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RIVISTA ITALIANA
DI
NUMISMATICA
RIVISTA ITALIANA
DI
NUMISMATICA
DIRETTA DA
FRANCESCO ed ERCOLE ONECCHI
E DA UN
CONSiaLIO DI REDAZIONE
Anno Terzo — 1890
MILANO
LodffTic* Felice CoglUlif TI|>ofraf*-Eilt«re
Via rintano, N. 26
THE HBW YOKX
PUBLIC LIBRARY
356307A
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PROPRIETÀ LBTTERAillA
Tip. L. P. Ck>gliati. - Sez. nel Pio Istituto pei Figli della Provvidenza.
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CONSIGLIO DI REDAZIONE
pel 1890
I GNECCHI Cav. Francesco , ^^^ .
GNECCHI Cav. Ercole ^ J^rettart.
AMBBOSOLI Doti Solone, Conservatore del Regio Gabinetto Nu-
mismatico di Brera.
BRAMBILLA Nob. Comm. Camillo.
GAVAZZI Cav. Giuseppe.
MARIOTTI Cav. Doti. Giovanni, Direttore del R. Museo di Antì-
cìììik di Parma.
MILANI Cav. Prof. Lumi Adriano, Direttore del IL Museo Archeo-
logico di Firenze.
MOTTA Ing. Emilio, Bibliotecario della Trivulziana.
PAPADOPOLI Conte Nicolò.
BOSSI Doti Umberto, Con9er\'atore del Museo Nazionale di Firenze.
SALINAS Comm. Prof. Antonino, Direttore del Museo Nazionale
di Palermo.
SANTONI Can.* Prof. Milziade, Direttore della Yalentiniana di
Camerino.
VISCONTI March. Carlo Ermes, Conservatore del Museo Artistico
Municipale di Milano.
Luppi Cav. Prof. Costantino, Segretario.
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fila
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Icio
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fatto sta che tal peso venne a cadere sulle
nostre spalle; e, date le circostanze, non ab-
biamo creduto conveniente da parte nostra il rifiutarlo.
Fata sequimar. Tale sostituzione del resto, ci afffrettiamo
a dichiararlo, non porterà alcun cambiamento nella Ei-
viata , se non fosse quello che, restando maggior tempo
10
AI LETTORI
disponibile eiìV eodiretlore , questi ne diventerà un più
attivo collaboratore, del che certo non avranno a lagnarsi
i nostri Associati. Nulla viene cambiato nella forma estema,
nulla nelV organizzazione interna della Eìvista, la quale,
pure essendo materialmente in mani private, è però già,
quanto al sistema di redazione, organizzata in modo da
poter passare tale e quale sotto la direzione di una So-
oietà Numismatioa , appena questa sia fondata e posta in
grado di assumerla; ciò che non solo abbiamo in animo
e desideriamo da lungo tempo, ma facciamo ogni sforzo
perchè sia al più presto realizzato. La posizione attuale va
dunque considerata come un periodo di transizione, come
un semplice interim.
La Biyista et viene consegnata in ottime condizioni,
dopo due anni di onorata esistenza ; il che, se evidentemente
è un bene^ è però anche nello stesso tempo un aggravio di
responsabilità per chi deve incaricarsi della continuazione.
Noblesse oblige. Da parte nostra siamo disposti a mettervi
tutto il buon volere ; ma il buon voler nostro non potrebbe
essere che ben poca cosa per la felice riuscita di un lavoro
di sua natura collettivo e complesso, senza la cooperazione
tanto dei vecchi come dei nuovi collaboratori. Nutriamo per-
tanto fiducia e anzi abbiamo fondamento di ritenere che
i vecchi non ci abbandoneranno e che nuoci nomi verranno
cui awnentare e completare la schiera degli scienziati^ stu-
diosi ed amatori italiani, portando alla Bivìsta nuovo e
prezioso contributo di investigazioni e di studii.
Senza menomamente escludere quanto ci potesse venire
da altri paesi, e accogliendolo anzi di buon grado, come si
ÀI LETTORI
It
fece finora, noi facciamo un caldo e 9peciale appello a tutti
I nostri confratelli sparsi sull'Italico suolo dall*Alpi alla
Trinacria, dichiarando che tutti sema distinzione saranno
i ben venuti in questa Bivista, il cui ideale è sopratutto di
divenire veramente Italiana.
Per meglio raggiungere questo vagheggiato ideale ci
proponiamo di riprodurre in essa anche i migliori opuscoli
apparsi qua e là in questi ultimi due anni, o staccati o
per cosi dire dispersi in periodici di indole non numisma-
tica, e che quindi sarebbero destinati ad andare perduti o
a divenire irreperibili, come avvenne già di tanti altri an-
teriormente pubblicati. Della riproduzione di una buona
parte abbiamo già ottenuto l'autorizzazione dai rispettivi
autori (1) e non dubitiamo d* averla anche per i rimanenti.
Riassumendo il prodotto degli studii numismatici fatti
nelle diverse regioni d'Italia, la nostra Biyista diverrà un
nuovo legame fra gli studiosi di questa scienza, la quale, se
non ha l'importanza e la pratica utilità di altre piii vive e
più palpitanti, deve però tenere il suo posto onorifico in un
paese civile ed essere nuovo centro d'irradiazione a sìm-
sidio delle storiche discipline.
Solamente quando questo ideale sarà raggiunto, quando
(1) Incominciamo anzi la serie di tali pubblicazioni in questo stesso
primo fascicolo coi dae ultimi opuscoli del compianto comm. Vincenzo
Promis: I.° Mcneta inedita di Pietro I di Savoia e pochi cenni sulla zecca
primitiva dei Principi Sabaudi , e II.® Monete di Oiov. Battista Falletti
conte di Benevello, e con due memorie del Gan. Ab. Bernardo Morsolin:
Lodovico Chiericati e Girolamo Gualdo.
12
AI LBTTORI
tutte saranno vinte le piccole difficoltà, le piccole diffi-
denze, che pur troppo poco o molto esistono ancora fra di
noij triste retaggio dei tempi passati e lontano ricordo
delle antiche divisioni ; quando tutte le pubblicazioni d'in-
dole numisìnatica affluiranno direttamente alla Rivista come
alla loro sede naturale, solamente allora si potranno dire
gettate le basi di una vera Società Numismatica Italiana,
di cui la Rivista sarà l'organo e l'espressione.
Francesco ed Ercole Gnecchi.
T
FASCICOLO I.
APPUNTI
DI
NUMISMATICA ROMANA
vili.
ANTONIKIANO DI ZENOBIA.
^ - S. ZÉNOBIA AV& •
Basto diademato a deatra contornato da una mezzaluna.
9i - IVNO REOINA •
Giunone di fronte, rivolta a sinistra con una patera e
un lango scettro. Ài suoi piedi il pavone. Nel campo
a sinistra una stella.
È questo l' Antoniuiano dì Zenobia, di cui il
sig. A. Markl anuuuclava la prossima pubblicazione
nel suo ultimo articolo Serdica o Antiochia? i^). Già da
qualche tempo esso era entrato a formar parte della
mia collezione; ma aspettava appunto l'apparizione
di quell'articolo per comparire alla luce del giorno.
(1) Ritiata Italiana di yumiaiitatica. Anno ti, Fuc. IV, Kota 2 a
pa?. 558,
16 FRANCESCO GNECCHI
Essendo V unico Antoniniano oggi esistente di
Zenobia (l), il cui nome non figura nella serie mone-
taria romana che pei bronzi battuti in Egitto, e,
trattandosi perciò di moneta molto importante anche
a chiarire qualche punto storico ancora oscuro e
controverso relativamente ai Principi di Palmira ,
desideravo fissarmi bene sulla sua origine , ossia
sulla zecca a cui attribuirla.... e mi avvidi che la
questione non era tanto semplice né facile a risol-
versi. — Interpellai quelli fra i colleghi che so spe-
cialisti in tal genere di studii e fra questi citerò
principalmente i signori Teodoro Rhode e Andrea
Markl. Ambedue mi risposero ritenere che l'Antoni-
niano di Zenobia doveva essere stato coniato nella
zecca ove si coniavano le monete di Vaballato, e
questo sembrava molto naturale anche a me, piut-
tosto però per probabilità storica che non per vera
analogia di fabbrica ; giacché non potrei asserire dì
•I
(1) Cohen pubblica, riportandolo da Tanini come esistente nel fa
Museo Gradenigo, ma prestandovi poca fede, il seguente Antoniniano:
D. — ZENOBIA AVG •
Testa a destra circondata dalla mezzaluna.
B. — PIETAS AVGG .
La Pietà sedata a sinistra stendente la mano a an fanciullo e ap-
poggiata a un* asta.
Anche altri autori posteriori al Cohen, citarono questa moneta come
sospetta. — Quanto a me , quantunque sia ignoto ove attualmente si trovi,
e se ancora esista, e malgrado qualche probabile errore di grafia (la leg-
genda del dritto doveva probabilmente essere : s. zenobia avg., e quella del
rovescio forse : pietas avg.) non vedo alcun motivo por non ammetterla.
L'esistenza poi del mio esemplare mi conferma sempre più nella per-
suasione che anche quello del Museo Gradenigo abbia realmente esìstito,
0 fosse genuino,
APPUNTI DI NUMISMATICA ROMANA 17
trovare fra rAntoniniano di Zenobia e gli Antoni*
niani di Yaballato quella identità di tipo che fa dire
senz'altro: ambedue devono necessariamente essere il
prodotto della medesima zecca. Tale giudizio poi nel
nostro caso è reso assai difficile dalFessere unico uno
dei termini di confronto e scarsissimi gli esemplari
deiraltro. Ma ammettiamo pure che le monete, tanto
di Zenobia che di Yaballato, siano state coniate nella
medesima zecca; le discrepanze incominciano quando
si tratta di definire il luogo ove quella zecca esisteva.
Il sig. Rhode Tattrìbuisce a Tripoli nella Fenicia (l), il
sig. Markl invece ad Antiochia di Siria ; né occorre
accennare che altri vorrebbe attribuirla a Serdica (2).
Ecco dunque perchè, prima di pronunciarmi in mezzo
a tanta indecisione, volli aspettare Tapparizione del-
l' articolo Serdica o Antiochia ?^ che Y autore stesso
mi aveva annunciato come specialmente dedicato alla
soluzione di tale problema. E questo completamente
risolto ? Potremo noi attribuire V Antoniniano di
Zenobia alla zecca d'Antiochia con tutta sicurezza
e con nessuna restrizione? Senza ripetere qui i
ragionamenti e le prove acutamente addotte nel
citato articolo dal signor Markl in appoggio di
questa attribuzione, e senza invadere il campo emi-
nentemente tedesco di tali sottili investigazioni ,
mi limiterò a dire che, quanto a me, paimi che
le maggiori probabilità pendano dalla parte del Markl,
e che quindi possiamo accettare la sua attribu-
(1) Theodor Brode. Die MUnzen des Kaiser Aurelianus, aeiner Frau
Seterhia und der FUrstm von Palmyra. Pag. 400401.
(2) E. Lépaulle. La Mannaie rùmaine à h fin du hatU empire. —
Berne Numismaiique, 1888-89.
3
18 FRANCESCO ONRCCHl
zione , come quella che oggi resta provata meglio
dì ogni altra, e meglio si concilia anche colle no*
tizie storiche che ci sono pervenute per altre vie che
per la numismatica. — Se non accetto la cosa co^
l'entusiasmo del credente e con fede incrollabile ,
gli è che qualche riserva mi pare conveniente farla
sui risultati dello stretto ragionamento critico, quando
questo, appoggiandosi a monumenti per sé stessi
molto imperfetti , è applicato ad avvenimenti cosi
lontani che vanno a perdersi nella caligine dei tempi
e in mezzo a circostanze pochissimo conosciute e
talora anche completamente ignote.
E del resto, sia pure Antiochia, che per ora
ammetteremo , o Tripoli o Serdica o forse Pai mira
od altra ancora la patria dell' Antoniniano in di*
scorso, resta acquisito il fatto della sua esistenza ,
che prima non si conosceva se non molto dubita-
tivamente , e questo è quanto formava V oggetto
precipuo della presente memoria.
Quantunque molto sia già stato scritto a pro-
posito della famiglia d* Odenato e dei Principi di
Palmira , non sarà fuori del caso ripetere qualche
cenno storico relativamente alla regina Zenobia, onde
poter stabilire la data dell' Antoniniano descritto.
Settimia Zenobia fu la seconda moglie d'Ode-
nato, re di Palmira, a cui Gallieno nel 264 d. C.
aveva accordato il titolo d' Aufftisto in ricompensa
delle sue gesta vittoriose contro i Persiani. Il suo
nome non figura nella serie numismatica Romana W.
(1) Autori àùgxìì di poca fodo, qaali Geco e Meuabarl>a diedero come
d'altri tiranni assolaiamonto ignoti, anche alcuni bronzi alessandrini di Ode-
nato. Se si deve giudicare dagli esemplari apparsi in qaalche pubblica yen-
APPUNTI DI NUMISMATICA ROMANA 19
Morto Odenato nel 266 , Zenobia , ritenendo
sempre per sé il titolo à^ Augusta^ legittimamente o
arbitrariamente ereditato dal marito , si divise il
regno, secondo alcuni, coi figli Timolao e Erenniano,
secondo altri con Vaballato, il quale è ancora molto
discusso se fosse figlio di Zenobia oppure della prima
moglie d' Odenato, né noi entreremo neirintricatis-
sima e forse inestricabile questione, la quale del resto
poco importa al caso nostro. Fatto sta però che di
Vaballato ci rimasero monete, mentre nessuna se no
conosce degli altri due. Zenobia per parecchi anni
governò TOriente dalla sua capitale Palmira, lasciata
in pace da Claudio Gotico già abbastanza occupato
in Occidente, finché Aureliano , impegnato nella
guerra contro i Goti, inseguendoli per scacciarli dal-
l'Asia Minore, si spinse collo sue armi fino ad An-
tiochia. L* intrepida regina gli mosse incontro da
Palmirà, sostenne una guerra lunga e gloriosa; in
cui più volte ebbe il sopravvento ; ma poi dovette
soccombere, vedere Palmira distrutta e seguire pri-
gioniera a Roma il carro del trionfatore.
dita 0 in commercio, bisogna dire si traiti di monete di Claudio Gotico a cui
fa rifatta la leggenda. — Un mio amico competentissimo e antorevoliasimo,
da me interpellato snirargomento, mi scrÌFova alcuni anni sono : « Je puis
e Yona assurer qoUl est de tonte impossibilitò que co sou?orain ait jamais pu
< frapper en Egjpte sous Gallien. On ponrrait admettre dos piòces d'An-
< tiocbe, méme do Palmyra, mais en Egypto Gallien no V aurait jamais
« admis. » Credo anch'io alla maggioro probabilità por le zecche d'Oriente;
ma non mi sembra però che a priori si debba osclaiero la possibilità di
moneto battute anche in Egitto. Gallieno, avendo accordato a Odenato
il titolo d'Augusto, non gli avrebbe forse potuto accordare anche il diritto
di batter moneta? E non si potrebbd anche supporre che Odenato avesse
creduto di poter far senza di tale permesso ? Il caso non sarebbe nuovo.
20 FRANCESCO 6NECCHI
Questo avveniva nel 273. — L' Antoniniano di
Zenobia dunque deve essere stato battuto tra il 266
e il 272 d. C., e mi parrebbe difficile stabilirne la
data più precisamente.
Quanto alla provenienza, esso era compreso in
un ricco ripostiglio di monete romane dei bassi
tempi trovato due anni sono vicino a Tautha in
Egitto. Il ripostiglio (una piccola parte del quale
fu già da me descritta) W constava di circa 5000
monete tutte di buona conservazione e appartenenti
agli imperatori Gallieno, Claudio Gotico , Aureliano,
Aureliano e Atenodoro, Aureliano e Vaballato, Ta-
cito, Floriano, Probo, Caro, Carino, Magna Urbica,
Numeriano, Diocleziano , Massimiano Erculeo , Co-
stanzo Cloro e Galerio Massimiano. Ora Galeno Mas-
simiano avendo regnato dal 305 al 311^ il tesoro non
potè essere nascosto prima di quest'epoca, ossia circa
40 dopo che T Antoniniano di Zenobia era stato
coniato.
Fra le 5000 monete del ripostiglio Y esemplare
di Zenobia era unico.
(1) Ora solamente vengo informato dal Big. A. Parazzoli del Cairo, da
cni ebbi a mezzo del Sig. Gaetano Vigano di Desio TAntoniniano di Ze-
nobia, che a questo medesimo ripostiglio appartenevano le monete da me
descrìtte al N. II di questi stessi Appunti^ sotto il titolo di : RrpasUglio
di Monete Romane in Egitto. Vedi Rivista Italiana di Num. Anno I,
fase. II, pag. 151.
APPUNTI DI NUMISBfATICA ROMANA 21
IX.
I CONTRASSEGNI SULLE MONETE DELLA REPUBBLICA
E DEL PRINCIPIO DELL'IMPERO
Le impronte applicate per mezzo di un punzone
alle monete antiche in epoca posteriore alla loro
coniazione sono designate col nome generico di Con-
tromarche. Ma queste si possono dividere in due cate-
gorie ben distinte ; quelle formate da lettere, il più
delle volte legate fra loro in nesso e indicanti in
abbreviazione un dato nome o una data parola, op-
pure da numeri indicanti un valore — e sono le vere
contromarche; — e quelle formate da semplici segni
convenzionali, senza un significato precisato e deter-
minabile. Ora, siccome, al dire di Manzoni, le parole
sono il manico delle idee, ad esprimere due cose di-
verse, a distinguere cioè le due accennate categorie e
ad evitare confusione, sarà bene adoperare due diverse
parole, lasciando il nome di Contromarche alle prime,
e chiamando Chntrassegni i secondi^ parole che val-
gono anche a rendere più precisamente le idee che
si vogliono esprimere.
Le Contromarche, come più evidenti e più facil-
mente spiegabili o interpretabili, perchè contenenti
in sé stesse la chiave deirinterpretazione, e del resto
poco numerose, attirarono già da tempo Tattenzione
del numismatico, furono da molti studiate e in gran
22 FRANCESCO 6NE0CHI
parte più o meno felicemente spiegate ; rimanendo
cosi oramai chiarito che in generale servirono a in-
dicare la riammissione ufficiale al corso legale di mo-
nete (per lo più di bronzo), le quali per quanto logore
non avevano perduto il voluto peso.
I Contrassegni invece, immensamente più nume-
rosi nelle loro varietà, ma assai meno visibili per la
loro piccolezza, si trovano quasi unicamente sulle
monete d'oro e d'argento ; e, non avendo un signi-
ficato diremo implicito , come sfuggono alla descri-
zione, — talché non e' è altro mezzo di esprimerle
che la riproduzione col disegno, — sfuggirono pari-
menti per lungo tempo allo studio non solo, ma anche
air osservazione dei numismatici. Dirò anzi che al-
lorché incominciai a osservarli e prenderne nota, io
credeva che Targomento fosse completamente ver-
gine; ma, frugando poi nelle riviste e negli opuscoli
recenti, trovai che qualche cosa tu già scritto in pro-
posito, il ohe mi corre obbligo d'accennare.
Prima di tutti il sig. M. Bahrfeldt pubblicò un
articoletto d), dando un elenco delle Lettere e di
alcuni Segni impressi su denari repubblicani.
Arturo Engel poi in un suo articolo (2) diede la
descrizione e il disegno di 16 di tali Segni stampati su
denari della Repubblica e d'Augusto, senza però en-
trare neppure superficialmente nella materia; e un
seguito a questo lo diede E. Taillebois (^).
(1) Uèber Einstempdungen auf Silbermitnzm der rotniaehen Bepublik
— Skiimhrift fur Numismatik, 1881.
(2) Note iur quelquss cofUrmtèarqués antique$ et sur certainea singu^
ìarités numimnatiques. — Revue Numismatique, 1887.
(8) CkmtrùmarqHes antiquea, pour faire suite à l'étude de M, A. Engel,
— Revué Numiematiquej 1888.
APPUNTI DI KUMISMATICA ROMANA 23
Ma lo scrìtto più importante è quello del prò*
fessor L. A. Milani : Di alcuni ripostigli di Monete
Romane^ pubblicato nel Museo d'Antichità classfca del
Comparetti, Voi. II, Punt I, anno 1886, in cai T Autore,
descrivendo il Ripostiglio di Roma, dà Taccurata de*
scrizione di tutti i Contrassegni che vi si trovavano,
corredandoli di acute osservazioni. Queste però sono
naturalmente limitate alle sole monete di quel ripo-
stiglio, le quali, forse per ragioni speciali a noi ignote,
sono lontane dal dare un* idea della generalità.
Babelon nella sua Descrizione delle monete della
Repubblica romana, accenna alla nota contromarca
di Vespasiano che si trova su alcuni denari, ma non
si occupa punto dei Contrassegni ; i quali invece parmi
possano meritare qualche attenzione, sia per quelle
deduzioni generali che per ora dobbiamo limitarci a
fare, sia perchè potrebbe anche darsi che una volta
studiati, quei segni avessero ad uscire dal misterioso
mutismo che li avvolge e parlare un linguaggio^ in-
segnando qualche cosa a profitto della numismatica.
Ma qualsiasi argomento per essere studiato ha
bisogno prima di tutto d'essere conosciuto e cono-
sciuto nella più larga scala possibile; ed è appunto
con tale intendimento che nelle due annesse tavole
ho disegnato il più accuratamente che mi fu possi-
bile e in proporzioni un poco maggiori del vero circa
600 Contrassegni o gruppi di Contrassegni esistenti
su altrettante faccie di monete della repubblica ro-
mana o del principio dell'impero. Le monete esami-
nate sono per la più parte contenute nella mia col-
lezione e in quella massa di duplicati che formano il
necessario contomo di una collezione viva , (fra
i quali anzi, come i meno conservati, trovai la messe
24 FRANCESCO ONECCHI
più copiosa di Contrassegni), e nella serie consolare
del R. Gabinetto di Brera (l). Come necessario cor-
redo al disegno dò nel prospetto che segue l'indica-
zione di quegli elementi che vi possono servire di
schiarimento, ossia: la identificazione della moneta su
cui il Contrassegno si trova, mediante riferimento ai
numeri di Babelon per quelle della Repubblica e di
Cohen per le imperiali, V indicazione della famiglia
a cui la moneta appartiene, nonché il nome del mo-
netario che la fece coniare e la relativa data, e final-
mente se il Contrassegno si trova sul dritto o sul ro-
vescio della moneta. Due altri elementi, il peso e la
conservazione, che forse a taluno potrebbero sembrare
interessanti, io ho ommesso, ed eccone le ragioni.
È indubitato o almeno più che probabile, che il
peso dovette avere la sua influenza al momento
che il Contrassegno venne stampato sulla moneta,
anzi con tutta probabilità ne fu la causa determi-
nante , come lo fu di tutte le contromarche in genere.
Ma, se ci è facile avere il peso attuale della moneta,
non ci è assolutamente possibile aver quello che essa
aveva al momento in cui il Contrassegno vi venne
impresso, il quale peso sarebbe il solo interessante.
Dacché noi ignoriamo quale circolazione e quindi
quale diminuzione di poso abbia subito la moneta
dopo d'esser stata contrassegnata, il peso attuale delle
monete viene ad essere per noi un elemento affatto
inconcludente ; e il medesimo ragionamento valga
anche per la conservazione. Perciò ho omesso Tuna
cosa e l'altra, e mi limiterò a fare qualche accenno
(1) Appartengono alla mia Collezione le monete portanti i 481 Contrassegni
disegnati da À-1 a M-26, e a quella di Brera gli altri 117 da 0-14 alla fine.
APPUNTI DI MUMIBHATICA ROMANA 25
generale intomo a questi due coefficienti del peso
e della conservazione. Pesato un centinaio di de-
nari contrassegnati, ottenni una media di gr. 3,5150^
ciò che vuol dire che Tuno per Taltro conservano
ancora un peso superiore a quello neroniano di
gr. 8,41. n peso minimo, ossia di circa tre grammi,
e quindi inferiore a quello legale, lo trovai fra alcuni
denari sconservatissimi delle Legioni di M. Antonio ;
e qui appunto è probabile si sia verificato il caso
accennato d'una diminuzione di peso per peggiorata
conservazione , posteriore al Contrassegno. Questo
prova di quanto poco interesse sarebbero il peso
e il grado di conservazione attuale delle monete
nel caso nostro, ben diverso di quello d'un ritro-
vamento , ove questi elementi possono essere sotto
altri rapporti importantissimi.
Noterò ancora come i denari trovati calanti
portino i Contrassegni più svariati e tanto dissimili
fra loro quanto lo sono da tutti gli altri. H che
escluderebbe V ipotesi che dei Contrassegni alcuni
fossero destinati a indicare un peso abbondante, altri
un peso deficiente. E del resto non crederei che in
nessun caso un Contrassegno potesse esser fatto per
indicare una moneta calante. O era lo Stato che ve lo
imprimeva, — ciò che non credo, come vedremo in
seguito, — e allora le monete calanti sarebbero state
ritirate e riconiate; o ve lo imprimevano i particolari,
come mi pare sia veramente avvenuto, e in tal caso,
se me lo spiego assai bene per le monete crescenti,
non me lo spiego in alcun modo per le calanti. Non
posso ammettere che i banchieri di Roma antica
fossero molto diversi da quelli odierni, i quali si guar-
derebbero bene dal contrassegnare un valore calante...
26 FRAKCBSCO 6NB0CH1
n Prof. Milani — e qal mi spiace di non tro-
varmi d'accordo con chi naturalmente considero
quale maestro, — è invece dell'opinione che il Con-
trassegno comcchè privato e segreto abbia potuto
adoperarsi nei due casi , ossia tanto per le monete
crescenti come per le calanti, e anzi trae la prova
di tale principio dall'arguta osservazione dei C!on-
trassegni sulle monete del ripostiglio di Roma.
Ecco le sue parole u Considerando nel nostro
u elenco i marchi simbolici più comuni in rapporto
tt coi rispettivi pesi , par quasi di sorprendere il
u significato intrinseco dei medesimi ; imperocché
a si osserva che al segno unico del cuneo corrisponde
u regolarmente con due leggere eccezioni , un peso
a inferiore al piede normale neroniano (gr. 3,41) ;
tt mentre alle luntUe non accompagnate dal cuneo ,
u corrisponde regolarmente , senza eccezione , un
u peso superiore a quello legale. La lunula crescente
tt è una delle contromarche più antiche, e si mostra
tt tanto appropriata a indicare di sua natura un
tt peso crescente^ quanto il cuneo a indicare un peso
tt decrescente^ ossia calante. Le tre monete contro-
tt marcate con i due cunei, del peso di gr. 3,55-3,38-
tt 3,50 non farebbei*o eccezione, potendosi spiegare la
tt duplicazione del cuneo come un segno di corre-
tt zione in una ulteriore verifica r). (Op. cit., pag. 63).
In una lettera recentissima poi, in cui gentil-
mente mi comunicava alcune sue osservazioni, di
cui feci tesoro, sull'argomento, lo stesso prof. Milani,
confermandomi Topinione sua sul duplice scopo del
Contrassegno, mi scriveva : tt Nella fluttuazione mo-
tf netaria deir argento, quante volte i banchieri, che
tt avevano già riscontrato e pesato un pezzo calante
APPUKTI DI NUiaSMATICÀ ROMANA 27
tf si sarebbero trovati a ripesarlo, ove con un segno
u convenzionale non l'avessero precedentemente e
u forse individnaimente classificato? n
Dal canto mìo non posso a meno di opporre
a tale ragionamento due osservazioni. Prima di
tutto mi parrebbe che la moltiplicità dei Contras-
segni adibiti a due scopi opposti avrebbe dovuto in-
generare tanta confusione, da sconsigliarne addirit-
tura l'uso. In secondo luogo poi, se davvero il ctmeo
voleva significare peso calante e la lunula peso cre-
scente, dove se ne andava il segreto che solo poteva
giustificare l'applicazione del Ck)ntrassegno alle mo-
nete calanti?... È ben vero che a queste osserva-
zioni altre se ne possono contrapporrei e il Prof. Mi-
lani risponde alla prima che i Contraasegni non eran
fatti pel comune della gente, a cui, anzi sfuggivano,
come sfuggirono fin qui ai numismatici, e come anche
al pubblico d'oggi sfuggono certe piccole sigle poste
sulle nostre monete, come p. es. bn sulle lire emesse
dalla Banca nazionale. — Alla seconda poi rispose
implicitamente (op. cit. pag. 63), osservando come per
togliere appunto l'inevitabile confusione, lo Stato si
trovasse costretto a intervenire, e come la contro-
marca IMP • VESP • corrisponda precisamente a questo
intervento. — Ma, come dissi più sopra, noi qui non
possiamo che aggirarci nel campo molto vago e
indeterminato delle supposizioni, mancandoci i dati
per discorrere della cosa con fondamento. Non sarà
però stato male l'aver espresso i varii pareri, fra cui
il lettore potrà fare la sua scelta.
Ed ora ecco le Tavole dei Contrassegni e il re-
lativo elenco :
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(44 a. C. 14 d. C).
Cuh. . , . D. C-4
Augusto 6 Tiberio.
(14 d.. C).
2. Coh. 3 . . D. Z-24
MONETE D'ARGENTO.
Accoleia.
P. AOCOLEIVS LARISCOLVS.
(43 a. C).
3. Bab. 1. .1). L-25
B. L-26
Acilia.
MAN. ACILIVS GLABRIO,
(54 a. C).
4. B. 8 . . . D, 8-17
Aemilia.
I^ AEMILIVS BVCA.
(44 a. C).
5. B. 13 , . . D. V-17
6. » 13 , , » D-7
7. » 15 . , » A-24
8. > 17 . » A-e
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Bf. AEMILIVS LBPIDVS.
(60 a. C).
10. B. 20 . . D. A-23
11. » 23 . . » P-1
12. » 28 . . > S-18
(42 a. C).
13. B. 27 . . . D. P-S
14. > 34 . . > Z-5
(Incasa) B. Z-6
Afirania.
SPVRIVS AFRANIVS.
(200 a. C).
15. B. 1 . . . D. P-2
16.
Alliena.
AVLVS ALLIENVS.
(47 a. C).
B. 1 . . D.
C-5
ANNIVS LVSCV£L
(87-82 a. C).
17. B. 3 . . D. A-11
Antestia,
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(124 a. 0.).
18. B. 9 . , . D. M9
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(18 a. C).
20. B. 18 . . D. D-5
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(16 a. C).
21. B. 24 . . . D. A-25
Antonia.
Q. ANTONTVS BALBVS.
82 a. C).
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(104-94 a. C).
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(40 a. e.;.
139. B. 2 . . . D. F-8
Atilia.
ATILIVS SARANVS.
(191 a. C).
140. B. 1 . . . D. 0-1
Aurelia.
L. AVRELIVS COTTA.
(90 a. C).
141. B. 21 . . . D. 0-16
142. B. 2
143. » 2
144. » 2
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Barbatia.
M. BARBATIYS PHILIPPVS.
(41 a. C).
. D. P-9
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Q. CAECILIVS METELLVS PIVS SCIPIO.
(48-46 a. C).
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Gaesia.
L. GAESIV8.
(104 a. C).
. . . D. N-11
Calpumia.
L. CALPVRNIVS PI80 FRVGI.
(89. a. C).
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B-25
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M-18
e. CALPVRNIVS PISO FRVGI.
(64 a. C).
155. B. 26 . . . D. A-IS
Caninia.
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(48 a. C).
D. M-14
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P. CARISIVS.
(25 a. C).
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G-18
G-19
T-11
G-16
C-17
APPUNTI DI NUMISMATICA ROMANA
83
Cassia.
L. CASSIVS Q. F.
(79 a. C).
170. B. 6 . . D. R-8
Q. CASSIVS LONOINYS.
(60 a. C).
171. B. 7 . . D. A-11
172. » 8 . > 0-5
178. » 10 . » N-21
e. CASSIVS LONOINVS.
174. B. 14 . .E. L-5
176. » 14 . . D. P-16
176. > 19 . > N-23
Claudia.
e. CLAVDIVS PVLCHER.
(106 a. C).
177. B. 1 . . . D. T-22
CLAVDIVS VNIMANVS.
(89 a. C).
178. B. 4 . . D. Z-22
TI. CLAUDIVS NERO.
(84 a. C).
179. B. 5 . . D. M5
P. CORN. P. F. LENTVLVS MARCELLINVS
(45 a. C).
180. B. 11 . . D. R-14
181. » 11 . » J-19
e. CLODIVS C. F. PVLCHER.
(43 a. C).
182. B. 12 . . D. S-11
183. > 13 . » B-l
P. CLODIVS TVRRINVS.
(43 a. C).
184. B. 14 . . . D. 0-8
186. » 15 . . » J.15
186. » 17 . > R-15
187. > 18 . > R.16
Cloulia.
T. CLOVLIVS.
(101. a. C).
188. B. 2 . . D. K-22
Cocceia.
L. ANTONIVS
(41 a. C).
189. B. 2 . . . D. 1-17
190. » 2 . > S-26
B. R-17
191. B. 2 . . D. T-7
R. O-S
192. » 2 . . D. T-28
B. T-24
Coelia.
e. COILIVS CALDVg.
(94 a. C).
193. B. 2 . . . D. R.17
e. C0ELIV8 CALDVS,
(64 a. C).
194. B. 7 . . . B. R-11
Considia.
e. CONSIDIVS NONIANVS.
(60 a. C).
195. B. 1 . . D. 0-4
196. > 1 . » P-1
e. CONSIDIVS PAETV8.
(49 a. C).
197. B. 2 . D. 0-5
198. > 2 . » G-6
199. » 7 . » K-15
Cordia.
MANIVS CORDIVS RVFVS.
(49 a. C).
200. B. 4 . . . D. C-22
Cornelia.
L. CORN. SCIPIO A8IA0BNVS.
(90 a. C).
201. B. 24 . . D. R-11
R. R-18
P. CORN. LENTVLVS MARCELLINVS.
(89 a C).
202. B. 25 . • . . D. B-25
R. R-18
L. CORNELIVS SYLLA FELIX.
(87 a. C).
203. B. 28 . . D. G-7
A. MANLIVS.
(81 a, C).
204. B. 48 . . D. TU-25, 26
R. VZ-25, 26
CN. CORN. LENTVLVS P. F. MARCELL.
(84 a. C).
205. B. 51 . . D. B-2
206. » 61 . > B-3
R. B-4
(74 a. C).
207. B. 54 . . D. B-6
84
FRANCESCO GNECCUI
r. CORN. LENTVLVS SPINTHBR.
(74 a. C).
208. B. 68 . . D. C-21
FAVSTVS CORNELIVS SYLLA.
(64 a. C).
209. B. 59 . . D. C-19
210. > 63 . » B-6
B. A-13
L. CORNELIVS LENTVLVS CRVS.
(49 a, C).
211. B. 65 . . . D. D-5
212. > 66 . » B-21
B. A-13
L. CORNELIVS BALBVS.
(41 a. C).
213. B. 77 . . D. G-8
214. » 77 . > C-20
Gossutia.
e. COSSVTIVS MARIDIANVS.
(44 a. C).
215. B. 2 . . D. B-8
Grepusia.
P. CREPVSIVS.
(84 a. C).
216. B. 1 . . D. G-9
217. » 1 . » L-6
218. » 1 . > D-4
219. > 1 . > B-8
Domitia.
CN. DOMITI VS AHENOBARBVS.
(42-36 a. C).
220. B. 21 . . D. G-10
Durmia.
M. DVRMIVS.
(20 a. C).
221. B. 3 . . D. R-18
222. » 5 . > R-l
Egnatuleia*
e. EGNATVLRIVS.
(101 a. C).
223. B. 1 . . R. 0-7
224. » 1 . . D. 0-13
225. » 1 . » C-23
226. » 1 . » G-20
Eppia.
M. EPPIVS.
227. B. 1 . . D. G-11
228. » 1 . » R.20
229. > 1 . » G-21
230. B. 1 .
231. > 1 .
232. > 1 .
. D. L-14
» B-9
E. B-10
. I). B-11
B. B-12
Fabia.
FABIVS LABEO.
(144 a. C).
233. B. 1 . . D. J-14
L. FABIVS HISPANIENSIS.
(81 a. C).
234. B. 17 . . D. R-21
Farsuleia.
L. FARSVLEIVS MENSOR.
(82 a. C).
235. B. 1 . . D. R.22
236. » 2 . > G-24
237. » 2 . y 0-17
Flaminia.
L. FLAMINIVS CHILO.
(44 a. C).
238. B. 1 . . D. 0-9
R. O-IO
239. > 1 . . D. G-25
240. » 3 . > 0-6
Flavia.
e. FLAVIVS HEMICILLVS.
(44-42 a. C).
241. B. 1 . . D. G.12
Fonteia.
MAN. FONTEIVS.
(104 a. C).
212. B. 7 . . R. R-23
213. > 7 . . » R-24
MAN. FONTEIVS. C. F.
(88 a. C).
244. B. 10 . . D. G-1
R. B-13
245. » 10 . D. J-21
R. J-22
246. > 12 . D. C-2
R. G-3
P. FONTEIVS P. F. CAPITO.
(54 a. C).
247. B. 17 . . D. G-26
248. > 18 . > D-14
Fufla.
Q. FVFIVS CALENVS
(82 a. C).
249. B. 1 . . . D. G-18
APPUNTI DI NUMISMATICA. ROMANA
85
Fundania.
e. FVNDANIVS.
(101 a. C).
250. B. 2 . . D. D-15
Furia.
M. FOVRIVS M. F. PHILVS.
(104 a. C).
251. B. 18 . . D. 0-2
L. FVRIVS CN. F. BROCCHVS.
(53 a. C).
252. B. 18 . . D. 0-2
R. 0-4
Gelila.
L. GELLIVS PVBLICOLA.
(41 a. C).
253. B. 7 . . . D. P-10
H. HERBNNIVS.
(99 a. C).
254. B. 1 . . . D. R-10
Hostilia.
L. HOSTILIVS SASERNA.
(49-46 a. C).
255. B. 4 . . D. G-20
lolla.
L. IVLIVS BVRSIO^
(88 a. C).
256. B. 5 . . D. H-1
257. » 5 . > Q-8
258. » 5 . > K-20
e. IVLIVS CAESAR.
(58-44 a. C).
259. I
J. 9 .
. . D. C-4
260. 1
> 9 .
. . E. P-18
261. 1
► 9 .
. D. Q-1
> M-19
262. >
> 9 .
263. .
. 9 . .
» M-20
264. 1
► 11 . .
> Q-26
265. 1
► 12 .
> T-1
266. :
► 12 . ,
> M-26
267. 1
► 28 . ,
. . > K-12
268. ]
► 59 .
» R-17
269. 1
► 112. ,
. E. H-a
270. 1
► 115. .
. D. H-3
JB. H-4
271. 1
► 116.
. . D. P-12
272. >
y 185.
. . > Z-8
C. IVL. CASSAR OCTAVIANVS.
(44-29 a. C).
273. B. 139 . . D. 0-28
274. » 140. » 0-6
B. G-6
275. B. 140 •
276. » 141.
277. » 145.
278. » 145.
279. > 145.
280. » 145.
281. > 153.
282. * 154.
283. » 159.
D. G-7
R. G-5
D. T-12
R T-13
D. K-14
R. K-15
D. D-ie
> K-16
» S-6
» H-11
R. H-12
D. H-5
» H-6
lunia.
e. IVNIVS C. F.
(204 a. C).
284. B. 1 . . . D. H-7
D. IVNIVS SILANVS L. F.
(89 a. C).
285. B. 15 . . D. N-24
286. » 15 . . > U-11
287. > 17 . . » N-26
Q. CAEPIO BRVTV8.
(43-42 a. C).
288. B. 29 . . . D. H-15
R. H-16
289. > 81 . . D. R-2
290. » 84 . » J-24
R. J-25
291. > 34 . . D. N-26
Licinia.
P. LICINIVS NBRVA.
(110 a. C).
292. B. 7 . . D. K-5
e. LICINIVS L. F. MACER.
(82 a. C).
293. B. 16 . D. S-1
294. > 16 . » J-26
A. LICINIVS NERVA.
(49-45 a. C).
295. B. 23 . . D. H-8
P. LICINIVS 8T0L0.
(17 a. C).
296. B. 28 . . R. P-20
297. » 29 . » T-18
Livineia.
L. LIVINEIVS REGVLVS.
(43-42 a. C).
298. B. 1 . . . D. R-25
299. » 8 . . » G-8
de
FRANCESCO ONECCHI
800. B. 8 .
301. > 11 .
D. H-9
» C-9
E. C-IO
802. » 13 . . D. Q-2
Lollia.
LOLLIVS PALIKANVS.
(45 a. C).
308. B. 2 . . D. L-17
304. > 2 . » 0-24
Lucretia.
L. LVCRETIVS TRIO.
(74 a. C).
305. B. 8 . . D. H-13
306. » 3 . . ^ I-l
Marcia.
L. MARCIVS CENSORINVS.
(84 a. C).
307. B. 24 . . . D. Q-4
B. Q-5
808. » 25 . . D. 1-2
809. > 25 . » H-17
Maria.
e. MARIVS C. F. CAPITO.
(84 a. C).
810. B. 9 . . D. D-17
311. » 9 . » G-6
C« MARIVS C. F. TROMENTINA.
(17 a. C).
812. B. 10 . . . D. U-l
813. » 15 . > P-24
314 > 16 . » P-22
R. P-23
315. » 17 . . D. D-IS
B. D-19
Memniia.
li. BfEMMIVS li. Fa
(58 a. C).
816. B. 8 . . . D. D-20
G. MBBCMIV8 G. F.
(60 a. C).
817. B. 9 . . D. L-17
818. » 10 . » Q-6
Mesoinia.
L. MESCINIVS RVFVS.
(15 0 16 a. C).
819. B. 1 • . . D. U-2
820. » 1
321. » 1
822. y 4
323. » 6
> 1-3
B. 0-22
D. B-26
» D-17
Mettia.
M. METTIVS.
(44 a. C).
824. B. 1 . . D. P-14
325. » 4 . » 1-4
326. * 4 . » Q-7
R. Q-8
827. » 4 . . D. C-11
R. A-9
Minatia.
M. MINATIVS SABINVS.
(46-45 a. C.j.
328. B. 3 . . . D. D-22
Munatia.
L. MUNATIVS PLANCVS.
(46-45 a. C).
329. B. 4 . . D. D-23
R. 0-20
Mussidia.
L. MVSSIDIVS LONGVS.
(43-42 a. 0.).
330. B. 5 . . D. 1-6
331. » 5 . » D-21
332. > 8 . » T-3
333. > 8 . » D-10
334. » 8 . . » Q-9
Naevia.
e. NAEVIVS BALBVS.
(218 a. C).
335. B. 1 . . . D. P-10
Nasidia.
Q. NASIDIVS.
(38-36 a. C).
386. B. 1 . . . D. S-13
Papia.
L. PAPIVS.
(79 a. C).
337. B. 1 . . . D. 1-6
838. » 1 . » I>-24
339. » 1 . » 0-15
Papiria.
M. PAPIRIVS GARBO.
(139 a. C).
340. B. 7 . . . > K-26
PetUlia.
PBTILLIVS CAPITOLINVS.
(4".J a. C).
341. B. 1 . . . D. - 1-7
342. > 2 . . B. G-28
APPUNTI DI NUMISMATICA ROMANA
37
344. )
► 9 . .
345. :
► 10 .
346. :
► 10 .
347. 1
► 10 . .
348. :
► 19 .
349. 1
► 20 . .
350, :
► 20 .
Petronia.
P. PBTRONIVS TVRPILIANVS.
(20 a. C).
843. B. 4 . . D. R-26
» L-19
» Q-11
» S-5
» R-1
» U.14
» U.15
> C-20
K. D-12
Pinaria.
L. PINARIVS SCARPVS.
(31-27 a. C).
361. B. 9 . . R. U-16
352. » 9 . . D. Q.14
Plaetoria.
L. PLAETORIVS L. P. CESTlANVS.
(74 a. C).
353. B. 2 . . B. 1-8
M. PLAETORIVS CESTlANVS.
(69 a. C).
354. B. 4 . . D. A-9
355. » 4 . . R. U-17
356. » 5 . . . D. 1-9
357. » 5 . . » I-IO
358. » 6 . . . » MI
359. > 9 . » U-18
360. » 10 . » U-19
L. PLAETORIVS CESTlANVS.
(44-42 a. C).
361. B. 11 . . D. P-7
Plancia.
CN. PLANCIVS.
(54 a. C).
862. B. 1 . . D. J-9
Plautia.
A. PLAVTIVS.
(54 a. e.;,
363. B. 13 . . D. G-24
R. G-25
L. PLAVTIVS PLANCVS.
(45 a. C).
864. B. 14 . . . D. 1-12
Poblioia.
M. POBLICIVS.
(46-45 a. C).
865. B. 10 . . D. D-26
366. » 10 . » U-20
Q. POMPEIVS RVFVS.
(58 a. C).
367. B. 4 . . D. D-8
K. D-9
368. » 5 . . R. S-8
369. » 5 . . . D. R-6
R. R-7
CN. POMPEIVS MA6NVS FILIVS.
(46-45 a. C).
370. B. 8 . . D. U-21
371. » 9 . . . > 0-12
R. C-18
SEX. POBCPBIVS MA6NVS.
(43 a. C).
372. B. 20 . . . D. Q-10
373. > 20 . > K-!
374. » 21 .
375. > 25 .
21
R. D-13
D. 8-12
Pomponia.
L. POMPONIVS MOLO.
(94 a. C).
376. B. 6 . . . D.
377. » 6 . . . »
378 > 6 . . . »
Q. POMPONIVS MVSA.
(64 a. C).
379. B. 8 . . . D.
380.
881.
382.
383.
384.
385.
386.
8 .
9 .
15 .
17 .
17 .
19 .
21 .
>
»
»
0-2,
Q-12
Q-18
E-2
R-5
E-1
U-22
1-13
J--
E-14
0-26
Poroia.
M. PORCIYS CATO.
(101 a. C).
387. B. 6 . . . D.
388.
389.
890.
391.
392.
6
6
7
7
7
R.
D.
>
»
B.
Postumia.
POSTVMIVS ALBINVS SP.
(89 a. C).
393. B. 6 . . D.
J-3
U-23
U-24
J-2
8-7
K-28
K-24
F.
E-1 5
88
FRANCESCO GNECCHI
D. POSTVMIVS ALBINVS BRVTI P.
(43-44 a. C).
394. B. 10 . . D. P-IO
395. » 13 . > C-20
396. » 13 . » D-26
397. > 14 . » H-14
Quinctia.
TI. QUINCTIVS TROGVS.
(104 a. C).
398. B. 6 . . D. J-5
399. » 6 . » J-6
Roscia.
L. ROSCIVS FABATVS.
(64 a. C).
400. B. 1 . . D. 0-22
J-7
J-8
J-9
J-10
J-11
J-12
J-13
V-14
Rustia.
Q. RVSTIVB.
(19 a. C).
409. B. 3 . • D. K-1
410. > 8 . > B-21
RutUia.
L. RVTIL1V8 FLACCVS.
(79 a. C).
411. B. 1 . . D. L-22
Salvia.
Q. SALVIDIENVS SALVIV8 RVFVS.
(41 a. C).
D. E-16
»
401. 1
402. 3
403. 1
404. :
406. :
406. 1
407. :
408. :
412. B. 1
413. » 1
414. > 1
415. > 1
416. » 1
»
»
»
V-15
L-20
L-21
P-21
Sanquinia*
M. SANQVINIVS.
(17 a. C).
417. B. 1 . . R. T-2
418. > 1 . . D. E-18
R. E-17
Satriena.
P. SATRIENVS.
(74 a. C).
419. B. 1 . . D. A-11
420. > 1 . » M-28
421. » 1 . » P-7
R. Q-9
Scribonia.
L. SCRIBONIVS LIBO.
(54 a. C).
422. B. 8 . . D. K-17
423. > 8 . > H-8
Sempronia.
TI. SEMPRONIVS GRACCVS.
(38-36 a. C).
424. B. 10 . . D. K-2
425. » 11 . > K-3
426. > 11 . » N-14
427. » 13 . » E- 20
Sentia.
L. SENTIVS C. F.
(89 a, C).
428. B. 1 . . D. Q-20
R. Q-21
SepuUla.
P. SEPVLLIVS MACER,
(44 a. C).
429. B. 1 . . D. S-2
430. > 3 . » T-2
431. > 5 . > K-19
Servilia.
M. SERVILIVS G. F.
(94 a. C).
432. B. 13 . . D. Q-19
e. SERVILIYS C. F.
(64 a. C).
433. B. 15 . . D. D-6
434. > 15 .
435. » 15 .
436. > 15 .
437. > 16 .
» D-7
> 1-7
R. K-12
» 0-20
R. E-19
Q. SBRViLlVS CAEPIO BRVTVS.
(43-42 a. C).
438. B. 22 . . D. K-4
SBRVILIVS CASCA LONGVS.
(43-42 a. C).
439. B. 35 . . R. T-6
Sestia.
L. 8 E S T I y S.
(44-42 a. C).
440. B. 1 . . D. E-21
Sicinia.
Q. SICINIVS.
(49 a. C).
441. B. 1 . . D. L-24
R. D-17
APPUNTI DI NUMISMATICA ROMANA
99
Spurilia.
AVLV9 SPVRILIVS.
(214 a. C).
442. B. 1 . . D. D-l
Staila.
L. STATIVS MVRCVS.
(43 a. C).
443. B. 1 . . D. E-?
Sulpicia.
e. SVLPICIVS C. F.
(94 a. C).
444. B. 1 . . D. K-6
P. SVLPICIVS 6ALBA.
(64 a. C).
445. B. 6 . . D. H-IO
L. SERVIVS SVLPICIVS RVF\'S.
(44-43 a. C).
446. B. 10 . . D. K-7
447. > 10 . » K-8
R IC-Q
448. » 10 . . d! E-22
B. E-23
Thoria.
L. THORIVS BALBVS.
(94 a. C).
449. B. 1 . . D. Q-22
Titia.
Q. T I T I V S.
(90 a. C).
450. B. 2 . D. A-11
451. > 8 . » K-10
Tituria.
L. TITVRIVS L. F. SABINVS
(88 a. C).
452. B. 1 . . D. S-8
Valeria.
e. VALERIVS FLACCV9.
(81 a. C).
453. B. 12 . . . D. 0-14
VALERIVS ACISCVLVS.
(46-45 a. C).
454. B. 18 . . D. K-11
455. > 18 . » E-24
B. E-25
Vettia.
T. VETTIVS SABINVS.
(69 a. C).
456. B. 2 . D. H-17
457. » 2 . » L-18
458. > 2 . > M-24
459. » 2 . » T-13
Vibia.
e. VIBIVS PANSA.
(43 a. C).
460. B. 16 . . D. K-12
461. »
16
»
R-4
462. »
16
E.
H-18
H-19
463. »
18
. D.
A-8
464. >
18
>
A-11
465. »
22
>
R.
E-8
E-4
466. »
22
»
K-18
467. »
22
>
E-5
E-6
468. >
23
• •
. D.
Q-2S
Vinicia.
L.
V I N 1 e I V 8.
(58 a.
C).
469. B.
1
• •
. D.
K-18
L. VINICIVS L. F.
(16 a. C).
470. B. 2 . .1). R.8
471. » 3 . . R. L-2
472. > 3 . . D. Q-24
473. > 4 . > L-1
574. » 4 . » U-8
Vipsania.
M. A 0 R I P P A.
(38 a. C).
475. B. 1 . . D. T-5
476. > 2 . . R. Q-25
477. » 3 . . D. L-15
e. SVLPICIVS PLATORINVS.
(18 a. C).
478. B. 7 . . D. 8-10
Voconia.
Q. VOCONIVS VITVLVS.
(41-40 a- C).
479. B. 1 . . D. L-8
480. > 1 . » T-4
R. H-20
481. > 2 . . D. D-2
482. » 3 . > M-25
Volteia.
M. VOLTEIVS M. F.
(88 a. C).
488. B. 2 . D. L-4
484. > 4 . » S-4
Denaro anonimo.
(104 a. C).
485. B. 176 . . . D. H-21
PRAKCESCO ONECCHI
(89.5
a. C).
486. S
226. . . D.
Sesterzio.
M-28
487. B
3 . . . R.
Semivittoriato.
S-16
488. B
10 . . . D.
Angusto.
3-15
489. Coh. 4 . . . D.
D-11
490.
> 8.
H-22
491.
n
P-26
492.
BUppl.
5
V-19
493.
18
B-21
444.
33
U-12
495.
50
V-20
496.
50
A-18
497.
50
F-20
498.
52
R.
H-23
499.
60
U-13
500.
60
D.
V-21
501.
70
R.
VI
602.
70
D.
H-24
603.
76
V-2
504.
76
V-22
505.
80
V-3
506.
80
V-23
507.
83
V-4
506.
85
V-5
509.
87
R.
U-4
U-5
510.
87
I).
U-6
fili.
87
U-7
512.
87
R
U-8
5ia
87
D.
H25
614.
91
H-26
616.
91
Z-20
616.
94
V-6
617.
94
V-24
518.
99
V-7
E.
V-8
519.
105
D.
0-25
D. E-14
. V-9
> F-15
> Z-21
. A-81
, V-IO
. Z-15
. A88
. 121
E. V-S2
D. z-ie
. V-18
> P-25
• VI 3
. Z-9
. P16
. F-n
R. Z-10
n. z-n
> Z-18
B. Z-11
D. N-23
• E-25
> M4
> Z12
> Z-13
. A-14
. U-10
. F-18
E. F-19
T). A-15
B. Aie
B. Z-19
. A-n
. D-9
E. U-10
D. A-20
. A-19
Tiberio.
(14-37 d. C).
557. Coh. 9 . . .
APPUNTI DI NUMISMATICA ROMANA 41
La serie avrebbe potuto prolungarsi indefinita-
mente esplorando altri musei, ma mi pare che il
materiale raccolto sia più che sufficiente per addi-
venire ai seguenti dati generali, i quali ben poco e
solo in parte potrebbero forse variare, anche quando
la serie venisse^ duplicata :
I. Le monete d' argento 0) contrassegnate sono
tutte di buon argento, fatte pochissime eccezioni,
(4 o 5 in tutta la serie descrìtta) le quali però si
verificano su monete suberate cosi ben fatte e com-
plete, o che almeno si può argomentare tali essere
state alFepoca in cui furono contrassegnate, da au-
torizzare a credere che chi vi ha posto il contras-
segno sia stato tratto in errore, e le abbia credute
di puro argento.
n. I Contrassegni esistono, oltre che sugli aurei,
su tutte le monete d'argento, denari, vittoriati, se-
mivittoriati, quinarii e sesterzii, e non sono escluse
neppure le monete incuse.
Il Sig. Bahrfeldt nel citato articoletto osserva
che non gli sono mai capitati vittoriati né sesterzi
contrassegnati ; ma aggiunge ciò doversi probabil-
mente alla minore quantità di questi in confronto
dei denari e dei quinarii. La quale osservazione mi
pare giustissima, giacché io, esaminando un numero
molto maggiore di monete, ho trovato un sesterzio
(N. 487) e un semivittoriato (N. 488), dal che è più
che lecito argomentare come egualmente v'abbiano
ad essere anche dei vittoriati muniti di Contrassegno.
(1) Parlo delle monete d'argento perchè, come abbiamo yednto, gii aurei
oontrassef^ati sono rarissimi e quasi si possono considerare come eccezioni.
42 FRANCESCO GNECCHI
I Contrassegni si trovano indifferentemente sia
sui denari conosciuti solamente in puro argento,
che su quelli del cui tipo v'hanno anche esemplari
suberati.
IV. I Contrassegni si trovano di preferenza sulle
monete sciupate , e solo per eccezione taluno si
trova su monete a fior di conio, forse uno in cento.
— È un fatto noto e facilmente spiegabile che delle
monete antiche ne sono rimaste assai più di sciupate
che di nuove, e quindi è naturale che delle monete
contrassegnate ve ne siano più delle prime che delle
seconde. Quando poi si consideri che dei denari della
Repubblica, stante i numerosi ripostigli di monete
nascoste appena uscite dalla zecca, non è cosi dif-
ficile come in altre serie trovare dei pezzi a fior di
conio, o almeno di eccellente conservazione, risulterà
tanto maggiore la proporzione delle monete scon-
servate relativamente a quelle di buona conserva-
zione sotto questo rapporto dei Contrassegni.
V. I Contrassegni sono impressi di preferenza
sul diritto delle monete senza alcun riguardo che
essi cadano nella figura o nel campo. Talvolta ve
ne hanno sia sul diritto che sul l'ovescio, più rara-
mente nel solo rovescio. Delle 556 monete figuranti
nel prospetto, 439 hanno i Contrassegni nel dritto,
78 nelle due faccie, e sole 39 semplicemente al ro-
vescio.
VI. Il più delle volte il Contrassegno è unico ; ma
non è raro il caso che se ne trovino due, tre, quattro,
cinque, sei e anche più su di una stessa moneta.
Talvolta su di un piccolo quinario pare quasi che i
punzoni si siano inferociti fino al punto di renderne
irriconoscibile la figura rappresentata. Vedasi ad
APPUNTI DI NUMISìfATIGA ROMANA 48
esempio il gruppo di Contrassegni Z-7 esistente su
di un Quinario della Julia. — È raro però il caso
della ripetizione dello stesso Contrassegno su di una
moneta, e come unico citerò il caso di un Contras-
segno (o di una vera contromarca CL) ripetuta tre
volte nel dritto e tre nel rovescio di un denaro della
Cornelia (N. 204) (l), il quale denaro ha poi anche nel
dritto un altro Contrassegno somigliante a un V pure
tre volte ripetuto.
VII. Quanto alla maggiore o minore rarità delle
monete contrassegnate parmi non si possa dire che
vi sia preferenza né per le rare né per le comuni,
trovandosene indifferentemente tanto sulle une quanto
sulle altre a un dipresso nella proporzione in cui le
monete rare stanno alle comuni* Ciò si potrà rilevare
dalla serie esposta, in cui fra le moltissime monete co-
muni figurano anche nomi rari e rarissimi, come quelli
dell'Atia, deUa Maria, della Minatia e della Statia.
Vin. I Contrassegni sui denari romani sono
impressi con un punzone nella loro grandissima
maggioranza e solo qualche volta per eccezione graf-
fiti col bulino o collo stilo. Quelli da me esaminati
sono tutti indistintamente impressi con punzone; ma
il Prof. Milani ne trovò anche alcuni graffiti (2).
IX. Come dei conii antichi, di cui è ben diffi-
cile trovarne due eguali, così avviene dei Contras-
segni. Due perfettamente identici e che si possano
dire con sicurezza prodotti dal medesimo punzone è
quasi impossibile trovarli, salvo il caso di ripetizione
sulla stessa moneta.
(1) Yedi fig. a pag. 40.
(2) Tedi articolo citato, pag. 62.
44 FRANCESCO ONECCHI
Se qualche rara volta ho fatto servire il medesimo
disegno per due Contrassegni su due diverse monete,
gli è perchè le differenze erano tanto piccole, che
certo sarebbero sfuggite nella riproduzione, mentre
erano però sufficienti a riconoscerli come prodotti da
due punzoni differenti. Conviene però anche osservare
che alcuni segni talvolta sembrano diversi da altri
mentre forse sono uguali o molto simili , per V ine-
guaglianza della superficie su cui furono impressi. Un
cerchietto per esempio riuscirà completo nel campo
piano di una moneta, ma se battuto sulla parte con-
vessa di una testa può rimanere impresso solamente
in parte e formare uno o due segmenti di cerchio.
X. Pochissimi fra i Contrassegni dei denari re-
pubblicani rappresentano un oggetto o qualche cosa
di esprimibile a parole ; ossia, quando escJudiamo
i punti, i cerchietti o frazioni di cerchio, le mezza-
lune, i cunei, i rettangoli, e le lettere, le quali pure
sono per lo più segni somiglianti a lettere che vere
lettere, tutti gli altri sono segni che quasi chiamerei
cabalistici, e che non hanno assolutamente un appel-
lativo con cui poterli distinguere a parole.
Mi sorprende anzi a questo proposito come il
Bahrfeldt nel citato articolo non abbia quasi trovato
che lettere sui denari da lui esaminati , mentre a me
risulta che le lettere sono in estrema minoranza
contro quelli che non posso chiamare con altro nome
che seffni. Ma potrebbe benissimo darsi che le monete
da lui esaminate provenienti in gran parte da un
solo ripostiglio portassero, per speciali condizioni a
noi ignote, quali comuni Contrassegni, quelli che nella
massa generale non si trovano che per eccezione.
E lo stesso dicasi del ripostiglio già più volte citato
APPUNTI DI NUMISlfATICA BOBIANA 45
di Roma, sulle cui monete il Prof. Milani trovò propor-
zionatamente assai più lettere di quelle che a me av-
venne di trovare sulla massa delle monete esaminate.
XI. Quanto all'epoca, le monete contrassegnate
si estendono da circa un secolo avanti l'era volgare,
fino a tutto il regno d'Augusto, abbracciando cosi il pe-
riodo di circa un secolo e mezzo. Poche sono anteriori
a quest'epoca, e si spingono fino a circa 200 anni a. C. ;
crescono evidentemente quelle che datano da solo
mezzo secolo a. C, e il punto culminante lo segnano
quelle di Marc' Antonio e d'Augusto. Di posteriori a
quest'epoca non ho trovato che un aureo di Tiberio
colla testa d'Augusto al rovescio e un denaro pure di
Tiberio suberatOy ambedue appartenenti al Gabinetto
di Brera.
Xn. Dal numero delle monete esaminate risul-
terebbe che le contrassegnate si trovano in propor-
zione minima fra quelle d'oro (una o due in cento)
e invece in ragione di circa il 10 per cento fra quelle
d' argento. Fra poco più di un centinaio di aurei,
due soli ne trovai contrassegnati, uno d' Augusto
(Cohen N. 150) appartenente alle mia collezione
(Vedi N. 1) e uno d'Augusto e Tiberio (Cohen N. 3)
appartenente al Museo di Brera (Vedi N. 2). Fra le
monete d' argento invece ne trovai poco meno di
600 mentre la cifra delle monete esaminate ascende
a un dipresso a 6000. — Il Contrassegno è dunque
veramente la specialità della moneta d'argento.
Ed ora, venendo alle conclusioni generali che si
possono cavare dai fatti accennati, mi pare si pos-
sano ridurre alle seguenti :
La infinita varietà dei Contrassegni esclude che
questo fosse un marchio governativo. Se lo Stato
46 FRANCESCO QNECCHI
avesse voluto apporre un marchio ufficiale alle mo-
nete che ancora conservavano un peso legale, si
sarebbe servito di una vera- contromarca o almeno
di un marchio stabilito e uniforme, e difatti vediamo
che quando lo volle fare, impresse anche sui denari,
come sui bronzi, una contromarca uniforme e intel-
ligibile. Cosi fece Vespasiano , il quale sui denari
repubblicani, riammessi alla circolazione impresse la
contromarca imp vesp (l).
Per darci una ragione sufficiente a spiegare
l'enorme quantità e varietà dei Contrassegni è ne-
cessario ammettere l'opera dei privati, e forse anche
quella dei comandanti militari, a cui Roma spediva
volentieri pel soldo delle truppe lontane la vecchia
moneta meglio cx:)nosciuta e meglio accetta dai po-
poli, fra cui si trovavano gli eserciti.
Ecco come mi pare ciò possa essere avvenuto
e a qual'epoca.
È noto come il denaro romano subisse una prima
riduzione dì peso, quando, in seguito ai disastri della
seconda guerra punica, in forza della legge flaminia,
venne tagliato a 1^84 di libbra in luogo di 1^72, al
al peso cioè di gr. 3,90, in luogo di 4,55 ; ed è quindi
probabile che i primi contrassegni siano stati impressi
molto anteriormente all'impero (2) nei due ultimi se-
coli della repubblica.
(1) Vedi M. Bahrfeldt: Oaniremarken Vespasiani auf rSmischm Fami-
limdenarm nella Zeitachrift fur Numismatik di Berlino, 1876.
(2) Tale idea fa espressa già dal Prof. Milani nelP opuscolo citato
pag. 60. € n ripostiglio di Aleria (altro descritto prima di quello di Boma)
« d offre la prova che V oso di contromarcare con segni incasi (ianale ,
< punii, quadratini, ecc.) i denari detriti ò anteriore ali* imporo , e ci ap-
< prende che probabilmente V uso risale al tempo della prima riduzione
€ del denaro a li84 di libbra. >
APPUNTI DI NUMISMATICA ROMANA 47
Ma le monete che a noi pervennero contrasse-
gnate sono, meno rare eccezioni, quelle coniate ap-
punto nei due ultimi secoli della repubblica. Bisogna
dunque che noi cerchiamo più tardi il nostro mo-
mento storico , e lo troviamo precisamente sotto il
regno di Nerone, quando il denaro romano subisce la
sua seconda riduzione e viene tagliato non più a 84
ma a 96 la libbra, ossia a grammi 3,41. In seguito
a ciò è naturale che i vecchi danari tuttora in cir-
colazione aumentassero di pregio rispetto ai nuovi,
comechè di maggior valore intrinseco; e come tali
avrebbero continuato il loro corso regolarmente ,
se il lungo uso non li avesse in gran parte consunti
fino al punto da renderne dubbio il peso , giacché
una quantità di quei danari repubblicani erano in
circolazione da circa un secolo , altri da un secolo
e mezzo o anche più.
Se a questo si aggiunge come in causa della
sterminata varietà dei tipi, una gran parte dì essi
fosse diventata quasi sconosciuta al pubblico , si
capisce come assai probabilmente di quando in
quando si verificasse il caso che alcuni denari non
venissero accettati per un valore superiore o anche
pel semplice valore dei denari contemporanei, se non
dietro una garanzia di chi li spendeva. Ora questa
garanzia si esplicava con un Contrassegno di prove-
nienza, confrontabile in qualche modo ad una firma,
che talvolta al giorno d'oggi viene apposta a un
biglietto di banca, su cui sia nato qualche sospetto,
allo scopo di renderlo all'occasione a chi l'ha speso.
E tale fu l'origine dei Contrassegni.
n primo Contrassegno bastava talora da solo
per molte successive transazioni e, per quanto non
48 FRAJfCBSCO ONECCHI
precisamente da tutti conosciuto, imprimeva al de-
naro un marchio di garanzia; talvolta invece se ne
esigeva un secondo, un terzo e cosi via, il che spie-
gherebbe la moltiplicità dei Contrassegni su di una
stessa moneta.
Si potrà qui dimandare perchè, ammesso che
ciò abbia avuto luogo al tempo di Nerone, i Con-
trassegni finiscano colle monete d'Augusto e non se
ne trovino più su quelle di Tiberio, Caligola e Claudio;
e la risposta parmi abbastanza ovvia, dacché questi
denari, sia per essere poco numerosi e di tipi poco
variati, sia per essere molto recenti erano univer-
salmente conosciuti e circolavano apprezzati al loro
giusto valore senza bisogno di ulteriore garanzia. —
Il Contrassegno trovato in via eccezionale sul denaro
suberato di Tiberio mi pare serva di prova a tale
ipotesi. Era un denaro suberato ma cosi bene ese-
guito da poter trarre in inganno. È quindi spiega-
bilissimo che su di esso sia nato un dubbio, a dis-
sipare il quale, in buona o in mala fede questo
non ci riguarda, vi venne apposto un Contrassegno.
La piccola rottura per la quale oggi è visibile il
rame interno sarebbe, come negli altri simili casi,
posteriore al Contrassegno.
Ammessa dunque la causa e l'epoca dei Con-
trassegni come da me esposte, emergerebbe quale
conseguenza il fatto che al tempo di Nerone o giù
di li la circolazione monetaria nell'impero romano
era costituita ancora in gran parte dalla vecchia
moneta repubblicana. Vi circolavano in massa le
monete coniate da circa un secolo ; v'era ancora in
corso buon numero di denari repubblicani datanti
da un secolo e me^zo ^ e una certa quantità
APPUNTI DI NUMISMATICA ROMANA
anche di anteriori. In altre parole ì Contraasegni
Bervono colla loro maggiore o minore frequenza a
dare un'idea abbastanza esatta delia qualità delle
monete in circolazione all'epoca di Nerone.
E con questo finisco, lasciando che altri, ap-
profittando del materiale da me raccolto, faccia
qualche ipotesi più ingegnosa e più probabile se la
mia non gli soddisfa. Nulla è meno assoluto e più
soggetto a variazioni che il risultato dell'induzione.
Francesco Gnecchi.
LE MONETE DEI PONTEFICI BOHANI
LEOE Vm (ritmi, mm) E GIOYANNI M
ANNI DELL ERA CRISTIANA 963-972
Tutti coloro, che, dal Vignoli (1709) al Promis
(1858), hanno pubblicato illustrazioni, od anche sem-
plici descrizioni, delle monete pontificie, che lo stesso
Vignoli chiamò antiquiori (i), attribuiscono a papa
Leone VlU le tre che vengono riprodotte nella
tav. I, fig. 1, 2 e 3. Non tutti concordano egualmente
sulla spettanza di quelle che pur si riproducono nella
stessa tavola fig. 4 e 6.
Frattanto però le une e le altre, specialmente
nel dritto, presentano molte singolarità, capaci a
distinguerle assolutamente da tutte le altre della
serie. Quali le ragioni di quei tipi così straordinari ?
(1) A più chiara intelligenza si arverta che per diyisione fiittane da
Vignoli, Fioravanti e Scilla, le monete pontificie si distinguono in tre serie :
antiquiori, antiche e nuove. Le prime comprendono tntte le anteriori al
secolo XIY : le seconde quelle spettanti ai papi da Benedetto XI (1303) a
Clemente VII (1534): le altime da Paolo m (1534) fino ai nostri giorni,
che però Io Scilla suddivide ancora in vecchie da Paolo HI ai Urbano Vili,
ed in nuove da Innocenzo X in appresso.
52 TARQUINIO GENTILI DI ROVELLONB
Inutilmente si ricercano negli scritti degli illustra-
tori, anche più accurati ed eruditi, fra i quali pri-
meggia indubbiamente il Promis. Eppure le diffe-
renze sono tante, e cosi salienti, da non potersi am-
mettere che siano dipendenti dal caso o dal fatto
dello zecchiere in un'epoca, nella quale la sorpren-
dente uniformità dei tipi monetari, anche nella
rozzezza, dimostra la mancanza di ogni iniziativa
nello artefice, e la intera partecipazione di lui alla
generale ignoranza di quei secoli.
E le ragioni possono solo ricercarsi nelle con-
dizioni dei tempi, nei fatti che si compievano allora
ohe le monete venivano battute. Ricerca ardua ve-
ramente, perchè poche sono le notizie fino a noi
pervenute, e, peggio ancora, varie di esse presentano
dubbiezze non lievi , altre appariscono erronee. Ma
perciò appunto lo studio che se ne faccia riesce
maggiormente utile, perchè il documento irrefraga-
bile della moneta, messo a confronto de' fatti sto-
rici conosciuti, giova a nuova conferma dei già ac-
certati, a dilucidazione dei dubbi, a rettificazione
degli errati, a diradare insomma le fitte tenebre di
un'epocA, pure importantissima per noi, in quanto ha
preceduto immediatamente la nostra, ed indica le
cause e lo svolgersi di quella evoluzione, che ci ha
poi condotto al risorgimento.
Le tre prime monete portano tutte il nome di
un Papa Leone, ma apparterranno veramente annot-
tavo, cui finora sono state attribuite, senza però di-
mostrazione veruna ? prima necessarissima indagine,
sola capace ad evitare fantastiche deduzioni, è quella
di confrontare il documento monetario colle me-
morie storiche pervenuteci. Due di quelle monete
LB MONBTB DEI PONTEFICI ROMANI, ECC. 53
(fig. 1 e 2), oltre il nome del papa, portano pure
quello di Ottone. La cronologia accertata dei Papi
ne assicura, che, sotto lo impero degli Ottoni, nes-
suno ebbe il nome di Leone , air infuori di quello
assunto al Pontificato dal Concilio convocato da Ot-
tone I, il grande, nel novembre dell'anno 963, che
depose l'ancor vivente papa Giovanni XII. Questo
appunto è V Vili di tal nome nella serie de' papi ;
nessun dubbio adunque sulla retta attribuzione a
lui ed all'epoca sua delle due monete col nome di
Ottone. Manca questo nome nella terza, la quale,
inoltre, differisce nella leggenda del dritto, e nella
maggiore ruvidezza dell'intero conio : occorre dunque
una speciale dimostrazione, della quale potrà trat-
tarsi più innanzi, se ed in quanto le ricerche da
farsi per le altre potranno condurre a determinar
l'epoca anche di questa.
Se Leone Vili fu spinto alla sede pontificia, vi-
vente tuttora papa Giovanni XII, che la occupava
da oltre sette anni , è evidente che le vicende di
quello si collegano essenzialmente e quasi s'innestano
ai fasti di questo ; né riesce possibile apprezzare de-
bitamente le une, senza un richiamo, almeno som-
mario, degli altri più salienti e meglio accertati.
54 TABQUINIO GENTILI DI ROV£LLONE
L
CENNI STORICI
Per unanime attestazione di tutti gli storici,
Giovanni XII è figlio di quel marchese Alberico, il
quale, profittando della lunga vacanza, dell'impero
cosi detto dei Romani (riproduzione dell'impero di
occidente fatta dai Papi) avvenuta fino dall'anno
924 con la morte del primo Berengario, si fece ti-
ranno di Roma, usurpandone la Signoria, e giunse
sino al punto da ottenere nelle monete pontificie ,
col titolo di principe, il posto che prima vi avevano
gli imperatori : lo accertano indubbiamente le mo-
nete dei papi Marino II e Agapito II riportate dal
Promis. Morì Alberico nel 954, ed il figlio di lui
Ottaviano, o per volontà manifestata dal padre, o
per suo proprio impulso, s'impossessò della Signoria
di Roma, tuttoché ancoi' minorenne e già chierico.
Mancò pur di vita l'anno appresso (955) papa Aga-
pito II, e il chierico minorenne Ottaviano seppe
cosi bene profittare della potenza a lui attribuita
dalle tiranniche tradizioni paterne, e dalla assunta
Signoria, che in dodici giorni (secondo afferma il
Promis) si fece eleggere Papa; e volle come Pon-
tefice essere chiamato Giovanni.
Fu il primo tra i papi a cambiar nome nello
assumere il pontificato : quale la ragione ? se ne
LB MONETE DEI PONTEFICI ROMANI, ECC. 55
adducono varie. Non parve a lui che il nome di
Ottaviano rispondesse alla maestà della religione,
secondo il Fioravanti (^) : perchè potesse dirsi di lui :
fuit ìiomo raissus a Deo^ cui nomen erat Joannes^ come
pensa il Palazzi (2) : egli, che era già signore di
Roma prima di salire al pontificato, volle servirsi di
due nomi, cioè di Ottaviano nelle cose temporali, e
di Giovanni nelle spirituali, cosi afferma il Mura-
tori (3). La espressione aggiunta dal Palazzi W : sed
fcedior factus in omnem Joannes erupit libidinem, ac-
certa quasi, che nessun alto ideale di religione, o di
maestà della Chiesa e del sommo pontificato, con-
corse nella determinazione del cambiamento di nome.
Resta invece ammissibile Taffennazione del Mura-
tori, anche perchè sostenuta da varie circostanze di
fatto.
Il neo-papa conosceva bene, che i mezzi usati
per salire allo alto posto, e l'età sua minorenne,
rendevano illegittima e nulla la elezione (5). Egli
quindi prudentemente prevedendo la possibile eve-
nienza nella quale lo imposto favore, che oggi lo
aveva innalzato, potesse domani scemare o cam-
biarsi in opposizione, volle bene conservar distinte
le due potestà, per diverse vie conseguite, onde non
perderle entrambe, se dall'ultima dovesse pur de-
cadere.
(1) EioRAVANTi, Parto I, pag. 74.
(2) Palatii, Gesta Poniificum, VoL II, col. 120.
(3) Muratori, Annali^ anno d56, pag. 209.
(4) Palatii, 1. e.
(5) E nulla era yeramente, benchò poi tollerata come legittima, eo
voto, quo soBculutn exigebat nefarium, tyrannon etiam frceterire^ ne unita^
^cinderetur eccleaice, Palatii, 1. e,
56 TARQUIKIO GENTILI DI ROVELLONE
La quale interpretazione è sorretta dal fatto
che Giovanni XII, solo fra tutti i papi, volle ag-
giunto nelle sue monete il titolo di Domntcs W. Per
gli altri è bastato segnar nelle monete Papa onde
indicare la unione, che ritengono indissolubile, della
potestà civile con la religiosa. A Giovanni XII non
basta Papa; vuole aggiunto Dommcs^ al preciso scopo
di tener disgiunte le due potestà. Scopo ben giusti-
ficato per un Ottaviano figlio e successore di quel-
l'Alberico, che, fattosi tiranno di Roma, potè poi
affermarne la Signorìa o il principato nelle monete
dei due papi Marino II ed Agapito II, come già si
è accennato.
Somma fallacia della umana previdenza ! La
prima a pericolare per papa Giovanni fu proprio la
potestà civile, in paxte oppressa , in parte minac-
ciata dai re d'Italia Berengario II e suo figlio Adal-
berto. Ed ecco che, non Ottaviano, Signore di Roma,
ma Giovanni, papa, manda ambasciatori ad Ottone
re di Germania, con promessa della corona impe-
riale, se, previo giuramento, fosse sceso in Italia a
liberare la Chiesa dalla tirannide che la opprimeva,
e a restituirle la pristina libertà &). Ed Ottone venne.
Intraprese la guerra per la conquista del Regno
d'Italia, e cinse con grande solennità la corona im-
periale. E allora con formale stipulazione, affidata
(1) Domnua (non Dofninus^ vedasi la nota 1 a pag. 74) titolo or di onore
or di potestà, nello stesso doppio significato, benchò meno esteso, dell'odierno
Signore. U Cinagli , segnendo PArgelati ed il Fioravanti, attribuisce a
ciascuno de' papi Giovanni XI e Giovanni XIII una moneta col Domnus;
il Promis giustamente le rivendica a Giovanni XII.
(2) Palatii, 1, e. col 121.
LE MONETE DEI PONTEFICI ROMANI, ECC. 57
ad imp. diploma (1) 13 febbraio 962, promette e giura
di difendere e conservare a favore della S. Chiesa e
della Sede pontifìcia (non già di Ottaviano signore
di Roma) tutto ciò che fino ad ora avea posseduto
o ritenuto sotto la sua potestà e giurisdizione, a
cominciare dalla Città di Roma, sito ducato, tetri'
toriOf ecc. ecc.
La fermezza di Ottone nel giuramento prestato,
nelle promesse fatte intorno alla tutela dei beni, dei
diritti e delle giurisdizioni della Chiesa, riuscì fatale
al volubile papa Giovanni. Anch'egli alla sua volta
giurò, hisieme al popolo romano, di non mai acco-
gliere, avere aderenze, prestare aiuto ai deposti re
Berengario ed Adalberto (2). Dopo pochi mesi, e
mentre Ottone combatteva ancora per riacquistare
le terre dalla Chiesa perdute, Giovanni XEE entrò
in trattative con Adalberto, congiurando per la cac-
ciata dello straniero Ottone, e riconoscendo nuova-
mente Berengario, già marchese d'Ivrea, quale Re
italiano. Per questa via il Sigonio (3) vuole atte-
nuare la brutta defezione, non pensando esser diffi-
cile persuadere che nell'animo del figlio di Alberico
potessero nutrirsi alti sentimenti di patria e di na-
zionalità !
Frattanto i romani stessi divennero stanchi della
dissoluta e scandalosa vita del giovane papa, e
mentre avvertivano l'Imperatore della congiura con
Adalberto^ gli facevano pur considerare come a lui
toccasse, per le fatte promesse, provvedere seria-
(1) Lo stesso Palazzi lo riporta per intero alla col. 122.
(2) Palatii, 1. e. col. 122. — Muratori all'anno 962, pag. 281 ed altri.
(3) Palatij, 1, e. col. 125,
8
53 TARQUINIO GENTILI DI ROVELLOKE
mente al decoro della Chiesa romana (l). Pericolava
ormai per Giovanni XII la male acquistata potestà
religiosa, trascinando seco la riunitavi potestà civile,
non ostante, e per fatto anzi della potenza straniera
chiamata a sostener Tuna e l'altra !
Il mite Ottone volle da principio molto conce-
dere all'età giovanile. Puer est, egli disse, facile ho-
norum hmnutahitwr exemplo virorum, e spedi suoi
messi al papa per ammonirlo (2). E i messi dovettero
anche meglio accertare la gravità dei fatti, la mise-
randa condizione delle cose di Roma. Anche il Papa
mandò ad Ottone i suoi nunzi con larghe promesse
di correzione. Non andò però molto, e Giovanni XII
invitava, e riceveva in Roma con gran pompa il già
re Adalberto, e ciò decise Ottone a recarvisi con
parte delle sue truppe, cedendo finalmente alle ri-
petute istanze di ogni ordine di cittadini.
Al giungere dello Imperatore il Papa fuggi con
Adalberto. Ottone, benché istigato da insistenti pre-
ghiere dei romani, nessun provvedimento volle pren-
dere, ma consenti alla riunione di un concilio, nel
quale invitato il Papa, si giudicasse sulla condotta
di questo, sul modo di riparare. E il Concilio ebbe
luogo nel novembre dell'anno 963 ; numerose e gra-
vissime furon le accuse contro il Papa, che ricusò
di presentarsi, e condannò la riunione : egli nondi-
meno fu deposto e nei primi giorni di dicembre fu
eletto nuovo Papa ad una voce, Leonem S. E. ec-
clesice prothoscriniarium (^).
(1) Muratori, 1. e. pag. 289.
(2) Muratori, ìyì, Palazzi 1. e.
(3 Palatii, 1. e. col. 127 e segg., oto ò riportato Io intero atto.
LE MONBTB DKI PONTEFICI ROMANI, ECC. 59
n nuovo eletto fu subito consacrato, e senza
seguire l'esempio dato per primo da Giovanni XH,
conservò il proprio nome di Leone ^ ottavo fra i Pon-
tefici di tal nome 0). U Papa deposto tenne ferma la
sua opposizione al Concilio e allo Imperatore che lo
aveva riunito. Lontano da Roma egli preparava la
rivendicazione a favor suo , la più feroce vendetta
contro Leone ed Ottone.
Quest'ultimo volle passare il Natale in Roma,
ma frattanto rimandò buona parte delle sue schiero
a raggiunger le altre ancora occupate ad espugnar le
fortezze tenute da Berengario e da Adalberto. Seco
trattenne a propria guardia poca truppa, ma scelta.
Al vigile Giovanni parve il momento opportuno per
liberarsi con un colpo solo dello imperatore e del
novello Papa. Fu ordita e assai ben preparata, entro
le stesse mura di Roma, una ribellione armata. In
tal modo, Giovanni XII attentò perfino alla vita di
colui, che appena due anni innanzi aveva chiamato
dalla Germania e incoronato Imperatore per ispon-
tanea sua volontà. Sostennero la congiura, colla ri-
bellione armata, tutti gli ordini di quel popolo, che
(1) Nossano degli otto papi ed antipapi, immediatamente sncoedati a
GioTanni XII, cambiò nome neirassamere il Pontificato, e ciò prova che
Tesempio non poteya, o non doveva imitarsi in ragione dello scopo che lo
aveva determinato. Nel 984 fa eletto papa Pietro vescovo di Pavia, che
volle chiamarsi Oiovanni e fa il XIV di tal nome. In questo caso si com-
prende facilmente la ragione del cambiamento, che certo fu il rispetto do-
vuto al primo papa S. Pietro. Questa volta Tesempio fu seguito volonta-
riamente da tutti fino a Sergio IV, (anno 1009) nel qual tempo una co-
stituzione prescrìsse il cambiamento di nome, basandosi su quelli ideali
religiosi che sicuramente non erano nella mente di Giovanni XII.
La costituzione ò rammentata dal Palazzi 1. e. col. 205.
60 TARQUINIO GENTILI DI ROVBLIìONE
due anni prima acclamò il novello imperatore ; che
un sol mese innanzi avea implorato l'aiuto di questo
per liberarsi dal papa che accusava come tiranno e
come indegno dell'alto suo posto a causa di depra-
vata condotta ; che aveva quasi imposto la sostitu-
zione di Leone Vili, ed applaudito ad essa. Tre-
mendo insegnamento storico, certo non unico, anzi
non raro ; ma pur singolare nel caso, e maggiormente
istruttivo, per la doppia, rapidissima evoluzione dal
favore all'odio, così del popolo, come del tiranno
che l'opprimeva, e tanto nei rapporti fra loro, quanto
con i terzi interposti.
Ottone I il grande affrontò la ribellione : i non
molti, ma fedeli ed agguerriti militi delta sua guardia
la combatterono cosi da mettere in fuga i ribelli, da
far di essi orribile strage, cessata solo ad interposi-
zione del mite Leone Vni. L'Imperatore volle aver
fiducia ancora una volta nelle promesse dei Romani :
perdonò loro , restituendo anche i presi ostaggi , e
raccomandato alla lor fede il suo papa Leone, lasciò
Roma, per condursi a finirla una volta, come presto
fece, colle ultime resistenze dei già re Berengario
ed Adalberto W.
E Giovanni XII prosegue a congiurare per di-
sfarsi di Leone Vili ; e il figlio di Alberico, tiranno
di Roma, sa bene scegliere il mezzo e cogliere il mo-
mento per rendere, all'uopo, il popolo romano nuo-
vamente fedifrago verso di Ottone. Dopo oltre nove
secoli riesce forse impossibile rintracciare i mezzi
(1) MuiUToai, 1. e. pag. 244. — Palatii, 1. e. col. 134 , e tnttì gli
storici e cronisti coocordano sai fatti or narrati.
LE MOMBTB DEI PONTEFICI ROMANI, ECC. 61
usati ; è facile però riconoscere che il momento op-
portuno era quello, nel quale, Roma restava libera
dalle milizie imperiali^ perchè tutte impegnate, col
loro duce supremo, in due fazioni decisive nel du-
cato di Spoleto e Camerino^ e nel Montefeltro sotto
la rocca di S. Leo. Trascorsi difatto non molti giorni
dalla partenza di Ottone, i Romani stessi introdus*
sero Giovanni XII nella città e subito potè egli
esercitare barbare vendette su Cardinali, Vescovi e
cittadini a lui contrari W. In gravissimo pericolo si
trovò Leone, che però ebbe la fortuna di poter
fuggire in tempo da Roma, benché spogliato di tutto
e ricoverarsi al Campo dello Imperatore ^2). Rientrato
Giovanni XII nel suo pieno potere, li 26 febbraio
964, radunò un Concilio nel quale si dichiarò Leone
occupatore illegittimo della Sede pontificia e si
annullarono tutti gli atti di lui (^)
Tali nuovi fatti dispiacquero assai ad Ottone,
il quale pensò subito a formare l'esercito per la spe-
dizione contro Roma. Qui però non doveva più tro-
(i) In tatto come alla nota precendente.
(2) Muratori, 1. e. pag. 245. Palatii, 1. e. col. 134.
(3) Qaale de* dao Papi era Teramente legìttimo ? Certo, che Giovanni
non paò ritenersi eletto legittimamente, ma soltanto legittimato. (Y. la
nota 5 a pag. 55). Ed a leggittimarlo contribnl il Concilio del novembre
963, quando dichiarò Giovanni deposto dal papato, non già illegalmente
eletto. D'altronde era nello interesse dello Imperatore non mettere neppure
in dubbio la legittimità del Pontefice che gli aveva dato la corona, e con
essa il potere di difensore della Chiesa. Questo potere dava la forza al
Concilio ])er liberar la Chiosa da un papa indegno, ma lo metteva in una
aperta contradizione. Conseguenza di che fu che il Concilio del novembre
963 si ritenesse non ingiustamente un conciliabolo, e Leone Vili intruso,
od Antipapa.
62 TARQUINIO GENTILI DI UOVELLONE
vare Giovanni XII, che nel ano ottavo anno di
Pontificato, e tutto al più nel 26** di sua età, mi-
seramente mori nei primi del mese di maggio 964.
Quale la causa della morte di lui ? forse misteriosa
e perciò stesso molto contradetta ! Non improbabile
però la accennata da qualche antico scrittore ger-
manico, la vita, cioè, troppo giovanilmente sfrenata.
La morte di papa Giovanni non ricondusse i Ro-
mani alla fede ripetutamente promessa a Leone Vili
ed allo Imperatore : tutt'altro ! Essi non ebbero che
un sol pensiero ; quello di scegliere un altro papa,
che fu consacrato sul finire dello stesso mese di
maggio, e che ottenne da tutto il popolo giura-
mento di fedeltà, e solenne promessa di aiuto e di-
fesa contro il potente Imperatore. Lo innalzato al
Pontificato si chiamò Benedetto F, perchè la ele-
zione cadde su quel Benedetto cardinale arcidiacono
che nel Concilio del novembre 963 figurò tra i prin-
cipali accusatori di Giovanni XII, e prese parte al
voto unanime che volle la deposizione di questo e
la sostituzione di Leone. Apparisce ciò chiaramente
dagli atti di quel Concilio riportati per intero dal
Palazzi nella sua opera tante volte richiamata. Da
così strana confusione di idee ; da tale continua mu-
tabilità e contraddizione di propositi, può ben de-
dursi a quale livello di degradazione avesse abbas-
sato la vita sociale la quasi incredibile ignoranza
di quei secoli !
Crebbero naturalmente le ire di Ottone, offeso
dai Romani con tre atti di ribellione in sei mesi e
non indugiò egli a condurre nuovamente il suo eser-
cito sotto le mura di Roma. Non potè subito pene-
trarvi per altro, perchè questa volta il popolo tenne
LE MONETE DEI PONTEFICI ROMANI, ECC. 63
fede alle promesse fatte a Benedetto V : eran forse
troppo recenti ! Fu necessario un formale assedio
con uso di petriere ed altre macchine da guerra
e collo impedire la entrata di ogni sorta di viveri.
In breve tempo i romani furono costretti ad arren-
dersi, ed il 23 giugno 964 Ottone I entrò in Roma
0 la occupò coir esercito vincitore.
Il primo atto fu naturalmente, di rimettere al
suo posto il papa Leone Vili. E poiché occorreva
provvedere al nuovo papa Benedetto, che, seguendo
la sorte toccata al popolo, aspettava gli eventi, fu
convocato un nuovo Concilio, anche allo scopo di
discutere i mezzi adatti ad assicurar l'ordine per lo
avvenire e la stabilità della Sede pontificia.
Intervenne al Concilio anche papa Benedetto,
il quale, redarguito perchè avesse usurpato il papato
a danno di Leone, alla cui elezione aveva concorso
col voto e colla opera sua , ed al quale avea pur
giurato fedeltà, nuU'altro ebbe a ripetere che questo :
se ho erralo, abbiate misericordia di me. E bastò. Ebbe
luogo per lui una vera pubblica degradazione, perchè
fu spogliato degli abiti pontificali, coi quali era in-
tervenuto al Concilio, e dovè consegnare il pasto-
rale a Leone, che fattolo • spezzare, ne mostrò al
popolo i rottami 0). Ed ecco il terzo Papa che ve-
niva deposto nel breve tempo trascorso dal novembre
963 al giugno 964 ! Strani tempi davvero, e più che
strani, incomprensibili ! Si accordò a Benedetto di
restare nell'ordine dei diaconi, ma collo esilio in
Germania.
(1) Palatii, 1. e, col IB9. — Muratori, 1. e. pa^. 247,
64 TARQUINIO GENTILI DI ROVELLONE
In quanto ai provvedimenti, per finirla una volta
colle continue ribellioni dei romani, nulla di certo
ci hanno trasmesso le cronache. Soltanto alcuni au-
tori germanici riportano atti, che denoterebbero
una vera abdicazione di potestà civile e religiosa a
danno del papato e a favore dello impero (l). Tali
atti non hanno alcuna autenticità; anzi sono rite-
nuti apocrifi, come ben lo dimostra il Palazzi. Né,
indipendentemente da quelli, è ammissibile il fatto
del quale non si fa mai più menzione in appresso,
e non mai lo stesso Ottone I ha richiamato o fatto
uso di poteri rinunzìati dal Pontefice, neppure nella
elezione del Papa, dopo la morte di Leone Vili.
Però fra una formale abdicazione del Papato a
favor dell'Impero, ed una straordinaria, ed anche
amplissima, delegazione di poteri, specialmente civili,
di Leone Vili a favore di Ottone I corre un gran
tratto. Incredibile e forse impossibile la prima; la se-
conda, air opposto, apparisce reclamata necessaria-
mente per sostenere la impotenza del Papa da un
lato, il compromesso decoro dello Imperatore dall'altro
di fronte al contegno riottoso del popolo romano,
quanto persistente nella ribellione , altrettanto in-
certo, indeterminato, contradittorio nell'esplicarsi.
E che Ottone I assumesse veramente, e facesse
largo uso di straordinari, anzi di assoluti poteri so-
vrani in Roma, vari fatti lo dimostrano. Tutti gli
storici affermano che Ottone non fu solo severo, ma
quasi feroce coi romani. E si noti che entrato in
Roma il 23 giugno, ne partiva poi subito dopo
(1) Palatii, 1. e. c^l. 131 e 182,
IJB MONETE DEI PONTEFICI ROMANI, ECO. 66
S. Pietro. Egli dunque dovette lasciar là un governo
che a suo nome esercitasse con severità e fermezza
la civile potestà. E lo prova il fatto, che i romani
subirono tranquilli il Papa imposto loro con la
forza, anche dopo partito Ottone da Roma : non ar-
dirono muoversi, quando Tesercito imperiale fu colto
in marcia da terribile pestilenza che lo decimò : vi-
dero impassibili il ritorno di Ottone in Germania
collo esiliato Benedetto V, commesso, quasi prigio-
niero, alla custodia del Vescovo di Amburgo (^).
Così potè Leone passare in perfetta quiete l'ul-
timo periodo del suo Pontificato , della breve du-
rata però di soli nove mesi, che lo colse la morte
nei primi di aprile dell'anno 965(2). E in tale in-
contro si sperimentarono anche meglio i buoni ef-
fetti del forte governo imperiale. Non solo nulla
osarono i romani per provvedere alla Sede Pontificia,
ma docili e sommessi spedirono due ambasciatori allo
Augusto per conoscere la volontà di lui, azzardando
appena una preghiera pel ritorno dello esiliato
Benedetto. Par che in questo senso s'intavolassero
trattative, che però approdarono a nulla, perchè nel
frattempo anche Benedetto V moriva in Amburgo.
L'imperatore rimandò gli ambasciatori romani ai quali
associò, nella qualità di suoi messi, i vescovi Otgiero
di Spira e Liuzo o Lhitprando (lo storico) di Cremona.
Giunti a Roma questi personaggi, non si pensò
che alla elezione del nuovo Papa, e nel settembre 965,
di piena concordia fra Clero e popolo, fu innalzato al
(1) Muratori, 1. e. pag. 249.
(2) Fioravanti, parto I, pag. 77.
66 TARQUINIO GENTILI DI ROVELLONB
sommo Pontificato il vescovo di Narni Giovanni^ che
fu il Xni di tal nome. Senz'alcuna ingerenza dello Im-
peratore, il nuovo eletto fu pur consacrato* La piena
concordia nella elezione a nulla giovò : poco appresso,
e di certo prima che giungesse al suo termino l'anno
965, bì ribellarono nuovamente i romani, si imposses-
sarono di papa Giovanni e lo mandarono esiliato nella
Campania.
I fatti storici fin qui riassunti dimostrano abba-
stanza con quanta facilità i romani del secolo decimo
si volgessero ad abbatter coloro che ieri aveano in-
nalzato, concordi e con plauso, al più alto grado della
potestà religiosa e civile. Ciò però non basta a spiegare
il passaggio, per verità troppo rapido, dalla docile e
quasi umile e timorosa sommissione alla autorità im-
periale nel maggio, e quindi a quella papale nel set-
tembre, allo sciogliersi per via di fatti violenti nel
novembre dello stesso anno, da ogni soggezione pa-
pale ed imperiale. Non par difficile trovare una ra-
gione di tale anomalia, se si esaminino le speciali con-
dizioni dell'epoca, per quanto assai poco chiarite dallo
scarse notizie fino a noi pervenute.
Accennano gli storici che papa Giovanni XIII si
mostrò fin dalle prime severo rivendicatore di tutte le
giurisdizioni pontificie , forse anche a danno dello
usurpate prerogative dei potenti baroni fi). Questo
fatto, congiunto all'altro della libera scelta del Papa
lasciata da Ottone ai romani, valse senz' altro a di-
mostrare, che la pretesa abdicazione di ogni potestà
pontificia fatta da Leone a favor dell'impero era stata
(1) Muratori, 1. e pa^. 251.
9
LB MOMBTB DBI PONTIFICI ROMANI, ECC. 67
divulgata perchè si credesse, ma non esisteva real-
mente 0) : che gli estesi poteri esercitati da Ottone in
Roma provenivano da personale delegazione di Leone
venuta meno con la morte di lui. Non fu tanto quindi
l'odio destato dai rigori di Giovanni XIII, che scosse
i romani, come crede il Muratori, quanto il cessato ti-
more d'incontrar Tira del potentissimo Imperatore, che
se ne restava lontano, e parea indifferente, nel suo
regno di Germania, dopo morto Leone VIII, il Papa
ch'egli stesso avea fatto eleggere, e che perciò aveva
dovuto sempre e ad ogni costo difendere. Né bisogna
negare, che la sperata indipendenza dalla autorità
imperiale potesse ridestar più forte nei romani la ten-
denza che ovunque e potente cominciava a manife-
starsi, verso l'autonomia e le libertà comunali.
Errarono grandemente i romani nel supporre la
indifferenza dello Imperatore nelle cose di Roma. Ot-
tone il grande non dimenticava, e molto meno man-
cava ai giuramenti fatti nello assumere la corona
imperiale. Egli fu irritatissimo della nuova ribellione
e dopo la metà di Agosto dell'anno 966, mosse per
l'Italia al doppio scopo di riparare ai disordini di
Roma, e di combattere in Lombardia le sedizioni di
Adalberto figlio di Berengario. Il timore scosso da
errata supposizione ritornò vigoroso nell' animo dei
romani di fronte alla realtà dei fatti. Aveva appena
Ottone I messo il piede in ItaUa, ch'essi richiama-
rono spontaneamente il Papa, che circa dieci mesi
innanzi avevano, prima liberamente eletto, poscia
(1) É ben possibile, che i cronisti germanici si facessero promnlgatori
di ciò che si volle far erodere ai romani per Tiommeglio tenerli in sog-
gezione.
68 TAaQUINIO GENTILI DI ROVELLONE
imprigionato , ed infine esiliato. E Giovanni tornò
alla sua Sede, e i romani, implorando perdono, lo
accolsero con molte onoranze W. Tutto ciò non bastò
ad abbonire lo Imperatore, che giunto in Roma e
solennizzato il S. Natale del 966, sui primi del 967
fece severa giustizia contro i rebelli. Più che severa
pare anzi che la giustizia imperiale fosse crudele,
secondo che affermano i cronisti, e secondo il rim-
provero che l'imperatore Niceforo Foca ne fece ai
male accolti ambasciatori, mandati da Ottone a Co-
stantinopoli per chiedere in isposa del figlio la prin-
cipessa Teofania, figlia del già imperatore Romano II,
e figliastra di esso Niceforo.
Ottone in seguito si dimostrò sempre per papa
Giovanni fautore e sostenitore non meno fermo e
solerte di quel ch'era stato per Leone Vili. E papa
Giovanni lo ricambiava di affetto e di intera comu-
nanza di vedute, tanto che egli stesso propose ed
ottenne di chiamare in Roma il giovane figlio dell'im-
peratore per dare anche a lui la corona imperiale. La
incoronazione ebbe luogo, pomposamente solenne ,
nella basilica Vaticana il di di Natale 967, con piena
soddisfazione, cosi degl'imperiali, come dei romani (2).
Ottone I si trattenne continuamente in Italia
fino all'anno 972, occupato dal 968 in appresso,
anche a vendicar nelle Puglie i rifiuti ed i tradi-
menti dello Imperator d'Oriente. E riusci vincitore, e
raggiunse il suo scopo. Niceforo, per istigazione della
moglie sua Teofanona, fu assassinato da Zimisce, che si
(1) Muratori, 1. e. pag. 256. — Palatii, 1. e, col. 146.
(2) Muratori, '. e. pag. 264. — Fioravanti, parto I, pag. 18.
LE MONETB DBl PONTEFICI ROMANI, ECC. 69
impadronì dell'impero. Il nuovo Augusto offri la pace
ad Ottone, accettandone per condizione il matrimonio
di Teofania con Ottone II.
La continua presenza in Italia dell'Imperatore
contribuì senza meno a tenere in freno i romani,
tanto che in perfetta pace e tranquillità potè passare
Giovanni XIII i rimanènti anni del suo pontificato.
Nulla anzi di notevole avvenne in Roma in questo
tempo, se se ne tolga il solenne e festeggiatissimo
matrimonio, ivi celebrato nel 14 aprile 972, del gio-
vane imperatore Ottone II colla bellissima principessa
Teofania. Pochi mesi dopo il fausto avvenimento Ot-
tone I volle lasciare Tltalia per accompagnare in Ger-
mania il figlio e la nuora. Partito Ottone, poco ancora
sopravvisse papa Giovanni, che mori il 6 sett. dello
stesso anno 972; e soli otto mesi dopo (7 maggio 973)
cessò pur di vivere il vecchio Imperatore.
Sono questi i fatti storici più salienti e meglio
accertati, che avvennero intorno alla epoca nella
quale furono battute le monete da esaminarsi. Resta
a vedere se e come queste illustrino la storia da noi
conosciuta, e reciprocamente vengano illustrate da
essa. Esame importante , anche perchè le monete ,
delle quali si tratta , presentano forme e caratteri ,
affatto singolari e senza confronti in tutte le altre
pontificie antiquiori. Agli accennati eventi di certo
non ordinari , corrisponde la straordinarietà delle
monete: primo argomento per ritenere che queste
appartengano ai Papi ai quali si attribuiscono, ed
all'epoca trascorsa dal 963 al 972.
70 TARQUINIO GENTILI DI ROVELLONE
n.
Le monete di Leone VIIL
Le due prime (Tav. I, fig. 1 e 2) hanno eguale
la leggenda nel dritto LEONI PAP. OTTO segnata nel
campo in tre righe divise da due sbarre orizzontali :
nel rovescio hanno ugualmente la mezza figura di
S. Pietro, ma con diversa corona nella testa, e la
prima ha le sole lettere P. S. {Petrus Sanctus) che
accostano la mezza figura, l'altra ha P * SCS.
Prima singolarità da notarsi è là mancanza
della crocetta, specialmente nel dritto. Era costume
allora di premetter il segno di croce ad ogni scrittura
e al proprio nome scritto W. Dopo Costantino Magno
poi tutti i principi cristiani del medio evo lo scolpi-
rono nelle monete. Non mai manca nelle pontificie
antiqufon\ (2) almeno in una delle due leggende, e
prosegui pure il costume presso che in tutta la co-
niazione delle antiche. Non è possibile rintracciare
(1) FioaAVAifTì, pag. 5. — Lo conservano tattora i YescoTÌ nelle loro
soscrìzJonL
(2) Solo in una moneta di Gregorio IV (anni 828-844) riportata dal
Promìs nella tay. II, n. 10, manca affatto la crocetta, sostitnita tanto nel
dritto che nel rovescio da nna stella di otto raggi. Ma Iia la saa speciale
ragione che potrà apparire nella illustrazione ]che forse si farà di quella
moneta.
LE MONETE DEI PONTEFICI ROMANI, ECC. 71
una ragione che Tabbia fatta pensatamente sopprì-
mere : forse la cosa avvenne casualmente , e di ciò
sì tornerà a parlare' nella illustrazione della terza
moneta di Leone. Il fatto della mancanza, comunque
avvenuto, può bene dar sospetto che le due monete
non siano state coniate per ordine del Papa. Se tutti
i principi cristiani ammettevano nelle loro monete
quel segno : se questo non era mai mancato nella
monetazione pontificia antecedente, non è certo pre-
sumibile, che ne consentisse la soppressione, in due
coni diversi, Leone Vili, riconosciuto come buono e
pio da quelli stessi che lo annoverano fra gli antipapi.
Le due monete presentano tutto intero il dritto
occupato dalla leggenda in tre righe orizzontali,
esempio unico nelle antiquiori dopo la regolare mone-
tazione incominciata da papa Adriano I (a. 772-795)
a seguito della donazione rinnovata , o confermata
da Carlo Magno nell'anno 774. E questa nuova, ec-
cezionalissima variante, innalza a grave indizio lo
accennato sospetto, che la coniazione non sia stata
fatta per ordine del Papa. Non si saprebbe davvero
trovare ragione per la quale questi volesse cambiare
cosi radicalmente la forma adottata da tutti i suoi
antecessori.
E il grave indizio trova nuova conferma in altra
omissione, certo non comune in quei tempi. Nelle due
monete non si trova segnato il nome di Roma. Ep-
pure Leone Vili, cacciato di là, quasi appena eletto,
e dichiarato anzi intruso nel pontificato, aveva tutto
l'interesse di affermar solennemente al ritorno la sua
potestà sovrana colla coniazione della moneta, e per
via di questa, la sua presenza in Roma, il suo inse-
diamento nella Cattedra di S. Pietro,
72 TARQUINIO GENTILI DI ROVKLLONE
Unico assolutamente in tutta la serie delle art-
tiquiori è il tenore della leggenda nel dritto. Il nome
del Papa è espresso in dativo: LEONI PAP. Vi è
Tesempio del genitivo, specialmente usato da Gre-
gorio IV, e si comprende. Quando oravi impresso il
nome dell'Imperatore al nominativo, quello del Papa
al genitivo significava ed affermava che la moneta
spettava od era battuta non già dal primo, ma dal
secondo : — moneta di Gregorio papa ; — ma af-
fatto incomprensibile è il dativo , se voglia rite-
ner la coniazione eseguita a nome e per ordine
del Papa, E molto più perchè al nome del Papa
segue, al primo caso, quello dello Imperatore LEONI
PAP. — OTTO — È inammissibile qualunque altra
interpretazione allo infuori di questa : le monete
sono state battute non per ordine del Papa , ma
dello Imperatore. Ed ecco il caso nel quale la moneta
viene in aiuto della storia e la chiarisce.
Alcuni cronisti affermano Tabdicazione di Leone
a favore di Ottone, che lo ricondusse in Roma e lo
rimise nella sua sede di Pontefice: altri assoluta-
mente la negano, come è stato accennato. Non vi è
dubbio nondimeno che esercitasse Ottone grandis-
sima parte della potestà sovrana, sia pure semplice-
mente delegata, ed ecco le monete a provarci che
si estendeva fino alia loro coniazione. Su di quelle
però è anche impresso, e nel posto di onore, il nome
di Leone, unito alla qualifica di Papa : e la quali-
fica e il nome sono cosi posti da far comprendere,
che chi esercita quel potere non lo esercita per sé,
ma quasi a nome e per conto dell'altro, cui offre o
dedica la moneta coniata.
Né ba^ta, che il nome q la mezza fi^ra di
LB MONBTB DBI PONTEHCI ROMANI, ECC. 73
S. Pietro nel rovescio dimostrano, anche più chia-
ramente, che le monete spettano alla Chiesa romana,
al successor di S. Pietro. La prova è piena, e per
tali documenti il fatto storico resta interamente
chiarito. È affatto esclusa la supposta abdicazione
di Ijeone a favore di Ottone, ma non può dubitarsi
della più estesa e forse totale delegazione per lo
esercizio della sovrana potestà civile.
Resta sempre incerta la ragione per la quale
rimperatore, sostituendosi al Papa nella coniazione
delle monete, abbia voluto cambiare cosi radical-
mente il dritto di queste, da allontanarsi del tutto
dal tipo oltre secolare della monetazione pontificia.
Forse fu a caso, forse avvenne per fatto dello zec-
chiere ; ma prima di pronunciarsi sarà bene com-
pletare Tesame delle monete di Leone.
La terza moneta (Tav. I , fig. 8) ha nel dritto
la leggenda: D — N — LEONI PAPE — in tre righe oriz-
zontali divise da sbarre : nel rovescio poi ha una
mezza figura accostata dalle lettere SCS — PETRS
(Sanctits Petrus). Il tipo e la forma di questa è per-
fettamente simile alle altre due, mentre quella forma
e quel tipo non si trova imitato nelle anttquiort\ né
prima né dopo Tepoca della quale si tratta. Primo
non lieve argomento per attribuire anche questo
denaro a Leone Vili, benché non porti il nome di
Ottone. Anche qui manca la crocetta ed il nome di
Roma. Però a queste particolarità, comuni alle pre-
cedenti, se ne aggiungono altre affatto proprie.
Nella prima riga del dritto sono impresse le
lettere cTn. Il Promis legge Domino nostro^ il Fiora-
vanti semplicemente Domno. La mancanza del punto
intermedio, e la lineetta sovrapposta, che indica, non
IO
74 TARQUINIO GENTIU DI ROVELLONE
disgiunzione, ma unione delle due lettere, secondo
l'uso dell'epoca, danno certo ragione al Fioravanti.
Anche perchè solo a Dio era allora riservato il titolo
di Domimi e Imperatori e Papi non eran che Domni^
come dimostrano gli atti autentici pervenutici senza
errore di copisti 0). Giovanni XII è stato l'unico Papa
che abbia segnato il domnus nelle monete, lo stesso
titolo nella moneta in esame , fa attribuir questa
a quel Leone che immediatamente, anzi contempo-
raneamente gli successe nel pontificato.
Anche più singolare in questa moneta è la roz-
zezza del conio, e il disegno quasi barbaro della
mezza figura del rovescio. Ciò non solo la distingue
dalle due precedenti, ma ben anco dalle altre che
in quel tempo uscivano dalla zecca pontificia, ed
autorizza a ritenerla non battuta in Roma. Se cosi
è, né pare possa dubitarsene, deve pur ritenersi fat-
tane la coniazione quando il Papa stette assente da
Roma, costretto a fuggire per togliersi alla vendetta
di Giovanni XII. Ma, fuori di Roma, la moneta non
fu certo coniata per fatto e per ordine di Leone : ce
ne assicura la leggenda del dritto al terzo caso
lo attribuitogli titolo di Domnus, usato dal solo suo
predecessore, e per ragione affatto speciale, alla
quale Leone, semplice primo archivista innanzi di
esser Papa, era ben lontano dal poter partecipare.
Sospetta il Promis che la moneta provenga da
qualche città del patrimonio della Chiesa, indipen-
dente dallo Imperatore, nella quale il Papa si fosse
(1) La regola era cosi espressa: « Coelestero — Dominum — terrostrem
dicito — Dainnum. »
LE MONETE DEI PONTBnCI ROMANI, ECC. 75
rifugiato fuggendo da Roma. Non pare ammissibile;
principalmente perchè si ricercherebbe invano la
ragione per la quale il nome del Papa , piuttosto
che al nominativo vi apparisca impresso al dativo.
Resta poi accertato, che Leone corse dritto a rifu-
giarsi nel campo di Ottone. E vi giunse, come è
stato già notato, privo e spoglio di tutto, di modo
ch'egli dovette naturalmente implorare ogni sorta di
assistenza e di aiuto dalla benevolenza imperiale. E
a seguito di questi fatti par davvero lecito il sospet-
tare che la moneta si battesse per ordine di Ottone
e dov'egli esercitava pieno e proprio dominio.
In questo caso può ben spiegarsi il tipo nuovo
della moneta, notando poi, fin da ora, che questa ,
coniata nell'assenza di Leone da Roma, avrebbe pre-
ceduto le due antecedentemente illustrate del Papa
stesso. Volle Ottone solennemente affermare, e far
noto a tutti, che Leone era ancora il Papa ricono-
sciuto, il successor di S. Pietro, benché il già de-
posto Giovanni si fosse nuovamente assiso sulla sedia
pontificale : non poter Leone batter moneta, perchè
fuori de' suoi stati ; ma non esser cosi tapino, come
lo si era da quelli scacciato, perchè altri la batteva
per lui, ed a lui la offeriva. Così pare possa bene
spiegarsi la novità del tipo ; la leggenda del dritto
al terzo caso ; il domntcs aggiuntovi, perchè adot-
tato da Giovanni XII, e quindi imitato da chi non
ne conosceva il valore originariamente attribuitogli.
Non vi appose Ottone il suo nome , perchè avrebbe
con ciò menomata l'autorità del Papa, in opposizione
allo scopo propostosi ; perchè non battea la moneta
per proprio conto e pel suo regno, ma per altro so-
vrano e per altro regno. D'onde anche il tipo affatto
76 TARQUINIO GENTILI DI ROVELLONB
diverso da quello che Ottone aveva prescritto pei
suoi stati.
È facile comprendere la mancanza nella moneta
della parola Roma una volta che la coniazione av-
veniva fuori di quella città, e del suo cliccato, come
allora si diceva. Era il rovescio, d'altronde, che spie-
gava senza ombra di dubbio, trattarsi del papa di
Roma. E può pure spiegarsi il difetto della crocetta
se, come è possibile, non debba attribuirsi a dimen-
ticanza dello zecchiere. Si osservi che la moneta
riproduce, può dirsi, la firma del sovrano che la. fa
battere, e il costume era appunto, che alla firma
precedesse sempre la crocetta : non è più il caso,
quando il nome è scritto da altri , e per di più in
dativo*
A confermare che la moneta sia stata battuta
per ordine di Ottone, sta pur questo, che pare possa
accertarsi essere uscita dalla zecca di Pavia. Ferma
sempre la diversità del tipo dalle pavesi del tempo
di Ottone I, esistono non di meno varii segni e ca-
ratteri di ravvicinamento e di confronto. Vi è prima
di tutto la rozzezza del conio, e il suo forte rilievo,
tutto adattato però alle monete più antiche di Lo-
tario I. Corrisponde a queste il diametro e forse
anche il peso, Tuno e l'altro analogo alla legge mo-
netaria detta di Oarlomagno, già adottata, benché
in fatto non sempre osservata, nella zecca dei papi.
Ottone però aveva cambiato pei suoi stati la legge
monetaria di Oarlomagno (i), e per ciò, forse, il nuovo
tipo da battersi col nome di Leone, affatto difforme
(]) Brambilla, Monete di Pavia, pag. 179 o nota.
LE MONETE DEI PONTEFICI ROMANI, ECC. 77
dalia moneta corrente di Pavia, si modellò in qualche
modo su quella di Lotario. Fatto è che oltre il dia-
metro ed il peso corrisponde la forma delle lettere,
strette ed allungate, benché colle aste meno grosse,
e proprio simili sono specialmente TA, la R, la S W.
A seguito delle premesse considerazioni sembra
possa abbastanza ragionevolmente ritenersi, che la
moneta, segnata dal Promis come terza, sia invece
la prima coniata col nome di Leone Vili. Questo
fatto dà la ragione della somiglianza del tipo colle
altre battute in Roma, senza attribuirla ad arbitraria
imitazione dello zecchiere. Una strana condizione di
cose indusse Ottone ad ordinar ne' suoi stati una
moneta pel Papa, che necessariamente riuscì di tipo
affatto straordinario. Eventi poscia non meno strani
lo portarono in Roma a batter moneta colla potestà
sovrana delegata dal Papa, e per conto di questo :
le due posizioni non si copiavano, ma si rassomi-
gliavano perfettamente, e benissimo venivano rap-
presentate dallo stesso tipo di monete, colla sola va-
riante di sostituire al d"n non mai usato dai papi,
come tali, il nome di OTTO autorità imperante de-
legata. E tal qualifica viene ben designata dal nome
dello Imperatore messo al secondo posto e quasi
nello esergo. Ma vi è impresso in nominativo, e
(1) Da pochi mesi ha preso posto nella mia collezione delle pontificie
la rara moneta di Leone YIII, che poi ha dato occasione a qaesto stadio.
Possedevo già un esemplare della moneta di Lotario 1, e precisamente quella
riportata dal Brambilla nella Tav. II , n. 12 , e qnindi ho potato fare i
confronti che ho notati. Resta soltanto il dubbio nel peso. H mio Leone ò
un vero fior di conio, ma ò mancante di due non piccoli pezzi nel con-
tomo. Così, com'è, pesa oltre un grammo : parrebbe che intero potesse rag-
giungere il grammo 1 e li2, comò il mio Lotario.
78 TARQUINIO GENTILI DI ROVELLONE
ciò ha portato che non s'indicasse Roma, perchè non
si estendeva a questa città e ducato il regno di Ot-
tone. Finalmente la ragione stessa che fece mancar
la crocetta nella moneta battuta in Pavia, la escluse
pure in quelle di Roma, benché sia verosimile che
il modello preso ad imitare l'abbia fatta dimenticare
allo incisore. Fatto è che le monete riportate al
loro posto cronologico completano perfettamente la
rispettiva illustrazione.
Per l'epoca della coniazione può affermarsi ,
che la moneta di Pavia rimonta al marzo o aprile
964 e le due di Roma sono posteriori al giugno
dello stesso anno, seppure l'una delle due non sia
stata battuta nei primi mesi del 965 (^).
(1) Le due monete, molto simili fra loro , provengono certo da due
oonii distinti. Io ritengo che non sempre la diversità dei coni! indichi nna
monetazione di epoca diversa. Qnando si era ben lontani dai facili e pro-
dottivi meccanismi delle nostre zecche, nna monetazione numerosa richie-
deva lungo tempo, ad abbreviare il quale forse si moltiplicavano i conii,
non sempre riprodotti esattamente dagli incisori nelle parti secondarie del
disegno. È una idea che espongo , ma che non affermo , mancandomi ba-
stanti prove.
LB MONETE DEI PONTEFICI ROMAICI, ECa 79
m.
Le monete di Giovanni XIII.
Quattro monete vengono attribuite dal Promis
al pontificato di Giovanni XTII. Una di esse , non
molta conservata (Tav. I n. 5), porta nel campo del
dritto una croce alla estremità delle cui braccia sono
le quattro lettere OTTO, disposte però in modo affatto
diverso da quello che si rinviene in tutte le altre
monete col nome degli Ottoni. Indubbiamente è
quella stessa che il Cinagli, seguendo il Selvaggi (l),
assegna allo antipapa Giovanni Filigato (an. 997) ,
unico occupatore della Sede pontificia col nome di
Giovanni , durante il breve impero di Ottone III
(996-1002). Sorge quindi la difficoltà a quale dei papi
od antipapi di nome Giovanni possa veramente ap-
partenere tale moneta.
Lo impero dei tre Ottoni ebbe luogo dall'anno
962 al 1002. Vi fu però un periodo d'impero vacante,
dalla morte di Ottone II (983) alla incoronazione di
Ottone III (996).
Una moneta adunque che porti il nome di Ottone
non può certo spettare ai papi Giovanni XIV (2), XV
(1) CiNAOLi, Le fìumete dei Papi, ecc,^ pag. 12.
(2) È incerta la data della elezione di Giovanni XIV. Alcani la riten-
gono anteriore alla morte di Ottone II, benchò di poco. Ho creduto atte-
nermi alla maggioranza degli storici, molto più perchè non ho trovato ra-
gione da attribaire a questo Papa alcuna delle monete delle quali mi oc-
cupo. Vedasi appresso nota 1, pa^. 83,
80 TARQCINIO GENTILI DI ROVELLONE
e XVI, vissuti nel periodo trascorso dal 984 al 995.
La difficoltà quindi si restringe perchè restan solo
i papi Giovanni XII e XIII, e l'antipapa Giovanni
Filigato. Potrà la moneta spettare a quest' ultimo ,
come vorrebbero il Selvaggi ed il Cinagli? Par-
rebbe che no.
Giovanni Filigato , vescovo di Piacenza , era
certo in ottime relazioni con Ottone III, avendo ap-
partenuto alla cancelleria imperiale, ed essendo stato
mandato dallo stesso Ottone ambasciatore a Costan-
tinopoli per trattare il matrimonio di lui con una
principessa di quella corte. Fatto è però che Gio-
vanni usurpò il pontificato per accordi presi col fa-
moso patrizio Crescenzio , che avea già obbligato
papa Gregorio V a fuggir da Roma per salvare la
vita. E Gregorio V avea, proprio Tanno innanzi,
coronato imperatore Ottone III ! Non par quindi
possibile che in tali condizioni V antipapa pensasse
a batter moneta col nome di Ottone. Ed anche meno
è possibile che ciò tollerasse Crescenzio , il quale
a scuotere la soggezione dallo Imperatore germa-
nico , affidavasi alla protezione degli imperatori
greci (1).
Ebbe d'altronde la breve durata di pochi mesi
il pontificato di Giovanni, che al primo sentore dello
avvicinarsi a Roma di Ottone con papa Gregorio V
fuggi e si nascose. Di lui fecer giustizia i romani.
Lo rintracciarono e gli fecero subire barbare muti-
lazioni, e quindi morte ignominiosa: Ottone espugnò
il Castel S. Angelo , ultimo rifugio di Crescenzio ,
(1) Muratori, Annali, pag. 380,
LE MONETE DEI PONTEFICI ROMANI, ECC. 81
e questo, e 12 fra i principali fautori suoi mandò
allo estremo supplizio.
Vi è poi una circostanza anche più decisiva ,
per quanto tocca la moneta in questione. Il Filigato
ed il Crescenzio venner fra loro a patti preventivi
sulla divisione dei poteri: a Crescenzio il poter tem-
porale, al pontefice il solo potere spirittcale. Non potea
dunque, non dovea in alcun conto quest'ultimo batter
moneta col proprio nqme soltanto , e molto meno
accompagnato a quello di Ottone.
Par quindi dimostrato alla evidenza lo error di
coloro che hanno creduto attribuire la moneta allo
antipapa Giovanni Filigato. Non si può neppur sup-
porre d' altronde , che fosse battuta dal papa Gio-
vanni XII. Questi soltanto nel febbraio 962 incoronò
imperatore Ottone I : nel susseguente anno 963 trattò
con Adalberto, ribellandosi ad Ottone, il quale sul
finir dell'anno stesso lo fece deporre. Si conoscono
quattro differenti monete, col nome di Ottone, battute
da Giovanni in si breve periodo di tempo: e sono tutte
indubbiamente di Giovanni XII, perchè tutte portano
la qualifica affatto speciale del Domniis. Mancherebbe
pertanto ogni ragionevole fondamento per attribuire
a lui un quinto tipo totalmente diverso dagli altri,
anche per forma e disegno, e mancante del carat-
teristico Domnits. Non resta dunque che assegnar la
moneta , come vuole il Promis , a Giovanni XIII ,
per la quale assegnazione non sorgono difficoltà ,
come meglio potrà dedursi dopo l'esame delle altre
tre dello stesso Pontefice.
Le quali presentano, a fronte di tutte le ponti-
ficie antiquiori, delle singolarità molto affini alle già
notate nelle monete di Leone Vm. Né è a meravi-
II
82 TARQUINIO GENTILI DI ROVELLONE
gliarne : le condizioni storiche non si ripetono, ma
si rassomigliano, perchè determinate da fatti nuovi
che essenzialmente dipendono o almeno si collegano
ai precedenti. E cosi spesso si rassomigliano fra loro
i documenti destinati a rappresentare quei fatti. E
per ciò appunto, l'affinità che si riscontra fra le mo-
nete di Leone Vili e quelle in esame fornisce va-
lido, anzi potente argomento per ritener che queste
ultime spettino a Giovanni XTTI , immediato suc-
cessor di Leone.
La prima moneta ha nel diritto : lOHS PAPA e
sotto OTTO, il tutto in tre righe in campo pieno, con
una sbarra fra il nome del papa e quello dello impe-
ratore ; nel rovescio ha : SCS PETRVS nel giro, e ROA
nel campo (Tav. I, n. 4) ; par proprio la copia, benché
non esatta e fedele, delle due prime di Leone Vili.
Perchè ripetere tale tipo singolare, specialmente nel
diritto? La ragione si rintraccia facilmente sol che si
richiamino le condizioni storiche speciali ai due
pontefici.
Papa Giovanni fu cacciato da Roma, quasi ap-
pena eletto, ma fu richiamato alla sua sede subito che
si conobbe la venuta di Ottone diretta a rintuzzare
la ribellione romana. Giovanni accettò il richiamo
prima ancora dell'arrivo dello imperatore, ma a lui im-
portava far conoscere ed affermare con ogni mezzo,
che nulla era cambiato nelle relazioni fra il papato e
l'impero, ed adottò subito nella moneta quella forma
e quella leggenda nel dritto, che pure eran concorse
a tenere in soggezione i romani nel pontificato del
suo antecessore. Però , severo rivendicatore , quale
egli era, dei diritti e delle giurisdizioni della sede
apostolica, segnò il proprio nome al primo, non già
LE MONETE DEI PONTEFICI ROMANI, ECC. 83
al terzo caso, senza che ciò menomasse lo effetto che
volea conseguirsi, legato più alla forma della mo-
neta che alla declinazione di un nome, facile questa
a sfuggire in quei tempi di generale ignoranza.
Maggior singolarità presenta il tipo delle altre
due monete di questo Papa, (Tav. I, n. 6). Si riter-
rebbero uguali, se il Promis, che certo le ha avute
sott'occhio, non vi avesse scorto una lievissima diffe-
renza di conio nella croce impressa nel rovescio, e
quindi l'esame di una vale per ambedue W.
Nel diritto abbiamo: SCS PETRVS RO nel giro, e
(1) Era scritta questa memoria allora che , per somma cortesia del
Gay. Ortensio Yitalini notissimo nnmmofilo, ho avnto copia della lettera a
stampa che il signor Giancarlo Bossi dirìgeva , nel 1878 , al compianto
Enrico Hirsch, sn di una moneta simile a quella della quale qni si tratta.
Il Rossi intende dimostrare , che a torto il Promis ha qnella attribuita a
Giovanni XIIIi togliendola a Giovanni JIV, cui il Selvaggi ed il Cinagli
Taveano assegnata. Noto prima di ogni altro, che la moneta posseduta e
descritta dal Bossi è simile, ma non uguale alle due riprodotte dal Promis,
e all'altra che ò nella mia colleziono. In queste si legge imper e non ih-
PBRAT e RO (Roma) e non ap (Apostolus). Stando tali varianti, e special-
mente la seconda , non si possono confondere i due tipi , e dovrebbe stu-
diarsi se possano spettare a due diversi Papi.
Del resto la critica del sig. Bossi basa tutta sul fatto : se Benedetto VII
morisse, ed il successore di lui Giovanni XIV fosse eletto prima o dopo la
morte dello Imperatore Ottone II (7 dicembre 983). Egli stesso ammette la
incertezza di tali date (pag. 4) , ed io aggiungo che se il Muratori ed il
Pizzamiglio indicano per la morte di Benedetto Tottobre 983, e per la ele-
zione di Giovanni il dicembre dello stesso anno, il Platina, il Panvinio, il
Baronie, il Pagi, il Palazzi, il Fioravanti, il Cinagli, rimandano la prima
al 10 luglio 964 e la seconda alla fine del mese stesso. Nò par davvero che
il Promis abbia implicitamente affermato la elezione di Giovanni avvenuta
sotto Ottone II, come vuole il Bossi (pagina 5-6). H Promis invece dice
chiaro (pag. 96) che Benedetto VII inori nel gennaio 984 , un mese dopo
r Imperatore f e che Bonifacio tornò in Roma nel 984. Tenuto conto del
lungo tempo che allora occorreva per la trasmissione delle notizie , e pel
viaggio delle persone, può bene ammettersi, che fra la morte di Ottone e
l'arrivo in Boma di Bonifacio da Costantinopoli, ne trascorresse tanto,
84 TARQUINIO GENTILI DI ROVELLONB
lOH. P. P. nel campo. Come si vede, nel solo dritto è
segnato tutto quanto occorre per una moneta papale :
SANCTVS PETRVS ROMA — lOHANNES PAPA ; e questo solo
è affatto nuovo nelle antiquiori. Nel rovescio la leg-
genda del giro è : OTTONI IMPER, e nel campo è im-
pressa una croce patente^ senz' altra indicazione. Cosi
anche questa moneta presenta quasi una derivazione
da quelle di Leone. Soltanto, in queste ultime era
lo imperatore che offriva, o dedicava alla potestà
delegante la moneta da lui battuta col poter dele-
gato, e tutto ciò giustamente si esprimeva nel di-
ritto. Giovanni all'opposto afferma nel dritto tutta
e sola la potestà sua sovrana e dedica il rovescio
ad un imperatore Ottone. Curiosa differenza che
deve aver pure una speciale ragione di essere. E
l'ha veramente, e assai importante, perchè conferma
un fatto storico d'altronde accertato.
Papa Giovanni cercava con ogni mezzo di in-
graziarsi Ottone I , unico sostegno del suo pontifi-
cato verso i ribelli romani. È stato già accennato
che, allo scopo, volle concedere la corona imperiale
al giovanetto Ottone II, tuttoché vivente il padre,
quanto bastava, e allora potea essere di pochi giorni, a compiere gli avre-
nimenti della morte di an Papa e della elezione di un altro.
Infine poi, se fosse anche indabitata la elezione di Giovanni prima
della morte di Ottone II, nulla gioverebbe allo scopo del sig. Rossi. Quando
più papi dello stesso nome hanno vissuto nel tempo di uno o più impera-
tori, pur di ugual nome , quest' ultimo non ò più bastante ad indicare a
quale di quei papi spetti la moneta. Bisogna allora ricorrere ad altri in-
dizi!, ad altri argomenti, in difetto dei quali viene di necessità abbando-
nare la moneta stessa fra le incerte. £ cosi pare, che por ora almeno^
debba farsi di quella del sig. fiossi, se veramente presenti un tipo diffe-
rente dai simili riprodotti dal Promis. Per questi mi pare di avere rac^
colto circostanze bastanti a farli ragionevolmente attribuire a Giovanni XIII.
LB MONETE DBI PONTEFICI ROMANI, ECC. 85
che vi prestò il suo consenso. La incoronazione ebbe
luogo in Roma solennemente nel di di Natale 967,
e la memoria della solennità volle il Papa perpe-
tuare nella moneta. Ottone II era allora dodicenne
appena, e il titolo e la dignità imperiale a lui con-
ferita non poteva, né doveva menomare in nessuna
guisa le prerogative già acquisite allo imperatore
padre di lui; che cosi fosse e cosi apparisse, era pure
nello interesse dello stesso Pontefice.
A maggior conferma di tutto ciò sta il fatto
della mancanza di ROMA nel campo, dove certo sa-
rebbe stata segnata, secondo il costume, qualora il
nome impresso nel giro fosse stato quello dello im-
peratore in attuale esercizio deir autorità , giurisdi-
zione, o che altro s' intendesse — né qui importa
indagare, — sulla stessa Roma.
Ma perché al posto di Roma si é sostituita la
croce patente ? È ardito, e può talora condurre a grossi
errori, lo indagare nelle monete le ragioni anche
degli accessoii : possono dipendere dal genio , o dal
capriccio dello incisore ! Qui però trattasi di un em-
blema impresso nel campo, cioè in una delle parti
più importanti , o in uno dei posti di onore : non
può quindi supporsi che manchi di un significato ,
voluto, od almeno approvato, da chi facea batter la
moneta. Si volea dimostrare che il rovescio di questa
era sol destinato ad onorare Ottone II, commemo-
rando il semplice titolo imperiale a lui conferito : a
ciò dovea concorrere lo emblema aggiunto , e par
veramente che cosi possa questo interpretarsi, se si
pon mente a tutte le circostanze risultanti dalla storia.
Ottone I, divenuto imperatore, volle che il figlio
suo, a lui associato nel regno di Germania, venisse
S6 TARQUINIO GENTILI DI ROVELLONB
pur riconosciuto quale re d' Italia , quasi perchè
negli affari della Italia stessa restasser distinte le
attribuzioni: al padre lo impero, quale che fosse, dei
Romani, al figlio il regno , che era già stato dei
Longobardi 0). Bisogna anco rammentare, che nella
massima parte delle monete battute in Italia dai re
franchi, si trova la croce patente, e precisamente nel
campo di quella parte, nella quale la leggenda del
giro porta impresso il nome del Re ; si direbbe quasi
che avessero assunto la Croce quale loro emblema
od insegna (2). Lo conferma il fatto, che la croce fu
subito sostituita dal monogramma di Cristo nelle
monete di quel Berengario , che primo raccolse la
corona d'Italia, lasciata cadere dall'ultimo dei Caro-
lingi, lo imbelle Carlo il Grosso,
È poi noto, e ciò molto importa, che Ottone re
di Germania si ritenne e volle essere rivendicatore e
continuatore in Italia del dominio dei Franchi, in-
terrotto dallo infelice tentativo di Berengario duca
del Friuli, e di Guido duca di Spoleto e Camerino,
diretto a stabilire in Italia un regno non infeudato ad
imperanti stranieri. Tentativo infelice sol per questo,
che mosso da due ambizioni meramente personali, e
(1) n concetto ò abbastanza chiaramente espresso in fine della for-
mula del giuramento prestato a Giovanni XII , da Ottone I , per ottenere
la corona imperiale : Cuicunique atUem, vi si aggiunge , regnum iialicum
committet turare faciet illum ut adiutor sii Dofnno Papce et auccesaoribus
ejus, ad defendendam terram S. Petri, eie. Vedasi la formala riportata dal
Garampi nel suo libro : De nummo argenteo Benedicti III. Pont. Max,
pag. 168.
(2) E rasavano anche nel loro regno fuori d'Italia. — Carlo il Calvo,
che volle portare dna riforma nella moneta del suo regno, assegnò al mo-
nogramma del Be il campo del diritto , e volle che in altera vero parte
nomen civìtatis, et in medio Cruz habeatur. Garaupi, 1. e pag. 137.
