
era  aperta  la  via  di  Roma,  ed  il  fascino  di    Roma   era. 
per  lui  irresistibile. 

Non  mise  quindi  indugio  ad  offrire   al   nuovo   go- 
verno l'opera  sua  e  dei  suoi  compagni;    e   l'offerta  es- 
sendo stata  accettata,   così    scriveva    al   Ministro    della. 
Guerra  : 


57 


Eccellenza, 


Domani  raggiungerò  colla  mia  colonna  Folig'no, 
-donde  mi  dirigerò  a  Rieti,  punto  che  mi  sembra  molto 
conTeniente  per  ortranizzare  il  battaglione,  e  ricevere 
da  Roma  l'armamento  e  quanto  altro  necessario.  Mi  per- 
metto di  raccomandare  a  V.  E.  il  pronto  invio  del  ve- 
stiario, trovandosi  la  mia  gente  in  uno  stato  deplorevole. 

Mi  onori  dei  suoi  ordini. 


Terni,  22  dicembre  1848. 


G.  Garibaldi. 


<  P.S.  Ho  ricevuto  il  dispaccio  di  V.  E.  dopo  di 
aver  scritta  la  presente;  dirigerò  la  colonna  a  Fermo 
siccome  mi  viene  ordinato.  Ringrazio  V.  E.  dell'  accet- 
tazione del  Corpo  al  servizio  dello  Stato,  e  solamente 
reitero  la  sollecitudine  dell'abbigliamento  e  dei  suoi  or- 
dini.  Vale.  » 

Garibaldi  parti  da  Foligno  il  28  dicembre,  avendo 
dovuto  aspettare  il  vestiario  e  l'armamento;  arrivò  a 
Macerata  il  1"  del  1840,  dove  lo  raggiunse  un  novello 
ordine  di  non  proseguire  più.  per  Fermo,  e  di  restare 
dove  era. 

A  Macerata  Garibaldi  badava  ad  ordinare,  ad  ag- 
guerrire ed  a  rinforzare  la  sua  gente;  e  tanto  entrò  nella 
stima  e  nell'affetto  dei  raaceracesi,  che  più  tardi,  quando 
furono  convocati  a  nominare  il  deputato  alla  Costituente, 
lo  elessero. 


Mentre  la  Giunta  Suprema  di  governo  lavorava  ad 
apparecchiare  il  terreno  alla  Costituente,  dall'altro  1  cle- 
ricali si  studiavano  a  seminare  d'ostacoli  il  cammino  di 
quella  rivoluzione,  il  cui  andare  era  necessario  e  ormai 
Xatalo.  Giunta  la  loro  veechìa   teoria  ogni   mezzo   era 


-68 

buono;  e,  in  attesa  che  le  potenze  cattoliche  muoTea- 
sero  all'invito  di  Pio  IX,  coprivano  di  trame  e  d'intrìghf 
tutto  lo  stato  romano;  e  in  alcuni  luoghi,  specie  nell'ap- 
pennino  Ascolano  e  nel  confinante  Abruzzo,  spalleggiati 
dal  Borbone,  avevano  coronate  le  creste  di  quei  monti, 
antico  teatro  del  sanfedismo,  dì  numerose  bande  bri- 
gantesche. 

Importava  alla  Giunta  Suprema  di  por  riparo  a 
quell'urgente  pericolo;  laonde  deliberava  di  mandare  il 
colonnello  Roselli  a  combattere  il  brigantaggio  Ascolano; 
nello  stesso  tempo  chiamava  Garibaldi  a  Rieti,  con  l'in- 
carico di  guardare  quel  confine  verso  Napoli,  e  di  con- 
certarsi con  Roselli  per  soffocare  la  nascente  reazione; 
Garibaldi  ubbidiva,  e  per  Tolentino,  Foligno,  Spoleto, 
arrivato  verso  la  fine  di  gennaio  a  Rieti,  si  accinse  sen- 
z'altro all'opera;  e,  quantunque  il  mandato  fosse  arduo, 
e  richiedesse  severe  punizioni,  tuttavia  il  temuto  condot- 
tiero non  lasciò  in  quei  luoghi  alcun  ricordo  di  ferocia, 
alcuna  traccia  di  sangue  innocente. 

Rese  invece  segnalati  servigi  al  governo  Romano, 
perseguendo  nel  più  rigido  inverno  l'ostinato  malandri- 
naggio, tenendo  atterrita  e  rimpiattata  la  reazione, 
custodendo  fino  all'ultimo  tratto  quel  territorio,  aperto 
per  tante  vie  alle  insidie  nemiche.... 

CAPITOLO  X. 
Roma  —  Proclamazione  di  governo  repubblicano 

Il  5  febbraio  1849  i  deputati  del  popolo  adunati  in 
Campidoglio  trassero  con  solenne  maestà,  al  palazzo  della. 
Cancelleria,  luogo  stabilito  per  le  loro  adunanze.  Fu 
posta  subito  la  questione,  che  si  dichiarasse  il  decadi- 
mento del  potere  temporale  dei  papi,  e  si  proclamasse 
la  repubblica.  Sorse  Terenzio  Mamiani  con  le  memorande 
parole  :  a  Soma,  o  i  Papi  o  Cóla  di  Rienzo,  —  «  i  Papi: 


«  investìti  del  podere  temporale,  essere  stati  sempre  il  fla- 
<  gello  d'Italia  e  della  religione;  la,  repubblica  la  più.  bella 

*  parola,  che  dir  potessero  labbra  d'iiouio.  Gravi  per  altro 
«  i  pericoli  che  potea  con  sé  portare  la  repubblica,  non 

*  avendo  gli  Stati  roraarii  per  tutelarla  le  immortali  fa- 

*  langi  che  la  Friincia  ebbe  nel  1793.  Toscana   poteva 

*  aiutare  ma  debolmente  ;  gran    danno  invece  U   pro- 

*  clamata  repubblica  pot&a  recare  iti  Liguria  e  iu  Pie- 
«  monte,  nerbo  e  centro  delle  forze  it^iliciue  ;  l'Europa 
«  tutta  conservatrice-;  la  Francia  meno  repubblica  che 
€  itnpero  Napoleonico.  Concluse  elle  la  questione  della 
«  forma  di  govtìrno  coiiveniva  rimettere  alla  Costituente 
«  italian.i  ". 

Garibaldi,  Masi,  Filopanti,  Agostini.  Carlo  Rusconi, 
parlarono  in  fivoro  della  repubblica.  Vincigaerra  escla- 
mava essere  tempo  di  finirla  coi  Papi,  assentivano  Ga- 
bussi  e  tìavinì.  Bonaparte  priocipe  di  Canino,  diclùarava 
impossibile  la  conciliiizione  del  papato  con  la  libertà 
italiana  e  invitava  a  proclamare  senz'altro  la  repubblica; 
fu  una  di.scuSsione  serratft,  efficace,  eloquente,  Infine 
respinta  ogni  altra  proposta,  fu  messo  ai  voti  il  memo- 
l'ttndo  decreto. 

Ari.  1.  lì  papato  è  decaduto  di  fatto  e  di  diritto  dal 
r/orerno  temporale  dello  Stato  romano. 

Art.  S.  Il  Pontefice  romano  avrà  tutte  le  guarentigie 
necessarie  per  la  indipendenza  iielt' eservizio  delia  sua  po- 
testà spirituale. 

Art.  ci.  [.a  forma  di  governo  àefln  Stato  romano  sarà 
In  democrazia  pura,  e  prenderà  il  glorioso  nome  di  Re- 
pubNiea  roinana. 

Ari.  4.  La  repubblica  romana  avrà  col  reato  d'Italia 
le  relazioni,  che  esige  la  nazionalità  comune. 

T  vot-:inci  furono  Centoquarantafre  ;  centoventi  ri- 
sposero *Si;  nove  risposero  Xo  ;  quattordici  approvarono 
commentando  un  articolo. 

La  folla  immensa  di  popolo,  alla  notizia,  proruppe 
,jin  un  urlo  immane  di  gioia  e  di  plauso. 


«0 

Roma  in  quel  momento  nveva  rtflermiito  il  diritto 
del  popolo  italiano. 

Essa  parve  e  fu  grande  come  In  Roma  dei  Cesari  ! 

E  il  manifesto,  cho  la  Costituente  romana  diresse  a 
tutti  i  popoli,  lo  prova. 

Ecco  alcune  parti  più  iniportitnti  di  quel  documento 
d'imperitura  memoria. 

Italiani, 

«  Novello  vi  sì  presenta  quel  popolo,  che  era  già, 
il  più  grande  deUa  terra.  Ma  fra  l'antica  grftndezzn  e 
questa  resurrezione  stette  per  miile  anni  il  papato. 

0  II  popolo  ha  voluto,  e  la  sua  volontà  non  ha  bi- 
sogTio  di  chiedere  giustificazioni  dal  passato.  La  sua  ra- 
gione è  antecedente  ad  ogni  fjUto  umano. 

%  Era  piena  di  lacrime  la  storia  d'Italia,  e  al  pa- 
pato ne  veniva  ast-ritta  gran  copia.  E  nondimeno, 
allorché  ai  fece  innanzi  il  papato,  e  niise'la  croce  sulla 
dima  del  vessillo  nazionale,  v^de  il  mondo  che  gl'ita- 
]iaiii  erano  presti  ad  obliar  le  sue  colpe-:  e  a  nome  di 
un  papa  iniziavano  la  loro  rivoluzione.  Ma  quella  fu 
appunto  la  prova  di  quanto  potesse  il  papato  e  di  quanto 
non  potesse.  I  predecessori  dell'uliimo  regnante  erano 
stati  troppo  cauti  |>er  non  imperniarsi  a  tal  prova,  e  la 
loro  potenza  non  tu  misurata,  cho  dalle  scìa{?ure  accu- 
mulate Bui  popoli.  L'ultimo  regnante  si  avventurava 
primo  nell'opra  e  volle  ritrarsene,  quando  ai  fu  accorto 
che  egli  aveva  rivelat;!  una  terribile  verità,  cioè  l'im- 
potenza del  principato  papale  a  far  Ubera,  indipendenie 
e  gloriosa  la  nazione  italiana;  volle  ritrarsene,  ma  fu 
tardi,  Il  papato  aveva  giudicato  se  stesso 

e  Speravamo  tuttavia  ;  ma  un  sistema  di  reazione 
fu  la  risposta  che  venne  dal  papato.  Cadde  la  reazione. 
Il  papato  dapprima  disaimiiló  ;  vide  la  pace  del  popolo 
«  fugg^l.  E  nel  fuggire  portò  seco  U  certezza  di  dentare 


gì 

la  guerra  civile  ;  violò  la  costituzione  politica  ;  ci  lasciò 
senza,  goverao  ;  respìnse  i  messaggi  del  popolo  ;  fomentò 
le  discordie;  stette  in  braccio  del  più  feroce  nemico  di 
Italia  e  acomunicò  il  popolo. 

«  Questi  fatti  mostrarono  abbastanza  ciie  il  princi- 
pato papale  né  voleva  né  poteva  modificare  sé  stesso, 
e  non  restava  cLe  subirlo  o  distruggerlo.  Venne  distrutto. 

a  La  liberaliUt  di  regnanti  o  tolleranza  di  popoli 
avevano  posto  i!  papato  nella  città  degli  Scipioni  e  dei 
Cesari,  invece  che  nel  mezzo  della  Frdncia  o  sulle  rive 
del  Danubio  o  del  Tamigi;  doveva  esser  per  questo,  che 
gl'italiani  perdessero  i  diritti  comuni  a  tutti  i  popoli, 
la  liberti!,  la  patria?  E  ae  fosse  pur  vero,  che  alla  po- 
testà spirituale  del  pontificato  sia  necessario  il  possesso 
d'una  sovranità,  temporale,  quantunque  non  a  questa 
condizione  fosse  promessa  da  Gesù  Cristo  l' immortalità 
della  sua  Chiesa,  era  dunque  serbato  a  Roma  di  dive- 
nire il  patrimonio  del  papato  e  divenirlo  per  sempre  V 
Soma,  patrimonio  di  una  sovranità,  che  per  sussistere 
aveva  bisogno  di  opprimere,  e  per  essere  gloriosa  aveva 
nocetisità  di  perirsi  e  come  patrimonio  dei  papato  farsi 
cagione  permanente  della  mina  d'Italia?  Roma,  di  cui 
le  tradizioni,  il  nome  e  fin  le  ruine  parlaao  si  torte  di 
]lbei-tà  e  di  patria?  ...» 


E  il  popolo  rispose  e  risponde  :  No 
noma  i  delta  Mbertà  t 


-  Roma  é  mia! 


Parlato  a  Roma  il  debito  politico,  Garibaldi  ritornò 
a  Rieti  a  riprendere  il  suo  posto  militare. 

Nel  frattempo  gii  avvenimenti  avevano  fatto  il  loro 
corso. 

Il  22  marzo  la  catastrofe  di  Novara  ;  il  27  la  risposta 
dell'Asaemblea  Veneta  all'Haynau  ;  <  Venezia  resisceri 
tìd  ogni  costo  »  ;  il  28  l' insensata  rivolta  di  Genova  ; 
il  1"  aprile  l'ultimo  giorno  della  decade  Bresciana. 


62 


CAPITOLO  XL 

Le  dieci  giornale  di  Brescia 
disastrosa  giornata  di  Novara- 


li   20  marzo,  in  Brescia,  una  adunata  di  popolo  in 

piazza  Vecchia,  sotto  la  loggia  municipale,  preceduta  da 
bandiera  tricolore,  chiedeva  le  dimissioul  del  Podestà, 
Zambelli,  e  la  formazione  della  guardia  ciTica.  Nello 
Etesso  giorno,  sul  Colle  di  S.  Florian,  era  comparsa  una 
squadra  d'armati  condotta  dal  prete  BoiCava.  Questo  pic- 
colo corpo  volante  di  300  nomini,  al  quale  si  erano  ag- 
giunti aJcuni  terrazzani,  aveva  avuto  incarico,  dal  Co- 
mitato per  r  iiisurreztoue,  di  impedire  le  comunitiazionì 
Bulla  strada  per  Peschiera,  Verona  e  Mantova,  intercet- 
tare dispacci  del  nemico  e  molestarlo  con  avvisaglie. 

La  sera  del  21  marzo  fu  fermata  una  staffetta  la^ 
trice  di  dispacci  ;  tradotti  dal  tedesco.  ?i  rilevò  che  re- 
cavano l'annuncio,  essere  partito  da  Verona  un  grosso 
convoglio  di  munizioni   per   fornirne  Brescia  e  Milano, 

Una  trenriaa  di  giovani  animosi,  fra  i  quali  Giu- 
seppe Zanartìeili,  postisi  sotto  gli  ordini  di  tale  Longhena» 
perchè  era  stìito  militare,  uscirono  dalla  città  allò  11  di 
sera  col  determinato  proposito,  d'impadronirsi  del  con- 
voglio di  munizioni,  tanto  necessarie  ai  cittadini  insorti. 

L'ardita  falange  giunse  a  Rezzato  prima  dì  giorno. 

Avvertiti  i  baldi  giovani,  che  il  convoglio  delle 
truppe  imperiali  era  prossimo  a  giungere,  bì  diedero 
subito  a  costruire  una  barricata  allo  sbocco  della  via,. 
verso  Ponte  S.  Marco,  e  dopo  di  avere  collocata  della 
gente  anche  inerme  sui  balconi  e  nelle  vie,  per  dimo- 
strare che  erano  in  molti  a  chiudere  il  passo,  presero. 
posto  nella  barricata,  risoluti  a  tutto. 

Non  tardò  a  comparire  sulla  strada  la  pesante  co- 
lonna dei  carri,  custoditi  dalle  baionette  croate. 


63 

E  corpo  austriaco  di  scorta  agli  otto  carriaggi  ciirichi 
di  munizioiii  eradi  173  soldati  e  sei  ufficiali;  questi  ac- 
cortisi della  barricata  e  degli  armati  clie  impedivano  il 
passo  si  fermarono.  Il  comandante  della  piccola  squadra 
bresciana   divisò  di  mandare    un  parlamentario  ad  in- 
vitare il  comandante    delle    forze   nemiche  a  recarsi  a 
Rezzjito  per  trattare    col  duce    delle  forze  cittadine  ìq- 
sorte.  Questi  assenti,  e,  quando  fu  all'ingresso  del  paese, 
gli  fu  imposto  di  arrendersi,  informaadolo  che  ogni  re- 
sistenza sarebbe  stati  inutile,  perchè    Brescia  e  Milano- 
erano  in  mano  del  popolo,  e  le  truppe  avevano  capitolato, , 
r  intero  paese  insorto,  come  era  insorta  la  stessa  Vienna. 
Intanto,  durante    le  trattative,    erano    sopraggiunti 
altri  iusorti  guidati  dal  curato  Boitava,  e  il  capitano  ac- 
consenti di  arrendersi:  ufficiali  e  soldati    consegnarono 
le  armi,  e  i  bravi  bresciani  preso  possesso  de!  convoglio 
delle  munizioni,  per  vÈe  montane,  onde  evitare  l'incontro 
di  qualche  squadrone,  dì    cavalleria,  si    diressero    verso 
Brescia,  ove  giunsero  sul  fare  di  sera  del  giorno  seguente, 
accolti  dalla  cittadiminza  con.  luminarie  e  grande  entu- 

La  sera  del  21  era  stato  acclamato  Podestà  il  So- 
lari, che  si  annunziava  alla  clttadiiianza  con  un  patrio^ 
ticQ  manifesto. 

Il  ^2  venivano  aperti  i  ruoli  per  la  formazione  della 
Guardia  civica. 

La  mattina  del  23  nella  contrada  de?li  Orefici,  nei. 
pressi  di  Piazza  Vecchia,  un  pugno  di  popolani  si  av- 
ventava contro  i  soldati  austriaci  di  scorta  ai  carri  di 
legna,  destinatn  al  riscaldamento  delle  caserme  e  del 
Forte,  li  disarmava,  inseguendoli  fino  all'accesso  del 
Castello,  e  disarmava  pure  alcuni  gendarmi  incontrati 
per  via.  La  sommossa  si  fece  generale,  si  abbatterono- 
gli  stemmi  e  le  insegne  imperiali,  e  si  disarmarono  i 
soldati  di  picchetto  negli  ospedali,  ed  in  altre  località 
dando  ad  essi  dovunque  la  caccia. 

Il  comandante    del  Forte,    Leshke,  senza   Indugio,. 


volle  ricorrere  alle  armi  dello  spavento;  e  nelle  o 
XKimcridiane»  fece  piombare  sulla  città  un  gran  numero 
di  bombe,  che,  se  cagionarono  qualche  rovina  alle  case, 
ebbero  per  effetto  di  accendere  maggiormente  l'entu 
aiasmo  bellìgero  della  cittiidinanza;  dopo  ta.le  preludio 
mandava  un  messaggio  til  Podestà,  intimando  che  se  la 
città  non  t'osse  ritornatii.  alla  soggezione  imperiale, 
avrebbe  bombardata  ed  incendiata.  IlSoleri,a  sua  voi 
domandava  tempo  per  provvedere;  ma  allo  scoccare 
della  mezzanotte,  in  esecuzione  della  fatta  minaccia,  il 
Lesbke,  apriva  dal  castello  un  furioso  bombardamento. 
Questo  procedere  barbaro,  che  veniva  principal mente 
a  colpire  donne  e  bambini  giacenti  nel  Konno,  inaspri 
i  cittadini,  che  armati,  si  fecero  sotto  al  Castello  rispon- 
dendo ni  bombardamento  col  prendere  a  bersaglio  i  can- 
nonieri nemiei,  al  grido  «  di  viva  l'Italia,  viva  il  Pie- 
monte ». 


0      ■! 


Intanto,  sul  mezzogiorno  del  20  marzo,    le   ostilità.! 
da  parte   dell'esercito   piemontese    contro   gli    austriaoij 
furono  riprese,  ma  le  sorti  della  guerra  furono  addirit- 
tura disastrose  per  le  armi  italiane. 

Il  piano  del  generale  in  capo  Chzamowsky,  noni 
era  tale,  che  potesse  convenire  ad  un  piccolo  eser-J 
cito,  quale  era  quello  messo  assieme  dall'eroico  Pie-| 
monte.  Invece  di  tenere  unite,  quanto  più  si  potesse,  le ,^ 
piccole  forzOj  esse  erano  schierate  sopra  una  fronte  ec- 
cessivamente estesa. 

Il  generale  Lamarmora,  con  una  Divisione,  era  stato 
inviato  nella  Lunigiana,  per  attraversare  l'Appemiino 
con  Tobbiettivo  di  assalire  gli  austriaci  alle  spalle  sulla 
sinistra  del  Po. 

Ma  qualunque  fosse  il  piano  strategico,  è  certo  che 
il  generale  Ramorino,  che,  con  la  Divisione  Lombarda, 
fronteggiava  il  Ticino  nella   posizione  della  Cava,  ed  a 


65 

cui  era  stato  dato  ordine  preciso  di  arrestare  la  marcia 
del  nemico,  ove  questo  avesse  tentato  il  passaggio  del  liu- 
ine  a  Pavia,  e,  come  segnale  alC&mando  Generalo  del  Een- 
tativo,  tirare  moltiplicati  colpi  di  cannone  ;  questo  g:e- 
nera!e,  contrariamente  a  tali  ordini  precisi,  non  sparè 
neppure  mi  colpo,  non  fece  atto  dì  resistenza,  né  si  ri- 
trasse sopra  Sannazzaro  e  Mortara,  ove  coi-pi  picmojitesi 
a'wisati  avrebbero  pomio  trovarsi  concentrai  il  mattino 
del  2l  per  dargli  man  "forte,  appoggiandosi  ad  ottime 
posizioni. 

Invece  la  Divisione  senza  sparare  una  cartuccia, 
senza  dare  il  seguale  ordinato  si  ritirò  sulla  destra  dd 
Po,  standosene  là  spettatrice  inerte. 


Dopo  un'avvisaglia  di  avamposti  al  Gravellone,  g-li 

eserciii  avversari  si  trovarono   dì   fronte  il   "21    presso 

Mortara.  Radetzkj-,  concentrate  tutte  le    sue  forze,  con 

rapide  mosse  aveva  spinto  i  suoi   all'attacco  ;  lo  truppe 

piemonttisi  comandate  al  centro  da   Vittorio  Emaiiuelf', 

Duca  di  Savoia,  fecero  prodij^i  di  valore,  ma  glia ustriaei 

sovorchianti  di  numero,  riuseirono    ad  impossessarsi  di 

notte  delta  cittii:  e  fu  notte  di  strage  in  Morliira,  percliè 

si  combatté   nccaritameuto   per  le    vie,  nello   piazze   e 

*ielle  c:ise,  opponendo  i  nostri  un'indomita   e  disperata 

i-osistenza.... 

Intanto,  si  combatteva  con  valore  ed  onore  dalle 
riostTG  truppe  anche  alla  Sforzesca;  ma  i  risultati  otte- 
nuti furono  complctaraente  neutrali2zati  dalla  rotta  di 
ìdorUira. 

Il  grosso  dell'eaercito,  con  Re  Carlo  Alberto,  nella 
Bupposizione  che  gli  Austriaci  muovessero  da  Mai^enta 
■jjer  transitare  il  Ticino,  stava  accampato  per  attendere 
il  nemico  presso  Trecate  ;  ma,  trovate  sgombre  le  pofii- 
zìoni  ci  ripostali  ti,  mosse  al  di  qua  del  fium.e,  per  la  vìa 
^  Milano. 


6S 

Fur  troppo  non  potè  continuare  lungo  la  eua  mar- 
-cia  su  teiTii    lombarda,    perché,    giunta,   la   notizia  che 
l'ftusti'iiK'o,  già  vittorioso,  proseguiva  alle  sue  spa-Ue  mi- 
naccììindo  Torino,  fu  inimediataniente  ordinata  la  retro- 
marci  «. 

Il  28  marzo,  l'esercito  nostro,  forte  di  quarantamila 
uomini  6  110  pezzi  d'artiglieria,  si  trovava  alle  nove 
del  mattino   sotto   Novara.   Alle  ore  undici,  il  cannone 
nemico  diede  il  segnale  della  bnttaglin..  Re  Carlo  Alberto 
era  al  suo  posto  in  prima.  Illa  tra  i  combattenti.  Il  cro- 
cevia della  Bicocca  era  la  chiave  della  posizione,  e  gli 
austriaci,  in  dense  colonne,  dìresBero  tutti  i  loro  sforzi 
contro  di  esso,  I  piemontesi  lo  difesero  col  coraggio  della 
disperazione;  Re  Carlo  Alberto,  ritto  sul  suo  cavallo, 
nella  saa  marziale  impassibità,  sembrava  desiderfisse  di 
essere  colpito  a  morte  ;    ma    se    il  Re    era  l'isparraiato 
-dalle  palle  nemiche,  quanti  gli  stavano  vicini  venivano 
mietuti,  e  tra  tanti  altri,  il  generale  Perrone,  colpito  da 
palla  alla    testa,    e    il    genei'ale   Passalacqua,  l'estavano 
fulniinìiti  sul  terreno,  proprio  al  fianco  di  Carlo  Alberto. 
Tutte  le  riserve  erano  state  impegnate. 
II  Duca  di  Savoia^  dopo  avere  avuto  feriti  a  morte 
tre  cavalli,  appiedato,  mantenevasi  alla  testa  degli  avanzi 
■dei  suoi  battjiglioni  con  singolare  intrepidezza.  Mal' eroi- 
smo non  poteva  pjìi  cambiare  le  sortì  della  giornata. 

Re  Carlo  Alberto,  testimonio  e  parto  di  tutte  le  fasi 
della  battaglia,  cavalcava  taciturno  e  mesto  verao  la  città, 
incurante  dei  pericoli  che  lo  circondavano,  e  giuntovi, 
contemplava  in  silenzio  e  con  indicibile  dolore  la  di- 
iilatta  del  suo  esercito.  Lo  si  voleva  ìilloutanare  dal 
luogo  terribilmente  esposto,  ma  Egli,  nello  schianto  dello 
strazio  diceva;  «  lasciatemi  morire:  questo  deve  es- 
sere rultimo  giorno  della  mia  vita!  »  Aveva  tanto  in- 
vocato dal  Dio  degli  eserciti  in  quel  giorno  dì  perderla, 
'  ma  non  fu  ascoltato. 

Lii  bandiera  biancaannunzìava  la  sospensione  delle  o- 
^tilità;  segui  rarniistizio  e  quindi  l'abdicazione  di  Carlo 


67 
"Alberto  e  l'assunzione  al  tròno  aelngtio  Vittorio  Ema- 
nuele IL 

Tutto  era  finito!  I  deatioi  d'Italia  non  erano  ancora 
maturi  I  Alle  undici  della  notte,  Carlo   Alberto  muoveva 
■alla  Tolta  di  Oporto,  per  morirvi    di  11   a    pocUI    raesi, 
martire  di  un'idea  sublime,  vittima  del  dolore  ! 


H  26  marzo,  a  Brescia,  ove  nulla  si  sapeva  del 
disastio  toccato  alle  truppe  piemontesi,  si  procedeva 
alla  nomina  del  Comitato  di  difesa,  nelle  persone  dei 
cittadini  Cassola  e  Contratti,  i  quali  pubblicarono  il  se- 
guente proclama. 

Brescia,  2(5  marzo  1849. 
Cittadini! 
Lfl  patria  è  in  pericolo! 

Ora  è  il  momento,  o  bresciani,  d'agire  e  di  fare 
conoscere  che  le  vostre  promesse  non  furono  milhinterie. 

Gli  armati  accorrano  davanti  al  teatro  per  ricevere 
la  loro  destinazione.  Chi  non  ha  arnai,  le  donne,  i  vecchij 
ì  ragazzi,  si  adoperino  a  costruire  barricate  alle  porte 
della  ci  Ita. 

Uniamo  le  nostre  forze  e  difendiamoci.  Non  si  tratta 
che  di  duemila  uomini,  con  due  pezzi  d"'artiglieria,  quasi 
tutti  italiani. 

All'armi I  All'armi! 

Unione,  costanza,  ordine! 

Cassola,  Contratti, 

Ragione  di  questo  manifesto  al.popolo  di  Brescia 
era  die  il  Comitato  della  difesa,  aveva  avuto  avviso  che 
la  notte  del  25  un  corpo  d'imperiali  sotto  il  comando 
del  generale  Niigent,  sortito  da  Mantova,  con  marcie  for- 
zate si  dirìgeva  su  Brescia- 


L 


68 

Nella  città  erasi  formato  un  corpo  dei  più  ardimen- 
tosi guidato  da  Tito  Speri,  capi  squadra  erano  Giuseppe 
Zanardelli,  Giuseppe  Nullo,  Antonio  Frigerio,  Luigi  Ca- 
stelli, Camillo  Biseo,  Eligio  e  Filippo  Battaggia.  Tutti 
mossero  incontro  al  nemico,  prendendo  posizione  nel 
borgo  di  Sant'Eufemia,  ove  già  trovavasi  il  curato  Boi- 
tava  con  la  sua  compagnia  ;  si  asserragliarono  pure  ia 
in  altre  posizioni  atte  ad  impedire  al  nemico  l'ingresso 
nella  città. 

Poco    prima  del  mezzodì,  gli  Austriaci  aprirono-  il 
fuoco,  ma  gli  assalitori  vennero  coraggiosamente  respinti. . 


Il  Comitato  ed  il  Municìpio,  conTÌnti  che  la  resi- 
stènza non  poteva  durare  a  lungo,  decisero  di  spedire 
ili  generale  Nugent  una  Commissione  di  cittadini  che  si 
presentò  agli  avamposti  nemici  con  bandiera  bianca. 

La  Commissione  fu  ricevuta  dal  generale,  il  quale 
poneva  senz'altro  per  condizioni  che  i  bresciani  cessas- 
sero dalla  difesa,  deponessero  le  armi,  e  distruggessero 
le  barricate,  perche  egli,  per  amore  o  per  forza,  sarebbe 
entrato  nella  città. 

Quando  si  conobbe  l'arrogante  risposta  del  generale 
austriaco,  la  popolazione  proruppe  unanime  in  un  sol 
grido  :  «  Guerra  !  Guerra  !  » 

Gli  Austriaci  mossero  all'  assalto  della  città,  ma  ì 
prodi  Bresciani  guidati  dall'  eroico  Tito  Speri  usciti  da 
porta  di  Torre  Lunga,  giunsero  alle  spalle  degli  Austriaci, 
già  alle  prese  con  le  bande  dei  nostri,  e  impegnarono 
una  mischia  micidiale. 

Il  combattimento  durò  fino  a  sera  con  la  peggio 
degli  Austriaci,  che,  abbandonate  le  conquistate  posi- 
zioni, si  ritÌraron*5  nei  loro  attendamenti  di  S.  Eufemìa., 

Cosi  ebbe  fine  la  memorabile  giornata  del  26  marzo. 


69 


Il  27  gli  imperiali  a  mezzodì  ripresero  le  astiìità, 
si  spinsero  fino  a  Rebuffone,  a  poca  distanza  da  Torre 
Lunga,' dovei  Bresciani  erano  appostati  alla  difesa.  Gli 
Austriaci,  piantata  nmi  batteria  aopra  Verta  della  Villa 
Mflffei,  ai  diedero  a  fulminare  i  bravi  difensori,  mentre 
nello  stesso  tempo  il  Castello  iniziò  il  bombardjimenlo 
prendendo  i  bresciani  fra  due  fuochi.  Ma  le  cannonate, 
il  bombardamento,  gli  incendi  non  sg'omentarono  i  va- 
lorosi Bresciani,  che  anzi,  inaspriti  dalla  ferocia  del  ne- 
mico, moltiplicarono  gli  atti  di  eroismo;  tanto  che,  quando 
videro  verso  sera  rallentare  e  cessare  il  fuoco  da  parte 
degli  imperiali,  che  rientravano  nel  loro  accampamento, 
gli  eroici  difensori,  con  rapida  sortita,  si  slanciarono  sul- 
l'inimico, ed  in  breve  furono  addosso  alla  retroguardia 
facendone  strage. 

La  sera  la  cittii  era  in  festa  per  la  felice  resistenza 
opposta  al  nemico  ;  e  il  Comitato  della  difesa  pubblicava 
il  seguente  manifesto. 

Cittadini  1 


11  vostro  nome  alla  posteritìi  è  assicurato.  Il  nemico 
trovasi  nell'avvilimento,  perchè  gli  imponenti  mezzi  di 
guerra  coi  quali  credeva  atterirvi,  non  hanno  fatto  che 
.iccrescere  il  vostro  entusiasmo. 

Ormai  ha  consumato  tutti  ì  suoi  mezzi  guerreschi, 
e  quindi  non  dovete  fare  alti'o  che  dar  compimento  ali» 
vittoria  nello  stesso  modo  che  l'avete  cominciata. 

Italia  tutta  farà  plauso  a  tanta  prodezza. 

Ordine,  Coetanea,  Unione  !: 

Brescia  il  27  marzo  ore  6  Vi  pomeridiane. 

Cassola^  Contratti. 


70 


Per  dire  degli  episodi  e  degli  atti  di  eroismo  com- 
piuti dai  Bresciani  nei  giorni  successivi  28,  29,  30,  31, 
non  basterebbe  un  volume  intero.  Basti  aft'ermare  cì\e 
tutti  gli  sforzi  fatti  dal  Nugent  con  ben  3500  uomini, 
per  impossessarsi  di  Brescia,  o  per  costringerla  alla  resa, 
furono  inutili.  Vista  la  sua  impotenza,  fu  obbligato  a 
chiedere  rinforzi  e  questi  non  tardarono  a  giungere,  con- 
dotti da  un  ben  formidabile  avversario,  tristamente  co- 
nosciuto dai  Bresciani. 

Il  31  marzo  giungeva  infatti,  per  espugnare  l'eroica 
Brescia,  il  tenente  maresciallo  Haynau  con  una  intera 
divisione  —  e  ben  presto  diede  sue  nuove  col  seguente 
dispjiccio  :  n.  152  —  Dal  2"  I.  R.  Comando  del  Corpo 
d'Armata. 

Alla  Congregazione  Municipale 

della  Città  di  Brescia. 

€  Notifico  alla  Congregazione  Municipale  che  io  alla 
testa  delle  mie  truppe  mi  trovo  qui  per  intimare  alla 
città  di  arrendersi  tosto  e  senza  condizioni 

«  Se  ciò  non  succederà  fino  a  mezzogiorno,  se  tutte 
le  barricate  non  saranno  interamente  levate,  la  città 
sarà  presa  d'assalto,  sacchtgj^iuta  e  lasciata  in  balia  a 
tutti  gli  orrori  della  devastazione. 

«  Tutte  le  uscite  dalla  città  verranno  occupate  dalle 
mìe  truppe  ed  una  resistenza  prolungata  trarrà  seco  la 
certa  rovina  di  Brescia. 

«  Bresciani  !  Voi  mi  conoscete,  io  mantengo  la  mia 
parola  ! 

«  Il  Comandante  delle  truppe  stanziate  all'  intomo 
della  città  di  Brescia. 

Il  Tenente  Maresciallo. 
Haynau. 


71 

Non  è  a  dire  quanto  la  lettura  dì  questo  dispaccio 
inasprisse  e  rinfuocasse  gli  animi. 

Il  IVIuuiC'ìpio  mandò  subito  per  il  Comitato,  che 
pronto  accorae  all'adunanza. 

Richiesto  del  auo  parere,  il  Comitato  dichiarava  do- 
merai risolutamente  resistere. 

La  maggioranza  degli  adunati,  pur  non  dissentendo 
dalla  resistenza,  deliberava  però,  di  mandare  deputati 
airilyrau,  per  ottenere  una  proi'oga  di  tempo,  onde  si 
potesse  prendere  ponderate  risoluzioni. 

Come  ambasciatori  si  offersero  i  cittadini  Lodovico 
Borg^hetti,  Pieti'o  Pallavicini.  Paolo  Barucchelli  e  il  no- 
bile Girolamo  Rossa,  alla  patria  devotissimi.  Cosi  com- 
posta, e  fiancheggiata  da  due  gendarmi  e  preceduta  da 
bandiera  bianca,  l'ambasciata  verso  le  10  si  avviava  per 
il  Castello. 

I  messaggeri  trovarono  1'  Haynau  inflessibile.  Ho 
detto  a  mezzogiorno. 

Ed  alle  vive  rimostranze  degli  inviati,  per  grazia 
dichiarava,  ohe  avrebbe  aspettato  Uno  alle  due  pomeri- 
diaue.  ■ 


DeWuHimatum  del  Maresciallo  austriaco  fu  data  par- 
tecipazione al  popolo  dal  balcone  del  palazzo  couiunale. 
E  la  risposta  del  popolo  Bresciano  fu  quale  doveva  es- 
sere: Guerra!  Vogliamo  la  guerra! 

Quella  del  Podestà  fu  :  Dunque,  all'armi  Bresciani  ! 
all'anni  ! 


Allo  scoccar  delle  due,  tutte  le  campane  della  città, 
«onie  se  fossero  mosse  da  un  sol  uomo,  e  tocche  da  uno 
«tesso  martello,  si  diedero  a  suonare  a  stormo  onde  chia-: 
_mare  i  cittadini  alle  anni.  Questa  era  la  risposta  chei 
bresciani  mandavano  all'Haynau. 


] 


Il  nemico  sTeva  ììiitanto  circondato  con  forze 
merose  la  cìttii,  e  piantate  sulle  alture  batterie  di  cari^ 
noni  e  di  mortari,  ccU'ordine  che,  al  segnale  dato  dalle 
artiglierie  del  Cafitello,  tutte  l'è  batterie  aprissero  il 
fuoco.  H 

E  alle  tre,  tanto  dal  Castello  che  dalle  batterle  cÌnH 
costanti,    &' incoinìnciò  senza   interruzione  a  vomitare 
bombe  e  pjille  incendiarie;  tutte  le  campane  della  città 
suonavano  a    stormo,   cbiamando    il   popolo   alla  resi 
stenz.a. 

L'IIaynau  aveva  stabilito  un  assalto  generale  al 
città;  oidinava  quindi  le   sue  genti  in  modo  clie  tutta' 
la  circiiibsero,  per  dividere  cosi  le  forzo  dei  difensori  e 
rendere  più  debole  la  resistenza.  Jh 

A  queslQ  scopo,  sul  ripiano  del  poggio  MafFei  dovè 
Etava  la  brìg-iito  Nugeiit,  aì^va  fatto  piazzare  una^bat-^ 
teria,  che  batteva  direttamente  la  barriera  di  Torr^B 
Lunga,  ove  dovevano  essere  diretti  i  maggiori  sforzi, 
infatti,  fulmìn;vta  con  fuoco  mai  interrotto  e  con  colpi 
bea  diretti,  ben  pi'esto  l'intera  trincea  fu  squarciata,  ed 
ì  difensori  dovettero  abbandonarla,  per  ritirartìi  al  ri- 
dosso della  ban-icata  che  formava  la  seconda  linea  di 
difesa.  Tennero  loro  dietro  i  ntìmioi  che  tentarono  di 
entrare  con  essi  in  città,  ma  furono  valorosamente  re- 
spinti, ed  ebbero  a  subire  gravi  perdite, 

.*• 

Non  cessava  intanto  il  tuonare  dei  carmoni  e  dei 
mortari  dal  di  fuori,  mentre  le  bombe  ed  i  razzi  piove- 
vano dal  CtLstello;  ma  non  per  questo  ritiravnnsi  f  di- 
fensori, che,  capitanati  dallo  Speri,  combattevano  con 
tanta  valentia  e  costanza,  da  emulare  i  più  esperimen* 
tati  e  disciplinati  veterani. 

L'Haynau  aveva  ordinato  che  un  battaglione  di 
croati,  di  notte  appostato,  scendesse  giù  per  la  china 
del  colle  ed  a  forza  occupasse  le  vie  che  conducevano 


73 

al  centro  dalla  cittti.  Fu  parò  accolto,  mentre  discen- 
deva, con  unn  tempesta  di  fucilate,  si   da  essere  obbli- 
gato a  sostare    e    a   dare    indietro;    ma  poi  riordinato, 
assali  i  nostri  con  fuoco  talmente  internale  da  obbligare 
i  dìfeuHori  ad  abbandonare  la  trincea  pili  avanzata  po- 
sta alla  svoldii  della   china   del    Castello,  non  solo,  ma 
poi,  dopo  altra  eroica,  difesa,   a  ritirarsi  anche  dalla 
barricata  che  custodiva  la  svolta  di  S.  Urbano  :  ed  in- 
fine anche  dall'  ultima  di  via  della  Consolazione.  Gli  impe- 
riali, alla  carica,   sorpassando  le  barricate,  si^iombrando 
impedimenti   sì   precipitarono  nella  piazza  dell'  Albero. 
Là  i  Bresciani  li  attendevano  alla  posta;  dalle  finestre,  dai 
tetti,  da^li  sbarramenti  che  chiudevano  il  passo  all'in- 
terno della  città,  vennero  accolti  con  tale  una  salva  di  faci- 
late,  che  ben  pochi  ebbero  Sfilva  la  vita;  ma  una  fiumana 
di  altri  croati  serrati  in.  colonne  giù  per  quella  stretta, 
impediva  ai  primi  di  dare  indietro  :  tanto  che,  alla  di- 
sperati)., mancando  loro  og'ni  scampo,  fecero  testa,  e  s'av- 
ventarono risoluti  contro  le  trincee  per  forzare  il  passo; 
ma  ancora  nu  fuot'.o  micidiale  a  bruciapelo  li  accolse,  e, 
più  che  decimati,  dovettero  arrestarsi  e  dare  indietro. 
L'Haynau  che  dal  Castello  vedeva  lo  scempio  che 
•  ì  difensori  facevano  dei  suoi,  ordinava  al  Colonnello  Mìlez 
^  accorrere  in  aiuto  con  buon  nerbo  di  forza;  ma,  ap- 
pena sboccato  sulla  pia-aza,  il  Milez  stesso,  che  stara 
alla  testi!  degli  assalitori,  colpito   da  palla  al  cuore  ca- 
•^eva  morto;  i  suoi  soldati  allora  sostarono;  cogUendo  il 
momento  i  bravi  BresciAni  saltarono  dai  ripa,ri,  e  slan- 
ciandosi &ul  nemico  l'assalirono  a  colpi  di  baionetta,  di 
daghe^  di  stocchi,  di  coltelli.  Non  ressero  gli  Austriaci, 
ma  si  diedero  alla  fuga,  abbandonando  armi  e  feriti, 


La  piazza  deU'Albero  a  ricordo  di  tanto  valore  fu 
poi  nominata  Piazza  del  iS49.  In  quel  g-Ìorno  31  marzo 
correva  a  rivi  il  sangue  e  i  cadaveri  vi  giacevano  ain- 
tQonticcbìati. 


74 
Però  altri  punti,  Torre  Lunga,  S.  Urbano,  S.  Ales- 
sandro  turano   invasi  dal  nemico,  e  l'incendio,  il  sac- 
cheggio, gli  orrori  di  città  presa  d' assalto,  incomincia- 
rono nelle  tenebre  con  tutti  gli  atti  i  più  brutali. 


Il  primo  aprile,  dalla  parte  del  Castello,  appoggiati 
dalle  artiglierie,  gli  Austriaci  discendevano  in  città.,  inve- 
stendo e  rompendo  tutti  gli  ostacoli  che  trovavano  sui 
loro  passi,  giungevano  alle  spalle  dei  difensori  della 
piazza  dell'  Albero,  teatro  del  micidiale  combattimento 
del  giorno  innanzi,  occupando  il  palazzo  del  Broletto, 
massacrando  quanti  si  paravano  loro  dinanzi,  gettando, 
dalle  finestre  e  dai  tetti  quante  persone  si  trovavano- 
nelle  case.  Lo  stesso  avveniva  nel  quartiere  di  S.  Naz- 
zaro  e  a  porta  S.  Giovanni. 

Era  tempo  di  pensare  seriamente  ai  casi  della  pa- 
triottica città,  ridotta  agli  estremi,  e  minacciata  di  di- 
struzione. 


* 
•  * 


Alle  10  antimeridiane  il  Municipio  riceveva  le  di- , 
missioni  del  Comitato  di  difesa.  Bisognava  senza  perdita 
di  tempo  mandare  all'Haynau  una  deputazione  per  trat- 
tare la  resa.  Fu  incaricato  il  padre  Maurizio  da  Brescia, 
accompagnato  dal  padre  Ilario  da  Milano  e  dal  citta- 
dino Pietro  Marchesini. 

I  patti  della  resa  furono  con  molto  stento  converiutL 

La  mattina  del  2  aprile  entrate  le  soldatesche  au- 
striache nella  città  di  Brescia,  la  leonessa  d'Italia,  salu- 
tata dal  Carducci,  il  Maresciallo  Haynau  emanava  due 
bandi.  Col  primo  imponeva  alla  città  una  taglia  di  li- 
re 300.000,  destinate  a  compenso  e  a  premio  degli  uffi- 
ciali —  più  condannava  la  città  e  provincia  al  paga- 
mento di  un'indennità  di  sei  milioni  di  lire. 

Cosi  ebbe  fine  la  lotta  gloriosa  di  Brescia  sostenuta. 


per  10  giorni  con  sublime  eroismo  sotto  la  direzione  del 
Valoroso  Tito  Speri  che  non  avendo  trovala  la  morte 
combattendo  ^  doveva  piigare  il  fio  del  sao  eroismo 
per  saziare  la  sete  di  vendetta  di  Haynau  «  1'  uomo 
Jena  »  —  e  morire  su  una  forca  sugli  spaiti  di  Bel- 
fiore —  assieme  ai  compagni  di  martirio  Calvi,  Poma, 
Canai,  ZambeiSi,  Scorceliini,  il  sacerdote  Fozzoli,  il  conte 
Montanari,  il  prete  STaiigelico  Grazioli. 

Ecco  come  ne  canta  il  poeta  Marradì  a  cui  devono 
essere  grati  quanti  sentono  il  eulto  della  patria: 

«  Primo  ftl  capestro  iJ  non  domabil  collo 
e  l'impassibil  maestà  patriria 
die  il  conto  Carlo  Montanari,  morto 
OOD  gli  oacki  fissi  nolia  vi&ione 
dell'avvenire,  reazolf)  aecondo, 
striiig&ii,losi  snl  onora  il  Croeifisso 
che  B  sua  vita  evangelica  Tu  duce, 
l'intropidu  in  su;i  calma  e  in  mia  dolcezEa 
pastor  di  Hever&.  tlltimo  nel  flore 
<l«i  SdOi  bai  Ventisette  abbi,  vestito 
ooiDB  chi  B  noiie  va,  maravigliando 
dì  sua  Ictìaiii  esecutori  ed  ustaati 
soli  la  forca  Tito  Sperì 

Salutò,  anche  una  volta  «  d'un  riso  d'ineffabile 
addìo  >  i  giovili  di  Monte  Baldo,  le  pianure  e  V  acque 
della  patria  dolente^  poggiò,  sicuro,  la  fcruna  testa  al  palo, 

e  fra  mille  nccbi 

che  intoma  gii  piangevano  in  silenzio 
fissa  con  occhi  scintillanti  il  cielo. 


I  tempi  intanto  incalzavano  e  la  reazione  divampava. 

H  6  aprile  Catania,  dopo  eroica  difesa,  cadeva  nelle 
rnani  sanguinarie  del  borbonico  Filangeri.  Il  12  la  rea- 
zione Lorenese  restaurava  in  Toscana  il  granducato.  H 
20  Filaogeri  era  minaccioso  alte  porte  di  Palermo.  Fi- 


i^tu^uA^ts  bì  ^l  4iprUe  sttlpava  da  Tolone  la  spedizione 


i/iOlìm»  di  queste  notizie  sorprese  Garibaldi  ad  Ana- 
Kn(,  drtvw  ora  arrivato  il  giorno  precedente. 

Il  S4  «prìle  l'avanguardia,  il  di  appresso  tutto  il 
corjw  di  sjieiiizione  comandato  dal  generale  Oudinot, 
portato  ti»  dieci  navi,  forte  di  dodicimila  uomini  e  di 
s*MÌìoi  [H'zzi  da  campagna,  gettava  l'ancora  nelle  acque 
dì  Civitavecchia. 


CAPITOLO  XII. 
Eroica  difesa  di  Roma. 

Sullti  scopo  dell'  intervento  francese  nelle  cose  di 
fvinm»  (»  stabi  gin  giudice  severa  la  storia,  e  non  è  tema 
1  hi>  tiivvigli  un  iuiliano  a  ritornarci  sopra.  Solo  afferme- 
njuK>  i>lu'  per  quanto  ai  sia  voluto  dire,  cerco  non  fu 
.fui<»l'(lc  rhe  una  grande  nazione  come  la  Francia,  col 
|ti4.>UHtiu  d'instaurare  l'ordine,  fra  un  popolo  confidente 
'  «.^UitKi  nel  suo  patriottismo,  siasi  mossa  a  sostenere 
•  ma  .■*t'lH>rHta  teocrazia  ed  a  strozzare,  tra  le  braccia 
'l'uitit  tvpubblica  sorella,  la  libertii  nascente. 

K  fii  con  sembianze  oneste  ed  amiche  che  l'esercito 
intiirvmt  p(it6  sorprendere  la  buona  fede  del  governa- 
lui'L-,  dwl  presidio  e  della  popolazione  di  Civitavecchia, 
1'  luuLtvrt)  Impunemente  il  piede  sul  suolo  della  repub- 

tilli<U. 

U  (Vilimnello  Leblanc,  inviato  dal  generale  fran- 
ri'Hu,  ubbt^  li  merito  di  parlar  chiaro  al  Mazzini,  e  con- 
it<.i«juo  chti  scopo  della  spedizione  era  la  restaurazione 
|iit]iiile.  ii^ll  rese  grande  servigio  a  Roma,  quando  usci 
iinlla  ridloola  guasconata  «  I^s  itaììena  ne  ee  hattenipaa  > 


ir 

la  quale,  feco  affluire  al  cuore  il  sangue  caldo  del  po- 
polo di  Roma,  e  mise  ^l'italiaoi  in  obbligo  di  provare, 
che  colui  aveva  mentito. 


Alla  Repubblica  Romana  non  restava  adunque  più 
«he  difendere  ad  oltranza,  se  non  la  esistenza,  che  era 
preda  designata  alla  forila  del  numero,  l'onore)  che  non 
poteva  essere  da  alcuno  calpestato  impunemente,  e  che 
sarebbe  salito  tanto  più  alto,  quanto  piii  fosae  stato  inaf- 
iiato  di  sangue. 

E  la  difesa  dì  Roma  fu  degna  dei  suoi  giorni  classici. 


L'Assemblea  decretò  senz'altro,  di  dare  incarico  al 
Triumvirato  di  resphigere  la  forza  con  la  forza;  il  po- 
polo applaudi  al  magnanimo  decreto,  eorse  alle  anni,  e 
i  Triumviri,  mirabili  di  concordia  e  dì  energia,    assun- 
sero r  impegno  della  difesa.  Giuseppe  Avezzana  fu  no- 
minato ministro  della  guerra  e   posto   al  comando  su- 
premo dell'esercito,  la  guai'dia  civica  armata  e  mobiliz- 
zata, hi  linea  di  difesa  tracciata,  i  punti  principali  mu- 
Jiici  quanto  meglio  possibile  nella  strettezza  del  momento, 
i  corpi  stanziali  fuori  di  Koma  ricMamati,  e   tutta  la 
Hiaesa  di  truppe  regolari  ed  irregolari,  di  finanzieri,  dì 
Studenti,  di  emigrati,   di  quanti   infine  si  trovavano  in 
tioma   atti   alle  armi,   ordinata  e    così   ripartita  e   eo- 
«Td  andata  : 

La  Legione  Garibaldi,   l'S"  reggimento  di  linea,  il 
"battaglione  dei  reduci,  i  quattrocento  giovani  universi- 
adi, i  trecento  finanzieri,  i  trecento  emigrati,  un  totale 
'^li  duemilasettecento  uomini,  composero   la  prima   bri- 
gata comandata  dal  Generale  Garibaldi. 

Della  seconda  brigata,  formata   di  mille    uomini  di 
.^guardia  civica,  e  del  1'^  reggìmen  to  di  fanteria  leggiero, 
\i   dato  il  comando  al  Colonnello  Masi. 


78  ___ 

La  Legione  Romana  e  il  primo  di  linea  con  du( 
pezzi  di  catopagua  erano  agli  ordini  del  colonnelle 
Bartolomeo  Galletti;  ottocento  oambirieri,  t'orinanti  la 
colonna  dì  riserva,  ubbidivano  al  generale  Giuseppe 
Galletti;  cinquecento  dragoni  al  colonnello  favini; 
artiglierie  al  Lopez  e  ai  fratelli  Ciilandrelli, 

I  bersat^lieri  Lombardi,  comandati  dal  Manara,  a^ 
vendo  ottenuto  dal  generale  Oudìnot  di  sbarcare  a  Pòrto" 
d'Anzio,  a  condizione  die  non  avrebbero  preso  parte  a 
combattimenti  prima  del  4  mjiggio,  erano  vincolati  dal- 
l'impegno preso  per  essi  dal  Preside  di  Civitavecclii»; 


Sicuri  ormai  che  il  generalo  Oudìnot  voleva  entrare 
in  Roma  per  ristaurarvi  il  g-overno  papale,  il  28  aprile 
l'aseerablea  approvav<a  il  seguente  decreto,  dove  il  senno 
romano  ben  distingueva  la  Nazione  dal  governo  di  Fran- 
cia, non  incolpando  la  prima  delle  inique  aggressioni  del 
secondo,  e  ponendo  sotto  la  protezione  delle  le^'^i  i  fran- 
cesi nell'atto  che  ai  apprestava  alla  guerra  contro  l'ar- 
mata di  Francia. 

EEPTTBBLIOA  ROMANA 


In  nome  di  Dio  e  del  Popolo 

'  Credendo  nelle  generose  virtù  dei  Romani  cot 
nel  loro  valore  : 

<  Conecio  che  sebbene  deciso  a  difendere  fino  agli 
estremi,  contro  ogni  invasore  l' indipendenza  della  s.ua 
t3rra,  il  popolo  di  Roma  non  rende  mallevadore  il  po- 
polo dì  Francia  degli  errori  e  delle  colpe  del  suo  g:o- 
verno. 

<  Fidando  nel  popolo  e  nella  santità  del  principio 
repubblicano  : 


80 

<iell»t  Sezione   degli  Emigrati,  ed   agli  altri   corpi  posti 
«otto  i  suoi  ordirti: 

<  il  Ministro  della  Guerra,  col  dispaccio  del  27 
«orrenCe  attidó  a  me  il  c-omando  delta  prima  brigata 
nella  cui  forza  è  puro  compresa  la  vostra  sezione.        J 

<  Le  urgenze  del  momento  esigono  che  C'intendiamo* 
subito  e  quindi  oggi  vorrete  inimiincibiliiiettte  trovarvi 
Con  la  vostra   truppa  sulla   piazza  di  S.  Maria  in 
fitevere,  per  tutte  le  comunicazioni  ». 

*  Salute  e  frateLlanza.  ». 

Dalla  piazza  del  Vaticano,  29  aprile 

,    G.   Garibaldi. 


La  brigata  Garibaldi  fu  ordinata  a  coprire  la  poii^ 
zione  tra  porta  Portese  e  porta  Cavalle^^geri  ;  que^a  di 
Masi  distribuirai  tra  porta- CavuLleggeri  e  porta  Angelica; 
la  riserva  composta  dalla  brig»tta   Galletti,  dai   dragoniJ 
Saviai,  dai  bersaglieri  Manara,  schierata  tra  piazza  Na- 
vona,  hi  Luagara  e  Borgo;  i  bìtstioni  furono  coronati  dì 
nuovi  pezzi,  le  batterie   del  Vaticano    rinforzate;   tutto' 
ciò  disposto  in  buon  ordine  ;  Roma  era  pronta  a  ribut-J 
tare  gli  assalitori. 

I!  30  aprile,  le  vedette  di  San  Pietro  anEunziavano 
lo  spuntare  di  una  colonna  francese  sulla  via  di  Civi- 
tavecchia. Erano  circa  dodicimila  uomini,  divisi  in  due 
brigate  sotto  il  comando  dei  generali  Molière  e  Lavail- 
lant,  eoa  due  batterie  da  campagna  che  marciavano 
alla  c^nquÌHta  della  Città  e  credevano  che  gli  italiani 
non  si  sarebbero  battuti  ;  dovevano  preisto  accorgersi  del 
loro  folle  giudizio  e  chiamare  poderosi  rinforzi. 

Alcuni  colpi,  aggiustati  dal  Calandrelli,  fecero  capire 
che  si  pensava  a  respìngere  gli  assalitori,  ma  essi  erano 
pur  sempre  francesi,  gli  agguerriti  soldati  dei  combat- 
timenti africani.  Quindi   avanzarono  da   prodi   secondo 


83 

destro  francese,  lo  rompe,  lo  sfonda,  lo    inoalza  con 
bainiietta  alle  reni,  e  costringe  in  brev'ora  tutto  Tese! 
cito  assalitore,  già  ributtato  dal  fronte  m  tutta  la  lirtf 
a  battere  in  precipitosa  ritirata. 


La  gioriifita  del  30  aprile  sarà  ricordata  dalla  stori 
come  una  delle  più   belle  pagine   militari  dell' indìpen-^ 
denza  itEiiìiìna.  ^i 

Più  di  trecento  morti,  cinquecentotrenta  feriti,  dufl^| 
centojiessanta  prigionieri,  dovuti  all'eroismo  di  Nino  Bi- 
xio,  fecero  pagar  cara  albi  Francia  l'insana  aggressioae 
e  dimosti'aiono  al  mondo  che  gl'italiani  si  battono. 

In  confronto  le   perdite  dogli    italiani  furono  liei 
sessantadne  morti,  un  centinaio  di  feriti;  uno  solo  pri^ 
gioniero  -^  Ugo  Bassi. 

Onore  ai    prodi   rapiti   troppo  presto   ai  futuri 
menti  della  patria. 


Il  battaglione  universitario  comandato  dal  niaggioi 
Andreucci,    si    distinse    assai    nella    gloriosa    giornata 
«  Avanti  ragazzi  »   tuonava   Garibaldi   —  u  avanti   alla 
baionett:i  »  o  i  ragazzi  si  lanciavano  impavidi  corno  ve- 
terani contro  gli  iagguerriti  soldati  della  Francia,  Gom.-_ 
battendo  da  eroi. 

Fra  tatti  primeggiò  Nino  Bixio,  che,  con  audacia 
da  looae  fece  con  pochi  uomini  prigioniero  un  batta- 
glione del  20"  reggiinento  di  line»,  col  maggiore  cbe  lo 
comandava.  ^M 

Il  primo  merito  della  gloriosa  giornata  spetta  al  ge^^ 
nerale   Garibaldi.  Fu    unanime   il    sentimento    di    tutta 
Roma  nellEi  aera  stessa  del  ooinbattìmento  ;  e  la  storia 
lo  confermò  col  suo  ponderato  giudizio.  Eg'li  rimas&  fe- 
rito nel  più  caldo  ^)1^  .ny.sciiia  e,  non  iie_ fece  mostra^ 


solo  alla  sera  il  dottore  Ripari,  il   carissimo  amico  suo, 
volle  a  forziL  curarlo. 

Garibaldi  aveva  intenzione  di  completare,  quella 
sera  stessa,  la  vittoria,  tagliando  ai  francesi  la  ritirata 
su  Civitaveccliia;  e  il  progetto  sarebbe  stato  senza  dub- 
bio attuato.  Dopo  lo  scacco  sofferto,  il  morale  del  ne- 
mico era  depresso;  inoltre  i  fraucesi  mancavano  di  ca- 
valleria per  coprire  la  ritirata,  mentre  Garibaldi  coi 
lancieri  del  Maaina  e  coi  dragoni  di  linea,  tuita  gente 
fresca,  che  nulla  aveva  sofferto  nel  combattimento,  po- 
teva giungere  a  Civita vecchLa  prima  dei  francesi  e  sol- 
levare quelle  popolazioni  contro  lo  straniero.  Se  non  si 
fossero  voluti  precorrere  i  francesi  si  poteva  prenderli 
di  fianco  nella  loro  ritirata,  giacché  Garibaldi,  raffor- 
zando le  6ue  truppe  coi  due  reggimenti  di  linea  che 
non  avevano  combattuto,  avrebbe  tratto  il  uiig:lior  frutto 
dalla  vittoria. 

Ma  indarno  Garibaldi  in&isteLte  appog'giato  da  Gal- 
letti :  Ma.22ini  non  voleva  esporrà  ta  Francia  ad  una 
completa  disfatta,  e  provocarne  1  risentimenti.  Egli  era 
il  capo  del  Triumvirato  e  Garibaldi  dovette  ubbidire. 


Unica  impresa,  che  venne  concessa  dui  Triumvi- 
rato a  Garibaldi  il  i"  maggio,  fu  una  ricognizione  sul 
nemico  che  si  ritirava  per  la  via  di  Civitavecchia  ver- 
so Ciistel  rli  Guido,  dove  1  Francesi  aveviino  passata 
la  notte  in  armi,  nella  certezza  di  essere  assaliti.  Egli 
usci  colla  sua  legione  da  porta  S.  Pancrazio,,  mentre  il 
Masina  coi  lancieri  e  coi  dragoni  usciva  da  porta  Ca- 
Talleggeri;  enti'ambi  si  unirono  all'ostei'ia  di  Malagrotta, 
(love  i  Francesi  si  erano  preparati  alla  resistenza. 

Ma  non  sì  venne  alle  mani,  perchè  l'Oudinot  man- 
dò a  Garibaldi  un  parlamentario,  per  avvertirlo  che 
u-altava  col  governo  Romano  un  armistizio;  coutempO'- 


S4 
raneamente  Garibaldi  stesso  riceveva  l'ordine  di  rito: 
narsene  a  Roma,  ed  egli  ubbidì  nel  g-iorno  atesso. 

Se  la  giornata  del  30  aprile  non  ebbe  quelle  coas 
guenze  che  erauo  da  aspettarsi  dopo  una  vittoria  ooal 
bella,  essa  perù  provò  che  Gfaribaldi  era  qualche  cosa 
più  di  uà  semplice  guerrigliero,  e  non  gli  mancavano- 
le  doti  tutte  del  generale  delle  grandi  fazioni;  mentre 
provava  al  mondo  che  gl'Italiani  sapevano  battersi. 


Intanto  che  Udinot  riposava  a  Civitavecchia  in  a' 
tesa  di  rinforzi  mandando  a   Parigi   messaggi    bugiardi 

mal  dissimulanti  la  sconflLtii  toccata,  l'Assemblea  Ro 
raana  Io  rimeritava  delle  sue  slealtà  col  niandarg 
beri  i  prigionieri;  uu  esercito  austriaco  minacciava  dal 
Fole  Legazioni;  un'armata  Spagnola  veleggiava  per  la 
medesima  crociata  nel  Mediterraneo:  e  fìtiahnente  re  Fer- 
dinando di  Napoli  faceva  occupare  da  una  divisione  Vel- 
letri,  mentre  due  altre,  una  di  milizie  regolari  coman- 
date dal  generale  Winspearo,  l'altra  eompostji  di  brigan 
coraand;ita  dallo  Zucchi,  s'inoltravano  per  la  provine 
di  Fresinone  sui  colli  Latini. 


I 


H  governo  Romano  commise  a  Garibaldi,  che,  ev 
tando  coiifitti  decìsivi  si  limitasse    a   tenere    a   bada   U 
nemico.  Sperava  il  Mazzini  che  le  trattative  colla  Frane! 
si  sarebbero  risolte  come  egli  desiderava,  per  poi,  tran' 
quilli  da  quella  parte,  poter  intraprendere    una    guerr. 
a  fondo  contro  il  re  di  Napoli,  e  rivendicare  a   libertà 
il  suo  reame. 


* 


Garibaldi  riunì  la  sua  piccola  brigata  il  4  di  maggie 
alle  9  di  Ber.a,  in  piazza  del  Poi)olo;  era  coi^iposta 


8& 

tutto  di  duemila  duecento  uomini;  la  passò  in  rivista» 
ed  uscito  tiicitamence  dii  Porta  del  Popolo,  s'incammiaò 
per  Ponte  Molle,  facendo  le  viste  di  marciare  verso 
PalO;!  poi  voltò  ad  un  tratto  per  la  Prenescina,  e  dopo 
una  marcia  notturna  pei  monti  Tiburtinì  faticosissima, 
ma  silenziosa  ed  ordinata,  arrivò  all'indomani  a  TivoU, 
dove  8i  accampò  sulle  sponde  dell'Anientì,  occupando 
cogli  avamposti  il  ponto  Lucano  a  circa  eei  chilometri 
sotto  Tivoli. 

Il  6  maggio  fece  riposare,  nello  ore  più  calde,  la 
truppa  presso  gli  avanzi  grandiosi  degli  acquedotti  ro- 
mani. 


L'esercito  borbonico,  appena  avuta  notizia  della  sor- 
tita da  Roma  di  Graribaldi,  s'era  concentrato  fra  Albano 
e  Valmontone,  e  forte  di  seimila  uomini  sotto  il  comando 
del  generale  L;tnza,  mentre  altri  seimila  stavano  sotto 
il  comando  del  Winspeare  e  del  Zucchi  pronti  ad  ac- 
correre, si  preparava  ad  atfrontaie  Garibaldi  e  disfarlo. 


La  mattimi,  del  1  Garibaldi  fece  levare  il  ca,mpo,  e 
verso  la  raezz;4noLte  del  giorno  etesso,  sotto  un  acquaz- 
zone torrenziale,  occupò  Pak'strina  a  poche  miglia  dalle 
linee  nomiciie,  miaacciundo  coai  da  vicino  il  loro  fianco 
destro.  Il  giorno  H  G:uibaldi  ordinava  alcune  scorrerie 
una  dello  quali,  comandata  dal  prode  Bronzetti  Narciso, 
gli  aveva  riportata  la  speranza  che  il  nemico  non  fosse 
cosi  formidabile  come  si  vantava  di  essere.  Era  però 
sempre  troppo  forte  di  numero,  per  attentarsi,  con  soli 
duemila  uomini,  ad  assalirlo  nelle  sue  forti  posizioni;  e 
risolvette  di  starsene  sulla  difensiva,  di  stimolarlo,  e  at- 
tenderlo di  pi^  fermo, 

Il  primo  incontro  serio  fra  le  parti  awersario  av- 
venne la  sera  dell'g  maggio  sulla  strada  che  da  Mon- 
7. 


85 
tecompatri  porta,  a  Frascati,  e  sebbene  i  nostri  ai  mai 
tenessero  nella  difensiva  pure  obbligiirono  il  nemico  alla 
ritirata,  tanto  impetuoso  fu  il  contrattacco.  ^H 

.n  giorno  9  Garibaldi  circondato  dal  suo  stato  Mag^" 
giore  sali  a  Castel  San  Pietro,  piccolo  paese  sopra  Pa- 
leatrina,  per  osservare  dal  campanile  le  mosse  del  n^fl 
mico.  Questo  in  numerosa  sc-hiera,  verso  lev  3  pom.  s^ 
avanzava  da  Valmontune  su  Palescrina,  con  intenzione^ 
di  chiudergli  la  ritirata  su  Homa.  ■ 

Garibaldi  prose  tosto  le  sue  misure,  e  affidata  a 
Manara  la  difesa  della  cittiì,  collocò  parte  dei  Lejponari 
al  suo  fianco  sinistro  fuori  porta  del  Sole,  egli  in  per- 
sona si  mise  al  centro,  mentre  Nino  Bisio  guardava  la 
destra. 

Come  suo  costume,  Garibaldi  fece  avvicinare  1  na- 
poletani e  a  un  dato  momento,  ordinò  un  attacco  g-ene- 
rale  alla  baionetta  che  iniae  in  rotta  il  nemico,  il  quale 
lasciava  nella  l'uya  molti  feriti  e  prigionieri,  e,  in  potere 
dei  nostri,  tre  cannoni  da  montagna  e  non  pochi  lucili. 
Le  perdite  delle  truppe  romnne  furono   lievi;  degli   ut' 


ficiali    solo  il  sottotenente  Rotta 
nente  M^u-tino  ^''ranchi  ferito. 


ri:nase  ucciso,  e  il  te 


li     LU^H 


Ormai  una  più  lunga  slkinza  a  P.tlestrina  poteva 
divenire  pericolosa,  perchè  al  governo  era  j;,'iunta  la 
notizia,  di  un  prossimo  attacco  combinato  di  napoletani 
e  francesi,  per  cui  il  Triumvirato,  ordinava  a  Onribaldi 
di  rientrare  in  Roma.  Era  anche  lui  deciso  di  finirla,  e 
non  s'attardò  sotto  le  tende;  la  serrt  dell'lt,  per  sentieri 
impraticabili,  sfilando  in  perfetto  ordine  e  silenziosamente 
nelle  vicinanze  del  campo  nemico,  marciò  per  Zagarolo, 
sostò  un  poco  nella  osLsria  d?lla  Colonn;!  sulla  via  Ca- 
silina,  e  con  un  lung'o  giro,  come  se  venisse  da  Tivoli, 
ricondusse  la  propria  gente  a  Roma,  lieta  se  non  di 
strepitosa  vittoria,  di  onorato  saecesso. 


fm 


Nel  frattempo,  importanti  avvenimenti  militari  e 
politici  eransi  maturati.  Bolog-na,  dcpo  quattro  giorni  di 
disperata  resisteflzaj  aveva  dovuto  capitolare  uelle  mani 
del  bombardatore  GorkoTvsky.  Ancona,  dove  teneva  il 
comando  militare  quel  Livio  Zambeccari,  compagno  di 
Oaribaldi  a  Rio  Grande,  minacciataj  si  preparava  a  dar 
prove  di  eroismo^  A  Fiumicino  s'ancorava  l'aviinguardia 
della  flotta  spagnola.  Da  Gaeta  1'  Antonelli  s'  affannava 
a  mettere  d'accordo  i  quattro  alleati,  senza  riuscirvi. 
La  Francia  finalmente  continuava  la  politica  a  due  faccie  : 
quella  delle  parole  favorevoli  a  Roma,  quella  dei  fatti 
favorevoli  al  Papa. 

Sicché,  mentre  l'Assemblea  nazionale  a  Parigi  de- 
•cretava  che  la  spedizione  francese  fosee  «  ramenée  à 
jion  premier  ìmt  »,  Luigi  Napoleone  e  l'Odillon  Barrot 
inviavano  lettere  e  messaggi  alI'Oudinot,  ripeteudogli 
l'ordine  di  entrare  a  Roma  a  qualunque  costo,  per  re- 
-staurarvi  il  governo  papale. 


Iiiflne,  perfìdia  maggiore  di  tutte  (se  si  eccettua  il 
nero  tradimento,  che  doveva  fra  breve  compiere  il  ge- 
nerale Oudinot),  la  missione  a  Roma  del  Leaseps,  affi- 
datagli da  Drouyn  De  Lhuys.  L'inviato  francese,  doveva 
col  governo  di  Roma,  trovare  il  modo  di  conciliare  la 
libertà  del  popolo  Romano,  i  diritti  della  wvranità  pon- 
tìflcia,  e  la  dignità  del  governo  Irancese  ;  in  realtà,  do- 
veva condurre  i  Romani  ad  aprire  ai  francesi  le  porte 
■dì  Roma,  per  restaurarvi  il  potere  temporale  del  Papa. 


H  primo  effetto  dell'arrivo  del  Lesseps  Tu  la  tregua 
^i  trenta  giorni:  tregua  che  giovò  b1  governo  della  Re- 
pubblica romana,  per  Unirla  almeno  coli'  esercito  bor- 
bonico. 


-' 


CAPITOLO  xni. 

Spedizione  contro  rE$erclto  Borbonico  —  Veii«trt 

L'esercito  romano,  tra  il  l"  e  il  16  di  maggio,  s'è; 
venuto  via  via  ingrossando.  B  battaglione  Melara,  pre- 
potentemente obbligAto  dall'Audinot,  a  non  prendere 
parte  m  primi  combattimenti,  veniva  I^ciato  libero; 
corpi  distìiccati  nell'Ascolano  erano  rientrati  ;  una  legione* 
straniera  si  veniva  organizzando  ;  la  legione  trentina^ 
ed  una  compagnia  del  22°^  Reggimento,  evasa  dagli  ac 
cantonamenti  della  Spezia^  erano  riuscite  a  penetra 
in  Roma  ti^a  il  9  e  il  10,  e  fuse  ineieme,  andavano 
formare  un  altro  battaglione  di  bersaglieri  lombardi,  che 
aggiunto  al  primo,  sotto  il  comando  del  Manara  pro- 
mosso colonnello^  prendeva  corpo  e  nome  di  reggimento. 
Finalmenee  venuti  da  Bologna,  dopo  15  giorni  di  marcia^ 
entravano  dalla  Porta  del  Popolo  tre  battaglioni  di  bolo-^B 
gnesi,  preceduti  da  quella  compagnia  dì  studenti  lombardi 
e  toscani,  che  formarono  il  nerbo  dei  futuri  difensori  del^ 
Vascello.  ^ 

Sommiite  queste  forze  nuove,  a  quelle  già  esìstenti 
ai  30  aprile,  si  constatò  che  Roma  poteva   disporre   di  > 
circa  diciasette  o  diciottomila  combattenti;  non  bastevolij 
certo,  a  fare  la  guerra  alla  Santa   Alleanza,   accanit 
contro  di  Igì,  e  neppure  a  vincere  la  Francia,  ma,  finché 
durava  l'armistizio,  più   che   sufficienti   a   caeeiaro   di 
territorio  della  Repubblica,  le  trnppe  del  Re  di  Napoli, 
e  proteggere  nel  tempo  eteaso  Roma,  da  qualsiasi  inaidii 


Restava  la  scelta  del  generale  in  capo.  Chi  meglio- 
di  Garibaldi  meritava  tale  carica  ?  Nessuno  poteva  con-_ 
trastargliela. 


89 
II  Triumvirato,  e  per  esso  il  Mazzini,  per  timore 
infondato  della  sua  indisciplinatezza,  non  volle  nominarlo. 
Siccome  però  la  sua  superiorità  era  innegabile,  fece  in  que- 
sto modo;  promosse  Garibaldi  generale  di  Divisione,  ed 
elesse  generale  in  capo,  il  colonnello  Roselli  entrato  da 
poco  a  Roma,  reduce  dall'Ascolano,  ove  era  stato  a  com- 
battere il  brigantaggio.  Fu  un  errore  grave  mettere  un 
uomo  della  natura  del  vincitore  dì  Sant'Antonio  e  di 
Luino,  (colui  che  il  generale  Austriaco  d'Aspre  riconobbe 
per  tale,  cìie  avrebbe  potuto  riuscire  vittorioso  nella 
guerra  del  1848)  sotto  la  dipendenza  del  Roselli,  bravo 
teorico,  studiosissimo  dell'arte  militare,  ma  che  non  aveva 
avuto  campo  di  mostrare  il  suo  valore  al  comando  di 
una  fazione  campale. 


Il  generalissimo  s'accinse  senza  ritardo,  come  vo- 
leva il  governo,  alla  spedizione  contro  il  Borbone.  Pensò 
di  attaccare  i  Napoletani,  accampati  fra  Porto  d'Anzio 
«  Valmontone,  sulla  loro  destra,  spuntarli  da  questo  Iato 
e  tagliar  loro  la  ritirata:  capitanava  diecimila  fanti, 
mille  cavalli,  e  dodici  pezzi  d'artiglieria. 

La  prima  brigata,  sotto  gli  ordini  del  colonnello 
Karocchetti,  e  del  colonnello  di  stato  maggiore  Haug, 
composta  della  legione  Italiana,  del  terzo  reggimento  di 
linea,  dello  squadrone  dei  lancieri  Masina,  d'unii  com- 
pagnia di  zappatori  del  genio,  e  due  pezzi  d' artiglieria  : 
in  tutto  dueraìlatrecento  uomini  circa;  formava  l'avan- 
^ardìa. 

Il  corpo  di  battaglia  cpraponevasi  di  due  brigate, 
composte  del  reggimento  dei  bersaglieri  Lombardi,  di 
un  battaglione  del  primo  fanteria,  del  secondo  e  quinto 
reggimento,  della  legione  romana,  dì  due  squadroni  di 
dragoni  e  sei  pezzi  d'artiglieria;  circa  seimila  uomini; 
«  lo  capitanava  il  generale  Garibaldi  in  persona,  colon 
itello  Mìlbiiz  capo  dello  Stato  Maggiore. 


90 

Alla  riserva  e  retroguardift  era  la  brigata  del  gene- 
rale Bartolomeo  Galletti,  che  marciava  alla  testa  del 
■  sesto  reggimento  di  fanteriit^  d' un  battaglione  di  cara- 
binieri a  piedi,  del  battaglione  zappatori  del  genio,  di 
due  squadroni  di  carabinieri  a  cavallo,  e  di  quattro  pezzi 
di  artiglieria;  in  tutto  duemila  e  quattrocento  uomini. 

Comandante  l'artiglieria  il  colonnello  Lodovico  Ca- 
landrelli;  la  cavalleria  il  generale  Bartolucci;  capo  dello 
Stato  Maggiore  generale  il  colonnello  Pisacane. 

Formato  cosi  Ìl  piano  e  l'ordine  di  marcia,  le  truppe 
uscirono  la  sera  del  16  da  porta  S.  Giovanni,  marcia- 
rono per  via  Labieana,  arrivarono  alla  mattina  del  17 
a  Zjìgarolo,  dove  soggiornarouo  o  ripartirono  il  giorno 
appresso  per  Valmontone,  dove  il  grosso  e  la  riserva  sì 
ac^^anipù,  mentre  l' avanguardia  per  ordine  del  Coman- 
dante del  Corpo,  si  spinse  fino  a  Montefortino,  forte  po- 
sizione a  cavaliere  delle  due  vie  che,  da  Valmontone, 
conducono  Uuna  a  Velletri,  l'altra  a  Terracina;  che  è 
quanto  dire,  sulla  fronte  e  sul  fianco  dell'esercito  Napo- 
letano. 

Quc&to  però  non  era  rimasto  immobile.  Appena 
avuto  sentore  dell'avanzarsi  dei  Romani,  aveva  fretto- 
losamente abbandonato  la  linea  dei  Colli  Latini,  e  s'era, 
da  tutto  le  parti  ripiegato  su  Velletri,  forte  posizione  per 
se  Btes&a,  resa  formidabile  da  una  forza  superiore  ai  ven- 
timila uomini,  capitanati  dal  loro  re,  e  difesa  da  32  can- 
noni. Era  una  notizia  importantissima:  ìl  piano  di  cam- 
pagna del  generale  Roselli  poteva  dirai  fallito,  occorreva 
farne  un  altro;  ma  suprema  necessita  era  prontezza 
d'occhio  e  celerità  d'esecuzione;  il  Roselli  non  affrettò 
d'un  passo  la  sua  marcia;  per  unica  disposizione  ordi- 
nava all'avanguardia  di  spingere  il  19  di  mattina  rico- 
gnizioni fin  sotto  le  mura  di  Velletri,  mentre  il  grossa 
in  ordine  compatto,  fiancheggiato  da  perlustratori,  avrebbe 
secondato  il  movimento. 

All'alba  del  19  l'avanguardia  sì  mise  in  moto;  ma  fatti 
pochi  cMlomenri,  il   Maiocchetti  mandava  ad  avvertire 


91 

Garibaldi,  rhe  Terso  Velletri  scorgeva  un  forte  movi- 
mento di  truppe  nemiche,  onde  temeva  di  essere  da  UH 
istante  a-ll'alli'o  assalito  da  forze  superiori.  A  tale  an- 
nunzio G-aribaldi  montjiva  a  cavallo  per  esaminare  da 
se  stesso  la  posizione.  Nel  medesiroo  tempo  mandava 
avviso  al  generale  in  capo  delle  mosse  nemiche,  come 
della  sua  parterza  per  trovarsi  coli' avanguardia  sul  luogo 
dell'attacco,  affinchè  da  parte  sua  avesse  provveduto 
con  pronti  rinforzi.  A  spron  battuto  raggiunse  l'avan- 
guardia, e  raccolti  dal  Marocchetti  gli  ultimi  rapporti, 
cavalcò  ancora  innanzi  per  cercare,  come  fu  sempre  suo 
costume,  un  posto  elevato,  d'onde  scoprire  le  posizioni 
e  le  mosse  del  nemico. 

G-iunto  alle  Colonnelle,  suU'  altura  della  vigna  Ri- 
naldi, sraontù  da  cavallo  ;  coperto  dal  canneti  e  dalle 
macchie  della  Vigna,  s'inoltrò  fino  ad  una  sporgenza 
d'onde  l'occhio  poteva  correre  fin  sotto  le  mura  di  Vel- 
leti'i,  e  vide  abbastanza  chiaro  che  i  borbonici  si  prepai'a 
vano  ad  un'azione  imminente. 

Non  vi  era  tempo  da  perdere,  Garibaldi  spiegò  a 
destra  e  a  sinistra  della  strada,  che  correva  tutta  incas- 
sata fra  poggi  e  vigneti,  la  legione  italiana  e  alcune  com- 
pagnie del  terzo  di  linea;  e,  montato  sul  tetto  d'una 
ca-SA  nella  vigna  Spalletti,  si  rimilo  a,  spiare  le  mosse 
nemiche. 

I  ijorbonici  avanzavano  su  tre  colonne  '  un  batta- 
glione di  cacciatori  pei  vigneti,  a  destra  e  a  sinistra; 
uno  squadrone  di  cavalleria,  appoggiato  da  un  corpo  di 
fanteria  e  da  artiglieria  al  centro  della  strada.  Garibaldi 
soeso  dai  suo  osservatorio,  non  fece  un  pass.o  per  muo- 
vere loro  Contro,  ma  li  aspettò  di  pie  fermo.  Trascorsi 
pochi  minuti  lo  scoppiettio,  presso  la  salita  di  Villa- 
fredda,  avvertiva  che  i  nostri  erano  stati  scoperti,  e  che 
1  primo  scontro  era  avvenuto. 

Potevano  essere  le  11  di  mattina.  Gli  avamposti 
s'erano  ripiegati  sulle  Colonnette,  dove  orano  appostate 
le  Éanterie   romane;    l'attacco    si    svolgeva  su  tutta  la 


""j 

i 


92 

linea;  la  fucilata  era  TÌvisaltna  da  ambe  le  pfirti;  quand 
(jaribaldi,  vista  spuntare  sulla  strada  hi  testa  della  ca- 
valleria nemica,  spiccò  il  llasina  eoi  suoi  cinquanta  lan 
cleri  ad  arrestarla;  e  il  Masìna  sJ  slanciava  seguito  d 
suoi  compagni,  i  quali  sopraffatti  dal  torrente  della  la 
valìeria  nemica  sei  volte  più  numerosa,  al  primo  cozzo 
furono  travolti  e  voltarono  briglia  tutti  quanti,  mentre 
il  loro  comandante  era  alle  prese  col  colonnello  nemico^ 
che  nello  scontro  riportò  la  testa  spaccata. 

Tjtle  spettacolo  accadeva  troppo  vicino  a  Garibalt 
perchè  potesse  starsene  inerte  spettatore.  Visto  il  volt 
faccia  dei  lancieri  e   il  Mastna   circondato  dai  nemìci>i 
saltò  a  cavallo,  e  scortato  dal  solo  moro  Aghiar,  si  mise' 
attraverso  la  via  per  tentare  col  gesto  imperioso,  colla 
voce  tonante  e  colla  stessa  persona,  d'arrestare  la  rottaA 
*  afrenatii  dei  pochi  cavalieri.  Invano,  che  egli  stesso  ro- 
vesciato   di   Sella,  venne   travolto    dall'  onda   commista 
■degli  amici  e  nemici,  e  impigliato  il  corpo  sotto  il  pro- 
prio cavallo,  pesto  dalle  unyhie  di  cento  altri,  stava  pei 
cadere  ormai  morto  o    vivo    nelle  mani  borboniche,  se' 
in  buon  punto  la  brava  centuria  di  ragazzi  detta  della 
speranza,  a])postata  li  vicino,  con  una  scarica  bene  ag- 
giustata, non  avesse  fatto  un  vuoto  nella  siepe  dei  ca- 
valieri nemici  che  già  si  serravano  intorno  al  cadu'to, 
investendoli   con   altri    sopraggiunti    delia  legione  alli 
baionetta,  non  avesse  salvata  la  vita  al  generale. 

Come   se   nulla   t'osse   stato,    quantunque   ferito   ed'J 
jimmaccato  in  più  parti  del  corpo,   e  coli' impronta  di 
un  ferro  di  cavallo  sulla  mano  destra,  Garibaldi  balzav; 
come  lampo  in  sella,   e  riprendeva,  sereno  e  irapertu- 
babile  come  sempre  la  direzione  del  combattimento. 


Nel  frattempo  però  gli  Ussari  borbonici,  trasportai 

dalla  foga  de"  loro   cavalli,  erano  andati  a  cadere  uel^ 

fitto    delle   linee   repubblicane,    e    fuluiimiti    di    fronte 
■    ■  ■   -    •-  :.  '  .-  t-r: 


«  dai  fianchi  da  un  fuoco  micidiale,  vennero  forzati  a 
dar  volta,  lasciando  sul  terreno  numerosi  feriti  e  prigio- 
nieri, e  trascinando,  nella  fuga  rovinosa,  la  fanterìa  che 
lì  spalleggiava.  I  garibaldini  non  mancarono  di  appro- 
fittare della  rotta,  e  slanciati^  tutti  assieme  alla  carica^ 
con  Garibaldi  alla  testa,  accompagnarono  i  fuggenti  colle 
baionette  tille  reni  fin  sotto  le  mura  di  Velletri.  LA  era 
forza  arrestarsi. 

Garibaldi  vide  che  il  momento  era  critico.  Un  as- 
falto a  Velletri  con  le  sue  poche  forze  era  impossibile; 
una  ritirata,  con  gente  già  ecompìgliata  dalla  pugna,  e 
pili  atta  a  carìcare  che  a  ritirarsi  con  ordine,  sarebbe 
stata  follia;  altro  non  restava,  che  HoUecitare  il  coman- 
dante supremo  a  correre  in  suo  soccorro,  e  tenere  frat- 
tanto in  iacacoo  il  nemico  con  manovre  e  scaramuccia. 
Mandi  a  gran  carriera  Ugo  Bassi  a  dare  notìzia  dell'ac- 
caduto  al  Koselli  onde  mandasse  senza  ritardo  rinforzi; 
intanto  pensava  a  coprire  alla  meglio  le  sue  truppe  die- 
tro tutti  i  frastagli  e  gli  scoscendimenti  del  terreno,  in 
attesa  degli  invocati  aiuti. 

Fortuna  volle  che  alcuni  corpi  delle  seconda  bri- 
gata, tra  cui  i  bersaglieri  Lombardi  guidati  dal  valoroso 
Manara  accorressero  al  tuonar  del  cannone  onde  Gari- 
baldi, man  mano  che  arrivavano,  potè  condurli  a  rin- 
forzare le  file  stremate  dell'avanguardia. 

Ma  tutto  ciò  a  BuUa  approdava;  1  nostri  non  retro- 
cedevano; i  borbonici  non  avanzavano,  ma  restavano 
a&mpre  forti  o  minacciosi;  ed  ogni  istante  che  fuggiva 
andava  a  loro  profitto  ;  isolo  uno  sforzo  concorde  dì  tutto 
l'esercito  poteva  assicurare  e  compiere  la  vittoria. 

Convinto  di  questo,  Garibaldi  mandò  il  capitano 
David,  un  animoso  Bergamasco,  tanto  aitante  della  per- 
sona come  caldo  di  parola,  a  sollecitare  il  soccorso  dal 
Roselli. 

E  il  David,  divorata  la  via,  trovò  il  generale  in 
capo,  ohe  seguito  da  tutto  il  suo  stato  maggiore,  aila 
Bta  di  seimila  uomini  marciava  alla  volta  di  Velletri. 


94 

n  messfiggio  portolo  dal  capitano  David  fece  acce- 
lerare la  marcia  delle  truppe.  L'arrivo  dei  rinforzi  dava 
modo  a  Garibaldi  di  prendere  l' offensiva. 

Veduto  infatti  sulla  via  di  Terr.ic.ina  un  insolito 
movimento  clie  poteva  essere  un  preparativo  dì  attacco, 
mandava  il  connello  Marocchetti  con  qualche  centinaio 
di  fanti,  e  mezzo  squadrone  di  dragoni,  a  Jmb03cai-Bi  nella 
aelva  che  fiancheggia  quella  via,  afSncliè  piombasse  sui 
fianchi  e  alle  spAlle  del  nemico  appena  gli  fosae  giunto 
a  portata;  e  disponeva  un  vigoroso  assalto  contro  il 
Convento  dei  Cappuccini,  che  era  la  chiave  delle  posi- 
zioni borboniche  alla  loro  sinistra. 


Intanto  che  Garibaldi  era  intento  a  dare  disposi- 
zioni per  r  offensiva,  ecco  il  fuoco  dei  Napoletani  ral- 
lentarsi, le  loro  linee  concentrarsi,  la  strada  di  Terracina 
nereggiare,  e  tutto  accennare  a  precipitosa  ritirata. 

In  quel  punto  arrivava  Roselli  sul  luogo  dell'azione 
Garibaldi  Io  ragguagliò  di  quanto  era  avvenuto;  con- 
dusse il  generale  in  capo  al  luogo  che  gli  era  servito 
da  osservatorio  in  casa  Blasi,  e  gli  mostrò  i  preparativi 
dei  Napoletani  per  una  precipitosa  ritirata,  concludendo 
col  fargli  questo  piano  :  <  Egli,  Garibaldi,  si  getterebbe 
ai  fianchi  del  nemico  fuggente;  il  Roselli  coli" artiglieria 
del  Calandrelli,  la  linea  e  i  carabinieri  delta  riserva,  pre- 
sidiata la  posizione  espugnata,  appoggerebbe  l'attacco  ». 

Ma  il  generale  in  capo  non  prestò  fede  né  ai  suoi 
occhi,  né  a  quanta  gli  esponeva  Garibaldi  ;  secondo  il 
suo  giudizio,  quei  nemici  che  sfilavano  sulla  strada  di 
Terracina,  erano  brigate  che  si  disponevano  ad  un  nuovo 
attacco  per  rindomani;  la  ritirata  dell'esercito  bgrbonico 
era  una  manovra'. 

—  Ma  che  manovra!  ribatteva  Garibaldi,  non  ve- 
dete che  quello    è    un    esercito    che  fugge?    e  lasciò  il 


■95 

generale  in  capo  a  passare  tranquillamente  la  notte  in 
casa  Blasi,  e  lui  se  ne  andò  a  dormire  coi  suoi  all'aperto. 

AI  nuovo  mattino  uon  c'era  pili  a  Velletri.  un  solo 
Napoletano!! 


Si  è  voluto  fare  un'accusa  a  Garibaldi  di  avere  at- 
taccato battaglia  coi  borbonici  contro  l' ordine  del  gene- 
rale in  capo. 

Garibaldi  fu  attaccato  —  non  attaccò  —  e  ^udi-. 
cando  pericolosa  la  ritirata,  e  per  di  più.  disonorevole, 
prese  posizione  difensiva,  in  attesa  dell'arrivo  del  grosso 
delle  forze  Romane.  Si  tenga  in  mente  che  Garibaldi 
per  caso  fortunato  si  era  trovato  all'avanguardia,  ed. 
aveva  potuto,  con  !a  sua  presenza,  rintuzzare  e  mettere 
in  fuga  il  nemico. 

La  mattina  del  20  il  generalo  in  capo  mandò  sulla 
istrada  di  Terracina  qualche  squadra  volante  di  fanti  e 
di  cavalli  ad  inseguire  il  nemico;  ma  Garibaldi  aveva 
ridea  di  buttarsi  nel  Regno  per  accendervi  la  rivolu- 
zione. 

Ne  scrisse  perciò  Io  steaso  giorno  al  Boaelli  con  la. 
seguente  lettera  : 


«  Generale. 

«  Io  profìtto  della  vostra  compiacenza  ad  ascoltarmi^ 
e  vi  espongo  il  mio  parere.  Voi  avete  mandato  ad  in- 
seguire l'esercito  Napoletano  da  una  forza  nostra;  ed  è 
molto  bene. 

«  Domani  mattina  dobbiamo  coli'  intero  Corpo  d'eser- 
cito prendere  la  strada  di  Fresinone,  e  non  fermarci  fino 
a  giungere  sul  territorio  Napoletano,  le  popolazioni  del 
quale  bisogna  insurrezionare. 

<  La  divisione  che  seguita  la  strada  di  Terracina 
non  deve  impegnarsi  con  forze  superiori,,  ma  deve  ripie- 


garsì  sopra,  noi  in  caso  d'urgenza;  ci6  che  potrò^  farò 
anche  traverso  le  montagne,  non  impedito  dal  peso  del- 
l'artiglierìa ». 

VeUetri,  20  m^^ggio  1849. 

G.  GarHaidi, 


I 


n  generale  Roselli,  come  era  debito  suo,  trtismiee" 
la  proposta  di  Garibaldi  al  ìlìnistro  della  Guerra,  ei^po- 
nendo  lo  difficoltà  dell'impresa  e  declinandone  la  respoa-i 
labilità. 

Il  governo  Romnno,  richiamò  a  Roma  il  Roselli  col 
gfosBO  delle  forze  ;  e  laaciò  Garibaldi  eoa  uoa  brigata, 
coli'  inc-ariuo  apparente  dì  liberare  i  confini  dfille  ina&nade 
■dello  Zucchi,  mft  con  quello  reale,  di  tentare  l'impresa 
dell'insurrezione  del  Regno  di  Napoli. 

Il  23  di  sera  Garibaldi  era  coli' avanguardia  a  Fre- 
sinone, da  dove  il  Zucchi  era  già  partì to  ;  il  25aRipi; 
il  S'j  sconfinava  a  Coprano,  e  saputo  che  Rocca  D'Ai'ce, 
posizione  fortissima,  era  occupata  dai  Napoletiini,  inviavaiH 
tosto  ì  suoi  bersaglieri  ed  asatilirla.  E  i  bersaglieri  si 
slanciarono  arditi  su  per  l'erta  scoscesa,  aspeLtandosi, 
da  un  momento  all'altro  d'essere  salutati  dalla  mitra- 
glia, ma  arrivarono,  senza  dare  e  ricevere  un  colpo, 
fino  nel  paese,  ove  non  trovarono  anima  viva. 

All'annunzio  dell'approssimarsi  di  Garibaldi^  soldati 
ed  abitanti,  colti  da  tìmorej  avevano  sloggiato. 

Non  fu  toccata  in  quel  paese  la  più  piccola  cosa. 
Le  truppe  si  coricarono  sulla  piazza,  tranquille,  senza 
tentare  di  rompere  un'imposta  e  vi  passarono  la  notte. 


I 


•\ 


Garibaldi,  saputo  che  un  corpo  di  svizzeri  l'aspt 
tavfl  a  S.  Germano  ordinò  al  mattino  di  riprendere  laJ 
marcia.  Egli  aveva  in  mente,  che  se  avesse  potuto  T?in-] 
cere   una  battaglia,   la   vittoria  gli  avrebbe  aperte  le 
porte  del  Regno. 


Altri  però  erano  i  pensieri  del  governo  ili  Romal 
L'invasione  austriaca  a' avanzava  iniiiiicciosa;  men- 
tre Wimpfen  s'inoltrava  verso  Ancona,  un  corpo  sotto 
gli  ordini  del  Liciitenstein  marciava  su  Perugia  \.  Roma 
poteva  e&sere  in  pochi  giorni  stretta  da  braccia  di  ferro; 
fare  argine  a  tanto  pericolo  era  un'  assoluta  necessità, 


CAPITOLO  XIV. 
Ripresa  delle  ostilità  del  Francesi  contro  Roma. 


Il  Triumvirato,  illudendosi  elle  le  trattative  con 
Xesseps  sarebbero  approdate  ad  una  l'elice  ooncluaione, 
ordinò  che  si  allestisse  in  Soma  una  spedizione  per  le 
Marche.  Gai'ibaldi  fu  richiamato,  ed  egli,  saputo  i!  mo- 
tivo del  rictiiamo  ubbidì  con  gioia,  e  ripassato  il  98  di 
maggio  il  confine,  con  marcie  forzate,  la  niatLina  del  1" 
giugno  rientrò  in  Roma. 

Sventuratamente,  ma  come  del  resto  era  da  preve- 
dersi, il  giorno  stesso  della  rientrata  in  Roma  di  Gari- 
baldi,  le  trattative  con  Lesseps  erano  fallite  e  rotte  per 
volere  d<ìì  Comandante  le  truppe  di  spedizione.  Già  il 
generale  Oudinot  aveva  ordinato  un'operazione  che  ca- 
ratterizzava il  suo  sleale  modo  di  procedere. 

Monte  Mario  per  la  sua  elevata  posiziono  era  nece- 
sario  alla  difesa  di  Rora.-r.  1  Romani  cercavano  di  forti- 
ficarla con  opere  di  difesa  e  con  ridotti,  ma  temendo 
che  i  soldati  potessero  venire  in  collisione  coi  francesi, 
il  generale  in  capo  aveva  preso  il  partito  di  inviarvi 
degli  operai  senz'armi  e  senza  scorta. 

Il  generale  Oudinot  abusando  di  questa  buona  lede, 
malgrado  l' ariuisLizio,  ordinava  che  si  occupasse  dai 
Suoi  l'importante  posizione  e  ne  dava  l'incarico  aUa 
brigata  comandata  dal  generale  Savan  che  fiicilraente 
scacciava  i  disarmati  lavoratori  e  s'impadroniva  del 
posto. 


U  1°  di  giugno  rOudiiiot  alla  lettera  ingenua  del  gè 
neralo  Roselli,  con  la  quale  chiedepagU  una  proroga 
de  ir  armistizio,  per  dare  modo  allo  esercito  della  Repub- 
blica romana  di  battere  l'esercito  austi'iaco,  rispondeva, 
€  che  gli  ordini  del  suo  governo  gli  prescrivevano  di 
entrare  in  Roma  al  più  presto  ;  di  avere  gm  denunciato 
l'armistizio  allo  autorità  Komane  ;  Bolo  per  riguardo  ai^ 
sudditi  francesi  residenti  in  Roma,  aveva  com/mtito  ^^È 
differire  l'attctiXù  fino  al  lunedi  mattina  >.  In  tutte  le  lin- 
gue del  mondo,  ciò  voleva  dire,  che  egli  non  avrebl 
attaccato  che  il  mattino  del  giorno  4.... 

JCon  una  slealtà  senza  nome»  con  una  perfidia  inau-^ 
dita  negli  annali  militari  (delle  quali  la  coscienza  della 
Storia  ha  gridato  vendetta)  all'alba  del  3  giugno,  i  fran- 
ueei,  con  tutte  le  loro  forze  concentrate,  col  silenzio  del      , 
tradimento,  sorpreso  quasi  nel  sonno  il  sotl.ile  battagli onen^B 
Melava,  di  403  uomini,  s'impadronivano  di  Villa  Panfili, ^^ 
e  in  men  che  si  dica,  avviluppati  da  o^ni  parte  i  pochi 
bravi  che  la  occupavano,  si  rendevano  padroni  del  Cott 
vento  di  San  Pancrazio,  e  di  Villa  Corsini,  detta  Casino 
de'  Quattro-Venti,  t'ormanti  con  Villa   Panfili,  quell'ai 
tipiauo  che  era  la  vera  chiave  della  difesa  di  Eoma. 


au-^l 


li  ai  -f^^ 
na.    ^1 


Era  da  prevedersi,   che  i  francesi    cui   necessitava 
assicurarsi  le  retrovie  per  Civitavecchia,  avrebbero  fatto 
i  pili  grandi  sforzi,  per  impossessarsi  del  punto  più  ele- 
vato della  lìnea  di  difesa  -  e  vi    misero    tanta   e    tala^J 
importanza,  che  per  venirne  a  capo,  adoperarono  perfino  " 
il  tradimento.  ^j 

Come  è  che  il  generale  in  capo  non  se  ne  sia  preo(>^H 
cuparo,  non  si  spiega.  Era  principalissimo    dovere    suo, 
di  provvedere  durante  l'armistizio,  aUa  fortificazione  in 


modo  efficace  delle  alture,  nonché^  delle  ville  e  dei  e*- 


99 
aini  fuori  porta  San  Panorazto.  per  servirsene  come  poeti 
avanzati.  Non  ci  pensò,  e  fu  errore  fatale  che  Boma  do- 
veva pagare  a  caro  prezzo  ! 


Avvenuta  l'occupazione,  per  sorpresa  e  per  tradì- 
xaento,  la  Villa  Corsini,  (detta  dei  Quattro  Venti)  fu 
oggetto  di  aspra  contesa.  Ritolta  dai  bersaglieri  di  Pie- 
trameliara  ai  francesi,  fu  nuovamente  perduta;  ripresa 
dal  reggimento  Pasi,  fu  difesa  coraggiosamente  per  più 
ore  ma  riperduta  ;  con  combattimento  accanitissimo,  so- 
stenuto dalle  truppe  del  generale  Bartolomeo  balletti, 
riconquistata  per  la  terza  volta,  fa  anche  da  queste 
perduta. 

Il  furioso  accanimento  per  conservare  il  possesso, 
dimostra  quanto  grande  importanza  sì  dava  dalle  due 
parti  a  quella  dominante  posizione  ;  e  tanto  più  non  si 
arriva  a  capire  perchè,  il  generale  in  capo  dell'esercito 
Romano  l'abbia  trascurata. 

Garibaldi  che  era  appena  rientrato  in  Roma,  mai 
pensando  che  da  parte  dei  Francesi  si  potesse  temere 
un  tradimento,  dormiva  nel  suo  modesto  alloggio  in 
Via  delle  Carrozze,  n.  59,  quando  il  fragore  del  cannone, 
che  scuoteva  tutta  la  città,  lo  destò.  In  un  baleno  fu  in 
sella;  sì  trasse  dietro  la  Legione  Italiana,  acquartierata 
nel  vicino  convento  dì  S.  Silvestro  ;  lasciò  l'ordine  che 
le  rimanenti  truppe  lo  seguissero,  e  parti  al  galoppo. 
Arrivato  alla  porta  di  S.  Pancrazio,  misurò  con  un'oc- 
chiata tuttii  l'estensione  del  pericolo;  distribuì  le  truppe 
man  mano  che  arrivavano  tra  i  bastioni,  la  porta  e  il 
Viiscello,  e  lanciò  i  Legionari  -alla  conquista  di  Villa 
Corsini. 

La  legione,  comandata  dal  Sacchi,  preceduta  dal 
Masina,  accompagnata  dai  più  ardimentosi  guidati  dal 
Bixio,  non  indugiò  ;  traversò  sotto  una  grandinata  di 
palle,  il  terreno  scoperto,  seminandolo  dei  suoi  migliori, 


100 
e  arrivò  fin  sotto  la  Villa;  mn  colà,  fiilminata  dì  fronte- 
e  dal  lati,  dallo  finestre,  dalle    siepi,  dalle  raurtiglìe  fo».  i, 
rnte,  da  migliaia  di  nemici  appostali  al  coperto,  fu  co-^^ 
stretta  a  desistere,  e  ordinfitamente  a  ritirarsi  al  VoBCello, 
che  da  quel  momento,  divenne  l'antemurale  estremo  e- 
più  tenace  dei  difensori  di  Roma. 


L'attacco,  più  Tolte  replicato  del  casino  dei  Quattro 
Venti,  fu  micidiale  per  i  nostri;  ferito  a  morte  il  bravo 
Masina,  Pier  Antonio  Zamboni  portabandiera  dei  lan- 
cieri e  Pietro  Scai'cerle  aiutante  dei  lancieri  stessi.  Fe- 
rito il  generale  Bartolomeo  Galletti;  ferito  gravemente 
Nino  Bixio.  cLe.  aveva  avuto  ucciso  sotto  il  cavallo  e 
si  spinse  (audacia  sublime)  fino  a  salire  su  un  balcone 
del  primo  piano  del  casino. 

Ebbero  pure  ferite  mortali  Francesco  Daveri  capo 
dello  etato  maggiore  della  legione,  il  coloimello  Pulini 
primo  aiutante  di  campo  di  Garibaldi,  e  tanti  e  tanti  altri, 

E  al  Vascello  le  parti  erano  cambiate.  Gli  assalitori 
di  prima,  diventarono  gli  asbuliti  ;  i  francesi  aboccavauo 
da  ogni  pai'te  ;  ma  i  legionari  protetti  dal  mrtssiccio  edi- 
fìcio, convertito  in  fortezza,  sfolg'oravano  da  cento  fe- 
ritoie La  morte,  Il  Vascello,  avvolto  da  una  bufera  di 
fuoco,  resisteva  impavidamente.  Di  questo  baluardo  della 
repubblica  romana,  ne  aveva  preso  il  comando  Giacomo 
Medici,  il  braccio  deatro  di  Garibaldi.  Si  era  cerd  che 
aarebbQ  atikto  difeso  fino  agli  estremi. 


Nelle  ore  pomeridiane,  i  tentativi  di  riprendere  le 
posizioni  perdute,  furono  dai  gEirìbo-ldini  rinnovati  con 
grande  energia  ed  insuperabile  eroismo;  nonostante  le 
perdite  gravissime,  i  legionari,  i  bersaglieri  del  Pletro- 
taellara  e  quelli  del  Manara  sì  slanciarono  ad  un  nuovo 
attacco  anche  contro  il  calino  dei  Quattro  Venti  :  i  due 


101 

sfatanti  di  Garibaldi,  Goffredo  Mameli  e  Augusto  Vecr 
chi  erano  »Ula  testa  dell'ardita  fahinge,  il  primo,  Gof- 
ft*edo  Mameli,  caro  sopra  tutti  a  Garibaldi,  riportava  fe- 
rita mortale. 

La  grande  superioritìi  delle  forze  francesi,  che  coi 
rinforzi  ricevuti,  superavano  i  trentamila  uomini  con  36 
pezzi  da  campagna  e  40  d'assedio,  si  da  permettere  loro, 
di  subito  rioccupare  con  truppe  nuove  e  di  tempestare 
le  posizioni  perdute,  resero  vani  tutti  gli  sforzi,  anche 
quello  tentato  verso  sera  dai  bersaglieri,  sostenuti  dal 
reggimento  Unione  (9"  di  linea). 

Cost  fini  la  giornata  del  3  giugno,  nefasta  alla  fama 
francese  pel  tradimento  del  generale  Oudinot;  giornata- 
veramente  memorabile  nei  fasti  del  valore  italiano,  se  si- 
pensi,  che  cinque  grandi  assalti  furono  dati  dai  volontari 
della  repubblica  Romana  per  sloggiare  il  nemica  dalle 
posizioni  occupate  per  tradimento  ;  più  di  dieci  furono 
le  cariche  alla  baionetta,  con  cui  preeipimrono  contro  il 
nemico,  e  per  otto  volte  seppero  riprendere  ^le  mi- 
gliori  truppe  del  mondo  le  posizioni  perdute. 

Chi  può  dire  degli  eroici  episodi  di  quella  immor- 
tale giornali?  Come  ricordare  alla  patria  i  nomi  dei  ca- 
duti per  essa? 

Il  Masina,  ferito  al  secondo  assalto,  fiisciata  in  fretfct 
la  piaga,  sì  slanciava  a  cavallo  su  pei  gradini  di  Villa 
Corsini,  ma  avvolto  dai  nemici,  roteando  11  ferro  terri- 
bile, squarciato  il  petto  da  una  palla,  cadeva  fulminato. 

Il  Mangiagalli,  a  Villa  Valentini,  menò  strage  ;  spez-' 
zata  la  spada,  combattè  sempre  benché  ferito,  e  tenne 
la  villa  con  pochissimi  de'  suoi  fino  a  sera. 

Lo  Scarcerle,  colpito  a  morte  dopo  lotta  accanita 
sostenuta  con  impareggiabile  valore,  legò  tutto  il  suo 
alla  patria. 

Il   Manfrin,    sergente   dei   bersaglieri,    quantunque 

gravemente  ferito,  volle   riprendere  il  suo  posto  nelle 

file,  e  al  Manara  che  gli  diceva  «  vattene,  qui  non  servi 

a  nulla»;  rispondeva:*  lasciatemi  stare,  colonnello,  al- 

8. 


102 

meno  faccio  numero  »  e  alla  prima  scarica  il  valoroE 
era.  di  nuovo  colpito    raorUil mente.  Due  giovitnetti,  Ca- 
riolatto  e  Tosi  cari  a  Garibaldi,  ebbero  gravi  ferite. 

Il  Rozà,    ferito   due  volto,  ritornava   alla  pugna, 
alla  terza  ferita  soccombeva. 

Àngolo  Bassini,  s'avventava  con  un  pugno  de'  suoì 
contro  Villa  Corsini,  e  ne  tornava,  pesto  e  insangulnatoJ 
Dalla  Lonpa,  milanese,  che    aveva  raccolto  sulle  spalle^ 
il  caporale  Fiorani  raortog"lì  al  tìanco,  mentre  ritraevasi 
col  caro   peso,  fu   trapassato    da    una  palla    e  cadde  in^È 
un  fascio  col  suo  carico.  Emilio  Dandolo,  errava  per  U 
campo  in    cerca   delle    spoglie    deiraraaco    fratello  e  fu. 
ferito  mortalmente.    Narciso   Bronzetti,  pure    ferito,  au^^fl 
dava  in  ore  notturne,  tra  le  scolte  francesi,  per  togliere 
ai  nemici  il  coi-po  de!  suo  servo  fedele,  e  fu  ferito  esso-^ 
pure.  I| 

I  legionari  del  Medici,  affrontarono  la  grandine  dei 
Vincennes,  per  sottrarre,  da  una  casa  incendiata  dal  fuo-^ 
co  nemico,  i  cadaveri  dei  loro  compagni  ivi  caduti  di-V 
fendendola;   donde  il  nome   di  Casa   Bruciata.  Eroismi 
immortali  1 


Padroni  di   Villa   Panfili   e  delle   alture,  i   francesi! 
intrapresero  l'aissedio  di  Koma  quasi   fosse  una  piazza, 
forte  ;  tracciarono  parallele,  piantaroDO  batterie  sotto 
direzione  del  generale  Vaillant  ;  s'avanzarono  senza  pò 
Terao  la  città, 

I  nostri,  condotti  da  un  genio  militare  arditamente 
infaticabile,  scarsi  di  cannoni  e  di  materiale,  contrap- 
posero intrepidi  offesa  ad  offeaa,  trincera  a  trincera; 
scavarono  vie  coperte,  alzarono  cortine,  reatauraronoi 
senza  sosta  le  cannoniere  smontate,  e  tenhirono  anche 
delle  sortite;  alla  debolezza  dei  mezzi  supplirono  con  la 
forza  dei  petti,  per  prolung-are  quanto  potevano  l'ag^o- 
nia  della  Repubblica. 


103 

Ma  ogni  giorno  che  passava  la  cinta  d'assedio  ve- 
niva sempre  più  serrandosi. 

I  francesi  eransi  fortemente  stabiliti,  coH'intera' Di- 
visione Guepiller,  anche  nella  Vìa  >laminia,  da  dove 
fulminavano  il  Pincio,  bombardavano  la  città,  senza  riu- 
scire a  sloggiare  i  nostri  dai  Monti  Parìolì  ;  fra  i  difen- 
sori, vi  era  anche  11  battaglione  degli  studenti,  clie  teneva 
■con  grande  valore  la  Villa  Paniotowschi,  sebbene  fosse 
bersagliata  senza  tregua  dal  nemico,  che  della  Villa  Pol- 
verosi, al  di  là  del  ponte  Milvio,  aveva  fatto  una  for- 
midabile posizione  offensiva  e  difensiva. 

L'  11  di  giugno,  nelle  ore  pomeridiane,  il  batta- 
glione comandato  dal  valoroso  capitano  Golinelli,  soste- 
nuto dalla  Legione  Romana,  volle,  con  supremo  ardimento, 
tentare  di  sloggiare  il  nemico  dalla  Villa:  con  slancio 
ila  veterani,  i  bravi  studenti  si  precipitano  impavidi  al- 
l'attacco, sostenendo  un  accanito  combattimento  per  più 
ore;  ma  la  grandine  delle  palle  nemiche,  ne  arresta  fi- 
nalmente lo  slancio;  balenano  i  bravi  giovani,  cadono 
numerosi,  e  sono  obbligati  a  ritirarsi;  ultimi  a  farlo,  fu- 
rono i  fratelli  Francesco  ed  Alessandro  Archibugi  di- 
Ancona,  che  combattendo  da  veri  eroi  caddero  entrambi 
mortalmente  feriti  ;  rimasti  sul  campo,  vennero  fatti  pri- 
gionieri e  condotti  a  Civitavecchia  ove  lasciarono  la  vita. 


La  mattina  del  13,  i  francesi  smascherarono  tutte 
le  loro  batterie,  e  con  trenta  bocche  da  fuoco  batterono, 
per  sette  giorni  .e  sette  notti,  i  bastioni  sesto  e  settimo, 
e  la  sera  del  21  vi  aprirono  in  tre  punti  la  breccia;  non 
restava  più  agli  assedianti  che  di  salirla:  e  dìfatti  nel 
silenzio  della  notte  dal  21  al  22,  mossero  all'assalto.  Il 
battaglione  del  reggimento  «  Unione  >  che  vi  stava  di 
guardia,  si  lasciò  sorprendere  ;  e  gli  assalitori,  sollecitati 
a  trarre  profitto  del  panico,  furono  padroni,  quasi  senza 
<»m  battimento,  delle  mura  di  Roma. 


1C4 


Presrt  la  breccia^  Mazzini  propose,  che  ne  fosse  ten- 
tata U  ripresa  la  notte  stessa.  Sì  mandò  a  chiamare 
Garibaldi,  ma  questi  dichiarò  impossibile  l'i]npresfl. 

Mazzini  scrisse  a.  Miinara  perché  persuadesse  Gari- 
baldi, ma  i^uesti  non  mutò  divisamento. 

Disse  —  essere  suo  convincimento,  clie  l'assalto  not- 
turno alla  brecciiit  coti  truppe  stanche,  orbate  dei  loro 
migliori  uttìciali,  avrebbe  costato  iiltie  innumerevoli  per- 
dite, e  sarebbe  inevitabilmente  fallito  -  -■  o  che  ormai, 
la  sola  provvida  e  urgente  risoluzione  da  prendersi  era 
quella  di  riparare  dietro  una  nuova  linea. 


I 


Perduta  la  breccia  e  la  fiducia  di  conquistarla, 
Rijmani  restav:t  fuoii  di  Roma  soltanto  il  Vascello,  che 
il  Medici  rese  immortale.  Solo,  ma  formidabile  sempre! 
E,  dentro  lloma,  restava  il  tratto  dei  bastioni  da  Porta. 
S.  Pancrazio  a  Porta  Angelica,  e  come  seconda  difesa, 
la  linea  tracciata  da^li  avanzi  delle  mura  Aureliano, 
sostenuta  al  centro  dalle  batterie  del  Pinu,  ad  occidente 
dal  bastione  ottavo  e  diilla  Villa  Spada,  ad  oriente  dai 
conventi  di  tSan  Calisto  e  di  San  Cosimato,  sulle  falde 
dell'A  yen  tino. 


I 


Ed  era  intorno  a  queste  posizioni,  che   stava  per'^ 
rinnovarsi  la  lotta. 

I  francesi,  dopo  di  essersi  gagliardamente  trincerati 
nella  breccia  coufjuistata,  avevano  costruito  una  terza 
parallela,  dalla  quale  bersagliavano  le  posizioni  difese 
dai  Romani,  facendo  piovere  nella  città  una  tempesta 
di  bombe,  che  spesso  andavano  a  cadere,  danneggian-' 
doli,  sui  monumenti  più  famosi  dell'antica  romana 
dezza. 


m  pesta  fl 
ggian--™ 
.  gran-  '^È 

I 


I 


105 

Garibaldi  volle  affidare,  come  supremo  sforzo,  al 
iralore  insuperabile  dei  legionari  sotto  il  comando  del 
Medici  la  ripresa  di  Villa  BarberiTuì,  Vano  Ceiitativo! 
Clravi  furono  le  perdite  ;  ebbe  fracassato  un  braccio  il 
capitano  tìorini,  il  corpo  forato  da  dlciotto  ferite  l'In- 
duno  Gerolamo,  la  spalla  trapassata  da  una  baionettata 
il  giovineCto  Cadolini,  trapassata  una  coscEa  l'alCro  gio- 
vinetto Tosi.  Ma  i  valorosi  guidati  dal  Medici  non.  la- 
sciarono al  nemico  che  un  monte  dì  rovine.  Armarono  di 
nuovi  pezzi  le  batterie  del  l'ino,  afforzarono  Villa  Spada, 
tempestarono  di  colpi  le  batterie  nemiche,  e  sopporta- 
rono con  costanza,  invitta  i  disagi  dei  lavori  notturni,  i 
guasti  del  bombardamento,  i  vuoti  della  morte. 

Tutti  fecero  eroismi  sorretti  dàlia  coscienza  dell'alto 
dovere. 


Il  Medici,  sebbene  anch'  esso  ferito,  fatta  del  Va- 
scello mia  fortezza,  con  un  manipolo  dì  prodi  la  difese 
eoa  sovrumana  energia  di  piano  In  piano,  di  pietra  in 
pietra.  BeraagUato  notte  e  giorno  da  Villa  Corsini,  tor- 
mentato senza  posa  dalle  carabine  del  famosi  cacciatori 
d'Africa,  ridotto  in  frantumi  in  gran  parte  l'edificio  che 
gli  serviva  di  asilo  e  dì  rocca,  nulla  valeva  a  scrollare 
la  sua  impassibile  fermezza.  Sq_uarciato  il  secondo  piano 
scese  al  primo  ;  crollato  anche  il  primo,  passò  al  piano 
terreno;  diroccato  questo  pure,  s'accampò  all'aperto; 
ma  non  cedette  un  sasso  della  sua  ruina  e  la  rese  im- 
mortale. 


* 


I  difensori  delle  batterie  fecero  pure  mii'acoU  —  e 
innanzi  tutti  i  cannonieri  —  inferiori  per  Tarmi,  mal  co- 
perti da  terrapieni  improvvisati,  costretti  a  combattere 
■con  pezzi  da  campagna  contro  pezzi   d' assedio,   più  di 


106 

una  volta  fecero  tacere  le  batterie  nemiche  ;  ne  scon- 
quiiàaiirùiitt  0  no  demolirono  le  opere,  strapparono,  per 
la  giiifitezza  dei  tiri  e  l' intrepidezza  della  ditesa,  grida 
d'ammirazione  agli  stessi  nemici. 

Un  uniuo  compendiava  in  se  tutti  gli  eroismi;  pa- 
reva abbellite,  colla  calma,  la    morta  dei  suoi  bravi, 
rendere  fede  iil  miracolo  dell'invulnerabilità  sua;  G 
ribaldi  I 

Lasciata  Villa  Spada,  si  era  fatta  costruire  una  ca- 
paniìa  di  stuoie  presso  la  batteria  del  Pino,  e  là,  fra  il 
rombo  assordante  delle  bombe  francesi,  passava  i  giorni 
6  le  notti,  nell'osservare  tutto  le  mosse  del  nemico,  di- 
rigendo il  fuoco  della  batteria,  spacciando  i  suoi  ordini 
ad  ogni  parte  del  campo,  e  trovando  modo  di  dormire 
tranquillamente  come  in  casa  sua.  .. 

Ma  l'ultima  ora  fatalmente  s'appressava;  daS  27  al 
29  sette  batterie  francesi,  avevano  fulminato  tutte  le 
posizioni  romane,  e  malgrado  la  virtù  e  l'eroismo  dei 
difensori,  avevano  fatto  di  esso  mucchi  di  rottami. 

Al  mattino  del  29,  il  casino  Savorelli  era  distrutto 
la  Porta  S-  Pancrazio  sQancjita,  il  bastione  Nono  e'  la 
Villa-  Spada  gravomento  danneggiati,  la  batteria  del  Pino 
sconquofisflta;  infine  il  bastione  Ottavo,  punto  principale 
di  mira  dell'asse  di  ante,  ridotto  fn  macerie,  e  la  quarta 
breccia  aperta  nei  suoi  fianchi.  Bisognava  impedire  che 
il  neniiro  ne  appyotìttasse  e  vi  si  organizzò  una  fiera 
resistenza. 

La  mattina  del  30  due  grosse  colonne  francesi,  so- 
stenute da  forti  riserve,  mossero  di  fronte  e  dtìi  fianchi 
all'assalto  della  breccia;  i  Keniani  le  respinsero  con  vi- 
gorosa puj;na;  assaliti  e  assalitori,  si  trovarono  corpo  a 
corpo,  ed  un  accanito  conibattimento  a  ferro  freddo 
s'Impegnò  sul  terrapieno;  molti. s'imraortaliirono  in  quel- 
la difesa  disperata.  Emilio  Morosini  eroe  diciorteaine  fece 
eccidio  di  nemici,  e  sebbene  ferito  due  volte  non  ri- 
stette dalla  pugna;  sfinito  di  forze  mentre  era  traspor- 
tato all'ambulanza  dai  suoi,  fu  sopraggiunto  dai  nemici,.. 


4 


107 

ina  non  si  arrese  ancora,  e  menò  di  sciabola  finché  gli 
bastò  la  lena;  una  terza  palla  gli  trapassò  il  bel  corpo 
e  ne  involò  l'anima  eroica. 

La  breccia  era  salita,  ma  non  presa  ancora;  le 
batterie  della  Montagnola  facevano  strage  degli  assa-< 
litorì;  i  francesi  pagavano  ogni  palmo  di  terreno  col 
sangue  loro  e  dei  loro  capitimi;  gli  artiglieri  si  face-r 
vano  tagliare  a  pezzi  sui  loro  cannoni,  ma  non  si  ar-r 
rendevano;  esaurite  le  polveri  restavano  ancora  le  ba- 
ionette e  i  calci  dei  fucili;  restavano  sopratutto  an- 
cora a  far  barriera,  ì  petti  dei  superstiti  ed  i  ciiniulì 
dei  morti;  ma  la  gloriosii  ecatombe  non  poteva  tratte- 
nere il  nemico,  ed  il  numero  doveva  avere  ragione  una 
volta  ancora;  i  francesi  irrompevano  da  ogni  lato  mi- 
nacciando l'unica  via  dì  ritirata;  non  restavji  ai  prodi 
difensori  altro  riparo  che  Villa  Spada. 

Gaiibildi  ricliiamata  al  Civsino  Savorelli  la  legione 
Medici,  poiché  la  perdita  delhi  neconda  linea  rendeta  inu- 
tile la  difesa  del  Vascello,  asserragliata  Villa  Spada,  ap- 
poggiate le  spalle  a  San  Pietro  in  Montorio,  la  sinistra 
a  San  Calisto,  l'estrema  destra  al  bastione  Nono  ancora 
in  piedi,  tentò  improvvisare  una  terza  linea  di  difesa. 

Preceduti  e  spalleggiati  dal  fuoco  incrociato  di  tutte 
le  batterie,  i  francesi  montavano  da  ogni  parte  all'as- 
salto; ma  il  loro  obiettivo  era  sempre  Villa  Spada;  colà 
ormai  si  decideva  l'estremo  sorte  di  Roma;  colà  Gari- 
baldi, Medici,  Bixio,  Manura,  Sacchi,  i  legionari  e  i  ber- 
saglieri, quanti  erano  uomini  vivi  e  atti  ancora  a  im- 
pugnare un'arma,  si  prepararono  all'estremo  cimento.  Il 
tetto,  le  mura  della  casa  bombardata,  crollavano  da  ogni 
lato  sui  difensori^  ma  aessuno  parlava  di  resa.  Il  Manara 
infiammato  da  eroico  ardore,  desiderando  la  morte  piut-r 
tosto  che  assistere  alla  resa;  correva  dove  più  era  grande 
il  pericolo,  incoraggiava  i  combattenti,  dirigeva  la  lotta» 
ma  mentre  s'affacciava  per  osservare  le  mosse  del  ne- 
:mico ;iina  palla  Io  stramazzò  agonizzante  fra. le  braccia. 
di  Emilio  Dandolo,  a  cui  poco  prima  aveva  dettp,  come 
Ney  a  Waterloo:  «  Non  ci.sarà  dunque  una  palla  per  me?» 


108 

Un  altro,  come    lui,    aveva  cercato    in   quell'antro 
Infuocato  di   Villa    Spada    la    morte  ;    ma  questa  lo  riiM 
sparmiò  guo  mnlgrado  volendolo  serbato  a  ben  più  grande^ 
destino.  Se  in  quel  giorno  Maaara  fu  grande.  Garibaldi 
m  terribile;  gu«i  ai  nemici   che  gli   eran   dì  fronte, 
suoi  fidi  ti'emavano  di  vederlo  cadere  da  un  momenti' 
all'altro,  mn,  sembrava  che  le  palle  avessero  paura  di, 
toccarlo. 

A  mezzo  giorno  del  30  piijtfno.  tutto  era  finito 
Villa  Spadiì  era  perduta  ;  l.ìaribaldi  si  ritirava,  coi  la- 
ceri avanzi  dei  suoi  per  la  Lungara,  sperando  ancora  dtj 
arrestare  il  nemico  a  ponte  Sant'Angelo,  quando  un  rap*| 
presentante  del  popolo  venne  ad  annunzìarg:Ii  che  l'na-i 
semblea  aveva  bisogno  d'interrogarlo  sullo  stato  dellej 
cose,  e  l'attendeva  in  Campidoglio. 

Chiese  al  Vecchi  che  lo  accompa^ava:    «  credete 
che  in  un'ora  potremo  essere  di  ritorno?  »  Lo  credo  n-^ 
spose  il  Vecchi  —  «allora  partiamo»  e  al  galoppo,   co*^ 
perto   di   polvere,  fiammeggiante  in  volto   per  l'ardore 
della  pugna,  salì  al  Campidoglio. 

Al  suo  apparire  l'assemblea  ruppe  in  una  salva  in-j 
terminabile  di  applausi.    Informato   che   Mazzini  avev*J 
già  proclamato  che  tre   sole   via  rimanevano  nperte  ai 
romani:  o  capitolare:  o  difendere  la  città  fino  all'estremo; 
ovvero  uscire  da  Roma,   Governo,  Assemblea,  esercito, 
e  portare  la  guerra  altrove  ;  Garibaldi  salito  alla  Tribuna^ 
dichiarava  senz'altro 

*  La  difesa  oltre  Tevere  impossibile;  possibile  an-j 
■Cora  al  dì  qua  del  fiume  la  guerra  di  barricale  ;  dover , 
suo  di  aggiungere  che  anche  siffatta  difesa  non  avrebbe 
potuto  durare  che  pochi  giorni.  Quanto  a  lui,  nuU'altro 
reatftvagli  che  uscir  di  Roma  col  resto  dei  suoi  corapai-il 
g^iì  e  tenere  alta  la  bandiera  della  patria  fino  all'estremo  ; 
consigliava  perciò  l'Assemblea  di  accettare  la  terza  prò-  j 
posta   del    Mazzini:    uscire    da   Roma  coli' esercito,  col' 
Governo  e  coi  rappresentanti  del  popolo;  concludendo: 
<  dovunque  saremo,  colà  sarà  Roma  >. 


a09 

Ciò  detto  tornò  al  suo  campo,  e  l'Assemblea  respinta 
-ogni  idea  dì  resistenza  votò  il  Decreto  ormai  celebre  : 

«  In  nome  di  Dio  e  del  popolo. 

«  L'Assemblea  costituente  romana  cessa  una  difesa 
divenuta  impossibile,  e  sta  al  suo  posto  ». 