LE MONETE DEI PONTEFICI ROMANI, ECC. 87
di orìgine non italiana, e cominciato ad attuare con
guerre fratricide, riuscì solo a destar nuove gare ,
egualmente ambiziose, fra i più prepotenti feudatarii
nostrani e stranieri. Ambizioni e gare, che, in luogo
di un regno autonomo ed indipendente, procurarono
alla Italia uno dei più tristi periodi, quale sol potea
venirle da dieci tiranni, che nel breve corso di 74
anni (888-962) si disputarono la corona, ferocemente
combattendo per conseguirla , o per riacquistarla
perduta (^).
La mancanza del nome Roma, e la sostituzione
della croce patente, concorrono a determinare con
sicurezza il significato dello straordinario rovescio
fatto imprimere dal Papa in questa moneta. Esso
dice chiaro, che si riferisce a colui die di recente
aveva assunto la corona d' Italia, e che sarebbe stato
il continuatore delle tradizioni dei Franchi, non già
dei Re intermedi, egualmente nefp^ti alla Italia ed
ai Papi. Era pure la espressione della speranza su
di un migliore avvenire !
Sembra in fine possa ragionevolmente conclu-
dersi, che al solo Ottone II debba riferirsi il rovescio
(1) Non sarà inatile ricordare i nomi di coloro che a raggiungere le
proprie mire ambiziose non rifuggirono dal profittare del vario parteggiar
do^ potenti Baroni e dallo invocare alleanze ed alati stranieri, ridacendo
por tal via alla estrema rovina ((nel Regno, che par diceano di volere aa-
tonomo ed italiano , e trascinandolo ancora ana volta , e sventnratamente
non fa Paltima, sotto la dominazione di regnanti di oltre Alpi. Essi sono:
Berengario daca del Friali, re ed anche imperatore (888-924). — Guido duca
di Spoleto e Camerino, re ed imperatore (888-894). — Lamberto , figlio di
Guido, re ed imperatore (894-898). — Arnolfo di Germania, re ed imperatore
(884-899). — Lodovico di Provenza , re ed imperatore (900-905). — Eo-
dolfo di Borgogna, re (922-925). — Ugo di Provenza, re (926-945). — Lo-
tario figlio di Ugo, re (945-950). — Boregarìo II, marchese d' Ivrea, ed il
figlio Adalberto, associati (950-962).
88 TARQUINIO GENTILI DI ROVELLONE
di questa moneta, e che il nome di lui vi sia stato
posto senz' altra indicazione, ed in dativo, per dimo-
strar chiaramente che nessuna potestà egli esercitava
allora su Roma 0).
L'esame fatto delle due monete (fig. 4 e 6) porta
a riferirle a due fatti speciali, e quindi a due epoche
determinate, e non molto distanti fra loro. L'una
ricorda il ritomo in Roma di Giovanni XIII, richia-
mato dallo esilio, e fu di certo coniata circa il mese
di ottobre dell'anno 966: l'altra data con sicurezza
dal Natale 967.
Papa Giovanni peraltro resse in piena tranquil-
lità la Sede apostolica fino al 6 settembre del 972.
È ragionevole presumere che durante il periodo non
breve dal 967 al 972, abbia fatto battere altre mo-
nete , o almeno quella della quale per prima si è
ragionato (fig. 5). E poiché questa non riferiva, né
richiamava alcun fatto speciale, il suo conio ritornò
alla forma ordinaria, segnando nel dritto i due nomi
del Papa e dello Imperatore. Non riesce possibile
assegnarle una data precisa : indubbiamente però la
maggiore rozzezza del conio e la somma irregolarità
del disegno, (2) come assicurano non essere uscita
(1) Beata nn dubbio. Se questa moneta fa destinata a commemorare
nn fatto storico che non si poteva ripetere, come e perchè viene rappresen-
tata con dae conii differenti ? Par che non possa esservi se non una ri-
sposta: le minime differenze di conio non bastano a dimostrare la diffe-
rema di tetnpo nella coniazione , secondo la idea accennata nella prece-
dente nota 1, pag. 78.
(2) Ho nella mia collezione un esemplare di questa moneta ed nno dei-
Tal tra col OTTONI iMPBK, ho quindl potato far con esattezza il confronto
per rilevare la differenza del conio e del disegno. Il mio esemplare della
fig. 5, tav. I, ò incompleto nelle leggende dei dae giri come quello riportato
dal Promis. È però meglio conservato nelle leggende dei due centri. In
RIVISTA ITALUM DI KUMISMATICA
OIOTAMNI Zm (965-972).
T. SEiTiLi - Lt loiin M KutBici loiui Lau 7111 (Tittnito aBtiiiaii) t Bltmil mi.
[Anno [Il - Fasc. I)
PUBLIC U3RARY
ASTOR, LENOJL
TILDKN KOUNDATiON
LE MONETE DEI PONTEFICI ROMANI, ECC. 89
dalla Zecca nel tempo trascorso fra le due del 966
e del 967 , cosi autorizzano a credere che sia stata
battuta negli ultimi anni di papa Giovanni e da un
nuovo zecchiere.
Ecco gli appunti storici, e le analoghe osserva-
zioni e deduzioni, che un semplice amatore di nu-
mismatica è riuscito ad accozzare e ad esporre alla
meglio. Quale il valore di questa memoria? Cosi com'è
non può averne nessuno. Potrà solo ottenerlo, se varrà
a richiamare 1' attenzione dei dotti, ed indurli a cor-
reggerla ed a completarla. A questo unico scopo essa
viene pubblicata.
SanseverifUHMarche. — Giugno 1889.
Tarquinio Gentili di Eovellone.
qnella del diritto appariscon chiarissime, nna specialmente, le lettere T in
cima alle aste della croce, onde svanisce il dabbio manifestato dal Cinaglì,
pag. 12 e nota 2. Nel rovescio poi roma non ò affatto scritta colle lettore
inverse, come afferma lo stesso Cinagli. Trattasi senza meno di nn equi-
voco ; qnesto Antere attribuisce al rom\ del rovescio, ciò che si verifica nel-
roTTO del diritto. L'esemplare che io possiedo e qaello riprodotto dal Promis
nella sna Tav. IX, n. 3, sono fra loro eguali, anche nelle parti, o meno
impresse, o mono conservate. Or bene, in ambedue non è già nel campo
del rovescio, ma in quello del diritto, che si trovano invertite, o certo mal
disposte le lettere , che formano il nome dello Imperatore. Le due T sono
sulla sinistra, le due 0 sulla destra. Leggendo quindi con le norme ordi-
narie devesi dire toto in luogo di otto. Il Cinagli non ha avuto certo
sottocchio la moneta: lo dimostra chiaramente la figura incompleta ed
informe che riporta nella sua Tav. I, n. 8 che dice riprodotta dal mano-
scritto Selvaggi.
u
PATACCHINA SAVONESE INEDITA
DI
Filippo Maria Visconti
Per ben quattro volte, nel decorso dì un secolo
e mezzo , Savona fu sottoposta alla dominazione
milanese; dapprima, nel 1354, a Giovanni Visconti,
e, per tre anni, a' successori di lui, Bernabò e Ga-
leazzo; — poi, dal 1421 al 1435, a Filippo Maria;
— poi ancora, circa trent' anni dopo , a Francesco
Sforza, e, morto questi, a suo figlio Galeazzo Maria,
da cui in séguito fu ceduta a Genova; — infine, dal
1487, per oltre un decennio, di nuovo alla signoria
degli Sforza.
n primo perìodo non ci lasciò monumenti numi-
smatici speciali Q) ; — del terzo e del quarto, ossia
(1) Fhohib Domenico, Monete delta zecca di Savona, Torino, 1864,
pag. 27. — Ecco le me parole : < NeBsnn indizio > barri « per credete
( che dorante la breve signoria di Gioranni e Galeazzo con Bemabd Vi-
< sconti, cioè dal 1354 al 135T , abbia essa (Savona) variato l' impronto
92 SOLONB AJiIBROSOLI
degli Sforza, non si conosce che una sola moneta, il
grosso del duca Francesco W; — del secondo pe-
riodo, vale a dire della dominazione di Filippo Maria
Visconti, erano note sinora due monete (^\ alle quali
sono lieto di poter aggiunger qui una terza, ch'io ri-
tengo inedita, e che si conserva nel Medagliere di
Brera :
Patacchina. Mistura. Peso, grammi 1,402.
^ — * COMVNIS : (scudetto) : SAONÀ
Arme inquartata 1 e 4 dell'aquila e 2 e 3 del biscione,
- entro cerchio di perline.
5/ — + MONETA (rosetta) SAONA (scudetto) :
Croce, entro cerchio.
Non ho esitato ad attribuire questo pezzo al Vi-
sconti , anziché agli Sforza ; infatti (anche prescin-
dendo dalla circostanza che l'unica moneta savonese-
sforzesca a noi nota, quella di Francesco, ne reca il
nome) la monetina di Brera si può assegnare con
sicurezza a Filippo Maria Visconti per la rispon-
denza delle sue leggende a quelle delle due monete
di Filippo Maria , pubblicate dal Promis (3). Questa
e delle sne monete, ecc. ». — Infatti, nel diploma del 1355 (Promis, op.
cit., pag. 40), in cui Bernabò e Galeazzo confermano alla città di Savona
il diritto di zecca già concessole da Lodovico il Bavaro , si dice soltanto
che ai Savonesi ò accordata licenza « faciendi, seu fieri faciendi zecham
€ florenorum et tnonete argentee modo quo- actenus ipsam facere consue-
€ veruni. »
(1) Promis, op. cit., pag. 88.
(2) Idem, pag. 30-31. — U Catalogo della Collezione Amilcare Ancona
(iSiilano, 1885) registra due esemplari d'nna variante (pag. 821, n. 8580-81).
(3) Ibidem, Tav. lET, nn. 22 e 28.
PATACCHINA SAVONESE INEDITA DI FILIPPO 114RIA VISCONTI 93
rispondenza è esatta , materialmente , anche nella
grafia : comvnis e moneta saona invece di : comvnis e
MONETA SAONE ; ma ciò che più importa , per esclu-
dere r attribuzione alla signoria sforzesca , si è di
por mente al non trovarvisi V espressione : Civitas
Saone, che, introdotta per la prima volta da Lodo-
vico XI, si mantiene poi costantemente su tutte le
monete uscite dalla zecca di Savona; — bisogne-
rebbe, in caso diverso, ammettere per la nostra mo-
netina un a ritomo all' antico » , che costituirebbe
un'eccezione troppo singolare.
Ho chiamato patacchina questa moneta, poiché
essa, per le sue dimensioni, corrisponde esattamente
a tutte le altre patacchine savonesi d' epoca ante-
riore e (si noti) anche d'epoca posteriore alla domi-
nazione di Filippo Maria ; e perchè quest'argomento
delle dimensioni è rafforzato in modo eloquentissimo
dall'argomento del peso. La monetina pesa infatti,
come ho detto, grammi 1,402; ora, un'altra patac-
china savonese, eh' è pure nel Gabinetto di Brera ,
ed è un po' meno sciupata, pesa grammi 1,405, il
che equivale a dire che tali due monete hanno
l'identico peso.
È bensì vero che l'illustre Domenico Promis ,
non conoscendo la patacchina di Filippo Maria (la
quale, a parer mio, è questa) , e pur volendo spie-
gare i termini della convenzione del 16 luglio 1425
con gli zecchieri Interminelli e Bugia (l), credette
di ravvisare tale patacchina nella maggiore delle
due monete da lui pubblicate , presupponendo per
(1) Ibidom, pag. 80.
94 SOLONB AMBROSOLI
ciò una riduzione di titolo nella nuova coniazione
ed un aumento nel corso delle monete preesistenti ;
— ma, tanto più ora che possediamo una moneta
la quale per ogni riguardo appare essere la vera
patacchina di Filippo Maria, mi sembra naturale di
considerare semplicemente la moneta del Promis per
quello che dovrebb' essere , cioè una mezza patac-
china 0) , avendo essa le dimensioni precise delle
altre mezze patacchine savonesi.
E si osservi quale elegante gradazione ne ri-
sulta nella monetazione di Filippo Maria:
La patacchina ha due aquile e due biscioni ,
inquartati ;
La mezza patacchina ha un'aquila ed un bi-
scione, nel campo partito;
Il denaro piccolo ha da una faccia la sola
aquila, mentre la biscia è ridotta ad accantonare la
croce (analogamente al giglio in una monetina di
Lodovico XI).
Prima di chiudere, mi si permetta una di-
gressione.
Nel descrivere la patacchina inedita del Gabi-
netto di Brera, ho considerato come diritto della
moneta il lato coli' arme e la leggenda : Comunis
Saone; nel far ciò mi sono conformato all'uso invalso,
e, d'altra parte, in questo caso speciale della patac-
china, poco importava il considerare come diritto o
rovescio l'un lato oppure Taltro.
(1) Infatti , per es., nel Catalogo della Collezione Franchini (Soma ,
1879; a pag. 127, n. 2224) d indicata come nna mezza patacchina, non-
ostante Taccnrato riftrimento alla Tavola ed al numero del Promis.
PATACOHINA SAVONESE INEDITA DI FILIPPO MARIA VISCONTI 95
Ma prendendo in esame, nel loro complesso, le
monete di Savona, quali ci si presentano raccolte
nella più volte citata Memoria di Domenico Promis,
mi vado sempre più persuadendo che, per quanto
ciò possa ripugnare alle consuetudini, bisognerebbe
invertire le descrizioni ed i disegni di tutte queste
monete (o almeno di gran parte di esse) e conside-
rare come diritto ciò che per il Promis è rovescio e
viceversa.
n Promis , seguendo le regole generalmente
adottate dai numismatici, considera come diritto quel
lato sul quale si afferma, con indicazione figurata ,
scritta o araldica, l'autorità da cui venne fatta bat-
tere la moneta. Non ho la pretesa di sconvolgere
questo principio , combattendolo in tesi generale ;
ma, pur rimanendo nel campo della numismatica
savonese, osserverò che addirittura ci si affacciano
alcune eccezioni, le quali facilmente mi verranno
concesse. Sono costituite da quelle monete sulle
quali, secondo il Promis, si dovrebbe leggere nel di-
ritto : Civitatem Savonce, e nel rovescio : Virgo Maria
protege, e ciò perchè nel primo lato hanno l'aquila,
che è l'arme della città. Ma è ben più ovvio il leg-
gere invece: Virgo Maria protege civitatem Savonce;
e infatti, per es., il eh. Magg. Vittorio Poggi, in un
recente suo articolo (i), descrivendo il testone savo-
nese già di proprietà del March. Angelo Remedi ,
considera come diritto il lato della moneta colla B. V.
e : Virgo Maria protege. Ed uno scrittore del secolo
scorso, il PoUeri, nel suo libriccino: // triplice Vas-
(1) Una moneta inedita di Savona (negli Atti e Memorie della Società
Storie^ Savonese^ Voi, I, Savona, 1888, pa^. 521).
96 SOLONE AMBROSOLI
sallaggio di Savona verso Maria Santissima (0, scrive
che la B. V. aveva condisceso alle continue istanze
fattele da' Savonesi per averla come protettrice ,
u esprimendo anche i lor prieghi nelle monete d'oro,
tt e d'argento, che pria battevano col motto : Virgo
u Maria Protege Civitatem Savonce. » Si osservi che
sulle monete di Pisa leggesi l'invocazione : + PROTEGE
VIRG-O PISÀS ; ora, non mi sembra ardito , anzi mi
sembra naturale il supporre che i Savonesi , adot-
tando il: + VIRGO MARIA PROTEGE CIVITATEM SAVONAE,
non abbiano fatto altro che imitare l' invocazione
che leggevasi sulle monete di Pisa , come già ave-
vano adottato per arme un' aquila tanto simile a
quella pisana (2), che il Bellore , nella sua Memoria
ms. sulla zecca di Savona, descrive un grosso pisano
scambiandolo per savonese (3). Un testone di Sa-
vona, ed uno di Pisa (entrambi conservati nel Ga-
binetto di Brera), evidentemente sincroni, colla B. V.
e le invocazioni suddette, si rassomigliano in modo
mirabile: l'una moneta sembra imitata dall'altra.
Sono noti i legami di gratitudine che avvince-
vano Savona a Pisa^ per l'aiuto prestato un tempo
da questa ai Savonesi contro Genova W.
(1) // triplice Vassallaggio che vanta la Città di Savona alVImmaco-
latissima Vergine, e Madre di Misericordia MARIA, Regina del Paradiso,
Signora delV Vniverso, etc, sua particolar Protettrice per tre insigni grazie,
e prodigi oprati dalla medesima nel Savonese distretto succintamente de"
scritti dal Dottor Filippo Alberto Pollbri Savonese , Promotor Fiscale
del S. Vfficio. In Genova, MDCCXIX. Per Antonio Scìonico, nel Vico del
Filo. (A pag. 4).
(2) Promis, op. cii, pag. 14.
(8) Ibidem, pag. 19-20.
(4) < Savona per dimostrare ai Pisani la sua riconoscenza per Tainto
€ datole, li dichiarò snoi conc|ttad|DÌ. > (Promis, ibidem, pa^. 13).
PATACCHINA SAVONESE INEDITA DI FILIPPO MARIA VISCONTI 97
Che il diritto sia la parte su cui v*è la leggenda :
Virgo Maria protege , sarebbe confermato anche, a
mio modo di vedere, dalla circostanza che la parola
VIRGO è preceduta quasi sempre da una crocetta (^);
ora è noto che la crocetta sta comunemente (non
sempre, lo riconosco) ad indicare il principio della
leggenda ; invece la parola CIVITATEM non è mai
preceduta dalla crocetta, ciò che indica essere tal
parola la semplice continuazione della leggenda
deiraltro lato, che io chiamo diritto di tali monete.
Ripeto, per questa classe di monete savonesi
coirinvocazione alla B. V., spero che pei motivi ad-
dotti mi si concederà V inversione del diritto e del
rovescio.
Ma anche per le altre, o almeno per quasi tutte
le altre , vi sono argomenti che militano a favore
di quest'inversione. Infatti, se nelle monete in cui la
leggenda non è spezzata si legge pianamente in
giro : + MONETA SAONE, oppure: + MONETA CIVITATIS
SAONE, perchè mai, quando la leggenda è spezzata,
quando è distribuita sulle due faccio della moneta,
dovremmo leggere invece: SAONE MONETA? Lo stesso
Promis , volendo esser troppo metodico nell' enun-
ciare il diritto ed il rovescio, non è caduto forse in
una contraddizione eloquentissima, là dove dice: La
moneta n. 5 , Tav. I, ha da una parte V aquila col
(1) Promis, op. cit. , Tav. IH, nn. 28 e 30 ; Tav. IV, nn. 84, 86, 86,
87. — Il n. 29, Tav. Ili, ed 1 nn. 88 e 89 , Tav. IV , non hanno la cro-
cetta, ma per il motivo che la testa della figura occnpa lo spazio sin quasi
all'orlo della moneta. Il n. 81, Tav. IV, infine, ha nn gìglio invece della
crocetta, prima della parola virqo ; ò Tanica eccezione, ma se non vale a
corroborare il mio argomento, non vale neppure ad infirmarlo.
i3
96 SOLONB AMBROSOLI
nome della città: SAONE, e dall'altra una croce ed
in giro : MONETA, a onde leggesi Moneta Saone r^ ?
Per me non v'è dubbio che, in tali monete, il
diritto sia il lato colla croce , e il rovescio quello
coiraquila, in modo insomma che la leggenda suoni
sempre spontaneamente: Moneta Saone.
Vi sarebbe , eh* io vegga , un solo argomento
da opporre: l'alternarsi come a capriccio delle ini-
ziali M — S e S — M che accostano V arme savonese
nelle monete di Lodovico XTT e di Francesco I, e
che il Promis interpreta: Moneta Savonce, Savonce
moneta. A questo proposito osserverò che , quan-
tunque le varietà con S — M siano altrettanto co-
muni di quelle con M — S , lo scambio stesso delle
iniziali lascia supporre qualcosa di anormale , e si
spiega benissimo, mi pare, colla facilità di confon-
dersi neir applicare a rovescio tali lettere isolate
nel campo del conio. Le iniziali S — M, cosi disposte,
non sarebbero altro che errori di conio ; le stesse
monete di Savona ci offrono un esempio di tali er-
rori (del resto frequentissimi, com' è noto), nel MO-
NETAS del grosso di Francesco Sforza, ma per le ini-
ziali M — S, S — Mjviè inoltre appunto la facilità
dello scambio per la loro posizione isolata nel campo.
D*altra parte, mancano gli elementi per poter
dimostrare con sicurezza che quelle iniziali si deb-
bano interpretare : Moneta Savonce 0).
(1) n Bbntzmann (Numismatisehes Legenden-Lexieon) non registra
né TabbroTiatara bl s. né quella 8. m. come da attrìbairsi alla zecca di
Savona ; ò vero però che qael libro, edito nel 1865-66, è quasi contempo-
raneo alla Memoria del Promis , e quindi V omissione pnò dipendere da
cause materiali. La 2* ediz. dello Schligkbtsbn (Erkldrung der AbUUr-
PATAOCHIMA 8AVONI8B INEDITA DI FILIPPO MARIA VIHOONTI 99
Combattuta anohe quest' obbiezione , potranno
forse accettarsi con minor difficoltà le conseguenze
che scaturiscono dalle modeste osservazioni su-
eaposte , vale a dire le numerose inversioni che ne
derìvano tra il diritto ed il rovescio delle monete sa-
vonesi.
Vorrei aggiungere alcune considerazioni gene-
rali, suggeritemi da quanto precede, e che avrebbero
per base il carattere religioso della moneta nel Medio
Evo e ancora nei primi tempi dell* Evo Moderno ,
carattere cui ritengo non si dia P importanza che
merita, ma queste considerazioni mi condurrebbero
troppo lontano dal nostro punto di partenza, talché
stimo opportuno di rimandarle a miglior occasione.
Solone Ambrosoli.
eungm auf MùwBm, ecc., zwttte Aaflage Ton Dr. R. Pallmaan nnd
Dr. H. Droysen) , eh* è molto più reoento (1882) , registra V abbreyiatiura
M. 8. per Maneia SavofUB, ma tralascia Taltra, s. m.
Del resto, la sigla h, per Mmeia^ A troTa bensì osata frequentemente
nei Paeri Bassi, in Qermania, in Polonia, in Ungheria ed altrove ; — ma,
per quanto io mi sappia , tutta la numismatica italiana non ce ne offri-
rebbe che un solo esempio: il cavallotto di Vespasiano Gonzaga, colParme
accostata dalle lettere m — s che TAffò legge: Ifonsto SabUmetof. Ma
neppure in quest'unico esempio l' interpretazione è incontrastata , poiché
Tediamo che lo Zanetti, in una postilla all'Affò, esprime i propri dubbi in-
tomo a quella lettura (Zanbtti , Nucva Baecolta delle m/omie e zecche
d'Italia, Tomo HI, pag. 189).
aseawA
DI UN
MEDAGLISTA ANONIMO MANTOVANO
DELL' ANNO 1506 (1)
In quel tesoro incomparabile di schizzi e di atud!
di antichi maestri , eh' era stato raccolto dal pittore
milanese Giuseppe Bossi e che dal 1822 si conserva
nell'Accademia di Belle Arti in Venezia, non è certo
(]) Armano, ha médailleura Halien» de$ quimihne et KÌzihne iiicl«»,
Itti, ni, pag. 47.
102 ROBERTO VON SCHNEIDER
da assegnare V ultimo posto ad un piccolo foglietto Wj
sul quale si veggono, — accuratamente disegnati a
penna ed acquarello, — un Gesù Bambino in atto
di benedire, e due busti, l'uno di uomo, l'altro di donna.
Il profilo ardito della testa maschile, col berretto e
colla lunga capigliatura spiovente sulle spalle, ci ri-
chiama tosto i ben noti lineamenti dell'imperatore
Massimiliano I, e se questo è il personaggio rappre-
sentato, e non invece, come si è preteso senza fonda-
mento, Lodovico il Moro, la testa femminile non può
rafiSgurare la di lui moglie Beatrice d'Este. Non ri-
mane che la scelta fra le due consorti di quell' impe-
ratore, e, se confrontiamo i loro ritratti contempo-
ranei, non dureremo fatica a deciderci per la seconda.
Bianca Maria, la nipote di quel duca di Milano che si
è voluto riconoscere a torto su quello stesso foglietto.
Quell'eccellente conoscitore dell'antica pittura
italiana, che si nasconde sotto lo pseudonimo di
Ivan Lermolieff, è stato il primo a sostituire i veri
nomi a quelli tradizionali e insostenibili di questi
ritratti, escludendo nello stesso tempo che l'autore
del disegno fosse Leonardo da Vinci, come si trova
scritto inconsideratamente sul margine superiore
del foglietto. Egli lo attribuì piuttosto ad un pittore,
per cosi dire scoperto da lui, il quale, in un ritratto
di Massimiliano dell'anno 1502 nella Pinacoteca
imperiale di Vienna, si segna Ambrogio de Predis.
Basandosi su quest'opera firmata, Lermolieff è riu-
scito a dimostrare che molti altri quadri di diverse
(1) Altezza cent 8, larghezza cent 15. L'annessa illustrazione lo ri-
produce alquanto impicciolito.
DI UN MEDAGLISTA ANONIMO MANTOVANO 108
gallerìe appartengono a questo maestro , evidente-
mente assai apprezzato a' suoi tempi e tenuto in onore
alla Corte degli Sforza, ed è pure riuscito, mediante
alcuni documenti, a gettare un po' di luce su questo
artista dimenticato (^).
Infatti, la rispondenza che vi è fra la testa di
Massimiliano sul disegno di Venezia e sul quadro
di Vienna non potrebb* essere più completa. Tanto
nell' uno che neir altro, noi vediamo lo stesso atteg-
giamento della testa, coperta egualmente di un ber-
retto e rivolta di profilo verso la stessa parte ; vediamo
la lunga capigliatura divisa allo stesso modo in due
masse, di cui l'una si piega innanzi, mentre T altra,
la maggiore, ricade sulle spalle. A paragone di queste
rispondenze, diventano insignificanti ed affatto tra-
scurabili le differenze nel vestito del principe, e poco
importa che nel quadro egli abbia l'ordine del Toson
d'oro, e nel disegno non lo abbia. La stretta paren-
tela che v'è fra loro è innegabile ; di fronte agli altri
ritratti dell'imperatore contemporanei, i quali appar-
tengono quasi tutti alla scuola tedesca, essi si con-
trappongono recisamente, come portato di una stessa
concezione ed emanazione di uno stesso sentimento
artistico.
Che Ambrogio de Predis, il quale esegui molti
lavori per la Corte milanese, e di cui Lermolieff ci
enumera i ritratti di Gian Galeazzo Maria Sforza,
(1) LbrmoliefF; Die Werke italimi9cher Meiater tu den Oalerien von
MUnchen, Dreadm und Berlin (Lìpeia, 1880), pag. 456 • seg., In nota; e ora
più diffasamenfte, Kunaikriiieche' Studien aber italienische Molerei: die
Galerien BargJteee und Daria Panfili in Rom (Lipsia, 1890), pag. 230-246,
dove 8i troYa anche una rìprodozione dol quadro di Vienna*
104 ROBERTO VON SCHNEIDER
di Lodovico il Moro e del piccolo Massimiliano Sforza
(questi ultimi due miniati nel Libro del Jesus della
Biblioteca Trivulziana), abbia eseguito anche il ri-
tratto della consorte dell' imperatore, Bianca Maria,
non sarebbe cosa improbabile per sé stessa, ma si
desume inoltre da una a dir vero incompleta notizia
di Marc' Antonio Michiel, il cosidetto Anonimo del
Morelli (^). Si tratti poi di questo quadro da lui ac-
cennato, che una volta si trovava nella casa di Taddeo
Contarini in Venezia, o si tratti di un altro, il che
è indifferente, fatto si è che in una raccolta privata
a Berlino si è scoperto un ritratto di questa princi-
pessa, il quale, secondo ogni probabilità, dev'essere
opera di mastro Ambrogio W. Esso la rappresenta
in una veste attillata di broccato pesante, con cintura
e monile di squisito lavoro, con una ricca reticella
tempestata di perle e di pietre preziose , e coi ca-
pelli raccolti e strettamente attorcigliati in una treccia
prolissa che scende lungo la schiena, ed intorno a
cui è ravvolta, per tutta la sua lunghezza, una fila
di perle. La regina ha questa treccia, che arriva sino
alle calcagna, anche in un ritratto della Collezione
Ambras di Vienna, ch'ò la copia di un dipinto ori-
ginale italiano, in cui Bianca Maria è rappresentata
in un abbigliamento meno pomposo, ma sotto un
(1) Notizia d' opere di disegno pubblicata e illustrata da D. Jacopo
Morelli. Seconda edizione per cura di Grastavo Frizzoni (Bologna, 1884) ,
pag. 166.
(2)BoDE^ Ein Bildnis derzweiten Gentahlin Kaiser Maximilians Bianca
Maria Sforza von Ambrogio de Predis, nel Jahrbuch der konigk prettssischen
Kunstsammlungen, toI. X (1889), pag. 71 e seg., in cui il ritratto ò ancbo
riprodotto in fotoincisione. Cfr. Lermolieff , Kunstkritische Sludien ,
pag. 243 in nota.
DI UN MEDAGLISTA ANONIMO MANTOVANO 105
aspetto tanto più aggradevole; come pure nel pro-
getto che mastro Gilg Sesselschreiber esegui per la
di lei statua in bronzo destinata al monumento di
Massimiliano W. Sul quadro di Berlino, ella è ancora
nel fiore della giovinezza, non dimostra più de' ventun
anno che contava quando era la fidanzata dell'im-
peratore, col quale celebrò le nozze ad Inspruck
nell'anno susseguente, addì 16 marzo 1494. La prin-
cipessa, di figura delicata e snella, non era priva di
grazia (2). Ma colui al quale non fosse toccata in sorte
la missione di tesserne il panegirico, o come Giason
del Maino nel giorno del di lei sposalizio, o come
Ulrico Zasio alla di lei bara, non avrebbe potuto
nascondersi già sin d'allora che i suoi lineamenti e
la sua figura non corrispondevano all' alta idea col-
(1) Jahrbuch der kunathiatorUchen Sammlungen dea Kaiaerhauaea
(Vienna), voi. XI (1890), pag. 169. Questa lunga treccia sembra essere
stata di moda in ispecie a Milano, probabilmente ad esempio di Beatrice
d' Este, la qnal principessa lo porta in tntti i suoi ritratti ; cfr. V articolo
di CouRAJOD nella Gazette dea heaux^artay 1877, voi. II, pag. 330 e sog.,
cosi pure e La belle ferronniòre » di Leonardo da Vinci.
(2) Jaaonia Mayni epithalamùm, in Freher-Struve, Berum Genna-
nicarum acriptorea^ voi. II, pag. 472: e Gratia oris eximia, forma totias
€ corporis procera et eleganti, et bis lineamontis a qnibas Zensis pictor
< cantatissimns facile omnom pingendi vennstatem, ut a virginibns Croto-
€ niatibns, posset excerpere. » — Udalrici Zaaii oratio funebria, Frbher-
Struve^ II, pag. 774: « His tam praecellentibns stemmatis, sua quoque
< pulcbritudinis dona natura adiecit; insigni enim formao vennstate princops
€ nostra totiusque et corporis et membrorum elogantia mirifico onituit, ut
€ sicut nomine, ita et voritate rei Bianca Maria, id est pulcbra diceretur,
< quae insignes et generis et naturae dotes nimirum ireruere, ut ipsa orbis
€ terrarum Domino, Divo Maximiliano principi invictissimo, matrimouii
€ nexu iungi digna haberetur. > Johannes Trithemius, negli Annaìes
Hiraaugienaea^ voi. II, pag. 554, la cliiama: t mulier corpore parva, sed
« animo magno, suaeque gentis amatrix. »
14
106 ROBERTO VON SCHNEIDER
legata da tempo alla bellezza di una Lombarda,
tt quella bellezza tì — per dirla con Manzoni —
tt molle a un tempo e maestosa " , alla quale un ca-
valiere tedesco che aveva veduto molti paesi, intomo
appunto a queir epoca, non esita a conferire la
palma (1), quella bellezza che trovò la sua più sublime
glorificazione artistica negli affascinanti dipinti di
Leonardo da Vinci.
n disegno di Venezia ci presenta Bianca Maria
più attempata di alcuni anni che sul ritratto di Ber-
lino. Il di lei viso non rispecchia più lo splendore
radioso della sua patria, e gli è come se i disinganni
di quel matrimonio conchiuso dalla politica si riflet-
tessero neir espressione un po' infastidita della prin-
cipessa. Sopra la reticella, porta una berretta colla
tesa rialzata posteriormente. La lunga treccia è scom-
parsa; invece, una fila tanto più lunga di perle, tolta
dal riboccante cassone nuziale, adoma il suo collo
sottile (2). Noi non possediamo nessun ritratto di-
(1) Die Pilgerfahrt des Ritters Arnold vtm Har/f... in den Jahren 1496
bis 1499y pubblicata da E. v. Groote (Colonia, 1860), pagina 217: e Item
€ in deser stat Mejlaen dunkt mich nae mijnem dummen erkentenyss dat
€ ich dae die schoenste frauwen gesien hane von allo mijner wandelonge
€ ind zo Venedick die koestlichste... ind in demo koninckrijch ?on Moabar
€ die aller swartzte. > (Cosi pare in questa cittÀ di Milano mi pare, secondo
il mio grossolano discernimento, di aver veduto le donne più belle di tutti
i miei viaggi, e in Venezia le più suntuose.... e nel regno del Malabar le
più nere di tutte).
(2) Per il corredo, t. G. del Maino, 1. e: « In dotem constituta sunt
< ad quater centena millia aurei nummi » (veramente soltanto 300,000 ,
€ cfr. Ulmann, Kaiser Maximilian I, voi. I, pag. 219, nota 1). e Insuper
« in parapherna advecta est summa aureorum sexaginta millium, prò ioca-
€ libus, vestimentis , pretiosa suppellectili, et reliquo mundo muliebri. >
Cfr. Vlntmtarium iocalium, argenUorum eie., que dantur serenissime domine
DI V» MEDAGLISTA ANONUfO ICAMTOYANO 107
pinto di Biajaca, che corrìsponda a questo schizzo.
Ma abbiamo una prova indincutibile clie un tal
quadro esisteva. Infatti, nel Gabinetto delle inci-
sioni a Berlino si conserva un disegno colorato, di
grandi dimensioni , che falsamente si attribuisce
all'Amberger (i), in cui è riprodotto quello stesso
ritratto, con tutte le sue particolarità. Soltanto, la
berretta vi è ornata di un ricamo, che manca nello
schizzo di Venezia. Che quello di Berlino sia preso
da un dipinto, lo dimostrano le annotazioni con cui
sono indicati i colori dell'originale, dove ciò non è
stato fatto con una leggera tinta. Queste annota-
zioni sono in lingua tedesca, e quindi il copista era
un tedesco. Ma certamente il ritratto originale della
regina, ora scomparso, da cui fu ricavato quel disegno,
era fattura di pennello italiano, e secondo ogni pro-
babilità, di Ambrogio de Predis, e ciò sarebbe ad-
Bìance preter dotem (nel Jahrbuch der huntthiètorischm Sammlungm, di
VioDiia, Tol. I, 2, n. 191), in cai le file di perle occupano nn posto prin-
cipalissimo. Una di esse ha il valore di 1780 ducati. Molti fra i gioielli,
nelle non infrequenti angnutie domestiche, veniTano impegnati {Jahrbuch,
m, 2, n. 2676), come una volta la stessa biancheria (Ulkann, 1, pag. 225).
Una descrizione evidente dell*abbigllamento in cui la regina fti posta nella
bara, ci vien data dalla lettera di un figlio al proprio padre, del 2 gen-
naio 1511, pubblicata nel Jahrhuchy III, 2, n. 2684. Secondo quella de-
scrizione, il di lei vestito era di velluto nero con ornamenti d'oro; portava
guanti gialli ed aveva alle dita due anelli d*oro con un diamante ed un
rubino; attorno alla sua mano destra era avvolto a quattro giri un rosario
di corallo, ogni corallo era grosso come una nocciuola. In capo aveva una
corona d'argento dorato, con un arco sormontato da una piccola croce. Una
cintura d'oro, e di lavoro italiano, » le attorniava la vita, una fila di perle
le ornava il collo.
(1) Biprodotto ad un terzo della grandezza originalo, nel Jahrbuch der
kon, preuss, Kunstsammlungen, voi. X, pag. 14,
108 ROBERTO VON SCHNEIDER
dirittura quasi sicuro, se il disegno di Venezia, come
risulterebbe da quanto precede, fosse opera vera-
mente di questo maestro.
Per quanto sembrino ben fondati i suoi diritti
sulla paternità di quel foglietto, non si dovrebbe tut-
tavia rinunciare ad esaminare le ragioni che possono
venir accampate in proposito da una parte, la quale,
per quel ch'io sappia, fu trascurata sinora. Esiste
un testone, coniato in oro ed in argento (Tav. IT, n. 1),
che da un lato ci presenta le teste accollate, a destra,
dell'imperatore Massimiliano e di Bianca Maria, e
dall'altro la B. V. assisa sulle nubi, in atto di por-
gere il seno al Bambino, attorniata da sette teste
alate di angioli. La leggenda del diritto suona : Maxi-
milianti(s) Ro(mB,norum) Reoo et Bianca 3/(aria) con-
iuges; le ultime due lettere IV si debbono inter-
pretare, nonostante la tautologia, iuncti. Nel rovescio
si legge l'invocazione alla B. V.: Esto nobis turris
/br(tis) a facie inimici. Le identiche rappresentazioni
si veggono anche su di una medaglia, della quale
si conservano un esemplare in oro nella Collezione di
Vienna (Tav. II, n. 2) ed uno di bronzo in quella
di Berlino (^). Essa ha un rilievo maggiore, ed es-
sendo più grande ci offre con maggior chiarezza i
particolari. Tuttavia le iscrizioni su di essa sono
poggio distribuite e presentano maggiori lacune.
Anche per altri rispetti , il testone mi sembra di
(1) Riprodotto da Friedlaender, Die italienisehen Schaumumen des
fìirtfzehnten Jdhrhunderts, Jahrbuch der kon, prema, Kunstaammlungen,
Tol. Ili, tav. XXXIII. L'esemplare di Berlino è meglio conservato, special-
mente nelle parti più rilevate, ma è meno accoratamente cesellato di quello
di Vienna.
DI UN MEDAGLISTA ANONIMO MANTOVANO 109
lavoro più ponderato, e quindi io mi atterrò preferi-
bilmente ad esso.
Tutto ciò che si trova sul disegno di Venezia,
si trova anche sulla medaglia e sul testone, tanto
il Gesù Bambino quanto le due teste dell'imperatore
e della di lui consorte, queste ultime collo stesso ca-
rattere e rappresentate allo stesso modo, ma tutto
in senso inverso. Oltre a questo parallelismo, per
dir così, che si riscontra fra la moneta e la me-
daglia da una parte e il disegno dall'altra, è anzi-
tutto la piccolezza di quest'ultimo, che mi decide ad
attribuirlo al medesimo artista che lavorò quei due
pezzi. Chi disegna a questo modo non può essere
evidentemente fuorché un artista avvezzo a lavorare
in piccolo e che pensa di eseguire ancor più in pic-
colo i suoi progetti, quindi in ogni caso come fa un
orafo od un medaglista, ma non mai come fa un
pittore di ritratti pei suoi studi dal vero. Per tal
ragione questi studi non possono aver servito ad
Ambrogio pei suoi ritratti di grandezza naturale,
anche ammettendo ch'egli^abbia avuto i primi inse-
gnamenti dal suo parente Cristoforo Preda che era
un miniatore, e all'occasione abbia eseguito miniature
egli stesso, come nel Libro del Jesus della Trivulziana.
Almeno avrebbe dovuto fare questi schizzi per un
altro scopo, diverso da quello di cui ci occupiamo.
Tuttavia mi sembra inutile di andarlo cercando, dal
momento che lo scopo del foglietto risulta cosi
chiaro dal confronto colla medaglia e col testone.
Non si vuol passare sotto silenzio che tra i
progetti e i pezzi eseguiti vi sono alcune differenze.
Per cominciare dalla più importante, su questi il
Bambino non è rappresentato in atto di benedire
110 ROBERTO VON SCHMEIDBR
ma sta invece al seno deUa madre. Il cappello
della regina è differente, invece della solita fila di
perle, essa ha al collo una pesante catena d*oro;
r imperatore porta al disopra di una corazza la ca-
tena del Toson d'oro, e in questo particolare si al-
lontana dal disegno di Venezia, come abbiamo già ve-
duto che se ne scosta nel ritratto di Ambrogio. Alcune
di queste modificazioni che i primi schizzi, quali ci
si presentano sul foglietto, hanno subito nell'esecu-
zione, potranno poi forse trovare la loro spiegazione
naturale. Ciononostante sia detto sin d'ora che tutte
queste differenze sono assai minori di quelle che inter-
cedono per esempio fra lo schizzo del Pisanello per la
medaglia di Alfonso V d'Aragona nel cosidetto Re-
cueil Vallardi del Louvre e la medaglia come fu real-
mente eseguita, oppure fra il rovescio della sua
medaglia per Giovanni VII Paleologo e lo studio
eseguito per essa dal vero e conservato egualmente
nel Louvre W.
Per ciò che concerne V origine del testone e della
medaglia, ne abbiamo informazioni abbastanza par-
ticolareggiate, dacché l'archivio d'Inspruck fu rovi-
stato da capo a fondo in cerca di notizie attinenti
alla storia dell' arte, e dopoché si hanno gli estratti
del libro di conti dello scrivano della zecca di Hall
(in Tirolo), Sigismondo Yseregker (2). Veniamo a co-
(1) Heiss, Le8 tnédailleura de la renaissance; Vittore Pisano (Parigi,
1881), pag. 83 e 44.
(2) I documenti relati?!, ricavati dali*archiTlo di Insprnck, si trovano
pubblicati nel Jahrbuch der ìeunsthistorischen Sammlungen des Kaiaerhauses^
voi. Il, 2, nn. 770, 771, 780, 812; gli estratti del registro di Tseregker,
nella Nwnismatisehe ZeitschHft, annata XVIII (Vienna, 1886), pag. 55-56.
DI UN 1£BDA0U8TA ANONIMO MANTOVANO 111
noscere da documenti contemporanei che essi sono
opera di un intagliatore di conii mantovano che
nel 1506 era stato chiamato a Hall, città la quale
dal 1478 era la zecca più importante nei possedi-
menti ereditari dell* imperatore. Sgraziatamente »
nessun documento ci dà il suo nome. Si acconten-
tavano di chiamarlo, secondo l'uso popolare, u l'in-
tagliatore di ferri n o u T intagliatore di conii
italiano n oppure addirittura u V italiano " , senza
dubbio perchè agrimpiegati tedeschi riusciva troppo
difficile il tenere a mente la parola straniera.
Lo troviamo ricordato per la prima volta in due
scritti, entrambi in data 7 marzo dell' anno suddetto.
Egli era arrivato allora appunto a Hall. In uno di
quegli scritti il consigliere Pietro Kummel di Lich-
tenau prega il maresciallo della contea di Tirolo,
Paolo Liechtenstein, di rilasciargli un mandato di
pagamento a di lui favore, aggiungendo di aver già
dato ordine che gli si fornisse ferro, acciaio e rame.
Nell'altro scritto , il maresciallo della contea in-
carica il mastro di zecca di Hall, Bernardo Beheim,
di dare al Mantovano 1' occorrente per tre persone
e per due cavalli, e di fornirgli tutti gli attrezzi di
cui abbisognasse. Dai conti dello scrivano della zecca
di Hall, ricaviamo che il Mantovano intagliò conii
per talleri, mezzi talleri, pezzi da trenta, ed altre
monete inferiori, e che ne furono mandate delle
prove a Paolo Liechtenstein e Pietro Rummel. Tutto
è registrato accuratamente, compreso persino le due
misure di vino che il mastro di zecca elargì quando
si provarono i grandi conii, e la mercede di sette
carantani al messo per Inspruck. Da ultimo si ac-
cenna anche ai conii che u V intagliatore di ferri v
112 ROBERTO VON SGHNEIDER
aveva fatto, colle teste di Massimiliano e della regina,
e coirimmagine della B. V. sul rovescio. Egli ne
aveva fatto coniare quattro saggi per consegnarli
u in mani proprie della regina. ^ Da uno scritto del
consigliere Rummel di Lichtenau si rileva che al
9 maggio egli aveva oramai terminato il suo lavoro,
perchè il figlio omonimo del mastro di zecca, Ber-
nai*do Beheim, doveva presentare all'imperatore in-
sieme a quella lettera le prove dei conii. Egli manda,
vi si dice, i saggi in argento dei nuovi conii che i
Mantovani avevano intagliato, e due in oro da zec-
chino, e spera che l'imperatore se ne compiacerà
grandemente. Per qualunque modificazione che l' im-
peratore eventualmente desiderasse, potrà darne in-
carico al figlio del mastro di zecca, che sarebbe in
grado di riferirne esattamente. Egli è intelligente
come suo padre, ha coniato anzi di proprio pugno
i saggi e se ne è occupato molto coi Mantovani.
Pel caso che si desiderassero mutamenti, vi sono già
i ferri pronti. Al 31 settembre si mandarono ancora
all' imperatore quattro pezzi d' argento da un fiorino,
battuti coi conii dell' u italiano ^. L'ultima men-
zione di queste monete la troviamo in uno scritto
di Massimiliano del 1*" gennaio 1507 , in cui egli
ordina al suo consigliere Urbano di Serralunga di
consegnare 4 monete d'argento su cui è impressa la
sua eflSgie e quella della sua cara consorte. 11 re-
gistro di Hall ci fa sapere che l'ordine fu eseguito.
Da queste notizie apprendiamo che il soggiorno
dell' intagliatore mantovano e de' suoi assistenti in
Hall non fu che di breve durata. Nel settembre
avevano finito i loro lavori , e dopo forse di aver
eseguito le modificazioni desiderate dall'imperatore,
DI UN MEDAGLISTA ANONIMO MANTOVANO 113
ritornarono probabilmente in patria per la via del
Brennero ancora prima che incominciasse la cattiva
statone. L'intagliatore, durante il suo soggiorno in
Tirolo, non può aver visto Massimiliano in persona,
perchè le complicazioni ungheresi , le trattative di
matrimonio con re Vratislao , la breve guerra col
regno vicino nei mesi di maggio e giugno, tratten-
nero l'imperatore nella parte orientale dei suoi posse-
dimenti ereditari, per quasi tutto Tanno 1506. Soltanto
neirottobre egli incomincia ad avvicinarsi lentamente,
per l'Austria superiore e per Salisburgo, al suo pre-
diletto Tirolo, e nel dicembre, quando le monete
colla sua efSgie erano già state coniate da lungo
tempo, egli arriva finalmente a Inspruck (l). Il Man-
tovano deve quindi necessariamente essersi servito
di un ritratto già esistente dell'imperatore, per ri-
produrne i lineamenti nel suo punzone; ed è evi-
dente, per la innegabile rispondenza della testa sulla
moneta col ritratto firmato di mano di Ambrogio
de Predis, che appunto questo gli servì da modello.
In tal modo si spiega senza diflBcoltà la parentela
dello schizzo di Venezia coli' uno e coli' altro (2). Che
(1) Chr. Fr. Stablin, Aufenihaìtsorte Kaiser Maximiliana 1, 149^1519,
nelle Forgchwigen zur Deutschen Geachichte, toI. I (1862), pag. 865, e scg.
(2) Che il pittore Ambrogio de Predis, — ciò che, ad esempio del Pi-
sanello , del Francia , di Antonio Pollainolo , di Gentile Bellini e di altri,
data la yersatilità dogli artisti di quell'epoca, non avrebbe nulla di strano,
— non possa essere il medaglista € italiano » di Hall , lo si deduce dai
seguenti motivi. In primo luogo, sul ritratto di Massimiliano egli si dico
milanese , mentre il medaglista era un mantovano. In secondo luogo, in
una lettera di Paolo di Liechtenstein, del 6 ottobre 1506, egli vien chiamato
espressamente: mastro Ambrogio pittore da Milano {Jahrlmch der kunsthistcr.
Sammlungen, di Vienna, voi. V, 2, num. 4020), mentre quando Liechtenstein
i5
114 ROBERTO VON SGHNEIDER
il primo progetto, nell' esecuzione ad incavo dei conii,
non sia rimasto invariato, lo si comprende facilmente.
È probabile che ancora air ultimo momento vi si sia
lavorato attorno per migliorarlo, poiché era stato
presentato ad un padrone cosi difficile da acconten-
tare e così sofistico qual era Massimiliano. Come
l'imperatore, che s'interessava anche alle cose appa-
rentemente di minor importanza, si sarà comportato
in tale occasione, lo argomentiamo da uno scritto del-
l'anno 1501(1). In esso egli esamina i conii di mo-
nete incisi da mastro Benedetto Burkart. Sulla prova
ch'egli rimandava, egli aveva segnato coli' inchiostro
tutti i difetti ; il naso era troppo alto, il volto troppo
lungo e il corpo troppo grande.
Diversamente stanno le cose per ciò che con-
cerne l'effigie della regina. Anche per questa, senza
dubbio, il Mantovano si è servito come modello di
un ritratto, che secondo ogni probabilità dev' essere
stato dipinto da Ambrogio de Predis. Ma la regina,
durante il soggiorno dell' intagliatore italiano , si
trovava in Tirolo; egli , come abbiamo visto, si ri-
serva di consegnare in di lei mani i saggi della sua
parla del nostro incisore di monete si serre di qnelle stesse espressioni ge-
nerali che abbiamo visto usate dal consigliere Bnmmel e dallo scrivano di
Hall. In terzo Inogo, dallo stesso scritto si rileva che Ambrogio, presso a
poco allo stosso tempo in cui Tintagliatore di conii soggiornava in Tirolo,
ora occupato in Milano a disegnare un abito per gli arcieri deirimperatore.
Questo documento, proveniente dalla biblioteca della collezione Ambras, il
quale ci mostra Tattività di Ambrogio sotto un nuovo aspetto, meriterebbe
di essere aggiunto alle notizie dateci da Lermolieff intomo a ([uesto pittore
{Kunstkritièche Studten, pag. 230 e sega-
ci) Jahrbuch der kunsthistorischm Sammlungen (Vienna), voi. II, 2,
n. 645,
DI UN MBDAGLISTA ANONIMO MANTOVANO 115
arte, ed evidentemente le era già stato presentato
in qualità di compatriota. Egli la conosceva dunque
da faccia a faccia, e probabilmente non aveva tra-
scurato di modificare dal vero i lineamenti di Bianca,
che gli erano stati trasmessi dapprincipio per mezzo di
un ritratto di alcuni anni prima. Bisogna riconoscere
a sua lode che sotto la sua mano essi hanno acqui-
stato in grazia, a paragone del primo schizzo.
Dopo quanto ho esposto, non mi perito ad attri-
buire il foglietto di Venezia all'artista mantovano.
Quel foglietto non è uno studio dal vero, di mano
d'Ambrogio de Predis, pei suoi ritratti, ma piuttosto
lo studio di queir intagliatore di conii , da quei
ritratti d' Ambrogio , pel suo testone e la sua
medaglia.
Perchè l'intagliatore non sia rimasto fedele al
suo primo progetto e non abbia rappresentato il
Bambino in grembo alla madre, in atto di benedire,
non saprei dirlo, ma in compenso egli ci ha dato
una graziosissima immagine della Vergine che porge
il seno al Bambino. E ciò è il punto di partenza che
deve servirci a ricondurre in patria l' artista. Poiché
noi troviamo lo stesso gruppo, colla leggenda : Virgo
Bei Genitrice^ quantunque senza le testoline d'angioli
in giro, su monete d'argento mantovane che furono
coniate durante il marchesato di Gian Francesco II
(1484-1519). n Gabinetto imperiale di Vienna ne
possiede due, le quali differiscono l'una dall'altra sol-
tanto per gli emblemi del rovescio : la prima (Tav. Il,
n. 4) reca il crogiuolo tra le fiamme 0) , l' impresa
(1) PoRTiOLiy La zecca di Mantova, parie I, pag. 86.
116 ROBERTO VON SCUNEIDER
del Marchese, già conosciuta per le belle monete di
Melioli ; la seconda (Tav. II, n. 5), un uccello su di
un'ara, colla scritta: Vivo e morto W. Il materiale
di cui dispongo non mi permette di appurare se il
nostro intagliatore abbia recato a Hall con sé questo
tipo, comechè usato nella sua patria zecca, o se questa
raflSgurazione sia venuta in uso nelle monete man-
tovane soltanto dopo il 1506. S'intende che in un
motivo artistico tanto frequente non si possa parlare
di una vera invenzione. Non sono rare le placchette
uscite dalle officine dell'Italia settentrionale, con si-
mili immagini della B. V. (2). I cherubini nelle nubi,
come li ha disposti l'incisore intorno alla Vergine,
sono un motivo usato con predilezione da Mantegna,
che, come è noto, esercitò una possente influenza
sulle arti minori nei luoghi in cui si estrinsecò la
sua attività. Così, per esempio, li troviamo due volte
nel suo celebre trittico della Tribuna di Firenze, una
volta intomo a Cristo che sale al cielo, un'altra volta
intorno alla Vergine nell'adorazione dei Magi, que-
st'ultima conosciuta a tutti per l'incisione del maestro,
sotto il nome di Vergine della Grotta W; o nel bel
quadro della Vergine, che ora, liberato dai guasti
d'una malintesa ristaurazione, è divenuto una delle
perle della ricca galleria di Brera.
Da questa rispondenza dei tipi sulla medaglia,
sul testone e sulle monete mantovane, si deduce con
(1) Portigli, 1. e, pag. 87.
(2) Mounier, Les plaqueties, voi. II, dd. 423, 427. Bodb nnd Tscbudi,
Beschreibung der Bildwerke der christUchen Epoche (Konigl, Iduseen zu
Berlin), n. 704, 826.
(3) Bartsch, Le peinire^rateur, yoI. XII, pag. 233, n. 9.
DI UN MEDAGLISTA ANONIMO MANTOVANO 117
tutta sicurezza che il nostro intagliatore di conii ha
lavorato nella zecca di Mantova. E ciò ne permette
di sperare che un giorno potremo chiamarlo col suo
vero nome. Senza dubbio, il suo viaggio in Tirolo
dev'essere stato preceduto da un carteggio fra l'im-
peratore e il marchese Gian Francesco II. Poiché
ò noto quanto gelosamente allora i principi e gli
stati custodissero i propri artisti. Le notizie che noi
desideriamo, e che gli archivi austriaci, nonostante
le più attive ricerche, non riuscirono a fornirci, pos-
sono ancora tuttavia esserci date dagli archivi italiani ;
ed i nuovi ed importanti risultati che furono pub-
blicati, appunto in questo stesso periodico, sui meda-
glisti alla Corte dei Gonzaghi, ci danno animo a
bene sperare. Perciò queste righe si indirizzano agli ,
indagatori d'Oltralpe, cosi straordinariamente felici
nelle loro ricerche nel campo della storia dell'arte,
ed avranno adempiuto al loro scopo se riesciranno
a far rivolgere la loro attenzione su questo maestro
che nei suoi lavori autentici dispiega tanta valentìa.
Poiché davvero non é la sola curiosità che ci
spinge a ricercare quale fosse il suo nome. Ammet-
tiamo pure che nella sua patria non gli competa
che un posto secondario, in confronto di un Barto-
lomeo Melioli 0 di un Gian Marco Cavalli. Anche la
sua attività in Hall, a giudicarne dalle monete che
ci restano, sarebbe stata meno svariata di quello che
si potrebbe supporre dagli appunti surriferiti dello
scrivano della zecca. Tranne in una moneta d'argento
col busto di Massimiliano nel diritto e coli' aquila e
la leggenda : Moneta nova Comitat. Tirolis (Tav. II,
n. 3) nel rovescio, non posso riconoscere con sicu-
rezza la sua mano in nessun altro conio a me
118 R. YON SCHimiDBR - DI UN MEDAGLISTA ANONIMO MANTOVANO
noto (1). Comunque, nonostante la brevità del di lui
soggiorno presso la zecca imperiale, la sua attività fu
quivi accompagnata dai più favorevoli effetti ; e se,
come non è da dubitarne, Massimiliano aveva divisato
di portare le monete colla sua effigie tecnicamente e
artisticamente all'altezza approssimativa delle monete
italiane del suo tempo, coll'invito airintagliatore man-
tovano egli aveva pienamente raggiunto il proprio
scopo. Con questo maestro, il cui nome ci rimane tut-
tora ignoto, l'arte italiana incomincia ad esercitare
sullo stile e sul carattere delle medaglie imperiali
tedésche queir influenza che doveva durare quasi un
secolo e mezzo e che raggiunse il suo punto culmi-
nante per opera di Antonio Abondio il giovane^ alle
Corti di Vienna e di Fraga.
Vienna^ gennaio 1890.
Roberto von ScHNEroER.
(Trad. di Solonb Ambrosoli).
(1) Per motÌYÌ estrinseci si potrebbe forse esser tentati di attribuire al
maestro mantovano la bella medaglia pel maggiordomo della regina Bianca
Maria, Nicolò di Firmian, che fa ti^vata sul solaio di una casa a Villaco
in Carinzia, e che ora si conserva nel piccolo mnseo di quella citt& (Armand,
Lea médailleur» italiens, voi. m, pag. 187, n. E.)- Ma, a gindicarne dallo
stildy ò anteriore , ed anche la rappresentazione e la leggenda del sno ro-
vescio si riferiscono air opera di Firmian nel Tirolo meridionale nelPanno
1487. Se le medaglie per Maddalena (Bossi ?) di Mantova, del 1504 (Armano,
voi. n, pag. 100, n. 11; pag. 101, n. 12; voi. in, pag. 194, n. B.), siano
state eseguite dal nostro intagliatore di conii, ò ben difficile da decidere
per la scarsit& delle notizie che abbiamo intomo a lui.
-o*^
RIVISTA ITALIANA DI NUMISMATICA
Anno 111.1890. T». ".
##
R von SCHNEIDER - Un Me(ÌB|lisla Mantovam
(AnnoUI-Fasc II
--^M.Al/^^^
UNA MEDAGUA INEDITA
DE' PRINCIPI BACIOCCHI
Domenico Massagli nella sua Storia della Zecca
e delle monete lucchesi, che forma la Parte II del
tomo XI delle Memorie e documenti per servire alla
Storia di Lucca, nell'appendice (pp. 135-163) tratta
anche de' BÌgilli e delle medaglie , e tra le varie
medaglie, coniate dai Principi Baciocchi , pone la
seguente , della quale è opportuno che trascriva la
illustrazione da esso fattane :
Medaglia d'argento della R. Accademia Lucchese, deno-
minala QVATVOR VIRI.
^ — Corona di lauro , e nel campo in tre linee :
MVNIFICENTIA - OPT ■ PRINC • - A ■ CDIDCCCXIII •
9/ — Nell'area inornata: ||lt • VIRI — R • ACAO • UC ■
A • NEO • - FF • CVR .
120 GIOVANNI SFORZA
u La storia letteraria di Lucca w , son sue pa-
role, u ci mostra come la nostra città da oltre due
a secoli e mezzo ebbe sempre dentro le sue mura
u un consesso scientifico , che abbracciò poi anche
u le belle arti , il quale , sebbene sotto varie deno-
tt minazioni , si è conservato fino ai nostri giorni ,
tt ed oggi è detto B. Accademia Lucchese di lettere,
a scienze ed arti.
« La munificenza dei Principi Baciocchi volle
a nel 1812 onorare questa nostra celebre ed anti-
a chissima istituzione del nome dell' augusto capo
tt della famiglia loro, ordinando che in luogo di chia-
tt marsi , dal modesto titolo che allora portava , di
tt Accademia degli Oscuri^ chiamar si dovesse Imp. e
tt Regia Accademia Napoleone.
tt È certo che nuovi statuti ed anche usi novelli
tt dovettero naturalmente essere introdotti nel riordi-
tt namento di questa società (e ciò secondo la co-
tt stumanza degli oltramontani, perchè tutto allora
tt volevasi qua foggiato alla francese), fra i quali usi
tt fu nel 1813 stabilito : che gli ufficiali di essa, per-
tt petui, 0 temporanei che fossero, entrando in ufficio
tt dovessero ricevere una medaglia d' argento qual
tt teÌ3timonianza dell'onorevole incarico loro affidato,
tt per eccitare alle ricerche di storia patria, le quali
tt dovevano da allora in poi formare subietto prin-
tt cipalissimo degli studii di essa Accademia.
tt Quattro dunque essendo gli ufficiali , che al-
tt lora, come adesso, componevano il seggio di questo
tt nostro Istituto, non poteva la denominazione della
tt medaglia essere più logicamente appropriata di
tt quella che le fu imposta, voglio dire, medaglia dei
V. QuATUOR VIRI. Un beir esemplare di essa tx'ovasi
UNA H8DA0LIA INEDITA DB* PRINCIPI BACIOCCHI 121
u presso di me, ed il conio originale è nella Biblio-
u teca pubblica n.
È verissimo che a Lucca ebbe vita un'Acca-
demia, che si chiamò degli Oscuri^ fondata nel 1584
da Gio. Lorenzo Malpigli , amico costante anche
nelle sventure di Torquato Tasso ; e che , per vo-
lontà de' Principi Baciocchi , mutò poi il suo mo-
desto nome in quello di Accademia Napoleone ; ma
è falso che ciò seguisse nel 1812 ; com'è falso pure
che questa medaglia venisse fatta coniare dai Ba-
ciocchi. Il Massagli ha preso un grosso abbaglio
nel leggerne e nel trascriverne la leggenda, che non
porta scritto A. clobcccxiil , ma cbbcccxxiil , e per
conseguenza non appartiene alla Signoria de' Ba-
ciocchi, che durò dal 1805 al 1814, ma a quella dei
Borboni, che, cominciata nel 1817, fini nel 1847.
Il 14 luglio del 1805 Elisa sorella di Napoleone
e il marito di lei Felice Baciocchi presero a reggere
il Principato di Lucca. Coti decreto del 15 agosto
del medesimo anno la vecchia Accademia* degli
Oscuri fu chiamata Accademia Napoleone. I Prin-
cipi fondarono u sulle loro rendite quattro premi di
u lire 300 l' uno n , consistenti a in una medaglia
a d'oro, avente da una parte l'effigie delle LL. AA.
tt e dall'altra queste parole: Premio dato al Su
tt gnore...^ da conferirsi, una a chi avrà fatto la
a migliore opera sopra una questione che la classe
tt delle scienze proporrà il 18 maggio di ogni anno » ;
una a chi tt avrà meglio trattato una questione po-
tt litica , o un soggetto d' eloquenza rì ; una a chi
tt avrà fatto il miglior pezzo di poesia ^ ; e una a
chi tt avrà fatto l' opera migliore di pittura e di
tt scultura, o di architettura, o di musica y^.
i6
122 O. SFORZA. - UNA MEDAGLIA. INEDITA DB* PRINCIPI BACIOCCHI
Quando si venne poi ali* atto di conferire i
premii, si dette rincarico al Santarelli di coniare la
medaglia , e riusci bellissima. Vi fu incisa V effigie
di Felice e d' Elisa, come voleva il decreto di fon-
dazione, ma la leggenda del rovescio venne mutata.
Presso gli eredi del celebre criminalista pisano
Giovanni Carmignani, che fu il primo de' premiati,
se ne conserva un esemplare in oro , ed è quello
stesso che gli conferì V Accademia. Se ne tirarono
anche in argento, per darle ai concorrenti che aves-
sere riportato V accessit ; ma quelle d' argento sono
anche più rare assai di quelle d' oro. Trattandosi
pertanto d' una medaglia , non solo inedita , ma af-
fatto sconosciuta , e per giunta quasi introvabile ,
essendone stato messo fuori un numero ristrettissimo
d'esemplari, non sarà sgradito che la descriva e la
riproduca.
Diam. mm. 47.
^ — Basti di Elisa, a destra, e di Felice I, a sinistra,
uno di faccia all'altro. In giro : ELISA - NÀPOL * ÀY& *
SOROR • ET ' FELIX • I • PRINCC • LVCAE • ET • PLVM-
BINI. Sotto il taglio de' busti : Santarelli f.
^ — Corona di due rami, d'alloro e di quercia, incro-
ciati e annodati in basso. Nel campo , in due linee :
DI&NIORIBVS — MVNERANDIS. In giro: ACAD • LVCEN-
SIVM • NAPOLEONEA • INSTITVTA • A • M • DCCC • V •
FELICITER.
Massa, 15 Gennaio 1890.
Giovanni Sforza.
MONETA INEDITA
DI
PIETRO I DI SAVOIA
E POCHI CENNI
SULLA ZECCA PRIMITIVA
DEI PRIHOIPI SABAUDI (1)
Nella sua opera sulle Monete dei Reali di Savoia,
mio Padre, accennando alle diverse officine monetarie
state aperte sotto i nostri principi , nomina come prima
quella di Aiguebelle (2), ed in proposito cosi si esprime :
tt Bodolfo imperatore concedendo, con diploma del 1284, a
tt Ludovico I di Savoia signore di Vaud il diritto di bat-
tt tere moneta soggiungeva: Licei hoc sibi ex nobilitate
tt et auctoritate sui generis videatur competere ab an-
a iiquo (3); ed appunto da antichissimo tempo godeva
tt questa B. Casa di tale diritto, trovandosi durante il ve«
tt scovado di S. Ugo di Qrenoble , che cominciò nel 1080 ,
tf menzione (come di moneta avente corso legale) di danari
tt battuti in Aiguebelle nella Moriana, Stato il più antix^o
tt che abbia posseduto questa famiglia, e diversi certa-
(1) Questa memoria fa pubblicata per la prima volta negli Atti della
S. Accademia delle Scienze di Torino (1888, Voi. XXni).
(Noia della Direzione).
(2) Voi L pag. 1.
(3) GuiCHBNOX. Hiet. gin. de la R. Maison 'de Savoie, Lyon , 1660 ,
Prenyes, pag. 686.
124 VINCENZO PR0MI8
tt mente da quelli battati in Vienna, essendo in carta di
tt quegli anni gli uni dagli altri distinti (1).
tt Di tal diritto v' era già indizio in carta del 1066
ic riportata dal D'Achery (2) ma senza poterlo sicuramente
tt affermare , lasciando dubbio che fosse essa indirizzata
tt principalmente contro falsificatori della moneta viennese
tf abitanti in Aiguebelle ; ma la scoperta della prima serve
tt a provare non trattarsi propriamente di falsificazione ,
tt ma d'imitazione della moneta viennese fatta nella zecca
tt dei conti di Moriana aperta in Aiguebelle , la quale
tf quando cominciasse a lavorare ignorasi, ma dalla carta
tt del D'Achery appare che vi si batteva vivente il conte
tt Oddone sul 1060 , e che durò dopo di lui , ma dovette
tt chiudersi quando dopo la morte della contessa Adelaide,
tf accaduta nel 1091 , Umberto II aperse quella di Susa
tt residenza di quelli antichi marchesi conti di Torino, n
A pag. 57 e seg., parlando di Oddone di Savoia succes-
sore di suo avo Umberto I e marito della celebre Adelaide
di Susa, riporta alcuni estratti del Cartolario di S. Ugo
succitato in cui si fa ripetutamente menzione di solidi
aquabellenses, denarii monete Aquebelle , ecc. in modo da
provare che si trattava di vera moneta colà battuta, e con-
tinua : tt Quale fosse il tipo delle monete di Aiguebelle
tt r ignoro , non avendo sinora scoperto alcun denaro a
tt quelli di Vienna consimile , sul quale segno alcuno
tt esista per poterlo con certezza attribuire ai Principi di
tf Savoia; cosa che non sorprende, essendo comune anche
tt in tempi assai a questi posteriori il trovarsi memoria
u positiva di monete battute da principi o città, e non
u essere mai stato possibile il conoscerne l' impronto ; nel
tt nostro caso è ancor più facile tal cosa, che queste monete
tt acquabellesi dovettero coniarsi in poca quantità ed aver
tt avuto un oscuro corso, non trovandosi altrimenti mento -
(1) CiBRARio e Promis. Doc., Sig, e Monéte, eee, Torino, 1838, pa-
gine 86 e 87.
(2) Spicilegium. Tomo, m, pag. 898.
MONETA INEDITA DI PIETRO I DI SAVOIA 125
■ — — ' — - - — - ■
a vate, e facilmente confondendosi colle viennesi , presto
tt saranno pel continuo uso scomparse. r> In Nota poi ac-
cenna alla moneta di Aiguebelle citata dal De Bivaz nel
suo Corpo Diplomatico m. s. del regno di Borgogna come
da lui posseduta ed inesattamente ivi descritta ; citazione
poi riportata dal Cibrario nella Storia della Monarchia di
Savoia, I, 135 in nota.
n documento riportato dal D'Achery ò un atto con cui
Leodegario arcivescovo di Vienna (morto nel 1073) si ri-
volge non al vescovo di Moriana che aveva parte della
giurisdizione di Aiguebelle, ma alla contessa Adelaide ed
ai smoi figli Pietro ed Amedeo II che ivi pure dominavano,
onde si facesse in quel luogo cessare la contraffazione della
moneta viennese. Quindi io pure ritengo che in questo do-
cumento si tratti di una vera imitazione del tipo e della
leggenda dei denari viennesi, e non dei nostri in cui la
leggenda era variata. Ma al tempo stesso non può in alcun
modo .dedursene la non esistenza di vera moneta battuta
allora nella stessa località dei nostri Principi.
A tale opinione si accostò pure il S. Quintino, quando
pubblicò la moneta per lo innanzi sconosciuta del vescovo
di S. Giovanni di Moriana (1), ed il sig. Perrin nel suo im-
portante scritto le Monnayage en Savoie soics les Princes
de cette Maison (2). Sia però il S. Quintino che il Perrin,
in mancanza di un dato certo, propendevano a dare al ve-
scovo di Moriana la sola moneta conosciuta per le memorie
del De Eivaz, pubblicata in seguito dal dotto Francesco
Babut(S), il quale propugnò questa sentenza fondandosi
specialmente sul tipo del pezzo acquabellese essenzialmente
vescovile , e corrispondente in peso , bontà e forma delle
lettere al danaro di Moriana.
(1) Monéte del decimo e deìVundeeiino secolo acoperte nei dintorni di
Eoma nel 1843. Torino, 1816, pag. 85 dogli Estratti.
(2) Pag. 33.
(3) Denier de VEvéché de S. Jean de Maurienne frappé à Aiguebelle
au onzihne siede, 1858.
126 VINCENZO PR0MI3
Non solo, come dissi qui sopra , ritengo per certo che
in Aigaebelle i primi nostri Principi ebbero zecca propria,
il che io attribuirei al Conte Oddone , ma sono inoltre
spinto a credere a lui debba spettare la preziosa moneta
pubblicata dal Babut, da un recente fatto che darebbe pie-
namente ragione alle supposizioni di mio padre , del San
Quintino e del Perrin, ed al tempo stesso spiegherebbe le
espressioni del documento del vescovo Leodegario e del di-
ploma dell'imperatore Itodolfo.
Verso la fine del 1887 acquistai pella Collezione di
S. M. una piccola moneta d'argento buono, del peso di
gr. 1,100, e corrispondente pel tipo e per la forma delle
lettore a quelle note di S. Giovanni di Moriana e di Ai-
guebelle. Ha da un lato una testina volta a destra ed in
giro H[< PETRVS MR; e nel rovescio una croce con quattro
punti a foggia di chiodetti negli angoli, con attorno
HH SEVSIE VR. Completo le leggende con PETRVS maRchio e
SEcVSIE WRbis. Per meglio provare il mio asserto nell'an-
nessa tevola (Tav. Ili) do il disegno dei tre pezzi sin qui
menzionati contrassegnando col n. 1 quello del vescovo di
Moriana, col 2 il denaro acquabellese, col 3 il nostro.
Baffrontendo i vari dati sovraesposti, la zecca certa-
mente vescovile a S. Giovanni, il documento di Leodegario
di Vienna le cui monete erano imitate in Moriana, l'accer-
tamento dell'esistenza della zecca di Àiguebelle nella se-
conda metà del secolo X, l'officina di Susa già attiva sotto
il Conte Umberto II (1080-1103), non ho il menomo dubbio
di attribuire il pezzo, che ora per la prima volta vede la
luce, a Pietro I (figlio e successore del conte Oddone e
della celebre Adelaide di Susa), il quale mori nel 1078 e che
sempre prese il titolo di marchese^ come appare dai docu-
menti in cui questo nostro Principe ò nominato. Cosi ac-
cresciamo la serie numismatica dei Beali di Savoia col
pezzo del conte Pietro I che prenderebbe il primo posto
con indicazione certa ed al quale si dovrebbe lo stabili-
mento della zecca secusina, avanzandola di qualche anno
su quanto sinora si credeva. Ma al tempo istesso ritengo sia
questo una nuova prova che ad Oddone suo padre, che fu ni-
MONETA INEDITA DI PIETRO I DI SAVOIA 127
potè e snccesBore di Umberto I, debba attribuirsi il denaro di
Aignebelle sa oai non avvi nome di principe, e somiglian-
tissimo pel tipo agli altri contemporanei di Vienna e di
Moriana, che certamente si vollero imitare ma non contraf-
fare. La cosa si spiega da sé, qualora si consideri che da
poco tempo datando allora il dominio sovrano riconosciuto
dei Principi nostri, non credettero essi, ad imitazione di
quanto fecero altri signori loro coetanei, di tosto inscrivere
il loro nome su quelle monete che pure volevano far bat-
tere. Imitarono quindi quelle che già avevano buon corso
nel loro Stato, e solamente poco a poco stabilirono in
modo evidente la loro pretesa, conservando ancora per un
certo tempo il tipo antico e cambiando soltanto l'indica-
zione della località ove avevano fissato una nuova officina
per poi adottare poco dopo un tipo affatto pròprio sotto
Umberto U, se pure ciò non fu prima. Mi viene diffatti il
sospetto che non ad Amedeo m ma al suo avolo e fratello
del nostro Pietro, col quale resse gli Stati aviti, debba at-
tribuirsi il curioso denaro da me pubblicato nel 1882(1),
che si conserva nella Collezione nazionale di Parigi, e che
porta col tipo segusino nel diritto Hh ÀMEDEYS COMES e
nel rovescio SECVEYITAS per SECVSIE CiVITAS, mentre sulle
monete susseguenti sempre ed invariabilmente leggesi:
SECVSIA.
Vincenzo Fromis.
(1) Monete di zecche italiane inedite e corrette^ pag. 5 e iav. I, n. 1.
MONETE
DI
GIO. BATTISTA FALLETTI
CONTE DI BENEVELLOW
Nella rara Tariffa stampata a Gand nel 1646 (2) è ri-
portata per la prima volta, a quanto mi risalta, nna curiosa
moneta d'oro che fu sinora un enigma pei numismatici ita-
liani ed esteri. A pagina 96 tra altre Croonen e coU'indi-
cazione di Beneventen si dà il disegno del nostro scudo. Ha
nel diritto 1' aquila bicipite con grande corona imperiale
ed in giro * CAROLVS ♦ IMPERATOR ♦, o nel rovescio una
croce fiorata nel campo, somigliante a quella che scorgesi
su alcune monete d'oro contemporanee di Carlo Y come
re di Spagna e delle Due Sicilie, con attorno la leggenda
à IO ♦ ANTO ♦ FA ♦ COMES * BENE preceduta da uno
scudetto caricato di due leoni passanti a destra. Trovai
susseguentemente questo pezzo riportato in altre due Ta-
riffe di Gand del 1662 (B) , in quella di Amsterdam del
(1) Qoesta memoria fa pubblicata per la prìma>olta negli Atti della
R, Accademia delle Scienze di Torino (1888, Voi XXIV).
(Nota della Dirozione).
(2) Der Cooplieden Hanboncxkin. Ghednickt te Ghend by loos Lam-
brecht m. d. xlvj. in 12\ pag. 95.
(8) Ordonnance, statnt, et permission de T imperiale M. dea especos
d'anr et d^ar^nt, ayant conrs an pais de par de^a. Pabliée Tan m. d. xLviij.*
»7
130 VINCENZO PROMIS
1666 (1) ed in quelle di Anversa del 1675 (2), 1689 (3), 1627 (4),
1633 (5), queste due ultime colU indicazione di Pistolet de
Benevenie. L'Hoffmann (6) ripubblicò scorrettamente questo
ducato sulla fine del ^secolo XVII , indicandolo semplice-
mente come Gold Krone Italienische. Sul disegno di una
delle Tariffe di Gand del 1662 e su quello dell' Hoffmann
descrisse nel secolo scorso il pezzo in questione Gio. Tobia
Kohler nel volume II del suo Ducaten Cabinet (7) , a pa-
gina 830, N. 2608, aggiungendovi Tattribuzione seguente :
u Vermuthlich ist dieser Bucate von dem Grafen von Bene,
u oder Bena, naheam Tanaro in Piemontesischen. n Final-
mente il Bentzmann nel suo Numismatisches Legenden -
Lo xvìj de Jaillet. Imprimé à Qand, par Josse Lambert, Tailleur de lottres.
L'an M. D. Lij, in 12^, pag. 83.
Le Billon d'aur et d'argent, de plasienrs Boyanmes, Dncós, Contés ,
Seignenriés. Pais et villes. Imprimé à Gand , par Josse Lambert, Tayllear
de lottres. Anno m. d. lii, in 12^, pag. 46.
(1) Ordonnantie, statnyt, ondo permissie der K. M. vanden gonden,
onde silToren pinninghen conrs ondo gaack kobbende over allo sino Landon
?an herwaordts over Gopnblico ordt int Jaer m. d. acht onvoortich don xvij
dack Jalij (Aomstolrodam, 1566), in 12,^ pag. 83.
(2) Donghonalvordo goadon onde silvoron Mante van diveersche Coninck-
rijschon et Tantworpon, By Christoffol Plantijn, iadon galdon Passer, 1575,
in 8® piccolo, pag. 80.
(3) Hot Thresooroft schat yan allo do specion, fignron en sorton van
goadon ondo siWeron mnnton et Ghoprint Tantwerpou op dio Lombaerdo
vesto, indon Golden PoUicaon by Gailaem van Parijs. m. d. lxxx in 8*» pic-
colo, pag. 149.
(4) Placcart da Roy nostro Siro contenant deffence da conrs des
Florins d'or d'AUemaigne, et do qaolqaes aatres especes. Anyors, chez Hio-
rosmo Vordassen, etc. 1527, in 4®, pag. 75.
(5) Ordonnanco et Instraction poar los Changears. Anyors, chez Hie-
rosmo Vordusson, etc. 1633, in 4**, pag. 67.
(6) Altor and Neaer Mùnz-Schlùssol, etc. Narnberg, 1692, in 4® Tay. 12.
annessa a pag. 288, n. 125.
(7) Hannover, 1760, in 8,''
MONBTB DI 010. BATTISTA FALLBTTI CONTE DI BBNBVELtX) l31
Lexicon (1), sotto la indicazione di lohannes Antonius mit
Familiennamen , cita : u Io. Ant. Fa - Bene, n
Malgrado tutto questo, l'incertezza continuava sempre, e
le lettere BENE, principio certo di un titolo feudale che dap-
prima non si indicava se tedesco od italiano ed in seguito
si attribuiva alla nostra Penisola, non conducevano ad al-
cuna plausibile spiegazione. Il tipo della moneta era co-
mune alla Germania ed all'Italia ; il piccolo stemma non
si poteva blasonare in modo sicuro : V aquila imperiale ,
come sul nostro pezzo, si trova pure su molti altri battuti
per concessione dell'imperatore ed anche su numerose con-
traffazioni. Occorreva quindi attendere che qualche nuova
scoperta valesse a gettar lume sulla questione ; restandosi
sempre pel passato nel dubbio se questo bello scudo d'oro
si avesse a classificare tra le monete italiane o non si do-
vesse piuttosto attribuire a qualche zecca ignota di Ger-
mania. Questo fu il motivo per cui non osai inserirlo nelle
mie Tavole Sinottiche (2).
Se non prendo abbaglio, ritengo poter finalmente pre-
sentare una soddisfacente soluzione della leggenda sue-
sposta. Nei primi mesi del corrente anno acquistai pella
Collezione del Be un pezzo d'argento, di titolo alquanto
basso e del peso di grammi 2,900, nel quale, pur ravvisando
una certa relazione collo scudo d'oro delle antiche Tariffe,
scoprivo poi una nuova difficoltà nella diversità dello
stemma incisovi. Porta nel diritto nel campo sotto la data
1537 uno scudo caricato di una banda scaccheggiata di tre
tiri senza i colori, ed attorno leggesi: "{^ MONETA "* NOVA
® IO *> ANT ° FA ** CO ** BE. Nel rovescio scorgesi un' aquila
bicipite con corona imperiale e caricata in petto dello scu-
detto austriaco d'argento ad una fascia di rosso, eziandio
(1) Erster Tbeil. Àlphabetisch-cbronologische Tabellen der Mùnzherren
nnd verzeichaiss dor aof. Maazou Torkommenden Heilìgen. Berlin , 1865 ,
in 8, pag. 96.
(2) Torino, 1868, in 4.«»
132 VINCENZO PROMIS
senza indicazione degli smalti, con in giro : "{<- <> KAROLVS
<" ROMAMOR IMPERA <> La data 1537 che vi e inscritta ha
una grande importanza perchè stabilisce pure l'età del du-
cato summenzionato sinora sconosciuto in originale e solo
noto pei disegni delle Tariffe ed opere che più sopra ho
indicate. Fissata l'epoca cui appartener dovevano i due
pezzi in questione, occorreva ancora scoprire a quale per-
sonaggio potessero esattamente adattarsi le prime lettere
del nome e cognome IO • ANT • FA • ; quale fosse il feudo
che in Italia (poiché italiane si volevano le nostre due mo-
nete) cominciasse con BENE) e portasse titolo comitale ; a
chi appartenessero i due stemmi che ho descritti ; dove i
medesimi pezzi possano essere stati coniati; e finalmente
in quale occasione ed in forza di quale diritto.
Quasi impossibile cosa era il rispondere alla prima
questione quando non si conosceva che il ducato d'oro
senza data, il quale in ogni caso però chiaramente appa-
riva imitazione di monete note e contemporanee. Mai ho
potuto trovare una spiegazione plausibile dello stemma dei
due leoni che vi si scorge, come non la trovavo pel nome
del Casato e pel feudo, che sempre ritenni essere tutt'altra
cosa che la nostra Bene Vagienna, secondo la supposizione
del Kòhler. Fui però ognora convinto trattarsi di monete
lavorate non in Italia ma in Germania. Quella in argento
or ora acquistata venne a confermare pienamente la mia
opinione col genere d'intaglio che ci presenta, e mi fissò
sulla data, lasciandomi ancora dubbioso sulle altre questioni.
Sempre col pensiero che, secondo l'idea generalmente ac-
colta, il pezzo con BENE fosse italiano e forse anche pie*
montese, in seguito a nuove indagini mi accorsi che lo
stemma della banda scaccata poteva corrispondere alle ini-
ziali FA del nome, qualora si potesse stabilire che i Falcetti,
nobili d'Alba, in qualche circostanza avessero avuto il di-
ritto di zecca. Continuando le ricerche più in manoscritti
che in libri a stampa, riesci! a formare un piccolo albero
genealogico di questa illustre famiglia, nota nei documenti
sin dal secolo XII, e che, a datare dal fine del decimoterzo
fu investita successivamente nei varii suoi rami dei feudi
MONETE DI 010. BATTISTA FALLBTTI CONTE DI BBNBVELLO 133
di Pooapaglia, Buffia, Bacconigi, La Volta, La Morra, Ba-
rolo, Villa, Votignasco, Villanova, ecc. Il primo di questo
casato che risalta in modo certo come stipite dei diversi
rami, ridotti attnalmente al solo dei conti di Villafalletto,
discendenti da Simondino o Slmonino signore di Villa e
Votignasco nel 1337, è Giacomo, che nel 1300 aveva la si-
gnoria di Pocapaglia, e che ebbe tra altri figli Pietrine, da
cai i marchesi di Barolo, Leone signore di Baffia, Simon-
dino suddetto ed Emanuele Signore di Villanova. Trovai
poscia che nel secolo XV alcuni discendenti di Leone di
Buffia acquistarono dai loro parenti del ramo di Pietrine di
Barolo e La Morra alcuni punti della giurisdizione di Bene-
vello, pure nel contado d'Alba, la quale posteriormente si
riunì in gran parte nel 1451 nella persona di Bernardo,
padre di Filippo, il cui figlio Giov. Antonio assunse il ti-
tolo di conte di Benevello. Ritengo perciò le enigmatiche
leggende si possano spiegare: IQrLnnes titi^onius Fk^eilus
COMES BEHBvelli e MONETA NOVA \Oinnis ANTon» Fklelti
CO>nilis BEnevelli.
Passo ora agli altri dubbi, Gio. Antonio Falletti, consi-
gnore di Pocapaglia, conte di Benevello e signore di Mom-
barchero, nato verso la fine del secolo XV, compare col ti-
tolo comitale in documenti del 1520, 1528, 1530 e già era
passato ad altra vita nel 1554, nel quale anno trovasi,
Gio. Battista figlio del fu Gio. Antonio ed esso pure conte
di Benevello. Monsignor Francesco Agostino Della Chiesa
nella sua inedita Descrizione del Piemonte (1) ci porge lume
per sciogliere ki questione. Parlando egli di vari feudi dei
Falletti, dice di due di essi : u Borgomale e Benevello
tt furono prima, quello d'alcuni che de Borgomale si dice-
u vano, e questi della casa di Bevello, onde che trovasi
a qualmente Manfredo detto Piola e Ottone fratelli de Be-
u vello vendetene nel 1270 la loro portione di Benevello
u ad Alberto consignore di Borgomale, ma essendo poi tanto
tt l'uno che l'altro in potere de' marchesi Del Carretto si-
(1) Autografo nella Biblioteca di S. M. Tomo I, foglio 215 recto.
134 VINCENZO PROMIS
u gnore di Corfcemiglia, passare ne facevano costoro la fe-
tt deità al comune d'Asti, onde furono indi fra quelle terre
il compresi, le quali il marchese Oddone in compagnia di
tt Manfredino suo figliuolo dal Conte Amedeo di Savoia
tt come signore d'Asti, in virtù del privilegio fattogli da
tt Henrico settimo imperatore, riconobbe; ma passarono poi
tt a' sudetti Faletti figliuoli di Petrino signore della Morra,
tt de' quali Antonio (1), che Benevello con titolo di Contado
tt possedeva, avendo seguito l'armi francesi con cui trovossi
tt in molte segnalate fattioni contro gl'Imperiali, fu di quel
tt suo Castello dagli Spagnuoli privato, donandolo l'impera-
tt tore Carlo quinto con Mombarchero, ch'era parimente
tt dell'istesso conte Antonio, a D. Alvaro di Sanchies spa-
tt gnuolo. Ma essendo indi venuto in potere di certo Zuc-
tt cone, l'ha cosi ceduto agli Asinari signori di Casasco,
tt che hoggidi lo possedono (cioè sulla metà del secolo XVII)
tt prettentendovi però ragioni il conte di Pocapaglia come
tt prossimiore agnato nella successione del conte Antonio
tt che ne fu spogliata, n Meglio chiarisce il fatto il Casalis
nel suo Dizionario corografico degli Stati Sardi (2), dicendo
che Carlo V tolse Benevello e Mombarchero ad Antonio
Falletti perchò abbandonato il servizio dell'imperatore, nel
cui esercito comandava un reggimento di fanti italiani,
passò a quello di Francia. Ciò deve essere avvenuto poco
dopo il 1660.
[Riassumendo quanto sopra , credo che 1' unica spiega-
zione possibile di questo fatto curiosissimo nella storia
numismatica piemontese sia la seguente. Giovanni Antonio
Falletti, recatosi, come tanti altri della nobiltà piemontese
(1) A questo panto il Della Chiesa si sbaglia, poichò il nostro Gio. An-
tonio non discende da Pietrìno della Morra e di Barolo, ma da Leone suo
fratello e signoro di BnfBa, come egli stosso dimostra nel voi. II a foglio
819 recto. Appare però che i rami saddetti di questi ìllastri casati ave-
vano giurisdizione m cornane sa alcuni dei loro antichi feudi , sebbene il
solo Gio. Antonio e suo figlio abbiano preso il titolo di conti di Benevello.
(2) Voi. II. Benevello.
MONETE DI GIO. BATTIS^ FALLETTI CONTE DI BENEVELLO 135
all'estero per ivi prendere servizio militare , quando nei
calamitosi tempi del duca Carlo II la nostra infelice patria
era da un capo all'altro soorazzata e malmenata da amici
e da nemici, si pose agli stipendi dell'imperatore Carlo Y,
per cui comandò un corpo di Italiani. Probabilmente egli
si distinse tanto da entrare in modo affatto speciale nelle
grazie dell'imperatore, sino al punto di ottenere dal mede-
simo qualche diploma onorifico cosi ampio da permettergli
l'uso di moneta segnata al proprio nome. Ciò sarebbe stato
verso il 1537 , data che si legge sulla moneta d' argento.
Dove questa e l'altra in oro siano state battute non risulta
in modo chiaro; ritengo però che i loro conii siano opera
di quegli artefici girovaghi , i quali si mettevano al ser-
vizio di chiunque intendesse di far lavorare principal-
mente pezzi contraffatti alla moneta che in un dato luogo
aveva miglior corso, cercando solo che e tipo e leggende
fossero combinate in modo da lasciar travedere il meno
possibile l'inganno, cosa che, se ora ò difficile ad ottenere,
era assai facile nell'epoca di cui trattiamo. Più che un vero
diploma di concessione della zecca, sino a prova contraria,
credo però si tratti d'un puro abuso d' un diritto sovrano,
spediente questo di cui forse il nostro Falletti si valse per
poter più facilmente mantenere i soldati che aveva a' suoi
ordini , sapendosi in modo preciso che in Francia ed in
Spagna a que' tempi le paghe correvano tutt' altro che re-
golarmente, e le truppe per lo più vivevano a spese delle
popolazioni vinte , quando non trattavano con eguale im-
parzialità amici e nemici. Ma che più probabilmente siano
i pezzi in discorso usciti da officine di Germania ed ivi
abbiano avuto corso, mettendovi talora lo stemma vero del
casato e talora uno immaginario come sull'oro (se pure non
ò un quarto dello stemma dei Garesana di Carisio, di Ver-
celli, coi quali forse potè il nostro Falletti aver vincolo di
parentela), ne ho una prova nel fatto che lo scudo che solo
sinora si conosceva non trovasi inserto se non in Tariffe
dei dominii di Carlo Y, quali Gand, Anversa e Amsterdam,
e la moneta d'argento ora per la prima volta ci viene da
quella regione, e nulla ha che fare con quella di puro tipo
136 V. PROMIS - MONETE DI GIO. BATTISTA FAl.LETTI, ECC.
italiano, mentre si accosta alle numerose contraffazioni te-
desche e svizzere. Ciò proverebbe pure la loro rarità come
accade per altre di consimile provenienza ; rarità che sa-
rebbe confermata dall'aver il Falletti verso il 1560 abban-
donato il servizio imperiale per passare a quello di Francia,
cadendo cosi in totale disgrazia presso Carlo Y, che tosto
lo privò dei due principali suoi feudi di Benevello e Mom-
barchero , dei quali fu gratificato il capitano spagnuolo
Alvaro de Sanchez.
Vincenzo Promis,
RIVISTA ITiLUM DI HUHISHATICA
ImlII.WO. T» III.
T. mns. ■ nuli luuu ii rum i u unii.
T. Fioiis ' iGitn 11 911. ntiuti FUiim oiiii « bwtiuo.
( Anko III . Fasc. I )
^^i^: /;f.v' V"r^.^ '.
MONETE DI 010. BATTISTA FALLETTI CONTE DI BENEVELLO
137
GIACOMO FALLETTI
Signore di Pocapagli», 1800
PlETRINO
Big. di Racconlgi,
La Volta,
La Morra, Barolo
1840
I
Leone
Sigr. di Rnffia
1325-1345
Conùgnore
di Pocapaglia
SlMONDINO
Sie. di Villa
e votignasco
1337-1340
Emanuele
Sig. di Vilianova
1325-1345
Giovannino
Coosignore
di Rama, ecc.
1366-1889
I
Corrado
Big. di Vilianova
1360-1378,
gi& t 1407
Antonio
1890-1402,
già t 1423
I
Giorgio
1409-1488,
già t 14^
Corrado
Bernardo
1442-1483 investito di parte
di Benevelio
per
compera da saoi cugini
Giovanni
1437-1467
I
Filippo
1473, gi& t 1528
Giovanni
1473
>. Pi]
GlO. JblLIPPO
cede nel 1528 al fratello
i suoi diritti
I
GIO. ANTONIO
1520-1530, già t 1554.
Nel 1530 acquista in Asti
da Andrea ano engino
la sna parte di Pocapaglia.
Nel 1529
compare come Conte di Benevelio
Gio. Battista
1554
Conte di Benevelio
NB. Questa genealogia , tutta tratta da documenti e da manoscritti ,
contiene solamente le persone che provano la discendenza ed i possessi di
Giacomo Falietti sino al figlio di Gio. Antonio , in cui pare la linea sua
siasi estinta.
|8
LODOVICO CHIERICATI (^>
Alfredo Armand nel terzo volume dell'opera : Les MédaiU
leurs Italiens des quinzième et seizième siècles , dà notizia
d'una medaglia della sua Collezione, raffigurante Lodovico
Chiericati, Arcivescovo d' Antivari e Primate della Serbia ,
nato nel 1482 e morto del 1573, in età d'oltre novant'anni. Il
rovescio difetta di leggenda : nel dritto sta scolpito : LVDO-
VICI • CLERICATI • ARCHIEPISCOPI • ANTI • (2). Io non so se il
dotto francese ignori che il Chiericati era vicentino ; ben
ò a credere non sia giunta fino a lui la notizia della rara
perizia, onde il Prelato, insigne per pietà e per dottrina,
sapeva trattare il disegno, la stecca e il punzone. Non è
detto da chi apprendesse l'arte se pure non gli era maestro
il celebre Valerio Belli, nato in Vicenza nel 1468. È certo
però che i due valent'uomini erano stretti d'intima dime-
stichezza ; e che del Belli ammiravasi, fino a mezzo il se-
colo decimo settimo, un busto in gesso, modellato dall'Ar-
civescovo. Era il busto, custodito in quel prezioso Museo
de' Gualdo (3), che fu disperso, non si sa come, da circa
duecent'anni. Del raro valore del Chiericati nell'arte del
modellare rimane ancora, posseduto dagli eredi del Conte
Andrea Piovene , morto nel gennaio del 1889 , un tondo
in gesso dorato, sottratto per miracolo alla vandalica di-
spersione. In quel tondo è rappresentata tutta la Passione
di Gesù Cristo in cento e venticinque figurine, campeg-
(1) Dal Periodico ArU e Storia dol 6 dicembre 1889.
(2) ÀRMAND. Lea Médailleura Italims, Tom. IIL pag. 284 A. Paris, 1887.
(8) N. Basilio. // Museo Gualdo. Yiconza, 1854.
140 BERNABDO MORSOLIN
gianti in vari riparti e arieggiane per atteggiamenti e per
pose alle stupende storie del Ciborio, in cristallo di monte,
del Belli, custodito nella Galleria degli Uffizi.
Nulla si conosce, invece che attesti la valentia del
Chiericati nell'arte de' coni. Ma ch'egli vi si esercitasse, si
rileva , mi pare , da un luogo del Testamento rogato il
6 aprile del 1557 dal Notaio Matteo Dal Buso. In esso il
buon Prelato dichiara di lasciare al fratello Cesare, ai ne-
poti Chiereghino e Princivale e al consanguineo Valerio
Chiericati a tutte le medaglie d'oro e d'argento in una agli
altri coni v di sua proprietà (1). E più esplicite ancora
sono le testimonianze, che si possono desumere da certi
elenchi e da certe descrizioni, parte edite e parte inedite
del Giardino e del Museo de' Gualdo in Vicenza : descri-
zioni ed elenchi, compilati da chi, vivo ne' primi decenni
del secolo decimo settimo, poteva aver conosciuto di per-
sona il Chiericati, o ricevutane notizia , per lo meno, da
coetanei di lui. In una descrizione di Girolamo Gualdo è
detto che u non ostante ch'egli (il Chiericati) fosse Arci-
vescovo di Antivari e Primate di tutta la Servia, con le
obbligazioni di una rigorosa vita, che sempre usò, come
vero Osservante di san Francesco, egli sempre disegnò,
scolpi, intagliò et improntete pulitamente n. E più avanti
si soggiunge che nel Museo Gualdo si conservavan del
Chiericati a un impronto del Salvatore dorato, molte me-
daglie di Casa d'Este et altre cose belle » (2). Io non dirò
per questo che la posseduta e illustrata dall' Armand, dove
(1) < Item legavit ÌILàg.^^ et Bey.do D.do fratri Caosari ipsinm B.mi
D.ni Tostatoris fratri ; necnon d.nis Choreghino ot Prìocivali fratrìbas ne-
potibas saia et filiis Mag.^^' d.ni Gregorii de Cloricatis ipsias B.ini D.ni
Testatoris fratrì, et generoso Eqaiti d.no Valerio, Alio q. alterias d.ni Va-
lerli de Clerìcatis nobilis Vicentini omnes modaleas anri et argenti cum,
aliis stampis ipsins B.mi D.ni di?idendas et dividendis in tres partes >.
Msc. nelPÀrch. Not. di Vicenza.
(2) Girolamo Gualdo. Giardino de Cha Gualdo^ Msc nel Cod. CXXVII.
Classe IV della Marciana.
LODOVICO CHIERICATI 141
il Prelato à rappresentato per un a busto a gauche, iéto
nue, longue barbe, vétu du camail » sia lavoro del Chieri-
cati : ma perohò non si potrebbe congetturare , eh' essa
uscisse dal punzone di lui, per non dire del Belli, che gli
era stretto di cosi viva e cordiale amicizia?
L'Armand, od altri , eh' io sappia , non ha neppur so-
spettato ohe il buon Arcivescovo di Antivari, morto, come
attesta un suo contemporaneo (1), in odor di santità, po-
tesse esercitarsi nell' arte de' cont. E perciò va da se che
nessuno s'argomentasse d^ndagare con quali sigle segnasse
egli l'opere sue. Nò io, porgendo questa qualsivoglia notizia
dell'artefice ignorato, mi proverò a indovinare ciò che nes-
suno s'è neppure sognato. Mi permetto soltanto una con-
gettura. L'Armand illustra una medaglia del gabinetto di
Francia in onore di Pompeo Oonestabile con le sigle
L. 0. (2) a Peut-étre, dit M. G. Milanesi, est-oe Lorenzo Oor-
bolini orfèvre romain, lequel eut la charge de graveur de
la monnaie romaine pendant les primiòres années du rógne
d'Alexandre VI n (3). Perchè nelle sigle L. 0. non si po-
trebbero riconoscere le iniziali di Lodovico Ohiericad, che
fioriva, se non contemporaneamente, certo a poca distanza
del Oorbolini? E la congettura parrebbe tanto più ragio-
nevole, da che l'Armand non dà notizia alcuna del tompo,
in cui ebbe a fiorire il Conestabile, il quale potrebbe anche
esser vissuto alcuni anni più tardi della fine del secolo de-
cimo quinto, quando fioriva appunto il Chiericati. Comunque
m'è grato d'additare agli studiosi della storia della numi-
smatica in Italia un artefice, il cui nome è avvolto, forse
con tanti altri, nelle tenebre della dimenticanza.
Bernardo Morsolin.
(1) a. Marzari. HUtoria di Vicenza, Libro II, pag. 197. Vicenza, 1590.
(2) Tom. I, pa?. 107.
(3) Tom. Ili, pag. 84.
GIROLAMO GUALDO ^'^
Fra le medaglie illustrate dall'Arni and (2) ve ne ha
nna in onore di Girolamo Gualdo, nato in Vicenza nel 1492 e
mortovi nel 1566. La medaglia, già illustrata dal Mazzuc-
chelli, reca nel diritto il -busto del Gualdo colla testa scoperta,
la fronte calva, la barba al mento e all'ingiro la leggenda :
HIEROMINVS • GVALDVS • PROTONOTARIVS • APOST • Sono
scolpiti nel rovescio una tartaruga e un delfino, attaccati
Tuna e l'altro per la coda e indirizzantisi in senso opposto
per. la superficie del mare con la leggenda : INTER *
VTRVNQVE * Il Gualdo, vissuto buona parte degli anni in
Boma ai servizi del Card. Pompeo Colonna, si ritrasse,
già nel pieno della virilità, in patria ; dove. Canonico della
Cattedrale, attese a' begli studi, dilettandosi a un tempo
d'opere d'arte. Il suo nome, non dimenticato del tutto per
alcune orazioni e meno ancora per una serie di rime, parte
edite e parte inedite, si collega sopra tutto a quella pre-
ziosa collezione di pitture, di sculture, di disegni, di me-
daglie e d'altri cimeli, che costituivano il Museo Gualdo,
disperso avanti i primordi del secolo decimottavo. In Vi-
cenza fu intimo a' più insigni dei suoi concittadini, il Belli
e il Trissino. Il Belli, morto nel 1646, nominavalo tra i
suoi esecutori testamentari; ed ò a credere che alcuni dei
cimeli d'arte, onde adomavasi la collezione dell'insigne
incisore, chiamata a uno stupore n dal Vasari, passassero nel
Museo Gualdo. Tanta amicizia potrebbe far sospettare, di
(1) Dal Periodico Arie e Stona del 81 dicembre 1889.
(2) Lea Médailleura itaìiena, Tom. II, pag. 177, Paris, 1888.
GIROLAMO GUALDO 148
primo tratto, clie la medaglia in onore di Girolamo, illu-
strata prima dal Mazzacchelli e poi dall' Armand, uscisse
dal punzone del celebre Vicentino : e il sospetto potrebbe
anche pigliar forma di ragionevole congettura, quando non
sorgesse di mezzo un'altro fatto.
In Vicenza nasceva nel 1567, un anno dopo la morte
del Gualdo, Camillo Mariani. Di lui lasciava memoria Gi-
rolamo Gualdo, un pronipote del Protonotario, vissuto in
sui primordi del secolo decimo settimo. Il Mariani, scrìveva
tt fece molte opere nella città n di Vicenza u et in Venetia; »
ma tt perfettissimo divenne in Boma nella pittura, scoltura
et architettura, come ne dimostra chiaro l'adornamento
della Cappella Paolina in Santa Maria Maggiore, dove anco
fu sepolto e da Monsignor Gualdo juniore gli fu scritto
quell'epitaffio, in nome d'un suo discepolo, che dice : — Cor
millo Mariano Vicentino architecio , pictori, scuìptorique
insigni, qui dum vete^mm gloriam aemulatur, satis eos
acquasse constai. Inventionibus acer, nianu excellens, prin^
cipibus charus, hominibus eiusdem artis acceptior, complu-
res Italiae urbes monumentis ipsiits clariores reddidit, felix
quod Summorum Pontifìcum Clementis Vili et Pauli V in
exornandis almaj Urbis Basilicis primariis voto vel imple-
verit, vel superaverit. Paschalis discipulus in admirationem
verae laudis magistro et civi suo e. p. (1). — E il Museo Gualdo
(1) Girolamo Gaaldo, Giardino di Cha Gualdo {1650) Msc. Cod. XXYII.
ci. IT. nella Marciana. Oltre il detto, recansi nel Giardino altri epitaffi e
dae sonetti in lode di Camillo, i quali erano stati affissi al sepolcro.
Mi sia lecito rìprodarre Pepitaffio: Camillo Mariano Vicentino sculpiori
eximio, picturae et arehitecturae peritissimo. Quantum fuerit futurusque
fuisset, si 44 annorum non decessisset, ejus opera hic et alibi demostrant,
Moritur Paulinam in Exquiliis excolens structuram a. 1611. Vale, optime
Prasceptor.
Hospes, ades pammqne venerare sepalchrom :
Est etonim magni faneris nma capax.
Hic iacet insignis non una lande Camillns,
Millo modis yivnm qui simnlatnr opus,
144 B. MORSOLIN - GIROLAMO GUALDO
possedeva di Camillo parecchie medaglie, a Le sue opere
presso di me, scriveva nel 1650 lo stesso Girolamo, sono
in medaglie pulitissime : — Aulo Cecina Capitano generale
di Vilellio — Gallo Poeta Vicentino — Palemone oratore
(sic) — Alferisio Conte di Vicenza — Alberto Marano Vi-
cario Imperiale — Giovanni da Schio Oratore — Girolamo
Gualdo Cavaliere Protonotario Apostolico (1) ».
Non lascio d'avvertire che l'impresa inter utrumque
era la scelta secondo il vezzo del secolo decimo sesto, dal
Protonotario medesimo, la quale vedevasi scolpita anche
nella casa, dove raccoglievasi il prezioso Museo.
Bernardo Morsolin.
Doctns erat liquidis animare colorìbus ora ;
Scalpore sic marmor, marmor ut esse nogcs.
Aspice qaae erezit miranda palatia, dicos
Arte Syracnsìum iam superasse senem.
Dam Lachesìs namerat laudes, non respiclt annos ;
Sic nocat hnnc iayenem, qaem patat esse sonom.
Questi epitaffi sono portati, con gravi scorrezioni anche dal Barbarano
nella sna Historia Ecclesiastica di Vicenza, Lib. IV pag. 413 e 414, edita
in Vicenza, nel 1760.
(1) // Giardino di Cha Gualdo, loc. cit
VITE
DI
ILLUSTRI NUMISMATICI ITALIANI
V.
P. IRENEO AFFO'
In un antico feudo de' Pallavicini, regnante Filippo
fratello di Carlo Borbone, in Busseto a 29 chilometri da
Parma, il giorno 10 dicembre 1741, nacque Davide Afifò.
Figlio a Pietro ed a Francesca Dalle Donne, fino dalla
fanciullezza rivelò una inclinazione molto spiccata al di-
segno ed alla poesia. I genitori, oscuri, ma onesti cittadini,
onde secondare il suo genio cercarono d'avviarlo all'arte e
fecero opera di collocarlo nella scuola di Pietro Balestra
rinomato pittore di quel tempo. Ma questo artista non volle
saperne di aderire alle loro richieste, avendo risoluto da tempo
di chiudere la sua scuola, perchè disgustato de' suoi allievi.
Allora il padre, deciso a non lasciar soffocare nell'ignoranza
le belle doti del figlio, destinoUo allo studio delle lettere,
inviandolo a Soragna presso una zia materna , perchè vi
fosse iniziato in quelle scuole alla coltura del latino e dei
classici antichi. Varcati i tredici anni, richiamato in patria
Davide continuò nei pubblici istituti di Busseto i suoi
studi, passando di grado in grado ai più elevati della let-
teratura e della filosofia. Suo maestro fu B.onafede Vitali
medico e coltissimo bussetano, col quale l'allievo si strinse
di riconoscente affetto, che non cessò in lui che colla vita.
A diciassette anni il discepolo lesse il suo primo lavoro
«9
146
e. LUPPI
poetico, un carme a Maria Assunta, con plauso generale,
talchò fu aggregato bIV Accademia de* Pastori Emonii col
pseudonimo di Enargo Assioteo. La fama conquistata dal
giovane poeta, suscitò la gelosia di un emulo, clie lo morse
con un sonetto. L'Affò di natura sdegnoso, non seppe tol-
lerare le punture dell'avversario, e gli rispose con un ca-
pilolo non meno mordace. E cosi dichiarata aperta guerra
al suo nemico, fatto ritorno all'antico genio, che in lui
durò sempre vivo per l'arti imitative, ritrasse sopra una
tela un satiro, che con una forbice di legno s'argomentava
di tagliare un ferro, con sotto l'anagramma del nome arca-
dico dell'emulo, ed alcuni versi allusivi. Poi, vestitosi alla
foggia de' pittori, percorse le vie di Sasseto, mostrando a
tutti il Satiro e l'epigramma, sollevando con ciò le risa
de' suoi concittadini. Troppo aspra fu questa vendetta ; se
n'accorse presto anche l'Affò, e calmatosi in lui lo sdegno,
si propose per l'avvenire di stare in guardia sopra sé stesso
per non più cadere in simili eccessi. Un anno dopo, rivoltosi
con passione al culto della religione e della morale compose un
poemetto che intitolò la Fuga dal mondo, preludio del cam-
biamento profondo che effettuavasi in lui e abbandonatosi
a quel sentimento di ascetismo che diventava in lui sempre
più vivace, malgrado la ripugnanza del padre, solitario e
pedestre si trasferi a Bologna, e bussando alla porta del
oonvento dei padri Minori Osservanti, cercò presso di loro
la pace dell'anima sua. L'accettarono que' frati e l'inviarono
a Busseto, sua patria, a fare il noviziato. Mantenutosi fermo
nella sua risoluzione, tocchi appena i vent'anni, pronunciò
i voti solenni, assumendo il nome di Padre Ireneo. Quivi
però, nel convento, in luogo di trovare la pace e la tran-
quillità che aveva tanto bramato , incontrò invece altri
emuli, non meno fieri del primo, invidiosi del suo ingegno
e della fama che s'era acquistata. Non per questo l'Affò si
penti della scelta del suo nuovo stato, e non badando alle
piccole traversie, si diede con maggior ardore a coltivare il
suo ingegno, perfezionandosi nella filosofia nell'Istituto di
Parma, e nella teologia in quello di Bologna. A vent'un
anni fu promosso sacerdote. Da questo momento avendo
P. IRENEO AFFÒ.
[
Ai) Te
^"^ i-w^.,.,, .,
- 1
VITK DI ILLUSTRI NUMISMATICI ITALIANI 149
maggior agio a frugare nelle biblioteche di cui andavano
doviziosi i conventi dell'Ordine, intraprese la scoperta di
preziosi codici che ivi erano giaciuti fino allora inesplorati,
ne corresse e ne diede in luce parecchi. Nel 1766 allar-
gando le sue indagini alle cronache e ai documenti d'ogni
genere, ne faceva oggetto delle sue meditazioni, infon-
dendo nuova vita agli studi letterari, con erudite pubblica-
zioni che riscuotevano il plauso universale dei letterati e
dei dotti. Secatosi per diporto in patria ordinò la librerìa
del suo convento di Busseto, e ne compilò il Catalogo. Si-
mili cure estese alle biblioteche dell' Ordine, in Bologna e
Ferrara. Maturo di studi e ricco di svarìate cognizioni, con-
corse alla cattedra di filosofia nel convento di Parma. Al-
lora appunto nel 1768, per la caduta de' Gesuiti, era rimasta
vacante quella di Guastalla; a questa, per le raccomanda-
zioni del celebre Padre Paolo Maria Paciaudi, fu eletto
professore 1' Affò. In quell' anno stesso l' Affò diede in
luce il suo Dizionario della poesia volgare] poco di poi,
avendo scoperto fra i codici di Santo Spirito in Reggio, un
antico manoscritto di Angelo Poliziano, l'Affò ridotta la fa-
mosa tragedia dell'Orfeo alla sua genuina integrità e per-
fezione ne curò la stampa dottamente illustrata. Dimorando
in Guastalla richiamò a nuova vita l'Accademia degli Ine-
sperti, ivi fondata più d'un secolo prima, e per l'amore del
luogo, datosi alle ricerche erudite intomo a quella città,
scrisse dell'oriamo e della storia di Guastalla^ àeW antichità
della sua Chiesa^ e della zecca ivi aperta dai Gonzaga.
Nel 1773 il Paciaudi, ammiratore dell'ingegno e della dot-
trina dell'Affò, propose al Duca Filippo di Borbone la no-
mina del padre Ireneo a bibliotecario della Parmense, ma
alla caduta del ministro Dutillot, il Paciaudi abbandonata
Parma, si ridusse a Torino, non cessando di mantenere
coli' Affò, una corrispondenza continua ed affettuosa. Non
trascorsi però cinque anni, richiamato il Paciaudi dal Duca
insistendo egli nella sua proposta, l'Affò ottenne l'ambito posto
di Vicebibliotecario. Nel frattempo l'Affò non aveva intrala-
sciato le sue pubblicazioni, che si succedevano l'una al-
l'altra, e fra queste, come più notevoli o interessanti, la vita
150 e. LUPPi
di Pier Luigi Farnese^ quelle di Luigi Gonzaga detto Ro-
domontej di Vespasiano duca di Sabbioneta e d'Ippolita
pure ambedue dell'illustre famìglia Gonzaga, del Cardinale
Sforza Pallavicino, ed altre molte. Riconoscente verso il
Duca per l'onorifico incarico ottenuto di Yicebibliotecario
della Parmense, rifiutò la prefettura della Biblioteca di
Brera di Milano offertagli dal celebre Conte Carlo di Fir-
mian, in quel tempo governatore della Lombardia. Eletto
De finitore generale dell'Ordine, raddoppiò la sua prodigiosa
attività per non mancare agli obblighi contratti verso i suoi
fratelli, e continuare in pari tempo le svariate e innumere-
voli scritture, che uscivano dalla sua penna sempre feconda
e inesauribile. Tra queste molteplici pubblicazioni , ci
occuperemo solo di quelle concernenti i nostri studi. Tali
sono : L II Trattato della zecca di Guastalla ; 16 marzo 1779 ;
II. Le Lettere intorno al diritto conceduto alla Casa Gonzaga
di battere moneta in tutte le terre da essa possedute nella
Diocesi di Cremona e nella Contea di Rodigo colla spiega-
zione delle monete che uscirono specialmente dalle zecche
di Sabbioneta, Pomponesco e Bozzolo ; 3 aprile 1781 ; III. Le
monete de* Gonzaghi principi di Castiglione delle Stiviere,
e Signori di Solferino, illustrate colle memorie genealogiche
della stessa famiglia; 15 maggio dello stesso anno 1781.
IV. Lettera al Signor Guid^ Antonio Zanetti intomo la zecca
e le monete di Novellara] 11 settembre dello stesso 1781.
Queste erudite Dissertazioni furono dal sunnominato Zanetti
inserte nel volume terzo della sua celebre Opera : Nuova
raccolta delle monete e zecche d^Italia uscito in luce a
Bologna dalla stamperia di Lelio della Volpe l'anno 1789.
Poi cbe l'Affò ebbe dato l'ultima mano ai succitati lavori,
gli venne desiderio, per completare i suoi studi, di visitare
gli archivi e le biblioteche d'altre città importanti della
penisola, e nel settembre dello stesso anno 1781, intra-
prese il viaggio alla volta di Boma, senza renderne av-
vertito il Paciaudi , suo superiore. In Boma l' Affò ebbe
un'udienza particolare dal papa Pio VI, e festeggiato dai
dotti, e letterati di quella metropoli gli furono aperte
le porte di tutti gli istituti letterari e scientifici; fu
VITE DI ILLUSTRI NUMISMATICI ITALIANI 151
- — __--■- ■___ — ■_,.
accolto con onori nelle famose Accademie degli Arcadi
e degli Occulti^ ne fu annoverato tra i soci. Nel feb-
braio dell'anno seguente , 1782 , continuò il suo viaggio
alla volta di Napoli, dove però non potò, come bramava,
esaminare con agio la Biblioteca di Capo di Monte, perchò
imminente allora il trasloco di quella celebre libreria. Ri-
trattosi in patria, quivi non fu accolto coli' usata cordialità
dal Paciaudi, il quale serbava verso di lui un certo ran-
core, non ancor sopito, per quella sua improvvisa e non de-
nunciata partenza da Parma. G-li eruditi suoi lavori che
andava continuamente pubblicando, gli valsero la nomina a
socio corrispondente dell'Accademia Clementina di Bologna.
Ma, stanco per la succeduta freddezza del Paciaudi, e forse
più per le diuturne occupazioni della mente e del corpo,
vennegli in pensiero di ritirarsi in qualche angolo remoto
d'Italia per godersi gli ultimi giorni della vita in pace, col
modesto emolumento guadagnato in tanti anni di fatiche,
quando gli giunse l'annunzio della repentina morte del
Paciaudi. Ne senti dolore sincero e profondo, e ne difese
la fama contro i postumi detrattori. Succedutogli nel posto
elevato di B. bibliotecario il 17 marzo 1785, attese tosto
con ardore ad accrescere sempre più il decoro e la prezio-
sità di quella insigne biblioteca. In pari tempo pose mano
alla pubblicazione del primo volume della Storia di Gua-
stalla cui tennero dietro nei seguenti due anni gli altri tre
volumi ; nel 1787 diede principio alla compilazione delle Me-
morie degli Scrittori e Letterati parmigiani^ il primo tomo
delle quali apparve nel 1789 coi tipi nella R. Stamperia.
Dopo altri meno importanti lavori, in quello stesso anno
fa pubblicare dallo Zanetti in Bologna la Zecca e moneta
parmigiana illustrata^ inserta nel V volume della Nuova
Raccolta delle monete e zecche d'Italia. Altro lavoro di
questo infaticabile scrittore, e che interessa al pari degli
ultimi citati qui sopra i nostri studi e non da passare sotto
silenzio, è V Illustrazione di un antico piombo del Museo For-
giano di Velletri appartenente alla memoria ed al culto di San
Genesio vescovo di Bruxelles con appendice di documenti,
stampata a Parma il 1790 coi tipi del Carmignani, dove a
152 e. LUPPi
pag. 40 discorre della zecca di Brescello e nellia seguente dà
l' impronta di tre monete di qnell' officina fino allora quasi
sconosciute. Nominato Ecc De finitore generale^ poi De finitore
generale, 1791, diede in luce il suo celebrato Saggio sulla tipo-
grafia parmense e il primo volume della Storia della città di
Parma, che fu poi seguito dagli altri tre, che giungono fino
all'anno 1346. Nell'aprile del 1797 si recò in patria nel suo
convento per godervi un po' di riposo ; ma questo non fu per
lui, come dice il suo biografo Pezzana, che il preludio del
riposo etemo. Nell'esercizio de' suoi doveri sacerdotali, cioè
mentre prestava gli ultimi uffici ad una ammalata. Bar-
bara Ponticelli, affetta da violenta febbre petecchiale, l'in-
ferma inconsciamente gli trasfuse il morbo letale, che svi-
luppatosi con rapida intensità, ad onta della cura sapiente
ed a£Eettuosa del medico Bonafede Vitali, che quarant'anni
prima aveva creata la vita letteraria dell'Affò, ancora nel
fiore della vita dovette soccombere alla forza del male e il
buon medico non potè altro che ricevere gli estremi aneliti
dell'uomo, ch'egli aveva si bene incamminato sulla via del-
l'onore e della celebrità. Dopo sette giorni di febbre, il
Padre Ireneo Affò mori rassegnato in mezzo al compianto
de' confratelli, che circondavano il suo letto, e pregavano
la pace etema a lui, che la fatica in vita non aveva mai
potuto domare. Tutta Busseto ne senti dolore ; il mesto an-
nunzio tosto si diffnse anche a Parma, e troncò in un attimo
le piccole e sorde gare che avevano troppo spesso turbato
la vita dell'infaticabile scrittore. Le sue esequie furono ce-
lebrate con mestissima pubblica solennità.
Qualche anno prima il valente incisore Weber aveva
coniato una bella medaglia in onore dell'Affo.
Questi cenni sulla vita del Padre Ireneo furono tratti dalle
Memorie degli Scrittori e letterati parmigiani raccolte dal padre
Ireneo Affò e continuate da Angelo Peezana. In 4*, Parma tipo-
grafia ducale. La prima parte 1823 del tomo sesto di quest'opera
contiene la vita dell'Affò scritta dal Pezzana. — Biografia degli
VIIB DI ILLUSTRI NUMISMATICI ITALIANI 153
Ihliani Illustri nelle scienze^ lettere ed arti del secolo XV III e dei
contemporanei^ compilata da letterati italiani di ogni provincia e
pubblicata per cura del professore Emilio de Tipaldo. Volume nono.
Venezia 1844 ; in 8.* — Biographie unioerselle ancienne et moderne.
Ouvrage redige par une soeiété de gens de lettres et de Savants
Tome premier. Paris, 1343, in 8'; pag. 209. — Zanetti Guid' An-
ton io : Nuova raccolta delle monete e Mecche d'Italia, Bologna 1783,
e 1789; voi. Ili e V. Ai^elo Fava: Dijfionano storico-mitologico-
geografico Torino 1856, parte I, pag. 25. — Oiusepi^e Mafpei : Storia
della letteratura Italiana. Firenze, 1853, voi II, pag. 192. — Le
Stanne, l'Orfeo e le Rime di Messer Angelo Ambrogini Polisiano
ritedute su i codici e su le antiche stampe e illustrate con annota-'
eioni di varii e nuove da Oiosuè Carducci. Firenze, 1863 ; pag. 163.
— La città di Busseto capitale un tempo dello Stato Pallavicino. Me-
morie storiche raccolte da Emilio Seletti. Milano, 1883. Voi. II, pa-
gine 191-205.
C LuPiM.
T
30
NKG ROLOGIE
VINCENZO PROMI8.
Un eradito, altrettanto modesto quanto valente, erede
di un nome celebre, di cui aveva saputo mantenere la fama
coi propri scritti e colla esemplare integrità della vita, —
il Comm. Vincenzo Promis, Bibliotecario di S. M. il Be in
Torino, — si spegneva il 19 dicembre u. s. dopo breve ma-
lattia, a soli cinquant' anni, quando appunto la scienza at-
tendeva da lui una sempre più copiosa messe di contributi.
Vincenzo Promis era nato a Torino il giorno 8 luglio
1839, dall'illustre Comm. Domenico e dalla Nobil Donna
Marianna Borbonese. Compiuti gli studi nella patria Uni-
versità, ne usci addottorato in leggi, e per qualche tempo
fu addetto al Ministero degli Esteri. Ma sopravvenuto poi
il trasferimento della capitale a Firenze, ed increscendogli
di abbandonare i genitori a lui sommamente diletti, ri-
nunciò alla carriera intrapresa, ed ottenne di essere ag-
gregato alla Direzione della Biblioteca e del Medagliere
Beale. I buoni studi di cui era fornito, i consigli ed i
preziosi ammaestramenti del padre, gli agevolarono la tran-
sizione deir ufficio, e già nel 1867 troviamo di lui, nella
Rcvue Numismatique di Parigi, una Rectifìcatiùn à un ar-
itele sur des monnaies obsidionales franco-iialiennes. L'anno
dopo, egli pubblicava una memoria Sull'origine della Zecca
Veneta, e, nel 1869, la sua opera più nota e più assidua-
mente consultata da studiosi di numismatica e raccoglitori,
le Tavole sinottiche delle monete battute in Italia e da Ita-
liani alV estero, che gli procacciarono fama ed autorità, e
156 NECROLOGIE
ch'egli più tardi voleva rifondere in una nuova edizione
ampliata, divisamente andato a vuoto purtroppo per la sua
morte immatura.
Alle Tavole sinottiche fecero séguito interpolatamente
vari altri scritti numismatici e sfragistici, dei quali il let-
tore troverà l'elenco qui appresso, scritti che attestano
come nel Promis rimanesse sempre vivo l'amore a queste
discipline, anche frammezzo alla multiforme sua attività
scientifica e letteraria ed alle cure delle numerose cariche
di cui venne meritamente onorato. Successo infatti al padre
nella Direzione della Biblioteca e dell' unito Gabinetto
Numismatico, egli fu pure Membro operosissimo della B.
Deputazione di Storia Patria, della Consulta Araldica, della
Commissione pei monumenti e scavi, della B. Accademia
delle Scienze di Torino, e di altri istituti e sodalizi, ed
attese inoltre con amore a svariate pubblicazioni d'argo-
mento storico, letterario ed artistico, dando prova di sin-
golare alacrità e di soda erudizione. Nell'adempimento del
suo ufficio di Bibliotecario, egli dimostrò poi una si intelli-
gente premura ed una si cortese e liberale afifabilità pei
visitatori, da rendere veramente incancellabile e caro il
suo ricordo.
Ed è caratteristico per la modestia di un uomo, cosi
largamente insignito di onori e di distinzioni, che la fa-
miglia desolata ed amorosissima di Vincenzo Promis non
abbia potuto rintracciarne un ritratto qualsiasi, come ave-
vamo chiesto per rendere meno inadeguato questo fugge-
vole cenno.
S. A.
KECKOLOOIB 157
PUBBLICAZIONI NUMISMATICHE E SFRAGISTICHE
DI
VINCENZO PROVIS.
Sull'origine della Zecca Veneta. Torino, 1868.
Tavole sinottiche delle monete battute in Italia e da
Italiani all'estero, dal secolo vii a tutto l'anno mdccclxvih,
ILLUSTRATE CON NOTE. TorioO, 1869.
Sigilli italiani editi ed illustrati. Tonno. 1874.
Su UNA MEDAGLIA INEDITA DI CaRLO EMANUELE I. TorinO 187S.
NOTICE SUR LES JETONS DE MARGUERITE DE BOUROOONE, DU-
CHESSE DE SAVOIE. Chambtfry^ 1875.
Su DUE MONETE DI Eamniskire Re DEI Parti. Torìno, 187G.
Bolla in piombo del secolo Vili. Torino, 1876.
Monete imperiali romane scoperte a Casalvolone presso
Novara. Torino, 1878.
Tessere di Princiiu di Casa Savoia o relative ai loro
antichi Stati, illustrate. Torino, 1879.
Filippo d'Este marchese di S. Martino e Lanzo, ed una
SUA MEDAGLIA INEDITA. TorinO, 1879.
Medaglia di Teresa di Liechtenstein moglie di Emanuele
DI Savoia Carignano conte di Soissons. Torino, 1880.
Su UNA tessera romana. Torino, 1880.
Su tre sigilli inediti del Piemonte. Torino, 1880.
Sulle monete di Castiglione de' Oatti. Torino, 1881.
Monete di Zecche italiane, inedite o corrette. Memoria
QUARTA. Torino, 1883.
Medaglia commemorativa della spedizione sarda contro
Tripoli nel 1825. Torino, 1885.
Moneta inedita di Pietro I di Savoia e pochi cenni
SULLA ZECCA PRIMITIVA DEI PRINCIPI SABAUDI. TorinO, 1888.
Monete di Gio. Battista Falletti, conte di Benevello.
Torino, 1888.
158 NECROLOGIE
IL MARCHESE DE MOLINS.
Sullo scorcio del 1889, la Spagna ha perduto uno dei
suoi cittadini più eminenti, V illustre diplomatico Marchese
de Molins. Alle qualità dell' uomo di Stato, egli congiungeva
una vasta erudizione e V amere più appassionato per la
storia e 1' archeologia. Coltivò pure la numismatica, e lasciò
una cospicua raccolta di monete spagnuole d' ogni epoca,
nonché di medaglie italiane del Binascimento.
O. F. O. METER.
Nello scorso ottobre è morto il direttore del Gabinetto
Beale dell' Aja in Olanda, Q. F. G. Meyer, benemerito di quella
importante collezione, da lui notevolmente accresciuta du-
rante il lungo periodo in cui tenne quell' ufficio.
G. W. WILSON.
A Gotemburgo, la seconda città della Svezia, è morto
un ricco ed intelligente mecenate delle arti e delle scienze,
Giovanni West Wilson, che aveva fatto a quel Museo molti
doni munificentissimi, anche di monete.
BIBLIOGRAFIA
LIBRI NUOVI.
Cataìogue of Grcek China. Pontus^ Paphlagonia^ Bithynia and the
Kingdom of Bosporus by Warwick Wroth. EJited by Reginald
Stuart Poole, L. L. D. — London, printed by order of tbo
trustees, 1889 (1).
Il Museo Britannico è certamente quello che meglio
intende le collezioni nel loro vero scopo , e che coi suoi
numerosi e accuratissimi cataloghi rende accessibili i suoi
tesori anche a chi non può avere la ventura di material-
mente visitarli. Il Volume, cui qui si accenna , pubblicato
alla fine dello scorso anno, ò il XXI di una serie di cata-
loghi illustranti diversi rami della sterminata collezione
numismatica del Museo Britannico.
Stampato colla solita accuratezza che distingue le an-
tecedenti pubblicazioni, è corredato di 39 bellissime tavole
in eliotipia. Se ci fosse lecito esprimere un semplice desi-
derio diremmo che forse a complemento dell'accuratissimo
lavoro, avrebbe servito ottimamente una carta geografica
della plaga comprendente le città di cui si descrivono le
monete. F. G.
(1) Mandato in dono alla liiriaUi (presoiitod by tho tmstoos of Bri-
Mi Maseam) 2") Gon. 1890.
160 BIBLIOGRAFIA
Su due Contromarche in monete romane. — Breve disanima del
Cav, Giovanni Fraceia. — Bologna, Società TipograOca già
Compositori, 1889.
Le due Contromarclie di cui si tratta non sono nuove.
La prima iPBON non è comune, e non è conosciuta che
per pochissimi esemplari ; la seconda NCAPB è forse la più
comune fra le contromarche romane; ma l'opuscolo del
cav. Fraceia è tutto rivolto ad una nuovissima interpreta-
zione che vorrebbe dare a questa seconda. Quanto ò detto
molto diffusamente neiropuscolo, possiamo riassumerlo in
poche parole, sfrondandolo di tutto ciò che col soggetto
non ha diretta attinenza, e che anzi, essendo molto sogget-
tivo e personale, avremmo voluto omesso anche dalV opu-
scolo stesso.
La prima delle due Contromarche iPEON fu già dal
Saulcy e da altri attribuita ad Apronio monetario sotto Au-
gusto. Dall'essere tale Contromarca stampata su di un se-
sterzio di bronzo della famiglia Quinctia, contemporaneo
ad Augusto, l'autore ne trae come conseguenza, attribuen-
dovi, secondo noi e secondo il prof. Pais, una soverchia
importanza, quella di stabilire che Apronio fu monetario
sotto Augusto e non sotto Giulio Cesare. Sta bene che questa
ne sia una prova; ma a stabilire il medesimo fatto ne
abbiamo già un'altra, secondo noi più forte e più sicura,
nel tipo delle monete. Può sempre rimaner dubbio che la
contromarca iPBON sia precisamente stata applicata da
Apronio triumviro monetario e che abbia veramente questo
significato invece di qualunque altro, mentre invece il tipo
delle monete d'Aprpnio è cosi identico a quelle degli altri
triumviri monetarii Gaio, Messala e Sisenna suoi confra-
telli sotto Augusto, che sarebbe assolutamente impossibile
collocarle ad altr'epoca e assurdo addirittura sotto G. Cesare.
Altra conseguenza poi che l'A. vorrebbe trarre dall'in-
terpretazione della prima è una nuova interpreta^ùione della
seconda contromarca. Dopo aver citato e scartato alcune inter-
pretazioni molto arbitrjtrie e che non vale neppure la pena
RIBUOGOAFIA 161
di confatare, ma senza citare quella ragionevolissima e
ormai comunemente ammessa come la vera, ne propone una
nuova affatto e che sarebbe la seguente:
Nummus (o Numerua) Cohortis (o Cohortes o Cohortium)
APBoni (o APBoniae o APBonianae o APBonia-
narum)
e, trovando cosi un nesso fra l'una e l'altra contromarca, fa
servire Tuna ad appoggio dell'altra. Sta però a vedere so
seriamente tale spiegazione possa essere accettata e se abbia
un fondamento razionale.
Lasciamo da parte diverse piccole ragioni che vi sa-
rebbero da opporre e fermiamoci a quelle due sole che ci
sembrano le più gravi. Nessun documento storico ci aj)-
prende l'esistenza di una Coorte Aproniana ; non è un var-
care i limiti possibili dell'induzione il voler creare una
Coorte al solo scopo di dare la spiegazione di una contro-
marca, tanto più quando ne abbiamo già una che pare assai
più naturale ? E poi come spiegare il ripetersi di questa
stessa contromarca sui bronzi di Claudio portanti la data
dell'anno 41 d. C. mentre la prima contromarca d'Apronio
sarebbe del 12 a. C. anteriore cioè di 53 anni ? É vero che
l'A. con uno sfoggio grande d'erudizione ha raccolti tutti
i dati storici relativi a quest'Apronio, ed è riuscito a pro-
vare che materialmente la cosa non era impossibile, perchà
nell'anno 41 appunto Apronio finiva la sua carriera come
Governatore della Germania. Data però anche questa possi-
bilità materiale, ben diversa dalla probabilità, e dato, come
ognuno sa, che i bronzi contromarcati di Claudio come
tutti in generale quelli portanti contromarca sono di pessima
conservazione, come si può spiegare che i detti bronzi di
Claudio fossero già frusti e avessero perciò bisogno di una
contromarca nell'anno stesso in cui venivano battuti ?
Non è assai più ovvia l'antica spiegazione della con-
tromarca in questione Nero Caesar Aug. PRobavit? L'A.
citando, come s'è detto più sopra, parecchie delle interpre-
tazioni della contromarca NCAPR, e scartandole facilmente
ad una ad una, ha taciuto a bella posta, (in una persona tanto
31
Ì62 BrBLiooaAFi\
erudita non possiamo ammettere l' ignoranza di una cosa
tanto ovvia), l'interpretazione ora accennata per rendere la
sua più facilmente accettabile ; ma quanto a noi confes-
siamo francamente che vi ci atteniamo fino a che prove più
convìncenti di quelle portate dall'A. non ci persuadano ad
accettarne un'altra.
Antiche monete Siciliane pubblicate pel primo dal Cav. Giovanni
Fraccia. — Estratto dal Giornale II Buonarroti. Serie III, Voi. Ili
Quaderno IX 1889 e Quaderni 1890. —
L'Autore riunisce in questo Opuscolo tutte le monete
Greche inedite da lui già pubblicate in quattro precedenti
Opuscoli e ve ne aggiunge alcune altre portandole cosi al
complessivo numero di 332.
Non intendiamo qui entrare ad esaminare partitamente
e singolarmente le monete descritte ; ma facendo il dovuto
plauso al ricco contributo che l'autore porta al Corpus
nwnorum^ e pel quale la scienza gli dovrà essere ricono-
scente, ci limiteremo a farvi due appunti suggeritici dal-
l'importanza della pubblicazione. E per prima cosa lamente-
remo la mancanza di tavole illustrative. Le pubblicazioni di
jnonete inedite, specie quando non si tratti solo di piccole
varianti, non dovrebbero mai mancare di questo corredo
importantissimo. Colle tavole dal vero si o£fre al lettore il
mezzo di controllare coi proprii occhi, sia l'interpretazione
delle leggende, che l'autenticità stessa dei pezzi descritti.
Per quanto grande sia la fiducia che il lettore ripone nello
scrittore, preferisce sempre poter fare lui stesso l'una veri-
fica e l'altra.
In secondo luogo poi non ci sembra molto opportuna
la scelta del Periodico in cui venne fatta la pubblicazione.
jI liuonarroli è un giornale storico-letterario e nella sua
qualità di storico potrebbe in qualche modo comprendere
anche la numismatica ; ma ora che nella scienza si tende a
tutto specializzare non crediamo che un giornale di lette-
ratura e storia possa avere lettori che si interessano alla
BIBLIOGRAFIA 163
Namismatica ; nò allorquando, fra un tempo che vorremmo
non troppo lontano nascerà chi vorrà rendersi veramente
benemerito allestendo il Catalogo generale della Numismatica
Greca, noi non crediamo che penserà mai a cercare gli ele-
menti per la sua opera nel Buonarroti.., a meno che queste
poche righe non glie lo suggeriscano.
L'autore stesso mentre nel cenno preliminare a pag. 6
riconosce come gli scritti numismatici pubblicati isolata-
mente 0 in giornali d' altr' indole vadano assai facilmenti
dispersi , nelP avvertenza alla pag. 1 dichiara d' avere di-
messo il pensiero di pubblicare il suo Opuscolo nella
Rivista Italiana di Numismatica , per a ragioni facili
tt a comprendere dalla lettura di esso, n E noi dal canto
nostro non possiamo che trovar giusta tale determinazione.
Alcune controversie e per meglio dire il modo con cui sono
trattate non avrebbero certo potuto trovar luogo nella Ri-
vista^ la quale mentre accorda ai suoi collaboratori la mas-
sima libertà d'opinione nel campo scientifico , vuole che
tale libertà vada unita al maggior riserbo per le persone.
La disputa scientifica per quanto libera deve sempre te-
nersi nel campo sereno dell'oggettività, e la critica deve se-
guire lo splendido esempio del Manzoni, rifuggendo da quello
cosi deplorevole dei nostri letterati del secolo decimottavo.
Conclusione : non è da incolpare la Rivista se i due
Opuscoli del Cav. Fracoia non vi poterono essere pubbli-
cati, bensì il modo con cui essi sono scritti.
F. G.
BizziNi P. Illustrcurione dei Civici Musei di Brescia. Parte L
Giacchette e bassirilievi.
Il solerte Direttore dei Musei bresciani, Dott. Prospero
Eizzini, ha intrapreso nei Commentari dell'Ateneo di Brescia
uno studio diligente intorno alle insigni Collezioni artistiche
di cui gli venne affidata la custodia da quel Municipio.
Egli ha incominciato dalla illustrazione di una serie
interessantissima di monumenti, che ha grande attinenza
colla numismatica, quantunque strettamente parlando non
vi appartenga: la serie delle placchette, la quale ò rappre-
164 BIBLIOGRAFIA
sentata in modo splendido nei Musei di Brescia, dove se
ne conservano ben 370, provenienti in gran parte da un
munificente legato del conte Leopardo Martinengo.
Il Dott. Bizzini ne dà partitamente la descrizione,
raffrontandole colla nota opera del Molinier, alla quale
può servire oggi di utilissimo complemento la bella pub-
blicazione di Bode e Tscbudi (1).
Neil' annunciare ai lettori della Rivista l'inizio di questa
accurata descrizione de' Musei bresciani, ci permettiamo
di esprimere un voto, che cioè per l'avvenire si largheggi
maggiormente nel corredo illustrativo, tanto più che la
sola tavola fototipica annessa a questa prima puntata fa
onore allo Stabilimento Mattironi di Brescia che l'ha ese-
guita, e dà adito a bene sperare per la continuazione del
lavoro.
S. A.
La pratica degli affari. Voi. VITI. Misure e monete in 16.*
pp. 110. Milano, Giov. Massa, 1890.
FuRSE (Edouard Henri) , Mémoires numismatiques de V ordre
souverain de Saint Jean de Jért4salem^ illustrées avec les médailles et
monnaies frappées par les grands mattres de Vordre, Deuxième édi-
tion. Rome, ^p. Forzanì, 1889, in 4*, fig, pp. 430 con 4 tav.
Catalogo della collezione del sig. Alessandro Fasi di Ferrara:
monete romane, consolari e imperiali, monete italiane del medio evo
e moderne in vendita air amichevole con i prezzi fissati a ciascun
numero. Firenze, tip. Bonducciana A. Meozzi, 1889, in 8*, pp. 233. —
Impresa di vendite Sambon, Anno Xn, n.* 8.
Catalogo delle monete delle Becche italiane meridionali^ con ricca
serie delle monete di Venezia; monete romane consolari, imperiali,
monete greche, componenti la collezione del conte Fuìcio Miari di
Venezia, di cui la vendita al pubblico incanto avrìi luogo in Milano.
Milano, tip. Pirola, 1889, in 8*. pp. 108 (Impresa Vendite Sambon ;
anno XII, n.* I).
Perosa Dott. Marco. Bulgaro (Borgovercelli) e il suo circondario.
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BIBLIOORAFIA 165
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con 1 tav.
Catalogne cTune belle collection^ formée par un diligent colle-
ctionneur de Florence : Première partie (Aes grave, ou monnaies pri-
mitives moulèes, monnaies romaines consulaires, impériales et bizan-
tines en or, argent et bronzo). Florence, impr. Bonducciana A. Meozzi,
1889, in 8,** pp. 130. — Vendite Sambon, anno XII, n.' 5.
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fermiers géniraux^ maitres de monnaies, eontroleurs^ vérificateurs^ etc.
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B. Serrare, experts, 53, rue de Bichelieu, 1890.
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Bullion^ with the Moneys and other Mediums of Exchange of ali
Trading Nations^etc.etc.Tweuty&r8t^iitìon. By Hermann Schmidt.
London, Efiingham Wilson and C, Royal Exchange, 1889, in 8.*
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Kink (K. F.), Observations sur les noms attribués à
des graveurs de monnaies grèques.
L*Autore combatto Tidea goneralmonte invalsa che tali nomi siano da
attribuirsi agli incisori delle monete e propugna invece V attribnzione di
essi ai vincitori dei giacchi o a chi offriva doni alle divinità concladendo
BIBLIOGRAFIA 167
che forso gli uni e gli altri potorano indicare il medesimo personaggio
ossia il vincitore che riconoscente alla divinità per la vittoria offriva un
dono. La nnova teoria Ci paro provata con safflcienti ragioni.
Bàbelon (E.), Quelques remarques sur des monnaios
d'Afri que et d'Espagne.
Continoazione e fine di uno stadio intrapreso nei precedenti fascicoli.
Poncet (D. Ernest), Le trésor de Planche.
Interessante ragguaglio di un piccolo ma ricco ripostiglio di oggetti
e di nove rarissime monete d'oro, appartenenti a Leliano, Vittorino,
Tettico padre e figlio, Aureliano, Diocleziano e Massimiano Erculeo, fa cui
tre inedite. Peccato che l'autore non ci faccia sapere in qual museo o in
quali mani il prezioso ripostiglio ora si trovi.
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Caron (E.), Monnaies da commencement du XI siècle,
frappées dans la comté de Bourgogne.
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Inieressanto pabblicaziono di moneto grocho entrate da poco tempo
nella celebro colleziono delFAntoro. Alcuno di qnosie monete erano affatto
sconoscinte. L'articolo è corredato Ja dao tavolo.
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NOTIZIE VARIE
Ripostiglio di Saitirana (LomeUina). — Lo scorso No-
vembre nel comune di Sartirana (Lomellina) an muratore,
nel praticare uno sterro in un cortile di una vecchia casa
di proprietà parrocchiale, rinvenne a poca profondità la
parte inferiore di un vaso di terra, ove nell'acqua giace-
vano circa Kil. 4 di monete in argento avvolte in pezze
di tela e dall'ossido agglomerate in un sol corpo, che venne
rotto a colpi di martello, sciupandone cosi una buona quan-
tità. Una metà di quelle monete fini inesorabilmente nel
crogiuolo (1) ; il rimanente venne suddiviso in varii lotti, la
maggior parte dei quali fu venduta a Milano. Siamo dunque
in grado di darne una sommaria descrizione, e lo facciamo
ben volentieri, desiderando rettificare le notizie esagerate
(1) A questo proposito non sapremmo abbastanza raccomandare agli
orefici di non aver troppa fretta nel mettere alla fondita le monete prove-
nienti da ripostigli. Dalle moneto di Sartirana avrebbero ricavato per lo
meno il triplo deirintrinseco. È poi anche da raccomandarsi ai pro-
prietari, nel caso di ritrovamenti, di non dare in natura la metà d'oso ap-
partenente alFoperaio scopritore del ripostiglio, il che di solito equivale a
buttarle nel crogiolo ; ma di occuparsi essi stessi della vendita presso
gVintelligenti in materia. Sul prezzo che ricaverebbero dairorefice non perde-
ranno mai e sovente anzi ne avranno grande vantaggio ; e se qualche cosa
potesse valere anche quest'altro argomento, diremo loro che si renderanno
sempre benemeriti verso la scienza. Siccome poi queste nostre righe, pel
tramite solo della Eivista, non perverranno probabilmente fino a chi sono
indirizzati, saremo gratissimi a quei giornali quotidiani che volessero pub-
blicarle nelle loro colonne, contribuendo cosi alla diminuzione del vanda-
lismo che pur troppo non ò morto nel secolo che s'intitola dei lumi; van-
dalismo che riesce sempre a danno anche di chi n*ò autore.
172 NOTIZIE VARIE
diffuse da alcuni giornali cittadini, sulla quantità e sulla qua-
lità delle monete di questo ripostiglio. La parte dunque
salvata al crogiuolo si compone specialmente di monete di
Gian Galeazzo Visconti e di Gio. Maria Visconti] e dalle
poche conservate monete di Filippo Maria Visconti^ che vi
si trovano, si può arguire che il ripostiglio fu nascosto
sotto il ducato di quest'ultimo. Eccone ora la distinta
approssimativa :
Avignone. — Urbano V (1362-70) Grosso, variante del Cinagli N. 6.
Un esemplare.
Bologna. — Giov. e Giacomo Pepoli (1347-50) Bolognini Un
esemplare.
Casale. — Teodoro II Paleologo (1381-1418) Mezzo grosso (Promis 4).
Due esemplari. — Quarto di grosso (Promis 7). Tre esemplari.
Como. — Franchino li Rusca (1408-12) Trillina. Un esemplare.
Genova. — Barnaba Guano (1415)- Grossetto. Quattro esemplari.
» -— Tomaso Fregoso (1415-1421 ) Grossetto. Circa 150 esemplari.
Milano. — Barnabò Visconti (1354-85) Sesino (Gnocchi 15). Un
esemplare.
> — Giangaleazzo Visconti (1385-1402) Pegione (Gnecchi 6).
Circa 100 esemplari con varianti. — Soldo (Gnecchi 8). Tre
esemplari. — Sesino (Gnecchi 19). Circa 100 esemplari con
varianti. — Denaro (Gnecchi 22). Circa 50 esemplari.
» — Gio. Maria Visconti (1402-12) Grosso (Gnecchi 2). Parecchie
centinaia. — Soldo (Gnecchi 3). Cinque esemplari. — Soldo.
(Gnecchi 6). Tre esemplari.
> — Estere Visconti (1412) Grosso. Undici esemplari, con va-
rianti da quelli pubblicati. — Sesino^ inedito.
> — Giancarlo Visconti (1412) Grosso (Gnecchi 1). Due esemplari.
> — Giancarlo ed Estere Visconti (1412) Grosso. Cinque esem-
plari, con varianti.
» — Filippo Maria Visconti (1412-47) Grosso (Gnecchi 13). Due
esemplari. — Grosso (Gnecchi 27). Due esemplari.
Pavia. — Filippo Maria Visconti (1412-47) Grosso (Brambilla, Ta-
vola IX, 5). Quattro esemplari.
Piacenza. — Giovanni da Vignate (1410-13) Grosso. Cinque esemplari.
Savoia. — Amedeo VI (1343-83) Bianco (Promis 3). Un esemplare.
Verona. — Gian Galeazzo Visconti (1387-1402) Grosso. Tre esem-
plari. — Sesino. Cinque esemplari.
HOTIZIB VARIE 178
Fra le monete milanesi del ripostiglio si trovarono di-
verse varietà inedite. Ne omettiamo qui la descrizione,
perchè essa verrà compenetrata nell'Appendice alle Monete
di Milano^ che presto ci proponiamo di pubblicare in questa
Rivista. E. G.
Ripostiglio di Solignano (Modena). — Sulle colline
modenesi , nel territorio di Solignano , frazione del Co-
mune di Castelvetro , in un podere prossimo alla vec-
chia Chiesa parrocchiale , alcuni agricoltori nel dissodare
il terreno per collocarvi un nuovo filare di olmi , sco-
privano alla profondità di 75 centimetri un grosso muro
costrutto in ciottoli cementati , parte forse delle fonda-
menta di qualche palazzotto ivi esistente nel periodo
medioevale. Nel demolirlo vi trovarono rinchiuso un pic-
colo vaso contenente : 79 monete, di cui 78 in argento e una
in oro, in massima parte di zecche italiane ; un anello a
cerchietto d'oro arabescato con corniola incastonata, sulla
quale sono incisi i busti di Iside e di Serapide rimiran-
tisi di prospetto ; un altro anello a cerchietto d' argento
dorato con doppietta simulante uno smeraldo , e venti-
cinque dischetti pure d' argento dorato, con foro tondo
nel mezzo , adomi di cinque giglietti simulanti corona
marchesana.
Tralasciando di parlare delle poche monete francesi e
tedesche^ che componevano il ripostiglio e che sono co-
munissimo, daremo una nota sommaria delle monete ita-
liane, le quali però sono tutte pubblicate e conosciute.
Bologna. — Anonime papali. Quattro Grossi variati. — Nove car-
lini variati.
> — Giulio li (1503-18). Un giulio col ritratto a destra.
Carmagnola. — Michele Antonio Marchese (1504*1528). Due Te-
stoni variati e un Cavallotto,
Desana. — Gio. Bart Tizzoni (1529-83). Un Testone.
Ferrara. — Alfonso I d'Este (1505-34). Testone (Bellini, pag. 169
191, N. I). Moneta da soldi 5 (Bellini, pag. 191-192, N. XI).
Firenze. — Bepubblica (1510-26). Cinque Grossi con stemmi variati.
Lucca. — Repubblica. Tredici Grossi variati.
174 NOTIZIE VARIE
Mantova. — Lodovico III Gonzaga (1444-78). Grosso.
Messerano. — Pietro Luca Pieschi (1528-32). Duo OavalloUi
variati.
Pesaro. — Giovanni Sforza (1489-1500). Tre (xrossi variati.
Piacenza. — Sede vacante (1523). Grosso.
Roma. — Alessandro VI (1492- 1503). Due Oiulii.
» — Giulio II (1503-13). Mejs0O Grosso.
Savoia. — Carlo I Duca (1482-90). Quattro Parpajole variate.
Siena. — Bepubblica (1500 ?). Un MeMzo Sanese.
Venezia. — Andrea Vendramin (1476-78). Marcella.
» — Andrea Mocenigo (1478-85). Marcella.
» — Antonio Grimani (1521-23). Da Sedici. Due esemplari
variati.
> - Andrea Gritti (1523-38). Da Sedici.
Prendendo ora in esame le monete sopracitate, e con*
siderato che le più recenti per data di loro coniazione non
oltrepassano il 1530, si può con buon fondamento stabilire
ch'esse furono sotterrate dal 1523 al 1529, o per la guerra
civile che in quel periodo di sconvolgimenti politici funestò
il modenese occupato dalle armi pontificie , o pel timore
incusso alle popolazioni italiane dalle orde selvagge con-
dotte dal Borbone nel 1527 al sacco di Eoma.
A. Orespellani.
Ripostiglio di S. Damiano d'Asti. — Avuto notizia del
ritrovamento di monete romane nei dintorni di Asti, ne ab-
biamo chiesto informazioni al M. E. Don Vitaliano Sossi ,
Preposto di quella Cattedrale e appassionato raccoglitore di
monete romane , e ne ebbimo la seguente interessante
lettera :
Egregi Signori,
Mi faccio premura di dar loro quelle informazioni che deside-
rano sul ripostiglio di monete romane scoperto non è guari sul con-
fine dei territori di S. Damiano e Cisterna d'Asti.
Nel dissodare il terreno per piantarvi una vigna, un contadino
battè col piccone in un'anfora, e vide con sua grande sorpresa sgor-
gare dallo squarcio un torrente di piccole monete verdognole. Estratta
Tanfora che andò a pezzi , si calcolò che contenesse dai quattro ai
NOTIZIE VARIB 175
cinque miriagrammi e forse plii di piccole monete di rame, molte delle
quali andarono in quel primo trambusto disperse o furono trafìigate.
Me ne furono portate da diverse persone pih di trecento e fui
assicurato che tutte le monete contenute neiranfora sono dello stesso
modulo e dello stesso metallo; cioè piccoli bronzi argentati (anioni^
niani) dello scorcio del III e del principio del lY secolo. I più an-
tichi sono di Gallieno e i pih recenti di Massimiano Ercole. Abbon-
dano specialmente quelli d'Aureliano, di Probo e Diocleziano; poi
vengono in decrescente proporzione quelli di Claudio Ootico, di Ta-
cito, di Floriano, di Caro, di Numeriano, di Carino e di Massimiano
Ercole. Ne trovai pure alcuni di Severina ed uno di Magnia Urbica.
Ninno ne incontrai dei due Tetrici, di Postumo e degli altri Au-
gusti regnanti in quel tempo nelle Oallie ed è facile intenderne la
ragione.
Sono generalmente di conservazione discreta, e, mentre alcuni pezzi
sono profondamente intaccati dalla ruggine, altri presentano una bel-
lissima patina verde scura.
Nei trecento da me acquistati ed esaminati ho trovato due soli
tipi nuovi, cioè non notati noi Cohen 2' ediz. Il primo è di Claudio
Gotico e presenta nel diritto il busto radiato e corazzato di Claudio
colla scritta: imp. c. clavdivs. avo.; nel rovescio il tipo della Cle-
menza di fronte, rivolta a sinistra , che sta colle gambe incrociate ,
appoggiata colla sinistra ad una colonna, e tiene nella destra uno
scettro. La leggenda intomo è clembntia temp. — L* altro è di
Tacito ed ha nel diritto il busto radiato e paludato di Tacito colla
scritta: imp. c. m. cl. tacitvs avo. e nel rovescio la leggenda virtvs
AVO . con un soldato a destra, che tiene colla mano destra un' asta
obliqua e nella sinistra un globo. Nell'esergo xxir.
Ho però trovato una grande quantità di varianti inedite sia nella
leggenda del diritto, sia nei simboli, nelle lettere e nei numeri dei ro-
vesci, e siccome di queste varietà io sono curioso ricercatore, ho avuto
la soddisfazione di farne amplissima raccolta.
Altri più competenti di me potranno pronunciare sulla natura
e sulForigine del ripostìglio. Se mi è lecito proporre una mia conget-
tura, penso essere dalla qualità delle monete esclusa affatto qua-
lunque probabilità che siasi voluto riporre un tesoro. A mio giudizio
Tanfora faceva parte di ciò che ora diremmo una cassa militare per
gli stipendi! di qualche legione o meglio coorte. Nelle vicende delle
fazioni guerresche e delle marcie può essere mancato il mezzo di
trasporto, o può il nemico aver incalzato così che Vufficiale pagatore
(quaestor militaris) fosse costretto ad abbandonare Tanfora contenente
gli spiccioli necessari alla paga dei soldati, non senza però averla
176 NOTIZIE VARIE
prima riposta in uno scavo praticato su per Torta di una di quelle
rìpidissime colline.
Se mi giungeranno altre informazioni, che possano essere di
qualche interesse per loro e pei lettori della Bivista , mi farò una
grata premura di dame loro contezza.
Colla massima considerazione mi protesto
Asti, 4 febbraio 1890. DeooU
A. V. Sossi.
Scavi di Roma durante il 1889. — I ritrovamenti di
oggetti antichi, e specialmente di monete , sono divenuti
cosi rari, a causa della crisi edilizia e della conseguente
sospensione dei lavori murari nella Capitale, ohe gli anti-
quari ne sono desolati e dichiarano che, andando avanti di
questo passo, dovranno cambiar mestiere.
É strano che, mentre la maggioranza dei negozianti di
altri generi, si lagna dell'abbondanza di mercanzie e della
mancanza di compratori, gli antiquari si lamentano invece
del difetto di merce, per la quale troverebbero sempre gli
amatori pronti a farne acquisto.
Gli unici lavori che proseguono sono quelli fatti dal
Governo o per conto di esso, come la sistemazione del Te-
vere, i nuovi ponti, il Policlinico ed il Palazzo di Giustizia ;
ma pochi sono gli oggetti che, rinvenuti su questi lavori,
possano sfuggire alla sorveglianza che vi è esercitata dal
Governo o dal Municipio. Inoltre gli oggetti rinvenuti nel
Tevere non hanno gran pregio agli occhi di molti amatori,
specialmente stranieri, perchè mancanti generalmente di
patina o perchè corrosi e danneggiati dalle acque.
Fra le monete, il pezzo più importante che sia uscito
di recente dal fiume, ò un bronzo di mezzana grandezza
che ha nel diritto le teste affrontate di Treboniano Gallo
e di Yolusiano. È una moneta addirittura nuova e non
priva di interesse.
Nei quartieri alti, non ho potuto sapere con certezza
se al Policlinico od a villa Ludovisi, l'unica moneta impor-
tante trovata in questi giorni, è un gran bronzo di Manila
Scantina^ di mediocre conservazione, che è stata venduta
MOnZIB VARIE 177
ad un collettore per un prezzo qaasi doppio di quello se-
gnato dal Cohen. Un altro gran bronzo, trovato non so dove,
appartiene a Traiano ed ha nel rovescio la colonna dedi-
cata in Berna a quell'imperatore ; è bellissimo per arte, per
conservazione e per patina.
In questi ultimi mesi sono poi pervenuti in mano di
negozianti parecchi medaglioni, i quali però non sono di
recente ritrovamento, ma provengono da un privato racco*
glitore di antichità che li ha acquistati in gran parte a
Tivoli.
Di medaglioni ne vennero fuori anche in Boma quattro
0 cinque verso la fine dell'estate scorsa, e fra questi ve ne
è uno inedito di Faustina madre, il quale ha nel rovescio
lo stesso rogo che si vede su alcune monete di quella im-
peratrice. Un altro è contomiato ed appartiene a Marco
Aurelio; è bellissimo per conservazione e per patina.
Da Siena fu portato al Cav. Vitalini un esemplare
dell'asse libbrale della rarissima serie etnisca che ha per
tipi nel diritto la testa di Flamine col pileo acuminato e
nel rovescio una scure ed un coltello, strumenti sacerdotali,
nonché un globetto , una mezza luna ed il solito segno
dell'asse. Il Garrucci nella sua opera : Le mofiete primi-
tive dell'Italia antica (pag. 28, tav. LIV) , dopo avere esa-
minato i vari ritrovamenti delle monete appartenenti a
tali serie, ed avere dibattuto le opinioni di altri numisma-
tici intomo alla città cui essa spetterebbe, conclude col
dire che non si debba attribuire ad una speciale città, ma
sia piuttosto stata emessa a nome comune della nazione.
Se ciò fosse , questa serie dovrebbe essere assai più
comune, mentre nel fatto è la più rara fra quelle etrusche.
L' attuale ritrovamento confermerebbe piuttosto l' ipotesi
espressa dai P. Marchi e Tessieri {L* aes grave del Museo
Kircheriano, pag. 92) che tale serie appartenga a Siena.
L'unico esemplare dell'asse di questa serie finora cono-
sciuto trovasi nel Museo Kircheriano di Boma, ed in origine
apparteneva alla collezione Coltellini di Cortona.
Il Bilancio delle monete di ogni serie rinvenute dal
Municipio negli scavi di Boma, durante l'intero anno 1889,
23
178 NOTIZIE VARIB
è piuttosto magro ; sono in tutte 773 monete , di cui 110
d'argento, 197 di mistura e 466 di bronzo.
Eama, 20 FMtaJo 1890. P. Stbttinhr.
Falsifloasioni moderne. — Quantunque la nuova fal-
sificazione comparsa in Milano sia grossolana e tale da in-
gannare solamente gli inesperti, pure crediamo utile segna-
larla, perchè anche questi ultimi non cadano nell'agguato
di disonesti speculatori, tanto più che si tratta di moneta
rara. Essa è un Testone di Carlo V per Milano e precisa-
mente la varietà pubblicata nell'Opera dei Fratelli Gnocchi
al N. 14. Eccone la descrizione :
^ — {Testina di S. Ambrogio) CAROLVS • RO • IMPERATOR
Stemma di Carlo Y coli' Aquila bicipite coronata.
yl — (Croce) SANCTVS AMBROSIVS.
Il Santo a cavallo galoppante a destra, collo staffilò
alzato. Sotto il cavallo M gotica coronata.
Il disegno di questa moneta è riportato alla Tav. CLYI,
n. 4 dell'Heiss.
La moneta è fusa in buon argento, ma fortunatamente
la fusione è mal riuscita, e il contorno porta recenti traccio
della lima. Il fondo è rinettato col bulino, ma anche questa
operazione è fatta grossolanamente. In conclusione la fal-
sificazione è destinata a' novizi della scienza numismatica.
Dono al R. Gabinetto di Brera. — U sig. Enrico Osnago,
avendo acquistato i due esemplari del grosso di Giancarlo
Visconti per Milano , provenienti dal ripostiglio di Sarti-
rana, sopra accennato, ne donò uno al B. Gabinetto di
Brera. Segnaliamo con piacere il generoso dono , nella
fiducia ch'esso invogli altri ad imitarne l'esempio. Di questa
moneta non si conoscevano che tre esemplari ; ora sono
dunque cinque, e tutti si trovano in collezioni di Milano.
Vendita Miari. _ Nei giorni 24, 26, 26, 27 e 28 dello
scorso febbraio ebbe luogo a Milano la vendita al pubblico
incanto della Collezione numismatica del Conte Fulcio
NOnZIB VÀRIB
179
Miari di Venezia. — Qaesto si componeva per la maggior
parte di Monete Venete , fra non poche rarità. — À titolo
di curiosità diamo qui la distinta dei pezai principali coi
prezzi a' quali furono aggiudicati :
N.
1.
t>
2.
»
33.
»
66.
»
105.
»
108.
»
127.
»
165.
» 225.
> 236.
» 276.
» 286.
» 296.
» 301.
» 807.
» 313.
» 314.
» 329.
» 351.
» 357.
» 382.
»438.
Lodonco Pio. Denaro oon vbnboias monbta
Corrado II. Denaro.
Marino ZorzL Zecchino .
Michele Morosini. Zecchino
Nicolò Marcello. Zecchino
Pietro Mocenigo. Zecchino
Leonardo Loredan. Meato eecehino .
Francesco Dona. Scudo d'oro .
Nicolò da Ponte. Giustino maggiore
Pasquali Cicogna. Quarto di tecehitto
Qioyanni Bembo. Zecchino
Antono Priuli. Scudo d'oro
Francesco Contariui. Doppia .
Qiovanni I Cornerò. Doppia .
Nicolò Gontarini. Quarto di fecchino
Francesco Erizzo. Quarto di Becchino
» Doppio
Francesco Molin. Quarto di Becchino
Giovanni Pesaro. Quarto di Becchino
Domenico Contarìni. Mcbbo Becchino
Alvise Contarìni. Mcbbo Becchino .
Giovanni II Carner. Scudo Soro
L. 105
63
840
105
185
145
150
88
130
87
65
210
81
90
90
53
260
48
85
60
150
100
Il totale della vendita comprese le monete romane
e greche ragginnse L. 15.648.
Zecca di Milano. — Nello soorso febbraio il Ministro
del Tesoro pubblicava il seguente avviso :
a Si rende noto che col giorno 8 del prossimo venturo
mese di marzo verrà aperto presso la Direzione della Zecca
di Milano apposito Ufficio di cambio per l'acquisto delle
materie preziose (oro e dorati).
tt Presso l' Ufficio medesimo si possono avere le notizie
relative ai prezzi ed alle altre modalità delle operazioni di
cambio, n
180 NOTIZIE VARIE
Società Numismatica Svizzera. — . Neil' Assemblea gene-
rale della Società numismatica svizzera, tenutasi ai 22
settembre 1889 in Berna venne eletto a Presidente della
medesima il dott. Eugenio Demole ^ il noto numismatico
ginevrino, al quale venne pure deferita la redazione del
Bulletin de la Société Suisse de Numismatique che fino ad
oggi si stampava in Basilea.
Finito di stampare il 15 Marzo 1890.
Lopovicx) Fbuc8 Cooluti, Gerente responsabile.
FASCICOLO II.
APPUNTI
DI
NUMISMATICA ROMANA
X,
ALCUNE OSSERVAZIONI
SULLE MONETE
DI SANT'ELENA E DI FAUSTA.
Il ripostiglio di monete romane scoperto in
Egitto nel 1888, e che già, diede materia a due di
questi Apptmti (N. II e VHI), ne offre ancora oggi
a un terzo con alcuni piccoli bronzi d' Elena e di
Fausta che vi si trovavano, e che ora solamente ho
potuto avere. Molto s' è già discusso intorno all' at-
tribuzione delle monete di queste due Auguste né
io rifarò qui la storia delle tre Elene i^) e delle due
fi) Elenft I (SanfGlen»), prima moglie di Costerno Cloro, b madre di
CoKtontiDi) Magno. Elena n, miglio di Crispo. Elena m, moglie di Qin-
liano H.
164 FRANCESCO ONECCUI
Fauste 0) , che per molto tempo se ne disputarono
la proprietà.
La questione, lasciata incerta o non bene risolta
da Eckhel, venne definita in modo assai plausibile
dal barone Marchant (2), confermata da Lenormant (^),
e accettata definitivamente da Cohen, e credo da
tutti gli altri numismatici, i quali si accordano nella
attribuzione di tutte le monete col nome di Elena,
a Sant' Elena, prima moglie di Costanzo Cloro e
madre di Costantino, e di quelle portanti il nome
di Fausta alla seconda moglie di Costantino Magno.
Alcuni fra i piccoli bronzi venuti in luce pos-
sono dar luogo a dire ancora qualche parola, non
già in contraddizione bensì in piena conferma di
tale attribuzione, in aggiunta a quanto i due illustri
numismatici ne hanno detto, come pure a rettificare
alcune delle descrizioni di Cohen, e finalmente a fare
qualche considerazione generale sulle monete delle
due Auguste e a stabilirne i veri tipi purgati dai
prodotti dell'ibridismo.
Incomincio dalla descrizione di queste nuove
monete provenienti dal citato ripostiglio d'Egitto, a
cui ne aggiungo anche qualche altra pervenuta da
altra parte alla mia collezione W, perchè pure va-
riante, e interessante l'argomento.
(1) Fausta I, figlia di Massimiano Ercole e seconda moglie di Costan-
tino Magno. Fausta II, supposta moglie di Costanso IL
(2) Mélange^ de Numiitnatique et cTHistcire. Lettera XYII.
(3) Revtie Numismatique , 1848: Médailles de Sainte HeUne mh'e de
Constantin le Grand et de Fausta femme de cei empereur,
(4) Non appartengono al ripostiglio d'Egitto i N. 7, 8, 12, 13, 14, 15,
16, 17, 18 e 19.
APPUNTI DI NUMISMATICA ROMANA 186
ELEN^A.«
(prima moglie di Costanzo Cloro e madre di Costantino Magno).
1. Piccolo Bronzo. — Dopo Cohen 6.
/B' — FL HELENA AVGVSTA
Basto a destra coi capelli ondati.
9/ — SALVS REIPVBLICAE
Fausta (1) di fronte rivolta a sinistra con dae bambini
(Costantino II e Costanzo II) in braccio. All'esergo
SMALA
(Tav. IV, N. 1):
2. Piccolo Bronzo. — Variante Cohen 7.
/B' — FL HELENA AVGVSTA
Busto diademato a destra.
1^ — SECVRITAS REIPVBLICE (2)
(1) Vedremo in segnito il perché di tale interpretazione.
(2) Una cnriosa anomalia ortografica si yerifìca nelle monete d'EIena,
in cni il genitivo femminile ora ò scrìtto col dittongo, ora senza. Da qualche
numismatico, e fra questi anche da Eckhel, fa annessa a mio parere soverchia
importanza a tale anomalia , tanto da farne anzi nn argomento per attri-
buire le monete piuttosto a Elena di Giuliano che a Elena madre di Co-
stantino. Anche senza considerare però che di simili genitivi abbiamo altri
esempi in monete d' epoca intermedia fra Costantino e Giuliano II , per
esempio in alcune di Costanzo II e di Magnenzio e anche in monumenti
epigrafici — numismatici non so — - fino dal tempo di Probo, ormai V at-
tribuzione delle monete d'Elena ò cosi sicuramente per altre ragioni stabi-
lita, che non può esser mossa in dubbio da tale piccola variante ortografica,
la quale si deve necessariamente ritenere per possibile all'epoca di Costan-
tino, come è ammesso che lo fosse pochi anni dopo e forse anche alcuni
anni prima. Se poi si considera che Tanomalia si ripete colla massima rego-
larità a seconda delle leggende, e che cioè abbiamo costantemente e senza
alcuna eccezione : salvs reipvblicab e spes rbipvbligab , e invece : ss-
cvRiTAS RBiPYBUCB, 10 Crederei di non appormi male ritenendo che una
semplice legge di economia epigrafica abbia deciso doir adozione dell' uno
0 dell'altro genitivo. Dal momento che V uno e T altro erano neiruso, il
dittongo si omise unicamente col secvritas, quando cioò la parola antece-
dente era più lunga, onde meglio distribuire la leggenda. Comunque sia,
è necessario ammettere che il genitivo senza dittongo era adoperato al
tempo di Costantino o per lo meno dalP anno 825 in cui viene collocata
remissione delle monete d'Elena.
186 FRANCESCO GNECCIII
Elena a sinistra. Tiene un ramo d'alloro (o di ulivo) (1)
abbassato colla destra , mentre colla sinistra si so-
stiene la veste. All'esergo PSIS e Lunula,
3. Simile. All'esergo ESIS e Lunula.
4. Simile. All'esergo NS e Lunula.
6. Simile. All'esergo Q Palma T
6. Simile. All'esergo SMHA
7. Simile. All'esergo T Lunula S
8. Simile. Nel campo A. All'esergo CONS
(Tav. IV, N. 4).
9. Simile. Nel campo Corona e A. All'esergo SMAL
(Tav. IV, N. 5).
10. Simile. Nel campo Corona e B. All'esergo SMAL
(Tav. IV, N. 6).
11. Simile. Nel campo Corona e II. All'esergo SMAL
12. Piccolo Bronzo. — Dopo Cohen 7.
^' — FL HELENA AVGVSTA
Busto a destra coi capelli ondati.
^ — SPES REIPVBLICAE
Fausta di fronte rivolta a sinistra coi due bambini in
collo, come al N. 1. All'esergo SMALA
(Tav. IV, N. 2).
13. Piccolo Bronzo. — Dopo Cohen 7.
/B' — FL HELENA AVGVSTA
Busto diademato a destra.
91 — SPES REIPVBLICAE
Elena a sinistra. Tiene un ramo d'ulivo (0 d'alloro?)
abbassato colla destra, mentre colla sinistra si so-
stiene la veste. All'esergo SMKA
(Tav. IV, N. 3).
(1) n ramo che tiene Elena, chi lo vorrebbe d' ulivo e chi d'alloro, 0
tutti e dae questi emblemi potrebbero avere il loro giusto significato nella
mano d'una Augusta, in cui onoro fu battuta la moneta. Ma il determi-
nare quale dei tre precisamente sia ò assai difficile colla semplice ispe-
zione delle monete, in tempi nei quali V arte è cosi bassa e le monete di
bronzo sono fabbricate con si poca cura , cho non è già molto facile rac-
certarsi delle fisionomie.
APPUNTI DI NUMISMATICA ROMANA 187
FAUSTA.
(moglie di Costantino Magno).
14. Piccolo Bronzo. — Variante di Cohen 7.
^ — FLAV MAX FAVSTA AVO
Basto a destra coi capelli ondati.
1^ — SALVS REIPVBLICAE
Fausta velata, di fronte rivolta a sinistra coi due figli
Costantino II e Costanzo II in braccio. All' esergo Q
Astro AR
(Tay. IV, N. 9).
16. Simile. AU'esergo STR Lunula con un punto.
16. Simile. AU'esergo CONS. Nel campo A
(Tav. IV, N. 11).
17. Piccolo Bronzo. — Variante di Cohen 12.
ÌB" ^ FLAV MAX FAVSTA AVG
Busto a destra coi capelli ondati.
'^ — SPES REIPVBLICAE
Fausta coi figli come nei precedenti. All'esergo SMANTA
18. Piccolo Bronzo. — Dopo Cohen 13.
^ — FLAV MAX FAVSTA AVG
Busto diademato a destra (acconciatura di Elena) or-
nato d'una ricca collana.
9/ — SPES REIPVBLICAE
Fausta coi figli come nei numeri prec. AU'esergo SMTSA
(Tav. IV, N. 12).
19. Piccolo Bronzo. — Variante di Cohen 15.
^ — FLAV MAX FAVSTA AVG
Busto a destra coi capelli ondati.
^ — SPES REIPVBLICAE
Fausta come nei numeri precedenti , ma rivolta di
fronte (i). AU'esergo Q A Lunula RL
(Tav. IV, N. 10).
(1) Un simile piccolo Bronzo con Fansta al rovescio rivolta di fronte
ò descritto nella prima Edizione di Cohen, (N. 15) ma, non so perchè, venne
pmossQ neUa seconda,
188 FRANCESCO ONECCHI
20. Piccolo Bronzo. — Dopo Cohon 16.
]^ — FAVSTA N F
Basto a destra coi capelli ondati.
9» — Anepigrafe.
Astro in mezzo a una corona. AU'esergo TSA
(Tav. IV, N. 8).
Dei piccoli bronzi descritti, quelli d'Elena col
rovescio SECVRITAS REIPVBLICE e quelli di Fausta coi
due rovesci SALVS e SPES REIPVBLICAE non sono che
varianti di quelli dati da Cohen. Mentre però le
nuove varietà di esergo e di lettere nel campo 0)
aumentano il numero già sorprendente di città e
di officine monetarie che batterono moneta al nome
di queste due Auguste, la corona che appare nel
campo di due monete d' Elena riesce una nuova
conferma dell' epoca in cui le monete furono bat-
tute, rappresentando appunto l'epoca di Costantino,
non quella di Giuliano.
Il piccolo bronzo di Fausta nobilissima Femina^ col-
l'indicazione dell'officina all'esergo, l'ho riprodotto per
fare riscontro a quello simile d'Elena (Cohen, tav. XV,
num. 8). n Marchant, che appoggia il suo ragiona-
mento per provare la contemporaneità delle monete di
Elena e di Fausta specialmente sull'identità delle due
monete battute al nome delle due nobilissime donne
(1) Le dne lettere A e B nel campo dolio monete d'Elena (N. 4, 5 e 6, e
che sono, mi pare, le indicazioni delle officino 1* di Costantinopoli e 1* e 2^ di
Alessandria portato nel campo invece che airesergo) non sono che in au-
mento a quelle già conosciate. Per le moneto di Fansta (N. 11) invece ò
runico esempio di tale trasporto finora conoscinto, indicante pure la primis
Officina di Costantinopoli,
APPUNTI DI NUMISMATICA ROMANA 189
non ancora elevate al grado d'Auguste (U, conosce
già questo bronzo nelle due varietà con o senza
esergo , sia per Elena come per Fausta , e lo co-
nosce pure il Lenormant ; ma il Cohen, di Fausta
non pubblica che Tesemplare senza esergo e del
simile bronzo d 'Elena segna come variante uno con
TSA, ciò che indicherebbe la quarta officina di Tes-
salonica. — Credo all'esattezza di Marchant, il quale
dà l'esergo TSA, o riproduce anche la moneta nell'ac-
curatissima tavola, che accompagna la sua memoria,
e vi credo tanto più che la moneta coll'esergo TSA
ha il suo perfetto riscontro nella identica moneta di
Fausta; ma mi permetto di dubitare dell'esergo che
Cohen riporta da Tanini, e che mi pare meriti d'es-
sere verificato.
Le monete più interessanti , che richiama-
rono la mia attenzione sull' argomento, e che per
conseguenza fornirono occasione anche alla pubbli-
cazione delle altre a complemento , sono le tre di
Elena colle leggende SALVS e SPES REIPVBLICAE (N. 1,
2 e 3). Mentre costituiscono tre tipi nuovi per
Elena, una delle rappresentazioni e le due leg-
gende sono conosciutissime per Fausta , e per di
più, due di queste monete (N. 1 e 2) hanno comune
con Fausta l'acconciatura dei capelli. Furono preci-
samente questi punti di contatto , questa estrema
somiglianza o dirò addirittura questa identità di par-
ticolari che mi fecero pensare ad una comunanza
0 forse ad una confusione probabilmente avvenuta
(1) Questi bronzi col tipo della Stella e anteriori airolevaz'ono di Elena
e Fausta al ^rado d'Aagaste farono assai probabilmonte battute noli* anno
807^ in occasipne 4ollo feste pel matrimonio di Faosta.
a5
190 FRANCESCO ONECCHI
durante la coniazione di queste monete e mi porta-
rono ai confronti e alle osservazioni che andrò espo-
nendo, dopo d'avere sgombrato il terreno di alcune
inesattezze sfuggite al Cohen nelle sue descrizioni,
e d'alcuni errori d' interpretazione delle figure rap-
presentate sul rovescio di due piccoli bronzi da lui
descritti.
Seguendo il Ramus 0) e senza assicurarsi de visu,
il Cohen descrisse al suo N. 5 come piccolo bronzo,
la seguente moneta:
i»' — FL • IVL • HELENAE AVG •
Busto diademato a destra.
^ — PIETAS ROMANA
La Pietà di fronte rivolta a destra con dae bambini
in braccio.
La descrizione non mi parve poter essere esatta
e, appartenendo la moneta al Museo di Danimarca,
ne chiesi un' impronta al Ch. prof. L. MùUer diret-
tore del Museo di Copenaghen, il quale gentilmente
me la trasmise e la riproduco al N. 16 della Tavola.
Da essa appare in primo luogo che non si tratta di
un piccolo bronzo, bensì di un quinario battuto sul
tipo degli altri quinari d' Elena col rovescio PAX
PYBLICA (2) , di tipo perfettamente identico nel ro-
(1) CcUalogus nwnorum veterum musei regis Daniae, Hafuiae 1816.
Pars n, Voi. I, pag. 210, N. 7.
(2) E totti questi Quinari io li ritengo postami, corno li ritiene il
Marchant. In primo laogo per la leggenda al dativo, qaalo la troviamo
usata in tntte lo moneto di Consacrazione o di semplice Memoria; in se-
condo laogo perchò Testrema somiglianza di tipo fra i quinari di Eiena e
di Teodora, e la replica del rovescio pietas romana, (sia poi avvenuta re*
APPUNTI m NUMISMATICA ROMANA 191
vescio a quelli di Teodora con PIETAS ROMANA W ,
e forse anche ad uno di Fausta colla medesima leg-
genda PAX PVBLICA molto incompletamente descritto
nella 2* edizione del Cohen (Fausta N. 2). Ne ho ri-
prodotto alla tavola alcuni d'Elena (N. 13, 14, 15) e di
Teodora (N. 18 e 19) come termini di confronto. —
In secondo luogo poi, per quanto la moneta si trovi
in uno stato deplorevolissimo di conservazione, si
può vedere abbastanza chiaramente che la figura
femminile al rovescio tiene , come nei quinari di
Teodora, un solo bambino in luogo di due e può
quindi intendersi (se pure la moneta non è ibrida)
per Elena stessa col figlio Costantino, mentre coi
due bambini non avrebbe significato. Tale rappre-
sentazione resta controllata e confermata dair altro
esemplare assai migliore riprodotto al N. 17 della
Tavola. È un esemplare appartenente alla Colle-
zione del Signor Alfonso de Scholdt di Bruxelles ,
golarmente o irregolarmente, al nostro caso fa Io stesso) sopra alcuni qui-
nari d^EIena, mi fanno ritenere assai probabile che tatti, sia dell'una che del-
l'altra Angusta, siano il prodotto di una medesima emissione. Ora, siccome
Teodora mori yent'anni prima che ad Elena fosse conferito il titolo d' Au-
gusta, data Taccennata contemporaneità, le dette monete, essendo necessa-
riamente postume per Teodora, dovevano esser tali anche per E lena, non
essendo ammissibile che si coniassero eguali monete per un' Augusta yi-
yente e una morta. L'epoca probabile della coniazione di tali quinari mi
pare possa accettarsi quale P accenna il Marchant, ovvero nel 336. (Leti
cii, pag. 22).
(1) Giacchò mi si presenta Toccasione, conviene qui accennare un'altra
inesattezza che trovo nel Cohen a proposito del Quinario comune di Teo-
dora. Quante ne appajono di inesattezze, allorché le cose si gn^ardano un
po' da vicino I — La moneta ò descritta, quale ò infatti, col rovescio pietas
ROMANA. Ebbene l'incisione dà pietas reipvblicae, nò saprei dove l'inci-
sore ha preso questa strana leggenda. Non occorre poi dire che l'errore fu
religiosamente mantenuto nella seconda edizione, dove salta all'occhio an-
cora più evidentemente, per essere il disegno intercalato nel tosto.
192 FRANC£SCO GNECCUI
il quale , sapendo che mi stavo occupando delle
monete d' E lena e di Fausta , me ne favori gen-
tilmente un'impronta. — L'esemplare è molto meglio
conservato di quello del Museo danese, e vi si legge
chiaramente anche l'esergo TRP. La moneta descritta
al N. 6 di Cohen va dunque cosi rettificata:
Quinario di Bronzo. (Museo di Danimarca).
/B' — FL IVL HELENAE AVG
Basto diademato a destra.
9/ — PIETAS ROMANA
Elena di fronte rivolta a destra col figlio Costantino
in collo.
11 Cohen, accettando V inesatta descrizione del
Ramus , interpretò la figura del rovescio per la
personificazione della Pietà; ma, se a primo aspetto
una donna che stringe al petto due bambini parrebbe
con molta verosimiglianza prestarsi a tale interpre-
tazione , conviene osservare come la Pietà sulle
monete romane sia sempre in ben altri modi rappre-
sentata , e come i tipi siano generalmente man-
tenuti. Il tipo accennato assomiglierebbe piuttosto
a quello raffigurante la Fecondità. Ma , ammet-
tendolo pure per la Pietà , giacché accompagnato
dalla leggenda PIETAS , come giustificheremo questo
medesimo tipo ripetuto nei due nuovi bronzi colle
leggende SALVS e SPES? Non potremo certo am-
mettere che la medesima figura sia stata adoperata
a personificare successivamente la Pietà, la Salute e
la Speranza, queste ultime due poi con assai meno
verosimiglianza che la prima; e dovremo conchiu-
dere che la figura non è la personificazione par-
ticolare d*una deità astratta.
APPUNTI DI NUMISMATICA ROMANA 193
Il medesimo ragionamento dovremmo ripetere
per r altro bronzo colla leggenda SECVRITAS, la cui
figura Cohen interpreta dubitativamente per Elena
0 per la Sicurezza, mentre questa seconda interpreta-
zione non è per nulla giustificata dal tipo. Il piccolo
bronzo d' Elena ci oflfre una figura femminile che
tiene un ramo ; ma ognuno sa come la Sicurezza
sia sempre ben altrimenti rappresentata. L' appari-
zione del nuovo bronzo colla medesima figura e la
leggenda SPES rinforza V argomentazione e ci per-
suade ancora una volta che il tipo non è la perso-
nificazione della deità annunciata nella leggenda.
Date dunque le leggende SECVRITAS, SALVS e SPES
REIPVBLICAE non rispondenti oggettivamente ai tipi
rispettivi, cosi nelle monete d'Elena come in quelle di
Fausta, parrebbe ovvia e naturale la seguente inter-
pretazione. La SECVRITAS della Repubblica, ossia del-
l'Impero, era nelle mani e nella persona d' Elena
madre dell'imperatore Costantino rappresentata col-
l'attributo di pace (il ramo d'ulivo) ; la SALVS e la SPES
dell'impero erano particolarmente nelle mani e nella
persona di Fausta moglie di Costantino e madre
dei figli, che dovevano continuarne l'impero.
Un esame comparativo poi delle monete di Elena
con quelle di Fausta ci persuaderà che il tipo della
donna col ramo è Elena, mentre il tipo della donna
coi due bambini è Fausta coi figli Costantino II e
Costanzo II , anche quando si trova sulle monete
d'Elena.
Difatti, se dai piccoli bronzi di Elena Augusta
comunemente conosciuti e descritti da Cohen, to-
gliamo quello colla leggenda PIETAS ROMANA, il quale,
come abbiamo veduto , è un quinario postumo , e
194 FRANCESCO GNECCHI
quello colla leggenda PROVIDENTIAE AVGG e la porta
di campo, (il quale non può altrimenti giudicarsi che
ibrido, il rovescio non potendo esser stato fatto per
una moneta di donna, e dovendo evidentemente ap-
partenere a Costantino oppure a Licinio), non ci resta
che quello col rovescio SECVRITAS REIPVBLICE, quale
sua moneta, dirò, ordinaria e con un rovescio pure
ad essa consono, raffigurante cioè Elena stessa o, se si
vuole, la riproduzione del monumento a lei innalzato
da Costantino nelle vicinanze d'Antiochia (1).
L' acconciatura del capo d' Elena è sempre la
stessa, ossia capigliatura inalzata sul capo con dia-
dema di foggia pur diversa. Si osservino tutte le
monete di Elena e specialmente la serie di teste che
ho riprodotto nella tavola dal N. 20 al 31 rappre-
sentanti altrettante varietà d'acconciatura.
Di Fausta conosciamo, come sue monete ordi-
narie, quelle portanti le leggende: SALVS REIPVBLICAE
e SPES REIPVBLICAE , sempre colla medesima rappre-
sentazione di Fausta coi figli. — Il busto di Fausta,
meno rarissime eccezioni , è sempre rappresentato
senza diadema e con capelli ondati e annodati dietro
la nuca. W.
(1) Fa il Lenormant (art. cii pag. 98, 99) che propose di interpretare
la figara femminile piuttosto che per Elena stessa , pel monumento a lei
fatto erìgere da Costantino a Dafne sobborgo d' Antiochia, anzi dal nome
daif vv) (lauro) argomenta che il ramo sia di lauro ; quanto a me, stante la
somiglianza e direi quasi la simmetria delle monete d' Elena con quelle
di Fausta, vedendo su queste ultime Fausta stessa coi figli; inclino a ve-
dere Elena in persona sulle sue monete.
(2) Fra una quarantina di piccoli bronzi di Fausta provenienti da
diverse parti io non ne ho trovato che uno col capo diademato , (Vedi
Tav. 4 N. 12) e credo quindi abbia torto il Cohen di non avvertire la rarità
di questo tipo assolutamente eccezionale.
APPUNTI DI NUMISMATICA ROMANA 195
Ora delle nuove monete d* Elena descritte , i
numeri 1 e 2 ci offrono due rovesci di Fausta
riprodotti esattamente , sìa nella rappresentazione
come nella leggenda, e per di più ci danno il busto
d' Elena coi capelli acconciati come nelle monete di
Fausta; il N. 3 ci offre al rovescio di una testa di
Elena una rappresentazione pure di Elena con una
leggenda propria delle monete di Fausta. Se a queste
anomalie si aggiunge, che, per quanto si può tener
conto della iconografia W in questi bassi tempi , la
testa coi capelli ondati e annodati ha sempre dal
più al meno le fattezze di Fausta, anche quando
porta la leggenda relativa ad Elena (N. 1 e 2), e
viceversa la testa diademata offre piuttosto le sem-
bianze d'Elena, anche col nome di Fausta (N. 12) ;
(1) Voramente non si può tenerne gran conto in qnest' epoca , fatta
forse un'eccezione per le monete d' oro. In quelle di bronzo le fisionomie,
principalmente femminili, non sono riconoscibili che fino a an certo ponto,
e non reca quindi sorpresa come non abbiano mai potuto accordarsi i nu-
mismatici allorchò vollero dare un giudizio suir età d'Elena dalle suo fat-
tezze sulle monete di bronzo. A seconda dogli esemplari , chi Tedeva una
giovine, chi una donna di mezza età, chi una vecchia addirittura, e io puro
confesso francamente che davvero non saprei quale età attribuire air Au-
gusta rappresentata su quei bronzi. EIo fatto un'eccezione per le moneto
d'oro ; ma anche quosta va intesa in modo assai relativo e ristretto. Si
osservino i tre aurei d' Elena, che mi furono gentilmente comunicati dal
Museo Britannico, e che ho riprodotto in fino di quest'articolo. Esisto bensì
fra quei tre ritratti una vaga somiglianza; ma esiterei ad affermare che,
senza l'aiuto della leggenda, i semplici lineamenti basterebbero ad identifi-
carli con sicurezza.
Non parliamo poi delle monete postume, le quali per esser state bat-
tute qualche anno dopo, portano più evidenti le traccio della decadenza
dell' arte. Si osservino i tre Quinari (N. 13 , 14 e 15). Dovrebbero tutti
rappresentare Elena; ma invece presentano tre teste affatto differenti
r una dall' altra , e ce n' ò per tutti i gusti.... eccettuato forse il buono.
E lo stesso dicasi dei Quinari di Teodora (N. 18 e 19). — Si vollero scu-
sare queste monete, o per meglio dire gli incisori che ne apprestarono i
196 FRANCESCO GNECCHI
e se finalmente si considera come i tre tipi comuni
accennati siano la fedele riproduzione dei tre soli
tipi delle monete d'oro (i) conosciute delle due Au-
guste, e vi corrispondano perfettamente sia nei diritti
come nei rovescici), mi pare sia lecito argomentare
che nella coniazione di queste monete vi sia stata
della confusione, e che non solamente si siano talora
scambiati i rovesci (e principalmente adoperati quelli
di Fausta per Elena) , ma benanco durante la lavo-
razione dei coni, vuoi per la fretta, vuoi per qua-
lunque altro motivo, ad alcune teste già incise sia
stata applicata talvolta una leggenda che non vi era
appropriata, e lo stesso sia avvenuto di qualche
rovescio.
Se da un lato tale confusione sarebbe una nuova
conferma della contemporaneità di queste monete
e quindi della giustezza di attribuzione proposta da
Marchant, dalPaltro mi pare si possa, come conclusione
con! coir asserirò che , trattandosi di persone mortoi era lecito agli artisti
rappresentarlo in quell'età che meglio loro talentava. Ma qni si tratta ben
altro che di sola età. Sono addirittura fattezze differentissime, e che^ per
quanti anni fossero trascorsi, non potevano in ninn modo aver saccessiva-
mento appartenuto a una sola persona.
(1) Si vedano i tre aurei riprodotti in testa a qnost' Articolo. L' aureo
di Fausta col rovescio salys appartiene alla mia collozione, gli altri due
al Museo Britannico.
(2) L'esatta riproduzione del tipo dell'oro nel bronzo lo troviamo anche
nelle monete di Galena Valeria moglio di Galerio Massimiamo, una delle
pochissimo imperatrici, anzi la sola, oltre Elena e Fausta, che, nell'epoca
in cui ci troviamo, abbia avuto monete coniate al suo nomo, mentre era
in vita.
Ognuno sa d' altronde come la coniazione delle monete d' oro fosse in
ogni epoca affidata ai migliori artisti, ed eseguita perciò con molto mag-
gior cura che quella del bronzo, rappresenti , assai meglio di quest'ultimo,
i veri tipi monetari ufficialmente stabiliti, scevri da ibridismi.
APPUNTI m MUUISUATICA ROMANA 197
definitiva di quanto s' è esposto , asserire che i
soli tipi dirò ufficiali delle monete di bronzo dì
Sant'Elena e di Fausta Auguste sono i tre dell'oro,
mentre tutte le altre monete, che presentano un' ap-
parenza anormale , sono il prodotto dell' ibridismo
e della confusione.
XI.
CONTRIBUZIONI AL CORPUS Nl/MORUM
Nel Num. VII di questi appunti, dando la descri-
zione di monete inedite o varianti della mia colle-
zione, promettevo che ne avrei esplorato anche altre
pubbliche e private. Incominciai difatti tali indagini
nella Collezione del Museo Artistico Municipale di Mi-
lano, il quale però, se vanta la più splendida collezionG
che si conosca di monete e fora' anche di medaglie
milanesi, all'infuori di questa non possiede in fatto
di numismatica se non collezioni incipienti. La serio
romana è appena rappresentata ; e piuttosto che una
collezione si può dire un semplice abbozzo ; un paio
di migliaia di pezzi, roba comunissima nella massima
parte e in generale di conserva.zione a! disotto del
mediocre. Eppure non v'ha collezione, per piccola che
sia, la quale non contenga qualche pezzo che manca
fiOÒ ii'RANOESCO GN&CCHI
alle più grandi , e anche V umile serie romana del
nostro Museo Municipale racchiude qualche cosa
di inedito che conviene registrare. Si tratta per
lo più di piccole varianti di poco interesse ; ma
a sostenere Tenore dei pezzi che si presentano basta
il bellissimo Medaglione d'argento di Gallieno posto
in testa a questi cenni, proveniente dal lascito Bo-
lognini, dal quale pure provengono tutte le poche
belle monete della collezione.
Tutte le serie numismatiche del Museo Arti-
stico Municipale di Milano sono state cosi bene
ordinate dal diligentissimo Conservatore il marchese
Carlo Ermes Visconti da fare invidia ai migliori
Gabinetti , e ben facile sarebbe il compito mio, so
tutte le collezioni si presentassero come questa.
TITO.
1. Medio Bronzo. — Dopo Cohen 801.
/B' — IMP T CAES VESP AVG P M TR P COS Vili
Testa laureata a sinistra.
^ — VICTORIA AVGVST S C
Vittoria a destra con una corona e una palma.
(Anno 80 d. C).
DOMIZIANO.
2. Medio Bronzo. — Dopo Cohen 358.
^ — IMP CAES DOMIT AVG GERM COS XII CENS
PER P P
Testa laureata a destra.
T^ - lOVI CONSERV S C
Giove a sinistra col fulmine e lo scettro e col manto
a mezza vita.
(Anno 86 d. C).
APPUNTI DI NUMISMATICA ROMANA 201
VALBRIANO.
3. Antoniniano. — Dopo Cohen 106.
^ — IMP VALERIANVS P AVO
Basto radiato a destra.
9? — PROVID AVGO
La Provvidenza a sinistra con una verghetta, colla qnale
indica un globo a terra, e una cornucopia.
4. Antoniniano. — Dopo Cohen 157.
^^ — IMP C P LIC VALERIANO AVO
Busto radiato a destra.
^ — VIRTVS AVO
Il Valore galeato a sinistra con una piccola Vittoria e
appoggiato al proprio scudo. L' asta riposa sul suo
braccio sinistro.
GALLIENO.
6. Medaglione d'Argento. — Prima del numero 1 di Cohen.
^' — GALLIENVS PIVS AVG
Busto a destra col paludamento e la corazza. Il capo
è coronato da semplice tenia.
^ — ADLOCVTIO AVGG
Valeriane e Gallieno stanno su di un palco eretto a
destra, ambedue con un' asta nella sinistra. Dietro a
loro sta il prefetto del pretorio. L' imperatore che è -
davanti alza la mano destra arringando tre soldati,
ciascuno dei quali tiene un'insegna e lo scudo.
(Vedi Figara in princìpio).
Come ho accennato più sopra, questo bellissimo Meda-
glione è la perla della Collezione Romana nel Museo Artistico
Municipale di Milano. Essendo già il pezzo più importante
quale Medaglione d'argento, e uno dei migliori anche come
conservazione ; ha per di più la fortuna d'essere inedito e
d'avere anzi una specialità per cui merita d'essere descritto.
Il tipo dell' Allocuzione somiglia piuttosto a quello dei
202 FRANCESCO 6NECCHI
Medaglioni di bronzo (Cohen 712 e 713) che non all'unico
conosciuto in argento (Cohen 1); ma la particolarità che
distingue questo Medaglione da tutti gli altri e anche da
tutte le monete di Gallieno è la nuova e strana orna-
mentazione del capo. Poche teste imperiali furono cosi
variamente rappresentate come quella di Gallieno, le cui
monete ce la presentano ora nuda, ora fregiata di corona di
lauro o d'altra corona che ancora non è ben definita, e chi
la vuole d'erba, chi di canne, chi di giunchi; ora finalmente
coU'elmo di varie foggie o colla corona radiata o di lauro
sovrapposta all'elmo.
Nel nuovo Medaglione, il capo di Gallieno è circondato
da semplice tenia. Questo noto ornamento delle teste dei Dia-
dochi e simbolo di autorità regale appare qui per la prima e
crederei anzi per l'unica volta in tutta la serie delle monete
imperiali dei primi tre secoli, per riapparire poi ornato di
gemme e convertito in vero diadema sulle monete bizantine.
6. Antoniniam. — Dopo Cohen 404.
^ — GALLIENVS AVG
Testa radiata a sinistra.
^ — . PAX AYGVSTI
La Pace corrente a sinistra con un ramo e uno scettro
trasversale.
CLAUDIO GOTICO.
7. Anlontniano. — Dopo Cohen 67.
ÌB' — IMP C CLAVDIYS AVG
Testa radiata a destra.
^ — FELICITAS AVG
La Felicità a sinistra con un caduceo e una cornucopia.
8. Anlontniano. Dopo Cohon 103.
^^ — IMP C CLAVDIVS AVG
Busto radiato e corazzato a destra.
?/ — lOVI VICTORI
Giove ignudo a sinistra col manto sul braccio sinistro, col
fulmine nella destra e lo scettro nella sinistra.
APPUNTI DI NUMISMATICA ROMANA 203
TACITO.
9. Antonintano. — Dopo Cohen 48.
/jy — IMP C M CL TACITVS AVO
Busto radiato e corazzato a destra.
9! — FELICITAS AVO
La Felicità a sinistra con un lungo caduceo e una cor-
nucopia.
PROBO.
10. Anioniniano. — Dopo Cohon 120.
/B' — IMP C PROBVS AVO
Busto radiato a sinistra col manto imperiale e lo scettro
sormontato dall'aquila.
l^ — ADVENTVS AVO
Probo cavalcante a sin. collo scettro e la destra alzata.
11. — Anioniniano. Dopo Culicn 16*.
?^ — IMP PROBVS P F AVO
Busto radiato e corazzato a sinistra.
9! - CLEMENTIA TEMP
Giove ignudo a destra presenta un globo con una
Yittoriola a Probo in abito militare. Ambedue hanno
lo scettro.
12. Anioniniano. — Dopo Cohen 179.
^' — IMP C M AVR PROBVS AVO
Busto radiato a destra col paludamento e la corazza.
9I - CONCORD AVO
La Concordia con due insegne militari a destra, di
fronte al Sole ignudo che alza la mano destra e tiene
un globo.
13. Anioniniano. — Dopo Cohon 200.
/IK — IMP C M AVR PROBVS P F AVO
Busto radiato a destra col paludamento.
^ — FELICITAS TEMP
La Felicità 1^ sinistri^ con un caduceo e uno scettro.
204 FRA.NCBSGO 6NEGCHI
14. Antoniniano. — Dopo Cohen 440.
^' — VIRTVS PROBI AVG
Busto radiato e corazzato a sinistra con lancia e sondo.
^ — ROMAE AETERN
Tempio a sei colonne in mezzo al quale Boma di fronte
con una vittoria e uno scettro.
IB. Antoniniano. — Dopo Cohen 494.
^^ — IMP C M AVR PROBVS AVO
Busto radiato e corazzato a destra.
?/ — SECVRIT PERP
La Sicurezza a sinistra appoggiata a una colonna colla
destra alzata sopra la testa.
16. Antoniniano. — Dopo Cohen 628.
^^ — IMP C M AVR PROBVS P F AVO
Busto radiato a destra.
^ — VIRTVS AVGVSTI
Probo a sinistra in atto di coronare un trofeo, ai piedi
del quale sta un prigioniero.
17. Antoniniano. — Dopo Cohen 666.
/B' — IMP C M AVR PROBVS P F AVO
Busto radiato e corazzato a sinistra armato di lancia
e scudo.
T^ — VIRTVS PROBI AVO
Probo galoppante a destra in atto di colpire coli' asta
un nemico inginocchiato e che ha perduto lo scudo.
DIOCLEZIANO.
18. Antoniniano. — Dopo Cohen 150.
^' — IMP C DIOCLETIANVS AVO
Busto radiato e destra col paludamento.
^ - FELICITAS AVO
La Felicità a sinistra qqu uii caduceo e una cornucopia.
APPUNTI DI MUMUUATICA ROHAMA
MASSIMIANO ERCULEO.
19. Antoniniano. — Dopo Cohen 413.
^ — mp C VAL MAXIMIANVS AV&
Basto radiato a destra col paludamento.
9I - VIRTVS AVG&
Ercole ignudo a deatra colla destra sol fianco, e ap-
poggiato alla clava, intomo a cui è avvolta la pelle
del leone.
OALERIO MASSIMIANO.
20. Medio Bronzo. — Dopo Cohen 75.
ÌB' — OAL VAL MAXIMIANVS NOB CAES
Testa laureata a destra.
'^ — OENIO CAESARIS
Genio seminudo di fronte con una patera e una cor-
nucopia.
NB. Questa le^nda h nuora fra le monete di Qalerìo Massimiano.
MASSENZIO.
21. Medio Bronzo. — Dopo Cohen «3.
^ — IMP MAXENTIVS P F AVO-
Testa laureata a destra.
91 ~ CONSERV VRBIS SVAE
Tempio a quattro colonne. Nel mezsso Eoma (?) seduta
con un globo e uno scettro , e a' suoi lati due Vit-
torie che lo offrono corone.
NB. Questo rorescìo è affatto nuovo. La moneta proviene da quel
copiosissimo ripostiglio di Belinzago, scoperto nel 1877, e che
giii diede un buon contingente di nuove monete,
20G F. ONECGHI - APPUNTI DI NUMISMATICA ROMANA
LICINIO PADRE.
22. Piccolo Bronzo. — Dopo Cohen 134.
^ — IMP LICINIVS P F AVO
Busto laureato e corazzato a destra.
^ — SOLI INVICTO GOMITI
Il Sole seminudo di fronte, rivolto a sinistra. Tiene
nella sinistra un globo e un flagello e ha la destra
alzata.
CRISPO.
23. Piccolo Bronzo. — Dopo Cohen 119.
^' — CRISPVS NOB CAES
Busto laureato a destra col paludamento e la corazza.
T^ — VICTORIA LAETAE PRINC PERP
Due Vittorie posano su di un cippo uno scudo colla
leggenda VOT P R
COSTANTINO n.
24. Piccolo Bronzo. — Dopo Cohen 136.
^ — CONSTANTINVS VIC AVO
Busto diademato a destra col paludamento.
?/ — GLORIA EXERCITVS
Due soldati di fronto armati di lancia e appoggiati
allo scudo. Tra loro due insegne militari.
COSTANZO IL
25. Piccolo Bronzo. — Dopo Cohen 246.
^ - CONSTANTIVS NOB C
Busto laureato e corazzato a destra.
^ — Come il precedente.
Francesco Gnecchi.
RIVISTA ITALIANA DI NUMISMATICA
1890. TAV. IV.
-a B — 9 B — 4 B — 5 B — 6
-Il B — 11
1^ f^^ ^^ ^p
B ~ 13 B — U B — 15 ^^^e n^-- U B — 1» B — 19
i — ao B_ai B — 33
mm
-34 B — 35
-29 B — 30 B — 31
EHoUpw DANESI - RoDu.
FBAICE3CaSI£CCHI. - AHUti U lUifUIlCI BOUlt-L
(Anno Iti - Pasc. 11)
THE ìiy^'- v'^r-K J
I
CONGEnURE
SDLL'AnRIBUZIONK DI ALCUNI TRKHISSI LONGOBARDI
s
Questi tremissi, dallo stampo ristretto relativa-
mente al diametro loro, donde risulta in contomo
un largo margine liscio, caratteristica dei longobardi,
se ne distinguono per la singolarità delle impronte.
Quantunque non perfettamente uguali, si pre-
stano per la grandissima rassomiglianza fra di loro,
indìzio di una origine sola per tutti, ad uno studio
di confronto. I due primi sono tolti all'opera gran-
diosa di E. Gariel sulle monete dei Carolingi W, il
terzo mi appartiene.
In tutti non bavvi che un monogramma ìn dt-
(1) E. Gariel, Let mmrnaUi'royaUs de Frante aoua la race Carìotii •
gimne. Parte II, TaT. lY, N. 84 e 85.
208
GIUSEPPE GAVAZZI
ritto, ed uno in rovescio, dissimili fuorché nel nesso
REX, o RX comune all'uno e all'altro lato. Essi de-
vono dunque appartenere ad una società reale. Sep-
pure non v' abbia un solo regnante il cui nome
contenga tutte le lettere costituenti i due mono-
grammi.
Gariel legge nel primo dei' suoi tremissi: in
diritto CARLEMAN RX ; in rovescio CARLE RX o CARLF RX ;
nel secondo: in diritto CARLEMAN REX; in rovescio
CARLE RX. Con mio rammarico lascia desiderare il
titolo ed il peso dell'uno e dell'altro. Il N. 3, ossia
il mio, pesa 110 centigrammi ; ed in seguito ad un
assaggio alla pietra sembra composto di sette parti
d'oro e di tre d'argento.
Ha in diritto il
monogramma
che scompongo in
CAROSMTREX.
In rovescio ( K/ K e cioè CEROSMREX nel
corpo del mono ^^^^'- gramma edlMD fuori, le
quali due ultime lettere crederei perciò essere piut-
tosto marchi di zecca, come Gariel giudicò le sigle
sparse intorno ai monogrammi dei suoi tremissi.
Si può, col monogramma del diritto del mio, co-
strurre il nome di Grimoaldo, e, non senza sforzo,
farne altrettanto nei diritti dei tremissi di Gariel.
Si ponno eziandio nel rovescio (del mio solo però)
leggere i nomi di Gondeberto e di Cuniberto.
Ma il nome del primo, che non ebbe soci di
regno, non toma nel rovescio di nessuno dei tre
tremissi, come non toma nel diritto del mio quello
di Pertanto associato col secondo e col terzo.
CONOETTURB SULL^TTaifiUZlONE, ECC. 209
Ma vi ha una ragione assai più calzante per
negare a quei tre principi V attribuzione del mio
tremisse, e conseguentemente anche dei due di Gariel,
supposto che questi nel titolo e nel peso siano con-
formi, come pare, al mio, visto che lo sono nello
stile, nel diametro e nelle impronte.
Autorevoli scrittori osservarono che il peso dei
tremissi longobardi si mantiene da Rotarì a Liut-
prando incluso fra grammi 1.38 e 1.26 W; scade con
Astolfo e più ancora con Desiderio. Fatto constatato
anche da me colla pesatura di alcuni tremissi lon-
gobardi dei quali dispongo, e coi dati gentilmente
favoritimi dagli ottimi amici miei Prof. S. Ambro-
soli Conservatore del Gabinetto di Brera e Cav, Er-
cole Gnecchi per quelli dei rispettivi medaglieri.
Trovammo costante buon peso nei tremissi di Cu-
niberto, Liutberto, Ariberto e Liutprando: per Astolfo
grammi 1.10 e per Desiderio perfino 1.02, cioè ancor
meno dei pesi indicati dal Cav. Brambilla nelle
monete di Pavia, di 1.180 rispettivamente al primo,
e 1.066 al secondo dei due regni.
Il mio tremisse non offre traccie di tosatura ed
è nelle stesse buone condizioni, di conservazione di
quelli pesati da quei signori e da me. Il suo peso
è quindi un buon argomento per ritenerlo non an-
teriore alla metà dell'ottavo secolo. E per analogia
dirò altrettanto di quelli di Gariel.
Il Conte di San Quintino ed il Cav. Brambilla (2)
osservano altresì che nei primi tempi della domina-
(1) G. dei conti di San Quintino, Sulla Moneta dei Longobardi in
Italia, — C. Brambilla, Tremisse di Rotori. — Monete di Pavia,
(2) Di San Quintino e Brambilla. Opero citate.
310 GIUSEPPE GAVAZZI
zione longobarda, quei re, non osando battere mo-
neta in nome proprio, copiarono la bizantina come
quella che godeva del massimo credito.
E in pari tempo volendo dare una certa origi-
nalità alla loro propria ne alterarono scientemente
le scritte in modo da renderle soventi illegibili. Con
questa astuzia poterono far correre fra il volgo
ignorante di allora tremissi di peso e lega inferiori
agli imperiali.
Il più antico tremisse conosciuto, che porti nome
di re longobardo, è quello di Rotari del Museo Bre-
sciano.
Rotari conserva il tipo bizantino : in dritto
busto diademato di profilo ; Vittoria alata in rovescio.
Cuniberto sostituì alla Vittoria l'Arcangelo San Mi-
chele, tipo costantemente seguito poi da Liutberto,
Ariberto II 0) e Liutprando.
Astolfo mise in diritto un monogramma in luogo
del busto, conservando in rovescio l'Arcangelo: poi
adottò il tipo di Lucca , stella in diritto , croce in
rovescio, che tenne anche Desiderio.
Ora le impronte del mio e dei tremissi di Gariel
non hanno nulla di comune con quelli da Rotari a
Liutprando. Dato pure che un regnante fra quei due
avesse creduto di attenuare il peso normale del tre-
(1) Veramente abbiamo un tremisse di taglio romano col nome e Teffigie
di Ariberto II descritto da D. Promis nelle Monete di zecche italiane ine-
dite é corrette, 1867, che dairiscrizione iffo olorivso dyx appare coniata
da nn principe fendale. Qneirantore rimarca aver esso nnlla di comune coi
tremissi di Pavia e molto ragionevolmente crede che l'ignoto duca Iffo
avesse residenza in qualche città confinante colle Provincie soggette alFim-
pero greco o in grande relazione con esse. Cosi i duchi e principi di Be-
nevento seguirono costantemente il tipo romano a differenza dei re longo-
bardi che ebbero il loro speciaio.
CONOBTTURB SULL^ATTRIBUZIONB, ECC. 211
misse longobardo, queati l'avrebbe fatto, o in modo
palese coirintendimento di stabilire la monetazione
su basi diverse, o segretamente a scopo di lucro. La
prima ipotesi è contraddetta dal buon peso costante
e dallo stampo invariato dei tremissi longobardi fino
a Liutprando. La seconda poi non regge affatto se
appena si consideri che 1' autore della frode , lungi
dallo scioccamente palesarla con un tipo nuovo
di pianta, avrebbe fatto di tutto per nasconderla
sotto le forme consuete.
Ignoro le ragioni che indussero Astolfo a mo-
dificare il peso e variare lo stampo dei suoi tremissi.
Fatto è però che dopo di lui non si ritornò più al
tipo ed al peso di prima.
Mi chiesi se l'ardita lettura di Gariel non po-
tesse avere probabilità di vero, e non a me soltanto,
ma lo chiesi anche ad altri assai di me più valenti.
E questi cortesemente mi risposero non vederne di
migliori, neppure nel mio tremisse, e con generosa
modestia aggiunsero che non mi avessi a preoccu-
pare dei loro giudizi e farmene uno da me.
Per quanto infatti strana a prima vista, la let-
tura di Gariel sembrami tecnicamente la più naturale.
Nel mio tremisse i nomi di Carlo in diritto, di Car-
lomanno in rovescio si presentano con un' evidenza
sorprendente.
Ma come ammetterli in moneta longobarda?
Dove quei tremissi poterono aver veduto la luce?
Non in Francia, ove recentemente Pipino il Breve
aveva abolito la coniazione dell' oro e riconosciuto
sola moneta legale l'argento. Dato anche che Pipino
o i suoi figli avessero eccezionalmente battuto oro,
^li avrebbero data la forma massiccia merovingia
212 . GIUSEPPE GAVAZZI
modellata sulla romana. Tali sono infatti i rarissimi
soldi d'oro battuti in Francia da Carlomagno e da
Lodovico Pio.
Besta a vedere se e come quei tremissi possano
essere di fabbrica longobarda.
Le paci, le quali chiusero le spedizioni franche
del 754 e del 756 in Italia, presentano differenze
notevoli, e nei contraenti e nella forma, che non
isfuggirono al nostro grande Muratori.
Dalla vita di Stefano II in Anastasio bibliote-
cario, evidentemente scritta da testimonio contem-
poraneo e bene informato, e dal Codice carolino,
veniamo a conoscere:
Che i Franchi vennero richiesti dai romani in
virtù dell'obbligo fatto loro dal patto letico di mili-
tare in difesa dell'impero e di Roma. I Franchi erano
considerati militi romani ed i re loro cittadini romani
per la dignità patriziale conferita a Pipino ed ai
suoi figli Carlo e Carlomanno con lui regnanti.
Che la pace seguita alla spedizione del 754 fu
contratta da romani, franchi e longobardi^ questi obbli-
gandosi a restituire ai primi le città e terre usurpate.
Che avendo Astolfo mancato ai patti , Pipino
sceso nuovamente nel 756 conchiudeva con esso un
secondo trattato, e questa volta senza intervento dei
romani, nel quale i longobardi cedevano, non più ai
romani , ma ai franchi i territori di giurisdizione
romana.
Pipino poi si obbligava verso la Chiesa Romana
a rimetterli ad essa, come fece. Ciò risulta dai se-
guenti passi della vita succitata:
Gregorio legato del greco Augusto, raggiunto
Pipino sotto Pavia, rammentandogli senza dubbio
CONOBTTURE SULLVtTRIBUZIONE, ECC. 213
il patto leticOy gli richiese Ravenna e le altre città
e terre imperiali contro pagamento delle spese. Cui
Pipino rispose che per nulla al mondo avrebbe ri-
tolto a S. Pietro ciò che gli aveva dato {Obtulit dice il
succitato biografo), né si dà che ciò che si possiede.
Nel trattato di pace con Pipino, Astolfo conferma
i patti di prima, ma la restituzione non ha luogo
direttamente da longobardi a romani, bensì ad re-
cipieiidas ipsas civitates il re dei franchi delega l'a-
bate Fulrado suo consigliere, il quale accompagna-
tosi con messi di Astolfo, entrando di città in città
ne riceve ostaggi e le chiavi delle porte, finché
giunto a Roma depone le chiavi una cum donatione
a suo rege emissa nella confessione di S. Pietro.
Fuvvi dunque un tempo breve o lungo, non
monta, nel quale i re franchi patrizi dei romani
ebbero l'effettivo possesso di Ravenna e delle altre
città dell' Italia centrale loro cedute dai longobardi
col trattato del 756.
Mi par quindi niente affatto improbabile che
durante questa, sia pure effimera signoria, eglino vi
avessero ad esercitare atti di vera sovranità e fra altri
quello di coniar moneta. Tanto più che 1' attestare
con documenti pubblici e solenni il possesso reale,
benché temporaneo di quei territori, dimostrando il
proposito di difenderli, sarebbe stato argomento op-
portuno a contenere i longobardi e rassicurare pie-
namente i romani W.
(1) Cho i romani fossore stati fino allora mediocremente persuasi, non
della fedeltà, ma della premura dei re franclii per loro, traspare dalle let-
tere di papa Stefano II a Pipino ed ai figli, di Kingno e luglio 765 e feb-
braio 756 tolte dal Codice Carolino e riprodotte da C. Troja nei Documenti
diplomatici longobardi ai N. 692, 694 e 696.
38
214 GIUSEPPE GAVAZZI
Lo stile di quei tremissi non lascia dubbio che
artefici longobardi vi abbiano lavorato. La coniazione
può essere avvenuta nel tempo del breve soggiorno
di Pipino in Lombardia fra la conclusione della pace
ed il suo ritorno in Francia. In questo caso essa
ebbe luogo assai probabilmente nel campo franco
non lungi da Pavia. Oppure potrebbe più tardi avervi
provveduto Fulrado stesso per conto dei suoi re.
Parmi più credibile la prima ipotesi, perchè Fulrado
nell'esarcato, ove si recò tosto avrebbe probabilmente
coniato sul taglio romano, come prima di lui vi coniò
lo stesso re Astolfo (l).
Veniamo ora all'analisi dei monogrammi del mio
tremisse. Il nesso REX, come vedemmo, è comune ai
due lati. Il diritto si può facilmente scomporre nei
seguenti nessi :
CAROLVS De PtiTRtctiis IX ROMANORVM
Quanto alla lettera T nel nesso da me letto
PatriciuSy non saprei vederne altra in quell'incrocio
della barra orizzontale di A prolungata oltre 1' asta
minore di R. Tanto più che ho un esempio analogo
in una iscrizione dell' ottavo secolo riportata da
L. Alpli. Ciiassant nel Dictionnaire des abréviations
latines et frangaises du moyen àge^ ove la lettera T
è formata da un incrocio analogo colla C qua-
(1) D. Promis, Monete di zecche italiane inedite o corrette, 1867. —
C. Bkambilla, Annotazioni numismatiche, 1867,
CONGETTURE SULL^ATTRIBUZIONE, ECO. 215
drata della terza parola abbreviativa di SANCTO W.
Nel rovescio:
CÀRLEMANNVS K Pktricius f/ 1 ROMANORVM
Non posso ammettere la mancanza del nome
di Pipino, re principale e padre. Lo vedrei nelle P
contenute nelle due R che figurano tanto nel mio
che nei tremissi di Gariel. Nel mio poi è facilissimo
costrurre in ambo i lati l'intero nome.
PIPINVS col nesso
Cosi nel mio tremisse i titoli di REX e di PATRICIVS
ROMANORVM verranno a riferirsi al singolare ai nomi
di Pipino, di Carlo e di Carlomanno. E andrebbero
d' accordo, salvo varianti insignificanti, coi seguenti
indirizzi delle lettere a quei re inserte nel codice ca-
rolino : Domimi Excellentissimis Pippino, Carolo et Ca-
rohmanno tribus regibus et nostris romanomm patriciis.
Quanto poi alle sigle M • D • un amatore di monete
milanesi potrebbe desiderare di leggervi M^Deofonwm,
ma quelle due lettere possono significare troppe cose
perchè io mi attenti di darne la spiegazione.
Anche nei tremissi di Gariel crederei vedere,
(1) Credo far cosa grata al lettore riportando quella bella iscrizione:
m:iwjantse(bn\m§e'kkk
TINSIftEfreRXBRN KERKItt
&RPPE(DlliSyiS«?B.
cioè hic pausante sancto Germano die traeìationis dedit ei rex Pipimis
fUeuM pàlatidi cum appenditiia auia omnibue.
216 0 GAVAZZI - CONGETTURE SULL'aTTRIBL'ZIONE, ECC.
almeno nei diritti, le lettere rudimentali di PATRICIVS
ROMANORVM.
Ecco in qual modo io spiegherei queste curiose
monete che ritengo possono far parte della serie
longobarda, e per lo stile indubbiamente longobardo
e perchè tali a mio avviso si possono considerare
anche dal punto di vista politico e storico. Poiché si
riferirebbero ad una parte d'Italia che cessa di es-
sere longobarda, né è ancora romana, e segnano un
momento importantissimo della storia dei longobardi.
Attribuendole poi a Pipino, Carlo e Carlomanno
quali patrizi dei romani, ed a zecca incerta le porrei
sotto Tanno 756 per le ragioni già dette.
Con ciò io non pretendo di aver cólto nel segno
ma vorrei sperarlo. Perciò intitolai questo mio lavoro
Congetticre^ né più che tali le credo. Altri più valenti
di me troveranno forse spiegazione migliore e di-
versa. Che se alcuno vorrà combattere queste mie
conclusioni, io non me ne dorrò certo, anzi V avrò
ad onore e se sarò convinto di errore, mi arrenderò
lietamente alla verità. In queste controversie, vinci-
tori e vinti ne sortono sempre con guadagno.
Non mi resta se non attestare la mia ricono-
scenza al Nob. Cav. C. Brambilla e alla onoranda
memoria del desìderatissimo Comm. Vincenzo Promis,
i quali con bontà pari alla loro dottrina, mi furono
larghi dei loro lumi, mi posero sulla via, e mi fecero
cortese violenza a proseguirla.
Ebbi cosi modo di procurarmi soddisfazioni gran-
dissime nello studio di un periodo tanto interessante
della storia del nostro bello e caro paese.
Giuseppe Gavazzi.
NUOVE OSSERVAZIONI
SOPRA ALCUNE MONETE BATTUTE DAI PAPI
lEL COmOO VEIESIN E D' AVIGIOIE
u Piaoemi di notare che aveva ragione il Cartier
tt quando attribuiva a Bonifacio IX, papa dal 1389
tt al 1404 (Revue numismatique frangaise. Blois, 1836,
a pag. 12), un pezzo di bassa lega con un busto di
u papa tenente una chiave colla destra e con attorno
tt BO • PAPE • DOMIN • da una parte, e dall'altra una
tt croce accantonata da una B ed in giro COITAT •
tt VENÀSSIN • (1), mentre invece due anni dopo (Revue
tt numfs.j Blois, 1838, pag. 214) si lasciò indurre in
tt errore dal sig. di Saulcy, dandolo a Bonifazio VITI,
tt quando il Venesino non fu eretto in contado
tt che dal suo successore. » Cosi il chiarissimo nu-
mismatico italiano Domenico Promis scriveva nel-
Tanno 1867 in nota ad una sua memoria intitolata
Carpentrasso (2).
n signor avvocato Vincenzo Promis, figlio del-
l'illustre numografo, seguendo la medesima opinione
(1) Vedasi la Tav. Y, N. 1.
(2) Domenico Promis, Monete di zecche italiane inedite o carrette,
Torino, 1867, pag. 28-30.
218 VINCENZO CArOBlANCHI
nelle sue Tavole Sinottiche delle Monete battute in Italia
e da Italiani all'estero (l), pag. 20, contro l'opinione
che prevalsa era, toglieva a Bonifacio Vili la suin-
dicata moneta per assegnarla al IX, notandovi pa-
rimente come a tale moneta dapprima era stata dal
u Cartier giustamente attribuita a Bonifazio IX, indi
tt indotto in errore, ed in ciò seguito da qua^i tutti
u i numismatici, la diede a Bonifazio Vili, dal cui
a successore soltanto fu il Venesino eretto in con-
a tado. 77
In vero dire i signori Domenico e Vincenzo
Promis, a' quali la numismatica italiana deve tante
interessanti illustrazioni e discoperte, mancarono in
questa asserzione della loro abituale prudenza, cir-
cospezione e diligenza, poiché essi non dovevano
ignorare T interessante opera numismatica del Car-
dinale Giuseppe Garampi, col titolo Saggi di Osser-
vazioni sul valore delle antiche Monete pontificie (2),
ove nella ricca raccolta di Documenti tratti dagli
Archivi vaticani, che questa ha per corredo, essi
avrebbero ritrovato invece, che sotto Bonifacio Vili
il Venesino era già eretto a Contado (^) ; che la nuova
(1) Torino, 1869.
(2) Quest^opera ò citata da Verhiolioli Gio. Battista {Della Zecca
e delle Monete perugine. Porngia, 1816. App. pag. 73, nota 20), e da Angelo
CiNAGLi {Le Monete de^ Papi. Fermo, 1848. Pag. 42, nota 7; pag. 43,
nota 2 ; pag. 71, nota 8 e 4, e pag. 79, nota 2).
(3) Garampi, Op. cit App. di Docnm. pag. 7. Ordinazione del Rettore
del Contado Venesino snl corso della Moneta paparina (*).
€ In Dei notnine amen. Anno Domini Incamationia MCCCIL In-
€ dictione XF die Veneris, vigesimo primo eeptemhris, ponti ficatue dotnini
€ Bonifacii Pape Vili anno octavo.
0 Pag. 61 del Protocollo degli Atti della curia del Contado Venesino, rogati da Barone AlleotU
notaio dell» medesima negli anni 1902 e 1303, in Arch. Vaticano.
NUOVE OSSERVAZIONI SOPRA ALCUNE MONETE, ECC. 219
^m^— ■! ■ .-.I I..1 I
moneta papale (denominata colà denaro coronato ,
perchè su di esso vede vasi. T imagine del Papa col
« NùB Ouido de Monte Alcino (*) Seneeeallua comitatvs venaisini
« prò vwgnifico et potenti milite dùmino Rogerio de Spinte (**) de FlO"
« refitia Rectore Conntatue ejuedeni prò domino Papa et Saneta Romana
« Ecclesia^ auctoritate et balia nobis commiseie, et omni modo et jure quibue
« inelius poeeumtMf intendentee utilitati gentium Comitatue ac reipublice, ut
€ qiieque deceptionee, caviUationea, et questionea, que coneueverunt in eodein
€ Comitatu in pecuniarum eolutionibus sepe eepim exhoriri, eeseent, et ad
€ oinnetn errorem hujustnodi evitandum, etatuimuSf sancimus, ac volumtu
« et mandamue, et prò decreto et statuto haberi tolumus^ et in eodein Comi*
€ tatù inviolabiliier obeerrari, quod in comitatu vrnaisino eurrat et cureum
€ habeat eolummodo et tantum moneta honorum paparinorum (•*•), in
€ ea valentia et bonitate monete^ que fuit ordinata, composita et statuta
< PER DOMINUM MATHIAM DE THEATE (•*♦») OLIM RECTOREM C0MITATU8
e eiusdem; mandantee tenore preeentium^ quod eolutiones fiant et fieri
€ debeant in dicto Comitatu ad dictam monetami et dieta moneta cursum
€ habeat et non alia; de quibuapetiit et mandavit fieri publica Instrumenta.
e Ada 8unt hrpc Patemia in fortilitio Patemarum, preaentibua teatibua
€ Benaatro Milgli, et Bono Artiniaii^ et Feo Cappictei ad hec rogatia.
€ Ego Barone de Singna Florentin. dioceaia filiua Aliotti, judex ardi*
€ nariua, et notar iua publìcus dicti domini Seneacalliy et Curie Venaiain,
€ notariua etc, >
0 DE MONTE ALCINO. Ruggieri de' Spini deputò diterttum H pntdmUm virmm dm. OmMonmh
qttondam Battdimi de Monf AMno utriunqu* JurU j>«rUum in SemsataBum wt Viearimm in officio Soctorim
Comitatu», con SUO Mandato di Procura rogato in Firenze a dì 30 aprile 1302 (loo. cit p. 9.
(**) DE 8PINIS. Questi fu depuUto Rettore del Yeneaino da Bonifacio Vili a di 18 marco 1808
a suo beneplacito, come si era usato di costituire gli altri Rettori precedenti La bolla è diretta dH. ftt.
nobm viro Mtogorio d» Spini* do lìorontia MOiti (loc. cit pag. 2). Il poSMOSo poi del Rettorato fu
preso ai 29 di maggio, e ciascuno dei feudatari e luoghi, mediatamente o immediatamente soggetti al
Contado, prestò In seguito il solito omaggio e giuramento di fedeltà alla Santa Sede.
T") PAFARINORVM. Cooa oieno eotooti Paparini, ninno è eA« to aappia, scrive il CO. Carli (T. 1 p. 891),
il quale Inclinerebbe a trarne la denominazione dall'antica famiglia de' Paperoni. Noi però, riserbando di
trattare in altro luogo e tempo del giusto ralore e ragguaglio della moneta Paparina, ci contenteremo
di qui accennare, essersi primieramente cosi denominata la moneta, che poco dopo la metà del XIII se-
colo i Romani Pontefici fecero battere in Viterbo e nel Patrimonio di S. Pietro, e che fu diversa affatto
in valore dalla Provisina o Romana ; e cosi ceserai anche chiamata Fuparina quella , che fecero battere
p?r uso dei loro proprii sudditi nel Contado Veiiesino. Sicché la voce Pnpmrina viene ad eesere sinonima
di Papalina^ o PapoUna, come altrove si enuncia.
Il Fiorino d'oro valse a moneta Paparina nel Patrimonio circa l'anno 1270 soldi 2^; nel 1391 e 1297
soldi 30 in circa; nel 1308 soldi 40. e nel 1317 soldi 47.
Quanto poi ai Paparini del Venesino, nelle rimesse del danaro che di là facevansi alla Camera Apo-
stolica, osservo che nell'anno 1301 fu computato il Fiorino d'oro a soldi 28 li2 Paparinorum nooorum qui
NUJfC euduHtur in oomitatu Vonaiooino , lieot eum moroatoribut Ctarontini* , qui in iUio partibmo dietam
poemnittm roooptrunt^ adhmo do dieto eambio oimuo in lito, oit potontibut Wìoronum prò XXVI ootidio eom-
putari (Ub. Division. Sac. Colleg. pag. 80) ; ma nell'anno seguente fu ragguagliato il medesimo Fiorino a
soldi 25 ll2, COXONATOBUM oou Paparinorum novorum , oieut do dieto valoro dowtinu* Matkiaa MUetov
oeripoit (loc. cit, pag. 32).
r**) DE THEATE. Egli fu deputato Rettore del Venesino da Bonifaiio Vm a di 6 giugno del
l'anno 1300 (Reg. Bonif. Vm. an. VI ep. 183). II medesimo nel nostro protocollo viene poi detto Mofiotor-
Jittthi0 do noato CloHeuo Camoro domini Papo, ed era anche Canonico Morinense,
220 VINCENZO CAPOBIANGHI
capo coronato della tiara), principiò ad esservi bat-
tuta da Mattia da Theate eletto rettore di quel con-
tado da Bonifazio Vili a di 5 giugno dell'anno 1300,
e che la zecca trovossi a in Castro papali Pontis
u Sorgie n 0) capoluogo allora del Contado Venesino
e non in Carpentrasso come essi immaginarono.
Ciò premesso, più facile riesce di dare giudizio
sul merito della Memoria, testé menzionata, portante
il titolo Carpentrasso, colla quale Domenico Promis
pubblica ed illustra una piccola moneta di bassa
lega, che conservasi in Torino nella preziosa serie
di monete papali di S. M. Su di essa da un lato
vedonsi due chiavi in palo ma opposte, con attorno
(1) Di questa località, capolaogo allora del Contado Venesino , il Oa-
rampi, (Op. cit, App. di Docnm., pag. 11, nota 9), dice: e Già nella zecca
« Pontificia del Ponte della Sorga battovasi almeno fin dair anno 1301,
€ (come sopra si è osnervato pag. 8), la moneta d'argento, e le altre infe-
€ riori; e questa continaossi a battere anche sotto il Papa Benedetto XI,
e Clemente V e Giovanni XXII. » Inoltre iredansi i Documenti della sud-
detta Appendice, pag. 9, n. IV ; pag. 12, n. V ; pag. 16 , n. VI ; pag. 20 ,
n. VII; pag. 22, u. Vili ; pag. 23, n. IX ed a pag. 10, nota n. 4 € pontis
« SORGIE. In questo luogo, ch'era come il capo di tutto il Contado Vene-
e sino fecero ordinariamente la loro residenza i sommi Pontefici, e vi fab-
c bricarono un gran palazzo , innanzi che divenissero nell'anno 1348 pa-
c dreni di Avignone. Allorché nell'anno 1274 Filippo l'Ardito re di Francia,
€ che indebitamente occupava il Contado, ammonitone dal P. Gregorio X,
« ne rimise in pieno e assoluto possesso la S. Sede, Rinaldo da Boveredo,
€ siniscalco regio di Beaucairo e di NImos, a di 27 gennaio a nome del
€ Bo fece la solenne consogna del Contado ai Nunzii o Commissarii del
« Papa nel castello suddetto: Terram Veneissini predictam, et ipsum
€ castrum pontis sorge, et per cast rum idem terram prefaiam Veneis»
e sini totam restituita oc dimisit liberam et quietam eum castris, etc, oc
< possessionem ipsorum omnium tradidit et assignavit , etc, relaxans
e omnia juramenta fidelitatis , et absolvens singulos ipsius terre ab
€ homagiiSf siqua dieto Regi aut aliis quibuscumque ipsius Regis nomine
< prestitiuent, come più ampiamente apparisce dal protocollo originale dei
€ possessi presisi allora del detto Contado, e dei giuramenti di fedeltà, che
« prestaronsi alla S. Sede, che conservasi in Archivio segreto Vaticano >,
NUOVE OSSERVAZIONI SOPRA AIX^UNE MONETE, ECC. 221
+ NICOLAVS • PP • CARTVS • (papa dal 1288 al 1291),
e dair altro una croce , quasi patente accantonata
iieir angolo inferiore di sinistra da due piccole
chiavi decussate con + SÀNCTVS • PETRVS • (1).
Domenico Promis ha creduto di riconoscere in
questa moneta la produzione primitiva della zecca
del Venesino, anteriormente che questo fosse stato
eretto a Contado; e perciò egli dice, che Nicolò IV
volle vi fosse solamente col suo il nome di San
Pietro, omettendo quello d' una provincia che non
aveva alcun titolo; mentre sulle monete coniate in
Italia da Benedetto XI , Giovanni XXII e Bene-
detto XII , che ressero il pontificato nella prima
metà del secolo decimoquarto , epperciò posterior-
mente a Nicolò IV, se vedonsi le due chiavi, hanno
tutte Sancii Petri patrimonium, per indicare che fu-
rono lavorate nella provincia che porta tal nome
ed in Viterbo capoluogo di essa, u Oltreché » egli
prosegue a questa moneta nel tipo, peso e bontà
a è UGUALE ad alcune monete emesse in questo
tt contado dagli antipapi Benedetto XIII (2) e Gio-
a vanni XXIII (^) e dal legittimo pontefice Eu-
genio IV ».
La conclusione deirillustre scienziato, che questa
moneta possa essere la prima che i Papi coniassero
nel Venesino, cade per le medesime sue osservazioni.
Come mai credere possiamo , senza ammettere uno
di quegli errori de' quali si hanno esempì, che questa
moneta , che coniata esser dovrebbe nel Venesino
(1) Vedasi Tav. V, N. 6.
(2) Vedasi Tav. V, N. 4.
(3) Vedasi Tay. V, N. 5,
39
222 VINCENZO CAPOBIANCHI
verso l'anno 1290 , e perciò di tipo , peso e bontà
come quelle che in seguito vi si usarono coniare, sia
UGUALE invece ad alcune monete emesse in Avignone
nella prima metà del quindicesimo secolo? È evi-
dente che lo zecchiere avignonese errò incidendo
CARTVS (1) in luogo di QVINTVS. Eugenio IV, del quale
si ha moneta uguale , come il Promis asserisce, a
quella su cui ora ragionasi , cessava di vivere a dì
23 febbraio del 1446: ai 6 marzo dell'anno seguente
venivagli eletto a successore Tommaso Parentucelli
da Sarzana , col nome di Nicolò V , a cui la men-
zionata moneta indubitatamente appartiene (2). Nes-
sun' altra dimostrazione potrà meglio convincere di
quanto ora venne indicato che l'esame sui tipi e sulle
epigrafi delle monete di quell'epoca.
Per ciò che si riferisce alle leggende ed agli
emblemi che usaronsi primieramente stampare dai
Papi sulle monete del Contado Venesino si è potuto
osservare che, da Bonifacio Vili a Clemente VI, per
lo spazio cioè di mezzo secolo, tutte le monete d'ar-
gento e billione immancabilmente portano i titoli
COMITATVS VENASINI e COMES VENASINI ; cioè COMITATVS
VENASINI, quelle di Bonifacio Vili e Clemente V ;
COMES VENASINI le altre di Giovanni XXII e Cle-
mente VI (^): le mancanti appartenendo invece a pro-
(1) Un altro esempio della parola cartvs , cosi scritta , si riscontra
sopra un Grosso di Eogenio IV battuto in Avignone, che conservavasi già
nella Collozione Remodi di Sarzana, indicandoci questa identità di voce la
stossa zecca o forse Io stosso zecchi ero; vedasi Catalogo delia Collezione
Remedi di Sarzana pabblicato dalllmpresa di Vendite di Giulio Sambon.
Milano, 1884, pag. 218, n. 2259.
(2) Vedasi la Tav. V, N. 6.
(3) CiNAGLi, Le Monete de^ Papi: Bonifacio Vili, pag. 27, n. 1, coitat
VENAsiN. — Clemente V, pag. 28, n. 1, comit. vbnasini ; n. 2, com. vbnai-
NUOVE OSSERVAZIONI SOPRA ALCVNE MONETE, ECO. 228
vincie italiane soggette alla Santa Sede. Si è osser-
vato parimenti come questi titoli cessino sotto Cle-
mente VI per essere sostituiti , in nuovi tipi di
monete, dal nome di san Pietro, ovvero de' santi
Pietro e Paolo; essendo probabile che tale cambia-
mento avesse origine dall'acquisto del territorio e
città d'Avignone fatto da papa Clemente VI, nel-
l'anno 1348 (1), che formarono allora col Venosino
una sola e più vasta provincia. Trovansi adunque
di quest' ultimo Papa , due tipi di moneto ed in
maggior copia de' suoi predecessori.
I soli fiorini d' oro papali del tipo fiorentino ,
senza nome di Papa, ma portanti quello di SANI •
PETRH (Sanctus Petrus), e con i contrassegni della
mitra ornata di due cerchi e della mitra semplice (2),
i quali a Giovanni XXII credevansi spettare , ne
8INI (modesima moneta dolla Collezione Raspoli. Catalogo della vendita.
Boma, Tip. Befani, 1886. Tav. 1, n. 43, coit. venasini). — Giovanni XXII,
pag. 29, n. 4, combs vbnàsini. — Clemente YI, pag. 30, n. 1 e 2, comes
VBNBSi, e n. 6, comes venasini.
(1) Domenico Promis errò nel riportare che « nel 1340 Avignone fa
e comprata da Benedetto XIII (sic) » citando Topera del Fantoni-Castracci,
Istoria della città di Avignone e del Contado Veneaino, pag. 220 (Memoria
sopra cit. , pag. 30). Come parimenti errò Vincenzo Promis dirondo che
e Avignone fa data nel 1340 a Benedetto XII. » {Tavole Sinottiche sopra
citate, pag. 19). Il Castracci a pag. 206 narra invece che € Giovanna, re-
« gina di Napoli & contossa di Provenza , ritrovandosi in Avignone , cun
€ Tassenso di Lodovico di Taranto suo marito ivi presente , vendo questa
< città a Clemente (YI) ed alla S. Sode per prezzo di ottantamila fiorini
< d' oro realmente sborsati. Segai la vendita a nove Giugno del 1348, o la
« conferma della medesima a 21 deiristesso mese >.
Notiamo parimenti come Domenico Premi;) (Itfomoria cit. pag. 30) narri
che il < Yenesino venne da Filippo il Bello re di Francia ceduto nel 1274
€ a papa Gregorio X », dicasi invece e Filippo (III) l'Ardito », nato il
1** maggio 1245, Be nel 1270, morto il 5 ottobre 1285. Genealogie Historique
de la Maison rogale de France, Paris, 1738. Tom. III,T. XXXIY, p. 178.
(2) CiNAOLi, Op., cit., pag. 29, n. 1 e 2.
224 VINCENZO C APODI ANCHI
avrebbero formato l'unica eccezione^ se, nell'anno 1868,
presso il signor Hoflfmann, noto negoziante di Pa-
rigi , per avventura non avessi discoperto un nuovo
inedito tipo, che, da me acquistato, passò dipoi nella
celebre collezione del sig. Marchese Senatore Filippo
Marìgnoli 0). Sopra un lato di questo vedesi l'ima-
gine, in piedi, di S. Giovanni Battista, con attorno la
leggenda S • lOHANNES B -, e per segno, a destra del
Santo, ma in alto, due chiavette incrocicchiate e le-
gate: sull'altro lato, il giglio di Firenze, la leggenda
COMES VENSI (Comes Venaysini) e due paia di chia-
vette solamente incrocicchiate. Nelle indagini da me
fatte, onde assegnare un posto a questa nuova mo-
neta, mi è sembrato logico che le monete d'oro do-
vessero seguire la stessa norma di quelle d'argento
e billione, ossia che, da Giovanni XXII (che secondo
i documenti del Garampi fu il primo, nel 1322, che
ne ordinò la battitura) a Clemente VI , dovessero
portare il titolo COMES VENASINI , cambiato da que-
(1) Vedasi la riprodaziono alla Tav. V, N. 8. — Questo fiorino venne
già da me descrìtto in una Tavola Sinottica delle monete papali del deci-
moqnarto secolo (Bullettino di Numismatica e Sfragistica per la Storia
d'Italia, Voi. U, n. 1 e 2 rìaniti. Camerino, 1834, pag. 9 e 22). Altri esem-
plari di questo rarissimo fiorino d'oro vennero in seguito discoperti. Uno
eguale fu venduto qui in Boma airEminentissimo Card. Bandi, ed un altro
esemplare , ma di differente conio , perchè su di esso leggesi venesi in
luogo di VENSI, fu acquistato dal Sig. Demole, Conservatore del Gabinetto
Numismatico di Ginevra, e pubblicato dal Sig. Laugier , n^lVAnnuaire de
la Société franqaise de Numismatique et d'Archeologie. Mai-Juin 1888 ,
pag. 287-88-39. Il Sig. Laugier, nella sua illustrazione, senza tener conto
dell'epoca in cui venne introdotto, sulle monete venosino, il nome di San
Pietro, assegna il fiorino d'oro col nomo sant. pktrh e con la mitra sem-
plice, a Giovanni XXII ; V altro col medesimo nome e la tiara ornata di
tre corone (del quale non mi riuscì finora di vedere Tesemplare effettivo),
a Benedetto XII ed infine , quello colla leggenda combs venbsi , a Cle-
mente VL
NUOVE OSSERVAZIONI SOPRA ALCUNE MONETE, ECC. 226
st'ultimo Papa nel nome di SANCTVS PETRVS. Dunque,
se Tuso di segnare il nome di san Pietro aveva prin-
cipiato sotto Clemente VI , il fiorino, con questo
nome, non potea appartenere a Giovanni XXTT che,
tanto nel Contado Venesino come in Italia nessuna
moneta segnava col nome di questo Santo, ma bensì
l'altro nuovo fiorino portante il titolo COMES VENSI,
che alla sua moneta d' argento corrispondeva. I
documenti, che il Garampi pubblicò, sulla battitura
dei fiorini papali nel Contado Venesino e d'Avi-
gnone, degli anni 1322, 1323, 1331, 1344 e 1364 W,
mentre ci danno preciso conto sul loro peso e
bontà che uguali esser dovevano ai fiorini di Fi-
renze, nulla ci dicono poi delle loro leggende ed
insegne; però qualche notizia ricavasi dalla Provvi-
sione colla quale, nell'anno 1368, la Repubblica Fio-
rentina, (2) a petizione di Urbano V papa, contro gli
ordini degli Statuti del Comune di Firenze , dava
licenza a Nobili Viro Amario de Gianfiliazzis Civi
u Fiorentino Magistro monetarum D. Pape n di bat-
tere fiorini, i quali esser doveano stampati u sub vel
u cum imagine S. Johannis Baptiste, vel Lilio^ vel alio
u signo, vel Conio Communis Florentie , dum tura in
« ipsis Florenis^ et qtcolibet ipsorum sit impressio evi-
u dentium litterarum, seu signum Mitrie Papalis, per
u quod appareat non esse Florenos de Florentia , et
u quod in ipsi Florenis non sint scripte, seu sculpte he
u lictcre de Florentia n^ dimostrandosi con questo la
giustezza delle osservazioni fatte che ci portarono
(1) Garampt, Op. cit., App. di Docnm., pag. 9, 12, 16, 20 e 39.
(2) Orsini, Storia delle monete della RepìMlica Fiorentina. Pa-
^na XXXVIII.
226 VINCENZO CAPOfilAKCUI
a ritenere come i fiorini papali d'oro, col contras-
segno della mitra^ e perciò col nome SANI PETRH, fos-
sero di più recente battitura che quelli col titolo
COMES VENSI (1).
Le chiavi incrocicchiate ad x sono l'insegna del
Sommo Pontefice e della S. Sede : disposte in questa
guisa, appariscono per la prima volta sopra le monete
di Clemente V (1305-1314), battute nel Contado Vene-
sino, allorché la Sede Pontificia venne colà trasferita ;
ne è improbabile che vi fossero rappresentate così,
onde distinguere le nuove monete che batte vansi in
quel Contado, da quelle del Patrimonio di S. Pietro
(1) Giovanni Villani nelle sne Istorie Fiorentine. Lib. IX, cap. CLXIX
cosi scrive: < Nel detto tempo e anno (1822) papa Giovanni fece faro in
< Ayignone una nuora moneta d'oro fatta del peso e lega e conio del fio-
€ rino d^oro di Firenze senza altra intrasegna, se non che dal lato del
€ giglio diceano le lettere il nome di papa Giovanni >. Al Cap. CCLXXVIir
del medesimo libro, ripetendo la medesima cosa, dice invece : € Nel detto
< anno (1324) e mese di dicembre papa Giovanni fece fare il fiorino a
« lega e conio di quelli di Firenze, e non vi avea altra differenza, so non
« cho dal lato dell'impronta di Santo Giovanni diceano le lettere papa Gio-
€ VANNI e per intrasegna di costa a Santo Giovanni una mitra papale o
< dal Iato del giglio diceano le lettere Sanctvs Pbtrvs Sanctvs Pavlvs. »
Il Vettori, (// Fiorino d'oro antico illìistrato^ pag. 26) osserva , che
descrivendo il Villani qnoste monete, e dicendo , cho il Papa foce incidere
il suo nome intomo al giglio, egli ò facile, come ognuno può persuadersi, cho
abbia preso qualche equivoco, tanto più che nel socomlo luogo scrive tutto
all'opposto, dicendo che il Papa fece incidere il suo nome intomo alPima-
gine del S. Giovanni, e dalla parte del giglio i nomi dei santi Pietro e
Paolo. Che equivoco esista nella notìzia del Villani ò evidente perchè in
tutte le riproduzioni dei fiorini d'oro, dal lato ove ò V imagine di S. Gio-
vanni, la leggenda ò sempre s . Johannes . b . ; ad onta di questo non ò
improbabile cho nelle due descrizioni il Villani voglia intendere di due
diversi fiorini battuti in due differenti e più distanti epoche , come i do-
cumenti di zecca ce ne danno indiscutibile prova, ed allora su quel fio-
rino € che dai lato del giglio diceano le lettere il nome di papa Giovanni »
ayrebboro detto inrece il titolo di papa Giovanni, gomes vbnasini , e per
Taltro, abbenchò inesattamente da lui descritto, purnondìmeno tanto vi ha
da potervi riconoscere il tipo e le leggende di quelli fino ad ora noti.
NUOVE OSSERVAZIONI SOPRA AIX^UNE MONETE, ECC. 227
in Tuscia, che le avevano disposte invece vertical-
mente e parallele. Fa cosi a cuore ai Sommi Pon-
tefici questa nuova Insegna, che ne vollero fregiare,
eccetto qualche raro esempio, tutte le moneto del
Contado Venesino e d'Avignone, delle quali furono
l'emblema ed il contrassegno speciale. Le chiavi in
croce, unite alla tiara, ornarono sempre in seguito
lo stemma dei Pontefici.
Sulla moneta papale, volgarmente detta, papar ina,
che battevasi nel Patrimonio di S. Pietro in Tuscia,
è da notarsi che, sebbene innumerevoli siano gli
esempi che ne appariscono sui registri della Curia
di questa provincia, purnondimeno il Card. Garampi W
fu il primo a darne esatto conto, ignorandosi dagli
scienziati perfino che specie essa fosse! Egli ci
fé conoscere a essersi primieramente denominata
tt paparina la moneta che, poco dopo la metà del
tt XIII secolo, i romani Pontefici fecero battere nel
tt Patrimonio di S. Pietro w; ce ne indicò il valore
nelle diverse epoche, e come verso l' anno 1270
vi fosse corrente. Appartengono a Benedetto XI
(1303-1304) le prime monete segnate col nome di
Papa; ed è verosimile che in ciò si seguisse l'esempio
del predecessore Bonifacio Vili che, per primo, aveva
fatto porre il proprio nome su i nuovi paparini da
lui fatti battere nel Contado Venesino.
Non sono note Ordinazioni di questa zecca,
anteriori al 1300; se ne hanno in seguito di Gio-
vanni XXII, degli amii 1321 (2) e 1334 W; di Bene-
(1) Garampi, Op. cit., App. di Docam., p. 8, nota 4.
(2) Theinbr, Cod. diphm. VaU Tom. I, pag. 504, dclxix.
(3) Idem, Tom. I, pa^. 606, dcclxxvii.
228 VINCENZO CAPOBI ANGUI
detto Xn, del 1337 (i), spedite da Avignone, e di Ur-
bano VI, del 1389 (2), da Eoma.
Le chiavi verticali, parallele ed in senso opposto,
che veggonsi su questa moneta, sono l'emblema, il
vessillo del Patrimonio di S. Pietro; le chiavi cosi
disposte furono scolpite sopra tutte le monete papali
ivi battute nel XIII e in parte del XIV secolo; né mai
sulla moneta portante quest'emblema trovasi l'altro
delle Chiavi incrocicchiate. Le monete, con le Chiavi
del Patrimonio, hanno l'epigrafe BEATI, SANCII ovvero
DIVI RETRI PATRIMONIVM, che, sulle monete di Bene-
detto XI e Benedetto XII, leggesi attorno alle chiavi ;
sopra quelle di Giovanni XXII , sul lato opposto,
ove è rappresentata la croce, e sopra quelle mancanti
del nome del Papa è divisa metà per lato, principiando
ove trovansi rappresentate le chiavi.
Per ultimo, le chiavi disposte nella medesima
guisa, come sulle monete del Patrimonio di S. Pietro,
furono egualmente impresse sopra alcune piccole
monete, che batteronsi in Avignone nella prima metà
del XV secolo ; della qual cosa ignorasi la ragione.
Le chiavi sopra queste monete stanno sul lato, ove
è scritto il nome del Papa, e sull'opposto nell'area
è scolpita una croce accantonata o da un simbolo
araldico , come sulla moneta dell' antipapa Bene-
detto Xm, o più comunemente da due chiavette
incrocicchiate, come ben vedesi su quella di Gio-
vanni XXIII e sopra l'altra, della quale ora ragio-
nasi, portante il nome di Nicolò IV: intorno alla
croce pòi ttUte portano le parole : * - SANCTVS PETRVS,
(1) Idem, Tom. I, pag. 20, xxxix.
(2) Idem, Tom. n, pag. 617, dcl.
NUOVE OSSERVAZIONI SOPRA ALCUNE MONETE, ECC. 229
e la crocetta in alto trovasi fra quattro punti, ov-
vero cerchietti.
Da questo esame suirepigrafi e sugli emblemi
delle monete Venesine, Avignonesi e del Patrimonio
di S. Pietro, più palese appare l'errore esistente sulla
moneta, creduta da Domenico Promis spettare a Ni-
colò IV, papa dal 1288 al 1291.
1.° Per appartenere a questo Papa ed alla
zecca Venesina, questa moneta avrebbe dovuto por-
tare il nome della provincia COMITATVS VENASINVS.
2.* Essa non dovrebbe avere SANCTVS PETRVS,
che non fu usato, sulle monete Venesine d'argento e
billione, prima di Clemente VI, eletto papa nel 1342.
3.° Non dovrebbe egualmente avere le chiavi
incrocicchiate, non trovandosi così rappresentate in
quell'epoca ; anzi, a questo riguardo, per un identico
errore di numero che appare sopra una moneta di
Martino V, pubblicata dall' Argelati e da esso pre-
sentata come moneta di Martino IV (papa dal 1281
al 1285), perchè vi si leggeva QVÀRTVS in luogo di
QVINTVS, il Cinagli escludendola, giustamente dice 0)
u che più d' ogni altro riflesso è osservabile avere
u questa moneta le chiavi dectcssate, le quali non tro-
tt vansi mai usate prima di Clemente V (1305) v,
4.° Infine, perchè questa moneta porta le chiavi
verticali e parallele, che mai ebbero le Venesine ; ma
solamente alcune monete Avignonesi , non prima
dell'antipapa Benedetto XIII (1394).
Ed ora ci sia permesso il paragone fra la mo-
neta dai Promis assegnata a Nicolò IV e l' altra
ricusata a Bonifacio Vili, sulla quale ultima diremo
(1) Cinagli, Op. cit, pag. 27, nota n. 1.
io
230 VINCENZO CAPOBIANCHI
che, se anche in nessun conto si volessero tenere e
i documenti pubblicati dal Garampi e la perfetta
somiglianza di tipo, coir Obolo di denaro battuto
da Clemente V (i), la sua singolare epigrafe era per
sé medesima bastevole a provare l'errore nel quale
essi incorrevano. Ed infatti, a quale altro Papa, se
non a Bonifacio Vili residente in Boma e rappre-
sentato nel Contado Venesino dal Rettore da esso
eletto, poteva quell'epigrafe spettare? Moneta DOMINA
BOnifacii PAPE — COmlTATw^ VENAISSINi. Ciò nono-
stante, essi sostennero che questa moneta non gli
apparteneva per la ragione che a il Venesino non fu
a eretto in contado che dal suo successore (Cle-
tt mente V) con Breve del 1309 » C^) citando l'opera
del Castrucci, ove questo troverebbesi riprodotto.
Orbene , il Breve dai Promis citato nulla con-
tiene che affermi la loro asserzione, ma ne risulta
soltanto la nomina di Raimondo di Guilliermo signore
di Rudos a Rettore W.
In quanto poi all'epoca in cui il Venesino abbia
principiato a godere il titolo di Contado, il citato
Castrucci così si esprime W: a Alcuni sentono, che
u il paese del Venesino, fino al tempo di Clemente V,
tt non godesse del titolo di Contea, come non con
u leggieri fondamenti si è riferito nel primo libro.
u Questo Pontefice si crede , lo illustrasse con la
(1) Vedasi ìa Tay. V, N. 2.
(2) Domenico Promis, Memor., cii, pag. 30. Leggasi il testo e la nota.
(3) Pantoni-Castrvcci , Op. cit , pag. 161, § 22. Il Breve è diretto :
€ Dileeto fitto Nobili viro Raytnundo Guillermi Domino de Rudos in tem-
< poralibua Comitatua Venayssini Reetori saltUem, et Apostolieam bene-
€ dictionem^ etc. n.
(4) Idem, pag. 161, § 21,
RIVISTA ITALIANA DI NUMISMATICA
MONETE PRIMITIVE BATTUTE DAI PAPI
DENARO CORONATO
BoTOfacioVUr- 1294-1303
lONETA (NIGRA) BATTUTA IN AVIGNONE
DALLA FINE DEL XTV ALLA METÀ DEL XV? SECOLO
Benedetto Xnr ffntìpa}».
ìZ9i~Liì7
Ciovarmi XXIll
1410 - lilS
MONETA DI NICCOLO V. 14*7-1465
soIIh quale pei- errore dello lecclriwe fii scritto CARTVSimrpce di QVINTVB
V.CffOBItìlCHI Kuove osserrarioni sopra aicnne monete ImtR dai Papi ne! Contaflo Venesino ed Avi^urae
(AbkoIII, Fa8C.1I)
MUOVE OSSERVAZIONI SOPRA ALCUNE MONETE, ECC. 281
u prerogativa del titolo, ed onor Contale; bastevol-
a mente indicandolo le monete d'argento, che egli
a fè battere, ed oggi ancor si conservano, nelle quali
a si fò scolpire col titolo di Conte del Yenesino,
tt Comes Venesini » . E quanto ci riferisce il CastiTicci,
abbenchè non interamente conforme al vero, perchè
non è sulle monete di Clemente V che appare
scritto il titolo COMES , ma bensì su quelle del suo
successore Giovanni XXII , altro non è che sem-
plice congettura.
H Card. Garampì, che più estese e certe notizie
potè attingere da' Protocolli originali dei possessi
presi del Contado Venesino, che conservansi nel-
l'Archivio segreto Vaticano, non solamente ci dice
che, sotto Bonifacio Vili quella terra aveva già il
titolo di Contea, ma avevalo eziandio nel 1274,
quando, a richiesta di Gregorio X, Filippo l'Ardito
re di Francia ne rimise in assoluto e pieno pos-
sesso la S. Sede e lo narra con le seguenti parole (^) :
tt Rinaldo da Roveredo Siniscalco Regio di Beau-
tt caire e di Nìmes a di 27 gennaio a nome del
tt Re fece la solenne consegna del contado a' Nunzi
tt e Commissari del Papa nel Castello del Ponte della
tt Sorga, n
Vincenzo Capobianchi.
(1) Oarampi, Op. cii, App. di Docam. pag. 10, nota n. 4.
SOLDINO ASTIGIANO INEDITO
DI
CARLO QUINTO
Le monete" coniate in Asti a nome di Carlo V,
durante il breve lasso di tempo in cui egli tenne la si-
gnoria di quella città, cioò dal 1529 al 1531, sono
scarsissime: l'illustre Domenico Promis non potè pub-
blicarne che quattro sole 0), una quinta ci venne fatta
conoscere dal chiaro e compianto di lui figlio Vin-
cenzo (2), due altre infine sarebbero state aggiunte alla
serie da Carlo Kunz (3), se, cosa singolare in quel dili-
gentissimo indagatore, non gli fosse sfuggito che una
di esse, quella da lui data come inedita al n. 10,
era già stata pubblicata da D. Promis W.
(1) Monete della zecca iPAati. Torino 1853 (Tav. VI, nn. Il e 12, o
Tav. Vn, n. 1). — Monete e niel<i;/lie italiane. Torino, 1873 (Tav. I, n. 3).
(2) MonHe di zecciie ilaliane, inedite o cnrrelte. Memoria quarta. To-
rino, 1882 (Tav. II. n. 17j.
(3) Monete inefJìte o rare di cecche ilaìimie. Asti. Noli' Areheografo
Triettim, 1884, Voi X, no. 9 e 10 dolia Tavola).
(4) KpHa seconda dolio ri-ordato Memorie, compresa nel Tomo XHI
della Miscellanea di fUnrìa Italiana edita por cura della R. Depntazione
torinese di Storta Fatri:i.
284 BOLONE AMBROSOM
Rimarrebbero quindi, in tutto, sei monete, al-
meno per quanto è a mia cognizione; una settima
sarebbe la seguente, che ho acquistata non ha guari
per il Gabinetto di Brera:
Soldino. Mistura. Peso, grammi 1,70.
^ — {Piccola torre) . KROLVS • QVINT IMPERATO
Arme senza corona, entro cerchio di perline.
9! — {Piccola torre) . SANTA • INTERCEDE • PRO • NO •
Croce filettata e fogliata, entro cerchio e. s.
Un altro esemplare, di cui mi fu concesso il
confronto per la molta cortesia del suo possessore
Cav. Giuseppe Fantaguzzi, R. Ispettore degli Scavi
e Monumenti in Asti, differisce leggermente nelle
leggende, avendo QVINTVS in tutte lettere, e PRO •
NOBI • invece di PRO • NO • Il peso non ne è che di
grammi 1,20, ma si tratta di un esemplare alquanto
negligentemente coniato e mancante inoltre di un
frammento dell'orlo.
A dir vero, la suddescritta monetina non reca
indicazione alcuna per poterla assegnare alla zecca
d'Asti,- e si trova per questo riguardo in condizioni
assai peggiori del testone, del mezzo testone e del ca-
vallotto editi da D. Promis nella prima sua Memoria,
a proposito dei quali egli già notava: a In tutte
tt queste monete, le sole che si conoscano di Carlo V,
tt esso assume solamente il titolo d' Imperatore, e
tt mai quello di signore d' Asti, e dal solo rovescio
tt si conoscono appartenere a quella città, v (X). Qui
(1) Mi si permetta nn'osserrazione incidentale. Il mezzo testone pubbli-
cato dal Promis ò battalo evidentemente col rovescio della moneta franco-
-astigiana anonima da lai attribnita a Lodovico Xn. Qaesta circostanza,
SOLDINO ASTIGIANO INEDITO DI CARLO QUINTO 2S5
invece^ non solo manca il titolo di signore d' Asti,
ma anche il rovescio non presenta che una croce con
una semplice invocazione religiosa. Questa, tuttavia,
basterà nel nostro caso a determinare Tattribuzione.
Infatti, se Taspetto generale della monetina, le par-
ticolarità del lavoro, e sopratutto la forma caratteri-
stica della croce, indicano chiaramente che questo
pezzo è di fattura italiana, che anzi dev'esser uscito
da qualcuna delle nostre zecche dell' Italia Setten-
trionale, questui zecca ci vien rivelata dalla circostanza
che la stessa invocazione alla croce si legge nel sol-
dino astigiano di Francesco I. Ammessa come ragio-
nevole ipotesi la pertinenza alla zecca d'Asti, sarà fa-
cile convincersi che tutti i caratteri della monetina
concorrono a ribadire quest'attribuzione; e si potrà
poi concludere più precisamente che si tratta per
l'appunto di un soldino astigiano, battuto a nome di
Carlo V, moneta tuttora inedita, per quanto mi sappia.
L'attribuzione ad Asti è ritenuta ammissibile anche
dal eh. Cav. Fantaguzzi, il quale gentilmente m'in-
forma inoltre che il Comm. E. Maggiora Vergano
divideva pure tale opinione.
Mi rimane soltanto da combattere preventiva-
mente un' obbiezione , che forse qualcuno potrebbe
elevare basandosi su di un'apparente minuzia, la
quale, esaminata dappresso, sembra assumere ad un
tratto le proporzioni di un ostacolo non trascurabile.
ma più ancora il motto: Soli Beo trino et uni gloria, che si legge su
qnella moneta anonima, e che non si trova salle monete di quel re ma bensì
sa qaelle del suo successore, mi inducono a ritenere che essa non debba
attrìboirsi a Lodovico Xn ma a Francesco I, V immediato antecessore di
Carlo y nella signorìa d'Asti,
206 SOLONE AMBROSOLI
Voglio alludere alla piccola torre clic, su ciascun lato
del nostro soldino, si trova al principio della leggenda.
Questa piccola torre si vedo anche su alcune
monete di Giovanna o Carlo, e di Carlo solo, attri-
buite, ora alla Spagna, ora alle Due Sicilie (i), e co-
stituisce una difficoltà anche per 1' Heiss, il quale
osserva che potrebbe essere un segno di zecca {un
caslillo que podria ser la sehal del taller de acunacwn),
aggiungendo:.... confesamos no haberlo hallado (trovato)
en ningxm documento castellano. La marca de la casa
de moneda de Tournai (noi Paesi Bassi) es un caslillo ;
pero este establecimiento no labro (lavorò) moneda desde
1501 hasta 1577 ; es decir , durante todo el reinado
de Carlos V. Tampoco (neppure) se conoce el castillo
corno marca de un lugar (luogo) de acuhacion en la
serie siciliayia ; e conchiude : por todo lo que antecede
no titubeamos en clasificarlas (le dette monete) corno
de la serie castellana, aunque no nos sea posible por
allora afnnnar a cual de los talleres (zecche) de Espana
pertenecen (2).
A questo, veramente, si può opporre che il Ge-
nerale Cocheteux, in un importante articolo comparso
nella Remie de la Numismatique Belge 0^), pubblicò una
corona d'oro di Carlo V, col segno di zecca della torre,
e dimostrò con brillante e stringente argomentazione
che tale moneta doveva essere uscita dalla zecca di
Toumai ; ipotesi confermata poi splendidamente dalla
(1) Heiss (AloTss), Descripcion general de las monedas hispano-cn-
stianaa desde la invasion de los Arahes. Madrid, 18G5. Tomo I, tav. 27,
nn. 1-3; Tomo n, tav. 125, nn. 1, 7, 8, e tav. 127, nn. 30 e 84.
(2) Heiss, Tomo I, pag. 149.
(3) De la numnaie de Tournai de 1498 à 157 S, à propos d'une coti'
ronne d'or de Charles-Quint (R. de la N, B.^ 2» Serie, Tomo V, 1855).
SOLDINO ASTIGIANO INEDITO DI CARLO QUINTO 237
scoperta di un' altra corona simile, che , oltre alla
torre, ha Tabbreviatura del titolo della signoria: D •
T • (Domintcs Tornaci) 0). È dunque assodato che
durante il regno di Carlo V la zecca di Toumai
coniò moneta, quantunque, come giustamente con-
clude il Conte de Nédonchel in un suo studio rias-
suntivo sull'attività di quoll'ofEcina (2), ciò non sia
accaduto che toui à fait exceptionnellement. Dal punto
di vista meramente storico, non sarebbe quindi as-
surdo, il supporre che tanto quelle otto monete
pubblicate dall'Heiss quanto il nostro soldino siano
stati coniati a Tournai. Ma il tipo e la fattura del
soldino sono cosi evidentemente italiani da escludere
per esso a priori la possibilità di un'attribuzione a
qualche zecca straniera.
Credo perciò che in queste monete la piccola
torre non abbia il valore d' un segno di zecca, ma
sia stata posta come ornamento o simbolo, sempli-
cemente perchè la torre {el castillo) è lo stemma di
Castiglia. Essa non avrebbe insomma un significato
diverso da quello della piccola biscia che si vede
al principio della leggenda in alcune monete dei
Visconti e degli Sforza, oppure del giglio che si
osserva in altre di Lodovico XTI e di Francesco I
per Milano e specialmente per la stessa Asti.
Solone Ambrosoli.
(1) Kédonchel (C. ^ de), Ccuronne d* or de Charles-Quinta aeigneur
de Toumai (R. de la N. B., 4* Serie, Tomo H, 1864).
(2) Soinmaire historiqìie de la Numismatique tournaisienne {Retme
Belge de Num., 1882.)
3i
GIACOMO BANNISSIO
(Tav. VI, N. 1).
Nei Médailleurs Italiens IdelF Armand.'^che? vo-
glionsi riputare V opera più dotta non solo , ma la
più completa intorno alle medaglie, coniate dagli
artefici italiani ne' secoli XV e XVI., io ho cercato
indarno notizie e ragguagli d' un cimelio de' primi
anni del cinquecento ; ho cercato indarno T illustra-
zione d'una medaglia, la quale fa parte della colle-
zione numismatica del Museo Civico di Vicenza. Il
suo diametro è di sessantotto millimetri e il conio
di cosi squisita fattura da gareggiar, se non erro, con
le opere degli artefici più insigni del secolo XVI.
Nel diritto raffigurasi il busto d'un uomo nel pieno
della virilità , senza barba , vestito di pelliccia, coi
capelli lisci e la testa coperta di berretto. Vi si legge
all'ingiro: lACOBVS • BANNISSIVS • DALMATA • CAES • MAX •
A • SECRETIS • Rappresentasi nel rovescio J 'imperatore
Massimiliano in trono, coperto da baldacchino e fre-
giato in un fianco dall' aquila a due teste. Ha la
corona in capo, lo scettro nella destra, il globo, sor-
montato dalla croce, nella sinistra, e i piedi poggiati,
quasi in atto di conculcazione, sovra un leone sco-
raggiato e dimesso. Stagli, prostrato davanti, un indi-
viduo in toga che ha tra le mani un diploma spiegato.
Il campo è circondato dalla leggenda: DIVVS • MAX •
DIVI • FRI • F • ITAL • GERMA - GALL • PANNONI • MAXI •
240 BERNARDO MORSOLIN
Giacomo Bannissio , come appare anche dalla
leggenda, scolpita nel diritto della medaglia , era
dalmata. Il Le Glay dichiara , per di più , eh' egli
nasceva nell'isola di Curzola nel 1466 W. Dove fosse
educato e per quali vie entrasse nelle grazie dell'im-
peratore Massimiliano I, non è dato conoscere. Di lui,
come di valente diplomatico, si hanno però le testimo-
nianze nella trattazione d'alcuni difficili negoziati,
occorsi durante il periodo delle guerre, suscitate dai
Confederati a Cambrai. È notevole, sopratutto, l'opera
prestata dal Bannissio presso la corte di Londra, in
qualità d' orator dell'Impero verso il 1515: opera
della quale è frequente parola nei Diari di Marino
Sanuto. La medaglia ricorda che l'egregio uomo fu
inoltre cancelliere, o segretario di Massimiliano : ciò,
che risulta anche dalla pubblicazione del Le Glay (2),
dalla grand' opera del Sanuto (3) e da una infor-
mazione , affidata a Giangiorgio Trissino , quando
da Augusta , ov' crasi intrattenuto nunzio del pon-
tefice Leone X, ritornavasi a Roma orator dell'Im-
pero W. Dire poi in che anno fosse assunto all'ono-
revole uffizio , non è certo cosa facile a definirsi.
L'età troppo immatura, di ventidue anni, mi dis-
suade dal credere ch'egli potesse succedere a Nicolò
Ruter, morto nel 1509, il quale fu cancelliere di
(1) Le GrLAY, NégoetationSf etc. Tomo II, pag. 40. Paris 1845.
(2) Le Glay, Op., cit. Tomo I, pag, 303 e Tomo n, pag. 40.
(3) Sanuto, Diart. Tomo XXI7, pag. 670 e Tomo XXVI, pag. 434.
Venezia, 1889.
(4) MoRSOLiN, Giangiorgio Trissino, Doc. XXIX, pag. 468. Vicenza, 1878.
GIACOMO BANNISSIO 241
Massimiliano dal 1480 al 1488 e Vescovo d'Arras
nel 1601 W. È certo soltanto che Tuffioio di cancel-
liere tenevasi già da lui sin dal 1 509 (^), né smettevasi
in onta ad altri carichi diplomatici, sino alla morte
di Massimiliano, avvenuta nel 1519 (3). E nel 1519 en-
trava egli nell'anno cinquantesimo terzo dell'età sua.