Per  effetto  di  questo  Decreto  il  Triumvirato  rasse- 
gnava r  ufBcio  al  Municipio  Romano,  unica  autorità  le- 
gittima cui  spettasse  di  negoziare  col  vincitore  i  patti 
<lella  resa.  Senonchè  avendo  il  generale  francese,  per 
<jolrao,  rifiutiite  le  più  oneste  condizioni,  Roma  sdegno- 
sameote  ruppe  ogni  iiegoi:iato,  preferendo  lo  estremo 
arbitrio  del  vincitore  al  disonore  di  sottoscrivere  con 
lui  una.  resa,  che  avrebbe  sotìbcato  in  lei  il  grido  di 
-eatrema  protesta  al  mondo,  contro  il  bugiardo  rappre- 
sentante della  sorella  latina,  che  dopo  averla  assalita 
colla  perfidia  di  un  tradimento,  vinta  colla  sola  virtù 
del  numero,  veniva  a  negarle  il  supremo  diritto  dell'in- 
columità della  vita  e  degli  averi  dei  cittadini. 

Il  Municipio  annunziava  ai  romani  la  prossima  en- 
trata dei  francesi. 

«  Romani  ! 

«  Il  coraggio  da  voi  dimostrato  nella  difesa  di  Roma, 

i  sacrifici  che  incontraste,  vi  hanno  assicurata  la  gloria 

e  la  Btiraa  degli  stessi  stranieri.  —  Una  difesa  ulteriore, 

come  fu  annunziato  dal  Decreto  dell'Assemblea  sarebbe 

«tata  impossibile  senza  volere  la  distruzione  di  una  città- 

■<die  conserva  memorie  lo  quali  non  debbono  perire.  La 

Vostra  rappresentanza  municipale  non  ha  accettato  patti 

Jier  non  compromettere  menomamente  la  dignità  di  un 

popolo  così   generoso,    ed   ha  dichiarato  di  cedere  alla 

T'orza. 

«  Le  leggi  dì  umanità  e  dì  incivilimento,  la  disci- 
plina di  un'armata  regolare,  ci  ripromettono  il  rispetto 
■^elle  persone  e  della  cose. 

€  La  vostra  rappresentanza  municipale  vi  promette, 
<ihe  non  mancherà  di  fare  quanto  è  in  suo  potere,  onde 


110 

non  si  rechi  ingiuria  ad  alcuno.  Abbisogna  però  del  vo- 
stro concorso  ed  è  certa,  dì  ottenerlo.  Fida  nel  vostro 
contegno  d%'iiìtoso  o  nell' esperienza  cosUmti?,  che  ha  di- 
mostrato al  mondo  come  i  Romani  in  circostanze  pro^ 
spere  o  avverse  hanno  saputo  egualmente  mantenere 
l'oi-dine,  e  costringere  anche  i  nemici  a  saUitiire 
riverenza  la  cittA  dei  monumenti  e  rispettarne  gli  al 
tanti  elle,  con  le  loro  virtù,  rendono  impOBsibile  l'obli* 
della  Romana  Grandezza. 

«  Dal  Campidoglio  il  2  luglio  1849. 

«"Francesco  Sturbinettì,  Senatore. 

Lunati  Giuseppe.  Gallieno  Giuspppe,  Gideotti  Fede- 
rico, Deandreis  Antonio,  Piaceniini  Giuseppe,  Corboli 
Curalo,  Feliciani  Alceo,  Tittonì  Angelo,  Conseì'vitori. 


Giuseppe  Rosai,  SegMario. 


La  sera  del  2  ìuglio,  ì  francesi  s'impadronivano  di 
porta  Porteae,  di  porta  S.  Pancrazio,  e  il  di  seguente 
occupavano  porta  del  Popolo.  Nella  giornata  entrava  in 
Roma  il  generale  Oudinot  circondato  dal  sito  Stato  Mag- 
giore alla  testa  della  2"  Divisione  e  di  numerosa  caval- 
leria, accolto  con  ogni  sorta  di  dimostrazioni  osLili  ed  al 
grido  di  «  Viva  la  Repubblica  Romana,  morte  agli  slr^ 
,iiieri,  morte  al  cardinale  Oudinot,  morte  al  traditore 

X^i  sera  del  4  i  soldati  francesi  entravano  a  viva 
forza,  con  le  armi  in  pugno,  alla  sede  della  costituente 
ed  intimavano  alla  sezione  che  vi  stava  in  permanenza 
di/sciogliersi,  Carlo  Bonaparte  che  la  presiedeva. protestò. 

«  In  nome  di  Dio;  in  nome  del  popolo  degli  Stati 
Romani  che  liberamente,  con  suftragdo  univei"i?aie,  ha 
pletto  i  8uo;i  rappresentanti;  m  nome,  dell'art.  b°  della 
Costituzione  fmncese,  l' Assemblea  Costituente  Romapa 
protesta  in  faccia  all'Italia,  in  faccia  alla  Franoiaj  in 
ìapcia  al  mondo  iDctvJjUto,  contro  jl^  yioipnta  invasipo^ 


4 


cii.        I 


Ili 

della  sua  sede,  operata  dalle  forze  frantiesi  il  giorno  4 
luglio  alle  ore  6  pomeridiane.  » 

Roma,  nel  Campidoglio  4  luglio  18i9. 

Per  l' hiterti  Agsemblea 

Il  Presidente  di  Sezione  :  C.  Bonaparte. 
Il  Keg:retarìi>:   Qalrico   prof.  Filopituti. 


CAPITOLO  XV. 

BdrJbaldi  escB  da  Roma  coi  suoi  legionari  - 
San  Marino  —  Morie  di  Anita  —  Cesenatico 


A  mezzo  giorno  del  2  luglio,  Garibaldi  radunava 
sulla  Piazza  del  Vaticano  i  resti  della  sua  divisione,  e, 
fatto  formaro  il  quadrato,  li  arringò  cobì  : 

«  Compagni,  io  esco  da  Roma.  Chi  vuole  continuare 
la  guerra  eonCro  lo  straniero,  venga  con  me.  dà  che 
io  offro  a  quanti  vogliono  y^guirmi  eccolo  :  non  paga, 
ne  onori-  Offro  fame  e  eeto,  marcie  forzate,  battaglie  e 
morte.  Chi  ama  la  patria  mi  segua  ». 
0.  Lo  seguirono  circa  tremila  uomini,  i  resti  cioè  della 
Legione  italiana,  buona  parte  della  polacoa,  e  del  bat- 
ta^iliontì  Medici,  grossi  manipoli  di  finanzieri,  dì  studenti 
e  di  emigrati,  i  superatiti  lancieri  di  Maaina,  circa  quat- 
trocento dragoni  e  i  pochi  bersjiglieri  Lombardi. 

La  sera  del  giorno  stesso,  Gfaribaldi  usciva  furtiva- 
mente da  Porta  San  Giovanni,  e,  lanciando  tutti  incerti 
sulla   sua  meta,,  s'incamminava  per   la  via  Tiburtina; 

Gli  cavalcava  al  fianco,  in  vesti  virili,  la  sua  Anita; 
gli  faceva  da  guìdaCloeruacchio.  coi  suoi  tigli,  l'accompa- 
gnava Ugo  Btìitói  ;  ne  seguivano  le  sortì  Sacchi.  Mitrof 
chètti,  Montanari,  Hoffsietfcer,  Cenni,  Livraglji.  Isnardi 
Sisco,  Ceccaldì,  Chiassi,  Stagnettì,  Bueno,  Muller,  l'eletta 
dei  suoi,  ufficiali  superstiti.   Giunto  in  sull'filba  del  B  a 


112 

Tivoli,  fece  spargere  la  voce  che  si  dirig;era  sul  Napole- 
fcino.  Al  tramonio  infatti,  levato  il  campo,  marciò  per 
un  buon  tratto  verso  il  Mezzogiorno  ;  indi  volse  improv- 
visamente a  Settentrione,  pernottò  a  Mouticellì,  e  la 
mattina  del  4  s'accampò  a* Monterotondo. 


a 


Como  era  facile  prevedersi,  l'Oudinot  gli  sguinza- 
gliava Contro  due  grosse  colonne,  l'una  comandata  dal 
g:enera]e  Molière,  l'altra  dal  ^'eneral  Morris;  il  borbonico 
iStatella  gli  nmovcva  alle  epalle  dal  Tronto;  ^'li  Spagnuoli 
di  Don  Consalvo,  appostati  a  Rieti,  gli  sbarravano  la 
destra;  e  gli  austriaci  del  D'Aapre,  accampati  nell' Um- 
bria, l'aspettavano  di  fronte  a  Foli^'no,  e  gli  chiudevano 
le  due  vie  di  Peru^'ia  e  di  Ancona.  Così  Garibaldi  era 
accerchiato  da  una  rete  di  ferro;  sbagliata  una  mossa, 
l'eroe,  Taniato  del  popolo,  era  Irremissibilniento  perduto: 
ma  r  inseguito  era  Garibaldi,  ed  il  leone  non  si  sarebbe 
lasciato  coglierei  Nel  pomeriggio  del  5  staccava  la  mar- 
cia da  Monterotondo  ;  il  6  era  a  Confine  ;  11  7  a  Poggio 
Mirteto  ;  r  8  a  Terni,  dove  s' incontrò  col  colonnello 
Porbes  che  veniva  a  portargli  una  colonna  dì  ottocento 
uomini,  resti  di  corpi  sbaudati  nella  campagna,  e  due 
pezzi  d'  Artiglieria, 


* 


Terni  era  il  centro  di  cinque  vie  ;  si  poteva  salire 
a  Foligno,  quanto  discendere  a  Rieti;  voltare  per  Narm 
e  Viterbo,  come  satire  a  Todi  e  l^erugia.  ^H 

Garibaldi  1-isciò  in  ogni  passo  delle  squadriglie  pe^^ 
ingannare  gì' inaeguenci,  spinse  una  avanguardia  di  ca- 
valli a  Todi,  e  il  di  appresso,  9  luglio,  vi  si  condusse 
■egli  stesso  col  grosso  del  corpo.  Qui  le  cose  comin- 
ciarono a  volgere  male,  e  l'orizzonte  ad  intorbidarsi. 
H  programma  di  Garibaldi  ^-  fame,  sete,  marcie  for- 


113' 

zate  —  se  ebbe  applausi  quando  fu  proclamato,  accen- 
uaTa,  man  mano,  a  divenire  impoBsibile;  anche  ai  ttinti 
di  buona  TolontA  veoivano  meno  le  forze,  o  sintomi 
di  scoraggiamento  cominciarono  a  manifestarsi;  segui- 
rono quindi  le  diserzioni,  prima  a  gruppi,  poi  in  masse. 


Intanto   concordi   notizie   recavano,    che  iFi'anoeBÌ 
comandati  dal  Morris  muovevano  contrg  i  nostri  da  Vi- 
terbo, e  che  gli  austrìaci   da   Foligno    si   mettevano  in 
Txiaroia  per  Todi.    Gmlbaldi    mandò    un   nerbo  de'  suoi 
£1  scorazzare  sulla  strada  di  Foligno  per  far  credere  che 
»33Ìrava  là;  spedi  Mailer  cxjn  i  suoi  cavalli  ed  una  cora- 
X^a^ia  della  le{,'Lone  perla  strada  di  Orvieto,  con  ordine 
<ìì  spingersi  tino  a  Montefiaacone -Viterbo  ;  seppellì  i  due 
«cannoni  del  Forbes,  e  quando  ebbe  l'assicurazione  dai 
suoi  scorridori,  che  1  due  nemici  erano  ancora  lontani 
tanto,  da  poter  loro  scivolare   in    mezzo,  lasciò  Todi  la 
sera  del  V2,  paseò  il  Tevere  a  Ponte  Acuto,  e  s'incam- 
minò  per  la  via  mulattiera    montuosa  ed  obbliqua  di 
Urodo  per  Orvieto  ;  sua  meta  la  Toscana, 

La  sera  del  13,  avendo  avuto  informazioni  clie  il 
generale  Morris  era  ancora  lontano  staccò  la  marcia  per 
Orvieto  ove  giunse  sul  mattino  del  14. 

Non  entrò  in  Orvieto  ma  s'accampò  su  di  una  buona 
posiziono  a  cavaliere  della  strada  di  Ficulle.  Gli  Orvie- 
tani mandarono  a  Garibaldi  invito  di  entrare  in  città, 
e  lo  fornirono  del  pane  mandato  ad  ordinare  dai  Fran- 
cesi. Ma  egli  non  s'indugiò;  nel  pomeriggio  del  15  levò 
il  campo  e  mosse  verso  Fienile;  vi  arrivò  a  sera,  quando 
i  Francesi  gli  erano  già.  alle  calcagna;  gli  Austriaci  gli 
muovevano  incontro  da.  Perugia. 

Parti  la  mattina  del  16,  abbandonò,  dopo  poche  mi-/ 
glia  di  cammino,  la  sti'nda  maestra,  si  buttò  a  Sole  dove 
riposò  per  poche  ore,  e  la  notte  per  sentieri  impervìi  e 
monti  disabitati,  .sotto  una  pioggia  dirottissima,  in  mezzo- 


lU 
a  tenebre  fitte,  guadagnò  il  confine  toscano  e  giunse  la 
mattina  a  Cetona,  accoLto  lestos;imente  dalla  jjopolazione. 
Fu  quellii  la  prima  volta  che  la  brigata,  dacché  era  uscita 
da  Roma,  dormi  acquartierata. 


4 


Lilieratosi  dai  francesi  g]ì  restavano  sempre  di  fronte 
gli  austriaci,  che  scendevano  da  Perugia,  ed  i  toscani, 
che  tenevano  presidii  tra  ftanteano  e  Chiusi,  i  quali  po- 
tevano impacciai'e,  se  non  arrestare,  i  suoi  movimenti 
e  molestarlo. 

Ma  l'eroe  non  se  ne  sgomentava.  Fortiflcatosi  a  Ce- 
tona; circondati  i  suoi  iìanchi  d' i:iiboscate;  coperte  le 
spalle  con  lorze  sufficienti  ;  mandò  celereniente  una  gros- 
sa squadiiglia  a  battere  la  strada  Sarteauo  e  Chiusi,  e 
quando  gli  riportarono  di  avere  snidati  e  messila  fuga 
i  presidii  toscani,  ripigliò  la  marcia;  dormi  il  17  a  Sar- 
teano;  entrò  il  IS  a  Montepulciano,  dove  tutta  la  popo- 
lazione fece  a  gara  nell'usargli  gentilezze  e  nel  colmarlo 
di  cortesie  e  d'offerte. 

Rinata  la  speranza  in  Garibaldi,  pubblicò  un  ardente 
manifesto  ai  tosoAni,  col  quale  li  Invitava  ad  insorgere 
contro  la  tirannide  domestictì  e  straniera.  Ma  fu  T  illu- 
sione di  un   momento,  e,  presago  ormai  che  nulla  piùtjj 
poteva  sperare,  prosegui  il  suo  fatide  cammino.  if 

Giunto  3utl'  albeggiare  del  20  a  Toirita,  prese  una 
grande  risoluzione^  quelUi  di  abbandonare  il  granducato 
toscano  e  di  prendere  per  nuova  meta  l'Adriatico  e  Ve- 
nezia I  Là  sulla  laguna  ardeva  sempre  quel  gran  focolare, 
in  cui  ormai  sì  concentravano  tutti  gli  sforzi  d'Italia. 

Il  piano  di  Garibaldi  fu  presto  formato  ;  salire  fin 
presso  Arezzo;  passare  dal  subiippennino  al  grande  ap- 
pennino;  scendere  tra  Pesaro  e  Ravenna  all'Adriatico 
ed  imbarcarsi  nel  punto  più.  opportuno  per  Venezia. 


U5 


.  »: 


Vani  sforzi  I  inseguito,  come  belva  feroce,  passo 
passo,  dagli  austriaci  che  con  forze  superiori  d*  ogni 
parte  lo  circondavano,  eeppe  rompere  il  cerchio  di  ftn'o, 
e  per  vie  dirupate  e  nascoste,  guadagnò  dopo  enormi 
falliche  le  alture  di  Cnrpegna  al  mezzodì  dei  30;  neri- 
parti  nel  vespro;  traversò  la  Valle  del  Conca;  prese  un 
po' di  riposo  poche  ore  in  un  bosco;  e  al  tocco  dopo 
meazanotce  ripigliò  la  marcia  alla  volta  di  S.  Marino. 

Non  gli  restava  altro  rifagio  ! 

A  S.  Marino  scioglierà  la  sua  colonna,  e  lasciava 
libero  ognuno  di  tornare  alla  vita  privata,  col  seguente 
ordine  del  giorno  ; 

San  Marino,  31  luglio  1849. 

Compagni  ! 

Noi  siamo  giunti  sulla  terra  di  rifugio,  e  dobbiamo  il 
luiglior  contegno  ai  nostri  ospiti,  In  tal  modo,  noi  avremo 
meritata  la  considerazione  che  merita  la  dìegraaia  per- 
seguitata. 

Da  questo  punto  io  svincolo  da  qualunque  obbligo 
i  miei  compagni,  laeciandoli  lil>eri  di  ritornare  alla  vita 
privata,  ma  rammento  loro,  che  l'Italia  non  devo  rima- 
nere nell'  obbrobrio»  e  che  è  meglio  morire  che  vivere 
schiavi  dello  straniero. 

G.  GaHbaldL 


Verso  le  undici  di  sera,  chiamò  intorno  a  sé  i  mi- 
gliori ufBciaii  suoi  fidi,  e  svelò  loro  l'incrollabile  suo 
proposito,  di  sottrarsi  ai  patti  che  il  governo  della  re- 
pubblica Sammarinese  slava  trattando  collo  straniero.' 

«  A  chi  vuole  seguirmi,  egli  di^se,  io  otfro  nuove 
battaglie,  patimenti,  esiglio  ;  patti  collo  straniero  mai  *. 

Le  parole  di  Garibaldi  caddero  come  stille  roventi 
nell'animo  degli  accorisi  al  euo  invito,  ma  a  pochi  bastò 


116 

il  cuore  6  ki  forza,  di  ascoltare  il  suo  Appello,  Non  tu— 
reno  più  di  duecento  quelli  disposti  a  eeguirlo. 

Allo  BCaocar  della  mezzanotte,  preceduto  da  tre 
guide  paestme,  per  im  sentiero  di  montagna,  ec-endeva 
il  Titano  ;  guizzando  tra  le  scolte  nemiche,  traversava 
la  Marecehia,  passava  Montebello  e,  cammiuaiido  tuttii 
la  giornata,  verso  le  10  di  sera  del  1"  agosto  penetrava 
in  Cesenatico. 

Non  perdette  tempo;  fatti  prigionieri  i  carabinieri 
e  i  pochi  soldati  auscri;ici  colà  sorpresi,  s' impadronì  di 
tredici  «  bragozzi  »  Chiozzotti^  v'imbarcò  tutta  la  sua 
gente,  usci  dal  porto  e  veleg^giò  per  Venezia. 


In  sulle  prime,  al  fuggitivo  arriso  la  fortuna,  ma, 
verso  sera,  appari  all'orizzopte  la  flottiglia  Austilaca  che 
s'avanzava  a  tutto  vapore. 

Ritornato  ai-diio  uomo  di  mare  concepì  con  rapidità 
(Ulminea  il  suo  piauo;  comandò  ai  bragozzi  di  sparpa- 
gliarsi e  dì  dirigerai  verso  punta  della  Maestra,  dove  le 
acque  basse  li  avrebbero  protetti  dall' inseguimento.  Ma 
egli  comandava  a  timidi  pescatori  ;  questi,  alle  prime 
minacele  delle  scialiippe  nemiche  che  venivìino  loro  in- 
contro, si  scompigliarono  senza  saper  più  manovrare:, 
sicché  otto  bragu2ai  caddero  prigionièri  degli  austriaci, 
ed  a  Garibaldi  non  restò  che  gettarsi  sulla  costa  di  Ma- 
gnSivacca,  che  per  miracolo  potè  afferrare. 


Ma  la  terra  non  era  più  sicura  del  mare  ;  squadre- 
di  gendarmi  lo  cercavano  per  ogni  verso. 

Prima  necessiti!  fu  quella  di  separarsi  per  potersi 
meglio  nascondere  ai  nemici.  Ugo  Bassi  e  il  capitano 
Livraghi  con  altri  presera  per  una  via,  Ciceruacchio  e 
i  suoi  figli  per  un'aJtra  ;  e  Garibaldi  restò  solo  con  Anita 
e  il   capitano  Leggiero,  ■-■       '     ^ 


117 

Ma  la  povera  Anita  era  ih  tìn  di  Vita:  di  lei  sem- 
brava non  vìvesse  |iii!i  che  lo  spirito;  il  corpo  era  con- 
simto  dagli  slenti  sofferti. 

Unico  mezzo  di  salute  era  quello  di  lasciare  al- 
l'istante quella  spiaggia;  Garibaldi  senza  pensare  ad 
altro,  prese  sulte  braccia  la  sua  Anita  e  scorUito  da  Leg- 
giero, e  guidato  da  un  contadino  che  la  fortuna  gli 
aveva  condotto  dinnanzi,  col  caro  peso  traversata  la 
macchia  arrivava  ad  una  deserta  capanna,  dove  tro- 
vava un  nascondiglio,  e  per  Anita  un  pò  di  riposo  su 
un  giacìglio  dì  frasche. 

Egli  er^  là  da  qualche  tempo,  quando  vide,  davanti 
all'uscio  della  capanna,  un  giovanotto  in  vesti  signorili 
che  Io  saliitrtva  rispettosameure.  Era  Gioacchino  lìomiet 
di  Coniacchio,  di  famiglia  di  patrioti  il  otti  nome  va  in- 
cordato irteli  itiilinnì.  Fu  lui  coi  bravi  Jiagazzì  e  Mon- 
tanari che  attivarono  Garibaldi,  facendogli  trareraare  le 
valli  di  Cottiacchio  in  una  burca,  nella  quale  avevano- 
preparato  anche  un  giaciglio  pei'  l'Anita;  In  pr-i*  mezzo  del 
Bonnei,  e  dei  suoi  fidi  guardiani,  che  potè  arrivare  nella 
(attoria  Guiccioli  presso  Sant'Alberto.  Colh,  appena  adar- 
giata  sul  let:o.  l'eroica  Anita  sentendo  che  l'ultiuia  sua 
ora  era  arrivata  «  O  José,  io  muoio!  mormorò:  bacia 
ì  figli  per  me!  »  e  chiuse  gli  occhi  nelle  braccia  del 
marito.  La  disperazione  di  Garibaldi  toccava  il  delirio^ 
non  si  poteva  distaccare  dalla  amata  roinjiagna.  «  Per 
i  tuoi  figli,  per  l'Italia,  pensa  a  salvarti  s,  gli  disse 
piano  il  capitano  Leggiero  e  potè  strapparlo*  dal  dolo- 
roso amplesso. 

Cosi  il  4  agosto  1840,  alle  4  di  sera,  spirava  l'anima 
forte  di  Anita  Riheira  Garibaldi.  Essa  martire  dell'amore,, 
sublime  ed  intrepida  donna.  Fu  degna  compagna  delV  Eroe- 
che  tanto  la  pianse.  11  suo  corpo  fu  coperto  da  poca  sabbia,. 
in  vicinanza  della  fattoria  Guiccioli  alla  Mandrioìa,  a 
9. 


US 

circa  undici  miglia  da  Comacchio  l  Nestsuno  ha  ancorq. 
pensato  in  Italia  ad  erigere,  per  ricordo  ai  poBCeri,  un 
nianumento  a.  questa  KroiniiI 

Povera  munire!  La  tua  memoria  è  fiore  gentile  che 
g^rmoglierà  sempre  nel  cuore  di  quanti  amano  la  piitriab 


IjiViciato,  per  dura  necessità  il  triste  luogo,  Gari- 
baldi, con  l'aiuto  di  Bonnet,  di  Montanari  ed  altri  pa- 
triotti,  potè  mggiutigtìi'e  Iti  pinetji  di  Ravenna,  e  di  la, 
bubito  dopo,  si  condusse  alla  valle  Guicdoli.  ^ 

Cola  venne  a,  riceverlo  il  bravo  popolano  Giu-H 
tìsppe  Savinì  di  Ravenna,  che,  tenutolo  nascosto  per 
pochi  giorni  in  un  casolare  delle  Paludi  della  Valle  div 
Canna^  lo  raccomando  ad  Antonio  Fuzzi  Ravennate  essdql 
pure,  che  a  sua  volta  Io  attìdi'i  a  Don  Giovanni  Veritìi. 
onesto  e  patriottico  sacerdote  di  Jlocìigliaiia,  mcrc-è  il 
quale,  attraversato  il  Passo  dt:lla.  Futa  potè  sconfinare 
in  Toscana.  Da  allora,  guidato  sempre  da  mani  amiche 
e  leali,  sfrusciando  in  mezzo  alle  ronde  marniate-'  alla  sua 
caccia,  protetto  dalla  sua  stella,  valico  i  due  versanti 
dell'Appennino.  Il  2(3  agosto  fu  a  Poggibonsi,  dì  là  a 
Pomarance  dove  fu  ospite  di  Antonio  Martini.  In  ap- 
presso, CamilJo  Serafini  lo  tragittò  a  .San  Dalmazio,  dove 
lo  raccomandò  al  Gutìlfl  che  a  sua  volta,  condottolo 
prima  a  Massa  Marittima,  poi  a  Follonica,  lo  confidò  fi- 
nalmente a  Paolo  Azzanni  marinaio  di  Hio,  che  offri  di 
portfire  Garibaldi  a  Porto  Venere,  in  terra  di  salute. 

Colà  sbarcato,  assieme  airamìco  Leggiero,  Garibaldi 
rilasciò  airA2zarioÌ  un  prezioso  documento  cosi  conce-^ 
pito  :  " 

«  II  padrone  Paolo  Azzanni,  che  la  fortuna  mi  fece 
incontrare  in  terra  italiana  dominata  dfigli  austriaci,  mi 
ha  trasportato  su  questo  luogo  di  asilo  e  di  isdvamentd 
trattandomi  egregiamente  e  senza  interesse  ». 

O,  Groribaldi^ 


It9 


In  questo  frattempo,  un  forte  corpo  di  armata  au- 
strìaco InTadeva  gli  Stati  della  Romagna;  occupava  il 
.7  ma^o  Ferrara,  e  marciara  difilato  su  Bologna. 

Quel  popolo  patriottico  si  dispose  alla  resistenza,  e 
-quando  gli  austriaci  investirono  la  porta  Galliera,  buon 
numero  dì  popolani  spalleggiati  da  uno  squadrone  di 
carabinieri,  comandati  dal  colonnello  Boldrìnì,  con  una 
carica  arditissima  ed  a  colpì  dì  baionetta  li  misero  in 
fuga  ;  ma  i  bravi  bolognesi,  arrestati  ad  un  tratto  dalle 
scariche  di  mitraglia  di  tre  pezzi,  dagli  austriaci  piazzati  in 
posizione  dominante,  e  fulminati  dalle  carabine  dei  Tiro- 
lesi, che  seminavano  morte,  sono  costretti  a  cedere  e 
ritirarsi,  dopo  avere  veduto  cadere  ferito  a  morte  il 
colonnello  Boldrini,  l'aiutante  Marziani,  il  maresciallo 
Pavoni  e  numerosi  altri.  Occupata  Bologna,  gli  austriaci 
proseguirojio  per  restaurare  il  governo  papale  nelle 
Marche. 


CAPITOLO  XVI. 
Assedio  dì  Ancona  e  sua  eroica  dlfbsa- 

Ancona  venne  investita  dagli  austriaci,  il  24  maggio, 
bloccata  e  chiusa  per  terra  e  per  mare. 

Erano  12,000  gli  assediaiiti,  muniti  di  armi  potenti. 

Il  generale  Wimphften  aveva  mandato  agli  Anco- 
nitani r  intimazione  di  arrendersi,  e  di  assoggettarsi  al 
Sovrano  Pontefice;  il  Preside  Mattioli  rispose  con  fiere 
parole  ;  Livio  Zamboccari,  comandante  delle  milizie  a  di- 
fesa, ricordava  :  «  gloria  a  piccolo  Stato  il  vincere  ;  gloria 
per  la  santità  del  diritto  soccombere  ». 

I  difensori  erano  4850  compresivi  i  fratelli  accorsi 
da  Iesi,  da  Loreto,  da  Sinigaglia,  da  Fano,  da  Pesaro, 


120 

dalla  Romagna,  dalla  Lombardia  ed  nuche  dal  Piemonte;^ 
nell'insieme,  i  più  maldeatn  «Ile  armi,  vissuti  fino  al- 
lora nelle  industrie  e  nei  commerci;  ini*  tutti  animati 
dì  amor  jiatrio,  e  dal  proposito  di  fare  il  proprio  dovere. 

Elia  e  suo  padre  erano  giunti,  pochi  giorni  prima 
del  blocco,  in  Ancona  e  furono  destinati  al  vapoj'e  da 
guerra  <  Eloma  »  sotto  grli  ordini  del  tenente  di  vascello 
Castagnoli,  e  poscia  comandati  al  forti  in  difesa  della 
città. 

11  2ó  maggio  avvenne  il  primo  scambio  di  fucilate 
fra  le  Torrette  e  Montagnolo  e  il  primo  cannoneggia- 
mento fra  il  forte  della  Lanterna  e  il  piroscafo  austriaco 
<  il  Vulcano  ». 

Il  27  «  La  Bellona  »,  la  più  po::ente  nave  della  squa- 
dra nemici^,  attaccava  il  forte  della  Lanterna  con  le  sue 
bordate,  che  smontarono  alcuni  pezzi,  ciò  nonostante  il 
forte  non  cessava  dalla  sua  Hera  difesa. 

Procedendo  nella  sua  direzione  la  nave  ammiragli 
lanciava  lo  sue  bordate  alla  Darsena^  ma  i  cannonieri 
del  forte  Marano  e  quelli  del  forte  dei  Cappuccini  ri- 
sposero con  spessi  colpi  e  con  tiri,  cos!  bene  aggi  natati  jj 
da  aprire  numerose  falle  nei  fianchi  della  «  Bellona  •■ 
elle  fu  salvata  dal  «  Vulcano  »  accorso  in  aiuto  per  trarre 
Ila  nave  a  rimorchio  fuori  del  tiro  dei  forti  ;  essa  ebbe 
il  comandante  mortalmente  ferito,  due  morti  e  quaranti 
uomini  messi  fuori  di  combattimento.  ^ 

Cosi  con  ugutìl  valore,  con  indomita  fierezza,  nea-W 
suno  mancò  al  dovere    suo  nei  memorabili  venticinque 
giorni  d'assedio.  ^ 

Tutti  i  giorni  un  combattimento  ;    sui  forti,  stii  ba-™ 
luardi,  sulle  barricate-^  all'aperto.  Agli  austriaci  occupanti 
le  alture:  alla  squadra   che   batteva  i  forti,   cannoneg- 
giando con  potenti  artiglierie,  rispondevano  con  effica.cia 
i  nostri  bravi  dal  Cardetto,  dalla  Cittadella,  dai  Cappuc- 
cini, da  Marano,  dalla  Lanterna,  da  ogni  luogo  fortificato  ?; 
i  marinai  e  popolani,  senza  conoscere  la  balistica,  eranai' 
tramutati,  in  un  lampo,  puntatori  meravigliosi. 


I 


121 

Nel  più  fondo  della  notte  dal  29  al  30  maggio,  gli 
austrìaci  lanciarono  in  città  una  spaventevole  grandinata 
4Ì  bombe. 

Oli  Anconitani,  a  giorno,  fecero  uua  sortita  ;  tre 
volte  attaccarono  nelle  sue  posizioni  avanzate  il  nemico 
alla  bnionetta  ;  i  giovani  pai'evano  veterani,  i  veterani 
erano  tramutati  in  eroi  !  sembrava  ricostituita  la  com- 
pagnia della  morte,  rinnovante  le  tradizioni  del  libero 
comune,  intrepida  nelle  audaci  sorprese,  negli  scontri 
temerari,  nello  sprezzo  della  morte  ;  i  vecchi,  gli  inabili 
alle  armi,  le  donne,  forniviino  le  munizioni  ;  i  c^lpitam 
di  mare,  in  coi'se  pericolose,  rompevano  il  blocco,  ri- 
fornivano i  viveri. 

L'  8  di  giugno  AVirapliften  mandava  un  messnggio 
al  comune,  che  è  documento  del  valore  iinconitano,  do- 
cumento tanto  più  alto  in  (juanto  veniva  dal  nemico 
.stesso  :  «  Le  truppe  imperiali,  esso  diceva,  passarono' 
per  le  romagne,  per  le  marche,  senza  incontrare  osta- 
coli ;  ne  trovarono  solo  davjtnti  Ancona  ;  si  arrenda  la 
città  se  non  vuol  essere  distrutta  ». 

Ancona  non  si  arrese  :  ma  continuò  la  difesa  colla 
forza  rinnovata  dalla  disperazione. 

•*# 

Il  15  giugno,  trecento  uomini  comandati  dai  ca- 
pitani Cervasoni,  Gigli  ed  Ornani,  cuori  ardimentosi, 
assaltarono  Monte  Marino  alla  baionetta  ;  1  nemici  fu- 
rono messi  in  roftii  e  l'altura  rapidamente  occupata.  Ma 
le  forze  nemiche  ritornarono  soverchianti  di  numero 
all'assalto  ;  la  lotta  durò  accanita,  i  nostri  piuttosto  che 
cedere,  morirono  nel  santo  nome  della  patria,  finché,  più 
che  decimati,  furono  obbligati  alla  ritirata;  lo  stesso  Cor- 
vesoni  fu  colpito  a  morte,  e  il  capitano  Francesco  Gigli, 
sopraffatto  dai  nemici,  sarebbe  rimasto  sul  terreno,  se 
Enrico  Schellini,  con  coraggio  leonino,  non  fosse  accorso 
in  suo  aiuto. 


1S3 


Li  miimccia   di    Wimphfteu    aveva  ìnQaiBmftti  £;Lt* 
animi  alla  loitti  suprema. 

Dal  14  al  18  ijiugno  le  bombe,  i  razzi  st-oppifiTano 
fer  le  vie,  nelle  case,  sugli  ospedali,  rombavano,  di 
notte  e  di  giorno,  con  orrendo  fraca,sso;  pareva,  d'essere 
circondati  da  una  catena  di  vulcani  che  eruttassero  fiam- 
me, fuoco  e  (erro  sidla  patrioiticn  cith'i. 

I  pompieri,  oiioniCQ  corpo  die  vanta  nobilissime  tra- 
dizioni, senza  badare  a  fatiche  o  pericoli,  si  moltiplica- 
vano, spegnevano  incendi,  sgombravano  maperie,  demo- 
livano muri,  salvavano  pL^ricolanti  dallo  c;ise  incendiate, 
trasportavano  leriii,  lottavano  ogni  giorno,  ogni  ora  con 
la  furia  dei^Hi  incendi,  guidati  dal  sentimento  del  dovere 
e  da  profonda  piecii  umana. 

Tanto  sacrilicio,  tanta  nobiltii  d'animo,  tanti  eroismi, 
non  bastarono  a  salvare  la  eittf'i  dagli  opprei^sori, 

I  viveri  erano  o&;Luriti,  e  il  blop-co,  sempre  più  stretto, 
come  cerchio  di  It-rro,  non  permetteva  d'introdurre  in  ^ 
città;  ottanta  incendi  divampavano,  gli  ospedali  riboc-  S 
cavano  di  feriti  clie  non  si  aveva  mezzo  di  alimentare  ; 
oltre  quattrocento  morti  e  numerosi  feriti  affermarono 
col  sangue  Tatfetto  alla  patria. 

Ancona,  diroccata,  affamata,  straziata,  dopo  25  giorni 
di  resistenzn,  veniva  forzata  alla  resa. 

LkI  marina  merc-fititile  anconitana,  della  quale  era 
a  capo  Antonio  Elia,  fece  nella  difesa  del  patrio  suolo 
bravLimente  il  suo  dovere. 


Era  necessario  pensare  alla  salvezza  dei  compro- 
meesl  politici,  affinchè  non  cadessero  nelle  mani  degli 
sbirri  papalini  e  dei  Croati. 

Un  bastimento  anconitano,  di  cui  era  proprietaria 
e  comandante  Mariano  Scoponi,  ottenne  per  solerte  in- 


128 
tromissiore  del  patriota  Nicola  Novelli,  di  poter  inalbe- 
rare bandiera  inglese,  e  su  di  eago,  dovevano  prendere 
imbarco,  per  essere  trasportati  a  Corfù,  quanti  crede- 
vano dì  non  essere  sicuri  in  patria. 

E  difattì  Yi  si  imbarcarono,  il  preside  Mattioli  e 
tutti  quelli,  che  si  trovavano  compromessi  e  che  ave- 
vano a  temere  la  vendetta  del  goYerno  l'istaurato  e  dello- 
Sjraniero.  Antonio  Elia  aveva  avuto  un  diverbio  coL 
priore  del  convento  di  S.  Francesco  di  Paola.  Temendo- 
la vendetta  del  prete,  che  mai  perdona,  il  figlio  e  gli 
aniicì  lo  pregarono  caldamente,  di  prendere  esso  pure 
imbarco  per  l'estero,  Ma  egli  rispondeva  di  avere  la 
uoscienza  tranquilla,  di  nulla  avere  a  temere,  non  vo- 
lere quindi  voIontarianieTite  abbandonare  la  pafrìa  eia 
famiglia',  e  restò. 

La  notte  del  24  luglio  1?<4'.I  la  casa  abitata  dallo- 
-iClifl,  appartenente  ai  frati  dì  S.  Francesco  di  l'aola  ed 
attigua  al  laro  convento,  fu  circondata  da  gendurmi  pa- 
pili,  da  soldati  au.'5tri!(cì  e  da  poliziotti.  Si  piecliió  all'u- 
scio di  casa  ed  alla  intimiìzinne  della  forza  fu  aperto; 
venne  eseguita  una  minuziosa  perquisizione,  e  nulla  t,ì 
l'inveunp.  Non  era  questo  che  vulevasi  dal  bìirbaro  au- 
striaco e  dai  preti  ;  era  necessariy  dare  un  terribile 
esampio  alla  popolazione  che  si  mostrava  aempre  ri- 
telle,  sempre  indomita,  ed  avversa  al  governo  dei  preti 
«3  dell'abborrito  filrauicro,  applicando  la  le^-ge  stataria 
su  uno  dei  capi  del  popola,  inunune  da  ogni  colpa.  Non 
essendosi  rinvenuto  nulla  in  casa,  gli  assetati  di  sangue 
del  patriota,  requisiti  alcuni  muratori,  si  diedero  a  rom- 
"pòre  un  condotto  di  scolo,  avente  comunicazione  con 
tutti  i  cinque  piani  superiori,  abitati  da  numerosi  in- 
«juilini. 

In  fondo    al    condotto    disfatto,  fu  trovata  un'arma 
«he  poteva  appartenere  a  tutti  ed  a  nessuno,  o  che  in 
quel  posto    era   stata  appositamente  gettata  da  coloro, 
che  avevano  premeditato  l'assassinio. 


124 

Antonio  Elia  venne  legato  sotto  gli  oqi'M  delb 
glie  gestiinte,  in  mezzo  «1  pianto  di  qiuicti-o  creature, 
«  condotto  ftlle  Carceri  di  .S.ta  Palazia.  Appena  giorno 
la  povera  moglie,  con  io  sue  quattro  piccole  figlie,  aa- 
■davtì.  a  gettarsi  alle  ghioccbia  del  generale  austriaco 
Faltzenter,  domandando  grazia  per  T  innocente,  ed  il 
permesso  di  visitarlo.  X^e  fu  accordato  il  permesso  djJ 
visitare  il  marito,  ma  quando  laaantit  donna  ai  presentò 
«Ile  ciirceri,  una  detonazione  le  gelò  iì  sangue,  e  le 
fece  iisUDtivameiite  comprendere,  che  la  vita  dì  Auto^f 
njo  KHa,  il  pHtriota  Lnte^errinio»  veniva  in  quel  momento 
barbaramente  ed  ingiustamente  troncata.  AlJa  domanda 
di  vedere  il  marito,  come  ne  aveva  il  permesso,  le  fu 
risposto  che  era  troppo  t>urdi.  Sarà  stita  una  raffinai 
tezzii  di  barbarie  del  generale  quella  di  far  troviii'e  prej 
sente  alla  esecuzioua  la  moglie  del  jnai'tlre'?  La  lo;^ic 
lo  ammette;  l'uomo,  per  rispetto  di  se  stesso,  può 
«tare  nel  dubliio. 

Ecco  un.i  lettem  che    Garibaldi    scriveva  al   figlie 
del  mai'tire  Anconitano  : 

Caprera,  22  dicembre  1858 

Mìo  caro  Elia, 

«  Figlio  del  popolo,    11   padre  vostro  merita  di  es-.^ 
sera  annoverato  tra  i  grandi  Italiani.  1f 

y  Oggi,  che  sì  avvicina  la  Ciidiita  dtìlla  tirannide 
papale,  noi  dobbiamo  ricorditre  agli  italiani  le  vìttime 
della  3ua  ferocia,  e  ira  quelle,  una  delle  più  illustri 
certamente,  Antonio  Elia.  4 

«  Ancona  ricordi  quel  prodissimo  suo  cittadino  che 
tanto  l'onora  ». 

Vostro 
G.  Garibaldi 


fu 

ire^l 
r^ 


Per  la  morte  del   padi'e,  Augusto    Elia,  all'età   di 
d-iciannove  anni,  rimaneva  unico  sostegno  della  povera 


:1^ 
madre  e  delle  quattro   sorelle,    tutte  di    tenera   età;  la 
quinta  era  per  aascere. 

TJtt  fatto,  avvenuto  in  AiicofiA  nell'inverno  del 
I849j  obbligava  il  giovane  Elia  a  lasciare  la  patria  e  la 
Jhraiglifji,  e  a  darsi. all'eB}lio.  ■      ' 

In  tarda  ora  di    una  notte    oscura   e  piovosa    una 
povera  donna  scendeva  la  via  del  porto   con    un  orcio 
pieno    d'acqua,    attinta   alla    pubblica  fonte    di    piazza 
grande.  Quando  fu    in    vicinaiizii    del    vicolo   della  Ci- 
sterna, la  poveretta  veniva  brutalmente  assalita  da  quat- 
tro croati,  t  i|uali,  toltole  l'orcio,     vnlevano    trascinarla 
nel  vicolo    oscuro    pt-r    vlolenta-ila.    Mentre    la    povera 
donna  resisteva  e  gridava,  sopra^giiinse    un  giovany^  il 
cjuale,  sguainata  in  men  clie  sì  dica  dal  fodero  di  uno 
■dei  croati  la  sciabola-baionetti,  assill   i    quattro  intenti 
-^  dar  prova  dì  loro  prodezza  su  di  iifia  donna;  i  quat- 
"tro  furono  assai  malconci  e  posti   fuori    combattimento 
'  dil  giovanotto  e  la  donna  liberati. 

Alla  mattina  l'Elia  se  ne  stava  in  casa,  sita  in  pros- 
simità del  Iuog:o  ove  avvenne  il  fatto,  quando  gli  si  fa 
annunziare  l'amico  del  padre  e  suo,  Agostino  Scìpioni, 
il  quale,  tutto  trepidante,  lo  veniva  ad  avvisare,  che 
uia  donna,  la  signora  Piermatteì,  i,^li  aveva  confidato 
di  averlo  riconos-ciuto  quale  assalitore  dei  quattro  croati: 
gii  disse  di  aver  supplicata  la  signora  Piermattoi  di  non 
ripetere  parola  se  non  voleva  farlo  fucilare;  la  signora 
aveva  promessa  di  non  parlare,  ma  l'amico  Soiipioni 
jj^nsava,  che  non  si  doveva  fare  a  fidanza  e  volle  che 
senza  ritardo  lasciasse  Ancona.  Cosi  l'Elia  fece;  preso 
subito  imbarco  si  recò  a  Maibi;  Topportuna  fuga  salvò 
la  vita  all'Elia  Aglio  ma  gli  apri  la  via  dolorosa  dello 
esìlio. 

Scorsero  dieci  anni.  Ormai  i  destini  della  patria 
venivano  maturandosi  e  l'ora  della'  resurrezione  stavli 
per  suonare. 


196 


CAPITOLO  xvn. 

Dal  24  nano  1849  al  1868  -  ff  PleMoata. 

Nella  notte  del  24  marzo  Ì849  Vittorio  Emanuele  II,. 
il  nuovo  Re,  uscente  dalia  tenda  di  Radetzchy  a  cui 
arerà  detto  :  «  I  Savoia  sanno  la  via  dell'  esilio  non 
quella  del  disonore  »  !  -  cavalcava  pensoso,  tra  i  campi 
seminati  di  caduti  per  la  libertà  della  patria,  seguito 
da  piccolo  drappello  de'  suoi.  A  qual  destino  andava 
incontro?  Quale  meta  attendeva  la  giovinezza  del  suo 
regno  suturo  già.  d'ineffabili  angoscie?  Qual  fiamma  lo 
agitava?  Certo  il  suo  cuore  era  angosciato  dai  ricordi 
del  breve  idillio  del  «  48  »  e  della  dolorosa  epopea  del 
<  49  »;  ma  la  grand'anima  sua  si  sollevava  al  pensiero 
che  il  nome  d'Italia  era  stato,  per  la  prima  volta,  il 
grido  del  popolo  combattente,  e  sentiva  già,  che  le  spe- 
ranze della  patria  erano  in  lui  riposte.  E  stretto  al 
cuore  il  patto  della  libertà,  e  il  simbolo  della  reden- 
zione, proseguiva  incontro  al  suo  destino,  verso  il  suo 
fido  Piemonte,  deciso  a  raggiungere  la  santa  meta  —  l'u- 
nità della  patria  ! 

Garibaldi  dopo  il  «  49  »  sì  era  recato  a  New-Vork 
con  la  speranza  di  trovare  imbarco  come  comandante, 
od  ancbe,  come  secondo  di  nave  mercantile;  dopo  lunga 
aspettativa,  una  Società  Italo-Americana  gli  diede  il 
comando  di  un  bastimento,  col  quale  doveva  battere 
gli  scali  dell'America  centrale.  Nel  1Ì<53  prendeva  il 
comando  del  «  Commonwealth  »  -  un  tre  alberi  desti- 
nato ai  carichi  di  carbone  dall'Inghilterra  per  l'Italia: 
arrivato  a  Genova,  lasciava  il  comando  e  ai  recava  a 
Nizza,  per  portare  un  saluto  sulla  tomba  della  sua 
santa  madre,  e  per  restare  qualche  tempo  presso  i  suoi 
£gli,  Menotti,  Teresita  e  JSicciotti. 


Vi  nmaae  immolescato  ranno  1804:  quindi  con  al- 
tro piccolo  baatiuiento.  nom^.to  «  Esploratore  *  si  mise 
Ut  fare  la  navigazione  del  cabotaggio. 

In  uno  dei  suoi  viaggi,  colto  da  grosso  fortunale 
»eUe  bocche  di  Bonifacio,  dovette  certare  rifugio  nel 
;porto  delia  Maddalena,  e,  dimorandovi  alcuni  giorni,  per 
Xa  prima  volÉn,  gti  baleni»  l'idea  di  comprare  alcuni 
iotti  posti  in  vendita  dal  demanio,  dell'  Esola  di  Caprera, 
%ter  fissarvi  hi  sua  dimora. 


#  * 


Luogo,  lento,  doloroso  decennio,  quello  dal  «  49  al 

i>91  »  Ma  pur  meraviglioso  di  contrasti  e  di  concìlia- 
aioni;  di  forze  latenti  che  ai  preparavano;  di  aperte 
Tiscosso  che  ai  teutavano;  di  pas-sioni  che  spingevano 
a  sacrifizi;  di  martiri  che  ìnnffiavano  di  sangue  l'Idea. 
Vittorio  Emanuele.  Mazzini,  Cavour,  Gaiìbaldi,  Pal- 
lavicino, Manin,  Mordini»  ed  nitri  i;-rantti  patriotti,  non 
dimenticavano  che  l'Italia  viveva  in  catene,  e  eA  prepa- 
ravano alla  riscossa. 

L'Austria,  accampava  iu  Italia  con  diritto  di  feudo 
su  Modena,  Parma  e  Toscana  :   con  eserciti  dominatori 
nella  Lombardia,  nel  Veneto,  nelle  Rumagne,  nelle  Mar- 
che; suo  sistema  di  governo,  forche,  fucilazioni  e  bastone. 
Eppure  tutto  il  decennio  fu  sfida  e  duello  fra  l'Au- 
stria forte  e  l'Idea  Italiana  più  forte  ancora- 
Luminoso  e  generoso  si  diffondeva  il  pensiero  del- 
l'agitatore genovese  nella  Giovine  Italia,  che  aveva  per 
bandiera  il  tricolore;  per  programma  l'indipendenza  ed 
Vinità  di  Nazione  ;  per  forma  di  governo,  il  repubblicano; 
c*he  predicava  guerra  di  popolo;  s'insinuava  nelle  con- 
giure ;  scoppiava  in  parziali  insurrezioni  ;  provocava  ven- 
dicatori   del   nuovo    sangue   versato;  cementava  l'idea 
»&anta  del  martirio. 

Ma  le  rivolte  fallivano;    la    gioventù    si    spegneva 
negli  ergastoli  e  sui  patiboli;  ì  tentfltivi  infelici  dei  fra- 


130 

^Ili  Bandiera,  di  Ordini,  di  Bentìvegna,  di  Pisacane; 
il  moto  di  Calvi  in  Ciidore:  la  yong;iura  di  Milano,  che 
dava,  sugli  spalti  di  Belfiore,  alle  tbrolie,  ed  al  carcere 
duro  tanto  fiore  di  nobiti  vile,  dimostravano  che  il  pen- 
siero, mazziniano,  grande,  perrluè  manteneva  vivo  il 
fuoco  patrio  era  impoienio  nell'azione. 

Chi  avrebbe  potuto  armare  l'Idea'-'  H  Piemonte  e 
la  Casa  .Sabaiidii  !  Quel  princi|t:ito  italiano  doveva  tra- 
sformarsi in  principato  Xazìonale;  la  monarcbia  dovea 
farsi  rivoLuzionuria  :  i  repubblicani  unitari  dovean  per- 
suadersi che  la  monarchia  di  S:tvoJa  aveva  fede,  forza 
e  valore.  La  monurfliia  si  pose  allo  esperimento  dei 
fatti.  Pallavicino,  Mmiiu.  Mordini  si  fecero  apostoli  del- 
l'unione della  democrazia  col  Piemonte. 


Cavour  —  vibrile  e  possente  intelletto  —  uomo  di 
Stato  degno  del  Re  Vittorio  Emanuele  —  concepisce  la 
l'elice  idea  di  mandare  nelle  terre  d'Oriente,  sui  campi 
di  Crimea,  a  combattere,  tra  le  invitte  truppe  d'Inghil- 
terra e  di  Francia,  i  nostri  bravi  soldati  onde  riaffer- 
massero alla  Cernaia,  la  virti'i  degli  animi  ed  il  valore 
delle  armi  italiane. 

Al  Congre&so  di  Parigi  si  (a  eco  dei  dolori,  delle 
miserie,  delle  sp^eranze  d'Italia  —  e  l'Italia  sente  nel 
Piemonte  se  stessa  —  intuisce  in  Vittorio  Emanuele  il 
suo  Re  prode,  generoso    e  fedele. 

Finalmente  a  Plombiers  si  segna  l'alleanza  con  la 
Francia,  e  Vuttìmafum  lanciato  dall'Austria,  tanto  desi- 
derato, da  la  spìntEi  al  compimento  dei  destini  della  patria. 


Nel  1856  i!  generale  Gaiibaldi  trovandosi  a  Genova, 

veniva  ogni  giorno,  ogni  minuto  sollecitato  e  messo  alle 

strette  da  numerosi  patrioti,  i  quali  chiedevano  che  si 

mettesse  alla  loro  testa,    per   iniziare    un'  ardito  movi- 

-mento  Nazìoualo. 


185 

Da  tempo  erano  sorti  due  partiti  in  Italia;  unica 
però  la  meta  —  la  cacciata  dello  straniero.  -^  I  mezzi 
per  raggiungerla,  però,  sì  palesavano  assolutamente  di- 
Tersi,  Gli  uni  rimanendo  fedeli  intransigenti  al  princi- 
pio repubblicano,  volevano  arrivarci  con  la  rivoìuzione. 
Gli  altri  senza  alcuna  abiura  ai  principii,  aderivano  t\l 
patto  con  la  Casa  di  Savoiii,  che  s'impegnava  di  met- 
terfd  alla  testa  del  movimento  nazionale,  e  di  combat- 
tere per  l'unità  ed  indipendenza  d' Italia.  Garibaldi  sen- 
tiva ohe,  per  rag-giun^'cre  questo  fine  patriottico,  era 
necessario  di  far  tesoro  delle  forze  piemontesi  e  che  la 
spinta,  magari  indiretta  doveva  venire  da  quel  principe 
leale  e  dii  quel  governo.  Kgli  quindi  seguito  da  Mordinl 
da  Medici,  da  Bisio  e  da  alcri  patrioti,  abbracciò  questo 
partito;  per  lui  si  doveva  compiere  ad  o^ni  costo  ru- 
llila itiiliaua;  ed  <'i  dovere  riconoscere  che  la  Casa  di 
Savoia  era  chiamata  per  virtù  propria,  per  valore  e  per 
tradizione  storica,  a  compiere  i  destini  della  patria. 

Difatti  l'impotenza  sempre  più  manifesta  dei  par- 
titi pui'amente  rivoluzionari,  la  sfacciata  complicità  de- 
gli altri  principati  italiani  ooUo  straniero,   la  politica 
schiettamente  nazionale  del  Piemonte  e  del  suo  parla- 
mento, il  sangue  già  versato  sui  piani  Lombardi,  l'esilio 
tìi  Re  Carlo  liberto,  la  proverbiale  lealtà  di  Vittorio 
Emanuele  ai  patti  giurati  furono  le  vere  ragioni  che 
«chiamarono   provvidenzialmente   la  monarchia  pietnou- 
tese  alla  testa  della  lo;ta  nazionale,  indussero  i   patrioti 
^he  volevano  ad  ogni  costo  l'unità  d'Italia,  a  stringersi 
intorno  ad  essa, 

Da  quel  momento  venne  stabihto  che  la  bandiera 
del  partito  d'azione  dovesse  essere;  Italia  e  Vittorio- 
Emanuele. 


IH. 


ìU 


CAPITOLO  zvm 

1859  —  La  guerra  d'lndTpenit«tiza. 


H  1°  dell'aano  1859  l'Europa  veniva  risvegliata 
l'eco  rumorosa  dei  pochi  detti  pronunziati  dall' impew 
tore  Napoleone  III  h1  conte  Hùbner  ani Ija sciatore  d'A^ 
«triii  : 

«  Mi  duole  che  le  relazioni  col  vostro  governo  noi 
sieno  cosi  amichevoli  come  per  lo  passato  ». 

Era  il  preavviso    delia    dichiarazione  di  guerra: 
furono  poclii  quelli  elio  non  lo  capirono.  In  Italia  qu< 
«te  parole  risvegliarono  tutte  le  speranze  alle  Corze 
pile  dal  49  in  poi,  I  l'rutti  delle  alleanae  di  Crimea  ve" 
Divano  a  maturanza. 

Si  attendeva,   con   ansia   febbrile,  l'apertura  della 
Camera  Sarda,  per  troviire,  nella  parola  del  Re  Sabaude 
un  detto,  <;]ie  confermasse  le  concepite  speranze; 
parola  si  fóce  sentire;  ecco  il  dist-orso  del  Re: 

.Signori  Senatori,  signori  Deputati* 

«  L'orizzonte  in  mezzo  a  cui  sorge  il   nuovo  anno 
non  è  pienamente  sereno.    Ciò   nondimeno  vi   accinge-   ■ 
rete  colla  consueta  alacritìi  ai  vostri  lavori   parlamen-'*! 
.tari.  ConforÈiiti  dalla    esperienza  del    passato,    andiamo 
incontro  risoluti  all'eventualitii  deirav\'enire.  Qucst'iiT- 
venire  sarà  felice  ripoaatido  la  nostra  politica  sulla  glu^i 
stizia,  sull'amore  della  liberta  e  delia  ptitria.  '^M 

€  Il  nostro  paese,  piccolo  per    territorio,    acquistò 
credito  nei  Consigli  di  Europa,    perché    grande    per  Ip^ 
idee  che  esso  ispira.  ^| 

«  Questa  condizione  non  é  scevra  di  pericoli,  giac- 
ché mentre  rispettiamo  i  trattati,  non  siamo  insensibili 
af  grido  di  ddore  che  da  tante  parti  d'Italia  si  leva 
verso  di  noi. 


<  Torti  p«r  la  concordia,  Mentì  nel.  notiro  hntm 
diritto,  Mpettlamo  prudenti  e  deoìsì  i  decroti  delU  Pmr** 
videnai  ». 

10  gennfdo. 

La  Corona  non  poteva  dire  di  più:  il  grido  di  dolore 
udito  da  Vittorio  Emanuele,  si  cambiò  nelle  genti  ita- 
liane iu  grido  di  giubilo  e  di  esultanza. 

11  guanto  era  gettato  e  l'Austria  non  aveva  tardato 
a  raccoglierlo,  ordinando  la  marcia  del  3"  Corpo  d'Ar- 
mata di  stazione  a  Vienna  verso  la  Lombardia. 

Questo  provvedimento,  unito  ad  altri  di  concen- 
trazioni di  truppe,  ordinati  dal  Maresciallo  Glulay  sul 
Ticino  e  sul  Lago  Maggiore,  diedero  motivo  alla  stampa 
liberale,  diretta  dal  Conte  di  Cavour,  di  dichiarare  l'I- 
talia provocata,  e  di  fare  appello  a  quanto  eravi  di 
valido  e  di  nazionale  —  perchè  concorresse  ad  ingros- 
sare le  file  per  la  prossima  campagna. 

»  * 

Mentre  tutto  nell'  Alt*  Italia  si  apprestava  alla 
guerra,  in  Toscana  la  dinastia  di  Lorena  il  27  di  aprile, 
cessava  di  regnare.  Una  rivoluzione  sì  compiva  pacifi- 
camente, si  formava  un  governo  provvisorio,  e  il  gè. 
nerale  UUoa  prendeva  il  comando  delle  forze  m-litari. 

* 

#  * 

lì  20  dicembre  del  1858  il  Conte  di  Cavour  chia- 
mava a  segreto  convegno  Garibaldi  e  gli  comunicava 
in  confidenza  questo  disegno:  un'insurrezione  era  pre- 
parata nei  ducati  ;  verso  il  1"  di  aprile  Massa  e  Car- 
rara inizierebbero  il  movimento;  due  bande  di  volon- 
tari irromperebbero  contemporaneamente  da  Larici  e 
da  Sarzana.  Garibnldi  doveva  apalle^jare  la  rìvol(a  ,f 


136 

capitanarla.  Nello  stesso  tempo  un  battaglione  dì  ber- 
saglieri, dei  miglior!  elementi  della  guardia  Nazionale 
di  Genova,  si  doveva  organizzare  in  quella  cittA,  e 
formare  il  primo  nucleo  delle  forzo  popolari  destinate  a 


flanchegyiare,  eolla  rivoluzione, 


1  esercito  regolare. 


Garibaldi  plauttì  alla  proposta  e  diede  senza  resti 
zione  la  sua  adesione  ;  e  lieto  por  l' imminenza  dell 
guerra  si  ridusse  di  nuovo  nella  sua  isola  di  Caprera.' 


Ma  l'accalcarsi  crescente  dei  volontari  in  Piemonte,' 
consigliò  al  Conte  di  Cavour  un  altro  mezzo  per  poter 
più  effictieemente  trar  profitto  dì  Garibaldi.  Infatti,  il  2 
marzo  185ì),  il  generale  fu  chiamato  a  Torino  dal  Re, 
Le  parole  di  quel  dialogo  tra  il  Re  Onlantuomo  e  l'eroe 
popolare  s'ignorano;  ma  il  senso  ne   fu  presto  palese. 

Tornato  Garibaldi  a  Genova,  convocò  i  suoi  più 
intimi,  Medici,  Sacchi,  Bisio,  e  diede  loro  questo  an- 
nunzio: «  Ho  veduto  Vittorio  Emanuele  ;  credo  che  il 
giorno  di  ripigliare  le  armi  non  sia  lontano;  state  pronti; 
io  spero  di  poter  fare  qualche  cosa  con  voi  »! 

Fa  deciso  di  ordinare  tutta  quella  valorosa  gioventù 
—  che  da  Ogni  regione  della  penisola  conveniva  in 
Piemonte  —  in  corpi  speciali,  che  stessero  a  fianco  del- 
l'esercito, come  rappresentanti  dell'elemento  popolare  e 
rivoluzionario  di  Italia,  disciplinati  in.  ordinata  mil 
ubbidiente  ad  un  capo,  e  ao^g-etta  al  Comando  suprei 

Da    questo    concetto    nacquero    i    Cacciatori    dello! 
Alpi.  Garibaldi  fu    chiamato  a  capitanarli;    ed  egli    ri- 
spose subito  all'appello,    traendo   seco    i    suoi    più    fl( 
commilitoni. 

Il 


La  aera    del  23   aprile    due  inviati    austi'iaci    pre-- 
sentavano  al  Conte  di  Cavour  Vtdtiniaiu-m   del  loro  gc 
verno:  «  disarmo  immediato,  o  guerra  »  e    la   risposta 
non  poteva  essere  dubbia, 


137 

Finalmente  quel  cartello  di  sfida,  tanto  provocato, 
tanto  desiderato,  il  grande  statista  lo  teneva  in  mano; 
finalmente  la  guerra  era  certa;  la  Francia  vi  era  im- 
pegnata; l'Austria  l'intimava  essa  stessa,  e  non  poteva 
sfuggirla. 

Infatti,  prima  ancora  che  il  Conte  di  Cavour  con- 
segnasse ai  messaggeri  austriaci  la  sua  risposta,  Gari- 
baldi, risposta  ancor  più  espressiva,  riceveva  l'ordine  di 
portare  la  sua  brigata  a  Brusasco,  sulla  destra  del  Po, 
cioè  a  dire,  in  prima  lìnea.  Suo  mandato  era  :  guardare 
il  Po  da  Brusasco  a  Gabbiano,  difendere  la  strada  mi- 
litare Casale-Torino  e  chiudere  gli  intervalli  esistenti 
tra  la  divisione  Cialdini,  che  guardava  la  Dora  Baltea, 
e  le  batterie  di  Casale,  che  proteggevano  più  a  mez- 
zogiorno i  passi  del  Po. 

Garibaldi,  ad  effettuare  questo  disegno,  mandava  una 
■compagnia  a  presidiare    Verua,  e,    speditone   avviso  al 
generale  Cialdini  suo  capo  immediato,  nel  giorno  stesso 
occupava  Brozzolo,  e  vi  piantava  il  suo    quartiere   gè 
3ieral6. 


n  25  aprile,  parte  delle  truppe  francesi  varcava  il 
■confine  della  Savoia,  e  parte  prendeva  imbarco  nei 
porti  di  Tolone  e  di  Marsiglia  per  Genova. 

La  guerra  era  dichiarata,  e  il  29  aprile,  un  corpo 
-di  austriaci,  comandato  dal  generale  Giulay,  invadeva 
il  territorio  sardo. 

L'esercito  Piemontese  si  concentrava  sulla  destra 
del  Po,  tra  Casale  e  San  Salvatore,  fiancheggiandosi  con 
Alessandria,  aspettando  che  il  nemico,  se  lo  osava,  a- 
vanzasse. 

Nella  giornata  del  30  giungevano  a  Torino  e  ad  A- 
lessandria  le  avanguardie  francesi. 


186 


In  data  del  29  aprile  1859  il  re  Vittorio  Kmanuel 
diresse  alle  truppe  uu  nobilissimo  proclama, 

«  L'annunzio  che  vi  d6  è  aimutizio  di  guerra^ 

all'armi  dunque  o  soldati,,.  Io  sarò  il  vostro  duce.  Altre 
volte  ci  siamo  conosciuti  con  gran  parte  di  voi  nel 
fervore  delle  pugne;  ed  io,  combattendo  a  fianco  del 
magnanimo  mìo  genitore,  atnjiiirfti  con  orgoglio  il  vostro 
valore.  Movete  fidenti  alla  vittoria,  e  di  novelli  allori 
fregiate  la  vostra  bandiera,  quella  bandiera  che  coi  tre 
suoi  colori  e  colla  eletta  gioventù,  qui  da  ogni  parte 
d'Italia  convenuti!  e  sotto  a  lei  raccolta,  vi  addita  che 
avete  a  compito  vosero  l'indipendenza  d'Italia;  questa 
giusta  e  santa  impresa  sarà  il  vostro  grido  di  guerra.  » 
Tali  pai'ole  del  re  guerriero  e  patriota  empirono  d'  en- 
tusiasmo e  di  ardimento  gU  animi  delle  milizie  regoh 
e  dei  volontari  Garibaldini, 


Nel  pomeriggio  del  22  maggio  Garibaldi,  con  mnr- 
cia  ordinata  e  celere,  aveva  preso  la  via  di  Arona,  e 
mentre,  per  le  disposizioni  date,  tutto  faceva  credere 
che  vi  avrebbe  pernottato;  a  notte  calata,  le  sue  truppe, 
con  un  rapida  mezzo  giro  a  deetra  infilavano,  serrate 
e  silenziose,  la  strada  di  Castelletto,  penetravano  nel 
parco  Visconti  e  trovati  alla  riva  i  barconi  preparati 
dal  bravo  Viganotti,  in  ordine  mirabile  s'imbarc-ivano,  e 
passavano  sull'opposta  riva  occupandola  militarmente. 
Subito  dopo  la  3*  compagnia  De  Cristoforis,  scelta  per 
avanguardia,  si  spingeva  a  notte  fonda  dentro  Sesto 
Calende  e  colti  nel  sonno  autorità  austriache,  doganieri, 
gendarmi,  e  croati,  li  faceva  prigìomeri. 


IM 


••• 


Xa  mattina. del  23  maggio  la  situaziono  degli  eser- 
citi belligeranti  era  questa:  gli  alleati  ancora  al  di  li'i 
della  Sesia  e  del  Po,  tra  Vercelli  e  Voghera;  gli  au- 
striaci  in  faccia  a  loro  padroni  delle  due  rive  della  Se- 
sia e  del  Hciuo  e  dì  tutto  il  Lago  Maggiore. 


« 
«  » 


In  questo  stato  di  cose,  Garibaldi  si  trovava  isolato^ 
come  campato  in  aria,  ed  i  suoi  cacciatori  potevano 
considerarsi  come  un  nucleo  di  truppa  perduta  nel  cuore 
del  campo  nemico:  per  cui  al  nostro  eroe  non  restava 
che,  0  vincere  subito  ad  ogni  costo,  o  disperdersi  coi 
suoi  per  i  monti,  onde  potere  all'evenienza  rifugiarsi  in 
Svizzera. 

A  ragion  militare  veduta,  dei  due  eventi  certo  il 
meno  probabile  non  era .  il  secondo. 

Ed  invero  l'Austria  era  signora  della  Lombardia^ 
la  scorrazzava  con  forze  imponenti;  occupava  Milano 
con  forte  presidio;  allacciava  i  suoi  distaccamenti  con 
forti  colonne  mobili,  pronte  a  correre  nei  punti  più 
minacciati;  sicché  poteva  opporre  al  condottiero  italiano 
una  forza  sempre  di  molto  superiore  alla  sua.  Ma  a 
Garibaldi  in  mancanza  di  grandi  forze  erano  potenti 
ausiliari,  la  perìzia  e  l' indomita  audacia.  Si  fissava 
quindi  nell'antico  suo  scacchiere  del  1848,  tra  il  Ver- 
bano  e  il  Lario,  e  formava  in  un  baleno  il  suo  piano, 
deliberando  la  marcia  su  Varese  nel  giorno  stesso. 

•  * 

Un  fiero  proclama  scritto  di  sua  mano,  inciso  colla 
fina  spada,  aveva  annunziato  il  suo  arrivo  alle  popola- 
lAoià  drila  regione,  e  non  vi  era  amile  terra  dei  din<- 
torni  ch«  alle  roventi  ftaM  restasse  insensibile.  Da  La- 


140 

Teno,  Gnllarate,  Besozzo,  lapra,  Varese,  accorsero  fe- 
stanti ad  offrite  al  famoso  Capitano  1'  opera  loro,  ad 
invocare  una  aua  parola  d'ordine  per  la  lotta;  e  per 
lutti  l'eroe  aveva  parole  di  coraggioao  incitamento. 

All'  inviato  di  Varese,  che,  a  nome  del  suo  gene- 
roso Podestà  Carlo  Carcatio  gli  domandava  istruzioni, 
rispondeva  di  suo  pugno:  «  qualunque  cosa  facciate 
contro  il  nemico  in  prò'  della  Sìinta  causa  italiana,  sai'à 
da  me  approvata,  ed  io  vi  sosterrò  validaraonte  »  e  il 
Podestà  fu  il  primo  a  mandare  a  combattere  con  Gari- 
baldi il  proprio  tìglio  Paolo,  e  l'oaompio  fu  seguito  da 
altri  uon  pochi. 


La  marcia  da  Sesto  Calende  a  Varese  non  poteva 
■esser  fatta  di  fronte,  pcrcliè  esposta,  ad  essere  perico- 
losamente molestata  di  fianco;  oltre  di  che,  prima  d'i- 
noltrarsi nel  paese,  importava  assicurarsi  sul  Lago  Mag- 
giore un  punto  di  sostegno,  e  impadronirsi  di  uno  al- 
meno dei  piroscafi  che  il  nemico  vi  teneva.  Guidato  da 
questi  concetti  ordinò  il  suo  movimento  cosi: 

Bisio,  con  un  battaglione  del  suo  reggimento  do- 
leva marciare  per  la  strada  lacuale  di  Sesto  Calende  ; 
toccato  Angera,  doveva  staccare  una  compagnia  per 
tentare  di  predare  il  piroscafo  <  Ticino  »  ivi  ancorato: 
giunto  ad  Ispra  sostare,  ed  informarsi  esattamente  del 
presidio  di  Laveuo,  e  di  tutte  le  altre  forze  austriache 
sul  Lftgo;  dopo  ciò  convergere  su  Brebbia  e  spingersi 
"fino  a  S.  Andreaj  borgo  che  cavalca  la  via  Laveno- 
Varese,  ed  ivi  accamparsi  gagliardamente. 

Il  capitano  De  Criatoforis  doveva  rimanere  a  Sesto 
con  la  sua  compìignia,  sorvegliare  il  passo  del  Ticino, 
e,  ae  gli  capitava  il  destro,  impossessarsi  di  qualcuno 
dei  vapori  Jiemici;  sopratatto  doveva  guardaro  la  strada 
Sesto-Cfailarate  attii'andovi  il  nemicoj  trattenerlo  quanto 
avesse  potuto,  e  battere  in  ritirata  su  Varese  se  assalito 
da  forze  superiori. 


Tutto  ciò  stabilito,  spinta  un'altra  pattuglia  a  Gal- 
larate,  per  mascherare  una  voJta  di  più  la  sua  mossa, 
verso  le  5  di  sera  Garibaldi  staccava  la  marcia,  e  per 
-le  vie  traverse  dì  Corpeyno,  Varano,  Bodio,  Capolago, 
tra  fitte  tenebre,  attento  a  tutti  1  bivii  e  sollecito  a 
tutti  i  rumori,  coji  la  truppa  stanca,  ma  elettrizzata  al 
■contatto  di  quella  terra  tanto  agognata,  s'aecoBtjiva  a 
Varese,  dove  giunse  verso  le  11  di  sera;  accolto  dalle 
oviiziofti  di  un  popolo  in  delirio,  fra  lo  splendore  delle 
fiaccole,  e  lo  squillar  delle  musiche  vi  entrava  in 
trionfo;  s'avviava  quindi  al  Municipio  ed  incontrato  il 
Podestà  lo  aljbracciji7a,  infiamniando  con  l'ardente  isua 
parola,  che  affascinava,  quanti  Tascoltavano;  e  prima  di 
ritirarsi  pronunziava  queste  testuali  parole,  che  la  sto- 
_ria  non  può  dimenticare:  «  Qualunque  bene  diciate  di 
Vittorio  Emanuele  non  sariìniai  troppo.  Io  non  sono  réa- 
lista, ma  dopo  che  avvicinai  Vittorio  Emanuele  do- 
vetti riconoscerlo  per  un  vero  patriota  e  un  gnin  ga- 
lantuomo. Esli,  non  solo  ha  per  l'Italia  un  amore  im- 
meuso,  ma  uu  culto,  un'idolatria  >. 


Quello  che  importava  era  provvedero  alla  difesa. 
L'Austriaco,  scossa  la  prima  sorpresa,  accorreva  e  ser- 
rava da  ogni  banda. 

Giulay  conosciuta  l'invasione  garibaldina,  in  rispo- 
sta a  quello  di  Craribaldi,  bandiva  un  suo  proclama  fe- 
roce, nel  quale,  dopo  avere  annunziato  il  suo  arrivo, 
coneludeva:  <  Do  la  mia  parola  che  i  luoghi,  i  quali 
facessero  eausa  comune  con  la  rivoluzione,  verrebbero 
puniti  col  fuoco  e  con  la  spada  ».  E  non  dovevano  es- 
sere parole  soltanto. 

II  giorno  stesso  apiccava  dal  grande  esercito  una  co- 
lonna che  a  marcia  forzata,  accorreva  sul  nuovo  teatro 
■di  g'uerra:  anche  da,  Milano  il  generale  Melezes  di  Kel- 
lermes,  spediva  su  Gallarate  e  Somma  un  corpo  di  quat- 


14S 

trocento  fanti,  due  peaai  e  ano  aquadrone.  Fu  questo- 
COTpOf  che  il  mrtttino  del  25  andò  ad  attaccare  in  Soste- 
CaJendfi  il  capitano  De  Cristoforis:,  e  che  questi,  con  atra- 
bigemmi  degni  di  una  pagina  di  storia,  seppe  illudere  e 
deludere  cosi  bene,  da  teoerlo  in  mano  per  quasi  due 
ore  con  forze  quattro  volte  inferiori,  e  sgusciargli  dì 
sotto  gii  occhi,  a  mezzo  tiro  di  moscìietto,  lasciandolo 
solo  a  cannoneggiare  le  povere  case  dì  Sesto,  dove  non 
era  più  l'ombra  dì  un  garibaldino. 


Intanto  la  colonna  au&trìaca  partìtii  da  Oleggio,  il 
cui  ahtiguardo  tu  visto  spuntare  ad  Olgìate  la  aera  del 
33,  era  in  marcia  su  Varese^  forte  di  quattromila  uo- 
mini con  due  batterie  e  due  squadroni^  comandata  dal 
tenente  maresciallo  Urban. 

Varese  giace  in  una  conca  di  colline,  alcune  delle 
quali,  vestite  di  macchie  e  di  boscaglie,  formano  il  suo 
baluardo.  Tramezzo  a  siffatte  colline,  nella  direzione  dei 
quattro  punti  cardinali,  corrono  altrettante  strade  prin- 
cipali :  ad  oriente,  quella  che  dalle  falde  di  Biumo  con- 
duce per  Malnate,  a  Olgìate  e  a  Como;  a  mezzodì,  quella 
che  lambendo  le  pendici  di  San  Pedrino  e  di  Gubìano, 
va  per  Gallarate  a  Tradate  e  a  Milano:  ad  occidente, 
quella  che,  traversati  i  poggi  di  Masnago  e  Comerìo, 
mena  per  Gavirate  a  Laveno,  a  settentrione  inflno,  le 
due  strade  d'Induno  e  di  Sant'Ambrogio  che  spaccando 
le  prealpi  di  Valcuvia  e  di  Valgala,  portano  al  Lago 
Maggiore  ed  alla  Svizzei'a. 

Ora  a  chi  avesse  considerata  questa  topografìa,  due 
cose  risultavano  notabili:  in,  prima,  die  la  sti'adii  di  In- 
duno  e  di  Valgana  si  allacciava,  presso  Biumo  inferiore, 
alla  strada  di  Como  in  guisa,  da  formare  con  essa  un 
angolo  retto;  la,  seconda,  che  per  il  poggio  di  Bìuaio 
Superiore  s'incamminava  nel  quadrivio  testé  descritto, 
VArese-Sant'Ambrogio-Induno-Como,  6  con  la  forte  po- 
stura ne  teneva  la  chiave  e  la  dominava. 


140 

OiÌ>  posto,  e  por  quanto  fbse&  maDifesto  che  1*  tic- 
tacco  principale  sarebbe  venuto  dftlla  TÌa  di  Como,  non 
era  però  da  trascurarsi  il  supposto,  assai  probabile,  cjne 
rUrbaii  arrebbe  potuto  compiere  un  movimento  aggi- 
rante per  la  via  Induno  ;  uè  moUo  meno  era  a  riget- 
tarsi come  improbabile  il  caso,  che  i  corpi  incontrati  a 
Gallarate  dal  De  Cristoforis  e  il  presidio  di  Lareno,  ai 
muovessero  a  rincalzare  di  fianco  e  alle  spalle  l' assalto 
principale  tentando  di  mettere  i  garibaldini  fra  tre  fuochi. 

Importava  dunque  guardarsi  da  tutti  i  lati,  e  guar- 
darsi in  modo  da  potere  all'  evenienza  far  fronte  da  ogni 
parte,  senza  assottigliare  di  troppo  la  propria  lìnea  e  dis- 
seminare le  forze  ;  e  Garibaldi  non  titubò.  Fissate  due 
linee  di  difesa,  l'una  esterna,  lungo  l'arco  Biumo-Giu- 
bìano-San  Pediino,  e  l'altra  intema  rasente  gli  sbocchi 
delle  principali  vie  di  Varese,  occupava  coi  carabinieri 
genovesi  e  un  battag^lione  del  terzo  Regginienlo  la  Villa 
Ponti,  centro  di  Biumo  Superiore,  e  vi  piantava  il  suo 
Quartier  Generale  ;  mise  a  guardia  di  Biumo  Inferiore 
un  battaglione  del  secondo  Reggimento,  ed  erigendo  due 
barricate,  una  appoggiata  alla  Villa  Litta  Modignani  a 
custodia  della  strada  d' Induno,  l'altra  tra  la  chiesetta 
di  San  Cristoforo  e  la  casa  Merini  &  sbarrare  le  vie  di 
Como,  assicurò  su  queste  posizioni  la  sua  sinistra.  Ap- 
postò indi  un  battaglione  del  primo  Reggimento  in  faccia 
ft  Gubianoj  intorno  alle  alture  circostanti  di  Boscaccio 
e  vi  appoggiò  il  suo  centro;  collocato  tra  Villa  Decrì- 
{itofaris  a  San  Pedriuo  il  rimanente  del  primo  Reggimento 
sotto  il  comando  di  Oosenz,  e  fatta  asserragliare  anche 
quella  strania,  afforzò  la  sua  destra  dal  Iato  di  Milano; 
richiamò  Bisio  da  Sant'Andrea,  senza  tralasciare  di  f^ 
battere  da  frequenti  pattuglie  a  grande  distanza  la  strada 
di  Laveno  ;  munì  di  barricate  tutti  gli  sbocchi  di  Varese 
o  provvedette  cosi  alla  su»  seconda  linea;  iniìne  pre- 
scritte come  eventuali  linee  di  ritirata  le  strade  di  In- 
duno e  Sant'Ambrogio,  tutto  Ispezionato  co'  suoi  occhl^ 


a  tutti  comunicnndo  la  sua  intrepidezza  eia  sua  feoe^ 

-attese  di  pie  termo  il  nemico. 


E  questo  non  si  fece  aspettare  lungamente;  fin 
dalla  sera  del  25  gli  esploratori  l'avevano  segnalato  a 
Olgiato.  Un  breve  ma  eloquente  manifesto  del  Kegio 
Commissario  Emilio  Viscoiiti- Venosta  che  diceva:  «  Va- 
resini, voi  foste  i  primi  a  salutare  la  bandiera  tricolore 
in  Lombardia,  voi  sarete  i  primi  a  difenderla  »  aveva 
preparato  gli  acimi  ad  accoglierlo  degnamente  e  al 
mattino  seguente  infatti  sullo  seoccare  delle  otto  il  ne- 
mico appariva  iimanzi  a  Belforte  e  il  combattimento 
incominciava. 

Dei  quattromila  uomini  che  il  generale  Urban  a- 
veva  ai  suoi  ordini,  una  pane  era  restata  in  riserva  a 
San  Salvatore,  forte  posizione  tra  Binago  e  Malnate,  un 
altro  battjigiione  di  granatieri  lo  aveva  inviato,  per 
Cftsanuova  e  Cozzone  ad  eseguire  quel  movimento  ag- 
girante sulla  strada  d'Induno  che  Garibaldi  aveva  pre- 
veduto, e  cogli  altri  duemilacinquecento  fanti  circa,  la 
cavalleria,  e  quattro  peazi  veniva  ad  assalire  diretta- 
mente Varei^e.  Impadronitoai  del  poggetto  di  Belforte 
annunziò  con  alcuni  raazi  il  suo  attacco,  muovendo  si- 
multaneamente contro  la  sinistra  e  il  centro  dei  gari- 
baldini; ma  questi  non  si  mossero  ed  attesero,  come 
Garibaldi  aveva  ordinato,  a  mezzo  tiro  il  nemico  e  con 
pochi  colpi  ben  assestati  l'arrestarono  di  botto.  Ad  un 
secondo  e  più  gagliardo  attacco,  i  garibaldini  usarono 
la  medesima  tattica.  Infatti  appena  il  nemico  fu.  presso 
la  barricata  della  gran  strada  di  Como,  e  spuntò  al  cen- 
tro sulle  alture  di  Boscaccio,  Medici  con  una  brillante 
carica  alla  baionetta  di  fronte,  e  Co^enz  con  un  abile 
-contrattacco  di  fianco,  con  poche  forze,  ma  con  grande 
-slancio  e  valore,  ributtarono  l'assalitore  fin  sotto  le  JHlde 


U5 

di  Belforte  e  lo  forzarono  a  battere  in  ritirata  su  tutta 
Ifl  Jinea. 

Garibaldi  da  Villa  Ponti,  donde  aveva  osservato  Je 
vicende  dellii  pugna,  visto  ciie  il  nemico  si  ritirnvar 
ordinò  che  s'  inBeg-uisse  e  scendendo  di  galoppo  sulla 
strada,  si  pose  egli  stesso  a  capo  detl'iiis^uimento.    , 

n  generala  Urlmn  era  intanto  arrivato  a  San  Sal- 
vatore, dove  aveva  lasciato  la  sua  riserva,  e,  saputo 
del  rovescio  toccato  ai  suoi,  si  appareccliiava  a  sua 
volta  a  sostenere  l'itifisalto. 

(jaribaldi  non  aveva  con  sé  che  un  terzo  delle  sue 
forze,  e  quantunque  la  posizione  di  San  Salvatore  fosse 
fortissima  e  serrasse  la  strada  come  un  contrafforte,  non 
esitò  ad  ordinare  l'attacco;  occupato  il  pogrgotto  Raera 
fronteg'gianto  San  Salvatore,  e  fatto  ripieg-are  lìixìo  cJie 
si  era  troppo  inoltrato,  ti^nne  a  bada  il  nemico  con  vi- 
vissimo fuoco  di  moachetterìa,  finché  sceso  da  Cozzone 
il  Medici,  spinse  ad  una  carica  alla  baionetta  tuttala  sua 
linea,  costringendo  gli  Austrìaci  a  lasciare  a  precipizio 
anche  quella  seconda  posizione  e  a  non  arrestarsi  più 
che  ad  Olgiate.  NelPattaceo  anche  i  garibaldini  ebbero- 
dello  perdite  —  una  dolorosa  fra  tutte  —  quella  del 
giovanetto  Ernesto  Cairoli  !  —  il  primo  della  f^lorìosa 
famiglia  Cairoli  che  moriva. 


All'annunzio  della  vittoria  di  Varese,  riigitaaione 
patriottica  divampò,  eatendeadosi  rapidamente.  I  patrioti 
dì  Como  fecero  sapere  a  Gariljaldi  ohe  lo  aspettavano 
frementi  nella  loro  città;  che  molte  pievi  del  Savio  si 
erano  sollevate,  e  che  alcuni  giovani  armati  si  erano 
impadroniti  dei  vapori  del  Lago  ed  erano  passati  alla 
causa  Nazionale.  Garibaldi  promise  che  avrebbe  mar- 
ciato alla  volta  di  Como,  per  occupare  una  buona  po- 
sizione che  gli  avesse  permesso  di  dar  la  mano  agli 
Insorti  del  Lago. 


1» 

Date  le  opportune  disposizioni  per  la  sicurezza  (^ 
Varese,  all'alba  del  27,  col  primo  regglraeiiLo  in  testa, 
s'incaro minava  con  tutta  U  brigati  per  la  via  che  per 
Olgiate  e  CavaUasea  mette  a  Como. 

Il  generale  Urban  a  sua  volta,  rinforzato  da  due 
nuove  brigate  (AugusCin  e  ÈsooPgotBchej  che  facevano 
ammontare  le  sue  truppe  a  ben  diecimila  uorain^^  a- 
Veva  preso  posizione  fm  la  strtida,  medesima  e  1'  altra 
più  settentrionalo  che  da  Cavallasca  per  8aii  Fermo 
piomba  bu  Como;  e,  colla  einisti'a  dietro  il  Lura  tra 
Brebbìo  e  Breccia,  il  centro  a  San  Fermo,  la  desla-a  al 
Prato  di  Pofè  sul  lago,  ai  preparava  a  sostenere  l'assa-Uo. 

tìe  non  ciie,  male  esperto  delle  abitudifii  tattiche 
di  Garibaldi,  egli  se  l'aspettava  nel  piano  alla  sua  si- 
nistra, e  quindi  per  rinforzare  i|uesto  punto  aveva  ma- 
laccortamente indeboliti  gli  akri.  Garibaldi  invece  aveva 
l'occhio  fisso  ai  monti  ;  sicché  giunto  ad  Olghite,  aiTe- 
^tava  la  colonna,  metteva  in  posizione  tutto  il  primo 
reggimento  al  da  far  credere  si  preparasse  allo  assalto, 
teneva  a  biida  il  nemico  per  più  ore,  e  allo  scoccar  del 
mezzogiorno,  coperto  dal  reggimenLo  Cosenz,  voltava 
repentinamente  a  sinistra  per  gli  erti  viottoli  che  sali- 
vano A  Geranico,  al  Piano  ed  a.  Porè  e  giungeva  & 
Caviillasca  in  faccia  a  San  Fermo.  Quivi,  spiate  dal 
campanile  di  Cavallasca  le  posizioni  nemiche,  stabiliva 
prontamente  il  suo  piano  dì  battaglia  e  ne  ordinava  con 
pari  celerità  l'esiecuzioue.  Al  colonnello  Medici  ^d  al 
suo  reggimento  spettava  l'onore  del  primo  assalto;  De 
Cristotbris  con  due  compagnie  doveva  attaccare  di  fronte 
la  chieda  di  San  Fermo;  Susini-Millelire  con  una  com- 
pagnia doveva  attaccarla  da  sinistra;  quella  del  Vac- 
chjeri  da  destra;  altre  compagnie,  condotte  dal  Gorini, 
e  tutte  comandate  dal  Medici  in  persona,  dovevano  ca- 
lare sulla  stnida  San  Fenno-Kondìnelto  e  dare  addosso 
al  nemico. 


.f  . 


U7 


Il  primo  cozzo  fu  tremendo  ;  i  cacciatori  austriaci 
armati  delle  loro  eccellentL  carabine,  appiattati  attorno 
al  parapetto  del  piazzale  deila  clìiesa,  che  s' innalzava 
sopra  un  poggio  a  guisa  di  bastione,  e  dietro  le  finestra 
delle  case  circostaQtij  battevano  con  un  tuoco  micidiale 
di  fronte  e  di  fianco  i  primi  a-ssalitori,  e  cioè  la  com- 
pagnia De  Cristoforia,  ctie  rigò  dei  sangue  dei  suoi  mi- 
fa^Uori  la  via  infuocata;  cadde  colpito  gravemente  il  te- 
nente Pedotti;  cadde  lacerate  le  viscere,  il  capititno  De 
Cristoforia;  Ciidde,  fracassata  UEia  spalla,  il  tenente  Guer- 
zoni  ed  altri,  ed  altri.  La  compagnia  decimata  balena, 
s'arresta  un  istante,  ma  non  indietreggi ft,  Nel  frattempo 
l'assalto  ai  due  fianchi  si  spiegava  ed  incalzava  ;  un  bat- 
taglione austriaco  si  lancia  alla  corsa  da  Kondinello,  ma 
incontra  sui  suoi  passi  il  Medici  che  lo  arresta,,  e  con 
una  carica  furiosa  riesce  a  rovesciarlo  ;  altre  compagnie 
dei  nosti'i  subentrano  a  rinforzare  l'aasiilto,  siccliè  il  ne- 
mico ormai  nircidtOt  sgominato,  rotto,  volta  in  fuga  pre- 
cipitosa verao  Camerista  e  Como, 

Garibaldi  non  indugiò  un  istante  ad  occupare  le  po- 
sizioni espugnate,  e  mentre  Medici  s' afforcava  tra  Kon- 
dinello e  Breccia,  e  lìisio  diiudeva  gl'intervalli  tr«  San 
Fermo  e  Kondinello,  il  maggiore  Quintini  hì  piantava 
col  battaglione  ed  alcune  compagnie  del  seconda  reggi- 
mento a  San  Fermo;  altre  compagnie  si  stendevano  a 
sinistra  verso  Cima  la  Costa.  Ma  ancora  il  nemico  non 
si  dava  per  vinto,  il  generale  Aiiguatin,-  raccolte  tutte 
le  sue  forze,  le  spingeva  parte  a  destra,  su  Cima  la  Co- 
sta, per  spuntarvi  la  nostra  sinistra,  parte  a  manca,  per 
TÌaflbrzare  l' altura  di  sopra  la  Costa,  e  di  là  controbat- 
terò .San  Fermo.  E  la  raosBa  fu  condotta  con  rapidità  e 
-bravura:  ma  vegliava  Garibaldi,  e  vegliavano  i  suoi 
luogotenenti,  onde,  appena  l'assalitore  giunse  a  mezzo 
tiro  dalla  nostra  linea,  il  Coiienz  a  sinistra  di  Cima  la 


148 
Costa,  il  Medici  a  destra  dn  sopra  la  Costa,  fatta  una 
prima  scarica,  lo  respinsero  a  punta  di  baionetta  di  svolta 
in  svolta,  dì  poggio  in  poy^o,  g:i:ù  per  la  strada  d'onde 
era  venuto,  fino  a  ctie  Garibaldi  veduta  da  Cima  la  Costa 
quella  seconda  più  roTinosa  ritirata,  trovò  possibile  quello- 
di  cui  prima  dubitava,  cioè  la  presa  di  Como;  e  vi  si 
preparò  senz'altro. 

Dato  il  comando  che  si  raccogl lessero  e  riordinas- 
sero le  forze;  spediva  Simonetta  fon  alcune  guide  ad 
esplorare  i  dintorni  della  cittó,  e  lascisiUi  una  buona  re- 
troguardia a  San  Fermo,  marciava  a  notte  fatta  giù  per 
la  tortuosa  via  di  Borgo  Vico,  e,  ormai  accertato  dagli 
esploratori  che  l'austi-iaco  aveva  abbandonato  Como,  vi 
entrava  trionfalmonle. 

Non  può  defìcrìversi  la  festosa  sorpresa  della  città,; 
una  piena  di  popolo  traf5ogi>ato  accorse  ebbro,  frenetico; 
Garibaldi  baciato,  benedetto,  toccato  come  un  santo,  ve- 
niva portato  in  trionfo  fino  al  palazzo  del  Comune.  Ma 
l'entusiasmo  di  una  intera  città  non  gli  fece  smarrire 
un  solo  istante  la  mente;  e  tosto  diede  opera  a  guar- 
dare le  sue  spalle,  mandando  Medici,  infaticabile  quanto 
lui,  a  vegliitre  sulla  strada  di  Camerista,  dove  ancoija 
6'  accalcava  minaccioso  il  nemico. 

L'alba  dell*  indomani  però  chiariva  che  l'ultimo  au- 
striaco era  scomparso  da  Gainerlata  'i  clic  ormai  tutta 
la  colonna  dell' Urhan  s'era  concentrata  tra  Barlesina  e 
Monza  sulla  via  dì  Milano. 


L'Elia,  che  dopo  il  1849  aveva  dovuto  emigrare, 
ai  trovava  a  New  York  quando  i  giornali  diedero  la  no- 
tizia che  Vittorio  Emanuele  aveva  sguainata  la  spada 
per  r  indipendenza  nazionale. 

Non  perdette  tempo  —  col  primo  Pacchetto  in  par- 
tenza il  «  Dewonshire  »  s' imbarcava  per  Londra  e  presa 
la  via  di  Calala  per  la  Svizzera  raggiungeva  Garibaldi 


a  Como  il  38  maggio  e  si  presentava  til  generale  sotto 
gli  auspici  del  padre,  già  amico  dell'eroe  fin  da  quando 
questi  era  in  America. 

All'udire  che  colui  che  gli  stava  innanzi  era  il  fi- 
glio del  fucilato  Antonio  Elia,  volle  baciarlo  e  strìngen- 
dogli la  mano,  con  accento  commosso  gli  disse  parole 
di  affetto  paterno  e  voile  che  stesse  al  quartier  generale. 
Da  quell'ora  l'Elia  senti  che  era  avvinto  a  Gaiibaldì 
per  la  vita  e  per  la  morte  e  lo  segui  sempre  con  vene- 
razione filiale. 


Garibaldi  non  dormì  sugli  allori;  affidò  a  Camozzi. 
Commissario  Regio  per  Bergamo,  l' orgfinizzazione  mili- 
tare; lasciò  la  compagnia  del  Fanti  a  proteggere  Como. 
a  reclutar  volontari,  a  raccogliere  armi  e  inviò  con  lo 
stesso  ufficio  la  compagnia  del  Ferrari  a  Lecco. 

Lodati  come  meritavano  i  suoi  bravi  cacciatori  delle 
Alpi,  e  concessa  loro  per  riposarsi  tutta  la  giornata  del 
28,  la  mattina  del  29,  senza  svelare  ad  alcuno  11  suo 
disegno,  fece  battere  1'  assemblea,  e  si  pose  in  marcia, 
col  resto  della  brigata,  di  molto  assottigliata  pei  morti, 
pei  feriti,  per  gli  infermi  e  per  i  distaccati,  verso  01- 
giate  e  Varese. 


Dove  sì  andava?  a  cho  niiiavii  i!  generale?  a  qual- 
cMJìo  dello  stato  maggiore  che  lo  interrogò  *  Andiauio, 
rispondeva,  a  inc&ntrnre  i  nostri  cannoni  a  Varese  ». 
Infatti  il  ministro  della  guerra  aveva  deciso  d'inviare 
ai  cacciatori  delle  Alpi  quattro  obici  di  montftgua:  ma 
i  cannoni  erano  un  pretesto,  o  tutto  al  più  uno  -scopo 
secondario,  altro  era  l' intendimento  di  Garibaldi. 

Egli  non  aveva  mai  deposto  il  pensiero  di  assicu- 
rarsi una  bnae  sul  L«go  Maggiore  ;  voleva  quindi  impa^ 
dronirsi  di  Laveno  che  ne  era  uno  dei  punti  dominanti. 
11. 


ISO 
Marciava  per  ciò  a  quello  scopo,  fidando  nella  rapidità 
e  segretezza  delle  sue  mosse. 


Passata  la  notte  del  30  a  Varese,  mosse  all'  alba 
dell'  indomani  per  la  gran  strada  di  Laveno  ;  giunto  a 
Germonìo,  sostò  per  studiare  la  posizione  e  raccogliere 
notizie,  dopo  di  che  decìse  di  tentare  di  notte  la  sor- 
presa del  forte  :  e  si  inoltrò  con  la  brigata  fino  a  Cìtì- 
glio;  lasciò  dietro  di  sé  a  Brenta  il  secondo  reggimento, 
ed  a  Germonio  sulla  strada  di  Varese  il  terzo;  mandò 
segretamente  Bisio  e  il  Simonetta  nell'altra  sponda  del 
Lago,  perchè  vi  raccogliessero  barcbe  ed  armati,  con 
cui  tentare  un  abbordaggio  contro  qualcuno  dei  vapori 
austriaci  ancorati  a  Laveno  ;  e  ciò  disposto  voltò  a  si- 
nistra per  Mombello  e  andò  a  collocarsi  a  due  chilo- 
metri dal  forte  di  Laveno,  diramando  tosto  i  suoi  ordini 
per  attaccarlo. 

Gli  ordini  erano  buoni;  i  soli  possibili;  e  se  a  fru- 
strarli non  avesse  cospirato  quel  nemico  fatale  in  tutte 
lo  imprese  notturne,  il  buio,  causa  dì  confusione  e  d'e- 
quivoci, 11  colpo  sarebbe  riuscito. 

It  capitano  Bronzetti  che  doveva  con  la  sua  com- 
pagnia cogliere  dì  sorpresa  il  Castello  dal  lato  setten- 
trionale, venne  abbandonato  dalle  guide,  perdette  la 
via  fi  non  arrivò  al  posto. 

II  capitivno  Laudi,  che  doveva  con  un'altra  com- 
imtshiit  Horprendere  il  Castello  dal  lato  meridionale,  in- 
tututtnvii  una  strada  coperta  gremita  di  neraici  dove  cre- 
deva trovare  un  orto  indifeso;  scoperto  prima  dei  tempo 
fJAlIff  VfiUittti,  combatté  per  più  di  un'ora  valorosamente 
tmt'iHii'ì"  Mil  terreuo  non  pochi  de'  suoi,  sino  a  che 
thiUi  i  *>'i'^i  luogotenenti  Castaldi  e  Sprovieri,  e  ferito 
fijfl)  tlf'.vt,  fu  costretto  a  ripiegare  ed  a  ritirarsi,  con- 
^Wft'ii"  ^*'''^>  f  t'oriti.  II  forte,  desto  dall'allarme,  diede 
imum  u  iiiiU'  ìv  sue  batterie,  tempestò  di  palle  il  ter- 


151 

reno  circostante,  comunicò  l'allarme  ai  Vapori,  che,  acJ 
«ortìai  delle  barche  condottolo  dal  Bisio  e  dal  Simonetta, 
le  presero  a  bordate  mettendo  ben  presto  o  spavento' 
nelle  ciurme  inesperte,  che,  sgominatesi,  nonostante  le 
preghiere,  le  minacele  degli  intrepidi  condottieri  vol- 
tavano precipitosamente  le  prue. 

Potevano  essere  le  due  dopo  mezzanotte,  e  Gari- 
baldi, visto  fallito  il  tentativo,  ordinava  la  ritirata  su 
Cittiglio;  colà  si  ricongiungeva  in  buon  ordine  ai  corpi 
che  aveva  lasciato  a  Brenta  ed  a  Geraonio,  con  inten- 
dimento di  ritornare  a  Varese. 

Però  la  mattina  del  31  maggio  si  ebbero  non  liete 
novelle.  Il  generale  Urban  marciava  minaccioso  e  rin- 
gagliardito su  Varese;  sicché  Garibaldi  dovette  pruden- 
temente mutar  pensiero,  e  risalire  la  via  di  Valcuvia, 
dove  poteva,  protetto  dai  monti,  attendere  gli  eventi. 

Era  difatti  la  giornata  del  31  al  tramonto,  quando 
rUrban  giungeva  con  due  colonne  da  Tradate  e  da  Gal- 
larate  sulle  Jilture  di  Gubiano  e  di  San  Pedrino  domi- 
nanti Varese,  e  vi  si  accampava  fortemente.  Conduceva 
dodicimila  uomini  e  dicìotto  pezzi  d'artiglieria;  sbuffava 
fuoco  e  fiamme;  annunziava  alla  città  ribelle  strage  e 
rovina;  la  multava  dell'enorme  tributo  di  tre  milioni, 
oltre,  grande  quantitii  di  provvisioni;  prendeva  ostaggi 
numerosi,  li  minacciava  ad  ogni  istante  di  morte,  e  non 
vedendo  sùbito  soddisfatte  le  sue  insensate  pretese,  a- 
priva  contro  di  essa  un  furibondo  bombardamento  ab- 
bandonandola poi  per  più  ore  al  saccheggio. 

Intanto  che  Varese  subiva  l'infernale  flagello,  Gari- 
baldi scendeva  da  Valcuvia  fino  in  fticcia  di  Santa  Maria' 
del  Monte;  e  di  là,  nella  mattina  del  1°  giugno,  fin  gìft 
a  Sant'Ambrogio  e  Robarello,  discosti  un  ora  da  Varese 
sfidando  il  nemico. 

Più  bella  occasione  pel  generale  austriaco  di  vendi- 
carsi di  quel  brigante  di  Garibaldi  non  si  poteva  dare.  Ave- 
V*  giurato  che  lo  avrebbe  impiccato  con  tutti  i  suoi:  ed 
óra  che  Io  teneva  quasi  nelle  unghie,  appena  ad  un  tiro  di 


163 

oannone,  in  una  posizione  quasi  disperata,  e  presso  a 
schiacciarlo  di  un  boI  colpo  con  forze  quadruplicale,  per- 
chè non  lo  assaliva?  Perchè  se  ne  stette  iinmobiie  dietro 
Varese,  occupato  soltanto  a  bombardare  una  città  inerme 
non  rispondendo  alla  aflda  superba  dell'eroe? 

11  perché  è  uà  mistero!  Il  fatto  si  è  che  l' IJrban 
Jaeciò  passare  tutta  quella  giornata  senza  fare  un  passo. 
Benaa  tentare  nemmeno  una  ricognizione  a  fondo,  e  sol- 
tanto verso  sera,  si  decise  ad  occupare  la  posizione  di 
Biumo  superiore  temendo  di  essere  attaccato. 

Intanto  più  importanti  avvedimenti  erano  accaduti 
Bill  maggior  teatro  della  guerra. 


Fra  il  27  e  38  maggio  l'esercito  alleato  iiiiziaTa  quel 
gran  movimento  di  fianco  dal  Po  al  Ticino,  che  fu  la 
più  abile  manovra  strategica  della  campagna. 

Il  29  majgsio  resercito  Sardo,  meno  la  quinta  di vi- 
Tisione  rimasta  a  difesa  della  riva  deatra  del  Po,  bì  con- 
centrava sopra  Vercelli  per  passare  la  Sesia  sui  ponti 
che  vi  erano  stati  gettati. 

Il  30  la  divisione  Cialdini  passò  per  la  prima.  Il 
nemico  occupava  tutti  i  villaggi  sparai  in  faccia  alla  Se- 
sia, e  dominava  il  paese;  a  Palestre  poi  aveva  concen- 
trati i  più  grandi  mezzi  dì  resiatenza.  Vi  aveva  piantato 
batterie  per  dominare  il  fiume  e  per  battere  d' infilata 
la  strada.  Aveva  inoltre  coronate  le  cime  delle  alture 
di  forti  parapetti  per  tenere  al  coperto  la  fanteria,  e 
scavati  dei  fossi  nei  lati,  pure  protetti  di  parapetti,  die- 
tro ai  quyli  stavano  numerose  truppe,  mentre  molti  cac- 
ciatori tij"olesi  erano  appostati  dietro  gli  alberi  e  nelle 
case,  da  dove  fulminavano  gli  assalitori. 

Vittorio  Emanuele  dirigeva  in  persona  le  operazioni 
militari.  II  G"  e  T  bersaglieri  formavano  l'avanguardia 
con  una  sezione  d'artiglieria  ed  uno  squadrone  dì  ca- 
valjeggeri  d'Alessandria  ;  il  generale  Cialdini  marciava 
olla  testa. 


153 

Al  terzo  ponte  che  taglia  la  strada,  ^li  esploratori 
Incontravano  gli  avamposti  austriaci;  accolti  da  tìtte  sca- 
riche di  fucile  e  di  mitraglia  i  nostri  non  si  arrestavano, 
si  slanciavano  risolutamente  di  corèa,  invadendo  U  ponte 
e  vi  si  stabilivano,  mentre  il  17"  bersaglieri  guidato  dal 
suo  comandante  Chiabrera  si  precipitava  con  slancio  ir- 
resistibile sulla  difesa  di  destra,  snidando  i  cacciatori 
nemici  imboscati  nei  declìvi.  La  quarta  divisione,  con 
rapidità  fulminea,  con  foga  irresistibile,  metteva  in  fuga 
il  nemico  e  s'impadroniva  di  Palestre. 

La  terza  divisione,  rafforzata,  dai  reggimenti  5''  ca- 
valleria e  Piemonte  ReaJe,  ti'averKava  la  Slesia  y  mar- 
ciava sopra  Vinzaglio,  forl;emente  occupato  dal  nemico. 
Indi,  in  colonne  serrati!,  piombava  sul  villaggio  :  non  vi 
furono  ostacoli  validi  ad  arrestarla;  i  battaglioni  con 
mossa  fulminea,  fatta  una  scarica,  si  avventavano  sul 
nemico  colla  punta  della  baionetta  —  questo  non  resi- 
steva air  urto  terribile  e,  come  a  Patestro,  abbando- 
nava il  villaggio  e  si  ritirava  su  Confl-nenza. 


L'imperatore  dei  francesi,  prevedendo  che  Tesercito 
italiimo  avrebbe  dovuto  sostenere  aspre  battaglie,  stac- 
cava dal  b"  corpo  il  3"  regj;imento  Zuavi,  ed  ordinava 
al  colonnello  Clitiloron  di  mettersi  a  disposizione  Ui  Vit- 
torio Emanuele,  11  Re,  sicuro  ohe  gli  austriìiei  avrebbero 
fatto  tutti  gii  sforzi  per  riprendere  l' jmportftiilo  posi- 
zione di  Palestra,  ordinava  al  colonnello  dei  auttvi  di 
dirigersi  su  quella  posizione. 

Verso  le  10  del  31  maggio  gli  austriaci,  sboccando 
per  le  sti'ade  di  Robbie  e  di  Rozano,  diedero  dì  cozzo 
negli  avamposti  piemontesi  che  li  accolsero  Cou  fuoco 
micidiale.  Ma  erano  tre  le  colonne  d'attacco  che  si  avan- 
zavano in  grandi  masse  compatte;  i  nostri  tennero  testa 
ai  primi  urti  tremendi,  ma,  anprafatti  dal  numero  dei 
nemici,  furono  obbligati  a  ripiegare, nel  villaggio..  _  ,  j 


164 

11  20**  reggimento,  che    trovRvasi    a  sinistra   delta 
strada  di  Robbie,  fu  pure   oblilisato  a  ritirarsi  sali'  al-  ^J 
ture,   ma    non    raìlentara  il   fuoco;  il  nemico  perù  ìn-^ 
grossando  sempre,  minacciava  di  scliiacciare  le  poche  e 
intrepide  uostre  truppe.  Accorrova-  in  quel  fraug-eiite  il 
prode  colonnello  Brìgiione  con  tre  butt;iglioiii,  ed  1  Pie- 
montesi, riprendendo  l'oftensipa,  si  lanciavano  contro  il 
nemico  e  lo  respingevano  al  di  là  delle    linee  degli  a-' 
vam  posti. 

Il  generale  Cialdìni,  avvistosi  che  le  manovre  del 
nemico  tendevano  ad  aggirare  la  f^inistra  della  sua  po-1 
sizione,  vi  mandava  aLeuni  bivttagliuni  che  raccolse  lij 
per  lì  con  una  sezione  d'artiglieria  comandata  dal  brav< 
capitano  Poimio -Vaglia,  mentre  il  7"  bej'saglieri  si  slanH 
clava  addosso  al  nemico  minacciante  il  ponte  i^ettatc 
sulla  Sesia;  nel  tempo  atesao  faceva  occupare  vigorosa- 
mente f;ti  approcci  di  Palestre  affine  d'impedire  al  ne- 
mico la  marcii!  sul  vilEaK^io;  la  lotta  3Ì  fece  at^Canita  ^ 
le  grosse  colonne  austriache  comandate  dal  feld  Mare- 
sciallo Zobel,  sorrette  da  numerose  compagnie  di  tirolesi 
e  dall'cirtiglieria,  si  avanzarono  risolutamente  contro  l6^| 
truppe  piemontesi  che  tennero  fermo,  incuorate  dalla 
presenza  di  Vittorio  Emanuele,  coprendosi  di  gloria. 
Proprio  nel  più  caldo  del  combattimento  il  colonnello 
Chabron  lanciò,  in  sostegno  dei  nostri,  i  suoi  Zuavi  al-J 
l'attacco:  questi,  come  un  uragano,  sotto  gli  o::chi  del 
Re  di  Piemonte  si  gettarono  sopra  gli  austriaci.  Neasut 
ostacolo,  nessuna  resistenza  li  arresta;  invadono  le  dtì 
fesa  nemiche,  si  grattano  sopra  1  cannoni;  gli  artiglieri  au- 
striaci, sotto  l'impeto  delle  terribili  baionette,  non  hanno-l 
tempo  di  caricare  i  pezzi  ;  riescono  vani  i  tentativi  delli 
&nterifl  che  accorre  per  salvarli,  e  i  cinque  cannoni  sono' 
preda  dei  vincitori  ;  non  si  arrosta  il  reggimento,  si 
slancia  sulla  strada  e,  seguendo  Vittorio  Emanuele  che 
con  la  spada  Io  invita  all'attacco,  si  avventa  contro  1{ 
masse  austriache  impegnate  in  furiosa  lotta  coi  piemon- 
tesi. Cosi  i  soldati  dell«  due  nazìoai  sorelle  si  frammìS 


155 
schiarano  nel  combattimento  e  nella  gloria,  investendo 
il  nemico  alla  baionetta.  Questo  fortemente  trincerato 
sul  ponte  della  Brida,  fortificatosi  in  una  grande  mas- 
seria munita  di  cannoni  e  di  feritoie,  preclude  il  pas- 
saggio del  ponte  ;  ma  zuavi  e  piemontesi  non  si  sgo- 
mentano, né  si  arrestano  ;  animati  dalla  presenza  del 
re  e  dall'esempio  degli  ufficiali,  s' avventano  sul  ponte 
e  sui  cannoni  che  sono  presi  dai  piemontesi  ;  nella  mas- 
seria è  una  lotta  terribile,  corpo  a  corpo,  e  gran  nu- 
mero di  nemici  trovano  la  morte  nel  fiume  che  li  tra- 
volge nei  suoi  gorghi. 

La  vittoria  dei  nostri  fu  completa;  oltre  ventimila 
erano  gli  austriaci  combattenti,  numerosissimi  furono 
quelli  rimasti  sul  campo,  circa  cinquecento  trovarono 
la  morte  nel  fiume  ;  gli  austriaci  perderono  fra  morti 
feriti  e  prigionieri  oltre  seimila  uomini;  i  nostri  circa 
duemila  uomini  fta  morti  e  feriti.  Trofeo  della  vittoria 
furono,  oltre  mille  prigionieri,  cinque  cannoni  presi  dai 
zuavi  e  tre  dai  piemontesi.  La  campagna  s'iniziava  splen- 
didamente I 


»  * 


I  zuavi  per  rendere  omaggio  al  valore  del  Re,  vol- 
lero portare  al  suo  quartier  generale  la  sera  stessa  del 
31  i  cannoni  tolti  al  nemico. 

II  Re,  grato  del  delicato  pensiero  di  quei  valorosi, 
scrisse  al  colonnello  Chabron  In  seguente  lettera  : 

Torrione,  1  giugno  1859 
Sig.  Colonnello, 

«  L' Imperatore  nel  porre  sotto  i  miei  ordini  il  3"* 
reggimento  degli  Zuavi  mi  ha  dato  un  prezioso  atte- 
stato di  amicizia.  Io  ho  creduto  di  non  poter  meglio 
accogliere  questa  truppa  scelta,  che  fornendole  imme- 
diatamente l'occasione  di  aggiungere  un  nuovo  glorioso 


£56 

flit»  fl  quelli  che  sui  ctunpi  di  bitctagUa  d'  Africa  e  di 
Crimea  Immio  re^o  cosi  terribile  ili  iiemici»  il  nomo  de- 
gli Zuavi.  Lo  slaiieio  irresistìbile  con  cui  il  vostro  reg- 
giiiieiu»,  liiig.  Coloiiiisllo,  ha  mo^so  ieri  hU' assalto,  ha 
meritato  tutta  la  mia  ara  mi  razione.  Avventarsi  contro 
il  uemico  iilla  bAionetttì,  iiiipAdroiiii'si  di  min  bntteria, 
siìdaudo  Ifi  mitraglia,  è  stato  ralftire  dì  pocliì  Istanti. 
Voi  dovete  essere  altero  di  comaudare  a  siffatti  soldati, 
ed  essi  dcbboDo  pssere  felici  di  obbedire  ad  un  capo 
quale  voi  siete.  Io  apprezzo  altamente  il  pensiero  che 
hanno  avuto  i  vostri  Zuavi  di  condurre  a!  mio  quar-- 
tiere  generale  i  pezzi  d'artislieria  presi  agli  austriaci, 
e  vi  pregio  di  ringra&iarli  in  mio  nome.  Io  mi  atfrctterò 
d'inviare  questo  bel  trofeo  a  S.  M.  l'Imperatore,  al  quale 
ho  gtk  fatto  fionosoere  la  bravura  impareggiabile  con 
cui  il  vostro  re^gimeuto  si  è  battuto  ieri  a  Palestro  ed 
ha  sosttìimto  la  mia  estrema  destra  >. 

«.  Vogliate,  sig.  Colonnello,  far  noti  quesM  miei  sea- 
timenti  ai  vostri  Zuavi  ». 

L'imperatore  Napoleone,  desideroso  di  mostrare  la 
sua  aramirazioue  pel  cavalleresco  alleato  e  di  soddisfare 
il  voto  degli  Zuavi,  decise  che  il  Re  di  Sardegna  sarebbe 
pregato  di  volere  accettare  i  e-annoni.  E  cosi  fu  infatti. 

Ma  un  altro  reg^alo  di  non  minor  gradimento  pel  Re 
doveva  venirgli  dai  bravi  Zuavi. 

L'indomani  luaLthia,  quando  Vittorio  Emanuela  si 
recava  a  visiuire  i  &noj  valorosi  camerati  della  vigilia, 
ed  a  GouHegaare  al  Colonnello  Cbabrou  il  decreto  coi 
quale  decorava  colla  medaglia  d' oro  la  bandiera  del 
suo  reggimento,,  il  più  anziano  dei  Zuavi  gli  partecipava 
che  il  reggimento  lo  aveva  acclamato  ano  Caporale  e  Io 
pregava  di  atcettare.  «  Ben  volentieri,  amici  miei  >  ri- 
spose il  Ke  commoaso  da  quel  segno  di  simpatia  «  d'ora 
inmmzi  io  apparteng'O  a  voi  ».  • 

Cotìi  Vittorio  Emanuele  fu  nominato  Caporale  dof 
Zuavi,  come  altra  volta  Napoleone  Bonaparte  era  inal- 
zato allo  stesso  grado  a  Montenotte. 


167 


* 


In  Beffuito  a  questi  avvenimenti  il  generalissimo  au- 
strìaco;  sicuro  che  ormai  l'aspettava  una  grossa  batta- 
glia sul  Ticino,  aveva  pensato  a  rafforzarsi,  e  s'era  af- 
frettato a  richiamare  la  divisione  Urban  da  Varese,  dan- 
dole per  obiettivo  Turbigo. 


« 


Mentre  avvenivano  questi  fatti,  gli  austriaci  in 
grandi  masse,  comandati  dall'Arciduca  Carlo,  dalle  al- 
ture di  Montebello  dimostravano,  coi  loro  movimenti  del 
19  maggio  pros^uiti  il  20,  essere  loro  intenzione  di 
stringere  in  un  cerchio  di  ferro  e  di  fuoco  la  1*  divi- 
sione dell'esercito  francese,  comandata  dal  generale 
Forey,  prima  che  fosse  riunita  in  ordine  di  battaglia; 
bisognava  ad  ogni  costo  arrestare  il  movimento  girante 
delle  grandi  masse  nemiche. 

n  generale  Forey  vi  sì  preparò  arditamente,  ordi- 
nando al  colonnello  Cambriels  di  riunire  quanti  più  uo- 
mini avesse  potuto  della  sua  divisione  in  marcia. 

Con  questo  piccolo  numero  di  valorosi,  elettrizzati 
dall'ardente  coraggio  del  generale  e  del  loro  colonnello, 
con  audacia  senza  pari  si  slanciava  contro  il  nemico  tre 
volte  superiore  di  nura,ero,  lo  arrestava  e  gli  teneva 
testa.  Ma  la  lo:ta  ineguale  non  poteva  durare  a  lungo, 
molti  dei  bravi  erano  caduti  colpiti  a  morte,  fra  i  quali 
il  mAggiore  Lecretelle  che  combatteva  da  eroe  alla  te- 
sta del  suo  battaglione;  bisognava  difendere  passo  passo 
il  terreno  per  impedire  al  nemico  di  avanzare,  e  dare 
tempo  al  resto  della  divisione  di  arrivare  sulla  linea  del 
combattimento;  ma  il  nemico  con  forze  preponderanti 
pressa,  si  avanza,  e  la  resistenza  ulteriore  diviene  ormai 
im|)08sibile;  quando,  per  grande  fortuna  in  quel  critico 
momento,  un  roggimento  di  cavalleria  piemontese  (Mon- 
ferrato) comandato  dal  valoroso  De  Sopnaz  si  slancia 
vigorosamente  in  soccorso  dei  fratelli  d'armi  di  Francia 
e  con  cariche  irresistibili,  si  getta  contro  le  masse  au- 
striache che,  sgominate,  sono  costrette  a  sbandarsi. 


In  questo  brillanto  [atto  d  armi  ai  distinse  il  bravo 
aottotenente  Mainoni  d'Intignano  che  sosteneudo  l'urto 
di  uno  siiuatlroiie  nemico  con  f^ninde  vìilore  lo  cosDriii- 
geva  alla  ritirata,  rijjortando  feritui  alla  luauo  destra. 
Per  la  sua  bella  condotta  il  Mainonì  venira  decorato  e 
proposto  per  la  promozione. 

Intanto  g:iungevauo  al  generale  Forey  i  deaiilerati 
rinforzi  del  reato  della  sua  divisione. 

Il  combattimento  facendosi  sempre  più  accanito  da 
ogni  parte,  il  L^enerale  Forey  ordinava  al  brigadiere  Beu- 
ret  un  suprotno  attacco  alla  baionetta,  (jli  austriaci  non 
resistendo  all'urto  sono  obbli^'iiti  a  cedere  terreno;  sì 
arrestano,  pLM'ò,  al  Ciuiitei'o  di  Montebello  del  quale 
fanno  la  loro  estrema  base  di  difesiii.  Bisognava  slog- 
giare il  nemico  da  quell'ultirao  formidabile  riparo;  an- 
cora uno  sformo:  e,  gridando  ai  suoi  bravi  soldati  ; 

—  «  Allons,  mes  enfants,  arraehons  a  l'ermemi  soii 
demier  ftbri ',  Suivez  volre  generale  ».  —  Il  valoroso 
Forey  si  slanciava  alla  testa  de'  suoi  contro  la  posizione 
nemica. 

Il  Cimitero  fu  investito  con  slancio  furioso  ed  il 
terreno  venne  seminato  di  morti  e  feriti  —  primo  a  cei- 
dere  mortalmente  colpito  fu  il  generale  di  brigata  Bou- 
ret:  m.a  niente  arrestava  la  foga  degli  assalitori  che, 
scavalcato  il  muro  del  Cimitero,  investivano  il  nemico 
colla  punta  delta  baionetta  mettendolo  in  rottji. 

Alle  ore  sei  e  mezzo  il  nemico  era  in  ritirata  pre-^ 
cipitosa.  verso  Casteg'gio,  inaeg'uito  alle  reni  per  buon 
tratto  di  via.  La  vittoria  di  Montebello,  nella  quale  la 
l''  divisione  comandata  dal  prode  generale  Forey  si  co- 
priva di  gloria,  inaugurava  brillantemente  la  campagna 
che  doveva  procedere  di  vittoria  in  vittoria. 

Io  questo  combattimento  anche  le  brave  truppe  pie- 
montesi comandate  dal  valoroso  De  Sonnaz  ebbero  la 
loro  pane  di  gloria. 


II  4  di  giugno  a  Magenta  e  a  Ponte  Vecchio  si  de- 
cidevano le  sorti  dì  quella  memoranda  g-lornata. 


■lae 

Avanti  e  dentro  Magenta  il  combattimento  fu  ac- 
Ciitiito  oltre  o^ni  credere.  Gli  austriaci  tì  avevjmo  con- 
centi-ate  tutte  le  truppe  del  loro  centro,  lasciando  la 
sola  brigata  Ilaramindz  in  riserva.  Le  truppe  degli  al- 
leati fecero  gii  sforzi  più  eroici  per  slojfgiarli  ;  i  loro 
saldati  cadevano  sotto  U  fuoco  violento  dei  ripetuti  con- 
trattacchi. 

Nel  momento  il  più  caldo  e  decisivo  il  generale  di 
artiglieria  Aug^er  ebbe  un'ispirazione  felice;  seguendoli 
movimento  deli' esti-ema  destra  riusciva  a  piazzare,  uno 
dopo  l'altro,  42  pezzi  d'artiglieria  sull'argine  della  fer- 
ro\ia  ed  il  loro  fuoco  a  mitraglia,  facendo  orribili  vuoti 
nelle  file  nemiche,  portava  lo  sgomento  nelle  brigate  del 
1°,  2",  7**  e  3"  corpo  che  combattevano  unite.  1  fi-ancesi 
e  tre  batlay:Iioui  di  bersaglieri  italiani  si  slanciarono  con 
impeto  irresistibile  contro  il  nemico  che  non  resse  al- 
l' lu'io  ti'omondo,  hi  ruppe  e  si  dette  alla  fuga,  Alle  8 
di  aera  le  truppe  francesi  entrarono  a  Magenta,  Gli  au- 
striaci perdettero  due  bandiere,  quattro  cannoni  e  circa 
quindicimila  uomini  fra  morti,  feriti  e  prigionieri. 


Il  giorno  S  giugno,  dopo  un  accanito  com^battimento 

di  ti'e  ore,  i  francesi  sloggiarono  gli  austriaci,  cornali" 
dati  dal  Principe  dì  Sassonia  ed  occuj)arono  Melegnano. 

Il  giorno  IO  gli  austriaci,  egombi'ando  Lodi,  batte- 
rono in  piena  ritirata  sulla  sinistra  dell'  Oglio. 

II  giorno  16,  occupate  forti  posizioni  dietro  il  Chiese, 
attesero  di  pie  fermo  gli  alleati.  Lonato  e  Castiglione 
furono  i  due  punti  salienti  sui  quali  la  linea  spiegò  la 
sua  azione. 

L'imperatore  Napoleone  e  Vittorio  Emanuele,  co- 
nosciuta la  ritirata  dei  nemici  nell'interno  del  quadrila- 
tero, ordinarono  il  passaggio  del  Chiese  e  l'occupazioiie 
delle  ultime  colline  che,  tra  questo  lìiime  e  il  Mincio, 
rannodano  la  gcauclg.ci^tepa.d^Ue  Alpi  alla  pìAnur^  Lom- 
barda. 


360 

Il  giorno  33  al  maresciallo  Mac-Mahon  venne  ordì- 
nato  di  fare  ricog-nizioni  geuerali  tra  il  fronte  dell'eser^ 
cito  e  il  Mincio. 

Intanto  V  imperatore  Francesco  Giuseppe,  avendo 
xlcevuti  grandi  rinforzi,  cambiava  tattica  e  risolveva  di 
prendere  T  offensiva. 

Divise  le  sue  forze  in  due  glossi  corpi,  il  23 passa 
il  MinrJo  sopi-a  11  ponti  gettati  Ira  Pescliiera  e  Goito, 
spingendo  avanti  forti  ricognizioni  onde  conoscere  al 
giusto  le  posizioni  degli  alleati. 

Dalla  situazione  dei  belligeranti  è  provato  che  gli 
austriaci  portavano  in  c-arapo  per  I"  imniioenle  battaglia 
150  mila  fanti,  13  mila  eavalli  e  68&  pezzi  di  cannone, 
mentre  gli  alleati  mettevano  in  lìnea  140  mila  fanti, 
io  mila  cavalli  e  52^  pezzi  d'artiglieria. 

Il  giorno  24  i  due  eBercìtì  si  ponevano  in  marcia 
l'uno  verso  l'altro,  senza  sapere  clie  andavano  rispetti- 
vamente ad  urtare  il  grosso  del  nemico. 

Il  Maresciallo  Baraguay,  partito  alle  tre  del  mattino 
per  la  strada  di  moutEigna  che  va  da  Esenta  su  Solfe- 
rino, trovava  i  posti  di  Fontana  e  le  tìrotte  occupati 
dagli  austriaci  e  impegnava  un  acca.nito  combattimento. 
Il  Maresciallo  Mac-Mahon,  che  si  era  messo  in  mar- 
cia alle  due  e  mezzo  antimeridiane  per  la  gran  strada  che 
da  Castiglione  va  a  Mantova,  il  d  chilometri  dal  primo 
villaggio,  vedeva  il  7°  cacciatori  a  cavallo  incontrare 
gli  avamposti  del  nono  corpo  austriaco,  che  aveva  oc- 
cupato ciisa  Merini. 

11  Maresciallo  fece  prendere  dai  suoi  immediata- 
mente casa  Merini  e  se  ne  servi  di  base  per  lo  spiega- 
mento delle  sue  forze. 

Cosi  avvenne  di  tutti  gli  altri  corpi  in  marcia,  i 
quali  si  urtarono  contro  il  nemico  pure  in  marcia. 

L' imperatore  Napoleone,  ai  primi  colpi  dì  cannone 
salito  a  cavallo,  diede  sen2a  indugio  gli  ordini  per  la 
battaglia. 

Per  descrivere  le  vicende  di  quel  sanguinoso  e  me- 


161 

morabile  combattìmento,  il  pii!i  glorioso  che  ebbe  a  so- 
stenere la  Francia  dopo  la  battaglia  di  Marengo,  ci  Ter- 
rebbe un  volume. 

A  Solferino  l'esercito  francese  sì  copri  di  gloria. 


L'esercito  Sardo,  secondo  gli  ordini  riceTiitì  da 
Vittorio  Emanuele,  doleva  portarsi  il  ^4  a  Pozzolengo. 
Il  quartiere  generale  ordinava  alla  1*,  2"  e  3'  divisione 
di  esplorare  it  terreno  con  cura,  mediante  numerose 
ricognizioni.  In  consefjuenza  la  brigata  granatieri  della 
1"  divisione,  postasi  in  moto  alle  -i  del  mattino,  era  pre- 
ceduta da  UQ  battaglione  di  bersaglieri,  uno  di  fanteria, 
uno  squadrone  di  cavalleggerì  d'Alessandria  ed  una  se- 
zione d'artiglieria;  la  3"  divisione  aveva  spinto  quattro 
ricognizioni  sulla  strada  che  costeggia  il  lago  e  la  fer- 
rovia; la  5"  inviava  il  suo  capo  di  Stato  maggiore  co- 
lonnello Cadorna  con  l'S"  bersaglieri,  un  battaglione  del- 
l'll°,  una  sezione  d'artiglieria  ed  uno  squadrone  caval- 
ieggeri  di  Saluzzo  per  la  strada  Sugana  nella  direzione 
di  Pozzolengo. 

La  ricognizione  della  1"  divisione  che  costituiva  la 
destra  dell'esercito  sardo,  incontrati  gli  avamposti  au- 
striaci in  Val  di  Quadci,  attaccò  il  nemico,  ma  esgendo- 
questi  in  forze  assai  superiori  dovette  retrocedere  tino 
verso  Fenile  Vecchio  per  ricongiungersi  al  grosso  della 
divisione.  Questa  si  slanciò  sulla  posizione  austriaca  e 
se  ne  impossessò;  ma  gli  aiiatriaci  riiiforzat]  gagliarda- 
mente Conmrono  alla  ctirica  e  vi  fu  un  moinentoin  cui 
i  granatieri  Sardi  furono  per  essere  sopraffatti,  ma  l'ar- 
rivo della  brigata  Savoia  li  salvò. 

Hulie  alture  di  Monte  Polperi  l'arrivo  di  nuovi  rinforzi 
rende  il  combattimento  ostinato^  micidiale;  né  piemoii' 
teai  uè  sustriaci  guadagnano  terreno,  mainfli>ein  seguito 
ad  estremo  sforzo  dei  nostri  gli  austriaci  sono  obbligati 
alia   ritirata.   Lamarinofa   al   i^lancia   alla  carica  con  X 


162 

suoi  bravi  bersa.iilieri,  ed  occupa,  Madonna  della  Soo- 
perta;  là  riceve  il  rinforzo  della  l>ri^^■itil  Piemonte  e  si 
mette  in  marcia  per  Pozzoleng;». 

Il  Colonnello  Crtdoroa  della  5'  diviaione,  avanzan- 
dosi  per  la  strada  Sugaaa»  incontrava  alle  oascine  di 
Ponticello  gli  avamposti  del  corpo  di  Benedeck;  per  ren- 
dersi conto  della  loro  forza  spiegava  imniediatai]iente  le 
sue  poclie  truppe,  maiidnndo  ad  avvisare  il  £;enerale 
Mollard  onde  accelerasse  la  marcia.  GFli  austriaci,  che 
erano  in  forze  preponderanti,  accettarono  la  sfida  e, 
malgrado  la  resistenza  eroica  delle  poche  truppe  che 
loro  stavano  di  fronte,  riescirono  ad  iinprtdronìrsl  delle 
alture  della  Casetta  e  dì  S.  Martino  occupandole  solida 
mente.  Alle  10  del  mattino  il  geneiale  Mollaitl,  vedendo 
sboccare  la  brigata  Cuneo,  la  spiegava  in  due  linee  fra 
la  strada  Sugana  e  Casa  Nuova  e  procedeva  all'assaltr. 
Il  7"  e  rs*  reggimento  si  slanciavano  alla  baionetta  so- 
stenuti dal  fuoco  di  una  batteria  e  da  alcune  cariche 
dei  cavaliGggeri  di  Monferrato;  giungovano  duo  volte 
sul  culmine  dell'altura,  ma  non  rìescivano  a  scacciarvi 
il  nemico  che  la  teneva  solidameiite,  ed  erano  costretti 
alla  fine  a  ritirarsi,  protetti  dalle  batterio  della  soprag- 
giunta divisione  Cucchiari,  arrivata  in  buon  punto;  Ja 
brigata  Acqui  si  portava  anche  essa  in  linea,  e  tutte 
queste  truppe  si  precipitavano  sotto  una  pioggia  di  fuoco 
all'assalto  dì  S.  Martino  e  se  ne  rendevano  padrone;  ma 
Benedeck  lanciava  tutte  le  sue  riserve  incatte  sul  fronte 
e  sul  flftneo  dei  Piemontesi;  e  fu  allora  elio  la  5*  divi- 
sione mitragliattì  a  pochi  pa^i,  contrattaccata  vivamente 
da  forze  preponderanti  balenò,  e  non  trovandosi  soste- 
nuta, fu  costretta  a  ripiegare  e  a  retrocedere  in  buon 
ordine  fino  a  mezza  strada  di  Rivoltella.  Il  generale 
Mollard  ridotto  alle  sole  sue  forze,  prese  poai:ìione  alla 
Cascina  di  Retinella  colla  brigata  Piaerolo  in  prima  li- 
nea; e  vi  si  mantenne. 

Intanto  la  riserva  generale  dell'armata   Sarda,  co- 
mandata dal  generale  Fanti,  era  stata  inoltrata,  secondo 


163 
^  ordini  imperiali,  verso  Solferino,  ma  alle  12  le  altre 
tre  divisioni,  strette  seriamente  da  Benedeck  con  grandi 
forze,  domandando  rinforzi,  il  Re,  Vittorio  Emanuele 
dava  r  ordine  alla  brigata  Piemonte  di  marciare  su 
Madonna  della  Scoperta  ove  Lamarmora  doveva  pren- 
dere il  comando  superiore,  mentre  la  brigata  Aosta,  col 
quartiere  generale,  si  sarebbe  rivolta  a  S.  Martino. 

Contemporaneamente  il  Re  mandava  un  ufficiale  di 
ordinanza  con  ordini  al  generale   MoUard  —  Generale, 

<  S.  M.  il  Re  le  fa  sapere  per  mio  mezzo  che  ì  francesi 
«  vincono  a  Solferino  e  che  egli  vuole  che  ì  suoi  soldati 

<  vincano  a  S.  Martino  >  Il  generale  MolUird  cosi  ri- 

<  spondeva  <  vada  a  dire  a  S.  M.  che  i  suoi  ordini  sa  ■ 
«  ranno  eseguiti.  » 

Amvata  la  brigata  Aosta,  il  generale  MoUard,  che' 
era  l'anima  dì  tutti  i  movimenti  la  formava  su  due  linee 
colla  sinistra  alla  ferrovia;  la  brigata  Pinerolo  si  collo- 
cava alla  sua  diritta  identicamente  disposta  aggregan- 
dosi il  7°  reggimento,  mentre  l'S"  stava  in  riserva. 

U  punto  di  direzione  di  queste  truppe  è  la  CJon- 
tracania,  mentre  sei  compagnie,  con  due  pezzi  di  can- 
none, si  volgono  sulla  sinistra  austriaca  dietro  le  alture 
di  S.  Girolamo.  Appena  fosse  giunta  in  linea  la  5'  di- 
visione, era  dato  ordine  di  cominciare  l'attacco  generale. 
La  5'  divisione  stava  per  giungere,  erano  le  5  pom., 
.  si  stava  per  incominciare  l' attacco  generale,  quando 
proprio  in  quel  punto  scoppiava  un  forte  uragano  che 
obbligava  la  sospensione  di  qualunque  operazione. 

Fin  dalle  prime  ore  del  mattino  si  combatteva  con 
gran  valore  e  con  straordinaiio  accanimento  ;  erano  le 
sette  di  sera  e,  per  quanti  sforzi  eroici  si  fossaro  fatti 
dai  nostri,  non  si  era  potuto  sloggiare  il  nemico  dalle 
alture  di  S.  Martino,  da  dove  opponeva  indomita  resi- 
stenza. Molte  erano  state  le  perdite.  Era  rimasto  uccisoli 
colonnello  Rovetta  e  il  maggior  Bosio  del  6"  reggimento: 
feriti  il  generale  Cerale,  il  generale   Arnaldi,  il  colon- 


1^  ^^^ 

nello  Vinlardi  del  5",  i  maggiori  Polnstri,  Botten  emott 
iUtri  ufOdali. 

Cessato  l'uragano,  fu  deciso  di  fare  uno  sforzo  su- 
premo per  strappare  al  nemico  il  possesso  di  posizioni 
con  tanto  accanimento  disputateci  piano  concepito  stava 
per  essere  posto  in  esecuzione  con  quella  simultaneità 
ed  impeto  da  cui  solo  potevasi  sperare  vittoria, 

11  14'  era  all'estrema  destra;  poi  verso  sinistra  ve- 
niva il  7";  indi  Aosta,  poscia  Casale  e  un  battaglione 
deirs";  in  ultimo  Acqui.  L'6'*  battaglione  bersaglieri  coL 
14";  il  1"  con  Aosta;  il  o"  col  IV. 

Cei-ale,  che  quantunque  ferito  non  si  ritirava  dal- 
l'azione, domandava  al  generale  Motlard  aiuto  di  arti- 
glieria, e  tosto  venti  pezzi  erano  condotti  dal  valente 
'maggiore  Revel,  e  piazzati  in  buona  posizione, 

Appena  le  truppe  si  posero  in  movimento,  il  rombo 
assordante  delle  artiglierie  che  battevano  di  fronte  e  di 
fianco,  avvertiva   il  nemico  che    i  nosti'i  stavano    per 
piombargli  addosso.  Centinaia  di  tamburi  battevano  la 
carica;  le  trombe  dei  bereaglieri  la  suonavano  ai  punti 
estremi  ed  al  ceuti-o;   un  urraìi  generale  scoppiava  da. 
un  punto   all'altro    delle   colonne    convergenti,   che,    a 
baionette  spianate,  si  slanciavano  sulla   posizione   e  ne 
toccavano    !a   cima.    1  generali,  gli   ufficiali,   tutti    alla 
testa  dei  loro  soldati,    iucuoravanli    col  grido  «  Avanti, 
avanti  Savoia  *  Il   nemico  scosiso,    non   so&tenue  rurto- 
tremendo,  cominciò    ad  oscillare    ed   infine    voltate    le 
spalle  sì  ij,iede  alla  fuga;  e  allora'  l'Avogadro,    coman- 
dante il  2"  squadrone  di    cavalleria,   collo    assenso    del 
colonnello  Ricotti,  lo  astialiva   con  carica  brillanus.^ima^ 
lo  sbaragliava  e  lo  metteva    in    rotta  disordinata  verso- 
Pozzoleguo,  facendo  numerosi  prigionieri, 

11  cotubattimeuto  aveva  durato  quattordici  ore! 
Trofei  della    vittoria  furono    cinque    cannoni,    non 
pochi  prigionieri,  fra  cui  parecchi  uffìciali. 

Cosi  la  sera  del  24  giugno  brillava  tra  le  glorie  del 
nostro  esercito  la  battaglia  di  S.  Martino, 


tQ5 


•% 


Dopo  le  vittorie  di  Solferino  e  di  S.  Martino,  Na- 
poleone m  emetteva  il  seguente  ordine  del  giorno: 

Soldati  l 

«  Noi  abbiamo  preso  tre  bandiere,  trenta  cannoni 
e  seimila  prigionieri.  L'esercito  Sardo  ha  lottato  con 
grande  valore  contro  forze  superiori.  Esso  è  degno  di 
marciare  al  vostro  fianco.  Soldati!  tanto  sangue  ver- 
sato non  sarà  inutile  per  la  gloria  della  Francia  e  del- 
l'Italia e  per  la  felicità  dei  popoli  >. 

Napoleone, 


Mentre  l'Urban,  lasciata  una  forte  retroguardia  a 
Varese,  contromarciava  col  grosso  della  sua  divisione 
su  Gallarate  diretto  al  Ticino,  Garibaldi,  ignaro  di  que- 
sta improvvisa  ritirata,  levato  nel  tempo  stesso  il  suo 
campo  da  Induno,  per  Arcisate,  Roderò,  Ciisanova,  arri- 
vava a  Como  fra  il  tripudio  di  quella  cittadinanza  che, 
da  quattro  giorni,  paventava  di  rivedere  ad  ogni  istante 
gli  austriaci. 

La  vittoria  delle  armi  alleate  spalancava  ai  nostri 
le  porte  dì  Milano,  mentre  gli  austriaci  ei'ano  obbligati 
a  ritirarsi  precipitosamente. 

Quest'avvenimento  fortunato  ebbe  per  immediata 
conseguenza,  non  solo  la  liberazione  della  Lombardia» 
ma  la  sollevazione  dei  ducati,  delle  Legazioni  e  del- 
l'Umbria. 

« 
*  * 

Nel  giorno  20  di  giugno   una  forte  colonna  di  sol- 
dati svizzeri  al  soldo  del  Papa,  partiti  da  Roma  assaliva 
Perugia  clie  si  era  ribellata  al  governo  papale.  La  pa- 
12 


166 

triottica  citCì'i,  quantunque  la  gran  parte  della  gìoTentù. 
fosse  in  Lombardia  a  combattere  con  Vittorio  Emanuele 
e  con.  Garibaldi,  oppose  una  valorosissima  resistenza, 
dapprima  dall'alto  delle  mura,  poi  nelle  contrade,  com- 
battendo corpo  a  corpo,  cedendo  il  terreno,  alle  forze 
sovercbianti,  palmo  a  palmo,  finché,  i  bravi  Perugini 
sopraffatti  dovettero  arrendersi,  I  vincitori,  satelliti  della 
tirannide,  inferociti  per  la  resistenza  incontrata,  si  ven- 
dicarono mettendo  a  saccheggio  la  città,  seminando 
«trage,  non  rispettando  neppure  gli  inermi  e  le  donne. 
La  strage  di  Porugia  perpetrata  da  stranieri  al  soldo 
del  Papa  andrà  alla  storia  come  fatto  esecrando. 


Ventiquattro  ore  dopo  la  battaglia  di  Magenta  l'in- 
tero esercito  austriaco  era  in  ritirata  sull'Addìi;  le 
avanguardie  degli  alleati  entravano  in  Milano,  ed  an- 
che il  piccolo  corpo  dei  cacciatori  delle  Alpi  poteva 
proseguire  la  sua  marcia  fortunosa. 

Garibaldi  impiegò  il  4  e  5  giugno  a  riordinare  le 
Èue  forze,  a  chiamare  nuovi  volontari,  a  perlustrare  in 
tutti  i  sensi  le  strade  circostanti,  e  lanciare  scorridori 
fin  presso  le  porte  di  Mihmo. 

Dal  5  al  6  s'imbarcava  con  tutta  la  sua  brigata, 
meno  alcune  compagnie  lasciate  a  Como,  alla  volta  di 
Lecco,  e  nel  giorno  in  cui  l'esercito  alleato  varcava  il 
Ticino,  egli  toccava  la  destra  sponda  deirAddii.  Non  vi 
si  fermò  a  lungo,  che  il  di  appresso,  tenendo  sempre  ai 
monti,  ripigliò  la  marcia  per  Caprino  e  Almeno. 

Mentre  Garibaldi  era  in  via  per  Caprino  e  Almeno; 
■accompagnati  da  una  lettera  di  Cavour  si  presentarono 
al  generale  Gai'ibaldi,  Turr  e  Teleki  ambedue  colon- 
nelli nell'esercito  della  lìbera  Ungheria,  che  nel  1849, 
avevano  combattuto  strenuamente  contro  T  Austria. 

Il  generale  accolse  i  due  valorosi  magiari  come 
-fratelli,  e  da  quel  giorno  quei  bravi  seguirono  Garibaldi 
■con  vera  devozione. 


IBI 


Alle  ore  tre  di  mattino  del  7  la  brigata  dei  caccia- 
tori della  Alpi,  con  alla  testa  il  suo  generale,  passava 
il  Brembo  sul  ponte  S.  Salratore,  e,  per  la  strada  occi- 
■dentale  del  monte  Luvridaj  riusoiYa  a  Voltezza,  ed  a 
_passo   di  carica  scendeva  su  Bergamo. 

Vi  arrivava  però  troppo  tardi,  cliè  il  nemico,  erasi 
^precipi tesamente  ritirato.  Garibaldi  penaò  immedlata.- 
Tnente  d' inseguire  i  fuggenti  sulla  strada  di  Crema,  ma, 

-  appena  incominciata  la  marcia  veone  informato  che 
«Q  corpo  d'austriaci  stava  per  Jirrivare  in  ferrovia  per 
3>ortare  rinforzo  al  presidio.  Richiamò  in  fretta  la  bri- 
gata dalla  strada  di  Creina,  distribuì  e  rimpiattò  i  suoi 

-  cacciatori  alia  stazione  e  nei  dintorni,  in  modo  che  il 
nemico  non  potesse  scappargli  ;  senonche,  a  pochi  passi, 

-  da  Soriate,  uno  spione  avvisò  la  colonna  TÌaggiante  che 
i  Garibaldini  erano  a  Bergamo;  il  comandante  austriaco, 
fatto  fermare  il  treno,  fece  smontare  le  truppe,  e  pro- 
tetto da  fiancheggiatori  e  da  esploratori  s'inoltrò  con 
tutta  cautela  verso  la  città,  ove  sarebbe  stato  ben  ac- 
colto; ma  il  Bronzetti  inviato  con  due  compagnie  per 
la  strada  di  Soriate  lo  incontrò,  e,  senza  contare  il  ne- 
raico,  lo  assali  con  impetuoso  ardimento,  lo  arrestò,  Io 
■sbaragliò  costringendolo  a  riprendere  in  fretta  la  vapo- 
riera. 


In  quel  giorno  i  sovrani  entravano  neUn  capitale 
Lombarda;  e  Garibaldi  era  chiamato  in  Milano  da  Vit- 
torio Emanuele.  Le  accoglienze  fatte  al  comandante  dei 
cacciatori  delle  Alpi  furono  degne  del  grande  animo 
del  Re,  e  caldi  gli  elogi  a  lui  ed  ai  suoi  compagni. 

intanto  il  generale  Urban,  fin  dal  giorno  7,  si  ei:» 
accampato  suU'Adda  nei  dintorni  di  Vaprio,  e  vi  si  era 
trincerato.  Era  questa  unaposiaione  forte,  ma  dopol'enr 


m 

irata  d!  Garibaldi  a  Beliamo,  la  sua  importanza  era  di 
molto  diminuita,  perchè  poteva  essere  minacciata  di 
fronte  e  di  fianco.  Sarebbe  bastato  che  11  generale  Cial- 
dìni,  avauguardia  del  nostro  esercito,  si  fosse  affrettato 
verso  l'Adda,  e  il  generale  Garibaldi  fosse  calato,  con 
mossa  combinata,  da  Bergamo,  perche  queUa  divisione 
nemica  fosse  inevitabilmente  disfatta. 

La  mattina  dell'll  giugno  l'Urban  lasciava  Vapno 
ritirandosi  per  la  via  di  Crema,  e  la  sera  del  giorno 
stesso  Garibaldi,  abbandonato  Berfj:amo,  si-  metteva  io 
marcia  per  Martinengo  alla  volta  di  Brescia;  il  12  ri- 
prendeva il  cammino  per  Paiozzolo,  da  dove  passava  a 
Polasco,  meutre  l'Urbau  con  la  stia  divisione  si  trovava 
a  Portatilo. 

Chi  nel  giorno  13  giugno  avesiie  potuto  guardare 
a  volo  d'uccello  sulla  terra  Lombarda,  vi  avrebbe  acorto: 
l'imperatore  Napoleone  colla  sua  guardia  imperiale  a 
Gorgonzola;  'il  Re  Vittorio  Emanuele^  a  Vimercato  in 
mossa  per  Palazaolo;  la  più  avanzata  sinistra  degli  sca- 
glioni francesi  a  Treviglio  sulla  sinistra  dell'Adda;  il 
più  avanzato  scaglione  piemontese  a  Romano  sulla  si- 
nistra del  Serio,  lo  scaglione  auBtriaco  più  vicino,  divi- 
sione Urban,  a  Pontoglio;  e  Uaribaldi  marciare  col  suoi 
cacciatori  da  Palazzolo  a,  Brescia;  marcia  pericolosa, 
perché  fatta  su  strada  parallela  a  quella  del  nemico, 
quattro  volte  più  forte,  e  minacciante  sol  fianco.  Ma 
il  generale,  destregg:iandosi  con  grande  avvedutezza,  fa- 
cendo uso  delle  poche  guide,  comparendo  or  qua.  or  là 
su  tutti  i  punti  della  linea  nemica,  spingendo  a  marcia 
forzata  i  cacciatori  delle  Alpi,  all'alba  del  14  si  trovava 
già  alle  porte  di  Brescia,  la  quale,  animata  da  infuo- 
cate parole  dell'illustre  patriota  Giuseppe  Zanardellì, 
non  aveva  atteso  neghittosa  l'arrivo  del  corpo  libera- 
tore, ma  era  già  pronta  per  dare,  a  colui  che  la  eman- 
cipava, potente  aiuto.  Dopo  l'entrata  in  Brescia,  ove  fu 
accolto  dalla  popolazione  delirante,  Garibaldi  cessava 
di  godere  di  quella  indipendenzii  che  era  il  principale 
attore  dei   suoi  successi. 


169 


«  » 


Mentre  ì  cacciatori  delle  Alpi  eransì  fermati  nella 
sera  del  14  di  giugno  per  pernottare  a  S.  Eufemia  a 
due  chilometri  circa  da  Brescia,  il  generale  Garibaldi 
riceveva  neUa  notte  stessa  un  ordine  dal  quartìer  ge- 
nerale, espresso  in  questi  termini:  «  S.  M.  il  Re  desi- 
dera, che  domattina  ella  porti  le  sue  truppe  su  Lonato, 
dove  sarà  raggiunto  dalla  divisione  di  cavalleria  co- 
mandata dal  generale  Sambuy  composti  di  quattro  reg- 
gimenti di  Ciivalleria  di  linea,  con  due  batterie  a  ca- 
vallo ». 

Generale  Bella  Rocca. 

11  generale,  ebbe  anche  l'ordine  di  ristabilire  il 
ponte  del  Bettoletto  sul  Chiese  a  monte  del  ponte  di 
S.  Marco. 

#  * 

Sul  fare  dell'alba  del  15,  Garibaldi,  lasciata  una 
compagnia  a  S.  Eufemia,  e  fatto  perlustrare  tutto  in- 
torno il  paese,  si  pose  in  marcia. 

Giunto  a  Rezzatto  e  non  avendo  notìzia  della  di- 
visione di  cavalleria  che  doveva  seguire,  fermò  la  co- 
lonna e  mandò  al  Re,  a  mezzo  del  tenente  Trecchi,  un 
rapporto  scritto  col  quale  informava,  che  quantunque 
avesse  sul  fianco  deatro  la  divisione  Urban,  pure  egli  pro- 
cedeva avanti  per  eseguire  gli  ordini  ricevuti.  Infatti  pat- 
tuglie delle  guide  a  cavallo  avevano  rapportato,  che  a- 
vamposti  nemici  sttivano  sulla  strada  tra  Rezzato-C3a- 
stenedolo  e  Villa-BofTalora.  Per  non  lasciarsi  dietro  al 
suo  fianco  destro  truppe  nemiche  si  prossime,  Garibaldi 
scaglionò  i  suoi  sei  battaglioni  nel  modo  seguente.  Due 
■dei  1"  reggimento,  agli  ordini  di  Cosenz,  dietro  le  case 
Carbone  in  Tre  Ponti;  un  battaglione  del  2°.  con  una 
quadra  di   carabinieri  genovesi,   sotto  il  comando  di 


170 

Medici,  in  Bettola  di  Cilìverghe,  dove  la  atradu  da  Bre- 
scia a  Lonato  si  biforca,  l'una  sul  ponte  di  S.  Marco,  l'al- 
tra a  sinistra  sui  ponte  del  Bettoletto;  l'altro  battaglione- 
dei  2"  regrgìmento,  e  i  due  del  3°  col  l'artiglieria  e  con 
i  rimanenti  carabinieri  genovesi  Garibaldi  li  condusse 
in  persona  al  ponte  del  Bettoletto.  Al  colonnello  Turi 
addetto  al  suo  Stato  Maggiore  il  generale  ordinava  di 
occupare  con  due  compagnie  del  Irreggimento  lo  sbocco 
dì  Tre  Ponti  verno  Castenedolo,  e  nel  tempo  stesso  ri- 
conoBcere  bene  il  nemico;  it  tutti  Graribaldi  raccoman- 
dava di  difendere  ad  ogni  costo  la  strada  da  Hezzato 
a  Tre  Ponti  e  Bettola  di  Cilìverghe  aspettando  l'arrivo 
della  division©  di  cavalleria  piemontese;  mandò  il  ca- 
pitano Corte  del  suo  Stato  Maggiore  ad  avvisare  Cial- 
dini,  che  era  sul  Mella,  della  sua  mossa,  e  sì  mise  sen- 
z'altro per  la  via  di  Molinetto. 

Intanto  il  generale  Rupprecht,  che  colla  sua  bri- 
gata formava  l'avanguardia  della  divisione  Ilrbau  dal 
Mella  al  Chiese,  raandìiva  rieognizioui  sulla  strada  tra 
Rezzato,  Tre  Ponti,  e  Bettola  Ciliverghe,  mentre  si  por- 
tava colgirosao  a  Castenedolo. 

Per  far  fronte  al  remico  tì  rigettarlo,  come  aveva 
ordinato  il  generale  G-arìbaldi,  Medici  fece  costrurre  una 
barricata  al  biforcamento  della  strada  Brescia-Bettola- 
Cilivergho    appossiat;a  alla    Cascina  Lana   che    occupò 
militarmente,  e  pose  tre  compagnie  nel  Cimitero  di  Ct- 
liverghe  munendo  i  muri    di  feritoie.    Cosenz    dal    suo 
canto,  fece  occupare  Osteria  di  Rezzato,  casa  Basaalini 
che  sta  a  destra  della  strada  bresciana  a  capo  del  sen- 
tiero di  Tre  Ponti,  munendo  i  muri  di  feritoie^  lasciando 
in  riserva  il  primo  battaglione.  Cosi  la  difesa  era  ordi- 
nata col  fronte  a    Castenedolo,  la   destra   a    Osteria  di 
Eezzato,  il  centro  a  Tre  Ponti^  la  sinistra  a  Bettola  Ci- 
liverghe. 

Una  ricognizione  nemica  si  spinse,  stendendo  la  sua 
catena  di  cacciatori,  fin  sotto  il  giardino  di  casa  Bas- 
■salinì,  ma  fu  presto  respinta.    Alle   otto   di    mattina  il 


171 

nemico,  molto  rinforzato,  si  avanzò  a  destra  e  a  sini- 
su-a  del  canale  Lupo,  con  forti  riserve  nelle  cascine 
Chizzola  e  Chidone,  fra  Tre  Ponti  e  la  strada  ferrata. 
Il  colonnello  Cosenz  deliberò  di  opporre  attacco  ad  at- 
tacco; il  colonnello  Turr  sì  recò  di  persona  a  Rezzato 
e  diede  ordine  al  comandante  della  compagnia  poeta. 
all'  Oeteiia  di  mandare  una  parte  dei  puoi  uomini  per 
un  sentiero  traversale  in  forma  di  testa  di  colonna,  che- 
licceuitasse  a  girare  la  ijioìstra  della  catena  nemica. 

Ciò  fotto  Turr  raggiunse  Cosenz  il  quale,  spinte  due- 
compagnie  da  casa  Bassalini  a  risoluto  attacco  di  fronte^ 
costringeva  il  nemico  .1  ripiegare;  e  tanto  fu  l'ardore 
dei  nostri  da  riuiseire  a  alogginre  il  nemico  anche  dalle 
due  cascine  Chizzola  e  Chidone.  e  ad  occupare  l'argine 
della  strada  lerrata  e  il  ponticello  sul  Lupo. 

I  nostri,  rinforzati  da  una  corapagnia  del  Bronzetti 
e  da  altra  del  Lipari,  non  si  arrestarono,  assalirono  il 
cascinone  chiamato  Fenile-Ospitale  e,  sebbene  incontras- 
sero forte  resistenza,  riuscirono  a  cacciarne  il  nemico  e 
l'occuparono. 

In  questo  frattempo  il  capitano  Croce  che  colla  sua 
Gompiiguiii  formava  l'ala  spinta  più  avauti  della  estrema 
nostra  sinistra,  scopri  molte  forze  nemiche  che  si  am- 
massavano sulle  alture  di  Castenedolo;  avvisatone  Cosenz, 
questi,  riconoscendo  di  non  essere  in  forza  per  potere 
assalire  la  intera  brigata  Rupprecht,  fece  suonare  l'alto 
e  r  assemblea  a  sinistra,  per  prepararsi  a  ricevere  l' urlo 
nemico.  Ma  il  colonnello  Turr  riuniti  quel  che  potè  di 
volontiìri,  e  chianiaìido  a  se  la  restante  debole  riserva, 
deliberò  di  assalire  11  nemico  sul  roccolo  che  prende 
nome  da  S.  Giacomo  e  fece  suonare  la  carica;  udito 
questo  segnale  il  Cosenz,  per  non  produrre  un  movi- 
mento slegato  nella  sua  linea  fece  esso  pure  suonare  la 
■carica.  I  nosti'i  si  avanzarono  arditamente  tìn  presso 
alla  falda  del  poggio  di  Castenedolo  ;  ma  il  nemico  suo- 
nata a  sua  volta  hi  carica  &u  tutta  la  lìnea  si  rovesciò 
imponente  di  forze  su  (juelle  tcarse  dei  cacciatori  delle 
Alpi  che,  minacciati  di  aggiramento,  dovettero  ripiegare. 


172 

Il  colonnello  Turr  che  aveva  spinto  arditamente 
alla  carica  i  suoi  li  incuorava  col  suo  esempio  alla  re- 
sistenza; ma  il  fuoco  micidiale  dei  nemici  die  corona- 
vano il  roccolo  boscoso  li  arrestava  aul  ponte  S.  G-ia- 
como  ;  qui  il  Tiirr  avanti  a  tutti  coraandavH  eoa  voce 
Monora...  k.  Passo  di  carica,  avanti...»  allorché  una  paEa 
gli  trapassava  il  braccio  sinistro  poco  sotto  la  sc^apola; 
non  ai  arrestava  per  questo  il  valoroso  colonnello;  e 
proseg:uivii  a  comandare  e  incoriig'giare  i  militi  allo  as- 
salto. Ma  il  nemico  numeroso  assai,  dalla  forte  posizione 
seminava  la. morte;  a  fianco  di  Turr  colpito  da  una 
palla  alla  gola,  cadeva  il  tenente  Oradeiii^o;  nel  mede- 
simo istante  era  colpito  mortalmente  il  Bronzetti  e,  al 
sergente  Gnocchi  che  lo  sorregg-eva  una  palla  traver- 
sava l'omero.  Non  era  posisibile  più  sostenersi  e  i  nostri 
dovettero  ripiegare. 

Ma  il  Cosenz  sempre  sereno  non  si  sconfortava  per 
questo;  formata  dalla  prima  compagnia  e  dai  resti  dì 
altre  che  potò  raccogliere,  una  piccola  colonna  coman- 
data dal  tenente  Martini,  la  spinse  avanti  per  la  via  di 
mezzo,  G  sostenendola  con  un  distaccamento  guidato  dal 
tenente  Mancini  per  un  sentiero  di  destra,  e  con  altro 
simile  affidato  al  tenente  Logarbo,  che  lo  condusse  a 
sinistra  celato  fra  le  boscaglie,    riprendeva  l' offensiva. 

Giungeva  in  quel  punto  il  generale  Garibaldi  coi 
bravi  carabinieri  genovesi  e  con  altri  valorosi;  arriva- 
vano pure  in  quel  mentce  tre  compagnie  del  Medici,  e 
queste  forze  riunite  dirette  da  Garibaldi  stesso  si  spin- 
sero ad  un  furioso  attacco  in  aiuto  del  Cosenz;  la  lotta 
per  alcun  tempo  fu  accanita  e  micidiale;  già  il  nemico 
sgominato  cedeva  terreno,  quando  comparvero  le  prime 
avanguardie  del  Ciaidini  mandato   in  soccorso  dal  Re. 

Si  stava  per  prendere  fra  due  fuochi  il  nemico,  ma 
queafco  si  affrettò  a  battere  in  ritirata,  lasciando  i  nostri 
padroni  del  campo  di  battaglie  seminato  di  morti. 

Quella  dei  Tre  Ponti  fu  una  giornata  ben  calda; 
anche  i  garibaldini  ebbero  perdite  gravi;  centoventi  fe- 


179 

riti,  fra  ì  quali  molti  ufficiali  e  sott'  ufficiali  alla  testa 
delle  loro  squadre  ;  fra  questi  l' Elia  del  seguito  del  ge- 
nerale Garibaldi  ed  il  Carbone  dei  carabinieri  genovesi; 
più  del  quinto  degli  ufficiali  ohe  presero  parte  all'azione 
rimasero  feriti.  Grandi  lodi  meritarono  prima  d'altri  il 
Coseaz,  e  il  Turr,  il  capitano  Bronzetti,  e  il  tenente  Gra- 
denigo,  il  maggiore  Lipari,  i  capitani  Pesce  e  Rosaguti, 
i  tenenti  Mancini,  Logarbo,  Martini,  Spacchi,  Pea,  Ri- 
bolla, Spettini,  ed  i  furieri  Pedotti,  Della  Torre  e  Tor- 
chi, portati  all'ordine  del  giorno  e  proposti  per  la  meda- 
glia al  valore  militare  e  per  la  promozione. 

Il  giorno  16  il  generale  Lamarmora  si  recava  a 
trovar  Garibaldi  a  Nuvolento  —  i  due  generali  si  sti- 
mavano a  vicenda,  e  certo  devono  avere  parlato  sulle 
mosse  ulteriori  della  guerra. 

Il  17  Garibaldi  mandava  a  Turr,  cheera  a  Brescia 
a  curarsi  la  ferita  la  seguente  lettera: 

Carissimo  amico, 

«  Il  sangue  Magiaro  si  è  versato  per  l'Italia,  e  la 
fratellanza  che  deve  rannodare  i  due  popoli  nell'  avve- 
nire, è  aumentata:  quel  sangue  doveva  essere  il  vostro, 
quello  di  un  prode  !  Io  sarò  privo  dì  un  valoroso  com- 
pagno d'armi  per  qualche  tempo  e  d'  un  amico,  ma 
spero  rivedervi  presto  sano  al  mìo  lato,  per  ricondurre 
i  nostri  giovani  soldati  alla  vittoria.  Sarei  fortunato  in 
qualunque  circostanza  di  potervi  valere,  e  non  avete 
che  a  comandarmi  ». 

Vostro 
G.  Garibaldi 

Alla  sera  di  quel  giorno,  la  brigata  con  Garibaldi 
entrava  in  Gavardo  fra  le  acclamazioni  della  popola- 
zione. La  mattina  del  18,  all'alba,  Bixio,  come  all'ordine 
avuto,  occupava  Salò. 

La  mattitia  del  *iO  la  brigata  col  generale  in  testa 
si  metteva  in  marcia.  Un  ordine  del  Comando  generale 


174  _  ____^^ 

portava  che  i  cacciatori  delle  Alpi  senza  Indugio  si  re- 
cassero ad  occupare  la  ViUtellina, 


Il  26  la  brigfita  bivaccava  a  Poiitida  e  a  sera  ar- 
rivava a  Lectio;  cosi  il  generale  si  approssimava  alla 
meta  deei^'na tagli,  preceduto  di  un  buon  tratto  dal  co- 
lonnello Medici. 

Il  generale  Cialdini,  avendo  nesunto  l' incarico  della 
difesa  delle  valli  limitrofe  al  Tifolo,  aveva  concentrato 
il  nerbo  delle  sue  forze  in  Valcaraonica,  e,  come  pria- 
cipale  panto,  nello  stretto  di  Breno  che  mise  tosto  in 
stato  di  difei^A. 

A  Garibaldi  era  dato  V  incarico  d' impedire  la  di- 
BCCsa  in  Loiiibai'dia  di  masse  nemiche  dal  Ttrolo. 

Importava  prima  di  tutto  impadronirsi  delle  gal- 
lerie soprastanti  alia  sti-ada  dello  Stelvio,  per  frapporre 
un  ostacolo  inespugnabile  alla  minacciata  invasione. 
Necessitava  quindi  conquistare  la  sommità  dellotìtelviot 
onde  fai'  nostro  lo  sbocoo  alla  valle  dell'Adige. 

Questo  compito  era  affidato  al  valoroso  colonnello 
Medici,  il  quale  aveva  formato  una  colonna  di  ottocento 
combattenti  con  volontari  che  il  maggiore  Fanti,  il  ca- 
pitano Bassini,  ed  il  tenente  lietcini,  avevano  aiTuoIati 
ed  armati  alla  meglio. 

H  giorno  25  giugno  Medici  diede  ordine  al  tenente 
Zambellij  comandante  una  compagnia  di  volontari  Val- 
telUnesi,  di  occupare  il  ponte  del  Diavolo  come  estremo 
avamposto,  e  la  seconda  linea  di  Pi'ese-Mondadìzza  e 
Balladore,  mentre  faceva  avanzaj'e  le  altre  truppe  su 
Mazzo,  Grosseto  e  Grosio  e  si  assicurava  i  fianchi  con 
un  distaccamento  in  Val  Grosina,  ed  un  altro  alla  som- 
miti del  Monte  Mortirolo  che  comunica  colla  Val  Ca- 
monica. 

Il  giorno  26,  mentre  Medici  enisi  recato  ad  ispe- 
zionare l'estremo  avamposto  questo    venne  di  sorpresa 


i 


17& 

attaccato.  I  pochi  ma  valorosi  Valtellinesi  si  ritirarono 
calmi  e  combattendo,  ma  arrestati  dal  Medici  In  una 
forte  posizione  a  cavallo  della  strada,  quel  pugno  d'uo- 
mini, per  oltre  un'ora,  oppose  valida  resistenza,  finché, 
sopraggiunta  un'altra  compagnia  dì  Valtellinesi  coman- 
data dal  capitano  Strambio,  gli  austriaci  furono  costretta 
a  TìtirarBi. 

n  colonnello  Medici,  visto  ohe  la  ecelta  del  ponte 
del  Diavolo  per  estrema  linea  di  diteaa  era  stata  poco 
abile,  si  spinse  ad  occupare  l' indomani  S.  Antonio  di 
Morigone,  e  fattevi  erigere  alcune  opere  di  fortificazione, 
bì  mise  in  grado  di  potersi  vtmtitggioaamente  sostenere 
fino  allo  arrivo  dì  Garibaldi  col  grosso  delle  forze. 


FrattADto  il  generale  Garibaldi  colla  brigata,  sbar- 
cara  a  Colico  il  27  giugno  e  proseguiva  fino  a  Tirano, 
dove  Beppe  che  il  generale  Cialdini,  dovendo  ripiegare 
su  Brescia,  incaricava  lui  della  difesa  degli  sboccili  dello 
Stelvio,  del  Tonale  e  CafFaro  con  Bocca  ri'Anfo;  in  con- 
seguenza di  ohe  il  generale  affidava  ai  Medici,  col  se- 
condo reggimento,  c^n  un  battaglione  de!  terzo  coman- 
dato da  Bìxlo,  colla  compagnia  carabinieri  genovesi  co- 
mandata dal  tenente  Chiassi,  con  una  sezione  d'artiglieria 
ed  un  distaccamento  del  genio,  la  difesa  dell'Alta  Val- 
tellina, mentre  egli  scaglionava  in  dietro  il  resto  dei 
suoi  cacciatori  delle  alpi. 


Il  1"  luglio  una  deputiizione  di  Bormio  avvertiva 
Medici,  che  quel  municipio  aveva  ricevuto  l'intimazione 
di  provvedere  una  forte  somma  di  denaro,  viveri  e  be- 
stiame agli  austriaci. 

It  3  luglio  Medici  sì  spinse  avanti  per  lo  stradale 
e  per  le  alture  laterali.  Giunto  a  Ceppiua,  fece  occupare 
a  sinistra  il  monte  Oga,  ed  a  destra  le  alture  di  Piazza 


e  RattB,  cbe  si  steDdono  vereo  Bormio.  Dopo  di  che, 
feoe  avanzare  due  compagnie  con  ordine  dì  occuparG  ì\ 
ponte  di  tì.  Lucia, 

Mentre  il  dìstafcam^iitcì  austriaco  clie  si  trovava  in 
Bormio  per  rintimftttv  requisizione,  strepitava  contro  il 
municipio  ctie  ritardava  hi  consegna;  duo  compagnie 
agli  ordini  del  maggiore  Fanti  ai  avanzavano  per  chiu- 
dergli il  passo,  il  che  fece  decidere  gii  austrìaci  a  darai 
a  precipitosa  fuga,  A  mezzogiorno  Bormio  era  salva. 


La  mattina  seguente  Medici  disponeva  un  attaccc 
simultaneo  da  Bormio  e  da  Ceppma;  tosto  che  vide 
due  colonne  in  marcia,  il  nemico  sì  ritirava  dai  Bagni 
Nuovi  sui  Bagni  Vecchi  dando  fuoco  alle  mine,  per  cui 
in  un  istante  si  vide    cadere   il  magnifico   ponte   dell»1 
galleria. 

Medici  die  ordine  dì  occupare  i  Bagni  Nuovi;  s'im- 
pegnò una  viva  fucilata  Ira  ì  due  stabilimenti.  Gari- 
baldi giunto  in  quel  momento,  3  luglio,  si  era  portato 
sul  luogo  del  combattimento;  gli  austrìaci  resistettero 
ostinatamente  ma;  sul  fare  della  Bora,  presi  di  tianco 
da  un  distaccaniento,  asceso  a  sinistra  (ino  a  meti^  del 
monte  delle  Scale,  e  minacciati  alle  spalle  da  altro  di- 
staccamento dìBceso  dalle  Torri  di  Fraele,  dovettero  bat- 
tere in  ritirata  dando  fuoco  alle  mine  delle  altre  gal- 
lerie, ma  senza  molto  successo. 

Al  Medici  importava  scacciare  il  nemico  al  di  là 
dello  Stelvio.  Con  questo  intendimento  dava  le  seguenti  di- 
sposizioni. D  maggiore  Blxio,  colle  forze  di  cui  disponeva,  ■ 
più  la  compagnia  del  genio,  doveva  dalle  alture  di  Piatta- 
Martina  avanzarsi  fin  oltre  a  Val  Vitelli  per  minacciare 
l'estrema  sinistra  nemica  fortificata  a  Cima  di  Sponda 
Lunga,  e  così  con  un  finto  attacco  distrarre  l'attenzione 
del  nemico  dalla  sua  destra. 

Il  capitano  Bosisio,  con  trecento  uomini  scelti  del 


177 
secondo  reggimento,  la  mattina  dell'  8  doveva  impadro- 
nirsi delle  vette  del  monte  Pedenello;  il  tenente  Croft, 
con  cii'ca  cento  carabinieri,  doveva  mostrarsi  a  tempo 
opportuno  sull'altura  che  daniina  la  quarta  cantoniera^ 
bersagliando  il  nemico  alle  spalle;  1£  Bosisìo  doveva  as- 
salire con  vigore  dalla  nostra  sinistra  il  nemico,  minac- 
ciargli la  ritirata,  e  rendere  possìbile  un  assalto  di  fronte  ; 
sulla  strada  dello  Stelvio  nelle  gallerie,  tra  la  prima  e 
la  seconda  cantoniera,- era  disposto  un  battaglione  in 
colonna  d'attacco  agli  ordini  del  maggioro  Sacchi  rin- 
forzato da  due  pezzi  d'artiglieria  che  a  gran  stento  eraniii 
potuti  trascinar  fin  lassù. 


* 


Come  alle  istruzioni  avute,  la  mattina  dell'  8  Bixio 
riusciva  ad  occupare  la  posizione  ohe  minacciava  la  si- 
niatra  nemica;  gli  austriaci  aprivano  un  fuoco  vivissimo 
colle  ecceileoci  loro  carabine,  alle  quali  solo  i  carabi- 
nieri potevano  rispondere.  Ciò  nonostante,  Bixio  si  man- 
tenne nella  posizione  finché  non  ebbe  ordine  di  ritirarsi. 

Il  nemico,  prevedendo  un  attacco,  aveva  chiesto  ed 
ottenuto  rinforzi,  ed  in  quelle  formidabili  posizioDi  vi 
aveva  concentrato  settemila,  uomini  delle  migliori  truppe, 
oltre  un  numero  di  volontari  tii"olesi  toy  eccellenti  ca- 
rabine; per  questo  fatto  la  sorpresa  di  sinistra  non  potè 
riuscire  perché  il  Bositsio  trovava  già  solidamente  occu- 
pate le  alture  di  Pedenello,  Del  resto  quello  dell'  8  fu 
un  combattimento  inutile,  perchè  in  quel  giorno  era 
stato  segnato  l'armistizio. 

Nessun  elogio  potrebbe  essere  adeguato  al  Medici, 
agli  ufflcialt  e  volontari  che  aveva  sotto  ì  suoi  ordini 
nella  difficile  e  azzardosa  impresa.  Gli  ufficiali  avevano 
fatto  a  gara  a  chi  meglio  e  piii  arditamente  potesse  ese- 
guire gli  ordini  del  loro  capo  che  idolatravano. 


Il  12  luglio  il  generale  Garibaldi  tnaiidava  al  Me- 
dici U  seguente  dispaccio  ;• 

«  Ti  fiiccio  i  miei  complimenti  per  il  bel  fatto  dello 
Stelvio,  che  ti  ha  meritato  gli  elogi  del  generale  nemico. 

<  Complimenterai  da  parte  mia  in  nome  dell'Italia 
coloro  che  si  sono  distinti;  domani  compariranno  i  loro 
'nomi  nell'ordiae  del  giorno  della  brigata  >. 


Dopo  le  vittorie  di  Solferino  e  di  S.  Martino,  l'im- 
peratore Napoleone  mandava  all'Imperatore  d'Austria  pro- 
posta di  ai-mibtizio.  Il  giorno  8  di  luglio,  in  seguito  ad 
una  conferenza  dei  commissari  incaricati,  venivano  re- 
golate le  condizioni  dell'armistizio  stestjo. 

Secondo  questa  convenzione  la  ripresa  delle  ostilità 
era  fissata  per  il  16  di  agosto. 

Ma  l'armistizio  nel  pensiero  di  Napoleone  segnava 
il  preludio  della  pace;  e  a  tal  fine  mandava  »  chiedere 
un  convegno  all'imperatore  d'Austria  che  lo  accordava. 

Il  giorno  11  i  due  imperatori  ebbero  una  confe- 
renza a  Vìllafranca^  nella  quale  furono  fissate  le  basi 
del  trattato  di  pace,  a  concludere  il  quale  fu  incaricato 
il  prineipG  Giroìsmo  Bonaparte. 

Il  12  luglio  l'imperatore  Napoleone  mandava  all'ar- 
mata, dal  suo  quartier  generale  dì  Valeggio,  il  seguente 
proclama  : 

Soldats  ! 

«  Les  bases  de  la  paix  sont  arrétèes  avec  l'empe- 
reur  d'Autriche,  le  but  prinelpal  de  la  guerre  est  ateint, 
l'Italie  va  devenir  pour  la  primière  fois  une  nation. 

«  Une  confederation  de  tous  les  Etats  de  l'Italie, 
sous  la  presidence  honoraire  du  Saint-Pére,  reunìra  en 
un  faisceau  les  membres  d'une  mSme  famfile;  la  Ve- 


179 
netia  reste,  il  est  vrai,  soua  le  sceptre  de  rAutrìche: 
elle  séra  néanmolnB  une  province  italienne  faisant  partie 
de  la  coDfederatioB. 

«  La  réunion  de  la  Lombardie  au  Plemont  nous 
crèe  de  ce  coté  de  Alpes  un  allié  puissant  qui  nous 
dérra  son  indìpendance;  les  gouTemements  restés  en 
déhors  du  mouvement,  ou  rappelés  dans  leur  posses- 
sions,  comprendront  la  necessìté  des  réforms  salutaires. 

«  Un  amnistie  generale  fera  disparaltre  les  traces 
des  discords  civiles.  L'Italie,  désormais  maitresse  de  ses 
destinées,  n'aura  plus  qu'A  s'en  prendre  à  elle-mfime, 
si  elle  ne  pregresse  pas  réguliérment  dans  l'ordre  et  la 
liberté. 

«  Vous  allez  bientot  retourner  en  France,  la  patrie 
reconnaissante  accuilléra  avec  transport  ses  soldats  qui 
ont  porte  si  haut  la  gioire  de  nous  armes  à.  Montebello, 
à,  Palestre,  à  Turbigo,  é.  Magenta,  à  Marignano  et  Sol- 
ferino, qui  en  deux  mois,  ont  affranchi  le  Piémont  e  le 
Lombardie,  et  ne  se  sont  arretés,  que  parce  que  la  lutte 
allait  prendre  des  proportions  qui  n'étaient  plus  en  rap- 
port  avec  les  intéréts  que  la  France  avatt  dans  cette 
guerre  formidable. 

<  Soyez  donc  fiers  de  vos  succés,  fiers  des  résultats 
obtenus,  fìers  sourtout  d'etre  les  enfats  bien-aimés  des 
cette  France  qui  sera  touìours  la  grande  nation,  tant 
q'  elle  aura  un  coeur  pour  comprendre  les  nobles  causes 
et  des  hommes  comme  vous  pour  les  défendre. 

Xapoleon  > 

Cosi  mentre  le  vittorie  di  Solferino  e  di  S.  Mar- 
tino ci  dovevano  schiudere  i  varchi  all'  Adige  ed  alla 
agognata  conquista  del  Veneto,  inattesa  e  dolorosa  come 
una  catastrofe,  giungeva  la  notizia  della  pace  di  Villa- 
franca. 


Gli  Italiani  appresero  con  vivo  dolore  la  fatale  do-" 
tizia,  che  troncava  d'  un  colpo  le  più  belle  speranze- 
Sfa  peiiBAndoci  poi  a  sungue  freddo,  sì  dovette  trovarci 
che  la  pace  fu  una  provvidenza,  Se  l'aiuto  della  Fran- 
cia ci  costò,  per  la  liberazione  della  Lorabardiaj  Nizza 
e  Savoia,  che  cosa  altro  ci  avrebbe  costato  l'aiuto  per  la 
liberazione  del  Veneto?  Di  pii'i,  avremo  veduto  ingran- 
dirsi il  predominio  delia  Francia  imperiale,  e  forse  effet- 
tuata l'idea  Napoleonica  della  Confederazione  Italica 
presieduta  dal  Papa  ! 

Invece  resbiva  agli  italiani  soltanto  il  compito  do-'' 
veroso  di  completare  1'  unità  della  Patria,  e  questo  do-_ 
vere  essi  lo  compirono  con  prudenza  e  con  fermezza. 

Un  artìcolo  del  trattato  di  pace  —  quello  nel  quale" 
veniva   atabilito    il    non    intervento  —  giovò   all'unità. 
Italiana,  perchè  permise  alle  diverse   provincie,  sorte  a. 
libertà,   di  proclamare    coi  loro    plebisciti   l'unioue  na- 
zionale. 


•% 


J 


Verso  la  metà,  di  agosto,  la  Toscana,  la  Romagna. 
Modena  e  Parma  concludevano  una  Ioga,  costituendo  un 
governo  dell'  Italia  centrale,  e  prescegliendo  come  co- 
mandante supremo  il  generale  .Manfredo  Fanti,  e  coman- 
dante di    divisione  il  generale  Giuseppe  Garibaldi. 

Nell'ottobre  sparsasi  la  voce  che  le  truppe  al  soldo 
del  Papa  si  adunavano  a  Pesaro  per  marciare  di  qua 
della  Cattolica,  e  che  le  Marche  bì  preparavano  ad  una 
generale  sollevazione,  il  Fanti  disponeva  che  Uarìbaldi 
si  recasse  alla  frontiera,  per  far  fronte  ad  ogni  attacO' 
del  nemico,  batterlo  ed  inseguirlo  oltre  il  confine. 

Giunto  il  generale  a  Riminì  e  stabilitavi  la  sede 
del  comando,  volle  fosse  data  esecuzione  ad  un  suo  di- 
sógno che  avrebbe  giovato  all'occupazione  delle  Marche; 


1 


181 
quello  cioè  dì  armare  alcuno  delle  navi  mercantili  che 
si  trovavano  in  quel  porto-canale. 

Furono  scelte  pel  momento  le  due  migliori,  Io  scoo- 
ner  «  Arìraìno  »  e  la  <  Fenice  »  di  proprietà  del  pa- 
triota Agostino  Pericoli  ;  del  primo  il  generale  diede  il 
comando  ad  Andrea  Rossi  di  Oneglia,  del  secondo  fu 
nominato  comandante  Augusto  Elia,  entrambi  col  grado 
dì  sotto-tenenti  di  Vascello  del  Governo  dell'Italia  cen- 
b'ale.  Essi  si  misero  all'opera  senza  ritardo  per  armare 
ed  equipaggiare  il  naviglio,  facendo  tesoro  dei  consigli 
<;^6  ad  essi  dava  il  comune  amico  colonnello  Bìxìo. 

L'Elia  intanto,  per  ordine  del  generale  e  con  l' in- 
tesa dei  patrioti  di  Pergola,  U.  B.  Jonni,  Ginevri,  Ber- 
tiboni  e  Bertucciolì,  per  la  via  dì  S.  Marino  aveva  fatto 
pervenire  nell'Urbinate  buon  numero  di  fucili,  affine  di 
promuovere  un  movimento  insurrezionale  che  provo- 
casse l'intervento  di  Garibaldi. 

Tutto  era  pronto  e  non  si  attendeva  che  l' ordine 
di  marciare. 

Ma  sorto  dissidio  fra  i  reggitori  provvisori  dei  quat 
tro  nuovi  Stati,  di  Toscana,  Romagna,  Modena  e  Parma, 
l'ordine  ritardava.  11  Ricasoll  ed  il  Cipriani,  temendo  di 
complicare  le  cose  nostre,  decidevano  di  sconfessare  le 
istruzioni  date  dal  generale  Fanti  a  Garibaldi;  ma  que- 
sti alla  loro  intimazione,  sorretto  dal  patriottico  ardire 
del  Farini,  rispondeva  fieramente  col  noto  telegramma 
—  «  Non  ricevo  ordini  che  dai  governi  riuniti  ». 

Al  dissidio  fra  il  Ricasoli  e  il  Fanti  essendo  seguito 
anche  quello  fra  il  Fanti  e  Garibaldi  che  voleva  rom- 
pere gli  indugi  e  prendere  !"  offensiva  contro  le  truppe 
papali,  il  Re  Vittorio  Emanuele  chiamava  presso  di  sé 
Garibaldi. 

All'invito  del  Re,  Garibaldi  si  re^ò  subito  a  Torino, 
e  con  lui  si  trattenne  a  lungo  colloquio.  —  Che  cosa  il 
Re  abbia  raccomandato  a  Garibaldi  non  si  seppe,  ma 
sì  potè  bene  immaginare  che  erasi  elaborato  questo 
piano  : 
13 


182 

Se  attaccato  dai  mercenari  del  Papa  Garibaldi  avreb* 
be  dovuto  sgominarli,  inseguirli  ed  ck-cupare  le  Marche] 
se  le  Marche  fossero   insorte,  correre  in   loro  soccorso. 
Tolto  di  mezzo  il  Fanti,  a  cui  il  Re  avrebbe  coiisigliat 
le  dimissioni  dal  servizio  dell'Italia  centrale,  cessava  la 
compromesihia  del  Piemonte;  Garibaldi  rappresentava  la^ 
rivoluzione,  e  nulla  bì  comprometteva  da  parte  del  gc 
verno,  se  lui    fosso  accorso  in  aiuto  degli    insorti.  In»3 
fatti  Garibaldi  lavorava  allo  scopo  di  incitare  le  Marchftj 
nlla  sommossa,  ma  queste  sventuratamente  non  davano 
aog-no  di  essere   pronta   ad   un  serio   movimeuto    inaui 
reaonale  —  e  non  potevano  neppur  tentarlo;  basti  con-' 
siderare  che  le  Marche  erano   occupate   da  imponenti^ 
forze  mercenarie  al  soldo  del  Papa,  e  che  1  migliori  pi 
trioti  erano  suti  obbligati  ad  eaili;ire  ;  i  piii   eransi 
ruotati  chi  nell'esercito  regolare  piemontese  che  nel  ve 
lontari  di  (jiaribaldi. 

Il  Farini  era  d'  accordo  col  Fanti,  ed  entrambi  ve 
levano  la  mossa  rivoluzionaria. 

11  Cipriaiii  [reputato  fautore  di  un  movimento  pc 
litico  neir  Italia  centrale  inteso  a  favorire  il  Princii 
Napoleone)  invitato  davanti  all'assemblea  delle  Romagna' 
a  daxe  ragione  dei  fatti  che  gli  sì  addebitavano,  si  di- 
mise ;  cosi  che  L.  G.  Farini  fu  chiamato  al  governo 
anche  di  Bologna,  Ravenna  e  Forlì,  formando  lo  Stato 
unico  delle  Provincie  dell'Emilia.  La  lega  dell'Italia  cen- 
trale veniva  cosi  ricomposta  in  due  Stati  :  Emilia  e  To- 
scana, d 

Graribaldi  intanto  persuaso  da  agenti  e  da  amici  che 
la  rivoluzione  fatava  per  scoppiare  nelle  Marche  era  sulle, 
moiise  per  l'occupazione. 

A!  governo  della  Lega  risultava  invece  che    l'in-' 
surrezione  era  assolutamente  priva  di  base,  e  solo  fissa 
nella  mente  di  pochissimi  esfvlCati,  pure  Garibaldi  man- 
dava un  telegramma  al  governo  annunziarne  che  la  ri- 
voluzione era  scoppiata,  e  che  egli  stimava  suo  dovei 


Ì8S 

di  accorrere  seD2a  ^tro,  come  aveva  preso  impegno,  in 
favore  di  questi  patrioti. 

L' animo  del  Farìni,  amante  delle  audaci  risoluzioni 
e  devoto  a  Garibaldi,  avrebbe  desiderato  che  l'asser- 
zione della  scoppiata  rivoluzione  fosse  vera;  ma  le  in- 
formazioni che  aveva  autentiche  la  smentivano  asso- 
lutamente; ed  obbligato  a  ricordarsi  che  egli  era  il  dit- 
tatore dell'  Emilia,  e  che  era  suo  dovere  di  agire  d'ac- 
cordo col  RicBsoli  dittatore  in  Toscana,  che  ben  sapeva, 
che  le  Marche  non  erano  nella  possibilità,  d'insorgere, 
dava  ordine  al  generale  Fanti  di  richiamare  Garibaldi 
al  dovere,  invitandolo  a  recarsi  a  Bologna. 

Garibaldi  ubbidì  alla  chiamata  ;  gli  si  fecero  pre- 
£  enti  quali  perìcoli  sarebbero  derìvati  alla  patria  se  egli 
ni  fosse  spinto  nelle  Marche  che  non  davano  segno  di 
sommossa,  e  si  cercò  di  strappargli  la  promessa  che  pel 
momento  avrebbe  rinunziato  all'impresa. 

Garibaldi  nulla  volle  promettere,  perchè  aveva  la 
certezza  che  le  popolazioni  marchigiane  qualche  cosa 
avrebbero  fatto  per  giustificare  il  suo  intervento. 

Allora  si  ricorse  dì  nuovo  al  Re  Vittorio  Emanuele, 
ed  il  14  novembre  Garibaldi  era  chiamato  a  Torino. 

n  mattino  del  17  il  generale  si  abboccava  col  Be 
e,  la  sera  stessa,  i  giornali  davano  la  notizia,  che  Ga- 
ribaldi aveva  rassegnato  le  sue  dimissioni.  Infatti,  due 
giorni  dopo,  egli  ne  dava  l' annunzio  agli  italiani  col  suo 
celebre  manifesto  da  Genova,  portante  la  data  del  19 
novembre   1859. 

<  Agli  Italiani: 

«  Trovando  vincolata  quella  libertà  d'azione  che  è 
inerente  al  mio  grado  nell'  armata  dell'  Italia  centrale, 
onde  io  usai  sempre  a  conseguire  lo  scopo,  cui  mira  ogni 
buon  italiano,  mi  allontano  per  ora  dal  militare  servizio. 
Il  giorno  in  cui  Vittorio  Emanuele  chiami  un'altra  volta 
i  suoi  guerrieri  alla  pugna  per  la  redenzione  della  Fa- 


184 

trifl,  io  ritroverò  un'arma  qualunque  ed  un  posto  avanti 
ai  miei  prodi  oonmailitoEi. 

«  La  miserabile  volpina  politica,  che  turba  il  mae-^ 
atoeo  andamento  delle  cose  italiane,  deve  persuaderci 
pili  che  mai,  che  noi  dobbiamo  Berrafci  intorno  al  prode 
e  leale  soldato  dell'  Indipendenza  nazionale,  incapace  di 
retrocedere  dal  sublime  e  generoso  auo  proposito  ;  e  pili 
che  mai  preparare  oro  e  ferro  per  accogliere  chiunque 
tenti  tuffarci  nelle  antiche  Bciagure. 

«  (?.  Garibaldi 


Dopo  cÌ6  il  generale  volle  annunciare  al  Re  la  É 
determinazione   con  questo  affettuoso   e    riverente   bi- 
glietto ; 


i 


23  novembre  1859. 


Sire, 


<  Secondo  il  desiderio  della  Maestà,  Vostra,  io  par- 
tirò il  23  da  Genova  per  Caprera,  e  sarò  fortunato 
quando  voglia  valersi  del  mio  debole  servizio. 

(t  La  dimissione  mia,  chiesta  al  G-overno  della  Tò-- 
scana  e  i  al  generale  Fanti,  non  è  ottenuta  ancora.  Prego- 
Vostra  Maestà  si  degni  ordinare  venga  ammessa. 

«  Con  aifettuoso  rispetto  di  Vostra  Maestà 

«  Dev.mo 
G.  Garìbrtdi 


Ed  il  prode,  ed  i  suoi  vecchi  amici  che  vollero  di- 
mettersi con  luì,  SchiatBno,  Basso,  Froscianti,  Elia,  Gu- 
smaroli,  Stagnetti,  Rossi,  ed  il  figlio  del  generale,  Me- 
notti, si  ritirarono  a  Caprera,  e  col^  vissero  in  famiglia, 
amandosi  come  fratelli,  e  passando  le  giornate  a  fare 
lavori  di  muratura  per  condurre  a  termine  la  casa  di 
Garibaldi,  a  dissodare  quella  parte  di  terra  dell'  isola 
che  si  prestava  alla  coltivazione,  a  cacciare  e  pescare^ 
per  provvedere  al  loro  nutrimento. 


185 


Garibaldi  era  da  poco  a  Caprera,  quando  ricevette 
una  lettera  dal  coloanello  Turr  cou  la  quale  gli  pro- 
poDera,  in  uome  del  Ministro  Rattazzi,  di  organizzare 
la  mobilizzazinne  della  guardia  nazionale,  includèndoTi 
i  volontari. 

Garibaldi  rispondeva  al  Tujt  dando  la  sua  piena 
adesione,  e  il  Turr  si  recava  da  S.  M.  il  Ke  con  la  let- 
tera ricevuta,  e  dopo  di  aver  conferito  col  Ministro  Rat- 
-tazzi  Bcriveva  al  generale  di  recarsi  a  Torino. 

Garibaldi  non  Indugiò  e,  arrivato  a  Torino,  prese 
alloggio  all'Hotel  Trombetta. 

It  1°  di  gteiJDitio  i  patrioti  di  Torino,  Sineo,  Bottero, 
Brofferio,  Le^irdi,  Turr  ed  altri,  vollero  dare  un  ban- 
chetto al  generale.  Mentre  questi  siederà  a  mensa  cogli 
amici,  una  immensa  folla  Io  acclamava  dalla  piazza. 

Garibaldi  dovette  affacciarsi  e  parlare  al  popolo  ; 
disse  essere  pieno  di  speranze  nell'avvenire  della  patria; 
di  avere  fiducia  intera  nel  Re  galantuomo,  e  molto  con- 
fidare nel  forte  carattere  del  popolo  subalpino  e  nel  va- 
lore deiresereito,  concludendo,  che  egli  non  avrebbe  de- 
posta la  spada  finché  V  Italia  non  fosse  interamente  u- 
niÉa  e  libera. 

Ma  la  dimostrazione  del  2  gennaio,  organizzata  da- 
gli studenti  universitari  fu  di  una  straordinaria  impo- 
nenza. Garibaldi  costretto  a  parlare  dal  balcone  del- 
l'Albergo disse  :  di  andare  superbo  di  quella  dimostra- 
zione che  lo  assicurava  dell' amore  per  l'Italia  della 
gioventù,  pronta,  a  liberarla  dal  fango  nel  quale  le  po- 
tenze straniere  volevano  ricacciarla;  concludendo  cosi: 
«  Ho  chiesto  un  milione  di  fucili  —  ed  oggi  vi  dico 
che  bisogna  formare  la  Nazione  armata  per  essere  pa- 
droni dei  destini  della  patria  nostra  ». 

Questo  discorso  elettrizzò  la  gioventù,  ma  ebbe  un 
grave  conti'acolpo;  poiché    il  giorno   appresso    tutto  U 


186 

corpo  diplomatico  protestava  presso  S.   M.  il  Re  contro 
le  parole  pronunziate  da  Garibaldi  ;  il  Ministero  fu  ob-^- 
bligato  a  dare  le  dimissioni,  il  generale   Garibaldi  fecei^ 
pubblicare  dalla  Gazzetta  del  Popolo  la  seg^uente  sua  let- 
tera: 

Agli  Italiani. 

<  Chiamato  da  alcuDÌ    miei  amici  ad   as&nraere 
parte  di  conciliatore  fra  le  frazioni  del   partito  liberale 
italiano,  fui  invitato  ad  accettare  la  presidenza  d'una  so- 
cietà, che  si  sarebbe  chianuita  *  La  Nazione  Armata  »"; 

-  Credetti  potere  essere  utile  ;  mi  piacque  la  gran* 
dezza  del  concetto;  ed  accettai. 

■  Ma  siccome  la  Kazione  Italiana  armata  è  tal  fatto 
che  apaventa  quanto  c'è  di  sleale  e  di  prepotente  tanto 
dentro  che  fuori  d'Italia,  la  folla  dei  moderni  ge&aiti , 
è  spaventata  ed  ha  gridato  ;  Anatema  ! 

«  n  governo  del  Re  galantuomo  fu  importunato 
dagli  allat-raiati,  e  per  non  comprometterlo  rai  sono  de-^ 
ciso  di  desistere  dall'onorevole  e  grande  proposito.  " 

•  Di  unanime  accordo  con   tutti  i  soci  —  dichiaro 
dunque    sciolta   la  società  della  Nazione   annata  —  ed 
invito  ogni  italiano,  che  ami  la  patria  a  concorrere  sJI^h 
sottoscrizione  per  l'acquisto  di  un  milione  di  fucili.      ^H 

€  Se  con  un  milione  di  fucili  l'Italia  in  cospetto 
dello  straniero  non  fosse  capace-  dì  armare  ara  milione  di 
soldati,  hieognereN)e  disperare  ddV umaniià\ 

€  L'Italia  si  armi  e  sarà  liberal  > 

Torino  4  gennaio  1860. 


0.  Garìhaldi. 


187 


H  Conte  Benso  di  Cavour  veniva  incaricato  di  for- 
mare 11  nuovo  Miniscero. 

H  IT  gennaio  ISfiO  il  colonnello  Turi  riceveva  dal 
generale  Garibaldi  la  lettera  seguente  : 

Fino,  17  Gennaio  1860. 
Mio  caro  colonnello  Turr, 

«  Vogliate  avere  la  compiacenza  di  chiedere  a  S.  M. 
se  è  deciBo  di  cedere  Nizza  alla  Francia.  Questa  do- 
manda mi  viene  fatta  molto  caldamente  dal  miei  con- 
cittadini. 

<  Rispondetemi  subito  per  telegrafo.  Si  ]  o  no  ' 

G.  Garibaldi  », 


Il  colonnello  Turr,  ossequiente  al  desiderio  del  ge^ 
neraloj  sì  recava  da  S.  M.  e  gli  consegnava  la  scessa 
sua  lettera:  ed  Egli  dopo  averla  Ietta  disse  al  Turr:-- 
urah,  urah  ni  a  no  —  è  un  po'  spiccio,  umhl  Ebbene  si  ■ — 
ma  non  telegrafategli.  —  Andate  a  trovare  Garibaldi  e 
ditegli:  —  «  Il  destino  domanda  a  noi  due  il  più  grande 
sacrifìcio  ciie  uomo  possa  fare.  E  se  a  lui  rode  il  cuore 
per  la  sua  Nizza,  deve  immaginare  il  dolore  mìo  per 
la  Savoia,  culla  della  mia  famigliai  Ma  per  fare  l'Italia 
noi  due  dovremo  compiere  questo  grande  sacrificio. 

«  Andate  a  fare  questa  mia  commìseione  a  Gari- 
baldi, 8  ditegli  che  conto  su  di  lui,  come  egli  può  con- 
tare su  di  me  per  il  bene  d'Italia  >. 

II  colonnello  Turr  portò  la  parola  del  Re  a  Gari- 
baldi, che  si  trovava  a  Fino,  e  che  subito  si  ritirava  a 
Caprera. 

Ma  non  doveva  trattenervisi  a  lungo  perchè  venne 
il  momento  iii  cui  Garibaldi  dovette  decidersi  a  passare 
sul  continente  assieme  ai  suoi  fidi  compagni. 


188 

Arrivato  a  Genova,  dopo  breve  sosta  in  ciisa  del 
suo  amico  Coltellettì,  il  generale  si  recava  ad  alloggiare 
ji  Quarto  nella  Villa  Spinola  presso  il  suo  vecchio  amico 
e  compagno  del  1S4JI,  Augusto  Vecchi. 

Gli  alti'l  prendevano  stanza  uella  locanda  di  Ra- 
sehinniQo  lU  porto,  pronti  a  tutto  per  il  raggiungimento 
dell'alto  ideale:  l'unìtji  della  patria  con  Roma  capitale  ! 


CAPITOLO  XI^. 

IB60  —  Spedizione  dei  mille  —  Marsala  —  Salemi  —  Caia- 
tafìtnì  —  Palermo  —  Miiazzo  ~  Reggio  Calal}ria  — 
Napoli  —  Volturno. 

Liberazione  dell'italia  Meridionale  consegnata  a 
Vittorio  Cmanuele. 


Era  il  mese  di  aprile^  e  notizie  giungevano  che  in 
Sicilia  si  combatteva  per  scuotere  il  giogo  borbonico  ^ 
per  rivendicarsi  a  libertà 

Già  Francesco  Crispi  anima  della  parte  più  avan- 
zata degli  esuli  siciliani,  presi  accordi  con  Mazzini  e  col 
Farini  dittatore  dell'Emilia,  che  pure  era  sempre  incli- 
nato a  tutti  gli  ardimenti  per  l'uni  Acanzio  ne  d^elIa  patria, 
si  era  arriscliiato  a  recarsi  nascostamente  in  Sicilia  per 
dare  anima  e  impulso  all'insurrezione;  i  ]>atrioti  s'in- 
tesero, e  ottenuto  dal  generale  Garibaldi  che  coi  suoi 
sarebbe  andato  in  Sicilia  la  sollevazione  dell'isola,  che 
le  brutalità  del  governo  borbonico  avevano  resa  fre- 
mente di  libertà,  fu  deliberata.  —  Si  decìse  di  fare  del 
Convento  della  Gancia  la  base  di  operazione  della  rivo- 
luzione; e  cosi  fu. 

All'alba  del  4  aprile,  il  suono  delle  campane  a  stormo 
chiama\'a  all'armi  la  città  di  Palermo. 

Alia  testa  degli  animosi  che  dovevano  cominciare 
il  fuoco,  era  il  popolano  Francesco  Riso,  anima  di  pa- 
triota e  di  eroe. 


1S9 

e   .a.    L 

Fatalmente,  come  avviene  sempre  nelle  cospirazioni 
vi  fu  il  delatore,  che  informò  il  Maniscalco,  il  quale 
nella  notte,  fatti  occupare  tutti  gli  sbocchi  che  portavano 
al  Convento,  si  tenne  preparato  a  soffocare  nel  sangue 
la  sommosRa  popolare. 

AI  Suono  delle  campane  fu  pronto  il  Riso  col  suoi 
ad  uscire  dal  Convento,  e  furono  pronte  altre  squaiire 
per  sostenerlo.  Ma  sopraffatti  dalle  soldateBche  borboniche 
chs  tibufavano  da  ogni  parte,  furono  ben  presto  accer- 
chiati e  risospinti  nel  Cotivento,  ove  i  prodi  difensori 
vendettero  cara  la  loro  vita;  assieme  coi  trucidati  cad- 
dero da  eroi  il  Riso  ed  il  Padre  Angelo  di  Monte  Mag- 
giore. 

Anche  le-  bande  armate,  che,  secondo  gli  accordi,  da 
og-ni  parte  si  erano  accostate  ai  sobborghi  ed  alle  porte 
della  città,  dovettero  ritirarsi  ai  monti  non  essendo  più 
sostenute  dalla  insurrezione  interna.  Ma  la  rivolta,  non 
era  per  questo  vinta,  perchè  le  squadre  non  ai  agoraen- 
farono  e  non  si  sciolsero,  ma  si  mantennero  nelle  alture 
resistendo  agli  attacchi  dei  borbonici  e  respingendoli. 

Al  generale  Garibaldi  eran  cog-nlti  questi  fatti;  già 
egK  aveva  scritto  al  direttore  delI'Ammims trazione  Ru- 
ììAEtino  la  seguente  lettera  : 


Mio  caro  Fan  che, 

«Io  posso  disporre  dì  centomila  franchi;  desidero 
non  impiegarli  tutti  per  trasportarmi  in  Sicilia  con  al- 
eunì  compagni^  però  li  metto  a  vostra  disposizione  per 
indennizzare  rAmministrazione  delle  spese  e  dei  danni 
che  potrebbe  aortrìrc  il  «Piemonte»  od  il  «S.Giorgio» 
in  un  viaggio  a  Malta  od  a  Cagliari,  potrebbe  soddisfare 
il  voto  di  tutti. 

*  Non  ho  certamente  bis>gno  di  fare  appello  al 
vostro  patriottismo  —  Dio  vi  spiani  le  difficoltà  che 
l'impresa  propostavi  potrebbe  Incontrare. 

G.  Garibaldi. 


190 


A  questa  lettera  del  Generale  il  cav.  0.  B.  Fauch^j 
rispondeva  :  ^| 

«  Che^  ben  felice  dì  potere  rispondere  al  suo  appello 
il  vapore  sarebbe  stato  a  sua  disposizione:  Che  ì  cen- 
tomila franchi  se  li  portasse  in  Sicilia,  ove  avrebbero 
servito  per  altri  bisogni;  raccomandava  come  condizione 
indispensabile  la  massima  segretezza....  > 


<J 


Ma  in  seguito  le  notizie  dall'isola  giungevano  assai 
incerte  e  conEradittorie  ;  alcune  dicevano  cbe  anche  gli 
insorti  delle  campagne  erano  stati  domali;  altre  invece 
affermavano  che  essi  mantenevano  coraggiosamente 
vivo  il  fuoco  dell' insurrezione,  dando  filo  da  torcere 
alle  truppe  borboniche. 

Bisognava  accertarsi  del  vero  stato  delle  cose,  e 
Rosolino  Pilo  e  Con-ao,  cari  patrioti  siciliani,  sì  presero 
l'impegno  di  sfidare  il  pericolo,  di  recarsi  in  Sicilia  per 
abboccarsi  cogli  insorti,  infondere  in  essi  nuova  lena  per 
la  resistenza  e  mandare  informaziooi.  A  tale  uopo  Ga- 
ribaldi consegnava  loro  una  lettera  con  caldo  appello  ai 
patrioti  siciliani. 


* 
*  * 


iva  da    " 


Anche  Nicola  Fabrizi,  grande  patriota,  mandava' 
Malta  a  Crispi  non  liete  novelle  Bull'  insun'ezione  sici- 
liana. Ma  Criapi  elle  voleva  far  decidere  risolutamente 
Garibaldi  faceva  sapere,  a  modo,  suo  che  le  notizie  erano 
buone, 

I  più  decisi  aJla  spedizione  erano  Crispi,  Bertani, 
Bisio;  Stefano  Turr  dicliiarava  che  avrebbe  seguito 
Garibaldi  in  qualsiasi  impresa.  Sirtori  faceva  la  stessa 
dichiarazione;  Medici  decideva  di  rimanere  per  seguire 
il  generale  con  altre  spedizioni. 


jC  insiaistenze  di  Crispi,  HPBertani,  di  Bisìo,  la. 
vinsero.  Il  1»  di  maggio  dalla  bocca  di  Garibaldi  usciva 
la  fatidica  parola  <  Partiremo!  ».  Elia,  che  si  trovava 
presso  al  generale,  ebbe  l'incarieo  di  preparare  gli  e- 
quipaggi.  Egli  avrebbe  voluto  cbiaraare  i  marinari  che 
ayeya  ayiito  sotto  i  suoi  ordini  nei  legni  armati  a  Ri- 
mini,  ma  Garibaldi  non  credette  di  aecordargli  tale 
consenso,  perchè  non  voleva  si  propagasse  troppo  la 
notìzia  della  spedizione. 

A  Genova  vi  erano  buoni  marinari  volonterosi.  Elia 
li  arruolò  e  mandò  il  Capitano  della  marina  mercantile 
Carlo  Burattini,  per  arruolarne  altri  a  Livorno.  Bixio 
ebbe  l'incarico  di  provvedere  al  resto.  Occorrevano  navi. 
Egli  fissò  col  rappresentante  di  Rubattiuo  oav.  Fauchè 
la  presa  dì  possesso,  a  momento  opportuno,  non  di  uno 
ma  dei  due  Tflpori  <  Piemonte  >  e  *  Lombardo  >.  In 
breve  tutto  fu  pronto. 

Nella  notte  dal  4  al  5  maggio,  chiamati  in  casa  sua 
Andrea  Rossi  ed  Elia,  Bixìo  dispose  che  Rosai  con  Schiaf- 
fino e  col  macchinista  Canapo  prendesse  possesso  senza 
rumore  del  «  Piemonte  »  con  metà  deU'equipiiggio,  ed 
Elia,  con  l'altra  metà,  con  Menotti  Garibaldi  e  con  Or- 
lando macchinista  s'impossessasse  del  <  Lombardo  ». 

La  presa  di  possesso  dei  vapori  fu  eseguita  col  mas- 
simo ordine  e  silenzio.  Quando  Bisio  verso  le  4  ant.  ar- 
rivò col  rimorchiatore,  gli  ormeggi  erano  già  stati  ab- 
bandonati, e  tutto  era  pronto.  Accodato  al  rimorchiatore 
il  «  Piemonte  >,  e  dietro  al  «  Piemonte  »  il  ♦;  Lombardo  », 
alle  5  del  mattino  del  5  maggio  i  vapori  erano  già  fuori 
di  Quarto,  per  ricevere  a  bordo  il  generale  Garibaldi  ed 
i  mille  suoi  compagni. 


Prima  d'imbarcarsi  il  generale  Garibaldi  aveva  rac- 
comandato al  suo  grande  amico  Medici  dì  preparare  altre 
legioni  che,  da  lui  comandate,  lo  avrebbero   raggiunto 


1S2 

ili  Sicilia  se  la  sorte  gli  fosse  stata  propizia  — ■  e  il  Me- 
dici, ossequiente  ai  desideri  di  Garibaldi,  scrÌTeva  al 
Panizzi  a  Londra  cosi  : 


Genova,  6  maggio  1860. 


Caro  Panizzi, 


«  Garibaldi  con  1000  uomini  corre  il  mare  in  due 
battelli  a  vapore,  da  ieri  mattina,  alla  volta  della  Sicilia. 
L'impresa  é  generosa;  Dio  la  proteggerà,  e  proteggerà 
la  fortuna  dell'eroico  condottiero. 

«  Io  sono  rimasto  per  appoggiare  l'ardita  iniziativa 
con  una  seconda  spedizione,  o  meglio  coti  vna  potente  di- 
versione alirom^  ma  i  mezai  ci  maBcano.  Bertanì  ha  fatto 
miracoli  di  attività,  che  molto  hanno  prodotto,  ma  che 
la  prima  spedizione  ha  completamente  esauriti. 

Caro  Panizzi,  non  lasciarci  soli,  non  laacìamo  solo 
il  nostro  Garibaldi  e  i  suoi  generosi  compagni  ■». 

Tuo  aftmo 
Medici 


Dopo  l'ìraharcQ  dei  Mille,  che  fu  eseguito  nel  più 
breve  tempo  possibile,  si  fece  rotta  per  la  riviera  di  Le- 
vante a  piccola  velocità,  attenti  tutti  per  vedere  dì  sco- 
prire le  barche  che  dovevano  portarci  a  bordo  le  carar 
bine  inglesi,  i  revolvera  e  le  munizioni. 

Appena  montato  sul  ponte  di  comando  del  «  Pie- 
monte »  Garibaldi  aveva  domandato  al  Castiglia  ed  al 
Rossi  se  si  erano  imbarcate  queste  armi.  Avuta  risposta 
negativa,  sorse  nella  sua  mente  un  terribile  dubbio:  eg^lì 
fece  tosto  segnalare  al  «  Lombardo  »  dì  accostarsi  e  ar- 
rivato a  portata,  con  voce  tonante  domandò  : 

^-  BixiOj  quanti  fucili  e  munizioni  avete   caricati? 

—  Mille  fucili  —  rispose  Bixio. 

—  E  1  revolvera,  le  carabine  e  le  cartucce  ?  ri"battè 
•Oari  baldi. 

—  Null'altro,  replicò  Bixio. 


193 

Fu.  un  brutto  colpo  —  Si  pensò  ad  un  basso  tradi- 
mento —  Anche  da  Livorno  ci  dovevano  venire  anni 
e  munizioui,  ma  anche  quelle  mancarono!  Garibaldi  non 
si  perdette  però  d'animo  —  il  dardo  era  tratto  —  non 
era  più,  possibile  arrestarlo. 


Il  «(  Piemonte  >,  comandato  da  GaribEtldi  in  persona, 
procedeva  avanti.  Aveva  per  ufficiali^  madnflri  sotto  gli 
ordini  suoi,  Castiglia,  Rossi,  Schiaffino  e  Gastaldi.  Con 
Garibaldi  erabo  Criapi,  Turr,  Sirtoiì,  Miasori,  Nuvolari, 
e  Bandi  provati  e  valorosi  compagni. 

Seguiva  il  «  Lombardo  >  coraandante  Bixio.  secondo 
comandante  Elia,  ufficiali  Dezza,  Menotti  Garibaldi,  e 
Carlo  Burattini,  capo  macchinista  Orlando  Giuseppe. 

Per  quanto,  costeggiando,  si  cercassero  per  ogni  dove 
le  barche  con  le  armi  e  le  munizioni  non  si  presentarono 
in  vista;  e  perduta  ormai  la  speranza  di  scoprirle  il  gè- 
nierale  ordinai  rotta  a  tutta  forza  pel  canale  di  Piombino. 

11  <t  Piemonte  »  ed  il  «  Lombardo  >  portavano  sul 
loro  bordo  l'Italia  e  la  sua  fortuna.  Se  la  spedizione  riu- 
sciva, t'unita  della  patria  era  assicurata;  se  falliva,  i 
Mille  sarebbei'o  sempre  rimasti  immortali  ! 

La  spedizione  del  resto  non  si  nascondeva  al  ne- 
mico: la  pubblicità  data  alla  lettera  lasciata  da  Gari- 
baldi a  Bertani  primìi  della  partenza,  la  rendeva  notlv 
al  mondo. 

Genova,  5  maggio  1860 

Mio  caro  Bertani, 

*  Spinto  nuovamente  sulla  ecena  degli  avvenimenti 
patrii,  io  lascio  a  voi  il  seguente  incarico. 

<  Raccogliere  quanti  mezzi  sono  possibUi  per  coa- 
diuvarci nella  nostra  impresa. 

«  Proc-urare  di  far  capire  agli  Italiani,  che,  se  sa- 
remo aiutati,  sani  fatta  ri^liajp^pcp  teinj>Q,e,,9Q^,poc^ 


194 

speBa:  ma  che  non  avranno  fatto  il  dovere  loro,  quandi 
tìi  limitassero  a  qualche  sterile  sottoscrizione. 

«  Che  r  Italia  iibeni  d'oggi  in  luogo  di  200.000  sol- 
dati deve  armarne  500.000,  numero  non  certamente  spro- 
porzionato alla  popolaziofl.e,  poiché  tale  proporzione  di 
soldati  l'hanno  gli  Stati  vicini,  che  non  hanno  indipen- 
denza da  conquistare. 

«  Con  tale  esercito  l'Italia  non  avrà  più  bisogno  di 
padroni  stranieri,  che  se  la  mangiano  a  poco  a  poco  col 
pretesto  di  liberarla. 

«  Che  ovunque  sono  italiani  che  combattono  oppres- 
sori, fa  bisogno  sptng'ere  gli  animosi  a  dare  loro  aiuto  e 
provvederli  del  necessario. 

»  Che  r  insurrezione  Siciliana  non  solo  in  Sicilia  bi- 
sogna aiutare,  ma  dovunque  sono  nemici  da  combattere. 

*<  Io  non  consigliai  il  moto  della  Sicilia,  ma  venuti 
alle  mani  quei  fratelli  nostri,  io  ho  creduto  obbligo  di 
aiutarli. 

«  Il  nostro  grido  di  guerra  sarà  Italia  e  Vittorio  Ema^ 
nude  e  spero,  che  anche  questa  volta,  la  bandiera  ita- 
liana non  riceverà  sfregio. 

Vostro  '■OH  affetto 
Q,  GaribaJdi  ». 


M 


Altra  lettera  iiveva  già  diretta  il  giorno  innanzi  al 
Re  Vittorio  Emanuele  :  • 


Genova,  4  maggio  1860 


Sire, 


«  Il  grido  d'affanno,  che  dalla  Sicilia  arrivò  alle  mie 
orecchie  ha  commosso  il  mio  cuore  e  quello  di  alcune 
centinaia  dei  miei  vecchi  compagni  d'armi,  lo  non  ho 
coD3Ìp:liato  il  movimento  insurrezionale  dei  miei  fratelli 
di  Sicilia,  ma  dal  momento  che  essi  si  sono  sollevati  a 
nometleir  unità,  italiana,  di  cui  Vostra  Maestre  la  perso- 
nificazione, contro  la  più  infame  tirannia  dell'epoca  nostri 


195 

non  Ilo  esitato  dì  roetterrai  alla  testa  della  Rpedizione. 
ào  bene,  che  m' imbarco  per  un'  impresa  pericolosa  assni, 
ma  pongo  confidenza  in  Dio,  nel  coraggio  e  nella  devo^ 
zìone  dei  miei  compag-ni. 

«  Il  nostro  g'rido  di  guerra  sarà  sempre  «  Viva  l'U- 
nità Italiana  1  «  Viva  Vittorio  Emanuele,  suo  primo  e 
più  bravo  soldato  !  » 

«  Se  noi  falliremo,  spero  cbe  l' Italia  e  1'  Europa 
liberale,  non  dimenticlieranno  cbe  questa  impresa  è  stata 
decisa  per  motivi  puri  affatto  da  egoismo,  ed.  intera- 
mente patriottici. 

<  Se  riusciremo,  garò  superbo  di  ornare  la  Corona 
di  Vostra  Maestà  di  questo  nuovo  e  briliautisairao  gio- 
iello, a  condizione  tuttavia,  che  Vostra  Maestà,  si  oppon- 
&  che  i  di  Lei  consiglieri  cediino  questa  Pro\incia  allo 
straniero,  come  hanno  fatto  della  mia  terra  natale  e  di 
quella  dei  Vostri  Avi. 

«  Io  non  ho  partecipato  il  mio  progetto  a  Vostra  Mae- 
stà; temevo  infatti,  che  per  la  reverenza  cbe  Le  professo, 
Vostra  Maestà  non  riuscisse  a  persuadermi  d' abbando- 
narla. 

«  Di  V.  Maestà,  Sire,  il  più  devoto  suddito 


G.  Garibaldi  » 


Ed  all'  esercito  scrìveva  co^  : 


-    Soldati  Italiani, 

«  Per  alcuni  secoli,  la  discordia  e  l' indisciplina  fu- 
rono sorgenti  di  grandi  sciagure  per  la  patria  nostra. 
Oggi  è  mirabile  la  concordia  che  anima  1*^  popolazioni 
tutte  dalla  Sicilia  alle  Alpi.  Però  di  disciplina  si  difetta 
ancora,  e  su  di  voi,  che  sì  mirabile  esempio  ne  deste  e 
di  valore,  essa  conta  per  riordinarsi  e  compatta  presen- 
tarsi al  cospetto  di  chi  vuole  manometterla.  Non  vi  sban- 
date dunque,  o  giovani,  resto  delle  patrie  battaglie  ;  sov- 
venitevi elle  anche  nel   settentrione  abbiamo  nemici  e 


196 
fratelli  schiavi  —  e  che  le  popolazioni  del  mezzoglff^..^^ 
sbarazzale  dai  mercenari  del  Borbone,  abbisogneraoao; 
dell'  ordinato  vostro  marziale  insegnamento,  per  prese 
tare!  a  maggrioh  conflitti. 

«  Io  raccomando  dunque,  in  nome  della  patria  r: 
nascente,  alia  gioventù  che  fregia  le  file  del  prode  eae 
cito  di  non  abbandonarle,  ma  di  atritigorsi  vieppiù  ai 
loro  valoio&i  ufficiuli  ed  a  Vittorio  Emanuele,  la  di  cui 
bravura  non  tarderà,  a  condurci  tutti  a  definitiva  vÌt-_ 
toria. 


G.  Garilaldi  » 


La  mattina  del  7  mag'gio  ì  due  piroscafi    andarono 
ad  ancorare  a  Talamone,  a   breve    Eratto   dal  porto  di 
S.  Stefano  e  della  fortezza  di  Orbetello.  Garibaldi  sce 
a  terra,  vestito   da  generale   del   1859,  ottenne  dal  co 
mandante  del  luogo  tutto  quello  che  gli  occorreva,  li 
mitatamente  alla  possibilità  sua;  cosi  si  ebbe  un  piccolo 
numero  di  fucili  ed  una  vecchia  colubrina. 

Saputo  dal  comandante  di  Talamone,  che  nel  foitff 
di  Orbetello  si  trovava  altro  armamento,  il  generale  vi 
spediva  il  colonnello  Ttlrr  con  una  sua  lettera  chieden 
al  colonnello  G-iorgini,  cximandante  del  forte,  armi  e  m 
nizioni. 

Verso  sera  giungeva,  col  Ttlrr,  lo  steaao  comandante 
dì  Orbetello,  il  quale  fatto  persuaso  dal  TUrr  che  la  spe- 
dizione di  G.-iribaldi  era  fatta  sotto  gli  auspici  del  Ke. 
aveva  messo  a  disposizione  del  generale  tutto  quello  che 
di  armamento  si  trovava  nel  forte,  e  cioè  tre  cannoni 
da  sei  con  1200  cariche,  alcuni  fucili,  cartucce,  ecc. 
tre  cannoni  due  soli  erano  coli'  affusto. 

Una  parte  dello  scopo  era  raggiunto,  ma  il  gene 
rale  approdando  a  Talamone  aveva  in  animo  un  disegno' 
molto  più  alto.  Il  pensiero  vagheggiato  nel  1859  di  una 
invasione  nello  Stato  Pontificio  per  la  Cattolica  non  era 
mai  stato  da  lui  dimenticato.  Egli  sperava  che,  data 


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D^ 

mfìV 


197 

spiata,  sapendosi  la  Sicilia  sollevata,  una  vasta  sora- 
mossii  avrtìbbe  messo  in  fiamme  la  Penisola  tutta;  per 
cui,  fatto  chiamare  n  se  il  colonnello  Zambianchi,  gli 
affidava  rmcarjco  d'invadere  lo  Stato  Pontificio  dalla 
parte  di  Orvieto,  per  promuovervi  la  rivoluzione.  A  tal 
uopo  staccò  dai  mille  una  schiera  di  60  prodi  armati, 
e  consegnato  al  2^mbianchi  un  manifesto  pei  Romani 
ed  un  foglio  d'istruzioni,  gli  ordinò  dì  prepararsi  alla 
partenza.  Fra  i  tanti  bravi  ohe  ebbero  ordiJie  di  accom- 
pagnare il  Zarabianchi  eranvì  pure  i  cari  compagni 
Guerzoni  e  Pittaluga, 

Prima  di  partire  da  Talamone  il  generale  acriveva 
a  BertauL  cosi: 

Caro  Bertanij 

«  Nella  notte  della  nostra  partenza  si  smarrirono 
due  barche  che  portavano  le  munizioni,  i  capellozzi, 
tutte  le  carabine  e  revolvers,  230  Incili  ecc.  Nel  giorno 
seguente  cercammo  indarno  tali  barche  per  molte  ore, 
e  poi  proseguimmo. 

«  Qui  abbiamo  rimediato  alle  principali  urgenze^ 
grazie  alla  buona  volontà  delle  autorità  di  Orbetello  e 
di  queste. 

«  Fra  poco  avrete  altre  notizie  dì  noi. 

*  Frattanto  fate  ritirare  tutti  gli  oggetti  suddetti. 

«  Con  atfetto. 

«  Talamone,  8  maggio 

Vostro:  G.  Garìhaldi 


Poi  perchè  nessuno  dovesse  aver  danno  in  causa 
della,  presa  di  possesso  dei  due  vapori  <  Piemonte  »  e 
<  Lombarbo  »  mandava  a  Bertani  la  seguente  lettera 
da  consegnarsi 

14 


198 


Ai  Signwi  Direttori  dei  Vapori  Nazionali 

Signori, 

«  Dovendo  iiiiprt-ndere  un'operazione  in  favore  d'i- 
Laliani  militiiiiti  per  la  cii.»s«i  della  patria,  di  cui  il  go- 
verno non  può  occuparsi  per  diplomatictie  considerazioni, 
lio  dovuto  impadronirmi  di  due  vapori  dell'amministra- 
^iioiia  dalle  LL,  8S.  diretti!,  e  larlo  all'insaputa,  del  go- 
verno s-leam  e  di  tutti. 

«  lo  attuai  un  atto  di  violenza:  ma  comunque  va- 
■dano  le  cose  io  spero  che  il  mio  procedimeTito  sarà 
kìu stili cato  dalla  santa  CtUisa  da  noi  .servita  e  che  it 
paese  intero  rorrà  riconoscere  come  debito  suo  da  sod- 
disfare, i  danni  dii  me  recati  airamniìnisti-azione. 

»  Quandachè  non  si  verificassero  le  mie  previsioni 
fjull 'interessa mento  della  Nazione  per  indennizzarli,  io 
impegno  tutto  quanto  esiste  in  danaro  e  materiale,  ap- 
jjartenente  alla  sottoscrizione  pel  milione  di  fucili,  ac- 
ciocché con  questo  si  paghi  qualunque  danno,  avaria,  o 
perdita  a  LL.  SS.  ca.gÌonata,  Con  tutta  considerazione 

G.  Garibaldi. 
Genova,  5  magfjio  1860. 


•  * 


La  mattina  dell'S  maggio,  salpati  da  Talamone,  i 
ì'apori  della  spedizione  si  ancorarono  nel  vicino  porto 
■di  3,  Stefano  per  prendervi  il  resto  delle  provvigioni 
ed  il  carbone,  ed  alla  sera  si  misero  in  rotta  per  po- 
nente libeccio  colla  prua  verso  l'Africa.  Fra  le  istru- 
zioni data  dal  generale  Tiaribaldì  a  Bixio.  principali 
erano  le  Rejjuenti:  Seguire  il  «  Piemonte  »,  e  se  sì  fosse 
incontrata  ijualche  nave  da  guerra  nemica,  correre  ad- 
dosso all'arrembaggio. 

Prima  di  lasciare  Talamone  venne  affisso  sull'albero 
di  maestra  dei  due  vapori  il  seguente 


id9 


ORDINE  DEL  GIORNO: 


Maggio  8,  da.  bordo  del  Piemonte. 
«  Cacciatori  delle  Alpil 

«  La  missione  di  questo  Corpo  è  basata  sull'abne- 
gazione la  più.  completa  davanti  alla  rigenerazione  della 
patria.  I  prodi  cacciatori  servirono  e  serviranno  il  loro 
paese  colla  devozione  e  disciplina  dei  migliori  corpi  mi- 
litari, senz'altra  speranza  che  quella  della  loro  inconta- 
minatji  coscienza,  Non  gradì,  non  onori,  non  ricompense 
allettarono  questi  bravi. 

<  Essi  si  rannicchiarono  nella  modestia  della  loro 
vita  privata  allorché  scomparve  il  pericolo;  ma,  suo- 
nando di  nuovo  l'ora  della  pug-na,  l'Italia  li  rivede  an- 
cora in  prima  fila,  volenterosi  e  pronti  a  vei'sare  il  loro 
sangue  per  essa. 

«  Il  grido  di  guerra  dei  Cacciatori  delle  Alpi    è  lo 

stesso  che  rimbombò  sulle  sponde  del  Ticino,  or  son  do- 

-dioi  mesi:  <  Italia  e  Viitono  Emanuele  »  e  questo  grido, 

pronunziato  da  eroi,  susciterà  spavento  ai  oemici  d'Italia, 

G.  Garibaldi.  > 


L'organizzazione  del  corpo  era  la  seguente  : 


Stato  Maggiore 

Sirtori  Giuseppe,  capo  di  stjito  mafirgiore,  Tarr,  primo 
_ìùutante,  Crispi,  segretario  di  Stato,   Menotti  Garibaldi, 
Schiaffino,  aiutanti,  Manin,  Calvino,  Maiocchi,  Graz- 
"KTotti,  Borchetui,  Bmzzesi,  Cenni,  Montanari,  Bandi.  Sta- 
gnetti,  ufficiali  d'ordinanza. 

Basso  Giovanni,  segretario  generale. 


aoo 


Comandanti  delle  Compagnie 
Nino  Bbcio,  comandante  la  1"  Compagnia 


Orsini 

» 

o» 

^ 

» 

Stocco 

» 

3'' 

» 

La  Maea 

» 

4' 

> 

Anfossi 

» 

5" 

» 

Carini 

» 

6" 

* 

Cairoli 

» 

7' 

» 

Intendenza 
Acerbi,  Bovi,  Maesìio,  Bodi 

Corpo  Medico 
Ripari,  Uiulini,  Boldrinì 

Erano  eoi  Mille  Talorosi  compagni  di  altre  nazioni. 
Il  colonnello  Peui-d,  il  maggiore  Da,wiijig,  il  capitano 
Forbes  inglesi,  Deflotte,  Lftcroix,  Bordon.  Diinaas  fran- 
cesi. Alcuni  Talorosi  ungheresi  con  Turr  e  Tuckory. 

Un  ordine  di  Garitialdi  diceva  : 

«  L'organizzazione  è  la  stessìa  dell'Esercito  italiano 
a  cui  apparteniamo,  ed  i  gradi,  dovuti  al  merito,  sono 
gli  atea&i  già  coperti  su  altri  campi  di  battaglia, 

G.   Garibaldi  » 

Prima  di  lasciare  S.  Stefano  Garibaldi  fece  formare 
un'ottava  compagnia,  comandante  Baasini;  della  2'^  fu 
dato  il  comando  a  Dezza  e  l'Orsini  ebbe  il  comando 
dell'artiglieria. 

la  due  giorni  di  viaggio  nulla  dì  notevole  accadde. 


La  sera  dal  10  all'  11  maggio  il  «  Piemonte  »  for- 
zata la  niacchina,  comiociò  a  lasciarsi  indietro  il  «  Lom- 
bardo >  che  camminava  due  nodi  all'ora  di  meno,  fino 
a  perderlo  totalmente  di  vista,  per  quanto  su  questo  si 
fosse  pure  forzata  la  macchina  per  mantenersi  vicini. 


SOI 

Era  certo  intenzione  del  generale  Garibaldt  di  spin- 
gersi quanto  più  avanti  poteva^  per  ecoprire  il  Marittimo, 
prima  del  t^ad&re  deUn  notte;  però  se  per  il  «  Piemonte  >, 
che  portava  con  sé  il  comandante  della  spedizione  tutto 
andava  bene,  non  era  cosi  pei  «  Lombardo  »  che,  per- 
duto di  vista  il  «  Piemonte  >,  aveva  perdutala  sua  guida, 
e  non  sapeva  quale  direzione  tenere.  Intanto  la  notte 
era  scesa  oscura,  e  Bixio  sul  ponte  di  comando,  con 
l'ansietà  di  chi  sente  una  gravissima  responsabilit-à  pe- 
sare sopra  di  sé,  stava  assieme  con  Elia,  spiando  m  da 
prua  si  scoprisse  una  traccia  del  <  Piemonte  ».  Si  era 
giunti  in  vista  del  Mariiiimo  ed  il  «  Piemonte  >  non  si 
vedeva.  Ad  un  tratto  dal  timoniere  isi  dà  l'avviso^  che 
un  vapore  era  in  vista  dalla  parte  (M  poppa;  ed  infatti  dal 
lato  opposto  a  quello  da  dove  il  «  Piemonte  »  era  scom- 
parso se  ne  scopriva  uno,  che  si  avanzava  su  noi  gua- 
dagnando rapidamente  sul  nostro  cammino.  Esso  aveva, 
i  fanali  spenti;  questa  precauzione  (che  se  era  necessaria 
per  noi,  nhe  volevamo  passare  inosservati,  non  poteva 
ewerlo  per  u.tì  pacchetto poiitate  od  alti'o  ordinario  vapore) 
fece  credere  a  Bixio  che  avevamo  a  fere  con  un  naviglio 
borbonico  in  crociera;  ordinò  quindi  che  sì  desse  la  mag- 
giore velocità  alla  macchina  e  che  tutto  si  approntasse 
per  un  arrembaggio,  se  non  fosse  stato  possìbile  evitare 
■  il  combattimento. 

La  nave  che  si  supponeva  nemica  intanto  si  avan- 
zava sempre  più,  il  che  rendeva  inutile  ogni  sforzo  per 
non  essere  raggiunti.  Bixio  allora,  raccomandando  il  si- 
lenzio, tutto  dispose  per  l'arrembaggio  e,  risoluto  ad  una 
pronta  ed  energica  azione  pregava  Elia  di  prendere  egli 
BtefiBO  il  timone  per  meglio  dirigere  l'abbordaggio.  Era 
jt  vapore  giunto  a  breve  distanza,  tutto  era  pronto  per 
dargli  addosso,  quando  il  suono  della  campana  con  cui 
i!  generale  Garibaldi  era  uso  comandare  al  timoniere  U 
direzione  del  naviglio,  ed  al  quale  Elia  erasi  abituato 
nei  passati  giorni  di  continua  sorveglianza,  venne  prov- 
videnzialmente a  colpire  le  sue  orecchie. 


marmalo,  corsei 


202 

Lasciò  Elia  subito  il  "Hinòne  ad  un 
sul  ponte  (lì  comando  per  avvisjire  Bixio  che  il  Tapor© 
che  taceva  forza  dì  macchiita  per  ragg'iung'ere  il  «  Lom- 
bardo »  em  il  «  Piemonte  »;  tanti  era  la  fiducia  che 
Bizio  aveva  nel  suo  secondo,  che  ordinò  alla  macchina 
di  fermare  per  attendere  l'arrivo  del  g-enerale;  e  difatti 
poco  appresso  la  voce  di  Garibaldi  si  faceva  sentire  nello 
tenebre  «:  Oh  capitano  Bixio  !  —  che  cosa  fate  ?  volete. 
mandarci  a  fondo  ?  » 

«  Q-enerale,  rispondeva  Bixto,  vi  siete  allontanato  e- 
vi  ho  perduto  dì  vista.  Vi  ho  creduto   nave   nemica    &■', 
manovra\/o  per  darvi  ran'embag;,'io  *  —  Bixio  faremo 
rotta  per  Marsala  »■  —  ♦;  Va  bene  generale  »  —  e  si  segui 
11  «  Piemonte  »  per  ^jjiella  direzione. 

Verso  lo  nove  del  mattino  il  «  Piemonte  *  ed  i 
*  Lombardo  »  oltrepassata  l'itìola  Favìj,'naTia  erano  h 
vista  di  Marsala,  quando  dalla  puaKi  di  Mitzìiara  si  &co 
prirODO  tre  legni  da  guerra  borbonici,  che  si  avanzavati' 
rapidamente  per  tagliare  LI  cammino  alla  spedizione  ed, 
impedirle  l'arrivo  in  quel  porto  in  prossimità  del  qual' 
BÌ  vedevano    ancorate  due  navi  da  guerra. 

Bitìogoava  giiiócare  d' audacia  e   cercare  ad  ognf 
costo  di  approdare.  Per  fortuna  le  due  navi  da  guerr, 
erano  inglesi. 

A  costo  di  fare  scoppiare  le  caldaie  si  fecero  sforzi 
supremi  per  entrare  nel  porto  prima  delle  navi  borbo- 
niche —  e  vi  si  riuscì  —  Ha  Piemonte  »  per  11  suo 
minor  pescaggio  entrò  liberamente,  si  accostò  al  mo, 
al  riporo  dell' Antimiirale,  e  potè  senz'altro  sbarcar 
Garibaldi  e  quanti  dei  Mille  erano  con  lui,. 

Il  «  Lombardo  »  invece  per  il  suo  maggiore  pa 
Bcaggio  rimase  in  secco  a  pochi  passi  dalla  bocca  del 
porto.  Messa  a  mare  lo  imbarcazioni^  Bixio  scese  tosto 
a,  terra  per  raggiungere  il  generale,  lasciando  ad  Elia 
gli  ordini  per  lo  sbarco  dei  voloutari,  delle  armi  e  delle 
munizioni, 

Elia  ordinò  tosto  a  Burattini  di  requisire  quante 


203 

barcazioni  si  trovavano  nel  porto^  e,  giunte  queste  in 
numero  sufficiente,  sì  eftettuò  Io  sliarco  con  ordine  e 
prontezza  ammirabile.  Poi  che  ebbe  presa  terra  anche 
la  parte  dei  Mille  che  erano  sul  *  Lombardo  »  e  furono 
scaricate  le  munizioni  e  le  armi,  il  jjt^ierale  GarilmUIì 
mandò  ordine  ad  Elia  di  uscire  dal  porto,  e  procurare 
di  raggiungere  Genova  per  mettersi  a  disposizione  d<'l 
Comitato  presieduto  da  Bertani.  Dovevasi  ubbidire  !  ma 
mentre  Elia  provava  di  trarre  dal  secco  il  vapore,  ob- 
bedendo con  dolore  agli  ordini  del  generale,  i  legni  bor^ 
bonici  presero  a  lanciare  delle  bordate  :  siocliè  poco  ap- 
presso, vedendo  che  le  navi  borboniche  avevano  messe 
a  mare  le  imbarcazioni  armate  e  s'avanzavano  per  im- 
possessarsi dei  nostri  vapori,  Elia  ordinò  ai  marinai  di 
entrare  nelle  imbarcazioni,  e  fatte  aprire  le  valvole  della 
macchina,  perchè  peuetrasse  l' acqua  nella  stiva,  e  si 
impedisse  che  il  «  Lombardo  *  cadesse  preda  del  ce- 
mieo,  come  avvenne  poi  del  <  Piemonte.  »  scekero  tutti 
A  terra. 


È  bello,  è  doveroso  il  dire  che  fu  ammirevole  l'ac- 
coglienza fatta  agli  sbarcati  dalla  patriottica  cittadi- 
nanza Marsalese.  Essa  accolse  i  Mille  con  esultanza. 
Vecchi  e  giorani,  uomini  e  donne  —  persone  distinte 
e  popolani  fecero  a  gara  per  usare  loro  ogni  aorta  di 
gentilezze  —  facendo  echeggiare  grida  di  «  evviva  Ga- 
ribaldi *. 

H  generale  dif^pose  che  Missori  occupasse  con  forza 
la  porta  Trapani. 

Bruzzesi,  vestito  da  ufficiale  dei  bersaglieri,  con  una 
pattuglia  di  camìcie  rosse,  seguito  d^i  Pentitóuglia  già 
ispettore  dei  telegrafi  in  Piemonte,  ebbe  ordine  di  oc- 
cupare ì'  ufficio  postale  e  telegrafico. 

Mosto,  coi  bravi  caj'abinieri  genovesi,  si  appiattò 
nella  scogliera  che  forioa  il  porto  per  respingere  le  im- 


barcozioni  armate  distncciite  dalle  navi  da  guerra  bor- 
boniche mn  gli  l'u  dato  oi-dine  di  non  tirare  uu  colpo. 
Le  truppe  rimitaero  scaglionate,  durante  la  notte,  »  de- 
stra e  a  sinistra  della  città. 


Ecco  il  proclama  che  il  generale  G-aribaldi  ìndii'iz- 
zava  al  popolo  Siciliano  appena  sbarcato  a  Marsala  : 

Siciliani, 

«  Io  vi  ho  guidato  una  srhlera  di  prodi,  accorsi 
all'eroico  grido  della  Sicilia.  Resto  delle  battaglie  lom- 
barde, noi  siamo  con  voi  e  non  chiediamo  altro  che  la 
liberazione  della  vostra  terra.  Tutti  uniti,  T  opera  sarà 
facile  e  breve.  AH'  armi  dunque  ;  chi  non  impugna 
un'arma  è  un  codardo  o  un  traditore  della  patria.  Non 
vale  il  pretesto  della  mancanza  delle  armi.  Noi  avremo 
fucili,  ma  per  ora  un  ferro  qualunque  ci  basta  impu- 
gnato dalla  destra  di  un  valoroso. 

«  I  Municipi  provvederanno  ai  bimbi,  alle  donne 
ed  ai  vecchi  derelitti.  All'armi  tutti!  La  Sicilia  inse- 
gneri  ancora  una  volta,  come  si  liberi  un  paese  dagli 
oppressori,  colla  potente  volontà  di  un  popolo  unito. 

Ér.  Garibaldi  ► 

Occorreva  non  perdere  tempo,  e  marciare  avanti 
al  più  presto. 

Garibaldi  comandò  quindi  che  all'  alba  dell'  indo- 
mani tutta,  la  colonna  fosse  pronta  alla  partenza,  ed 
infatti  la  mattina  si  mise  per  la  via  di  Salerai.  A  Ram- 
pagallo,  feudo  del  Barone  Mistretta,  fu  ordinato  il  gran- 
d'  aito  per  pernottarvi.  Fu  in  questa  prima  tappa,  che 
ai  ebbero  i  primi  segni  dell'insurrezione  siciliana,  per- 
chè si  videro  con  gioia  arrivare  le  bande  comandate 
■dai  Baroni  di  S.  Amia,  e  quelle  del  Barone   Mocarta . 


Saranno   stati  circa   ottanta   uomini,  armati  di  acluop- 
petti. 

Intanto  fu  riordinata  la  Legione,  già  ripeirtita  in 
otto  Compagnie;  si  formarono  ran  esse  due  battaglioni 
ai  comandi  di  Bisio  e  Carini,  e  si  organizzò  coi  raari- 
rinai  del  «  Piemonte  »  e  del  «  Lombardo  »  una  com- 
pagnia di  cannonieri,  > 


« 
*  » 


Alla  mattina  seguente  la    colonna  si    rimetteva   in 
"via  per  Salemì,  dove,   dopo   una  marcia   alquanto   fati- 
cosa,   arrivava   accolta  dal   marchese  di   Torrear&a   da_ 
grande  festa  di  popolo,  e  al  suono  delle  cimpane   e  di 
musica.  Fu  un  vero  delirio  ! 

A  Salemi,  il  generale  pubblicò  il  Decreto  seguente: 

Italia  e  Vittorio  Emanuefe 

«  Giuseppe  Garibaldi,  comandante  in  capo  l'armata 
nazionale  ia  Sicilia,  ÌQvitato  dai  principali  cittadini  e 
sulla  deliberazione  dei  Comuni  liberi  dell'Isola,  consi- 
deraudo  che  in  tempo  di  guerra  è  necessario  che  i  po- 
teri civili  e  militari  sieno  conceiit.rati  nelle  medesime 
mani,  decreta  di  prenderà  la  dittatura  di  Sicilia  in  nome 
di  Vittorio  Emanuele. 


Salemi,  14  maggio. 


G.  Garibaldi.  * 


Altre  bande  di  bravi  piecioiti  armati  di  carabine 
intiinto  arrivavano,  comandate  da  Giuseppe  Coppola  e 
dal  frate  Pantaleo  ;  esse  davano  notizia  cbe  Rosolino. 
Pilo  e  Corrao  tenevano  sempre  la  campagna  e  con  una 
mano  di  prodi  erano  nelle  allure  di  S.  Martino,  domi- 
nanti Monreale;  si  sapeva  pure  ohe  verso  Missilraeri. 
raanteoevansi,  asserragliati  sulla  montagna,  il  La  Porta,  il 
Firmatui'i,  il  Piediscalzi,  il  Paternostro,  e,  cosa  sìgnifl- 


3 


206 

cantissiraa  e  per  noi  sorprendente,  il  clero  faceva  parte 
della  rivoluzione  e  ne  era  il  principale  iatig'aCore. 

Ma  il  Borbone  non  stava  inoperoso.  Ordini  erano 
stati  dati  ni  comando  delle  truppe  di  SieUia,  per  arre- 
stare la  marcia  doi  garibaldini  e  distruggerli. 

lulatti  nella  notte  dal  U  al  lo  hi-v^s'o  Garibaldi 
aveva  notizia  t'he  il  generale  Landi  con  un  corpo  di 
.'1000  uomini  ed  artiglieria  maroiJtva  su  Calatìifimi,  é 
che  a  quella  volta  si  era  pure  avviato  il  presidio  di 
Trapaai. 


Le  bande  dei  pìcciotU  non  erano  nel  numero  cbe- 
il  generale  avrebbe  desiderato.  Era  dunque  da  pensare 
e  pensar  bene  se,  con  lo  scarso  numero  di  volontari 
male  armati,  fosse  prudente  actaccarc  posizioni  fortissi- 
me, coperte  ai  fiitnchi  ed  alle  spalle  e  difestì  da  truppe 
regolari  armate  di  buone  carabine  e  sostenute  da  arti- 
glieria. 

Non  sarebbe  stato  più  prudente  consiglio  tn'ncerarsì 
in  Salemi,  occupare  coi  picciotti  le  alture  circo&tanti  ed 
attendervi  l'attacco? 

Si  sarebbe  potuto  ricevere  il  nemico  con  una  ener- 
gica controiTensiva  e  costiingerlo  alla  ritirata;  le  bande 
avrebbero  avuto  tempo  di  formarsi  numerose  ed  accor- 
rere in  aiuto,  attaccando  il  nemico  alle  spalle. 

Ma  Garibaldi  era  impaziente  di  misurar&ì  col  ne- 
mico; sentiva  nell'animo  che  una  vittoria  fulminea  gli 
era  necessaria,  senza  di  che  tutto  sarebbe  istato  compro- 
messo e,  forse,  tutto  perduto. 

Non  era;  dunque  il  caso  di  attendere  il  nemico  a 
Salemi;  bisognava  andargli  incontro  audacemente,  rom- 
perlo e  sloggiarlo  ad  ogni  costo  da  Calatatìmi. 

E  cosi  fu  deciso. 

La  posizione  nella  quale  erausi  accampati  i  borbo- 
nici, chiamata  fin  dall'epoca  romana  «  il  Monte  del  Pianto  r- 


207 

era  forte  per  se  stessa,  perché,  mentre  impediva  un  rn- 
pido  jittacco,  offriva  validissimo  riparo  alin  difesa. 


Da  Vita,  villaggio  che  si  erjje  su  dì  un  poggio  ;i 
cinque  chilometri  circa  da  Salenii,  G-aribnldi  dispose  che- 
le bande  siciliane  che  sopragg-i ungevano  e  sì  andavano 
raccogliendo,  si  distendessero  il  più  dìft'usamente  possi- 
bile Bul  dorso  dello  colline  a  destra  e  a 'sinistra  della 
strada,  mostrandosi  pronte  alla  pugna.  Dopo  questo  spìe- 
fjamento  Garibaldi  ordinò  la  naarcia  in  avanti  della  co- 
lonna, con  la  sinistra  in  testa. 

Precedeva  Carini  con  I'  ottava  compagnia  cui  tene- 
vano dietro  la  settima,  la  sesta  e  la  quinta;,  al  centro 
marciava  l'artiglieria  i  cui  avantreni  consistevano  in 
carri  comuni  a  due  mote  ;  poi  alcuni  volontari  del  genio, 
e  i  marinari  del  Piemonte  e  del  Lombardo.  Seguiva  il 
battaglione  Bixio  con  le  altre  quattro  corapagnie. 

Durante  la  marcia  Garihaldi  si  spingeva  in  avanti 
in  ricognizione  con  alcune  sue  guide,  avendo  al  fianco 
il  capitano  Menotti  suo  tìglio,  il  capitano  Schiaffino  ed  il 
maggiore  Elia,  i  quali  non  avendo  voluto  accettare  co- 
mandi, formavano  la  guardia  del  corpo  del  generale. 
Osservata  la  posizione  del  nemico,  che,  colla  sua  linea 
di  cacciatori  coronava  l'altura  del  «  Pianto  »,  senza  in- 
dugio inviava  ai  suoi  l' ordine  di  schierarsi  sidle  pen- 
dici di  Monte  Pietralunga  e  sulla  strada. 

Egli  aveva  appena  la  forza  di  un  battaglione  sul 
piede  di  guerra,  e  dovette  disporla  secondo  esigeva  il 
terreno,  lo  scar&o  numero  dei  suoi  e  la  posizione  formi- 
dabile del  nemico. 

Stabili  quindi  un  ordinamento  profondo  e  rado  in 
linee  successive  ;  ì  Carabinieri  genovesi  in  prima  linea 
dietro  ripari  naturali  ;  poi  stese  1'  ottava  e  la  settima 
compagnia  in  cacciatori  colle  squadriglie  a  brevi  inter- 
valli sul  versante  dell'avvallamento  che  separava  la  sua 


90« 

posizione  da  quella  nemica,  tenendole  niiscoste  nel  grano 
già  alto  ;  in  eet^onda  linea  stavano  le  altre  due  cojupa- 
gnìe  sesUi.  e  quinta,  pure  in  ordine  rado,  quasi  sul  ci- 
glio ;  ed  a  rovescio  del  ciglio  aspettiiva  il  battaglione  di 
Bixio  in  riserva. 

Questo  scili eramento  si  fece  in  ordine  meraviglioso. 

Da  una  parte  e  dalli' altra  delle  alture  apparivano, 
secondo  l'ordine  di  Garibjtldi,  sui  verdi  dossi  gli  insorti 
siciliani,  che,  per  entusiasmo,  sparavano  i  loro  l'udii  e 
mandavano  alte  grida  di  guerra,  che  si  ripercuotevano 
minacciose  per  le  lontane  campagne. 

Verso  il  mezzogiorno  parve  che  U  nemico  iiccen- 
nasse  ad  un  serio  attacco-  1  suoi  sostegni  si  avvicina- 
l'ono  alla  linea  dei  cacciatori,  la  quale  cominciò  a  spie- 
garsi, scendendo  per  la  costa  del  monte  dei  Pianto,  Per 
giungere  tino  a  noi,  doveva  toccare  il  fondo  del  monte, 
passare  la  couvalle  e  rimontare  la  china  verso  l'altura 
di  Fietralun^a.  G-aribaldi  avrebbe  avuto  grande  van- 
taggio neir  attirare  il  nemico  a!  basso,  attendendolo  a 
pie'  fermo  nella  posizione  occupata  dai  suoi  ;  egli  sarebbe 
riuscito  cosi  a  paralizzare  la  superiorità  delle  sue  armi 
da  fuoco  e  al  momento  opportuno,  che  avrebbe  saputo 
ben  cogliere,  avrebbe  potuto  rovesciare  addosso  ai  bor- 
bonici le  forze  garibaldine  coli' impeto  irresistibile  del- 
Tattacco  alla  baionetta.  A  questo  intento  Garibaldi  ordinò 
ai  suoi  di  star  tranquilli,  distesi  a  terra  e  di  non  s.parare 
alcun  colpo. 

Ma  l'offensiva  del  nemico  fu  un  lampo  passeggiero 
■e  si  arresta  poco  dopo  iniziata;  invece  di  un  attacco  a 
fondo,  esso  si  limitò  a  sparare  qualche  colpo  di  fucile, 
le  cui  palle  fischiavano  alle  orecchie  dei  garibaldini  come 
un  eccitamento  del  quale  non  avevano  davvero  bis-ogno. 
Ma  non  si  doveva  rispondere,  e  bisognava  ancora  mor- 
dere il  freno  ! 

Intanto  Bisio,  di  cui  è  da  immaginarsi  T  impazienza 
di  venire  alle  mani,  venne  a  spiegarsi  a  sinistra  di  Carini 
■col  suo  battaglione  su  due  linee,  completando  l'ordine  di 


209 

battaglia  con  dmfinzì  i  Ciu-abinìeri  Genovesi  all'  ala 
destra;  Orsini  si  stabiliva  sulla  strada  colla  sua  luitro- 
acopica  artiglieria.  Garibaldi  con  ti  fianco  Turr,  suo  primo 
aiutante  di  campo  e  Sirtori  capo  di  Stato-Magg^iore,  stava 
apiando  le  mosse  del  nemico  per  cogliere  il  più  fug- 
gevole dei  momenti  tattici  ;  che  decìde  sempre  della 
vittoria. 

Vedendo  che  il  nemico  non  si  spingeva  al  desiderato 
attacco,  Garibaldi  ordinò  ni  bravo  trombettiere  Tironi, 
l'unico  che  si  aveva,  di  suonare  la  sveglia,  sperando  che 
questo  segnale  servisse  a  scuoterlo.  L'effetto  prodotto  da 
quel  suono  di  tromba  fu  affatco  contrario  ;  quei  borbonici 
che  sì  erano  spinti  un  po'  avanti  in  catena  batterono 
in  precipitosa  ritirata;  e  fu  quello  U  momento  in  cui 
Menotti  Garibatdi,  Sehiaffìno  con  la  bandiera  in  pugno  (una 
bandiera  a  tre  colorì  da  lui  improvvisata  a  bordo  del 
Piemonte,  e  non  già  quella  che  la  città  di  Montevideo 
aveva  donata  alla  Legione  comandata  dal  generale  Gari- 
baldi) e  VEHa  sì  lanciarono  dietro  ai  fuggenti,  seguiti  dai 
carabinieri  g'enovesi  che  formavano  la  prima  linea.  Inse- 
guendo i  cacciatori  del  Ljindi  t'uggenli,  i  tre  garibaldini 
erano  assieme  ad  essi  montati  sulla  banchina,  fortissima 
posizione  del  nemico  :  Schiaffino  colla  bandiera,  Menotti 
Garibaldi,  Elia.  Quello  che  accadde  ebbe  la  durata  di  un 
lampo,  L'  eroico  Schiaffino  Veniva  crivellato  di  ferite  ; 
Menotti  Garibaldi,  vedendolo  vacillare  e  sul  punto  di 
cadere,  afferrava  la  bandiera,  ma  veniva  colpito  alla 
mano  ;  Elia  che  era  già  stato  sfiorato  al  petto  da  puntate 
di  baionetta,  con  pensiero  rapido  e  più  rapidamente 
eseguito,  afferrava  il  caro  amico  Menotti  e  la  bandiera 
che  egli  teneva  stretta  nella  mano  sanguinante,  e,  con 
lui  abbracciato,  si  lasciava  cadere  al  di  sotto  della  ban- 
china ;  disgraziatamente  l' a&ta  impugnata  da  Menotti 
venne  giù  dalla  banchina,  ma  il  drappo  rimase  sul  campo 
nemico. 

A  ridosso  della  banchina  stavano  i  carabinieri  ge- 
novesi che  riprendevano  Iona  per  poi  tornare  all'assalto. 


no 

Caduti  dall'alto  i  duo  rì  trovarono  vicini  al  colpitane 
Prosdftntì,  il  carissimo,  il  fidato  amico  del  generale  Ga- 
ril>alcìi,  ohe  appena  voiliito  Elia  cadutogli  addosso,  gli 
domandava  cartucee  avendo  egli  finito  le  &uo.  Nel  vol- 
rarai  verso  Froscianti,  Elia  vede  il  generale  Garibaldi 
L>he  solo>  col  solilo  sangue  freddo,  camminava  verso  la 
fi)rmidabile  posizione  nemica  vomitante  fuoco  e  dalla 
quale  poteva  essere  distante  con  più  di  cinquanlia  metri- 
li  pericolo  che  il  generale  correva  fece  correre  un  bri- 
vido per  le  ossa  ai  presenti;  ed  Elia,  scattando  come 
ima  molla,  sì  slanciava  verso  di  luì,  gridandogli  con 
disperazione  <  Generaìe,  una  j>nfla  che  vi  colga  fntio  è 
perduto  e  con  Voi  è  penhda  l'unitr)  della  patria  nostra  >. 
Ma  egli,  calmissimo,  procedeva  avanti  con  lo  sguardo 
rivolto  alla  pofiizione  dalla  quale  t  borbonici  vomitavano 
fuoco.  Elia  che  camminava  a  fianco  del  generale  stava 
con  indicibile  angoscia  spiando  le  mosse  del  nemico, 
pronto  a  tutto,  quando  vide  un  cacciatore  borbonico 
t'irsi  sull'orlo  della  banciuna,  abbassare  l'arma,  e  pun- 
tarla sul  generale.  Elia  provvidenzialmente  ebbe  il  tempo 
di  lare  un  passo  avanil  alla  persona  di  Garibaldi.  Un 
terribile  colpo  alla  bocca  lo  rovesciò  ed  egli  cadde  a 
terra  supino;  coU'aiuto  del  generale  che  si  era  chinato 
su  lui  per  dirgli  la  fatidica,  aflettuosa  parola  «  Coraggio, 
mio  Elia,  di  queste  ferite  non  si  muore  •»  potè  volgersi 
liocconi  e  scampare  cosi  l' imminente  pericolo  dì  essere 
soffocato  dal  sangue. 

Intanto  i  borbonici  fulminavano  i  nostri;  in.  quel 
momento  arrivava  Bixio  a  spron  battuto;  disse  a  Ga- 
ribaldi brevi  parole:  e  fu  inteso  il  generale  rispondere 
<  No,  Nino,  qui  si  vince  o  si  muore  »  e  puntata  la  sua 
spada  nella  direzione  della  formidabile  posizione  nemica 
con  voce  tonante  gi'idò:  «  Avanti,  Jincora  quest'assalto, 
o  figlioli,  e  la  vittoria  è  nostra»  e  ordinalo  si  suonaase 
la  carica  dal  bravo  Tironi  che  gli  si  era  fatto  vicino,  si 
slanciò  per  primo  sull'erta,  seguito  da  tutti  i  compagni 
■■che  non  erano  caduti. 


211 

Quel  pugno  d'uomini,  trafelati,  pe&tì,  insanguinati, 
--sfiniti  da  tre  oro  di  corsa  e  di  lottii,  con  nuova  lena  ri- 
prenda l'ascesa  micidiale  rigando  di  nobile  sangue  l'erta 
-terribile  risoluto  a  vincere  o  morire. 

Come  l'eroe  aveva  preveduto,  la  vittoria  fu  nostra. 
Incalzati  dì  fronte  da  quello  stuolo  di  indemoniati  che 
parevano  uscissero  dalla  terra,  sgomenti  dall'improvviso 
rombo  dei  nostri  cannoni  che  il  Lravo  Orsini  era  riuscito 
a  portai'e  in  linea,  turliati  dal  clamore  crescente  delle 
-squadre  siciliane  sui  loro  flanchì  e  dalla  tromba  del 
bravo  Tironi  che  non  cessava  dì  suonare  la  carica,  dispe- 
rando ormai  di  poter  vincere,  voltarono  le  spalile,  ab- 
bandonando il  monte  tanto  fieramente  contrastato  e  non 
sì  arrestarono  che  dentro  Calatafimi. 

n  miracolo  era  compiuto  —  la  g-iornata  era  viuta!  — 
La  vittoria  di  Calatafimi  tu  indiscutibilmente  decisiva 
per  l'unità  della  patria  «  Aiuto  e  pronto  aiuto  »  telegra- 
fava a  Palermo  la  stessa  sera  de!  15  il  generale  Land!  ; 
ma  poi  credette  miglior  partito  una  precipitosa  rìdrata 
anche  da  Calatafimi. 


Ecco  come  un  eroe  dei  mille  Giuseppe  Cesare  Ahba, 
descrìve  nel  suo  aureo  libro  «  Da  Quarto  al  Volturno  > 
ta  gloriosa  giornata  di  Calatafimi: 

*  Già  tutta  l'erta  era  ingombra  di  caduti,  ma  non 
si  udiva  un  lamento.  Vieino  a  me  il  iMissori,  coman- 
dauie  delle  g'uide,  ooU'occhio  sinistro  tutto  posto  e  in- 
'Mnguinaio,  pareva  porgesse  orecchio  ai  rumori  che  ve- 
nivano dalla  vetta,  d'onde  si  udivano  i  battHf;lioni  muo- 
versi pesanti,  e  mille  voci,  come  fiotti  di  miu-e  in  tem- 
pesta, urlare  a  tratti:  «Viva  lo  Re*. 