Che la medaglia si coniasse in onore del Ban-
nissio, non vi ha, mi pare, alcun dubbio. Lo attesta
apertamente il diritto, che ne reca l'effigie, del pari
che la leggenda, incisavi all'ingiro. Non con altret-
tanta sicurezza si può fissare 1' occasione e diciamo
anche il motivo, per il quale si ebbe essa a coniare.
Dalla menzione di segretario , che si fa nella leg-
genda del diritto, potrebbesi forse congetturare che
vi si volesse ricordare la promozione del Bannissio
a queir ufficio. E la congettura si avvalorerebbe
anche da un particolare del rovescio. Badisi che
r individuo , in toga , prostrato davanti a Massimi-
liano , assomigliasi di molto al Bannissio , che si
raffigura nel diritto. Non diversi vi si presentano il
profilo del volto, la foggia dei capelli e le rovescie
della toga, identiche a quelle d' una pelliccia. Ag-
giungasi che r individuo prostrato sostiene con le
mani un quaderno co' sigilli pendenti, somigliantis-
simo a un diploma. Ma questa non è , ripeto , che
una semplice congettura. E la congettura stessa non
(1) Armand, Lea Médailleurs Italiens. Tomo II, pag. 81. Paris 1883.
(2) Le Glay, Op., cit. Tom. I, pag. 303.
(3) Sanuto, Diart. Voi. XXVI, pag. cit.
242 BERNARDO MORSOLIN
va suffragata per intero dall' insieme del rovescio.
Parrebbe farle contro un particolare di non vano
momento.
Ho già detto che dai piedi di Massimiliano si
conculca un leone, scoraggiato e dimesso. H vezzo
di simboleggiare nel leone la forza è non solo an-
tichissimo, ma vige tuttora. Lasciamo stare le im-
prese di Massimiliano, per le quali, o mal riuscite o
tronche a mezzo per difetto specialmente di denari,
non si può dir certamente che fosse repressa la forza.
È noto però che la dignità d'imperatore , conside-
rata sin dall'età del Petrarca non più che un nome
Vano, senza soggetto,
giudicavasi ben altra cosa da lui, che aspirava al-
l'impero universale e per poco anche al pontificato
romano e riputa vasi l'arbitro delle cose del mondo.
Con si fatto concetto era naturale che Massimiliano,
superbo e vanitoso com'era, potesse credersi superiore
non solo di nome, ma anche di fatto, ad ogni altro
sulla terra : era naturale ch'egli potesse anche pensare
nell'animo suo d' aver rintuzzato nelle molte lotte,
alle quali erasi avventurato, gli sforzi de' nemici,
rivolti a suo danno. E questo concetto , rinforzato
da* consigli e fors'anco dall'adulazione del Bannissio,
perchè non potrebbesi ravvisare nell'insieme del ro-
vescio, dove parrebbe avvalorarsi persino dalla leg-
genda, che di Massimiliano fa il massimo dell'Italia,
della Germania, delle Gallie e dell'Ungheria, o altri-
menti il più grande de' monarchi e de' principi, che
reggevano quegli stati?
GIACOMO BANNI88IO 243
Ma il leone, conculcato, può anche porgere ar-
gomento a congetture di fatti più particolari e più
definiti. Le non molte notizie, che mi fu dato rac-
cogliere del Bannissio, non escono da quel periodo
in cui si son combattute le battaglio, suscitate dai
Collegati a Cambrai. È il periodo fortunoso, in cui
lo zelante Dalmatino fungeva da segretario di Mas-
similiano. Dalle lettere e dalle informazioni, che
rimangon di lui, appare ch'egli accompagnasse tal-
volta in Italia l'Imperatore medesimo, o vi prendesse,
per lo meno, il più vivo interesse a' singoli avveni-
menti. Potrebbe cogliere pertanto nel segno chi nel
rovescio della medaglia intrawedesse un' allusione
all' insieme delle vicende fortunose di quel memo-
rando periodo ; o meglio ancora un'allusione alle lotte,
per le quali Massimiliano, in onta anche a' disastri
toccati, riputavasi d'aver ridotto agli estremi la Re-
pubblica di San Marco, raffigurata nel leone con-
culcato e svigorito. E più forse che al complesso
de' fatti, l'allusione s'attaglierebbe, mi sembra, a un
avvenimento particolare : s' attaglierebbe cioè alla
giornata, combattuta alla Motta, una piccola terra a
quattro miglia da Vicenza, il 7 ottobre del 1613. È
la memoranda giornata, in cui l'armi venete toccarono
quella tremenda sconfitta, che gli storici tutti impu-
tano non sai più se all'imprudenza o all'imperizia
dell'Alviano, a cui la Signoria aveva commesso il
supremo comando dell'esercito veneto. Oso dir questo,
non essendomi ignoto che l'accordo degli storici era
prevenuto dal giudizio del Bannissio, che in quella
rotta ftveva veduto e pronosticato nient' altro che
241 BERNARDO MORSOLIN
r estrema rovina della Repubblica, u Ciò , che fino
ad ora non han potuto fare in eccidio de' Veneti né
la Maestà Cesarea, né gli altri confederati, fu com-
piuto, scriveva egli a Carlo nipote di Massimiliano,
dal loro generale , il quale li trasse per la seconda
e ultima volta a vera distruzione. Onde é che
air Al Viano, ossia eh' egli viva, ossia eh' egli muoia,
devesi erigere dai Veneti una statua con la scritta :
al distruttor della patria. » (^). Non é già che quel
disastro incutesse negli animi cosi profondo lo sco-
raggiamento da far disperare della salute della
Repubblica ; ma doveva, com' é facile immaginare ,
mettere tanto viva la compiacenza nel cuor di
Massimiliano, per le cui armi riconoscevasi, in parte,
l'esito della giornata campale, da fargli giganteggiare
nella mente il concetto, adombrato nel rovescio della
medaglia per consiglio forse e per opera del Bannissio
stesso, che lo aveva già espresso a parole.
Tutte queste, ch'io son venuto di mano in mano
esponendo, non sono del resto che congetture più o
meno ragionevoli, più o meno prossime al vero. Di
incontestabile affatto rimane che la medaglia fu co-
niata in onor del Bannissio. Quello, che ignorasi del
tutto, é invece il nome dell' artefice. Si sa di certo
che il Cancelliere, durante il periodo delle guerre,
combattute contro la Repubblica di San Marco, ebbe
occasione d'accompagnare più volte in Italia il suo
signore. Delle città di terra ferma, sottratte alla
(1) Le 6laY| Ni^cciationSf etc Tomo I, p. 552. Parigi, 1845,
GIACOMO BANNISSIO 245
Signoria di Venezia, V unica , ch'ebbe a soggiacere
airimpero per il corso non interrotto di quasi otto
anni, dal 1509 cioè al 1517, fu Verona. Era la città,
alla quale per la non dubbia sicurezza e per le di-
rette comunicazioni con la Germania facevano capo
i rappresentanti dell'Impero e talvolta l'Imperatore
medesimo. Che al Bannissio si porgesse occasione di
visitarla e d'intrattener visi, fors'anco, non è cosa mi
pare che si possa mettere in dubbio. Ciò posto ,
perchè non si potrebbe pensare che la medaglia si
coniasse in Verona, od uscisse per lo meno dal pun-
zone di qualcuno degli artefici veronesi ? È questa
una congettura , che non mi sembra fuori di pro-
posito, quando si voglia por mente non tanto alle
prove di raro valore nel lavoro de' conii, quanto alle
speciali condizioni della città, che, non soggetta allo
fortunose alternative delle altre terre della Venezia,
concedeva un asilo abbastanza pacifico allo arti. Il
grido di Vittore Pisanello e di Matteo Pasti, già fioriti
nel secolo XV, proseguivasi allora per una pleiade di
artefici veramente meravigliosi nell'arte dell'incisione.
Delle medaglie lavorate da Francesco Caroto , da
Giammaria Pomedello , da Giulio Dalla Torre , da
Matteo del Nassero e da Giangiacomo Garaglio
parlano i biografi del tempo e se ne conservano non
pochi esemplari ne' Musei d'Italia, di Germania, d'In-
ghilterra e di Francia. Lavoro perfetto e non in-
degno del punzone d'alcuno di que' maestri famosi
potrebbesi giudicare, senza tema d'errore, la medaglia
in onor del Bannissio. Ma la finitezza del conio non
basta a fare indovinare , anche per larghe conget-
ture, chi ne fosse 1' autore. Potrebbe forse cogliere
nel segno chi conoscesse da qual mano uscisse la
3a
240 B. MORSOLIN - GIACOMO BANNISSIO
medaglia votiva , fatta coniare nel 1618 da Fran-
cesco di Sickingen, ottenuto ch'egli ebbe il perdono di
Massimiliano dopo Taccanita resistenza nella lunga
controversia co' cittadini di Worms. È la medaglia^
riprodotta e illustrata dal Luckius nella sua Silloge
Numisnxatum Elegantiorum (pag. 39). Tanta è la somi-
glianza de' caratteri nelle leggende e l'analogia, che
dal rovescio di questa, rappresentante Massimiliano
in trono, si offre col rovescio della medaglia in onor
del Bannissio. Aggiungasi che come nell' una sta
prostrato davanti al trono il Cancelliere, cosi nel-
r altra si vede inginocchiato il Sickingen, dalla cui
destra esce e si spiega una striscia di pergamena, che
ne avvolge , come in un cerchio, tutto il campo re-
cando la scritta :
Armis Mercuriam si non praeponas, maxime Caesar,
Semper eris Victor faustaque regna teneas.
La medaglia in onor del Bannissio non è, come
ho pure avvertito ,. conosciuta: né so quanto le
congetture, eh' io son venuto esponendo per dichia-
rare r allusione e indovinarne a un dipresso l'ar-
tefice, parranno attendibili. Comunque, sarà sempre
per me una vera compiacenza , l'aver potuto addi-
tare a' cultori della numismatica un cimelio degno,
non v'ha dubbio, di particolare attenzione e per la
storia e per l'arte.
B. MORSOLIN.
RIVISTA ITALIAM LI NUMISMATICA
im. TAV. VI.
BMIBDO lOESOLm. — Slinmii Builuit - liaMla Usa.
(Amico lì\ - Fasc. Il)
ElioUpia P&NESI - Bonià.
ISABELLA SESSO
(1)
(TaT. Vr, N. 2).
Poco nota dentro e fuori d' Italia, ma famosa,
per breve tratto, ne' fasti della città di Vicenza, fu
Isabella Michiel di Venezia. Figlia di Benedetto
Michiel, che testava nel 1481, e di Maria Pagello di
Vicenza, che, morta, aveva sepoltura nel Santuario
della Madonna del Berico, entrava con la sorella
Bianca, dalla quale divide vasi poi nel 1496, a far
parte della famiglia de' Sesso, un antico casato, tra-
mutatosi da Reggio d'Emilia in Verona e da Verona
a' tempi della Signoria degli Scaligeri in Vicenza.
Era il casato stesso , onde usciva T avola Paola ,
madre a Benedetto. Bianca v' entrava sposa a Pal-
miero e Isabella al cugino di lui Giambattista, morto,
per quanto è dato congetturare, in età non punto
matura. Ma 1' origine veneziana e la parentela col
Doge Leonardo Mocenigo, marito a una sorella di
Benedetto , non la dissuasero dallo sconfessare le
parti della sua città natale per favorire, durante la
guerra, suscitata da' Collegati a Cambrai, le sorti del-
(1) Articolo, pubblicato in embrione neìTArte e Storia (5 febbraio 1890)
e rìfaso poi dairAatore con la scorta di nuovi dati per la Rivista italiana
di Numismatica,
248 l^BRNARDO MORSOLIN
r Impero W. Narra uno scrittore di cose vicentine,
d'accordo, quanto alla sostanza, con lo storico Luigi
da Porto (2;, che Giovanni Gonzaga, costretto a la-
sciare Vicenza, dove rappresentava il governo dei
Confederati, per riparare i primi dell'agosto 1511 a
Soave e congiungersi quindi all' esercito, inteso al-
l' assedio di Treviso, commettesse a Isabella Y ufficio
di reggere, in sua vece, la città (^): ufficio, ch'ella
teneva fino all'entrar del novembre, quando, necessi-
tatavi dalla preponderanza dell'armi veneziane, capi-
tanate da Meleagro da Forlì, dovè rifugiarsi, quasi
a precipizio, in Verona. Allorché compivasi questo
fatto, la Michiel non era però più la moglie del
Sesso. Il Sanuto, pure accordandosi, in ciò che si
riferisce alla sostanza dell'avvenimento, con lo scrit-
tore vicentino, avverte eh' ella, bella donna e già
vedova, s' era, o dicevasi per lo meno, rimaritata a
Gasparo Vincer, un tedesco, governatore, per qualche
tratto, della città di Vicenza, preso dagli Stradioti
e tradotto prigione a Venezia. A questi aggiunge
poi alcuni particolari relativi alla fuga d' Isabella
da Vicenza: racconta cioè che, invitata a cedere la
città, pose la condizione che Meleagro da Forlì facesse
tirare alcuni colpi d' artiglieria, con l' intendimento
che que' colpi le valessero di giustificazione all'arresa.
Dopo di che furono abbassati i ponti e spalancate
le porte W
(1) 6io. Dà Schio, MetnorabìU. — Famiglia Sesso, Msc. nella Biblio-
teca Comnnale di Vicenza.
(2) Luigi Da Porto, Lettere Storiche. Loti. 63, pag. 285. Firenze 1857.
(3) Castellini, Storia di Vicetiza, Tomo XIV, lib. 17. Vicenza 1822.
(4) M. SanutO; Diari. Tom. XIEI, pag. 196. Venezia, 1886.
ISABELLA SBSSO 249
4t
0 «
La defezione dalla causa della Signoria di Ve-
nezia porgeva motivo, com'era naturale, alla confisca
de' beni d'Isabella e di quelli a un tempo de' figliuoli,
che la madre aveva tratto seco nel malanno, H Conte
Giovanni Da Schio, al quale fu dato d' esplorare
r archivio della famiglia de' Sesso, ha potuto ricono-
scere che Massimiliano, meravigliato di tanta fedeltà,
si studiò di compensarne i danni e le perdite con
l'investitura de' feudi di Lovere , di Pisogne e del
Lago d'Iseo. Il decreto fu dato il 25 marzo 1516 dal
Castello di Pioltella. A que' feudi, de' quali andavano
investiti, a un tempo, i figliuoli d'Isabella, s'accompa-
gnavano altre provvigioni, precedute sin dal 1513 da
una pensione, assegnata sulla Camera Imperiale di
Verona. Pare però che tanta munificenza fosse più
di parole che di fatto, a Io credo, scrive il Da Schio,
che le beneficenze consistessero in sole carte y) e
non recassero a nessun profitto, o perchè incep-
pate dai Veneti, o perchè Massimiliano era cattivo
pagatore >? . È u certo , conchiudeva , che i Sesso ,
eredi td d' Isabella a altro non percepirono , se non
i diplomi w (1).
*
Allusive, per quanto vuoisi credere, al fatto del
breve governo di Vicenza son le tre medaglie, co-
(1) Da SchiOi Memorahilu — Famiglia 8e880. Msc. nella Biblioteca
Comunale di Vicenza. — Vedi anche il nostro scritto: Uh Episodio della
Vita di Carlo F, Archivio Veneto. Tomo XXVII, parte H (Venezia,
Visentin!, 1885).
2Ò0 BERNARDO MORSOLIN
niate in onor della Sesso e illustrate dair Armand
nella sua lodata opera Le Médailleurs Italiens des
qtiinzième et sezième siècles (0. Il dotto uomo non du-
bita neppure che le due prime, le quali si conser-
vano nel Gabinetto Nazionale di Francia e recano
nel rovescio un motto greco, sieno lavoro di Giam-
maria Pomedello, pittore, orefice e incisor veronese.
Gliene dà prova, com'egli dichiara, il monogramma
dell'artefice una mela o, dirò meglio, una cotogna,
attraversata da una z schiacciata, nella quale si rac-
colgono le quattro maiuscolo z, v, a, n, Zuan^ pre-
nome del Pomedello. Il monogramma è inciso nel-
l'esergo dell'una e dell'altra.
Dalla descrizione dell' Armand risulterebbe che
il concetto fosse uno e identico in entrambe le me-
daglie. Il diritto infatti , cosi dell' una , come del-
l' altra, reca, al dir di lui, il busto d'Isabella con la
fronte a sinistra, la testa coperta d'un drappo rav-
volto, e al basso un tronco, seguito dalla leggenda :
ISABELLA • SESSA • MICHAEL • VENETA - E identici sa-
rebbero, del pari, i rovesci, dove tiene il campo la
Fortuna, una donna seminuda, seduta, con la frcfnte
volta a sinistra , un freno nella manca , tre chiodi
nella destra, il pie dritto su d'un cranio e un casco
dopo il sinistro. Le uniche differenze , che vi s' in-
contrano, secondo quella descrizione , si manifeste-
rebbero non nella sostanza, ma in alcuni accessori:
nell'ortografia cioè della leggenda, ch'è greca, nelle
dimensioni e ne' tronchi, che l' Armand ravvisa nei
(1) Armand, Le» Médailleurs Italiens, eie. Tomo I, pag. 127-128.
Paris 1883.
ISABELLA SESSO 251
due diritti. Il motto : EK nAAAIMOI • MHNIZOMENH •
della prima, ch'è di millimetri quarantaquattro , si
converte in: EK nOAEMOY • MHNIZOMENH • della seconda
di millimetri cinquantadue: e il tronco diritto di
quella, guemito di due foglie, curvasi in questa e reca
un* unica foglia. Che V Armand abbia veduti i due
esemplari , conservati nel Gabinetto Nazionale di
Francia, io non ho motivo di dubitare: dubito, invece,
che non sieno esatte del tutto le due descrizioni. E
il mio dubbio deriva dal raffronto, che mi è dato di
fare , con un esemplare della prima delle due me-
daglie, custodito nel Civico Museo di Vicenza. In esso
io cerco invano il tronco, che TArnaand ravvisa, con
poca ragionevolezza , nel diritto e propriamente in
precedenza alla leggenda : lo incontro , invece , nel
rovescio alle spalle della Fortuna, che sembra assi-
dervisi sulle radici. Aggiungasi che nella descrizione
del rovescio non s'avverte dall' Armand un partico-
lare di qualche importanza ; non s'avverte cioè la
foggia singolare dell' acconciatura de' capelli della
Fortuna , i quali son legati sul davanti della testa
e si protendono quindi in un ciuffo , eh' espandesi
all' aria. Che queste inesattezze sieno comuni alla
medaglia di dimensione maggiore , non so ; nò so
quale essa si descriva dal Koehler (0, che pur la
riproduceva sin dalla prima metà del secolo de-
cimo ottavo.
(1) EoEHLBR, Histarische Munz-Belustigung ^ XVm, 121, Num-
ber^f 1729-1750,
252 BERNARDO MORSOLIN
0
Ho detto che il Museo Civico di Vicenza pos-
siede un esemplare della prima delle due medaglie,
illustrate dall'Armand. Dovevo dire, invece, che gli
esemplari son due , simili ne' diritti e ne' rovesci,
uguali nelle dimensioni e col monogramma entrambi
del Pomedello. Si direbbe di primo tratto eh' essi
fossero fattura d'uno stesso artefice e impronta di
un identico conio. E in questa credenza potrebbe
facilmente fermarsi chi non sapesse che ne' primordi
del secolo XVII, quando non erasi smesso ancora
il vezzo delle contraffazioni , le quali avevano reso
famosi i nomi prima di Valerio Vicentino e poi del
Cavino di Padova, coniavasi pure una medaglia in
onore della Sesso. N'erano autori due artefici Vicentini,
allievi di Camillo Mariani pur Vicentino, il quale
architettava in Roma la Cappella Paolina in Santa
Maria Maggiore e vi moriva nel 1611 in età di 44
anni. Di quella medaglia si custodiva un esemplare
nel Museo Gualdo di Vicenza , disperso , non si sa
né come né perchè, avanti la fine del secolo XVII,
Attingo la notizia della descrizione del Museo stesso,
fatta da Girolamo Gualdo, che n'era il possessore,
verso il 1650. u De' due condiscepoli , Felice e Pa-
squale, conservo, scrive il valent'uomo, alcune me-
daglie coniate in metallo, fra le quali una, che im-
pronta Isabella Michiel, moglie del Conte Bernar-
dino (leggi Giambattista) Sesso, il rovescio della
quale è assai vago (^) » . Io non so che cosa si figu-
(1) 0. Gualdo, Giardino di Cha Gualdo, Msc. nella Marciana di Yo«
nezia, Cod. CXXYII, classo lY,
ISABELLA 8B8SO 263
rasse in si fatto rovescio. M'è noto, invece, che Vin-
cenzo Gonzati , un erudito e antiquario vicentino ,
morto a mezzo il secolo XTX , riputava lavoro di
Felice e Pasquale una medaglia, veduta da lui, presso
il Maggiore Tonelli , Comandante la Piazza di Vi-
cenza, u Essa, scrìveva Tegregio uomo in una nota
a un esemplare del Giardino di Cha Gualdo da lui
trascrìtto, porta la testa d' Isabella con le parole :
ISABELLA • SESSA • MICHAEL • VENETA • Il rovescio ha
una figura di donna pettinata con lungo ciuffo le-
gato davanti; nella mano destra ha tre chiodi, nella
sinistra due ' delfini : è seduta a pie d* un tronco
secco : ha di dietro un elmo e davanti sotto un piede
una testa da morto con la leggenda greca : EK TTA-
AAIMOI • MHNIZOMENH. j) (0.
I Ora è a sapere che Tesemplare della medaglia,
veduta dal Gonzati, è Tuno de* due, posseduti dal
Museo di Vicenza. Lo prova una nota autografa del
Gonzati medesimo, annessa alia medaglia, u coniata,
v' è detto, non so se da Felice, o da Pasquale Vi-
centini, discepoli di Camillo Mariani w (2). Ma la
descrizione , onde si correda la copia , da lui tra-
scritta, del Giardino di Cha Gualdo^ non è esatta del
tutto. Il bravo erudito scambia in essa il freno in
due delfini, e non rileva il monogramma del Po-
medello, che si presenta evidentissimo nell' esergo.
Appare specialmente da quest'ultima omissione che
la molta erudizione delle cose vicentine non era
(1) 6. Gualdo , Giardino di Chi Gualdo , trascritto dal Gonzati.
Msc. noila Biblioteca Comunale di Vicenza.
(2) La nota ò proceduta delle parole : « Isabella Michieli Sesso, * e
solita dalla data « 1650 » e dalla citazione: < V. Gualdo, Giardino,
anno 1650 >.
33
251 BERNARDO MORSOLIN
bastata a fargli conoscere l'opera, che in onore della
Sesso aveva condotto l' artefice veronese ; non era
bastata a mettergli, per conseguenza, nell' animo il
sospetto che la medaglia de' due Vicentini alla quale
accenna il Gualdo, potesse essere una contraffazione.
In lui più che l'esame attento e minuzioso del lavoro
valse l'asserzione del Gualdo ; tanto che fini con l'attri-
buire a Felice e a Pasquale ciò, ch'era lavoro incon-
testabile del Pomedello. Ma non credasi, per questo,
che la notizia, attinta dalla descrizione del Giardino di
Cha Gualdo, difetti di fondamento. Dell'opera de' due
allievi del Mariani s' ha la prova nell' altro de' due
esemplari, custoditi nel Civico Museo di Vicenza.
Vero è che i diritti, i rovesci, le dimensioni e perfino
i monogrammi sono gli stessi; ma gl'indizi della
contraffazione si manifestano a vista d'occhio anche
a' meno periti: si manifestano cioè nella precisione
del taglio, nel rilievo delle pieghe, nello spicco dei
profili , nella proporzione delle lettere e delle loro
distanze, perfetti, se cosi m'è lecito dire, nell'esem-
plare veduto dal Gonzati, incerti e talvolta ineguali
nell'altro, sfuggito, forse, alla dispersione del Museo
Gualdo. E dove ciò non bastasse, una prova incon-
testabile della contraffazione si avrebbe nell' alte-
razione della leggenda del diritto , comune a' due
esemplari. È Talterazione, che si rivela nell'epiteto,
premesso al nome della Sesso. Vi si legge cioè: DIVA •
ISABELLA • SESSA • MICHAEL • VENETA.
Ho già avvertito che l'Armand, nella descrizione
delle due medaglie in onor della Sesso, non è esatto
ISAtlKLLA SESSO 256
del tutto. Ed esatto non ò ugualmente nella descri-
zione della medaglia, che fa parte della Collezione
reale di Berlino e fu già illustrata dal Friedlaender W.
Lo deduco da un esemplare in zolfo , posseduto ,
come gli altri due, dal Museo Civico di Vicenza ;
esemplare, che ho motivo di credere tolto dal cu-
stodito in Berlino. L'Armand ritrae, non v'ha dubbio,
con esattezza il diritto , dove , recata la leggenda ,
uguale per intero alle leggende delle altre duo me-
daglie, dice che il busto d'Isabella, volto a sinistra,
ha la testa scoperta co' capelli distesi, non più in giù
però della linea del mento. Ed esatta ugualmente ,
ancorché non avvertasi il ciuflfo come nelle altre
due, è la descrizione del rovescio, dove si dice che
la Fortuna è rappresentata da una donna nuda, in
piedi , con nella manca un freno , nella destra tre
chiodi, il pie dritto su d'un cranio, un elmo presso
il sinistro , e la leggenda : ÀETERNA • FORTVNA • Ma
l'Armand manca d'esattezza, quando soggiunge che il
campo del rovescio reca a sinistra un tronco con
foglie. Se cosi fosse , né si avesse il monogramma ,
del quale la descrizione non fa cenno, non si capi-
rebbe con che fondamento il dotto francese annove-
rasse la medaglia tra le incise dall'artefice veronese.
Ma buon per lui che quello, che si ravvisa nel campo,
non é un tronco. È, invece, il monogramma, bello
ed evidente, del Pomedello.
(1) Friedlabndbr , Die Italieniachen Schaumunzen dea fiinfzehnUn
Jahrhundert8. XIX. Berlin, 1880-1882.
256 KRllNARDO MOnSOl.tN
Ora rimarrebbe a definirsi il tempo, in cui s'eb-
bero a coniar le tre medaglie. L'Armand ha notato
che i millesimi, i quali s'incontrano in alcune delle
medaglie, da lui illustrate , del Pomedello , sono il
1519 e il 1527. Reca cioè il 1519 la medaglia in
onore di Stefano Magno, patrizio veneziano; recano
il 1527 le medaglie in onore di Giovanni Emo e di
Tommaso Moro, l'uno podestà e l'altro capitano di
Verona. Ma chi vorrebbe dire , come sembrerebbe
pensare l'Armand, che il Pomedello s'esercitasse nel-
l'arte dei conii entro quel solo periodo? Badisi che il
Moro e l'Emo furono rettori di Verona ; e che non
vi può esser dubbio, mi pare, che il 1527 segni un
anno diverso da quello, in cui i due magistrati dura-
rono nella magistratura. Quanto poi al Magno, che
aveva esercitato l'ufficio di podestà nel 1527 in Tre-
viso, è a credere ugualmente che il 1519 fermasse
l'anno o d'una promozione, o di qualche nobile uf-
ficio, commessogli dalla Signoria. Va pertanto da sé
che i due millesimi non possano determinare i con-
fini, entro i quali lavorava l'artefice veronese. Ch'egli
del resto vivesse ancora dopo il 1527 , lo atte-
stano, non fosse altro, le incisioni, segnate dal mo-
nogramma , comune a parecchie delle medaglie , e
dell'anno 1534. E se nel 1519 era già provetto nel-
l'arte de' coni, come si può argomentare dalla me-
daglia in onore del Magno, perchè non vorrassi con-
cedere che ne battesse prima la via, per la quale
doveva salire a tanta perfezione ? L'Armand stesso
neir illustrare la medaglia in onore di Carlo V av-
verte ch'essa doveva coniarsi tra il 1516 e il 1519,
ISABKLLA SESSO 257
eh* è quanto dire dopo la morte di Ferdinando di
Aragona, onde venivagU il titolo di Cattolico^ che sta
scritto nella leggenda» e avanti la fine di Massimi-
liano I, spento il quale, conseguiva la suprema di-
gnità à^ Imperatore, che vi si desidera.
Ora io non so in quale anno uscisse di vita la
Sesso ; né so, del pari, quanto t^mpo s'intrattenesse,
profuga di Vicenza, in Verona. Ch'ella col favorire
le sorti deir Impero si mettesse in non buona con-
dizione di fronte alla Signoria di San Marco , non
vuol certo esser cosa, di cui s'abbia a dubitare. La
notizia delle nozze col Vincer, un nemico acerrimo
della Repubblica, non credo si meriti maggior fede
d'una baia. La diffusero forse per i loro fini, che ora
non giova indagare, gli avversi all'Impero. Il Sanuto
stesso, che la riferisce, non sembra accoglierla altri-
menti che una diceria. Ciò non toglie però che la
diceria non avesse a conseguire l'intento di gettare
il maggior discredito sull'audacissima donna. Né la
Signoria ebbe a considerarla altrimenti che una fuo-
ruscita, colpevole d'aver attentato alla integrità della
Repubblica. Il Da Scino, che ha potuto consultare,
come si è detto, le carte della famiglia Sesso, ebbe
a riconoscere che i beni d'Isabella furono presi, dopo
la sua fuga di Vicenza, dal fisco. Queste ed altre con-
siderazioni traggono naturalmente a pensare che nes-
sun' altra terra le dovesse porgere tanta sicurezza ,
quanto la città di Verona, presidiata, com'era, di
continuo dalle soldatesche imperiali : traggono a pen-
sare che in Verona, ov'entrava, secondo che s'è detto
258 BERNARDO MORSOLIN
nel novembre del 1511, s'intrattenesse fino all'anno
1617, in cui la città resti tui vasi per trattato alla
Repubblica di Venezia. Lo fa congetturare, non fosse
altro, la poca o nessuna sicurezza, comune al resto
della Venezia, corsa e ricorsa ora dalle armi della
•
Repubblica e ora dalle orde de' Confederati. In questo
periodo, tra il 1511 e il 1517, è a credere si co-
niassero le medaglie, delle quali si è fatta parola.
E al conio dovevano contribuire, mi pare, l'atteggia-
mento e la fama d'Amazzone, ond'Isabella entrava
in Verona. Vero è che dopo il 1517 ella viveva an-
cora per parecchi anni; viveva almeno fino al 1528,
in cui dettava , come attesta il Da Schio , il suo
testamento ; ma non per questo vuoisi pensare che le
condizioni le si volgessero cosi propizie, come avanti
la resti tuzion di Verona. Ricuperata la città, andava
mi pare, da sé che Isabella dovesse considerarsi e
trattarsi anche da' Veneti non altrimenti che i molti
fuorusciti vicentini, i quali , fatta la tregua , toma-
vano in patria. E, sia che vivesse in Vicenza, o che
fermasse altrove la sua dimora, non è nemmen pre-
sumibile ch'ella volesse nuocere al tornaconto proprio,
e a quello de' figli rinnovando con la coniazione
delle medaglie la memoria d'un fatto, che avrebbe
potuto arrestare o rendere almeno difficili le buone
relazioni con la Signoria.
Bernardo Morsolin.
MEDAGLIE ITALIANE DEL 1889
I.
Eccoci anche quest' anno alla nosbra rivista degli
avvenimenti del 1889 fatta con la scorta delle medaglie
italiane che a tali avvenimenti furono consacrate.
La prima medaglia del 1889 che troviamo è quella del
Comizio radicale italo-francese tenutosi a Milano il 13 gen-
naio dell'anno scorso. Fu una dimostrazione promossa dalla
parte radicale intransigente, fu indetta in nome della pace
e della libertà, ma di queste poco si predicò nel Comizio,
e più di guerra ad istituzioni vigenti ed a classi sociali
dirigenti. La manifestazione, come la medaglia ci dice,
fu posta sotto gli auspici di Garibaldi , che , essendo
morto nel 1832, non potò certamente nulla obbiettare in
contrario.
La medaglia, in pochi esemplari in argento, ed in molti
in metallo bianco , fu coniata in Milano , distribuita fra
gU invitati al meeting e venduta pubblicamente per 60
centesimi. La descriviamo:
1. — Diam. mm. 21 {appiccagnolo e anellino per appenderla
a nastro).
^ — Busto a destra, con mantello, testa nuda, del ge-
nerale Giuseppe Garibaldi.
9^ — Nel campo, in sette linee : COMIZIO — PER — LA
FRATELLANZA - DEI POPOLI — MILANO — 13 (GENNAIO
- 1899.
260 ALFREDO COMANDINI
«
» *
Da una fesfca della politica passando ad ana della scienza
incontriamo un avvenimento di alta importanza scientifica
celebrato in Milano il 24 marzo 1889, il 25 anniversario
dalla fondazione del celebre Politecnico Milanese, di fama
universale, fondato e presieduto sin qui dalFinsigne scien-
ziato prof, senatore Francesco Brioschi. Fra le varie feste
commemorative, fuvvi anche quella della presentazione al
prof. Brioschi di una bella medaglia in oro, eseguita e co-
niata dall'incisore Luigi Broggi, e che a questi fruttò poi il
primo premio nel concorso di istituzione Girotti (per una
medaglia in metallo eseguita nel decennio) tenuto presso
l'Accademia di Brera.
Della medaglia ne fu presentato un esemplare in oro
al prof. Brioschi, e pochissimi ne furono tirati in argento
ed in bronzo. La medaglia è questa: (V. Tav. VI, N. 4).
2. — Diam. mm. 64.
^ ^ Cerchio periato. Busto a destra, in abito civile,
testa nuda, del prof. Francesco Brioschi. Sotto al busto :
L. Secchi modellò L. Broggi incise.
91 — Cerchio periato. Nel campo in nove righe:
A — FRANCESCO — BRIOSCHI — NEL XXV ANNIVER-
SARIO — DELLA FONDAZIONE — DEL POLITECNICO —
MILANESE - GLI EX-ALLIEVI MDCCCLXXXVIII •
L'anniversario 25^ dalla fondazione del Politecnico Mila-
nese cadeva appunto verso la fine del 1888, ma la solenne
cerimonia commemorativa fu rinviata al 24 marzo 1889; ed
è per questo che registriamo fra quelle del 1889 cotesta
bella medaglia, per fare incidere e coniare la quale fu
indetta sottoscrizione e largamente coperta fra gli ex-
allievi del Politecnico del prof. Brioschi costantemente
memori.
MEDAGLIE ITALIANE DEL 1889 2G1
#
E naturale che in un paese pur giovane come il nostro,
ma compostosi ad unità dopo una rivoluzione fortunata e
ricca di particolari avvenimenti, si cominci, dopo trentanni
di vita unitaria, a vivere di ricordi e di commemorazioni ;
— e, però, noi troviamo ora molte medaglie dedicate ad
avvenimenti del periodo ultimo e fortunato del risorgimento
dopo venticinque o trent'anni festosamente commemorati.
Di tali medaglie una, e bella — e che, per essercene
giunto troppo tardi l'esemplare, non possiamo comprendere,
come avremmo voluto, nella annessa tavola — è quella che il
Municipio fiorentino volle dedicata a commemorare il fortu-
nato rivolgimento del 27 aprile 1859, nel quale la Toscana
fu unita alle altre parti d'Italia nei regime liberale e costi-
tuzionale di Vittorio Emanuele II. Degli uomini che nel
Governo Provvisorio di Toscana, presero parte diretta e
principale a quel rivolgimento, non vive che l'onorevole
Comm. Ubaldino Peruzzi, ed a lui, con speciale indirizzo,
ne fu presentato un esemplare in oro ; un esemplare in
argento fu dato ai Senatori Poggi, Busacca, Cadorna, Tabar-
rini. Corsi Puccioni, Fossombroni, Bidolfi, Qiorgini, Euschi,
i cui nomi sono collegati con la storia della rivoluzione
toscana; ed un esemplare in bronzo a ciascuno degli 80
membri del Consiglio Comunale di Firenze. La cerimonia
commemorativa ebbe appunto luogo in Firenze il 27 aprile
1889; e la medaglia fu incisa, a spese del comune fiorentino,
dal valentissimo incisore lucchese dimorante in Firenze,
cav. Luigi Giorgi, ed è questa;
3. — Diam. mm. 46.
^ — In giro, cerchio a smerlatura gigliata. Nel campo,
ghirlanda fasciata, di alloro e di quercia, e dentro
la ghirlanda, scudo a testa di cavallo, ornato di lacci
svolazzanti , e portante il giglio bottonato e fiorito
di Firenze. Sotto, in basso, fuori della ghirlanda:
L. Giorgi f.
262 ALFREDO OOMANDINI
'^ — Nel campo, in alto, 'Stella d'Italia raggiante. Nel
mezzo, su quattro righe : XXVII APRILE MDCCCLXXXIX
— DI LIBERTÀ RIVENDICATA A FIRENZE — D'AUSPICATA
UNITÀ ALL'ITALIA — TRIGESIMO ANNIVERSARIO •
Complessivamente , di questa medaglia ne furono co-
niati 117 esemplari — 1 in oro , 36 in argento , ed 80
in bronzo.
• »
Nella nostra rivista delle medaglie del 1888 vedemmo
quanta parte ebbero in quell' anno, nella serie nostra, le
medaglie relative alla visita ufficiale fatta in Roma dall'im-
peratore Guglielmo II di Germania al re d'Italia.
Nel maggio del 1889 la visita fu dal re Umberto ri-
cambiata, all'imperatore, in Berlino; e dieci sono le medaglie,
che noi conosciamo , relative ad un avvenimento di tanta
politica importanza.
Dal 21 al 25 maggio 1889 solenni, straordinarie furono
le feste di Berlino in onore di re Umberto; e fra i festeg-
giamenti vi furono, a Charlottenburg , nel pomeriggio del
25, delle corse. La prima delle medaglie che qui descriviamo
fu appunto presentata a re Umberto, in esemplare d' oro^
alle corse di Charlottenburg.
Eccole tutte, in ordine di grandezza :
4. — aj Diam. mm. 60. (Tav. VI N. 2).
^ — Cerchio rilevato, sulla parte superiore del quale,
ad arco, fra due stelle a cinque punti: ZUR ERINNERUNG
AN DEN BESUCH IN BERLIN; e nella parte inferiore:
IN MEMORIA DELLA VISITA A BERLINO- Nel campo, busto
di tre quarti a destra, in uniforme militare con collare
dell' Annunziata, decorazioni e sulle spalle mantello ;
testa nuda a destra. Ài lati, in giro : UMBERTO I —
RE D'ITALIA. Nel campo, a destra, in due righe, al di-
sopra della spalla sinistra : MAI — 1889.
9 — Cerchio rilevato, sul quale, da sotto, in giro, la
leggenda : WILHELM II DEUTSCHER KAISER KONKr VON
MEDAGLIE iTALtANB DEL I88d 263
PREUSSEN. Stelletta a cinque punte. Sotto la stelletta:
Lauer Nornrerg. Nel campo, busto di tre quarti a si-
nistra in uniforme militare, spalline, decorazioni, collare
dell' Aquila Nera, mantello ; testa nuda a sinistra del-
l'imperatore Guglielmo II.
5. — hj Diam. mm. 38.
^ — Nel campo, in cerchio di perline, busto di tre quarti
a destra, in uniforme militare, collare dell'Annunziata,
decorazioni, testa nuda a destra di re Umberto. In
cerchio rilevato, in alto, stella d'Italia; in giro, ai lati:
UMBERTO I — RE D'ITALIA- Sotto al busto, affiancati,
i due stemmi di Savoia a sinistra , e di Germania a
destra, sovrapposti a due rami di alloro e di quercia
intrecciati.
5* — Nel campo, in cerchio di perline, busto di tre quarti
a sinistra, in uniforme militare, con collare dell'Aquila
Nera, decorazioni, mantello ; testa nuda a sinistra del-
l'imperatore Guglielmo II. In cerchio rilevato, sulla
metà superiore, ad arco: WILHELM II DEUTSCHER KAISER
KÒNIG V * PREUSSEN ; e sulla parte inferiore, ad arco,
Hu targa : SEMPRE AVANTI SAVOIA 1889.
Q. — cj Diam. mm. 30 {con appiccagnolo e anello per por-
tarla appesa a nastro).
^ — Cerchio di perle. Testa nuda a destra. In giro, ad
ad arco, superiormente fra due rosette: HUMBERT I
KÒNIG VON ITALIEN. In giro ad arco, inferiormente:
BESUCH IN BERLIN 21-25 MAI 1889. Sotto al taglio
del collo : Oertel. Berlin.
^ — Testa nuda a sinistra. Sotto al taglio del collo :
Oertel. Berlin. Tutt' in giro : WILHELM II DEUTSCHER
KAISER KÒNIG VON PREUSSEN *
7. — dj Diam. mm. 30 {con appiccagnolo e anello per por-
tarla appesa a nastro)^
^ — Come la precedente.
264 ALFREDO COM ANDINI
^ — Nel campo, entro cerchio periato, testa nuda a
destra. Tatt'in giro, da sotto, entro cerchio periato più
grosso: WILHELM II DEUTSCHER KAISER KONIG VON
PREUSSEN * Stelletta a cinque punte.
8. — e) Diam. mm. 28 {fion appiccagnolo e anello per por*
tarla appesa a nastro).
/B' — In giro, cerchio periato. Nel campo due medaglioni
portanti, entro ghirlanda d' alloro ciascuno, quello di
sinistra, la testa nuda, a destra, di re Umberto, e quello
di destra, la testa nuda, a sinistra, di Guglielmo II. Al
di sopra di ciascun medaglione, targa portante, rispet-
tivamente : UMBERTO I e GUGLIELMO II. In alto , in
àÌBCO raggiante, stella a cinque punte. Sotto ai meda-
glioni, nel campo, ramoscello d' olivo. Sotto, ad arco :
SEMPRE UNITI.
T^ — In serto di due rami di quercia e di alloro, anno-
dati in basso , aperti in alto, stemmi affiancati e coro-
nati, di Germania a sinistra e d'Italia a destra. In alto,
in disco raggiante , stella a cinque punte ; in basso ,
sotto il nastro annodante il serto: 1889.
9. — p Diam. mm. 28 {taglio scannellato),
^ — Cerchio periato. Nel campo, testa nuda a destra.
In giro, ad arco, nella metà superiore, fra dae rosette :
HUMBERT I KOENIG VON ITALIEN. E in giro, ad arco
nella metà inferiore: BESUCH IN BERLIN 21-25 MAI
1889.
T^ — Cerchiò periato. Nel campo, testa nuda a destra.
In giro : WILHELM II DEUTSCHER KAISER KONIG V •
PREUSSEN. Sotto al taglio del collo stella a cinque
punte.
10. — gj Diam. mm. 28 {appiccagnolo, e anello per appen-
derla a nastro).
^ — Cerchio periato. Nel campo, testa nuda a destra.
In giro, ai lati : UMBERTO I — RE D'ITALIA.
MEDAGLIE ITALIANE DEL 1889 2G5
T^ — Cerchio periato. Nel campo, testa nuda a destra.
In giro : WILHELM II DEUTSCHER KAISER KONIG V •
PREUSSEN. Sotto al taglio del collo, a destra : W : M •
11. — hj Diam. mm. 28.
ÌB' — Nel campo, entro cerchio periato, le tre teste nude ac-
collate a sinistra, di Guglielmo IT, Francesco Giuseppe I
ed Umberto I. In giro, entro cerchio periato, fra due
stellette : WILHELM II • FRANZ JOSEPH I • UMBERTO I •
Sotto , ad arco : FRIEDENSBUND. Nel campo , sotto la
testa di Francesco Giuseppe, in monogramma : T N B *
^ — Nel campo^ in cerchio periato, stemmi d' Italia e
d'Austria, questo a destra, quello a sinistra, affiancati,
sormontati da leone gradiente a sinistra, e sovrapposti
alle ali dell' aquila tedesca, coronata, spiegata, portante
lo stemma di Germania, e con la coda e con gli artigli
fuori del cerchio periato. In giro, su targhe, accartocciate
alle estremità, con fogliuzze di quercia, e disposte ad
arco, in alto : VIRIBUS • UNITIS •
12. — ij Diam. mm. 27 {appiccagnolo, e anello per appen-
devia a nastro).
i& — Cerchio periato. Teste nude, accollate a destra di
Umberto I e di Guglielmo II.
l^» — Cerchio periato. Nel campo , in otto righe :
UMBERTO I — KÒNIG V. ITALIEN — BESUCHT — WIL-
HELM Il — KAISER V. DEUTSCHLD. — KONIG V. PREUS-
SEN — 21-25 MAI ~ 1889.
13. — hJ Diam. mm. 24. {con appiccagnolo e anello per
appenderla a nastro).
]& — In cerchio periato, nel campo, teste nude accollate
a destra, di Umberto I e Guglielmo II. Entro cerchio
periato, più grosso, in giro: KAISER WILHELM II —
KÒNIG UMBERTO I. Sotto, stelletta a sei punte.
5i — Cerchio periato. Nel campo, in otto righe:
UMBERTO I — KÒNIG V ITALIEN — BESUCHT — WIL-
HELM Il — KAISER V. DEUTSCHL. — 21-25 MAI 1889.
266 ALFREDO COMANDINI
Dieci furono le medaglie con le quali fu celebrato il
viaggio di Guglielmo II a Roma ed a Napoli; e dieci sono
state le medaglie con le quali i tedeschi hanno festeggiato
il viaggio di Umberto I a Berlino.
La penultima di queste medaglie (e) richiede che noi
aggiungiamo che essa, oltre che il viaggio di re Umberto
a Berlino, ricorda anche quello di Francesco Giuseppe I,
imperatore d'Austria, che si recò a Berlino più tardi , nel-
l'agosto ; ed essa sta anche a ricordare la triplice alleanza,
fra l'Italia, la Germania e l'Austria-Ungheria, stipulata pel
mantenimento della pace {Friedensbund).
* *
Da queste feste dell' alta politica e della diplomazia ,
passando alle feste suggerite alla gratitudine popolare e alla
venerazione verso i fattori grandi della Patria , troviamo ,
il 2 giugno 89 , anniversario settimo dalla morte di Giu«
seppe Garibaldi , due medaglie che ricordano la memoria
dell'Eroe, onorata di nuovi monumenti.
Piacenza e Como, il 2 giugno 1889, eressero pubblico
monumento a Garibaldi.
La festa di Piacenza è ricordata da questa medaglia :
14. — Diamm. mm. 40.
^ — Il monumento visto di prospetto. (Rappresenta
Garibaldi , stante , con le braccia conserte, sulla vetta
di una roccia, ai piedi della quale, in atteggiamento
guerresco , un garibaldino). Superiormente ad arco , ai
Iati, su due giri, fra stellette : INAUGURAZIONE — DEL
MONUMENTO - A GIUSEPPE — GARIBALDI. Esergo :
G. Maserati f.
^ — Corona di due rami, di alloro e di quercia, anno-
dati in basso, aperti in alto. In alto , stella d' Italia
raggiante. Nel campo, in tre righe :
PIACENZA — 2 GIUGNO — 1889-
UBDAOLIB ITALIANE I>BL 1889 2GT
La festa di Como ci è ricordata da due medaglie, qaella
del monamento, propriameate detta, e quella che il muni-
cipio di Como conferì ai superstiti delle 5 giornate oomensi
del marzo 1848.
Qui le descriviamo :
15. — a) Diam. mm. 43.
^ — Statua di Garibaldi, di prospetto, scolpita dal Vela
(in atto di avanzarsi, con la spada nuda, abbassata,
nella deatra). Ài lati, in giro, a sinistra: A G. OARIBALDt ;
e, a destra, su due righe, in giro: NEL XXX ANNIV. DEL
27 MA&9I0 1859 - COMO RICONOSCENTE.
^ — Nel campo, bassorilievo (che sta nel piedestallo
del monumento a Garibaldi in Como) raffigurante la
cessione di Como alla cittadinanza vittoriosa fatta dagli
austriaci il marzo 1843. In alto, in tre righe :
ALLA — RISCOSSA — POPOLARE. — Nel campo, sotto
al bassorilievo : dal bronzo di Vela — A. C. ikc. —
Stabiliuento Johxson. Milaxo. e sotto, in due righe, nel
campo: DEL MARZO — 1848.
16. — h) Diam. mm. 38 (magliella , dentro la quale ò
passato nastro di seta a ire righe verticali, quella di
mezzo bianca, le laterali rosse; colori municipali di
Como).
^ — Nel campo, stemma coronato di Como. In cerchio
rilevato, nella metà superiore, ad arco, fra due rosette :
268 ALFREDO GOMANDINl
IL COMUNE DECRETAVA ; — e nella metà inferiore, ad
arco : 4 FEBBRAIO 1889. Nel campo, sotto lo stemma,
su due righe a sinistra: S. Johnson — Milano.
T^ — Nel campo, veduta delle mura turrite di Como e
del colle e torre del Baradello. Neil' esergo del campo :
5 GIORNATE — MARZO 1848. In cerchio rilevato , in
giro : COMO LIBERATA DAL POPOLO INSORTO. Ramo-
scello di quercia.
Di queste due medaglie aggiungiamo che esse furono
coniate in Milano nello Stabilimento S. Johnson, e che la
ammirevole esecuzione, specialmente della prima, è dovuta
all' eccellente bulino dell' incisore Antonio Cappuccio, che
sta a capo del gabinetto d'incisione in detto stabilimento.
La prima (a) porta la data del 27 maggio 1889, e —
in fatto — l'inaugurazione del monumento a Garibaldi in
Como doveva avere luogo il 27 maggio, ma per preparativi
da ultimare, e per assicurare maggiore il concorso, la ce>
rimonia fu fatta il 2 giugno, e in questo giorno la medaglia
fu distribuita.
E in questo medesimo giorno fu anche distribuita ai
valorosi superstiti delle cinque giornate comensi del 1848
la decorazione commemorativa (b) la quale porta la data
(4 febbraio 1839) della deliberazione del consiglio comunale
di Como decretante tale ricompensa patriottica.
Cosi, con la festa del 2 giugno, e con le due belle
medaglie che la ricordano, C!omo onorò la memoria di Ga-
ribaldi ed i superstiti del 1848, ricordando i 5 giorni glo-
riosi di tale anno, e ricordando anche la definitiva libera-
zione, avvenuta, per la vittoria garibaldina di San Fermo,
il 27 maggio 1869.
*
* «
Compiuto appena le commemorazioni di Garibaldi, ebbe
luogo in Boma, il 9 giugno, una grande festa dei liberi
pensatori, con la erezione del monumento a Giordano Bruno
— monumento ideato nel 1876 dagli studenti dell'università
lIEbAOLIB ITALIANE DEI, 1889 269
romana, e dopo lunghe difficoltà inangarato in Boma, in
Campo de' Fiori il 9 gingno 1889.
La storia di coteuto monumento — la cui inaugurazione
è Incordata da quattro medaglie — è riassunta nell' inscri-
zione ohe si legge sul rovescio della prima di esse che qui
deacriviamo :
17. — Diam. mm. 60.
^ — Cerchio periato. Nel campo , in altorilievo , di
fronte, la statua di Giordano Bruno, e in giro :
A — GIORDANO BRUNO — IL SECOLO ~ DA LUI
DIVINATO — IN ROMA — DOVE IL ROGO ARSE. Sotto
la statua, sa due righe : dal bronzo di Ettore Ferrari.
— Luisi BRnoai incise.
9I — Cerchio di fregi in stile del rinascimento. Nel
campo, in dieciotto righe,: A' XIX MARZO MDCCC-
LXXVI, COSTITUITOSI FRA STUDENTI DELL'UNIVERSITÀ
ROMANA UN COMITATO PER ERIGERE A GIORDANO
BRUNO UN MONUMENTO IN ROMA NEL CAMPO DEI
FIORI , FU INDETTA UNIVERSALE SOTTOSCRIZIONE ,
DEPOSITANDO A CUMULARE LE SOMME IN TRE ANNI
RACCOLTE. NEL NOVEMBRE MDCCCLXXXIV , ALTRO
COMITATO UNIVERSITARIO RINNOVO IL PROPOSITO,
RACCOLSE IN CINQUE ANNI NUOVE SOMME , AFFIDO
270 ALFREDO OOMANDINI
AD ETTORE FERRARI L'ESECUZIONE DEL MONUMENTO.
Al IX GIUGNO MDCCCLXXXIX, IN ROMA CAPITALE IN-
TANGIBILE I DUE COMITATI RIUNITI SCIOLSERO IN
CAMPO DE' FIORI IL COMUN VOTO. GLI INIZIATORI
DEL MDCCCLXXVI CURARONO CHE DELL' ALTO CON-
CETTO CIVILE ATTUATO RIMANESSE IN QUESTA ME-
DAGLIA MEMORIALE DOCUMENTO PERENNE.
E, appunto perchè documento, chi scrive dettò cotesta
dicitura per questa medaglia che non fu posta in commercio,
e della quale furono coniati 205 esemplari dall'egregio in-
cisore Luigi Broggi di Milano che con molta valentia la
incise ; e cioè, 1 in oro per lo scultore Ettore Ferrari, 4 in
argento, pel Comune di Boma, per l'Università ^Romana, e
per gli oratori prof. Bovio e prof. Trezza, e 200 in bronzo
per i membri del Comitato d'onore, per i membri dei due
Comitati universitari, per invitati, per professori, musei,
raccolte, ecc. I conii, annullati, furono dal sottoscritto do-
nati al comm. Cesare Fascila, egregio direttore della Zecca
di Milano , per la pregio vole raccolta di conii che egli,
nella Zecca milanese, ha saputo ordinare.
Le altre tre medaglie ricordanti l' inaugurazione del
monumento bruniano sono le seguenti :
18. — Diam. mm. 64.
^ — Veduta della Piazza di Campo de' Fiori in Boma ;
ed in mezzo alla piazza il monumento a Bruno. Sotto
la linea dell'esergo, a sinistra : E. Ferrari inv., a destra:
Giov. Giani inc.
1^ — Corona di due rami di palma, annodati in basso,
aperti in alto. Nel campo, in sei righe:
IX GIUGNO — MDCCCLXXXIX — A BRUNO — IL
SECOLO DA LUI DIVINATO — QUI DOVE IL ROGO —
ARSE. In giro fuori della corona di palma: AUSPICE
LA GIOVENTÙ DELL'ATENEO DI ROMA CONCORRENTI
LE NAZIONI CIVILI.
BlIiDAGLIB ITALIANE DEL 1889 271
Questa medaglia fu fatta eseguire, per scopo oommeroiale,
dal comitato esecutivo universitario di Boma, e fu venduta
dall' incisore Giani, tirata in grande numero di esemplari.
Le due seguenti erano vendute per le piazze e per le
vie di Boma il 9 giugno :
19. — Diam. mm. 29 (con appicctignolo).
^ — Busto di prospetto, testa incappucciata di Giordano
Bruno. In giro : GIORDANO BRUNO SANTIFICO IL PEN-
SIERO COL MARTIRIO. Sotto : ROMA 9 GIUGfK) 1889.
T^ — Veduta della piazza di Campo de' Fiori, in Boma,
nel giorno del supplizio di Bruno. Esergo : CAMPO
DE' FIORI — 1600. Sulla linea dell' esergo a sinistra :
SlRLETTI.
Fu eseguita dall'incisore romano Augusto Sirletti, gio-
vane operoso, e fu coniata nella regia zecca di Boma.
Questa ultima fu fatta dall'incisore Giani, sunnominato :
20. — Diam. mm. 26 {con appiccagnolo).
jB' — Su piedestallo con corona d'alloro e palma, statua,
di prospetto, di Giordano Bruno. In giro, ai lati :
GIORDANO — BRUNO.
!pl — In due linee, nel campo : 17 FEBBRAIO 1600 —
9 OIUONO 1889. In giro : DORMITANTIUM ANIMORUM
EXCUBITOR.
«
Si suol dire, ammirando u Boma città universale n dove
vivono e si svolgono diverse forme di autorità, e di pen-
siero ; ma universale, quanto Boma e più di Boma, questa
nostra numismatica, che ci fa porre, senza conflitto, 1' une
vicine all'altre, per ragione cronologica, le medaglie più
disparate.
E dopo le preaccennate viene appunto, in ordine cro-
nologico , la medaglia storica pontificia , cosi detta della
ricorrenza annuale.
272 AtPRBDO COMANDINt
Il 24 giugno 1889, monsignor Enrico Folchi, segretario
dell'amministrazione dei beni della Santa Sede e il cava-
liere Francesco Bianchi, incisore dei sacri palazzi aposto-
lici, erano ricevuti in particolare udienza dal Pontefice, al
quale presentavano i primi esemplari — trenta in òro, e
trenta in argento, racchiusi in astucci con lo stemma pon-
tificio — della medaglia storica annuale, che viene coniata
per la festiva ricorrenza degli apostoli Pietro e Paolo.
Tale medaglia, pel 1889, è la seguente.
21. — Diam. mm. 43. (Vedi Tav. VI, N. 1).
^ — Busto a sinistra con callotta, mezzetta e stola. In
giro, ai lati : LEO • XIII • PONT • - MAX • AN • XII. Sotto
al busto : P. Bianchi.
9/ — Veduta dell'antico portico del Chiostro Lateranese
(che si sta restaurando a spese del Pontefice) col giar-
dino, antico pozzo, etc. Nell'esergo, in quattro righe :
PORTICVM • CLAVSTRI • LATER • — EX • VET • FORMA —
RESTITVIT • ORNAVI! - A • MDCCCLXXXIX • Sotto :
F. Bianchi.
Queste medaglie pontificie sono coniate per conto del
Pontefice nella regia zecca di Boma , diretta dal distintis-
simo cav. Ettore Conti. L'epigrafe latina di questa del 1889
fu dettata dal gesuita padre Tongiorgi.
«
• »
I sentimenti patriottici ed il culto delle memorie rac-
coglievano il 25 giugno 1889 in Saluzzo eletta schiera di
uomini studiosi e colti, ad onorare il nome di Silvio Pellico,
del quale ivi celebravasi il primo centenario dalla nascita;
e questa festa ci è ricordata dalla seguente medaglia, —
l'unica — se non erriamo — che ricordi il nome di Pellico
nella serie di medaglie illustranti uomini e fatti del risor-
gimento italiano :
MEDAGLIE ITALIANE DEL 1889 273
22. — Diam. mm. 34 {con appiccagnolo e anello per appen-
derla a nastro).
!& — Fra due rami di alloro, incrociati, statua di Silvio
Pellico (quale si vede sul monumento erettogli in Sa-
luzzo). In basso, a destra: Tacconet.
5/ — Nel campo, in tre righe : NÀSCITA — SILVIO PEL-
LICO — SALUZZO. Rosetta. In alto, ad arco: RICORDO
P CENTENARIO. In basso ad arco ^ fra due stelle a
cinque punte : 25 GIUONO 1889.
«
Al nome del mite poeta e filosofo di Saluzzo, nessun
altro potrebbe meglio tener dietro, che quello del buono,
generoso, fidente abate Antonio Rosmini Serbati. Il fonda-
tore insigne della scuola rosminiana fu onorato, nell'estate
del 1889, non di una medaglia, propriamente detta, ma di
un bel medaglione, misurante 20 centimetri di diametro,
ed il cui modello in legno fu eseguito dal sig. G-iovanni
Cassina, che nella sooltura in legno, ha fama meritata di
artista valente.
Il medaglione è questo:
23. — Diam. mm. 196.
^ — Busto a sinistra, in abito religioso, testa nuda. In
giro, ai lati: A. ROSMINI — SERBATI.
Senza rovescio.
L'effigie del Rosmini, riprodotta in questo medaglione,
fu tolta — con qualche modificazione in riguardo al rilievo
— da una cera modellata dal vero, assicurasi, dallo scultore
Nesti, ed ora posseduta dal cav. Cesare Saldini. Compiutosi
dal Cassina il modello in legno, la fusione in bronzo fu fatta dal-
l'artista Pietro Trocchi, ed i medaglioni fusi furono, la prima
volta, 60. L' idea di gettare questo medaglione venne al
Cassina, dall'iniziarsi di una sottoscrizione, tutt'ora aperta,
per raccogliere i fondi necessari per 1' erezione in Milano
di un monumento in onore del Rosmini. I 60 medaglioni
274 ALFREDO COMAKDIM
furono messi in vendita a L. 8 ciascano, destinando una
parte del ricavo a favore del fondo per il monumento pre-
detto; e furono presto esauriti. Su richieste particolari il
Cassina ne ha fatto riprodurre alcuni altri, ma in numero
limitatissimo.
* ft
Le medaglie italiane delle quali ci occupiamo si rife-
riscono non pure ad uomini italiani e ad avvenimenti com-
piutisi in Italia, ma ben anche ad uomini e ad avvenimenti
stranieri, coi quali il sentimento e gl'interessi italiani abbiano
rapporto diretto. Cosi noi dobbiamo registrare una medaglia
che da italiani si volle dedicata a Dardo Bocha, il senatore
argentino, benemerito della colonia italiana nella Bepublica
Argentina, e fondatore della città La Piata e del suo porto,
Ensenada.
A La Piata, — nuova capitale della provincia di Buenos-
Ayres — la prima pietra fu collocata il 19 novembre 1882,
ed il 3 giugno 1889 contava già 61 mila abitanti, in grande
numero italiani; e le colossali e meravigliose costruzioni
di questa nuova città sono opera specialmente di italiani
ohe applicarono largamente la genialità del proprio intelletto
e la varietà artistica delle proprie attitudini e industrie.
Cosi, dopo fondata e sviluppata la città, il 9 luglio 1889
fu inaugurato il grandioso porto della Ensenada, ed anche in
questo porto ebbero ed hanno vasto campo di operosità i
lavoratori italiani, dei quali il senatore Dardo Bocha fu,
ed ò tuttavia, amico generoso e valido protettore.
A ricordare cosi rilevanti fatti, una grande ed influente
parte della colonia italiana della ^Repubblica Argentina,
coadiuvata da italiani residenti all' estero , altrove , e nel
regno, fece coniare la seguente medaglia:
24. — Diam. mm. 36 (con appiccagnolo e anello per infi-
larvi nastro).
^ — Busto di prospetto, abito civile e testa nuda, leg-
germente a sinistra, del senatore Dardo Bocha. In giro :
MEDAGLIE ITaUANB DEL 1889 275
OLI ITALIANI AMMIRATORI AL FONDATORE DI LA PLATA.
Sotto il busto: Ch. Massonet & C.
^ — Nel oampo, in ornato, fra due rami di alloro, an-
nodati in basso, gli stemmi, d'Italia, a sinistra, coronato
alla reale, e dell'Argentina, a destra, sormontato dal
Sole raggiante, e in alto fra i due stemmi, stella a
cinque punte , raggiante. In alto , ad arco :
19 NOVEMBRE 1889 — LA PLATA. In basso ad arco :
9 LUGLIO 1889 — ENSENADA.
Un esemplare in oro di questa medaglia — stata ese-
guita in Parigi nella officina del Massonet — fu presentata,
appunto in Parigi, — al senatore Bocha il 6 luglio 1889,
dal senatore italiano marchese Alfieri di Sostegno, accom-
pagnando la medaglia con una pergamena artistica il cui
testo fu dettato dall'on. Bonghi.
ft
E dalla festa argentina del 9 luglio, ritornando a feste
e commemorazioni italiane, troviamo, alla data 25 agosto,
l'inaugurazione del monumento di G-iuseppe Garibaldi in
Livorno.
Questa patriottica cerimonia ci ò ricordata dalle tre
seguenti medaglie:
25. — aj Diam. mm. 66 (V. tav. VI N. 3).
^ — Busto nudo, testa nuda a sinistra, di Giuseppe Ga-
ribaldi. Sotto al busto: Speranza.
'^ — Nel campo, stemma civico di Livorno, sormontato
da corona nobiliare. In cerchio rilevato, in giro :
INAUGURAZIONE DEL MONUMENTO A GARIBALDI, e
sotto, in giro, sullo stesso cerchio, fra due stellette :
LIVORNO 25 AGOSTO 1889.
Questa medaglia, la cui incisione fu affidata al distinto
cav. Speranza, incisore nella regia zecca di Boma, fu co-
liiati^ nellfv ste9sa zeoca^ in numero limitato di esemplari
276 ALFREDO COM ANDINI
— meno di cento — per conto del Manicipio di Livorno,
che ne ritirò i conii; e fa dal municipio livornese distri-
buita a personaggi invitati alla festa inaugurale del mo-
numento.
26. — bj Diam. mm. 24 {con appiccagnolo e anellino per
infilarvi nastro).
^ — BusfiO con mantello, testa nuda a sinistra. In giro,
ai lati: GIUSEPPE GARIBALDI.
1^ — Nel campo, in alto, stella d'Italia raggiante; sotto
la quale, in cinque righe, nel campo:
INAUGURAZIONE — DEL MONUMENTO — IN LIVORNO
— 25 AGOSTO — 1889.
Questa medaglia eseguita dalP incisore L. Giorgi, era
venduta per le vie di Livorno, nel di della festa, ed egual-
mente, per le vie di Livorno vendevasi la seguente, incisa
dall'artista bresciano L. Ciocchetti, residente in Siena:
27. — cj Diam. mm. 23 {con appiccagnolo e anellino per
infilarvi nastro),
]£f — Busto con mantello, testa nuda, a destra, di Giu-
seppe Garibaldi. In giro: RICORDO DI LIVORNO-
1^ — Corona di alloro aperta in alto; e nel campo, in
tre righe: 25 — AGOSTO — 1889.
Con questa medaglia noi chiudiamo la prima parte di
questa nostra rivista ; professandoci grati, fin d' ora, agli
amatori e colleghi, che, sulle medaglie descritte, e su altre,
del 1889, che loro fossero note, vorranno favorirci schiari-
menti e notizie che migliorino e completino il nostro arido
e modesto lavoro.
27 Maggio 1890.
Alfredo Comandini.
(Continua).
RIVISTA ITALIAHA DI NUMISMATICA
«90. TAV. VII.
1. couiDin, - muiii nuiui iii iìb). ■ i.
(Anno ili. Ffl«c. 11.)
i j
FUDLiC Li! :
I
TREMISSE INEDITO
AL NOME DI
DESIDERIO RE DEI LONGOBARDI W
San Colombano borgo che prese il nome dal celebre
monaco fondatore del cenobio Bobbiese, ed ora si distingue
coli' aggiunta al Lambro , appartiene presentemente alla
provincia di Milano sul confine orientale di quella di Pavia,
ed è territorio segnalato per la squisita bontà del suo vino.
San Colombano è però ben più notevole pel singolare ri-
lievo di terreno sul quale sorge e si estende, e la cui na-
tura e disposizione hanno dato materia ed occasione a studi
importanti e persistenti dei più dotti geologi.
L'elevatezza del colle di S. Colombano sul circostante
piano, e la sua prossimità al fiume Lambro, al Po che di
questo riceve le acque, ed all'antica strada, che svolgendosi
appunto sulla ^sinistra del Po conduceva e conduce per
Cremona dalla vetusta Pavia a Mantova e nel Veneto, erano
circostanze naturali, che per sé lo designavano adatto tanto
alla difesa quanto a preparare le offese, epperò non vi man-
(1) Questo studio fa per la prima Tolta pubblicato in fascicolo separato
noi 1889 a Pavia.
36
278 CAMILl^O liRAMHSLLA
carono anohe in tempi remoti i munimenti guerreschi nella
foggia e nella estensione, che essi suggerivano, e rendevano
possibili. Al Castello con baluardi e fosse, che San Colom-
bano ricorda quale tutissimiim Federici Casirum nel se-
colo XII, e vanta anche oggidì annoverato fra i monumenti
nazionali, facevano corona robuste costruzioni a Mombrione,
alla Mostiola, a Montemalo, ed altre non poche in situazione
più depressa, che non quella dominante e principale ove
sorgeva il Castello tanto più importante sotto l'aspetto stra-
tegico e per la sua estensione.
Tornerà forse arduo ad un recentissimo e benemerito
studioso di quanto riguarda questa singola parte del terri-
torio lombardo (i), il far dividere V opinione anche da lui
caldeggiata, che appunto sulle falde sud-ovest dei Colli di
San Colombano accampossi per qualche tempo Annibale
avanti la battaglia del Ticino, ma ad ogni modo San Co-
lombano al Lambro di remota e forse non umile origine,
può avere al pari d'altri anche più importanti comuni una
storia propria, varia nelle sue vicende, e frequentemente le-
gata coi fatti più memorandi della grande patria italiana.
Luogo forte e salubre per la sua posizione il Colle di
San Colombano, come certamente ebbe ben presto numerosi
abitanti, e fra questi anche padroni, e con essi e per essi
aver parte nei vari avvenimenti, che vennero mutando le
sorti del paese, doveva anche conservarne le traccio e i
ricordi, siccome appunto, e specialmente accade per simili
particolari rilievi del terreno dai quali il circostante e sot-
toposto piano viene naturalmente, e per ogni rapporto do-
minato (2). Nò San Colombano contraddice col fatto a quelle
premesse, poiché nel terreno suo ed in quello delle vici-
nanze nei passati anni erano frequenti le scoperte di avanzi
(1) Alessandro Biccardi, Le località e territorj di San Colombano al
Lambro, Pavia, 1888. Pag. 198.
(2) Bicordo por abbondanza di simili memorie in avanzi di costruzioni
murarie, sepolcri, monete ed arnesi personali e domestici, i luoghi elevati
sol circostante piano di Casteggio noirOltrepò, e della Madonna delle Boz-
zole in Lomellina, provincia di Pavia.
TKEMISSB INEDITO AL NOME DI DESIDERIO, ECC. 2lD
maral! in larghi tavelloni e laterizi quali soglionsi dire
romanij in amplissimi frammenti di pavimento in calce-
struzzo, in urne cinerarie, fìbule, bronzi, stoviglie e monete
tanto imperiali romane quanto giù discendendo e di epoca
più recente. Il Riccardi nei suoi studi sul territorio di
San Colombano (1) accenna opportunamente e con dettaglio
a quelle scoperte, e rileva come di esse e di quelle che si
facessero nei contorni si occupasse, facendone premuroso
studio e ragguardevole raccolta, il sacerdote Luigi G-allotta,
che stette proposto-parroco e vicario foraneo nel borgo di
San Colombano per ben cinquant' anni, dal 1828, cioè, al
1877 in cui mori di ottantanni al 31 dicembre. Di quanto
poteva raccogliere T ottimo proposto Galletta teneva dili-
gente nota, e deve insieme augurarsi, che quei cimeli non
vadano dispersi, e che non ne rimangano disgiunte le me-
morie colle quali lo studioso raccoglitore amava constatare
il tempo di ogni scoperta, il luogo e le eventuali circostanze
in cui fosse avvenuta (2).
Fra le monete da lui raccolte, il nostro proposto con-
siderava, e giustamente, più preziosa un aurea, agevolmente
conosciuta per longobarda al nome del re Desiderio , ma
di cui non gli riesciva di completamente interpretare il
rovescio, dove dopo la parola FLAVIA vedevansi alcune
(1) Opera citata. Pagrino 125, 181, 132, 135, 204, 205.
(2) Quando don Luigi Gallotia noi 1828 era eletto a proposto-parroco
di San Colombano per voto nnanime di qnel cornane, egli proveniva da Lodi
ovo ora professore in quel Seminario diocesano. Dotto e studiosissimo seppe
conginngere Tofficacia della parola ai benefìci deiroperare, qnale gli era sug-
gerito da un cuore schietto e tenerissimo. Fu ispiratore benemerito del filan-
tropo fondatore di uno Spedalo, di cui S. Colombano mancava. Come buon
sacerdote seppe anche essere buon italiano in tempi difficili, e vivente ebbe
giusta fama di uomo saggiamente caritatevole, e lode singolare ed incon-
testata per virtù vera, costante e scevra da ogni ostentazione. Lasciò molti
scritti, ma non fece alcuna pubblicazione, trattenutone al certo da modestia
sincera, che non fu vinta neppure dall'intima relazione tenuta per comu-
nanza di -studi e di opinioni col non mai abbastanza lodato vescovo di
Pavia Luigi Tosi, cho però a dir vero di quella stessa modestia dava a lui
il più luminoso esempio.
290 CAMILLO BRAMBILLA
lettere a prima giunta, e non difficilmente leggibili, ma
che nella loro riunione non sembravano prestarsi ad appli-
cazione pratica, a città qualsiasi, non che fra quelle già
note per monete al nome di Desiderio, ad altra che pur si
fosse già soggetta a quell'ultimo dei re longobardi.
Quella importante moneta era stata trovata nel luogo
detto oggi Camatta ed anticamente Campomalo, a brevis-
sima distanza da San Colombano presso le pendici sud dei
suoi colli, in adiacenza alla strada, che da Pavia conduce
a Cremona passando per Corteolona, ove sin dai tempi di
re Liutprando esisteva un regio Palazzo. Camatta o Casa-
matta è attiguo al sito ove sorgeva il Castello di Monte-
malo^ che ora si nasconde nel modesto cascinale detto Ca-
stellazzo nel comune di Chignolo di questa provincia di
Pavia (1).
Era viva nel proposto G-allotta la brama di avere
completa l'interpretazione del cimelio longobardico di cui
gli era riuscito d'impedire l'emigrazione, ed essendogli ba-
lenato alla mente il pensiero, che appartenendo esso ad
altro dei re longobardi, potesse essere sortito dalla zecca
non lontana della loro capitale, Pavia, ne comunicò le im-
pronte al chiarissimo professore Turroni della nostra IJni-
(1) Devo alla compiacenza dell' egregio Cav. Fioranì, medico primario
dello Spedale maggiore di Milano, la notizia del luogo ove il tremisse di
Desiderio venne scoperto e raccolto. Egli per me la ricercò e trascrisse dalla
memoria originale del proposto Galletta di cui era congianto. Montemalo
col suo castello era località di molta importanza in relazione ai manimenti
del vicino e dominante San Colombano e la vicinanza sua alPantica grande
strada pavese, ed alla CorU regia, che prese il nome dall' attiguo fiume
Olona, dà modo anche di spiegarsi come appunto nella stessa località po-
tesse andar smarrita e quindi scoprirsi la preziosa nostra moneta. Tengo
poi anche sicura informazione essersi ivi rilevata resistenza di antiche se-
polture in parte già violate e scomposte, e ritenute da chi le ebbe ad esa-
minare di epoca assai remota. Il nome di Campùtnàlo ricorda dolorosamente
una vittoria deirarcivoscovo Ariberto a capo dei militi maggiori o capitani
milanesi, contro i concittadini del partito dei militi minori o valvassori, e
fuorusciti alleati ai lodigiani neiranno 1086.
TREMISSB INEDITO AL NOME DI DESIDERIO, ECC. 281
versilA (1) e quindi anche a chi scrive (2). Poco per vero
poteva il richiesto avviso essere agevolato da quelle im-
pronte fatte su cera lacca di vario colore e quasi a modo
di suggello, e quindi ogni cenno dovette limitarsi a con-
fermare il molto pregio del cimelio, in quanto era indub-
biamente un genuino fremisse battuto per re Desiderio,
lasciando affatto impregiudicata la tesi della località di-
stinta al rovescio del pezzo coli' onorevole predicato di
FLAVIA, e solo negativamente semplificandola coli' escludere
il TICINO ed il MEDIOLANO a cui le lettere scolpite
dopo quella parola non si prestavano in nessun modo. Il
professore Turroni ebbe poi anche opportunità di vedere,
e forse ripetutamente, presso il proposto Galletta a San Co-
lombano il nostro iremisse, ma non mi consta, che formu-
lasse determinata opinione sulla leggenda del rovescio, il
che anche a me non riusci, allorchà la compiacenza del
possessore me ne offriva possibilità in una visita, ohe ap-
positamente io gli volli fare.
Allora però io feci precisa annotazione dei caratteri di
quella leggenda, e lo studio che le dedicai nella quiete
domestica, ripassando libri e storie, che mi trasportassero
colla mente all'epoca dell'ultimo re dei longobardi, e quasi
mi ponessero in mezzo alle sue vicende, ed ai luoghi, che
esso ebbe, riebbe e perdette, mi apri uno spiraglio di luce,
che tentai fissare ed ampliare, siccome l'ansia numismatica
voleva e suggeriva. Senonchò a compiere quello studio e
renderne sicuri e più evidenti le conclusioni, vedevo 1' as-
soluta necessità di avere nelle mani il prezioso tremisse,
non fugacemente, e per qualche istante concesso da gentile
compiacenza, ma con ogni agio come solo avviene di cosa
propria. L'ottimo proposto G-allotta peraltro che se lo avea
(1) Gerolamo Tarroni era erudito e coltissimo professore di storia, e
teneva presso il nostro Ateneo le voci del mancante professore di archeo-
logia, conservandone il gabinetto ed il medagliere. Mori nelPanno 1864.
(2) Ebbi le impronte a mezzo del benemerito proposto della Basilica
reale di San Michele don Federico Cattaneo, defunto nel 1864, e che era
amicissimo del Galletta.
282 CAMILLO BRAMBILLA
giustamente carissimo, se spontaneamente mi assicurava di
non privarsene per altri se non per me, mi soggiungeva
con franca sincerità di non sapervisi in nessun modo ri-
solvere.
Trascorsero cosi molti anni, e venuto a morte il pro-
posto Gallotta, anche gli eredi suoi, possessori dei cimeli
da lui raccolti rispondevano con parole assai gentili, ma
in fatto conformi a quelle del loro buon zio, alle richieste,
che io mi permettevo di loro rinnovare, e frattanto il ire-
misse rimaneva materialmente neir elegante astuccietto ,
che lo custodiva, e scientificamente non era restituito alla
città che doveva onorarsene. Azzardata però con recente
opportunità una nuova domanda per la cessione del tremisse
trovò essa un cordiale ben augurato assentimento per la
gradita cooperazione di un egregio amico, ed ora dopo
lunga serie di anni mi è possibile di portare il tremisse
di San Colombano a quella pubblicità che esso ben merita.
E appunto per l'importanza attribuitagli e credo con molta
ragione che io sono venuto esponendo per cosi dire la
storia del cimelio che forma argomento al presente qual-
siasi lavoro. Sono in certo qual modo i documenti del suo
processo, e se da essi si ha motivo di dar merito al Gai-
lotta, che dal solo fatto del nome di re Desiderio conobbe
la preziosità del pezzo e ne assicurò la conservazione, essi
pur concorrono a stabilire colla sua constatata provenienza,
e se pur ve ne fosse bisogno, la genuinità del cimelio, per
quanto esso possa apparire singolare e peregrino.
Il tremisse di cui mi propongo tentare l' illustrazione
è lavorato in oro come suol dirsi pallido, perchè mescolato
con discreta proporzione all' argento, ed anche per questo
riguardo si conforma a simili monete di epoca longobarda
g^à edite e ben conosciute. Ha il diametro di circa dieci-
sette millimetri, ed il suo peso è di grammi 1,050 (1). E
(1) I trewi88i di re Desiderio col Flavia ticino da me pubblicati fra
le Monete di Pavia, Ta7. I, 5 e 6, pesano rìspettivamoDie gr. 1,065 e 1,010.
Discorrendo delle monete di Pavia, ho potuto porre in evidenza come
dei fremissi larorati per i re longobardi abbiansene a distinguere special-
TREMISSB INEDITO AL NOME DI DESIDERIO, ECC. 288
contrassegnato da quel consueto e largo orlo liscio, che
verso la parte centrale coniata passa a formare un anello
rilevato che circonda il nome del principe segnato nella
moneta, lasciando al rovescio le traccie dello stesso anello
apparenti in incavo con qualche danno della leggenda ivi
scolpita. Al centro del diritto vi ha una croce potenziata
a braccia eguali, ed in capo alla leggenda altra simile pic-
cola croce. In seguito da destra: D^DESIDEEIVB (Dominus
Poster DESIDERIVI ReX). La lettera N è in nesso colla
successiva D, in alto dopo la prima D vi ha un bisante, e
le due lettere E sono indicate con due punti o bisanti acco-
stati ad un'asta od I.
Il rovescio Isr cui parte coniata ò più ampia, presenta
due circoli al cui centro sta una stella a sei raggi accan-
tonata da fogli uccie ; in giro dopo una piccola croce eguale a
quella segnata nel diritto corre la leggenda FLAVIA SIDBIO
in qualche modo resa meno semplice, ed anzi effettivamente
complicata dalla presenza di alcuni bisanti o punti rilevati,
e dei quali se ne contano ben sei, cioè due dopo la L, uno
fra le braccia della V, uno dopo TI di FLAVIA ed uno ri-
spettivamente dopo l'I e dopo l'O di SIDRIO.
É consueta la presenza di alcuno di quei punti rilevati
o bisanti nei tremissi longobardi al tipo del presente, ap-
partengano essi al re Astolfo (749-756) ovvero a Desiderio
(756-774), ed appaiono poi più numerosi e variamente
aggruppati in simili pezzi ed anche nei denari d' argento
col nome del re Carlo di Francia detto il Magno^ quali si
mente quattro tipi, dei quali i primi sono pnre e semplici imitazioni dei tre-
missi bizantini, di quelli in ispecie al nome di Maurizio Tiberio. Conoscersene
quindi altri che portano al diritto il busto ed il nome del re longobardo,
ripetuto lo stosso nome anche al rovescio intomo alla figura alata di tipo
pur bizantino; poi aversi in terza linea trmnissi col busto ed il nome del
re al diritto^ e la figura di San Michele colla sua leggenda al rovescio;
chiudersi infino la serie coi treinissi stellati fatti a somiglianza di quelli
di Lucca, e dove non più compare il busto ma solo il nome del re intorno
ad una croce, e nel rovescio vi ha la stella a sei raggi col nome della
città onorata colla qualifica di Flavia,
284 CAMILLO BRAMBILLA.
haano singolarmente di Lacca (0. Quei bisanti o punti ri-
levati, se scarsi ed isolati, erano ragionevolmente ritenuti
quali semplici segni di zecca; ma fu ben osservato dal
Massagli raccoglitore diligentissimo, ed illustratore delle
monete di Lucca (2), che se moltiplicati, e più se variati di
forma, come venne verificandosi per Carlo Magno, passavano
a costruire un modo di ornamento che accenna a progresso
di tempo, e ad epoca diversa, e più inoltrata. Ritengo op-
portuno il prendere nota di questa osservazione per asso-
dare che il iremisse di cui mi occupo, e riguardo al quale
ho fatto rilevare la presenza di non pochi di quei bisanti,
debba ritenersi lavorato non nei primi anni del regno di
Desiderio ma piuttosto verso V epoca per lui infelicissima
in cui dovette soggiacere alle estreme umiliazioni inflittegli
dal re dei Franchi (3).
Non credo possa esservi dubbio nello esporre la leg-
genda del rovescio^ ritenendola costituita dalle due distinte
parole FLAVIA e SIDEIO, essendomi sempre sembrato, che
qualche eccezione potesse farsi all'assunto dell' Azzoni-Avo-
garo, di aprirsi la strada a leggere il nome della città di
Treviso in tremisse di Desiderio col riunire al FLAVIA una
S che gli fa seguito W. SIDKIO adunque ecco il nome della
città colla inflessione simile al TICINO, che per re Desiderio
si volle segnato nel nostro tremisse.
É noto che di re Desiderio si hanno iremissi stellati
non solo al nome di questa sua capitale Pavia, ma anche
di altre per lui occupate, quali Lucca (5), Milano (Q, Pia-
(1 ) Massagli, Memorie e docutnenti per servire alla Storia di Lucca,
Locca, 1870. Tav. HI o IV.
(2) Opera citata, pag. 12.
(8) I dQO tretm88i siellati di Desiderio da me pubblicati ai N. 5 e 6,
Tav. I delle Monete di Pavia^ al loro rovescio non hanno che un solo bi-
sante dopo la l di Flavia, e tre ne portano segnati al diritto,
(4) Zanetti, Delle monete che ebbero corso in Trevigi. Naova raccolta.
Tomo IV.
(5) Corderò di Sanquintiko, Della zecca e delle monete di Lucca.
Lacca, 1860. Pag. 15.
(6) DoM. Promis, Monete di zecche italiane. Torino, 1867. Pag. 16.
TREMISSB INEDITO AL NOMB DI DESIDERIO, ECC. 285
cenza W, ed anche Treviso secondo l' Azzoni-Avogaro (2).
Carissimi tutti quei cimeli, si hanno singolari in alcune
raccolte privilegiate, e siccome appunto la somma loro ra-
rità doveva essere forte stimolo alla triste genia dei falsi*
ficatori, cosi nò questi mancarono, nò vi fu scarsità di ama-
tori illusi ed ingannati. Ma difficile era che la falsificazione
raggiungesse il minuto ed affatto speciale lavoro dei tremissi
originali, e la rarità stessa di questi, diveniva al tristo fal-
sificatore massimo ostacolo a fare che l'indegna sua opera
potesse essere condotta a tale risultato da trarre in inganno
chi avesse sufficiente esperienza nello studio pratico delle an-
tiche monete. Dobbiamo alla diligenza di Quid' Antonio Za-
netti la narrazione ben dettagliata di una serie di falsifica-
zioni di monete longobarde ai nomi di Cuniperto, di Liut-
perto, ed anche appunto di Desiderio tutte con applicazione
alla città di Milano (Fhkvia MEDIOLANO) (3), e per vero
lo Zanetti collo aver constatato ben chiaramente il processo
di quella grande falsificazione, che doveva però presto sco-
prirsi, essendosi esplicata anche con impossibili tremissi la-
vorati in argento, ha reso ottimo servigio ai numismatici
divenuti assai più guardinghi e severi nell'aooettare simili
cimeli. Ci occorre infatti di incontrare anche in alcuna delle
raccolte numismatiche più distinte avvertita la falsità di
qualche tremisse longobardo, conservato probabilmente quale
saggio od imitazione per la mancanza della moneta genuina
originale. Ciò trovai verificarsi per la grande collezione
imperiale di Vienna W; per quella si rinomata del Welzl
de Wellenheim venuta in vendita nell' anno 1844 (5) ; ed in
qualche catalogo recente di monete poste all' incanto ci
(1) Feuardent, Revué numismatiqttej 18G2. Pag. 55.
(2) Op. cit. Pag. 56.
(8) Zanetti, Nuova raccolta, ecc. Tom. IV. Pag. 519. Lettere inedite
pubblicate da B. Biondelli. Milano, 1861. Pag. 46.
(4) Arnbth, Synopais numorum tetérum qui in Museo Cesareo Viti-
dobonensi adaertantur, 1812. Pag. 211, 212.
(5) Catalogue de la grande collection de tnannaies, ecc. Vienne, 184j.
Voi. IL Pag. 159 N. 2733.
37
2&G ' CAMILLO BRAMBILLA
accadde pur di trovare annunciato alcuno di quei tremissi,
se non colla franca dichiarazione di conio moderno, con
quella abbastanza significante di dubbio (1).
Poiché ho segnalati i tremissi stellati di re Desiderio
fra le monete più rare che ci siano pervenute per V epoca
in cui signoreggiava fra noi la nazione dei longobardi,
accennerò esser mio avviso, che quella somma rarità sia da
ascriversi agli avvenimenti gravissimi, ohe debbono aver
preceduta ed accompagnata la catastrofe con cui i franchi
posero termine alla signoria dei longobardi percorrendo e
saccheggiando ogni luogo del loro dominio, e tenendo as-
sediata Pavia per ben otto mesi, dalla quale città, con De-
siderio fatto prigione, venne tolto e predato il regio tesoro
distribuendolo fra le truppe vincitrici. Già scarso il denaro
fra la popolazione per le condizioni dei tempi , e sempre
peregrine le monete auree battute nella zecca regia, giacché
agli ordinari bisogni del paese in tempi appena tranquilli
provvedeva la moneta bizantina della quale, particolarmente
per quella di rame, è ovvio il trovare non meschini ripo-
stigli, i pochi tremissi locali in qualsiasi modo venuti in
mano ai soldati del re franco , saranno stati avidamente
presi e via trasportati a trofeo e ricordo della spedizione
felicemente compiuta, perdendosene fra noi quasi ogni
traccia.
Per tutte le fatte considerazioni io trovai sempre più
interessante e prezioso il tremisse di cui ragiono, e mi sen-
tivo animosamente confermato nel proposito di pur giun-
gere a formulare riguardo alla città, che vi si volle commemo-
rata, un concetto che avesse base ragionevole, e consistenza
di attendibilità. Dopo varie ipotesi più presto svanite che
non proposte, tornatami vana ogni possibile applicazione
del SIDRIO a luogo qualsiasi fra quelli soggetti notoriamente
al dominio dei longobardi, io pensai portare la mia speciale
e minuta attenzione alle città, che i longobardi, e massime
(1) Vergasi il catalogo della collezione Taggiasco. Boma, 1887 ai
N, 974 e 975.
TBJIMISSB INEDITO AL NOME Di DESIDEEIO, ECC. 287
r ultimo loro re Desiderio ebbero più o meno lungamente
ad invadere. Alternati e frequenti erano stati sempre per
parte dei re longobardi, e più sotto Astolfo e Desiderio, i
tentativi per estendere la loro dominazione, e resistere
reagendo alle pretese dei pontefici sempre pronti dal canto
loro a promovere, ed implorare l'intervento delle armi dei
franchi, dopoché la lontananza e la debolezza degli impe-
ratori di Costantinopoli e degli esarchi, che in queste re-
gioni li rappresentavano, avevano aperto 1' adito fra altre
ambizioni a quella appunto dei pontefici, per un dominio
loro proprio ed affatto indipendente.
Scorrendo fra altri libri che reputai utili al mio studio
ristoria di Viterbo di Feliciano Bussi (1), m'incontrai, lad-
dove quell'autore intende stabilire l'autenticità giustamente
contrastata del marmo in cui Viterbo conserva scolpito un
decreto per essa molto onorevole di Desiderio re dei lon-
gobardi, in un brano della Cosmografia dell' Anonimo Ba-
vennate edita a Parigi nel 1688 dal P. Placido Percheron
in cui nominandosi molte città vicine a Boma è scritto :
Item juxta Romam est Civitas^ quce dicitur Cimiate Novas.
Item Sabbatis, Foro Globi. Item juxta territovium Civitatis,
quam superivi diximus Battanis; ad partem Tuscice est
Civita^, que dicitur Siidrio Magnensis, item foro Casi,
Beterbon , Balneon Regis , Orbeoetus , Bulsinis , Pallia ,
Clusion, etc. Fu quello lo spiraglio di luce che fermò la mia
attenzione, aprendo alle successive ricerche un campo più
ristretto e determinato in cui conoscere, e stabilire se i rap-
porti di Desiderio colla città di Sutri potessero effettivamente
essere stati tali, che il suo nome comparisse in moneta di
quel re dei longobardi, come vi troviamo quello di Milano,
di Lucca, di Piacenza. Poiché nessun dubbio poteva pre-
sentarsi nel ritenere, che Sudrio stesse nell' Anonimo Ra-
vennate per Sutri, ciò essendo evidente per il testo medesimo
di quello scrittore, che nomina le città poste juxta Romam
ed anche pel Magnensis che segue il Sudrio, e che accenna
(1) Roma, 1742. Pag. 25.
288 CAMILLO BRAMBILLA.
alla Selva magna, la qaale si sa essere nel territorio appunto
di Sutri.
M'importa però di qui accennare che, se il concetto di
attribuire a Siitri il nostro tì^emisse si trovava abbozzato
nella mia mente appena essa fermossi sul brano dell'Anonimo
^Ravennate riferita dal Bussi, e con ciò era resa in me* più
acuta la brama di possederlo, il forte dubbio, che ciò pur
potesse effettivamente verificarsi, e la non esclusa possibilità
che avuto modo di una prolungata o tranquilla considera-
zione del singolarissimo pezzo, questa aprisse il varco a
diverse conclusioni, mi distoglievano dall' insistere attiva-
mente in uno studio, che rimaneva ne' miei propositi, ma
in certo modo sospeso, in quanto la direzione poteva esserne
per avventura errata.
Ma come già ho esposto mi riusci dopo tanti anni di
avere quel tremisse, e di conformarne con scrupoloso esame
ed in via assoluta, l'interpretazione. Compiutone pertanto,
secondò poteva riuscire, lo studio, mi è data la soddisfazione
di comunicarne la conclusione ai colleghi amatori della
numismatica.
Mia prima cura, dopo essermi assicurato della giusta
ed inappuntabile interpretazione delle leggende, ed aver
quindi ripresa l'indagine colla guida già fissatami, fu di
accertarmi, che esatta fosse la citazione di Feliciano Bussi
riguardo all'Anonimo Ravennate di cui mancavami ogni
edizione. Qui mi soccorse la compiacenza del Dott. Paolo
Orsi della Biblioteca Nazionale di Firenze, che oltre avermi
fatto certo per riguardo al Sudrio della relativa concordanza
colla edizione primitiva fatta dal Percheron nel 1688 sul
codice della Biblioteca Nazionale di Parigi, mi diede no-
tizia della edizione più recente, che dell'Anonimo Ravennate
erasi fatta dai sigg. Pinder Parthey (1). Su questa ho potuto
io stesso constatare a pagina 285 sussistere letteralmente
il Sudrio ad indicare la città di Sulri. Né può esservi dubbio
(1) Eavennatis Anonimi Cosnwgraphia et Guidcmis Geographica, Be-
rolini, 1860.
TREMISSE INEDITO AL NOME Di DESIDERIO, KCC. 289
di errore di copista o di amanuense. I sigg. Pinder e Partliey
essendosi proposto di procurare una edizione veramente
completa ed accurata dell'importante lavoro dell'Anonimo
di Bavenna, non ebbero ricorso soltanto al codice parigino
come il Percheron, venuto perciò in qualche sospetto al
nostro eruditissimo Muratori (0, ma ne fecero riscontro coi
codici della Vaticana , e di Basilea , senza trascurare le
riproduzioni fattene da Giacomo Qronovio nel 1696, e da
altri suocessivamente. Fra le molte varianti minutamente
rilevate dai signori Pinder e Parthey- nessuna ebbero essi
ad accennarne di relativa al nostro proposito.
Confermano i nuovi diligentissimi editori deirÀnonimo
[Ravennate, coadiuvati nel loro importante lavoro da non
pochi altri eruditi, doversi ritenere che lo stesso Anonimo
dettasse la sua Cosmografia nel settimo secolo dell' era
volgare, e non potersi esso confondere, siccome vi inclinava
il Muratori, in una sola persona con Guido prete pur di
Ravenna, appartenente ad epoca posteriore, e forse al se-
colo IX.
Notevolissima è l'autorità che devesi attribuire all'A-
nonimo Ravennate, sia pel tempo in cui ritiensi aver scritto,
sia per appartenere a quella città di Ravenna, che dopo
l'epoca di Teodosio II era importante centro per le cose
geografiche (2).
Sutri^ come si denomina questa fra le antichissime città
italiane, e di origine etrusca, ora appartenente alla provincia
di Roma, circondario di Viterbo; trovasi indicata nelle storie,
e negli antichi codici ed itinerari col nome 2o*jTp'.ov, di
Sutrium , di Sutrio , e finalmente di Sudrio dall' Anonimo
Ravennate. Si disse Respublica Sutrinorum, e secondo i
tempi anche Colonia lulia Sutrina quando ebbe una nuova
colonia, imperando Augusto ; Sutrtnus fu chiamato il vescovo
che essa città ebbe dalla Chiesa.
Non è punto a ritenersi troppo strano il trovare nel-
(1) Berum Italicarum Seriptores, Tom. 10. De tabula Charographica
Meda Aevi. Pag. XV.
(2) LèlewbL; Géographie du Moyen-àge,
290 CAMILLO BRAMBILLA.
l'Anonimo Bavennate indicata Sutri, col Sudrio anziché
col Sutrium, invece usato dall' altro Ravennate il prete
Guido (1). Il nostro Anonimo cosi scrivendo attenevasi molto
probabilmente al parlar volgare de' suoi tempi in cui assai
comunemente accadeva di sostituire alla T nelle denomi-
nazioni la più dolce lettera D che mancava agli antichi
toscani ed etruschi ; dal che ne vennero mutati HATRTA in
HADRIA (Adria), TVTER in TVDER (Todi), BVTRIVM in
BVDRIVM (Budrio). E quanto fosse in fatto frequente il mu-
tare la T in D ed anche viceversa ci è constatato da antiche
is'crizioni ove abbiamo, a cagion d'esempio SID, invece di SIT
Ubi terra levis, non che da moltissimi documenti, e questi
anche precisamente del secolo Vili, dei quali io mi limiterò
ad accennare quelli riportati, e di tale epoca nel Codice
diplomatico Sant'Ambrosiano (2).
Tutto ciò per altro vale pel Sudrio invece di Sutrio,
ma non avrebbe conveniente rapporto col cambiamento della
IT in I come si verifica sul tremisse di San Colombano ove
leggiamo non SVDRIO ma SIDRIO. Mi occorre quindi rile-
vare, che se era nella bassa latinità ovvia la mutazione
della T in D e viceversa, ciò avveniva anche fra loro riguardo
alle lettere I V (od U) ed Y. Scorrendo il Glossario Italico
di cui siamo debitori all'erudizione di Ariodante Fabretti (3),
e cosi le ricordate opere dell'Anonimo Ravennate, e del
prete Guido, noi ci incontriamo in un frequente scambio
— quelle lettere nei nomi propri di persona, come Surus
di Syrus — Sirus; Suiia e Sitia; Tutius e Titius ; così nella
denominazione di non poche città, e già in uso in tempi
remoti, come Dirachium, Dyrachium, Durachium; Siracusa
Syracusa, e Suracusa; Sirentum e Surrentum, e con ana-
(1) Guidonis Geographiea, a segato deirAnonimo BaTennate di Pinder
e Parthey. Pag. 488.
(2) Fumagalli, Codice diplomatico Sant^ Ambrosiano, Milano, 1805.
Pag. 88, 39, 41 ed altrove. Vedasi anche Du Canoe, Glossarium, ecc. Ba-
sileae. Tom. I, Pars secanda. Pag. 702. Dmwatur in T non semel ut SET
prò SED aut vicissim.
(3) Torino, 1859 e segaenti.
TREMISSB INEDITO AL NOME DI DESIDERIO, ECC. 291
logo esempio ci vien fatto di leggere Trasimenus — Tra-
symenus, e Trasumenus^ ed anche Tharsomenus pur variato
con particolare ortografia a norma dell'uso e dei tempi. Ciò
io credo appunto avvenisse per l'uso della Y che sostituita
alla y (IT), ed avendo suono analogo alla lettera I conduceva
poi ad un notevole mutamento di ortografia e di pronuncia,
quale appunto occorre per noi in quel Sidrio invece del
Sudrio, dove forse lo zecchiere, ch« avea a scolpire al seguito
del FLA.VIA. e dopo la S una V alla quale riesciva scarso
materialmente lo spazio, come pur lo era per una Y, si at-
tenne al comodo lavoro di una I, che nella fuliggine del
tempo, e nelle ristrette sue cognizioni compiva, convenien-
temente il senso e la parola.
Credo dopo le cose fin qui dedotte, mancando assolu-
tamente gli elementi di una diversa conclusione, che per
sa, ed anche fatta astrazione da ogni argomento, che d'al-
tronde potesse concorrere a tale affermazione, in quel SIDBIO
abbastanza nettamente scolpito nel nostro tremisse coU'ono-
revole titolo di FLAVIA, applicato per le più cospicue città
dei re longobardi, che per le loro persone avevano adottato
quello stesso titolo abbia a ravvisarsi senz' altro indicata
la città di Sutri.
Non potevo però ignorare che oltre la città di Sutri
nel dominio romano esista in Italia pur una borgata, che
egualmente si denomina Sutrio, e questa non lungi da
Tolmezzo in provincia di Udine a cui estendevasi notoria-
mente il regno dei longobardi. Ma sebbene tale comune
avesse già un castello, non vi manchino scoperte di anti-
chità, e possa ritenersi non vana l'opinione (-2), che ne fosse
fondatrice una colonia venuta dal Sutri romano , non era
il caso di dar seguito a relativo dubbio , poiché, mode-
stissimo luogo mai sempre, popolato da poco più di mille
abitanti, non ò posto in evidenza da fatto qualsiasi che
potesse aprir l'adito a credere, che anche momentaneamente
regnando la nazione dei longobardi avesse assunto impor-
(2) Nispi-Landi, Storia di Sutri. Pa^. 73.
292 CAMILLO BRAMBILLA
tanza, e tanto meno poi tale e siffatta da essere equiparata
alle città di quel dominio.
Ristretta pertanto ogni considerazione al Sutri appar-
tenente alla Toscana romana, e poi al ducato di Roma, era
ovvio doversi esaminare se gli avvenimenti storici svoltisi
qui in Italia nel secolo Vili permettessero di darci giusti-
ficata ragione del fatto di cui la comparsa del nome, di
Sutri in tremisse di re longobardo, sarebbe stato effetto, e
costituirebbe positiva affermazione.
La città di Suiriy ridotta oggidì a più modeste pro-
porzioni per estensione e importanza, e pel numero de' suoi
abitanti, à luogo fortissimo per la posizione su di una
eminenza di tufo, che a guisa di scoglio ò tagliato perpen-
dicolarmente da ogni parte. Divenuta dopo la distruzione
di Veio, da etrusca romana, Sutri ebbe considerazione di
claustrum Etruriae, ossia di valido baluardo per Roma verso
quella parte della Toscana cui la stessa città già prima
aveva appartenuto.
Le storie dettate da Tito Livio accennano ripetutamente
ad avvenimenti in cui va congiunto il nome di Sutri, con
quelli gloriosissimi di Furio Camillo, di Emilio Barbula,
di Quinto Fabio Massimo. Augusto apprezzando l'importanza
strategica di Sutri, vi inviava una nuova colonia da cui
denominossi Colonia lulia Sutrina.
Più volte i Goti devastarono la misera città, che posta
sulla via Cassia, che presso Roma staccandosi dalla Flaminia
conduceva a Firenze, e per VEmilia a Bologna, si trovava
per la stessa sua forte postura esposta alle più gravi vicende
di guerra, essendone il possesso desiderato, e robustamente
contrastato tanto dalle orde invaditrici, quanto dai difensori,
e dagli stessi cittadini.
Nell'anno 569 i Longobardi, ohe alla lor volta chiamati
da Narsete scesero ad invadere l' Italia, estendendosi dal-
l' Umbria, anche in quella parte àelVElruria o Toscana, che
più prossima a Roma, dicevasi romana, occuparono con
altre città di quella regione anche Sutri, che solo parecchi
anni più tardi al cadere del secolo VI fu loro ritolta dal-
l'Esarca Romano Patrizio, e ritornata all'impero.
TRBMISSE INEDITO AL NOME DI DESIDERIO, ECC. 293
Sucoessivamente Sutri rimase vincolata alle sorti di
Berna e del sao ducato di cui si trovò far parte, e nell'anno
727, quando Liutprando re dei longobardi, approfittando
dell'acuto contrasto sorto fra l'ardente iconoclasta imperatore
Leone Isaurico, ed il pontefice Gregorio II si fece contro
di questi minacciosamente aggressivo, Suiri pensò di tute-
lare la propria sicurezza facendo omaggio allo stesso pon-
tefice di obbedienza devota e di fedeltà. Nell'anno 728 però
Liutprando entrava in Sui7*i, e, se dopo qualche 'mese in-
dottovi dai doni e dalle preghiere del pontefice acconsentiva
a partirsene, non lo faceva a titolo di restituzione siccome
avrebbe voluto Gregorio II ma per vantato ed espresso
atto di liberalità, e per ossequio verso San Pietro ed a
titolo di dono alla Chiesa, nel ohe si accordano gli sto-
rici , per quanto le parole adoperate possano essere di-
verse (1).
Se io non erro nel fatto che Liutprando ben credette
aderire alle preghiere del pontefice, accompagnate da cospicui
donativi, ma colla forma di libéralissimo dono si diversa
da quella di una restituzione, sta già un richiamo del pos-
sesso, che di Sutri avevano preso i re longobardi a comin-
ciare da re Alboino nei primordi della loro invasione, e
quasi una riserva di nuova occupazione non difficile a
prevedersi nello stato delle relazioni fra i pontefici ed i
Longobardi, assai aggrovigliate pei ripetuti tentativi della
parte imperiale per riprendere autorità in domini sostan-
zialmente perduti.
Nell'anno 740 la ribellione di Trasemondo duca di
Spoleto, ohe si volle fosse promossa od almeno fomentata
dal pontefice Gregorio III, che lo accolse in Boma, condusse
nuovamente Liutprando nel ducato romano di cui gran
parte venne da esso occupata, togliendosene solo dopo due
anni per accordi col nuovo pontefice Zaccaria , che il re
longobardo ricevette molto rispettosamente in Terni. Fra
(1) Anastasio Bibliotecario, Rerum ItaL Script. Tom. ITI. Pag. 157.
SiGONio, De regno Italico. Bologna 1580. Pag. HO. Muratori, Annali,
Anno 728.
38
294 CAMILLO BRAMBILLA
le altre ooncessionì fatte allora da Liutprando noto pel mio
assunto quello della valle qtcce vocalur magna appartenente
a SuiriW, ma ancora e ripetutamente a titolo di liberalità
e di volontaria donazione, siccome di territorio proprio,
comunque occupato per ragione di guerra.
Ciò avveniva nell'anno 742, e nel successivo 743 Liut-
prando aveva nuovo convegno, ma in Pavia sua capitale,
col pontefice Zaccaria fattosi questa volta intermediario di
Eutichio esarca di Bavenna.
Eletto a reggere la nazione dei Longobardi Astolfo
(anni 749-766), questi che si trovava allora padrone di Ra-
venna, e ne aveva anzi fatta la sua residenza, spingevasi
vigorosamente nel ducato romano et suce jurisdictioni civi-
tatem ro»tanam vel subjacenlia et castra indignanter asse*
rebat (2). Fu allora Sutri non solo nuovamente occupata ma
anche miseramente devastata, quando nell' anno 746 il re
Astolfo, fermo nel proposito di rendersi padrone di Roma e
del suo ducato,^anche dopo gli inutili uffici dell'imperatore
Costantino V Copremmo, ed un primo assedio posto dai
Franchi di Pipino a Pavia e tolto a condizioni per lui gra-
vissime, volle rinnovare i suoi tentativi, dando cosi occasione
ed una seconda discesa dei Franchi, ad un nuovo assedio
di Pavia, ed a conclusioni assolutamente disastrose per sa
e per la nazione sua.
L'importanza grandissima, che si diede alle disposizioni
di Pipino, e dei Franchi da lui condotti nei rapporti col
pontefice riguardo al dominio temporale di questo e della
sede romana, fanno emergere gli avvenimenti momentanea-
mente chiusi colla seconda capitolazione di Astolfo a seguito
dell'assedio di Pavia, fra i più segnalati dalla storia nel
più ampio suo significato.
Poco tempo sopravisse Astolfo alla sua sconfitta, ed a
lui con breve intervallo succedeva Desiderio (766-774), che
per salire al trono, escludendone 1' avversario suo Bachis,
seppe chiedere ed avere l'appoggio del pontefice Stefano II.
(1) Anastasio Bibliotecario, Op. cit. Pag. 162.
(2) Idem, idem, pag. 166.
TREMISSB INEDITO AL NOME DI DESIDERIO, ECC. 295
Ed anche col pontefice Paolo I come con Pipino e cogli
immediati suoi successori, Desiderio conservò per una serie
d'anni non breve relazioni almeno in apparenza amichevoli,
sebbene la dignità di Patrizio romano attribuita ai re dei
Franchi, rendesse meno facili i comuni rapporti. Ma fra gli
anni 769 e 772 rimasto da prima solo sul trono presso i
Franchi Carlo detto il Magno^ salito poi alla sedia pontificia
Adriano uomo vigoroso ed intraprendente, e promosse da
questo od utilizzate largamente le ribellioni fra i perso-
naggi più distinti di nazione longobarda, il re Desiderio,
che dal canto suo non sapeva né poteva rinunciare alle
antiche aspirazioni de' suoi predecessori, si trovò circondato
dalle maggiori e più stringenti difficoltà. Indarno cercò
Desiderio di scongiurarle con una possibile ma rifiutata
riconciliazione col pontefice, e col creare difficoltà nella
famiglia stessa del re dei Franchi, non più suo genero pel
ripudio della di lui figlia Desiderata (a. 771); col promovere
alleanze ed aiuti alla corte imperiale di Costantinopoli.
Avuto in fine ricorso risoluto alle armi. Desiderio invase
una volta ancora il ducato romano, Boma stessa minacciando
di formale assedio.
Fu precisamente nell'anno 772 che l'esercito longobardo
s' impadroni delle maggiori città del ducato romano, non
risparmiando devastazioni e rovine, fra le quali si ebbe a
maggiormente deplorare quella di cui fu vittima Blera, dove
colta la miglior parte della popolazione al momento di
raccogliere tranquilla le messi, venne quella crudamente
passata, per quanto si narra, a fil di spada. Già si avanza-
vano (773) per le note vie Cassia da Sutri da tempo occu-
pata, e Flaminia da Otricoli i Longobardi condotti perso-
nalmente dal re Desiderio col figlio e socio Adelchi verso
Boma, quando, forse per le minaccie del focoso Adriano,
ma ben più probabilmente per 1' annunciato approssimarsi
ai confini del regno dell'esercito franco sollecitato, non solo
dal pontefice, ma anche da parecchi influenti ribelli, Desi-
derio si ritrasse coli' esercito suo riducendosi rapidamente
in Lombardia per avvisare alle difese, qui dove più gravi
incalzavano i pericoli. É ben noto come Carlomagno, che
296 Camillo brambilla.
nell'aniio 773 passate le difficili chiuse mercè non ben de-
terminati ma facilmente designati ausiliari, era giunto a
Verona, poi a Roma per ossequiarvi il pontefice confermando
le famose donazioni fatte dal padre Pipino, nell' anno 774
dopo un assedio di oltre otto mesi prendesse Pavia, facendo
prigione Desiderio, che seco condusse in Francia colla moglie
Ansa, e che per tal modo ebbe trisòe fine il regno dei Lon-
gobardi durato poco più di due secoli.
Non è in nessun modo per me il caso di aggiungere
parola su quell'ultimo e memorando periodo del dominio
dei longobardi fra noi. Le molte questioni, cui la storia di
quella nazione nel suo complesso, e per la catastrofe, che ne
fu la conclusione ha dato luogo, furono ampiamente trattate
da insigni scrittori. Sia lecito osservare che per quanto nei
loro egregi lavori quei valentuomini sapessero elevarsi con
proposito di schietta imparzialità, indipendente dai partiti
e dalle idee preconcette, non poterono ancora raggiungere
suffragio di comune e generale acquiescenza. Oggi poi quelle
questioni sono fors* anche più difficili ad essere toccate,
altri ostacoli aggiungendosi agli antichi derivanti dalle fonti
stesse cui attingere, e che appaiono e sono eccessivamente
partigiane.
Per l'assunto che io doveva propormi bastami aver
posto in sufficiente evidenza il fatto che la città di Sutri^
come fu una delle prime ad essere occupata dai longo-
bardi nel ducato romano, fu anche una di quelle più fre-
quentemente ripresa, ed una poi delle ultime ad essere
sgombrata.
Se si pon mente alle condizioni in cui trovavasi re
Desiderio negli anni 772 e 773, quando avvertito del mi-
nacciato ed effettivo intervento di Carlo Magno coi Franchi,
esso stava per prendere le estreme sue risoluzioni, sia per
procedere dalla forte posizione di Sutri verso Boma onde
tentare di rendersi rapidamente padrone, ovvero per racco-
cogliere ogni sua forza e ritrarsi a difendere la sua capi-
tale, si può ben comprendere come in lui sorgesse il pen-
siero di constatare il suo possesso su quella città, baluardo
e difesa del ducato romano, facendone scolpire il nome in
TREMISSE INEDITO AL NOME DI DESIDERIO, ECC. 297
altra delle monete nelle quali già figuravano quelli di di-
verse importanti città, come fu già accennato.
Né è fuor di luogo il qui prender nota che Sutri a
differenza di altre città, ed anche della vicina Nepi non
ebbe mai un proprio duca, e come a volta a volta, e poi
definitivamente si ritenne soggetta al pontefice insieme al
ducato romano, ma si trovasse in possesso diretto del re lon-
gobardo, quando questi ebbe a portarvi il suo campo, di-
morasse poi anche secondo le esigenze del momento in
Viterbo od in Terni 0).
Quanto all'officina monetaria nella quale il nostro tre-
misse possa essere stato lavorato, ammetto senza difficoltà
le eccezioni che si affacciano per ritenere che una simile
officina fosse attivata precisamente nella città di cui quella
moneta porta il nome. Può piuttosto credersi, che fosse
lavoro di quell'officina, che per le loro monete i re longo-
bardi tennero sempre e sicuramente aperta in Pavia. Non
vorrei però escludere, che Desiderio, quando nell'anno 773
lasciava Pavia col figlio Adelchi, e ooll' intiera sua corte,
per mandare a compimento la divisata impresa contro Boma
ed il pontefice, avesse per avventura al suo seguito anche
gli officiali preposti alla moneta, dai quali nella regia corte
e cum jìissione regiSj quello ed altri simili tremissi potessero
essere preparati.
La rapidità con cui corsero e si mutarono gli avveni-
menti memorabili dell'estremo periodo della storia di Desi-
derio e dei longobardi, si aggiunge alle cose già esposte
circa la rarità dei tremissi al nome di quel re, per spiegarla
abbondantemente riguardo al cimelio che mi è dato di
pubblicare colle sin qui svolte note illustrative.
Se le mie congetture e le mie conclusioni si trovano
accolte ed accettate, la città di Sutri già tanto illustre per
le sue remotissime origini; pel suo anfiteatro scavato nella
(1) Paolo Bondi , Memorie storiche della città Saòazia , e saggio
storico sull'antichissima città di Sutri, Firenze, 1886.
Gaetano Moroni, Dizionario di erudizione — Voce Sutri.
298 e. BRAMBILLA - TREMISSE INEDITO AL NOME DI DESIDERIO, ECC.
massa del tufo su cui essa sorge ; per le sue mura etrusche;
pei concilii ripetutamente inaugurativi, pei valentuomini
finalmente cui ha dato la nascita, avrà nuova ragione di
gloriarsi, avendo il suo nome raccomandato al tremisse da
me segnalato all'attenzione dei numismatici.
Tale moneta pel momento in cui è a ritenersi ordinata
ed emessa è un monumento di grande ed assoluta impor-
tanza storica, ed altra ne acquista per essere esemplare delle
ultime monete che si sarebbero lavorate per la nazione dei
Longobardi, e che di essa serbino memoria.
Camillo Brambilla.
VITE
DI
ILLUSTRI NUMISMATICI ITALIANI
VI.
GIAN RINALDO CARLI
À Capodistria, piccola città al sud di Trieste, e capi-
tale dell' Istria veneta, sotto il governo della Serenissima,
nacque Gian Binaldo Carli, il 9 aprile 1720.
Discendente da nobile famiglia di quella città, fu dai
genitori posto a studiare i primi rudimenti letterali in quelle
oiviolie scuole fino ai dodici anni, indi inviato a Flambro nel
Friuli presso il dotto abate Giuseppe Bini, sotto la scorta
del quale attese allo studio delle scienze esatte e della
800 e. LUPPi
fisica. Fornito di straordinario e versatile ingegno, in mezzo
a quegli studi severi, trovò modo il Carli di applicarsi anche
a quelli non meno ardui della storia e delle antichità. I
monumenti del medio-evo, e del risorgimento .artistico ita-
liano furono per lui oggetto di speciali indagini. Trasferi-
tosi poi a Padova, in quella celebre Università attese a
perfezionarsi nelle matematiche, cui aggiunse lo studio della
giurisprudenza, e delle lingue greca, latina ed ebraica. Chi
lo avvicinava in quel suo fervore di studi, avrebbe facil-
mente potuto preconizzare in lui il futuro economista, l'uomo
distato, l'archeologo ed erudito insigne, emulo dei più ce-
lebrati d' Italia. Fornito com' era di solida dottrina, e di
estesissima coltura, in ancora giovine età, gli furono aperte
le porte dell'Accademia de' Bicovrati. La fama sempre cre-
scente del suo vasto sapere mosse il governo della Repub-
blica a chiamarlo a Venezia per insegnarvi 1' astronomia e
la nautica, e soprastare ai lavori di quel celebre Arsenale.
— Tocchi appena i ventisette anni il Carli indirizzò al
dottissimo Maffei la Dissertazione sulVuso dell* argento^ che
si può considerare quale importante preludio a quegli studi,
che più tardi dovevano formare 1' occupazione principale
delle sue indagini, e in cui trovasi il germe, d'onde uscir
doveva la sua opera immortale sulle zecche e monete d' I-
talia. La stima altissima guadagnatasi fra i dotti, gli valse
la nomina di Presidente di quella stessa Accademia de' Bi-
covrati, ch'ei cotanto co'suoi scritti onorava. — Ammoglia-
tosi nel 1747, dopo soli due anni rimase vedovo con un
figlio da allevare e una grande sostanza da amministrare.
Fu in questo tempo ch'egli aggiunse al proprio il nome di
famiglia della defunta moglie, e chi amossi d'allora in poi
Gian Rinaldo Carli-Bubbi. Le cure dell' amministrazione
domestica lo tolsero alla scuola di nautica, e alla direzione
dell'Arsenale, obbligandolo a restituirsi in Istria, dove recossi
in compagnia dell'illustre naturalista Vitaliano Donati. In
mezzo ai sopraccapi della vasta ed intricata azienda, cui
dedicò la massima parte della sua energica attività, trovò
ancora forza e mente da proseguire i suoi studi prediletti.
Datosi alla ricerca delle antichità di quella remota regione
VITB DI ILLUSTRI NUMISMATICI ITALIANI 901
italiana, scrutò i monumenti della sua patria, e tra questi
fece dell'Anfiteatro di Pola 1' oggetto principale delle sue
dotte illustrazioni.
Ma lo studio delle monete, al quale aveva preludiato
colla sua bella dissertazione sull'uso dell'argento, da allora
e finché visse, prese il sopravvento nell'animo di lui e ne
diede uno splendido saggio in due pregiate dissertazioni,
la prima delle quali tratta: Della origine e del commercio
della moneta e dei disordini che accadono nelle alterazioni
di essa; la seconda comprende le: Ricerche storiche intorno
air istituzione delle zecche d'Italia dalla decadenza dell'Im-
pero sino al secolo XVIL Ambedue queste dissertazioni unite
furono pubblicate colla data dell' Aj a (Venezia), nel 1751. —
Dopo questa pubblicazione, volendo sempre più approfondire,
ed esaurire per quanto gli era possibile quell' argomento,
fece nuove indagini, estese le sue corrispondenze, intra-
prese viaggi a Torino, a Milano, nella Toscana. Dopo tre
anni d'indefesse ricerche, cioè nel 1764, apparve in Mantova
il primo tomo dell'opera che doveva collocarlo fra i primi
e più celebrati nummologi del suo tempo, col titolo: Delle
monete e dell' istituzione delle zecche d' Italia, dell'antico e
presente sistema d' esse e del loro intrinseco valore e rap-
porto con la presente moneta dalla decadenza dell' Impero
fino al secolo XVII per utile delle pubbliche e private
ragioni.
A questo, dopo il breve intervallo di tre anni, tenne
dietro il secondo tomo stampato in Pisa nel 1757; indi la
prima e la seconda parte del terzo coli' aggiunta di un' ap-
pendice, edite in Lucca nel 1760. Grandissimo fu il grido
che si levò in Italia e fuori per quest' opera veramente
monumentale ; l'applauso dei dotti, dei giureconsulti, degli
economisti, degli uomini di Stato e de' (]!orpi politici ne
attestarono l'alta eccellenza, e in breve volgere di tempo
ne provocarono parecchie edizioni. Di poco posteriore al
Muratori e all'Argelati; coetaneo al Bellini, all'Affò e allo
Zanetti, il Carli colla serietà ed importanza de' suoi scritti
seppe conquistarsi un posto distinto in mezzo a quegli
uomini insigni, e diventare un nuovo vanto per l'Italia. Le
39
302 e. I.UPPI
Corti più. importanti della penisola ne accettarono presto
i postulati, ne adottarono i principi ne' saggi delle monete ,
e per stabilire i rapporti di qaeste. La Corte imperiale di
Vienna prese i saoi risultati come base pel riscatto dei
diritti di regalia, e i governi, in cui era divisa allora l'Italia
nostra, se ne servirono di regola nei giudizi su tale materia.
— Un lavoro di tanta mole, non impedì al Carli di atten-
dere contemporaneamente ad altri studi analoghi e di eru-
dizione, poicbà nel 1757 dedicò all'illustre Prof. Stellini il
non meno celebrato Saggio politico ed economico della To-
scana. Dopo aver parlato dell'opera immortale che concerne
tanto intimamente i nostri studi, non è intenzione nostra
di tessere il catalogo di tutte le altre produzioni che sca-
turirono dal fervido attivissimo ingegno del Carli. — Bi-
chiamato in patria dopo la morte del padre, e trovandosi
padrone di vasti possessi, accoppiando alle speculazioni
scientifiche un lavoro indefesso, rivolse la sua attività a
ridare nuova vita allo stabilimento di manifatture di lana,
pervenutogli dall' eredità della moglie. Ma le cure penose
di quel commercio e l'occupazione troppo intensa e con-
tinua, gli alterarono la salute , e diedero a temere della
sua vita.
A sottrarlo a quelle cure soverohianti giunse opportuno
l'invito della Corte imperiale di Vienna. Giuseppe II intento
a migliorare l'indirizzo degli studi, e le finanze del suo vasto
impero, pensò valersi del sapere del Carli e lo nominò Pre-
sidente del Consiglio di commercio e di finanze, nonché del
Consiglio della Pubblica Istruzione ; ed in questo non meno
che in quelli il Carli esplicò la sua energia in utili inno-
vazioni, ed in Vienna, dove era stato chiamato dal celebre
ministro Venceslao-Antonio di Kaunitz, che nel 1765 reggeva
le sorti dell'impero, suscitò l'ammirazione dei dotti della
Germania. — Tornato a Milano onorò 1' eccelsa sua carica
in conferenze sulla pubblica economia, presenziate nel 1769
dallo stesso imperatore, che gli accrebbe lo stipendio e l'in-
signi del titolo di Consigliere privato di Stato. Tante fatiche
logorarono la sua salute e fin d'allora si sviluppò in lui il
germe di quell'infermità che doveva condurlo alla tomba.
VITE DI ILLUSTRI NUMISMATICI ITALIANI 808
Sentendosi mancare le forze vitali, decise abbandonare ogni
incarico per vivere tranquillamente e godersi , sciolto da
quelle cure pressanti, l'agiatezza conseguita in tanti anni
d' indefesso lavoro. Fu in questo tempo di relativo riposo
che diede mano al compimento e alla produzione d'un gran
numero di altre opere minori sopra argomenti svariatissimi
che qui non giova accennare ; tra le quali però non crediamo
di passare sotto silenzio la raccolta che comprendeva le
ricerche fatte in tempi diversi sulle antichità italiane, rac-
colta che rese di pubblica ragione nel 1788-91, in 6 volumi
in 4^, e che riscosse le lodi dei dotti e le onoranze dell'im-
peratore Leopoldo II successo nel 1790 al fratello Giuseppe II.
Il Carli mori il 22 febbraio 1795, e fu sepolto a nella chiesa
tt della Madonna di Cusano presso Milano. Alla sua memoria
tt furono poste due iscrizioni, una nell'interno, l'altra ester-
u namente della menzionata chiesa della Madonna, riportate
u neìV Elogio del Carli, scritto da Luigi Bossi. Una sola di
tf quelle iscrizioni conservasi ancora, avanti l'altare. Essa
tt viene qui riprodotta quale fu dettata da Francesco Fontana
u professore di rettorica nel Collegio dei nobili :
OSSA IOAN. BINALDI CARLI
IVSTINOPOLITANI
ANNO MDCCXOV EX TEST. H. 8. S.
QVO PIE CONSTANTER
DEC. IX KAL. MARTL ANN. AGENS LXXV
STVDIO ERVDITTONE SGRIPTIS
ET PRIVATIS ET IN MAGISTRATIBVS
OPT. DE. R. P. MERITVS (1).
Il Carli, che da più d'un trentennio aveva vissuto nella
metropoli lombarda, fu dai milanesi considerato quale loro
concittadino, e ora Milano , passato quasi un secolo dalla
sua morte, in memoria dell' insigne filosofo, del grande
(1) Beloiojoso Conte Emilio, Guida del Famedio nel Cimitero monu-
mentale di Milano, pag. 74.
S04 e. LUPPI - VITB DI ILLUSTRI NUMISMATICI ITALIANI
sbatista e dell' integerrimo magistrato, ne scrisse il nome
nel suo famedio tra quelli de' più benemeriti ed illustri
suoi figli.
L'intero corpo delle Opere di Gian Rinaldo Carli fu
stampato in Milano, 1781-94 in 19 volumi in 8* grande.
Questi cenni sulla vita e gli scritti priocipali di Gian Rinaldo
Carli furono tratti dai sbucati libri: Bossi L. : Elogio di Gian
Rinaldo Carli; Tipaldo Emilio: Biografia degli Italiani illustri
nelle scienze^ lettere ed arti nel secolo XVIIl. Volume V; Bio-
graphie universelle ancienne et moderne. Tome sixième. Paris 1843,
pag. 638-63(;; Corniani: I secoli della letteratura italiana; Dizio-
nario universale storico-mitologico^eografico compilato da una so-
cietà di uomini di lettere per cura del Dottor Angelo Fava. To-
rino 1856, pag. 389; Belgiojoso C. Emilio: Guida del Famedio nel
Cimitero' monumentale di Milano. Ivi 1888, pag. 74.
C. Luppi.
BIBLIOGRAFIA
LIBRI NUOVI.
lathMC-Blaaier und Otto Keller. — Tier- und PflanBenhiìder
auf Mùngen und Gemimen des hlassischen Altertums (Figaro
d' animali e di piante su monete e pietre incise dell' antichità
classica). Lipsia, Teubner, 1889. — Un voi. in 4'' di pag. X-168,
con 26 tav. in fototipia.
Già da yari anni il distinto filologo ed archeologo te-
desco Ottone Keller aveva fatto oggetto delle sue indagini
i nomi ed i tipi sotto cui ci furono tramandati gli animali
dall'antichità classica, nonché le loro attinenze colla storia
della civiltà greca e romana. Egli era andato sempre più
convincendosi ohe la numismatica e la glittica potevano
fornire un sussidio prezioso a tale ordine di studi, e che
in ispecie i tipi monetali relativi dovevano essere anno-
verati fra i monumenti più importanti, e più valevoli a
gettar luce su quest'argomento. Nel frattempo 1' amico suo
Dr. Imhoof-Blumer, il valente numismatico svizzero di cui
sono ben noti i lavori sulle monete greche, nel formare
una vasta collezione d' impronte allo Boopo di pubblicare
un atlante di tipi, ne aveva raccolto anche una cospicua
serie con figure d' animali e di piante. Gaso volle che il
Prof. Keller, allora insegnante all'Università di Praga, si
recasse a Winterthur per visitare l'amico; egli fu colpito
dall'idea del vantaggio che si poteva trarre pe' suoi fini
scientifici speciali da quella serie, e propose ad Imhoof-
Blumer di pubblicarla, offrendosi alla propria volta di com-
pletarla con impronte di pietre incise. Questa ò 1' origine
del libro che ci sta dinanzi, e che, a malgrado delle gran-
806 BIBLIOGRAFIA
dissime difficoltà materiali insorte poi per la compilazione
della seconda parte, si presenta come un tutto armonico,
simmetrico anzi, poiché 13 tavole di monumenti e 80 pagine
circa di testo illustrativo sono dedicate alle monete, ed al-
trettante sono dedicate alle pietre incise.
Questa rispondenza, per cosi dire esterna, trova il suo
raffronto anche nella disposizione metodica del materiale
illustrato, inquantochè l'ordine seguito nella parte riservata
alla numismatica si ripeta poi in quella riservata alla glit-
tica. La distribuzione generale à la seguente:
Mammiferi — Uccelli — Anfibi e Rettili — Pesci —
Insetti e Aracnidi — Crostacei e Molluschi — Cefalopodi
— Echinodermi e Meduse — IHante — Animali favolosi ed
Esseri ibridi.
Disorbiterebbe affatto dal nostro compito se qui ci
estendessimo a discorrere della parte del libro destinata
alle pietre incise, nella quale il Prof. Keller (ora chiamato
. ad insegnare nella nuova Università Clark a Worcester nel
Massachusetts), ha dato prova di somma diligenza e di
molto acume, tanto più trattandosi di monumenti che spesso
riescono enigmatici e d'assai ardua illustrazione. Per atte-
nerci invece alla parte numismatica, diremo anzitutto che
non fu intenzione degli autori di fornire un catalogo
descrittivo di tutte le varianti di ciascun tipo d' ani-
male 0 di pianta che si riscontri sulle monete classiche, ma
soltanto (e lo notano espressamente) di aggruppare questi
tipi e di presentarli e spiegarli nelle loro raffigurazioni più
interessanti. Tuttavia il Dr. Imhoof-Blumer, per dare un'idea
complessiva del vastissimo materiale di studi, ha aggiunto
volta per volta, alla descrizione di ciascun tipo, un breve
accenno delle varietà più importanti. Cosi p. es., dopo di
aver illustrato varie monete greche e romane che recano
il tipo dell' elefante, ecco in qual modo egli ne termina
l'elenco :
BAIIAEflI APOAAOAOTOY IflIMPOI. Elefante indiano.
Dramma di ApoUodoto re nell'India. Collezione Imhoof.
BIBLIOORilFIA. 307
Altri tipi di elefanti africani e indiani :
in atto di camminare oppure stanti: africani, — Aes
grave, Àtella, Capua, Pesto, Alessandria, Be mauri tani,
Repubblica romana e Imperatori (Cesare, Vespasiano,
Tito, Filippo), ecc.; — indiani, — Seleuoidi, Arsa-
oidi , Battro-Indi , Pirro , Apamea in Siria , Nicea ,
Tarso, ecc.
con fiaccola nella proboscide: Antioco V.
quadriga e biga: Tolomeo Sotere, Alessandria, Bepub*
blica romana, ecc.
quadriga con elefanti cornuti: Seleuco I e Antioco I.
protome: Re battro-iudiani.
testa: Seleuoidi, Re battro-indiani, Gortina, Cnosso,
Repubblica romana.
pelle d'elefante come copertura di capo di Alessandro,
dell'Africa, della Libia, ecc.: Tolomei, Seleuoidi, Re
battro-indiani, Agatocle di Siracusa, Alessandria, Re-
pubblica romana.
Abbiamo scelto un esempio che ci ò sembrato sufficiente,
senza invadere troppo spazio della Rivista, ma non rinun-
ciamo a dire che per molti tipi, pur abbondantemente rap-
presentati nelle tavole figurative, le aggiunte di varietà,
spigolate da tutti i campi della numismatica classica, sono
in copia mirabile e fanno testimonianza della larga e co-
scienziosa preparazione che precedette il licenziamento de-
finitivo di questo bel libro. A tale proposito basterà accen-
nare che gli autori, per obtenere una identificazione rigo-
rosamente scientifica degli animali e delle piante raffigurati
sulle monete e sulle pietre incise, ricorsero nei casi dubbi
al giudicio di eminenti zoologi e botanici, giungendo cosi
a risultati altrettanto notevoli dal punto di vista dell' ar-
cheologia e della storia dell' arte quanto da quello delle
scienze naturali.
S. A.
806 BIBUOORAFIA
Notiveau Manuel de NumismcUique ancienne^ par A. de Barthélemt,
Membre de Tlostitut. — (Con an atlante di 12 tavole). — Parigi,
Librerìa Boret, 1890.
Dopo ana lunga serie d'anni, durante i quali ebbe però
una copiosa ristampa per soddisfare alla continua ricbiesta
del pubblico, l'eccellente Manuale Barthélemy per la Nu-
mismatica antica si presenta ora in una seconda edizione
ritoccata ed accresciuta dall'illustre autore.
Notiamo, fra l'altre innovazioni: una tàvola sinottica
dell'alfabeto celtiberico nelle diverse sue forme; un diffu-
sissimo elenco dei nomi inscritti sulle monete della Gallia,
della Britannia e della Germania; uno sviluppo notevole
della trattazione numismatica della Battriana; un completo
rimaneggiamento della serie repubblicana romana, reso ne-
cessario dalla recente opera di Babelon; infine una lista
dei Consolati degl'imperatori, per facilitare la classificazione
cronologica delle rispettive monete.
Nauveau Manuel de NumismaUque du moyen àge et moderne^ par
J. Adrien Blanghbt. — (Con un atlante di 14 tavole). — Parigi,
Librerìa Boret, 1890 (1).
Questo libro è destinato a sostituire, coli' assenso del
Sig. de Barthélemy, il di lui Manuale dallo stesso titolo,
che ormai, dopo 38 anni, aveva bisogno di una completa
revisione. Ma il Sig. Blanchet, pur conservando molte parti
dell'opera originaria, vi ha introdotto tali e tanti mutamenti
da potersi dire che il Manuale ne à uscito rifatto di sana pianta.
Ad esempio, la sezione dedicata alle monete reali francesi
è stata ampliata per modo che la descrizione delle monete
da Ugo Capoto ai nostri giorni, la quale nel trattato del
Sig. de Barthélemy non comprendeva che otto pagine, ora
(1) Mandato in dono alla Rivinta,
BIBLIOGRAFIA 809
ne abbraccia 22, con altre 22 pagine di appendice sulla
carta-moneta, sugli assegnati, ecc. La sezione dedicata alle
monete feudali francesi è più che raddoppiata di estensione,
anzi quasi triplicata addirittura. Ne deriva che la sola Nu-
mismatica francese ha richiesto per sé un primo tomo, e
cioè un fitto volume di oltre 600 pagine.