«Frattanto  i  nostri  arrivavano  a  ingrossarsi,  rina- 
Bcevano  le  forze.  I  capitani  si   aggiravano  fra  noi  con- 


212 


fortandoci.   Sirtoii  e  Bino  erano    venuti  a  cavallo   fin 

«  Sirtori,  impassibile  ooUa  frusta  in  uiìwio,  pareva 
non  bì  sentisse  presente  a  quello  sbaraglio;  eppure  sulla 
sua  faccia  p»llida  e  i^munta  io  le^si  qualcosa,  come  la 
volontà  di  moi'ire  fra  tutti  noi. 

«  Bisio  eompftriva  da,  ogni  parie,  come  si  fosse  fatto 
in  cento:  braccio  di  ferro  del  generale.  L<assù,  lo  rividi 
vicino  a  lui  un  altro  istiinte. 

«  —  Riposate,  figlioli,  riposate  un  poco,  diceva  il  ge- 
nerale —  ancora,  uno  sforzo  e  sarà  finitili  E  Bixio  lo 
seguiva  fra  le  file. 

ftln  quello  il  tenente  Bandi  veniva,  a  salutarlo  li, 
per  cadere  sfinito.  Non  ne  poteva  più.  Aveva  toccatf; 
parecchie  ferite,  nm  un'ultima  palla  gli  ai  era  ficcata 
sopra  la  mamtnella  sinistra,  e  il  sangue  gli  colava  giù 
a  rivi.  Prima  che  passi  mezz'ora  sarà  morto,  pensai; 
ma  quando  le  compagnie  si  lanciarono  all'ultimo  assalto, 
contro  quella  siepe  di  baionette  che  abV)j*gliaTanó,  stri- 
devano, si  che  pareva  di  averle  già  tutte  nel  petto,  tornai 
a  vedere  quell'uifìciale  fra  i  primi.  «  Quante  anime  hai? 
gli  gridò  uno  che  deve  essergli  amico. 

<  E^i  sorrise  beato. 

«  lu  quel  momento  ì  regi  tiravano  l'ultima  cannonata 
fì-agelUndo  a  bruciapelo  un  Sacchi  pavese;  e  fu  da  quella 
parte  uu  grido  di  gioia  perché  il  cannone  era  preso. 
Poi  corse  vot^e  che  il  general©  era  morto,  e  Menotti,  fe- 
rito nella  destra,  correva  gridando  e  chiedendo  di  lui. 
Elia  giaceva  ferito  a  morte;  Schiaffino,  il  Dante  da  Ca 
atiglione  di  questa  guerra,  era  morto,  e  copriva  co 
sua  grande  persona  la  terra  sanguinosa. 

«  Quando  i  nemici  cominciarono  a  ritirarsi,  protetti 
dai  loro  cacciatori,  rividi  il  generale  che  li  guardava  e 
gioiva. 

«  Gli  inseguimmo  un  tratto  ;  diaparvero  dal  campo  ; 
stemmo  a  vedere  la  lunga  colonna  salire  a  Calatafimì, 
lassù  a  mezza  costa  del  monte  grigio,  e  perdersi  ne 
città.  Ci  pareva  miracolo  aver  vinto. 


^ 


213 


*  « 


<  0  gran  giorno,  o  immortali  quelle  tre  ore  del  com- 
battimento! Ha  ne  si  fosse  perduto?  SI  accapriccia  il 
cuore,  immaginando  Garibaldi  vinto,  i  suoi  a  squadre, 
a  gruppi,  rotti,  messi  in  caccia,  uccisi  per  tutt'i  quella 
terra  da  Calataflmi  a  Salemì,  lontano,  lontano  ;  gli  ultimi 
ad  uno  ad  uno,  chi  qua  chi  là,  scannati  come  Aere,  fin 
sulle  rive  del  mure;  e  la  testa  del  generale  mandata  a 
Napoli;  che  la  potesse  vedere  e  finire  di  tremare  quel 
Rei  Si  raccapriccia.  È  forse  l'Italia  non  si  sarebbe  fatta 
mai  più. 

<  Felici  allora,  ben  felici  i  morti  combattendo,  che 
almeno  non  avrebbero  visto  la  grande  tragedia. 

«  Ma  per  fortuna  d'Italia  la  vittoria  fu  nostra  ». 


# 

*  • 


Sgominato  il  nemico,  conquistata  Calatafini,  chiave 
della  posizione,  ormai  si  era  padroni  delle  tre  vie  con- 
ducenti a  Trapani,  a  Castellammare,  a  Palermo.  Ulte- 
teriore  resistenza  non  era  pel  momento  da  tendersi,  ed 
inutile  era  anche  l'inseguimento  da  parte  dei  garibaldini, 
perchè  ad  in&stidire  i  fuggiaschi  avrebbero  pensato  ì 
bravi  insorti  siciliani. 

Garibaldi  pensò  di  dare  un  po'  di  riposo  ai  suoi,  e 
volle  che  si  passasse  la  notte  sul  conquistato  campo  di 
battaglia. . 

Le  perdite  nostre  furono  gravi  rispetto  al  numero 
esiguo  che  rendeva  prezioso  ogni  individuo;  bisognava 
quindi  aver  cura  dei  feriti. 

Trentadue  dei  mille  rimasero  sul  terreno,  fra  i  quali 
Schiaffino,  Montanari,  Pedotti,  Sartori,  D'Amicis  ;  centot- 
tantadue  furono  i  feriti  fra  i  quali,  Menotiì  Garibaldi, 
Elia,  Malocchi,  Sirtori,  Manin,  Nullo,  Missori,  Cariolato, 
Pavesi,  Bandi,  Martignoni,  Perducca,  Palizzolo,  Sprovieri 

15 


214 

Bedischini,   Carbonari.    Pasquìnellf,  Della  Torre,    Della 
Casa,  CopeJlo  il  più    gioviiiic    dei    mille,    caro    a  tutti, , 
molti  dei  qimli  gravemente.  \ 

Fu  miracolo  die  il  trombettiere  Tironi  che  segui 
pìiseo  passo  il  generale  non  rimanesse  ferito  -  Gari- 
baldi non  se  ne  dimenticò  —  e  a  Palermo  Io  iiomiu6 
sotto  te  ti  ente. 

La  mattina  del  16  i  garibaldini  entrarono  a  CalatarJ 
fimi  tra  gli  evviva  e  le  acclamazioni  del  popolo. 

Posto  il  quartier  generale  al  palazzo  del  Comi 
Garibaldi  emanava  il  seguente  ordine  del  giorno: 

ORDINE  DEL  GIORNO 

DOPO  LA  BATTAGLIA  DI  UALATAFEHI  : 


«  Con  compagni  come  voi  io  posso  tenutre  t>?ni 
cosa,  e  ve  l'ho  provato  ieri  portandovi  ad  u,iia  impresa 
ben  ardua,  pel  numero  dei  nemici  e  per  le  loro  forti 
posizioni. 

»  Io  contavo  sulle  fatali  vostre  baionette,  e  vede-^ 
fite  che  non  mi  ero  ingannato. 

«  Deplorando  la  dura  necessità  di  dover  combatterei 
soldati  italiani,  noi  dobbiamo  conleesare  che  trovamraoj 
una,  resistenza  degna  di  una  causa  migliore,  e  ciò  coii' 
ferma  quanto  sarem  capaci  di  fare  nel  giorno  in  cuil 
r  italiana  famiglia  sarà  serrata  tutta  intorno  al  vessillo^ 
di  redenzione. 

«  Domani  il  continente  italiano  sarà  parato  a  festa  ' 
per  la  vittoria  dei  suoi  liberi  figli  e  dei  nostii  prodi  si- 
ciliani ;   le  vostre  madri,  le   vostre   amanti,  superbe  di 
voi,  usciranno  nelle  vie  colla  fronte  alta  e  rideuEe. 

*c  II  combattimento  ci  costò  la  vita  di  cari  fra.telliì 
morti  nelle  prime  file;  quei  martiri  della  santa  causa'] 
d'Italia  saranno  ricordati  nei  fasti  della  gloria  italiana. 

«  Io  segnalerò  al  nostro  paese  il  nome  de'  prodi 
che  &i  valorosamente  condiisaero  alla  pugna 


215 

vani  ed  inesperti  militi^  e  cliè  condurranno  domani  alla 
vittoria,  nel  campo   maggiore    dì  battaglia  i  militi  che 
-devono  rompere  gli  ultimi  anelli  delle  catene,  con  cui 
fu  avviata  la  nostra  Italia  cai'issiaia. 
Calatafirai,  12  maggio. 

G.  Garil/aìdi. 
Scrisse  poi  a  Bertani  la  seguente  lettera  : 

Caro  Bertani, 

Ieri  abtiamo  combattuto  e  vìnto.  La  pugna  fu  tra 
"italiani.  Solita  sciagura  —  ma  che  mi  provò  quanto  si 
possa  fare  con  questa  famiglia  —  nel  giorno  che  la  ve- 
dremo unita. 

Il  nemico  cedette  all'impeto  delie  baionette  de'  miei 
vecchi  Cacciatori  delle  Alpi  vestiti  in  borghese;  ma 
combattè  valorosamente  —  e  non  cedette  le  sue  por- 
zioni che  dopo  accanita  mischia  corpo  a  corpo. 

I  combattimenti  da  noi  sostenuti  in  Lombardia  fu- 
rono certamente  assai  meno  disputati  che  non  fu  il 
^combatti mento  di  ieri;  i soldati  napolitani,  avendo  esau- 
rite le  loro  cartucce,  vìbravan  sassi  contro  di  noi,  da 
disperati. 

Domani  seguiremo  per  Alcamo  ;  lo  spirito  della  po- 
polazione si  è  fatto  frenetico,  ed  io  ne  auguro  molto  bene 
per  la  causa  del  nostro  paese. 

"Vi  daremo  presto  altre  notizie.  Vostro  : 

Or.  Garibaldi. 

CalataSmi,  16  maggio. 
P.  S.  Questa  serve  per  Medici  pure. 

Della  battag-lia  di  Calatafimi  GnrJbaldi  con  parola 
commossa  cosi  ne  parlava  : 

«  Calatafimi!  Io  avanzo  di  tante  pugne  —  se   nel 
l'ultimo  mio  respiro  i  mieij  vedranmi  sorridere,  l'ultimo 
iorriso  d'orgoglio  —  esso  sarà  ricordandoti  !  * 


216 

>  Tu  fosti  il  corabiittìiDento  più  ^oti<wo  di  popolol 
L'Italia  non  deve  dimenticarlo  >. 


•  • 

Mentre  Garibaldi  vìnceva  a  Calaatfimi,  il  prode  Ro- 
Holino  Hlo  dai  monti  dì  Monreale  scrÌTera  a  Martino 
Heltrnniì-Soalia  chiedendogli  informazioni  sulle  mosse  di 
Garibaldi,  e  soccorso  di  denaro  per  gli  uomini  delle  sue 
Hquadro  —  ma  il  Beltrami-^alia  era  scUo  imprigionato 
—  e  il  valorosi.1  Rosolino  ¥ììo  cadeva  morto  in  uno  scon- 
tro coi  borbonici  a  S-  Martino. 

Pistlttte  le  truppe  napolitane  a  Gilataflmi,  in  quel- 
r  eroico  combattimento  nel  quale  si  decìsero  le  sorti  del- 
l'unità della  patria,  Garibaldi  comprese  che  bisognava 
battere   il  ferro  finché  caldo,  e  marciare  su  Palermo. 

Era  assai  arduo  aflìire,  ma  che  cosa  tratteneva  più 
Garibaldi? 

Si  trattava  dì  unire  insieme  strategia  ed  audacia 
per  assalire  coi  rimasti  dei  mille  ed  ì  bravi  picciotti, 
una  città  che  conteneva  trentamila  difensori,  appoggiati 
da  una  fortezza  e  sorretti  da  una  squadra  r^a  —  Ga- 
ribaldi tentò  il  colpo. 

Il  17,  dopo  dì  avere  dato  incarico  a  Crìspi  di  pro- 
muovere la  sollevazione  dei  Comuni  della  Sicilia,  mar- 
ciava su  Alcamo,  il  IS  per  Partinico;  nel  medesimo 
giorno  ordinava  una  conversione  e  giungeva  al  passo 
di  Renne  :  fianche^avano  Garibaldi  a  ponente  le  bande 
del  Laporta,  a  levante  quelle  del  La  Masa,  un  quattro- 
mila picciotti,  male  armati  ma  arditi  e  ben  condotti.  Per 
sopperire  alla  tenuità  delle  forze  Garibaldi  giuoco  di 
astuzia;  ordì  un  traneUo  nel  quale  il  nemico  cadde. 

II  giorno  20  comandò  e  diresse  egli  stesso,  una  ri- 
cognizione su  Monreale  per  attirarvi  il  nemico,  e  ma- 
novrò in  modo  da  far  credere  che  quello  era  il  suo  ob- 
biettivo. Impegnato  un  combattimento  d'avamposti,  ad 
un  tratto  fece  sospendere  l'attacco  e  si  ritrasse  indietro. 


217 

Nella  notte,  imperversando  Una  TÌolenta  tempesta, 
prendeva  sentieri  di  montagna  battuti  solo  da  capre  o 
volg^eva  a  levante,  lasciando  Orsini  con  le  salmerie  ed 
i  cannoni  a  farsi  inseguire  dalle  truppe  borboniclie.  E^li, 
di  sorpresa,  scendeva  al  Parco  e  batteva  una  colonna 
nemica  che  lo  aveva  assalito  di  fronte  ;  colà  l' Orsini 
coir  artiglieria  lo  raggiungeva.  Il  24  le  truppe  bor- 
boniche, fiancheggiate  da  forti  colonne  di  cacciatori 
attaceavano  i  nostri.  Garibaldi  batteva  in  ritirata  su 
Piana  de  Greci  mentre  era  già  sera.  Nella  notte  ordi- 
nava ad  Orsini  di  prendere  la  strada  di  Corleone  per 
attrarre  le  forze  nemiche;  egli  marciava  silenzioso  su 
Marineo,  quindi  la.sciava  Marineo  per  Missilmeri  e,  men- 
tre le  truppe  napolitane  inseguivano  quelle  che  crede- 
vano le  forze  garibaldine  condotte  in  ritirata  dall'  Or- 
sini, Garibaldi  spalleggiato  dalla  parte  di  levante  dai 
picchiti  del  1^  Masa,  si  preparava  a  dare  1'  assalto  a 
Palermo. 

La  mattina  del  26,  alle  4,  aocompagnato  da  Tun-, 
Bisio  e  Missori,  andò  a  visitare  il  campo  di  Gibilrossa 
occupato  dalle  squadre  siciliane  comandate  da  La  Masn, 
Fusa  e  fratelli  Mastricohi,  formanti  un  corpo  di  oltre 
4500  uomini. 

Garibaldi  per  avvicinarsi  a  Palermo  aveva  due 
grandi  strade,  ad  una  delle  quali  si  poteva  giungere  per 
stretti  sentieri  e  La  Masa,  pratico  dei  luoghi,  informò 
il  Generale  che  da  Gibilrossa  si  poteva  discendere  be- 
nissimo calaado  per  quei  Bentieri  praticabili  sino  a  Mez- 
zagno.  da  dove  con  altro  poco  cammino  faticoso  si  po- 
teva trovar  presto  sulla  strada  di  Porta  Termini. 

Garibaldi  dopo  brevi  rifleesioni,  decideva  di  battere 
■questa  via  e  dava  ordine  a  Turr  di  fissare  la  marcia 
per  l'indomani  di  primo  mattino.  Questa  veniva  ordi- 
nata cosi  : 

1*  l'avanguardia  comandata  dal  maggiore  Tuki&ry, 
composta  di  guide  e  di  60  volontari  dei  mille,  scelti  da 
ciascuna  compagnia. 


218 
.,  I  2"  il  battaglione  Bisio  coi  carabinieri  genovesi. 

3°  il  ktltaglioue  Cjiriiii,  cacciatori  delle  Alpi.         ,, 

4'^  il  corpo  delle   squiidre   siuiliano,   comandata    d; 
La  Masa.  ,■ 

Disposai  in  tal  raodo  la  colonna,  Garibaldi,  fatti  chia- 
mare i  suoi  iifTìcifili  suponori,  i  coiiiaodanti   le  eompa-      I 
gnie,  e  i  capi  delle  squadriglie  parlò  loro  cosi  :  «  Com-  H 
pagni  !  IJtie  vio  abbiamo  avanci  a  noi:  una  è  di  ritirarci 
nell'interno  dell'isola  facendo  la  piccola  guerra   e  per    „ 
organizzarci;  l'altra  é  di  piombare  su  Palermo,  entrarvi,  ^ 
accendervi  la  rivolta,  sicuri   che  quest'ultima   impresa 
darà  pyr  risultato  la  liberazione  dell'intera  Sicilia.  «De- 
cidete' »  —  A  «  Palermo  «;,  tutti   gridarono,  —  «  Eb-      ' 
beilo,  elle  ojjnuno  taccia  U  suo  dovere  e  domattina  vi 
saremo  1  » 

Alle  3  antimeridiane  del  2Ì  maggio  —  data  nierao- 
jaada  —  Garibaldi  col  resto  dei  suoi  Mille  comandati  dai 
Tilrr,  da  Sircori,  da  Bixio,  da  Carini,  da  Cairoli,  da  Mis- 
aori,  dìv  Damiani,  di  Tukory,  da  Menotti,  da  Mosto,  da.j 
Nullo,  da  Dezza,  da  aliceli,  da  Canzio,  da  Cucchi,  si 
quali  sipeva  di  poter   contare  fino  alla  morte,  spalle^, 
giato  fortemente  dai  jìimlotU  del  La,  Masa  e   del  Fuxa, 
come  aveva  predetto,  si    preparava  ad  assalire  PorjiE, 
Terinlni  e  da  quella  entrare  in  Palermo. 

Era  intendimento  del  generale  di  sorprendere  la  pò-» 
sìzLOite  del  Ponte  deU' Ammiraglio  senza  colpo  ferire;  piom- 
bare su  i'orta  Ttrmini,  e  di  là  spingersi  al  palazzo  Real 
dove  trovavasi  il  Lanaa  comandante  in  capo  delle  forze 
borboniche  col  suo  quai'tier  generale. 

TukOry  colla  sua  avaugu;irdia  procedeva   in  siler 
zio  per  piecipitarsì  d' improvviso  sul  nemico,  ma  i  jpie- 
f/ofti,   tosto    che   videro    le    prime    case    del    sobborgo," 
quasi  ayessero  già  in  mano   la  città,  non   seppero   fre- 
narsi, e  presero  a  gridare    Viva  Garibaldi  Vina  V  liòlia' 
Sparando  delle   schioppettate  ;    cosi  il  piano  di  sorpres 
.andava  fallito.  I  regi    fortemente  protetti    da  barricate,! 
che   difendevano  e  impedivano  il  passaggio  del  Pont 


da^ 

J 


"ze 


219 

deirAmmiraglio,  spazzavano  con  un  turbine  di  mitraglia 
e  dì  Tnoseheiteria  Ja  vìa  che  vi  toiiciuceva  e  i  campi 
d'intorno:  —  i  picchtti  non  ancora  abituaci  al  fuoqo  ed 
ai  cimenti  corpo  ti  corpo,  balenano  per  un  momento,  ma 
all'esempio  dei  mille  che  nulla  paventano,  serrati,  con- 
Gordi,  disprezzanti  della  morte  &i  slanciano,  sperdono  in 
men  che  si  dica  le  truppe  borboniche  e,  come  un  tor- 
rente impetuoso  ai  avventano  sa  Porti  di  Termini  scac- 
ciandone i  nemici,  vincendone  la  refiistenza  :  primi  Ira 
Lutti  lìisio,  Mitìtìori,  Carini,  Sirtori,  Turr,  Cairoli,  Fusa, 
La  Masa;  gìii  erano  caduti  fulminati,  i  prodi  fra  i  prodi, 
Tucliiiry.  Kocco.  La  Ruhsìi,  Pietro  Iiiserillo  e  Giuseppe 
lo  Squillo  asaieme  a  tanti  e  tanti  altri  ch'e  ebbero  la 
fortuna  di  morire  per  Ja  libertà  della  patria.;  ebbero  fe- 
rite più  o  meno  gravi  Turr,  Benedetto  CairoU,  Enrico 
Piccinini.  Elatfaello  Di  Benedetto,  Leonardo  Caccioppo. 

Bixio  alla  testa  del  suo  bravo  battaglione,  coi  ca- 
rabiniei'i  genovesi,  con  a  fianco,  Dezza,  Menotti.  Mosto, 
Missori,  Damiani,  Canzio,  Nullo,  Carbone,  Cucchi,  Ca- 
valli, Venzo  ed  altri  bravi,  a  j^asso  di  corsa,  con  impeto 
furioso,  attaccano  ed  espugnano  la  barricata  di  Porta 
Termini  facendo  prodigi  di  valore. 

Bixio  sopra  tutti;  come  una  furia  si  precipitava 
dove  era  più  forte  la  resi.stenza,  terapesùtndo  di  colpi  i 
nemici,  Anche  cadde  gravemente  ferito;  con  lui  fu  ferito 
Canaio  e  non  poclii  altri. 

Forzata  1'  entrata  in  città,  i  Carabinieri  genovesi  ed 
il  resto  dei  mille  seguiti  dai  bravi  picciotti,  ai  lanciarono 
sui  borbonici  forzandoli  a  cedere  ed  a  ritirarsi;  nel  com- 
battimento dei  Quattro  Cantoni  fino  a  piazza  del  Duomo 
ed  a  porta  Maqueda  Cairoli,  Cucchi,  Miceli,  Cavalli,  Mo- 
sto ed  altri  bravi  caddero  feriti  ;  ma  i  nosti'i,  non  ostante 
le  preziose  perdite,  procedevano  impavidi  dovunque  e 
vittoriosi. 

Turr,  Sirtori,  benché  feriti,  insieme  agli  alcri  ufficiali 
di  Stato  maggiore  si  moltiplicavano,  ed  erano  all'attacco 
4òl  palazzo  Béiifle,  erano  a  quello  di   porta   Maqueda, 


L 


220 

tagliavano  le  coraunicadoni  tra  il  mare  e  il  Castello, 
mentre  Dezza  e  Missori  con  un  pugno  del  mille  batte- 
rano  il  Demico  all'Albergarla. 

La  Loggia,  e  molti  altri  signori  siciliani  componenti 
il  Comitato  insurrezionale,  si  cacciano  fino  alla  Fiera- 
Vecchia,  penetrano  nello  Cliiese,  salgono  sui  campantll,^ 
ed  il  terribile  tocco  delle  campane  a  stormo  chiama  alle 
armi  tutti  i  cittadini.  La  città  dei  Vespri  sì  ridesta,  si 
erigono  dovunque  barricate  ;  i  siciliani  non  vogliono  es- 
sere secondi  ai  mille,  si  battono  con  grande  valore  e  ì 
addati  napoletani,  incalzati  da  ogni  parte,  sono  costretti 
a  ritirafiSi  nelle  caserme  e  nel  forte  dì  Castellammare. 

Garibaldi  si  spìnge  fino  in  piazza  Bologni,  insedia 
il  suo  quartier  generale  nel  palazzo  Pretorio,  e  di  là 
emana  il  primo  suo  atto  dittatoriale  in  nome  di  Vittorio 
Emanuele,  col  seguente  proclama  : 

Siciliani  ! 

<  Il  generale  Garibaldi,  dittatore  in  Sicilia  a  nome 
di  S.  M.  Vittorio  Emanuele  Re  d' Italia,  essendo  entrato 
in  Palermo  stamattina  27  maggio^  ed  avendo  occupata 
tutta  la  città,  rimanendo  le  truppe  napoletane  chiuse 
nelle  caserme  e  nel  forte  di  Castellammare,  chiama  alle 
armi  tutti  i  Comuni  dell' Isola,  perchè  corrano  nella  me- 
tropoli al  compimento  della  vittoria. 

Dato  in  Palermo,  oggi  27  maggio  1860. 

G.  Garibaldi. 


•% 


D  28  fu  giornata  nella  quale  la  città  di  Palermo 
sofferse  orribilmente.  La  mitraglia  fece  vittime  nume- 
rosissime, le  bombe  rovinavano,  incendia  vano,  distrug- 
gevano tutto.  Mentre  il  bombardamento  infieriva  con 
tutti  i  suoi  orrori,  e  il  popolo  siciliano  impavido  cos- 
truiva  barricate,  Garibaldi   pensava  all'organizzazione 


221 

civile.  Nominava  Crispi  segretario  di  Stato  ;  il  Duca  della 
Verdura  aindaco;  istituiva  un  Comitato  di  difesa,  pre- 
sidente lo  stesso  della  Verdura  e  chiamava  a  comporlo 
1  signori  Michele  Mandriano,  Tommaso  Lo  Cascio,  barone 
Michele  Capuzzo,  barone  di  Paterno,  conte  Tasca  Lanza, 
Rubino  Emanuele  e  Benedetto  Scidita,  Pietro  Messineo, 
marchese  Pilo,  Patrìola,  Girolamo  Mondino,  ed  altri  pa- 
titoti, segretario  Vincenzo  Scimecca. 

La  mattina  del  2!)  raagg^io,  i  garibaldini  ebbero  un 
rinforzo  di  siciliani  condotti  da  Fardella. 

Per  tutto  quel  giorno  il  combattimento  continuò 
accanito,  specialmente  a  Montalto  ove  il  Laporta,  il 
marchese  Firmaturi,  il  Sant'Anna,  Fuxa,  Rottolo,  Di 
Marco,  Pugliesi,  Alalmo,  Corrao,  Caruso,  Oddo,  guidati 
da  Sirtori,  e  da  Mistìori.  sostenuti  dai  Carabioteri  geno- 
vesi, fecero  colle  squadre  dei  pi-cciotti,  con  fermezza  e 
valore,  11  loro  dovere.  Molti  furono  i  feriti  fra  i  quali 
il  bravo  tenente  della  Torre  dei  Mille. 

IL  generale  L*iiza,  che  fin  dal  mattino  aveva  fatto 
inutili  sforzi  per  riprendere  le  posizioni  perdute,  vedeva 
falliti  tutti  i  tentativi  per  aprirsi  le  coraunicazioui  con 
Castellatnmare,  fece  cessare  il  bombardamento,  durato 
tre  giorni  e  tre  notti  senza  intervallo. 

1  Consoli  esteri  e  l'Ammiraglio  inglese  Mundey, 
commoaai  per  le  tante  rovine  e  gli  eccidi  che  da  tre 
giorni  sterminavano  la  bella  città,  fecero  dei  pa&si  presso 
il  generale  Lanza  perchè  sì  desse  tregua-  con  un  armi- 
stizio a  tantit  eflusione  di  sangue  cittadino  e  a  tante 
rovine;  il  generale  borbonico  acconsenti,  e  la  mattina 
del  30  spedi  al  Dittatore  Garibaldi  la  lettera  seguente; 

Generale 


«  L'ammiraglio  bi-itannico  mi  fa  conoscere  che  ri- 
cevei-ebbe  con  piacere  al  suo  bordo  due  miei  generali, 
per  aprire  con  lei  una  conferenza,  nella  quale  egli  ser* 
vira  da  intermediario. 


223 

«  La  prego  (armi  conoscere  se  acconsente,  e  nel 
caso  affermntivo.  permettere  cho  i  due  miei  generali 
passino  ìa  sua  linea,  tacendoli  Ella  accompagnare  dal 
palazzo  reale,  ove  potrebbe  mandarli  n  prendere,  fino 
iiUa  tìanitti  per  imbarcarsi. 

«  In  attesa  di  una  sua  risposta,  ho  l'onore  d'essere 

29  maggio  1860. 

«  Lanza  ». 


fìaribaldì  acconsenti  e  ordinò  la  ceRsnzione  del  fuoco 
disponendo  che  Tinterrista  avesse  luogo  all'una  pome- 
ridiana. Il  maggiore  Cenni  fu  inviato  alle  undici  e  mezzo 
con  due  guide  al  palazzo  Keale. 

Erano  scorsi  pochi  istanti  dalla  partenza  del  Cenni, 
quando  veniva  dato  un  allarme  a  Porta,  Termini:  poco 
dopo  incomindftvano  le  fucilate,  ilrano  Von-Mechel  e 
Bosco,,!  quali  ritornavano  da  Corleone,  col  dispetto  di 
essere  stati  giuocati  per  la  terza  volta,  e  di  avere  insor 
guilo  non  Garibaldi  coi  suoi  volontari,  ma  un  tieno  di 
cassoni  e  ciuTiaggi  inservibili. 

■  I  garibaldini  non  risposero  al  fuoco;  Carini  e  Sir- 
tori  si  presentarono  per  dare  la  notizia  dell'armistizio 
nel  momento  in  cui  il  fuoco  dei  napoleteui  era  più  vivo; 
Carini  no  riportò  grave  ferita.  Sirtori  fu  ferito  legger- 
mento.  Turr,  raccolti  quanti  uomini  potè  sul  momento, 
corse  in  appoggio  dei  nostri  a  Porta  Termini. 

In  quel  momento  il  generale  borbonico  Letizia. ac- 
compagnato dal  Ceemi  traversava  Toledo;  saputo quaato 
accadeva,  si  offerae  di  recarsi  ©a'ii  stesso  sul  luogo  del 
combattimento  per  portare  ai  suoi  la  notizia  dell'armi- 
stizio, e  per  fare  cestsare  il  fuoco  onde  non  si  sospettasse 
un  tradimento-  Arrivato  sul  luogo,  impose  a  Von-ÌIeehel 
e  a  Bosco  di  cessare  da  ogni  anione  ostile,  essendo  che 
la  tregua  doveva  essere  rispettata    da   tucti. 

Garibaldi  all'una  si  recò  a  bordo  dell'  *  Annibaì  * 
nave  da  guerra  Inglese,  nella  cui  sala  di  consiglio  ebbe 
luogo    la   conferenza  e  fu  stipulata  una  tregua   di   2-i 


ore;  che  per  richiesta  del  generale  borbonico  fu  pro- 
liiiig'ftta  di  altri 'tre  gioriTÌ,  segno  evidente  di  resa  finale. 
Infatti  il  6  giugno,  i  negoziati  furoilo  ripresi  senza 
difficoltà  e  questi  condussero  aduna  convenaione,  per  la 
quale  le  truppe  napolitano  sgoml>ravano  Palermo  e  il 
forte  (ìi  Castellammare  per  la  via  di  mare. 


Intanto  le  principali  città  dell'Isola  dopo  aspra  lòtta 
di  popolo,  dopo  martirii,  dopo  saccliegg:i  e  strniji,  come 
in  Catania  ed  altre,  si  erano  affiMncatb  a  libertà,  e 
il  1  giugno,  della  Sicilia,  non  restìivano  in  iiuiuo  ai  bor- 
bone  che  Messina,  la  cittadella  di  Milazzo.  Augusta  e 
Siracusa. 

Garibaldi  s'insediava,  col  suo  quartier  generale  e 
o^l  suo  governo,  al  Palazzo  Koiile,  e  mandava  il  tetm-'nte 
colonnello  La  Porta  a  liberare  dal  forte  di  Castellani- 
mare  i  patrioti  imprigionati,  principe  Pignateili.  barone 
Kisso,  principe  Niscenii,  principe  di  Giar  din  fili,  mar-r 
chese  di  S.  Giovanni  e  Padre  Ottavio  Lanza. 


Dopo  la  presa  di  Palermo  Garibaldi  avuta  notizia 
rhe  Elia,  curato  con  cure  fraterne  dai  bravi  medici  chi- 
rurgi Ripari,  Lampìasi,,  Cipolla,  Maltese,  era  vivente  a 
Vita  accolto  amorevolmente  in  casa  del  patriota  Sal- 
vatore Romano,  mandò  suo  figlio  Menotti  con  incarico 
di  portarlo  possibilmente  a  Palermo;  ivi  giunto  il  gene- 
rale volle  che  fosse  curato  sotto  ai  suoi  occhi  e  lo  fece 
condurre  al  palazzo  Reale. 


.  I 


Occorreva  proTvedejre  ora    al   necessario    per    non 

perdere  il  frutto  delie  riuscite  iaiprese. 

■-'-"-  i  — '-  ■'         '■* 


224 

Era  mestieri  organizzare  i  corpi  militari  facendo 
tesoro  dell'entuaiiismò  dei  cittadini  per  poter  far  fronte 
ai  pericoli  delle  rappresaglie  d'uu  governo  che,  prossimo 
a  cadere,  voleva  segnalare  i  suoi  ultimi  giorni  con  atti 
disperati  e  col  sovvertimento  delle  tui'be  e  di  ogni  or- 
dine civile. 

Questi  pensieri  pesavano  orrìbilmeute  sull'animo  del 
dittatore,  il  quale  trovava  più  difficile  mettere  riparo  a 
queste  difficoltà  civili  ciie  combattere  formidabili  eser- 
citi borbonici. 

Per  riparare  a  questi  mal)  erano  necessarie  delle 
spedizioni  nell'interno  dell'Iaola.  affidate  ai  suoi  fidi 
compagni;  ma  l'eseciizioue  di  tali  pj'O-positi  gli  riusciva 
nel  momento  assolutamente  impossibile.  Da  Genova  non 
arrivavano  rinforzi.  Anzi  si  avevano  noLizie  che  due 
Drtvi  cariclie  di  volontari  condotti  dal  mag^giore  Corte 
«  L'Utile  »  e  il  «  Chaiies  tìeorgy  *  erano  state  catturate 
dalla  Crociera  napoletana  e  condotte  a  Gaeta. 

Era  un  vero  disastro  che  impensieriva  il  Dittatore, 
tanto  più  che  si  sapeva  in  viaggio  una  forte  spedizione 
condotta  dal  bravo  Medici.  Per  fortuna  questo  esperto 
condottiero,  che  aveva  imparato  da  Garibaldi  tutte  le 
astuzie  e  tutte  le  audacie,  seppe  deludere  la  vigilanza 
della  crociera  napoletana,  approdando  inaspettato  a  Ca- 
gliari e  di  là,  per  rotea  impensata  dai  nemici,  arrivare 
alla  desiderata  destinazione. 

Nella  mattina  del  2'2  g:iugno  Medici  sbarcava  con 
un  reggimento  completo  ben  vestito  ed  armato,  tale  da 
fare  invidia  ai  migliori  soldati  del  mondo.  Entrando  da 
Porta  Ntiova  veniva  accolto  dai  Palermitani  con  grandi 
feste.  L'arrivo  dì  Medici  con  forte  aiuto  dì  uomini  e  di 
armi,  fece  si  che  tutte  le  preoccupazioni  del  Dittatore 
fossero  dissipate  —  Medici  aveva  con  se  il  bravo  co- 
lonnello Malenchini  eoi  suoi  toscani  —  e  annunziava 
l'arrivo  di  Cosenz. 

Le  forze  condotte  dal  Medici  e  quelle  già  in  arrivo 
del  Cosenz  posero  Gaiibaldi  in  condizione  di  compiere  1 


suoi  piani  liguardo  alla  Sicilia,  quelli  cioè  di  scacciare 
quanto  rimaneva  dell'esercito  borbonico  nelln  parte  o- 
rientale  dell'Isola,  e  provvedere  alfordine  iuceruo. 


Bivise  le  forze  in  tre  colonne:  la  prima  formante 
la  einistni  agli  ordini  di  Medici  doveva  marciare  per  il 
litorale  Ano  a  Milazzo,  ultimo  obbiettivo  Messinsi;  la  se- 
conda, al  centro,  condotta  dal  Turr,  per  Missilmeri,  Vil- 
Idfrati,  Alia,  CalEanissetta,  scopo  ultimo  Messina;  ld,ter2a 
all'estrema  destro,  comandatits  Bixio,  per  Corleone,  Gir- 
genti,  Catania,  scopo  Hnale  Messina;  così  che,  tuDte  le 
forze  non  avevano  che  un  solo  obbiettivo  la  punta  del 
Faro. 

La  marcia  di  queste  brig-ate  contribuì  moitiasiino  a 
sisteoiiire  il  nuovo  ordine  di  cose,  a  sollevare  l'elemento 
liberale  ed  a  por  freno  agli  insiini  tentativi  di  disordini. 

Ma  questo  consolidamento  incontrava  ostacoli  perii 
fatto  che  armi  borboniche  occupavano  dei  punti  impor- 
tanti dell'Isola  e  tenevano  in  soggezione  tuttala  regione 
orientale,  appoggiandoel  su  Milazzo  e  alla  cittadella  dì 
Messina. 


Il  Dittatore  riserbava  a  Medici  la  parte  splendida 
d.i  liberjire  questa  regione  dalie  truppe  borboniche,  e 
siedici,  ricevuti  gli  ordini,  a  marcia  forzata  occupava 
Bareeliona;  qui\d  giunto,  temendo  che  i  regi,  forti  in 
Milazzo;  tentassero  un  colpo  per  sloggiarlo,  avvisava  a 
tutti  i  iiiezzi  per  fortiticarvisi:  occupava  l'interessante 
poaizione  del  fiume  Meri;  muniva  il  ponte  con  duo  can- 
noni; distendeva  le  sue  ali  di  difesa  fino  all'altura  del 
viillaggio  Meri;  e  tutto  preparava  alia  difesa  delia  sua 
posizione  per  dare  tempo  all'arrivo  di  altri  rinforai. 

Le  truppe    borboniche  cosi  composte:  un  corpo  di 


236 
4500  uoiiiini  proveniente  da  Messina,  altro  dì  3ó00  stan- 
ziato il  Milazzo,   erano  comandato  dal  colonnello  Botìco, 
il  quale  si  trovava  in  grado  di  dare  .aspra  battf^Kli^i. 

Il  giorno  17  lujjlio  ebbe  luogo  un  primo  fatto  di 
anni  ostinato  e  sanguinoso. 

Medici  si  era  fortificato  presso  Cariolo  al  fiume  No- 
cito,  ed  aveva  occupata  la  strada  di  Meri  e  Milazzo,  eri- 
gendovi barricate.  Bosco  pensò  di  slog^jirlo,  e  con  forze 
preponderanti  pervenne  a  passare  oltre  Carìolo  il  Nocito 
ma  ivi  s'impegnò  un  vivissimo  combattimento  con  la 
deiitrii  di  Medici,  gagliardamente  tenuta  dal  reggimento 
Malencliiui:  tanta  resistenza  da  questa  parte  poneva  i 
regi  ITI  pericolo  di  essere  tiigliati  fuori  della  loro  linea, 
per  cui  Boseo  spinse  altri  battiigliani  verso  le  barricate; 
il  conil>attì mento  fu  accanito,  ma  Medici  per  venire  ad 
una  soluzione,  lanciava  contro  le  truppe  borboiuclic  un 
battaglione  della  riserva  e  i  nostri  alla  punta  della  ba- 
ionetta ricacciavano  i  regi  dentro  Milazzo.  Le  truppe  co- 
mandate dal  Malenchiui  combatterono  eotto  gli  occhi  di 
Medici  a^ssaì  valorosamente. 


Il  generale  Garibaldi,  avvisato  a  Palermo  della  re- 
sistenza che  incontrava  Medici,  s'imbarr-ava  con  un  buon 
rinforzo.  Sbarcato  a  Patti  corse  innanzi  solo  al  quartiere 
generale  di  Medici.  Vi  arrivò  il  19  e  vi  trovò  anche  il 
Cosenz, 

Calcolando  jl  generale  che  i  rinforzi  sbarcati  a  Patti 
sarebbero  arrivati  la  mattina  del  20  sul  luogo  del  com- 
battimento, decise  di  dare  battaglia  e  d'iurebtire  iilUnziao. 

La  mattina  del  20  alle  5  il  generale  Medici  divideva 
le  sue  trtippig  in  due  colonne,  ciascuna  di  quattro  bat- 
taglioni, una  sotto  il  comando  di  Simonetta,  l'altra  sotto 
quello  di  Malenchini. 

Deciso  il  combattimento  Garibaldi  ordina  che  il  Ma- 
lenchini pei  la  strada  di  Santa  Marina  kì  porti  ad   as- 


227 

«atire  senz'altro  la  sìnismi  del  nemico;  dÀ  incarico  al 
Medici  di  avanzare  col  reggimento  Simonetta  e  il  bat-' 
taglione  Gaeta  per  la  strada  di  San  Piecro  spingendosi 
col  centro  e  colla  destra  contro  la  città;  affida  a  Nicola 
Fabrìzi  d'occupare  con  una  legione  di  siciliani  la  strada 
di  Spadafora  per  -antivenire  ogni  sorpresa  dì  un'  even- 
tuale sortita  del  presidio  di  Messina;  delibera  infine  che 
la  colonna  Cosenz,  già  partita  da  Patti  e  rinforzata  dal 
battaglione  Duun  e  da  quello  del  Guerzoni  lasciati  a 
guardia  di  Meri,  formi  la  riserva. 

Alle  5  del  mattino  tutti  en-ino  in  moto:  il  Malen- 
chini  alle  7  aveva  già  aperto  il  fuoco  presso  San  Pa- 
pino;  anche  il  Medici  attaccava  il  nemico  al  di  là  di 
San  Pietro  e  il  combattimento  si  accendeva  accanito  su 
tutta  la  linea.  I  garibaldini  si  spingono  verso  Milazzo, 
ina  la  loro  sinistra,  appoggiata  a  mare,  trova  tale  resi- 
stenza nei  regi,  che  si  erano  ammassati  sulla  strada  di 
^n  Fapino,  e  tale  fuoco  d'artiglieria  dal  forte  e  dalla 
batteria  portata  dietro  i  canneti,  che  è  obbligata  a  ri- 
piegare. 

Ad  accrescere  lo  scompiglio  nelle  giovani  schiere 
dei  volontari,  concorse  la  cavalleria  nemica  che  irruppe 
furiosamente  sui  nostri,  sbaragliandoli.  Comandava  questa 
colonna  di  volontari  il  colonnello  Malenchini  che,  poten- 
temente coadiuvato  dai  suoi  bravi  ufficiali,  faceva  sforzi 
eroici  per  riordinare  i  suoi  e  ricondurli  alla  pugna. 

Mentre  questo  avveniva  sull'ala  sinistra,  Medici  spin- 
geva tre  dei  suoi  battaglioni  ed  uno  di  Carabinieri  ge- 
novesi verso  il  fiume  Nocito;  investiva  i  molini  dove  i 
regi  eransi  fortificati  e  tentava  d'impadronirsi  della  lingua 
di  terra  che  congiunge  Milazzo  con  l'interno,  e  cosi  gi- 
rare alle  spalle  del  corpo  napoletano  e  tagliar  fuori  di 
Milazzo  il  Bosco;  ma  anche  questo  tentantivo  incontrava 
un'enei^ica  resistenza,  perche  il  Bosco  da  quel  lato  aveva 
«pinto  il  maggior  nerbo  delle  sue  forze;  si  combatteva 
uno  contro  tre,  in  mezzo  all'infuriare  della  mitraglia 
€he,  da  dietro  grandi  siepi  di  fichi  d'India,  faceva  strage 
dei  nostri. 


J 


238 

Medici  riconoscendo  la  gravità  della  situazione,  da 
quell'eroe  che  era,  decide  d'avventarsi  contro  i  due  cau^^ 
noni  che  facevano  strage  dei  suoi  e  d'imirassessarsea^^ 
«  Metjiio  perire  iiell'firrJschiata  impresa,  che  vedere  cosi 
sacrilìcati  i  suoi  soldati  ».  Con  questo  pensiero  raduna 
quanti  più  può  dei  suoi  e  si  lancia  in  mezzo  al  fuoco 
neniicro  :  nei  primi  passi  però  gli  cade  morto  il  cavallo 
e  al  fianco  suo  è  colpito  da  palla  fredda  il  Coseiiz.  che 
rimane  tramortito,  ma  riavutosi  tosto,  e  circondato  dai 
suoi  valorosi  compagni,  riprende  impavido  il  combatti- 
mento. 

Garibaldi,  accortosi  del    pericolo    clie    correvano 
suoi  cari  compa^Kni,  riunisce  intomo  a  sé  Mlssori,   S 
tella  e  quanti  trova  sotto  mano  è  si  lancia  al  soccorso  ; 
il  cavallo  di  Garibaldi  è  ferito  e  non  sente  pi  rt  ilfreno; 
il  tacco  di  un  suo  stivale  è  portato  via  da  una  sclieggia; 
é  obbligato  a  smontare  da  cavallo;  accanto  a  lui  in  quel 
momento  cade  mortalmente  ferito  il  maggiore  Breda;  a 
Missori  è  pure  ucciso  il  cavallo;  anche  Garibaldi    vede 
che  per  ispuntarla  bisofjmara  ad  ogni  costo  impadronii'&i 
dei  due  cannoni  che  fanno  strage,   e    dà  gli  ordini  ne- 
cessari; sì  lancia  alla  testa  dei  suoi:  all'impeto  furioso 
non  è  possibile  refaistere;   i   cannoni  sono  presi  e   dai_ 
nostri  trascinati  nelle  linee  garibaldine. 

Allora  la  fanteria  napoJitana,  che  in  quella  giornata" 
combattè  valorosamente,  apre  i  suoi  ranghi  e  dà  il  pa^iso 
ad  una  furiosa  carica  di  cavalleria  che  a'  avventa  sui 
nostri  come  un  turbine  per  riprendere  i  pezzi  perduti; 
le  squadriglie  siciliane  giunte  allora  da  Patti  entrano  in 
combattimento  e  con  una  formidabile  scarica  fermano  t'ini- 
peto  dei  cavalieri;  l'uiììciaieche  comandava  la  cavalleria 
èetsso  pure  obblig-ato  ad  arrestarsi  ila  Garibaldi  clic  ave- 
vagli  afferrato  la  briglia  del  ca^■allo  ;  l'  ufficiale  mena 
un  fendente,  ma  Garibaldi  para  il  colpo  e  con  meravi- 
gliosa agilità  e  freddezza  ribatte  colpo  con  colpo  e  spacca 
la  testa  al  capitano:  i  borbonici  non  si  danno  per  vinti 
e  da  ogni  parte  assalgono  Garibaldi;  si  combatte  corpo  a 


2L^ 

corpo  Missori  sctrica  quanti  colpi  ha  nel  suo  revolver  ed 
uccide  quanti  tentano  appressarsi  al  generale  ;  Scatella  lo 
difende  a  colpi  di  sciabolei,  dando  cogd  tempo  ai  garibal- 
dini di  accorrere  al  soccorso.  Garibaldi  è  salvo. 

Ma.f,'li  ostacoli  erano  insuperabili  ;  gì'  immensi  can- 
neti e  le  boscaglie  di  fichi  d' India  sparsi  su  quella  riva 
impedivano  aì  garibaldini  di  far  uso  della  baionetta,  ter- 
ribile arma  loro  prediletta,  e  favorivano  i  tiri  dell'arti- 
glieria borbonica. 

Per  fortuna  in  quel  momento  apparve  nella  rada  un 
vapore  con  bandiera  italiana.  Era  la  corvetta  napoletjina 
«  La  Veloce  »  che  il  comandante  Anguissola,  dando  primo 
l'esempio  della  rivolta,  aveva  consegnata  a  Garibaldi, 
il  quale  la  battezzava  col  nome  di  «  TuckOry  »  in  me- 
moria del  prode  ma^'giore  ungherese  morto  alla  presa 
di  Palermo.  Il  generale,  senza  perdita  di  tempo,  bì  fa 
portare  a  bordo,  e  salito  sulla  coffa  dell'  albero  di  trin- 
chetto domina  tutto  il  teatro  di  battaglia;  ordina  al  co- 
mandante d'accostarsi  a  tiro  di  mitraglia  ed  aì  momento 
opportuno  fa  fulmin:vre  di  tianco  le  truppe  borboniche, 
G  ne  fa  tale  strag-e  ohe  il  nemico  è  sgominato  in  bre- 
ve ora. 

Questo  felice  diversivo  dà  tempo  al  Medici  ed  al 
Cosenz  di  riordinare  i  loro  battaglioni  e  di  prepararsi 
ad  un  decisivo  assalto. 

'riiribaldi  scende  a  terra  dal  Tuktìry  con  un  ma- 
nipolo di  marinari  armati,  si  mette  alla  testa  dei  suoi 
e  riprende  l' offensiva  ;  lutte  le  riserve  sono  impe- 
gnate; il  generale  Fabrizi  con  un  corpo  di  bravi  sici- 
liani si  spinge  a  vigoroso  attacco;  il  maggiore  Guerzoni 
arriva  esso  pure  coi  stioi  a  passo  di  corea;  un'ultimo 
disperato  a.ssalto  è  ordinato,  i  canneti  a  sinistra,  il  ponte 
di  Cariolo  di  fronte,  le  case  di  destra,  terribili  .strette, 
sono  tutte  superate  con  indicibile  valore;  i  cacciatori 
del  Boseo  rispondono  con  un  fuoco  Infernale  e  recano 
ai  nostri  danni  non  Jievi  ;  il  capitano  Leardi,  dopo  aver 
veduto  cadere  attorno  a  sé  non  pochi  dei  suoi  valorosi 
16 


230 

è  ferito  a  morte;  Corto,  lo  Stalella,  ìl  Martini,  il  coQte 
Mftlacari,  U  conte  BoLarelli,  Cianciolo,  di  Leo,  Vi  Bella, 
Sazit,  tìerg:^  Scolari,  Coft'er,  compiono  iitti  eroici  e  sono 
feriti;  ed  iJ  Pino,  il  Coseuz,  1' Urbinetti  e  molti  altri 
sono  pure  feriti  ;  ma  il  nemico  è  in  fuga  e  insieme  al 
nemico  i  ^'aribtildiiii  entrano  in  fAiìazzo  e  costribgono  i 
borbonici  a  riiioliiudersi  nel  forte. 

La  battiigUa  di  Milazzo  fu  una  dcHe  pii!i  sanguinose. 

Su  quattromila  e  Olii  battenti  f^afibaldini,  più  di  set 
tecento  restiu'oiio  huI  wimpo  fra  morti  e  feriti. 

Le  truppe  napoletane  coinbatLerono  con  valore  e 
fecero  paprar  cara  ai  nostri  la  riportata  Tittoria. 

La  g-iornata  del  21  passò  in  entrambi  i  campì  tiun^ 
quilla^  le  nostre  truppe  riposarono,  e  quelle  borbonii.'he 
il  22  s' imbà-Lfcarono  su  tre  navigli  francesi  per  essere 
trasportate  a  Napoli. 


Dopo  la  presa  di  Milazzo  anche  le  truppe  che  oc- 
cupavano la  cittadella  di  Messina  si  arresero.  —  Tutta 
la  Sicilia  era  liberata! 

Il  giorno  24  il  generale  Garibaldi  riceveva  una  let- 
di  pugno  di  S.  M.  il  Ro  Vittorio  Emanuele.  In  essa,  dopo 
alcuni  preliminari,  il  Re  scriveva  cokì  : 

«  Nel  caso  chf  il  Re  di  Napoli  concedesse  1'  eva- 
cuazione completa  della  Sicilia  dalle  sue  truppe,  se  de- 
sisteBse  volontà fìam ente  da  ogni  influenza,  e  s'impe- 
gnasse a  non  esercitare  pressione  di  sorta  eopra  i  Sici- 
liani, dimodoché  essi  abbiano  tutta  la  libertii  di  sceglioi'sì 
quel  Governo  che  a  loro  mef^lio  piacesse,  in  questo  caso 
io  credo  che  ciò  che  per  noi  tornerebbe  più  ragionevole 
sarebbe  di  rinunziare  ad  ogni  ulteriore  impresa  contro 
il  Regno  di  Xnpoli  >■.    ' 

A  questa  lettera  G;iribhldi  rispondeva  come  ap- 
presso : 


,  ^^^  231 

Sire, 

«  La  Maestà  Vostra  sa  di  quanto  affetto  e  riverenza 
io  sin.  penetrato  per  la  Sua  persona  e  quanto  brami  dì 
ubbidirla. 

«  Però  V.  M.  deve  comprendere  in  quale  imbarazzo 
mi  porrebbe  oggi  un' atitltudine  passiva  in  faL^Pia  alla 
popolazìene  del  continente  napolitano  che  io  sono  obbli- 
gato di  frenare  da  taoto  tempo,  ed  a.  cui  ho  promesso  il 
mio  immediato  appoggio.  L' Italia  mi  chiederebbe  conto 
della  mift  passività,  e  ne  deriverebbe  immeuso  diinno. 
Al  termine  della  mia  missione  io  deporrò  ai  piedi  di 
Vostra  Maestà  l' autorità  che  le  oircoatanze  mi  hanno 
conferito,  e  sarò  poi  ben  fortunato  d'obbedire  la  M.  V. 
.per  il  resto  della  naia  vita  >. 

Garihaidl. 

Occorreva  ora  pensare  al  passaggio  dello  titretto  ed 
alla  continuazione  della  marcia  gloriosa  per  le  Calabrie 
alla  capitale  del  Reame  di  Napoli.. 

Primo. pensiero  del  Duce  fu  quello  di  nominare  co- 
mandante militare  e  civile  di  Messina  l'illustre  generale 
Nicola  Falrizi,  con  suo  Capo  di  -Stato  Mag-gìore  il  va- 
loroso Abele  Damiani. 

n  venerando  patriota  Dell'imbarcarsi  a  Malta  per  la 
■  Sicilia  aveva  portato  con  sé  un  buon  numero  di  valo- 
rosi, fra  i  quali  PittaUiga,  Guerzoni.  Leardi,  Soncinì, 
Bandìni,  Civinini,  Fochi,  Ferrari,  Ughi,  Pedani,  tutti  ap- 
partenenti ai  sessanta  che  il  generale  (iaribaldi  mandava 
col  Zambianrhi  a  compiere  la  diversione  per  promuovere 
la  rivoluzione  nello  Stato  pontiiicio. 

11  Zamliianchi  non  si  mostrò  degno  della  fiducia  dì 
cui  veniva  onorato, né  all'altezza  della  sua  missione. 

Per  incuria  che  non  si  spiega,  sì  fece  sorprendere 
■da  forze  superiori  papaline;  i  pochi  uomini  che  egli  co- 
mandava, combatterono  valorosamente,  ma  soprafaiti  dal 
iiumero,  mancanti  di  direzione,  dovettero  riUrard-i,  AI  di 


232 

là.  del  confine  furono  fatti  prigionieri  da  un  battaglione- 
di  granatieri  e  condotti  i\  Genova,  Liberati  s' imbarca- 
rono col  Corte,  ma  in  alto  mare  abbordati  da  navi  bor- 
boniche vennero  tratti  prigionieri  a  Gaeta  —  liberati  — 
non  stanchi  della  lunga  odissea  s' imbarcarono  per  Malta 
e  di  là  col  generale  Fabrizi  rjiggiunsero  la  Sicilia  ri- 
sorta. 

Il  passaggio  sul  continente  non  era  cosa  delle  piQ 
facili;  bisognava  vincere  le  difflcolcà  che  venivano  dal 
mÌDÌstero  in  seguito  alle  pressioni  dell'  imperatore  dei 
francesi;  bisognava  inoltre  deludere  la  vigilan2a  della  flotta 
nemica  che  giorno  e  notte  batteva  il  mare  e  sorvegliava 
lo  stretto  ;  senza  contare  che  il  Borbone,  nonostante  le 
defezioni,  poteva  sempre  mettere  a  fronte  di  Garibaldi 
un  esercito  organizzato  di  100  mila  uomini.  Era  neces- 
sario quindi  fare  uso  dì  quegli  audaci  colpi  di  mano», 
nei  quali  Garibaldi  era  maestro. 

Infatti  la  sera  dell'S  agosto  egli  ordinava  al  colon- 
nello MuasoUno,  calabrese,  di  tentare,  con  un  limitato 
numero  di  volontari  scelti  fra  i  più  audaci  della  bri- 
gata Sacchi,  dei  bersaglieri  del  Bonnet,  del  corpo  delle 
guide,  e  condotti  dai  più  valorosi,  quali  Missori,  Alberto 
Mario,  Vincenzo  Cattabeni,  Nullo,  Curcio,  Salomone  ed 
altri  valorosi,  la  sorpresa  del  forte  Cavallo  e  la  insur- 
rezione della  Calabria.  La  sera  dopo  ordinava  a  Salva- 
tore Castiglia  di  sbarcare  nell'Alta  Fiumana  con  altri 
arditi  garibaldini. 

Persuaso  Garibaldi,  dopo  quindici  giorni  di  vani 
tentativi,  della  difflcoltA  del  passaggio  dello  stretto  di 
Messina,  causa  1'  esiguità  delle  sue  forze,  ed  avute  no- 
tizie dal  Bertnni  che  in  Sardegna  stavasi  organizzando 
una  legione  di  circa  nove  mila  volontari  bene  armati 
condotti  dal  colonnello  Pianciani  e  dal  Nicotera  [.libe- 
rato da  poco  dall'  ergaistolo  della  Favìgnana  con  altri 
compagni  (h  Pisacjine)  col  proposito  d'invadere  lo  Stato 
Pontiflcio,  convinto  che  su  Roma  si  poteva  marciare 
con  più  sicurezza   per    la  via  di    Napoli,  deliberava,  dì 


233 

portiirsi  egli  stesso  al  Golfo  degli  Aranci  per  aseìeurfirsi 
il  concorso  dei  nove  mila  uomiai  coi  quali  avrebbe  rad- 
doppiato le  6ue  forze.  Si  metteva  perciò  tosto  in  viaggio 
ed  appena  iirrivato  al  G-oIfo  degli  Aranci  si  presentava 
d'improvviso  a  quella  gioventù,  che  auelava  al  combat- 
timento ;  vinse  col  fascino  delle  sue  parole  gli  scrupoli 
di  qualcuno  e,  preao  il  comando  di  quelle  truppe,  le 
traese  seco  in  Sicilia. 

Date  le  disposizioni  opportune  per  il  governo  del- 
risola  —  nominò  Bepretis  Prodittatore  e  parti  per 
Messina. 

Prima  di  lasciare  Palermo  il  Generale  emanava 
l'ordine  del  giorno  seguente  : 

Alle  Squadre  Cittadine  1 

«  A  Voi  robusti  e  coraggiosi  Agli  dei  campi,  io  dico 
una  parola  di  gratitudine  in  nome  della  patria  italiana, 
a  Voi  che  tanto  contribuiste  alla  liberazione  di  questa 
terra,  a  Voi  che  conservaste  il  fuoco  sacro  della  Ubertii 
sulle  vette  dei  vostri  monti,  affrontando,  in  poclii  o  male 
armati,  le  numerose  ed  agguerrite  falangi  dei  domi- 
natori. 

Voi  potete  tornare  oggi  alle  vostre  capanne  colla 
fronte  alta,  colla  coscienza  d'  aver  adempiuto  ad  opera 
grande!  Come  sarà  affettuoso  l'amplesso  delle  vostre 
donne  inorgoglite  di  Voi,  accogliendovi  festose  nei  vo- 
stri focolari!  e  Voi  racconterete  superbi  ai  vostri  flgU  i 
perigli  trascorsi  nelle  battiiglie  per  la  santa  causa  del- 
ì'Itnlia. 

I  vostri  cìirapi,  non  più  calpestati  dal  mercenario, 
vi  sembreranno  piii  belli,  più  ridenti.  Io  vi  seguirò  col 
cuore  nel  tripudio  delle  vostre  messi,  delle  vostre  ven- 
demmie, e  nel  giorno  in  cui  Li  fortuna  mi  pergiura  la 
occfliSione  di  stringere  ancora  le  vostre  destre  incallite, 
sia  per  narrare   delle   nostre  vittorie  o  per  debellare 


su 

nuovi  nemici   della  patria,  Voi  avrete   strstto  la  mano- 
di  un  fratello.  » 

Palermo,  3  giugno. 

G.  Garibaldi. 


Non  si  trattenne  a  Messina,  ma  trasferiva  il  suo 
quartiere  generale  a  Punta  di  Faro  riunendovi  le  bri- 
gate Medici,  Cosenz  e  I^acchi^  dimostrando  di  volere 
tentare  il  passaggio  dello  scretto  da  quel  punto. 

Non  era  che  uno  dpi  suoi  soliti  stratta  penimi  ■ — 
altro  egli  aveva,  in  mira  ! 

IL  generale  Sinori  per  ordine  di  Garibaldi  aveva 
già  assicurati  due  vapori,  il  <■  Torino  »  ed  il  «  Franklin  » 
che  faceva  trovar  prouti  nel  porto  di  Taorttiina.  Senza 
perdila  di  tempo,  senza  che  alcuno  ne  sapesse  oulla,. 
come  un  fulmine  Garibaldi  ordina  a  Bisio  che  trova- 
vasi  a  Taormina  e  che  tanto  aveva  sospirato  quel  co- 
mando, di  imbarcare  la  sua  gente  e  quella  di  Ebe- 
rhardc  (circa  40CK)  uomini)  sui  due  pirofìcafì.  Bixio  ohe 
tutto  aveva  approntito  per  il  passnjcgio  dello  Stretto, 
imbiircati  i  suoi,  monta  sul  *  Torino  *  ;  Garibaldi  con 
parte  ilellu  truppe  e  col  battaglione  Oliassi,  taile  sul 
«  Fritnklin  ». 

Nella  notte  del  19  di  agosto,  levate  le  ancore  par- 
tono per  la  Calabria,  ed  allo  spuntar  dell'alba  del  tìQ  i 
due  vapori  si  accostano  a  Melito  tra  Capo  dell'  Armi  e 
Hpartivento.  Disgraziatamente  nel  prendere  terra  il  «  To- 
rino »  rimaae  arenato,  ma  non  per  questo  venne  ri- 
t  trdatD  lo  sbarco  delle  truppe  garibaldine  che  fu  effet- 
tuato senza  contrasto;  solo  più  tardi  le  navi  da  guerra 
napolitane  in  crociera  se  ne  accorsero  e  presero  a  bom- 
bardare il  «  Torino  »  vuoto. 

Bisognava  impadronii-si  con  un  colpo  di  mano  di 
Reggio;  e  «enza  esitare  il  generale  Garibaldi  ordina  di- 
muovere  all'assalto,  e  la  sera  del  20  i  gju-ìbaldini  ri- 
prendono la  marcia.  Ad  ima  certa  distanza  delia  città 
il  generale  ordina  di  obliquare  a  destra  e  per   sentieri 


235 

remoti,  evitaodo  gli  .ivampoeti  nemici  Jippostiiti  sullo 
stradale,  e  guidato  dal  coloiinGllo  Fiutino  si  avvicina 
ftUfl  piiizai.  Fatti  riposare  i  volontari  e  disposto  che  la 
divisione  Disio  assalisse  dalla  parte  di  clestrii  e  quella 
di  Eberhardt  da  sinistra,  dopo  forte  resistenza  s' impa- 
droiii  della  citti'i  ed  obbligò  i  regi  a  rinchiudersi  nel 
castello. 

A  Garibaldi  importava  d'impossessarsi  del  forte,  per- 
che a\ev«  iiTiito  notizia  che  una  grossa  colonna  uejnica, 
comandata  dal  generale  Briganti,  marciava  eii  Reggio, 
Fortiinntaiiiente  la  iioinparsa  di  Missorl  roi  suoi,  reduci 
dall'impresa  del  Forte  Cavallo,  fece  credere  ai  Napole- 
tani, che  erano  rinchiusi  nel  castello,  di  essere  accer- 
chiati, per  cui  alio  prime  fucihite  piovute  dall'albo  do- 
nianilarono  d'arrenderai. 

Il  Dittatore  iiicaricjiva  Bixio  di  trattare  la  resa  e 
nomhiava  Antonino  Fiutino  prodittatore  delle  Calabrie. 


#% 


I  risultali  della  presa  di  Reggio  furono  di  grandis- 
sima importanza  ;  Garibaldi  si  rendeva  padrone  di  buon 
materiale  da  guerra  e  acquistava  per  base  d'operazione 
sul  continente  una  piazza  di  grande  rilievo. 

La  vittoria  di  Reggio  er;i  ben  presto  seguita  da  al- 
ti'a  pure  importemcissinia  e  decisiva.  Xella  notte  dal  21 
al  22  il  generale  Cosenz,  imbarcata  sopra  la  fiottigiia 
del  Faro  la  sua  divisione,  i  carabinieri  genovesi,  e  la 
legione  esiera,  riusciva  ad  approdare  su  la  spiaggia  ca- 
labrese  nelle  vieinauze  di  Seilla,  mettendosi  cosi  alle 
spalle  della  forte  brigati  Briganti,  accampata  presso 
San  Giovanni. 

Avuta  notizia  del  fortunato  sbarco  di  Cosenz  a  Scilla, 
il  generale  Garibyjdi  si  mos&e  senza  iudugio  con  tutti  i 
suoi  da  Reggio,  ove  laseiò  il  colonnello  Phitino  con  una 
colonna  dì  patrioti  calabresi,  per  prendere  fra  due  fuochi 
i  Borbonici,  comandati  dal  Briganti  e  dal  Melendez. 


Le  mosse  dei  garibaldini  flirono  cosi  ben  coni'binate 
ctie  l'iuscirono  a  circuire  lo  forge  regie,  tantocJiè  Gari- 
baldi, serrandolo  d'appresso  e  sicuro  del  fatto  suo,  intimò 
la  resa.  Alloro  aì  videro  novemila  uomini  d'ogni  arma, 
ricclii  d'arti{?lieri£i  e  d'o;;!!!  attrezzo  di  suerm,  nbbassare 
le  armi,  dopo  debole  rcBÌ^tcnzn,  innanzi  a  ottomila  ga- 
ribaldini <iuasi  sprovvisti  di  tutto.  Peri!»  nel  breve  coni- 
bftitimeuto  sostenuto  dal  Ck^senz  nel  prendere  terra  a 
liagiiara  nelle  vicinanze  di  Scilla,  dopo  di  essere  sfug- 
gito rairacolosaraente  alla  flotta  borbonica  in  crociera, 
si  ebbe  A  deplorare  una  preziosissima  perdita,  quella 
di  Paul  De  Flotte,  deputato  all'Assemblea  repubblicana 
francese,  il  quale  eraei  unito  ai  Mille  col  Loorois,  col 
Dumas  e  con  altri  fr.itelli  di  Francia,  venuti  a  combat- 
tere per  la  liberta  ed  unità  d'Italia;  perditi  dolorosis- 
sima per  tutti,  ma  particolarmente  per  Garibaldi,  che 
cosi  ne  scrisse  al  Bertani,  in  forma  d'ordine  del  giorno 
del  24  a^'osto  : 

«  Abbiamo  perduto  De  Flotte!  gli  epiteti  di  bravo, 
di  onesto,  di  vero  democi-atico  sono  impotenti  per  espri- 
mere tutto  l'eroismo  dì  quest'anima  ìncomparubile ! 

«  De  Flotte,  nobile  tìglio  della  Francia,  era  uno  di 
quegli  esseri  privilegiati  che  un  sol  paese  non  ha  diritto 
di  approjìfìarsi :  no,  De  Flotte  appartenne  all'umanità 
intera;  giiicché  per  lui  la  patria  era  ovunque  un  popolo 
Boffereiittó  e  curvo  si  rialzava  per  la  liberta. 

«  De  Flotte  morto  per  l'Italia,  ha  combattuto  per 
essa  come  avrebbe  coinbiittuto  per  ta  Franoia. 

«  Quest'uomo  illujstre  era  un  legame  prezioso  per 
la  fratellanza  dei  popoli  che  attende  l'avvenire  dell'U- 
manità. Morto  nei  ranghi  dei  cacciatori  delle  Alpi,  egli 
era,  come  molti  dei  suoi  bravi  concittadini,  il  rappre- 
sentante della  geoerotìa  Nazione,  che  sì  può  arrestare 
uu  momento,  ma  che  é  destinata  a  marciare  in  avan- 
g^uardia  deiremancipazione  dei  popoli  e  della  civiltìi  de! 
mondo. 

21  agosto. 

G.  Garibaldi. 


237 


Perchè  questo  bel  nome  foB«e  ricordato  eon  onore, 
il  generale  ordinava  che  la  compagnia  di  2ò0  francesi 
Tenuti  h  combattere  per  l'ItaUca  indipendenza  pren 
desse  il  nome  eroico  di  De  Flotte. 

Da  quel  giorno  lo  sfacelo  dell' esercito  borbonico 
delle  Calabrie  segui  con  rapidità  crescente.  Tutte  le  Pro- 
vincie si  soUeTavano  precedendo  le  forze  della  rivolu- 
zione, guidate  da  Garibaldi,  La  città  di  Potenza  cacciava 
le  truppe  che  la  custodivano,  e  la  BasilicatJi  rivendicava 
la  sua  libertà.  Cosenza  costringeva  le  forze  borboniche 
a  Capitolare  ed  a  ritirarsi  a  .Salerno,  con  impegno  di 
non  più  combattere  coniro  Garibaldi.  A  Foggia,  a  Bari 
le  truppe  fraternizzavano  col  popolo.  Il  generale  Viale, 
che  stava  a  guardia,  delle  Termopoli  di  Monteleone  con 
12000  uomini,  minacciato  dall'insurrezione  del  popolo 
e  dalla  sedizione  delle  truppe,  batteva  iu  ritirata,  abban- 
donando ai  garibaldini  una  delle  più  forti  poaìzìoni, 
chiave  strategica  delle  Calabrie- 
Delie  truppe  borboniche  in  ritirata  prendeva  il  co- 
mando il  generale  Ohio  che  sì  arrestjiva  a  Saveria-Man- 
nelli,  tra  Tiriolo  e  Cosenza,  per  attendere  di  pie  fermo 
il  sopraggiungere  dei  garibaldini.  Prima  però  che  egli 
arrivasse  a  Saveria^  le  alture  che  la  dominano,  venivano 
occupate  dlalle  brave  bande  calabresi  di  Stocco,  parte 
delle  quali  erano  dirette  e  comandate  dal  valoroso  pa- 
iriota  Antonio  Taglieri,  che  nominato  tenente  passò  poi 
nel  2"  reggimento  della  divisione  Cosenz;  cosiché  il  Chic 
sì  trovò  prima  dì  combattere,  accerchiato.  Garibaldi  or- 
dinò tosto  a  tutte  le  truppe  che  lo  seguivano  dì  conver- 
gere a  marcia  forzata  su  Tiriolo,  e,  appena  potè  avere 
sottomano  l'avanguardia  della  divisione  Cosenz,  la  lan- 
ciava sulla  stradji  di  Savoria-Mannelli,  faceva  calare 
dallo  alture  le  bande  dello  Stocco,  ed  intimava  al  ge- 
nerale Chio  la  iTsa. 


238 

Questi  tentò  di  j,'uadagiiare  tempo,  tnn  dopo  un  ora 
altri  13000  uomini  andavano  dispersi   conto   quelli  del 
generale  lìriganti,  lasciando  libere   nelle  mani    del  Dit- 
tatore tutte  le  Calabrie.  Il    generale   Garibaldi   annua-^ 
ziava  la  vittoria  con  il   seguente    dispaccio:  «    Dite 
mondo  die,  fol  miei  bravi  ("alnbresi  lio    littto    depotrj 
le  armi  ai  12000  soldati  del  generale  Chio,    e   liljerat 
la  strada  agli  ultimi  trionfi  dell'Unità  Italiana  •  e  pn 
seguiva  la  sua  marcia  trionfale  per  Napoli. 

Tra  Salerno  ed  Avellino  circi  ventimila  uomini,  la 
più  parte  mnroenarii  stranieri,  suivano  aspt'ttjindo  Ga- 
ribaldi, risoluti  a  combattere.  Ma,  corsa  la   notizia  che 
la  rivoluzione  si  era  propjigata  ad  Avellino  e  nel  Prin-_ 
cipato  Ulteriore,  Èwiputo  che  il  generale  Cnlderelli,   ci 
aveva  capitolato  a    Cosenza,  era    passato   a    Garibaldì7 
anche  le  truppe  di  quel  campo  cominciarono  a  dar  se- 
gni di  ammutinamento  ;  il   che  to'se  ai  eoniandnnti   la 
speranza  di  tentare  un  attacco  con  probabilità  di  suO;jj 
cesso. 

L'  arrivo  di  queste  notizie  a  Napoli    indusse  il 
a  ritirarsi  a  Gaeta:  il   che' fece  il  6    del  mese    di  Set- 
tembre, la-sciando  Napoli   in  tutela    della   Guardia    Na- 
zionale. 

All'  udire  la  lieta  notìzia  Garibaldi,  presa  a  Vtetri 
la  ferrovia,  gimigeva  a  mezzogiorno  alla  stazione  dì 
Napoli  ove  Liborio  Romano  lo  riceveva,  felicitandolo  a 
nome  della  cictadinanza. 

Al  tocco  in  carrozza  accompagnato  da  Cosen/,  da 
Bertani,  da  Mìssoi'i,  da  Nullo  o  da  poclii  altri  ufficiali 
faceva  il  suo  ingresso  nella  bella  cittii  di  Napoli,  passando 
sotto  i  forti  ancora  occupati  dalle  truppe  borboniche, 
in  mezzo  a  soldati  nemici  sparsi  per  le  vie  e  fra  V  en- 
tusiasmo del  popolo  scendeva  alla  Foresteria,  palazzi- 
dei  governo,  e  ne  prendeva  possesso.  ^| 

Primo  suo  atto    fu  quello    di    emanare  il   seguente 
Decreto  : 


239 

Napoli,  7  settembre  I8GO. 

U  Dittatore  Decreta: 

€  Tutti  i  bastimenti  da  guerra  e  mercantili  appar- 
tenenti allo  Stato  delle  due  Sicilie,  Arsenali  e  materiali 
di  Marina,  sono  aggregati  alla  Squadra  del  Re  Vittorio 
Emanuele,  comandata  dall'  Ammiraglio  Persane  ». 

G.  Garibaldi. 


* 
*  » 


Istituiva  tosto  il  governo  dittatoriale,  nominando  Cri- 
spi  ministro  degli  Esteri,  Liborio  Romano  ministro  del- 
l'Interno, Cosenz  ministro  della  Guerra,  Pisanelli  mini- 
stro dì  Grazia  e  Giustizia,  ed  al  generale  Turr  dava  il 
comando  di  tutte  le  truppe  stanziate  a  Caserta  ed  al 
Volturno. 

U  18  settembre  il  generale  Turr,  comandante  le 
forze  al  Volturno  chiamava  a  se  il  suo  capo  di  stato 
maggiore  e  tutti  i  comandanti  delle  brigate  ai  suoi  or- 
dini ;  esponeva  ad  essi  il  progetto  di  una  ricognizione 
offensiva  su  Capua,  onde  antivenire  una  battaglia  che, 
secondo  notizie  ricevute,  i  regi  si  apprestavano  a  dare 
appunto  nel  giorno  19  dedicato  a  S.  Gennaro,  dal  quale 
speravano  protezione  e  vittoria.  Si  doveva  simulare  un 
attacco  sul  fronte  di  Capua,  per  attirarvi  le  forze  bor- 
boniche ed  impedire  alle  medesime  di  portare  soccorso 
alla  loro  sinistra  dove  dovevano  operare  le  colonne 
di  Cbudafii  e  di  Cattabeni;  dava  a  ciascuno  dei  co- 
mandanti di  brigata  verbali  istruzioni ,  determinanda 
ad  ognuno  la  parte  che  doveva  prendervi  ;  raccoman- 
dava infine  ai  comandanti  di  non  esporre  le  truppe 
oltre  il  limite  richiesto  dallo  scopo  cui  tendeva  l'azione, 
cioè  la  simulazione  di  \\a  attacco. 

Ordinava   quindi   che    l' azione  dovesse    effettuarsi 
nelle  prime  ore  del  giorno  seguente,  19  settembre. 


240 

In  seguito  &  tale  ordine  i  colonnelli  brig:a.(iieri  Span- 
garo,  Puppi,  di  Giorgia,  Eber,  Sacchi,  La  Masii,  si  mos- 
sero sul  (are  del  giorno  del  19  al  simulato  attacco  di 
Capun. 

L'attacco  contro  il  fronte  dì  questa  fortezza,  in  so- 
stenuto eoa  grnnde  valore:  colla  punta  della  baionetta 
furono  siiidivti  i  borbonici  che  occupavano  due  cascine 
sulla  strada  conducente  agli  approcci  del  forte  e  quelli 
fippostat!  fra  l'argine  delU  ferrovia  e  la  strrida  poetale. 

I  bersaglieri  milanesi^  comandati  dal  tenente  Pe- 
dotti,  compirono  atti  di  grande  valore  ;  il  tenente,  caccia- 
tosi coi  suoi  fra  le  fitte  schiere  neiniclie,  corse  pericolo 
di  essere  soprafatto  ;  vi  fu  uu  momento  In  cui  fti  cre- 
duto perduto,  ma  il  destino  lo  volle  conservato  alla 
patria. 

La  mitraglia,  senza  interruzione  vomitata  dai  ba- 
stioni e  dai  forti  di  Capua.  cagionava  perdite  enormi  ;  lo 
stesso  brigadiere  Puppi,  mentre  con  temerai'ìo  ardi- 
mento si  esponeva  alla  tt^sta  dei  suoi,  inseguendo  il 
nemico  fino  a  100  metri  dalle  controscarpe  del  forte  ca- 
deva mortalmente  ferito,  da  eroe;  assieme  a  lui  erano 
feriti  mortiUmente  i  capitani  Morani,  Cozzo  e  Blanc. 

Ormai  lo  scopo  che  il  coraandiinte  euperlore  erasi 
prefisso  poteva  ritenersi  pienamente  ottenuto,  per  cui 
venne  ordinato  di  retrocedere  ordinatamente,  e  die  o^ni 
corpo  riprendesse  le  proprie  posizioni.  Al  tenente  Pedotti 
eoi  suoi  Vtersaglierl  milanesi,  coadiuvato  dal  tenente  Zan- 
carìni,  comandante  la  compagnia  Genio,  fu  dato  l'arduo 
incarico  di  sostenere  e  proteggere  la  ritirata  e  di  trarre 
in.  salvo  l'arti^lieriaj  specialmente  i  pezzi  che  il  fuoco 
nemico  aveva  smontati. 

II  neraicOj  appena  visto  che  i  nostri  muovevano  in 
ritirata,  bai danzosìtm ente  usciva  in  buon  numero  dal 
forte  per  inseguirli  e  molestarli  ;  ma  venne  arrestato 
dalle  punte  delle  baionette  dei  bravi  bersaglieri  che, 
guidati  dal  loro  comandante  Pedotti  e  assecondati  dal 
3°  battaglione  del  capitano  De  Claroli,  lo  misero  in  fuga. 


241 
It  tenente  Pedottì  per  il  suo  eroismo  veniva  propo- 
fito  per  ]a  promozione  e  per  la  croce  delFOrdine  Mili- 
tare di   Savoia, 

Altri  ufflciali  per  la  loro  bella  condotta  ebbero  pure 
meritate  oiiorifieienae  e  promozioni. 


11  maggiore  Cattabeni,  partito  secondo  l'ordine  ri- 
cevuto da  Caserta  alle  3  poni,  del  giorno  18,  arrivava 
a  Limatola  a  mezzanotte  e  mandava  il  seguente  rap- 
porto : 

Ai  generale  Turr. 

«  Mi  trovo  ad  un  terzo  di  miglio  dalle  sponde  del 
fiume.  Mi  è  riuscito  ottenere  tre  pescatori  che  mi  ser- 
viranno di  guida.  Da  qui  a  Caiazzo  vi  sono  circa  4  mi- 
glia. I  soldati  riposano,  e  alle  '2  e  mezza  riprenderò  la 
marcia.  Ho  ortlinato  ai  soldati  dì  mettere  le  giberne 
aUestremitii  del  fLicile,  perché  troveremo  un  mezz'uomo 
d'acquft  abbondante. 

«  Dai  rinsegnamenti  avuti,  in  Caiazzo  ci  sono  600 
regi,  con  due  pezzi  d'artiglieria. 

«  Al  giungere  di  questo  rapporto,  son  sicuro  Caiazzo 
sarà  in  nostro  potere.  Non  potevamo  scegliere  un  mi- 
glior punto  di  questo  per  passAre  il  fiume.  Alle  4  e  mezza 
diirò  l'assalto  a  Caiazzo,  e  vedrà  che  i  cacciatori  di  Bo- 
logna son  degni  di  essere  sotto  i  suoi  comandi  ». 

firmato  G.  B.  Cattabeni. 


E,  come  aveva  promesso,  le  truppe  comandate  dal 
C-attabeni  alle  b  e  mezza  entravano  a  Caiazzo, 

Ottenuto  lo  scopo  della  ricognizione  e  quello  di  e- 
Bplorare  le  ibrze  del  nemìeo,  il  generale  Turr  esponeva 
al  Dittatore  Garibaldi  la  necessità  di  ordinare  al  Catta- 
beni  di  sgombrare  Caiflzzo  ;  ma  Garibaldi  mostrava  ri- 


24? 

pugnanza  dì  abbandooare  una  co^  bólla  posiziohe  :  e 
allora  Tuit  fatta  comprendere  la  difficoltà  di  sostenere 
con  un  battaglione  una  posizione  cosi  lontana,  al  di  lÀ 
di  un  fiume,  raccomandava  a  Garibaldi  di  farla  occu- 
pare fortemente,  e  il  generale  dava  ordini  al  Medici  dì 
mandarvi  una  brigata  della  sua  divisione  ;  disgrazia  - 
tamente  non  si  era  più  in  tempo. 

Il  generale  Garibaldi,  visto  che  il  Turr  aveva  biso- 
gno di  riposo,  per  migliorare  la  sua  salute  il  20  gli  tele- 
grafava cosi  : 

AI  generale  J\irr,  Caserta. 

*.  Subito  giunto  Medici  a  Caserta  incaricato  dei  Co- 
mando, venite  qui  a  passare  qualche  giorno. 

Napoli  20,  ore  6,50  » 

G.  Garibaldi. 

Mentre  questo  avveniva  nel  campo  garibaldino,  i 
borbonici  preoccupiiti  della  perdita  di  Caiazzo,  determi- 
navano di  riprenderlo  immediatamente  e  ad  ogni  costo. 

» 

La  mattina  del  21  settembre  sei  battaglioni  di  cac- 
ciatori regi,  due  squadroni  di  cavalleria  ed  una  b;itteria 
da  campagna,  sotto  il  comando  del  generale  Colonna 
uscivano  da  Capua  per   investire  Caiazzo. 

Il  comandante  dell' 11°  battaglione  garibaldino  che 
occupava  la  posizione  avanzata  di  Monte  S.  Nicola,  av- 
visava il  brigadiere  Spangaro  di  questo  movimento;  uia 
era  troppo  tardi  !  I  rinforzi  non  potevano  arrivare  in 
tempo,  solo  il  colonnello  Vacchieri  con  600  uomini  potè 
giungere  in  sussidio  dal  Cattabenì. 

Ma  che  potevano  fare  i  comandanti  garibaldini  con- 
tro l'enorme  superioritii  delle  forze  nemichet  Essi  occu- 
parono un  Iwsco  di  oli^i,  («irricarono  le  strade  di  Caiazzo 


243 

ed  atte&ero  di  pie  fermo  il  nemico.  Si  cominciò  a  com- 
battere fuori  della  città  ma,  incalzati  àxi  ogni  parte^  i 
i,quibaldini  mancanti  di  artiglieria,  oppressi  dai  numeroi 
abbandonarono  la  campajina  e  si  ritirarono  nella  città 
dietro  le  barricate,  per  resistere  fino  all'estremo.  Avve- 
niva allora  un  fatto  atroce;  mentre  i  nostri  combatte- 
vano alla  difesa  delle  barricate,  i  reazionari  li  fucila- 
vano alle  spalle  dalle  case  e  dai  tetti.  Osni  resistenza 
diveniva  impossibile,  inutile;  le  barricate  erano  demolite 
dal  cannone  borbonico,  1  garibaldini  assaliti  di  fronte  e 
alle  spalle;  il  Cattabeni  cadeva  ferito  gravemente  men- 
tre incoraggiava  alla  resistenza  ;  molti  altri  ufficiali  fe- 
riti vennero  fatti  prigionieri;  i  garibaldini  cercarono  di 
salvarsi  ritirandosi,  ma,  incalzati  dalla  cavalleria,  molti 
rimasero  buI  terreno,  altri  si  gettarono  nel  fiume,  ove 
non  pochi  perdettero  la  vita,  siccbè  del  battaglione 
Cattiibem  ben  pochi  rientrarono  in  Caserta. 


N 


Verso  la  fine  di  settembre  Garibaldi,  presentendo 
elle  i  napoletani,  forti  di  olti'e  quarantamila  uomini,  rin- 
chiusi a  Capua  avrebbero  fatto  un  supremo  sfurzo  per 
ric.onquistare_Napoll  al  loro  Re,  aveva  con  un  suo  caldo 
appello  chiamato  i  commilitoni  a  raccolta  chiedendo  al- 
ritalia  nuovo  aiuto  d'uomini,  pel  compimento  dei  suoi 
voti  di  libertà  e  d' indipendenza. 

Alla  chiaraiita  di  Garibaldi  volle  rispondere  anche 
l'Elia,  che  i!  Prodittatore  Depretis  aveva  mondato  a  Bo- 
logna alle  cure  del  professore  Rizzoli.  Sebbene  assivi  sof- 
ferente e  impedito  di  parlare,  pur'egli  senti  il  dovere  di 
non  mancare  all'appello,  tiinto  più  che  il  Cenento  Lanari, 
superstite  del  battaglione  Cattabeni,  si  offriva  di  accom- 
pagnarlo. 

Quaudo  il  ijenemlc  vide  l'Elia  a  Caserta  Io  accolse 

n  viva  gioia  ed  amore,  ralJegrnndosi   di  vedere  av- 

■*rata  la  sua  profezia  dei  X5  raag-gio  a  Cfilataftmi  «.  Co- 


344 

raggioy  mio  Et'tit,  di  quénk  ferite  tum  si  muore  »  parole  che-' 
egli  ai  compiacque  di  rammentargli  nvaiiti  ai  pret>enli  de 
qunrtiere  generale, 


Come  Garibnldi  aveva  previsto  i  borbonici  si  ] 
paravano  ud  Uim  Aera,  disperata  riscosan. 

Ma  il  generale  dal  canto  suo  noti  ai  sarebbe  lasciat 
cogliere  alla  sprovvista.  —  Egli  si  approntava  a  ricevere 
il  nemico   come  si    conveniva,  e  prendeva  il  partito  il 
fronteggiarlo  in  tutti  i  punti,  pei  quali  avrebbe    potuto , 
sfondare  e  marciare  su  Napoli. 

A  questo  scopo  dava  le  sue  disposizioni. 

Le  posizioni   dell' esercito  garibaldino,  cominciando^ 
dalla  sua  estrema  destra,  cioè  da  Maddaloni  descj'ivendo 
un  semicerchio  erano  le  seguenti: 

Monte  Longone.  Monte  Caro,  Caatelmorone,  posta' 
di  prolungamento  della  linea  ira  Maddaloni  e  S.  Leucio; 
S.  Leucio,  Sant'Angelo,  Santa  Maria  e  San  Tammaro, 
le  quali  erano  occupate  cosi:  ^H 

Sopra  Maddaloni  Blsio  colla  sua  divisione,  die  com^' 
ponevasi  delle  brigate  Dezza  e  Spiiiazzi,  più  la  brigata 
Eberhaidt  della  divisione  Medici,  con  la  colonna  Fabrizij^B 
in  tutto   5Ò00   uomini   circa,  con  8  pozzi  di  artiglieria^^ 

A  Castel raiorone,  passo  da  Casertii  a  Limatola,  il 
battaglione  Bronzetti  di  soli  2?0  uomini. 

A   S.  Leucio  il  t;:enerate   Sacchi  colla   sua  briga 
(divisione  Turr)  di  2500  uomini  circa. 

A  Sant'Angelo  il  generale  Medici  con  la  sua  divi 
sioae  (meno  la  brigata  Eberhardt)  e  colla  brigata  Spa 
garo  (divisione  Turrj.  in  tutto  5000  uomini  circa,  con  ^ 
pezzi  da  campagna  e  il  reggimento   Brocchi  dei  genio 
di  400  uomini. 

A  San  Tammaro,  estrema  sinistra,  il  reggimento 
bardella  della  divisione  Cosenz,  steso  tìno  alla  ferrovia 
di  S.  Maria  a  Capua,  ove  era  pure  una  mezza  batteria; 


245 

i  reggimenti  Malenchini  e  Laugè,  sulla  sti'ada  ruotabìle 
a  destra  di  S.  Maria,  ed  a  sinistra  verso  la  ferrovia  la 
brigata  La  Masa  con  una  compagnia  del  genio,  distesa 
verso  lo  stradale  Santa  Maria-Sant'  Angelo  ;  la  batterìa 
della  divisione  Turr  a  Porta  Capua  di  S.  Maria.  Tutta 
questa  forza  sotto  gli  ordini  del  generale  Milbitz. 

Ad  Aversa  il  colonnello  Corte  con  la  brigata  in  for- 
mazione. 

La  riserva  forte  di  liOOO  uomini  circa,  con  12  pezzi 
di  artiglieria,  sotto  gli  ordini  del  generale  Turr,  a  Caserta. 

La  battaglia  era  imminente;  Garibaldi  ne  era  certo. 
H  iìO  di  settembre  aveva  notato  da  Sant'Angelo  un  mo- 
vimento straordinario  sotto  Capua,  e  siccome  era  sicuro 
di  aver  indovinato  il  pensiero  del  suo  avversario,  man- 
dava gli  aiutanti  ad  avvertire  i  suoi  Luogotenenti  che 
fac^sero  buona  guardia  perchè  l'indomani  sarebbe  av- 
venuto l'attacco  generale,  ultimo  disperato  tentativo  da 
parte  dei  borboni. 

Il  1"  ottobre,  alle  3  del  mattino,  il  generale  Garibaldi 
seguito  dal  suo  stato  maggiore  e  dai  suoi  aiutanti  mon- 
tava in  ferrovia  e  giungeva  a  8.  Maria  sul  far  dell'alba. 
Il  Milbitz  era  giìY  alle  prese  col  generale  Tabacchi  in 
S.  Maria,  e  il  Medici  con  Afan  de  Rivera  a  S.  Angelo. 

Il  generale  Tabacchi,  attaccando  S.  Maria  e  tro- 
vando forte  resistenza  di  fronte  da  parte  dei  reggimenti 
Lauger,  Sprovieri,  Corrao  e  La  l'orta,  spinse  una  parte 
delle  sue  truppe  a  sinistra  per  girare  la  città  e  tagliare 
le  comunicazioni  fra  S.  Maria  e  Sant'Angelo;  ma  se  ne 
avvide  Garibaldi  che  ordinò  alla  brigata  Assantì  di  ac- 
correi-e  in  aiuto. 

Diede  pure  ordine  al  2"  battaglione  bersaglieri  Li- 
vornesi comandati  diil  maggiore  .Sgarellino  di  spingersi 
a  sinistra  della  strada  per  S.  Angelo,  al  1"  reggimento 
colonnello  Faziolì,  ed  al  2'  comandato  dal  colonnello 
Borghese  di  occupare  il  cimitero  ed  una  casa  prossima, 
per  tener  testa  all'irrompente  nemico. 

17. 


Tutti  questi  oitiini  rigorosamente  eseguiti,  sotto  11 
fulmìujtre  iiic^ssuite  de!  nemico,  rafforzano  la  mìiiac- 
clata  ]Knizìone  leuuta  con  estremo  valore  dal  brigadiere 
Mal  une.  ili  Ili  e  dai  suoi  eroici  compagni.  L'attacco  ftil- 
mineo  della  brigata,  Assauri  e  dei  brarì  guidati  da  Lau- 
ger,  Sprovìeri,  Palizzolo,  Malencbioì,  La  Porta,  fenim  lo 
alancio  del  nemico  che  si  riduce  ad  investire  Santa  Maria, 
la  cui  popolazione  elettrizzstii  dalle  calde  purole  dello 
ftiudente  Aufjusto  Pierantoni  prestava  ogni  sortii  di  aiuto 
in  sostegno  dei  combattenti  gnrìbaldini. 

Mentxe  a  destra  ardeva  cosi  il  Mini  battimento,  a  San- 
t'Angelo i  re^  t'«i;c\ìiiio  i  più  arditi  sforzi,  con  te  più 
grandi  luasee,  per  sfondare  la  linoa  dei  nostri  e  irrom- 
pere su  Caserta  e  Napoli.  II  Dunn.  lo  Spangaro,  il 
Simonetta,  il  Ferrari,  il  Pedoni  fiicevano  ^furzi  eroici 
per  contenere  ed  arrestare  l'impeto  del  nemico,  ma  bat- 
tuti da  tutti  i  lati  dairartiglicria  boi-booica,  ferito  il  bri- 
gadiere Dumi.,  morto  il  comandante  del  tuittairlìone  Ra- 
morinu,  tenti  i  capitani  Tito,  Franco,  ed  altri,  s<jno  co- 
stretti a  dare  indietro  e  »  riparare  dietro  le  barricate. 

Il  fienrialo  Medici  comprendeva  che  la  p-^rdFtì  dolla 
fina  [Kjsiziune  iivrebbe  avuto  per  fatale  risultato  I'occtu- 
pjLzione  da  parte  dei  regi  di  Caserta  e  di  Napoli.  Biso- 
gnava vincere  ad  ogni  coftto:  «  Avanti  figliuoli  »  egli 
gridava  —  <  moriamo  tutti  (jui  se  occorre,  ma  vineiamo 
ip   nome  d'Italia  e  di  Oarihaldi  ». 

«  .A.vanti  tutti  »!  —  e  colla  decisa  risoluzione  di 
vincere  o  di  morii'e  si  mette  uìl,'*  testa  dei  sunì  e,  sor- 
retto didla  sezione  d'artiglieria  comandata  dal  tenente 
Torrii.:ellÌ,  si  slancia  conti-o  il  nemico,  caric-ando  furlosa- 
meiiLonlla  Iviiunettìt;  cadono  nella  brillante  cjirica  il  niag- 
gior  Cfwtellazzo,  il  lungntem^nte  Ciipauelll  e  molti  nitri, 
ma  il  nemico  é  fermaLo  e  obbligato  a  cedere  terreno. 

11  generale  Gnril>aldi  che  dalle  primo  ore  del  mat- 
tino »i  trovava  a  S.  Maria,  codiiilandy  interamente  in 
Milbiiz,  am  veeclijo  coraiKtgno  di  Ronm,  cai  aveva  rac- 
oomandiito  di  resistere  e  impedire  ad  ogni  costo  che  le 


comunicazioni  tra  S.  Maria,  e  Sant'Angelo  fossero  tagliate, 
montava  in  veÈtur»  e,  scortato  dal  suo  stato  raagg'iore, 
da  Missori,  da  Arrivabeiie,  da  Elia,  da  Basso  e  da  al- 
cune guide,  3i  dirigeva  verso  Sant'Angelo  per  vedere 
come  findavano  le  cose  in  quel  campo  d'azione,  die  sa- 
peva Srtrlaraente  ìDipegnato. 

La  strada  che  da  S-  Maria  va  a  Sant'Angelo  era 
tUlnnnata;,  il  generale  G-arihaldi  in  quel  momento  su- 
premo per  le  sue  armi  nel  traversarla  si  trovò  avvolto 
in  un  nembo  di  morte;  la  carrozza  tempestata  da  una 
grandine  di  fucilate  fu  involta  fra  un  nu^'oio  di  nemici. 
Le  scariche  gli  avevano  ucciso  un  cavallo  ed  il  cocchiere, 
talché  Griiribaldi  fu  costretto  a  balzare  a  terra  e  coi 
suoi  difendersi;  cadevano  feriti,  al  fianco  del  generale 
il  prode  Arrivalene  ed  altri;  il  pericolo  era  estremo; 
ma  se  ne  avvidero  i  carabinieri  genovesi  comandati  dal 
Mosto,  i  carabinieri  lombardi  comandati  dal  Simonetta, 
e  il  bravo  capitano  Fratelli  comandante  la  7"  com- 
pagnia della  brigata  Spangaro,  i  qunli  tutti  si  slancia- 
rono con  tale  impeto  che  il  nemico  fu  in  breve  sbara- 
gliato e  posto  in  fuga  a  punta  di  baionetta,'  e  a  Garibaldi 
e  ai  suoi  aperta  !a  via  per  Monte  Sant'Angelo. 

Ivi  arrivato,  trovò  Medici  che  alla  testa  dei  suoi 
faceva  eroici  sforzi  onde  rigettare  le  masse  borboniche  ; 
ma  col  suo  occhio  d'aquila  il  generale  B' avvide  che  le 
sommità  del  Monte  S.  Nicola  erano  occupate  dai  nemici^ 
i  qunli  per  strade  coperte  avevano  delusa  la  vigilanza 
dei  garibaldini,  e  girato  Sant'Angelo,  si  erano  portati 
dietro  la  nostra  lìnea,  oceupasido  le  alture,  pronti  a 
piombare  alle  spalle  dei  nostri, 

Senza  perdita  di  tempo  il  generale  Garibaldi  rac- 
colse tutte  le  truppe  che  potè  avere  sotto  mano  e, 
preso  esso  stesso  il  comando,  si  avviò  per  stretti  sen- 
tieri pafiBando  al  di  sopra  del  nemico  e  d' improvviso 
fatta  una  sola  Bcitrica  si  precipitò  sui  l)orboniei  che  uc 
rimasero  schiacciati  e  fatti  prigionieri. 

Intiinto  altre  truppe  giungevano  in  aiuto  al  Medici 


^ 


248 

condotte  dal  maf^g^iore  Farinelli,  dal  maggior  Morìei,  dal 
colonnello  Simonetta,  dal  colonoello  Ferrari,  e  dal  co- 
lonnello CunsialJa,  sotto  capo  dello  stato  maggiore;  con 
tutte  queste  forze  il  Medici  ordinava  un  estremo  assalto 
alla  baioneltrt:  questo  fu  condotto  sotto  gli  oc-chi  di  (ia- 
ribaldi  con  tale  impeto  irresistibile,  che  i  borbonici  fu- 
rono rotti  e  posti  in  fuga  lasciando  numerosi  prigionieri. 
Quando  Garibaldi  si  fu  assicurato  elio  a  Sant'An- 
gelo per  l'eroica  condotta  dei  combattenti  guidati  dal 
Medici^  potevasi  ormai  contare  sulla  vittoria,  si  diresse 
dì  nuovo  verso  8.  Maria. 

Mentii  accorreva  in  quella  pai-te  ove  U  combatti- 
mento erti  aspramente  impegnato,  il  generale  Turr  man- 
dava  a  Gainbaldi  un  suo  ufficiale  d' ordinanza,  per  far 
gli  noto  di  avere  inviata  parte  delUi  riserva  a  S.  Maria  e 
parte  in  rinforzo  a  Bixio;  e  per  chiedergli  se  credeva 
arrivato  il  momento  opportuno  per  fare  entrare  in  com- 
battiuieiito  i  restanti  3500  uomini  che  aveva  disponi- 
bili, Garibaldi  gli  rispondeva:  «  marciate  con  tutte  le 
forze  su  3.  Maria,  dove  mi  troverete  ». 

Il  g-eueraìe  Turr  non  perdette  un  minuto  —  egli  te- 
neva pronti  [  suoi  —  e  presto  fu  a  S.  Maria  ove  trovò 
che  Milbitz  faceva  eroici  sforzi  per  ribattere  gli  attjicchi 
sempre  ripotuti  del  nemico. 

Appena  ri-aribaldi  vide  Turr  con  la  riserva  gli  disse: 
«  Siamo  vincitori  —  noa  occorre  che  r  ultimo  colpo  de- 
cisivo ». 

Air  imitante  il  generale  Turr  ordina  alle  brigata  As- 
santi  o  Milano  che  aveva  condotte  con  sé  di  caric-ire  il 
nemico  :  Garibaldi  seguito  da  Rilstow  coi  suoi  usseri  si 
mette  alla  testa  delle  brigatt;;  tutti  gli  altri  corpi  fanno  a 
gara  per  seguirlo  nell'estremo  cimento;  Corrao,  La  Porta, 
Pace,  Palizzolo,  Sprovierì,  Malenchjni,  Bassini,  Ta&ca, 
Lepore,  Sgarellino  ai  slanciano  in  furioso  attacco;  il  batta- 
glione Tasca  del  reggimento  Bassini,  affronta  il  nemico 
che  erasi  forlemeote  trincerato  nel  cimitero  da  dove  se- 
minava strage  sui  nostri  ;  il  primo  a  scalare  la  cinta,  è  il 


249 

Taloroso  furiere  Pittaluga  ;  il  Pittaluga  è  seguito  dalla 
1*  compagnift  Lepore  e  da  altre;  il  cimitero  è  preso 
colla  punta  della  baionetta  e  il  nemico  posto  in  fu^a; 
molti  rimangono  prigionieri  e  il  prode  Pittaluga  ti  pro- 
mosso sottotenente  sul  campo  di  battaglia. 

Altri  si  avventano  contro  la  batteria  nemica  e  se  ne 
impadroniscono. 

Ma  non  era  ancora  la  vittoria  predett^i  da  Gari- 
baldi ! 

A  S.  Maria  ancora  si  combatteva  accanitamente. 

La  compagnia  La  Flotte  teneva  fermo  fin  dalla  mat^ 
tina  nella  Cascina  davanti  S.  Maria^  da  dove  cinque  fu- 
riosi assalti  nemici  non  avevano  potuto  sloggiarla.  Ma 
tutti  erano  sfiniti. 

Per  fortuna  il  cjipitano  Adamoli  dello  stato  maggiore 
portava  la  notìzia  al  generale  Turr  dell'arrivo  della 
brigata  Eber;  sì  sentiva  il  vivissimo  fuoco  col  qujile  ei'ano 
stille  accolte  le  brigate  guidate  da  Garibaldi  in  pei'iiona, 
e  Turr  ordinava  che  Eber  con  la  sua  brigata,  colla  le- 
gione ungherese  e  con  la  compagnia  dei  cacciatori  esteri, 
accorresse  a  sostegno, 

11  Dittatore,  sboccato  sulla  strada  S.  Angelo,  era  stato 
accolto  da  fuoco  violentlsiiimo  sulla  sua  sinistra  mentre 
la  cavalleria  borbonica  si  slanciava  alla  carica,  ma  i 
bersflglien  railftnesi  mandati  dal  Medici  di  scorta  ed  a 
sostegno  e  guidati  dal  valoroso  Pedotti,  tcnoero  testa  con 
una  furiosa  controcarim  coadiuvati  dalla  legione  unghe- 
rese e  misero  in  fuga,  sbarìigiiata,  la  cavalleria  e  la  fan- 
terìa nemica. 

Era  ora  di  finirla;  e  Garibaldi  manda  ordine  al  Turr 
a  S.  Maria,  a  Medici  a  Sant'Angelo,  perchè  m  faccia  un 
ultimo  supremo  sforzo  su  tutta  la  linea  ;  Hclieiter  coi 
suoi  usseri  ungheresi,  Corrao,  La  Porta,  coi  loro  reg'gi- 
menti;  Tanara,  Cucchi,  Tasca,  Sgarellìiio  coi  loro  bat- 
taglioni ;  Pedotti  e  Missiroli,  il  pj-imo  coi  suoi  bravi  ber- 
saglieri, il  Bccondo  coUa  1^  compagnia  della  brigata  Sac- 
chi,  si   lanciano  in   aiuto  della  truppe  di  Malenchinì  e 


2Ó0 

del  Bassini  e  tutti  uniti  sA  avventano  contro  il  nen]i« 
con  furiosa  carìcii  allii  baionetta;  il    nemico  è  rotto 
tulita  la  liuen  sbandato  ed  in  ritirata  su  CapuA. 


La  giornata  del  1°  ottobre  fu  memorabile.  —  In  qi 
fiero   combattimento   Garibaldi    anche    una   volta   dai 
prova  di  grande  sapienza    militare  :  i  suoi   luof^-utenent 
Turr,  Medici,  Bixio,  Milbitz,  La  Masa,  Dezza,  e  gli  altri 
tatti,  si  mostrarono  degni  di  lui;  i  bravi  garib^ildìnì  dJpder^H 
prove  di  grandissimo  valore   e  di  abnegazione.  Moltis- 
simi furoiio  coloro  che  si  distinsero   e   fra   questi  i  ccb^_ 
lonnelli  Borghese  e  Fazioli,  il  promosso  e  decorato   a1^| 
l'ordine  di  Savoia  Pedottj,  il  tenente  Carbone,  il  Tom- 
masì  che  il  Malenebìni  promoveva  capitani:  a  fianco  d€|^J 
Carbone  dei  Mille  combattè  da  valoroso  il  furiere  mag^^l 
glore  Coffa  che  veniva  promosso  sottoponente  e  Cregiaio 
della  modaglia.  al  valore  militm'e  ;  mnetró  pure  grande 
vs^lore  il  tenente  Lacava  che  si  guadagna  la  medagU. 
al  valore  mUiCare. 

Verino  le  G  pom.  tutta  la  linea  di  battaglia  da  S.  Ma- 
ria alle  alture  di  S.  Angelo  era  abbandonata  diii  nomici 
e  i  garibaldini  estenuati,  dopo  14  ore  di  combattimento_ 
;iccanito,  potevano  riposarsi   sul  campo   tanto  glorios 
mente  difeso. 

Anche  da  Maddaloni   Bixio   aveva   mandata  la 
tizia  della  vittoria  su  tutta  la  sua  linea. 

Il  cnmijatti mento  fu  lungo  ed  accanitissimo.  —  Eixio 
aveva  voluto  dai  suoi  il  giuramento  che  sarebbero  morti 
tafti  al  loro  posto  piuttosto  che  permettere  ai  borbonici 
di  marciare  su  Caserta  —  «  Devono  passare  sui  nostri 
corpi  »  aveva  detto  e  gli  assalti  delle  truppe  regie,  re- 
plicati ed  accaniti,  furono  tutti  con  gravi  perdite  respim^^ 
ed  inSne  furono  posti  in  luga.  ^H 

Gli  atti  di  eroismo  di   Bixio,  di  Dezza,  di   Menotti 
Garibaldi,  degno  figlio  del  ^adre,  dei  colonnelli  Tadeì 


1 


!ntQ 

1 


251 

Spinazai,  del  maggiore  Boldrini  che  rimase  gravemente 
ferito,  non  si  possono  descrivere.  —  Il  posto  doveva  es- 
sere tenuto  —  là  ai  doveva  vincere  o  morire  —  i  prodi 
tennero  fede  e  vinsero. 

Nei  fieri  combattimenti  sostenuti  con  grande  valore 
e  vinti  colla  punta  della  baionetta,  molti  si  distinsero  e 
fra  gli  altri,  il  capitano  Burattini,  i  tenenti  Venzi,  Gior^', 
Taglieri  e  il  Della  Torre,  proposti  tutti  per  la  promo- 
zione e  per  la  medaglia  al  valore  militare. 

E  de{jiio  di  memoria  onorata  questo  epico  episodio. 
Mentre  si  combatteva  acciinita mente  in  tutta  la  linea  a 
.S.  Maria,  a  S.  Angelo  ed  a  Miiddalonì,  il  inaggnoro  Bron- 
zetti eoli  270  dei  nostri  sosteneva  a  Castel  Moirone  riu'to 
di  3000  boi'bonici,  respingendoli  in  ben  dieci  assalti.  La 
inìiggior  parte  di  quei  bravi  era  caduta;  invano  gli  uf- 
ttcijili  napoletiini  eeortavauo  i  superstiti  ad  arrendersi, 
facendo  sapere  clie  tìinto  valore  sarebbe  etato  rispettato; 
Pilade  Bronzetti  resistette  entro  il  ca-stello  tinche  ebbe 
cartucce,  e,qnitndo  queste  vennero  meno,  i  difensori  di 
Castel  Morrone  vollero  morire  da  eroi,  Stretti  come  un. 
sol  uomo,  tentarono  aprirsi  col  revolver  in  pugno  e  colla 
baionetta  un  varco  tra  le  migliaia  di  nemici;  oMdero 
quasi  tutti  lasciando  di  essi  nome  immortale  ;  hi  ferito 
a  morto  lo  stesso  eroico  Bronzetti  e  i  poL^iii  rimasti  ven- 
nero condotti  prigionieri.  Fra  questi  eroi  sacrati  alla 
morte,  combatterono  disperatamente  il  valorosissimo  ca- 
pitano Mirri,  che  fu  ferito,  ed  i  tenenti  Matteo  Renato 
Imbriani,  Vincenzo  Migliorini,  Elpidìo  Mantógazza  già 
distintosi  0  Milazzo,  i  quali  si  guadagnarono  la  meda- 
glia al  valore  militare  e  la  promozione.  Questa  eroica 
resistenza  contribuì  efficacemente  alla  vittoria  della  me- 
moranda giornata:  onore  ai  prodi! 


Mentre  Garibaldi  co*  suoi  del  quai"tiere  generale  sì 
ritirava    da   S.  Angelo,   s'imbattè  nei  caraljìuieri    geuo- 


252 

vesi  che  vollero  fargli  scorta,  Fatto  appeua  Volt  per 
il  rancio,  e  per  un  pieeolo  riposo  di  cui  tutti  sentivano 
il  bÌKOgno,  venne  al  tìeiieriile  l'avviso  che  una  colonna 
di  5000  borbouit'i  tivivavaai  a  Caserta  vecchia,  pronta 
a  piombare  su  Caserta,  quartiere  generale  garìbaldiao. 

Mandate  staffette,  per  avvertire  Sirtori  che  era  a 
Caserta,  Bùcio  a  Maddaloni,  Stocco  coi  suoi  calabresi  ad 
Aversa  egli  cou  Missoti  eoi  carabinieri  genovesi  e  con 
altre  lorze  che  potè  avere  sotto  mano,  si  mise  subito 
in  marcia  prendendo  la  via  della  Montagna.  I  nemici 
si  erano  posti  in  marcia  per  Caiserta  nulla  sapendo  dei 
rovesci  loro  toccati  su  tutta  la  linea  di  combattimento 
nel  giorno  innanzi,  nm  trovarono  Sirtori  con  le  forze 
garibaldine  sotto  al  suo  comando  al  Quartiere  Generale 
(alle  iiu.ilì  erasi  unito  un  battafilione  di  liersa^lieri  sbar- 
cato allora  allora  da  nna  R.  Nave  Itiiliana)  che  li  rice- 
vette vigorosamente,  e  sorpresi  ai  fianchi  ed  alle  spalle 
dalle  forze  di  Gfaribaldi,  di  Bixio,  di  Stocco,  dopo  una 
reJstenza  de^nii  di  mig'lior  causa,  battuti  con  valore 
dai  nostri,  fra  i  quali  .si  distìnsero  come  sempre  il  co- 
lonnello Mìssorì  e  il  Ma;2;giore  Fazzari,  accerchiati,  dovet- 
tero arrendersi  e  darsi  prigionieri. 

La  vittoria  det  Volttinio  del  1  e  2  ottobre  aveva 
tolto  ai  borbonici  o^ni  possibilitii  di  rivincita;  e  li  aveva 
costretti  a  rinchiudersi  nelle  fortezze  di  Capua  e  di  fraeta. 
Perù  un  pensiero  crucciava  G-aribaldi.  Ksho  diceva 
eon  gli  amici  nei  brevi  momenti  di  riposo  al  quartier 
generale  di  Caserta:  f  II  primo  ottobre  abbiamo  scon- 
fitto il  nemioo  a  tal  punto,  che  non  sarà  piCi  in  grado 
di  affrontiirci;  ma  non  poyso  andare  a  Boma,  lasciando 
addietro  40.000  uomini  trincerati  tn  due  fortezze:  eiisi 
si  riprenderebbero  Napoli,  queindo  io  coi  miei  non  fos- 
simo qui  a  difenderla  ». 


A  dìstorglierlo  da  cotali    pensieri  era  avvenuto    un 
fatto  politicamente  assai  importante. 


25S 


CAPITOLO  XX. 

Liberazione  dell'Umbria  e  delle  Marche 
Castellldardo-Ancona. 

Decisa  l'occupazione  delle  Marche  e  dell'Umbria  da 
parte  delle  truppe  Piemontesi,  il  Conte  di  Cavour  ne 
■dava  avviso  al  Cardinale  Antonellì  con  sua  nota  del 
7  settembre  1860  uella  quale  si  diceva: 

Che  il  govemo  Sardo  era  dovuto  venire  in  quella 
determinazione  perche  «  la  coscienza  del  Re  Vittorio 
Emanuele  non  gli  permetteva  di  rimanersi  testimone 
impassibile  delle  sanguinose  repressioni  con  cui  le  armi 
dei  mercenari  stranieri  al  soldo  del  governo  papale, 
soifocherebbero  nel  sangue  italiano  ogni  manifestazione 
del  sentimento  nazionale.  Niun  governo  ha  diritto  di 
abbandonare  all'arbitrio  di  una  schiera  di  soldati  di 
ventura  gli  averi,  l'onore,  la  vita  degli  abitanti  di  un 
paese  civile. 

«  Per  questi  motivi  dopo  aver  chiesti  gli  ordini 
di  S.  Maestà  il  Re,  mio  Augusto  Sovrano,  ho  l'onore  di 
flìgniflcare  a  Vostra  Eminenza  che  truppe  del  Re  hanno 
incarico  d'impedire,  in  nome  dell'umanità,  che  i  corpi 
mercenari  pontificii  reprimano  colla  violenza  l'espres- 
sione dei  sentimenti  delle  popolazioni  delle  Marche  e 
dell'Umbria. 

«  Ho  inoltre  l'onore  d'invitare  Vostra  Eminenza, 
per  i  motivi  sopra  espressi  a  dare  l'ordine  di  disarmare 
e  di  sciogliere  quei  corpi,  la  cui  esistenza  è  una  mi- 
naccia continua  alla  tranquillità  dell'Italia. 

«  Nella  fiducia  che  V.  Eminenza  vorrà  comunicarmi 
tosto  le  disposizioni  date  dal  govemo  di  S.  Santità  in 
proposito,  ho  l'onore  di  rinnovarle  gli  atti  dell'alta  mia 
considerazione. 

Firmato:  C.  Cavour  » 


254 

Srio';;Iiere  l'esercito  al  soldo  pontifìcio  sarebbe  stato 
Io  stesso  che  aprire  le  porte  alla  rivoluzione;  il  governo 
papale     scelse  la  guerra. 


Dopo  la.  giornata  del  18bi)  iielliv  quale  le  truppe 
pontificie  comandato  dal  generale  Schraidt  espugnarono 
Perugia  cominettondovi  fatti  atrofia  Cortona  era  divenuta 
il  centro  dei  nuovi  preparativi  insurrezionali  nel  limi- 
trofo Stato  romano.  Emigrati  perugini,  come  il  Danzetta, 
il  conte  Ansidei,  il  l^ompili  ed  il  conte  Massaniccì  vi 
avevano  preso  stanza  o  vi  tenevano  adunanze  di  pa- 
trioti; v'interveniva  anclie  il  fìualterio  che  aveva  preso 
parte  al  movimento  del  27  aprile  In  Toscana.  Questi,  as- 
sieme ili  Diligenti,  si  recava  a  Torino  dal  conto  dì  Cavour 
per  sUibilire  accordi  per  una  prossima  sollevazione  del- 
rUmbria. 

Gli  accordi  furono  questi;  il  Danzetta  ed  il  Massfi- 
ruoci  con  altri  patrioti  od  aniìci  dovevano  preparare 
una  sollevazione  nel  punto  die  essi  avessero  creduto 
il  migliore  per  J'8  o  9  di  settembre.  II  Diligenti  venne 
iDcaricato  di  intenderei  eoi  patrioti  Toscani  vicini  alla 
frontiera  perche  si  riunissero  in  armi  a  Chiusi  il  giorno  7 
e  di  la  accorressero  a  prestare  man  forte  ai  sollevLìti  del- 
l'Umbria; il  Diligenti  per  questo  s'intese  anche  coi  li- 
berali livorne&i  e  tutto  fu  stabilito  per  un  movimento 
insurrezionale  per  dare  motivo  alle  truppe  italiane  d'in- 
tervenire. 

Cento  patriol;Ì  dell'eroica  città  di  Perugia,  dei  quali 
faCòvjino  parte  l'Ugolini  conte  flaleazzo  e  Manni  Gaetano, 
uscirono  dalla  città,  sì  diressero  all'  osteria  dell'  Ei- 
leia,  ove  trovarono  ordine  di  recarsi  a  Chiusi  per  con- 
cretare lo  operazioni  da  farsi;  durante  il  cammino  incon- 
trarono una  squadra  di  geudanni,  impegnaroTio  la  lotta, 
ne  uccisero  alcuni  e  fecero  gli  altri  prigionieri. 

A  Todi  ed  a  Terni  altri  patrioti  riuniti  dal  conte 


Alceo  Massarucci  erano  pronti  pel  movimento;  e  l'S  di 
Kettenibro  i  bravi  giovani  si  mettevano  in  marcia; 
erano  circa  400  col  Massarucci,  col  Theodolì  Mai'io,  col 
Baldoni  Giuseppe,  e  col  Colaciccbi  di  Todi.  Luoìj;o  di 
convegno  era  l'altura  di  AUerona;  vi  arrivarono  alle 
11  della  notte  del  y  e  vi  troviU'ono  i  volontaii  condotti 
iial  Danzetti  e  dal  Bruschi,  A  Chiusi  aveva  preso  il  co- 
niando di  altri  300  volontari  il  colonnello  Masi  e  ne 
Aveva  formata  la  legione  alla  quale  Aveva  dato  il  nome 
di  Cacciatori  del  Tevere.  Partito  li  Masi  da  Cliiusi  si 
diresBe  su  Città  della  Pieve,  ove  norainù  un  governo 
provvisorio.  Giungevano  da  Chiusi  altri  150  volontari 
condotti  dal  capitano  Giuseppe  Baldini.  Il  giorno  10  il 
colonnello  Masi,  arrivava  al  convento  di  S*  Lorenzo  ove 
erano  atìunati  i  volontari  dell'Umbria  e  prendeva  il  co- 
mando del  corpo  forte  di  circa  niiUe  uomini. 

Fu  deciso  di  marciare  su  Orvieto  e,  colle  intelligenze 
che  si  avevano  nell'interno,  impadronirsi  della  città  cU 
notte  e    di   aorpi'esa- 

Hivise  quindi  le  forze  in  due  colonne,  una  il  colon- 
nello Masi  la  pre^  con  sé  e  si  dilesse  al  nord  della 
città  dT'rvieto,  con  la  speranza  che  ^ti  amici  interni 
gli  aprissero  le  porte  come  era  convenuto,  Taltra  co- 
lonna sotto  il  comando  del  capitano  Liborio  Salvatori 
sì  diresse  dalla  parte  &ud  delta  città,  su  quel  cono  di 
tufo  alto  ed  in  accessi  bile,  nel  mezzo  della  spianata  del 
i|uale,  sorgono  le  mura  dell'antica  Orvieto. 

Erasi  convenato  con  i  liberali  Orvietani  che  verso 
la  mezzanotte  avrebbero  fatto  scendere  una  Kcala  di 
oorda  ptr  la  quale  i  volontari  da  fuori  sarebbero  ascesi 
sulle  mura.  All'ora  stabilita  la  scala  era  al  posto;  primo 
a  montarvi  fu  il  coraggio-so  Delbonti'oraboiiì  Giovanni 
di  Crevrtlcore,  giA  caporale  dei  finanzieri  ponlilìci;  altri 
lo  seguirono;  nel  Salire  assai  faticoso,  di^razia  volle 
ehe  i  fucili  di  quei  bravi  urtassero  e  facessero  rumoreì 
già,  il  bravo  Delbon tromboni  stava  per  arrampicarsi 
auUa  sommità  delle  mura^  quando  una  voce  giidù;  <  Chi 


vive'?  -  «Ila  rispofstii  "  Roma  »  segui  um«  detonazione  che 
fu  siissc^nita  da  eiJtre;  li*  muiIa  venne  nhbiiQdoiiiitn  ria 
coloiM  che  U  tenevano  e  i  volontari  che  vi  enino  ^Iki, 
sbattendo  violeii temente  contro  il  tufo,  precipitarono 
nel  fuswiio.  11  tentaiivo  era  fallico  e  In  colonna  dovette 
ritirarsi  a  S.  I^renzo.  ove  prima  del  giorno  facev»  pur 
ritorno  II  colonnello  Masi,  non  essendo  neanche  riuBcìto 
il  tenwiivo  dell'apertura  .della  porta  al  nord  della  città. 

L'audace  tentativo  non  andava  perù  perduto;  il 
giorno  se^ueoifi  le  suloritn  cittadine  guidate  dtil  eonte 
Piccolornini,  assecondate  dal  jjopolo  Orvietano  tultu  as- 
sembr-nio,  si  presentavano  ;il  legato  del  Papa  moi  signor 
Cernili  ehiedendo  si  apiissero  le  porte  alle  truppe  na- 
zionali e  si  evitassero  contlitti. 

Il  tlcleyato,  ilnpo  qualche  indugio,  aceordnva  \i\  resa 
e  dttva  incarico  per  l'esecuzione  RÌla  rappre^ntanza 
comunale;  cosi  i  cacciatori  del  Tevere  entravnno  in  Or- 
vieto dalla  pcu'te  della  Kocca,  mentre  i  papaliiii  uè  usci- 
viino  d-Ula   porti  Komaiia. 

La  sera  del  17  settembre  i  aicciatori  incolonnati 
prendevano  la  via  di  Hagiiorea,  preceduti  danrdita  avan- 
yuardin  cotnaitdatw  dal  tenente  niarelicsc  Mario  Theo- 
doli.  Arrivarla  colonnii  a  Hn;^iiciin^n,  dopi»  l)reve  sostv-ì, 
riprese  la  marcia  per  Cellino  e  MonteHasc^ne  ;  sì  spe- 
niva  di  arrivare  al  paese  di  Borpresa,  ma  a  tre  chilo- 
metri distami  alcuni  uomini  dell'avanguardia  mandati 
arami  dal  Theodoli  ad  esplorare,  s'iinbatierono  in  uim 
I>attuglia  di  grendarmì  a  cavallo;  altri  a  piedi  seguivano 
da  lun<;i:  ^'li  uomini  dell 'avanscoperta  aprirono  il  fuoco: 
i  cttraljiiiiei"!  a  piedi  che  si  trovavano  lontani  si  inìsero 
in  tuga,  quelli  a  cavallo  che  erano  già  sopra  «.i  nostri 
furono  filiti  prigionieri.  Ma  i  fuggiti  a\'UVHno  dato  l'al- 
Uirme  e  la  sorpresa  non  tu  più  pousilùle. 

Unii  compagni»  di  pontifici  (belRi)  si  fece  avanti 
per  arrestare  ravanguardia  dei  caccinwri  comandati  dal 
Tlu'odoli.  ma  i  nostri,  fatta  una  scarica,  e  sorretti  dai 
corpo  del  >hibi,  uoproggiunto  di  corsji^  attaccano  i  belgi 


257 

alla  baionetta,  li  mettono  in  fuga  e  con  esai  entrano  a 
Montefiiiscone,  mentre  i  papalini  fug'goiio  cìnlla  parte 
opposta  per  la  YÌadi  Viterbo. 

Il  giorno  20  settembre  la  guarnis'ione  poiitiflci»  a- 
vendo  abbandonato  Viterbo,  una  deputazione  iHttadiiia 
Tenìva  ad  invitare  Masi  ad  entrarTi,  ed  alle  5  pome- 
ridiane dello  stesso  giorno  i  nostri  erano  a  Viterbo.  11 
24  i  cacciatori  del  Tevere  occupavano  Civitacastellana 
e  Corneto. 

Il  2  di  ottobre  i  cacciatori  lasciata  Civitacjistellana 
giunsero  parte  a  Rignano  Flaminio,  parce  a  Castelnuovo 
di  Porco  e  una  colonna  a  Fiano  Romano  ;  il  5  tutta 
la  colonna  transitava  sulla  sinistra  del  Tevere  e  nel 
pomerif^gio  arrivava  a  Poggio  MLrteto,  città  delle  più 
patriottiche. 

Presavi  stanza  il  colonnello  Masi  spediva  il  Dili- 
genti ed  il  Maaeariicci  al  generale  Brignone  in  Terni 
per  sapere  eq  poteva  proseguire  il  suo  movimento  verso 
Roma  e  qiirili  erano  le  istruzioni  del  Governo. 

I  due  patrioti  venivano  incaricati  dal  generale  di 
lare  sapere  al  colonnello  Masi  clie  ogni  speranza  di  an- 
dare a  Roma  era  svanita  e  che  ordine  perentorio  eravi 
di   sgombrare   dal  cosi  detto  patrimonio  di  S.  Pietro. 

Fu  forza  al  Masi  di  ubbidire  e  1'  8  di  ottobre  non 
r&stava  un  volontario  sulla  sinistra  del  Tevere.  I  cac- 
ciatori del  Tevere  isi  erano  ridotti  a  Montefiascone  di- 
retti per  Orvieto,  da  dove  avevano  mossi  i  primi  passi 
pieni  di  ardire  e  di  speranze  ;  il  20  doveti-ero  abban- 
donare anche  Orvieto  ! 

Tu  seguito  i  cacciatori  del  Tevere  formati  in  due 
battaglioni,  sotto  gli  ordini  del  colonnello  Masi,  poterono 
rendere  segnalati  servigi  al  paese  combattendo  il  bri- 
gantaggio che  nell'Ascolano  e  negli  Abruzzi  perpetrava 
atrocitik  inaudite  specialmente  in  Collalto,  segnalando- 
visi  in  modo  particolare  il  capitano  Marchese  Mario  Theo- 
doli  che  si  meritava  promozioni  ed  onorificenze;  vi  si  di- 


258 

stinsero   pure  il  tenente    Giulio  Silvestri  ed  il  più  gio- 
vane  tratello  Aniiib.-ile  sottotenente. 


Per  la  Uberitzione  dell'Umbria  dai  mercenari  del 
pjtpa  eoiiiandatì  dal  fiimoso  generale  Schraidt,  fU  dato 
incarico  al  generale  Fanti,  comandante  del  5"  corpo, 
il  quale  formò  il  piano  seguente  ; 

1"  Impadronirsi  di  Perugia  come  base  d'  operazione; 

2"  Marciare  su  Foligno,  centro  delle  comunicazioni 
delio  SÈJito  pontifìcia  con  l'intento  d'assicurare  per  o^ui 
evenlo  la  congiunziune  col  4"  corpo,  comandato  dai  Cial- 
diiii  ; 

3*  Da  Foligno  rivolgersi  su  Spoleto  o  su  Ancona 
secondo  le  mosse  di  Lamorìcière. 


11  generale  De  Sonnaz  con  la  brigala  gramitieri  di 
Sardegna  ed  altre  truppe  sussidiarie,  bersaglieri,  artiglie- 
ria, cavallcric'i  e  genio,  doveva  occupai-c  Perugia.  La 
mattina  del  14  settembre  investiva  la  piazza  murata  t- 
alle  ore  9  la  colonna  di  deatra  comandata  dallo  stesso 
generate  De  Sonnaz,  sfondata  la  porta  S.  Antonio  coi 
bersaglieri  in  testa,  comandati  tiial  colonnelio  Pidlavicini. 
entrava  in  città.  Mentre  questo  avveniva  a  dcsti-a,  i 
granatieri  di  Sardegna  a  sinistra  sfondata  la  porta  SanUt 
Margherita  entravano  essi  pure  trìonfauLì  in  Perugia, 
H  generale  Scbmidt  che  si  era  ritirato  nel  ferie,  alle 
6  pomeridiane  capitolava.  Cosi  per  le  eccellenti  dispo- 
sizioni tattiche  dal  generale  De  Sonnaz  e  pel  valore 
delle  nostre  truppe  si  ebbe  espugnata  V  importantissima 
piazza  e  'si  arrendevano  prigionieri  1700  pontiflci  con 
sei  pezzi  d'artiglieria  e  la  bandiera  del  2"  reggimento 
estero. 


259 


Nelle  Marche  le  cobo  andavano  cosi  : 

L'8  settembre  Urbino  insorgeva  e  fugati  1  gendarmi 
pontifici,  abbattuti  gli  stemmi  del  governo  papale  pro- 
clamava l'unione  all'Italia  sotto  la  dinastia  di  .Savoia; 
Fosaombrone  neseguiva  l'eserapio  innalzando  il  vessillo 
tricolore. 

A  tale  notizia  il  generale  Lamoriciére  mandava  or- 
dine al  Di  Curten  di  ridurre  a  servitù  le  ribellate  città. 
Il  giorno  U  Fossombroue  veniva  assalita  da  una  forte 
colonna  di  mercenari,  i  quali  sorpresa  la  città  vi  rin- 
novarono le  scelleratezze,  gli  ee^Mdl  che  avevan  già  fu- 
nestata la  patriottica  Perugia.  Non  ebbe  ilprode  Di  Curten- 
l'ardire  di  assalire  Urbino,  ove  lo  attendevano  in  armi  i 
generosi  cittadini  rafforzati  da  800  volontai'i  accorsi  in 
loro  soccorso  dalie  terre  vicine,  risoluti  all'  estrema  re- 
sistenza. 

Né,  nella  baldanza  brutale  di  quell'  orgia  sangui- 
naria, ardiva  di  muovere  su  Pergola  che  erasi  pure  sol- 
levatii  con  grande  entusiasmo  e  si  sosteneva  con  vigoroso 
ardiineuCo,  isjjirato  dall'esempio  diii  patrioti  Fulvi  Giu- 
seppe. G.  Batt.  Jonni  e  Aseanio  G-inevri^ 

Per  tutta  le  Marche  il  Lamnriciure  aveva  ftitto  pro- 
proclamare  lo  stato  d'  assedio  e  le  scorazzava  terroriz- 
zando le  pDpolnzloui  con  atti  feroci. 

Al  Ciiddini,  con  la  4"  e  la  7"^  divisione,  a  cui  il  go- 
verno del  Re  aveva  dato  l'incarico  di  liberai'e  le  Marche 
da  tanto  lifigellOj  era  imposto  il  dovere  di  accelerare  le 
suo  mosse  per  cogliere  il  nemico  disseminato  e  scod- 
flggerlo  prima  che  avesse. potuto  raccogliersi. 

Il  mezzogiorno  dell'  11  settembre  una  brigata  di  ca* 
valleria  comandata  dal  maggior  generale  Griflìiii  e  due 
battaglioni  di  bersaglieri,  divorata  la  via,  accerchiavano 
la  cittii  di  Pesaro. 

Il  Cialdini  mandava  un  parlameutiirio  coli'  intimi- 


260 
zione  della  resa,  ma  essendo  stata  questa  respinta,  l'ar- 
tiglierìa, che  appena  arrivata  aveva  preso  poàizione, 
apriva  il  fuoco  contro  porta  Rimini  e  porta  Cappuccini. 
Dopo  un'ora  di  cannoneggi  adonto  i  nostri  bravi  bersa- 
glieri entravano  in  eittó  per  le  porte  Bfondnte. 

La  guartiife'ìoLe  mercenaria  erasi  riparata  nel  forte 
coir  intendimento  di  resistere;  ma  il  g:iorno  di  poi  dopo 
un  vivaoìssimo  fii-ico  della  nostra  artiglieria  piazzata  sul 
colle  di  Loreto,  inalberava  baudiera  bianca  e  si  arrendeva 
a  discrezione. 

11  giorno  12  i  nostri  s'inipadranirono  di  P'ano  e  la 
mattina  del  13  ripresero  la  marcia  per  Ancona. 

D  14  si  volle  dare  un  po'  di  nposoalle  truppe  a  Seni- 
gallia, ma,  saputosi  che  la  colonna  del  generale  Di  Ciu'ten 
si  trovava  sulle  alture  di  8.  An^^elo,  :I  bravo  generale 
Leotardi  ordinava  a!  brigadiere  Avogadro  di  Casanova  di 
muovere  subito  ad  attaccarla  e  questi,  con  due  batta- 
glioni della  brigata  Bergamo  e  eoi  lancieri  di  Milano, 
verso  le  2  pomeridiane  assaliva  il  nemico  vigorosamente 
e  lo  sbaragliava,  facendo  buon  numero  dì  prigionieri. 

Nella  notte  del  14  il  generale  Cìaldini  veniva  infor- 
mato che  il  generale  Lanioricière  sì  dirigeva  per  la  Valle 
del  Cliienti  a  marcie  forzate  verso  Ancona  con  circa 
4000  uomini  e  che  era  seguito,  ad  un  giorno  di  distanza, 
dal  general  Pimodan  eoìla  S'*  brigata  di  circa  5CHX)  uojuini; 
gli  si  riferiva  pure  che  il  Lamorituère  avrebbe  passata  1» 
notte  del  li>  Macerata. 

D.1  Macerata  per  Ancona  il  Ijimorìoière  poteva  per- 
correre tre  strade;  la  1^  più  breve  e  più  direita,  di- 
scende in  Val  di  Potenza,  passa  questo  fiume,  sale  a 
Monte  Caseìaito  e  per  Monte  Floi'e  procede  per  Osinio  e 
di  là  ad  Aiieona;  la  '2^  che,  dopo  passato  il  iìume  Potenza 
segue  il  versante  a  maestro  di  questa  valle  mette  a  Re- 
canati, Side  a  Loreto  e  per  la  Valle  di  Musone  va  alle 
Crocette  di  Castelfìdardo  e  ad  Ancoua;  la  3'  acgue  la 
cresta  delle  colline  fra  Potenza  e  Chienti,  per  Monte 
Lupone  e  Monte    Santo    sbocca  alla   spiaggia,  varca  il 


261 

fiume  Potenza  presso  la  foce,  viene  a  Porto  Recanati  e 
per  Cameraito  Ta  ad  Ancona. 

Il  generale  Cialdini  al  mattino  del  \(\  fece  occupare 
un'eccellente  posizione  fra  Osimo  e  Jesi  spingendosi  fino 
Castel  fìdardo. 

Per  ti'arre  in  inganno  il  Lamoricière  sulle  sue  in- 
tenzioni, il  Cialdini  mandava,  nel  cuore  della  notte  del 
15  uno  squadrone  di  lancieri  a  Filottrano,  con  incarico 
di  ordiDare  perentoriamente  pel  mattino  seguente  24,000 
razioni  di  pane  per  l'esercito,  il  quale  doveva  attraver- 
sare il  paese  diretto  per  Macerata.  Invece,  nella  stessa 
notte,  ì  due  l>attaglÌoni  11"  e  16"  che  colla  brigata  Como 
avevano  occupato  Torre  di  Iesi,  si  poruivano  a  passo 
accelerato,  accompagnati  da  una  sezione  d'artiglieria,  ad 
cccupare  la  forte  posizione  di  Osimo. 

Il  Lamoricière  arrivò  il  lo  a  Macerata  ed  il  16  a 
Loreto,  ove  il  17  lo  raggiunse  la  colonna  Pimodnn. 

Soltanto  il  Musone  separava  i  due  eserciti  ;  il  ge- 
nerale Cialdini  aveva  dovuto  disporre  le  sue  truppe  in 
modo  da  oppoi-si  contemporaneamente  a  due  attacchi, 
converjjenti  ma  provenienti  da  direàoni  opposte,  e  cioè 
da  Loreto  e  da  Ancona.  A  tale  intento,  aveva  occupate 
le  colline  che  dividono  il  Musone  dall'Esine,  e  sì  pro- 
tendono digradando  verso  il  mare  fin  presso  la  con- 
fluenza dei  fiumi.  L' ordine  di  battaglia  delle  truppe 
italiane  aveva  quindi  due  fronti,  l'uno  rivolto  al  nord, 
verso  Ancona  e  disteso  dal  ponte  delle  Ranocchie,  per 
S.  Biagio,  la  Badia  e  San  Rocchetto,  alle  Crocette:  l'altro, 
rivolto  al  sud,  verso  Loreto,  dalle  Crocette,  per  Cam- 
panari, CastelHdardo,  S.  Solino  ad  Osimo.  Quest'ultimo 
era  il  più  forte,  come  pili  potente  era  il  capo  pontificio 
al  quale  doveva  opporsi. 

La  sera  del  17  e  nella  notte  le  truppe  italiane  pren- 
devano posto  nell'ordine  che  segue  al  fronte  Sud, 

A  sud  del  villaggio  delle  Crocette,  di  fronte  ai  ponti 
di  Loreto  prendeva  posta  la  4"  batteria  dell'  6°  r.'ggi- 
mento;  più  innanzi  presso  al  poggio  che  sovrasta  aÀ  ca- 
ie 


262 

seiniili  riei  Cjimpniiarì,  la  2'  batteria  de]  5"  reggimento 
artiglieria;  tra  le  due  batterie  I  primi  tre  batlagUoni 
del  26°  reggimento  fanteria.  La  brigata  Regimi  in  ri- 
serva aJ  oceidente  dello  Crocoite. 

A  uielà  strada  fra  Loreto  e  Castelfldardo  la  fi"  bat- 
teria di  obici  del  ó"  reg'giniento  iirtiglieria,  e  sulla  destra 
di  essa  una  sezione  della  iS'  batteria  del  ó°  reggimento. 
Davanti  ivirartiglieria  i  tre  primi  batteiglioni  del  :^ó"  reg- 
giiiieiitu  fanteria,  fronte  ai  ponti  di  Loreto.  Il  quarto 
iiattasliono  in  Castel  fi  dardo- 

In  fivanxata  al  ponte  del  Molino  sul  Vallato  l'ir 
e  12"  battaglione  bersaglieri  con  due  pezzi  coperti  della 
fi*  batterin.  AIU  S.  Ciìao.  dt  sopra  il  '26"  bntta^lioae  dei 
bersaglieri. 

In  oaaervaziotie  1  reggimenti  lancieri  di  Milano  e 
di  Vittorio  Emanuele  (3  squadroni)  a,  monte  dei  ponti 
di  Loreto  sul  Musone  e  sul  Vallato;  tre  squadroni  del 
reggimento  lancieri  di  Novara  nella  sezione  pianeggiante 
davanti  ai  Campannari. 

Era  dato  ordine  che  all'alba  del  18  it  26°  battaglione 
bersaglieri  che  occupava  la  8.  Casa  di  aopra  avesse  oc- 
cupato anche  la  S.  Casa  di  sotto:  che  il  12°  bersaglieri 
rinforzasse  le  vedette  e  le  pattuglie  tra  il  ponte  del  Mo' 
lino  e  la  costa.  Il  colonnello  Piola  Caselli,  scortalo  dai 
riparti  dell' ll'^  e  12"  battaglione  bersaglieri,  avesse  re- 
ificato durante  la  notte  del  18  la  posizione  degli  avam- 
posti al  Musone,  riconoscendone  i  guadi. 


•\ 


Obbiettivo  del  generale  Lamoricière  era  di  raggiun- 
gere Ancomi  checché  dovesse  costare. 

Esclusa  l'idea  di  un  attacco  delle  colline  tra  Castel- 
fidardo  e  le  Crocette,  doveva  ad  ogni  costo  cercare  di 
guadagnare  la  via  del  monte  d'Ancona  che  si  di:^t;icca 
da  porto  Kecanali,  guada  il  Musone  e  per  sentieri  ira- 
Tersi,  sale  per  Umana,  Sirolo,  Massignano  o  Poggio  ad 


Ancona  rasente  alla  ripa  che  scende  al  mare.  E  poiché 

j^ritnliani  avevano  lasciati  sguerniti  alcuin  passaggi  piii 
a  monte  che  pure  iiddueono  alla  via  suddetta  per  An- 
cona, decise  di  approfittarne  facendo  marciare  le  truppe 
su  larga  fronte  col  fermo  intent;o  di  raggiungere  quel- 
L'unica  via  che  egli  aveva  di  salvezza  anche  a  costo  dei 
pili  grandi  sacrifizi. 


■Come  all'ordine  ricevuto  fin  dall'alba  il  capitano  Bar- 
TDavarft  comandante  del  26°  battaglione  di  bersaglieri, 
aveva  spinta  la  101"  compagnia  (capitano  Fescia)  ad  oc- 
-cupare  lit  S.  Casa  di  sotto.  Più  a  ViUle  l' il"  bersaglieri 
aveva  una  compagnia  (44')  oltre  il  confluente  dell'Aspi». 

Un  gruppo  di  bersfigiieri  della  101"  compagnia  si 
-era  posto  alle  vedette  presso  alle  case  Arenici,  coperto 
dagli  alberi  e  dai  cannetti.  All'improvviso  tra  le  fitte 
cotture,  apparvero  sei  compagnie  di  carabinieri  svizzeri; 
i  bersaglieri  diedero  l'allarme  e  bì  ripiegarono  sugli  ar- 
gini, ove  la  47"  compagnia  si  sostenne;  l.i  lOl"  compa- 
gnia lasciata  la  S.  Casa  di  sotto  accorse  in  rinforzo. 

Il  Lamoricèire  fissato  il  suo  piano  di  rap'giungere 
Ancona  per  la  via  di  Monte  Conerò  aveva  diviso  le  sue 
forze  in  due  corpi.  Aveva  affidato  al  generale  Pimodan 
il  comando  della  colonna  sinistra  forte  dì  oltre  4000  uo- 
mini reputati  assai  valorosi. 

Aveva  preso  con  se  la  seconda  colonna  di  35C0 
uomini  circa,  parco  d'  artiglieria,  riparti  d' Iihindesi,  di 
gendarmi  a  cavallo  e  di  guide.  L'  ordine  di  combatti- 
mento era  il  seguente: 

Il  generale  Pimodan  doveva  passare  il  guado  ed 
attaccnre  con  azione  subitanea  la  .S.  Cnea  di  sotto,  sta- 
tiilirvisi  solidamente,  e  con  un  cambiamento  di  fronte'» 
sinistra  slanciarsi  all'  attacco  della  S.  Casa  dì  sopra, 
mentre  la  colonna  comandata  dal  generala  in  capo  do- 
"veva  seguire  a  rincalzo,  datergo  e  da  fianco. 


264 

I  cambinieri  Svìzzeri,  come  si  è  detto  iniziavano  l'at- 
tacco; dopo  le  prime  fucilate  intorao  alle  case  Arenici, 
ai  lanciarono  al  guado  di  gran  corsii,  lo  attraversarono 
con  furia  e  giunsero  a  fare  fitta  aiepe  couiro  gli  argini 
della  sponda  sinistra  del  Musone.  Alle  sei  compagnie  di 
Carabinieri,  tenevano  dietro,  il  1"  battaglione  di  ctic- 
cifttori  indigeni,  ed  il  l**  batlagUone  tir^liori  ù-ancso- 
be!gi,  tiiiei  yntto  gli  ordini  dei  colonnello  Corbucoi.  Se- 
guivano le  truppe  suddette,  una  sezione  d' artiglieria,  e 
il  2"  battaglione  cacciatori  indigeni;  il  2"  battaglione 
di  bersiìglieri  Austriaci  veniva  di  riserva. 

Sulla  dighe,  tra  1  cannetti  la  miscliia  divampa  fu- 
riosa. 

I  carabinieri  Svizzeri  si  lanciarono  contro  la  S.  Casa 
di  sotto  seguiti  da  tutti  gli  altri  battaglioaì  e  dai  due 
pezzi. 

Benché  colti  da  quella  tempesta  di  moschetteria  dei 
battas]Ìoni  pontifici,  prima  dagli  argini,  poi  sul  fianco- 
e  sul  tergo  dalle  macchie  folte  di  canneti,  i  bersaglieri 
della  4T  e  101*  compagnia  contrattaccaroiio  vigorosa- 
mente alla  baignefcca.  Soverchiati,  travolti  dall'  onda  cre- 
scente dei  nemici  che  li  avviluppavano  da  ogni  parte, 
tra  le  insìdie  di  quel  terreno  diffìcile,  i  bersaglieri  con- 
tinuano pertinacemente  nella  lotta  con  gravi  perdite; 
il  capitano  Della  Casa  cadeva  alla  testa  dei  suoi  ;  la  47" 
compagnia  cominciò  a  ripiegarsi  a  gruppi  in  direzione 
del  12"  battaglione,  e  la  101"  compagnia  ei  ritrasse  alla. 
S.  Casa  di  sotto,  guarnì  il  fosso  e  s"  apparecchiò  a  di- 
fenderla. 

Frattanto  le  rimaneati  tre  compagnie  del  26"  bat- 
taglione erano  discese  dalla  S.  Casa  di  sopra  in  rinforzo 
per  impedire  l'avvolgimeiito  verso  le  caccine  Seranello 
di-  Mirano.  La  104"  compagnia  (capitano  Nullo)  ai  lan- 
cia con  impeto  da  quella  parte,  a  baionette  spianate  ; 
i  due  cannoni  pontifici  stavano  già.  per  essere  collocati  in 
batteria  al  di  là  della  S.  Casa  di  sotto,  i  nostri  bersaglieri 
si  avventano  addosso  ai  cannonieri  irlandesi    rincalcati 


_  265 

■da  una  coinpagnia  di  carabinieri  avizzi^ri  che  il  gene- 
Tale  Fimodan  areva  mandato  in  soccorso  —  Il  capitano 
Nullo,  ferito  a  morte  cadde  prigioniero  —  ma  a  furia 
di  contrassalti  i  bersaglieri  condotti  dal  tencnto  Canini 
lo  strappavano  dalle  mani  dei  nemici  e  tanto  fu  l'im- 
peto dei  nostri  da  obbligare  i  nemici  a  ripiegare  sulle 
dighe  per  appoggiarvisi.  Il  generale  Piraodiin  per  11- 
nirla  formò  nuove  colonne  di  assalto. 

I  carabinieri  svizzeri  in  prima  linea;  il  1°  batta- 
glione di  Cacciatori  ed  il  battaglione  tiragliori  franco- 
belgi  a  rincalzo  ;  gli  altri  due  battagioni  della  colonna 
Piniodan,  2°  indigeni  e  2°  bersaglieri  austriaci  sugli  ar- 
gini ;  i  due  squadroni  dovevano  eseguire  un  avvolgimento 
presso  la  ccinfluenza  dell' Aspio  nel  Musone  ;  i  due  can- 
noni aprivano  il  fuoco  per  sostenere  l'attacco  ;  altri  sei 
pezzi  si  approntavamo  a  collocarsi  in  batteria. 

Di  fronte  a  questa  pii'i  poderosa  riscossa  il  26°  bat- 
taglione, allo  stremo  di  munizioni,  dopo  un'ultima  difesa 
dietro  al  fosso  e  presso  la  3.  Casa,  di  sotto,  fu  costretto 
a  ripiegare  per  la  via  alberata  nhe  conduce  alla  S.  Casa 
dì  sopra,  cedendo  il  terreno  palmo  a  palmo. 

I  pontifici  preso  possesso  della  S.  Casa  di  sotto  cam- 
biarono fronte  a  sinistra  e  andarono  a  schierarsi  in  bat- 
taglia nelle  colline  della  S.  Casa  di  Sopra. 

Ma  al  fragore  della  battaglia  tutte  le  truppe  italiane 
■elettrizzate  si  preparavano  al  combattimento. 

n  generale  Villamarina  che  era  alle  Crocette,  udito 
il  rombo  del  eannone  dava  ordine  al  1°  e  2'  battaglione 
del  10"  di  fanterìa  di  marciare  di  corsa  in.  soccorso  alla 
volta  della  S.  Casa  di  sopra;  seguivano  a  brevi  inter- 
Talli  gli  altri  due  battaglioni  con  una  sezione  d'artiglieria 
del  5"  reggimento. 

II  generale  Cialdini  da  Castelfidardo  con  altre  truppe 
6\  recava  di  gran  galoppo  sul  campo  di  battaglia  —  erano 
le  11  del  matliiio. 

Dall'alto  della  S.  Cawi  di  sopra  e  dal  Ciglione  i  bravi 
bersaglieri  *^ol  comandante  Barbavara,  che  avevano  per 


260 

più  di  un'ora  tenuw  wsta  RTl'av  versa  rio  cinque  volle" 
ma^iore  di  numera,  aspettavaiio  la  bufera  che  saliva; 
«  colpi  di  moschetto  mirabilmeute  preoì^  riuscirono  a 
frotitegN^ìAr^  pi"'!*  alcun  tempo  il  nemico:  iùa  serrati 
dA  o^ai  pfirte.  travolti  in  una  lotta  a  corpo  a  corpo. 
a  punta  di  i'aionetta,  t«mpesIaLÌ  dalla  mitraglia,  soqo 
obbl'gati  ad  fibbandoDare  la  8^  Casa  di  Sopra  e  ritrarsi 
irjt  le  boscaglie  oltre  il  ciglione,  di  lÀ  della  via  cam- 
pestre di  villa  Corrainì. 

Tosto  che  i  due  hattagUoni  del  10°  fanteria  e  le 
altre  truppe  i^iunsero  sul  ciglione  del  monte  d'Oro,  il 
generale  Cialdini  ordinò  al  tenente-colonnello  Bossolo  di 
iar  deporre  gii  zaitii,  indicò  1  due  caj»cinali  caduti  in 
mano  al  nemico  e  ordinò  di  riconquiscnrli  alla  baionetta. 
AI  colonnello  Avenati.  comandante  della  brig'ata  Regina. 
dava  l'ordine  di  guarnire  con  il  9'  reggimento  il  Poggio 
di  S.  Pellegrino,  a  guardia  dei  .sottostami  passaggi  del- 
l'Aspio;  ai  tre  squadroni  di  lancieri  Xo^'ara  di  tenersi 
pronti  nd  operare  nel  piano;  a  due  pezzi  della  2*  bat- 
teria dei  5'  ref;gimento  ordinava  di  raggiungere  la  se- 
:iiuue  igià  partita  pel  luogo  di  combaiiimento:  ed  ìntìnc 
alla  V  batteria  deU'8''  reggimento  (.capitano  Rizzetlà)  di 
approntarsi  ad  aprire  il  fuoco. 

Al  grido  di  <  viva  il  Re  «  fanteria  e  bersaglieri  &i 
ApingoQO  con  ^ara  patriottica  nU'ubtwUto  della  S.  Casa  di 
topra;  Tartìglieria  condotta  diti  capitano  Sterpone  dì  ga- 
loppo va  arditam€<nte  a  collocarsi  sul  ciglione  delle  al- 
ture per  battere  la  S.  Casa  di  sotto  e  l'artiglieria  pon- 
tificia. 

Attorno  alla  S.  Casa  di  »opra  si  svolge  un  furioso 
combattimento;  ì  carabinieri  e  i  tìragliori  la  difendono 
con  sti'eiuia  tenacitÀ.  eccìtjiti  alla  resistenza  dal  ^'cnerale 
Pimodan;  la  Casa  è  in  tiamme;  il  generale  Fimodan  e 
colpito  mortalmente,  e  ì  difensori  impotenti  a  resistere^ 
battono  in  precipitosa  ritirata  tempestati  dalla  nostra  ar- 
tiglieria, 

Invano  il  generale  Lamorìclère  eccita  i  suoi  ail^ 


267 

Scossa  ;  le  truppe  merceoarie  non  reggono  al  fuoco 
lielle  truppe  italiane,  sì  Bcompongono  e  si  dauno  alla  fuya, 
inseguite  dai  lancieri  di  Novara  e  dai  bravi  bersaglieri 
che  nella  ^iornatsi  fecero  veri  prodigi  di  valore,  diretti 
quali  verso  Loreto,  altri  verao  Recaiiati,  mentre  dei  pic- 
coli drappelli  prendevano  la  via  di  Umana.  Il  generale 
Lamorìcière  riuscì  a.  guadag-nare  la  strada  dj  Sirolo  e 
per  la  via  alpestre  che  va  al  convento  di  Camaldoli 
sul  Monte  Conerò  potè  raggiungere  Ancona,  con  pochi 
dei  suoi. 

Alle  2  del  pomerigio  il  combattimento  era  cessato. 


Dalla  parte  di  Ancona  aveva  tuonato  il  cannone, 
iìn  dalle  8  di  mattina  ;  la  flotta  aveva  aperto  il  fuoco 
contro  la  piazza,  danneggiando  le  opere  di  Monte  Car- 
detto  e  di  Monte  Marano  ;  verso  sera  si  ritrasse  al  largo 
avendo  raggiunto  il  suo  scopo,  cioè  quello  di  distogliere  il 
presidio  della  piazza  dal  portare  soccorso  ai  combattenti 
di  Castelfldardo  tenendolo  occupato.  La  giorriatsi  costò 
ai  nostri  ab  uomini  dì  truppa  e  sei  utlìciali  morti  (che 
tono  i  capitani  Della  Casa,  KuUo,  Gosberti  dei  bersa- 
glieri, Cuiìia,  Scorticati  ed  il  tenente  Volpini  del  10" 
f.LDteria).  Furono  l'enti  J3Q  uomini  di  truppa  e  10  uffi- 
ciali cioè  il  maggiore  Castelletto,  i  capitani  Angioli, 
Zoccbi  e  Trombone,  i  tenenti  Lupiano,  Toesca,  Silve- 
sta-i,  G-allettiV,  i  sottotenenti  Zanoldo,  Costa,  e  Conti.  I 
pontifici  ebbero  perdite  di  gran  lunga  maggiori. 

Il  giorno  19  fra  il  generale  Cialdini  ed  il  colonnello 
Coudenhoven  venne  stabilito  che  i  pontifìcii  avrebbero 
deposte  le  armi  in  presenza  delle  truppe  italiane.  Si  ar- 
resero circa  4000  pontificii  con  150  ufficiali  ;  11  cannoni, 
cassoni  e  carri  di  artiglieria  caddero  nelle  mani  del  vin- 
ncitore,  altri  si  dispersero. 

Cosi  ebbe  termine  la  battaglia  di  Castelfldardo  colla 
vittoria  delle  armi  italiane. 


Nel  giorno  stesso  il  generale  Cialdini  rìaevQVR  il 
aegueute  telegnimniii  : 

<  Il  Conte  di  Cavour  mi  dà  il  gradidiisimo  incarico 
di  farle  giungere  il  più  sollecitamente  possibile,  sijr.  ge- 
nerale, le  cougratulazioni  del  Re  e  del  Gioveruo  per  la 
splendida  viHoria  riportata  ieri. 

«  Il  Croverno  desidera  avere  al  più  presto  i  nomi 
4egli  ufficiali  morti  e  feriti.  - 

Da  Pesaro.  19  settembre  1860. 

Il  R.  Commissario  straordiuArio 
Lorenzo   Vaìerìo, 


Il  giorno  20  il  generale  Cialdini  diede  Io  diaposi- 
zioiii  per  un  largo  hlocco  intorno  ad  Ancona,  in  aspet- 
tativa della  sua  13"  (livìsione  e  del  5"  corpo  che  distava 
■di  poche  marcie. 

Il  giorno  a3  il  fjenerale  Fanti  riconotibe  la  pia.zza 
dai  due  lati  di  terni  e  di  mitre  e,  presi  concerti  coH'ara' 
miraglio  Porsatio,  dichiarò  il  blocco  serrato;  sbarcò  il 
paJ"co  d'assedio  nella  gros:>a  spìatrgifi  di  Numanaif  dispose 
il  completo  investimento  detla  piazza. 

Dalla  parte  di  terra  l'obbiettivo  principale  era  quello 
di  Monte  Gardetto,  dal  qual  torte  si  poteva  comimdare 
e  battere  tutte  le  altre  difese  della  piazza  ;  per  raggiun- 
gere tate  obbiettivo  era  necessario  impadronirei  delle 
posizioni  fortificate  di  Monte  Pelago  e  Monte  Pulito,  onde 
impiantarvi  le  batterie  per  battere  la  Lunetta  di  S.  Ste- 
fano e  Monte  Gardettu. 

Il  generale  Fanti  ordinava  pertanto  al  valoroso  co- 
lonnello Ponzio-Vaglia  di  concentrare  vivissimi  fuochi 
d'artiglieria  sulla  Cittadella  e  sul  campo  -trincerato,  e 
comandava  che  si  prendessero  di  riva  forza  la  Uinetut 
di  Monte  Scriraa  e  il  Lazzai-etto. 


269 

Il  giorno  24  si  apriva  il  fuoco  contro  le  opere  esterne 
'd.ellA  pmzza. 


Dalla  sua  parte  ClaldJni  radunati  bu  Montag'nolo  12 
pezzi  rigati  investi  la  Cittadella  e  il  forte  Scrimn,  che 
abbandonato  dalle  truppe  pontificie  fu  subito  occupato 
dai  nostri.  11  giorno  '2Ò  il  generale  Cadorna  vi  pian- 
tava la  4"  batteria  e  con  essa  apriva  il  fuoco  contro  il 
LazzfLretbo,  dal  quale  si  volerà  sloggiare  il  nemico. 

Il  g-iorno  26  fu  deciso  d^il  Fanti  l'attacco  al  Monte 
Pelago.  Lii  brigata  Bologna,  condotta  dal  Pinelli,  si  slan- 
cia col  più  grande  vigore  sulla  posizione,  unitamente  al 
23"  e  !i5"  bersaglieri,  e  nonostante  la  fitta  grandine  di 
palle  e  di  mitraglia  dei  cinque  pezzi  ivi  piazzati,  i  no- 
stri bravi  continuano  la  loi'o  corsa  ;  ufficiali  e  soldati 
gareggiano  a  chi  prima  porrà  il  piede  sul  parapetto  ne- 
mico; in  UQ  baleno  superano  gli  spalti,  Sjilcano  nel  t'osso, 
s"arr;impicano  sui  parapetti  e  la  bandiera  del  39°  reg- 
gimento sventola  sul  culmine  del  forte;  i  mercenari 
sono  messi  in  piena  fuga. 

I  nostri  bravi  soldati  inebbriati  dalla  vittoria  inse- 
guono il  nemico,  scalano  i  parapetti  della  seconda  lu- 
nsdta  e  vi  piantano  la  bandiera  del  40°  reggimento  im- 
possessandoai  di  altri  due  pezzi. 

Monte  Pulito  viene  occupato  dal  09"  reggimento 
che  vi  si  stabilisce. 

Si  dà  allora  alla  squadra  il  segnale  di  aprire  il  luoco 
e  questa  assale  con  le  sue  bordate  il  G-ardetto  e  it  Forte 
dei  Capuccini,  che  ne  vengono  gravenaente  danneggiati. 

Nella  notte  del  26  essendosi  ultimati  i  lavori  del  forte 
Scrima,  vi  si  piazzava  una  batterìa  d'obici  ed  un'altra 
di  pezzi  rigati  sulla  sinistra,  ed  al  far  del  giorno  tutti 
questi  pezz.i  aprivano  il  fuoco  contro  le  posizioni  for- 
tificate della  piazza.  Intanto  il  generale  Cialdini  ordj- 
java  al  7"  battaglione  bersaglieri,  comandato  dal  capi- 


taiio  Bruiieltii,  .^oLto  la  tlirezione  del  suo  cjipo  di  stato- 
rangsiorc  tcnenCe-L'oloimello  Piola,  dì  occupare  rapida^ 
mente  boi^o  Pio.  Il  haujijjiione  si  slancia  risolutamente, 
e  cacciati  i  posi!  nemici  lo  occupa  provvedeudo  subito 
alle  opere  di  prima  difesji  ;  vei'so  aera  due  altri  batta- 
glliuni  di  bersaiflieri  il  C"  e  il  12"  rinforzano  il  7"  e 
occupano  solidamento  tjuel    borgo. 

Alle  ore  S  del  21  il  tì"  battaglione  dei  bersaglieri 
ebbe  l'ordine  d'  impadronirsi  del  Lazzaretto;  sotto  un 
fuoco  micidiale  questi  bravi  .si  lanoiaiio  allardica  im- 
presa; una  barca  serve  da  ponte  nello  stretto  canale  che 
lo  i^ola. 

Il  primo  plotone  accolli png^iiato  da  un  drappello  di 
zappatori  procede  sotto  un  fuoco  vivissimo  all'atterra- 
mento della  portJi;  ma  il  sottotenente  Ferrar!  Luigi  si 
slancia  entro  it  ridotto  per  una  cannoniera  seg:uito  dai 
suoi  lic-rsaglicri,  e,  cadendo  all'iniprovviBO  sul  nemico, 
facilita  la  apertura  della  porta.;  in  un  ora  l'intero  bat- 
taglione si  stabiliva  al  Lazzaretto,  impossessandosi  di  il 
pezzi  e  facendo  prigionieri  gli  ulflciali  ed  i  soldati  cho 
lo  presidiavano. 

Il  giorno  28  e  la  notte  fra  il  28  e  il  "29  le  truppe 
italiane  si  occuparono  nel  piazzare  a  400  metri  dalle 
mura,  nuove  batterie.  Il  Lazzaretto  era  stato  rinforzato  da 
altre  truppe^  ma  vedendo  it  generale  Fanti  clie  le  bat- 
terie del  Molo  e  quella  dtlla  Lanterna  lo  avevano  preso 
di  mira  e  lo  fulminavano,  dava  ordine  al  contrammi- 
raglio Persano  di  attaccare  quelle  batterie  e  farle  ad  ogni 
C'Osto  tace  l'è. 

Il  Persano  corrispose  prontamente  all'invito  del 
Fanti.  Ad  un'ora  pomeridiana  Ift  Piro-fregata  «  Vittorio 
Emanuele  »  si  abbo2zava  a  500  metri  di  distanza  dalla 
batteria  Casamatta  della  Lanterna;  le  Piro-ft'egate  «  Go- 
vernolo  »■  e  «  Costituzione  «  assecondarono  la  «  Vittorio 
Emanuele  »  ormeggiandosi  a  500  metri  di  distanza  a 
ponente  della  Lanterna.  Alle  due  pomeridiane  le  ma^ 
novre  erano  eseguite  sotto  il  fuoco  delle  batterie  della 


piazza  ;  senonchè  il  vento  forte  che  soffiaTa  da  scirocco 
Dee  arare  gli  aocorotti  che  tenevano  abbozzata  la  «  Vit- 
torio Emanuele  »  la  quale  dovette  cambiare  di  posto  e 
per  manovrare  fu  obbligata  a  mettersi  fuori  di  tiro.  Fu 
segnalato  alla  «  Carlo  Alberto  »  di  prendere  il  posto 
della  nave  suddetta  e  questa  b'andù  ad  abbozzare  verso 
le  3  pom.  a  200  metri  di  distanza  dalla  Lanterna,  senza 
rispondere  neppure  con  un  colpo  ai  tanti  che  le  piove- 
vano attorno  dai  foni, 

Alle  3  '/,  fatto  il  tiro  dì  prova  questa  fregata  lan- 
ciava tutta  la  sua  fiancata  contro  La  batteria  della  Lslu- 
terna  ;  che  ne  aveva  rovinato  il  piano  superiore.  *  11 
Governolo  »,  *  La  Costituzione  »  o  il  i(  Carlo  Alberto  » 
continuavnuo  a  fulminare  le  batterie  del  porto. 

La  «  Vittorio  Emanuele  »  rientra  in  azione  :  a  tutta 
velocitii  mauovra  per  passare  ad  un  tiro  di  pistola  dalla 
Lanterna; alla  temeraria  manovra  rimangono  pietrificati 
gli  stesai  artiglieri  delle  batterie  nemiche;  arrivata  la 
bella  fregata  all'  altezza  della  Lanterna  lancia  a  brucia- 
pelo la  sua  terribile  fiancata  e  passa  avanti  prendendo 
il  largo  per  girai'e  di  bordo  e  portarsi  a  lanciare,  all'oc- 
correnztì,  l'altra  fiancata;  ma  uon  ve  ne  fu  bisogno, 
perchè  ad  un  tratto  si  vide  uscire  denso  fumo  dalle  can- 
noniere della  batteria  ;  da  li  a  poco  si  fé'  udire  un  ter- 
ribile scoppio  e  la  Lanterna  apparve  avvolta  in  una  fìtta 
colonna  di  fuoco. 

Svanito  il  fumo  sì  vide  la  batteria  e  la  Lanterna 
ridotta  ad  un  mucchio  di  macerie,  sotto  !e  quali  rimasero 
sepolti  ufficiali  e  artiglieri.  La  catena  che  sbarrava  l'en- 
trata del  porto  non  esisteva  più,  perchè  i  pontoni  che  la 
reggevano  erano  stati  affondati  dai  colpi  di  cannone  delle 
ITegate;  tutti  i  cannoni  delle  batterie  del  porto  erano 
stati  smontati  e  ridotti  al  silenzio,  per  cui  11  porto  stesso 
era  aperto  alla  nostra  squadra,  e  quindi  Ancona  poteva 
considerarsi  perduta  per  i  mercenari  papalini. 

Alle  4  Yj  cessava  il  fuoco  ed  il  maggiore  Mauri 
recavasi  a  bordo  dell'ammiraglio  per  chiedere  un  armi- 


J 


278  

stizio;  ma  il  Persano  rispondeva  che  egli  non  avera  la 
facoltà  di  acfordarlo  e  che  bisognava  trattare  col  ge- 
nerale Fanti  ;  seiionchè  ripugnando  al  Lamoricièie  di 
trattare  col  Fanti  non  mandò  alcun  parlamentario  e 
quindi  il  Fanti  oidinava  che  alle  10  di  notte  tutte  le 
batterie  riaprissero  il  fuoco.  Da  due  ore  i  nostri  lulraì- 
navano  i  punti  Coititicati  della  cittiì,  quando  fu  annun- 
ziato al  Fanti  l'arrivo  di  un  parlameniario  e  la  re&a  fu 
conclusa. 


Disfatto  a  Castelfidardo  il  generale  Lamoriciére  ed 
entrate  le  truppe  italiane  nella  capitale  delle  Marche, 
il  conte  di  Cavour,  sfidando  la  collera  dì  qualche  po- 
tenza europea,  chitee  al  Pariamento  subalpino  l'appro- 
vazione della  >sua  politica,  che  era  quella  di  annettere 
tutte  le  Provincie  italiane,  che  liberamente  avessero 
dichiarato  di  voler  iar  parte  della  Monarchia  Sabauda, 
•ed  avutone  l' assenso  dispose  tosto  che  il  Re  stesso  si 
mettesse  alla  testa  dell'  Esercito  per  passare   il  Tronto. 

(ìik  il  Re  aveva  emanato  il  seguente  proclama  ai 
soldati,  quando  stavano  per  occupare  t' Umbria  e  le 
Marche  : 


I 


Soldati  ! 

«  Voi  entrate  nelle  Marche  e  nell'  Umbria,  per  re- 
staurare l'ordine  civile  nelle  desolate  città,  e  per  dare 
ai  popoli  la  libertà  di  esprimere   i  propri  voti. 

«  Non  avete  a  combattere  potenti  eserciti,  ma  libe- 
rare infelici  Provincie  italiane  dalle  straniere  compagnie 
■di  ventura. 

«  Non  andate  a  vendicare  le  ingiurie  fatte  a  me  o 
all'  Italia,  ma  ad  impedire  che  gli  odi  popolari  rompano 
-a,  vendetta  della  mala  signoria. 

<  Voi  insegnerete    coli'  esempio  il  perdono  delle  of- 


273 

Pese  e  la  toUpranza  cristiana  a  ctii,  stoltamente  paragona. 
all'islamismo,  l'amor  della  patria  italiana. 

"-  D'accordo  con  tutte  le  grandi  potenze,  ed  alieno- 
da  ogni  provocazione,  io  intendo  togliere  dal  centro^ 
d' Ibilia  una  cagione  perenne  di  turbamento  e  di  di- 
scordia>  Io  vot'lio  rispettare  1»  sede  del  Capo  della  Chiesa,, 
al  quale  sono  sempre  pronto  a  dare  io,  d'a-ccordo  colle 
potenze  alleate  ed  amiche,  tutte  quelle  guarentigie  d' in- 
dipendenza e  di  sicurezza,  che  i  suoi  ciei-hi  consijrlieri  sì 
sono  indarno  ripromessi  dal  fanatismo  delle  sette  mal- 
vagie, cospiranti  coatro  la  mia  autorità  e  la  libertà  della 
Nazione. 

«Soldati!  Mi  accusano  di  ambizione.  SI,  ho  un'am- 
bizione: ed  è  quella  di  restaurare  i  prìncipii  dell'ordine 
morale  in  Italia,  e  di  preservare  1'  Europa  dai  continui 
pericoli  della  rivoluzione  e  della  guerra  ». 

11  settembre  1860. 

Vittorio  Emanuele. 

IL  generale  Cialdini  nell'imminenza  della  battaglia  di 
Castelfldardo  aveva  diretto  queste  proclama  alle  ti-uppe  r 

Soldati  di  questo  Corpo  d'Armata! 

«  Vi  conduco  contro  una  masnada  di  briachi  stranieri, 
che  sete  d' oro  e  vaghezza  di  aacclieggio,  trasse  nei 
nostri  paesi. 

«  Combattete,  disperdete  inesorabilmente  quei  com- 
pri sicari,  e  per  mano  vostra  sentano  l'ira  di  un  popolo^ 
che  vuole  la  sua  nazionalità  e  la  sua  indipendenza. 
Soldati! 
«  L'invitta  Peru"gia  domanda  vendetta  e,  benché  tarda,, 
l'avrà. 

«  11  fj^enerale.  comandante  il  4"  corpo  d'armata 

Cialdini  Ir 


274 


Garibjildi,  infonnato  che  il  generale  rialriiiii  aveva 
disfatto  a  Czis le lii dardo  i  interi- oii uri  del  l'apa  capitana 
ditt.1  Lnmoricière,  eroanava il  seguente  ordine  del  giorno: 


I 

% 

■10  I 


Caserta,  5  ottobre  13G0 

«  Il  quartiere  generale  è  a  Cftserta;  i  nostri  frate] 
dell'esercito  italiano,  comandati  dal  bravo  generale  Cia 
dini,  combattono  i  liemici  d'Italia  e  vincono. 

«  L'esercito  di  Lainoriciére  è  sljito  disfatto  da  quef 
prodi.  Tatte    le    proviiicie   serve  del  Pai-»a  sono  lìbere. 
Ancona  è  nostra:  i  valorosi  soldati  dell'esercito  del  se 
tentrione  hanno  passata  Ih  frontiera  e  sono  sul  territorio 
napolitano.  Fj'a  poi-o  avremo  la  lortuuadi  stringere  quelle, 
destre  vittoriose. 

G.  Garibaldi  » 

H  7  ottobre  indirizzava  a  Vittorio  Erannuele  la  let-| 
tera  seguente: 

Sire! 

«  Mi  congratulo  colla  Maestà  Vostra  per  le  hrillant 
vittorie  riportate  dal  vostro    bravo   geneiale  Cialdini 
per   le   felici    loro  conseguenze.    Una    Lattatila  guads 
gnata  sul  Volturno  ed  un  combattimento  alle  due  Oa- 
serte,  pongono  i  soldati  di  Francesco  II  nell'impossibilità 
di  più  resisterci.  Spero  dunque  poter  passare  il  Volturno 
domani.  Non  liarebbe   male,  che  la  M.  V.  ordinasse  a      i 
parte   delle    truppe,  cbe  si  trovano  vicino  all'Abruzzo,       ' 
di  passiire   t)uella  frontiera  per  fare  abi-assare  le  armi^ 
a  certi  gendarral  cho  parteggiano  ancora  pel  borbone^H 

*  So  che  V.  M.  sta  per  mandare  qitatlromila  uomini^^ 
a  Napoli,  e  sarebbe  bene,    Penai  V.  M.  che  io  le  sono 
amico  di  cuore  e  merito  un  poco  di  essere  creduto.  È 


275 
molto  meglio  accogliere  tutti  gli  italiani  onesti  a  qualun- 
que   colore  essi  abbiano  appartenuto  per  il  passato,  an- 
ziché inasprire  fazioni,  che  poti-ebbero  essere  pericolose 
nell'avvenire. 

«  Essendo  ad  Ancona,  dovrebbe  V.  M.  fare  una 
passeggiata,  a  Napoli  per  terra  o  per  mare.  So  per  terra, 
e  ciò  sarebbe  meglio,  V.  M.  deve  marciare  almeno  con 
una  divisione.  Avvertito  in  tempo,  io  vi  congiungerei 
la  mìa  destra  e  mi  recherei  in  persona  a  presentarle 
i  miei  omaggi  e  ricevere  ordini  per  le  ulteriori  opera- 
zioni. 

«  La  M.  V.  promulghi  un  decreto,  che  riconosca  i 
gradi  de'  miei  Ufficiali.  Io  mi  adoprerò  ad  eliminare 
coloro  che  debbono   essere    eliminati. 

Della  M.  V.  ubbidientissimo 

(J.  Garibaldi  » 

Il  9  ottobre  Vittorio  Emanuele  da  Ancona  lanciava 
ai  popoli  dell'  Italia    Meridiottah   il  seguente  manifesto  : 

Ai  popoli  dell'  Ibilia  Meridionale, 

<  In  un  momento  solenne  della  storia  nazionale  e 
■dei  destini  italiani,  rivolgo  la  mia  parola  a  voi,  pwpoli 
dell'Italia  meridionale,  che  mutato  lo  Stato  nel  nome 
mio,  mi  avete  mandato  oratori  d'ogni  ordine  di  citta- 
dini, magistrati  e  deputati  de'  municipil,  chiedendo  di 
essere  restituiti  nell'ordine,  confortati  di  libertà  ed  u- 
nìti  al  mìo  Kegno. 

«  Io  voglio  dirvi  quale  pensiero  mi  guidi,  e  quale 
sia  in  me  la  coscienza  dei  doveri  che  deve  adempiere 
chi  dalla  Provvidenza  fu  posto  sopra  un  trono  italiano. 

ff  Io  salii  al  trono  dopo  una  grande  sventura  nazio- 
nale. Mìo  padre  mi  diede  un  alto  esempio,  rinunziando 
la  corona  per  salvare  la  propria  dignità,  e  la  libertà 
de'  suoi  popoli.  Carlo  Alberto  cadde  coU'armi  in  pugno, 
mori  nell'esìglio  ;  la  sua  morte  accomunò  sempre  più  le 


sorti  delltt  mia  famìglÌA  a  quelle  del  pupolo  Italìnn»,  che 
da  tanti  secoli  ha  dato  a.  tutte  le  terre  stratiicre  le  ossa 
de'  suoi  esuli,  volendo  rivendicare  il  retappo  di  ogni 
gente,  che  Dio  ha  posta  fra  gli  atesei  confini,  e  stiletta 
ìusieme  col  simbolo  dì  una  soia  favella. 

«  Io  mi  educai  a  quell'esempio  e  la  memoria  di 
mio  paxire  fu  la  mia  stella  tutelare. 

u  Fra  la  corona  e  la  parola  dfita,  non  poteva  per 
me  essere  dubbia  la  scL'lta,  mai. 

«  Riaffermai  la  lilierta  in  tempi  poco  propizii  a 
libertà,  e  volli  che,  esplicandosi,  essa  gitta&se  radici  net 
costume  dei  popoli,  non  potendo  io  «vere  a  sospetto  ciò 
che  a'  miei  popoli  era  caro.  Nella  libertà  del  Pit-nionte 
fu  rei iKÌosam ente  rispettata  la  erediià,  che  l'animo  pre- 
sago del  mio  Augusto  Llenitore,  aveva  laKciaio  a  tutti 
gli  Italiani. 

«  Colle  franchìgie  rappresentative,  colla  popolare 
istruzione,  colle  grandi  opere  pubbliche,  colla  liberta, 
dell'industria  e  dei  traffici,  cercai  di  accrescere  il  be 
nessere  del  mìo  popolo:  e  volendwTispetCata  la  religione 
cattolica,  ma  libero  ognuno  nel  santuario  della  propria 
coscienza,  e  ferma  la  civile  autorità,  resistetti  aperta- 
mente a  quella  ostinata  e  proe^iccianta  fazione,  che  sì 
vanta  la  sola  amica  e  tutrice  de'  troni,  ma  che  intende 
a  comandiire  in  nome  del  Re,  ed  a  frapporre  tra  il 
Principe  e  il  popolo  la  barriera  delle  sue  intolleranti 
pasBioni. 

-  Questi  modi  di  g-overno  non  potevano-  essere 
senza  effetto  per  la  rimanente  Italia,  La  concordia  del 
Principe  col  popolo  nel  proponimento  dell'  indipendenza 
nazionale  e  della  libertà  civile  e  politica,  la  tribuna 
e  la  stampa  libere,  l'esercito  che  aveva  salvata  la  tra- 
dizione militare  italiana  sotto  la  bandiera  tricolore,  fe- 
cero del  Piemonte  il  vessillo  e  il  braccio  d'Italia.  La 
forza  del  mio  principato  non  derivò  dalle  ai'ti  di  una 
occulta  politica>  ma  dallo  aperto  influsso  delle  idee  e 
della  pubblica  opinione. 


mantenere  nella  parte  di  popolo  italiano 
riunito  sotto  il  mio  scettro,  il  concetto  di  ima  egemonia 
uaziomile,  onde  nascer  doveva  lit  concorde  arinouiìi  delle 
divise  proTincie  di  una  solft  nazione. 

«  L'Italìii  iu  fatta  capace  del  mio  pensiero,  quando- 
vide  mandare  i  miei  soldati  sui  campi  della  Crimea 
accanto  ai  soldati  delle  due  grandi  potenze  occidentali. 
Io  ToUi  far  entrare  il  dlritlo  d'Italia  nella  realtà  dei  fatti 
e   degli   interessi  europei. 

«  Al  congresso  di  Parigi  i  miei  legati  poterono 
parlare  per  la  prìraa  volta  all'Europa  dei  vostri  dolori. 
E  fu  a  tutti  manifesto,  come  (a  preponderanza  del- 
l'Austria in  Italia  fosse  infesta  all'erpiilibrio  Europeo,  e 
quanti  pericoli  corressero  Ut  indipendenza  e  la  libertii 
del  Piemonte,  se  la  rimanente  penisola  non  fosse  fran- 
cata dagl'influssi  stranieri. 

11  mio  magnaiaino  alleato,  l'Imperatore  Napoleone  III, 
senti  che  la  causa  italiana  era  degna  della  grande 
nazione  auUa  qnale  impera.  I  nuovi  destini  della  nostra 
patria  furono  inaugurati  da  una  giusta  guerra.  I  soldati 
italiani  combatterono  degnamente  accanto  liUe  invitte 
legioni  della  Francia.  I  volontari  accorsi  da  tutte  le  pro- 
TÌncie  e  da  tutte  le  famiglie  italiane  sotto  la  bandiera 
della  Croce  Sabauda  addimostrarono,  come  tutta  l'Italia 
m'avesse  investito  del  diritto  di  parlare  e  di  combattere 
in  nome  suo. 

«  La  ragione  di  stato  pose  fine  alla  guerra,  ma  non 
a' Buoi  effetti,  i  <|uali  si  andarono  esplicando  per  la  in- 
flessibile lùgicadcgli  avvenimenti  e  dei  popoli. 

*.  Se  io  avessi  avuta  quell'ambizione  clic  è  impu- 
tata alla  mìa  famiglia  da  chi  non  si  lii  addentro  nella 
ragione  dei  tempi,  io  avrei  potuto  essere  &oddistatto 
dell'acquisto  della  Lombardia.  Ma  io  aveva  speso  il  san- 
gue prezioso  dei  miei  soldati  non  per  me,  ma  per  l'I- 
talia. 

«  Io  aveva  chiamati  gl'italiani  alle  armi;  alcune 
Provincie  avevano  subitamente  mutato  g^li  ordini  interni 

19 


A 


318 

per  conojrrere  alla  guerra  d'Indipendenza,  dalla  quale 
i  loro  Principi  aborrivano.  Dopo  la  pace  di  Vìllnfranca, 
quelle  provincie  dimaud/irouo  la  mia  protezione  (.'ontro 
il  minacciato  restauro  degli  antichi  Governi.  Se  ì  fatti 
dell'Italia  centrale  erano  la  conseguenza  della  guerra 
-alla  qaale  noi  avevamo  invitiiti  i  popoli,  se  il  sistema 
delle  intervenzioni  straniere  doveva  essere  per  sempre 
bandito  dall'  Italia,  io  doveva  conoscere  e  difendere  in 
quei  popoli  il  diritto  di  legalmente  e  liberaiuonte  mani- 
festare i  voti  loro. 

«  Ritirai  il  mio  Governo  ;  essi  fec-ero  un  Governo  or- 
■dinato:  ritirai  le  mie  truppe;  ossi  ordinarono  forze  re- 
ìiolari.  ed  a  gara  di  concordia  e  di  civile  virtù  vennern 
in  tanta  riputazione  e  t'orza,  che  solo  per  violenza  d'armi 
atraniere  avrebbero  potuto  esser  vinti. 

«  Grazie  al  senno  dei  popoli  dell'  Italia  Centrale, 
l'idea  monarchica  fu  in  modo  costante  affermata,  e  la 
Monarchia  moderò  moralmente  quel  pacifico  moto  popO' 
lare.  Cosi  l'Italia  crebbe  nella  estimazione  delle  genti 
civili,  e  fu  manifesto  all'Europa  come  griuiliani  siano 
acconci  a  governare  sé  stessi, 

€  Accettando  la  annessione  io  sapeva  a  quali  diffi- 
coltà europeo  andassi  incontro.  Ma  io  non  po:evo  man- 
care. Chi  in  Europa  mi  taccia  d'imprudenza,  giudichi 
«on  animo  riposau),  che  cosa  sarebbe  diventata,  che 
cosa  diventerebbe  l'Italia,  il  giorno  nel  quale  la  Monar- 
chia apparisse  impotente  a  soddisfare  il  Lisof-iio  della 
<;ostitnzione  nazionale! 

■e  Per  le  annessioni,  il  moto  nitzional?  se  non  mutò 
nella  sostanza,  pìglio  forme  nuove;  accettando  dal  diritto 
popolare  quelle  belle  e  nobili  provincie,.  io  doveva  leal- 
mente rieonoscGre  l'applicazione  di  quel  principio,  né  mi 
era  lecito  di  misurarlo  colla  norma  dei  miei  affetti  ed 
interessi  particolari.  In  sutfragio  di  quel  principio,  io  feci 
per  utilità  dell'lcalia,  il  sacrificio  che  piti  costava  al  mio 
cuore,  rinunziando  a  due  nobiliasirae  provincie  del  Regno 
avito. 


Il 


279 

«Ai  Piincipi  italiani  cli9  han  voluto  essere  miei 
leraìci,  ho  sempre  duti  schietti  consigli,  risoluto,  se 
vani  fossero,  ad  incontnire  il  perìcolo  che  l'aceecamento 
loro  avrebbe  fatto  correre  ai  troni,  e  ad  accettare  la 
volontà  dell'Italia. 

«  Al  Uranducà  io  aveva  indarno  otferta  la  alleanza 
prima  della  guerra.  Al  Sommo  Pontefice,  nel  quale  ve- 
nero il  Capo  della  Religione  dei  miei  avi  6  dei  miai 
popoli,  fatta  la  pflde,  indarno  acrisai  offerendo  di  assu- 
mere il  Vicariato  per  l'Umbria  e  per  le  Maiclae. 

«  Era  manifesto  che  queste  proviucie  contenute  sol- 
tanto dalle  Jirmi  di  mercenari  stranieri,  ee  non  ottenes- 
sero la  guarentigia  di  governo  civile  the  io  proponeva^ 
sarebbero   tosto    o  tardi  venute  in   termine   di  rivolu- 
■cìone, 

^B        «  Non  ricorderò  i  consigli  dati  per  molti  anni  dalle 

^■potenze  a!  Re  Ferdinando  di  Napoli.  I  giudizi!  che  nel 

^■Dongresso   di  Parigi   furono  proferiti   sul  suo  Governo, 

preparavano  naturalmente  i  popoli  a  mutarlo,   se  vane 

fossero  le  querele  della  pubblica  opinione  e  le  pratiche 

della  diplomazia. 

P,  «  Al  giovane  Suo  Successore  io  mandai  offerendo 
alleanza  per  la  guerra  dell'indipendenza.  Là  pure  trovai 
chiusi  gli  animi  ad  ogni  affetto  italiano  e  gli  intelletti 
abbuiati  dalla  passione. 

«  Era  cosa  naturale,  che  ì  fatti  succeduti  nell'Italia 

settentrionale  e  Centi'ale,  sollevassero  piii  e  più  gli  animi 

neUa  Meridionale. 

^L        <  In  Sicilia  questa   inclinazione   de^'li  animi  ruppe 

^Efn  aperta  rivolta.  Si  combatteva  per  la  libertà  in  Sicilia, 

quando  un  prode  guerriero  devoto  all'Italia  ed  a  Me,  il 

generale  Garibaldi,  salpava  in  suo  aiuto.  Erano  Italiani 

™  che   Boccorrevaao  italiani;  io  non  potevo,  non  dovevo 

^^attenerlil 

^K'  <  La  caduta  del  Governo  di  Napoli  riaffermò  quello 
^(she  il  mio  cuore  sapeva,  cioè  quanto  sia  necessario  ai 
le  l'amore,  ai  Governi  la  stima  dei  popoli  ! 


2m 

«  Nelle  due  Sicilie  il  nuovo  refjgiiuento  si  inaugurò 
col  mio  nome.  Ma  alcuni  atti  diedero  a  temere  che  non 
bene  si  interprotAsse,  per  ogtii  rispetto,  quella  politica  che 
è  dal  mio  nome  rappresentJtta.  Tutta  l'Italia  ha  temuto, 
che  all'ombra  di  una  gloriosa  popolarità  e  di  uaa  pro- 
bità antica,  tentasse  di  riannodarsi  una  fiizione  pronta  a 
sacriflcjvre  il  vicino  trionfo  nazionale,  alle  chimere  del 
Buo  ambizioso  fanatismo. 

«  Tutti  gl'italiani  si  rodo  rivolti  a  me  perchè  scon- 
giurassi questo  pericolo.  Era  mio  obbligo  il  farlo  perché 
nell'attuale  condizione  di  cose  non  sarebbe  moderazione, 
non  Sfirebbe  senno,  ma  fiarccliezza  od  imprudenza,  il 
non  nseuinere  con  mano  ferma  la  direzione  del  moto  na- 
zionale, del  quale  sono  responsabile  dinanzi  all'Europa. 

«  Ho  fatto  entrare  i  miei  soldati  nelle  Marche  e 
nell'Umbria,  disperdendo  quella  accozzagflia  di  ^ente  di 
ogni  paese  e  di  ogni  lingua,  che  qui  si  era  raccolta, 
nuova  e  strana  forma  d'intervento  straniero  e  la  peg- 
giore dì  tutte. 

«  Io  ho  proclamato  l'Italia  degli  italiani,  e  non  per- 
metterò mai  che  l'Italia  diventi  il  nido  di  sette  cosmo- 
polite, che  vi  si  raccolgano  a  tramare  i  disegni  o  della 
reazione  o  della  demagogia  universale. 


Popoli  dell'Italia  Meridionale  ! 

«  Le  mie  truppe  si  avanzano  fra  voi  per  raffermare 
Fordine.  Io  non  vengo  ad  impervi  la  mia  volontà,  ma 
a  far  riopettare  la  vosti'a. 

«  Voi  potrete  liberamente  manifestarla:  la  Provvi- 
denza, che  protegge  le  cause  gi'jste,  ispirerà  il  voto  .che 
deporrete  nell'urna. 

«  Qualunque  sia  la  gravità  degli  eventi,  io  attendo^ 
tranquillo  il  g-iudizio  dell'Europa  civile  e  quello  delta 
Storia,  perchè  ho  ki  coscienza  di  compiere  i  miei  doveri 
di  Re  e  di  italiano! 

a  In  Europa  la  mia  polìtica  non  sarà  forse  inutile 


1^ 

HA  neonciliare  il  progresso  dei  popoli  colla  stabilità  delle. 

Httionarchie. 

H         *  In  Italia  so  che  io  chiudo  l'era  delle  rivoluzioni. 

"       «  Dato  da  Ancona  addi  nove  ottobre  milIeottoBento- 

sessanta. 

«  VITTOHIO  EMANUELE 

«  Far  ini  », 


*  * 


n  giorno  15  ottobre  il  generale  Gai-ihaldl  pubblicava 
Jiuesto  iHanilcsto  : 

«  Per  adempiere  ad  un  voto  caro  alla  Nazione  in- 
tera, determino  : 

«  Che  le  Due  Sicilie,  che  al  sang-ue  italiano  devono 
il  loro  l'iscaUo  e  che  mi  elessero  liberamente  Dittatore, 
fanno  parte  inte-grante  dell'Iutlia  ura  ed  indivisibile, 
con  suo  Re  costituzionale  Vittorio  Emanuele  e  i  suoi 
discendenti. 

«  Io  deporrò  nelle  mani  del  Re,  al  suo  arrivo,  la  dit- 
tatura cont'eritiimi  dalla  Niizione. 

jt  I  prodittiitori  sono  incaricati  dell'esecuzione  del 
presente  decreto, 

a  G.  Garihttldi  ». 

n  21  il  plebiscito  era  votato  con  la  formula: 
«  n  popolo  vuole  l'Italia  una  e  indivisibile  sotto  lo 
scettro  di  Casa  Savoia  ». 

E  nel  giorno  stesso  Garibaldi  emanava  il  seguente 

Ordine  del  giorno  : 

«  Il  prode  generale  Cialdini  ha  vìnto  presso  Tsernia. 
i  borbonici  sbaragliati  hanno  lasciato  ottocento ttanta 
prigionieri,  cinquanta  uflìciali,  bandiere  e  cannoni. 


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'degli. '^^'^.o.v.ie^,^.^  4.,e  a 


283 

«  vbi  vinceste  —  e  vincerete  ^  perchè  siete  ormai 
truìti  nella  tattica  che  decide  delle  battaglie  ! 

«  Voi  non  siete  degeneri   di  coloro  che  entravano 
'nel  fìtto  profondo  delle  falangi  Macedoni  e  squarciavano 
petto  ai  superbi  vincitori  dell'Asia. 

«  A  questa  pagina  stupenda  della  Storia  del  nostro 
se,  ne  seguirà  una  più  gloriosa  ancora,  e  lo  schiavo 
ostrerù  finalmente  al  libero  fratello  un  ferro  arruotato 
e  appartenne  agli  anelli  delle  sue  catene. 

4.  All'armi  tutti!  tutti,  e  gli  oppressori,  i  prepotenti 
fumeranno  come  la  polvere- 

*  Li%  provvidenza  fece  dono  all'Italia  di  Vittorio 
Emanuele.  O^ni  cuore  italiano  deve  rannodarsi  a  Lui, 
^perrarai  intorno  a  Lui,  Accanto  al  Re  Galantuomo  ogni 

gara  deve  sparire,  ogni  rancore  dissiparsi  ! 
^-        <  Anche  una  volta  io  vi  ripeto  il  mio  grido  —  al- 
^■'■armi  tutti!  tutti!  —  Se  il  marzo   del  1861  non  trova 
^Bbq  milione  d'italiani  armati,   povera  patria  nostra,  po- 
vera vita  italiana!  Ohi  no:  lungi  da  me   un   pensiero 
che  mi  ripugna.  Il  marzo  del   1861,  e  se  fa  bisogno,  il 
febbraio,  ci  troverA  tutti  al  nostro  posto. 
^L        «  Italiani  di  Calataiirai,  di    Palermo,  del   Volturno, 
"di  Ancona,  di  Castelfìdardo,    d'Isernia,  e  con    noi    ogni 
uomo  di  questa  terra  non  codardo,  non   servile;   tutti, 
tutti  serrati  intorno  al  glorioso  soldato  di  Paleatro,  da- 
ranno l'ultimo  colpo  alle  crollanti  tirannidi  ! 

<  Accogliete,  giovani  volontari,  resto  onorato  di  tante 
battaglie,  una  parola  d'addio!  Io  ve  la  mando  commosso 
dal  profondo  della  mia  anima.  Oggi  io  devo  ritirarmi, 
ma  per  pochi  giorni,  L'ora  della  pugna  mi  troverà  con 
voi  accanto  ai  soldati  della  libertà  italiana. 

<  Che  ritornino  alle  loro  case  quelli  soltanto  chia- 
mati da  doveri  imperiosi  di  famiglia,  e  coloro  ohe  glo- 
riosamente mutilati,  hanno  meritato  ìa  gratitudine  de/la 
patria.  Essi  la  serviranno  nei  loro  focolari  coi  consigli 
e  coll'aspetto  delle  nobili  cicatrici  che  decorano  la  ma- 


284 
schia  figura  di  ventanni.  Àll'infuorì  di  questi,  gli  altri 
restino  a  custodire  le  gloriose  bandiere. 

«  Noi  ci  ritroveremo  fra  poco,  per  marciare  insieme 
al  riscatto  dei  nostri  fratelli  schiavi  ancora  dello  stra- 
niero. Noi  ci  troveremo  fra  poco  per  marciare  insieme 
a  nuovi  trionfi  della  libertà  e  dell'indipendenza. 

G.  Garibaldi. 

Il  giorno  del  suo  ingresso  in  Napoli  il  Re  Vittorio 
Emanuele  indirizzava  ai  popoli  dell'Italia  Meridionale  il 
seguente  proclama: 

17  novembre  18b0. 
Ai  popoli  Napoletani  e  Siciliarìi 

«  Il  suffragio  universale  mi  dà  la  sovrana  potestà 
di  queste  nobili  Piovincie.  Accetto  quest'altro  decreto 
della  volontit  Nazionale,  non  per  ambizione  di  Regno, 
ma  per  coscienza  d'italiano.  Crescono  i  mìei,  crescono  ì 
doveri  di  tutti  gli  italiani.  Sono  più  che  mai  necessarie 
la  sincera  concordia  e  la  cosiante  abnegazione.  Tutti  i 
partiti  debbono  inchinarsi  devoti  dinanzi  alla  maestà 
deiritidia  clic  Dio  solleva. 

«  Noi  dobbiamo  instaurare  un  governo  che  dia 
guarentigia  di  viver  Ubero  ai  popoli  e  di  severa  probità 
alla  pubblica  opinione.  Io  faccio  assegnamento  sul  con- 
corso efficace  di    tutta   la  gente  onesta. 

«  Dove  nella  legge  ha  freno  il  potere  e  presidio  la 
libertà,  ivi  il  Governo  tanto  può  pel  pubblico  bene, 
quanto  il  popolo  vale  per  la  virtù. 

«  All'Kuropa  dobbiamo  addimostrare  che,  se  la  ir- 
resistibile forza  degli  eventi  superò  convenzioni  fondate 
sulle  secolari  sventure  d'Italia,  noi  sappiamo  ristorare 
nella  Nazione  Unita  l'impero  di  quegli  immutabili  dommi. 
senza  dei  quali  ogni  società  è  inferma,  ogni  autorità 
combattuta  ed  incorta  >. 

Vittorio  Emanuele. 


285 


H  3  novembre,  il  generale  Della  Roem  d'ordine  del 
e  acrireva  una  lusinghiera  lettera  a  Garibaldi  con  la 

quale  ammiraTa  i  prodigi  di  valore  e  ì  sagrifizi  dell'E- 

aereìto  Meridionale,  ed  esprimeva  la  riconoscenza  che  la 

patria  italiana  doveva  al  loro  eroismo. 

ì         Garibaldi  a  sua  volta   scrisse    un'affettuosa  lettera 

dì   commiato  al  Re,  la   quale  si  chiudeva   con    queste 
ole  : 
«  Vogliate  Maestà,  permettermi  una  sola   preghiera 

■<  nell'atto  di  rimettervi  il  supremo  potere-  Io  Ti  imploro 
ajpitcliè  mettiate  sotto  Ì'ii/H^jiimn  rostra  fittela,  coloro  che 
mi  ebbi  a  collaboratori  in  questa  yrand' opera  di  ajfran- 
camento  dell'Italia  Meì'idionale^  e  che  acf(fffliat€  ne!  Vostro 
E^erdio  i  miei   commilitoni   chf.  han  ben  meritato  della 

■€  patria  e  di  eoi  ». 


ri 


CAPITOLO   XXI. 
Riiiro  di  Garibaldi  a  Caprera. 


I 


Il  giorno  8  di  novembre  il  Oenerale  volle  vedere 
a  —  dopo  di  averlo  stretUiniente  abbracciato,  gli  fece 
inviw  di  andare  con  lui  a  Caprera.  «  Sarete  fratello  a 
Menotti  »  gli  disse  stringendogli  la  mano.  — ■  L'  Elia, 
commosso  fino  alle  lacrime,  ringraziò  il  generale  —  & 
cui  fece  capire  —  che  egli  aveva  altri  sacri  doveri  da 
«empiere  verso  la  madre  vedova  e  verso  le  sue  quattro 
iBorellè  orfane  —  e  prese  congedo  con  immenso  dolore 
da  quel  grande  che  in  meno  di  sei  mesi  aveva  assicu- 
rata, 1' unità -itahaua.  unendo  sotto  lo  scettro  di  Vittorio 
Emanuele  l'Italia  Meridiouale,  con  nove  milioni,  trecen- 
iomila,  seicento  sessantatre  sudditi  devoti. 

La  mattina  del  9  Garibaldi  B'imbai'cava  per  Caprera 


286 
salutato  da  un'intera  popolazione  e  da  tutti  i  suoi  com- 
pagni affranti  dall'emozione. 


* 


Fu  grande  fortuna  d' Italia  la  rivoluzione  siciliana 
del  4  aprile  1860. 

Questa  provocò  la  spedizione  dei  Mille.  Se  questa 
spedizione  non  veniva  in  tempo  —  come  è  provato  dalle 
rivelazioni  di  Brassier  de  Saint-Simon  —  l'Italia  si  sa- 
rebbe sistemata  in  base  ai  risultati  della  guerra  del  1859. 
—  E  secondo  il  volere  di  Napoleone  non  si  sarebbe 
avuta  l'unità  ma  la  federazione  col  Re  del  Piemonte  e 
della  Lombardia,  col  Re  di  Napoli  e  col  Papa  che  ne 
sarebbe  stato  il  Capo  e  Re  di  Roma  ! 

La  spedizione  dei  Mille  ha  avuto  un'  importanza 
capitale  più  di  qualsiasi  altro  evento  della  Storia  d'Italia, 
proclamandone  l'unità. 

CAPITOLO  XXII. 
Presa  di  C^a  e  di  Gaeta. 

La  mattina  del  28  ottobre,  ambo  gli  eserciti  setten- 
trionali e  meridionali  erano  intomo  a  Capua.  Una  con- 
ferenza tra  Garibaldi  ed  ì  generali  Menabrea  e  Della 
Rocca  aveva  già  determinato  il  piano  di  espugnazione 
della  fortezza,  per  l'esecuzione  del  quale  il  generale  Me 
nabrea  aveva  dato  i  suoi  ordini  agli  ufficiali  del  genio 
mentre  il  generale  Della  Rocca  dava  le  sue  disposizioni 
all'artiglieria  ed  agli  »ltrì  corpi  :  le  truppe  piemontesi 
rinforzavano  il  posto  di  Caiazzo,  di  3.  Maria  e  di  S.  Àn 
gelo  ;  il  genio  e  l' artiglierìa  si  distribuivano  nelle  ri- 
spettive posizioni  intomo  alla  fortezza  e  tutto  veniva 
preparato  per  il  bombardamento,  e  per  l'attacco  generale 
<Ae  fu  condotto  con  energia  e  valore,  tanto  che  il  2  dì 


287 

novembre  le  truppe  borboniche  segnavano  coi  delegati 
.delle  armi  italiane  la  tesa. 


Pili  di  ventimila  borbonici  si   emuo    trincerati  con 
>tenti  artlg^lierie  a  Mola    di  Gaeta. 

H  4  dj  novembre   vennero   destinati  a  conquistare 
luella  posizione,  la  brigata   granatieri   di   Snrdegna,  il 
^14"  e  24"  bersaglieri,  due  squadroni  di  lancieri  di  Novara 
due  batterie  d'artiglieria. 

Mola  è  la  parte  più  a  mare  della  cittadella  di  Formìa. 
è  addossata  ad  una  linea  di  colline  che  scendono  sul 
[mare  lasciando  appena  posto  per  la  strada. 

II  24°  battaglione  bersaglieri  si  andò  a  stendere  su 
Itìn'  altura  a  cavallo  della  strada  ;  a  destra,  sulle  prime 
■alture,  si  stendeva  il  1°  reggimento  granatieri  ;  il  à"  reg- 
gimento granatieri  si  collocava  più  indietro  ;  il  3"  in  ri- 
riserva ;  il  14"  battaglione  dei  bersaglieri  venne  mandato 
a  sloggiare  ì  borbonici  che  occupavano  il  paese  di  Ma- 
ranolfl,  situato  in  altura  sopra  Mola. 

Alle  ore  11  s'incominciava  l'assalto  con  fuoco  vivis- 
Bimo  da  ambo  le  parti;  un  battaglione  del  1"  granatieri 
mandato  in  sostegno  del  14''  bersaglieri  e  con  vigoroso 
ittacco  scaccia  i  borbonici  da  Maranola. 

Il  battaglione  granatieri  col  14°  bersaglieri  dopo  di 
Ilavere  cacciato  i  borbonici  da  Maranola,  rinforzati  da 
]ialtro  battaglione  del  2"  granatieri  tutti  uniti  ai  sca- 
gliano arditamente  contro  l'alta  posizione  chiamata  Ma- 
donna, di  Ponza  fortemente  occupata  e  difesa  da  due 
batterie;  con  slancio  ammirabile  vi  sono  sopra^  fugano 
il  nemico  e  s'impossessano  dei  cannoni. 

Eseguite  queste  due  brillanti  operazioni,  tutta  la 
linea  dei  nostri  si  slancia  risolutamente  all'  attacco  dì 
Mola  sotto  il  fuoco  del  nemico,  attraverso  un  terreno 
difficile  cosparso  di  siepi,  di  muri  e  di  fossi  ;  marciano 
,ln  testa  la  3"  e  la  4"  compagnia  del    2°   granatieri  che- 


§88 

prime  scavalcano  le  barricnte  e  penetTHiio  bgI  paese, 
mettendo  in  fuga  il  nemico  che  lascia,  in  potere  dei  uostii 
undici  connoni.  Non  restava  che  espugnare  la  posizione 
del  Castellone  fortemente  tenuta  dai  borbonici  ;  grana- 
tieri e  bersaglieri  ontusiasniitti  per  le  rìpoi-uite  vittorie, 
si  Blanciano  wtlorosamente  all'  assjilto  e,  superati  tutti 
gli  ostacoli  ed  ogni  resistenza,  vittoriosamente  l'espu- 
gnano. 


Ricoverati  entro  le  mura  dì  Gaeta,  i  fìorboiii  di 
J«apoli  si  sforzavano  di  tener  ancora  testa  alle  potenti, 
forze  dell'Italia  unita  con  una  guarnigione  di  circa  20000 
combattenti  e  con  ben  ò28  bocche  da  fuoco. 

Nella  notte  del  10  novembre  1860,  otto  pezzi  da 
campagna  aprivano  il  fuoco  con  tiri  in  arcata,  produ- 
cendo graiìde  sgomento  negli  assediati;  nella  notte  suc- 
cessiva il  fuoco  fu  ripreso.  Il  giorno  12  U  generale  Cial- 
dini,  comandiuiCe  delle  due  divisioni  4*  e  V*  che  aveva 
occupato  tutte  le  alture  dominanti  la  cittii  e  spinti  i  suoi 
avamposti  presso  il  Borgo  di  Gaeta,  decise  di  ricacciare 
entro  la  cinta  quelle  truppe  borboniche  che  avevano  sta- 
biliti i  bivacchi  sull'istmo  fino  all'Attrattina :  le  fece  as- 
Balire  da  buon  nerbo  di  bersaglieri  che  colla  punta  della 
baionetta  le  obbligarono  ad  abbandonare  ogni  esterna 
4>osÌ2Ìone. 


AJla  fine  di  dicembre  tutte  le  batterie  erano  piazzate 
e  1'  H  di  gennaio  Cialdini  ordinava  si  aprisse  il  fuoco- 
Mentre  seguiva  il  bombardamento  la  diplomazia  non 
■mancava  d'agitarsi.  Napoleone  tll  s'interponeva  fra  i 
belligeranti  e  riusciva  a  fissare  un  armistizio  che  aveva 
principio  la  stessa  sera  dell' 8  gennaio  per  terminare  il  19. 

Dal  19  al  21   furono  iatte  praticlie  per  la  resa. 


269 

ma  avendo  il  Borbone  rifiutato,  alle  ore  8  '/t  antimeri- 
diane del  ^'iorno  22  tutte  le  batterie  aasedianci  entra- 
rono in  azione.  II  bombardamento  durò  fino  al  12  feb- 
bmio.  produeendo  danni  non  lievi  alla  nittà  e  provo- 
cando esplosioni  di  ma{!:azzÌQÌ  di  polvere,  Infine  il  gior- 
no 13  ver&o  le  3  pomeridiane  una  terribile  esplosione 
mandava  all'aria  le  batterie  Miilpasso  e  TransUvania, 
essendosi  appiccato  il  fuoco  all'enorme  quantità  di  i?6 
mila  chilogrammi  di  polvere.  Lo  spavento  in  Gaeta  fu 
cosi  grande  che  rese  necessaria  la  capìtohisione,  la  quale 
fu  firmata  allo  ore  5  pomeridiane. 

Francesco  II  non  s' intromise  nella  capitolazione  e 
prima  che  l' esercito  italiano  entrasse  a  Gaeta  s' im- 
barcò sul  vapore  francese  «  La  Muette  »  che  lo  con- 
dusse a  Civitavecchia. 


A  Caprera  il  generale  Garibaldi  non  rimaneva 
inoperoso;  egli  aveva  la  mente  fìssa  al  riscatto  di  Roma 
e  di  Venezia  ed  invitava  gli  amici  a  preparare  mezzi 
occorrenti. 

tCon  questi  concetti  scriveva  al  Bellazzi  alla  flne  di 


Caprera,  29  dicembre  1860. 


Caro  BeUazzi. 


«  Io  desidero  l'azione  concorde  di  tutti  ì  comitati 
"italiani  di  provvedimento  per  coadiuvare  al  gran  ri- 
scatto. Cosi  Vittorio  Emanuele  con  un  milione  d' ita^ 
liani  armali,  questa  primavera  chiederit  giustamente 
ìò    che  manca  all'Italia. 

<t  Nella  sìvcra  via  che  si  segue,  io  raccomando  che 
smparisca  ogni  indizio  di  partiti  ;  i  nostri  antagonisti 
)no  un  partito,  essi  vog^llono  l' Italia  fatta    da  loro  col 
sncorso  dello  straniero  e  senza  di  noi. 


290 

<  Noi  fcdnmo  la  Nazione,  non  Togliamo  altro  capo 
che  VÌEtorio  Emanuele  ;  non  escludiamo  nessun  ita- 
liano, che  voglia  trancaraente  come  noi  :  dunque  so- 
pra ogni  cosa  sì  prodìchi  energicamente  la  concordia  di 
cui   abbisogniamo    irameuaamence. 

Vostro 
G.  Garibaldi  ». 


Dopo  aver  pr^so  parte  ad  una  seduta  tempestosa 
alla  Camera  dei  Deputati,  Gaiibaldi  era.  toruatn]  a  Ca- 
prera» quando  il  6  glug^no  si  sparse  la  fulmìnea  notizia 
che  Cavour  era  nioi-t».  L'impressione  tu  enorme  ;  l'Ita- 
lia perdeva  il  suo  più  grande  uomo  di  Suito.  la,  libertà  un 
amico  devoto,  la  Dinastia  di  .Savoì;t  uno  dui  suoi  più 
validi  sostegni. 


Il  Ministro  Ricaaoli,  succeduto  al  Conte  di  Cavour,, 
Tolle  aci;ontentare  il'generale  Garibaldi  coli' istituzione 
dei  Tiri  a  Segno  Nazionali,  ma  dopo  pochi  giorni  il 
Barone  non  era  più  al  Governo  ;  il  partito  moderato  vo- 
leva che  si  procedesse  allo  scioglimento  dei  Comitati  di 
Provvedimento,  ma  egli  in  nome  della  libertà  di  as- 
sociazione, .si  rifiutò  e  diede  le  dimissioni,  (ili  successe 
Rattazzi,  che,  consegueute  al  disegno  del  Riciisoli,  com- 
mise al  generale  la  direzione  dei  Tiri  a  bersaglio. 

All'Elia  che  era  sofferente  per  la  grave  ferita  il  ge- 
nerale scriveva  cosi: 


Caprera,  18  gennaio  1862. 


Caro  Elia^ 


«  Italia  e  Vittorio  Emanuele  è  il  programma  con- 
sentaneo ai  voti  della  nazione  e  fu  di  suida  ai  tutti  i 
Coinit£\ti  di  Provvedimento. 


2^1 

«  Oltre  ai  servizi  che  ìianno  già  resi  alla  patria, 
imminlstrati  che  siano  da  persone  intelligenti  ed  one- 
ste, potrebbero  renderne  altri  importantà  in  avvenirej 
raccogliendo  i  fondi  pel  riscatto  di  Roma  e  di  VeneziA, 

«  Qualunque  altro  Comitato  che  sorga  con  pro- 
gramma e  fini  diversi  non  potrebbe  reggersi,  perchè  la 
Nazione  lo  riproverebbe. 

«  Accetto  adunque  con  piacere  l'ofFerta  vostra  di 
erigere  in  cotesta  importante  cìttk  un  Comitato  di  Prov- 
vedimento e  r  istituzione  del  tiro  a  segno.  Intendetevi 
a  tal  flne  eon  persone  oneste  e  patriottiche  e  mettetevi  in 
relazione  col  sig.  Federico  Bellazzi,  persona  di  mia  con- 
fidenza, il  quale  ha  diretto  devotamente  il  Comitato 
Centrale  di  Genova,  ma  che  si  è  ritirato,  non  accec- 
tancio  la  presidenza  di  quel  nuovo  Comitato. 

•  G-radite  i  sensi  di  stima  e  d'affetto  dal 

sempre  rostro 
G.  Garibcddi  >. 


t 


Ka 


Nei  primi  giorni  di  maggio  1862,  quando  gifi  da  qual- 
che tempo  il  generale  era  in  giro  nella  Lombardia  per 
l' impianto  dei  tiri  a  bersaglio,  in  cominciar  ono  h  manife- 
starsi  i  sintomi  di  un  tentativo  per  la  liberazione  di 
Venezia;  il  tentativo  di  Sarnic-o,  che  venne  impedito 
dal   governo. 

Disgustato  da  questo  avvenimento,  il  generale  erasi 
I  nuovo  ritirato  a  Caprera,  quando  amici  della  Sicilia 
lo  invitarono  ad  andare  a  visitare  le  terre  da  lui  re- 
dente. La  notte  del  7  luglio  coi  pochi  amici,  che  si  tro- 
vavano all'  Isola,  prese  imbarco  per  la  Sicilia.  A  Pa- 
lermo fu  accolto  con  delirio.  ChÌani.ato  nei  luoghi  dell'e- 
popea del  1860,  Alcamo,  Pardnico,  Corieone,  Sciacca, 
lat:tflmi,.  Vita,  Salerai,  si  spinse  fino  a  Mnrsala.  Do- 
nque  passava  dimostrava  la  necessità  di  riprendere 
le  armi  per  la  liberazione  di  Roma,  essendo  un'onta  per 


la  Nazione,  che  la  sua  CapitHle  rimanesse  schiava  del 
Papa.  K  fu  aliom  che  venne  IwncLiito  all'  ItJilia  il  grida 
di  Boìna  a  mortela  grido  che  condusse  al  doloroso  fatiu 
di  Aspromonte  ed  nlla  gloriosa  disfatta  di  Meuttma. 


CAPITOLO  ssin. 
Aspromonte  Sollevazione  in  Polonia. 

Ad  Aspromonte,  il  generale  veniva  ferito  al  piede 
da  palla  italiana;  il  tatto  suscitò  profonda  commozione 
non  solo  in  ogni  aBgolo  d'Italia,  ma  in  quante  con- 
trade era  giunto  il  nome  dell' ilroe  e  l'eco  delle  sue 
vittorie,  I  volontari  accorsi  intorno  a  lui»  venivano  di- 
sperai ed  egli  stesso  veniva  portato  prigione  nel  forte  del 
Varignano. 


La  palla  del  29  agosto  1862,  se  offese  il  corpo  del 
temuto  capitano,  fece  percorrere  all'idea  sua  animatrice, 
un  cammino,  quale  non  avrebbe  potuto  sperare  dalla 
più  splendida  delle  vittorie  !  —  Aspromonte  giovò  alla 
questione  Romana  iu  modo  .assolutamente  decisivo. 


Nel  1862  il  Governo  Russo  aveva  ordinata  la  levii 
generale  in  tutto  Tirapero,  ma  per  la  Polonia  si  pre- 
scriveva, che  fossero  esenti  dall'obbligo  di  leva  i  con- 
tadini ed  i  grandi  proprietari  rurali,  per  cui  la  legge 
colpiva  soltanto  gli  abitanti  delle  cittii.  Questo  privilegio 
promosse  una  agitazione  grandissima  in  tutta  la  Po- 
lonia, e  quando  il  Governatore  di  Varsavia  volle  appli- 
care la  legge,  nel  18  gennaio  1863  il  Comitato  Nazionale 
bandi  1'  iuburrezione  e  la  lotta  incominciò. 


293 

ÌT  Generale  era  infermo  a  Caprera,  e  si  doleva  dì 

nou  poter  accorrere  in  aiuto  dei  Polacchi  per  iwgnra  un 

debito  di   gratitudine    verso    un    paese    che    tanti   suoi 

Hfigli  aveva  sacrificati    per    la   causa   della   libertà.  Non 

potendo    pagare  di  persona  scriveva  all'Europa:  «  Non 

abbandonate  la  Polonia  >. 

^P        In  Italia   recar  soccorso  alla  Polonia  era  come  un 

'      dovere,   11    valoroso   Nullo    Francesco   dei  Mille,  impa- 

zìcDte  d'judugio  e  di   martirio,   partiva  e,  unitosi  ai 

ribelli^    ti'ovava   la   morte  sugli  argini  di  Skutz. 


TI  gennaio  del  1864,  all'Elia  che  aveva   data  la  sua 


piena  adesione  al  movimento  insurrezionale  della  Po- 
lonia, deciso  di  prendervi  parte,  venne  trasmesso  dall'or- 
ganizzatore generale  del  Governo  Nazionale,  il  decreta 
qui  trascritto  col  quale  lo  si  creava  organizzatore  delle 
forze  insurrezionali  a  favore  della  Polonia  nell'Adriatico 
e  lo  si  nominava  provvisoriamente  Capitano  dì  Fregata. 


Pour  «irt  remjilace 
'  ,  /       BolJq      \  DmiB  a  beoeve  1884 

Varsavia. 

Eu  vertii  des  pouvoirs  qui  nos  sont  confèrea  pour 
Gouvernenient  Njitional  Polonaia  pur  un  Decret  du 
10  fevrier  1864  date  de  Varsavie,  nous  nommons  au 
post  d'Organizateiu'  des  fbrces  Navales  Polonais  sur  le 
mer  Adriaiique  le  Citoyen  Auguste  Elia  sujet  du  Royame 
de  l'Italie,  natif  d'Ancone,  et  lui  conferons  provisoiiement 
le  grad  de  Capitaine  de  Fregate  dans  la  Marine  Natio- 
naie;  il  aura  a  se  contbrmer  dans  Tesercice  de  sos  fnn- 
tiios  ordi'es  et  instruction  ulterieurs. 
F.to  r.  K. 
Organimteur   General. 


n  13  marzo  Elia  aveva  ricevuto  da  M.  John  Robson- 
Cy  di  Londra  la  seguente  lettera,  con  la  quale  l'avvi- 
sava dell'arrivò  in  Ancona  di  un  vapore  a  lui  diretto 
per  farne  quell'uso  che  più  gU  fosse  piaciuto,  con  assi- 
curazione che  il  vapore  era  pienamente  adatto  per  ser- 
vire nell'Adriatico. 

London,  1864  mars  13'' 
Dear  Sir, 

«  Having  been  fumished  with  your  address  by  my 
■commercial  friend.  I  avail  myself  of  the  opportunitj'. 
and  beg  of  yon,  to  take  in  your  charge  my  steamer 
the  <  Princess,  >  Master  Sainscler,  desUned  to  your 
port  and  charged  with  goods  inseuded  for  speculation. 
Should  yon  accept  this  commission,  I  then  will  send  you 
the  power  for  sale,  or  to  dispose  of  her  in  manner 
yon  would  think  proper.  She  is  iit  for  transport,  and 
passengers  trade  of  short  distance,  and  I  think  she  vili 
auswer  well  in  the  Adriatìc.  She  may  be  in  your  place 
towards  the  end  of  this  month. 

<  The  benrer  of  this  letter,  the  Master  of  the  steamei', 
will  require  your  aid  and  your  advice,  tvhich  yon  will 
kindly  afford  him  and  oblìge. 

€  Your  obedient  seryant 

John  Robson  ». 

Questa  lettera  fu  ricevuta  a  mezzo  postale  e  non 
a  mano  per  cui  nell'aprile,  insistendo  l'Elia  che  non 
aveva  avuto  altre  notizie,  perché  gli  si  facesse  sapere 
e  fare  qualche  cosa,  riceveva  la  seguente: 

Torino,  22  aprile  1864. 
Pregiatissimo  Signore, 

«  Ho  ricevuto  la  vostra  del  11  aprile.  Aspettate  e 
fate  aspettare  gentilmente,  fino  a  che  non  riceverete  no- 
tizie positive  da  Londra. 


29& 

*  Spero  che  gli  avvenimeutì  camminino.  Fra  poco 
riceverete  da  parte  mia  la  lettera  patente  commerciale, 
che  ho  ricevuto  oggi  e  che  manderò  a  voi  col  mezzo 
di  una  persona  sicura.  À  tutti  i  miei  saluti. 

-  Aggradite  l'espreissicne  della  mia  sincera  amicizia 
e  del  mio  distintissimo  rispetto 

Vostro  dev,mo 

s.  s. 


Ma  passò  del  tempo.  II  vapore  annunziato  non 
eras-i  veduto,  né  arrivavano  altre  notizie,  quando  da 
persona  sconosciuta  gli  veane  portata  la  seguente  lettera: 


I 


Torino,  30  giugno  1864. 


Mìo  caro  Elia, 


«  Se  potete  e  volete  consacrarvi  ad  una  grande 
impresa,  che  vi  alloutinerà  per  qualche  tempo  dalla 
vostra  famiglia,  ma  che  può  e  deve  esaere  base  della 
nostra  gloria  e  della  grandezza  avvenire,  venite  imme- 
diatamente a  Torino  e  da  Torino  al  Campo  di  S.  Mau- 
rizio, dove  debbo  dirvi  cosa  e  come.  Non  dite  niente  a 
reesuno.  Il  latore  non  sa  nulla  e  non  gli  dite  nulla. 
«  Se  poi  le  vostre  ferite  non  vi  permettessero  di 
viaggiare  per  mare  e  per  terra  rispondetemi  non  posso. 
*  Attendo  con  impazienza  voi  od  una,  vostra  riga. 
_4  Tacete  tutto  e  vogliate  sempre  bene  al 


L 


Sempre  Vostro 
Xi9io  Bixio  * 


È  da  immaginarsi  con  che  premura  Elia  rispondesse 
all'appello  del  caro  amico  generale  Bisio,  che  già.  pre- 
sentiva   essere    d'accordo  col  Re  Vittoria    Emanuele   e 
^HiOD  Garibaldi  per   qualche    ardita   e    gloriosa   impresa. 
Non   indugiò  la  partenza  e  laggiunae  dopo  due   giorni, 
•isio  al  Campo  di  S.  Maurizio. 


,  MoDtnti  a  cavallo  ai  recarono  in  una  cn&in»  di  pro- 
prietà, di  Accostato,  dove  Elia  ebbe  l'altissimo  onore  e 
ì&  gniniic-  eoddislazione  di  stringerò  in  mano  che  gli  ve- 
nÌTft  stesa  dal  Padre  della  Patria,  Se  Vittorio  Ema- 
nuele II,  che  ebbe  pitrole  asssi  benevoli  per  lui.  Elia 
riceyetto  verbali  ordini  e  di^aposizioni  intoruò  ad  una 
combionta  operazione  e  ritornò  in  Ancona  in  attesa  dì 
essere  cliianiato. 


Anche  Mazziui  cooperava  con  Vittorio  Emanaele  e 
spronava  gli  amici  buoì  a  dare  il  loro  appoggio  per 
l'insurieziono  in  Gallizia,  e  per  trovare  validi  coope- 
ratori nei  principati  Balcanici,  e  sopratutto  nel  Monte- 
negro, per  un  forte  diversivo  contro  l'Austria,  per  poi 
marciare  colle  forze  nazionali  alla  conquista  del  Veneto. 


Intanto  che  tali  trattative  correvano,  il  generale  Ga- 
ribaldi, invitato  dal  popolo  inglese  a  recarsi  in  Inghil- 
terra, la  mattina  dell'll  aprile  giungeva  a  Londra,  ac- 
colto da  per  tutto  dove  passava  da  una  moltitudine  fre- 
mente d'ammirazione  e  di  amore. 

Fra  le  feste  che  gli  furono  fatto  merita  di  essere 
ricordata  quella  della  prima  autoritH.  cittadina. 

Il  Lord  Mayor  di  Londra  saluUiva  in  luì  in  nome 
della  libera  Inghilterra  : 

«  Il  grande  Apostolo  della  libertà;  l'eroico  e  caval- 
leresco soldato  che  nou  impugnò  mai  la  spada  che  per 
una  giusta  causa;  il  conquistatore  di  un  regno  per  li- 
berarlo dall'oppressione;  colui  che  rimase  povero  per 
arricchire  f^li  altri,  il  cittadino  amante  della  sua  patria 
e  di  tutta  la  razza  umana,  assiti  più  della  propria  vita: 
l'uomo  sinceramente  buono  e  giusto  di  cui  le  private 
virtù  sono  superate  soltanto  dalla  magnanimità  sua  più 
che  spartana  0  romana  >. 


297 

Invitato  ad  un  banchetto  di  amici  polacchi  ed  ita- 
liani tra  i  quali  Mazzini,  Saffi  e  Mordini,  al  levare  della 
mensa  Mazzini  ai  levò  e  propose  un  brìndisi  al  gene- 
rale Garibaldi  con  queste  parole: 

«  Il  mio  brindisi  racchiuderà  tutto  quanto  ci  è  caro, 
tutto  quello  per  cui  abbiamo  sotferto  e  combattuto.  Bevo 
alla  salute  della  libertii  dei  popoli,  dell'uomo,  che  è  la 
incarnazione  vivente  di  queste  grandi  idee,  di  Giuseppe 
Garibaldi;  della  poTera,  sacra  ed  eroica  Polonia  i  cui 
figli  silenziosamente  combattono  e  muoiono  per  la  li- 
bertà da  più  dì  un  anco;  bevo  alla  salute  di  quella 
■giovane  Russia  la  cui  divisa  è  terra  e  lavoro;  della 
nuova  Russia  che  fra  non  molto  offrirà  la  mano  alla 
Polonia  aorella,  riconoscendo  la  sua  indipendenza  e  can* 
celiando  i  ricordi  dei  russi  degli  Czar;  alla  salute  dei 
russi  che  col  nostro  amico  Herzen  hanno  tatto  tanto  per 
■creare  una  nuova  Russia  ». 


Garibaldi  rispose  : 


r  «  Sono  per  fare  una  dichiarazione  che  ho  nel  cuore 

'  da  gran  tempo.  Vi  è  fi'a  noi  un  uomo  che  ha  reso  i 
più.  grandi  servigi  al  nostro  paese  ed  alla  causa  della 
libertà.  —  Quando  io  ero  giovinetto  non  avendo  che 
aspirazioni  verso  il  bene,  cercai  uno  capace  di  servire 
di  guida  e  di  coniiìgrlio  ai  miei  giovani  anni,  e  lo  trovai.  — 
Egli  solo  vegliava,  mentre  tutti  intorno  a  lui  dormi- 
vano -  Egli  solo  alimentava  il  fuoco  sacro  —  Egli  con- 
servò sempre  la  sua  fede,  l'amore  sviscerato  al  suo  paese, 
la  devozione  alla  CAUsa  della  liberta  —  Quefit'uomo  è 
il  mio  amico  e  Maestro  Giuseppe  Mazzini.  Beviamo 
I      alla  sua  salute  ». 

I  II  5  maggio  Garibaldi  lasciava  l' Inghilteira,  ed  il  9 

I      r«  Ondine  >  Jackt  del  Duca  di  Sutherland  lo  sbarcava  a 
■Caprera, 


Prima  d' imbarcarsi  per  far  ritorno  alta  sua  isola 
il  geoerale  cosi  scrisse  a  Victor  Ugo  che  avevagli  espreaao 
il  desiderio  di  stringergli  la  mano  qualora  avesse  potuto 
Tisìtarlo  nella  partenza  da  Londra: 

Mio  caro  Victor  Ugo, 

<  Il  visitarvi  nel  vostro  esigilo  era  per  me  più  che 
un  desiderio  ;  era  un  dovere  :  ina  molte  circostanze  me 
lo  impediscono.  Spero  mi  capirete,  che  lontano  o  Ticino, 
non  sono  mai  separato  da  Voi  e  dalla  causa  che  rap- 
presentate. 

Londra  22  aprile. 

«  Sempre  vostro 

»  G.  GaribaMi  >. 

Volle  pure  fosse  pubblicata  una  lettera  di  com- 
miato e  di  omaggio  alla  stampa  inglese  e  cosi  scriveva  : 

«  Nel  lasciare  1'  Inghilterra  non  posso  a  meno  di  of- 
frire un  pubblico  oraag'gio  alla  stampa  inglese,  e  uno  spe- 
ciale tributo  di  gratitudine  a  tutti  quei  giornali  che  fu- 
rono sinceri  e  fedeli  organi  della  pubblica  opinione  verso 
di  me,  e  benevoli  interpreti  dell'ammirazione  e  dei  sen- 
timenti che  nutro  perla  nazione  che  mi  diede  ospitalità. 

«  Londra,  28  aprile. 

«  G.  Gar&taldi  ». 


Garibaldi  non  si  trattenne  a  lungo  nella  sua  i&ola. 
D  14  di  maggio,  collo  stesso  vapore  che  lo  aveva  ricon- 
dotto dair  Inghilterra  e  che  il  Duca  dì  Sutherland  aveva 
messo  a  sua  dii^posizione,  sbarcava  nell'  isola  d' Ischia 
per  curarsi  dell'artrite. 


Come  si   disse   già  da  qualche  tempo  correva  una 

rriepondenza  privata  fra  Miizzini  e  Vittorio  Emanuele- 

Intermediario  fra  Vittorio  Emanuele  e  Mazzini  era 

na  persona  amica  iU  Manzini  quanto  altrettanto  devota 

Vittorio  Emanuele. 

Nei  primi  di  giugno  1864  questa  persona  di  fidacifl. 
:'t-iceveva  da  Manzini  ud  messagg'io  che  diceva  cosi: 

*  Il  Re  non  intende  questo  cospirare  continuo  a 
impiantare  un  dualismo  tra  il  goTerno  e  il  partito  di 
azione  in  cose  nelle  quali  si  era  in  sostanza  d'ac- 
cordo; volere  pgli  Venezia  quanto  me;  avere  egli  fede 
nell'onestà  dei  mio  procedere;  perchè  non  si  verrebbe 
un  patto  per  l'intento  comune?  » 

E  il  15  di   giugno   il    Mazzini  in   una    aua    lettera 
neLa  quale  apriva  l'animo  suo  grande,  concludeva  cosi: 


Mio  caro 


^P  «  Se  chi  pensa  alla  guerra  contro  l'Austria  iia  co- 
^■licienza  di  me  e  crede  al  mio  onore,  che  non  ho  tradito 
^pnai,  io  dichiaro: 

«  Che  non  credo  a  vittoria  definitiva  possibile  senza 
resercito  regolare  e  l'intervento   governativo. 

*  Ctie  non  sogno  neanche  d'innalzare,  ove  anche 
il  potessi,  una  bandiera  repubblicana  nel  Veneto  —  che 
tacendo  noi  per  coscienza  e  per  dignità  d' ogni  pro' 
gramma  politico,  e  limitandoci  a  gridare  guerra  all'  Au- 
stria, aiuto  ai  nostri  fratelli,  accetteremmo  il  prognimma 
che  uscirebbe  dal  Veneto.  Ora,  il  grido  del  Veneto  che 
abbisogna  dell'esercito  e  dell'Italia  costituita  come  è, 
aarà  infallibilmente  monarchico.  Su  questo  punto  il  re 
non  ha  dunque  da  temere. 

«  Data  questìL  sicurezza,  il  migliore  accordo  è  quello 
di  lasciarci  fare,  e  apprestarsi  a  cogliere  nipidamente 
l'opportunitìi  che  noi  cercheremo  di  offrire. 


300 

«  Garibaldi  è  l'anima  d'ogni  moto  di  volontari,  Nes- 
suno può  dubittiro  àiitla  di  lui  adesione  alle  dichiarazioni 
cbe  io  feci  sul  principio  di  questa  mia  lettera.  Ma 
sono  convinto,  ohe  la  di  lui  azione  dovrebbe  essere 
lasciata  libera  ed  indipendente.  S' inleade  che  i  primi 
tatti  di  guerra  governativa  regolarizzerebbero  il  contatto 
dell'insurrezione  e  del  capo  dei  volontari  col  disegno 
generale  stratej^ico, 

«  Potete  ctìmunìcare  al  re  questa  mia  e    credetemi 

vostro 

f!.  ]Hfi£ZÌni 

La  risposta  di  Vittorio  Emanuele  fu  : 

<  Avere  comuni  lo  slancio  e  il  desiderio  di  fare 
con  la  persona  di  cui  si  parlji.  Giudicare  le  co^e  da  me 
e  con  la  massima  energia,  non  con  timide  impressioni 
altrui. 

■  Ma  sappia  la  persona  che  gravi  sono  i  momenti; 
che  bisogna  ponderarli  con  mente  ealma  e  cuore  ar- 
dente; che  io  e  noi  tutti  vogliamo  e  dobbiamo  compiere 
nel  più  breve  spazio  di  tempo  la  grand'opera  ;  ma  guai 
a  noi  tutti  se  non  sappiamo  ben  farlo,  o  se,  abbando- 
nandoci ad  impetuose  interapesiive  frenesie,  venissimo 
a  tale  sciiigura  da  ripiombare  la  patria  nostra  nelle 
aintiche  sventure.   - 

«  Il  momento  non  è  ancora  maturo;  fra  breve,  spero, 
Dio  aiuterà-  la  patria  nostra. 


Il  2  di  luglio  in  un  autografo  il  Re  faceva  a  Maz- 
zini questa  rispostii  : 

«  La  Polonia  mancò  ognora  nelle  varie  sue  fàsi  in- 
surrezionali della  forza  vitale  di  espansione,  e  questa 
è  la  principale  cagione  della  sua  i  ovina;  forse  potrebbe 
rinascere  come  la  fenice  dalle  proprie  ceneri,  estendendo 
le  Sue  ramificazioni  in  Gallizia,  Principati  ed  Ungheria, 
dove  il  terreno  sarebbe  facile  a  exploiier  se  vi  fossero 
uomini  energici  ed  audaci  che  servissero  di  trait-d'u?iio?i. 


b 


301 
Se  i  moti  in  Gallizi.a  estesi  nlle  citate  contrade  pren- 
lessero  le  proporzioni  di  una  spontanea  popolare  insur- 
rezione da  tenere  fortemente  occupata  l'Austria,  allora 
sarebbe  necessario  anzitutto  d'aiutarla  con  ttn  nitcleo  di 
italiani  delermÌTiafì,  e  cosi  riuniti  vari  fecondi  elementi, 
ttitii  osdìi  (lì  principafe  nemico,  si  potrebbe  condurre  a  com- 
pimento il  comune  desiderio. 


1  Intanto  correvano  intelligenze  oltre  che  con  Maz- 
zini e  Garibaldi  anche  coi  generali  Klapka  e  Ko&tnith, 
capi  dell'insurrezione  ungherese  e  con  altri  a  Belgrado 
ed  a  Bukarest  —  Garibaldi  era  pronto  a  tutto. 

Nei  primi  di  luglio  il  Re  Vittorio  Emanuele  appro- 
vava tutte  le  proposte  di  Mazzini  e  si  metteva  d'ac- 
cordo col  generale  Garibaldi,  che  doveva,  essere  U  condot- 
tiero delJ-'nrdiln  impresa.  Intermediario  del  Re  Vittorio 
Emanuele  con  Garibaldi  era  il  sig.  Porcelli  d'intesa  con 
Bixio  e  tutto  si  stava  preparando. 


« 
*  * 


Alcuni  del  partito  democratico  pur  sapendo  che 
dell'ardita  impresa  era  consenziente  anche  Mazzini,  che 
fortemente  la  voleva,  non  approvavano  questa  pericoloaa 
spedizione  e  temevano  pel  Generale  stesso,  che  vole- 
vano rimanesse  in  Italia  ad  aspettare  altri  eventi  pro- 
pìzi. Ma  egli  era  risolato;  isi  doveva  partire  ed  EUla 
stava  aspettando  ìnip;iziente  l'annunziato  vapore,  quando 
ricevette  la  seguente  lettera: 


Torino,  9  luglio  1864, 


Mio  caro  Elia, 


^^       «  I  mestatori  hanno  tentato   di  fare  andare  a  monte 
II  tutto  e  di  far  cambiare  idea  al  nostro  G . . . . 

«  Spero  che   non  riesciranno  !    Questa   sera  vedrò 
r  altra  persona  e  cercherò  di  accomodare  ogni  cosa. 


300 

€  Domani  vi  saprò  dare  notizie  positive. 

<  Intanto  ho  voluto  scrivervi  queste  due  righe  in 
risposta  alle  vostre  due  pressaatl,  perchè  attendiate  senza- 
inquietarvi. 

«  Sar^  un  piccolo  ritardo,  ma  pazienza  1 
«  A  domani  dunque. 

«  Tutto  Vostro 

<  PorcelU  ». 

Ma  l'indomani  10  luglio  1864  il  Qiomale  il  Diritto 
pubblicava  la  seguente  protesta  anonima  : 

«  Avuta  certa  notizia,  che  alcuni  fra  i  migliori  del 
partito  d'azione  sono  chiamati  a  prendere  parte  ad  im- 
prese rivoluzionarie  e  guerresche  fuori  d'Italia,  ì  sot- 
toscritti (che  non  si  sotscrissero  !)  convinti  : 

<  Che  noi  stessi  versiamo  in  gravi  condizioni  pc4i- 
tiche; 

<  Che  nessun  popolo  e  nessun  terreno  sìa  più 
propizio  ad  una  rivoluzione  per  gli  interessi  della  li- 
bertà, che  r  italiano  ; 

«  Che  le  imprese  troppo  incerte  e  remote  quali 
sono  le  indicate,  ordito  da  principi,  debbano  necessa- 
riamente servire  più  a'  loro  interessi  che  a  quelli  de' 
popoli  ; 

«  Credono  loro  dovere  per  iagravìo  della  loro  co- 
scienza dichiarare  ; 

<  Che  l' allontanarsi  dei  patrioti  italiani  in  questi 
momenti  non  può  che  essere  funesto  agli  interessi  della 
patria  ». 

Questa  pubblicazione  del  Diritto  fece  persuaso  Vit- 
torio Emanuele  che  non  potendosi  più  condurre  l' im- 
presa con  la  dovuta  segretezza,  se  ne  accrescevano  i 
perìcoli  ;  e  non  volendo  che  si  pensasse,  che  egli  man- 
dava al  sacrifizio  Garibaldi  coi  suoi  valorosi  compagni, 
per  vedute  ambiziose  proprie,  con  lettera,  portata  al 
Generale  dal  Porcelli,  lo  scioglieva  da  ogni  impegno  e 
ritirava  il  suo  concorso  all'opera  progettata. 


306 


CAPITOLO  XXIV. 
Guerra  del  1866  —  Liberazione  del  Veneto. 


La  guerra  del  1S64  intrapresa  dalle  due  grandi  po- 
tenze tedesche  contro  la  Dauimarca  fu  poi  rorigino  del 
loro  dissecai. 

Finché  ei  trattò  di  togliere  ad  un  piccolo   regoo   i 
fere  ducati   dell'Elba;  finché  sì  volle  togliere  ogui  inge- 
renza ai   minori  Stati  della   Confederazione,   Austria  e 
P^frussia  andarono  d'accordo;  ma  quando  si  fu  alla  spar- 
tizione  della  conquisi,a,    fra  le  due  potenze    si    sriluppò 
^wlin  forte  antagonismo  che  doveva  condurre  alla  guerra. 

I 

^V  lu  vista  di  questa  eventualità  il  Conte  di  Bismarlc 
^"tìhìamato  a  ae  nei  primi  di  marzo  il  Coute  Barrai,  Mini- 
r  atro  d'Italia  presso  il  Re  di  Prussia,  ebbe  con  lui  una 
I  conversazione  concernente  un  trattato  di  alleanza  offen- 
^«  siva  e  difFensiva. 

^H  Stabiliti  gli  accordi  preliminari,  Lamarmora  incar 
^Biricava  11  generale  Govone  per  la  conclusione  definitiva 
^^del  trattato  —  non  poteva  farsi  scelta  migliore  —  e  il 
I  9  marzo  egli  partiva  da  Firenze  per  Berlino.  Il  trattato 
'       fu  concluso  e  firmato,  ed  a  questo   l'Italia  si  mantenne 

fedele,   sebbene   V  Austria  ad  un  certo  punto  offrisse  la 

cessione  del   Veneto,  purché  l'Italia  sì  distaccasise  dalla 

Prussia. 

Fatti   i   necessari  preparativi  con    la  mobilitazione 

dell'esercito   e  col  richiamo  sotto  le  armi  delle  vecchie 

classi,  la  guerra  fu  dichiarata. 


S04 


n  Re  Vittorio  Emanuele,  decisa  la  guerra  all'Au- 
stria, indirizzava  alla  Nazione  il  seguente  proclama  : 

Italiani  ! 

«  Sono  corsi  ormai  sette  anni  che  l'Austria  assalendo 
armata  i  miei  .Stati,  perchè  Io  aveva  i>erora[:ji  la  causa 
della  comune  patria  nei  consigli  d'  Europa,  e  non  ero 
stato  insensibile  ai  gridi  di  dolore  che  si  levavano  dal- 
l'Italia  oppressa,  ripresi  la  spada  per  difeniere  il  mio 
trono,  la  libertà  dei  iiiifi  popoli,  l'onore  italiano  e  com- 
battere pel  diritto  di  tutui  la  nazione. 

«  La  vittoria  fu  pel  buon  diritto  ;  e  la  virtù  degli 
eeereiti,  il  concorso  dei  v&lontari,  la  concordia  ad  il 
sonno  dei  popoli  e  gli  aiuti  dì  un  magnanimo  alleato, 
rivendicarono  quasi  interdi  la  ìndipeudenza  e  la  libertà 
d' Italia. 

*  Supreme  ragioni  che  noi  dovemmo  rispettare  ci 
vietarono  allora  di  compiere  la  g-iusta  e  gloriosa  im- 
presa :  una  delle  più  nobili  ed  illustri  regioni  della  pe- 
nisola, che  il  roto  delle  popolazioni  aveva  riunito  alla 
nostra  Corona  e  che  per  una  eroifa  resistenza  e  una 
continua  e  non  meno  eroica  protesta  contro  il  restau- 
rato dominio  straniero  ci  rendeva  particolarmente  sacra 
e  cara,  rimase  in  balia  dell'  Austria. 

«  Benché  ciò  fosse  grave  al  mio  cuore,  nondimeno 
mi  astenni  dal  turbare  1'  Europa  desiderosa  di  piice,  che 
favoriva  colle  sue  simpatie  it  crescere  ed  il  fondarsi  del 
mio  Regno. 

«  Le  cure  del  mio  governo  si  volsero  a  jjreferenza 
ad  accordare  gli  ordinamenti  interni,  ad  aprire  ed  ali- 
raentiire  le  fonti  della  pubblica  prosperità,  a  compire  gli 
armamenti  di  terra  e  dj  mare,  perchè  l'Italia,  posta  in 
condizione  di  non  temere  offesa,  trovasse  più  facilmente 
nella  coscienza  delle  proprie  forze  la  ragione  delle  op- 


I 


305 

■rtune  prudenze,  aspettando  si  maturaase  col  teuipo', 
col  favore  dell'opinione  delle  genti  civili  e  degli  equi  e 
liberali  prìncipii  che  andavano  prevalendo  nei  con- 
igli d'Europa,  l'occasione  propizia  di  ricuperare  la 
Venezia  e  di  compiere  ed  assicurare  la  sua  indipen- 
denza. Quantunque  l'aspettare  non  fosse  senza  pericoli 
'«  senza,  dolori  entro  confini  mal  circoscritti  e  disarmati, 
e  sorto  la  perpetua  minaccia  di  un  inimico,  il  quale  nelle 
infelici  Provincie  rimaste  soggette  alla  sua  dominazione 
aveva  accumulato  i  suoi  formidabili  armamenti  della 
offesa  e  della  difesa  :  collo  spettacolo  continuo  innanzi 
agli  occhi  dello  Btrazio  che  egli  faceva  delle  nostre  po- 
polazioni, che  la  conquista  e  una  spartizione  iniqua  gli 
avevano  dato,  pure  io  seppi  frenure,  in  omaggio  alla 
uiete  d'Europa,  i  miei  sentimenti  di  italiano  e  dì  Re, 
e  la  giusta  impazienza  dei  miei  popoli.  Seppi  conser- 
Tare  integro  il  diritto  di  cimentiire  opportuni!  mei  ite  la 
Tita  e  le  sorti  della  Nazione:  integra  la  dignità  della  Co- 
rona e  del  Parlamento,  perchè  l'Europa  comprendesse 
che  doveva  dal  canto  suo  giustizia  intiera  alt'  Itaha. 

«  L'  Austria  ingrossando  improvvisamente  sulla  no- 
stra frontiera,  e  provocando  con  uu  atteggiamento  ostile 
e  minaccioao,  è  venuta  a  turbare  l' opera  paciifica  e  ri- 
paratrice intesa  a,  compiere  1'  ordinamento  del  regno,  e 
alleviare  ì  gravissimi  sacrifici  imposti  ai  miei  popoli 
dalla  sua  presenza  nemica  sul  territorio  nazionale. 

a  All'  ingiustificata  provocazione  ho  risposto  ripren- 
dendo le  armi,  che  già  si  riducevano  alla  proporzione 
della  necessità  dell'interna  sicurezza:  e  voi  avete  dato 
uno  spettacolo  meraviglioso  e  grato  al  mio  cuore,  colla 
prontezza  e  con  l'entusiasmo  con  che  siete  accorsi  alla 
mia  voce  nelle  file  gloriose  dell'  esercito  e  dei  volon- 
tari. 

«Nondimeno  quando  le  potenze   amiche   tentarono- 
di  risolvere  le  difficoltà  suscitate  dall'Austria  in  Germa- 
nia ed  in  Italia  per  via  di  un  Congresso,  io  volli  dare  un 


ultimo  segno  dei  miei  sentimenti  di  conciliazione  al- 
l' Europa,  e  mi  affrettai  di  aderirvi. 

«  L'Austria  rifiutò,  Auclie  guesta  volta,  i  negoziati, 
e  respinse  ogni  accordo  e  diede  al  mondo  una  novella 
prova  che,  se  confida  nelle  sue  forze,  non  confida  ugual- 
menta  nella  bont^'i  della  sua  causa  e  nella  giustizia  dei 
diritti  che  uearpa. 

€  Voi  pure  potete  confidare  nelle  vostre  forze,  Ita- 
liani, guardando  orgogliosi  il  llohdo  esercito  e  la  for- 
midabile marina,  pei  quali  né  cure  né  sacrifizi  furono 
fisparmiati;  ma  potete  anche  oontìdare  nella  santità  del 
vostro  diritto,  di  cui  ormai  è  immancabile  la  sospirata 
rivendicazione. 

«  Ci  accompagna  la  giustìzia  della  pubblica  opi- 
nione, ci  sostiene  la  simpatia  dell'  Europa,  la  quale  sa 
che  l'Italia,  indipendente  e  sicura  del  suo  territorio,  di- 
venterÀ  pur  essa  una  garanzia  d'ordine  e  di  pace,  e 
ritornerà    efficace   iscrumento  delia  ciTillà  universale. 


Italiani  ! 

«  Io  dò  lo  Stato  a  reggere  al  mio  amatissimo  cu- 
gino il  principe  Eugenio  e  riprendo  la  spada  di  Gotto, 
di  Pastrengo,  di  Palestre  e  di  S.  Martino. 

«  Io  sento  in  cuore  la  sicurezza  che  scioglierò  pie- 
namente questa  volta  il  voto  fatto  sulla  tomba  del  mio 
magnanimo  Genitore.  Io  voglio  essere  ancora  il  primo 
soldato  della  indipendeitza  italiana. 

«  Viva  l'Italia. 

€  Firenze,  li  20  giugno  1866. 

*    Vittorio  Emanuele.  ». 

Il  Re  rivolgeva  poscia  il  seguente  proclama  all'eser- 
cito ; 


307 


Ufficiali,  BottiifBciali  e  soldati! 

L'Austria,  armando  sulla  noatra  frontiera,  vi  sfida  a 
novella  battaglia.  In  nome  mio,  lii  nome  della  Nazione, 
vi  chiamo  alle  armi.  Questo  grido  di  guerra  sarA  per 
voi,  come  Io  fu  sempre,  grido  di  gioia.  Quale  sia  il  vostro 
-dovere,  non  ve  lo  dico,  perchè  so  che  bene  lo  conoscete. 
Fidenti  nella  giustizia  della  nostra  causa,  forti  del  nostro 
diritto  sapremo  compiere  con  le  armi  la  nostra  unitA, 


I 


Ufììciali,  sottufficiali  e  soldati  ! 

Assumo  oggi  nuovamente  il  comando  dell'esercito 
per  adempiere  al  dovere  che  a  me  ed  a  voi  spetta  di 
rendere  lìbera  il  popolo  della  Venezia,  che  da  lungo 
tempo  geme  sotto  ferreo  giogo.  Voi  vincerete,  ed  il 
fvostro  nome  sarà  benedetto  dalle  presenti  e  future  ge- 
erazioni. 


I 


Firenze,  21  giugno  1866. 


Vittorio  Emanuele. 


•% 


Disponeva  poi  che  si  ìtìtifuissero  due  depositi  a  Como 

tBarì  per  la  formazione  del  corpo  dei  volontari   o 
fHva  il  comando  al  generale  Garibaldi. 

'  Si  sapeva  dunque  della  formazione  di  un  corpo  di 

volontari  e  tutta  la  vecchia  guardia  aspettava  di  essere 
chiamata;  non  si  sapeva  però  dal  Generale  quale  desti- 
nazione gli  si  i^arebbe  data.  Si  parlava  che  avrebbe  avuto 
incarico  di  sbarcare  col  suoi  volontari  in  Istria,  per  sol- 
levare quelle  popolazioni  italiauissime  e  piombare  su 
Trieste.  Ma  prevalsero  altri  concetti. 

Quando  tutto  fu  deciso  egli  chiamò  a  sé  ì  suoi  fìdi, 
d  all'Elia  così  scriveva: 


Mio  caro  Elia, 

e  Venite  —  Se  vi  fosse  Burattini,  che  venga.  Se  vì> 
fossero  pure  dei  bravi  marinari  volontai'i  conduceteli  » 
Milano  e  arrivali  là  avvisaiemi. 

Vostro 
0  G.  Garibaldi  ». 

Elia  mise  subito  assieme  un  buon  numero  di  mari- 
nari volontari,  ai  quali,  oltre  il  Burattini*  si  unirono 
alcuni  capitani  della  mariirn  mercantile;  e  tutti  parti- 
rono per  Milano,  ove  giunti  Elia  informava  il  Generale 
chiedendo  ordini, 

H  16  di  giugno  il  "  Monitore  Prussiano  >  pubbli- 
cava la  dichiarazione  di  guerra.  Il  17,  La  Marmerà  fe- 
dele ai  suoi  impegui  partiva  pel  Quartiere  generale,  ed 
il  20  inviava  la  dichiarazione  di  guerra  all'Austria. 


Se  la  flotta  itn,ìianjt  fosse  stata  affidata  al  comando 
di  un  uomo  come  Garibaldi,  o  come  Bixio,  con  la  cer- 
tezza di  dominare  con  la  stessa  l'Adriatico,  tenendo  ob- 
bligata la  flotta  nemica  a  stare  riparata  sotto  i  cannoni 
di  Fola,  il  miglior  piano  di  campagna  sarebbe  stato  quello 
d'impossessarsi,  con  un  energico  colpo  di  mano  di  Trieste 
per  fame  base  di  operazione  deireserclto,  che  sbarcato 
su  quel  punto  buon  nerbo  di  forze,  come  diversivo, 
avrebbe  girato  tutte  le  difese  accumulate  per  tanti  anni 
sul  territorio  Veneto,  trasportando  di  primo  slancio  la 
guerra  nel  suolo  nemico.  Ma  prevalse  altro  criterio, 
e  la  flotta  italiana  fu  data  in  mano  a  persona  mancante 
di  grande  energia  e  di  quella  alta  capacità  tanto  neces- 
saria in  un  momento  cosi  grave  e  decisivo  per  la  na- 
zione. 


BQ9 


Per  nian;giore  sventura^  nella  fissazione  e  nella  esecu- 
zione del  piano  dì  campagna,  si  urtarono  due  pareri 
contrari. 

La  Marmora  non  ammetteva  altra  offesa  possibile  so 
non  dal  Mincio  colia  base  di  Alessandria  t  Piacenza. 
Cialdìni  invece  aveva  intuito  essere  foUe  impreaa  l'at- 
tacco di  fronte  al  quadrilatero;  essere  indispensabile 
girarlo,  facendo  base  a  Bologna  e  Ferrara  dirigere  le 
operazioni  di  guerra  eu  Padova  per  Pontelag-oscuro  e 
Rovigo,  mentre  l'attacco  dal  Mincio  conduceva  per  ne- 
cessaria conseguenza  agli  assedi  di  Peschiera  e  di  Verona 
che  bisognava  assolntjiraente  evitare, 

La  Marmora  si  riflutó  recisamente  di  operare  sul  Po. 

Fu  quindi  Btabilito  die  i  primi  tre  corpi  di  armata 
eseguirebbero  una  seria  dimostrazione  sul  Mincio  onde 
attrarre  da  quel  lato  le  forze  dell'are idiiai,  mentre  il  4" 
Corpo,  formato  di  otto  divisioni  con  170  pezzi  d'artì- 
;<lieria,  varcato  il  Po  marcerebbe  su  Rovigo  di  cui  s' im- 
padro  lì  irebbe,  attendendo  per  inoltrarsi  oltre  V  Adige, 
di  essere  raggiunto  dal  grosso  dell'  Esercito,  che  vi  si 
porterebbe  mediante  una  marcia  di  fianco,  utilizzando 
la  ferrovìa  dell'Emilia. 


1^ 

1  TK, 


ìt 


Fissato  dal  La  Marmora  questo  piano,  nella  mattina, 
del  19  giugno,  dal  comando  supremo  dell'  Esèrcito  tu 
ordinato  che  all'alba  del  domani  il  1"  Corpo  si  avan- 
zasse per  prendere  posizione  sulle  allure  tra  Pozzoleng» 
e  Volta  In  modo  da  poter  chiudere  il  passo  ad  ogni 
sortita  da  Pescliiera  sulla  destra  del  Mincio;  che  il  3" 
Corpo  d'armata  si  avanzasse  su  Goito  legandosi  a  sini- 
stra col  1"  sotto  Volta  e  a  destra  col  2"'  per  Rivalla  ; 
che  il  2°  Corpo  si  appressasse  a  Mantova,  senza  passare 
il  Gonline,  ma  ia  modo  da  potere,  al  rouipere  delle  ostilità,. 


impadronirsi  subito  di  Curtatooe  e  minacciare  Borgo- 
forte;  che  la  divisione  di  cavalleria,  muovesse  nella 
notte  per  porsi  ira  Castiglione  delle  Stivìere,  San  Cas- 
fci^no,  Guidizzolo  e  Medole. 

La  riserva  generale  d'artiglieria  doveva  collocarsi 
attorno  a  Cj'eraona. 

Il  fronte  dell'armata  del  Mincio  era  per  tal  modo 
disposto  su  una  distesa  di  42  chilometri. 

Disegno  del  comando  supremo  dell'Esercito  era  il 
seguente:  al  mattino  del  23  impadronirsi  dei  passi  dc-1 
Mincio  tra  Monzambano  e  Goito  con  le  truppe  del  1°  e 
-i"  Corpo,  porre  piede  BuUa  sponda  sinistra  e  spingere 
la  cavalleria  vereo  l'Adige.  Heì  tempo  stesso,  colle  truppe 
del  2°  Corpo  impossessArsi  dei  fortini  avanzati  di  Cur- 
tatone  e  Montanara  dinanzi  a  Mantova,  entrare  nel  Ser- 
raglio, tagliare  Le  comunicazioui  tra  quella  fortezza  e 
liorgoforte,  e  aissalire  «questa  ultima  poisizione  dalle  due 
sponde  del  Po  e  costringere  con  un  rapido  fuoco  di 
numerosa  artiglieria,  il  preaidioalla  resa  o  allo  B^^ombro, 


Nel  mattino  del  23  il  passaggio  del  Mincio  fu  effet- 
tuato come  era  stato  ordinato  senza  contrasti  da  parte 
degli  austriaci. 

Il  1°  Corpo  passò  il  Mincio  a  Monzambano  colla 
ijrigata  Pisa  e  prese  posizione  al  di  là  ed  a  cavallo  del 
tìume;  la  quinta  divisione  lo  passò  a  Borghetto  ed  occupò 
Valleggio;  la  3"  lo  valicò  ai  muliui  di  Volta  ed  occupò 
l'altipiano  di  Pozzuolo;  la  2''  restò  nella  sua  posizione  di 
Pozzolengo  osservando  Peschiera;  una  forte  riserva  &i 
-situò  a  metà  strada  tra  Volta  e  Borghetto. 

Il  3°  Corpo  valicò  il  fiume   al  ponte  di  Goito,  alla 

presenza  del  Re. 

-  Vi  passarono  la  7",  16''  e  9"^  Divisione  mentre  l'B' 
-gettava  un  ponte  più  in  alto,  a  Ferri  ;  le  divisioni  16'^  e 
V  si  coUocìvrouo  in  prima  linea,  fra  Belvedere  e  Rover- 
Ju,ella,  le   altre   due   rimasero  in.geQouda.  liqea. 


. 311 

Il  2°  Corpo  non  passò  il  Mincio;  ina  con  la  6'  Divi- 
sione ed  una  brigata  della  4^  varcò  la  frontiera  delle 
Grazie  ed   occupò    Curtatone  e  Montanara  ;  l'altra  bri- 

Igata  della  4"  Divisione  fu  posta  sulla  destra  del  Po  os- 
servando  Borgoforte. 
Le  divisioni  Longone  e  Angioletti  rimasero  nei  pressi 
di  Castell  uccio. 
*rutti  questi  movimenti  non  incontrarono  alcuna  re- 
sistenza. L'assenza  di  forze  austriache  nella  pianura 
^-avanti  Verona,  indusse  il  generale  La  Marmora  a  ri- 
^■tenere  che  il  nemico  avesse  rinunziato  a  difendere  11 
lerreno  fra  l'Adige  e  il  Mincio,  e  che  si  sarebbe  limitato 
i.a  contrastare  il  passo  del  primo  fiume.  Perciò  venne 
^nel  concetto  di  gettarsi  arditamente  fra  le  piazze  di  Ve- 
rona, Peschiera  e  Mantova,  per  separarle  una  dall'altra,  ed 
occupare  una  forte  posizione  che,  richiamando  l'attenzione 
del  nemico,  favorisse  il  passaggio  del  4"  Corpo  d'Armata, 
soncentrato  fra  Bologna  e  Ferrara.  In  conseguenza  di 
questo  presupposto  diede  gli  ordini  perchè  il  1°  Corpo 
occupasse  Castel  Kuovo,  S.  GiuEtino  e  per  Valeggio,  Cu- 
j  stoza,  Somma -Campagna  ai  dirigesso  a  Sona.  llS^prolun- 
^^j;ando  questa  lìnea,  doveva  occupare  Somma-Campa- 
^^gna  e  Villafranca. 

r  Ordinava  infine  che  il  2"  Corpo,  passando   il  Mincio 

■  a  Goito,  occupasse  quel  paese,  Marmirolo  e  Roverbella, 
'       quale  riserva  generale. 