Il secondo tomo è uscito per le stampe in due volumi
separati: l'uno comprende la numismatica dei rimanenti
paesi ; nell'altro si discorre partitamente delle monete ossi-
dionali e di necessità, delle medaglie, dei gettoni e affini,
dei pesi monetali, si dà un elenco dei Santi effigiati sulle
monete, e una bibliografia generale e speciale. Quest'ultimo
volume contiene pure un succoso compendio dell'opera ma-
gistrale di Sohlumberger sulla Numismatica dell' Oriente
latino, e a tale compendio risponde un corredo illustrativo
nelle due tavole supplementari aggiunte all'atlante (che ori-
ginariamente ne comprendeva soltanto dodici).
Il sig. Blanchot, nella chiusa della sua Prefazione, si
augura una benigna accoglienza anche presso i numisma-
tici stranieri. Per ciò che concerne l'Italia, crediamo che
quest'accoglienza sarà cordiale e calorosa, quale ben si me-
rita uno straniero che con tanto amore si è occupato delle
cose nostre. Infatti la sezione italiana , in una forma
densa e stringata , concentra una quantità straordinaria di
notizie e dati preziosi, cui non possono toglier merito le
numerose inesattezze ed omissioni, inevitabili da parte di
uno straniero. E chiaro che il Sig. Blanchet ha consultato
con ogni diligenza la nostra letteratura numismatica, non
escluse le pubblicazioni più recenti; — questa cura delle
fonti bibliografiche è, del resto, una delle più spiccate oa-
ratterisbiche di questo libro eminentemente moderno, come
un'altra caratteristica è l'evoluzione, ancora adombrata, ma
pur discernibile, verso il compenetramento della tendenza
teorica colla tendenza pratica. Veggasi in proposito, verso
la fine del tomo secondo, VApergu sur la valeur marchande
des monnaies, médailles, etc; è un capitolo breve, e scritto
solo pei francesi, ma esprime pur sempre la tendenza, che
appare anche in molti altri punti del libro, di giovare non
40
310 BIBLIOGRAFIA
solo agli stadiosi ma anche ai raccoglitori. Nò ci sembra
che questo, in un Manuale destinato sopratutto ai princi-
pianti, sia un difetto : ci sembra piuttosto un merito, e
noi, per parte nostra, non esitiamo a dame piena lode al-
l'autore.
S. A.
Nineteenth annual Eeport of the Deputy Master of the Mint, 1888.
Londra, 1889.
Beport of the Director of the Mint upon production of the precious
metals in the United States during the calendar year 1888.
Washington, 1889.
Per la cortesia dell'egr. sig. Cav. Carlo Fasella, Direttore della
B. Zecca di Milano, abbiamo potuto esaminare queste due accurato
pubblicazioni, che ci forniscono un gran numero di dati ufficiali con-
cernenti la statistica monetaria e metallica, non solo delllnghilterra
e degli Stati Uniti, ma di tutto il mondo.
Dal punto di vista numismatico riescono specialmente interessanti
nella prima di queste Belaziooi, le notizie sulla quantità e qualità
delle monete coniate recentissimamente nei diversi paesi, non esclusi
quelli deirestremo Oriente ; nella seconda Kelazione, fittissima di ta-
belle e di cifre, il riassunto storico di tutta la monetazione degli
Stati Uniti, dalla prima organizzazione delle differenti zecche sino
alla loro soppressione, o rispettivamente sino al 31 dicembre 1388
per le zecche tuttora in esercizio.
Menochio Raffaele, Memorie storiche della città di Carmagnòla.
— Torino, 1890, in-8."
A pag. 233 TAutore pubblica un documento inedito in data IG
febbraio 1472, col quale Federico III imperatore conferma al mona-
stero di Casanova i privilegi accordati dai suoi predecessori e concede
all'Abate Agostino di Lignana quello di battsre monete d^ oro e
S'argento.
Elenco di oggetti etruschi e di monete romane, imperiali, con-
solari e famigliar ij di proprietà d<*i fratelli Mandati in San Ca^
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NOTIZIE VARIE
Soavi di Roma. — Il giorno 26 febbraio decorso si sparse
la voce che la sera precedente fosse stato rinvenuto un
importante ripostiglio di monete d' oro imperiali. Assunte
informazioni, seppi che e£Pettivamente nel fare alcuni lavori
per la sistemazione del proseguimento della nuova via
Giovanni Lanza, sul pendio delPEsquilino verso la Suburra,
fu trovato un vaso di rame contenente una gran quantità
di monete, le quali però erano tutte di bronzo. Furono
portate al Museo del Campidoglio e fu riconosciuto che
erano in numero di 5654, di piccolissimo modulo coi tipi
comuni del lY secolo ed appartenenti agli imperatori da
Massenzio ad Onorio. Ma ho motivo di credere che oltre
queste, il ripostiglio ne contenesse altre, perchè presso un
negoziante ne ho vedute 400 cogli stessi tipi e dello stesso
modulo.
Da Porto d' Anzio, ove si stanno facendo degli scavi
sono venuti in luce due assi libbrali colla testa di Apollo
ripetuta sui due lati, appartenenti alla serie assegnata dal
P. Garrucci ai Sabini, (tavola XXXIV), Insieme agli assi
vi erano anche tre spezzati della stessa serie, e tanto gli
uni che gli altri sono andati a far parte di collezioni private.
A Civita Castellana nello scavare una tomba alla pro-
fondità di venti metri fu rinvenuto insieme a due statuette
di bronzo, un beli' esemplare del triente della rarissima
serie di aesgrave di Tarquinia (Garrucci, tav. XLVI, N. 3).
Un importante ripostiglio di monete d'argento tedesche
è stato rinvenuto in Boma alla fine di Aprile. Sono circa
mille monete bracteate nel XIII secolo, ma che non offrono
in tutte che 18 varietà. Era, probabilmente un'offerta pro-
veniente dalla Germania per l'obolo di S. Pietro.
4'
818 NOTIZIE VARIE
Di monete consolari è stata trovata una restituzione
di Traiano (N. 26 del Babelon), ma non Tho veduta. Di
monete imperiali degne di menzione vi è un quinario d'oro
inedito di Probo a fior di conio, un medaglione di Costan-
tino, uno di Alessandro Severo, un gran bronzo di Emiliano
di buona conservazione ed uno di Antinoo. Il medaglione
di Alessandro (Cohen N. 232, ediz. 1*) , bellissimo per con-
servazione e per patina, ò stato consegnato ad un orefice
per farne un gioiello da signora, con gran dispiacere dei
raccoglitori.
Di altre monete venute in luce, citerò il raro ducatene
di Camillo principe di Correggio, che difierisce da quello
riportato da Quirino Bigi, il quale probabilmente lo de-
scrisse senza averlo presente ; {Di Camillo e Siro da Cor^
reggio e della loro zecca. Modena 1870, tavola VI, N. 52),
e finalmente una monetina d'argento di Segni non comune,
(Qarrucci, tav. LXXXII, N. 20).
La messe è stata davvero importante, tutte le serie e tutte
le epoche hanno avuta la loro parte; è da deplorarsi sol-
tanto che i due ripostigli offrano poco interesse, sia per la
storia, sia per la numismatica, alle quali non portano alcun
contributo veramente nuovo.
P. Stettiner.
Una lettera del Gay. O. Fraccia. — Riceviamo, con pre-
ghiera di pubblicazione, la seguente, a cui diamo posto
volentieri, sia per debito d' imparzialità, sia per lasciare,
come abbiamo altre volte espresso essere nostro desiderio,
che tutte le opinioni possano essere liberamente esposte
neWdb Rivista. Mentre però diamo la lettera integralmente nella
sua parte scientifica , abbiamo creduto opportuno soppri-
mervi qualche periodo, che da questo campo si allontanava,
invadendone altri, di cui non giova intrattenere i nostri
lettori.
È innegabile che nelle nuove ragioni apportate dal
Cav. Fraccia vi sia dell'acume e della giustezza di vedute ;
e, quantunque intrawediamo qualche altra obbiezione, 'che
vi si potrebbe fare, non crediamo il caso di prolungare la
polemica, lasciando ohe il lettore si formi da sé il proprio
NOTIZIE VARIE 819
concetto, ora che le due parti hanno esposto il loro modo
di vedere. Non sarebbe stato d'altronde gentile da parte
nostra il riservarci noi l'ultima parola. Ecco la lettera:
« Al Chiarissimo Oav. Francesco Gnbcchi Redattore della
Rivista Italiana di Numismatica — Milano.
€ Nel fascicolo I, anno III, 1890, del pregevole periodico, ora da
Lei e dall'egi'egio di Lei fratello diretto, leggo a pag. 160-162 due
articoli, co* quali è a Lei piaciuto onorare di sua autorevole recensione
i due ultimi miei opuscoli : Su due contromarche in monete ramane,
ed Antiche mordete siciliane^ ecc.
€ Nel rendere alla Signoria Vostra Chiarissima le pih sentite grazie
per tanto onore e per tutti i benevoli apprezzamenti e gentili espres-
sioni usate a mio riguardo, io La prego accordare ospitalitìi neUe
colonne dello stesso plaudito periodico alla presente, mercè la quale
vorrà, spero, permettermi le seguenti brevi e rispettose osservazioni,
responsive a* cortesi appunti da Lei fattimi, e de* quali io mi tengo
non meno onorato.
« Venendo al merito di ciascun di essi, ed incominciando da quello
eh* £lla esamina Y ultimo, cioè « Antiche monete siciliane^ » ecc. ,
due cose Ella vi lamenta : l"" la mancanza delle Tavole ; 2* la scelta
del Buonarroti nel pubblicarlo. Ed io le dirò francamente che trovo,
in generale, la prima giustissima ; né, in generale, ho per essa che
le attenuanti ; e della difficoltà de* mezzi (più che pecuniaria, di ma-
teriale esecuzione in Palermo, facendo capo al Museo) ; e deireseofipio,
certamente non nuovo di tanti altri cataloghi, repertori, ecc, ed anche
grandi opere; e finalmente dell'essermi io perciò a tutt* uomo studiato
di supplirvi, oltrecchè col richiamo a quegli altri miei lavori che
n*eran fomiti, con tali minute e precise descrizioni, di cui i provetti
cultori di numismatica, pe' quali io veramente scrivo, potevano restar
contenti, come difatti è avvenuto.
€ In particolare però, e per quel che riguarda 1* altra parte di
questo primo lamento, quella, cioè, relativa a verifica^ controllo^
fiducia, ecc., a me basta farle semplicemente notare (ciò che per
altro risulta dal cenno preliminare^ e va per ogni singola moneta
indicato dalle corrispondenti iniziali poste in margine per additarne
la provenienza), che trattandosi di monete tutte già appartenute da
insigni e reputatissime collezioni , e tutte poi scelte , acquistate ,
accettate, classificate, collocate, registrate, in uno dei primi Musei
d'Italia, qual è quel di Palermo, concepir su di esse, foss'anche una
320 NOTIZIE VARIS
sola, il menomo sospetto, sarebbe lo stesso che concepirlo e mancar di
fede a quelle collezioni, a quel Museo, ed a;;li illustri uomini che
Than diretto e il dirigono.
€ Quanto al secondo di Lei lamento poi circa la scelta del Bua-
narrati per la pubblicazione di quest*opuscolo, Le fo primieramente
rifiettere che gli esemplari destinati agli Istituti, ai periodici ed ai
personaggi nostrani e stranieri in numismatica pih competenti furono
le tirature a parte (estratti) fattine appositamente eseguire; ma che
del restx), per quanto grandi ed invadenti fossero le odierne tendenze
a specializzare, com'Ella ben dice, e la superiorità in ciò della Rivista
non sarà mai certamente (è almeno a sperarlo) che si arrivi a tal
punto di esclusione, da interdire la concorrenza ad ogni altro perio-
dico letterario e storico, che non sia affatto da sozzo, qual certamente
non è il Buonarroti,
€ Passiamo ora air altro mio opuscolo : Su due contromarche
in monete romane, ecc.
€ Crede dunque anch'Elia che soverchia sia V importanza da me
attribuita alla contromarca ^PBON sul Q. B. della Quinctia da me
prodotto, e crede così perchè a stabilire che Apronio fosse monetario
di Augusto e non di Giulio Cesare, meglio che questa mia, che pur
Le piace ammettere che sia una prova, < ne abbiamo già un' altra
più sicura nelle monete di Qalo, Messalla e Sisenna compagni mone-
tari di Apronio sotto di Augusto, che sono deiridentìco tipo. — Ma
stando sempre alla distinzione ch'io fo nel mio opuscolo fra prove di
fatto, ricavabili da^ monumenti, e teoriche induzioni, non era appunto
questo ch'io a pag. 5 e 6 dimostrava non provar nulla? — Che
cosa difatti, io diceva, potevan provare questi quattro piccoli bronzi
di tipo affatto alieno a qualsiasi cronologica applicazione, quando di
tutti questi quattro monetari < non vi si trova che il solo nome, senza
€ alcun prenome o soprannome che potesse con maggior probabilità
« fissarne V epoca; quando son essi storicamente sconosciuti , come
« Sisenna e Gaio, o di nome comune all'epoca di Cesare e di Augusto
« come Messalla ed appunto il nostro Apronio ?» — Si degni Ella
adunque. Chiarissimo Signore, rileggere quelle due pagine del mio
povero opuscolo, e nella pienissima sua buona fede si convincerà che
l'importanza da me, in quel senso, attribuita alla monete in parola
non era per niente soverchia.
€ Ed ora all'altra contromarca, NCAPR.
« Ella crede ch'io abbia ru>n citata, anzi a bella posta taciuta per
rendere la mia più accettabile quella spiegazione che stima invece
NOTIZIE VARIE 82 L
ragionevolissima^ e oramai comunemente ammessa come la vera ed
alla quale dichiara attenersi come assai più ovvia : Vantica spiega--
eione Nero Caesar Aug PRobavit.
€ Ma su questa interpretazione, ch^Ella suppone non poter essere
da me ignorata, io comunque si fosse, non poteva, non che come Lei
adagiarmi, pih che tanto fermarmi : prima, perchè non comunemente
ammessa, com'Ella dice, ma anzi da nissuno dei pih insigni scrittori
di contromarche da me consultati e citati nemmen ricordata; secondo
perchè ne così ragionevole e molto meno poi vera, com*Ella asserisce,
ma invece assolutamente da escludersi in quanto che (lasciando anche
stare, se così Le piace, il nesso A^ e la finale ON dell' altra, che
secondo me, e com*io ho dimostrato, deve darci la chiave e la spie-
gazione ragionevole e vera di questa), mentre questa contromarca non
appare piti intera, in alcuna delle monete intermedie fra quelle del
l'anno di Claudio e quelle di Nerone, le lettere NC si trovano poi
in monete a Nerone posteriori. E difatti non più un solo intero NCAPR
si trova in alcuna delle altre monete dello stesso Claudio; né di Mes-
salina, né di Britannico , né di Agrippina giovine, ecc. ; né è suppo-
ponibile che giusto in quel periodo di 13 anni quanti ne corrono sino
a Nerone, in nessuna di esse si fosse piti applicata, massime se per
causa politica, o per bisogno di aumentarne il valore ; ciò che, come
infra rammenterò, non necessitava ch'esse fossero fruste. — Tediamo
invece le lettere NC che formerebbero il cavallo di battaglia di quella
spiegazione (il famoso supposto Nero Caesar) su monete a Nerone
posteriori, su quelle segnatamente di Vespasiano, che ne portan bensì
il nome in contro marca, e difatti il de Saulcy, in questo genere a
tutti maestro, cercava interpretare Nummi Centum. Or, tutto questo
mi pare ch*io già Tavea nel mio opuscolo largamente dimostrato, perché
non mi fosse stato mestieri di ricorrere a tacere a bella posta una
spiegazione ovvia e comoda sì a chicchessia , ma ragionevole o vera
non mai.
« Ed ora veniamo alla mia :
< A Lei pare, o almeno Ella dubita, che la spiegazione da me pro-
posta non possa essere seriamente accettala^ inquantoche non abbia un
fondamento ragionevole. E ciò per due principali motivi : V non tro-
varsi in nessun docuìnento storico resistenza di una Coorte Aproniana;
e questo Le fa pensare che io al solo scopo di dare la spiegazione
di una contromarca voglia creare (sic) una coorte; 2° ti ripetersi di
questa stessa contromarca su bronzi di Claudio portanti la data del 41
d. 6% mentre la prima contromarca di Apronio sarebbe del 12 a, C.
anteriore cioè di 53 anni: e sebben riconosca eh' io sia riuscito a
provare che materialmente la cosa non era impossibile, trova pure
822 NOTIZIE VARIE
questa possibilità materiale ben diversa dalla probabiliià ; né sa
spiegarsi come i bronci di Claudio fossero già frusti (dacché, come
ognun sa, Ella aggiunge, i bronzi contromarcati di Claudio come
tutti in generale quelli portanti contromarca sono di pessima con-
servazione) e avessero perciò bisogno di una contromarca ftelV anno
stesso in cui venivano battuti.
€ Ma io La prego a voler riflettere (ciò che bensì risalta da tutto
il mio povero e mal compreso lavoro):
« V Che qui non si tratta di una Coorte storica, rammentata in
un monumento stabile ; sibbene di una semplice contromarca castrense
0 di occasione, in cui momentaneamente veniva applicato il nome di
colui che ordinava o permetteva un nuovo corso fiduciario;
€ 2"^ Che, difatti, qui non si tratta più del Monetario di Augusto
del 12 a. Cristo ; ma bensì del Proconsole, Generale di Armata, Go-
vernatore di piazze forti, che appunto in que* 53 anni e sino airultimo
di essi vediam figurare in Africa e in Germania nella stessa persona
di Lucio Apronio.... Ed ora non Le dispiaccia chMo aggiunga (ciò che
non trovasi nel mio opuscolo, ma Ella non doveva ignorare) un
prezioso riscontro di fatto, un monumento, cioè, che nel modo piti
solenne ed indiscutibile costringe a non potersi più mettere in dubbio
nel nostro personaggio quella continuata superiore ingerenza negli
affari monetali delle Provincie da lui occupate, ch'io, per solo teorico
e storico intuito, aveva già indovinata; convertendo così quella ch*Ella
chiama possibilità materiale ben diversa dalla probabilità, in una
quasi certezza. — Farlo di quei grandi, mezzani e piccoli bronzi
(intere monete di tutto conio e non contromarche) battuti in Africa
sotto Tiberio ed appunto durante la guerra contro Tacfarina (pag. 11
del mio opuscolo), nell'anno 20 di C : < PERMISSV L • APRONI •
PROCOS III • » come nella loro leggenda si legge. (V. MùUer, ^ti-
mismatique de Tancienne Afrique. Voi. II, pag. 155 e seg. — E. Cohen
2" ed. I pag, 208, n° 216; pag. 210, n^ 251.
< Non fo commenti. — Torno alla contromarca in esame.
€ Nel farmi infine Tultimo appunto, a Lei certamente anche sfug-
giva quant*io altresì avea dimostrato: di tali contromarche Castrensi
non esser solo a cercar ragione nel deperimento metallico delle mo-
nete su cui vennero applicate ; ma bensì , e meglio , nel bisogno di
crescerne il valore con un temporaneo e più alto assegno fittizio. E
di fatti ed a maggior prova del mio assunto, in preveggenza dell'ob-
biezione da lei fatta, a pag. 13, nota 3', io segnalava alcuni esemplari
battuti € indubbiamente in quest' anno 41 di C. (uno specialmente
« della Collezione Nissardi) che lungi dall'esser frusti sono fior di
€ conio e la nitida contromarca vi appare evidentemente coeva al conio
NOTIZIE VARIE 828
€ stesso, come appunto doveva avvenire essendovi stata applicata nel-
€ Tanno medesimo. »
€ Ma predicava io dunque al deserto ? !
« Spero che no; e qai fo punto, sicuro anzi che per tutte le
suesposte ragioni anch'Elia non tarderà a farmi quella giustizia che
molti mi han fatta; nel senso almeno, onde testé me Tha resa uno
dei più competenti nummologi contemporanei con queste parole:
€ La conclusion de vòtre travail est amenèe par un raisonnement
« aussi logique que serre, et pour ma part je la crois benne. À moins
€ de nouvelles découvertes, je ne vois pas sur quels arguments on
« pourrait s'appuyer pouf la combattre.
< E la riverisco
€ Aprile 1890.
€ Ohhl.mo
€ Giovanni Fraccia ».
« P. S.
€ Non era nemmeno nel mìo opuscolo, né sopi*a va rammentato
(ma Ella avrebbe bensì dovuto saperlo) quanfora, a maggior conferma
di tutto, e salvo a meglio sviluppai'lo e trattarlo in appresso, sono ben
lieto di poter anche aggiungere relativamente alla contromarca NCAPB.
« Trovo io ora adunque che non solo in Africa nella guerra contro
Tacfarina, monete di ogni modulo furon battute: FEKMISSY L.
APRONI; ma che vi ha di più:
€ Abbiamo un altro M. B., bensì per intero e sempre col dritto
di Tiberio , portante nel rovescio la testa di Druse , ed intorno :
L. APRONIVS HIPPONE LIBERA (MùUer II, pag. 167, N. 378 -
E. Cohen, 2: ed., I, pag. 220, N. 2).
< Né è tutto:
« Abbiamo in altre monete dello stesso genere nientemeno che
il nome di Apronio, o tutto intero con l'A e la P legate (/PEON)
in un piccolo bronzo di tutto conio (MùUer II, pag. 165, N. 303 —
E. Cohen 2.* ed., pag. 210, N. 251) , ovvero in contromarca portante
non solo le stesse due prime lettere ugualmente legate (JP), ma bensì
e meglio, tutte e tre del mio opuscolo, in unica sigla {M) (MùUer II,
• pag. 4, N, 5, e pag. 7, N. 25).
« E né basta : Tanto neiranzidetto piccolo bronzo, quanto in questa
contromarche, abbiamo il nome di Apronio preceduta da una C stac-
cata; cioè; 0. yPEON; G Jì>, e G JR.
€ Ne vorrebbe di più?
« 0 non Le pare ora nemmeno che dal 12 a. C. in giù il nome
di Apronio possa riapparire sulle monete ad indicare il personaggio
824 NOTIZIE VAKIB
medesimo? 0 ancor non Le pare che Yj^,q molto più poi VM deb-
bano assolutamente escludere (come a me era già bastato desumere
dalla moneta Vallerò) qualsiasi Probavit o Probata, e simili; e del-
l'egual maniera la G che sola precede quel nome qualsiasi Caesar o
altro che non fosse la da me creata Coorte? — E cosi essendo, non
Le pare un vero peccato che a completare la contromarca NCAPK
ora non manchi che la sola N; e che la crudele assenza di questa
lettera venga a dare il colpo di grazia al tanto comodo e vagheggiato
Nero ?/....
€ G. Pkaccia. »
Museo Provinciale di Bari. _ Il giorno 18 maggio u. s.
venne aperto al pubblico il nascente Museo Provinciale di
Bari, impiantato per ora nell'Aula centrale dell'Ateneo.
Vendite di Monete. — Durante il trimestre che ora 'fi-
nisce ebbero luogo a Parigi le vendite di tre collezioni, Pho-
tiades Pacha (monete greche), Ponton d'Amécourt (mero-
vingie) e LépauUe (romane). — Ne daremo i particolari nel
prossimo fascicolo.
Finito di stampare il 25 Giugno 1890.
Lodovico Felice Cogliati, Gerente responsabile.
FASCICOLO III.
ORIGINE DELLA MONETA IN ITALIA
(1)
I Qumismatici che hanno studiato il problema delle
orìgini della moneta in Italia bì possono classificare in
due scuole: quelli che vogliono dare all'Italia l'onore di
avere inventato la moneta , riportandone l'introduzione
ad un'alta antichità, e quelli che pretendono abbia essa
copiato tutto dalla Grecia.
A me pare che ci sia dell'esagerazione da una parte
e dall' altra ; ma che , in fondo , abbiano tutti un po' di
ragione. Infatti è vero che la moneta coniata propria-
mente detta, ebbe origine indubitatamente nella Lidia e
fu quindi adottata in tutta la Grecia, ma è altresì vero
che l'idea di adoperare il metallo per facilitare gli scambi
sorse spontanea anche fra alcuni popoli italici , i quali,
quando appresero l'invenzione del conio, possedevano già
le loro monete primitive fuse che differivano sostanzial-
mente dalle greche e dalle orientali.
Non deve sembrare strano che l'idea della moneta
sia sorta indipendentemente in differenti paesi. Nella storia
si notano altri fatti consìmili, di invenzioni o scoperte
avvenute in paesi posti a grande distanza e che non ave-
vano fra loro alcuna comunicazione. Basti ricordare la
somiglianza , affatto casuale , fra i geroglifici egiziani e
(1) Dal Manuale di Numismatica italiana dì prossima pnbblicaziono.
328 P. STETTINER
quelli messicani, e l'arte della stampa inventata in Europa
quando in China era già conosciuta da parecchi secoli.
Per dimostrare meglio il mio asserto , riassumerò
brevemente la storia della moneta.
In origine la base delle contrattazioni commerciali
fu il bestiame, non solo in Italia, ma anche presso altri
popoli antichi. Infatti Omero ed Esiodo , posteriori alla
guerra di Troia, non parlano mai di moneta ed indicano
sempre il valore delle cose a bestiame, oppure fanno men-
zione di scambi con oggetti di genere diverso. Un campo
coltivato poteva valere due o tre buoi , un bue poteva
cambiarsi con dieci o dodici pecore , una bella schiava
era valutata quattro buoi. Lo stesso Omero ci dice che
il tripode dato in premio della lotta al funerale di Pa-
troclo valeva dodici buoi e che gli Achei si procuravano
il vino di Lenno, dando in cambio metalli , pelli bovine
o qualche robusto schiavo.
Ma quest'uso doveva riuscire assai incomodo e non
poteva sempre corrispondere ai bisogni sociali. La sco-
perta del metallo mostrò il grande vantaggio che se ne
poteva trarre, valendosene come mezzo di scambio, poiché,
oltre ad avere un valore intrinseco, non è soggetto a de-
perire, si può facilmente trasportare, e dividere con esat-
tezza nelle più minute proporzioni. Inoltre il bronzo, che
fu il primo metallo usato in Italia per gli scambi, poteva
essere trasformato, ogni qualvolta si volesse, in armi od
utensili domestici. In Asia, invece, fu Toro ed in Grecia
l' argento , il primo metallo adoperato pel commercio.
I Latini chiamarono aes rude (bronzo o rame in-
forme) il metallo di cui si servirono in principio per gli
scambi commerciali.
In seguito il metallo Ai fuso in pezzi regolari di
forma rettangolare di cinque o dieci libbre e s'incominciò
ORIGINE DELLA MONETA IN ITALIA 829
a dargli un'impronta che fu generalmente un animale, forse
in memoria dell'antico uso degli scambi col bestiame in na-
tura, e questo fu chiamato (les signatum (bronzo segnato).
Da questo si passò all' m$ grave , prima di forma
ovale e poi di forma rotonda che fa la definitiva. Allorn,
per facilitare sempre più gli scambi , fu creata V intera
serie della moneta colle sue frazioni, cioè l'asse del peso
di una libbra corrispondente alla quantità di metallo che
un uomo poteva sostenere {librare) sul braccio teso, il
semisse di mezza libbra , il triente di quattro oncie ,
il quadrante di tre oncie ed il sestante di due oncie.
Cosicché il sistema si basava su una libbra di bronzo ed
ognuno dei sei pezzi portava il segno del suo valore.
Di queste monete primitive molte sono pervenute
fino a noi, ed il ripostiglio di Vicarelio compendia , si
può dire, la storia stessa della moneta.
Vicarelio è una località presso il lago di Bracciano,
ove esistono delle acque termali chiamate Acque apolli-
nari^ conosciute e adoperate anche in oggi per curare
certe malattie.
Nel 1852, nel fare alcuni lavori presso l'antica fonte,
fu rinvenuto un numero ingente di monete , che erano
il tributo offerto , per lo spazio di parecchi secoli , dai
visitatori, alla Divinità che, secondo essi, rendeva bene-
fiche quelle acque. Era un uso comune di quei tem^>i.
Vi si rinvenne Vaeg rude in quantità di oltre 12J0
libbre, Vae9 signatura^ V aei grave dei vari popoli del-
l'Italia centrale, poi le monete coniate della Repubblica
romana e quelle degli imperatori , fino al principio del
quarto secolo dell'era nostra &).
(2) P. Marchi, La stipe tributata alle divinità delle acque apollinari
di Vicarelio. Soma, 1852.
330 P. STETTINER
A Viilci fu rinvenuto un vaso di terra contenente
insieme, Vaes rude in pezzi informi di bronzo del peso
da un'oncia ad una libbra, Vaes signatum in pezzi ret-
tangolari interi od in frammenti e Vaes grave nella
forma ovale.
Spessissimo poi si ritrova Vaes rude in tombe antiche
specialmente etrusche, e lo si può vedere in quelle tra-
sportate intatte nel museo di Bologna. Il pezzo di bronzo
è vicino alla testa del cadavere.
Farmi dunque che, anche non volendo prestar fedi
agli antichi scrittori che pure parlano dell'uso del bronzo
in natura, non si possa mettere in dubbio che esso abbi i
servito in Italia come moneta primitiva che si scambiava,
pesandolo, con altri oggetti; ed a Vicarello ed a Yulci
lo abbiam visto fare l'officio di moneta, misto a monete
propriamente dette.
Vi è chi afferma che Vaes rude non abbia mai avuto
corso come moneta, ma che sia stato adoperato sola-
mente per gli usi sacri, perchè si rinviene anche in tombe
appartenenti ad epoche in. cui la moneta coniata era su-
bentrata aUa fusa e perchè fu adoperato per offerte alle
divinità in tempi ugualmente posteriori alla sua origine ;
e si citano in prova le offerte di aes rude fatte dai sol-
dati di Annibale al tempio della dea Feronia (^) (544 di
Roma^ 210 av. C). Ma ciò dimostra soltanto che per gli
usi sacri si continuò ad adoperare per lungo tempo la
moneta primitiva; che, del resto, a Vicarello si è trovata
ogni sorta di monete offerte alla divinità del luogo, e
probabilmente i soldati di Annibale offrirono aes rude
alla dea Feronia, perchè non avevano altra moneta e con
(3) Livio, lib. XXVI, cap. XL
ORIGINE DELLA MONETA IN ITALIA 331
quella erano pagati i loro stipendi , non essendo suppo-
nibile che Annibale in una guerra così agitata, combat*
tuta su territorio straniero e coU'esercito continuamente
in moto, potesse sempre coniarne.
Dagli storici antichi non è facile arguire con preci-
sione in quali epoche ebbero corso siffatte monete, poiché
essi sono discordi, ed i passi che si riferiscono alla mo-
neta, sono stati più volte citati in appoggio di tesi di-
sparate. Vi è però un documento al quale possiamo
prestar fede, ed è la legge delle 12 tavole, pubblicata dai
Decemviri che entrarono in carica nell'anno di Roma 304
(450 av. C), colla quale fu stabilito che le contribuzioni
e le multe fossero pagate in moneta metallica , anziché
in natura, calcolando dieci assi una pecora e cento un bue.
La tradizione romana faceva Numa autore dell' aes
rud€j poiché alle due corporazioni di artefici che lavora-
vano r oro e l'argento , egli ne aggiunse una terza dei
fabbri del rame, e riteneva Servio Tullio autore dell'a^^
signatum. Abbiam visto che V ae^ grave fu introdotto
dai Decemviri , e non vi sono finora argomenti che
combattano seriamente queste tre epoche (^).
Se però possiamo prendere come base di partenza
l'anno 450 av. C. per l'introduzione in Roma dell' a^^
gravBy bisogna necessariamente riportarne l'introduzione
in Etruria ad un'epoca alquanto anteriore, poiché non si
può a meno di riconoscere che Vaes grave di Tarquinia
e quello ovale rinvenuto a Yulci, siano più antichi di
quello romano.
Non sembrerà dunque esagerazione l'affermare che
gli EUusclii iiii!oiii inaiarono ad usarlo al principio del
(4) Garrucci, Le monete delV Italia antica, pag. 2 e 14. Eoma, 1885,
332 P. STETTINER
quinto secolo e che la sua origine è appunto da ricer-
carsi nel cuore dell'Etruria da dove si sarebbe poi dif-
fuso fra i popoli vicini.
In Sicilia, prima della fondazione delle colonie greche,
fu pure usato il bronzo in natura per gli scambi com-
merciali, ma i siculi passarono senza transizioni dall' a^^
rude alla moneta coniata introdotta dai Greci (^), per cui
Vaes rude non vi può esser rimasto in uso dopo il se-
colo settimo av. C.
Nell'alta Italia si è rinvenuto Vaes rude e Vaes si'
gnatum a Marzabotto (Bologna), a Quingento (Parma),
a Servirola (Roggio), a Levizzano (Modena) ed a Man-
tova; Vaes grave solo a Bologna. Gli Etruschi che
avevano introdotto in quelle regioni Vaes rude e Vaes
signatura^ dovettero ritirarsi dinnanzi ai Galli invadenti
e non ebbero campo di estendervi anche l'uso dell' ae^
grave.
ìj^aes rude delle tombe etrusche di Yillanova e di
Marzabotto si può riportare al VII secolo, Vaes signatum
al VI e r aes grave della Certosa di Bologna al V secolo
av. C. Bologna cadde in potere dei Galli nel 396 av. C.
e potè conoscere Vaes grave^ il quale non si trova più
oltre per la ragione già detta dell'invasione gallica.
In Sardegna Vaes rude^ che si ritrova anche oggi
in abbondanza, fu sostituito dalla moneta coniata intro-
dottavi dopo la conquista cartaginese dell'isola, avvenuta
verso il 260 di Roma (494 av. C).
Un fatto notevole è quello che le monete deWaes
grave dei vari popoli dell'Italia centrale, sono assai più
rare di quelle romane, ed è naturale: dopo che Roma
(5) MoMMSEN, Ilistoirc de ìa viottraiò romainc. Voi. I, pag. 111.
ORIGINE DELLA MONETA IN ITALU 333
ebbe esteso il suo dominio sulle altre città, non permise
certo che continuassero ad emettere moneta in nome
proprio. Ciò dimostra che Vaes grave era in uso in Italia
assai prima delF egemonia di Roma, polche non si può
ammettere che le città conquistate abbiano cominciato
ad emettere moneta propria, appunto quando avevano
perduta la loro autonomia.
Ne è una prova il ripostiglio di assi rinvenuto a Cer-
veteri, consistente in 1578 pezzi tutti romani. Cere rico-
nobbe la supremazia di Roma nell'anno 403 (351 av. C.)
e dovette adottarne la moneta.
Inoltre Tasse romano fu successivamente ridotto, in
seguito a contingenze politiche e ad urgenti bisogni del-
l'Erario, da una libra a mezza libra, poi a quattro oncie
a tre, a due, a una e finalmente a mezz'oncia, conser-
vandogli sempre lo stesso valore nominale.
Ora, la maggior parte delle serie di aes grave ap-
partenenti al Lazio, all'Etruria, alla Sabina, all'Umbria,
al Piceno, ecc. non subirono alcuna riduzione perchè le
zecche che le emettevano furono chiuse prima che aves-
sero tempo o si verificasse. il bisogno di effettuarle. Una
prima riduzione l'ebbero soltanto le monete di Todi ,
di Venosa e di Lucerla, ma la prima tenne aperta più a
lungo la propria zecca forse per una speciale conces-
sione di Roma , e le seconde furono occupate dai Ro-
mani più tardi, quando la riduzione dell'asse era già
avvenuta.
Dai fatti e dalle date citate si rileva che le vicende
della moneta seguono quelle della storia, e colla storia
si spiega la presenza o la mancanza della moneta, o di
alcune specie della moneta, nelle varie regioni , e se ne
determinano le cause.
La tradizione romana sulla moneta è confortata al-
43
334 r. STETTINER
l'evidenza dai fatti storici, ed una volta ammesso che i
popoli italici abbiano cominciato ad adoperare il metallo
per gli scambi prima del VII secolo av. C, bisogna ri-
conoscere che questo fatto non ha alcuna relazione colla
invenzione della moneta coniata nella Lidia, la quale non
avvenne certamente prima del VII secolo.
Ma il documento più sicuro , più autentico dell' ori-
gine indigena della moneta italiana , è rimasto nella
lingua. I vocaboli più antichi , come pecunia , da pecìis
(bestiame), applicato al metallo perchè questo sostituì il
bestiame nelle contrattazioni , e quello di aes (bronzo ,
rame) dato alla prima moneta, sono indubbiamente latini ;
da aes , genitivo aeris^ derivarono i seguenti : aerarium
(erario) , luogo dove si conservava il metallo pubblico ,
aestimatiOy aestimo^ cioè valutazione delle cose a misura
di rame. La parola denarius ebbe origine dalla prima
moneta di argento romana , alla quale fu dato il valore
di dieci assi (denos aeris^ dieci bronzi).
Il vocabolo moneta fu dato al denaro, perchè la zecca
romana era posta nel tempio di Giunone Moneta sul Cam-
pidoglio , ed il soprannome di Moneta (avvertitrice) fu
dato a Giunone, perchè il suo tempio fu costruito sul-
l'area della casa di Manlio , il quale , sentendo i Galli
salire all'assalto del Campidoglio, ne aveva avvertito le
guardie.
Altri vocaboli presero un significato proprio dal-
l'uso primitivo di pesare il metallo grezzo, per scambiarlo
con altri oggetti, ed anche questi vocaboli sono di origine
italica : expensa , stipendium , dispendium , dispensa^
toresj ecc.
Vi è controversia sulla parola nummo^ che alcuni vo-
gliono derivata dal greco vofxo; che significa legge ; altri
accettano invece la versione di Svetonio, il quale, secondo
ORIGINeTdELLA moneta in ITALIA 335
quanto riporta Suida, raccontava che il re Kuma avrebbe
introdotte le monete in Roma e che dal suo nome le
avrebbe chiamate nummi.
E vero che Dario chiamò darica la moneta da lui
emessa, e Filippo chiamò Jitippi le proprie, e che in tempi
moderni abbiamo avuto i carlini^ ì tuigij i francescani^
i napoleoni^ ma abbiamo visto altresì che i Latini chiama-
rono pecunia ed aes la loro prima moneta e non nummo.
Pare che i Tarantini siano stati i primi a chiamare
nummo la loro moneta.
In Grecia le più antiche monete furono chiamate sta^
teriy dramme j oboli, e nessuno di questi vocaboli entrò
nell'uso della lingua latina. E neppure nella Grecia, pro-
priamente detta, fu mai rinvenuta alcuna moneta che so-
migliasse àlVaes rude, sìVaes signatum o all'a^^ grave;
le più antiche monete della Grecia e della Lidia sono d'oro
o d'argento e impresse col conio.
E dunque senza fondamento l'asserzione del Le-
normant che gli Etruschi abbiano copiato Vaes grave dai
Greci di Sicilia (6).
Lasciamo pure alla Lidia, o alla Grecia, se si vuole,
l'onore di avere inventato il conio e di averlo introdotto in
Italia, ma non è possibile negare che la moneta italica
primitiva sia sorta in modo spontaneo, quasi naturale.
P. Stettiner.
(6) F. Lbnobmant, La tnonnaie dans Vantiquité, Voi. I, pag. 139.
I » I
APPUNTI
DI
NUMISMATICA ROMANA
xn.
CINQUE BRONZI INEDITI
PROVENIENTI DAGLI SCAVI DI ROMA DURANTE IL 1889
A) Medaglione d'Adriano. — B) Medaglione di Faiutina. —
C) Medaglione di M. Aurelio. — D) Medaglione di Gtor-
diano ni. — E) Medio Bronzo di Gallieno e Valeriane.
Nella lettera che portava il titolo a Scavi di Roma
durante il 1889 » pubblicata nel primo fascicolo 1890
di questa Rivista^ pag. 176, il sig. Stettiner segnalava
i pezzi numismatici più notevoli venuti in luce du-
rante quell'anno.
a Fra le monete, il pezzo più importante che
tf sia uscito di recente dal fiume, è un bronzo di
u mezzana grandezza, che ha nel diritto le teste
a affrontate di Trebòniano Gallo e di Volusiano.
u È una moneta addirittura nuova e non priva d'in-
a teresse. » E più avanti: a Di medaglioni ne ven-
u nero fuori anche in Roma quattro o cinque verso
u la fine dell'estate scorso, e fra questi ve n'è uno
a inedito di Faustina madre, il quale ha nel ro-
u vescio lo stesso rogo , che si vede su alcune
S88 FRANCESCO QMECCHI
u monete di quell'imperatrice. Un altro è contor-
a niato e appartiene a Marco Aurelio. È bellissimo
u per conservazione e per patina, rj
Una fortunata combinazione e una mìa gita a
Roma durante lo scorso aprile fecero si che, insieme
a parecchi pezzi, i quali, per essere già conosciuti,
non potrebbero qui avere interesse e perciò non ricor-
derò in questa rassegna, riuscii ad acquistare i tre
bronzi inediti sopra citati, più un medaglione di
Adriano ed altro di Gordiano pure inediti. Mi pare
valga la pena di presentare queste novità degli
ultimi scavi romani ai lettori della Rivista^ ai quali
anzi, prima ancora che alla mia collezione, li avevo
dedicati acquistandoli. Se non costituiscono tutto
quanto di nuovo abbia prodotto in fatto di numi-
smatica il fecondo grembo di Roma durante il 1889,
pare però che poco di più si sia trovato, né è a
mia conoscenza che pezzi importanti ed inediti siano
andati altrove.
H medio Bronzo, che, come vedremo in seguito,
appartiene non a Treboniano Gallo e Volusiano, come
fu creduto da principio, bensì a Gallieno e Valeriane
proviene dal Tevere, i medaglioni dagli scavi; con-
seguentemente il primo è spattinato, mentre gli
altri sono coperti di beUa patina verde o nera.
MEDAGLIONE DI BBONZO DI ADRIANO.
(Dopo Cob. 589).
^ — HADRIANVS AVO COS III P P
Testa nuda a destra.
^ — COS III (air esergo).
Apollo ignudo di fronte rivolto a sinistra, con un ramo
nella destra e il mantello sul braccio sinistro. Alla sua
APPUNTI DI NUMISBfATIGA ROMANA 839
destra una tavola su cui un vaso. Alla sua sinistra un
tripode su di una base appiedi di un vecchio tronco
d* alloro.
(Tav. Vm, N. 1).
Diam. mm. 38. Peso gr. 40,60.
Questo medaglione di superbo stile e deUa mi-
glior epoca dell'arte romana, intatto dalla parte
della testa, fu un po' guasto nel rovescio da chi lo
ripulì dall'ossido.
La rappresentazione del rovescio è molto simile,
se non identica, a quella del medaglione anepigrafo
descrìtto al Num. 561 di Cohen e a pagina 30 del
FroehnerW; la spiegazione non ne è molto chiara.
Apollo, come osserva il Froenher, non ha qui il suo
attributo usuale, la lira, e appare invece nella sua
qualità di Dio sanitario. Il ramo non sarebbe l'alloro
simbolo della gloria, bensì l'aspersorio atto a scac-
ciare i mali e guarire le malattìe, e il vaso posto
sulla tavola sacra conterrebbe 1' acqua lustrale. Non
è cosa facile, continua il Froehner, il ricostruire i
fatti che hanno dato origine ai medaglioni e spie-
gare con sicurezza il significato delle rappresenta-
zioni che figurano sui rovesci; ma è probabile che
il medaglione sia statx) coniato durante gli ultimi
quattro anni del regno d' Adriano , quando era già
tormentato dalla malattia a cui doveva soccombere.
La data posta all' esergo del mio esemplare non
contraddirebbe per nulla a tale supposizione , e il
medaglione si può considerare, come l'altro simile, un
voto pel ricupero della pericolante salute.
(1) £«9 Mida%llon9 de PEmpire romain. Paris, J. Bothschild, 1878,
840 FRANCESCO GNBCCHI
MEDAGLIONE DI BBONZO DI FAUSTINA MADRE.
(Dopo Coh. 123).
1& — DIVA AVGVSTA FAVSTINA
Busto velato a destra.
9I — CONSECRATIO
Rogo formato da quattro piani. Il primo é costituito
da un basamento quadrato ornato da ghirlande, il
secondo da un colonnato colla porta nel centro, il
terzo pure da colonne fra le quali dei festoni, il
quarto sembra pure ornato da ghirlande. In alto
Faustina in biga veloce a destra.
(Tav. Vin, N. 2).
Diam. mm. 38. Peso gr. 46,60.
Chi considerasse questo medaglione come una
semplice riproduzione di un gran bronzo raro in
Faustina, ma comunissimo in Antonino Pio, Marco
Aurelio ed altri imperatòri , potrebbe giudicarlo
assai poco importante. Ma, studiandolo invece sotto
l'aspetto che andrò esponendo, di Medaglione di
Consacrazione, io l' ho trovato di interesse assai
maggiore di quanto V avevo sulle prime giudicato.
La Consacrazione romana , iniziata coi divini
onori resi da Augusto a Giulio Cesare, dura per
tutto il tempo dell'impero pagano, e nei tre secoli
che corrono da Augusto a Costantino si contano
circa cinquanta fra Augusti, Auguste e Cesari, i quali,
per testimonio delle monete, appaiono aver avuto
l'onore della Consacrazione. Né sono certo tutti i
nomi più celebri e più degni, quelli che furono con
tale suprema onorificenza passati fra i Divi. Inven-
tata in origine per celebrare i meriti eccezionali,
la Consacrazione come tutte le umane istituzioni
APPUNTI DI NUMISMATICA ROMANA 341
ben presto degenerò ; il calcolo, il tornaconto, la
paura, i bassi interessi subentrarono al solo prin-
cipio morale che doveva informarla, e vediamo ben
presto apparire fra i Divi non solo alcuni nomi me-
diocri, e di tale supremo onore affatto immeritevoli ;
ma anche alcuni Imperatori, che la storia classificò
quali mostri e vituperio dell' umanità, e alcune
Auguste, cui assai meglio che il velo della Diva sa-
rebbero stati appropriati gli attributi della Venere
Salacia. E quasi per ironia pare che queste siano
le più celebrate, come ne abbiamo un esempio
appunto in Faustina d' Antonino Fio. Il buon
Antonino pare che cogli onori resi alla consorte
estinta abbia voluto fame dimenticare la scandalosa
vita, e fece coniare tante monete in onore e gloria
della defunta, quanto non ne furono mai apprestate
per nessun altro Imperatore e per nessuna Augusta.
La ricchissima serie delle monete di Consacrazione
di Faustina, contiene tutti, si può dire, i tipi di questo
culto, il Pavone, l'Aquila o la Vittoria, che volano
trasportando l'Augusta in cielo, il Rogo, il Carpento,
la Biga trionfale.
Oltre a ciò buona parte anche delle monete, su cui *
non leggesi l' indicazione CONSECRATIO, sono però
postume e ad esse equivalgono, portando simboli
divini, come Faustina tirata in un carro trionfale da
leoni o da elefanti, colla scritta AETERNITAS, e simili.
Eppure fra questa immensa serie di monete,
la Consacrazione di Faustina non è ricordata che
da un solo medaglione finora conosciuto.
Questo dà l'idea della straordinaria rarità dei
medaglioni di Consacrazione, rarità però che credo
non venne finora ds|, alcuno avvertita. Certamente
44
342 FRANCESCO ONECCHI
non l'avverti il Cohen, il quale non fece alcuna di-
stinzione di valutazione fra i pochissimi medaglioni
di Consacrazione da lui descritti e che passeremo
in breve rivista e i medaglioni più comuni.
Anche il Kenner nel suo poderoso articolo sul
Medaglione Romano (2), parlando delle rappresenta-
zioni che si vedono sui medaglioni, accenna alla
Consacrazione, come una delle raflSgurazioni più
frequenti C^); ma mi pare che, non essendo questo
che un argomento incidentale pel suo assunto, si
sia lasciato trascinare a dir cosa che non aveva
specialmente verificata ; e giova d' altra parte notare
che egli faceva i suoi studii sulla collezione che
ne possiede il maggior numero, come vedremo. Io,
esaminando la cosa specialmente, ho dovuto con-
vincermi che la Consacrazione Romana, ricordata,
diffusa, popolarizzata da un numero grandissimo
e in qualche caso sorprendente di monete in ogni
metallo, non è rappresentata che in via assoluta-
mente eccezionale nei medaglioni. A prova di che
servirà il seguente prospetto, il quale, partendo dal-
l'epoca d'Adriano, in cui comincia a comparire nelle
monete la parola CONSECRATIO, e in cui comincia
(2) Pubblicato nella Nuinismatische Zeitschrift noi 1888, venne poi tra-
dotto dal dott. Solone Ambrosoli per la nostra Rivista, nel 1889.
(8) Ecco le sue parole: e L'insediamento del prìncipe come Pontifex
e e Princeps iuveniiUiSt il sno matrimonio, la nascita de* saoi figli, poi la
€ salita deirAngnsto al Campidoglio pel capo d'anno, i sacrifici votivi
e per r assunzione di nn nnovo consolato o pei giabilei del regno, più
« tardi il primo ingresso in città, poi la partenza pel campo, le feste per
« le vittorie, il trionfo, di quando in quando T inangnrazìono d'an tempio,
€ finalmente la ConsecratiOf queste sono le raffigurazioni che troviamo più
« frequentemente sui medaglioni di tatti i regni... » (Vedi Rivista Jt^^
liana di Numismatica^ Anno II, pag. 273),
APPUNTI t>l NUMISMATICA ROMANA
u&
pure la coniazione dei medaglioni di bronzo, e scen-
dendo fino a Costantino , rappresenta per ciascuno
degli Augusti, delle Auguste e dei Cesari, che ebbero
r onore della Consacrazione, in quali monete tale
fatto viene ricordato , e per quali nomi è ricordato
anche nei medaglioni.
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Giulia Mesa
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Massimiano Erculeo
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Costanzo Cloro .
«
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Galeno Massimiano
—
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•
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Romolo figlio di Massenzio ....
•
•
•
.»,
Costantino Magno
—
—
•
d44 FRANCESCO GNECCHI
Da questo prospetto risulta che Medaglioni in
oro e in argento di Consacrazione non esistono, o per
lo meno non si conoscono, e che in bronzo cinque
soli sono conosciuti. Noto poi che, mentre nelle
monete di ciascun metallo la Consacrazione è rap-
presentata ben raramente da un solo tipo e sovente
da moltissimi, nei cinque medaglioni non possediamo
che un tipo per ciascheduno, e sono i seguenti:
Il primo in ordine cronologico è quello di Fau-
stina Madre appartenente al Gabinetto di Vienna
e descritto al N. 123 di Cohen, il cui rovescio colla
leggenda CONSECRATIO rappresenta Faustina colla
Vittoria in biga al galoppo. Faustina tiene il frustino,
la Vittoria le redini.
n secondo è di Antonino Pio e appartiene al
Gabinetto di Francia. Colla medesima leggenda
CONSECRATIO rappresenta Antonino trasportato da
un' aquila in cielo, mentre un uomo (il popolo ro-
mano?) sdrajato a terra lo sta guardando. Descritto
al N. 380 di Cohen, questo medaglione è riprodotto
anche dal Froehner W, il quale suppone che l'uomo
sdraiato a terra personifichi il campo di Marte ove
la Consacrazione aveva luogo.
Il terzo medaglione non ci appare che mezzo
secolo dopo ; è di Giulia Domna e appartiene, come
il primo , al Gabinetto imperiale di Vienna. Colla
leggenda CONSECRATIO è rappresentata la moglie di
Settimio Severo portata in cielo da un pavone. De-
scritto da Ameth nella sua Synapsis Numorum Ro-
manorum^ qui in Museo Caesareo Vindohonensi adser-
(4) Op. cit. pag. 74.
APPUNTI DI NUMISMATICA ROMANA 346
vanttir, questo medaglione venne da Cohen dimen-
ticato, sia nella prima che nella seconda edizione. È de-
scritto anche da Vaillant, il quale lo dà come appar-
tenente al Museo Tiepolo. Nel catalogo di questo
Museo però non trovo descritto che il Gran Bronzo.
Dopo circa un altro mezzo secolo j incontriamo
il quarto medaglione con Salonino. Ha il tipo del
rogo (^) e, già appartenente all' antica Collezione
Correr di Venezia passato poi a quella Pisani, più
tardi in quella Gréau a Troyes W, si trova attual-
mente nella mia. Ne posso quindi offrire la ripro-
duzi(me dal vero, quantunque V incisione sia già
stata data nel catalogo del citato Museo Pisani (7) e
in quello della Collezione Gréau (^).
(5) Il rogo in questo Medaglione di Salonino è rappresentato molto
differentemente che nel Medaglione descritto di Faustina; consta di
cinqne gradini a piramide « Suggestua tàbernaeulis compactus, quorum
« superiora inferioribus minora ed in summo biga » come lo descrive il
Padre Cassinese D. Alberto Mazzoloni nel Catalogo Pisani ; mentre nel
Medaglione di Faustina il rogo assume l'aspetto di edificio architettonico,
e lo si può confondere con un vero mausoleo, talché alcuni numismatici
fecero appunto distinzione tra Tuno e T altro tipo e chiamarono rogo Tuno
e r altro mausoleo. — Io ritengo però che si tratti sempre del vero rogo
0 pira che dir si voglia, destinato alla cremazione dei resti del defunto,
il cui spirito raffigurato nel carro sovrastante s' intendeva che dopo quella
purificazione del fuoco dovesse volare al cielo, od era anzi simboleggiato da
un'aquila, che racchiusa nella parte superiore del rogo, veniva lasciata
libera e prendeva il volo al momento stesso che il rogo ora dato in preda
alle fiamme, e Max e superiore miniinoque tahernaculo iamquam e fastigio
« quodam aquila demittebatur, quae in aerem submisso igne eiata, in coelum
€ Principia anitnam e terra deferre credfòatur, »
(6) Alla cui vendita avvenuta a Parigi nel 1869 ottenne il prezzo di L. 510.
(7) É inciso e descritto nella splendida pubblicazione : e Numisniaia
e aerea selectiora maximi m^cMi e Museo Pisano alius Corrario. In
< Monasterìo Benedictino-Cassìnate Sancti Jacobi, Pontidae Agri Bergo-
1 matis, apud Johanem Santinum. anno mdcgxl, xlt, xliv >. Ta-
vola LXIX, N. 2.
(8) Tav. VI, N. 3690.
PRaNCKSCO QNBCCBt
Dopo Salonìnu , il solo medaglione che si può
mettere nella categorìa della Consacrazione, quan-
tunque non vi figuri la parola CONSECRATIO, è uno
di Costanzo Cloro che porta la leggenda MEMORIA
DIVI CONSTANTI e la rappresentazione del tempio
rotondo coir aquila sovrapposta, tipo comune nei
medii bronzi postumi di quest'epoca. Appartiene al
Museo di Vienna ed è descritto al N. 72 di Cohen.
A questi cinque attualmente conosciuti ora se
ne aggiunge un sesto con quello di Faustina sopra
descrìtto, né a mìa cognizione ne esistono altri al-
rinfuori dì questi, i qu£ili ho anche motivo di credere
rappresentati ciascuno da un unico esemplare. Il
Museo Britannico, che possiede la più ricca collezione
dì monete roma,ne e forse la più splendida serie di
medaglioni, non ne possiede uno solo di Consacra-
zione. Nessuno ne figura nel Catalogo dei medaglioni
del Museo Britannico pubblicato nel 1874 (^), e sono
informato che nessuno venne acquistato dopo la
compilazione di quel catalogo.
Perchè una eoa! straordinaria parsimonia di
(9) Boman UedallioDa in the Britiah Huenm.
APPUNTI DI NUMISMATICA ROMANA 347
medaglioni contro una tanta esuberante abbondanza
di monete per ricordare uno dei fatti più importanti
e più salienti dei costumi romani, il fatto anzi che
era il suggello definitivo della vita e che parrebbe
il più degno d' essere ricordato e tramandato alla
posterità ?
L'Augusto, che assunto al trono imperiale, com-
memorava il divo antecessore o la diva Augusta o
un divo Cesare con tanta profusione di monete d'ofo
e d'argento e di bronzo, e lo faceva evidentemente
per diffondere la notizia del fatto fra tutti gli strati
sociali, perchè non lo commemorava egualmente coi
medaglioni, nei quali pare anzi che l' idea della com-
memorazione dovesse essere specialmente incarnata?
Perchè non un solo medaglione di metallo nobile fu
coniato a tale scopo e quelli di bronzo che ci rima-
sero sono cosi straordinariamente rari ?
È ben vero che di alcune Auguste e di Fau-
stina in ispecie si può dire che, se mancano i veri
medaglioni di Consacrazione, ossia quelli col motto
CONSECRATIO , ve ne sono però molti quasi equi-
valenti; ma questo non si può dire della grandis-
sima maggioranza degli Augusti, delle Auguste e
dei Cesari passati nel numero dei Divi. Potrebbe
forse essere stata l' adozione stessa del tipo della
Consacrazione nelle monete ufficiali che sconsigliò la
commemorazione di tal fatto nei medaglioni ? Questo
ragionamento però non reggerebbe per tutti gli altri
avvenimenti, che troviamo raffigurati tanto nelle mo-
nete che nei medaglioni. Eesta quindi il problema,
il quale mi sembra interessante, ma non per questo
facile ad essere risolto. Da parte mia mi acconten-
terò d'avere avvertito il fatto, confessando che nns^
à48 FRANCESCO GNECCHI
spiegazione soddisfacente non la vedo e il fatto sembra
strano.
Ma siccome nulla vi deve essere di strano, sarei
felicissimo che qualcheduno approfondisse la cosa
e ne trovasse la spiegazione, tanto più che 1' appa-
rente anomalia può e anzi deve collegarsi coli' in-
tima natura del Medaglione , e potrà fornire nuovi
lumi su tale materia non ancora abbastanza stu-
diata, né abbastanza nettamente definita.
MEDAGLIONE DI BRONZO CERCHIATO DI M. AURELIO.
(Dopo Coh. 890).
^ — ANTONINVS AVG ARM PARTH MAX
Busto laureato e corazzato a destra.
^^ — TR P XXII IMP INI COS III
Due Vittorie di fronte Vuna all'altra sostengono insieme
uno scudo circondato da una corona d'alloro colla
leggenda S P Q R VIC PARTHICAE. -^^6'/ mezzo un
parto seduto a terra e piangente. (Anno 168 d. C).
Diam. del medaglione senza cerchio mm. 38.
T» T» 7) col cerchio mm. 60.
Peso gr. 175. (Tav. Vili, N. 3).
Considerato semplicemente come Medaglione,
questo da me descritto non sarebbe che una variante
di uno simile esistente al museo di Parigi e descritto
al N. 390 di Cohen, il quale ha lo stesso rovescio, col
busto di M. Aurelio a sinistra colla corazza e l'egida.
Ma ciò che forma la specialità del mio esem-
plare è il cerchio che lo circonda, e che ne aumenta
d'assai il pregio, essendo rarissimi in confronto dei
medaglioni comuni quelli fregiati di tale ornamento.
A questi medaglioni ornati di cerchio non
venne finora assegnata una denominazione ben fiss£|,
APPUNTI DI NUMISIIATICA ROMANA 349
e comunemente accettata. L'appellativo di Contor-
niati vi sarebbe assai bene appropriato, e sarebbe
anzi il più proprio a specificarli, se questo vocabolo
non fosse già stato accaparrato da quelle tessere
o pseudo-monete battute al tempo di Costantino (?)
colle effigie di parecchi antichi imperatori o d'uo-
mini illustri nelle scienze e nelle lettere , desti-
nati , come pare generalmente ammesso , a premio
dei giuochi circensi, e ormai universalmente desi-
gnati sotto il nome appunto di Medaglioni Contomiati.
Perciò , ad evitare confusione fra due cose essen-
zialmente diverse, credo bene adottare la denomi-
nazione di Cerchiati per quei medaglioni, i quali,
come quello di M. Aurelio, che abbiamo più sopra
descritto, sono veri medaglioni di conio romano, col
medesimo diametro e spessore dei medaglioni co-
muni, come questi coniati all'epoca degli impe-
ratori che rappresentano, e da questi in null'altro
differenti se non nel cerchio ornamentale, che ne
accresce colla mole e coli' artistica bellezza l'im-
portanza.
Si sarebbe forse anche potuto adottare la deno-
minazione di Falerati, ossia quasi ridotti a foggia di
falera ; ma, essendo ormai provato che questi meda-
glioni non servivano a tale scopo (V. Borghesi ,
Kenner , ecc., ecc.) , la parola potrebbe ingenerare
confusione e lasciar credere che si voglia ritornare
ad una interpretazione che, accettata un t^mpo, venne
poi assai ragionevolmente abbandonata. Mi attengo
dunque alla denominazione di Cerchiati, come quelJa
che mi pare la più propria e la più chiara.
Ammesso che questi medaglioni fossero monu-
menti commemorativi, e ciò pare da tutti consentito,
45
350 FRANCESCO GNECCHI
anche prescindendo dalla questione se i medaglioni
fossero o meno monete, della quale teoria il cerchio
potrebbe essere una prova in contrario, (questione che
per ora non giova toccare, perchè ci condurrebbe
troppo lontano), parrebbe che questi medaglioni cer-
chiati dovessero essere dall'imperatore, che li emet-
teva, riservati ai personaggi più insigni, e di qui
la loro assai maggiore rarità relativamente agli
altri medaglioni.
H cerchio nei medaglioni romani talora è
rimesso ossia aggiunto con altro pezzo di metallo ,
talora invece forma un tutto col medaglione stesso ;
tale è il caso del nostro medaglione di Marco
Aurelio.
MEDAGLIONE DI GORDIANO 111.
(Dopo Coh. 191).
,^ — IMP GORDIANVS PIVS FELIX AVG
Busio laureato a destra colla corazza e l'egida.
^ — PONTIFEX MAX TR P III COS PP
Roma goleata seduta a sinistra su di uno scudo e col-
l'asta, in aito di presentare un globo all'imperatore
che le sta davanti togato a capo scoperto. Dietro
questi un milite con un'insegna. Alla destra di Roma
un'insegna. Nello sfondo un personaggio a capo sco-
perto. (Anno 240 d. C).
Diam. mm. 37.
(Tav. Vili, N. 4).
Questo medaglione è una semplice varietà del
N. 190 di Cohen, o non merita speciale commento.
APPUNTI DI NUMISMATICA ROMANA 351
MEDIO BRONZO
DI GALLIENO E VALERIANO.
(Dopo Coh. 10).
/B' — CONCORDIA AVGVSTORVM
Busti laureati e affrontati di Gallieno corazzato , e di
Valeriano col paludamento.
9I — P M TR P V cos ini P p s e
Imperatore seduto a sinistra con un globo e lo scettro.
(Tav. Vili, N. 5).
Questo bronzo, quando venne rinvenuto a Roma,
fu erroneamente attribuito a Treboniano Gallo e a
Volusiano , e anch' io lo acquistai , credendolo ap-
punto appartenere a questi due imperatori ; ma, esa-
minandolo poi attentamente, mi si presentarono due
obbiezioni molto serie, V una iconografica e V altra
storica.
Conviene anzitutto notare che una cura spe-
ciale si metteva nella coniazione di questi medii
bronzi a due teste, i quali per essere commemora-
tivi di qualche avvenimento importante, hanno una
certa analogia col medaglione, tanto che alcune
volte si chiamano anche piccoli medaglioni o meda-
glioncini. Ora i due x'itratti del nostro medio bronzo,
quantunque alquanto corrosi dalle acque del Te-
vere , si presentavano però tali da poter essere
abbastanza bene giudicati; ma né l'uno^nè l'altro
mi pareva potersi attribuire a Treboniano Gallo
o a Volusiano.
Se ciò non fosse bastato , v'era un'altra diffi-
coltà nella data del rovescio.
La V podestà tribunizia non poteva riferirsi né
352 FRAKCBSCO ONECCHI
airuno né all'altro di quegli imperatori , ciascuno
di essi non essendo arrivato, oltre la quarta. Mi
avvidi quindi che l'attribuzione a Treboniano Gallo
e Valeriane era erronea, come parimenti erronea
era Taltra ai due Filippi padre e figlio, che alcuno
voleva sostenere. Se vi si accordava la TRIB POT V
relativa a Filippo Padre , e che segna V anno 248,
in cui cadeva la celebrazione dei giuochi secolari,
nella quale occasione si coniarono abbondantemente
monete e medaglioni colle teste della imperante
famiglia in più modi combinate , sorgeva la diffi-
coltà del COS llll, sapendosi che Filippo padre non
andò oltre il III Consolato ; e poi e' era sempre la
questione dei ritratti.
Non rimane dunque quale giusta attribuzione
che quella a Gallieno e Valeriane, a cui mi sono
definitivamente attenuto, e contro la quale non urta
più né la storia, né la iconografia.
Difficile riuscirebbe determinare quale dei due
imperatori sia rappresentato al rovescio, poiché la
leggenda si adatta tanto alFuno che all'altro e segna
la data del 257 d. C, nel quale anno sia Valeriano
che Gallieno erano alla V podestà tribunizia e al
IV Consolato. Potrebbe darsi che si fosse inteso
rappresentare l' imperatóre in astratto ; e del resto
il rovescio ha dei riscontri in altre monete tanto di
Valeriano che di Gallieno.
Certo, a caso vergine, non ci sarebbe stato tanto
da studiare per trovare la giusta attribuzione di
questo bronzo, ma la prevenzione, che si era formata
in seguito a un primo giudizio falso, mi aveva tenuto
per qualche tempo fuori di strada. Tanto è vero
che r errore è sempre peggiore dell' ignoranza.
APPUNTI DI NUMISMATICA ROMANA 858
xm.
AI RESTAURATORI DEI BRONZI ANTICHI
A Roma, dove la terra rende continuamente e
generosamente le monete, in ispecie di bronzo, che
pel corso di molti secoli andarono a seppellirsi ed
ammucchiarsi nel suo grembo , è invalsa la mania
di ritornare questi risorti a una seconda vita, al-
l'aspetto e alla freschezza che avevano nella prima.
È giusta tale tendenza? Io credo di no. I bronzi
escono, come è naturale, dagli scavi coperti d'ossido
e di terra. Va bene ripulirli di questa e in parte,
con molta cura e delicatezza anche di quello, quando
rimmagine ne rimanga troppo offuscata ; ma qui
dovrebbe arrestarsi la mano de) ripulitore, e nulla
vi dovrebbe togliere non solo di quanto v' era in
origine , ma neppure di quanto vi hanno natural-
mente aggiunto i secoli di sepoltura. Cosi fa gene-
ralmente Tarcheologo pei bronzi di scavo che non
siano monete, e li conserva gelosamente nello stato
in cui vennero trovati , compreso V ossido che li
ricopre.
Le cose invece procedono ben diversamente per
le monete, e la pulitura si trasforma spesso in un
ritocco, anche col bulino, con qual danno del pezzo
originale e con quale deturpamonto dell' arte pri-
mitiva ognuno può facilmente immaginare.
Perchè tale differenza di trattamento tra i
354 FRANCESCO GNECCHI
bronzi di scavo in genere e le monete? Perchè le
monete si vogliono avere sgombre dall'ossido, ripu-
lite e lucenti quasi come quelle che hanno corso
al giorno d' oggi ? È forse che si vogliono equipa-
rare quelle di scavo recente a quelle che già ebbero
un secondo corso fittizio nelle mani dei raccogli-
tori? Non saprei se il motivo sia questo piuttosto
che qualunque altro, ma il fatto è tale, e per questo
fatto molti pezzi vengono barbaramente deteriorati.
Per colmo di sventura poi è fra i pezzi di maggior
valore che tale industria maggiormente si esercita
e fa il più gran numero delle suo vittime.
Dei cinque pezzi che ho descritti nella prece-
dente memoria (App. N. XII) , due soli si trovano
veramente allo stato vergine del ritrovamento , il
medaglione di Faustina e il medio bronzo. Gli altri
furono tutti dal più al meno ritoccati ; nel meda-
glione d'Adriano fu ritoccato il rovescio , in quello
magnifico e di perfetta conservazione di M. Aurelio
fu lasciato intatto il rovescio, ma ritoccato, o almeno
soverchiamente ripulito il dritto , e quello di Gor-
diano fu pure troppo ripulito dalle due parti. Avrei
di gran lunga preferito che si fosse risparmiata la
fatica di tali restauri; ma erano fatti e non c*era
rimedio. Dovetti accontentarmi di prendere i bronzi
quali erano stati ridotti, ossia dal più al meno de-
teriorati, ma non posso trattenermi dal dirigere ai
moderni restauratori due parole quali il caso pra-
tico me le suggerisce, onde fare almeno quanto sta
in me per salvare nella loro integrità le monete che
d'ora innanzi usciranno dagli scavi, e nutro lusinga
che qualche voce più autorevole della mia mi venga
in appoggio.
APPUNTI DI NUMISMATICA ROMANA S56
n restauro dei monumenti antichi, a qualunque
genere essi appartengano , costituisce un' arte delle
piCi delicate. Una volta dato mano al lavoro, è dif-
ficilissimo il contenersi e facilissimo per contro ed
estremamente pericoloso l'eccedere ; talché crederei
che nella grande maggioranza dei casi il partito
migliore sia quello di non restaurare affatto e di
lasciare i monumenti nello stato in cui si trovano,
limitandosi alle semplici opere di conservazione e
di sicurezza, quando siano richieste da minaccia di
rovina o di deterioramento. Il vecchio adagio fran-
cese : il est plus facile de s'abstenir que de se contenir,
non fu certo inventato a proposito di restauri, ma
vi si adatta mirabilmente e sarebbe una fortuna
se vi venisse applicato.
Un amico mi osserva che i partiti estremi sono
le risorse degli animi deboli, mentre la vera forza
sta neir arrestarsi a tempo. Il che io sono prontis-
simo ad ammettere ; ma, dovendo pure ammettere
nello stesso tempo che la grande maggioranza è
composta dei deboli, rimane sempre consigliabile in
via generale il partito dell'astensione, il quale, se
non è il migliore , è certo il più facile e il meno
pericoloso.
Seguendo la naturale inclinazione ad eccedere,
il restauro viene molte volte a riuscire un rinno-
vamento ; e allora , se del monumento primitivo ri-
mane la forma — non sempre però fedelmente
identica all'originaria — , e la materia — se non in
tutto almeno in parte — , vi è però tolto quello che
ne costituisce direi lo spirito, che forma il vero
interesse artistico e scientifico in un monumento
antico , che ne riassume quasi la storia e ispira la
35G FRANCESCO GNECCUI
venerazione. Per citare un esempio assai noto e che
fece tanto ramore in tutto il mondo archeologico,
accennerò ai restauii troppo radicali inconsultamente
incominciati alcuni anni sono ad uno dei lati estemi
del San Marco di Venezia , e poi fortunatamente
sospesi, in seguito alle energiche rimostranze dei
veri amatori dei monumenti nella loro integrità, nel
loro genuino carattere, comprese le impronte anche
deleterie dei secoli trascorsi. Quei restauri, che dissi
troppo radicali, per quanto riguarda la materiale ese-
cuzione, erano egregiamente eseguiti da abili artisti ;
ma la pulitura e lucentezza primitiva ridonata ai
marmi, la sostituzione di pezzi nuovi — tanto peggio
se pezzi di scultura — a quelli un po' corrosi e guasti
dal tempo, se avevano naturalmente per risultato di
dare al monumento V aspetto che si supponeva do-
vesse avere air epoca della sua costruzione , ne
toglievano però, oltre che la genuinità, la venerabile
maestà conferita dal tempo, al quale non v'ha alcun
surrogato. Il fianco della Basilica che guarda la
Piazzetta è là per provare se quanto asserisco
è vero.
Orbene questo è il genere di restauro-rinnovamento
cui accennavo più sopra e che viene inflitto, oltrecchè
a molti monumenti statuarii o architettonici, anche
a buon numero di monete provenienti dagli scavi di
Roma. Certo quei bronzi, passati per le mani di
abili artefici, si presentano poi assai favorevolmente
agli occhi del semplice amatore di bronzi artistici ,
o del raccoglitore amante unicamente delle belle
conservazioni o infine dell* orefice che ne forma un
gioiello da signora..., ora che questa nuova maniera
g^entile ma non perciò meno efficace di distruzione
APPUNTI DI NUMISMATICA UOMANA 357
pare abbia invaso anche il campo del bronzo, finora
riservato ai numismatici !
Ma r archeologo serio e intelligente sarà poco
rallegrato da siffatti restauri, e avvertirà facilmente
come le fisionomie restino dal più al meno falsate
dal ritocco, e come i caratteri dello leggende, insen-
sibilmente alterati — salvo il peggio di qualche er-
rore d'interpretazione — perdano sempre qualche
cosa del loro tipo primitivo. Del che non è a mera-
vigliarsi, essendo impossìbile che un artista si spogli
totalmente della sua personalità, ed esca completa-
mente dall' ambiente che lo circonda , per entrare
nello spirito d' altro artista , che respirava in un
ambiente tanto remoto e tanto differente. Si dice
che h stile è Vuomo; ora questo stile, nel quale com-
prenderei tutte le diverse manifestazioni dell'arte, si
può considerare come la risultante dell'individualità
dell' artista combinata coli' ambiente in cui vive.
Le due cose sono quello che sono e a nessuno è
dato mutarle. Nessuno può uscire dal proprio am-
biente por portarsi in un altro e a nessuno è dato
spogliarsi completamente della propria individualità.
Queste considerazioni artistico-psicologiche pos-
sono parere alquanto discoste dalla numismatica ; ma
ci hanno invece un nesso molto stretto, e sarei ben
felice d' averle fatte se potessero penetrare nella
mente dei moderni restauratori di monete , i quali
credono ingenuamente che sia facile ristabilire l'an-
tico. No, non è facile ; è impossibile , e per di più
la loro opera è irrimediabile. Si possono togliere i
cattivi restauri dai quadri, ma non si potrà mai ag-
giungere quello che essi tolgono a un bronzo, e che,
se è poco, è però sufficiente a falsarne il carattere.
46
35S F. GNECCHl - APPUNTI DI NUMISMATICA ROMANA
Si persuadano dunque i ritrovatori e i nego-
zianti di monete che l'opera della cosi detta ripali-
tura è troppo spesso deleteria, consiglino i restau-
ratori a rivolgere a più nobile scopo la loro abilità
e credano che moltissime belle monete sono dalle
loro intenzioni di miglioramento miseramente sciu-
pato e avrebbero presso i veri raccoglitori pregio
assai maggiore se venissero loro presentate nello
stato vergine del ritrovamento.
Francesco Gnecchi.
A PROPOSITO DI UNA MONETA DI RUBI
NUOVE CONSIDERAZIONL
Bronzo. Peso, grammi 6,16.
^ ~ Testa di PalUde goleata a destra. Sopra PAATTP.
9I — Civetta sa di un ramo. Sopra (lOAAn tOC. Sotto PT.
Allorquando pubblicai per la prima volta questa
moneta nel Bollettino dell'Istituto Archeologico di Roma
a. 1878, asserii che di un tipo siffatto non era stato
mai fatto menzione per lo innanzi. Questo non ò
interamente esatto , perchè, riscontrando , non è
molto, La JRevue Numt'smalt'que del 1843 (pag. 250,
tav. X, n. 6) trovai pubblicato dal de Longpérier un
esemplare della nuova moneta, nel quale non fu visto
però il monosillabo pt e sul dritto fu letto paatei
e sul rovescio aatio. Con strana e falsa attribuzione
fu la moneta assegnata a l'isola di Platia, menzionata,
secondo l'autore, da Stefano Bizantino e da Erodoto.
I miei due esemplari li ho avuti a Ruvo, nel-
l'ìstessa località dell'antica Rubi. Uno è sconserva-
tissimo, ma l'altro, se non fosse per la leggenda del
rovescio in uno o due punti alquanto cotTOsa, sa-
rebbe di una conservazione quasi perfetta.
&60 GIULIO JATTA
Come credo aver dimostrato quando pubblicai
per la prima volta questo monumento^ è chiaro che
tanto il nome che si legge sul dritto della moneta,
quanto quello che anche per esteso si vede sul rove-
scio, sono da considerarsi come nomi di magistrati.
Per quello del rovescio, come dissi allora, oltreché
non trova analogia di sorta con nessun nome di città
di questa o altra contrada, basta, tenuto conto del-
Tepoca e del metallo della moneta, la terminazione
OC e la corrispondenza del nome del dritto, perchè
si possa senza tema di errare asserire ch'esso è un
nome di persona. Che tale sia anche quello del dritto
è reso manifesto da un curioso confronto che trova
questo nome sopra un altro monumento greco della
stessa epoca e dello stesso luogo.
Poco tempo prima che mi fosse riuscito di avere
le monete in discorso, diroccandosi una vecchia pa-
rete di campagna poco lungi dalia città^ furono rin-
venuti parecchi di quei mattoni della forma di un
tetraedro, che tanto comunemente si rinvengono nel
terreno presso di noi. Sopra uno di questi mattoni
è scritto a rilievo faattp, e paatt si legge sopra
un altro rotto quasi per metà come il primo. È inutile
dire come questo luminoso confronto giovi assai bene
a determinare la natura di quel nome.
Il monosillabo pt che in caratteri, non a caso
più grandi, è visibile sotto la civetta, deve sicuramente
esser l'abbreviazione della leggenda ptbasteinon, che
trovasi sopra la notissima moneta di Rubi con l'iden-
tico tipo ma di stile diverso.
La moneta quindi la fo decisamente appartenere
a la monetazione di Rubi, città greca dell' Apulia
nota a' cultori dell'arte antica. E per sostegno della
A PROPOSITO DI UNA MONETA DI RUBI 8G1
mìa opinione valgano le seguenti considerazioni in-
tomo al tipo, alle epigrafi e al luogo di trovamento
della moneta.
Il tipo dì Pallade e la civetta, tipo di orìgine
Ateniese, diventa neirepoca meno antica assai co-
mune in tutte le città dell' Italia Meridionale e quindi
anche déirApulia, tanto nelle monete di sistema ro-
mano, come quelle di Venusia e di Tiati, quanto nelle
monete di sistema greco, come quelle di Azetium, di
Salapia, di Rubi e di altre. È a considerare ancora
che il tipo della nuova moneta è perfettamente simile
a quello delle monete con la leggenda ptbazteinox,
variando soltanto per una maggior secchezza e du-
rezza dì linee che si rivela nei contomi della testa
di Pallade. Ma di questa differenza non si deve poi
fare gran caso, quando si consideri che può benissimo
spiegarsi con la diversità dell'epoca dei due monu-
menti. Questa particolarità dello stile della nuova
moneta, che potrebbe indurre qualcuno a classificarla
tra le più antiche di bronzo di Rubi, pare a me che
possa invece giudicarsi un effetto della decadenza
dell'arte e il monumento allora riportarsi ad un'età
posteriore, se non a tutte, forse a la maggior parte
delle altre monete dello stesso metallo.
In quanto a le epigrafi è da considerare che, se
i due nomi scritti per intero sono certo nomi di ma-
gistrati, allora la sillaba pt non si può diversamente
considerare, se non come la indicazione del nome
della città. Né, se cosi non fosse, si potrebbe spie-
gare una particolarità, che deve giudicarsi non del
tutto fortuita. Questa particolarità consiste nella forma
assai più grande delle altre in cui sono scritte le let-
tere della sillaba pt; con che si voleva, a me pare,
302 GIULIO JATTA
indicare che questa sillaba aveva un significato ed
una importanza maggiore delle altre parole messe
su la moneta, perchè se queste indicavano dei nomi
particolari di magistrati, quella invece era la espres-
sione della città tutta, era il nome di tutto il popolo
che coniava la moneta.
Che il nome urbico si trovi assai comunemente
nell'esergo della moneta è un fatto abbastanza noto;
come é anche noto che, se vi sono parecchi esempii
in cui il monogramma del magistrato è posto nel-
Tesergo, questo però non avviene tanto di frequente
quanto per il nome del popolo.
Che infine sia di un valore quasi decisivo in
favore della mia attribuzione il curioso confronto,
di cui sì è fatto innanzi parola, tra il nome della
moneta e quello del mattone trovato in Ruvo stesso,
sembrami chiaro abbastanza.
Per il luogo di trovamento è da notare che uno
dei due esemplari trovavasi da molto tempo nel mo-
destissimo medagliere della mia famiglia, e poiché
quella piccola raccolta è stata a poco a poco formata
con le monete che si aveva occasione di comperare
sul luogo stesso da' contadini che le scoprivano, né
essendo possibile supporre che si cercasse o compe-
rasse di fuori una moneta tanto guasta dal tempo
che si fu costretti a relegarla tra le incerte non solo,
ma a gittarla nello scarto, fu certamente trovata a
Buvo e qui non dirò comperata, che non poteva va-
lerne la pena, ma avuta per una occasione qualunque.
Dell'altro esemplare poi, di cui offro qui un esatto
disegno, posso su la fede del mio amico can. Fatelli,
che me ne faceva gentilmente dono, con certezza
assicurare essere di origine mvostina, perchè fu, pochi
A PROPOSITO DI UNA MONETA DI RUBI 868
giorni prima che io Tavessi, rinvenuta da un conta-
dino che zappava la terra.
Non perchè due esemplari ne furono rinvenuti
a Ruvo intendo assolutamente dedurne che questa
moneta si debba necessariamente attribuire a la mo-
netazione di quest'antica città ; ma stimo d'altronde
inutile ripeter quello che già ai numismatici è no-
tissimo, che il luogo di trovamento, quando è accop-
piato ad altri criterii, sia uno degli argomenti più
valevoli nell'attribuzione delle antiche monete.
Il Friedlaender nella Zeitschrift far Numtsmatik
(B. Vn, s. 183), annunziando la mia piccola scoperta
numismatica, non trovò nulla da ridire su Tattribu-
zione, che mi sembra davvero indiscutibile, della mo-
neta. Accettò la lezione della leggenda del dritto^
su la quale non cade dubbio alcuno, ma cercò mo-
dificare quella del rovescio; gli elementi visibili che
io lessi e leggo: fP-AAntoc credette gratuitamente
supplire con ^ aamog e suppose che la lacuna tra
t ed A fosse una lacuna naturale e che alla leggenda
nulla mancasse. Per convincerlo fui costretto a man-
dargli originalmente il monumento. Dopo di che, nel
seguente fascicolo della Zeitschrift f. Numtsmatik^
s. 357, egli scrisse che una ripetuta accurata osserva-
zione aveva dimostrato che la iscrizione del rovescio
sia h^AAOiOG in lettere non interamente regolali.
Accettava quindi la mia lezione con la semplice dif-
ferenza che nella prima lettera vedeva una sola li-
neetta invece di due e neirantipenultima, nessuna.
Ma che nella prima lettera le lineette sono due lo
confessa lo stesso Friedlaender quando dice: la se-
conda lineetta potrebbe essere un casuale solleva-
niento. Osservando attentamente il monumento si
86 i GIULIO JATTA
vede che la seconda lineetta esiste veramente, e non
può supporsi casuale. Nell'ai ti'a lettera in questione
non compariscono cosi chiaramente come neUa prima
le due lineette, ma se ne vedono soltanto le traccie.
Poiché a quel posto non si può supporre un segno
di aspirazione quale sarebbe h, e poiché questa let-
tera in tutto il resto è somigliante alla prima, ho
creduto allora e credo anche adesso che questa let-
tera sia la stessa della prima e che le due lineette,
delle quali si vede chiaro un piccolo accenno, siano
quasi state distrutte da Tattrito.
Farmi ad ogni modo che sia assai più facile e
naturale supporre che una piccola parte della lettera
sia stata danneggiata da Fuso, anziché, come ha fatto
il Frìedlaender, imaginare che vi sia stata aggiunta
dal caso. Or questo fatto casuale si ripeterebbe due
volte nella medesima leggenda, perchè anche nella
antipenultima lettera dovrebbe ritenei'si per casuale
la comparsa della lineetta, essendo il Frìedlaender
di opinione che queirelemento fosse un jota riuscito
troppo lungo. Ma che esso possa invece essere la
stessa lettera del principio sembra farlo comprendere
lo stesso numismatico tedesco quando, anteponendo
ad ogni idea preconcetta la verità scientifica, ag-
giunge: questo I ha alto rilievo, mentre le linee
laterali, le quali qui sono visibili e rappresentereb-
bero K, non hanno nessun rilievo, ma sono soltanto
delle macchie o iiTegolarità del fondo.
Ma come mai quelle irregolarità del fondo sono
proprio avvenute in quei due punti e nella stessa
maniera? Certamente è strano; ed è chiaro nello
stesso tempo che le ultime osservazioni del Frìed-
Jfiender, se elevano dei possibili e lontani dubbii
A PROPOSITO DI UNA MONETA DI RUBI 365
SU la mia lezione della leggenda del rovescio, non la
compromettono affatto, anzi, se non m'inganno, mi
sembra che la confermino per la più possibile finora.
Insisto quindi, fino a che più giuste e più decisive
osservazioni in contrario non mi sieno fatte, a leg-
gerla cosi: ^'"AAn^oc, da completarsi kaiaaokox o
KOAAaK.02 o sia pure diversamente, essendo naturale
che soltanto dei confronti epigrafici possono scien-
tificamente condurre ad una, se non sicura, almeno
probabile compie tazione.
Rimane a dire qualche cosa della natura delle
epigrafi e quindi del carattere della moneta. È da
questo lato che l'illustre Friedlaender contradisse
decisamente la mia modesta opinione, nella quale
non pertanto, credo di dover rimaner fermo e mi
appello al giudizio dei dotti.
Che la parola paattp del dritto possa riferirsi
a la testa di Pallade,' come non era alieno dal sup-
porre il Friedlaender {vielleicht den Namen der dar-
gesteUten Gòttin)^ è una opinione insostenibile. Il con-
fronto da me riportato dei mattoni, ne' quali esso
è accoppiato ad un altro nome di persona, la esclude
senz'altro. Tanto esso quanto quello del rovescio mi
pare dunque che non si possano meglio considerare
che come nomi di magistrati. La quistione cade
su la natura di queste leggende : Diese Aufschriflen
(scriveva il Fr. 1. e. p. 183) sind nicht griechisch,
sondem messapisch. A me parve e pare tuttora che
quelle epigrafe sieno e debbano essere greche. Che
sieno greche sembra confermarlo il confronto stesso
dei mattoni, per la ragione che su questi non compa-
riscono che nomi, almeno per forma epigrafica, pu-
ramente greci, e per l'altra ragione ancora che del
47
SOG GIULIO JATTA
pari genuinamente greco è il nome che comparisce
su l'altro lato del mattone che porta paattp.
n confronto dei nomi faatopas e nAATORBiHi
trovati dal Mommsen in iscrizioni messapiche, parmi
che formino piuttosto una prova in contrario ; perchè
su la moneta, se fosse messapica, si sarebbe dovuto
trovare adoperata la forma e la desinenza messapica
come in quelle. Nulla invece di messapico trovo nella
parola n^aTup; la quinta lettera anzi, è puramente
greca. Infatti, nelPalfabeto messapico certa è la man-
canza della lettera u, dice il Mommsen (Iscrìz. mes-
sap. p. 13).
Tutte le lettere parimenti che compongono il
nome del rovescio sono, è vero, di forma alquanto
irregolare, ma essenzialmente greche; decisamente
tali sono in particolar modo le lettere ^, G ed n, la
quale ultima, a dire del Mommsen (1. e), non com-
parisce mai nelle iscrizioni messapiche. Né sappiamo
comprendere per qual ragione la terminazione oc il
Friedlaender chiami Messapica {die Endung o;, sie
scherni hier sicher, fstetne messapische. — 1. e. p. 184),
mentre essa è una delle desinenze più comuni dei
nomi greci.
In quanto finalmente al confronto che il chia-
rissimo nummologo tedesco riportava in questa occa-
sione dell'altra moneta di Rubi con la leggenda
rPoEE^E, perchè potesse avere un qualche valore bi-
sognerebbe prima esser sicuro che quella sia vera-
mente una iscrizione messapica, come opinò il Momm-
sen (1. e. p. 57). Per me, tanto fpo quanto ee non
so diversamente considerarli se non come abbre-
viazioni di due diversi nomi di magistrati mone-
tali greci. Non è inutile notare che in uno dei due
A TROPOSITO DI UNA MONETA DI RUBI 367
esemplari di questa moneta che si conservano nel
Museo Jatta (CataL st. v. p. 1015, n. 1787-88) il glo-
betto dopo PP e più grande e potrebbe esser consi-
derato come un piccolo o, mentre il secondo è chia-
ramente un punto di distinzione; nell'altro invece
il primo globetto non differisce affatto dal secondOi
come nella moneta del British Museum (cat. n. 11)
ingiustamente corretta dal Friedlaender. Deve anche
tenersi presente che Tultima lettera non ha nulla
che fare colle antecedenti; talora è E, talora k (Mus.
Jatta, Catal. p, 1015 n. 1788).
Ammettendo la congettura del Friedlaender, che
le epigrafi di questa moneta sieno da considerarsi
per messapiche, due ipotesi si possono fare: o sup-
porre che la moneta sia stata emessa dai Greci con
leggende messapiche, o che sia stata, coniata addi-
rittura da Messapii. La prima ipotesi non sembra
in nessun modo sostenibile, perchè oltre a non essere
affatto ragionevole e naturale, non trova nello stesso
tempo confronto alcuno nella monetazione della stessa
contrada.
Per me pare molto evidente che, ammettendo la
messapicità delle epigrafi, bisogna necessariamente
ritenere che la moneta sia di emissione messapica.
Greci, come quelli che abitavano le colonie dell' Apulia
e che la monetazione stessa dimostra essere stati
molto intimamente legati per rapporti di origine, di
natura e di condizioni politiche a quelli di Taranto,
non potevano consentire che i magistrati monetali
scrivessero i loro nomi su le monete in una forma
che non fosse pienamente greca. I fatti confermano
questo: i monumenti numismatici chiaramente di-
mostrano che furono ì popoli del luogo che adatta-
S68 G. JATTA - A PROPOSITO DI UNA MONETA DI RUBI
rono la loro monetazione non solo al sistema, ma
ancora a la tecnica ed a la epigrafia greca.
Bisognerebbe dunque ammettere la seconda ipo-
tesi e imaginare nelle colonie Appule un periodo di
monetazione Messapica per necessità molto antico
ed anteriore certamente a la dominazione greca.
Posteriore non pò trebb 'essere, perchè vediamo nelle
altre città delVApulìa, ove a la greca monetazione
segui la romana, anche le ultime emissioni imme-
diatamente antecedenti a questa esser sempre e pu-
ramente greche.
Ma anche questa ipotesi mi pare che sia deci-
samente da rifiutarsi, almeno per ora, per la vali-
dissima ragione che un fatto di si grande importanza
per la storia della monetazione dell'Àpulia non si
può stabilire senza avere prove o argomenti storici di
sorta o almeno monumenti sicuri che lo confermino.
Finalmente, senza andare più per le lunghe,
credo non sia da dubitare che questa nuova mo-
neta di Rubi, e per questa considerazione e perchè
da quanto innanzi si è detto risulta che le sue epi-
grafi non pure non hanno nulla di decisamente mes-
sapico, ma presentano anzi alcuni caratteri che li
determinano addirittura per greche, sia da giudicare
un monumento puramente greco, un genuino pro-
dotto dell'ultimo periodo della greca zecca dell'an-
tica Rubi.
Napoli, maggio 1890.
Giulio Jatta.
É davrero esìstita la zecca di Hesocco ?...
I.
È opinione degli storici e dei numismatici, che
sul cominciare del secolo XVI Gian Giacomo Tri-
Yulzio abbia aperta una zecca in Mesocco e che
ivi pure lavorasse V abbiatico suo Gian Francesco
sin verso il 1526, anno nel quale , distrutta quella
rocca dai Grigioni, la zecca Mesolcinese venne tra-
sportata in altro borgo della valle.
Noi però, basandoci su notizie e documenti ine-
diti, crediamo poter dimostrare che quella zecca
non è esistita; ma che altrove e prima dell'epoca
sin ora creduta, aveva Gian Giacomo impiantata la
sua officina monetaria.
Vediamo come si formò la leggenda di questa
zecca.
Il Muratori (1), primo investigatore scientifico di
numismatica italiana, attribuì a Vigevano le poche
(1) L. A. Muratori, Ant/quitates Medii Aevi. Tomo II, col. 747 e seg.
Mediolanì, 1737-42. Prima di lui però , il cronista Egidio Sacchetti ,
nel De Viglevano Encomium. M6diolaiii,1596 ap. baer. I. B. Colonii, aveva
asserito: e Jacobns Trivaltins Viglevani nnmmos aereos argenteosqne per-
€ cuti jassit cnins generis etlamnom snnt apnd Cives >.
370 EMILIO TAGLIABUE
monete di Gian Giacomo ch'egli illustrò e sulla sua
fede lo hamio ripetuto T Argelati (2), il Carli W, lo
Zanetti W, il Gradenigo (^), il Bellini (6) e il BiflSgnandi
Buccella (<^). Lo Zanetti in seguito , non trovando
nelle gride monetarie Milanesi il nome di Vigevano,
pel primo dubitò che la zecca Trivulziana lavorasse
nel feudo di MesoccoW.
Il Mazzuchelli (^), fonte alla quale attinsero tutti
gli autori del nostro secolo, con validi argomenti
eliminò la zecca di Vigevano, attribuendo alle zecche
di Mesocco e di Musso, le monete battute dal Magno
Trivulzio.
Secondo il Mazzuchelli , provano V esistenza
(2) Ph. Argblati, De Mcnetis Italiae. Mediolanì, 1750-59. P. m, Ai)-
pendice, pag. 77 od ivi CoroD., 13, 27, 28.
(3) G. B. Carli, Delle monete e dell' istituzione delle zecche d^ Italia,
Milano, MDCGLxxxv. Tomo II, Dissertazione II, P. n, pag. 167.
(4) Quid' Antonio Zanetti, Nuova raccolta delle monete e zecche
d'Italia. Bologna, 1779, in-4,'' Tomo n, pag. 44, nota 60.
(5) Monsionorb Gradenigo, Indice delle tnonete d'Italia ^ nella ttic-
colta di Guid' Antonio Zanetti. Tomo II, pag. 161.
(6) Bellini Vincenzo, De Monetis Italiae Medii aevi non mmlgatis.
Ferrarìae, mdcclv. Dissertatio, pag. 112. Ferrariae, mdgolxvii. — Altera
dissertatio, pag. 138. Ferrariae, mdcclxxiv. — Postrema dissertatio, pa^^ 99.
(7) Prof. AvY. Pietro Giorgio Biffignandi Buccella, Memorie iato-
riche della Città di Vigevano. Vigevano, 1810, pag. 150. — Prudentemente
attribuì a Vigevano le sole monete col titolo di marchese di Vige-
yano. A pag. 257 di questa memoria ò ristampata la cronica del Sacchetti.
(8) Zanetti, Op. cit Tomo V, pag. 122, 123, nota 78. — In questa
nota lo Zanetti parla anche della zecca di Musso esercitata dal Tri-
vulzio, basandosi sopra una grida del conte di Foix pubblicata in Parma
al 4 Agosto 1519, ove si indicano le monete di Musso come trivulziane.
Erroneamente però, attribuisce a Mesocco nel Tomo II , pag. 159 , op. cit
le monete battute a Betegno nel 1676 da Antonio Teodoro Trivulzio.
(9) Pietro Mazzuchelli , Informazioni aopra le zecche e le inoneie
di O. G. Trivulzio. Milano, 1815, in appendice al Bosmiiii. Voi. II, pa-
gina 845-385 con Tavole.
È DAVVERO ESISTITA LA ZECCA DI MESOCCO ? 371
della zecca di Mesocco, i diplomi rilasciati a Gian
Giacomo e la testimonianza dei cronisti.
Quattro sono i diplomi, due i cronisti.
L'imperatore Federico III di Germania, in No-
rimberga, 18 Novembre 1487, concede al nobile ca-
valiere aurato Gian Giacomo Trivulzio l'investitura
del feudo di Mesocco, confermandogli la compera
fatta sette anni prima dai Conti de' Sax o di Sacco
ed aggiungendo ai titoli e privilegi, che godevano i
suoi predecessori, il diritto di batter moneta d*oro o
d'argento in detto castello o nel suo territorio (l^).
Lodovico duca d'Orléans, quale duca di Milano
(in allora solo di nome) e di Valois, conte di Blois,
di Pavia, Belmonte, Asti, ecc. ecc., ai 2 Marzo 1496
in Amboise rilascia patenti a Gian Giacomo per
batter monete a Mesocco, allo stampo e bontà di
quelle d'Asti e di Francia (i^).
Nel 1501 Massimiliano I conferma il diploma
di Federico III, unendovi il diritto di disporre ed
alienare liberamente detto feudo di Mesocco, come
fosse bene allodiale, rimanendo però soggetto alla
giurisdizione imperiale (^2).
(10) Vedi doc. 1 in appondice. Citato dal Mazzachelli, pag. S)48.
(11) > 2 » » » 1 349.
(12) » 5 > » > » 351 sotto
la data 1505. — F. ed E. Gnbcghi, Le monete dei Trivulzio, Milano, 1887.
Trefaz. pag. xxii, non ne fissano ]a data, ma la ritengono posteriore al 1499,
a?endo avuto in quell'anno G. G. Trìvalzio i titoli di Maresciallo di Francia e
marchese di Vigevano ripetati nel diploma. — n D. Th. di Liebenau, Zur
MUmgeachichU ton Misocco, etc. a pag. 96, prova che questo diploma devo
ossero del 1501 ; data accettata anche dal Motta, Le zecche di Mesocco e
di Boveredo, etc, pag. 170.
NelPArchivio Trivnlzio , Araldica cart. 11, esiste una procura (perga-
liiena ori^nale) del 5 loglio 1494, stesii dal notajo Giacomo de P^nicii^
872 EMILIO TAOLIABUE
Infine Lodovico XTT re di Francia e duca di
Milano al primo Maggio 1512 in Blois permette a
Gian Giacomo d'aprire zecca a Musso e battervi
moneta alla bontà di Milano come già faceva a
Mesocco 0^).
La zecca di Mesocco è accennata da Cesare
Nubilonio prete cantore della chiesa maggiore di
Vigevano, il quale nella sua cronica, scrìtta dal 1582 al
1584: Deir Origine e del Principio di Vigevano et
Guerre successe a suoi giorni nel 1582, dice: « Gio.
a Giacobo Trivultio godendo il Marchisato di Vige-
a vano, eco. ecc.... teneva in Vigevano residentia a
« ricevere li suoi redditi et altri negotii pertinenti
u al suo dominio; faceva stampare monete a Mu-
a socco nelle quali era scritto : Jo. Jacobus Trivultius
a Marchio Violevani et Francie Marescalcus C^^).
Lazzaro Agostino Cotta d'Ameno nelle aggiunte
al suo Museo Novarese mette a Fu da questo Gio.
a Jacopo Trivulzio introdotta la fabbrica degli arazzi
u e tapezzerie di Fiandra. In Misocco di suo do-
a minio fece batter moneta legitima di liga della
in Solmona, colla qaale il TriTnlzio incarica il prete Giovanni Paolo pro-
posito di S. Vittore e il notaio Alberto da Sal?agno Gronese, di chiedere
in sno nome airimperatore Massimiliano la conferma del fendo di Mesocco,
antorizzandoli a prestare analogo ginramonto di fedeltà. Ritrovandosi però
essa ancora nelPArchivio Trivnlzio, si può supporre non sia stata adoperata.
Nello stesso Archivio ; Araldica cari 11. Copia senza data di nn diploma
di Massimiliano I, il quale ad istanza di G;. G. Trivulzio, conferma la legitti-
mazione del figlio naturale Camillo , fatta da un conte Palatino , accor-
dandogli di poter succedere nel feudo di Mesocco qualora mancasse la
linea mascolina del conte Nicolò figlio legittimo. Questo documento ò certo
posteriore a quello di conferma, forse anteriore al 1501, anno nel quale
Nicolò sposò Paola Gonzaga.
(18) Vedi doc. 7 in appendice. Citato dal Mazzuchelli, pag. 351.
(14) Manoscritto nella Trivulziana. Codice 2255, Mazzuchelli, pa;^. 851,
k DAVVERO ESISTITA LA ZECCA ]>I MESOCCO ? 37S
a grandezza e valore del soldo Milanese e si chia-
u mava soldo Trivulzino , nel circolo d' una parte
« del quale si legge : Jo. Jac. Trivult. March. Violev.
u e nel centro le insegne di sua famiglia, cioè le
u tre haste, nel circolo dell'altra : Marcs. Frano, e
tt nel centro la croce in quattro parti eguali (^5). ^
Le affermazioni dei cronisti sono dal Mazzu-
chelli rinforzate con un documento dell' archivio di
Stato Milanese. Ai 12 Febbraio 1499 da Angera
Leonardo Botta scriveva al Moro: u Heri sera allogiò
a qui in Angleria uno Mulatero de M. Zo. Jacomo
u de Triulcio cum muli dui et oliasse quatro mer-
a cantile piene de croxoli da fondere arzente et
a parlando cum luy me disse che M. Zo. Jacomo
tt era in Asti et mandava dìcti croxoli a Mesocho
u per adoperarli a la Cecha et masima che Thaveva
u trovato in quelli paesi una vena de arzente w (l^).
Ecco quanto si sa sulla zecca di Mesocco.
Pur riconoscendo l'importanza e il valore di
queste prove, noi non le crediamo contrarie alla
nostra tesi, ma colla scorta d'altri documenti e notizie
sulle condizioni e vicende del feudo, le interpretiamo
(15) Opera stampata in Milano € Per gli Heredi Ghisolfi MDCCI >.
Airesemplare della Trìvnlziana (Cod. 1444) è unito un volnmiuoso mse. auto-
grafo del Cotta nel qnale a pag. 474 , n. xxxiii leggeri la citazione del
Mazzuchelli, Op. cit, pag. 852. Nel testo, Mesocco è scritto sopra una can-
cellatura illegibile.
(16) Mazzuguklli , Op. eli , pag. 350. ~ lì Trivulzio si trovaTa in-
fatti nel febbraio 1499 in Asti, quale luogotenente generale del re di
Francia. — Lodovico XII appena assunto al trono ebbe cura di riordinar
le monete e in Asti, antica sua Signorìa, riapri la zecca. Al 27 febb. 1499
il Trìyulzio la diede in appalto al maestro Giacomo dei Conradi e forse
questo zecchiere gli donò i crogioli veduti dal Botta in Angera. (Vedi do-
cumento 4 in appendice).
4»
374 EMILIO TÀGLIABUE
nel senso ch'esse si riferiscono, non aila zecca di
Mesocco, ma alia zecca Mesolcinese.
Innanzi tutto osserviamo. Il feudo di Gian Gia-
como, accennato dai diplomi, dagli storici e dai cro-
nisti col nome di Contea di Mesocco o semplice-
mente Mesocco, non restringe vasi alla rocca di Me-
socco, ma comprendeva la valle Mesolcina dal Colmo
delV Uccello (17) aJ Rial de lumino e tutta la Val
Calanca.
Sin dal 1452 era il feudo diviso in due vicariati,
o giurisdizioni (IS), così risulta dagli statuti stabiliti
in quell' anno al 3 Dicembre in giorno di domenica
fra il magnifico conte Enrico de Sacco e gli uomini
della Valle Mesolcina.
Al tt Capitulum sectum — Pofiendi Vicarios ^ si
legge che il conte Enrico u deve ogni anno nel
(17) VAvia dei Romani ; nel Medio evo si disse Culmen Ocelli, Colmo
delV Uccello, Culmmum de Olcello, montem qui vulgariter dicitur VogeL
Verso la metà del secolo XY il conte Enrico di Saccb e le yicinanzo com-
ponenti la terra di Mesocco, eressero un' ora prima del passo una chiesa
dedicandola ai SS. Bernardino e Sebastiano. Con istrumento pubblicato
sulla piazza di Cremeo dal notaio Zanetto da Haijra di Cama, il 26
Marzo 1467 (copia cart. del 1716 fatta snir originale p. n.) dotarono la
chiesa di beni, unendovi un ospìzio.
Nel secolo XYI il passo mutando nome si chiamò del S. Bernardino.
La chiesa esiste ancora e intorno lo sorse il paese di S. Bernardino,
stazione alpina assai frequentata durante la stagione estiva per le suo
acque minerali. Il nome di Sebastiano caduto in dimenticanza, ninno il
rammenta; quello di Uccello restò ad una punta il Vogélspiz (m. 2716)
che domina quel passaggio alpino.
(18) Erroneamente G. A. X Marca, Compendio Storico della Valle Me-
solcina, Lugano, 1838, pag. 124, forma del feudo di Mesocco una sola giu-
risdizione. La divisione in 3 Vicariati data in seguito dalPÀ Marca stesso
e dallo SprecheR; Pallas Rhaefica, ecc. Basilea, mdcxvii, pag. 212, come
deiranno 1651, ò invece anteriore, e venne fatta forse durante il dominio
di Gian Francesco Trivulzio.
È DAVVERO ESISTITA LA ZECCA DI MESOCCO ? 375
u mese di dicembre porre un Vicario nel Vicariato
u di Roveredo e uno in quello di Mesocco i quali
u però non sieno del casato dei Sacco (^^). rj
H Vicariato alto o di Mesocco, aspro e montuoso
scendeva dal passo al ponte di Sorte e lo compo-
nevan le vicinanze di Crime, (Cremeo), Leso, Anzone,
Ciabbia, [Cebbia) Andèrslìa, (Andergia) d'Arva, (Barba)
Loggiano e Doira, le quali riunite prendevano il nome
di terra di Mesocco o Mesocco sopra il Castello, e
Scazza e fòrs' anco Cabbiolo e Lostalto, dette anche
Mesocco sotto il castello (2^).
Nel mezzo, in luogo fortissimo e isolato, la rocca
di Mesocco, la quale dominando la via che dalla pia-
nura Lombarda conduceva alla Rezia ed ai paesi
d'AUemagna, dava nome ed importanza alla Valle.
Il secondo Vicariato basso o di Roveredo ab-
bracciava la bassa Mesolcina e tutta la Val Calanca.
Se poca importanza aveva la Calanca, povera
vallata chiusa e stretta fra altissimi monti, era in-
vece la bassa Mesolcina o Val Piana la parte più
ricca del feudo.
Ivi la Moèsa divallando, stese piani d'ubertosa
campagna, sulla quale bruscamente levansi le Alpi
coi piedi coperti da floridi vigneti (^i), e i fianchi da
(19) Archivio TrìTulzio; Araldica Oart. 10. — Preziosa raccolta di leggi
e ordinazioni Mesolcinesi. Cod. su pergamena del secolo XV, come risalta
dalla intestazione , doveva appartenere allo stesso Gian Giacomo Tri-
vnlzio. Sa qaeste leggi e salle anteriori dei 1436, stiamo compilando an
lavoro in collaborazione coll'egregio amico ingegnere Emilio Motta.
(20) Cosi nellMstramento accennato nella nota 17.
(21) BioHR, Codex Diphmaticus. Char. Yol. 1. Cod. 193, pag. 283; rì-
prodace an inventario (credesi del 1200) dei beni della sede vescovile di
Coirà, nel qaale troviamo segnato, che a S. Vittore possedeva de pino Car»
ratas ti.
à76 teMìLlO TAaLlABÙÉ
fitte selve d'abeti. Alla Val Piana appartenevano
borghi popolosi; San Vittore sede della Canonica
Vallerana (22), Grono allo sbocco della Val Galanca
e Roveredo la terra' più grossa ed importante della
Contea.
Roveredo posto nella parte meridionale della
Valle sulle due sponde del fiume Moesa, aveva co-
mode e facili comunicazioni col paese dei Confede-
rati e col ducato. A Roveredo risiedevano i Com-
missari del Trivulzio, i quali in suo nome vi radu-
navano il supremo tribunale Criminale composto di
28 giudici eletti dalla valle e presieduti dai Vicari
dì Roveredo e Mesocco (23) ; aflfittavano alpi e fondi ;
riscuotevano le taglie e decime comunali ; sorveglia-
vano r esazione dei dazi.
Nel castello di Mesocco posto in luogo inespu-
gnabile e selvaggio al fondo della valle nessun com-
missario, ma uno o due castellani, chiusi nella rocca
superbamente ritta fra la solitudine delle Alpi.
Cronisti e storici parlano dell'importanza di
Nella Trivnlziana si conseryano parecchi contratti stipnlati dai Gommis-
sail di G. Giacomo per la compera di tini, botti, cantine, ecc.
NeirArchivio parrocchiale di S. Vittore (Mesoleina)^ livello (pergamena
originale) in data 17 Aprile 1531 per vino che la chiesa di S. Vittore deve
fornire a G. Francesco TrìTulzio.
(22) SS. Giovanni e Vittore, eretta a Collegiata al 21 Aprile 1219 da
Enrico de Sacco ; vi risiedevano 4 canonici. Carta Eondationis Eccleslae
Collegiate et Plebis SS. Joannis et Victor!. Docamento di recente pubblicato
dal LiBBENAU, / Sax Signori e Conti di Mesocco, in < Bollettino Storico
della Svizzera Italiana » Bellinzona, 1890. Fascicolo Marzo-Aprile, pag. 60.
(23) Emilio Taoliabub, Un bando contro le monete Trivulziane, in
e Rivista Italiana di Nnmismatica >, Anno II, Fase. II, pag. 18, nota 2.
Milano, 1889.
Cosi risulta anche in molti processi di qnel tempo da noi vedati nella
Mesolcina e nelPArchivio Trìvalzio.
k DAVVERO ESISTITA LA 2ECCA DI MBSOCCO ? 377
Roveredo e del palazzo che vi aveva il Trivulzio;
ma copiandosi Tun l'altro, fan capo tutti allo Spre-
clier(2^), il primo che ne faccia cenno con qualche
dettaglio. Per non ripeterli , cercheremo nei docu-
menti dell' epoca nuove informazioni.
Al 17 Dicembre 1478 i Commissari ducali in
Bellinzona avvisavano il duca di Milano che il conte
Enrico de Sacco teneva « in Roueredo un palatio
a di molte munitioni et artiglierie (25) » e che in-
tendevano spedirvi quella notte il maestro bombar-
diere Francesco da Mantova per impadronirsene (26).
Una lettera senza data né firma, ma certo an-
teriore alla compera di Mesocco, ci dà preziose no-
tizie sui possessi del conte Enrico de Sacco. Di
Roveredo cosi parla l' ignoto scrittore : u la terra
u de Roueré grande ben acasata in piano ma non mu-
a rata con uno bello palazzo dentro che è suo (del
tt conte Enrico di Sacco) de le quatro parti le tre
a e r altra parte de un suo nepoto. E la se inco-
(24) Sprbchbr, Op. cit., pag. 212. e Bogoretam hic palatio Comitam
€ erat a Joanne Jacobo Trivnltio samptaose exornatam item tarrìs do Bef-
'€ fano et Tarrìs del Ana fea do Bogiano dieta. >
Jban db MulIìBR, Hisioire de la ConfAieratwn Suisse. Paris-Laa-
sanDO, 1840. Tom. 8, liv. Y, Gap. Ili, pag. 313. e Trivulce prenait plaìsir
€ «a chfttean-fort qui dominait Crimeo; tontefois, il choisit a Bogorédo
< ano belle habitatìon qn'il voalait orner avec magnificence. >
Carlo db Bosmini, DelVistoria intomo alle militari imprese ed alla
vita di Gian Jacopo Trivulzio» Milano, 1815. Voi. 1.
FÀsr, Staats und Erd Beschreibung der Schweiz. Yo]. 4, pag. 12^.
Zùrich, 1768. e II conte G. G. Trìvnlzio aveva costratto a Boveredo nn
< superbo palazzo abbruciato dai confederati nel 1503 ».
Leu. YoI. XY, pag. 356, edito nel 1759, accenna al palazzo di Boveredo
distrutto dai confederati nel 1503.
(25) Motta Bmilio, Regesti Svizzeri del 14 78, Bellinzona, 1882, pag. 160.
(26) Impresa fallita, caasa la grande quantità di neve caduta.
378 EMILIO TAGLIABUE
tt menza la Val de Mixoch che dura dieci miglia
a persino al Castello e ghe paregie ville dentro (27).
Colla compera del feudo passò a Gian Giacomo
la proprietà del castello o Palazzo di Roveredc ,
che ristaurato si destinò a sua abitazione per
quando veniva in Valle. Infatti al 3 Febbraio 1481,
u in stupa magna scita in roueredo in domo sue
a dominatione » egli confermava e prometteva ri-
spettare e mantenere gli ordini statuti e capitoli
della terra di Lostallo (^8). In Roveredo nel Giugno
1485, accoglieva i capi della lega Grigia (29) venuti
a definire questioni pendenti da tempo col duca di
Milano ; delegati che arrivarono al 27 di quel mese
come egli ne informò il duca: u ò rivato il Reverendo
a Vescovo di Coyra (^), Monsignore l'abbate de De-
u sertina (3^) et el Vicario de la liga accompagnati da
u parechij homini da bene ; et tra li altri el prefato
u D. Episcopo e venuto molto bene in puncto cum
u una brigata de Caualli cum persone tute vestite ad
a una livrea et certo ha una cera de homo da bene
tt et me pare persona molto grave. Misser Conradino
tt da Rotzùnie che ancora luj e uno de questi signori
u de la liga Grixa (^2).
Ma le trattative non furono né facili né spiccie e
al trenta di Giugno, partita quella brigata, il Trivulzio
(27) Archivio Trivulzio. Cartella autografi, G. Giacomo Trivalzio. Cod.
Cartaceo del secolo XY. Deve essere ana informazione mandata a Gian
Giacomo quando stava trattando l'acquisto della Mesolcina.
(28) Archivio Trivulzio. Araldica Cart 11.
(29) Rosmini, Op. cii Voi 1, pag. 140.
(80) Ort]i(b von Brandis, 1458-1491.
(81) L'Abbate di Dissentis. Giovanni VI di SchOneck, m. 1497.
(82) Archivio Tnvulzio. Corrispondenza di G. Giacomo estratta dall'Ar-
chivio di Stato Milanese, libro 14, p. 29.
È DAVVERO ESISTITA LA ZECCA DI MESOCCO ? 379
riprende la penna e scrive al Secretarlo Ducale Bar-
tolomeo Calco a Roiieredì.... a casa mia li ho trac tati
a talmente che non se ne andarono quanto ad questa
a parte salvo bene contenti, cum grata recolentia
u ben veduti per quanto s' è potuto.... (^) n protesta
però in termini un po'.... vivi per essere ripetuti in
un articolo di numismatica, di non volerne più sapere
di simili impicci.
Il Palazzo di Roveredo era fortificato, e come
a que' tempi le dimore de' feudatari, cinto da fossati,
guardato da torri, munito d' artiglierie ; anzi nella
confederazione fatta colla lega Grigia il Trivulzio si
obbligò a das schlos und vesti masox und den palachs
u tool vcrsogt haben sollerU mit guoten biccfisen und
u guotem geschiitz und allem (3^) w. Palazzo circon-
dato da un vasto giardino; ivi riuniti gli uomini del
Vicariato di Roveredo al 27 Agosto 1503, gli presta-
rono giuramento di fedeltà (^).
Date queste condizioni, non si comprende perchè
Gian Giacomo non impiantasse la sua zecca a Ro-
veredo, ove oltre i vantaggi della posizione, aveva
quello grandissimo di poterla attivamente sorvegliare
a mezzo de' suoi Commissari.
Sta il fatto che nessun diploma, né grida mo-
netaria paria di Roveredo ; ma basandosi su questo,
bisognerebbe ritenere che la zecca Mesolcinese re-
(33) Idem. loc. cit. p«g. 83. Riportata dal Rosmini op. cit. Doc. 1B4
al libro III. Voi. il, pag. 129.
(34) Art. 8 della Lega stretta fra G. Giacomo Trivulzio e la Lega
Grigia, al 4 Agosto 1496. Vedi XII Jahreabericht dea hist-antiq, Gesell-
8chaft von Graubunden. Chnr, 1883.
(35) Archivio Trivulzio. Araldica Cart. 11. Pergamena originale. Istm-
moQto rogito dal notajo Martino figlio di Giai^oiia d'Arabico,
380 EMILIO TAGLIABUE
stasse sempre a Mesocco. Invece esistono libri di
conti e contratti posteriori al 1527 i quali parlano
di una zecca di Roveredo ed il Mazzuchelli ed altri
autori che li citano, per spiegarli ammettono che
distrutta la rocca di Mesocco (1 526), la zecca venne
trasportata nel borgo di Roveredo.
Eppure nella grida pubblicata al 30 Gennaio 1530
in Milano dal duca Francesco II Sforza troviamo an-
cora Mesocco neir elenco delle zecche le cui monete
sono bandite dal ducato (^^) ; segno evidente che Me-
socco serviva ad indicare non una zecca esistente nella
rocca di Mesocco, ma la zecca Mesolcinese.
Ma nemmeno la distruzione della rocca di Me-
socco è ben comprovata ; lo Sprecher i^'^) essendo
la prima e non sicura fonte, delle varianti date
dagli storici su questo fatto.
L'à-Marca la fa atterrare nel 1525 e di varie
leggende facendo un solo miscuglio, ci ricama sopra
uno dei soliti episodi che le tradizioni popolari
fan precedere a queste ruine(^).
Il Trachsel dice che u Gian Francesco préfóra fa-
u voriser le parti de leur ennemi Jean Jacques Medici ;
a les habitans de la vallèe de Misolcino aidós par
a les Grisons demolirent le chateau de Misocco en
(36) Baccolta cronologica di editti ed ordini etnanati nello Stato di
Milano, nella materia delle monete, per Francesco Bellati. Voi. 3 manos.
nella Bibliot. di Brera in Milano segnati G. N. n. Ili r^ — Voi. IL pa-
gina 125.
(37) Sprecher, Op. cii, pag. 128.
(38) G. A. k Marca, Op. cit., pag. 114.
Sa questo episodio noi pare abbiamo pubblicato an fiacconto LV-
iimo Conte della Mesolcina in e Emp. Pittor. » Milano , 1884, il qnale,
dobbiamo confessarlo, aveva di storico U solo nome, b^i^ndosi, solo snllit
tradizionOr
k DAWERO ESISTITA LA ZECCA DI MBSOCCO ? 881
tt 1 526 W. » Perchè Gian Francesco favoriva il Mede-
ghino che due anni prima gli aveva tolto Musso e
le tre Pievi e ferocemente battuta la parte francese,
il Trachsel non lo dice. Gian Francesco Trivulzio,
che da Francia teneva titoli ed onori, dopo la gran
rotta de' Francesi sotto Pavia ebbe confiscati dal-
l' impero beni e feudi ed annullati tutti i privilegi
sin allora goduti dalla sua famiglia.
Nel 1526 parve avvicinarsi allo Sforza, ma è as-
surdo potesse favorire il Medici che gli aveva usurpato
gran parte dei beni ereditati facendosi un dominio
colle sue spoglie. Annientata nel 1526 in Italia la
parte Francese e crescendovi a dismisura la potenza
imperiale, temettero i Grigioni, come già era acca-
duto di Chiavenna, fosser lor tolte all'improvviso tutte
le castella al di là delle Alpi per cui u persuasi che
tf le fortezze senza un giusto numero di difensori non
a potevan esser loro che dannose, fecero smanteUare
a nonché Chiavenna, Mesocco, Morbegno, Pìattamala,
a Masegra, Ponte Tirano, Dosso, Grosio (^). Seguendo
in questo i precetti del Macchiavelli il quale appunto
aveva scritto oc i buoni eserciti senza le fortezze sono
a sufficienti a difendersi ; le fortezze senza buoni eser-
a citi non si possono difendere. »
(39) 0. F. Trachsel, Les atéliers monétairea de la familUde» Trivulzio,
Brazelles, 1870. Pag. 16. In an*altra inMattezza cade il Trachsel, op. cit.
pag. 5, mettendo che Qian Giacomo ebbe il fendo di Mesocco nel 1482 per
10000 scndi (data e somma presa dal Mùller, op. cit Voi. ym, lib. Y,
cap. I[, pag. 212).
n Bosmini, che gli fb goida nel compilare la sna memoria» cita inTece
Tatto di rendita steso dal notajo Pietro Brenna, fatto il 20 Novembre 1480
per 16000 scndi.
(40) FaANCBSCo Saverio Quadrio, DisBeriazicne CriUc<h8t€rica intorno
oUa Rozia. Milano, 1755. Voi I, pag. 12&
49
S82 EMILIO TAGLIABUE
Certo i Confederati non avrebbero favorito e pro-
tetto Gian Franc(5sco, s'egli avesse fatto contro agli al-
leati Grigioni ; invece alla Dieta di Lucerna del giorno
11 Agosto 1525 W il Sig. di Diessbacli chiede si impe-
disca ai Grigioni di distruggere il castello di Mesocco,
come hanno minacciato e nella stessa dieta del
29 Agosto (^) i Confederati, nel timore che i Gri-
gioni saccheggino il Castello di Mesocco, al che pel
loro trattato di borghesia Lucerna e Uri avrebbero
dovuto opporsi, incaricano Glarona d'impedirlo pre-
gando i Grigioni a non far atto d' inimicizia.
Forse nel 1526 la rocca venne smantellata da
non potervi più piazzare artiglierie. Di ciò pos-
siamo dare una testimonianza più attendibile dello
Sprecher, perchè contemporanea. Giovanni Cotura
di Avignone « fonditore e maestro di tuta la arti-
a glieria del Serenissimo Imperatore in Milano » (^),
al 20 Giugno 1537 si reca a Mesocco per sti-
marvi l'artiglieria che vi teneva il Trivulzio. Nella
sua perizia dice u le quali cose tute sono ne la
a terra de Musoco salvo li doi Canoni (**) restatj a
(41) EiDGBNóssiscHE ÀBSCHEiDB, Vol. 4 - 1. a. pag. 751.
(42) Idem. Loc. cit., pa^. 761 - pag. 866. Dieta di Lacerna 20 Marzo 1526.
I Confederati chiedono si trasportino a Locamo e molte pietre d'artiglieria
e che 8i trovano noi castello di Mesocco. »
(48) Archivio Trìvalzio. Araldica Gart. 12. >- Originale di detta perìzia.
Carìosa è la firma del Cottura: un falcono incarrato che fa faoco, colla
parola lOVANI COUTURA intrecciata.
Documento citato anche dal Quarenghi, Tecno- Cronografia delle armi
da fuoco Italiane. Napoli, 1880. Pag. 176.
(44) Che ne fu dei cannoni lo dice lo stesso Cotura < li quali essi
e signori Grrisoni hano promisso a li agentij de lo Ill.mo Sig. Marchese Conte
e di Musoco Sig. Francesco Trìvultio de renderlj et pagar. Come appar per
€ breve et sigillo di essisigr. li quali Canoni sono de la grandezza etqua-
« lità et mesura et de peso corno li alttj canonj de sopra nominati. Como
< li personalmente hanno dito et protestato Jacomo Toscano M. Balsa-
€ remo Bosso li quali lor hanno aiutato condurlj a la dita guerra et ado-
« perarljy et anche altrj hommj da bene de Musoco ».
È DAVVERO ESISTITA LA ZECCA DI MESOCCO ? 883
a lì sigg. grixonj a la dita guerra de medeghino (di
u G. G. Medici) quali artiglierie ballote fomimentj
u sono del prefato sig. marchese et conte ut supra
tt exportati fora del castelo de Musoco et reposti in
u dita terra de Musoco per la Bujna del Castello. »
Grande non doveva essere questa ruina, se un secolo
dopo Gian Giacomo Teodoro Trivulzio, scrivendo al-
l'Albomez , descriveva Mesocco u fortezza adesso
tf rovinata non è però smantellata che in brevissimo
tt tempo e con pochissima spesa risarcendosi non si
tt rendesse di nuovo inespugnabile w (^).
Ma veniamo a prove più positive e concludenti.
Nella Mesolcina la tradizione non rammenta una
zecca di Mesocco. L' à-Marca nel suo compendio a
pag. 99 scrive: u II sopracitato Giacomo Trivulzio, il
tt quale aveva ottenuto il privilegio di far coniare
tt moneta d' oro e d' argento , fece a tal fine già
tt nel primo anno in cui si stabili nella Mesolcina
tt costruire una piccola zecca a Roveredo (*^). Invero
(45) Arcbi?io Trivalzio. Araldica 13. Relaziono presentata al Cardinale
Albomez nel 1635 sulle condizioni della Mesolcina e pretese che su quelle
Talli aTe?a Casa Trivulzio. Notizie assai incomplete e in molti punti ine-
satte, copiate d'altre fornite nel 1622 da Vital Cattaneo a Gian Giacomo
Teodoro Trivulzio; la relazione del Cattaneo ò runico documento da noi
veduto che accenni ad una zecca di Mesocco « ove ò un castello altre volte
e fortissimo et signoreggia tuta la Valle e in la casa de la zecca vi sono
« ancora duoi canoni di bronzo da batteria con Tarma Trìvultia. > Evi-
dentemente il Cattaneo confonde la zecca di Roveredo con Mesocco, i can-
noni poi non eran nel castello ma nella terra , come dice il Cotura, ove
restarono nella casa del comune sino al principio di questo secolo.
(46) Erroneamente Tà-Marca attribuì a Gian Giacomo Trivulzio la
costruzione del palazzo di Roveredo nell'aggiunta alla pag. 99, linea 18,
posta a fine del suo Compendio, e Neil' istesso tempo (dell'erezione della
« zecca) detto Trivulzio fece fabbricare principalmente per dimora del suo
€ Luogotenente un bel palazzo pure in Roveredo che diroccato ora si vede
« dirimpetto alla zecca ma sull'altra sponda della MOesa >. Come abbiamo
Teduto, il palazzo esisteva già ai tempi dei Conti di Sacco.
d84 UMILIO TAGLIABUB
egli più che storico è ingenuo cronista, lo citiamo
perchè fedele narratore delle tradizioni vallerane.
In un inventario del Castello di Mesocco da
noi pubblicato (^''), i Castellani Andrea Brocco e Bat-
tista da Musso ci danno V elenco delle armi e
munizioni esistenti nella rocca loro affidata. E per
farlo i Castellani visitano minutamente ogni parte,
ogni locale del castello dicendone Tuso e chi vi abi-
tava e chi vi aveva abitato; montano sulle torri, scen-
dono nei sotterranei, frugan nei cassoni, entrano nella
chiesa ove sono u li fornimenti da vestir lo preito rj ,
pesano i a piumaxi et coxini 99 e i sacchi di zolfo, con-
tano i barili di polvere e a le cadene del fogo v , misu-
rano il vino nelle botti, annasan la u carna de bò che
tt noi vai niente n , notano le otto grosse bombarde e
tt el fero de far el solazo de li canali, rj la corazzina
di velluto celeste del Signore e il a camixal da homo
trista, rj Eppure, non la più lontana allusione ad
attrezzi di zecca, a locali ove si battessero monete o
aUoggiassero zecchieri.
Dunque nel 1503 la zecca non era nel castello,
ne certo poteva essere nelle vicinanze che compo-
ne van la terra di Mesocco, poveri ed indifesi casolari,
sparsi sulle due sponde del fiume Moèsa (^) mezz^ora
(47) Emilio Tagliabub, // Castello di Mesocco secondo un inventario
del 1503. In € Bollettino Storico della Sv. It. ». Bellinzona, 1889, Fasci-
colo 11-12, pag. 288-262, con 1 TaTola.
(48) LiBBENAU, I Sax Signari e Conti di Mesocco. In e Boll. Stor. >.
Anno 1889, pag. 182, parla della povertà di Mesocco.
I Cronisti del XVI secolo descrivono Mesocco come nn paese povero i
cai abitanti si guadagnavano il pane intessendo panieri ; Zeinenmacher ,
dicono Giovanni Stnmpf ed Egidio Tschndi e tali ancora nel XYIII secolo
si chiamavano a Lucerna i Oalanchini.
Nella Belazione di Yital Cattaneo (Vedi nota 45) si danno a Mesocco
nel 1622 140 fuochi, a Roveredo 300.
È DAVYBRO ESISTITA LA ZECCA DI MBSOCCO ? 886
a monte della rocca. In questo inventario troviamo
nella seconda camera delle munizioni un a picene da
cavar arzento 99 (^}. Ha esso relazione colla lettera
del Botta?...
Nella Mesolcina non si conoscono miniere argen-
tifere, ma verso la fine del secolo XV qualche lavoro
di miniera si fece nel vicino Rheinthal signoria di
G. Giacomo («>).
Filoni argentiferi si avevano nel Landschafb di
Schams e di Rhftzuns (P^) che G. Giacomo cercò com-
perare da quel conte Giorgio di Werdemberg e Sargans,
chiamato nelle lettere ducali Conte Giorgio di Sana-
casa. Di questo dà notizia al duca di Milano Gio-
vanni Porro Commissario ducale in Bellinzona, scri-
vendo al 14 Gennaio 1496 (^^) u intendo che domino
a Jo. Jacobo de Trivultio è per comperare la signoria
u de Rezanio (^) vicino alla Valle de Reno aprezo a
u Cojra a quatro o sey milia, et chel sia il vero, el va
a adesso zoe el di de ogi uno de Valle de Reno qual
a passa per qui et va da Domino Jo. Jacomo per as-
tt settare questa facenda, ecc. et questo intendo sarà
tt in detrimento della Exellentia Vostra v . A quei tempi
ogni piccolo conte e barone ambiva possedere 0 scoprire
miniere ne' suoi domimi; quantunque sovente, anziché
ricchezze, procurassero la rovina agli ignoranti signori
che s'ostinavano a sfruttar miniere d'oro o d'argento
(49) E. Taoliabub, Il Castello di Meaoceo, ecc.» pag. 247.
(60) Placidus Plattnbr, QeschichU dea Bergbau's der Osilichen
Sehwéig. Char, 1878, pag. 29.
(51) Idem. Loe. cii, pag. 55.
(52) BosMiNi, Op. cit. Voi. 1, pag. 290 — doc XI al libro VII.
(53) BhàzUna trovasi 14 Kilom. al Sud di Coirà sullo stradale che
conduce allo Splaga e al S. Bernardino.
886 BMILIO TAGLIABUB
affatto improduttive. Probabilmente i crogioli accen-
nati dal Botta servirono a fondere metalli o per as-
saggi su minerali argentiferi o creduti tali ; in
termini generici scrisse che andavano a Mesocco, pur
non sapendo in qual paese della valle si sarebbe fer-
mato il mulattiere.
Due altri inventari del Castello di Mesocco si
conservano nell'archivio Trivulzio.
Uno del 1511 (^), il secondo del 1517 coU'intesta-
zione: u Consegna fatta a di 30 Augo. 1517 da toso da
a Candia olim Cast."* in mano de m. Paolo Gentili de
u Seravalle scripto per mano de Battista di Pellizaro
tt da Musso ri (55). In quello del 1511 nessun cenno ad
attrezzi di zecca^ nell'altro del 1517 troviamo regi-
gìstrato u Ne la camera bianca casa (cassa) una in-
u ciodada (o ingiavada) piena de feracta de la cecha. n
La fortuna di Gr. Giacomo strettamente unita a
quella di Francia subì dal 1511 al 17 brusche né
ancor ben conosciute vicende (^\ e i suoi rapporti coi
Confederati e le tre Leghe, più che a suoi particolari
interessi, dovettero uniformarsi a quelli del re di
Francia. Parecchie volte questi rapporti furono pes-
simi e la Mesolcina ne subì le conseguenze, corsa e
ricorsa da Confederati e Grigioni, messa a fuoco e a
ruba e fors'anco per qualche tempo stabilmente occu-
pata. Certo in tanti disordini e trambusti tacque la
zecca Mesolcinese , se pur non fu data preda alle
(64) Archivio Trìvdzio. Araldica Cart 12. Cod. cartaceo del secolo XVI.
(65) Idem. Araldica Cart 12. Cod. cartaceo del secolo XVI. Mss. di
Battista di Pelizzari da Mosso.
(56) Questo, ben inteso, solo per qaanto rìgaarda la parte Mesolcinese.
Storia che manca totalmente pel periodo Trivnlziano.
k DAVVERO ESISTITA LA ZECCA DI MSSOCCO ? 887
fiamme nel 1511 i^V. Noi supponiamo che stanco
delle continue incursioni e malsicuro del feudo finché
il re di Francia durasse in nimicizia coi Confederati,
dopo gli incendi dell' 11 Gian Giacomo, chiusa la
zecca Mesolcinese, nel castello di Mesocco ne traspor-
tasse gli attrezzi, come luogo più sicuro della Contea.
A non perdere i proventi della zecca si fece il
Trivulzìo nel 1512 rilasciare da Lodovico XII un
nuovo diploma , che gli permetteva d' aprir zecca a
Musso e battervi moneta, u come aveva prima co-
a stume di fare a Mesocco w (58). E a Musso, lavorò
forse anche Gian Francesco finché quella rocca e le
tre Pievi e il Contado di Chiavenna caddero nelle
mani del Medeghino. Cosi si spiega come nel 1517
poteva esserci nel castello di Mesocco una cassa chiusa
e piena di ferri di zecca e perchè nelle gride mone-
tarie del 1518e 19 le monete Trivulziane son chia-
mate sempre « monete di Musso. »
Ma ben più importante sono due documenti che
abbiamo avuto la fortuna di rinvenire neir archivio
Trivulzio. Essi a parer nostro sciolgono completa-
mente la questione, attestando che Gian Giacomo sin
dal 1497 teneva in Eoveredo una casa destinata
airuso di zecca, e sotto tal nome appunto cono-
sciuta. Colla data 23 giugno 1497, Azino da Lecco
procuratore del Trivulzio ed abitante nella zecca di
RovEREDO, contratta del legname da consegnarsi a
Lostallo e Cabbiolo vicino al fiume Moésa. Nella
(57) Giovio B., Historia patria. 11 ediz. Como, 1887, pag. 114 e insig^es
€ TrÌTiiItii aedes apnd Boyerìam cremaverant, 1611 ».
(58) Tedi doc. 7 in Appendice.
888 BMILIO TAOLIABUE
chiusa il notaio Giovanni del Piceno attesta che
ristrumento è a actum in pasquedo roueredi in domo
ZECHB w (69).
. Il ^ documento porta la data 17 marzo 150^,
è rogato dal notaio Giovanni Amadiristo a in roue-
a REDI IN PASQUEDO IN CECHA » e fra i testi figura un
maestro di zecca detto Zanetto (^).
Come abbiamo cercato dimostrare, le condizioni
del feudo, l'aver Gian Giacomo palazzo e commissaii
in Roveredo, Tesser quello il borgo più importante,
capitale diremo così, della contea, lo indicavan sen-
z'altro a sede della zecca ; né i diplomi si oppongono
a questa versione, se li interpretiamo nel senso logico,
che parlino del feudo di Mesocco, pur non essendo
Mesocco nome che si dava indifferentemente a tutto
il feudo, alla rocca e alle vicinanze sopra e sotto il
castello. La tradizione poi e i documenti delTepoca
da noi prodotti, tutti concordano nel fissare a Ro-
veredo la sede della zecca Mesolcinese.
Crediamo quindi poter affermare che G. Gia-
como Trivulzio e non Gian Francesco impiantò
la zecca di Roveredo e che la zecca di Mesocco, non
essendo esistita, va cancellata dal novero delle zecche
medioevali.
(59) Vedi doc. 8 in Appendice.
(60) Vedi doc. 6 in Appendice.
È DAVVERO B8ISTITA LA ZECCA DI MESOCCO ? 389
II.
Quando incominciò il Trivulzio ad esercitare il
suo diritto di zecca?
n Mazzuchelli ed i Gnecchi non lo stabilirono.
H Liebenau vorrebbe dopo la conquista del ducato
milanese da parte di Lodovico XII, cioè dopo l'ottobre
del 1499 (^^) ; supposizione che non regge coi docu-
menti da noi prodotti. Se nel 1497 Gian Giacomo
aveva in Roveredo una casa la quale veniva nei pub-
blici istrumenti chiamata zecca, già da tempo doveva
essere a tal uso destinata; abbiamo inoltre il diploma
rilasciato a Gian Giacomo nel 1495 dal duca di
Orléans, il quale, interpretato letteralmente, dice che
fin d'allora esisteva una zecca Mesolcinese.
Se poi consideriamo, che smisurata ambizione
era la nota dominante del carattere di Gian Gia-
como e che molte sue monete d'oro e d'argento
portano il solo titolo di conte di Mesocco, dobbiamo
supporre le abbia battute prima della conquista del
ducato , quando non aveva i titoli di marchese di
Vigevano e Maresciallo di Francia (^^).
Secondo noi, il Trivulzio, ottenuto il diploma da
Federico III, o poco dopo, apri la zecca di Roveredo,
e al periodo compreso fra quell'epoca e il 1499 appar-
(61) Zur Munzgeschkhte van Miaoeco, in < Balletin de la Sociétó Snisse
de Nnmismatiqae >• VI Année, pag. 96.
(62) Grian Giacomo Tenne nominato Marchese di Vìgerano e Maresciallo
di Francia nel Novembre 1499.
Oo
890 EMILIO TÀ6LIÀBUE
tengono tutte le sue monete che portano il solo
titolo di conte di Mesocco.
n diploma imperiale gli apri i mercati della
Rezia e finché non ruppe fede al Moro, potò certo
introdurre le sue monete anche nel ducato, e noi
non vediamo la ragione perchè dovesse tardare a va-
lersi di un privilegio da lui chiesto e fonte di lauti gua-
dagni. L'acquisto fatto dal conte Giorgio di Wer-
demberg e Sargans delle Signorie del Rheinthal e del
Safienthal (^) e la lega stretta coi Grigioni nel 1496,
certo favorirono l'attività della zecca di Roveredo,
finché le strepitose vittorie di Lombardia gli permi-
sero d'allagare colle sue monete il ducato milanese e
i Cantoni confederati (^).
Sulla lavorazione di Gian Giacomo poco dicono
le gride monetarie del tempo. Nella valutazione
monetaria fatta alla dieta di Lucerna nel gen-
najo 1487 (^) si parla di alcune zecche italiane, ma
non di Mesocco ; la prima convenzione monetaria
svizzera conchiusa in Lucerna al 31 marzo 1487 (^)
fra i sette Cantoni confederati di Lucerna, Zurigo,
Uri, Svitto, Untervaldo, Zug e Glarona, ci dà bensì
l'elenco di molte monete italiane e imperiali, ma
(63) Sprbcher, Op. cit, pag. 194.
ArchiTio Trivnlzio. Cari 26 - 1 1;2 - Istrnmento orìg^inale del notajo
GioY. del Piceno di Boveredo rogrìto agli 11 gennaio 1493; Atto di vendita
delle dae Signorìe per 4600 fiorini di Beno. Nella stessa Cartella, pergamena
tedesca con sigilli del 4 Maggio 1498; il vescovo di Coirà concede a G. G.
Trìvalzio rinvestitura fendale di dette Signorìe.
(64) Motta, Lb zecche di Mesocco, ecc., pag. 170. Già nel settem-
bre 1500, fnron mossi lamenti contro la bontà dei cavallotti di Gian Gia-
como in dose straordinarìa importati nei Cantoni confederati.
(65) EidobnOssisghb Abschbidb. Zurìgo, 1858, Voi. IH, pag. 257,
(66) Idem. Loc eli, pag. 721,
È DAVVERO ESISTITA LA ZECCA DI MBSOCCO ? S9l
nulla che riguardi monete trìvulziane. Silenzio pur
conservato nella convenzione monetaria del 24 set-
tembre 1504 (^"0 fatta fra Lucerna, Svitto, Unter-
valdo, Uri e Zug. Potrebbe darsi però che le monete
trìvulziane sotto altre denominazioni siano sfuggite
alla nostra osservazione.
Nella dieta del 27 giugno 1494 (^) si parla di
monete milanesi di cattiva lega, date in pagamento
ai Confederati ingaggiati pel reame di Napoli, e nella
successiva del 7 gennaio 1495 (^) i delegati di Svitto
si lamentano pel bando dato ai 4 soldi milanesi, u il
u che cagiona loro grave danno 99 . Quattro soldi che
col nome di Ambrosini sono compresi nella piccola
valutazione monetaria fatta dalla dieta di Lucerna al
26 maggio 1496 C^) che ne fissò il corso a 3 PlapperL
Monete trìvulziane sono per la prima volta
nominate nella grida milanese sulle monete pubbli-
catasi in nome di Lodovico XTI re di Francia, ai
19 gennaio 1500 P^). Avranno , dice essa , corso
regolare nel ducato u tute le monete de lo HIu-
a strissimo Signor Johanne Jacobo. 9» In un* altra
(67) Idem. Lucerna, 1869. Voi. m, B.
(68) Idem. Zurigo, 1858. Voi. m, pag. 461.
(69) Idem. Loc cit, pag. 471.
(70) Idem. Loc di, pag. 479.
(71) Grida pabblicata € sup. platea arenghi p. Ambroaili de aeptimo
< tabetam die domioico xviiii Janaarìi Mooooa >
Citata dal Mazzughblu, pag. 850; dai Onboghi, Pref. XXIY.
Trovasi per intero nei manoscritti del BellatL
Eorma parte della cronaca di Ambrogio da Panilo pabblicata da An-
tonio Cemti in < Miscellanea di Storia Italiana >, Yol. Xm, pag. 356,
Torino, 1878.
Nella TriTnlziana si consenra di questa grida un originale a stampa
corredato da disegni. £ la più antica grida monetaria stampata cbe si
conosca.
392 EMILIO TAGLI ÀBUS
del 17 maggio 1601 si parla di grossoni da soldi 22
a del Signor Jo. Jacobo Trivultio da spendere a
a soldi 22 V a2).
Nella dieta d'Altdorf, 1 febbraio 1506 a rìman-
tf dasi ad referendum che cosa intende trattare coi
tt 3 Cantoni a cagione della zecca Giov. Antonio
tt (Giocare o Giojero) commissario in Roveredo n (^3) j
r Abscheid non dice ove era la zecca. Offuscatosi
colla morte di G. Giacomo lo splendore del casato
Trivulzio ben diversa divenne la monetazione dell'ab-
biatico Gian Francesco. La zecca di Roveredo distin-
tasi sotto G. Giacomo per ricchezza ed abbondanza
di tipi , precipita al livello delle altre possedute
da piccoli Signori o comuni , i quali , giustamente
dice il Promis , u tenevano zecca aperta affine di
tt poter emettere impunemente in gran quantità
tt monete basse , minute, contraffatte a quelle dei
u finitimi grandi stati allo scopo di ricavarne un
tt grosso guadagno w 0^).
Le gride succedono alle gride contro queste
fabbriche di monete erose, contraffatte, falsificate, e
sono piene di lamentele contro la malizia degli zec-
chieri i quali tt disfano tutti li boni scuti per fare
tt d' essi scuti de stampa forense, e se ne trovano
tt infiniti fatti fuori de le ditte seche j? C'^).
(72) Archivio Civico di Milano : Lettere ducali, 14974502, folio 207-210.
(78) ÉidoekOssische Abscheide. in, 2 , 331. — Emilio Motta , Le
origini della zecca di Bellinzona (1503). Estratto dalla < Gazzetta Nnmi-
smatica > diretta dal Doti Solone Ambrosoli. Como, 1886, pag. 9.
(74) Domenico Promis, Sulle monete del Piemonte. Sapplemento. To-
rino, 1866.
(75) Archivio Civico di Milano: Lettere ducali, 1527-1537, folio 174.
Grida Monetaria del 12 Inglio 1534.
È DAVVERO ESISTITA LA ZECCA DI MESOCCO ? 393
Già al 18 Agosto 1519 Monsignore conte di Foix
et di Comìngue , signore di Lautrech , Maresciallo
di Francia, pubblicava in Parma una grida, colla
quale, riducendosi il corso di tutte le monete, si ri-
bassa pur quello delle monete di Musso o trivul-
ziane. In questa grida per la prima volta sono no-
minati dei Grossi da soldi 6 di Gian Francesco C^).
Al 22 ottobre 1519 segue una seconda grida dello
stesso Lautrech C'') eduna terza al 29 dicembre 1519,
perchè si vuole a con tutte le forze dell' ingegnio
a sapere de sua Excellentissima Signoria fare re-
tt dure lo corso dell'oro et Monete al suo justo peso
u et debito ordine « 0^). Né i Confederati tardarono
ad imitarlo; a Glarona il 9 gennaio 1520 C'^) stabi-
liscono che i vecchi cavallotti trivulziani da soldi 7
abbiano il corso per soldi 6 1[2 e i nuovi da soldi 7
per 6 soldi. Assaggi di monete trivulziane vennero
fatti nel 1524, e al 14 agosto 1527 alla dieta di Lu-
cerna si riferisce che Uri, Switt, Unterwald, Zug
hanno trovato a die alten ROssler die der Trivulz
u geschlagen die mak halt seines Silber Vili Loth
u Weniger 1 quintlein n (^).
Sotto la data 4 agosto 1529, Giov. Giorgio de
(76) Gnbcchi, Op. cit Prof. XIIV.
(77) Idem. Op. di Prof. XXIV.
(78) Raccolta cronologica di Editti, ecc., per Francesco Bellati.
Voi. 2, Grida del 29 dicembro 1519.
(79) EidgbnOssischb Abscheide. Lucerna, 1869. Voi. 3, B. pag. 1218. —
LiEBENAU, Zur Mùmgeschichte, ecc., pag. 97.
(80) EidoenOssische Abscheide. Bmgg., 1873. Voi. 1 a pag. 1147. —
LiEBENAU, Zur MUnegeschichte, ecc., pag. 96-98; altre prove di monete fatte
a Lucerna nel 1517-1518-1519.
894 EMILIO TAQLIABUE
Albriono (^^), Commissaiio in Roveredo del Marchese
Gian Francesco Trivulzio , dava in appalto quella
zecca ad un Dionigi Besson di Lione per la durata
di anni sei. Non ci dilungheremo sui patti e le
convenzioni portate da questo istrumento rimetten-
doci ai Gnecchi che per esteso l'hanno riprodotto (^).
Prenderemo invece in esame un libro di conti della
zecca di Roveredo che si riferisce alla lavorazione
del Besson (^).
(81) Dei Quattro opuscoli inediti del eeeolo XVI pubblicati dal
Rosmini in occasione delle nozze di donna Crìstina dei marchesi Trivulzio,
Milano, 1819, tre (il I, II e III) sono di questo Giov. Giorgio d'Albriono,
nominato anche dal Bebucco come segretario di Gian Giacomo.
Nella Biblioteca TrÌTuIzio, Cod. n. 2118, cartaceo in folio piccolo del
secolo XVI, si conservano gli originali di questi tre opuscoli unitamente
ad un altro. Son lettere che trattano argomenti storici. Ne riportiamo i
titoli.
€ — La incoronatione de la regina Biancha sorella del re de Inghil-
< terra et molier del re Alojsio de Eranza a di 4 Novembre 1514. »
< ~ La intrata qual fece la prefata regina Biancha dentro de Paris:
€ fu alli 7 de Novembre de Tanno 1514. >
€ •— Lo ordine de le exequie del re Aloysio de Franza facto in Paris
« a di 10 de Zenaro Tanno 1515. >
€ — La intrata del re Francisco de Franza dentro Paris a di 15 do
€ Februaro Tanno 1515 ».
H Rosmini, nella Prefaz. a questi opuscoli a pag. ix, scrive che sono
« di stile rozzissimo e proprio da uomo idiota onde io credo fosse semplice
« cameriere. » 11 Rosmini erra nel suo giudizio. L'Albriono, come segre-
tario di Gian Giacomo, figura in una lista del personale addetto a casa
Trivulzio (Archivio Trivulzio, Cart 2255) e qui vediamo che il nipote Gian
Francesco lo aveva nominato Commissario in Mesolcina. B suo stile è rozzo
ma non da idiota, nò idiota lo mostra il libro d'amministrazione del quale
ci occuperemo più avanti, libro tenuto con cura e precisione ammirabile.
(82) F. K Gnecchi, Op. cit., pag. 47. Notiamo però che a questi patti
si fecero alcune modificazioni; cosi il diritto di zecca, invece di 20 soldi
di Milano, si stabilì in otto soldi imperiali per marco d' argento.
(88) Archivio Trivulzio. Araldica Cari 12. Conti posti al principio di
un grosso libro d'amministrazione, manoscritto del commissario Giovanni
Giorgio d'Albriono. Dopo questi conti il libro contiene la trascrizione di
molti documenti, e gran numero di registrazioni e notizie riguardanti il
feudo di Mesocco.
k DAVVERO ESISTITA LA ZECCA DI MESOCCO ? 895
Al Besson era compagno e socio un Gabriele
Tatti ; incaricato di sorvegliare la zecca neir inte-
resse del Trivulzio lo stesso Albriono, il quale per
questa sua mansione aveva dal Besson « areson de
oc dinarij sei Imperiali per chaduno marco di opera
a di argento i> (^^), rimanendogli però sospeso lo sti-
pendio di commissario di lire imperiali 356. Sorve-
glianza forse non troppo scrupolosa, perchè fra tante
qualità e quantità di monete tre soli pezzi vennero
spediti a Gian Francesco per Passaggio. Lavorarono
durante questo periodo come stampatori : — I tre
Compagni di Bellinzona — Angustino d' Ascona —
Tatteo Bonalin (forse di Roveredo) — Benedetto
Ghiringhello — Enrico Guazoro — Stefanino Ma-
goria — Salvino Nicola — Cristoforo Varrone.
Per riordinare la zecca spese TAlbriono u lire
a imperiali 623, soldi 13, den. 9 per far riparare la
a zecca ed altre piccole spese alla camera e canova
tt e stalla del Palazzo n (^).
Riportiamo in Appendice, doc. 8, le registrazioni
del mese di settembre e nel prospetto seguente i
principali dati della monetazione del Besson , che
va dal 24 agosto 1529 al 15. maggio 1530.
(84) Così nel registro di zecca. Dopo il 15 mag^o 1530 a tutto il 1534
ò registrato nnoTamente il pagamento di 856 lire imperiali, stipendio del
Commissario < perchè il Sig. Marchese non Yolle lasciar lavorare la zecca >.
(85) Come sopra, registrazione dell*Aibriono.
BUILIO TAaLI&BUE
PROSPETTO
DELLARQENTO LAVORATO NELLA ZECCA DI ROVEREDO
dal 23 Agosto 1529 al 15 Maggio 1530.
AGOSTO e
SETTEUBBE .
OTTOBRE . . .
NOVEMBRE . .
DICEMBRE . .
1530
GENNAIO . . .
Argento per doble
FEBBRAIO. . .
Arg, per l|a doble
MARZO
Arg. per l|.^ doble
APRILE.
At^. per H2 doble
MAGGIO .
Total* .
1221
_
34
1187
474
2iec
1
12
80
—
_
21SC
7
854
116
H'I.
_
—
8'it
_
116
16
SS6
'U
-
1
'li
-
881
184
886
6
6
10
2
12
SU'-,
3
830
S
4
4
—
_
_
s
4
9
950
1
6
2
1
_
948
_
879
1
2
1
—
—
—
I
2
8
868
8
1
8
2
_
360
1
144
1
6
_
_
_
—
1
e
4
272
1
12
B
_
_
269
1
107
2
—
—
—
—
—
2
—
6
58
5
-
-
7
-
67
6
23
6320
7
18
86
-
12
6244
7
6 II26I7I 16
-1
(86) DoHBNtOO Frohis, MoneU della zecca d" Asti. ToriDO, 1863, pa-
gina 33. Il marco di Piemonte eqniTaleva a grammi 245,896 1;8.
n inarco, nisora pei motalli preziosi, sì diTideva in 8 once; l'oncia
in 8 grossi 0 in 24 denari, il grosso in 72 granì, e il denaro in 24 grani.
Dne marchi formavano la libbra.
(87) Calo, scarto, avanzo della monetazione.
^) La lira imperiala valeva 20 soldi, il soldo 12 denari. Al tempo
dell'AIbriono ano scodo si calcolava 112 soldi imperiali.
P carbone pr la zecca al sacc9 costava lire 1 0 soldi 4,
Ps DAVVERO ESISTITA LA ZECCA DI MBSOCCO?
897
Sono adunque marchi d' argento 6329, once 7,
denari 18 di lega alla bontà della zecca di Saluzzo,
che servirono a battere le seguenti qualità e quan-
tità di monete. Ci atteniamo strettamente al registro
dell' Albriono per la loro denominazione.
Qualità e quantità della moneta battuta da Dio-
nigi Besson e Gabriele Tatti nella zecca di
roveredo, dal 23 agosto 1629 al 15 maggio 1530.
qualità
1. — Denari da un soldo
2. — Denari da un soldo e due denari . .
8. — Soldini (89)
4. — Trine, trilline, treine o terline (90) . .
5. — Denari da tre soldi
6. — Mezzi cavallotti da 118 pezzi per marco
7. — Denari da bazi uno, cioè da soldi 4 e
denari 6, da pezzi 78 al marco
8. "^ Cavallotti da soldi 6 e mezzo a pezzi
67 per marco
9. — Mezze doppie da 1 scado l'uno a pezzi
67 per marco di Milano
10. — Denari da 7 soldi a pezzi 45 per marco
11. — Cornoni da pezze 45 per marco (91) .
12. — Denari da 8 bazzi, a pezzi 27 per
marco (92) <
18. — Testoni della Madonna colla leggenda
QUEM . OBNVIT . ADORA VIT . a pezzi 26 per
marco (98)
904
10001
28028
561
26297
88848
76600
878
Peso lordo
10
1
189
1485
12
8
187
418
8
584
752
2800
15
7
2
2
6
6
2
8
2
12
12
19
18
(89) Soldino, forse corrispondeva al sezzìno di Piemonte o mezzo soldo
di grani 20 o grammi 1,067, o grani 22 uguali a grammi 1,174. Vedi
Promis, Sulle monete del Piemonte. Supplemento. Torino , 1866 , pag. 88.
Forse ò adoperato come diminutivo di aoldo.
(90) La terlioa o treina valeva denari 8 ossia 1;4 di soldo. Nella zecca
di Milano se ne stampavano 245 per marco. Vedi Luigi Bepussi, Milano e
la sua zecca, Torino, 1876, pag. 169.
( Vedi il seguito delle note alla pagina seguente).
U
893 EMILIO TAGLIABUE
Lo spoglio del libro dei Conti della zecca di
Roveredo dimostra, che sotto Gian Francesco Tri-
vulzìo la zecca era una fabbrica di monete erose. I
Onecchi ci danno la descrizione di 20 tipi e varianti
di questa monetazione ; fra essi non ne troviamo
alcuno di quelli registrati nei libri dell' Albriono.
Bisogna ritenere eh' essi andarono perduti o confusi
coi vecchi conii di Gian Giacomo o d'altre zecche (^),
e non sono dai numismatici attribuiti a G. Francesco
Trivulzio.
Cosi non si conoscono i testoni della Madonna,
i denari da un soldo e due denari, da soldi quattro
e denari sei, ecc., che pur figurano nel registro del-
r Albriono.
Certo Roveredo era una delle zecche che si fa-
ceva lecito a disfare li boni scuti per fare d'essi scuti
(91) Imitazione dei Comabò del Monferrato i quali pesavano appnnto
d. 4, 8. 6. Vedi Promis, Monete dei Paleologi. Torino, 1858, pag. 31. Corri-
spondono alle moneto segnate dai Gnocchi come cavallotti dal 6 al 10.
Op. cit, pag. 21.
(92) Questi denari da 8 bazzi sono le monete chiamate nelle gride
bianchi o hianchoni ed or conosciati col nome di testoni. I Gnocchi ne descrì-
vono 3 tipi. Dae hanno la testa con la leggenda FBA'NCISO. TRIVL. MAR.
VIOLE. E. C. e San Biagio nel rovescio. Il terzo, invece del Santo, ha lo
stemma dei tre pali in nnó sondo a testa di cavallo e intorno la leggenda
MAR. VIGLE. ET. CASTRI. NOVI. C. M. Dalla parte della testa si
legge PRANCISCVS. TRIWLTIVS ; questo tipo corrisponde alla descri-
zione dei bianchi trìvnlziani data dal Leyva in nna grida monetaria. (Vedi
avanti n. 95).
(93) Sa questo disegno G. Giacomo battè il doppio testone del quale
se ne conosce un tipo. (Vedi Gnecchi, Op. cit., pag. 4, n. 7) il testone (Idem,
Op. cii, pag. 5, n. 8, 9, 10) il mezzo testone (Idem, Op. cit., pag. 5, n. 11)
e il quarto di testone (Idem, Op. cit, pag. 5, n. 12) e Tav. 1, n. 7, 8, 9.
Monete di Gian Francesco di questo tipo sono sconosciute.
(91) Eidgendssische Abseheide, delPanno 1550, n. 879. — Liebenau, Die
ron Uri, Schwyz und Unterwaìden gemeinschafUich gepràgten MUnzen,
In « Bulletin de la Société snisse de Numismatique » Band VII. Basel, 1888,
pag. 106. Nel 1550 si temeva che i vecchi stampi della zecca di Bellinzona
fossero stati dalla casa di Alessio Tdtsch trafugati a Roveredo,
lVVERO ESiaTITA LA ZECCA DI MESOCCO ?
tt de stampa forense. » Di nove conii, avanzi del mate-
riale dell' antica zecca C^), che noi abbiamo potuto
aver fra mano, neppur uno è trivulziano. Omettendo
tre doppi, diamo il disegno degli altri sette, interes-
santi, perchè accertate falsificazioni di questa zecca.
(95) A mozzo dell'egregio amico arr. Nicola.
400 EMILIO TAGLlABUfi
Eccone la descrizione :
A) VENEZIA — Andrea Gritti (1523-38).
Scitdo d'oro.
/B' — + ANDREAS • ©RITI • DVX • VENETIAR •
Croce gigliata.
?( — * SANCTVS • MARCVS • VENETVS •
Leone in soldo entro uno scudo {Padovan, pag. 30).
B) FRANCIA - Francesco 1 (1514-46).
Sciùdo d*oro del sole.
/B' — FRANCISCVS : D : G : FRANCOR : REX :
Scudo coronato coi tre gigli. Al disopra il sole.
?( — + XPS : VINCIT : XPS : REO-NAT : XPS : IMPER :
Croce gigliata accantonata in due lati opposti da un F
coronata.
C) PIACENZA - Paolo IH (1534-45).
Scudo d'oro.
^ — PAV • III • P • M • PLAC • D •
Stemma Farnese sormontato dalle chiavi e dal triregno.
?/ — * NON • ALIVNDE • SALVS •
Croce gigliata accantonata dalle lettere P • L * A • C *
D) GENOVA — Doai biennali ?
^ — Manca.
?( — + CONRADVS • REX • ROM • CC •
Croce accantonata da un punto.
Nei primi mesi di lavoro, stampò il Besson circa
75600 pezzi da bazzi tre : conosciuta la loro pessima
lega, cambiò tipo, attaccandosi di preferenza alle mo-
nete che pel tenue loro valore più facilmente si po-
tevan spacciare. Ma inutilmente ; esuberanti pel con-
sumo locale, bisognava esportale e divenendo la cosa
k DAVVERO ESISTITA LA ZECCA DI MESOCCO ? 401
Ogni giorno più diffìcile, la produzione diminuì ra-
pidamente finché al 16 maggia a M. Dionisio se ne
u fugito et la Cecha non ha poi più lavorato v.
Questa notizia senza altro commento ci è data
dairAlbriono; al suo laconismo cercheremo supplire
col gridario milanese.
Ai 16 ottobre 1529 W Antonio Ley va governa-
tore del ducato, pubblicava una grida a regolare il
corso delle monete e bandire quelle in straordinaria
quantità importate dalle zecche piemontesi. Sei giorni
dopo aggiungeva : u E perchè novainente sono com-
« parsi certi bianchi (^) quali hano da una parte
ce una testa e da Taltra Tarma triulcescha quali
« sono di manca bontà etiam de manco peso de li
(( altri, perciò se li dà bando, che non se possano
« spendere ricevere ne tenire sotto pena de perdere
« ditti bianchi et de pagare per uno quattro ap-
a plicando ut supra ».
Al 30 genn. 1630, Francesco II Sforza bandisce
tutte le monete delle zecche di « Casale S/"" Evaxio,
(c Dexana , Salutio , Crevacuore , Valtaro , Belin-
(96) Francesco Sellati, Raccolta cronologica, ecc. Voi. 2, ^g. 123.
(97) Giovanni Mulazzani, Studi economici sulle monete di Milano.
In « Bivìsta italiana di Numismatica ». Milano, 1888. Fase, m, pag. 301.
Denominazione a noi derivata dalla Francia, usata pel basso biglione
accuratamente imbiancato.
Il Mulazzani cita la grida di Francesco II Sforza del 1530 come la
prima che parli di bianchi. La nostra, come si Tede, è anteriore; delle
monete importate dal Piemonte dice < Alchuni bianchoni maximamente
€ per lo augmento loro intollerabile de soldi XYII a XVI. » Ma monete
bianche d^arzento son già nominate nella grida del 22 settembre 1501.
(Vedi Archino Civico di Milano. Lettere ducali dal 1497-1502 folio 251).
Anche negli Eidgen. Abach. si citano dei blanken come monete italiane.
Zurich, 1876. Voi. 4, 1, b. Losanna, 29 marzo 1530.
402 EMILIO TAOLIABUE
« zona, Mixocho » e fissa che i bianchi non banditi
si debban ricevere per soldi 14 e i vecchi cavallotti
a del Sig. Jo. Jacobo permissi per soldi 6 che si
a spenderanno invece a soldi 5 e denari 6 (^®) » ; si
permise però che le monete bandite avessero ancora
corso per un mese , purché portati entro 15 giorni
dai Commissari sulle monete a segnare con appo-
sito bollo. I maligni zecchieri ne approfittano , e
al 80 marzo di queir anno una nuova grida si la-
menta « habino fabricato uno novo Ingano cioè in
a hauere facto uno falso bollo col quale segnano i
« bianchi di pegiore sorte et boutade de li vegi » (^).
Infine colla grida del 5 maggio 1530 si stabilisce il
corso dei cornoni a soldi sei e dei bianchi da soldi
tredici a soldi dodici e quelli da soldi quattordici a
tredici, ordinando che i bianchi e cornoni già ban-
diti non si possano più spendere per prezzo alcuno.
Ecco come restò arenata T onesta industria del
Besson.
Le registrazioni dell'Albriono, nel libro che ab-
biamo preso in esame, vanno sino al 1543 ; cessano
per la zecca, al 15 maggio 1530.
Tacque essa durante questo periodo?...
Nel 1531 si regolò nella Mesolcina il corso delle
monete. Convenuti in Lostallo , al 13 febbraio di
quell'anno, gli uomini della valle approvarono con
altri statuti il seguente capitolo (^^).
(98) Francesco Bbllati, Raccolta cronologica^ ecc. Voi. IT, pag. 125.
(99) Idem, idem, voi. IL Grida del 80 marzo 1530.
(100) Archivio Trivalzio. Araldica Cari, 10. Cod. in pergamena del
secolo XVI scritto dal notajo Giov. Pietro fn Q. Gottardo Bolzoni da Grono.
Sono nominati come presenti all'adananza tre Vicari, ì due soliti di Me-
socco e Boveredo e un terzo di Calanca.
k DAVVERO ESISTITA LA ZECCA DI MESOCCO? 403
r
De Vallitudine Monetarum.
Item statutum est quod omnis valuta denariorium
videlicet tam auri quam monete anno in antea MVXXXl
habeat cursum in toto eo modo et forma prout kabet
in liga GHxa; saluo si contingeret aliqtcem forensem
esse creditorum alicuitts persone diete vallis quod dicto
creditori fiat solutio ad vahrem auri vel argenti prout
expenduntur in jurisdictione dicti forentis.
Il Mazzuchelli (l^^) cita alcuni capitoli e contratti
di zecca intervenuti al 15 settembre 1537 tra il mar-
chese Gian Francesco Trivulzìo e il maestro di zecca
Gian Battista d'Appiano (^^) ; capitoli riprodotti in
exlenso dai Gnecchi, unitamente a cinque tavole di
disegni, eseguiti dal Trivulzio per la zecca (^^) ; non
possiamo assicurare se veramente Gian Battista d'Ap-
piano lavorò a Roveredo, né per quanto tempo^
Nella Mesolcina, le leggi vietavano sotto commi-
natoria di severissime pene il commercio dei metalli
preziosi in verghe, grani, fili, bolzonaglie, a chi non
fosse orefice o zecchiere. Un codice della Trivul-
zianaO^) ci mostra, al 19 ottobre 1637, il vicario di
(101) Mazzucchelli, Op. cii, pag. 858.
(102) Questo maestro di zecca lavorò anche nella zecca di Milano. In
nn istrnmento del 29 gennaio 1506 del notajo Znnico ai contengono i patti
per rassnnzione della zecca di Milano per parte di Gio. Torrettini da Lacca.
Trai soci figura un Battista d'Appiano, fil. quond.*» Spect. domini Johannis
abit in S. Protaso ad monacos. '
Notizia cortesemente fornitaci dairamico E. Motta che presto pubbli-
cherà questo importante ed inedito documento.
(103) Gnecchi, Op. cit., pag. 49. Tav. N. 1, 2, 2 a, 2 ò, 2 e.
(10^) Archivio Trivulzio. Araldica Cart. 11. Cod. Cartaceo. Nello ^tessQ
Archivio, copia al Cod. 2253,
404 EMILIO TA6LIABUB
Roveredo, Giovanni Pietro Bottanello, che ad istanza
del Commissario Giovanni Giorgio d'Albriono, apre
un processo contro alcuni uomini di Mesocco, i quali
sulla piazza di Roveredo furon veduti a vendere
oro filato. La cosa non ebbe seguito.
Dopo ciò poco 0 nulla possiamo dire sulla zecca
di Roveredo.
L' alito potente di libertà che la riforma dif-
fondeva nella Rezia penetrava nelle vallate poste
al Sud delle Alpi. L' autorità di Gian Francesco ne
è scossa; insorgono litigi fra i suoi commissari e i
comuni delle valli, spalleggiati dai Grigioni, i quali
sono i veri padroni del feudo, come egli si lamenta (^^)
avanti il Consiglio di Lucerna nel 1543 e nel 1546.
Nel marzo 1546 la zecca non lavorava. Un
inventario di quel mese ci fa conoscere che V abi-
tava solo il commissario di Gian Francesco Tri-
vul^io (^^).
11 superbo palazzo di Roveredo, il quale nei tempi
di maggior splendore aveva ospitato il vescovo di
Coirà, V ahate di Dissentis e i più potenti signori
della lega Grigia, cadeva in rovina. Un inventario
contemporaneo a quello della zecca, lo descrive ripo-
stiglio di legnami e di pietre, sguarnito d'artiglierie,
e abitato da un servo di stalla del commissario (^^>.
Infine « al nome di Dio a li 2 octobre in Men-
a drisio nell'anno 1549 » (^^) il marchese Gian Fran-
cesco Trivulzio risolve di rinunciare a tutti i diritti,
beni e crediti che possedeva nel feudo di Mesocco,
(105) Motta, Le zecche di Mesocco, ecc., pag. 170.
(106) Vedi doc. 9 in Appendice.
(107) Archivio TriTulzio, Araldica Cari. 1?. Cod, cartaceo originale,
k DAVVERO ESISTITA LA ZECCA DI MESOCCO ? 405
a favore degli uomini di quelle valli, dietro lo sborso
di 24500 scudi d' oro d'Italia. Non è qui luogo di-
lungarci suir ìstrumento steso per la vendita : fra
molti patti e convenzioni rileveremo solo che a il
ce Signore se riservato in questo tuti mobili che sono
a in la cassa (casa) de la zecha et le fontane de
a marmollo che sono in palazo et che fatto lo istru-
a mento de la vendita, da li 15 giorni per spazare ».
Ma avuti 17400 scudi, Gian Francesco si penti
della vendita fatta ; nacquero contestazioni e questioni
che per più di un secolo si trascinarono avanti i
tribunali delle Tre Leghe e dell' Impero (^^).
Ma nulla ottenne Gian Francesco, e come il suo
rappresentante piati alla dieta di Ilanz a lo spoglia-
cc rono del tuto del suo possesso. Et missero mano
« ancora nei mobili del Sig. Marc, reservati come
sopra » (^1^).
Gli attrezzi dell' officina monetaria restarono a
Roveredo inoperosi. Nei sotterranei della zecca se
ne vedevano ancora al principio del secolo; sfortu-
natamente nel decennio dal 1820 al 30, ristaurandosi
quei locali, andarono dispersi (m).
Nella casa passata in proprietà della valle, ebber
(108) Fergameoa originale inedita del notajo Lazzaro BovoUino Q.
Martino nelP Archivio Patriziale di Mesooco. Da una copia in lingua vol-
gare del secolo XVI favoritaci dalFavv. Aurelio Schenardi di Grono abbiamo
tolta la nostra citazione.
(109) Per questa intricata questione vedi Libbenau, Zur MUnzgeèeki'
ehte, ecc., e il nostro articolo < Un bando eantro le monete Trivulziane. >
(110) Archivio Trivulzio. Araldica Cari 18. Copia del XVI secolo del
memoriale presentato alla dieta di Ilanz.
(Ili) Motta, Le zecche di Meeoeco^ eoe, pag. 140. Cita 8 punzoni, sei
dei quali coll*impronta di monete venete, 1 di Francesco I di Francia e 1
di Paolo m Farnese duca di Piacenza.
5a
406 EMILIO TAOLIABUE
sede il Tribunale Criminale, i locali della tortura e
tutti gli uffici del vicariato di Roveredo (^^2) ; i sot-
terranei servirono da prigione (^^^), ma malgrado la
mutata destinazione, la casa continuò a chiamarsi la
zecca. E zecca si chiama ancora oggigiorno, come
al tempo in cui u Domino Azino da Lecco w com-
perava legname per conto del « prestantissimo Conte
« Jo. Jacobo Trivultio ».
Entrando in Roveredo sulla sponda diritta della
Moésa, per chi ascende la valle, al di là del ponte
che attraversa il fiume, spicca fra tozze costruzioni
r antica zecca Mesolcinese , attualmente sede del
Tribunale del Distretto Moèsa e degli uffici del Cir-
colo di Roveredo. Le finestre di varie forme e gran-
dezze, disposte irregolarmente e difese da grosse
inferriate a maglia intrecciata; la porta bassa ad
arco intero, foderata d'arruginita lamiera (i^^) ; la torre
dell'orologio ; le travature rozzamente scolpite, carat-
terizzano l'edificio che Gian Giacomo Trivulzio fab-
bricò e destinò ad uso della zecca.
A tramontana, sull'altra sponda del fiume, un'an-
tica costruzione specchia le nere muraglie nelle lim-
pide acque della Moésa.
(112) In vane cellette si vedono ancora infissi nei muri i g^rosai anelli
di ferro ai quali si attaccavano i prigioni.
(113) In molti processi della prima metà del secolo XVII contro indi-
ziati di stregheria da noi vedati in Valle, si parla sempre della casa della
zecca e in domo zoche in loco solito » come luogo ove si radunava il
tribunale Criminale , si inquisivano gli imputati , si tenevano i prigioni.
Alcuni di quegli infelici, vittima dell'ignoranza dei tempi, vennero giusti-
ziati nelle carceri, altri vi perirono di spavento e per gli strazii della tor-
tura < et eius cadaver sepultum fuit sub. Zecha >.
(114) Questi particolari corrispondono alPinventario del 1546. L'interno
della casa ancor meglio conserva il carattere antico ; le prigioni sono pic-
colo e oscure celle, due piani sotto il suohr.
P. DAVA'ERO ESISTITA LA ZECCA DI MESOCCO? 407
Una larga fossa cinge quei fabbricati, occupati
da stalle e fienili , guardati da una torre diroccata
che dalle vuote feritoie melanconìcamente spìa la
strada, ed il superbo panorama delle Lepontie.
Le capre pascolano nei fossati, i rovi nascon-
dono i crepacci delle mura e il libero montanaro
quasi ha dimenticato che quelle povere stalle erano
temuta abitazione dei Signori della valle, che vi al-
bergarono conti e marchesi, vescovi ed abati, ch'erano
insomma « el bel palatio munito di molta artiglieria»
residenza dei Conti di Sacco e dei Trivulzio.
Emilio Taoliabue.
408 EMILIO TAOLIÀBUE
DOCUMENTI INEDITI W
1.
L*IMPERATORE FEDERICO III CONFERMA A G. G. TrIVULZIO LA COM-
PERA FATTA DAL CONTE GlAN PlETRO DE SaCCO DEL FEUDO DI
MESOCCOy AGGIUNGENDO AGLI ALTRI PRIVILEGI QUELLO DI BAT-
TERE MONETA.
Norimberga, 18 NoTembre 1487 (b)
Fridericns divina fayente dementia Bomanoram Imperator semper
AngustuB, Ungane, Dalmatie, Croatie etc Bei ac Austrie, Stirie, Earìntie
et Corniole Dnx, Dominns Marchie SclaTonice ac Portns Naonis, Cornee in
Habspnrg, Tirolis Zerretis et in Bibnrg, Marchio Bargorie et LandegraTins
Alsatie, ad perpetoam rei memoriam noiam facimns presentiam tenore
nniTersis qnamqnam inter ardua reipnblice nostre negotia nobis prò debito
Imperatorie Maiestatis ad qnam divina providentia evecti snmne obennda
Tersantes eisdem assidua solicitndine animam nostrum deToverimus nihilo-
minns tantum munificentie et liberalitatis nostre studium hi8« qui se nobis
ac Sacro Imperio fide et obsequio priomptiores ezhibent libentor impartimur
ut nostris cumulati benefitiis ac onoribus adaucti tanto derotius sacras
Tenerentur inftilas; quanto magis se earum autoritate noverìnt esse subli-
matos, sane prò parte nobilis jo. jacobi trivultii equitis aurati ac
CoMiTis MosACHi nostri ac Sacri Imperii fidelis dilectì nobis humiliter
eztitit supplicatum. Cum alias idem Jo. Jacobus pros se suisque heredibus
ac successoribus quibucunqne Castrum Mosachi situm in coerentiis cum
Tallo Misolcina eidem Castro adherenti cum omnibus honorantiis pertinen-
tiis, juribns, actionibus, dignitatibus, prerogativis, privilegiis, gratiis et
donatìonibus universis una cum titnlo comitatus in eum traslato uti alodialia
et libera bona a quodam Jo. Petro de Sacho Comito Henrici Comitis filio
(a) l docanMoti inediti che pubblichiamo, togliendoli dall'Archivio TriTultio, li dobbiamo aOa geatilézza
ed all'amore agli atudl del Principe GKan Giacomo TrivuUo il quale, non aolo ci permiae lunghe e pa*
lienti ricerche nell'ArchiTio ateaao, ma ci diede ogni comodità per la loro trascriàone.
iè) Copia in pergamena nell' Archivio Trivulxio Araldica Cart. il, eaeguita dai notai Gabriele de
Bovioo, Andrea de Carbonari e Galeano Yleoonti le cui firme eooo autenticate, sotto la data 27
Maggio 1108, dagU Abbati del Collegio dei Notai di Milano.
Gopim di questa pergamena, trovasi anche nel manoeerìtto àtì Majbucbilu , C«p<a 4PMH • PtMU^
rOaHH aOt Méteh* é^ THmOmiy che SÌ conserva nella Biblioteca di Brera in Milano. Segnato G. N. -
N. lY. lllS.
È DAVVERO ESISTITA LA ZECCA DI MESOCCO ? 409
legiiimo emptionis titalo acquisivisset proni in litteria et instnimeiitiB de-
raper editis latìas ac plenios contineatar qaod nos hniosmodi venditìonifl
contractam sen Instrnmentam omniaqne et singala in eo contenta qne
hic prò expressis haberi volumos ìpanmqne ComitatoB titnlnm ac iara,
indalta, libertates, immnnitates, gratias, honores, homagia, donationes,
eonceesiones aniversaqne et singola eins privilegia alias concessa nti et
possidere solita et non solita cnm omnibus pertinentiis, datiis, gabellis, pe-
dagiis, ezactionibns et tribntis ac aliìs onerlbas etiam apponi non solitis,
ordinariis et extraordinariis, realibas et personalibns atqae mixtis et aliis
qoibascnmqae prò ipso Jo. Jacobo snpplicante et prò sais saccessoribas
non attento ^icto venditionìs modo snb certis modo et forma inforins die-
tandis et in dicto venditionis Instrumento minime expressis de benigni-
tatis nostre clementia approbare, innovare, ratificare, confirmare et de novo
concedere et gratiose largiri et ampiioribos libertatibos, privilegiis, exemp-
tionibns et immnnitatibQs et prbsbrtim fagultats cudendi honetam
AURBAM ET AROBNTEAM DOTARE. Quodque socessionem ipsam hereditariam
dicti Castri et Comitatns Mosachi ad prìmogenitos snos natos vel nascitnros
restringere ipsisqne omnem alienandi facaltatem de plenitadine potestatis
nostre Imperatorie adimere dignaremar Kos itaqae etsi prò debito offitii
nostri tnm prò innata nobis clementia snbiectoram salati comodis et incre-
mento intenti snmns et eomm precibns anres benivolas volentes prebeamns,
tamen attendentes fidem et integpritatem prefati Jo. Jacobi Trivalti qaibos
apud nos probatomm viromm testimonio sedalo commendatar tam et ob-
seqaia qae majores sai sacro Imperio exibaerant et ipso in fatoram ex-
hibere potest et debebit tanto sibi ad gratiam faciendam snmas liberaliores
et ipsias predbas benignine inclinamar qaanto illios ac majoram saoram
benemerita in nos ac Sacram Imperìam noscantar esse malora: bis itaqae
pensatis non per errorem aat per importanitatem petentis sed animo deli-
berato sacro principam, baronam, proceram, nobiliam et fideliam uostroram
accedente Consilio aactoritate Romana Imperiali, de certa nostra scientia
dictam venditionis contractam de prefato castro Mosachi initnm et factnm
cnm omnibas sais panctis, claasalis, articalis et tenoribas de verbo ad ver-
bam proat in dicto venditionis Instnimento comprehendantar qaos hic prò
expresse insertis habere volamas ipsamqae Comitatas titalnm ac iara, in-
dalta, libertates, immanitates, g^atias, honores, homagia, donationes, conces-
siones nniversaqae et sing^ala eias privilegia alias concessa ati et pos-
sideri solita et non solita, cam omnibas pertinentiis sais, datiis, gabellis,
pedagiis, exactionibas ac tribatis ac aliis oneribas etiam apponi non
solitis ordinariis et extraordinariìs, realibas et personalibas atqae mistis
et aliis qaibascamqae prò ipso sapplicante non attento venditionis modo
sapradicto aactoritate et scientia predictis approbavimns, innovavimas, ra-
tificavimas, confirmavimns et concessimns ac presentiam tenore appro-
bamas, innovamas, ratificamas, confirmamas et de uovo concedimas ita
qaod ipso et ejas heredes primogeniti damtaxat et deinde eiasdem sai
primogeniti primogenitas , ita deinceps gradatim de primogenito in suam
existentem vel fntaram primogenitam asqae in finem linee recto primo-
410 EMILIO TAGLIABUE
genitoram descendendo. Qaa deficiente qui secando post illnm prìmoge-
nitnm ex dicto Jo. Jacobo genitos faerit, et sic successive ordine pri-
mogeniti sui nati vel nascituri et primogeniti eomm primogenitomm
nsqne in infinitom, qnibos prorsos deficientibns primogeniti post illnm
secnndnm tertio et snccessiTe primogeniti quarto tertio cum sua genelogia
deficiente et sic gradatim de singulo in singulum usque dum linea recta
dicti Jo; Jacob! Trivultii prorsus extincta fuerit: qua per casum quem-
cunque deleta, ita quod ex linea eius masculina nemo sit superstes fratria
sui maioris primogeni tua et eius descendentes primogenitis quibus similiter
defficientibus reliquorum fratrum suorum cuiuscunque yidelicet in ordine
sue nativitatis primogeniti et eorum nati primogeniti. Quibus omnibus
Bublatis reliqui de domo et stipite nobilinm de Trivultio proximiores gradu
prefato Joanni Jacobo Trivultio et eorum primogeniti qui proximiores gradu
si pares fuerìnt antiquiores et eorum primogeniti ordine prescripto per-
petuis futuris temporibus se se in pubblicis sive privatis scripturis, actionibus,
conventionibus, negociationibus ac aliis tractatibus quibuscunque Comites
Mosachi appellare, nominare ac scribere possint ac valeant talesque ab
aliis appellar!, nominar!, scribi, teneri ac reputar! debeant prefatumque
castrum Mosachi et Vallem Misolchinam cum titulis, dignitalibus, honoribus,
libertatibus, gratiis cum hominibus ili! subiectis, terris cultis et incultis, pratis
gerbis, nemoribus, fumis, molendinis, venationibus, piscationibus, aqiuiiicis
piscaticis et cum mero et mixto Imperio ac omnimoda jurisdicUone ho-
magiis et fidelitatibus ac universis iuribus, datiìs, gabellis, pedagiis ac aliis
redditibus, obventionibus, emolumentis, suis confinibus et pertinentis qui-
buscunque in antedicto vendìtionis instrumento contentìs, ipsumque comi-
tatus titulum ac iura, indulta, libertates, immunitates, gratias, homagia et
honores prout supra flt mentio nostro Sacri Imperi! aut alterius cuiuscumque
iure si quod in dictis Castro et Comitatu Mosachi comperierit salvo libere
possidere, ut! fruì et gaudere possint et debeant: bac tamen adiecta conditione
ex mente et voluntate sepe dicti Jo. Jacob! Trivulti' et auctoritate nostra
Imperiali roborante et de novo constituente bine in antea perpetuis tempo-
ribus valitura ut antedicti primogeniti prò tempore ad prelibatum comitatum
Mosachi ordine successionis supradicto pervenientes eundem neque in totum
partem neque aliquid de eius pertinentìis neque directe neque indireete
expresse seu tacite nec alio quovis colore vel ingenio humanitus possibili
neque vendere neque obligare neque permutare neque inter vivos vel causa
mortis neque ad pias causas nec in dotem dare, donare, legare, testar! nec
quovis alio titulo alienationis in aliquem alium transferre possint sed quod
idem Comitatus cum suis iuribus et bonis absque aliqua diminutione ubi
et cuiuslibet falcidie et trebellianice detractionis in dictis bonis auctoritate
nostra predicta harum serie expresse derogamus neque ullo unquam tem-
pore aut casu locum habere volumus transeat et perveniat de uno in alium
primogenitum modo et ordine supradictis irritum et inane ac nullius fore
momenti decementes. Si quovis ingenio per quemcumque ex primogenitis
prefactis etiam cum dispensatione centra nostram huiusmodi ordinationem
et constitutionem obtenta qnam similiter harum serie nullas habere vires
k DAVVERO ESISTITA LA ZECCA DI MBSOCCO ? 41 1
sed prorsns invalidam esse decernimas attentatali! ant contraTentnm fnerit.
Volentes insaper prenominato Jo. Jacobo aberiorem faoere gratiam qao
quanto abandias liberalitate et muniflcentia nostra se se donatam agnoscit
tanto in nostra ac sacri Imponi obseqaia promptiorem ac fideliorem exibeat
eidem Jo. Jacobo et primogenitis et heredibas suis ei ordine prefato sac-
cedentibas at quamcunqub Monbtam aurbam vbl arobntbam cuderb
SBU CUDI FACERB BT ETIAM QUAMCUNQUB MONBTAM SIMILITBR AURBAM
VEL AROBNTBAM FABRICARB BT SIMIUTBR FABRICATAM AD STAMPUM BORUM
RBDUCBRB ET REDUCI FACBRB QUOCUNQUB TEMPORB DIB BT BORA PRO BORUM
BENEPLACITO IN DICTO CASTRO MOSACHI AUT BIUS TERRITORIO ABSQUB
CUIUSVIS ALTERIUS 8UPERI0R1TATIS REOOONITIONB AUT RBQUI8ITI0NB P08S1T
ET VALEAT, aactorìtato et scientia qaibos sapra gratiose annnimas et im-
partimar iarìbns consnetndinibas ant aliis non obstantibas qaibascnmqne
qnibas espresse per presentes similiter volamns esse derogatam et saper
omnia predicta dictam comitatam Jo. Jacobum Trivaltiom Comitem Mo-
sachi eiasqae heredes memoratnm comitatam saperiori ordine obtinentes una
cam bonis et rebas eornm omnibns insaper et personis dicto Comitatni
spectantibas ab omni inferioram principam qaoramcanqae officialiamqae
saoram potestate jarasdictione tam in civilibns et criminalibas qaam mixtis
et imporandi facaltate et aactoritate haram serie exhimimas et separamns
assumendo eosdem anacum eoram et sabditoram saoram bonis et rebas
omnibus mobilibas et immobilibas, presentibas et fatane in nostram ac
àSacri Imperi! salvignardiam, protectionem et defensionem Tolentes at hinc
in antea omnibus gratiis libertatibus ac bonis et consuetudinibus quibns
ceterì in nostram ac Sacri Imponi protectionem assumpti gaudent uti fruì
et gaudere possint suplentes preterea omnem defectam jarisque solemnitatem
ac omnem maculam tollentes auctoritate profata si vel in dicto venditionis
contractu voi alias quoquomodo intervenissent ant intervenire potuissent:
Nulli ergo omnino hominum universitatum vel comitatum liceat hanc nostro
roborationiSy concessionis, confirmationis, derogationis ac decreti paginam
infringere aut ei quovismodo ausa temerario contraire. Si quis vero secus
temptare presumpserit nostram et Imponi Sacri indignationem et penam
quinqnaginta marcarum auri purissimi totiens quotions contrafactum faerit
irremissibiliter se noverit incursurum quarum medietatem Imperialis nostri
fisci sive erarii, reliquam vero partem antedicto Jo. Jacobo aat eius here-
dibus usibus decemimus applicandam presontium sub nostre Imperialis
sigilli Majestatis appensione testimonio litterarum. Dai in oppido nostro
Imperiali Norìmberge die decimaoctava mensis novembris anno domini
millesimo quadringentessimo octuagessimo septimo regnoram nostrorum Ro-
mani quadragesimooctavo, imperli trigesimo sexto, Ungarie vero vigesimo
nono. Signata ad mandatum domini Imperatorie, pretereamcum sigilla
magno pendenti in cera alba cum siriceo violaceo. A tergo signata: Matias
Murimm.
412 EMILIO TÀGLIABUE
2.
Lodovico Duca d'Orléans concede a G. G. Trivulzio di batter
MONETA ALLA BONTÀ DI QUELLE D' ASTI E DI FRANCIA.
Amboiae, 2 Marzo 1496 (a)
Lndaylcns Dnx Aarelianensis Mediolani et Yalesìe Comes Blesensis
Papié ac Bellimontìs, Astensis Conùtiqne Dominns TTniversìs presentes
litteras inspectoris salntem.
Capìentes nos Egregio ac Nobili Tiro Consangnineo nostro D.no Johann!
Jacob Trìvalcio Corniti Beicastrì etc rem pergratam sibi efflgere ob Tirtates
fidem et integrìtatem snam obqae incredibìlem benivolenciam nostram erga
ipsnm AGCIPIENTES QUOD CUDERE MONBTARUM ARGENTRARUM ET AUREARUM
AD STAMPUM NOSTRUM IN Ceccha SUA MisoccHi jucundom ossot, idqoo nobis.
JQcnmdissimnm itcirco concedimns et libere donamns eidem pref. D.no Jo.
Jacobo Trivnlcio Corniti saiqne anctoritatem et amplam potestatem cadendi
son cndere faciendi qnascamqae monetas aareas vel argenteas prout sibi
placnerit die noctnqne bone legis tamen et ponderis proat fnerit in Regno
Francie et sicnt ad stampnm nostrum in Ceccha nostra Astensi fabricatnr.
Mandantes et precipientes omaibas et singalis Jasticiarìis aò officiariis
uostris qnatenos soprascrìpt. D.no Jo. Jacobo Trivnlcio presenti conces-
sione donacione sea gracia nostra nti et gaadere faciant et permìttani In
cnins rei testimonium presentes fieri jassimas ac nostra propria manns
snbscripcione solitoqne sigillo mnnitas.
Dat in Villa Ambasie secnnda die (Martis) anno Domini millesimo
ecce nonagesimo quinto more •Gallicano computando (ò).
Signat. Laijs
Per dominum ducem Yobies et alia
presentibus Cotereau subscripsi.
Beg. ad officinm statntorum
Comnnis Mediolani in libro sìgnato N in foglio 169 (e).
Da una lista di pergamena pende nn frammento di sigillo in cera rossa.
(«0 Pcrgmmen* oiigiiiale iMll'ArchiTÌo Trivulzio, Araldica Cart. li.
(h) In FrandA durò U consuetudine rino al 1564 di principiar l'anno nel giorno di pasqua, perciò
all'uso odierno la data di questo diploma deve ritenersi, 2 Marco 149S.
(e) Ora registro Panigarota 2^. - ArcbÌTÌo di Stato, Milano.
È DAVVERO ESISTITA LA ZECCA DI MESOCCO ? 413
8.
ISTRUMENTO ROGATO NELLA ZECCA DI BoVEREDO, COL QUALE AziNO
DA Lecco procuratore di G. Q. Trivulzio contratta del
LEGNAME DA CONSEGNARSI A LOSTALLO VICINO AL FIUME MOESA.
Boveredo, 23 Giugno 1497 (a)
In nomine d.ni amen, anno nativitatis millesimo quadraointessimo
NONAGEsiMo SEPTIMO. Inditiono quintadeclma die venerìs vigesimo tertio
mensis Janij.
Dominns Azinus de lencho habitator in zegha roueredi nomine et
Tice ex."* et prestantissimi corniti domini Jo: Jacobns Trìvaltis... signore
generalo della Valle Mesolcina, conviene con Antonio fa Jacopo Conforti e
Giacomo figlio d'Antonio del Brenta ambi di Lostallo, di comperare pel
maggio 1496, 400 bore e travi larice e pecchia a... grossos septem et da-
narios tres tertiolonim prò quaiibis burra pijcee et grossos octo et danarios
tres prò qnalibet barra do mensnra laricis et de pijoea, et qaod trabes sint
longi brachia octo et novem et qaod soprascrìptam totam lignamen sint
obligati soprascripti de lostallo consignare.ad aqaam moesie...
Actam in pasqaedo roaoredi in domo zbghb...
Ego Joannes del Pijceno filias sor Antonij de roaeredi vallis Hezolcine
pnblicas Imperiali aactoritate notarìns saperscrìpta omnia rogatas traditi
scripsi et me sabscripsi: laos deo amen.
4.
G, G. Trivulzio concede a Maestro Giacomo dei Conradi di
Reggio , Zecchiere in Asti di stampare monete coll' im-
pronta, ARMI E NOME DI LODOVICO XII RE DI FRANCIA.
Asti, 27 Febbraio 1499 (b)
Johannes Jacobas Trivalcias Comes Dezenasii Baro Castrilorii sacri
ordinis regij miles et regie maiostatis Conciliarias cambellanas et citra-
roontes lacumtenens goneralis Egregio dilecto nostro Magistro Jacobo de
Cmradis de rezio habitatori Ast fabrìcatori stampamm monetaram asten-
siam earumqae taglatoij salatem. De vostri indastria et fide ad plenam
informati vos favoribas nostris dignis comoditatibas ; honoribas et prehe-
(«) Pergamana originale Dell'Archivio Trivulzio, Araldica Cari. il.
{h) Pergamena originale Dell'Archivio Trivulzio, Cavitila 49, « »$.
53
414 EMILIO TAGLIABUB
minoncijs ac franchisijs et alijs ad officinm fabiìcaveram monetam hao in
CìYitate concessis ornari et seqnj volentes haram serie vobis lieeodam
impartimur inpane stampandi et sea stampas et formas monetaram et fénros
taglandi prò monetis fabricandis hac in cìvitate Astensi sub nomine, signis
et armis Serenissimi ac christianissimi Principis nostri dominj dominj Lu-
dovici dei gracia franchomm regis Mediolanique dacie et astensis dominj
proat per mag^ram monetaram ad fabricam diete moneto depatatom et
designatam faerit ac ordinatam ad ipsam officiam expresse tos constitaentes
et depntantes et alioram ofBcialiam diete monete numero aggregantes cum
immunitatibus exemptionibus et franchisijs, honoribus, oneribus, prehemi-
nencijs, prerogatiyis, dignitatibus et alijs ad dictnm officium pertinentibus
et spectantibus et quibus ceterj officiales dictarum monetarum hac in Ci-
YÌtate et illius dominio ussi (uat) et garissi vestri officio et illius hac in
civitate exercido durantibus. Mandantes omnibus et singulis officialibus et
dacitarqs regie maiestatis prefacte presentibus et fìiturìs deputatis Tel depu-
tandìs quatenus yos prò taJj habeant, tractent et reputent nichil in con-
trarium attemptando, quominus priviilegio aliorum officialium ad fabricam
diete monete deputatorum uti yaleatis et gaudere sub pena indignacionis
Begie et nostre et prò quanto illam evitare caripendunt. In quorum testimo-
nium prosentes fiierj jussimus et nostro sigillo muniri. Datum Ast ylgessimo
septimo mensis februarij Millessimo quatercentessimo nonagessimo nono.
Per prefatum 111. dominum Comitem
Begium locumtenentem generalem
FerréHj.
(Con sigillo pendolo).
5.
Massimiliano I conferma a G, G. Trivolzio il diploma di
Federigo III colla facoltà di disporre ed alienare il
Contado di Mesocco.
1501 ? (a).
(Diploma di data incerta del quale non si conosce nd originale, né copia
autentica. Copie senza data si conserrano nelPArchivio Trivulzio; la più
antica, del 1620 circa, ci servi per questa trascrizione).
Confermatione delP investitura del Contado di Misocco et Valle Hisol-
cina fatta dalla Maestà di Massìmigliano Be dei Bomani a Qiò. Jac. il
Magno Trivultio con facoltà di disporre et alienare d. Contado come gli pare.
(a) Arehirio TcìtuIzìo, ArmUicu Cart. 11.
È DAVVERO ESISTITA LA ZECCA DI MBSOCCO ? 415
Dopo il Inngo elenco dei titoli di Massimiliaiio e le solite formolo,
nelle quali 0. Giacomo è chiamato < Marchioni Tiglevani bcaono Fran-
GiAB Marbsgallo ET CoMiTi MisocHi » 8Ì ripete il diploma di Federico,
la conferma che segno non è che nna parafrasi di detto diploma con
aggiunto il diritto di vendere e disporre del Contado. Nel testo si leggo:
< .... quam habet ipso D. Jo. Jacobas Trìnltins cudendi et fabricandi
sen cndi et fabrìcari faciendi qnamcnmqne monetam anream, argenteam
inzta dieta Concisdonis formam et tenorem, confirmamus vemm etiam ex
abnndantiorì gratia eidom D. Jo. Jacobo Trìvnltio et heredibns et aacces-
Boribns snis tam mascalis qaam foeminis, et qnibos dederint nt snpra qnod
qnamcnmqne monetam similiter aoream et argenteam cndire et fabrìcaro
et cndi et fabricare facere, et similiter fabricatam ad stampnm eomm
redncere et rednci fiacere et expendere nbiqne locomm qnocnmqne tempore
die et hora prò eomm beniplacito in digto Castro Musochi aut eius
TERRITORIO... »
6.
Paolo Gentili procuratore di G. G Trivdlzio, dà. in affitto
PER ANNI NOVE LA DECIMA DI YeRDABBIO AI CONSOLI DI QUELLA
TERRA. IsTRUMENTO ROGATO NELLA ZECCA DI BOVEREDO.
Boveredo, 17 Marzo 1509 (a).
In nomine domini amen anno nativitatis einsdem millesimo qùingen-
TESINO NONO. Indiciono dnodecima die martis decime septimo mensis Jnlij.
Bpectabilis vir dominns panlns gentilis fllins qm domini iacobi de Saranale
dijocosis Tortonensis. De praesenti habitator roneredi vallis mexolzine dyo-
cosys cnriensis negociornm gestor illnstris et oxcelsy domini domini Joannis
Jacobi trinltij domini generalis vallis mexolzine ecc. affitta a Francesco Bi-
gassi console di Yerdabbio, Antonio Grìgeto e Antonio Bomoleto di Ver-
dabbio i qnali contrattano a nome della Comunità di Yerdabbio» la taglia
per anni 9 spettante al Trivnlzio e si obbligano a... solvere et consignaro
tempore Sancti martini in palacio roneredi prelibati ili.™» domino ac here-
dibns snis, stana qnadraginta segalis, stana decem mil^, staria decom
panica bene vansomm sichatomm ot bene ordinatomm, ecc., ecc.
Actnm in roubredi in pasquedo in cegha prbsentibus ibi magistro
Z ANETO, filio ser Joannoli de beffano sor georgino de peperalis de Clanena
habitatoribns roneredi et dominicho tartaglino fiiio qìn togni del sonatore
habitante roneredi testibns notijs et cognotis noe non vocatis et rogatis.
Ego Joannes amadirìstns pnblicns imperiali anctoritate notarins filins
domini henrìci de verdabio vallis mexolcine, diocesijs Cnriensis soprascriptnm
locationis instrumentum rogatns traditi scripsi et me propria mann snb-
scripsi signi nominiqne meijs solitis appositis.
(a) Oopift earaU dall'originato nell* Archivio Trivulzio, Cod. »U3. MUeM. III.
416 EMILIO TAGLIABUE
7.
Lodovico XII re di Francia accorda a Q. G. Trivulzio di
batter moneta nel castello di musso come faceva a
Mesocco.
Blois, 1 Maggio 1512 (a).
Nel testo del diploma si legge:
«... donnons et octroyons par ces presentes congé permission et liconce
de ponYoir doresenavant faire batre et forger an lien de mus tonte monnoje
dor et dargent ansai qne bon lenr semblera et tont ainsi et par la formo
et maniere quil faisoit et a agoustume faire par cy dbvant au lieu
DE Musoc et de tei bonte loy et poìx qne lon fait en notre viUe et cito do
millan. >
Bloys on moys de may lan de grace mil cinqcons et donze et de notre
Regno le qninzieme.
par le Boy Dnc do Millan
Ròbertet,
8.
Libro dei conti della zécca di Boveredo
dal 23 Agosto 1529 al 15 Maggio 1530.
Settembre 1529 (ò).
M. Dionisio de Besono Citadino de lione m.^ de la Ceca de Boyereto
de dare a lo III. s.' marchese conte de mesoco a di 23 Agosto p. marchi 21
de dinarij de la testa ed arma di esso sig."^ de Talore de bazi tri per nno
a rasone de peze 27 p. marco. In mane 141 V9 & ^ P^ze per mano a la
liga e bontà (e) de li denarij de la Ceca de Salnzo che sono a dinarij
11 grani mar. 21 onz -
E più de dare a di 7 setembre per marchi quaranta de li soprad.^ de-
nari de bazi tre dati a stampare A M. Stephano grenghelo e A nicola de
Salvino cioè marchi venti per Cadano mar. 40 onz -
Cesaglia per indietro peze 55
E più a di 11 setembre per marchi vinti nno de denari di bazi tro
dati a stampare a M. grìnghello e nicola Salvino mar. 21 onz -
Cesaglia da r.re detratta peze 9
(a) Perguneoa originale nalT Archivio Trìyulcio, Viemét pertomM Curt, 7, n. t, Mazzucbzlu, Coitim
di atti 9 prMl40i, 0PC Biblioteca di Brera in Milano. Copia manoecritta.
(») Dall'originale manoecrìtto del XYI secolo nell'Archivio Trivulxio, Arakiim Cari. l».
(«) Possiamo garantire l'esatta trascrizione di questo periodo, non sappiamo però interpretarne il senso.
È DAVVERO ESISTITA LA ZECCA DI MESOCCO ? 417
E più a di dito 11 setembre per marchi tentanno onze tri de denary
de bazi tri dati a stampare a lì sopraditì gringhello e nicola mar 81 onz 8
Cesaglia peze desdoto, peze 18
E più a di 13 Setembre p marchi trenta cinq. onze qaatro de dicti
dinari de bazi tri Fano dati a stampare a li soprad. gringhelo e nicola
mar. 85 onz 4
Cesaglia peze decesette, peze 17
M. Dionisio bessono de dare a di 14 p marchi yentinove et meze de
denari da bazi tri Tono dati a stampare al SaWino mar. 29 onz 4
Cosalia peze desdoto, peze 18
E più a di dito de dare p la fatnra de marchi vinti nove onze tre de
diti dinari de bazi tre Tano a rasone de soldi otto per marco si corno si
e cunvennto dati a stampar al salvino. Et nota che tate le partite sopra.tte
sono per honoranza del sig. et solamente Ms dionisio e debitore de dita
honoranza el no del argento et cosi io testifico mar. 29 onz 3
Cesalia peze tredcze,.peze 13
E più a di 15 mercore a stampare peze de bazi 8 n.® 400 fkno marchi
qnatordeze onze cinq. mar. 14 onz 6
Cesalia peze sej, peze 6
Zobia Ì6 dito ecc. ecc. peze da bazi S ecc. n. dnqaeoentovinti mar. 19
Cesalia peze qnatro, peze 4
Zobia 16 dito ecc. ecc. da bazi 8 ecc. n. ottocento mar. 29 onz 4
Cesalia peze qnatro, peze 4
Zobia 16 dito ecc. ecc. da bazi 8 ecc. n. qaatrocento mar. 14 onz 6
Cosalia numero sete, n. 7
Venere 17 ecc. ecc. da bazi 3 ecc. n. 1000 mar. 87 onz -
Cesalia peze 22
Venere 17 dito dati a stampare ecc. ecc. da bazi tre n. 625 mar. 22 onz 6
Cosalia peze 64
Sabbato 18 p. ecc. ecc. da bazi tre ecc. n. 1200 mar. 44 onz 8
Cesalia peze 20
Sabbato 18 ecc. ecc. da bazi 3 ecc. n. 1140 mar. 42 onz 2
Cesalia peze 21
Sabbato 18 dito dati a stampare marchi doi de Cavatoti a peze n. 67 per
marco mar. 2 onz. -
Cesalia pozo 00
D.mea 19 festa 000
Lane 20 dati a stampare pezi da 3 bazi n. 800 dano marchi ventinove
onze cinq. mar. 29 onz 5
Cesalia peze 13
Lane 20 dito ecc. ecc. pezi da tri bazi n. 503 ecc. mar. 18 onz 5
Cesalia peze 12
Lane 20 dito ecc. ecc. pezi da tri bazi n. 500 ecc. mar. 18 onz 4
Cesalia peze 6
Lane 20 dito ecc^ ecc. pezi da tri bazi n. 292 ecc. mar. 10 onz 6
Cesalia peze 18
418 EMILIO TAGUABUE
Lune 20 dito ecc. ecc. pezi da tri bazi n. 292 ecc. mar. 10 onz 6
Gesalia peze 18
Lane 20 dito ecc. ecc. cavaloti da cinque soldi e mezo ecc. mar. 13 onz 2
Cesalia peze 22
Martedi festa San Mateo 21 000
Mercordi 22 dito a stampare d. da bazi 3 peze n. 600 mar. 22 onz 2
Cesalia peze 12
Mercordi 22 dito ecc. ecc. pezi da tri bazi n. 1200 mar. 44 onz 4
Cesalia peze 25
Mercordi 22 dito ecc. ecc. pezi da tri bazi n. 600 ecc. mar. 22 onz 2
Cesalia peze 12
Mercordi 22 dito ecc. ecc. dinari da tri bazi n. 800 ecc. mar. 29 onz 4
Cesalia peze 12
Mercordi 22 dito ecc. ecc. dinari da tri bazi n. 400 ecc. mar. 14 onz 6
Cesalia peze —
Mercordi 22 dito ecc. ecc. dinari da bazi tri n. 400 eca mar. 14 onz 6
Cesalia peze 12
Mercordi 22 dito ecc. ecc. dinari da bazi tri n. 600 ecc. mar. 24 onz 2
Cesalia peze 21
Zobia 28 dito ecc. a stampare al Salvino pezi da bazi tri n. 600 ecc.
mar. 22 onz 2
Cesalia pezi 5
Zobia 28 dito a stampare alli tri compagni de bellinzona denari da bazi
tri n. 900 ecc. mar. 44 onz 4
Cesalia peze 37
Zobia 28 dito a stampare a li tri compagni de bellinzona d. da bazi
tri n. 637 ecc. mar. 19 onz 7
Cesalia peze 14
Venere 24 dito a stampare a li tri compagni de Bellinzona d. da bazi tri
mar. 51 onz -
Cesalia peze 88
Tenere 24 dito a stampare al Salvino d. da bazi 8 mar. 18 onz 2
Cesalia peze 5
Venere 24 dito ecc. ecc. d. da bazi 3 mar. 20 onz -
Cesalia peze 5
Venere 24 dito ecc. a li tri compagni ecc. di da bazi tri mar. 51 onz 1
Cesalia peze 28
Sabbato 25 dito ecc. ecc. ecc. d. da bazi tri mar. 44 onz 4
Cesalia peze 32
Sabbato 25 dito ecc. al Salvino d. da bazi tri mar. 20 onz 4
Cesalia peze 8
Sabbato 25 dito ecc. ecc. da bazi tri mar. 20 onz -
Cesalia peze 9
D.mco 26 dito festa 000
Lune 27 dito ecc. al Salnino d. da tri bazi mar. 20 onz -
Cesalia peze 5
È DAVVERO ESISTITA LA ZECCA DI MBSOCGO ? 419
Lune 27 dito ecc. a Cristoforo Yarone d. da bazi tri tolto ana peze de
le contrascripte e datole il contraccambio per assaggio sigoata A
mar. 20 onz. -
Cesalia peie 13
Lane 27 dito ecc. in più giorni a henrico gaazero Cavalott da e. 5 d. 6
mar. 24 onz 7
Cefalia peze 79
Lnne 27 Settembre a stampare al Saloino d. da baa 3 mar. 20 onz. -
Oeealia peze 8
Lunedi 27 dito ecc. al Yarone d. da bazi 8 mar. 20 onz 7
Cesalia peze 11
Lunedi 27 dito dati a stampare al Stefanino denari da soldi ano ecc.
mar. 2 onz 7
Cesalia peze —
Martedì 28 dito a stampare d. da bazi 3 al Stephano e al varrono ecc.
mar. 45 onz -
Cesalia peze 18
Martedì 28 dito a ecc. d. da bazi 3 al Salvino mar. 24 onz -
Cesalia 11
Martedì 28 dito ecc. al stephanno e al varrone d. da bazi 3 mar. 15 onz -
Cesalia peze 7
Martedi 28 dito ecc. a stampare al Salvino d. da bazi 8 mar. 7 onz -
Cesalia peze 8
Martedi 28 dito ecc. a Stephanino e A varrone d. da soldi 5 denari 6, Ca-
valoti mar. 4 onz -
Cesalia peze —
Mercordi 29 Settembre festa Santo michaele 000
Zobia ultimo dito festa San bytronno 000
Nota: € Como Jo. Joannegeorgio di Albriono ho fato e saldato il tonto
a nome de lo Ill.™<> Sig. Marchese con Ms Gkibrielo Tatto compagno di
Ms dionisio besono m."> de Cecha per ìnto el mese di Settembre e sono in
tuto marchi mille duecento vinti uno di argento stampite de li quali ne
vano dectrati marchi trentaquatro de cesalia ne resta al sig.»» di neto
miUecento ottantasètte a rasone de soldi otto per marco p. honoranza di
sua signoria montano a lire quatrocento settantaquatro soldi sedici Imp.
lire 474. soldi 16 ».
Cosi continua regolarmente TAlbriono, giorno per giorno, le sue regi-
strazioni, liquidando ogni fine mese col Besson e col Tatto le onoranze
dovute a Gian Francesco Trivulzio.
Al giorno 15 Maggio 1530 TAlbrione termina le sue note scrivendo:
15 Maggio.
€ Del dito tempo no si ò fato conto alcuno pche M. Dionisio se ne fugito
et la Ceca non ha poi più lavorato ma sono marchi cinquantasette onze sei
di lieto montano per le honorana^e del dito Sig.^« Ure ventitrìj soldi dui, >
420
EMILIO TAGLIABUE
9.
Inventario dei mobili consegnati al Commissario Antonio
Maria Gentili, esistenti nella zecca di Boyeredo nei lo-
cali destinati a sua abitazione.
BoToredo, 10 Marzo 1546 (a)
MDXLVI die X martij.
Inventario de la Cecha cioè de lo
Bobbe consìgnate al Comissario il
Capitano knt? maria gentile qnale
sono del 111."^ 8.' marchese di ?ige-
vane S. di questa valle II a. Fran.<^
Trìanl.o in Bovoretio nelli Inochi in
frascritti.
In Stuffa (6).
Archebnxi Cinqne fomiti con le fia-
sche forme et polverini et taschetti.
Item^na Picha de Frassino.
Itom dnoi spontoni.
Item qnatro zegalie.
Item dne Allebarde.
Item una meggia testa.
Item uno Tavogliero con serradnra
e chiave.
Item nno Armario attachatto come
se dentro de la Stnffa.
Item una lettera e una comoUa.
Item letto dno e duo pinmazzo pe-
lano lire 87 grosse.
Item un altro letto con piumazzo
pexa lipre 29.
Item sotto le dne fenestre duoi cre-
denzini con serradaro e chiave.
Item due coperte bixe da letto.
Item una coracina.
Item uno scranno (e) con serradnra
et chiave.
Item le banche attorno alla Staffa.
Item nno homo da legno.
Itom nna cadrega di camera.
Item fenestre tre con le sue telline
do fella.
Ne la coxina.
Al nschio soa serindara et chiave.
Item una tavolla con dnoi trospedl
Item una credenza di legno de peltro.
Item banche uno de seder con una
chlavadura Taltro non.
Item sopra el Camino di qua et di
la dui ponti d'assi e una scalla.
Item uno armario con chiave et sor-
radura.
Item uno armario scavezzo in tri con
due chiave e serrature.
Item uno zopo de tagliar sopra la
carne.
Item una fenestra et la stamegua {d)
de tella.
Item due assette di pasta una grande
e una piccola.
Item uno rampino de carne.
Item una sechia de sallar carne con
uno cerchio de ferro.
Item una cadregha et una scabella.
(a) Dall'oricinale Cod. cartaceo dal XVI secolo. neirArebivio Trìvulno, Araldica li.
(6) Camera foderata di legno, con una grande stufa in pietra per riscaldarla,
(r) Yoce ancora In uso nel dialetto Mesolcinese, cassone, cassapanca.
((f) Telalo coperto di tela che faceva l'ufficio di vetri.
E DAVVERO ESISTITA LA ZECCA DI MESOCCO r
421
Saprà la p.' acalla.
Dae fenestre con lo stamegne di Telia.
Item una cardonza in cantone con
serradara et Chiave.
Ne lap.» camera aopra le due scalle.
Sopra laschio dne serradorro con
chiave et uno cadenazzolo.
Item una tavulla con daoi trespedi.
liem nna lettera con una comolla.
Item daoi sechioni con dai coperti
de salar onero de far altro.
Item nna casetta chiavata do batistino.
Item nno coperto de pelle tatto rotto.
Item mio credenzino con robbe de
batistino dentro.
Item nna fenestra con sao tellaro.
Ne la 2* Camera.
Uno nschio con dne serradarre et
chiave.
Item nna lettera con nna comolla.
Item nna trivella grossa de le bn-
seno de funtanna.
Item boge dne di ferro mia grande
et nna picolla.
Item uno pesi de monette.
Item nna cadregha de camera.
Item nno homo de legno.
Item nna leverà de ferro.
Item nna roaza de ferro.
Item dai badili et dae zappe de malta.
Item nno staro de misurare biade.
Item chignolli dai de ferro per rom-
per sassi.
Item nna caldera grande de bngatta.
Item un'altra caldera mezana.
Item un'altro Caldirollo.
Item una conca de laton (a).
Item bacillo de ramo in soma con
questi cinqui pezzi pexano lipre 80.
Item una tavoUa con duoi treppedi.
Item una cassa do tamburro.
Item dui tellonì di stamegaa di tella.
Item in Tanditto desopra de le duo
scallo due fenestre e due stamegue
di tella.
Sopra le ire scalle.
Una fenestra con una stamegua di
tela.
Item uno uschio de andar sopra del
ralogio (b) con la sua seradura et
chiave.
Item dove e il ralogio una bancha
ch'era in StufTa.
Item lo Bologio con la campana.
Item ne la Canepa (e).
La serratura et chiave.
Item uno seggiono di bngatta.
Item duoi trespedi con dui assi sopra.
Item una marna de dar da mangiar
a uno cavallo.
Itom uno aquirollo de legno.
Ne la 2." Canepa.
L'uschio con serradura et chiave.
Item duoi vaxelli de cinqui brente
l'uno.
Item uno altro vassello de otto brente.
Item un'altro vaseletto de due brente.
Item barilli quatro de una brenta
l'uno.
Itom una pidria.
Item una moscherra.
Item una formagiera.
Al Pozzo.
L'uschio con cadenazzo serradura col
suo torno.
Item 6 ap.* porta ferrata di ferro
con la stia chiave et serradurra.
(") Conca d'ottone.
(ft) Esiste ancora la torricella per rorologio, ina l'orologio manca.
(e) Caotina.
^4
422
EMILIO TAGLIABUE
Jtein dae stanghe.
Item nno cadenazo de dentro.
La aaletta.
Uschio con serradarra et chiave.
Item nna cardenza con serradarra
et chiave.
Item con le comixe attorno a detta
saletta una tavella inchiodatta in-
sieme.
Item una cadregha armatta.
Item scahelli n. seij.
Item la fenestra con la stamegaa di
Telia.
Item de detro la cecha de fora.
Una armadnra de muro per fare il ca-
mino a la maijstrisia con canto (a)
sey e codighe sej et assi dìece con
altro legname per fare armature
et cante tre de foo.
Item nella coxìna dne cadenne di
focco.
Item dae parrà de brandenalli.
Item daoi spedi de roste.
Item una padella.
Item una lecharda.
Item una gradexella di ferro tutto
pesan 45 grosse.
Mi Anto Maria gientille afermo es-
sermi stato Consegnato le pp.« robe
scrite in fogli tri conputato el pnte
de le quali io ne ho una copia simille
a questa et in fede mi sono sotto
scrìtto.
Sulla copertina è scritto: Inven-
tario dele robbo de la cecha consi-
gnate al com."^ cap. m.** 1546.
10.
Sulle monete battute da Antonio Teodoro Trivulzio.
1676-78 (ò).
AlVlll^ Ed'Eccell:^ Sig. Prencipe
Antonio Teodoro
TrivuUio
Marchese, Conte, barone libero
Signore, ecc.
per le Monete, che nouamente
fa battere.
Dalle vene del Sol sudati argenti
Mida profonde ad eternar Teodoro;
E di Giove emulando i gran portenti
Un^Augusto distilla in nembi d^oro
(a) Cantori, travi leggere per far armature.
{b) Da uno stampato in folio sciolto senza data nell'Arch. Trìv., Cari. 79, N. i8. Antonio Teodoro Tri*
vulzio esercì la zecca di Retegno dal 1676 al 78 ; a tal perìodo deve quindi appartenere questo sonetto.
Veramente esso non potrebbe figurare come documento inedito, ma essendo la copia della Trivul-
ciana rarissima, se non unica, abbiamo creduto ripubblicarlo esaurendo cosi quanto ci ta dato rinvenire
negli archivi Milanesi su questo argomento.
Dei resto non Io citiamo a modello di stile. Esso è quanto di più goffo e barocco possa aver pro-
dotto l'Arcadia. L'adulazione smaccata ò sviluppata con tali idee contorte e nebulose che d fan dubitare
vi fosse nel buon Domenico Antonio Qere^ola stoffa per un compositore di sciarf^de anzicl^è di sonati
È DAVVERO ESISTITA LA ZECCA DI MESOCCO ? 423
Fidia snisceri invan manni innoconti
Forge incisi Alessandri oggi un tesoro
QdI fan serto ad Alcide ori lucenti,
Tu se gP inalzi al crìn Delfico Alloro.
Non convien più pescar dov'haM sol cuna
Conca Eritrea, cui la ruggiada ingombra
Lega Antonio nell'oro, or la fortuna
Fasti d'Enea già Teodoro adombra.
Che s'ei con ramo d'or sue glorie aduna
Questi d'Oblio sa trionfar con l'ombra.
Domenico Antonio Cerbsola.
In Milano, per gVHeredi Ohisolfì.
(Con lic. de' Superiori).
SAGGIO DI BIBLIOGRAFIA
DELLA ZECCA MESOLCINESE
Ambrosoli Solone , Di una moneta trivuleiana con S. Carpoforo^
in < Rivista Italiana di Numismatica ». Milano, 1888, taso. II.
Gnbcchi Francesco ed Ercole, Le monete dei Trivulzio descritte
ed illustrate. Milano, 1887, in-4'' (con 8 tavole).
Saggio di Bibliografia numismatica delle eecche italiane me-
dioevali e moderne. Milano, 1889. MesoccOj pag. 192 ; Boveredo^
pag. 329 (*).
EuNZ Carlo, Il Museo Bottacin annesso alla Civica Biblioteca e
Museo di Padova, in « Periodico di numismatica e sfragistica».
Voi. I, pag. 238, tav. X, 8 e 9.
LiEBENAU (Th. di), Zur Munzgeschichte von Misocco, in < BuUettin
de la Società Suisse de Numismatique, 1887, n. 7-8.
(*) Di qaesta importante opera ci siamo nataralmente serTiti per la
compilazione della presente bibliografia, omettendo però le pubblicazioni
che, pur parlando di monete trivulziane, non accennano alla zecca Mesol-
cinese.
42 L E. TAOLIAIIUE - E DAVVEKO ESISTITA I,A ZECrA DI MESO<TO ?
LiTTA Pompeo, Famiglie celebri italiane : I Trividsio.
Marca Q. Antonio (X), Compendio storico della Valle Mesolcina.
Lugano, 1838, p^. 99 e 232.
Mazzdchelli Pietro, InformaBÌoni sopra le secche e le m'mete di
Gian Giacomo Trivulsio marchese di Vigevano e Maresciallo
di Trancia, in appendale al Kosmini , Dell'istoria intorno alle
militari imprese ed alla vita di Gian Jacopo Tfiouhio. Mi-
lano, 1815, in-4°, tomo II, pag. 345-330 (con 4 tavole).
Motta E.viilio , Le zecche di Mesoceo e Soveredo , io < Ballettino
storico della Svizzera Italiana >. Bellinzona, 1887, fase. 8, li e 12.
Promis Vincenzo, Tavole sinottiche delle monete battute in Italia e
da Italiani alVestero dal sec. VII a tutto il MDCOGLXYIII.
Torino, MDGCCLXIX, pag. 137 133 179.
BoSMiNi Carlo (de). Dell'istoria intorno alle militari imprese e alla
vita di Gian Jacopo Trivuleio. Milano, 1815, Volumi dne in 4*.
Taqliabue Emilio, Un bando contro le monete trivuleiane, in « Ri-
vista Italiana di Numismatica >. Milano. 1389, fase. II.
Trachsel Carlo Fr., Die angebliechen Maneen von Misocco iai
Wellenheimisehen Cataloge, in < Berlin Bifttter. etc. > Tomo IV,
■ Les atéliers monétaires de la famille des Trivuleio eomtes de
Misocco, seigneurs de Seinwald et de Savien, marquis de Vi-
gevano , princes de la vallèe Misólcina et de Iti-tcgno impe-
riale, etc. Lettre à Monsieur R. Ghalon, in « Bevue Nninisma-
tique belge ». Tomo II, serie V.
Zanetti Gcid' Antonio, Nuova ruccolla delle monete e zecche
d'Italia. Bologna, 1779, Ìn-4°.
m PICCIOLO DI ASTORGIO 111 MANFliEDI
PER FAENZA
Non è un pezzo inedito che offro agli studiosi
di Numismatica italiana, ma semplicemente un esem-
plare meglio conservato degli altri finora conosciuti
di questo picciolo e che permette quindi di asse-
gnarlo con sicurezza all'ultimo dei principi Manfredi
di Faenza.
Xja monetina, di cui, grazie alla cortesia dei
Direttori della Rivista, posso dare ai lettori l'esat-
tissima riproduzione , porta al diritto un Falco o
Astorre di prospetto con la leggenda in giro da
destra: ASTORGIVS T-MFA- {Astorgiits Tertius Man-
fredus Faven(imts)\ al rovescio il busto di S. Pietro
con le chiavi nella sinistra e in giro: S*PETRVS. È
di rame con poca quantità di argento, pesa circa
milligrammi 70 e ha un diametro di 17 millimetri.
Il primo a pubblicarla fu il conte Ernesto Tam-
broni Armaroli (0, il quale ne indovinò la giusta as-
(1) Bullettino di Numismatica Italiana^ diretto e redatto da A. B.
Caucìch. Serie II, anno 1867-68, pag. 2, tav. I, n. 1. Firenze, 1867-6*.
426 GIUSEPPE CASTELLANI
segnazione attribuendola ad Astorgio III per un
mero caso o meglio per erronee deduzioni. Quando
egli imprese ad illustrare questo picciolo capitatogli
sotto mano nel riordinare la collezione della Biblio-
teca di Macerata , non conosceva altra moneta di
Faenza all' infuori di quella con la lancetta e il San
Pietro edita dal Litta (2) da un esemplare di cattiva
conservazione e quindi di attribuzione allora incerta,
mentre nuovi esemplari meglio conservati venuti poi
alla luce hanno dimostrato che esso pure appartiene
indubbiamente ad Astorgio III. Il Tambroni Arma-
roli credette trovare nella monetina da lui scoperta,
che relativamente air esemplare prodotto dal Litta
era un po' meglio conservata, un miglioramento di
stile, e la ritenne quindi posteriore all'altra che
credette di Astorgio II, assegnando quindi la propria
ad Astorgio III.
Ognuno sa quanto sia fallace criterio quello
dello stile per aggiudicare una moneta ad uno piut-
tosto che ad altro principe, specialmente se di epoche
vicine ; nel caso speciale poi questo criterio fu
adottato arbitrariamente, perchè il semplice esame
anche dei disegni delle due monete basta a convin-
cere il più inesperto che figura e lettere del rovescio
sono, non solo dello stesso stile e maniera, ma for-
s' anco dello stesso conio.
Il distinto numismatico sig. Cav. Giulio Sambon
nel compilare il catalogo della celebre collezione
Rossi (^), non avendo agio di fare nella fretta con-
(2) Famiglie ceteòri italiane, — I Manfredi di Faenza,
(3) Catalogo della Collezione Bossi di Ryma. Roma, 1880, nnm. 1071
pag. 82w
UN PICCIOLO DI ASTORGIO III MANFREDI PER FAENZA 427
fronti e trovandosi di fronte a un tipo nuovo , lo
attribuì ad Astorgio I, come quello al quale non
erano state attribuite altre monete, pur rilevandone
la singolarità e massima importanza.
Da ultimo il sig. Prof. Federico Argnani , che
raccolse con amore e diligenza tutto quanto si ri-
ferisce alla zecca Faentina (^), attribuisce il nostro
picciolo ad Astorgio II. È notevole che tra gli ar-
gomenti addotti a sostegno di questa sua attribu-
zione evvi quello dello stile e dei caratteri , che il
C. Tambroni Armaroli portava in Appoggio della
sua. Il Prof. Argnani, distinto cultore tanto di nu-
mismatica che di arte, conosceva esemplari ben con-
servati della monetina di Astorgio III con la lancetta,
mentre dell'esemplare di Macerata con TAstorre non
vide che il disegno del BuUettino di Firenze ripro-
dotto da un esemplare poco conservato e parvegli
scorgervi oc lo stile dell' arte troppo scorretto nel-
« r insieme dell' Astorre, che si presenta tutt' altro
a che elegante, e la forma larga e grossa del carat-
« tere che sente ancora del gotico.... » (^) e la at-
tribuisce ad Astorgio II.
Io non seguirò il Prof Argnani negU ingegnosi
ragionamenti che fa per sostenere la sua ipotesi. Il
fatto che questo mio esemplare porta dopo il nome
del Principe il T ossia la numerazione genealogica
identica a quella portata dal picciolo colla lancetta,
(4) Cenni storici sulla zecca, sulle monete e medaglie de* Manfredi Si-
gnori di Faenza e sul Sigillo del Comune e del Popolo della stessa Città
compilati dal Prof. Federico Arpiani consenratore della Pinacoteca Comu-
nale. Faenza, Ditta Tipografica Pietro Conti, 188$.
(5) Pag. 26.
423 GIUSEPPE CASTELLANI
e che egli diceva essere inutile cercarvi W, ne ro-
vescia addirittura la base.
Accennerò di volo che lo stile della monetina
e la forma dei caratteri rispondono perfettamente
air epoca di Astorgio III, che è quella del risorgi-
mento dell' arte italiana ; infatti 1' astorre è effigiato
con vera delicatezza ed è elegantissimo.
Un fatto che potrebbe servire a determinare
r epoca precisa della coniazione di questo picciolo,
e che venne accennato anche dal conte Ernesto Tam-
broni Armaroli C^), è il cambiamento di nome da Fran-
cesco in Astorgio che sarebbe avvenuto nell' assun-
zione al principato dell' ultimo dei Manfredi. Io non
ho libri o documenti per accertarlo, ciò che potranno
fare agevolmente gli studiosi di cose Faentine; ma,
qualora fosse vero , esso segnerebbe 1' anno preciso
in cui fu coniata questa piccola moneta che sarebbe
la prima apparsa sotto il nuovo principe, del cui
nome rinovellato portava l'emblema parlante.
Con r attribuzione di questo picciolo ad Astor-
gio III la serie dei principi di Faenza , che conia-
rono moneta, viene limitata a due soli, e cioè a quello
che' fece coniare le monete col Beato Nevolone, che
fu Astorgio I, stando all'Argnani, ed il secondo, stando
allo Zanetti, e ad Astorgio III, che oltre alle monete
descritte dall' Argnani, fece coniare anche questa ool-
r impronta dell'Astorre.
Giuseppe Castellani.
(6) Ivi.
(7) Ballettino citato, pag. 3.
MEDAGLIE ITALIANE DEL 1889
(Cotttinuaziane e fine^ redi Fase, pree,).
n.
Nell'estate del 1889 re Umberto recavasi a visitare le
Paglie, e fermavasi specialmente a Lecce, dove il 23 agosto
veniva inaugurato il monumento eretto per voto dei Lec-
cesi a Be Vittorio Emanuele.
Il viaggio reale a Lecce era stato prestabilito per il
luglio, e, in fatto, noi troviamo preparata, per il luglio, la
medaglia seguente:
28, — Diam. mm. 36.
^ — Testa nuda a sin. In giro, ai lati: UMBERTO I —
RE D'ITALIA.
T^ — Nel campo, in sette linee: LECCE — INAUG-URANDO
MONUMENTO — A — VITTORIO EMANUELE II — OSPI-
TAVA ESULTANTE ~ RE UMBERTO I — LUGLIO 1889.
Questa medaglia, eseguita in Milano dall'ine. A. Don-
zelli , dovette — per la prorogata visita reale — essere
riconiata con un nuovo rovescio, portante invece dell'indi-
cazione del mese di Luglio , quella del mese di Agosto.
(Tav. IX, N. 2).
Di questa medaglia furono distribuiti in Lecce numerosi
esemplari in bronzo e in argento, con appiccagnolo ed anello
entro al quale era passato un nastro di seta dai colori
nazionali.
55
i
430 ALFREDO COMANDINI
Alla Maestà del Be poi , fu offerta dal Gomitato pel
monumento a Vittorio Emanuele la seguente medaglia, di
diametro speciale, coniata in unico esemplare d' oro.
29. Diam. mm. 52.
^ — Testa nuda a sin. In giro, ai lati : UMBERTO I — RE
D' ITALIA.
]^ — Corona di due rami d'alloro, aperti in alto, intrecciati
e annodati da nastro in basso. Nel campo, in sette linee:
LECCE — INAUGURANDO MONUMENTO — A — VITTORIO
EMANUELE II — OSPITAVA ESULTANTE - RE UMBERTO I
— AGOSTO 1889. Tutt'ingiro alla medaglia, cerchio di
perline.
Anche questa medaglia fu eseguita dall' incisore A. Don-
zelli di Milano.
*
Seguendo cronologicamente, alla stregua delle medaglie
i fatti del 1889, troviamo una medaglia che ricorda il IV
congresso internazionale delle società per tram vie a vapore, a
cavallo, ecc., riunitosi in Milano nei giorni dal 28 al 31 agosto.
La medaglia incisa e coniata nello stabilimento S. Johnson
di Milano, fu offerta , in argento ed in bronzo ai congres-
sisti, dalla Deputazione Provinciale di Milano, ed è la
seguente :
30. — Diam. mm. 32 fcon appiccagnolo ed anellino per
nastroj.
^ — Stemma della provincia di Milano, sormontato da
corona turrita , e circondato , in fregi , dagli stemmi
dei quattro capi-luoghi di circondario ; a sinistra, quello
di Lodi, in alto, e quello di Monza, in basso; a destra,
quello di Abbiategrasso, in alto e quello di Gallarate,
in basso.
5/ — Corona di due rami d'alloro, aperti in alto, intrec-
ciati e annodati da nastro in basso. Nel campo in sette
righe : OMAGOIO — DELLA PROVINCIA — AL lY CON-
MEDAGLIE ITALIANE DEL 1389 431
GRESSO — INTERNAZIONALE — DEI TRAMWAYS
MILANO — AGOSTO 1889. Sotto, a destra, dentro la
corona in piccolo : S. J. (Stefano Johnson).
L'8 di Agosto, nella villa reale di Capodimonte, sopra
Napoli, compianto grandemente da tatta la nazione, cessava
di vivere quella splendida, gloriosa incarnazione del più
paro e disinteressato patriottismo che fu Benedetto Oairoli.
Medaglie coniate con la data di questo lutto sincero
del Ite e della Patria, non ne conosciamo. Ma, dopo trenta
giorni dalla morte di Oairoli, in Boma, 1*8 settembre, ini-
ziatrice la società dei Reduci dalle Patrie Battaglie pre-
sieduta da Menotti Garibaldi, fu fatta di Benedetto Oairoli
una commemorazione-apoteosi, trasportandosene un busto
marmoreo in Campidoglio. La stessa società dei Seduci, per
ricordare questa commemorazione, fece incidere dall'incisore
Sirletti, e coniare nella regia zecca di Boma la seguente
medaglia, che fu distribuita, in bronzo, alle rappresentanze
che alla cerimonia parteciparono:
31. — Diam. mm. 34 fcon appiccagnolo e anellino per
nastroj.
^ — Busto a sin., testa nuda, abito civile. In giro ai
lati: A BENEDETTO — CAIROLI. Sotto: ROMA. Nel
taglio del busto: A. Sirletti.
9/ — Campo liscio. In giro: Vili SETTEMBRE MDCCCLXXXIX.
In basso, stella a cinque punte.
*
Nello stesso giorno 8 settembre aveva luogo in Brescia
la inaugurazione del monumento equestre eretto alla memoria
di Giuseppe Garibaldi. In Brescia, in quel giorno, premia-
vansi anche i tiratori al bersaglio distintisi nella gara pro-
vinciale; e chiudevasi una Esposizione Industriale operaia
apertasi alla metà d' agosto.
zelJi
I»« ■ MEDAGLIE ITALIANE DEL 1889 433
•Il
« *
•ffl j '. r* 1 . mm. 38.
jM^^ < tua, volta a destra, della Vittoria Bresciana.
: ESPOSIZIONE INDUSTRIALE OPERAIA PROVIN-
Sotto, in esergo: BRESCIA 1889. Accanto alla
loiresergo, a sinistra, nel campo : Johnson.
orona di .due rami ricchi, di alloro a sinistra, di
a a destra, aperti in alto, intrecciati ed annodati
1^. istro in basso. Campo e giro lisci.
hi'
f V u temporaneamente alle feste bresciane , aprivasi in
i, rs settembre 1889, il Concorso Agrario Regionale
) con Esposizione Industriale. Di questa festa del*
.stria abbiamo la seguente medaglia-ricordo, incisa dal
uccio e coniata nello stabilimento Johnson di Milano.
— Diam. mm. 44.
; y — Appoggiata a pilastro fregiato dello stemma coro-
nato di Verona , e fra emblemi ed attrezzi delle arti ,
delle industrie e dell'agricoltura, figura di donna alata
stante , di prospetto con 1' ali spiegate , con corona di
alloro nella sinistra appoggiata al pilastro, ed in atto
di porgere corona d' alloro con la destra. In basso , a
sinistra, il palazzo della Camera di Commercio di Ve-
rona. In giro: ESPOSIZIONE INDUSTRIALE DI VERONA.
Al disopra d^l capo della donna alata, nel campo, stella
a cinque punte. Esergo : S. Johnson.
5l( — Veduta della piazza Bra, in Verona, con l'Arena a
sinistra, il palazzo del Municipio nel centro, il palazzo
della Gran Guardia a destra , e in basso a sinistra , il
monumento equestre a Vittorio Emanuele. In alto nel
campo, stella a cinque punte in raggi. Esergo '. RICORDO
1889. Sotto, ad arco: Stabilimento Johnson Milano.
*
* »
E un'altra festa dell'industria e dell'agricoltura — una
fiera enologica — aveva luogo in Palermo, e ci è ricordata
434 ALFREDO COMANDINI
dalla seguente medaglia , incisa dal Cappuccio e coniata
nello stabilimento Johnson di Milano:
36. — Diamm. mm. 46.
^ — Nel campo, Mercurio, nudo, seduto a destra su di
una sfera, con in capo il petaso alato, volto a sinistra,
con la destra appoggiata a un caduceo capovolto, e con
una cornucopia versante monete nella sinistra. Attorno
ai piedi di Mercurio, emblemi industriali ed agricoli ;
dietro di lui , nello sfondo, a sinistra , la veduta del
golfo di Palermo , e a destra ponte attraversato da
treno ferroviario. Ad arco , nella metà superiore di
cerchio rilevato, fra due stellette a sei punte : CAMERA
DI COMMERCIO DI PALERMO. Ad arco, nella metà in-
feriore dello stesso cerchio: FIERA ENOLOGICA 1889.
Nel campo , sotto alla linea dell' esergo a sinistra :
Johnson.
T^ — Corona di due ricchi rami di alloro, aperti in alto,
intrecciati e annodati in basso. Campo e giro, lisci.
*
Sul finire del Settembre, a' 22, inauguravasi in Lucca
un monumento alla memoria di Garibaldi, e coniavansi per
la circostanza, le due seguenti medaglie:
37. — Diam. mm. 61.
/&" — Busto a sin., testa nuda. In giro, ai lati: GIUSEPPE
GARIBALDI. Sotto al busto nel campo, a destra: Adolfo
Farnesi J.
T^ — In alto, nel campo, stella d'Italia in raggi. Nel campo
in sei linee: XXII SETTEMBRE MDCCCLXXXIX. — COMME-
MORANDO IL XX ANNIVERSARIO ~ DI ROMA REDENTA
— IL POPOLO LUCCHESE — INNALZO' IL MONUMENTO
— AL VINTO D' ASPROMONTE E DI MENTANA. Sotto ,
rami di alloro e di quercia, intrecciati e annodati.
Questa medaglia, incisa dal giovane e distinto incisore
lucchese Adolfo Farnesi, figlio del valente incisore Nicola,
MEDAGLIE ITALIANE DEL 1889 436
fa distribuita dal Comitato pel monumento, e messa in
commercio al prezzo di L. 6.
Quest'altra invece, eseguita in Firenze dal noto ed
eccellente prof. Luigi Giorgi, fu fatta da questi per conto
proprio, non venne messa in commercio, e fa coniata in molto
limitato numero di esemplari :
38. — Diam. mm. 60.
^ — Busto, testa nuda. In giro, ai lati: GIUSEPPE
GARIBALDI. Sotto al busto: L. Giorgi in Firenze.
T^ — Nel campo, in sei linee: PER L'INAUGURAZIONE —
IN LUCCA — DEL MONUMENTO — AL' EROE DEI DUE
MONDI — XXII SETTEMBRE — MDCCCLXXXIX.
Dopo queste medaglie, troviamo cronologicamente, quella
che ci ricorda il giubileo artistico del maestro Giuseppe
Verdi. I cinquant'anni di gloriosa carriera artistica furono
compiuti dall' illustre compositore il 17 novembre , e la
giunta comunale di Genova — dove il maestro ordinariamente
risiede — aveva decretato fino dal 19 settembre 1889 di
far coniare, pel 17 novembre, una medaglia d'oro da confe-
rirsi a Verdi, che di Genova ò cittadino onorario.
La medaglia fu in breve tempo incisa dall'egregio
cav. Speranza Filippo, primo incisore della regia zecca di
Boma; e in questa ne furono coniati un esemplare in oro,
pochissimi in argento, un centinaio in rame. La presenta-
zione della medaglia fu fatta al maestro quindici giorni dopo
la data del giubileo, avendo egli tardato a restituirsi a
Genova dalla sua villa di Sant'Agata. La medaglia è la
seguente: (Tav. IX, N. 4).
39. — Diam. mm. 69.
^ — Busto a sin., abito civile, testa nuda : nel taglio del
busto: Speranza. In giro: PER IL GIUBILEO ARTISTICO
DEL SUO GRANDE CITTADINO ONORARIO. Sotto al
busto fra due stellette a cinque punte , in due linee :
GENOVA — XVII NOVEMBRE MDCCCLXXXIX,
4B6 ALFREDO COMANDINI
9^ — Nel campo, in nove linee : A — GIUSEPPE VERDI —
GLORIA D' ITALIA — NELL' ARTE DIVINA DELLA MUSICA
COI CANTI ISPIRATI — ALL' AMOR DELLA PATRIA —
FAUTORE POTENTE — DEL — RISORGIMENTO NAZIO-
NALE.
Quattro giorni dopo il giubileo verdiano^ compiva i
settanta anni di età ed i cinquanta di gloriosa carriera
industriale un uomo grandemente benemerito della industria
e del lavoro nazionale, il senatore Alessandro Bossi di Schio.
Ad onore e memoria di questo tenace propugnatore
della protezione del lavoro italiano , troviamo , coniate pel
21 novembre 1889, due medaglie.
La prima fu fatta eseguire dallo stesso senatore Bossi,
che ne affidò l' incisione e la coniazione all' incisore mila-
nese signor Antonio Donzelli ; e qui la descriviamo :
40. — Diam. mm. 70.
"^ — Mare agitato solcato da navi ; a destra sole na-
scente; a sin. nubi. Sulla riva, vecchio pescatore se-
duto a sin. in atto di raccogliere le reti, circondato
da sei figure di giovanetto e fanciulli. NelPesergo : ME-
MOR FUI DIERUM ANTIQUORVM. — S. CXLII.
^ — Nel campo, in cinque linee : ALESSANDRO ROSSI
— 1819 • 21 NOVEMBRE • 1889 — Al SUOI COETANEI
DI SCHIO — IN ATTESA — DELLA SECONDA VITA.
Il senatore Bossi, il giorno 21 novembre, volendo nella
propria onorare la canizie dei suoi coetanei, e condividere
con essi tutti la consolazione dei suoi cari, fino dal 1 no-
vembre, aveva invitato i concittadini di Schio, nati dal 1819
in su, a festa comune. E l'invito al geniale convegno era
cosi concepito :
< Caro coetaneo e condUadino^
« Compiendo io 70 anni col 21 di questo mese^ mi è veDuto il
< pensiero di passare quel giorno tra i nati di Schio dal 1819 in là
f che ancora sorvivpno a tanti cittadini ed amici e parenti perduti.
MEDAGLIE ITALIANE DEL 1889 437
« Vi prego di non mancare al mio invito, e ve ne sarò grato.
« Siamo in ottanta; teniamoci in guardia ohe nessuno di noi sia
€ malato in quel di.
€ Yì noto quale sarà Torario ; e vi saluto cordialmente.
< Vostro concittadino
€ A. Bossi. »
Non è a dire se gl'invitati gradirono la cortese pro-
posta. E la mattina dei giorno 21 , alle ore 10 , si trova-
rono tutti ottanta nel tempio magnifico eretto dal Rossi
nella nuova Schio, dove con una messa cantata da mons. Gae-
tano Brossi, fratello del festeggiato , ed accompagnata dal-
Torchestra degli operai del Lanificio , indi con un solenne
Te Beum resero grazie a Dio del lieto avvenimento.
Dalla chiesa di S. Antonio l'onorando corteo , percor-
rendo la via maggiore della nuova Schio , passò nel gran-
dioso edificio delle scuole Bossi. Là il munifico invitante
ogni cosa aveva disposto per rendere più solenne il giorno
della comune allegrezza. Un fotografo ritrasse da prima i
convenuti, tutti in gruppo ; poi passarono questi nel tea-
trino annesso alle scuole, dove i giovanetti, figli di operai,
che frequentano le istituzioni Bossi, diedero una piacevole
e bene adattata rappresentazione. Finita questa, dodici
degli stessi giovanetti , entrarono coi convitati nella sala
da pranzo, festosamente parata a drappi bianchi e rossi con
corone di verde alloro , e , cantata la benedizione della
mensa, musica del maestro Fogliardi su versi eccellenti
dello stesso senatore Bossi, il pranzo — degno della straor-
dinaria festa — fu signorilmente servito , da dodici pre-
stanti ragazze, già alunne delle scuole Bossi, ed ora lavo-
ratrici nell'opificio.
Al levare delle mense brindarono, d'occasione, un mon-
signore di Schio ed il senatore Bossi , con caratteristica
vivacità. Poi entrarono nella sala cento alunni delle scuole,
a cantare un bell'inno in onore del festeggiato ; e alla fine
dell' inno , il senatore Bossi distribuì a ciascuno dei coe-
tanei un esemplare in argento , del peso di 200 grammi ,
della medaglia incisa dal Donzelli, e sopra descritta.
Non è compito nostro l'esporre qui il dettaglio di tutte
56
438 ALFREDO COMANDIM
le manifestazioni di festa e di gioia che circondarono, il 21
noY. 1889, il senatore Bossi ; e notiamo che sono appunto
descritte in un fascicoletto , estratto dal periodico Silvio
Pellico (Il giubileo operaio del senatore Alessandro Rossi a
Schio — Ricordo della memoranda festa del 21 nov. 1889.
— Torino, 1889, Giulio Speirani e figli, tipografi-editori). Ma
è di nostra competenza il registrare qui la seconda delle
medaglie relative a tale festa, e da noi già accennata. Essa
è la seguente (Tav. IX, N. 3).
41. Diam. mm. 64.
^ — In alto rilievo, donna laureata, seduta a sin., volta
a destra col busto ed a sin. col capo, avente nella si-
nistra una corona d' alloro e nella destra un ramo di
quercia; sotto del quale un medaglione portante la
testa nuda a destra di Alessandro Rossi. A destra della
donna, ruota dentata, e nello sfondo, paesaggio con
opificio. Sul basamento, a sinistra: A. Pogliaghi inv.
— A. C. INC. Neir esergo , in lambello : Stabilimento
Johnson. Milano.
T^ — Nel campo, in tredici linee: AL — SENATORE —
ALESSANDRO ROSSI ~ NEL SETTANTESIMO SVO NA-
TALIZIO — QVESTA MEMORIA — I CONSIGLIERI I SIN-
DACI — DEL LANIFICIO — CON AFFETTO CON FERVIDI
VOTI - CONSACRANO — MILANO -SCHIO — 21 NO-
VEMBRE — 1889.
Questa medaglia fu offerta al senatore Alessandro Bossi
in esemplare d' oro, dai Consiglieri e Sindaci del Lanificio
che dal benemerito senatore Bossi prende nome, e la cui
sede amministrativa è in Milano. La medaglia fu modellata
dal pittore A. Pogliaghi, e incisa squisitamente dall' A. Cap-
puccio ; fu coniata nello Stabilimento S. Johnson di Mi-
lano, rimanendone i coni di proprietà dei committenti
consiglieri e sindaci del Lanificio i quali , oltre all' esem-
plare in oro, pochissimi altri in bronzo ne fecero coniare.
MEDAGLIE ITALIANE DEL 1889 489
* »
Alla fine del dicembre 1889 la città di Firenze festeggiò
solennemente il quarto centenario dalla nascita di quel-
la eroico e leggendario capitano popolare che fa Francesco
Ferruccio.
Fuvvi un solenne corteo imponente di sodalizi, non
che di Firenze e di Toscana, di tutta Italia, che portò co-
rone, in via S. Spirito, alla lapide ricordante la località
dove Ferruccio nacque. Poi fu inaugarata una lapide com-
memorativa nel primo cortile dello storico Palazzo Vecchio;
quindi nel salone dei Cinquecento il professore e deputato
Giovanni Bovio tenne una conferenza storica e filosofica;
poi festosi banchetti, concerti, ecc.
Il Comitato curò, che la commemorazione del 29 di-
cembre rimanesse ricordata da una medaglia, la cui inci-
sione fu affidata al prof. cav. Luigi Giorgi, di chiara e
meritata fama, da questo nuovo lavoro confermata.
La medaglia (Tav. IX, n. 1) è la seguente:
42. — Diam. mm. 52.
^ — Busto coricato a sinistra, testa nuda. In giro ai lati :
FRANCESCO — FERRVCCIO. Sotto al busto: L. Giorgi f.
Il tutto in cerchio di perline.
9/ — Cerchio di perline. Nel campo in otto righe: A —
FRANCESCO FERRVCCIO — DELLA REPVBBLICA FIOREN-
TINA — VNICO BALVARDO - VLTIMO SOSPIRO — NEL
IV CENTENARIO IL COMITATO — XIV AGOSTO —
MDCCCLXXXIX.
La festa commemorativa, realmente, ricorreva il giorno
14 agosto; ma per meglio attuarne la celebrazione fu rin-
viata al 29 dicembre. L' epigrafe surriferita fu dettata dal
prof. Francesco Curzio, presidente del Comitato per le ono-
ranze a Ferruccio.
440 ALFREDO COMANDINI
Qui cessa il novero delle medaglie relative a fatti ed
a fasti compiutisi o celebratisi nel 1889. Ma ci rimangono
da descrivere poche medaglie, che, coniate nel 1889, sotto
questa data si possono tuttavia classificare.
Due di queste medaglie portano 1' effigie del generale
Garibaldi ; e sono le seguenti :
43. — Diam. mm. 60.
^ — Busto di prospetto, testa nuda a sinistra. In giro,
ai lati : GIUSEPPE — GARIBALDI. Sotto al busto , ad
arco : Gio. Batt. Noto Millefiori.
!pl — Corona di due rami di alloro e di palma , aperti
in alto , intrecciati e annodati in basso. Nel campo ,
sovrapposta a disco, e stante sulPannodatura della co-
rona, Fama seminuda, ad ali spiegate di prospetto, suo-
nante tromba a destra, ed additante con la destra a si-
nistra. In alto, nell'apertura dei due rami della corona,
stella a cinque punte.
44. — Diam. mm. 30.
^ — Uguale a quello della medaglia precedente; ma,
sotto al busto non si legge il nome dell'incisore.
]^ — Uguale a quello della medaglia precedente ; ma la
Fama è gradiente a destra.
Questa medaglia, nei suoi due diversi moduli, fu ese-
guita in Boma dal signor Giovanni Battista Noto Millefiori,
non incisore, ma soltanto modellatore distinto, addetto allo
studio dell'illustre scultore Monteverde. Nell'aprile del 1887
essendo venuto a morire il chiarissimo comm. Demetrio
Oanzani , primo incisore nella regia zecca di Milano , il
ministero per le finanze indisse in Boma un concorso per
la nomina di un successore al Canzani. Al concorso presen-
taronsi varì distinti incisori italiani, i quali, come d'obbligo
presentarono, modellati in cera, in grande dimensione, una
MEDAGLIE ITALIANE DEL 1889 441
testa nuda, a sinistra, di sua Maestà il Be, ed una Vittoria
alata ; più una medaglia in rame già eseguita nelP anno 1888.
Concorse anche il signor G. B. Noto Millefiori, modellatore;
ed i suoi eccellenti modelli gli valsero la scelta a primo
fra i concorrenti; ma non essendo egli incisore e, però non
avendo una medaglia eseguita da presentare, si assunse di
eseguirne una — e la esegui appunto nel 18S9, e fu quella
in onore di Garibaldi, sopra descritta e del diam. di mm. 60.
Non completamente soddisfatto il ministero per le
finanze di questo esperimento, richiese al Noto Millefiori
che facesse la riduzione di detta medaglia a metà diametro,
valendosi del pantografo esistente nella regia zecca di Boma,
ed eseguendo tale riduzione nei locali di detta zecca e sotto
la sorveglianza quotidiana di un delegato del ministero
delle finanze. Cosi , nel 1889 , il signor Noto Millefiori
esegui anche la riduzione — accennata al N. 44, con le
leggiere varianti indicate; ma, evidentemente, il lavoro non
corrispose alle esigenze del ministero per le finanze, giac-
ché l'esito del concorso fu dichiarato nullo; ed un nuovo
eoncorso pel posto di primo incisore alla regia zecca di
Milano pare debba essere nuovamente indetto prossimamente*
«
Un'altra medaglia stata incisa, coniata e messa in
commercio nel 1889 è la seguente:
45. — Diam. mm. 70.
^ — Testa nuda a sinistra.' In giro, ai lati : UMBERTO I
— RE D' ITALIA. lu basso , ad arco : Gaetano Calvi
DIS. MOD. ED ING.
^ — Nel campo figura simbolica nuda di vecchio lau-
reato, seduto su roccia a sinistra e raffigurante il Tevere,
appoggiato con la sinistra, tenente il remo, ad otre dal
quale scaturisce acqua. Sotto la figura del Tevere, spie-
gata , di fronte , con rostro a destra , aquila coronata
alla reale, portante sul petto lo scudo sabaudo. A destra,
nel campo, le cupole del tempio di San Pietro in Boma;
442 ALFREDO COHANDINI
6 a sinistra le colonne del Foro e la Greoostasis. In
alto, in giro, ad arco: u INTANGIBILE CONQUISTA. »
Neil' esergo, in tre linee, le prime due orizzontali, e la
terza ad arco: TELEGRAMMA DI S. M. UMBERTO I —
AL SINDACO DI ROMA — IL XX SET. MDCCCLXXXVI. Salla
linea dell' esergo a sinistra : Gaetano Calvi dis. mod. ed ino. '
Questa medaglia ricorda il telegramma che, il 20 set-
tembre 1886, nella ricorrenza del sedicesimo anniversario,
dall' entrata delle truppe italiane in Boma , fu mandato
dal Be Umberto I al sindaco di Boma, e che, per le parole
Roma conquista intangibile, fu accolto con grande favore •
dalla pubblica opinione, e, come propose il deputato Luciani,
fu consacrato in varie medaglie, ultima venuta delle quali
quella che qui abbiamo descritta.
Di questa medaglia furono finora eseguiti dal cav. Calvi
pochissimi esemplari in bronzo. Un esemplare in argento
fu inviato dal cav. Calvi a Sua Maestà, e fu collocato nel
gabinetto numismatico di Corte, facendo Sua Maestà signi-
ficare i propri ringraziamenti all'autore con lettera del
ministro Visone in data 3 dicembre 1889.
«
Altra medaglia — ohe si può dire dedicata ad Ales-
sandro Volta — coniata nel 1889 è la seguente:
46. — Diam. mm. 60.
i& — Busto , testa nuda • a destra. In giro , ad arco :
ALEXANDRO VOLTAE NOVOCOMENSI V. C Sotto al
busto, nel campo: P. Putinati.
1^ — Campo liscio: corona di due rami d'alloro e di quercia.
In giro, ad arco: SOCIETÀ' ITALIANA DI ELETTRICITÀ'.
Sotto , ad arco , su due linee : PER IL PROGRESSO
DEGLI STUDII — E DELLE APPLICAZIONI.
Per questa medaglia — la cui leggenda ne dice lo
scopo — fu adoperato, pel diritto, il conio inciso dal Pttti-
MEDAGLIE ITALIANE DEL 1839 443
nati nel 1838 per la medaglia commemorativa della inau-
gurazione del monumento ad Alessandro Volta in Como.
Tale conio, posseduto dal municipio comense, fu adoperato
già, un'altra volta, per la coniazione della medaglia com-
memorativa della inaugurazione del monumento a Volta in
Pavia il maggio 1878. Nella terza coniazione, del 1889, pare
che il vecchio conio abbia alcun poco sofferto; cosicché delia
medaglia sopra descritta non furono potuti coniare che
pochi esemplari.
Il rovescio fu eseguito nello stabilimento S. Johnson
in Milano.
Altre medagliette minori, relative al 1889, si potrebbero
qui descrivere ; ma non hanno, a modesto parer nostro, im-
portanza speciale, generale o locale, né per la storia, nò
per l'arte. Se i nostri egregi colleghi altre ne conoscono,
meritevoli di particolare attenzione — favoriscano segna-
larcele.
Noi chiudiamo qui il nostro arido e semplice lavoro ;
aggiungendo, a complemento della notizia — data nella
prima parte del nostro scritto — sopra il medaglione in
onore del Rosmini, che l'esimio scultore G*. Cassina non
ne fece eseguire 80, ma solamente 38, di detti medaglioni ;
e del modello in legno fece dono al gabinetto numismatico
di Brera.
Milano, 2 settembre 1890.
Alfredo Com andini.
LE MONETE DEL DUCATO NAPOLETANO ('>
Manca sin' ora una notizia compiata delle monete ap-
partenenti al Ducato napoletano. Nel secolo trascorso ne
parlarono il Tutini (2), il de Pietri (B), il Capaccio (4), e pa-
recchi altri, tra i quali più ampiamente il Muratori (5). Ma
la scienza numismatica faceva allora le sue prime prove
nella parte medioevale, e gli esemplari sui quali si volge-
vano gli studi erano ancora scarsi di numero, spesso logori
troppo, e a volta falsi; cosicché facilmente si cadde in er-
rore, o si trascese a supposizioni immaginarie, come quando
in eambio di NEATTOAIC} si lesse nel rovescio d'una moneta
NEATTOAITANf e quando si ritenne genuino lo strano bronzo
che battezzava per Apostolo s. Gennaro (6).
Tuttavia quei primi tentativi non rimasero infruttuosi.
D' allora sino ai nostri giorni , altri attesero con indagine
(1) Qnest^ articolo fa pubblicato per la prìma volta nellMrcAiriò Stanco
per le Province Napoletane. Anno XIV, 1889, fascicolo III. (N. d. B.).
(2) Memorie della vita^ miracoli e eulto di S. Gennaro martire, Na-
poli, 1683, pag. 86 e seg.
(8) Historia Napoletana, Napoli, 1684, L. I.
(4) Hi8t Neapolit. L. I.
(b) Antiq, Ital. Med, Aevi, T. II, Diss. XXVII. In generale gli altri tol-
8oro occasione di parlarne a proposito delllmmagine di S. Gennaro messa
snlle monete, restringendosi a pocbi cenni, come fecero il Caracciolo , De
Sacr. Eccl. Neap, Monum. C. 25 ; il Falcone , Vif, S, Genn. ; Girol. M.'
di S. Anna, lator. della vita, ecc. di S, Genn. Pag. 466-456; il Mazzocchi,
De Episc. Neap. e TIonarra, Opuseula Receneio Actorum S. Januarii.
(6) A giudicare quanta poca cura ponessero neiresame, basta porre a
confronto i diFersi disegni, per lo più immaginari!, cbe si riprodnssero delle
stesse monete. Cf. Tutini, Op. e, Muratori, Op. e, ecc.
446 ARTURO G. SAMBON
più paziente allo studio delle monete medioevali dell'Italia
meridionale, e si giovarono della scoperta d' esemplari più
perfetti e sicuri, e li tolsero ad esame con acume maggiore
di critica. E , oltre al libro del Vergara sulle Monete del
regno di Napoli, vanno ricordate con pregio più o meno di
lode, le Illustrazioni del Diodati sulle Monete che si nomi-
nano nelle Costituzioni^ le Tavole di monete del Reame di
Napoli e Sicilia del Fusco, la monografia erudita dello Spi-
nelli sulle Monete Cufiche, e quelle più speciali e recenti
sulle Monete di Giustiniano II del Corderò di Sanquintino,
del Lazari sulle Monete d* Abruzzo, e dell'Engel intorno alla
Numismatica e alla Sigillografia dell'epoca Normanna (7).
Ma ancorché queste ed altre simili opere abbiano svelata
una messe abbastanza copiosa di monete sconosciute , ed
abbiano descritte con maggiore verità quelle già note, assai
rimane a fare. Parecchie monete furono trasandate, o ven-
nero a luce dopo , di altre non fu ben definita l' apparte-
nenza; e in generale si sente il bisogno di un' opera com-
plessiva che, ordinando ed illustrando la monetazione dei
varii Stati e dei dinasti, che durante la media età sursero
e dominarono nella regione meridionale d' Italia , ne dia
un'idea compiuta.
Come contributo ed apparecchio a quest'opera di mag-
gior lena, io mi propongo ora di raccogliere i tipi e di dar
notizia delle monete del Ducato napoletano, che, tra quegli
Stati, ebbe anch'esso un glorioso periodo di vita; ben lieto
di poter aggiungere alla cognizione dei più comuni esem-
plari, quella di altri meno imperfetti , o ignorati in tutto.
(7) A queste, e alle minori opere dei tre Fasco, del Promis , Tavole
sinott, delle monete battute in Italia dal eec. Vili in poi; del Tonini,
Appunti di Numismatica, ecc. e di altri, vanno agginnti i Cataloghili delle
Collezioni del Museo di Napoli del Fiorelli.
LE MONETE DEL DUCATO NAPOLETANO 447
I.
La prima serie delle monete Ducali, che comprende i
bronzi improntati in Napoli al tempo in cui la città tro-
vavasi in una diretta dipendenza dall'impero Bizantino,
s' inizia poo' oltre la metà del settimo secolo. Ormai può
ritenersi con certezza qaello che il Corderò di Sanquintino
ayea intravveduto (8), cioè , che 1' antichissima zecca Napo-
letana si riapre quando l'imperatore Costante II, venuto ad
assalire i Longobardi di Benevento , fece breve dimora in
Napoli. Per modo che la rinnovata monetazione si riscontra
ed a ragione in un fatto memorabile, quale fu l'istituzione
d'un primo Duca, Basilio, posto al governo della città tra
il 661 e il 662 (9).
Le monete di questa serie, almeno quelle che avanzano,
cominciando da una data anteriore al 668 (10)^ vanno fin
quasi alla metà dell' ottavo secolo. E il Sabatier ne anno-
vera due di piccolo modulo , tra le Bizantine (H) ; 1' una
con l'immagine di Costante II, l'altra con quella di Giusti-
niano II, le quali recando al rovescio la sigla NE, lasciano
intendere che furono battute in Napoli. Però va notato,
che nell'opera del Sabatier i tipi delle due monetine Na-
poletane non furono riprodotti con esattezza scrupolosa.
(8) Delle mcneie di Giustiniano II, (Mein. delVAccad, delle Scienze.
Torino, Sene II, 1845).
(9) Capasso, Manum. ad Neap. ducat. Rist pertin. T. I, pag. 80.
(10) In qnell*anno mori Costante II.
(11) J. Sabatibr, Deaeriptian generale dea monnaies Byzantines depuis
Arcadius jusqu^à la priee de Conetantinople par Màhotnet II, Paris 1868.
Fra le carte del Fosco, che sono raccolte nella Biblioteca di San Mar-
tino a Napoli, vi sono aicone note snlle monete del Ducato Napoletano ;
e in nna ò detto , che nel ano medagliere domestico si conserraya una
moneta di Giastiniano I assai consunta della specie dei foUari^ segnata al
rovescio con le sigle NEAP. Ma il dotto nomo deve essersi ingannato a
causa delle lettere delete, e la leggenda sarà stata forse THE^P che sposso
si legge sai follari di quelPimperatore.
448 ARTURO G. SAMBON
Anzi, raffrontando l'originale moneta di Giustiniano II al
disegno a stampa, ai vede che il disegno fa abbellito se-
condo un tipo d'immaginaria perfezione che n'alterò il ca-
rattere. Ed io sospetto che nemmeno l'interpretazione delle
leggende sia stata fatta sempre con diligenza, perchè non
m'accadde mai nei molti esemplari leggere intere le parole
DN ivsTiN'iAN ohc il Sabatier lesse in una delle dette mone-
tine, e perchè nella sua opera non mancano altri esempi
d'arbitraria interpretazione.
Oltre le due riferite dal Sabatier, ne rimangono altre di
tempo posteriore annotate dal Corderò di Sanquintino in
una inedita Tavola di monete napolitane , posseduta dal
professor Luppi di Milano, ed altre della mia particolare
collezione. Cosicché, per- questo periodo, le monete Ducali
di Napoli, conosciute sino adesso, sono in tutto dieci ch'io
classifico a questo modo:
COSTANTE IL
(641-668).
1. Vt Follis {20 nummia) (12). Rame. Peso gr. 2,36. (Colle-
zione Sambon).
^ — Effigie dell'Imperatore con lunga barba, di pro-
spetto: nella sinistra ha un globo crocigero: uno scet-
tro nella destra.
T^ — L' area è divisa da una sbarra orizzontale ; al di
sopra, il numerario XX; disotto, la sigla NE-
(Tav. X, N. 1).
2. Rame.
ÌD" — CONST ....
Busto dell'Imperatore, di prospetto.
(12) n follia^ moneta di rame delPimpero Bizantino, prendeva nome dai
sacchetti di pelle folles , nei qaali si riponeva. L^anità di questa moneta
ora il nummus, e quindi si avea il follis o multiplo massimo di 40 nummi,
il cui valore (da Anastasio sino a Michele IH) era indicato con le cifre
M, o XXX, XL. H Va di folliSf nummi 30, col A o xxx. Il V2 > nummi 20
col K, 0 XX. n DecanummOf col 1 0 x. Il Pentanumino, col € 0 V. II
nummua coli'A.
»-..
LE MONETE DEL DUCATO NAPOLETANO 449
^. — Simile al precedente; se non ohe, al di sopra del
numerario, v'è una crocetta (IB).
3. Rame.
^^ - b SOD
Basto di prospetto: globo crocigero nella destra.
!^ — Simile al nnm. 1. La cifra numerica ò però rap-
presentata in modo che gli estremi del secondo x si
riattaccano a quelli dell'altro (1^).
(Tav. X, N. 2).
4. Rame. Peso gr. 1,13. (Coli. Sambon).
^ — L'istessa moneta anepigrafe. Varia soltanto la foggia
del vestiario.
(Tay. X, N. S).
6. Rame. Peso gr. 1,75. (Coli. Sambon).
ÌB' — Busto imberbe, di prospetto: globo crocigero nella
destra.
1^ — Numerario xx: sotto una sbarra, le sigle NE
(Tav. X, N. 4).
6. Rame.
;& — .€N TOY ....
Figura ritta dell'Imperatore. Sostiene colla destra una
lunga asta con una croce : nella sinistra ha un globo
crocigero.
T^ — Indizio del valore K con tre crocette, una disopra, e
due ai lati: sotto alla sbarra orizz. la sigla NE (^^).
(Tav. X, N. 5).
7. Rame.
;& — .... Doe
Busto di prospetto dell'Imperatore.
1^ — Numerario xx: sotto alla sbarra orizz. A3N (^^).
(Tav. X, N. 6).
(18) Sabatier, 0. e.
(14) Sanquintino, Tav, cit.
(15) Idem, idem.
(16) Fusco, Disegni.
450 ARTURO 0. SAMBON
GIUSTINIANO IL
(685-695 e 705-711).
8. V2 Follis. Rame.
/B' — DN IMSTINIA
Busto di prospetto dell'Imperatore.
9' — ^x- sotto una sbarra orizzontale la sigla N€ iy%
9. Rame. Peso gr. 1,B2. (Coli. Sambon).
^ — IMTI
Busto di prospetto: globo crocigero nella destra.
T^ — Simile al precedente.
(Tav. X, N. 7).
LEONE m.
(716-741).
10. Va Follis. Rame.
/B' — ND L60
Busto imberbe e di prospetto dell'Imperatore: globo
crocigero nella destra.
1^ — Numerario xx: sbarra orizzontale e sigla N€ (^^).
(Tav. X, N. 8).
Come scorgesi a prima vista, queste monete sono nel
maggior numero anepigrafi, o portano a leggenda un ODO,
un I^TI, ed altri tali segni indecifrabili. Or la mancanza,
o l'enigmatica alterazione delle sigle, io non credo che sia
da attribuire ad imperizia dello zecchiere. Non lo credo
perchè, mentre viene omesso o confuso il nome dell'impe-
ratore, si pone grande diligenza a segnare le iniziali della
zecca; e perchè, mentre da un lato si toglie importanza al
dritto della moneta, si dà maggior rilievo al rovescio, dov'è
scritta NEATTOAIC. ^ per di più si aggiunga, che assai spesso
lo stile di queste monete è abbastanza corretto, e spesso
(17) Sabatier, Op. e,
(18) Sanquintino, Op. e.
LE MONETE BEL DUCATO NAPOLETANO 461
migliore quasi di quelle battute a Costantinopoli. Una con-
simile disfigurazione della leggenda imperiale, si riscontra
anche nelle prime monete dei Principi Beneventani, i quali
imitando e contraffacendo il soldo bizantino con successive
e graduate alterazioni, s'arrogarono il dritto di zecca, sot-
traendosi, con quelle mendaci apparenze alle rappresaglie
che una più manifesta usurpazione avrebbe potuto provo-
care. Come segno ' quindi dell' ambita indipendenza, essi
guastavano e confondevano le lettere del nome imperiale,
affinchè al confronto meglio apparissero le iniziali del
nome loro ; e non è improbabile ohe lo stesso sia avvenuto
a Napoli, non potendo altrimenti spiegarsi questa anomalia
che fa contrasto alla serie numerosa delle monete prodotta
dalle zecche di Itoma e di Ravenna, sulle quali, ancorché
a volta ne sia barbaro e sconvolto il tipo, si legge sempre
chiaramente il nome dell'imperatore (^9). Solamente, attra-
verso le fitte tenebre che oscurano la storia dei quindici
Duchi che si successero a Napoli, non ò possibile indagare
quali tra essi, sforzandosi a rendere meno visibili i segni
di dipendenza verso la corte Bizantina, diedero ardire agli
altri di procedere a più audaci tentativi, e di apporre il
loro nome sulle monete.
II.
La seconda serie della monetazione napoletana ha il
carattere d'assoluta autonomia, e s'inizia con un singolare
mutamento, perchè all'immagine imperiale, vien sostituita
quella di s. Gennaro.
Io so bene, che queste monete, anche perchè coniate
a sbalzi di tempo, al giudizio di alcuni, parvero piuttosto
(19) Di Boma si conosce solamente una monetina quadrata anepigrafe,
snlla quale manca il nome imperiale, ma lo stile n'ò così rozzo, che non
può darsi alcun valore a quella omissione.
452 ARTURO O, SAMBON
medaglie commemorative e religiose (20). Ma assai altre mo-
nete medioevaH, al modo stesso s'improntano dalla protome
dei santi patroni delle città; e d'altra parte, ammesso pure,
quantunque sia poco credibile, che gli esemplari posseduti
sin'ora, rappresentino tutta intera la serie delle monete
autonome ducali, ninna prova negativa può dedursi dall' in-
terrotta coniazione. È noto pur troppo che i rapporti di
dipendenza tra le città di Campania scampate alla conquista
longobarda, e l' impero Bizantino, furono sempre mal defi-
niti e mutabili. E che assalite da ogni parte, e costrette a
schermirsi con deboli forze tra nemici potenti, fu per esse
necessità d'acconciarsi ai casi variabili di fortuna. Onde
Duchi e Consoli, secondo gl'interessi del momento, e se-
condo che declinava o rialzavasi il dominio greco in Italia,
or s'atteggiarono a dinasti indipendenti, ed ora accettarono
e richiesero titoli d'imperiali ministri. Non è dunque me-
raviglia se, in mezzo a questa alterna vicenda, a volte
apparve e a volte spari dalle monete il nome dei Duchi
Napoletani, cosi come v'apparve e ne spari l'immagine di
s. Gennaro.