^^—        Tutti  questi  movimenti   dovevano   farsi  nelle  prime 
^ftore  antimeridiane  del  giorno  24. 

^M  G-aribaldi  aveva  a-ccettato  con  gran  cuore,  che  Trento 
"  fosse  lobbiettìvo  delle  sue  operazioni;  ma  v'erano  altre 
vie  per  giungervi  oltre  quella  all'ovest  del  Garda.  Sca- 
glionare le  sue  truppe  a  Bergamo,  accennando  a  nord 
per  richiamare  gli  austriaci  ai  passi  del  Tonale  e  del 
Caffaro;  poi  correre  a  gran  passi  al   Po  Cremoneee,  e 


m 

per  l'Emilia,  al  basso  Po,  dietro  il  corpo  del  genenil» 
Cialdiui;  entrare  con  questo  nel  Veneto,  sopravanzarlo, 
e  per  la  Val  Sugana  lanciarsi  su  Trento;  questo  era  il 
piano  che  egli  aveva  in  mente,  ma  tale  disegno  non 
combinava  colle  idee  del  Comando  Supremo  ed  a  que- 
sto Garibaldi  dovette  sottomettersi. 

Il  generale  il  23  giugno  contava  di  avere  con  se  sei- 
mila uomini  circa,  e  con  questi  si  metteva  in  marcia  per 
la  via  Glie  gli  era  stata  tracciata,  mentre  sapeva  che  il 
generale  Ivunn  gli  opponeva  una  t'orza  superiore  ai  18 
mila  uomini. 

Elia  aspettava  da  tre  giorni  a  Milano  la  chiamata  di 
Garibaldi,  quando  a  mezzo  del  tenente  colonnello  Fran- 
cesco Cuochi  dello  Stato  Maggiore^  riceveva  l' ordine 
di   portiirsi  con  i  suoi  a  Sale!), 

Ivi  arrivato  £lin  presentava  al  generale  i  volontari 
ohe  lo  accompagnavano,  11  generale  gli  espresse  l' in- 
tendimento Euo  di  affidare  a  lui  il  comando  delia  miuu- 
Bcol»  tìotuglia  del  Liigù  di  (jju'dii;  ma  Elia  gli  fóce  osser- 
vare clic  avendo  già  il  maggiore  Sgaralliiiù  di  Livorno, 
presa  la  consegna  ed  il  comando  della  flottiglia  istessa,  per 
ordine  del  Capo  di  8tato  Maggiore,  era  suo  desiderio  di 
lasciarglielo;  solo  chiedeva  i!  comando  dell'unica  barca 
cannoniera  pronta  ed  armata  «  11  Torione  »,  se  il  gene- 
avesse  rlo-phtlcimeute  deciso  di  fidarlo  nelìa  flottiglia.  Il 
generale  pregò  Elia  di  rimanere  nella  flottiglia  e  gli  diede 
il  comando  desiderato. 

Questa  flottiglia  si  componeva  di  cinque  barche  can- 
noniere armate  con  un  cannone  da24mm.  a  prua,  di- 
fese da  un  parapetto  di  corazza  a  prora  e  da  2  da  5  '/j 
mm.  nei  fianchi;  ma  quattro  di  esse  erano  in  riparazione 
e  solo  dopo  alcuni  giorni,  una  dopo  l'altra  furono  pronte 
ad  entrare  in  aaiono. 

La  flottiglia  austriaca  del  lago  era  composta  delle 
cannoniere  ad  elica  «  Speinthenfel  >  «  ì\  ildfang  »  «  Schar- 
f&chiutea  »  «  Raufbold  »  «  "Wespe  »  e  «  Xikoke  »  e 
dei  vapori  «  Francesco  Giuseppe  •>  e  *  Hess  ». 


Il  33  il  generale  aveva  ordinato  ai  volontari  che  aveva 
sottomano,  di  marciare  avanti  e  di  Occupare  con  audaci 
colpi  di  mano  il  Caffaro  e  Montesuello;  e  i  garibaldini 
non  perdettero  tempo. 

U  colonnello  Splnflzzi,  comandante  del  2°  reggimento, 
■messosi  subito  in  marcia  si  spingeva  fino  ad  Anib;  il 
maggiore  Castellini  fiiceva  avanzare  il  suo  battaglione  di 
betsaglieri  in  due  colonne  di  due  compagnie  ciascuna  ed 
una  compagnia  del  2°  reggimento,  per  la  strada  di 
Bagolino  verso  Monteauello  che  riusciva  ad  occupare 
dopo  accanito  combattimento  mettendo  in  fuga  il  oemico. 
Cosi  i  nostri  si  erano  stabiliti  sul  Montesuello  e  sul 
Oaffaro,  con  drappelli  di  fianco  a  Bagolino  da  un  lato, 
ad  Hano  e  Monte  Stino  dall'altro;  senonchè  in  seguito 
all'ordine  che  il  generale  Garibaldi  aveva  ricevuto  dal 
Coniando  Supremo,  di  Affrettarsi  a  proteggere  1'  eroica 
Brescia,  il  colonnello  Spinazzi  venne  richiamato  e  oo- 
mandato  ad  occupare  Lonato  e  Descuzano. 


Ecco  come  erano  andate  le  cose  dell'esercito  il  24 
giugno. 

Il  3°  corpo  si  era  messo  in  marcia  alle  due  anti- 
meridiane in  tre  colonne  per  occupare  la  linea  Som- 
macampagna-Villafrauca  che  gli  era  stata  assegnata. 

A  destra  la  divisione  principe  Umberto  pereorreva 
la  strada  Roverbelin  e  Mozzecano  diretta  su  Villafranca. 

La  divisione  Bixio  al  centro,  avviata  alle  Confardine, 
seguiva  da  Masslmbona  a  Villatranca  la  strada  che  vol- 
gendo a  sinistra  tende  a  quella  borgata. 

La  divi.sione  Cugia  a  sinistra  per  la  strada  da  Poz- 
zolo  a  Ramelli  muoveva  verso  Sommacampngna  ove 
doveva  collegarsi  a  sinistra  con  la  destra  del  1"  corpo 
d'armata. 


su 

Seguiva  ìd  ri&erva  la  divisione  Covone  per  la  strada 
di  Scivie  direttA  a  Pozzo  jMereto  per  iri  prendere  po- 
sizione. La  brigata  di  cavalleria  che  veniva  in  coda 
alla  divisione  Bixio  dovev.i  stnbilirsi  ft  Rosspgfìferro. 

Si  credeva,  secondo  notizie  avute,  che  a  Villafraaca 
vi  fossero  due  squadroni  di  citvalleria  nemica. 

S.  A.  3-  il  principe  Umberto  volendo  eorprenderli, 
ordinava  al  Cnpitano  di  Stato  Maggiore  Taverna,  di  porsi 
.'dia  testa  dello  squadrone  d'avanguardia  e  di  attraver- 
sare di  gran  galoppo  quella  uittà,  per  la  strada  diritta 
e  larga  che  la  taglia  nel  mezzo,  e  ai  due  battaglioni  dì 
bersaglieri  di  seguirlo  a  sostef^no  a  paiaso  di  corsa; 
mentre  la  Divisione  avrebi)e  seguito  a   breve  distanza. 

L'avanscoperta  fu  eseguita  con  prontezza,  ma  la 
città  fu  trovata  sgombra  di  nemici. 

It  capitano  conte  Taveina  spìnse  la  ricog'nizìone  sulla 
strada  di  Verona  e  Povegliano,  e  vi  eooperse  le  vedette 
nemiche;  erano  gli  Ussari  Wiirtemberg  àeUa  brigata  Sjv 
dakowschi  in  marcia.  Avviso  ne  fu  dato  al  comando 
della  Divisione  che  giù  aveva  traversalo  VilLafranca; 
questa  spiegò  subito  la  brigata  Parma  in  prima  linea 
con  due  batterie,  a  cavallo  della  strada  Regia  e  dellii 
ferrovia,  tendenti  a  Verona.  Era  tempo  perchè  l'attacco 
della  cavalleria  austriaca  si  sviluppò  immediato  e  violento. 

Gli  squadroni  Us-seri  ei  slanciarono  a  gidoppo  serrato 
contro  lo  &q^uadrono  italiano  inseguendolo  dno  sulle 
catene  dei  bersaglieri  che  coprivano  la  brigata  Parma; 
li  si  arrestarono  accolli  da  viva  fucilata;  batterono  in 
ritirata  e  &i  ridussero  presso  le  due  brigate  comandate 
dal  Pulz  e  dal  Radiikowscbi,  le  quali  apiegati  i  propri 
cavalieri  in  battaglia,  gli  Ussari  Imperatore  a  diritta, 
gli  Ulani  di  Trani  a  ministra,  una  batteria  al  centro, 
si  lanciarono  contro  Villaf'ranca. 

Gli  Ulani  preso  il  galoppo  sopra vanzarono  gli-  Us- 
sari; oltrepiissaLO  Canova  incontrarono  le  fitte  catene 
dei  bersaglieri.  Caricare  queste  ed  i  sostegni  fu  l'affare 
di  un  momento,    ma  al  di   là  diedero    di  cozzo  conti'o 


^15 

lì  otto  quadrati  d^la  brigata  Parma,  appoggiati  da  una. 
potente  artiglieria  ohe  vomitava  niilraglia.  11  principe 
Umberto  aveva  aruto  appena  il  tempo  di  gettarsi  in 
un  quadrato  del   49',  coraandato  dal  maggiore  Ulbrìch. 

iO  spettacolo  era  imponente;  da  una  parte  una  giovane 
tteria  cui  non  intìmidivano  gli  urrak  dei  cavalieri 
,tl  a  briglia  sciolta,  dall'altra  una  brillante  cavalleria 
sì  gettava  impavida  a  capo  fitto  contro  quella  mu- 
raglia di  ferro  e  dì  fuoco.  Ma  ì  quadrati  della  brigata 
rimAsero  immobili  come  torri  e  la  c^valleriu  austriaca 
vide   spezzarsi  tutti    i  suoi    sforzi    contro    la    muraglia 

i  ferro  della  brava  fanteria,  superba  di  mostrare  il  suo 
Bangue  freddo  e  il  suo  eroismo  al  tìglio  primogenUo 
di  Vittorio  Emanuele  il  quale,  con  serenità  d'animo 
dava  l'esempio  del  coraggio  e  della  devozione  al  dovere. 
,  Dopo  inutili,  ripetute  cariche  ^'li  avanzi  del  reggi- 
'tnento  Trani,  dovettero  retrocedere  laceri  e  malconci; 
quando  il  Kadafcowachi  lì  riannodjiva  appena  100  ri- 
spondevano all'appello, 

Al  rumore  delle  cannonate  la  divisione  Bixio  era 
accorsa  a  spiegarsi  sulla  sinistra  del  principe  :  il  gè- 
nerale  ordinava  al  suo  capo  di  stato  maggiore,  te- 
nente»colonuello  di  San  Marzano  di  porsi  alla  testji  dei 
.tre  squadroni   di  cavalleggeri    di    Saluzzo,  muovere    in 

icognizìone  e  portare  soccorso,  occorrendo,  a  S.  A.  R. 
,1  tenente  colonnello  di  San  Marzano  si  slancia  alla 
testa  dei  suoi  bravi  squadroni  si  avventa  contro  la  ca- 
valleria nemica  che  tentava  sfondare  i  quadrali  deUa 
fanteria  della  divisione  del  principe  e  concorre  a  deci- 
marla. 


Avvenimenti    meno  felici  per  le  armi  nostre  avve- 
ivano  in  altre  parli. 

Il  1°  Corpo  d'armata  —  generale  Durando  —  doveva 
portarsi  a  Castelnuovo,  osservare  Peschiera  e  Pastrengo 
■«guernire  le  linee  delle  alture  tra  gora  eSantaGiustitja. 


316 

Ma  questa  raarcÌA  che  doveva  essere  una  semplice  oc- 
cupazione dì  poaìzìoni  si  cambiò  Ad  dui  princìpio  in  uno 
dei  più  seri  combattimenti. 

Nella  notte  del  23  al  24  di  giugrno  potenii  masse 
nemiche  laac-Jate  le  posizioni  che  occupavano  lungo  l'A- 
dige a  Pasirengo  e  nel  campo  trincerato  di  Verona,  con 
marcia  obliqua  investivano  la  divisione  in  marcia  verso 
le  posizioni  loro  assE^nate. 

Non  valse  il  valore  delle  truppe  e  I'  eroismo  dei 
bravi  ufficiali,  del  gener«le  Cerale,  del  colonnello  Dezza, 
e  dello  stesso  generale  in  capo  Durando  che  assieme  ai 
suddetti  riportava  grave  fenta  ;  la  1°  divisione  soprafatta 
dfl  forze  imponenti  e  convergenti,  minacciata  di  aggira- 
mento, vinta,  fu  obbligata  alla  ritirata  verso  Valeggio. 
Da  quel  momento  l'attacco  da  parte  degli  Austriaci  di- 
venne generale. 

Fino  alte  4  pomeridiane  si  combattè  dando  i  nostri 
prova  di  indomabile  resistenza  contro  un  nemico  asaai 
superiore  in  numero,  perchè  quasi  la  metà  delle  nostre 
t'orxe,  al  comando  del  Cialdini,  era  rJmìista  trulla  destra 
del  Po  colle  ai-mi  a!  piede. 

Alle  5  tutto  il  7°  corpo  austriaco  appoggiato  da  riparti 
del  9°  e  da  una  brigata  del  ó°  corpo,  dopo  di  e&aei«i  reso 
padrone  di  Sommacampagna,  assaliva  le  poche  truppe 
itaLjane  per  sloggiarle  dalle  alture  di  Belvedere.  Ottomila 
dei  nostri,  sebbene  spossati  dalle  marcie  e  dai  lunghi 
combattimenti,  tenevano  testa  a  forze  nemiche  talmente 
soverchianti  che  sommavano  a  più  di  venticìnquemila 
uomini.  I  nostri  non  cedevano,  la  lotta  continuava  sempre 
più  accanita,  furiosa,  con  gravissime  perdite  da  ambo  le 
parti.  Ma  nuove  forze  subentravano,  il  nemico  ingros- 
sava, premeva  sempre  più,  e  i  nostri  furono  obbligati  a 
ripiegare. 


Il  29*^  reggimento  e  il  Ifi»  bersaglieri  assaltarono  ri- 
.solutamente  la  Mongabia  e  il  Monte  Criool. 


317 

Erano  20  compagnie  sostenute  dal  fuoco  di  otto  caa- 
'noni  che  andavano  ad  .isanlire  25  compagnie  auscriache 
con  otto  pezzi,  in  fortissime  posizioni.  Di  contro  alla 
parte  orientale  del  Monte  Criool,  il  generale  "Willarey 
colla  o''  compagnia  del  30°  si  avanzava  tenendo  alto  II 
berretto  e  griditndo  Viva  il-  Re,  quando,  colpito  da  tre 
proiettili  Cctdde  fulminato.  Ma  quelle  akure  con  tanto 
accanimento  difeae,  furono  dai  nostri  valorosi  conqui- 
state; e  le  truppe  della  tariffata  austriaca  furono  obbli- 
gate ad  una  ritirata  scompigliata,  con  l'abbandono  di  due 
cannoni  e  i  carri  di  munizioni  roveaciati. 

L  Casale  di  Mongabia  veniva  occupato  dal  mag- 
giore Hiuola-Pegcarini  con  tre  compagnie  del  29"  reg- 
gimento. 
^k  H  generale  Govone  che  era  stato  mandato  dal  Re 
sulle  alture  dì  monte  Torre  con  la  brigata  Alpi,  vide 
quanto  vantaggio  poteva  ricavare  da  questa  posizione, 
■ove  aveva  raccolto  tutta  la  sua  artiglieria.  Per  primo 
scopo  si  prefìge  di  conquistare  Custoza.  Fa  piazzare 
tutte  tre  le  batterie  coi  tiri  rivolti  contro  quel  Yillaggio  e 
ordina  die  il  34""  bersaglieri  (maggiore  Pescetto)  si  spin- 
ga ad  aiutare  la  brigata  granatieri  comandata  dal 
principe  Amedeo  che  combatiteva  eroicamente  per  ri- 
prendere quella  posizione,  e  che  aveva  sofferto  gravi 
perdite,  lo  stesso  principe  Amedeo  vi  era  rimasto  ferito. 

L'effetto  di  quel  potente  fuoco  d'artiglierìa  fu  grande. 
^_U.  34"  bersaglieri  supera  con  mirabile  slancio  Terta  sco- 
Hb^esadel  poggio  di  €ustoza,  di  contro  alla  testa  del  Monte 
Torre,  raggiunge  i  bravi  granatieri  e  i  valorosi  della 
3^  Divisione,  e  al  suono  delle  trombe  si  slancia  insieme 
a  quelli  entro  il  villaggio,  impegnando  contro  gli  Au- 
striaci lotta  accanita. 

In  quel  momento  arrivava  dalla  parte  dì  Villa^ 
franca,  inaspettato  rinforzo,  la  seconda  batteria  a  cavallo 
sotto  gli  ordini  del  maggiore  Ponzio- Vagli  a. 

Giungendo  sull'alto  del  poggio  all'entrata  snd-occl- 
ientale   del  vilLiggio,   la   testa  della  batteria  urtava  in 


^318 
un  forte  drappello  di  caralleria  AustrÌHca  e  ussari  di 
Baviera;  il  miigfi^ore  Ponzio -Vaglia  sì  metteva  alla  testa 
dei  serventi  ni  pezzi,  appartenenti  alla  batteria  del  ca- 
pitano Perrone  e  ctìn  grandissimo  coraggio  e  slancio  im- 
petuoso caricava  furiosamOiiCe  ia  cavalleria  austriaci,  la 
rompeva,  !a  metteva  in  fuga,  facendo  alcuni  prigionieri. 
Per  questo  brillantissimo  fatto  il  maggiore  Ponzio-Vaglia 
veniva  promosso  e  decorato  dell'ordine  militare  di  Savoia. 

L'attacco  furioso  dei  nostri  obbliga  gli  austriaci  a 
ritirarsi  in  rotta  verso  il  Belvedere. 

Kimasti  padroni  di  quella  pof<ixione,  bersaglieri  e  gra- 
natieri impegnarono  il  fuoco  contro  i  nemici  appostati 
in  Vili  Busa,  nel  cimitero,  nella  cliiesa,  nel  pal,azzo  Maffei 
e  Hul  poggio  soprastante. 

Il  maggiore  Ponzio-Vaglia  ordinava  al  capitanò  Per- 
rone di  condurre  i  suoi  cinque  pezzi  in  aiuto  dei  com- 
battenti nel  villaggio  di  Custoza  contro  il  Jieniico,  ap- 
postato fortemente  a  Etelvedere  ;  l'ordine  fu  eseguito  e 
il  nemico  posto  in  fug;i. 

Appena  impadronitosi  di  Custoza,  il  generale  Govone 
ne  maudava  avviso  al  generale  della  Rocca,  a  cui  chie- 
deva alti'e  truppe  per  fronteggiare  il  nemico  che  sempre 
più  e  più  ingrosstiva  e  col  quale  il  combattimento  era 
seriamente  impegnato. 

DigraziatJimente  la  3'  divisione  [Brignone)  assalita 
da  forze  preponderanti,  era  stata  costretCìi  ad  abbaudo- 
iiare  la  importantissima  posizione  del  Monte  della  Croce. 
L'annunzio  fu  doloroso  astìai  pel  generale  Lamarmora,  il 
quale,  vista  l'importanza  di  questa  perdita  ordinava  al 
generale  Cugia  di  atfrettarbi  a  portare  soccorso  a  quella 
divisione,  ed  al  colonnello  Ferrari,  comandante  del  64°  fan- 
teria, dì  seguire  senz'  altro  la  mossa  e  di  appoggiarla. 

Inttinto  il  generale  Govone  che  aveva  obbligato  gli 
austriaci  ad  abbandonare  Custoza  e  Belvedere  volle  pro- 
vare di  conquistare  anche  le  forti  posizioni  di  Monte  Mo- 
limenti  e  Cavalchina,  ordinava  ifuindi  alle  sue  brave 
J;ruppe  dì  marciare  alla  conquista  dì  esse,  e  alle  2  Vi  pom 
pure  queste  erano  in  mano  dei  nostri. 


'319 

Venti  compagnie  stavJiDO  ora  &u  quelle  alture  dinau^i 

Beh'edere  sino  a  Biigolino.  Urgeva  appareoohiarsi  a 

gagliarda  difesa  sa  quelle  ìmporUntÌHi$ìmQ  posizioni  e 

sopratutto  coprirle  di  artiglieria;  ma  tempo  e  mezzi  man- 

irono. 

Il  gienerale  austriaco  Moroicic  aveva  ricevuto  or- 
dine dell' ai'^ciduca  di  muoTere  colle  sue  due  brigate  di 
riserva  per  impiidronirsi  ad  ogni  costo  di  Oustoza.  Erano 
;)assate  le  3  pom.  e  le  nostre  truppe  non  avevano  alcun 
autore  di  quella  mosaa  che  doveva  dare  il  crollo  alla 
'battaglia.  Alle  3  'A  ricorainclava  il  fuoco  dell'artiglieria 
^jiemica  pi»  violento  che  mai. 

Nell'udire  il  forte  rumore  della  battaglia  sulle  alture 
li  Custoza  il  generale  Bixio  mandava  il  suo  capo  di  stato 
^Tnag;?iÒ!'e  tenente  colonnello  di  San  Mariano,  a  chiedere 
al  comandante  del  corpo  se  poteva  muoversi  in  soccorso, 
luche  S.  A.  R.  Umberto  aveva  raaad.-ito  a  prendere  or- 
dini  allo   stesso  scopo,  ma  enti'ambi  ricevevano  quello 
,di  rimaner  fermi  nelle  loro  posizioni.  Infatti  il  generale 
)ella  Rocca  interpretando  gli  ordini  ricevuti  dal  Lamajr- 
mra  nel  più  stretto  senso,  non  si  credette   autorizzato 
id  un  atto  spontaneo  di  vigorosa  controfl'ensivji. 

Vedendo  addensarsi  rapida  tanta  massa  d'armati  at- 
(toruo  A  Belvedere,  il  generale  Qovone  fa  scendere  dal 
''Monte  Torre  il  2V  bersaglieri  e  lo  spinge  contro  la  si- 
^^uistra  del  nemico  ;  ordina  al  generale  Bottiicco  di  fare 
^Kivanzare  il  36"  reggimento  sulla  deijtra  ad  est  di  Cu- 
^■^boza.  Il  combattimento  infuria;  le  nostre  quattro  batte- 
^KTie  dal  Monte  Torre,  tirando  a  raiti'aglia.  fanno  strage 
^Uéi  nemici  ;  ma  il  numero  di  questi  è  stragrande  e  i 
^Hruoti  si  riempiono  in  un  attimo.  I  nostri  sono  esausti  di 
^^ìjrze,  e  vengono  meno  le  munizioni  ;  il  nemico  inf^roBsti 
^.e  prt;rae  sempre  più  ;  non  è  possibile  resistere  più  a 
lungo,  le  nostre  perdite  sono  enormi;  il  maggior  Fezzi 
cade  ferito  a  morte,  sono  foriti  gravemente  i  tenenti 
.Salini  e  Tormvghi,  il  capitano  Alberi  è  ucciso,  il  capitano 
ISerrati'ice  e  il  maggiore  Lavezzeri  feriti.  Anche  il  capi- 


330 


tono  di  stato  maggiore  Biraphi  è  ferito  gravemente. 
Oli  Austriaci  occupano  1'  altura  sovrastante  a  Valle 
Busa;  i  nostri,  sempre  combattendo,  sono  costretti  a  ce- 
dere terreno  a  scendere  verso  la  chiesa  6  il  cimitero. 

II  genei'alo  Moroicic  senza  perdita  di  tempo  aveva 
fatto  piazzare  sulle  alture  di  Belvedere  e  di  Monte  Mo- 
linienti  abbandonate  dai  nostri  le  batterie  delle  due  sue 
■brigate  e  ire  dì  altri  corpi  e  d'accordo  con  quelle  del  9° 
corpo  batteva  furiosamente  Custoza,  quindi  ordinava  un 
attacco  generale  che  divenne  irresistibile  per  la  gran 
massa  degli  assalitori. 

I  difensori  di  Custoza  si  sforzano  di  tener  testa 
per  quanto  è  possibile  al  furioso  attacco  del  neiuioo  che 
si  aceatca  sempre  più  numeroso,  sotto  la  tempesta  dei 
proiettili,  tramezzo  alle  case  che  ardono  e  miuncciano 
rovÌDa.  Il  coloutit^Uo  Marchetti  eccita  i  suoi  a  resistere; 
la  batteria  a  cavallo  ha  finito  le  munizioni;  il  tenente 
PoUoiii  ne  protegge  la  ritirata.  Oranatieri,  bersa.e:lieri 
€  fanteria  del  51"  e  del  Sb"  combattono  furiosamente  ;  il 
generale  Bottaco  dirige  impavido  il  combattimento  ;  ma 
una  più  lunga  resistenza  non  è  possibile;  troppo  è 
grande  la  soverchiante  forza  nemica. 

Frattanto  il  generale  Govone  ha  avuto  risposta 
da  Villafranca  che  nessun  soccorao  può  eBsergli  man- 
dato; la  sua  artiglieria  è  all'ultimo  colle  munizioni;  il 
capitano  Gatti,  del  suo  Beguito,  é  ucciso  al  suo  fianco, 
il   capitano   Nasi    ferito  mortalmente. 

Le  sue  truppe  non  possono  più  reggere;  il  peso 
della  battaglia  è  divenuto  enorme.  Non  gli  rimane  un 
momento  da  perdere  se  vuole  salvare  la  sua  Divisione 
dalla  terribile  conseguenza  degli  attacchi  di  fronte  e  di 
fianco.  Comanda  la  ritirata  su  Villafranca.  Manda  uf- 
ctali  a  fare  riordinare  dietro  la  casa  Coranini  i  retro- 
<!edenti,  per  avviarli  in  colonna  di  marcia  sulla  strada;  i 
<;olonne]ti  Cravetta  e  Di  Salasco  sono  ordinati  sui  fian- 
chi della  strada  per  agevolare  e  coprire  la  ritirata  del- 
l' artiglieria  e  della  fanteria. 


321 
n  movimento  ai  eseguisce  con  I'  ordine,  che  è  poa- 
'eibile  in  airaili  ca&i,  sotto  il  micidiale  tiro  delle  arti- 
glierie situate  nelle  alture;  ed  alcune  centinaia  di  valo- 
Irosi  rimasti  a  contatto  col  nemico  in  Custoza  e  nel  bo- 
sco, assicurano,  con  un  ultimo  sforzo  di  difesa,  la  riti- 
t'ata. 
'.  Così  fini  verso  le  6  pom,  la  battaglia  di  Custoza 
combattuta  con  straordinario  valore. 


Mentre  questo  avveniva  a  Custoza  e  nelle  alture 
di  Belvedere  e   di  Monte  Croce,  il  comantlante   del    7' 

Lreggimento  bersaglieri,   magg-iore   Giolitti,  segnalava  la. 

'comparsa  di  grosse  masse  di  truppa  nemica  sulle  al- 
ture di  là  di  Val  di  Staffalo.  Il  generale  Cugia  spediva 
avviso  al  Comandante  del  3"  corpo  della  minaccia  d'im- 
minente attacco  di  forze  preponderanti,  facendogli  pre- 
sentire r  impossibilità  di  mantenersi  in  quella  posizione. 
IH  generale  Della  Rocca  gii  mandava  ordini  di  ritirarsi 

Ljn  direzione  di  Villafranca. 

Il  generale  Della  Rocca  comprendendo  clie  il  mo- 
mento finale  era  giunto,  dava  gli  ordini  per  la  ritirata 
Vtìrao  il  Mincio;  la  divisione  Bixio  e  la  cavalleria  di  ri- 

.serva  doveano  coprirla. 

p  La  fermezza  del  generale  Bixio  e  delle  sue  truppe 
aasicurarono  la  ritirata  del  3°  Corpo  di  armata  ed  egli 
stesso  si  affrettò  poi   ad  occupare  Quaderni,  per  impe- 

^dire  al  nemico  di  peoetrure  tra  Villafranca  e  Valleggjo. 
Il  combattimento  del  24  giugno  fu  assai  onorevole 

"per  le  truppe  italiane. 

Le  nostre  perdite  furono  Mensibili,  ma  quelle  del 
nemico  furono  assai  più  forti.  La  maggior  parte  dei  no- 
stri combattenti  fecero  prodigi  di  valore,  tanto  è  vero 
che  gli  austriaci,  si  astennero  dal  cimentarsi  ad  impe- 
dirne la  ritirata.  Dieci  diviisioni  non  avevano  potuto 
prender  parte  a  quel  combattimento;  due  rimante  per 


3?2 

■ordine  Biiperiore  a  Villafranca;  quella  comandata  da 
.S.  A.  Reale  il  principe  Umberto  e  l'ultra  cnmiLiulain 
dal  generale  Ilixio;  e  otto  divisiooi,  circa  novantaraila 
uomini,  con  170  cannoni  rimasto  sul  Po,  sotto  gli  ordini 
del  generale  Cialdinl. 


L,a  giornata  di  Ctistoza  non  ebbe  la  grande  impor- 
tanza che  gli  3i  volle  attribuire;  tanto  che  il  *  luglio. 
le  truppe  sotto  gli  ordini  di  Ciiiidini.  passato  il  Po,  co- 
stringeTano  la  guarnigione  di  Borgoforte  ad  abbandonare 
Ojuella  torte  piazza  per  ritirarsi  in  Mantova  e  in  IO 
giorni  questo  corpo  d'invaaione  di'!  Citildini,  rÌTitbrzau> 
à  più  che  150  mila  uomini,  si  trovava  buU*  Isonzo 
pronto  a  marciare  per  la  conquista  di  Venezia. 


Per  i  volontari  comandati  da  Garibaldi  l'ordine  di 
ritirarsi  dalle  posizioni  conquistate  era  stato  doloroso, 
ma  bisognava  ubbidire. 

Il  generale  senza  esitare,  con  la  sua  abituale  rapi- 
dità:, ordinava  alle  sue  truppe  di  abbandonare  i  posti  ot- 
cupati  e  con  tanto  valore  difesi,  e  le  disponeva  fra 
Brescia  e  Lonato. 

Nella  notte  del  25  il  comandante  della  llottiglia 
ordinava  ad  Elia  di  sbarcare  tutto  il  materiale  da  guerra 
della  sua  cannoniera  «Torrione»  e  di  avvertire  di  non 
la&ciare  a  bordo  degli  esplodenti,  poiché  dovevasi  dar 
fuoco  alla  flottiglia  per  distruggerla, 

Elia  ubbidì  quanto  allo  sbarco  del  msteriale,  che 
poteva  essere  stato  richiesto  dal  Generale  come  ueces- 
iiario  alla  difesa  di  Brescia,  ma  credette  di  non  poter 
permettere  si  abbruciasse  la  sua  nò  le  altre  cannoniere. 
Ractìomandò  ai  marinari  del  «  Torrione  »  di  fare  buonsi 
guardia  e,  coU'autorità  che  gli  dava  il  suo  grado  supe- 
riore, ordinò  ai  coiBatidan-ti  delle  altre  cannoniere  di 


non  dare  esecuzione  ad  alcun  ordiae,  che  potesse  coni^ 
promettere  la  salvezza  del  naviglio  loro  affidato.  Ciò 
dispoBlo  si  diresse  alia  residenza  del  capo  di  stato; 
maggiore  e,  trovativi  lE  generale  Fabri2i  ed  il  colonnello 
GuatìCiiUa,  cliiese  loro  quali  erano  gli  ordini  per  la  flottìglia 
-a  sapuiili,  domandò  oarta  bianca,  prendendo  inpegno 
d'impedire  che  essa  cadesse  in  mano  agli  austriaci; 
aenza  che  vi  fosse  bisogno  d' incendiarla  e  di  distruggerla. 

Sua  intenzione  era  di  adoperare  iL  eistema,  che  ebbe 
a  riuacirgli  cosi  bene  a  Marsala  col  w  Lombardo  »  cioè 
quello  di  aprire  all'ultimo  estremo  i  rubinetti  alle  mac- 
chine per  l'arie  affondare.  Avuta  tale  facoltà,  mantenne 
una  attivÌB»ima.  sorveglianza  per  non  essere  sorpreso  dal 
lato  del  Iago,  mentre  il  colonnello  Bruzzeai  prendeva,  le 
sue  precauzioni  dal  lato  di  terra,  e  non  essendo  acca- 
duto nullit  di  straordinario,  la  flottiglia  fu  salvata  con 
soddisfazione  grandissima  del  generale  Garibaldi,  che  alla 
notìzia  avuta  della  sua  distruzione  era  andato  au  tutte 
le  furie. 

Venuto  il  giorno  dopo  a  prendere  il  comando  divi- 
BÌonale  di  Salò  ìE  generale  Avezzana,  questo  con  insi- 
stenza pregava  Elia  dì  accettare  il  coniando  della  flot- 
tiglia, e  sebbene  a  malincuore,  perchè  gli  doleva  lo 
stato  di  quasi  inazione  a  cui  era  condannato,  pur  non- 
dimeno dovette  ubbidire,  perchè  alle  istanze  del  generale 
Avezzana  vi  si  aggiunse  l'ordine  gentile  del  generale 
Garibaldi,  che,  venuto  a  bordo  della  cannoniera  «  Tor- 
rione »  gii  faceva  elogio  per  la  salvata  flottiglia  e  Io 
pregava  a  prenderne  il  comando.  L'Elia  non  poteva  ri- 
liutarsi  e  chiese  ed  ottenne  per  suo  capo  di  stato  mag- 
giore il  capitano,  amico  suo   carisjsimo,  Alberto  Mario. 

Elia  ebbe  poi  delle  importanti  missioni  di  fiducia 
d'ordine  del  generale  Garibaldi  e  da  lui  personalmente. 
La  prima  affidatagli  fu  quella  di  recarsi  in  incognito  ad 
esplorare  f+e  erano  vere  alÉune  mosse  del  nemico  riferite 
al  capo  di  stato  maggiore,  e  nel  tempo  stesso  di  vedere 
ae  era  lattibile  V  impossessarsi   di   un   vapore   che   gli 


324 

Austi'Uci  BvevAiio  ìa  costruzione  a  Desenzuuo;  cosa  a&~ 
soliiCamente  impossibile  perchè  il  vapore  in  costruzione 
aveva  ancora  il  fondo  aperto  e  toancaote  del  fasciame: 
ecco  la  lettera  con  la  quale  gli  si  dava  l'inctuico. 
■«  Caro  Colonnello, 
<  Ecco  le  due  guide  di  tutta  confidenza.  Ho  già  detto> 
loro  qualche  cosa.  Quando  crederete  voi  direte  ìt  resio. 
La  vettura  earà  alla  vostra  porta  tra  pocài  minuii. 
Buon  viaggio  e  felice  ritorno  con  più  buone  nouzie.  II 
sotto  Capo  di  Stato  Maggiore.  E.  Guastalla  ■. 

Altre  mìsaioni  di  Garibaldi  al  Ministero  con  lettere 
e  con  istruzioni  riservate  l'Elia  condusse  a  termine  con 
soddisfazione  del  generale. 


E  1"  luglio  ricevuto  il  rinforzo  di  tre  dei  cinque 
reggimenti  che  si  stavano  organizzando,  il  generale  Ga- 
ribaldi, lasciato  buon  prefiidio  a  Brescia  ed  n  Lonato, 
disponeva  il  movimento  in  avanti  per  riprendi^rt?,  con 
nuovo  sangue  dei  suoi,  le  posizioni  .che  gli  era  stato 
ordinato  di  abbandonare. 

Il  giorno  2  di  luglio  il  colonnello  brigadiere  Corte 
clje  per  capo  di  Stato  Maggiore  aveva  il  bravo  capitano 
Marcora  ebbe  l'ordine  di  muovere  verso  Rocca  d'Anfo. 
La  sera  pernottava  a  Veatone  ed  alla  ujattina  ripren- 
deva la  marcia.  Verso  il  mezzogiorno  veniva  avvertito 
che  una  coiupiignia  di  bersaglieri,  comandala  dal  ca- 
pitano Evangelisti  e  tre  di  volontari  comandati  dal  mag- 
giore Salomone  sotto  la  direzione  del  capitano  di  Stato 
Maggiore  Bezzi  avevano  ricevuto  ordine  di  girare  attorno 
alla  Rorca  e  di  piombare  dalla  cimft  dei  monti  sugli 
austi'iaci  che  occupavano  S.  Antonio  e  le  falde  orientali 
dì  Monte  Suello. 

Arrivata  la  colonna  comandata  dal  Corte^  in  pros- 
Bimità  dì  ti.  Anconio,  venne  attaccata  dai  Cacciatori 
austriaci  appostati  sulle  falde  del  monte  e  distesi  lungo 


I 


325 
O  stradale.  Non  pei'  questo  i  nostri  rallentavano  la 
marcia  e  con  ardimento  e  bravura  assalirono  ÌI  nemico. 
Arrivati  sulle  alturj  vi  prendevano  posizione  e  piazzati 
cannoni  aprivtiao  contro  gli  austriaci  un  fuoco  cosi 
en  vivo  da,  obbligarli  a  ritirarsi  sul  Monte  Suello.  Nel 
fatto  mostrarono  valore  e  sangue  freddo  il  colonnello 
Bruzzesl  e  11  maggiore  Mosto;  si  comportarono  da  valo- 
rosi il  sottotenente  Coralizzi  dhe  veniva  decorato  a\  va- 
lore militare  e  il  furiere  Fortis  che  veniva  promosso. 

A  mezzanotte  dal  8  al  9  la  brigata  Corte  si  mise 
in  marcia  per  i  monti  del  Tirolo;  giunta  sull'erta  del 
Monte  Poino  vi  t'fce  l' alto  e  furono  prese  disposizioni 
per  il  combattimento. 

Il  3"  reggimento  fu  mandato  in  ricognizione  verso 
Storo,  ove  si  sjtpeva  accampato  un.  corpo  austriaco  forte 
di  4000  uomini. 

SuH' albeggiare  del  giorno  9  una  colonna  di  ^000 
austriaci  con  artiglieria  si  mostse  contro  i  nostri  attra- 
verso la  via  elle  mena  a  Rocca  d'Anfo, 

Queste  mosse  vennero  segnalate  a  Garibaldi  elle 
montato  tosto  in  carrozza  arrivò  fra  le  file  dei  volontari. 

Esfiminate  le  condizioni  locali,  il  generale  ordinava 
a  Corte  di  assalire  di  fronte  la  posizione  nemicit  e  di 
espugnarla  ad  ogni  costo. 

Monte  .Snello  che  è  un  picco  che  sbarra  le  due  vie 
di  Bagolino  e  del  Catfaro,  era  difeso  da  quattro  caia^ 
pa^nie  di  tirolesi,  e  da  altre  cjuiìttro  di  fanteria.  —  A 
snidarli  da  lassù  colla  punta  della  "baionetta  non  era 
facile  impresa.  —  Ma  Garibaldi  impaziente  di  vittoria 
ordina  l'assalto.  I  volontari  elettrizzati  dalla  sua  presenza 
fii  slanciaQo  animosi,  e  sebbene  bersagliati  dalle  eccellenti 
carabiue  tirolesi  avanz:mo,  avanzano  sempre,  e  quan- 
tunque decimati  obbligano  gli  austriaci  a  cercare  rifugio 
bell'ultima  trincea  .';ulla  vetta  del  monte.  Ma  a  tal  punto 
le  forze  dei  nostri  sono  agli  estremi  —  non  ne  possono 
più  —  e  non  possono  avanzare  ed  arrampicarsi  fin  sulla 
vetta  —  molti  sono    caduti   morti  e  feriti  —  Garibaldi 


tempesta  —  ordina  cho  sì  fticpia  l'ultimo  sfoi-zo  —  eg;lì 
stesso  t'  ferito  alla  sommitii  della  eosciii  destra  e  i  nostri, 
pure  estenuntì,  per  assecondare  l'ordine  del  fteneral© 
tentiino  l' impossibile.  Per  fortuna  endeva  la  notte  e  i 
due  camiii  cessarono  il  fuoco  restando  di  fronte  senza 
muoversi  né  l'uno  né  l'altro  dalle  loro  posizioni:  ma 
apparse  la  compagnia  bcr.saglieri  clell'Evangeliaii  e  le 
tre  del  Saloraone  sulla  cima  dominante  del  Herga,  gli 
austriaci  temendo  ai'agionedi  vedersi  all'indomani  oliiusa 
o^i  via  di  ritirata,  abbandonarono  nella  notte  la  forte 
posizione  —  che  l.i  mattina  veniva  occupata  dai  nostri. 

Il  giorno  10,  yli  nitstriacL  vollero  prendere  la  rivin- 
cita, ma  furono  bravamente  respinti  e,  costrecU  ad  ab- 
bandonare Ai'zo.  si  ritirarono  su  Hloro. 

8i  procedeva  allora  dal  geiiernle  fTaribaldi  aU'espu- 
gnazione  del  forte  d'Ampola. 

La  notte  del  18,  con  ardimento  rarissimo  un  bat- 
tagltoiie  del  9°  re g^d mento,  comandato  da  Menotti  Gari- 
baldi, dopo  avere  marciato  più  ore  in  silenzio  e  coji  ogni 
Eoria  di  cautele  occupava  Monte  Burelli  e  Monte  Giove. 
Colla  occupazione  di  quelle  alture  il  forte  d'Ampola  rima- 
neva completamente  circondato. 

Alle  2  pomeridiane  dello  stesso  giorno  il  forte  si  ar- 
rendeva senza  condizioni. 

Anche  in  Val  Camonica  ebbe  luo3:o  un  fatto  d'armi 
molto  onorevole  pei  pochi  volontari  che  vi  presero  parte. 

Il  maggiore  Caldesi  comandante  del  1"  battaglione 
del  4°  reggimento,  aveva  preso  posizione  nella  stretta  di 
Incudine  sopra  Edolo  e  vi  si  era  afforsiato  con  opere  di 
difesa  campale,  valendosi  di  due  pezzi  di  artit;lieria  dftl 
44°  battaglione  di  Guardia  Nazionale  Mollile  delia  legione 
Guiccìardì  forte  di  circa  450  uomini,  d'un  drappello  di 
doganieri  e  di  ìiIl'Uim  carabinieri. 

Il  1°  luglio  giungeva  a  Breno  il  colonnello  Cadolini 
cogli  altri  tre  battaglioni  del  4°  reggimento  e  il  S"  bat- 
taglione bersaglieri:  e  la  mattina  del  2  si  recava  ad 
Incudine  j  Ttsitava  la  posizione;  ditva  le  opportune  di- 


«posizioni  dì  difesa;  ordinava  un  migiHor  collocamento 
-deirartiglieria  e  la  costruzione  di  un  ponte  suIl'Oglìo  per 
poter  padroneggiare  iinche  il  verBaute  sinistro  della 
Valle,  prescrivendo  al  maggiore  Caldesi  di  tenere  quella 
poaizìono  ad  ogni  costo,  e  ad  ottenere  tale  efltitto  gii 
annunziava  l' invio    del  2*  battaglione  bersaglieri. 

Predisposta  ogni  cosa,  ripartiva  per  Edolo  onde 
fare  avanzare  le  altre  sue  truppe.  Ma  cammin  facendo  gli 
venne  avviso  clie  un  corpo  di  4  mila  austriaci  irrom- 
peva pel  passo  di  Croce  Domijii  su  Breno.  Arrivato  ad 
Edolo  spediva  ordine  telegtaflco  a  Breno  perchè  i  tre 
battaglioni  occupassero  subito  Campolare  nella  Valle 
delle  Valli  di  contro  allo  sbocco  di  Croce  Domini,  e  dopo 
di  aver  spedito  il  2"  battaglione  bersaglieri  ad  Incudine 
e  dato  ordine  al  Castellini  che  lo  comandava  di  porsi 
alla  dipendenza  di  Caldesi,  lasciava  Edolo  ,e  alla  mat- 
tina del  3  era  a  Campolare;  visto  che  nessun  nemico 
-era  calato  da  Croce  Domini  ed  avendo  saputo  che  dì 
]à  del  monte  eravi  buon  nerbo  di  nemici,  decise  di  la- 
.sciare  a  Campolare  un  biittii^lione,  il  4°,  e  ricondusse 
■g-li  altri  due  a  Breno. 

Frattanto  il  maggiore  Caldesi  aveva  collocato  il  3'^ 
bersaglieri  nel  Casale  di  Davena,  a  mezza  via  ti'a  In- 
cudine  e  Vezza,  con  ordine  di  assicurare  la  ritirata  alla 
■sua  compagnia  che  stava  agli  avamposti  e,  di  ritirai  si 
alla  posizione  di  Incudine,  se  il  nemico  avesse  attaccat:» 
con  grandi  forze. 

-  .  Nel  corso  delia  notte  vi  fu  qualche  allarme;  si  dissi' 
.al  Caldesi  che  4  mila  austriaci  stavano  per  piomliarglì 
addosso,  ed  egli  chiedeva  per  telegrafo  rinforzi  al 
Cadolini  mentre  ordinava  al  Malagrida  di  abbandonare 
il  posto  avanzato  di  Vezza  e  di  ritirarsi  assieme  al 
maggiore  Castellini  su  Incudine. 

Il  Malagrida  ubbidì,  non  cosi  il  CaMtellini  che,  supe- 
riore  di   grado,  gli  ordinava   invece   di  rioccupare  la 
posizione  abbandonata;    aenonchè  nel  frattempo  gli  aii- 
-striaci  sì  erano  avanzati,  e  trovato  sgombro  il  villaggLo 


328 

di  Vezzn,  Io  avevano  occupato  fortemente  piazzando  in 
batteria  ì  loro  cannoui.  Quando  il  Malitgiida,  ubbidendo 
Agli  ordini  del  Castellino  si  presentii  avanti  U  villaggio, 
'venne  accolto  da  vivo  fuoco  nemico:  non  ai  scosse 
per  questo  il  bravo  ufficiale,  ma  ordinò  ai  suoi  di  di- 
stendersi in  rateila  e  di  muovere  arditamente  avanti; 
intanto  sopra^rgiuEgevano  i  rinforzi  del  bersaglieri  co- 
mandati dai  capitani  Adaiiiolt  e  Frigerio:  il  combattì- 
meato  divenne  accanitissimo;  il  nemico  si  addensava 
sempre  più  e  il  Caldesi,  vista  la  posizione  insostenibile, 
mandava  ordini  dì  ritirata.  Ma  il  prode  Castellini  non 
volle  darsi  per  vinto.  Couianilata  la  carica  alla  baionetta 
Bi  slanciò  per  primo;  impetuoso  fu  l'assiilto^  ma  una  gran- 
dine di  colpi  di  l'ucile  e  di  mitraglia  arrestava  la  foga  dei 
nostri  bravi  che  venivano  decimati.  Il  prode  Castellini 
cadeva  colpito  nei  braccio,  nel  volto,  nel  petto;  il  bravo 
Frigerio  cadeva  egli  pure  per  non  più  rialzarsi.  Gli 
assalitori  si  ritrassero  alquanto  per  riprendere  flato; 
erano  stanchi  si,  ma  non  iscoraggiati  ;  ni  appostarono 
rispondendo  colpo  a  colpo;  ma,  ultimate  le  inuniziom, 
dovettero  cedere  e  ritirarsi  dietro  ordine  del  capitano 
Oliva,  che  per  la  morte  del  Castellini  aveva  assunto  il 
comando.  Anche  il  maggiore  Caldesi  erasi  ritirato  da  In- 
cudine e  si  era  fermato  a  Cedegolo,  dietro  ordine  del 
colonndlo  Cndolini,  ove  venue  raggiunto  dairOliva  coi 
suoi  bravi  che  nel  combattimento  impari,  avevano  mo- 
strato grande  valore  e  fermezza. 

Il  10  lug'lio  il  Colonnello  Brnzaesi  rafìorzato  dal  2" 
battaglione  del  9'*  reggimento  e  da  una  batteria  del 
maggiore  Dogliotti,  cacciava  gli  austriaci  da  Lodi'one  e 
si  spingeva  ad  Arzo,  posizione  migliore.^ 


Padroni  del  forte  d'Ampola  i  garibaldini  mossero  in 
avanti  verso  la  gola,  sulla  eommitii  della  quale  si  trova 
il  villaggio  dì  Tiarno  di  sopra,  mentre  più  in  basso  vi 
è  J' altro  che   si  noma  Tiarno  di  sotto. 


329 
Aranti  a  quest'  ultimo  si  apre  la  stretta  valle  alla 
"cui    sinistra  si  trova  Bezzecca;  procedendo,  la  valle  sì 
j^— stringe    ancor  più,  circondata  da   monti  e  dal  villaggio 
^Bdi  Pieve  mentre  al  di  là  cominciìt  il  Lago  di  Ledro. 
^m         La  mattina  del  20  due  compagnie  del  2°  reggimento, 
^"tre  del  7",  un  battaglione  del  6°  ed  il  1°  bersaglieri  oc- 
I      -cupavauo  Tiarno  di  sopra;  poco  dopo  vi  prendeva  po- 
I      sizione  pure  il  9"  comandato  dal  colonnello  Menotti  Ga- 
ribaldi. Il  5°  reggimento  si  collocava  a  Tiarno  di  sotto, 
^—.spingendo  i  suoi  avamposti  Ano  a  Bezzecca. 
^P        Era  necessario  impedire  al  nemico,  che  si  trovava 
I       dietro  i  monti,  d'avanzare  per  la  valle  di  Concei,  giac- 
ché superando  Beaaecca  avrebbe  tagliato  fyori  il  2"  reg- 
g^imentOj  respinto   probabilmente  gli   altii  alle    gole    di 
^■Ampola,  e  ponendosi  nelle  montagne  iVa  queista  e    Lar- 
^^■daro,  avrebbe  minacciato  seriamente  i  fianclii  delle  due 
linee  di  operazione. 


L'attacco  del  giorno  seguente   provò   che   tale  ap- 
punto era  il  progetto  tattico  del  ueraico. 

H  generale  Haug  prevedendo  questo  disegno  piantò 
il  Buo  quartìer   generale  a  Bezzecca,  incaricando  Pian- 
■ciani  dì  portare  a  Garibaldi  il  suo  rapporto. 
l         II  generale  Garibaldi  arrivava  in  fretta  e  poneva  il 
"*uo  quartier  generale  a  Tiarno  di  sotto  e  subito  ordinava 
che  un  battaglione  del  5"  occupasse  i  villaggi  della  valle 
■di  Concei,  e  &i  collocasse  nelle  case  onde  meglio  respin- 
gere  r  avanziirsi    del    nemico.  Ordinava  che  un   altro 
battaglione  prendesse  posizione  sul  Tratt  e  sulle  alture 
in   faccia    a   Bezzecca   per   chiudere    lo    sbocco   verso 
Pieve;  dava  pur  ordine  che  gli  altri  due  battaglioni  del 
5'"  stessero  pronti  al  far  del  giorno  per  guai-nire  i  monti 
a  dritta  ed  a  sinistra  della  valle  di  Concei:  queste  ec- 
cellenti disposizioni,  non  furono  eseguite  colla  prontezza 
lecessaria,  per  cui  il  battinglione   mandato  sul  monte  di 


destra,  trovata  la  posizione  occupata  dal  nemico  fu  di- 
aperso  e  inoUi  restarono  prigionieri. 

L'I. giornata  del  21  cominciava  cosi  con  triste  pre- 
ludio. 


Gli  aiiatriaci  con  grosse  forze  comandate  dallo  BteBB& 
generale  Kuhn  si  accingevano  a    furioso  attacco. 

Il  generale  Haug  comprese  subito  che  la  sua  diritta 
era  insostenibile,  sebbene  vi  avesse  fatto  collocare  dal 
Pianeiani  tutte  le  forze  delle  quali  poteva  disporre;  man- 
dava quindi  il  Piancìani  s>tes«>  ad  informarne  Garibaldi  e 
lo  incari<'ava  di  ordinare  a  Menotti  di  portarsi  col  suo&° 
reg^toento  rapidamente  sull'alture  di  sinistra;  dava 
pure  ordine  che  il  2"  reggimento  avanzasse  dal  Pieve 
in  appoggio  della  destra. 

Se  questo  movimento  si  fosse  effettuato  come  era  ro- 
dinato,  il  nemico  ne  sarebbe  rimasto  accerchiato.  Ma  il  2" 
reggimento  non  si  mosse  e  l'esito  mancò. 

Si  dovette  però  alla  fulminea  esecuzione  dell'  ordine 
datogli,  e  al  coraggio  insuperabile  del  colonnello  Me- 
notti Garibaldi,  se  la  vittoria  fini  per  essere  dei  gari- 
baldini. 


Il  colonnello  Chiassi  per  porre  riparo  al  tardato  mo- 
vimento del  5"  ed  alla  mancatii  mossa  del  2"  reggimento 
si  avventò  contro  il  nemico  con  furia  irresistibile;  alla 
carica  fulminea  il  nemico  s'arresta,  cede  ed  accenna  a 
ritirarsi  in  disordine,  quando  nel  momento  decisivo  l' e- 
roico  Chiassi  è  colpito  a  morte. 

Ai  vedere  c-aduto  il  loro  comandante  i  nostri  rallen- 
tano r  offesa,  contrattaccati  ondeggiano,  incominciano  a 
dare  indietro  e  finiscono  c^l  disordinarsi.  .In  quel  mo- 
mento giungeva  sul  posto  il  generale  Garibaldi  in  ca- 
rezza ed  abbracciato  col  suo  colpo  d'occhio  sicuro  il 
campo  di  battagliaj  mandava  avviso  a  Menotti  di  scen- 


dere  dilli"  altura  col  suo  9"  reggimento,  odi  approntarsi 
a  disperato  attacco. 

In  pnri  tempo  dava  ordini  che  si  racco  glie  ssero  gli 
avanzi  del  5°  regg:imento  e  del  2"  e  coi  bersaglieri,  chs 
avevano  fatto  prodigi  di  valore,  &i  tacesse  ogni  sforzo 
per  sloggiare  il  nemico. 

Ma  gli  austriaci  non  solo  ai  erano  resi  padroni  dì 
Bezzecca,  ma,  sbucati  fuori  dal  villaggiOf  avevano  coro- 
mite  le  alture  della  loro  artiglieria  e  si  slanciavano  a 
formidabile  attacco  contro  l'eatrema  linea  garibaldina. 

Il  pericolo  era  graviasìmo,  la  strada  di  Tiaroo  era 
tempestata  dal  nemico,  e  G-avibaldi  stesso  veniva  fatto 
bersaglio  ai  colpi.  Le  palle  guizzavano,  rimbalzavano 
e,  ravvolgevano  in  un  nembo  di  polvere  In  sua  car- 
rozza. ;  uno  dei  Ciivalli  era  ferito  a  morte,  una  delle 
guide  che  la  scortava  (Giannini)  cadeva  morta,  altre 
avevano  feriti  i  cavalli  ;  i  suoi  aiutanti  valevano  strap- 
parlo da  qu6l  posto  mortale  e  salvare  lui,  se  non  era 
possibile  vincere.  Ma  Garibaldi  aveva  sul  volto  1m  calma 
di  Calataflmil  *  Qui  sì  vince  o  si  muore  »  e  comandava, 
incoraggiava,  spediva  ordini,  secondato  dagli  ufficiali 
del  suo  quartiere  generale,  sopratuttn  da  Canzio,  dallo 
Stagnetii,  dai  Damitini,  dal  Jlissori  e  dalle  guide  tra  le 
quali  l'Amadei  che  in  tutta  quella  giornata  si  era  mol- 
tiplicato per  trovar.si  sempre  presente  dove  maggiore 
era  il  pericolo;  i  carabinieri  genovesi  condotti  dal  Mosto, 
sejjuìto  dai  valorosi  Burlando  e  Stallo,  senza  cessare  di 
combattere,  tacevano  cerchio  attorno  al  generale  per  co- 
prirlo dalla  furiosa  pioggia  di  proietti  che  tempestava 
la  posizione. 

Intanto  il  maggiore  Dogliotti  aveva  dìspoato,  come 
alle  istruzioni  avute,  che  si  portassero  sul  posto  la  bat- 
teria di  riserva  e  gli  altri  perizi  che  si  erano  dovuti  ri- 
tirare ;  appena  arrivarono  il  generale  ordina  clie  al  ga- 
loppo vadano  a  piazzarsi  su  una  posizione  che  e^o  stesso 
indica,  il  maggiore  eseguisce  l'ordine  in  un  baleno,  i 
cannoni  sono  a  posto  ed  aprono  il  fuoco  convergente  sa 


332 

Bezzecca.  Le  dieci  bocche  dirette  inimbìltnente  dal  Do- 
gliotti  produssero  il  loro  terribile  efletto.  11  nemico  sfol- 
gorato dentro  Bezzeeca,  incalzato  furiosamente  dal  9" 
regit,'imento  guidato  da  Menotti  Garibaldi  che  fa  mira- 
coli di  valore,  dal  7°.  dai  resti  del  5"  e  del  2"  e  da 
quanti  altri  eraiisi  ivi  raccolti  per  ordine  del  generale,  è 
finalmente  costretto  a  cedere.  Per  tanto  eroismo  il  co- 
lonnello Menotti  Garibaldi  e  la  bandiera  del  suo  9"  reg- 
gimento venivano  decorati  della  medaglia  d'oro  al  va- 
lore militare. 


Ma  nulla  valeva  finché  Bexzecca  non  era  presa. 
Questo  il  Duce  voleva  e  quanti  sono  intorno  a  lui  lo 
comprendono  —  e  più  che  tutti  lo  comprendono  Menotti, 
Missorl,  Canzio,  Mosto,  Damiani^  Cariolato,  tìuerzonì,  Mi- 
celi, Amadei,  della  Torre,  Bedischiui,  Stagnetti,  Politi,  Bo- 
nacCL,  Ficola,  Staugoliiii,  Gattoni,  Giorgi,  ed  altri  i  quali 
formano  una  falange  votata  alla  vittoria  od  alla  morte; 
di  questa  falange  si  pone  alla  testa  Ricciotti  Garibaldi 
che  fa  da  prode  le  sue  prime  armi;  il  bravo  giovanetto 
degno  figlio  del  padre,  afferra  la  bandiera  del  fl"  reggi- 
mento comandato  dall'eroico  suo  fratello  Menotti,  e  con 
questa  in  pugno,  mentre  i  cannoni  del  Dogliotti  mandano 
in  fiamme  Bezzecca,  a  testa  bassa,  lui  e  tutti  i  valorosi  che 
bì  erano  Btretti  attorno  al  generale,  »  passo  di  carica,  si 
slanciano  sul  villaggio  e  con  lotta  terribile,  corpo  a  corpo 
rompono,  sgominano  gli  austriaci,  li  mettono  in  fuga 
precipitosa  e  li  iuseguono  colla  punta  della  baionetta. 
alle    reni  fìu  al  di  là  di  Le&umo. 

Cosi  la  vittoria,  con  tiinto  accanimento  contrastata 
fu  violentemente  strappata  sa    tutta   la  linea. 


333 


» 


Il  5  luglio,  il  generale  portava  il  suo  quarciere 
Oeuerale  da  Rocca  d'Aiifo  a  Bagolino. 

11  7  luglio  i  gariljaldìni  respingevano  una  forte  ri- 
cognizione dellu  brigata  Thouu,  che  si  era  spinta  iìno 
a  Lodrone,  e  tre  giorni  dopo  ributtavano  brillantemente 
un  secondo  attacco  dì  quella  brigata.,  e  sotto  gli  occhi 
i  G-arìbaldi,  la  sbarragliavaiio  e  ineltevmio  in  fuga. 

Intanto  la  floitiglia  del  Lago  di  Garda  iioa  stava 
inoperosi!. 

La  flotta  fluatriaca.  che  poteva  considerarei  padrona 
assoluta  del  lago  perchè  motto  poderosa,  tenevasì  tra 
Bardolino  e  Garda  alla  punta  di  S.  Vigilio  sotto  la  pro- 
tezione di  quei  forti.  Elia  con  la  sua  cannoniera  «  Tor- 
rione *  si  portava  a  molestarla  sotto  il  tiro  dei  forti^ 
prendendola  a  bersaglio  col  suo  cannone,  ritirandosi, 
quaudo  vedeva  che  le  navi  auetriache  abbandonavano 
le  àncore  per  inseguirlo,  tenendo  avanti  al  nemico  di- 
ritta la  prua  corazzata,  ordinando  macchimi  indietro  a 
poco  a  poco,  con  la  lusinga  di  potere  attu-are  le  navi 
nemiche    sotto  i  forti  di  Salò.  Tentativi  yani! 


•*# 


1 

^P      H  15  di  luglio  si  addivenne  alla  formazione    rego- 
lare   delle    brigate,    come    alla   proposta   del    generale 
I     ■Garibaldi  portata  al  Ministero    dal  colonnello  Elia. 
^^       Vennero  formate  cosi: 


1"  Brigata  2"  e    7°  reggim.  magg.  gen.  Haug 
2^       >       4''el0''        »  »       '     Fichi 

3*        .        5"e    9°        >  »  Orsini 

4"         »        l"e    3°        >  brigad.     Corte 

ò^        »       6°  e    8"        »  >  Nicotera 

Al  comando  di  Sal6  il  ten.  gen.  Avvezzana. 

Capo  di  Stato  maggiore  Augusto  Vacchi. 

Comandante  la  flottiglia  il  colonnello  Augusto  Elia. 


33-4 

Fu  ordinato  che  1'  8°  reggimento  movesse  da  Vestonè" 
per  raggiungere   a  Condìno  il  tì"  col  qunle  doveva  for- 
mare brigata. 

Nella  stessa  mattina  del  15  ìl  brigadiere  Nicoteni 
areva  occup«to  C'ondino  col  6' reggimento  e  l'S"  Latteria 
del  5°  reggimento  d^artiglieria  (capitano  Afao  di  Rivera% 
Nella  giornata  riceveva  l'ordine  di  portarsi  a  Cimego; 
e  il  luogotenente  colonnello  Spro-\ieri  muoveva  a  quella 
volta  col  3*  e  4*  battaglione  del  6°  reggimento  e  una 
sezione  dell'  8"  batteria. 

Il  brigadiere  Nicotera  avevagli  ordinato  di  porre 
un  battaglione  n  Cimego,  e  coll'altro  occupare  le  alture 
che  sif?nore^gÌano  U  ponte  sul  Chiese  e  fai"vi  piazzare 
i  cJinnon!. 

All'alba  del  16  ìl  brigadiere  Nicotera  mosse  da  Con- 
dino  C9l  rimanente  della  colonna.  Nella  stessa  ora  gli 
austriaci  con  grandi  forze  marciavamo  ad  a&salire  le 
nostre  posizioni  avanzate  da  tre  parti  convergenti,  da 
Cologna,  da  Val  di  Daone,  da  Pieve  per  Tiamo  e  Monte 
Giove,  coltintendimento  di  attorniare  i  nostri  e  distrug- 
gffl-U. 

Erano  le  ore  8  ant.  quando  oomiuciò  il  eombatti- 
raento.  Nicotera  aveva  ordinato  al  4"  battaglione  di  slan- 
ciarsi ad  occupare  le  alture  al  di  la  del  Chiese;  prima 
perà  che  il  battaglione  giungesse  al  ponte,  rartiglìeria 
nemica  si  diede  a  fulminarlo  mentre  una  grossa  colonna 
di  austriaci  si  distendeva  di  corsa  sulle  alture  di  faccia 
al  ponte  ed  al  villaggio  di  Cimego. 

Il  maggiore  Lombardo  comandante  11  1°  battaglione 
del  6'  reggimento,  destinato  alla  riserva,  visto  il  pericolo 
_  che  correva  il  4',  corse  di  moto  proprio  in  sostegno  col 
suo  e  col  y  battaglione  che  stava  .allo  sbocco  del  vil- 
laggio e  gridando  «  avanti  compagni  »  trasse  seco  i 
volontari  e  primo  sì  lanciò  alla  carica  —  ma  arrivata 
sul  ponte  cadeva  fulminato.  Una  palla  gli  aveva  tra- 
versato il  cuore. 

11  Nicotera  volle  ad  ogni  costo  allontanare  il  nemico 


335 

da  quelle  alture;  a  questo  scopo  dava  ordine  al  1°,  3"  e 
i"  battag-Iione  di  acacciamelo.  Si  mise  alla  testa  dei 
nostri  il  valoroso  teoente  colonuello  Pais-Serra,  il  quale 
ordinava  si  aitraversasse  il  fiume  a  g-uado  ;  con  grande 
ardimento,  ì  bravi  garibaldini  sì  slanciarono  sulle  alture 
sotto  il  fuoco  micidiale  del  nemico, 

I  nostri  bravi  f&cero  sforzi  eroici  per  snidare  il  ne- 
mico dall'elevata  posizione,  ma  dopo  una  lotta  terribile, 
ineguale  dovettero  cedere  a  forzte  tanto  superiori  e  sempre 
toinbattendo  ritirarsi  protetti  dall'artiglieria. 

Intanto  altre  masse  austriache  venivano  ad  assalire 
le  alture  di  Nnronc,  per  battere  la  nostra  sinistra;  il 
capitano  Bennici  Bostenne  con  grande  valore  il  combat- 
timento sulla  vetta  del  Narone,  ma  visto  11  pericolo  di 
essere  avviluppato  da  forze  tanto  prevalenti  dovette  ri- 
tirarsi colla  sQa  compagnia  Telante  e  la  3"  compt^rnia 
bersaglieri.  Il  colonnello  Guastalla  e  il  nuiggioro  Lobbia 
dello  Stato  maggiore,  che  assistevano  al  combattimento, 
visto  il  pericolo  che  correvano  le  compagnie  distacate 
sulla  sponda  sinistra  del  Chiese  ordinarono  un  cjimbia- 
raento  di  fronte  a  destra  indietro  sempre  combattendo. 
Il  grenerale  Graribaldi  accorso  in  vettura  mandava  un 
battaglione  del  9"'  reggimento  ad  occupare  Condino  ed 
ordinava  airartiglieria  dì  piazzarsi  dinnanzi  al  villaggio 
a  mezza  costa  delle  alture  di  Brione;^  il  fuoco  di  10  pezzi 
trattenne  il  centro  e  la  sinistra  degli  austjiaci.  Intanto 
Garibaldi  e  Fabrizì  provvedevano  alla  riscosKa,  e  con 
forze  combinate  e  con  grande  valore,  cacciavano  gli  au- 
striaci da  quelle  alture  e  lì  mettevano  in  fuga  tiile,  che 
più  non  si  arrestarono. 


#% 


Ormai  Garibaldi  non  temeva  più  ostacoli,  e  con  le 
sue  mosse  stava  per  raggiungere  l'obbiettivo  agognato, 
l'ociiup azione  del  Trentino,  per  cui  serrava  d'appresso 
Riva,  poruiva  il  suo  quartier  generale  a  Cologna  e  in- 
cominciava l'investimenco  di  Lardaro. 


336 

Padrone  delle  due  valli  priociprtli,  che  dal  Garda 
salivano  ji  Treuto,  era  ormai  libero  di  spiegare  tutte  le 
sue  forze  e  di  marpiare  in  battaglia  contro  un  nemico, 
elle  aveva  e  speri  mentalo  il  valore  garibaldino,  mentre 
Medici  «Ha  testa  di  una  forte  colonna  di  ti'uppe  rego- 
lari, sì  avanzava  vittoriosamente  da  Lerico  e  da  Per- 
gine;  per  cui  la  vittoria  finale  e  la  presa  di  Trento  era 
ormai  sicura. 

.Senonchè  il  mattino  del  2»  luglio,  quando  tutto 
era  pronto  pel  bombardato ento  di  Lardaro  giungeva  lo 
annunzio  della  sospensione  delle  ostilità,  preludio  della 
pace. 

n  10  di  agosto  Garibaldi  riceveva  dal  generale  La 
Marmerà  il  seguente  telegramma: 

■Il  Considerazioni  politiche  esigono  imperiosamente 
la  conclusione  dell'armistizio  pel  quale  al  richiede,  che 
tutte  le  nostre  forze  si  ritirino  dal  Tirolo. 

«  D'  ordine  del  Re  ■» . 

Quale  scossa  abbiano  provato  in  quel  momento  il 
cuore  dell'  Eroe  e  quello  dei  suoi  compagni  al  può  in- 
dovinare. Arrestati  senza  avere  conquistato  Venezia.  Il 
Trentino  perduto.  Trieste  abbandonata!  Ma  Garibaldi  non 
tradì  neppure  eoo  un  seguo  la  tempesta  che  aveva  nel 
cuore,  e  rispose  egli  stesso  al  La  Marmerà:  <  Obbe- 
disco ». 

La  campagna  per  la  liberazione  del  Veneto  era  fi- 
nita ed  i  garibaldini  si  accingevano  a  ritornare  alle  loro 
case. 


Anche  gli  equipaggi  delia  flottiglia  del  Lago  di  Garda 
sì  scioglievano.  Sebbene  in  coudizioni  Immensamente  in- 
feriori alle  forze  austrìache  del  Lago,  essa  seppe  com- 
piere il  proprio  dovere  durante  la  campagna,  e  se 
avesse  avuto  alcuni  altri  giorni  di  tempo  e  ricevuto  dal 
Miuistero  i  cannoni  richiesti  per  armare  una  zattera  or- 


337 

mai  a  termine  di  costruzione,  avrebbe  certo  messo  tutto 
l'impegno  per  distruggere  la  flotta  nemica  e  rendersi 
padrona  del  Lago. 

Che  non  mancò  al  suo  dovere  lo  dicono  i  due  or- 
dini del  giorno  eeguenti  del  generale  Garibnldi  e  del 
generale  Avezzana  comandante  divisionale  di  Saiù  : 

ORDINE  DEL  GIORNO 

juandato    al    generale    Avezziuia 

Comandante  divisionale  a  Salò 

Generale, 

«  Porgete  una  parola  di  lode  ben  meritata  in  noni& 
della  Patria  e  del  Re  ai  prodi  della  nostra  flottiglia  ; 
essi  hanno  ben  meritato  col  loro  esemplo;  e  sotto  il  co- 
mando di  voi,  valoroso  veterano  dell'indipendenza  del- 
la patria,  vedremo  presto  11  Garda  libero  dalla  dqmi- 
nazione    straniera. 


Salò,  10  agosto. 


G.  GarìhiMi. 


Ecco  l'ordine  del  giorno  col  quale  il  generale  Avez- 
zana, già  Ministro  della  Repubblica  Romana  nel  1849, 
dava    commiato  agli  equipaggi   della  flottiglia. 

ORDINE  DEL  GIORNO 

«  Gli  equipaggi  dei  volontari  che  rimasero  fino  ad 
a  bordo  della  flottiglia  italiana  nel  lago  di  Garda, 
ianno  ben  meritato  tiella  patria.  Coraggio  nello  sfidare 
il  nemica  superiore  nel  naviglio,  in  macchine  da  guerra, 
superiore  in  uomini.  Virtù  ed  abnegazione  negli  uffl- 
tiali  che  servirono  come  semplici  militi.  Ordine,  nettezza 
nelle  Piro-Cannoniere,  ohe  il  geoerale  CJaribaldi  affidò- 
alle  loro  cure. 


338 

u  Fino  al  12  luglio  esse  furono  tre  dinanzi  al  ne- 
mico, poi  quattro  ed  in  ultimo  cinque.  Lo  affrontarono 
arditamente  neUe  sue  a«que  B<>tto  il  fuoco  delle  bat- 
terie di  terra  e  gli  procacciarono  uccisioni  e  danni. 
Qui,  dove  erano  i  pochi  ma  valorosi  uomini,  il  nemico 
non  osò  mai  venire.  Unico  vanto  lo  avere  bomluwdato 
la  inoffensiva  città  di  Gargnano  e  rubato  il  •  Benaco  o 
a  quindici  miglia  dalla  flottiglia,  che  non  poteva  difen- 
dere l'inerrac  piroscafo  mercantile. 

«  Io  ricorderò  sempre  con  militare  orgoglio  lo  avere 
avuto  ai  miei  ordini  il  personale  degli  equipaggi  volon- 
tari in  questa  guerra  del  1866,  forse  l'uliima  della  mìa 
vita. 

«  S'abbiano  tutti  gli  ufficiali  e  mìliti  le  mie  sentite 
azioni  di  grazia. 

Salò,  21  settembre  1866. 

H  luogotenente  generale 
G.  Avezzana  » 

All'ordine  del  giorno,  il  generale  Avezzana  faceva 
seguire  questa  lettera,  diretta  ad  Elia: 

Al  Colonnello  A.  Elia 

Comandante  la  flottiglia  sul  Lago  di  Garda. 

Chi  scrive  è  rimasto  sommamente  soddisfatto  del 
modo  come  la  S.  V.  lia  disimpegnato  il  suo  compito  nel 
comando  delle  forze  galleggianti  sul  lago  di  Garda. 
Ed  aggiunge  in  verità  come  V.  S.  essendo  comandante 
la  cannoniera  «  Torrione  .  nella  calamitosa  notte  del 
26  giugno  salvasse  risolutamente  la  sua  nave  e  le  altre 
da  prossima  rovina,  opponendosi  ad  ordini  stati  verbal- 
mente impartiti  da  chi  allora  comandava  la  flottiglia. 
E  di  poi,  insignito  da  chi  scrive  e  poi  confermato  dal 
generale  G-aribaldi  nel  comando  supremo,  s'ebbe  in  co- 
desto incarico  l'elogio  palese  del  salvato  naviglio. 


339 

Lo  scrivente,  Dell'attestare  siffatte  verità,  offre  alla 
•S.  V.  i  sentimenti  dellit  sua  stima  e  devozione. 

Salò,  li  -^i  settembre  1866. 

II  luogotenente  generale 

comandante  divisonale' 

O,  Avezzana 

Infine  il  28  settembre  l' Elia  faceva  la  consegna 
della  flottiglia  al  comandante  della  E.  Marina  cav.  Na- 
poleone Canevaro. 

Gli  ufficiali  suoi  compagni  d'armi  nella  flottiglia, 
vollero  dare  al  loro  comandante  il  seguente  attestato 
di  affetto  : 


Al  colonnello  Augusto  Elia 
gli  ufficiali  della  Marina  Volontaria. 

«  Radunati  oggi  per  stringerci  tutti  uniti  la  mano, 
permettete,  o  colonnello,  che  prima  di  separarci  da  voi 
v'  indirizziamo  una  parola  di  addio. 

■  Non  è  la  serva  parola  di  clii  ndula  o  di  ctii 
esprime  un  affetto  bugiardo,  ma  è  la  libera  espressione 
di  quanti  amareggiati  dalle  memorie  del  passato,  si  con- 
fortano nella  speranza  di  un  migliore  avvenire. 

*  Dimentichiamo  iBtanto  per  caritji  di  patria  le 
umiiiasiLoni  sofferte  sugli  insanguinati  campi  di  battaglia 
e  nelle  ingemmate  aule  della  diplomazia,  e  che  ci  per- 
donino questo  supremo  sacrifizio  i  martiri  invendicati 
di  Custoza,  di  Tiarno  e  di  Lissa! 

«  E  noi  pure  confinati  da  tre  mesi  in  questa  riva, 
dove  l'Eroe  del  popolo  ci  destinava  a  gloriosi  avveni- 
menti, dimentichiamo  l'ingrata  inazione  acuì  ci  si  volle 
costretti,  sfruttando  tanta  parte  di  entusiasmo  e  di  ge- 
nerosi propoBiti. 

«  Colonnello!  Se  il  sangue  delle  battaglie  non  ha 
battezzato  la  nostra  camicia,  voi  ed  i  voatri  bravi  com- 
pagni, sul  cui  petto  brilla  la  medaglia  dei  Mille,  potrete 


d40 

francamente  attestare,  eomo  inferiori  dì  numero,  dì 
forze  e  ael  difetto  di  tutto,  sapemmo  cimentnre  pii"i  volte 
un  nemico,  clie  pur  troppo  insegnava  a  chi  ci  governa 
come  si  appresta  una  guerra,  mai  a  noi  come  si  com- 
batte, e  si  va  incontro  alla  morte. 

«  Gli  avvenimenti  del  1866,  rton  saranno  però  d'i- 
nutile peso  nella  tilancia  dei  nostri  destini,  perché  la 
democrazia  rifulse  di  una  luce  più  bella  sulle  alture  di 
Custoza,  fra  le  mosche tterie  del  Tirolo,  e  in  mezzo  alle 
vampe  della  eroica  Palestre  ! 

«  Questo  è  il  nostro  conforto,  Colonnello,  e  quando 
tornati  alle  nostre  case  deporremo  l' incruenta  camicia 
rosea,  giuriamo  di  vestirla  quel  giorno,  in  cui  il  popolo 
armato  insanguinerà  nuovamente  le  vette  del  Tirolo,  e 
le  coste  dell'Istria,  perchè  qualunque  straniero  sappia,. 
che  quel  tremendo  contine  è  il  confine  deir  Italia,  indi- 
pendente e  libera! 

Salò,  21  settembre  1866- 

Marto  Alberto,  Buratihii  Cofio,  (ìagìiardì  Ougiielmo, 
Bandini  Tvmintocìe,  Bradìcìch  Giimeppe,  Viggiavi  PomjieOj. 
Pegwait)  Giuseppe,  Martini  Xarcìm,  Pedani  Tito,  Stra- 
■mmzotii  Cesarej  Brtnno  Ba^idint.  Pncaiti  Luigia  Silvestrìni 
Pasqtuiìè,  Schiitffiifo  Prospero^  Bandini  Costaniìno,  Bamc- 
chini  Andrea^  Verni  Cesare,  Barbieri  Ahnaandro,  Ghjgìioni 
Lorenzo.  Bocci  Marino,  B^'rardì  CoIombOf  Camin  Gaetano^ 
Eomani  Giovanni,  Xegrini  Mariano. 


Intanto  che  questi  fatti  si  svolgevano  in  terra  un  av- 
venimento dei  più  dolorofii  avveniva  nel  mare  Adriatico. 


I  migliori  ufficiali   della   marina   da  guerra  ir.vo- 
cavano  come  loro  Duce  supremo  il  Galli  della  Mantica^. 


34t 

uomo  di  grande  capacitò,  e  di  straordiiinria  energia,  ri- 
tenuto una  vera  tempra  d'acciaio,  capace  di  ogni  eroismo. 
Fu  invece  preferito  il  conto  Carlo  Pellion  di  Persane. 
Contro  il  Peraaao  l'Austria  seppe  opporre  un  ter- 
ribile avversario  —  Guglielmo  Tegettlioff  di  quaran- 
t'anni  appena  di  età;  e  fu  scelto  proprio  lui,  Bebììene 
fosse  il  più  giovine  degli  ammiragli,  perchè  Io  si  sapeva 
pieno  di   ardire  e  di  uu  coraggio  quasi  temerario. 

La.  fiotta  italiana  per  la  sua  potenza  poteva  essere 
la  dominatrice  del  maro  Adriatico,  Vi  era  tutto  da  ten- 
tare -  tutto  da  sperare. 

Fu  decisa  l'occupazione  di  Lissa,  consideratala  <'A- 
bilterra  dell'Adriatico;  e  il  ly  luglio  alle  11  antime- 
ridiane la  nostra  flotta  prendeva  posizione  dirimpetto 
all'isola. 

Una  ricognizione  fatta  dal  D'Amico,  capo  di  stato 
maggiore  del  Persane,  coli'  esploratore  «  Messaggero  » 
liferiya  che  la  guarnigione  dell'Isola  eradi  2500  uomini, 
provveduta  di  ogni  mezzo  di  resistenza. 

Deciso  l'attacco,  la  flotta  venne  di\isa  in  tre  squa- 
dre; una  comandata  dal  vice  ammiraglio  Vacca  doveva 
attaccare  Coraisa,  difesa  da  due  batterie,  e  da  una  ca- 
samatta; l'altra  sotto  gli  ordini  del  vice  ammiraglio 
Albini  doveva  eseguire  uno  sbarco  nel  porto  di  Maiiego 
difeso  da  due  batterie;  la  terza,  la  più  poderosa  coman- 
data dal  Persano  doveva  forzare  i!  porto  di  S.  Giorgio 
difeso  da  quattro  forti  e  da  due  batterie. 

Alle  11  Va  del  19  l'ammiraglio  ordinava  si  aprisse 
il  fuoco  che  senza  interruzione  durò  fino  alle  7 '.'3  po- 
raeriiliane;  alle  2  saltava  in  aria  una  polveriera  ne- 
mica; alle  3  Yj  ne  scoppiava  una  seconda  e  andava 
all'aria  la  Torre  del  Force  e  la  bandiera  che  vi  era  inal- 
berata; alle  5  tutti  i  forti  di  S.  Giorgio  erano  demoliti 
ed  i  cannoni,  ad  eccezione  di  due  situati  nell'elev:tta 
posizione  del  telegrafo,  erano  .■jmoTitati  e  ridotti  a!  silen- 
zio; l'intrepidezza,  e  il  valore  degli  equipaggi  sono  in- 


33. 


3i2 

descrivibili  —  sebbene  a  bordo  non  pochi  fossero  ì  fe- 
riti e  parecchi  i  morti. 

L:i  prt'Sji,  di  Lissji  t^rn  assi  aurata;  ma  fu  malaugu- 
ratamente rimandutH  al  l'indo  mani,  perchè  l'Albini  uon 
aveva  eseguito  lo  sbarco. 

Allo  ore  9  del  giorno  20  l'avriso  «  Esploratore  » 
segnalava  la  squadra  iieiuic^  in  vista:  L'ammiragUo  Fer- 
sano  avrebbe  dovuto  senz'  al  tro  aegnalare  a  ciascuna 
delle  navi  gotto  al  suo  comando  il  posto  di  combatti- 
mento, per  ribattere  vittoriosadiente  Ijiltatco;  invece 
l'ammiraglio  comandante  supremo  alle  ore  9 '/t  ablsaa- 
donava  la  nave  di  coniando  «;  Re  d'Iudia  »  per  im- 
barcare su!  Monitore  corazzato  <  Affondatore  >  aicom- 
pagnato  dal  capo  di  stato  maggioro  e  da  due  suoi  aiu- 
tanti di  bandiera. 

L'onorevole  deputato  Pier  Carlo  Boggio  che  era 
nella  nave  aiutuiraglia  <  Re  d'Italia  «  quale  storiogi'alb, 
all'invito  che  gli  fece  il  Persano,  si  ritiutù  di  seg-uirlo 
perchè  ebbe  l;i  percezione  che  coli 'abbandono  della 
nave  ainmiraglìa  nel  supremo  momento  del  t-umbatU- 
mento,  si  commetteva  non  solo  un  gravissimo  errore, 
ma  un  atto   colpevole. 

Intanto  la  squadra  austriaca  arrivava  a  grande 
velocità,  in  liuea  su  due  file,  formata  in  cuneo,  col  pro- 
posito di  spazzare,  rompere  ed  affondare  tutte  quelle 
navi  che  avrebbe  incontrato  sulla  sua  via;  in  testa  a 
tutte  era  la  nave  ammiraglia  «  Carlo  Mas  ». 

Il  primo  e  maggiore  impeto  fu  portato  dal  nemico 
sulla  R.  nave  annniraglia  «  Re  d'Itiìlia  ^  —  e  ai  eiipìsce! 
—  L'ammiraglio  Tegeithort"  riteneva  che  su  queLkt  nave 
stesse  il  comandante  in  capo  della  ttottii  italiana,  e  le 
muoveva  arditamente  contro.  Era  un  duello  tra  le  due 
navi  di  comando  —  e  quella  delle  due  che  ne  fosse 
riuscita  vincitrice  avrebbe  deciso  delia  vittoria  della  aun 
squadra  ! 

L;i  K.  Nave  =  Re  d'Italia  »  assalita  da  poppa,  e  nei 
fianchi,  ebbe  apezzato  il  timone  per  cui  rimase   sena» 


343 

-governo.  In  tale  critica  e  fanale  posizione,  il  comandante 
Faa  di  Bruno,  uomo  dei  più  valorosi,  gli  ufficiali  sotto 
■ai  suoi  ordini,  gli  equipaggi,  i  cannonieri  reatiirou  tutti 
alloro  posto  impavidi,  rispondendo  agli  assalitori  con 
bordate,  con  tiri  di    cannone,    con   le   oirabine. 

La  nave  ammiraglia  austriaca  «  Max  >  fu  sopra  iil 
Re  d' Italia  a  tutta  forza  di  macchina  e  1'  inveatl  con 
•urto  tremendo:  con  orribile  scroscio  lo  sperone  ferrato 
squarciatole  il  lianco,  le  apriva  un'enorme  breccia  sotto 
la  linea  d'acqua.  La  bella  nave  ammiraglia  colla  ban- 
■dìera  a  riva  spiegati  al  vento,  sempre  eroicamente 
combattendo  s'inclinò  -^  e  fra  le  grida  di  viva  l'Italia 
da  pjirte  del  suo  equipaggio  emeutre  quello  iiustilaco 
si  scopriva  reveren temente  il  capo,  sprofondava  nel- 
l'abisso del  mare  trascinando  nei  vortici  700  eroi;  pri- 
mi fra  lutti,  l'Einilio  Faa  di  Bruno  comandante,  il  de- 
putato Pier  Carlo  Boggio,  il  marchese  di  Malaspina  co- 
mandante in  seconda,  il  cav.  Del  Santo  sotto  capo  di 
stato  mMg,2;tore,  i  tenenti  Candìani,  Crualterio,  Casanova, 
Bossaiìo,  JSozzetto  ed  Isola,  i  sottotenenti,  Olivieri.  Pa- 
lermo, Orsini,  il  conte  Fazioli  guardia  marina.  Verde 
cav.  Luigi  medico  di  bordo;  ed  il  pittore  Ciaffi.  Po- 
■chìasimi  furono  i  salvati  e  fra  questi  il  bravo  tenente 
Candiani. 

Affondata  la  creduta  nave  ammiraglia  le  corazzate 
«uetriache  assalgono  le  navi  Italiane  «  Ancona  »  la  «Pa- 
lestro  »  la  «  San  Martino  »  e  le  altre:  il  •:  Kaiser  >  si 
slanciava  contro  il  <  Re  di  Portogallo  »  ma  ne  uscivii 
malconcio,  inesso  fuori  di  combattimento  ed  in  fuga, 
mercè  l'abilitii  e  la  bravura  del  comandante  Elibot>'. 

Nella  mischia  la  «  Palestre  >  venne  colpita  nella 
parte  non  corazzata  da  granate  che  le  cagionarono  forti 
avarie. 

Sviluppatosi  l'incendio  il  bravo  comandante  Cappel- 
lini fa  di  tutto  per  domarlo;  ma  mutili  sforzi.  Visto  che 
ogni  salvezza  della  nave  è  ormai  impossibile  due  piro- 
scafi dell'annata  italiana  *  l'Indipendente  «  ed  il  «.  Go- 


3-U 

vernolo  »  sfidando  ogni  piìi  grave  rischio  si  accostano 
alhi  Palestra  ortreudo  salvezza  all'equi piigy io 

L'eroico  toiuauJante  —  chiama  h  raccolta  ì  com- 
pflijni  —  fa  adessi  nota  riuevìtabile  catastrofe  —  quindi 
dice:  «  Chi  vuole  salvarsi  si  salvi  n  Unanime  sì  sente 
un  grìdu  «  {tircmu  quello  che  11  coranndjiiite  sarà  per 
fare  »  al  che  il  Ovppellini  risponde  «  io  non  abbanciono 
il  mio  posto  »  0  gli  eroi  tutti  confermimo  <  vogliamo 
seguire  la  tua  sorto  >. 

Udita  questa  commovente  decisione  il  comandante 
ordina  >-ia  aiziito  il  gran  pavese.  I  niarinju  salgono  ji  riva 
sugli  alberi,  sui  peunoni,  e  intuonano  i  canti  della  !N azione. 

—  Un  orrendo  seoppio  —  un  ultimo,  immt'n-so  grido  si 
eleva  al  cielo  <  Viva  l'iuilial  viva  il  Re  »  e  i  mar- 
tiri della  patria,  avvolti  in  un  turbine  di  tìauime,  spro- 
fondano nei  vortici  del  mare. 

Nel  combattimento  tutti,  meno  uno,  fecero  il  Loro 
dovere,  gli  eroisirì  di  Faa  di  Bruno  e  del  Cappellini 
SODO  immortali. 

Ma  a  clie  giova  i]  valore,  e  a  che  vnle  l'eToisroo  se 
manca  il  duce  che  sappia  condurre  alla  pugna  ed  alla 
vittoria? 

Il  Persano  commise  due  errori  gravissimi.  11  primo 

—  di  avere  abbandonato  la  nave  aramirj^glia  pochi  mo- 
menti avanti  il  combattimento.  Egli  avrobbo  dovuto  sce- 
gliere tìn  dall'inizio  della  campagna  come  nave  ammi- 
raglia r  «  Aflondatore  »  se  la  credeva  atta  a 
servirlo  nel  combattimento.  Il  secondo 
seppe  adottare  un  ordine  di  battaglia  l'ifepondence  a 
quello  col  quale  la  parte  nemica  veniva  ad  investirlo. 
Colla  sua  squadra  il  Persane  doveva  ordinarsi  in  due 
linee  ed  in  forma  d'imbuto;  lasoia-re  che  le  navi  nemi- 
che entrassero  nell'imbuto  o  quindi  assalirle  prima  a 
colpi  di  calinone  —  a  bordate  —  e  poi  investirle  a  colpi 
di  sperone. 

L'  «  Affondatore  >  doveva  tenerlo  gopraveiiùo  onde 
potere  dominare,  dirigere  l'azione;  ed  impegnato  il  uom- 


meglio 
che  egli  non 


"battimento  —  Talersì  della  sua  velocità  e  delle  sue 
■qualità  offensive,  —  correre  addosso  al  «  Max  *  nave 
ammiraglia  nemica,  investirla  a  tutUi  forza  col  tagliente 
suo  sprone  e  colarla  a,  fondo.  Cosi  avrebbe  cerf^^imente 
manovrato  Galli  della  Mantioa.  Invece  come  fu  utilizzata 
quelita  nave,  la  più  potente  del  tempo  ? 

L'Aftondatore  (comandante  Martini),  mentre  le  no- 
stre uaTi  «  Re  d'Italia  »  «  Re  di  Portogallo  >  «  An- 
cona »  «  Palestro  »  e  le  altre  sì  trovavano  alle  prese 
col  nemico  e  facevano  con  tanto  eroimno  il  loro  dovere 
—  traversata  la  linea  delle  corazzate  italiane  volgeva 
la  prua  contro  il  lato  destro  del  <  Kaiser  »  manovrando 
per  inveatirlo  col  suo  formidabile  rostro.  Già  il  tenente 
di  Viiacello  Ghinea  dalla  tolda  della  nave  —  manda  il 
grido  «  pancia  a  terra  »  affinchè  il  potente  urto  immi- 
nente non  faccia  trabalzare  gli  uomini  dell'e  tini  paggio  — 
già  l'ultima  ora  è  suonata  per  quel  liei  tipo  delle  an- 
tiche armate  navali  —  quando  ad  un  tratto,  l'«  Affon- 
datore  »  per  ordine  imperioso  dell'ammiraplio  Persano 
coinandaute  le  forze  navali  italiane  —  piega  bruscamente 
a  destra  —  e  si  allontana  dal  Kaiser  e  dal  combatti- 
meuto  !  Quante  lacrime  di  vergogna  e  di  dolore  si  sa- 
ranno versate  da  quei  bravi  che  formavano  l'equipaggio 
della  potente  nave  che  col  suo  rostro  di  9  metri  di  spor- 
genza^ colla  sua  corazza  impenotrabile,  coi  suoi  cannoni 
Amistrong  da  300  libbre  —  da  sola  significa  va  vittoria.—  ! 
Ma  monitore  —  rostro  —  conizzatura  —  Armstrong  — 
eroismo  degli  equipaggi  —  tutto  fu  annientato  per  defi- 
cenza  di  chi  comandava  1 


L'orgoglio  italiano  nell'anno  1866  ebbe  a  patire  btìti 
dolorose  delusioni. 

L'infelice  giornata  di  Custoza,  che  non  fu  priva  di 
gloria  per  i  nostri  combattenti,  la  terribile  catastrofe  di 
Lissa,  che  ebbe  eroi  immortali,  recavano  profondo  dolore 


346 

nei  cuore  della  nazione,  t,  per  di  più,  ]»  Yeneaa  — 
uno  degli  obbiettivi  dt-1  patriottismo  italìflno  —  per  sfogo- 
di  dispetto  e  di  orgoglio  dell'  iuiperatore  d'Austria,  era 
dAta  in  dono  nllo  imperatoro  Napoleone  dalle  cui  mani 
doveva  riceverla  il  Re  d'Itnlia  ! 


Nella  notte  del  4  al  5  luglio  il  Re  Vittorio  Emanuele 
aveva  ricevuto  il  seguente  telegramma: 

A  S.  M.  il  Re  d'Italia 

Parigi,  5  luglio 

«Sire:  L'imperatore  d'Austria  entrando  nelle  idee 
espresse  nelhi  mia  lettera  al  sjg,  Droujni  De  Lliuys,  mi 
cede  la  Venezia,  dichiarandosi  pronto  ad  accettare  una 
mediazione  per  ristabilire  la  pace, 

L'  esercito  italiano  ha  avuto  occasione  di  mostrare 
il  suo  y^ore.  Un  magg-ìore  spargimento  di  ^ngue  è 
dunque  inutile  e  l'Italia  può  raggiunjiere  onorevolmente 
lo  scopo  cui  aspira  mediante  un  accomodamento  con 
me,  su  cui  sarà  facile  intenderci.  Scrivo  a  S.  M.  il  Re 
di  Prusaia  per  fargli  conoscere  questo  stato  di  coBe  e 
proporgli  per  la  (icrmania  come  lo  faccio  a  V.  31.  per 
l'Italia,  la  conclusione  d'un  arwiistizio  come  preliminare 
alle  trattative  di  pace. 

Xapoìeon-!  * 

Questo  gravissimo  annunzio  —  pochi  giorni  dopo 
una  battaglia  perduta  —  sebbene  valorosamente  com- 
battuta —  nel  momento  di  ripigliare  le  offese  con  tante 
speranze  e  tanto  bisogno  dì  un  successo  d'armi  —  giunse 
al  Re  —  all'  esercito  —  all'  Italia  —  oltre  ogni  dire 
sgradito. 

Ricevere  la  Venezia  come  un  dono  dalle  mani  del- 
l'imperatore dei  francesi  feriva  nel  più  rivo  l'amor  pati-io 


547 

d^»\\  italiani  —  non  solo  —  ma  poteva  dw  motivo  a 
dubbi  ingim-ioa  sulla  fede  dell'  Italia  verso  Ift  Prussia 
sua  allenita. 

D'altro  canto  ricusando,  e  continunndo  la  guerra  a 
dispetto  dell'  imperatore  dei  francesi,  v'era  la  posBÌbilità 
di  vederci  venir  contro  la  Francia  armata  nel  Veneto 
o  altrove!  Pure  tra  la  rovina  alla  quale  una  tal  guerra 
ci  avrebbe  condotti  e  il  diaoiiore,  né  al  (|Uartier  gene- 
rale né  ili  Ke,  né  al  ministero  poteva  rimaner  dubbia 
la  scelta. 

15  Re  r]uindj  rispondeva,  ringraziando  l'Imperatore 
dei  Fcìiucesi  deli'  interesse  che  prendeva  per  l'Italia  ;  ma 
dichiarando  che  trattandosi  di  jifFare  tanto  gmve,  doveva 
consultare  il  suo  governo  e  il  suo  alleato  al  quale  era 
stretto  da  un  trattalo. 

Intanto  il  generale  Cialdiiii  domandava  se  poteva 
invadere  senza  perdita  di  tempo  il  Lerritorio  Veneto  e 
gittarsi  nella  provincia  di  Rovigo. 

Il  generale  Lamarmora  rispondeva  al  Cialdini  in- 
vitandolo ad  operare,  giaccliè  egli  diceva  «  per  me  il 
jwg^no  sarebbe  ricevere  la  Venezia  senza  avervi  messo 
piede  ». 

E  il  generale  Cialdini  confermava  che  il  7  di  sera 
avrebbe  gettati  i  ponti  e  passato  il  Po. 

Per  questi  fatti  l'imperatore  Napoleone  era  adira- 
tìssimo,  e  poco  mancò  che  la  nobile  e  patriottica  Cittti 
già  regina  dell' Adriatico  —  non  vedesse  sventolare  sul 
campanile  di  S.  Marco  e  sui  forti  della  sua  laguna  la 
bandiera  napoleonica  e  non  avesse  a  suo  presidio  le 
truppe  francesi. 

Per  scrupolo  di  lealtà  il  barone  Ricasoli  d'accordo 
con  S.  M.  il  Re  e  col  generale  Lamarmora  si  opponeva 
alla  firma  dell'  armistizio  senza  averne  prinia  otlenuto 
V  assenso  dell'alleato  Re  di  Prussia  e  l' imperatore  Na- 
poleone ritenendosi  ofiFeao  aveva  giti  ordinato  ehe  due 
navi  dit  guerra  con  truppe  da  sbarco  «  La  Provence  » 
e  <  L'Eclaireur  »  partissero  per  Venezia  con  ordini  sug- 
gellati. 


348 

Uhaliino  Peruzzì,  visto  che  ftl  eoqte  Nigra,  nostro 
;imbaaciiiwre  a  P.-irigi.  non  era  riuscito  di  parare  il 
grave  colpo,  consiglia  a  Ricasoli  di  mandare  a  Paiigi 
persona'  conosciuta  da  Lui;;!  Napoleone  quando  era  prìn- 
cipe, e  che  aveva  elevate  amicizie  a  Pari^,  tra  le  quali 
quello  di  Alcide  G-randguillot  direttore  del  giornale  ofB- 
ti&so  «  Coscitutionel  »  e  del  generale  De  Fleury,  percliè 
vedesse  di  scongiurare  questo  affronto  all'  Italia.  La 
persona  ufficiata  accettò  la  delicata  missione  e  seppe 
riuscii-e  a  risparmiare  alia  patria  una  nuova  umiliazione 
e  danni  non  lievi. 

L' Imperatore  dei  Francesi  venuto  a  miglior  ran- 
siglio  mandava  a  Ferrara  il  principe  Napoleone  con  le 
condizioni  per  la  pare  die  erano  le  seguenti;  Consegna 
diretta  ineondizioiinta  del  VeueLo  all'Italia  —  plebiaoito 
delle  Provincie  venete. 

Il  re  Vittorio  Emanuele  —  il  nostro  governo  — 
fecero  tutti  gli  .sforzi  per  lìimostrare  e  persuadere  rim- 
peratore  che  la  riunione  del  Trentino  all'Italia  era  eosa 
essenziale.  Ma  l'Austria  non  volle  saperne  e  ormai  as- 
sicurata della  pace  con  la  Prussia  rispondeva  ritìutando 
e  mandava  ai  no^strì  confini  altri  due  corpi  d'  eserciio 
togliendoli  dall'armata  del  Nord. 

La  situazione  erasi  fatta  critica  per  noi.  —  Il  re  ed  il 
governo  esitarono  assai  prima  di  acconsentire  al  passo 
doloroso  di  rinunziare  al  Trentino,  ma  dovettero  finire 
col  soiFoear&  il  sentimento  di  giusta  orgoglio  per  nou 
compromettere  le  sorti  della  Nazione. 


Unitji  la  Venezia  all'Italia,  Garibaldi  pensava  a 
sciogliere  il  suo  voto  a  Roma,  A  tal  fine  raccomandava 
agli  amici  di  non  indugiai'si,  e  U  incitava  a  fere  i  pre- 
parativi necessai'i. 

A  Firenze  erasi  costituito  un  comitato  centrale  che 
aveva  per  capi  Cairoli,  Crispi,  Fabrizi,  Guastalla  ed  altri, 


349 
tutti  animati  dal  vivo  desiderio  di  dare  all'Iralia  la  sua 

•Capitale  naturale  —  Roma. 


CAPITOLO  XXV, 

Campagna  deirAgro-Romano 
Montelibrefti  -  Roma  -  Monterotondo  -  Mentana. 

Dopo  le  guerre  del  1859-1860  le  condizioni  morali 
dei  liberali  romani  avevano  subito  una  forte  suossa. 

I  più  non  aocettJiYano  senza  dist^ussioiie  la  con- 
dotta passiva,  rassegnata,  che  dal  1853  veniva  loro  rac- 
eomandiiCa. 


L'emigrazione  resa  più  numerosa  per  i  giovani  clie 
dn  Roma  erano  corsi  ad  arruolarsi  sotto  la  liHndiera  del- 
l'unità nazionale,  faceva  aperUimcnte  intendere  essere 
giunto  il  momento  per  Roma  di  cambiare  attitudine  e 
suo  dovere  di  prouuuciard  energicamente  per  la  sua 
liberazione  dal  giogo  papale. 

La  vittoria  degli  alleati  sui  campi  Lomttirdi  nel 
1859  —  la  disfatta  dell'esercito  pontificio  nelle  Mar- 
che —  la  marcia  trionfale  di  Garibaldi  nel  regno  delle 
Due  Sicilie  —  avevano  a  tal  punto  entusiasmato  la  gio- 
ventù liberale  romana  da  volere  senz'altro  che  si  uscisse 
dall'inerzia,  nelLi  quah  la  cittadinanza  da  tanto  tempo 
si  era  lasciata  addormentare.     . 


Il  partito  democratico  di  Roma,  abbenchè  sti'emato, 
non  era  del  tutto  spento.  Euistevano  ancora  non  pochi 
avanai    del  48  e  49  che  alla  azione  del  tempo  avevano 


resistito  conservando  integra  la  loro  fede  e  ì  loro  prin- 
cipii. 

Questi  patrioti,  insofferenti  n  tautn  Gotioniissione,  si 
intesero  coi  più  animosi  e  migliori  delta  emigrazione  e 
coi  capi  del  partito  d'aaione  ;  ruppero  gl'indugi  e  orga- 
nizzarono dei   nuL-!ei  pronti  nll'  azione. 

n  fatto  di  Aspromonte  fu  lo  stimolo  ad  un  azione 
conoordo,  e  slabilitji  la  fusione  dei  vari  nuclei  si  costi- 
tuì uu  Comitato  d'  Azione  Romano  col  seguente  pro- 
gramma : 

■  Fare  propaganda  incessante  ed  effitjaee  onde  in- 
durre il  popolo  il  scuotersi  ed  a  sollevarsi,  non  fosse  al- 
tro per  dare  pretesto  al  Governo  di  Torino  di  portarci 
con  tnagfciore  ntilib\  sul  tappato  diplomatico  U  quesliùrte 
romana^ 

*  RaggranelUre  gli  elementi  d'azione  esistenti  in 
cìttft,  organizzarli  e  prepararli  per  un  dato  raomeutb 
alla  riscossa.  —  Provvedere  le  armi.  —  Stabilire  mezzi 
regolari  e  sicuri  al  confine  per  Io  scambio  della  corri- 
spondenza. 

L' impresa  era  ardua  —  trattavasì  di  lottare  col 
prete  e  coi  francesi.  Bisognava  agire  con  arditezza,  e 
ad  un  tempo  con  prudenza  poiché  le  due  polizie,  erano 
intente  a  spiare  e  a  sventare  le  mosse  del  nuovo  centro 
d'azione. 

Contro  queste  difRcoìtà  lottavano  i  direttori  del  par- 
tito d'Azione  Romano  —  ed  ìl  programma  tracciato  ebbe 
in  parte  il  suo  svolgimento. 

Un  tóornale  clandestino  dnl  titolo  Homa  o  morte  fu 
istituito  e  in  mezzo  a  mille  ostacoli  e  peripezie  non 
cessò  dalla  patriottica    sua  propaganda 

Si  procedette  all'organizzazione  delle  forze  atte  al- 
l'azione. L,a  corrispondenza  al  di  là  dei  confini  fu  or- 
gduizzata   con  elementi  d' indiscutibile  sicurezza. 

Le  armi  furono  raccolte  in  luogo  da  potere  essere^ 
a  momento  opportuno,  introdotte  in  città   coli' aiuto  di 


361 

provati   patrioti  quali  il  Cucchi,  il  Guerzoni,  l'AdamoIi, 
Lorenzini,  ecÈ  altri. 

Certo  è  dunque  che  il  lavoro  lento  bI,  ma  costante 
del  Comitato  d'asione  romano  valse  a  scuotere  dall'iner- 
zia la  gioTRctii  ed  a  preparare  gli  elementi  che  nella 
città  dovevano  prendere  parte  ad  un  fatto  che  doveva. 
affrettare  la  liberazione  dà  Roma. 


L'il  febbraio  1867,  il  ministro  Ricasoli,  disapprovato' 
nella  perpetua  questione  del  diritto  di  riunione,  aveva 
sciolto  la  Camera. 

Convocata  la  nuova,  questa  non  appai'endo  diversa 
da  quella  dÌscio!ta,  il  barone  KìcrgoIì  senza  attendere 
alcun  voto  che  lo  giudicasse,  rassegnava  il  potere,  che 
veniva  raccoko  da  Urbano  Rattazzi. 


Si  sapevano  le  opinioni  su  Roma  del  nuovo  presi- 
dente del  Consiglio,  Egli  aveva  censurato  la  conven- 
zione dì  settembre,  e  s'era  risolutamente  opposto  alia 
convenzione  Lag;rand    Dumonceau. 

Era  pur  noto  che  egli  non  intendeva  fare  alcuna 
concessione  alla  Chiesa  se  non  quando  fosse  cessato  il 
potere  temporale  dell'autorità  ecclesiastica  ed  il  go- 
verno ìtiUiaao  fosse  insediato  in  Roma. 

L'entrata  al  potere  del  Rattazzi  fece  nascere  nel 
partilo  liberale  italiano  la  speranza  che  con  luì  si  sa- 
rebbe andati  a  Roma;  e  il  partito  d'azione  si  mise  subito 
all'opera  per  accelerare  l'evento. 


«  * 


Da  parte  sua  il  generale  Garibaldi  inviava  al  Co- 
mitato insurrezionale  di  Terni  il  capitano  Galliano  e 
il  tenente  Perellì  col  mandato  di  armare  quanti  giovani 


fuorusciti  romani  avessero  potuto  raccogliere,  e  con 
questi,  fatta  irruzione  nello  Stato  Pontificio,  getuirvi 
in  prima  favilla  dell'  incendio.  I  rappresentanti  del  partito 
d'azione  nel  Ternano  conte  Massarucci  e  Frattliii,  ealdi 
patrioti  e  vecchi  cospiratori,  consentivano  di  dar  mano 
air  impresa;  e  il  19  giuguo  ìi  Galliano  <?d  ii  Perelli  rac- 
colti ed  armati  centoqumttro  giovani  arditi,  tragittata  la 
Nerft  maccia.v;iiiQ  per  In  Sabina.  Se  non  ohe  giunti  nel 
punto  di  sconfinare  uei  pressi  di  Poggio  Catino  e  Ca- 
stelnuovo,  una  compagnia  di  granatieri,  che  si  teneva 
ivi  imboscata,  circuì  la  colonna  e  le  intimò  la  resa. 


Questo  fatto  non  influì  in  modo  da  raflreddare  l'o- 
pera di  G.iribaldi,  che  anzi  servi  a  spronarla.  Difattì 
Garibaldi  mandava  Cucchi  Francesco  a  Roma  per  an- 
nodare in  sua  mano  le  tila  della  rivoluzione;  mwndava 
suo  figlio  Menotti  a  sondai'e  li  terreno  e  a  stringere 
patti  col  Ni  colera  e  con  altri  nel  mezzogiorno;  incari- 
cava Acerbi  della  raccolta  dei  giovani  e  delle  armi 
alla  frontiera  Umbro-Toscana  e  lo  mandava  in  suo 
nome  a  scandagliare  le  intenzioni  del  Rattazzi. 

Intanto  nella  prima  quindicina  di  agosto  il  generale 
aveva  dati  i  suoi  ordini  e  distribuite  le  parti  come  alla 
vigilia  di  un  entrata  in  campagna;  Menotti  doveva  scon- 
finare da  Terni  coU'obbìettivo  Monterotondo;  Acerbi  da 
Orvieto,  obbiettivo  Viterbo;  Nicotera  e  Salomone  da  A- 
quila  e  Pontecorvp,  obbiettivo  VeUetri. 

Già  il  13  luglio  1867  i  comitati  riuniti  avevano  an- 
nunziata la  loro  fusione  col  seguente  manifesto: 

Romani  1 

e  H  voto  comune,  il  voto  di  tutti  quelli  a  cui  batte  il 
cuore  per  l'onore  e  la  libertà  della  patria,  sì  è  realiz- 
zato. 

«  Non  più  dissensi,  non  più    divisioni;  tutte  le  fra^ 


353 

zioni  del  partito  liberale  si  sono  data  la  mano,  hanno 
unite  le  fome  per  abbattere  per  sempre  questo  resto 
del  governo  papale  e  per  dare  Roma  all'Italia. 

«  n  Comitato  Nazionale  Romano  -ed  il  Centro  d'in- 
surrezione fanno  quindi  luogo  ad  una  Giunta  Nazionale 
Romana  la  quale  assume  la  auprema  direzioae  delle 
cose. 

«  RaUejrriamocì  di  questa  santii  concordia,  e  diamo 
opera  a  fecondarla  con  unirà  di  fede  e  di  disciplina,  con 
unit-À  di  propositi  e  di  sacrilìoii.  11  fascio  romano  è  ora. 
veramente  formato:  facciamo  che  non  si  sciolga  mai 
pili  e  che  presto  ci  dia  la  vittoria. 

Romani  I 

-  I  cittadini  rispettabili,  che  fanno  parte  della  Giunta 
a  cui  rasae^ueremo  l'utlicio,  sono  degni  dell'alta  mis- 
sione; ma  a  tuiUa  riuscirebbero  senza  il  vostro  concorso, 

«  Secondateli  adunque,  fidenti  ed  animosi  e  l'impresa 
non  fallirà. 

«(  Vogliamolo  tutti,  e  hen  presto  venticinque  milioni 
di  fratelli  saluteranno  Roma  Capitale  d'Italia  ". 

Il  Comitato  Nazionale  Ronuino 
Il  Centro  d'Insurrezione. 


I^itruzioiiL  per  la  concentrazione  delle  colonne  in- 
vadenti il  territorio  romano  erano  date  e  il  generale 
Garibaldi  stava  per  partire  pel  luogo  dell'azione,  quando 
il  23  settembre  in  Sinahinga  venne  arrestato;  doveva 
essere  tradotto  ad  Alessandria.  A  Pistoia,  mentre  si  era 
per  un  momento  fermato  nel  viaggio,  ebbe  lempo  di 
consegnare  all'onorevole  Del  Vecchio  il  seguente  bi- 
glietto da  p^ublilicarsi: 


354 


24  settembre 

«  I  romani  hanno  il  diritto  degli  schiavi,  insorgere 
contro  i  tiranni. 

«  Gli  italiani  hanno  il  dovere  di  aiutarli  e  spero 
lo  faranno  a  dispetto  della  prigionia  di  cento  Gari- 
baldi. 

«  Avanti  adunque  nelle  vostre  belle  risoluzioni,  Ro- 
mani e  Italiani.  Il  mondo  intero  vi  guarda. 

G.  Garibaldi 

Il  27  settembre  imbarcato  nella  R''  nave  1'  «  Esplo- 
ratore >  il  generale  veniva  portato  a  Caprera  dove  do- 
veva essere  sorvegliato  a  vista  da  navi  da  guerra  e 
dalle  loro  imbarcazioni. 

»  * 

Intanto  che  il  governo  sequestrava  Garibaldi,  i  suoi 
amici  discutevano  sul  modo  di  raggiungere  lo  scopo. 
Se  l'accordo  nel  fine  era  generale  —  la  liberazione  di 
Bontà  —  vi  era  discordia  sui  mezzi  di  esecuzione:  Crispi, 
Fabrizi,  Cucchi,  Cairoli,  Guastalla,  Miceli,  La  Porta, 
Oliva,  Guerzoni,  Adamoli,  Damiani,  Lorenzini,  Amadei, 
tutta  quasi  la  frazione  politico-militare  del  partito  gari- 
baldino opinava  che  il  segnale  della-  riscossa  dovesse 
partire  da  Roma;  Menotti,  Canzio,  Acerbi  e  qualche  altro, 
tenendosi  più  ligi  alle  istruzioni  del  generale,  volevano 
che  le  mosse  dovessero  essere  parallele;  il  Cucchi,  che 
più  di  tutti  la  caldeggiava,  dava  per  sicura  l'iniziativa 
romana. 

» 

Mentre  avvenivano  queste  tratfcntive  fra  i  capi  del 
movimento;  all'improvviso  circa  duecento  giovani  ca- 
pitanati dal  trentino  Luigi  Fontana  dei  Mille,  passavano 


805 

il  confine  nel  Viterbese,  si  buttavano  sopra  Acquapen- 
dente e  dopo  una  zuffa  accaaita  facevano  prigionieri 
una  quaraiLtiua  di  gendarmi  pontifici  e  s'iiupofisessavano 
del  paese. 

All'annunzio  doli' inopinato  qssalto  di  Acquapendente 
Menotti  ed  Acerbi  credettero  non  essere  piìi  questione 
di  disi^utere  —  essere  impegnalo  il  loro  onùre  ad  accor- 
rere in  soccorso  degli  arditi  patrioti  —  e  quindi  Acerbi 
diede  ordine  alle  sue  genti  di  sconfinare. 


II  3  ottobre  Menotti  Garibaltli  rotti  gli  indugi  con 
pochi  conapagni  vnrcaTa  li  conlÌLe,  Si  dii'esse  a  Poggio 
Catino  ove  fu  accolto  con  amore  dal  conte  Galeazzo  Ugo- 
lini. Ma  non  volle  fermarvìai  e  tosto  ai  mise  in  moto. 
A  S.  Vaientino  il  Sindaco  Nardi  con  venti  giovanotti  in- 
grossava il  drappello  che  a  Poggio  Mirteto  accoglieva 
alti'i  trenta  animosi;  a  Monteiuii^giore  ti-ovava  il  capi- 
tano Fontana  con  cento  ardimentosi  e  vi  pernottava.  Sul- 
l'albejrsiare  la  colonna  si  dirigeva  a  Montelibretti. 

Menotti  con  circa  200  uomini  precedfv,-ì.  gli  altri 
col  TriuguU  e  coir  Ugolini  seguivano  alla  distanza  di 
mezzo  chilometro,  tiiunto  Menotti  nella  maccbia  di  Ma- 
nocchio  venne  ^lasalito  da  buona  schiera  di  iiendarmi  e 
di  zuavi  pontifici  che  Io  atteudevauo  in  imboscata. 

I  nostri,  sebbene  sorpresi,  non  ai  perdettero  d' a- 
nimo;  guidati  dal  valoroso  Menotti  Garibaldi  i  bravi 
xorontari  si  lanciarono  sull'inimico:  questo  dopo  breve 
resistenz;i  preso  da  sgomento  bl  dava  a  fuga  precipitosa. 

II  giorno  6  i  nostri  nccarapavano  a  Carmignano  di 
fronte  a  Nerola  occupata  dal  colonnello  De  Claretto; 
^uìvi  la  colonna  t'u  raggiunta  dai  maggiore  .Salomone  che 
conduceva  ciiaa.  150  volontari;  dal  maggiore  Valentini 
di  Aquila  roJi  altri  100  volontiri  circa;  giungevano  puro 
altri  &0  baldi  giovani  guidati  da  Lodovico  l'etriui  e  dal 
conk-  Ippolito  Viceutiui  di  Rieti;    100  circa  da  Monto- 


356 

poli  sotto  t;U  ordini  dei  fratelli  Rondoni  ed  altri  guidati 
daU'emigrato  romano  Ovìdi  Ercole;  arrivava  intìiie  il 
Fazxari  ohe  (.-ondiuevii  oltre  300  volontari  da  lui  (brinati 
in  un  bello  e  valente  battaglione. 

Sotto  gli  ordini  di  pienotti  erano  ormai  circa  1200 
volontari.  IntiUito  il  colonnello  de  Charette  inlorraato  che 
la  colonna  cIip  gli  elava  di  fronte  erasi  molto  ingrossata; 
abbandonava  Nerola  per  Monteli bratti. 


T-a  matiin.i  dell'S  ottobre.  Menotti  fece  muovere  la 
colonuji  ed  alla  sera  occupava  Nerola;  ivi  attendeva 
ali "oi'gnnizzaz ione  della  sua  truppa  ed  a  provvederla 
dell'arnianiento  che  giungeva  da  Terni,  La  mattina  del 
13  ordinava  la  marcia  su  Montelibretti  e  la  colonna  vi 
giungeva  verso  le  due  pomeridiane.  Si  erano  avute  false 
informazioni  che  il  nemico  erasi  allontanalo,  per  cui  i 
garibaldini  credendosi  sicuri  avevano  formato  i  fasci 
d'armi  e  ognuno  per  conto  suo  concava  di  provvedere  al 
necessario  ed  a  ristorai-ai  dal  lungo  cammino. 

D'improvviso  noa  scariòa  di  fucilate  avvertiva  i 
YOlonuu'i  che  il  nemico  era  alle  porte  del  paese.  Si 
corse  seitm  ritardo  alle  aniit.  Fazzari  montato  a  cavallo 
scoireva  le  vio  incitando,  quanti  incontrava  a  fonnarsi 
in  colonna.  Messo  assieme  un  gruppo  di  circa  50  uomini 
esce  animoso  dalla  porta  e  precipita  contro  il  nemico 
che  a  passo  di  cai-ic-a  veniva  ad  investire  il  paese. 

Era  un  battag^lione  di  zuavi  pontifici  ;  questi  visto 
Fazzai'i  lo  accolgono  con  una  scniica  a  bruciapelo  che 
gli  uccide  il  cavallo  e  lo  ferisce  ad  una  gamba;  il  cava- 
liere precipita  di  sella  ma  non  si  da  per  vinto;  ha  in 
pugno  il  suo  revolver,  lo  scarica  addosso  a  chi  ha  la 
disgrazia  di  awicinarglisi  e  sparati  tutti  i  colpi  finisce 
per  scaraventare  il  revolver  stesso  contro  il  comandante 
dei  nemici  che  lo  accerchiavano.  Questo  eroismo  in- 
cute rispetto  agli  uPfìciidi  dei   zuavi,    i    quali  invece  dì 


3Ò7 

finirlo  lo  Insciano  in  custodia  di  tre  dei  loro,  mentre  la 
massa  continuji  ad  avanzaro  mantenendo  fuoco  vivissimo 
contro  i  nostri  che,  sebbene  in  pochi,  tenevano  testa. 

Intanto  Menotti  clie  aveva  riunito  intorno  a  se  il 
grosso  dei  volontari,  a  passo  di  carica  investe  i  nemici 
che  fanno  resistenza,  ma  infine  il  valore  dei  nostri  la 
vince  e  i  zuavi  sono  rotti,  posti  in  fu^ja  e  lasciano  sul 
terreno  morti,  feriti  e  qualche  prigioniero.  Si  distin^ 
sere  nel  combattimento  il  furiere  Ildebrando  Campa- 
gnoli  che  venne  promosso. 

Il  13  di  ottobre  Nicotera  sconfinava  con  ottocento 
uomini  a  Vallecorsa  e  l' indomani  s'avviava  a  Falvaterra. 

Si  aspettava  cbe  Roma  dess.e  qualche  segno  dì  vita 
e  Cucchi,  Guerzoni,  Adamoli,  Bossi,  Celle,  Costa  si  erano 
stretti  in  lega  coi  membri  del  Comitato  di  Azione  ;  ma 
tutti  sentivano  che  la  sollevazione  intempestiva  nella 
provincia  aveva  resa  impossibile  una  sorpresa,  nella  Ca- 
pitale. 


Mentre  questo  avveniva  in  Sabina,  Canzio  e  Viglaut 
pensavano  di  trarre  G-aribaldi  dalla  prigionia  di  Caprera. 
Noleggiata  una  paranzella  salparono  da  Livorno  il  14 
otto5>re,  cantameate  acoost;irono  alla  Maddalena  <?d  a 
mezzo  della  inglese  Signora  Collin.  fatto  per%-enire  un 
biglietto  al  Generale,  proseguivano  pel  porticello  di  Bran- 
dinchi  per  a&pettarvelo.  La  noEte  del  16  ottobre  il  Ge- 
nerale avventuratosi  sopra  un  guscio  di  noce,  che  chia- 
mavasi  il  *  Beccaccino  »,  faceva  il  tragitto  da  Caprera  rtl 
punto  di  ritrovo,e  deludendo  la  vigilanza  dei  R.  Eiiui- 
paggi,  prendeva  imbarco  nella  paranzella,  sbarcava  a 
Livorno,  ed  in  sul  mezzogiorno  del  20  arrivava  a  Firenze 
con  grande  sorpresa  del  Governo  e  gioia  degli  amici. 

Il  21  ottobre  1867  veuivji  diramato  il  seguente  raiv- 
nifesto  : 


24 


358 

Romani  all'armi! 

«  Per  la  nostra  libertà,  per  il  nostro  diritto,  per 
l'unità  della  patria  Italiana,  per  l'onore  del  Nome  Ro- 
lùano. 

AW  armi  ! 

«  n  nostro  grido  di  guerra  sia: 

«  Viva  Roma  Capitale  d'Italia!  Rispettiamo  tutte  le 
credenze  religiose,  ma  liberiamoci  una  volta  e  per  sempre 
da  una  tirannia,  che  ci  separa  violentemente  dalla  fa- 
miglia italiana  e  tenta  perpetuare  l'inganno,  che  Roma 
sia  esclusa  dal  diritto  di  nazionalità  ed  appartenga  a 
tutto  il  mondo,  fuorché  all'Italia. 

«  Da  molti  giorni  i  nòstri  fratelli  hanno  levato  il 
vessillo  della  santa  rivolta  e  bagnata  del  loro  sangue 
la  via  sacra  di  Roma. 

e  Non  tolleriamo  più  che  siano  soli  e  rispondiamo 
al  loro  eroico  appello  con  la  campana  del  Campidoglio. 

«  Il  nostro  dovere,  la  solidarietà  della  causii  comune, 
le  tradizioni  di  Roma  ce  lo  impongono. 

All'armi  !    ■ 

«  Chiunque  può  impugnare  il  fucile  accorra;  fac- 
ciamo di  ogni  casa  un  fortezza,  di  ogni  ferro  un'arma. 

«  I  vecchi,  le  donne,  i  fanciulli  elevino  le  barricate, 
i  giovani  le  difendano. 

«  Viva  l'Italia! 

«  Viva  Roma  I  » 

* 
*  * 

Il  2'J  il  generale  parti  per  Terni.  Ivi  giunto  sapendo 
che  il  Governo  aveva  dato  ordine  di  arrestarlo,  in  sul- 
l'albeggiare  del  23,  sconfinava  a  Passo  Corese  e  dava 
ordine  a  Menotti,  comandante  del  centro,  di  riunire  tutte 


Sb9 

le  colonne  che  si  trovavano  già  pronte  a  Monte  maggiore, 
mentre  altre  erano  in  formazione  a  Tenti,  e  gli  ordi- 
nava quindi  di  sconfÌHare  senza   ritardo. 

Nella  notte  del  2-1  Garibaldi  telegrafava  al  Comitato 
di  Firenze:  «  Occupo  Passo  Corese  e  Monic  Maggiore 
con  le  forze  riunite  di  Menotti  ».  Nel  giorno  stesso  or- 
dinjiva  ai  investisse  Monte  Rotondo,  die  voleva  ad  ogni 
costo  espugnare,  ancorché  non  avesse  alcun  pezzo  di  arti- 
glieria. 


La  notìzia  che  Garibaldi  era  entrato  nel  territorio 
pontifìcio ,  {'eoe  accorrere  voloutjiri  da  tutte  le  parti  ; 
anclie  Ancona  eccitata  alla  guerra  santa  da  un  patriottico 
proclama  non  aveva  mancato  al  suo  dovere. 

Messi  assieme  pochi  fondi,  e  raccolte  delle  armi, 
partiva  una  colonna  di  cui  veniva  aflfldato  il  cjDmandL» 
ad  Elia.  Prima  però,  che  questa  colonna  composta  di 
più  di  mille  ducenco  volontari  fosse  armata,  si  dovette 
perdere  del  tempo  a  Terni.  luflce  rotto  ogni  indugio  e 
sebbene  non  poche  armi  mancassero  per  raruninieuto 
completo,  Elia  ordinava  la  partenza  e  raggiungeva  il  ge- 
nerale Garibaldi  e  suo  figlio  Menotti  a  Monte  Rotondo, 
ove  "giii  sì  combatteva. 

La  difesa  di  .Monte  Rotondo  fu  aecunita.  L'attacco 
incoraiaciato  all'alba  durò  tutta  la  giornata;  stava  per 
calare  la  notte  ed  il  fuoco  continuava  da  ambo  le  parti; 
già  molti  dei  nostri  erano  feriti,  fra  i  quali,  Capra,  Molilo, 
Carcano,  Martinelli,  Uziel;  morti  il  Giovagnoìi.l'Andreucci 
ed  altri.  «  Bisogna  fluirla  »  grida  Garibaldi—  ed  ordina 
di  dar  i'uoco  alla  porta;  verso  le  otto  di  sera  la  porta  v« 
in  fiamme  e  fattavi  una  apertura  i  garibaldini  vi  si  pre- 
cipitano, gli  antiboini  si  rìfuggiauo  nel  Casti  Ho  ed  al- 
l'albeggiare riprendono  le  fucilate;  ma  visto  che  i  vo- 
lontari, penetrati  nelle  scuderie  del  Castello  del  principe 
Piombino  (che  era  coi  garibaldini  a    combattere  per  la 


360 
liberazione  di  Roma)  ai  preparavano  ad  appiccare  il  fuoco 
al  Castello,  verso  le  9  di  mattino  si  arrendevano,  la- 
sciando in  nostre  mani  due   cannoni  con  un  centinaio 
di  cariche,   circa   300   fucili   e   poche  munizioni. 

Nell'eroico  combattimento  si  distìnsero  assai  Val- 
zania,  Martinelli,  Giovagnoli  Raffaello  che  ebbe  il  fra^ 
tallo  morto,  Coralizzi  Luigi  ed  il  giovane  quindicenne 
Carlo  Raffaelli  che  aveva  già  dato  prove  di  grande  w» 
dimento  e  di  valore  a  Monteiibretti,  meritandosi  gli  elogi 
del  generale  e  la  promozione  a  sottotenente. 

Ecco  l'ordine  del  giorno  col  quale  il  generale  par- 
tecipava la  presa  di  Monterotondo  : 

ORDINE  DEL  GIORNO 

«  Anche  in  questa  campagna  di  Roma  i  valorosi  vo- 
lontari hanno  compiuto  il  loro  glorioso  Calataflmi  ;  tem- 
porali, nudità,  fame  quasi  da  non  credersi  sostenibili,  non 
furono  capaci  di  scuotere  il  brillante  loro  contegno. 

«  Essi  assaltarono  una  città  murata,  colle  porte  barri- 
cate e  cannoni  per  difenderla,  guernìta  da  esperti  tira- 
tori e  se  ne  impadronirono  con  uno  slancio  di  cui  l'Italia 
può  andare  superba  ! 

«  Dìo  benedica  questi  generosi. 

«  Monterotondo,  26  ottobre. 

G.  Garibaldi  ». 

Al  Comitato  Centrale  di  Roma: 

Cari  Amici 

«  Dopo  r  assaho  e  la  presa  di  Monterotondo  ci  siamo 
spinti  sino  a  sei  miglia  da  Roma,  ove  ci  troviamo  ora. 

«  Dei  nemici  non  abbiamo  notizie.  Se  la  spedizione 
francese  è  vera,  spero  vedere  ogni  italiano  fare  il  suo 
dovere. 

«  Casina  8*^   Colomba,  27  ottobre. 

O.  GaribtMi  >. 


aei 


Il  24  ottobre  Acerbi  assaliva  Viterbo,  mii  uonostanto 
il  valore  spiegato  dm  Buof,  nel  quale  primeggiò  il  bravo 
Napoleone  Farboai  che  l' jicerbi  promoveva  maggiore, 
fu  neceagità   desistere  dall'  attacco. 

Il  giorno  26  i  nostri  muovevano  ad  un  decisivo  as- 
&ilto;  m.1  i  pontifici  abbandonavano  Viterbo  e  l'Acerbi 
se  ne  impadroniva. 

Il  Nicotera  che  aveva  per  obiettivo  Velletri  ebbe 
un  serio  e  micidiale  combattimento  a  Monte  8an  (iio- 
vanni,  ove  cadeva  I'  eroico  Di  Benedetto  con  ben  ven- 
tidue  valorosi  compagni,  altri  furono  feriti,  fra  i  quali 
il  bravo  tenente  Lacava  ;  il  28  il  Nicotera  prendeva  La 
sua  rivincita  a  Frosinone,  ove  fug'ava  il  nemico  cagio- 
haudofe'li  forti  perdite  ed  il  30  occupava  Velletri. 


Appena  sì  seppe  in  Roma  che  bande  dì  garibaldini 
erano  entrate  nel  territorio  del  papa,  il  governo  non 
ebbe  più  ritegno. 

Chiuse  alcune  delle  porte  della  cittfi  ;  le  altre  for- 
temente custodite  ;  sorvegliò  gli  alberghi  e  le  case;  cacciò 
1  forestieri  sospetti;  infine  rigori  e  vessazioni  di  ogni 
sorta;  difficile  quindi  pit!i  che  mai  preparare  una  som- 
mossa, senza  che  la  polizia  ne  venisse  a  cognizione. 

Cucchi  Francesco  era  stato  incaricato,  con  araplis- 
aima  credenziale  di  Garibaldi,  d'intendersi  coi  membri 
della  Giunta  Nazionale  per  promuovere  e  dirigere  il  mo- 
vimento di  Eoma, 

A  coadiuvare  il  colonnello  Cucchi  erano  entrati  in 
Roma,  il  maggiore Guerzoni,  il  maggiore  Adamoli,  il  co- 
lonnello Bossi,  il  Cella,  i  quali  sfidando  ogni  pericolo 
lavoravano  indefessamente  perché  scoppiasse  1»  pcintilla 
rivoluzionaria  ma,  nonostante  i  prodigi  di  operosità  e 
d'ardire  del  Cucchi  e  dei  suoi  compagni^  i  preparativi 


362 
per  r  audace   impresa  non  si  erano  potuti  completare  ; 
e,  quel  eh"  e  peggio,  le  armi,  senza  le  quali  i  congiurati 
romani  si  protestavano  impotenti  a  qualunque  tentativo, 
non  erasi  ancora  trovato  modo  di  farle  entrare  in  Roma. 


* 


Ma  da  quelli  di  Firenze  si  scriveva  al  Cuccili  «  una 
schioppettata,  una  sola  schioppettata  entro  Roma  e  ba- 
sta »  ;  e  la  schioppettata  fu  tirata. 

Disegno  dei  cospiratori  era  d'assalire  il  •Campidoglio, 
impadronirsene  ed  asserragliarvi  si.  Un  drappello  di  con- 
giurati guidati  dal  Cucchi  e  dal  Costa  Nino  era  incaricato 
di  questa  faccenda.  Il  colonnello  Bossi  con  altra  squadra 
doveva  sorprendere  li  corpo  di  guardia  di  piazza  Co- 
lonna ;  Guerzoni  con  cento  uomini  forzare  Porta  S.  Paolo 
e  distribuire  agli  insorgenti  le  armi  depositate  nella  Villa 
Matteini.  (riuseppe  Monti  con  altri  doveva  minare  e  fare 
saltare  la  Caserma  Serristori,  e  Zoffetti  con  altri  can- 
nonieri inchiodare  le  artiglierie  del  Castel  Sant'Angelo. 

I  fratelli  Cairoli  Enrico  e  Giovanni  dovevano  scen- 
dere il  Tevere  fino  a  Ripetta,  e  portare  armi  che  do- 
vevano prendere  a  Terni.  Senonchè,  tutte  queste  imprese 
audaci  abortirono,  perchè  il  Governatore  di  Roma,  ve- 
nutone a  cognizione,  aveva  prese  forti  misure  preven- 
tive ;  solo  la  Caserma  Serristori  andò  in  parte  all'  aria, 
ma  senza  scopo,  perchè  vuota  di  soldati  pontificii  I  fra- 
telli Cairoli  con  settanta  valorosissimi  compagni,  arrivati 
all'altezza  di  Ponte  Molle,  saputo  che  i  tentativi  di  som- 
mossa erano  falliti,  furono  costretti  a  tenersi,  nascosti 
durante  lanette  fra  i  canneti,  ed  a  cercarsi  poi  un  mi- 
gliore rifugio  appena  spuntò  l'alba.  Credevano  d'averlo 
trovato  a  Villa  Glori  sui  colli  Parioli  ;  ma  scoperti  ed 
assaliti  da  truppe  tre  o  quattro  volte  superiori,  dopo 
eroica  resistenza,  caduto  Giovanni  Cairoli,  ferito  mor- 
talmente Enrico,  la  più  bella  schiera  d'eroi,  che  avesse . 
mai  fatto  sacrifizio  dì  se  per  la  patria,  dovette  disperdersi. 


363 

dopo  di  avere  costretti  alla  fuga  i  mercenavì  del  Papa. 

Ecco  come  parla  del  fatto  glorioso  il  valoroso  Gio- 
vanni Cairoli  : 

«  Ci  U'ovavamo  in  aperta  campagna,  quando  ad  una 
trentina  di  passi  da  noi.  scorgemmo  avniizarsi  una  forte 
colonnit  di  papalini.  Vi  piombammo  in  mezzo  scaricando 
i  revolv^iirs.  Ne  seguì  una  sanguinosa  coUutùizione.  Dopo 
qualche  minuto  di  terribile  mischia  nella  quaEe  i  revol- 
vers  furono  perline  /idoper-nti  come  martelli,  mi  sono 
trovato  a.  contatto  con  Enrico  nostro  comandante  che 
era  attorniato  da  cinque  o  sei  papalini.  Una  scarica  ci 
fece  cadere  entrambi  feriti.  Enrico  mortalmente:  da 
terra  abbiamo  avuto  il  conforto  di  vedere  i  mercenari 
volgere  le  terga  il  che  ciascuno  di  essi  eseguiva  però 
dopo  di  averci  lanciato  un  colpo  di  baionetta.  » 

€  Povero  Enrkof  Ti  torni  almeno  a  sullievo  delle 
ferite  che  ti  conducono  a  morte,  i!  conforto  del  grande 
Tebano  —  vedere  in  fuga  il  nemico.  » 

Fallito  il  moto  insurrezionale  della  notte  del  22  ot- 
tobre, in  Trastevere  buon  numero  di  ardiri  popolani  si 
apparecchiavano  risolutamente  alla  riscossa. 

Giulio  Alani  patriota  e  giovane*  pieno  di  ardimento, 
proprietario  di  un  lanificio  in  via  della  Lun.L'ji retta,  aveva 
dato  convegno  a  quanti  erano  giovaui  liberali,  forti  e 
coraggiosi  in  Trastevei'e,  e  per  quanto  potè,  raecùlse  nel 
suo  stabilimento  fucili,  revolver  e  munizioni. 

In  quella  c^isa  erasi  istituito  un  laboratorio  ove  si 
fabbricavano  cartuccie  alla  cui  formazione  erano  intente 
alcune  giovinette  del  popolo,  addette  come  lavoranti  nel 
lanificio. 

Protìsima  allo  atabiliinento  eravi  Tabitazione  di  Fran- 
cesco Arqurttì,  altro  vero  patriota,  molto  popolare  nel 
rione  di  Trastevere.  La  moglie  di  lui  e  le  figlie  anche  esse 
attendevano  alla  preparazione  delle  munizioni,  mentre  il 
lio  maggiore  dell'Arquati,  Piaaquale,  insieme  a  Giulio 
Alani,  percorrevano  quel  popoloso  quartiere  per  la  prò- 


3&4 

pagaiida  ft!]ji  rivolta,  eceitando  ad  un  ardito  movimento 
i  più  niilmosi  dì  quei  popolani. 

11  2ó  ottobre  l'opera  ferveva  nel  lanificio  Aiani,  di- 
venuto focolare  di  quel  roauipolo  di  patiioti,  decisi  a  mo- 
rire per  Ut  litiertii  di  Roma,  quando  alle  2  1/4  uno  dei 
giovani  elio  stavano  di  vedetta  su  una  terrazza,  dava 
l' avviso  dell'  approasimarsi  di  un  corpo  di  zuavi  e  di 
forte  stuolo  di  sbendarmi;  fa  chiusa  e  barricata  la  porta 
e  tutti  corsero  ad  armarsi  risoluti  all'estrema  difesa. 

Gli  zuavi  6Ì  slanciano  per  abbattere  coi  calci  dei 
fucili  la  porta  della  casa,  ma  dall'alto  si  tirano  delie 
bomba  nelle  loro  file,  e  sono  ricevuti  da  fut-ilatit  cosi 
viva,  da  costringerli  ad  abbandonare  l'assalto  ed  a  ri- 
pararsi nelle  vicine  vie,  ove  appiattati,  aprirono  un  cou- 
tiouatn  fuoc»  dì  CuL^ilerìa. 

Al  rumore  delle  fucilate  Giulio  Aiani  che  sì  trovava 
in  casa  Arquati  corre  verso  V  uscio  per  uscirne,  ma  la 
casa  è  in  uq  baleno  citrondaUi  dagli  zuavi  e  dai  gen- 
danni,  che,  forzata  la  porta,  si  slanciano  per  le  scale  ; 
l'Alani  col  revolver  in  pugno  si  precipita  sugli  invasori, 
raa  assalito  da  ogni  parlo,  sopraffatto  dal  numero,  viene 
legato  e  Hutto  in  prigione. 

Intanto  il  combattimento  contro  la  casa  Aiani  si  fa 
sempre  più  vivo.  Paolo  Gioacchini,  uomo  di  óO  anni, 
capo  del  lanificio,  coi  di  lui  figli  Giuseppe  e  Giovanni 
incoraggiano  alla  resistenza  e  nessuno  pensa  di  arren- 
dersi. 

Si  combatteva  da  quattro  ore  quando  u^ìi  ?,uavi 
riusci  di  sfondare  la  porta;  la  casa  ó  invasa  dalla  truppa 
inferocita  per  la  lunija  resistenza,  che  fa  macello  di  quanti 
incontra;  Angelo  Marinelli,  vecchio  settantenne,  gridava 
ai  giovani  di  porsi  in  wilvo  pei  tetti,  mentre  eirli  teneva 
testa  agli  iuviiuori  atterrandone  quanti  gli  si  facevano 
vicini  a  colpi  di  accetta,  finché  crivellato  da  ferite  cadde 
per  non  più  rialzarsi;  intanto  ad  alcuni  dei  difeusori  era 
riuscito  di  mettersi  iu  salvo  pei  tetti  delle  case  vicine, 
dove  poscia  vennero  arrestati. 


98G 

Quelli  che  non  poterono  salvarsi  non  cessarono  dal 
■combattere  sulle  scale,  sugli  abbaini»  ji  corpo  a  corpo 
colle  daghe,  coi  pugnaU,  coi  denti  :  domina  in  mezzo  a 
tutti  l'eroica  donna  Gìtidìtta-Tavanl^Arquaii,  che  incuora, 
coraaiida  e  combatte,  terrìbile  nell'ira  nel  vedere  avanti 
a  se  il  cadavere  del  marito  e  quello  del  giovinetto  figlio, 
entrambi  trucidati;  alla  fine  soccombe  es.sa  pure  ti'afitta 
da  replicati  colpi. 

Il  nome  dell'eroica  donna  o  dei  prodi  carlnti  con  lei 
dovranno  essere  ricordati  con  amiiijrazioue  d;tlle  gene- 
razioni future  e  dall'Italia. 


La  presa  di  Monterotondo  produsse  grande  sgo- 
mento in  tutto  il  territorio  pontificio  ed  ebbe  per  con- 
seguenza la  ritiriti  cU.  tutte  le  truppe  papaline  al  di 
là  del  Tevere. 

Garibaldi  non  aveva  pace  se  non  faceva  un  colpo 
di  mano  su  Roma  sperando  sempre  che  gli  amici  nella 
piazza  gli  avrebbero  facilitata  la  riuscita  e  non  volle 
perdere  tempo. 

Lasciato  un  l>attaglione  a  Monterotondo  sotto  gli  or- 
dini del  colonnello  Carbonelli,  e  speditone  un  aitalo  col 
colonnello  Pianciani  a  Tivolif  il  generale,  ordinato  ad 
Acerbi  ed  a  Nicotera  di  raggiungerloj  muoveva  diftilato 
con  tutte  le  sue  forze  su  Roma. 

Il  giorno  ^9  Garibaldi  portava  il  suo  quartiere  ge- 
nerale a  Castel  Giubileo  spingendo  i  suoi  avamposti  oltre 
a  Villa  Spada  e  al  Casino  dei  Pazzi.  I  pontifici  si  erano 
ben  premuniti;  la  porta  del  Popolo,  la  Salaria,  la  Pia  e 
tutte  le  ville  attigue,  Torlonia,  Patrizi,  Lodovisi  e  Monte 
Mario  erano  guernite  da  pezzi  coperti  ed  occupate  da 
numerose  truppe.  Garibaldi  vide  T  impossibilita  di  un 
atUicco  venturoso;  piissò  tutta  la  giornata  a  studiare  la 
posizione,  e  confidando  sempre  iu  mia  insurrezione  entro 
Roma,  ordinò  che  nella  notte  si  accendessero  fuochi  in 
tutta  la  linea  del  campo. 

Ma  a  Roma  l'insurrezione  non  appena  tentata  er;i 


Eitsta  repressa  e  spenta.  Garibaldi  con  alcuni  Carabi- 
nieri genovesi  BOCto  gli  ordini  di  Stallo  e  di  BurUindo 
e  con  alcune  guide  condotte  dai  bnivi  LorenzLni  ed  A- 
madci  romani,  aveva  voluto  tentare  una  ricognizione 
su  ponte  Nomentano;  incontrata  una  pattuglia  di  papa- 
lini, questa  aveva  presa  la  fuga.  Dopo  una  permanenza 
fli  un'ora  in  quo!  posto,  due  colonne  di  zuavi  e  di  anti- 
boinì  sbucarono,  una  dal  ponte  fomentano,  l'altra  dal 
ponte  Mamolo  tirando  contro  i  nostri.  Ma  il  Generale 
non  volle,  che  sì  rispondesse,  e  siccome  a^ìi  non  aveva 
voluto  fare,  che  una  ricognizione,  e  lo  scopo  era  rag- 
giunto, nel  mezzo  della  notte  ordinò  la  ritirata  su  Mon- 
terotondo.  Kgli  aveva  avuto  un  messaggio,  col  quale  lo 
si  informava  che  i  francesi  sbarcati  a  Civitavecchia  erano 
in  mai'cia  forzata  per  Roma,  e  perciò  si  voleva  prepa- 
rare Il  riceverli. 

Arrivato  a  Monterotondo  mandava  il  aeguente  or- 
dine : 

«  Al  generalo  Nicotera. 

«  Per  i  due  messi  vostri,  che  vidi  questa  mattina 
vi  inviai  ordine  di  occupare  Tivoli,  e  lo  stesso  ordine  vi 
confermo  ora. 

<  —  Qui  tutto  va  bene. 

« — Interventi  o  non  interventi,  bisognerà  com- 
piere l'unificas^ione  delia  patria. 

<  A  Tivoli  troverete  Piancìaui  c«n  un  battaglione. 
«  Scrivetemi  subito. 

*  Monterotondo  31  ottobre. 

G.  ù'ariba/dL 


Nel  ritornare  a  Monterotondo  una  gran  parte  di  vo- 
lontari disertarono  le  file  per  portarsi  alle  Ituro  case,  tan- 
toché all'appello  della  sera  del  2  novembre  neppure  la 
metà  delle  forze  si  trovò  presente. 


« 

ut    ■ 


GariluLldi,  commosso  per  l'eroica  morCe  di  Enrico 
Caii'oli  e  (lei  suoi  prodi,  scriveva  il  seguente  ordine 
del   giorno. 

«  Volontari  italiani! 

«  Lh  Grecia  ebbe  i  suoi  Leonida,  Roma  antica  i 
suoi  Tabi,  e  l'Italia  moderna  i  suoi  CairoH,  ^olla  diffe- 
renza che  con  Leonida  e  Fabio  gli  eroi  furono  trecento: 
con  Enrico  Cairoli  essi  furono  ecttantn,  decisi  di  vin- 
cere 0  morire  per  la  libertà  italiana. 

«  Nella  notte  del  53  al  23  del  passato  mese,  70 
prodi  Comandati  da  Enrico  e  Giovanni  fratelli  Cairoli, 
ardirono.,  pe!  Tevere,  gettarsi  tìn  sotto  le  mura  di  Roma. 
col  magnanimo  pensiero  di  portare  soccorso  d'armi  e  di 
braccia  al  popolo  romano  combattente. 

«  A  ponto  Molle  non  vedendo  i  seg^nali  conrenuti, 
sostarono.  Giovanni  Cairoli  spedito  In  ricognizione  rife. 
riva  cessativ  la  pugna  in  Roma.  «  Ritirarsi  o  morire  ». 
Quei  generosi  preferirono  la  morte. 

"  tìi  asseragliarono  in  S.  fJiuliano,  ■©  quivi,  uno 
contro  quattro,  armati  di  soli  revolvera,  questi  prodi, 
operando  miracoli  di  valore,  di  gloria  imperitura  copri- 
rono un  altra  volta  it  nome  italiano. 

«  Attaccati  da  due  compagnie  di  zuavi  e  antiboini, 
intrepidaineritL'  ne  sostennero  l'urto.  La  puf^na  fu  acca- 
nita e  sanguinosa;  ma  davanti  a  quel  pugno  di  valo- 
rosi i  mercenari  del  papa  ripiegai-ono.  Molti  i  caduti 
dei  nostri,  fra  i  quali  i  dairoli  e  l'Enrico  morto. 

«  Volontari  ». 

«  Tutte  le  volte  che  vi  troverete  a  fronte  dei  mer- 
cenari pontilÌL-Ì  rieordatevi  degli  eroi  di  tSau  Giuliano. 
Monteiotondo  2  novembre. 

G.  Garibaldi. 


li:&_ 


368 

'  La  eera  del  2  novembre  eoa  un  ordine  del  giorno 
Veniva  stahilito  l'ordine  di  marcia  per  la  via.  di  Tivoli. 
Si  doveva  partire  da  Moniorotondo  nelle  prime  ore  del 
mattino  del  S;  invece,  per  non  ai  sa  qiial  contrattempo, 
s'iniziò    la   marcia  verso  le  ore  l'J. 

Si  erano  dal  Generale  oi-dinati  corpi  di  esploratori, 
di  avnnguai'dia  e  di  fiancheggiatori. 

Le  posizioni  di  Palombara,  Sant'Angelo.  Monticelli 
erano  stnte  occupate  da  tre  battagUoni  comandati  dal 
-colonnello  Pagg-i,  si  doveva  quindi  essere  tntuqLiilii  con- 
tro ogni  sorpresa;  ina  non  fu  cosi. 

Appena  oltrepassatji  Mentana  l'avangraardi-t  veniva 
attiiccata  dai  soldati  pontifici. 

Da  un  bosco  clie  si  trova  a  destra  della  strada  che 
da  Mcntaiia  vif  a  Tivoli,  era  incominciato  il  primo  at- 
tacco contro  un  pìccolo  reparto  dei  nostri  esploratori 
che  precedeva  la  colonna  iu  marcia.  Menotti  accorse 
con  tre  o  quattro  ufficiali  del  suo  stato  maggiore  e  il  suo 
capo  guida  Augusto  Lorenzini,  per  riconoscere  il  ne- 
mico, ma  non  si  potè  accertare  che  di  una  cosa,  e  cioè 
che  il  bosco  era  fortemente  occupato  —  si  sperò  che 
fosse  uiiJL  ricognizione  di  non  grande  importanza  e  Me- 
notti ordinò  a  Stallo  di  aviinzurc  col-  suo  battaglione,  di 
occupare  i  punti  più  elevati  a  destra  e  a  sinistra  della 
Strada,  spingendo  le  catene  in  avanzata  per  sloggiare  il 
nemico.  Sopraggiungevano  a  rinforzo  di  SbUlo  i  lacta- 
glioiii  di  Burlando^  di  Mayef  e  del  Cantoni  guidati  da 
Missori  che  si  avventavano  contro  le  forze  papaline  e  ne 
sostenevano  l'urto.  Mentre  Menotti  era  stato  ol>b!igato  ad 
allontanarsi  per  ordinare  la  ditesa  del  centro  e  della 
sinistra  ed  amraasa.ire  forze  per  un  attacco  generale,  tutto 
l'esercito  papalino  si  avventava  contro  i  notitt'i  che  no- 
noa-tante  le  perdite  resistevano  sempre. 

II  bravo  Cantoni  comandante  una  colonna  di  Ro- 
magnoli, della  quale  faceva  parte  il  tenente  Fortis,  con 
mii'abile  sangue  freddo  e  valore,  assecondando  gli  sforzi 
eroici  del  Missori,  dello  Stallo,  del  Burlando,  del  Mayer, 


369 

del  Tosi  si  avTenta.  con  una  carica  alla  baiouetta  conti-o- 
le masse  antiboine  che  per  un  momento  accennano  » 
sbandarsi,  ma  rinforzato,  sono  sopra  i  nostri  che  non  rie- 
scono a  resìstere;  11  Cantoni  e  tanti  altri  caclooo  mor- 
CrtUnente  feriti,  e  i  bravi  garibaldini  sonj  costretti  a  ce- 
dere e  ridursi  sotto  i  pagliai  per  riordinarsi. 

,11  momento  era  grave,  ma  sopraggiunto  (TaribAldi 
riunifice  quanto  più  può  dei  nostri,  con  parole  di  fuoco 
lì  scuote  ed  ecoita  il  loro  entusiasmo  e  li  invita  ad  un 
siniullnneo  contrattacco  che  è  spinto  con  irresistìbile 
bravura  e  sostenuto  gag;liard3inenEe  per  quasi  due  ore. 
Ma  verso  le  tre  pom.,  sopraffatri  da  nuovi  rinforzi,  con- 
tra-stando  jnlmo  a  palmo  il  terreno,  i  gtiribnldini  sono 
t^ostl'etti  ìl  retrocedere  fin  sotto  le  case  di  Mentana. 

»*. 

In  quel  punto  i  tiri  rapidi  o  ben  aggiuytiiti  dei 
nostri,  appostati  nelle  case  che  avevano  ocoupzito  per 
ordine  del  generale,  e  quelli  dei  due  cannoni  che  Ga- 
ribaldi stesso  aveva  fatto  piazzare  in  eccellente  posi- 
zione,  arresUiuo  la  fopa  del  nemico. 

La  presenza  del  generale  Garibaldi  accompagnato 
da  Fabrizi,  da  Menotti,  da  Canaio,  da  Mario,  da  Guer-^ 
zoni  e  da  altri,  infonde  nuovo  ardire  nei  nostri;  il  ge- 
nerale ordina  la  carica  alla  baionetta  —  un  ui'rà  di 
gioia  saluta  il  comando  —  e  la  Ciirica  fu  goneriile,  spleU' 
dida  pel  risultato.  Il  nemico  abbandona  le  posizioni,  i 
nostri  riacquistiino  le  loro  e  si  procede  all'assako  di 
Villa  Santucci,  certi  ormai  della  vittoria. 


•% 


>Ia  vinti  1  papalini,  altro  nemico  sconosciuto,  fin  al- 
lora rimasto  invisibile,  giungeva  in  quel  puntn,  fresco 
di  rombattimento  a  rimpiazzare  i  vinti,  venendo  a  ful- 
minare di  fianco  con  fuoco  di  fila  mai  interrotto  i  trafe- 
Inli  garibaldini. 


370 

GrAiidi  masse  nere  si  avfliizavaTio  intente  ad  impa- 
dronirsi dei  dossi  delie  colline  di  sinistra  eoU'obìettivo 
evidente  di  tagliare  ìa  ritìmtJi  su  MontiTotondo.  I  bravi 
garibaldini  sparavano  le  loro  ultime  c-artucce;  An  era 
ftioco  sprecato,  perché  i  loro  proietti  non  arrivavano  nep- 
pure alla  metà  della  lunga  linea  percorsji  dal  nuovo 
nemico. 

La  resisfcenz-a  era  ormai  impossibile  —  e  Garibaldi 
visto  il  pericolo  di  rimanere  in  breve  avviluppato,  ordi- 
nava la  ritirata  su  Monterotondo,  che  fu  esej^uiui  con 
ordine  esangue  freddo  sotto  il  continuo  grandinare  delle 
palle  dei  soldati  dell'imperatore  dei  francesi  — ■  venuti  in 
Italia,  anche  una  volta,  per  la  salvezza  del  trono  pa- 
pale, e  per  fare  la  prova  del  loro  chassepot  sui  petti 
dei  vctlontari  garibaldini,  che  erano  ridotti  nell'iiupos- 
sibilità  di  dìfeDdersi, 


Giunto  a  Monterotondo  Oaribaldi  pensù  dì  or^'a- 
oizzarc  la  difesa  assernigliandone  l'entrala.  Ma  manca- 
vano del  tutto  le  munizioni  avendo  i  garibaldini  consu- 
mata &n  l'ultima  cartuccia;  quale  difesa  era  possibile  ? 

I  prodi  diffìnàori  del  governo  teocratico  portarono 
a  Roma,  ti'ofeo  di  vittoria,  i  due  cannoni  dì  Montero- 
tondo, no>i  nostri  7na  de/  Papa:  e  fu  una  mistiflcazione ! 

Port:iirono  è  vero  dei  pri^onieri  —  ma  anche  questi 
con  frode  perche  ^-iolarono  /  _/?fl//i  della  capitolazione 
segnata  col  comandante  del  Castello,  i  quali  sancivano 
che  tutti  i  garibaldini  che  si  trovavano  nel  Castello  e 
nelle  case  di  Mentana  dovevano  essere  compresi  nella 
capitolazione  e  lasciati  liberi  di  ritornare  alle  loio  case. 


Per  dare  un'idea  di  come  si  svolse  una  parte  del- 
l'azione, ecco  il  rapporto  del  colonuollo  Elia  al  ,L,'enernle 
Faìjrizi  : 


liapporto  del  Comandante  la  G"  Colonna 

ul  cupo  di  Stato  Maggiore  del  Comando   Genera/e 

Generale  Kicola  Fabrìzi. 

Ancona,  li  12  novembre   1867. 

Generale, 

«  Rispondo  air  Invito  diretto  dalla  S-  V.  a  tutti  i 
■comandanti  di  Colonne  che  si  trovarono  presenti  ul 
combattimento  di  Mentana,  inviandole  questo  rapporto 
sulla  parte  avuta  nel  combattimento  suddetto,  dalla 
■G"  coiouna  dji  me  comandata. 

«  Alle  ore  12  del  3  corrente  mossi  da  Monteiotondo 
lilla  testa  della  Colonna  seguendo  l'ordine  di  mareia 
prescrittami  dal  Comitndo  Generale  con  ordine  del  giorno 
della  sera  precedente. 

<(  Le  mie  forze,  molto  diradate  dopo  il  ritorno  a  Mon- 
terotondo.  si  componevano  del  18"  Battaglione,  ridotto 
a  195  uomini,  comandato  dal  maggiore  Perlach  Pietro, 
del  19"  comandato  dal  maggiore  Cesare  Gliedini  forte  di 
1Ì0O  uomini,  del  ao"  battaglione  comandiitù  da  Celare 
Bernieri  forte  di  'òiO  uomini,  rimasto  quest'ultimo  a 
Moutcrotondo  agli  ordini  dol  Coma^ndaiite  di  quella  piazza 
■colonnello  Carbonelli. 

«  Giunto  al  paese  di  Mentana  verso  la  1  p.  ni.  do- 
vetti fare  allo  essendomi  impediti  la  mavwa  dui  volon- 
(i(U'i  della  3*  colonna,  comandata  djil  colonnello  Valzania 
che  mi  precedeva,  i  quali  con  un'ordinata  contromarcia 
a  sinistra  passando  avanti  il  mio  ironie  si  portiivauo  a 
prendere  posizione  sulle-  colline  a  sinistra  del  pa^se.  Da 
qualche  ferito,  che  si  vide  passare,  avemmo  conoscenza 
■che  C-i  trovavamo  in  faccia  al  nemico  e  che  ai  posti 
avanzati  fransi  incominciate  le  fucilate.  In  quel  punto 
mi  venne  ordine  d-il  generale  Garibaldi,  trasmessomi 
■dal  suo  aiutan:,e  c^ipitano  CoccapieUer,  di  fure  oc- 
■cupare  da  parte  dei   miei  le   case   a   sinistra    di    Meu- 


372 

tóna.  Trasuiiài  l'ordine  ai  maggiori  Perlach  e  Ghedini, 
ed  i  nostri  vi  penetrarono  risoluti  secondo  1'  ordine 
elle  loro  diedi  a  respingere  Dt;ni  «ttac-co  del  nemico.  Vi- 
sta eseguita  tale  operazione  mi  poriai  presso  Garibaldi 
per  mettermi  a  sua  tlitìpoBÌzioiie.  E,^IÌ  uovavasi  a  metà 
del  paese  circondato  dai  vecchi  eompiigni  e  dai  suoi  aiu- 
tanti, dando  ordini  pel  eorabatttoiento.  Vedutomi,  mi 
cìaTa  incarico  di  raccogliere  quanti  avessi  potuto  dei 
nostri  e  di  spingermi  con  ossi  al  di  \k  delle  case,  che 
tbrmaiio  il  lato  sinistro  del  paese.  Ordinai  a  quanti  noti 
erano  nelle  case,  di  seguirmi  in  avanzata  verso  la  parte 
più  presa  di  mira  dal  nemico.  Avevo  con  me  i  maggiori 
Periacb  e  Ghedini,  l'aiutante  maggiore  Tironi,  l'aiutauie 
in  seconda  Barattini  Filippo,  l'ufficiale  d'ordinanza  Fala- 
Bchini  Pietro,  il  capitano  Berti  Antonio,  il  tenente  Au- 
gusto Marinelli,  il  mio  capo  di  stato  maggioro  capitano 
Boldrini,  il  capitano  Canini  di'i  MUle,  il  tenente  Occhia- 
lini ed  i  sottufficiali  Longhi,  Zagaglia^  Berecta,  Melap- 
pioni,  Berti,  Pezzali,  Leone  Bucciarellì,  .Saliara,  Beducci, 
Mariotti.  Marinelli  Lui^i,  Ferraioli  ed  i  caporali  Luigi 
Padiglioni.  Cesare  Burattini  e  1'  aiutanto  del  18'  batSar 
gliene  sottotenente  Luigi  Carnevali.  Si  erano  pure  uniti 
a  ,me  i  capitani  Grassi  e  Ballanti  ed  altri  volonCitri 
comandati  da  Salomone  (.')  e  da  Frigesy. 
Ordinai  a  questi  valorosi  di  spiegarsi  in  catena  e  rasen- 
tando le  siepi,  flaiicheggianti  la  strada  che  taglia  quei 
campi  e  conduce  iilla  villa  Santucci,  di  spingersi  avanti 
nell'intento  di  sloggiare  il  nemico  dalla  villa  da  easo  oc- 
cupata. Igaribaldioi  rispondevano  da  bravi  al  fuoco  ne- 
mico e  gli  urtìciali  ne  li  incoraggiavano. 


1")  Il  3'  hai lagi ione  della  colonna  Salomone  camaniiitT  ria!  mag- 
giore Ravelli  jii-p^e  ^t.tvnua  parte  al  eombttUiirienlo  a  fimrn  tliei  iriiw:  rlcj 
battaglione  liit-evano  parte  ai-coni  anwnitìMji  fra  i  quali  il  furicr-^  AH«!- 
braniio  Campii^ncili  i.'he  a  Moo te libr triti  si  ronduiìse  con  Iftfilo  valere  ila 
vpniry  pi-opo-ilci  per  In  ]ironimionp  .id  uH'ciiile.  A  Mi  ntima  i!  Cunfii^iiulì 
i;ìinhfiit=nrfo  ft  corfo  n  «-"rpo,  vnns  fnril^  di  fToIjm  tli  baioTiflUa  e  fetto 
prigi  aKtu  dai  Irancrsi. 


ftTS 

«  Eravamo  fulminati  iill'iirtiglieria  e  dal  f'aoco  vivis- 
simo delle  carabine;  più  di  un  volontario  era  caduto 
al  mio  fianco  e  primi  fra  tutri  il  naio  Jiiutante  Tironi,  e 
il  capitano  Antonio  Berti  che  bravamente  rimasero  al 
loro  posto.  La  faccenda  si  taceva  sempre  più  seria;  man- 
dai l'aiutante  in  seconda  Barattini,  con  ordine  di  riunire 
quanti  dei  rosti'i  avesse  potuto  e  me  li  portasse  al 
l'uoco,  ma  ritornò  solo.  Si  era  da  ogni  parte  impegnati 
e  non  conveniva  fare  scendere  i  garibaldini  vhe  occu- 
pavano Le  case;  privi  di  rinforzi  ed  incaìzati  da^fli  Zuavi 
ponEìfiei  fin  sotto  le  case  di  Mentana,  volli  tenwre  iin 
colpo  ;  riuniti  intorno  a  me  quanti  più  ne  potei,  di  uf- 
flciali  e  soldati,  oi-dinai  una  carica  alla  baionetta.  Coa- 
diuvati dai  nostri,  che  dalle  case  tiravano  addosso  iiyii 
assalitori  e  dal  tiro  dei  cannoni  che  il  Generale  aveva 
fatto  piazzare  in  buon  posto,  i  miei,  incoraggiati  dagli 
ufficiali  che  marciavano  in  testa  primi  ad  esporsi,  si 
slanciarono  contro  i  papalini  e  sotto  gli  occhi  di  Gari- 
baldi, giunto  allora  sul  posto,  di  Fabnzi,  dì  Menotti,  di 
Ricciocti»  di  Canzio,  di  Mario  e  di  altri  bravi,  mettono 
in  fuga  gli  assalitori  incalzandoli  colla  punta  della  ba- 
ionetta. Fu  un  attacco  hril  lauti  ssimo,  e  cosi  ben  riuscito 
che  si  credette  per  un  momento  alla  vittoria. 

«  Ciò  avveniva  verso  le  4  pom.  ;  ma  passato  poco 
tempo  ci  vedemmo  più  fortemente  assaliti  in  altro  punto. 

■  Il  nemico  cambiata  direzione  all'intacco  spin- 
geva forti  colonne  sulle  alture  di  siaiatra,  difese  da  Val- 
znnia,  allo  scopo  dì  tagliarci  la  ritirata  su  Monterotondo, 

«  La  natura  dei  tiri,  la  regolaritìi  e  rapidità  dei  me- 
desimi, il  fischio  delle  palle,  tutto  aveva  cambiato.  Xon 
erano  pilli  le  truppe  papaline  che  si  battevano  contro  i 
pochi  ed  estenuati  garibaldini,  privi  ormai  di  munizioni; 
stavano  dì  fronte  ad  essi  i  primi  soldati  del  mondo  che 
facevano  le  prime  prove  dei  loro  Chiissepot  sui  petti  dL'i 
pati'iotì  italiani. 

«    La  colonna    Vjdzania   stette   salda    finché    ebbe 
cartuceie  da  sparare  contro  il    forraidabhe    assalto;   ina 
poi,  sopraffatta  da  forze  imponenti  e  ridottiisi  senza  mu- 
25 


374 

nizioni,  dovecte  ripi0g:are.  Abbandonate  le  elture  di  si- 
nistra, s'imponeva  a  noi  pure  di  peiifiare  ni  casi  nostri. 
Avutone  il  LiQusenso  dnl  Generale  FaUrìzi  cJie  mi  stava 
vicino,  chiamai  a  ritccolcii  e  feci  battere  la  ritirata. 

«  Non  furono  però  in  tempo  di  ritirarsi  i  molti,  ohe 
trovaviinbi,  per  ordine  avuto  dal  Generale,  ad  occupare 
le  case  ed  il  Castello  di  Mentana,  i  quali  furono  £attl 
prigionieri  con  evidente  violaziono  dt-i  patti  della  Capi- 
tBlazione.  Armata  da  un  ufficiale  superiore  francese  e  dal 
comandiLiiiL'  U  foruu  gciribaldiuo  rinchiuso  nel  Castello, 
e  condotti  come  tali  a  Roma.  Fra  questi  si  trovarono 
molti  del  18"  e  19"  battaglione  appeuteneuti  alla  mia 
colouua. 

«  H  20"  battaglione,  pure  facente  parte  della  mia 
6'  colonna,  rininato  a  Monterotondo,  fece  anch'esso  il 
suo  dovere.  Il  bravo  capitano  Litt/i,  che  lo  comandava 
in  aissenza  del  maggiore  Bernieri,  visto  che  a  Mentana 
erasi  impegnata  con  calore  l'azione,  allo  scopo  di  garan- 
tire ai  nostri  In  ridratti  in  caso  di  roveseio,  portò  la  mag- 
gior parte  d«lle  sue  forze  ad  occupare  i!  convento  dei 
Cappuccini  situato  in  buona  posizione  elevata  sullastrada 
che  va  a  Mentana,  da  dove  potè  arrestare  la  foga  dei 
iiranceBÌ,  che  si  avanzavano  ini^egueudo  1  nostri.  Giovò 
non  poco  l'azione  risoluta  del  capitano  Raffaello  Giova- 
gnoli,  che  si  trovava  al  Romitorio,  da  dove  respingeva 
i  ripetuti  attacchi  del  nemico.  Egli  volle  tentare  un  ul- 
tima conti'ocariea  alla  testa  dì  un  cen  linaio  di  valorosi, 
che  fecero  prodigi.  Molti  di  quei  bravi  caddero  attorno 
al  Giovagiioli  colpiti  dalle  palle  dei  Chassepot  dell'im- 
peratore di  Francia  ;  ira  (juelli  che  i>ìli  si  distmsero  per 
valore,  priraejrgiò  il  sottotenente  Luigi  Coralizzi,  che  ri- 
portiiva  grave  ferita  alla  testa  da  farlo  ritenere  per 
morto,  e  il  quindicenns  Carlo  KafFaeli. 

(f  Tutti  fecero  il  proprio  dovere.  Gli  ufficiali  molto 
si  diaiinsero  per  ardire  e  sangue  freddo  nel  condurre  i 
Tolontiiri  al  combattimento. 

Il  comandante  la  6"  l'olonr.a 
Col.  ^1.  Elh. 


S?5 
Dopo  il  sanguinoso  combattimenlo  e  la  ritirato,  il 
generale  fu  per  lungo  tempo  deciso  à  continuare  la  resi- 
stenza in  Moiiterotondo.  Non  voleva  sentire  parlare  di 
ritirata.  Agli  amici  che  gliela  consigliavano  egli  rispon- 
deva «  La  nostra  bandiera  é  Soma  a  Morte.  Kon  siamo 
andati  a  Roma  dobbiamo  morire  qui  !  »  Ma  i  comandanti 
di  colonna,  credettero  loro  dovere  d'insistere  nell'inte- 
resse delki  patria,  e  vollero  che  l'Elia  assumesse  Tin- 
cnrico  del   tentativo  ad  essi  fallito. 

Ma  l'Elia,  consapevole  degli  inutili  sforzi  fatti 
dai  compagni,  rifiutò  in  sulle  primo  di  fare  altro  teii- 
■  tatÌFO  ma  poi  dovette  an-enderei  alle  insistenze  repli- 
cate, e  fu  con  non  poca  fatica  che  potè  riuscire  a  per- 
suadere il  generale,  che  la  vita  sua  e  quella  dei  suoi  do- 
veva essere  conservata  all'Italia.  Il  generale  finalmente 
scosso  domandò  se  Fabrizi,  Menotti  e  Riuciotti  erano 
rientrati,  ed  avendo  Elia  risposto  affcrm attivamente,  gli 
diede  l' incarico  di  ordinare  la  ritìiata  su  Passo -Corese.  La 
■ritirata  fu  eseguita  senz'essere  punto  molestata  e  si  passò 
lanette  sul  territorio  ancora  tenuto  dal  papa  per  virtù 
dell'intervento  dei  soldati  dell'imperatore  di  Francia. 


Quando  al  mattino  il  generale  entrava  nel  territorio 
italiano,  il  primo  che  gli  si  presentò  fu  il  colonnello 
Cara  va,  già  suo  ufSciale,  allora  comandante  del  4"  gra 
natieri  di  guardia  al  confine,  il  quale  dm^ante  la  cam- 
pagna si  era  fraternamente  interessato,  in  tutti  i  modi 
po&slbiH,  permessigli  dalla  dist^ìplina, de' uosni sbandati 
e  dei  nostri  feriti.  Garibaldi  gli  porse  la  mano  e  gli  disse  : 

«  Colonnello,  siamo  stati  battuti,  ma  potete  assicurare 
i  nostri  fratelli  dell'esercito  che  l'onore  delle  ai'mi  ilji- 
liane  è  salvo  ». 

Eloquente  epigrafe  di  quella  camp;igna,  <vhe,  nel 
1899  ebbe  il  battesimo  della  patria  riconoscenza  al- 
lorché per  volontà  del  parlamento  fu  rieouoaciuta  cam- 
pagna naziojìah. 


375 

Dippoi  sì  fece  la  consegna  delle  armi  da  parte  dei  sol- 
dati volontari  alle   truppe  italiane. 


Quando  i  compari  presero  oorgedo  dal  gener^e 
che  saliva  sul  treno  per  Fiieiize,  tutti  pmno  commossi; 
Elia  gU  disse:  —  «  Xon  tarderà  altra  occasione  —  ri- 
cordatevi dime  generale!  ».  Ed  Egli  tenendogli  la  mano 
fra  le  sue,  rispondevn:  —  <  Mi  ricorderò  di  voi,  come 
della  mìa  sciabola  ». 

Mentana  può  considerarsi  come  uno  dì  quei  casi  fe- 
talt  che  affrettano  1  destini  di  una  Nazione  ;  come  un 
olocausto  inevitabile,  necessario  1  Questo  glorioso  com- 
battimento, anche  uua  volta  dimostrò  che  gì'  tulliani  si 
battono:  4000  garibaldini,  male  armati,  quasi  senza  mu- 
nizioni, tennero  gaglliardamente  testa  a  6000  papalini 
ed  a  5000  francesi,  consideniti.  giustanientp,  i  primi  soldati 
del  mondo,  jirmnii  dì  Chassepot,  tenendoli  a  rispettosa 
(iistanza  per  mezza  giornata  e  facendo  pagar  cara  la 
loro  vittoria, 


CAPITOLO  XXVI. 

Nozia  di  S.  A.  R.  il  Principe  Umberlo  I. 
con  S,  A-  R.  la  Principessa  Margherita  di  Savo 


iia. 


Il  21  Aprile  del  186S  fu  giorno  dì  lieto  avveni- 
mento per  l'Italia  e  per  la  casa  di  Savoia.  —  Xel 
Reale  palazzo  di  Torino  ebbe  luogo  la  solenne  cerimo- 
nia della  scritt-1  nuziale  del  Principe  Reale  Umberto 
tìglio  ereditario  di  S.  M.  il  Re  Victorio  Emiinuele  II  e  di 
S.  A.  R,  la  Principessa  Maria  Margherita  di  Savoia  figlia 
del  principe  Ferdinando  duca  di  Genova  e  della  prin- 
cipessa Elisabetta  di  Sassonia. 

Facevano  corona  a  S.  M.  il  Re  ì  Principi  Ri  R.  i 
Cavalieri  dell'Ordine  Supremo  dell'Annunziata,  i  Mini- 


stri  Segretari  di  Stato,  le  Depute^zioiiì  del  Senato  e  della 
Camera  dei  Deputati,  1  rappresentanti  del  Comune,  le 
dame  d'Onore,  i  grandi  dignitari  di  Corte  e  le  princi- 
pali Autorità  Oi.vili  e  Militari. 

Testimoni  al  nuzial  contratto  erano  S.  A.  R.  il  Prin- 
cipe di  Carignano,  S.  E.  il  Marchese  Alfieri  di  Sostegno. 

AssisCevano  alla  firma  il  Re  Vittorio  Emanuele  e 
la  Regina  di'  Portogallo,  i  Principi  della  Casa  di  Fran- 
cia e  il  Principe  ereditario  di  Prussia. 

Il  giorno  'Ài,  nella  Città  clie  li  vide  nascere  si 
compiva  r  unione  dei  due  Principi  chiamati  a  reggere 
le  sorti  d'Italia. 

Alle  ore  10  fu  'celebrato  il  uiati-imonio  civile  — 
Compiuto  il  rito  civile,  fu  celebrata  la  Messa  da  Monsi- 
gnore l'Arcivescovo  di  Torino  che  a!4sistit;o  da  altre  au- 
toritii  ecclesiastiche  impartiva  ai  Reali  Sposi  la  benedi- 
zione Nuziale.  • 

Dttrantc  la  funzione  le  bande  dei  reggimenti  di  pre- 
sìdio e  della  Guardia  Nivzionale  eseguivano  sulla  piazza 
Reale  una  grande  serenata.  Il  popolo  il  cui  concorso  era 
immenso,  featante  dimostrava  la  sua  gioia  per  l'auspicato 
evento,  con  incessanti,  unanimi,  ovazioni,  acclamando 
con  frenetici  evviva  agili  Sposi  RR.  che  più  e  più  volte 
si  presentavano  alla  flnescra  del  Reale  Palazzo  per  rin- 
graziare e  isalutare. 

Alle  5  pom.  le  LL.  Maestà,  i  Principi  della  Reale 
Famiglia  e  i  Principi  Esteri,  intervennero  alle  corse  che 
si  tennero  con  immenso  concorso  di  popolo  festante  in 
Piazza  d'Armi. 

Tanto  nell'andata  che  nel  ritorno  —  come  all'ar- 
rivo in  piazza  d'Armi  e  nella  partenza  —  gli  Augusti 
Sposi  —  ebbero  dall'  immensa  folla  di  popolo  accalcato, 
unanimi,  frenetiche  acclamazioni  —  e  grida  di  «  Ev- 
viva! »  Interminabili,  La  città  tutta  offriva,  un'aspetto 
animatissimo  di  festa  generale. 


380 


Quanti  f^entono  amore  per  la  liberty  della  patria 
conquistata  con  tanti  sacrirtzi  concordi  salutano  questo 
giorno  felice  per  la  Dinastia  Sabauda  sotto  i  cui  auspici 
sì  è  fatta  l'Unità  —  giorno  felice  anche  per  la  Nazione 
—  facendo  YOti  per  Ha  prosperità  de^li  sposi  e  perchè 
t^plendaiio  nella  Reggia  —  allietata  dalla  ^e^senza  della 
Principessa  Marglic-rita,  le  cui  divine  sembianze  già  sono 
acolpite  nel  cuore  d'ogni  italiano  —  quelle  sante  virtù 
dotnestiche  che  sono  di  nobile  esempio  ai  popoli  —  e  per- 
chè vongA  eoi  giovine  Principe  congiunto  al  vaiore  di 
Cui  ha  dato  prova  —  quel  senno  forte  e  previdente  ne- 
ceasario  per  compiere  Topera  di  rigeuerazioue  nazionale 
così  felicemente  avviata  dal  Grande  Suo  Genitore. 


CAPITOLO  xxvn. 

Il  1870  ~  Digione  —  Entrata  in  Roma. 


Sul  principio  del  1870,  scoppiavano  una  dietro  l'altra, 
le  uotizie  deiranno  terribile;  l'antico  duello  tra  Francia 
e  Gernaania  ripreso  :  il  primo  esercito  francese  distrutto 
aWorth  e  a  GravelotCe;  ìl  secondo  annientato  a  Sedan; 
l'imperatore  stesso  fatto  prigioniero  ;  l'impero  caduto  e 
in  Frauda  la  repubblica  proclamata  ;  g-li  eserciti  di  Ger- 
mania socco  le  mura  di  Parigi. 

La  Francia,  troppo  grande  per  darsi  vinta,  faceva 
sforzi  eroici  per  rialzarsi. 

Mentre  il  governo  italiano  spinto  dall'unanime  vo- 
tontii  del  partito  liberale  ai  apprestava  alla  conquista 
di  Koma^  Gai'ibaldi  otìriva  la  sua  spada  alla  repubblica 
francese. 

Ma  al  governo  della  difesa  nazionale  non  giunse 
gradita  l'offerta,  e  l'avrebbe  respinta,  se  il  generale  Bor- 
done, amico  di  Garibaldi,  non  sì  fosse  assunto  rincarico 


381 

e  la  respoQsabilità  dì   scrivergli   che  sarebbe  stato  ac- 
colto a  braccia  aperte  dal  popolo  tVancese. 


Saputo  che  il  generale  voleva  andare  iu  Francia. 
Elia,  che  oou  molti  altri  era  pronto  ad  accompag^narlo,  gli 
scriveva  che  esso  e  i  compagni  aspettavano  una  sua  chia- 
mata, desiderosi  di  seguirlo;  contetuporanearaente  scri- 
veva airaraico  Catizio,  che  cosi  rispondevagli: 


Genova,  28  settembre  1870. 
Mìo  carissimo  Elia, 

«  Il  generale  è  prigioniero  a  Caprera  —  Menotti  a 
Catanzaro  —  e  in  Francia  non  ci  vogliono. 

«  Codesti  novelli  Bruti,  che  cg;gi  reggono  la  cosa 
publdica  in  Francia,  vogliono  diplomatìzzare  e  non  pen- 
sano a  prepariirsi  a  lotta  suprema,  che  abbia  per  obbiet- 
tivo^ la  cacciata  dell'invasione  straniera. 

«  M'ingannerò,  ma  essi  non  servono,  come  dovreb- 
bero, la  Francia  e  la  cau^a  repubblicana. 

«  Alla  generosa  e  patriottica  offerta  del  generale 
non  risposero  ancora;  allo  slancio  dei  volontari  con- 
trappongono ordini  rigorosissimi  ai  consoli  e  ai  confini 
donde  siamo  rimandali. 

«  Per  ora  io  ti  constf^lio  a  non  muoverti. 

«  Saluta  gli  amici. 


«  Aff.mo  tuo 
*.  S-    C'ami  o  ». 


E  cosi  Elia  e  gli  amici  suoi,  che  sarebbero  andati 
■col  generale  non  si  mossero. 

Coloro  che  seguirono  Garibaldi  e  vollero  dare  la  loro 
vita  per  la  Francia  tennero  alto  anche  una  volta  il  va- 
lore italiano  fugando  a  Digione  le  schiere  degli  inva- 
sori, vendicando   in   modo   altamente  generoso  il  fratri- 


388 

cidio  della  repubblica  Romana  e  la.  gloriosa  disfatta  di 
Mentana  causata  dall'intervento  delle  truppe  francesi 
voluto  dal  governo  imperiale. 


Nobile  sangue  italiano  fu  vei'snto  sul  suolo  francese, 
ed  è  titolo  di  gloria  il  rammentare,  che  l'unico  iiofeo 
che  si  conserva  in  Francia  di  quella  guerra  disastrosa, 
è  fa  bandiera  del  61°  reggimento  Prtussìano  sti'appala  sotto 
un  grandinare  di  palle  dai  garibaldini,  comandati  daKic- 
ciotU  Garibaldi. 


Ecco  quello  che  Garibaldi  dire  nel  suo  libro  :  <  Me- 
morie Autobiografiche  »  della  Campagna  dì  Frauda. 

«  11  governo  della  difesa  nazionale,  composto  di  tre 
onesti  individui  meritevoli  della  fiducia  del  paese,  mi 
accolse  perchè  imposto  dagli  avvenimenti,  ma  con  fred- 
dezza: coli' intenzione  manifesta  di  voleisi  servire  del  mio 
povero  nome  —  ma  non  altro;  privandomi  dei  mezzi 
necessari  a  che  la  cooperazione  mìa  potesse  riuscire  utile. 

«  Gambetta,  Cremieus,  Glaìn-Dizoin  individualmeute 
furono  con  me  gemili;  ma  il  primo,  più  di  tutti,  da  cui 
avrei  dovuto  aspettarmi  un  concorso  energico,  mi  lasciò 
in  abbandono  durante  un  tempo  prezioso. 

<  Nei  primi  di  settembre  1870  fu  proclamato  il  go- 
verao  provvisorio  in  Francia,  ed  io  il  6  di  quel  mese 
offrii  i  miei  servizi  a  quel  governo  ;  e  quel  governo  stette 
un  mese  senza  rispondermi;  tempo  prezio^ìo  in  cui  si 
sarebbe  potuto  far  molto,  e  che  fu  iutierameiite  perduto. 

«  Solo  ai  primi  di  ottobre  seppi  che  sarei  stato  accolto 
in  Francia,  ed  il  generale  Bordone,  a  cui  solo  si  deve 
la  mia  accettazione,  venne  a  cercarmi  in  Caprera  col 
piroscafo  la  Vill&  da  Paria,  capitano  Condray,  sul  quale 
giunsi  a  Marsiglia  il  1  ottobre. 


«Esquiros,  prefetto  dell'illustre  citti'i  e  la  popola- 
zione entusiasraata  mi  accolsero  festosamente;  un  tele- 
gramma del  governo  di  Tours  mi  chiamava  immedia- 
tamente presso  di  se. 

«A Tours  perdetti  vari  giorni  per  l'indefisione  del 
governo,  e  mi  trovai  sul  punto  di  dovermene  tornare  a 
Caprera,  perchè  compresi  che  ero  poco  gradito;  l'in- 
carico che  si  voleva  darmi,  quello  di  organizzEire  alcune 
centinaia  di  volontari  italiani  che  si  trovavano  a  Chambery 
ed  a  Marsiglia,  lo  dimostrava. 

«  Dopo  vai'ie  controversie  coi  signori  del  governo, 
mi  recEii  a  D&ltj  per  raccogliervi  quegli  elementi  d'og-ni 
nazionalità,  che  dovevano  servire  di  nucleo  al  futuro 
esercito  dei  Vosges. 

<  I  Prussiani  marciavano  su  Parigi  dopo  Sédan,  e 
naturalmente  sui. loro  fianco  sinistro,  ove  s'addensavano 
le  nuove  reclute  della  Francia,  essi  dovevano  fouere  dei 
fiancheggiatori  ;  infatti  questi  più  volte  comparvero  sino 
nei  dintorni  di  Dòle,  ove  tetievo  pochi  uomini  in  via 
d'organizzazione,  poco  equipaggiati,  e,  quel  che  è  peggio, 
per  mollo  tempo  male  armati  ;  il  nostro  contt^gno,  co- 
munque, fu  energico,  .prendendo  posizione  «  Mont  Rol- 
land  prima,  e  poi  nella  Foret  de  la  Serre,  dimodoché 
Dòle  rimase  inviolata  per  tutto  il  tempo  cho  noi  vi 
soggiornammo. 

«  Da  DóIe  ebbi  ordine  in  novembre  di  portarmi 
colla  mia  gente  nel  Morvan,  minacciato  dal  nemico, 
assieme  all'  importante  stabilimento  metallurgico  del  Cre- 
uxot. 

o  Io  scelsi  Autuii  per  porvi  il  mio  quai-tier  gene- 
rale; l'arrivo  degli  Italiani  di  Tanara  e  di  Kavelli,  di 
alcuni  Spugnoli,  Greci,  Polacchi,  e  di  alcuni  battaglioni 
di  mobili  cominciò  a  rialzare  l'effettivo  del  nostro  pic- 
colo esercito,  anche  perchè  avemmo  alcuni  pezzi  da 
montagna,  due  batterie  di  carapagna  e  alcune  guide  a 
cavallo:  la  maggior  parte  d'italiani. 

«  Si  organizzarono  tre  brigate  ;  la  prima  comandata 


J 


384 

dal  generale  Bossack  ;  la  seconda  dal  colonnello  Delpeck 
elle  poi  passò  sotto  gli  ordini  del  coloiinn'llo  Lobbia,  e 
la  terza  comandata  da  Menotti;  la  qiiami  brigata  sotto 
il  comando  di  Ricciotti,  si  componeva  da  princìpio  di  sole 
-compagnie  di  franchi  tiratori,  operanti  in  colonne  vo- 
lanti, e  SLiir  ultimo  della  campagna  venne  accresciuta 
con  alcuni  liattaglioni  dì  mobilizzati.  Capo  di  Stato  Mag- 
giore dell'  Esercito  fu  il  generale  Bordone,  che  in  oc- 
casione di  mia  infermità  supplì  me  stesso  in  ogni  circo- 
stanza ;  Capo  del  mio  qiiartier  generale  fu  il  colonnello 
Canzio,  sinché  prese  il  comando  della  quinta  brigata  alla 
quale  aggiunsi  la  prima,  dopo  In  morte  del  generale  Bos- 
Back;  eouiandante  dell'artiglierìa  fu  il  colonnello  Olivier. 

«  I  due  nostri  squadroni  di  guide  furono  comandati 
-dal  Forlattì  ;  il  dottore  Timoteo  Riholi  fu  capo  dell'Am- 
bulanza ;  comandante  di  piazza  presso  il  quartier  gene- 
rale il  tenente  colonnello  Demag  ;  capo  del  genio  il  colon- 
nello tìaublair. 

«  Con  tale  organizzazione  movemmo  vei-so  la  metà 
di  novembre  per  Arnny-le-Duc  e  la  Valle  dell' Ouche  che 
scende  a  Dijon,  ove  si  trovava  l'esercito  prussiano  di 
Werder  che  mìnatciava  la  vallata  de!  Rodano,  e  che 
teneva  i  suoi  avamposti  verso  Dòle,  Nuits,  Souhemon, 
taglieggiando  con  delle  scorrerie  tutti  i  paesi  circon- 
vicini. 

«  n  sedicente  esercito  dei  Vosges,  forte  di  circa 
ottomila  iLomini,  marciava  dunque  contro  1'  esercito  vit- 
torioso di  ÌVerder  di  oltre  ventimila  uomini  con  molta 
artiglieria  e  cavalleria. 

«  I  nostri  tiratori  impegnarono  subito  varie  scara- 
muccia di  non  grande  rilievo,  eccettuata  Ut  brillante 
impresa  di  REcciotti  su  Chatillon  sur  Scine,  e  quella 
d'Ordinarie.  Nella  prima,  i  franchi  tiratori  della  quarta 
brigata  eseguirono  una  maguiflca  sorpresa,  la  quale  é 
narrata  nell'  ordine  del  giorno  seguente  : 


38f> 


ORDINE  DEL  GIORNO 


«  Ifranclii  tiratori  dei  Vosges,  i  cacciatori  cieli' Is6re, 
i  cacciatori  delle  Alpi  (Savoiardi),  il  bjittfiglione  del 
Doubs,  ed  i  CiiocìfiCon  dell' Havre  che  sotto  la  direzione 
di  Ricfiotti  Gtii'ibaldi  lian  presa  parte  all'affare  di  Chfltil- 
loD,  h;miio  ben  nieritftto  della  Repubblica. 

«  In  numero  di  qu-ittrocento  essi  assalirono  circa 
mille  uomini,  li  sconfissero,  fecero  loro  ceatose^san basette 
prigionieri,  fm  cui  tredici  ufRcìali,  presero  otfantadue 
cavalli  sellati,  quattro  vetture  d'armi  e  munizioni  e  il 
carro  della  posta.  I  nostri  ebbero  sei  morti  e  dodici  fe- 
riti, assai  più  i  nemici.  Haccomando  i  prigionieri  alla 
generoHità  francese. 

«  Arnay-le-Duc,  21  novembre  1870. 

G,  Ga-ì'ibaìd't  ■». 

«  Eravamo  alla  metA  di  novembre  e  nulla  si  era 
Ancora  da  noi  operato  d'importante;  qualche  cosa  con- 
veniva fere. 

t  Misurar&i  in  un  attacco  di  giorno  contro  l'eaet' 
cito  di  ■V^''erder  che  occupava  Dijon,  sarebbe  statai  una 
stoltezza,  si  poteva  fare  un  tentativo  di  notte.  i)i  notte 
la  diversità  delle  armi  spariva,  giacché  anche  in  Fran- 
cia c'eran  toccati  i  soliti  ferracci;  oltre  che,  io  avevo 
per  niasaima  che  non  si  deve  sparare  in  un  attacco  di 
notte,  massime  da  militi  nuovi. 


i  La  mattina  del  36  novembre,  essendo  io  montato 
a  cavallo  a  Limteuay  per  riconoscere  quell'altipiano,  mi 
trovavo  con  lo  ^ttUo  Maggiore  su  quelle  alture,  quando 
una  colonna  di  più  migliaia  di  prussiani  con  le  tre  tirmi, 
uscita  da  Dijoii,  avanzavasi  per  la  strada  maestra  verso 
di  noi. 


4$6 

«.  Ordinai  a  tutte  le  forze  che  si  trovavano  nel  vU- 
la^'^io  di  Ljiiitenay  di  salire  suH'altipiaiio,  e  le  collocni 
di  mano  in  mano  che  arrivavano  nei  loro  posti  dì  bat- 
taglia, a  destra  e  sinistra  della  sirada  per  eiiì  giunge- 
vano, lasciando  sulla  stessa  stradii  alcimi  battaglioni  in 
colonna  come  riserva,  e  por  unjL  carica  dt-eisiva,  iu  caso 
che  il  aeiuìco  sì  spingesse  sino  alte  nostre  linee.  La 
maggior  parte  della  terza  brigata,  che  formava  il  nerbo 
delle  nostre  forze,  occupava  la  sinistra  schierata  sull'orlo 
del  bosco,  con  le  sue  linee  dì  tiratori  in  fronte  sul  ci- 
glione della  collina  che  dominava  il  bosco  stesso.  Le  ri- 
serve nella  strsida  appartenevano  esee  pure  alla  terza 
brigata. 

I  carabinieri  genovesi  erano  collocaci  all'  estrema 
siniatra,  e  la  nostra  artiglierìa  composta  di  una  batteria 
di  camparla  da  4  rigata  e  di  due  batterie  da  montagna, 
ai  era  collocata  alla  sinistra  dei  genovesi  in  posizione  do- 
minante tutte  le  altre. 

«  Sulla  nostra  destra  eranvi  i  franchi  tiratori  di 
Lhost  che  furono  poi  rinforzati  ihi  quelli  di  Ricciotti.  La 
poca  cavallenii  s'era  collocata  in  fronte  del  centro  nostro 
in  una  depressione  del  terreno.  Si  aveva  sotto  mano 
una  forza  di  cinque  mila  uomini  in  tutto. 

*  Nel  combattimento  di  Lantemiy,  2li  novembre  1870^ 
non  prese  parte  né  la  prima  né  la  secouda  brigata.  La 
prima,  perchè  nel  giorno  anteriore,  verso  Fleury  in  con- 
seguenza di  quel  combattimento,  erasi  ritirata  su  Pont 
de  Pany.  La  seconda  era  in  marcia  ed  arrivò  il  27  a 
Lantenay. 

a  II  reggimento  Ravelli  della  terza  brigata,  composto 
d'italiani,  era  pure  assente,  trovandosi  verso    l'ituche. 

«  Occupato  Paque  dal  nemico,  lo  feci  avanzare  due 
pezzi  della  nostra  artiglieria  sostenuti  da  alcune  linee 
di  tiratori,  che  cacciarono  con  pochi  tii'i  il  nemico  dal 
villaggio. 

«  Mentre  ciò  succedev;i.  1  Prussiani  avevano  fatto 
gran  mostra  delle  loro  forze  schierandole  sulle  dominanti 


ssn 

alture  di  Frenola.  Mentre  il  loro  battaglione  si  ritirava 
con  precipitazione  da  Paques,  appena  sotjtenuti  da  alcuni 
pe^zj,  non  fecero  avanzare  la  superba  linea  che  stava 
in  riserva  —  «  Dunque  essi  non  sono  in  gran  forza!  * 
ecco  il  ragionamento  che  io  mi  feci  subito  —  «  Non 
vengono?  ebbene  andiamo  noi  a  trorarli  ».  —  Mi  decisi 
quindi  di  atCaccarli,  e  marciammo  risolutamente  contn» 
il  nemico,  colla  stessa  ordinanza  di  battaglia  con  cui  lo 
avevamo  aspettato  nelle  posizioni  nostre- 

€  I  nostri  franchi  tiratori  di  destra  caricai'ono  la 
sinistra  nemica  bravamente,  minacciando  di  avvolgerla. 
La  terza  brigata  avanzava  in  ordine  perfetto,  colle  sue 
linee  dì  bertì;tglieri  al  fronte,  seguita  da  colonne  di  bat- 
taglioni cosi  serrate  da  destare  invidia  ai  soldati  i  pii!i 
a^uerriti. 

«  Le  artiglierie  nemiche  collocate  sulle  alture  di 
Prenois,  fulminavano  le  nosti'e  linee,  come  sanno  fare 
gli  artiglieri  prussiani;  eppure  non  sì  scorgeva 'nei  centri 
la  miuinia  esitazione  ;  nessuna  ondulazione  nelle  linee, 
ammirabile  il  loro  contegno;  Tcnergiii,  !a  fermezza  e  la 
fredda  bravura  delle  truppe  repubblicane,  hcossero  l'im- 
passibile intrepidezza  dei  vincitori  di  Sédan  ;  e  quando 
essi  videro  che  non  si  temevano  le  loro  granate,  ma  si 
avanzava  coraggiosamente  e  celeremente  alla  carica, 
cominciarono  la  loro  ritirata  su  Dìjon.  Due  sole  nostre 
compagnie  ohe  avevano  fiancheggiato  il  villaggio  sulla 
destra  in  sostegno  della  nostra  cavalleria,  caricarono 
insieme  un  battaglioue  di  riseTva  prussiana,  che  con 
<ìue  pezzi  d'artiglieria  era  rimasto  indietro,  per  proteg- 
gere la  ritirata,  cagionandogli  forti  perdjr,e.  tìi  distinsero 
in  quella  carica  il  colonnello  Canzio  ed  il  comandante 
Boudet,  che  entrambi  ebbero  morti  i  cavalli. 

«  Lo  spirito  dei  miei  militi  era  stupendo;  eravamo 
stati  si  felici  nella  giornatiV  che  io  presi  la  risoluzione  di 
-tentare  un  colpo  disperato,  che  riuscendo  avrebbe  potuto 
rialzare  le  sorti  della  sventurata  repubblica  efoi&c  ob- 
-bligare  il  nemico  ad  abbandonare  Ffitìsedìo  di  Parigi,  ve- 


zèè  

dejidosi  miiiacciato  sulle  principali  sue  linee  rii  fomUTi' 
fazione.  Ma  quali  mezzi  aveva  posti  ih  min  mano  il  go- 
verno dell.-t  difesa'?  Io  rabbrividisco  pensandovi!  Era 
troppo  presumere,  sperando  nella  vittoria!  Però  in  una 
notte  piovosi  della  fine  di  novenubro  pensai  di  fare  un  ten- 
tativo; eonfldaTido  che,  in  caso  ^i  non  riuscita  avreiomo 
avuto  tempo  sufficiente  per  ritirarci,  decisi  l'attaceo,  I*a 
iniisf>ettftta  aggresHìone  produsse  m  Dijon  una  quEilclie 
contusione;  ma.  sia  detto  ad  onore  della  Gennania,  i  nu- 
merosi corpi  ivi  stanziati,  scagtionuronsi  prontamente 
nelle  forti  posizioni  di  Talaiit,  Fontaiue,  Hauteviile,  Dais 
e  ci  ricevetcero  con  una  grandine  tzile  di  fucilate,  come 
uon  vidi  mai  l'eguale. 

«  I  miei  giovani  militi  tennero  testa  e  con  bravura; 
i  posti  esterni  dei  prussiani  furono  assaliti  uno  dopo 
l'altro,  conquistati  e  distrutti  malgrado  una  Aera  dilesji. 

«  La  mattina  i  nostri  cadaveri  si  Crovavano  am- 
raonticdùati  sui  cadaveri  dei  nemici,  la  maggior  parte 
di  questi  forali  da  bajoneltc,  giacché  Tordiue  era  dì  'loa 
sparai'e. 

*  Giunti  sotto  Talant,  il  fuoco  nemico  era  troppo 
formidabile  per  poterlo  superare,  e  si  dovette  ripiegare 
a  destra  ed  a  sinistra  della  strada  maestra^  per  scansare 
i  tiri  diretti  che  la  solcavano  orribiJraente  e  facevano 
strage. 

«  Il  nostro  assalto  alle  posizioni  di  Dijon  cominciò 
verso  le  sette  pomeridiane  ;  era  molto  buio  e  tempo 
piovoso.  Sino  alle  10  ebbi  molta  fiducia  di  riuscire;  ma 
sorsa  quell'ora  i  capi  della  mia  avanguardia  mi  fecero 
sapere  esaere  inutile  persistere  neU'.issdlto,  essendo  spa- 
ventosa la  resistenza  del  nemico  ed  impossibile  fare 
avanzare  In  nostra  gènte.  Con  relutwnxa  mi  dovetti  con- 
formare alle  asserzioni  dei  miei  fidi  e  ordinare  la  ritirata 
che  per  ess^ere  di  notte  potè  effettuarsi  senxa  perdite.  Il 
nemioo  non  si  mosse  dalle  sue  posizioni  e  noi  non  fumm* 
disturbati. 

«  Luog'O  di  concentramento    di    tutti  i  corpi  in  ri- 
tirata del  sedicente  esercito  dei  Vosg-es  fu  Autiiii. 


*  Il  1"  decembre  il  nemico  imbaldanzito  dalla  nostra 
ritirati,  veurie  di-  sorpresa  ad  attaccarci  ad  Autini.  Col- 
locate le  loro  arliglierie  sulle  alture  di  Saint  Martin  co- 
ÌQÌnciarono  a  fulrainai'ci    —    Era   verso  il  mezzogiorno. 

«  Feci  collocare  1  nostri  dicìotco  pezzi  in  posizione 
dominante  quella  nemica,  e  questi  serviti  con  ardore  e 
bravura  dai  nostri  giovani  artiglieri,  tempestarono  di 
projetti  l'avversario  o  lo  obbligarono  dopo  più  ore  di 
combatti  mento,  a  portai'e  indietro  i  propri  pezzi. 

«  Alcune  compagnie  di  franco  tiratori  ed  alcuni  bat- 
taglioni di  mobili  lanciati  sul  fianco  sinistro  dei  Prus- 
siani, completarono  la  giornata,  ed  il  nemico  fu  obbligato 
a  ritirarsi. 

«  Ad  Autun  servimmo  di  cortina  e  protezione  ai  due 
movimenti  di  fianco  clie  si  operarono  dix  Cbagny  a  Or- 
leans dal  generale  Crousat^  e  dal  grande  esercico  della 
Loira,  comandato  dal  generale  Bourbaky  verso  l'est.  In 
conseguenza  del  movimento  del  generale  Bourbaky,  i 
prussiani  abbandonarono  Dljon,  e  noi  l'occupammo  con 
tutte  le  nostre  forze  ». 

Prima  di  abbandonare  Autun  il  generale  consegnava 
a  suo  figlio  Ricciottì  il  seguente; 


ORDINE  DEL  GIORXO 

1  *  Partendo  da  Autun  devi  pigliare  la  direzione  di 
Sémur  e  di  Montbard  per  turbare  le  comunicazioni  del 
nemico,  il  quale  occupa  Troyes  e  Auxerre. 

«  Potendo  arrivare  a  Montbard,  Chatìllon,  Chaiir- 
mont,  Xeufcliateau,  sulla  gran  linea  delle  comunicazioni 
dell'inimico,  la  «luale  va  da  Strasburgo  a  Parigi,  l'ope- 
razione divenwrii  molto  pili  ardua  e  pii'i  importante. 

K  All'uopo  di  compiere  con  successo  tale  missione  ci 
vogliono  militi  //'/  hw,  cioè  uomini  forti  ed  agili;  quanti 
noi  fossero  debbono  rimanere  ad  Autun  nei  depositi,  ove 
29 


serviiflnuo  dì  u&ccìolo  per  l'istruzione  doÌ  nuovi  franchi 
tirziiori. 

«  Sorpiissati  gli  Hvaiuposti  del  nos-tro  esercito  verso 
il  nord,  i  tuoi  movimenti  hanno  sempre  ad  effettuarsi 
di  notte. 

€  Che  l'aurora  ti  trori  sempre  imboscato  preferìbil- 
mente nei  lembi  dei  boschi,  sempre  pronto  a  sorprendere 
gli  esploratori  nemid,  i  loro  corrieri,  o  le  loro  vetto- 
vsglie.  e  sempre  a  portata  dei  boschi  e  delle  mouta,yne» 
per  assicurarti  la  ritirata. 

«  Xon  esf^eiido  punto  postiibLe  il  trar  carri  e  muU 
con  munizioni  di  riBcrra,  cìaiscuii  milite  duve  curare 
dUigeii temente  le  proprie  cartucce,  epporó  sparare  di 
rado  t-  bene, 

M.  Ti  raccomando  severissimamente  un  buon  contogno 
cogli  abitanti,  i  quali  devono  amare  e  stimare  i  militi 
della  repubblica.  Amati  dagli  abitanti  si  avranno  facil- 
mente buone  guide,  il  che  non  deve  mai  mancarti,  come 
pure  esatte  informazioni  delle  posizioni  del  nemico,  delle 
sue  forze,  ecc. 

«  Giunto  sulle  lìnee  di  comunicazioni  di  lui,  urge 
distrug^.i,'ervi  le  vie  ferrate  e  i  tele-grati. 

'>  Venendoti  fatto  dì  distruggerò  quella  da  Strasburgo 
a  Parig;!,  sarebbe  un  vero  colpo  di  mano. 

«  Mi  riprometto  da  te  ogni  notizia  che  possa  inte- 
ressarmi, ::iia  mediante  telegrafo,  sìa  in  qual' altro  modo 
che  ti  sarà  possibile. 

«  Incalzato,  o  inseguito  da  forze  superiori,  spartirai 
i  tuoi  in  tanti  pìccoli  di-suaccamenti,  i  quali  inganneranno 
il  nemico,  pigliando  direzioni  diverse,  e  ai  quali  tu  in- 
diclierai  un  ptuito  di  ricongiungimento. 

«  Autuiij  11  novembre. 

G.  Garibaldi  » 


Queste  istruzioni  e  le  disposizioni  date  dal  Generale 
sono  di  una  grandissima  importauza  storica,  giacché  sì 
è  tentato  dì  accusare  Garibaldi  di  non  avei'e  prestato  il 


suo  concorso  all'  armiita  dell'est  comandaUi  dal  generale 
Bourbaky,  mentre  le  mosse  eseguite  da  Garibaldi,  soste- 
nute dfl,  combattimenti,  provano  il  contrario. 

I  fntti  furono  i  seguenti: 

n  generale  Bourbaky,  comandante  l'armata  dell'est 
ai  era  mosso  con  120,000  buoni  soldati  per  act.".orrere  in 
aiuto  di  Belfort,  piazza  fortificata  fra  il  Doubs  e  l'Oignon 
nei  Vosgt  ;  mossa  ardita  che  avrebbe  invertite  le  sorti 
della  Frmicia,  se  questa  manovra  fosse  riuscita. 

La  stampa  francese  volle  censurare  il  gynei'itle  Ga- 
ribaldi, per  avere  permesso,  secondo  essa,  al  corpo  del 
generale  Manteiiffel  di  intercettare  lit  linea  d'operazione. 

Importa  notare  :  che  la  marcia  del  generale  Man- 
"teuflel  avvenne  nei  giorni  91,  ?2  e  33  gennaio  1871, 
giorni  dì  sanguinosi  combattinientì  sostenuti  dall'eser- 
cito dei  Vosgi  contro  le  forze  imponenti  del  generale 
Kettler. 

II  giorno  24  In  impiegato  a  riordinare  le  truppe  al- 
quanto scompaginate  dai  combattimenti.  II  giorno  25  di 
primo  mattino  i3  ooionneHo  Bagliiua  pjirtiva  con  gii  or- 
dini ricevuti  da-Oiaribaldi  alla  testji  di  II'  compagnie  ed 
Un  mezzo  squadrone  di  cavalleria  alla  volta  di  Auxonne 
e  la  sera  del  L*6  il  Monte -Roland,  chiavo  di  DSle,  ca- 
deva in  potere  delle  truppe  comandate  dal  Bjigliina  per 
il  qual  fatto,  la  via  dì  ritirata  &  sud-ovest  era  apertji 
all'iirmata  del  Bourbaky. 

Questo  avveniva  per  le  dJapctóizionì  strategiche  e 
previdenti  di  Garibaldi,  mentre  la  divisione  comandata 
dal  Crenier,  villeggiava  inoffensiva  tra  Gay,  Vesoul  e 
Montebouzon,  senza  utilità  alcuna  per  la  Francia. 


E  il  generale  Garibaldi  continua  cosi: 

«  Il  movimento  del  generale  Bourbaky  ben  ideato 
era  d'impossibile  esecuzione,  perché  le  condizioni  cD 
quel  grande  esercito  erano  assolutamente  disastrose. 


39a 

e  Venti  giorni  di  più  di  organizznzione,  passata  la 
terrilnile  stagione  della  ueve  e  dei  tctuHcci  di  gennaio, 
quel  nuni'ei'oso  e  giovitno  esercito  a\Tebbe  potuto  ravvi- 
VM^  le  speranze  della  Francia:  invece  esso  fu  sprecato 
6  distrutto  in  modo  orribile. 

«11  movimento  di  Manteuffel  parallelo  a  quelio  di 
Bourbflky,  per  ingrossare  le  forze  di  Werder  e  degli 
asaedianti  di  Belfort,  niì  era  noto:  e  io  avrei  fatto  tutto 
il  possibile  per  arrestarlo  iiella  sua  marcia  di  fianco.  Mi 
vi  provai,  ed  ero  uscito  da  Dijon  col  nerlo  delle  mie 
poche  forze  per  attapcai'e  il  nemico  a  la-Sur-Till,  lasciando 
al  comando  della  città  il  generale  Pellisier:  ma  le  forti 
colonne  che  mi  stavano  di  fronte,  quattro  volte  superiori 
alle  forze  che  erano  ai  miei  ordini,  mi  pei-suasero  a  ri- 
piigliare  le  primitive  posiaoni  :  nondimeno  due  delle  mie 
quattro  bricrate,  la  seconda  e  la  quarta,  operavano  sulle 
comunicazioni  del  nemico,  conj,'Ìuntamente  a  tutte  le  com- 
pagnie dei  miei  franchi  tiratori. 


«  Deciso  di  difendere  Dijon.  la  mia  prima  cura  fu 
di  continuare  le  opere  di  fortiiicaatone  che  erano  stale 
incominciate  dai  Prussiani, 

«  Le  posizioni  di  Talant  e  Fontaine  che  dominano  la 
strada  principale  che  va  a  Parigi,  furono  le  prime  ad 
essere  coronate  da  opere  volanti  e  vi  si  collocarono  a  Ta- 
lant  due  batterie  dì  campagna  da  12  e  due  da  4,  a  Fon- 
talne  una  batteria  da  4  di  campagna  ed  una  di  montagna 
dello  stesso  calibro.  Altre  batterie  da  12  si  collocarono 
in  altre  opere  innalzate  aMontemuzard,Montchappè,  Bel- 
lair,  e  in  altre  posizioni  nella  cinta  di  Dijon,  per  tener 
lontani  i  fuochi  del  nemico  in  caso  di  attacco,  che  io 
n&ì  aspettavo  da  un  giorno  all'altro. 

«  Ditatti  il  21  gennaio  il  nemico  ci  attaccò  dalla 
parte  di  ponente. 

*  Con  forti  posizioni,  coperte  da  muri  e  ripe,  con. 


393 

linee  di  tiratori  a  destra  e  a  sinistra  della  strada  mae-' 
stra,  e  con  trentaaei  pezzi  di  artiglieria  collocati  sulle  for- 
midabili posizioai  di  Talant  e  Fontaine,  la  nostra  difesa 
riusci  brillantissima.  La  formidabile  colonna  che  ci  venne 
dalla  parte  di  Parigi  poteva  ben  chiamarsi  ima  colonna 
di  acciaio  !  Furono  appena  bastanti  a  fermarla  1  nostri 
trentasei  pezzi  infilanti:  la  strada  e  varie  migliaia  dei  no- 
stri migliori  tiratori,  distesi  dietro  i  ripari.  L'attacco  fu 
veramente  formidabile;  io  vidi  in  quel  giorno  soldati 
nemici,  come  mai  avevo  veduti  migliori.  La  coloima  che 
marciava  sulle  nostre  posizioni  del  centro,  era  ammirar 
bile  di  valore  e  di  sangue  freddo.  Essa  ci  giungeva  sopra, 
compatta  come  un  nembo  a  passo  no]i  accelerato,  ma 
uniforme,  con  un  ordine  ed  una  pacatezza  spaventevoli. 

«  Questa  colonna,  battuta  da  tutte  le  nostre  arti- 
glierie in  infilata  e  da  tutte  le  linee  di  fanteria  in  avanti 
di  Talant  e  Fontaine  lateralmente  alla  strada,  lasciò  il 
campo  coperto  di  cadavei'^i,  e  per  varie  volte  riordinan- 
dosi nelle  depressioni  del  terreno,  essa  ripigliò  l'attncpo, 
con  lo   stesso  ordine  e  pacatezza  ammirevole. 

«  Che  famosi  soldati! 

<  Molto  valore  mostrarono  pure  i  nostri  in  quella 
memoranda  giornata  e  furono  veramente  degni  dei  ne- 
mici che  ci  assalivano. 

*  La  battaglia  durò  dalla  mattina  sino  al  tramonto, 
con  quanto  accanimento  fo^e  possibile  da  una  parte  e 
dftiraltra  e  senza  vantaggio  inarcato  di  nessuno.  Al  tra- 
monto noi  eravamo  padroni  delle  nostre  posizioni  ed  il 
nemico  stava  nelle  sue. 


# 


«  H  22  l'attacco  si  ripetè  con  e^'unle  accanimento; 
"la  Yalan^a  dei  prussiani  era  si  grande  che  fummo  mi- 
nacciati d'esserne  sepolti. 

<  Verso  la  metà .  della  giornata,  ci  minjw?.ciarono 
di  un  attacco  su  Fontaine,  e  v'inviarono  più.  battaglioni, 


394 

fingendo  un  assalto,  ma  subilo  dopo  comparvero  a  set- 
tenti'ìone  sullo  striidalo  di  Langres  in  due  colonne,  e  con 
filtro  forti  colonne  di  fiancheggiatori  da  levante  verso 
MontiuuzHi'd,  a  Saint-Apollinaìre. 

«  L'attacco  sulla  via  diLangres  fu  formidabile,  degno 
del  terrilnlo  esercito  che  ci  stava  di  fronte;  quasi  tutti 
i  nostri  corpi  piegavnuu,  meno  In  quarta  brigata  che  &i 
sostenne  fortemente  in  una  fabbrica  di  nero  animale, 
munita  di  un  chiuso,  ove  si  cran  praticate  delle  feritoie. 
Alcune  ceiiiiiiaia  di  militi  della  terza  brigata  in  forma- 
zione, gii\  decimata  nel  combattimento  del  21,  sosten- 
nero pure  l'iirro  in  uno  stabilimento  contiguo  più  in- 
dietro 0  si  riunirono  poi  alla  quarta.  Questi  corpi  rimasero 
per  un  peJi2o  avviluppati  dal  nemico,  per  la  ritirata  delia 
nostra  aEa  destra. 

«  Avendo  il  nemico  collocate  le  sue  artiglierie  sulla 
prima  collina  che  domina  Pouily  e  Dijon  a  cnimontana 
e  tirando  con  quella  maestria  a  cui  ci  avevano  assue- 
fatti i  prassiani  smontarono  in  poco  tempo  tutti  i  nostri 
pezzi  del  centro  collocati  sullo  strfKÌale  e  lateralmente, 
rispondendo  con  qualche  tiro  iln,  parta  nostra  coi  due 
pezzi  di  Montmuzard,  con  due  del  JJoutecliippè  e  con 
altri  due  che  si  collocarono  au  di  una  strada  obliqua  allo 
stradale  sulla  destra,  quandu  si  vide  rimpossibilltii  di 
tenerli  nella  prima  posizione,  fulminata  dalle  artiglierie 
nemiche. 

«  Verso  i!  tramonto  la  nostra  .situazione  era  delle 
più  critiche;  i  prussiani  padroni  del  campo,  minacciavano 
di  assaltare  la  città.  Ai  nostri  corpi  che  si  ritiravano  si 
procurava  di  assegnare  posizioni  più  indietro  presso  la 
cinta,  con  buoni  recinti  aleùni  dei  quali  muniti  di  feri- 
toie; ma  invano:  questi  presi  da  panico  non  pensavano 
che  metterai  in  salvo,  spargendo  l'allarme  in  città  e  lo 
spavento  dovunque, 

«  La  nostra  esti'ema  sinistra,  formata  per  la  mag- 
gior parte  della  terza  brigata,  e  situata  a  Talant  e  Fon- 
talne,  alla  vista  della   ritirata  del  centro,  aveva  spinto- 


395 

i  suoi  franchi  tiratori  sulla  destra  nemica,  e  marciava 
risolutamente  per  sostenerlo  e  ìrapeiirne  lo  smembra- 
mento; sull'imbrunire  alcuni  corpi  di  mobilizzati  sulla 
nostra  destra,  spiegandosi  energicamente  su  Pouilly, 
nbiettivo  principale  del  campo  di  battaglia,  ricacciarono 
il  nemico  dal  terreno  cOTiquistato,  e  lo  respinsero  sin» 
al  di  là  del  Castello.  In  tal  modo  la  quarta  brigata,  cui 
si  doveva  l'onore  della  pugnii,  v&nne  sbaraazatii  dal 
nembo  nemico  che  l'aveva  avvolta  da  un  pezzo;  anzi, 
onore  maggiore,  nel  respingere  i  reiterati  assalti  del 
01"  reggimento  prussiano,  e  combattendo  corpo  a  corpo, 
essa  pervenne  a  togliergli  la  bandiera  che,  eroicamente 
difesa  e  sepolta  sotto  un  monte  di  cadaveri,  fu  con  al- 
trettanto ardimento  oonqyistatit  dai  nostri  clie  la  vollero 
trofeo  del  valore  italiano. 

«  Io  mi  sono  trovato  presente  a  pugne  ben  mici- 
diali, ma  certamente,  poche  volte  ho  veduto  ai  gran  nu- 
mero di  cadaveri  ammonticchiati  su  piccolo  spazio,  come 
ne  vidi  in  quella  posizione  a  tramontana,  occupata  dalla 
quarta  brigata  e  da  parte  della  quinta. 

«  Nelle  prime  ore  della  notte  il  nemico  era  in  piena 
ritirata,  e  per  vari  giorni  ci  lasciò  tranquilli  a  Dijon  a- 
vendo  sgombrato  pure  i  villaggi  cìirostanti  che  furono 
occupati  da  noi. 

«  Le  notìzie  dell'  armistizio  (dal  quale  l'esercito  dei 
Vosges  era  stato  escluso)  dopo  la  capitolazione  di  Parigi  ; 
e  Hnalmente  l'emigrazione  deireserrito  dì  Bourbaky  in 
Svizzera,  cambiarono  la  faccia  delle  cose. 

«  lì  nemico,  lìbero  dall'assedio  di  Parigi  e  dello 
esercito  dell'  est  passato  in  Svizzera,  cominciava  ad  am- 
raa.ssare  su  di  noi  forze  imponenti,  e  malgrado  tutte  le 
opere  di  difesa  da  noi  eseguite,  esso  avrebbe  finito  per 
attorniarci  e  ischiacciarci,  come  aveva  fatto  a  MetZj  a 
Sedan,  ed  a  Parigi.  Kecessità  per  noi  —  essere  pronti 
a  tutto. 


396 


<  Dal  23  gennaio  al  1"  febbraio  vincili  sempre  ci  te- 
nemmo come  meglio  sì  potè  nella  capitale  della  Borgo- 
fina  iu  tutte  le  nostre  poaiziotii.  U  nemico  aveva  ca.pito 
che  pei'  scuoterci  occoiTevauo  grandi  forze,  e  u«  accu- 
mulava molte,  tanto  cbe  alla  tìng  di  gennaio,  le  sue  co- 
lonne occupavano  con  grandi  masse  il  nostro  fronte,  e 
cominciavano  a  stenderai  per  avviluppare  i  nostri  flaii' 
chi.  L'esercito  di  Manteuffel,  libero  di  quello  dell'est  di 
Boiirbfiky,  scendeva  verso  la  vallata  dei  Rodano,  e  mi- 
nacciava la  nostra  linea  di  ritirata. 

«  n  31  gennaio  ni  cominciò  a  combattere  verso 
la  nostra  i^inistra  dnl  mattiuo,  e  si  concinnò  sino  a  notte 
avanzata.  U  nemico  ci  tastava  su  vari  punii,  prendendo 
posizioni  al  di  fuori  di  Dijon  per  un  attacco  generale. 
Alcuni  corpi  prussiani  mostravansi  nella  valle  della 
Saone,  minacciando  di  pi^enderci  a  rovescio  per  la  no- 
stra destra. 

«  Non  v'  era  tempo  da  perdere.  Noi  eravamo  1'  ul- 
timo boccone,  che  avidamente  solleticava  il  grande  e- 
sercito  vincitore  della  Francia,  e  qnesto  voleva  iarci 
pagare  cara  la  temerità  di  avergli  coutrastiito  per  un 
monn;nto  la  vittoria. 

«  Ordinai  la  ritir^ita  in  tre  colonne:  la  prima  bri- 
gata comandata  da  Canzio,  a  cui  s' era  Aggregata  la 
quinta,  doveva  scendere  parallelamente  alla  strada  fer- 
rata di  Lione,  proteggendo  rartiglieria  pesante  e  il  no- 
stro materiale  che  marciavamo  ìu  vagoni.  La  terza  bri- 
gata con  Menotti  s'incamminò  per  la  vallaUi  dell'Ouche 
verso  Autun.  La  quarta  di  Riccìotti,  prese  la  via  di 
tìaint-Iean  di  Losne*  per  la  sponda  deatra  della  Saone 
verso  Verdun. 

II  quartiere  generale  parti  in  via  ferrata  dopo  avere 
fissato  a  Chagny  il  punto  centrale  della  riunione  dello 
esercito;  ì  vari  altri  corpi  e  compagnie  di  franchi  tira- 


397 

tori  distaccati  dalle  brigate,  furono  pure  diretti  al  punto 

dì  convegno. 

<i  Tutto  fu  eseguito  col  migliore  ordine  possìbile^ 
grazie  all'atlivitÌL  dei  capo  dì  stato  maggiore,  del  co^ 
mandante  generale  d'artiglieria  colonnello  Olivier-  e  dei 
comandanti  dei  corpi,  senza  essere  molestati  dal  nemico. 

«  Da  Chagny  il  quartier  generale  passò  a  Cha- 
lons  sur  Saone,  poi  a  Conrcelles  ». 

La  capitolazione  di  Parigi  essendo  un  fatto  com- 
piuto, e  L'armistizio  trasformato  in  prelimiiiari  di  pace, 
dopo  d'essere  stato  eletto  deputato  all'assemblea  di  Bor- 
deftus,  il- genei-jJe  r  8  febbraio  decise  di  recarci  in  quella. 
cittA  coU'unico  intento  di  portare  il  suo  vwto  alla  re- 
pubblica, lasciando  Menotti  provvisoriamente  al  comando 
dell'esercito.  Ecco  quello  che  ne  dice  Garibaldi: 

«  Tutti  sanno  come  fui  accolto  dalla  raAggioranza 
dei  deputati,  all'assemblea;  certo  quindi  di  non  potere  far 
più  nulla  pel'  quel  grande  e  sventurato  paese  che  ero 
venuto  A  servire  nella  sciagura,  mi  decisi  di  recaimi  a 
Marsiglia  e  dì  là  a  Caprera,  ove  giunsi  il  16  febbraio  1871> 


La  caduta  dell'impero  francese  ni  apriva  la  via  di 
Roma;  gli  animi  ritornavauo  al  grande  ideale  di  dare 
la  sua  capitale  alla  nazione.  Ma.  il  governo  non  si  de- 
cideva, le  lettere  che  «eguono  danno  luce  su  quel  fatto 
storico  della  più  grande  importanza  per  l'Italia; 


Carissimo  amico  Elia 


Ancona 


«  È  urgente  per  l'esistenza  e  l'avvenire  d'Italia  che 
8Ì  trasporti  la  capiuUe  a  Roma,  senza  dilazione. 

«  Riunite  iiumtmff  ed  aghaie  per  questo  l'opinione 
pubblica  colla  parola  e  colla  penna. 

«  Il  governo  è  ben  disposto,  ma  indeciso. 


398 

«  Siano  nostri  amici  personali^  o  no,  fatte  capire  ai 
democratici  di  costà  ed  ai  nazionali,  che  oggi  non  e'  é 
un  minuto  da  perdere  in  faccia  alla  situazione  europea. 
Bisogna  spingere  il  governo  a  Roma  e  subito.  Si  gridi 
Roma-  capitale  d'Italia  immediata,  dalle  Alpi  ai  due  man. 

Vostro 
L.  FrapoìU  >. 

Ed  in  Ancona,  città  altamente  patriottica,  si  ebbero 
meethuj  e  agnazione,  concordi  tutti  i  partiti. 

Firenze,  4  settembre  1870. 

Amico  coi,  Elia, 

Ancona. 

«  Giovedì  sera,  tutte  le  vette  dell 'appen nino,  da. 
Tenda  ad  Aspromonte,  devono  essere  illuminate  da  fuochi. 
,  «  Pensate  all'esecuzione  per  la  parte  vostra  sui  punti 
circostanti  prominenti.  Ceneri  e  SafB,  pensano  per  in  su. 
Parlatene  con  Pichi.  Verso  Chieti  abbiamo  i  nostri.  Pen- 
sate per  Sinigaglia. 
«  Viva  Roma. 

Vostro 

Z.  FrapolU  >. 

Firenze,  7  settembre  1870 
Amico  ! 

«  A  Roma  si  va.  Se  e'  è  qualche  ritardo  è  di  ore 
e  per  ostacoli  materiali.  Non  vi  lasciate  sviare  dalle 
notizie  dei  malevoli.  Fate  riunioni,  dimostrazioni,  fuochi 
dovunque.  Se  domani  sera  saremo  in  Roma  sarà  gioia. 
Se  no  incitamento  !  A  Roma  si  va,  l'Europa  è  concorde. 
Viva  l'Italia! 

Vostro 
L.  FrapolU  >. 


399 

E  A  Romn  si  andò   per  la  breccia  di  Porta  Pia  e 
il  sacro  Toto  dei  liberali  italiani  ornai  era  compiuto. 


»% 


H  7  settembre  1S10  il  Ministro  degli  Atfiiri  Esteri 
spediva  iiiia  cir'eoUire  alle  potenze  estere  cun  in  quale 
si  rendevano  noti  i  pericoli  che  minacciavano  la  patria 
e  la  chiesa,  concludendo  con  queste  parole  : 

«  S.  M.  il  Re,  custode  e  depositario  dell'iiite^-itii  e 
dell'inviolabilità  del  suolo  nazionale^  interessato  come  so- 
vrano di  una  nazione  cattolica  a  non  abbandonare  alla 
mercè  di  qualche  sorpresa  il  capo  della  chiesa,  prende. 
come  è  suo  dovere,  con  Muoia  in  taccia  della  rattolicità, 
e  deirEuropa,  la  responsabilitìi  del  mantenimento  deiror^ 
dine  nella  penìsola  e  della  tutela  della  Santa  Sede.  — 
II  governo  di  8.  M.  non  può  aspettare  a  risolversi,  av- 
venimenti c]ie  conducano  all'effusione  del  swngue  tra 
i  romani  e  le  forze  straniere. —  Noi  occuperemo  pertanto, 
allorquando  le  nostre  in  Cor  inazioni  lo  dimostrino  oppor- 
tuno, i  punti  necessari  per  la  sicurezza  comune,  lasciando 
alle  popolazioni  la  cara  della  loro  propria  auiministra- 
zione  ». 


*  • 


Ku  quindi  ordinato  cho  fossero  pi'onte  le  truppe  de- 
stinate all'occapazìone  di  Roma,  sotto  il  comando  del  ge- 
nerale Cadorna. 

Dato  l'ordine,  le  truppe  italiane  dopo  di  aver  occu- 
pato Viterbo,  Civita-Castellana,  Fresinone,  Cìviuivecchia 
6  le  terre  dell'Agro,  il  giorno  17  settembre  il  4'^  corpo 
d'armata  si  mosse  su  Romii;  da  altre  parti  inuoivevano  le 
divisioni  Bisio  e  Angioletti,  e  tutte  queste  truppe  furono 
disposte  intorno  alla  cìtitii  in  modo  da  accerchiarla. 

Nella  mattina  del  20  se^ttembre  fu  ordinato  l'attacco. 
La  Porta  Pia  veniva  sfondata  a  colpi  di   artiglieria,  e 


400 

acL-aiiCo  ad  essa,  aperta  la  breccia.  Ottenuto  questo  risul- 
tato, fu  oi<liiiftta  la  sospensione  dei  fuochi  d'^rtiglierÌA  e 
le  truppe  lurono  mandate  all'assalto.  I  battaglioni  dei 
bersaglieri  e  di  fanteria  si  avventano  a  passo  di  carica 
sulla  barnc^ata.  della  poita  e  dentro  l'apertura  della  brec- 
cia non  arrestati  dalla  mitraglia  e  dal  fuoco  di  fucileria 
dei  mercenari  pontifici  che  colpivano  non  pochi  dei  noscrì, 
fra  i  quali  il  bravo  Maggiore  Pagliai-i  dei  bersaglieri. 
Mentre  (|uesto  avveniva  a  Porta  Pia,  il  tjeueride  Bixio. 
dopo  essersi  impadronito  di  villa  Panfìli  e  del  Casino  dei 
quattro  venti,  aveva  att'rontato  e  sperso  il  nemico  a  Porta 
S.  Pancnizio. 

L'ingresso  delle  truppe  italiane  fu  accollo  con  segni 
di  vìvlt^inia  gioia  e  di  entusiasmo  da  parte  del  po]Kilo 
di  Roma. 

Il  giorno  22  il  Generale  Cadorna  insediava  in  Cam- 
pidogìio  la  Giunta  provvisoria  di  governo  clie  aveva 
composto  cosi  ; 

Don  MichelaiHgelo  Caetani  duca  di  Sermoneta  pre* 
Bidente:  principe  Francesco  Pallavicini, duca. Sforas  Ce- 
aarini,  Emanuele  dei  principi  RuBpoii,  prìncipe  Baldtìs- 
sare  Odescalchì,  Ignazio  Bonconapagni  dei  principi  di 
Piomliìno,  avv.  Ignazio  Placidi,  avv.  Vincenzo  Tancredi, 
Vincenzo  Tiitoni,  Pietro  de  Angelis,  Actiille  Gori  Maz- 
zoleni,  Felice  Ferri,  Augusto  Castellani,  Alessandro  Del 
Gtande,  Filippo  Costa,  Avv.  Raffaele  Marchetti. 

D  a  di  ottobre  si  procedeva  al  plebiscito  che  riu- 
sciva imponente,  poiché  i  voti  aff"erniativi  sommarono  a 
135,291  mentre  i  negativi  furono  1507  soltanto. 


Non  erano  trascorsi  due  mesi  da  questo  avveni- 
mento felice  per  la  nazione  italiana,  che  la  Casa  di  Sa- 
voia riceveva  un  grandissimo  attestato  della  fiducia  che 
godeva  in  Europa. 

Le  Cortes  di  Madrid  assicurate  del  consenso  di  Vit- 


■401 

torio  EmaDuelee  de!  prìncipe  reale,  proclamavano  Ame- 
deo duca  d'Aosta  Re  di  Spagna. 

Il  3  dì  dicembre  giungeva  a  Firenze  la  deputazione 
elle  portava  al  nuovo  Ke  la  fausta  notìzia. 

Al  palazzo  Pitti  erano  presenti  al  ricevimento  i  grandi 
dignitari  dello  Stalo,  i  ministri  della  Corona  e  la  rap- 
presentanza delle  due  Camere  del  Parlamento  Nazio- 
nale. 

Al  discorso  del  signor  Euiz  Zorilla  il  Re  Vittorio 
Emanuele  rispose  con  brevi  parole,  accordando  all'  a- 
mato  figlio  il  consenso  di  accettare  il  glorioso  trono  ìt- 
ouì  lo  chiamava  il  voto  del  popolo  spagnolo. 

Il  Duca  D^Aoeta,  con  voce  commossa  significava  la 
sua  acc-ettazione,  e  l'atto  solenne,  che  procltìrauva  Ame- 
deo Re  di  Spagna  veniva  rogato:  e  poco  appresso  egli 
si  recava  alla  capitalo  del  suo  regno,  animato  da  seiiti- 
memi  liberiili  e  d'amore  pel  popolo  ch-e  Io  avevw.  pre- 
scelto a  suo  Re. 

Ma  ben  presto  si  manifestarono  nelle  Provincie  spa- 
gnole ed  anche  nella  stessa  capìtjile  segni  di  non  dub- 
bia ribellione. 

Il  18  luglio  del  1872  si  attentava,  alla  vita  del  gio- 
vane Re  ed  a  quella  della  regina;  per  fortuna  i  due 
sposi  furono  mìracol osamente  salvi. 

Mentre  assieme  alla  regina  attraversava  iu  carrozza 
una  delle  più  popolose  vie  di  Madrid,  vennero  tii'ate 
addosso  ai  reali  parecchie  fucilate. 

Non  sì  sgomentò  per  questo  il  figlio  dì  Vittorio  Ema- 
nuele, e  continuò  nella  incominciata  impressa  dì  ricon- 
durre la  pace,  imprimendo  un  regime  schiettamente 
liberale,  fra  quelle  popolazioni. 

Ma  ì  torbidi  crebbero  talmente  di  gravitii  che  Ame- 
deo di  Savoia,  vedendo  cti  non  poter  governare  senza 
venir  meno  alia  costituzione,  piuttosto  che  mancare  al 
Buo  giuramento  e  far  versare  in  una  lotta  civile  sangue 
spagnolo,  decìse  di  rinunziare  spontaneamente  alla  co- 
rona. 


4^2 

Cosi  fece:  e  il  dì  11  febbraio  1873  ritornava,  non 
più  Re  di  Spagna,  ma  principe  di  tìitvoiu  acclamato  in 
seno  alla  pacriii  aun. 

CAPITOLO  xx\^in. 
Morte  di  Mazzini. 


Il  10  di  marzo  187a  raoriva  a  Piati,  quasi  profugo 
nella  sua  patria  che  amò  tstito,  dopo  mezzo  secolo  di 
lotte  titaniche  e  di  inelTabili  amarezze,  Giuseppe  M.iazini. 

Era  fiiico'a  Genova  il  22  giugno  180y.  e  fin  da  gio- 
vinetto fiveVii  dato  a  vedere  dì  essere  douito  d'ingegno 
fervido  e  precoce  :  di  volontà  ferrea  ;  et 'inarrivabile  ab- 
negazione e  costttjiza.  In  (Jenova  passò  i  primi  venti- 
cinque anni  in  famiglia,  della  quale  formava  la  jrioia. 

Nel  1830  dova  un  addio  agi:  studi,  ed  impaziente 
di  dare  tutta  l'opera  sua  alla  patria,  si  univa  a  dei 
giovani  iscritti  nel  Garbo nariauio,  o  messosi  in  corri- 
spondenza con  quelli  di  Toscana,  delle  Rarai%me  e  delle 
Marche,  li  sospingeva  ad  insorgere  ;  tradito  da  un  falso 
ciirbonnro,  T'U  novembre  veniva  arrestato,  e  condotto 
nella  fortezza  di  Savona  dalla  quale  usciva  assolto  il 
2  febbraio  1631. 

Il  IO  dello  stesso  mese,  passava  la  prima  volta  le 
Alpi. 

A  Lione  trovò  duemila  italiani  in  armi  pronti  ad 
invadere  la  Savoia;  ma  vennero  sciolti  e  disarmati  prima 
che  il  tentativo  potesse  inizEarsì.  Intanto  avveniva  il  ten- 
tativo rivoluzionario  di  Rimini  nel  quale  cento  giovani 
imbt^rbi  sostennero  cinque  ore  di  combattimento  contro 
i  battaglioni  serrati  di  croatfii,  le  cariche  della  cavalleria 
ungherese  e  la  mitraglia  austriaca. 


405 


n  27  aprile  1831,  saliva  al  trono  del  Piemonte 
Carlo  Alberto,  sul  quale  gli  esuli  rifugiati  in  Francia,  Sviz- 
[zera  e  Inghilterra,  tenevano  Assi  gli  occhi,  sapendosi 
jme  egli  odiasse  l'Austria  che  teneva  in  soggezione 
gran  parte  dltalia.  E  Mazzini  scriveva  iil  Re  la  memo- 
rabile lettera 

Se  no,  no  ! 

Sire, 

«  Se  io  vi  credessi  un  re  volgare,  d'anima  inetta 
0  tiraunicaf  non  v'indirizzerei  la  parola  dell'uomo  li- 
bero. I  re  di  tal  tempra  non  lasciano  al  cittadino  che 
la  scelta  tVa  l'ai-mi  e  il  silenzio.  Ma  Voi,  Sire,  non  siete 
tale.  La  natura  creandovi  al  trono,  v'ha  creato  anche 
ad  alti  concetti,  ed  a  forti  pensieri  ;  e  l'Itnlia  sa  che  Voi 
avete  di  regio  più  che  la  porpora.  Voi  non  giungete 
oscuro  sul  trono;  l'Italia,  Sire,  guarda  in  Voi  il  suo  li- 
beratore. 

<  L'Italia  vuole  libertà,  indipendenza  ed  unione  : 
Sire,  non  avete  mai  cacciato  uno  sguardo  au  questa 
Itali»,  bella  del  sorriso  della  natura,  incoronata  da  venti 
secoli  di  memorie  sublimi,  potente  per  mezzi  infiniti, 
recinta  di  teli  difese  che  un  forte  volere  e  pochi  petti 
animosi  basterebbero  a  proteggerla  dairinsulto  straniero'? 
Non  avete  mai  pensato  che  v'ha  una  corona  più  bril- 
lante G  sublime  che  non  è  quella  de!  Piemonte?  Una 
corona  che  non  aspetta  se  non  l'uomo  abbastanza  ar- 
dito per  concepire  il  pensiero  di  cingerla?  Non  v'è  sorto 
un  pensiero:  rìimìsci  fé  iiiemhra  sparse  di  que^ia  htlla 
Italia:  e  pronunzia;  E  mia  tutta  e  felice. 

«  Si,  Sire  !  Voi  l'avete  questa  idea  nobile  e  grande, 
e  isentite  sorgere  dentro  di  Voi  una  voce  che  grida  ; 
tu  gei  'nato  a  qualche  com  di  grande  :  Oh  !  seguitela  Sire 
quella  voce;  ó  la  voce  d'Italia  che  non  aspettai  se  non 
una  parola,  una  sola  parola  per  farsi  Vostra. 
87 


406  

«  Proferitela,  Sire,  questa  parola  :  strinatevi  a  lega 
coiritJtlia.  Ponetevi  alhi  testii  dellu  Nazione,  e  scrivete 
sulla  Vostra  ìimidiera:  /«l'on?,  Libertà,  Indipendenza  t 

•  CoBti'ìngei.e  u  Sire  la  storia  a  scrivei-e  sotto  i 
nomi  di  Washington,  e  di  Kosciusko.  —  1'"^  mi  nome 
più  grande  d'  quegli  17  fu  un  trono  eretto  da  trenin  itti- 
lioiii  di-  uomini  liberi  che  Hcrtsuera  sulla  base  di  meritato 
monumento:  -  A  Carlo  Alberto  nato  Re  —  l'Italia  ri- 
nata per  lui!  *  Ardite  Sire,  e  noi  saremo  con  voi  — 
Se  no,  noi  > 


Dopo  scritta  questa  lettera,  Mazzini  si  diede  a  fon- 
dare la  Giovane  Umilia,  istituita  per  la  fratellanza  degli 
italiani,  credenti  nella  lejige  del  Progresso  e  del  Do- 
vere, col  grande  intento  di  costituire  l'Italia  in  Nazione, 
una,  indipendente  e  libera, 

Coi  suoi  aciitti  Mazzini  tenne  rivo  l'amore  della 
patria.  Col  lavoro  indefesso  di  17  anni,  dnl  31  al  48, 
col  suo  apostolato  di  fede  e  d'amore,  ài  acquistò  la  sina- 
patìa  non  solo  defili  Italiani  imi  dell'Europa  liberale, 
che  vide  in  lui,  l' incarnazione  dei  tempi  nuovi  e  Vn- 
postolo  della  redenzione. 

Quando  Pio  IX  sali  al  Pontificato,  iMazzini  levava 
un'altra  voltii  la  voce  ricoMando  al  Papa  le  sventure 
d'Italia  ed  Invocando  il  suo  intervento  per  farle  cessai-e. 

Caduto  in  Francia  il  Regno  di  Luigi  Filippo  nel  feb- 
braio del  184^,  radunali  quanti  più  potè  esuli  che  si 
trovavano  a  Parigi;  fondava  l'Associazione  nazionale 
italiana  a  scopo  unitario. 

L'Italia  si  svegliava  colla  gloriosa  rivoluzione  di 
Palermo,  Messina  e  Catania  e  colle  5  g:iornate  di  Milano, 
seguite  dalle  10  giornate  dall'eroica  Brescia,  dai  moti 
dell'Italia  centrale,  o  dal  l'intiiiuizione  di  guerra  al- 
l'Austria da  parte  di  Carlo  Alberto. 


407 


Nella  guerra  del  48,  segui  la  legione  dei  volontari 
-capitanati   da  Garibaldi,  finché  sfinito  di  forza  dovette 
rifugiarsi  a  Lugano. 

Alia  notizia  dolorosH   della   rotta  di  Novara  l'as- 
semblea Romania  elesse  un  triumvirato  che  pensasse  tvlla 
■difesa  della   proclamata  republilica  e  Mazzini  fu  eletto 
triumviro  con  Saffi  e  Arinollini. 


Contro  Roma  si  erano  unite  Austria.  Spagna,  Francia 
e  il  Re  di  Napoli,  ma  la  gloria  di  distruggere  la  repub- 
blica Romann,  che  seppe  difendersi  con  tanto  valore, 
doveva  spettare  tutta  alla  Francia  iN'apo Iconica. 


Mazzini  credette  sempre  essere  i]i dispensabile  al- 
l'Italia l'miìone  di  tutti  i  suoi  figli  per  diventare  e  con- 
-eervarsi  libera,  gloriosa  e  potente  ;  e  quando  nel  59  fu 
intimata  dal  Re  Vittorio  Emanuele  lai  guerni  contro 
l'Austria,  egli  dichiarava  che  si  univa  al  concetto  di 
Garibaldi,  perchè  anteponeva  ad  ogni  cosa,  l'uuitìi  della 

patria. 

* 

Nel  campo  liberale  Mazzini  era  considerato  lo  spirito 
■della  rivoluzione,  Garibaldi  la  forza.  Senza  Garibaldi 
l'unità  d'Italia  forse  non  si  sarebbe  fatta;  ma  senza 
Mazzini,  che  fece  iniziare  i  moti  di  Sicilia,  Garibaldi  non 
avrebbe  accettato  dì  comandare  l'impresa  dei  Mille  e 
non  saiebbe  sbarcato  a  Marsala. 


La  morte  di  Mazzini  lasciò  un  vuoto   profondo  nel 
■-cuore  degl'Italiani;  poiché  motti  riconobbero  troppo  tardi 


408 

qual'uomo  egli  era;  quale  l'opera  sua  spesa  disinteressa- 
ta per  la  patria  redenzione;  le  lotte  alteramente  so- 
stenute —  fra  la  santa  ribellione  e  la  ancor  più  santa 
abnegazione  —  nell'impulso  dato  in  ogni  tempo  alla  causa 
nazionale.  Con  Mazzini  si  spense  un  essere  grande  eh© 
nmò  sopra  ogni  altra  cosa  la  patria  sua  -^  e  che  sempre 
cxjoperò  al  raggiungimento  del  grande  fine  che  portò 
l' Italia  da  Torino  a  Roma.  Alla  sua  grande  figura  il 
risorto  popolo  italiano  tributa  dal  cuore  la  sua  venera- 
zione profonda. 

Ecco  come  ne  canta  nel  suo  «  Tito  Speri  »,  il  poeta, 
patriottico  Marradi  : 

«...  alacre  ad  ogni  ora 
propagator  del  fuoco  dì  bue  fede, 
apostolo  dei  verbo  che  Mazzini 
dall'esilio  bandìa  come  dall'ombra 
d"  un  invisibii  Sinai  :  Uazzini 
contro  despoti  e  servi,  in  notte  cieca 
tetragono.  Veggente,  che,  fuggiasco 
di  terra  in  terra,  austeramente  chiuso 
nei  bruni  panai  e  nel  pallor  del  volto 
soffiò  sopra  una  tacita  rovina 
la  fiamma  del  suo  spirito;  e  naa  preote 
che  dìceao  morta,  in  faccia  ali*  invasore 
delle  sue  tombe  e  delle  sne  mine 
ai  rizzò  formidabile,  e,  qaand'altro 
non  potè  contro  lui,  si  attestò  viva 
salendo  su  1  patiboli  a  morire  >. 

Nei  primi  di  giugno  Urbano  Rattazzi  —  uno  dei 
migliori  uomini  di  Stato  italiano,  di  princìpii  liberali  ele- 
vatissimi —  cadeva  gravemente  malato  a  Ii>osinone  e 
sinceramente  compianto  vi  lasciava  la  vita. 


400 


Il  corpo  di  Urbano  Rattazzi  giunse  a  Roma  la  mat-, 
Una  deir8  di  giugao  ricevuto  d.ai  membri  dell'  €  Asso- 
ciazione Progressista  >  trasportato  nel  palazzo  Santa- 
croce, OTe  abitava  la  famiglia,  venne  imbalsamato. 

Alla  Camera,  Pisanelli,  Depretis  e  Crispi,  oltre  il 
Presidente  Bìancheri  ne  fecero  degna  commemorflzione, 
quale  era  doTuta  al  grande  statista. 

Il  Re  aveva  ordinato  che  tutta  la  sua  Casa,  militare 
■e  civile  avesse  assistito  al  trasporto  --  il  principe  Um- 
berto reggeva  uno  dei  cordoni  del  feretro,  tutte  le  truppe 
erano  schierate  facendo  gli  onori  nel  passaggio  alla  sta- 
zione ove  il  Conte  Pianciaai  consegnava  la  salma  al  Sin- 
■daco  di  AleiSsanUria,  D  trasporto  fu  uno  dei  più  solenni. 


CAPrroLO  xxis. 

Morte  dì  Vittorio  Emanuele  If. 

Il  Re  Vittorio  Emanuele  IT,  nell'iuaugui'are  a  Firenze 
il  5  dicembre  il  Parlamento  Italiano,  nel  quale  per  la 
prima  volta  Roma  era  rappresentata,  pronunziava  un  di- 
scorso che  faceva  fremere  di  gioia  i  eiitadiui  dell'intera 
Penisola. 


«  Signori  Senatori,  Signori  Deputati, 

*  L'anno  che  volge  al  suo  termine  ha  reso  attonito 
il  mondo  per  la  grandezza  degli  eventi  che  jiiun  giu- 
dizio umano  poteva  prevedere.  11  nostro  dititto  s\x  Romfi 
noi  lo  avevamo  sempre  altamente  proclamato  e  di  fronte 
aUe  ultime  risoluzìoai  cui  mi  condusse  l'amore  della  pa- 
tria, ho  creduto  dover  mio  di  convocare  i  nazionali  co- 
mizii  {Lunghissimi  applausi).  Con  Roma  capitale  d'Italia> 
Ilo  sciolta  la  promessa  e  coronata  l'impresa  che  23  anni 


410 
or  sono   veniva   inizinta  dal    magnanimo  mio  genitore- 

«  n  mio  cuore  di  Re  e  di  figlio  prova  una  gioia  so- 
lenne nel  salutare  qui  raccolti  per  la  prima  volta  tutti 
i  rappresentanti  della  nostni  patrin  diletti  e  nel  pronun- 
ciare queste  parole:  L'Italia  è  libera  ed  una,  ormai  noa 
dipende  più  che  da  noi  il  farla  grande  e  felice  (Àpplnusì). 
Mentre  noi  qui  celebriamo  questa  solennità  inaugurale 
dell'Italia  cnmpiutfì,  due  grandi  popoli  del  eontiuente, 
gloriosi  rappresentanti  della  civiltii  moderna,  si  straziano 
in  una  teiTibile  lotta.  Legati  alla  Franwa  ed  alla  Prussia 
daiU  iiieuioiia  di  recenti  e  Ijeneflclie  alleanze,  noi  Ab- 
biamo dovuto  obbligarci  ad  una  rigorosa  neutralità,  la 
quale  ci  era  imposta  dal  dovere  di  non  accrescere  l'in- 
cendio e  dal  desiderio  di  poterci  sempre  interporre,  con 
parole  impar?.iali,  fra  le  parti  belligeranti. 

«  E  questo  dovere  d'umanità  e  di  amicizia,  noi  non 
cesseremo  dall' adempierlo,  ag-giungendo  i  nostri  sforzi  a 
quelli  delle  altre  potenze  per  metter  fine  ad  unti  guerra, 
che  non  avrebbe  inai  dovuto  rompersi  fra  due  nazioni, 
la  cui  grandezza  è  egualmente  necessaria  alla  civiltà  del 
mondo. 

«  L'opinione  pubblica^  consacrando  col  suo  appog- 
gio questa  politica,  lia  mostrato  una  volta  di  più  che 
l'Italia  lìbera  e  concorde  è  per  l'Europa  un  elemento 
d'ordine,  di  libertà  e  di  pace  (Applausi). 

<t  Quest'attitudine  agevolò  il  compito  nostro,  quando 
per  la  difesa  e  integrità  del  territorio  nazionale  e  per 
restituire  ai  Romani  l'arbitrio  dei  loro  destini,  i  miei 
soldati,  aspettati  come  fratelli  e  festeggiati  come  libera- 
tori, entrarono  a  Roma.  Roma,  reclamata  dall'amore  e- 
dalla  venerazione  degli  Italiani,  fu  resa  a  se  stessa,  all'I- 
talia, e  al  mondo  moderno. 

<t  Noi  entrammo  in  Roma  in  nome  del  diritto  na^ 
zionale,  in  nome  del  patto  ohe  vincola  tutti  gli  Italiani. 
ad  unitj"i  di  na^iione:  vi  rimarremo  mantenendo  le  pro- 
messe che  abbiamo  fatto  solennemente  a  noi  stessi:  li- 


berta  della  Chiesa,  piena  indipendenza  della  Sede  pon- 
tificia neir esercizio  del  suo  ministero  religioso,  nelle  sue 
relazioni  con  la  cattolicità  [Applausi). 

«  Su  questa  base  e  dentro  ì  limiti  dei  suoi  poteri 
il  mio  GoTerno  ha  già  dato  i  provvedimenti  iniziali,  ma 
per  condurre  a  termine  la  grand' opera  si  richiede  tutta. 
l'autorità  del  Parlamento, 

«  L'imminente  trasferimento  della  sede  del  Governo 
a  Roma  ci  obbliga  a  studiare  il  modo  di  ridurre  alla 
laassiuui.  semplicità  gli  ordinamenti  aiiimiuiBtriitivi  e  giu- 
diziari, e  rendere  ai  comuni  e  alle  Provincie  le  attriba- 
i^ioni  elle  loro  spettano  {Ap2)hiHsi). 

*  Anche  la  materia  degli  ordinamenti  militari  e  della 
difesa  nazionale  vuole  essere  studiata,  tenendo  conto  della 
nuova  esperienza  di  guerra.  Dalla  terrìbile  lottti  che 
tiene  tuttora  attenta  e  sospesa  l'Europa  sorgono  inse- 
gnamenti che  non  è  lecito  di  trascurare  a  un  Governo 
che  vuole  tutelare  Tonore  e  la  sicurezza  della  nazione 
{Appìcnisi). 

*  Su  Lutti  questi  temi  vi  saranno  sottoposti  disegni 
di  legge  e  sulla  pubblica  istruzione  eziandio,  che  vuole 
essere  annoverata  essa  pure  fi-a  gli  strumenti  più  efB- 
cati  della  forza  e  della  prosperità  nazionale  ». 

Segue  p(ji  la  seconda  parte  del  diàcorso  che  riguarda 
le  finanze  e  l'amiunzio  dell' assunzioue  al  trono  dì  Spa- 
gna di  Amedeo  d'Aosta. 


11  31  dicembre  il  Re  d' Italia  entrava  per  la  prima 
volta  in  Roma  per  recarvi  generoso  soccorso;  il  Tevere 
uscito  dal  suo  letto,  apporb^va  desolazione  e  mina. 

Nel  2  luglio  del  1871,  accolto  prima  in  Campidoglio 
dal  pia  uso,"  dalle  benedizioni  e  dall'esultanya  di  30  mi- 
lioni d'Italiani,  prendeva  gloriosamente  possesso  del  Qui- 
rinale, nuova  sua  Reggia,  proiiunciando  le  memorabili 
parole  «  ci  siamo  e  ci  resteremo  *. 


U2 


Roma  italiana,  dopo  la  sua  proclamazione  a  capi- 
tale del  risorto  paese,  accolse  nel  Quirinale  pareccM  so- 
vrnni  e  principi  esteri  venuti  a  visitare  il  Re  Vittorio 
Emanuele,  riconoscendo  con  tuie  atto  il  nuovo  regime 
costituzionale:  l'imperatore  Don  Pedro  del  Brasile, il  re 
ed  il  principe  di  Danimarca,  il  principe  Federico  Carlo 
di  Prussia.,  i'arcidutìi  Nepomuceno  d'Austria,  il  re  e  la 
regina  di  Grecia,  il  principe  di  Galles,  il  duca  di  Edim- 
burgo ed  altri.  Tutti  ebbero  a  lodarsi  delle  festose  acoo- 
glianze.  e  [' animi  razione  d'ognuno  fu  grande  e  completa 
per  le  particolari  doti  di  pensiero  e  di  cuore  del  nuovo 
Re  d'Italia. 


Nel  1873  Re  Vittorio  visitò  Vienna  e  Berlino,  ac- 
colto con  entusiasmo  che  sembrò  delirio  —  egli  ovun- 
que personificava  il  popolo  italiano  risorto  a  vita  novella, 
ed  il  Re  galantuomo  sapeva  di  rappresentare  un  popolo 
che  aveva  diviso  e  dL\'ideva  le  sue  aspirazioni. 


Nel  febbraio  1874  gimi&e  in  Italia  la  notizia  della 
morte  di  Nino  Bisio,  il  soldato  intrepido,  quasi  temerario, 
di  animo  bollente  e  dell'inerzia  sdegnoso.  L'ardore  di  ope- 
rosità che  lo  divorava  l'aveva  spinto,  quando  non  era 
più  richiesta  l'opera  delle  armi,  a  correre  in  lontane  re- 
gioni per  schiudere  nuova  via  al  commercio  italiano,  ed. 
in  selvaggie  ed  inospitali  contrade  la  luorte  crudele,  che 
egli  aveva  tante  volte  affrontata  sul  campo  di  battaglia, 
lo  fece  sua  vittima. 

Morendo  egU  pensò  alla  patria,  alla  sua  famiglia  che 
raccomandò  al  Re.  E  non  fu  vana  la  raccomandazione. 

In  diiUi  14  febbraio  1874  il  Re  indirizzava  da  Na- 
poli —  ove  pervenriegli  la  notizia  —  il  seguente  tele- 
gramma al  Ministro  Minghetti: 


413 

«  Ricevetti  ieri  il  rapporto  che  Ella  mi  manda  sulla 
«  morte  del  poTero  Bisìo.  La  prego  d!  fare  per  parte  del 
«  Governo  quello  che  si  potrà  per  la  famìglia.  Io  pure 
«  son  disposto  aiutare.  Faccia  il  piacere  dì  dirmi,  dopo 

<  che  Governo  e  ordine  mauriziano  avranno  fatto  la  loro 
«  parte,  con  qua!  pensione  creda  che  io  possa  contri- 
«  bui  re  ». 

#  # 

Il  5  aprile   1875  l' imperatore  Francesco  Giuseppe 
restituì  a  Venezia  la  visita  fattagli  da   Re    Vittorio   a 
Vienna,  e  nell'ottobre  l'imperatore  Gngliemo  di  Germa- 
nia  giunse  a  Jlilano  ospite  del  Re,  accolto  con  grande' 
encusiasLUo. 

Intanto  Re  Vittorio  dava  impulso  al  riordinamento 
dell'Amministrazione  pubblica  italiana,  prendendo  viva 
parte  al  rinnovamento  della  vita  nazionale,  conscio  e 
compreso  dei  suoi  doveri  dì  cittadino  e  di  Re.  E  come 
alto  fosse  in  lui  questo  sentimento  lo  dimostrano  le  pa- 
role da  lui  profferite  nel  discorso  della  Corona  il  20  no- 
vembre 187  ti: 

«Da  6  anni  celebriamo  iu  Roma  la  feata  dell'unità 
«  nazionale.  Dalla  ìnteg-rata  unità,  avemmo  frutti  di  glo- 
«  ria  e  prova  di  sapienza  civile.  Molto  ai  è  fatto,  molto 
«  rimane  a  fare.  Rimane  1'  opera  che  vuole  maggiore 
«  pazienza  e  lavoro  e  maggiore  concordia  d'intento  ; 
«quello  di  consolidare  tutto   l'edificio  governativo,   e 

<  dove  occorre,  correggerlo.  A  questo  non  si  può  riu- 
«  acire  che  con  una  gara  sincera  di  operosìti^  e  di  co- 
%  stanza.  Io  vi  addito  la  via  e  sono  certo  che  anche  iu 

<  queste  battaglie  pel  riscatto  civile,  la  mia  voce  tro- 
«  vera  risposta  di  nobili  sacrifizi  e  di  gloriose  vittorie  ». 


#  * 


H  primo  gennaio  1878,  Vittorio  Emanuele  ricevette, 
senza  dare  il  benché  minimo  sospecco  di  sofieresza,   le 


414 

deputazioni  del  Parlamento,  i  grandi  dignitari  dello  Stato- 
e  molte  altre  rappresentanze,  ed  a  tutti  ricambiò  con 
volto  lieto  gli  auguri  pel  nuovo  anno. 

Alla  sera  si  recò  al  teatro  Apollo;  nel  tornare  a 
casa  si  lagnò  d'un  gran  citldo  e  fece  abbassare  ì  cristalli 
della  carrozza.  Giunto  nelle  sue  stanze  volle  che  il  primo 
cameriere  aprisse  i  balconi:  si  fece  portare  dell'acqua 
ghiacciata  ed  accese  un  sigaro  che  si  mise  a  fumare 
sul  davanzale  di  una  finestra. 