Quanto a questo simbolo narrano, che in teqipo assai
remoto, i cittadini atterriti da un incendio spaventoso del
Vesuvio, invocassero la protezione del martire Vescovo, e
che smorzate per miracolo le fiamme, ut Deo gratias agerenl
et monimentum benefica posteria commendarent per Theo-
critum ducem numismata cum imagine sancii Benefactoris
cuderunt (21). Però gli agiografi non s'accordano intomo
l' anno dell' incendio , e il singolare numisma, impresso
(20) In sanctorum honorem potius cusos, quam ut per manua ad mer"
ciinonios troàfreniur. Capacii, Op. e,, pag. 271, e lo stesso dicono tutti i
biognrafì del Santo.
(21) Narraiiuncula site Homilia de Vesuviano incendio, in calce ali^apo-
grafo greco della vita di S. Gennaro, intorno al quale y. Capasso, Op. e,
pag. 36 e seg. La moneta sarebbe stata coniata nel 685, ma allora era daca
Stefano e non Teocrito. Altri pongono Tincendio del Vesavio e il miracolo
in tempo anteriore,
I.E MONETE DEI. DUCATO NAPOLETANO 453
come dicono a rammentarlo, e riprodotto in più libri, si
scopre una postuma impostura (22).
Ben altro significato ebbe la protome di s. Gennaro
sulle monete, e in tempi meno lontani vi comparve.
Quando il furore iconoclasta di Leone Isaurico com-
mosse l'Italia e vi destò il primo sentimento di nazione,
Napoli fu l'ultima ad insorgere; anzi dalla città partirono
armati ad offesa del Papa, e non si volle ammettere dentro
le mura l'eletto vescovo Paolo, quia tunc Parthenopensis
populics potestati Graecorum favebat (23), Ma infine i pri-
mati, uno Consilio, unoque consensu, si scoprirono anch'essi
avversi alla detestabile altercazione delle immagini, e il
Duca Stefano secondò quel moto d'indipendenza, e fece ren-
dere al Pontefice i patrimoni della Chiesa Bomana confi-
scati presso Napoli; e, allorché Paolo venne a morte, fu
egli stesso consacrato Vescovo nel 767. Tra quegli anni
dunque, quando la prima volta soUevaronsi i primates Nea*
politani, e quando tornò in onore il culto delle sante imma-
gini, quasi a protesta del divieto che le avea proscritte (24),
deve credersi battuta la moneta, che reca la figura di S. Gen-
naro, dellfk quale rimangono i tre seguenti esemplari (25):
(22) La Narratiuncula dice che sulla moneta fa impressa da nna parlo
la protome del Santo e la scritta 'A'(to^ 6 Javoiàpto^, Sanius lanuarius^
e dairaltra AotpioTt]^ t^c icóXco»^ aicó to') %• p6{, Liberator Civitatia ab igne.
Forò neiresempJare della moneta edita dal Tutini, Op. e. al dritto si legge
Apostolm lanttarius, onde il Maratori, rìprodacendola, conf«4S8a che la
spiegazione di qael titolo divinari nondum potui. E giudicando dal carat-
tere corsivo delia scritta g^eca improntata nel rovescio, e dagli accenti che
la segnano, snppone, cotoe sappose anche Stilting, Act S. lanuotr. et soc,^
che fosse opera di tempi posteriori ; e si paò aggiungere che fa opera di
falsarii. Il Fusco, nelle carte citato, dubiti anch'egli della veracità della
moneta; ma non osa bandirla.
(23) loHAN, Diae, Gesta Epis, Neap. ed. Waitz Mon, Ge^m, Hist. n. 41.
(24) A conferma di questo fatto s'aggiunge un'altra testimonianza, cioè
quella dei suggelli del Vescovo Paolo, e del Vescovo Duca Stefano conser-
vati nel Museo Nazionale di Napoli. In entrambi si vede T immagine di
8. (Gennaro con la scritta pauli episc — scs ianovari — stephani epwc
— SCS lANUARlUS.
(25) Sono tutti di ramo, e si conservano nella Collezione Sambon. La 1*
pesa gr. 1,92^ la 2* ^. 1,85 e la 3» gr. 1,75.
§8
454 Aurrno e. sambon
1. Vi Folìis.
^^ — se lANO
Basto del santo col libro degli Evangeli.
9f — + NEA ~ noA - IC
(Tav. X, N. 9).
2. <iy — Altro di tipo diverso — S lAN
^ - Simile.
(Tav. X, N. 10).
3. /B' — Altro di modulo più piccolo e di tipo anche di-
verso — SCS lA
1^ — Simile, ma senza croce.
(Tav. X, N. 11).
D'allora, simbolo insieme della religiosa e della poli-
tica riscossa, l'immagine del Martire venerato riapparve
sulle monete ogni volta che i Duchi riuscirono ad affer-
mare i diritti della loro autonoma sovranità ; ed a renderne
più apparenti i segni, posteriormente essi v'aggiunsero le
iniziali del loro nome.
Le monete più antiche del secondo periodo di questa
serie, sono quelle che portano impresse le lettere S T, le
quali, messa da banda l'ipotesi di chi, credendole mistiche
sigle, vi lesse Sancia Trinitas o Sahiiis Tropheum (26), ad-
ditano certamente il nome di Stefano. Però i moltissimi
esemplari che ne rimangono sono diversi per tipo. E da
una parte il numero, dall'altra la varietà, danno motivo a
due quistioni, cioè se ad un solo o ad entrambi gli omo-
nimi Duchi, debbono attribuirsi; e come mai, posto che al
tempo d'un solo vennero battute, fu possibile quella diver^
(26) La prìma iiiterpretazioDe ò del Totini , la seconda del Maratori ,
che certamente la ricopiò dal Caracciolo, Op, e. E forse si persaasoro a dare
alle lettere nn sacro significato, vedendole tramezzate da una croce; ma
anche solle monete Beneventane di Grimoaldo, Sicone, Sicardo, Badelchi, e
sa quelle Salernitane di Siconolfo, si vedono le lettore iniziali del nome di qneì
principi diviso da una croce. Assai strano fa Terrore del Sabatier che
mntò la scritta sianosi in sconstgt (Cartagine). Op, e.
LE MONETE DEI. DITATO KAroi ETANO 455
sita cosi grande di stile, per cui dagli esemplari coniati
con arte discreta, via via si discende a rozze e go£Pe imi-
tazioni.
Qaanto alla prima qnistione, il dabbio da risolvere ò
tra il duca Stefano, che resse dal 768 al 789, e il nipote
di lui ch'ebbe il medesimo nome, e governò dall' 821 all' 832.
E i molti anni del dominio del primo darebbero buon fon-
damento ad asserite, che al suo tempo furono diffuse pa-
recchie emissioni di monete con mutabile tipo. Però questa
ipotesi è sino ad un certo punto probabile.
Disdetta l'obbedienza ai decreti iconoclastici, il governo
del Ducato di Napoli assunse più libere forme. Ma pure
allentandosi i vincoli esterni di sudditanza, non s'infran-
sero; o almeno non s'infransero a lungo. E anche quando
Stefano I ebbe riunita alla ducale potestà quella vescovile,
destreggiandosi accortamente tra Boma e Bisanzio, man-
tenne il culto delle immagini, e insieme anche certe appa-
renze d'ossequio verso l'Imperatore (27). Or questa accorta
ed ambigua condotta toglie il sospetto che, oltre alle mo-
nete coniate nei primordi della riscossa con l'impronta di
S. Gennaro e la scritta N€ATTOAIC) finché visse quel Duca,
siano state battute tutte le monete autonome che portano
il nome di Stefano.
Sembrerebbe perciò più verosimile attribuirle a Stefano
juniore, ove si tenga conto delle condizioni storiche. Dopo
che i primales della città s'arrogarono il dritto d'elezione,
i Duchi furono prescelti, quasi ereditariamente, nella fami-
glia del vecchio Stefano sino all'anno 818. Però, morto An-
timo, cominciarono anche altri a pretendere a quella dignità;
e allora, crescendo le discordie e le contese, il governo fu
(27) I legami rimasti tra Stefano I e la corte imperiale d^Oriente e!
deducono dalle lettere di papa Adriano I e specialmente dalla 65, Cod.
Caroliti., scrìtta tra gli anni 777, 778. Il Pontefice si duole perchò i nefan*
dt88itno8 NeapoUtanoa et Beo odihilee graeeoa ad isiig^ione di Arechi
daca Beneventano, avevano invasa Terracina. E altrove {Epis. 88, 92) parla
di dae Spatarii, che venuti da Costantinopoli, e accolti dai Napoletuii cum
signis et iriMgimbus,,. mm Stepkano episcopo,., tractaveruni.
456 ARTURO G. SAMBON
successi vamenfce ridato in mano degl' imperiali ministri,
Teotisco e Teodoro, venuti dalla Sicilia con titolo di Mae-
stri dei Militi. Ma quella mutazione subito increbbe; i
fautori del dritto ereditario sollevaronsi, sbandirono Teo-
doro, acclamarono Tanno 821 il nipote del seniore Vescovo-
Duca. E questo secondo Stefano, apertamente ribelle ai
Greci (%), si può intendere che a ragione imprimesse il
nome suo sulle monete.
Non pertanto questa deduzione, che ha molta apparenza
di vero, non basta a sciogliere l'enigma maggiore. Il Fusco
raccolse sino a quaranta esemplari delle monete di Stefano
con tipo più 0 meno dissimile (^), e anch'io ne posseggo
buon numero di conio diverso, e a volte assai strano. Il
tipo originale e più corretto è il seguente:
Rame. gr. 1,61 (CoUez. Sambon) (30).
(B^ — Effigie di S. Gennaro tonsurato, in abito episco-
pale, con la scritta SCS lAN.
T^ — S T divise da una croce su due gradini.
(Tav. X, N. 12).
Le altre sono di stile meno corretto, e in parecchie fra
queste i contorni della figura del Santo, allargandosi, con-
torcendosi, confondendosi, alterarono il disegno, per modo
ohe il cocuzzolo raso del Vescovo martire prese foggia, o
di un nimbo, o di un berretto a punta o spianato ; e il pi-
viale si cangiò in un intrigo indefinibile di linee. E peggio
ancora, in alcune le lettere dell'epigrafe, furono in parte
trasandate, o capovolte e impresse a rovescio, e perfino mu-
taronsi nello sgorbio indicifrabile, che apparisce al nu-
(28) Un argomento a provare che la sovranità greca fu allora, almeno
di fatto, sconosciuta a Napoli, paò trarsi dal vedere che neirostinata gnorra
combattuta dorante il ducato di Stefano II, tra Napoletani e Longobardi,
non si accenna mai air intervento dei Bizantini.
(29) I disegni di questi varìi esemplari, raccolti dal Fusco in due Ta-
vole rimaste inedite, si conservano presso il prof. Loppi in Milano.
(30) Le altre al n. 13, 14 e 15, della stessa OoUezione, hanno presso
a poco ristesso peso.
LE MONETE DEL DUCATO NAPOLETANO 457
mero 16 della Tavola X (31). Come dunque spiegare questa
moltiplicità e varietà di tipo? Come persuadersi d'una cosi
evidente differenza di stile, durante un periodo d'appena
dieoi anni assegnati al governo di Stefano II?
Il primo sospetto che viene in mente ò quello di una
contraffazione. E confesso, che rammentando come i Mu-
sulmani usarono a volta, per ragione di traffico, foggiare
le altrui monete ; e che di fatto foggiarono i follari anonimi
bizantini attribuiti a Tzimisce, i quali col loro simbolo di
pace, per essere estranei agli odii religiosi, avevano facile
corso negli Stati dell'Italia meridionale (32)^ quasi mi per-
suasi, che le più goffe imitazioni delle monete di Stefano
fossero uscite dalle zecche Saraceniche.
Ma pur troppo il sospetto si dilegua, quando si consi-
dera che a dargli ombra di possibilità, bisognerebbe im-
maginare che i Musulmani di Sicilia cominciassero a mo-
strarsi sul continente in un tempo anteriore a quello indi-
cato nelle storiche tradizioni, o che dopo la morte di Ste-
fano II, durante una serie d'anni assai lunga le sue monete
rimanessero in uso nei commerci. E anche consentito questo,
resterebbe a provare, perchè valesse la pena di contraffarle,
che quelle monete di rame avessero importanza tale da es-
sere accettate nei traffici degli altri Stati. Or dei tre fatti
immaginabili, l'uno ò smentito dai ricordi unanimi dei cro-
nisti, e agli altri due manca il sostegno di qualsiasi indizio
anche lontano, anzi vi si oppongono tutte le notizie che
abbiamo sulla circolazione delle monete che furono in uso
allora.
La più probabile soluzione del quesito non pertanto ò
quella di attribuirle al secondo Stefano; perchò, a parte le
mal note ragioni che hanno potuto contribuire a trasfor-
marne il tipo più corretto in un tipo più rozzo e contraf-
fatto, non deve destar meraviglia 1' imperizia degli artefici
(31) Peso gr. 2,76. (Collezione Sambon).
(32) Questi follari circolano anche fra gli Arabi, e alcuni se ne veggono
improntati da una contromarca con la ecrìUnra buono in caratteri enfici.
458 ARTUKO G. SAMBON
e la decadenza dell'arte, quando si rammenti in mezzo a
quali vicende burrascose visse quel Duca, e come la sca-
dente coltura apparisca anche nelle scritture del suo tempo,
e perfino nel barbarico epitaffio che si legge sul suo se-
polcro (33).
Bellissimi invece al paragone sono i due tipi della
moneta di Sergio:
1. Follis. Rame. Peso gr. 7,74 (Coli. Sambon).
^^ — Ai lati: SERGI V DVX
Effigie del Duca con abiti gemmati e berretto ducale:
nella destra lunga asta con croce: nella sinistra globo
crocigero.
9/ — Ai lati : SCS lANV
Busto tonsurato di S. Gennaro che poggia la destra sul
libro degli Evangeli.
(Tav. X, N. 17).
2, Rame. Peso gr. 7,14 (Coli. Sambon),
Altro consimile ma di stile diverso con una stella al
disotto della mano che sostiene il globo (B4).
(Tav. X, N. 18).
Non ò facile indovinare a chi tra i sette Duchi ch'eb-
bero il nome stesso s'appartenga quel follaro. Lo Spinelli
e il Corderò di Sanquintino s' accordano ad assegnarlo a
Sergio II; ma il Lazari non sa proprio decidersi ne per
quel Duca, né per alcun altro. E prima vorrebbe attribuirlo
a Sergio IV, pur dubitando a che ad uno dei tre successivi
(33) y. De Meo, Ad an., che però lo crede dubbio.
(34) Il Muratori, Op. e, ricorda un altro esemplare diverso e ìnesso Tef-
fìgie di S. Gennaro non ha nimbo ed invece ha la barba. Ne fa conno anche
lIoNARRA, Op. e, 0 il Mazzocchi, Op. e. osserva, che a Sergii ducatu coepit
lanuariiis exprimi annoaior et cum modica barba, 9ÌctUi in Musivo 8. Mariae
de Principio videtur. Ma evidentemente la moneta ò apocrifa. Qnanto poi
alla sigla, sis che si scorgo in petto alla protome dei Santo, pare che
abbia a leggersi s. ianuarius; ed io suppongo che la sigla dovea essere
nel busto d'ana statua del Santo, che fu tolta a modello neir impronta
della moneta.
LE MONETE DEL DUCATO NAPOLETANO 459
omonimi non convenga n ; e poi inchina a concederlo all'ul-
timo dei Sergi. Cioè al settimo, ch'egli a torto diffama, giu-
dicandolo un u vile che nel 1137, atterrito dai trionfi del
re Ruggiero^ se gli dichiarò vassallo, e si fece ammazzare
per lui, acciocché aggiungesse Napoli agli altri suoi Stati (86).
Eppure un raffronto, non fatto da altri, basta a togliere
ogni incertezza. Chi guarda l'atteggiamento dell'effigie, le
vesti, i simboli dell'asta e del globo, e la stessa disposi-
zione dell'epigrafe nella moneta di Sergio, la riconosce con-
forme in tutto al Follis del bizantino Teofilo (86). Deve cre-
dersi dunque che l'imitazione venne fatta da un Duca vis-
suto o al tempo di quell' imperatore, o poco dopo. E questa
contemporaneità, o quasi contemporaneità, non si riscontra
in altri fuorché nel primo Sergio, acclamato al seggio du-
cale circa due anni innanzi alla morte di Teofilo (B7).
E indizii altrettanto sicuri si traggono dalla storia.
Dopo l'uccisione di Stefano JI, grandi sciagure avevano
funestata Napoli; ove, con breve dominio, succedati tre
Duchi, l'ult mo, Andrea (3^), assalito senza tregua dai Lon-
gobardi, e costretto ad allearsi ai Saraceni, era perito per
tradimento del franco Contardo (89). Ma tra mezzo a quei
pericoli, l'anno 840, eletto Sergio, già conte di Cuma, d'un
tratto, quotarono i tumulti nella città, e fuori si respinsero
i nemici. Il nuovo Duca, de prosapia procerum ortus, sed
longe nobilior m^n^^(40)j rimasto a reggere lo Stato quasi
per un quarto di secolo, fondò una dinastia durata fin quando
(86) Da Mss. presso il conto Papadopoli. Il 1>e Petris, Op, e. ed altri
attribaiscono lo monete a Sergio I» e invece Falcone, Op. e. a Sergio III.
(36) Fu riprodotto dal Sabatier, Op. e.
(87) L'elezione di Sergio I è posta nel marzo SiO, e la morto di Teofilo
nel gennaio 84-2. Capasso, Mon. ad Neap. ducat., ecc. pag. 83.
(38) Lo Spinelli dà il tipo di un numìno d' oro sol quale, precedalo e
seguito da caratteri cufici, lesse il nome di Andrea, Op. e. XXVL Ma fu
lotto erroneamente quel nome, e in ogni modo non p(»trebbe riferirsi ad
Andrea Duca di Napoli, come qualcuno vorrebbe.
(39) Chronicon ec. ap. Capasso, Op. e, pag. 88.
(AO) Vit. S. Athanas. n. 2. L'agiografo soggiunge die Sergio ora Ulteria
tam graecis quam latinia favoràbiliter eruditus, ap. Capasso, Op. e, pag. 84,
460 ARTURO O SAMBON
durò r indipendenza della sua patria. E mentre egli trami-
schìandosi alle gare dei dinasti Longobardi, lottando con
essi e contro essi, apprendeva ai successori l'arte di scher-
mirsene e d'infievolirne le forze, suo figlio Cesario, oppo«
nendo alle offese le offese, spazzava il golfo dai pirati Sa-
raceni, scacciavali dal porto di Gaeta, e rivincevali più glo-
riosamente in battaglia navale ad Ostia (^1). Bare volte nel
Ducato Napoletano apparve come allora una maggiore ope-
rosità politica, una maggiore virtù militare. E si può bene
immaginare che Sergio, orgoglioso dei trionfi, sicuro della
sua potenza, sorretta dall'ossequio dei cittadini, e dall'al-
leanza del Papa e degl'imperatori Carolingi (^2), ardisse, primo
fra tutti, segnare intero il suo nome sulle monete, ed im-
prontarvi la sua effigie ornata dei simboli fastosi dei Cesari
bizantini.
Questo lungo e glorioso dominio esclude per me anche
la possibilità, che negli anni del suo Ducato siasi coniata
moneta col nome imperiale a Napoli, e meno ancora quella
che reca le immagini di Michele III il Beone e di Basilio I,
ed ha in giro la leggenda MIHAEL IMPERATOR e BASILIVS
REX (^)» Il Liruti, che prima pubblicolla, notando la singo-
larità del titolo latino, la giudicò venuta fuori da una zecca
dell'Italia meridionale, e probabilmente da quella di Na-
poli; e interpretò il duplice titolo d'imperatore e di re come
un segno d'opposizione ai titoli che s'arrogavano gl'impe-
ratori d'occidente (4^). Onde il sospetto parve certezza al
Eunz; il quale, plaudendo al Liruti, e confermando che
quel Follis fosse napoletano, soggiunse che bastava porlo
(41) Cf. JoAN. DiAC. , «. 60, Anast. Bibliot., In Leon' IV. Ignot.
Casin., Ad an,f ecc.
(42) Penes Gregorium, Rotnanae sedis Pontificem, ergoque sereniasimos
viro8 Lodoicum piisaimum.., einsque Suboìem Lothariwn, invictiasvnos
Cesarea^ familiarisaimua easet, inoximumque obtineret honoris locum, ecc.
Vii. S. Athanaa., 1. e
(43) Rame. Poso gr. 6,967 (Collozione Samboii). V. Tar. XI, N. 2,
(44) Liruti, Lettera al conte Savor^nano,
LE MONETE DEL DUCATO NAPOLETANO 4GL
a confronto coi follari dei Duchi, e più particolarmente
con quelli di Sergio, per restame convinti (^).
Ma pure ammessa la prima ipotesi del luogo della zecca,
quantunque assai incerta, si sbaglierebbe assegnandone la
coniazione al tempo di Sergio I, perchè in quel tempo
sparisce ogni orma di greco dominio nel Ducato ; e perchè
Basilio fu associato all' impero da Michele nel maggio 8G8,
vale a dire, oltre due anni dopo la morte di quel glorioso
Duca (^). Perciò, se mai nel breve periodo in cui i nomi
dei due imperatori si trovarono congiunti, il Follis fu bat-
tuto a Napoli, lo fu durante il governo del figliuolo di
Sergio I, Gregorio (^V. É probabile che allora, quando il
franco Ludovico II, richiamato a combattere i Saraceni, più
apertamente scopriva il disegno d'estendere la sua sovranità
sul mezzodì d'Italia, i Napoletani, sdegnando obbedirgli,
s'inducessero ad invocare il nome degl'imperatori Bizantini,
per farsene schermo contro di lui(^). E questo fatto ser-
virebbe meglio a spiegare il titolo inusato di REX che si
legge su quella moneta, e che proprio richiama alla mente
(45) Strozzi, Dissertaz. sul Museo Bottacin. (Periodico di Numismor
fica e Sfragistica^ Y. Ili, pag. 242).
(46) Basilio venne associato da Michele airimpero il 26 maggio 868,
quando già Sergio I era morto nel giugno o nel loglio 865. Capasso, Op. r.,
pag. 90.
(47) Governarono insieme Michele e Basilio al più nn anno e qnattro
mesi sino al 24 settembre 869.
(48) Ludovici adventui omnium drcurnquaque urbium ^Hituit introytus.
Solummodo neapolitam non est ingressus civitatem. Joh. Diac, n. 64 o
Vit, S. Athan. che attribuiscono Tastensiono a grazia concessa al pio ve-
scovo Atanasio I. Ma offeso dalla contumacia dei cittadini, Ludovico scri-
veva più tardi a Basilio di aver mandato contro Napoli populum nostrum
ad incidendas arbares, et messes igne cremandas, et hanc ditioni nostrae
subdendam, cum licei ab olim nostra fuerit et parentibus nostris piis im-
peratoribus tributa persolveret, volendo anche che la città si sciogliesse
dall'iniqua alleanza dei Saraceni. Chran. Anon, Salern, M. G. H. T. Ili, I
8cr, 526. L'Amari, (Stor. dei Musul T. I, pag. 381) ritiene che la lettera sia
parafrasi di altra autentica.
59
462 ARTURO G. SAMBON
le singolari pretese intorno all'uso di quel titolo aooampate
poco dopo nella corte d'oriente (49).
Un viluppo intricato d'eventi s'annodava allora a scon-
volgere le signorie dell'Italia meridionale. Contrastavano
tra essi i Longobardi, s'astiavano le autonome città della
Campania, rinnovavansi gli assalti terribili dei Saraceni.
E alle discordie, alle guerre, agli eccidii, tramischiavansi
le ambizioni di Ludovico II, le mire di temporale gran-
dezza dei Papi, le insidie e gli sforzi dei Greci per ripren-
dere le province perdute. Quel contagio di violenze, di
perfìdie, di cupide brame travolse anche Napoli. Il vescovo
Attanasio II, imprigionato, accecato, suo fratello Sergio III
fecesi Duca, e come gli altri adoperò le armi e gl'inganni,
secondo i mutabili interessi e la prevalenza dei nemici, ora
alleato al Papa, ora stretto ai Musulmani, ora affidato in
tutto alle sue forze, ed ora disposto, fosse anche per sola
apparenza, a riconoscere la greca supremazia (50).
E questa vicenda di casi, e di politici maneggi, spiega
il conio diverso delle monete, che uscirono dalla zecca di
Napoli durante il suo governo.
1. Follis. Rame. Peso gr. 3,823. (Coli. Sambon).
^ — Busto del Duca: ai lati ATHA EPS
^ — Protome di s. Gennaro come nella moneta di Sergio,
aggiuntovi il nimbo intomo al capo (51).
(Tav. XI, N. 2).
(49) Niceta Orìfa venato d'Oriente ad aintar LadoYÌco nella gnerra
contro i Saraceni, al ritorno suscitò cavilli intorno al titolo d'imperatore
dei Romani assùnto dai Franchi, e al titolo di Basileo, riserbato, dicea,
solamente ai Greci. Chron. Anon, Saler,, 1. e. Quantunque il pettegolezzo
nascesse dopo, deve credersi che la pretensione fosse già prima surta nella
corte Bizantina, e che ora Basilio por fare dispetto ai Franchi s'intitolasse
anche re.
(50) Attanasio, ch'erasi mostrato avverso alla lega stretta tra il fratello
0 i Saraceni, sfidando poi le ire del Papa prò turpis lucri comoffo tornò
ad allearsi ad essi, e s'uni anche ai Greci per combatterò i Capuani.
(Johan PP, Vili, ep. 227, 265, 270). Erchemp, Chr., e. 43, 49, 50, 71,
72; Chr. Anon. Salern., e. 130, 140.
(51) Stranamente il Capaccio, (HisL Nap. 1. I), crede che il numtno sia
stato coniato in onore di s. Gennaro e di Attanasio I, quos aanctissimos
hahuit NeapoUa episcopos.
LE MONETE DEL DUCATO NAPOLETANO 463
i _^
2. Denaro d'argento.
^ — * BASII IMPE
Al centro, in forma di monogramma, NEAPOLI
9/ — + SCI lANVARI
Al centro croce potenziata sa d'un gradino, tra due
stelle (52).
(Tav. XI, N. 3).
8. Argento. Peso gr. 0,431. (Coli. Sambon).
^ — * BASIL IMPE
Al centro NEA
?/ ~ + SCI lANVAR
Croce tra due stellette.
(Tav. XI, N. 4).
Dei due denari, inedito è il secondo; nò, credo, che si
sbaglierebbe, ponendone la coniazione tra gli anni 881 e
884, quando i ministri di Basilio rialzavano in Italia il
prestigio dell'impero Bizantino, e scacciavano e vincevano
i Musulmani. Onde in segno d'alleanza ovvero di pretesa
dipendenza, s'improntavano uniti sulla medesima moneta
i nomi di Basilio e del Santo Napoletano , e battevasi ,
forse nella stessa zecca , e certo a memoria delle imprese
contro i Saraceni, anche il seguente denaro rinvenuto
presso Telese:
4. Argento. Peso gr. 0,935. (Coli. Sambon).
^ — BASILI IMPE nell' area.
^ — SANCTA R— XA (in nesso) I
Da leggersi XRISTIANA RELIGIO (53).
(Tav. XI, N. 5).
(52) Pfistbr, Mùnnaie inedite de Vempereur Basile L^ fro.pp^ à
Naples en 884 — e Bevae Nnmis. >, 1849 e Bdgio Maseo di Torino.
(53) Forse a questo tempo sono da riferirsi due sconosciute monete di
argento da me possedute. L'una ha al dritto i nomi di basil lbo alezan :
al centro imps e al rorescio, intorno ad un ramo che sembra spiga» mihael
ARHAOBL (Tav. II, N. 6), e Taltra al dritto arhan mih : (ivi, N. 7).
4CI: ARTURO G. SAMBON
Fa quasi comune opinione, che d'allora sino all'anno
1278, in cui Carlo I riaprivala, rimanesse chiusa la zecca
napoletana. Cosicché ultima nella serie delle monete auto-
nome sarebbe stata quella del truce vescovo Attanasio II.
Ma è per lo meno inconcepibile il fatto, che non uno degli
undici Duchi, i quali dopo lui si successero, ne imitasse
l'esempio; e il non essersi fin'ora rinvenuta alcuna moneta
col nome loro, non è ragione sufficiente per affermarlo (54).
Il Fusco asserì d'aver vista una moneta sulla quale era
un santo in abito vescovile colle braccia levate in alto, e
al rovescio un cavallo frenato. E da quest'immagine del
cavallo, che rammentavagii una popolare tradizione, argo-
mentò che la moneta fosse stata battuta in oltraggio ai
Napoletani, allorché Pandolfo IV, Principe di Capua, riusci
a signoreggiare per breve tempo la loro città, scacciandone
al centro una croce contornata da quattro pnntì, e al rovesdo la stessa
leggenda, intorno al monogramma s imp. La seconda, benchò anonima,
per la simiglianza che ha con la precedente, deve assegnarsi agli stessi
imperatori. Ed entrambe per la forma delle lettore, e il nome dell'Arcan-
gelo Michele, fanno supporre che siano state battute in ana zecca Longo-
barda deiritalia meridionale. Ma il nome di Basilio unito a quelli di Leone
e di Alessandro, esclude la possibilità di attribuirle alla zecca di Bene-
vento, perchè, quando neir891 i Greci s'insignorirono di quella città, Ba-
silio era morto. Una possibile congettura potrebbe essere la seguente. NeirSSl
Gaiderisio Principe di Benevento, scacciato, fuggì presso i Greci, e Basilio
rimandollo in Puglia assegnandogli la città di Oria. Può darsi ch'egli
abbia prestato omaggio al greco imperatore, il quale intento a restaurare
il suo dominio in Italia, segnando il nome del santo patrono dei Longo-
bardi sulle monete, volle affermare la pretesa sovranità sulle loro terre.
(54) Non posso tener conto della testimonianza riferita da Enobl, (Re-
cherches $ur la NumistìuUique et la Sigillographie des Normands, ec«.)
nella quale in una donazione testamentaria dell'anno 928: si logge: post
meum tranaitum ibidem habeat predida nostra ecclesia prò luminariis,
absque iniuria, auri Ireniissem unum Neapolitanum, La tremissa, ricordata
ivi e in parecchio altre carte, non era una moneta d'oro battuta a Napoli
come sembra sospettare il Fusco, ma quel nome s'adoprò con significato
generale a determinare le monete d'oro che nella città avevano corso. La
formola di eseguire i pagamenti in moneta que tunc andaverit in ista
civitate, si trova spesso adoperata in altre carte napoletane del tempo.
V. Camera, Importante scoperta del fam. tareno Amalfit. pag. 29 e UO.
LE MONETE DEL DUCATO NAPOLETANO 466
il Duca Sergio IV (BB). Però non è possibile consentire
all'attribuzione ohe il Fusco dà a questa moneta, destinata,
com'egli crede, col simbolo dell' imposto freno a commemo-
rare quell'onta, che una leggenda posteriore d'oltre due
secoli attribuì variamente a Corrado IV di Svevia, o a
Carlo I d'Angiò (56). Una prova più sicura della non in-
terrotta coniazione, sarebbe quella data dall' Engel (B*?), che
pubblicò il tipo d'una monetina, la quale al dritto ha la
solita effigie del santo patrono di Napoli in mezzo alle
lettere S lA, e al rovescio il monogramma XPS VI XPS
BE: o, come meglio si legge nell'esemplare assai perfetto
da me posseduto : XR8 VINCE (in nesso) XRS EEd XES I,
posto intomo ad una croce chiusa in un cerchio con quattro
stelle agli angoli (Tav. XI, N. 8) (58).
La minima proporzione, la forma delle lettere, lo stile
della figura di questa monetina, accennano all'epoca Nor-
(55) Traggo la notizia dalle accennate carte del Fosco esistenti nella
Biblioteca di s. Martino, dove ò detto che il santo Vescovo potrebbe essere
8. Pietro patrono di Capna. Pandolfo s'insignorì nel 1027 di Napoli à Vaide
de ceux de la ette. Amato, I, 40, e ne rimase padrone per annoa ferme
tre$, Lbo Ostibn, II, 58, o come altri scrive, solamente quindici mesi
Cron, Case, ad an. Non si trova nemmeno ch'egli intitolasse i pabblici
atti col suo nome.
(56) n CoLLBNUccio, L lY fa il primo a raccontare, che Corrado IV
di Svevia, per vendicarsi della resistenza oppostagli dai Napoletani, volle
che si ponesse il freno al cavallo di bronzo ch'era innanzi la loro chiesa
cattedrale, e che vi si scrivessero i segaenti versi:
Baetenus effrenia, domini nunc paret haienis
Sex domai hunc aequua Parthenopensia equum.
Ma la Oronaca di Partenope, compilata intomo la metà del secolo XIV,
che raccolse la favolosa leggenda di qnel cavallo costruito per opera ma-
gica da Virgilio, narra che quei versi furono fatti incidere da Carlo I An-
gioino, e. 10, e s'accorda con Eustazio da Matera vissuto nel secolo XIII,
che in un poema de planctu Italie, ora perduto, avrebbe detto lo stesso.
V. Capasso, Hiat. dipi, Regn, Sic., pag. 51 e S54.
(67) Op. cit.
(68) Bame gr. 0,556. In questo esemplare della mia Collezione, si vede
chiaro non il P greco, ma TB latina formata dal prolungamento di una
delle linee delPX.
466 ARTURO O. SABIBON
manna, e l'Engel non esitò ad assegnarla al tempo di
Baggiero II, supponendo che quel re, tra gli altri privilegi,
avesse mantenuto a Napoli il diritto di una particolare mo-
netazione. Ma è noto che Ruggiero restrinse in limiti an-
gusti l'autonomia della città, e tra quei limiti non può
immaginarsi che assentisse perfino a vedere escluso il nome
suo dal conio delle monete; nò, pur consentendo all'inve-
rosimile ipotesi, si giungerebbe ad intendere il significato
delle cifre monogrammatiche che a quel nome furono so-
stituite (59).
Da che Ruggiero aveva ambito unificare nel suo do-
minio le divise signorie dell'Italia meridionale, una lotta
pertinace s'era combattuta tra i singoli dinasti e il prepo-
tente re. E Napoli anch'essa, partecipe a quella lotta, avea
opposta resistenza ostinata, avea con eroico valore difese
le sue mura, e sovvenuti gli altri ribelli. Finché il suo
Duca, Sergio VII, rimasto quasi solo a fronte al comune
nemico, e costretto a fargli omaggio, era perito nel 1137
combattendo per lui a Bignano. Ma sparsa la fama della
sconfitta di Ruggiero in quella battaglia, Napoli tornava
a ribellarsi, e senza eleggere altro Duca, i suoi primates
la reggevano per oltre un anno. Ond'io mi convinco, che
essi, in quell'estremo respiro di libertà, invocando Cristo
vindice e signore, facessero coniare la monetina scoperta
dall'Engel che porta in monogramma le mistiche parole
XRISTVS VINCITI XRISTVS RE&NAT: XRISTVS IMPERAI (60).
(69) Non pare probabile che Bnggiero , il quale con terribile edietum
proscrìsse le Romeeine d'argento, che aveano corso nel Regno, sosiitoendovi
il suo ducato, e fece battere per proprio conto i tre follari di bronzo,
(Falc. BeneT., Ad. an. 1140) potesse mostrarsi largo nel concedere il dritto
d*nna particolare coniazione a parecchie città soggette.
(60) Sono noti gli esempì di altre simili inTocazioni segnate snlle mo
note, e basterà rammentare la leggenda dello zecchino Veneziano : Sit tibi
Chriete datus quem tu regie iete ducatus, e quella più famosa della moneta
ossidionale di Firenze del 1529 : Jeeue. Sex, Noster, Et. Deus. Nosier,
LE MONETE DEL DUCATO NAPOLETANO 467
m.
Quella dunque sarebbe l'ultima moneta autonoma del-
l'età Ducale. Però la tradizione della zecca cittadina so-
pravvisse ancora a Napoli attraverso le politiche vicende
d'un secolo. E se mancano le prove per attestarne la con-
tinuità durante il regno di Ruggiero II (61), non manca la
certezza, ch'essa a volta a volta, dopo, ridivenne attiva.
Ma scarsa troppo è questa postuma serie, quantunque
non sia priva d'importanza. Comincia dal tipo d'uno speZ'
zato di follare, che mostra al dritto il capo d'un cavallo,
e al rovescio nell' area le sigle R G, con traccia d'altre
lettere appresso l' R (62). E queste lettere delete , meglio
visibili in altro esemplare (63), foggiandosi dal prolunga-
mento della linea finale dell' R, e prendendo forma d'un
monogramma che può leggersi REX , danno indizio a clas-
sificarla (Tav. XI, N. 9).
Chiaramente vi si scorge Io stile del periodo Normanno,
e quanto al luogo di coniazione, si può bene assegnarla a
Napoli, perchè il simbolo del cavallo non si trova se non
in altra moneta posteriore di questa città. Dirò ora come
quel simbolo fu congiunto al nome d' un REX &VILLEL-
(61) n Fusco nelle carte citate, argomenta che Ruggiero confermasse
il privilegio della zecca a Napoli, da una monetina snlla qnale, dice, era
impressa da una parte la leggenda roob rrx, e dalF altra la protome di
un YescoTO, e le parole s atha. Ma ninno YÌdo mai questa moneta, ed ò
impossibile che air immagine di s. Gennaro patrono della città se ne sia
sostituita altra. Anche Engel, Op. e, n. 49, pag. 40, reca il tipo d^una pic-
cola moneta Normanna assai corrosa, e vuole attribuirla a Napoli, imma-
ginando che le due lettore visibili siano iniziali di s. iakuarius. Però
in parecchi esemplari della stessa moneta esistenti nella mia Collezione, si
legge chiaramente s. stbphanus, quindi essa deve riporsi tra le altre
monete di Bu^iero II che hanno T effigie del Santo Capuano. Ed io volen-
tieri cancello dalla Serie Napoletana questa monetina così brutta, nella
quale fu possibile scambiare la tosta del re con una pentola.
(62) Collezione Colonna.
(63) Bame, gr. 0,561. (Collezione Sambon).
4G8 ARTURO 0. SAMBON
MVS (^)| ohe i fatti oi assiourano non poter essere ohe
Guglielmo I.
Questi fatti vennero messi in luoe dal eh. Gapasso oon
la soorta d'inediti documenti dell'Archivio Vaticano (66)^ e
svelano una pagina ignorata dalla storia napoletana. Quando
nel 1156 signori e città congiurarono e soUevaronsi contro
Guglielmo I, Napoli si divise, i magnati parteggiarono
per lui, e i cosi detti Mediani o borghesi aderirono ai suoi
nemici, sperando in quel subuglio pareggiarsi agli emuli
loro, e sopraffarli. Ma poiché il re vinse e punì crudel-
mente i ribelli, i magnati, a premio della fedeltà, ottennero
conferma dei loro dritti di supremazia (66). E, ancorché il
documento noi dica, è lecito congetturare, che Guglielmo
riconcedesse anche alla città il privilegio della zecca, donde
a memoria dell'ossequio, venne fuori la moneta che improntò
insieme il nome del re e l'insegna che i Seggi nobiliari
aveano assunta (67).
Io non so dire perchè, e quando l'assumessero. Però,
lasciando da parte la favolosa origine Virgiliana che la
popolare fantasia diede al simbolo del cavallo, assai signi-
ficative sono le parole dell'anonimo compilatore della Crch
nica di Par t etiope. Egli dice che, Varma della piacza di
Capuana era uno cavallo in coloro d'oro senza freno, e che
anche la piacza de Nido havia per arma un cavallo nigro
pure senza freno (68). Con ragione dunque se ne deduce,
(64) II tìtolo di REX, procedente al nome di Goglielmo, si rincontra
nel Fusco, Tav. di Mon. del Reame, ecc. Ta?. IX, n. 6, 7 e 12, e nel-
r Engel Òp. e,, Tav. Vili, n. 5, 6, 19.
(66) // Pactu$n giurato da Sergio. (Arch. Stor. per le Prov. Napol.,
Tom. IX, pag. 714).
(66) Precépit eciam ut carta quaa mediani rwiipere fecerunt.,. rea
tauraretur ut a teiere tempore fuerunt. (Ivi, pag. 715).
(67) La distinzione dei Seggi, ai qnali i nobili erano ascritti, detti
anche Sedili, Tocchi^ Piazze, secondo i documenti noti sin' ora e sicari,
non apparisce in epoca anteriore al regno di Buggero IL Y. Capasso, Op. e,,
pag. 721.
(68) Cron. di Parten. Il Collenuccio, L. IV, scrive che quel cavallo
fu fatto togliere dai vescovi religiosi con li napolitani nell'anno 1322,
trasformandone il metallo in campane. E più tardi il Tarcaonota, {Del
I
LE MONETE DEL DUCATO NAPOLETANO 469
ohe il cavallo fu tolto ad insegna da quei magnati, che
abitando le regioni più antiche di Napoli, s'aveano arrogata
dal tempo dei Duchi un'assoluta ingerenza nel governo, e
che, come soli rappresentanti della città, contrastavano e
contrastarono dopo lungamente, per escluderne le altre
classi (69).
Cosi per via d'una trasformazione conforme alla diversa
qualità dei tempi, il simbolo cittadino si sostituì al sim-
bolo religioso, l'effigie del cavallo all'effìgie di S. Gennaro;
e, con pid evidente significato, il nuovo tipo venne impresso
sulle monete, allorché per l'ultima volta si tentò di ricosti-
tuire la municipale autonomia.
Prima che questo avvenisse , un maggior lustro aveva
acquistato la zecca napoletana. L'anno 1190, tra i molti
privilegi concessi alla città, il re Tancredi le permise di
facere monetam argenti per se (70). Ed io ho per certo che
quel privilegio mirò ad ampliare l'esistente prerogativa di
battere moneta di rame, e non a farla rivivere, perchè in-
terrotta. Ma, a giovarsene, mancò il tempo. L'odio di Ar-
rigo VI, e la gelosa cura con la quale Federico II attese a
rivendicare a so i dritti di Begalia , privarono Napoli di
quella e di ogni altra franchigia. Perciò la città mostrossi
sempre avversa alla Casa di Svevia. £ quando Federico
soggiacque nella tragica lotta contro il Papato , istigata ,
lusingata da Innocenzo lY, essa fu tra le prime a ribellarsi ;
e nobili e popolo s'accordarono, ordinandosi a Comune.
sito e lodi della città di Nap,, pag. 64), asserì che la testa di bronzo esì-
stente nel palazzo del Daca di Maddaloni, potesse essere reliquia di quel
cavallo. Questa testa conservasi nel Museo di Napoli, ed ò ora provato che
essa fu opera del Donatello. Y. FiLANGiERi,La testa del cavallo di bromo,ecc,
(Arch, Star, per le prov, Napol., Tom. VII, pag. 407).
(69) Nel lattdo che nel 1888 fu pronunciato da Roberto d'Angiò per
porre pace tra i Seggi di Capuana e Nido, qiù gloriantur se esse tneliores,
e gli altri Seggi, il re stabili che una terza parto degli oneri e degli onori
dovessero attribuirsi ai primi. Ma le contese si ravvivarono ancora al tempo
di Giovanna I. (Summontb, Tom. HI).
(70) Privilegium conceasum civibua Neapolitanis per gloriosissimum
dominum nostrum Tancredum, ecc. Capasso, Ojp. e, pag. 783.
6o
470 ARTURO G. SAMBON
Prezioso monumento della rivendicata libertà, rimane
la moneta che ha per tipo :
Biglione (Collez. Boyne, Firenze).
/B' — + CIVITAS
Neil' area chiusa in un cerchio la testa d' un cavallo
volta a destra.
?( — + NEAPOLIS
In mezzo una croce, le cui braccia tagliano in quattro
parti un cerchio di globetti , e ai cui angoli sono
quattro piccolissimi cerchi.
(Ta?. XI, N. 10).
Ch'essa spetti al tempo dell' animosa riscossa , 1' addi-
mostra lo stile (71), e lo comprova la parola CIVITAS i in
cui s'accenna il tentato mutamento dell' antica repubblica
patrizia nel popolare Comune del secolo XIII (72).
Né l'esempio di Napoli restò isolato. Sono già parecchi
anni dacchò il eh. Matteo Camera mise a stampa il tipo
d'una moneta che reca, da una banda e dall'altra, la croce
chiusa in un cerchio di globetti, ed ha scritto da un lato
AMALFIA, dall' altra CIVITAS (Tav. XI, N. 12) (78). L'eru-
(71) Si determÌDa Topoca Sveva paragonandola al denaro di Federico II
e Costanza, dal qaale fa copiato il rovescio.
(72) Napoli, ribellatasi nel gennaio 1251, insieme ad altre città della
Campania e di Paglia, si sostenne infine al 10 ottobre 1253. AI nuovo go-
verno comunale che assunse, accenna il Papa nella lettera del 22 giugno 1261
diretta Potestati Consilio et Comuni NeapolitanOy e più apertamente in
quella del 18 dicembre, nella quale, accogliendo la città sotto la protezione
della Chiesa, conferma le rationabilea consuetudines^ concede facoltà liher'
totem assumendis poteatatibus et statutia edendi ^ ed approva le ordina-
tionea, che dopo la morto di Federico erano state fatte inter militea et pò-
pokirea,.,. prò bono et pacifico atatu ipaiua civitatia, Baynal , Ad an, ,
n. 38, 39, 42.
(73) Scoperta del famoso Tareno Amalfitano^ e Memor, ator. diplom»
dell'antica città e ducato d'Amalfi. T. I, pag. 174. L'opinione del Camera
fu contradotta da L. Yolpicella {Arch. Stor, per le Prov. Nap» T. I) e dal
Faraglia, Storia dei prezzi in Napoli, pag. 23, n. 8. £ anche TEngel, Op. c«,
pag. 19, asspgna quella moneta al principio del secolo XIII.
LE MONETE DEL DUCATO NAPOLETANO 471
dito arclieologo giudicò che fosse un esemplare del famoso
Tareno Amalfitano, ma essa ha tutto il carattere dalle mo-
nete sveve; e il riscontro di simigli anza con la descritta
moneta di Napoli definisce il tempo e Toccasione in cui fu
battuta (74).
Napoli ed Amalfi, che nei tempi più bui del medioevo
avevano avuto conforme governo, e gloria e destini comuni,
sospinte dalla stessa aspirazione , anche ora in una volta
ambirono rifarsi autonome. Se non che, falliti i loro sforzi,
venute meno le fallaci promesse del Papa (75) ^ caddero
entrambe , ma con sorte diversa. E ad Amalfi rimase il
vanto solo del passato; a Napoli invece, divenuta capitale
del regno, s'aggiunse nuova grandezza; e avventurosa anche
in questo, ciascuna delle monete che avanzarono della sua
zecca cittadina, servi ad attestare un fatto memorabile della
sua storia remota.
Arturo Giulio Sambon.
(74) Oltre quella edita dal Camera, io posseggo nna yarietà di questa
moneta Amalfitana, che si distingue dalla prima, perchò la croce nel centro
è accantonata da quattro globetti, e taglia colle braccia il cerchio in cui
è rinchiusa (Tav. XI, N. 11). Innocenzo lY nel dicembre 1254, pochi giorni
prima di morire, avera riconosciuta Amalfi come demanio perpetuo della
Chiesa , e confermate le sue eonauétudines et libertates. Ma questo non
impedì al suo successore d* infeudarla nel seguente mese ai marchesi di
Hohenburg. Cambra, Mmn,^ eif., pag. 426, 427.
(76) Nullum eivitati predictae sedè apostolica destinato sxibaidium.
Saba Malaspina, I, 8.
VITE
DI
ILLUSTRI NUMISMATICI ITALIANI
VII.
DOMENICO SESTINI
Dopo la comparsa dell' immortale Doctrina numorun
veierum del sapiente gesuita viennese Giuseppe Eokhel
(1792-98 e 1826), anche in Italia, inspirata da quella, sorse
una plejade di scrittori, che illustrarono la numismatica
classica, e di cui gli astri maggiori furono Domenico Sestini
(176ai832), Ennio Quirino Visconti (1761-1816), Bartolomeo
Borghesi (1781-1860, e Celestino Oavedoni (179B-1866).
Domenico Sestini nacque in Firenze il 10 agosto 1750.
Fatti i primi studi nelle scuole di S. Marco di quella città,
entrò nella carriera ecclesiastica vestendo l'abito dei Chierici
Itegolari delle Scuole Pie. Tocchi appena i 24 anni d' età,
il 24 settembre 1774, lasciò la casa patema per darsi alla
vita fortunosa de' viaggi, cui lo spingeva con fascino irre-
sistibile la sua indole irrequieta e smaniosa di vedere coi
propri occhi ciò che doveva formare l'oggetto delle ricerche
e degli studi di tutta la sua vita. Dapprima visitò Soma,
Napoli e la Sicilia. A Catania il principe Ignazio di Biscari,
possessore di una preziosa collezione di oggetti antichi e
rari, lo trattenne presso di sa circa tre anni, nominandolo
suo archeologo e bibliotecario, e con questo incarico il
Sestini diede in luce la Descrizione di quel celebre museo.
474 e. LUPPi
Durante la sua dimora in Sicilia, per naturale inclinazione
del suo vario e versatile ingegno, fece pure oggetto delle
sue considerazioni, l'agricoltura^ le produzioni e il commercio
di quell'isola. Indi passò a Malta, poi a Smirne, e nel 1768
giunse a Costantinopoli, dove fu testimonio di una peste fieris-
sima, della quale pubblicò in Firenze un'importante descri-
zione, di cui giovossi il Gran Duca Pietro Leopoldo per
riformare le leggi sanitarie del suo stato. Da Costantinopoli
intraprese altro breve viaggio a Cizico, passando per Brussa
e Nicea coi figli del Conte Landoff inviato straordinario
del re di Napoli alla Porta Ottomana, stampandone poi la
relazione a Livorno (Yverdun , 1786) col titolo : Lettere
Odeporiche per la penisola di Cizico, Brussa e Nicea , nella
quale opera incluse anche una descrizione della Flora del
Monte Olimpo. Di ritorno a Costantinopoli il Landoff con-
dusse il Sestini nella sua deliziosa villa di Therapia,
affidandogli l'educazione dei suoi due figli. In questa tran-
quilla dimora, in mezzo alla campagna, il Sestini scrisse un
opuscolo sulla: Coltura della vite lunghesso il mare di Mar*
mara; poi, dopo il ri tomo da una gita a Bucarest coi figli
dell'ambasciatore, della quale pure stampò una relazione, vi
inchiuse una lettera all'avvocato Coltellini di Cortona sulla:
Capra d'Angora e le fabbriche di scialli. — Dopo il ritorno
da Bucarest (1780), lasciata la casa dell'ambasciatore, il
Sestini visse alcun tempo presso il principe Ypsilanti il
vecchio, Ospodaro di Valacchia; indi, visitate la Transilvania
e l'Ungheria , si trasferi a Vienna , e fatta quivi breve di-
mora, pel Danubio e il mar Nero, ritornò a Costantinopoli.
Quivi, incontratosi con Sir Roberto Ainslie , ambasciatore
d'Inghilterra presso la Porta, cui era pervenuta la fama
della dottrina e dell'erudizione del Sestini in tutti i rami
dell' archeologia , nonchà della sua perizia e competenza
nella numismatica, Ainslie diedegli l'incarico di formare per
suo conto una vasta collezione di medaglie antiche greche
e romane. Sotto gli auspicii, e coi mezzi potenti fornitigli
da questo suo nuovo ricchissimo Mecenate, il Sestini, fatte
diverse escursioni nei paesi dove più abbondano simili mo-
numenti, potè mettere insieme più di diecimila medaglie,
POMENICO SESTINl,
VITE DI ILLUSTRI NUMISMATICI ITALIANI 477
la più parte rarissime e allora sconosciate, delle quali non
mancò di descrivere e fare incidere in seguito i tipi più
rari e preziosi nelle diverse opere, di cui si occupò poste-
riormente.
Da questo momento, la scienza delle monete antiche
greche e romane occupò quasi esclusivamente 1' ingegno e
le ricerche del Sestini. In quel turno di tempo, essendo
stato nominato Giovanni SuUivan, Presidente della Compa-
gnia delle Indie inglesi presso il nabah di Golconda, il Se-
stini parti con lui e lo accompagnò fino a Bassora, donde
poi pel Tigri, l'Eufrate e il deserto fece ritomo a Costan-
tinopoli. Ma tosto neir agosto del 1782 ne riparti e per
dieci anni, cioò fino all'aprile del 1792 il Sestini, frammessi
brevi intervalli, continuò e ripeto i suoi viaggi in Oriente.
Arduo, per non dire impossibile, in questa nostra compen-
diosa biografia, e di poco interesse al nostro scopo, il ser-
bare lo stretto ordine cronologico e geografico di quei
viaggi e ritorni , da lui fatti secondo lo spingeva il suo
genio, 0 l'occasione del momento. Basti il sapere che scopo
dei medesimi, furono i suoi studii prediletti, fra i quali era
principalissimo quello della numismatica; e di fatto, da quei
viaggi non mai fece ritomo, senza portare nuove dovizie
da aggiungere alle splendide collezioni ,di Sir Roberto
Ainslie, suo costante e generoso protettore. Nelle sue più
o meno lunghe escursioni visitò Aleppo nella Siria, Bagdad
nell'Asia occidentale, Cipro , due volte Alessandria d'Egitto ,
Bodi e Cos presso la costa dell' Asia Minore , la Gklazia ,
Tessalonica , Smirne più volte, la Macedonia, il Monte
Santo (Athos) e Fella, la Tessaglia, Lemno, Micene ed altre
isole dell'Arcipelago , Ragusa nella Dalmazia. Finalmente
nell'agosto del 1791 da Smirne cerca un imbarco per Li-
vorno ; sale un vecchio bastimento provenzale , che dopo
aver fatto sosta a Tchesmé ed a Scio, naufraga a Navarino
nella Morea, onde trovossi costretto retrocedere a Tessalo-
nica (Salonicco). Quivi ebbe affettuosa accoglienza dal
Sig. Cousinery che gli agevolò il ri tomo in patria; atteso
pertanto un nuovo trasporto per Livorno, finalmente arrivò
in Toscana nell' aprile dal 1792. Il Sestini di tutti i suoi
6i
478 e. LUPPi
viaggi scrìsse relazioni assai curìose ed importanti, la
maggior parte delle quali in epoche e in luoghi diversi
furono stampate, e parecchie di esse ebbero l'onore di tra-
duzioni in francese ed in tedesco. Nel lungo perìodo di
quei dieci anni, ò facile immaginare , quanto fosse estesa
e viva la corrìspondenza del Sestini cogli uomini più dotti
ed illustri delle più colte nazioni , cominciando da quella
col sommo Eckhel e con Ennio Quirìno Visconti, corrispon*
denza, che si accrebbe ancor più negli anni seguenti. Fi-
nite nel 1792 le escursioni del Sestini in Oriente , comin-
ciarono quelle per la colta Europa. Percorse di nuovo
l'Italia, indi passò nella Germania e in Prussia, dove fece
lunga sosta a Berlino e a Garlottemburgo. Il re di Prussia
Federico Guglielmo III, ad onorare lo scienziato, e a pre-
miare l'insigne erudizione e dottrina dell'infaticabile ar-
cheologo, gli concedette una lauta pensione, di cui il Sestini
fruì fino a ohe la celebre vittoria di Napoleone a Jena, 14
ottobre 1806, mise quel re nell'impossibilità di continuare
la sua generosa larghezza a chi aveva cotanto illustrato la
scienza e le archeologiche discipline. Nel 1810 il Sestini
fu a Parigi , e vi descrisse il ricco medagliere del Signor
Tovhon ; nel suo ritorno a Firenze , la principessa Elisa
Bonaparte, sorella maggiore di Napoleone, creata poco prima
dall' Imperatore, Granduchessa di Toscana , lo elesse a suo
bibliotecario ed archeologo. Quattro anni dopo , cadute le
sorti dei Napoleonidi in Italia, Ferdinando III di Lorena,
risalendo il trono granducale della Toscana , trattenne e
confermò nella sua carica il Sestini, e per di più lo insigni
del titolo di Begio antiquario e di Professore onorarìo del-
l'Università di Pisa. Il Sestini si stabili pertanto a Firenze,
che lasciò soltanto l'ultima volta, per recarsi in Ungheria
a Hedervar presso Vienna, dove attese a classare e descri-
vere il magnifico gabinetto di medaglie del conte Michele
Wiczay. — Ritornato a Firenze, non si allontanò più da
questa sua città nativa. Ora, perchè più agevolmente si possa
rilevare l'attività non mai interrotta di questo grande ar-
cheologo, anche a riguardo dello studio delle monete , che
forma l' oggetto principale delle nostre pubblicazioni , e
VITE DI ILLUSTRI NUMISMATICI ITALIANI 479
dimostra come, non senza ragione, i suoi contemporanei
considerarono il Sestini nomo straordinario e principe
dei numismatici della penisola, aggiungiamo la nota cro-
nologica de' suoi scritti relativi allo studio delle antiche
monete.
Il primo suo lavoro intomo a questo ramo di erudi-
zione fu la: Dissertazione sopra alcune monete armene dei
principi di Rupen della Collezione Ainslie (Livorno 1790) ;
alla quale tennero dietro le Lettere e dissertazioni numis*
matiche (Livorno 1789), che furono continuate poi negli anni
successivi (in Boma e Berlino in 9 volumi dal 1789 al 1806) ;
Osservazioni sopra una medaglia di Europus III re di Ma-
cedonia^ e sopra una serie di medaglie di Tolomeo figlio
di Juba, ecc.; Descriptio numorum veterum ex Musaeis
Ainsliae, Bellini, Bondacca, Borgia, Casali, Gradenigo, San
Clemente, ecc. (Lipsia 1796); le : Ctasses generales geographiae
numismaticae populorum et regum (Lipsia 1797, delle quali
rinnovò l' edizione nel 1821). In questo grande quadro ,
se non eguaglia la profonda erudizione e la sagacità
del sommo Eckhel, è certamente più completo di quello
per nuove scoperte di monete. A questa classica opera
tennero dietro: le Medaglie del Museo Knobelsdorfflano
(Berlino, 1801); il Catalogus numorum veterum Musaci
Arrigoniani, castigatus (Berlino 1806) ; Spiegazione d' una
medaglia antica di piombo appartenente a Velletri (Boma) ;
Descrizione d'alcune medaglie di gran bronzo del gabinetto
delV Abate de Camps, (1808); Descrizione delle medaglie
greche e romane della Collezione del fu Benkowitz, (1809) ;
Dissertazione sopra le medaglie antiche relative alla Con-
federazione degli Achei^ (Milano, 1817) ; Monete ispaniche e
celtiberiche del gabinetto Heden, (1818); Lettera sul Oabi'
netto del Granduca di Toscana (Firenze, 1820) ; Descrizione
di alcune medaglie greche del Museo del sig. Carlo Fontana
a Trieste, (Firenze 1822) ; il Museo Hederwariano riordinato
e purgato dagli errori del P. Barnabita Felice Caronni ,
(1822-29, in tre volumi in-4®); Descrizione di alcune me-
daglie greche del Museo Choudoir, (1831) ; senza tener conto
d' altre molte pubblicazioni archeologiche aventi qualche
480 e. LUPPI - VITE W ILLUSTRI NUMISMATICI ITALIANI
attinenza coli' antica numismatica. Oltre le riferite opere
stampate, ne esistono altre di lui ohe giacciono ancora ine-
dite nelle pubbliche e private librerie; principalissima fra
queste il Sisletna geografico-numismatico redatto in quat-
tordici volumi in foglio, che alla morte del Sestini fu com-
perato dal Granduca Leopoldo II insieme ad altri mano-
scritti e alla libreria numismatica di questo insigne scrittore,
che aveva illustrato con si splendidi risultati tutta la sua
vita. Il Sestini mori in Firenze TS giugno 1832, in età di
82 anni (*).
I presenti cenni sulla vita e sugli scrìtti di questo illustre numis-
matico furono desunti dalle opere seguenti: Prof. Domenico Yale*
RiANi, Necrologia di Domenico Sestini nellV Iconografia contempo-
ranea » ; JBiographie universèUe ancienne (Michaud), tome XXXIX ,
Paris ; Fruttuoso Becchi nella Biografia degli Italiani illustri
nelle seienj/e^ lettere ed arti del secolo XVIII e di contemporanei
W ogni provincia , pubblicata per cura del prof. Emilio de Tipaldo.
Venezia, voi. IV, pag. 239-244; Maffei Giuseppe, Storia della let-
teratura italiana. Firenze, 1853, voi. II, pag. 332-384; Diaionario
universale storico^mitologico^eografico compilato da una società di
uomini di lettere per cura del dottor Angelo Fava.
C. Luppi.
(*) Qaesto celebre namismatico fa membro delP latitato di Francia ,
Corrispondente deirAccademia delle Iscrizioni e Belle lettere, 80 nov. 1810,
Socio straniero della medesima Accademia , 80 dicembre 1820 ; membro
onorario deUlmp. e B. Accademia delle Scienze di Pietroburgo e di molte
altre.
NECROLOGIA
Mons. GAETANO BAZZI.
Il giorno 15 settembre scorso moriva in Cremona Mon-
signor Gaetano Bcuczi. Nato a Cassano d'Adda, il 27 marzo 1847,
entrò a 14 anni in Seminario e fu ordinato Sacerdote nel 1870 a
Tortona. Nel dicembre dell'anno seguente S. E. il Vescovo
di Cremona, Mons. Bonomelli, lo nominava suo Segretario,
e nel 1886 gli conferiva la nomina di Canonico della
Cattedrale.
Era appassionato raccoglitore e distinto Numismatico.
Valente quanto modesto, si compiaceva nel poter giovare a
tutti coloro che, in materie archeologiche lo richiedevano
di consiglio e di lumi. Anima candida ed eletta, non ebbe
mai un nemico e quanti ebbero la fortuna di avvicinarlo,
si dichiararono felici d'averlo conosciuto.
Nel 1886, in collaborazione col Gan. Milziade Santoni
di Camerino, pubblicò il Vademecum del raccoglitore di
monete italiane, ossia repertorio numismatico che ne con"
tiene i motti e gli emblemi, i Signori Feudatarii e le loro
zecche, la bibliografia ed altre molte indicazioni. È un ma-
nuale molto pratico e utilissimo specialmente per raccogli-
tori novizi. Mons. Bazzi, modestissimo , non dissimulava
a chicchessia i difetti e le lacune, ch'egli aveva già notato
nel suo lavoro, il quale del resto è di un genere di assai
difficile compilazione e si proponeva di migliorare quel
manuale e di farne una seconda edizione; quando lo colse
482 NECROLOGIA
il male che doveva in breve tempo trarlo cosi immatura-
mente alla tomba. Il 26 ottobre 1887 ebbe un primo insulto
apoplettico , ohe gli tolse quasi affatto la facoltà di occu-
parsi di lavori mentali. Il 15 settembre dell'anno corrente
un nuovo e più forte attacco lo toglieva improvvisamente
all'affetto della famiglia, e alla stima di quanti lo cono-
scevano.
E. G.
BIBLIOGRAFIA
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Marwin (W. T. B.) Masonic medals.
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Nnmismatics.
Walter (David L.) , Medallic memorials of the great
Oomets.
Storer (Horatio B.), The medals, jetons and tokens il-
lustrative of the science of medicine.
Marwin (W. T. B.), Masonic medals
Miscellanea.
NOTIZIE VARIE
Un'urna di monete Yisoontee a TreyigUo. — Il 12 di
agosto p. p., mentre procedevasi allo scavo di una cantina
nella casa Belletti a Treviglio, i muratori addetti al lavoro
trovarono, alla profondità di poco più di un metro dal
suolo , e immediatamente al disotto del fondamento d' un
vecchio muro, un'urna di terra cotta. Come suole avvenire
in simili casi, gli operai spezzarono senz'altro con un colpo
di piccone l'urna, e con grande meraviglia scopersero un
considerevole ammasso di monéte d'argento tutte attaccate
assieme e coperte da uno strato verde. Per quanto non ne
potessero calcolare immediatamente il valore, pure a buon
conto se ne intascarono gran quantità. Accorso il proprie-
tario, raccolse quelle che potè, un migliaio circa; le altre
asportate, furono poi spacciate perfino a un soldo 1' una a
poco scrupolosi incettatori.
Dallo spoglio diligente di tutte le varie monete, risul-
tarono i seguenti tipi:
Milano — Galeazzo II e Barnabò Visconti. (1354-78)
Grosso. — D. Biscia fra le iniziali B . G. — B. Sant' Ambrogio
seduto. (Gnecchi, N. 2).
Pegiane. — D. Come il precedente, ma coli' aquila imperiale sopra
la Biscia. (Gnecchi, N. 4).
Galeazzo II Visconti. (1854-78)
Pegione. — D. Biscia fra le lettere G . Z. — B. Sant'Ambrogio
seduto. (Gnecchi, N. 4).
Idem. (Gnecchi, N. 5).
Idem. (Gnecchi, N. 6).
Idem. — D. Cimiero visconteo, coi tizzoni. — B. Sant'Ambrogio se-
duto. (Gnecchi, N. S).
6»
48B NOTIZIE VARIE
Barnabò Visconti. (1354-85)
Pegione. — D. Cimiero sormontato dal drago alato. >- B. Biscia ,
(Gnecchi, N. 9 e 10).
Pavia — Galeazzo II Visconti. (1354-78)
Pegione. — D. Biscia sormontata dal drago; ai due lati i tizzoni.
— B. San Siro sedato (Brambilla Tav. IX, 1).
Grosso. — D. Ciimiero fra le lettere G. Z. — B. San Siro seduto
(Brambilla, Tav. IX, 2).
Queste sono le varietà trovate dal proprietario , ne
pare che fra le sottratte, le quali raggiungono qualche mi*
gliaio, ye ne fossero d'altri conii.
Le monete sono ben conservate, e i conii bellissimi e
tali da giustificare le parole del Conte Giovanni Mulazzani :
u Ma ciò che sarà per recar più stupore ò se io dico che alcuni
tt conii dei Visconti della metà del trecento sorpassano
tt egualmente ogni altro ch'io abbia veduto in quel tempo.
u Alcune linee serpentine dei vestimenti di S. Ambrogio e
a molto più di S. Siro, che si scorgono nelle monete dei due
tt fratelli Barnabò e Galeazzo, fabbricate in Milano e Pavia ;
tt una ricchezza inusitata di drapperie, come pure certa tal
tt quale forza impressa alle mani che stringono il pastorale
tt e lo staffile dei santi, mostrano lo studio che davvero si
tt cominciava a fare presso di noi della natura del disegno,
tt onde può dirsi che l'incisione superava nel 1354 nell'In-
tt subria, e la pittura e la scoltura... n {*).
L'appartenere tali monete al breve periodo di trent'anni,
potrebbe agevolare la ricerca altresì della causa e delle cir-
costanze, in cui (dato che il tesoretto sia stato nascosto in
tempo di bellici cimenti) , il sotterramento sia stato com-
piuto. Troviamo , per esempio , nel Lodi , come nel 1382
(*) G. Mulazzani, Sulla Zecca di Milano dal secolo XII fino ai nostri
giorni, nella < BiTista Europea > , 1844. Qoest' opuscolo , divenuto quasi
irreperibile, fa recentemente ristampato insieme a due altri dello stesso au-
tore, sotto il titolo: Tre Opuscoli di Numismatica milanese del Conte
Giovanni Mulazzani, ristampati per cura di F. ed E. Gnecchi. Milano,
Cogliati, 1889.
NaTIZIE VARIE 487
nacquero liti e controversie fra Treviglio e Caravaggio, m
occasione di porre i termini ai loro confini, e procedettero
tanto innanzi che gli assalti reciproci e le scorribande
erano numerose. Poi è a notarsi oome in queste terre si
contendessero il predominio i Visconti, che s'avviavano al
fiore della loro potenza, e i loro avversari ; come qui si
ridestassero le discordie fra guelfi e ghibellini, le quali ori-
ginarono uno stato di guerra in permanenza, di cui sono
episodii gli assalti e gli incendi di Borgo S. Caterina di
Bergamo, quello del castello di Ghisalba e del Castello di
Fara Olivana dato dai ghibellini trevigliesi. — Ma guaj a
lasciarsi trascinare dalle congetture! Si sa dove si entra,
non dove se ne può uscire.
Ayv. Cesare Bellotti.
Ripostiglio di Monete romane in Egitto. — Dall'Egitto
riceviamo un piccolo ripostiglio di monete romane trovate
nella provincia di Fayoum. Si tratta di 230 piccoli bronzi
della fine del IV secolo appartenenti agli imperatori Co-
stante, Costanzo II, Giuliano II, Valentiniano I, Valente e
Graziano. Le monete si vede che hanno avuto lunghissimo
corso, essendo tutte di pessima conservazione ; sono tutte
comunissime , cosicché non vale la pena di dame una par-
ticolareggiata descrizione.
Il ripostiglio non ha dunque che l'interesse storico del
luogo del ritrovamento e dell'epoca della sepoltura. Le mo-
nete dell'ultimo imperatore rappresentato, ossia di Graziano,
sono un poco meglio conservate delle altre e si può quindi
ritenere che il piccolo tesoro venne nascosto poco dopo la
morte di questo imperatore, avvenuta nell'anno 383, d. C.
Lo scudo di San Marino. ^ A proposito dell' articolo
pubblicato nel Fase. Ili , Annata 1 , 1888 , della presente
Rivista , il eh. sig. Comm. Carlo Malagola , Direttore del-
l'Archivio di Stato in Bologna, e studiosissimo di cose sam-
marinesi, c'informa gentilmente che i due esemplari della
prova dello scudo da 5 lire di San Marino, conservati nell'Ar-
chivio di quella Repubblica, non sono in argento, ma bensì
488
NOTIZIE VARIE
in metallo inargentato, e che probabilmente è tale anche
l'esemplare già appartenuto al compianto Comm. Nicomede
Bianchi, mentre il prefato Comm. Malagola ne possiede un
esemplare di schietto argento , che sino a prova contraria
si dovrebbe quindi ritenere unico.
S. A.
Soavi di Roma. — Fra le monete recentemente venute
in luce a Boma va notato un bel medaglione di Gommodo
e M. Aurelio (Coh. N. 2) di buona conservazione , uno
stupendo medaglione inedito di M. Aurelio, e un bel meda-
glioncino pure inedito dello stesso Marc' Aurelio , di cui si
darà descrizione a suo tempo nella Rivista.
Vendita d'Améoourt — Monete merovingie. — Nella
famosa collezione di Monete merovingie appartenenti al fa
Visconte Fonton d'Amécourt, la Biblioteca nazionale di
Parigi autorizzata da una legge speciale 24 luglio 1889,
fece un'ampia scelta ad aumento di quell'insigne gabinetto.
— Un catalogo di queste monete, passate al Gabinetto di
Francia, si sta attualmente pubblicando da Maurizio Pron
nella Revue Numismatique , invadendone anzi forse sover-
chiamente lo spazio. — Le rimanenti monete furono ven-
dute al pubblico incanto nelle sale dell'Hotel Drouot nello
scorso giugno ; ma la vendita venne fatta in cattive condi-
zioni, il concorso degli amatori fu estremamente scarso, e
i prezzi furono cosi meschini da segnare sulle monete me-
rovingie un ribasso del 40 al 50 %. Diamo qui i prezzi
dei pezzi principali, tutti acquistati da negozianti.
N. 8 Teodeberto I.
14 » (Lione)
93 Ghildeberto re (Tours) .
94 Dagoberto I re (Tours).
131 Cariberto re d^Aquitania (Nantes)
162 Glodoveo e Sant'Eligio (Parigi)
219 » (Verdun)
224 Teodeberto I re (Reims)
247 » (Boulogne sur Mer)
254 » (Colonia)
Terzo di soldo
Pr. 185
210
27
200
200
228
225
530
560
860
NOTIZIE VARIE
489
N. 296 Teodeberto I re (Namur) .
» 297 » ».
» 321 Maurizio Tiberio (Vienna) .
» 332 Sigeberto re (Marsiglia)
» 343 Ohilderico II >
» 344 » »
» 345 » »
» 367 Childeberto re (Clermont Ferrand)
» 369 » ».
» 421 Gariberto re (Bannassac)
» 487 Dagoberto I re (Uzès) .
Terzo di soldo Fr. 170
» » 170
» » 335
» » 810
» » 485
» » 261
» » 900
» » 210
» » 165
» » 196
» » 406
(xran Brettagna.
» 705 Offa
Denaro
Spagtta.
» 709 LeoYigilde Oro
» 726 Ervigio »
» 728 Vittiza »
»
»
»
151
158
135
180
Vendita Photiades Pacha. — Monete greche. — Nella
seconda metà dello scorso maggio ebbe luogo a Parigi la
vendita della splendida Collezione di monete greche di
S. E. Photiades Pacha, già ambasciatore turco a Soma.
L'alta posizione del proprietario, le sue aderenze e la sua
lunga residenza in Greta e ad Atene, gli avevano offerto il
destro di mettere insieme nel lungo lasso di tempo di circa
trent'anni, una collezione ragguardevole per la rarità e la
bella conservazione degli esemplari. — Quella Baccolta
comprendeva le monete della Grecia propriamente detta, e
fra una serie di 1630 numeri, vantava buon numero di mo-
nete uniche , inedite , o di grande importanza. Diamo qui
la nota dei pezzi più importanti , col prezzo di aggiudi-
cazione.
N. 51
» 59
» 60
» 68
» 74
» 95
Tessalia (Gierium) Varietà inedita .
» (Gomphi Philippe polis) Inedito .
™ j^ • • • •
» (Lamia)
» (Larìsa)
arg. Fr. 1450
» » 2600
» » 600
» » 700
» » 600
» » 510
490 NOTIZIE VARIE
> 125 Tessalia (Melitela) Inedito. . . . arg. Fr. 960
» 128 » (Oeteens) » . . » » 1115
» 162 » (Pherae) . . » » 880
» 165 » » Inedito ....»» 2700
» 170 » (Alessandro, tiranno di Pherae) Ined. » » 1700
» 228 Epiro (Oassope) > > 610
» 289 Be dell'Epiro (Alessandro) ....»» 600
» 242 » (Pirro) oro > 690
» 243 > > arg. » 725
» 381 Etolia (Lega d'EtoUa) » > 580
» 837 Locride (Opuntii) » » 600
» 351 » (Hypoknemidi) . » » 655
> 362 Pocide (Delfo) » » 1900
» 375 Beozia (Lega di Beozia) ....»» 600
> 480 » (Tebe) » » 1815
» 433 > > » » 560
> 446 » (Thespi) > » 1000
» 452 Isola d*Eubea (Lega d'Eubea) . . . » > 2655
» 465 » (Ghalcis) ....»» 2900
» 465 Eubea (Eretria) » » 720
» 478 » » » » 720
> 484 » (Histiea) ionico » > 1505
> 528 Attica (Atene) » » ' 525
> 529 » » Unico . . oro > 450
> 530 » » » » 600
» 559 » » arg. » 600
» 716 » » oro » 2500
> 1020 Elide arg. > 2000
» 1081 > » » 5900
> 1035 » » » 500
» 1079 Messenia (Messene) » > 1050
» 1090 Laconia > » 880
> 1091 » » » 840
» 1154 Arcadia (Lega Arcadica) ....»» 1800
» 1170 » (Manti) » » 500
» 1177 » (Feneo) » » 2060
» 1178 » » » » 689
» 1231 C!reta (Gnosso) » » 550
» 1239 » » » » 620
» 1245 » (Cydonia) » » 600
> 1265 » (Gortyna) » » 630
» 1290 » (Hlerapytna) » » 1300
NOTIZIE VARIE 491
N. 1293 Creta (Itanus) arg. Pr. 1110
» 1295 » » » » 655
» 1818 » (Lyttus) > > 805
» 1823 » (Phaestas) » » 780
» 1880 » (Polyrhenium) » > 960
» 1894 Naxos Inedito » » 1510
» 1395 « » » » 580
» 1897 » > » » 1700
» 1408 Paros » » 1600
» 1405 » ^ . » » 520
» 1411 Siphnos Inedito oro » 1200
> 1419 Tenos arg. » 1010
» 1516 Galchadon » » 1075
Il prodotto totale della vendita fu di franchi 124.358.
Il proprietario di questa Collezione possedeva inoltre
una importantissima Serie di monete bizantine. Questa Bao-
colta doveva, al pari dell'altra, vendersi all'asta pubblica e
n'era già stato compilato il Catalogo , comprendente 682
numeri, e redatto unitamente all'altro delle monete greche
dall'illustre Froehner. Quella vendita però non ebbe luogo,
essendo stata la Collezione acquistata in blocco dal Museo
dell' Eremitaggio di Pietroburgo per la somma di 70.000
franchi.
Finito di stampare il 80 Settembre 1890.
Lodovico Felice Cogliati, Gerente responsabile.
FASCICOLO IV.
APPUNTI
DI
NUMISMATICA ROMANA
XIV.
MEDAGLIONE?
OsSKRTAZIONI A PROPOSITO DI UN BhOMZO
COLLE EFFIGIE DI MaBC' At) BELIO E LdCIO VeOO
apparimnite ai S. Qabitutio di Brera.
^ — IMP M ANTONINVS AVO COS III IMP L VERVS AV&
COS III.
Busti affrontati di Marc^ Aurelio e Lucio Vero ambedue
a testa nuda e col paludamento. Marc' Aurelio è fregiato
dell'egida da cui escono due serpenti. Tra i due busti
al basso la marca del Museo estense.
496 FRANCESCO ONBCCHI
9/ — VICI GERM CalVesergoJ IMP VI COS III fin giroj.
Vittoria alata ette guida una qtcadriga lenta a sinistra,
volgendosi indietro. Il davanti del carro termina in
una testa d'aquila.
(Vedi Tav. XH).
Il tatto è raocliiaso in un oerohio di bronzo concavo
al dritto, convesso al rovescio e lavorato esteriormente.
Diam. mm. 88 col cerchio, mm. 69 senza cerchio. —
Peso gr. 191,200.
Questo bellissimo bronzo, il cui dritto, in pro-
porzione ridotta, quale si vede in testa a queste
osservazioni, fu adottato come ornamento al fron-
tispizio della nostra Rivista fino dalla sua origine,
e le cui due faccio sono riprodotte al vero nell'an-
nessa tavola N. XII, venne finora considerato quale
medaglione ; ma, per le ragioni che andrò esponendo,
io sono venuto nella convinzione che non si tratti
affatto d'un medaglione, bensì di un bronzo desti-
nato a tutt' altro uso e che del medaglione non ha
se non la superficiale apparenza. Avvenne di esso
come di molte altre cose, cui un primo falso batte*
simo conferisce un carattere, che viene dai seguenti
accettato senza sufficiente esame, cosicché la fama
usurpata va di mano in mano acquistando consi-
stenza, finché poi passa nel numero dei fatti giudicati.
E, caso tutt' altro che strano, anzi comune, questo
supposto medaglione ebbe l'onore di tante illustra-
zioni, citazioni e riproduzioni, quante probabilmente
non ebbe mai alcuno dei veri !
Appartenente già al famoso medagliere Estense,
di cui porta la marca, entrò con molti altri splen-
didi pezzi di quel medagliere nel Gabinetto di Brera.
Quella provenienza e quella marca attestano un primo
APPUNTI DI NUMISMATICA ROMANA 497
battesimo dì medaglione, o per dire più precisamente,
di pezzo numismatico. Quale vero medaglione lo
giudicò Bartolomeo Borghesi, che pel primo lo pub-
blicò Wj dandone una eccellente incisione, e tale è
chiaro che venne ritenuto dai diversi direttori del
Gabinetto Braidense fino al compianto Biondelli ,
il quale nei suoi u Cenni storici sull'origine^ sviluppo
a e stato attitale del R. Gabinetto Numismatico di
u Milano 99 (^) ne orna di un accuratissimo disegno
litografico il fascicolo, evidentemente per indicare
uno dei pezzi più importanti, anzi il più impor-
tante di tutti. E difatti, enumerando i diversi titoli
per cui va celebre il detto Gabinetto, bcrive: u Per
a una collezione di alcune centinaia di Medaglioni
u greci e romani, alcuni dei quali rarissimi e taluno
tt anche unico, siccome appare da quello di M. Au-
tt relio e L. Vero, che abbiamo apposto in fronte a
tt questi rapidi cenni. »
Omesso da Cohen nella sua descrizione delle
monete imperiali, venne poi dallo stesso aggiunto
nel volume di supplemento con un semplice accenno
alla sconcordanza delle date (^) ; e nella seconda edi-
zione del Cohen è inserito fra i medaglioni di M. Au-
relio e Lucio Vero, colla ripetizione della medesima
nota.
Ciò significa dunque che il pezzo venne finora
(1) Annali deìVInstituto di Corriapofìdenza Archeologica. Voi. X. Roma,
1838. Sopra due Medaglioni rappresentanti Marc* Aurelio e Ludo Vero dol-
ri. E, Gabinetto di Milano e Settimio Severo della Nnmotoca Borghesi.
(2) Milano, Tip. Bornardoni 1872.
(3) € Le MédaiUon est hyhride, Les dates de la téle et du ret^ers ne
coincident pas, > Voi. VII, pag. 181.
498 FRANCESCO GNECCHI
considerato come vero medaglione e certo io mi
trovo alquanto imbarazzato e quasi a disagio, dovendo
esporre un'idea contraria non solo alla mia che ho
avuto sino a poco tempo fa, — il che poco importe-
rebbe, — ma a quella di tante altre autorità, fra cui
metto in prima linea il Borghesi, al quale va l'opi-
nione invalsa specialmente attribuita, egli essendo
stato il primo che ne parlò diffusamente ed ex pro-
fesso. Ma potrebbe darsi, anzi io ritengo positiva-
mente, che, se Borghesi avesse trattato oggi l'argo-
mento invece che mezfco secolo fa, avrebbe scritto
ben diversamente. In questo mezzo secolo qualche
cosa ha progredito la scienza, e molto la pratica
materiale delle monete; e, appoggiandomi a questo
fatto, credo poter esprimere la mia opinione , senza
menomamente mancare di rispetto all'autorità d'un
tanto Numismatico.
u II primo dei medaglioni che pubblichiamo »
dice il Borghesi al principio della sua citata disser-
tazione u inedito, per quanto è a nostra notizia, forma
tt uno splendido monumento in Milano dell'I. R. Ga-
tt binetto numismatico di Brera. Ma quanto è insigne
u per la sua conservazione, per la sua bontà del la-
tt voro e per lo straordinario suo modulo, altrettanto
u fastidio egli reca ai cronologi. »
E quindi eniara a descrivere e illustrare il me-
daglione, rilevandone con grandissima erudizione
storica l'errore di data. Mi asterrò dal ripetere qui
tutte le sue dotte disquisizioni; ma, venendo diret-
tamente alle conclusioni, accennerò come dalle date
iscritte risulti che il diritto non può essere posteriore
all'anno 919 di Roma (166 d. C), mentre il rovescio
non può essere anteriore al 924 (171 d. C.) ; emer-
APPUNTI DI NUMISMATICA ROMANA 499
gendo cosi una dififerenza di almeno cinque anni fra
runa e Taltra data.
Ora, fermandoci a questo primo punto, è egli
possibile ammettere un cosi grossolano errore in un
medaglione di tanta importanza? Gli errori di data
sono assai rari in quest' epoca ; e se alcuno se ne
trova nelle monete di bronzo, e anche per rarissima
eccezione in quelle d'argento (a meno che si tratti di
falsificazioni) , non ricordo d' averne mai trovato in
quelle d'oro ; il che dà a divedere come la cura che
si poneva nella coniazione delle monete fosse sempre
maggiore, a grado che aumentava la loro importanza.
Ora qual pezzo più importante di un medaglione di
così straordinarie dimensioni?
L' errore accennato poi è assai più grave e più
complesso di quanto può parere a prima vista, e da
esso nasce un altro inconveniente di assai difficile
spiegazione. Laccio la parola a Borghesi : a Se questo
tt nummo fu improntato (come riuscirebbe chiaro
u dalla data del rovescio) due anni dopo T apoteosi
tt di Lucio Vero, come sta che non ce n'offre alcun
u indizio ed anzi ce lo rappresenta siccome vivo
tt tuttora? Per troncare questo nodo gordiano non
a vi ha che una via e lo stesso medaglione ce la
u addita. Si badi che il COS III è ripetuto in ambe-
tt due i lati. Ora tali inutili ripetizioni sono affatto
a contrarie alle leggi di ogni antico monumento di
a un' età non decaduta, e segnatamente a quelli
a della numismatica, se ciò non è per un errore.
a Questo solo basterebbe a mostrarci che le due
u faccie della presente medaglia non furono incise
tt per essere congiunte insieme, w
H Borghesi , dopo d' avere e^lì pure ricong-
500 FRANCESCO GNECCHI
sciutx) che gli errori di data a quest' epoca , se si
tolgono le monete false, sono rarissimi su quelle di
bronzo , mentre nessuno se ne trova sui medagUoni,
volendo pur dare una spiegazione del fatto, aggiunge :
« È più supponibile che (il medaglione) fosse
(x stato diputato a qualche donativo, come suol farsi
ce delle odierne medaglie, e ch'essendone stata com-
a messa alla zecca una determinata quantità per una
ce data occasione, a mezzo dell'opera si spezzasse il
« conio del diritto, onde si fosse costretti di richia-
ce mare questo più antico di un modulo corrispon-
cc dente per essere in grado di somministrarne l'in-
ce tero numero per la giornata richiesta ».
Sostituirebbe cosi l'ibridismo all' errore mate-
riale, ma non mi pare più accettabile l'una cosa che
l'altra ; prima di tutto perchè l'importanza del mo-
numento — dato e non concesso che veramente si
fosse inteso- di fare un medaglione — non avrebbe
comportata tale sostituzione ; poi anche perchè la so-
stituzione non sarebbe stata materialmente possibile
per le dimensioni straordinarie del medaglione af-
fatto fuori dell' uso nell' epoca in cui ci troviamo.
E da ciò sono condotto a discorrere delle ragioni
tecniche che stanno a prova della mia asserzione.
H bronzo misura , senza il contomo , un dia-
metro di Min. 59, superando così di ben 5 millimetri
la dimensione massima dei medaglioni al tempo di
Commodo W , mentre i più grandi medaglioni di
(4) I dno medaglioni più grandi conosciati sono di Commodo. Uno ,
appartenente al Museo Britannico , ò da Cohen descritto al suo N. 447, e
r altro appartiene alla mia Collezione e fu illustrato nel N. ITI di questi
appunti. Vedi ^ir. It. di Num., Anno I, fase. in. — Il primo ha un dia-
metro di 54 milL, il secondo di 53,
APPUNTI DI NUMIfiMATICA ROMANA 501
Marco Aurelio raggiungono appena il diametro di
40 millimetri.
La dimensione straordinaria potrebbe non es-
sere una ragione sufficiente per negare la possibi-
lità del medaglione, quando gli altri elementi, ossia
lo spessore e il peso vi concordassero; ma qui è spe-
cialmente il punto debole.
È noto come nei medaglioni col diametro
cresca proporzionalmente lo spessore e quindi il
peso , cosicché questo aumenta in ragione com-
posta del diametro e dello spessore; ma nel caso
nostro lo spessore sta in ragione inversa del dia-
metro. Mentre avrebbe dovuto misurare da 5 a 6
millimetri , se ci riferiamo al citato medaglione
di Commodo, di diametro quasi eguale; o almeno di
4 o 5, se ci riferiamo anche agli altri medaglioni
di M. Aurelio e Lucio Vero, di diametro molto mi-
nore, non ne misura in realtà che due appena, spes-
sore proprio di un medio bronzo. E a tale defi-
cienza di spessore segue come naturale conseguenza
quella del peso, il quale è di soli gr. 190 compreso
il cerchio fortissimo , che , a quanto si può giudi-
care, dovrebbe rappresentare da solo almeno i due
terzi del peso totale. I medaglioni di M. Aurelio e
di Lucio Vero , del diametro fra i 35 e i 40 milli-
metri , hanno un peso che oscilla fra i 45 e i 50
grammi; il mio già citato gran medaglione di Com-
modo ne pesa 135, e il nuovo Medaglione cerchiato
di M. Aurelio che descrissi ultimamente in questa
Rivista (5), avendo soli 38 mill. di diam, pesa gr 175.
(5) Vedi Appunti di Numismatica Romana, N. XI.
64
602 FEANCBSCO OVECCHI
Questi argomenti, in partQ Bci@|itifioi 0 in porte
tecnici, mi pare dovrebbero bastare a togliere il
BroQzo di Brem dal numero dei medaglioni. Ma ve
n'ha nn altro assai grave ed è l'arte, ohe non cor»
risponde certamente all' epoca del medaglione. Il
ritratto di M* Aurelio è ben lontano dal rendere
esattamente le notissime sue fattezze e principale
mente quel suo naso profilato, sottile, caratteristico.
Al rovescio poi i cavalli della quadriga mancano di
vita , le teste sono mal fatte , le gambe sembrano
enfiate, e le zampe sono grossolane e pessimamente
disegnate. No, non è questa* Tarte romana all'epocs^
di M. Aurelio!..,
Si potrebbe supporre che il bronzo fosse stato
in epoca posteriore ritoccato a bulino onde aiutarne
la conservazione, operazione che pur troppo, come
abbiamo avuto occasione di osservare altra volta (^),
venne fatta subire a molti pezzi antichi ; ma il
ritocco non potrebbe giustificare la poco felice
distribuzione delle lettere nelle leggende, tanto del
dritto come del rovescio , non ammissibile in un
vero medaglione. Io non sarei lontano dal ritenere
che tutto il bronzo sia stato eseguito a bulino e non
coniato.
Finalmente anche la forma del disco convesso
nel dritto e concavo al rovescio non corrisponde al
tipo del medaglione romano , e non vi corrisponde
r orlo solo esternamente lavorato , e terminante in
forma conicg,, di modo che la parte ornata non ap-
par? ohe 4i sbieco ft phi owervft il rovescio, m«»trs
(6) Tedi AppunH di Numimnatka Bemtma, N. XIL
APPUNTI DI IftJMlSMÀTICA ItOMANA 508
è Affatto inlrisibilo A 6hi guarda il dritto. E si ag-
giunga òhe V ornato esterno non consiste in una
semplice scanalatura fatta al torno, come sovente —
o forse senlpre, almeno negli esemplari a mia cono*
scenza — si trova nei medaglioni cerchiati , ma
è affatto insolita^ constando di un ovolo, che ricorre
tutto àirlngiro.
Mancano dunque al nostro bronzo tutti quei
caratteri tanto intrinseci quanto estrinseci , ai quali
si riconosce senz' altro iin medaglione , e conviene
quindi rassegnarsi à escluderlo da questa categoria
e a trovargli un' altra denominazione e un altro
scopo, fuori della numismatica.
M' era passato per la mente che potesse esser
stato uno di quei ritratti imperiali {imagines)^ che
ornavano le insegne militari , come li vediamo nei
bassorilievi antichi, o nelle rappresentazioni delle mo-
nete e dei medaglioni stessi, e a corroborare tale sup-
posizione contribuivano le due rotture laterali, che
sembravano segnare il posto ove erano infissi gli
appiccagnoli. Ma, oltre che in questo caso le dimen-
sioni non sarebbero state sufficienti, poiché quei ri-
tratti dovevano esser veduti a una grande distanza W,
e, oltreché la sconcordanza delle date- e il ritratto
di L. Vero due anni dopo la sua morte rimarreb-
bero ancora inesplicabili, v'ha un'altra ragione ma-
teriale che esclude tale supposizione. Il dritto e il
rovescio sono combinati in modo che l'uno è preci-
samente in posizione opposta all'altro; quando cioè
il pezzo è nella sua giusta posizione verticale pel
(7) Difatti Vimago scoperta a Niederbieber misara circa 19 centimetri
di diametro, e pef di più è larorata a sbalzo.
504 FRANCESCO GNECCHI
dritto , il rovescio rimane capovolto , e viceversa.
Se avesse dovuto servire allo scopo accennato, tanto
il dritto quanto il rovescio sarebbero stati fatti su di
un medesimo verso, in modo da potersi vedere con-
temporaneamente ciascuno nella sua giusta posizione.
Eliminata anche questa supposizione, che, anche
ammessa, escluderebbe tuttavia il pezzo dal dominio
della Numismatica, a me non si presenta altra possibile
destinazione del bronzo che quella di parte centrale o
fondo di un vaso o di una patera. La destinazione è più
umile, ma a questa mi pare che tutto si accordi mira-
bilmente. La faccia convessa che porta le due teste
avrebbe formato il fondo interno della patera o del
vaso, mentre il rovescio sarebbe rimasto al disotto, leg-
germente concavo e difeso dall'orlo assai sporgente.
L'ornato dell' orlo sarebbe stato esterno e avrebbe
formato la parte più bassa della patera , mentre al
disopra e precisamente nell' incavo che gira nella
parte superiore dell'orlo (dal lato del dritto) vi sa-
rebbe stata saldata la parete circolare destinata a
formare la vera patera, ed alle due rotture del
cerchio sarebbero state infisse le due anse, le quali
probabilmente avranno avuto il loro secondo punto
di appoggio all'orlo superiore.
Con questa destinazione del bronzo tutto va
perfettamente a posto come lavoro materiale e tec-
nico, e diventano spiegabilissimi tutti i problemi inso-
lubili quando si voglia mantenerlo fra i medaglioni.
La dimensione non obbligata da alcuna legge , né
da alcuna consuetudine , era in piena libertà del-
l'artista, lo spessore è più che sufficiente allo scopo,
e la sconcordanza delle date diventa affatto insi-
gnificante e trascurabile, quando si pensi che l'ar-
APPUNTI DI NUUISHjLTICA ROMANA
tista, volendo rappresentare i due imperatori, li copiò
evidentemente da un medaglione , su cui trovò riu*
nite le due teste. Per ornare poi anche il disotto
della patera vi copiò il rovescio d'un medaglione di
M. Aurelio e vi copiò pure le leggende quali sta-
vano sui due medaglioni , senza punto preoccuparsi
se concordavano o meno. Le due impronte che qui
si offrono (i cui originali stanno in un medagliere
altrettanto insigne quanto finora sconosciuto.... ma
che ho qualche speranza di far conoscere un giorno)
rappresentano il diritto di un medaglione d'Aurelio
e Vero (Coh. N. 1) e il rovescio d'uno di M. Aurelio
(Coh. N. 392). Chi non vi riconosce a prima vista ì
modelli che servirono all'autore del bronzo incrimi-
nato ? Nel dritto il nostro autore s' è preso qualche
piccolo arbitrio, aggiungendo una l avanti a vervs
e ornando i busti col paludamento — a meno che
possedesse una variante di questo medaglione a noi
sconosciuta, il che è possibilissimo. — Ma nel ro-
vescio, riproduce tutto — arte a parte — colla più
scrupolosa fedeltà , e la forma del carro terminati)
da una testa d'aquila, e la Vittoria che si volge al-
l'indietro, e la posa dei cavalli e le loro movenze, e
600 F. QNECCfiI « JLVPtmil t>t frUMlilfÀTlCÀ ROMANA
perfino quella bìz!2arria che ebbe rartisfca originario
di i*appresentare tre dei cavalli in movimento, e uno,
Tultimo, in riposo ! Si noti che tale strana bizzarria
è ripetuta anche nell'altra variante dello stesso me-
daglione di Maro' Aurelio colla Vittoria Germanica
(C!oh. N. 893), di cui esiste pure un esemplare, nella
splendida serie dei medaglioni romani appartenente
airinsigne medagliere, cui si fece allusione più sopra.
A chi non trovasse accettabile la supposta de-
stinazione originaria del bronzo come centro di vaso
o patera, ne accennerò anche un'altra, che mi viene
suggerita dal Ch.'' Prof. Milani^ la quale ha anche
r appoggio di esempi simili, ed è quella di em-
blema o centro di un clipeo votivo od onorario.
Il clipeo d' argento di Artaburio nel Museo di
Firenze può fornire un esempio , come pure ne
possono fornire i clipei a ritratto (imagines clipeatae)
nei sarcofagi romani tanto comuni appunto nei se-
coli n e in dell' èra volgare , riprodotti poi anche
dai nostri artefici del secolo XVI, esempio il Cellini.
Ma , qualunque sia stata l' originaria destina-
zione che abbia avuto il bronzo discusso, quello che
mi par fuori di contestazione è che esso debba esser
tolto definitivamente alla Numismatica per essere
consegnato all' Archeologia ; il che certamente , se
ne cambia la natura, non ne scema il pregio.
Francesco GNECcm.
RIVISTA ITALIANA DI NUMISMATICA
F. GIECCHI. - iiiuU di xnnismBtica Roiana. - 1, ili.
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ENRICO DANDOLO E LE SUE MONETE ^'^
(1192-1205).
Quando Enrico Dandolo fu assunto al prìnoipatO|
Venezia era prospera e rigogliosa, le sue flotte var^
cavano i mari, la sua alleanza era cercata dai maggiori
potentati d'Europa. La modesta città sorta dalle
lagune aveva fatto rapidi progressi nel secolo fra
Pietro Orseolo ed Enrico Dandolo. Quest'ultimo doge,
ottuagenario e quasi cieco, conquistò Trieste, Zara e
finalmente portò l'ultimo colpo all'impero d'Oriente,
entrando assieme ai crociati nella superba Bisanzio,
altre volte padrona del mondo. Baldovino di Fiandra
ebbe la corona imperiale, ma nella divisione delle
spoglie Venezia ebbe la parte migliore e conservò
il predominio commerciale su tutto l'Oriente, che fu
la sorgente della prosperità q della grandezza della
Repubblica.
In quest'epoca remota, in cui l'Europa usciva
appena dalla barbarie, Venezia primeggiava per la
sua civiltà: non è quindi a sorprendersi che nella sua
zecca si iniziasse una delle più importanti riforme mo-
netarie del secolo, qual'è la istituzione del grosso. Sino
allora non esistevano in clrcolcizione se non i denari.
(1) Qaesto articolo è una primizia dell' imporiaDte opera «alle Mimete
di Venezia^ intorno alla quftle T egregio Conte Ni^lò Fapadopoli «ta lavo-
rando da qualche anno e che ci an^riamo Teda presto ^ luce. (K* <)• 0^)
508 NICOLÒ PAPADOPOLI
assai deteriorati dall' originario valore, differenti di
peso e di bontà, incomodi a maneggiarsi ; la varietà e
l'incertezza del valore, aggravate da molte falsifica-
zioni, recavano'*non poco danno al commercio, per cui
la istituzione di una moneta più pesante, di ottimo
argento, dove la zecca si mantenne fedele al peso ed
al titolo stabilito, fu un vero progresso, nel quale Ve-
nezia ebbe il vanto di precedere gli altri stati. Tale
progresso fu accolto con immenso favore in Italia ed
in. Oriente, ed il grosso ebbe dovunque una grandissima
diffusione: lo provano le molteplici imitazioni dell'idea
ed anche del tipo, lo provano le memorie che il grosso
ha lasciato e che durano ancora dopo tanti secoli,
cosicché in Oriente si sente parlare di grossi ed a
Venezia il popolo continua a valersi del nome di questa
moneta in molte contrattazioni.
Non sono concordi gli antichi cronisti sull'epoca
della prima coniazione del grosso. Andrea Dandolo
la fissa all'anno 1194 colle parole: Subseqicenter Ihioo
argenteam monetam volgariter dictara grossi veneziani
vel Matapani cum imagtne Jesu Christi in Throno ah uno
latere, et ab alio cum figura Sancii Marci, et Ducis,
valoris viginti sex parvulorum fieri decrevit (2). Marin
Sanudo antecipa l'epoca della fabbricazione al 1192 (3);
invece Martino da Canale, cronista quasi contempo-
raneo, asserisce che questa moneta fu coniata dai
Veneziani solo nell'anno 1202, quando si prepara-
vano all'impresa della conquista di Costantinopoli,
(2) Andrea Danduli Chronicon , in Muratori , Rerum Ital. Script,
Tomo Xn, pag. 316.
(8) Sanuto, Vitae Ducum Venetcrum in Muratori, Ber. Ital. Script.
Tomo XXn, pag. 527.
ENRICO DANDOLO E LE SUB MONETE 509
colle parole: a Messire Henric Dandle, li noble Dus
a de Venise, mande venir li charpentiers, et fist er-
u raument apariller et faire chalandres et nes et
a galies a piante; et fist erraument faire mehaìUes
a d'argent por doner as maistres la sodee (soldo ,
a salario) et ce que il deservoient : que les petites
a que il avoient, (intendi i denari o piccoli) ne lor
a venoìent enei a eise. Et dou tens de Monseignor
a Henric Dandle en sa, fu comencie en Venise a
u faire les nobles mehailles d'argent que l' en apele
u diccat^ qui cort parmi le monde por sa bonte W. n
Senza discutere quale di queste date sia vera-
mente la giusta, la concordia di questi autorevolissimi
cronisti basta a provare che a Venezia, prima della
partenza dei crociati, e non a Costantinopoli, o durante
il viaggio, come taluno sospettò, fu cominciata la co
niazione del grosso. Anche il tipo e l'aspetto della mo
neta, attentamente esaminati, confermano quest'opi
nione. Ogni moneta, per quanto nuova, ha pure alcun
legami intimi ed apparenti con quelle coniate nelle
epoche precedenti, per cui, non riuscendo a scoprirl
subito nella stessa zecca, è necessario indagare ne
paesi vicini od in quelli avvicinati da rapporti commer
ciali. Ora il grosso non ha alcuna affinità colle monete
d'occidente né per il peso né per l'aspetto, e conviene
cercare i suoi legami in quell'Oriente, con cui Venezia
aveva florido commercio; infatti colà esistevano mo-
nete d'argento di maggior peso che in occidente, colà
si conservavano le tradizioni dell'arte e della civiltà an-
tica. Studiando i pezzi che hanno qualche affinità col
(4) Archivio 9tori€o italiano. Voi. Vili, pag. 320.
65
610 NICOLÒ PAPADOPOLI
grosso, si riconosce facilmente ch'esso ha per base e per
prototipo l'arte greca, ma passata per il sentimento e
per la mano degli antichi veneziani. Sul rovescio ve-
diamo disegnato il Redentore seduto sopra un trono,
che tiene il libro appoggiato sul ginocchio e la destra
alzata in atto di benedire. Questa sacra immagine
si vede in tutte le antiche chiese di origine greca e si
trova nel soldo d' oro bizantino dei secoli X, XI e XII,
da cui fu copiata con fedeltà religiosa. Sul diritto della
moneta sono disegnati due personaggi, che tengono
insieme una lunga asta, la quale divide in due parti
eguali il disco della moneta. Anche da questo lato il
grosso ricorda i nummi bizantini di quei tempi, dove
talora sono disegnati due o tre principi della casa im-
periale, il Redentore o la Vergine pongono sul capo
la corona al sovrano, ovvero l'Arcangelo Michele con-
segna il labaro all'imperatore, od altri analoghi pensieri
allegorici e religiosi. Questo concetto non è però copiato
direttamente ed in modo servile dalle monete bizan-
tine, ma adottato con qualche modificazione e diven-
tato veneziano per l'uso fattone durante un lungo corso
d' anni. San Marco che rappresenta e, per cosi dire,
personifica l'idea del Comune indipendente di Venezia,
consegna al capo dello stato lo stendardo, sul quale è
disegnata la Croce, ricordo del tempo in cui tutti si
decoravano di questo simbolo sacro; entrambi sono
vestiti di lunghi paludamenti di foggia orientale con
pietre preziose ; la testa però non è coperta dalle bende
e dai diademi gemmati dei sovrani orientali, bensì i
capelli lunghi sono la sola decorazione del capo e ri-
cordano gli usi franchi e longobardi, presso i quali
questo distintivo era quello dei principi e dei grandi
personaggi. Questa composizione caratteristica, che fu
ENRICO DAMlOLO B LE SUB UOHBTB 511
conservata con lievi modificazioni di forma nella mo-
neta veneziana di tutti i tempi, è tolta di pianta dalle
bolle di piombo, che i Dogi usavano attaccare ai di-
plomi per antichi88ima consuetudine. Basta vedere le
poche bolle che esìstono, anteriori all'istituzione del
grosso, e cioè quelle di Pietro Polani^ di Sebastiano
Zìani, di Orio Malipiero e quella dello stesso Enrico
Dandolo, per riconoscere che l'intagliatore dei coni
copiò le due figure rappresentate sul sigillo facendovi
un leggero cambiamento, che è la soppressione della
sedia o cattedra del Santo, raffigurandolo in piedi an-
ziché seduto. Non è un fatto nuovo né isolato nella
storia numismatica del medio evo, che le monete trag-
gano il concetto ed il disegno dai sigilli, e lo dimostra
il dotto signor C. Piot in una notevole monografia in-
titolata: « Etudes sur les Types » pubblicata nella
Revue de la Numismatfqtie Belge - 1848, con esempi
tolti dalle monete della Francia e dei Paesi Bassi, a
cui se ne potrebbero aggiungere altri degli altri paesi.
Per rimuovere ogni dubbio, riprodurrò qui il disegno
della bolla di Orìo Malipiero, che ho la fortuna di pos-
sedere nella mia raccolta, persuaso che esso servirà
meglio delle parole a dimostrare la giustezza del mìo
assunto.
5là NICOLÒ PAPADOPOLt
È degno di essere notato il modo insolito con
cui sono disposte le iscrizioni su questo sigillo. Presso
al Santo ed al Doge sta scritto il nome e la qua-
lifica di ognuno dei due personaggi, ma parte del-
l'iscrizione è posta a destra, parte a sinistra della
stessa figura, ciocché lascia supporre che in tempi
più antichi essa dovesse correre tu tt' attorno la testa
come si vede in alcune immagini di santi bizantini.
Nel grosso e nei sigilli posteriori fu ancora modi-
ficata la forma delle iscrizioni, ma lungo l'asta dello
stendardo restarono le tre lettere d v x, l' una sotto
l'altra, in una posizione che non ha altri esempì
e tale che non si saprebbe indovinarne l'origine,
se non si conoscessero questa ed altre bolle, che mo-
strano la genesi e le successive modificazioni di tale
scritta.
Come abbiamo visto la nuova moneta istituita
da Enrico Dandolo ebbe i nomi di Ducato e di Ma-
tapan, ma il suo nome proprio usato in tutti i tempi
ed in tutti i luoghi, e che riscontrasi esclusivamente
nei documenti , fu quello di Grosso : onde mi par
bene conservarlo a preferenza di tutti gli altri ,
avendo esso attraversato , senza alterazioni , tanti
secoli nella bocca del nostro popolo.
Il valore originario del grosso fu di ventisei
piccoli o denari, come affermano i cronisti Andrea
Dandolo e Marin Sanudo e come ci vien confermato
dall'esame del peso e dell'intrinseco della moneta.
Possiamo esattamente rilevare il peso del grosso da
un documento autentico ed ufficiale, quale è il Ca-
jptfolare dei Massari alla Moneta, compilato nel 1278,
dove sono raccolte le deliberazioni dei Magistrati che
si riferiscono alla zecca. Alla fine del primo capitolo
ttNRiCO DANDOLO ti LB SUB MOKSTB 5l3
troviamo indicato il numero dei pezzi, che si dove-
vano tagliare da ogni marco d'argento, colle seguenti
parole : a item faciam fieri islam monetam taliter qtwd
a erit a soldis novera et uno denarìo et terciUj ttsque
« ad medium denarium prò marcha ii e cioè se ne
devono trarre soldi (di grossi) nove e denari 1 eVs
sino a denari 1 e Vi, ossia denari (grossi) 109 Va fino
a 109-f , il che dà per ogni grosso un peso, che oscilla
fra g. V. 42]^ e A2^ e può ridursi alla media di
g. V, 42-^, peso assai vicino a quello rilevato da
Lambros W dall' autorevole volume del Pegolotti :
La pratica della mercatura.
Lo stesso prezioso documento ci dà anche il
fino del grosso e dell'argento veneziano colle se-
guenti parole del Capitolo 73: u Preterea teneor et
u debeo ligare et buUare vel facere hullare totum ar-
u gentum quod mihi per mercatores presentabitur ad
u ligara de sterlino, etc. n Da ciò rileviamo che la
lega del grosso era quella dello sterlino, la migliore
del medio evo istituita dai mercanti tedeschi del-
l'Hansa, Pegolotti nel Capitolo LXXIII (6) , intito-
lato a che leghe di monete assegna ai viniziani grossi
oncie 11 denari 14, tìtolo che colla formula usata
nella zecca di Venezia, si diceva a peggio 40, ciocché
vuol dire che dei 1152 carati componenti una marca
40 soli erano rame o lega, il resto argento fino. A
sistema decimale questo titolo corrisponde a 0,965
(5) Lambros, Le Monete inedite dei Gran Maestri deWOrdine di San
Giovanni di Gerusalemme in Rodi. Tradazione dal greco di C. Eudz. —
Venezia, 1865, pag. 20.
(6) Pegolotti , La Pratica della Mercatura. Lisbona e Locca 1766 ,
pagina 292.
514 NICOLÒ PAPADOPOLI
e quindi, sulla media di g. v. 42-^, il fino del grosso
rimane g. v. 40-^ di buon argento, che, diviso per
26, dà per ogni denaro o piccolo un peso d'argento
puro di g. V. 1-^ , che è approssimativamente la
quantità di metallo che si è ritrovata nelle analisi
da me istituite su tali monetine.
Altra moneta coniata per la prima volta da
Enrico Dandolo è il Qtcartarolo o quarto di denaro,
pezzo di rame con poco argento creato per servire
alle minute contrattazioni. Cosi ne parla Andrea
Dandolo nella sua cronaca dell'anno 1264(7), nar-
rando la prima costruzione del ponte di Rialto in
legno: u Civitas quoque Rivoaltina, quae mediatione
u Canalis tractenus divisa fuerat, nunc ex lignei Pontis
u constructione unita est, et appellatus est Pons ille
a de moneta, quia priusquam factus esset, transeuntes
tt monetam unam vocatam quartarolum valoris qìmrtae
u Partis uniits Denari Veneti, nautis exsolvebant. w
Carli (S), che riporta questo passo, incorse, tradu-
cendolo, in una di quelle sviste non impossibili anche
ad un uomo dotto, e, prendendo il denaro per soldo,
diede al quartarolo il valore di un quarto di soldo.
Meno scusabile è invece che tutti gli altri , i quali
trattarono , dopo di lui, del quartarolo , copiassero
religiosamente l' errore senza accorgersi mai di una
differenza tanto rilevante , che dà al quartarolo un
valore di tre piccoli , cioè dodici volte maggiore
del reale.
(7) Andrea Danduli Chronicùn in Muratori , Rerum ItaU Script.
Tomo Xir, pag. 372.
(8) Carli Bubbi G. B. , Delle monete e detV istituzione delle zecche
d^Italia. Aja (Mantova), 1754, Voi. I, pag. 401.
ENRICO DANDOLO E LE a
MONETE DI ENEIOO DANDOLO.
1. Grosso (26 denari o piccoUj.
Argento — titolo -^ (peggio 40).
Peso — grani veneti 42-j^ (grammi 2,18).
iD* — S, Marco a destra ritto in piedi, cinto il capo di
aureola, col libro dei Vangeli nella mano sinistra,
consegna colla destra al Doge un vessillo con asta
lunghissima, che divide la moneta in due parti pres-
soché uguali. A sinistra il Doge, vestito di ricco manto
ornato di gemme, tiene colla sinistra un volume, 0
rotolo, che rappresenta la promissione ducale, e colla
destra regge il vessillo, la oni banderuola colla croce
è volta a sinistra. Entrambe le figure sono di faccia,
le teste colla barba sono scoperte; quella del Doge
ha i capelli lunghi che si arricciano al basso ; a si-
nistra Ht* • H ■ DANDOL'i lungo l'asta sotto l'oriflamma
DVX in senso verticale colle lettere sottoposte l'una
all'altra; s destra S ■ M ■ VCNCTL
"^ — Q«sù Cristo sedato in trono col libro appoggiato
sul ginocchio sinistro. Il Bedentore ha 11 capo av-
volto da largo nimbo colla croce, a destra e a si-
nistra della testa IC XC-
Opere che trattano del grosso di Enrico Dandolo:
Muratori L. à. — De moneta sìve iure cudendi nummos.
Àntìquitates italiese medii sevi. Mediolanì, 1739 Tomo II, ed Aroe-
LATi F. — De Monetis Italia, 1750. Tomo I, tav. ZXXVII n. 2
(la l^endft è invertita).
516 NICOLÒ PAPADOPOLI
Schiavini F. — Observationes in vmetos nummosy etc., in Ar*
GELATI, Voi. I, pag. 272.
Zanetti Girolamo. — De nutnmis regum Eascus ad venetos tipas
percussis. Yenetiis, 1750, ed Argelati, Tomo IH, App. pag. 22 n. 1.
Carli Bubbi G. B. — Delle Monete e delV istUueione delle
Zecche d? Italia. A l'Aja (Mantova), 1754. Volume I, p. 406-407,
tav. VI, n. 5.
Bellini Vincenzo. — DelPantica lira ferrarese^ ecc. ecc. Fer-
rara, 1754, pag. 5.
Delle monete di Ferrara. Ferrara, 1761, pag. 48.
Gradenioo Gian Agostino. — Indice delle monete d^ Italia
raccolte, ecc. ; Zanetti Guid'Antonio. — Nuova raccolta delle mo-
nete e zecche d:^ Italia. Bologna, 1779, Voi. E, n. XIV, p. 167-168.
Tentori C. — Saggio sulla storia civile ^ politica, ecclesia'
stìca, ecc. Venezia, 1784, Voi. Il, pag. 45.
Galliccioli Giambattista. --'Delle memorie Venete antiche
profane ed ecclesiastiche. Venezia 1795, volume II, p. 33 e seguenti.
Delle monete de' Veneziani dal principio al fine della loro repulH
hlica. Venezia, 1818, p. 8.
Pfister J. G. -— TJie coins of Venice, in J. Y. Akerman, The nu-
mismatic Journal^ Voi. II, 1837-38. Pag. 210-211, tav. a pag. 201.
Di S. Quintino Giulio. — Osservazioni critiche intorno al--
Vorigine ed antichità della moneta veneziana. Torino, 1847, p. 3-33-55.
Tav. II n. 11.
ZoN A. — Cenni istorici intomo alla moneta veneziana. Ve-
nezia, 1847 (Venezia e le sue lagune) p. 22-23, tav. I, n. 8.
Schweitzer F. — Serie delle monete e medaglie d'Aquileja e
di Venezia. Trieste, 1848-52, tav. a pag. 74, n. 1.
BoMANiN S. — Storia documentata di Venezia. Venezia, 1853-61.
Voi. n, p. 320.
Numismatica Veneta o serie di monete e medaglie dei Dogi di
Venezia. Grimaldo, 1854-56.
Biografia dei Dogi di Venezia, corredata dei 120 ritratti e delle
monete e medaglie coniate, ecc. Venezia 1855-57 ; è la stessa opera
dalla precedente con cambiamento del frontispizio, p. 41, Doge XXXX.
Padovan e Cecchetti. — Sommario della Nummografia Ve-
neziana. Venezia, 1866 p. 10.
Wachter C. — Versuch einer systematischen Beschreibung der
venezianer MUnze nach ihren Typen. — Numismatische Zeiischrift,
Voi. m, 1871, pag. 228 e 577.
Padovan V. — Le monete dei Veneziani. Venezia, 1881, p. 9.
BNRICO DANDOLO E LE SUB MONETE 51?
2. Denaro o piccolo.
Argento titolo ^ circa (9).
peso — gr: ven: 7 (grammi 0,36).
scodellato.
^ — Croce patente in un cerchio.
+ ENRIC'. DVX
5/ — Croce patente in un cerchio.
* co MARCVco
3. Varietà nel ^^ — * ENRIC • DVX
4. Varietà nel ^^ — * hNRIC DVX
Disegnato, o descritto da:
Zanetti Qirolamo. — DélVorigine e della antichità della mo-
neta Viniziana^ Ragionamento. Venezia, 1750, p. 47, n. 6 della ta-
vola, ed in Argelati, voi. IH, App., p. 14, n. 6.
Qradenigo G. a. — In Zanetti G. A. , Op. cit, Voi. II, pa-
gina 167. n. Xni.
Appel J. — Bepertorium sur Mumlcunde dea Mittelalters und
der neuer Zeit. Wien und Pest, 1820-29. Voi. Ili, n. 3907.
Zon a. — Opera citata, pag. 17.
ScHWEiTZER. — Opera citata, tav. a pag. 74, n. 2, 3 e 4.
Numismatica Veneta ) ^ .^ ^ ,^ ^ ^^^^
Biografia dei Dogi \ ^P'^ ^^****' P^' *»' ^^^ ^^^X-
Padovan E Cecchetti. — Opera citata, pag. 10,
Wachter C. — Opera citata, pag. 228.
Padovan V. — Opera citata, pag. 9.
(9) L'osarne chimico fatto airUfficio del Saggio di Venezia, 14t4 1883
dà il fino di ^. » i »
66
518
NICOLÒ PAPADOPOLI
5. Mezzo denaro o bianco.
Argento, titolo -^ oiroa.
peso gr : ven : 10 (grammi 0,61)
scodellato.
^ — Croce patente accantonata da quattro punti trian-
golari entro due cerchi di puntini; altri due cerchi
simili chiudono l'iscrizione.
+ ENRICO DVX
1^ — Busto in faccia di S. Marco con aureola di puntini;
due circoli di puntini separano la figura dalla iscri-
zione, altri due chiudono l'iscrizione.
+ . coMARCVco VN-
Esiste: al civico Museo Correr. Venezia.
presso il d.' Carlo Gregorutti. Trieste.
Ne parlano:
Becker W. Q. — Ziceihundert séltene Mungen des MittelàUers.
Dresda, 1813, pag. 50.
Padovan e Cecchetti. — Op. cit, pag. 10.
Wachter C. — Opera citata, pag. 227.
Padovan V. — Op. cit., pag. 9.
6. Quartarolo {Ili di denaro)
Bame (con traccio d'argento),
peso gr: ven: 16 (grammi 0,77).
^ — Nel campo V • N • C • E poste in croce con un punto
nel mezzo ; un cerchio divide dall'iscrizione
* . E • D^ADVLO DVX
ENRICO DANDOLO E LE SUE MONETE 619
T^ — Croce accantonata da quattro gigli in un ceroluo.
* co • MARCVco
Esiste: B. Museo di S. Marco, Venezia.
B. Grabinetto numismatico di S* M., Torino.
B. Museo Britannico, Londra.
Disegnato, o descritto da:
Bellini. — De moneiis Italia medii (evi, etc. Prima Disserta-
zione, 1755, pi^. 107, n. U.
Gradenigo 0. A. — In Zanetti, op. dt. Voi. Il, pag. 168, n. XV.
ScHWEiTZER. — Opera citata, tav. a pag. 74, n. 5.
Orlandini. — Catàlogo di una serie di monete dei Dogi veneti,
Fortogruaro 1855, n. 5.
Padovan e Cecchetti. — Op. dt., pag. 10.
Wachter C. — Opera dtata. Voi. IH, 280 e Voi. V, p^. 191.
Padovan. — Op. cit., pag. 9.
Nicolò Papadopoli.
ANNOTAZIONI NUMISMATICHE GENOVESI
XIX.
MONETE ATTRIBUITE DAL GASDOLFI AI DOGI X ED XI.
H Gandolfi, (voi. Il, pag. 62), citando due monete
esistenti nella Collezione Universitaria, asserisce che
sono sufficientemente chiare ambedue quanto al leg-
gervi il numero dogale, che in una è X e nell'altra XI,
e che portano le iniziali del Doge (V. Tav. II, N. 22
e 23). A proposito di queste iniziali egli fa notare, esser
cotali lettere una vera singolarità per siffatte mone-
tine e segnatamente rispetto alla prima, perchè del
decimo Doge abbiamo altre monete sulle quali di
nomi non v' è indizio veruno , ma soltanto vi sta
scritto un bel Dux decem tutto alla distesa. Nelle
iniziali molto incerte , Y Autore leggeva i nomi dei
due Montaldo ai quali spettano quei due numeri ,
mentre dovea avvedersi che si trattava del Doge
Tommaso di Campofregoso, t, c.
Lo stato di conservazione delle due monete, ed
il non conoscere alcun esemplare ben chiaro degli
innumerevoli soldini e pótachine del Doge XXI, fu-
rono causa dell'errore in cui cadde il Gandolfi, mal-
grado la singolarità che avea fermato 1' attenzione
sua, poiché egli ben sapeva che le iniziali dogali e
la numerazione in cifre , cominciano solamente in
522 GIUSEPPE auoGBtto
Giorgio Adorno Doge XVII . Vedendo i disegni che
ritraggono q[ueste due monete nella Tavola II del
Oandolfi, ognuno si persuade che si tratta veramente
di un soldino e di una petachina del Tommaso per
il suo secondo dogato, da non confondersi con quelle
del primo, nel quale si segnava t. d. c. Non c'è dubbio
quanto alla specie, perchè sole quattro erano quelle
in uso per l'argento ed il biglione ; il grosso, il sol-
dino, la petachina ossia mezzo soldo ed il minuto.
Il soldino non può confondersi con alcun' altra né
per diametro né per impronta ; e dalla petachina ,
sola moneta che a primo aspetto gli si avvicina al-
quanto, si distingue agevolmente per gli archetti
che stanno internamente al circolo di perline, man-
canti in quella (0.
In oggi non sarebbe più possibile l' errore di
questa attribuzione, perchè nel metallo stesso delle
monete in discorso , si avrebbe il criterio più deci-
sivo in proposito. Infatti all'epoca del decimo Doge
(1383-84) , troviamo un valóre ben differente per il
soldo, da quello che correva nel secondo dogato di
Tonmiaso Campofregoso (1436-42). Mentre nel 1437 (^)
il fino del soldo è 0,905 e vi corrispondono i sol-
dini del Tommaso al titolo di 500 con alcune ec-
cezioni che se ne scostano di poco; nel 1365 invece
abbiamo il fino di 1,459 , e nel 1390 di 1,431 (B).
Inoltre il Cartolario di zecca del 1390, ci dà la no-
ci) Nel disegno del rorescio al N. 22, Tav. II del Gandolfi, mancano
gli archetti ; e nel dritto, il 0 fa scambiato con una rosetta, per ana svista
del disegnatore.
(2) Vedi DflSiMONi, Le prime monete éP argento, etc.^m € Atti della
Soc, Lig. di S. P. Voi. XIX, pag. 21 B, Cartolario di zecca 1437.
(3) Vedi Dksimoni, ibid.. pag. 210, Cartolari del 1365 e 1390.
ANNOTAZIONI NUMISMATICHE GENOVESI 523
tizia che il mezzo grosso o soldo era al titolo eguale
a quello del grosso. Rimane quindi escluso, che possa
attribuirsi al decimo Doge un soldo che non sia
d'argento.
Da pochi giorni ho acquistato un esemplare ben
conservato del soldino della Universitaria , colle
leggende :
/B' — * : T : C : DVX : lANVENS X
9 -- * • CONRADVS : REX : RM
Fino ad oggi avevo considerato questa anomalia
del numero X come un prodotto di cause acciden-
tali, ma appena avuto questo soldino , cominciai a
sospettare che si trattasse di falsificazione. La mo-
neta per i suoi caratteri generali sembrava genuina
di zecca, ma alcune piccole varianti in qualche let-
tera troppo finita, contrariamente allo stile usato su
queste monete, m'indussero al dubbio. Fatto assag-
giare alla pietra, questo soldino si dimostrò infatti
di molto inferiore al 300 , mentre il titolo legale,
come già si è veduto, è quello di 500. Allora scrissi
a Genova pregando TIll. Comm. Belgrano di favo-
rirmi il titolo delle due monete della Universitaria,
ed il risultato fu identico perchè quel soldino fu ri-
conosciuto a 250 0 poco più. Ecco adunque la pre-
sunta anomalia dileguarsi e rimanere in sua vece,
una delle volgari falsificazioni di quel tempo, per le
quali non s'andava tanto per il sottile a contare gli
X e gli I, purché lo spazio della leggenda fosse
riempito. Mi rincrebbe che lo stesso assaggio non
abbia potuto farsi per la petachina coli' XI , non
avendosi potuto ritrovare la moneta, malgrado le
ricerche fatte. Ma non mi stupirei che non fos9e
524 GIUSEPPE RUGGERO
mai esistita, e che il Gandolfi avesse mal letto una
delle solite petachine col N. XXI. D' altronde se il
disegno è esatto , bisogna dedurne che V originale
fosse difettoso o ribattuto , come lo indicherebbero
la doppia rosa al diritto ed il doppio e del conradvs
al rovescio. Non aveva creduto conveniente di com-
prendere le due monete nelle tavole descrittive delle
monete Genovesi W, perchè eguali alle solite mo-
nete di T.C. Dvx XXI sebbene col numero sbagliato,
e per giunta mal conservate. Ora più che mai ho
dovuto compiacermi di tale esclusione.
Dopo aver eliminato queste anomalie, sarà bene
di riepilogare quelle che rimangono, distinguendole
a bella prima in due specie, intenzionali ed accidentali.
Le prime si riducono a due sole fino ad ora
conosciute e constatate con sicurezza. Quella del
Doge Raffaele Adorno che ha monetato con i due
numeri XXII e XXIII, cambiamento che non si può
attribuire che ad un atto volontario dello stesso
Doge (^). L' altra del Doge Ludovico di Campofre-
goso col N. XXVII, non avendo egli voluto rico-
noscere il dogato di Prospero Adorno, che con tale
numero si era segnato.
(4) fi nltimata la stampa di queste tavole , ed ora è in corso quella
degli allegati alle stesse, che complessivamente formano il voi. XXII degli
Atti della Società Ligure di S. P.
(6) Vedi Annoi V (Palermo, 1881) , alla quale tuttavia devono . farsi
due correzioni. 1**, a pag. 29 , citando il N. 669 del Catalogo Franchini,
del Sambon, io ammetteva che fosse del Barnaba Adorno sulla fede del
Gazzo. È invece del Eaffaele , come risulta dai mss. dell' Avignone e del
Franchini stesso. Non si conoscono adunque fino ad oggi monete del Bar-
naba, né abbiamo molta speranza di rinvenirne , per aver egli durato in
carica 26 giorni soli. 2**, la moneta segnata al N. 660 dello stesso Cata-
logo come un ottavino, è invece una quartarola,
ANNOTAZIONI NUMISMATICHE GENOVESI 52B
Tra le seconde devonsi annoverare quelle ano-
malie, che fino a prova in contrario non si possono
ragionevolmente attribuire a volontà del Doge , e
queste non sono rappresentate che da qualche mo-
neta isolata o tutt'al più da pochi esemplari ; e si
ritengono prodotte da cause accidentali. Fino ad ora
conosciamo le seguenti :
Nel dogato XXI, due o tre ducati ed un sol-
dino col N. XX (6).
Nel dogato XXVI, due ducati col N. XXV CO.
Non registro tra queste anomalie quella che
sarebbe rappresentata in un soldino di Ludovico
Campofregoso, col numero XXII invece del XXV. Si
conserva nel Museo Palagi di Bologna e potei averne
un calco riuscitissimo per V ottima conservazione ,
dalla cortesia del Dott. Frati. Ne tenni calcolo nelle
tavole, perchè già accennato nei mss. dei primi com-
pilatori , e perchè posseduto da una delle raccolte
principali, ma ho dichiarato che non posso accettarlo
come genuino. Infatti, vi si legge distintamente dvs
e RES invece di dvx e rex ; e questa infelice imita-
zione delle due desinenze, mi fa credere che il nu-
mero XXII non sia altro che una imitazione del
numero vero, che nelle monete di questo Doge è
scritto coirU gotico, XXU, invece di XXV.
(6) Vedi Annot. IX, in Gazz. Num. di Como, 1884. Circa al soldino,
descrìtto neir Avignone senza citarne la Collezione, ma che trovai nel Ca-
talogo di vendita della Franchini, vorrei poterne conoscere il tìtolo.
(7) Uno, trovasi descritto neir Avignone come appartenente alla Colle-
zione Universitaria ; il secondo, fa da me veduto negli anni passati presso
nn collettore che ora più non lo possiede.
67
626
GIUSEPPE RUGGERO
XX.
MINUTI DEL GOVEBNATOBE FILIPPO DI CLEVE8.
Sebbene la serie dei minuti abbia fatto note-
voli progressi in questi ultimi anni , vi rimangono
tuttavia lacune importanti e specialmente quelle
delle Signorie straniere al principio del XVI secolo.
In altra precedente Annotazione, ho rilevato come
si conoscano numerose varianti di conio e di sigle
nei minuti del Governatore Agostino Adorno ; e
come si possa dedurne, con molta probabilità di non
errare , che non siansi coniati minuti al nome dei
duchi Gian Galeazzo e Ludovico Sforza. Ho detto
che questo fatto della coniazione dell'infima moneta
a nome del Governatore e non a quello del vero
Signore, doveva esser stato tal precedente da creare
una vera consuetudine di zecca, se pure non esisteva
già ai tempi dei primi Sforza,
ANNOTAZIONI NCMtSMAtlCHfi GENOVESI 527
Il lettore avrà facilmente compreso lo scopo
dell'osservazione mia a questo riguardo, quello cioè
di spiegare in modo analogo la mancanza di mi-
nuti col nome dei Re Francesi Ludovico XII e Fran-
cesco I (^). Ma non credetti bene di dire allora, che
io non ignorava V esistenza dei denarini di un Go-
vernatore per Ludovico XII. Infatti , 4 o 5 anni
addietro, aveva acquistato una bellissima monetina a
fior di conio, con tutti i caratteri del XVI secolo e
colla leggenda p e . o i, nella quale indubbiamente
era indicato Filippo di Cleves. Disgraziatamente
tale minuto andò smarrito poco dopo l'acquisto fat-
tone, in causa dei troppo frequenti cambiamenti di
residenza, né mi credetti più autorizzato a pubbli-
carne il disegno , trovandomi privo della testimo-
nianza dell' originale. Mi limitai a parlarne con
alcuni amici , e se ho dovuto rinunziare alla spe-
ranza di rinvenire l' esemplare perduto , non ri-
nunziai a quella di poterne scoprire qualche altro
in seguito.
Venne alla fine il momento fortunato , ed ora
mi trovo possessore di sei minuti del Cleves , cioè
quattro eguali a quello perduto, e due altri variati
nella leggenda. Credo sia utile riportare il disegno
di tutti, perchè sono varianti di conio , e perchè i
(8) Rimando il Ietterò alla VII Annot. in Giornale Ligustico , 1882 ,
circa Tattribazione di minuti ai due Re Francesi in qualche catalogo di yen-
dita. Quello dato a Ludovico XII^ non d che un minuto del primo GoYer-
natore per Carlo VI, con lANVA, preceduta dalla sigla di zecca L ; l'altro
(N. 676 del Catalogo Franchini), assegnato a Francesco I, ò un Carlo VI,
nel quale si scambiò il E in F. Per maggior sicurezza riporterò qui la
leggenda di un minuto di Carlo VI ben conservato, avuto da poco tempo
e colla stessa sigla di quello : E : REI : F : D : lAN : B :
528 GIUSEPPE RUOGBRO
diversi esemplari generalmente mancanti in qualche
parte, si completino a vicenda.
1. ^' — *®FC — ®GI® Solito tipo.
9i — 'C' — -R' — -R- — 'SB' Solito tipo.
C * — Peso gr. 0,44. (Vedi per questo e per i seguenti il disegno
al numero corrispondente).
2. /B' — Leggenda come quella del N. 1.
Tipo solito, ma il castello è molto più piccolo.
9 — .... — :R' — :R' — •••• Solito tipo.
C 1 — Peso gr. 0,42.
3. /B' — Leggenda eguale alle precedenti.
Solito tipo. Castello come al N. 1, ma collo stile cen-
trale molto ingrossato.
9 — • C '. — • • • • — • • • • — SB • Solito tipo.
C^ — Peso gr. 0,49.
4. /B' — Leggenda e tipo e. s. Variante nel cerchietto.
T^ — •... — .... — |{. — 3Q
Tipo solito, ma con la croce molto larga.
C^ — Peso Gr. 0,56.
b. ^ — *®FD® — ®C&^ Tipo solito.
9» — "C- — •R* — 'R- — •••• Tipo solito.
CI — Peso gr. 0,48.
6. /B' — Come il preced., ma leggera variante di conio.
T^ — -C- — -R- — -R- — -B- Tipo solito.
C^ — Peso gr. 0,45.
La leggenda di questi denarini, sebbene ridotta
alle sole inizi^ili, non lascia alcun dubbio sulla loro
attribuzione al Governatore del Re di Francia, Fi-
lippo Cleves o Di Cleves. Tutti gli altri caratteri
concorrono a provarla, ma in special modo le sigle
dello zecchiere sb. Queste iniziali non si trovano che
sulle monete di Ludovico XII coniate prima della
rivolta de] 1507, anzi sono queste le sigle predomi-
ANNOTAZIONI NUMISMATICHE GENOVESI 529
nanti sulle monete d'oro, d'argento e di mistura di
queir epoca, nella quale era Governatore il Cleves ;
nò più si mostrano su quelle coniate dopo la restau-
razione. L'elenco dei soprastanti registra infatti un
tal Stephanus de Brevei in carica nel 1502, e quindi
salta al 1508, mancandovi i nomi per gli altri quattro
anni della prima dominazione di Lodovico XII, nei
quali può benissimo esser rimasto riconfermato o
rientrato il Brevei sopradetto.