Il  gioi-no  2  andò  a  Castel  Porziano  per  iscuotersi 
«  come  egli  disse  >  e  ne  ritornò  verso  il  mezzogiorno^ 
che  il  malessere  andava  crescendo. 

n  giorno  3  ricevette  al  Quirinale  prima  il  sig.  Gam- 
betta che  era  a  Roma  da  pochi  giorni,  e  colla  sua  cor- 
dialità destò  entusiasmo  nel  deputato  francese;  poi  IT 
presidente  del  Consiglio  dei  Ministri  per  la  firma  dei 
decreti. 

—  «  Vede.  Depretis  »,  gli  disse  :  «  contrariamente 
alle  mie  abitudini  ho  fatto  accendere  il  fuoco,  perchè 
sento  un  gran  freddo.  —  Lrt  scorsa  notte  l'ho  passata 
male  ». 

—  «  Bisogna  curarsi,  MaestJi! 

—  «  Mi  curo;  mi  astengo  dall'andare  a  caccia,  del 
resto  se  dì  notte  non  mi  sento  bene,  di  giorno  va  meglio  ». 

Ciò  detto  si  diede  a  firmare. 

Aveva  letto  un  decreto  che  collocava  in  aspettativa 
per  motivi  di  salute  un  impiegato.  Rivolto  a  Depretis, 
gli  disse  sorridente  ; 

—  •;  Anche  io  avrei  bisogno  di  un  po'  d' aspetta- 
tiva per  l'eguale  ragione  ». 

—  «  Maestà  —  gli  rispose  il  Ministro  alquanto  tur- 
baco,  ma  seguendo  lo  scherzo  del  Sovrano  —  per  ì  Re 

■i  motivi  di  salute  non  sono  sufficienti  per  avere  l'aspet- 
tativa ». 

Il  Re  tacque  e  continuò  a  firmare. 

Il  4  di  mattino,  il  Re  aveva  dato  le  disposizioni  di 
partenza  per  Torino,  ma  la  debolezza  lo  costrinse  a  ce- 


4AS. 

dere  al  male  e  a  rimettersi  a  letto;  fece  chiamare  il  me- 
dico. Il  Snglioiie,  comprese  subito  che  la  cosa  era  grAve, 
ma  non  diede  a  capir  nulla  al  Re;  soltanto  domandò 
ed  ottenne  che  fosse  consultato  un  altro  medico.  Si  tele- 
grafò al  Profeesore  Bruno  in  Torino  e  fu  chiamato  l'ono- 
revole Baccelli,  che  nccorse  con  sollecitudine  e  presela 
ilirezioue  della  cura. 

La  mattina  del  r>  vi  fu  aumento  di  febbre  prodotto 
dalla  polmonite.  Al  tocco,  arrivato  il  Dottore  Bruno,  si 
tenne*  consulto.  I  tre  dottori  si  trovarono  d'accordo  nella 
dia.gnosi  della  malattia  ed  ordinarono  una  dose  di  chi- 
nino come  disinfetUiiite  e  una  buona  emisbione  di  san- 
gue, mediante  salasso,  lì  Re  era  recisamente  avverso 
a  farsi  aprire  la  vena:  ma  il  professore  Baccelli  disse 
risolutamente  : 

—  «(  Maestì,  la  nostra  responsabilitii  innanzi  a  Voi 
e  al  paese,  é  troppo  grande,  perchè  da  noi  non  si  taccia 
uso  di  tutti  i  nostri  diritti.  Vostra  Maestii  sarà  Ke  finché 
vuole  ma  in  questo  momento  i  re  siamo  noi  e  Vostra 
Maestii  è  nosti-o  suddito  ». 

Vittorio  Emanuele  sorrise,  sporse  il  braccio  e  si  pro- 
sto  al  salasso;  dopo  del  quale  ai  senti  un  po'  uaeglio. 

Il  quinto  giorno  della  malattia  si  sperava  in  una 
crisi  benefica.  Da  Firenze  era  stato  chiamato  il  profes- 
l'ore  Cipriani,  da  Pisa  il  pì'ofesaore  Landi. 

Tutto  le  cure,  tutti  i  rimedi  furono  usati,  ma  la 
wiei  benefica  non  venne  ! 

Nella  mattina  del  giorno  9  i  medici  avvertirono  un 
forte  peggioramento.  Gli  ufficiali  di  servizio  furono  man- 
dati ad  avvisare  i    principi   reali,  i  minisU'i  e  i  grandi 
dignitari  della  Corte. 
^^P  II  professore  Bruno  ebbe  incarieo  di  chiedere  ul  Re, 

^^^    se  era  disposto  a  ricevere  i  conforti  della  rehgìoue. 
^^^  Il  Re  calmo,  si  volse  al  medico  e  gli  disse  : 

^^P  —  K  Ma  dunque  la  malattia  e  ben  grave  ? 

W  II  dottore  riprese  che  si   trattava  di   una   precau- 

I  zione  —  e  il  Re  replicò,  <i  Facciano  pure  ». 


4IB 

n  Re  prese  il  viatico  con  grande  sereniiit  di  spirita 
■e  disse: 

—  «  Io  speravo  di  morire  buI  canapo  di  battaglia  : 
ma  pazienza!  —  Muoio  almeno  in  questa  gran  Roma,  in 
mezzo  al  mìo  popolo  ■. 

Dopo  il  Vìaiico  passarono  avanti  al  Re,  affranti  dal 
dolore,  i  ministri  e  ì  dignitari,  il  Re  li  BaUitò  tutti.  Poco 
appresso  chiese  da  bere  e  il  canonie^s  Anzino  gli  porse 
uti  bicchiere  d'acqua  —  con  la  mano  tremante  accostò 
il  bicchiere  alle  labbra  —  dopo  Io  sforzo  reclinò  la-  cesta, 
—  era  la  fine!  il  prìncipe  Umberto  si  accostò  alletto  — 
Vittorio  Emanuele  fissò  su  lui  uno  sguardo  lungo,  amo- 
raso  —  gli  Blese  la  mano  e  pronunziò  questa  sola  pa- 
rola —  *  Addio  »  —  di  nuovo  cqn  sguardo  pieno  di 
amore  si  volw  verso  il  figlio  e  vei"so  la  principessa  Mar- 
gherita entrambi  in^inocichiati  a  flanco  del  lecco,  e  non 
stticcó  più  da  essi  lo  sguardo  f 

Verso  le  11  Vittorio  Emanuele  —  il  Grande  Re—  il 
Pfldre  della  Patria  —  entrava  in  agoni.-i,  ciuesCa  durò 
pochi  minuti.  Quando  il  prof.  Bruno  disse:  *  11  primo 
Re  d'Italia  è  morto  »  fti  uno  scoppio  unanime  di  pianto. 

E  cosi  il  di  y  gennaio  1878  in  Roma,  nel  palazzo  del 
Quirinale  cessava  di  vivere,  dopo  breve  malattia,  il 
Griiu  Re  a  cui  l'Italia  deve  la  sua  uniti,  la  sua  indi- 
pendenza. Quando  si  vide  abbassare  la  bandiera  della 
torre,  coi-se  come  un  lampo  per  la  cittA  la  triste  no- 
tizia —  i  negozi  si  cliiusero  tutti  immediatamente  come 
manifestazione  di  sommo  cordoglio  e  di  lutto  nazionale. 

L'effetto  primo  fu  di  sgomento  —  pareva  —  con  la 
sua  morte  —  che  la  grande  famiglia  italiana  —  di  cui 
era  il  padre  amato  —  dovesse  smembrarsi  —  ma  ben 
presto  —  in  mezzo  a  quella  costernazione,  gli  animi  si 
rinfrancarono  volgendo  i!  pensiero  al  figlio  del  Re  libe- 
ratore dal  quale  il  popolo  attendeva  la  parola  elle  lo 
rianimasse. 

La  morte  di  Vittorio  Emanuele  fu  cagione  di  gran 


417 

lutto  per  la  intera  Dazione  e  del  più,  vivo  dolore  per  ogni 
buon  italiano. 

I  suoi  funerali  furono  imponenti  —  Tutta  Italia  fa 
largamente  rappresentata. 

II  Municipio  per  renderli  più  solenni  rivolse  al  po- 
polo di  Roma  il  seguente  manifesto: 

Romani! 

€  La  nostra  citta  nella  sua  storia,  che  fu  quella  del 
mondo,  non  ebbe  mal  per  volgere  di  secoli  pii'i  giusta 
ragione  di  piangere  ed  onorare  un  Re  ed  un  Eroe, 

«  Il  grido  di  dolore  del  popolo  italiano  oppresso  e 
diviso,  elle  Egli  redense  e  compose  in  una  sola  famiglia, 
si  e  ridesttito  all'annunzio  della  sua  morte.  Fra  le  nostre 
mura  è  convenuta,  gente  iununitìrevole  da  ogni  parte 
d'Italia,  a  rendere  tributo  di  piamo  al  suo  liberatore  e 
Re;   Oggi  in  Roma  batte  il  cuore  di   tutta  la  Nazione. 

•n  Lui  fondatore  del  Regno  d'Italia,  il  mondo  civile 
onorava  ed  onora;  Principi  illustri,  ì  Legati  di  tutta 
Europa  e  quelli  di  più  lontane  regioni  assisteranno  ai 
funerali  di  Lui,  associandosi  al  nostro  lutto. 

«  Sette  anni  or  sono,  noi  salutammo  Vittorio  Emar 
nuele  trionfatore  e  vindice  ;  domani  Egli  avrà  tomba  nel 
più  degno  dei  nostri  eterni  monumenti. 

■«  Quella  tomba  sarà  per  noi  sacra  quanto  la  Patria 
lìbera  ed  una. 

Il  nome  di  Vittorio  Emanuele  II  vi  starà  perenne 
ammaestramento  doUe  vìrtiì,  che  fanno  un  popolo  libero 
e  grande. 

Dal  Campidoglio  addi  16  Gennaio  1878. 

«  E.  RuspoLi  Sindaco  ff.  % 


G.  Finali  —  A.  Armellini  —  E.  Cruciani-Aliprnndi  — 
0.  Sansoni  —  S.  Gatti  —  G.  Fraschetti  —  P.  Pog- 
gioli —  L.  Torlonia  —  6,  Mazzino  —  F.  Nobili  Vi- 
telleschi  —  A.  Bracci  ». 


Sulla  BUA,  romba  ni  Pantheon,  asilo  supremo  della 
sua  pace  imiiioitnle,  si  scrissero  le  parole  —  vere  —  elo- 
quenti —  nella  loro  brevità: 

-   A  VITTORIO  EMANUELE  H 

PADRE   DELLA   rAXBLl 

E  il  Paiittieon  rininri'ù  sempre  luogo  di  pellegri- 
naggio per  i  veri  patrioti. 

Vittorio  Emanuele  fu  fedele  luantenitore  delle  fran- 
chigie concesse  al  popolo  da  Carlo  Alberto;  e  mai  s'op»- 
pose  ai  progressi  richiesU  dai  uuovi  tempi  di  civiltà  e 
dal  bene  del  paese  :  supr'ìmo  fine  dei  suoi  desideri.  Nella 
storia  del  regno  di  ViCtorio  Emanuele  si  racchiude  la 
storia  d'Italia  di  trent'anni;  giacché  aEa  grand'opera 
della  redenzione  egli  sì  era  accinto  fin  dai  primordi  del 
suo  regnare  e  mai  si  arrestò,  mantenendo  le  libertà  giu- 
rate, ricevendo  nel  pìccolo  Piemonte  gli  esuli  d'ogni 
parte  d'Italia,  resistendo  alle  ininaccie  ed  alle  prepo- 
tenze straniere  e,  giunto  il  momento  dcsideratOj  sguai- 
nando la  spada  per  rìndipendenza  ed  unità  della  patria. 
Tutto  il  mondo  manda  condoglianze  all'Italia  e  si  pose 
in  lutto. 

La  memoria  di  Vittorio  Emanuele  sarà  sacra,  in 
eterno  nel  cuore  degli  Italiani. 


Fu  fortuna  per  la  patria  nostra,  da  poco  sorta  a 
nazione,  che  Umberto  I  successore  al  Gran  Re  nel  trono 
d'Italia  fosso  degno  figlio  del  Oraii  Genitore,  e  che  le 
sortì  della  naaione  non  corressero  con  lui  nessun  peri- 
colo, sapendosi  come  immenso  fosse  in  lui  1'  amore  al- 
ritalia  e  il  sentimento  di  volerla  prospera  e  grande. 

E  che  tali  fossero  i  suoi  sentimenti  lo  dice  il  pro- 
clama che  S.  M.  Umberto  I  indirizzava  alla  Nazione; 


421 


UMBERTO  I. 


PER    GRAZIA    DI    DIO    E    PER    VOLONTÀ.    DELLA    NA^ÌiaME 

Re  d' Italia 


Italiani! 

La  più  grave  dellesventiire  ci  ha  improvvisamente 
colpiti. 

Vittorio  Emanuele  II,  il  Fondatore  del  Regno  d'I- 
talia, r  Istauratore  dell'  Unità  Nazionale,  ci  fu  tolto. 

Io  raccolsi  il  Suo  ultimo  respiro  che  fu  per  la  Na- 
zione e  il  Suo  ultimo  voto  che  fu  per  la  felicità  del  Po- 
polo a  cui  ha  dato  la  Mberti'i  e  la  gloria. 

La  Sua  voce  patema  che  risuonerà  sempre  nel  mio 
cuore,  m' impone  di  viQcere  il  dolore  e  mi  additA  il 
mio  dovere. 

In  questo  momento  uà  solo  conforto  è  possibile: 
mostrarci  degui  di  Lui  —  Io  col  seguire  le  Sue  orme  — 
Voi  col  serbarvi  sempre  devoti  a  quelle  cittadine  virtù, 
per  cui  Egli  potè  compiere  l' avduii  impresa  di  fare 
graode  e  una  l' Italia. 

Io  custodirò  l'eredita,  dei  grandi  esempi  che  Egli 
mi  lascia,  di  devozione  all-a  patria,  di  amore  operoso  di 
ogni  civile  progresso,  e  di  fede  inconcussa  a  quelle  li- 
bere Istituzioni,  che  largite  dall'  Augusto  mio  Avo,  Re 
Carlo  Alberto,  religiosamente  difese,  e  fecondate  da  mio 
Padre,  sono  orgoglio  e  forza  della  mia  Casa. 

Soldato  come  Essi,  dell'  Indipendenza  Nazionale,  ne 
sarò  il  più  vigile  difensore. 

Meritarmi  l'Amor  del  mio  Popolo,  qual  già  l'ebbe 
il  mio  Augusto  Genitore,  sarà  1'  unica  mia  ambizione. 

Italiani  ì 

H  vostro  primo  Re  è  morto.  Il  Suo  Successore  vi 
proverà  che  le  Istituzioni  non  muoiono. 

Stringiamoci   insieme,  e   in  quest'  ora   di   supremo 
28. 


422 

dolore  raffermiamo  quella  concordia   dì  propositi   e  di 
affetti,  che  fu  sempre  presidio  e  salute  d' Italia. 

Dato  al  palazzo  del  Quirinale  il  9  gennaio  1878. 

Umberto. 

Questa  è  la  parola  che  il  nuovo  Re  Umberto  I  in- 
dirizzava air  Esercito  ed  all'  Armata. 

Ufficiali,  sott'  ufficiali  e  soldati  di  terra  e  di  mare- 

«  Vittorio  Emanuele  II,  il  primo  soldato  dell'  In- 
dipendenza Italiana  non  è  più.  Irreparabile  sventura 
colpi  Colui  che  ci  ha  guidati  alle  battaglie,  che  ha  ispi- 
rato, educato,  e  mantenuto  in  voi  le  virtù  del  cittadino 
e  del  soldato. 

«  Ài  Suo  magnanimo  ardimento  dobbiamo  i  glo- 
riosi fatti,  che  illustrano  la  nostra  bandiera  ;  al  Suo 
senno  previdente  gli  ordini  e  le  armi  di  cui  andate  fieri 
ed  onorati;  alle  sue  salde  virtù  l'esempio  di  ossequio 
alle  libere  istituzioni,  di  generosità  nel  soccorrere  in 
ogni  evento  la  Patria,  di  vigore  nel  tutelarla  e  difen- 
derla. 

Ufficiali,  sott'  ufficiali  e  soldati. 

«  Già  compagno  dei  vostri  pericoli,  testimonio  del 
vostro  valore,  so  di  potere  contare  su  voi. 

«  Forti  delle  vostre  virtù  ricorderete  che  dove  è  la 
nostra  bandiera,  ivi  è  il  mio  cuore  di  Re  e  di  soldato. 

Umberto 


CAPITOLO  XXX. 
Ultimi  giorni  e  morte  del  generale  Garibaldi. 

Della  morte  di  Vittorio  Emiiniiele  per  cui    sentiva 
Teaeriizlone  profonda  Garibaldi  fu  inconsolabile. 


Esso  da  tempo  viveva  a  Caprera  Intento  a  trarre 
qualche  piirtito  dalla  parte  dell'isola  suscettibile  ad  es- 
sere coltivawi. 

Nel  1876  venuto  a  Homa  aveva  aperta  la  cam pagina 
per  la  sistemazione  dei  Tevere,  che  proseguiva  con  te- 
nacità sapendo  di  fare  cosji  utile  e  grande. 

Neil' inviare  al  colonnello  Domenico  Cariolato  l'ap- 
pello agli  Italiani  per  la  sottoscrizione  ai  grandi  lavori 
del  Tevere,  cosi  gli  scriveva; 

«  Mio  caro  CarioUto, 

«  Vi  accludo  l'appello  che  io  faccio  agli  ludiani  per 
la  sottoscrizione  a  favore  dei  lavori  del  Tevert.  Sai'ebbt) 
utile  che  la  prima  firmar  fosse  quella  del_Re.  Mingbetti 
mi  si  ò  dimosti'ato  iavorevoLe,  ma  temo  cbe  altri  met- 
teranno i  bastoni  fra  le  ruote,  e  si  farà  in  modo  cbe  il 
Re  non  firmi.  ■ 

«  Parlatone  a  Dezza  e  venite  presto  a  Villa  Casalim. 
Sempre  vostro 

G.  Garibaldi* 
•      Boma,  lo  gennaio  1876. 

Era  inlento  a  questC)  nobile  scopo  ed  a  quello  no» 
meno  nobile  e  grande  delUt  bonifica  dell'Agro  Romano, 
quando  nei  primi  del  18tìi  avvenne  il  triste   latto   del 


424 

trattato  del  Biirdo.  Garibaldi  che  era  ritordato  a  Ca- 
prera ne  fu  colpito  pili  di  ogni  altro  patriota  perchiS  !ui 
non  si  aspettavfi  dalla  Francia  quest'atto  che  umiliava 
l'Itftlia.  ^ 

Palermo  si  preparava  in  quei  giorni  a  festeggiare 
la  data  della  ricorrenza  dei  Vespri  Siciliani,  e,  invitato 
a  recarsi  nell'Isola  da  lui  tanto  amata,  acconsentiva  & 
fare  il  faticoso  viaggio  sebbene  sofferente  di  salute  e 
sebbene  vivamente  sconsigliato  dai  figli  e  dagli  amici, 
che  paventavano  per  lui  le  latiche  del  viaggio. 


Lasciata  Caprera,  sbarca  a  Napoli  ricevuto  con  de- 
lirio da  quella  popolazione  che  non  l'aveva  più  rivedut» 
dopo  il  1860.  Sento  il  bisogno  di  un  po'  di  riposo  e  va 
a  passare  alcuni  giorni  tranquilli  nella  villa  del  sìg.  Ma- 
clean  a  Posillipo. 

Da  Napoli  si  dirige  in  Calabria;  riposa  una  notte 
a  Catanzaro,  e  segue  poi  il  viaggio,  parte  in  vettura, 
parte  in  ferrovia;  pellegrinaggio  faticosissimo  e  per  lui 
micidiale,  accolto  dovunque  passa  con  vera  frenesia; 
arrivato  allo  Stretto,  è  ricevuto  a  Eleggio  da  quel  popolo 
delirante  —  passa  a!la  sua  Messina  elie  s'accalca  per  sa- 
lutarlo, per  toccarlo,  per  baciarlo  —  e  il  28  marzo  entra 
a  Palermo.  Non  è  possibile  dire  della  gioia,  delle  feste, 
e  delle  deliranti  accoglienze  di  quella  popolazione,  essendo 
più  facile  immaginarle,  che  descriverle. 


H  31  marzo,  anniversario  del  terribile  eccidio,  il  Ge- 
nerale per  le  tristi  condizioni  di  salute  non  potè  asaiatere 
alla  grande  cerimonia,  e  se  ne  scusava  coi  patrioti  si- 
ciliani. L'indomani  suo  figlio  Menotti  aJln  folla  radunata 
sotto  le  sue  finestre,  leggeva  un'addio  affettuoso  del  padre, 
nel  quale  si  protestava  figlio  di  Palermo.  Si  trovò  ne- 


425 

cessano  che  il  generale  riposasse  qualche  giorno  e  fl- 
nalmente  il  17  aprile  sul  Cristoforo  Cohmbo  ripartiva 
per  Caprera. 

Nel  resto  di  aprile  e  nel  mag^gio  lo  stato  di  salute 
del  Generale  non  era  migliorato,  ma  nessuno  pensava 
che  la  sua  fine  fosse  tanto  prossima!  —  Invece  aWn  fine 
di  maggio  il  suo  stato  erasi  fatto  d'improvviso  j^^rave 
I  assai  —  disperato  1  La  notte  del  1°  giugno  i  telegrammi 
I  si  correvano  l'uno  dietro  l'altro  —  Garibaldi  è  aggravato 
I       —  Garibaldi  è  moribondo  ! 

I  Nelle  prime  ore  del  mattino  del  2   giugno  lo  stato 

I  del  Generale  appailva  sempre  più  disperato  —  il  respiro 
^^■dìveniva  più  lento  ed  affannoso  —  e  si  vedeva  —  che 
^^PCl  terriijile  momento  della  sua  scomparsa  dal  tuondo  era 
W  pLU'  troppo  vicino.  Da  Menotti  furono  mandati  iivvisì 
I  telegrafìc^i  a  Canaio,  a  Teresita  ed  a  Riceiotti,  Fu  pure 
^^  telegrafato  al  dottore  Albanese;  ma  ormai  non  potevano 
^■più  giungere  a  tempo. 

^^  L'abbandono  delle  forze  faceva  a  tutti  comprendere 
che  la  catastrofe  era  immiuente.  Egli  si  spegneva  tran- 
quillo; solo  si  vedeva  che  avrebbe  desiderato  la  conso- 
lante notizia  dell'  arrivo  del  dottore  Albanese,  di  Ric- 
eiotti, di  Canzio  e  di  Teresita. 

Nel  meriggio  -—  due  capinere  vennero  a  posarsi  sul 
balcone  aperto  della  camera  del  Generale,  cinguettando 

—  La  moi^lie  signora  Francesca,  temendo  disturbassero 
l'ammalato  fece  im  gesto  per  allontanarle;  ma  il  Gene- 
rale con  un  fll  di  voce  soave,  siissurò  :  «  lasciatele  stare 

—  sono  forse  le  anime  delle  mie  due  bambine  che  mi 
portano  l'ultimo  saluto.  Quando  non  sarò  più  —  mi  rac- 
comando di  non  abbandonarle  »  e  non  disse  pii'i  altro, 
parve  si  fosse  assopito.  Solo  più.  tardi  chiese  di  Manlio, 
suo  diletto  Aglio  decenne  —  questi  condotto  vicino  al 
letto  si  precipitò  sul  padre  posando  leggermente  la  testa 
sul  petto  ansante  —  il  Generalo  sembrò  farsi  ilare  — 
un.  Bon-so  di  soddisfazione  sì  vide  errare  sul  suo  viso  al 
contatto  di  quell'infantile  esistenza  tanto  a  lui  cara!  — 


426 

poi  volle  vedere  il  suo  cielo  —  il  suo  mare  —  e  placi- 
damente fra  le  braccia  dì  Menotti,  di  Manlio  e  della 
dolce  famiglia  presente  —  allo  6  e  22  pomeridiane  esa- 
lava la  sua  anima  grande  ! 

Alla  notizia  —  Garibaldi  è  morto  —  l'Italia  sussultò 
—  e  si  senti  sbigottita  dall'immensità  delia  perdita.  Ija 
Nazione  si  mise  in  lutto  come  nel  funebre  giorno  delia 
morte  di  Vittorio  Emanuele  —  e  un'ondata  di  popolo  in 
lacrime  sì  recava  da  ogni  parte  d'Italia  a  Caprera  — 
ormai  sacra  all'Italia  —  per  portare  l'omaggio  e  il  tri- 
buto di  devozione  suprema  alle  spoglie  dell'Eroe  tanto 
amato. 

Il  Re  Umberto  scrisse  di  proprio  pugno  a  Menotti, 
figlio  del  Generale,  cosi; 

«  Mio  padre  m'insegnò  nella  prima  gioventù  ad  ono- 
rj\re  nel  generale  Garibaldi  le  virtù  del  cittadino  e  del 
soldato. 

«  Testimone  delle  gloriose  sue  gesta,  ebbi  per  lui 
l'affetto  più  profondo,  la  più  grande  riconoscenza  e  am- 
mirazione. 

«  Mi  associo  quindi  al  supremo  cordoglio  del  popolo 
italiano,  e  prego  d'essere  interprete  delle  mie  condoglianze, 
condividendole  coU'intera  nazione. 

Umberto  » 

Sentimenti  veramente  patriottici  e  gentili,  degni 
del  figlio  del  Gran  ì\e,  padre  della  patria. 

La  morte  del  generale  veniva  constatata  dal  certi- 
flcato  seguente  : 

Caprera,  3  giugno  1882. 

Signor  Sindaco 

Maddalena 

«  Ieri  (2)  alle  ore  6  pomeridiane  è  morto  in  Caprera, 
al  suo  domicilio,  il  generale  Giuseppe  Garibaldi  in  se- 


427 

guito  a  paralisi  faring^ea.  Dichiai'iamo  che  In  tuTiiulazione 
del  Ci^davere  può  farsi  dopo  24  ore  daUa  morte. 

«  In  fpde  ci  sottoscriviamo 

Prof.  Albanese 
•     Bott.  Cappelletti  », 

La  Camera  dei  deputati  ed  il  Senato  prorogano  per 
quindici  gioi'ni  !e  loro  tornate  :  il  Go\'eriio  propone  e  il 
Parlamento  approva  che  la  Pesm  N'azionale  dello  Statuto 
sia  sospes;!  ;  le  esequie  dell'Eroe  siano  tatt,e  a  spese  dello 
Stato;  Lina  pensione  vitalizia  di  diecimila  lire  annue  sia 
assegnata  alla  vedova  ed  a  ciascuno  dei  figli. 


In  og-ni  terra  italiana,  da  Roma  al  più  umile  borgo 
si  decretano  onoranze. 


L'Elettrico  non  basta  a  dare  sfogo  all'enorme  quantità 
di  telegrammi  che  da  ogni  parte  del  mondo  piove  a  Ca- 
prera. 


L'assemblea  dei  deputati  della  Kepnbblit-a  francese 
sospende  le  sue  sedute  ;  la  sinistra  del  Senato  propone 
si  voti  tin  indirizzo  di  cordoglio  all'Italia  ed  alla  famig'UB; 
il  Muuioipìo  di  Parigi  delibera  di  mandare  rappresentanti 
ai  suoi  funerali  ;  Lione,  Marsiglia,  Dijon  attestano  con 
pubbliche  manifestazioni  le  loro  condoglianze. 


La  Camera  dei  deputati  e  il  Senato  di  Wa&hington 
approvano  una  mozione  deplorante  «  la  morte  di  Ga- 
ribaldi ed  esprimente  la  tìirapatìa  degli  Stati  Uniti  per 


428 
l'Italia  ».  La  Camera  di  Buda-Pest  vuole  scritto  nel  pro- 
cesso verbale  il  compianto  della  Nazione  ungherese, 
per  la  scomparsa  dell'  Eroe  ;  il  Consiglio  nazionale  dì 
Berna  «  rende  omaggio  a  nome  del  popolo  svizzero  alla 
memoria  di  Garibaldi  e  si  associa  all'  Italia  nel  lutto 
causato  dalla  morte  del'grande  patriotta  >.  Il  Consiglio 
municipale  approva  «  una  mozione  di  profonda  simpatia 
alla  Nazione  italiana  in  occasione  della  morte  del  grande 
Cittadino  e  condoglianze  alla  Simiglia  ». 


« 
*  * 


Tutta  la  stampa  mondiale  fa  gli  elogi  del  compianto 
grand'uomo. 

Il  Times,  scrive  ;  «  Ebbe  tutte  le  qualità  del  leone; 
non  soltanto  il  coraggio  senza  confini,  ma  le  doti  più 
nobili,  con  la  magnanimità,  la  placidezza  e  l'abnega- 
zione ». 

La  France  esclama  :  «  Questa  morte  è  un  lutto  del- 
l'umanità. —  Garibaldi  era  cittadino  del  mondo  ». 

La  Vossische  Zeitung  :  «  Dobbiamo  dimenticare  il  ri- 
cordo di  averlo  avuto  nemico  e  deplorare  la  sua  morte  », 
e  il  Tagéblatt  conferma  :  «  Egli  nel  suo  idealismo  vide 
solo  l' infelicità  della  Francia  e  non  pugnò  contro  il 
popolo  germanico,  ma  bensì  in  favore  della  libertà  del 
popolo».  La  Germania  dichiara:  «Vogliamo  rendergli 
questa  giustizia.  —  Egli  fa  generoso,  patriottico,  pronto 
al  sacrificio  ».  La  La  Xeue  Freie  Presse  conchiude  :  «  Si- 
mili figure  sono  fari  nella  storia  del  patriottismo  ». 


»  # 


Due  uomini  —  nel  secolo  nostro  —  lasciarono  questa 
terra  accompagnati  da  universale  consenso  di  laudi  a 
di  dolore:  Vittorio  Emanuele  e  Garibaldi;  perchè  essi 
soli  incarnarono  due  dei  più  straordinari  avvenimenti 
della  storia:    un   Re   fedele    alla   libertà,  che   oblia   la 


I 


tradizione  della  sua  stirpe,  g  mette  In  pericolo  il  retaggio 
dei  suoi  Agli  per  la  redenzione  di  un  popolo;  un  popolano 
(?he  si  eleva,  per  virtù  propria  fino  alla  potenza  di  Ee, 
ma  per  ritornare  al  suo  modesto  focolare  scevro  dì  qual- 
fjiasi  ambizione,  sacrificando  gli  ideali  della  sua  anima 
alla  suprema  felicità  deLla  pati-ia!  Inchiniamoci  alla  me- 
moria di  questi  Grandi  ! 


Composta,  la  salma  del  Generale  il  dottore  Albanese 
inviava  questo  telef^rarama.  perL',hè  fossero  note  le  su- 
preme dieposizioni  del  Generale: 

<(  Garibaldi  spirò  ieri  serti;  lasciò  un'  autografa  di- 
sposizione in  data  17  settembre  1881,  cosi  concepita:  — 
«  Avendo  per  testamento  determinato  la  cremazione  del 
mio  cadavere,  incarico  mia  moglie  dell'eseguimento  di 
tale  Tolontii,  prima  di  dare  avviso  a  chicchessia  della 
mia  morte.  Verrà  costruita  una  piccola  urna  in  g^ranito 
che  racchiuderii  le  mie  ceneri.  L'urna  sarà,  collocata  nel 
muro,  dietro  il  sarcofago  delle  mie  baraliine  e  sotto 
l'acacia  che  lo  domina  ». 

Ecco  poi  testualmente  la  lettera  del  generale  al  dot- 
tore Pi-andina: 


Caprera,  27  settembre  1877 
Mio  carissimo  Prandiua, 


«  Voi  gentilmente  vi  incaricate  della  cremazione 
del  mio  cadavere  e  ve  ne  agno  grato. 

«  Sulla  strada  che  da  questa  casa  conduce  verso 
tramontana  alla  marina,  alla  distanza  di  trecento  passi 
a  sinistra,  vi  è  una  deprestiione  di  terreno  limitata  da 
un  muro. 

«  In  quel  cauto  si  formerà  una  catasta  di  legno 
d'acacia,  lentisco.  mirto  ed  altre  leg-Jie  aromaliche.  Sulla 
catasta  si  poserà   un  lettino   di  ferro  e  su  questo  la 


J 


480 

bara  scoperta,  con  dentro  gli  avanzi  miei,  adorni  della 
camìcia  rossa. 

«  Un  pugno  di  cenere  sarà  conservato  ìn  un'  urna 
di  granito,  e  questa  dovrà  essere  posta  nel  sepolcreto 
che  conserva  le  ossa  delle  mie  bambine  Rosa  e  Anita. 

Vostro  sempre 
Q.  Garibaldi  » 

Ed  a  queste  sue  istruzioni  scritte  ne  aggiungeva 
altre  verbali:  al  Prandina  diceva.  — 

«  Voglio  essere  bruciato;  bruciato,  non  cremato,  ca- 
pite bene.  In  quei  forni  che  sì  chiamano  Crematori  non 
ci  voglio  andare:  voglio  ripeto  essere  bruciato  all'aria 
aperta...  .  e  voi  Fazznri  sarete  il  mio'  liberto  ». 

«  Farete  una  catasta  di  legna,  dell'acacia  dì  questa 
isola,  stenderete  il  mio  corpo  vestito  della  camicia  rossa 
sopra  un  lettino  di  ferro;  mi  deporrete  nella  catasta 
con  la  faccia  rivolta  al  sole  e  mi  brucierete;  le  ceneri 
le  deporrete  dietro  la  tomba  di  Anita  —  Cosi  voglio  fi- 
nire —  ». 

E  non  fu  bruciato  !  —  Le  sue  ossa  sono  sepolte  nella 
sua  granitica  Caprera  ~  isola  sacra  alla  patria.  —  Ma 
il  suo  spirito  ale^ia  in  ogni  angolo  d'Italia  che  tanto 
amò  —  e  per  la  quale  diede  tutte  le  sue  forze  —  la 
sua  anima  grande,  perchè  fosse  libera  e  potente  !  Tafe 
l'ideale  di  tutta  la  sua  vita  gloriosa!  E  che  cosi  fu,  lo 
prova  questa  sua  dichiarazione. 

«  Io  non  ebbi  mai  altro  che  uno  scopo  —  quello 
dell'unità  italiana  —  quindi  il  mio  programma  del  Ti- 
cino fu  lo  stesso  a  Marsala,  ad  Aspromonte  ed  a  Men- 
tana ». 


431 


CAPITOLO  XSXI. 


Nozze  di  S.  A.  R.  il  Principe  di  Napoli 
con  la  Princlpassa  Elena  Petrovjcli  Niegos  dei  Montenegro, 

La  storia  del  Montenegro  è  tutto  un  poemii  di  eroi- 
smi! Le  lotto  sostenute  per  due  secoli  d;ii  valorosi  .an- 
tenati e  dal  Principe  Rognanle  Nicola  I,  Iianno  fondato 
uno  stato  indipendente  e  solido  la  cui  imporlanza  è  ri- 
conosciuta dal  mondo  intero.  Principo  e  popolo  stret- 
tamente legati  come  una  sola  tainij,'lia  sentono  venera- 
zione profonda  per  la  Ru^ia  -  riconoscenti  non  di- 
mcnticlii  —  per  l'aiuto  dei  essa  prestato  —  mai  venuto 
meno  —  nelle  lotte  titaniche  sostenute  per  la  indipen- 
denza.. 

Fra  l'ItaHa  —  pure  ijrt  lotta  secolare  per  l'indi- 
pendenzft  —  e  il  Montenegro  culla  di  eroi  —  una  cor- 
rente di  simpatia  ó  sempre  esistita,  e  moki  volontari 
italiani  accorsero  nel  lfl7ìi-7f}  ji  prendere  p;irte  alla  lotta 
sostenuta  contro  ì  turchi  nell'  Erzeg"0vinn. 

Nella  Cernagora  si  ricorda  con  grato  animo  che  il 
voto  di  Mazzini  e  di  (xarihaldi  fu  costHiiCemente  quello: 

Che  nella  costa  orientali  dall'  Adriatico  si  formasse  un 
grande  Siato  Serbo-Mojitejiegrìno  fdo  dìlenio  dell'Italia. 

'Erti  quindi  naturale  che  le  Jinnuiizlate  nozze  Sa- 
voia-Petruvicli  fossero  accolce  con  gioia  ed  entnsiar 
sticaniente  festeggiate  in  Italia  —  E  lo  furono  dal  po- 
polo intero. 


Il  giorno  22  ottobre  1896  —  la  Principessa  Elena 
Bbarcava  a  Bari,  ricevuta  dal  Ducii  di  Genova  e  da 
tutte  le  autoricà  fra  le  più  vive  acclamazioni  dell'in- 
tera popolazione  festante. 


433 

Appena  toccata  la  terra  italiana  8.  A,  R.  la  prin- 
cipessa riceveva  il  seguente  telegramma. 

Cara  Elena 

>  Fra  i  saluti  ed  auguri  che  ti  accolgono  in  terra 
italiana,  sian  primi  i  nostri  ttlfettuosissimi  a  te  cara  fi- 
glia, che  attendiamo  ansiosamente  nella  nostra  casa  > 

«  Umberto,  Margherita.  » 

Fin  delle  prime  ore  del  giorno  23,  tutta  Roma  era 
in  moto. 

Tutti  gli  edifici  pubblici  e  privati  erano  imbandie- 
rati, e  la  via  Nazionale  e  quella  del  Quirinale  tutte 
parate  a  festa  presentavano  un  colpo  d'occhio  stupendo. 

Alla  stazione  feri'oviaria  innanzi  alla  sala  Reale  era 
sorto  uno  splendido  padiglione  ornato  di  palmizi  —  La 
sala  Reale  messa  a  nuovo  era  veramente  sontuosa. 

Verso  le  10,  numerose  associazioni  cittadine  con  ban- 
diere occupavano  i  posti  loro  assegnati  ;  cosi  fecero  le 
rappresentanze  scolastiche. 

* 

*  * 

Poco  prima  delle  11  arrivavano  alla  stazione  pre- 
ceduti dai  corazzieri  e  dai  battistrada  i  Sovrani  e  le 
carrozze  della  Regina  di  Portogallo,  dei  Princìpi  e  delle 
Principesse. 

Alle  11  precise  la  campana  della  stazione  dava  l'av- 
viso dell'arrivo  del  treno  Reale. 

*  * 

Appena  il  Principe  Nikita  nel  suo  caratteristico 
costume  montenegrino  con  le  Principesse  Elena  ed  Anna 


si  mostra  nellfl  loggetta  del  vagone  gli  applinisi  si  fanno 
eiilusiftstiei. 

Tutti  gli  sguardi  sono  rivolti  verso  la  Principessa 
Elena  —  e  l'entiiisiasrao  e  gii  applausi  si  fanno  più  vivi 
alla  Tiata  della  sua  avvenenza. 

Il  Principe  Nikita  —  una  vigorosa,  sirapntica  figura 
di  soldato  —  scende  per  primo  dal  vagone,  seguito  dal 
Duca  di  Genova.  Subito  dopo  scende  la  Prlncipesea  Elena 
che  incontrate  le  Loro  Maestà  il  Re  e  la  Regina,  le 
abbraccia  e  bacia  affettuosamente. 

S.  A.  R.  il  Principe  di  Napoli  a  sua  ì'olta  soluta 
l'Augusta  Suiì  Fidanzata  baciandole  rispettosamente  la 
mano. 


Menti'e  S.  M.  il  Re  ed  il  Principe  Nikita  p-issano  in 
rivista  la  compagnia  d'onore,  S.  M.  la  Rey;ina  presenta, 
alhi  Principessa  Elena  la  Kegina  di  Portoyalln,  i  Prin- 
cipi e  le  Principesse,  ed  il  Sindaco  On.  Ruspoli  che  al- 
l'Augusta  Fidanzata  dà  la  ben  venuta  a  nome  di  Roma. 


.  Appena  le  piime  carrozze  del  corteo  si  mettono  in 
moto,  dal  popolo  che  greitdsce  la  piazza,  scoppia  un 
unanime  fragoroso  applauso. 

Dalle  finestre  aftbllate  lungo  tutto  il  percorso  sì 
agitano  IVizzoietti,  le  bandiere  s'inchinano  e  il  popolo 
grida:  —  Vìva  il  Re,  vìva  la  Regina!  Viviti  la  Princi- 
pessa Eietia!  Viva  il  Principe  Nikita!  Viva  il  Principe 
Reale-' 


Appena  il  Corteo  è  entrato  nel  palazzo  del  Quiri- 
nale, dalla  piazza,  letteralmente  gremita  di  popolo  che 
si  acenlca  —  si  grida  Evviva  1  8i  applaude  fragorosa- 
mente. 


436 

Sulla  lo^ia  centrale  gli  staffieri  di  Corte  mettono 
il  solito  parato  di  yelluto  rosso  e  la  Principessa  Elena 
si  mostra  assieme  ii  S.  M.  la  Kegina.  Quasi  subito  com- 
paiono S.  M.  il  Re,  il  Principe  Nikita,  S.  M.  la  Re^na 
Pia,  le  principesse  e  i  principi. 

Chi  può  descrivere  l'entusiasmo  di  quel  momento? 

Lo  spettacolo  è  indimenticabile  !  La  Principessa 
Elena  che  si  moacrava  molto  commossa,  è  stata  accolta  in 
Italia  e  specialmente  in  Roma  con  l'espansione  delle 
cittadinanze,  che  attendevano  con  ansia  l'Augusta  Sposa, 
il  bel  fiore,  che  la  stirpe  slava  regalava  al  trono  di  Casa 
Savoia. 


#  * 


Una  folla  immensa,  composta  dì  romani  e  di  ita- 
liani d'altre  provincie,  si  era  riversata  fin  dalle  prime 
ore  del  giorno  24,  nelle  vie  Venti  Settembre,  in  piazza 
del  Quirinale  e  nella  via  Nazionale  ;  non  vi  era  edificio, 
casa  privata  e  alberghi  che  non  avessero  oltre  ad  arazzi 
ed  addobbi  le  bandiere  italiane  e  montenegrine. 


*  * 


Alle  10  precedute  da  carabinieri  a  cavallo  giungevano 
quattro  berline  del  Senato,  i  landaux  della  Camera  dei 
deputati  e  le  quattro  berline  del  Municipio,  seguite  da 
molte  vetture  di  Corte  recanti  le  Dame  e  i  Gf^entìluo- 
raini  fra  i  quali  molti  montenegrini  nei  loro  bei  costumi. 


Gli  invitati  della  Corte  si  trovavano  già  riuniti  nella 
sala  da  ballo  del  Quirinale  per  la  cerimonia  civile. 
S.  E.  Farini  e  S.  E.  il  marchese  di  Rudini  erano  anche 
essi  al  loro  posto.  Alle  10  e  un  quarto  entrava  la  Corte. 

Appena  la  Corte  si  è  seduta  il  presidente  del  Senato 
on.  Farini  chiama  gli  Augusti  Sposi  e  i  testimoni. 

Il  Principe  di  Napoli  e  la  Principessa  Elena  pren- 


*87 

dono  posto  da  un  lato  della  tavola  al  centro  delln  sala 
e  i  due  testiraoDi,  Conte  di  Torino  e  Diio-a  d'Aosta  ai 
lato  opposto. 

Il  presidente  del  Senato  legge  gli  artìcoli  del  Codice 
civile  e  pronunzia  la  form&la  del  matrimonio.  Gli  Au- 
gusti SpOfii  firmano  1'  Atto  con  la  peudji  offerta  dalle 
Associazioni  italiane,  dopo  di  loro  Hrmano  S.  M.  il  Re  il 
Principe  Nicola  I,  il  Duna,  d'Aosta  e  il  Conte  di  Torino. 


Terminata  la  cerimonia  si  forma  il  corteo  che  pre- 
senta un  colpo  d'  occliio  pittoresco. 

A  piedi  dello  scalone  afitendevano  duo  berline  dì 
gala  a  sei  cavalli.  Nella  prima  presero  posto  i  Sovrani 
d' Italia  e  il  Principe  Ereditario.  Nella  seconda  la  Prin- 
cipessa Elena,  il  Principe  Nicola  I  e  il  Prìncipe  Mirko, 
poi  seguivano  le  altre  berline  colla  Regina  di  Portogallo 
e  gli  altri  principi  e  principesse. 

Le  berline  con  i  Sovrani  e  il  Principe  Ereditario  e 
quella  dell'Angusta  Sposa  e  dei  Principi  del  Montenegro, 
precedute  dai  corazzieri  percorsero  la  via  assiejiata  di 
popolo  fra  continue  salve  di  applausi,  sventolare  di  faz- 
2oletti  e  al  suono  della  fanfara  reale  e  degli  inni  del 
Montenegro. 


Nella  Chiesa  di  S.  Maria  degli  Angeli  ove  avevano 
preso  posto  il  Re,  la  Regina,  gli  Sposi  Augusti,  le  prin- 
cipesse e  i  principi,  e  in  apposite  tribune  i  colhiri  del- 
l'Annunziata, i  grandi  ufficiali,  fra  i  quali  notavasi  il 
Console  generale  Montenegrino  comm.  Popovich,  —  re- 
gna il  pili  grande  silenzio. 

Monsignor  Piscicelfi  si  avanza  verso  gli  Augusti 
Sposi  —  Alcuni  cerimonieri  stendono  al  di  sopra  del  loro 
capo  un  candido  velo  argenteo  e  ne  danno  a  reggere  i 
(Quattro  lembi  alle  LL.  AA.  il  Duca  d'Aosta,  il  Cooce  dì 


438 
Torino,  il  Principe  Mirko  ed  il  Principe  Karageorgevich. 
Monsignor  Piscicelli  dà  la  benedizione  agli  Sposi  Augusti 
e  il  Principe  di  Napoli  e  la  Principessa  Elen»  si  scam- 
biano l'anello  nuziale. 

È  un  momento  solenne  di  grande  commozione! 

Compiuta  la  cerimonia  il  Principe  di  Napoli  dà  U 
braccio  alla  Sposa  ed  il  corteo  Reale,  al  quale  tutte  le 
autorità  fanno  ala  mentre  gli  allievi  dell'Accademia  mi- 
litare presentano. le  armi,  s'incammina  verso  l'uscita. 


* 
#  * 


Alle  l'2  Vi  le  porte  del  tempio  si  riaprono  ed  una 
delie  grandi  berline  con  tiro  a  sei  vi  si  ferma  dinanzi; 
un  drappello  di  corazzieri  si  mette  alla  testa. 

Fu  un  momento  emozionante  allorquando  gli  Au- 
gusti sposi  saliti  sulla  berlina,  questa  si  mosse  seguita 
da  quella  della  LL.  Maestà  e  dalle  altre  della  Corte  per 
traversare  fra  un  uragano  di  applausi  la  piazza  dell'E- 
sedra e  infilare  la  vìa  Niizionale. 

Lungo  tutto  il  percorso  sulla  berlina  degli  Sposi  si 
gettavano  fiori  e  cartellini  di  augurio. 

L'Augusta  Sposa  con  grazia  infinita  chinava  la  te- 
sta per  ringraziare  il  popolo  degli  applausi  entusiastici 
—  il  Principe  di  Napoli  era  raggiante,  esultante  ! 

Con  clamorosi  applausi  erano  calorosamente  salu- 
tati il  Re  e  la  Regina  e  il  Principe  Nicola. 

Gli  Sposi  nel  giungere  al  Quirinale  hanno  atteso 
l'arrivo  dei  Sovrani  —  e  qui  è  avvenuta  una  scena 
commovente.  S.  M.  la  Regina  appena  scesa  dalla  car- 
rozza si  è  gittata  con  vero  impeto  d' affetto  nelle  brac- 
cia della  Principessa  Elena  e  l'ha  abbracciata  e  baciata 
ripetutamente. 

La  giovine  Principessa  di  Napoli  fece  l'atto  di  vo- 
lerle baciare  la  mano,  ma  la  Regina  volle  di  nuovo  ab- 
bracciarla. La  sposa  è  stata  poi  abbracciata  dalla  Re- 
gina di  Portogallo  e  dalle  altre  principesse. 


'439 


Al  tocco  e  mezzo  arrivava  al  Quirinale  una  nu- 
merosa rappresentanza  del  Senato.  Il  rìeeviraeiito  ebbe 
luogo  nella  sala  del  trono  presentì  tuttì  i  ministri  e  gli 
alti  funzionari  di  Corte. 

Il  presidente  On.  Fariiii  fattosi  innanzi  alle  LL. 
Maestà  lesse  un  beli' indirizzo  augurale  e  di  eeiiltauza 
del  Senato  concludente  cosi: 

Sire. 

«  Fatta  ragione  dei  tempi,  la  Maestà  Vosti'a  pre- 
ferendo ai  tripudi  clamorosi  le  gioie  tranquille  e'  gli 
omaggi  riverenti  d'animi  devoti,  voleva  contenuti  in 
modesti  confini  i  festeggiamenti  di  queste  Nozze  Re- 
gali, ma  la  gioia  che  dalla  Reggia  si  dito  ade  oggi  per 
tutta  la  terra  d'Italia  attesta  con  mirabile  spoiitaneit:i 
quali  atfetti  stringono  la  Nazione  alia  sua  dinastia  e, 
come  la  sovrerohiante  piena  di  tali  affetti  sia  impos- 
BÌbile  dì  contenere. 

Sua  Maestà,  il  Ke  rispoBe: 

«  La  letizia  che  mi  circonda,  le  prove  d'  affetto 
che  mi  vengono  da  ogni  parte,  la  devozione  che  mi  di- 
mostra il  Senato  del  Regno,  mi  confermano  che  il  paese 
sento  come  la  mia  casa  sìa  ìdentìdcaui  col  popolo  ita- 
liano. 

«  Le  due  dinastie  che  sì  collegano  eljbero  comuni, 
ooras  ella  dice,  onorevole  Signor  Presidente,  la  prodezza 
iieìle  armi,  I'  amore  alla  patria,  gli  sforzi  generosi  per 
redimere  i"  popoli  dalla  Servitù. 


Signor  Presidente  ! 

«  Dica  ai  suoi  eolìeghi,  che  il  pensiero  di  una  pa- 
tria grande,  forte  e   felice   è  il  cosLante   proiiosito  del- 


4Ì0 

l'animo  mio.  A  conseguirlo  ho  consacrato  tutta  la  mia. 
vita.  Il  legame  che  sta  per  stringerai  mi  affida  che  i 
miei  successori  consacreranno  Anch'essi  la  loro  vita  al 
medesimo  intento. 

"f  Questa  è  lo  min  fedo  di  padre  e  di  Re. 

Dopo  l'udienza  del  Semuo  ebbe  luogo  quella  della 
Camera  dei  Deputati. 

L'ufficio  di  Presidenza  era  al  completo  —  i  depu- 
tati circa  200. 

H  presidente  on.  Villa  lesse  l'indirizzo,  col  quale  — 
dopo  di  avere  dimostrato  che  un  solo  pensiero  racco- 
g-Iie  tutta  la  Ikmig'Iia  ibiliana  intorno  alla  Casa  dei 
suoi  Re  e  fa  prorompere  da  ugni  cuore  voci  di  giubilo 
e  di  benedizioni  ;  dopo  di  avere  presentato  al  Re,  a  S. 
M.  la  graziosa  Regina,  a  S.  A.  R.  il  Principe  di  Napoli, 
alla  Principessagontile  che  porta  nell'antica  Reggia  con  lo 
splendore  di  nuove  grazie,  con  tesoro  di  gloriose  me- 
morie, prezioso  retaggio  dì  quella  famiglia  di  forti,  d'onde 
essa  ha  avuti  i  natali,  il  tributo  delle  felicitazioni  deUa 
Camera  elettiva  e  i  voti  della  Nazione  —  concludeva  : 

((  A  Voi  0  Sire,  alla  Maestà  dell'Augusta  amata  Re- 
gina, a  S.  A.  R,  il  Principe  di  Napoli,  noi  porgiamo 
nella  concorde  e  serena  esultanza  dei  cuori,  il  fervido, 
aftèttucso  saluto  della  devozione  e  della  gratitudine  na- 
zionale. » 

S.  M.  il  Re  rispose  col  seguente  discorso  : 


Signor  Presidente, 

*  Ella  ben  argomenta  affermando  che  le  gioie  della 
mia  famiglia  si  accrescono,  per  l' intimo  accordo  colla 
Rappresentanza  Nazionale  ;  esso  trae  il  suo  alimento  pe- 
renne diille  nostre  libere  istituzioni. 

«  A  me  è  particolarmente  gradito  il  saluto  della 
Camera  elettiva,  espressione  genuina  dell'alleanza  della 
Dinastìa  colla  Nazione,  nella  quale  sia  il  presidio  della 
indipendenza  della  Patria. 


B  Ho  desiderato  che  in  questi  giorni  di  festa  per  la 
Tiiià  Casa,  sì  trattenesse  l'entusiasiin^  ai^hietto  che  da  per 
tutto  prorompe  poiché  è  al  lavoro,  allo  studio,  al  di- 
■gnìtoso  raccoglimento  che  dobbiamo  attingere  la  lena 
per  crescere  in  grandezza  e  in  prosperità.  * 

Signor  Presidente, 

«  Questo  legato  della  grandezza  e  dell'  integritó 
della  Patria  che  io  ebbi  dal  mio  gran  Genitore,  si  tra- 
manda per  tradizione  nella  mìa  famiglia  e  allo  altissimo 
intento  non  verrA  meno  mio  figlio, 

«  Anche  la  scelta  della  sua  sposa,  la  quale  appar- 
.  tiene  ad  una  progenie  di  valorosi,  di  difensori  e  vin- 
dici dell'indipendenza  Nazionale,  addita  l'animo  suo. 

«  La  mia  Casa  e  quella  del  Montenegro  signìflcajio 
liberazione  e  indipendenza. 

«  "È  in  questo  amore  della  Pfitria  nhe  si  nobilitarono 
i  sacriflci,  si  rittemprarono  i  caratteri  ;  è  in  questo 
culto  della  Patria  che  si  rafferma  la  fede,  segnatamente 
nelle  ore  difficili  che  mai  non  mancano  ai  popoli  grandi. 

«  Dica,  sig.  Presidente,  alla  Camera  elettiva  che  io 
le  ricambio  gli  auguri  affidandola  che  il  mio  cuore  di 
Re  ha  un  solo  palpito;  la  felicità  dell'Italia.  » 


Le  potenze  estere  associandosi  al  giubilo  dell'  Ita- 
lia inviarono  tutti  i  loro  omaggi  e  felicitazioni  alle  LL. 
Maestà. 

In  conclusione  la  buona,  coltet  avvenente  Sposa,  di^ 
scendeute  da  una  stirpe  di  eroici  difensori  dell'  indi- 
pendenzii  del  patrio  suolo,  ha  trovato  in  tutta  Italia  un 
vero  eucusiasmo  di  sentimenti  favorevoli.  Come  una 
^omma  preziosa,  essa  irradìerà  di  nuovo  splendore  la 
fulgida  Corona  Sabauda  —  Siano  dunque  unanimi  gli 
auguri  di  te!icità  agli  Sposi  il  cui  avvenire  compendia 
j  destini  della  patria. 


44a 


CAPITOLO  XXXJt. 
Volontari  Italiani  In  Grecia. 

Nel  1897  —  uu  grido  di  entuaiasmo  echeggiaTa  da 
un  capo  aU*altro  d'Italia  per  la  causa  ellenica.  —  H 
flleUeDÌBino  fu  sempre  per  gli  italiani  umi  delle  eorde 
che  più  vibrnrouo  uel  cuore  dì  quanti  sentono  amore  dì 
patria  e  di  libertó.  —  e  tutte  le  volte  che  la  Grecia 
tentò  di  redimere  dalla  servitù  le  sue  belle  terre,  l'Italia 
non  rimase  insensibile  e  mandò  i  migliori  suoi  (ìgU 
A  colli IwUtei'e  per  la  sua  redenzione,  come  molti  greci 
combatterono  per  I»  nostra. 

Sarebbe  troppo  lungo  il  parlare  dei  patrioti  che  le 
diedero  la  vita  in  tempi  ormai  lontftni  ma  pur  non 
dimenticati;  basterebbe  ricordare  il  Santorre  Santarosa 
^-  nel  1821  —  il  Bssetti  —  il  Tarella  ~  il  Mamiot  —  il 
Tirelli  —  il  Hriltbii  ^  il  Tarsio  —  il  Viviani  —  il  Tor- 
ricelli--  il  Frenarlo  —  il  Mtovitowich  —  il  Dania  — 
il  Eattelaiii  —  che  liiseiarono  le  loro  ossa  in  Grecia  nel 
1822  — e  l'Andrei!  Broglio  marc^hegiano  che  lasciava  la 
vita  ad  Anatolica  nel  1828. 

Accenneremo  ai  più  recenti,  e  diremo  che  insorta 
r  isola  di  Creta  dopo  la  campagna  del  18G6,  ben  due- 
mila e  pili  volontari  e  nou  meno  di  ottanta  ufficiali 
corsero  a  dnre  agli  insorti  I!  loro  aiuto.  I  primi,  sbarcata 
a  Sira  furono  posti  sotto  gli  ordini  dì  Zambra-Ivakis,  Bl- 
sanzioa,  e  Ooracas,  gli  altri  sotto  il  comando  del  mag- 
giore JVIereu,  e  tutti  diretti  all'isola  di  Creta  ove  si 
combatteva  per  la  indipendenza. 

Al  Mereu  prima  della  sua  partenza  il  generale  Oa- 
ribaldi  aveva  consegnata  la  lettera  seguente: 


I. 


413 

Caprera,  9  ottobre  1866,' 

«  Il  maggiore  Mereu,  uno  dei  miei  prodi  com- 
pagni d'armi,  va  in  Grecia  per  combattere  la  santa 
cau&u  di  quel  paese. 

«  Io  lo  raccomando  caldaraente  ai  miei  amici 

G,  Garibaldi  ii. 


Nel  1867  la  Grecia  si  preparava  a  sorgere  in  armi 
per  la  questione  non  solo  di  Creta  ma  anche  per  la 
causa  macedone;  una  nuova  spedizione  di  Toscani  gui- 
data da  Syarellino  partiva  da  Livorno:  toccaui  Caprera 
prendeva  il  comando  della  spedizione  il  bravo  giovane 
Kicciotti  Garibaldi. 

Egli  partiva  diretto  non  a  Candia  ma  al  Pireo,  con 
istruzioni  del  padre  di  cercare  di  portare  la  rivoluzione 
nell'Epiro  e  nell'Albania  e  di  far  sapere  che  se  l'insur- 
rezione avesse  luogo,  anche  egli  sarebbe  accorso  sul 
campo  dell'azione. 

Ma  mentre  un  Gomitalo  ellenico  era  dietro  ad  orga- 
nizzai'e  uri  movimento  sulla  fi-ontiera  Epirota,  l'inter- 
Tento  delle  potenze  anche  questa  volta  intimava  alla 
Grecia  di  spegnerò  il  movimento  nel  suo  nascere,  e  i  vo- 
lontari italiani  dovettero  rimpati'iare. 

Nel  1875,  Mico  Liubitiratìc,  un  eroe  Erzegovese  — 
le  stesso  che  col  Vucalovich  sì  era  mantenuto  in  guerra 
per  l'indipendenza  nel  1862  riportando  segnalate  vit- 
torie —  tali  da  destare  F  universale  ammirazione  e  da 
obbligare  il  governo  ottomano  a  segnare  in  Ragusa  un 
trattato  favorevole  all'Erzegovina,  (trattato  i  cui  patti  non 
furono  poi  rispettati)  —  aveva  ripreso  le  armi  e  indi- 
rizzava un  fiero  proclama  alla  gioventù  di  tutte  le  na- 
zioni, perche  rispondesse  al  suo  appello,  Garibaldi  al- 
zava anche  esso  la  sua  voce  in  favore  dell'Erzegovina 
colle  seguenti  parole  : 


444 

A  Liubìbratic  ed  al  suoi  gloriosi  compagni  1 

«  Miei  cari  amici, 

<  Voi  vi  siete  assuncì  una  difficile  missione,  ma 
bella,  superba,  santa;  quella  dell'emancipazione  degli 
Slavi  dalla  più  atroce  delle  tirannidi. 

«  Io  vi  invidio  e  giammai  tanto  mi  pesarono  gii  anni 
come  oggi,  che  non  posso  dividere  con  voi  glorie  e  pe- 
rigli. 

<  Già  m' indirizzai  a  tutte  le  popolazioni  che  lan- 
guono  sotto  il  giogo  ottomano  perchè  si  sollevino  e  non 
dispero  di  vedere  raggiungere  la  vostra  bandiera  dai 
prodi  che  contano  nella  loro  storia  i  Leonidas,  gli  Spar- 
tachi  e  gU  Scanderberg. 

«  Il  vostro  divisamento  di  sostenere  la  guerra  di 
partigiani  durante  l'inverno,  lo  credo  il  migliore;  l'av- 
venire è  vostro.  Qualunque  uomo  che  non  sia  un  per- 
verso farà  sua  la  causa  vostra  e  come  noi  palpiterà  di 
gioia  al  vostro  glorioso  trionfo  ». 
Roma,  29  ottobre  1875. 

Vostro 
G.  Garibaldi. 

Al  patriota  esule  triestino,  presidente  del  Comitato, 
per  gl'insorti  erzegovini, scrìveva  cosi: 

«  Mio  caro  Popovich, 

«  Ove  rimanesse  un  insorto  solo  nell'  Erzegovina, 
bisogna  aiutarlo. 

«  Io  spero  che  Lìubibratic  e  compagni  si  soste- 
ranno sino  alla  primavera.  Intanto  bisogna  lavorare  per 
loro  a  tutta  forza 

«  Dite  ai  valorosi  del  Montenegro  ohe  il  mondo  am^ 
mira  il  loro  eroismo,  e   fa  voti   per  la   grandezza   d^l 
loro  paese,  culla  di  eroi.  Salutateli  caramente  per  me  ». 
Roma,  31  ottobre  1875. 

Sempre  vostro 
Q.  Garibaldi 


445 
E  quando  ebbe  per  telegramma  i  particolari  della 
di   Piva   nella   quale  i  Turchi  toccarono  una 
solenne  sconfitta,  cosi  gli  scrìveva  : 


battaglia 


«  Caro  Popovicb, 

«  I  liberi  d'ogni  psiese  europeo  esultano  per  la 
slpendìda  vittoria  deferii  eroici  figli  dell'Erzegovina  ori- 
entale '. 

Boma,  6  novembre  1875. 

6.  GarUahli, 


Non  è  quindi  da  meravigliarsi  se  all'annunzio  del- 
l'insurrezione  di  Creta  nel  1897  e  dell'attitudine  del 
governo  Ellenico  di  sostenerla  colle  armi,  in  Italia,  vec- 
chi palTioCi  e  giOTiiui  di  cuore  ardente,  sentirono  il  sa- 
crosanto dovere  di  continuare  la  g-Ioriosa  tradizione 
della  camicia  roasa,  quale  simbolo  di  libertà  per  gli 
oppressi. 

Per  opera  dell'insigne  patriota  Ettore  Ferrari^  co»' 
diuvato  dal  colonnello  Gattorao,  si  formò  un  corpo  di 
garibaldini.  Ma  In  parte  per  le  difficoltà  frapposte  dal 
Governo  Italiano  —  che  per  riguardo  ai  trattati  internar 
zionali  doveva  ostacolare  l' imbarco  dei  volontari,  — 
ma  ancor  più  per  le  incerfezze  delio  stesso  governo  di  Gre- 
cia, il  numero  desìi  accorsi  fu  assai  limitato.  E  per  pro- 
vare che  tali  incertezze  riuscirono  demnose  alla  causa 
ellenica,  basti  il  dire  —  che  il  generale  Menotti  Gari- 
baldi (col  quale  si  sarebbero  accompagnati  i  cblonnelli 
Pais,  Elia,  Cariolato,  Bedischini  e  tanti  e  tanti  altri  che 
lo  avrebbero  seguito  da  formarne  una  divisione)  tele- 
grafato al  fratello  Ricciotti  se  doveva  partire,  riceveva 
risposta,  che  diceva  inutile  la  partenzii,  giacché  riteneva, 
dal  modo  come  si  mettevano  le  cose,  che  forse  egli  stesso 
sarebbe  stalo  costretto  a  fare  ritorno  in  Italia. 

Per  tutte  queste  contrarietti  si  potè  solo  formare  al 


444 

più  presto  poasibiift  un  V  iMtLto^'lioiie  dì  duecento  cìn- 
quftntft  uoiiiiui,  c-Jie.  comandati  d^tl  Mereu,  furono  l  primi 
a  partire  per  la  GrecÌA.  Del  tstosso  del  corpo  di  altri 
ottocento  uomini,  già  pronti  il  generale  Ricciotti  Gari- 
baldi comandante  di  tutta  la  Legione,  ne  fomiaya  altri 
due  battaglioui  il  2"  e  il  3". 


Ci  volle  tqmpo  non  breve,  dopo  giuìiti  al  Pireo  e 
ad  Atene,  perchè  questi  bravi  potessero  avere  le  finn- 
e  il  più  stretto  necessario  per  un  corpo  destinato  a  com- 
battere. Finalmente  il  7  di  ]u;\ggio  il  Ministro  della 
guerra  partecipava  al  comandante  del  corpo  garìLifildino 
g^enerale  Riociotti  Garibaldi,  l'ordine  di  marcia. 

il  giorno  9  la  Le5:ioue  approdavi;  ad  Hagia-Marina: 
ivi  giuufci  il  y:enerale  avvisavei  telegrafi  carne  nte  il  prin- 
cipe Costantino  a  Domolcos  del  suo  arrivo;  questi  lo 
iuvitn.V(t  a  raggiungerlo  senza  ritjirdo.  A  Domokos  la 
Legione  garibaldina  fu  postJi,  sotto  gli  ordini  del  gene- 
rale di  divisione  Mauromicbaelis. 


La  mattina  del  17  raii^glu  l'esercito  turco,  forte  di 
setttìnmnìila  uomini,  diviso  in  cinque  divisioni,  cou  mo- 
vimento aggirante  attaccava  l'esercito  greco,  di  appena 
28  mila  combattenti. 

L'attacco  più  accanito  si  svolse  nel  centro,  contro 
le  trincee  iutorno  a  Domokos,  tenute  solidamente  e  con 
valore  dalle  truppe  greche  comandate  dal  generale  Mau- 
romichaelia,  che  da  prode  vi  lasciava  la.  vita. 

A  questo  combattimento  prese  parte  il  1"  battaglione 
garibaldino  comandato  dal  Mereu,  che  ebbe  ben  50  circa 
dei  suoi  valorosi  fra  morti  e  feriti.  Per  la  morte  del 
generale  Mauromichaelìs  che  le  comandava,  e  per  il  nu- 
mero preponderante  del  nemico,  le  truppe  greclie  dopo 


447 

eroica  resistenza  dovettei-o  abbandonare  ]e  trincee  di 
Doniokos. 

Da  quel  momento  In  battaglia  poteva  tlii^sì  finita, 
perchè  il  principe  ereditario,  comandante  supremo,  a 
notte  fatta  metteva  tutto  il  suo  esercito  in  ritirata  per 
FurcA. 


Mentre  questo  avveniva  al  centro,  airpstrema  sinì-' 
atra  la  divisione  Mairi  Panhà  sping^ei'adistaominenti  con 
l'obiettivo  di  impossessarsi  della  strada  Koto-Agorinni- 
Dereti  Moccoluno  onde  tagliare  ai  Gre<rl  la  ritirata;  men- 
tre col  grosso  delle  sue  forze  si  presentava  ad  attaccare 
la  piccola  divl&ionc  Tertipis  che  occupava  Ealimbeni- 
Kasim  ir- Amasi  ar. 

Contro  la  divisione  Hairi  Pacha  combattevano  eroi- 
camente il  2"  e  3"  battagilione  dei  garibaldini,  fiancheg- 
giati dalla  brava  legione  Filellenlcii. 

Ecco  come  il  generale  Riociotti  Garibiddi  descrivo 
il  combatti  111  ento  . 

*  Indovinato  il  piano  di  attacco  del  generale  Hairi 
Paeha,  dt'cisi  di  prendere  contittto  con  le  truppe  nemiche 
in  una  specie  di  semivcrcliio  rientrante  che  taceva  la 
pianura  a  piò  delle  toliiue,  il  cui  corno  destro  era  te- 
nuto Eiolamente  dalla  Filellenica  ed  il  àinìstro  da  alcuni 
Euzoni  della  divisione  Tertipia. 

«  In  m^zzo  a  questo  Kuuiìcerchio  vi  era  .una  colli- 
netta isolabi:  e  questa  era  la  posizione  che  io  ordinai 
d'occupare  per  tener  teista  olle  masse  nemiche  ;  già.  i 
tdragliori  turchi  più  avanzati,  ne  avevano  nv^giunte  le 
falde  di  destra  e  di  einistra  e  ac<;ogUevano  la  (.oniiiju'sa 
della  nostra  colonna  con  un  fuoco  asuai  bea  nutrito.  Fer- 
mate per  un  momento  le  prime  compagnie  dissi  ai  miei 
bravi  poche  parole: 


446 

<  Compagni  !  rkoriUdèvì  che  oggi  è  affidati)  a  roÌ  l'o- 
nortì  deJìii  camicia  fìSKCi  e  la  dignità  deU'Hali-.i  ». 

«  Queste  parole  furono  accolte  con  fremito  d'entu- 
siasmo e  Doa  ebbi  dubbio  che  queatti  terza  generazione 
di  volontari  sarebbe  stata  degna  delle  precedenti. 

«  Ordinili  a  Mcirtinotti,  comandante  dei  2°  batta- 
glione, di  stendere  la  1'  compagnia  in  ordine  aperto  e 
prendere  possesso  a  passo  di  corsa  della  collinetta  — 
obbiettivo  del  nostro  campo  d'azione. 

«  Per  fortuna  la  nostra  brava  1'  compagnia  giunse 
sul  culmine  della  collina,  che  era  attraversata  da  una 
Ecogliera  di  muro  a  secco,  pochi  minuti  piima  dei  tur- 
chi. Arrivati  alla  scogliera  i  nostri  aprirono  un  fuoco 
accelerato  sul  nemico  —  ma  questi  a  sua  volta  li  ful- 
minava con  fuoco  incrociato. 

»  In  questo  momento  accadde  un  fatto  il  quale  fu 
inteso  djilITtiilia  tutta  con  vero  dolore. 

«  Fra  i  primi  che  giunsero  euHa  cresta  della  col- 
lina vi  erano  alcuni  ufficiali  del  mio  stslo  maggiore, 
tutti  provvisti  di  fucile.  Con  essi  si  trovava  il  nostro  An- 
tonio Fratti.  Raggiunta  che  ebbi  in  pochi  minuti  la  som- 
mità, mi  sentii  dire:  Glenerale,  Fratti  è  ferito!  Mi  ri- 
volai al  piccolo  gruppo  ohe  si  allontanava  col  ferito,  e 
chiesi;  «  Come  ata  Fratti?  Mi  fu  risposto  «  è  morto  >. 

«  Ne  sentii  cordoglio  vÌTÌssimol 

«  Povero  Fratti!  fu  destino  che  dovesse  trovare 
l'  estremo  giaciglio  là  sotto  un  salice  sulla  sponda  del 
Pentamili!  » 

<  Air  apparire  dei  nostri  il  movimento  io  avanti 
del  nemiiw  si  era  arrestato;  ma  tutto  il  fuoco  lo  aveva 
concentrato  sulla  collina  ove  le  Camicie  Rosse  preisen- 
tavano  un  splendido  bersag'lio,  tanto  che  in  un  momento 
ne  caddero  parecchie. 

«  Il  capitano  Capelli  comandante  della  1*  compa- 
gnia, mio  figlio  Beppino  ed  altri  otto  o  dieci  si  erano 
già  slanciati  giù  dal  pendio  contro  il  nemico  strapo- 
tente ;  immediatamente  diedi  ordine  a  Mju-tinotti  di  ab- 


U9 

bandonare  la  collina  e  di  correre  in  sostegno  a  passo  di 
carica. 

La  2*,  3",  4*  compagnia  furono  spinte  avanti  in  ap- 
poggio dei  movimento  eulla  sinistra,  e  quattro  compa- 
gnie grecite  (3"  battaglione  comandante  Martini),  sulla 
destra. 

«  La  sezione  francese  —  sotto  de  Barre  —  segui 
il  battaglione  italiano  ;  o  la  sessione  inglese  —  sotto  Erio 
Short  —  si  uni  al  battaglione  greco. 

«  Kamos,  greco,  mio  compagno  indivisibile  si  mise 
alla  testa  dei  suoi  connazionali,  e  Mcren  sopraggiunto  col 
resto  dei  suoi  alla  testa  della  nostra  destra. 

*  Alle  b  pomeridiane  atfeiccati  rabbiosamente,  i  Tur- 
chi interrompono  la  loro  marcia  in  avanti,  e  si  fermano 
ma  il  conibattimento  contìnua  accanito;  infine  balenano. 
si  disordinano  e  volgono  in  precipitosa  ritirata.  Un  gildo 
si  leva  altitìsimo  dalla  Legione  Filellenica;  «  Viva  i  g'a- 
rìbaldini  !  Viva  l'Italia!  »  da  noi  si  risponde  <  Viva  la 
Grecia  ».  Ben  altro  ci  rimaneva  ancora  da  fare. 

«;  Bisognava  sloggiare  i  Turclii  che  si  erano  trin- 
cerati in  un  altura  detta  della  Madonna.  iMontaì  a  ca- 
vallo ;  pregai  il  valoroso  capitano  Varatassis,  coman- 
dante la  Legione  Filellenica,  rinia-:ta  in  poco  più  di 
cento,  e  il  capitano  greco  Stifiliades  che  era  venuto  a 
mettere  a  mia  disposizione  una  compagnia  di  truppe 
regolari,  di  appoggiare  la  mia  destra,  e  sostenuti  «Ila 
sinistra  rial  3^  battaglione  greco  comandato  da  braTi  uffi- 
ciali e  diretto  dal  valoroso  compagno  Ramos,  ordinai  un 
attacco  generale  alla  baionetta.  Tutti  con  slancio  ammi- 
revole ei  avventano  ansanti  suH'erbi  posizione  nemic-a; 
i  Turchi  non  reggono  all'ardito  e  furioso  assivlto,  ab- 
bandonano la  posizione  e  si  mettono  in  fuga. 


*  n  sole  era  tramontato  — ■  le  fucilate  erano  cessate 
—  ed  anche  l'artiglieria  taceva  —  oiinai  non  vi  era  da 
fare  altro  che  ritornare  ai  Tillaggì  per  pernottarvi. 


'460 

<  Le  trombe  suonarono  a  raocolta  e  da  tutte  le 
parti  venivano  gruppi  di  camicie  rosse  gridando  avviva 
—  ebbri  tutti  di  un  immenso  entusiasmo- 

<  La  prova  era  superata  e  splendidamente  superata. 
«  La  camicia'  rossa  ayeva   scritto   un'  altra  pagina 

non  indegna  di  figurare  accanto  alle  altre  gloriose;  e 
l'Italia  nostra  poteva  andare  superba  di  questa  nuova 
generazione  dei  suoi  tigli.  Avevano  combattuto  uno  con- 
tro sette  e  non  erano  stati  vinti  ! 

«  Verso  l'una  del  mattino  mi  venne  l'ordine  di  ri- 
tirarmi per  la  via  dil>anitz  a  Lamia  —  e  mi  si  diede 
notìzia  che  tutto  l'esercito  greco  si  ritirava  >>. 


Ma  il  generale  Ricciotti  Garibaldi  non  volle  abban- 
donare il  campo  senza  .avere  raccolti  i  feriti  e  formato 
un  convoglio  di  trasporti.  E  prima  di  tutto  volle  ren- 
dere l'estremo  tributo  ai  caduti  e  al  valoroso  compagno 
Antonio  Fratti  dandogli  onorata  sepoltura  sotto  ad  un 
salice  vicino  al  ruscello  PentamiU! 

Pagato  quest'ultimo  tributo  e  mandato  l'estremo  sa- 
luto ai  valorosi  morti  per  una  santa  causa,  la  colonna 
prese  la  strada  di  Panaghia. 

Cosi  fini  Ja  breve  campagna  di  Grecia  del  1897  nella 
quale  la  brava  legione  onorava  anche  una  volta  il  nome 
italiano  tenendo  alto  il  prestìgio  della  Camicia  rossa. 


CAPITOLO  xxxm. 

Orrendo  misfatto  9  morte  df  Umberto  t° 

Come  un  fulmine  un  gravissimo  lutto  colpiva  im- 
provvisamente r  Italia  tutta. 

Il  29  luglio  del  1900  —  giorno  nefasto  —  il  mondo 
esterefatto  udiva  l' orrìbile  notizia.  A  Monza,  moriva 
assassinato  da  belva  umana  Umberto  F  Re  d'Italia  — 


451 

'il  Re  che  amava  il  popolo  suo  come  il  padre  11  più  amo- 
roso I  il  più  benefico! 

Cbi  può  ricordare  senza  fremere  U  data  dellii  sera 
infame  nella  quale  Umberto  di  Savoia  —  forma  idenle 
dibonU'i  —  iri  mezzo  ad  una  festa  di  popolo  alla  quale 
fidente  aveva  voluto  prendere  parte  —  a  tradimento 
—  fra  le  ombre  notÈuroe  —  venÌTa  ucciso  dall'  arma 
parric-ida  d'un  italiano?  Fu  il  più  grande  misfatto  che 
tigre  sititionda  di  sangue  potesse  perpeti-are  ! 

Umberto  F  nel  morire  deve  avere  pensato  —  Oh  ! 
quanto  meglio  sarebbe  jitato  cadere  tra  il  fragore  delle 
armi  e  lo  squillar  delle  trombe  nel  186ij  —  quando  fra 
i  suoi  valorosi  soldati  combiitteva  da  eroe  nella  disgra- 
ziata ma  pur  gloriosa  giornata  di  Cu&toza  ;  sarebbe  morto 
sul  campo  combattendo  in  difesa  della  libertà  e  per  la 
unità  della  patria  col  pensiero  rivolto  alle  terre  italiane 
irredente  —,  seuipre  Udenti! 


Incancellabile  durerà  in  tutta  Italia  il  ricordo  del- 
l'eeecraiido  delitto  —  e  il  popolo  che  vivo  l'amò  tanto 
—  sentirà  sempre  che  il  ricordo  di  Lui  iV>rma  ormai  la 
parte  più  cara  della  sua  coBcienza. 


«  Date  liierime  ed  onori  alla  sua  sacra  memoria  ». 

Questo  fu  il  Vostro  voto  Sire!  quando  saliste  sul 
trono  del  Padre  della  Patria  e  di  Umberto  I  il  Re  Buono 
■ —  e  il  popolo  come  una  eco  alle  parole  de!  Vostro  cuore 
addolorato  —  spinto  da  sentimento  unanime  —  glori- 
ficando la  memoria  del  Re  estinto,  fece  nel  tempo  stesso 
solenne  aftcrniazione  plebiscitaria  di  affetto  per  Voi  Ema- 
nuele III  nostro  Re  e  per  la  Voatra  Ciisa. 

E  le  dimostrazioni  di  vivo  rimpianto  di  tutto  un 
popolo,  aia  per  Voi  —  Regina  Margherita  — =  tanto  amata 


452 

,dal  lacrimato  Re  —  tanto  adorata  dalla  Nazione  —  di 
conforto  al  Vostro  cuore  d'italiana,  di  sposa  e  di  madre. 
L'Italia  Ti  ha  conBacrata  alla  sua  venerazione! 


* 

a  • 


Questo  è  il  primo  ordine  del  giorno  col  quale  S.  M. 
il  Re  Vittorio  Emanuele  III  manifestava  all'  esercito  i 
suoi  sentimenti  patriottici  e  civili  in  occasione  della  sua 
assunzione  al  trono. 


Ufficiali,  sott'uffìciali  e  soldati 
dell'Esercito  e  dell'Armata! 

«  L'intiero  mondo  civile  ha  udito  con  indignazione 
la  tragica  fine  del  compianto  mio  genitore. 

«  Il  dolore  della  Nazione  si  è  cerbimente  ripercosso 
nei  vostri  cuori  di  buoni  e  fedeli  soldati.  In  questo 
momento  il  mio  pensiero  si  rivolge  fidente  a  voi  tutti, 
certo  che  riporterete  su  di  me  l'affetto  col  quale  cir- 
condavate il  Re  Umberto,  atfetto  che,  seguendo  l'esempio 
paterno,  con  cuore  di  soldato,  io  vi  ricambio. 

«E  con -voi  il  mio  pensiero  si  rivolge  ai  vostri 
compagni,  che  in  Creta,  nell'Eritrea  ed  in  Cina  mo- 
strando le  tradizionali  qualità  di  soldati  italiani,  tengono 
alta  la  gloriosa  bandiera  nazionale  simbolo  della  gran- 
dezza e  dell'unità  della  nostra  patria  ». 

Da  Monza  T  agosto  1900. 

Vittorio  Emanuele  III. 


* 

*  * 


Ecco  come  si  commemorava  alla  Camera   dei  De- 
putati la  morte  di  S.  M.  Umberto  I  Re  d'Italia. 


465 

H  giorno  6  agosto  il  presidente  onorevoie  Villn  — 
-dava  partecipazione  all:i.  Camera  deiresecrjinJo  delitto 
collo  seguenti:  parole  che  tutti  i  deputati  profondamente 
commossi  ascoltavano  in  piedi: 

«  Onorevoli  colleghi! 

Umberto  I,  l'amalo  nOBtro  Re,  non  è  più  !  La  mimo 
sacrilega  di  un  assassino  si  ò  levata  su  lui  e  \h  n\  Monza, 
in  mezzo  al  popolo  che  lo  salutava  plaudente  con  le  più 
schiette  manifeatazioDi  della  gratitudine  e  delTaftetto,  ne 
spezzava  freddamente  il  cuore. 

«  Non  la  mia  povera  parola  varrelibe  oggi  a  dfrvi 
della  immane  sventura  che  (?i  lia  colpiti  ;  uon  io  saprei 
degnamente  evocare  dinanzi  agli  ocuhi  del  cuore,  im- 
pietrito dal  dolore,  l' imraag^ine  del  Re  barbaramente  as- 
sassinato ;  non  io  potrei  dirvi  di  questo  gran  m.iirtire 
della  carità,  che  l'odio  settario  ha,  nel  suo  inaaziabilo 
-istinto  di  rovine  e  di  sangue  vigliaccamente  sacrificato. 
(Benìssimo .') 


«  No  !...  Ma  io  sento  che  parla  per  me  la  voce  di 
tutto  un  popolo  che  lo  amava  {Benhiimo!)  e  Io  benediva  ; 
di  un  popolo  intero  che  da^jli  alti  palazzi,  come  dai  più 
umili  casolari,  dai  più  remoti  augoli  del  paese,  dalle  of- 
ficine e  dai  campi,  si  leva  esterrefatto  Ira  le  Iaj,'rime  e 
le  preghiere  e  nell'impeto  delle  sante  ire  maledice  ai 
sicari.  {Vtàssinm  appnwazioni). 


«  No!...  Ma  io  sento  che  echeggia  qui  nel  cuore  di 
tutti  noi  la  voce  immensa  di  tutto  il  mondo  civile  che, 
piangendo  desolato  e  concorde  la  caduta  di  un  Eroe  vil- 
mente fulminato  da  un  assassino,  solleva  un  j;rido  dì 
esecrfizione  e  di  allarme  contro  quel  cosmopolitismo  fe- 
roce e  sau^'ulnario   che,  caJpebtaiido    ogni    alta  idealità 


456 
dell»  Tita  umana  e  ponendosi  in  aperta  rivolta  contro- 
ogni  santa  manifestazione  della  carità  e  dell'amore,  uod 
sì  arresta  neppure  dinnanzi  al  porriddio.  {Vivissime  ^lp- 
provazioni). 


€  No,  io  sento  raccolta  qui  negli  animi  nostri  la 
parola  dolcissima  di  quella  grande  Addolorata  che,  dopo 
di  aver  portato  nella  Keggia  il  fascino  della  grazia  e 
della  bontà,  dà  oggi  nelle  veglie  del  dolore  l'esempio 
di  una  forza  e  di  una  virtù  ammirande;  {Vivissime  ap- 
provazioni —  prolungati  applausi)  non  dimentica  mai,  fra 
le  angoseie  dell'  anima,  né  dei  doveri  di  miwìre,  né  di 
quelli  che  la  stringono  alla  nazione  che  essa  ama,  e 
dalla  quale  è  riamata,  e  non  invocando  da  Dio  che  la 
grazia  suprema  della  rassegnazione.  {Benissimo!) 


«  Era  buono...  non  fece  mai  male  a  nessuno.  È  il  più 
gran  delitto  del  secolo.'  E  in  queste  parole  che  proruppero 
dal  cuore  della  donna  e  della  Regina,  è  la  sintesi  do- 
lorosa e  solenne  di  quella  terribile  tragedia,  che  ebbe 
il  suo  epilogo  nella  notte  tìitale  del  29  luglio.  (Bravo .') 


* 
•  # 


«  Era  buono.  Si,  buono  di  quella  bontà  che  è  il  com- 
pendìo di  tutte  le  virtù;  di  quella  bontà  che  riunisce 
e  rispecchia  le  più  eminenti  doti  dell'  intelletto  e  del 
cuore  in  tutti  i  rapporti  della  vita  morale  e  civile.  {Be- 
nissimo !) 


* 


«  Era  buono  ;  e  lo  provò  prima  ancora  dì  assumere 
le  alte  responsabilità  della  Corona,  conformando  tutt* 
la  sua  vita  alle  austere  discipline  del  dov«:e,  assecon- 


-dando  con  sentimento  di  devozione  la  volontà  del  padre, 
-s^uendone  fedele  gli  esempi  e  avventurando  la.  vita 
-COTI  lui  e  eoi  fratello'  sui  tarapi  di  Lombardia  per  la 
-carata  italiana.  {Baniminio!  Bravo!) 

«  Io  non  ambisco  — cosi  Egli  diceva  ai  rappresen- 
tmei  della  Nazione,  noU'attcv  di  cingere  la  Corona  ;  Io 
BOB  ambisco  che  nieritftre  questa  lode:  EctLI  it  deriìo 
DEL  m»BE  *.  E  nella  oTnerica  semplicità  di  queste  parole 
Egli  scolpiva  tucto  ranimo  suo.  {Ai^oì>azioni\ 

«:  Era  buono;  e  lo  provò  durante  i  veiuidiie  anni  di 
regno,  non  ismentendo  mai  quella  che  fu  la  costante 
preoccupazione  di  tuttala  sua  vita;  di  mantenere,  cioè, 
fede  rigorosa  alle  istituzioni.  Re  costituzionale,  egli  non 
si  lasciò  mai  sedurre  dal  pensiero  di  potersi  in  qualche 
modo  porre  in.  contriisto  con  quell'indirizzo  di  Governo 
che  gli  poteva  essere  segnato  dalla  volontà  della  na- 
zione. Reli.cioso  osservatore  iella  legge,  egli  sentiva  tutJi 
i  doveri  che  sì  impongono  al  Sovrano  nell'atto  ufficio 
■che  gli  è  affidato,  di  essere  moderatore  imparziale  fra 
l'urto  dei  partiti  che  intendono  n  fecondare  con  nuovi 
elementi  l'attività  politica  ed  economica  dello  Stato.  Piis- 
sarono  sopra  di  noi  turbini  e  procelle  spaventose;  gravi 
sventure  colpirono  il  cuore  della  nazione,  egli  non  di- 
sperò mai  della  patria;  nèdubiiò  mai  della  virtù  italiana: 
ma  richiamando  serenamente  il  paese  alla  coscienza  della 
sua  forza  e  al  culto  della  libertà,  proclamò  sempre  la  sua 
lede  costante  nelle  Istituzioni  «  essere  e^ise  la  mittii/twrffiu 
contro  ogni  pericolo;  in  esue  la  prosperità  e  la  (frimdezza  deìla 
patria  ».  (Vivisaime  approtazifmi  —  Vmi  e  protjt nyali  ap- 
pianai). 


*  Nùn  fece  mai  dd  male  a  nessuno.  E  come  lo  avrebbe 
potuto?  Egli  passò  beneficando.  Non  fu  pubblica  sventura 
nella  quale  egli  non  abbia  saputo  manifestale  tutto  l'ine- 
sauribìitì  tesoro  di  bontà  che  aveva  nel  cuore.  Lo  vedete 
impavido  in  mezzo  ai  pericoli,  affrontare  la  tcrribne  ma- 


45S 

Iflttia  quando  é  più  fìtta  rec!itoral>e  (Ielle  vite  e  più  fler» 
l'iraperveryaro  del  flagello;  impaziente  sempre  di  giun- 
gere tin  i  primi  a  portare  uhh  parola  di  conforto  e  un 
socMrso  ai  derelitti  colpiti  dalla  sciagura.  Non  vi  è  mi- 
seria alla^  qUAle  egli  non  sappia  apprestare  un  riparo. 
Negli  asili  come  nogli  ospedali  egli  accorre  colla  coficienza 
di  dover  adempiere  ad  un  dovere  di  umanità  e  con  la 
stessa  fede  coti  cui  vi  accoirre  una  suora  di  carità. 


«  To  pcrrò  vegli  ujiiiH  la  'jloria  dd  mio  regna.  Con 
queste  parole  egli  riassumeva  tutto  il  mio  cuore,  tutto 
lo  scopo  al  quale  avrebbe  desiderato  fossero  rivolte  le 
cure  del  Governo;  l'ìnteuto  sommo  che  egli  sperava  di 
poter  raggiungere.  E  lo  provava  accordando  largo  con- 
corso di  sovvenzioni  ad  Istituti  di  previdenza,  Caase  di 
lavoro,  Associazioni  cooperative,  ogni  opera  diretta  ad 
allie\'arc  If-  ucceseiLii  dei  più  umili.  Lo  provava  mo- 
strandosi sempre  devoto  alla  causa  degli  operai,  mesco- 
landosi con  questi  con  confidente  famigliaritti;  mostrando 
la  più  vivji  bollecitudine  per  i  loro  interessi  e  per 
quelli  delle  Joro  famiglie;  avendo  per  tutti  una  stretta 
di  mano,  Juna  parola  amica,  un  sorrìso  che  infondeva 
in  ogni  cuore  un  sentimento  dì  fiducia  e  dì  ossequio. 


«  Era  buono  e  non  di  meno  vi  fu  chi  ha  potuto  con- 
cepire)il  truce  pensiero  di  farne  scempio! 

«  E  vi  è  staio  chi  ha  potuto  freddamente,  roteare 
sopra  quel  petto,  sul  quale  brillavano  le  insegne  del  va- 
lore, ì  tre  colpi  mortali  ! 


«  EtìTu  clii  pensò  di  scegliere  con  ributtante  audacia 
teatro   dell'opera   scellerata  ed  infame    quello    stessa 


459 

luogo  e  quell'ora  etesaa,  in  cui  il  plauso  popolare  salu- 
tava il  Re  buonoj  leale  e  generoBo  ;  conculcando  l'au- 
torità sovrana  ed  insultando  ad  un  tempo  l'affetto  po- 
polai'e  {Twi  e  proiuitgaii  appluffi). 


<t  È  il  pih  gran  delitto  dal  Secolo.  Sì:  è  la  brutale 
malvagità  che,  mentre  sfoga  il  suo  istinto  di  sangue  di- 
struggendo la  più  nobile  delle  esistenze  conculca  nel 
tempo  atesso  la  più  alta  perso  ni  ftcaziono  dell'autorità  della 
legge,  della  tnaesti't  della  nazione,  del  diritto  sociale,  della 
giustizia,  e  insulta  ad  un  tempo  il  sentimento  popolare 
nella  pili  elevata  sua  manifestazione.  (^Vicì  e  in'ohtngati 
applausi). 


«  È  la  brutale  malvagità  alimeniata  ed  ordinata  a 
sistema  contro  ogni  ordine  sociale  :  distruggere  per  di- 
struggere. Lusinganti  torso  ì  dissennnti,  di  poter  con  le 
loro  opere  di  sangue  attentare  a  quella  grande  espres- 
sione di  forza  che  è  la  Monarchia  italiana;  ed  offendere 
quel  prezioso  coacervo  di  volontà,  di  aspirazioni,  di 
energie  che  ó  rapprosentiUo  dalla  Dinastia  di  Savoia? 
{Vive  approvazióni). 


<(  Mo  ;  il  Re  nnn  muore  {Pvnhwgafi  iippinimi  e  gridìi 
ripetute  di:  Viva  il  Re  !)  e  il  sangue  dei  miuniri  fortifica 
la  fede  dei  superstiti.   {Prùluagatì  (tppiausi). 


•,  Il  Re  non  muore;  Umberto  rivive  nel  tiglio  suo. 
Vittorio  Emanuele  III  raccoglie  la  Corona  insanguinata 
per  continuare  imperterrito  e  con  la  stessa  fede  tiuella 
nùBsione  di  pace  a  di  giustizia,  che  l'Augusto  suo  Gè- 


460 
nitore  si  era  prefisso.  (  Vive  appromazhm).  Contro  questa 
l^ge  indefettibile,  della  continuità  giuridica  e  morale 
della  Monarchia,  che  hi  coscienza  del  popolo  ha  con  toi- 
rabile  concordia  riconosciuta,  non  vi  è  opera  di  sètte, 
non  vi  è  opera  di  violenti  che  possa  prevalere.  {Vivi 
e  profungati    applmixi  —    grida  ripetute  di:  Viva  il  Re!) 


*  » 


«  Grandi  doveri  però  c'incombono,  ai  quali  la  nostra 
coscienza  non  può  mancare.  Noi  sentiamo  che  la  vita 
morale  della  Nazione  è  turbata,  da  dissesti  morbosi  ;  noi 
sentiamo  che  vi  e  nell'organismo  sociale  qualche  cosa 
che  fallisce  alla  regolarità  e  sincerità  delle  sue  funzioni. 
Al  più  grande  dei  delitti  del  secolo,  perpetrato  su  di 
una  pubblica  piazza  assiepati  di  popolo  e  contro  la  più 
nobile  delle  vite,  si  collegano  responsabihtà  morali  più 
o  meno  dirette,  più  o  meno  prossime  che  possono  di- 
pendere dagli  imperfetti  organismi  della  nostra  vita  giu- 
ridica ed  amministrativa.j('T7(!e  approvazioni). 

«  Bisogna  richiamare  il  paese  all'osservanza  rigorosa 
della  legge.  {Vive  approvazioni  —  applausi).  Bisogna  mo- 
dificare, correggere  i  nostri  istituti  educativi,  tar  pene- 
trare nelle  masse  il  sentimento  del  dovere;  richiamarle 
agli  alti  ideali  della  patria  e  della  famiglia  ;  dare  a  tutti 
e  in  tutto  quella  giustizia  che  è  il  supremo  bisogno  dei 
popoli.  {Applausi  unanimi  e  prolungati). 


*  # 


«  Con  questi  intendimenti  raccogliamoci  attorno  al 
giovine  Re  sul  quale  l'occhio  del  padre  e  della  madre  po- 
savansì  con  tanto  affetto  e  che  sollevando  la  bandiera 
abbrunata  della  patria,  intende  con  animo  sicuro  verso 
la  meta  segnatagli  dal  padre  e  dalle  tradizioni  della  sua 
Casa.  Raccogliamoci  attorno  ad  esso  al  grido  di  :  Viva 
il  Re  {Vivi  e  prolungati  applausi,  —  grida  di  :  Viva  il  Re!) 


461 

Qué&to  grido  che  mi  prorompe  dall'animo  è  l'espressione 
più  pura  dell'unità  della  patiia,  la  mnnifestiizìone  più 
alEa  della  sua  forza  morale  e  della  maesUi-  G  della  gmii- 
deazft  del  noiiitì  ìuliano,  purificati  da  ogni  eoiurasto  re- 
gionale. Da  qui  l'avreDlre  della  patria,  da  qui  l'espia- 
zione, che  darà  la  pace  alle  nostre  coscienze  e  al  pneae 
la  sua  unità  morale  e  la  coscienza  della  sua  miseioiie. 
■{Àpplutisi  generali  e  proitingaii.  —  Grida  ripeitiin  dì  ;  Viva 
il  Re!) 

Così  parlava  l'onorevole  Saracco,  presidente  del  Con- 
siglio, ministro  dell'interno: 

«  Sig-nori  deputati! 

<  Mi  onoro  di  annunziare  alla  Cfiniera,  che  S.  M.  Il 
Re.  con  decreto  del  2  agosto,  ha  coaferraato  ine  nell'uf- 
ciò  di  presidente  del  Consiglio,  ministro  dell'interno,  e 
i  miei  coìleghì  nelle  loro  rispettive  funzioni.  Spetta  perciò 
a  me  di  compiore  il  mestissimo  ufficio  di  associarmi,  in 
nome  del  (JovernOpai  sentimenti  d' indignazione  e  di  do- 
lore, eaprossì  con  rara  eloquenza  dal  vostro  degno  pre- 
sidente, 

«  Mi  associo  a  questi  sentimenti  coll'aninio  più  che 
con  le  parole;  le  quali  non  bastano  a  significare  la 
commozione  profonda  e  il  cordoglio  che  mi  strazia. 

«  Io,  chd  vidi  le  origini  del  nuovo  Regno,  o  presi 
parte  a  tutte  le  vicende  fortunate,  per  cui  il  piccolo  Pie- 
inonte  si  trasformò  nella  Grande  Patria  Itoliana,  non 
avrei  mai  creduto  di  viver  tanto  per  assistere  alla  sti*age 
del  mio  Re.  {Bravo!  Bene!) 

*\ 

*  Ciò  che  più  mi  cruccia  é  il  pensiero  che  la  sua 
vita  preziosissima  fu  troncata  dalla  mano  d' italiano. 
{Hrafo!  —  Approcazìnnì) 


462 

'  «  Se  la  maledizione  del  popolo  non  avesse  raggiunta 
il  parricidti,  se  non  gli  pendeBse  inesorabile  sul  capo  la 
maledizione  di  Dio  e  di  tutto  il  inondo  civile,  vorrei 
anch'  io,  con  le  lagrime  negli  occhi  e  con  lo  sdegno  nel 
cuore,  esecrare  e  maledire  questa  belva  in  figura  d'uomo. 
{Benissimo!  —    Vive  apprwazioiii). 


«  Ma  debbo  far  forza  a  me  stesso  e,  come  capo  del 
Governo,  imporre  freno  all'indignazione  che  mi  trabocca 
dall'animo,  imitando  l'esempio  di  forte  serenità  che  ci 
viene  dall'Augusto  Successore. 


# 


«  Raccolti  nel  dolore,  prostriamoci  innanzi  al  feretro 
del  Re  leale,  buono  e  generoso,  soldato  per  la  patria  e 
per  l'umanità,  del  Re  che  riassumeva  le  virtù  civili 
e  militari  della  sua  eroica  stirpe  ;  del  Re  che  fu  sempre 
fortunato  interprete  dei  sentimenti  e  delle  aspirazioni 
del  suo  popolo,  cui  lascia  tanta  e  cosi  larga  eredità  di 
affetti. 


* 


«  L'universale  compianto  che  lo  accompagna  nel 
sepolcro  è  il  giusto  premio  di  una  vita  tutta  spesa  nello- 
adempimento  del  dovere  e  dedicata  al  benessere  ed  alla 
felicità,  del  suo  popolo. 

«  La  fine  crudele  toccata  al  più  giusto  al  più  umano- 
dei  Sovrani  deve  ispirarci  gravi  riflessioni  e  suscitare 
virili  propositi. 

«  Di  fronte  alla  frequenza  di  cosi  mostruosi  e  bru- 
tali delitti  che,  senza  odio  e  senza  motivo,  prendono  di 
mira  le  più  innocenti  e  le  più  elevate  esistenze;  di 
fronte  alle  minaccie  incalzanti  e  feroci  di  una  classe 
di  degenerati  senza  patria,  senza  umanità  e  senza  Dìo;. 


463 

[Benìssìmf}!  —  Vivissime  approvazioni)  che  sognano  di 
rinnovare  !a  BocLetói  seppeiìondola  sotto  le  sue  rovine; 
in  mezzo  ii  tanto  agliai-si  di  tnalsnue  passioni  e  di  ap- 
petiti sfrenati,  che  avveleuano  l'amliente  e  turbaao  la 
pubblica  coscienza,  non  è  lecito  ni  Governo  rimanere 
impassibile;  {Benmìmo!  —  Brami)  non  potete  restare 
impassibili  voi,  onorevoli  deputati,  cui  sono  connesse  le 
sorti  di  una  cosi  nobile  e  civile  nazione,  grande  nei  suoi 
slanci  patriottici,  generosa  e  cavalleresC'fl  nei  suoi  sen- 
timenti. {Bene!) 

«  Non  è  possìbile  che  nel  seno  dì  questo  bel  paese 
cOBtinui  a  fecondarsi  il  reo  seme  che  ha  dato  frutti  cotd. 
funesti  e  ne  prepara  di  peggiori  per  l'avvenire.  (Renis- 
ainiQ .') 


«  Tutti  coloro  che,  come  noi,  son  convinti  esfsere  la 
Monarchia  la  sola  forza  con  la  quale  il  nostro  paese  può 
tenersi  unito  e  prosperare,  {Beìtìasbno!)  hanno  l'obbligo 
ài  stringertìi  insieme  per  studiare  e  per  preparare  i  mezzi 
acconci  a  prevenire  le  funeste  esplosioni  di  un  fanatì- 
srao  cieco,  che  minacciano  il  ritorno  di  una  barbarla 
nuova  e  senza  nome  [Appmvaztoni). 


«  È  questo  il  compito  che  i  nuovi  pericoli  impong^ono 
al  Governo  ed  al  Pai-lamento,  consci  della  loro  missione 
e  solleciti  dell'onore,  della  sicurezza  e  dell'avvenire  del 
paese,  {iknfusimo!). 

«  Dopo  mezzo  secolo  di  vita  politica,  attraverso 
tante  vicende,  non  ho  miii  penluta  la  fede  nei  benefizi 
della  libt-rt-ji,  clie  fu  la  leva  del  nostro  risorgimento  e 
la  pietra  angolare  del  nostro  Kcgno  ;  (/fefl/.Wmf) /)  ma,, 
per  assicurarla  e  garantirla,  occorre  impedire  con  mano 
ferma  ed  energica  che  nell'ombra  e  sotto  il  pretesto 
della  libertii  sì  sovvertano  gli  ordini  dello  Stato.  {Benis' 


404 
Mmo  —  Vivi  applami  !}  e  si  mettano  in  serio  pericolo  le 
c(Hiquiste  della  civiltà  e  del  progresso.  {Bemasimo!) 


•% 


«  L'immenaa  sventura  che  ci  strappa  cosi  amare 
lacrime,  aia  per  noi  un  salutare  lavacro  che  purifichi 
gli  spiriti  e  unisca  gli  animi  alla  comune  (^fesa. 


€  Sarà  questo  l'omaggio  più  degno  che  possiamo  ren- 
dere alla  venerata  memoria  del  compianto  Sovrano  ed 
il  saluto  augurale  all'Augusto  Successore  che,  giovane 
ed  animoso,  seguita  sul  trono  le  orme  luminose  del  Pa- 
dre e  dei  suoi  Grandi  Avi. 


« 
»  * 


«  I  vecchi  hanno  data  una  Patria  e  un  glorioso  re- 
taggio da  custodire  ;  spetta  a  voi  giovani  di  conservarlo 
ed  accrescerlo  con  la  fede  robusta,  collo  spirito  di  sa- 
crifizio e  coi  sentimento  di  solidarietà,  che  levarono  l'I- 
talia alla  presente  fortuna.  {Benissimo!  —  Viveapprova- 
zioni  Vide  prolungati  applausi).  » 

II  presidente  della  Camera  dà  poi  comunicazione  dei 
seguenti  telegrammi. 


«  * 


Monsieur  le  Président, 

Profondément  ému  par  le  crime  execrable  qui  met 
en  deuil  l'Italie  et  le  monde  civilisé,  je  prie  Votre  Ex- 
cellence  d'agréer  l'expression  de  mes  plus  vives  sympat- 
thies.  Je  suis  sttr  d'étre  l'interprete  des  sentiments  de 
mes  coUegues  en  vous  adressant  le  temoignage  de  no- 
tre  tristesse.  Les  deux  nations  se  sentent  unies  une  fois 


465 

de  plus  par  les  nieraes  douleurs.  —  Paul  Deschanel.  » 
—  {VÌBÌsttiini  e  prolungati  applausi). 


«  L'Union  Interparlemen taire  pour  l'arbitrage  iuter- 
national  et  la  paix  réunie  en  conference  à  Paria,  s'asao- 
cianG  ali  deuil  de  la  natica  Itiilienue  et  protestant  avec 
indignatlon  contre  l'odieus  actetitat  dont  Roi  Humbert 
a  été  TÌctime,  a  l'honneur  d'offerir  a  Monsieur  le  Pré- 
sident  de  la  Chambre  dea  Députés  rbomiuage  respectueux 
de  ses  sincéres  cofldoleancea.  —  Le  Président  de  la  Con- 
ference, Faillieres,  Président  du  Senat.  >  —  (Applausi). 


«  Profondément  émus  du  deuil  qui  frappe  l'Italie, 
nous  vous  envoyons  nos  compii ments  do  condoléan<'e 
et  bien  douloureuso  eympathie  au  nom  de  l'Union  des 
Commissaires  étrangers  —  Robert  Raffalovich  Asbeck 
Spearman.  »   —  {Bemf) 


«  Le  ci'ime  abomìnable  qui  plorile  en  deuil  l'iinia- 
Tiitè  entìère  m'a  cause  une  grande  douleur.  Sur  d'ètre  le 
fldèle  interprete  de  ces  mèmes  sentlmentg  dfi  tous  mea 
collègues,  j'esprime  à  Votre  Excellence  nos  sympathies 
et  l'assurance  de  le  part  immense  que  nous  prenons 
daus  Ih  douleur  de  tont  la  nation  italienne.  —  letcho 
BakalofF  Président  de  la  Ctiambre  dea  Députés  de  Bul- 
garie. »  —  {Bene!) 


X  Dopo  aver  ascoltate  le  seguenti  parole  pronunciate 
nella  seduta  d'oggi,  la  Camera  che  ho  l'onore  di  presie- 
dere ha  deliberato  che  esse  siano  trasmesse  a  V.  E.  come 


46S 

fedele  espressione  dei  suoi  sentimeiiti,  nonché  dì  quelli 
della  nazione  Argentina  : 

V.  Signori  deputati  !  Il  telegrafo  annuncia  che  Sua 
Maestà  Umberto  I,  il  virtuoso  e  magnanimo  Re  d'Italia 
cadde  vilmente  assassinato.  Credo  rendermi  fedele  in- 
terprete dei  sentimenti  della  Camera  dei  deputati  della 
Nazione  Argentina  esecrando  il  barbaro  attentato  che 
deve  essere  energicamente  riprovato  da  tutti  i  popoli 
civili  del  mondo  in  omaggio  alla  memoria  dell'  illustre 
Re,  che  fu  sicuro  e  costante  amico  della  nostra  patria. 

«  In  considerazione  del  dolore  che  grava  sul  nostro 
Spirito  per  la  perdita  che  ha  sofferto  la  nobile  nazione 
italiana  e  quella  parte  del  suoi  sudditi  che  abitano  il 
nostro  paese  e.  che  in  fraterna  unione  con  noi  lavora 
alla  sua  prosperità  e  al  suo  ingrandimento  propongo  si 
levi  la  seduta.  » 

«  Saluto  Lei,  signor  presidente,  con  la  più  distinta 
considerazione.  ■—  Marco  Avellaneda,  presidente;  Ales- 
sandro Sorondo,  segretario  ».  (Vivisgimi  applausi). 


* 

*  * 


«  La  Camera  dei  deputati  del  Brasile,  profondamente 
commossa  per  il  luttuoso  avvenimento  di  cui  fu  vittima 
il  Re  Umberto,  associandosi  al  dolore  che  ha  ferito  il 
cuore  del  popolo  italiano,  votò  una  mozione  di  compianto 
sospendendo  le  sue  sedute,  e  presenta  le  sue  condo- 
glianze. —  Carlos  Vaz  Mello,  presidente  della  Camera  >. 
—  {Approvazioni), 


*  * 


«  La  Camera  dei  deputati  del  Perù  si  associa  al 
dolore  del  Parlamento  italiano  per  l' assassinio  del  Re 
Umberto.  —  Carlos  de  Pierola,  deputato-presidente  ». 
i^Bene!). 


m 


«  La  Camera  dei  deputati  del  Chili  ha  deliberato 
esprimere  a  codesta  Camera,  per  mezzo  di  Vostra  Ec- 
cellenza, il  suo  dolore  per  la  disgrazia  ohe  affligge  la 
nazione  italiana.  —  Carlos  Palecios,  presidente  ;  Rafael 

Brako,  segretario  ».  —  {Sene!). 


«  Id  nome  parLito  Indipendenza  Ungherese  costi- 
tuito, e  della  Opposizione  Parlamentare  esprimo  profondo 
dolore  perdita  impareggiabile  Ke  e  nobilissimo  uomo, 
augiii-ando  felicità  nazione  italiana.  —  Francesco  Kos- 

suth,  presidente».  —  [Vivhisifui  applaudii). 


Da  ogni  parte  del  mondo  pervennero  telegrammi 
d'esecrazione  per  l'orrendo  misfatto  e  di  vive  simpatie 
per  l'Italia. 


L'  11  ngo3to  1900  dopo  aver  dato  il  giuramonto 
prescritto  dall'alt.  22  dello  Statuto  del  Regno  S.  M.  il 
He  Vittorio  Emanuele  IH  pronunziava  alle  Camere  ria- 
nìte  iu  Senato  il  seguente  dlscoreo  : 

Signori  Senatori,  Signor/  Deputati! 

a  II  Mio  primo  pensiero  è  pel  Mio  popolo,  ed  è 
pensiero  di  amore  e  di  gratitudine. 

«  n  popolo  che  ha  pianto  sul  feretro  del  suo  Re; 
■che  aRettuoao  e  fidente  si  é  stretto  intorno  alla  Mia 
Persona,  lia  dimostrato  quali  salde  radici  abbia  nel  Paese 
la  Monai'cUia  liberale  {Appliiti.ti  fragorosi  —  grida  di  Vioa 
il  He!) 

t  Da  questo  plebiscito  di  dolore  tragg^o  i  migliori 
auspici  del  Mio  Regno, 


466 

«  La  nota  nobile  e  pietosa,  che  sgorgò  spontanea 
dall'anima  della  Nazione  all'annunzio  del  tragico  evento. 
Hi  dice,  che  vibra  ancora  nel  cuore  degli  Italiani  la  voce 
del  patriottismo,  che  inspirò  in  ogni  tempo  miracoli  di 
valore  (Applattsi).  Sono  orgoglioso  di  poterla  raccogliere. 

«  Quando  un  popolo  ba  scrìtto  nel  libro  delia  Stoiia. 
una  pagina  come  quella  del  nostro  Kisorgimento,  ba  di- 
ritto dì  tenere  alta  la  fronte  e  di  mirare  alle  più  grandi 
idealità  {Applaudi).  Ed  è  a  fronte  alta,  e  mirando  alle  più 
grandi  idealità,  che  Mi  consacro  al  Mio  Paese  con  tutta 
l'eflPusione  ed  il  vigore  di  cui  Mi  sento  capace  {Applausi, 
con  tutta  la  forza  che  Mi  danno  gli  esempi  e  le  tradi- 
zioni della  Mia  Casa  {Applausi  vivissimiy. 

t  Sacra  fu  la  parola  del  Magnanimo  Carlo  Alberto^ 
che  largì  la  libertà:  sacra  quella  ilei  Mio  Grande  Avo, 
che  compi  1'  unità  d' Italia.  Sacra  altresì  la  parola  del 
Mìo  Augusto  Genitore,  che  in  tutti  gli  atti  della  sua 
vita,  si  mostrò  degno  erede  delle  virtù  del  Padre  della 
Patria  (^Vivissimi  e  prolungati  applausi  —  grida  di  Vitxi 
il  Rei  Viva  Casa  Savoja!) 

<  All'opera  del  Mio  Genitore  diede  ausilio,  ed  ag- 
giunse grazia  e  splendore  quella  della  Mia  Augusta  e 
Venerata  Genitrice,  {Lunga  ovazione  e  grida  di  Viva  la 
Regina  Marijkerita)  che  Mi  istillò  nel  cuore  e  Mi  impresse 
nella  mente  i  sentimento  del  dovere  di  Principe  e  di 
Italiano  {Applatm  vivissimi).  Cosi  all'opera  Mia  si  aggiun- 
gerà quella  della  Mìa  Augusta  Consorte,  che  nata  an- 
ch'Essa da  forte  prosapir..  sì  dedicherà  intieramente  alla 
Sua  PaU'ia  di  elezione.  {Applami  ripetuti  e  grida  di  Vica 
la  Begiìia). 

«  Dell'  amicizia  di  tutte  le  Potenze  abbiamo  avuta 
eloquente  prova  nella  partecipazione  al  Nostro  lutto  col- 
r  intervento  di  Augusti  Principi  e  di  Illustri  Rappi'e- 
sentanU;  (Applausi),  ed  Io  mi  dichiaro  a  tutte  profonda- 
mente grato. 

«  L'Italia  fu  sempre  efficace  strumento  di  concordia,, 
e  tale  sarà  altresì  durante  il  Mio  Regno,  nel  fine  co- 
mune della  conservazione  della  pace.  {Approvazioni). 


469 

ic  Ma  non  basta  la  pace  esteriore.  A  noi  bisogna  la 
pace  interntl,  {VÌPÌ  e  p-of ungati  applausi  ~  grida  di  Vìca 
il  Sejf  e  la  concordia  di  tutti  gli  Liomini  di  buon  vo- 
lere, per  isvolgere  le  nostre  forze  intellettuali  p  le  no- 
stre energie  economiche.  (Approvasioni). 

«  Ediichiamr»  le  iiofrtre  generiixioiii  al  mito  della 
Fatria  (Apjìwvmioiìi),  iiironest^i  operositii,  al  sentimento 
dell'onore  {Btìnlstfimo!);  a  quel  sentimeato  acuì  s'itispi- 
rano  con  tanto  slancio  il  Nostro  Esercito  e  la  nòstra 
Armata  (Applafcsl  pi'alttìi/{a(ì  —  grida  di  T'jrcf  VEnvivifo, 
Vita  rArmata),  che  vengono  dal  popolo  e  sono  pegno- 
dì  fratellanza,  che  cong'iunge  ne  11' unita  e  nel!' umore 
dellfi  Pittria  tutta  intiera  la  Famiglia  Italiana.  {L'su'jh-e 
e  pi-Qhinijaii'.  oeitzioni). 

«  Ractogliaraoci  e  difendiamoci  con  la  sapienzn  delle 
leg:gi  e  colUi  rigorosa  loro  ;ipplÌraj;ione  (Ap/'htm  rhù' 
gimi).  Monarchia  e  Parlamento  procedano  solidali  ìli  que- 
st'opera salutare.   {Benkstmof) 

Signori  Senatori,  Signori  Deputata 

LI  Impavido  e  securo  a-scendo  al  Trono  {Owsiojie 
litnfjhiiiHimn;  grilla  ripetuU  di  Vini  il  iie)cQì\  la  cotjeienza 
de'  Miei  diritti  e  doveri  di  Ke  {Triplice  Mita  di  applaudi). 

<t  È  necessario  vigilare  e  spieg;ire  tutte,  le  forae  vive, 
per  conservare  intatte  !e  grandi  conquitite  dell'  utut*i  e 
della  libertii  {Appiaud).  Non  mancherà  mai  in  Me  Ut 
più  serena  lìducia  nei  nostri  liberali  ordinamenti  {Ap- 
plausi), e  non  Mi  maneherà  la  forte  iniziativa  e  la  ener- 
gia deiraziono  {Gmnile  orazione  e  grida  ripdiite  di  Viva 
il  Re),  per  difendere  vigoros^imcnte  le  gloriose  Istitu- 
zioni del  Paese,  retaggio  prezioso  dei  Nostri  maggiori  [i-i^- 
provitsiiiid). 

t!  Cresciuto  nell'iimore  della  Religione  e  della  Patria, 
invoco  Dio  in  teritimoniu  dell»  mia  promessa,  (Triplice 
aaivti  di  npplmmi  t  gr'ithi  di  Viva  i/  He!)  che  da  oj:gi  in. 
poi  il  Mio  cuore,  la  Mia  meuie,  la  Mia  vita  olirò  alla 
grandezza  ed  alla  prosperità  della  Patria  ».  {Ltintjn  ovn- 

31. 


470 

licne  che  dura  per  parecchi   minuti    e  grida   ripetute    di 
Viva  il  He,  Viva  la  Reyinay   F/cn  Ca»a  Savoia). 

Parole  esprimenti  alti  sentimenli  patriottici  degne 
del  discendente  dell'  Avo  immortule  —  D  Padre  della 
Patria  —  e  del  Re  Buono  suo  magnanirao  genitore  Um- 
berto I. 


Giunto  alla  fine  di  questi  ricordi  che  sono  una  eco 
dì  storia  ripercuotentesi  intorno  a  me  —  e  che  riasBu- 
mono  pagine  di  vitji  vissuta  nelle  grandi  ore  per  la  li- 
hertìL  della  patria  —  si  affollano  alla  mente  mia  le  sem- 
bianze care  e  gtoriose  di  tutti  ì  compari  dei  giorni 
eroici  e  lontani  —  le  immagini  dei  pochi  superstiti  — 
dei  molti  e  molti  morti  —  dei  saliti  in  alto  sulle  cime 
della  rinomanza —  degli  umili  rimasti  oscuri,  non  ostante 
il  sacrifizio  del  sangue  e  l'altezza  divina  del  sogno  ! 


Amici,  compagni,  sacre  legioni  di  combattenti  —  come 
appaiono  lontani  i  tempi  nei  quali  vibrava  cosi  piena, 
cosi  fulgente,  cosi  feconda  la  giovinezza  dei  nostri  cuori 
e  la  visione  bella  dell'Italia  sorgente I  Quanto  appaiono 
lontani  1  e  come  erano  diversi  da  quelli  d'ora. 

Eppure  anche  oggi  non  mancano  alti  e  nobili  ideali 
che  s'impongono  alla  mente  ed  al  cuore  delle  nuove 
generazioni! 

Per  noi,  vecchi  —  nessuna  cosa  quaggiù,  fu  più  cara 
della  patria  1  neppur  la  famiglia  che  è  pur  tanta  parte 
di  noi  stessi. 

L'Italia  —  una  —  indipendente  —  forte  —  fu  il 
nostro  ideale  —  e  nessun  sacrifizio  ci  parve  abbastanza 
grande  perchè  questo  ideale  fosse  raggiunto. 

E  Voi,  gioì?ani,  non  sarete  da  meno  dei  padri  vo- 
stri; come  noi,  voi  pure  sentite  nell'animo  agitarsi  pre- 


49t 

potente  Tatnore  della  patria  —  voi  pure  sentite  che  la 
terra  sacra  a  cui  natura  pose  i  confini,  che  Dante  scolpi 
nel  verso  immortale  molto  aspetta  da  Voi. 


Voi  sentite  che  dal  monte  e  dal  mare  sospirano 
cuori  di  fratelli,  inTocanti  libertà  di  lingua,  di  costumi 
e  di  poseien2a  e  comprendete  che  non  è  piccolo  ideale 
il  completare  la  grand'opera  che  fu  cementata  col  san- 
gue dei  padri  vostri! 

Co!  progredire  dei  tempi  è  giusto  che  nuovi  pro- 
blemi si  agitino;  che  nuove  correnti  siano  determinate 
dalla  forza  e  dalla  fede  dei  giovani  ^  ma  ciò  deve  rag- 
jjiungei'si  senza  rinnegure  quello  che  è  fondamento  alla 
vita  delle  N;t2Ì0DÌ:  la  custodia  gelosa  delle  coiiquiste  fatte, 
la  forza  per  consolidarle  ed  espanderle,  l'autorità  sem- 
pre ferma  contro  coloro  che  in  un  campo  o  nell'altro 
cercano  minare  la  sicurezza  della,  patria  e  diminuirne 
il  sentimento  e  la  dignità. 

0  giovani,  Credetelo  !  I  grandi  problemi  sociali  non 
ai  risolvono  con  l'appello  all'odio,  allo  ire,  alle  malva- 
gità; state  in  guardia  contro  chi  questo  avesse  a  consigliai'- 
vi — sono  consigli  dannosi  alla  patria  ed  a.  voi  stessi  — 
e  men  che  degni  di  chi  è  vero  amico  del  popolo  -^ 
giacché,  siatene  certi  —  non  è  con  la  lotta  continua, 
ma  con  la  concordia  che  si  potrà  ottenere  il  continuo  e 
progressivo  miglioramento  morale  e  materiale  dei  meno 
favoriti  dalla  fortuna. 


0  giovani,  i  vostri  padri  vi  hanno  dato  una  patria 
che  dalle  brutture  dell' oppressione, e  della  tirannìa,  in 
breve  volgere  d'anni  è  giunta  a  tale  altezza  da  meritare 
le  maggiori  considerazioni  fra  i  popoli  civili. 

Ispirandovi  all'esempio  del  passato,  attingendo  sem- 
pre maggior  fiducia  nella  giovinezza  del  paese,  personi- 
ficntji  ncll.i  giovinezza  del  Re,  a  cui  l'età  ha  concesso  la 


472 
provvida  vigorìa  degli  impulsi  rinnovatori,  e  il  carattere 
e  l'intelletto  hanno  dato  la  saggezza  e  la  maturità  che 
affida,  non  avete  che  a  serrarvi  intorno  a  lui,  sicuri  che 
Egli  condurrà,  la  patria  verso  gloriosi  destini. 

Stringetevi,  o  giovani  intorno  al  Re  Vittorio  Ema- 
nuele IH  che,  raccolta  la  Corona  nel  sangue  paterno, 
seppe  far  scaturire  dal  cuore  e  dalla  volontà  Sua  tanta 
luce  di  nobili  propositi,  t:xnta  fiamma  di  affetti  generosi, 
tanta  coscienza  della  tradizione  storica  e  dell'ufficio  che 
i  nuovi  tempi  domandano  ! 

Ciò  facendo  contribuirete  all'attuazione  del  concetto 
tanto  sognato  e  desiderato  dalla  gi'and' anima  di  Gari- 
baldi, quello  di  «  un  Re  capo  della  democrazia  »  col 
proposito  di  volere  l'Italia  grande  per  unanime  consenso, 
felice,  amata  e  rispettata  da  tutti. 


Con  tale  sentimento  nobilissimo  —stringetevi  o  gio- 
vani tutti  concordi  sotto  la  santa  bandiera  della  patria  — 
e  fate  vi  sia  scritto; 

«  Italia  una,  libera,  grande  e  felice,  per  volere  di  po- 
polo e  di  Re,  per  bontà  di  leggi  e  di  costumi,  fino  ai 
confini  che  la  natura  le  ha  segnati  ». 


* 
*  • 


Questo  colla  pace  dell'ai  di  là,  è  il  voto  della  ge- 
nerazione morente  alla  quale  non  sorride,  che  la  spe- 
ranza nei  fièli,  che  debbono  amare  la  patria,  che  noi 
adorammo  e  sogneremo  in  perpetua  vittoria,  fin  negli 
estremi  riposi. 

E  ora,  a  Voi,  vecchi  compagni  d'armi,  dei  quali  ho 
fugacemente  e  troppo  modestamente  riassunti  i  ricordi 
e  gli  ideali,  il  saluto  mia  pieno  di  amore  e  di  venera- 
zione. 

FINE 


INDICE 


<'ai'Itolo  I.  —  Garibaldi  in  America l'ag.       1 

t  IL   —   1847- IS    —  Insurrezione  dell»  Siciliu 

Uessin.i-Palerino -Catania- Calabrie  ,     •  5 

1.  III.  —  Garibaldi  s' imbarca  coi  suoi  legionari 

per  l'Italia •        l'-ì 

>  IV.  —  Venezia  si  erige  a  ropuliblica  ^Milano 

'e  le  cinque  giornate -        1") 

»  V.  —  Carlo  Alberto    bandisce  la  guerra  nl- 

l'Austria •        16 

»  VI.  —  Garibaldi  a  Milano  prende  il  comando 

dei  Volontari <        22 

>  VII.  —  Venezia,  Treviso,  Vicenza,  Koma.  Cur- 

tatonee  Montanara,  Coito,  Peschiera, 
Rivoli  -  Sfortunata  giornata  di  Cu- 
stoza  -  Armistizio  di  Salasco.     .     .      ^        2iS 
Vili.  —  Sollevazione  di  Bologna •        4ii 

>  IX.  — Garibaldi  continuala  lotta  control'Au- 

stria »        fri) 

»  X.  —  Roma  -  Proclamazione  di  governo  re- 
pubblicano   -        58 

»  XI.  —  Le  dieci  giornate  di  Brescia  —  Disa- 

strosa giornata  di  Novara  ....      »        62 

»  XII.  —  Eroica  difesa  di  Roma »         76 

»  XIH.  —  Spedizione   contro  I'  Ksercito  ISorlio- 

uico  -  Vellètrì :.        8« 

»  XIV.  —  Ripresa  delle  ostilità  dei  Francesi  con- 
tro Roma ->        UT 

»  XV.  —  Garibaldi  esce  da  Roma  coi  suoi  le- 
gionari -  San  Marino  —  Morte  di 
Anita  —  Cesenatico >       111 

»                 XVI.  —  Assedio  di  Ancona  e  sua  eroica  difesa      •       IVJ 
XVII.  —  Dal  2i  marzo  1S49  al  1859  -  11  Pio- 
monte  ■»      126 

»  XVIII.  —  ISTiO  -  La  guerra  d'indipendenza.     .     -      131 


474 

Oaprolo       XtX.  —  1860  -  Spediziono  doi  Uille  -  Uarsals 

-  Salemi  -  CaUtafimi  -  Palermo  - 
IfilaiEO  -  Begf^o  Calabria  -  Napoli 

-  Volturno.  Liberaiione  dell'  Italia 
Meridionale  oonsegnata  a  Tittorio 
Emanuele  II Pag.  188 

»  XX.  —  Liberazione  dell' Umbria  e  delle  Uarche 

-  Castelfldardo  -  Ancona    .     .     .     .     >      253 

>  XXI.  —  Bitiro  di  Garibaldi  a  Caprera    .     .     .     >  28.1 

.  XXn.  —  Presa  di  Capna  e  di  Gaeta 286 

.  XXIII,  —  Aspromonte  -  SoUevaziono  in  Polonia     »  29'2 

»  XXIV.  —  Guerra  dell866-LiberazionedelVeneto     •  30:ì 

'  XXV.  ~  Campagna  dell'  Agro  Romano  -  Mon- 

telibretti  -  Boma  -  Montorotondo  - 

Mentana •      34if 

>  XXVL  —  Nozze  di  S.  A,  R.  il  Principe  Umberto 

con   8.  A.  B.  la  PrìnciposBa    HaT- 

gherita  di  Savoia •  376 

XXVII,  —  Il  1870  -  Digione  -  Entrata  in  Boma.  .  380 

XXVIII.  —  Morte  di  Mazzini •  402 

.  XXIX.  —  Morte  di  Vittorio  Emanuele  II  .     .     .  .  400 

>  XXX  —  Ultimi  giorni  e  morte  del  Generale  Ga- 

ribaldi       »  423 

»  XXXI.  —  Nozze  di  S.  A.  B.  il  l'rincipo  di  Napoli 

con  la  Principessa  Elena  FotroTJch 

NiegoB  di  Montouogro •  431 

■          XXXII.  —  Volontari  italiani  in  Grècia  ....  »  44-' 

XXXIII.  —  Orrendo  misfatto  -  Morte  di  Umberto  I  -  450 


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