Per non trascurare alcuna possibile obbiezione,
ed anche quella della iniziale del nome che gli
stessi autori contemporanei scrivevano sempre col ph
in latino ed in volgare, dirò che non sarebbe questa
una difficoltà tale da arrestarci di fronte ad una
leggenda che non si presta per alcun altro nome, e
ad uno zecchiere che non troviamo in alcun' altra
epoca. Ma non siamo ridotti a ricorrere ad altri ra-
gionamenti, avendosi precedenti in gran numero per
l'uso della p in luogo del ph : e basteraimo quelli
del denarino Parmense dello svevo Filippo sul prin-
cipio del secolo XII , e del denaro d' Aquileia, del
Cardinale d'Alen9on della fine del XIV. Ma per non
uscire dalla stessa zecca Genovese e per non retro-
cedere oltre al XV secolo, basterà per tutti l'esempio
del duca Filippo M. Visconti , il quale in tutta la
sua ricca serie monetale, ha sempre il nome scritto
colla F, fatto che si ripete nella serie Milanese.
Filippo di Cleves, signore di Ravestein e cugino
del Re, entra in carica il 4 novembre 1499 in sur-
rogazione al primo Governatore Scipione Barba-
vara da Milano, il quale non aveva troppo soddi-
sfatto i Genovesi. Nel 1501 ha il comando della
flotta destinata al soccorso di Napoli, ma trovata la
530 6IUSBPPE RUOGBRO
città già ripresa dal re Federico, si porta in Levante,
dove, unito all' armata dei Veneziani, tenta inutil*
mente la presa di Me telino ; onde deve tornarsene
con gravi perdite prodotte dalla lunga navigazione,
dal combattimento e dal naufragio sofferto. Prepara
e dirige il ricevimento e le feste in occasione della
visita del re a Genova nel 1502. Poi rimane assente
per molto tempo, e dopo il suo ritomo nella metà
del 1506, vedendo crescere le difficoltà del governare,
diminuire la propria autorità, e subodorando la pros-
sima rivolta, lascia il reggimento della città al' suo
luogotenente , ed ai 25 ottobre definitivamente si
allontana (^).
Constatata adunque l'esistenza di questi minuti,
ne rimane confermata la continuazione della con-
suetudine già in vigore sotto i due ultimi Sforza,
ed eliminata per conseguenza la possibilità dell'esi-
stenza di minuti col nome del Re. A chi volesse
oppormi l'esempio di quelli dei Re Carlo VI e VII,
risponderei che gli usi di zecca vigenti negli ultimi
decennii del XV secolo dovevano per certo aver
maggior forza che non quelli di un secolo prima.
Potrebbesi osservare che il Governatore per gli
Sforza era Genovese, mentre il Cleves era Francese,
e come tale non avrebbe dovuto mettere il proprio
nome in luogo di quello reale, con patente infrazione
all'art. 15 della convenzione stipulata tra il Re ed i
Genovesi (^^). Questa prescrive per 1' appunto , che
(9) Vedi Annali del Giustiniani. — Cronaca del Salvago pubblicata dal
Dosimoni negli Atti della Soc. Lig. di S. P. Voi. XIII , fase. Ili , 1879.
— Belorano, Dedizione dei Genovesi a Ludovico XII, nella < Miscellanea
di Storia Italiana. Voi. I, 1862.
(10) Vedi Belgrano, luogo citato, pag. 586 e 647.
ANNOTAZIONI NUMISMATICHE GENOVESI 531
la moneta genovese porti il giglio ed il nome del
Re signore di Genova ; ed infatti vediamo tutta la
serie in oro, argento e mistura ad alto titolo, sod-
disfare pienamente a questa condizione. Ma Tinfima
monetucoia, come cosa insignificante e per diametro
e per titolo, poteva ben sottrarsi alla legge gene-
rale, per non variare la consuetudine invalsa nella
nostra zecca. D'altronde questa stessa consuetudine
non dovea tornar sgradita al Governatore, nel dargli
facoltà d'imprimere il proprio nome sui minuti : tanto
più che qualunque infrazione alle convenzioni, poteva
trovare una sufficiente giustificazione nelle istruzioni
segrete avute dal Re, il quale voleva che si gover-
nasse con dolcezza questo riottoso popolo , purché
non ne patisse l'interesse proprio.
Nella mia XIII Annotazione trovasi disegnato un
minuto colla leggenda incompleta .... cor, ed asse-
gnato al Cardinale Paolo di Campofregoso. Ricor-
dando bensì il minuto fc gì , ma non conoscendo
ancora la variante fd cor, non mi trovava allora in
grado di spiegare il e diversamente da Cardinalis.
In seguito alla scoperta dei N. 5 e 6, devo ora leal-
mente dichiarare, che la interpretazione di quella
leggenda diventa incerta, potendo quel minuto stesso
essere eguale a quelli della presente.
Cremona, Ottobre 1890.
Giuseppe Ruggero.
APPUNTI
DI
NUMISMATICA ITALIANA
I.
TEE LUIGINI INEDITI DI CAMPI,
Poche e rarissime sono le monete de' Principi
Centurioni-Scotti, marchesi di Campi. Otto sole ne
conosciamo dalle opere numismatiche finora pub-
blicate, e di esse credo utile premettere un rapido
cenno. Nello splendido Catalogo delle monete d'oro
del Museo di Vienna, pubblicato da Duval e Froelich
nel 1769 0) , troviamo il disegno di due doppie del
principe Carlo Centurioni-Scotti (2) , una dell' anno
1661, l'altra del 1662.
L'Olivieri pubblicava nel 1862 una interessante
monografia sulle Monete e i Sigilli dei principi Cen-
turioni (3). È l'unica operetta che tratta diffusamente
(1) Montwies en or, qui camposent une dea différentes parties du Ca-
binet di S. M. VEmpereur depuis he plus grandes pièces jusqu'aux plus
petites. Vienne, 1759, in fol., pag. 258.
(2) II prìncipe Carlo Centurioni- Scotti aprì l'officina di Campi nel 1654,
per concessione dell'imperatore Ferdinando HI, e vi batto moneta in oro e
argento, fino all'anno 1663.
(3) Olivieri A., Monete e sigilli d£ Principi Centurioni-Scotti che
serbami nella Regia Università ed in altre collezioni di Genova, I?i, 1862,
in-8^, con nna tavola.
68
534 ERCOLE GNECCHI
della storia di questa officina monetaria , dei feudi
di questi principi , dei privilegi loro concessi dagli
imperatori , dei contratti di zecca , e delle varie
specie di monete da loro coniate. Una tavola ag-
giunta ci offre il disegno di cinque monete di Campi,
e l'autore, dandone la descrizione , dichiara di non
averne vedute altre in tutte le collezioni pubbliche
e private di Genova, compresa quella della stessa
famiglia Centurioni, dove si conservano gelosamente
tutte le memorie relative a quel casato. — Le mo-
nete da esso illustrate sono le seguenti :
Carlo Centurioni (1654-63). Una Doppia d'oro
del 1662 (una delle due già pubblicate nel Catalogo
del Museo di Vienna), e un Testone (?) di tipo iden-
tico alla doppia.
Gio. Baita Centurioni colla moglie Giulia Serra
(1668-72). Unsi Doppia d'oro del 1668, e due Testoni (?)
dello stesso tipo, uno dell'anno 1668, l'altro del 1672.
Lo stesso Olivieri poi, in un suo articolo su mo-
nete e medaglie di famiglie genovesi, inserita nella
sua Rivista della Numismatica antica e moderna W ,
pubblicava nel 1864 due altre monete di Campi, in
aggiunta a quelle da lui descritte nell'altra sua opera
citata. La prima è uno zecchino del principe Gio. Bat-
tista Centurioni dell'anno 1668 (^). La seconda è un
luigino dall'Olivieri attribuito a Giulia Serra moglie
del principe G. B. Centurioni. L'autore riporta quel
(4) Olivieri A., Monete e medaglie delle famiglie genovesi dei Centu-
rioni, dei Doria e degli Spinola, di recente ecoperte. — e Rivista numis-
matica antica e moderna >. Yol. I, pa^. 68-65 ; tav. Il, N. 8 e 4.
(6) Qaosto zecchino, forse hdìco , già posseduto dal Sig. Franchini di
Genova, si trova descritto nel Catalogo della sua collezione (Pag. 14, tav. I,
n. 167), ed ò ora posseduto dal conte Nicolò Papadopoli di Venezia.
TRB LUIOINI INEDITI DI CAMPI 635
luigino dall'opera del Poey d'Avant sulle monete feu-
dali di Francia (^) , accennando però che il numis-
matico francese dubita che quella moneta appartenga
a principe tedesco ^).
Tutto ciò infatti che potrebbe far attribuire quel
luigino alla prefata principessa, sarebbero le prime
lettere della leggenda del dritto IVL • M -, che l'Oli-
vieri interpreta IuliaMaria,Q la data del rovescio 1669.
Quanto al nome lulia Maria^ è bene notare che
esso era comune a molte principesse dell'epoca , si
italiane che straniere. La data poi 1669 si trova su
moltissimi altri luigini anonimi , coniati in officine
italiane ad imitazione di quelli di Dombes. Si po-
trebbe da ultimo aggiungere (se questo argomento
può avere qualche valore) che la leggenda del ro-
vescio MELLIBAT • EX • LILIIS non è una delle tre state
proposte dai teologi , dietro loro richièsta , ai prin-
cipi Centurioni , pei loro luigini di Campi. Esse
erano le seguenti :
DICO HVIC VADE —
SVM SVB POTESTATE —
CENTVPLVM GERMINABIT (8).
Quest' ultimo motto lo vedremo appunto nel
rovescio dei primi due luigini che sto per descri-
(6) F. PoBY d'Ayant, Matmaiea féodalea de France. Paris, 1858-62,
in-4*» (Voi. m, tav. CXIX, n. 10, e pag. 117, n. 5267).
(7) Olivieeu, Op> cit, pag. 59. Ecco la descrizione di qnesto luigino:
D. — IVL • M • S • R • I . PMNC • SOW • DOM • Testa di donna
volta a destra.
R — MELLIBAT - EX - LILIIS. Stemma coi tre gigli di Francia.
Al disopra corona. Ai lati dello stemma la data 16 69.
(8) OiJViBRi, Monete e sigilli dei principi Centurioni' Scotti. Pag. 29.
d86 brcole gmbcchi
vere , e, con qualche variante , anche in quello del
secondo.
In ogni modo, il luigino pubblicato dal Poey
d'Avant e riprodotto dall' OUvieri , resta tuttora di
incerta attribuzione, e non porta nome di zecca.
Nel settembre dell' anno 1889 , in un gran
ripostiglio di luigini scoperti presso l'isola di Andrea
(Mar Egeo) e appartenenti , per la maggior parte ,
a zecche italiane , furono trovati tre luigini , co-
niati a nome di Giulia Serra , moglie del principe
G. B. Centurioni. Essi portano il nome della zecca
e sono perciò i primi tré luigini di Campi di
sicura attribuzione. — Due d'essi si trovano ora nella
mia collezione ; il terzo passò in quella del conte
Nicolò Papadopoli di Venezia, che gentilmente mi
volle mandare la moneta in esame, autorizzandomi
a pubblicarla, per il che io gliene rendo qui i più
sentiti ringraziamenti.
Ecco pertanto la descrizione dei tre luigini :
Peso gr. 1.100.
^' - IVLIA • M ■ PRINCIP CAMP ■
Mezzo basto di donna a d. Sotto il busto nn punto.
^ — CENTVPLV &ERM1NAB ■
Stemma coronato ooi tre gigli di Francia, sopra i quali il
lambello a tre pendenti. Ai due lati dello stemma ,
la data 16 68.
(Coli. Gnecchi).
Peso gr. 2.300.
^ — IVLIA • M ■ PRINCIP ■ CAMPI ■
Mezzo busto dì donna a destra.
9I— CENTVPLVM • GERMINABV ■
Stemma coronato coi tre gigli e il lambello come nel
precedente. Ai lati dello stemma 16 68. Dae rosette
sopra lo stemma e nna sotto.
(Coli. PapadopoU).
Peso gr. 1.800.
^ — IVLIA ■ M • PRINCIP ■ CAMPI ■
Mezzo busto di donna a d. Sotto il busto nna rosetta.
9/ — P ■ • RA GERMINAT BON ■
Stemma coronato ooi tre gigli di Francia, e il lam-
bello 0. s. Ài Iati dello stemma 16 69. AU'esergo 4,
(Coli. GDMchi).
Il rovescio di questo luigino sfortunatamente è
molto sconservato e ne riesce un po' difficile la let-
tura e l'interpretazione.
Quanto al motto , il quale , come quello degli
altri due luigini, si riferisce evidentemente ai gigli,
io lo completerei in : plvra germinat bona , motto
588 BRCOLB GNBCGHI
che avrebbe un senso molto analogo a quello dei
precedenti. Il numero 4, posto all'esergo, è il segno
della bontà della moneta, ossia di oncie qicattro jper
una libbra d'argento , come troviamo nei numerosi
contratti di zecca per la battitura dei luigini stipulati
dal principe G. B. Centurioni con vari zecchieri negli
anni 1668 e 1669, contratti riportati per intero nella
citata opera dell'Olivieri.
H titolo di questi luigini è evidentemente bas-
sissimo e forse minore di quanto si conveniva nei
citati contratti. Straordinaria poi e degna di nota è
la differenza di peso fra queste tre monete (gr 1.100
— 1.800 — 2.300), mentre, avendo io pesato più di
cinquanta luigini di Dombes degli stessi anni e ap-
partenenti a quel medesimo ripostiglio, ho verificato
che il loro peso oscilla fra gr. 1.750 e 1.900. Consul-
tando i contratti di zecca , trovo , com' è naturale ,
che i luigini dovevano sempre avere uno stesso va-
lore; perciò mi pare che questa grande differenza di
peso non sia da attribuire che alla fretta e negli-
genza degli zecchieri, i quali, provveduti di scarsi
mezzi di fabbricazione, si obbligavano per contratto
a consegnare quella data quantità di monete ogni
mese, e fino ogni quindici giorni, sottostando anche
a multe in caso di mancata consegna. Queste mo-
nete poi, come dirò in seguito, erano destinate esclu-
sivamente al commercio col Levante , quindi meno
delle altre monete soggette a controllo per parte
degli stati confinanti e dei sovrani che accorda-
vano il privilegio di zecca ; nulla quindi di più
naturale che si usasse minor rigore e diligenza nella
loro fabbricazione. Noterò da ultimo che sotto il
nome di zecca di Campi non si deve intendere una
TRE LUIGINI INEDITI DI CAMPI 639
sola officìua monetaria. Precisamente negli anni 1668
e 1669 il principe G. B. Centurioni aveva attivato
nella giurisdizione di Campi varie officine , di cui
tre in Campi stesso, una a Gorreto, un'altra a Ca-
tabiasco, ed altre, di cui nei capitolati di zecca non
è indicato precisamente il nome della località. Sup*
posto anche, come vuole taluno , che in alcune di
queste officine non si sia effettivamente lavorato, è
ormai accertato , da una nota sincrona pubblicata
dall'Olivieri in fine al citato articolo sulle monete e
medaglie dei Centurioni, dei Doria e degli Spinola,
{Rivista della Num. antica e moderna, pag. 64 e 65),
che nella giurisdizione di Campi, lavoravano ad un
tempo tre ofiìcine monetarie. — Questa suddivisione
di zecche, per coniare le stesse monete, unita alle
cause suaccennate, può in gran parte spiegare la
irregolarità del loro peso.
La zecca di Campi viene pertanto arricchita
di tre nuove monete , e resta assodato che colà si
battevano luigini negli anni 1668 e 1669. Queste
monete, più spesso denominate nei contratti di zecca
gettoni^ ottavetti o marchesim\ al pari di altre con-
temporanee di zecche italiane, imitavano esattamente
il tipo dei luigini di Anna Maria Luisa di Borbone,
principessa di Dombes, ed erano, come dissi, esclu-
sivamente coniate pel Levante. Colà il loro tipo
godeva gran credito e quelle popolazioni le accetta-
vano volentieri, adoperandole anche come ornamento,
badando quindi più alla bellezza dell' impronta che
all' intrinseca bontà del metallo. Siccome poi colà
si accettavano di preferenza i luigini con ritratto
di donna , cosi i nostri principi si affrettarono a
stampare su quelle monete , anziché il proprio , il
540 ERCOLE ONECCHI
ritratto delle loro mogli , oppure delle teste mu-
liebri ideali.
Nei contratti per la battitura di questi luigini ,
vediamo spesso fra le condizioni per la durata della
concessione, che quelle monete siano accettate nella
Turchia e negli stati adiacenti. In un contratto sti-
pulato fra il principe G. B. Centurioni e il sig. Lu-
ciano Centurioni, in data 6 dicembre 1668 , per la
battitura dei luigini, si stabilisce che u quella obbli-
a gazione non abbia loco e sia nulla sempre che
a dal Gran Turco o suoi ministri escissero proibi-
a zioni, ed ordini rigorosi che non si potesse più
tt introdurre ne' suoi Stati di detti Ottavetti W. » In
un altro contratto, conchiuso dal detto principe con
Giuseppe Maria Deferrari, in data 24 dicembre 1668.
si ripete che u detta obbligazione però non abbia
a loco e sia nulla sempre che per parte del Gran
u Turco 0 da suoi ministri fosse proibito il non po-
u tersi più portare né introdurre nei suoi Stati detti
tt ottavetti, di modo che per queste proibizioni non
tt avessero più il dovuto smaltimento » (^^).
La stessa condizione vediamo ripetuta in altri
contratti di quell'anno 1668 e del seguente.
Altre oflBcine monetarie, fra cui quelle di Tas-
sarolo, di Loano, di Fosdinovo e di Tresana, (^i) imi-
(9) Olivieri, Op. eit, pag. 31.
(10) Idem, Op, cit^ pag. 33.
(11) Su di nn Inigino anonimo , battuto a FosdinoTO . notiamo noi
diritto la leggenda: HANO ASIA MERCEM QVAEBIT. Qaesto, come altri
simili, che si leggono sn altri Inigini pure anonimi, ma certo di fabbrica
italiana, provano chiaramente lo scopo a cui servivano qneste monete.
E cosi i nostri prìncipi italiani, spacciando nel Levante i loro bigini
contraffatti e adulterati, aggiungevano al danno le beffe.
TRE LUIGINI INEDITI DI CAMPI 541
tavano quell'esempio e andavano inondando la Tur-
chia e l'Asia Minore di questi luigini, con gravissimo
danno di quei paesi , giacché per l' ingordigia dei
principi e dei loro zecchieri , quelle monete , già
di bontà molto inferiori alle francesi, erano andate
di continuo peggiorando, talché anche in quei paesi
tali frodi furono talvolta scoperte, e gli agenti di
quella vergognosa speculazione si videro costretti
a salvarsi colla fuga o a vedersi sequestrate le par-
tite di luigini che tentavano di mettere in com-
mercio. La cosa era giunta a tal punto, che tutti i
principi italiani proibirono il commercio di quelle
monete, e la Repubblica Genovese, con decreto del
18 luglio 1667, vietava l'introduzione nel suo stato
di tutte le monete mancanti e di bassa lega, e spe-
cialmente degli ottavetti (^2).
Infatti, in una concessione di zecca del prin-
cipe G. B. Centurioni, la quale non porta data, ma
dovrebbe essere posteriore a quell'anno 1667, si pre-
scrisse che le monete battute in Campi non deb-
bansi spendere dentro il dominio della Repubblica (i^).
Ma la persecuzione ai luigini non ebbe tregua:
i principi e le repubbliche con ripetuti editti proi-
birono quelle monete, minacciando gravissime pene
ai detentori , e questi si affrettarono a distruggerli.
Da ciò la loro rarità.
PS. Quest' articoletto era appena lioenziato per le
stampe, quando mi giunse dalla Grecia un altro piccolo
(12) Olivieri, Op. eit,, pag. 53.
(13) Idem, Op. eit.^ ivi.
69
642 E. GNECCHI - TRE LUIGINI INEDITI DI CAMPI
avanzo di quel citato ripostiglio di luigini scoperto presso
l'isola di Andros. Nulla di relativo alla zecca di Campi
trovai fra qnelle monete, ma invece vi rinvenni altri luigini
prodotti in zecche italiane e un certo numero di luigini
anonimi molto verosimilmente fabbricati in Italia ad imi-
tazione di quelli di Dombes. Mi propongo quindi di descri-
verli in un prossimo fascicolo , aggiungendovi anche gli
assaggi di titolo , molto importanti per monete , che sono
tuttora di incerta attribuzione. Darò poi il disegno di quelle
tuttora inedite o che furono solamente descritte nelle opere
numismatiche.
Dicembre, 1890.
Ercole Gnecchi.
IL MEZZO ZECCHINO DEL VASTO
La illustre famiglia D'Àvalos è celebrata in
varie forme da egregi monumenti numismatici.
Don Iftigo, che nel 1442 era venuto dì Spagna
in Italia con re Alfonso V d'Aragona, ci è ricordato
da una medaglia del sommo Fisanello W.
Ferdinando Francesco I e Alfonso II D'Avalos,
entrambi famosi capitani, e Ferdinando Francesco U,
che mori viceré di Sicilia, hanno medaglie di Cesare
da Bagno, di Cavino, del Bombarda, di Annibale
Fontana, di Leone Leoni, e d'altri (2).
Vittoria Colonna, la chiara poetessa, moglie del
primo Ferdinando Francesco, nonché Maria d'Aragona
(1) Tré»ùr da Nwnùmatique et de Qlyptique: Médailles couìies et
eUeUee en Italie. — FoiBDL&ENiiBa J., Die italieniseheit SchaumOmen dea
fttnfzehnten JahrHunderle. — Hbiss A., Lea Médailìeur» de la Renaiatanee :
Vittore Pisano. — Armamd A., Lea M&laillews Italient dea quim^me et
aeieihne Siiclea.
(2) BoLZENTHAL H-, Skizeen zur Kimatgeaehichte der modemen Me-
daillen-Arbeit. — Aruand, op. dt. — Plom E., Leone Leoni, eie.
544 SOLONB AMBROSOU
moglie di Alfonso II, e Ifligo suo figlio, hanno pure
medaglie di vati artisti (^).
Don Ruiz Lopez D'Avalos è effigiato dal Ga-
leotti W.
A questa ricca serie di medaglie fanno degno
séguito le poche ma preziose monete coniate sul
principio del secolo XVIII da Don Cesare D'Avalos,
marchese e principe del Vasto, u in ostentazione
« del diritto di zecca statogli accordato dall' impe-
a ratore « (^). Questa concessione, di Leopoldo, è in
data di Vienna, 12 marzo 1704, e il passo relativo
del diploma ch'è riferito dal Lùnig (^) suona come
segue , nella forma tradizionale di simili privilegi :
tt Ad porro magis magisque Animi Nostri Oaesarei pro-
u pensionem in prsBdictum Celsissimum Nostrum PiscariaB,
u Vasti, Francavillsd, et SoccellsB Principem testificandam,
u ex certa scientia, ac sano accedente Consilio, proqoe ea
tt qua fungimur autoritate CsBsarea, deque ejus potestatis pie-
u nitudine, ipsi ejusdemque filiis, haaredibus, descendentibus,
u et successoribus legitimis in infinitum benigne dedimua,
tt concessimus et elargiti sumus libertatem , et facultatem
tt in aìiquo ipsi eisque commodo et opportuno Jurisdictionis
tt loco Officinam Monetariam fabricandi et exsti*uendi, mone-
tt tamque auream et argenteam, majoris tamen generis, ex
tt una parte Aquila Nostra Imperiali, et ex altera Armorum
tt SusB Dilectionìs, ejusque descendentium ìnsigniis, nominis
tt item, et cognominis proprii insoriptione signatam, bonam
tt tamen, probam, sinceram, et justam, qu89 non sit adul-
(8) Armano, op. cit. — Plon, op. cit.
(4) Armand, op. cìi
(6) Fromis V., Tavole ainoUiche delle lìtonete battute in Italia e da
Italiani alVeetero, Torino, 1869 (a pag. 226).
(6) LiìNiG J. Chr., Codex ItalioB diploniaticns, Francofarti et Lipsie,
1726 (tomo II, a pag. 663 e segaenti).
IL MEZZO ZECCHINO DEL VASTO 646
u terata , aut deterior illa , quam castori vel Italiee , vel
u GermanisB Prinoipes Divorum Anteoessornm Nostroram
u Bomanorum Imperatorum concessione cndant (ita ut nemo
u de ejasmodi cusione justam conquerendi causam habere
a queat) faciendij atque cudendi, etc. etc. etc. »
Don Cesare D'Avalos, tuttavia, come altri neo-
principi italiani di quel tempo, non approfittò della
facoltà accordatagli di erigere zecca propria, e si
servi invece della zecca d'Augusta in Baviera, nella
quale, come dice il Kunz W, a fece lavorare uno
a zecchino, un mezzo zecchino, un tallero ed un
u mezzo tallero. I coni del tallero servirono anche
u per alcuni pochi pezzi in oro w.
È vero che il Promis, nelle Tavole sinottiche^
parlando delle monete del Vasto , aggiunge di
non aver a potuto conoscere dove esse siano state
a lavorate 9? ; ma , per chiarire esatta V asserzione
del Kunz, basta osservare che quasi tutte le monete
di Cesare D'Avalos portano per distintivo la pigna,
ch'è il segno di zecca, o meglio ch'è V arme stessa
della città di Augusta, e i ferri da cavallo, i quali
pur si veggono sulle monete di quella zecca (Q).
D'altronde, già nel Catalogo della Collezione Reichel
è annotato esplicitamente (e senza darne nessun
(7) Kunz C, // Museo Bottacin annesso alla Civica Bibliotèca e Museo
di Padova^ Firenze, 1871 (a pag^. 145; — anche nel Periodico di Num. e
Sfrag., toL III, pag. 26^).
(8) Cfr. il Catalogo Wesener della Collezione Morbio (Monaco di Ba-
viera, 1882), in cai, a pag. 258; nella descrizione del tallero di Cesare
D'Avalos, è detto : e Unten neben dem Vliesse das Aagsbnrger Stadtpjr
€ nnd die zwei Hnfeisen ». (In basso, allato al Tosone, la pigna della città
dì Angusta e i due ferri da cavallo).
&46 SOLONB AMBROSOLI
motivo, come di cosa facile a verificare) che il tal-
lero del Vasto è battuto ad Augusta W.
Vi sarebbe il mezzo tallero, che non ha con-
trassegni caratteristici particolari, ma esso è di lavoro
tanto simile a quello del tallero e dello zecchino, da
non lasciar dubbio sulla sua provenienza dall'officina
di Augusta; tanto più che , essendo dello stesso
anno, 1706, diventa maggiormente inverosimile che
per coniare quello spezzato si sia ricorso a qualche
altra zecca.
Tutte le monete del Vasto furono già pubblicate,
nel grande Catalogo del Gabinetto Imperiale di
Vienna (i^), — tranne il mezzo zecchino^ di cui non
si troverebbe nessun disegno, e neppure altra men-
zione fuorché quella surriferita del Kunz (^i).
Credo quindi di far cosa grata ai cortesi lettori
della Rivista col presentare l'impronta e dar la descri-
zione di questa moneta, togliendole dall'esemplare a
fior di conio che se ne conserva nel R. Gabinetto di
Brera.
Mezzo zecchino. Peso, grammi 1,74.
^ — VASTI -D— GSRIPR-
Busto del Principe, a destra, con lunga zazzera ina-
nellata, corazza, pelliccia e Toson d'oro.
9I — DOMINVS REGIT ME • 17 — 07 •
Arme di forma elittica , circondata dal Toson d'oro e
sormontata da berretto principesco.
(9) IHe Reichelsche Munzaammlung in St. Peiersburg, Neunier Theil,
1843 (a pag. 69, N. 466 : Ein in Aagsbnrg gepràgter Thaler).
10) Monnoies en or, qui composent une des differente^ partiea du
Cabinet de S. M. VEmpereur, Vienne, 1759 (a pag. 258).
Ifonnoiea en argent, eie, etc, Vienne, 1769 (a pag. 474).
(11) Cfr. Gnecchi F. ed E., Saggio di Bibliografia numismatica delle
Zecche Italiane, Milano, 1889 (a pag. 896-897).
IL MEZZO ZECCHINO DEL VASTO 647
Se si confronta il mezzo zecchino colle rimanenti
monete del Vasto, si rilevano sùbito tre differenze:
— esso reca V arme D'Avalos semplice (12), mentre
le altre hanno uno stemma Msai complicato; — è
dell'anno 1707, mentre le altre sono tutte del 1706;
— ed è mancante del nome di Don Cesare.
La prima differenza si spiega agevolmente col-
Tangustia dello spazio. Ben più difficile è il rendersi
ragione della singolare leggenda: VASTI • D - G * S •
R • I • PR •, fuorché supponendo un equivoco da parte
dell'incisore, costretto ad accorciare sul suo mezzo
zecchino la lunghissima leggenda delle monete del
1706 che gli avranno servito da modello. E si noti
infatti che questa prolissa leggenda, per la sua di-
sposizione, aggravata dalla particolarità di presentare
i nomi ed i titoli alternati con parole di carattere
più piccolo, poteva realmente indurre in errore ; tanto
più se (come mi sembra) questa moneta del 1707
non fosse della stessa mano di quelle del 1706.
E la omissione del nome di Don Cesare spie-
gherebbe la straordinaria rarità del mezzo zecchino,
il quale, probabilmente per quel motivo, dev'essere
rimasto allo stadio di semplice progetto.
Solone Ambrosoli.
(12) e D'Ayalo a Napoli alza lo Scado di azzurro con un Maschio di
e Fortezza d'oro, e la bordura composta d*oro, e di rosso. » (Ginanni M. A.,
L'Arte d^l Blasone, Venezia, 1756; a pag. 216, con figura alla Tay. X|
N. 223).
MEDAGLIE DEL VELLANO DI PADOVA
IN ONORE DI PAOLO II
A nessuno de' Papi , che hanno retto la Chiesa nel
secolo XV , furono coniate tante medaglie , quante a
Paolo II. L'Armand ne annovera ben ventisette, varie di
dimensioni, di leggende e di storie (^): ma non di tutte è
riuscito a determinare, anche per ragionevoli congetture,
gli autori. Il lungo studio e il grande amore lo condus-
sero a scoprire appena che tre soltanto delle ventisette
sono opera del Paladino , un artefice noto per le sue
medaglie di riproduzione in onore de' Pontefici del se-
colo XV (2), e una, forse, d'Aristotele Fioravanti di Bo-
logna (3), Quanto agl'incisori delle altre ventitré, l'Armand
non osa proferire nemmeno una parola di semplice con-
gettura. Ricorda bensì che Cristoforo Geremia di Man-
tova ebbe a coniare, a testimonianza di Raffaello di Vol-
terra, una medaglia in onore di Paolo W , e che un'altra
ne usciva, come afferma il Vasari, dal punzone del Vel-
lano di Padova (^) ; ma , all' oscuro de' caratteri , che le
contraddistinguono , confessa schiettamente di non cono-
(1) Armand, Lea Médailleurs italiens dea XV^ et XVP eikcìea. Vo-
lume n, pag. 31 e seg. e pag. 300 ; Voi. m, pag. 162. Paris, 1883 e 1887.
(2) Idem, idem. Voi. Ili, pag. 142.
(3) Idem, idem. Voi. Ili, pag. 163.
(4) Idem, idem. Yòl. I, pag. 31.
(5) Idem, idem. Voi. J, pag. 47.
70
B50
BERNARDO MORSOLIN
scerle. Pensa, tutto al più, che le due medaglie possano
confondersi con quelle degli artefici anonimi, i quali eb-
bero a esercitare pure il punzone in onore di Paolo (^).
*
Né la congettura del dotto francese si scosta intera-
mente dal vero. Io non so se tra le medaglie anonime ,
illustrate da lui, abbiasi la medaglia dell' incisor manto-
vano : ben credo che vi si possano riconoscere le lavo-
rate dal Vellano di Padova. Dico le medaglie , perchè
esse sarebbero non una , come vorrebbe il Vasari, ma
più. Me ne fa fede Girolamo Gualdo, nel cui Museo
di famiglia, disperso verso la fine del secolo XYII, se ne
custodivano ben cinque. E delle cinque nessuna è sfug-
gita all'attenzione dell'Armand, che le descrive ad una ad
una, non senza additarne le collezioni, alle quali esse fan
parte, e le opere di numismatica, che le riproducono, o
ne fanno parola. Ho detto che le medaglie del Vellano
in onore di Paolo son cinque. Devo ora soggiungere che
quattro delle cinque hanno comuni e identiche le dimen-
sioni e il diritto, così nel busto del Pontefice, come nella
leggenda che vi corre all'intorno. Il diametro ha la mi-
sura di mill. trentanove: il busto è volto a sinistra con la
testa scoperta e indosso il piviale. Vi si legge all'ingiro :
PAVLVS • Il • VENETVS • PONT • MAX • I rovesci sono, in-
vece, diversi. L'uno reca l'abside o tribuna della Chiesa
di San Pietro in Roma col ciborio nel mezzo CO. E il
(6) Idom, idem. Voi. I, pag. 31 e 47.
(7) Il Gualdo, dopo aver detto che del Vellano teneva nel sao Mnseo
€ nn bassorilieTO d'una Venere nnda, che siede a piò d'un albero con nn
€ cartello sopra, attaccato ad nn ramo, che dice Venus^ » 8<^g^inn^: e Ho
MEDAGLIE DEL VELLANO DI PADOVA IN ONORE DI PAOLO II 551
rovescio d' una delle medaglie , fatte incidere dal Litta
con la leggenda: HAS • >EDES • CONDIDIT • ANNO • CHRIST •
MCCCCLXV • - TRIBVNA • S • PETRI • ROMA • (8). H Vel-
lano si trasferiva in Roma ne' primordi del Pontificato
di Paolo, e il 1465 s'accorda mirabilmente col tempo in
cui vi lavorava , secondo che avverte il Vasari , nel
palazzo di Venezia, e s'intratteneva, al dire del Gualdo,
in cordiali conversazioni col nuovo Pontefice. Il rovescio
d'altra delle quattro medaglie, che fu pur riprodotto dal
Litta e incontrasi descritto nel Trésor de Numismatique
et de Olyptique^ rappresenta il Papa in atto di benedire
dal suo trono i fedeli, prostrati a' suoi piedi, con in giro
la leggenda: AVDIENTIA • PVBLICA • PONT • MAX • (9). L'Ar-
mand non ha lasciato d' avvertire che l' insieme doveva
ispirare al Camelio il rovescio d'una medaglia in onore
di Sisto IV. È la medaglia, in cui si rappresenta il Papa
in trono, con un Cardinale alla destra , in atto di bene-
dire parecchi individui, vestiti all'antica (1^). Il rovescio
della terza delle quattro medaglie, di cui s'ha un esem-
plare nel Museo Civico di Vicenza e che fu pure ripro-
dotto dal Litta e descritto nel Trésor de Numismatique^
rappresenta gli Apostoli Pietro e Paolo, posti di fronte
l'uno all'altro, in atto d'indirizzare, come scrive l'Armand,
€ parimente alcune medaglie dello stesso, fra qnali di Papa Paolo sopra-
« detto, mentre in Boma si tratteneya col Pontefice. In una sta la famosa
€ fabbrica del tempio di San Pietro, che pensava far erigere. » Giardino
di Cha Gualdoj Msc. nella Marciana. Cod. cxxfii. 1. iv.
(8) Abmand, Tom. n, pag. 82 , n. 10. — Litta , Famiglie celebri
italiane, Barbo, 6.
(9) Idem, idem. pag. 83, n. 13. — Litta, op. cit Barbo, 14. — Trésor de
Numistnatiqtie et Glyptique I. xxiii. 3. Paris 1839. — < In un'altra si Tede
« un'audienza pubblica, che dà Paolo II a Principi e Cardinali, con il motto
e (sic) Audienzic. publica. Pontifkis. Maximi, » Gualdo, Msc. cit
(10) Armamd, Tom. I. pag. 117. Nota A.
562 BERNARDO MORSOLIN
(L un branco d' agnelli verso l'Agnello Pasquale ^ con la
leggenda : PABVLVM • SÀLVTIS W. Il Gualdo , riportando
la stessa leggenda, non si dà a divedere troppo esatto
nella descrizione. L'insieme avrebbe raffigurato , a suo
dire, la Vergine e] il Bambino in mezzo ad animali e a
pastori. Appare da ciò ch'egli ha scambiato V Agnus Dei
nella Vergine e nel Bambino ; ha scambiato i due Apo-
stoli, Pietro e Paolo, in altrettanti pastori. Non ostante
la inesattezza, la qual certo non vale a infermar l'identità
della medaglia illustrata dall' Armand e custodita in un
buon esemplare anche nel Museo Civico di Vicenza, credo
che il Gualdo non dia in fallo, quando dice che il conio
fu fatto in memoria della edificazione del Presepio di Santa
Maria Maggiore. Il quarto rovescio, la cui riproduzione si
può vedere pure nel Litta e nel Trésor de Numismatiquey
è senza leggenda (^^). Reca soltanto lo scudo gentilizio della
famiglia patrizia de' Barbo di Venezia , sormontato dal
Triregno e dalle Chiavi (13),
Di nessuna delle quattro medaglie o, dirò meglio,
de' quattro rovesci del Vellano si son additate dal Gualdo
le dimensioni. Se l'unicità e l'identicità delle storie e delle
leggende tolgono ogni dubbio che i tre primi rovesci sieno
quelli di millimetri trentanove, descritti dall'Armand, non
(11) Idem, Tom. n. pag. 83. n. 14. — Litta, Famiglie celebri italiane,
Barbo, n. 13. — Trésor de Num., L ixiii, 4. — e In un'altra (medaglia),
< quando (Paolo II) edificò il Presepio in Santa Maria Maggiore, dove si
« Tede la Beatissima Vergine con il Pattinò fra animali e pastori. Pabulum
Salutis ò il suo € moto (sic). » Gualdo, Msc. cit.
(12) Armand, op. cit n. 15. ^ Trésor de Numismatique L xriiì. 5.
— Litta, Famiglie celebri Italiane, Barbo, n. 10.
(13) € In altra (medaglia) ò par l'effigie del papa con V armi Barbo ,
< famiglia Veneta. » Gualdo, Msc. cit
MEDAGUB DEL VELLANO DI PADOVA IN ONORE DI PAOLO II 55S
altrettanto 8i può dir con certezza del quarto. Le me-
daglie in onore di Paolo , con lo scudo dei Barbo nel
rovescio, sono parecchie : ma i rovesci privi di leggenda
son due solamente , V uno del diametro di mill. trenta-
nove, del quale s'è parlato, l'altro di mill. quarantaquattro
per trentotto, nel cui diritto si legge: PAVLO • VENETO •
PAPE • Il • ITÀLiCE • PACIS - FVNDATORI • ROMA • È la me-
daglia, che si riferisce all' editto di Paolo, relativo alla
pacificazione d' Italia del 1468 (1^), conservata in Un bel-
l'esemplare anche nel Museo Civico di Vicenza. A' due
rovesci, privi di leggende, si potrebbe anche aggiungere un
terzo: ma su questo, che ha il diametro di sessantasei per
quarantaquattro millimetri, non vuoisi, mi pare, nem-
meno discutere, essendo una riproduzione in rilievo d' un
intaglio in corniola, custodito nella Galleria degli Uffizi
in Firenze, allusivo al Giubileo del 1470 , come appare
dalla leggenda: PAVLO • VENETO • PAPE • Il • ANNO • PVBLI-
CATIONIS • IVBILEI • ROMA i^^). Resterebbe pertanto il dubbio,
se opera del Yellano sia il rovescio di millimetri trentanove,
o r altro di millimetri quarantaquattro per trent' otto.
Dato però, come attesta il Gualdo, che l'artefice padovano
lavorasse la medaglia di millimetri trentanove co' rovesci
rappresentanti l'abside del san Pietro, l'udienza pubblica
e il Presepio di Santa Maria Maggiore , non pare che
anche la medaglia col rovescio, rappresentante lo scudo
dei Barbo senza leggenda , dovesse avere dimensione di-
versa. Lo fa presumere , non fosse altro , il millesimo
del rovescio , ov'è scolpita la tribuna di San Pietro in
Roma, che si accorda, come ho detto, col tempo, in cui
il Vellano lavorava nel palazzo di Venezia.
(14) Armand, Tom. Il, pag. 83, n. 17. — Tréaar de Numismatique ,
L xxiii, 7. ■— LiTTA, op. cit.. Barbo, n. 17.
(15) Armand, Tom. IH. pag. 162. D.
564 BERNARDO MORSOLIN
* *
I quattro rovesci, de' quali s' è parlato, non Bono i
soli della medaglia, che il Gualdo dichiara lavoro del
Vellano. L'Armand ne descrive altri tre. L'uno porta,
chiusa in una corona , la leggenda , in cui si com-
memora : lÀCOBYS • COTTIFREDVS • ROMANVS • PHISICYS •
EIVSDEM • SVFFRÀGIO • HAS AEDES • A • FVNDAMENTIS •
EREXIT. Il Gottifredi era primo medico di Paolo, col cui
assenso aveva fabbricata la sua casa in piazza Navona;
casa , demolita il 1692 nel luogo , ove sorge la Chiesa
di Sant'Agnese. La medaglia in anzi scoperta in quel sito
e in quell'anno (i^). L'altro rovescio è identico a quello
della leggenda : AVDIENTIA - PVBLICA • PONT • MAX. Non
varia che in quest'ultima, sostituendo visi: CONSISTORIVM •
PVBUCVM (^'^). Il terzo reca, come quello in memoria del
Gottifredi, la sola scritta entro una corona. Vi si legge
cioè : ANNO • CHRISTI • MCCCCLXX • HAS • AEDES • CON-
DÌ DIT (^^). Che questi tre rovesci possano essere, come
gli altri, opera del Vellano, non è cosa, che si voglia ne
asserire , né negare. Potrebbesi anche pensare che al
diritto del Vellano, conservato nella zecca pontificia, si
adattassero all'occorrenza i nuovi rovesci lavorati per mano
d'altri artefici. E tali vorrebbero credersi forse i due dalle
corone con entrovi le leggende. Del Vellano sarebbe a ripu-
tarsi piuttosto il rovescio con la leggenda: CONSISTORIVM -
PVBLICVM. Lo esige l'identità della storia con l'altro dalla
leggenda: AVDIENTIA • PVBLICA • PONT • MAX • (19).
(16) Idem, Tom. n. pag. 82. n. 11. Tom. lU. pag. 163. e. — Litta,
op. e loc cit, n. 12.
(17) Armand. Tomo n, pag. 82, n. 10. — Trésor de Numistnatique. I,
fase. XXm.
(18) Armand. Tomo II, pag. 88, n. 16. — Litta, op. e loc di, n, 0.
(19) Armand. Tomo n, pag. 88.
MEDAGLIE DEL VELLANO DI PADOVA IN ONORE DI PAOLO II 556
* •
La quinta medaglia , lavorata dal Vellano in onore di
Paolo II e della quale si conservano due esemplari nel
Museo Civico di Vicenza (^0), è di dimensioni minori della
descritta. Il suo diametro raggiunge appena i millimetri
trentatrè. Rappresentasi nel diritto il Papa volto a sinistra
con la testa scoperta e indosso il piviale. Il profilo , la
posa e la foggia degl'indumenti sono gli stessi della meda-
glia di trentanove millimetri. Intorno al busto dì Paolo
corre la leggenda: PAVLVS • VENETYS • PAPA • II. Nel
rovescio è scolpito il palazzo di Venezia in Roma, somi-
gliante, come dice il Gualdo, a <£ un gran castello i>. Vi si
legge air ingiro: HAS • AEDES * CONDIDIT • ANNO • CHRISTI -
MCCCCLXV C'^^). È anch'essa una delle medaglie, illustrate
dall' Armand e riprodotte dal Litta (22). Ma il rovescio ,
(20) Oltre a questi e agli altri esemplari, dei quali si ò fatto cenno, con-
servasi nel Maseo Civico di Vicenza un belPesemplare, in metallo dorato, della
medaglia di millimetri settantotto, che fa coniata in memoria del Concistoro
pubblico del 1466. È la medaglia, che fa riprodotta dal Litta, al n. 18 e si
incontra nel novero delle medaglie papali dei Trésor de Numismatique et
Glyptiquey II, 5^ e n^WHistùriache MunZ'Belt^stigung del Eoehler, II, 201.
Nel diritto si rappresenta Paolo in trono, che presiede al Concistoro ed ha
airingiro la leggenda: sacrvm . pvblicvm . apostolicvm . consistorivm
— PAVLVs . VENETVS . pp . II. Mirasi nel rovescio Gesù in cielo; nella
parte superiore una moltitudine di Angeli e nella inferiore , a destra e a
sinistra. Apostoli e Dottori e al basso la Vergine e san Giovanni Battista,
che adorano la croce, e la risurrezione de' morti per gli Angeli che suonan
le trombe. Vi si legge airintomo : ivstvs . bs . domine . bt . rectvm . iv-
DICIVM . TVVM . MISBRERB . NOSTRI . DO . MISBRBRE . NOSTRI. É la medaglia
in un « pièce en or de la valeur de 20 sequins , dont , dice V Armand ,
« nous avons vu un bel exemplaire entro les mains de M. A. Hess, de Franc-
« fort-sur-Mein t. < Elle, soggiunge, a étó executèe, comme une monnaie,
« c*est-à-dire avec un faible relief et a étó frappée ». Tom n, pagina 34.
(21) « In altra (medaglia) si porge lo stupendo palagio di S. Marco,
« quasi un gran castello, nelle quali (medaglie) tutte sta effigiato il Papa
€ mirabilmente. In questa sta scolpito: has . aedes . gondidit . anno .
€ CHRISTI : MCCCCLXV ». GUALDO, MsC. clt.
(22) Armand. Tomo II , pa^. 82, n. 4- — Litta, op. cit. Barbo, n. 4*
556 BERNARDO MORSOLIN
del quale si parla dal Gualdo, non è l'unico. A quello,
che reca il palazzo di Venezia in Roma , voglionsene
aggiungere altri quattro. Ih due si ha lo scudo dei Barbo,
sormontato dalla tiara e dalle chiavi, con leggenda diversa.
Nell'uno è incisa la stessa, che leggesi intorno al palazzo
di Venezia in Roma: HAS • AEDES - CONDIDIT • ANNO •
CHRISTI • MCCCCLXV . ; nell'altro sta scolpito: HANC •
ARCEM • CONDIDIT • ANNO • CHRISTI • MCCCCLXV • (23). Ne'
due altri rappresentasi una donna inginocchiata fra due
fanciulli. Nell'uno leggesi: LETITIA • SCOLASTICA • A • BO;
nell'altra, dove la donna tiene in mano un cornucopia,
sta scritto: HILARITAS • PVBLICA(24). Ora io non dirò che
i quattro rovesci sien tutti, come l'unico diritto, del Vel-
lano. Non darebbe forse in fallo chi ritenesse di lui i due
dallo scudo dei Barbo , sormontato dalla tiara e dalle
chiavi. Neil' A • 80 • del rovescio , rappresentante la
donna inginocchiata fra due fanciulli con la leggenda:
LETITIA • SCOLASTICA •, fu riconosciuto da Gaetano Mi-
lanesi r Aristotele Bolognese , o altrimenti 1' Aristotele
Fioravanti da Bologna, ingegnere e architetto, a cui
commettevasi da Paolo il trasporto di un obelisco (25). Io
non ho sott' occhio né questo, né l'altro rovescio, dove
la donna, inginocchiata fra due fanciulli, tiene in mano
il corno dell'abbondanza e si legge: HILARITAS • PVBLICA.
Ma a giudicare dalla somiglianza del concetto vorrebbesi
credere che l'artefice dell'ultimo de'due non fosse altro dal
Fioravanti di Bologna, se pur non è l'identico rovescio
della medaglia d'uguale dimensione, il cui diritto, rap-
(28) Armand. Tomo II, pag. 83, n. 5-6. — Trésor de Numisma-
tiquey I , XXin, 6. — Litta, op. cit. Barbo, n. 5.
(24) Armand. Tomo II, n. 7-8. — Litta, op. cit. Barbo, n, 2-S»
(25) Armand, Tomo JR, pa^. 168, b,
MEDAGLIE DEL YBLLANO DI PADOVA IN ONORE DI PAOLO II 657
presentante Paolo secondo, volto a sinistra, con la testa
scoperta e il piviale a fogliami , reca la leggenda :
PAVLVS • SECVNDYS • PONT • MAX • (26). Il fatto poi della
medaglia, che reca nel rovescio le iniziali di Aristotele
da Bologna, mi trae a credere che i rovesci si lavorassero
come ho detto e si applicassero, all'occorenza, a' diritti
già eseguiti da altra mano.
U Vasari non fa cenno, come s'è avvertito, che d'una
sola medaglia , lavorata dal Yellano in onore di Paolo.
Dalle parole del Gualdo risulta invece che le medaglie
furono più d'una; e risulta, ad un tempo, che nel suo
Museo se ne custodivano anche altre del medesimo artefice
in onore d'altri individui. H che non fa punto contro il
Vasari, il quale pure afferma ugualmente che il Padovano
avea lavorato più medaglie. Non vuoisi anzi tacere che lo
scrittore delle Vite degli artisti ne segnala tre delle più
notevoli, quella cioè in onore di Paolo e due altre in
onore, l'una di Bartolomeo Platina, l'altra di Antonio
Rosselli, un celebre giureconsulto d'Arezzo. La dispersione
del Museo , compiutasi verso la fine del secolo decimo
settimo, non concede di certo che si possa congetturare
quali fossero le altre accennate dal Gualdo (^V. Ben si
può credere che la testimonianza di lui, riguardo alle
medaglie in onore di Paolo, non lasci campo a dubbio
alcuno. Il Museo, a mezzo il secolo decimosettimo, quando
(27) « ItiO parimente alcune medaglie dolio stesso (Yellano) fra le quali
di Papa Paolo, etc. » Gualdo, Msc. cit.
(26) Armand. Tomo IH, pag. 162, B, C, D. — Si badi poi che questa
stessa medaglia e altre due in onore di Paolo furon fatte, o dirò meglio,
riprodotte dal Paladino, quali medaglie di riproduzione. Armand. Tomo II;
pag. 84, n. 20, 21, 22, 23. Tomo III, pag. 162, n. D, E, F.
7»
553 B. MORSOLIN - MEDAGLIE DEL VELLANO DI PADOVA, ECC.
il Gualdo ne faceva la descrizione , era già ordinato
da oltre cent'anni. Fondato da Girolamo Gualdo, vis-
suto in Roma ai tempi di Leone decimo e di Clemente
settimo, erasi arricchito, a mezzo il secolo decimosesto,
delle medaglie, che adornavano quello studio di Valerio
Belli, il quale fu chiamato dal Vasari (l uno stupore i».
Aggiungasi che Paolo II, quando saliva al pontificato,
era già vescovo di Vicenza, e che da Vicenza lo se-
guivano, a Roma parecchi cittadini, tra' quali Guglielmo
Pagello, il quale lo ebbe a servire in qualità di segretario.
Questi fatti sono, mi pare, più che sufficienti a far credere
che i Vicentini dovessero esser molto addentro ne' fasti
di quel pontificato, e che il Gualdo, vissuto, almeno nella
sua giovinezza, co' contemporanei di Paolo , non dovesse
ignorare, in un secolo protettore e ammiratore degli
artisti, quale il decimosesto, le opere degne di partico-
lare encomio e tra le altre quelle del Vellàno, ch'era vis-
suto in Padova, così vicina a Vicenza, e aveva lasciato
di se singoiar nominanza.
Aprile 1890.
Bernardo Morsolin.
MEDAGLIE ITALIANE DEL 1889
(UNA AGGIUNTA).
Abbiamo una breve aggiunta da fare al nostro articolo
sulle Medaglie italiane del 1889 pubblicato nel fascicolo II
della nostra Rivista, anno III, 1890. E l'aggiunta si riferisce
ad una medaglia illustrante il viaggio fatto nel maggio 1889
da Sua Maestà il Be Umberto in G-ermania.
Nel ritornare da Berlino in Italia, Sua Maestà si fermò
a Francoforte sul Meno per passarvi in rassegna il primo
reggimento Ussari .d'Assia N. 13, del quale Sua Maestà à
colonnello onorario e del quale il principe ereditario Vit-
torio Emanuele ò luogotenente. La rassegna ebbe luOjgo
il 27 maggio durante la breve fermata di Ite Umberto a
Francoforte, e la medaglia che ricorda tal fatto è la seguente :
Diam. mm. 6B
^ — Busto, in uniforme militare italiana con decorazioni,
e mantello sulle spalle, testa nuda a destra. In giro, ai
lati: UMBERTO — RE D'ITALIA.
1^ — Nella metà superiore del campo in sette linee:
ZUR ERINNERUNG — AN DEN BESUCH S. M. KONIG
— HUMBERT'S V. ITALIEN — UND BESICHTIGUNG DES —
1**" HESS'ISCHEN HUSAREN — REG. N. 13 — IN FRANK-
FURT 7m. 27 MAI 1882. Nel centro della medaglia, oriz-
zontalmente, fregio; e nella parte inferiore del campo,
in sette linee: IN MEMORIA AL PASSAGGIO IN — FRAN-
COFORTE Vm. DI S. M. IL RE — UMBERTO D'ITALIA —
ALLORCHÉ PASSO IN RIVISTA IL — XIII REGGIMENTO
— USSARI DI ASSIA — 27 MAGGIO 1889. Sotto, in
piccolissime lettere Lauer.
660 A. COMANDINI • MEDAGLIE ITALIANE DEL 1889
Dal Lauer di Norimberga farono eseguite altre medaglie,
nei nostri articoli precedenti descritte, illustranti il viaggio
di Sua Maestà a Berlino : ed anzi il busto di Re Umberto
effigiato nel diritto di questa medaglia ò lo stesso portato
dalla medaglia N. 4 descritta nel nostro primo articolo. {Ri-
vista Numismatica^ anno II, fase. II, pag. 262).
X)Uóbre 1890.
À. OOM ANDINI.
RIVISTA ITILIIIA DI NUMISMATICA
1. coimm. - leiiiJii iiuiini m un, -li.
{Anno lir. F--9,c, in.)
^if
VITE
DI
ILLUSTRI NUMISMATICI ITALIANI
vin.
ENNIO QUIRINO VISCONTI
Primogenito di Q-ian Battista Antonio Visconti, Ennio
Qnirino nacque in Soma ai 30 ottobre 1751. Il padre, uomo
coltissimo, Prefetto delle Antichità, accortosi della precoce
intelligenza del bambino, quasi presago della sublime al-
tezza cui avrebbe poggiato, non volle affidare ad altri la
cura di coltivare i primi germi del di lui ingegno, ma riserbò
a sé solo l'educazione del figlio ; nò fallirono le sue speranze,
e rapidi ne vide i frutti. A diciotto mesi Ennio conosceva
già tutte le lettere dell' alfabeto ; a due anni distingueva
sulle medaglie 1' effigie di tutti gì' imperatori romani da
Cesare sino a Q-allieno ; a tre anni e mezzo leggeva cor-
rettamente latino e greco. Dotato di prodigiosa memoria, a
dieci anni maravigliò i più dotti per le sue cognizioni in
geografia, storia, cronologia, numismatica e geometria, e a
tredici, in un solenne esame, nella Biblioteca Angelica,
seppe risolvere i più astrusi problemi della trigonometria,
dell'analisi e del calcolo differenziale. I giornali letterari
e scientifici di quel tempo si occuparono di cosi raro fe-
nomeno, e colmarono di elogi il precoce scienziato. Uscito
da una schiatta illustre per uomini colti ed eruditi, in
breve tempo li eclissò tutti colla prevalenza del suo ingegno
662 e. LUPPi
e la vastità della sua dottrina. Giovanissimo, e già esperto
nelle lingue classiche di Grecia e di Boma , preso dalle
bellezze della poesia, sfogò la sua nobile passione tradu-
cendo in versi italiani i capolavori dell' antichità, e in
occasione d'una visita fatta a Homa da Giuseppe II, offerse
il suo omaggio a queir imperatore in versi italiani, greci
e latini. Ma la spiccata tendenza del secolo alle indagini
archeologiche, rinvigorita allora più che mai dalle scoperte
recenti di Erodano e Pompei, nonché dagli scavi della Villa
Adriana, avevano suscitato anche tra noi una gara vivis-
sima di ricerche e di nuovi studi per ricostruir colla scorta
di quelle scoperte la storia della splendida civiltà greco-
latina. Movimento si grande non potè a meno di comunicarsi
anche all' ingegno potente del Visconti , già preparato a
quell'impulso da' severi studi già fatti, sorretto da memoria
prodigiosa e da moltiforme erudizione. Fu quello il tempo,
che a papa Clemente XIV, per assecondare tanto ardore
di studi e di ricerche, venne il pensiero di fondare in
Vaticano altro vasto museo in supplemento al Capitolino,
per raccogliere in esso i monumenti più importanti che si
andavano mano mano scoprendo, e quelli che da tempo
giacevano ignorati nei palazzi e nei conventi di Soma.
Il padre di Ennio, nella sua qualità di Prefetto delle An-
tichità, fu chiamato a si nobile incarico, e a presiedere
alla scelta, agli acquisti e al collocamento dei tesori, che
affluivano al nuovo museo. Pio VI, succeduto nel 1775 a
Clemente, continuando la magnanima impresa del suo an-
tecessore, ordinò nuovi scavi e nuovi acquisti. 11 Visconti
mantenuto dal Pontefice alla direzione e all'ordinamento di
queU' enorme congerie, sopraffatto dall' immane lavoro, si
associò dapprima il figlio secondogenito Aurelio, coU'aiuto
del quale potè affrettare il compimento dell'insigne colle-
zione, che col nome di Museo Pio-Clementino, divenne in
breve la scuola degli artisti e degli antiquari di tutto il
mondo. Ennio intanto il 7 agosto 1771 consegue il grado
di dottore in diritto romano e canonico; il principe Sigis-
mondo Chigi, suo amico ed ammiratore, lo elegge a suo
bibliotecario, assegnandogli abitazione e tavola nel proprio
VITE DI ILLUSTRI NUMISMATICI ITALIANI 563
palazzo ; e affinchè potesse attendere con maggior agio ai
suoi studi, gli concede in aiuto l'abate Carlo Fea con titolo
di sottobibliotecario. In questo frattempo, causa le soverchie
fatiche dell'ordinamento del nuovo museo, il padre fu colto
da malattia giudicata inguaribile. Allora, annuente il Papa,
che aveva smesso il pensiero di fare di Ennio un prete e
forse un cardinale, chiamò presso di sé il suo primogenito,
valendosi del suo potente ingegno e della sua sconfinata
erudizione a dare vita all'insigne raccolta. In collaborazione
con Ennio potè fiaalmente nel 1782 dare alla luce il primo
volume illustrativo del Museo Pio-Glementino, considerato
quale opera classica ed unica nel suo genere. Gian Battista
non sopra visse che due anni a tanta gloria ; morto nel 1784,
Ennio continuò da solo l' illustrazione del Museo, pubbli-
candone il secondo volume in quell'anno stesso, riscuotendo
per so nuovi elogi, ed estendendo la sua fama oltre i confini
della penisola. Il predominio cosi conquistato da Ennio in
ogni ramo della scienza archeologica gli valse la nomina
a Conservatore del Museo Capitolino. Sposata nel 1786 la
sua diletta Angela Teresa Doria, tranquillo di mente e di
cuore, consacrò intera la sua attività agli studi prediletti,
producendo opere che segnano un'orma luminosa nell'ardua
scienza dell' antichità, fra le quali principalissima la con-
tinuazione del Museo Pio-Clementine , pubblicandone ad
intervalli gli altri volumi fino al settimo, composto a Parigi
ed edito in Soma nel 1807.
Il Visconti non si lasciò mai sfuggire 1' occasione di
esaminare e di descrivere i monumenti d'ogni sorta che si
venivano di continuo scoprendo. Nel 1786 colla sua profonda
dottrina illustra il vetusto Monumento degli Scipioni^ pub-
blicato con aggiunte del Piranesi ; nel 1787 i Monumenti
scritti del Museo Jenkins ; nel 1788 le Osservazioni su due
mosaici antichi istoriati della Collezione del Cav. d'Azara ;
inserisce poco dopo nella Baccolta del Guattoni lettere e
descrizioni sopra varie antichità, e nel Museum Worstlianum
di Londra le Dissertazioni sopra un bassorilievo rappre*
sentante Oiove e Minerva che ricevono gli omaggi da una
folla di Ateniesi ; nel 1793 le Osservazioni sopra un anticg
564 e. Luppi
cammeo rappresentante Giove Egioco; e la Lettera sopra
un* antica argenteria nuovamente scoperta in Roma; nel
1794 le Iscrizioni greche Triopee, ora Borghesiane, con
versioni, e le Pitture di un antico vaso fittile trovato nella
Magna Grecia ed appartenente a S. A. il signor Principe
Stanislao Poniatowski; e nel 1797 i Monumenti Gabini della
Villa Pinciana. Evidentemente dalla surriferita nota si chia-
risce quanto grande fosse l'operosità del Visconti per tanti
e si svariati lavori, e quanto meravigliosa fosse la versatilità
del suo ingegno nel passare per si differenti argomenti,
trattati sempre con inesauribile erudizione.
In mezzo però a si grande fervore di studi si erano
maturati in Europa grandi avvenimenti, la rivoluzione in
Francia, 1789, e l' invasione dei repubblicani francesi in
Italia, 1796.
Nell'ottobre dell'anno 1797 il Bertbier coi Francesi entra
anche in Roma, vi instituisce tosto un governo provvisorio, e
inaugura la Repubblica, chiamandovi a reggere il Ministero
degli intemi il nostro Visconti, ed eleggendolo poco di poi
uno dei cinque del Consolato, 1798. Per tal modo il sommo
archeologo trovossi ingolfato senza volerlo nel mare torbido
della politica e della guerra, a cui l'indole sua mite, ed il
suo genio lo rendevano affatto inetto. Pertanto non corri-
spondendo alle speranze dei più esaltati , abbeverato di
amarezze, fu privato dopo breve tempo di quelle cariche,
onde ritornò con gioia a' suoi studi. Ma non doveva lunga-
mente godere di quella tranquillità, perchè impadronitisi i
napoletani.dell' etema città, il Visconti, temendone le ire per
aver servito, sebbene nolente, il governo francese, abbandona
la patria, ricoverandosi colla famiglia in Perugia. Quel suo
primo esilio durò solo ventisei giorni, perocché ripresa Roma
dai francesi con Championnet, il Visconti rivide la sua città
nativa, ma dovette ben presto rifare i passi dell' esilio al
nuovo sopraggiungere dei napoletani, al novembre del 1799,
e questa volta si trovò separato dai figli e dalla moglie che
teneramente amava. Dopo molte avventure potè finalmente
rifugiarsi in Francia, dalla quale non si allontanò più mai.
Appena toccato il suoIq francese^ una lettera di quel Gq*
1
5^*^' ''i:^^::
VITE DI ILLUSTRI NUMISBIATICI ITALIANI 567
verno, 18 dicembre, lo ascrive tosto tra gli Amministratori
del Museo che stavasi formando al Louvre colle spoglie
di tutta Europa, e specialmente d'Italia, ed ebbe il titolo
di Sorvegliante, poi di Professore di archeologia, finalmente
la carica di Conservatore delle antichità, 1803, e Membro
dell'Istituto, 1804. Tutti i Francesi più colti si rallegrarono
dell'esaltazione del Visconti a quel posto, pensando essere
Ennio Quirino una delle più belle conquiste fatte dalla
Francia in Italia. In questo suo nuovo stato tranquillo ri-
prende con nuova lena i suoi studi interrotti. Compone il
Catalogo di quel vasto Museo da lui presieduto, descrivendo
brevemente, ma colla sua usata dottrina la più splendida
collezione che sia mai esistita al mondo ; illustra lo Zodiaco
di Tentira^ scoperto recentemente dai Francesi in Egitto e
dopo un gran numero di scritti minori e d'occasione, per
ordine di Napoleone nel 1804 pò n mano alla grande opera
SieW Iconografia greca e romana, ossia alla collezione dei
ritratti autentici di tutti i regnanti e dei personaggi illustri
dell'antichità. U Iconografia greca apparve nel 1806 in tre
volumi, ed è e sarà nei secoli futuri il monumento più
bello della sua gloria. La fama del Visconti aveva toccato
il suo apogeo ; la sua autorità in fatto di archeologia giu-
dicata quasi inappellabile, talché gli Inglesi ebbero ricorso
alla sua dottrina e chiamarono in Londra Ennio Quirino per
giudicare del valore delle insigni scolture tolte al Partenone
nel 1817 da Lord Elgin e da questo trasportate in Inghil-
terra. Il Visconti , giudicatele opera in gran parte dello
scalpello di Fidia, loro attribuì un prezzo altissimo, dicono
85 mila ghinee. Bitomato il Visconti in Francia, descrisse
quei monumenti in una Memoria sopra alcune opere di
scoltura del Partenone e di alcuni edifici deW Acropoli d'A-
tene. Ma la vita del sommo archeologo, logorata da tante
fatiche, volgeva al suo termine. Fin dal 1816 si manifesta-
rono i sintomi della malattia che lo doveva rapire a' suoi
ammiratori, per addurlo'al tempio dell'immortalità; un'af-
fezione morbosa alla vescica, cui la scienza non potè rime-
diare, dopo lunghe sofferenze, lo spense il 7 febbraio 1818,
nella non tarda età di 67 anni. Poco prima di morire aveva
B68 e. LUPPi
pubblicato il primo volume dell' Iconografia romana che
doveva degnamente far seguito alla greca. L'annunzio della
sua morte commosse tutto il mondo civile, e ai suoi funerali
non solo l'Italia, ma la Grecia, la Germania, la Svezia, la
Danimarca, l'Inghilterra, la Spagna, il Portogallo, vi vollero
essere rappresentate per mezzo de' loro scienziati e de' perso-
naggi più illustri, tt Nel cimitero del Padre Lachaise gli venne
tt eretta una tomba ornata del suo busto ; mentre in Roma
a ed in Bologna si celebrava la sua memoria ed i giornali
u facevano a gara nello spargere fiori sulla sua tomba, n (*)
— Di tutte le opere dell' ingegno ^fecondissimo di Ennio
Quirino, quelle che interessano più da vicino, e in sommo
grado gli studi nostri sono le due ultime citate, cioè Vico-
nografia greca e V Iconografia romana ; in ispecie la prima,
perchè compiuta, e più ardua, comprendente la storia illu-
strata colle monete dei Be di Sicilia, di Macedonia, del-
l'Epiro, di Sparta, di Tracia, d'IUiria, del Ponto e del Bosforo
Cimmerio , di Bitinia , di Pergamo, dell' Asia minore, di
Cappadocia, d' Armenia, e della Siria ; dei principi della
Cilicia, di Commagene e della Giudea ; de' re Parti e dei
re Persiani della dinastia dei Sassanidi, dei re della Bat-
triana , di Caracene e Babilonia , e infine dei Tolomei
d'Egitto. A questo immenso lavoro, che inchiude la storia
di tutto il mondo greco antico, antepose anche i ritratti che
si riscontrano sulle antiche medaglie e pietre incise dei
più illustri poeti, legislatori, filosofi, e delle donne celebri,
che resero famosa, sopra ogni altra, quell'età. Storia questa
non mai tentata in cosi vasto complesso da nessun altro
prima di lui, con tanta competenza, con si profonda eru-
dizione, e con si splendida illustrazione. Talché per questa
e per le altre molteplici sue opere, accennate più sopra,
un biografo francese non esitò a conchiudere: Winkelmann,
il sommo archeologo prussiano ha fatto amare la scienza
delle antichità ; l' italiano Visconti ne ha splendidamente
ili astrato tutto quanto il dominio.
{*) Ginseppe Maffei.
RIVISTA ITALIANA DI NUMISMATICA
1890. Tav. X.
A.SAMBON. „ Le Monete del Ducafn NapolsUno.
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'1 -
RIVISTA ITALIANA DI NUMISMATICA
1890. Tav XI,
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A.SAMBQN . . Le Monete del Ducato KapoUlano
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VITB DI ILLUSTRI NUMISMATICI ITALIANI 569
Fjnnio Quirino , oltre le opere stampate, ne lasciò pa-
recchie manoscritte ed inedite, che furono acquistate dalla
Biblioteca nazionale e dall'Istituto di Francia ; fra queste
una Dissertazione sopra una ynedaglia di Thermusa moglie
di Fraate IV re de'Parti^ scritta nel dicembre del 1817. —
Dall'epoca della morte del Visconti, i suoi discendenti, eredi
di tanta gloria, si fissarono definitivamente in Parigi, so-
stenendo degnamente con opere egregie e la coltura d'ogni
bell'arte, la fortuna e l'onore del suo nome immortale.
Questi cenni biografici furono tolti dai seguenti libri :
Biografia degli italiani illustri nelle scienze, lettere ed arti
del secolo XVIII e de' contemporanei compilata da letterati italiani
di ogni provincia e pubblicata per cura del prof, Emilio de Ti-
paldo. Volarne sesto, pag. 493-607. — Emerig David nella Biogra-
phie universelle (Michand) ancienne et moderne. Paris, tome XLIII,
pag. 626-685. — Oiusbppb Maffbi, Storia della letteratura italiana.
Voi. II, pag. 367-381. — Dizionario universale storico-mitologico-
geografico compilato da una società di uomini di lettere per cura
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Valence, Impr. Céas et fils, pp. 88 et carte in-8.
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In questa memoria l'antore cerca il significato delle stelle collocate
sui rovesci delle citate monete, e lo trova felicemente nell'Astronomia. Le
quattro stelle del denaro di Manio Aqaillio, tre in alto ed nna al basso,
fìgarerebbero la costellaiione dellMgui^a, cbe la famiglia Aqnillia si
avrebbe scelta qaale simbolo del suo nome, mentre le cinque che figu-
rano sul denaro e sull'aureo di Publio Glodio (fra le quali però non
sempre una è rappresentata più grande delle altre , poiché io posso ci-
tare un aureo e quattro denari in cui le quattro stelle sono tutte eguali)
figurerebbero la costellazione del Toro, da cui per una derivazione un
poco più complicata, da Taurus, taurinus, verrebbe il cognome di T<ir-
rinua al monetario P. Clodio. L'autore suppone che probabilmente detto
monetario avrebbe preferito come simbolo il toro animale, se questo già
non fosse stato accaparrato dalia famiglia Thoria. Si potrebbe aggiungere
BIBLIOGRAFIA 678
che forse anche M. Aqnillio si trovò nel medesimo caso , essendo stato
preceduto da M. Fletorio, ohe pose l'aqaila sulle sne monete. Se tali
spiegazioni non sono matematicamente provate, sono però assai inge-
gnosamente trovate e hanno tutta l'apparenza della verità, analoghe
come sono, a quella che generalmente vien data al denaro di Lucrezio,
Trio , ove le sette stelle alluderebbero a tal nome , rappresentando la
costellazione dell'Orsa maggiore, septem Triones,
Anche nella serie imperiale non mancano simboli astronomici sulle
monete, e, lasciando quelle ove la stella o le stelle stanno a rappresen-
tare V eternità o la consacrazione , citerò V esempio di un denaro di
Adriano in cui figurano insieme ad una mezzaluna sette stelle varia-
mente disposte. Non si potrebbe forse trovare una spiegazione anche di
queste esplorando la sfera celeste ?
Blanchet (Jules Adrien), Médaillon en bronze de l'ein-
perur Hadrien.
Si tratta di un bel medaglione trovato vicino a Dourdan (Seine-et-
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Anzeiger fCLr Sch^weizer. Alterthumskunde. Zurigo , n. 8 ,
1890: Mbisterhans K., Munztopfe aus detn Kin, Solothunt.
Jahrbuch des historischen Vereins des Kantons Glarus^
Fase. XXV, 1890 : Schindler Dr. Fr., Die Sammlungen dea histor, Vereins
des Kantons Glarus. (Verzeichniss der Mùnzen, Medaillen, Waffen, etc.).
Boletin de la Real Academia de la Historia. Madrid -
aprile 1890: Pujol C, La epigrafia numismàtica, — Fr. Corderà, Nu-
misindtica y metrologia musulmanas
Luglio-Settembre 1890: V. de la Faente, Una medallamd ionica ,
The quarterly Journal of eoonomics. Boston , luglio 1890 :
White Horace, The Silver Situation,
Mittheilungen des deutschen -v^issensohaftliohen Vereins
in Meziko, Voi. I, fase. ì : Strugk Gustav, Mexiko und die Silberent~
werthung im Auslande.
The Indian Antiquary, Marzo 1890 : Flbet, Some Gold Coins of
the Eastern Chalukya Kings Saktivarman and Rajaraja IL
NOTIZIE VARIE
Un ripostiglio di monete d' oro medioevali a Roma. —
Nello scorso settembre, nn muratore, lavorando presso nn
vecchio muro nella città di Roma, scopri un vasetto di terra
contenente circa 260 monete d'oro. Quel tesoretto fu subito
diviso in tre o quattro lotti, che andarono venduti agli
antiquari della città.
Io ho potuto acquistarne circa la metà, altre ne ebbi
sott'occhio, e riunendo poi le notizie, ohe mi furono fomite,
su quelle che non potei vedere, mi trovo in grado di dare
in succinto la descrizione di tutte le monete contenute in
quel ripostiglio, persuaso che nella detta descrizione si
trovino tutti i tipi rappresentati da quelle monete. — Per
non dilungarmi in inutili descrizioni, citerò mano mano,
pei tipi già noti, gli autori che li pubblicarono. Quanto
alle monete inedite^ e specialmente all' unico zecchino di
Pio II per Spoleto, mi riserbo di dame il disegno e parlarne
a miglior agio in altra occasione.
\ BOLOGNA.
Paolo H (1464-71).
Zecchino. — D.: Leone rampante con vessillo; nel campo, cifra.
B. : S. Paolo stante. Ài lati , stemma del Pontefice e del Cardinal
Gapranica. (Gat. Bossi, pag. 85, N. 414).
FIRENZE.
Repubblica (1460-1490).
Zecchino. — D. : S. Giovanni in piedi.
B.: Giglio; tipo solito.
NB. Circa quaranta esemplari cogli stemmi di varie fiunigliOi
dall'anno 1460 fino al 1490; tutte pubblicate dall'Orsini.
578 NOTIZIB VARIB
MANTOVA.
Lodovico III Gonzaga (1444-78).
Zecchino. — D. : Il Daca in piedi in abito da guerriero colla spada
sguainata nella destra e sostenente colla sinistra lo stemma Gonzaga.
B. : S. Giorgio a cavallo che uccide il drago. (Bellini, De monetis
Italiae, etc. Voi. Il, pag. 73).
NB. XJn solo esemplare di questo zecchino di esimia rarità con-
teneva il ripostiglio.
MILANO.
Francesco I Sforza (1450-66).
Ducato d'oro. — D. : Busto del Duca a destra.
B. : n Duca a cavallo galoppante a destra (Gnocchi, N. 11).
Galeazzo Maria Sforza (1466-76).
Ducato cPoro, — D. : Busto giovanile del duca a destra.
K : Cimiero visconteo. (Gnocchi N. 9).
GENOVA.
Bepubblica (1330-1339?)
Oenovino. — D.: Castello genovese.
B. : Ooce. (Cat. Franchini, N. 407).
Doge XXII (Baffaele Adomo) (1443-47).
Oenovino. — D. : >{< r : a : dvx : ianven : xxii : Castello.
B. : »{< coNRADYS : REX : ROMANOR : 1 : .... Croce. (Gandolfi,
Tav. m, 27).
MACEBATA.
Innocenzo Vili (1484-92).
Zecchino. — D.: Stemma.
B. : S. Pietro nella barca che ritira le reti. (0. Vitaìini^ Di alcune
monete inedite e non ancora segnalate. In « Bollettino di Numis-
matica e Sfragistica ». VoL I, pag. 15 ; tav. I, n. 2).
NB. Di questo rarissimo zecchino il ripostiglio conteneva due
esemplari di conio perfettamente identico.
NOTIZIE YARIB 579
SOMA.
Senato romano (1800-1347?)
Zecchino. — D. : S. Pietro che consegna il vessillo al Senatore.
B. : Il Salvatore fra nove stelle. (Cinagli, N. * 3).
EoGENio IV (143147).
Zecchino. — D. : Stemma.
B. : S. Pietro stante. (Ginagli, N. 2).
Nicolò V (1447-55).
Zecchino. — D. : Stemma.
B. : S. Pietro stante. (Cinagli, N. 1).
Calisto IH (1455-58).
Zecchino. — D. : Stemma.
B. : S. Pietro nella nave col remo e la croce. (Cinagli, N. 2).
Pio n (1458-64).
Zecchino. — D. : Stemma, m nel giro.
B. : S. Pietro stante. (Cinagli, N. 2).
Zecchino. — D. : Stenmia. Cifra ad in monogramma.
B. : S. Pietro stante. (Cinagli, Sappi. N. 31).
Zecchino. — ^ pivs * papa * secvndvs * (Mezzaluna) Stemma.
B. : + s ' PETRVS • DE TE MANTOVA (sio). Il Santo in piedi.
Assai curiosa ò la leggenda del rovescio di questo
zecohino, e nessuno, ch'io sappia, si ò finora accinto a dame
una spiegazione. Questa moneta fu pubblicata per la prima
volta sul Catalogo del Museo di Vienna (1769). Il ro-
vescio , come appare dal disegno , era di cattiva con-
servazione e vi si legge : 4* s . petrvs de te ma ih ... . Lo
Zanetti {Nuova raccolta delle monete, ecc. Voi. II, pag. 481)
riporta questo zecchino, togliendolo appunto da quel Ca-
talogo, e descritte esattamente le parole della leggenda ,
aggiunge : delle quali lascio agli eruditi la interpretazione ;
quando mai nel disegno non vi fosse e7*rore. — H Cinagli
{Le monete dei Papi, pag. 62, n. 8) copia dallo Zanetti
680 NOTIZIE VARIB
questo zecchino, e non vi aggiunge alcun commento. Trovo
• poi questa moneta nel Catalogo della vendita Bossi (pag. 296,
N. 3839) colla leggenda del rovescio variata come segue:
s • PETRVS • ITE ' MANTOVA • Il compilatore pone lo zecchino
nella serie di Boma, mettendo in nota che la leggenda al
lato sinistro del rovescio è alquanto confusa.
L'esemplare, che io ho sott'occhio e che è di bella con-
servazione , porta precisamente nel rovescio le parole :
8 * PBTRVS * DB TE MANTOVA. Ora , chc cosa possono signifi-
care queste parole su di uno zecchino di Pio II ? Sappiamo
dalla storia che questo Pontefice, bramando tentare una
nuova crociata contro i Turchi, convocò un' Assemblea a
Mantova nel 1463, dove si decise per Tanno seguente «una
spedizione, di cui il Papa stesso voleva mettersi alla testa ;
senonchè, mentre nell'agosto dell'anno dopo stava per met-
tere in atto questo suo pensiero , lo colse una febbre in
Ancona e vi mori. Non potrebbe quella leggenda ricordare
l'Assemblea di Mantova ? Pio II, disposto a partire in per-
sona per quella spedizione, volle eternare quel fatto nelle
sue monete , e ne coniò parecchie , ove vediamo il Papa
stesso su di una nave in atto di partire , colla leggenda :
DimOE DOMINE GRESSVS NOSTROS O CoU' altra : EXVROAT * D .
ET . DissiPBNTVR . INIMICI . Elvs ' Nou è duuquc possibile che
egli abbia voluto ricordare in altra moneta l'origine e il
movente di quell'impresa, l'Assemblea di Mantova? In tal
caso , si dirà , perchè quel Mantova scritto all' italiana ,
invece di mantva, come vediamo su tutte le monete ante-
riori e contemporanee di quella città? E poi, qual è il
significato delle lettere db te che precedono la parola
MANTOVA ? É un quesito ch'io non so sciogliere e ne propongo
la soluzione ai numismatici, ben lieto se qualcuno me ne
darà una plausibile spiegazione. In ogni modo la moneta
non può essere coniata a Mantova, come vorrebbe taluno.
A giudicarne dal tipo e dal disegno, essa usci molto pro-
babilmente, come altri zecchini di Pio II , dalla zecca di
Foligno e sarebbe opera dell'incisore Emiliano Orfini.
NOTIZIE VARIE 681
Paolo H (1464-71).
Zeeehino. — D. : • pavlvs • p • p • (rosetta) secvndvs • Stemma sor-
montato dalle chiavi e dal triregno.
B. : ' s . PETRYS . ALMA . ROMA. S. Piotro in piedi di prospetto
colle chiavi nella destra e un libro nella sinistra. (Inedito).
NB. Questo rovescio, comune negli zecchini di Nicolò Y, di
Calisto III e di altri, era affatto sconosciuto in quelli di Paolo II.
Zecchino» — D. : Arme sostenuta da due angioli.
B. : Il Salvatore e S. Pietro ; pecorelle che pascolano ; colla leg-
genda: >¥ PETRB PASCE OVES MEAS. (CinagU, N. 4).
Zecchino, — D. : Stemma.
B. : — S. Pietro che dà le chiavi al Papa genuflesso (Cinagli, N. 11).
Zecchino. — D. : Stemma.
B. : S. Pietro e S. Paolo stanti. (Cinagli, N. 12).
Zecchino. — D. : Stemma.
B. : Santa Veronica col Sudario. (Cinagli, N. 13).
Sisto IV (147184).
Zecchino. — D. : Stemma.
B. : S. Pietro e S. Paolo in piedi. (Cinagli, Suppl. N. 89).
Zecchino. — D.: Stemma.
B. : S. Pietro nella barca che ritira le reti. (Cinagli, N. 3).
Zecchino. — D. : Stemma.
B. : S. Pietro come nel precedente. (Cinagli, N. 4).
Innocenzo Vili (1484-92).
Zecchino. — D. ; Stemma.
B. : S. Pietro nella barca che ritira la rete. (Cinagli, N. 3).
SPOLETO.
Paolo II (1464-71).
Zecchino. — D. : • pavlv • ii • pont • max • an ' i • Stemma.
B. : • s • PETRvs ' IN . pviN . DVCAT. Il Sauto in piedi.
NB. Questo zecchino, unico nel ripostiglio , è il primo che si
conosca coniato in provinciae dvcatv, ossia per Spoleto. È moneta
importante e merita una speciale illustrazione, ciò che farò in uno
dei prossimi fascicoli della Rivista.
74
682 NOTIZIE VARIE
VENEZIA.
Andrea Gontarini (1368-82).
Zecchino. — Tipo solito.
Tomaso Mocenioo (U14-23).
Zecchino. — Tipo solito.
irNGHERIA.
Ladislao Postumo (1452-57).
Ducato. — Vari esemplari variati.
Mattia Corvino (1458-90).
Ducato. — Yart esemplari variati. Tanto qaesti , quanto quelli di
Ladislao, sono tutti descritti nel Catalogo Wellenheim.
Tenuto conto delle monete di data più recente, se ne
deduce che il tesoretto fu nascosto negli ultimi anni del
secolo XV, e verosimilmente nell'occasione dell'entrata di
Carlo Vili re di Francia in Roma (21 dicembre 1494). Nulla
di più naturale che all'appressarsi del sovrano conquista*
tore, nel timore di un saccheggio e nella incertezza degli
eventi , quegli abitanti pensassero a mettere in salvo il
fatto loro dalla rapacità degli invasori.
E. Q.
Nuove falsificazioni in vista. ^ Ci affrettiamo a met-
tere in guardia gli amatori di Numismatica contro due nuove
falsificazioni di monete italiane, appena terminate, e delle
quali solo pochi esemplari finora ^ono apparsi in commercio.
Una di queste è un Testone di Bellinzona:
^ — VRANIE • SVIT • ET • VNDERVÀLD
Nel campo gli stemmi dei tre Cantoni , disposti oriz-
zontalmente. Al disopra, aquila bicipite coronata.
9/ — S • MARTINVS • EPISCOPVS
Il santo in piedi in abito militare col vessillo nella
destra e la spada nella sinistra.
(BiONDELLi , Bellineona e le $ue monete. Fag. 27, N. 8).
KOTIZIB VARIB B8d
L' altra moneta è un raro Testone di Ludovico II
Fieschi per Messerano :
^; — * LVDOVIC • FLISC • LAVANIE ì C DO
Busto a destra. Testa nuda.
9' — IHS • AVTEM • TRAN • P • MED • ILL • IB •
Scudo inclinato colle bande dei Fieschi, sormontato da
elmo con lambrecchini , e sopra, aquila imperiale
coronata.
(Promis, Monete delle zecche di Messerano e Orevacuore dei
Fieschi e Ferrerò. Tav. II, N. 4 e 6).
Sappiamo positivamente che queste due monete furono
testé fabbricate in una città vicina, e conosciamo anche i
nomi degli autori, e di quelli che si incaricano di spacciarle.
Se quésta zecca clandestina continuerà a produrre cimelii
antichi e a gabbare gli amatori novizii, siamo pronti anche
a dare maggiori schiarimenti sulla località e sugli autori
di queste bricconerie , delle quali non sarebbe male che
anche l'Autorità se ne immischiasse un pochino.
Le due monete sopra descritte furono prodotte su due
esemplari autentici , mediante la galvanoplastica. Si vede
che gli autori, ancora inesperti in questo mestiere, trovano
delle difficoltà nel congiungere il dritto col rovescio, man-
tenendo lo spessore naturale della moneta , cosicché quei
due testoni sono più grossi del vero. Questo solo fatto
basta ai raccoglitori provetti a metterli in avvertenza, e a
far loro conoscere l'inganno. Ciò sanno benissimo gli spac-
ciatori di queste monete , e perciò questi Becker da stra-
pazzo portano sempre i loro prodotti ai piccoli amatori e ai
principianti, e si guardano bene dal farli vedere a quelli
che hanno lunga pratica nelle monete.
Aggiungerò infine che gli stessi messeri si propongono
di fare altre monete , e vedendo che il mercato monetario
ne é sprovvisto, pensano anche a fabbricare dei piéforis^ i
quali sono molto accetti agli amatori. Per far questi essi
adopreranno probabilmente testoni e scudi genuini, segan-
doli in mezzo ed applicandovi fra il diritto e il rovescio
B8i yOTIZIB VABIB
la quantità neoesBaria d'argento. Gli amatori li lioonoace-
ranno facilmente, esaminando l'orlo della moneta, il quale,
per quanto si faccia, mostra sempre i segni evidenti della
saldata» e oonsegnente operazione della lima.
La Direzione.
Monete per la Colonia Eritrea. — Con Decreto Beale
10 agosto veniva stabilita la coniazione dì una moneta
speciale per la Colonia Eritrea , e con altro decreto , me-
desima data, si fissava la quantità e qualità degli spez-
zati d'argento di tale coniazione. Diamo il testo dei due
decreti e l' impronta di dae spezzati del Tallero Eritreo,
ossia il pezzo da Vio P^i'i & <^Qe lire italiane e quello
d^ Vii) p^ri a 60 centesimi. — La zecca di Boma lia testé
terminata la coniazione di un milione di pezzi da L. 2,
(v. al basso del rovescio la sigla R) e quella dì Milano sta
attualmente eseguendo la coniazione dei due milioni di
pezzi da 50 Cent, (sigla M al basso nel rovescio). Del tal-
lero si intraprenderà la coniazione col principio del pros-
simo anno. Lo Speranza , incisore della zecca di Berna ,
è l'autore dei conìi e sta ora apprestando quello per ì pezzi
da una lira.
KOTIZIB VARIB 685
I.
UMBERTO I
PER GRAFIA DI DIO E PER VOLONTÀ DELLA NAZIONE
RE d' ITALIA.
Viste le leggi 24 Agosto 1862 N. 788 Serie I e 17 Laglio 1875 N. 2651
Serie II sulPordinamento monetario del Regno.
Visto l'articolo IV della Convenzione addizionale tra il Regno d'Italia
e Pira pero d'Etiopia approvata con legge 16 Laglio 1890 N. 7016 Serie III.
Visti gli articoli I e HI della legge 1^ Luglio 1890 N. 7008 Serie IH
suU'Ammin. della Colonia Eritrea.
Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro
ad interim degli Affari Esteri e del Ministro del Tesoro di concerto
col Ministro dell'Agricoltura Industria e Commercio ;
Udito il parere del Consiglio di Stato ;
Sentito il Consiglio dei Ministri ;
Abbiamo decretato e decretiamo quello che segue:
Art. I.
Le Zecche del Regno conieranno monete decimali speciali da aver
corso legale esclusivamente nel territorio dell' Eritrea e consistenti in
pezzi da un Tallero eritreo, 4/10, 2/10, 1/10, 2/100, 1/100 del Tallero stesso
equivalenti rispettivamente ad italiane lire cinque, due, una e centesimi
cinquanta in argento, ed a centesimi 10 e 5 in bronzo.
Art. II.
Il Tallero Eritreo, pari a lire cinque italiane, avrà il diametro di
mm. 40 ed il peso in lega di gr. 28.125, conterrà otto decimi d'argento
fino, cioè gr. 22.500, e quindi sarà al titolo di 800 millesimi.
La tolleranza di coniazione in più ed in meno sarà di 3 millesimi
per gramma sai peso e di 2 millesimi sul titolo.
Porterà nel retto la nostra effigie coronata rivolta a destra colla
leggenda intorno Umberto i re d' Italia e l' anno di coniazione. Sul
verso l'Aquila di Savoia ed il valore espresso in italiano, in amarico e
in arabo.
Il contorno sarà scanalato.
Art. III.
I sottomultipli in argento del Tallero eritreo da L. 5 cioò i pezzi
da 4 10 2/10 e 1/10 di tallero pari a L. 2, 1 e Cent. 50 verranno coniati
in piena conformità degli Art. I e III della legge 24 Agosto 1862 N. 788,
tanto riguardo al titolo, al peso ed al diametro, quanto rispetto alia tol-
leranza di fabbricazione sul titolo e sul peso.
586 NOTIZIE VARIE
L'impronta del retto sarà conforme a quella del Tallero, ani verso
avranno in alto la leggenda: colonia eritrea, in basso dne rami rioniti
d'alloro e nel centro la stella d'Italia ed il valore in italiano, in amarico
ed in arabo.
Il contorno sarà scanalato.
Art. IV.
I sottomultipli in bronzo cioè i pezzi da 2/100 e 1/100 di Tallero
pari ad italiani Centesimi 10 e 5 di lira verranno coniati in piena con-
formità degli art. I e lY della legge 24 Agosto 1862 N. 788, tanto riguardo
alla lega, al peso ed al diametro, quanto rispetto alla tolleranza di fab-
bricazione.
Porteranno nel retto la nostra efiBgie coronata volta a sinistra colla
leggenda Umberto i re d'italia, e V anno di coniazione ; il verso ed il
contomo saranno come negli spezzati, di cui all'Art. IIL
Art. V.
II Tallero Eritreo, d^intrlnseco eguale al pezzo da L. 5 del Regno,
avrà potere liberativo per qualunque importo, e sarà dato e ricevuto
dalle Casse pubbliche e fra privati nell'Eritrea, senza limite di somma.
Kiuno è obbligato a ricevere in pagamento una somma maggiore di
dieci talleri eritrei o lire cinquanta in spezzati d'argento, di cui al-
l'Art. III, ma le Casse pubbliche nell'Eritrea li riceveranno per qualunquo
somma.
Le monete di bronzo non si accettano che per le frazioni di 2/10
di tallero o di una lira«
Art. vi.
La Tesoreria provinciale di Napoli eseguirà a richiesta il cambio
delle monete speciali per la Colonia Eritrea con monete identiche aventi
corso in Italia.
Art. vii.
Con successivi decreti reali sarà determinata la quantità proporzio-
nale di spezzati d'Argento e di Bronzo speciali per la Colonia Eritrea
da coniarsi per i singoli tagli indicati nei precedenti Art. Ili e IV.
Ordiniamo che il presente Decreto, munito del Sigillo dello Stato,
sia inserto nella Baccolta ufficiale delle Leggi e dei Decreti del Beg^o
d'Italia, mandando a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.
Dato a Mofxza il 10 Agosto 1890.
firmato Umberto.
contrassegnato GioìittL
NOTIZIE VARIE 587
II.
UMBERTO I
PER GRAZIA. DI DIO E PER VOLONTÀ. DELLA NAZIONE
RE d' ITALIA.
Visto il nostro Decreto 10 Agosto 1890
Salla proposta del presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro
ad interim degli AfiPari Esteri e del nostro Ministro del Tesoro, di concerto
col Ministro d'Agricoltura Industria e Commercio ;
Abbiamo decretato e decretiamo quanto segue:
Art. UNICO.
La quantità proporzionale di spezzati d'argento da 4^10 2/10 e 1/10
di Tallero Eritreo, pari a L. 2, 1 e Cent^ 50 da coniarsi per la Colonia
Eritrea, è fissato come appresso:
Pezzi N. 1.000.000 da 4/10 di Tallero equivalenti a L. 2.000.000
»i I» 8.000.000 da 2/10 « « » n 8.000.000
n n 2.000.000 da ]/10 n n un 1.000.000
Pezzi N. 6.000.000 L. 6.000.000
Ordiniamo che il presente decreto munito del Sigillo dello Stato
sia inserto nella Eaccolta Ufficiale delle leggi, ecc., ecc.
Dato a Monza, addì 10 Agosto 1890.
firmato Umberto.
contrassegnato Giolitti — Miceli,
Vistato — Zanardelli,
Club Numismatico. — Lo scorso Giugno venne fondato
a Vienna un Club d' amatori di monete e medaglie, scopo
del quale è di agevolare le relazioni fra i numismatici
mediante riunioni settimanali. Il Club pubblica un bollet-
tino mensile per le notizie numismatiche e s' occuperà di
promuovere esposizioni , di coniare medaglie e gettoni e
infine di tutto quanto riguarda gli studi numismatici , ai
quali certo porterà non piccolo giovamento. Mentre gli
mandiamo i nostri migliori auguri, non possiamo a meno
di esclamare con qualche rammarico : Quando sarà possibile
una simile istitu^ioue ip Atalia?
588 NOTIZIE VARIE
U premio di Numismatica all'Accademia delle IscrizioiLi
e Belle Lettere di Francia^ venne ultimamente conferito al
Repertoire des sources imprimées de la Numismatique frati'
guise dei signori Arturo Engel et Raimondo Serrure.
Mandiamo a questi nostri buoni amici le più vive feli-
citazioni, cui non dubitiamo si associeranno tutti i lettori
della Rivista.
Nuovi doni al Gabinetto Numismatico di Brera. — Nel
corrente anno , oltre al raro grosso di Giancarlo Visconti ,
donato dal Sig. E. Osnago (v. Fase. I, Riv. 1890), il Regio
Gabinetto ha ricevuto i seguenti doni :
Dalla on. Direzione della Biblioteca Nazionale di Brera,
un esemplare in bronzo della medaglia offerta dalla Società
d'Esplorazione Commerciale in Africa a Gaetano Casati.
Dal Sig. Cav. Ercole Gneccbi , una moneta d' argento
di Carlo V per Casale.
Dal Sig. Gaetano Oldrini, un piccolo bronzo del Basso
Impero.
Dal Sig. Rag. Annibale Ghisalberti, una pseudomoneta
di Messerano.
Dal Sig. Colonn. M. G. Clerk, di Londra, una moneta
d'argento dell'India Meridionale.
Dal Sig. Ercole Mazzoni, una tessera di Malacca nelle
Indie.
Dal Sig. Alessandro Cornelio, una moneta del Messico.
Da un anonimo , un saggio in piombo (a modo di
piéfort\ d'una medaglia di L. Cossa per Francesco T.
Dai Sigg. Eredi di Antonio Gavazzi, due medaglie in
bronzo.
Dal M. R. Don Bernardo Galli, un esemplare in bronzo
della medaglia coniata recentemente per la reintegrazione
del culto al B. Zaccaria.
Dal Sig. Prof. Lodovico Pogliaghi , due esemplari in
bronzo della medaglia di premio, da lui modellata, pel
Tiro a Segno Nazionale in Roma, 1890, incisa da A. Cap-
puccio.
Dal Sig. Luigi Brogli, un esemplare in bronco deUa
NOTIZIE VARIE 589
medaglia da lui incisa in onore di S. E. il Presidente del
Consiglio dei Ministri, Francesco Crispi (settembre 1890).
Dai Sigg. Fratelli F. ed E. Gnecchi una serie di bolle
papali ed altri piombi diversi^ nonché sette pregevoli lui-
girti battuti pel Levante.
Per la storia dei Periodici numismatici italiani. — Il
nostro collega Ambrosoli desidera di raccogliere tutti i dati
possibili intomo alle varie pubblicazioni periodiche di Nu-
mismatica che si succedettero in Italia. Nel Fase. I , An-
nata I di questa Rivista, fu stampato un elenco di tali
periodici , che qui si ripete con qualche lieve ritocco ; se
alcuno fra i nostri cortesi lettori avesse notizia di altri
giornali numismatici italiani, farebbe cosa grata informan-
done il Dott. Ambrosoli oppure la Direzione della Rivista.
Oltre ai periodici esclusivamente o prevalentemente numi-
smatici , si desidera aver notizia di tutti quegli altri che
abbiano avuto per programma di occuparsi anche di Nu-
mismatica, come la Raccolta Veneta, il Giornale degli Eru-
diti, ecc., ecc. Ecco l'elenco di cui abbiamo parlato :
Giornale NumiamatieOf diretto da Fr. Maria Avellino, Napoli, 1808-12.
Annali di Numismatica , diretti da Giuseppe Fiorelli , Boma e Na-
poli, 1846-61.
Memorie Numismatiche^ pubblicate da Demetrio Diamilla, Boma, 1847.
Notizie peregrine di Numismatica e d* Archeologia , pubblicate da Fede-
rico Schweitzer, Trieste, 1851-61. (Sei decadi).
Rivista della Numismatica antica e moderna , diretta dapprima da Ago-
stino Olivieri, poi da Ernesto Maggiora-Vergano Asti, 1864-65.
Ripista Numismatica Italiana (Continuazione della precedente), pubbli-
cata da E. Maggiora-Vergano, Asti 1866.
Bullettino di Numismatica Italiana, diretto da Antonio Riccardo Caucich,
Firenze, 1866-70.
Periodico di Numismatica e Sfragistica per la storia d' Italia, diretto
dal Marchese Carlo Strozzi, Firenze, 1868-74. (Sei annate).
Bullettino cPArte, Antichità, Numismatica , ecc., pubblicato da Baffaele
Dura, Boma, 1881-82.
Gazzetta Numismatica, diretta da Solone Ambrosoli, Como, 1881*87.
(Sei annate).
BulUttino di Numismatica e Sfragistica per la storia d'Italia, diretto da
Milziade Santoni e Ortensio Yitalini, Camerino, 1882-87.
75
COLLABORATORI DELLA RIVISTA
NELL'ANNO 1888
Memorie e Dissertazioni.
Ambrosoli Solone
Ancona Amilcare
Gavazzi Giuseppe
Gnecchi Ercole
Gnecchi Francesco
MiARi PuLcio Lucio
Motta Emilio
MuLAzzANi Giovanni
Ostermann Valentino
Papadopoli Nicolò
Bossi Umberto
Buggero Giuseppe
Tamassia Francesco.
Cronaca.
Ambrosoli Solone
Gavazzi Giuseppe
Gnecchi Ercole
Gnecchi Francesco
Luppi Costantino
Melani Alfredo
Papadopoli Nicolò
PuscHi Alberto
Bossi Umberto.
COLLABORATORI DELLA RIVISTA
NELL'ANNO 1889
Memorie e Dissertazioni.
Ambrosoli Solone
Castellani Giuseppe
OoMANDiNi Alfredo
Gavazzi Giuseppe
Gnecchi Ercole
Gnrcchi Francesco
Eenner Federico
Luppi Costantino
Markl Andrea
MuoNi Damiano
Papadopoli Nicolò
Poaai Cencio
Buggero Giuseppe
Sambon G. Arturo
Tagli abue Emilio.
Cronaca.
Ambrosoli Solone
Gnecchi Ercole
Gnecchi Francesco
Mariani Giuseppe
Melani Alfredo
Milani L. Adriano
Padovan Vincenzo
KosA Ugo.
COLLABORATORI DELLA RIVISTA
NELL'ANNO 1890
Memorie e Dissertazioni.
Ambrosoli Solonb
Brambilla Camillo
Capobianchi Vincenzo
Castellani Giuseppe
Gavazzi Giuseppe
Gentili di Bovellone Tarquinio
Gnegchi Ercole
Gnecciii Francesco
Jatta Giulio
Luppi Costantino
MoRSOLiN Bernardo
MuLAZzANi Giovanni
Papadopoli Nicolò
Promis Vincenzo
BuoGERO Giuseppe
schneider (von) boberto
Sforza Giovanni
Stettiner Pietro
Taoliabue Emilio.
Cronaca.
Ambrosoli Solonb
Bellotti Cesare
Grespellani Arsenio
Praccia Giovanni
Gnecchi Eroole.
Gnecchi Francesco
Sossi Antonio Vitaliano
Stettiner Pietro.
INDICE DELL'ANNATA 1890
Faseieolo I.
Appunti di Nwnisfìuttica romana, Vili e IX (con dao figure). •—
Francesco Gnecchi Pag. 15
Le monete dei Pontefici romani Leone Vili e Giovanni XIII (con
una tav.). — Tarquinio Gentili di Bovbllonb. . . » 51
Pataeehina savonese inedita di Filippo Maria Visconti (con fig.)*
— SoLONB Ambrosoli » 91
Di un medaglista anonimo Mantovano (con una ta?.)- — ' Roberto
von ScHNBiDER. (Trad. di S. A.) • . • . . . » 101
Una Medaglia inedita de' Principi Baciocchi (con &g.). — Gio-
vanni Sforza » 119
Moneta inedita di Pietro I di Savoia e pochi cenni sulla zecca pri-
mitiva d^ Principi Sabaudi (con una tav.). — V. Fromis . » 123
Monete di Gio. Battista Folletti conte di Benevello (con una tav.).
— Vincenzo Fromis . . » 129
Lodovico Chiericati, — Bernardo Morsolin . ...» 139
Girolamo Gualdo. — Bernardo Morsolin. . . . . » 142
Vite di illustri numismatici italiani. Y. P. Ireneo Affò (con ritratto).
— C. Luppi ...» 145
Cronaca. — Necrologie . . > 155
Bibliografia » 159
Notizie varie » 171
Fascicolo II.
Appunti di Numismatica romana. X o XI (con una tav. e figure)
— Francesco Gnecchi Pag. 183
Congetture sulV attribuzione di alcuni tremissi longobardi (con fìg.).
— Giuseppe Gavazzi > 207
Nuove osservazioni sopra alcune monete battute dai papi nel contado
Venesino e d'Avignone (con una tav.). — V. Oapobianchi. » 217
Soldino Astigiano inedito di Carlo Quinto (con figura). — So-
lone Aa^rosoli » 283
Giacomo Bannissio (con tav.). — Bernardo Morsolin . . » 239
Isabella Sesso (con tav.). — Bernardo Morsolin ...» 247
696 INDICE dell'annata. 1890
Medaglie Italiane del 1889. — Parte I (con una iayola). —
Alfredo Comandini Pag, 259
Tretnisse inedito al notne di Desiderio re dei Longobardi (con fig.).
— Camillo Brambilla » 277
Vite di Mlustri numismatici italiani. YI. Gian Rinaldo Carli (con
ritratto). — C. Luppi » 299
Cronaca. — Bibliografia » 805
Notizie parie '. . > 317
Fascicolo III.
Origine della moneta in Italia. — P. Stbttinbr . . . Pag. 827
Appunti di Numismatica romana. XII e XIII (con fig.). — Fran-
337
359
369
425
429
445
473
481
483
485
CESCO Gneccbi.
A proposito di una tnoneta di Rubi, — Giulio Jatta
È davvero esistita la zecca di Mesocco 9 — Emilio Taoliabue
Un picciolo di Astorgio III Manfredi per Faenza. — G. Castellani
Medaglie Italiane del 1889 (con una tav.). — Alfredo Comandini
Le monete del ducato Napoletano (con dao tav.)- — A. G. Sambon
Vite di illustri numismatici italiani. VII. Domenico Bestini (con
ritratto). — C. Luppi
Cronaca. — Necrologia
Bibliografia
Notizie varie
Fascicolo IV.
Appunti di Numismatica romana. XIY (con una tav. e fig.). —
Francesco Gneccui . ^ Pag. 495
Enrico Dandolo e le sue monete (1092-1205) (con fig.). — Ni-
colò Papadopoli » 507
Annotazioni numismatiche genotesi. XIX e XX (con fig.) — Giu-
seppe Buggero » 521
Appunti di Numismatica italiana. I (con fig.) — Ercole Gnbcchi » 533
// mezzo zecchino del Vasto (con fig.). — Solone Ambrosoli . > 543
Medaglie del Vellano di Padova in onore di Paolo IL — B. Morsolin » 549
Medaglie Italiane del 1889. (Una aggiunta). — Alfredo Comandini » 559
Vite di illustri numismatici italiani. YIII. Ennio Quirino Visconti
(con ritratto). — C. Luppi > 561
Cronaca. — Bibliografia > 571
Notizie varie . • » 577
i » I
ELENCO DEGLI ASSOCIATI
ALLA
RIVISTA ITALIANA DI NUMISMATICA
PER L'ANNO 1890
-^
COPXZ
S. A. R. IL Principe di Napoli
Adriani Prof. Comm. Dott. G. B , R. Ispettore degli Scavi e
MoDumenti di Antichilà. — Cherasco
Ambrosoli Dott. Solone, Conservatore del R. Gabinetto Numis-
matico di Brera. — Milano .
Ancona Amilcare. — Milano
Averara Avv. Manifesto. — Ijodi
Bahrfeldt Max, — Friburgo.
Ballarati Magg. Amedeo. — Sacconago
Balli Emilio. — Locamo
Bartolini Cav. Luigi. — Trevi
Bartolo (Di) Prof. Francesco, Museo Civica. — Catania .
Beltrami Luca, Architetto. — Milano
Berlino, — Zeitschrift fiir Numismatik
Bignami Cav. Giulio. — Roma
Bocca Fratelli, Librai. — Torino
Bologna. — Biblioteca Municipale
Bonomi Enrico. — Legnago
Borghese Principe D. Paolo. — JRoma
Bosso Dott. Giuseppe. — Cairo (Egitto) . . .
Boston. — American Journal of Archeologi/ ....
» — American Journal of Numismatics ....
Boyne William. — Firenze
Brambilla Nob. Comm. Camillo. — Pavia
Briganti Cav. Bellino. — Osimo
Brockhaus F. A., Libraio. — Lipsia
Bruxelles. — Bevue belge de Numismatique ....
Butti Alfonso. — Milano
76
698 INDICE DEGLI ASSOCIATI PER L*ANNO 1890
COPII
Cagliari. ~ Begto Museo di AntichilÀ
Camozzì Verteva Cwkd. G. B. Sen. del Regno. — Bergamo .
Camucoini Barone G. B. — Boma
Cantoni AchDle. — Milano
Capobianchi Cav. Prof. Vincenzo. — Boma
Capretti Giuseppe. — Albiaie
Carpinoni Michele. — Brescia
Castellani Rag. Giuseppe. — Fam
Ciani Dott. Giorgio. — Trento
Cini Avv. Tito. — Montevarchi
Comandini Dott. Alfredo. — Milano
Como. — Municipio
» — Museo Civico
Cunha (Da) Dott. Giuseppe Gerson. — Bombay ....
Demole Dott. Eugenio, Conservatore del Gabinetto Numismatico.
— Ginevra
Dupriez Raimondo. — Bruxelles
Eletto (Frate) da Imola. — Imola
Engel Dott. Arturo. — Parigi
Fasella Comm. Carlo, Direttore della R. Zecca. — Milano.
Ferrario Dott. Ercole. — Gallarate
Fiorasi Capitano Gaetano ~ Scuola di Guerra. — Torino
FirenBe. — Archivio Storico Italiano
» — Biblioteca Riccardiana
Foa Alessandro. — Torino
Franchi Carlo (ditta di A. Vismara, Libraio). — Como .
Furchheim Federico, Libraio. — Napoli
Garovaglio Dott. Cav. Alfonso. — Loveno sopra Menaggio (Como)
Gavazzi Cav. Giuseppe. — Milano
Geigy Dott. Alfredo. — Basilea
Genova. — Biblioteca Civica
» — Giornale ligustico
Gentili di Rovellone Conte Tarquinio. — San Severino
Georg H., Libraio. — Ginevra
Giletti Carlo, Orefice. — Bedonia (Parma) . . .
Ginevra. — Società Svizzera di Numismatica ....
Gnecchi Carlo. — Milano
Gnocchi Cesare. — Milano
Gnecchi Ing. Giuseppe. — Milano
Gnecchi Marco. — Milano
Gnecchi Vitterio — Milano
Grazioli Francesco, Incisore di medaglie. — Milano .
Grossi Gualtiero, Bibliotecario dell'Oliveriana. — Pesaro .
Hamburger L. e L. — Francoforte sul Meno ....
Hermerel e Serrure. — Parigi
INDICE DEGLI ASSOCIATI PER L'aNNO 1890 599
COPI
Hess Adolfo. — Franeoforte sul Meno
Hiersemann M. R. W., Libraio. — Lipsia . ' .
Hoepli Comm. Ulrico, Libraio-Editore. — Milano
Jatta Gialio. — Buvo di Puglia
Lamberti Policarpo. — Savona
Lambros Gio. Paolo. — Atene
Landolina di Eigilifi Francesco. — Palermo ....
Lazara (De) Onte Antonio. — Padova
Leone Cav. Camillo. — Vercelli
Lippi Raffaele. — • Biceari
Loescher Ermanno, Libraio. — Roma
Loescher Ermanno, Libraio. — Torino
Londra. — The Ifumismatic Chronicle
Luppi Cav. Prof. Costantino. — Milano
Mantegazza Avv. Cav. Carlo, Procuratore del Re. — Civitavecchia
Mantova. — Biblioteca Comunale
Mariani Giuseppe. — Milano
Marignoli March. Filippo, Sen. del Regno. — Boma .
Milani Cav. Prof. Luigi Adriano, Direttore del R. Museo Archeo-
logico. — Firenze
Milano. — Archivio Civico di S. Carpoforo ....
» — Archivio Storico Lombardo
» — Biblioteca Ambrosiana
» — Direzione della R. Zecca
> — R. Biblioteca Braidense
» — R. Gabinetto Numismatico di Brera.
» — Società deirUnione
» — Società degli Artisti e Patriottica ....
Mirenghi Aw. Michele, Presidente della Commissione del Museo
Provinciale. — Bari
Modena. — Regia Biblioteca Estense
Mojana (De) Conte Aw. Alberto. — Milano ....
Monti Ing. Antonio. — Como
Morsolin Ab. Prof. Bernardo. — Direttore del Museo Civico. —
Vicenza
Motta Ing. Emilio. — Milano
Mulazzani Conte Lodovico. — Treviglio
Napoli. — Direzione dei RR. Musei di Antichità
Nervegna Giuseppe. — Brindisi
Nutt Davide, Libraio. — Londra
Oreschnikow Alessio, Conservatore del Museo Storico. — Mosca
Oslo Col. Comm. Egidio. — Boma
Osnago Enrico. — Milano
Padoa Cav. Vittorio. — Firenze
Papadopoli Conte Nicolò. — Venezia
600 INDICE DEGLI ASSOCIATI PER l'aNNO 1890
ocra
Parazzoli Antonio. — Cairo (Egitto)
Parigi. — Polybiblion
» — Bevue Numismatique . ...
» — Société fran^aise de numismatique ....
Parma. — R. Museo di Antichità
Pasi Aw. Adolfo. — Bologna
Pasinati Francesco. — Eoma
Patrizi March. Giovanni. — Boma
Peelman Giulio e C. — Parigi
Perini Quintilio. — Mattardlo (Trento)
Persiani Avv. RaflFaele. — Chieti
Piacenza. — Biblioteca pubblica Passerini-Landi
Picozzi Dott. Francesco. — Lodi. . ■
Pisano Cav. Dott. G. B. — Genova
Prayer Carlo. — Milano
Ratti Dott. Luigi. — Milano
Ratto Rodolfo. — Genova
Rivani Giuseppe, Direttore del Civico Museo di Archeologia. —
Ferrara
Rizzini Dott. Prospero, Direttore del Museo Civico. — Brescia
Rizzoli Luigi, Conservatore del Museo Bottacin. — Padova
Rolandi Dott. Francesco. — Albenga
Boma. — Biblioteca del Senato '
» — Biblioteca della R. Accademia dei Lincei .
» — Direzione della R. Zecca
Rossi Dott. Umbei-to, Conservatore del Museo Nazionale. — Firenze
Ruggero Cav. Giuseppe, Tenente Colonello. — Cremona .
Salinas Comm. Prof. Antonino, Direttore del Museo Nazionale.
— Palermo , . . . .
Sambon Cav. Giulio. — Firenze
Santoni Can. Milziade, Direttore della Yalentiniana. — Camerino
S^vini Paolo. — Milano
Scarpa Dott. Ettore. — Treviso
Schulman Giacomo. — Amersfoort (Olanda) ....
Seletti Aw. Emilio. — Milano
Serazzi Avv. Pietro. — Novara
Sessa Rodolfo. — Milano
Sforza Prof. Giovanni. — Dirett. deirArchìvio di Stato. — Massa
Sormani Andreani Conte Lorenzo. — Milano ....
Sossi D. A. V., Prevosto del Capitolo della Cattedrale. — Asti .
Sozzani Ing. Vincenzo. — Tromello (Lomellina) ....
Stettiner Cav. Pietro. — Boma
Stevens Emilio. — Napoli
Taggiasco Monsig.' Cesare. — Boma
Tatti Ing. Paolo. — Milano
INDICE DEGLI ASSOCIATI PER l'aNNO 1890 601
coni
Tolstoj Conte Giovanni. — Pietroburgo
Torino. — Regio Museo di Antichità
» — B. Biblioteca Nazionale
Torrequadra Conte Rogadeo. — Bitonto
Trento. — Biblioteca Comunale . . . . .
Trieste. — Museo Civico di Antichità
Trùbner K. J., Libraio. — Strasburgo
Turati Conte Emilio. — Milano
Valton Prospero. — Parigi
Van Schoor Carlo. — Bruxelles
Van Trigt G. A., Libraio. — Bruxelles
Varese. — Museo Patrio
Varisco Sac. Achille. — Monza
Veneaia. — Archivio Veneto
» — Ateneo Veneto
» — B. Biblioteca Marciana
» — Museo Civico
Verona. — Biblioteca Comunale . .•
Vidal Quadras y Ramon Emanuele. — Barcellona
Vienna. — Gabinetto Num. e di Antichità della Casa Imperiale
» — Numismatische Zeitschrift
Vigano Gaetano. — Desio
Visconti March. Carlo Ermes. — Milano
Vitalini Cav. Ortensio. — Boma
Volterra. — Museo e Biblioteca Guarnacci
Wesener P. J. — Monaco
Witte (De) Alfonso. — Bruxelles
Zecca Cav. Avv. Vincenzo, Segretario-Capo Provinciale. — Ohieti
ZitelU Pietro. -- Scio (Turchia)
INDICE METODICO
Gli indici delle annate scorse non essendo stati fatti per ordine di materie^
come intendiamo farli d'ora innanzi per facilitar le ricerche, riassu'
miarno quest'anno la materia delle prime tre annate della Bivista.
NUMISMATICA ANTICA.
(Memorie e Dissertazioni).
Abbo fig.
Alcune monete inedite di Magna Grecia. A. G. Sambon . II 139
A proposito di una moneta di Rubi. Giulio Jatta . . . Ili 359
Origine della Moneta in Italia. P. Stettiner Ili 327
Il Medaglione Romano. Federico Eenner (Trad. di S. A.) Il 83
Idem. — (Continuazione e fine) II 243
Il Ripostiglio di S. Zeno Città. Amilcare Ancona ... I 229
Peso e titolo degli Antoniniani di Claudio Gotico. A. Markl II 323
Serdica o Antiochia? Andrea Markl (Trad. di S. A.) . . II 537
Appunti di Numismatica Romana. Francesco Gnecchi :
I. Monete imperiali inedite nella Collezione Gnecchi
a Milano . I 131
II. Ripostiglio di monete romane in Egitto .... I 151
III. Medaglioni inèditi nella Collez. Gnecchi a Milano . I 275
IV. Piccoli Bronzi da Antonino Pio a Severo Alessandro I 291
V. Monete della Repubblica inedite o varianti , rista-
bilite e corrette, nella Coli. Gnecchi a Milano . II 151
VI. La corona d'Augusto in alcuni aurei consolari . . II 181
VII. Contribuzioni al Corptis Numorum. A) Collezione
Francesco Gnecchi Il 431
Vin. Antoniniano di Zenobia Ili 15
IX. I Contrassegni sulle monete della Repubblica e
del principio dell'Impero Ili 21
X Considerazioni sulle monete di S. £lena e di Fausta III 188
604 INDICE METODICO
Aa&o Pie»
XI. Contribazìoni al Corpus Numarum, B) Museo Ha*
nicipale di Milano . . • Ili 199
Xn. Cinque Bronzi inediti provenienti dagli scavi di
Roma durante il 1889 ITI 337
Xni. Ai restauratori dei Bronzi antichi Ili 353
XIV. Medaglione ? Considerazioni su di un bronzo
colle effigie di M. Aurelio e L. Vero appar-
tenente al Museo di Brera Ili 495
(Notizie varie).
Ripostiglio di Monete Greche I 120
Notizie degli Scavi I 120
Idem I 269
Un piccolo ripostiglio in Brianza I 269
Ripostiglio a Vercelli I 395
Tessere romane I 501
Idem II 316
Ripostigli di monete romane (U. Rosa) II 129
Ripostiglio di Parabiago (G. M.) II 130
Idem. II II 315
Ripostiglio di Pratocolombajo II 130
Ripostiglio di Saligny II 131
Ritrovamenti di monete II 316
Ripostiglio di S. Damiano d'Asti (V. Sossi), Ili 174
Scavi di Roma durante il 1889. (P. Stettiner) . . . . Ili 176
Scavi di Roma (1890). (P. Stettiner) Ili 317
Idem Ili 488
Ripostiglio di monete romane in Egitto. (F. G.) . . . . Ili 487
NUMISMATICA ITALIANA MEDIOEVALE E MODERNA.
(Memorie e Dissertazioni).
Di alcune monete inedite e sconosciate della zecca di
Scio. Francesco ed Ercole Gnecchi I 1
Idem. — Appendice I 399
Il Ripostiglio di Larate Abbate. Solone Ambrosoll . . I 15
Studii economici sulle monete di Milano. G. Mulazzani . I 41
Idem I 299
Idem II 8
INDICE METODICO 606
▲BSO fÈg.
Gli Zeccliieri di Milano nel 1479. Emilio Motta. ... I 73
Di una monetina trivulziana con San Carpoforo. So-
lone Ambrosoli I 211
Documenti inediti della zecca di Correggio. E. Gnecchi . I 217
Idem. — Appendice I II 18
A proposito delle monete di Gian Carlo Visconti. Giu-
seppe Gavazzi I 226
Alcune notizie sugli intagliatori della zecca di Venezia.
Nicolò Papadopoli I 861
Di una moneta inedita mantovana. Erancesco Tamassia . I 861
Di uno scudo progettato per S. Marino. Solone Ambrosoli I 868
Bioerca del fiorino d' oro di Giangaleazzo Visconti. Giu-
seppe Gavazzi I 411
Annotazioni Numismatiche Genovesi. Giuseppe Buggero:
XI. Minuto colla leggenda ianva q * d * p * . . . . I 466
XII. Monete del Governatore Agostino Adorno ... I 461
XIII. Monete del Governatore Card. Campofregoso . . II 17
XIV. Minuto del Doge Antoniotto Adorno II. 28
XV. Nuova variante e considerazione su di un minuto
già edito ^ II 28
XVI. Le terzarolo di Carlo VI . . II 197
XVII. Ducato della Libertà del 144248 II 871
XVni. Varianti di Minuti ed una moneta inedita ... II 607
XIX. Monete attribuite dal Gandolfi ai Dogi X e XI . Ili 621
XX. Minuti del Governatore Filippo di Cleves . . . Ili 626
Moneta d'oro del Principe Siro da Correggio. JF. Miari . I 481
La Zecca di Tresana. Umberto Bossi II 86
Monetazione Carolingia italiana. — Cieurlomanno. D. Muoni II 187
Un bando contro le monete trivulziane. E. Tagliabue. . II 201
Compendio storico di quindici zecche italiane. Giovanni
MULAZZANI II 888
Idem. — (Continuazione e fine) II 477
Moneta Dalmatiae. Nicolò Papadopoli II 861
La Zecca di Pano nel 1797. Giuseppe Castellani ... II 881
Gerolamo Alberti maestro di zecca. Emilio Motta ... II 401
Note Monegasche. Solone Ambrosoli II 616
Le Monete dei Pontefici Romani Leone Vili e Gio-
vanni XIII. Tarquinio Gentili di Eovellone . . . Ili 61
Patacchina Savonese inedita di Filippo Maria Visconti.
Solone Ambrosoli Ili 91
Moneta inedita di Pietro I di Savoia. V. Promis. ... Ili 128
77
606 INDICE METODICO
Auo Pac*
Monete di Q. B. Falletti conte di Benevello. V. Promis . IH 129
Congetture suirattribuzione di alcuni tremissi longobardi.
Giuseppe Gavazzi ^ . . . IH 207
Nuove osservazioni sopra alcune monete battute dai Papi
nel Contado Venesino e d'Avignone. V. Capobianchi . Ili 217
Soldino astigiano inedito di Carlo V. Solone Ambrosoli . Ili 233
Tremisse inedito al nome di Desiderio re dei Longobardi.
Camillo Brambilla Ili 277
È davvero esistita la zecca di Mesocco? E. Tagliabue . Ili 369
Un picciolo di Astorgio III Manfredi per Faenza. Giu-
seppe Castellani Ili 425
Le monete del ducato napoletano. Arturo G. Sambon . . IH 445
Appunti di Numismatica Italiana. E. Gnecchi:
I. Tre luigini inediti di Campi Ili 533
Enrico Dandolo e le sue monete. Nicolò Papadopoli . . Ili 507
Il mezzo zecchino del Vasto. Solone Ambrosoli .... Ili 543
(Notizie varie).
Ripostiglio a Mombello I 395
Ripostiglio di Ballabio I 498
Ripostiglio di Villa Raverio II 131
Ritrovamento di monete a Firenze II 133
Ritrovamenti di monete II 316
Ripostiglio di Gessopalena (C. Persiani) II 427
Ripostiglio di Sartirana (E. G.) Ili 171
Ripostiglio di -Solignano (A. Crespellani) ...... Ili 173
Un'urna di monete viscontee a Treviglio. (C. Bellotti) . Ili 485
Un ripostiglio di monete d'oro medioevali a Roma. (E. G.) Ili 577
MEDAGLIE ANTICHE.
I Medaglisti del Rinascimento alla Corte di Mantova.
Umberto Rossi :
I. Ermes Flavio de Bonis I 25
IL Pier Jacopo Alari-Bonacolsi detto V Antico ... I 161
Idem. — (Continuazione e fine) I 433
III. Gian Marco Cavalli I 439
Le medaglie Eriulane dei secoli XV e XVI. Valen-
tino OSTERMANN , ».,.., I 196
iNDlCe METODICO 60?
T"
▲nio FAf.
Francesco Marchi e le medaglie di Margherita d'Austria.
Umberto Rossi I 833
Una medaglia inedita del Museo di Brera. S. Ambrosolt. I 471
La medaglia dei Dottori del Collegio di Como. C. Poggi. II 67
Una medaglia di Antonio Abbondio. Solone Ahbrosoli . II 391
Una medaglia commemorativa milanese. Ercole Qnegchi. II 395
Di un medaglista anonimo mantovano dell' anno 1506.
Roberto von Schneider (Trad. di 8. A.) HI 101
Lodovico Chiericati. Bernardo Morsolin Ili 139
Gerolamo Gualdo. Idem Ili 142
Giacomo Bannissio. Idem Ili 239
Isabella Sesso. Idem Ili 247
Medaglie del Vellano di Padova in onore di Paolo III.
Idem ^ .... Ili 549
MEDAGLIE MODERNE.
Medaglie italiane del 1888. Alfredo Comandini. — Parte I. Il 53
Idem. — Parte II II 217
Medaglie italiane del 1889. Alfredo Comandini. — Parte I III 259
Idem. — Parte II IH 429
Idem. — Un'Aggiunta HI 559
Le medaglie di Giuditta Pasta. Cencio Poggi II 517
Una medaglia inedita dei Principi Baciocchi. G. Sforza . Ili 119
La medaglia della Duchessa di Galliera I 126
Medaglia al Prof. Brioschi Il 133
Medaglie a Giacomo Medici e Luciano Manara .... II 316
BIBLIOGRAFIA.
(Opere Numismatiche).
Armand Alfred. Les médailleurs italiens des quinzième
et seizième siècles. Parigi, 1887. (S. A.) I 106
Atkins James. The coins and Tokens of the Possessions
and Colonies, etc. Londra, 1889 II 124
Barclay V. Head. Historia numorum. Oxford, anno 1887.
(A. PuscHi) I 97
Barthélemy (A. de). Nouveau manuel de Numismatique
ancienne. Parigi, 1890. (S. A.) Ili 308
Blanchet (J. A.). Manuel de Numismatique du moyen àge.
Parigi, 1890. (S. A.) Ili 308
608 INDICE METODICO
Aaao Paf.
Bodleian Library (The) in 1882.87. Oxford, 1888. (P. Q.). H 122
Brambilla Camillo, Tremisse inedito al nome di Desiderio.
Pavia, 1888 I 491
Cecchetti B» Bolle dei Dogi di Venezia. Venezia , 1888.
(V. Padovan) II 120
Cerexhe Michel, Les monnaies de Charlemagne. Gand,
anno 1887. (C. L.) . . I 370
Crespellani Arsenio. Oggetti gallo-celtici del modenese.
Modena, 1887 I 107
Desimoni Cornelio, Le prime monete d'argento della zecca
di Genova e il loro valore. Genova, 1888 I 875
Engel et Serrare, Kepertoire des sources imprimées de
la Numismatique fran9aise. T. I. Parigi, 1887. (S. A.). I 255
Idem. — Tomo II. Parigi, 1889 n 120
Idem. — Supplemento. Parigi, 1889 II 682
Fraccia Giovanni, Sa dae contromarche in monete ro-
mane. (P. G.) in 160
— — Antiche monete siciliane, ecc. (P. G.) Ili 162
(Una lettera del Cav.) HI 318
Oneccki Francesco ed Ercole. Guida numismatica univer-
sale. 2' edizione. Milano, 1889 II 307
Saggio di Bibliografia numismatica delle zecche
italiane. Milano, 1889. (Solone Ambrosoli) II 115
Imhoof-Blumer und Otto Keller, Tier und Pflanzenbilder
auf Munzen, etc. Lipsia, 1889. (S. A.) Ili 305
Kòrher Dr, Karl, Beitràge zur ròmischen Mùnzkunde. Ma-
gonza, 1887. (L. A. Milani) II 298
Molinier Emile. Les Bronzes de la Renaissance. Les Pia-
quettes. (Alfredo Melani) I 251
Mulazzani Giovanni, Tre opuscoli di numismatica mila-
nese. Milano, 1889 Il 124
Promis Vincenzo, Moneta inedita di Pietro di Savoia, ecc.
Torino, 1888 I 374
Monete di G. B. Palletti. Torino, 1888 1491
Quadrai y Ramon D. Manuel Vidal. (Compendio del Ca-
talogo, ecc.). Barcellona, 1888 I 376
Rizzini, Illustrazione dei Civici Musei di Brescia. Parte I :
Placchette e bassorilievi Ili 163
Salinai Antonio, Hipostiglio siciliano di monete antiche
d'argento Il 305
INDICE METODICO 609
▲ue Pag.
Sambon Arturo Giulio. Monete del dacato napoletano.
Napoli, 1889 H 682
Warwich Wroth, Catalogne of Greek coina. Londra ,
anno 1889. (F. G.) HI 159
Werdnig Dr. 0, Die Osellen. Vienna 1889. (N. P ) . . . I 489
Nnove pnbblicazioni di numismatica. I 109, 267, 876, 492.
II 124, 808, 422, 688. Ili 164, 810, 671.
(Periodici numismatici).
Bollettino di Numismatica e Sfragistica. I IH. — The
Numismatic Chronicle. I 813. Ili 674. — Kevue Nn-
mismatique. I 112, 877, 498. II 126, 810, 684. IH 166,
812, 488, 674. — Annnaire de la Société franpaise de
Numismatique et d'Archeologie. I 118, 259, 379, 494,
n 126, 310, 686. Ili 167, 313, 678. — Numismatische
Zeitschrift. II 311. Ili 488. — Zeitschrift fùr Numis-
matik. I 884. II 687. Ili 168. — Revue Belge de
Numismatique. 1115, 260, 381. II 126, 311, 423, 686.
Ili 483, 678. — Bulletin de Numismatique et d'Ar-
cheologie. I 262. — Bulletin de la Société Suisse de
Numismatique. I 262. Ili 167, 313. — American
Journal of Numismatics. I 262. II 127. Ili 484.
(Articoli numismatici in Periodici diversi).
I 117, 268, 887, 494. II. 127, 312, 424, 687. IH 168, 314, 674.
NECROLOGIE.
Amécourt (Visconte Ponton d') I 93
Armand (Alfred). Art. di U. Bossi I 367
Bazzi (Mons. Gaetano). Articolo di E. G Ili 481
Biondelli (Bernardino). Art. di S. Ambrosoli I 239
Canzani (Demetrio) I 96
Cecchetti (Bartolomeo) II 113
Chalon (Rénier) II 114
Danicourt (Alfred) I 96
Ghiron (Isaia). Art. di S. Ambrosoli II 417
Kunz (Carlo). Art. di A. Buschi I 86
6 10 INDICfi METODICO
Abbo Pag.
Lambros (Paolo) I 93
Meyer (Q. F. G.) m 168
Molins (Marchese de) Ili 158
Morel Fatio I 91
Quelen (Eleazaro de) I 95
Promis (Vincenzo). Art. di S. A Ili 155
Reimer (Hans) . I 96
Remedi (Angelo) * , , II 297
Robert (Pierre Charles) • I 94
Rovelli (Pietro) H 295
Tambroni Armaroli (Ernesto) I 93
Wilson (G. W.) in 158
Witte (Barone de) Il 581
MISCELLANEA.
Prefazione. La Direzione I IX
Ai Lettori. Solone Ambrosoli II 593
Ai Lettori. Francesco ed Ercole Gnecchi in 9
Vite di illustri numismatici italiani. C. Luppi:
I. Lodovico Antonio Muratóri Il 105
n. Filippo Argelati II 287
III. Vincenzo Bellini Il 409
IV. Guid'Antonio Zanetti II 573
V. P. Ireneo Affò HI 145
VI. Gian Rinaldo Carli IH 299
Vn. Domenico Sestini . Ili 473
vili. Ennio Quirino Visconti HI 561
Falsificazioni moderne I 125
Idem I 266
Idem 1497
Idem ni 178
Idem in 582
Le antiche monete americane I 122
Una raccolta di gettoni I 122
Furto di monete I 122
Offerte per la fondazione della Rivista I 128
Idem •. I 272
Il furto di Parigi I 268
Un premio ad Ernesto Babelon I 269
Numismatica musulmana I 270
INDICE METODICO 611
▲no Pftff.
Le monete antiche e la dogana italiana ....... I 270
Un dono di Torino a Milano I 271
Manoscritti di Carlo Knnz I B93
Una lettera di F. Verri relativamente al Gabinetto di Brera I 394
Un altro furto di monete I 895
Guida Numismatica universale I 896
Spigolature d'Archivio. (E. Motta) I 483
Il famoso ripostiglio di Russia I 499
Per la numismatica milanese I 501
Per la Brigata Aosta II 185
Numismatica medica II 307
Monete merovingie II 316
Concorso della B. Accademia di Belle Arti di Milano. . II 319
La Numismatica all'Esposizione di Parigi. (F. Gnecchi) . II 428
Medaglisti moderni. (A. Melani) II 590
Premio Girotti II 591
Moneta coloniale II 591
Monete per la Colonia Eritrea Ili 584
Zecca di Milano IH 179
Società Numismatica Svizzera Ili 180
Museo Provinciale di Bari Ili 824
Lo scudo di S. Marino. (8. A.) HI 487
Club Numismatico Ili 587
Il premio di numismatica all'Accademia delle Iscrizioni
e Belle Lettere in Francia Ili 588
Per la Storia dei Periodici di Numismatica Ili 589
Doni al Gabinetto di Brera I 127
Idem I 500
Idem II 185
Idem II 320
Idem n 591
Idem ni 178
Idem .• Ili 588
Vendite di monete :
Collezione Amócourt (Visconte Ponton d') Ili 488
n Belfort (Augusto de) (F G.) I 123
„ D*** (Conte). (F. G.). n 317
n Hirsch I 122 e 268
n Miari (Conte Fulcio Lucio) Ili 178
n Morel Patio . , I 893
7» Phothi^des Pacha (E. G.) . . , IH 489
612 INDICE METODICO
▲no Pigi
Collezione Quelen (Eleazaro de) (P. G.) I 388
n di un amatore rasso II 134
Collaboratori della Rivista nell'anno 1888 Ili 591
Idem, nel 1889 HI 592
Idem, nel 1890 HI 593
Indice dell'annata 1888 I 603
Idem, dell'annata 1889 .... - Il 395
Idem, dell'annata 1890 IH 595
Elenco degli Associati alla Rivista per l'anno 1888 ... I 507
Idem, per l'anno 1889 II 597
Idem, per l'anno 1890 Ili 597
Finito di stampare il 16 Dicembre 1890.
liODoyjco Fei:,icb Cogliati, Gerente responsabile.
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